t HARVARD: UNIVERSITY: LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. 31534 eae ie bo, \4\% hie Athy Outs on i ì we VALSA j ’ i IR. i tie new) DE Î \ (oo VIRTÙ toa oie ATTI DELLA SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO VOL. XXXVII. ANNO 1897. MILANO, TIPOGRAFIA BERNARDONI DI C. REBESCHINI E Cc. 1897. ‘DISOT ]109 OYJ UOIA TOYTUITOY Td10) 9 190g Ie I[OOIOSE] ITOSUIS top OtAUI MT "BIZOUOA 0500) ‘O|BIMEN CLIOVS ID OOKAT) COSTI OAONYY JOP OZZEjeg “erOLOOG [pop tinogoIiog E|[e Isu0Gjonta ATYONIN OP 9 [LLY ysop erodwoo vy 104 MI (8 i I 2k Ae cee wataaes VENA 2) = ERC) Spa 9 GS) ST SX CH ATE PS | So AS : PR | Ago o) LIANA DELLA IN MILANO MILANO TIP. BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. Via Rovello, 14 Giueno 1897. Nn SOCIETA ITA VOLUME XXXVII. FascicoLo 1.° — Fogti 1-7. DI SCIENZE NATURALI DI STORIA NATURALE MUSEO CIVICO ai - Direzione pet 1897. Presidente, Comm. prof. Grovannt CeLoRIA, Palazzo di Brera, 26. Vice-Presidente, Cav. prof. FELICE FrRANcESCHINI, Via Monforte, 14. i Prof. Gracinto MARTORELLI, Museo Civico. Segretar) di. | Prof. FERDINANDO SORDELLI, Museo’ Civico. Vice-Segretario, Prof. Ernesto CortINI, Via Crocefisso, 8. Conservatore, Prof. Pompeo CasteLFRANCO, Via Principe Umberto, 5. Vice-Conservatore, Dott. PaoLo MaGRETTI, Via Dante, 7. Cassiere, Cav. Giuseppe GaRGANTINI-PrATTI, Via Passerella, 10. CONSIGLIERI D’ AMMINISTRAZIONE: Conte GiserTto Borromeo juniore, Piazza Borromeo, 7. March. Lurer CriveLLI, Corso Venezia, 32. Sig. Virrorio ViLLa, Via Sala, 6. Ing. Francesco Saumosracut, Via Monte di Pietà, 9. Cay. prof. Tiro VienoLI, Corso Venezia, 89. DIREZIONE PEL 1896. Presidente. — Comm. prof. Giovanni CeLORIA, Palazzo di Brera, 26. Vice-Presidente. — Cav. prof. FELICE FRANCESCHINI, vi@ Monforte, 14. _. { Prof. Gracinto MARTORELLI, Museo Civico. A ( Prof. FERDINANDO SORDELLI, Museo Civico. Vice-Segretario. — Prof. ERNESTO Corrini, via Crocefisso, 8. Conservatore. — Prof. Pompeo CASTELFRANGO, via Principe Um- berto, 3. Vice-Conservatore. — Dott. Paoto MAGRETTI, via Dante, 7. Cassiere. — Cav. GIUSEPPE GARGANTINI-PIATTI, via Passarella, 10. CONSIGLIO D’ AMMINISTRAZIONE Conte GrserTo Borromeo juniore, Piazza Borromeo, 7. March. Luter CRIVELLI, Corso Venezia, 32. Sig. Virrorio VILLA, via Sala, 6. Ing. FRANCESCO SALMOJRAGHI, v7a Monte di Pietà, 9. Cav. prof. Tiro VienoLI, Corso Venezia, 89. SOCJ EFFETTIVI per l'anno 1897. Dott. Carlo ArraGHI, Magenta. Prof. Angelo Anpres, Direttore della sezione di Zoologia nel Museo Civico di Milano. Conte Carlo Arborio MeLLA, Vercelli. Prof. cav. Francesco ArpISSoNE, Direttore dell’Orto Botanico di Milano, Conte dott. prof. Ettore ArrIGonI degli OppI, Padova. Rag. F. Augusto ArtARIA, Milano. Prof. Ettore ArtiNI, Direttore della sezione di Mineralogia nel Museo Civico di Milano. Sac. Camillo Barassi, Milano. Conte comm. Emilio BarBIANO di Belgiojoso, Milano. Conte ing. Guido BarBrano di Belgiojoso, Milano. Prof. comm. Giuseppe BarpeLLI, Milano. i Prof. Francesco Bassani, Direttore del Gabinetto di Geologia e Pa- leontologia della R. Università di Napoli. Dott. Serafino BeLranri, Direttore dell’ Istituto Sieroterapico di Milano. Dott. Cristoforo BeLLotTI (Socio Benemerito), Milano. Sac. Giuseppe Bernasconi, Parroco di Civiglio. Prof. cav. Ambrogio BERTARELLI, Milano. ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI. D Rag. Costantino BivaGni, Milano. Dott. prof. Michelangelo BoGLIonE, Como. Dott. prof. Guido Borpon-Urrrepbuzzi, Medico-capo municipale, Milano. Prof. ing. Francesco BorLeTTI, Milano. Conte Giberto Borromeo juniore, Milano. Prof. comm. Ulderico BortI, Reggio Calabria. Prof. cav. Giovanni Briosi, Direttore della Stazione Crittogamica di Pavia. Sac. Pietro Buzzoni, Milano. Sac. Enrico Carri, Dottore in scienze naturali, Bergamo. Prof. sac. Pietro CALDERINI, Direttore dell’Istituto Tecnico di Varallo Sesia. Prof. Matteo CALEGARI, Milano. Prof. Elvezio CanToNI, Milano. Conte ing. Alberto CAsTELBARCO ALBANI, Milano. Prof. cav. Pompeo CasreLFRANCO, Milano. Dott. Giacomo CATTERINA, Padova. Prof. comm. Giovanni CeLorIA, If Astronomo dell’Osservatorio di Brera, Milano. Dott. Giuseppe CoLowBo, Milano. Prof. comm. Giuseppe CoLowgo, Deputato al Parlamento Nazionale, Milano. Sac. Gaetano CoLoni, Professore di scienze naturali a Crema. Dott. Benedetto Corti, Professore nel Seminario Vescovile di Pavia. Prof. Ernesto CorTINI, Milano. March. Luigi CrIveLLI, Milano. Conte Giuseppe CRIVELLI-SERBELLONI, Milano. March. Luigi Currica DI Cassine, Milano. Dott. Camillo DAL Frume, Badia Polesine. Dott. Giulio De ALESsANDRI, Prof. Aggiunto: alla Sezione di Geologia e Paleontologia al Museo Civico di Milano. March. Norberto DeL Mayno, Milano. 6 ELENCO DEI SOGJ EFFETTIVI. March. Giacomo Doria, Senatore del Regno, Presidente della Società Geografica, Roma. Prof. Ottavio Luigi FERRERO, Napoli. Dott. Prof. cav. Rinaldo Ferrint, Milano. Dott. cav. Angelo FroreNTINI, Milano. Prof. cav. Felice FrancescHINI, Direttore del Laboratorio di Entomo- logia Agraria, Milano. Cav. Domenico Furia, T. Colonnello, Milano. Dott. Prof. cav. Luigi GABA, Milano. Ing. Enrico GaBET, Caltanisetta. Ing. cav. Giuseppe GarganTINI-PlATTI, Milano. Dott. cav. Alfonso GaRrovagLIo, Milano. Dott. Prof. cav. Francesco Garrr, Milano. Sac. Prof. Bernardino Gavazzeni, Bergamo. Prof. Fabio GeLmI, Milano. Pietro GracomELLI, Bergamo. Prof. Giuseppe GIANoLI, Milano. Prof. cav. Francesco Grassi, Milano. Prof. cav. Rocco GrItTI, Milano. March. Carlo Raffaele GuaLrERIO, Bagnorea (Orvieto). Prof. Guglielmo HamBuRrGER, Milano. Prof. cav. Giuseppe June, Milano. Prof. cav. Guglielmo KoRNER, Milano. Nob. dott. cav. Giuseppe Luini, Milano. Conte Francesco Lurani, Milano. Prof. dott. Pietro MAFFI, Canonico, Pavia. Prof. cav. Leopoldo Mager, Direttore del Gabinetto di Anatomia com- parata nella R. Università di Pavia. Dott. Paolo MaGRETTI, Milano. Prof. Giovanni Matrarri, Milano. Prof. Ernesto MARIANI, Direttore della Sezione di Geologia e Paleon- tologia nel Museo Civico di Milano. ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI. 7 Prof. Giacinto MartoRrELLI, Direttore della Collezione Ornitologica Tu- rati nel Museo Civico di Milano. Prof. dott. Felice Mazza, Cagliari. Conte dott. Gilberto MeLzi, Milano. Prof. Angelo Menozzi, Milano. Sac. Prof. Giuseppe MercaLLI, Napoli. Dott. Giovanni Battista MiLesi, Lovere. Prof. ing. Francesco MoLinarI, Milano. Barone Alessandro Monti, Brescia. Dott. Prof. Assunto Morr, Milano. Prof. Oreste Murant, Milano. Dott. comm. Gaetano Neer, Senatore del Regno, Milano. Ing. Luigi OLIvARI, Romano Lombardo. Dott. Paolo OLIvARI, Romano Lombardo. Dott. cav. Giovanni OmBoNI, Professore di Geologia nella R. Univer- sità di Padova. Ing. All. Giov. Batt. OriGoNnI, Milano. Ing. Prof. Ettore PaLADINI, Milano. Ing. Adolfo Panza, Milano. Dott. cav. Pietro PANZERI, Direttore dell’Istituto dei Rachitici di Milano. Dott. Giuseppe ParavicinI, Milano. Dott. Prof. Corrado Parona, Direttore del Gabinetto di Zoologia nella R. Università di Genova. Conte Napoleone PasseERINI, Firenze. Marchesa Marianna PauLucoI, Firenze. Prof. Gian Pietro Piana, Prof. all’ Istituto Patologico della R. Scuola Veterinaria di Milano. Ing. Edoardo Pini, Astronomo Ass. dell’Osservatorio di Brera, Milano. Nob. cav. Napoleone Pini, Milano. Banchiere Cesare PoxtI, Milano. Ing. «dott. Cesare Porro, Milano. Prof. comm. Edoardo Porro, Senatore del Regno, Milano. 8 ELENCO DEI SOGJ EFFETTIVI. Dott. Michele Rayna, II Astronomo dell’Osservatorio di Brera, Milano. Cav. Cristiano ReBESCHINI, Milano. Dott. Giulio Rezzonico, Milano. Dott. Carlo Riva, Assistente al Museo di Mineralogia dell’ Università di Pavia. Dott. Prof. Giuseppe RoxcHETTI-MoxTEVITI, Milano. Ing. Emilio RosertI, Professore em. dell’Università di Buenos Ayres, Mitano. Sac. Prof. Giuseppe Rusconi, Gorla Minore. Ing. Prof. Francesco SaLmosraGHI, Milano. Dott. Guglielmo Satomon, Assistente al Museo di Mineralogia dell’ U- niversità di Pavia. Prof. comm. Giovanni ScHIAPARELLI, Senatore del Regno, Direttore dell’ Osservatorio Astronomico di Brera (,Soczo perpetuo), Milano. Prof. comm. Enrico SertoLIi, Milano. Prof. Ferdinando SorpeLLI, Milano. Prof. comm. Torquato TarameLLI, Direttore del Gabinetto di Geologia e Paleontologia nella R. Università di Pavia. Comm. Eugenio ToreLLI-VioLLIER, Milano. Prof. cav. Giovanni TranquiLLI, Ascoli Piceno. Nob. Ernesto Turati, Milano. Nob. Gianfranco Turati, Milano. Dott. cav. Arnoldo UsigLi, Milano. Prof. cav. Tito VienoLi, Direttore del Museo Civico di storia naturale, Milano. Nob. Giulio Vioni, Senatore del Regno, Milano, Nob. comm. Giuseppe Vigoni, Sindaco di Milano, Vittorio Vira, Milano, Dott. Decio VINcIGUERRA, Roma. Ing. Prof. cav. Luigi Zunint, Milano. Ot wR Co DI => x1 © ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI al principio dell’anno 1897. AMERICA DEL NORD. . University of the State of New York — Albany N. Y. . American Academy of Arts and Sciences — Boston. Boston Society of Natural History — Boston, Davenport Academy of Natural Sciences — Davenport Jowa. Jowa Geological Survey -— Des Moines (Jowa). Nova Scotian Institute of Science — Halifax. . Wisconsin Academy of Sciences, Arts and Letters — Madison (Wisconsin), Minnesota Academy of Natural Sciences — Minneapolis. . Connecticut Academy of Arts and Sciences — New-Hawen, . Geological and Natural History Survey of Canada — Ottawa. . Academy of Natural Sciences — Philadelphia. . Wagner Free Institute of Science — Philadelphia. + Geological Society of America — Rochester N. Y. U. S. A.. . California Academy of Sciences — San Francisco. 5. California State Mining Bureau — San Francisco. . Academy of Science of St. Louis — St. Louis. . Kansas Academy of Science — Topeka Kansas. S. Canadian Institute — Toronto. 10 ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. 19. New Jersey Natural History Society — Trenton N. J. 20. Library of Tufts College — Mass. U. S. A. 21. United States National Museum — Washington. 22. United States Geological Survey — Washington. 23. Smithsonian Institution — Washington. AMERICA DEL SUD. 24. Academia Nacional de Ciencias en Cordoba. 25. Facultad de Agronomia y Veterinaria — La Plata. 26. Revista Argentina de Historia Natural — La Plata. 27. Museo Nacional de Montevideo —' Montevideo. 28. Museo Nacional de Rio Janeiro -—— Rio Janeiro. 29. Universidad central del Ecuador — Quito Ecuador. 30, Commissao geographica do Estado de San Paulo. 51. Société scientifique du Chili — Santiago. AUSTRALIA. 32. Royal Society of South Australia — Adelaide. 33. National Museum of Natural History of Victoria — Melbourne. 54. Royal Society of New South Wales — Sydney. 30. Trustees of the Australian Museum — Sydney. AUSTRIA-UNGHERIA. 36. Aquila A Magyar Ornithologiai Kérpont Folydirata — Budapest. 37. Konig. Ungarisch. geologische Anstalt — Budapest. 38. Académie des Sciences de Cracovie. 39. Vereins der Aerzte im Steiermark — Graz. 40. Siebenburgischer Verein fiir Naturwissenschaften — Hermann- stadt. 41. Naturwissenschaftlich-medizinischer Verein — Innsbruck. 42. Vereins fir Natur. und Heilkunde — Preshurg. 45. I. R. Accademia degli Agiati in Rovereto. 44. Bosnisch-Hercegovinischen Landesmuseum — Sarajevo. 45. Società agraria — Trieste. 46. Società Alpina delle Giulie — Trieste. 47. Anthropologische Gesellschaft — Wien. 48. K. K. Geologische Reichsanstalt — Wien. 49. K. K. Zoologisch-hotanische Gesellschaft — Wien. 50. K. K. Naturhistorisches Hofmuseum — Wien. 51. Verein zur Verbreitung naturwissenschaftlicher Kenntnisse — D2. . Revue de Université de Bruxelles. 8. 60. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. Wien. BELGIO. Académie Royale de Belgique — Bruxelles. . Société entomologique de Belgique — Bruxelles. Société Royale malacologique — Bruxelles. Bruxelles. FRANCIA. Société Linnéenne du Nord de la France — Amiens. Société des sciences physiques et naturelles de Bordeaux. Académie des sciences, belles-lettres et arts de Savoie — Cham- héry. Société nationale des sciences naturelles et mathématiques de Cherbourg. Université de Lyon. 11 . Société Belge de géologie, de paléontologie et d’hydrologie — . Société Royale de botanique de Belgique — Ixelles-les-Bruxelles. >—I —1 —1 I Be oo DI fe C Sd co -~I oe) DIO > © ito) ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. Société d’agriculture, d’histoire naturelle et des arts utiles — Lyon. « Société d’Ant@hropologie de Paris. . Muséum de Paris — Paris. Société Géologique de France — Paris. Société nationale d’Acclimatation de France — Paris. . Académie des sciences, arts et lettres — Rouen. Société libre d’émulation, du commerce et de l’industrie de la Seme Inférieure — Rouen. Société (histoire naturelle — Toulouse. GERMANIA. Naturhistorischer Verein — Augsbure. ro) to) . Botanischer Vereins der Provinz Brandenburg — Berlin. . Deutsche geologische Gesellschaft — Berlin. . K. Preussischen geologischen Landesanstalt und Bergakademie — Berlin. Schlesische Gesellschaft fiir Vaterlàndische Kultur — Breslau. . Verein fir Naturkunde — Kassel. . Naturwissenschaftliche Gesellschaft — Chemnitz. . Naturforschende Gesellschaft — Danzig. Verein fir Erdkunde — Darmstadt. . Naturwissenschaftliche Gesellschaft Isis — Dresden. Physikalisch-medicinischen Societàt zu Erlangen. Senkenbergische naturforschende Gesellschaft — Frankfurt am Main. j 5. Naturforschende Gesellschaft (Berichte) — Freiburg im Baden. . Naturforschende Gesellschaft — Gòrlitz. 5. Verein der Freunde der Naturgeschichte — Giistrow. . Medizinisch-naturwissenschaftliche Gesellschaft — Jena. . Physikalisch-Oeconomische Gesellschaft — Kénigsberg. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. 13 88. Zoologischer Anzeiger — Leipzig. 89. K. Bayerische Akademie der Wissenschaften — Mimchen. 90. Offenbacher Verein fiir Naturkunde — Offenbach am Main. 91. Naturwissenschaftlicher Verein — Regensburg. 92. Nassauischer Verein fiir Naturkunde — Wiesbaden. 95. Physikalisch-medicinische Gesellschaft — Witzbure. 94. Oberhessische Gesellschaft fir Natur- und Heilkunde — Giessen. 108. GIAPPONE. . Imperial University of Japan — Tokyo. GRAN BRETTAGNA. . Royal Irish Academy — Dublin. . Royal Dublin Society — Dublin. . Royal physical Society — Edinburgh. . Geological Society of Glasgow — Glasgow. Royal observatory — Greenwich. Palaeontographical Society — London. Royal Society — London. Royal microscopical Society — London. Zoological Society — London. British Museum of Natural History — London. Literary and philosophical Society — Manchester. INDIA. . Geological Survey of India — Calcutta. ITALIA. Accademia degli Zelanti e P. P. dello Studio di scienze, lettere ed arti — Acireale. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. . Ateneo di scienze, lettere ed arti — Bergamo. . Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna. . Ateneo di Brescia. . Accademia Gioenia di scienze naturali — Catania. . R. Accademia dei Georgofili — Firenze. . Biblioteca Nazionale Centrale — Firenze. . Società botanica italiana — Firenze. . Società entomologica italiana — Firenze. . R. Accademia medica — Genova. . Società di lettura e conversazioni scientifiche — (Genova. . Società Ligustica di Scienze Naturali e Geografiche — (Genova. . Comune di Milano. (Dati statistici e Bollettino demografico) — Milano. . R. Istituto Lombardo di scienze e lettere — Milano. . Società Agraria di Lombardia — Milano. 5. R. Società italiana d’igiene — Milano. 4. Società dei Naturalisti — Modena. Società di Naturalisti — Napoli. 6. Società africana d’Italia — Napoli. DO DOO) Cee CO Pea Re ES fa | — — eo Co DI . Società Reale di Napoli. (Accademia delle scienze fisiche e ma— tematiche) — Napoli. . R. Istituto d’ Incoraggiamento alle scienze naturali, economiche e tecnologiche — Napoli. . La nuova Notarisia — Padova. . Società Veneto-Trentina di scienze naturali — Padova. . R. Accademia palermitana di scienze, lettere ed arti — Pa- lermo. Società di scienze naturali ed economiche — Palermo. Società dei Naturalisti Siciliani — Palermo. Società di acclimazione ed agricoltura — Palermo. Società toscana di scienze naturali — Pisa, . R. Scuola Superiore di Agricoltura in Portici, Laboratorio di Entomologia agraria (Rivista di Patologia vegetale e Zimologia). or ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. 1 137. R. Accademia medica — Roma. 138. R. Accademia dei Lincei — Roma. 138. R. Comitato geologico d’Italia — Roma. 139. Società italiana delle scienze detta dei Quaranta — Roma. 140. R. Società Economica e Comizio Agrario — Salerno. 141. R. Accademia dei Fisiocritici — Siena. 142. Rivista italiana di scienze naturali e Bollettino del cavaliere Si- gismondo Brogi — Siena. 143. R. Accademia di agricoltura — Torino. 144. R. Accademia delle scienze di Torino. 145. Musei di zoologia ed anatomia comparata della R. Università di Torino. 146. Società meteorologica italiana — Torino. 147. Associazione agraria friulana — Udine. 148. Ateneo Veneto — Venezia. 149. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti — Venezia. 150. Accademia di agricoltura, commercio ed arti — Verona. 151. Accademia Olimpica — Vicenza. PAESI BASSI. 152. Musée Teyler — Harlem. 153. Société Hollandaise des sciences à Harlem. PORTOGALLO. 154. Annaes de Sciencias Naturaes — Porto. 155. Revista de Sciencias Naturaes e Sociaes — Porto. RUSSIA E FINLANDIA. 156. Societas pro fauna et flora fennica — Helsingfors. 157. Société Impériale des Naturalistes de Moscou. 16 158. 159. 160. OMe 162. 163. 164. 165. 166. 167. 168. 169) LO: ae de, 173. 174. 179. dor Die 178. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. Société botanique de St. Pétersbourg. Académie Impériale des sciences de St. Pétershourg. . Comité géologique — St. Pétersbourg. SPAGNA. Sociedad Espanola de historia natural — Madrid. SVEZIA E NORVEGIA. Bibliothèque de l’Université Royale de Norvége — Christiania. Société des sciences de Christiania. Universitas Lundensis — Lund. Stavanger Museum -— Stavanger Norvegia. Académie Royale suédoise des sciences — Stockholm. Kong]. Vitterhets Historie och Antiquitets Akademiens — Stock- holm. Bibliothèque de PUniversité d’Upsala (Institution géologique) — Upsala. SVIZZERA. Naturforschende Gesellschaft — Basel. Naturforschende Gesellschaft — Bern. Société helvétique des sciences naturelles — Bern. Naturforschende Gesellschaft — Chur. Institut national Genèvois — (Genève. Société de physique et d’histoire naturelles — Genéve. Société Vaudoise des sciences naturelles — Lausanne. Société des sciences naturelles — Neuchatel. Ziivcher naturforschende Gesellschaft — Zirich. Commission géologique suisse (Société helvétique des sciences naturelles) — Ziirich. RICERCHE SULLA MORFOLOGIA DELLA SZIMONDSIA PARADOXA Cobbold E DI ALCUNI ALTRI NEMATODI PARASSITI DELLO STOMACO DEGLI ANIMALI DELLA SPECIE SUS SCROFA L. Memoria del socio Prof. Gian Pietro Piana (Presentata nella seduta del 31 gennaio 1897.) Sorprendente è la diversità dei modi coi quali i nematodi parassiti o elminti filiformi, assalgono e invadono il corpo degli animali supe- riori. Mentre alcuni nematodi si limitano a vivere alla superficie delle membrane tappezzate da epitelio e si nutrono soltanto dei prodotti di secrezione delle membrane stesse (ascaridi, ossiuridi), altri s’ impian- tano più o meno profondamente nelle dette membrane e suggono o il sangue circolante nei vasi capillari, o gli umori parenchimali (uncinarie, singami, sclerostomi, disfaragi). Avvene ancora di quelli che scavando cunicoli sì introducono con parte o con tutto il loro corpo nello spes- sore degli epiteli o nella parte più superficiale del derma delle mucose (gongilonemi, tricocefali, tricosomi anguillule). Nè mancano quelli che penetrano profondamente nei tessuti e si formano delle nicchie o delle cisti nei parenchimi degli organi (certe spiroptere, trichina ed altri), e quelli che vanno a stabilirsi nelle cavità più recondite del corpo, quali sono i ventricoli del cuore, i lumi dei vasi, i bacinetti renali, le ve- Vol. XXXVII. 2 18 G. P. PIANA. scichette polmonari (Filarie, Eustrongili, Strongili). E in tutte le specie nematoelmintiche troviamo qualche modalità propria di abitudine e par- ticolarità di conformazione e di minuta struttura del corpo in stretto rapporto colle dette modalità. Oggi, Signori, intendo intrattenervi più specialmente, fra i parassiti dello stomaco dei suini, sopra una specie singolarissima, poche volte, fino ad oggi, osservata: la Szmondsia paradoxa del Cobbold, la quale, quanto il Dispharagus nasutus Rudolphi del proventricolo dei polli, di cui ebbi altra volta a dire, si tiene fissata alla mucosa gastrica, ma in modo affatto differente. La S/mondsia paradoza è rimarchevole fra 1 nematoelminti per la speciale dilatazione presentata dal corpo della femmina in prossimità sesso femminino sembra essenzialmente costituito da una massa quasi globosa a superficie bitorzoluta avente un'appendice filiforme. Le fem- mine così fatte si trovano con tutta la parte globosa profondamente nelle pareti dello stomaco dei suini e tengono sporgente solo l’appen- dice filiforme. I maschi invece hanno forma pressochè cilindrica in tutta la lunghezza del corpo e si trovano, come ha ultimamente rilevato il Colucci, pur essi fissati nel tessuto della mucosa gastrica. Per l’indicata dilatazione del corpo della femmina la S¢mondsta pa- radoxa può essere confrontata a nematodi del genere Tropisuro 0 Tro- pidocerca del Diesing (Nota I). Questa singolare specie elmintica venne scoperta, in un maiale dal Simonds, del Collegio Veterinario di Londra nel 1852, e poscia illu- strata dal Cobbold, che per essa istituì il genere, a cui è attualmente ascritta, in onore dello scopritore (Nota Il). Dopo, lo Schneider ne esaminò due esemplari, maschio e femmina, avuti dal Cobbold (Nota III) e, ultimamente, il Colucci potè fare im- portantissime osservazioni sopra numerosi esemplari trovati in tre sto- machi di cinghiali derivanti dal Parco reale di S. Rossore (Nota IV). RICERCHE SULLA MORFOLOGIA DELLA SIMONDSIA PARADOXA, ECC. 19 Da parte mia la Stmondsia paradoxca venne trovata e studiata in due pezzi di stomaco di suino, che mi furono trasmessi dal Direttore della Scuola Veterinaria di Milano conservati da molto tempo nell’alcool. I maschi della Scimondsia paradoca nella mucosa dei pezzi ora indi- cati sono filiformi e misurano in lunghezza da mm. 8,6 a mm. 9,7 e in larghezza da mm. 0,36 a mm. 0,40. Essi si trovano come risulta dalla descrizione del Colucci, fissati nella mucosa gastrica a guisa di punti di cucitura o di setoncini, e perciò presentano libere e sporgenti dalla superficie le due estremità del corpo. La loro superficie esterna Fig. 1. Simondsia paradoxa guardata con una semplice lente. A, B, Femmina in due differenti posizioni. C, Maschio. è striata trasversalmente, ossia percorsa da finissime e fitte solcature nel senso della circonferenza del corpo. La parte anteriore del corpo si restringe gradamente fino in corrispondenza dell’ orifizio buccale, ove appare tronca, e misura solo mm. 0,09 e presenta una espansione membranosa, a breve distanza dalla bocca, per ciascun lato del corpo applicata longitudinalmente, lunga circa mm. 1,5 e larga nella sua parte mediana, ove è maggiormente sviluppata, mm. 0,1. L’orifizio buccale, largo circa mm. 0,05 è terminale ed è munito di due pa- 20 G. P. PIANA. pillette chitinose, situate in due punti opposti della circonferenza del- l’orifizio stesso, ma non laterali come affermano gli altri osservatori. Una è corrispondente colla linea mediana dorsale e l’altra colla linea mediana ventrale. Queste papillette hanno forma conica, apice arroton- dato e alquanto rivolto all’esterno. In altezza misurano circa mm. 0,004. All’orifizio buc- cale fa seguito un primo tratto di tubo dige- rente di uguale larghezza, in forma di can- nello lungo mm. 0,20, con parete esile, ma rinforzata dai giri a spirale di un cordon- cino chitinoso in guisa che ricorda la strut- tura delle trachee dei vegetali. Posteriormente a questo primo tratto ne segue un altro ci- lindrico a parete spessa e a lume assai ri- stretto e poscia altri tratti ancora che non sono riescito a studiare con precisione. Tut- tavia ho potuto rilevare che il tubo intestinale nel tratti successivi diventa maggiormente ampio, e conserva parete spessa; e che que- Fig. 2. Estremità anteriore di un maschio di Simondsia paradoxa vista dalla su- perficie dorsale a diam. 60. drico. Una delle due papille bue- —La parte posteriore del corpo nei maschi cali (p) rimane nascosta. Si veggono invece entram- be le ali laterali (2,4). e termina incurvata sopra la superficie ven- sta parete è formata da cellule prismatiche disposte a guisa di epitelio così detto cilin- stessi è spesso attorcigliata o ravvolta a spira trale con un’ estremità di forma conica. Alla distanza di mm. 0,17 dall’ apice caudale ha uscita all’esterno l’organo copulatore. Questo è costituito da uno spiculo chitinoso principale e da un pezzo chitinoso accessorio (Nota V). Lo spiculo principale è tubuloso, striato trasversalmente, assottigliato e incurvato verso l’estremità protrattile. Esso misura in lunghezza mm. 0,64 e in larghezza massima mm. 0,036. RICERCHE SULLA MORFOLOGIA DELLA SIMONDSIA PARADOXA, ECC. 21 Il pezzo accessorio è situato di Jato, ma convergente coll’apice allo spi- culo; presenta curvatura analoga e sembra foggiato a doccia. In lun- ghezza misura mm. 0,34 e in larghezza massima mm. 0,027, L’ inte- stino termina colla sua spessa parete a livello del pezzo accessorio e probabilmente comuniea coll’ involuero membranoso contenente lo spiculo e il pezzo accessorio, per mettere all’esterno unitamente a questo. A lato dello spiculo e della terminazione dell’ intestino nei maschi si trova ancora un tubo piegato ad ansa rappresentante la terminazione libera del testicolo. Esso con una parte si porta anteriormente, fino a circa tre o quattro millimetri dall’ estremo buccale, e poscia si ripiega, si restringe e, trasformato in dotto deferente, va a con- giungersi direttamente colla estremità dila- tata dello spiculo chitinoso principale. La superficie ventrale dei maschi, nella parte posteriore del corpo, per una esten- Fig. 3. Estremità posteriore di i ; ; 9 n ; un maschio di Simondsia strie trasversali, che si veggono in tutte le paradora vista di lato a sione di circa mm. 0,7 non presenta le fitte altre parti della superficie esterna, ma in- centimetri 60. int. intestino, veee dei rialzi lineari, con brevi interry- 0% def. dotto deferente. zioni disposti uno accanto all’altro in dire- zione longitudinale. In prossimità poi al punto di uscita dello spiculo Si trovano sopra ciascun margine laterale della superficie ventrale cin- que papille fungiformi. In aleuni esemplari quattro delle dette papille sono situate, a breve distanza l'una dall’altra, anteriormente al punto di uscita dello spiculo e l’altra papilla appena posteriormente, In altri esemplari invece tre sole sono situate anteriormente e due posteriormente. oe G. P. PIANA. Le femmine di Simondsia paradoca si trovano come è ben noto colla parte posteriore del corpo completamente nascosta. Per isolarne alcuna dai pezzi di stomaco conservati nell’alcool dovetti pazientemente disgregare colle pinzette il tessuto della mucosa. La loro parte cilin- drica 0 anteriore però sporge, ugualmente che nei maschi, dalla su- perficie della mucosa e, superficialmente considerata pare perfettamente simile a quella dei maschi stessi. Essa misura in lunghezza, dall’apice buccale all'unione colla parte globosa circa mm. 9 e ha una larghezza massima di mm. 0,45. Alla distanza di mm. 3 a mm. 3,50 dall’aper- tura buccale presenta sulla linea mediana della superficie ventrale l’aper- tura vulvare perfettamente circolare, ristretta e senza orlo sporgente. Fig. 4. Estremità anteriore di una femmina di Simondsia paradoxa vista di lato a diametri 20. vu/. Orifizio vulvare. La parte dilatata di una femmina che riescit ad isolare quasi perfet- tamente intera presentava due lati opposti depressi in modo da avere precisamente forma discoidale con un diametro di mm. 7 e uno spessore di mm. 4. I tegumenti esterni in questa parte non presentano fibre mu- scolari distinte, ma invece due strati finamente granulosi e la cuticola chitinosa superficiale, anzi che striata, cosparsa di minutissime punte. I detti tegumenti formano una quantità di alveoli comunicanti colla cavità viscerale. È per questo fatto che la superficie esterna della parte dilatata del corpo della femmina di Simondsia paradoxa appare bitorzoluta, poi- RICERCHE SULLA MORFOLOGIA DELLA SIMONDSIA PARADOXA, ECC. 25 chè Ja parete limitante gli alveoli fa sporgenza all’esterno. I hitorzoli però non sono omogeneamente distribuiti. Essi mancano attorno attorno al punto in cui la parte dilatata del corpo si continua colla cilindrica 0 anteriore per una zona larga un millimetro. Nel resto della parte dilatata si trovano fra di loro ravvicinati in modo da formare gruppi di tre a dieci. Sopra uno dei lati depressi della parte dilatata si trova, sporgente obbliqua- mente un corpo conico, con apice olivare, alto poco più di un milli- metro e largo alla sua base poco meno di un millimetro. Questo corpo rappresenta l'estremità posteriore del nematoelminto e in esso come os- servarono Cobboldo e Colucci si apre all’esterno l’ultima porzione del tubo digerente corrispondentemente all’apice con un foro circolare. Nell’ interno della parte dilatata del corpo della femmina sono con- tenute le ovaie, in forma di lunghissimi cilindretti e le branche uterine in forma di tubi più o meno ampi a seconda che sono più o meno di- stesi da uova, ma sempre lunghissime. Quelle e queste descrivono una quantità di anse in modo da riempire, unitamente a un tratto del tubo digerente alquanto dilatata l’intera cavità viscerale. Le branche uterine però si congiungono con un canale vaginale. Questo passa nella parte cilindrica del corpo per andare a congiungersi, con decorso quasi ret- . tilineo, all'apertura vulvare. Le uova, contenute nelle branche uterine hanno forma di cilindretti con estremità arrotondate. Il loro diametro longitudinale è di mm. 0,030 e quello trasversale di mm. 0,012. Il loro guscio chitinoso esterno mi- sura un po’ meno di due millesimi di millimetro in spessore. Le ma- ture contengono nell’ interno un embrione piegato tre volte sopra se sfesso. Alla superficie della mucosa degli stessi pezzi di stomaco in cui tro- vai la Simondsia paradoxa e nell’alcool in cui erano immersi i pezzi stessi eranvi altri nematodi liberi, certamente di specie differente dalla Simondsia paradoxa, i quali, pei caratteri offerti specialmente dall’o- 24 G. P. PIANA. rifizio buccale, ritengo riferibili alla Spiroptera sexalata del Molin anzichè alla Spiroptera strongylina del Rudolphi (Nota VI). Questi nematodi però per alcuni caratteri presentano somiglianza colla detta Szmondsia ed è perciò che ora credo opportuno parlarne. Il primo tratto del loro tubo digerente è, ugualmente che nella Sz mondsia paradoxa, in forma di cannello a parete esile rinforzata dai giri di spira di un cordoncino chitinoso ; non differisce che per essere alquanto più largo e per avere il cordoncino più spesso. L'organo co- pulatore dei maschi è costituito ugualmente a quello della Szmondsia, da uno spiculo chitinoso principale e da un pezzo accessorio : il primo però è molto più lungo (misura più di dwe millimetri) ed esile. Le uova contenute nell’utero delle femmine sono somigliantissime per forma, di- mensione e anche per l'embrione, che le più mature contengono, a quelle della Szmondsia. Desiderando estendere le mie ricerche sulla morfologia delle specie nematoelmintiche parassite dello stomaco dei suini sopra esemplari fre- schi, cloé non corrugati per l’azione dell'alcool, mi rivolsi all'amico mio dott. Antonio Renzi, medico veterinario d’Imola, pregandolo a rieercarmi il materiale necessario nei maiali uccisi nel macello di quella città. Il dott. Renzi però fino ad ora non è riescito a ottenermi che un solo individuo di sesso femminino, non ancora fecondato, che non parmi riferibile né alla Speroptera strongylina Rudolphi nè a quella Seva- lata del Molin. Questo individuo è filiforme e dolcemente incurvato nella lunghezza: misura mm. 30 in lunghezza e quasi mezzo millimetro in larghezza. La sua cuticola chitinosa è striata trasversalmente come nella Szmondsia. L’estremità anteriore è alquanto assottigliata e ter- mina arrotondata: quella posteriore è pressochè conica e inclinata verso la superficie ventrale. L’ orifizio buccale presenta due piccolissime pa- pille : dorsale una e ventrale l’altra. Il primo tratto del tubo digerente ha forma di cannello a parete esile, rinforzata da spire chitinose. In. esso però, a differenza di quanto si osserva nella Szmondsia e nella RICERCHE SULLA MORFOLOGIA DELLA SIMONDSIA PARADOXA, ECC. Zio Spiroptera seralata, le spire chitinose non sono formate da un sol cordoncino ma da diversi, in guisa che presenta l’aspetto esteriore di una vite a doppio o a triplo passo. Un pezzetto di mucosa preso dai pezzi di stomaco di suino trovati invasi da Simondsia e conservati nell’alcool, avente un tumoretto del- l'estensione e della spessezza di un seme di lupino, applicato con una faccia sulla parte inferiore e due corpi di nematode sporgenti dalla superficie libera, a livello del margine del detto tumoretto, venne da me incluso, previa coloritura in soluzione alluminosa di carminio, in pa- rafina e poscia, diviso in tante sezioni mediante microtomo. Dall'esame di queste sezioni si rilevano aleuni fatti importanti che fra breve indicherò. Prima però debbo notare ancora che i due nematodi, che si vede- vano sul pezzetto di mucosa, uscivano da un medesimo pertugio e pre- sentavano entrambi lunghezza di circa mm. 7 e grossezza massima di cirea mezzo millimetro; uno verso l'estremità era alquanto incurvato e assottigliato e l’altro invece era dritto e di grossezza uniforme. Le sezioni vennero praticate in direzione verticale alla mucosa. Le preparazioni ottenute con queste sezioni disposte in serie, dimostrano chiaramente 1 fatti seguenti: a) Le porzioni sporgenti di nematodi, i Fig. 5. Sezione trasversale che si vedevano alla superficie della mucosa, AMEN ROA appartengono a due individui di sesso fem- corpo di una femmina di minino, ma di specie differente. Una ha i Stmondsia paradova a a , ; diametri 60. caratteri della parte anteriore del corpo di ma Simondsia paradoxa: V altra. quelli della parte posteriore di un nematoelminto analogo per la conformazione generale alla Spiroptera sexalata, ma avente uova elittiche, anzichè cilindriche, e alquanto più grandi di quelle della spiroptera. 6) La parte dilatata del corpo della Szmondsia femmina si trova esattamente involta da una cisti avventizia di tessuto connettivo com- 26 G. RP. PIANA: patto. Questa cisti quindi presenta nella superficie interna tanti alveoli corrispondenti coi bitorzoli della Szmondsca. Era questa cisti che for- mava la superficie esterna dell’ indicato tumoretto. c) La parte anteriore dell’elminto unito alla S70ndsia si trova Insinuata fra la cisti avventizia e la parte dilatata della Simondsia stessa, ove descrive diverse circonvoluzioni, d) Questo elminto per la presenza di certe spinule e di certe du- plicature cutanee e per la struttura dei due primi tratti del tubo di- gerente, dei quali il primo manca del cordoncino chitinoso ravvolto a spira, differisce evidentemente dalla Spzroptera sexalata: probabil- mente è da riferirsi al genere Gna- thostoma dell Owen o Chetracan- thus del Diesing (Nota VII). In tal caso però sarebbe una specie dif ferente dal Guathostoma hispidus Fedtshenko, già noto nei suini, per- Fig. 6. Sezione longitudinale dell’ estre- Fig. 7. Sezione di altra parte del corpo mità anteriore del corpo di Cheira- dello stesso nematode intruso rappre- canthus, 0 Gnathostoma, intruso nel sentato a fig. 5, avente molte spi- sacco della cisti avventizia di una nule alla periferia, vista a diam. 60. Simondsia paradora femmina, vista a diametri 60. chè le spinule non sono distribuite sopra tutta la superficie del corpo. e) Le sezioni della parte posteriore dell’ intestino della S&0rdsta mostrano internamente un epitelio cilindrico assai spesso, rivestito alla superficie di ciglia. f) Fra la parete della cisti avventizia e il corpo della Scmondsia, corrispondentemente alla prominenza conica rappresentante l'estremità RICERCHE SULLA MORFOLOGIA DELLA SIMONDSIA PARADOXA, ECC. Bg posteriore di questa, si trova interposta notevole quantità di materiale, granuloso unito a nuclei cellulari degenerati, Dopo avere rilevata nelle sezioni la presenza di un nematode intruso nel sacco cistico contenente una ,S7720rd4s/4 femmina, riesaminai colla lente la superficie della mucosa della parte rimastami dei due pezzi di stomaco, per vedere se vi si trovavano altre Sz0ndsze accompagnate a nematode di forma diversa. Difatti ne trovai ancora una. Il corpo del nematode che si vede insinuato nello stesso foro pel quale sporge la parte anteriore della Szmonds7a, nel nuovo esemplare non differisce punto da quello trovato nell’esemplare sezionato, se non per essere al- quanto meno sporgente dalla superficie della mucosa gastrica. Riassumendo ora i fatti principali che ho potuto rilevare col limitato materiale che ho avuto a mia disposizione, parmi di potere ricavare le seguenti conclusioni : 1) I maschi della Siruorndsia paradoca si trovano fissati alla mu- cosa gastrica a guisa di punti di cucitura o di setoncini e presentano quindi le due estremità del corpo libere come ebbe a rilevare il Colucci. 2) Gli stessi sono provveduti di uno spiculo relativamente breve e spesso, di un pezzo 0 spiculo accessorio e di cinque papille per lato, sui margini della superficie ventrale in prossimità al punto di uscita all’esterno dello spiculo. Nella parte posteriore del corpo la loro super- ficie ventrale, invece delle striature nel senso della circonferenza, pre- senta dei rialzi lineari diretti longitudinalmente. 5) Tanto i maschi che le femmine presentano nella parte anteriore del corpo due papille, una dorsale e l’altra ventrale, sporgenti sul margine dell’orifizio buecale, e due alette laterali. 4) La vulva nelle femmine si apre all’esterno alla distanza di circa tre millimetri dall’orifizio buecale sulla linea ventrale. 5) Il rigonfiamento speciale che la femmina della S7ionds¢a pre- senta è realmente dato da una dilatazione dei tegumenti esterni modi- ficati nel modo descritto dal Colucci. 28 G. P. PIANA. 6) Per la struttura del corpo del maschio e per la forma e di- mensioni delle uova la S70ndsia paradora presenta somiglianza colle spiroptere e segnatamente colla Spzroptera sexalata del Molin. (Veg- gasi a Nota VII la nuova definizione proposta pel genere ,Sim0ndsia e per la specie Simondsia paradoxa.) 7) Tre specie nematoelmintiche, fra quelle che ho potuto esami- nare, parassite dello stomaco dei suini (compresa la Szmondsia para- doca), hanno in comune la particolarità di presentare il primo tratto del tubo digerente rinforzato da giri di spira di uno o più cordoncini chitinosi. Coincidenza questa che forse è in rapporto coll’ influenza eser- citata dall'ambiente sulla morfologia dei parassiti. 8) La cisti avventizia della S7mondsia paradora femmina può talvolta contenere, oltre la parte posteriore della Szmonds7a stessa, la parte anteriore del corpo di un nematoelminto d’altro genere, probabil- mente riferibile al genere Gra/hostoma Owen 0 Cheiracanthus Diesing. NOTE. Nota I. I caratteri del genere Zropidocerca del Diesing, come si trovano esposti nel Systema helminthum (Vol. Il, pag. 207. Vindo- honae, 1851), sono i seguenti: « Corpus maris subeylindricum, gra- cile; feminae subglobosum, fasciis 4 longitudinalibus oppositis ae- quidistantibus signatum. Caput breve conicum corpore continuum. Os terminale orbiculare. Extremitas caudalis maris recta acuta subtus excavata, pene filiformi in vagina tubulosa ; feminae conica brevis, apertura genitali antrorsum sita. — Avium endoparassita inter tunicas vel muscolos ventriculi obvia. » La specie Zropidocerca paradoxa del Diesing, parassita nel pro- ventricolo di diverse specie di uccelli, non va però scambiata, come accadde ad alcuni autori, colla Simondsia paradora del Cobbold. Nota Il. On Symondsia paradora and on its probable affinity with Sphoerularia bombi. by T. Spencer Cobbold. — Transactions of the RICERCHE SULLA MORFOLOGIA DELLA SIMONDSIA PARADOXA, ECC. 29 Linnean Society of London. (Seconda serie (Zoologia), Vol. II, parte ottava, pag. 397, anno 1883.) Credo utile, per chi fra noi avrà opportunità di fare ulteriori ricerche sulla Simondsia paradoxa, riportare dal lavoro del Cobbold i brani più importanti fedelmente tradotti dal mio assistente dott. Bruno Galli-Valerio. « Nelle prime notizie questo organo (parte dilatata del corpo della femmina di S¢mondsza) fu descritto come speciali pieghe del tegumento destinate a ricevere organi uterini straordinariamente sviluppati, ma questa è una falsa interpretazione . . . « Penso che, sebbene il genere S20nds/a sia unico, vada per altro ravvicinato al genere Sphoerularia, per rapporto all'enorme sviluppo degli organi della riproduzione della femmina, i quali nei due generi giacciono fuori del corpo . . . , « Io penso che la rosetta (parte dilatata del corpo della femmina di Simondsia) sia un utero prolassato . . « Genere Sondsia. — Nematodi endoparassiti nei quali la fem- mina è fornita di un utero esterno molto grande, le cui branche ter- minano in fondi ciechi. — Femmina incistata. — Maschio libero. « Simondsia paradorca. — Capo a punta smussata. — Collo con strette ali laterali. — Bocca semplice con due papille prominenti la- terali. — Corpo di grossezza uniforme ma portante esternamente nella femmina un grande organo a rosetta fatto dall’utero. — Coda del ma- schio ravvolta a spirale, bruscamente ristretta in punta smussata. — Due spiculi lunghi e sottili. — Coda nella femmina due volte più spessa che il corpo, conica a punta smussata con tre spinule a larga base im- mediatamente sopra l’ano. — Lunghezza del maschio !/, pollice. — Lunghezza della femmina °/,, di pollice. — Abita lo stomaco del ma- iale. — Maschio libero. — Femmina incistata nelle pareti colla testa sporgente nella cavità del ventricolo per uno stretto foro. « In quanto all’anatomia della Scmondsza debbo dire ancora che VP in- tegumento è striato eccetto che alla superficie della rosetta. Solo sulla coda della femmina si osservano alcune spine. Esse si trovano alla su- perficie ventrale a */,o di pollice dall’estremità. Queste spine sono tre disposte in linea trasversale e misurano !/,,, di pollice. Il maschio ha un diametro di +/,, di pollice. La femmina è un sesto più larga e in corrispondenza alle spine ha una larghezza di !/,; di pollice. L’ inte- stino è semplice nei due sessi e termina vicino all'estremità della coda. In ogni sesso l’esofago è molto lungo: */, di pollice della bocca al 30 G. P, (PIANA: l’intestino. Le papille ovali laterali sono di 1/55) di pollice di lun- ghezza. Gli organi della riproduzione nel maschio sono due lunghi ela- sticl e delicatissimi spiculi, lunghi 7/,, di pollice e larghi un mille- simo. Nel maschio tanto Pintestino che gli organi sessuali terminano nel modo usuale. Nella femmina tutta la massa dei filamenti ovarici, in uno ai tubi delle branche uterine sono situati nella rosetta, ma dove sia situata la vulva non potei accertare. La congiunzione fra tubi e branche uterine è particolarmente bene distinta, ma il modo di unione dei tubi colla rosetta non fu osservato. Quantunque non siasi vista sì può supporre terminare alla base della rosetta nella linea ventrale. Le uova di S7mondsia sono piccole estremamente numerose, più o meno allungate, ovali od elittiche, con tendenza a presentare depressioni da uno 0 da due lati. Alcune di esse assumono anche forma di rene o di orologio a polvere. La lunghezza loro è di */sco @ sco e la larghezza al centro degli esemplari compressi talvolta minore 7/559) di pollice. La parete è a doppio contorno e le più mature contengono un embrione imperfettamente sviluppato. » Nota Ill. Description of Strogylus Azxei (Cobb.) by T. Spencer Cobbold. — The Journal of the Linnean Society (Zoology). Vol. XIX. London, 1886, A pagina 261 il Cobbold, accennando alle diverse specie nematoel- mintiche del ventricolo degli animali ritorna sulla Szmondsca paradoza e riporta una lettera scrittagli dal prof. Schneider sopra la ,S7mondsza stessa avuta in esame. Anche di questa lettera importantissima credo utile dare la traduzione del dott. Bruno Galli-Valerio, stante che non riesce agevole procurarsi Vindicato giornale da consultare. A me ciò fu possibile per la squisita cortesia del Prof. Corrado Parona. « Il maschio della Szmondsza possiede due spiculi ineguali e quattro papille preanali. Per questo la S7m0ndsia apparterebbe al genere filaria nella mia classificazione dei nematodi e al genere Speroptera in quella del Rudolphi. Mi sembra tuttavia che sia differente dalla Sp7roptera strongylina (Rud.) e che non si possa considerare come uno stadio di sviluppo di questa specie. « La rimarchevole espansione sacciforme contiene (come voi avete sco- perto e io stesso ho osservato), la massa principale degli organi ses- suali e un tratto dell’intestino. M’avventuro tuttavia ad osservare, che io non considero la detta espansione come un’ inversione dell’utero, ma RICERCHE SULLA MORFOLOGIA DELLA SIMONDSIA PARADOXA, ECC. 31 come procedente direttamente dalla pelle. È un eccesso di accrescimento dell’ intesumento, cosa che può essere rilevata dal fatto che le linee dia- conali della pelle, che sempre si trovano nei nematorli, passano anche sopra l’espansione e che il passaggio dalla pelle del corpo all'espansione è graduale. In rapporto alla mia interpretazione la vulva si trova, non nell’espansione stessa, ma in avanti. Però io non posso affermarlo con certezza, per le difficoltà dell'esame di un solo esemplare. conservato da lungo tempo. «La Simondsia now si connetterebbe colla Sphoerwlaria, ma ser- virebbe a dimostrare una rimarchevole modificazione del corpo dei ne- matodi. L'importanza della vostra bella scoperta sarebbe così aumen- tata. Secondo me la S?imondsza offre, nella condizione embrionale e larvale, e probabilmente anche nell’ inizio dello stato sessuato, la forma normale dei nematodi. Durante la sua residenza nelle ghiandole ga- striche la pelle del corpo cresce formando la grande e Je piccole pro- minenze, che servono per l'assorbimento del nutrimento. Questo (se verrà confermato) ricorda uno dei Rhzzocephala fra 1 Crostacei. « Breslavia, 13 ottobre 1885. « firmato A. SCHNEIDER. » Nota IV. Di un rarissimo parassita nematoideo nello stomaco di cinghiale. — Memoria del prof. Vincenzo Colucci colla collaborazione del dott. Luigi Arnone. — Memorie della R. Accademia delle Scienze dell Istituto di Bologna. Serie V, Tomo VI. Bologna, 1896, pag. 181. Il Colucci descrive mirabilmente in questo lavoro la S7mondsia pa- radoxa come ebbe a vederla in condizioni di freschezza in tre stomachi di cinghiale. Non riescirà quindi inopportuno riportare almeno in parte anche questo lavoro; ciò tanto più che a Milano riesce difficile, almeno sino ad oggi, trovare le Memorie dell’Accademia fra le quali sitrova. « Gli stomachi tutti e tre non presentano lesioni apprezzabili a prima vista, tranne Il colore della mucosa piuttosto pallido, con chiazze di colore rosso scuro. Ricercando nello strato di muco che lo copriva, vi trovammo piccoli nematodi, alcuni liberi, altri fissati alla mucosa, e di questi ve n'erano che cedendo a leggiere trazioni, lasciavansi estrarre dal cavo che li conteneva, ed altri che non potevansi levare, e si rom- pevano se più fortemente stirati. Con accurata pulitura della mucosa si Se G. P. PIANA. scoprirono numerosi di questi vermi infissi, ed in alcuni punti fino a tre o quattro sporgevano, vicini Puno all’altro, da essa; più numerosi ancora vi erano piccoli fori in cui non esistevano vermi. Coll’aiuto di una lente da ingrandimento si notavano differenze nella grandezza e nel colore dei piccoli nematodi trovati liberi o facilmente estratti dai loro ricettacoli; poichè alcuni erano bianchi e alquanto più lunghi degli altri, di color rossiccio. Nei primi la parte posteriore era ravvolta a spirale e così pure nei più piccoli, solo che in quelli appariva alquanto più grossa. Il microscopio ci ha fatto riconoscere nei vermi più lunghi e bianchi il maschio e la femmina della -Speroptera strongylina Rud. non rara a trovarsi nello stomaco dei maiali, e più frequente nei cin- ghiali; però neppur una in questi stomachi, l'abbiamo vista contenuta com’ è di solito, in piccoli tumoretti della mucosa ; i più piccoli e rossi sì è potuto assodare essere i maschi degli altri tenacemente fissati, ri- conosciuti femmine per le uova che ne sortivano dal corpo strappato dalla mucosa e rotto. Infatti quelli erano per lo più pure infissi vi- cino alle femmine, ma dolcemente stirati da un estremo si vedeva ae- corciarsi l’altra parte del loro corpo rimasto pur fuori dalla mucosa e quasi sempre ravvolta a spirale; dal che chiaro si rilevava che mentre le femmine avevano la parte posteriore del corpo nascosta nella mu- cosa e fissata in maniera da non potersi estrarre, i maschi, pur per- forata la mucosa, occupavano un canale curvo avente due aperture, dalle quali sporgevano la parte anteriore e posteriore del loro corpo. » « Dalla superficie interna ed esterna della parete gastrica, ed in cor- rispondenza del luogo ov’erano fissate le femmine, notavasi una rileva- tezza, che palpata rassomigliava ad un piccolo grano di lupino. Incisa con cautela la mucosa, si trovarono in questi luoghi così rigonfiati delle cisti fibrose, aleune delle quali estese fino alla tunica muscolare, oc- cupando così tutto lo strato del connettivo sottomucoso, infiltrato e in- grossato di molto attorno alle cisti, dalle quali, aperte, estraevasi un corpo rotondo, alquanto schiacciato, a superficie moriforme-al quale ade- riva il corpo filiforme del nematode. Per tal maniera si riconobbe trat- tarsi della Scmondsta paradoxa, così raramente trovata e pur così nu- merosa in questi tre stomachi di cinghiale, avendone in media numerate venti in ciascuno di essi. » In quanto ai caratteri più minuti notati dal Colucci nella femmina della Scimondsia paradoxa , dopo avere riportate le osservazioni del Cobbold e dello Schneider, ricorderemo che egli vide colla lente sul- RICERCHE SULLA MORFOLOGIA DELLA SIMONDSIA PARADOXA, ECC. 33 l’apice della parte conica una piccola apertura circolare non di rado di color nero, ma che non riescì a vedere distintamente le tre spinule a larga base, che secondo il Cobbold si dovrebbero trovare presso all’ aper- tura stessa. Nell’ interno della parte rigonfia del corpo, oltre le ovaie e le branche uterine, in forma di tubi bianco-lattei di varia grossezza, e un tratto di intestino, trovò una piccola quantità di liquido alquanto opalino. Fa poscia il Colucci una accurata analisi microscopica degli integu- menti della S7mondsia femmina, nei quali distingue, procedendo dal- l’esterno verso l'interno, corrispondentemente alla parte cilindrica : 4) una cuticola esterna; 2) uno strato epiteliale; ¢) uno strato di fibre muscolari; 4) uno strato granulo-fibroso non contrattile. Corrisponden- temente poi alla parte rigonfia trova : a’) una cuticola diminuita di 4/, della sua grossezza e presentante fittissime puntine nella superficie li- bera; 2°) una linea data dall’epitelio ectodermico; e°) uno strato gra- nulo-cellulare protoplasmatico in eni vedonsi rare cellule con nucleo ovale; d') uno strato granulo-fibrillare, in cui i granuli sono più rari e fini e le fibre appena visibili. Il fatto più importante sarebbe, che nella parte dilatata del corpo della femmina « manca l'elemento muscolare contrattile ed invece al disotto dell’epitelio ectodermico vi è uno strato granuloso, di apparenza protoplasmatica, in cui stanno cellule fusiformi o stellate differenziate soltanto da un sottilissimo spazio chiaro, e poi un altro meno granu- loso e con fibrille intrecciate o disposte equidistanti e parallele ». Nel sacco o parte dilatata del corpo della femmina « si contengono la maggior parte degli organi genitali femminei e la seconda metà del tubo digerente assai dilatato a forma di cornamusa ». Il tubo digerente col suo estremo, di nuovo assottigliato esce all’esterno dal centro di uno dei lati piani del sacco, e sbocca nello spazio esistente fra esso e la cisti avventizia dopo avere attraversato un corpo olivare (porzione conica del corpo della femmina), costituito in massima parte da fibre muscolari longitudinali e libero e sporgente alla superficie del sacco. Il tratto di intestino che attraversa questo corpo olivare è circondato, come l’esofago, « da un tubo chitinoso a spirale, ma ad anelli più discosti ». Dalla figura schematica e dalla descrizione che il Colucci dà della struttura della femmina risulta, che i tubi ovarici hanno origine nella parte cilindrica o libera del corpo, che, penetrati nell’ interno del sacco si continuano cogli ovidotti o branche uterine e che queste si con- Vol. XXXVII. 3 34 G. P. PIANA. ciungono in un canale vaginale. Questo canale, contenuto in massima parte nella metà posteriore della parte cilindrica del corpo, si apre al- l'esterno alquanto anteriormente al limite fra le due metà della detta parte cilindrica. All'estremità anteriore nel maschio e nella femmina della Szmondsia paradoxa «vi è ampia Papertura buccale, avente ai lati due robuste produzioni cuticulari o chitiniche, piatte, con un margine anteriore roton- dato e libero ed uno posteriore, biforcato, in continuazione dall’ interno con le spirali pure chitiniche, che svolgonsi attorno alla faringe ed al- l’esofago, ed all’esterno dà attacco ad un muscolo allungato, che sta ap- plicato sull’esofago ». Nel maschio « il tubo digerente corre dritto quasi sempre ugualmente largo, fino alla parte posteriore del corpo, dove, assottigliandosi, shoeca un po’ al davanti dell’ apice, in un solco carenato, ivi esistente alla faccia ventrale. Il testicolo è un lungo tubo, grosso 0,063-0,081, che incomincia a vedersi distinto circa al terzo anteriore del corpo; dopo varie piegature si porta in addietro al disopra del tubo digerente e, giunto. verso l’estremo posteriore di questo, si piega in avanti sorpas- sando la base del pene dove -— dopo un’ ultima ripiegatura — viene a finire. Il pene è unico, differente per struttura dagli spiculi che si osservano nelle spiroptere in genere; infatti è molto più grosso, striato trasversalmente e terminato in punta smussata con un bottone cuticu- lare. Questo carattere differenzia notevolmente il maschio di questa specie da quello della Speroptera strongylina, il quale ha due lunghi spi- culi e le due alette caudali che mancano nell’altro ». Al Colucci e all’Arnone non riescì trovare uova di Semondsza nelle feci di cinghiali, raccolte nei luoghi boschivi abitati da questi animali. Trovarono invece nelle acque stagnanti dei luoghi stessi, alcuni esem- plari di un nematode agamo che, per la sua speciale conformazione, ritennero essere probabilmente | individuo femmina della Szmondsea allo stato larvale. Nota V. Riguardo alla nomenclatura delle varie parti dell’ organo copulatore dei nematodi ho adottata la denominazione di pezzo acces- sorio per quella parte che altri chiamano piccolo spiculo, perchè esso non avrebbe, a mio credere, che um uflizio secondario nell’atto della copula e perchè non si trova in rapporto diretto, come il vero spiculo, col dotto deferente. Nell’atto della copula il maschio introdurrebbe nella RICERCHE SULLA MORFOLOGIA DELLA SIMONDSIA PARADOXA, ECO. 30 vulva della femmina prima il pezzo accessorio e poscia lo spiculo pro- priamente detto. Questo nel suo ingresso striscierebbe coll’apice sulla doccia scavata lungo la curvatura di quello e così sarebbe costretto a dirigersi nell’ interno del canale vaginale senza impuntarsi nella prima porzione delle pareti dello stesso canale. Nota VI. Una Monografia del genere Speroplera estesa dal dot- tore Raffaele Molin, Vienna, 1859 (Sctzungsber. d. k. Akad. XXXVII, pag. 911). Fra le spiroptere a capo e corpo inerme, mai alato e a hocca nuda si trova la Speroptera strongylina Rudolphi così descritta : « Caput contortum, haud alatum ; os orbiculare, nudum ; corpus transversim dense striatum, semicirculariter inflecum ; extremitas anterior sensim attenuata, apice truncato; caudalis maris semel spiraliter torta, alis rotundatis portice tercostatis; vagina penis via recurvata, brevis; penis longissimus, filiformis; extremitas caudalis feminae recta, acuta conica ; apertura vulvae in poste- riori corporis parte. Longit mar. 0,011-0,153; fem. 0,023 cras- sit 0,0004. > Fra le spiroptere a capo o corpo alato e a bocca bilabiata si trova la Spiroptera sexalata Molin così descritta: « Caput epidermide in- fiata, tuberculis duobus cutaneis lateralibus a corpore discretum ; os magnum, bilabiatum, labium singulum margine trilobo; corpus subeylindricum, rectum, densissime transversim annulatum, in ter- tia anteriori parte utrinque alis tribus linearibus, transversim striatis, media latiuscula; extremitas anterior semsim attenuata, apice truncata; posterior sensinsim incrassata ; caudalis maris bis spiraliter torta, alis exiguis apicem amplectentibus; vagina penis brevis, exilis, incurvata, apice acutissimo; penis longus fi- liformis; extremitas caudalis feminae obtusa, appendice terminali conica; anus lateralis, appendicis bast proximus; apertura vul- vae in anteriori corporis parte. Longit. mar. 0,007 ; crassit 0,0002 ; Longit fem. 0,009-0,013; crassit 0,0003-0,0005. » Nota VII. Così il Diesing definisce il genere Chedracanthus, 0 Lio- rhinchus di Rudolphi, 0 Grathostoma VOwen: « Corpus subeylindri cum antrorsum spinulis palmatis, mediis simpliciusculis retrorsum evanescentibus armatum. Caput discretum subglobosum aculeatum. Os terminale bilabiatum. Extremitas caudalis maris spiralis, va- 36 G. P. PIANA. gina penis bipartita cruribus linearibus ; feminae subrecta apertura genitali retrorsum sita. — Mammalium et piscium endoparassita. » Nota VIII. Dopo avere riportate le succinte descrizioni del genere Simondsia e della specie Stmondsia paradoxa date dal Cobbold ve- diamo ora come le stesse dovrebbero venire rettificate. Genere Stmondsia. — Maschio con caratteri comuni al genere Sp7- roptera. Femmina filiforme anteriormente, ma in prossimità all’estremo caudale avente una dilatazione dei tegumenti esterni entro la quale si trovano raccolti in massima parte gli organi genitali. Specie Semondsia paradoxa. — Nematode anteriormente assottigliato a punta troncata e munito di due strette ali laterali; Zocca terminale, ampia, con due papille chitinose prominenti, dorsale una e ventrale l’altra. Corpo del maschio rossiccio di grossezza uniforme; parte terminale ravvolta a spirale e bruscamente ristretta a punta smussata; Spzeulo relativamente breve e spesso con pezzo accessorio; cinque papille per lato al punto di uscita dello spiculo. Corpo della femmina verso la estremità posteriore dilatato in modo da formare un disco spesso e a superficie bitorzoluta; parte terminale di forma conica applicata obli- quamente su di una faccia del detto disco, e due volte più grossa della parte anteriore del corpo; avo situato all’ apice della parte terminale; vulva situata alla distanza di circa mm. 3 !/, dall’ orifizio buccale, sulla superficie ventrale. Dimensioni del maschio: 2 a Inui Neve) ag pe eS iN ee ENON NS, LS a ee) 20 Dimensioni della parte anteriore o cilindrica della femmina : lunehezz4 ee a laroheza ni Ve ne 05 Dimensioni della parte discoidale della femmina: Diametro tetro anta e RL SPASSOLE NA Wt Tuva en Dimensioni delle ova: ehe 7. 5. inn 0.030 lan bezza Ret o 0:01 RICERCHE SULLA MORFOLOGIA DELLA SIMONDSIA PARADOXA, ECC. oil Abita lo stomaco degli animali della specie Sus scrofa L. (fera e domestica), la femmina colla parte posteriore o dilatata incistata sotto la mucosa gastrica e colla parte anteriore o cilindrica sporgente nella cavità dell'organo; e il maschio semplicemente fissato colla parte me- diana del corpo attraverso la mucosa gastrica e colle due estremità sporgenti alla superficie della mucosa stessa. Il Colucci e l’Arnone rinvennero la Simondsia paradora nei cin- ghiali derivanti dalla reale tenuta di S. Rossore, circa nel mese di no- vembre o di dicembre del 1895. OSSERVAZIONI SUI VENTI SUPERIORI FATTE ALLA SPECOLA DEL SEMINARIO DI PAVIA DAL 1.° GENNAIO 1891 AL 31 picemBRE 1896. Nota del socio Prof. D. Pietro Maffi. In ossequio ad un voto espresso dalla Soczeta belga di astronomia (Bulletin, etc., I, pag. 19) e condiviso dalla Società Meteorologica Italiana (Bollettino, 1896, pag. 124) per cooperare allo studio delle correnti superiori attivamente promosso dal Comztato permanente e dalle Conferenze meteorologiche internazionali, si sono iniziate an- che in diversi Osservatori di secondo ordine determinazioni sistemati che, esatte e numerose delle direzioni e delle velocità apparenti delle nubi coll’adozione della classificazione proposta da Hildebrandsson e Abercromby. Tali lavori ho potuto anch’ io introdurre col gennaio 1897 nella Specola da me iniziata e finora diretta, e non volendo intanto lasciar cadere perduti i risultati che si potrebbero dedurre da una se- rie di quasi eZaquemila osservazioni eseguite nel sessennio 1891-1896 colla classificazione di Howard, qui appunto li raccolgo e presento. Non è un gran che questa nota: soddisfa però, almeno in una piccola parte, al voto di tanti, finora non compiuto, benchè da tempo caldeg- giato in una pregevole memoria dell’egregio Prof. Paolo Cantoni (Ar- ticolo sulla Climatologia d'Italia inserito nell Bnecelopedia agraria edita nel 1872 dall’ Undone di Torino, e poi pubblicata anche a parte, OSSERVAZIONL SUL VENTI SUPERIORI, ECC. 39 pag. 265 e seg.), e benchè imperfetta e non appieno RIT non sarà giudicata priva d'interesse per lo studio dei movimenti dell'alta atmo- sfera sulla valle padana. Le osservazioni che formano il materiale di questa “ofa furono ese- guite col nefoscopio Cecchi ne’ casi di incertezza: nella più parte dei casi sì riconobbe guida bastevole alla determinazione della direzione un’ampia crociera a otto raggi segnata sulla terrazza dell’Osservatorio in sostituzione “di quelle fissate in alto sopra un'asta, ora consigliate dal Broounof. (Atlas cnternational des nuages. Paris, Gauthier-Villars, pag. 6, nota.) Le osservazioni furono eseguite quasi in tutti i giorni, ne’ quali si ebbero nuvole. Di solito furono triorarie, eseguite cioé alle ore 6, 12, 15, 18, 21: tre volte al giorno furono eseguite soltanto nei mesi di gennaio e febbraio degli anni 1891 1895 luglio 1893 1894-1895 agosto 1892-1895-1894-1895 settembre =~ 1892-1895-1894-1895 ottobre 1895-1894-1895 e rimasero sospese totalmente dal 19 luglio fino alle ore 15 del 3 agosto 1891. Il totale delle osservazioni raccolte è di 4746, che si ripartisce a) per gli anni — in numero di 1036 per il 1891 798 ” 1892 645 7 1893 604 ” 1594 663 7 1895 1000 n 1896 40 P. MAFFI. b) e per ¢ mesi — in numero di 153 per il gennaio 172 » febbraio 471» marzo 041 » aprile 774 » maggio 650 >» giugno ORS; 97 a :: da Oo | OMETTO} ESSI — DI ~1 IN SI = 4 per il luglio agosto settembre ottobre novembre dicembre « Nota. — Non si può tentare nessuna distribuzione oraria che me- riti nota, perchè la qualità medesima delle osservazioni esclude troppo l'omogeneità necessaria del materiale. Alle 21 ad es., e d’inverno an- che alle 6 e alle 18, troppe osservazioni riescono nulle soltanto per mancanza di luce, » Riducendo a 72///e per ciascun mese la /reguenza dei venti in tutto il periodo di osservazione, si ottiene il ProspETTO I. Gennaio. . . il Febbraio . . WEIHNE aks ¢ Aprile || Maggio . Giugno... lane ITO. || Agosto . i Settembre. . | Ottobre . , Novembre. . Dicembre . Media annua INDE ORE USE SS NA I 104.48] 280.79] 52.24 | 26.12 | 124.07] 300.38] 45.71) 65.30 87.15! 267.26, 81.34] 29.05] 75.53} 290.50] 116.20, 52.29 95,52| 288.32) 46.64] 38.16 | 103.88] 241,68; 120.84) 61.48 79.12} 314.64] 71.76 | 42.32 | 117.76] 178.48] 97.52) 93.84 105.78] 291.54] 67.08 | 45.15 | 112.23! 247.68] 68.37) 60.63 42.84) 172.89, 62.73 | 52.02 | 130.05] 393.21} 78.03 62.73 | 26.40] 113.52] 58.08 | 68.64 | 208.56! 418.64] 87.12 36.96 | 59.40! 132.30] 75.60 | 43.20 | 207.90] 259.10] 72.90 48.60 | 54.85| 179.95! 79.30 | 30.50 | 198.10] 351.90] 76.25 30.50 | 70.20] 232.20) 91.10 | 71.00 | 169.10] 252.20] 59.40 34.10 111.96] 254.91] 83.97 | 34.10 | 127.5!| 264.35] 74.67) 52.87 | 97.20| 232.56] 27.36 | 36.48| 95.76| 287.28] 95.76 133.24 77.16| 229.82] 66.43 | 42.81 | 139.20] 290.45] 82.73 61.04 | OSSERVAZIONI SUI VENTI SUPERIORI, ECC. 44 E riducendo a mde la frequenza relativa dei diversi venti per cia- e . scum anno di osservazione si ottiene il Prospetto II. i | IAS VARIA: 1891 72.00 | 222.72) 52.80 | 48.00 | 172.80] 321.60] 55.68! 48.96 1892 71.25 | 271.15} 75.00 | 40.00 | 118.75) 285.00) 66.25) 50.00 1893 63.55 | 272.80] 48.05 | 48.05} 62.00) 325.50) 91.45) 88.36] 1894 82.50 | 231.00] 49.50 26.40 90.75, 391.05, 95.70! 29.70 1895 91.50 | 219.00] 82.50 | 42.00 145.50/ 243.00 115.50 70.50 1896 77.00 | 193.00} 88.06 | 62.00) 193.00) 214.00) ua 75.00 | | Sui valori riportati nel Prospetto / si presentano ovvie alcune os- servazioni. 1.° Si deduce anzitutto dalle medie annue che, sulla valle padana, dei venti superiori riescono dominanti prima quelli di W, poi quelli di #; in seguito i collaterali dell’ TW, cioè il destro S W e il sinistro N Wy; poi i collaterali dell’ #, cioè il destro NZ e il sinistro § 2; e restano ultime le direzioni ortogonali alla predominante, cioè il V, e il S.I rapporti di tali frequenze colla orografia e collo sviluppo della valle padana non hanno certo bisogno di essere indicati : risaltano da sè. La valle padana, circondata su tre lati dalla montagna ed aperta sul mare solo all’est, ha il suo massimo sviluppo da Wa Z4; il mas- simo dei venti si ha dunque lungo l’asse longitudinale, il minimo lungo il trasversale. Tali rapporti tra le frequenze sono generalmente conservati anche nei singoli anni, come si può rilevare dal Prospetto II : fanno solo ec- cezione il V W in confronto del S W negli anni 1893-1894 — il NE in confronto del VW negli anni 91 e 92 — il SZ in confronto del N E negli anni 92 e 96 — e il NV in confronto del SZ nel 93. 42 P. MAFFI. 2.° Segnando una rosa dei venti a otto punte si ponno mettere in evidenza altri rapporti che sembrano interessare. Ww SW 1 NW 3 4 Ss S N 8 7 7 VA fh 5 46 SE 2 NE E Indichiamo coi numeri 1, 2, 3, ecc. successivamente i vertici che tengono il 1.° il 2.° posto, ecc. nella frequenza dei venti, e subito ri- salterà che come ai predominanti di W si contrappongono quelli pure assai frequenti di #, anche ai venti di S We di MW si contrap- pongono rispettivamente quelli di V# e di SZ —i più frequenti ai più frequenti, — sicchè restano poi soli a contrariarsi N e S. 5.° Sommando le medie annue di frequenza dei venti contrapposti sl ottiene la seguente proporzione di altre medie. WHE: SW+NE:NW+SHF:N+S= == 260015 5103-160: 74.58 isole 92 sicchè considerando come rette intere le linee che uniscono i vertici op- posti della rosa segnata e non badando per un momento al senso nel quale su ciascuna linea il vento si muove, possiamo dunque dalla pro- porzione segnata dedurre che nella valle padana la strada più battuta è la IW-2£, dopo la quale, in ordine discendente, stanno la S W-N 4, la N W-S E e infine la W-S. — Tale legge è vera anche isolatamente per i singoli casi delle diverse annate, ed è unica e di piccolo valore la eccezione presentata dal 95, nel quale SW+NE:N W +S B= 62.77: 69.75. OSSERVAZIONI SUI VENTI SUPERIORI, ECC. 43 Nota. Ovvio il rilevare che sopra ciascuna di queste quattro linee il vertice dal quale si ha la maggior frequenza è sempre quello di sera, sicchè i quattro vertici di maggior frequenza per le singole linee riescono tutti da una medesima parte sull’ arco compreso tra MST passando per TW, 4.° I rapporti di frequenza variano grandemente col variare delle stagioni; e difatti confrontando anche solo 1° IW coll’ £, si trova (Pro- spetto I) che mentre la loro frequenza media annua è nel rapporto di 290.45 : 229.82, tale loro rapporto nel gennaio si avvicina ad essere di 300.38 : 280.79, mentre nel luglio si esagera fino a diventare di 418.64 : 113.092. Nota. Evidentemente la preponderanza degli elementi raccolti nel- l'inverno in confronto della scarsezza degli elementi raccolti nell’estate potrà influire sui valori presentati nelle proporzioni: osservazioni po- steriori suggeriranno le correzioni da apportarsi in proposito. 5.° Facendo le medie, sul Prospetto I, secondo le stagioni me- teorologiche, tali variazioni, benchè con qualche danno dell’esattezza, si rendono più facilmente evidenti, come appare dal Prosperto III. todi VIE | | | INIEZIONE ASSES | SW| .W |WN| N | | | | | 4|260.20/53.64 30.55 98.45 292.72 85.89/83.61 298.17 61.82 41.87 110.95 222.61 139.57|65.47 54.62 182.17 356. 9 221.35|84.79 44.20 164.90 289.48 70.10): | ; | © trim. (Dicem.-Febbr.) (94. Marzo-Maggio) 63. 4.2 ( 3.1 ©» (Giugno-Agosto) 42.8 (Settem.-Nov.) 78.0 Sul quale prospetto si può rimarcare che hanno : a) andamento identico il S e il SW, che crescono dal 1.° al 3.° trimestre e scendono nel 4.°; x x P. MAFFI. b) andamento inverso V E col W, il NE col SW, e, in tre casi sopra quattro, il S col N e il S'£ col VW crescendo V uno col diminuire dell’altro, benchè non con costante proporzione : c) andamento contrario discendente il WV, ascendente il N Z. 6.° Tali variazioni evidentemente si devono riflettere nelle carte jetometriche della valle, ed essendo per noi asciutti i venti di W che vengono dal continente, ed umidi quelli di £ che vengono dal mare, ecc. nelle stagioni umide sono appunto i venti di £ che guadagnano il pre- dominio. Per noi ha piogge abbondanti la primavera ed è invece asciutta l’ estate; ed il rapporto tra i venti dominanti nelle due sta- gioni si rovescia difatti addirittura e si ha 1 in primavera, ra Ma=29 841222406; 6.98 in estate. De VSN ee eS) 7k Sap) 7.° Considerando complessivamente come umidi quelli di mattina e asciutti quelli di sera (benchè non siano rare le eccezioni del S W) e addizionandone le frequenze per ogni trimestre si ottengono le altre medie del Prospetto IV. 4.0 trimestre; VF + 74 SE+S:SW+IV+NW+N=109.65 : 140.16 2.0 ” ” ” = 116.24 : 125.27 3.° ” ” ” = 75.64 : 166.98 4.0 ” ” ” = 109.58 : 140.90 donde la media annua 102.77 : 143.32 Donde pare potersi inferire che a) Il gruppo dei venti di W e quello dei venti di 7 soffiano con costanza di proporzione nell’antunno e nell’ inverno, mentre alterano fortemente, prima in un senso, poi in senso opposto, i loro rapporti nella primavera e nell’estate, riducendone la ragione a 1.07 in pri- mavera ed esagerandola a 2.20 nell’estate. OSSERVAZIONI SUI VENTI SUPERIORI, ECC. 45 5) Predominanti sono i venti asciutti, siechè a rendere ragione dell'umidità (media del sessennio 91-96 = 72 °/,) e delle piogge (me- dia del sessennio = mm. 746) che si hanno nella valle, bisogna in- vocare il concorso dei venti inferiori e poi l'abbondante evaporazione che si solleva dai laghi, dai fiumi, dalle paludi, dalle marcite, dalle risale, dalle campagne irrigate a intervalli, ece. che formano davvero una immensa velatura d’acqua sulla nostra pianura e improntano di una caratteristica tanto particolare l’idrografia dell'Alta Italia. Arresto qui deduzioni ed osservazioni. — Resterebbe da istituirsi un confronto tra i venti superiori e gli inferiori: si istituirà e lo presen- terò entro qualche mese quando avrò condotto a termine lo spoglio delle registrazioni orarie raccolte nel sessennio dall’anemografo. — Restereb- bero da studiarsi la qualità e la velocità delle nuvole in rapporto coi diversi venti ed anche più esattamente le influenze delle correnti su- periori sugli altri fenomeni meteorici della nostra valle e sulle condi- zioni delle regioni circostanti: — resterebbe anche da discutersi se la mancanza assoluta di nuvole non renda, almeno in qualche caso, pro- habile l’esistenza di correnti superiori asciutte, che quindi nei computi della nostra tavola non ponno figurare : — queste ricerche però, colle ana- loghe che facilmente si presentano, le rimando ad altri tempi, e solo le tenterò quando con un materiale più copioso, raccolto con misure di ineccepibile valore e distribuito colle classificazioni nuove, più esatte, potrò ritornare sul tema con quella sicurezza che, come ho insinuato da principio, io non voglio ancora attribuire alla nota presente. Pavia, Osservatorio del Seminario, 8 gennaio 1897. IL GIURA TRA IL BREMBO E IL SERIO. ? Nota del socio Dott. Carlo Airaghi. Oggetto di questo mio lavoro è lo studio dei terreni giuresi limitati dal Brembo e dal Serio. Di tutto ciò che scrissero molti autori riguardo a questi terreni che si osservano in tutta la Lombardia, ricorderò solo che lo Stoppani nella sua vista geologica della Lombardia in rapporto colla carta geo- logica di questo paese pubblicata dal cav. Hauer, divide la forma- zione giurese In 4 piani: Deposito dell’Azzarola, Dolomia superiore liasica, Formazione di Saltrio, Calcare rosso ad ammoniti, ad aptichi, maiolica. A questa suddivisione più tardi si fecero delle correzioni. Innanzi tutto si volle distinguere in Lombardia anche un las medio che è rappresentato da calcari poco o nulla argillosi, compatti, a grana fina, piuttosto duri, d'un color cinereo higio. Aleuni poi, benchè questo piano non sia sempre possibile, per la sua piccola potenza, distinguerlo dal 1 Al Chiariss. Prof. Taramelli, che per questo mio lavoro mi fu largo di con- siglio, sento il dovere di porgere i miei più vivi ringraziamenti. IL GIURA TRA IL BREMBO E IL SERIO. 4T deposito che gli sta sotto, pure pel suo apparire qua e là, sempre compreso tra la formazione di Saltrio e il calcare rosso ammonitico, ritengono che anche questo deposito, che venne recentemente distinto dal prof. Bonarelli col nome di Medolvano, sia continuo in tutta la Lombardia. Riguardo al calcare rosso ad ammoniti, ad aptichi e la maiolica, di cui lo Stoppani sostenne sempre la complessiva unità, faccio osservare che, pel fatto che questi piani, non sempre distinti petrograficamente, non si può dire che non costituiscono una serie geologica. Se tutti i piani mantenessero dappertutto sempre 1 propri caratteri petrografici e paleontologici, basterebbe percorrere una valle, o salire un monte in cui fossero rappresentati tutti quanti i depositi lasciati dai mari di tutte le epoche e si conoscerebbero tutti i terreni sedimentari del mondo. Siccome invece in una regione, molti terreni anche contigui perdono i loro caratteri distintivi, siamo ridotti a costituire delle serie più o meno teoriche, risultanti dal confronto e dalle serie riscontrate nelle varie località. In conseguenza non possiamo completare la serie giurese liasica lombarda senza tener conto della serie giurese liasica veneta, la quale, quanto al ¢¢onzeo, trova almeno un riscontro a Induno. Cola furono rinvenuti colla Zered. diphya, specie indubbiamente giu- rese, dei Phylloceras e dei Perisphinetes, indubbiamente titonici. Quindi dobbiamo distinguere in Lombardia, come nel Veneto, un orizzonte am- monitico liasico, da um orizzonte ammonitico giurese. Nessuna meravi- glia poi se gli aptichi e gli ammoniti si trovano e nel calcare del giura e in quello del lias; questo fatto è dovuto alla casuale conser- vazione degli uni o degli altri di tali avanzi, spettanti alla stessa classe dei molluschi. L’ idea che era in voga nei tempi in cui scri- veva lo Stoppani, che gli aptichi fossero gusci di Cirripedi, è ora del tutto abbandonata. In molti altri luoghi fuori d’Italia, dove il giura, perchè risulta formato da sedimenti abissali non solo, ma anche da sedimenti terri geni, ha una potenza maggiore, si può suddividere in un numero mag- 48 C. AIRAGHI. giore di piani. In Lombardia invece il giura è un deposito d’un mare molto profondo, e i calcari sono (indole perfettamente zoogena, di qui la causa della sua poca potenza. Ma poichè la serie dappertutto è con- cordante e non v ha alcun segno d’ interruzione di sedimentazione, questa formazione deve rappresentare tutti piani stabiliti altrove nella serie giurese. Si potrebbe pensare a qualche discordanza e conseguente trasgressione in particolare a quella che gli autori chiamano la grande trasgressione bathoniana, ma recenti studi, anche sul giura italiano, hanno dimostrato P insussistenza di questa ipotesi, e confermato la per- fetta concordanza dei depositi pelasgici nel sistema giurese. Ricorderò poi a conferma della lentezza, e quindi della tenue potenza di tali for- mazioni pelasgiche il fatto che dove in essa si son potuti rinvenire fossili nello spessore di uno stesso banco, come osserva Whoner, si riscontrano dal basso all’ alto specie spettanti a due o più zone pa- leontologiche distinte; questo può essere la causa dell’ asserito miscu- glio nella stessa formazione di fossili spettanti a piani diversi, ma tale fatto per la Lombardia merita tuttora conferma. Canto Alto. Questo monte alto m. 1146 sul livello del mare sorge tra la val Brembana e la val Seriana, e precisamente tra la borgata di Zogno e la città di Bergamo. Il Canto Alto si compone d’una parte centrale, che costituisce la porzione culminante del monte, e di varie ramifica- zioni laterali o contrafforti, che sono: a ovest il monte Bagatino, lam- bito verso settentrione dal Brembo ed a mezzogiorno dal piccolo tor- rente della val del Gionco, a sud il monte Lumbraco, ad est il monte Cavallo. La parte culminante o principale del Canto Alto, e 1 suac- cennati suoi contrafforti costituiscono un insieme che chiamerò il gruppo del Canto Alto. Dalle falde del Canto hanno origine vari torrentelli: quello che di- scende dalla parte cccidentale di esso monte e che percorre la valletta IL GIURA TRA IL BREMBO E IL SERIO. 49 del Gionco e va a sboccare nel Brembo quasi di fronte a Clenesso, il torrente della valle di Bazeren, che percorre la valletta posta tra il monte Lumbraco ed il Luvrida e sbocca nel Morla, il torrente della val di Diebra che scende dal versante sud-est e sbocca nel torrente Nesa. Sonvi poi altri torrentelli minori che discendono dal versante nord e mettono foce alcuni nel torrente della val Grumello, affluente del Brembo, altri nel Brembo stesso. Il Canto Alto fu già studiato da altri e specialmente dal Varisco, ma fin’ ora non si è data una particolareggiata idea della stratigrafia di questo monte, imperocchè gli autori che se ne sono occupati, lo hanno studiato in relazione alla geologia di più estese regioni e non sono entrati nello studio dettagliato di questo monte. Il gruppo del Canto Alto è abbastanza interessante dal punto di vi- sta geologico, imperocchè in esso si trovano terreni appartenenti alla creta, al giura, al lias ed all’ infralias. Incomincierò a descrivere questi terreni. In questa descrizione prendo le mosse dal paesello di Sorisole situato al piede del monte Lumbraco, sulla destra del torrentello che scorre lungo la valle di Bazeren, e mi dirigo, procedendo sempre sulla destra di questo torrente, rimon- tando la valle, verso la cima del Canto Alto, per discendere poi sul- l’altro versante a Poscante. Presso Sorisole si veggono affiorare gli strati della creta, che poi, vicino alla sella, per la quale si passa dalla val di Bazeren in quella del Gionco, si fanno intensamente colorati in rosso ed in verde, sem- pre diretti da est a ovest con una inclinazione verso nord; e così fin quasi ad un'altezza di m. 850 sul livello del mare, fin sopra le Stalle del monte. Dopo queste marne variegate, che probabilmente rappresen- tano la creta media, ma che non hanno fossili, col suo color bianco caratteristico, a frattura concoidale v’ha la maiolica che affiora su tutta la parte meridionale del monte in strati potenti più di un metro con direzione da est a ovest e leggermente inclinati a nord. Vol. XXXVII. 4 50 C. AIRAGHI. Il giura propriamente detto che vien dopo, ha una piccolissima po- tenza; è um calcare in cui prevale la selce, molto scistoso e fissile, (un color rosso cupo. Sempre diretti da est a ovest con una leggera inclinazione verso nord, ma con maggiore potenza seguono gli strati del lias superiore. Il calcare è d’ un color rosso chiaro, compatto ma non tanto duro, poco selcioso; qua e là affiorano come delle venature di calcari d’un color bianco, certo indizio della presenza del lias medio. Finalmente si ha l'ultimo piano dei terreni liasici, quello che dallo Stoppani venne chiamato formazione di Saltrio. Gli strati continuano sempre con una inclinazione e direzione eguale a quella dei piani s0- vrastanti, la loro potenza varia da m. 1 circa a pochi centimetri, il calcare è d'un color bigio cinereo e molto compatto. Ma oramai, si può dire ho raggiunto la vetta. Una dolomia bianca subcristallina in strati della potenza da 1 a 2 metri, sempre diretti da est a ovest e quasi verticali, forma la cima più alta del gruppo del Canta, Di questa dolomia, che è la dolomia liasica superiore, ri- sulta pur formata la parte settentrionale di detto gruppo fin quasi al piccolo villaggio di Ripa, dove appare il piano più antico della forma- zione ciurese, l infralias inferiore. Gli strati come i soprastanti, hanno una direzione da est a ovest, e mano mano che si discende verso la valle si fanno sempre più in- clinati verso nord. I calcari da prima sono neri, bigi; di poi sì fanno neri, nerissimi, argillosi, marnosi, estremamente fissili; si hanno le due zone stabilite dallo Stoppani, la zona a Terebratula gregaria, la zona a Bactryllium striolatum. Sul Canto Alto si ha una serie regolarissima di tutti quanti 1 piani ciuresi; ma non per tutto il gruppo di questo monte la stratigrafia è così regolare, nella piccola val del Gionco si fa alquanto complicata ed interessante. Cercherò di spiegare, quanto più mi sarà possibile, tutto ciò che quivi ho osservato. In questa descrizione incomincio da Villa d’Almè rimontando la val Brembana. IL GIURA TRA IL BREMBO E IL SERIO. al Le marne cretacee variegate terminano a sud di Ventulosa, dove affiora la bianca maiolica, che in strati talora di una potenza maggiore (un metro, inclinati a sud e diretti da sud-ovest a nord-est, si spinge fino a Bruntino e di lì fino al principio della val del Gioneo. Dopo la maiolica, sempre più verticali, si hanno gli strati del giura, d’ un color rosso cupo, quindi gli strati del lias inferiore che formano un anticlinale ; da ultimo, vicino alla foce del torrente della val del Gionco nel Brembo, gli strati del lias medio e superiore, su cui poggiano quelli del lias inferiore, che si possono osservare continuando la strada a nord di Botta. Se poi si percorre la valletta rimontando il torrente, si vede che il rosso ammonitico, vicino alle case del Gionco viene a contatto col giura che si presenta con una potenza maggiore che non a Ventulosa con strati di selcie talora rossa talora cinerea. Come si vede adunque un ramo di lias inferiore, proveniente da Almenno, si caccia a guisa di conio, tra il giura ed il rosso ammo- nitico che discendono dal Canto Alto. Il monte di Nese. Sorge questo piccolo monte a oriente del Canto Alto, a settentrione della grossa borgata di Alzano Maggiore, a occidente della valle di Nesa. È questa una località, dal punto di vista geologico, assal interes- sante, e merita d essere visitata dagli studiosi perchè presenta una chiara successione dal pliocene al cretaceo inferiore, e da questo senza interruzione a tutte le formazioni inferiori fino alla dolomia triasica. Partendo da Alzano Maggiore rimonto la valle di Nesa fino alla Busa, per poi percorrere la strada che conduce in cima al monte, a Piazza di Nese. Vicino al ponte così detto della Nesa, presso Alzano, si può osser- vare l’affioramento delle marne azzurre fossilifere dei Pzacentino, che 52 C. AIRAGHI. poi a monte vengono ricoperte da un conglomerato resistente che rap- presenta il tipico V7llafranehiano colla sua solita facies subalpina di ceppo. Vicino al cimitero di Nesa, dove il Villafranchiano è special mente fossilifero, si può osservare molto bene che gli strati del ceppo divengono sempre più inclinati finchè vanno a poggiarsi sulla creta; e in pari tempo vengono ricoperti da un conglomerato pure potente ma meno compatto, cioè dal dilwwium quaternario, che ricopre i sopra citati depositi pliocenici della valletta di Nesa anche più a valle. Al ponte della Busa che passa sopra al torrente di Nesa, si incon- trano distinti strati di maiolica aventi una direzione da est a ovest ed una inclinazione di 46° circa a nord. Sul fondo del torrente, sca- vate nella roccia, si osservano magnifiche marmitte dei giganti; una bellissima è posta quasi sotto il ponte. Continuando la strada verso nord, attraversati i terreni piuttosto fertili dati dallo sfacelo della ma- iolica, questa si presenta alternata a strati di scisti scagliosi aventi un’ inclinazione eguale a quella dei primi. A Cornarelli si osserva un’ampia cava di maiolica: gli strati sono quasi verticali e diretti a nord-est. A nord di Cernarelli si ha uno sfacelo di scisti del giura che compaiono poi assai contorti con un’ in- clinazione verso nord-est-est. A questi segue il calcare grigio del lias inferiore, alternato con degli strati sottili di scisti neri bituminosi di cui due banchi più potenti, con direzione da est ad ovest passano presso il ponte di valle Bracca, al bivio per Burro. Sulla sponda sinistra della valle e sul fondo del versante destro pare svilupparsi I’ infralias. Infatti sulla sponda sinistra si osserva il banco madreporico, e sotto, degli scisti fossiliferi assai contorti, che ad est della val Bracca piegano fortemente a sud-ovest. Quivi inco- mincia lo sfacelo del lias ammonitico. Nei calcari rossi mandorlati sovrastanti trovai un grosso esemplare di Ammonites radians Schlt., indicante essere ancora nei più recenti strati del lias medio; trovai anche un esemplare della 7. erdaersis Sues., e ricordo che quivi fu trovata, dal prof. Varisco, la Poss¢do- IL GIURA TRA IL BREMBO E IL SERIO. do nomya Bron, determinata dal prof. Parona. In alto si ha tutta ma- iolica. Dalla chiesa di Nese andando verso il ponte è tutto lias medio in- feriore; sul fondo del torrente si osservano i scisti neri bituminosi in- fraliasici; più in alto verso Castello havvi tutta dolomia triasica. A nord poi della citata chiesa, si osserva una breccia di calcare grigio del lias inferiore, analoga ai marmi brecciati di Saltrio, di cui ha la struttura. La sella per Poscante è scavata negli scisti neri simili a quelli già osservati al ponte di Nese. L’altipiano di Selvino. È questo amenissimo altipiano posto a nord delle industriose bor- vate di Alzano e Albino. Attorno gli stanno: a sud-ovest il monte Po- dona, a ovest il monte Corna Bianca, a nord-est i monti Cornaggiera e Poieto. A nord poi si può dire che sia tutto quanto circondato dalla piccola valle di Rigosa; a occidente è limitato dalla valle di Cantor. Dalla parte meridionale di questo altipiano prendono origine diversi torrenti: si hanno i torrenti della valle Valqua e della valle d’Albino che si uniscono vicino a Bondo Petello e vanno a sboccare nel Serio, i piccoli torrenti della valle Pendessi, della valle Mughere e Valzella, che riunendosi formano il torrente Tarso, affluente pure del Serio. Questa importantissima località venne già da molti altri studiata, e da mineralisti e da geologi; ma i primi si occuparono quasi esclusi vamente dei lucenti e regolari cristallini di quarzo che con tanta fa- cilità si rinvengono nel terriccio in tutto quanto l’altipiano, 1 secondi, la studiarono in relazione alla geologia di più estese regioni, e non sono entrati nello studio dettagliato di questo altipiano. Anche il Varisco non rilevò del tutto esattamente la stratigrafia di questa località. La sua carta geologica, lavoro per molte ragioni me- ritevole, non da un’ idea esatta della regione. Nella mia descrizione incomincierò da Alzano, seguendo la strada che, per Lonno ed il Forcellino, conduce all’altipiano. oA C. AIRAGHL. Attraversati i terreni alluvionali del Serio si percorre un terreno costituito da marne cretacee fino ai piedi del monte Ganda. Quivi in- comincia la maiolica che in strati potenti, diretti da est a ovest ed inclinati a nord si può osservare lungo tutta la strada che, salendo continuamente, gira attorno al monte. Alla maiolica segue il giura, un calcare dapprima d’un color rosso pallido, roseo, a frattura concoidale, che a stento si può distinguere dalla maiolica, poi si fa sempre più selcioso e duro, assumendo il suo solito colore, rosso cupo. Più a nord, fino alla sella chiamata Forcellino, si ha lias inferiore che, pe’ di- versi aspetti col quali si manifesta, cercherò di descrivere un po’ mi- nutamente. È dapprima un calcare grigio scuro, non tanto duro, attra- versato da filoni di spato. Vicino avvi una cava di coti. Quindi, per la maggior durezza che va continuamente acquistando, per essere d’un color molto più chiaro, ed a frattura concoidale, si distingue un cal- care che potrebbe facilmente essere confuso colla maiolica. Davanti al nuovo cimitero di Lonno si osservano pochi strati, dalla potenza d’un metro circa, d’ un calcare molto duro, di color rosso cupo macchiet- tato di verde, che potrebbe equivalere anche per la copia dei crinoidi di cui presenta le sezioni, al marmo di Arzo. A Lonno il lias inferiore invece è rappresentato da una massa di dolomia molto alterata, entro cui è scavata, proprio davanti alla chiesa, una bellissima e grande voragine che forma la bellezza di questo pic- colo villaggio. Più avanti però questa dolomia si fa molto compatta e Si possono osservare distintamente potenti strati diretti da est a ovest con inclinazione verso nord. È questa una dolomia molto dura d’un color bianchiccio, cristallina, e certamente, come già fece il prof. Va- risco, l'avrei ritenuta per la dolomia liasica superiore, se, dopo nume- rose e diligenti ricerche non avessi potuto rinvenire dei fossili, il Ra- cophyllites stella Jov., il Racophyllites diopsis Gem., ece., che m’ae- certarono trattarsi d’ un terreno liasico, La piccola sella chiamata il Forcellino venne scavata entro gli scisti infraliasici che vanno poi sem- pre più sviluppandosi e si congiungono a oriente con quelli che si tro- IL GIURA TRA IL BREMBO E IL SERIO. 55 vano sul fondo della valle del torrente Carso, e a ovest con quelli che si osservano nella valle della Nesa presso Burro. Si passa così ai terreni triasici. Tutto quanto il monte Podona è costituito dalla dolomia ad Avzeula ezzlis Stop., e solamente all’ ul- tima risvolta della strada, prima d’arrivare al Capo di Selvino, ricom- pare TV’ infralias. È questo rappresentato da scisti neri bituminosi in strati aventi una direzione nord-ovest e inclinati verso ovest, su cui con direzione e inclinazione press’ a poco eguali, poggiano i calcari del lias inferiore. La piccola fonte che scaturisce al Capo di Selvino mag- giormente conferma che v' ha un contatto tra due rocce diverse. Ma eccomi al Selvino, un’ altura verdeggiante tutta ricoperta della più splendida vegetazione ombreggiata talora dalle pinete svelte ed eleganti, accidentata quà e là da voragini misteriose in cui si radu- nano le acque per disperdersi giù giù nel fondo, e ricomparire alla luce molto lontano attraverso vie sotterranee. Era quest'altipiano fino a pochi anni addietro noto solamente ai na- turalisti che vi accorrevano e per gli abbondanti cristalli di quarzo e per le magnifiche voragini che formano una rarità della provincia di Bergamo. Ora invece tra quel verde vario sorgono quà e là bianche ville di elegantissime costruzioni; un albergo è anche sorto da pochi anni come per incanto, ed è dall’ estate fino al tardo autunno sog- giorno graditissimo e salubre. Ritornando alla stratigrafia, vicino alle ultime case del paese, ad oriente della chiesa ricompaiono gli scisti neri bituminosi infraliasiei diretti da est a ovest ed inclinati verso nord, che si estendono fino ad Aviatico appoggiando sulla dolomia media dei monti Cornaggiera e Poieto. Da una parte poi questi scisti neri che talora si fanno lucenti in modo da somigliare molto all’ antracite, si estendono per tutta la valle di Rigosa e continuando per la valle di Cantor si congiungono con quelli che si osservano a Capo di Selvino. Dall'altra parte si esten- dono, sotto forma di lembi, a Ama, e al monte Nigromo, a Amora di Sopra e di Sotto. 06 C. AIRAGHI. L’altipiano di Selvino quindi è costituito da terreni Hasici e infra liasici che riposano sopra un basamento di dolomia media. Percorsi pure la strada che da Selvino, per Amora e Bondo, con- duce ad Albino, la valle Valqua, la valle d’Albino, la val Valzella, la valle di Corni, ‘ma non ho osservato aleun fatto che sia degno di nota. Tutte queste piccole valli sono scavate nella dolomia media, ed i lembi infraliasici che si osservano ad Ama e ad Amora, lungo le falde del monte Purito, nei dintorni di Trevasco, S. Vito e SS. Tri- nità, mi persuadono che quelle valli siano già state riempite da un sedimento infraliasico, che alla sua volta doveva essere ricoperto dal lias inferiore, come si osserva ancora sull’ altipiano. Ho fatto più sopra un cenno ai piccoli cristalli di quarzo di Selvino, dirò qualche cosa riguardo alla loro origine. Lo Stoppani ed altri, per aver trovato delle geodi di quarzo nella dolomia che circonda I’ altipiano, dissero ch’ essi derivano dalla silice della dolomia. Ora io certamente non voglio mettere alcun dubbio su un fatto reale, ma mi sia almeno concesso di fare un’ osservazione. I cristalli di quarzo li trovai non solamente ai piedi dei monti Cor- naggiera e Podona, ma anche per tutto l’altipiano vicino alle voragini. Se si esamina l’orografia del luogo, si vede che Valtipiano è tutto cir- condato da torrenti, e che è quindi impossibile, che, 1 cristalli prove- nienti dalla dolomia, vengano trasportati colà dalle acque. Per tale ra- gione sono inclinato a credere che i piccoli e lucenti cristalli di quarzo non solamente siano dovuti alla silice della dolomia, ma anche a quella che trovasi nel calcare liasico. Rimane a vedere se la presenza di questi cristalli di quarzo della dolomia come del calcare del lias abbia qualche nesso coi dicchi di porfido anfibolico che presentansi presso Ama e si sviluppano molto più ampiamente verso est nella valle Seriana, nella val Cavallina, ed in particolare al monte Altino. IL GIURA TRA IL BREMBO E IL SERIO. DI sla Così avrei terminato di parlare delle mie gite geologiche. Come si presentano adunque i terreni giuresi tra il Brembo e il Serio? Dove bisognerebbe correggere la carta geologica del prof. Varisco? Come av- vennero i corrugamenti che hanno determinato TV orografia attuale di questa regione ? L’ infralias inferiore, incominciando da Sedrina, è sempre continuo lungo la valle Brembana fino a Poscante, dove viene a contatto colla dolomia media del monte Podona. Passando poi per la piccola sella, che porta pure il nome di Poscante, si sviluppa nella val di Nesa, e per il Forcellino, nella valle del torrente Carso, sulle falde dei monti Cereto e Purito. Sviluppandosi poi maggiormente a nord circonda tutto quanto VP altipiano di Selvino. Un fatto che credo d’una certa importanza, si è che, al principio della valle d’Albino, tra la Cantoniera e Selvino, si sviluppano gli sci- sti retici colla dolomia principale. Infatti cola rinvenni coll’ Avéeula exilis Stop. il Turbo Songavas- su Stop. La dolomia liasica superiore è pure rappresentata, forma la cima e la parte settentrionale del Canto Alto. Il lias inferiore, sotto forma ora di calcare grigio scuro, ora di marmo simile a quello di Saltrio, ora di dolomia, è maggiormente svi- luppato. Forma la parte meridionale del Canto Alto e del monte di Nese. Maggiore potenza ha nei dintorni di Lonno; le voragini che si osservano nell’altipiano di Selvino vennero scavate entro il lias inferiore. Gli altri due piani liasici, ossia il medio e superiore, si osservano abbastanza sviluppati e distinti nella valle del Gionco. Sul Canto Alto invece il medio si confonde coi piani che gli stanno sopra e sotto; al monte di Nese è rappresentato da un calcare rosso compatto che cor- risponde anche per la natura litologica a quel fascio di banchi la di cui erosione dette luogo alla nota guglia fossilifera detta la Bicicola 58 C. AIRAGHI. sopra Suello di Erba. Più ad oriente non mi fu possibile ritrovare questi piani se non a nord di Nembro. Molto bene distinto è il giura, che senza interruzione va, attraver- sando il Canto Alto, i monti di Nese e Ganda, da Ventulosa a Nembro. Da quanto ho detto credo che sia facile comprendere come molte siano le correzioni che si dovrebbero fare alla carta geologica del pro- fessor Varisco. Una potenza maggiore al vero ha dato, a spese del lias inferiore e della dolomia liasica superiore, al lias superiore del Canto Alto. Secondo la carta del prof. Varisco partendo da Nese andando a Piazza di Nese si dovrebbero incontrare i seguenti piani: maiolica, giura, lias superiore e inferiore, infralias inferiore e dolomia media. Su questo monte abbiamo, è vero, tutta quanta la serie giurese, ma, come ho già detto, e come si può vedere in parte anche dal mio profilo, si presenta foggiata a sud in una antielinale e a nord in una sinclinale. Per aver trovato dei fossili, come il Phyloceras cylindricum Sow., il Rhacophyllites stella Sow., Atractites orthoceropsis Mgh., si deve ritenere lias inferiore tutta quella zona dolomitica posta a nord di Lonno, e che si sviluppa poi maggiormente nella valle del torrente Carso. Tutto il monte Cereto è costituito da calcari neri dell’infralias inferiore. Infine riguardo all’altipiano di Selvino la carta geologica del Varisco deve pure essere corretta, poichè risulta formato non solo da terreni infraliasici, ma, come già dissi, anche liasici. Ho dato due profili, uno del Canto Alto, e I’ altro che dal monte Sulino, diretto da nord-est a sud-ovest, attraversando i monti di Nese e Podona, l’ altipiano di Selvino, va sino al monte Cornaggiera. Da essi si rileva come i diversi piani si susseguono con regolarità, e però i corrugamenti che hanno determinata l’orografia attuale di questa re- gione debbono essere stati Jenti e non tanto forti. Solamente al monte di Nese dove i piani formano una sinclinale molto inclinata, come quasi sempre avviene, verso il piano, si potrebbe ammettere che vi sia stato una spinta laterale più violenta. IL GIURA TRA IL BREMBO E IL SERIO. 59 ENUMERAZIONE DEI FOSSILI CHE RINVENNI NELLE MIE ESCURSIONI Pochi invero sono i fossili che ho trovato: | Avzewla exilis Stop. del trias, aleune specie proprie dell’ infralias, come il Myé/us psila- noti Quenst., la Cardita austriaca Hau.; del lias inferiore VP Atrac- tites orthoceropsis Mgh., V Aulacoceras indumense Stop., il Rhaco- phyllites stella Sow., il Phylloceras cylindricum Sow., e alcuni altri frammenti che, stante il loro cattivo stato di conservazione e la mancanza di libri, non ho potuto classificare. Del lias superiore invece ho un numero maggiore di specie, diversi Harpoceras, come V Harp. Mercati Hau., V Harp. bifrons Bmg., ecc. Alcuni Phylloceras, come il Phyll. Nilsoni Hau., il Phyll. Spadae Cat. e la Terebratula Erbaensis Suess. Del Giura solamente alcuni aptichi e belemniti. TRIAS. Avicula exilis Stop. Stoppani, Zes pétrifications de Esino. 1858-60, pag. 92, tav. 19, fio. 1-4. Si rinviene in grandissima abbondanza sul monte Podona. Aleunt esemplari li trovai anche negli scisti retici al principio della valle di Albino, in contatto colla dolomia. 60 C. AIRAGHI. INFRALIAS. Mytilus psilonoti Quenst. Stoppani, Monographie des fossiles de l’Azzarola. 1860-65, pag. 64, tav. 10, fig. 1-5. Due esemplari che maggiormente si assomigliano alla fig. 9. Co- mune nella val di Nese. Nucula spec. ind. Abbondantissima, al principio della valle d’Albino. Non la riferisco a nessuna specie illustrata dallo Stoppani, perchè il cattivo stato di conservazione non mi permette di farlo. Cardita austriaca Hauer. Stoppani, Monographie des fossiles de l'Azzarola. 1860-65, pag. 53, tav. 5, fio. 24-28. Un unico esemplare che trovai nei scisti neri infraliaci della valle di Rigosa. Turbo Songavatii Stop. Stoppani, Monographie des fossiles de 0 Azzarola. 1860-65, pag. 259, Lar ava oos lige al Un solo esemplare che rinvenni nei scisti infraliasici al principio della val (Albino coll? Avzewla exclis Stop. IL GIURA TRA IL BREMBO E IL SERIO. 61 Neritopsis Oldae? Stop. Stoppani, Monographie des fossiles de 1 Azzarola. 1860-65, pag. 59, tav. 2, fig. 6-8. Un esemplare solo proveniente dai scisti infraliasici al principio della valle d’Albino. LIAS INFERIORE. Atractites orthoceropsis Mgh. Canavari, Contrib. alla fauna del lias inf. di Spezia, 1888, pag. 81, fay, 1p fie: -fo=19: Solamente un frammento composto d’una sola loggia. Sulla super- ficie esteriore si vede abbastanza chiaramente una solcatura longitudi- nale che sta a rappresentare il posto occupato dal sifone. L'altezza della loggia raggiunge i */, del diametro, la sezione della camera circolare non elittica. Corrisponde maggiormente alla fig. 17. Venne trovato a nord di Lonno. Aulacoceras Indunense Stop. Meneghini, Monograph. des foss. du cal. rouge amm. de Lombardie. 1867, pag. 140, tav. 26, fig. 1-4. Un frammento lungo 73 mm. diviso in 4 loggie trovato a Lonno. Dagli agenti esterni venne abrasa la parte superficiale di modo che è impossibile vedere la fossetta longitudinale. Corrisponde alla fig. 1. 62 C. AIRAGHI. Phylloceras cylindricum Sov. Canavari, Contrib. alla fauna del lias inf. di Spezia. 1888, pag. 99, tav. 2, fig. 8-11. Di questa specie tengo due esemplari che rinvenni pure a Lonno. È una conchiglia discoidale, liscia, fortemente involuta, fianchi piani, la regione sifonale ampia, lesgermente convessa e disposta quasi ad angolo retto con le regioni laterali. I miei esemplari corrispondono mag- giormente alla fio. 10. Rhacophyllites stella Sow. Canavari, Contrib. alla fauna del lias inf. di Spezia. 1888, pag. 91, tav. 2, fig. 1-5. Un esemplare solo non tanto bene conservato che trovai a nord di Lonno. E una conchiglia compressa a fianchi leggerissimamente con- A vessi. Secondo la divisione fatta dal Canavari, questo mio esemplare appartiene alla forma senza carena; corrisponde alla fig. 5. Rhacophyllites diopsis Gem. Gemmellaro, Suz foss. di strat. a Ter. Aspasia della contrada delle Rocche Rosse presso Galati (Messina). 1884, pag. 6, ta- vola 2, fig. 6-8; tav. 6, fig. 1-2. Un esemplare che particolarmente corrisponde alla fig. 1-2 della ta- vola 6. che rappresenta un giovane individuo. Solo in vista dello stato poco huono di conservazione faccio qualche riserva sul riferimento spe- cifico. Oltre che negli strati a Zer. Aspasia (lias medio) questa spe- cle o una forma strettamente affine (Rhae. cfr. diopsis Gem.) fu tro- vata nel lias di Hierlatz, insieme al Phylloceras cylindricum, col quale la trovai pur io a Lonno. IL GIURA TRA IL BREMBO E IL SERIO. 63 Lytoceras? specie Forse è una forma nuova ma non oso pronunciarmi con un esem- plare così malconcio. Lo trovai a Lonno. LIAS SUPERIORE. Terebratula Erbaensis Suess. Meneghini, Monograph. des foss. du caleaire rouge amm. de Lom- bardie. 1867, pag. 165, tav. 29, fig. 6-8. Di questa specie di cui tanto parlarono lo Stoppani ed altri paleon- tologi ho solamente un esemplare che trovai nel calcare rosso del lias medio sul monte di Nese. Corrisponde alla fig. 8. Phylloceras Nilsoni Héb. Meneghini, Monograph. des foss. du calcaire rouge amm. de Lom- bardie. 1867, pag. 96, tav. 18, fig. 7-9. Di questa specie la più abbondante nei giacimenti fossiliferi del cal- care rosso della Lombardia, ho moltissimi esemplari, alcuni dei quali bene conservati. Corrispondono perfettamente alle descrizioni del Me- neghini. Li trovai sul Canto Alto. Poccilomorphus subcarinatus Y. e B. E una forma assal rara. Ho trovato solamente due esemplari sul Canto Alto. 64 C. AIRAGHI. Phylloceras Spadae Cat. . Meneghini, Monograph. des foss. du calcaire rouge amm. de Lom- bardie. 1867, pag. 93, tav. 19, fig. 1-4. Un solo esemplare che corrisponde maggiormente alla fig. 3. Lo tro- vai sul Canto Alto. Harpoceras Mercati Hau. Meneghini, Monograph. des foss. du calcatre rouge amm. de Lom- bardie. 1867, pag. 32, tav. 8, fig. 1-2. Un solo esemplare in cui si osserva molto bene l’ultimo giro for- nito da grosse coste rigonfiantesi sulla regione sifonale. Lo spessore è uguale all’ altezza, fianchi piatti, regione sifonale appiattita, provvista di due solchi profondi ed una sporgenza saliente, coste semplici. Lo calità fossilifera Canto Alto. Harpoceras Comense de Buch. Meneghini, Monograph. des foss. du calcaire rouge amm. de Lom- bardie. 1867, pag. 21, tav. 5-8, fig. 3-8. g. Un piccolo ma ben conservato esemplare che trovai sul Canto Alto. Harpoceras bifrons Brug. Meneghini, Monograph. des foss. du calcaire rouge amm. de Lom- bardie. 1867, pag. 8, tav. 1-2. Di questa specie che è caratteristica dell'orizzonte del lias superiore non ho un bel esemplare, tanti frammenti invece di diversi individui, IL GIURA TRA IL BREMBO E IL SERIO. 65 tra cui ne trovo alcuni a coste molto numerose e sottili e poco spor- senti, altri a coste meno numerose, più grosse e più sporgenti; avrei adunque le due varietà fatte notare dal Meneghini nella sua citata monografia. Località fossilifera Canto Alto. Harpoceras Aalensis Ziet. Meneghini, Monograph. des foss. du calcaire rouge amin. de Lom- bardie. 1867, pag. 50, tav. 11, fig. 1-3. Due piccoli e ben conservati esemplari provenienti dal Canto Alto. Coeloceras Desplacei (’ Or). Meneghini, Monograph. des foss. du calcaire rouge amm. de Lom- bardie. 1867, pag. 75, tav. 16, fig. 5-8. Due frammenti di due individui diversi; non si scorgono molto bene i lobi, ma credo che si debbano riferire a questa specie, sia per la presenza di piccole sporgenze poste in serie sulla linea d'incontro della faccia laterale con quella dorsale sia per il gran numero di piccole coste. Località fossilifera Canto Alto. GIURA. Aptycus gigantis Stop. Meneghini, Morograph. des foss. du calcaire rouge amm. de Lom- bardie. 1867, pag. 116, tav. 23, fig. 1; tav. 24, fig. 1. Un esemplare solo un po’ più piccolo di quello figurato dal Mene- ghini, che venne trovato a Nese. Vol. XXXVII. 5 66... C. AIRAGHI. IL GIURA TRA IL BREMBO E IL SERIO. Aptycus profundus Stop. Meneghini, Monograph. des foss. du calcaire rouge amm. de Lom- bardie. 1867, pag. 122, tav. 25, fig. 4-5-6-8-9. Diversi esemplari che trovai sul Canto Alto, a Nese e a Lonno. Belemnites spec. ind. Alcuni frammenti rinvenuti a Lonno e a Nese. Dal Gabinetto geologico della R. Università di Pavia, 1896. INDICAZIONI ee Fed | Canto Alto tt, Marne cretace E Li Lias med. ink m. 1146 NT DI ARE sali Neocomiano EA Infralias sup. (Es Giura Infralias inf POSCANTE i 06 Lias Superiore Dolomia triasica Seal. ; i 25,000 Ocata/ nel rapporto di’ 1,a/ 25,000 M.Gornaggiera M. Podona m. 1315 m. 1228 M.Sulino CAPO SELVINO m.838 SELVINO Piazza MONTE m.976 di NESE m. 802 Val della Nesa Sella per Poscante NE, NUOVE OSSERVAZIONI SULLE ROCCE FILONIANE DEL GRUPPO DELL’ ADAMELLO. Nota del Dott. Carlo Riva. Il numero ingente di rocce filoniane che si riscontrano nel gruppo dell'Adamello, la loro varietà mineralogica e strutturale, 1° interesse veologico che queste rocce offrono, sono ragioni che mi hanno indotto a continuare, anche nello scorso autunno, le ricerche sopra questo ar- somento, e i risultati dello studio litologico sono qui esposti, quale contributo alla conoscenza geologica di quella splendida regione alpina. La maggior parte del nuovo materiale esaminato venne da me rac- colto nella Conca del Baitone, in quella del Lago d'Arno, nella Valle Dois, e nella valletta del Rio Predon, la quale, dalle cime del Li- stino e del Blumone, conduce in val dì Fumo. Ho fissata in special modo l’attenzione sui filoni che attraversano la tonalite, poichè questi sono descritti in minor numero nello studio intorno a queste rocce. ! Le rocce filoniane dell'Adamello appartengono ai tre grandi gruppi, stabiliti dal Rosenbusch, delle rocce filoniane porfirico-granitiche, apli- tiche e lamprofiriche. Fra i diversi gruppi, però, vi sono, mineralo- gicamente e strutturalmente, passaggi numerosi e graduali, e non è 1 Riva C., Ze rocce paleovulcaniche del Gruppo dell'Adamello. Memorie del R. Istituto Lombardo di se. e lett. Vol. XVII, VII della Serie II, pag. 159-228. 68 C. “RIVA. sempre possibile una netta divisione anche perchè mancano ancora, per la regione studiata, elementi sufficienti per potere esattamente giudicare del significato geologico di alcuni tipi filoniani. Nel gruppo granitico-porfirico è rappresentata la famiglia delle por- firiti dioritiche, e, in queste, si distinguono le porfiriti-dioritiche pro- priamente dette, nelle quali solo i feldispati ed il quarzo si presen- tano in due distinte generazioni, mentre gli elementi colorati appar- tengono soltanto al periodo intratellurico e in piccola quantità appa- iono nella massa fondamentale; e in quelle porfiriti-dioritiche con una ricchissima generazione di microliti anfibolici che il Rosenbusch pro- pone di chiamare tipo Ve, un anello di congiunzione tra le por- firiti-dioritiche e le rocce lamprofiriche. Al primo tipo vanno riferiti diversi filoni potenti all’ incirea mezzo metro, nella tonalite, poco sotto la bocchetta dei Laghd Gelati (m. 3000) verso la val d’Avio (Baitone). Un filone, presso alla Bocchetta, è diretto N. 15.0. con una inclina zione forte a est; un altro più in basso, verso il pantano d’Avio è diretto da nord a sud. Al Passo della Rossula (m. 2595) lungo le creste vicine, come pure salendo al passo, tanto dal versante di val Dois, quanto dal versante del Rio Predon, s’ incontrano numerosi 1 fi- Joni che attraversano la tonalite. Molti appartengono a questo tipo. Lungo le creste, che dal Passo della. Porta di Zumella conduce al monte Frisozzo, frequenti filoni attraversano la tonalite o il calcare che forma la Coma Sablunera (m. 2606). In questo monte notansi specialmente numerosi i filoni, alcuni dei quali si insinuano tra la tonalite e il calcare. Vanno ascritti alle porfiriti dioritiche anfi- boliche. Alle porfiriti-dioritiche anfiboliche-micacee a quarzo, vanno rife- riti aleuni blocchi trovati poco sotto il lago del Baitone nella Conea Baitone. Alle por/irti-dioritiche micaceo-pirosseniche appartiene una roccia trovata soltanto in blocchi lungo la riva meridionale del Lago d'Arno, tra i massi trasportati da un ripido torrentello che scende dal ghiacciaio del monte Frisozzo. NUOVE OSSERVAZIONI SULLE ROCCE FILONIANE, ECC. 69 Al tipo Véatlite appartengono filoni riscontrati nella Corea del Bar tone, salendo dalla capanna, pei laghi Gelati, al Corno di Baitone. Presso il Zago d’ Arno, e precisamente lungo il pendio sud del monte Campellio, al Rio Traversera, sono frequenti i filoni che at- traversano le arenarie metamorfiche e la tonalite, che qui, in apofisi, si ramifica entro le arenarie. È specialmente poco prima di arrivare al Passo di Campo (m. 2288) che i filoni si fanno numerosi, e in un tratto di venti metri ne ho contati sei. Sono per la maggior parte rocce del tipo di quelle da me già descritte della stessa località (loc. eit, pag. 99-100). Esponevo allora il dubbio che alcuni di questi fi- loni fossero anteriori alla tonalite e metamorfizzati da essa, poichè rocce simili riscontrai negli scisti intensamente metamorfici, non già nelle rocce normali, e neppure nella tonalite. Percorrendo lo scorso autunno più particolareggiatamente la regione, mi sono persuaso del- l’esistenza di questi filoni anche nelle apofisi di tonalite, constatando che rocce di questo ipo attraversano la tonalite anche in altre località del gruppo. Non si può quindi pensare che questi filoni siano anteriori alla tonalite e metamorfizzati da essa. Rocce assai simili a quelle del Passo di Campo, attraversano, nel- VP Odenwald, il granito ele dioriti, e furono descritte dall’Osann col nome di Malehzti: notevolmente più acide delle dioriti, furono classi- ficate tra le rocce filoniane aplitiche. Nell’Adamello, invece, non rag- giungono mai | acidità della tonalite, ma sono alquanto più basiche. Nell’Odenwald raramente presentano struttura porfirica, nell’Adamello sono, per lo più, ricche d’interelusi di feldispato e di quarzo, pur es- sendovi filoni poveri o privi di interclusi, aumentando 0 scomparendo questi anche in uno stesso filone. In diverse gite compiute nell'estate scorso nell’Odenwald, e dall'esame della ricca collezione di rocce filo- niane dell'Istituto di Heidelberg, vanto del Rosenbusch, ho notata molta analogia fra tipi filoniani dell'Adamello, in special modo con quelli dell’Odenwald e dello Spessart, come non mancherò di far notare nella descrizione dei vari gruppi. 70 C. RIVA. Tra le rocce filoniane aplitiche, le Apé/t/ propriamente dette for- mano numerosi filoni, dai tenuissimi a quelli di più di un metro di potenza, molto frequenti in ogni parte del gruppo dell'Adamello, e per lo più nella tonalite. E però ne osservai anche nel calcare, p. es. sulla cima Sablunera. Non meno frequenti sono i filoni damprofirie? parecchi dei quali già da me deseritti, e che appartengono alla serie Spessartit=Odiniti. Nuovi filoni poi riscontrai intorno al Lago d'Arno, in Val di Fumo, presso la Malga Ervena, nel Monte Sablunera, nella Val Dois, presso il Passo della Rossula e nell'alta Val Caffaro. Porfiriti dioritiche e vintliti. Passo della Rossula, alta val d’Avio, Conca di Baitone. — I filoni, appartenenti a questa famiglia del Passo della Rossula, constano di rocce grigie 0 grigio-verdognole, finamente granulari, più o meno ricche di interclusi bianchicci di feldispato, lun- ghi parecchi millimetri, e di prismi sottili di anfibolo verde. In taluni filoni gl’ interclusi scarseggiano, predominando la massa fondamentale origiastra. I filoni dell'alta val d’Avio presso alla bocchetta dei La- ghi Gelati, sono grigiastri, alquanto più oscuri dei precedenti per mag- giore quantità del componente colorato; gl’ interelusi di feldispato sono abbondanti e piccoli. Qua e là sparso, ma eccezionalmente, nereggia qualche cristallo di orneblenda di alcuni millimetri di lunghezza e di larghezza. I filoni di Vintlite che attraversano la tonalite nell'alta Conca di Baitone, constano di rocce grigio-brune e vi si possono appena di- stinguere piccoli interclusi di feldispato e prismi anfibolici sottili ¢ lucenti. Feldispati. — n wn filone del Passo della Rossula gl interclusi di feldispato sono grossi e numerosi. Misurano più millimetri di lun- ghezza e 1-2 di larghezza. Nettamente idiomorfi, i loro contorni sono però talvolta arrotondati e non sono scarsi individui tra loro aggregati. Con netta struttura zonale, sono geminati secondo le leggi di Carlsbad e dell’albite, però le lamelle dell’albite sono scarse e larghe; molti indi- 71 NUOVE OSSERVAZIONI SULLE ROCCE FILONIANE, ECC. i vidui presentano una semplice geminazione. Mentre la zona esterna, di solito assai stretta è acida (od/goclasio), la parte centrale è costituita da anortite. Tra la periferia e il centro noto diverse zone più o meno basiche, sfumate. In una sezione approssimativamente secondo (010), un sottile bordo si estingue quasi parallelamente, mentre il centro si estingue a 44°; tra queste si possono distinguere altre quattro zone che si estin- guono alternativamente a 11° e a 25° Mentre dalla parte centrale esce un asse ottico che si osserva al bordo del campo, dalle zone in- termedie l’asse ottico non si osserva più nel campo stesso. In un dop- pio seminato misuro i seguenti valori d’estinzione : 7 a e d / Cento after 46 28 30 ione 39 ie DO L’alterazione è alquanto avanzata, con produzione di caolino, musco- vite e calcite. Numerosi sono gl’ interclusi di plagioclasio nei filoni presso la Bocchetta dei Laghi Gelati. Assai freschi e nettamente idiomorfi, soltanto in. pochi la parte centrale, 0 una zona intermedia, mostra una lesgiera alterazione con formazione di caolino e di muscovite. Presentano dimensioni variabilissime dai minuti minuti che si confon- dono colla massa fondamentale a molti lunghi mm. 0.5 — I. Per lo più tabulari secondo (010), le forme predominanti osservate sono: {010}, {001}, {110}, {201}. La struttura zonale è anche qui evidente. In parec- chie sezioni secondo (010) l'estinzione, riferita allo spigolo (001) : (010), è piccola pel bordo, —2°, —3°, cresce a —17° per una sottile zona mediana, mentre la parte centrale, e predominante, si estingue a —27°, In una sezione pure approssimativamente secondo (010) si distinguono nettamente cinque zone, e numerandole da 1 ao dall'esterno all’ in- (oR eM SURO eee Re 52 210°, Essendo 1 Micue Livy, Hewdes sur la détérmination des Feldspaths. Paris, 1894. 72 C. RIVA. frequenti i doppi geminati ho misurata l’estinzione, nelle diverse la- melle, in moltissimi individui. Riporto alcune misure : a c d ii Periferia eye lee ue Te DG Centro . 49 44 26 19 Periferia 14 20 21 — Centro 2a 28 34 DIL ” 22 2A 36 AS » ZON; 30 42 32 ” 2a 22 = 39 Risulta dunque, che, mentre il centro del cristallo consta di detowncte o di labradorite, la periferia è più acida, dando valori d’estinzioni ca- ratteristici o per l’oligoclasio basico, 0 per Vandesina. Nelle Véntliti della Conca di Baitone, gl interclusi sono più scarsi e, specialmente nei cristalli grossi, assai più alterati. Sovente la pro- duzione di muscovite è limitata alla periferia, mentre il centro è tra- sformato in caolino od in calcite. La natura loro è assai basica; dalla misura dell’estinzione in doppi geminati risulta : a G d f 45° _ LA 305 90 = Z0) 25 D4 — Ji] ol Al 440 30 ol 37 42 31 32 valori che corrispondono al diagramma dato dal Michel Lévy per l’a- nortite. Anfibolo. — Pochi, ma di dimensioni appariscenti (media lunghez- za 0.5 — 3, largh. mm. 1), sono el’ interciusi di questo minerale nelle » v 7 NUOVE OSSERVAZIONI SULLE ROCCE FILONIANE, ECC. porfiriti dioritiche della /tosse/a. Assai alterato è talora soltanto con- servata la forma del minerale, essendo questo completamente trasfor mato in clorite, in calcite ed in epidoto. A seconda dei filoni predo- mina Puno o l'altro di questi minerali secondari. Il pleocroismo è forte: stt. t= verde azzurrognolo; & = verde giallognolo; a = giallo verdognolo pallidissimo. La dzotzte di colore bruno giallognolo è appa- rentemente uniassica. Per gli altri caratteri di queste rocce vedasi la precedente descrizione (loc. cit., pag. 199-200). In alcuni filoni pur conservando le miche e gli anfiboli gli stessi ca- ratteri, 1 feldispati della massa fondamentale invece di essere granulari Si presentano in liste o in larghe tavole, a geminazione polisintetica, zeppi d’inclusioni anfiboliche e di biotite. Talvolta, vicino alle sulbande, il miscuglio granulare incoloro della massa diventa finissimo, e i com- ponenti colorati si fanno ancor più abbondanti, assumendo la roccia uno spiccato carattere Lamprofirico. Di un campione fresco di queste rocce del Passo di Campo (I), come pure dei campioni della riva meridionale del lago d’Arno (II) ho ese- guita l’analisi chimica. Trascrivo anche le composizioni della tonalite del lago d’Avio (Von Rath) * (II), quelle di una malchite dell’Odenwald (IV) analizzata da ! G. vom Ratu, Zertrige zur Kenntniss der eruptiven Gesteine der Alpen. I. Ueber das Gestein des Adamello Gebirges. (Zeitschrift d. D. Geol. Gesell. Bd. XVI, 1864.) 84. C. RIVA. Stenrich e descritta dall’Osann, * e di una lucite del Luciberg (V) ana- lizzata dal Kutscher e descritta dal Chelius. * L Il. II. IV. v. Si0, 57.48 56.77 66.91 63.18 54.52 AO, age 202M 05201" 17103, Meee rp ie BAe SAL pss een MoO DIGEST 235 0.92, e Ca0 ORME e MOR e 0 Na,0 Digg gip gog a aan K,0 LT A) SO II ae Oe mods neal 1,0 025. O43) (016, Sse) ile SO, at a ne 049) 4 = P,0; =. Ne. BI 023 ee 100.33 100.36 98.99 100.20 100.50 Le due rocce filoniane del Lago d’Arno sono più povere di Si0,, ma più ricche di alcali della tonalite. Conviene notare che la tonalite del Lago d’Avio, analizzata dal Vom Rath, corrisponde alla varietà nor- male e più diffusa della tonalite dell'Adamello. Anche le dioriti della Val Moja e della Val Rabbia, * che, con tutta probabilità sono apofisi di tonalite, hanno composizione vicinissima a quella della tonalite ana- lizzata dal Vom Rath. La malchite (IV) è mineralogicamente e strut- turalmente analoga ai filoni del Passo di Campo, ma, mentre nell’ O- denwald, attraversando dioriti con 48-50 °/, di SiO,, ha distinto ca- rattere aplitico, questo carattere non è manifesto nell’Adamello, dove la tonalite ha wn’acidita ben maggiore. 1 Osann, Ueber dioritische Ganggesteine im Odenwald. (Mitth. d. Grossh. Badischen Geolog. Landesanstalt. Il Bd. VIEXL, pag. 380.) ? CaeLius, Das Granitmassiv des Melibocus und seine Ganggesteine. (Notiz- blatt. des Vereins f. Erdkunde zu Darmstadt. IV Folge, 13 Heft, pag. 10.) °C. Riva, Sopra un dicco di diorite quarzoso-micacea presso Rino in Val Camonica. (Atti di questa Società, Vol. XXXVI.) e NUOVE OSSERVAZIONI SULLE, ROCCE FILONIANE, ECC. SO Rocce lamprofiriche. — Parlando dei filoni del Monte Sablunera ho detto che in alcuni di essi aumentano considerevolmente gli ele- menti colorati. Un filone che s’insinua tra il calcare e la tonalite è quasi soltanto formato da un fino intreccio di prismi anfibolici lunghi mm. 0.2 — 0.9 tra i quali soltanto qua e là appare un cristallo di 2 0 3 millimetri. Non sono ben terminati alle estremità e hanno gli stessi caratteri degli anfiboli componenti i filoni descritti della stessa località. Frammisti agli anfiboli vi sono pochi e piccoli cristalli di augite. Gli stretti vani tra questi minerali sono occupati da granuli allotriomorfi di feldispato, a geminazione semplice, raramente polisintetica, del diametro medio di mm. 0.03 — 0.01, a rifrazione nettamente superiore a quella del bal- samo, dei quali non è possibile determinare la natura. Questa roccia è attraversata da numerosi filoncelli, larghi millimetri 0.5 — 0.8, riem- piti da un pirosseno monoclino (augite) in cristalli di dimensioni alquanto minori di quelli d’anfibolo. Formano un tutto unito e compatto e solo raramente tra essi è interposto qualche granulo di feldispato. È inco- loro: es t= 40°. La pirite è abbondante; con un orlo nero opaco, senza riflessi me- tallici, è sovente accompagnata da ematite. Presso al Passo di Campo, nella stessa località dove affiorano i fi- loni precedentemente descritti, attraversa la tonalite un filone di circa mezzo metro di potenza, costituito da una roccia compatta, afanitica, bruno-verdastra oscura; in essa non si distinguono ad occhio nudo com- ponenti. Consta di numerosi cristalli idiomorfi di 4g97fe incolora lunghi mm. 0.2 — 1, e di piccoli cristalli di azfibolo (mm. 0.1 — 0.4) ra- ramente ben terminati. Talvolta pare che un minerale passi nell’altro. t= giallo bruno verdognolo, talvolta azzurrognolo ai bordi; & = giallo bruno verdognolo; st = giallo pallido. S’ osservano frequentemente plaghe, a contorni cristallini, riempite in gran parte da calcite, da clorite e da un minerale incoloro dai caratteri d’un feldispato. Sovente in esse s'intrecciano prismetti d’un anfibolo fibroso incoloro o leggermente verde ; 86 C. RIVA. sono inoltre zeppe di finissima polvere nera, opaca, o di fine dentriti di ossido di ferro. È difficile poter identificare la forma, molte volte indecisa e sfumata, di queste plaghe con quella di un minerale noto; talvolta grossolanamente abbozzano la forma di una sezione di olivina, ma non si trovano mai resti del minerale originario. Gl’interclusi di guazzo sono scarsi, circondati da una fitta corona di microliti d’augite. Tra i componenti descritti si dispone un intreccio di sottili microliti feldispatici a geminazione polisintetica accompagnati da prodotti secondari e cioè da squamettine cloritiche e talvolta anche da muscovite e da calcite. Questi microliti sono lunghi in media mil- limetri 0.05 — 0.2, constano di /abradorite essendo la massima estin- zione misurata nella zona di simmetria di 35°. S’osservano numerosi cristallini e scheletri cristallini di magnetite. Massecole e plaghe di cal- cite sono diffuse in tutta la roccia ed è strano notare che tali plaghe contengono microliti feldispatici di eguale natura di quelli che entrano nella composizione della roccia. Nelle vicinanze della malga Ervena in Val di Fumo sono stati ri- scontrati numerosi filoni attraversanti le filladi (loc. cit., pag. 198, 216). Nuovi filoni consistenti di rocce della stessa natura ho riscontrato non solo nella stessa località, ma anche nelle vicinanze del lago d'Arno, salendo al lago dal ripido sentiero di Isola. Queste rocce nelle quali il componente essenziale è un afibolo verde chiaro, fibroso, si riscon- trano, in filoni, assai frequentemente nel Gruppo dell'Adamello. Se ne conoscono oltre che alle citate località: nella Val @Avio, nella Val- letta di Sonico, in Val Moja, in Val Saviore, in Val Malga. Da un filone all’altro ed anche in uno stesso filone oscilla, talvolta conside- revolmente, la quantità relativa degli elementi colorati e degli incolori. Talora i primi formano quasi esclusivamente la roccia come in alcuni filoni della Val Moja e della Val di Fumo. Rocce analoghe a queste sono conosciute nell’Odenwald, specialmente al Melebocus, a Zwingenberg dove, per lo più, attraversano il granito. Hanno carattere lamprofirico e per essere il feldispato triclino, e per la mancanza di una struttura NUOVE OSSERVAZIONI SULLE ROCCE FILONIANE, ECC. 87 porfirica appartengono alle Spessartztz. In queste rocce Vanfibolo è generalmente accompagnato da prismetti e squamette di dotte, di co- lore giallo-bruno rossastro, pleocroica al giallo-legno pallido, apparen- temente uniassica. Talvolta si insinua a cuneo tra gli anfiboli, altre volte è inclusa in esso, e sovente di questo minerale si osservano pla- ghe formate dall’accumularsi di tante squamette e prismi. L’ anfibolo, ha struttura zonale; nei cristalli, si osservano macchie più brune, che, come la parte centrale, hanno un angolo più forte d’estinzione. 1 = verde-chiaro, talvolta verde-bluastro ai bordi; la parte centrale e le macchie sono verde-giallognole brunastre-pallide. & = giallo-verdognolo; a = verde-giallognolo pallidissimo. L’estinzione per le zone esterne più chiare è e:1—= 16°, per l’interne e le macchie più oscure c:r = 20°. Le parti più chiare, ad estenzioni più piccole, hanno birifrazione al- quanto maggiore. Talora il bordo è più scuro e ad estinzione più forte. In alcuni filoni, questa struttura zonale dell’anfibolo manca e allora si ha soltanto la varietà verde pallido a 16° di estinzione. Dai prismi lunghi 2 o 3 millim. si scende gradatamente a quelli di mm. 0.2, ma non si possono ammettere due distinte generazioni. Tra gli anfiboli s’ insinuano, in plaghe allotriomorfe, i /el/dispati, piuttosto torbidi per alterazioni (caolino), con numerose inclusioni anfiboliche e frequentemente a doppia seminazione. Dalle misure dell’estinzione risulta al limite tra Vandesina basica e la labradorite: a c d n +15 +16 256 — 4 +14 +18 — 8 — 9 +22 +18 —13 11 La massima estinzione, misurata in lamelle di geminazione dell’albite nella zona normale a (010) è di 23°. Il quarzo, in queste rocce, è in rari granuletti, sono, invece, frequenti i prismi di apatite con in- clusioni pulverolenti brune, pleocroiche. La magnetite non manca. 88 C. RIVA. Tipiche Odirite riscontrai specialmente in Val Docs e al Passo della Rossula. Salendo al passo dalla malga Predon, come pure risa lendo la val Dois fino al Passo Dernal, si riscontrano numerosi fi- loni di rocce brunastre-verdognole, afanitiche, che attraversano la to- nalite. Il microscopio svela in esse la struttura porfirica a interclusi di feldispato e di anfibolo (talora i primi mancano), e a massa fon- damentale prevalentemente formata da microliti anfibolici. GI interclusi di feldispato (mm. 0.5—1.7) idiomorfi, sono talora assai freschi, altre volte più o meno trasformati in calcite 0 in muscovite e caolino a se- conda dei filoni. In alcuni filoni non vi è traccia di feldispati freschi. I doppi geminati sono frequenti e l'estinzione li riferisce a termini as- sal basici, tra la betownite e Vanortite : a 6 d if 34 36 34 30 30 40) 30 —— +45 +46 —28 —30 Gli scarsi interclusi di gwarzo, sono, come si osserva generalmente in queste rocce, arrotondati con un fitto bordo di microliti anfiholici. L’anfibolo, in interclusi idiomorfi di mm. 0.5 — 1, non è molto frequente. Ha gli stessi caratteri di quello della massa fondamentale, ma generalmente presenta struttura zonale con un bordo di colore verde più intenso. In molti filoni, specialmente in quelli a interclusi di fel- dispato alterato, si osservano plaghe che, grossolanamente abbozzano la forma di un minerale del gruppo degli anfiboli o dei pirosseni. Oc- cupate dalla clorite, e contenenti microliti anfibolici della massa fon- damentale, non si scorge in essi traccia del. minerale originario. Tra i minerali accessori appare l’aegite in cristalli idiomorfi in parte tra- sformata in clorite. c: x — 40°. In alcuni filoni vi è un anfibolo assai più pallido di quello comune in queste rocce, fibroso, c:n = 19°. Pre- senta VP aspetto dell’ wza/ite ed è in plaghe formate dall’ aggregazioni di molti individui. La biotite manca in queste rocce; si notano pochi granuli di magnetite, di pirite e di titanite. NUOVE OSSERVAZIONI SULLE ROCCE FILONIANE, ECC. 89 I microliti anfibolici, che in prevalenza formano la massa fonda- mentale, hanno dimensioni varie a seconda dei filoni, per lo più da mm. 0.05 a 0.9. Non sono ben terminati: #— giallo-verdognolo pal- lido; & ==» = verde-olivastro. Non è possibile, per le piecole dimen- sioni dei prismi, riconoscere le sezioni secondo (010). L’estinzione non supera i 19°. Tra gli anfiboli vi sono sottili listerelle idiomorfe di fel- dispato striato, e, tra queste, s'interpone qualche sranuletto di quarzo. I plagioclasi hanno struttura zonale, e confrontando col quarzo la pe- riferia si ha: 1990 ar. In un filone a grana alquanto grossa, è possibile misurare l’estinzione in doppi geminati e ne risultano valori per la dztownite. Sono quindi di natura simile a quella degli interclusi. Calcite e clorite secondarie in alcuni filoni sono specialmente abbondanti. Odiniti simili alle descritte si trovano i molti punti dell'Adamello; ricorderò i filoni del pendio nord del Monte Enrico Magnolo, della Val Cobello, del Monte Badile, del Passo della Porta di Zumella e della Val Zumella, del Passo Lajone, di Esine, della Val Moja e Rabbia, del Monte Colmo e di altri punti della Val Camonica, rocce già descritte tra le porfiriti dioritiche. ! Alcune di queste rocce passano alle Vintlti, e hanno identità di caratteri con molte rocce filoniane dello Spessart? e dell Odenwald, specialmente colle Odiniti di Fran- kenstein descritte dal Chelins. * 1 Vedi: Le Rocce paleovule. del Gruppo dell'Adamello. Monti, Studi pe- trografici sopra alcune rocce della Valle Camonica. (Giornale di mineralogia, ecc. Vol. V, 1894.) — Satomon, Studi geologici e petrografici sul Monte Aviolo. (Giornale di mineralogia, ecc. Vol. II, 1891. — Zeitschrift d. D. Geol. Gesell. Bd. XLII, 1890, pag. 450-556.) — FoucLon, Ueber Porphyrite aus Tirol. (Jahrbuch k. k. geol. Reich. 1886.) * GoLLer, Die Lamprophyrginge des Stidlichen Vorspessart. (N. Jahrbuch f, Mineralogie, ecc. Beil. Bd. VI, 1889.) 3 CueLIus, Die lamprophyrischen und granitporphyrischen Ganggesteine im Grundgebirge des Spessarts und Odenwaldes. (N. Jahrbuch. 1888, II, 67.) — Das Granitmassw des Melibaus und seine Ganggesteine. (Notizblatt Ver. f. Erdk.. Darmstadt, 1892, 4 Folge, Heft 13, 1.) 90 C. RIVA. NUOVE OSSERVAZIONI SULLE ROCCE, ECC. Come ho precedentemente detto i filoni di 4p/ife pr. dette sono molto frequenti nel gruppo dell’Adamello. La descrizione dettagliata di queste rocce sarà l’argomento di successivi studi; dirò per ora soltanto che, dall’esame di alcuni filoni attraversanti la tonalite al Passo della Ros- sula, e il calcare al Monte Sablunera, ho notato che sono rocce a struttura panidiomorfa granulare, a grana più o meno grossa, a due feldispati, ortose (0 microlino) e plagioclasio, che, nei filoni esaminati, è talora albite, talora oligoclasio acido. L’ortose mostra accrescimenti micropertitici con albite, e le lamelle d’albite sono per lo più disposte secondo la sfaldatura murchisonitica. Tutte queste rocce sono ricche in quarzo, e non di rado si osservano accrescimenti granofirici di quarzo e ortose, sopratutto nei piccoli individui. L’ albite e I’ oligoclasio mo- strano, tra i componenti incolori il grado più alto di idiomorfismo, il quarzo il grado minore, benchè talvolta anche questo minerale mostri parte dei suoi contorni cristallini. La separazione del quarzo deve es- sere incominciata assai presto, mentre continuava ancora quella del pla- gioclasio, e, benchè raramente, pure si osservano ai bordi dei cristalli di plagioclasio accrescimenti granofirici. Generalmente però il quarzo non è incluso nel plagioclasio mentre lo è sovente nell’ortose. La dzo- tite è in piccola quantità, con numerose inclusioni di rutilo, e si altera in clorite. L’ oréte, in piccoli prismi di mm. 0.1 — 0.2 si riscontra pure costantemente, associata generalmente all’epedoto. La magnetite, la pirite e Vematite, benchè in piccola quantità sono sempre presenti. Tra i minerali secondari predominano la clorite, l’epidoto e la calcite. Gabinetto di Mineralogia della R. Università di Pavia, marzo 1897. Seduta del 3 gennaio 1897. ORDINE DEL GIORNO: 1.° Comunicazioni della Presidenza. 2.° Sulla comparsa della Balaenoptera musculus nel Mediterraneo. — Comunicazione del socio prof. C. Parona. 3.° Sulle sintesi della Chimica. — Comunicazione del socio pro- fessore L. Gabba. La seduta comincia colla lettura del Verbale della seduta precedente, che viene approvato, e quindi il Presidente propone la nomina di un nuovo socio effettivo Sig. Dott. Carlo Airaghi accettato con voti unanimi. Dopo cid il Presidente presenta all'Assemblea il libro che il socio Prof. Corrado Parona ha recato in dono alla Società, intitolato: Elmintologia Italiana dai primi tempi al 1890, opera del Professore stesso, il quale subito dopo, invitato dal Presi- dente, fa la sua comunicazione esponendo la storia delle comparse dei grandi Cetacei constatate dai più antichi tempi sino alle quattro ap- parizioni di Balenottere avvenute in quest'anno sulle coste della Liguria. Dopo questa comunicazione il Presidente notifica ai soci che quella annunziata dal socio Prof. Luigi Gabba non può aver luogo, causa in- disposizione del Professore stesso. 92 SEDUTA DEL 3 GENNAIO 1897. Egli pensa perciò, onde la seduta non riesca monca, di promnovere una conversazione scientifica sopra un argomento di generale impor- tanza e, per questa volta, propone che si discorra della recentissima disastrosa frana di S. Anna Pievepelago, che ci interessa tutti e come scienziati e come cittadini, nè la Società potrebbe a meno di interes- sarsene in particolar modo, essendo molto importante il poter conoscere le cause che la determinarono e che possono per l'avvenire tornare a verificarsi. Invita perciò alcuno dei soci presenti ad incominciare la conversazione su questo argomento, esaminando principalmente se si tratti, o no, di un semplice dislocamento di strati superficiali per infil- trazione di acque e'se vi debbano essere stati dei sintomi precursori, o premonitorii, del disastro, come in altri casi sarebbesi verificato. Domanda primo la parola il Prof. Castelfranco il quale dice: il si- gnor Presidente avendo chiesto, a proposito del disastro di Pievepelago, se si conoscevano le cause delle frane, o di talune, e se si potevano talvolta prevedere, presi la libertà di citare in proposito due diversi esempi. Anzitutto quello di Velleja, città romana (dec Liguri eleati) le cui rovine si trovano nell'Appennino piacentino a pochi chilometri a sud- ovest di Castell’ Arquato. La città venne sepolta, circa nel 1.° secolo dell’èra nostra, da una frana di argilla e macigni sdrucciolata dai monti vicini, i cui nomi sinistri, Moria e Rovinasso, sembrano ricordare l’av- venimento. Della città si rintracciarono scavando, il foro, la basilica, le terme, l’anfiteatro, ecc., nonchè la celebre tavola traiana in bronzo che si conserva ora nel Museo di Parma. Siccome però fra le rovine delle case, scoperte solo nel secolo XVIIT° sotto un potente strato (ar- silla, non si rinvengono minuti oggetti di valore nè vittime umane, è da ritenersi che, per certi fenomeni, eli abitanti fossero avvertiti in tempo della minacciata rovina. Talvolta dunque le frane possono essere prevedute, ma gli abitanti di una città o di un villaggio sono per natura pochissimo disposti a abbandonare le case abitate dai loro padri da parecchie generazioni, @ 5 i SEDUTA DEL 3 GENNAIO 1897. 93 ciò neanche davanti ad una minaccia di frana. Ne sia ad esempio il villaggio di Cislano posto vicino a Zone, sopra Marone, lago d'Iseo. Si tratta qui di una frana di genere assai diverso. Sono note le piramidi di erosione che s’ innalzano in fondo ad una valle, al piede del villaggio di Cislano. (Il Castelfranco presenta due fotografie di dette piramidi.) Il villaggio è posto proprio sul ciglio dell’ abisso. Di tanto in tanto qualche casa posta sull’orlo del precipizio pende, si screpola, minaccia. Orbene, gli abitanti della casa minacciata sì ritirano in un altra casa posta a qualche metro più in la, e continuano a vivere nello stesso luogo, in ciò ancor più indifferenti degli abitanti dei paesi posti alle falde del Vesuvio i quali ricostruiscono tranquillamente le loro case nei medesimi luoghi ove le lave avevano distrutto i prece- denti abitati. Prende poi la parola il socio Conte Emilio Belgiojoso, al quale le cose dette dal Prof. Castelfranco richiamano alla mente altra catastrofe, quella cioè di Piuro nel Contado di Chiavenna; se non che in questo miserando caso la scomparsa di un intiero e ricco paese avvenne colla morte di un gran numero di abitanti, onde, se i segni premonitori vi furono, 0 non si avvertirono, o si trascurarono, ed anzi, dopo qualche tempo, i superstiti non esitarono a rifabbricare le loro abitazioni. Intorno al caso di Piuro parla anche brevemente il socio Prof. An- dres, ricordando come dalle asserzioni di un vecchio cronista valtelli- nese risulti che alla vigilia del disastro il bestiame era irrequieto e ten- tava fusgire. Ricorda poi ancora, come esempio di frane per scivola- mento di masse, quella di Sernio, pure in Valtellina presso Tirano nel 1807, che causò la formazione del lago di Lovere, di poi prosciugato. Il prof. Salmojraghi dice che non vide la frana di S. Anna Pievepe- lago, nè conosce la località dove avvenne, non può quindi corrispondere all'invito del Presidente. Crede però che non si tratti di uno scoscen- dimento, nè molto meno di fenomeni vulcanici, come riportarono i gior- nali, bensì di uno di quei movimenti di superficie che pur troppo non sono rari nell’Appennino, tanto in aree plioceniche e mioceniche dove 94 SEDUTA DEL 3 GENNAIO 1897, abbondano le argille, quanto in aree eoceniche o cretacee, dove fra mezzo a rocce compatte: calcari nummulitici od alberesi, arenarie o serpentini, alternano rocce meno compatte ed atte a decomporsi od a rammollirsi: sezste galestrini, scisti argillosi, argille scistose 0 scagliose 0 plastiche. Ivi, se dentro falde d’argilla in posto o di sfa- celo argilloso, ha luogo ad una certa profondità un parziale rammol- limento per azione dell’acqua, può avvenire che una porzione limitata di terreno soprastante si muova, scorrendo lentamente sopra un sotto- suolo che rimane fermo, e la superficie di scorrimento, che è per lo più a doppia curvatura, si determina, indipendentemente dalle condizioni tettoniche, sul confine tra la massa rammollita e quella che non lo è. Il movimento, come si disse, è lento e non uniforme e si palesa per il rigonfiarsi del terreno in basso, l’avvallarsi in alto, e il for- marsi di screpolature in ogni senso; esso può continuare per qualche tempo, poi arrestarsi, salvo ripigliare (se circostanze nuove sopravven- gono) sopra la stessa superficie di scorrimento, o sopra delle nuove, fino ad una finale posizione di equilibrio. Il franare di terreni già franati è quindi fenomeno comune, e fra le circostanze che determinano il movimento iniziale o la ripresa del movimento, sono spesso influenti le corrosioni di torrenti al pié delle falde, od anche gli scavi artificiali. Le frane di questa natura si in- contrano ad ogni passo nelle regioni appennine aventi le condizioni geologiche citate; furono esse che vi resero dispendiosa la costruzione delle vie ferrate e comuni, e ne rendono tuttora gravosa la manuten- zione. Esse si riconoscono a diversi segni esterni: mancanza di case o case screpolate; alberi inclinati; sorgenti non perenni; argillosità del terreno; affioramenti di monconi di strati, calcarei od arenacei, diretti in ogni senso; principalmente falde dolci ed ondulate, poichè le falde brusche escludono l'argilla. Indi deriva il singolare paesaggio piatto di quelle regioni. I nomi che spesso ricorrono nell’ Appennino, come Lama, Lamula, Ravina, Lavina, Ravaro, ecc. indicano località, ove il terreno è o fu franoso. SEDUTA DEL 3 GENNAIO 1897. 95 In circostanze straordinarie, per esempio dopo stagioni di eccezionali pioggie, o per filtrazioni non avvertite da raccolte d’acqua soprastanti, possono lentamente prepararsi nel sottosuolo ed indi aver luogo all’e- sterno frane straordinarie, che colpiscono aree estese, provocando lo screpolarsi o il rovinare di edifizii; e in questi casi la superficie di scorrimento è profonda, oppure si hanno parecchie superfici discontinue. Tali furono le frane di Lama Mocogno, avvenuta nel 1879 non molto distante da Pievepelago, quella di Castelfrentano (Chieti) nel 1881, di Perticara (Pesaro) nel 1885, di Monteterzi (Pisa) nel 1887, di Casola Valsenio (Bologna) nel 1889, di S. Paola (Forlì) nel 1891, ed altre che furono studiate dagli ingegneri del Comitato geologico italiano. Le frane di questa natura sono più rare nelle regioni alpine, che hanno costituzione geologica diversa, 0, se vi avvengono, colpiscono per lo più aree di argilloscisti infralliasici, come la frana di Bracca (Bergamo) del 1888, o di marne raibeliane, come la frana presso La- venone (Brescia), antichissima, ma tuttora in movimento, alla quale sembra dovuta la rapida del Chiese, anormale perchè incisa in terreno erodibile, al suo shocco dal lago d’ Idro. Nelle regioni alpine si veri- ficano più spesso delle frane col carattere di scoscendimento. Il movi- mento è in esse più veloce e si determina talora pel rammollirsi di interstrati marnosi od argillosi, e quindi la superficie di scorrimento segue un piano di stratificazione, come nella famosa frana del Rossherg in Svizzera (1806); ma talora si determina lungo litoclasii anche di- scontinui, come nella frana di Cremenaga, che nel 1886 interruppe la ferrovia Pontetresa-Luino. Fra 1 maggiori scoscendimenti alpini sono celebri quelli che crearono i laghetti di Antrona nel 1642 e di Alleghe nel 1771; ma da essi si fa graduato passaggio ai semplici distacchi di rocce, dovuti all’azione meteorica e specialmente al disgelo, che non possono più qualificarsi per frane. Ma su ciò il socio Prof. E. Mariani risponde che, pur convenendo che l’acqua è la causa più ordinaria e generale dei movimenti di cui si è trattato e dei quali ricorda anch’ esso vari esempi verificatisi nel 9G * SEDUTA DEL 3 GENNAIO 1897. Veneto, non crede si possano del tutto escludere le cause sismiche, attestate da varie osservazioni e avvertite spesso come scosse di ter- remoto: dopo ciò il Presidente ringrazia 1 soci della viva parte presa alla conversazione e prima di chiudere la seduta dice sentire il bisogno di interpellare l'Assemblea intorno ad una proposta che gli è stata fatta, Si sta fondando, egli dice, una Società di elettricisti, la quale si propone di formare una specie di federazione tra tutte le Società scien- tifiche che qui esistono; per modo che, pur conservando ognuna la pro- pria autonomia, la unione di tutte permetterebbe di prendere in affitto un locale ove fossero aule apposite per le riunioni e per le conferenze. Fu perciò interpellato se la Società annuirebbe a questa idea che eli parve meritevole di esser presa in considerazione. Avverte che nella federazione si verrebbero, per necessario legame, ad unire anche i rap- presentanti delle industrie che dalla scienza traggono oggi le maggiori loro risorse. Il bilancio della Società è bensì migliorato, ma certo an- cora modesto, ed inoltre i legami di reciproca utilità col Museo ren- dono necessaria una matura riflessione prima di rispondere alla proposta. Prende la parola il socio Sen. E. Porro, il quale, specialmente in considerazione di questi stessi legami col Museo, che ancora non è fi- nito, ritiene sia in ogni modo opportuno il non prendere decisioni im- mediate ed attendere tempo, rimandandone all’avvenire l’attuazione. Anche il socio Prof. Artini sì associa a queste considerazioni, ag- giungendo che, secondo lui, il Museo è la sede più naturale per la Società, per la sua indole esclusivamente scientifica ed anche per i vantaggi che già ne riceve. Il Presidente ringrazia ed, essendo esau- rito l'ordine del giorno, dichiara levata la seduta. Letto ed approvato. IL Presidente GIOVANNI CELORIA. Il Segretario GIACINTO MARTORELLI, | Seduta del 31 gennaio 1897. ORDINE DEL GIORNO: 1° Comunicazioni della Presidenza e presentazione di nuovi soc. 2.° Bilancio consuntivo pel 1896 e Bilancio preventivo pel 1897 (Art. 30 del Regolamento). 3.° Nomina della Commissione amministrativa e del Cassiere (Ar- ticolo 46 e 49 del Regolamento). 4° Su alcuni risultati della sintesi Chimica. — Comunicazione del socio prof. L. Gabba. 5.° Ricerche sulla Morfologia della Simondsia paradoxa. — Comu- nicazione del socio prof. P. Piana. 6.° Sopra alcune fotomicrografie. — Comunicazione del socio pro- fessore F. Ardissone. - 1° Osservazioni sui venti superiori fatte alla Specola del Semi- nario di Pavia. — Comunicazione del socio sac. profes- fessore P. Maffi. La seduta comincia alle ore 14 colla lettura del processo verbale | della seduta antecedente che è approvato : quindi il Presidente in omag- gio al Regolamento e pur mostrandosene dolente, comunica la rinunzia presentata dal Socio dott. Benedetto Corti da vicesegretario della So- cietà, motivata dall’art. 11 dello Statuto chè vuole i componenti della Presidenza siano soci residenti. Vol. XXXVII, 7 98 SEDUTA DEL 34 GENNAIO 1897. Si accettano poi le proposte fatte dal Presidente per la nomina di nuovi soci nelle persone dei signori: Dott. G. B. Milesi Nob. cav. G. Luini e dopo tali nomine il Presidente invita il Vice Presidente cav. profes- sore Franceschini a termini dell’ art. 30 del Regolamento a comunicare all'Assemblea i Bilanci della società, facendone la esposizione. Si comincia dal bilancio consuntivo pel 1896 che viene approvato, come pure il bilancio preventivo pel 1897. Dopo la votazione dei bilanci il Presidente incarica i due soci signori conte ingegnere Guido Belgioioso e dott. Paolo Magretti a raccogliere le schede che a norma degli articoli 46 e 49 del Regolamento si distri- buiscono per la nomina del Consiglio d’amministrazione e del Cassiere e farne lo spoglio il risultato del quale è la elezione dei soci signori: Conte Gilberto Borromeo March. Luigi Crivelli Ing. Francesco Salmojraghi Prof. cav. Tito Vignoli Signor Vittorio Villa. Cassiere: Cav. ing. Gargantini—Piatti. Ciò fatto il Presidente invita il socio prof. L. Gabba a fare la sua comunicazione Su alcuni risultati della sintesi Chimica. Premesso un breve cenno sull’analisi e sintesi chimica considerati come metodi per studiare le trasformazioni della materia, il socio Gabba chiarisce la ragione per la quale i metodi sintetici non hanno potuto essere applicati che in tempi relativamente recenti, cioè da solo circa 30 anni, alla chimica organica. Chi riteneva per lungo tempo la chimica incapace di produrre artificialmente le sostanze organiche confondeva SEDUTA DEL Jl GENNAIO 1897. 99 insieme due cose essenzialmente diverse cioè la formazione artificiale degli organismi e la produzione dei composti chimici di cui gli orga- nismi stessi risultano fatti: l’ottenere artificialmente un organo non è del dominio della chimica che non produrrà mai nè un muscolo, nè una foglia, nè un nervo, nè un frutto. La sintesi dei corpi organici ha tardato molto a crearsi e svilupparsi perchè evidentemente essa doveva essere preceduta dallo studio ana- litico delle innumerevoli sostanze organiche e perchè d’altra parte man- cavano ancora metodi sistematici suscettibili di applicazione generale. Il socio Gabba richiamò poi brevemente alcuni dati di chimica ge- nerale, quali quelli relativi alla esistenza degli atomi, ai loro diversi pesi di combinazione ed alla loro diversa attitudine a combinarsi, at- titudine chiamata dai chimici valenza 0 quantivalenza. A questo importantissimo concetto della diversa valenza degli atomi elementari e dei gruppi atomici, un altro si deve aggiungere del pari essenziale per lo sviluppo della sintesi chimica che è quello del con- catenamento degli atomi. Il primo grande risultato delle nuove teorie chimiche fu il riconoscimento della costituzione dei principali acidi ve- getali e di molte altre sostanze organiche. Rimaneva però ancora da decifrare la costituzione dei così detti corpi aromatici: a questi non si poteva applicare senz'altro V ipotesi della valenza; il Kekulè ebbe il merito di trovare la soluzione del problema: egli riferì le sostanze aro- matiche ad un unico composto che è la benzéna e riuscì ad additare senz'altro i metodi di sintesi delle medesime e a far prevedere infinite altre sostanze allora ignote. È infatti dopo d’allora molte delle sostanze prevedute vennero trovate in natura ed un numero grandissimo di esse Si ottenne poi per sintesi. Una delle prime e delle più brillanti conseguenze della teoria del Kekulè sulla struttura del nucleo benzinico fu la produzione artificiale dell’essenza di mandorle amare: è questo un esempio interessantissimo di sintesi chimica ed è utile ricordare che la preparazione artificiale dell’essenza di mandorle amare è ora diventata un’ industria esercitata 100 SEDUTA DEL 31 GENNAIO 1897. oggi su vasta scala: si capisce facilmente tutto questo se si pensa che mentre l'essenza sintetica era dapprima usata quasi esclusivamente in profumeria, ora essa è diventata la materia prima delle più svariate sostanze organiche come p. es. dell’essenza di cannella, di una materia colorante verde di vivissima tinta, dell’ acido cinnamico che alla sua volta è il punto di partenza della preparazione dell’indaco artificiale e fornisce contemporaneamente in questa trasformazione altre materie co- loranti di grandissima utilità. Lo studio della costituzione dei derivati della benzina ebbe per con- seguenza di condurre ad un altro concetto la cui influenza fu grandis- sima nel campo pratico : sostituendo con due gruppi identici (p. es. OH) due atomi di idrogeno della benzina questi gruppi possono prendere tre posizioni differenti ad ognuna delle quali corrisponde un corpo differente : questi tre nuovi corpi che sono re zsomeri, come dicono i chimici, pur contenendo il medesimo numero dei medesimi atomi differiscono nelle loro proprietà fisiche, chimiche, fisiologiche : e facilmente si prevede che crescendo il numero dei sostituenti e variando di composizione assai più grande e svariato diventi il numero delle sostanze di identica composi- zione chimica vale a dire degli isomeri possibili. L’ influenza delle teorie scientifiche e l'applicazione dei metodi di sin- tesi si appalesa in un modo che non potrebbe essere più convincente nella produzione artificiale dell’alizarina, il principio colorante della ra- dice di robbia (rubza tinetorwin), ottenuta dall’antracene; è questo un idrocarburo esistente nel catrame di carbon fossile. Alle sintesi dell’ali- zarina si associa quella di altre materie coloranti come p. es. dell’ in- daco, ecc. Oggi l’industria chimica riesce ad ottenere per via sintetica un grandissimo numero di colori che per vivacità e bellezza superano i colori naturali con cui gareggiano, e talvolta anche con vantaggio nella solidità: esse hanno inoltre il vantaggio di un grande potere co- lorante e l’altro non meno notevole di fissarsi facilmente sulle fibre in guisa che la tintoria che fino a 30 anni or sono fu un'arte difficilis- sima diventò oggi accessibile ad ognuno, anche profano. SEDUTA DEL 31 GENNAIO 1897. 101 Dopo aver percorso il dominio delle materie tintoriali la sintesi chi- mica moderna mirò ad altri scopi: essa si propose di riprodurre i prin- cipii odoranti vegetali ed altre sostanze naturali usati nelle arti: un esempio ci è offerto dalla sintesi del profumo della vaniglia (vanilla planifolia) della vanillina che il Tiemann riconobbe essere aldeide metilprotocatechica. Lo stesso Tiemann ottenne non ha guari per via di sintesi il profumo dell’ireos (Zris florentina) oggi in commercio col nome di zonone: e non passerà forse molto tempo prima che si arrivi alla sintesi dell’essenza di rosa e di altri profumi naturali. L'applicazione delle teorie della chimica organica porta preziosi con- tributi anche alla terapeutica ed all’igiene: oggigiorno i medicamenti chimici nati per così dire nei laboratori occupano un posto: sempre più importante nell’arte del guarire. Il chimico ha potuto constatare che una data configurazione di gruppo atomico conduce ad una data proprietà fisiologica. Molte sono le sostanze medicinali ottenute oggi per via di sintesi: basti ricordare l’acido salicilico, Vantipirina, la fenacetina, la esalgina, il salolo, il iodolo, ecc. La sintesi organica ha fatto in questi ultimi trent'anni immensi pro- gressi: sì può dire che è passata di trionfo in trionfo: molti principii coloranti, ed odoranti, molte sostanze che un tempo si credevano un un privilegio esclusivo dell’ attività vitale si producono ora artificial mente: non si è forse lontani dalla sintesi dei principii zuccherini ed albuminoidi : sarà questo lo scopo supremo della chimica organica ed uno dei più segnalati servigi di questa scienza in vista dell’ufficio es- senziale che le sostanze zuccherine ed albuminoidi compiono nell’eco- nomia vivente. Raggiungendo tale scopo la chimica potrà dire di avere risolto tutto il problema sintetico, che è quello di riprodurre cogli ele- menti e per la sola azione delle forze molecolari, il complesso dei com- posti ben definiti della natura e le metamorfosi chimiche che la ma- teria subisce in seno agli organismi viventi. Abituati a dirigere le loro indagini sotto la scorta della moderna dottrina atomica i chimici sanno meglio d’ogni altro scienziato distin- 102 SEDUTA DEL 51 GENNAIO 1897. guerne 1 difetti e l'insufficienza; ogni giorno si scoprono nuovi fatti che esso può bensì spiegare, ma che non potè prevedere ; forse essa si trasformerà ma non scomparirà perchè contiene indiscutibili verità, in- vece essa molto probabilmente si trasformerà: che questo possa acca- dere lo fanno prevedere gli studi recenti di eminenti scienziati : finora il chimico si è limitato a rappresentare i corpi con formole nel piano pur riconoscendone l'insufficienza. Oggi sulla nozione del valore dell’a- tomo si innestò una nozione nuova, quella della disposizione relativa degli atomi nello spazio la così detta steveochimica dovuta a Lebel e Vant’hofi. Questo concetto della chimica nello spazio non sopprime già la teoria atomica ma solo la completa: è un campo nuovo aperto al- l’attività degli scienziati. Segue la comunicazione del socio prof. P. Piana dal titolo: Recerche sulla Morfologia della Simondsia paradoxa che verrà stampata negli Atti e subito dopo il socio prof. F. Ardissone è invitato a fare la sua comunicazione, Sopra alcune fotomicrografie e comincia dicendo: È noto che i raggi ultravioletti i quali non agiscono punto sulla re- tina, agiscono invece benissimo sui sali d’argento, cosicché mediante la lastra fotografica si può ottenere la riproduzione di immagini che l’occhio è incapace di percepire. Così è per esempio, come già fece notare il prof. Roster, che i flagelli delle uova del Aehinus microtuberculatus, i quali sono invisibili al microscopio, vengono riprodotti benissimo me- diante la fotomicrografia. Così pure si spiega la possibilità di fotografare l’aria in movimento, che acquista un indice di rifrazione diverso da quello ordinario, ma che soltanto la lastra può rilevare. Ma l’utilità dell’applicazione della fotomicrografia alle scienze natu- rali, risulta anche dal fatto della facilità relativa colla quale quest'arte meravigliosa dà modo di ottenere delle immagini più o meno ingran- dite degli oggetti microscopici, utilizzabili sia come corredo di lavori scientifici, sia come mezzo di dimostrazione scolastica, e tutto ciò con una fedeltà che non sempre potrebbe essere raggiunta dalla mano del più abile disegnatore. SEDUTA DEL 31 GENNAIO 1897. 103 Nel disegno a mano delle cose microscopiche, non sempre è possi- bile di evitare una certa quale tendenza a schematizzare o quanto meno ad interpretare una data forma, un dato rapporto a seconda di un pre- concetto. Nella fotomicrografia tutto ciò viene reso impossibile. L’auto- rità di un disegno fotografico è dunque senza eccezione. È in conseguenza di questa persuasione che io da qualche tempo ho giudicato opportuno di adottare l’uso della fotomicrografia, sia per i lavori scientifici, come per dimostrazioni di corso. Con quanto vantag- gio giudicherete voi stessi, chiarissimi colleghi, dall’esame di alcuni saggi che oggi mi pregio di sottoporre alla vostra osservazione, non già colla pretensione di presentare dei modelli del genere, ma soltanto colla speranza di spargere un buon seme in terreno fecondo. La comunicazione del prof. Ardissone è accompagnata dalla esposi- zione di 18 bellissime fotomicrografie il cui soggetto è indicato nel se- guente elenco: 1. Legno di cedro (sezione trasv.) . . all’ingrand. di 30 diam. PART TI, » > ” £ - 200 » 3. Canna da zucchero » nidi, pe 7 40 > 4. (9 7 n Tono) ate ” 40» 5. Radice di vite 7 fang.) vt 7 40 3} dos? ” ” rad:) né 2 40 > 7. Arachnoidiscus ornatus . . . . e 900» 8. Pleurosigma angulatum . . . . ” 900. » JE 2 - sini detta 7 1100 > OS Surirella Gemmaseo, sais: 10 2 1100 > deeper apmtansen dare lo ae n Zora Peeks di mosca eden. tt ” Lola 13. Apparecchio boccale della zanzara . ” 29, 2 14. Fibre muscolari dell’ape . . . . 2 160 » 15. Tessuto osseo (dall’ osso frontale del- Woo 2 lb. get SS PS + è ” 160 » 104 SEDUTA DEL 31 GENNAIO 1897. 16. Cellule multipolari isolate del midollo spinale dell’uomo . . . . . all’ingrand. di 80 diam. 17. Calcare nummulitico . . 2. . » 20 n 18. Melophagus ovinus. . . . . . 7 20 » Finita questa comunicazione il Presidente dichiara chiusa la seduta. Letto ed approvato. ll Presidente GIOVANNI CELORIA. Il Segretario Giacinto MARTORELLI. Sunto della Conferenza tenuta nel giorno 2 maggio 1897, nell Aula Magna del Museo Civico di Milano, dal Prof. Tiro VIGNOLI, socio e Direttore del Museo stesso, sul tema: I MUSEI MODERNI DI STORIA NATURALE NELLA ORGANIZZAZIONE DELLA SCIENZA. A dimostrare quale sia l'indole, la efficacia, e la importanza dei Musel di Storia Naturale nella scienza generale moderna, il Prof. Vignoli dopo avere ricordato i cittadini benemeriti e gli illustri scienziati che fon- darono e diedero incremento a questo Museo, e combattuta l'ignoranza rispetto appunto alla natura dei Musei, tratteggiò l’embrzogezza at tuale delle scienze pure: estendendosi poi per le loro pratiche applica- zioni, a ciò che esse importano nella vita presente individuale e sociale. Per la continua specializzazione di tutte le scienze, ciascuna rami ficandosi via via in modo indefinito, la sintesi compiuta generale delle medesime non può più essere opera personale, come negli antichi tempi, ma sibbene collettiva, in quanto copiosissimi gruppi di ricercatori vanno formandosi per ogni singola parte del sapere, travagliandosi ciascuno di essi nel suo àmbito proprio, e in apparenza quindi indipendenti Puno dall’ altro. Ora dinanzi alla #n/elligenza umana indagatrice sta l’indefinito ordine delle cose tutte quante: e poichè tale ordine è, 77- spetto alla costituzione genuina della intelligenza stessa, tra Loreto e Montisola - 44 ” DZ: ” 52 ” WON | > 63 ” 6.9 | ’ 79 È a ae - 105 - TA SELE: È 131 : Fi (Mea a 1 km. da Loreto Sr È verso Tavernola ”» 157 » TA) \ ” 182 ” id a lan ida Loreto ” 239 ” 7.0 ) verso Tavernola. Quindi la massima temperatura dell’acqua si trovò, quel giorno, a circa m. 10 sotto la superficie, col salto termico fra m. 20 e 31, e in tutta la massa d’acqua inferiore a m. 41, la temperatura oscillò di 0°,1 intorno a 7°,0.1 Pavesi (op. cit.) il 23 giugno 1879 aveva tro- vato, tra Iseo e S. Paolo, 23° in superficie, 19° a m. 100 di profondità. Sarebbe vano con questi soli dati intavolare il complesso problema della termica del lago, tanto più che il termometro da me adoperato, per quanto buono, non era difeso contro le pressioni, e la serie essendo frazionata sopra tre verticali perde di valore. Mi limito a notare che la 1 Il fatto è noto ai pescatori, che calano in lago al disotto di m. 30 i cesti colla pesca della giornata, per mantenerveli ammarrati, fino alla spedizione setti- manale ai mercati. Vol. XXXVII. il 158 F. SALMOJRAGHI. temperatura abissale del Sebino sarebbe superiore di cirea 1° a quelle del Lario e del Verbano, inferiore, di poco meno, a quella del Benaco. * Venti. — Sul lago d’Iseo regnano col bel tempo due venti rego- lari ed alterni. Uno, appunto detto il vento, spira dal monte al piano durante la notte ed il mattino. L’altro, detto 67a, spira con direzione opposta durante il giorno. Due periodi più o meno lunghi di calma intercedono fra l’uno e l’altro, segnandone I’ inversione. Il fatto è noto, ripetendosi in tutti i nostri laghi. Il vento e Vora del Sebino corri- spondono rispettivamente alla ¢ramontana e verna del Verbano, al tivano e breva del Lario, al sòver e dnder del lago d’Idro ed al sòver ed dra del Benaco. Altri venti regolari sone le brezze terrestri od a7ze, che spirano- verso sera per qualche ora, principalmente allo shocco delle valli, pre- cedono il vento propriamente detto e sono poi da esso soprafatte. Ma col cattivo tempo la regolarità vien meno e in generale il vento: soffia anche di giorno, quindi a danno dell’é7a; oppure i due venti principali si spostano di angoli variabili e prendono diversi nomi, fra gli altri quelli di bresciana e bergamasca, che non sono però gli stessi per tutti i punti del lago. I temporali poi, che agitano il Sebino nella parte superiore, entrano nel bacino da più punti, ma il più spesso dalla val Cavallina per la sella di Solto, dove ritengo piova di più che in altri punti della re- sione. 2 L’agitazione in questo caso si estende a tutto il bacino me- 1 Foret, Ricerche fis. sui taghi d’Insubria. (Rend. Ist. lomb. XXII, Milano, 1889.) — Urr. Inrogr. DELLA R. Martina, Carta edrogr. del Verbano, 1891. — Ricuter, Corrisp. scient. (Riv. geog. ital. I, Roma, 1894.) — Berront E., Sopra le temp. delle acque del lago di Como, rilevate dal cav. E. Burguieres. (Rend. Ist. lomb. XXVIII, Milano, 1895.) — Urr. mroar. DELLA R. MARINA, Carta idro- grafica del Benaco, 1896. — MarNELLI 0., Sopra alcune ricerche relat. alle cond. di temp. del lago di Como. (Riv. geog. ital. III, 1896.) — GarBINI, Alcune notizie fis. sulle acque del Benaco. Ibid., IV, 1897. 2 In mancanza di dati pluviometrici ho questa notizia che ad Endine, in valle Cavallina, il cui laghetto è alto m. 154 sul Sebino, si fanno tre tagli annuali di fieno, e sulle rive del Sebino due; mentre poi quivi i prodotti maturano prima. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO, 159 diano e batte principalmente contro la sponda sinistra. Talora i tem- porali si affacciano dalla valle di Parzanica o di Vigolo, colpendo parte o tutto il fianco occidentale di Montisola. I più violenti seguono il ramo da Sarnico ad Iseo, e, noti col nome di sarzzghere, investono il lato meridionale di Montisola stesso, facendosi risentire fino a Taver- nola ed a Sale. In ogni caso è dominante la provenienza dei tempo- rali da ponente. Correnti. — Le acque del Sebino sono dotate di un movimento di traslazione dall’ entrata all’ uscita dell’ Oglio. Il filone di tale corrente tende ad accostarsi alla sponda sinistra nella tratta superiore fra Pi- sogne e le Punte delle Croci, si mantiene poscia sull’ asse del bacino centrale, e da ultimo, nello svoltare per il ramo di Sarnico, si acco- sta al Corno di Predore; in sostanza segue la linea longitudinale, che corrisponde ai punti più profondi dei profili trasversali. Su questa li- nea si trovano appunto i galleggianti (foglie e detriti diversi), che l’Oglio anche in magra porta al lago. La velocità della corrente non sì avverte però nel bacino centrale, ma solo là dove la profondità e quindi la sezione è minore, e cioè nella tratta che fa seguito alla foce dell’ Oglio e principalmente in quella che ne precede l’escita ed è poi ivi distinta quando il lago è gonfio. Le velocità, che ho determinato in più luoghi, presentano scarso interesse, perchè variabili ed influen- zate da altri movimenti. Infatti sulla spiaggia di Marone, durante la calma che segue il vento e precede I’ dra, si osserva sempre una corrente costiera diretta verso nord e quindi inversa al movimento naturale delle acque. La velocità col bel tempo arriva fino a m. 1,14 per 1°. Credetti si trattasse di un movimento vorticoso, prodotto dall’ostacolo di Montisola. Ma dopo aver notato che analoghe correnti, ugualmente dirette, durante la stessa calma, si manifestano a valle di Montisola presso Montecolino e sulla sponda opposta a Tavernola, al Bogno di Zorzino, a Castro e altrove, mi convinsi trattarsi invece di un riflusso verso nord delle acque, che il vento precedente aveva accumulato a sud. Infatti quella corrente è 160 F. SALMOJRAGHI. tanto più sensibile, quanto più forte è stato il vento; ed una volta, dopo uno dei più impetuosi, che aveva infuriato tutta la notte e il seguente mattino e mentre non era ancora completamente ceduto, la corrente costiera verso nord assunse a Marone una velocità di m. 3,39. Questa spiegazione è confermata dal fatto, che una corrente opposta si manifesta prima di notte durante la calma che precede il vento, per l’accumularsi delle acque sotto il soffio dell’ dra. Anche per que- sto caso e in circostanze analoghe misurai velocità fino a m. 3,32. Restrinsi le osservazioni alle calme, quando i galleggianti gittati in lago non si spostano che pel moto dell’ acqua e le restrinsi alla spiag- gia, dove è più facile farle; ma è ovvio che una corrente inversa a quella delle calme deve generarsi coi venti che le precedono, ed è probabile che gli stessi movimenti alterni si estendano al bacino cen- trale. del lago, ed agli estremi rallentino od accelerino la corrente na- turale. A Lovere quando l’ Oglio è in piena si desidera il verto-an- zichè lora. Forel (op. cit. II, pag. 278, 1892-1895) ammette nel Lemano l’ac- cumularsi delle acque sottovento, ma ne suppone il ritorno per con- trocorrenti profonde, e, fra le altre prove, cita il lieve intorbidarsi delle acque, dopo un forte vento di NE, lungo la spiaggia svizzera, che è sopravvento. Nel Sebino, quando l’Oglio è gonfio, il lago si mantiene chiaro o diventa solo opalino davanti a Castro, ma si intorbida sulla sponda verso Riva, che è rocciosa e senza affluenti. Sembra che le acque tor- hide del fiume sprofondantisi alla foce, come vedremo, in qualche punto risorgano alla superficie. Ma questo fatto, che non ho ancora studiato, sembra indipendente dai venti e non parificabile a quello descritto da Forel per comprovare le controcorrenti profonde del Lemano, dove poi il regime dei venti è ben diverso. In ogni modo da noi un ritorno delle acque accumulate sottovento avviene certo per correnti superfi- ciali alterne, non escludendo l’esistenza di controcorrenti profonde che CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 161. infatti dal pescatori sono avvertite ! el ammettendo inoltre che abbia parte nel fenomeno e lo complichi il disuguale e non contemporaneo, riscaldamento solare delle diverse plaghe a del lago, diversamente orien- tate ed ombreggiate. * i CENNI GEOLOGICI. Il Sebino è scavato fra rocce secondarie, coperte qua e là da de- positi continentali, per lo più quaternari. A mostrare i rapporti che ha il lago colle sue sponde, premetto una rassegna geologica, breve e sommaria (giacchè una dettagliata avrebbe richiesto carta a colori e profili, che non potei ora, ma spero più tardi pubblicare) e limitata' alle condizioni litologiche e tettoniche. Prenderd però occasione per ci-' tare pochi fatti nuovi osservati e alcuni dei fossili rinvenuti, che fu-' rono determinati dal prof. C. F. Parona, cui rinnovo pubblicamente i miei ringraziamenti. 1 Mi hanno gentilmente comunicato di aver fatto più volte questa osservazione; il prof. P. Castelfranco sul Sebino e l’ing. G. Besana sul Lario. i 2 Ho segnalato questo problema delle correnti; ma quanti altri sono da studiarsi. e non soltanto nel Sebino! Esistono nei nostri laghi i movimenti di altalena, come’ nel Lemano (seiches)? Essi furono bensì osservati nel Benaco e descritti più volte: da Goiran e P. Bettoni; ivi anzi (come men danno cortese notizia il prof. 0. Ma- rinelli e il dott. A. Garbini), diconsi sesse, nome che potrebbe benissimo adottarsi. nel linguaggio scientifico. Ma i limnometri di precisione per studiarne il ritmo sono un desiderio. E poi con quali leggi si stratificano o si uniformizzano termicamente: le acque. nelle diverse ‘stagioni? Come ne varia la composizione? Quale la natura. delle torbide e del fondo? Quali i fenomeni ottici? Il patrimonio delle nostre co- gnizioni ‘su questi argomenti è scarso, perchè sono pochi gli ‘osservatori. In questi ultimi tempi.i piccoli Jaghi italiani vennero quasi tutti esplorati da volonterosi gio- vani, ed anche pei grandi, ove l’opera, pel tempo e la spesa che richiede, supera; le forze di un privato, si nota un promettente risveglio. Ma molta via rimane da, percorrere per raggiungere il livello d'oltralpe. Qual geniale impiego di ozi autun- nali troverebbero 1 coli villeggianti dei laghi bimba, se, da qualcuno guidati in un indirizzo scientifico, si dedicassero a Sud limnici! 162 F. SALMOJRAGHI. Sponda destra. — Lovers-Zorzixo. — Allo shocco dell’ Ozlio la costa di Lovere fa seguito al versante destro della Valcamonica, e s’in- nalza con moderata acclività fino al ciglione dell’altipiano di Bòssico. La formano diverse rocce triasiche, non le più antiche, che prima del lago spariscono sotto la foce dell’Oglio per ripresentarsi sulla sponda sinistra. A destra le prime rocce in contatto del Sebino sono i calcari norici, visibili all’estremo nord di Lovere ed estendentisi presso Bra- nico e sopra Corti allo sbocco di val Supina. Vi si sovrappongono 1 calcari scuri e le arenarie policrome del raibliano, formanti la nota lista, che dall’abitato di Lovere sale a Qualino e Flaccanìco, per pro- seguire indi verso il monte Pora ed oltre. Essa racchiude ne’suoi strati più recenti una gran lente di gesso, che si sviluppa parimenti dalle case di Lovere per notevole altezza verso l’altipiano di Bòssico. La serie si chiude colla dolomia principale, compatta, raramente farinosa, spesso brecciforme, che occupa una più ampia area dalla gola del Ti- nazzo all’ altipiano anzidetto ed al versante sinistro di val Borlezza e che prosegue poi per altri km. 3 nella ripa scoscesa lungo il lago, da Castro fin presso Zorzino, donde si interna nell’altipiano di Cerrete, e sui monti Bogno e Clemo. Dentro di essa dolomia sono incisi due seni lacuali a pareti inaccessibili, detti Bogut: il Bogno di Castro, largo ed aperto, nel centro del quale trovai, a fior d’acqua, un esiguo affioramento di gesso raibliano, e il Bogno di Zorzino o di Riva, dove il trias ha fine. Nei piani norici e nel raibliano la-posizione degli strati muta da un punto all’altro, ma mediamente può loro attribuirsi una direzione pa- rallela a quella delle loro liste di affioramento (da N a S) ed una pen- denza mutabile, ad 0, quindi i rapporti di posizione sono normali. Le anzidette liste tagliano con ciò obliquamente il lago, dirigendosi verso la loro ricomparsa in punti più meridionali della sponda sinistra. E lo stesso dicasi della dolomia, meno distintamente stratificata, per quanto il risorgere del gesso nel Bogno di Castro faccia sospettare un nascosto sconcerto. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 163 Sull’area triasica descritta, diversi el interessanti più che altrove sono i depositi quaternari, che ebbi occasione di distinguere in una recente nota? e sui quali presto ritornerò per rendere conto di ulte- riori osservazioni e rinvenimento di fossili, confermanti le deduzioni fatte. Anzitutto evvi presso Corti, a S. Maurizio ed altrove una allu- vione fortemente cementata, con elementi camuni, preglaciale, che ri- vedremo altrove. Speciale invece alla plaga di cui si tratta è una brec- ciola dolomitica (erespone), che a Poltragno, presso Castro intorno al Tinazzo, non che a riva di lago fra 1 due Bognz, mal si distingue talora dalla dolomia brecciforme, che ricopre e da cui deriva, ma che per la sua giacitura e pel contenere ciottoli striati, dimostrai spettare in parte ad una prima fase interglaciale. E ad una seconda fase in- terglaciale riferii invece, oltre il noto deposito lacustre di Pianico, una grandiosa formazione, prima d’ora inosservata, di travertino, tufo e sabbione calcarei, che si sviluppano intorno allo sbocco del Borlezza «dal Tinazzo. Le morene, in parte terrazzate, hanno pure notevole svi- luppo sulla costa di Lovere, nel versante sinistro del Borlezza e sugli altipiani di Bossico e del Cerrete; sono scarse invece tra Castro e Zorzino. Infine spettano al quaternario recente I alluvione dell’Oglio e la conoide del Borlezza. Zorzino-Zu. — Il Bogno di Zorzino, quasi porto naturale, è difeso da un lato dalla Punta delle Croci bergamasche, triasica, e dall’altro da una sporgenza acutissima di strati verticali, retici; nel centro sta il confine fra i due terreni, con qualche discordanza, benchè nel loro insieme essi concordino sufficientemente. Il retico dopo il Bogno occupa per lungo tratto la sponda destra del lago, con calcari oscuri ed argilloscisti neri, i primi in contatto del trias e fin oltre Gargarino, i secondi a Riva, dove formano la falda, che sale dolcemente a Solto, ivi muore in un ondulato altipiano, per 1 Satmomracul, Formas. intergl. allo sbocco di V. Borlezza, ecc. (Rend. Ist. lomb. XXX, Milano, 1897.) 164 F. SALMOJRAGHI. scendere poi in val Cavallina. Ma da Riva verso Zu ed oltre si ripre- sentano i calcari, non privi di interstrati scistosi; indi una maggiore acclività della sponda lacuale. Gli strati del retico sono diretti a SE e verticali dal Boguo a Gargarino; verso Riva, senza mutar direzione, inclinano a SO e in tale inclinazione persistendo ed accentuandosi, dopo oltrepassato Zu, spariscono nel lago sotto il lias del monte Creò. In questa successione trasgressiva, dove forse dei salti e scorrimenti spostarono gli scisti dal contatto del trias, mal si possono tracciare i tre piani di Curioni; * più attendibile è la divisione di Varisco ? e di Taramelli 3 in due piani e il riferimento della maggior parte del re-- tico costeggiante il lago all’inferiore. Però il loro confine e quello col lias, che dovrebbero cadere sull’ erta del Creò, non sono facilmente de- terminabili per l'uniformità litologica e l’ asprezza del luogo. 4 i Il quaternario consta di qualche alluvione cementata (di cui è no- tevole un relitto presso Zu e con rocce camune e in strati inclinati al lago), e di morene, estese e terrazzate, lateralmente alla sella di Solto e a Fonteno nella valle del Candile. La mancanza di elementi glaciali sulla falda da Riva a Solto accusa una denudazione recente dell’ero- dibile retico, che fu influenzata anche dalle citate condizioni pluvio- metriche della località. Zu-Prepore. — Il lias si sviluppa sulla sponda destra in una sin- clinale che ne è il motivo tettonico dominante. I suoi strati, sovrapposti al retico, scendono dal monte Creò, attraversano la valle di Portirone e con movimenti flessuosi, che alla Punta della Preda si accentuano in 1 Curtont, Geol. appl. delle prov. lomb. I, Milano, 1877. 2 Varisco, Note allustr. della carta geol. della prov. di Bergamo. Bergamo, 1881. 3 TARAMELLI, Spiegaz. della carta geol. della Lomb. Milano, 1890. 4 In una galleria aperta presso Zu, per seguire un banco di pietra da cemento, trovai: Myophoria inflata Emm., Anatina praecursor Opp., Chemnitzia Quen- -stedti Stopp., Cerithiwm Hemes D’Orb.; e più in alto, nel Candile, Bactryllium Sp. sp. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 165 piccole sinclinali, susseguite da anticlinali a ginocchio, pur con dire- zione sensibilmente costante si immergono gradatamente nel lago e a Tavernola gradatamente risorgono per innalzarsi, regolarissimi quivi nel loro andamento, verso Gallinarga ed oltre. Lala settentrionale, che dirò di Portirone, inclina all'incirca verso S, e l’ala meridionale, che dirò di Gallinarga, all’ incirea verso N, essendo però le direzioni delle due ali non parallele, ma convergenti verso Siviano. Il centro poi, a riva di lago, si distingue nelle cave aperte presso il Follo di T'avernola in una curva irregolare, a grande raggio. Le sorgive, che ivi sgorgano perenni, mostrano che la piega fu accompagnata da fratture. L’ asse della sinclinale si interna per un certo tratto verso ponente, alla sini- stra del Rino di Vigolo, che ha inciso una gola negli strati dell’ ala di Gallinarga; ma più in alto se ne perde la traccia. Forse si dirige a NO, e le ali così regolarmente divaricate sulle falde del lago, sco- standosene si contorcono e si avvicinano. Infatti osservando la regione da un punto elevato, per es. dal Guglielmo, si scorgono gli strati del- Vala di Portirone continuare a nerdita d’occhio sui contrafforti del Tor- rezzo, e quelli dell’ala di Gallinarga drizzarsi quasi verticali sul cono del Bronzone. Della sinclinale di Tavernola è visibile in numerosi affioramenti, sulla estesa delle sue ali, la parte superiore. È un calcare compatto, per lo più di color plumbeo, con macchie di fucoidi, in strati di va- riabile grossezza, sempre distinti, con interstrati marnosi, scistosi 0 calestrini, e noduli o straterelli di focaia nera. Dove questa manca, la pietra è in generale atta a dare calce idraulica. La parte inferiore invece vedesi bene soltanto sulle sponde lacuali e principalmente lungo la strada da Tavernola a Sarnico. Quivi, appena oltrepassato Galli- narsa, in relazione all’innalzarsi dell’ala omonima, si presentano man mano da sotto ai calcari selciosi precedenti e con essi concordanti, altri calcari dello stesso colore o più oscuri, in strati più grossi, privi di focaia, ma atti a dare calce grassa, e alternati a qualche banco di do- lomia bianca. Sulla stessa strada, al di là del Corno di Predore, una 166 F. SALMOJRAGHI. scarpa di detriti maschera probabilmente a riva di lago il passaggio al retico. Ma più in alto sul dorso del Mondara gli strati liasici sel- ciosi continuano verso S. Gregorio, dove li riprenderemo. Curioni riferì al lias inferiore soltanto gli anzidetti strati più pro- fondi in contatto del retico, e tutto il resto, quindi la maggior parte della sinclinale di Tavernola, al superiore. Varisco invece dà la pre- valenza al lias inferiore (in cui comprende anche il medio) e limita il superiore ad una lista normale al lago dal Corno di Predore verso il Bronzone, ciò che non si accorda colla descritta tettonica. Parona + infine, pei fossili già studiati da Meneghini ed altri, segna a Taver- nola il lias medio, Ora quei fossili provengono dalle cave aperte a riva di lago un poco a tramontana del Follo; 2 e cioè da strati prossimi al centro e quindi fra i più recenti della sinclinale. Dovrebbe concludersi che il lias superiore è soppresso o ridotto e tutta la stratificazione va spartita principalmente tra il lias inferiore ed il medio. E mancando altri dati paleontologici, in analogia anche con quanto vedremo sulla sponda sinistra, il confine ne può essere segnato nel punto presso Gal- linarga, dove ha luogo il menzionato cambiamento litologico, e quindi in via di presunzione in un punto omologo dell’ala di Portirone. Nell’ area liasica il quaternario è scarso sull’ erta del Creò e sul dosso del Mondara; lo è meno nella valle del Rino di Predore; co- pioso invece nelle valli di Parzanica e del Rino di Vigolo. A Parza- nica un’ alluvione, in parte cementata, sparsa in superficie di massi glaciali è analoga a quella di Cislano; anzi verso il torrente genera delle piramidi di erosione. Così Vigolo giace sopra un’ alluvione ce- mentata. Le morene poi sono frequenti in depositi discontinui, per lo più terrazzati, nelle due valli e principalmente nella seconda, a Cam- 1 Parona, Appunti per lo studio del lias lomb. (Rend. Istit. lomb. XXVII, Milano, 1894.) 2 In una di quelle cave trovai soltanto: Zytoceras nothum Mgh. Recentemente vi feci col prof. Sina una maggior raccolta, non ancora studiata. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 167 biànica, a Biànita e più a monte verso il collo del Giogo fino all’al- tezza di m. 477 s. 1. e ad una maggiore altezza sopra Vigolo. Spesso si associano a depositi di loro sfacelo o coprono relitti di alluvioni ad elementi locali. Infine oltre alcuni giacimenti di tufo calcareo presso la Punta della Preda, nella valle di Parzanica ed altrove, si notano a riva di lago i detriti più recenti, per quanto in parte cementati, fra il Corno e Predore e le conoidi attuali dei due Rino. PREDORE-SARNICO. — In quest’ ultima tratta, per I’ elevarsi dell’ala liasica di Gallinarga, risorge il retico. Il fatto non sfuggì ai primi os- servatori, ma fu esagerato: da Villa! che vi faceva spuntare anche il trias, da Mortillet? e Stoppani 3 che coronavano la sinclinale di Ta- vernola col giura e colla creta. Più attendibile è il profilo di Curioni (op. cit., pag. 17). Planimetricamente però l’area retica è meno inter- nata di quanto tutte le carte hanno raffigurato. Infatti l'ala di Galli- narga si spinge regolarissima e tutta di un pezzo dal Corno di Pre- dore, per S. Gregorio attraverso la valle del Rino, fino al collo Gam- bline. Quivi giunta si piega in un’ardita anticlinale a ginocchio, di cui dal lago vedonsi, in parte infrante, la curva e l’ala meridionale, o stinco, scendente quasi verticale al lago tra S. Giorgio e Cadè. È sotto questo ginocchio, in una valletta, che l’affioramento retico è più esteso e da lì muove in punta verso Predore, ed oltre sotto i detriti di falda del Corno. Agli strati liasici dello stinco anzidetto si appoggiano successiva- mente, pure verticali o fortemente inclinati a SSO: le marne per lo più rossastre, talor altrimenti colorate, con straterelli di focaia ed ap- 1 Vira G. B., Ossero. geogn. e geol. ecc. (Giorn. dell'Ing. Arch. Agr. V, Mi- lano, 1857.) 2 MortiLLET, Note géol. sur Palazzolo, ecc. (Bull. Soc. géol. de France. XVI, Paris, 1859.) 3 Sroppant, Riv. geol. della Lomb., ecc. (Atti Soc. geol. I, Milano, 1859.) Il profilo di Stoppani fu popolarizzato nelle opere generali di Omboni e di Negri. 168 F. SALMOJRAGHI. tici sopra Cadè; la maiolica pure selciosa e con aptici del monte Faeto; i calcari marnosi, poco compatti, cinerei o giallognoli, in parte gale- strini, della Forcella; e infine le brecciole con. sovrapposte arenarie delle cave di Sarnico. Se girando intorno a. queste si rimonta la val Maggiore -(affluente della valle Adrara, e scorrente quasi. parallela al lago al di là del Cambline e del Faeto) si rivede la stessa serie in- vertita e cioè: i calcari marnosi all’ unione delle due valli, la maio- lica a Capra, le marne rossastre a Viadanica, oltre Viadanica il lias. Ma quivi in corrispondenza al ginocchio di Cadè la tettonica si com- plica per salti o scorrimenti, in conseguenza dei quali è portato a circa m. 750 s. I., presso il collo d’Oregia a piè del Bronzone, un lembo isolato di marne rossastre, non però, accompagnate dalla creta, come: credette Hauer. ! AG Me) be Non entro nei dettagli delle formazioni enumerate, e nei problemi che involge la loro successione, se cioè. le marne rossastre rappresen- tino soltanto il giura propriamente detto o includano nella ‘loro parte più bassa il lias superiore (rosso ammonitico), se la maiolica debba e come spartirsi fra il giura e l’infracretaceo e infine a quali piani della creta spettino i calcari marnosi e le arenarie. Ci importa solo il fatto che le anzidette formazioni, addossate allo stinco liasico dell’anticlinale di Cadè, sono nelle loro liste d’affioramento, dalla val Maggiore al Se- bino, e mediamente nei loro strati, dirette a SEE e quindi tagliano obliquamente il lago, ivi orientato da O ad E, talché le liste stesse appaiono, sulla pendice tra Cadè e Sarnico, più larghe della loro ri- spettiva potenza. Esse poi nel loro insieme iniziano un’ala di sinclinale, di cui vedremo il seguito. Il quaternario è principalmente rappresentato da scarpe di detriti di falda, che scendono fino al lago. Tracce moreniche si trovano , da per tutto, ma non estese morene, se non al di là di Sarnico, nel pog- i/Hauer, Lrlait. 2. e. geol. Uebersichtskarte, ete. (Jahrb. d. kk. geol. Reichs- anstalt. IX, Wien, 1858.) CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 169 gio di Montecchio, ove si addossano alla grande alluvione terrazzata dall’Oglio. Evvi pure qualche tufo calcareo ed infine un lembo del de- | posito lacustre di valle Adrara sembra insinuarsi in val Maggiore fino a Viadanica ed oltre, sfumantesi poi a monte e lateralmente in detriti cementati. Sponda sinistra. — Pisoxye-Marone. — Il bacino del lago si inizia a sinistra colle arenarie rosse del trias inferiore, scendenti in ripida china sul piano interrito della foce dell’ Oglio. Ad esse si so- vrappongono gli scisti (servini), con letti di siderite e filoni di bari- tina; indi le dolomie cariate e le argille con selenite ed anidrite, che iniziano il trias medio. Gli affioramenti di queste rocce, dentro ‘cui è incisa, prima di sfociare in lago, la valle del Trobiolo, si seguono nell’anzidetto ordine, in liste orientate da NO a SE con immersione degli strati mutabile, ma dominante a SO e colla complicazione di fratture e salti, che nei dintorni stessi di Pisogne danno luogo a ripe- tizioni di affioramenti. ! Questi salti, di cui non è facile seguire l’an- damento e segnare i limiti (in relazione ai filoni di baritina ed agli ‘spostamenti incontrati nelle miniere di questa, e in quelle di siderite), spiegano la discordanza, ivi già nota, fra arenarie e servini, ed è forse per essi che le filladi pretriasiche dell’ alta valle del Trobiolo scendono ad incastrarsi fra dette rocce fin sotto Pontasio a km. 2,9 dal lago. In ogni caso le descritte formazioni spariscono, e i gessi prima delle altre, sotto la massa calcarea del monte Noale. Sono calcari talora dolomitici, per lo più marnosi e scuri o bernoc- coluti, comprendenti diversi piani mediani del trias, in parte continua- tivi a quelli che iniziano la conca sebina sulla sponda destra. In essi frammezzo ad ondulazioni secondarie domina lo stesso orientamento delle rocce del Trobiolo, ma, pare, senza i disturbi ivi notati. Anche dal lago si può collo sguardo seguirvi l’andamento degli strati addos- ! Alcuni di questi salti furono osservati da Salomon e citati da Vigo (Ze por- firiti del M. Guglielmo. Rend. Ist. lomb. XXIX, Milano, 1896). 170 F. SALMOJRAGHI. santisi ai precedenti gessi e sottoponentisi ai calcari, arenarie e marne policrome del seguente piano. È questo il classico affioramento raibliano di Toline, che da Lovere attraversa il lago e sul versante sinistro si erge in una stretta lista verso SE fino alla Croce di Zone ed oltre, ! Gli strati, in generale diretti come la lista, spariscono, con pendio a S 0, sotto la susseguente dolomia e nel livello più alto presso Sedergnò ? inglobano una lente di gesso, che corrisponde a quello di Lovere, come il gesso di Piso- gne corrisponde a quello di Volpino. Curioni (op. cit., pag. 199) e Cacciamali 3 citano ivi affioramenti di diorite (porfirite ?). La dolomia principale incomincia alla Punta delle Croci bresciane (quasi di fronte al luogo dove sulla destra la stessa roccia finisce) e prosegue poi a formare la dirupata sponda sinistra del lago per oltre km. 5, donde si interna verso oriente nelle aspre balze del Corno Trentapassi, dei Corni Capreni, del monte Pizzoli e della Punta Coni- colo, fino alla conca di Zone. Litologicamente, tranne che alla Punta delle Croci è brecciata, presso Vello bituminosa e qua e là si muta in calcari dolomitici, presenta pel resto nella sua più gran parte i ca- ratteri, che la distinguono dalle altre dolomie; e il paesaggio ne è improntato. La sua posizione fra il raibliano e il retico e la saltuaria presenza della Gervillia exilis Stopp. sp. confermano il suo riferi- mento ad un unico livello. Però la sua tettonica non è chiara, anche perchè la stratificazione in grossi banchi non è sempre distinta, talor ingannatrice per litoclasi 1 Limitandomi alle sponde del lago non seguo il raibliano oltre la Croce di Zone; noto solo che non ne potei accertare la biforcazione tracciata da Deecke (Beitr. z. Kennt. d. raibl. Sch., ote., N. Jahr. f. Min. Geol. u. Pal., Stuttgart, 1885) intorno al Monte Blùsena, che egli, seguendo Curioni (op. cit., pag. 206-217), pone nella dolomia principale, mentre credo si tratti di calcari preraibliani. 2 Villaggio che sulla carta dello S. M. A. aveva il nome (ricordato perciò in scritti di geologi italiani e tedeschi) di Sodarina. Ivi è la chiesa di S. Bartolomeo, da Curioni citata più volte e da Deecke non ritrovata. 3 Caccramati, Una gita geol., ecc. (Comm. Aten. Brescia, 1881.) CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO, 171 paralleli. Dalla Punta delle Croci a Vello domina la direzione del re- stante trias; i banchi pendono a SO od a SSO, per lo più con forte inclinazione, talor raggiungono la verticale, anzi alla Punta delle Croci la oltrepassano. Ciò si distingue anche dal lago, perchè secondo testate meno compatte, non secondo linee di massima pendenza, si tracciò il corso di alcuni burroni. A Marone collo stesso orientamento la dolo- mia si sottopone al retico. Ma intermediamente tra Vello e Marone, dove la roccia bituminosa e scistosa segna il livello del piano ittioli- tico, che altrove divide o sostiene le masse dolomitiche, si presenta nelle cave di pietra da calce il vertice di una dolce anticlinale, che fa supporre o una nascosta sinclinale nelle vicinanze di Vello o me- glio una o più fratture, con che la potenza della formazione si riduce ad una cifra verosimile di m. 1000-1500. Sull’area triasica descritta notasi, fra i depositi quaternari, anzi- tutto degli isolati lembi di alluvione cementata nel Trobiolo e tra Pi- sogne e Marone, dove rimasero rispettati dalla denudazione. Una più estesa alluvione, parzialmente cementata, riempie la conca di Zone, si prolunga in detriti nelle sue convalli e con sovrapposte morene forma le piramidi di erosione di Cislano. Le considerazioni, che feci altre volte (op. cit., 1885) sopra quei depositi, devono correggersi in rap- porto alla pluralità delle glaciazioni constatata nel Borlezza. Le morene salgono sul versante destro del Trobiolo a Siniga, a Grignaghe ed ol- tre fino a m. 875 s. 1. Morene meno estese e massi isolati esistono sul sinistro, nonchè sulle pendici lacuali e principalmente nelle selle dei monti sopracitati, ove raggiungono l'altezza di m. 858 s. L e donde si riversarono nella conca di Zone per congiungersi alle morene entratevi dal Bagnadore. Citansi ancora nel quaternario i cumuli di detriti di falda sulla sinistra del Trobiolo verso Gòvine e presso To- line, quivi su area raibliana, ma con elementi dolomitici; i grugni di tufo calcareo della cascata di Gòvine e infine le conoidi alluvionali dei torrenti Sonvico, Trobiolo e Bagnadore. 176 ~ F. SALMOJRAGHI. L Manone-Vesto, — Da Marone fin oltre Vesto affiora il retico in una lista, che, normale al lago, si estende verso oriente, lungo la Vadle di Marone, ivi appunto determinatasi negli scisti neri del retico infe- riore. Questi scisti, con intercalazioni di calcari compatti, oltre occu- pare il fondo della valle, si adagiano nel suo versante destro fino ad un irregolare terrazzo, sopra cui si drizza la barriera di dolomia prin- cipale dividente la Vadde dal Bagnadore. Il contatto delle due rocce, dove non è mascherato dal quaternario, presenta delle discordanze in srado diverso, che accusano il disuguale movimento orogenetico subìto per la diversa compattezza. Invece sul più uniforme versante sinistro non si hanno che calcari oscuri, compatti (salvo interstrati scistosi), che forse in parte invadono il retico superiore. I loro strati, assecon- dando lo spostamento di direzione già assunto dalla dolomia triasica, sono in media diretti verso oriente, e dal poggio di S. Piero si driz- zano per la Punta dei Dossi fino al Percaprello, volgendo le testate alla Valle e immergendo le facce sotto le morene di Sale. L’inclina- zione è forte, in qualche punto raggiunge i 90°, al cimitero di Marone li oltrepassa. Questa formazione indubbiamente retica, ! fu da Curioni scambiata per raibliana. Il raibliano esiste, ma più addentro nella Vadle, a Per- garone ed oltre, dove, persistendo il calcare retico sulla sinistra, sco- pronsi nel fondo le marne policrome affioranti da sotto alla dolomia principale della destra. Quindi nella Vadde di Marone la tettonica, salvo le citate discordanze, è normale per km. 4 dal lago; al di là è disturbata da un salto. ? 1 Vi raccolsi: Gervillia inflata Schaf., da un erratico; Zucina circularis Stopp., dalla falda sinistra della Valle; Pecten Massalongi Stopp., Anatina Pas- seri Stopp., Myophoria isosceles Stopp., Mytilus globatus Dkr., Bactryllium sp. sp., dalla falda destra. 2 La geologia dell’alta Valle di Marone è tutta da rifare. Curioni (op. citata, pag. 230) mette il Percaprello e la grotta dell’ Acquasanta nella dolomia princi- x pale, mentre il primo è retico, la seconda norica. E lì vicino, sul passo di Sesser CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 473 Il quaternario sull’area retica consta di morene sparse specialmente sulla destra della Vadle e quivi una è notevole presso la Madonna della Grotta, sovrapposta ad un'alluvione più antica. Gli erratici iso- lati vi salgono fino a m. 510 s. 1. Vi si notano ancora le scarpe di detriti di falda, dolomitici e con massi voluminosi a destra, calcarei e trasformati in argilla smettica a sinistra. ! Infine lo sbocco della Vadle in lago dà luogo ad una conoide alluvionale, che per la sua forma accusa uno spostamento progressivo della foce verso tramontana ed un innalzamento, temibile per 1° abitato di Marone. Vesro-SuLzano. — La tratta che segue presenta difficoltà ad essere decifrata pel quaternario che quasi tutta la copre. Curioni vi segnò in massima parte il lias superiore, Ragazzoni il superiore ed il medio, Taramelli il medio e l’ inferiore. Ivi la costa sale dal lago fino ad incontrare le gronde meridionale del Percaprello e occidentale dei monti Valmala, Redondone e Gran- dinale. Due grandi morene la coprono, al di là delle quali prosegue il quaternario in forma di detriti, con sviluppo variabile e contorno frastagliato. Solo allo sfumare di questi appaiono le rocce dei citati monti. Lungo la loro cresta (lasciato da parte il retico Percaprello) trovansi sul Valmala calcari e dolomie, che reputo del retico superiore o del lias inferiore; però lo visitai una sol volta e durante una bu- fera di neve. Nel varco della Croce di Pozzolo, che fa seguito, si hanno dolomie scure e sul Redondone calcari, probabilmente entrambi del lias inferiore. Altri calcari vi succedono, analoghi a quelli di Tavernola e quindi del lias medio, indi nella sella di S. Maria del Giogo le marne rossastre e infine la maiolica sul Grandinale. La successione sembra che mena in val Trompia, sonvi porfiriti, che da Deecke e da me si ritennero as- sociate al raibliano, da Vigo più antiche. La plaga però è troppo discosta dal lago, perchè convenga trattarne in dettaglio. 1 SaLvosragui, Giacim. ed orig. della terra follonica, ecc. (Atti Soc. it. di Sc. nat. XXXIV, Milano, 1893.) Vol. XXXVII. 12 174 F. SALMOJRAGHI. avvenga senza rovesciamenti, e, ad onta della mutabile posizione de- oli strati, con una prevalente immersione verso ponente. Nella parte mediana della costa non è dato scoprire la natura delle rocce sottostanti alle morene. Però ivi le acque piovane hanno solcato delle vallecole, raccoglientisi in brevi e ripidi torrenti, che scendono secondo linee di massima pendenza al lago e, prima di distendersi in conoidi, hanno inciso la morena e messo a nudo al disotto di essa dei piccoli ed isolati lembi di un’alluvione cementata e di rocce in posto. Queste rocce si osservano anche a nord di Sale, in Sale stesso, a Santa Giulia presso Tassano, dove rappresentano grugni sporgenti di un’ orografia premorenica. Sono calcari per lo più oscuri, corrosi e fran- tumati, raramente risaldati, con associate dolomie bianche. La frantu- mazione è tale che in qualche punto la roccia si risolve in detriti mi- nuti, utilizzati come sabbia. Trovai anche presso Sulzano un calcare oolitico. Queste rocce mal si possono studiare rispetto alla loro tetto- nica; vi prevale però una debole pendenza verso occidente. Ritengo che si tratti pure del lias inferiore, per quanto, nè quivi nè sulla ere- sta abbia trovato fossili. Del quaternario furono già implicitamente citate le alluvioni più o meno saldamente cementate; i detriti estesi sotto il Valmala e il Per- caprello, talora convertiti in, breccia, raramente in argilla smettica ; e le morene. Queste si adagiano in due piani inclinati, quasi semianfi- teatri perchè terrazzati; l’uno sopra Sale, l’altro sopra Sulzano, ele- vantisi rispettivamente a 547 e 491 m. s. 1. In realtà si tratta di una morena sola, perchè i due depositi, separati in alto per l’avanzarsi verso il lago di uno sprone del Redondone (Punta di Gole), sono più in basso riuniti. Aggiungansi diversi grugni di tufo calcareo, di cui uno grandioso presso Sale, creato da una sorgente, ora sminuita d’af- flusso, e le alluvioni recenti (prismoidi e conoidi) dei corsi sfocianti fra Sale e Sulzano, dove la spiaggia è ghiaiosa. *SuLzano-Iseo. — Qui le formazioni sono palesi, però in parte ro- vesciate. Curioni, seguendo Hauer, vi segnò ancora lias superiore; più CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 175 attendibili sono le carte di Ragazzoni e Taramelli; il rovesciamento fu via notato da Mortillet, sol che parmi più esteso. Al lago ivi scendono le pendici, in qualche punto scoscese, dei monti Grandinale e Punta dell’Orto e del contrafforte che se ne stacca, di- retto verso SO sopra Provaglio. Ma tra il pid di quelle pendici e la riva lacuale sorgono alcuni piccoli ed isolati poggi, orograficamente anomali, e cioè Montecolo (m. 109 s. 1.) e Montecolino (m. 29 s. I.), formanti due penisole, i poggi di Cavone (m. 44 s. 1.) ad est di Iseo ed il castello d’Iseo stesso (m. 19 s. L.). Se si prendono le mosse dal mentovato contrafforte, vedesi, tra Pro- vaglio ed Iseo, il lias in strati regolari, piegarsi con lievi ondulazioni in un’ala di sinclinale pendente a nord. Presso Iseo, nella val Cùr- telo, vi si sovrappongono le marne rossastre selciose ad aptici e sovra queste la maiolica. La posizione quindi vi è normale, ciò che si con- ferma al poggio del castello d’Iseo, che, finora creduto una morena, consta invece, nel lato rivolto a mezzodì, di una sporgenza di marne rossastre e di maiolica, aventi gli stessi anzidetti rapporti. Proseguendo verso Sulzano la maiolica si fa esclusiva e, mutabile ne’ suoi caratteri litologici, costituisce i poggi di Cavone, le falde di Bùsine e di Covelo, il Montecolino e la rupe di Prato del Monte, donde si interna con notevole sviluppo verso la val Trompia, a Polàveno co- perta da marne cretacee. Se non che, mentre fino a Bùsine 1 suoi strati hanno sempre l'aspetto di ala, inclinata a nord, di una sinclinale, più innanzi si fanno ondulati e contorti, ma mediamente mantengono la stessa direzione con una pendenza maggiore nello stesso senso. Credo che la maiolica in questo punto appaia duplicata, perchè si sia rove- sciata verso sul sovra sè stessa in una sinclinale coricata. La piega dovrebbe cadere presso Covelo, ma è nascosta, forse sostituita od ac- compagnata da una frattura; e la grotta che ivi si interna nel monte lo fa sospettare. Comunque sia, al rovesciamento parteciparono le successive forma- zioni più antiche. Le marne rossastre, non aflioranti invero a riva di 176 F. SALMOJRAGII. lago, forse sottostanno alla bassura fra Montecolo e Pilzone, e nella sus- seguente valletta del Parlo appaiono ondulate, ma sovrapposte alla maiolica di Prato del Monte; non continuano però verso la val Trom- pia, nè si collegano a quelle di S. Maria del Giogo, che rispetto alla maiolica del Grandinale sembrano in posizione normale. Vengono dopo i calcari liasici del Montecolo, la cui compagine è sve- lata dalle due cave, che ne hanno squarciata la fronte verso il lago ‘(cava della Società italiana di cementi e calci idrauliche) e il fianco verso Sulzano (cava Pesenti). Il calcare che vi si estrae per le calci idrauliche, rispettivamente «di Palazzolo e di Zu, è in strati rotti da frequenti ed intrecciati lito- «clasi, talor spostati da piccoli salti; però vi domina la direzione EO «ed una forte pendenza a N, talor raggiungente i 90°, per ciò gli strati «delle due cave si corrispondono. ! Questo calcare, ritenuto fin qui del lias superiore, è ascritto da Pa- ona (op. cit.) al medio? e in tal caso, come sulla sponda destra, man- cherebbe o sarebbe ridotto il lias superiore. Entrambe le cave poi si estendono verso il lato settentrionale della penisola; ma ivi il calcare dà calce grassa, è in strati più grossi, più regolari, ugualmente di- setti e pendenti, però con pendenza minore, in ogni caso adagiati sul 1 L’indice di idraulicità varia grandemente da uno strato all’altro; ma il fatto «che le cave si esercitano con fronti pressochò normali alla direzione degli strati e che questi sono molto raddrizzati, favorisce l'ottenimento di una calce di tipo co- stante. Credo poi di intravvedere un rapporto fra la idraulicità e lo stato di frat- îurazione; e cioò questa impedì l’accentrarsi della silice in noduli e straterelli (i «quali frequenti altrove, mancano al Montecolo) e la silice invece, rimasta ditfusa nel caleare, lo rese idraulico. Un fatto analogo ha luogo nelle cave aperte presso al centro della sinclinale di Tavernola. 2 Raccolsi al Montecolo: Phylloceras Partschi Stur. sp., Zarpoceras algo- vianum Opp. sp., I. domeriense Mg, HW. boscense Reyn. sp., Coeloceras Mor- dilleti Mgh., C. medolense Hauer sp., Platypleuroceras Salmojraghi Par., Vul- 4tima, una specie nuova, dalla cava Pesenti; le altre dalla cava della Società ita- diana negli strati più meridionali, che sono i più recenti. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. Lar lias medio. Spetta al lias inferiore e forse in parte anche al retico. * Il rovesciamento quindi è manifesto e le cardite citate in nota, gia- cendo sopra facce apparentemente inferiori, lo confermano. E questo fascio di strati ribaltati del Montecolo si rivede nella stessa posizione sulla destra di val Parlo, dove il lias medio (e superiore ?). si sovrappone e fa passaggio alle marne rossastre, e il lias inferiore, associato a dolomie, si sovrappone al lias medio. Da lì inflettendosi prosegue lo stesso fascio verso la Punta dell’ Orto, oltre cui è interrotto. Del quaternario non mancano sulle pendici da Sulzano ad Iseo le morene; rimarchevoli sono quelle insinuate e terrazzate in val Parlo fino a m. 450 s. 1. e in val Gurtelo fino a m. 406. Notiamo ancora una alluvione cementata antica nella stessa val Cùrtelo ; un’ alluvione recente addossata alla sporgenza rocciosa del castello d’Iseo; alcuni tufi calcarei; la conoide attuale del Cùrtelo e infine la spiaggia per lo più ghiaiosa, talor paludosa, fuorchè sul contorno delle penisole di Montecolo e Montecolino. Iseo-CLUSANE. — Dopo Iseo le rocce secondarie lasciano il lago, sfuggendo verso Provaglio; ivi s'apre lo sbocco dell’antico ghiacciaio, pel quale dolcemente si sale alle molteplici cerchie dell’anfiteatro mo- renico della Franciacorta. I terreni quindi sono quaternaril. Però fra le più basse morene si incontra un’alluvione cementata, già notata da Mortillet, che Taramelli (opera citata, 1890, pag. 36) giustamente ritiene anteriore alla formazione dell’anfiteatro. Il colle fra Cremignane e Barovardo la mostra formata di ciottoli e ciottoloni di rocce sebine e camune, d’aspetto torrenziale, solcata e arrotondata dal- l’azione glaciale. Ora questa azione deve essersi esercitata quando quel- l'alluvione era già trasformata nella compatta pudinga che vediamo ora, se potè troncarne e dimezzarne per sfregamento i ciottoli della super- 1 Vi rinvenni: Cardita austriaca Hauer (?), C. munita Stopp. (?) e Terebra- tula gregaria Suess.; questa copiosa nel banco più settentrionale. Sono specie re- tiche, che però salgono al lias inferiore. 178 F. SALMOJRAGHI. ficie, che ora per ciò appaiono incastrati, come lo sarebbero in un sel- ciato, che fosse stato artificialmente arrotato. La singolare erosione me- teorica, che colpì il centro di alcuni fra quei mezzi ciottoli esterni e ne rispettò il contorno, forse perchè solidificato dal cemento, depone pure in favore della sua antichità. Mi scosterei troppo dal lago se mi estendessi a parlare delle mo- rene frontali della Franciacorta, che furono descritte da molti e ulti- mamente da Sacco.’ Ricordo soltanto che le sue cerchie esterne sono tagliate da una valletta (Fosso Longherone). Fra i terreni più recenti notansi i prodotti di sfacelo morenico, che fecero bassa e paludosa la riva del lago da Iseo a Clusane e che aiutati dai detriti di falda del contrafforte di Provaglio e dalla vegetazione palustre, trasformarono a pid del contrafforte stesso un seno di lago nella torbiera della Lama. L'idea che questa sia stata interclusa dalla conoide del Cùrtelo vien meno dopo la constatata sporgenza di rocce secondarie nell’abitato di Iseo. CLUSANE-PARATICO. — A Clusane si ripresentano le rocce secon- :darie sul fianco del Corno Pendila, propaggine del monte Alto, che sorge isolato fra l’Oglio, il Sebino, la Franciacorta e la pianura. Si ripete ivi la serie osservata tra Cadè e Sarnico, in liste d’affioramento alquanto irregolari, ma mediamente orientate da SO a NE con im- mersione a NO e cioè, cominciando dalla più recente: l’arenaria cre- tacea, affiorante a Paratico, dove in un con quella di Sarnico chiude la conca del Sebino, ed affiorante ancora su uno sprone presso Tidone, ma non scendente fino al lago; i calcari marnosi galestrini, parimenti cretacei, che rivestono invece la pendice lacuale fino a Clusane; la maiolica dietro di essi e successivamente le marne rossastre ed i cal- cari del giura e del lias, che, innanzi di arrivare al lago, spariscono tutti sotto le morene della Franciacorta. 1 Sacco, L'apparato moren. del lago d'Iseo. (Ann. Ace. d’Agricolt. XXXVII, Torino, 1894.) ~~ CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 179 Questa serie delinea con quella fra Cadè e Sarnico la nota sincli- nale sotto l'estremo del lago d’ Iseo, per quanto le direzioni negli strati delle due ali siano un poco divergenti. Se poi questa sinclinale con- torcendosi verso oriente faccia continuazione a quella che si ribalta fra Iseo e Pilzone, o se le due sinclinali sieno disgiunte da nascoste frat- ture, è difficile giudicare. Troppo estesa è l’area quaternaria che inter- cede fra di esse, mentre è noto che il basamento, che sostiene l’anfi- teatro morenico, manda fuori spuntoni liasici, che non sono indizio di una sottostante tettonica uniforme. Il quaternario di quest’ultima tratta si riduce alle morene di osta- colo del Corno Pendila e del monte Alto, a quelle frontali di Para- tico, appoggiate sopra l’alluvione terrazzata dall’ Oglio; alla conoide del torrente di Clusane; ai detriti di falda scendenti fino al lago tra Clu- sane e Tidone; e infine all’ interrimento di un seno di lago fra Ti- done e Paratico. Isole. — Montisota. — Le divergenze sulla geologia di Montisola provano che fu poco visitata. Hauer la colord tutta col lias inferiore; Curioni tutta col superiore; Ragazzoni vi tracciò tre formazioni (lias, marne rossastre, maiolica) in liste orientate NS. In realtà, nè maio- lica, nè marne rossastre vi esistono. La roccia dominante è un cal- care compatto, per lo più di color plumbeo, a fucoidi, con interstrati marnosi e spesso con noduli di focaia nera; esso forma, in strati di- stinti, l’ossatura di tutta l’isola, in tutto il suo contorno, per quasi 9/49 della sua altezza sul lago. Dal lato orientale se ne vedono le te- state pressochè orizzontali, corrispondenti a strati lievemente e media- mente acclivi verso O. Invece nel lato SO dell’ isola si riconosce una inclinazione verso N, concordante coll’ala di Gallinarga, e nel lato NO una verso S concordante coll’ala di Portirone. Ciò si intenda in linea media ed approssimativa, perchè le oscillazioni e contorsioni secondarie sono molte. In ogni caso sembra che la sinclinale di Tavernola, che vedemmo contorcersi e sfumare verso ponente, continua invece verso levante, nel senso della direzione del suo asse, attraverso al lago fino 180 F. SALMOJRAGHI. a Montisola, dove però la sua curva a poco a poco si stende e si raddrizza. Come cappello a questo calcare stratificato, sorge sulla vetta del- l’isola la piccola massa di un calcare bruno, subcristallino, fetido alla percossa, talor fratturato o brecciforme, imperfettamente stratificato, ma che ad onta di ciò si riconosce discordante dal precedente. Tra i due calcari si intercala, dal lato occidentale e in un punto di difficile ac- cesso, un banco di conglomerato, ad elementi per lo più calcarei, ta- luni micacei od arenacei, in parte decomposti, ben diverso dalle allu- vioni preglaciali. Parona (op. cit.) indicò nel Montisola il lias inferiore, in hase a pochi fossili che trovai fra Peschiera e Senzano, circa nel mezzo dei calcari stratificati; + vi indicò parimenti il lias medio per una specie raccolta erratica nello stesso punto. ? La determinazione del lias inferiore veramente non si accorderebbe coi caratteri litologici della roccia, che sono eguali a quelli del lias medio di Tavernola. In ogni caso ed a maggior ragione sembra che il superiore manchi. Il calcare fetido della vetta pol, ove non trovai finora che resti indecifrabili, dovrebbe rife- rirsi ad un piano del giura, mentre il conglomerato, che lo separa dal lias, segnerebbe una fase di emersione posliasica. Però in nessun altro punto del Sebino trovai quelle rocce. Del quaternario segniamo dei lembi di alluvione cementata a Pe- schiera Maraglio, sotto il castello della Rocca ed altrove e le morene terrazzate, coprenti discontinuamente tutte le pendici dell’ isola, meno la orientale. Sul lato settentrionale occorrono i massi più voluminosi della regione sebina e in quello meridionale delle scarpe di detriti in parte cementati. Loreto. — Consta di un calcare bruno, sensibilmente concordante con quello di S. Piero; per ciò e pei rapporti orografici lo ritenni 1 Arietites ceratitoides Quenst. sp., A. spiratissimus Quenst. sp. 2 Harpoceras boscense Reyn (?). CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 181 retico (op. cit. 1893). Ma un miglior confronto colla serie del Corno di Predore mi induce ora a collocarlo, quanto meno, sul confine tra il retico ed il lias; mentre poi tettonicamente si può considerare come partecipante all’ala di Portirone. S. PaoLo. — Ad acque basse, vi affiorano strati corrosi dalle onde di calcare liasico, con interstrati di focaia nera, concordanti coll’ala di Gallinarga. Le due isolette quindi confermano i rapporti tettonici dell’ isola mag- giore colla sponda destra. Riepilogo. — Nella parte superiore del Sebino le formazioni più antiche si succedono in ordine ascendente, regolare, secondo liste di affioramento corrispondentisi da una riva all’altra e con stratificazioni infrante, ma in generale uniclinali. La direzione media dei loro strati, assecondando presso a poco l’andamento di quelle liste, taglia obliqua- mente il lago in modo, che sulla sponda sinistra ciascuna formazione si protende più a mezzodì che sulla destra. Però quella direzione per gradi si sposta e all’altezza di Marone diventa pressochè normale al- l’asse del bacino. Indi nella parte inferiore di questo subentra, colle formazioni più recenti, una tettonica a grandi ondulazioni. La sinclinale di Tavernola, estendentesi alle isole, genera, all’estremo della sua lunga ala meridionale, l’anticlinale a ginocchio di Cambline e lo stinco di questa si avalla a formare la sinclinale di Sarnico, la quale infine, continua 0 no, si contorce verso oriente per ribaltarsi sopra sè stessa tra Iseo e Sulzano. La plaga che non si lascia coordinare in questo sistema di ondulazioni è quella nascosta sotto le morene di Sulzano e di Sale, dove bisogna ammettere delle fratture, che la dividono dalla precedente sinclinale ribaltata e dalle isole e spiegano forse la singo- lare struttura che vi abbiamo notato. 1182 F. SALMOJRAGHI. Dal punto di vista litologico è notevole il persistente alternarsi di formazioni aventi diversi gradi di erodibilità e cioè: meno più erodibili arenarie triasiche servini, dolomia cariata e gesso calcari preraibliani marne raibliane e gesso dolomia principale scisti neri retici calcari e dolomie retici e liasici marne rossastre liasiche ? e giuresi maiolica giurese ed infracretacea calcari marnosi cretacei arenaria cretacea. Sui terreni quaternari ritorneremo più avanti. MORFOLOGIA SUBACQUEA. La descrizione d’una conca lacustre trova una difficoltà nella nomen- clatura morfologica, non ancora convenuta od accettata fra i limnologi italiani. Per ciò sono indotto. a proporre, con speciale riguardo al Se- bino, ma senza troppo dettaglio, alcune denominazioni, sulle quali mi consultai con colleghi competenti, pronto però a rinunciare ad esse, quando altre migliori esistano o si contrappongano, In senso longitudinale il bacino principale comprende: la conde subacquea del fiume affluente, la rampa discendente, il bassopiano o piattaforma centrale, e la rampa ascendente, che fa capo alla escita del fiume. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 183 x In senso trasversale, se la sponda è rocciosa e cade a picco 0 molto ripida nel lago, manca in generale la spiaggia ed il profilo bagnato è costituito dal prolungamento sott'acqua della sponda stessa, che forma parete al bacino; al più di questa una scarpa di detriti ne smussa l’angolo col fondo orizzontale. Se la condizione anzidetta non si ve- rifica, allora sonvi uno scann9 costiero ed una spiaggia, dovuti ad erosione od a dejezioni o ad entrambe le cause. La spiaggia si distin- gue in zasommergibile e sommergibile ; la prima per lo più colla costruzione di muri di sponda si trasformò in un /errazzo artificiale, più o meno largo e raccordantesi alla falda montana contigua. Al di 1a della spiaggia sommergibile sta Jo seanno, che è un gradino sem- pre sommerso, limitato verso il largo dalla ripida scarpa dello scanno, il cui piede talora raggiunge il fondo orizzontale, talora segna il prin- “cipio di una falda subacquea, meno acclive della scarpa e scendente al fondo stesso. Questi accidenti si modificano alle foci degli affluenti, e cioè, secondo l’importanza di questi, la spiaggia, protendendosi od innalzandosi, prende forma di una conoide emersa, e lo scanno ana- logamente di una coroide sommersa, congiunta questa da una scarpa o da una falda subacquea al fondo. Le stesse denominazioni sono applicabili ai baecnd secondari, deter- minati dalle isole; se non che ivi il fondo per l’avanzarsi ed il con- giungersi di falde subacquee opposte, o di scarpe dello scanno op- poste, si modella con profilo trasversale concavo e con quello longi- tudinale di valle sottolacustre, scendente al bacino principale; oppure, 1 Lo scanno corrisponde a beine del lago di Ginevra, blanc-fond di quello di Neuchàtel, Wysse, Schar, weisse Schar, Uferbank di altri laghi sviz- zeri o tedeschi; la scarpa dello scanno corrisponde a mont, Halde, Scharberg e la falda subacquea a talus del Lemano (Forel, op. cit. I, pag. 72). Garbini aveva proposto pel Benaco rispettivamente: spiaggia sommersa, declivio, ta- dus (GarBinI, Primi mat. per una monogr. limn. del lago di Garda. Verona, 1893). I pescatori del Lario dicono basso lo scanno e corona il ciglio della sua scarpa. 184 F. SALMOJRAGHI. se intercluso da dorsal, prende la forma di fossa indipendente dal bacino stesso. Ciò premesso, la conca del Sebino può distinguersi in quattro re- gioni: 1° conoide dell’ Oglio e rampa discendente, 2° bassopiano cen- trale, 3° isole, 4° rampa ascendente. Regione della conoide dell’ Oglio e della rampa discendente. — A partire dalla foce il fondo si abbassa dapprima ripido (24—18 °/, fino alla isobata m. 50), indi prosegue con pendio per gradi più dolce (12—8°/, fra m. 50 e 100; 6—4°/, fra m. 100 e 200) fino a che, oltrepassate le Punte delle Croci, si raccorda col bassopiano. Il fondo per ciò comincia con un profilo longitulinale concavo, ma nelle stesso tempo è lievemente convesso in senso trasversale, colla forma quindi di una conoide sommersa, sfumante nella rampa discendente. Ivi non esiste traccia di un alveo arginato Sottolacustre, in continuazione a quello del fiume, come Hoérnlimann ne scoprì nei laghi di Costanza e Ginevra alle foci del Reno e del Rodano. Se esso, per la natura delle dejezioni o per la composizione dell’acqua del Sebino, realmente man- chi, o se la mancanza sia imputabile ad insufficienza di scandagli non saprei dire. La foce poi non si protende deltiforme, ma con una fronte presso- chè rettilinea o sol lievemente arcuata, occupante tutta la larghezza del lago e della valle. Ivi ha luogo quel fenomeno, pel quale, se nes- sun altro nome esiste, proporrei quello di dattagliera, tradotto lette- ralmente da batazlliére del Lemano (Wellenkampf dei tedeschi). E cioè le acque del fiume, più o meno torbide, entrano nel limpido lago per un certo tratto e poi si sprofondano in una cascata sottolacustre e spariscono. Alla superficie il confine fra le due acque è irregolare, ma spesso molto netto; il fatto dipende dal loro diverso peso specifico e quindi dalla temperatura rispettiva, ma più dal grado di intorbida- mento del fiume. Per cid l’interrimento di questo si avanza quasi tutto d’un pezzo, e quanta via abbia fatta lo mostra la valle che per circa CONTRIBUTO ALLA LIMNOLIZIA DEL SEBINO. 1859 km. 40, fino a Darfo, è manifesta, e' da tempo nota, ! usurpazione dell’Oglio, aiutato dii torrenti laterali, sul Sebino. Curioni (op. cit., pag. 361) calcolò un progresso di circa m. 0,60 all'anno. Le acque torbide del fiume e le limpide del lago si mescolano sul fondo e il processo non può seguirsi; ma una parziale miscela avviene anche in superficie per le oscillazioni della Jattagliera e pei movi menti vari delle acque del lago. Infatti, quando 1’ Oglio è in piena, l’acqua fra Lovere e Pisogne acquista un leggero intorbidamento, che si propaga gradatamente più in basso e diventa generale a tutto il lago, se tutti gli affluenti portano acque torbide, per quanto anch'essi, meno forse il torrente di Clusane, sfocino con una dattagliera più 0 meno distinta. Per ciò in ogni punto del lago, tranne in vicinanza di sponde rocciose o spiaggie ghiaiose, lo scandaglio ritornò sporco di fi- nissima melma. ; Inoltre i due venti alterni e regolari si comportano in molo di- verso sulla foce. L’ dra, che si rinforza, come avviene dei venti lacuali, percorrendo la superficie liquida e che per di più deve infilare la stret- tura fra le Punte delle Croci, arriva alla foce con una violenza mag- giore di quella, con cui vi arriva il vento dalla valle, quindi fa osta- colo all’ingresso dell’Oglio el ha notevole influenza nell’impedirne lo interrimento deltiforme. Se poi la fronte dell’interrimento non è normale alla comune dire- zione della valle e del lago, ma si avanza di più sulla sinistra, ciò devesi principalmente al torrente Sonvico, sboccante direttamente in lago fra la foce dell’Oglio e Pisogne, ed al Trobiolo, 1 quali fondono le loro dejezioni con quelle dell’ Oglio, mentre dal lato opposto il Bor- lezza sbocca a maggior distanza e si crea una conoide sua propria. L'entità di questa conoide e la sua forma di delta, benchè ivi ab- bia luogo parimenti la dattagliera (non solo alla foce del ramo prin- 1 Marrone DA Ponte, Sulla geol. d. prov. bergam. pas. 29, Bergamo, 1825. J pag SAMO, 186 F. SALMOJRAGHI. cipale, ma anche dei secondari artificiali) accusano la natura torren- tizia del Borlezza, la forte pendenza della sua valle e la copia delle dejezioni grosse che trasporta. Il Borlezza sbuca dall’ ultima tortuosità del Tinazzo con una direzione a sud, incontra l’ ostacolo di depositi in- terglaciali, che già descrissi (op. cit., 1897), e spinge la punta della conoide emersa con una direzione anormale ad est, anzi quasi a NEE, Se in questa si mantiene, è perchè l’ azione potente dell’ 074, sommata a quella della corrente di ritorno susseguente al vendo (ivi distinta) prevale in superficie sull’azione debole del vento, sommata alla cor- rente di ritorno susseguente all’ér4 ed al movimento naturale delle acque. Gli scandagli mostrano che invece la conoide subacquea si mo- della di più secondo questo ultimo movimento. In conseguenza di questi complessi fatti, se da una parte il Bor- lezza tende a spingere la linea longitudinale di maggior profondità verso la sponda sinistra (dove come si disse sta il filone della corrente naturale), dall’altra per l’azione dei torrenti Sonvico e Trobiolo si può prevedere, che sarà interrito prima Pisogne di Lovere, anzi quivi lo avanzarsi del Borlezza intercluderà un laghetto, come in altri laghi già avvenne. Ciò in un avvenire lontanissimo. Bartolini’ da un’antica mappa de- dusse che il delta del Borlezza si è proteso dal 1686 ad oggi di me- tri 100 e quindi in media di m. 0,50 all’anno; e con altre mappe più recenti calcolò che l'avanzamento fu di m. 55 dal 1686 al 1815, nullo dal 1815 al 1845 e di m. 45 da poi; ciò che si accorderebbe coll’opinione dei terrazzani, che il delta oggidì si protenda in lago di m. 1,00 all’anno. Ma non a torto l’autore dubita dell’esattezza della mappa del 1845. E infatti mentre sarebbero spiegabili tanto l’accelerarsi, come il ral- lentarsi, entro certi limiti, della velocità d’ avanzamento d’ un delta, 1 Barrouint, L’allungamento della Punta di Castro. (Riv. geograf. italiana. 1, Roma, 1894.) CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 187 non saprebbesi, nel caso specifico, trovare le ragioni d’una sosta, sus- seguita da una così rapida ripresa. Comunque sia, ritengo che l’avan- zamento medio annuo di m. 0,50 per gli ultimi due secoli, ed anche uno maggiore attualmente, devono interpetrarsi come un acceleramento, che ha forse la sua causa nelle mutate condizioni (per diboscamento) del bacino torrenziale, in più luoghi scolpito fra dolomie in sfacelo, Ma questi dati non servono di misura, nè per l'avvenire, a motivo della maggiore profondità che il delta va affrontando e delle frane su- hacquee (scorrimenti della spiaggia o dello scanno) che conseguentemente lo sminuiscono sul suo contorno, nè per il passato; bastando all’uopo ricordare che questo delta, ossia tutto l’edifizio che il Borlezza ha eretto dalla fine del glaciale ad oggi, misura, dalla gola del Tinazzo alla punta in lago, soltanto m. 800. Infine lo scanno, ricorrente sulle due sponde del lago, manca in contatto delle pareti dei Bognz e delle due Punte delle Croci, la cui strettura è resa sott'acqua più angusta dal protendervisi d’una di esse. Regione del bassopiano centrale. — Questa regione incomincia dopo la strettura anzidetta e finisce a quella fra Montisola e Galli- narga, escluso quindi il canale di Sale, che vedremo a parte. Essa giace tutta al di sotto del livello marino e vi forma una pianura sen- sibilmente orizzontale. Infatti in senso longitudinale, il fondo, dopo essersi raccordato colla . rampa discendente (2,4—1,3°/, fra le isobate m. 200 e 240) scende ancora, mediamente del 0,20°/,, e poi sale del 0,38 °/,, per indi innalzarsi di più ed iniziare la rampa ascendente. Nell’area collocata fra le due anzidette piccole inclinazioni opposte cade la massima pro- fondità del lago, che nel 1884 determinai in m. 250,20 fra Porto di Siviano e Tavernola e nel 1893 in m. 250,75 fra Porto di Siviano e Portirone. Innanzi al 1884 due cifre si ritennero come massima profondità del Sebino: la prima di m. 300 (tra Portirone e il Corno Trentapassi), che fu indicata primamente dalle Not. statist. (op. cit., 1833) e ri- 188 F. SALMOJRAGHI. petuta nelle ot. natur. e civ. (op. cit., 1844), dalla quale opera, più nota, passò nelle descrizioni posteriori del Sebino; ! la seconda di m. 340, divulgata da Pavesi (op. cit.), e parimenti ripetuta in pub- blicazioni anche recenti. Dal volgo e dai letterati si crede che il punto più profondo cada sotto la rupe Trentapassi, laddove, scavata per dar passaggio alla strada, strapiomba quasi nel lago. 4 In senso trasversale poi, specialmente nella tratta più larga, l’oriz- zontalità è perfetta. Il profilo bagnato è trapezio, salvo le scarpe irre- golari di detriti, che raccordano il fondo alle pareti. Queste in gene- rale sono sott'acqua meno declivi che fuori; però in alcuni punti il ! Perciò non vanno attribuiti a Cattaneo e rispettivamente a Lombardini i dati idrografici che sul Sebino e su altri laghi lombardi furono pubblicati nelle Votzz. nat. e civ. del 1844; mentre quei dati si conoscevano già per le .Vot. statist. del 1833. Quest’ opera, dice Cattaneo (pag. LL), fu pubblicata per cura di Krentzlin. Ma questo nome, nè alcun altro, vi compare ad eccezione di quello di Masetti, di- rettore delle pubbliche costruzioni, che ne dettò la prefazione. Né è probabile che Lombardini vi abbia collaborato, perchè la prefazione stessa porta la data del 1825 e Lombardini entrò bensì come aspirante nelle pubbliche costruzioni di Cremona, nel 1822, e vi fu nominato ingegnere di delegazione nel 1829, ma soltanto nel 1839 passò come ingegnere di 1.4 classe alla Direz. centr. di Milano (Rendiconti Istit. lomb. XII, Milano, 1879). Mi consta poi dalle informazioni di vecchi barcaioli, che degli scandagli furono fatti in diversi tempi e tra gli altri dagli ingegneri che eseguirono la strada fra Marone e Pisogne, ma non da essi procede il dato di m. 300, perchè di quella strada, che fu aperta nel 1850, non si parlava nel 1833 che come di un deside-, rio, il che ricavasi dalle contemporanee Mot. statist. ossia tav. suppl. alla carta strad. delle prov. comprese nel gov. di Milano. Milano, 1833. 2 GaroLLo, Diz. geog. univ. Milano. 1898. 3 BerroLoTTI, Lett. da T'elgate, ecc. Milano, 1825. — FerRARI, Un omaggio alla patria, ossia il Sebino. Brescia, 1844. 4 Corno Trentapassi, secondo le carte, è tutto il monte dolomitico, che sorge fra Toline e Vello; ma i lacuali per 7’rextapassi intendono propriamente la rupe a picco di fronte a Riva, e per Z’reztapassini quella di fronte a Zorzino, ambedue spettanti al Corno Trentapassi nel senso della carta. È poi da dirsi Corzo e non Corna, perchè questa nel dialetto locale significa roccza, per lo più calcarea o do- lomitica in strati indistinti, quello l'insieme di qualsiasi roccia mostrantesi nuda in una vetta, in uno sprone o in un capo sporgente in lago. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 189 contrario ha luogo, come intorno al Corno Trentapassi, dove il fondo incomincia alla distanza orizzontale di soli m. 100-200 dalla riva, Quivi mancano e spiaggia e scanno; altrove esiste sol questo, non quella; oppure esistono ambedue, se, come nel retico della sponda de- stra, la erodibilità della roccia ne favorì la formazione. In questi casi la falda subacquea susseguente alla scarpa dello scanno è ripida e pre- sto raggiunge il fondo. Infine le condizioni anzidette subiscono poche modificazioni alle foci degli affluenti. Quanto sia stata grande la massa gettata in lago da questi lo dice l’ erosione delle morene insinuate nelle loro valli; ma per la notevole profondità del lago le conoidi sommerse compaiono appena in forma di appiccicamenti (certo instabili) alle pareti o alle falde subacquee del bacino, salvo che con più numerosi scandagli non sì riesca ad individuarne la plastica. Le conoidi emerse poi, che vi si sovrappongono, tendono a piegarsi a nord, al pari di quella del Bor- lezza e probabilmente per la stessa causa. Ciò è specialmente mani- festo alla foce del Rino di Vigolo. Regione delle isole. — L’allinearsi delle tre isole sebine e la non grande divergenza fra il loro allineamento e quello dei poggi, orogra- ficamente anormali, di Montecolo e Montecolino suggeriscono l’idea, che essi, isole e poggi, segnino i punti di una cresta, che staccandosi dalla rupe di Covelo fiancheggiava nel preglaciale una valle affluente al ba- cino principale da sud a nord. Confesso che attendevo dagli scandagli una riprova a questa ipotesi, ma gli scandagli non la diedero. L’ isola Loreto orograficamente ha nulla a che fare col Montisola. Tra di esse il fondo del lago ha la forma di una flessuosa valle, con pendenza variabile, in media del 10 °/,, che collega il bacino meno profondo del canale di Sale col bassopiano centrale. Loreto è invece un protendimento del poggio di S. Piero e quindi della cresta della Punta dei Dossi e del Percaprello; anzi a S. Piero si congiunge sot- t acqua mediante un basso fondo isolato, che è luogo noto ai pesca- tori. Ivi caddero due scandagli entrambi alla profondità di m. 21, ma Vol. XXXVII. 13 190 F. SALMOJRAGHI. temo di non averne con essi individuato il punto più alto. Spetti poi Loreto al retico o al lias, la conclusione orografica rimane ferma, Ad occidente poi ed a circa km. 0,77 da essa si innalza brusca- mente sul bassopiano un cocuzzolo sommerso, dove per caso nel 1884 uno scandaglio si arrestò a m. 89. Credetti si trattasse di un ulteriore protendersi della cresta anzidetta (op. cit., 1885). Ma, per assicurar- mene, feci nel 1893 altri scandagli, nei quali spostandomi intorno al punto ritrovato, la profondità minima risultò di m. 71, quindi il co- cuzzolo alto m. 179 sul bassopiano. Dagli stessi scandagli fui con- dotto a ritenere che esso orograficamente dipenda piuttosto dal Monti- sola, che dall’ isola Loreto. Per lo che la valle subacquea, che rac- corda il canale di Sale col bassopiano, svolterebbe a nord lasciando Loreto a destra e il cocuzzolo a sinistra. Non sono però certissimo d’aver colpito la sua cima, come non sono certo d’ avere rettamente interpetrato colle isobate la morfologia di quella plaga accidentata. Ad ogni modo una notevole elevazione esiste senza alcun dubbio sul fondo. del lago d’ Iseo e pare che essa in qualche punto abbia rocce spor- genti od incavate, perchè nel 1893 il peso dello scandaglio, che mi- surò la quota m. 145, rimase impigliato, nè potei più ritirarlo, talchè gli ultimi punti dovettero rilevarsi con un peso all’uopo improvvisato. L’ isola S. Paolo poi è connessa a Montisola e precisamente allo sprone della Rocca, e cid sta bene, vista la comune liasicità e con- cordanza di stratificazione. Anche in questo punto sarebbe occorso qual- che scandaglio di più per precisare il dettaglio della unione subacquea fra le due isole. Ma tanto Montisola quanto S. Paolo non hanno alcun rapporto orografico col Montecolo, benchè parimenti liasico. Secondo gli scandagli -il fondo del lago tra Montisola e Montecolo è modellato a guisa di valle, con pendio variabile, in media del 5 °/), che dal canale di Sale scende a confluire in quella raccordante la rampa di- scendente col bassopiano. Montecolo invece è una dipendenza orogra- fica dello sprone che dalla Punta dell’Orto scende al lago tra Sulzano e Pilzone, come Montecolino lo è dell’altro sprone che scende a Govelo. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 19% Nel canale di Sale lo scandaglio non oltrepassò m. 97, il fondo è sensibilmente piano (da m. 94 a 97), ma senza la perfetta orizzonta- lità in senso trasversale del bassopiano. La sua strettezza e minore profondità ne danno ragione. Gli scanni esistono su entrambe le sponde, la spiaggia soltanto ‘sulla sinistra; quivi l'apparato costiero è più svi- luppato e complicato per le molte conoidi dei torrenti che incisero Je morene di Sale e Sulzano; le falde subacquee opposte tendono quindi a congiungersi ed a creare un profilo di fondo leggermente concavo. Infine le due valli sottolacustri che collegano il canale di Sale al bassopiano, luna a nord, l’altra a sud, hanno origine non alla pro- fondità maggiore del canale stesso, ma in due dorsali congiungenti Mon- tisola alla riva sinistra, rispettivamente dirette, l’una da Carzano a Vesto, l’altra da Peschiera ad un punto intermedio fra Sulzano e Mon- tecolo. Queste dorsali foggiate a sella, entrambe alla profondità di circa m. 77, intercludono una fossa, sicchè se si imaginasse un sollevamento continentale, capace per la conseguente erosione dell’emissario di vuo- tare il Sebino, rimarrebbe nel canale di Sale un laghetto profondo m. 20. Ad onta di ciò, per l'insieme della sua forma emersa e som- mersa, il Montisola appare, dal punto di vista orografico, un proten- dimento del Redondone, spingentesi per la Punta di Gole verso Ma- spiano. Regione della rampa ascendente. — Il fondo del lago, partendo dal bassopiano centrale tra Montisola e Gallinarga, sale dapprima in forma di valle, con un pendio sensibilmente uniforme del 5—6 °/, (fra le isobate m. 240 e 170) e poi, svoltando a ponente, continua con uno più dolce, ma variabile, quindi secondo un profilo ondulato, fino ad un gradino pressochè orizzontale, che precede I’ escita dell’ emis- sario. Tra Montisola e Gallinarga la profondità massima è di m. 244, di fronte a Iseo di m. 100, a Predore di m. 65, a Clusane di m. 25, avvicinandosi a Sarnico si mantiene per circa km. 2 fra m. 17 e 18 ed è infine di soli m. 3 al ponte tra Sarnico e Paratico, dove l’Oglio rinasce. Non è improbabile che lungo questo percorso, con un rileva- 192 F. SALMOJRAGHI. mento più dettagliato, si scoprano quelle fosse, che caratterizzano i rami omologhi di altri laghi. Il profilo trasversale del fondo è piuttosto concavo, per le stesse ra- gioni dette a proposito del canale di Sale. La linea di massima pro- fondità si accosta alla riva destra, lasciando sulla sinistra una plaga di acque basse con rive paludose. Sulla destra poi intorno al Corno di Predore, dove la sponda è scoscesa, merita menzione il fatto che la scarpa detritica, impiantata sul fondo, ha potuto per la minore pro- fondità spingersi fuori acqua, e prestarsi essa stessa alla formazione di uno scanno, mentre l’analoga scarpa nel bassopiano sta sempre na- scosta. Per lo stesso motivo gli affluenti di questa regione danno luogo a più distinte conoidi subacquee, benchè scolino valli meno estese in confronto degli affluenti del bassopiano. In quanto alle conoidi emerse notasi la direzione normale all’asse limnico di quella del torrente di Clusane, che si versa in acque morte. Il Rino di Predore sfocia pie- gandosi nel senso del movimento naturale dell’acqua del lago, inver- samente quindi al Borlezza, ciò che appoggerebbe la ;spiegazione colà data. Il Gùrtelo di Iseo per contro si piega nel senso dell’éra, preci- samente come il Borlezza, ciò che, salvo miglier studio, credo, dovuto all’azione dell’uomo. Infine i torrenti di Clusane e di Iseo sono anche elevati sulla spiaggia dove sboccano; talchè in un progetto di ferrovia, ch’ ebbi occasione di farvi, dovevano passarsi con gallerie subalvee. MATERIALI LIMNOGENETICI. Il problema della genesi dei laghi prealpini invano affatica da mezzo secolo i geologi. Ipotesi disparate si proposero e si abbandonarono; alcune, cadute, risorsero;! non è raro che chi fu partigiano dell’una passi, armi e bagagli, nel campo di un’altra. Il velo non è ancora squarciato, nè lo sarà tanto presto. Per ciò quel problema in riguardo 1 TarameLLI, Della storia geol. del lago di Garda. Rovereto, 1894. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 195 al Sebino non lo affronto; mi limito a raccogliere alcuni materiali di osservazioni e di fatti. Sbarramento prequaternario. — Il Sebino non è sbarrato dal quaternario; se questo si imaginasse tolto, il lago si abbasserebbe, ma rosterebbe. Infatti dal lato dell’emissario lo chiude l’arenaria; dal lato dell’antico sbocco glaciale il lias, che spunta sotto le morene, od un nascosto cretaceo. Se ciò non fosse (e secondo Cozzaglio ! a Torbiato un pozzo raggiunse m. 14 sotto il lago) ecco a mezzodì dell’anfiteatro un ulteriore sbarramento prequaternario nel miocene continentale di Badia e Montorfano, il quale, anche supposto non continuo (poichè dei fatti nascosti sotterra lice sempre dubitare), spinge in ogni caso il lido pliocenico molto gid nella pianura. Comunque sia, la continentalità del- l’apparato terminale del ghiacciaio camuno è certa, e l'ipotesi brillan- temente difesa da Stoppani di un mare pliocenico, internantesi in fiordi, conversi in laghi da chiuse moreniche, è caduta. Se il fondo del Se- bino sottostà in oggi di m. 66 al mare, niuno può sapere quale fosse il dislivello all’ inizio del glaciale, molti essendo stati e agenti in senso opposto e con intensità ignota i fattori che lo hanno ridotto allo stato presente: da una parte l’abbandono di morene durante le avanzate e le ritirate, per quanto veloci, del ghiacciaio, e l’interrimento lacustre interglaciale, posglaciale e contemporaneo, eloquentemente dimostrato dal pianeggiare del fondo; dall'altra l’escavazione glaciale e forse i bradi- sismi discendenti, che sono accertati, quanto meno nella pianura, dalla continentalità delle alluvioni raggiunte nei pozzi di Milano? ed altrove sotto il livello marino. Valle sebina. — I geologi sono ora in massima d’accordo, che i laghi prealpini non furono fiordi, ma valli, salvo dissentire sulla causa (bradisismi, escavazione di correnti o di ghiacciai, ecc.) della loro con- 1 CozzagLio, Paesaggi di Valcamonica. Brescia, 1895. 2 SALMOJRAGHI, Osserv. geol. sovra alcuni pozzi, ecc. (Rend. Istit. lombardo. XXV, Milano, 1892.) 194 F. SALMOJRAGHI. versione in conche. Nè sono più le beanti squarciature della crosta ter restre, che un tempo a cuor leggiero sì supponevano, ma valli lenta- mente plasmate dall’erosione di acque superficiali in concomitanza del corrugamento orogenetico. Questo, iniziatosi dopo l’eocene, procedette forse a scatti, con fasi di violenza e di debolezza, gradatamente poscia affievolitosi, in oggi, salvo gli assettamenti sismici, spento. Quella, ac- compagnatasi allo sviluppo della orografia, prescelse le aree di minor resistenza degli affioramenti erodikili, proseguì con decorsi mutabili e crescente intensità, raggiungendo il suo massimo molto prima della di- scesa dei ghiacciai, a cui cedette il campo. “A questo concetto il nostro lago non contraddice. Il suo bacino, da Lovere ad Iseo, è la vera continuazione della depressione camuna e forma con essa un’unica valle, che proseguiva, allargandosi, per la Franciacorta, fra il monte Alto a destra e i monti di Provaglio a si- nistra, verso l’attuale pianura. Il ramo di Sarnico, che svolta a po- nente é si restringe con sponde convergenti verso l’ emissario, non entra nella traccia indicata; la sua storia fu diversa. Il fatto orografico anzidetto è evidente. Il vento del Sebino, come per scendere dal monte infila la Valcamonica, così per proseguire al piano passa sulla Franciacorta. E l’ inverso dicasi dell’éra. Quei due venti spirano anche nel ramo di Sarnico, ma con minore intensità, sic- chè la navigazione a vela vi riesce meno facile. Non mancano sul lago d’Iseo le altre prove, che altrove suffragano Vorigine esogene delle valli. ; Terrazzi orografici. — Probabili testimoni delle correnti, che nel- l’inizio solcarono l’area sebina, sono i terrazzi orografici, che, sparsi discontinuamente a tutte le altezze sui due versanti del lago, inter- rompono la acclivita delle pendici rocciose, senza che quivi si avverta una predisposizione tettonica o litologica, valevole a spiegarli. Non si tratta, nella maggioranza dei casi, di gradini a spigoli netti, ma piut- tosto di piccole tratte pianeggianti o poco declivi, con angoli rientranti e salienti, addolciti o smussati, spesso irregolarissime. Non sono da CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 495 confondersi coi terrazzi morenici o costieri, aventi aspetto di maggiore modernità. Però alcuni dei terrazzi morenici si distesero laddove pree- sistevano gli orografici. Uno studio di questi, topologico ed altimetrico, nell’intento di ‘coordinarne i rapporti di continuità e di successione, non conviene ora. Mi limito a indicarne i principali. Anzitutto, a destra, sulla pendice triasica di Lovere, i villaggi di Branico, Qualino, Flaccanìco e Cerratello, scaglionati l'uno sull’altro, hanno le loro chiese, o una parte delle loro case, sopra tratte pianeg- gianti. Altre vi si intercalano frammezzo o si notano altrove sulla stessa pendice. Il carattere di terrazzi orografici, se non per tutte, in parecchie è plausibile. Nel dominio del retico analoghi gradini pia- neggiano presso Zorzino, Gargarino, Zino e altrove, e sull’area liasica distinti fra gli altri sono i terrazzi di Cambiànica e Biànica scolpiti nell’ala di Gallinarga, coperti però da depositi quaternarii. Sulla sinistra, oltre il pianoro raibliano di Sedergnò, si notano, sui dirupati fianchi della dolomia triasica, delle inflessioni di profilo che possono interpetrarsi per terrazzi obliterati. Al Capo Colombera la roccia in strati raddrizzati strapiomba quasi nel lago, talchè la strada provinciale vi passa con più gallerie. Sovra queste appaiono due irre- golari scaglioni, lunghi e larghi ciascuno qualche decina di metti, sovrapposti l’uno all’altro, ma divisi da un burrone. E dopo di essi il monte cogli stessi strati ripiglia la sua forte acclività verso la cresta. Il profilo terrazzato del Capo Colombera campeggia mirabilmente nel paesaggio del Sebino. Seguono nei dintorni di Vello e poi di Marone parecchi terrazzi o traccie di terrazzi, tanto nella dolomia sopra le ultime gallerie, al dosso Mergazzolo ed altrove, quanto nel retico tra Colpiano ed Ariolo, a Pregasso, a Vesto ed oltre. Ma il terrazzo oro- grafico più distinto è quello che all’altezza di m. 302 s. 1. è netta- mente intagliato nella rupe, che ad oriente di Pilzone torreggia quasi a picco con strati raddrizzati ed arricciati di maiolica. È un piano di circa mq. 5400 di superficie, dopo cui l’erta ripiglia il suo andamento verso la Punta dell’ Orto, ed ha il nome, che meglio non potrebbe espri- 196 F. SALMOJRAGHI. mere il fatto, di Prato del Monte. Anche la Rocca d’Iseo sopra Co- velo (m. 190 s. I.) ha sembianza di terrazzo orografico. Sul Montisola, nelle morbide curve che principalmente a tramontana e ponente lo plasmano, si intercalano tratte pianeggianti alla Rocca, a Mensino, a Olzano, a Masse e più in alto altrove, in gran parte co- perte da morene, ma probabilmente corrispondenti ad un preesistente terrazzamento del sottostante calcare liasico. Infine le stesse apparenze terrazziformi si osservano fuori del ba- cino lacustre, in Valcamonica da una parte e sulle pendici contermi- nanti la Franciacorta dall’altra; quivi anzi (sopra Provaglio) distin- guibili, pel diradarsi qua e là delle isoisse, anche sulla carta 1 : 25000. Traccie di decorsi abbandonati. — Allo stesso ordine di fatti spettano le selle che intercedono fra alcuni poggi sporgenti dalle falde del lago e le falde stesse, e che possono interpetrarsi come traccie di decorsi abbandonati, tranne che l’erosione meteorica si presuma baste- vole a spiegarne l’incisione ed a spiegare quindi l’isolarsi di quei poggi. Tale potrebbe essere il caso del monte Cala (420 s. 1.), che, formato di dolomia brecciforme, si stacca dall’altipiano di Bòssico. Ma il poggio di S. Piero (151 s. 1.) presso Marone, costituito da strati retici compatti, è separato dalla Punta dei Dossi, su cui continuano gli stessi strati, per l’interposta sella di Pregasso (m. 114 s. 1.), la quale sembra appunto il solco di un’antica corrente migrata. E lo stesso dicasi di Montecolo, cui la bassura di Pilzone (m. 13 s. 1.) divide dalla rupe di Prato del Monte, per quanto la causa possa anche rav- visarsi nella erosione meteorica o glaciale delle marne rossastre. I poggi anzidetti in ogni caso rappresenterebbero anche dei lembi rimasti di terrazzi orografici, arrotondati poscia dalle stesse azioni. Analoghe apparenze si ravvisano nel valico tra il Corno Pendila e il monte Alto e nelle due vallette che ne discendono in senso opposto verso Clusane e verso Paratico. Infine il canale di Sale, che in certo modo forma sella tra il Redondone e Montisola, corrisponde plausibilmente ad un decorso del fiume, che soleava la valle sebina. Un accidente analogo, benchè in scala minore, si osserva a Breno in Valcamonica. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 197 Fenomeni carsici. — I tufi calcarei, a suo luogo ricordati, rap- presentano una fase di attività carsica, svoltasi principalmente nel pre- glaciale, ora declinata. Di questa attività ci rimasero le doline, in ge- nerale con forme obliterate, sparse sugli altipiani di Bòssico e Cerrete sul Grandinale, sul Guglielmo e altrove, quindi tanto nelle aree che furono invase dal ghiacciaio, come in quelle che ne andarono immuni, Ci rimasero (oltre la grande grotta di Covelo) le molte e piccole grotte disseminate un po’ da per tutto nelle regioni dolomitica e calcarea, in- torno all’altipiano di Bòssico, sulle falde da Zu a Tavernola, del Corno di Predore, da Gòvine a Marone, da Sale ad Iseo, del Montisola, ecc. Corrispondono a sbocchi abbandonati di sorgive, che scomparvero 0, sminuite, sgorgano ora da buche più basse; significano quindi un abbas- sarsi dell’idrografia sotterranea di mano in mano per l'erosione tor- renziale si abbassava la superficiale. Degni di nota sono alcuni di questi sbocchi esauriti, che apronsi sopra Peschiera Maraglio a poche decine di metri sotto la cima di Montisola e che durante la loro attività do- vevano richiedere una maggior area di alimentazione e quindi un’al- tezza soprastante maggiore. Inflessione nel profilo degli affluenti. — Mentre progrediva la incisione del solco principale della valle sebina, si incidevano nello stesso modo, lasciando analoghe testimonianze, i solchi delle valli af- fluenti; nello stesso modo, ma non di pari passo. Il torrente di Parzanica, per es., scolpì il suo bacino dentro l’ala di Portirone, fra i monti Creò, Mandolino e Serezano, colla forma di una conoide negativa, percorsa da torrentelli confluenti, come la carta mostra a primo sguardo. Il torrente principale segue la generatrice me- diana con un pendio sensibilmente uniforme del 24 °/,; giunto però presso il lago vi si precipita con un salto di m. 56, formando la ca- scata di Portirone. Così il Bagnadore, escito dal quaternario di Zone, solca la dolomia principale con una pendenza in media del 17 °/), indi si spicca in una cascata nel piano di Marone. Il salto è di m. 25, ma prima di esso 198 F. SALMOJRAGHI. il torrente si tagliò una gola inaccessibile, profonda da principio m. 59 e la percorre con successivi piccoli salti fino al ciglio del salto prin- cipale. Quindi la cascata doveva essere un tempo di almeno m. 92, perchè il suo piede è alto ora m. 12 s. 1. Fatti simili si notano in quasi tutti gli altri affluenti del Sebino, che, innanzi sfociare in lago, hanno un profilo inflesso da una cascata unica o frazionata in cascatelle o da una rapida, precedute da una erosione, che testimonia essere stata l’inflessione maggiore nel passato. Ora questi fatti, singolari per i tributari di un lago, sono invece consueti per quelli di un fiume montano. Le valli degli affluenti del Sebino, ingombre di morene, si sono for- mate prima della discesa dei ghiacciai e quando il lago non esisteva, poichè in questo nessuna traccia appare delle conoidi positive di deje- zione, corrispondenti a quelle negative, così ampie, di erosione. Infatti nel bacino centrale il fondo si stende così piano sotto le rupi a picco, come davanti agli sbocchi delle valli affluenti. I materiali scavati per far posto a queste si versarono quando un impetuoso fiume poteva spazzarli via. La facoltà erosiva di questo fiume e quindi la velocità di affondamento prevalevano di gran lunga sopra quelle dei tributarii, che, rimanendo in ritardo, dovevano per guadagnarsi la foce sforzare il loro pendio ed infletterne il profilo. E l’impronta creatasi in allora, quando la valle sebina era percorsa da un fiume, non si è ancora cancellata, benchè la causa sia da tempo cessata. Il raddrizzamento dei profili inflessi è il lavoro cui at- tesero gli affluenti da quando la valle si converse in lago. Ed è ri- marchevole il fatto, che l’effetto ottenuto in questo lavoro si manifesta in ragione diretta dell’area del bacino degli affluenti e inversa della durezza delle rocce nel punto di inflessione, astrazione fatta dall’altezza originaria di questo punto, che fu influenzata dagli stessi fattori. Il torrente di Parzanica con una piccola valle di kmq. 4,13 ha smus- sato sol di pochi metri il gradino di duro calcare della sua cascata. Lo. stesso dicasi del Rino di Predore, che non ha una cascata unica, CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 199 ma parecchi salti ed un bacino di kmq. 3,59. Più progredito è il rad- drizzamento dell’inflessione di altri torrenti che hanno valli più estese, tuttochè fra rocce ugualmente dure o con durezza di poco inferiore alla precedente: sono il Candile (kmq. 11,07), il Rino di Vigolo (kmq. 14,84) e il Bagnadore (kmq. 18,12). Il torrente di Marone invece con un ba- cino di soli kmq. 6,54 si trovò alle prese col più erodibile retico e la sua cascata è ridotta ad una rapida con qualche piccolo salto. Il Borlezza infine, benchè non paragonabile ai precedenti per la fortunosa storia della sua valle, pure, se fra dolomie e brecce abbastanza dure potè colla gola del Tinazzo smussare notevolmente l’inflessione del suo corso, è perchè scola un’area di kmq. 139,51. Alluvioni cementate. — Fino a quale profondità in relazione al- l’altimetria presente siasi spinto il solco sebino non sarà mai concesso di sapere. Ma se ad una fase di grande erosione seguì, come è nel- l'ordine dei fatti, una fase di grandi dejezioni, l’ altezza cui giunsero queste è forse additata dai lembi di alluvioni cementate, che qualificai come preclaciali e per brevità di descrizione compresi tutte nel qua— ternario, mentre rimane aperta la quistione, se in parte non debbano retrodatarsi al pliocene. Non tutte però quelle che vedemmo sono pre- glaciali; tali ritengo per ora le pudinghe di S. Maurizio, Zu e Cre- mignane e forse qualcuna fra Sale e Sulzano, giacenti tutte a poca altezza sul lago. Altre, ad elementi locali, potrebbero attribuirsi ad af fluenti sbarrati per opera del fiume recipiente, non potendo escludersi a priori, che questo, come prevalse su quelli nell’erosione, li abbia su- perati in qualche punto e in grado maggiore anche nelle dejezioni. Le grandi alluvioni sol parzialmente cementate, che più in alto colmano valli laterali (Zone, Parzanica, ecc.), coperte ivi da elementi morenici e sfumanti in detriti di falda, sembrano dovute invece a sbarramenti glaciali. Altre derivano da sfaceli morenici, quindi sono interglaciali o posglaciali. Il distinguerle caso per caso richielerà uno studio paziente, ma non inutile pel problema limnogenetico. Per ora noto, che fra le alluvioni cementate di S. Maurizio (m. 140 5.1.) 200 F, SALMOJRAGHI. e di Cremignane (metri 32 s. 1) havvi un dislivello di metri 108; che sopra un percorso di km. 18 corrisponde ad una pendenza di circa 0,6°/,, la quale, per quanto non rappresenti con certezza il pro- filo d’impluvio del fiume preglaciale e sembri anzi insufficiente a tra- volgere i ciottoloni di quelle alluvioni, pure è superiore alle pendenze che ha ora l’Oglio dal lago a Cividate da una parte e dal lago a Pa- lazzolo dall’altra. In ogni caso è una pendenza, non una contropendenza. Morene. — Le alluvioni anzidette sottostanno sempre alle morene, talora portano i segni di arrotondamento glaciale; quindi i ghiacciai scesero dopo la fase di grandi dejezioni. Le morene del Sebino si svi- luppano sulla sinistra più che sulla destra, dove il ghiacciaio deviava in parte pel Borlezza e la sella di Solto. Per ciò nelle morene sini- stre prevalgono rocce camune, nelle destre, rocce locali. Il livello mas- simo raggiunto da entrambe sui due versanti si abbassa con una certa resolarità andando da tramontana a mezzodì. Ma se allo sbocco del Borlezza credo d’aver distinte le tre fasi di glaciazione, che oltralpe sono ammesse, e quindi due fasi interglaciali (op. cit., 1897), questa distinzione si presenta difficile per le morene laterali. Solo può rico- , noscersi come spettanti alle più antiche invasioni i massi isolati, sparsi a grande altezza specialmente sul versante sinistro, e alle più recenti le morene meno elevate con ciottoli a striature conservatissime. Un criterio litologico potrebbe aiutarne la distinzione, in base alla plausi- bile idea di Cozzaglio (op. cit.), che nelle prime glaciazioni il ghiac- ciaio camuno fu rinforzato dall’abduano, scavalcante |’ Aprica. Ma in generale le morene estese e terrazzate, coperte da vegetazione, non svelano la compagine loro; spesso si confondono colle alluvioni di shar- ramento, coi detriti di falda e coi prodotti del loro sfacelo. I terrazzi poi non sono netti che laddove si spianarono per coltivarli, e tali sono quelli misurati da Stoppani; ! invece, se coperti di boschi o pascoli, sono irregolari, con un rialzo sul ciglio, che ne conferma l’origine. 1 Sroppant, Lira neozoica, pag. 51. Milano, 1880. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 201 Sembra invece, per quanto dice Cozzaglio e per gli appunti che già posseggo, che sarà meno diflicile determinare la cronologia delle mo- rene frontali della Franciacorta, in base alla integrità o al grado di ferrettizzazione dei loro elementi. Lago. — È nel secondo interglaciale che ci appare il lago, se giu- dicai rettamente nell’ascrivere a questa fase i depositi lacustri calcarei di Castro (op. cit., 1897); e ci appare configurato come lo è ora, salvo lievi posteriori mutazioni. In questo passaggio da una valle ad una conca lacustre sta il punto più aspro del problema. Dai precedenti cenni geologici emerge |’ indipendenza tra la forma del lago e la tettonica delle sue sponde. La disposizione uniclinale delle formazioni nella parte superiore e quella policlinale (ad ondula- zioni) nella inferiore possono segnare due momenti nel corrugamento, ma non hanno alcun rapporto col lago. Soltanto l'estrema tratta è pro- babilmente abbracciata dalla sinclinale di Sarnico, ma vedemmo come questa ne sfugga via. La sinclinale di Tavernola corrisponde bensì alle profondità maggiori, ma essa ne’suoi rapporti colle isole, più che di un’ondulazione, ha la forma di una conca quaquaversale. E sarebbe ardito supporvi un embrione di lago tettonico terziario. La sinclinale di Tavernola non sembra nemmeno la causa determinante esclusiva della valle del Rino di Vigolo, che ne incise un’ ala. Infine l’attraver- samento obliquo all’asse del lago di tutte le liste triasiche e retiche e principalmente quello della potente dolomia principale, che accenna ad un mare profondo, mi fa titubante ad accogliere l’idea di Cozzaglio (op. cit.), che fin dal trias medio un golfo preludesse alla depressione della Valcamonica inferiore. Per contro sonvi evidenti rapporti tra la forma del lago e la lito- logia delle sponde. Le stretture segnano l’attraversamento delle rocce più compatte, come la dolomia principale tra le Punte delle Croci, ed il lias fra Montisola e Gallinarga. Invece le espansioni corrispondono a terreni erodibili: il raibliano, gli scisti retici, le marne rossastre. Il bacino di Lovere-Pisogne, che è una parte relativamente larga, coin- 202 F. SALMOJRAGHI. cide colla lista raibliana e gessifera che va da Lovere a Toline. L’e- spansione mediana, a monte delle isole, coincide col retico che con- giunge Riva a Marone, e quindi per una tratta notevole e pel bacino più profondo e più largo del lago. Questo si allarga di nuovo fra Iseo e Predore, forse per il risorgervi del retico, o piuttosto per l’incontro dell’ala contorta di marne rossastre, traversante per lungo tratto il lago da Cadè alla val Parlo. In sostanza il bacino lacustre si è inse- diato a preferenza longitudinalmente alle liste più erodibili e traver- salmente alle più dure, indi la configurazione flessuosa che assunse. Senza scordare le note obbiezioni contro l'ipotesi dell’ escavazione, non si può disconoscere che i rapporti anzidetti la favoriscono. Paesaggio lacuale. — Nel paesaggio del Sebino, oltre i terrazzi e gli affluenti a profilo inflesso, spiccano rupi cadenti a picco nel lago, o dorsi morbidi di contrafforti troncati da piani inclinati, che con ri- pido pendio parimenti si immergono nel lago. Tali sono le pareti quasi verticali che abbracciano i due Bogré, quelle dei Trentapassini e Tren- tapassi, del Capo Colombera, delle gallerie di Marone. Il monte Cred, che è così plasmato, come se verso oriente dovesse arrotondarsi e scen- dere dolcemente fino a metà lago, come scende a tramontana verso il Candile e a mezzodì verso il torrente di Parzanica, è invece mozzato da una troncatura, che ha in pianta la forma di un triangolo, con un lato a riva di lago di oltre km. 3 fra Zu e Panta della Preda e il vertice alla Trinità a m. 770 s. 1. Cosi è troncato tra Predore e il Corno omonimo l’arrotondato dosso del Mondara. Anzi ivi presso il lago fu trovata una piccola grotta puteiforme, che fu ritenuta un pozzo glaciale, ! e che, vuotata per opera di benemeriti cittadini, mostrasi real- mente trapanata nel suo fondo da una marmitta, ma che invece giudico un ramo di cavità carsica, la cui prosecuzione superiore fu abrasa. Il Mon- tisola, nelle sue apparenze orografiche di sprone dipendente dalla Panta 1 AvicHETTI, Nuove ricerche sui terr. glac., ecc. Lovero, 1889. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 203 di Gole, è bruscamente interrotto verso il canale di Sale da un piano inclinato ed inoltre ha una troncatura anche a mezzodì, giacchè i din- torni di Senzano conservano la traccia di un dosso, che si protendeva fino all'isola di S. Paolo, e che, mozzato, lasciò il seno di Sensole. E così dicasi di altri punti, come tra Predore e Sarnico, ecc., dove però il piede delle troncature non tocca più il lago. Questi accidenti veramente si formano anche nelle valli, non con- verse in bacini lacustri, per opera di fiumi erodenti, e quindi, nel caso nostro, potrebbero ritenersi coevi all’incisione della valle sebina. Può darsi che questo sia il caso per alcuni; ma la loro apparenza di re ativa freschezza fa supporre una formazione meno antica. Il battito delle onde, che può invocarsi fra le azioni recenti, ha poco valore nel nostro lago per la piccolezza del bacino e la direzione longitudinale dei venti. Solo la troncatura meridionale di Montisola potrebbe attri- buirsi ad esso, perchè ivi sono troncate anche le scarpe di detriti ce- mentati e si è formato un terrazzo costiero, fiancheggiato da uno scanno. È la parte esposta ai temporali più violenti. Ma fuor di questi casi dubbu, le forme di dossi mozzati e rupi a picco nell’insieme dei loro caratteri (che appunto come fattori di pae- saggio non sono definibili) sembrano speciali ai laghi e connesse colla selezione di affioramenti erodibili, che l’azione escavatrice limnogene- tica ha esercitato. Affondatasi la conca lungo quelli affioramenti e poi conversa in lago, nacquero in generale condizioni di instabilità per gli affioramenti laterali più compatti e per ciò rispettati. Indi l’acqua in- filtrantesi sotto pressione, minando ed eventualmente rammollendo rocce argilliformi, poté, coll’aiuto delle meteore esterne, determinare distacchi e scoscendimenti, anche senza intervento sismico. Infatti le pareti dolomitiche del Bogno di Castro incombono sopra argille gessifere sommerse; le condizioni non possono essere più pro- pizie allo staccarsi e scoscendere di monconi di dolomia. Quivi sono tuttora aperte delle fenditure parallele alla riva, che svelano il mec- canismo della formazione delle rupi a picco. Tutta la regione da Ca- 204 F. SALMOJRAGHI. stro a Lovere mostra segni di un movimento verso il lago, ivi occu- pante la lista raibliana, movimento non ancora arrestato; ma già al- trove ne parlai in dettaglio (op. cit., 1897). Le pareti a picco del Bogno di Zorzino, confermano l’idea di uno scorrimento orogenetico degli scisti retici al disotto della dolomia prin- cipale. Indi il distaccarsi di questa pel rammollimento di quelli e la formazione del bizzarro seno. Anzi la Punta delle Croci bergamasche, ehe lo serra a nord, sembra veramente spostata da un movimento esogene. E lo stesso dicasi della Punta delle Croci bresciane, che inizia sulla sponda sinistra quella serie di balze con rupi a picco, spettanti fra Toline e Marone alla dolomia principale nel suo percorso parallelo alla escavata area di scisti retici. Nelle memorie manoscritte del comune di Lovere leggesi, che il 20 marzo 1661 cadde in lago a piè del Gu- glielmo un pezzo di rupe, con fuga degli abitanti da Castro a Lovere e barche affogate.! Altri distacchi si ricordano della stessa località, avvenuti verso la metà di questo secolo, di cui uno valse colla sua ondata a spingere, dall’altro lato del lago, delle barche in secco. Si tratta probabilmente delle rupi Trentapassi e Trentapassini. Queste ed altre rupi a picco della sponda sinistra non sono vera- mente tali che per qualche decina di metri sul lago; sfumano più in alto in balze erte, ma accessibili. Le pendenze medie dal pelo d’acqua alla vetta del Corno Trentapassi variano, fra Punta delle Croci e Capo Colombera, da 59 ad 82°/,, con una media generale di 72 °/). Ma, come vedemmo, nel loro prolungarsi sott'acqua le pareti diventano più ripide e precisamente nell’anzidetta tratta pendono di 136—286 °/, e in media di 204 °/,. Quindi il profilo emerso ed il sommerso fanno tra di loro un angolo saliente ottuso. L’ erosione meteorica, che col- pisce la parte emersa, rendendo meno ottuso quell’angolo peggiora len- tamente le condizioni di stabilità; ma i distacchi, che ne derivano, ! Marinoni, Documenti loveresi. Lovere, 1896. L'A. vi assegna il 1660, per- chè raggruppa gli avvenimenti di più anni intorno ad uno solo. CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 205: tendono più presto a migliorarla, finchè una china di equilibrio e sotto e sopra non sarà raggiunta. ! Si trovano già in questo caso le tron- cature liasiche sopradescritte, che, iniziatesi forse nello stesso modo, non danno più luogo a scoscendimenti straordinarii. Laddove poi la scarpa di detriti radicantesi sul fondo arriva ad emergere, l’angolo fra il profilo bagnato e l’asciutto si raddrizza, anzi si inverte, e a poco a poco nasce pei movimenti delle acque uno scanno e, se sulla scarpa di questo verso la falda subacquea o verso il fondo avvengono ancora delle frane, la stabilità delle pareti originarie è però assicurata. Questi fatti sono particolarmente favorevoli alla genesi per escava- zione glaciale; poichè un ghiacciaio, dato possa scavare, è in grado, più che una corrente, di lasciare pareti instabili al bacino escavato. A conclusioni analoghe giunse Taramelli? in riguardo al Benaco; e questa analogia è degna di nota trattandosi di bacini così diversi. Migrazione dell’ emissario. — Ma il problema si complica pel doppio sbocco della depressione sebina. Ammesso che la Franciacorta fu la via seguìta dal fiume preglaciale, il ramo di Sarnico dovrebbe essere stato, per l'impronta orografica che tuttora conserva, la sede di un affluente laterale destro, che scolava le valli Adrara e Foresto con direzione verso oriente. Ma la grande alluvione in parte cementata, che si stende verso Palazzolo e fu terrazzata dall’ Oglio, dice che anche il ramo di Sarnico fu percorso da una fiumana con direzione verso ponente. Come e quando sia avvenuta l'inversione, è un altro dei punti oscuri del problema, che anzi non potrà chiarirsi se non in rap- porto all’analogo biforcarsi verso valle degli altri bacini lacustri lom- bardi. Devono nel nostro caso invocarsi i comodi bradisismi ? Oppure fu lo sboeco di Franciacorta chiuso dalle morene, ora ferrettizzate, ! Di ciò devono tener conto i progettanti della ferrovia lacuale con gallerio trac- ciate, per la fiducia che la roccia inspira, a fior di falda. 2 TARAMELLI, Consid. geol. sul lago di Garda. (Rendic. Istit. lomb. XXVII, Milano, i894.) Vol. XXXVIL 14 206 F. SALMOJRAGHL della prima invasione, la quale nella stesso tempo, demolendo parte dei terreni giuresi e cretacei de] ramo di Sarnico, spianava la via, perché il fiume, ripristinato dopo il primo ritiro del ghiacciaio, quivi si diri- gesse? In tal caso l’alluvione terrazzata dall’ Oglio spetterebbe al primo interglaciale. Comunque sia, nella seconda glaciazione che fu la più lunga, il ghiacciaio bipartitosi si sfogava certamente per entrambi gli sbocchi. Ma i quesiti si moltiplicano. Creatosi il lago alla fine della seconda glaciazione, dove si aprì l’emissario? E, spariti completamente i ghiacci, qual fu la causa del suo definitivo fissarsi a Sarnico ? La valletta Lon- -gherone, che in Franciacorta taglia le cerchie moreniche ed ha il fondo a m. 16 s. 1, fu dessa la sede del fiume lacuale o del torrente gla- ciale, che si manteneva spazzata la via fra le morene? Il dato alti- metrico anzidetto non giova molto per rispondere, perchè circa alla stessa altezza sonvi indizi di tentativi fatti dall’ Oglio per aprirsi due shocchi a mezzodì dell’attuale, l’uno a destra, l’altro a sinistra del Ca- stello di Paratico. Sono due incisioni nell’arenaria, da cui sì dipartono due vallette, dapprima parallele all’Oglio, poscia confluenti in esso presso la cantoniera 5* della ferrovia. Il cumulo di massi di rocce camune in questo punto esistenti, che si prolungano sulla sinistra della valle verso Palazzolo, mentre sono più rari, o di roccie locali, fra detta can- foniera e Sarnico, e mancano sulla destra, prova che il primo irrom- pere dell’Oglio fra le morene, che serravano il lago, avvenne intorno al Castello di Paratico, donde dall’arenaria incontrata fu spinto verso Sarnico. Se non erro, il meccanismo di queste diverse migrazioni del fiume ed emissario, preglaciale, glaciale o lacuale, quando con maggior copia di fatti potesse precisarsi, avrebbe un certo valore nel problema della Jimnogenesi sebina. Terrazzi costieri. — In ogni modo per le circostanze anzidette si è condotti ad ammettere, dal secondo interglaciale al posglaciale, un lago più elevato d’oggidì, quindi più esteso verso la Valcamonica, nella CONTRIBUTO ALLA LIMNOLOGIA DEL SEBINO. 207 torbiera d’Iseo e nel piano di Paratico, e privo delle due isolette, ma con un’altra isola (Montecolo) in loro vece. Di questa fase, oltre 1 depositi lacustri fossiliferi, che trovai a Castro a m. 15 sul lago (op. cit., 1897), fanno fede alcuni antichi scanni di erosione, trasformati in terrazzi costieri emersi, più elevati dei terrazzi artificiali, che l’uomo adattò sulle spiaggie insommergibili. Essi notansi principalmente lungo le sponde formate di terreni erodibili, come nel retico a sud di Zu ed altrove. Ma la fase posglaciale sfugge oramai dal campo oggi prefissomi. Colla scorta di questi materiali potrei ora essere tentato di trac- ciare e narrare la storia del lago d’Iseo. Ma a che prò, se ad ogni passo si incontrano lacune nel filo degli avvenimenti e se per supe- rarle fa d’uopo vagare fra ipotesi non ancora convincenti? Val la pena di aggiungere nuove pagine a quelle, che sulla stessa storia furono» recentemente già scritte, perchè siano destinate agli oraziani fondaci di’ . . + thus et odores Et piper et quidquid chartis amicitur ineptis? È meglio attendere che nuovi materiali vengano accumulati.. NOTA SOPRA UNA VARIETA DI COLORITO OSSERVATA IN UN’ ANAS BOSCAS, Linn. Memoria del socio Prof. Ettore Arrigoni Degli Oddi. L’ Anas boseas che qui illustro appartiene al reverendo dott. Pietro Menini, parroco di Collalto (prov. di Treviso) appassionato cacciatore ‘ed intelligente collezionista. Egli me la inviò perchè gliela determinassi, ‘ed io credo opportuno di farla brevemente conoscere agli ornitologi per- ‘chè affetta da una forma clorocrostica poco frequente. Presento qui le dimensioni e la descrizione dell’ interessante soggetto : Anas boscas, Linnaeus ? ad. var. clorocrostica uccisa nell’ inverno «del 1893 nella Valle Dragoiesolo (Estuario Veneto). Lunghezza totale inky amen II A ” del heccovdallay trontey,.= 4) 0 SN team x dell'alaentic iaia y na Mica | lida ” dellascoda sige (kay te eee O ” ely tarsoysi tgs a A tents aera ” del dito medio con unghia . . . » 96 » del dito medio senz’ unghia . . . » 48 Becco di colorito orange-verdastro, ombreggiato di nero sul centro con poche macchie nere sui due lati della mandibola superiore fino quasi a E. ARRIGONI DEGLI ODDI. 209 metà lunghezza, linea mediana della mandibola inferiore nerastra, iride marrone; testa e collo anche sul davanti come al normale quanto a disegno, ma colle tinte notevolmente dilavate, in modo però che si scor- gono perfettamente e i centri scuri delle penne e le marginature ful- viccie; alto dorso di un cenerino-perlato-cupo su tutta la porzione vi- sibile di ciascuna penna con un’orlatura rossigno-fulvo vivace, alcune penne con lineette a zig-zags neri o bruno-scuri; parte superiore del corpo di un cenerino-perlato qua e là azzurrognolo con margini piuttosto larghi rossigni, alquanto più cupi e brunastri sul tergo e che si allar- gano man mano che ci avviciniamo al sopracoda che è quasi per intero di un colore rossigno, irregolarmente ombreggiato di cenerino-perlato, ma più specialmente sul centro delle penne; mento e gola di un ros- signo-isabella-debole senza macchie ; petto lionato-rossatro piuttosto vivace con piccole lineette trasversali brunastre su ciascuna penna, queste li- neette hanno talora forma di zig-zags e sono precedute o susseguite da spazi irregolari che come a forma assomigliano alle macchie che di so- lito la doseas 2 porta in quelle porzioni, ma il loro colorito è così dilavato che l’analogia si scorge a mala pena; addome di un rossigno. biancastro senza macchie, più vivace verso il sottocoda; sull’addome, come dissi, non vi sono macchie, ma qua e là la penna si fa un po’ più cupa dimodochè il disegno non risulta uniforme; piccole e medie cuo- pritrici delle ali di un cenerino-perlato, qua e là un po’ azzurrognole, marginate all'apice e sui lati di brunastro, più chiaro e bianchiccio sulle penne vicine all’angolo dell’ala, le grandi bianche verso l’apice e terminate di cenerino-nerastro con un orlo bianco sulle più esterne, sic- chè esiste la doppia banda trasversale, ma è meno appariscente; re- miganti primarie di un cenerino-perlato collo stelo fin quasi all’apice ed una fascia ad esso stelo aderente e più estesa dal lato interno bianchi, le secondarie di un grigio-chiaro e biancastro sulle barbe interne, di un grigio-brunastro sull’esterne terminate largamente di bianco, non esiste alcun vestigio di tinta metallica non solo, ma qua e là e più presso lo stelo a metà lunghezza osservansi spazi bianchi, ove il pig- 210 NOTA SOPRA UNA VARIETA DI COLORITO, ECC. mento è mancante; grandi scapolari di un cenerino-perlato contornate di rossigno, in alcune il rossigno domina sulla tinta cenerina; coda di un rossigno-shiadito, biancastro verso l’estremità con le colorazioni scure normali scomparse quasi del tutto od in modo che appena appena si scorgono; zampe di un giallo-orange piuttosto chiaro. Questo soggetto si può definire come un’Ar4s boscas © di disegno ordinario, ma di tinta ovunque scolorita colle ali, il dorso, il tergo ed il groppone cenerino più o meno azzurrognolo, il che le dà una fiso- nomia singolare; conviene notare che l'insieme dell’ala appalesa una strana somiglianza con quelle della Querquedula circia, io però non credo assolutamente che si tratti di un ibrido, il becco, le zampe e le dimensioni sono affatto di doseas, così pari ne è il disegno della testa, delle penne del petto (se rialzate e guardate attentamente), dello spec- chio, ecc. Ritengo quindi che ci troviamo dinanzi ad un individuo clo- rocrostico appartenente a quelle forme che mutano le tinte scure nei vari toni del cenerino come osservasi con un certo grado di frequenza nella Merula nigra, Monachus atricapillus, Erythacus rubecula, ecc. L’anomalia sarebbe parziale, perchè nel periodo completo la tinta ce- nerina avrebbe dovuto essere uniforme o nell'insieme od almeno in quelle penne che normalmente sono scure di colorito. Noi non sappiamo con precisione se in generale tale forma sia semplicemente transitoria alla leucocrostica od invece uno stadio duraturo, io parteggierei pella seconda ipotesi ed a questo proposito ricordo di aver veduto per molto tempo parecchie Merulae e Fulicae grigie e che si conservarono tali fino alla loro morte avendo vissuto parecchi anni. Quest’ anomalia, se abbastanza frequente in certe specie, è però rara nell’ A. doscas e non ricordo di averne veduto che un solo esemplare consimile ucciso nel 1896 nel nostro estuario dal signor Alberto Guillion Mangilli, che gen- tilmente volle cederlo alla mia Collezione. Caoddo, 5 Novembre 1897. LE RECENTI COMPARSE DEL PUZFINUS KUHLI (Boie) NEL VENEZIANO. Nota del socio Prof. E. Arrigoni Degli Oddi. Degli ornitologi che scrissero sul Veneto soltanto il Conte Ninni ed io parlammo del P. AA, come di specie comparsa tra noi. Dapprima il Ninni! colle seguenti parole: « Di passaggio accidentale; raro molto » ma non specifica alcuna cattura. E più tardi 2 la dice specze rara presso le coste e di comparsa în laguna durante le burrasche di mare, cita una femmina colle uova quasi mature colta presso le Saline nel giugno 1876; ultimamente nel 1894 io citai 3 il solo esemplare ucciso nel Padovano che si conserva nella mia Collezione, esso venne preso il 18 novembre 1891 da un bracconiere sull’argine della Valle Moro- sina (Padovano), venne portato sul mercato di Padova dove l’acquistai dal venditore di uccelli P. Cavallin: il Tellini 4 poi sull’autorità del Vallon enumera il P. Awhli tra gli uccelli che possono con probabilità comparire nel Friuli, ma che ancora non lo furono con certezza. Del 1 Cat. Ucc. Ven. 3 Grallae (cont.) et Palmip., pag. 68 (1870). 2 La Prov. di Venezia, Monografia del Conte Sormani-Moretti, pag. 108-109 (1880-81). 3 Mater. per una Faun. Padov. dei Vertebrati, Il, Aves. (Atti della Soc. Ital. di Sc. Nat., pag. 429, Vol. XXXIV, 1894.) 4 Il Gabinetto di St. Nat. del R. Istituto Tecnico Antonio Zanon in Udine. (Estr. dagli Annali del R. Istit. Tecn. Ser. II, Anno XIV, pag. 65 dell’E., 1896). - 212 E. ARRIGONI DEGLI ODDI. rimanente tanto il Contarini, ! che il De Betta ? parlano di un Puffinus, ma esso è l’anglorum = yelkouan (Acerbi), rarissimo anch’ esso. Il Salvadori 3 espresse il dubbio che questa specie potesse trovarsi al largo anche da noi nell’ Adratico, ma per quante diligenti ricerche facessi ese- guire, mai ne potei avere. Fu nel maggio di quest'anno che alcuni pescatori di sardelle raccon- tarono di uccelli a loro sconosciuti che incontravano in località molto discoste come Caorle e Malamocco (mare di Venezia), ma che a loro sembravano sempre i medesimi, li vedevano non molto lungi dalla costa e davano molta noia alle loro operazioni. Il 20 maggio due di questi uccelli davanti a Caorle, ad una distanza di 4 a 5 chilometri dal lido, incapparono in un Parangalo. 4 Furono portati al Minotto, preparatore di Venezia, ed ora fanno parte della mia Collezione sotto ai numeri 2284, 2285, sono o e 9. Nei giorni successivi sempre ai Parangali tesi pelle sardelle ne furono presi altri diciotto, sicchè venti furono gli in- dividui colti tutti nella medesima località, di questi quattro ne ebbe il Conte Emilio Ninni, ma sembra che tre fossero così rovinati da non potersi conservare, il quarto fa parte della sua Collezione, sei ne ebbe successivamente il Minotto dei quali due sono nella mia Raccolta, > due in quella del prof. Scarpa a Treviso ed uno ancora in quella Ninni, altri otto furono spennati ed arrostiti non so con quanto gusto dei com- mensali! Sicchè gli esemplari uccisi sarebbero venti, dei quali otto ven- nero conservati, cioò: Collezione Conte Ninni a Monastier (Treviso) . N. 2 ” Profs Scarpa al'revison, pi SSN Senge mia Collezione a Caoddo (Monselice) . . . . > 4 1 Venezia e le sue lagune, Vol. II, pag. 227, 1847. 2 Sulle straord. ed accid. comparse, ecc. (Atti del R. Istit. Ven. Vol. X, se- rie III, pag. 16 dell’E., 1865). 3 Fauna d’ Italia, II, Uccelli, pag. 298, 1872. 4 Sorta di pesca che consiste in una lenza attaccata ad una zucca vuota, che galleggia sull'acqua. (BorrIo, Dizion. Dialetto Veneziano, pag. 471, 1856.) > ot ad. nr. 2286 del Catalogo, (o) ad. nr. 2287 del Catalogo. LE RECENTI COMPARSE DEL PUFFINUS KUHLI, ECC. 213 E qui ricordo come i due P. Kuhli & e © che si trovano nella Col- lezione Ninni al Museo Correr in Venezia non siano esemplari Veneti, ma provengano da Cornigliano (golfo di Genova), hanno la data ago- sto 1877 e sono sotto il n. 295 a, d del Catalogo. Questa specie si fa più frequente nel Barese ed è comune nella Ca- labria ed in Sicilia, ecc., si trova in tutto il Mediterraneo, nell’ Oceano Atlantico da Madera alle Canarie fino sulle coste d’America ! e fu anche rinvenuta nell’ Isole Kerguelen. Il Puffinus yelkouan (Acerbi) sembra essere un po’ meno raro, nella Raccolta Ninni se ne conserva uno preparato da lui stesso e preso cer- tamente da noi (n. 296 del Cat.), uno lo ricordai io pure nei miei Materiali, ecc. fu colto nel 1892 al 15 agosto presso Piove di Sacco nel Padovano, un secondo si trova nella mia Collezione al n. 1304, è un o ad., ucciso il 18 aprile 1895 nella valle di Riola vecchia nel- l’Estuario, finalmente due ne vide il Minotto ai Tre Porti sui sassi della Carrega nel 1872 ed altri due nell’aprile 1896 e il 15 luglio 1897 sulla spiaggia pure ai Tre Porti. Questa specie è ricordata pelle provincie Venete nella Bedblioteca Italiana, * dal Contarini, dal De-Betta, dal Ninni e da me, ma sembra esser comparsa solo nel Padovano e nel Veneziano. È uccello che trovasi nel mare della Liguria, di Napoli, della Calabria, Sardegna, Sicilia, a Malta ed in basso nell'Adriatico, ed è una specie propria del Mediterraneo, del Mar Nero, ® attorno Madera e le Canarie, come accidentale colta anche sulle coste della Cornovaglia e del Devonshire. Osb. Salvin 4 colloca fra i sinonimi del P. yelkouan (Acerbi) il Puffinus anglorum, Costa, Faun. Regn. Nap. Uee. p. 72 (1857), mentre per legge di priorità si deve mettere Pu/fnus anglo- rum, Savi, Orn. Tose. II, pag. 39 (1829). ! Esemplari presi sulle coste del Massachussets fanno parte della Collezione Salvin-Godman al British Museum di Londra. 2 Tomo LXVII, pag. 77, 1832. 3 Nella mia Collezione ho un esemplare colto lungo le coste del Mar Nero. 4 Cat. Brit. Mus. Birds, XXV, pag. 379, 1896. Ù ny (i Mb ki ta hues tye pel dI ui a fo Ae a 7 Dio ae Ho sit ae a 3 Pi On HG pi Ae if ee ed ei A , esa UG ST CITATI Sain MAU I agen eae 1 a tti “big n ERA BIL PU ei tbe yale er LEA ots È MW NI i 1 N ‘ hi ate oe 5/ A ui Pod th sci} per ae ts - ‘SUNTO DEL NUOVO STATUTO-REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (1895) DATA DI FONDAZIONE, 15 GENNAIO 1856. Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. 4 I Socj sono in numero illimitato (italiani e stranieri), effettivi, corri- è Y spondenti, perpetui e benemeriti. I Socj effettivi pagano it. L. 20 all’anno, în una sola volta, nel primo trimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. Versando Lire 200 una volta tanto vengono dichiarati Soci effettivi perpetui. A Socj corrispondenti possono eleggersi eminenti scienziati che pos- sano contribuire al lustro della Società. Si dichiarano Soci benemeriti coloro che mediante cospicue elargi- zioni avranno contribuito alla costituzione del capitale sociale. La proposta per V ammissione d’un nuovo socio, di qualsiasi catego- ria, deve essere fatta e firmata da due socj effettivi mediante lettera di- retta al Consiglio Direttivo (secondo l’Art. 20 del nuovo Statuto). Le rinuncie dei Soci debbono essere notificate per iscritto al Con- | siglio Direttivo almeno tre mesi prima della fine del 3.° anno di obbligo o di altri successivi. La cura delle pubblicazioni spetta alla Direzione. Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del fermato degli Atti e delle Memorie stesse. Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale pur- chè li domandino a qualcuno dei membri della Direzione, rilasciandone regolare ricevuta e colle cautele d’uso volute dal regolamento. AVVISO Per la tiratura degli Estratti (oltre le 25 copie che sono date gratis . dalla Società) gli Autori dovranno, da qui innanzi, rivolgersi direttamente alla Tipografia sia per io che per il pagamento, che non potrà essere superiore a L. 2.75 per ogni 25 copie di un foglio di stampa in-8° e a L. 2 quando la memoria non oltrepassi le 8 pagine di stampa. INDICE S Seduta del 28 febbraio 1897 Seduta del 9 maggio 1897 . apt ae Le Antitossine nelle malattie. — Comunicazione del socio Dott. S. Belfanti Seduta del 30 maggio 1897 Seduta del 28 novembre 1897 nta (T1USEPPE PARAVICINI, Vota istologica sull inserzione del muscolo columellare nell’ Helix pomatia Z. . . Erxesto MARIANI, Resoconto sommario di una gita geo- logica nelle Prealpi Bergamasche, organizzata da alcuni soci della Società Italiana di Scienze Na- VUOI: DTA RR AAA Francesco Grassi, Ze scoperte di Hertz sulle onde elet- tromagnetiche e le esperienze fondamentali di Tesla sulle correnti indotte di grande frequenza e di alto DOCENZA R A LI ANIA Re i l'rancesco SaLmoysraGni, Contributo alla limnologia del Sebino.-(Gon ta tavola) (0.00. Errore Arricont DeGLI Opp1, Nota sopra una varietà di colorito osservata in uv Anas hoscas Linn. . Errore Arricont Dear Oppi, Le recenti comparse del Puffinus Kuhli (Bove) nel Veneziano . . . . uel oe zy) 80, : D I) a 1804 0109 0378} UOIA LOYUIING 1d10D O 190g Ie I[OOIOSE] I[OSUIS Top OIAUL/T S a = Di bai Pi "BIZOTO A 0540) ‘jean JN A 0540) ‘OJRINAEN VLOG IP OOTAT) COST]Y OAONN Jap Ozzejeg “RjoroOg eplop VAD}OATag VIE ISs06|0A12 gIuoKAN MOP 9 ILLY 190 vsoduoo i € ni ‘ Ù ase D J | (| Wd = È ° 3 Ù Sea NES È 3 ©) x Sa BR = ae 3 Ra = STO pio ; 4 / b bd vati GRETA un = Ei pope ea ® SSR aS So 5 a SS soon) i SR di KA 8 PSE co opa Dio È | = za GS Tu INS dd = BOI DARE i m È ©) i i 4 Ss a ; a ; CE È : al A ee: co Co x ARP EE pi Direzione pen 1897. Presidente, Comm. prof. Grovannt CeLORIA, Palazzo di Brera, 26. Vice-Presidente, Cav. prof. FrLIice FRANCESCHINI, Via Monforte, 14. Prof. Gracinro MARTORELLI, Museo Civico. — Segretar) Prof. FerpIinanDo SorpELLI, Museo Civico. _ ( Prof. Ernesto Corrini, Via Borgogna, Some EG AI | Dott. Grurto DE ALEssSANDRI. : Conservatore, Prof. PomPEO CASTELFRANCO, Via Principe Umberto, di Vice-Conservatore, Dott. PAOLO MAGRETTI, Via Dante, TA Cassiere, Cav. Giuseppe GarGantini-Prarti, Via Passerella, 10. CONSIGLIERI D’ AMMINISTRAZIONE: Conte GiserTo Borromeo juniore, Piazza Borromeo, 70% March. Lurei CrIveLLI, Corso Venezia, 32. Sini O RR Sig. Virrorio Vina, Via Sala, 6. 7 | Ing. Francesco SALMoJzRAGHI, Via Monte di Pietà, 9. Cav. prof. Trro VienoLI, Corso Venezia, 89. È Seduta del 19 dicembre 1897. ORDINE DEL GIORNO: 1.° Lettura del verbale della seduta precedente e comunicazioni della Presidenza. 2.° Contribuzioni alla limnologia del lago d’ Iseo. — Seguito della comunicazione del socio prof. ing. Y. Salmojraghi. 3.° Chermoteca italica, ded dott. Berlese e Leonardi, presentata dal socio prof. M. Calegari. 4.° Studi sulle macchie negli Uccelli. — Memoria del socio prof. G. Martorelli. Si legge e si approva il verbale della precedente seduta e quindi il Vice Presidente, prof. Giovanni Celoria, commemora con opportune parole l’ illustre scienziato Francesco Brioschi che fu per vari anni tra i componenti la Società e la cui morte, considerata la natura mul- tiforme del suo ingegno e la vastità della sua dottrina, è lutto non soltanto della scienza matematica, ma della scienza intera. Il Vice Presidente propone, insieme al sottoscritto, la nomina a so- cio del Conte Emilio Turati, accolta dai soci con voti unanimi e quindi prega il socio prof. Salmoj- raghi a svolgere l’ultima parte della sua comunicazione sulla Z7mm0- logia del lago d'Iseo. Vol. XXXVIL 15 216 SEDUTA DEL 19 DICEMBRE 1897. Segue a questa la comunicazione del socio prof. M. Calegari, il quale riferisce intorno alla Chermotheca italica dei dott. Berlese e Leonardi, dimostrandone l’importanza scientifica e la pratica utilità. Il sottoscritto infine lesge la relazione della propria memoria Jn- torno alle macchie degli uccelli e presenta alcuni esemplari a schia- rimento della propria esposizione. Ciò fatto il Presidente dichiara chiusa la seduta. ll V. Presidente GIOVANNI CELORIA. Il Segretario GIAcINTO MARTORELLI. Seduta del 30 gennaio 1898. ORDINE DEL GIORNO: 1.° Comunicazioni della Presidenza e presentazione di nuovi Soci. 2. Bilancio consuntivo pel 1897 e bilancio preventivo pel 1898 (art. 30 del Regolamento). 0.0 Nomina della Commissione amministrativa e del Cassiere (ar- ticolo 46 e 49 del Regolamento). 4° Condizioni attuali dell Argentina ed importanza della immi- grazione italiana in essa. — Comunicazione del socio ing. prof. Emilio Rosetti. 5.0 Sul circolo speleologico e idrologico di Udine. — Comunica- sione del socio prof. Ernesto Mariani. Si legge ed è approvato nel principio della seduta il verbale ante- cedente e si accetta quindi con voto unanime il nuovo socio signor Ing. Edoardo Rossi, e subito dopo la Presidenza presenta all'assemblea i Bilanci; cioè quello consuntivo 1897 e quello preventivo del 1898, già esaminati ed ap- provati dal Consiglio di Amministrazione, del quale recano le firme. I bilanci, nessuno avendo fatto osservazione, vengono da tutta l’as- semblea approvati. Allora il Vice Presidente prof. Giovanni Celoria, invita 1 signori soci a procedere alla nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione, e del Cassiere a norma degli articoli 46 e 49 del . 218 SEDUTA DEL 30 GENNAIO 1898. Regolamento, facendo la relativa votazione e frattanto invita il socio prof. Emilic Rosetti a fare l’ annunciata sua comunicazione: Condi- zioni attuali dell Argentina ed importanza della immigrazione tta- liana tn essa. Finita la quale prega il socio prof. E. Mariani a svol- gere la parte dell'ordine del giorno che riguarda la Istituzione di un Circolo Speleologico ed Idrologico in Udine e, dopo udito quanto il professore stesso riferisce e propone, domanda ai soci se credono che la Società possa accogliere la proposta di coadiuvare a tale istituzione ed in qual grado e modo. Chiesta la parola il gocio prof. Salmojraghi, dice che, secondo lui, il modo più opportuno di adesione per parte della Società, sarebbe quello di farsi iscrivere fra 1 soci perpetui e, tale proposta essendo riconosciuta conveniente da tutti i presenti, si delibera in questo senso. Finalmente si proclamano i risultati delle votazioni ed il Consiglio di Amministrazione risulta costituito dai medesimi soci dell’antecedente, come risulta da apposito verbale della votazione. Quale cassiere viene pure riconfermato il socio cav. ing. Giuseppe Gargantini-Piatti. Dopo ciò essendo esaurito l'ordine del giorno viene levata la seduta. Letto ed approvato. il V. Presidente GIOVANNI CELORIA. Il Segretario GiacinTO MARTORELLI, LE COCCINIGLIE E LA CHERMOTHECA ITALICA dei . Dottori Berlese e Leonardi. Invitato dal nostro illustre Presidente a presentare agli onorevoli membri della società qui radunati i primi fascicoli della Chermotheca italica dei dott. Berlese e Leonardi, lo faccio tanto più volentieri in quanto si tratti di un’ opera scientificamente e praticamente molto im- portante e, nel suo genere, anche affatto originale. Importante, perchè la medesima si riferisce ad una famiglia d’insetti che, sebbene studiati da non molti in Italia, interessano grandemente l’agricoltura pei danni che arrecano a buon numero di piante coltivate, sia direttamente utili, che ornamentali. Questa famiglia, appartenente all’ordine dei rzicoiz, è quella dei coccidi, volgarmente cocciniglie. Le cocciniglie utili per la produzione di materie coloranti o zucche- rine, di alcune qualità di cera e della gomma lacca, appartengono quasi tutte a paesi stranieri, mentre quelle che vivono da noi sono in ge- nerale più o meno dannose, come le specie della vicina famiglia degli afidi. Tutti sanno p. e. che la Diaspis pentagona, tanto temuta in Lombardia come il flagello dei gelsi, e della quale si occuparono i nostri Targioni-Tozzetti e Franceschini, appartiene alla famiglia dei coc- cidi, e che a questa famiglia appartengono pure la piccola cocciniglia (Chyonaspis evonymi) che distrugge in. poco tempo tutte le piante di eyonimo giapponico dei giardini di Milano e di altre parti d’Italia, e inoltre le, cocciniglie abbastanza note degli agrumi, dell’olivo, del fico, 220 BERLESE E LEONARDI. degli oleandri e di molte altre piante. Approfitto anzi di quest’occa- sione per presentare qui anche alcuni esemplari di cocciniglie (Zeca- nium persicae) da me raccolte a Parenzo, in Istria, sull’uva spina, sulla Broussonetia papyrifera, ma, in grandi quantità, sopratutto sui gelsi, ai quali arrecano danni non certo minori di quelli che in Lom- bardia si debbano deplorare per l’ invasione della Diaspis; e altre os- servate qui a Milano sugli ippocastani, olmi, aceri, tigli (Zecanium ulmi), nonchè sui pioppi e salici (Pulvinaria populi e salicis). Duolmi invece non poter presentare in questo momento il Dactylopius ado- nidum, che già da alcuni anni osservo sulle piante di Arythrina ere- stagalli dei Giardini pubblici di Milano, alle quali si mostra molto dannoso, e l’affine Dactylopius vitis da me quest'anno osservato tra le bacche d’ uva di un vitigno di Chasselas, dove produceva gravissimi guasti. Le specie nuove di coccidi si trovano di solito negli orti botanici ed in altri giardini dove vi siano raccolte molte piante esotiche, insieme alle quali ci vennero da lontani paesi. Da queste a poco a_ poco pos- sono passare sulle piante coltivate nostrali, diventando talvolta immen- samente dannose in seguito ad un adattamento perfetto sul nuovo mezzo. A questo proposito si osserva che una medesima specie si può adattare sopra numerose specie vegetali, e che sopra una medesima specie ve- getale si possono adattare differenti specie di cocciniglie. Ho detto in principio che sono rari in Italia quelli che si occupano di un tale utilissimo studio. Ma ciò forse è da attribuire, in parte, alle piccole o piccolissime dimensioni dei coccidi, al loro aspetto e colore poco appariscenti e alla immobilità quasi generale delle femmine scu- diformi o emisferiche, e in parte anche alla difficoltà della determi- nazione in seguito alla mancanza presso di noi di buone collezioni, di opere adatte e complete, e alla confusione prodotta dalla molteplicità dei sinonimi. Le opere generali di zoologia si limitano ad esporre 1 caratteri generali della famiglia e a menzionare i generi più impor- tanti di essa, ma gli stessi libri che trattano esclusivamente degli in- LE COCCINIGLIE E LA CHERMOTHECA ITALICA. Pare setti, è molto se dànno la descrizione di tre o quattro specie di coccidi fra i più utili e dannosi. Considerato ciò, la Chermotheca italica sod- disfa ad un vero bisogno, essendo ad un tempo un’ opera scientifica, comprendente la bibliografia e i sinonimi, e insieme una vera colle- zione, dove gl’insetti genuini sono presentati sopra il mezzo nel quale vivono, siano pezzi di ramo o di corteccie, foglie o frutti. Ecco sopra- tutto il pregio e l’originalità di quest'opera, la quale, insegnandoci a conoscere con facilità e col mezzo sicuro dei confronti degli insetti dannosi, ci rende meno difficile la ricerca dei mezzi di difesa. MATTEO CALEGARI. CONDIZIONI ATTUALI DELL’ ARGENTINA ED IMPORTANZA DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA IN QUEI LUOGHI. Memoria del socio Ing. Prof. Emilio Rosetti. Invitato dal nostro illustre Presidente a prender parte a queste con- ferenze e a discorrere un poco di un paese, ove ho passato molti anni, non ho saputo esimermi dalla gentile ed amichevole pressione, confi- dando piuttosto che nelle mie deboli forze nella benevolenza degli amici e consoci. Il tema, che ho scelto, non è molto scientifico, quale si addirebbe al luogo: pure io lo credo egualmente interessante, poichè quel paese, ove vivono e prosperano già più di un milione di nostri connazionali, è purtroppo, mi si permetta il dirlo, fra noi pressochè sconosciuto e, quel che è peggio, mal giudicato, non ostante che varie pubblicazioni 4 e conferenze si siano fatte a questo riguardo, e non ostante che esi- stano e lavorino vari patronati per gli emigranti. 1 Guzzont, L'Argentina qual’ è veramente. 1896. È una specie d’ idillio per l'Argentina, analogo a tutte le pubblicazioni del Godio sullo stesso argomento. Per contro il Macora, L'Europa alla conquista dell'America latina, parla piuttosto in favore dell’emigrazione italiana al Brasile (1894). Vico D’Arisso, Pampa e Foreste parla all’ uso Mantegazza in favore di quei paesi. Così il PeLLESCHI, ne- gli 8 mesi nel Gran Chaco. Può vedersi pure utilmente il lavoro di A. BROGGI, Attraverso l'America meridionale (Pampa, Patagonia, Terra del Fuoco). Milano, Vallardi, 1898. CONDIZIONI ATTUALI DELL’ ARGENTINA, ECC. Dda I giornali quotidiani della nostra penisola ne dicono soventi delle marchiane su quei paesi e il grosso pubblico in generale s’assorbe quegli spropositi, confondendo America con America, Stato con Stato, regione con regione, fatti con fatti. Si parla per esempio di febbre gialla, che infesta spesse volte il Golfo del Messico ed alcuni porti del Brasile, ecco tutti scagliarsi contro l'America pestilenziale, cimitero di carne umana, come se tutto quel vasto paese fosse inabitabile, preci- samente come se l’Italia fosse tutta Maremma. — Scoppia una rivo- luzione, o meglio una dimostrazione, in qualcuno dei numerosi stati, in cui è divisa America Centrale e Meridionale, ed ecco subito escla- mare: che quel paese è ingovernabile e barbaro, e che l’emigrante non può trovarvi quella quiete di cui abbisogna, poichè l’ospite stesso vi è in continuo trambusto. — Avviene qualche crisi finanziaria, come quella che ha pesato alcuni anni sull’Argentina: ecco gridare: « Dov'è quella ricchezza tanto decantata? Miseria dunque anche laggiù.» — Succede qualche brutto fatto, come per esempio l’ultimo avvenuto nel Brasile: ecco subito dire: « Anche là dunque la caccia all italiano, ecco cosa si guadagna ad abbandonare il proprio nido; meglio quindi goderci la nostra miseria in casa. » ‘ Nessuno va a cercare quali siano le cause di questi fatti, per av- ventura molto rari: e se alcuno lo facesse, troverebbe facilmente :che esse sono le medesime, ma più esagerate, di quelle che>tengono in continuo fermento le nostre popolazioni, aspiranti a ‘un avvenire: ‘mi- gliore. La lotta per la vita esiste anche là sicuramente, come in qual- siasi parte del mondo, ma Vessenziale si è la differenza tra lotta e lotta; ed è questo che non si vuol studiare, nè capire. -’ Non crediate con ‘ciò ch’ io voglia farvi una specie ‘di rreclame in favore di quei paesi, no: io voglio solo intrattenervi per. pochi istanti su alcuni fatti positivi, quali io ho veduti ed osservati nel lungo sog- giorno fatto in quelle parti. i E. ROSETTI. I LO i~ L'Argentina è una regione ammirabile che si estende dal tropico del Capricorno alla Terra del Fuoco per circa 32 gradi di latitudine au- strale, con una superficie valutata dai 3 ai 4 milioni di chilometri quadrati (poco più di un terzo di quella d'Europa), mentre la sua po- polazione è appena un centesimo dell’ Europa (quattro milioni e mezzo). È limitata a ponente dalla grande cordigliera delle Ande, le cui eccelse cime dell’Aconcagua e del Tupungato risultano secondo le ul time misurazioni essere i giganti di quella gran catena, di poco infe- riori a quelli dell’ Himalaya (Everest m. 8840). Infatti, mentre prima si credeva che il papà delle Ande fosse il Chimborazo (m. 6340), illustrato dall’Humbolt, e poi il Nevado di Sorata (m. 7095), PAcon- cagua fu misurato dal Pissis in m. 6834 ed in m. 7500 nell’ultima ascensione della guida italiana Zurbriggen che accompagnava l’alpinista Fritz Gerald nel 1897: una volta e mezzo quindi del nostro Monte Bianco. L'Argentina è bagnata a levante dall’Atlantico e dagli enormi corsi d’acqua Rio della Plata, Uruguai, Paraguai, veri bracci di mare che s’internano nel paese, ed è internamente intersecata in tutti 1 sensi dai grandi e maestosi fiumi Parana, Bermejo, Salado, Colorado, Negro, ece. tutti navigabili per grandi estensioni. Queste superbe montagne, questi mari, e questi fiumi racchiudono una sterminata pianura, appena ondulata quà e là, chiamata Pampa, dalla quale emergono soltanto in qualche plaga alcune catene isolate di poca importanza, tanto da poter dare un po'di risalto a quelle di- stese, come isole nel grande oceano. Vi sono spesse lagune, poco pro- fonde, quali dolci, quali salate, e queste insieme ai numerosi fiumi, che servono al drenaggio di quella immensa regione, non danno luogo a malaria, eccetto che in poche vallate insignificanti delle parti del Nord. Vi ha quindi una serie svariata di climi, come nella nostra CONDIZIONI ATTUALI DELL’ ARGENTINA, ECC. 225 penisola, mancando quelli estremi e predominando il così detto clima temperato, proprio delle nostre più belle contrade. Le erosioni dei fiumi e delle lagune nei terreni, generalmente ar- gillosi, della Pampa hanno messo al nudo quei numerosi colossi anti- diluviani, che fanno la delizia di tutti 1 musei d’ Europa e anche del nostro, e sono così bene rappresentati nei musei di Buenos Aires e della Plata, illustrati dal Burgmeister, dal Moreno e dal nostro Ame- ghino. In quelle pianure immense, vere praterie, scorrevano non ha molto varie tribù di miserabili Indiani, che davano la caccia allo struzzo, al guanaco, al lama, vicugna, alpaca, jaguar puma, ecc.: ora vi pullu- lano invece numerosissime gregge di pecore, buoi, cavalli e a mano a mano che l'immigrazione aumenta vi si estende la coltivazione del grano, del maiz, del lino, delle patate, coltivazioni che in questi tempi hanno preso un tale sviluppo da fare una seria concorrenza a quelle dell'America del Nord e dell’ Australia. Gli Indiani, che non si sono sinora sottomessi e che ancora pochi anni fa arrecavano colle loro scorrerie grave danno ai erzstiand (come Si distingue laggiù la gente civilizzata) han dovuto a poco a poco, spe- cialmente coll’estendersi della rete ferroviaria e telegrafica, batter riti- rata, riducendoci in alcune foreste del Gran Chaco e in poche regioni della Patagonia. Non tarderanno anch’essi a scomparire come nel Nord America, es- sendo incompatibili colla nostra civiltà. È un fatto che le razze infe- riori presto o tardi sono destinate a scomparire ed io non faccio che constatarlo, lasciando ad altri la discussione di questo tema importan- tissimo. La parte centrale dell’ Argentina, che è la più propizia per la nostra emigrazione e suscettibile della grande coltivazione del grano e mais, è composta delle provincie di Buenos Aires, Entrerios, Santa Fe, Cordoba, San Luis, Mendoza (sei delle 14 in cui la Repubblica è di- visa, non contando i nove così detti ferri/0r7 nazionali) ed è già tutta libera dagl’Indiani. 226 E. ROSETTI. La più importante di tutte queste provincie e territori è senz’alcun dubbio la provincia di Buenos Aires, che ha una superficie quasi del tutto piana e coltivabile di 278 mila chilometri quadrati (e quindi quasi uguale a quella dell’Italia continentale. e peninsulare) ed una popolazione di appena un milione d’abitanti (non contando i 750 mila della capitale Buenos Aires, che forma un distretto federale a parte). Essa si estende fra i paralleli 33° e 41° sud ed ha quindi un clima paragonabile a quello della Toscana e perciò favorevole a tutte le col- tivazioni di questa (escluse naturalmente quelle speciali delle montagne > e delle maremme). È bagnata dall’immenso Rio della Plata, dal Pa- ranà e dall'Oceano Atlantico con porti facilmente accessibili e in di- retta comunicazione coll’Europa e col resto del mondo. Per questo Buenos Aires è la meglio conosciuta, e anzi per alcuni l'Argentina si riduce ad. essa. Sesue per importanza la provincia di Santa Fé, bagnata dal Rio Parana, che è detta la regione del grano, poichè quivi sono più di 200 colonie, specialmente italiane, dedite alla coltivazione del grano, del maiz, del lino, ‘ecc. * La’ provincia ‘di Entrerios, la così detta Mesopotamia Argentina, può stare alla pari con quella di Santa Fé. Le provincie del Nord e Andine coltivano con successo anche la vite; ma finora 1 maggiori profitti sono ricavati dalla canna da zucchero, tabacco ed altri prodotti tropicali, compresi i legnami ‘ed essenze forestiere: s’esplorano pure alcune miniere, ma però finora: di poca importanza: ciò ch’ io credo una ‘fortuna, perchè i paesi minerari (se ne eccettui i carboniferi) fini- scono presto coll’esaurirsi ‘e: cadere in miseria, mentre gli agricoli e industriali vanno sempre più aumentando la loro ricchezza. Accanto a questo ea geografico non. saranno fuor di luogo on appunti storici. 1 Nel 1884 erano soltanto 54 con 65 mila abitanti, la metà dei quali» italiani. 227 CONDIZIONI ATTUALI DELL’ ARGENTINA, ECC. Nove anni dopo la scoperta dell’America e cioè nel 1512, lo spa- gnuolo Juan Diaz de Solis scoprì il Rio della Plata: ritornandovi dopo 3 anni vi perdè la vita in un imboscata degli Indiani. Fu solo nel 1526 che il veneziano Sebastiano Caboto (ai servigi dell'Inghilterra) dopo aver cercato inutilmente il passaggio per la China nel Nord del- l'America, abbandonò 1’ Inghilterra per la Spagna onde cercarlo al Sud. Così navigò il Rio Paranà spingendosi fino al Paraguai e al Bermejo. Intanto gli Spagnuoli, discendendo dal Perù, nel 1515 si erano spinti nell’ interno dell’Argentina, ma questa fu cominciata a colonizzare sola- mente nel 1533 come parte secondaria del vicereame del Perù, al quale rimase annessa fino al 1778. La città di Buenos Aires (lat. Sud 34°, 36°, 28 long. Ovest di Parigi 60° 44’) venne fondata sulla destra del Rio della Plata alla confluenza del Riachuelo de Barracas, che vi formava porto, nel 1535 da D. Sancho del Campo per ordine di D. Pedro de Mendoza, ma due anni appresso venne presa e distrutta dagli indiani Querandi. Riedi- ficata poco dopo e distrutta da un incendio fu abbandonata nel 1539. Passarono ancora 40 anni prima che venisse riedificata nel 1580 da D. Pedro de Garay con 60 spagnuoli e sotto il nome di S. Maria o la SS. Trinidad del Puerto di Buenos Aires. Dapprincipio il crescere di questa città fu assai lento: ancora nel 1801 essa contava appena 40 mila abitanti e 76 mila nel 1852. È da quest'epoca che comincia il grande sviluppo della metropoli sud-americana, la quale conta oggidì 750 mila abitanti e va a grandi passi avvicinandosi al milione. Nel 1778 Buenos Aires sì separò dal Vicereame del Perù per for- mare un Vicereame a parte, il quale nel 1811 si riunì all’insurre- zione contro gli Spagnuoli ed il loro mal governo, e conquistò la sua piena indipendenza nel 9 luglio 1816: cinque anni di lotta titanica paragonabile all’ odierna degli sventurati Cubani. Seguì di poi un periodo di ricostituzione coloniale molto lungo e laborioso, mischiato anche da tentativi di conquista per parte di potenze europee, i quali portarono la disastrosa dittatura del famigerato Rosas, che durò fino al 3 febbraio 1852. 228 E. ROSETTI. Caduto Rosas comincid il vero risveglio del paese, che continud in modo meraviglioso dopo lo stabilimento, (perd ancora provvisorio) della capitale in Buenos Aires e l’avvento alla presidenza del General Bar- tolomeo Mitre (ottobre 1862). Quindi si può dire che l’Argentina, come Buenos Aires, non hanno ancora mezzo secolo di vita, ma che vita splendida e rigogliosa! Durante il sessennio della presidenza Mitre vi fu la guerra inter- nazionale contro il tiranno del Paraguai Lopez, il quale continuava le tradizioni di Francia e di Rosas, guerra che finì poi sotto il succes- sore di Mitre, il general Sarmiento, individualità spiccata, uomo di grande ingegno e di notevole perspicacia politica. Colla presidenza Sar- miento il paese svolse in modo straordinario le proprie risorse: si co- struirono varie ferrovie e telegrafi, si scavarono porti e si promosse in grande scala l'immigrazione europea. Si diede anche un impulso straordinario all’ istruzione, specialmente elementare, creando scuole in tuttt i punti; nè si trascurò l’istruzione superiore: furono aumentate di numero le facoltà delle Università di Buenos Aires e di Cordoba e sl fece venire dagli Stati Uniti il Gould per fondare l’osservatorio astro- nomico di Cordoba, che marcia alla pari dei migliori di Nord America. Nel periodo della presidenza successiva (1874-80) tenuta dall’avvo- .cato Nicola Avellaneda, cominciò quella che fu chiamata la piccola crisi; sotto Sarmiento essendosi camminato un po’ troppo in fretta nello sviluppo delle opere pubbliche, e quindi creato un debito un po’ com- promettente si ebbe una specie di sosta nei grandi lavori pubblici e privati, dovuta alla sconfidenza del capitale straniero; e questa sosta, che fu tradotta dai malevoli in regresso, mentre fu pei prudenti ed oculati un beneficio ed una scuola per l'avvenire, portò ad una specie di rivoluzione, propria dei popoli giovani ed impazienti, per non dir spensierati, che non sanno misurare i bisogni colle risorse nè relazio- nare gli effetti colle cause. All’Avellaneda, pel periodo 1880-86 successe il general Roca, sotto il quale fu stabilita definitivamente la capitale della Repubblica ni CONDIZIONI ATTUALI DELL’ ARGENTINA, ECC. 229 Buenos Aires, ¢ questa provincia dovette scegliersi un altro capoluogo, che fabbricò di sana pianta, nel vicino porto dell’ Ensenada, denomi- nandolo la Plata. La città venne edificata in pochissimo tempo, proprio all'americana, contando fin dai primi anni la rispettabile popolazione di 75 mila abitanti. Col general Roca scomparvero come per incanto le turbolenze e i ricordi della piccola crisi e cominciò un’ascensione nello sviluppo delle opere pubbliche e private e negli affari, che toccò poi il delirio sotto il successore di Roca, l'avvocato Juarez Celman (periodo 1886-92). Sorse anche là quella mania della speculazione, di cui noi abbiamo avuto piccoli esempi anche in casa nostra a Roma e nel Mezzogiorno, ed altri maggiori a Bombay, nell’Australia e negli Stati Uniti; e anche là questa peste non risparmiò alcuno, nemmeno i più oculati e prudenti. Era naturale quindi che dovesse presto succedere la reazione e questa fu tanto più forte e tenace, quanto più forte era stato lo squilibrio ; perciò la cosidetta Grande crisi, che ha pesato vari anni nella Repub- blica Argentina e dalla quale appena ora si va risollevando. Conseguenza di questa crisi si fu il corso forzoso: la carta monetata passò in poco tempo nel cambio in oro dall’uno per uno all’ uno per cinque. Molte delle principali case di commercio dovettero soccombere, e fra queste una delle maggiori di Londra, la casa Baring Brothers, che è tutto dire. Altra conseguenza, com’ è naturale negli stati giovani e liberi, fu una di quelle tanto strombazzate rivoluzioni, poichè il male anzichè alle masse si volle attribuire ai capi. Juarez Celman dovette anzi tempo cedere il posto al Vice Presidente dottor Pellegrini, sotto cui la crisi continuò il suo corso naturale. Successe poi il dott. Saenz Pelia (pe- riodo 1392-98) e siccome anche sotto questi la crisi minacciava di non voler terminare, perchè il male era grosso e non si potevano far miracoli, così gli Argentini impazienti obbligarono il Pena a dimettersi ed a lasciare la presidenza all’attuale Uriburu, al quale sta per suben- trare pel periodo (1898-1904) nuovamente il general Roca, che è at- 230 E. ROSETTI. teso con grande ansietà e fiducia. Intanto il telegrafo col continuo ri- basso del cambio ci annuncia la fine della grande crisi e un nuovo risveglio. ‘ Tutti questi alti e bassi, queste crisi e queste rivoluzioni, che ab- biam notate, danno solo fino a un certo punto ragione delle oscilla- zioni del movimento immigratorio, e degli affari in quelle regioni. Prima di tutto noi dobbiamo notare, cosa che non fanno molti, che tutto quello che noi chiamiamo col nome di rivoluzioni non sono in fin dei conti che turbolenze o manifestazioni che hanno laggiù molto minore im- portanza che 1 nostri scioperi e le nostre sommosse di piazza di tutti i. giorni, e che i termini — grandi e piccole crisi — non voglion dire che il paese è esausto e quindi povero (poichè in tutto quel frattempo il paese non ha cessato di produrre come ed anzi più del passato) ma solo che governi e privati han camminato troppo in fretta e innanzi tempo e che |’ Europa, che dà il denaro per questo, è troppo premurosa di ri- tirarlo a prezzo più che da usuraio. Siccome poi l'Argentina è paese più esportatore che importatore, 1 (si badi bene a ciò) si dà il caso che per rivincita ora sono gli Ar- | 1896 Importazione 112.163.595 pesos (oro) Esportazione 116.753.095» ) notando che l'importazione su quella dell’anno anteriore era aumentata di 18.640.736 pesos (oro) mostrando così l'aumento di prosperità e di fiducia nel paese. Esportazione dal solo porto di Buenos-Aires nel 1893. Cuoia salate . . 1.162.897 » - secche. . 2.189.815 Wiel | Variodece 6.012 Carne (Tasajo). 1.013.513 Kil. » In casse. 36.089 casse Pecore gelate. . 988.018 Lingue in casse 12.400 casse CONDIZIONI ATTUALI DELL’ ARGENTINA, ECC. 204 gentini stessi, specie i produttori, restii al ribasso del cambio, onde far pagare all’europeo in oro quelle che questo gli ha esportato sotto forma di interesse e di prestito. Ma veniamo un poco all'emigrazione straniera in quelle parti e spe- cialmente all'emigrazione italiana, che rappresenta la metà della totale ed è cinque volte maggiore della stessa spagnuola (che è dopo l’ita- liana la più numerosa). Per non infastidirvi con troppe cifre mi li- miterò a quelle degli ultimi anni, riferendomi a statistiche americane, a questo riguardo più esatte delle nostre. Buoi vivi... . 23.523 e 116.439 nel 1896 Pecore vive . . 91.951 e 321.196 nel 1886 Cavalli vivi .. 5.786 SONORI. 50.060 botti Comare IERIE A wis eee 2.975.822 . 28.087.374 309.192 Fardos bantaness 27. 4 57.968» Diverse. 7. 6.932 » Grane soya: 5.784.592 sacchi Maso. 432.796 demos oa Forint Sementi. .... 340.624 Rara 415.484 Movimento del porto di Buenos-Aires nel 1896. Vapori entrati. . TE vr ie eae 4.093 tonnellate 7.115.167 Bastimenti usciti 12.329 tonnellate 8.093.386. Vol. XXXVII. 16 Da? E. ROSETTI. Presidente Anno Immigranti Emigranti Roca... . 1884 77.805 \ <= 14,444 Risvestio dalla OT ey oe ech NOS I22 E 14.585 Te Bee Vesa RIE 13.907 Celman .. 1887 120.842 | 3 13.630 Follie > ee S88 ZI AE 12799 eee dale Pellegrini. 1889 260.903 | = 40.649 ; OASI esse rane 82.981 a tide 3 4891 73.597 | È 90.936 111 Saenz Pena 1892 73.294 | © 43.835 Uil: atte 84.420 | & 48.794 1894 34.0001, & x Uriburu. . 1895 61.226: 1 = 20.398 te ee cule 102.673 (gf Miami) 20.415 Sempre secondo la statistica americana, negli ultimi quarant'anni sono arrivati nell’Argentina 1,009,108 Italiani, dei quali 800,539 nei soli ultimi vent'anni. Di questi 729,658 sono rimasti e gli altri ripartiti sia per altri paesi d'America, sia per l’Italia, di dove poi alcuni ri- tornano non più sotto l’aspetto americano d’/7272/9grarte, chè là con tal nome s'intende solo colui che viaggia in ¢erza classe o che do- manda aiuto all’ asilo d' mmegrazione. 1 Questi arrivarono con 75 vapori di bandiera francese 69 » y ) italiana 46» VE agen tedesca CI) ) ) inglese 6h We tbe a) spagnuola e furono ripartiti all’ingrosso per un terzo nella Capitale e Provincia di Buenos- Aires, per un terzo nella Provincia di Santa Fé e per un terzo nelle altre pro- vincie. CONDIZIONI ATTUALI DELL’ ARGENTINA, ECC. Boo Ora secondo gli Americani del Nord gente molto pratica in tali fac- cende, ciascun immigrante rappresenta un capitale di mdlle dollari, ed io credo che per |’ Argentina rappresenti anche di più. Ne viene di conseguenza che i nostri 729,758 connazionali rappresentano almeno un capitale di 3 miliardi e mezzo di lire, capitale come si vede ri- spettabile ed il cui interesse va naturalmente in gran parte all’Argen- tina ma pure in parte ragguardevole agl’ Italiani ed all’Italia. Questi emigranti sono e — dovrebbero essere così anche per l'avvenire — in gran parte lavoratori e cioè contadini, terraiuoli, braccianti, manovali, mestieranti insomma. È con essi che si sono eseguiti i grandi lavori di colonizzazione, specie nelle provincie di Buenos Aires, Santa Fè ed En- trerios, ! quasi tutti 1 lavori ferroviari e telegrafici 2 ed altre opere pub- 1 Nel 1885 nella sola Provincia di Santa Fé vi erano 54 colonie agricole eon 65 mila abitanti, di cui quasi la metà italiani. Ora queste colonie sono più di 200, come già si è indicato. 2 Nel 1884 vi erano di ferrovie nazionali chilometri. 1.026 garantite ) 3.364 particolari ) 6.330 provinciali.» 2.952 Totale chilometri ITNUZI rappresentanti un valore di Pesos 447.614.437. Nel 1896 aumentarono di 370 Kil. mentre Kil. 900 erano in costruzione e 1245 in istudio. Al principio del 1898 erano in esercizio 14.923 Kil. I trwmways della sola Buenos-Aires, tutti a cavalli, nel 1894 rappresentavano una lunghezza di 436 chilometri: ora sono aumentati e sta cambiandosi la trazione a cavalli in elettrica. I telegrafi nel 1888 erano così rappresentati (periodo di follie) : Dello Stato 16.318 chilometri Privati 13.238 ) fili 68.551 chilogrammi Sottomarini 159 ) ) Nel solo anno 1896 aumentarono di 1352 chilometri. I telefoni poi sono innumerevoli. - 234 E. ROSETTI. bliche e private, che in questi ultimi anni hanno preso uno sviluppo straordinario, L’escavazione dei porti e l’edificazione delle città special- mente di Buenos Aires e della Plata che crescono a vista d’occhio sì può dir fatta esclusivamente da Italiani. 4 Non è esagerato quindi il dire che l’enorme sviluppo dell'Argentina in questi ultimi si deve in gran parte al lavoro italiano; e ho detto a bella posta lavoro, perchè il cap? tale per ciò impiegato è in gran parte inglese, come lo è del resto nella maggior parte del mondo. Se al lavoro si fosse potuto aggiun— gere il capitale, non è a dire come i henefizi per noi sarebbero stati maggiori; ma per disgrazia noi siamo poveri e per di più il nostro capitale ha molta sfiducia nell’esporsi in imprese, specialmente al- l'estero; dobbiamo quindi per ora accontentarci del solo lavoro mate- riale che non è per nulla da disprezzarsi. Il resto, perseverando, verrà in seguito, e già si comincia su questa via specialmente coi capitali accumulati in quei luoghi. Senza far nomi, dirò che vi sono stati vari impresari italiani per costruzione di ferrovie, telegrafi e porti, che hanno fatto grandi affari, cominciando così a far concorrenza agli inglesi. Varie case di com- mercio italiane si sono stabilite a Buenos Aires e nella Repubblica sia per gli articoli d’importazione che d’esportazione. * I principali molini 1 Nell'anno 1896 nella sola Buenos-Aires furono dati: 1881 permessi di edifici 3473 linee o rettificazioni di confine di proprietà 2876 conformes o permessi di modificazioni Totale 8230 e cioò 683 al mese. 2 Case d’esportazione in Buenos-Aires nel 1882: 15 tedesche 15 inglesi 13 francesi 13 italiane. CONDIZIONI ATTUALI DELL’ ARGENTINA, ECC. 235 a vapore per la macinazione dei cereali, le distillerie e molte altre fabbriche grandiose di lavorazione del legname, del ferro, ecc. sono italiane ed impiantate con capitali italiani colà accumulati. Passando poi a specificare un poco sulla regionalita dei nostri emi- granti, dirò che i primi fra questi furono i genovesi, i quali, dedica- tisi in principio al cabotaggio, fecero presto grandi affari per slan- ciarsi poi alla grande navigazione. ! Laggiù la lingua marinaresca è ancora più genovese che spagnuola ed il grande villaggio della Boca del Riachuelo de Barracas, ora divenuto sobborgo di Buenos Aires, è più genovese che argentino. Dietro ai genovesi seguirono quelli dei laghi di Como, Maggiore, e poi piemontesi e lombardi: ed ora molti degli attuali signorotti di questi laghi sono appunto reduci dall’America. Vennero poi i napole- tani, 1 veneti ed ultimi, ma in poca quantita quelli dell’ Italia Centrale, sempre restia all’emigrazione. Quelli che temono che l’emigrazione im- poverisca e spopoli il paese, vedranno così come sono infondate le loro fosche previsioni. Case d’ importazione in Buenos-Aires nel 1882: 70 francesi 44 tedesche 44 inglesi 41 argentine 39 italiane 39 spagnuole. Case per compera e vendita all'ingrosso d’articoli del paese in Buenos-Aires nel 1882: 24 tedesche 21 inglesi 16 italiane 9 francesi. 1 Ho già detto anteriormente che nel 1894 di 223 vapori portanti emigranti a Buenos-Aires, 75 avevano bandiera francese, 69 italiana e 46 tedesca; e questi quasi tutti partono da Genova, divenuta specialmente per cid il principal porto d’I- talia e del Mediterraneo. 236 E. ROSETTI. Questi emigranti si dirigono generalmente ai porti di Buenos Aires, della Plata, e del Rosario, ove in maggioranza rimangono sia perchè trovano riuniti colà la maggior parte dei loro connazionali e loro sembra così di essere ancora in patria! sia perchè quivi trovano o sperano di trovare le maggiori comodità e potervi installare le loro donne in servizi domestici od impiegarsi nei differenti mestieri colà esercitati da Italiani, specialmente nell'edilizia e nelle industrie affini. 2 Solo gli ! Buenos-Aires si potrebbe chiamare addirittura città italiana, se stiamo a quanto dice la Nacion del 1.° gennaio di quest'anno. Infatti nel 1897 vi furono: 10.781 nascite da padre e madre italiani e cioè il 37.4 % 1.861» » » ital.e » argentina ) 6.5 » 3.251 » DIST) e» argentini ) 11.2 » 3.509 ) » ) Or) spagnuoli ) 12.0 » 700 an » » Spagn.e » argentina ) 2.6.» AMO pese) e » francesi ) 6.5 » Da ciò si può dedurre come la maggioranza della grande capitale Buenos-Aires sia italiana. 2 Nel 1882 in Buenos-Aires erano italiani: 1089 su 1649 negozi di commestibili Ay 10 negozi di strumenti musicali magazzeni navali D 15 armaiuoli 8 » AI costruzioni e riparazioni di bastimenti 41 » 105 farmacie 160 » 257 falegnami ) = Ho = (oa) ilo) 21 materassal 89 » 190 confetierie 104 » 204 panetterio 200) 7L restaurants 200 28 marmisti 68 » 74 macellerie 153 » 4168 fabbri 336 » 518 osterie 114 » 294 mercerie 33 » 39 cappellai 281 » 414 calzolai. CONDIZIONI ATTUALI DELL’? ARGENTINA, ECC. Zor agricoltori si disperdono per la campagna di Buenos Aires, di Santa Fé, d’Entrerios, ecc. ove sono ricercati con grande ansietà, dando vita a quelle sterminate distese, di cui molte erano non ha guari percorse solamente da qualche tribù indiana e molte ancora sono quasi deserte. Questo capitale-braccia (lo chiamo così) che continuamente l’Italia versa laggiù, vien presto convertito in capifale-denaro, come ne fan fede i continui depositi e giri di cambiali presso le numerose Banche di laggiù e della nostra penisola, e l’agiatezza della maggior parte dei nostri connazionali colà stabiliti. Sarebbe però inesatto il dire che è il solo capitale-braccia, che l’Italia vi manda, perchè vi manda pure il capitale-intellettuale: ma per questo, essendovi molto maggiore concorrenza che pel precedente, ‘vi sono anche spesse disillusioni: anzi è a queste disillusioni che possiamo attribuire le frequenti malignità sulle condizioni dei nostri emigranti in quelle parti. Se 1 nostri giovani, ottenuto un diploma od una laurea, credono con questo solo certificato di poter andar laggiù a conquistar l'America si ingannano a partito, e se non vogliono passar brutte giornate non si accingano nemmeno alla lunga traversata: ma sé invece di confidare sul solo diploma, confidano invece sull'istruzione, che con questo do- vrebbero aver conseguita e quindi sulle attitudini a vari lavori, e se a queste attitudini sanno aggiungere un po’ di pazienza e di perseve- ranza, vadano pure laggiù che anche per essi vi sarà lavoro e lavoro ben rimunerativo. Ho conosciuto maestri di scuola, ingegneri, avvocati, che si sono adattati, non trovando subito l’impiego sognato, a far da camerieri, da garzoni di farmacia, perfino da pastori; e ben riuscì loro il cambio: ora sono orgogliosi di ciò che in principio pareva loro una umiliazione: Colà è nobile qualsiasi lavoro e dovrebbe essere così dappertutto. Giacchè ho parlato del capitale intellettuale, che anche laggiù può trovar fortuna, voglio brevemente dimostrare come anche questo al pari del capitale-braccia sia ricercato e stimato nell’Argentina, e come am-- 238 E. ROSETTI. bidue abbiano contribuito a quel legame di fratellanza che unisce Ar- gentini con Italiani, Quando nel 1862 si trattò di dare Impulso ai lavori pubblici, di cui tanto abbisognava il paese che stava per risorgere, venne chiamato l'ingegnere milanese Pompeo Moneta, il quale cred il Departamento de Obras Publicas (corrispondente al nostro ufficio del Genio Civile) ed iniziò quei grandi lavori ferroviari, portuali, telegrafici, che poi in se- guito hanno preso, come già dissi, così grande sviluppo. Il Moneta, coadiuvato naturalmente da molti colleghi italiani, vi stette per vari anni e quando abbandonò il posto venne sostituito dall’ italiano Gia- gnoni, morto non ha molto fra il generale compianto. Quando si trattò di grandi lavori idraulici e specialmente d’irriga- zione nelle provincie di Mendoza e di San Juan si fece venire dal- l’Italia il Cipolletti, che vi si trova ancora con gran plauso e a suo e a nostro profitto. Ultimamente con lautissimi stipendi furono chia- mati dell’Italia l'ing. Luiggi ed il maggiore Della Vecchia per il grande porto militare di Bahia-Blanca. Quando si fondò nella città di Buenos Aires l’ufficio tecnico muni- cipale, come si direbbe da noi, ne fu incaricato il piemontese inge- gnere Pellegrini, padre del terz’ultimo presidente della Repubblica. Di poi fu sostituito dagli architetti Canale, padre e figlio, i quali hanno lasciato i migliori lavori architettonici della capitale. I Canale vennero alla lor volta sostituiti. dall’allievo Buschiazzo, pure italiano, che si può dire il nestore di tutti gli architetti di Buenos Aires, amato e stimato da quanti l’avvicinano. | Buonissima memoria vi ha pure lasciato |’ architetto Tamburini, rapito non ha guari da morte immatura, e che si fece venire espres- samente da Roma per la sezione architettonica del Departamento de Obras Pubblicas, e pei grandi lavori architettonici della capitale, ini- ziati durante le presidenza Roca. Ultimamente il Meano, un allievo del Tamburini, ha vinto il concorso internazionale per il grande edi-. ficio del Parlamento ed il parmigiano Rolando Levacher ha ottenuto. CONDIZIONI ATTUALI DELL’ ARGENTINA, ECC. 239 un premio di seimila scudi pel progetto di un edificio per la Facoltà di Diritto e Scienze sociali in Buenos Aires. Numerosi altri architetti ed ingegneri italiani sono sparsi nei differenti punti della Repubblica ed a loro ed ai numerosi capimastri italiani si possono dire affidate la maggior parte delle opere edilizie tanto pubbliche che private. Di qui la ragione perchè i muratori, falegnami, fabbri sono colà tanto ricercati. Quando si trattò di fondare nell’ Università di Buenos Aires la fa- coltà di Scienze Fisico Matematiche nel 1865, furono fatti venire dal- l’Italia i professori Speluzzi, Strobel (sostituito poi dal Ramorino e dallo Spegazzini) e con essi io pure. Ora quella facoltà funziona, lo possiam dire con orgoglio, fra le prime dell'America latina e contmua i buoni ricordi lasciati laggiù dal nostro Mossotti nella prima metà del secolo. ! Quando si trattò di stabilire nella facoltà di Medicina il Museo pa- tologico fu chiamato dall’Italia il Milone che vi professa ancora ed esercita con grande plauso la medicina continuando le buone tradizioni lasciate colà dai dottori Riva, Marengo, Medici, Pastore e Mantegazza. Perfino nella facoltà di diritto vi ha lodevolmente professato il Tarnassi che unitamente al Blosi esercita colà l'avvocatura con grandissimo pro- fitto. Troviamo pure un italiano fra 1 docenti della facoltà di lettere e filosofia, il Calandrelli. Anche nelle armi, illustrate laggiù già da Garibaldi, Anzani e com- pagni hanno lasciato di sè buona memoria fra gli Argentini i colonnelli ! L’ Universita di Buenos-Aires si compone attualmente di quattro facoltà che nel 1897 avevano i seguenti studenti : Reid cimtiios es oc 5 eee. ROM ) Teo e RO ) scienze fisico-matematiche 274 ) hilosotiaee: lettere 225 1. 29 2161 mentre |’ Università di Cordova aveva in tutto soli 192 studenti. 240) E. ROSETTI. Olivieri, Caronti, Rosetti, l'ammiraglio Murature, ed ora vi gode grande prestigio il general Lavaggi (Levalle). Non solo nell’istruzione superiore si son fatti onore gli Italiani, ma anche nella secondaria e nell’elementare che nell’Argentina ha preso un tale sviluppo, da far strabiliare quando si legge, come in uno dei nostri giornali dell’altro giorno, che l'Argentina va di pari passi nel- l'istruzione colla Grecia e colla Turchia. In solo otto o nove anni le scuole primarie videro aumentare i loro alunni da 100 a 300 mila e nel gran torneo universale di Parigi nel 1889 la Repubblica Argentina meritò pei suoi progressi nell’ insegna- mento il gran premio d’onore. Ho già detto che la popolazione dell'Argentina non passa ancora i 4 milioni e mezzo e quella di Buenos Aires i 750 mila, quella della proviucia di Buenos Aires un milione. Orbene in Buenos Aires vi sono 271 scuole con 71 edifici scolastici: nella provincia di Buenos Aires 971 scuole con 254 edifici scolastici: in tutta la repubblica 2800 scuole e 601 edifici scolastici, con 6995 maestri e con un sussidio dato dalla Nazione e dalle provincie di 6,696,694 Pesos mm. Nel solo anno 1896-97 le scuole aumentarono di 463, i maestri di 920 e gli scolari di 45,017, talchè nei 1897 vi erano: Per l'istruzione primaria Scuole 3778 ’ » » Maestri. 9053 » o 9 Allievi 330961 Per l'istruzione secondaria 16943 Per 1’ Università 2399 Se a queste si aggiungono le numerose scuole private e special mente quelle delle numerose società straniere, si vedrà che non è la istruzione che manca laggiù e che la Repubblica può stare in ciò al pari di altre nazioni che si credono più avanzate. bo —_— fd CONDIZIONI ATTUALI DELL’ ARGENTINA, ECC. * * * Terminerd dunque, o signori, col dire che l'Italiano in quel paese ricco e florido è ricercato, amato e stimato molto più che in altri luoghi, e starei per dire più che nella stessa Italia. E ciò per varie ragioni. Prima: perchè là può svolgere le sue numerose attitudini molto più libe- ramente che altrove. Secondo perchè l’Italiano (come dice anche il Busca, professore a Dresda), più di qualunque europeo o altro tipo umano è disposto a simpatizzare per lo straniero; infatti altrove lo straniero è un nemico, per noi è un amico. Ma la causa più importante è la facilità con cui i nostri connazionali, favoriti dal clima, affinità di razza, lingua, costumi, religione, ecc. s'amerzcanizzano, prendendo vivissima parte alla vita rigogliosa del paese, alle gioie e ai dolori di quelli che fraternamente li ospitano. Questa parola amerzeanizzarsi ha bisogno di un po’ di spiegazione per essere intesa a dovere. Come emigrare non significa abbandonare la patria per sempre così, americanizzarsi non vuol dire dimenticare il proprio paese. Dalle molte cifre citate risulta che molti dei nostri emigranti ritor- nano in Italia: ora non crediate che questi rappresentino soltanto i di- sillusi, molti di essi invece ritornano a godere in patria il frutto del proprio lavoro. Molti anche restano, è vero, ma questo è un bene o un male? Io lo credo un bene e per noi e per l'Argentina. Continua- mente qui si dice e si ripete che siamo in troppi e che perciò son necessarie le guerre, l’espansioni territoriali, ecc.: ora sarebbe logico lamentarci se qualcuno va altrove a cercare il benessere che qui non può trovare? L’emigrante Italiano, che per il detto romano: Udr bene, thi patria si stabilisce nell’Argentina, serve di legame fra i due paesi ed è l’agente principale perchè i nuovi arrivati trovino colà una seconda patria. Per le stesse cifre. avrete visto che cola specialmente nei grandi centri l’elemento italiano si è il predominante. Quindi là si parla dap- 242 E. ROSETTI. pertutto l'italiano e gli Argentini stessi si pregiano non solo di capirlo, ma di parlarlo. Ve lo dicono anche gli affari d’oro delle numerose com- pagnie di teatro italiane, che fanno e rifanno il viaggio d’America. Ho detto che si parla italiano dappertuttto e avrei dovuto piuttosto dire che vi si parla genovese, lombardo, piemontese, napoletano, ecc. secondo le regioni dei nostri lavoratori emigranti. La lingua ufficiale del paese è naturalmente la spagnuola o meglio il castigliano e sic- come il nostro operaio per innalzarsi da noi tenta con chi gli parla italiano di rispondergli in lingua toscana, la lingua ufficiale e della gente per bene, così succede anche là che per innalzarsi invece di rispondere in italiano risponde in castigliano, castigliano più o meno spropositato s'intende, ma non importa; là non ci si bada molto; con ciò samericanizza, come si dice, e contribuisce! così ad aumentare quelle simpatie di cui ho parlato. Che poi l’Italiano di laggiù non dimentichi la patria lontana lo di- mostrano gli sforzi ch’essi fanno per educare 1 loro figli nelle nume- rosissime scuole italiane, colà impiantate dalle differenti società italiane coll’oggetto di non farvi dimenticare nè la lingua di Dante, nè l’Italia. E badate che questi figli, nati laggiù, sono per legge argentini (mentre il nostro codice li considera italiani) e che quindi vi sarebbe a temere che il Governo argentino impedisse dette scuole, mentre invece le favori- sce anche lui, poichè anch'esse contribuiscono alla prosperità del paese, Da not in Europa colle nostre idee, gelosie, simpatie e antipatie si fa- rebbe altrettanto? No certo. Che gli Italiani stabiliti laggiù non dimentichino la madre patria ve lo dimostrano poi anche le continue manifestazioni ed oblazioni ge-| nerose per le nostre fortune od infortuni, ve lo dimostra il sempre crescente e florido commercio che ci stabilisce fra l’Italia e |’ Argen- tina e per esso anche con altri paesi. ' Anche il cortese Don, titolo dispensato a tutti indistintamente, ha non poca parte in codesto americanizzamento. ATTUALI CONDIZIONI DELL’ ARGENTINA, ECC. 243 Se l’Italia risorta, invece di scimiotteggiare la vecchia Europa, scuo- tesse il pregiudizio della propria bandiera, che in fondo poi vuol dire conquista e concussione dei più santi diritti degli altri, quanti guai non si sarebbe risparmiarti e si risparmierebbero, e quanto bene invece ne verrebbe a chi soffre davvero e ha bisogno di essere aiutato! Noi colle nostre imprese d’Africa abbiamo pagato a caro prezzo quel pre- giudizio, lo paga ora la Spagna, e Dio non voglia che egualmente lo paghino altre nazioni. La Svizzera e gli Stati Uniti, liberi da questi pregiudizi, mandano le loro genti e i loro prodotti per tutto il mondo, senza curarsi di qual colore sia la bandiera che vi sventola, ed è per questo che stanno alla testa di tutti. Perchè non potremmo noi fare altrettanto? Ho detto. APPUNTI GEOLOGICI E PETROGRAFICI SULL’ ALTA VAL TROMPIA per i soci E. Artini e E. Mariani. Come è noto, nella valle Trompia il trias inferiore è assai più com- plesso che nel resto della Lombardia, ove è rappresentato quasi total- mente dalle classiche arenarie variegate, ricoperte dagli scisti marnosi e argillosi del sevveno. Nella val Trompia fra gli scisti suddetti si hanno scisti calcari. e banchi calcari fossiliferi, 1 quali però, come pel primo ebbe a constatare il Lepsius, ! non sono esclusivi a questa valle orientale lombarda, essendo stati trovati anche nella valle di Scalve e presso Esino. Lo sviluppo delle dette formazioni, nell’alta Valle del Mella, è sen- sibilmente più potente di quanto appare dalla carta geologica del pro- fessore Taramelli (1890). Il limite settentrionale di esse può essere segnato da una linea tor- tnosa, la quale poco a Sud di Graticelle si diriga per brevissimo tratto a Nord-Est, mantenendosi sulla sinistra del Mella di Sarle pressochè parallela al suo corso, indi piegando ad Est attraversi la parte infe- riore delle valli della Torgola e di Serramando, e, passando poco a Nord di Ivino, attraversi la valle del Bavese, per spingersi verso il colle del Maniva. 1 Lrpsius R., Das westliche Stid-Tirol geologisch dargestellt. Berlin, 1878. APPUNTI GEOLOGICI E PETROGRAFICI, ECC. 240 Sulla sinistra del Mella, il trias inferiore, rappresentato dalle are- narie e dagli scisti del servino, forma una striscia sottile e interrotta diretta pressochè da Ludizzo a Collio. Presso Bovegno, come ad esempio verso (rraticelle lungo il torrente Mella di Sarle, e più ad Est nella Valle della Torgola; così pure ad oriente di Collio, come sotto Ivino, poco a Nord di San Colombano, e nella parte inferiore della valle del torrente Bavese, le rocce clastiche del trias inferiore poggiano sugli scisti cristallini (quarziti micacee del Curioni), ricchi talvolta di vene e noduli di quarzo. La più gran parte di questi scisti cristallini è costituita da filladz! tipiche e caratteristiche, le quali, almeno macroscopicamente, hanno una notevole analogia di aspetto con quelle hen note di Innsbruck e del Brennero. Lepsius riferisce tutta la formazione ai micascisti, ciò che col valore odierno di questa parola non è più ammissibile: qua e là, come al solito nelle filladi, si sviluppano dei termini con aspetto micascistoso e anche gneissico, ma sempre subordinati. Ne abbiamo raccolto e studiato vari campioni, raccolti in diversi punti tra Collio e il Passo Maniva, senza trovare fra l'una e l’altra diversità alcuna, fuor delle solite quantitative. La struttura di queste rocce è pellicolare ondulata, con facile sepa- rabilita dei diversi straterelli, e caratteristica lucentezza sericeo-madre- perlacea: il colore oscilla tra grigio azzurrastro e grigio verdognolo, chiazzato di giallo e di rossastro per ossidi di ferro; lenticelle e ghian- dolette di quarzo sono abbondantemente ma irregolarmente distribuite, e in alcuni punti sono accumulate in gran numero e di notevoli di- mensioni. / 1 Crediamo adottare questa denominazione per gli scisti cristallini dell’ azoico superiore, poi che il nome di /illiti dato a ioro dagli autori tedeschi è in italiano ormai consacrato ad esprimere le impronte di vegetali fossili. 246 ARTINI E MARIANI. Al microscopio gli elementi essenziali si rivelano essere la mica bianca, la clorite e il quarzo. La prima ha vario aspetto: talvolta lamellare, talvolta, e più spesso, in aggregati di squamette, passanti a gruppi fibrosi francamente seri- citici. Mostra frequenti inclusioni pulverulente, nere, disposte in linee e fasce sinuose, ma nell’insieme perpendicolari alla scistosità, e pas- santi senza cambiar direzione dall’uno all’altro individuo micaceo, an- che se diversamente orientati. Questa disposizione si mostra disturbata dalle minuscole faglie con spostamento e dalle fitte pieghettature che interessano tutta la massa della roccia e le danno al microscopio l’a- spetto come di un tessuto increspato. La clorite è alquanto subordinata alla muscovite, però non scarsa: solo è irregolarmente distribuita, e mentre in alcuni straterelli scar- seggia, domina in alcuni altri. Ha sempre debolissima birifrazione, pleocroismo poco sensibile e carattere ottico della bisettrice negativo: non vi è rappresentato cioè nessun termine della serie del clinocloro. La struttura è scagliosa, pellicolare o fibrosa, come nella muscovite, colla quale è associata non di rado in fitti aggregati. Il quarzo, diffuso qua e là in piccoli granuli tra gli elementi mi- caceo-cloritici, si osserva, come fu detto, più abbondantemente riunito in lenticelle o straterelli: forma per lo più un mosaico irregolare di granuli dalle dimensioni .svariatissime e dai contorni irregolarmente sinuosi; se questi granuli sono di notevoli dimensioni, mostrano i soliti effetti del metamorfismo meccanico, come estinzioni ondulate, struttura di cataclasi, ecc. Scarse vi sono le inclusioni fluide sicuramente pri- marie; più frequenti assai sono minutissime inclusioni gasose e d’altra natura incerta, riunite in file, in sciami, e in gran parte almeno di origine secondaria. Fra gli elementi accessori potemmo constatare: tormalina, ottaedrite, brookite, apatite, calcite, ossidi di ferro. La tormalina è scarsa, in prismetti allungati, che mostrano: e = bruniccio chiaro; © = bruno verdastro o azzurrognolo. Talora la zona APPUNTI GEOLOGICI E PETROGRAFICI, ECC. 247 esterna ha colore distintamente diverso da quello del nucleo interno e allora si ha per la prima w= azzurro cupo, per la parte interna @ = bruno olivastro. Notevolissima è in queste filladi l'abbondanza dell’ottaedrite e Vas- senza del rutilo e dello zircone: in tutta la roccia sono disseminati tali cristalli, di colore giallognolo, senza pleocroismo marcato, con po- tere rifrangente elevatissimo e sempre tabulari secondo una faccia, che ordinariamente è una faccia di piramide, qualche volta una faccia di base : in questo caso la sezione ha forma nettamente quadrata o di corto rettangolo. A luce convergente il minerale si mostra uniassico, con energica birifrazione e carattere ottico negativo: questo si constata facilmente con la mica 1/, 4 a luce convergente nelle sezioni basali, e col cuneo di quarzo sulle sezioni parallele a facce piramidali da cui emerse sotto una forte obliquità l’asse ottico. Il minerale ha elevato peso specifico e si può separare nella polvere mediante la soluzione di Thou- let: esso è inattaccabile da H Fl col quale si può finire di isolarlo. Però, insieme alla ottaedrite, si isola così anche in piccolissima quantità un altro minerale, pure giallognolo, poco pleocroico e molto rifrangente, che l’esame ottico a luce convergente fa riconoscere per brookite : queste laminette sono sempre appiattite secondo {100} e alcun poco allungate secondo [z]; le facce di { 110 } sono spesso riconoscibili, e qualche volta pare siano presenti anche { 122} e { 021}. Si può così orientare le la- mine e riconoscere agevolmente che il piano degli A. O. è per V az- zurro parallelo a {010} mentre per il rosso è parallelo a {001 }. L’apatite è comune nei soliti prismetti incolori; scarsa la calcite. Gli ossidi di ferro hanno una discreta diffusione e sembrano per la più gran parte riferibili alla ematite. La biotite manca completamente nella roccia. Come abbiamo già detto più sopra, in queste filladi normali sono però inseriti dei banchi di roccia con aspetto gneissico: importante quello affiorante alla Costa Ricca del M.° Muffetto, nel quale è scavata la miniera Palestro, e che qui descriveremo brevemente perchè questa Vol. XXXVII. 17 248 ARTINI E MARIANI. roccia compatta, grigio brunastra, tenacissima, fu più volte scambiata ‘con un porfido : ognuno vede come dal lato minerario sia importante poter escludere che si tratti di roccia eruttiva. E lo si deve escludere in modo assoluto. (ili elementi mineralogici più importanti constatabili al microscopio sono: ortoclasio, quarzo, biotite; vi si aggiungono come accessori apa- tite, zircone e ossidi di ferro. Lortoclasio è in plaghe irregolari ed è riunito talora in miscela granulare col quarzo, talora ne contiene inclusi in gran numero pic- coli granuli arrotondati. Confrontato col quarzo stesso secondo il noto metodo di Becke si constata che @ e y° del feldispato sono sempre inferiori a w ed # del quarzo; lo stesso risultato si ha dal confronto col balsamo del Canadà. Di geminazioni non si ha traccia alcuna or- dinariamente, ben di rado pare si presentino alcuni geminati di Carlsbad. Dove è fresco e limpido sono evidentissime le tracce di geminazione secondo {001} e {010}: non di rado è però decisamente torbido per incipiente alterazione. Il quarzo, abbondante quanto e più del feldispato, è in granuli di varia dimensione e forma anche da solo piccole plaghette e lenticelle costituite da un mosaico di granuli di medie dimensioni. La biotite è abbondante e dà alla roccia fresca il suo colore bru- nastro, che talvolta passa quasi al rossigno. È scarsa in lamine larghe, irregolari, comunissima invece in laminette regolari, tozze, piccolissime, generalmente assai fresche e quindi fortissimamente pleocroiche, le quali sì trovano riunite in gran numero insieme a granuletti pure assai minuti di quarzo e feldispato, con gran prevalenza di questo; a questi minerali, e specialmente nell’ interno della biotite, sì aggiungono, qua e là, irregolarmente, numerosi e piccolissimi granuletti rotondeggianti od ovali, neri, opachi, probabilmente di ossidi di ferro. Queste la- minette biotitiche sono talora a contorni rotondeggianti, e ad ogni modo non mai sfrangiati; ma non si tratta già di piccoli individui soccioliformi inclusi in una sola grossa plaga di altro minerale, così ee PRI APPUNTI GEOLOGICI E PETROGRAFICI, ECC. 249 che di una struttura di contatto non avvi se non una vaga e super- ficiale apparenza. Si hanno del resto anche laminette più grandi, e queste possono talora vedersi riunite in straterelli, in gruppi, in cu- muletti. Per alterazione, il minerale passa a clorite, con segregazione di rutilo nei soliti esilissimi aghetti e formazione di granuletti irrego- lari di epidoto. Notevole la mancanza assoluta della muscovite, almeno primaria, poi che qua e là nell’ortoclasio se ne hanno rare ed esili squamette do- vute all’alterazione dell’ospite. Apatite e zircone scarsi, nei soliti cristallini. Quanto alla struttura, dove la roccia è più fresca si può facilmente riconoscere e già macroscopicamente intravedere : tale struttura, che si potrebbe chiamare quasi micro-ghiandolare, è data essenzialmente da minute lenticelle formate le une da mosaico quarzoso, le altre da grossi individui ortoclasici, ambe con poca o punta biotite, fittamente alter- nanti con lenticelle, straterelli e plaghette di miscela microgranulare ricca di biotite; una specie di gneiss occhiadino fortemente rimpiccio- lito. Ad una scistosità per laminazione non si può pensare perchè scarse sono le estinzioni ondulate, mancanti i fenomeni di vera cataclasi, e anzi il mosaico quarzoso in generale regolare; interi, non flessi e frat- turati, ma originariamente piatti gli individui feldispatici; mancante affatto la muscovite e particolarmente la varietà sericite : la mica in individui ben conformati senza flessioni o altri disturbi meccanici. L’arenaria rossa è quasi totalmente data da piccoli ciottoli di quarzo roseo, di porfidi e di frammenti di filladi e di gneis filladici, uniti da cemento siliceo: talvolta il colore di esse è verde chiaro. Per lo più l’arenaria è compatta, in banchi potenti, e di frequente a grossi elementi. Al microscopio quest’arenaria si mostra formata essenzialmente da grani di quarzo e frammenti di porfidi quarziferi. Il quarzo è l’ele- mento più copioso, in grani e frammenti formati talora da un solo in- dividuo più o meno deformato meccanicamente, talora da un aggregato . 290 ARTINI E MARIANI. irregolare di più individui. I frammenti di porfido, evidentissimi, mo- strano spesso interclusi quarzosi più o meno grandi, perfettamente idio- morfi e con le tipiche protrusioni della pasta fondamentale; questa sempre rossiccia per ossidi di ferro, ha struttura variabile : in alcuni frammenti è microgranitica, nei più è microfelsitica, anche con dispo- sizione fluidale, ma spesso devitrificata; più rari sono i frammenti a struttura granofirica. A questi elementi si aggiunge ancora l’ortoclasio in frammenti an- golosi, per lo più rossiccio per alterazione e torbido; mostra evidenti le sfaldature ed è in tutti 1 casi meno rifrangente del balsamo e dei granuletti di quarzo che tiene inclusi. La tormalina è pure presente, ma raramente, in frammenti di colore bruno verdastro. Abbondante la muscovite, non tanto in laminette sottili e larghe, che qua e là si os- servano, curvate generalmente, quanto in forma di rilegature sericitiche che sembrano costituire con poco quarzo il cemento il quale tiene riuniti, ordinariamente non molto saldamente, i singoli granuli. Lo zir- cone e l’apatite scarsamente diffusi come accessori. L’arenaria al contatto cogli scisti del servino diventa assai più mi- nuta e scistosa: e scisti arenacei si osservano alternare inferiormente cogli scisti calcari micacei, nei quali venne conservata parte della fauna del trias inferiore. L’alternanza di minute arenarie cogli scisti sud- detti, prova come il lento e graduale sommergersi della spiaggia poco lontana, fu dapprima spesso interrotto da leggere oscillazioni di suolo. L’abbassamento attestato dai suddetti scisti, che si ritengono forma- zioni di mare profondo, doveva poi continuare durante il muschelkalk, dopo che un rapido sollevamento aveva dato origine alla dolomia ca- riata sovrastante agli scisti del servino, la quale sta sotto alle forma- zioni prettamente marine del trias medio. Per lo più l’arenaria grossolana passante a conglomerato forma i banchi inferiori dell’arezarzia variegata. Può darsi che parte di queste rocce clastiche grossolane spettino al permiano. La mancanza nella Lombardia del piano a Bellerophon, rende, come è noto, assai diffi- APPUNTI GEOLOGICI E PETROGRAFICI, ECC. 251 cile stabilire sempre con sicurezza il confine fra il mesozoico antico e il paleozoico recente. Gli scisti del servino, verdicci o giallastri nella parte inferiore, con- tengono talvolta numerosi vacui ovoidali, alcuni della grandezza di una grossa noce, internamente tappezzati da cristallini di calcite. Queste cavità, che il Curioni ritenne dovute alla scomparsa della conchiglia di bivalvi dopo che vennero ricoperte dal fine sedimento, sono abba- stanza frequenti negli scisti verdicci della Valle Gandina a Nord di Pezzaze, così in quelli fra Tizio e la cascina Le Poffe, come pure verso Ivino a Nord di Collio. Gli scisti superiori del servino hanno per lo più un colore rossastro: essi in parecchie località, come vicino a Pezzaze, vicino a Fiale nella valle della Torgola, verso Costa Fredda, Le Poffe e poco sopra Tizio a nord di Collio, contengono banchi calcari grigiastri compatti assai ricchi di fossili ((umachella a gasteropodi: banchi a Myophoria del Lepsius), o calcari micacei scistosi giallastri, nei quali si raccolsero parecchie piccole bivalvi. Parecchi banchi di por/irife sono compresi negli scisti micacei rossi e verdastri del sevvzvo. Uno dei più potenti è quello che si incontra a nord-est di Collio verso Ivino sulla destra del torrente: altri aftio- rano qua e là fra Tizio e la cascina Le Poffe. Banchi di porfirite oltre che negli scisti si hanno nelle arenarie sottostanti, come ad esempio vicino alle Poffe, e poco dopo la cascina Faite lungo la strada che da Collio conduce al passo del Maniva. La roccia del più vasto affioramento, poco sopra Collio, è la meno alterata: ha aspetto decisamente porfirico, e sopra una pasta di colore grigio brunastro spiccano numerosi interclusi bianchi di natura feldi- spatica e macchiette verde cupo. Anche al microscopio si riconosce che gli interclusi feldispatici sono i più copiosi, e tutti di natura plagioclasica: 1 cristalli sono però poco netti, e solo alcuni mostrano tracce riconoscibili delle forme { 010}, {001}, {101}, {110}, {110/; sembra prevalere un allungamento se- 232 ARTINI E MARIANI. condo [7]. Costante è la geminazione dell’albite : abbastanza frequente quella del periclino: scarsamente diffusa e poco evidente quella di Carlsbad. Il minerale è sempre intorbidato per incipiente alterazione, ciò che non permette di confrontarlo al balsamo col metodo di Becke; le direzioni di estinzione si possono invece misurare benissimo: I’ estin- zione massima nella zona simmetrica fu osservata di 18°. Si tratta dunque di un’andesina prossima ad Ab; Anz, poichè la natura della roccia, l’aspetto del minerale e dei suoi prodotti di alterazione non possono permettere di sospettarne la natura albitica. Dove l’alterazione è più avanzata, e particolarmente nell’ interno dei cristalli, si nota neo- produzione di mica bianca e calcite. È difficile invece formulare una precisa asserzione sulla natura del minerale colorato che si nota tra gli interclusi insieme al feldispato, e che non è più rappresentato che dai suoi prodotti di alterazione. Questi constano di una sostanza lamellare o fibrosa, troppo birifran- gente per poter essere riferita alle comuni cloriti, e che non si può confondere col clinocloro per il carattere ottico positivo che mostra l’al- lungamento. La forma delle sezioni appare piuttosto pirossenica che an- fibolica, e per questo, come per la natura dei prodotti secondari, appare probabile si trattasse originariamente di un pirosseno, forse enstatite. Questi interclusi trovansi spesso riuniti in gruppi, insieme con grossi granuli di magnetite. Il quarzo, che non è riconoscibile macroscopicamente tra gli inter- clusi, si può in realtà osservare talvolta in individui primari, corrosi e arrotondati: ma è affatto scarso ed eccezionale. La pasta fondamentale è olocristallina ; l’elemento costituente princi- pale n’é il feldispato, plagioclasico, con tendenza alla forma di liste- relle allungate, e bassi angoli d’estinzione; molto subordinato, e in parte probabilmente secondario, il quarzo, in granuletti minuti, irre- golari: dove esso è più abbondante, la struttura della pasta accenna a diventare microgranitica, mentre passa alla pilotassitica dove predo- mina molto il feldispato. APPUNTI GEOLOGICI E PETROGRAFICI, ECC. 253 A questi elementi si aggiungono: squamette cloritiche, distribuite dovunque, e talvolta anche riunite in aggregati come riempimento se- condario di piccole cavità; granuletti di epidoto di piccolissime di- mensioni; plaghette calcitiche, specialmente dove la roccia è più alte- rata; magnetite in forme regolari, e prismetti hen definiti ma scarsi di apatite e di zircone. Le altre porfiriti raccolte più in alto, fino alle cascine Le Pofle, non mostrano differenze sensibili da questa ora descritta, all’ infuori di una alterazione generalmente più avanzata; il colore d’insieme è general- mente rosso-brunastro, con macchie rossicce e verdognole. Il plagio- clasio degli interclusi è sempre della stessa natura; in un geminato doppio albite-Carlsbad si potè misurare infatti : GSS hee = oP, SI tratta quindi veramente di andesina acida. La composizione e la struttura della pasta sono le stesse; un cam- biamento notevole si vede talora invece nei prodotti d’alterazione verdi del minerale probabilmente pirossenico scomparso; questi sono spesso intieramente sostituiti da un minerale fibroso, a fibre aggruppate in eleganti sferoliti raggiati, con birifrazione piuttosto forte (superiore a 0.010), pleocroismo marcato dal verdiccio pallidissimo al verde gial- lastro carico, e allungamento otticamente positivo. Si tratta evidente- mente di uno di quei prodotti secondari di natura incerta tra la ser- pentinosa e la cloritica che si sogliono riunire sotto il nome di delessite. Il quarzo secondario è pure comune e riempie da solo piccoli vacuoli ed amigdale specialmente al centro, mentre la periferia è occupata dagli anzidetti sferoliti delessitici. La presenza costante di banchi calcari negli scisti del servino, con fossili speciali ad essi, potrebbe indurre a suddividere uella val Trom- pia il servino in due parti: l’inferiore formato da scisti per lo più verdognoli, caratterizzati dall’ Avzeula Clara: Emm. sp., con scisti 254 ARTINI E MARIANI. arenacei in contatto colle arenarie variegate, e con masse calcari fos- silifere, lumachelle e la nota oolite rossastra a gasteropodi superior— meate. Il servino superiore sarebbe dato da scisti generalmente rossastri e da altre masse di calcari fossiliferi (banco a Myophoria del Lepsius), sottostanti alla dolomia cariata. Questa dolomia nella Val Trompia è assai potente, e pressochè con- tinua alla base dei calcari compatti oscuri del muschelkalk inferiore. A sud di Pezzaze essa è associata a piccole masse gessose, come d’al- tronde si osserva nelle altre valli lombarde. Nei detti calcari del trias medio poco a sud di Bovegno, si hanno potenti banchi di porfirite, notati dapprima dal Lepsius, che però non ne descrisse la composi- zione e i caratteri microscopici, in causa dello stato di profonda alte- razione dei campioni da lui osservati. i La struttura è anche in queste rocce francamente porfirica : il colore d’insieme piuttosto variabile, ma in generale traente al bruno rossic- cio; vene di calcite dove l’alterazione è più profonda sono molto dif- fuse e ben riconoscibili anche macroscopicamente. Fra gli interclusi è prevalente il plagioclasio, idiomorfo, geminato secondo la legge dell’albite, spesso anche secondo quella del periclino; gli individui sono spesso riuniti in gruppi irregolari, anche piuttosto numerosi. Le estinzioni misurate nella zona simmetrica diedero una inclinazione massima di 19°; in due cristalli tagliati dalla sezione approssimativamente secondo {010} la direzione di estinzione ottica- mente negativa fa un angolo di circa 6° con le tracce della sfaldatura basale. Si tratta dunque anche qui di un termine piuttosto acido della andesina. L’alterazione con intorbidamento è costante, e impedisce i confronti secondo il metodo di Becke. Il quarzo è molto scarso, anzi raro, ma in forma di interclusi net- tamente idiomorfi, con tracce di corrosione magmatica e protrusioni claviformi della pasta fondamentale. L'elemento colorato della roccia è anche qui sempre rappresentato da prodotti di alterazione, ma di aspetto diverso da quelli delle por- i , APPUNTI GEOLOGICI E PETROGRAFICI, ECC. 255 firiti di Collio. Il contorno delle plaghe, di forma pirossenica meno si- cura ed evidente, è fortemente bordato da ossidi di ferro tra i quali pare domini l’ematite. L’interno, quando non è occupato da quarzo microgranulare e calcite, come accade talvolta, è riempito di una so- stanza squamosa 0 lamellare, di aspetto cloritico, con allungamento otti- camente positivo, ma forte birifrazione (certamente superiore a 0.020) e splendido pleocroismo dal verde gialliccio al verde azzurrino vivace. Gli ossidi di ferro vi penetrano anche, nelle sezioni allungate, in ve- nuzze sinuose trasversali, come nelle bronziti bastitizzate. Più raramente si notano inoltre sezioni a contorno esagono o ret- tangolare tutte occupate da ossidi di ferro neri, opachi, minutamente granulari; l’aspetto è di anfibolo 0, più ancora, di biotite che abbia subito un completo riassorbimento dal magma. Non è facile distinguere queste plaghe dalle precedenti riguardo all’origine : forse mentre le prime ripetono origine pirossenica, queste seconde vanno geneticamente riferite alla biotite; un esame macroscopico accurato sembra confer- mare questa ipotesi. La pasta fondamentale, per quanto si possa giudicarne, dato lo stato di conservazione imperfetta, è olocristallina, o almeno con felsite ac- cessoria e trasformata in aggregati birifrangenti. Il feldispato domina sul quarzo, e sembra totalmente di natura plagioclasica, ma non in forma di listerelle, bensì entrambi i minerali in granuli irregolari; del resto da un campione all’altro, fors’anche in causa della diversa alte- razione, la struttura e l'aspetto della pasta variano notevolmente. Vanno ricordati inoltre come costituenti accessori: squamette di pro- dotti cloritici, granuli di ossidi di ferro, in parte almeno di natura ilmenitica e leucoxenizzati più o meno completamente; apatite in cri- stallini tozzi con inclusioni brunicce pulverulenti e bacillari allineate parallelamente all’asse verticale; zircone non scarso in esili ma net- tissimi cristallini; calcite, di origine secondaria, e spesso abbondan- tissima. DS 250 ARTINI E MARIANI. Come ha mostrato 11 prof. Tommasi, ! la valle del Mella è fra le valli lombarde quella che presenta maggior copia di fossili del trias inferiore, e ciò anche per lo sviluppo abbastanza notevole delle masse calcari fossilifere. Le specie descritte dal Lepsius (Op. e7zt.) e dal prof. Tommasi nelle formazioni del trias inferiore dell'alta Val Trompia sono 23 (17 bi- valvi e 6 gasteropodi). Tra le forme più comuni anche da noi raccolte, si hanno alcune piccole bivalvi, le quali presentano grande rassomi- glianza colla Zucina exigua, Berger sp.,? alla quale si potrebbero quindi riferire. Queste piccole bivalvi, di cui però non si è potuto mettere allo scoperto il cardine, si trovano in un calcare marnoso mi- caceo giallastro, poco compatto, compreso fra gli scisti del servino da Tizio (frazione di Collio) alla cascina Le Poffe. Inoltre negli scisti mi- cacel rossastri poco prima dei suddetti calcarei gialli, si raccolse un frammento schiacciato di Zirolétes, da riferirsi probabilmente al 7. Cas- stanus, Quenst. sp. Questo genere di ammonite venne recentemente tro- vato anche in un’altra località lombarda, e cioè nella Valle di Scalve. Nei dintorni di Vilminore e di Schilpario il prof. Taramelli raccoglieva, insieme ad alcune specie caratteristiche del trias inferiore, il 77roddtes cassianus, Quenst. sp., e il 7. spzrosus Mojs., specie da tempo note nel Trentino e nel Veneto. Le specie del trias inferiore della Val Trompia, descritte dal Lepsius e dal prof. Tommasi, e quelle da noi raccolte, sono le seguenti: Hinnites comptus, Goldf. sp. Banco a Myophoria del Dosso Alto, Pecten discites, von Schloth. Costa Fredda sopra Ivino; e nel banco a Myophoria al passo del Maniva, 1 Tommasi A., La fuuna del trias inferiore nel versante meridionale delle Alpi. (Palaeontographica Italica, Vol. I. Pisa, 1895.) 2 Beraer D., Die Versteinerungen des Schaumkalks am T'hiringer- Wald. (Neues Jahrbuch, etc. 1860, pag. 290, f. 8-10.) 3 TARAMELLI T., Alcune osservazioni stratigrafiche nei dintorni di Clusone e di Schilpario. (Rend. R. Ist. Lomb., Vol. XXIX, 1896 ) APPUNTI GEOLOGICI E PETROGRAFICI, ECC. 297 Pecten Tellini, Tommasi. Costa Fredda sopra Ivino, Avicula venetiano, Hauer. Collto e Valdaro, * Clarai, Emm. sp. Collio, angulosa, Lepsius. Collio (nel banco a Myophorza), Posidonomya Houeri, Tommasi. Collio e Costa Fredda, Monotis cfr. Alberti, Goldf. Valdaro, Gervillia inytiloides, Schloth. Collio (banco a Myophoria); al Ponte del Cavallaro, Mytilus sp. atl. eduliformis, Schloth. Collio (?), Myoconcha gastrochaena, Dunker. Collio (Lepsius), Myophoria costata, Zenker sp. Collio (Ivino), ” ovata, Goldf. Tra Collio e Ivino, elongata, Gieb. Da Tizio alle Pofte, laevigata, v. Alberti. Collio (banco a Myophorza), Lucina exigua, Berger sp. Da Tizio alle Pofîe, Pleuromya Fassaensis, Wissm. sp. Da Collio a Ivino: Gira Alta, Ù cfr. Alberti, Voltz. sp. Ponte del Cavallaro, Turbo rectecostatus, Hauer. Costa Fredda: Gira Alta, Naticella costata, Minst. Dosso Alto, Natica semicostata, Lepsius. Collio, » Gaillardoti, Lefr. Nell oolite a gasteropodi fra Ivino e Costa Fredda: Ivino (banco a Myophoria), » gregaria, Schloth. Ivino, 1 Valdaro, o Vaidardo come trovasi segnato nella tavoletta di Bovegno della carta topografica al 25.000, trovasi nella valletta del rio Fontanelie, piccolo tribu- tario di sinistra del Mella, a SSO di Collio, sui confini fra il territorio di questo paese e quello di Bovegno. I fossili ivi trovansi negli scisti del servino. Fra le località fossilifere del trias inferiore della val Trompia riportate dal prof. Tommasi nel succitato lavoro, si ha il Ponte Cavallaro presso Bovegno, lo- calità che non trovasi segnata sulle carte topografiche, e che è affatto sconosciuta agli abitanti del luogo. Forse tale nome venne dato a qualche località vicina alle cave abbandonate di siderose nella suddetta valle del rio Fontanelle, ove un banco di minerale porta il nome di Banco Cavallaro. 258 ARTINI E MARIANI. Turbonilla gracilior, v. Schaur. Ivino, Tirolites ctr. cassianus, Quenst. sp. Tizio (fraz. di Collio). Prima di chiudere questi brevi cenni vorremmo solo ci fosse con- cesso aggiungere qualche parola intorno ad un’altra roccia che fu raggiunta dalla galleria della miniera detta di S. Barbara nella valletta della Torgola e della quale ci furono favoriti alcuni campioni dall’ E- gregio Ing. Nogara. Essa forma la matrice di un filone ricco di fluorite spatica bianca o azzurrognola, con quarzo, dove il minerale utile è rappresentato da parecchi solfuri: sfalerite brunastra, galena granulare a grana fina, calcopirite compatta: si aggiungono qua e là pirite in cristallini cubici aggregati a gruppetti, e siderite spatica. La roccia in questione, che si trova già citata da vari autori, come il Fuchs,’ il Suess 2 e il Salomon, 3 forma probabilmente un’ apofisi della maggior massa che viene a giorno in val di Navazze; è, come questa, una granitite, ed è importante perchè può rappresentare l’ estrinsecazione granitoide del magma acido i cui rappresentanti effusivi costituiscono le potenti colate e banchi di porfido quarzifero affioranti più a nord. = È anche da rimarcare una rassomiglianza notevole con la roccia gra- nitoide di Bindo in Valsassina che fu osservata in analoghe condizioni e descritta dal dott. Porro. 4 Gli elementi essenziali della nostra roccia sono: quarzo, ortoclasio, plagioclasio e biotite. Il plagioclasio è, come spesso avviene in queste rocce, discretamente idiomorfo ; d’ordinario molto alterato, così che difficile n° è reso lo 1 Etude sur les gisements métalliferes des vallées Trompia, Sabbia et Sassina. (Ann. des Mines, 1868.) 2 Ueber das Rothliegende in val Trompia. (Akad. d. Wiss. Wien, 1869, pa- gina 109.) 3 Veber Alter, Lagerungsform und Entstehungsart der periadriatischen Granitischkirnigen Massen. (Tscherm. min. u. petr. Mitth. XVII, fase. 2, 3, 1897.) 4 Cenni preliminari ad un rilievo geologico nelle Alpi Orobie. (Rend. Ist. Lomb., Vol. XXX, 1897.) i È 4 i } | UOC OO ALn re Fs TC Cc —°—— n i egggk#7 dot ‘tt fpbL‘[‘L‘'WWoW‘(e(ebb#[yyeloepr(‘letlr‘‘‘‘‘E eee Oo APPUNTI GEOLOGICI E PLTROGRAFICI, ECC. 299 studio e impossibili i confronti con quarzo e balsamo. Tuttavia qua e là alcune parti si conservarono abbastanza per lasciarne riconoscere le proprietà ottiche principali. Geminazione costante secondo l’albite, cui spesso si aggiunge la legge di Carlsbad. Estinzione massima nella zona simmetrica = 18° circa. In due geminati doppi si determinò : de a PEZZI e=— 3 ae Da Ao (fem as Si tratta quindi di un termine molto prossimo all’andesina Ab, Any. L’ortoclasio è di consolidazione decisamente posteriore al plagioclasio del quale non è meno abbondante; è poi molto più fresco e limpido di esso. Lamine parallele alla base lasciano riconoscere proprietà ot- tiche normali; lamine parallele alla {010} presentano una direzione di estinzione che fa 7° — 8° con la traccia di sfaldatura basale nell’an- golo oftuso che fa questa con la prismatica. Vi si riconoscono pure lenti celle esilissime e fitte di un minerale incoloro alquanto più Dirifran- gente dell’ includente, con l’aspetto consueto degli accrescimenti micro- pertitici. Queste parti incluse, in lamine {010} dell’ospite estinguono a 20° pure in senso positivo, e sono quindi da riferirsi con tutta pro- babilità all’albite. Il quarzo, in grandi plaghe irregolari, è pure assai abbondante. La mica è esclusivamente biotite, ma, almeno nei campioni studiati, sempre trasformata completamente in clorite. Quest'ultima ha discreta birifrazione, con carattere ottico positivo nel senso dell’allungamento (negativo della bisettrice), e pleocroismo forte dal giallo al verde. Len- ticelle di leucoxeno si notano tra i foglietti di clorite. Zircone e apatite si presentano, il primo un po’ più scarso della se- conda, nei soliti piccoli cristallini inclusi particolarmente nella biotite alterata. Anche calcite si osserva qua e là, di evidente origine secondaria. Museo Civico di Storia Naturale. Milano, Marzo 1898. INTORNO AD UNA COLLEZIONE DI CORNA DI ANTILOPIDI DONATA AL MUSEO CIVICO, DAL SIG. GIOVANNI MASINI. Nota del socio Prof. Ferdinando Sordelli. La collezione che presento alla Società è dono pregevole di recente pervenuto alla sezione zoologica del nostro Museo. Il donatore, signor Masini, che dimorò per qualche tempo a Mafeking (nel territorio dei seciuana, laddove confina col Transvaal), ebbe campo, nella sua qua- lità di cuoco addetto ad un albergo, di trovarsi a contatto con molti cacciatori e sportsmen; e, quel che più importa, di aver sottomano la svariata e grossa selvaggina che in quei paesi è lo scopo, se non unico, principale delle imprese cinegetiche, ad alcune delle quali prese parte lo stesso donatore. — (Ciò gl’inspirò la buona idea di racco- gliere le corna, sole parti veramente caratteristiche che sì prestassero ad esser conservate senza grande spesa ed ingombro, formandone così una copiosa serie, che rappresenta quasi al completo la fauna dei Ru- minanti, propria di quella parte dell’Africa orientale-meridionale ch'è sotto il dominio o l’ influenza inglese. ! Tale raccolta è per noi interessante sotto vari aspetti. — Consta di 29 pezzi, appartenenti a 23 specie; 22 delle quali spettanti alla { Oltre la collezione in discorso, il Sig. Masini donò pure aleuni oggetti lavo- rati dai negri Zulù e Beciuana, che andarono ad arricchire la Raccolta etnografica del Museo, ma dei quali qui non mi occorre di fare altro cenno. the CS tt dini rinunci INTORNO AD UNA COLLEZIONE DI CORNA DI ANTILOPIDI. 261 famiglia delle Antilopi (intesa in senso lato), l’ultima è il Bufalo di Cafreria (Bubalus caffer). Una ventina di esse mancavano affatto in Museo, quindi l’ineremento a vantaggio della nostra pubblica collezione è, come si vede, notevole. — Alcuni generi vi figurano per la prima volta; ad es.: Bubalis e Damaliscus, dalle corna stranamente ripie- cate; il Cudù (Strepsicerus kudu), che le ha elegantemente contorte e lunghissime ; i generi Cobus, Aepyceros, Hippotragus, Tragelaphus vi sono pure finalmente rappresentati. L’ Antédoreas euchore, o Anti- lope saltante, era in Museo con un solo esemplare montato ed ora gli si aggiungono 6 paia di corna, che mostrano tutte le differenze di sesso e di età. L'importanza di questa collezione si. accresce pel fatto che alcune specie sono minacciate di prossima estinzione ; non è se non questione di tempo. Il fatto che l’area da esse occupata va sempre più restrin- gendosi e che alcune sono già scomparse da vaste regioni laddove, non sono molti anni, si trovavano in abbondanza, ne è la prova. — Fin- tanto che la caccia veniva esercitata dagli indigeni, scarsi di numero e male armati, le singole forme animali avevano potuto svolgersi a tutto loro agio, coll’utilizzare a loro profitto le risorse, non grandi del resto, del nero continente. L'invasione degli Europei, cacciatori per diletto più che per necessità, forniti di fucili dei più perfezionati mo- delli, di lunga portata, segnò la condanna dei pacifici ruminanti. Sotto il rapporto delle abitudini le Antilopi si possono distinguere più o men bene in due gruppi; quelle che preferiscono le regioni bo- scose, 0 quanto meno cespugliose; le altre amano i luoghi aperti, le srandi pianure a perdita d’occhio, intersecate solo ed a distanza da piccole ondulazioni di terreno o da qualche burroncello. — Ma una sorte medesima attende le une e le altre. — Alberi e cespugli se ri- parano in qualche modo la grossa selvaggina, sono ancor più utili al cacciatore, che può dietro di essi più facilmente avvicinarsi, senza esser veduto dall’animale, reso sospettoso dalla persecuzione di cui è fatto segno. Nè più fortunate sono le specie viventi nelle regioni scoperte. 202 F. SORDELLI. Queste sono in gran parte deserte od offrono qua e là, colle poche erbe cresciute durante la stagione delle piogge, un pascolo del tutto insufficiente e ben presto esaurito. Si adunano quindi presso le rive dei fiumi, in territori relativamente ristretti, spinte dal bisogno di acqua e di una meno scarsa profenda; territori separati da vastissime lande dove raro è che si abbia occasione di scaricare un fucile. Ora, se questa maniera di segregazione ha potuto favorire il costituirsi di specie numerose ed abbastanza distinte, ci spiega d’altro canto perchè i viag- giatori del secolo scorso e della prima metà del presente incontras- sero stuoli di più centinaia e migliaia di individui appartenenti spesso ad una sola ed identica specie. Cid creava l'illusione di una abbon- danza per così dire inesauribile; illusione che doveva ben presto sva- nire, come miraggio, davanti al tuonare delle armi da fuoco; poichè decimate, inseguite senza posa, alle superstiti e timide Antilopi veni- vano rese sempre più difficili le condizioni stesse della esistenza, la tranquillità e la sicurezza del pascolo. Questo stato di cose, nonchè cessare, va ‘facendosi sempre più grave, per cui fra pochi anni di alcune specie non rimarrà traccia fuorchè nel libri e nei musei, come s° è già verificato di più altre specie di vertebrati. A complemento di queste notizie aggiungo l’elenco delle specie rap- presentate nella collezione donata. — La maggior parte dei nom? z00- logici e di quelli volgari, usati dai coloni olandesi ed inglesi, erano già inscritti nei cartellini che per cura dello stesso donatore accompa- gnano i singoli esemplari; nomi ch’egli aveva dedotti, per confronto, da esemplari determinati nel Museo di Cape-Town (Citta del Capo). Io ho riveduto tali nomi, rettificata qualche inesattezza ed aggiunti altri schiarimenti, dove mi pareva utile il farlo. Valgano questi cenni di esempio e di stimolo a’ miei concittadini ed a quanti hanno a cuore la prosperità di un istituto, qual’ è il Civico Museo, che tanti servigi ha reso e può rendere, a vantaggio della col- tura scientifica del nostro paese. INTORNO AD UNA COLLEZIONE DI ANTILOPIDI. 263 Fam, ANTILOPIDAE, Subfam. Bubalidinae. 4, Bubalis caama (G. Cuv.) Sundew, Cape Harte beest. Sclater and Thomas, Zhe Book of Antelopes, I, p. 38, pl. IV. — Bechuanaland (Terra dei Beciuana): Un pajo di corna di maschio Adltone 2. Bubalis lichtensteini (Peters) Temm. Lichtensteins Har- tebeest. Scl. a. Thom. Op. cit. I, p. 45, pl. V,.{. 6 @ (teschio e corna di maschio); f. 6 2 (id. di femmina), — Mashonaland: Corna di femmina. — Nell’es. della coll. Masini la curva della corna, seb- bene coincida nelle sue linee fondamentali con quella della forma ti- pica, ne differisce tuttavia notabilmente. La porzione basilare di esse è piuttosto breve, raggiungendo appena l’altezza massima di 15 cm, ed è piegata ad arco a guisa di parentesi ( ); si volgono poi brusca- mente ‘all’indietro tenendosi quasi parallele in modo da formare colla superficie anteriore del frontale quasi un angolo retto, e questa seconda parte, che porta 4 nodi alla ripiegatura, è più lunga della prima, giun- gendo quasi a 23 cm. — Nel tipo, in entrambi i sessi, le due tratte sono quasi di eguale lunghezza e la porzione terminale dopo essersi curvata indentro divarica di bel nuovo nel volgersi che fa all’ indietro cosicchè le due estremità non sono parallele, come nel nostro esemplare. 3. Damaliscus pygargus (Pall.) Sclat. a. Thom. Bontebok. Auct, et Op. cit. I, p. 73, pl. VII et fig. 10. — Transvaal; Paio di corna maschili, lunghe 32 cm. secondo la curva; per la forma coin- cidono con quelle figurate nell’ opera citata, però dopo essersi allonta- nate dolcemente fin verso i due terzi, pure con dolce curva si avvi- cinano fino a distare solo cent. 12,5 fra gli apici. Vol. XXXVII. 13 264 F. SORDELLI. 4. Damaliseus albifrons (Bush.) Sclat. et Thom. Blessbok. Auct. et Op. cit. I, p. 79, pl. IX, et fig. 11. — Transvaal: Corna di femmina. — La specie abita pur anche le pianure a nord della colonia del Capo, lo Stato libero di Orange ed il territorio dei Beciua- na, ma vi si è fatta oggidì piuttosto rara ed in quest’ultima regione è quasi estinta. 5. Damaliscus lunatus (Burch.) Sclat. et Thom. Sassaby; Op. cit. I, p. 85, pl. X. — Bechuanaland: Corna di maschio. — L’area di questa specie è a nord del fiume Orange, fino allo Zambese ed all’ovest fino al lago Ngami. A sud ed a oriente quest'area va però di continuo restringendosi poichè la specie vi si va facendo sempre più rara, dove non è scomparsa aflatto. 6. Connochaetes taurinus (Burch.) Sclat. Blue Wildebeest. Op. cit. I, p. 95, pl. XI. — Beehwanaland : Corna femminili. — Di questo genere il Museo non avea se non un esemplare in pelle ed uno scheletro della specie capense, Conn. gnu. Subfam. Cephalophinae. 7. Cephalophus grimmia (L.) Gray. Duikerbuck; Com- mon Duiker. Selat. a. Thom. Op. cit. J, p. 203, pl. XXHI, p. 22, a p. 207. — Bechuanaland: Corna di maschio adulto con porzione della pelle; altro paio, più lunghe ed affatto identiche a quelle figurate da Gray (P. Z. S. Lond. 1871) e riportate da Sclater e Thomas colla fig. cit. — La specie è, fra le congeneri, quella che occupa l’area più estesa; varia perciò alquanto, onde fu distinta da Gray e da altri in un certo numero di specie meno buone, riunite in una sola dagli AA. del Book of Antelopes. DO Sd UT INTORNO AD UNA COLLEZIONE DI ANTILOPIDI. Subfam. Neotraginae. 8. Raphiceros! campestris (Thunb.) Scl. et Thom. Steinbok, Auct. et Op. cit. II, p. 41, pl. XXVII, p. 1. — Zransvaal: Corna maschili. Subfam. Cervicaprinae. 9. Cobus ellipsiprymnus (Ogilb.) Smith. Common Water- buck. Auct. et Op. cit. II, p. 97, pl. XXXII. — Mashonaland: Corna di adulto. 10, Cobus lechee Gray. Lechee. Auct. et Op. cit. II, p. 149, pl. XLII, e fig. 36. — Mashonaland: Corna di adulto. — La fem- mina in questa e nella precedente specie n’è priva. 11. Cervicapra arundinum (Bodd.) Flow. et Lyd. Reitbok (Oland.); Reedbuck. Sclat. a. Thom. Op. cit. II, p. 157, pl. XLII. — Bechuanaland: Corna di adulto. — La sp. abita l'Africa meri- dionale a nord fino al Mozambico, ad ovest fino all’Angola. Nel paio di corna donate l’ornamentazione e la divergenza sono come nel tipo; ma la forte curva in avanti ricorda piuttosto C. vedunea. Il che non deve sorprendere poichè questo carattere varia talvolta entro limiti ab- bastanza lontani; tanto più che C. redunca (Pall.), bohor (Riipp.) ed arundinum (Bodd.) benchè tenute distinte da Sclater e Thomas, sono per altro molto affini fra loro; sono piuttosto razze regionali che vere specie. Bohor è dell’Abissinia e dell’Africa orientale a nord del Kili- mangiaro; redunea, più piccola, è del Senegal e della Gambia; @ru%- dinum, di maggiori dimensioni, è la più meridionale delle tre. 1 Sclater e Thomas, seguendo altri autori, scrivono Raphicerus; ma essi stessi, nella loro opera ripetutamente citata, scrivono Z'etraceros, Aepyceros, Strep- siceros; nomi la cui desinenza greca fu conservata, come in Rhinoceros. 266 F. SORDELLI. 12. Cervicapra fulvorufula (Afzel.) Scl. et Thom. Roi Rhé- bok. Auct. et Op. cit. II, p. 175; pl. XLV, e fig. 41, 42. — Be- chuanaland: Corna di individuo quasi adulto. 13. Pelea capreolus (Bechst.) Gray. Vaal Rhébok. Auct. et Op. cit., II, p. 189, pl. XLVI, e fig. 44. — Vaal River, Transvaal: Corna di adulto. Subfam. Antilopinae. 14, Aepyceros melampus (Licht.) Sundew. Pallah! Sel. et Thom. Op. cit. II, p. 17, pl. XLIII, et fig. 47. — Bechuanaland: Corna di adulto. 15. Antidorcas euchore (Forst.) Sundew. Springbuck. Sel. et Thom. Op. cit. II, p. 55, pl. LI, et fig. 53 (corna di & e di£). — Bechuanaland: Nella coll. Masini la specie è rappresentata da due teste maschili in pelle, da un paio di corna pure di maschio adulto come le precedenti, da un paio appartenente a femmina adulta; tre altre sono di maschi giovani, da uno e da due anni. — Questa ele- santissima antilope, rappresentata ancora in Museo da una pelle mon- tata di adulto, offre notevoli variazioni nella direzione apicale delle corna, le quali, pur conservando la loro forma lirata caratteristica, vol- gono le punte ora in avanti, ora all’indentro, ora un po’ all’ indietro. Variano anche leggermente in robustezza, forse a norma dell’età, ma quelle della femmina si distinguono sempre per essere notevolmente più gracili e colle nodosità assai meno sviluppate. La specie è ancora comune in tutta l’Africa meridionaleg 16. Oryx capensis Harris et Sundew. (Antilope oryx Pall.; O. Gazella Gray), Gemsbock (Antilope camoscio) Brehm. Op, cit. 1 Masini indica il nome di Impallah, che meglio si dovrebbe scrivere Impala, ed è quello dato dagli Amandebele. (SeLous, Mield-notes on the Antelopes of Cen- tral South Africa, etc. P. Z. S. Lond., 1881, pag. 757.) INTORNO AD UNA COLLEZIONE DI ANTILOPIDI. 267 HI, p. 403. — Bechuanaland: Corna di femmina. Alquanto asimme- triche, il sinistro è lungo 92 cm., il destro appena 86, quantunque le punte non siano manchevoli. Sono diritte; soltanto a 12-14 cm. dall’apice piegano entrambe leggermente e destra, forse per qualche abitudine unilaterale presa dall’animale, per cui la corrosione cui è sempre sottoposta la parte più antica può avere interessato uno a pre- ferenza dell’altro corno. 17. Hippotragus leucophaeus (Pall.) Heugl. Roan Ante- lope (sec. Selous‘). Brehm, Vita d. Anim. II ediz. ital. III, p. 399, e fis. a p. 400. — Mashonaland: Corna di una femmina. 18. Hippotragus niger (Harris) Heugl. Sable Antelope (Selous). Brehm. Op. cit. II, p. 401, e fig. a p. 400. — Masho- naland: Un paio di corna maschili. — La massima lunghezza nei maschi fu misurata da Selous in 45 pollici (approssimativamente m. 1,25). Il nostro esemplare, veramente bello, ne dista poco, misu- rando 91 cm. lungo la curva anteriore. — Il sig. Masini indica la sp. siccome rara, ed infatti anche Selous che dimorò a lungo nelle regioni dell’Africa orientale soggette agli inglesi, e pubblicò fin dal 1881 molte notizie intorno alle Antilopi di quei paesi, * narra di averla cercata invano o trovata assai scarsa, eccetto nelle più elevate terre dei Mashona, dove a quei dì si rinveniva ancora frequente in piccoli stuoli di 10 a 20, di rado più numerosi, guidati da un vecchio maschio. Subfam. Strepsicerotinae. 19. Strepsiceros kudu H. Smith (Avdéclope strepsiceros Gmel.). Kudù. Brehm, Op. cit. III, p. 410, con tav. — Bechuanaland: i Anche Masini indica questa specie col nome di Roan. J. Epw. Gray (Cat. of Rumin. Mamm., 1872) dà invece Blaubock, non generalmente adottato. 2 SeLous, Field-notes on the Antelopes of Central South Africa, made du- ring eight years spent in many different districts of the country. (P. Z. S. Lond., 1881, pag. 748.) 268 F. SORDELLI. Corna di adulto. Caratteristiche del maschio, e nella collez. Masini day- vero magnifiche; ravvolte a larghe spire e perfettamente simmetriche raggiungono le maggiori dimensioni date per questa specie, poichè mi- surano in linea retta cm. 99,5. e lungo la curva 128. La massima lunghezza osservata, in linea retta, sarebbe secondo Brehm di 105 cm. — In molte parti dell’Africa meridionale-orientale è divenuta assai rara, e si deve solo alla grande area di sua diffusione se la specie non è quasi del tutto scomparsa. 20. Oreas canna Gray. (Antilope oreas Pall.) Eland, dei co- loni olandesi ed inglesi. Brehm, Op. cit. III, p. 419, fig. a p. 420. Corna di femmina. — Il Museo possedeva già tre scheletri completi ed una pelle montata di questo voluminoso Antilopide. Meno uno degli scheletri, gli altri esemplari sono dono di S. M. il Re Umberto. 21. Tragelaphus silvaticus (Sparrm.) Sundew. Boschbok (Oland.), Bushbuck (ingl.) Giebel, Sdug. p. 309. — Transvaal: Corna di adulto. 22. Tragelaphus Spekii Sclat. in P. Z. S. Lond. 1864, pa- gina 105, pl. 12 e fig. a p. 104. Situtunga, Nakong (Selous). — Lago Ngami: Corna di maschio. La femmina n° è priva, come nella specie precedente. Fam. BOVIDAE. 23. Bubalus caffer (L.) Gray. Bufalo cafro (Brehm); Buf- falo (ingl.) Jackson, in: Beg Game Shooting, I, p. 214-235. Brehm, Op. cit. III, p. III, p. 342, e fig. a pag. 349. — Mashonaland: Corna di maschio adulto.! Alla base hanno una periferia di circa 60 cm. e quasi si toccano sulla fronte, avvicinandosi a meno di 2 cm.; la di- vergenza massima è di cm. 79, con una distanza fra le punte di 32. 1 Di questa specie il Museo non possedeva se non un modello in gesso del teschio, dono del cav. Felice Scheibler. OSSERVAZIONI SULLE TRACHITI-ANDESITICHE DELLA TOLFA. Nota del Dott. Carlo Riva. (Con una tavola.) Fra i molti scritti d’indole geologica che riguardano la regione della Tolfa, pochi sono quelli nei quali si parla in modo speciale della natura delle sue rocce trachitiche. 1 Fu specialmente il Vom Rath, * che, colla sua abituale precisione e chiarezza, diede una descrizione assai dettagliata, per quell’epoca, delle trachiti della regione. Vent'anni dopo il Busatti, in una breve comunicazione alla Società Toscana di Scienze Naturali,* descrisse un esemplare di trachite raccolto dall’ ing. Lotti, nel quale l’autore riscontra caratteri non del tutto analoghi a quelli 1 È inutile, per brevità, ricordare i numerosi lavori che riguardano la regione, basterà citare soltanto quelli nei quali sono dati, con qualche dettaglio, i caratteri litologici delle rocce che ci interessano. Della Geologia della Tolfa si è occupato fra gli altri il De-Stefani nella sua memoria: J vulcani spenti dell'Appennino Settentrionale, dove a pag. 487 si trova una lista bibliografica che riguarda la regione. 2 Vom Ratu, OA: geognostiche fragmente aus Italien. IV Das Bergland von Tolfa. (Zeitschrift der Deutschen geol. Gesellschaft. Bd. XVIII, 1866, pag’ 585.) 3 BusattI, Sulla trachite della Tolfa. — Lotti, Brevi considerazioni sulle trachiti della Tolfa. (Soc. Tose. di se. naturali. 1886, pag. 96.) 270 C. RIVA. dati dal Vom Rath. Il De-Stefani! accenna pure ai caratteri litologici delle rocce della Tolfa. Recentemente poi ne parla il Washington 2 in una nota petrografica sulle regioni di Bracciano, Cerveteri e Tolfa. Alcune escursioni compiute da me, in unione al prof. Taramelli, nella regione della Tolfa, durante la primavera del 1896, mi permisero di studiare quella formazione trachitica, così interessante pei fenomeni di alterazione che sono avvenuti in essa, e i risultati dello studio petro- grafico, eseguito sugli esemplari raccolti, sono esposti in questa nota. La regione studiata è rilevata geologicamente dagli ingegneri Zesi, Perrone e Moderni e i fogli della Carta Geologica del Regno d’Italia alla scala 1:100.000 che la comprendono sono il 142 e il 143, Ci- vitavecchia e Bracciano. Però non è finora apparsa alcuna memoria illustrativa della carta. Il Vom Rath distingue, alla Tolfa, due varietà di trachiti, una a massa fondamentale poco porosa, compatta, grigio chiara, d’aspetto granitico, e che chiama trachite a sanidino ea oli- soclasio, diffusa nella parte N-E del distretto trachitico, e specialmente a Costa del Tiglio e a Capo Capocaccia. In questa varietà il Vom Rath non riscontrò filoni di alunite nè formazione di caolino. Nella parte sud della regione, invece, distingue una varietà vetrosa di trachite, che chiama trachite retinitica, a massa fondamentale bruna-nerastra, con lucentezza grassa, completamente amorfa, nella quale stanno sparsi grossi cristalli di sanidino, di biotite, di augite, con poca pirite e magne- tite. Questa varietà, che per alterazione ha dato luogo all’alunite e al caolino, il Vom Rath riscontrò fresca al Poggio della Capanna, e inol- tre, sparsa in blocchi isolati, in altri punti del distretto. È di questo tipo che il Vom Rath da la composizione chimica che riporterd in seguito, 1 De-STEFANI, J vulcani spenti dell’ Appennino Settentrionale. (Bull. Soc. geol. italiana. Vol. X, 1891.) | : 2 Wasuinaton, Italian Petrological Sketches III. (Journal of Geologie. Vol. V, 1897, pag. 34.) i OSSERVAZIONI SULLE TRACHITI ANDESITICHE DELLA TOLFA. vati | Il Busatti non accenna alla località dalla quale proviene l’esemplare da lui esaminato, che consta di una trachite a massa fondamentale di color grigio chiaro completamente vetrosa, ricca in microliti a dispo- sizione fluidale e con rari trichiti. Porfiricamente sono sparsi nella massa cristalli di sanidino, biotite, oligoclasio, e pirosseno, Questi ul- timi due componenti piuttosto scarsi, e non è detto se si tratta di pirosseno trimetrico o monoclino. Nella roccia vi sono segregazioni pre- valentemente micacee, e in esse il Busatti nota la tormalina, e almeno è a questa specie che riferisce « per il loro dicroismo e assorbimento alcuni cristalletti allungati di tinta celestognola ». Il De-Stefani ascrive le rocce della Tolfa alle tipiche nevaditi, e sog- giunge che rassomigliano alle nevaditi di Roccastrada, un po’ meno a quelle di Campiglia e meno assai alle trachiti di Monte Amiata, di Cerveteri e di Orciatico. Ma la scarsità del quarzo nelle rocce dei monti della Tolfa, la loro struttura e composizione chimica, la costanza e l'abbondanza dei plagioclasi basici (labrodorite-bitownite) e dei piros- seni trimetrici e monoclini, 4 sono fatti che non mi concedono di clas- sificare tra le nevaditi le rocce della Tolfa. Inoltre queste rocce somi- gliano notevolmente ad alcune andesiti-augitiche del Gruppo di Cerve- teri descritte dal Bucca. * i Il Washington raccolse l'esemplare da lui descritto alla Rocca di Tolfa; nota la somiglianza di questa roccia con quella del Monte Cucco nella regione di Cerveteri, e stabilisce che gl’ interclusi del feldispato più abbondante sono di labradorite Ab, An,. Nella base nota prismi di diopside e frammenti di ortose. Aserive questa roccia, della quale dà la composizione chimica, al gruppo da lui stabilito delle toscaniti, rocce queste che contengono, accanto all’ ortose, un feldispato basico, pur 1 Il De-Stefani, basandosi sulla descrizione del Busatti, ritiene oligoclasio il plagioclasio di queste rocce, inoltre (pag. 530) dice che il pirosseno è in esse scarso assal o mancante. 2 Bucca, Contribuzione allo studio petrografico dell’ Agro Sabatino e Cerite. (Bull. Comitato Geologico. 1886, Anno XVII, pag. 218.) 272 C. RIVA. avendo un contenuto in silice piuttosto alto, e che corrispondono alle monzoniti a media acidità del Brògger, e, fra le rocce effusive, alle andesiti-trachitiche a quarzo (vedi Brigger, Die triadische Eruptions folge bei Predazzo, pag. 60). 4! Sono lieto di constatare che i risultati da me ottenuti dallo studio delle rocce della Tolfa corrispondono a quelli esposti dal Washington, la cui nota conobbi quando le presenti osservazioni erano già compiute. Le sole divergenze dipendono, come vedremo in seguito, dal fatto che la località dalla quale proviene l’esemplare esaminato dal Washington, non è la più adatta per avere la roccia nel miglior stadio di conser- vazione e nell’aspetto suo tipico. Dall'esame dei numerosi campioni da me raccolti alla Tolfa, mi sono convinto che la varietà predominante è quella di ¢trachite-andesitica a massa vetrosa con interclusi di sanidino e di un plagioclasio basico, Tutti gli esemplari esaminati contengono i due feldispati, e sono a massa, quando fresca, vetrosa; in essi si notano poi, frequentemente, inclusi di altre rocce. Riscontrai la roccia fresca al Monte Piantangeli ad est del paese di Tolfa. Alle falde sud di questa collina sono aperte cave, e la roccia si trasporta attualmente ad Allumiere dove serve per 1 A conferma di quanto è qui detto riporto le analisi della trachite-andesitica ~ della Tolfa date dal Vom Rath (I) e dal Washington (Il): I Il Si 0, 67.61 65.19 Al, 0; 14.04 16.04 Fe, O. 1.16 Fo 0 ve 2.48 Me 0 0.65 0.99 Ca O Salt 2.92 Na, 0 5.50 2.26 K, 0 2.41 6.11 H, 0 2.28 1.85 101.60 99.00 P. sp. DOD 2.509 OSSERVAZIONI SULLE TRACHITI-ANDESITICHE DELLA TOLFA. LS, selciare le vie. Al Poggio della Capanna, come già notò il Vom Rath, la trachite è fresca, come pure fra Allumiere e Tolfa e nel paese di Tolfa ho riscontrato in posto grossi noduli di trachite non alterata. La roccia‘ del Monte Piantangeli che, causa i lavori delle cave, si presenta assai fresca, è nerastra a lucentezza grassa; nella massa ve- trosa nera sono sparsi assai numerosi gl’interclusi feldispatici, e cioè cristalli di sanidino che talvolta, benchè raramente, raggiungono un centimetro di lunghezza, e cristalli di plagioclasio, più nettamente idio- morfi e più piccoli di quelli del sanidino. Colla lente si discernono la- minette esagonali di biotite e cristallini nerastri di pirosseno. La trachite-andesitica che si incontra a poche centinaia di metri dal paese di Tolfa, lungo la strada per Rota, e che forma la base della Rocca di Tolfa, è alquanto più chiara della precedente, e ciò è dovuto alla maggior quantità degli interclusi feldispatici. Specialmente i cri- stalli di sanidino sono più numerosi e più grossi, non essendo infre- quenti quelli di 2-3 cm. di lunghezza. Al Poggio della Capanna, e fra i numerosi blocchi che si osservano ovunque ammonticchiati nei campi, specialmente andando dalla Tolfa verso il Bagnerello, si osservano tipi nerissimi, ricchi in base vetrosa, con interclusi feldispatici di piccole dimensioni, o tipi bruni o bruni-rossastri, più o meno ricchi di inter- clusi, che, quando si fanno notevolmente abbondanti, danno alla roccia un colore più chiaro. In queste trachiti-andesitiche sono frequenti inclusi di differente na- | tura. A Monte Piantangeli ho osservato inclusi di rocce nerastre, ricche in biotite, spinello, corindone e feldispati; altre volte sono inclusi pure di rocce trachitiche più chiare, con numerosi cristalli di feldispato e di pirosseno, in una massa già assai alterata; oppure sono inclusi olo- cristallini formati da liste feldispatiche con cristalli di pirosseno. La composizione mineralogica, in tutti gli esemplari studiati, è assai uniforme; varia soltanto la quantità relativa dei differenti minerali che formano gl’interclusi. Predominano i feldispati: sanidino, e un plagio- clasio basico, labradorite-hitownite; inoltre biotite e pirosseni; tra questi 274 Ci RIVA. è egualmente diffuso un pirosseno trimetrico, iperstene, e augite. Su- bordinate sono la magnetite titanifera, lo zircone e l’apatite. I cristalli di samidino sono numerosi, e fra gl’ interclusi sono quelli che presentano le dimensioni maggiori, oltrepassando sovente il centi metro. I contorni di questi cristalli sono arrotondati e corrosi ; la massa Vetrosa penetra in essi; e vi si riscontrano inoltre rotture e fessure in ogni senso, probabilmente avvenute durante il raffreddamento della roccia. La sfaldatura è netta secondo (001) e (010). Da lamine di sfal- datura secondo (010) ad estinzione parallela allo spigolo (010) : (001), esce una bisettrice di poco inclinata, e si osserva dispersione inclinata. Il piano degli assi ottici è parallelo al piano di simmetria, e l’angolo degli assi ottici è assai variabile; in alcune sezioni è piuttosto grande, in altre scende ad essere quasi eguale a zero, talchè in alcune lamine sì osserva una quasi completa uniassicità. Le inclusioni vetrose con bolla da gaz sono in alcuni cristalli assai frequenti, in altri più scarse. Generalmente a contorni irregolari e irregolarmente distribuite, assu- mono altre volte contorni rettangolari, e sono disposte parallelamente ai lati del cristallo. Il plagioclasio, la biotite e il pirosseno sono frequentemente inclusi nel sanidino che è il componente più giovane della roccia. Plagioclasio. — È frequentissimo nelle trachiti-andesitiche della Tolfa. I cristalli, di dimensioni minori di quelle del sanidino, presen- tano un grado più alto di idiomorfismo; sono allungati secondo l’asse verticale, e sovente tabulari secondo {010}. Costante è la geminazione polisintetica secondo la legge dell’albite, quasi sempre associata alla geminazione secondo Carlsbad, più raramente a quella, secondo la legge del periclino. La struttura zonale è talvolta marcatissima, generalmente con crescente basicita verso il centro; altre volte la parte più basica è una zona intermedia. Trascrivo alcuni valori dell'estinzione in ge- minati doppi: DO 1 gr OSSERVAZIONI SULLE TRACHITI-ANDESITICHE DELLA TOLFA. a C d TA 5 6 1/, 26 27 11 WAS 3 3 = 6 28 28 5 8 28 29 10 12 32 34 3 13 32 32 ily Tono DR 9215 cdi 31 32 10 12 3 34 Periferia. . 14 14 91 — Zona media 164/, — 37 — Centro. 3 — 39 — Periferia. . 10 16 _ — Zona media £5 24 _ 40) Centro. . . \ — 28 == 49 Periferia. . \ TA. 12 31 3 dee Zona =". 16 -—— ) A pai 2.2 Zona. . reni Centro. / 29 49 — Per lo studio delle diverse zone si prestano assai bene le sezioni secondo {010}, misurando l’estinzione riferita alle traccie della sfalda- tura basale. Trascrivo alcuni valori: Periferia (RO SO E (O Zona media ilo — Centro ee e I Re In una buona sezione secondo {010} si ottiene: Periferia 18°, 1.2 zona 21°, 2.2 zona 39°, centro 21° si ha nel centro ripetizione della 1.8 zona. In questa sezione, a luce convergente, dalle zone a più piccola estinzione esce una bisettrice assai inclinata, oppure 276 C. RIVA. è visibile una balca assiale, ma l’asse non esce nel campo; dalla zona a più forte estinzione esce un asse ottico, che resta al bordo del campo. Dai dati esposti risulta che la periferia dei cristalli di plagioclasio si può riferire talvolta ad un termine basico dell’ andesina, o ad una labradorite acida, mentre il centro dei cristalli raggiunge sovente la bitownite e talvolta arriva all’anortite. Le zone più larghe, come pure i cristalli a struttura zonale poco pronunciata, vanno riferiti alla da- bradorite, specialmente ad un termine basico di questa. Le stesse inclusioni vetrose notate nel sanidino, si trovano anche nel plagioclasio, sovente allineate in serie parallele ai lati del cristallo. La deotite non è molto abbondante : si presenta in sezioni esagonali, nettamente terminate, o prismatiche, a forte pleocroismo dal giallo legno al bruno-nerastro. L’angolo degli assi piccolo. Contiene inclusi apatite e zircone. I due pzrossenz, il trimetrico e il monoclino, sono in alcuni esem- plari in proporzioni press’ a poco eguali, in altri l’uno dei due prevale. L’augite sì presenta in prismi allungati secondo l’asse verticale, lunghi mm. 0,6 — 4,3, più o meno nettamente terminati, e con netta sfaldatura prismatica. Le forme predominanti sono { 100} {010{{ 110} {001 }. I pinacoidi {100} e {010} sono egualmente sviluppati. Si notano faccette di pri- sma {hk1}. Il colore è leggermente verde, ma non si osserva pleo- croismo. Non sono rari i geminati, anche polisintetici, secondo {100}. L’estinzione misurata su una faccia di {010} è e: = 45° — 48°, Il pirosseno trimetrico, zperstene, forma cristalli allungati secondo l’asse verticale, a sfaldatura netta prismatica, e a estinzione parallela all’allungamento. Generalmente i cristalli sono tabulari secondo {010 }, ed è questa faccia che il più delle volte si presenta in sezione, rico- noscibile per l’angolo terminale di 119°. La birifrazione è piuttosto debole e il pleocroismo pure: e verde pallido; & giallo pallido; st giallo pallido. Nelle sezioni OSSERVAZIONI SULLE TRACHITI-ANDESITICHE DELLA TOLFA. ZII molto sottili non si distingue una differenza tra st e &. Il piano degli assi ottici è parallelo al piano di simmetria, e l'allungamento è dire- zione di minima elasticità. Nella trachite-andesitica raccolta a Rocca di Tolfa, il pirosseno monoclino è assai scarso e in gran parte già trasformato in. calcite e ossido di ferro, e non si osserva iperstene. L’apatite si presenta in prismi incolori, lunghi e stretti, sovente inclusa in altri minerali, o anche isolata nella base. Non ha inclusioni pleocroiche. Poco frequenti sono i cristalli di <27core, ma la loro pre- x senza è costante. La magnetite è sovente circondata da un bordo simile a leucoxeno. La massa fondamentale è vetrosa; nelle sezioni sottili il vetro è in- coloro, talvolta un po’ gialliccio o bruno attorno agli interclusi. I mi- croliti, più o meno numerosi a seconda degli esemplari, sono piuttosto scarsi nella trachite-andesitica di Monte Piantangeli e in quella del Poggio della Capanna, e vanno riferiti a un pirosseno monoclino. La loro lunghezza varia da mm. 0,005 — 0,01 a 0,03, raramente è mag- giore; la larghezza è di mm. 0,003 — 0,008. Talvolta si aggruppano a formare cumoletti o rosette; hanno una leggera tinta verde; I’ estin- zione è e:8 — 47°, In un esemplare raccolto tra la Tolfa e il Ba- cnerello, i microliti diventano molto più numerosi e mostrano nettissima disposizione fluidale. I microliti di feldispato, generalmente scarsi, sì fanno più numerosi negli esemplari raccolti alla base della Rocca di Tolfa, lungo la strada per Rota; in prevalenza geminati, sono così mi- nuti che una esatta determinazione di essi non è possibile. Anche i microliti pirossenici sono in questa varietà più piccoli di quelli che si trovano nella trachite di Monte Piantangeli, e si nota un principio di devitrificazione della base. Ricca in microliti feldispatici non striati, e quasi priva di microliti pirossenici, è la trachite-andesitica raccolta alla sommità della Rocca di Tolfa. È in questa roccia, che piccole cavità, nella massa fondamentale, sono tapezzate da tavolette esagonali di ¢77- dimite (ang. 120°), monorifrangente e a debolissima rifrazione. Oltre ai microliti pirossenici e feldispatici si osservano, nella base, delle 278 C. RIVA, forme filamentose, dritte o curve (trichiti) riuniti a ciuffetti o intrec- ciate fra loro, senza azione sulla luce polarizzata. Nella base fresca, si osservano sovente minutissime fessure perlitiche che delimitano in essa piccoli spazi poligonali, raramente tondeggianti. Queste fessure, che hanno una larghezza massima di mm. 0.005 circa, sono riempite da «una sostanza leggermente verde, L’alterazione delle trachiti-andesitiche della Tolfa, principia colla devitrificazione della base. Questa si carica di minuti microliti feldi- spatici, e la devitrificazione non avviene uniformemente, ma si manife- sta localizzata in quelle masserelle della base delimitate dalle fessure perlitiche. In alcuni campioni raccolti al Monte Piantangeli e alla Rocca di Tolfa, questa devitrificazione comincia appena, e occorre l’impiego della laminetta di gesso per renderla palese. Man mano che l’alterazione prosegue, la massa fondamentale si tra- sforma completamente in alunite, frammista a granuletti di quarzo, conservandosi però ancora freschissimi gl’interclusi porfirici. La fig. 5 mostra appunto questo stadio di alterazione, in cui la massa fonda- mentale è completamente trasformata in plaghette rotondeggianti di alunite, facilmente riconoscibile al suo carattere ottico uniassico posi- tivo, mentre il sanidino, la labradorite, la biotite e i pirosseni sono inal- terati. Anche gli inclusi e le segregazioni di feldispati basici sono fre- schissimi in questi esemplari. Il colore di queste rocce è grigio-cenere chiaro, e sono assai ricche in interclusi feldispatici. Man mano che l’alterazione prosegue, la biotite e i pirosseni si alterano con abbon- dante produzione di ossidi di ferro, e anche gl’ interclusi feldispatici si trasformano in alunite. Questi tipi completamente trasformati, si mo- strano ad occhio nudo, costituiti da una massa grigio-cenere, sparsa di numerosi interclusi biancastri opachi, a netti contorni feldispatici; il microscopio svela che questi sono totalmente trasformati in alunite. La fig. 3 mostra l’aspetto di questo stadio d’alterazione. L’alunite che oc- cupa il, posto degli interelusi, non è in plaghe irregolari come nella massa, ma in piccoli individui aliungati, o a contorni esagonali e trian- OSSERVAZIONI SULLE TRACHITI-ANDESITICHE DELLA TOLFA. 279 golari, uniassici positivi. Granuletti di quarzo sono sparsi tra | alu- nite, ma occupano di preferenza le cavità lasciate dai pirosseni. L’aci- dità di queste varietà alterate è ancora piuttosto alta: un esemplare totalmente trasformato in alunite, con quarzo e ossido di ‘ferro diede all’analisi 60,3 °/) di Si0,. In alcuni esemplari si ha poi una note- volissima quantità di prodotti ferriferi, ematite e pirite. Il caolino accompagna spesso l’alunite, ed è talvolta l’unico prodotto d’alterazione della trachite. Fenomeni analoghi, dovuti all’alterazione della trachite, sono difiu- samente descritti dal Cross, e si riferiscono alla trasformazione in alu- nite e in diasporo delle trachiti delle Colline di Rosita nel Colorado. ' Inclusi. -— Tra gl inclusi che si riscontrano nella trachite della Tolfa, si possono distinguere i frammenti di rocce estranee alla trachite (enclaves enallogènes del Lacroix) e inclusi, sovente di rocce granulari, la cui natura è in stretta relazione colla trachite, e provengono dallo stesso magma (enclaves homogènes, Lacroix). Ai primi vanno riferiti fram- menti grigio-nerastri d’aspetto alquanto scistoso, inclusi nella trachite di Monte Piantangeli. Alla seconda categoria appartengono grossi no- duli della stessa trachite di colore grigio, alquanto alterati ; come pure un gran numero di concentrazioni basiche, che generalmente, sono vi- sibili soltanto al microscopio, e sono piuttosto da considerarsi come segregazioni che non come vere inclusioni. GV inclusi nerastri, nella trachite-andesitica di Monte Piantangeli, sono costituiti da un miscuglio compatto, olocristallino, minutamente granulare, di feldispati, quarzo, corindone, pleonasto e biotite (fig. 1). Tra i feldispati sì distinguono alcuni a geminazione polisintetica, in cristalli raramente a contorni idiomorfi, a rifrazione nettamente supe- riore a quella del balsamo e del quarzo CIELI NE LGN ANS 1 Cross W., On the alunite and diaspore from the Rosita Hills, Colorado. (American Journal of sc. Vol. XLI, 1891, pag. 466.) Vol. XXXVII. 19 280 C. RIVA, Da sezioni secondo {010} esce al bordo del campo un asse ottico, e la direzione d’estinzione fa un angolo piuttosto forte colle traccie della sfaldatura basale. Altri individui di feldispato non presentano geminazione, o sono geminati semplici, secondo la legge di Carlsbad ; la rifrazione è nettamente minore di quella del balsamo. È probabile si tratti di labradorite e di ortose, I granuli di quarzo non sono fre- quenti e si distinguono pel loro carattere ottico. Il pleonasto abbonda in granuli di color verde-oliva oscuro. Si notano specialmente zone pa- rallele tra loro, nelle quali. i granuli di spinello si concentrano e si addossano. Oltre al pleonasto si osserva un minerale a fortissima ri- frazione e a debole birifrazione, verde-giallognolo pallido. Le sezioni di questo minerale sono di poco allungate colla sfaldatura parallela all’al- lungamento; si osservano sezioni esagonali modificate da faccette di romboedro; è uniassico negativo, caratteri che lo fanno riferire al co- rindone, La biotite, giallo-bruna rossastra a forte pleocroismo, si pre- senta in minute squamette e in prismetti, anch’essa, come lo spinello, notevolmente abbondante in determinate zone parallele fra loro. Lo zir- cone, il rutilo e la magnetite sono assai frequenti. Il contatto tra questi inclusi e la trachite 6 netto. I feldispati dell’ incluso, al limite tra questo e la trachite si fanno nettamente idiomorfi, e s’osservano anche piccoli cristalli di augite verde, simile all’augite che si trova in inter- clusi nella trachite-andesitica, mentre questo minerale manca comple- tamente nell’ incluso. Inoltre presso al contatto vi sono noduli composti da squamette giallognole dall'aspetto dei prodotti d’alterazione della cordierite (?); in queste zone sono specialmente numerosi i cristalli di magnetite. Riassumendo quello che riguarda la disposizione dei componenti di questi inclusi si osserva: al contatto colla roccia includente vi è una zona larga mm. 0,9—1 formata prevalentemente da cristalli, per lo più idiomorfi, di feldispati acidi e basici, questi ultimi predominanti; al contatto immediato tra le due rocce sono frequenti cristalli di augite che non si osservano nell’ incluso. In questa zona la biotite è scarsa, OSSERVAZIONI SULLE TRACHITI-ANDESITICHE DELLA TOLFA, 281 e mancano gli spinelli e il corindone. Segue una zona, o meglio un allineamento di noduli, costituiti dal citato prodotto di alterazione, e ricchi in magnetite. Si susseguono poi, alternate, zone ricche in spi- nello, in corindone e in magnetite e zone feldispatiche. I feldispati poi s’osservano ovunque interposti fra i granuli di spinello e di corindone. Le inclusioni che si possono riferire a facies abissali dello stesso magma sono frequenti, ma generalmente di dimensioni assai piccole, e si palesano soltanto all’esame microscopico. Sono frammenti olocristal- lini formati da un impasto di plagioclasi basici, della stessa natura di quelli che formano gl’interclusi della trachite, con biotite e pirosseni trimetrici e monoclini ; i primi sembrano prevalere, talvolta fino all’e- sclusione dei monoclini. In alcuni inclusi, ricchi in magnetite, attorno a questa, si osserva una stretta corona formata in parte da biotite, in parte da un minerale incoloro, a estinzione parallela all’allungamento, e che, se non totalmente, forse in parte si può riferire alla musco- vite (fig. 4). Il feldispato, in questi inclusi, è sovente assai ricco di inclusioni vetrose e talvolta, specie presso alla biotite ricco in inclu- sioni a contorni irregolari, tondeggianti, alcune monorifrangenti di spi- nello, altre a fortissima rifrazione, e notevolmente birifrangenti, posi- tive, probabilmente piccoli zirconi. Attorno a questi inclusi la hase della trachite andesitica è alquanto più oscura, come già notai attorno ai grossi interclusi di sanidino, e qualche volta è ricca in microliti di feldispato. Frequentissime sono le concentrazioni di cristalli di labradorite ac- compagnata o no da pirosseni e, più raramente da biotite. Non si tratta di vere inclusioni, ma di segregazioni basiche (fig. 2), tra queste se- cregazioni e gl’inclusi propriamente detti vi sono facies intermedie e non sempre riesce agevole classificarli con esatto criterio. I feldispati, che costituiscono queste segregazioni, sono o grossi cristalli delle di- mensioni degli interclusi o piccoli cristalli, nettamente idiomorfi, inti- mamente avvicinati gli uni agli altri. Lo studio dei doppi geminati permette di riferirli alla labradorite basica. I pirosseni, trimetrico e DO 82 C. RIVA. monoclino hanno gli stessi caratteri di quelli che si trovano fra gl’ in- terclusi della trachite; soltanto oltre che trovarsi in cristalli si pre- sentano talvolta in piccoli granuli arrotondati, inclusi, come gocciolette, nel feldispato, La magnetite manca raramente in questé segregazioni. Al Monte Piantangeli, nella trachite andesitica nerastra, vi sono in- clusi noduli di parecchi centimetri di diametro di una trachite ande- sitica grigiastra alquanto bollosa che si differenzia dalla trachite in- cludente per l’alterazione alquanto avanzata Jegli elementi colorati, e per la parziale devitrificazione della base, gl’interclusi di feldispato sono ancora freschi e non numerosi come nella roccia includente, special mente scarseggiano quelli di plagioclasi che qui pure vanno riferiti alla labradorite basica. Il pirosseno è raro, la biotite è coronata da ossidi di ferro, La massa fondamentale è giallognola; la parte vetrosa pre- senta 1 soliti microliti pirossenici, ma minutissimi, che si aggregano sovente a rosetta. Nella parte devitrificata si nota la formazione di fel- dispati e di granuletti di quarzo. È in questi inclusi che si rivelano piccole porzioni della massa intieramente cristalline, formate da un in- treccio di prismetti feldispatici a geminazione polisintetica. Gabinetto di Mineralogia della R. Università di Pavia. Dicembre 1897. ATTI DELLA SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI E DEL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE OSSERVAZIONI SULLE TRACHITI-ANDESITICHE DELLA TOLFA. 283 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. Fig. 1. — Incluso a spinello nella trachite-andesitica di Monte Piantangeli. Luce naturale, ingr. 40 diametri. Fig. 2. — Concentrazioni basiche (labradorite basica e pirosseni) nella trachite-an- desitica di Monte Piantangeli. Nicols. +. Ingr. 30 diametri. tai (2) ig. 3. — Stadio avanzato d’alterazione in alunite. È conservata la struttura por- firica. Presso Allumiere. Nicols. +. Ingr. 30 diametri. Fig. 4. — Incluso nella trachite-andesitica del Poggio della Capanna. Nicols. +. Ingr. 40 diametri. Fig. 5. — Trachite-andesitica a massa fondamentale trasformata in alunite (inter- elusi freschi). Tra la Tolfa e il Bagnerello. Nicols. +. Ingr. 30 diametri. Seduta del 6 marzo 1898. ORDINE DEL GIORNO: 1° Verbale della seduta precedente. — Comumicazioni della Pre- sidenza. — Presentazione di un nuovo socio. 2.° Appunti geologici e petrografici sull’Alta Val Trompia. — Co- municazione dei soci prof. E. Artini ed E. Mariani. 3.° Intorno ad una Collezione di corna di Antilopidi, donata al Museo civico dal sig. G. Masini. — Comunicazione del so- cio prof. F. Sordelli. 4° Osservazioni sulle trachiti andesitiche della Tolfa. — Comu- nicazione del socio dott. C. Riva. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente e si ac- cetta a voti unanimi la proposta di nominare socio il signor Adriano Garbini (di Verona). Quindi il Vice Presidente invita i prof. E. Artini ed E. Mariani a fare la loro comunicazione dal titolo: Appunti geologici e petrografici sull’Alta Val Trompia. Prende la parola il prof. Mariani, il quale coglie occasione dalla sua comunicazione per ricordare l’opera scientifica del geologo lombardo Regazzoni testé morto, mettendone in evidenza 1 meriti molteplici. Segue la comunicazione del socio prof. Ferdinando Sordelli Sopra una Collezione di corna di Antilopidi, donata dal sig. Giovanni Ma- sini, il quale, per alcune vicende della sua vita nell'Africa (Transwaal), ebbe opportunità di osservare un buon numero di capi di tale grossa cacciagione. SEDUTA DEL 6 marzo 1898. 285 Di tale materiale raccolto una parte conservò per sè ed il rima- nente dond ora al Museo, rendendosi cosi veramente utile, alle colle- zioni di questo, col contribuire all’incremento di questa parte della Fauna nel Museo Civico. Le particolarita di questa raccolta sono rife- rite a parte dal professore medesimo il quale sopratutto insiste sulla importanza di questo materiale nella considerazione del rapido dimi- nuire di parecchie specie, dovuto a diverse cause che esso enumera. Conclude dicendosi particolarmente lieto dei doni, come questo, che permettono al Museo di accrescersi per concorso di volonterosi ed in- telligenti cittadini. Segue la comunicazione del socio dott. Carlo Riva Sudle trachiti andesitiche della Tolfa, dello studio delle quali il socio espone la storia e le particolarità più notevoli e dice le ragioni che giustificano la loro denominazione. Dopo ciò il Vice Presidente prega il socio prof. Malfatti a comuni- care la sua proposta relativa alla partecipazione all’ Esposizione, di To- rino ed il Professore prende subito Ia parola per chiarire la sua pro- posta, svolgendo su di essa varie considerazioni. Conclude proponendo: che se quelli fra i soci che visiteranno |’ Esposizione di Torino, tro- veranno in essa alcuna mostra particolarmente interessante lo studio delle scienze naturali, ne facciano argomento di opportune comunica- zioni nell’anno venturo, e su tale proposta, messa ai voti, nessuno dei soci trova da obbiettare; viene quindi accettata dall’ assemblea, dopo di che il Vice Presidente dichiara chiusa la seduta. Letto ed approvato. Il Presidente GIOVANNI CELORIA. Il Segretario. GIACINTO MARTORELLI. DELLE ALTERAZIONI DEL SANGUE DI ALCUNI VERTEBRATI — SOTTOPOSTO A DIVERSE TEMPERATURE. Esperienze del Dott. Giacomo Catterina. Abbiamo intrapreso una serie d’esperienze per vedere quali siano le alterazioni principali che si ottengono allora quando si sottopone il sangue di alcuni vertebrati all’azione di diverse temperature. Il sangue come diremo più avanti, veniva posto nella soluzione 0,75 °/) di cloruro di sodio, fatta con acqua distillata e sterilizzata, conservata in tubetti pure sterili. Egli è naturale che sarebbe stato meglio conservare il sangue d’ogni specie d’animale, per ragioni che sono ovvie, nel suo rispettivo siero, ciò che sarebbe stato facile quando fosse stato a nostra disposizione una certa quantità di sangue. Ma aven- done poco per certi animali, abbiamo creduto opportuno fare gli espe- rimenti conservandolo nella soluz. fisiol., che forse riteniamo sia la più adatta per il nostro scopo. I primi studi intrapresi in rapporto all'argomento che forma I’ og- getto di queste nostre ricerche si devono a Schultze ! e Ranvier.? Questi autori osservarono a 54° Schultze, e a 56°-57° Ranvier, che le pile dei corp. si scompongono, i globuli diventano sferici e trasudano i Nouveau dictionnaire de Medecine et de Chirurgie pratiques. (T. XXXII, pag. 261. Paris, 1882.) 2 Nouveau dictionnaire de Médecine et de: Chirurgie pratiques. (T. XXXII, pag. 261. Paris, 1882.) DELLE ALTERAZIONI DEL SANGUE DI ALCUNI VERTEBRATI, ECC. 287 delle piccole goccioline unite fra di loro ed al corpuscolo per mezzo di filamenti. A 70° globuli e goccioline perdono il loro colore, trasfor- mandosi in piccole sfere trasparenti di volume diverso. Certi globuli sformati appaiono attraversati da un foro centrale (globuli perforati di Dujardin). Non sarebbero secondo Ranvier che dei globuli assottigliati, ed esa- minandoli di profilo facendoli scorrere nella preparazione, si vede che non si tratta che di una vana apparenza. Operando in tal modo si os- serva che i globuli con fori multipli non sono che dei globuli defor- mati, 1 cui margini essendosi raggrinzati su sè stessi qua e là si sono saldati insieme (Ranvier). Il metodo di preparazione di questi autori è fatto in modo che il vetrino viene all’intorno chiuso con parafina e poi osservato sul tavo- lino riscaldato di Schultze. Per lo studio rapido si può usare il pro- cesso di Ranvier, che consiste nell’ applicare al centro del preparato, alla faccia inferiore del vetro, un bastoncino di stagno riscaldato a fu- sione incipiente. Altri studi di Loevy,! Gravitz,? e di Breitenstein,° riguardano egual- mente l’influenze termiche sul sangue in toto, i quali autori esperi- mentarono in animali sottoposti a varie temperature, e concludono che il sangue degli animali i quali vengono riscaldati o per pochi minuti o per tempo maggiore, diviene più acquoso, e che il numero relativo dei corpuscoli aumenta. La ragione di questo fatto va interpretata se- condo Loevy ad una distribuzione diversa degli elementi del sangue nei vari territori vasali. L'ampliamento del sistema capillare che si provoca col calore permette ad una gran parte di corpuscoli di passare in essi. 1 Loevy A., Veber Verdnderungen des Blutes durch thermische Einphisse. (Berl. Klin. Wochenschrift N. 41-96.) 2 Gravitz E., Bemerkungen zu dem Artikel des Herrn Loevy, Ueber Verdn- derungen des Blutes durch thermische Einfliisse. (Berl. Klin. Woch. N. 46-96.) 3 BREITENSTEIN A., Beitrdge zur kenntniss des Wirkung kihler Bader auf der Kreislauf gesunder und fieberkranker. (Arch. f. exp. Path. Bd. 37, S. 254.) 288 G. CATTERINA. Quantunque Loevy riguardi tali alterazioni da un punto di vista diverso dal nostro tuttavia il fatto constatato da Loevy, cioè che il sangue per l’azione del calore diviene più ricco di acqua per conse- guenza più povero di corp. rossi, serve a spiegare meglio alcuni nostri risultati che saranno riferiti in ultimo del nostro lavoro, quale conse- guenza dell’azione del colore sui corp. rossi conservati nella sol. fisiol. rispetto al tempo col quale cedono l’emoglobina. Con metodo diverso da quelli degli autori sopra nominati, abbiamo intrapreso in proposito una serie d’esperienze, impiegando nelle nostre ricerche per ciascun’ ordine di vertebrati il sangue di due specie di animali (fatta eccezione però per i Rettili), e precisamente per i ver- tebrati vivipari, il sangue di cane e di coniglio, per gli uccelli quello di pollo e di piccione, per i rettili (Cheloni) quello di tartaruga, per gli anfibi quello di rana e tritone, per i pesci quello di anguilla e di tinca. Prima però d’intraprendere queste ricerche, abbiamo fatto un as- saggio per vedere se il sangue di tutti questi vertebrati subisca tosto delle alterazioni nella soluzione fisiologica. A tal uopo in provette ste- rilizzate, veniva posto 10 c.c. di soluz. fisiol. fatta con acqua distil- lata e sterilizzata, ed in essa si lasciavano cadere quattro-sei goccie di sangue mentre sortiva dai rispettivi vasi di detti animali. Preparato così una serie di provette contenenti il sangue venivano shattute ben bene e poscia collocate nel porta-tubetti alla temp. ambiente (14° C). Dopo pochi minuti si osservava che il sangue si depositava al fondo dei tubetti. Ciò però non succedeva in tutte nell’eguale spazio di tempo. Il primo a depositarsi era quello della tartaruga poi quasi contempo- raneamente quello degli altri animali, quello della tinca e specialmente quello di anguilla rimaneva sospeso nella sol. fisiol. per circa 3-4 ore. Nei giorni successivi si procedeva all’esame microscopico del sangue. A tal uopo con pipette sterilizzate, ne veniva levata una certa quan- tità dai singoli tubetti e si collocava nei vetrini d'orologio, ed in essi veniva immerso l’obbiettivo G del microscopio, per poter in tal modo osservare un grande numero di corpuscoli. DELLE ALTERAZIONI DEL SANGUE DI ALCUNI VERTEBRATI, ECC. 289 Nei primi quattro giorni si osservava che i corp. conservavano la loro forma normale, la loro emoglobina si trovava disposta omogeneamente nei corp. Solo il quinto giorno specie i corp. dei pesci erano diventati un po’ pallidi. I corp. di mammiferi, uccelli, rettili e anfibi a questa epoca erano ben conservati, e solo nei giorni successivi principiavano a diventare pallidi. Non tutti però i corp. appartenenti al medesimo animale, si scoloravano, ve ne erano di quelli che si conservavano nor- mali anche dopo 8-10 giorni di soggiorno nella sol. fisiol. Quelli dei mammiferi però in ispecie erano quelli che conservavano le loro carat- teristiche per un tempo anche maggiore. La perdita dell'emoglobina, per i corp. nucleati del sangue dei ver- tebrati da noi presi in esame, si poteva constatare anche per mezzo della colorazione col bleu di metilene. Non appena che si avevano esaminati i corp. nella loro soluz. fisiol. un ago di platino veniva intriso in una sol. acquosa di bleu di meti- lene, e veniva stemperata omogeneamente nella soluz. salina contenente il sangue. Si osservava in allora che i corp. nucleati quando contene- vano tutta la loro emoglobina il nucleo di essi non veniva tosto co- lorato dal bleu di metilene. Man mano invece che perdevano la loro emoglobina, i nuclei si coloravano con una certa celerità. La resistenza quindi che oppongono i corp. rossi nucleati di assu- mere la sost. colorante conservati nella sol. fisiol. ci può dare idea della loro vitalità. Fino a tanto che essi conservavano la loro emoglo- bina i nuclei non si coloravano rapidamente, man mano che la per- devano sempre più celermente i loro nuclei si coloravano. Questo fatto ci serviva quindi a dimostrare nelle nostre esperienze quando l’emoglobina principiava ad abbandonare i corp. e metterlo così in relazione col grado di pallidezza che presentavano 1 corp. nu- cleati quando veniva fatto l’esame microscopico. Quanto più pallido si presentava il corp. tanto più presto il nucleo si colorava. Avendo constatato come il sangue dei vertebrati da noi preso in esame conservava per un tempo più o meno lungo le sue caratteri- 290 G. CATTERINA. stiche nella sol. fisiol. abbiamo intrapreso delle esperienze per vedere quali alterazioni avvengono sottoponendo il sangue all’azione di diverse temperature conservandolo nella soluz. fisiol. sterilizzata di cloruro di sodio. Ora entriamo nei dettagli degli esperimenti. Il sangue da noi preso per primo in esame fu quello dei mammiferi e precisamente quello di cane e di coniglio. Praticata un’incisione al vaso marginale dell’orecchio di questi ani- mali, dopo aver asportato il pelo e levato con la sol. fisiol. la ferita, si lasciava cadere il sangue in un tubetto che conteneva 40 c. c. di soluzione di Na CI al 0,75 °/,, fintantochè la sol. dopo sbattuta aveva assunto un colorito rosso giallastro. Veniva poi distribuita in una serie di provette nella proporzione di 2 c. c. le quali contenevano 10 c. c. di sol. sodica, e poscia si sbattevano ben bene fintantochè era disposto omogeneamente nel liquido. Per impedire che durante il riscaldamento l’acqua della sol. evaporasse, si collocavano alcune goccie di olio d’olivo in tutte le provette, e poi poste immediatamente in un porta tubetti il quale veniva immerso nell’acqua a bagno maria. La stufa che si adoperò era il piccolo modello Arsonval, la quale veniva riempita d’acqua fino circa ai due terzi. Si faceva salire la temperatura dell’acqua nella stufa fino a 40° C., e poi venivano im- mersi i tubetti per i due terzi della loro lunghezza nell’acqua. Un ter- mometro era posto nell’acqua della stufa, ed altri due pescavano nel- l’ interno di due tubetti (immersi alla loro volta nell’acqua della stufa) contenente la sol. fisiol. per poter in tal modo avere il grado di tem- peratura preciso che si desiderava. Disposte così le cose venivano lasciati i tubetti per 5 minuti alle temp. che in appresso diremo, e poi levati e conservati alla temp. am- biente (14° C.). Si principiava col lasciare i tubetti per 5 minuti alla temp. di 40° C. poi ne veniva levato uno, poi si portavano alla temp. DELLE ALTERAZIONI DEL SANGUE DI ALCUNI VERTEBRATI, ECC. 294 di 45° Ci poi ne veniva levato un altro, poi a 46°-47° ecc. e così fino ai 60° C. Dopo venivano portati ai 65° per 5 minuti, poi ai 70°-75° e così fino ai 100° C, é Terminata questa operazione veniva esaminata prima macroscopica- mente la serie dei tubetti così trattati, e poi con pipette veniva levato della sol. contenente il sangue e si collocava in vetrini d'orologio per l’esame microscopico. Esperienze col sangue dei mammiferi. — Il primo che abbiamo preso in esame fu il sangue di un cane dell’età di un anno circa, e dopo quattro ore che era stato sottoposto alle diverse temperature si osser- vava che nei tubetti tenuti alla temp. dei 40° C. fino ai 50°, il sangue era depositato al fondo, ed il liquido superiore era perfettamente tra- sparente come nei tubetti di controllo conservati a temp. ambiente. ‘ll tubetto sottoposto ai 51° presentava negli strati inferiori un colorito rossastro, ed a 52° il liquido era colorato omogeneamente in rosa pal- lido, persistendo questo colore anche nei tubetti fino alla temp. dei 99°. Dopo questa temperatura il liquido nei tubetti principiava ad assumere un colorito biancastro sporco, e questo colore era più manifesto nei tu- betti tenuti ai 60°, fino ai 65°, e dopo questa temperatura si osser- vava nel liquido dei coaguli che galleggiavano ed altri si depositavano al fondo. Questi sono i caratteri principali macroscopici che abbiamo potuto constatare. Ora vediamo le alterazioni microscopiche principali che hanno subito i corp. del sangue. Da ogni tubetto veniva levato del liquido previa sbattitura e si collocava nei vetrini d’orologio per l’ esame microsco— pico, e si osserva che fino alla temp. dei 50° i corp. si presentavano normali per la forma, ma erano diventati un po’ pallidi. Ai 51° ma meglio a 52° erano scolorati perfettamente, l’emoglobina quindi aveva abbandonato i corp. Ai 55° si vedevano con certa difficoltà le orme dei corp. che erano irregolari e queste orme erano appariscenti fino ai 60°, dopo la qual temperatura si scorgevano tante piccole granulazioni amas- sate, che sembravano tanti stafilococchi. 292 G. CATTERINA. Mentre si. osservavano queste alterazioni nei corp. rossi, 1 leucociti invece sì conservavano normali fino alla temp. dei 70°, e si coloravano sempre più prontamente man mano che sentivano |’ influenza di elevate temperature, al 85° circa, essi scomparivano. Col sangue di coniglio sottoposto ad esperimento, abbiamo riscontrato tanto macro che microscopicamente le alterazioni come nel caso prece- dente. Dobbiamo dire inoltre che nelle provette tenute ai 40°-50° si osser- vavano lo sviluppo di minutissime bollicine mentre a temp. più elevate ciò non avveniva. Queste bollicine rappresentano forse i gas del san- gue che vengono resi liberi per il calore. Inoltre a temp. superiore a quella dei 65° nei tubetti lasciati a ri- poso si depositava abbondante coagulo di colorito brunastro ed il liquido rimaneva chiaro. Esperienze col sangue di uccelli. — Come abbiamo detto si im- piegò il sangue di pollo e di piccione, che veniva levato praticando con un ago una puntura ad un vaso sotto le ali, e si lasciava poi cadere il sangue nel solito tubetto contenente la soluz. fisiol. Il primo ad essere impiegato fu il sangue di pollo e dopo di averlo distribuito come nel caso precedente nei tubetti, e sottoposto alle diverse tempe- rature, dopo 4 ore si esamina la serie e si osserva che le sol. nei tu- betti sottoposti alla temperatura dei 40° fino ai 55° si presentano eguali a quelle conservate alla temp. ambiente. Ai 57° il liquido è colorato debolmente ed omogeneamente in rosso chiaro e questo colore si conserva anche nei tubetti sottoposti alla tem- peratura dei 65°. Dopo questa temperatura il liquido nei tubetti as- sume un colorito bianco brunastro, con deposito pure brunastro al fondo dei tubetti. All’esame microscopico risulta che i corp. si conservano normali fino alla temp. dei 54°, mentre ai 55° i corp. assumono la forma sferica, ma conservano però la loro emoglobina, il nucleo non è distinto. Trat- tati col bleu di metilene i nuclei non si colorano. DELLE ALTERAZIONI DEL SANGUE DI ALCUNI VERTEBRATI, ECC. 293 i A 56° 1 corp. sono un po’ pallidi, 1 loro nuclei sono visibili, e trat- tati col bleu di metile dopo poco tempo si colorano. Alla temp. di 57° l’emoglobulina ha abbandonato i corpuscoli i nuclei si colorano con prontezza e conservano la loro posizione centrale nei corp. Fra la parte esterna del nucleo e la parte periferica del corpu- scolo si scorge un fine reticolo. Alla temp. dei 60° però questo reti- colo è più manifesto. A 65° i corp. assumono delle forme irregolari, il nucleo è ancora normale e si colora con prontezza. La parte esterna del corp. sì trova disposta in modo ondulato ed irregolare attorno al nucleo, ed i suoi contorni sono marcatissimi. È visibile ancora un fine reticolo che unisce la parte esterna del corp. colla parte periferica del nucleo. A 70° i nuclei sono come agglutinati fra loro, lo stroma è irrego- larissimo, il nucleo sembra normale e si colora con prontezza. Si os- serva inoltre una grande quantità di detriti sotto forma di granulazioni unite fra loro. Ai 75° fino ai 100° si osservano i nuclei ancora agglutinati fra loro, e sono suscettibili di colorazione; inoltre si vede che lo stroma dei corp. sì è staccato in parte dal nucleo. Riguardo ai leucociti dobbiamo dire che si conservano fino alla temp. dei 75°, e assumono la colorazione col bleu di metilene. Dopo questa temp. si presentano alterati nella loro forma, i loro nuclei sono però suscettibili di colorazione anche dopo aver sentito |’ influenza dei 80°, poichè tanto i mono che i polinucleati appaiono colorati intensamente. Anche i leucociti però alla temp. dei 56° principiano a colorarsi pron- tamente, ma se ne vedevano però a questa temp. di quelli che non si coloravano, e solo sotto l’influenza di temperature più elevate i nuclei di tutti i leucociti venivano colorati con prontezza. Anche nel sangue di piccione che era stato sottoposto alle tempera: ture diverse si riscontrarono alle stesse temperature, le medesime altera- zioni di quelle del sangue di pollo. Dobbiamo dire però, che il sangue di pollo e di piccione che abbiamo impiegato nelle nostre esperienze apparteneva da individui giovani. Bue G. CATTERINA. Esperienze col sangue di rettili (Cheloni). — Di questa classe di animali abbiamo scelto il sangue della Emys Europaea che si potè avere con facilità, e dopo averlo distribuito nei vari tubetti come nei casi pre- cedenti, ed averli sottoposti alle diverse temperature si procedette al- l’esame macroscopico della serie e si potè osservare quanto segue. ‘Che il sangue nei tubetti sottoposti alle temp. dei 40° fino ai 58° si presenta eguale al normale, ai 59° il liquido principia ad essere colo- rato debolmente ed omogeneamente in rosso giallastro, e questo colore è più manifesto ai 60°, il liquido nei tubetti conserva il medesimo aspetto fino alla temp. dei 65°, assumendo a 70° un colorito biancastro sporco, che si conserva nei tubetti tenuti a temp. più ‘elevate. L'esame microscopico del sangue sottoposto alle temperature dei 40° fino ai 57° si presenta normale. Ai 56° però i nuclei si colorano dopo 10-12 minuti debolmente, il che forse indicherà che una Mo quantità di emoglobina. avrà abbandonato i corp. A 59° i corp. si presentano normali riguardo alla loro forma, la emoglobina però ha abbandonato il corp., il nucleo è visibilissimo, ha un contorno marcato e l’interno si presenta pallido. Col bleu di metilene i nuclei sì colorano (rapidamente, e sì scorge nel loro interno un fine reticolo, Queste alterazioni si osservano fino a 65°, e dopo questa tempera- tura 1 corp. assumono la forma circolare, e la parte esterna del corp, è ben marcata, e così pure i contorni del nucleo. Dalla periferia esterna del nucleo partono dei filamenti a forma rag- giata che vanno ad unirsi alla periferia del corpuscolo. Inutile dire che il nucleo si colora con prontezza. A temperature più elevate queste alterazioni non mutano, ed anzi a 100°, si riscontrano le stesse alterazioni: come in quelli riscontrate a temperature inferiori. Solamente si osserva che ai 100° i filamenti di- sposti a mo’ di raggio sono intrecciati da: altri in modo che si ha un fine reticolo a maglie romboidali che unisce la periferia esterna del nucleo colla perif. del corpuscolo. DELLE ALTERAZIONI DEL SANGUE DI ALCUNI VERTEBRATI, ECC. 295 A 100° il nucleo è pure suscettibile di colorazione. Riguardo ai leucociti si dovrebbero ripetere le stesse cose come nei precedenti esperimenti. Esperienze col sangue di Anfibi. — Fra questi abbiamo scelto le rane ed i tritoni. Il sangue delle rane veniva levato dal cuore, e quello dei tritoni invece dopo avere tagliato la coda ad alcuni si lasciava ca- dere il sangue nel tubetto colla sol. fisiol. Disposte le cose come nei precedenti esperimenti si sottopongono i tubetti alle solite temperature, E si osserva macroscopicamente che il liquido si mantiene normale fine alla temperatura dei 50°. Dopo questa temperatura le soluzioni sì presentano colorate in rosso giallastro omogeneamente fino alla tempe- ratura dei 57°. Ai 58° la sol. assume un colorito biancastro, ed ai 60° questo colore biancastro è più manifesto, e così pure alle temperature superiori. Questo si osserva tanto nelle sol. contenenti sangue di rana come in quelle contenenti sangue di tritone. All'esame microscopico si scorge che tanto il sangue di rana come quello di tritone, si conservano normali sino alla temp. dei 48°, così pure nel sangue trattato col bleu di metilene i nuclei dei corp. rossi non si colorano, ed inoltre i nuclei fino a questa temp. sono poco ap- pariscenti. Ai 49° molti corp. hanno perduto in parte la loro emoglobina, i nuclei, sono appariscenti e si colorano dopo pochi minuti col bleu di metilene. A 50° hanno assunto una forma sferica : l’ emoglobina ha abbando- nato 1 corp. e nell’interno di essi si osserva un fine reticolo. Col bleu di metilene i nuclei si colorano rapidamente. Queste alterazioni rimangono immutate fino alla temp. dei 55°. A x 96-97°, lo stroma di alcuni corp. è accartocciato attorno al nucleo, in alcuni sì stacca a brandelli dal nucleo stesso. Il nucleo è gonfio e nel- l'interno si scorge un fine reticolo, col bleu di metilene si colora pron- tamente. 296 G. CATTERINA. Queste alterazioni si riscontrarono fino alla temp. dei 75°. A 80° il nucleo si conserva gonfio e si osserva pure un fine reticolo ; la colorazione riesce prontamente, ma il nucleo si colora più intensa- mente nella sua parte centrale. A 100° il nucleo è pure suscettibile di colorazione e molti di questi si presentano agglutinati fra di loro. I leucociti resistono pure a temp. elevate. Esperienze col sangue det Pesci. — Venne impiegato il sangue di anguilla e di tinea, che veniva levato dal cuore e si procedette come al solito. Tanto col sangue di anguilla come con quello di tinca abbiamo os- servato le stesse alterazioni che qui riassumiamo. Ai 40° il liquido nei tubetti sì presenta normale, ai 45°, principia ad essere debolmente colorato in rosso giallognolo, ai 50° il colore è più manifesto e questa colorazione si conserva fino ai 95°, ai 60° le sola» zioni hanno assunto un colorito biancastro, e questo colore perdura nei tubetti tenuti alle temp. superiori. ‘. All’esame microscopico si riscontra : che il sangue è normale fino alla temp. dei 40° mentre ai 45° i corp. sono leggermente pallidi e pre- sentano la forma sferica. I nuclei si colorano dopo pochi minuti. Ai 489 Y emoglobina ha abbandonato i corp. : il nucleo è visibile, divenuto gonfio, e nell’interno di esso si scorge un fine reticolo. Il nucleo si colora con prontezza. Dai 50° ai.55° lo stroma è alterato, nell’ interno sì scorge un re- ticolo incoloro che si unisce alla periferia del nucleo, i contorni del quale sono marcati, il nucleo è pure gonfio. A 60°.1 corp. hanno assunto la maggior parte la forma di losanga: tanto nel nucleo come nel prot. cellulare si scorge un fine reticolo. | Fino a 70° persistono queste forme a losanga, dopo questa temperatura lo stroma è accartocciato in modo irregolare attorno al nucleo, il quale si presenta pure alterato. A temp. superiori i nuclei principiano a scomparire, poichè se ne scorgono assai pochi e questi essendo pure molto alterati, sono suscet- tibili di colorazione. DELLE ALTERAZIONI DEL SANGUE DI ALCUNI VERTEBRATI, ECC. 297 A 100° si riscontrano in numero assai limitato. I leucociti si comportano come nei casi precedenti. Riassumendo da queste nostre esperienze possiamo dedurre: 1. Che i corpuscoli dei vertebrati ovipari da noi presi in esame e conservati nella soluz. fisiol. di cloruro di sodio e sottoposti a diverse temperature, man mano che perdono l’emoglobina, i loro nuclei si co- lorano col bleu di metilene in sol. acquosa con maggior rapidità. 2. La scomparsa dell’emoglobina dai corp. dei vertebrati degli animali in esperimento (conservati nelle nostre condizioni) non si ef- fettua alla medesima temperatura, e precisamente riscontriamo : a) Per i mammiferi (cane, coniglio) 1° emoglobina abbandona CULL CORPORE AA Oke! alan temp. del 0290) 6) per gli uccelli (pollo, piccione) . . > ” DIO c) » 1 rettili (Cheloni-Emys Europae) > 7 99° oli anibi(rana:tiritone)f ae Pana > 50° e) » 1 pesci (anguilla, tinca). . . » ” 48° 3. I nuclei dei corp. degli ovipari sono suscettibili di colorazione ancorchè siano stati sottoposti alla temp. dei 100° per 5 minuti, e quindi ne possiamo dedurre la grande resistenza del nucleo, specie per i nuclei dei corp. del pollo, piccione, tartaruga, rana e tritone. 4. I leucociti di questi vertebrati si mantengono in buone condi- zioni fino alla temp. degli 80° C. Padova, marzo 1898. ii pri: faa A Oni odi fiatoton rosi creta L'ON tha ik Wat RR OUTER gas mel last Zoey sh) ert praia iv) Joon! Liri ae SION RATTO SOCI VITRO READ age sa Rn ra Li ul: gids: a me ATOR WaT MAR ana i x TIVE obatita pay Roia ani ROR “sumo 0 DEL NUOVO STATUTO- REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (1895) DATA DI FONDAZIONE, 15 GENNAIO 1856. aa “Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi DE Bnei! sono in numero illimitato (italiani e pen) effettivi, corri- _ spondenti, perpetui el benemeriti. “n Socj effettivi pagano it. L. 20 all’anno, in una sola volta, nel primo — trimestre dell’ anno. Sono invitati. particolarmente alle sedute (almeno 4 | quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. Versando Lire 200 una volta. tanto vengono dichiarati Soci effettivi perpetui. CARIATI A Socj corrispondenti. possono eleggersi eminenti scienziati che pos- | sano contribuire al lustro della Società. Si dichiarano Soci benemeriti coloro che mediante una elargi- zioni avranno contribuito alla costituzione del capitale sociale. “a; proposta per l’ammissione d'un nuovo socio, di qualsiasi catego- a, deve essere fatta e firmata da due socj effettivi mediante lettera di- retta al Consiglio Direttivo (secondo l’Art. 20 del nuovo Statuto). DL. Lo rinuncie dei Soci debbono essere notificate per iscritto al Con- siglio. Direttivo almeno tre mesi SIE della fine del 3.° anno di obbligo 0 Di altri successivi. | La cura delle n spetta alla. Direzione. Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del > Reais degli Atti e delle Memorie stesse. a Tutti i i nog) possono approfittare dei i della biblioteca sociale pur- Di ricevuta e colle cautele d’uso na dal regolamento. £ AVVISO Per la tiratura degli Estratti (oltre le 25 copie che sono date gratis sr Sia Società) gli Autori dovranno, da qui innanzi, rivolgersi direttamente a alla Tipografia sia per Vordinazione che per il pagamento, che non-potra a | essere superiore a L. 2.75 per ogni 25 copie di un foglio di stampa in-8° o si «a Li 2 (quando la memoria non oltrepassi le 8 pagine di stampa. sbi a ies Cg Seduta del 19 dicembre 1897 . Seduta del 30 gennaio 1898 A BerLEse e Leonarpi, Ze Cocciniglie e da Chee mofies italica. 5 AVERI See Emitio ROSETTI, Condizioni iets dell ugo ell im- portanza dell'emigrazione italiana in quer luoghi Artini e MARIANI, Appunti geologici e ii sul- Lalla val Trompia FERDINANDO SORDELLI, Jiforno ad una TE di COP- è na di Antilopidi donata al Museo Civico, dal si- QNOP:GIODONII MOSSE CarLo Riva, Osservazioni sulle trachiti- dnilisiio della Tolfa. (Con una’ tavola) i. era Seduta del 6 marzo 1898 Bem mthat Giacomo CATTERINA, Delle alterazioni del sangue di al- cuni vertebrati sottoposto a diverse temperature . Pag. 245 9 OLE mi AX » 222! » 244 » 260 n 269 » 284 » 286. ‘DISOT 02109 0448 UOIA LoynuoIg Td10) 9 100g Ie TpOoIOSKy IOSUIS Lop OIAUL 'T "BIZOUO A 0540) “Ray ey CMO} IP OOIAT) OOSNAY OAONY Jap 0ZZ6]e] “pyato0g Ulop B1d9} 04086 eye ISdes [OAT ATYOW AN 18) 0 [LLY 1100) paoduroo 3] dq wy Q p E) SPOSA, IT ZIÉEÉe,] eV —_ — (o È (E) Spe recate e o 1%) K DI 2 TXT ¢ \ } | ’ | > | ala ie) | SEGSE e È Pesa de n Z | end = | = Se 3 | ws law EH = > Gt a 5 © Sea i i el aa 6 Sa ee = = eget See eee Oh pee è i -- " i S bel Î < tema e SI sc SEI a bd e" Fa i A og 2 | n ani, [cal Va Lao f + — Page 9 in I pet Da = SER DEI E Ss i NL = = = ° = i = 6 x È e << RAEE a E Z E 5 tem Ae È im ea ae CIRO SER SI oe - D alt: 5 i te Pa ee GR ni 9 | E O : ph ? AR i if “© Drrezione PEL 1897. Presidente, Comm. prof. Giovanni CeLoRIA, Palazzo di Brera, 26. Prof. Giacinto MarforELLI, Museo Civico. Vice-Presidente, Cav. prof. FpLICE FRANCESCHINI, Via Monforte, 14. | i Segretarj i ( Prof. FERDINANDO SorDELLI, Museo Civico. re . ( Prof. Ernesto Corrint, Via Borgogna, 8. j ice-pegretar) at SEA : ! Dott. Giunio De Anussanpri, Museo Civico. a Oe Conservatore, Prof. Pompro CastrEnFRanco, Via Principe Umberto, Vice-Conservatore, Dott. PaoLo MAaGRETTI, Via Dante, 7. Cassiere, Cav. Giuseppe GARGANTINI-Pratt1, Via Passerella, 10. \ CONSIGLIERI D’ AMMINISTRAZIONE: Conte GisERTO Borromeo juniore, Piazza Borromeo, Vs ; March. Lurer CriveLLI, Corso Venezia, 32. Sig. Vittorio ViuLa, Via Sala, 6. Ing. Francesco SanmosraGHI, Via Monte di Pietà, 9. ~ Cav. prof. Trro Vienoni, Corso Venezia, 89. natia Seduta del 27 marzo 1898. ORDINE DEL GIORNO: 1.° Verbale della seduta precedente. Comunicazioni della Presi denza e presentazione di un nuovo socio. 2° La Chimica agraria in Italia ed all’estero e le sue applica- siont. — Comunicazione del socio prof. A. Menozzi. 3.0 Un escursione per la Pampa Argentina. — Comunicazione del socto ing. prof. E. Rosetti. Letto ed approvato il verbale della seduta precedente, il Vice Pre- sidente Giovanni Celoria propone all'Assemblea la nomina a socio del signor Sac. Dott. Michelangiolo Ambrosioni che viene accettata ad unanimità e quindi invita il socio prof. A. Me- nozzi a fare la sua comunicazione sulla Chimica agraria in Italia ed all’estero e le sue applicazioni. Il Professore comincia facendo la storia di questo nuovo ramo della Chimica, sorto come conseguenza dei grandissimi progressi delle altre parti della scienza stessa e ne dimo- stra la pratica utilità, nonchè la sua rapida diffusione anche in Italia. Egli poi tratta specialmente dell’argomento dei concimi chimici che è di particolare importanza per le nostre regioni, ove cominciano ad es- sere apprezzati anche dai semplici agricoltori. Parla infine del neces- sario legame tra gli studi di Chimica agraria e quelli batteriologici. Vol, XXXVII, 20 300 SEDUTA DEL 27 MARZO 1898. Ha quindi la parola il prof. E. Rosetti, il quale fa la sua comuni- cazione sulla Pampa Argentina e ne dà una completa descrizione, trat- tandola sotto i varii aspetti della Flora e della Fauna e della Clima- tologia. Dopo ciò viene levata la seduta. Letto ed approvato. il V. Presidente GIOVANNI CELORIA. Il Segretario GIACINTO MARTORELLI, LS Seduta del 22 maggio 1898. ORDINE DEL GIORNO: 1.° Verbale della seduta precedente. 2.° Nomina dei Segretari, dei Vicesegretari, del Conservatore e del Viceconservatore (Art. 10 del Regolamento.) 3.° Esperienze colle onde hertziane e coi telegrafi senza fili, fatte dal socio prof. O. Murani. 4. Delle alterazioni del sangue di alcuni vertebrati sottoposti a diverse temperature. — Comunicazione del socio dottor G. Catterina. 5.° Di un globo meteorologico per il tracciamento delle trajetto- rie delle meteore luminose. — Comunicazione del socio sac. prof. P. Maffi. Si legge e si approva il verbale della. seduta antecedente e quindi il Vice Presidente comm. Giovanni Celoria, a termini dell’art. 10 del Regolamento della Società, invita 1 soci presenti a nominare i nuovi Segretari e Sottosegretari, il Conservatore e Vice Conservatore. Si procede alla votazione per schede ed i risultati si proclamano to- sto: sono riusciti rieletti tutti gli attuali Segretari, Vicesegretari, Conservatore e Viceconservatore: come risulta da apposito verbale re- datto e firmato dai signori soci prof. Matteo Calegari e dottor Carlo Riva, incaricati dall'Assemblea dello spoglio dei voti. Dopo la proclamazione delle elezioni fatte, il socio prof. Murani, in- vitato dalla Presidenza, espone ai soci presenti alcune generalità in- 302 SEDUTA DEL 22 MAGGIO 1898. torno all’argomento delle onde Hertziane e del Telegrafo senza fili, onde rendere più chiare le esperienze ch’ egli si è proposto di fare e che subito dopo eseguisce con felicissimo esito. Finite le esperienze il Vice Presidente dà notizia di una Memoria presentata dal socio dott. G. Catterina e che sarà pubblicata negli Atti e riferisce infine intorno alla comunicazione del socio sac. prof. P. Maffi, Intorno ad un globo meteorologico per il tracciamento delle tra- jeltorie delle meteore luminose: dopo ciò viene levata la seduta. Il V. Presidente GIOVANNI CELORIA. Il Segretario GIACINTO MARTORELLI. Seduta del 26 giugno 1898. ORDINE DEL GIORNO: 1.° Verbale della seduta precedente. 2.° Cenno intorno all’indole ed al valore rispettivo fisiopsichico delle specie nelle serie zoologiche e lungo le vicende geolo- giche del pianeta. — Comunicazione del socio prof. Tito Vignoli. 3.° IL Congresso geologico internazionale a Pietroburgo. — Escur- sioni nel Caucaso e nell’ Armenia. — Comumicazione del socio dott. C. Riva. 4° Nota sulla rigenerazione della conchiglia di alewnt Gasteropodi polmonati. — Comunicazione del socio dott. G. Paravicini. 5.° Due tumori rari nei polmoni dei Solipedi. — Comunicazione del socio prof. A. Fiorentini. 6.° Gli Echinidi del pliocene lombardo. — Comunicazione del socio dott. C. Atraght. 7.° Affezioni riscontrate nei pesci persici del lago di Varese. — Comunicazione del socio prof. G. P. Piana. Si legge e si approva il verbale della seduta. precedente. Si accetta a voti unanimi il signor Emilio Ninni a socio della Società. Il Presidente accenna agli omaggi numerosi ricevuti e fra essi alla pubblicazione del socio dott. P. Magretti intitolata: Zmenotteri della seconda spedizione di don Eugenio dei Principi Ruspoli nei Paesi Galla e Somali. 304 SEDUTA DEL 26 Giugno 1898. Il socio prof. Vignoli ha la parola per isvolgere il suo Cenno tn- torno all’indole ed al valore rispettivo fisiopsichico delle specie nelle serie zoologiche e lungo le vicende geologiche del pianeta. Egli, vi- sto il gran numero delle comunicazioni all’ ordine del giorno, dovendo oggi stesso prender parte ai lavori del Collegio dei Conservatori del Museo, nè potendo d’altra parte strozzare in troppo angusti confini il proprio lavoro, rimanda la propria comunicazione ad altra seduta. Il socio dott. Riva, invitato dal Presidente, prende la parola e tratta a lungo del Congresso geologico internazionale a Pietroburgo, delle relative Escursioni nel Caucaso e nell’ Armenia. Il socio dott. Paravicini dà un breve concetto del suo lavoro Sulla rigenerazione della conchiglia di alcuni Gasteropodi polmonati e prega che siagli concesso di rimandare la propria comunicazione alla prossima seduta. Il prof. A. Fiorentini espone le proprie Osservazioni e considera zioni su due tumori rari nei polmoni dei Solipedi. Il socio dott. Airaghi presenta una Nota Sugli Echini del pliocene lombardo. Essendo egli assente il prof. Mariani dà del lavoro un breve cenno. Il socio prof. G. B. Piana parla delle Sue récerche sulle affezioni riscontrate nei pesci persici del lago di Varese. Terminate le comunicazioni il Presidente dichiara sciolta l'adunanza alle ore 3 1/3. Il V. Presidente GIOVANNI CELORIA. Il Segretario GIACINTO MARTORELLI. UN’ ESCURSIONE NELLA PAMPA ARGENTINA. Memoria del socio Ing. Prof. Emilio Rosetti. Non ha molto ebbi l’onore d’intrattenervi sulle Condizioni attuali dell’ Argentina e UImportanza dell’ Emigrazione italiana in quei luoghi, non sarà quindi fuor di proposito il dirvi ora qualche cosa della Pampa, la parte più interessante di quel paese e la più utilizzata dai nostri coloni. Col nome di Pampa e non con quello plurale di Pampas, usato ge- neralmente in Europa, s'intende quell’immensa pianura, che si estende dal Rio Colorado al Gran Ciaco e dai piedi delle Ande all’Atlantico: uno spazio compreso all'ingrosso fra dodici meridiani e dodici paralleli, e cioè tra il 28° ed il 40° di latitudine Sud. Il cosidetto Zerrztorio della Pampa, una delle attuali circoscrizioni politiche dell'Argentina, non rappresenta che una piccola parte al Sud-Ovest della Pampa pro- priamente detta. Da codesta pianura leggermente ondulata per le azioni esterne del- l’aria e dell’acqua, emergono soltanto in qualche punto alcune montagne. Al Sud-Est le cosidette Sierre o Catene della Ventana e del Tandil e Azul: al Nord-Ovest le Sierre di S. Luis e Cordoha. Le prime poco elevate sono vere isole od arcipelaghi in mezzo al mare pampeano: di forme arrotondate speciali, senza vallate e senza fiumi. Il professore Ra- morino le voleva in relazione col sistema montuoso del Capo di Buona Speranza, ma sembrami più probabile che appartengano a quel sistema. 306 E. ROSETTI. costiero, che affiora a Montevideo per poi emergere sempre più, andando verso il Nord sulle coste atlantiche del Brasile. Le seconde sono somi- clianti al nostro Apennino centrale e separate, se non del tutto indi- pendenti, a quanto sembra, dal sistema Andino: Queste ultime danno origine ad una serie di fiumi abbastanza importanti, che attraversano la Pampa in varie direzioni: Il primo, chiamato per ciò R720 primero, passa per Cordoba, e si perde nella Mar chiquita o Mare piccolo, eran laguna salata presso al confine della Pampa col Gran Ciaco, che anch’esso ha carattere pampéano. Il secondo, andando verso il Sud, è chiamato Rzo segundo, il quale tende anche lui verso la Mar chiquita, ma si disperde nelle sabbie un po’ prima di raggiungerla. Segue il Rio tercero, che solo col nome di Corcaranal arriva al Rio Paranà presso al Rosario di Santa Fé e con esso al mare. Indi viene il Azo cuarto, che si perde in una laguna pantanosa, dalla quale poi prende origine, uno dei tanti fiumiciattoli, che portano il nome di Saladzllo, e si scarica nell’anteriore Ro fercero un po’ all Est di /razle Muerto. Infine, continuando sempre verso il Sud, abbiamo il 70 quinto, che scompare al centro della Pampa nella Laguna amarga, la quale dà origine al Rio Salado (anche questo uno dei tanti di egual nome nel- l'America meridionale), che è il fiume più importante della Pampa di Buenos-Aires, e raggiunge il mare nel centro della baia di San Borom- bon, estremità Sud-Est dell’ Estuario, chiamato Rzo della Plata. Quest’ estuario d’ acqua dolce che si va accorciando e colmando a vista d’occhio, riceve i due grandi fiumi Parana ed Uruguay, i quali paralleli traversano la Pampa in direzione Nord-Sud, scorrendo fra sponde alte di carattere alluvionale su di un letto a pochissima pendenza, fra- stagliato di moltissime isole e banchi, prettamente alluvionali, se ne togli isola granitica di Martin Garcia alle foci attuali dell’ Uruguay e Pa- ranà, un piccolo sadéo (una specie di cateratta) nell’ Uruguay fra Con- cordia e Salto Oriental (due paesi uno Argentino e l’altro Urugua- yano un po’ al Nord di Martin Garcia), ed alcuni scogli nel corso medio del Paranà, che possono essere pericolosi per la navigazione delle grandi —— =" i UN’ ESCURSIONE NELLA PAMPA ARGENTINA. 307 navi solo in acque molto basse, essendochè tanto il Parana, come l’Uru- guay hanno le loro piene periodiche-annuali, non così regolari però come quelle del Nilo. Anche i fiumi della Pampa propriamente detta, tributari o no del Paranà ed Uruguay o dell’ Atlantico, scorrono con pendenze deboli e senza salti fra sponde alte, evidentemente alluvionali, ed è precisamente su queste sponde erose dalla corrente nelle piene, che, come dissi l’altra volta, compaiono quasi a fior di terra quegli enormi fossili antidiluviani, megaterium, mylodon, gliptodon, taxodon, ece., ecc., che gli ultimi studi vorrebbero contemporanei dei primi abitanti della contrada. Le acque di questi fiumi (meno quelle del Paranà ed Uruguay) come quelle dei pozzi della Pampa sono quasi sempre leggermente salate ed alcune volte anzi (specialmente ad acque basse) così salate da ren- dersi impotabili: Di qui i tanti nomi di Se/ados e Saladillos (salati e lessermente salati) dati a vari di codesti fiumi, uno solo dei quali a mia conoscenza porta il nome di Azo Dulce (fiume dolce). Varie sono le distese basse della Pampa che portano il nome di Sa/r4s, per le efflorescenze saline, che vi compaiono, specialmente in tempo asciutto: e da ciò appunto deriva quel susto salino delle erbe della Pampa, che le rende così appetitose ed utili al bestiame, che pascola nella Pampa. I primi studi fisico-naturali della Pampa Argentina si può dire co- mincino coll’Azara (fine del secolo passato), col D’Orbigny 1836, colla campagna decennale del 1826-36 fatta dalle navi Adventure e Bea- gle, comandate dal Fit-Roy e King, che erano accompagnati dal Dar- wing g, il quale di qui principiò, si può dire, la sua splendida carriera. Ma le esplorazioni di codesti luminari della scienza dovettero limitarsi alle coste, poichè l'interno era abbastanza pericoloso in causa degli Indiani bellicosi, che vi scorazzavano. A misura che questi Indiani do- vettero ritirarsi per l’estendersi della colonizzazione, le spedizioni scien- tifico-militari succedutesi nella Pampa, furono numerose, ma bene spesso incomplete o con viste speciali od estranee del tutto alla scienza. L’ul- IS tima spedizione scientifica a quanto io so è quella fatta l’anno scorso 308 E. ROSETTI. dall’ Hatcher nella Patagonia, a spese dell’ università di Prince-town (S. U.). Da essa risulterebbe che le Ande patagoniche accennano ad un’ epoca relativamente recente, forse la secondaria, e che esistevano come arcipelago d’isole prima della comparsa della Pampa. Una cosa analoga altri avevano accennato per le Ande più al Nord, e special- mente per le Sierre della costa atlantica, che prima ho indicate. La ‘Pampa quindi deve essere posteriore a queste, e non essendovi indizii di ghiacciai, 1 almeno fuori del sistema andino, deve essere un pro- dotto esclusivo di alluvioni e di depositi lacustri o marini, anzi starei per dire semplicemente lacustri, poichè finora unico indizio di fondo marino appare in un piccolo strato di conchiglie, molto superficiale, che si osserva solo in alcuni punti della costa dell'Atlantico e del Rio della Plata. Come si sa, nelle Ande l’attività vulcanica non è ancor spenta, e pur troppo sono molto recenti i disastri del terremoto a Mendoza, Arequipa e tanti altri luoghi andini: Nella Pampa invece, specie nella costiera, il terremoto è quasi sconosciuto. Avendo accennato le Ande non sarà fuor di luogo una parentesi, re- lativa ad una questione politico-scientifica sorta in questi ultimi tempi. Un trattato di confine conchiuso fra 1° Argentina ed il Cile nel 1885 si fondava principalmente sullo storico principio del Divortium acqua rum andino e si allontanava solamente da questo principio in vici- nanza dello Stretto di Magellano, il quale veniva assegnato totalmente al Cile, solamente perchè i Cileni da tempo vi aveano stabilito la co- lonia penale di Punta Arenas, la quale si trova evidentemente al- l’oriente delle Ande. Quando si firmò detto trattato, nessuno dei due contraenti conosceva 1 Nella Pampa centrale non si trova un ciottolo a pagarlo a peso d’oro. Rac- conta il Mantegazza che nelle sue escursioni pampeane avendone trovato uno lo raccolse con gioia, esclamando: qui è passato l’uomo civilizzato. Le famose dolas degli Indiani sono formate d'argilla compressa e chiusa entro cuoia cucite, invece che di ciottoli, come a prima vista si crederebbe. UN’ ESCURSIONE NELLA PAMPA ARGENTINA. 309 perfettamente le Ande, e ciascuno credeva che la linea del Divorzium acquarum, seguisse pressapoco la linea delle Creste maggiori andine, (accennata pure assieme a quelle del Divortimm acquarum in detto trattato), come succede nel resto del sistema posto più al Nord, e ciò è tanto vero che gli Argentini prima e dopo quel trattato avevano oc- cupato parte di quel territorio, che ora con miglior conoscenza dei luo- shit vien loro dal Cile disputato: ed ecco il perchè: Il Rio Palena, che sbocca nel Pacifico alla latitudine australe di 44°, ed alcuni altri più al Sud, invece di prendere origine nel versante occi- dentale Andino (per quella speciale conformazione del sistema orografico delle Szerre, di cui sopra ho parlato), traversano le Ande da parte a parte (a somiglianza dello stretto di Magellano) inoltrandosi per lungo tratto nella Patagonia pampeana, cosicchè questa che prima da ambedue i contraenti si credeva Argentina, dovrebbe ora passare per l’interpre- tazione letterale del Divort/um acquarum al Cile. La commissione Ar- gentina mandata in proposito per verificare e stabilire la linea di con- fine, sostiene che questo scherzo della natura, ignorato dapprima dai due contraenti, deve dar luogo ad un’interpretazione differente del festo let- terale del trattato, e che in tutti i casi la linea del divortium ac- quarum qui non appartiene più al sistema andino, come dice detto trattato, ma sibbene al sistema pampeano 0 patagonico, d’epoca geo- logica ben differente da quello; e che in ultima analisi siamo qui in un caso analogo a quello, che assegnò ai Cileni lo stretto di Magel- lano, soltanto per la ragione dell’ Utz possidetis. La questione, come si vede non è tanto semplice, ma si spera che essa verrà sciolta pacificamente per mezzo d’un Arbitrato, vista la con dotta calma e prudente, finora addimostrata da ambedue i governi, che fan di tutto per scongiurare le pazzie del giornali e della piazza, e sot- tomettersi al responso della regina Vittoria, che fortunatamente venne ammesso in quel trattato del 1885, caso mai avesse dovuto sorgere qualche contrasto nello stabilimento definitivo del confine, come è effet- tivamente avvenuto. 310 E. ROSETTI. Chiudendo la parentesi, ritorniamo alla nostra Pampa, la quale sotto l’aspetto botanico si può dividere in tre regioni, data la qualità e quan- tità della vegetazione : 1.° La regione costiera od orientale, compresa nell’attuale provincia di Buenos-Aires, la più beneficata dalle pioggie e la più adatta alla pastorizia ed agricoltura. 2.° La regione centrale, compresa specialmente nelle provincie di S. Luis, Cordoba e Santa Fe, che è più povera di pioggie e di ve- setali dell’anteriore, ma si avvicina alle condizioni di quella a misura, che si va dal Sud al Nord. 3.° La regione andina o dell'Ovest, che nella Patagonia è pampa sterile ed altipiano disabitato, ma più al Nord, specialmente nelle pro- vincie di Mendoza e S. Juan si avvicina alle condizioni delle altre due, benchè sia la meno heneficata dalle pioggie. Il seguente quadro meteorologico dà un’idea delle condizioni clima- teriche delle differenti parti della Pampa. Temperatura Pressione atmosf, Umidità relat, Pioggia Luogo d’ osservazione media ann, media annuale media ann, media ann, Balua Blanca anta 150.2 a 139772 63° 489mm Buenos, Aires, + -.._. lies 760.8 74.4 863.6 Rosario di Santa Fe . . 17.7 759.5 78 920.2 (O ge ne do 20.9 757.2 79 1035.0 Concordia. satiro £ 19.4 797.0 75 1114.9 Cppniontiests list techs at) 7 2105 100,00 « 68.9 1883.4 Villa Occidental (Ciaco) . 22.8 n 0 74 2293.0 Cordoba ser wets ash ope 16.6 723.8 69 129.7 Ss eee an 17.0 694.4 54.1 559.1 Mendoza geo tt yer 16.0 693.1 Db 162.5 SATA, IA 18.7 708.1 59.3 193.0 Come si vede la pioggia va diminuendo da Est a Ovest, e va au- mentando da Sud a Nord, precisamente all’ opposto di quanto succede dall’altro lato della Cordigliera delle Ande in Cile, dove la pioggia, quasi nulla al Nord, va aumentando al Sud in modo che nell’Arcipelago arau- UN ESCURSIONE NELLA PAMPA ARGENTINA. 311 cano di Ciloe piove, come si, suol dire, 13 mesi dell’anno, pressapoco come nei paesi più piovosi dell’ India. La scarsezza delle pioggie nella parte andino-argentina è compensata in parte dai fiumi, che scendono dalle Ande, i quali quantunque non molto numerosi e copiosi d’acque, pure. possono essere utilizzati abbastanza bene per l'irrigazione artifi- ciale, praticata di già con successo nelle provincie di Mendoza e S. Juan. L’immensa pianura pampeana, libera da ostacoli, come l'oceano, è dominata principalmente dai due venti del Nord e del Sud, questo piut- tosto secco e freddo chiamato Pampero, e l’altro caldo e afoso con vari nomi secondo le località. Ambedue, specialmente il Pampero, si scatenano spesso con violenza straordinaria da stare al pari co’ suoi con- generi dell'America del Nord. Senza dubbio si deve alla furia di questi venti, più che alla mancanza d’acqua, notevole solo per alcune zone della Pampa, se la vegetazione arborea pampeana è scarsa e limitata generalmente alle sponde dei fiumi, che la proteggono, ed a qualche versante di Sierra, che la difende. In generale sono piante spinose, di poche e piccole foglie, quali il Chanar (Gowrlzea decorticans), Espinillo (Acacia cavenia), Tala (Celtis spec), Algarrobo (Prosopis algacro- billa), ecc., e sulle sponde dei fiumi il salice con la betula ed il Ceibo (Eritryna cristagalli) dai fiori scarlatti così smaglianti. Una specialità della Pampa è il maestoso Ombù che tanto somiglia al sicomoro dell’ E- gitto. Troneggia qua e là sempre isolato e raro in atto di sfida alle furie degli elementi. Lo si saluta di lontano, quale ospite ed amico, poichè generalmente fa indovinare l’esistenza di qualche 7razeho od abi- tazione. Lo si credeva d’importazione europea, ma pare omai assicurato che sia indigeno dell’alto Paraguay. Non ha molto che esso era come il sovrano della Pampa, ma ora gli fa una seria concorrenza |’ £uca- liptus globulus dell Australia. La Pampa vera non ha quindi foreste, ed è solo andando verso il Nord, e specialmente nel Ciaco che queste s’ incontrano in tutto il loro splendore tropicale. La caratteristica della Pampa sono le praterie na- turali, sempre verdi d’estate come d'inverno, e dove alla primavera 342 E. ROSETTI. vi cresce il cardo fino all’ altezza di due e più metri. L’ondeggiamento della Pampa a cardo sotto il soffio dei venti come quello delle cam- pagne, ora coltivate a cereali, ha inspirato la musa di più di un poeta. Guai a quegli arditi europei, che si lasciavano sorprendere dagli Indiani e dagli incendi in mezzo ai cardi! Non ha molto che nella provincia d’Entrerios rimase distrutta una intera colonia d’ Italiani in causa d’ un incendio, probabilmente naturale o casuale. Quest’ incendi han sopratutto luogo nell’estate ; ed in quella stagione non passa giorno che non si veda in qualche punto dell’orizzonte nu- coli di fumo, che si fan via via rosseggianti e lampeggianti coll’ inol- trarsi della notte; durano per giorni e giorni e servono a liberare le cam- pagne dalle male erbe ed animali d’ogni specie e ad accrescerne Vha- mus fertilizzante. La Pampa, e specialmente la Pampa asciutta, ha le sue dune mobili (mèdanos) come il deserto di Sahara, ma non così temibili, poichè esse rappresentano, invertendo i termini, le oasz di quel gran deserto. Nei giorni di temporale vere montagne di polvere son trasportate per leghe e leghe qua e là, e ad esse in gran parte son dovute quelle ondulazioni del terreno accennate in principio. Nella stessa Buenos Aires ho visto più volte con questi temporali imbrattate le case di fango con gran gioia dei nostri imbianchini; ed ho visto pure trasportati da essi nugoli di insetti di varie specie, razziati nella Pampa, che poi finivano per coprire le strade e le case con uno strato nero per vari giorni. Era il carne- vale del compianto naturalista e amico Strobel, che non si dava pace per trovar tubetti da riempire. Temporali d’altro genere, ma ben più disastrosi, son quelli dovuti alle locuste, che in questi ultimi anni hanno prodotto danni enormi. La locusta in America fu studiata prima dall’ Azara nel 1809, poi dal Darwing (1854) indi dal Burmeister (1838); dallo Strobel (1865) ecc. Questo yrillus nigratorium 0 meglio Acridium peregrinum, chiamato dal Burmeister Acridium flaviventre, Acridium paraneense e dal Brunn Acridium Strobel, sembra sia d’origine americana e di là passato in - UN’ ESCURSIONE NELLA PAMPA ARGENTINA. ) Asia ed Africa. In z/lo tempore non era molto temibile, poichè il ter- reno a pastorizia non lo favoriva molto, ma dacché l'agricoltura si è estesa, esso è diventato un vero flagello da impensierire seriamente privati e governo. Noi altri non ne abbiamo una idea dell’ intensità di questo flagello. Quando la locusta è allo stato saltellante (quindi ancora insetto in- completo) è capace di coprire il suolo per leghe e leghe con uno strato ondulatorio di più centimetri di spessore. Sembra la terra sia in moto, e quando lo sciame traversa una ferrovia i treni sono obbligati ed ar- restarsi! Tutto quanto vi ha di verde sul suolo viene distrutto: poi, quando questo viene a mancare, si comincia colle piante, che in pochi istanti sono ridotte a scheletri, non venendo risparmiata nemmeno la scorza. Gli stessi ZucaZiptus, Paraisos, Ombu, che una volta la locu- sta rispettava per il loro gusto amaro, sono all’occorrenza rovinati come le altre piante. Quando poi l’insetto arriva a sviluppare le ali, si alza al volo ed allora è capace di oscurare il sole per ore ed ore di cam- mino, È una cosa incredibile! Una volta che non trova più nulla da mangiare parte per altri lidi, ma in generale lascia prima le uova per l’anno venturo. È alla caccia di queste uova, deposte con gran cura in luoghi na- scosti, che si dà l’agricoltore, incitato ed aiutato per ciò dal governo. Ma che lavoro improbo su tanta estensione! Basta una piccola zona ine- splorata per riprodurre il flagello in tutta la sua enormità. Si dà la caccia anche alla /ocusta saltellante con fossi e siepi d’ogni specie, ma questa è più difficile e dispendiosa. Insomma non si risparmia mezzo alcuno per difendersi da quest’insetto, che, com’ ho detto, in quest’ ul- timi anni ha prodotto danni incalcolabili. Tornando ai temporali atmosferici della Pampa, dirò come questi sono sempre accompagnati da scariche elettriche fenomenali, tanto d’estate, come d’inverno, mentre da noi ciò succede solo d’estate. Quando sembra che il temporale sia passato, gira il vento e ricomincia di nuovo con maggiore intensità per ore ed ore. Cosa curiosa; vi sono pure tempo- 314 E. ROSETTI. rali al di là delle Ande nel Cile, ma là non si conosce cosa sia il tuono, e quindi la folgore. Come si può vivere in un paese, dove ad ogni momento siete minacciati dai fulmini di Giove, dicono i Cileni, quei Cileni, che non ha molto non si azzardavano a costruire una casa in muratura per tema dei continui e spesso tremendi terremoti, così frequenti ancora, come ho detto, nel sistema Andino? Una compagnia di Cileni, che m’accompagnava in una traversata delle Ande, fu colta dallo spa- vento quando appena giunti nel versante Argentino, ci assalse uno di codesti temporali. Bisognava vedere le faccie stralunate ed i ripetuti segni di croce e giaculatorie di quella gente. Eravamo molto lontani da qualsiasi rifugio, e per ciò feci fare alto e scendere da cavallo, poichè in tali circostanze qualunque movimento o sporgenza, anche insignifi- cante, è sempre pericolosa: di più m’avevano raccontato, cosa che non potei verificare, ma che pure è possibile, che quando un fulmine cade sopra una mandra di cavalli, è sempre il cavallo bianco il colpito, ed io montavo appunto una mula di quel colore. Ogni casa, sia nella Pampa che nelle città, è munita di parafulmine, e non è raro il caso di vedere qualche albero, che vorrebbe far bella mostra di sè, rovinato dalle scariche elettriche. Nella Pampa sono pure comuni quei così detti fulmini globulari (bolas de fuego) così rari in Europa, e che prima delle esperienze del Testa non si sapevano spiegare. Altre volte invece il femporale elettrico, se così mi è permesso chiamarlo, si produce sembra ombra di tuono, come si dice succeda spesso nel Madagascar, ma questo accade specialmente di notte. Una volta in Buenos-Aires presenziai uno di questi temporali. Dopo una giornata burrascosa, seguì una notte annuvolata con pioggia appena sen- sibile. Nel cielo invece un continuo fuoco d’ artificio. Una luce inter- mittente che continuò per tutta la notte: scariche elettriche in tutte le direzioni, cominciando dal Zenith fino al più lontano orizzonte; Ma sca- riche fra nube e nube ramificatisi in varie direzioni, a zig-zag, rettili- nee, radiciformi, globulari e così via dicendo. Giammai la minima UN’ ESCURSIONE NELLA PAMPA ARGENTINA. on ombra di tuono. Cercai di spiegare il fenomeno coll’altezza delle nubi, colla distanza, colla rarefazione e conduttibilità dell’aria, ma se la spie- gazione sembrava soddisfacente per un caso, non lo era per l’altro. Codesti temporali elettrici sono spesso accompagnati da grandinate fenomenali. Ho visto dei tetti di zinco perforati come da scariche di mitragliatrici. Fortuna che questi alle praterie non portano grave danno ma non si può dire così del resto. Si è però notato che attorno alle grandi città, e dove l'agricoltura e le piantagioni vanno diffondendosi, codesti temporali han diminuito non solo di numero ma d’ intensità. Le grandi estancias e chacras, isolate prima nella Pampa e senza alberi di sorta, ora sono spesso contornate da grandi parchi di Hucaliptus e da altre piante d’abbellimento e fruttifere. A Buenos Aires (città) si può dire che non gela. Non vi nevica mai, quantunque il termometro nei dintorni scenda varie volte sotto lo zero. La neve comincia un po’ più al Sud verso Baia Blanca, ma è di aspetto granuloso. Nella Sierra di Cordoba o nelle Ande essa invece è comune, — e varia in quantità secondo le altezze e la latitudine. I tramonti e le aurore sono spesso di una bellezza straordinaria, causa il polviscolo, di cui s’impregna facilmente l’aria della Pampa. Sono rimasti famosi colà quelli, che per mesi e mesi si osservarono dopo la disastrosa eruzione del Kracatoa e si vollero ad essa attribuire. Famosa è pure la limpidezza e l’azzurro del cielo pampeano, dopo una giornata di pioggia, limpidezza così vagheggiata dagli astronomi per contemplare ed osservare lo splendido cielo australe. Altro fenomeno caratteristico della Pampa si è il miraggio, che si presenta spesso sul far della sera in estate, e si prolunga anche di notte al chiaro di luna, di quella luna, che nell’Argentina permette di leggere comodamente ad occhio nudo. Una piccola elevazione sembra a dirittura una montagna, un arbusto un’albero colossale; poche piante, un bosco. E siccome la grandezza degli oggetti conosciuti si relaziona colla distanza, così è che in viaggio, quando stauchi sul far della sera credete di poter giungere ad un rifugio, visto Vol. XXXVII, 77 21 316 E. ROSETTI. a non molta distanza, questo ne sfugge a misura che credete avvici- narlo e spesso del tutto scompare. Il fenomeno della fata morgana non I ho visto che poche volte nella baia di Buenos-Aires, durante le giornate afose d’estate, quando vi regna il vento Nord. Allora si può vedere non solo la sponda opposta del Rio della Plata, bassa e distante al- meno una sessantina di chilometri, ma le barche, ancorate a distanza notevole dalla riva, compaiono sparpagliate qua e là, a destra e sini- stra, in alto e in basso e in tutte le direzioni, inclinate, capovolte, sfi- gurate, ecc. ecc. Pochi anni fa, quando non vi erano ancora le ferrovie, che omai tra- versano la Pampa in tutti i sensi, bisognava viaggiare a cavallo, come fa il gaucho (il pastore della Pampa), od utilizzare la diligenza, che . quasi per ironia si chiama colà galera. Con essa si passava da Buenos Aires a Cordoba, Mendoza e Tucuman, impiegando settimane e mesi, mentre ora bastano pochi giorni, per non dire poche ore, essendo le distanze sempre notevoli, anche colla ferrovia. Le strade erano scelte alla ventura qua e là per quel gran deserto, ove il terreno si mostrava più propizio, ed ove si sperava di trovare un passaggio facile nei fiumi, che spesso sono accompagnati nelle sponde da pantani pericolosi. Quando il fiume era grosso per recenti pioggie bisognava aspettare che la fiu- mana scomparisse e ciò durava spesso vari giorni. Del resto si mar- ciava sempre a gran galoppo, poichè i cavalli non mancavano, e si tro- vavano in quelle così dette poste, che il governo manteneva nelle di- rezioni principali a distanza generalmente di 5 leghe. Non era però raro il caso di trovare la posta deserta, e di dover cercare per proprio conto 1 cavalli in altro luogo, quando si trovavano. Colla galera biso- gnava naturalmente portar con sè quanto era necessario per mangiare e dormire, se non si voleva assoggettarsi al disagio di dormire sulla terra nuda, o di mangiare carneando, e cioè limitandosi al caratteri- stico puchero e asado (lesso e arrosto della Pampa) che era sempre facile procurarsi. Mancava più spesso il combustibile, che la carne, e si doveva generalmente sostituirlo collo sterco dei buoi, raccolto per la x ———————— le ae UN’ ESCURSIONE NELLA PAMPA ARGENTINA. 317 Pampa. Ora le poste sono state generalmente rimpiazzate da stazioni ferroviarie e da alberghi e ristoranti, spesso forniti di tutte quelle co- modità che si riscontrano negli Stati Uniti. La galera è stata rimpiaz- zata da bei vagoni ed anche da Pulmann, che permettono di mangiare e dormire comodamente durante il viaggio. Oltre alla galera vi era nella Pampa la carreta, ossia il carro da trasporto dei prodotti della Pampa ai porti della costa: se la galera, tirata da cavalli, impiegava settimane e mesi per superare una certa distanza, la carreta tirata da varie paia di buoi impiegava mesi ed anni: La carreta non andava mai sola, come la galera. Varie carretas si univano assieme per formare una specie di carovana, analoga a quelle (lei zingari, poichè accompagnate da donne e bambini, cani, ecc., ecc. Siccome le carzetas non sono ancora scomparse del tutto, poichè le ferrovie non potendo estendersi dovunque, hanno bisogno di chi le aiuti per ritirare i prodotti della campagna, è facile trovare ancora nella Pampa di codeste carovane caratteristiche, le quali, quando giungono nelle città, vengono confinate nella così detta Plaza de carretas, una specie di caravanserai. Tanto la galera come la carreta dovevano in passato prendere le loro procauzioni per non imbattersi in una scorreria d’ Indiani, i quali facevano man bassa su tutto, uccidendo uomini e donne, risparmiando soltanto le più giovani e belle -per trasportarle con loro. Punti d’ap- poggio erano i così detti fovtznz, guarniti di truppe dal governo, ma spesso restavano troppo distanti e fuori di mano: poi le rare estaneczas, spesso tenute a fortezza: ma più di tutto serviva una specie di spio- naggio fatto dai gauchos, eccellenti cavalcatori al pari degli Indiani, i quali sapevano dire dove gl’ Indiani erano passati o potevano trovarsi. Nel caso più disperato si servivano delle stesse cazrete per formare una specie di recinto onde difendersi, e far pagar cara la vita. L’ estanciero e il gaucho dal vestito e dal costume così caratteristico vanno scomparendo: Il gaucho, detto anche peon d’estancia, resisterà ancora qualche tempo, finchè almeno la pastorizia sarà esercitata nel 318 E. ROSETTI. UN ESCURSIONE NELLA PAMPA ARGENTINA. modo attuale. L’esfazezero, ossia il padrone del gaucho, che non ha molto si mostrava, pavoneggiandosi, nelle città col classico poncho, reso popolare da noi da Garibaldi, e col ehzripd, colla cinta tempestata di oncie spagnuole, ed inforcato sullo snello puledro dal morso d’argento, con stivaloni a sproni pure d’argento, sì vergogna ora di non aver ancor potuto o saputo adottare il costume cittadino ed europeo, che prima disprezzava. Anzi ha lasciato a dirittura la estancia, come dimora abi- tuale, ritenendola soltanto come villa: Molti poi han trasformato que- sta villa con parchi e giardini in vero luogo di delizie con tutto il lusso e le comodità, che i’ Europa ha saputo incontrare per chi ha de- nari da spendere. Vari degli estancieros argentini son veri Cresi, e le loro ricchezze van aumentando a vista d’ occhio collo estendersi della coltivazione nelle loro immense e fertili campagne, come ho già altrove accennato. Uno svago degli estancieros e dei gauchos era la caccia allo struzzo, guanaco, puma, ecc. col classico /azo e bolas, presi dagli Indiani, e che maneggiavano e maneggiano ancora con destrezza ammirabile. Omai le armi da fuoco hanno reso questo svago un mito. Il solo dazo serve nella estarcias per afferrare un bue od un cavallo pel servizio della estancia. Gli struzzi ed i guanachi, come gl’ Indiani, bisogna andarli a cercare nei più remoti recessi delle Ande o del Gran Ciaco, se uno non si contenta di quei pochi struzzi confinati in qualche estancia cintata con siepi di fil di ferro. L’ Estanciero ed il Gaucho erano amanti delle corse, ed avevano tanti altri costumi speciali, che a voler descrivere mi porterebbe troppo a lungo, e temo già di avere abusato della vostra benevola attenzione. Quindi faccio punto, tanto più che non ho recato con me il necessario per illustrare tali costumi. Sarà per un’altra volta. DI UN GLOBO METEOROSCOPICO PER IL TRACCIAMENTO DELLE TRAJETTORIE DELLE METEORE LUMINOSE. Nota del socio Prof. D. Pietro Maffi. (Con una tavola.) Nelle osservazioni delle stelle cadenti la parte più delicata e impor- tante è quella del tracciamento delle trajettorie. Quanti vi hanno atteso lo sanno per prova; e quelli che non hanno mai passato le notti in tali lavori, facilmente se ne potranno persuadere pensando all’ insistenza colla quale si danno istruzioni e raccomandazioni in proposito (V. per esempio le Norme ecc. pubblicate per cura dell’ Associazione Met. Ita- liana, Torino, $ 3, pag. 14.), e che tutte mirano ad assicurare esatti gli elementi, che servono poi alla determinazione del radiante. A tali osservazioni attendo anch’io da non pochi anni, e mi decido ora a far conoscere i metodi per i quali sono successivamente passato, nella lusinga di alleviare la fatica e di assicurare sempre migliore il lavoro delle nuove reclute di osservatori, che man mano si vanno fa- cendo. Nulla di importante in queste pagine: solo il suggerimento di alcune di quelle piccole industrie, che tante volte nella pratica (e lo sappiamo tutti per prova) ajutano a superare quelle che credevamo non deboli difficoltà. ! 1 Chi desiderasse conoscere i sistemi adottati nei diversi osservatorii, può leg- gere il n. 7 dell’Introduzione alle Osservazioni di stelle cadenti fatte nel 1871 (Pubblic. dell’ Osservatorio di Brera, num. VII, parte 2.2, pag. 9 @ segg.) e poi i volumi del Bollettino di Moncalieri passim, ecc. (36) DO =) P. MAFFI. IE Non potendosi coi mezzi ordinari 1 determinare immediatamente in ascensione retta e declinazione il principio e il termine di una trajet- toria, questa trajettoria è necessità fissarla subito tracciandola su di una. carta celeste. Anche prescindendo per ora dalla questione delle proje- zioni, queste carte presentano però un inconveniente non lieve, impon- gono cioè una perdita notevole di tempo prima perchè devono essere preparate di volta in volta, ? poi perchè esigono compasso e calcolo per i rilievi dei valori delle coordinate. Per sottrarmi a questo spreco di tempo io mi sono preparato un disco A F £ (fig. 1), in lamiera di ferro, del diametro di 78 centimetri, perfettamente piano e reso inflessibile con alcune aste a 7° incrociatevi contro la faccia inferiore: nel centro della faccia superiore fissai un pernio €, e su questo posi ad aggirarsi, parallelamente al disco, un’asta A 5, lunga essa pure cent. 78, larga 2, forata però eccentricamente, in modo che il suo margine graduato avesse sempre la direzione esatta del diametro: infine, alla periferia, con sei vitia, a, 0..., facili a togliersi e a rimettersi, fissai un anello della larghezza di un centimetro con lo spessore di un millimetro. Diviso il disco alla periferia in 360° e graduata l’asta AB (partendo da C) da 90° a 0° e in seguito da 0° a 40°, mi fu facile segnare a vernice nera sul disco stesso (previamente coperto da uno strato di biacca) le stelle delle prime quattro grandezze in projezione polare equidistante, nella quale Z7 /7 rappresenta l’equatore. — Si devono fare le osservazioni ? KS 1 Il meteoroscopio del dott. G. Neumayr, che è una specie di equatoriale con diottra, registra declinazione e angolo orario, ma è strumento riservato a ben po- chi e non entra quindi nei mezzi ordinari di osservazione. 2 Per ovviare a questo inconveniente la Società belga d’astronomia manda ai suoi membri diverse copie di carte appositamente disegnate e litografate. L’ espe- diente è felice, ma fa risaltare la gravezza della difficoltà appunto nel momento nel quale tenta di sopprimerla. DI UN GLOBO METEOROSCOPICO, ECC. | 21 Dispongo il disco sotto di una tenda opaca (di tela cerata) e lo illumino con una lucerna comune: sollevo le viti aaa... e sotto l'anello di ferro introduco e comprimo il margine di un foglio di carta velina, che si distende sulla parte corrispondente al cielo visibile in quella notte, e poi dò incarico ad uno dei collaboratori di tracciare le trajettorie. Passa una meteora? Chi la osserva nota ora, colore, grandezza, velo- cità e numero progressivo, e con un meteoroscopio Parnisetti punta subito sulla volta del cielo il prenczpio e il termine della corsa, prin- cipio e termine che il collega rileva e riporta sulla carta velina del disco. Con questo sistema non mi occorre che il ricambio della carta velina per le diverse sere, ed è poi evidente che mi si facilita immen- samente anche la determinazione degli elementi delle coordinate. È de la trajettoria di una meteora che devo registrare a catalogo? Conduco l’asta diametrale prima sulla direzione / G poi sulla CZ, e leggo così subito in d e in e le declinazioni sull’asta, e in G e in Z, sulla gra- duazione periferica, le ascensioni rette rispettivamente del principio e del termine della trajettoria in discorso. Anche qui però non mancano inconvenienti. Tali: 4) la projezione, che, col crescere delle distanze dal polo, altera sempre più le forme delle costellazioni; e 4) la luce viva che stanca l'occhio ed impedisce asso- lutamente, a chi ha il compito delle trajettorie, di far la parte anche di osservatore. Di questi inconvenienti non risente chi può disporre di molti collaboratori, e delle trajettorie può dar incarico a persona spe- ciale assaz pratica del cielo e quindi capace di apprezzare convenien- temente le variazioni delle proporzioni. Chi fosse solo non potrebbe del disco descritto in nessun modo giovarsi. ! 1 Un meteoroscopio a disco, in vetro smerigliato, l’ ha imaginato e in parte anche costruito il dott. Celso Fornioni per |’ Osservatorio di Brera. (Vedi descrizione e disegno in Natura, quad. di aprile, 1883, pag. 49, Milano, Treves.) Ch’ io mi sappia non venne però diffuso. DO DI P. MAFFEI. (oe) II È stato appunto nel cercare di ovviare a questi inconvenienti che sono riuscito al globo meteoroscopico che ora descrivo. Nella figura 3, B è una cassa di legno che serve di basamento e contiene le pile MW o gli accumulatori necessari per la produzione della luce elettrica. Sopra di questa cassa si innalzano due piramidi quadran- solari, delle quali, /a prima, E, è leggera e si può rovesciare a si- nistra, lasciandola libera in © (col togliere una vite) e girandola in w intorno ad una cerniera, e la seconda, D, è pesante, di bandone ro- busto, mantenuta fissa da quattro viti 2, 2... e viene attraversata a due terzi dell’altezza da un manicotto s inclinato di 45° (latitudine di Pavia) sul piano della tavola sottoposta. Per questo manicotto passa a dolce sfregamento un asse di ferro Z, il quale 74 alto penetra (con la direzione d’un raggio) e si fissa in un pallone di vetro, robusto, del diametro di 35 centimetri, provvisto della sola apertura circolare h h, ed în basso, per contrappeso, sostiene la sfera C di ghisa, tenuta in posto da una vite di pressione 7. Le due cime delle piramidi sono unite da un arco /Ga tutto sesto, che quasi sfiora il pallone, e che può essere mantenuto verticale dalla molla 7, od anche cadere all’ indietro orizzon- tale girando attorno ai perni aa’, e porta la graduazione da 45° a 0° e da 0° a 90° partendo dalla orizzontale d. Al labbro dell’apertura del pallone è saldato con mastice un disco di ottone 4h, nel quale, al di qua e al di là dell’asse, sono praticati due fori ellittici. Per questi due fori si introducono e si fissano due lampadine elettriche di diversa potenza, i cui reofori sono in comunicazione permanente coi tre anelli 72 (isolati uno dall’altro e tutti dall’ asse), ai quali la corrente arriva collo sfregamento delle laminette z, 7, m. Il pallone può così rotare liberamente sull’asse Z senza aver ostacolo di sorta dagli elettrodi, ed a seconda del bisogno, può essere illuminato più o meno abbondante- mente mediante il commutatore P, che determina l’accensione dell’una DI UN GLOBO METEOROSCOPICO, ECC. 323 piuttosto che dell’altra lampadina. La superficie esterna del pallone è fortemente smerigliata, e porta segnato in mzndo rosso l’equatore gra- duato ff, in vernice blew, i contorni e i nomi delle costellazioni, in vernice nera le stelle delle prime quattro grandezze fino a — 45°, coi corrispondenti mesi (9 g) di loro passaggio sul cielo, e poi in semitra- sparenza (ottenuta con una miscela di trementina) anche la Via lattea. Nelle osservazioni : 4) si orienta il globo disponendone l’asse paral- lelamente all’asse terrestre; 2) lo si fa rotare attorno all’asse finchè presenti le stelle corrispondenti a quelle che allora stanno sul cielo, e, se occorre, lo si arresta colla vite di pressione e; ¢) lo si illumina accendendovi nell’ interno la lampadina più debole. Passa una meteora? Con una matita se ne traccia subito sullo smeriglio del globo la trajet- toria col grande vantaggio di tracciarla: 4) non più sulla carta velina, passibile di spostamento, o su carte che si accartocciano per l'umidità, ma sul vetro; è) non più sul piano e fra costellazioni alterate dalla projezione, ma su di una sfera, che riproduce fedele la forma del cielo; c) e infine, non più sotto una luce viva che abbaglia, e invece con una luce temperata che non impedisce alle pupille di ritornar subito pronte e sensibili al cielo. Con uno di questi globi, orientato bene, ho visto segnar trajettorie veramente buone anche persone, che solo mezzana- mente eran pratiche del cielo. Anche lo spoglio e il catalogo diventa poi qui facile e spedito. Facendo rotare il globo intorno all’asse si con- ducono successivamente le estremità delle diverse trajettorie sotto l’arco FG, e subito si rilevano così le ascensioni rette e le declinazioni cor- rispondenti. ! Finito lo spoglio, con una spugna imbevuta di acqua sa- 1 Veramente prima della forma definitiva della fig. 3.4, mi era rassegnato a quella della fig. 2.2, nella quale l’asse attraversa in direzione diametrale il globo, uscendone colle due estremità: dovetti però abbandonare questa forma, perchè, per fissar l’asse, impone un dischetto di metallo al polo nord, che è zona troppo im- portante e quindi da doversi lasciare assolutamente libera in questo genere di os- servazioni. — Non occorre aggiungere che il globo descritto si presta assai bene an- che per l'insegnamento. Con un movimento di orologeria lo si può mettere in ro- 324 P. MAFFI. DI UN GLOBO METEOROSCOPICO, ECC. ponata si lavano e si cancellano le trajettorie, ed ecco il globo cosi subito pronto per le altre osservazioni. II. Per assicurare esatti i disegni delle trajettorie in questi ultimi anni si è fatto grande assegnamento sulla fotografia, ed ai primi tentativi, meno confortanti, di Elkin, succedono già, dopo soli quattro anni, quelli assai buoni di Schaeberle, e di Colton e d’altri, che sui cléchés misu- rano il corso e persino l’altezza delle meteore. 1 Anche sperando molto dalla fotografia, io credo però di non aver fatto opera vana tentando di mettere in mano di tutti, di chi specialmente sta nei più diseredati os- servatori, un sistema che faciliti ed assicuri l’esattezza di ogni contri- buto alla scienza. Me ne fa fede l’autorità sovrana dell’illustre senat. prof. G. Schiaparelli, che in data del 24 marzo p. p. ebbe la compia- cenza di scrivermi: « Mille grazie... per la fotografia del suo globo per le stelle meteoriche ; il quale io credo fermamente abbia risoluto nel modo più facile e più pratico la difficoltà che nelle carte piane deri- vava dagli errori delle projezioni. Son persuaso che con questo sistema, una volta fatta l'abitudine di comparare la superfice cava del cielo stel- lato colla convessa del globo, si otterrà nelle osservazioni delle stelle meteoriche tutta quell’esattezza, che la stima d’occhio può comportare. » # tazione, e circondandolo in dd di un piano orizzontale, dà evidente il sorgere e il cadere degli astri, la calotta di stelle di perpetua apparizione, con tanti degli al- tri fenomeni, che, sui globi opachi o montati verticalmente, ai giovani delle prime scuole non riescono facilmente accessibili. Spero di poter presto servirmi di globi maggiori, del diametro di 40 od anche di 45 cent.: sarà con essi maggiormente guarentita l'esattezza dei valori che si verranno raccogliendo. 1 L’Elkin, dell’ Osservatorio di New-Haven, nel 1894, durante il flusso delle Perseidi, in undici ore di esposizione e con molte camere oscure, non otteneva che due trajettorie! Altri risultati hanno in seguito allargata la speranza, e si può vedere per es. nel Bulletin de la Société belge d’astronomie (Il, 121) un arti- colo del Barnard che in proposito informa assai ampiamente. Anche il Cosmos di Parigi, del 14 maggio corr., a pag. 607, narra dell’ altezza di una meteora deter- minata col confronto di due edchés, raccolti contemporaneamente ed alla distanza di 415 metri, all’ Osservatorio Lick. GLoB0 METEOROSCOPICO per iltracciamento delle trajettorie delle stelle cadenti. (Osservatorio del Senrinario di via) Id IRLOLA == I EZTAZI NVM i i ; Me uni stl RUI SITI 7 7 a Lijit] || i Lu II i) Ni) INANE Lee E Bru Ri -Pavin. ESCURSIONI NEL CAUCASO E NELL’ARMENIA IN OCCASIONE DEL CONGRESSO GEOLOGICO INTERNAZIONALE DI PIETROBURGO. Relazione del socio Dott. Carlo Riva. Nella relazione dell’Ing. Baldacci che apparve, non è molto, nel Bol- lettino del R. Comitato Geologico, intorno al Congresso geologico in- ternazionale tenuto a Pietroburgo lo scorso estate, 1 mentre è descritta la grandiosa escursione agli Urali che ebbe luogo prima delle sedute del Congresso, ed è dato ampio resoconto di queste, non è fatto cenno alle escursioni compiute dopo il Congresso nel Caucaso e nell’Armenia. Unico italiano che a quelle escursioni partecipasse tocca a me però di riferirne alla nostra Società, anche quale doveroso segno di gratitudine ai geologhi russi che ci furono di guida. Dopo la grande escursione agli Urali che durò dal 30 luglio, giorno della partenza da Mosca, al 29 agosto giorno dell’arrivo a Pietroburgo, furono tenute in questa città i lavori del Congresso. Nei giorni 7 e 8 settembre tre numerosi gruppi partivano da Mosca diretti al Caucaso per tre vie diverse. Un gruppo —— ed il più numeroso — si portò a 1 Barpacci, La VII Sessione del Congresso geologico internazionale di Pie- troburgo e la escursione agli Urali. (Bollettino del R. Comitato Geologico d’I- talia. 1897, pag. 248-276.) — Sapatini, Congresso geologico internazionale di Pietroburgo. Escursione in Finlandia. (Idem, pag. 277-283.) 326 C. RIVA. Nijni Nowgorod colla ferrovia, e di là scese il Volga fin quasi al Caspio fermandosi in tutti quei punti che offrivano speciale interesse pel geo- logo.! Un secondo gruppo percorse il bacino del Donetz, celebre per le ricche miniere di carbone, di mercurio e di sale. Il terzo, finalmente, percorse il bacino del Dniepr. * I tre gruppi dovevano poi attraversare la catena del Caucaso, in piccole comitive, percorrendo la strada mi- litare della Georgia da Wladikawkaz a Tiflis. I partecipanti all’escursione degli Urali avevano già visitate le for- mazioni lungo il Volga percorrendone un lungo tratto fin oltre Samara; il bacino del Donetz presentava quindi per essi I’ interesse maggiore. ll bacino del Donetz. Si lasciò Mosca il giorno 8 settembre per la linea di Koursk, sotto la guida del prof. Nikitin. La pianura sterminata in mezzo alla quale scorre la via ferrata, non è smentita, nella monotona uniformità del paesaggio, dalle ondulazioni e dalle tenui colline, nascoste un tempo dalle foreste, al cui piede scorrono alcune acque che dissetano il poco fertile terreno. Di tratto in tratto sono caratteristiche grandi estensioni di terreno coperte da sabbia finissima, grigio-bruna, frammista a pol vere, suolo conosciuto col nome di podsol, che avvolge in una polvere importuna treno e viaggiatori che tentano invano di schermirsene. Esaminate le formazioni del carbonifero superiore (moscoviano) di Podolsk, caratterizzate da una ricca fauna di cefalopodi, e quelle pro- duttive di Petroskoje presso Aleskine, ® per Toula, Orel, Koursk e Kharkow si arrivò nel bacino del Donetz. Si dà questo nome a quella parte della Russia del sud che è occupata dai depositi carboniferi pro- 1 PavLow, Voyage géologique par la Volga. (Guide des excursions du VII Congrès Geol. Intern. XX. St. Pétersbourg, 1897.) 2 SokoLow e ArmacHEvsKy, Ewcursion au sud de la Russie. (Idem, XXI.) Nikitin, Les environs de Moscou. De Moscou a Koursk. (Guide, ete. I e XIV.) a DI Do) * ESCURSIONI NEL CAUCASO E NELL’ ARMENIA, ECC. AYA | duttivi. In questo distretto i depositi carboniferi sono scoperti per una estensione di circa 20,000 kmq., ma per una estensione ancora più grande, sono ricoperti da sedimenti più recenti. Sarebbe troppo lungo il descrivere le gite compiute in quel distretto, guidati dal prof. Teo- doro Tschernychew del Comitato Geologico di Russia, e ovunque accolti con impareggiabile cortesia e magnificenza dai proprietari e dai diret- tori delle miniere di Petroskoje, Nikitovka, Gorlovka, Goulobovka e Bakhmont. Nel fasc. XVI della Guida per le escursioni il prof. Tscher- nychew riassume gli studi fatti da lui e da altri sulla regione, e a quello rimando chi volesse conoscerne i particolari geologici. * Il carattere orografico della regione è dato da un altipiano solcato da un sistema di piccoli corsi d’acqua che corrono gli uni nel Donetz del nord, gli altri a sud nel mare d’Azow. Questi corsi d’acqua tagliano l’altipiano in una serie di colline poco elevate a pendii dolci, sulla som- mità delle quali vi sono sovente cumoli di pietre chiamati moguzla (tomba), alcuni dei quali sono vere tombe antiche. Ai lati della linea di massima elevazione il terreno si abbassa insensibilmente e i depo- siti carboniferi scompaiono sotto ai sedimenti più recenti. Il numero degli strati carboniferi che si scavano è di circa 30. In- cominciano nella parte inferiore del carbonifero superiore ed hanno lo sviluppo maggiore nella parte media del sistema carbonifero. La loro potenza varia dai 4 ai 9 metri; numerosissimi sono poi gli strati di carbone poco potenti i quali non sono utilizzabili industrialmente. Al- cuni di questi però, che si trovano presso la superficie, vengono sca- vati dai contadini. I depositi carboniferi del bacino del Donetz contengono frequente- mente dei minerali d’oro, d’argento, di mercurio, di zinco, di piombo e di ferro che sono coltivati su larga scala. Visitammo le miniere di cinabro di Nikitovka, nella parte ovest del bacino del Donetz, dove i filoni metalliferi riempiono fessure prodotte dai piegamenti tectonici, e 1 TscHeRNyYscHEW et L. LourouGuin, Le bassin du Donetz. (Guide, etc. XVI.) 328 C. RIVA. Cinabro si trova pure, come giacimento secondario, nelle brecce di riem- pimento. È accompagnato da antimonite e sovente da pirite, e non sono rari i cristalli isolati e completi, geminati di compenetrazione se- condo | 0001} e che furono descritti e raffigurati dallo Tschermak. ! Prima di abbandonare il bacino di Donetz, visitammo le miniere di salgemma di Bakhmont, che rivaleggiano con quelle celebri di Wieliczka, I depositi di sale sono compresi nei calcari dolomitici del permiano in- feriore ad una profondità che raggiunge i 240 m. circa, e si estrag- sono ora più di 16,000,000 di pouds all’anno di salgemma, (1 pouds è kg. 16.38), ed è questa una delle industrie più fiorenti del bacino del Donetz. ll Caucaso. Da Rostow, sul mare d’Azow, alla stazione di Mineralny-wody (acque minerali), dove si lascia la linea principale diretta a Wladikawkaz per internarsi a sud verso Kislowodsk, si attraversa una regione uniforme e triste di steppe. Aggradevole è quindi il contrasto arrivando a Pia- tigorsk dove la pianura è interrotta da numerose alture isolate, che vanno da 800 a 1400 m. s. I. m., fra le quali spiccano il monte Kinjal (pugnale), i monti Werblioud e Byk, Imiewaja-gora (m. dei Serpenti) Geleznaia-gora (m. di Ferro), Razvalka-gora (m. del Leone), Kaban-gora, Chelendivaia-gora e, maggiore fra tutti, il monte Bechtaou; più a sud poi il monte Youtza e Djoutza. Presso Kislowodsk la strada entra nella vera regione montuosa costituita dai primi contrafforti del Caucaso. La natura geologica di quelle alture isolate nei dintorni di Gelezne- vodsk e di Piatigorsk, è assai interessante. Sembra si tratti di vere laccoliti simili alle laccoliti americane, ed è specialmente istruttivo, a sostegno di questa ipotesi, il monte Djoutza che visitammo il giorno 1 Tscnermak, Zinnober von Nikitovka Mineral. u. Petrogr. Mitth. (Bd. VII, pag. 361.) ESCURSIONI NEL CAUCASO E NELL’ARMENIA, ECC. 329 15 settembre. È un altura isolata di m. 1197 situata a circa 25 km. a est di Kislowodsk, costituita in gran parte da strati di calcare giu- rese fortemente raddrizzati alla base e che cambiano di direzione e di inclinazione attorno al monte, conservandosi leggermente inclinati alla vetta. Sul pendio affiora in qualche punto la roccia trachitica. La regione che consideriamo è ricchissima in acque minerali, cono- sciute col nome di acque minerali del Caucaso, ! che formano quattro gruppi distinti di Piatigorsk (acque solforose) Keleznevodsk (acque fer- ruginose) Essentouki (acque alcaline) e Kislowodsk (acque acide). Una delle più conosciute è la fonte di Narzan a Kislowodsk che fornisce un’eccellente acqua da tavola debolmente mineralizzata ma ricchissima in CQ,. Nei dintorni di Kislowodsk si distinguono nettamente le for- mazioni cretacee del versante nord del Caucaso. Fu nostra guida, in que- sto distretto, ling. Karakasch. Nei giorni 16, 17 e 18 settembre un piccolo gruppo guidato dal- l’ing. Rouguevitch intraprese una escursione nella Val Malka, raggiun- gendo la base del cono dell’ Elboruz, allo scopo di esaminare la potente colata andesitica che per molti chilometri scende maestosa nella valle. Sino al monte Bermamyt, una delle montagne più conosciute fra quelle del versante nord del Caucaso, e dal quale si gode di un panorama impareggiabile sull’ Elboruz e sui monti circostanti, si percorse un alti piano leggermente inclinato, coperto da praterie e costituito da terreni cretacei e giuresi. Si attraversò poi l'immenso e ondulato altipiano di Betchessan pure costituito da terreni giuresi e dopo 15 ore a cavallo si arrivò nella parte superione della Val Malka, dove accampò la spedizione. Il giorno successivo, ad onta della neve caduta, si raggiunse la base del cono dell’ Elboruz che si innalza a 5646 m. con una base di 14 km. di diametro. L’evidenza della grandiosa corrente di lava andesitica, special- mente dove la Val Malka piega ad Est, è tale che sembra arrestata e solidificata da jeri. 1 Rousufvirc® K., Les eaux minérales du Caucase. (Guide, etc. XVII.) 330 C. RIVA. Già il Kupfer nel 1829 e l’Abich nel 1853 descrissero le rocce del- l’Elboruz, e più tardi lo Tschermak,4 studiando alcuni campioni rac- colti dal Favre,? le ascrisse alle andesiti augitiche. Raccolsi molti esemplari in diversi punti della Val Malka e dallo studio eseguitone mi risulta che queste rocce sono andesiti ipersteniche e andesiti anfiboliche-biotitiche a iperstene a struttura che dalla v- trofirica passa alla jalopilitica. Le rocce sono costituite da una hase nera o cenerognola nella quale sono interclusi numerosi cristalli bianchi di feldispato, e altri, che si discernono colla lente, di elementi ferri- feri. Gl’interclusi feldispatici, più o meno numerosi a seconda degli esem- plari, e di dimensioni pure variabili da quelli di parecchi millimetri di lunghezza ad altri notevolmente più piccoli, constano per la maggior parte di labradorite Ab, An, La struttura zonale è assai marcata, e dallo studio di lamine di sfaldatura, dalle misure dell’estinzione in doppi geminati, come pure esaminando le diverse porzioni ricche in fel- dispato, separate colle soluzioni pesanti, si constata che mentre la pe- riferia è andesina il centro è sovente costituito da defownite. Non è raro osservare una ripetizione delle diverse zone, e essere il centro più acido delle zone intermedie (struttura zonale irregolarmente ripe tuta). I cristalli, nettamente idiomorfi, sono tabulari secondo {010}, e le sezioni secondo questa faccia sono limitate da {110} {001} {701} {201}. Solo in alcuni tipi a marcata struttura fluidale, i feldispati sono rotti, e i diversi frammenti alquanto spostati, la massa fondamentale interponendosi tra essi a guisa di corrente. In talune fra queste an- desiti i cristalli di feldispato sono ricchissimi in interposizioni vetrose, sì che talvolta il vetro è la parte maggiore. Si osserva raramente una 1 Tscnermak, Felsarten aus dem Kaukasus. Tschermak’s Mittheilungen. 1872. 2 Favre E., Recherches géologique dans la partie centrale de la chaine du Caucase. Genève, 1875. Vedi anche Lacorio, Die Andesite des Kaukasus. Dorpat, 1878. — Frusu- FIELD, The exploration of the Caucasus (1896). Nel fase. XIX della Guida per le escursioni sono indicate le principali pubblicazioni geologiche sulla regione. ESCURSIONI NEL CAUCASO E NELL’ARMENIA, ECC. 331 disposizione regolare di queste interposizioni, la periferia dei cristalli però ne è libera. Il vetro di queste inclusioni è giallognolo o giallo- bruno, più oscuro del vetro che forma la base della roccia. Tra gli elementi ferriferi predomina il pirosseno irimetrico, in cri- stalli prismatici dalle forme {100} {010} {110} predominanti, e ter- minati, lunghi da mm. 0,3 a mm. 1, anche più piccoli, con sensibile pleocroismo che meglio si osserva nei cristalli isolati di qualche spes- sore; nelle sezioni sottili è appena palese: e = verde bottiglia; b = giallo-bruno-rossastro-pallido; a = giallo-bruno-rossastro più intenso. Il piano degli assi ottici è {010}, da {100} esce la bisettrice acuta, ma la differenza fra l’angolo acuto e l’angolo ottuso degli assi ottici è pic- cola. Per questa ragione come pure pel pleocroismo non molto sensi- bile credo si tratti di iperstene che si avvicina ad un termine della bronzite. L’ orneblenda, che in alcuni tipi è scarsa assai, è, in altri, l’ele- mento ferrifero predominante. Dove è scarsa è un orneblenda bruna ver- dastra, in cristalli lunghi mm. 0,3 — 0,8, nettamente idiomorfi termi- nati da {110} {010} {100i {111}, frequentemente geminati secondo {100}. Il pleocroismo è forte: b= = verde-olivo-brunastro; a = giallo-verdognolo-pallido; ce e = 9°. In qualche cristallo è appena pa- lese la struttura zonale, con una piccola differenza dell’ estinzione che non supera 1° o 1°, 5’. In altre andesiti si osserva un orneblenda rosso- bruna: € rosso-bruno intenso; b = bruno-rossastro; a = giallo-legno intenso. L’estinzione è piccolissima ; in lamine di sfaldatura non oltre- passa, riferita a e, 4°. Nelle andesiti ricche in anfibolo si notano en- trambi, con prevalenza dell’orneblenda bruna-rossastra. Presso la fonte termale nella Val Malka raccolsi andesiti con grossi interclusi dai con- torni anfibolici, trasformati in ossidi ferriferi. La bdiotite è abbondante o scarsa, rispettivamente nei tipi ricchi o poveri di orneblenda. Nelle andesiti-ipersteniche povere in biotite, que- sta ha un-angolo degli assi ottici di circa 27 = 64° (media di molte misure poco oscillanti fra loro). In quelle anfiboliche-biotitiche a netta Vol. XXXVII. 99 te) aoe C. RIVA. © struttura fluidale, la biotite, riferibile al meroxeno, si presenta in larghe tavole esagonali e l’angolo degli assi ottico è oltremodo varia- bile. Da numerose misure, eseguite coll’ oculare Czapski e colla lente di Klein, risulta che 2 # varia da 34° a 86°, ma sono frequenti 1 va- lori intorno a 80°. È una mica di seconda specie con o < 2, ottica- mente negativa. L’assorbimento è ¢ >b > a, con: ec = siallo-bruno- rossastro intenso; b = giallo-bruno-rossastro più pallido; «= giallo. La magnetite è abbondante, non da sensibile reazione del titanio. È sovente inclusa nell’iperstene, nell’anfibolo e nella biotite. La massa fondamentale è vetrosa, più o meno ricca di microliti feldispatici e iperstenici. In alcuni tipi a struttura vitrofirica il vetro incoloro o leggermente bruno-gialliccio forma da solo la massa fonda- mentale della roccia. In altri tipi, che già ad occhio si differenziano pel colore grigio-cenere anzichè nerastro, resinoso, la massa è prevalen- temente formata da microliti feldispatici, cosi minuti da non permettere una sicura determinazione, ma che sono certamente più acidi degli interclusi. Vi sono, in queste varietà, chiazze più o meno ricche in vetro, alcune intieramente cristalline, e ai microliti feldispatici se ne aggiungono di pirossenici e rare squamette di biotite. | Nelle andesiti a struttura fluidale, la massa fondamentale è jalopi- litica, e vi si nota, oltre ad un vetro incoloro, un vetro bruno-gial- lognolo, sempre però alquanto più chiaro di quello interposto fra i pla- gioclasi. Nella base sono numerosi i microliti feldispatici allungati se- condo lo spigolo {001} {010} e geminati, a estinzione delle lamelle di 10—20°. Si notano correnti notevolmente ricche in microliti, altre più povere in questi, e la struttura fluidale meglio si palesa attorno agli in- terclusi; rotti e spostati. Accompagnano i microliti feldispatici altri pi- rossenici, e sono frequenti le forme incomplete. Nell’alta Val Malka è diffusa un’andesite rosso-mattone che cementa l’andesite nera vitrofirica che vi è inclusa in frammenti di dimensioni variabilissime, da quelli di parecchi centimetri di diametro ad altri minutissimi, discernibili colla lente. Esaminando la roccia a debole in- ESCURSIONI NEL CAUCASO E NELL’ARMENIA, ECC. 909 grandimento si vede nettamente l’andesite rossa, con evidente struttura fluidale, che tiene cementata l’andesite nera. Entrambe le rocce sono andesiti anfiboliche-biotitiche a iperstene a struttura vitrofirica e jalopilitica. Sono poco frequenti in queste andesiti le segregazzioni basiche. Di piccole dimensioni, visibili soltanto al microscopio constano di una com- binazione olocristallina di liste di labradorite, di prismi di pirosseni tri- metrici accompagnati da magnetite e talora da squamette di biotite. Contengono sovente masserelle vetrose della base. Poco a sud del monte Bermamyt, sull’altipiano di Betchessan affiora, in mezzo alle arenarie del giura, un’andesite a struttura olocristallina porfirica, assai alterata. I grossi interclusi di plagioclasio (andesina-la- bradorite) sono trasformati quasi completamente in calcite, e gl’ inter- clusi ferriferi che, dalla forma esterna, pare fossero di anfibolo (?), sono ‘trasformati in ossidi di ferro, clorite e calcite. La massa fondamentale consta di listerelle feldispatiche frammiste a qualche granuletto di quarzo e a squamette cloritiche. Le rocce a contatto con queste andesiti sono arenarie silicee costituite da granuli di quarzo ricche d’inclusioni li- quide, tenuti assieme da un cemento siliceo. Lasciato il gruppo dell’ Elboruz si attraversa la catena del Caucaso percorrendo la classica e splendida strada militare della Georgia da Wladikawkaz a Tiflis. Il professore Loewinson-Lessing di Jurjew, che ci guidò nella traversata, ha riassunte nel fasc. XXII! della Guzda per le escursioni le cognizioni geologiche su quella parte del Caucaso, e ultimamente, in un voluminoso e importante lavoro, descrive parti- colarmente dal lato geologico e petrografico le formazioni granitiche e effusive di quella regione. * 1 Lorwinson-Lessine, De Wladikawkaz a Tiflis. (Guide, etc. XXII.) 2 Lonwinson-Lessinc, Ztudes de pétrographie générale avec une mémoire sur les roches éruptives dune partie du Caucase Central, Jauriew, 1898. (7ra- vaux de la Société des Naturalistes de St. Pétersbourg. Vol. XXVI, livr. 5. 334 C. RIVA. Attraversate le formazioni cretacee, giuresi e liasiche, oltrepassate Balta e Lars, si entra, risalendo la valle del Terek, nell’orrida e pit- toresca gola di Darial dove incominciano le formazioni paleozoiche at- traversate da numerosi filoni diabasici che si fanno più numerosi nella zona granitica che si estende fino alla valle di Devdorok. Il granito della gola di Darial è una roccia fortemente compressa, e ricorda il granito compresso di Lausitz. È una granitite anfibolica a ortite e sì avvicina alle Adamelliti, tipo di passaggio tra i gra- niti e le dioriti. Tra i feldispati vi sono larghe plaghe di méeroelino e cristalli di ardesina. Il primo in grossi cristalli, a contorni in parte allotriomorfi, non presenta sempre la gtlerstructur. L’andesina è in cristalli numerosi, idiomorfi, più piccoli e assai più alterati di quelli di microclino nel quale è sovente inclusa. Da luogo a prodotti caolinici e a muscovite. Il quarzo, in larghe plaghe frantumate tra i feldispati, presenta, oltre all’estinzione ondulata, la caratteristica struttura cemen- tata (mòrtelstructur). La dzotzée, bruno rossastra è, nel campioni da me esaminati, notevolmente trasformata in clorite e si dispone, preferibil- mente, in lamine allungate, stirate, attorno ai feldispati. L’anfidolo è frequente. Sopra {010} si misura cc= 17°. c = verde un po’ azzur- rognolo. b — verde-cupo. a= giallo-verdognolo-pallido. L’ortzte si trova in cristalli isolati, lunghi circa 1 mm. ed è circondata da epidoto in ac- crescimento parallelo. Al limite sud della gola di Darial si passa ad un granito sezstoso, dall'aspetto di gneiss. I feldispati sono fortemente .compressi, rotti e stirati in un senso; tra questi il quarzo in zone granulari, a granuli minutissimi (struttura cementata). La biotite in squamette minute cir- Section de Géologie et de Minéralogie.) — Nel 2.° Capitolo della parte descrittiva sono esposti i rapporti geologici e i caratteri petrografici delle rocce abissali, filo- niane ed effusive del bacino del Terek e dell’ Aragva (pag. 338-370). Il lavoro è in lingua russa con un breve riassunto in francese. ESCURSIONI NEL CAUCASO E NELL’ARMENIA, ECC. 335 N conda, in straterelli, i feldispati, e vi è un’abbondante formazione di muscovite, pure in zone parallele. Non mancano l’apatite e lo zircone. I filoni che attraversano il granito e gli scisti paleozoici sono, come dissi, numerosissimi, potenti da pochi decimetri a 20-30 metri. Rocce verdastre, compatte, constano in gran parte di diabasi uralitici più 0 meno fortemente compressi. Un filone, a grana grossolana, di circa 4 m. di potenza che attra- versa gli scisti paleozoici presso Kashek, consta di larghe liste idio- morfe di feldispato (andesina-acida) e da lamine d’anfibolo wralitico. Benchè la roccia mostri tracce palesi di dinamometamorfismo, che ma- scherano in parte la struttura originaria, pure sì riconosce essere questa diabasica: l’anfibolo uralitico è allotriomorfo rispetto al feldispato che vi è sovente incluso. Accompagna l’anfibolo la zozsz¢e, in piccoli e nu- merosi prismi (piani assi ottici paralleli a { 010}), e Pepzdoto. I filoni a grana fina e compatta, fra i quali sono numerosi quelli poco potenti nel granito della gola di Darial, mostrano sovente struttura por- firica. Interclusi di Zabradorite non molto frequenti, e altri sfibrati di uralite, sono sparsi in una massa fondamentale a struttura intersertale formata da listerelle anch’esse di labradorite tra le quali s’interpone l’an- fibolo uralitico. Questo, palesemente, proviene dall’ augite; si osserva infatti, qua e là nell’ interno delle plaghe verdi, l’augite ancor fresca che insensibilmente passa all’anfibolo. Questo minerale, di colore verde pallido, un po’ giallognolo presenta debole pleocroismo: ¢ = verde-pal- lido; b = verde-giallognolo pallido; a = idem pallidissimo o incoloro. Estinzione su {010} ce = 16°. Si trasforma a sua volta in clorite. Sono frequenti i granuletti di 07°%7/e, e non mancano i prodotti ferriferi tra i quali scheletri di c/mendte. I filoni fortemente laminati constano degli stessi elementi, feldispato e anfibolo, disposti in straterelli paralleli. I feldispati, stirati, formano tante piccole lenti ordinate parallelamente cementate dall’anfibolo, e solo qua e là emergono alcuni interclusi dei due minerali. 336 C. RIVA. Oltrepassata la gola di Darial s’incontrano le potenti e splendide colate andesitiche del Kasbek che presentano una struttura colonnare e raggiata evidentissima, e che ricoprono gli scisti paleozoici attraversati da filoni. In molti punti sulla sinistra del Terek si osservano questi sci- sti ricoperti dalla morena sulla quale corre la colata andesitica, ed è im- portante l’osservare che nella morena vi sono blocchi di andesiti più an- tiche, differenti di quella che forma la colata superiore. Secondo gli studi del Loewinson-Lessing sì possono distinguere tre periodi di attività del Kasbek. Dal villaggio di Kasbek si ha una vista grandiosa sul cono del Kasbek (m. 5045) e sulle potenti colate che scendono nella valle. Dai monti che sovrastano il villaggio di Kasbek, sulla riva destra del Terek, provengono andesiti pirosseniche-anfiboliche a olivina con struttura olocristallina porfirica. Le rocce, d’aspetto trachitico, di colore cenerognolo, mostrano piccoli interclusi idiomorfi di feldispato a struttura zonata e che consistono di andesina e labradorite AD An! con zone periferiche alquanto più acide. Sono frequenti gl’ interclusi idiomorfi di olivina e prismetti di augite e di pirosseno trimetrico talvolta concresciuti parallelamente. Più frequenti sono le sezioni, dai contorni nettamente anfibolici, ma intieramente occupate da ottaedri di magnetite, da pleonasto, da cristallini di augite e da plaghette feldispa- tiche. Vi sono inoltre pochi interclusi di quarzo arrotondato, circondati da una fitta corona di cristallini d’augite. La massa fondamentale, olocristallina, è data prevalentemente da fitte listerelle di labradorite A, 4r,, da microliti di augite e da ma- gnetite. Sono notevoli, in queste andesiti, porzioni costituite da un as- sieme di pirosseni trimetrici e monoclini con qualche cristallo di pla- gioclasio e granuli di magnetite, plaghe che credo si debbano meglio considerare come segregazione e non come veri inclusi. Da Kashek per Sion e Kobi si raggiunse il colle della Croce (Kré- stovaia Gora m. 2788) attraversando grandiose colate andesitiche co- mar ESCURSIONI NEL CAUCASO E NELL’ARMENIA, ECC. 33.0 lonnari che ricoprono gli scisti paleozoici. Sul versante sud: della catena del Caucaso si ammira il gruppo vulcanico delle montagne rosse (Tsi- teli-Mtèbi), alcune delle quali hanno conservata intatta la cerchia cra- terica. Attraversando ora scisti paleozoici con filoni diabasici, ora colate hasaltiche e andesitiche si arriva a Goudaour e a Mlety dove terminano le correnti laviche. Le rocce che formano queste correnti sono dasalti feldispatici a olivina a struttura ipocristallina porfirica o pilotassitica e ande- siti tpersteniche con numerosi tipi di passaggio tra le due rocce. Dopo Mlety, attraversati ancora gli scisti liasici e giuresi fino a Ana- nour, per terreni terziari e quaternari si arrivò a Tiflis il giorno 23 settembre dove trovammo radunati alcune centinaia di congressisti, che, nel frattempo, avevano compiute molte escursioni nei dintorni di Tiflis, di Koutais e nella valle di Mammison. Da Tiflis, i congressisti, si re- carono a Baku per visitare i pozzi petroliferi di Bibielabath, le polle di petrolio in mare, le salse e i laghi salati di Balakhani e le immense distillerie di Baku. Tutto era stato predisposto con gran cura, e in piccoli gruppi, sotto la guida dei direttori e degli ingegneri delle diverse fabbriche, fu possibile visitare con sufficiente profitto 1’ immenso distretto petrolifero. Da Baku il gruppo più numeroso si portò a Batoum sul mar Nero, e di là in Crimea, per le escursioni sotto la guida del prof. Lagorio. Un gruppo minore, invece, intraprese un’ escursione che durò circa due settimane nell’Armenia, fino all’Ararat. L’altipiano Armeno e I’ Ararat. S’ abbandonò la linea ferrata Baku-Tiflis alla Stazione di Akstafa da dove, in vettura, si percorsero 73 verste fino a Delijane. La strada, dopo pochi chilometri in pianura, penetra fra monti coperti di folta vegetazione. Si attraversano formazioni della creta, e, tratto tratto, com- paiono formazioni eruttive di diabasi, melafiri, porfiriti augitiche. 308 C. RIVA. Nella seconda giornata si superò la tratta ingente di 100 verste da Delijane a Erivan. La strada sale per lungo tratto fino al colle di Tchi- boukly attraversando una formazione di porfidi quarziferi, poi si abbassa lentamente all’immenso lago di Goktchai o Sévang (m. 2059) che co- steggia fino al villaggio di Jelènovka. Il lago è lungo 85 km. e largo 57, e subisce periodiche oscillazioni di livello. Le rive sono costituite per la maggior parte da rocce basaltiche e tufacee. Le rocce che raccolsi nei dintorni di Jelenovka sono dasalti feldi- spatici a olivina a struttura olocristallina porfirica 0 pilotassitica. A superficie bollosa, constano di una massa fondamentale formata pre- valentemente da listerelle di labradorite 40, Am, talvolta alquanto più basiche, da microliti di augite e da granuli di magnetite. Tra le liste di feldispato si nota una piccola quantità di vetro incoloro 0 leggermente bruno e la struttura passa alla jalopilitica. Tra gl’interclusi abbondano quelli di olivina, ed è rara l’augite. î Si attraversa per molte ore l’altipiano vulcanico dell'Armenia, privo di vegetazione, limitato a sud dai colossi dell’Ararat (m. 5280) a ovest dall’Alagheuz (m. 4333) e a est dalla catena dell’Akmangan (m. 3627). Su questo altipiano sorgono isolati alcuni piccoli vulcani spenti dall’ap- _ parato che si conserva tipico; tra questi il monte Gouthandagh con tipici filoni d’ossidiana. A notte s’arrivd ad Erivan e produsse in noi sorpresa il giungere in una città con qualche comodità europea, dopo di aver attraversata una così vasta regione squallida, senza vegetazione, con rari e poverissimi villaggi dalle abitazioni sotterranee, che si scor- gono da lontano solo per quelle piramidi di letame impastato di fango ed essiccato, il solo combustibile per quelle misere popolazioni. Ad Eri- van sono bellissime le colate colonnari basaltiche. Il 28 settembre fu impiegato per una escursione al celebre convento di Etchmiadzin, dove risiede il Patriarca Armeno. La cordiale ospita- lità di quegli illustri cenobiti ricordo con deferente gratitudine. La sera stessa si partì diretti all’Ararat. Traversato l’Araxe presso Aralyk, misero villaggio di posto cosacco, a cavallo scortati da Cosacchi ESCURSIONI NEL CAUCASO E NELL’ARMENIA, ECC. 339 e seguiti da Persiani e Turchi che conducevano i camelli trasportanti le tende e le provviste, si risalì gradatamente l’arrestata corrente di lava che scende dall’Ararat, in direzione nord-ovest. In circa S ore da Aralyk si giunse a Sardar-Boulagh (m. 2500 circa) posto cosacco alla sella tra il grande e il piccolo Ararat. Da Sardar-Boulagh il maggior numero dei componenti la spedizione, guidati dal prof. Loewinson-Lessing compì felicemente l’ascensione del piccolo Ararat (m. 4180) che, se si toglie il pendio ripidissimo non offre difficoltà speciali. Sette congres- sisti, divisi in due squadre vollero tentare l’ascensione del grande Ararat accompagnati da Cosacchi poichè la regione è poco sicura dacchè vi sco- razzano i Curdi che funestano i confini persiano-turchi. Le riviste alpine, inglesi e tedesche danno ampi resoconti di quella malaugurata ascen- sione, vittima della quale fu il sig. Stòber di Wladikawkaz per essersi diviso dai compagni che non poterono trattenerlo. La salita al grande Ararat (m. 5280) non presenta davvero difficoltà alpinistiche e per chi sia esperto alle salite alpine non è certo impresa che preoccupi. Salita assai lunga, occorre portarsi a pernottare a buona altezza per rag- siungere la vetta il giorno successivo e ridiscendere a Sardar-Boulagh. Da Sardar-Boulagh proseguimmo lungo le falde settentrionali del grande Ararat fino a Akhoury, e di là a cavallo, nuovamente a Aralyk e ad Erivan. Le rocce del grande Ararat! che raccolsi in molti punti durante la salita seguendo il pendio est, come pure alla base del cono, nei dintorni di Akhoury, constano di andesite pirosseniche. In alcune pre- 1 Oltre al già citato lavoro del Lagorio, Die Andesite des Kaukasus, si con- sultino per le regioni i lavori dell’Asion: Der Ararat, in genetischer Beziehung hetrachtet. Zeitschrift d. D. G. G. (Bd. XXII, 1870.) — Geologische forschungen in den Kaukasischen Ldnder, (11 Th. Geologie des Armenischen Hochlandes. Wien, 1882 e 1887.) In questa pubblicazione sono inserite le osservazioni sulle rocce eruttive della regione per F. Becke (Untersuchungen auf Kaukasischen Eruptivgesteine). 340 C. RIVA. domina l’augite, in altre l’iperstene si passa quindi dalle andesiti ipersteniche ad augite a quelle augitiche a iperstene, e la struttura è vitrofirica o jalopilitica. Nei tipi a struttura vitrofirica, in un vetro brunastro, più o meno ricco in forme cristalline incomplete e in gra- nuletti di magnetite, giacciono, nettamente idiomorfi e numerosi, i cri- stalli di plagioclasio. Da quelli di 3-4 mm. di Iunghezza si scende gra- datamente ai piccoli di mm. 0.2-0.1. Non numerosi sono gl’ interclusi pirossenici. In altri tipi, e specialmente in quelli a struttura jalopili- tica, che sono notevolmente più ricchi in pirosseni, si distinguono net- tamente due generazioni di feldispato: grossi cristalli isolati, e piccole lamine o liste, più o meno numerose, nella massa vetrosa. Tra i pi- rosseni è soltanto l’augite che, in pochi casi, entra a far parte della massa fondamentale. I grossi cristalli di feldispato presentano distintissima la struttura zonale a zone sfumate. Non sempre il centro è la parte più basica, ma questa è data sovente da una zona intermedia, più o meno estesa. La natura dei plagioclasi, è, con lievissime variazioni, la stessa nei molti esemplari di rocce esaminati. Nella separazione per mezzo delle solu- zioni pesanti i feldispati incominciano a separarsi, in lieve quantità, al P. sp. di 2.743. In questa porzione lamine secondo { 001 } estinguono a 26°, e lamine secondo { 010} — riferite allo spigolo {001}:{010} a circa 31°. Da queste esce, a luce convergente, un asse ottico, che resta al bordo del campo. La parte maggiore dei feldispati si separa tra 2.69 e 2.704, e 1 caratteri ottici corrispondono appunto a termini più o meno basici della labradorite, da Ab, An, a Ab; Anz. Dallo studio delle sezioni secondo (010), limitate da {110}.{001} {to1} {501}, si possono distinguere, in generale, tre zone principali: una pe- riferica che si ripete nel centro, ad estinzione dai 12° ai 19°; un’altra, larga, mediana, con estinzione dai 21° ai 25°. Sovente poi, vi è un sottile bordo a piccola estinzione di 3°-5°. A luce convergente esce una bisettrice più o meno inclinata a seconda delle zone. Anche lo studio dell’ estinzione nei doppi geminati, secondo le leggi di Carlsbad e del- ESCURSIONI NEL CAUCASO E NELL’ARMENIA, ECC. 341 l’albite, coll’aiuto del tavolino di Klein, che si può con vantaggio ap- plicare ai feldispati di queste rocce, diede risultati che confermano pie- namente quelli riportati. Anche i piccoli feldispati dei tipi vitrofirici presentano gli stessi caratteri; in generale non oltrepassano la labra- dorite. Si può concludere che i feldispati delle andesiti del grande Ararat constano essenzialmente di termini della l/abradorzte da Ab, An, a Ab, An,. In alcuni cristalli si arriva alla difownite, e le zone più acide constano di andeszna e raramente un sottile bordo si deve rife- rire all’oZigoclasto. I feldispati della massa fondamentale constano pure essi di andesina-labradorite acida. Tra i pirosseni, già dissi che predomina ora |’ zperstene ora lau gite; le dimensioni dei cristalli sono variabilissime ma non superano 1 mm. L’ipersfene è sensibilmente pleocroico: e = verde bottiglia chiaro; a = giallo-rossastro; b= bruno-rossastro. Il piano degli assi ottici è {010}; da {100} esce la bisettrice acuta. L’augite, di color verdognolo, con pleocroismo poco sensibile, estingue, in lamine di sfaldatura : c e = 36°. Talvolta l’augite, in prismetti, entra nella massa fondamentale, nei tipi dove la struttura si avvicina alla ipocristallina porfirica. Sono frequenti nei pirosseni le inclusioni a bolla vetrosa. Il peso specifico del vetro di queste andesiti è 2.49-2.50, valori, però, alquanto superiori ai veri poichè è difficile isolare porzioni di vetro che non contengono un po’ di feldispato. Questa base è bruno- giallognola più o meno oscura, e porzioni di vetro più oscuro si dif ferenziano suvente in mezzo alla base chiara, come pure le inclusioni, che non sono infrequenti nel feldispato, constano di un vetro notevol- mente più oscuro di quello che forma la base. Le rocce del piccolo Ararat, di colore grigio-violaceo, finamente com- patte, sono pure andesiti augitiche a iperstene. GV interclusi di labra- dorite a struttura zonale, di mm. 0.7-2, ricchi in inclusioni vetrose e pirosseniche sono notevolmente più numerosi che non nelle andesiti del grande Ararat. Sono essi che, in prevalenza, compongono la roccia. 342 C. RIVA. L’augite e l’iperstene presentano gli stessi caratteri esposti a proposito delle andesiti del Gr. Ararat. I cristalli sono lunghi in media mm. 0.8-1 e i due minerali sono sovente concresciuti parallelamente. La massa fon- damentale è formata da una seconda generazione di liste di plagioclasio (labradorite) di mm. 0.05-0.1; tra queste vi sono sezioni più piccole, rettangolari o quadrate pure di feldispato, frammiste a una piccola quan- tità di base vetrosa. La struttura e quindi ipocristallina porfirica. Ab- bondano 1 prodotti ferriferi che in gran parte provengono dall’altera— zione dei pirosseni. Da Erivan, in vettura, per Bash-Abarane, attraversando l’altipiano vulcanico alle falde dell’Alagheuz s’arrivò a Alexandropol. Una colata basaltica, che scende dall’ Alagheuz e che s’ attraversa presso Araisar, è formata da dasalti feldispatici a olivina, a strut- tura ipocristallina porfirica. Sono rocce nerastre, bollose. La massa fon- damentale è data da liste di labradorite accompagnate da numerosi mi- croliti e granuletti di augite e di magnetite con notevole quantità di vetro bruno-nerastro, che è abbondantemente incluso anche nel feldi— spato. Tra gl’interclasi abbondano quelli di labradorite Ad, Am, di fool olivina, e di augite (cc = 47°) e iperstene sovente concresciuti. Da Alexandropol si fece un’ interessantissima escursione ad Ani, l’an- tica capitale Armena distrutta da un terremoto nel 1819. Oltre alle rovine si ammira ad Ani un istruttivo profilo di rocce vulcaniche sulle rive del fiume Arpatchaia. Alla base vi sono andesiti lastriformi; so- pra queste una potente formazione di andesiti colonnari, indi tufi po- micei e tufi simili al peperino, gialli, rossi e neri. Sopra ai tufi si stendono i basalti, Non posso dire delle andesiti poichè andarono dispersi, nel trasporto, i campioni raccolti. I tufi sovrapposti alle andesiti, sono leggeri, gialli alla base, rosso-mattone e neri superiormente. Tanto i gialli quanto i rossi contengono frammenti di altri tufi di colore giallo intenso. È spe- ESCURSIONI NEL CAUCASO E NELL’ARMENIA, ECC. 343 cialmente nei gialli che sono numerosi gl’inclusi di roccie andesitiche. Sono frammenti di pochi millimetri di diametro di andesiti a pirosseni trimetrici e monoclini, o ad anfibolo e biotite con struttura vitrofirica 0 pilotassitica. Vi sono inoltre isolati, sparsi qua e là, cristalli di plagio- clasio e di orneblenda verde-olivastro intenso. Nel tufo rosso sono meno frequenti gl’ inclusi di rocce andesitiche, ma abbondano cristalli di pla- gioclasio e prismi nerastri di anfibolo e di augite. I cristalli di pla- gioclasio di circa mm. 1 — 1,5 si separano tra 2.653 e 2.695, la maggior parte a 2.67. Presentano netta struttura zonale e appartengono all’andesina ed alla labradorite. I cristalli di ormeblenda lunghi circa 1 mm. sono intensamente colorati in bruno-rossastro : a = verde-giallo- gnolo; b = rosso-aranciato; e = rosso aranciato intenso. In causa della fortissima birifrazione è difficile misurare esattamente |’ estinzione. In lamine di sfaldatura credo non superi 2-3° (ec). Vi è pure notevole quantità di azgite, colorata debolmente in verde in cristalli assai più piccoli di quelli d’anfibolo. L’estinzione, misurata su facce di sfaldatura è ce—= 38°. La magnetite è abbondantissima. Ho notato un unico cri- stallo, senza che mi fosse dato di rintracciarne un secondo, di un mi- nerale violaceo, apparentemente monorifrangente, facilmente attaccabile da acido solforico: forse fluorite (?). La parte amorfa del tufo, bruna- rossastra, mostra tipica struttura fluidale e ha peso specifico da 2.42 a 2.2. La parte maggiore si separa a 2.37. Superiormente ai tufi vi sono basaliz feldispatici a olivina a strut- tura zntersertale, ipidiomorfa granulare. Le listerelle di feldispato constano di labradorite basica; l’augite, debolmente rosea, s’interpone tra le liste e fa da mesostasi assieme ad una piccola quantità di vetro. L’olivina è in piccoli cristalli idiomorfi o arrotondati, e abbonda la ma- gnetite. Vi sono rari interclusi di plagioclasio, che, come le listerelle, appartengono alla labradorite. Tra Anie Alexandrépol raccolsi diverse varietà di basalti. Tra questi si distinguono i dasalti a struttura vitrofirica che passa alla jalo- pilitica, rocce nere, compatte costituite in prevalenza da un vetro più 344 C. RIVA. o meno ricco in microliti di feldispato e di augite, visibili solo a forte ingrandimento, in cui sono sparsi rari interclusi di betowndte e di or- neblenda bruna-rossastra in prismi sottili circondati da una corona di magnetite in granuli. In altri casi sono Jasaltz feldispatici a olivina a struttura olocristallina porfirica con rari interclusi di augite, di olivina e di feldispati basici. In queste rocce la massa fondamentale consta di un miscuglio panidiomorfo di augite, magnetite, listerelle di plagioclasio con rari cristalli di olivina. Le piccole cavità di cui è co- sparsa la roccia sono occupate da granuletti verdognoli di olivina al- terata, altre da aragonite raggiata. Da Alexandrépol si ritornò a. Delijane (110 km.) seguendo la valle di Pambak e valicando il colle di Boijkent (m. 2000 circa) Lungo la strada si osservano le formazioni trachitiche, basaltiche e dioritiche del Monte Djadjouz (m. 2012) dove mi parve ritornare in patria vedendo lavorare al traforo di una galleria per la linea ferrata diretta a Kars, squadre di operai italiani. Da Delijane si prosegui in vettura fino ad Akstafà da dove il treno ci condusse a Batoum e di là un comodo piro- scafo, per la Crimea a Odessa. Questa la meta delle nostre escursioni che ci lasciarono l’animo pieno di gratitudine verso gl’illustri scien- ziati che ci furono scorta illuminata e compagnia tanto gradita. Nelle vicinanze del monte Djadjouz affiorano dioriti-augitiche-mi- cacee, assai ricche in ortoclasio che, credo, meglio dovrebbero ascriversi alle monzoniti. Rocce a grana media, di colore grigiastro, constano di cristalli idiomorfi di plagioclasio fra i quali s’interpongono larghe plaghe allotriomorfe di ortoclasto. Fra gli elementi ferriferi predomi- nano l’augite e la biotite. Il plagioclasio, con marcata struttura zonata, è di composizione assai variabile. La parte più basica consta di de- fownite, come si può dedurre, oltre che dallo studio dei doppi geminati e dall’estinzione misurata su lamine di sfaldatura, anche dalla separa- zione coi liquidi pesanti. Le zone più larghe sono di labradorite ba- ESCURSIONI NEL CAUCASO E NELL’ARMENIA, ECC. 940 sca (P. sp. 2.71) 0, come altre volte avviene, di andesina-labrado- rite (2.64-2.658) e il sottile bordo dei cristalli è dato da o/igoclasto. La quantita dell’ortose, che si separa tra 2.565 e 2.59 è, all’ incirca, eguale a quella del plagioclasio. Le lamine secondo { 010} estinguono a 7° e da esse esce normalmente una bisettrice. Sopra { 001} l’estin- zione è parallela. Il quarzo è notevolmente scarso, interposto tra i feldispati. Colorando la roccia con bleu di anilina in seguito a tratta- mento con acido fluoridrico, si può giudicare assai bene della relativa acidità dei feldispati e della piccola quantità di quarzo interposto. L’az- gite, in cristalli numerosi idiomorfi, è debolmente pleocroica nei toni verdi. L’estinzione, misurata sopra lamine di sfaldatura è: ¢ e—= 37°- 38°. La deotite, pure abbondante, è rosso bruna (2 #= 30° circa) abbon- dano l’apatite è la magnetite, quest’ ultima facilmente separabile con una debole calamita. Al monte Djadjouz, sopra un tufo, in prevalenza formato da fram- menti di rocce andesitiche, e nel quale è scavata la galleria, affiorano andesiti anfiboliche a struttura olocristallina-porfirica e ipocristallina porfirica. In una massa fondamentale costituita da listerelle di plagio- clasio fra la quale è talvolta interposta una piccola quantità di base vetrosa, sono inclusi numerosi cristalli idiomorfi di plagioclasio e altri di orneblenda bruna-rossastra. Accessorie si notano la biotite e 1° au- gite. Queste rocce passano a varietà più chiare, nelle quali diminui- scono sempre più gli elementi colorati. Sono frequenti gli inclusi di rocce a grana grossolana, a struttura granitica. A circa 10-15 km. ad est del monte Djadjouz, lungo il tracciato della linea ferrata in costruzione, affiorano andesite augitiche a iper- stene, a struttura olocristallina porfirica. La massa fondamentale è for- mata da un intreccio minutissimo di listerelle di feldispato striato, da prismetti d’iperstene e d’augite e da granuletti di magnetite. Gl’ inter- clusi di augite e iperstene sovente concresciuti sono poco numerosi; man- cano gl’interclusi feldispatici. L’augite di color verde bottiglia, è de- bolmente pleocroica (¢ ¢ = 45). L’iperstene presenta il caratteristico 346 C. RIVA. pleocroismo dal verdognolo al bruno rossastro giallognolo. Assai fre- quente è l’ematite in sottili e piccole tavolette esagonali. Nelle numerose e piccole cavità della roccia si annidano sferoline bianche del diametro di mm. 0.5 — 0.8 che, studiate al microscopio, mostrano struttura fibroso-raggiata. Si possono in esse distinguere tre parti: il centro è costituito da una sostanza amorfa grigia; segue una zona a fibre sottili, assai avvicinate le une alle altre, ad estinzione parallela e, nelle quali l’ allungamento è direzione di minore elasticità ottica. La zona periferica, la più larga, che si unisce alla media per una sutura dentellata, presenta delle fibre di poco più larghe con bi- rifrazione alquanto maggiore. L’estinzione di queste fibre è inclinata di circa 30° ed avviene alternativamente a destra e a sinistra, in modo che la differenza dell’estinzione tra due fibre contigue è di circa 60°. L’estinzione è, in ogni fibra, direzione di massima elasticità ottica. L’os- servazione a luce convergente, anche impiegando un forte obbiettivo a immersione, non conduce a risultati attendibili : talvolta sembra di scor- gere la figura di una bisettrice che esce normalmente (?). Queste sfe- rette sono costituite da sédzce, poichè trattandole con acido fluoridrico, non lasciano residuo. Ridotte in polvere e calcinate fortemente non si nota perdita di peso. Il vetro è da esse scalfito. Il peso specifico varia alquanto da una sferetta all’altra ma è generalmente compreso tra 2.36 e 2.515. Taluna è più leggera restando sospesa nella soluzione di Thoulet a 2.26, mentre frammenti costituiti dalla zona fibrosa, liberata dalla parte amorfa interna hanno p. sp. alquanto maggiore (2.37). È noto che le varietà di silice a struttura fibroso-raggiata quale il calcedonio, la quarzina, la lutecite, alle quali, per molti caratteri, si potrebbero riferire le sferuline, hanno peso specifico di pochissimo in- feriore a quello del quarzo. Il peso notevolmente minore delle nostre sferuline si può forse spiegare per la presenza della sostanza amorfa che occupa il centro delle sferette e che si interpone pure tra esse, come si ha ragione di dubitare dall’osservazione a forte ingrandimento. Le fibre sottili della zona media, a estinzione parallela e allungate se: ESCURSIONI NEL CAUCASO E NELL’ARMENIA, ECC. 47 condo la direzione di minore elasticità, hanno caratteri che corrispon- dono a quelli della quarzina, mentre l'estinzione a 30° delle fibre della zona esterna impedisce di riferirle al calcedonio col quale avrebbero pure alcuni caratteri comuni, e non saprei riferirle a nessuna delle varietà di silice fibrosa conosciute. Pavia, Gabinetto Mineralogico della R. Università. Giugno, 1898. Vol. XXXVII, 23 TUMORI RARI NEI POLMONI DEI SOLIPEDI. Nota del socio Dott. Angelo Fiorentini LIBERO DOCENTE IN POLIZIA SANITARIA, (Con una tavola.) Milano è certo, fra le città d’Italia, quella in cui l’ippofagia ha mag- giormente incontrato il favore del pubblico. A dimostrare vera que— sta mia asserzione depongono i dati statistici sulla macellazione degli equini al pubblico macello di Milano nell’anno 1896, dati che tolgo dal resoconto pubblicato dal dott. Franceschi, ! ispettore capo di quello sta- bilimento, e che fanno ammontare a quattromila seicento sessantanove 1 capi equini sacrificati a scopo alimentare durante quell’ anno. Tro- vandomi addetto a quello stabilimento per l'ispezione delle carni, ho potuto raccogliere, col concorso gentile dei miei colleghi, il materiale per lo studio di alcuni casi rari di tumori nei polmoni dei solipedi. Conoscendo come 1 tumori primitivi nei polmoni non sieno frequenti nei grossi erbivori, tantochè il prof. Piana trovò utile illustrare un bel caso di encondroma diffuso al polmone di un bue, 2 ho creduto oppor- tuno io pure descrivere i pochi casi da me riscontrati nei polmoni degli 1 Francescut, La macellazione in Milano ed il servizio Veterinario Muni- cipale nel 1896. 2 G. P. Prana, Un encondroma diffuso ai polmoni di un bue. (Atti del XI Congresso medico internazionale. Vol. III, pag. 247.) TUMORI RARI NEI POLMONI DEI SOLIPEDI. , 349 equini, tantopiù che una delle forme trovate rappresenta, in certo qual modo, una specie di rarità. Il primo esemplare venne da me raccolto sopra un cavallo che pre- sentava una forma dispnoica rimarchevole, quantunque il suo stato di nutrizione fosse abbastanza soddisfacente. All’autopsia trovai che i vi- sceri della cavità addominale erano perfettamente sani, mentre esiste- vano lesioni gravi all’apparecchio respiratorio. Il polmone infatti pre- sentavasi molto disteso, come se fosse insufflato, ed era quadruplicato di peso. La superficie dei lobi era tutta bernocoluta per la sporgenza che facevano qua e là grossi noduli a volume diverso, ricoperti dalla sie- rosa viscerale, che in questi punti, da trasparente si era fatta opaca, più spessa e di un colorito bianchiccio. Praticando un’ ampia incisione, tanto nel senso longitudinale che traversale, nel parenchima polmonare, si incontravano dei punti dove il bisturi trovava resistenza maggiore. Le superfici di sezioni apparivano di colore diverso; il tessuto polmo- nare era rosso-bruno e su questo fondo spiccavano qua e là delle zone bianchiccie, a modo di isole, di forme tondeggianti e della grandezza che variava da quella di un grano di melica a quella di una grossa noce. La parte centrale di queste isole era occupata dai noduli più grossi, alla periferia stavano disposti quelli di media e piccola gran- dezza. Il tessuto di cui erano composti questi noduli presentava una consistenza diversa; così alla periferia di essì si riscontrava un tessuto di consistenza fibrosa, compatto, bianco-perlaceo, poi, man mano che si proseguiva verso il centro, il tessuto si faceva più molle, tanto da di- venire alla parte centrale, di consistenza gelatinosa. Tale era la forma, il colore ela consistenza di queste neoplasie nelle parti profonde e superficiali del polmone. Forme identiche di questi tumori si rilevavano pure nelle shiandole linfatiche peribronchiali e mediastiniche. Manca— vano invece in modo assoluto metastasi al fegato od in altri visceri e tessuti. i Per procedere alle ricerche istologiche mi son valso dell’alcool as- soluto, quale fissatore dei pezzi e quale mezzo d’indurimento. Una parte 300 A. FIORENTINI. del materiale venne colorata in massa col carmino alluminoso, indi in- clusa in paraffina, mentre sopra altre porzioni indurite ed incluse ven- nero fatte sezioni al microtomo, colorate col carmino Monti, e montate in balsamo. Usando di questo materiale di colorazione ottenni prepa- rati assai dimostrativi. Dall'esame microscopico delle sezioni ho rilevato come i noduli fos- sero costituiti da elementi diversi, così alla periferia esisteva uno strato di fibre connettivali che avvolgeva completamente il nodulo stesso; più all’interno seguiva un tessuto costituito quasi esclusivamente da pic- cole cellule rotonde, attraversato in pochi punti da vasi di calibro di- verso. Le cellule rotonde apparivano scarse di protoplasma ed avevano un nucleo vescicolare abbastanza grosso, di forma prevalentemente sfe— rica o leggermente ovale. Lo stroma interposto fra le cellule era co- stituito da una scarsa sostanza a struttura fibro-granullosa. Verso la parte centrale del tumore, infine, si notava essere le cellule rotonde so- stituite da un tessuto trasparente di natura mucosa, con scarse cel- lule ramificate. Dalla descrizione istologica che ho dato di questa neo- plasia, possiamo classilicarla fra 1 sa7c0-mzcomi; appartiene quindi ai tumori di natura connettivale i quali sappiamo derivare dal foglietto medio del blastoderma. Una seconda forma di neoplasia, affine alla precedente ebbi occasione ultimamente di riscontrare nel polmoni di un somaro. Le condizioni di nutrizione dell'animale erano anche in questo caso huone. Le neoplasie erano costituite da noduli isolati, del volume di una grossa prugna, di forma ovale, e quelli posti alla superficie dell'organo facevano spor- senza per circa la metà del loro volume, sempre però mostravansi co- perti dalla pleura viscerale ispessita e di un color bianchiccio. Sezio- nando il polmone si incontravano questi tumori a diversa profondità nel parenchima, presentando al taglio una certa resistenza e produ- cendo sotto il bisturi un rumore di scricchiolio caratteristico per alcuni tessuti. Alla parte centrale detti tumori erano invece assai rammolliti ; infatti quivi presentavansi costituiti da una sostanza gialliccia di con- TUMORI RARI NEI POLMONI DEI SOLIPEDI. dol sistenza caseosa. La parte resistente del tumore, di color bianco-grigia- stro, non dava al raschiamento che scarsissimo succo. Anche in questa forma neoplastica del polmone rilevai solo la diffusione delle neoplasie alle ghiandole linfatiche dell’organo; ma però il tumore in questi tessuti aveva assunto solo la forma infiltrante. Mancavano anche qui forme me- tastatiche in tutti gli altri visceri e tessuti. Seguendo lo stesso metodo di fissazione e colorazione per le ricerche istologiche, rilevai sui preparati, come la periferia di questi tumori fosse costituita da tessuto fibroso, spesso, poi seguiva un tessuto con cellule rotonde a scarso protoplasma della stessa natura del tumore prece- dente. Lo stroma di natura connettivale interposto fra queste cellule era però assai più abbondante di quello che aveva rilevato nella prima forma; i vasi mostravansi anche qui di calibro diverso in poca quan- tità, ed attraversavano il tessuto neoplastico in vario senso. Verso il cen- tro si notava infine un materiale di natura caseosa, in seguito ad un processo regressivo al quale sappiamo vanno spesso incontro, per cause svariate, gli elementi cellulari di alcune zone di queste forme neopla- stiche. Dalla descrizione dei vari elementi componenti questa neoplasia, possiamo classificarla fra i tumori istioidi e precisamente tra i /dio- sarcomi, di cui gli elementi sarcomatosi erano costituiti anche qui da piccole cellule rotonde. Sebbene sia noto che i sarcomi sono tumori che tendono a genera- lizzarsi per la via sanguigna, noi possiamo ritenere con un certo fon- damento che nei due casi descritti la diffusione nel viscere abbia se- suito la via linfatica. Infatti la limitazione della neoplasia all’ organo polmonare, nel quale era assai diffusa, ed al sistema ghiandolare lin- fatico di esso, e la mancanza di metastasi in altri visceri, le quali sono invece frequenti assai allorchè sia avvenuta la penetrazione di parti- celle di tumori nel torrente sanguigno, mi sembra che siano fatti che vengono in appoggio alla mia supposizione. Eccomi infine a descrivere la terza forma di neoplasia venuta alla mia osservazione la quale, come già dissi, per la sua costituzione assai ~ 302 A. FIORENTINI. complessa, costituisce un caso raro ed interessante. Il cavallo che al- bergava il tumore era dell’età di circa 12 anni, ed il suo stato di nutrizione soddisfacente. Il tumore era unico, localizzato nel polmone destro, che si può dire ne era per la massima parte sostituito, lasciando solo due lembi di pochi centimetri di tessuto polmonare all’apice ed alla hase, ed anche questo reso semi attelectasico, in seguito a com- pressione. La neoplasia aveva forma quasi sferica e raggiungeva il considere- vole peso di kg. 12, presentando un diametro di circa 25 centimetri. Essa giaceva assolutamente libera, al pari del polmone, nella cavità toracica, mancando qualsiasi aderenza colle pleure costali, ecc. ; la pleura viscerale che lo avvolgeva erasi notevolmente ispessita. Non era più possibile di seguire per lungo tratto i grossi bronchi che immettevano nella neoplasia essendo obliterati dalle vegetazioni della neoplasia stessa, Incidendo il tumore si incontravano strati di tessuto di aspetto e consistenza diversa; alla periferia, per la sua compatezza, pel colore, ecc., il tessuto appariva di natura fibrosa, e costituiva per lo spessore di circa 6 centimetri una vera capsula che avvolgeva per in- tiero la neoplasia; oltre questo strato lo scalpello urtava contro un al- tro tessuto di resistenza superiore al primo, il quale, per il rumore che produceva al taglio, faceva tosto pensare alla presenza di sali calcari in quantità rilevante in grembo al medesimo. Esaminando attentamente la superficie di sezione si rilevava già ad occhio nudo che il tessuto che appariva infiltrato da sali calcerei, non era altro che tessuto osseo di natura spongiosa e che gli spazi limitanti le trabecole ossee erano occupati da tessuto molle di color rosso gialliccio. Qua e là notavansi inoltre anche piccole zone di tessuto in via di degenerazione caseosa. Tale era in breve l'aspetto macroscopico che presentava sulla sezione il tumore. Appena raccolta la massa costituente la neoplasia prelevai in diversi punti, sulla superficie di sezione, delle piccole porzioni di tessuto, d’a- spetto e di consistenza alquanto diversa l'una dall’altra, che passai tosto EE TUMORI RARI NEI POLMONI DEI SOLIPEDI. Boo a fissare ed indurire in alcool assoluto. Il resto del tumore immersi in recipiente pieno d’acqua e ve lo lasciai pel periodo di un mese per la opportuna macerazione. Trascorso questo tempo ritirai dal bagno degli ammassi di un tessuto osseo, di aspetto finamente spungoso e di una consistenza poco marcata (Vedi tav. fig. 1). Per lo studio istologico del tessuto costituente i prezzi raccolti, ho dovuto procedere prima alla loro decalcificazione, che ottenni in modo completo usando semplicemente alcool comune leggermente acidulato con acido cloridrico, ovvero impiegando la seguente formola: alcool a 70, parti 100 ; acido cloridrico da parti 3 a parti 9 ; cloruro di sodio p. 0.20. Facendo uso di questi liquidi decalcificanti e praticando sui pezzi fre- quenti assaggi, son riuscito a cogliere il momento opportuno in cui la decalcificazione era completa, senza che'l’acido avesse agito troppo a lungo sugli elementi cellulari alterandoli o rendendoli poco colorabili all’azione dei soliti carmini nuclerari. I pezzi decalcificati ed induriti vennero, come al solito, alcuni, colo- riti in massa col carmino alluminoso, altri non colorati ed inclusi in parafina. Le sezioni non colorate vennero trattate col picro carmino Monti ed ottenni così, come negli altri casi, preparati assai dimostrativi. Dallo studio compiuto sulle numerose sezioni ottenute da’ diversi pezzi inclusi, ho potuto rilevare che nel suo complesso la neoplasia presen- tava caratteri istologici da potere essere classificata per un czstoma ad impalcatura prevalentemente ossea. Questo per ciò che riguarda la diagnosi anatomo patologica. Esaminato però in punti diversi il tumore offriva delle variazioni interessanti nella sua costituzione le quali me- ritano una speciale descrizione. Procedendo nello studio, dall’estero al interno, presentavasi dapprima l'involucro o capsula risultante dagli elementi propri di un tessuto fibroso compatto. Qua e là in codesto tessuto si scorgevano oltre che vasi sanguigni di calibro diverso, anche il lume di sezioni bronchiali più o meno deformato o completamente ostruito. Venendo allo stroma o tessuto di sostegno della parte esen- ziale del tumore, esso risultava costituito di tessuto connettivo nelle dit 394 A. FIORENTINI. ferenti varietà e forme derivate, nelle quali il medesimo può presen- tarsi. Così in alcuni punti lo stroma mostravasi costituito da connettivo lasso con elementi embrionali, in altri invece il tessuto connettivo era compatto, di natura fibrosa. Vedremo fra poco i punti in cui predomi- nava la prima forma, e quelli in cui prevaleva la seconda. Quali ele- menti di un tessuto derivato dal connettivo, si notavano in alcuni rari punti delle cellule cartilaginee in mezzo a tessuto amorfo e spesso in via di trasformazione ossea. Infine il tessuto costituente lo stroma pre- dominante era formato da tessuto osseo nella sua varietà spongiosa, in cui sulle lamelle ossee apparivano le lacune colle cellule ossee (fig. 5). La trasformazione diretta dal tessuto connettivo in tessuto osseo, senza, il passaggio intermedio in tessuto cartilagineo, era quella che più spe- cialmente predominava. Lo stroma, sia di natura connettivale che ossea, circoscriveva degli spazi o lacune, di grandezza e forma diversa, occu- pate da elementi epiteliali cilindrici nei loro vari tipi. In alcuni punti infatti l’epitelio appariva di forma cilindrica vibratile (fig. 2 e 5) in altri punti invece l’epitelio cilindrico aveva assunto la forma che si ri- scontra nei rivestimenti ghiandolari cioè, cogli elementi in preda a de- generazione mucosa (fig. 3), in altri punti ancora l’epitelio aveva ele- menti cubici come si osserva alle parti terminali dei bronchi (fig. 4, 4); infine in altri punti l’epitelio mostravasi sotto forma di proliferazione atipica. A seconda del modo di disposizione di questi vari epitelii in rapporto allo stroma si avevano delle zone che riproducevano chiaramente la forma di epitelioma a cellule cilindriche vibratili; altri punti in cui le cellule cilindriche tapezzavano delle cavità più o meno irregolari, im- partendo alla neoplasia l’apparenza di un cistoma papilliforme (fig. 2, 4), altri punti ancora, in cui la struttura era nettamente quella di un ade- noma a cellule epiteliali cilindriche con degenerazione mucosa (fig. 3). Infine certe porzioni del tumore riproducevano con evidenza l’aspetto di un cancro; poichè presentavansi costituite da zaffi di cellule epite- liali atipiche che infiltravano il tessuto connettivo di sostegno, oppure TUMORI RARI NEI POLMONI DEI SOLIPEDI. 50) da aggruppamenti, o da isole di queste cellule ciascuno dei quali se- parati dagli altri aggruppamenti, da - cordoni connettivali, imprimendo alla parte un aspetto alveolare (fig. 4). È bene ancora far notare che là dove si rilevava la forma di epi- telioma o di adenoma, il tessuto connettivo dello stroma era compatto mentre era lasso nelle trabecole delle porzioni cancerose, le cellule epi- teliali delle quali presentavano numerose forme cariocinetiche {fig. 4). Aggiungasi ancora che là dove lo stroma era di natura ossea, le sue lamelle erano circondate da cordoni più o meno alti di tessuto con- nettivo sui quali appoggiavano le loro basi le cellule epiteliali cilin— driche (fig. 5). I vasi di calibro diverso, avevano il loro corso spe- cialmente fra il tessuto connettivo. Come potremo spiegare noi la genesi di un tumore primitivo a forma cistica e a stroma prevalentemente osseo nel polmone? Una spiegazione soddisfacente verrebbe fornita dalla teoria di Cohnheim. I tumori in un organo trarrebbero la loro origine dalla presenza in loco, di germi em- brionali. Se l’ ipotesi del Cohnheim non è applicabile per tutti i tumori, per alcuni di essi è provata vera; noi quindi, dato lo sviluppo isolato del tumore da noi studiato e la sua costituzione complessa, possiamo accettarla, come la più confacente al nostro caso. ! ! Sarebbe senza dubbio riescito interessante la ricerca in questo tumore delle forme parassitarie del Sanfelice e dei Foi; ma non avendo potuto disporre, al mo- mento della raccolta del materiale di studio, di liquidi fissatori speciali, ho dovuto limitarmi alle semplici ricerche istologiche. 356 A. FIORENTINI. TUMORI RARI NEI POLMONI, ECC. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. La figura 1.* rappresenta lo stroma osseo isolato dagli elementi cellulari mediante la macerazione. La figura 2.2 riproduce in (@) la forma di un epitelioma cilindrico in cui i zaffi sono direttamente a contatto collo stroma connettivale; in (4) sono rappre- sentate delle cavità cistiche tapezzate d’epitelio, sempre cilindrico vibrattile, ed in cui l’epitelio s’introflette formando delle papille (ing. oc. 3 ob. 4 Ko- ristka). La figura 3.4 dimostra una parte del tumore dove la costituzione ricorda esatta- mente quello di un adenoma (oc. 3 ob. 4 Koristka). La figura 4. rappresenta una parte del tumore in cui la struttura carcinomatosa è evidente. Si rilevano numerose le forme cariocinetiche fra le cellule cance- rine (oc. 3 ob. 8* Koristka). La figura 5.8 infine ci indica una parte del tumore in cui lo stroma costituito di lamelle ossee, circoscrive spazi ripieni da cellule epiteliali cilindriche vibra- till, frammiste a cellule caliciformi (oc. 3 ob. 8* Koristka). A. FrorENTINI. - Tumori RARI net Poumon per SoLiPEDI - Atti. Soc. It. Sc. Nat. V.° xxxvu. Fasc. rv. Dott. A. FIORENTINI, disegnò. Fotoine. ALrieri & Lacrorx. C/) ECHINIDI DEL PLIOCENE LOMBARDO. Nota del socio Dott. Carlo Airaghi. (Con una tavola.) Gli echinidi terziari d’ alcune regioni d’Italia vennero già studiati da valenti naturalisti, quali il Meneghini, il Laube, il Mazzetti, il Ta- ramelli, il Manzoni, quelli invece che vissero nel mare pliocenico di Lombardia non ebbero fin ora chi li illustrasse. I vari cataloghi pubblicati sulla fauna di tale mare se registrano centinaia di specie appartenenti ai molluschi, poche o punto ne anno- verano di quelle appartenenti agli echinidi. Il prof. Sartorio nel suo lavoro La collina di S. Colombano e i suoî fossili dando un catalogo delle specie formanti ia fauna che si trovò in quelle argille azzurre, non nota alcun echinide. Il prof. Pa- rona, nella sua memoria Zsame comparativo dei vari lembi plioce- nici lombardi, registra solamente tre specie, due delle quali prove- nienti da Folla d’Induno (Sehizaster major Desor, Echinus sp. ind.) e una da Pontegana (577ssopszs sp. ind.). Il prof. De-Loriol, nel suo pregiato lavoro Hehinides tertiacres de la Suisse, descrive una specie rinvenuta a Pontegana, il 5ressopsis Pecchioli Desor. Infine in una mia memoria pubblicata l’anno scorso sui fossili di S. Colombano noto cinque specie d’echinidi appartenenti a quattro ge- neri diversi. 1 Cronaca del R. Liceo di Pistoja. 1879-80. 398 C. AIRAGHI. Epperd, nella speranza di poter maggiormente far conoscere la fauna dei vari lembi pliocenici lombardi, mi proposi di classificare le altre specie di cui si rinvennero i resti nei sedimenti lasciati da tale mare e che ora si trovano nei Musei di Milano, Pavia, Torino, e nella ricca collezione del dott. Fiorani di S. Colombano. Ai chiar. prof. Taramelli, Mariani, Parona, e all'amico dott. Fiorani pertanto, che gentilmente misero a mia disposizione tale materiale, sento il dovere di porgere vivi ringraziamenti. Al dott. De-\lessandri pure, che m’aiutd nella determinazione di qualche specie, la mia rico- noscenza. In tale modo ho potuto radunare un numero non indifferente di esem- plari, e tra essi ne ho trovato di tutte le località plioceniche lombarde, tranne quelle di Nese e di Cascina Rizzardi. ! Ma stante al cattivo stato di conservazione della maggior parte di essi, se per taluni mi fu possibile determinare genere è specie, per altri, ho dovuto, come si vede dall’elenco qui unito? limitarmi al genere, e talvolta rinun- ziare affatto alla loro classificazione. ! Il prof. Taramelli mi disse d'aver visto degli echinidi mal conservati prove- nienti da Nese, ma ora non seppe indicarmene le traccie. 2 I. Dorocidaris papillata, Leske — Taino. 2. Cyphosoma? sp. — S. Colombano. 3. Leiopedina, sp. — S. Colombano. 1. Echinus sp. ind. — S. Colombano. DI ) att, margaritaceus, Lam. — S. Colombano. 6. ) aff. hungaricus, Lam. — S. Colombano. 7. Stirechinus, sp. — S. Colombano. 8. Strongylocentrotus Draebachiensis, Agas. — S. Colombano. 9. Brissopsis latissimus, Botto Mic. — Folla d’ Induno. 10. ) Genei, v. pliocenica Botto Mic, — Pontegana. LL. ) Pecchiolii, Desor — Pontegana. 12. ) Ponteganensis, sp. n. — Pontegana. 3. ) spec. — S. Colombano. 14. ) spec. — Pontegana. To: ) spec. — Pontegana. 16. ) spec. — Pontegana. ECHINIDI DEL PLIOCENE LOMBARDO. 309 Naturalmente quando i fossili sono molto mal conservati, è facile commettere errori, così ho pensato di riportare accanto alla fotografia delle specie nuove e di quelle meglio conservate, anche alcune di quelle di cui ho potuto determinare solamente il genere. Si potrà quindi maggiormente conoscere gli avanzi di questa fami» glia e stabilirne i rapporti con quelli già illustrati degli altri lembi pliocenici italiani. Dai chiar. prof. Taramelli e Mariani ebbi anche alcuni echinidi mio- cenici ! provenienti uno dal Monte Vallassa (Val Staffora), due da Val Grande (prov. di Como), di essi pure ho creduto bene parlarne in que- sto mio lavoro. LAVORI CONSULTATI. 1859. Agassiz, Déscriptions des échinodermes fossiles de la Suisse. 1841. Sismonpa, Monografia degli echinidi fossili del Piemonte. (Mem. della R. Acc. delle Scienze di Torino. Vol. IV, serie 2.) 1843. Sismonpa, Lehinidi fossili del contado di Nizza. (Mem. della R. Acc. delle Scienze di Torino. Vol. VI, serie 2.) 1851. A. Arapes, Monografia degli echinidi viventi e fossili di St cilia. (Società Giovenica. Vol. VIII, serie 2. Vol. X, serie 2.) 17. Brissopsis spec. — Pontegana. 8 » spec. — Pontegana. 19. ) aff. ovatus, Sis. — Folla d’ Induno. 20. Schizaster major, Desor — Foila d’ Induno. 2A ) Scillae, Desor — S. Colombano. 22. ) Mariani, sp. n. — S. Colombano. 29: ) globulosus, sp. n. — S. Colombano. 1 1. Brissopsis Nicoleti, Desor — Bizzozero (Val Grande). 2. ) sp. — Trivino (Val Grande). 3. Maretia Pareti, Manz. — Vallassa. 2 I fossili di Val Grande vennero raccolti dal dott. Corti, Appunti di paleon- tologia sul miocene dei dintorni di Como. (Rendiconti Ist. lomb. 1896.) {878. 1880. 1850. 1881. . AgassiIz, Revision of the echini. Cambridge, 1872-74. . M. Agassiz, Echini. (Zoological results of the Hasler expe- GC. AIRAGHTI. . Desor, Synopsis des Eehinides fossiles. . LAuBE, Die echinoiden der oesterreichisch-ungarischen oberen tertiaerablagerungen. (Ablandl. der k. k. geol. Reichsanst. Band V, heft. 3.) J dition.) . TAarRAMELLI, Di alcuni echinidi cocenici dell Istria. (R. Istit. veneto di Scienze, ecc. Vol. III, serie 4.) . Desor, Le paysage morainique. 5. De-LorioL, Lehinides tertiaires de la Suisse. (Mémoires de la Société paléontologique suisse. Vol. II, vol. HI.) De-LorioL, Déscription des échinodermes tertiaires du Por- ugal. Lisbona. . Manzoni, Gli echinodermi fossili dello Schelier delle colline di Bologna. (Denksch. der k. k. Akad. der Wissenschaft. Sand) NNN Aches fe) Manzonr e Mazzerti, &ehinodermi nuovi della molassa mio- cenica di Montese nella provincia di Modena. (Atti della Società toscana di Scienze Naturali. Vol. III, fascicolo 2.) ). Manzoni, Echinodermi fossili pliocenici. (Atti della Società to- scana di Scienze Naturali. Vol. IV, fascicolo 2.) SO. Manzoni, Echinodermi fossili della molassa serpentinosa e supplemento agli echinodermi dello Sehlier delle colline di Bologna. (Denksch. der k. k. Akad. der Wissenschaft. Band XXXXIIAbth. 11.) Secuenza, Le formazioni terziarie della provincia di Reggio Calabria. (Reale Acc. dei Lincei. 1879-1880.) Cotreau, Description des échinides tertiaires de la Belgique. (Mém. pub. par l’Acad. royale de Belgique. Vol. XLII.) Mazzerti, Lehinodermi fossili di Montese. (Ann. della Soc. dei Natur. di Modena. Anno VI. serie 2.) 1884. 1886. 1889. 1889. 1894. 1895. ECHINIDI DEL PLIOCENE LOMBARDO. 361 . TARAMELLI, Di un giacimento di argille plioceniche fossili fere recentemente scoperto presso Taino, a levante d'An- gera. (Atti R. Istituto lombardo.) . Parona, Esame comparativo dei vari lembi pliocenici lom- bardi. (Atti R. Istituto lombardo.) . De-LorIoL, Description des environs de Camerino. (Mém. de la Soc. de phys. et de hist. nat. de Genève. Vol. XXVII, part. 1.) De-LorIoL, Catalogue raisonné des échinodermes recuetllis par M. V. de Robillard è Vile Maurice. (Mém. de la Soc. de phys. ecc. de Genève. Vol. XXVIII, part 2.) . SioneLLI, 7 monte della Verna e i suoi fossili. (Boll. Soc. seol. ital. Vol. II, 1883.) 5. Mazzetti E PANTANELLI, Ceno monografico intorno alla fauna fossile di Montese. (Atti della Società dei Naturalisti di Mo- dena. Vol. IV, serie III.) MARIANI E Parona, /'osselt tortoniani di Capo S. Marco in Sardegna. (Atti della Società Italiana di Scienze Naturali. © Vol. XXX.) . Parona, Appunti per la paleontologia miocenica della Sar- degna. (Bollettino della Società geologica italiana. Vol. VI, fasc. 2.) . Cavara FRIDIANO, Le sabbie marnose mioceniche di Mongar- dino e 2 loro fossili. (Boll. Soc. geolog. ital. Vol. V.) SIMONELLI, Terreni e fossili dell’isola di Pianosa nel Mar Tirreno. (R. Comitato geologico d’Italia. N. 7, 8.) CortEAU, Paléontologie francaise, ecc., ecc. Paris. Mazzetti, Lehinidi fossili del Vicentino 0 nuovi 0 poco noti. (Mem. della pontificia Accad. dei nuovi Lincei. Vol. X.) Mazzetti, Catalogo degli echinidi fossili della collezione Mas- cetti esistente nella R. Università di Modena. (Memoria R. Accad. di Modena. Vol. X, XI. serie 2.) 302 C. AIRAGHI. 1895. Correau, Descriptions des échinides miocènes de la Sardai- gne. (Mém. de la Soc. géol. de France. Vol. V, fasc. 2.) LSYGe 1897 1897 1897 1874 3orto-Micca, Contribuzione allo studio degli echinidi terzia- rii del Piemonte. (Boll. Soc. geol. ital. Vol. XV, fasc. 3.) . AiraGut, // colle di S. Colombano e è suoi fossili. (Abbia- tegrasso.) . Vinassa DE Reeny, Zehinidi neogenici del museo parmense. (Atti Società Toscana di Scienze Natur. Vol. XV.) . De-ALESSANDRI, Za pietra da Cantoni di Rosignano e di Vi- gnale. (Mem. del Museo civico di Milano. Vol. VI, fase. 1.) DESCRIZIONE DELLE SPECIE. Echinidi regolari. Dorocidaris papillata, Leske. Tavola I, fig. 1. . Dorocidaris papillata Agassiz, Revision of the Echini. Il, 1880. 1880. LOD pag. 254. Manzoni, Zehin. dello Schl. di Bolo- gna, pag. 54, tav. III, fig. 25, 26, 27. Manzoni, Echinodermi della Molassa serpentinosa, pag. 4. Manzoni, Zehinodermi fossili plioce- nici, pag. 3. Vinassa de Regny, Achinidi neocenici del museo parmense, pag. 8. Un solo frammento, ma molto ben conservato, in cui si riscontra il carattere distintivo di questa specie ammesso dall’ Agassiz: « Median ECHINIDI DEL PLIOCENE LOMBARDO. 303 interambulacral space sunken, vertical suture of plates distinctly mar- ked, edged bynarrow hare space. » Località. — Taino presso Angera. Collezione. — Museo geologico di Pavia. Cyphosoma? sp. Un esemplare troppo guasto per potersi determinare. La tubercolazione sembrerebbe di Cyphosoma. Località. — S. Colombano. Collezione. — Fiorani. Leiopedina, sp. ind. Tavola I, fig. 2. 1897. Ledopedina sp. ind. Airaghi, IZ Colle di S. Colombano e è suoi fossili, pag. 12. Un frammento che è atto a costituire un genere, ma non mai una specie. La specie a cui esso appartiene differisce poi dal Chrysomelon Vicentiae Laube, per portare un maggior numero di linee di tubercoli. Località. — S. Colombano. Collezione. — Fiorani. Echinus sp. ind. Un frammento solo. Grande specie, a tubercoli numerosi, tra quali non scorgesi alcuna disposizione regolare, di diverse dimensioni. Aree ambulacrali fornite di tre paia di pori disposti ad arco e separati l’uno dall’ altro da un piccolo tubercolo. I pori sono grandi, non rotondi, ma arcuati a forma di mezzaluna. bo do Vol, XXXVII, 4 C. AIRAGHI. Se per la disposizione dei tubercoli e dimensioni corrisponde all’ £- chinus melo Lam. da esso differisce per la conformazione dei pori. Località. — S. Colombano. Collezione. — Museo civico di Milano. Echinus aff. margaritaceus Lamk. Tavola I, fig. 3. Forma di piccole dimensioni, subconico. Le aree interambulacrali presentano due serie di tubercoli principali, e due serie di tubercoli secondarii. Le aree ambulacrali pure portano due serie di tubercoli prin- cipali e due di tubercoli più piccoli. I pori sono trigemini molto avvi- cinati tra loro, sicchè nella parte superiore un paia è sovrapposto al- l’altro sulla stessa linea, nella parte vicina al peristoma invece sono disposti obliquamente. Questa forma è molto affine all’ Eehinus mar- garitaceus Lamk. illustrata dall’ Agassiz (Achinz, Zoological results of the Hasler expeditions, pag. 11, tav. II, fig. 5; tav. II, fig. 4), e corrisponde ad esso e per la forma in generale e per la tuberco- lazione. 5 Località. — S. Colombano. Collezione. — Museo civico di Milano. Echinus aff. hungaricus Laub. Tavola I, fig. 4. Un esemplare mal conservato. È una forma di mediocre grandezza, subconico; peristoma pentagonale. Aree interambulacrali forniti di dieci serie di tubercoli, le ambulacrali di quattro. I pori nella parte superiore delle aree ambulacrali sono trigemini, nella parte vicina al peristoma le plachette portano solamente due paia di pori. ECHINIDI DEL PLIOCENE LOMBARDO. 365 Per I’ ornamentaziene e per le dimensioni questa forma può essere avvicinata all’ Ach. Hungaricus Laube, ma l'esemplare è troppo gua- sto per asserirlo con certezza. Località. — S. Colombano. Collezione. — Museo geologico di Pavia. Stirechinus sp. ind. Tavolael Mee Org diga Un esemplare molto deformato, provvisto di tubercoli nelle aree am- bulacrali appena più piccoli di quelli delle aree interambulacrali. Le due serie principali di tubercoli delle aree ambulacrali sono posti nel mezzo di altre due serie secondarie. Nelle aree interambulacrali oltre alle due serie principali abbiamo anche sei serie secondarie, che scom- paiono quasi totalmente attorno al peristoma. Si distingue dallo Sfirechinus Scillae, Desor (Desor, Synopsis, pag. 131, tav. XVII des, fig. 6, 7) per avere le placche ambulacrali meno alte per la maggior regolarità nella disposizione dei tubercoli secondari, e per le sue dimensioni maggiori. Località. — S. Colombano. Collezione. — Museo geologico di Torino. Strongylocentrotus Draebachiensis Agas. Tavola I, fig. 6a, 66. 1872. Strongylocentrotus Draebachiensis Agassiz, Revision of the coh, pass 210, caval geo, 2. 3, 4: ‘tav, IX: tav. X. Diversi esemplari, ma tutti quanti in cattivo stato di conservazione, e solo mi fu possibile a riferirli a questa specie per la loro forma in 366 C. AIRAGHI. generale conica, e per il numero dei paia di pori per ogni placca am- bulacrale e per la loro disposizione ad arco. Località. — S. Colombano. Collezione. — Museo civico di Milano, museo geologico di Pavia. Echinidi irregolari. Brissopsis latissimus, Botto-Micca. 1896. Brissopszs latissimus, Botto-Micca, Contrib. allo studio degli ech. tere. del Piemonte, pag. 9, tav. X, fig. 1. Il mio esemplare corrisponde alla descrizione e figura data dal Botto- Micca. Ha una forma ovato oblunga con la faccia superiore leggermente convessa, e l’apice degli ambulacri subcentrale alquanto spostato all’in- dietro. Il solco anteriore profondo, alquanto largo con pori separati da rigonfiamenti lineari. Le aree ambulacrali pari petaloidee larghe, poco escavate e le anteriori di poco più lunghe delle posteriori. Località. — Folla d’Induno. Collezione. — Museo civico di Milano. Brissopsis Genei, Sism. v. pliocenica, Botto-Micca. 1896. Brissopsis Genei v. pliocenica Botto-Micca, Contribuzione allo studio degli ech. ters. del Piem., pag. 7, tav. X, fig. 2.) Dopo quanto scrisse l’Hérnes credo inutile riportare le ragioni per cui questa forma, attribuita prima al genere Schzzaster, e quindi al Toxobrissus, sia stata posta tra le Lrissopszs. Trovo poi giusto che Botto-Micca abbia riferito i suoi esemplari di M. Capriolo a questa specie facendone una varietà. L’avere i petali in ECHINIDI DEL PLIOCENE LOMBARDO. « BOT senerale più stretti, e quelli posteriori più vicini non lo credo un ca- rattere sufficiente per farne una specie nuova. Località. — Pontegana. Collezione. — Museo civico di Milano. Brissopsis Pecchiolii, Desor. 1876. Brissopsis Pecchiolii De-Loriol, Description des oursins ter- tiatres de la Suisse, pag. 37, Vol. XXII, fig. 7. Sebbene di questa specie non abbia alcun esemplare, pure credo sia bene ricordarla se non altro perchè il mio catalogo riesca completo nel miglior modo possibile. Venne trovata nel lembo pliocenico che afliora a Pontegana, e descritta dal De-Loriol nell’ opera citata. Brissopsis ponteganensis, sp. n. Tavola I, fig. 7. Specie di piccole dimensioni, leggermente esagonale, oblunga, aree interambulacrali piuttosto rigonfie e sporgenti. L’apice degli ambulacri è subcentrale, un poco spostato all'indietro; il solco anteriore poco pro- fondo e non presenta pori. Le aree pari petaloidee sono piuttosto larghe, poco escavate, le anteriori più lunghe e più divergenti che le posteriori. Le zone porifere sono larghe, e le due file di pori distanti fra loro; i pori della serie interna eguali a quelli della serie esterna; le zone in- terporifere larghe. L'apparato apicale presenta quattro pori, di cui gli anteriori sono più piccoli e più ravvicinati tra loro che i posteriori, più grandi e posti più lontani 1’ uno dall’ altro. Lunghezza mm. 20, larghezza mm. 17. Non posso dare I’ altezza avendo il mio esemplare subìto uno schiacciamento. Questa specie si distingue dalla 27%ssopsis Borsoni Sism., che per la sua forma potrebbe assomigliarle di più, e per la sua altezza, che. 368 C. AIRAGHI. credo minima nel Brzssopsis ponteganensis e per la disposizione dei pori sui petali pari. Località. — Pontegana. Collezione. — Museo civico di Milano. Brissopsis, sp. ind. 1897. Brissopsis sp. ind. Airaghi, 2 Colle di S. Colombano e è suoi fossili, pag. 12. Riporto ancora, come già feci nella memoria citata, quanto mì disse il prof. Pantanelli, che ebbe in esame I’ unico e male conservato esem- plare appartenente a questa specie. « È una specie analoga alla Bris- sopsis lysetera dei mari del Nord, ed è forse una specie nuova, ma © troppo guasta per potersi descrivere. Differisce poi dalla B72ssopszs lysetera per essere questa meno declive in avanti e per aver la faccia superiore più convessa. » Località. — S. Colombano. Collezione. — Fiorani. Brissopsis, sp. ind. Un esemplare solo e mal conservato. Specie di piccole dimensioni, ovata oblunga, faccia superiore e posteriore piane. Apice degli ambu- lacri subcentrale, spostato un poco in avanti; il solco anteriore poco profondo, stretto, con piccoli pori. Le aree ambulacrali pari petaloidee sono piuttosto larghe in forma di mezzaluna, poco escavate, le anteriori egualmente lunghe che le posteriori, ma queste di molto più divergenti che quelle. Le zone porifere sono larghe, le due file di pori poco di- stanti fra loro, le zone interporifere strette. L'apparato apicale presenta quattro piccoli pori; i due anteriori più piccoli e più vicini tra loro che i posteriori, più grandi e più lontani. ECHINIDI DEL PLIOCENE LOMBARDO. 369 Mi trovo nell’ impossibilita di dare le precise dimensioni di questa forma, che se ha conservato ancora abbastanza bene la parte centrale, altrettanto non si può dire del suo contorno alquanto abraso; è poi molto schiacciata. Questo Brzssopsis è vicino al Bross. Pecchiolit De-Loriol rinvenuto pure a Pontegana, ma credo si debba tener distinto e perchè presenta sli ambulacri pari molto larghi e d’ una medesima lunghezza, e per- chè ha gli ambulacri pari anteriori più divergenti che non i posteriori, e le zone interporifere più strette in confronto col Briss. Peechzoli. Inoltre il Bress. Pecehzolii avrebbe una forma piuttosto rotonda, men- tre volendo completare il contorno del mio esemplare si avrebbe una forma piuttosto oblunga. Località. — Pontegana. Collezione. — Museo civico di Milano. Brissopsis, sp. ind. Un piccolo esemplare che potrebbe essere avvicinato al Brzssopsis intermedius, Sism., sia per il contorno in generale e per le dimen- sioni, ma da questa specie diversifica e per avere l’apice ambulacrale posto maggiormente all’ indietro e per i petali anteriori di molto più lunghi dei posteriori. Il cattivo stato di conservazione di questo echi- nide non mi permette maggiori raffronti. Località. — Pontegana. Collezione. — Museo civico di Milano. Brissopsis, sp. ind. Un esemplare conservato solo per metà. È una specie di medie di- mensioni, e forse una specie nuova. Diversifica da tutte le altre per i suoi petali molto larghi; gli anteriori molto divergenti e aperti all’ in- fuori, 1 posteriori pure molto divergenti; le serie dei pori negli am-. 370 C. AIRAGHI. bulacri pari molto ben distinti e lontane tra loro; i pori sono separati da linee traswersali molto salienti. L’ambulacro impari anteriore molto largo che giunge sino all'orlo; provvisto da piccoli pori separati da li- nee trasversali salienti come negli ambulacri pari. Potrebbe essere avvicinata al Briss. Lyrifera, fisurato dall Agassiz (Revision of the echini, part. II, tav. XXI, fig. 2) pei suoi petali pari, ma diversifica da questa per avere l’ambulacro impari molto più largo pur tenendo conto anche che l'esemplare ch’ io possiedo è il mo- dello interno. Località. — Pontegena. Collezione. — Museo civico di Milano. Brissopsis, sp. ind. Un esemplare troppo male conservato; apice ambulacrale posto molto all’ indietro, petali pari egualmente divergenti, gli anteriori più lun- chi, zone interporifere larghe, diritte; spessore massimo a un terzo del margine anteriore. Per la sua forma potrebbe essere avvicinato al Briss. intermedius Sism., ma si distingue da questo oltre che per al- cuni dei caratteri sopraccennati anche per le sue maggiori dimensioni. Località. — Pontegana, Collezione. — Museo civico di Milano. Brissopsis, sp. ind. Un esemplare col contorno abraso; faccia superiore piana, sommità ambulacrale subcentrale, spostata verso l'orlo posteriore. Solco anteriore poco escavato, provvisto di piccoli pori sparisce verso il bordo: petali pari anteriori larghi, arcuati alla sommità, quelli posteriori pure larghi, ma hrevi, rotondeggianti. Se questa specie può essere avvicinata al Brvss. ovatus Sism. per la disposizione dei petali, diversifica per la sua forma che invece di ECHINIDI DEL PLIOCENE LOMBARDO. 971 essere rotonda, ovoidale, è allungata esagonale. Una certa analogia po- trebbe avere anche coll’ Hemzaster Canavariz De-Loriol (Zehinides de Camerino, De-Loriol, plane. II, fig. 3), ma questa oltre che essere una forma miocenica presenta anche i petali anteriori molto più brevi. Località. — Val Faido. Collezione. — Museo civico di Milano. Brissopsis afl. ovatus, Sism. Un esemplare molto mal conservato avendo subìto certo un grande schiacciamento, potrebbe però essere avvinato al Zivss. ovatus Sis. Località. — Folla d’ Induno. Collezione. — Museo civico di Milano. Brissopsis Nicoleti, Desor. 1857. Brissopsis Nicoleti Desor, Sinopsis, pag. 380. 1876 ” » De-Loriol, Description des oursins tert. de la Suisse, pag. 95, tav. XV, fig. 3, 4. Il mio esemplare corrisponde perfettamente alla descrizione e figura data dal De-Loriol. Località. — Bizzozero (sponda destra dell’Olona). Miocene. Collezione. — Museo civico di Milano. Brissopsis, sp. ind. Un esemplare troppo male conservato. La specie a cui appartiene, potrebbe essere avvicinata alla Br%ss. Borsonzi Sism., ma da essa di- versifica molto per i suoi ambulacri pari postoricri molto più brevi; inoltre il Briss. Borsondd sarebbe una forma pliocenica e non mioce- nica, come ha dimostrato Botto-Micca (Contribuzione allo studio degli Sie C. AIRAGHI. echinidi terziari del Piemonte), mentre il mio esemplare proviene da Val Grande, presso Trivino (prov. di Como). Miocene. Collezione. — Museo civico di Milano. Schizaster major, Desor. 1808. Schisaster major Desor, Synopsis, pag. 390. 1896. ” » Botto-Mieca, Contr7b. allo studio degli ech. ters. del Piemonte, pag. 18. 1897. Hemiaster major Vinassa de Regny, Zehinidi neocenici del museo parmense, pag. 17. 1896. Sehizaster major De Alessandri, Za pietra da Cantoni ece., pag. 72. riferisco a questa specie tre esemplari abbastanza bene conservati nella loro porzione superiore. La superficie è coperta da tubercoli molto piccoli senza alcuna sim- metria. La parte posteriore elevasi gibbosa, e così la superficie pre- sentasi a piano inclinato dall’ indietro all’avanti. Sommità ambulacrale posta nel centro. L’ambulacro impari anteriore molto largo e molto escavato, a fondo piatto, e si estende fino al margine. I petali pari anteriori, sottili presso le piastre madreporiche, vanno man mano al- largandosi verso le estremità, e si fanno profondi, arcuati a foggia di S; quelli posteriori invece sono brevi e retti. Località. — Folla d’ Induno, Collezione. — Museo civico di Milano. Schizaster Scillae, Desor. 1843. Sehizasler eurynotus Sismonda, Mem. sugli echinidi fossili del Cont. di Nisza, pag. 31} tav. I 0.219): 1858. DS71. 1880. ISS. 1887. 1887. LOT. ECHINIDI DEL PLIOCENE LOMBARDO. Bld Sehizaster Scillae Desor, Synopsis, pag. 389. » Laube, Die Echinoid. der oesterr.-hunga- risch. oberen, tert. pag. 71. Cotteau, Deser. des echin. tert. de la Bel- gique. Tav. VI, fig. 3. Mazzetti e Pantanelli, Cenno mon. intorno alla fauna foss. di Montese, pag. 20. Mariani e Parona, Zossili fort. di Capo S. Marco in Sardegna, pag. 09. l'ridiano Cavara, Le sabbie marnose plioe. di Mongardino, ece., pag. 11. Cotteau, Deseript. des Lehinides miocènes de la Sardaigne, pag. 42. Botto-Micca, Contribuz. allo studio degli echin., ecc., pag. 40. De-Loriol, £elzwodermes tertiaires du Por- tugal, pag. 48. Airaghi, ‘2 Colle di S. Colombano e 7 suoi fossili, pag. 12. De-Alessandri, Za pietru da Cantoni di Rosignano, ecc., pag. T1. Dopo quanto dissero i diversi autori di questa specie credo inutile aggiungere altro, tanto più che i miei esemplari non presentano alcuna particolarità degna di nota. Località. — S. Colombano. Collezione. — Museo civico di Milano. — Fiorani. ~I iss C. AIRAGHI. qo Schizaster Mariani, n. sp. Tavola I, fig. Sa, Sd. l'orma di medie dimensioni, cordiforme, allungata, colla maggior lar- ghezza spostata verso la parte anteriore, quasi in corrispondenza all’a- pice dei petali pari anteriori. Lo spessore massimo si trova sotto all’area interambulacrale poste- riore in corrispondenza al foro anale; lo spessore vien quindi dimi- nuendo cosicchè la faccia superiore resta molto inclinata all’avanti; la faccia inferiore è poco convessa nella parte centrale, piana ai lati della fasciola subanale. La sommità ambulacrale molto spostata all’ indietro, gli ambulacri pari anteriori larghi e divergenti, foggiati a forma di S; i posteriori grandi, rotondi, profondi, poco acuminati all’indietro. Aree ambulacrali e spazio interporifero larghi. Il solco anteriore è largo, restringendosi arriva fino all’orlo, è for- nito di piccoli pori, separati gli uni dagli altri da linee trasversali. Le aree interambulacrali anteriori strette, le laterali ampie e incur- vate, quella impari posteriore subcarenata e foggiata a rostro. Questa specie st avvicina molto allo Sch¢z. pyriforinis, Botto-Micea, e di questa infatti ha molti caratteri. Si distingue dallo Sehie. pyri- formis per aver la parte anteriore meno acuta, uno spessore minore e in generale una forma più rotondeggiante. Dallo Sehis. Aarreri Laube, col quale ha pure affinità, si distin- sue oltre che per la sua forma in generale, per la disposizione e forma degli ambulacri. Al chiar. prof. Mariani, che gentilmente mi diede ospitalità nel suo laboratorio, in segno di riconoscenza, ho dedicato questa specie. Localita. — S. Colombano. Collezione. — Museo civico di Milano. on ECHINIDI DEL PLIOCENE LOMBARDO. 3 Schizaster globulosus, sp. n. Tavola I, fig. 9a, 9 0. 1897. Schizaster sp. Airaghi, I Colle di S. Colombano e i suoi fossili, pag. 15. Forma di mediocre dimensione, ovoidale, caratterizzata dalla curva risentita e quasi regolare della sua faccia superiore. La sommità am- bulacrale di poco spostata all’ indietro; gli ambulacri pari anteriori lar- ghi e divergenti, leggermente foggiati a S, i posteriori meno diver- genti, pure larghi e profondi e leggermente acuminati all’indietro. Aree ambulacrali e spazio interporifero larghi. Il solco anteriore largo e profondo e intacca il margine. Le aree interambulacrali anteriori strette, quelle laterali larghe e incurvate, quella impari posteriore molto alta, subcarenata e foggiata a rostro. Faccia inferiore? Nulla posso dire, poichè l’unico esemplare male conservato ne'è mancante. x Lo Sehiz. globulosus è molto vicino allo Sehzz. Scillae, Desor, ma mentre lo Sezl/ae è piuttosto allungato, lo Sehzz. globulosus ha una forma piuttosto rotondeggiante; inoltre in quello la faccia superiore è molto inclinata all’ avanti, mentre in questo è quasi regolarmente curva, carattere che m’ha deciso a distinguerlo coll’aggettivo globulosus. Località. — S. Colombano. Collezione. — Fiorani. Maretia Pareti, Mane. Tavola I, fig. 10. 1878. Maretia Pareti Manzoni, Gli echinidi fossili dello Sehlier delle colline di Bologna, pag. 158, tav. I, fig. 1-2, tav. II, fig. 28, tay. IV, fig. 33 a 39. ) 376 Cc. AIRAGIII. Di questa bellissima specie tengo un hel esemplare, molto ben con- servato specialmente nella parte superiore. È una forma di grandi di- mensioni, ovata, oblunga, coll’ estremità anteriore tondeggiante, sinuata dall’incavatura del solco anteriore, coll’estremità posteriore piuttosto acuminata, La faccia superiore è leggermente convessa. L’ ambulacro impari appena sensibile verso l’ambito, gli ambulacri pari poco esca- vati e ampii, quelli posteriori però più lunghi e larghi e meno diver- genti di quelli anteriori. La faccia superiore è coperta tutta quanta da tubercoli tranne che nello spazio ambulacrale anteriore e nella estre- mità posteriore. Sul mio esemplare si possono osservare abbastanza bene anche i ca- ratteri di minima importanza, e corrispondono alla descrizione data dal Manzoni. Località. — Vallassa (Val Staffora). Miocene. Collezione. — Museo geologico di Pavia. CONCLUSIONE. Era mio desiderio, mediante questo studio, non tenendo conto delle tre specie mioceniche, portare un lieve contributo nello stabilire le ana- lovie esistenti fra i diversi sedimenti pliocenici lombardi in relazione alla loro età, ma la povertà di questa fauna echinologica, unitamente all’impossibilità di una precisa determinazione di tali fossili mal con- servati, non mi permisero di farlo. I depositi però di Pontegana, dove si rinvennero diversi Bi/ssopsis, e di Taino, dove fu raccolto il Doroc. papillata Leske, probabilmente si devono considerare come formazioni di un mare più profondo di quello di S. Colombano, dove si trovò lo Strongylocentrotus Draeba- chiensis Agas., che tutt'ora vive nelle acque poco profonde. Ad una Cc. AIRAGHI - chintde del fliocene lombarda. ( tt Ni Jf f 4) Sec oy ot 1 So a Oc1wHn at = T ian È LAO ic . av, I. fig. 8.a fig. 8.b fig. 9.b FOTOCOLL, CALZOLARI E FERRARIO, MILANO ECHINIDI DEL PLIOCENE LOMBARDO. 911 simile conclusione si pervenne anche collo studio fatto sui molluschi e foraminiferi di questi depositi. ! Se si confronta poi questa fauna echinologica con quella già illu- strata degli altri sedimenti pliocenici d’Italia, si vede che solamente qualche specie è comune alla maggior parte di esse (Dorocidaris pa- pilata, Kchinus hungaricus), e che ha una maggior relazione con quella del Piemonte, dove pure, come in Lombardia, si trovò il B77s- sopsis Genet var. pliocenica, il Bris. latissimus, il Bris. Pecchioli, lo Schizaster major, lo Sehizaster Scillae, ecc. Infine se si considera che il più gran numero delle specie di dette faune appartiene ai generi Achinus, Schizaster, Strongylocentrotus, Dorocidaris, proprii, secondo l’Agassiz, della provincia atlantica, si deve ritenere che le condizioni del mare pliocenico d’Italia non dove- vano essere notevolmente diverse da quelle attuali del Mediterraneo. Dal Museo Civico di Milano, 1898. ui SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. Fig. 1. Dorocidaris papillata, Leske. » 2. Zeiopedina, sp. ind. » 5. Hehinus aff. margaritaceus, Lamk. ie 4. ) » hungaricus, Laub. . Stirechinus, sp. ind. (a faccia superiore, 4 faccia inferiore). , a. Strongylocentrotus Draebachiensis, Agas. (6, 6 placche con pori). . Brissopsis ponteganensis, sp. n. . Schizaster Mariani, sp. n. (a faccia superiore, d di profilo). neo: ) globulosus, sp. n. (a faccia superiore, 4 di profilo). » 10. Maretia Pareti, Manz. 5 6 UM 8 ! Vedi Sartorio, Parona, loc. cit., Martant, Moraminiferi della Collina di S. Colombano lodigiano. (Rendiconti Ist. lomb. 1888.) OSSERVAZIONI SUL TETRACOTYLE PERCAL PLUVIATILIS (Moulinié) E SU ALCUNI FENOMENI VERIFICATI NEI PESCI PERSICI. Comunicazione fatta alla Società Italiana di scienze naturali nel giorno 26 giugno 1898 dal socio Prof. Gian Pietro Piana. Dall’aprile di quest'anno vo facendo, invitato dall’amministratore della casa del comm. Ettore Ponti, ricerche per giungere a conoscere la causa della mortalità che fa temere la distruzione di una specie apprezzatis- sima di pesci, quale è quella del pesce persico. Nella circostanza di queste ricerche sono stato condotto a rilevare come nei pesci persici del Jago di Varese si riscontri la presenza di un trematode a stato larvale, già descritto dal Moulinié, dal Linstow, e dallo Zschokke e conosciuto sotto il nome di Zetracotyle Percae flu- viatilis. Senza timore di esagerare, posso affermare che più del 90 per cento dei pesci persici da me esaminati erano infestati da tetracotili. Negli altri pesci del lago di Varese non mi fu dato di trovare una sol volta un simile parassita. I tetracotili nei pesci persici furono da me trovati, anzichè nel pe- ritoneo attorno al cuore e fra i muscoli, ove sono stati indicati dal Moulinié e dal Linstow, incistidati nelle pareti della vescica natatoria OSSERVAZIONI SUL TETRACOTYLE PERCAE FLUVIATILIS, ECC. 0379 e in mezzo ai reni. Talvolta ne trovai circa un centinaio in un sol pesce; ma ordinariamente ne trovai in numero vario da 10 a 30. Non pare però che i tetracotili siano la causa diretta della morta— lità, perchè li trovai ugualmente nei pesci persici raccolti morti nelle acque e in quelli pescati vivi. Sembra invece che essi siano causa di incompleto accrescimento del corpo. I pesci che trovai maggiormente infestati non dimostravano per grossezza età superiore ai due amni, mentre che avevano gli organi genitali in piena attività funzionale, come sì trovano nel pesci persici di oltre tre anni. I tetracotili possono riescire nocivi disturbando la funzione della ve- scica natatoria e della glandula vascolare annessa alla vescica stessa. Difatti essi si trovano comunemente ammassati nella parte anteriore e inferiore delle pareti della vescica natatoria, corrispondentemente al luogo di passaggio dei vasi e dei nervi e fra i diversi lobi dell’indi- cata glandola. I tetracotili in discorso hanno forma di dischi elissoidali e dimen— sioni varie: in media misurano centimillimetri 70 col diametro longi- tudinale, centimillimetri 55 col diametro trasversale e centimillimetri 25 in ispessore. Il loro corpo è tutto infiltrato da sferuline di un mate- riale incoloro molto rifrangente la luce, dalle quali sferuline è reso opaco. In seguito a colorazione però colle comuni soluzioni carminiche e a trattamento coi reagenti che comunemente s’ impiegano in istologia per ottenere il rischiaramento dei tessuti, si può chiaramente distin- guere nel corpo: la ventosa anteriore o buccale, piuttosto piccola, sub- marginale e continuantesi inferiormente con un brevissimo esofago e po- scia con due branche intestinali; la ventosa posteriore o ventrale, discre- tamente ampia, situata appena inferiormente al centro della superficie ventrale; le due ventose o infundibuli laterali, lateralmente e alquanto inferiormente alla ventosa buccale, e di forma allungata nella direzione dell’asse longitudinale. Di più risulta, inferiormente alla ventosa ven- trale, nell’ interno del corpo, una massa globosa, ricca di piccoli elementi cellulari e avente una cavità irregolare nel centro. Questa cavità co-— Vol. XXXVIE. ; 25 380 G. P. PIANA. munica coll’esterno mediante un foro submarginale situato nella parte posteriore del corpo. ! i Confrontando la struttura dei tetracotili dei pesci persici con quella di trematodi completamente sviluppati trovo somiglianza per quanto ri- sguarda alla conformazione del tubo digerente del Conchosomum ala- tum (Goeze). In oltre le ripiegature della superfice cutanea del detto concosoma, nel punto in cui si distaccano le due espansioni alari, la- teralmente alla ventosa buccale, ricordano in certo modo le ventose 0 infundibuli laterali dei tetracotili. Nella vescica natatoria e nelle altre parti dei pesci persici i tetra- cotili si trovano contenuti entro cisti o capsule connettivali. Talvolta tali cisti sono ampie e tall’altra appena sufficienti e hanno una parete che può avere uno spessore di fino cinque centesimi di millimetro. All’infuori dei tetracotili nei pesci persici fino ad ora esaminati ho trovati ben pochi altri parassiti! ho trovato cioè un piccolo distoma qualche volta nell’ intestino e larve di batriocefalo. Queste furono ri- scontrate una volta aderenti all’ovario, un’altra volta nelle pareti mu- scolari del ventricolo e un’altra volta ancora, discretamente numerose fra i muscoli di un lato del corpo. Sebbene 1 tetracotili non possano essere incolpati della distruzione diretta del pesci persici, certamente nuociono alla prosperità degli stessi. Perciò la conoscenza del ciclo evolutivo di vita dei tetracotili ofirirebbe oltre che un interesse scientifico un interesse pratico. Dopo la cono- scenza di questo ciclo si potrebbe pensare a trovare espedienti vale- voli a difendere i pesci persici dell’ invasione dei tetracotili. ° ! Mi riserbo di indicare in altra circostanza più minute particolarità di strut- tura dei tetracotili dei pesci persici e di discutere sulle controversie esistenti sulla struttura stessa. 2 Molto probabilmente la nocivita dei tetracotili pei pesci persici è assai mag- giore di quella ammessa in questa mia comunicazione, e ciò specialmente nel pe- riodo in cu si verifica la migrazione nella vescica natatoria. Allora, sebbene i te- tracotiti non possano venir scorti coll’aiuto di semplici lenti d’ingrandimento, per- OSSERVAZIONI SUL TETRACOTYLE PERCAE FLUVIATILIS, ECC. 381 Per le conoscenze che si hanno sopra altre larve di trematodi ana- loghe ai tetracotili, si può ritenere, che il tetracotile del pesce persico debba passare una fase anteriore o primitiva nel corpo di qualche mol- lusco e una fase successiva o di completo sviluppo nel corpo di qualche vertebrato divoratore di pesci persici. Secondo il Linstow però 1 tetracotili deriverebbero direttamente dal- l'embrione nato da un uovo di Olostoma e perciò non rimarrebbe altro a dimostrare da qual specie di Olostoma deriva il tetracotile del pesce persico. L’Ercolani poi, riescì ad ottenere sperimentalmente la metamorfosi nell intestino dell’anitra del Zetracotyle De Filippi di Paludina vi- vipera e achatina e di Planorbis corneus in un olostoma che giu- dicò riferibile alla specie Zolostomum erraticum (Du). Io spero di riescire, seguendo le traccie del Linstow e dell’ Ercolani, alla conoscenza del ciclo evolutivo del Zetracotyle Pereae fluviatilis se non mi verranno a mancare i materiali di studio, che fino ad ora mi furono largamente offerti dall’Amministrazione della Casa del signor Comm. Ettore Ponti. * * x Ma se nè i tetracotili nè altri parassiti sono causa diretta della mor- talità dei pesci persici di alcuni laghi lombardi, quale altra causa sarà a ricercarsi ? Alcuni fatti osservati nei pesci persici viventi, che conservavo nelle vasche del mio laboratorio, sembrano fornire, a mio modo di vedere qualche dato per spiegare la mortalità dei pesci stessi nei laghi. In seguito a copiose ingestioni di alimento, a deficente aerazione del- l’acqua ambiente, a riscaldamento dell’acqua stessa verificatosi nelle ore del mattino e meglio ancora in seguito a spavento ho visto ripetute chè piccoli e sprovvisti di capsula, movendosi in diretto contatto cogli elementi delle pareti della vescica natatoria, debbono promuovere disturbi nutritivi e fun- zionali assai gravi nelle pareti stesse. 382 G. P. PIANA. volte come alcuni pesci persici fossero presi da accesso epilettiforme, accompagnato da forte sbiadimento delle tinte della pelle e poscia da morte. In alcuni casi i pesci persici irrigiditi e sbiaditi per l’accesso epi- lettiforme si sono riavuti, dopo essere stati esposti ad una corrente di acqua molto aerata. I pesci così riavuti però, dopo alcune settimane presentarono alcune strane ‘alterazioni, che molto probabilmente sono in rapporto col detto accesso. Alcuni presentarono uno sbiadimento persistente della pelle; altri invece presentarono esoftalmo a un occhio. Fra questi sì notò ancora talvolta deviazione laterale della porzione mediana della colonna vertebrale e tendenza a mantenersi verso la su- perficie dell’acqua. Sospettando che l’esoftalmo fosse prodotto da qualche parassita (come sarebbe il distoma anuligero) situato nell’occhio o nei tessuti circo- stanti, anatomizzai alcuni di questi pesci, ma non riuscii a trovarvi, corrispondentemente all’occhio sporgente, che il globo oculare più vo- luminoso del normale e con spandimenti emorragici sottoretinici. Nei pesci persici morti in seguito ad accesso epilettiforme nelle vasche del laboratorio e nei pesci persici raccolti morti nel lago di Varese ho notato costantemente la presenza di cristalli simulanti schi- zomiceti in forma di bacilli. I tetracotili si trovarono più o meno ab- bondanti e qualche rara volta anche mancanti come negli altri pesci. Alcuni pesci persici raccolti morti nel lago di Varese furono trovati con parte della superficie del corpo invasa da muffe saprolegnacee. Avendo però notato questo fatto solo in alcuni cadaveri che presen- tavano evidenti indizi di iniziata decomposizione, non credo che il fatto stesso possa essere considerato come causa di morte. Nei pesci persici che conservai viventi nelle vasche ebbi a rilevare un altro fenomeno che parmi assai strano. Passati questi pesci in un recipiente bianco (una bacinella in ferro smaltato) ed esposti, immersi nell'acqua, alla luce diretta del sole, in pochi istanti subivano un forte . OSSERVAZIONI SUL TETRACOTYLE PERCAE FLUVIATILIS, ECC. 383 sbiadimento della pelle, simile a quello notato nell’accesso epilettiforme. Questo sbiadimento però non era persistente, ma invece gradatamente si dileguava. Un pesce persico mortomi tre giorni or sono, il quale ebbe già a presentare accesso epilettiforme e in conseguenza, ultimamente mostrava deviazione laterale dell’asse longitudinale del corpo, esoftalmo, e ten- denza a mantenersi alla superficie dell’acqua, non offriva più la pro- prietà di mutare di tinta per l’esposizione al sole in un recipiente bianco. Esso perciò poteva servire come termine di confronto per meglio rilevare lo sbiadimento degli altri pesci persici. Ho voluto comunicare alla Società queste osservazioni sebbene an- cora incomplete, acciocché i Soci vogliano compiacersi di fornirmi quelle indicazioni e quei consigli che a loro credere sono da seguirsi per po- terle completare. In risguardo allo studio del ciclo evolutivo di vita del Tetracotyle Pereae fluviatilis ho già iniziato ricerche sulle forme larvali primi- tive di trematodi che si trovano nei molluschi del lago di Varese, nonchè ricerche sperimentali per tentare l’allevamento dei tetracotili dei pesci persici nell’ intestino di diversi animali; ma per ora tali ricerche non mi permettono di giungere ad alcuna conclusione definitiva. Solo no- terò che fra i tetracotili trovati viventi e spogli di capsula nel pro- ventricolo di un’ anitra, a cui da un’ora aveva somministrato alcune vesciche natatorie di pesci persici, ne notai uno il quale, nel posto dell’orifizio di uno degli infundibuli laterali, presentava sporgente un zaffo in forma di spattula e, in corrispondenza alla parte anteriore della superficie ventrale del corpo, una forte depressione in modo da con- vincermi maggiormente, che il trematode a completo sviluppo derivante dal Tetracotyle Percae fuviatilis sia una specie di Conchosomum. * * * Dopo presentata questa comunicazione mi vennero inviati in esame dal signor Gaetano Astori, agente del Comm. Ettore Ponti e dal signor 384 i G. P. PIANA. Besana piscicultore, esemplari di pesci persici dei laghi di Comabbio e di Monate e feci io stesso nei giorni dal 21 al 24 luglio una gita sugli indicati laghi e sul lago Maggiore e sul lago di Como. In tal modo potei raccogliere altri dati e notizie meritevoli di essere notate e che molto probabilmente riesciranno molto utili nelle nuove indagini da compiersi. Il lago di Comabbio, detto più comunemente di Varano e Ternate, comunica con quello di Varese mediante il canale Brabbia scorrente in mezzo a torbiere ed è frequentato, stando alle informazioni raccolte dalle persone pratiche dei luoghi, dalle medesime specie di uccelli che frequentano il detto lago di Varese. Nell’autunno, epoca in cui si ve- rifica la moria dei pesci persici in entrambi i laghi, vi si trovano bran- chi di Crocephalus melanocephalus, di Larus canus e di Fulica Atra. Le due prime specie di uccelli, benchè meno numerose, vi si tro- vano anche nelle altre stagioni. I pesci persici del lago di Comabbio sono affatto simili a quelli del lago di Varese e si trovano ugualmente infestati da tetracotili. La proporzione dei pesci persici infestata da te- tracotili risulta del 95 per cento. Il lago di Monate, sebbene poco distante, non comunica con quello di Varese, ma invece con quello Maggiore; le sue spiaggie sono gene- ralmente molto profonde e poco erbose; non è così frequentato dalle specie di uccelli notate nel lago di Varese e di Comabbio, e 1 pesci persici, che vi vivono meno numerosi, si distinguono da quelli dei men- tovati laghi per avere corpo di forma più ventricosa e le pinne infe- riori con tinta rossa anzichè gialla. I pesci persici del lago di Monate si trovano rarissimamente e scar- samente infestati da tetracotili. La proporzione dei pesci infestati su quella dei pesci immuni è circa del 10 per cento. 4! 1 Da osservazioni fatte ultimamente dal sig. Besana risulta, come l'invasione di tetracotili nei pesci persici del lago di Monate sia diventata, dopo le mie prime ricerche, molto maggiore, in modo da uguagliare quella dei pesci persici del lago di Varese. OSSERVAZIONI SUL TETRACOTYLE PERCAE FLUVIATILIS, ECC. 385 Esaminato il lago Maggiore, corrispondentemente alla foce del Bar- dello, canale di scarico del lago di Varese, vi si videro a distanza dalla spiaggia alcuni Larus canus. Venti pesci persici fatti pescare appo- sitamente per ordine del sig. Astori presentarono corpo ventricoso e pinne inferiori rosse come 1 pesci persici del lago di Monate. Dician- nove di questi pesci erano infestati da tetracotili. Anche per il lago Maggiore adunque la proporzione dei pesci persici infestati da tetraco- tili risulterebbe del 95 per cento. Da esame fatto dal sig. Besana sopra 50 pesci persici pescati nel lago di Como e da quello fatto da me sopra 7 pesci persici acquistati in un negozio di Como, risulterebbe che i pesci persici di questo lago sono immuni da tetracotili. ! NOTE BIBLIOGRAFICHE sul Zetracotyle Percae fluviatilis Moulinié. J. J. MouLinIÉ, De la reproduction chez les Trématodes endopa- rasites (Mémoires de |’ Inst. Genevois. Genéve, 1856). A pag. 231-234 descrive con mirevole esattezza il tetracotile da lui scoperto nel pesce persico. Non ha perd rilevata in questo tetracotile la cavita esistente nell’ interno dello spazio chiaro sprovvisto di granuli calcari, situato posteriormente alla ventosa centrale, e la comunicazione di questa ca- vità col poro escrettore situato più posteriormente. Penso che cid sia derivato dal non avere il Moulinié sottoposto i tetracotili a coloritura artificiale, atta a mettere in evidenza i piccoli elementi cellulari che limitano l’indicata cavità. ! Anche dalle ricerche ulteriori del sig. Besana, fatte sopra un numero rilevan- tissimo di pesci persici del lago di Como, risulta confermata l'immunità di questi pesci rispetto ai tetracotili. 386 G. P. PIANA. Il Moulinié trovò questi tetracotili in quasi tutti 1 pesci persici del lago di Ginevra, in tutte le stagioni, nelle vicinanze del cuore, lungo il percorso dei grossi vasi, fra 1 muscoli che circondano la colonna vertebrale in prossimità alla testa, nei cumoli di cellule adipose delle indicate località: non ebbe però a rilevare come sede di elezione dei tetracotili la vescica natatoria e la glandula ad essa annessa. A lui parvero meno numerosi e nello stesso tempo più sviluppati e vivaci durante la stagione calda che nel corso dell’inverno. Il Moulinié si valse della presenza di tetracotili incistidati nei pesci persici come argomento per escludere, che 1 tetracotili dei molluschi siano, come pretendeva il De-Filippi, il prodotto di specie differenti di nutrici (sporocisti della cercaria armata, redie della cercaria echina- tode). Ritenne invece i tetracotili derivanti da una forma acquatica, analoga alle cercarie, atta a progredire nello sviluppo nel corpo dei molluschi e in quello dei pesci, prima di passare e di svilupparsi com- pletamente nel corpo di altri animali. O. von Linstow, Znthelminthologica (Archiv. fiir Naturgeschichte von F. H. Troschel. Zweites Heft. Berlin, 1877). A pag. 192 descrive brevemente il tetracotile del pesce persico. Nelle pagine seguenti poi, basandosi sull’ affinità dei caratteri di struttura del corpo dei Zetra- cotyle in genere con alcune specie di Zolosfoma, giudica i detti te- tracotili essere larve di olostomi. Descrivendo poi lo sviluppo dell’em- brione nelle uova di Holostomum cornucopiae, tenute in incubazione nell’acqua, nota come tale embrione, dopo il trentesimo giorno, si pre- senti bene sviluppato, sia provveduto di ciglia vibratili e di macchie oculari, ugualmente a quello delle ova di distoma epatico, e assomigli molto nella conformazione del corpo con un tetracotile. Uscendo questo embrione dal guscio delle uova nuota molto vivacemente nelle acque in cerca di un albergatore opportuno. Considerando il 7e/racotyle Percae fluviatilis, come si è fatto da parte nostra, quale larva di una specie di trematode appartenente al genere Conchosomum del Railliet, si conviene col Linsrow, coll’Erco- OSSERVAZIONI SUL TETRACOTYLE PERCAE FLUVIATILIS, ECC. 387 LANI (Dell’adattamento della specie allambiente. Bologna, 1881) e anche col Branpes (Die Mamilia der Holostomiden. Zoologischen Jahr- biichern. Fiinfter Band. Leipzig, 1888) poichè il genere Conchosomum venne appunto formato con specie prima considerate come Hemistomui, o come Holostomum e comprese tutte nella famiglia degli Olostomidi. Il Linstow descrivendo i caratteri generali dei tetracotili trovati in- cistidati in diverse specie di animali, indica due glandule aventi shocco nelle ventose accessorie o laterali, che secondo lui non sarebbero vere ventose perchè mancanti di muscolatura, e la comunicazione delle due branche intestinali colla cavità del corpo globoso situato posteriormente alla ventosa ventrale. Questi fatti non vennero da me riscontrati nel Tetracotyle Percae fluviatilis. Fritz ZScHoKke, (Recherches sur Vorganisation et la distribution zoologique des vers parasites des poissons d'eau douce.) Gand, 1884. trattando delle diverse specie elmintiche trovate dal dicembre 1882 alla fine del settembre 1883, nei pesci del lago Lemano, descrive il Tetracotyle Percae riscontrate nei mesi di dicembre, gennaio, febbraio, Marzo, agosto e settembre. Lo Zschokke dice avere trovate le cisti con- tenenti questo parassita fissate sul peritoneo di quasi tutti gli esem- plari esaminati di Perca /luviatilis e più specialmente nella faccia interna della vescica natatoria; e non avere notato differenze nelle quantità e nelle dimensioni del parassita stesso in rapporto colle di- verse stagioni. STEFAN von Ritz, (Beitrag zur Parasiten der Balatonfische. Cen- tralblatt fiir Bacteriologie, Parasitenkunde und Infektionskrankheiten. Jena, 1897. Band XXII, N. 16, 17, pag. 443.) pure occupandosi dei parassiti della Perca fluviatilis del lago Balaton non fa menzione al Tetracotyle Percae fluviatilis. Cid dimostra una volta di più come que- sto parassita non si riscontri nei pesci persici di tutti i laghi. ily i ne | i i si PO AAA ot ti ni EN; () | e i i a an ; i nll va DAMA Py ARE N o SAR (Co MIRTO, ct eg | È i VIVONO HIT: ni abi bla HIM af SUR fi i hea sii i i LUMIA nN} i Has pi 1 | Ni Da: ii RITA i IVREA CORI È fio dui. ue rath a NENTI its Nie! het’ fr TI VOTARE i oben de Reni Uk Ri yi i i : laa puo 4 ii Mb th Ge wil Ni pi SCA MANDI; i tHe ili ath Aas i a ae o A de dete, an ET Oa E AS Pee PA LAM) vi i to Pa ees iit 7 been ARI Te at Î die Ù 6 ayant My i} Dia Ts AT Read i: i al TA ATEO rat BALI LN Mita iret ela ies ee jy! vl È sa) loi, beet | ; I i no Lita (HA \ ‘ ‘ dae et wee: me Mee Ue Ne | iu I PRI RAI TA } VITI UN, LL UgT MURA DE Pl LOL EA AA meen i | Rie ) du i Li LA a : baie i POE ENT Se or at vy enh) Psy È RIP, Hy! Wiis tek ieet ob ah a ef | i, NLD a wh ity) ee SEPA Fe? PIRO CIT Wi) eT ere ain TELI, pants aes CA bea ae i Wil ME GENTI DVR TNA Meat a i ne 4 i ow at Ve Ad TOO LE UPS TONI RI TA OTERO VE i ne i 7 i Ah ita WA aU Se i | ts ae ee US a | Op ey ed SUN Bata Rg Lo est hey i I) \ hue iB ay } DPI MINI PERE. ple ge | ni wary bea Ps i Wi f Wy LAS Se LEO eben Cha fA (Noten Sas. CORA Mr FR AS 7 \ : PERONI Ned Mie 1 # A i } i Ke LETTE MWINLION ON. IL (UE tf INCL O RUI [EU { ew Ae \ I * I ) a y h meet ne. ER } ian BMC aed { Lary Î 3 ( si alt n IRAN CAR Be ees Ba Git Vk) STO ORI , ay Ah | i (i Da iù I pia 10 1 Lepr i ny fata ft) ekedt hae \ a i ae ee thy fF iif) PGT RAC aL OM il (IL hi at: i Ni ag : os X Y ‘I I ae Pee { i aa NIE fida A WARS Ps LE ewe Cn en COLA At La fe PR VA LATTA Wve MI N A ey } | | x Ù LN \ weit y Mt Di ti i) Panty ey 1) TEA dat a ube n ; ie rh DATA I KAI i yi EOLICI te MARU RIA: i i ny 3 ah BULLETTINO BIBLIOGRAFICO DELLE PUBBLICAZIONI RICEVUTE IN DONO OD IN CAMBIO DALLA SOCIETÀ dal 1° gennaio 1897 al 31 dicembre 1898. 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Complete List of the Members and Officers of the Manchester lit. and phi- los. Society, from its institution on February 28th 1781, to April 28th 1896; and Bibliographical Lists of the Manuscript Volumes dealing with the affairs of the Society, and of the Volumes of the Memoirs and Proceedings pubii- shed hy the Society. Memorie della R. Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna. (Se- rie V.) Tomo IV, fasc. 1-4, 1894; tomo V, fasc. 1-4, 1895, 96; tomo VI, fasc. 1-4, 1896, 97; tomo VII, fasc. 1-2. Bologna, 1898. Memorie della Accademia di Verona. (Serie III.) Vol. LXXII, fase. 3-4, 1896; vol. LXXII, fase. 1-2. Verona, 1897. Memorie del R. Istituto lombardo di scienze e lettere. Vol. XVII (VII della Serie II), fasc. 5-6; vol. XVIII (IX della Serie III), fasci- colo 2, 3, 4, 5. Milano, 1895, 96, 98. Memorie di matematica e di fisica della Società italiana delle scienze. (Serie II.) Tomo IX, 1896; tomo XI. Roma, 1898. Missouri botanical Garden. 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CLXXXVII for the year 1896, part. unica; series B, id., part. unica, 1897; series A, volume CLXXXVII for the year 1896, part. unica, 1896; series B, id. for the year 1897, id., 1897; series A, vol. CLXXXIX, id.; se- ries B, id., 1897-98; series A, vol. CXC, id., 1898. Fellows of the Society November 30, 1896; id. November 30, 1897. London. Picentino (Il), giornale della Real Società economica ed organo del Comizio agrario di Salerno. Anno XXXIX, fasc. 1-10-12, gennaio- ottobre 1897; anno XL, fasc. 1, 2. Salerno, 1898. Précis analytique des travaux de l’Académie des sciences, belles-lettres et arts de Rouen, pendant l’année 1895, 96. Rouen. Proceedings of the Academy of Natural Sciences of Philadelphia. Pie 530895 pte 1-351 396049760 pid.) 01997) 980/ Phila- delphia. Vol, XXXVI, 27 412 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences. Volume XXX, n. 5-14, jan., april, 1899; vol. XXXI, may 1895 to may 1896; vol. 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Pierro MAFFI, Osservazioni sui venti superiori fatte alla oa del Seminario di Pavia dal 1° gennaio 1891 al 31 dicembre 1896 . CAarLo ArraGHI, IZ Giura tra il Brembo e uw Serio. CarLo Riva, Nuove osservazioni sulle roccie filoniane del gruppo dell Adamello. PNOBOLIHE I Seduta del 3 gennaio 1897 contenente la discussione sulle frane e particolarmente su quella di S. Anna Pievepelago Seduta del 51 gennaio 1897 ILARIA Luigi GaBBa, Su alcuni risultati della sintesi chimica . Trro Vienour, 2 Musei moderni di Storia Naturale nella organizzazione della scienza. Seduta del 28 febbraio 1897 Saiu delete ma apo AES GITA RIS 88 Le Antitossine nelle malattie. — Comunicazione del socio Dott. S. Belfanti Seduta del 30 maggio 1897 Pag. 107 420 INDICE. Seduta del 28 novembre 1897 AR (GIUSEPPE PARAVICINI, Nota istologica sull’ inserzione del muscolo columellare nell’ Helix pomatia L. Ernesto MARIANI, Resoconto sommario di una gita geo- logica nelle Prealpi Bergamasche, organizzata da alcuni soci della Società Italiana di Scienze Na- turali . RISO Ere I Francesco Grassi, Ze scoperte di Hertz Du bie elet- tromagnetiche e le esperienze fondamentali di Tesla sulle correnti indotte di grande frequenza e di alto potenziale . i Mi sts ts FRANCESCO SALMOJRAGHI, Contre Duo alla limmologia E Sebino. (Con una tavola.) . Errore Arricont DeGLI OppI, Nota sopra una varietà di colorito osservata in un Anas boscas, Linn. . Errore Arricont DeGLI OppI, Le recenti comparse del Puffinus Kuhl (Boze) nel Veneziano Seduta del 19 dicembre 1897 Seduta del 30 gennaio 1898 eye’ MattEO CALEGARI, Ze Cocciniglie e /a Chermotheca vale dei dott. Berlese e Leonardi a Emitio Roserti, Condizioni attuali dell Argentina ed im- portanza dell'emigrazione italiana in quer luoghi Artini e MARIANI, Appunti geologici e petrografici sul- Lalla val Trompia ORI UNATIRO i TÀ FERDINANDO SORDELLI, //07n0 ad una collezione a cor- na di Antilopidi donata al Museo Civico, dal si- gnor Giovanni Masini Caro Riva, Osservazioni sulle trachiti- Mae del Tolfa. (Con una tavola.) Seduta del 6 marzo 1898 RIO Hee Giacomo CATTERINA, Delle alterazioni del sangue di al- cuni vertebrati sottoposto a diverse temperature Page ” d 138 INDICE. Seduta del 27 marzo 1898 Seduta del 22 maggio 1898 Seduta del 26 giugno 1898 ONE i Ewiio Roserti, Unescursione nella Pampa Argentina. Pierro MAFFI, Di un globo meteoroscopico per al trac- ciamento delle trajettorie delle meteore luminose. (Con una tavola.) CARLO Riva, Escursioni nel Caucaso e nell Armenia in occasione del Congresso geologico internazionale di PRURITO VARO ARI Ry Ry Ren EU) ra Mee TOI ANGELO FIORENTINI, Zumori rari nei polmoni dei Soli come COM UMA sta vola) e a el, Caro ArraGHI, Eehinidi del Pliocene lombardo. (Con una tavola.) Gian Pierro PIANA, Osservazioni sul Tetracotyle percae fluviatilis (Moulnie) e su alcuni fenomeni verificati nei pesci persici Bullettino bibliografico Pag. 519 | SUNTO DEL NUOVO STATUTO-REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (1895) DATA DI FONDAZIONE, 15 GENNAIO 1856. Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi - relativi alle scienze naturali. ae I Soej sono in numero illimitato (italiani e stranieri), effettivi, corri- spondenti, perpetui e benemeriti. i I Socj effettivi pagano it. L. 20 all'anno, in una sola volta, nel primo trimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno “quelli. dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e “ Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. Versando Lire 200 una volta tanto vengono dichiarati Soci effettivi perpetui. __—A Socj corrispondenti possono eleggersi eminenti scienziati che pos- : sano contribuire al lustro della Società. Si dichiarano. Soci benemeriti coloro che mediante cospicue elargi- zioni ‘avranno contribuito alla costituzione del capitale sociale. La proposta per l'ammissione d'un nuovo socio, di qualsiasi catego- ria, deve essere fatta e firmata da due socj effettivi mediante lettera di- retta al Consiglio Direttivo (secondo I’Art. 20 del nuovo Statuto). Le rinuncie dei Soci debbono essere notificate per iscritto al Con- siglio Direttivo almeno tre mesì prima della fine del 3.° anno d: obbligo co di altri successivi. + La cura delle. pubblicazioni Seth alla Direzione. DE ae Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del ornato: degli Atti e delle Memorie stesse. _ — Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale pur- chè li domandino a qualeuno dei membri della Direzione, rilasciandone regolare ricevuta e colle cautele d’uso volute dal regolamento. 4 AVVISO Per la tiratura degli Estratti (oltre le 25 copie che sono date gratis dalla Società) gli Autori dovranno, da qui innanzi, rivolgersi direttamente alla Tipografia sia per l'ordinazione che per il pagamento, che non potrà. | essere superiore a L. 2.75 per ogni 25 copie di un foglio di stampa in-8° i e a L. 2 quando la memoria non oltrepassi le 8 pagine di stampa. INDICE DEL FASCICOLO IV. ua | x ; vi Seduta del 27 marzo 1898. Seduta del 22. maggio 1898 Seduta del. 26 siugno 1898 a Me ttakecs op EmiLio Rosetti, Ui'escursione nella Pampa o gentina. Pierro Marri, Di wi globo meteoroscopico per 7 trac- ciamento delle trajettorie delle meteore ig (Con una: tavola) \ CARLO Riva, Escursioni nel Caucaso € nell’ ern in | occasione del Congresso geologico internazionale di Pietroburgo . È ta ce iaia SUINA SO ra ANGELO FIORENTINI, l'umori rari nei mon dei soli pedi. (Con una tavola) i CarLo AmraGHI, Lehinedi del Pliocene lombardo. una tavola) . ; ASL GIAN PreTRo PIANA, Osservazioni oi Tetadatyles percae fluviatilis (Moulindé) e su ale fenomeni verificati MEL POSBL PERSICO ni a Ae e de i ra Bullettino bibliografico ; “ : È È t n ' re ata î ee e” TT DO. ZO VI ST RI IERI PS di 299 301. ] 303. | 305 : Ree 320 - i 4 348 org 5 È 378 a} Pe ep a ” PIETRE O VITA TETI ee a a Lou VI i i te MIR i rau UR, i UM 1 Ma i if ia A) i \ i) Wk; Loney ie A Mae sr - i il # Ù i i x v 1 4 wd I I S fo i . = Ro AS A ¥ 1 2 r 4‘ . x i Ta E” a Not am meet | Li \ È its Hi ‘ è ni 4 ie ( i 4 i hea i 1 i . ay: * DI RA Ù LIRA Ue n Vee a i ie 0) i HIT i * TONI a A DI ay A ¢ n Hg 7 ° ay (i or t ì fl ay sr, i VINTA dee o NI TICRI IE 2 ey Le te ni i} i NELL Bi i si Ù I AUDA 3 2044 106 288 (Ed = Date Due | | MARO 1968 SETI