HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. 345.0% N ower ab \A SS ATT! SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO VOL! XLV: ANNO 1906 MILANO TIPOGRAFIA DEGLI OPERAI (SOC. COOPERATIVA) 1906 CONSIGLIO DIRETTIVO PEL 1906. Presidente. — ARTINI Prot. ETTORE, Museo Civico. Vice-Presidente. — Besana Ing. Cav. GIUSEPPE, Via Torino 51. Segretario. — DE-ALESSANDRI Dott. GIULIO, Museo Civico. Vice-Segretario. — Reposst Dott. EMILIO, Museo Civico. Archivista. — CASTELFRANCO Prof. Cav. Pompeo, Via Principe Umberto 35. BeLLoTTI Dott. Crisrororo, Via Brera 10. MagRETTI Dott. PaoLOo, Foro Bonaparte 76. Consiglieii. — ‘ SALMOJRAGHI Prof. Ing. Cav. FRANCESCO, Piazza Castello 17. VIGNOLI Cav. Prof. Tito, Corso Venezia 89. Cassiere. — ViLLa Cav. VITTORIO, Via Sala 6. Bibliotecario sio. ERNESTO PELITTI. ELENCO DEI SOCI per l’anno 1906. ABBADO Dott. Prof. Michele — Milano. ATRAGHI Dott. Prof. Carlo — Corso S. Martino 7, Torino. ALBINI Prof. Comm. Giuseppe — Via Amedeo Avogadro 26, Torino. ALZONA dott. Carlo — Via Dante 4, Milano. AMBROSIONI Sac. Dott. Michelangelo — Collegio Aless. Manzoni, Merate. ANDRES Prof. Angelo, Direttore del Gabinetto di Zoologia nella R. Università di Parma. ARTARIA Rag. F. Augusto — Cassa di Risparmio, Milano. ARTINI Prof. Ettore, Direttore della Sezione di Mineralogia nel Museo Civico di Milano. Barassi Sac. Camillo — Roggiano Valtravaglia (Luino). BARBIANO DI BELGIOIOSO Conte Ing. Guido — Via Morigi 9, Milano. BARBIERI Dott. Ciro, Assistente alla cattedra di Zoologia nella R. Sc. Sup. d’Agricoltura, Milano. BASSANI Prof. Francesco, Direttore del Gabinetto di Geologia nella R. Università di Napoli. Bazzi Ing. Eugenio — Viale Venezia 4, Milano. BELFANTI Dott. Serafino, Direttore dell’Ist. Sieroterapico di Milano. BELLOTTI Dott. Cristoforo (Socio Benemerito) — Via Brera 10, Milano. BERNASCONI Sac. Cav. Giuseppe, Parroco di Civiglio (Como). BERTARELLI Prof. Cav. Ambrogio — Via S. Orsola 1, Milano. Besana Ing. Cav. Giuseppe — Via Torino 51, Milano. Bezzi Prof. Mario — R. Liceo Alfieri, Torino. Birri Dott. Cav. Antonio (Socio perpetuo) — Via Paleocapa 2, Milano. BinAacHI Rag. Costantino — Cassa di Risparmio, Milano. Borris Dott. Prof. Giovanni — R. Università, Bologna. BoRDINI Franco (Socio perpetuo) — Piazza S. Sepolcro 1, Milano. BorgHI Luigi — Via Moscova 12, Milano. BorLETTI Ing. Prof. Francesco — Via Vittoria 39, Milano. IV ELENCO DEI SOCI Borromeo Conte Dott. Gian Carlo — Via Manzoni 41, Milano. Borromeo Conte Giberto, juniore — Piazza Borromeo 7, Milano. BoTTI Comm. Ulderico -— Reggio Calabria. Briost Dott. Prof. Giovanni, Direttore dell’Orto Botanico e della Stazione Crittogamica neila R. Università di Pavia. 1 Brizi Prof. Dott. Ugo, Istituto di Patologia vegetale della R. Scuola Superiore di Agricoltura, Milano. BRUGNATELLI Prof. Luigi (Socio perpetuo), Direttore del Museo Mineralogico nella R. Università di Pavia. BRUNATI Dott. Roberto — Viale Varese 43, Como. BuzzonI Sac. Pietro, Proposto di S. Rocco, Milano. CaFFI Dott. Prof. Sac. Enrico — Piazza Cavour 10, Bergamo. CALDERINI Sac. Prof. Comm. Pietro — Varallo Sesia. CALEGARI Prof. Matteo — Via San Vittore 47, Milano. CANTONI Prof. Elvezio — Via Benedetto Marcello 43, Milano. Casati Conte Dott. Alessandro — Viale al Parco 1, Monza. CasaTI Conte Gabrio — Corso Venezia 24, Milano. CASTELBARCO ALBANI Conte Ing. Aiberto — Via Principe Um- berto 6, Milano. CASTELFRANCO Prof. Cav. Pompeo — Via Principe Umberto 5, Milano. CATTERINA Prof. Dott. Giacomo — Gabinetto batteriologico della R. Università di Padova. CELORIA Prof. Comm. Giovanni, Direttore dell’Osservatorio Astro- nomico di Brera, Milano. CHELUSSI Prof. Italo — R. Scuola Normale, Camerino. CircoLo Filologico milanese (Socio perpetuo) — Via Silvio Pel- lico, Milano. Corti Dott. Alfredo, Assistente al Gabinetto di Zoologia nella R. Università di Parma. CoTTINI Prof. Ernesto — Via Borgogna 8, Milano. Cozzi Sac. Carlo — Abbiategrasso. CRIVELLI March. Vitaliano — Via Pontaccio 12, Milano. CRIVELLI SERBELLONI Conte Giuseppe — Via Monte Napoleone 21, Milano. CuRLETTI Pietro (Socio perpetuo) — Via Brisa 3, Milano. CuTTICA DI Cassine March. Luigi — Corso Venezia 81, Milano. D’AppA March. Emanuele, Senatore del Regno (Socio perpetuo) — Via Manzoni 43, Milano. DAL Fiume Dott. Cav. Camillo — Badia Polesine. ELENCO DEI SOCI. V DAL Ptaz Dott. Giorgio, Libero docente presso la R. Universita di Padova. DAMIANI Prof. Giacomo — Portoferraio. DE ALESSANDRI Dott. Giulio, Prof. aggiunto alla Sezione di Geo- logia e Paleontologia nel Museo Civico di Milano. DE Marcui Dott. Marco — Via Borgonuovo 23, Milano. De Srerano Dott. Giuseppe -- Soresina. Direktion der K. Universitàt und Landes Bibliothek, Strassburg. Direzione del Museo Civico di Storia Naturale (Dorta March. Gia- como) Genova. FeRRI Dott. Giovanni — Viale Volta 5, Milano. FERRINI Prof. Dott. Cav. Rinaldo — Via S. Marco 14, Milano. FRANCESCHINI Prof. Cav. Felice, Direttore del Laboratorio di En- tomologia Agraria nella R. Scuola Superiore di Agricoltura di Milano. Frova Dott. Camillo — Piazza Borromeo 7, Milano. GiacHI Arch. Cav. Giovanni (Socio perpetuo) — Via S. Raffaele 3, Milano. GIACOMELLI Dott. Pietro — Via S. Salvatore (Bergamo Alta). GIANOLI Prof. Giuseppe — Via Lentasio 1, Milano. Grassi Prof. Cav. Francesco — Via Bossi 2, Milano. Grass! Prof. Battista (Socio onorario), Direttore del Gabinetto di Anatomia Comparata nella R. Università di Roma. GRIFFINI Dott. Prof. Achille — R. Istituto Tecnico, Genova. GRITTI Prof. Comm. Rocco — Via Monte Napoleone 23 a, Milano. HoepLi Comm. Ulrico (Socio perpetuo) — Milano. IsIMBARDI March. Luigi — Via Monforte 35, Milano. June Prof. Cav. Giuseppe — Bastioni Vittoria 41, Milano. KORNER Prot. Comm. Guglielmo, Direttore della R. Scuola Su- periore d’Agricoltura di Milano. LEARDI-AIRAGHI Dott. Prof. Zina — Corso S. Martino 7, Torino. LURANI Conte Francesco — Via Lanzone 2, Milano. MADDALENA Ing. Leonzio — Laboratorio di Mineralogia della R. Università di Pavia. Marri Monsignor Pietro — Arcivescovo di Pisa. MaGRETTI Dott. Paolo — Foro Bonaparte 76, Milano. MARIANI Prof. Ernesto, Direttore della Sezione di Geologia e Paleontologia nel Museo Civico di Milano. MARTORELLI Prof. Giacinto, Direttore della Collezione Ornitolo- gica Turati nel Museo Civico di Milano. VI ELENCO DEI SOCI. Mazza Prof. Dott. Felice — R. Istituto Tecnico di Roma. MaZZARELLI Prof. Giuseppe, Prof. aggiunto alla Sezione di Zoo- logia nel Museo Civico di Milano. MreLLA Conte Carlo Arborio — Vercelli. MeLzI D’ ERIL Duchessa Josephine (Socio perpetuo) — Via Ma- nin 23, Milano. Menozzi Prot. Cav. Angelo — R. Scuola Sup. d’Agricoltura di Milano. MERCALLI Sac. Prof. Giuseppe — R. Liceo Vittorio Emanuele, Napoli. MonTI Barone Alessandro — Brescia. MonTI Prof. Rina (Socio perpetuo). Mussa Dott. Enrico — Via Andrea Doria 6, Torino. MyLIUS Cav. Uff. Giorgio — Via Montebello 32, Milano. NaroLI Dott. Prof. Rinaldo — Villa Margherita, Locarno. NINNI Conte Emilio — Alla Maddalena, Palazzo Erizzo, Venezia. NovaRESE Prof. Napoleone Alberto — Via Stella 2, Milano. OmBONI Dott. Cav. Giovanni, Direttore del Gabinetto di Geologia nella R. Università di Padova. ORIGONI Ing. Giovanni Battista — Via Felice Cavallotti 13, Milano. PALADINI Ing. Prof. Ettore — Regio Istituto Tecnico Superiore di Milano. PANZA Ing. Adolfo -- Passaggio Carlo Alberto 2, Milano. PARAVICINI Dott. Giuseppe, Medico-Chirurgo presso il Manicomio Provinciale di Mombello. PARONA Dott. Prof. Corrado, Direttore del Gabinetto di Zoologia nella R. Università di Genova. PARONA Prof. Carlo Fabrizio, Direttore del Museo Geologico della R. Università di Torino. PATRINI Dott. Plinio — Laboratorio di Geologia della R. Uni- versità di Pavia. Paves! Prof. Comm. Pietro, Direttore del Gabinetto di Zoologia nella R. Università di Pavia. PEDRAZZINI Giovanni (Socio perpetuo) — Locarno. Peruzzi Dott. Luigi — Gabinetto di mineralogia della R. Uni- versità di Pavia. Pint Nob. Cav. Napoleone — Via Piatti 8, Milano. Ponti Sen. Comm. March. Ettore, Sindaco di Milano (Socio per- petuo) — Via Bigli 11, Milano. Ponti Cav. Cesare, Banchiere — Portici Settentrionali 19, Milano. ELENCO DEI SOCI. VII Porro Conte Dott. Ing. Cesare — Carate Lario (Provincia di Como). Portis Prof. Dott. Alessandro, Direttore del R. Istituto Geolo- gico Universitario di Roma. Repossi Dott. Emilio — Prof. Aggiunto alla Sezione di Minera- logia nel Museo Civico di Storia Naturale di Milano. RESTA PALLAVICINO Conte Comm. Ferdinando —- Via Conserva- torio 7, Milano. Rezzonico Dott. Giulio -- Via S. Spirito 13, Milano. RoxcHETTI MoNTEVITI Dott. Prof. Giuseppe — R. Scuola Supe- riore d’Agricoltura di Milano. RoNcHETTI Dott. Vittorio — Piazza Castello 1, Milano. Rossi Ing. Edoardo — Corse S. Celso 9, Milano. Rossi Dott. Pietro — Piazza Mentana 3, Milano. Sacco Prof. Federico — R. Scuola degli ingegneri, Gabinetto di Geologia, Castello del Valentino, Torino. SALMOJRAGHI Ing. Prof. Cav. Francesco — R. Istituto Tecnico Superiore di Milano. SALOMON Dott. Prof. Guglielmo — Universitàt, Heidelberg. SanGIoORGI Dott. Domenico — R. Universita di Parma. SCHIAPARELLI Prof. Comm. Giovanni, Senatore del Regno (Socio perpetuo) — Via Fatebenefratelli 7, Milano. SERTOLI Prof. Comm. Enrico — Via Spiga 12, Milano. SORDELLI Prof. Ferdinando, Direttore della Sezione di Zoologia nel Museo Civico di Milano. STAURENGHI Dott. Cesare — Via Lecco 2, Monza. Tacconi Dott. Emilio — Gabinetto di Mineralogia della Regia Università di Pavia. TARAMELLI Prof. Comm. Torquato, Direttore del Gabinetto di Geologia nella R. Università di Pavia. TERNI Prof. Camillo Dott. — Via Principe Umberto 5, Milano. TREVES Prof. Dott. Zaccaria — Via Sacchi 18, Torino. TuRATI Nob. Ernesto — Via Meravigli 7, Milano. TuRATI Conte Comm. Emilio — Piazza S. Alessandro 4, Milano. VIGNOLI Prof. Cav.. Tito, Direttore del Museo Civico di Storia Naturale — Milano. VIGONI Nob. Comm. Giulio, Senatore del Regno — Via Fatebene- fratelli 21, Milano. VIGONI Nob. Comm. Ing. Giuseppe, Senatore del Regno — Via Fatebenefratelli 21, Milano. VIII ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. VILLA Cav. Vittorio — Via Sala 6, Milano. ZUNINI Ing. Prof. Cav. Luigi — R. Istituto Tecnico Superiore di Milano. SOCI PERPETUI DEFUNTI. ANNONI Conte Aldo, Senatore del Regno. Visconti DI MopRoNE Duca Guido. ErBa Comm. Luigi. Pisa Ing. Giulio. MassaRANI Comm. Tullo, Senatore del Regno. D (0 0) ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI al principio dell’anno 1906 AFRICA. . South African Museum — Cape Town (1898 Annals). AMERICA DEL NORD. (Stati Unili). . University of the State of New York — Albany N. Y. (1888 Bul- letin, 1890 Ann. Rep.). . Maryland Geological Survey — Baltimore (1897 Reports.). . American Academy of Arts and Sciences — Boston (1868 Pro- ceedings). . Boston Society of Natural History — Boston (1862 Procee- dings, 1866 Memoirs, 1869 Occ. Papers). . Buffalo Society of Natural Sciences — Buffalo N. Y. U.S. of A. (1886 Bulletin). . Field Columbian Museum — Chicago (Ill.) U.S. A. (1895 Pu- blications). . Davenport Academy of Natural Sciences — Davenport (Jowa) (1876 Proceedings). NB. — Il numero tra parentesi indica l’anno nel quale è incomineiato lo scambio delle pubblicazioni tra i singoli Istituti e la Società Italiana di Scienze Naturali. 9. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. IX Jowa Geological Survey — Des Moines (Jowa) (1893 Annual Report). . Nova Scotian Institute of Science — Halifax (1870 Pro- ceedings). . Indiana Academy of Science — Indianapolis (Indiana) (1895 Proceedings). . Wisconsin Academy of Sciences, Arts and Letters — Madison (1855 Transactions, 1898 Bulletin). . University of Montana — Missoula (Montana) U. 8. A. (1901 Bulletin). . Connecticut Academy of Arts and Sciences — New-Haven (1866 Transactions). . Geological and Natural History Survey of Canada — Ottawa (1879 Rapport annuel, 1883 Catalog. canadian Plants, 1885 Cont. canad. Palaeontology, 1891 idem). . Academy of Natural Sciences -- Philadelphia (1878 Procee- dings, 1884 Journal). . American Philosophical Society — Philadelphia (1899 Pro- ceedings). . Geological Society of America — Rochester N. Y. U.S. A. (1890 Bulletins). . California Academy of Sciences — San Francisco (1854 Pro- ceedings, 1868, Memoirs, 1880 Occasional Papers). . Academy of Science of St. Louis — St. Louis (1856 Tran- sactions). . The Missouri Botanical Garden — St. Louis Mo. (1898 Annual Report). 22. Kansas Academy of Science — Topeka (Kansas) (1883 Tran- sactions). . Canadian Institute — Toronto (1885 Proceedings, 1883 Tran- sactions). . United States National Museum — Washington (1885 Bul- letin, 1888 Proceedings, 1891 Annual Reports, 1892 Special Bulletin). . United States Geological Survey — Washington (1872 Annual Report, 1873 Report, 1874 Bulletin, 1880 Ann. Report, 1883 Bulletin, 1883 Mineral Resources, 1890 Monographs, 1902 Profess. Papers.) . Smithsonian Institution — Washington (1855 Ann. Report). . Carnegie Institution of Washington — Washington (1905). QI, 28. . Museo Nacional de Buenos Aires — Buenos Aires (1867 39. 43. 44. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. MESSICO. Instituto geologico de México — México (1898 Boletin, 1903 Parergones). AMERICA DEL SUD. Academia Nacional de Ciencias en Cordoba (1884 Boletin). Anales). . Museo Nacional de Montevideo — Montevideo (1894 Anales). . Museu Goeldi de Historia Natural e Ethnographia (Boletim) — Para, Brazil (1897 Boletim, 1902 Memorias). . Museo Nacional de Rio Janeiro — Rio Janeiro (1876 Archivos). . Revista do Centro de Sciencias, Letras e Artes de Campinas — Estado de San Paulo, Brazil (1902). . Société scientifique du Chili — Santiago (1892 Actes). AUSTRALIA. . Royal Society of South Australia — Adelaide (1891 Tran- sactions and Proceedings). . Royal Society of New South Wales — Sydney (1876 Journal and Proceedings). . Australian Museum — Sydney (1882 Report, 1890 Records) AUSTRIA-UNGHERIA. 3. Aquila, Bureau Central Ornithologique Hongrois — Buda- pest (1896). Konig. Ungarisch. geologische Anstalt — Budapest (1861 Fòldtani, 1872 Mitteilungen, 1883 Jahresbericht). . Annales historico-naturales (Musei Nationalis Hungarici) — Budapest (1897). . Académie des Sciences de Cracovie (1889 Bulletin). . Verein der Aerzte im Steiermark — Graz (1880 Mittei- lungen). Ornithologisches Jahrbuch. Organ ftir das palaearktische Faunengebiet — Hallein (1890). Siebenburgischer Verein ftir Naturwissenschatten — Her- mannstadt (1857 Verhandlungen). DO. DI. 58. 59. 60. 62. 63. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. XI . Naturwissenschaftlich-medizinischer Verein — Innsbruck (1870 Berichte), . Verein fiir Natur- und Heilkunde — Presburg (1856 Verhand- lungen). . I. R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Agiati in Rovereto (1861 Atti). . Bosnisch-Hercegovinisches Landesmuseum — Sarajevo (1893 Mitteilungen). . Tridentum, Rivista bimestrale di studi scientifici — Trento (1898 Rivista). . Società Adriatica di Scienze Naturali — Trieste (1877 Bol- lettino). . Anthropologische Gesellschaft — Wien (1870 Mitteilungen). . K. K. Geologische Reichsanstalt — Wien (1850 Jahrbuch, 1852 Abhandlungen, 1871 Verhandlungen). 3. K.. K. Zoologisch-botanische Gesellschaft — Wien (1853 Verhandlungen). . K. K. Naturhistorisches Hofmuseum — Wien (1886 Annalen). . Verein zur Verbreitung naturwissensch. Kenntnisse — Wien (1871 Schriften). BELGIO. Academie Royale de Belgique — Bruxelles (1865 Annuaire et Bulletin, 1870-71-72 Mémoires). Société Belge de géologie, de paléontologie et d’hydrologie — Bruxelles (1888 Bulletin). Société entomologique de Belgique — Bruxelles (1857 Annales). Société Royale zoologique et malacologique — Bruxelles (1863 Annales). Société Royale de botanique de Belgique — Ixelles-les- Bruxelles (1862 Bulletins). FRANCIA. . Société Linnéenne du Nord de la France — Amiens (1867 Mémoires, 1872 Bulletin). Société Florimontane — Annecy (1860 Revue). Société des sciences physiques et naturelles de Bordeaux (1867 Mémoires). 69. 72. 76. 86. 87. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. . Société Linnéenne de Bordeaux — Bordeaux (1838 Actes). . Académie des sciences, belles-lettres et arts de Savoie — Chambéry (1851 Mémoires). . Société nationale des sciences naturelles et mathématiques de Cherbourg (1855 Mémoires). 57. Société d’Agriculture, sciences et industries — Lyon (1867 Annales). 38. Université de Lyon (1891 Annales). Institut de Zoologie de l’Université de Montpellier et Station Zoologique de Cette (1885 Travaux). . Annales des sciences naturelles, zoologie et paleontologie, etc. — Paris (1905 Annales). . Muséum de Paris — Paris (1878 Nouvelles Archives, 1895 Bulletin). Société d’Anthropologie de Paris — Paris (1894 Bulletin). . Société Geologique de France — Paris (1872 Bulletin). . Société nationale d’Acclimatation de France — Paris (1861 Bulletin). . Université de Rennes (1902 Travaux). Académie des sciences, arts et lettres — Rouen (1877 Précis). . Société libre d’émulation, du commerce et de l’industrie de la Seine Inférieure — Rouen (1873 Bulletin). . Société d’histoire naturelle — Toulouse (1867 Bulletin). GERMANIA. . Naturhistorischer Verein — Augsburg (1855 Bericht). Botanischer Verein der Provinz Brandenburg — Berlin (1859 Verhandlungen). . Deutsche geologische Gesellschaft — Berlin (1856 Zeitschrift). . Gesellschaft Naturforschender Freunde in Berlin (1895 Sit- zungsberichte). 3. Kònigl. Museum ftir Naturkunde. Zool. Sammlung — Berlin (1898 Mitteilungen). . K. Preussische geol. Landesanstalt u. Bergakademie — Berlin (1880 Jahrbuch). . Schlesische Gesellschaft ftir Vaterlandische Kultur — Breslau (1857 Jahresbericht). Naturforschende Gesellschaft — Danzig (1881 Schriften). Verein ftir Erdkunde — Darmstadt (1857 Notizblatt). 100. 101. 102. 103. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. XIII . Physikalisch-medicinische Societàt — Erlangen (1865. Sit- zungsberichte). . Senkenbergische naturforschende Gesellsch. — Frankfurt am Main (1871 Bericht). . Naturtorschende Gesellschaft (Berichte) — Freiburg i. Baden (1890 Bericht). . Naturforschende Gesellschaft — Gòrlitz (1859 Abhandlungen). . Verein der Freunde der Naturgeschichte — Gtistrow (1857 Archiv). . Naturhistorisches Museum zu Hamburg (1887 Mitteilungen). . Medizinisch-naturwissenschaftliche Gesellschaft — Jena (1864 Zeitschrift). . Physikalisch-Oeconomische Gesellschaft — K6nigsberg (1860 Schriften). . Zoologischer Anzeiger — Leipzig (1878 Zoolog. Anzeiger). . K. Bayerische Akademie der Wissenschaften — Mtinchen (1832 Abhandlungen, 1860 Sitzungsberichte). . Ornithologische Gesellschaft in Bayern (E. V.) — Miinchen (1899 Verhandlungen). . Naturwissenschaftlicher Verein — Regensburg (1860 Bericht). Nassauischer Verein fiir Naturkunde — Wiesbaden (1856 Jahrbiicher). Physikalisch-medicinische Gesellschaft — Wiirzburg (1860 Verhandlungen, 1881 Sitzungsberichte). GIAPPONE. Imperial University of Japan — Tokyo (1890 Calendar, 1898 Journal). Zoological Institute College of Science, Imperial University of Tokyo (1903). GRAN BRETAGNA. . Royal Irish Academy — Dublin (1877 Transactions, 1884 Proceedings). . Royal Dublin Society -— Dublin (1877 The scientific Pro- ceedings and Transactions). . Royal physical Society — Edinburgh (1858 Proceedings). . Palaeontographical Society — London (1848). XIV 108. 109. 110. LL. 112. 126. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. Royal Society -— London (1860 Phil. Transactions, 1862 Proceedings). Zoological Society — London (1833-34 Transactions, 1848 Proceedings). British Museum of Natural History -— London (1895 Cata- logues). Literary and philosophical Society — Manchester (1855 Me- moirs, 1862 Proceedings). INDIA. Geological Survey of India — Calcutta (1858-59 Memoirs, 1861 Memoirs, 1868 Records, 1898 General Report). ITALIA. . Accademia Dafnica di scienze, lettere ed arti in Acireale (1895 Atti e Rendiconti). . Accademia degli Zelanti e P. P. dello Studio di scienze, lettere ad arti — Acireale (1889 Rendiconti e Memorie). . Ateneo di scienze, lettere ed arti — Bergamo (1875 Atti). . Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna (1856 Me- morie, 1858 Rendiconto). . Ateneo di Brescia (1845 Commentari). . Accademia Gioenia di scienze naturali — Catania (1834 Atti, 1888 Bullettino). . Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (1886 Bullettino). . “Redia ,, Giornale di entomologia. Pubblicato dalla R. Sta- zione di entomologia agraria in Firenze (1903). . Società botanica italiana — Firenze (1872 Nuovo Giornale botanico, Memorie, 1892 Bullettino. . Società entomologica italiana — Firenze (1869 Bullettino). . Società Ligustica di Scienze naturali e Geografiche — Genova (1890 Atti). . Società Lombarda per la pesca e l’Acquicoltura — Milano (1899 Rivista mensile di pesca). . Comune di Milano (Dati statistici e Bollettino demografico) (1875 Bollettino, 1886 Dati Statistici). R. Istituto Lombardo di scienze e lettere — Milano (1858 Atti, 1859 Memorie, 1864 Rendiconti). ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. XV R. Società italiana d’igiene — Milano (1897 Giornale). . Società dei Naturalisti — Modena (1866 Annuario, 1883 Atti). . Società di Naturalisti — Napoli (1887 Bollettino). . Società Reale di Napoli. (Accademia delle scienze fisiche e matematiche) -- Napoli (1862 Rendiconto, 1863 Atti). . R. Istituto d’Incoraggiamento alle scienze naturali, econo- miche e tecnologiche — Napoli (1861 Atti). . La nuova Notarisia — Padova (1890). . Accademia Scientifica Veneto-Trentina-Istriana. — Padova (1872 Atti, 1879 Bullettino). . R. Accad. palermitana di scienze, lettere ed arti — Palermo (1845 Atti, 1885 Bollettino). . R. Istituto ed Orto Botanico di Palermo (1904 Bollettino). . Società dei Naturalisti Siciliani — Palermo (1396). . Società di scienze naturali ed economiche — Palermo (1865 Giornale, 1869 Bullettino). . Società toscana di scienze naturali — Pisa (1875 Atti e Memorie). . Rivista di fisica, matematica e scienze naturali — Seminario di Pisa (1906). . R. Accademia medica — Roma (1883 Atti, 1886 Bullettino). . R. Accademia dei Lincei —- Roma (1876 Transunti e Ren- diconti, 1904 Memorie). . R. Comitato geologico d’Italia — Roma (1870 Bollettino). . Società italiana delle scienze detta dei Quaranta — Roma (1862 Memorie). . Società zoologica italiana. Museo Zoologico della Regia Università — Roma (1892 Bollettino). . R. Accademia di agricoltura — Torino (1871 Annali). . R. Accademia delle scienze — Torino (1865 Atti, 1871 Me- morie). . Musei di zoologia ed anatomia comparata della R. Univer- sità di Torino (1886 Bollettino). . Ateneo Veneto — Venezia (1864 Atti, 1881 Rivista). . R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti — Venezia (1860 Atti). . Accademia di agricoltura, commercio ed arti — Verona (1862 Atti e Memorie). XSVEL ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI. NORVEGIA. . Bibliotheque de l’Université R.° de Norvège — Christiania (1880 Archiv.). . Société des sciences de Christiania (1859 Forhandlinger). . Stavanger Museum — Stavanger, Norvegia (1892 Aarsbe- retning). PAESI BASSI. 4. Musée Teyler — Harlem (1866 Archives). 55. Société Hollandaise des sciences & Harlem (1880 Archives neerlandaises). PORTOGALLO. . Broteria, Revista de Sciencias Naturaes do Collegio de S. Fiel — Lisboa (1902) . Diregcao dos Servigos Geologicos, Lisboa (Portugal) (1885 Communicacoes). ROMANIA. . Societe de sciences de Bucarest (1897 Buletinul). RUSSIA E FINLANDIA. . Societas pro fauna et flora fennica — Helsingfors (1848 Notiser, 1875 Acta, 1876 Meddelanden). . Societe Imperiale des Naturalistes de Moscou (1859 Bulletin, 1860 Nouveaux Mémoires). . Académie Impériale des sciences de St. Petersbourg (1859 Mémoires, 1860 Bulletin, 1896 Annuaire). 2. Comité géologique — St. Pétersbourg (1882 Bulletins, 1883 Mémoires). . Société botanique de St. Pétersbourg (1871 Acta). . Société Imperiale des Naturalistes de St. Pétersbourg (1897 Travaux). 165. 166. 179. 180. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI XVII SPAGNA. Sociedad Aragonesa de Ciencias Naturales — Zaragoza (1902 Boletin). Sociedad Espafiola de historia natural — Madrid (1897 Actas e Anales, 1901 Boletin, 1903 Memorias). SVEZIA. . Universitas Lundensis — Lund (1883 Acta). . Académie Royale suédoise des sciences —- Stockholm (1864 Handlingar, 1865 Fòrhandlingar, 1872 Bihang. Arkiv). . Kongl. Vitterhets Historie och Antiquitets Akademiens — Stockholm (1872 Manadsblad). . Bibliothèque de l’Université d’Upsala (Institution géologique) — Upsala (1891 Meddelanden, 1894 Bulletin). SVIZZERA. . Naturforschende Gesellschaft — Basel (1854 Verhandlungen). . Naturforschende Gesellschaft — Bern (1855 Mittheilungen). . Société helvétique des sciences naturelles — Bern (1834-47 Actes o Verhandlungen, 1860 Nouveaux Mémoires). . Naturforschende Gesellschaft — Chur (1854 Jahresbericht). . Institut national Genèvois — Genève (1861 Bulletin, 1863 Mémoires). . Société de physique et d’histoire naturelle — Genève (1859 Mémoires). . Société Vaudoise des sciences naturelles — Lausanne (1853 Bulletin). . Société des sciences naturelles — Neuchatel (1836 Mémoires, 1846 Bulletin). Zircher naturforschende Gesellschaft — Ztirich (1856 Vier- teljahrsschritt). Commission géologique suisse (Société helvetique des sciences naturelles) — Ziirich (1862). Seduta del 19 novembre 1905. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Il Presidente, aperta la seduta, commemora i soci defunti senatore T. Massarani e dott. G. Bozzotti. Passando quindi alle letture, il dott. C. Bellotti legge un sunto della sua nota sopra “ una notevole varietà della tinca. comune , e presenta alcuni esemplari dimostrativi. Il dott. C. Terni comunica uno studio su una strana ma- lattia dei pesci, caratterizzata dalla fuoruscita degli occhi dalle cavità orbitali. Questa malattia sarebbe dovuta a una infezione e intossicazione gastro-intestinale determinata da uno speciale bacillo che dà luogo a un’enorme produzione di muco. Interessa il fatto perchè sono noti anche nell'uomo gravi disturbi degli organi visivi dipendenti da intossicazioni intesti- nali, la cui origine è finora poco studiata. Le due note del dott. C. Airaghi, sugli “ echinidi miocenici della Sardegna ,, e su alcuni “ brachiuri nuovi o poco noti del terziario veneto ,, sono brevemente riassunte dal Presidente, che ne legge anche qualche brano. Esaurite le letture, il Presidente comunica all’ Assemblea che il Consiglio Direttivo propone di inscrivere la Società al Con- gresso di antropologia, che si terrà a Monaco nel 1906, riser- vandosi di far rappresentare la Società stessa da qualche socio che eventualmente vi si recasse. L'Assemblea approva. Si procede quindi alla votazione per l'ammissione a soci effettivi dei signori Parona prof. C. F., Ferri dott. G., Griffini prof. A., Terni dott. C. e Novarese prof. N. A., che risultano am- messi. Viene pure accettata in seguito a votazione la proposta, fatta a termini dell’art. 39 del regolamento sociale, di pubblicare. subito negli Atti la memoria del dott. C. Terni. Il Presidente in appresso comunica all’ Assemblea per l’ap- provazione i termini di una preliminare convenzione tra la So- cietà e il Comitato organizzatore del Congresso dei naturalisti ita- liani, colla proposta di un contributo finanziario della Società. al Congresso stesso. SEDUTA DEL 19 NOVEMBRE 1905 XIX “La Società si obbliga a versare la somma di L. 1500, ri- partita nei due bilanci 1906-1907, alla Commissione finanziaria permanente del Congresso, composta dal prof. E. Artini, Presi. dente, da due delegati del Consiglio Direttivo della Società, il prof. F. Salmoiraghi ed il dott. P. Magretti, da due delegati del Comitato organizzatore del Congresso, il prof. E. Mariani ed il dott. M. De Marchi, e di un cassiere, il cav. V. Villa, che sarà anche il tesoriere del Congresso. “Tl volume che sarà pubblicato dal Comitato dovrà pubbli- carsi come “ Atti del Congresso dei naturalisti italiani, pro- mosso della Società italiana di scienze naturali in occasione del 50° anniversario della sua fondazione ,,. Esso sarà distribuito gratuitamente a tutti gli individui e Società aderenti al Con- gresso, che verseranno indistintamente una quota di adesione di L. 10. Il Comitato non disporrà di altre copie e sarà tenuto a consegnare gratuitamente 200 copie alla Società, la quale potrà disporne come crederà. “La Commissione finanziaria amministrerà il prodotto delle sottoscrizioni, le quote di iscrizione ed altri eventuali incassi, e si riserva il diritto di dare il visto alla pubblicazione dei la vori presentati al Congresso, per quanto riguarda la spesa che importeranno. , Il socio prof. Franceschini vorrebbe modificata la proposta nel senso che la cifra di L. 1500 rappresentasse il limite mas- simo del contributo sociale, il quale potrebbe eventualmente es- sere minore quando le condizioni finanziarie del Congresso non richiedessero il totale versamento. Egli vorrebbe inoltre che la quota di adesione al Congresso venisse diminuita per i soci della nostra Società. Rispondono al socio Franceschini, il presidente prof. Artini, ed i soci prof. Mariani, dott. De Marchi e dott. Magretti, ed in seguito a breve discussione, si approva la convenzione nella forma proposta, intendendosi che l'Assemblea dei soci verrà a suo tempo chiamata a disporre dell'impiego delle 200 copie de- stinate alla Società: Esaurito così l’ordine del giorno, la seduta è levata. Il Presidente Il Vicesegretario E. ARTINI. D. REPOSSI. Tex SEDUTA DEL 17 DICEMBRE 1905 Seduta del 17 dicembre 1905. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Aperta la seduta il Segretario legge il verbale della seduta precedente, che viene approvato. Il socio dott. A. Brunati comunica la sua “nota geologica sul gruppo dell’Albenza ,, ed intrattiene la Società sulla serie stra- tigrafica e sui fossili raccolti. Fanno brevi osservazioni e do- mandano schiarimenti sull’interpretazione della serie stratigra- fica il Segretario e il Presidente della Società. Il dott. G. Paravicini presenta le sue note “ Proglottidi anormali di Taenia saginata , e “ Di un Cranio idrocefalico ,, illu- strandole con preparati e con esemplari. Il Presidente ci comunica che in seguito a ritardo assai spiacevole verificatosi nella pubblicazione del 3° fascicolo del corrente anno, degli Atti della Società, ritardo dovuto agli autori, i quali non inviarono nel tempo prescritto i manoscritti, ha creduto necessario con apposita circolare richiamare gli autori stessi alle disposizioni dell’articolo 37 del Regolamento sociale. Allo scopo poi di procurare l’iscrizione di nuovi soci che contribui- scono ad estendere e intensificare l’attività dalla Società italiana di Scienze Naturali, egli propone a nome del Consiglio direttivo che in occasione del cinquantesimo anniversario della Società, ossia nel venturo anno 1906, si esonerino dal pagamento della tassa annuale coloro che domandino di essere ammessi come nuovi soci a tutto il 31 dicembre i906, e che si impegnino, a tenore del Regolamento, di rimanere tali almeno per tre anni. Assicura nello stesso tempo che la Società non avrà danno finan- ziario da questa innovazione, perchè un socio generoso, del quale deve tacere il nome, si impegna di colmare le passività che eventualmente ne derivassero. L'Assemblea unanime approva la proposta. Il Presidente infine partecipa una circolare dei soci del- l'Unione Nazionale fra gli insegnanti di Scienze Naturali, dei soci della Società dei Naturalisti di Napoli e di quelli dell’ As- sociazione Nazionale fra i laureati in materie scientifiche, colla quale essi, riuniti in Comizio il giorno 8 dicembre in Napoli, si associano e fanno proprio l’ordine del giorno votato dalla Società SEDUTA DEL 4 FEBBRAIO 1906 Xx Chimica di Roma contro l'abbinamento delle cattedre scientifiche negli istituti secondari, proposto nella legge attuale sull’inse- gnamento secondario, e fanno appello alle Facoltà di Scienze Naturali affinchè coll’autorità del loro voto intervengano in una questione di così alta importanza. Il Presidente invita qualche socio, insegnante nelle scuole secondarie, a voler dare informazioni e schiarimenti sullo stato della questione prima che l'Assemblea prenda una deliberazione. Prendono la parola i soci prof. Martorelli, prof. Mazzarelli e Novarese, dopodichè su proposta del socio prof. Brizi si da incarico alla Presidenza di assumere informazioni e prendere accordi con altre Società per un’eventuale azione comune a tu- tela degli interessi dei Naturalisti. Si procede quindi alla votazione per l'ammissione dei nuovi soci proposti, Alzona dott. Carlo e Natoli prof. Rinaldo, i quali vengono ammessi, ed alla nomina dei due revisori del Bilancio Consuntivo dell’anno 1905. Vengono eletti il prof. E. Mariani e l’ing. E. Bazzi, ed esau- rito così l’ordire del giorno, si leva la seduta. Il Presidente Il Segretario E. ARTINI. G. DE ALESSANDRI. Seduta del 4 febbraio 1906. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. In assenza del Segretario e del Vicesegretario, funge prov- visoriamente da segretario il socio prof. Calegari. Il Presidente, letto il verbale della precedente seduta, che viene approvato, invita il socio prof. Franceschini a dare lettura della sua nota “ Sulla pretesa antica presenza in Italia della Diaspis pentagona Targ ,. Terminata tale lettura, il prof. Maz- zarelli prende la parola per confermare con vari argomenti la tesi del prof. Franceschini, già sostenuta dal dott. Leonardi di Portici, che cioè l’insetto di cui parla il Farneti, non poteva essere assolutamente la Diaspis pentagona e che il Farneti è evidentemente caduto in un equivoco. Il Presidente presenta indi la nota del socio prof. Chelussi : “Note di geologia marchigiana ,. La nota del dott. V. Pavesi: “ Elenco di piante dell’alto Ap- pennino Pavese ,,, viene presentata dal socio prof. Sordelli. Trat- XXII SEDUTA DELL’11 MARZO 1906 tandosi del lavoro di un non socio, il Presidente chiede all’as- semblea se nulla si opponga a che la breve nota venga pubblicata negli Atti sociali. Nessuno movendo obiezioni al riguardo, se ne approva la pubblicazione. Lo stesso Presidente legge poi la nota del prof. Sacco: “ Osservazioni sulla galleria di Gattico ,, (linea Arona-Borgomanero). Finite le letture, il Presidente da notizia del dono di pre- giate pubblicazioni scientifiche da parte degli autori stessi, e dell’invito fatto alla Società, dalla American Philosophical So- ciety, di partecipare ai festeggiamenti per il 2° centenario della nascita di Beniamino Franklin. Eseguitasi la votazione in merito alla proposta di due nuovi soci perpetui (prof. Luigi Brugnatelli e prof. Rina Monti) e di quattro nuovi soci annuali (dott. E. Tacconi, dott. D. Sangiorgi, pro- fessore F. Sacco, dott. C. Frova), i medesimi sono tutti ammessi. Si passa quindi alla discussione del Bilancio consuntivo per il 1905, alla quale prendono parte i soci prof. Franceschini, dott. Magretti, dott. Terni e prof. Mariani, specialmente a pro- posito dell’intangibilità dei fondi versati dai soci perpetui e della eventuale erezione della Società in ente morale. Il Presidente per intanto si dice pronto a prendere in con- siderazione la proposta del prof. Franceschini di dichiarare fondo di riserva una parte dell’avanzo capitalizzato, mantenendo il nome di fondo intangibile al resto del capitale sociale. Si procede finalmente alla votazione per la nomina delle cariche in scadenza e ne risultano eletti a Vicepresidente l’in- gegnere G. BesANA; a Segretario il dott. DE ALESSANDRI; a Vicesegretario il dott. E. RePossi; ad Archivista il prof. P. Ca- STELFRANCO; a Consiglieri il dott. C. BELLOTTI, il dott. P. Ma- GRETTI e l’ing. SALMOIRAGHI; a Cassiere il cav. V. VILLA. La seduta è levata alle ore 16 1/,. Il Presidente p. il Segretario E. ARTINI. M. CALEGARI. Seduta dell’11 marzo 1906. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Aperta la seduta, il Segretario legge il verbale della seduta precedente che viene approvato. In seguito il socio prof. G. Mazzarelli comunica la sua nota SEDUTA DELL’11 MARZO 1906 XXI “Rapporti tra la Branchiophaga alosicida Mazz. e gli Haplo- sporidia ,, ed il socio prof. Terni C. presenta il suo “ Contributo all’istologia degli strati pigmentari dell’occhio nei vertebrati ,,. Il Presidente, a nome del dott. A. Corti, assente, comunica alla Società un breve sunto dello studio. “ I ciechi dell’intestino terminale di Colymbus seplentiionalis L. ,. Ultimate le letture scientifiche, su domanda del socio pro- fessor Mariani, il Presidente prega il prof. Salmoiraghi a voler dare alla Società qualche informazione sul recente franamento avvenuto a Tavernola sul Lago d’Iseo. Il prof. Salmoiraghi espone quanto segue : “Non sono in grado di soddisfare al desiderio del Presidente e dei colleghi, perchè non so altro tranne quello che tutti appresero dai giornali. Più tardi mi recherò a Tavernola e potrò raccogliere dati mi- gliori. Dirò soltanto che la sponda destra del lago d’Iseo a nord ed a sud di Tavernola è costituita da calcare liasico, che vi forma pendici erte e talora inaccessibili e colla stessa pendenza scende in lago fino al bassopiano centrale, ivi soltanto fiancheggiato da una scarpa di detriti sommersa. Questa scarpa avvicinandosi a Tavernola tanto da nord che da sud si eleva gradatamente fino ad emergere, perché ivi ai detriti di falda si aggiunsero i materiali trasportati dal torrente Rino che scola la valle di Vigolo. L’abitato di Tavernola è fabbricato in gran parte sulla conoide del Rino e sul ciglio di questa sorgevano appunto gli edifizî che si subissarono in lago. I materiali costituenti la conoide non possono essere che detriti e ciottoli calcarei (se cemen- tati o no è impossibile dire) provenienti dalla valle di Vigolo che è tutta incisa nel lias, salvo qualche lembo di alluvioni preglaciali e di morene. Perciò non vi devono mancare detriti e massi di rocce ca- mune, ma relativamente non in grande abbondanza, perchè le morene della sponda destra furono in parte deviate prima, per la valle del Borlezza e la sella di Solto, alla val Cavallina. “ Ora tali conoidi detritiche, che, come quella del Rino, scendono, colla scarpa naturalmente assunta, fino alle maggiori profondità del lago (nel Sebino 250 m.), sono in generale edifizî instabili. Possono av- venire distacchi sul ciglio, ed infatti ne avvennero in altri punti del lago d’Iseo ed altrove in circostanze analoghe su altri laghi, e di so- lito o per magre eccezionali o per oscillazioni delle acque del sotto- suolo o per movimenti di onde o per cause non precisate. Ma non è facile pensare nel caso attuale quale fu la causa che determinò i di- stacchi improvvisi a Tavernola del 3 e 4 marzo, principalmente per il fatto della stabilità ultrasecolare della conoide e del suo ciglio, e infatti fra gli editizi franati vi era una torre medioevale. Deve esclu- dersi ad ogni modo che il fenomeno possa attribuirsi a movimenti nella roccia che forma l’ossatura della sponda lacuale. , Il Presidente, in seguito, si dice lieto di comunicare all’as- semblea come la pubblicazione degli Atti, che aveva subito nel passato qualche ritardo, dovuto unicamente agli autori che non hanno consegnato nel tempo prescritto i manoscritti, abbia ri- XXIV SEDUTA DELL’11 MARZO 1906. preso corso regolarmente, tanto che, al più presto, sarà ultimata la stampa del primo fascicolo dell’anno 1906. Egli comunica ancora che la Presidenza non sarebbe aliena dall’ intavolare trattative colla Federazione delle Associazioni Scientifiche e Tecniche, per procurare un accordo reciproco, ten- dente a stringere le relazioni tra i soci di entrambe e facilitarne le ricerche scientifiche. Fanno osservazioni in proposito il prof. Franceschini, il prot. Terni ed il prof. Mariani e si delibera di dare incarico alla Presidenza di studiare a fondo la questione e di riferire in una prossima seduta. Il Presidente dice poi che, secondo l’opinione di alcuni soci, sarebbe cosa utile tenere qualche adunanza fuori di città in una regione che offrisse anche buon campo di osservazioni, e mette innanzi perciò l’idea di una gita sociale. Prendono la parola su di ciò il prof. Castelfranco ed il prof. Mariani e si delibera di dare incarico al Consiglio Diret- tivo di studiare e proporre all'assemblea l’epoca e la località per compiere tale gita scientifica. Dopo di ciò si procede alla votazione per l'ammissione a soci dei signori ing. Maddalena Leonzio e dott. Patrini Plinio, i quali vengono ammessi. Il Presidente infine presenta il bilancio preventivo: per l’anno 1906 ed esprime il suo compiacimento per le condizioni finanziarie in cui si trova la Società. Il prot. Mariani domanda la parola per proporre la pubbli- cazione del bilancio negli Atti sociali. Il Presidente nota che a ciò si oppone formalmente lo Sta- tuto; dopo osservazioni del prof. F. Grassi, deldott. De Marchi e dell’ing. Salmoiraghi, l'Assemblea delibera che nel verbale della seduta nella quale si presenta il bilancio consuntivo siano in- dicate sommariamente le cifre più importanti sulla situazione patrimoniale. Il bilancio è in seguito approvato all'unanimità, e si leva la seduta. Il Presidente Il Segretario Br ARENT. G. DE ALESSANDRI. SEDUTA DEL 1° APRILE 1906 XXV Seduta del 1° aprile 1906. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Il Segretario legge il verbale della seduta antecedente: a questo proposito il Presidente osserva che la pubblicazione nel verbale delle cifre più importanti del bilancio consuntivo, alla quale in esso si accenna, non si potrà fare che coll’anno venturo, perchè il verbale della seduta nella quale si è discusso il con- suntivo 1905 fu gia approvato. Nessuno avendo osservazioni da fare, il verbale è approvato. Passando alle letture, il socio prof. Sordelli comunica all’As- semblea alcune notizie da lui raccolte sui cosidetti flores de palo. Il socio dott. Magretti aggiunge qualche altro schiarimento sul- interessante argomento: dopo di che il Presidente invita il socio dott. Barbieri a dar comunicazione del suo studio sulle “ Mo- struosità embrionali nei teleostei ,. Esaurita questa comunica- zione, il socio dott. Alzona legge un sunto della sua memoria sulla “ Fauna di alcune caverne dell’Emilia ,. Passando in appresso alla trattazione degli affari, il Presi- dente annuncia che il fascicolo IV-1905 ed il I-1906 dei nostri atti saranno fra pochi giorni inviati ai soci e spiega le ragioni del ritardo avvenuto nell'invio. Comunica poi che in seguito a sollecitazione avuta dal Comitato del Congresso antropologico di Monaco, perchè la nostra Società vi sia rappresentata, officierà a questo scopo qualcuno dei nostri soci che eventualmente vi prendesse parte. Il socio dott. Magretti propone in seguito che in occasione del Congresso dei naturalisti italiani si distribuisca ai congres- sisti l’elenco dei soci della nostra Società. A questo i soci prof. Ma- riani, dott. Bellotti e prof. Artini vorrebbero si aggiungesse un sunto del nostro statuto, un cenno di storia della Società e l’e- lenco degli Istituti corrispondenti. Dopo breve discussione il Pre- sidente dichiara che l’idea sarà portata in Consiglio Direttivo, il quale presenterà le sue proposte all’ordine del giorno di una * XXVI SEDUTA DEL 27 MAGGIO 1906 prossima seduta, importando una spesa straordinaria non pre- prevista dal bilancio preventivo. Dopo di ciò la seduta è tolta. Il Presidente Il Vicesegretario E. ARTINI. D. REPOSSI. Seduta del 27 maggio 1906. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. x Il verbale della seduta precedente è approvato dopo alcune osservazioni del socio prof. Castelfranco, il quale vorrebbe che all'elenco dei soci da distribuirsi in occasione del prossimo Con- gresso si aggiungesse l’elenco di tutti i soci che la Società contò ne’ suoi 50 anni di vita, o almeno quello dei soci più eminenti. Passando in seguito alle letture, il socio prof. Terni dà al- l'Assemblea una chiara ed interessante relazione de’ suoi studi e delle sue esperienze “Sulla preparazione dei vaccini contro la cianolofia dei polli e l’afta epizootica ,. Il Presidente ringrazia il prof. Terni della sua comunicazione; ed il prof. Castelfranco, rilevandone la grande importanza, propone che a vantaggio della Società e dell’autore, si dia ad essa la massima diffusione, sia con apposita pubblicazione, sia col mezzo di conferenze. Il Presi- dente, trovando opportunissima la proposta del prof. Castelfranco, proporrà al Consiglio Direttivo di prendere gli opportuni prov- vedimenti. Il socio prof. Terni ringrazia. | Il prof. Sordelli dà in seguito relazione della nota presentata dal socio sac. Cozzi “ Sulla flora arboricola del gelso ,,, leggen- done anche qualche brano. Sull'argomento si intavola uua breve discussione, cui prendono parte i soci professori Artini, Mazza- relli, Castelfranco e Salmoiraghi. Passando poi alle comunicazioni, il Presidente partecipa al- l'Assemblea la morte del socio sac. prof. Pietro Calderini e lo commemora brevemente, esprimendo con calde parole il cordo- glio per la perdita dell’uomo eminente e modesto, che tanto giovò allo studio ed agli studiosi della sua nativa Valsesia. SEDUTA DEL 24 G1UGNO 1906 XVII I professori Terni e Castelfranco s' associano al Presidente. Dopo di ciò questi prega il socio prof. Sordelli di presen- tare all'Assemblea una piccola collezione di Lucanidi donata alla Società dal socio prof. Griffini. Dietro proposta della Presidenza, appoggiata dal socio prof. Bellotti, si delibera di affidarla in de- posito al Direttore della Sezione Zoologica nel Civico Museo di. Storia Naturale e si incarica la Presidenza di presentare a nome della Società i ringraziamenti al donatore. Esaurito così l’ordine del giorno, la seduta è levata. Il Presidente IL Vicesegretario Re A LEN: D. REPOSSI. Seduta del 24 giugno 1906. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Letto il verbale della seduta precedente, il quale è appro- vato, il Presidente da la parola al socio prof. A. Griffini, il quale comunica alla Società alcune sue considerazioni sul “ Lucanide Odontolabis Lowei Parr.,,, considerazioni illustrate con disegni originali di questa specie estremamente variabile. Il Presidente in seguito, a nome del socio prof. Airaghi C., comunica alla Società uno studio sopra: “ Un nuovo genere della sottofamiglia delle Echinocorynae ,. Egli legge pure una breve comunicazione inviata dal dot- tore Terni e giunta troppo tardi per essere inscritta nell'ordine del giorno della seduta, che verte sul garrotilho o croup car- bonchioso dell’ America meridionale e riguarda le osservazioni che il dott. Terni assieme al dott. Emilio Gomes hanno fatto sulla diffusione ed origine di questa malattia. Comunica una dolorosa notizia, quella della perdita del socio dott. G. Ronchetti Monteviti e parla brevemente sulle virtù cit- tadine e sui lavori scientifici dell’estinto. Comunica che nell’ultima seduta il Consiglio direttivo della Società ha deliberato di proporre che in occasione del Congresso si pubblichi un Elenco dei Soci che la Società ha ed ebbe fino ad ora, come pure la nota delle pubblicazioni che il nostro So- XXVII SEDUTA DEL 18 NOVEMBRE 1906 dalizio riceve in dono od in cambio dagli altri Istituti od Asso- ciazioni scientifiche, ed un Elenco dei lavori che la Società ha. pubblicato nei suoi cinquant'anni di vita, coll’indice per autori e per materie. L’opuscolo relativo dovrebbe essere distribuito: gratis a tutti gli aderenti al Congresso. L'Assemblea unanime approva. Il Presidente comunica pure che il Comitato del Congresso: stesso ha deliberato di pubblicare gli Atti del Congresso nello stesso formato del Bollettino della Società. Si dice lieto di par- tecipare che egli nutre le migliori speranze sulla riuscita del Congresso stesso, tanto per il numero degli aderenti che finora. sono inscritti, quanto per l’importanza loro. Riferisce che l’ Unione Zoologica Italiana e la Società Botanica Italiana hanno definiti- vamente aderito a partecipare al Congresso. Egli raccomanda. ai colleghi la propaganda più intensa per avere il maggior nu- mero di aderenti, i quali portino al Congresso i frutti dei loro studi e delle loro ricerche. Letto il verbale, è approvato; e si scioglie la seduta. Il Presidente ' Il Segretario E. ARTINI. G. DE ALESSANDRI. Seduta del 18 novembre 1906. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Aperta la seduta, il Presidente prega il prof. Martorelli, vista. la mancanza dell’autore, di comunicare all'Assemblea la nota del dott. Dal Fiume C.: “Catalogo di una collezione di uccelli della. Colonia Eritrea ,. Il prof. Martorelli riferisce su di essa ed il Pre- sidente ringrazia. In assenza del dott. Staurenghi si rimanda ad altra seduta. la presentazione della sua nota: “ Osteologia comparata ,, ecc. Il dott. Gemelli fra A. presenta la sua memoria: “ Sulla fine struttura dei calici di Held ,. Il Presidente mette in votazione l'ammissione dei soci signori: Bonfanti Barbiano di Belgioioso Enrico, Bertoloni prof. cav.. Antonio, Cermenati prof. Mario, Gemelli dott. fra Agostino. In- gegnoli dott. A., Lambertenghi dott. Ada, Meli prof. Romolo. SEDUTA DEL 18 NOVEMBRE 1906 OGD: Fungono da scrutatori il dott. Airaghi C. ed il dott. Bar- bieri C. Mentre si procede alla votazione, il Presidente si dice lieto di ricordare lo splendido esito del Congresso dei Natura- listi Italiani promosso dalla Società e tenuto in Milano nello scorso settembre, riuscito un vero plebiscito di stima e simpatia delle Società consorelle e degli studiosi verso la nostra Società. Data l’apatia che regna nel campo delle Scienze Naturali, il nu- mero di trecento e nove congressisti riuniti a Milano può parere un vero trionfo. Egli si compiace altamente della forma prescelta dal Consiglio direttivo per solennizzare il 50° anniversario della Società; negli Atti sociali questa data sarà ricordata dal fascicolo speciale recante l’indice generale per autori e per materie dei lavori pubblicati negli Atti dalla fondazione della Società a tutto settembre 1906. Questo fascicolo così servirà a sintetizzare il lavoro fatto e le benemerenze della Società nei suoi primi 50 anni di vita. Si dice in seguito dispiacente di dovere comunicare all’ As- semblea le dimissioni presentate dal socio cav. V. Villa dalla sua carica di cassiere. Il presidente non ha bisogno di ricordare alla Società le benemerenze del sig. cav. Villa, anche quale tesoriere del passato Congresso, e crede che se l’Assemblea, plaudendo all'opera sua, facesse fervido voto di averlo ancora fra i suoi amministratori, forse il medesimo potrebbe ritornare sulla sua decisione. Il prof. Castelfranco, associandosi al Presidente, fa osservare come due fratelli Villa furono trai soci fondatori della Società, che uno di essi ne fu benemerito presidente, che il nome dei Villa fu e sarà ancora per molti anni caro a quanti in Lombar- dia si occupano di Scienze naturali e come sia perciò desidera- bile che uno dei Villa faccia parte dei dirigenti la Società. L’assemblea unanime incarica il Presidente di comunicare al cav. Villa il voto di plauso della Società per l’opera di Lui ed il desiderio che egli conservi l’attuale suo ufficio. Il Presidente raccomanda ai colleghi un contributo maggiore di studî e di memorie scientifiche per gli Atti sociali e ricorda al- l'Assemblea l’importanza degli Atti stessi e la loro diffusione. Quindi a nome dell’autore dott. Gemelli fra A. fa omaggio alla So- cietà delle seguenti pubblicazioni: “ Sulla fine struttura del si- stema nervoso centrale (la dottrina del Neurone) ,; “ Su l’ipofisi delle Marmotte durante il letargo e nella stagione estiva , ; XX SEDUTA DEL 16 DICEMBRE 1906 “ Nuove osservazioni su l’ipofisi delle Marmotte durante il letargo e nella stagione estiva ,,; Ricerche sperimentali sui nervi degli arti pelvici di Bu/o vulgaris innestati in sede anomala ,. Il prof. Castelfranco, all'intento di rendere più interessanti le sedute deila Società, propone di far pratiche per promuovere un corso di conferenze, rivolgendo preghiera a cultori distinti delle scienze ed attenendosi ad argomenti di attualità e di inte- resse generale. h Il Presidente dice che egli non spera molto nella riuscita di questa proposta, tuttavia si occuperà della questione con vivo desiderio di riuscita. Il prof. Mariani propone alla Società un voto di plauso al prof. Artini ed al dott. De Marchi per l’opera prestata nell’or- ganizzazione del Congresso e l'Assemblea associandosi approva unanimemente. Il Presidente comunica il risultato della votazione per l’am- missione dei nuovi soci proposti. Essi sono tutti ammessi; ed esaurito così l’ordine del giorno si leva la seduta. Il Presidente Il Segretario E ARTINI, G. DE ALESSANDRI. Seduta del 16 dicembre 1906. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Aperta la seduta, il Segretario legge il verbale della seduta precedente, che viene approvato. Il dott. Staurenghi comunica le sue “Note di Osteologia comparata , e illustra il suo dire con la presentazione all’ As- semblea di interessanti preparati. Il Presidente, a nome del prof. Chelussi I., comunica la nota geologica del medesimo “ La Barra di Visso (prov. di Macerata) ,. Il dott. Gemelli A. prega sia ammessa alla lettura una sua breve comunicazione sopra una questione di priorità scientifica, ed ottenuta l’approvazione intrattiene la Società su di essa. Questa nota sarà pubblicata negli atti sociali. SEDUTA DEL 3 FEBBRAIO 1907 XX XA Il Presidente mette in votazione la nomina di due revisori del bilancio consuntivo dell’anno 1906. Fungono da scrutatori il dott. De Marchi M., ed il dott. Bar- bieri C., e mentre gli scrutatori eseguiscono lo spoglio delle schede, il Presidente comunica i ringraziamenti a lui pervenuti per l’am- missione a socio dei signori proff. Meli, Cermenati e Bertoloni. Egli riferisce pure che dopo vive istanze da lui fatte presso il cav. V. Villa, nutre buona speranza che il medesimo receda dalle presentate dimissioni da cassiere della Società. Infine co- munica l’esito della votazione dei revisori. Sono eletti Ving. Bazzi E. ed: il prof. Mariani E. Esaurito l’ordine del giorno si leva la seduta. Il Presidente Il Segretario E. ARTINI. G. DE ALESSANDRI. Seduta del 3 febbraio 1907. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Aperta la seduta il Segretario legge il verbale della seduta precedente che viene approvato. Il Presidente comunica una lettera del prof. Castelfranco il quale si scusa di non potere, per indisposizione, assistere alla se- duta. Presenta e legge integralmente la nota del prof. Boeris G. “Perowskite del monte Lunella ,,; poi il prof. Martorelli G. espone la sua memoria sopra “ Nuove apparizioni di specie siberiane in Italia e loro causa generale, presentando numerosi campioni dimostrativi. Ultimata la comunicazione, il Presidente legge al- l’Assemblea una lettera del socio dott. Mussa Enrico, il quale propone un ordine del giorno con un voto di plauso agli orga- nizzatori del Congresso dei Naturalisti italiani tenuto in Milano nello scorso settembre ed alla Società Italiana di Scienze Natu- rali promotrice di esso. Trattandosi in questo caso per la Società di votare un plauso a sè stessa, il Presidente propone all’ Assem- blea di dar atto della proposta nel verbale, ringraziando il dott. Mussa. La proposta è approvata. Egli comunica in seguito come sia giunto alla Presidenza della Società Italiana invito dal XXXII SEDUTA DEL 3 FEBBRAIO 1907 rettore della Regia Università di Napoli di prendere parte ai fe- steggiamenti pel primo centenario della Cattedra di Zoologia instituita presso quella Università ; avverte che egli ha risposto ringraziando e che ha incaricato il prof. Monticelli di rappre- sentare la Società a quelle feste. Egli partecipa altresì che è giunto identico invito dal Reale Istituto d’incoraggiamento di Napoli, il quale pure festeggia il suo centenario; egli ha pre- gato il socio prof. F. Bassani di rappresentare la Società ed il medesimo ha risposto accettando e ringraziando. Anche la So- cietà dei Naturalisti di Napoli, che festeggia, fra breve, il suo venticinquesimo anniversario, e che l’anno scorso ha ritardato i suoi festeggiamenti per cedere il turno alla Società Italiana di Scienze Naturali, ha inviato lettera d’invito per la sua festa; la Presidenza ha incaricato di rappresentare la nostra Società lo stesso prof. Bassani, il quale ha subito gentilmente risposto rin- graziando dell'incarico. Egli comunica alla Società il bilancio consuntivo del- l’anno 1906 ed apre la discussione in proposito. Figurano all’at- tivo: in conto capitale L. 15.000,— ; in conto esercizio L. 4455,54 di incassi diversi. Contro a questa cifra sta un passivo di L. 4447,56, rappresentate specialmente dalla spesa per la stampa degli Atti e dal Contributo per il Congresso. Il bilancio si chiude quindi con un piccolissimo avanzo, nonostante le spese straor- dinarie. Nessuno dei soci presenti fa osservazioni, e messo in votazione il bilancio è approvato. In seguito si passa alla votazione per la nomina del Presi- dente e del Cassiere della Società; il prof. Artini esprime il pa- rere che tali cariche si devano, allo scopo di infondere ‘nuova vita e nuove energie nella Società, rinnovare frequentemente. Si passa pure alla votazione per l'ammissione a soci annuali del Museo civico di Storia Naturale di Pavia, del dott. Roberto Cobau e del prof. Domenico Giordano. Mentre gli scrutatori attendono allo spoglio delle schede, il prof. Artini fa una breve comunicazione, presentando interes- santi campioni del calcare bianco compatto che in Lombardia si conosce col nome di Majolica, campioni da lui raccolti ad Ome in provincia di Brescia. Egli riferisce che questi calcari per la regolarità della loro giacitura stratigrafica, per la loro struttura uniforme e per la natura petrografica costituiscono un ottimo materiale per l’industria delle pietre litografiche. SEDUTA DEL 3 MARZO 1907 XXXIII Terminata la comunicazione, il Segretario legge il risultato delle votazioni: a Presidente della Società è riconfermato il pro- fessore Ettore Artini con voti 19 su 21 votanti ed a Cassiere il cav. V. Villa con voti 20 su 21 votanti. I nuovi soci proposti sono tutti ammessi. Esaurito così l’ordine del giorno, si leva la seduta. Il Presidente Il Segretario E. ARTINI. G. DE ALESSANDRI. Seduta del 3 marzo 1907. iPresiede il presidente prof. E. ARTINI. Aperta la seduta, il segretario legge il verbale della seduta precedente, che viene approvato. Il prof. Brizi U. comunica la sua nota: “ A proposito di recenti studi intorno al Brusone del riso ,,. Il dottor Barbieri C. presenta il suo studio sistematico : “Gli Agoni dei laghi lombardi e le Alose del Mediterraneo ,. Il dottor Terni C. intrattiene l’assemblea sopra: “ Un nuovo flagellato emo-parassita dei pesci, e sul virus dell’atta epizoo- tica ,,. Il prof. De Alessandri G. comunica la sua nota sui “ Cirri- pedi fossili della Francia ,. Assente il prof. Mariani, si rimanda ad altra seduta la pre- sentazione annunciata della sua nota. Terminate le letture, il Presidente dice che in seguito alla sua rielezione alla presidenza della Società, dovrebbe vivamente ringraziare i colleghi dell’onore fattogli. Ma egli non sa se com- piacersene, poich’è tuttora del parere che le cariche dovrebbero rinnovarsi frequentemente. Tuttavia, forte della benevolenza e della simpatia dei soci tutti, cercherà di dedicare tutta la sua attività all'incremento della Società; saranno sua cura speciale sia l'andamento scientifico di essa che la rigida amministrazione del bilancio, il quale solo per cause affatto speciali e tempo- ranee, si trova in condizioni meno floride del consueto. XXXIV SEDUTA DEL 3.MARZO 1907 Se i soci vorranno mantenere, come pel passato, il loro in- teressamento al sodalizio, cercando di procurare nuovi aderenti e presentando memorie e studi per gli atti sociali, egli è certis- simo che l’avvenire della Società sarà per essere florido. Si pone in votazione l'ammissione a socio del signor Enrico Sibilia; mentre gli scrutatori attendono allo spoglio delle schede, il presidente presenta alla Società i seguenti opuscoli giunti in dono: Pavesi prof. Pietro: “ Della conservazione dell’avifauna in genere, con speciale riguardo alla data di apertura e chiusura dell’epoca venatoria , e l’altro: “ La legislazione della pesca in Italia ,. Dott. Gemelli fra A.: “ Per l’evoluzione ,,.; “ Sulla fine strut- tura dei calici di Held ,; “ I processi della secrezione dell’ipo- fisi dei mammiferi ,,. Il Presidente comunica in seguito un invito giunto recente- mente alla Presidenza della Società, di partecipare ai festeggia- menti che si faranno in Bologna il 12 giugno venturo nella ri- correnza del III centenario della morte di U. Aldrovandi. Egli aggiunge che se i suoi impegni personali lo permettessero, sa- rebbe lieto di partecipare in persona a quelle feste; dara in ogni modo incarico al socio prof. P. Pavesi, e in caso di impe- dimento di questi, ai soci professori M. Cermenati e G. Boeris, di rappresentare la Società Italiana. Presenta infine il bilancio preventivo per l’anno 1907 ed apre la discussione su di esso. Nessuno dei presenti fa osservazioni, e messo in votazione il bilancio è approvato. In ultimo il Presidente comunica l’esito della votazione per l'ammissione del nuovo socio proposto, il quale risulta ammesso. Esaurito l’ordine del giorno, toglie la seduta. Il Presidente Il Segretario He ARTENT. DE ALESSANDRI. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO DELLE PUBBLICAZIONI RICEVUTE IN DONO OD INCAMBIO DALLA SOCIETA dal 1° gennaio 1906 al 15 marzo 1907 Non periodiche ('). * AMEGHINO FLORENTINO, Enumeracion de los impennes fosiles de Pata- gonia y de la Isla Seymour. Estratto dagli Anales del Museo de Buenos Aires, Tomo XIII, 1905. — Les édentés fossiles de France et d’Allemagne. Estratto dal Tomo XIII, 1905. — Les formations sédimentaires du crétacé supérieur et du tertiaire de Patagonie avec un paralléle entre leurs faunes mammalogi- ques et celle de l’ancien Continent. Anales del Museo Nacional de Buenos Aires, Tomo XV, p. 1-568, 1906. — Mi credo. Buenos Aires, 1906. *Azione del Ministero (L’) in favore della Pesca e dell’Acquicoltura nel 1905. Annali di Agricoltura, 1906. Roma, 1906. #BERTOLONI ANTONIO, Dei danni prodotti ai fichi dai bruchi della Xylo- poda nemorana Duponch. nel Bolognese ed in altre parti d’Italia. Bologna, 1869. — Intorno al danno arrecato alla Canapa, alla Zea, ai Faggioli, ecc., dalla larva dell’Agrotis suffusa Ochs. var. Pepoli Bertol. nep. nelle terre inondate del comune di Bondeno, nella primavera del 1873. Bologna, 1874. — Della discrasia linfatica dei limoni detta mal della gomma o ri- chicco e del modo di curarla e prevenirla. Massa, 1880. — Sui malumi e sugli insetti nocivi al riso nel Bolognese e alcune notizie sulle piante spontanee del Bolognese che possono sosti- ‘tuirsi alla corteccia di quercia per la concia delle pelli. Bolo- gna, 1876. — Condizioni delle campagne. Esperienze su nuove piante foraggiere e su viti americane. (1) Le pubblicazioni segnate con asterisco furono donate dai rispettivi Autori : le altre si ebbero da Società e Corpi scientifici corrispondenti. XXXVI BULLETTINO BIBLIOGRAFICO *BERTOLONI ANTONIO, La vendemmia e la scelta dell’uva. 1880. — L’Orobanche e la Canapa, la Cuscuta e le praterie artificiali. — Prodromo della Pomona italiana dedicata alla Presidenza della R. Società toscana d’orticoltura. Bologna, 1881. — Nuovo Oidium del Lauroceraso descritto dal cav. A. Bertoloni. Firenze, 1879. — Sul parasitismo dei Funghi. Firenze, 1880. — Intorno ai malumi sviluppati nella primavera 1876 sui piselli, sopra le susine e le mugnache, e di un bruco sconosciuto che corrode le susine. Bologna, 1876. — Esperienza pratica sopra alcune specie d’Eucalipti e sopra una graminacea coltivata per la prima volta nel Bolognese. Bologna, 1878. — Le condizioni botanico-agricole del Bolognese. — Come si possono annientare le parassite della Canapa, Trifoglio ed Erba medica. Bologna, 1879. — L'’orticoltura razionale. Bologna, 1888. — Relazione intorno al danno arrecato dalla larva dell’Agrotis signi- fera Ochs. varietà Pepoli Bertoloni nel comune di Bondeno la primavera del 1873. Bologna. — Riferimento sulle collezioni botaniche e i manoscritti lasciati dal dott. cav. Pietro Bubani di Bagnacavallo. Firenze, 1891. — Lettera del prof. A. Bertoloni sull’origine della lettura dei sem- plici in Italia. Firenze, 1891. — Notizie storiche sull’origine dello studio dei semplici in Italia. *Brzzi Mario, Ditteri eritrei raccolti dal dott. Andreini e dal prof. Tel- lini. Firenze, 1906. — Die Dipterengattung Methylla Hansen. — Noch einige neue Namen fiir Dipterengattungen. 1906. — Intorno al tipo della Echinomya Paolilli A. Costa 1906. BorEGAN EuceNIo, Le sorgenti d’Aurisina con appunti sull’idrografia sotterranea e sui fenomeni del Carso. Trieste, 1906. — Elenco e carta topografica delle Grotte del Carso. Trieste, 1907. #Borromeo GIBERTO, Museo mineralogico Borromeo. Note illustrative, pubblicate in occasione del 50° anniversario della fondazione della Società Italiana di Scienze Naturali di Milano. Milano, 1906. #Camus J. e O. PeNnzIG, Illustrazione del ducale Erbario Estense del XVI secolo conservato nel R. Archivio di Stato in Modena. Mo- dena, 1885. #CASARES MANUEL MARIA, Los restos de Sucre. Contestacion a la replica del dott. A. Munoz Vernaza. Quito, 1906. #CASTELFRANCO Pompeo, Abbozzi di ascie metalliche rinvenuti nell'Isola Virginia (Lago di Varese). Parma, 1905. #CATTANEO Giacomo, Intorno a uncaso singolare di ovum in ovo. Mi- lano, 1879, BULLETTINO BIBLIOGRAFICO XXXVII *CATTANEO GIACOMO, Sull’esistenza delle glandule gastriche nell’ Aci- penser sturio e nella Tinca vulgaris. Milano, 1886 — La fisiologia comparata della digestione. Pavia, 1887. — Sulla struttura dell’intestino dei crostacei decapodi e sulle fun- zioni delle loro glandule enzimatiche. Milano, 1887. — Su di un infusorio ciliato, parassita del sangue, Carcinus maenas. Pavia, 1888. — Sur la structure de l’intestin des crustacés décapodes et sur les fonctions de leurs glandes enzymatiques. Turin, 1888. — Note sui protozoi lacustri. Pavia, 1889. — Sulla morfologia delle cellule ameboidi dei molluschi e artropodi. Pavia, 1889. — Note tassonomiche e biologiche sul Conchopthirus anodontae (Ehr.). Milano, 1889. — Gli Amebociti dei cephalopodi e loro confronto con quelli d’altri invertebrati. Genova, 1901. — Sulle papille esofagee e gastriche del Luvarus imperialis. Ge- nova, 1892. — A proposito dell’Anophrys Maggii. Genova, 1893. — Sur l’anatomie de l’estomac du Pleropus medius. Turin, 1893. — Linneo evoluzionista ? Genova, 1894. — Delle varie teorie relative all’origine della materia e del nesso fra il concetto aggregativo e differenziativo delle forme animali, Ge- nova, 1895. — Sulla condizione dei fondi ciechi vaginali della Didelphys Azarae prima e dopo il parto. Genova, 1895. — In memoria di Carlo Vogt e di Tommaso Huxley. Genova, 1895. — I fenomeni biologici delle cellule ameboidi (a proposito di un la- voro di Ph. Owsjannikow). Genova, 1896. — Le gobbe e la callosità dei cammelli, in rapporto alla questione dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti. Genova, 1896. — I limiti della scienza. Milano, 1896. — I fattori dell'evoluzione biologica (sunto). Genova, 1897. — I fattori dell'evoluzione biologica. Discorso letto il 5 novembre 1896 da Giacomo Cattaneo, professore d’Anatomia e Fisiologia compa- rate, per l'inaugurazione degli studi nell'Università di Genova. Genova, 1897. — In memoria di Raffaello Zoja. Genova, 1897. — Alcune previsioni scientifiche di Alfonso Borelli, Genova, 1898. — L’Ortogenesi. Torino, 1899. — Di un organo rudimentale e di un altro ipertrofico in un primate (Ateles). Como, 1899. — I limiti della variabilità (a proposito di un libro del prof. D. Rosa). Como, 1900. XXXVIII BULLETTINO BIBLIOGRAFICO *CATTANEO GIACOMO, Che cosa si deve intendere per “ eredità dei carat- teri acquisiti ,. Como, 1900. — La Società Ligustica di Scienze Naturali e Geografiche nel primo decennio dalla sua fondazione (1889-99). Relazione del Presidente prof. Giacomo Cattaneo, letta nell'Assemblea del 16 febbraio 1900 in Genova. — Gabinetto di Anatomia e Fisiologia comparata. Cenni storici. Ge- nova, 1900. — Dott. Prof. Davide Montarsolo. Genova, 1901. — I metodi somatometrici in Zoologia. Como, 1901. *#Esposizione internazionale Milano 1906. La pesca e l’acquicoltura di acqua dolce in Germania, 1906. Fran Kungl. Universitets Biblioteket i Upsala. Botaniska Studier. Tillignada F. R. Kjellman den 4 November 1906. *GEMELLI AGOSTINO, Ricerche sperimentali sullo sviluppo dei nervi degli arti pelvici di Bufo vulgaris innestati in sede anomala. Contributo allo studio della rigenerazione autogena dei nervi pe- riferici. Firenze, 1906. — Su Vipofisi delle marmotte durante il letargo e nella stagione estiva. Contributo alla fisiologia dell’ipofisi. Torino, 1906. — Nuove osservazioni su l’ipofisi delle marmotte durante il letargo e nella stagione estiva. Contributo alla fisiologia dell’ipofisi. To- rino, 1906. — Sulla fine struttura del sistema nervoso centrale (La dottrina del neurone). Pavia, 1906. — I processi della secrezione dell’ipofisi dei mammiferi. Ciriè, 1906. — Per l’evoluzione. Pavia, 1906. — Sulla fine struttura dei calici di Held. Roma, 1906. *GIROTTI MICHELANGELO, La riforma organica didattico-economica della scuola media italiana di primo grado [Il Calendario (Il Corso estivo gratuito) e l’Orario]. Veroli, 1905. GRASSI BATTISTA e CORRADO PARONA, Il Meloe variegatus, Donovan, 1876. — — Animali che devono essere conosciuti dagli apicoltori. — — Sovra una rarissima mostruosità osservata in ovo di gallina. Pavia, 1878. — — Sovra un caso di eterogenesi osservato in natura. Milano, 1878. — — Sovra la Taenia crassicollis. Milano, 1879. *GUNNAR ANDERSSON J., On the palaeontological work of the swedish antarctic Expedition. Stockholm, 1906. *HERMAN OTTO, Remarques sur les notes de M. le Doct. Quinet. Bu- dapest, 1906. *IsseL ARTURO, In vacanza, gite e studi. Roma. — Della convenienza di promuovere l’esplorazione delle caverne d’I- talia sotto l'aspetto della topografia, della idrografia sotterranea e della zoologia. Genova. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO XXXIX #IsseL ARTURO, Replica al professore Stoppani. Genova, 1873. — Appunti paleontologici. I fossili delle marne di Genova. Appen- dice (correzioni ed aggiunte). Pesci. Genova, 1877. — Le oscillazioni lente del suolo o bradisismi, saggio di geologia sto. rica. Genova, 1883. — Materiali per lo studio della fauna tunisina, raccolti da G. e L. Do- ria. VI. Molluschi. Genova, 1885. — Bibliografia scientifica della Liguria. I, Geologia, Paleontologia, Mineralogia, Geografia, Meteorologia, Etnografia, Paletnologia -e scienze affini. Genova, 1857. — Figure di viscosità ed impronte radiculari con parvenza di fossili. Genova, 1889. — Il Calcifiro fossilifero di Rovegno in Val di Trebbia (Res Ligu- sticae XII). Genova, 1890. -— Quali potrebbero essere i provvedimenti da adottarsi dal Governo per trarre profitto della pesca ed allevamento dell’ostrica perlifera nelle Isole Dahalak. (Quesito proposto dalla Società africana di Napoli). Genova, 1892. % — Note paletnologiche sulla collezione del sig. G. B. Rossi. Parma, 1893. — Gratzer G., Genesi e morfologia della pianura Padana, secondo studi recenti. 1897. — Dott. Fritz Mader, Die hòchsten Teile der Seealpen und der ligu_ rischen Alpen in physiographischer Beziehung. 1897. — Salvatore Trinchese, con elenco dei suoi lavori. Genova, 1897-98. — Il terromoto del 18 dicembre 1897 a Città di Castello e sull’Appen- nino. Umbro-Marchigiano. Genova, 1898. — Rupe incisa dell’Acquasanta (Appennino Ligure). Genova, 1899. ‘— Cenni storici sul Gabinetto di Geologia della R. Università di Ge- nova. Genova, 1900. — Note spiccate, I, Valle del Penna. Genova, 1900. — Applicazioni di un nuovo metodo per le misure di gravità. Ge- nova, 1903. — Sulla scoperta di una antica stazione ligure in Provenza. (Cenni critici). Genova, 1904. — Terminologia geografica relativa alla configurazione orizzontale della terra emersa, al mare e alle profondità marine. Genova, 1904. — Saggio di un nuovo ordinamento sistematico degli alvei e delle rive marine. Genova, 1905. — Torriglia e il suo territorio. Roma, 1908. — e G. RoveRETO, Osservazioni sul Tongriano di Santa Giustina e Sas- sello, con carta geologica. Genova, 1900. — e G. RovERETO, Note spiccate, II, Valle di Calizzano con appen- dice di G. Rovereto. Genova, 1904. *IsseL RAFFAELE, Un Enchitreide ad ampolla spermatecale unica (Fri- dericia gamotheca n. sp.). XL BULLETTINO BIBLIOGRAFICO IsseL RAFFAELE, Saggio sulla fauna termale italiana. — Osservazioni sopra alcuni animali della fauna termale italiana. — Ancistridi del Golfo di Napoli. Studio monografico sopra una fiuova famiglia di Cigliati, commensali di molluschi marini. — Sui Rotiferi endoparassiti degli Enchitreidi. — Due nuove Fridericia. — Commensali e Parassiti. Prelezione al corso libero di parassitologia. — Oligocheti inferiori della fauna italiana. I, Enchitreidi di Val Pellice. — III, Enchitreidi dell'Isola d’Elba. Materiali per una fauna dell’Ar- cipelago toscano. Isola d’Elba. — Intorno agli escreti dei Linfociti. (Osservazioni sui Linfociti di Al- lolobophora nematogena Rosa). i — III, Contributo allo studio dei pigmenti e dei linfociti. Ricerche sugli Enchitreidi. #Istituto zoologico della R. Università di Roma diretto dal prof. A. Car- ruccio. Studi compiuti nel predetto Istituto e lavori pubblicati dall’anno 1903 al 1905. Vol. IV. Roma, 1906. *JAEGERRSKIOLD L. A., Results of the swedish zoological Expedition to Egypt and the White Nile 1901. Part. II. Uppsala, 1905. KALECSINSZKY ALEXANDER v., Die untersuchten Tone der Lander der ungarischen Krone. Budapest, 1900. Publikationen der Kgl. un- garischen geologischen Anstalt. #LARGAIOLLI VirToRIo, Diaphanosoma brachyurum Liév., var. tridenti- num mihi, 1906. — Le Diatomee del Trentino, 1906. — Ricerche biolimnologiche sui laghi trentini. Milano, 1906. —- Idem, Padova, 1906. #LoRrIa Gino, I Poligoni di Poncelet. Discorso pronunziato nell’ Univer- sità di Genova. Torino, 1889. — Matematica. Articolo estratto dal dizionario illustrato di pedagogia diretto da A. Martinazzoli e L. Credaro. Mantova, 1896. — Le trasfigurazioni di una scienza. Discorso. — Donne matematiche. Lettura. Mantova, 1902. #MARCHI G., I serpenti del Trentino. Trento, 1901. — Pregiudizi e superstizioni intorno alla Fauna Tridentina. Trento, 1906. #Milano nel 1906, Guida indicatore storico-amministrativa della città. Milano. PARONA C., Alcuni insetti riscontrati dannosi nel Pavese. Voghera, 1876. — Degli organi riproduttori d’una vacca-toro o Free-Martin degli inglesi. Descrizione e considerazioni. Milano, 1877. — Alcune particolarità di due individui dell'Anas boschas. Milano, 180%. — La Pigomelia studiata nell’ Uomo e negli altri Vertebrati. Pavia, 1879. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO XLI PARONA C., Sulla Pigomelia nei Vertebrati. (Sunto). 1880. Di due crostacei cavernicoli (Niphargus puteanus Koch e Titane- thes feneriensis), n. sp. delle grotte di Monte Fenera (Val Sesia). Milano, 1880. Di un nuovo crostaceo cavernicolo. Pavia, 1880. Due casi di deviazione nella mascella inferiore degli uccelli (Co- lumba livia e Parus major). Milano, 1880. Prime ricerche intorno ai Protisti del lago d’Orta, con Cenno della loro corologia italiana. Pavia, 1880. Intorno alla corologia dei Rizopodi. Pavia, 1880. I parassiti del corpo umano (Animali). Novara, 1880. Delle Acinetine in generale, ed in particolare di una nuova forma (Acineta dibdalteria) n. sp. Pavia, 1880. Acineta dibdalteria. Nouvelle espèce d’infusoire marin du Golfe de Génes. Genève, 1881. Importanza della protistologia e dell’elmintologia nell’insegnamento della zoologia medica. Prelezione. Milano, 1881. Nuovi casi di Pigomelia nei Vertebrati. Pisa, 1881. Annotazioni di teratologia e di patologia comparate. II. Lecana- delfia (n. gen. di teratologia) nella Cingallegra. Pavia, 1881. Il Fisianto, le Farfalle e le Api. Milano, 1882. Individualità ed associazione animale. Prelezione al corso di Zoo- logia, Anatomia e Fisiologia comparate nell'Università di Cagliari. Pavia, 1882. Materiali per la fauna dell’isola di Sardegna. I Protisti della Sar- degna. (Prima centuria). Pavia, 1882. Di alcuni nuovi Protisti riscontrati nelle acque della Sardegna e di due altre forme non ben conosciute. Milano, 1883. Diagnosi di alcuni nuovi Protisti. Pavia, 1883. Il corallo in Sardegna. Relazione presentata a S. E. il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio. Roma, 1883. Caso di allocroismo in un Armadillus morbillosus. Firenze, 1883. Intorno ad un individuo di Alopectas vulpes, pescato nel mare sardo. Modena, 1883. Essai d’une protistologie de la Sardaigne avec la description de quelques protistes nouveaux ou peu connus. Genève, 1883. Materiali per la fauna della Sardegna. IX, Vermi parassiti in ani- mali di Sardegna. Nota preventiva. Pavia, 1884. Idem X, I Protisti della Sardegna. (Ulteriore comunicazione). Pa- via, 1884. Le forme animali in rapporto coll’evoluzione e coll’ambiente. Pavia, 1885. Protisti parassiti nella Ciona intestinalis L. del Porto di Genova. 1886. ES XLII BULLETTINO BIBLIOGRAFICO PARONA C., L’autonomia e la rigenerazione delle appendici dorsali (Phoenicurus) nella Tethys leporina. Genova, 1891. — Di alcuni Tisanuri e Collembole della Birmania, raccolti da Leo- nardo Fea. Miano, 1892. — (Istituto zoologico della R. Università di Genova). Studii fatti nel biennio 1889-90. Genova, 1891. — Larva di Dermatobia (Torcel) nell’Uomo. Firenze, 1892. — Comm. Francesco Marconi. Genova, 1893. — L’Elmintologia italiana da’ suoi primi tempi all’anno 1890. Storia,. sistematica, corologia e bibliografia. Genova, 1894. — Elenco di alcune Collembole dell'Argentina. Genova, 1895. — I confini politici e geografici rispetto alla corologia. Lettera aperta al prof. R. Blanchard. Genova, 1895. — Anormale accrescimento degli incisivi nei Conigli. Genova, 1895. XIX, Acari parassiti dell’eterocefalo. Esplorazione del Giuba e dei suoi attluenti, compiuta dal cap. V. Bottego, durante gli anni 1892-93, sotto gli auspici della Società geografica italiana. Risul- tati zoologici. Genova, 1895, — Una rettifica storica sulla “ Filaria immitis ,,. Genova, 1896. — Di alcuni nematodi dei Diplopodi. Genova, 1896. — Intorno ad alcuni Distomi nuovi o poco noti. Genova, 1896. — Note intorno agli Elminti del Museo Zoologico di Torino. Torino,. 1896. — I colossi dei nostri mari. Cattura di quattro Balenottere in Liguria, autunno 1896. Milano. -— Notizie storiche sopra i grandi Cetacei nei mari italiani ed in par- ticolare sulle quattro Balenottere catturate in Liguria nell’au- tunno 1896. Milano, 1897. — Helminthum ex Conradi Paronae Museo Catalogus. Catalogo della collezione elmintologica del prof. C. Parona. Genova, 1898. — Vittorio Bottego, Necrologio. Genova, 1897. — I Tricosomi degli Ofidii. Genova, 1897. — Elminti raccolti dal dott. Elio Modigliani alle isole Mentawei, En- gano e Sumatra. Genova, 1898. — Catalogo di Elminti raccolti in vertebrati dell’isola d’Elba dal dott. Giacomo Damiani. Genova, 1899. — La pesca con le paranze e l’istituzione di zone d’esperimento sugli effetti della medesima. Genova, 1899. — Di alcuni Elminti del Museo Nacional di Buenos Aires. 1900. — Il Museo Zoologico dell’Università di Genova. Cenni storici. Ge- nova, 1900. — Di alcune anomalie nei Cestodi ed in particolare di due Tenie sa- ginate moniliformi. Genova, 1900. — Dottor Luigi Dufour, Necrologio. Genova, 1901. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO XLIII ‘PARONA C., Proposta di un metodo pratico per combattere la mosca olearia. Genova, 1901. — Nella cura degli olivai sta il miglior rimedio contro la mosca delle olive. Torino, 1902. — Il Presidente dell’Unione prof. C. Parona dichiara aperta la seconda Assemblea ordinaria ed il Convegno dell’Unione zoologica italiana “Napoli, 1901 ,,. Firenze, 1901. — Diagnosi di una nuova specie di Nematode Histiocephalus stellae- polaris n. sp. Spedizione polare di S. A. R. Luigi di Savoia, Duca degli Abruzzi. Torino, 1901. — Di alcuni metodi proposti recentemente contro la mosca olearia. Genova, 1901. — Altro caso di pseudo-parassitismo di Gordio nell’uomo. Parachor- dodes postulosus Baird. Milano, 1901. — Catalogo di Elminti raccolti in vertebrati dell’isola d’Elba (Seconda nota). Genova, 1902. — Sedi insolite del “ Coenurus serialis , Gerv. nel coniglio e nella lepre. Torino, 1903. — Sulla corologia italica delle varietà dell’Hyla arborea. Nota pre- ventiva. Genova, 1903. — Cenno sulla corologia italica delle varietà dell’Hyla arborea. Fi- renze, 1903. — Elminti, osservazioni. Milano, 1903. — Leonardo Fea, Necrologio. Genova, 1903. — Relazione del Rettore prof. C. Parona inaugurando l’anno accade- mico, 1904-905. Genova, 1905. — A Leopoldo Maggi, Necrologio. Firenze, 1905. PARONA C. e G. CATTANEO, Note anatomiche e zoologiche sull’ Hete- rocephalus, Riippell. Genova, 1893. — e A. CUNEO, Cisticerco intermuscolare diffuso in una donna. Ge- nova, 1897. #PARONA CoRRADO e BATTISTA Grassi, E un amico delle nostre api ed un nemico della Tinea cerella. Pavia, 1877. — e B. GrAssI, Di una nuova specie di Dochmius (Dochmius balsami), Milano, 1877. — — Contribuzione allo studio microscopico del miele e delle sue adulterazioni. 1877. i — — Sovra alcune mostruosità di uova di gallina. Milano, 1878. — — Sullo sviluppo dell’Anchilostoma duodenale. Annotazioni. Mi- lano, 1878. — e A. PERUGIA, (Res Ligusticae). XVII, Note sopra Trematodi ecto- parassiti. Genova, 1892. — e A. PERUGIA, Sopra due nuove specie di Trematodi ectoparassiti di pesci marini (Phylline, Monticellii e Placunella Vallei). Ge- nova, 1895. XLIV BULLETTINO BIBLIOGRAFICO *PARONA CORRADO e A. PERUGIA, Sopra due nuove specie di Trematodi parassiti delle branchie del Brama Iayi. Genova, 1896. — e M. StTOssIcH, Vesophagostomum tuberculatum n. sp. parassita dei “ Dasypus ,,. Genova, 1901. *PavesI Pierro, Un’altra pagina di Storia dell’Università pavese. Di- scorso inaugurale. 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Preliminary report on the Geology and underground water resources ot the Central Great Plains by N. H. Darton, 1905. 88. Forest conditions in the Lincoln forest reserve, New Mexico by Fred. G. Plummer and M. G. Gowsell, 1904. 34. The Delavan Lobe of the Lake Michigan Glacier of the Wisconsin stage of glaciation and associated phenomena by William C. Alden, 1905. 35. The Geology of the Perry Basin in Southeastern Maine by George Otis Smith and David Whithe, 1905, 36. The Lead, zinc, and fluorspar deposits of Western Kentucky by E. O. Ul- rich and W. S. Taugier Smith, 1905. 37. The Southern Appalachian Forest by H. B. Ayres and W. W. Ashe, 1905. 38. Economic Geology of the Bingham Mining District, Utah by John Mason Boutwell, with a Section on areal Geology by Arthur Keith and an intro- duction on general Geology by Samuel Franklin Emmons, 1905 39. Forest conditions in the Gila River torest reserve, New Mexico by Theodore F. Rixon, 1905. 40. The triassic Cephalopod genera ot America by Alpheus Hyatt and James Perrin Smith, 1905. 41. Geology of the Central Copper River Region, Alaska by Walter C. Men- denhall, 1905. 42. Geology ot the Tonopah Mining District, Nevada by Josiah Edward Spurr, 1905, 43. The Copper deposits of the Clifton-Morenci District, Arizona by Wal- demar Lindgren, 1905. 44, Underground waters resources of Long Island, New York by A. C. Veatch, C. S. Slichter, Isaiah Bowman, W. O. Crosby, and R. E. Horton, 1906. 45, The Geography and Geology ot Alaska, a summary of existing knowledge by Alfred K. Brooks with a section on climate by Cleveland Abbe, and a topographic Map and description thereof by R. U. Goode, 1906. 47. The tertiary and quaternary Pectens of Calitornia by Ralph Arnold, 1906. 48. Report on the operations of the Coal-Testing Plant of the U. S. Geolo- gical Survey at the Louisiana purchase Exposition, St. Louis, Mo., 1904, Part. I. Field Work, classification of Coals. Chemical Work. II. Boiler Tests. III. Producer-gas, Coking, Briquetting and Washing Tests, by Edwards W. Parker, Joseph A. Holmes, Marius R. Camp- bell, 1906, 49. Geology and mineral Resources of part of the Cumberland Gap Coal Field, Kentucky by George Hall Ashley and Leonidas Chalmers Glenn, 1906. ” ” — Water-Supply and Irrigation Papers. N. 99. Report of progress of Stream measurements for the calendar year 1903. Part III, Western Mississippi River and Western Gulf of Mexico Drai- nage, 1904. LIV BULLETTINO BIBLIOGRAFICO . 100. Idem, idem, Part IV. Interior Basin, Pacific, and Hudson Bay Drai- nage, 1904. 103. A review of the Laws forbidding pollution of Inland waters in the U. S. by Edwin B. Goodell, 1904. 105. The water powers ot Texas by Thomas U. Taylor, 1904. 106. Water resources of the Philadelphia District by Florence Bascom, 1904. 107. Water powers of Alabama with an appendix on stream measurements in Mississippi by Benjamin M. Hall., 1904. 108. Quality of water in the Susquehanna River Drainage Basin by Marshall Ora Leighton with an introductory chapter on physiographic teatures by George Buell Hollister, 1904. 109. Hydrography of the Susquehanna River Drainage Basin by John C. Hoyt- and Robert H. Anderson, 1905. 110. Contributions tho the hydrology of Eastern United States, 1904. 111. Preliminary Report on the underground waters of Washington by Henry Landes, 1905. 112. Underflow tests in the drainage basin of Los Angeles River by Homer Hamlin, 1905. 113. The disposal of Strawboard and Oil-Well Wastes by Robert Lemuel Sackett and Isaiah Bowman, 1905. 114. Underground waters of Eastern United States. 115. River surveys and profiles made during, 1903, arranged by W. Carvel Hall and John C. Hoyt, 1905. 116. Water problems of Santa Barbara. California by J. B. Lippincott, 1905. 117. The lignite of North Dakota and its relation to irrigation by F. A. Wilder. 118. Geology and water resources of a portion of East-Central Washington by Frank C. Calkins, 1905. 119. Index to the hydrographic progress reports of the United States Geo- logical Survey 1888 to 1903 by John C. Hoyt and B. D. Wood, 1905. 120. Bibliographic review and index of papers relating to underground wa- ters published by the United States Geological Survey 1879-1904 by Myron L. Fuller, 1905. 121. Preliminary report on the pollution of Lake Champlain by Marshall ora Leighton, 1905. 122. Relation of the Law to Underground Waters by Douglas Wilson John- son, 1905. 123. Geology and underground water conditions of the Jornada del Muerto, New Mexico by Charles Rollin Keyes, 1905. 124. Report of progress of stream measurements for the calendar year 1904. Part I, Atlantic Coast of New England Drainage by H. K. Barrows and John C. Hoyt, 1905. 126. Idem, idem, Part III, Susquehanna, Patapsco, Potomac, James, Roanoke, Cape Fear, and Yadkin River drainage by N. C. Grover and John C. Hoyt, 1905. 125. Report of progress ot Stream measurements for the Calendar year 1904,. by R. E. Horton, N. C. Grover, and John C. Hoyt and others, 1905. 127, 129, 130, 131, 133, 134, 135. Idem, idem, idem. 128. Idem, idem, Part V, Eastern Mississippi River drainage by M. R. Hall, E. Johnson, Ir., and John C. Hoyt, 1905. 132. Idem, idem, Part IX Western Gulf of Mexico and Rio Grande drainages by T. U. Taylor and John C. Hoyt, 1905. 136. Underground waters of Salt River Valley, Arizona by Willis Thomas Lee, 1905. 137-139. Development of underground waters in the Eastern coastal Plain Region of Southern California by Walter C. Mendenhall, 1905, 140. Field measurements of the rate of movement of underground waters. by Charles S. Slichter, 1905. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO LV N, 141. Observations on the ground waters of Rio Grande Valley by Charles S. Slichter, 1905. 142. The hydrology of San Bernardino Valley, California by Walter C. Men- denhall, 1905. 143. Experiments on Steel-Concrete Pipes on a working scale by John H. Quinton. 144. The normal distribution of Chlorine in the natural waters of New York and New England by Daniel D. Jackson, 1905. 145. Contributions to the hydrology of Eastern United States, 1905. 146. Proceedings of second conference of Engineers of the reclamation ser- vice with accompanying papers, by F. H. Newell, 1905. 147. Destructive Floods in the United States in 1904, by Edward Charles Murphy and others, 1905. 148. Geology and water resources of Oklahoma by Charles Newton Gould, 1905.. 149, Preliminary list of deep Borings in the United States second edition, with additions by N. H. Darton. 150. Weir experiments coefficients and formulas by Robert E. Horton, 1906. 151. Field Assay of water by Marshall O. Leighton, 1905. 152. A review of the laws forbidding pollution ofinland waters in the United States. Second Edition, by Edwin B. Goodell, 1905, 153. The underflow in Arkansas Valley in Western Kansas, by Charles S. Slichter, 1906. 154. The geology and water ressurces of the Eastern portion of the Panhandle ot Texas by Charles N. Gould, 1906, 157. Underground water in the Valleys of Utah Lake and Jordan River, Utah by G. B. Richardson, 1906. 165. Report of progress of Stream measurements for the Calendar year 1905, Part I, Atlantic Coast of New England Drainage by H. K. Barrows and John C. Hoyt, 1906. 166. Report, ete., Part II, Hudson Possaic, Raritan, and Delaware River Drainage, by R. E. Horton, N. C. Grover and John C. Hoyt, 1906. 167. Report of, ete. Part ILI, etc., ete., by N.C. Grover and John C. Hoyt, 1906, 168. Report of, ete., Part IV, Santee, Savanna h,Ogeechee, and Altamaha Ri- vers and Eastern Gulf of Mexico, Drainages by M. R. Hall and John C. Hoyt, 1906. 169. Report of, ete., Part V, Ohio and Lower Eastern Mississippi River Drai- nages, by M. R. Hall, F. W. Hanna, and J. C. Hoyt, 1906. 171. Report VII, Hudson Bay and Upper Eastern and Western Mississippi River Drainages by F, W. Hanna and John C. Hoyt, 1906. — Smithsonian Institution. Annual Report of the Board of Regents of the Smithsonian Institution, showing the operations, expendi- tures, and condition of the Institution. For the year ending june 30 1904 (1905). — Annual Report of U. S. National Museum 1905 (1905), 1904 (1906). Bulletin of the United States National Museum. N. 53. Part I, 1905. Fossil invertebrates. Catalogue of the type and figured spe- cimens of fossils, Minerals, Rocks and Ores by George P. Merrill. 54. Monograph on the Isopods ot North America by Harriet Richardson, 1905. 55. A contribution to the Oceanography of the Pacific. by James M. Flint, 1905. 59. Part. P. Directions for collectors of American basketry, by Otis T. Ma- son, 1902. Idem, Q. Instructions to collectors of historical and anthropological speci- mens, by W. Henry Holmes and Otis T. Mason, 1902. LVI BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Washington. — Contributions from the United States National Her- barium. Vol. IX, The useful plants of the Island of Guam by William Edwin Safford, 1905. » X. Part I. North American species of Festuca by Charles V. Piper, 1906. NI ; » II The genus Ptelea in the Western and Southwestern U. S. and Mexico by Edward L. Greene, 1906. » XI. Flora of the State of Washington by Charles V. Piper, 1906. — Proceedings of the U. S. N. Museum. Vol. XXVIII, 1905; Vol. XXIX e XXX, 1906. MESSICO. Mexico. — Instituto geologico de Mexico. (Parergones). Tomo I, N. 9-10. Los Zalapazcos del Estado de Puebla, 1era-2a Parte por Exe- quiel Ordofiez, 1905. — Instituto geologico de México. (Boletin). N. 20. Resefia acerca de la geologia de Chiapas y Tabasco por Emilio Bose, Dott. Phil. con 9 Laminas, 1905. » 21. La faune marine du trias supérieur de Zacatecas par le Dott. Carlos Burckhardt et le Dott. Salvador Scalia, 1905. AMERICA DEL SUD. Buenos Aires. — Museo Nacional de Buenos Aires. (Anales). Serie III, Tomo IV-V, 1905. — Academia Nacional de Ciencias en Cordoba. (Boletin). Tomo XVIII, Entrega II, 1905. Montevideo. — Museo Nacional de Montevideo, publicados bajo la Direccion del professor J. Arechavaleta. (Anales). Flora Uruguaya, Tomo III, Entrega I, 1906; Serie II, Entrega II, 1905. Seccion historico-filosofica. Tomo II, Entrega I, 1905. Para-Brazil. Museu Geldi (Museu Paraense) de Historia Natural e Ethnographia. (Boletim). Vol. IV, N. 4, 1906. Relacao das publicacòes scientificas feitas pelo Museu Goeldi de Historia Natural e Ethnographia Parà-Brazil, durante o periodo de 1894-1904, sendo um retrospecto bibliographico sobre o pri- meiro decennio da existencia do mesmo Museu, etc., etc. Quito. — Universidad Central de la Republica del Ecuador. (Anales). Tomo XX, ano 22, N. 142-143, 1905; Tomo XXI, ano 22, N. 144- 149, 1906; Tomo XXII, afio 23, N. 150-154, 1906. «Santiago. — Société scientifique du Chili. (Actes). Tome XV, 1905, Livr. I-II. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO LVII AUSTRALIA. Adelaide. — Royal Society of South Australia. (Memoirs). Vol. I, Part III. Description of the Vertebrae of Genyornis Newtoni by E. C. Stir- ling, and A. H. C. Zietz. — Transactions and Proceedings and Report. Vol. XXIX, 1905; Vo- lume XXX, 1906. Sydney. — Australian Museum. 51. Annual Report of the Trustees, being for the year ended 30 June 1905. — Memoir IV. Scientific results of the trawling Expedition of H. M. C. S. “ Thetis ,, off the Coast of New South Wales, in february and march, 1898, Part IX, 1906. — Records. Vol. VI, N. 3-4, 1906. AUSTRIA-UNGHERIA. Budapest. — Musei Nationalis Hungarici. Annales historico-naturales. Not EV. Pars: 1-11, 1906. — Aquila. A Magyar ornithologiai Kéòzpont Folyòirata Periòdical of Ornithology; — Journal pour Ornithologie; — Zeitschrift fiir Or- nithologie, 12 Jahrgang, 1905 — Kgl. Ung. geologischen Anstalt. Féldtani Kéòzlòny. Geologische Mitteilungen,’ Zeitschrift der ungarischen geologischen Gesell- schaft zugleich amtliches Organ der Kgl. Ung. geologische An- stalt. XXXV Kòtet, 8-12 Fiizet, 1905; XXXVI Koétet, 1-9 Fizet, 1906. — Jahresbericht fiir 1903 (1905), 1904 (1906). — Mitteilungen aus dem (Jahrbuche). XIV Band, 4 Heft. Zur Geologie der Gegend zwischen Gyulafehérvar, Déva, Ruszkabanya und der rumiinischen Landesgrenze, mit eine Carte und 82 Zeichnungen, von Franz Baron Nopesa jun. 1905. A , 5 Heft. Ueber die agrogeologischen Verhiiltnisse des Ecsedi Lap. von W. Gill. A. Liffa und E. Timkò. pa 2 Heft. Ueber die metamorphen und paliiozoischen Gesteine des Nagybihar von Paul Rozlozsnik, 1906. ca » 98. Beitrige zur Stratigraphie und tektonik des Gerece-Gebirges von Hans v. Staff, 1906. ~ — Magyar Botanikai Lapok. (Ungarische Botanische Blatter). Jahr- gang I, 1902, N. 1-12; Jahrgang II, 1903, N. 1-12; Jahrgang III, 1904, N. 1-12; Jahrgang IV, 1905, N. 1-12; Jahrgang V, 1906, N. 1-12. Cracovie. — Académie des sciences de Cracovie, classe des sciences mathématiques et naturelles. Bulletin international. 1905, N. 8-10; 1906, N. 1-3. vide LVIII BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Cracovie. — Katalog literatury naukowej polskiej. Tom. V, Rok. 1905, Zeszyt. I-IV, 1906; Tom. VI, Rok. 1906, Zeszyt. I-II, Graz. — Naturwissenschaftlicher Verein fiir Steiermark. (Mitteilun- gen). Jahrgang 1905, der ganzen Reihe 42stes Heft. 1906. — Verein der Aerzte in Steiermark. (Mitteilungen). 42ter Jahrgang, 1905. Hallein. — Ornithologisches Jahrbuch. Organ fiir das palaearktische Faunengebiet. Herausgegeben von Victor Ritter von Tschusi zu Schmidhoffen. Jahrgang XVI, Heft 5-6; Jahrgang XVII,. Heft 1-6, 1906. Hermannstadt. — Siebenburgischer Verein fiir Naturwissenschaften za Hermannstadt. Verhandlungen und Mitteilungen. Jahrgang 1904, Band LIV, 1906. Innsbruck. — Naturwissenschaftlich-medicinischer Verein in Inns- bruck. (Berichte). XXIX Jahrgang, 1903-1904 und 1904-1905 (1906). Presburg. — Verein fiir Natur-und Heilkunde zu Presburg. (Ver- handlungen). Neue Folge: XVI und XVII der ganzen Reihe, XXV und XXVI Band, Jahrgang 1904-905, 1905-906. Rovereto. — I. R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Agiati in Rovereto. (Atti). Anno accademico CLV, Serie III, Vol. XI, Fasc III-IV, 1905; Anno accademico CLVI, Serie III, Vol. XII, Fase. I-IV, 1906. Elenco dei donatori e dei doni fatti alla Biblioteca Civica di Rove- reto dal 1° gennaio al 51 dicembre 1905. Trento. — Tridentum, Rivista mensile di studi scientifici. Annata VII, 1904, Fasc. X; Annata .VIII, 1905, Fasc. VIII-X; Annata IX, 1906, Fasc. I-VIII. Trieste. — Alpi Giulie, Rassegna bimestrale della Società Alpina delle Giulie. Anno XI, N. 1-6, 1906; Anno XII, N. 1, 1907. — Il Tourista. Bollettino del “ Club Touristi Triestini,.. Anno XI, 1904, N. 1-4, 1906. Wien. — K. K. geologische Reichsanstalt. (Abhandlungen). Band XX, Hett 2. Das Gebiss und Reste der Nasenbeine von Rhinoceros (Ce- ratorhinus Osborn) Hundsheimensis von Franz Toula, 1906. — Jahrbuch. Jahrgang 1906, Band LVI, Heft 1-4. i — Verhandlungen. Jahrgang 1905, N. 13-18; Jahrgang 1906, N. 1-16. — K. K. naturhistorisches Hofmuseum. (Annalen). Band XIX, N. 4, 1904; Band XX, N. 1-4, 1905. — Anthropologische Gesellschaft in Wien. (Mitteilungen). XX XV Band (Der dritten Folge, V Band), Heft VI, 1905; XXXVI Band (Der dritten Folge, VI Band), Heft I-VI, 1906; XXXVII Band (Der dritten Folge, VII Band), Heft I, 1907. — Verein zur Verbreitung naturwissenschaftlicher Kenntnisse in Wien. (Schriften). XLVI Band, 1906, Jahrgang 1905-906. — K. K. zoologisch-botanische Gesellschaft in Wien. (Verhandlungen). Jahrgang 1905, LV Band, 1905: Jahrgang 1906, LVI Band, 1906. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO LIX BELGIO. Bruxelles. — Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique. (Annuaire). Soixante-douziéme année 1906. — Bulletin de la classe des sciences. Année 1905, N. 1-12; Année 1906, N. 1-4. — Mémoires. Collection in-4, Tome I, Fasc. I-II. — Classe des Sciences. Mémoires. Collection in-8. Tome I, Fasc. I- ite 1904-905, — Société Belge de géologie, de paléontologie et d’hydrologie. (Bul- letin). 19° année, Tome XIX, Fasc. I-IV, 1905; 20° année, Tome XX, Fasc. I-II, 1906. — Société entomologique de Belgique. (Annales). Tome XLIX, 1905. — Mémoires. XII. Mémoire jubilaire publié a l’occasion du cinquantenaire de la fondation de la Société. XIII e XIV. Catalogue raisonné des microlépidoptéres de Belgique par le Baron de Crombrugghe de Picquendaele première et deuxiéme parties, 1906. — Société Royale de botanique de Belgique. Tome XLII, année 1904- 905, Fasc. III, 1906. — Société Royale zoologique et malacologique de Belgique. (Annales). | Tome XXXIX, Année 1904 (1905). FRANCIA. Amiens. — Société Linnéenne du Nord de la France. Bulletin men- suel. 33-34° année, 1904-1905, Tome XVII, N. 357-368. Annecy. — Société Florimontane d’Annecy. Revue Savoisienne, pu- blication périodique. 46° année, 1905, trimestre 1-4; 47° année, 1906, trimestre 1-2. Bordeaux. — Société des sciences physiques et naturelles de Bor- deaux. Procés-verbaux des séances. Année 1904-905 (1905). Table générale des matières des publications de la Société de 1850 a 1900 dressée par J. Chaine et A. Richard, 1905. — Société Linnéenne de Bordeaux. parce Tome IX, 7° Série, Vo- lume LIX, 1904. Lyon. — Société d’agriculture, sciences et industrie de Lyon. (An- nales). 8° Série, Tome II, 1904 (1905), Année 1905 (1906). — Université de Lyon. (Annales). Nouvelle série. I. Sciences, Médecine. Fascicule 16. Sur les formes mixtes par Léon Autonne, 1905, n 17. Catalogue descriptif des fossiles nummulitiques de l’Aude et de l’Herault. 1° Partie Montagne Noire et Minervois par Louis Don- cieux, 1905. 5 18. Recherches expérimentales sur les contacts liquides par A. M. Chanoz. LX BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Montpellier. — Institut de botanique de l’Université de Montpellier et de la Station zoologique de Cette. (Travail). Série mixte. Mé- moire N. 2. Recherche sur la flore pélagique (Phytoplankton) de Vétang de Thau par Jules Pavillard, 1905. — Institut de Zoologie de l'Université de Montpellier et de la Station zoologique de Cette. (Travaux). Deuxieme Série, Mémoire N. 15, 1905. Paris. — Annales des sciences naturelles. Zoologie, comprenant l’ana- tomie, la physiologie, la classification et l’ histoire naturelle des animaux. 79° année, 9° Série, Tome II, N. 4-6, 1905; 82° année, Tome III, N. 1-4, 1906; 82* année, Tome IV, N. 1-6, 1906. — Muséum d’Histoire Naturelle. (Bulletin). Année 1905, N. 1-6; Année 1906, N. 1-4. — Nouvelles Archives. 4° Série, Tome VII, Fasc. 1-2, 1905; Tome VIII, Base. 1,51906. — Société d’Anthropologie de Paris. (Bulletins et Mémoires). 5° Serie, Tome V, Fasc. 6, 1904; Tome VI, Fasc. 1-6, 1905; Tome VII, 'Fasc.-I, 1906. — Société géologique de France. (Bulletin). 4° Série, Tome II, 1902, N. 6, 1905; Tome III, 1903, N. 7, 1905; Tome IV, 1904, N. 4-6, 1905; Tome V, 1905, N. 1-5, 1905. — Société Nationale d’acclimatation de France. (Revue des sciences naturelles appliquées). (Bulletin). 52° année, 1905, N. 11-12; 53° an- née, 1906, N. 1-12. Statuts constitutifs de la Société. Rennes. — Université de Rennes. Travaux scientifiques. Tome IV, 1905. Rouen. — Académie des sciences, belles-lettres et arts de Rouen. (Précis analitique des travaux). Pendant l’année 1903-904 (1904); pendant l’année 1904-905 (1906). — Société libre d’émulation du commerce et de l’industrie de la Seine- inferieure. (Bulletin). Exercice 1904 (1905). Toulouse. — Société d’histoire naturelle de Toulouse. (Bulletin tri- mestriel). Tome XXXVIII, N. 2-3, 1905. GERMANIA. Berlin. — Botanischer Verein der Provinz Brandenburg. (Verhandlun- gen). XLVII. Jahrgang 1905 (1906). — Gesellschaft Naturforschender Freunde zu Berlin. (Sitzungs-Be- richte). Jahrgang 1905. — Koniglich Preussische geologische Landesanstalt und Bergaka- demie zu Berlin. (Jahrbuch). Fiir das Jahr 1902, Band XXIII, 1905. — Deutsche geologische Gesellschaft. (Zeitschriften). 57 Band, I-IV Heft, 1905-906; 58 Band, I-III Heft, 1906-907; 59 Band, I Heft, 1907. BULLETTINO LIBLIOGRAFICO LXI Berlin. — Zoologisches Museum in Berlin. (Mitteilungen). III Band, 2. Heft. 1. Apistica. Beitriige zur Systematik, Biologie, sowie zur geschichtlichen und geographischen Verbreitung der Honigbiene (Apis mellifica L.) ihrer Varietiten und der iibrigen Apis-Arten. Von Dott. H. v. Buttel-Reepen. 2. Die Trigonaloiden des Kéniglischen zoologischen Museums in Berlin. Von W. A. Schulz. 3. Zar Biologie der Embiiden. Neue Untersuchungen und Uebersicht des Be- kannten mit Beitriigen tiber Systematik und postembrionale Entwicklung mediterraner Arten. Von K. Friederichs. 4. Gordiiden und Mermithiden des Kénigl zoologischen Museum in Berlin. Von Dr. v. Linstow. Breslau. — Schlesische Gesellschaft fiir vaterlàndische Cultur. Drei- undachtzigster Jahresbericht 1906. Cassel. — Verein fiir Naturkunde zu Cassel. L Abhandlungen und Bericht ilber das 70 Vereinsjahr 1906. Danzig — Naturforschende Gesellschaft in Danzig. (Schriften). N. F. lien Bandes, 4 Heft, 1906. Darmstadt. — Verein fiir Erdkunde und der Grossh. geologischen Landesanstalt zu Darmstadt. (Notizblatt). IV Folge, 26 Heft, 1905. Dresden. — Naturwissenschaftliche Gesellschaft Isis in Dresden. Sitzungsberichte und Abhandlungen. Jahrgang 1905. Januar bis Juni, Juli bis December 1905-906 ; Jahrgang 1906. Januar bis Juni. Erlangen. — Physikalisch-medicinische Societàt in Erlangen. Sitz- ungsberichte). 37 Band, 1905 ‘1906}. Frankfurt a. M. — Senekenbergische naturforschende Gesellschaft in Frankfurt am Main. (Bericht). Vom Juni 1905 bis Juni 1906 (1906). Freiburg. J. Br. Naturforschende Gesellschaft zu Freiburg. (Be- richte). 16er Band 1906. Gorlitz. — Naturforschende Gesellschaft zu Gòrlitz. (Abhandlungen). XXV Band, 1 Heft, 1906. Gistrow. — Verein der Freunde der Naturgeschichte in Mecklenburg. (Archiv). 59 Jahrgang, 1905, II Abtheilung, 1905; 60 Jahrg., 1906, I Abtheilung, 1906. Halle a. S. — Zoologisches Museum zu Berlin. (Bericht). Rechnungs- Jahr 1905, Halle a. S., 1906. Hamburg. — Naturhistorisches Museum in Hamburg. (Mitteilungen). XXII, Jahrgang 1904 (1905); XXIII, Jahrgang 1905 (1906). Jena. — Medizinisch-naturwissenschaftliche Gesellschaft zu Jena. Jenaische Zeitschrift fiir Naturwissenschaft. XL Band, N. F. XXXIII Band, 3-4 Heft, 1905; XLI Band, N. F. XXXIV Band, 1-4 Heft, 1906; XLII Band, N. F. XXXV Band, 1 Heft, 1906. Konigsberg. — Physikalisch-6konomische Gesellschaft zu Kònigsberg in Pr. (Schriften). 46 Jahrgang, 1905 (1906). Leipzig. — Zoologischer Anzeiger. 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Verifica dei coristi normali dell’ufficio centrale italiano per il corista uniforme, G. Zambiasi. VI. Ulteriori ricerche sulle zeoliti, Ferruccio Zambonini. VII. Saggio di ricerche batteriologiche sulla pellagra, Guido Tiz- zoni e Gaetano Fasoli. VIII. Per la. risoluzione delle curve dimorfiche, Fernando de Helguero. — Reale Accademia medica di Roma. (Bullettino). Anno XXXI, 1904- 905, Fasc. VII-VIII, 1905; anno XXXII, 1905-906, Fasc. I-VIII, 1906. — Società zoologica italiana con sede in Roma. (Bollettino). Serie II, Vol, VII, Fasc. I-IX. — R. Comitato geologico d’Italia. (Bollettino). Anno 1905, Vol. XXXVI, 6° della 48 Serie, N. 3-4; anno 1906, Vol. XXXVII, 7° della 4* Se- rie, N. 1-3, Torino. — Regia Accademia d’Agricoltura di Torino. (Annali). Vo- lume XLVIII, 1905 (1906). — R. Accademia delle scienze di Torino, pubblicati dagli accademici Secretari delle due classi. 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Fibrillarnoie stroienie konzevysch nervnych apparatov v. koge celoveka i givotnykh i teoria nevronov prof. A. Doghel. s 4 Etude de la décharge oscillatoire à l’aide d’un galvanométre par N. Boulgakov, 1905. » D. Novyia osobyia toc’ki stereograficescoi proekzii v. sviasi s. rasscirenijem poniatia ob isotropnykh price’ kakh lucei E. C. Fedoroff. » 6. Spectroscopische Untersuchungen von First B. Galitzin und J. Wilip, 1906. ho Nauc’nie resultati expedizii snariagennoi imperatorskoi akademiei nauk dla raskopki mamonta naidennavo na reke Beresowke w. 1901. godu Vol. I, 1903. — Comité géologique. (Bulletins). Vol. XXIII, 1904, N. 1-6. — (Mémoires). Nouvelle Série. Livraison. 14. Anthozoen und Bryozoen des unteren kohlenkalkes von Central- Russland, von A. Stuckenberg, 1904. 15. Le Minerai de fer de Troitsk, avec 6 planches et une Carte géo- logique par L. Duparc, et L. Mrazec, 1904. si 17. 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Diplopodes de la Guinée espagnole. J. Carl. n 16. Staphylinides de la Guinée espagnole, A. Fauvel. LXX BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Tomo I, Memoria 17. Dermapteros de la Guinea espanola, M. Burr. 1 18. Decapodi della Guinea spagnuola, G. Nobili. P; 19. Dos neuròpteros de la Guinea espafiola, F Klapa’lek. E 20. Fasgonurideos de la Guinea espafiola, I. Bolivar. JI, 5 5. Spanische Dipteren, G. Strobl. È 6. Descripcion geologica de la comarca titulada “ Plana de Vich ,, J. Almera. IV, Fs 1. El fondo del mar entre la Peninsula y Canarias Primi- tivo, Miguel Vigil. sr 2. Las dunas de Guardamar, Francisco Mira. ie 3. Contribuciòn al estudio de los Hidrozoarios espafioles, Celso Arévalo y Carretero. " 4. Los “ Gorytes y Stizus, de Espana, Ricardo Garcia Mercet. Zaragoza. — Boletin de la Sociedad Aragonesa de Ciencias Naturales. Tomo I, 1902, N. 1-10; Tomo II, 1908, N. 1-10; Tomo III, 1904; Tomo IV, 1205, N. 3-5; Tomo V, 1906; N. 1-10; Tomo VI, 1907, N, 1. SVEZIA. Lund. — Lunds Universitets Ars-Skrift. (Acta). XL, 1904. Andra Afdelningen. — Kongl. fysiografiska sallskapets Handlingar. Nova Series: I, 1905 (1905-906). Stockholm. — Kungl. Svenska Vetenskapsakademiens (Arsbock). For Ar 1905; For Ar 1906. — Arkiv fòr Matematik, Astronomi och Fysik. Band 2, Hafte 3-4, 1905-906 ; Band 8, Hifte 1, 1906. — Arkiv for Kemi, Mineralogi och Geologi. Band 2, Hafte 2-3, 1906. — Arkiv for Botanik. Band 5, Hafte 1-4, 1905-906; Band 6, Hiifte 1-2. . 1906. — Arkiv for Zoologi. Band 2, Hifte 4, 1905; Band 3, Hafte 1-2, 1906. — Handlingar. Band 39, N. 6. Astronomische, photogrammetrische und erdmagnetische Ar- beiten der von A. G. Nathorst geleiteten schwedischen Polar- expedition, 1898, von Axel Hamberg, 1905. s 40, , 1. Moyenne mensuelles et annuelles de la température et extremes de température mensuels pendant les 150 années 1756-1905 a VObservatoire de Stockolm par H. E. Hamberg. . Om de Svenska Dikotyledonernas férsta férstirkningsstadium eller utveckling fran fro till Blomning I. Speciell del af Nils Sylvén. i 3. Harpun-kastpil-och , Lansspetsar fran Viist-Groénland af Gust Swenander. s 4. Northern and arctic invertebrates in the Collection of the Swe- dish State Museum. II. Priapulids, Echiurids, ete., by Hjal- mar Théel. + 5. Contributions to the fauna of South Georgia. I. Taxonomic and biological notes on vertebrates by Einar Lònnberg, 1906. N BULLETTINO BIBLIOGRAFICO LX XI Band 41, N. 1. Hydrographische Arbeiten der von A. G. Nathorst geleiteten schwedischen Polarexpedition, 1898, von Axel Hamberg, 1906. . 2. Bemerkungen iiber Clathropteris meniscioides Brongniart und Rhizomopteris cruciata Nathorst von A. G. Nathorst, 1906. s 3. Die reelle optische Abbildung von Allvar Gullstrand, 1906. » 5. Ueber Dictyophyllum und Camptopteris spiralis von A. G. Nathorst, 1906. - , 6. Einige beitriige zur Kenntnis der siidamerikanischen Tonge- fiisse und ihrer Herstellung von Erland Nordenskiédld, 1906. s 7. Entwurf einer Monographie der europiischen Myrmekochoren von’ Rutger Sernander, 1906. Bandi 7%, Lefnadstirhallanden och Instinkter inom Familjerna Pompi- lidae och Sphegidae II af Gottfrid Adlerz, 1906. — Académie Royale Suédoise des Sciences. Les prix Nobel 1903 (1906). — Kungl. vitterhets Historie och antikvitets Akademien. Antikuarisk Tidskrift for Sverige. Delen IX, Hiftena 4, 1905; Delen XI, Hùf- tena 6, 1905; Delen XIII, Haftena 4, 1905; Delen XV, Hiaftena 3, 1906; Delen XVII, Hiftena 4-5, 1905; Delen XVIII, Haftena 1, 1905. — Upsala Universitets Mineralogisk-Geologiska Institution. (Medde- landen). N. 29. Marina Griinsen i Kalix-och Tornedalarna af Otto Sjògren, 1906. » 80. Norrliindska Torfmossestudier. I. Drag ur myrarnas utvecklingshistoria inom “ Lidernas Region , af Lennart von. Post, 1906. Upsala. — Geological Institution of the University of Upsala. (Bul- letin). Vol. VII, 1904-905, N. 13-14, 1906. - K. Vetenskapsakademiens Nobelinstitut. (Meddelanden), Band I, N. 2. Die vermutliche Ursache der Klimaschwankungen von Svante Arrhenius, 1906. . Sur l’effet de Danysz par Thorvald Madsen et Svante Arrhe- nius, 1906. » 4. On the connection between the critical temperatures of gases and vapours and their absorption coefficients and the viscosity of the solvent medium by W. M. Tate, 1906. » 5. Ueber einen einfachen Toluolregulator und eine eintache Schut- telvorrichtung fir Thermostaten von Harald Lundén und W. Tate, 1906. » 6. Die Nordlichter in Island und Grénland von Svante Arrhe- nius, 1906. (Se) SVIZZERA. Basel. — Naturforschende Gesellschaft in Basel. (Verhandlungen). Band XVIII, Heft 1-2, 1905-906. Bern. — Naturforschende Gesellschaft in Bern. (Mitteilungen). Aus dem Jahre 1905, N. 1591-1608, 1906. Chur. — Naturforschende Gesellschaft Graubindens. (Jahres-Bericht). Neue Folge, XLVIII Band Vereinsjahre 1905-906 (1906). Fribourg. — Société fribourgeoise des sciences naturelles. (Bulletin). Compte-Rendu 1903-904, Vol. XIT, 1904, LXXII BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Genève. — Institut National Genevois. (Bulletin). Tome XXXVI, 1905. Le cinquantiéme anniversaire de la fondation de l’Institut gene- vois. 1904. Genève. — Société de Physique et d’Histoire naturelle de Genève. (Mémoires). Vol. XXXV, Fasc. 2, 1906 Lausanne. — Société Vaudoise des sciences naturelles. (Bulletin). 5° Série, Vol. XLI, N. 154, 1905; Vol. XLII, N. 155-156, 1906. Observations météorologiques faites au Champ-de-l’Air. Tableaux mensuels, année 1905. Luzern. — Schweizerische naturforschende Gesellschaft in Luzern. (Verhandlungen). Vom 10 bis 13 September 1905. 88 Jahresver- sammlung, 1906. Neuchatel. — Société neuchateloise des sciences naturelles. (Bulletin). Tome XXIX, année 1900-901 (1901); Tome XXX, année 1901-902 (1902); Tome XXXI, année 1901-903 (1903). Zurich. Naturforschende Gesellschaft in Ziirich. (Vierteljahrschrift). 50 Jahrgang, 1905, 3-4 Heft, 1905; 51 Jahrgang, 1906, 1 Heft, 1906. ATT I DELLA SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI E DEL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO VOLUME XLV FascicoLo 1° — FoGLt 6 (Con tre tavole) MILANO TIPOGRAFIA DEGLI OPERAI (soc. COOPERATIVA) Corso Vittorio Emanuele 12-16. Maggio 1906. N 0) I 2A OW Sr Per la compera degli ATTI e delle MEMORIE rivolgersi alla Segreteria della Società, Palazzo del Museo Civico di Storia Naturale, Corso Venezia. L’invio dei singoli fascicoli ai Soci e Corpi Scientifici vien fatto colla Posta. CONSIGLIO DIRETTIVO PEL 1906. Presidente. — ARTINI Prof. ETTORE, Museo Civico. Vice-Presidente. — Besana Ing. Cav. GIUSEPPE, Via Torino 51. Segretario. — DE-ALESSANDRI Dott. GIULIO, Museo Civico. Vice-Segretario. — ReEPOSSI Dott. EMILIO, Museo Civico. Archivista. — CASTELFRANCO Prof. Cav. Pompeo, Via Principe Umberto 5. BeELLOTTI Dott. CRISTOFORO, Via Brera 10. MaGRETTI Dott. PaoLo, Foro Bonaparte 76. Consiglieri. — < SALMOJRAGHI Prof. Ing. Cav. FRANCESCO, Piazza Castello 17. VIGNOLI Cav. Prof. Tito, Corso Venezia 89. Cassiere. — VILLA Cav. Vittorio, Via Sala 6. Bibliotecario sig. ERNESTO PELITTI. ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI. Nota di patologia comparata del socio Prof. Dott. C. Terni Docente d’Igiene nella R. Scuola Sup. di Medicina Veterinaria in Milano In questi ultimi anni, in correlazione col progresso degli studî di embriologia e di anatomia e fisiologia comparata, nuovi importantissimi problemi di patologia sono stati chiariti colla osservazione di malattie che, mentre si ritenevano proprie del- l’uomo o dei vertebrati superiori, vennero poi riconosciute co- muni agli animali delle specie più infime, stabilendosi anche in ordine alla patologia quel nesso di fatti che collegano gli esseri viventi nelle stesse leggi della vita. È un nuovo campo di studî aperto alla medicina sperimentale che completerà quanto è già stato acquisito dalla parassitologia, affermando nuove cognizioni e problemi di difficile soluzione, quando sono esclu- sivamente seguiti negli organismi superiori. In quest'ordine di studi anche i fatti che sembrano di mi- nore importanza possono poi avere, nelle osservazioni compa- rative nell'uomo e negli animali utili, le più interessanti appli- cazioni, e perciò ritengo meritevole di attenzione la serie di fatti raccolti intorno alla natura di una strana malattia dei pesci, caratterizzata dall’esoftalmo di uno o di ambedue gli occhi. Ho preferito conservare a questa malattia la denominazione di esoftalmia epizootica, non solo perchè la protrusione degli occhi rappresenta il sintomo più appariscente anche ai profani, ma per differenziarla nettamente da altre forme morbose somi- glianti di origine ben diversa, che non presentano il carattere infettivo di questa. bo C. TERNI IL. Caratteri della malattia e differenziamento da altre forme di esoftalmo. L’esoftalmo come malattia speciale localizzata o quale sin- tomo principale di altre malattie, venne non raramente ri- scontrato in diverse specie di pesci, e ultimamente fu oggetto di osservazioni assai interessanti per parte di Piana (!), Audige (*), Hofer (°) e altri. Simile affezione in forma sporadica venne nel passato anno notata in alcune Tinche, Cavedani e Persici-Sole, dal Mazzarelli, il quale iniziò le ricerche da me in seguito continuate. Quest'anno, per cause non ancora ben note, questa malattia si sviluppò rapidamente in forma epizootica in una vasca di allevamento dell’acquario annesso al Laboratorio Biologico del Museo Civico, fra salmerini americani (84/70 fonlinalis) dell'età. di circa quattordici mesi. I sintomi corrispondono esattamente a quelli descritti da Audigè e da Hofer: esoftalmo più o meno accentuato da un lato; inappetenza e fotofobia pronunciata, per cui il pesce si ripara, nei punti più oscuri; variazione della tinta (imbrunimento più accentuato della cute), evidente sopratutto nei salmonidi: morte in 9-10 giorni dall’insorgenza dei primi sintomi, specialmente nei pesci meno adulti. A questi sintomi devonsi aggiungere : rigon- fiamento quasi costante dell'addome, e anemia accentuatissima delle branchie e dei visceri in generale. All’autopsia si osserva : a) subito dopo la morte, la comparsa temporanea di macchie bianche sulla cute per una iperattività dei cromatofori, e più tardi la diffusione di una tinta bruna uniforme che appare colla rigidità; b) versamento sieroso (trasudato) nella cavità peritoneale, causa della distensione dell'addome. Apparentemente normali 1 visceri, ma profondamente anemici. In alcuni casi più gravi, si nota la degenerazione grassa più o meno marcata del fegato ; (!) Atti della Società italiana di Scienze naturali, 1893. (2) Aupick, Comptes Rendus de l’Acc. des Sciences, 30 nov., 1903. (8) Horer, Handbuch der Fischkrankheiten, Minchen, 1904, p. 292. ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI > maggiore pigmentazione del parenchima renale (salmerini); pre- senza di feci diarroiche nell’intestino, e qualche volta invece stasi fecale; lo stomaco costantemente vuoto ; c) versamento sieroso nella capsula di Tenon, da cui ha origine la marcatissima protrusione dell’occhio in avanti e in alto. Si tratta quindi di un esoftalmo vero, non di buftalmo come dovrebbe essere, se l’alterazione fosse causata dall'aumento del corpo vitreo, secondo l’opinione espressa da Audigè e Hofer. Si comprende che i disturbi della circolazione, e altri ca- gionati dalla tensione prodotta dal versamento sieroso retro- bulbare, devono provocare, agendo a lungo, alterazioni conse—- cutive in tutte le parti dell’occhio e annessi; e in questi casi può verificarsi un aumento del vitreo e dell’umor acqueo, ma sempre in limiti molto ristretti, non mai tali da provocare nel bulbo oculare un aumento di volume e l’esorbitismo che si osservano in questa malattia, fino dall’inizio, mentre mancano i sintomi di una infiammazione locale, che solo più tardi può veri- ficarsi per l’intervento di agenti esterni. Infatti le complicanze ordinarie e più gravi della malattia, quando l’animale non soc- combe nel periodo prodromico, sono le facili lesioni corneali per abrasioni prodotte negli urti inevitabili per la diminuita fun- zione visiva, e quindi le ulcerazioni, la perforazione, lo sfacelo della cornea, scollamento dell’iride, e tutte le altre lesioni delle parti interne dell'occhio che conducono alla perdita completa dell’organo. In ogni modo queste lesioni sono sempre secon- darie e consecutive al processo patologico primario, e cioè dal trasudato formatosi nella capsula di Tenon,e dalla compressione retrobulbare. Così data la origine di questo esoftalmo da trasudato, non possiamo più considerarlo come un fatto dipendente da una al- terazione locale, tanto più che lo stesso versamento si verifica nella cavità peritoneale, e si estende forse anche in altre cavità linfatiche (spazi subdurali e dell’aracnoide). Altre singolari alterazioni si presentano nei pesci in cui la malattia prende un andamento cronico. Pur essendo sempre prima manifesto un esorbitismo più o meno pronunciato - degli occhi, sopravviene più tardi una deviazione della mandibola per infil- trazione sierosa che dalla cavità orbitaria si fa strada lungo la aponeurosi del massetere, o per versamento formatosi in una delle cavità articolari (v. tav. II, fig. 17). Avviene così una deformità per- 4 C. TERNI manente della mandibola che rimane deviata da un lato e sporgente inavanti oltre illabbro superiore, costituendo una pseudo-amopsia, che va differenziata dalla amopsia vera di solito di origine em- brionale, e che è a preferenza rappresentata da un arresto di sviluppo o da atrofia della mascella superiore. Questa malattia fu osservata specialmente negli acquatri, depositi e allevamenti artificiali, ma è probabile che esista anche fuori nelle condizioni naturali di vita del pesce, più facilmente col carattere di forme sporadiche, poichè, come, vedremo, la diffusione in forma epizootica esige speciali disposizioni di am- biente, sopratutto confinato in limiti ristretti. Attacca indiffe- rentemente pesci d’acqua dolce e quelli di mare, nei quali sembra anzi più micidiale. In Grimsby (') mi fu appunto riferito da uno dei principali commercianti di pesce, mentre ne visitavo gli enormi bacini di deposito, che la conservazione del pesce di mare nelle vasche, esponeva talvolta a disastri per lo sviluppo di una malattia che faceva gonfiare il ventre e gli occhi, e arrecava perdite gran- dissime. Il Lo Bianco (?), nell'acquario di Napoli, osservò la stessa malattia in forma epizootica in molte specie di pesci, più specialmente nel Pagellus erythrinus Cuv. Serranus cabrilla L. e S. scriba L., Smaris vulgaris C. V.: nelle Triglie (MuQlus) si verificano soltanto casi sporadici, mentre le Cernie (Cerna gigas L.) sembrano refrattarie. L’esoftalmo epizootico non può essere confuso con quello di origine nervosa osservato dal Piana nei Pesci-persici (Perca fluviatilis) consecutivo ad accessi epilettiformi; il quale, per il modo di insorgenza, ricorda piuttosto le comuni protrusioni del bulbo oculare che si manifestano in alcune malattie del sistema nervoso nell’uomo, e specialmente in quelle dipendenti da disturbi funzionali della tiroide come avviene nella corea o morbo di Basedow. E per queste analogie la forma di esoftalmo segna- lata dal Piana merita da parte dei competenti osservazioni più esaurienti, tanto più che gli accessi epilettiformi in questi (1) Emporio della pesca del Mare del Nord, che alimenta i mercati di Londra e delle altre grandi città dell’ Inghilterra. (2) S. Lo Branco, Notizie biologiche ecc. degli animali del golfo di Napoli. Mittheil. aus der zool. Station zu Neapel, Bd. XIII, H. 4, 1899. ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI DD) animali si producono facilmente per esagerata ingestione di cibo (intossicazione gastro-intestinale ?), per deficiente aerea- zione dell’acqua ambiente, o riscaldamento della medesima o meglio ancora in seguito a spavento. Il Piana in questa forma di esoftalmo notò nell'occhio leso soltanto un aumento di volume e focolai emorragici sottoretinici ed escluse la presenza di parassiti di qualsiasi specie. Tl Mazzarelli è d'opinione che a determinare questi accessi epilettiformi nei pesci, spesso seguiti da morte istantanea, con- corra il carattere di alcune specie assolutamente intolleranti dello stato di captività, quali gli Agoni, Pesci-Persici, ecc. 2a Devo pure ricordare un’altra malattia dei pesci descritta prima dal Gorham (!) e recentemente riscontrata anche in Ger- mania da Hofer e Plehn (2), nella quale insieme collo sviluppo di numerose bolle gasose sulla cute, nel cavo orale e nelle cavità orbitarie e nell’occhio, ha luogo una esagerata protrusione degli occhi. Questa malattia ha molte analogie per l'insorgenza e per le origini con l’esoftalmo epizootico. Il Gorham da alcune espe- rienze fu indotto a ritenere che la causa di questa malattia do- vesse risiedere nella diminuita pressione alla quale veniva esposto il pesce preso in acque profonde, per cui ne conseguiva una eli- minazione dei gas dai tessuti del corpo, come accade appunto nei pesci abissali che portati repentinamente alla superficie, muo- iono presentando esoftalmia, enfisema del tessuto sottocutaneo, e fuoruscita degli intestini dalla bocca per enorme dilatazione della vescica natatoria. Secondo Hofer e Plehn nei casi osservati in Germania deve essere assolutamente esclusa l’influenza della pressione, trattan- dosi di pesci (Sa/7:0 irideus) provenienti da allevamenti in acque basse. La guarigione completa, in seguito a una alimen- tazione più appropriata, dimostra che la malattia dev'essere piut- tosto in rapporto con una alterazione del ricambio materiale come appunto si verifica nell’esottalmia epizootica. (1) GORHAM, The gasbubble disease of fish and ils cause. Bull. of the U. S. Fish. Commission, 1899. (2) HOFER, Gasblasenkrankeit der Iische, Allg., Fischerei-Zeit, 1905, N. 10, M.' Plehn, Tat.1d. 1905, N. 13. 6 C. TERNI Un'altra forma di esoftalmo che pure si differenzia da quella in esame, potrebbe considerarsi come un fatto normale in alcune specie di pesci, ma più specialmente nelle anguille che s720n/4n0, quando cioè scendono al mare per deporvi le uova. Durante questo periodo le anguille presentano una ectasia degli occhi più propriamente determinata da una maggiore sporgenza della cornea per aumento dell’umor acqueo. Se questo fatto debba veramente ritenersi per normale e necessario per l’accomodazione del mezzo ottico al nuovo ambiente dell’acque marine profonde, o piuttosto in relazione ad uno stato di alterato ricambio per le speciali condizioni della gestazione, non può essere ancora esattamente | stabilito dalle cognizioni finora raccolte sul singolare fenomeno. A favore della prima ipotesi, oltre alla analoga conforma- zione degli occhi nei pesci abissali, sta il fatto che alcune an- guille presentano poi in modo permanente come anomalia questo esoftalmo, tantochè alcuni osservatori lo considerarono come un carattere di specie (Anguilla Kieneri, Kaup.). Il Bellotti (!) invece ritiene con più ragione, che in questi casi si tratti appunto di una mostruosità derivante da uno stato morboso (hydrophtalmia) del- l’animale, prodotto da condizioni accidentali di soggiorno. Nel classico studio del Grassi (?) sulla riproduzione e meta- mortosi delle anguille, l’esoftalmo o meglio buftalmo transitorio di questi animali, gia notato dal Petersen come uno dei carat- teri principali del loro abito di nozze, è stato oggetto di parti- colare osservazione. Le anguille strappate dalle correnti al fondo del mare nel periodo appunto della frega, presentano occhi con un diametro di 9-10 mm. in individui che in condizioni normali di sviluppo in acque dolci, potrebbero tutt'al più avere occhi di meta più piccoli. Sono appunto queste anguille a grandi occhi che il Kaup riferì a specie distinte: A. Kieneri, A. Cuvieri, A. Bibroni, A. Sa- VIGNnY. Anche le anguille che si trovano nelle fogne, presentano il (1) C. BeLLorTI, Note iltiologiche, ecc., Atti Soc. Ital. di Sc. Nat., VoL XXXI, p. 213. (*) GRASSI, Giornale italiano di pesca e acquicoltura, 1897. L’Acquicoltura Lom- barda, 1903. ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI 7 singolare fenomeno di un progressivo ingrossamento degli occhi, che secondo Grassi e Calandruccio può raggiungere un limite massimo mai riscontrato né meno in quelle provenienti dagli abissi del mare. Secondo questi osservatori ha luogo un ingros- samento del bulbo oculare, in particolare del cristallino, e a de- terminarlo vi concorrerebbero oltre che le condizioni della luce scarsa o mancante, anche il nutrimento buono. È notevole appunto il richiamo alla qualità dell'alimento e al mezzo ambiente ristretto, per cui deve conseguirne un minor consumo nel ricambio organico dell'animale. A me sembra che questo fenomeno nel caso delle anguille delle chiaviche debba piuttosto collegarsi a un fatto degenerativo (Ryd;'ophtalmia del Bellotti), perchè sarebbe singolare che acquistasse maggior svi- luppo un organo posto in condizioni da non poter servire. In- fatti le anguille delle chiaviche vengono a trovarsi nelle stesse condizioni degli animali abitatori delle caverne, che sono natu- ralmente ciechi. In due esemplari di anguille chiavicarole o meglio ciro/e di chiavica (vero termine romanesco) inviatemi con squisita cortesia dal prof. Vinciguerra della R. Stazione di Piscicoltura di Roma, era evidente una notevole diminuzione del potere visivo, anche dopo un soggiorno prolungato in ambiente illuminato, e quando già l'ectasia degli occhi si trovava quasi completamente ridotta. Certamente questa alterazione avviene sopratutto a spese di un aumento di volume del cristallino per degenerazione adi - posa, e naturalmente ne consegue un intorbidamento del mezzo e un profondo disturbo della funzione visiva. Ben diverso invece si presenta il fatto nelle anguille che pren- dono l’abito nuziale, nelle quali l’occhio deve pure subire una metamorfosi adeguata per diventare abissale, e sicuramente vi «devono intervenire modificazioni nei mezzi diottrici sia per la cor- rezione della funzione visiva, sia per la resistenza alla pressione delle profondità marine. Questa interpretazione differenzia così i due fatti che potrebbero a prima vista essere collegati nello stesso rapporto di origine, e spiega come gli occhi nelle an- guille delle chiaviche possano raggiungere una tale dimensione da superare Vingrossamento normale che si verifica nelle anguille abissali. L'occhio delle anguille abissali, come nell’esemplare conser- vato nel Museo, raccolto dal Bellotti alle foci del Varo, non 5 C. TERNI presenta un ingrossamento del cristallino, ma bensì del corpo vitreo e della camera anteriore con sporgenza maggiore della cornea. (Tav. II, fig. 16). Queste condizioni permettono un più largo campo di movimento alla lente nelle contrazioni del mu- scolo di Haller, e ne risulta quindi un vantaggio per la acco- modazione, che può essere esercitata in limiti più ampi. Si verifica dunque anche per le anguille un fatto che potrebbe sembrare una contraddizione nella nostra conoscenza assai ri- stretta sui fenomeni della vita negli abissi del mare, dove non può arrivare traccia della luce solare: mentre vediamo che anche i cefalopodi e i pesci viventi a grandi profondità (per esempio il Pomatomus telescopium, che vive a circa 1000 metri) posseggono un apparecchio di accomodazione di ottima funzione. Come osserva il Beer (!), ciò indica che persino negli strati più profondi, dove le lastre fotografiche non sono più sensibilizzate, non solo possono essere ben distinte l’ombra e la luce, ma anche percepiti i contorni e la torma degli oggetti in modo preciso. La sensibilità alla luce degli animali che vivono in simili profondità, può essere molto elevata, e gli animali marini fosfo- rescenti sono certamente le sorgenti della luce negli abissi. Nella vita delle acque marine l’attitudine alla percezione visiva si comporta come la diffusione della luce, con un massimo di in- tensità alla superficie che va gradatamente spegnendosi in pro- fondità fino allo zero, dove non sono più sensibilizzate le lastre fotografiche; ma poi aumenta di nuovo negli strati sempre più profondi per luminosità di origine diversa della luce solare (Beer). i Altre forme più comuni di esoftalmo nei pesci sono essen- zialmente di origine locale, e determinate o da lesioni esterne per urti e abrasioni facilmente da essi riportate a causa della. miopia, o per morsi di altri pesci, o più spesso causate da pa- rassiti che trovano la loro sede di predilezione nell’occhio e an- nessi. (Menneguya schizura, Nosema anomaluni, tra gli sporozoi, ' e il Diplostomum annuligerum, D. volvens, D. brevicaudatune e altri fra i vermi). (1) Tu. Brrr, Die Accomodation des Auges in der Thierreihe, Wien. Klin, Wo- schensch., 1898, N. 42. ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI 9 In questi casi però ha luogo sempre un notevole aumento di volume e deformazione più o meno evidente dell’occhio, già prima che si manifesti una vera ectasia; e ordinariamente questa appare formata in gran parte dalla sporgenza della cornea per accumulo di essudato purulento (/popion) nella camera ante- riore. I mezzi diottrici si intorbidano rapidamente o per la diretta presenza dei parassiti o pei prodotti della reazione infiammatoria, e l’occhio viene facilmente distrutto. Negli allevamenti con vasche troppo ristrette e con ecces- sivo numero di pesci, può accadere per le cause sopra accennate la simultanea comparsa in molti animali di queste forme di esoftalmo, tanto da far sospettare che si tratti di una infezione contagiosa. E benchè non si possa escludere che l'aumento di virulenza di alcuni bacteri e altre condizioni speciali intervengano tal- volta a generalizzare l’infezione delle lesioni locali, queste forme morbose restano però sempre differenziabili dal vero esoftalmo epizootico, perchè manca il carattere di diffusione rapida della malattia estesa alla generalità degli individui, e il sintomo ini- ziale del versamento ascitico addominale che caratterizza e precede la protrusione degli occhi nella forma morbosa epizoo- tica. In questa inoltre l’occhio sporgente si mantiene per lungo tempo apparentemente normale, anche nella sua funzionalità, per quanto è possibile di rilevare in simili animali. * In collaborazione col dott. Sancassani, oculista della Poli- ambulanza di Milano, abbiamo potuto eseguire diverse osser- vazioni oftalmoscopiche per rilevare lo stato dei mezzi diottrici e della funzione visiva nei pesci ammalati, conservandoli per lungo tempo in condizioni da evitare l'intervento di cause esterne nella lesicne degli occhi. Le difficoltà maggiori per se- guire lo sviluppo della malattia si incontrano appunto nella necessità di isolare gli animali ammalati, per proteggerne gli occhi sporgenti specialmente contro i morsi degli altri pesci che esercitano questi atti di cannibalismo con vera abilità chirur- gica, lasciando i compagni a vivere ancora per giorni colle occhiaie vuote. Non appena incomincia l’esorbitismo degli occhi, il pesce ammalato assume l'aspetto di un girino (v. tav. II, fig. 2-8), e 10 C. TERNI forse per questo fatto desta negli altri pesci sani la tendenza ad assalirlo, anche perchè resta incapacitato a difendersi o a fuggire. E noto che negli animali inferiori il cannibalismo è un sistema naturale di eliminazione, specialmente esercitato contro individui deboli o ammalati. E questa è anzi una delle cause più facili di diffusione delle malattie infettive in molte specie animali; e forse anche nel caso attuale ha pure la sua parte di influenza nella propagazione della malattia, poichè i pesci ac- ciecati diventano facile preda dei compagni più grandi e voraci, ma somministrano alla loro volta a questi i germi più virulenti della malattia. Le nostre osservazioni si riferiscono solamente a poche specie di pesci (Salmo fontinatis, S. carpio, S. irideus, Eupo- motis aureus, Squalius cavedanus, Carassius auratus), nei «quali la riproduzione sperimentale della malattia, come vedremo, riesce più sicura, e con manifestazioni varie e complete, secondo la sensibilità dell'animale all’azione tossica dei prodotti elabo- rati dai bacteri. Le difficoltà già grandi della osservazione del fondo del- l’occhio nei pesci normali, rendono meno attendibili i dati rac- colti, ma in ogni modo riteniamo utile di registrarli, essendo stati ripetutamente controllati nello stesso animale, e a nostro giudizio in condizioni di osservazione ancora migliori di quelle ‘eseguite dai precedenti osservatori. L’esame diottrico e del fondo dell’occhio diveniva neces- sario per stabilire fino dalle forme iniziali se e per quanto con- correvano nella formazione dell’esoftalmo le diverse parti del- l’occhio, e per completare le nostre cognizioni sulla origine e natura della malattia. Occorreva quindi prima accertarsi delle condizioni normali -dell’occhio dei pesci in esperimento e seguire le eventuali alte- razioni dei mezzi diottrici e della funzione visiva durante tutto lo sviluppo della malattia. Osservazioni recenti sulle condizioni interne dell'occhio e «della visione normale nei pesci, attendibili pel nostro assunto, ne esistono ben poche, e si possono dire eclusivamente comprese nell’eccellente studio del Beer (1). (1) Tu. Beer, Die Accomodation des Fischauges, Arch. F. Physiol. (Pfltiger), 58 Bd. pag. 525-650. ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI 1 Il Beer con esperienze decisive riformando i criteri che si avevano in precedenza sulla esagerata miopia dei pesci, dedotti dalle osservazioni poco corrette del Manz, Plateau e Leuckart, ha stabilito che la rifrazione normale dell’occhio di questi ani- mali in condizioni di riposo (almeno per numerose specie di teleostei) è una miopia che varia da 3-12 diottrie, nell'acqua ; mentre si accentua in modo notevolissimo nel- l’aria, secondo la curvatura della cornea, e per il grande potere di rifrazione della medesima, fino a raggiungere in talune specie 200 e più D (Sargus annularis), e in media 50-90 D. Per esaminarli nell’acqua il Beer avvolgeva i pesci in un panno lasciando libere le branchie, poi li fasciava con una lamina di piombo di 1 mm. di spessore per impedirne i movimenti, e quindi li situava in posizione verticale in un recipiente di vetro a pareti parallele, con ricambio continuo di acqua, avvicinandoli più che era possibile alla pa- rete del vaso, senza però che gli occhi avessero a toccarla. Per l'esame nell’aria invece curarizzava gli ‘animali per impedirne il movimento (inoculando 5-20 cm. di soluzione di curaro del commercio al 4°/, per 50-500 gr. di peso), e per farli respi- rare, introduceva un tubo di gomma con forte getto d'acqua nella bocca, fissandolo con uno spillo at- traverso le due labbra. E per escludere il potere di accomodazione, atropinizzava gli animali con inoculazioni sotto- cutanee o intramuscolari di una soluzione 1 °/, di solfato di atropina. Dovendo conservare gli animali per successive ‘osservazioni noi abbiamo dovuto ricorrere ad altro metodo per fissarli, evitando di curarizzarli; e dopo molti tenta- tivi preferimmo di rinchiudere gli animali in recipienti di vetro appiattiti con corrente continua di acqua, in modo da poter pro- lungare la osservazione a piacere, senza alcun detrimento per le funzioni vitali dell'animale. Il tipo del recipiente è rappresentato dalla fig. 1, e deve essere scelto appiattito da permettere appena la introduzione del pesce, in modo che questo trovi nelle pareti un 12 C. TERNI ostacolo a girare sull’asse longitudinale. Per impedire il movimento dal basso all’alto e viceversa, serve il tampone di garza che viene regolato dall'esterno, per obbligare la posizione dell'animale da un lato e dall’altro contro una delle pareti del vaso, ostacolando i movimenti della parte caudale. Naturalmente occorrono reci- pienti di capacità diversa proporzionali al volume del corpo del pesce, e di vetro a parete sottile e resistente (meglio vetro di Jena), per rendere meno sensibile la rifrazione del mezzo durante l'esame. Il pesce viene con facilità raccolto, immergendo il reci- piente nella bacinella o vasca, e guidando l’animale a distanza finchè abbia a penetrarvi: qualche volta può essere utile ade- scarlo con un pezzetto di alimento preferito (lombrici, moscerini, pezzetti d’ostrica), sempre per evitare di agitarlo, ovviando al pericolo di lesioni oculari traumatiche. Se il recipiente è ben proporzionato e non troppo largo, l’animale una volta in posto non si agita molto, e viene facilmente fissato mediante il tam- pone, da permettere comodamente la osservazione dell’occhio destro o sinistro: e può rimanere in questa posizione per giorni, purchè sia continua e ben regolata la corrente di acqua, come è indicato nella figura. Questo apparecchio offre anche il vantaggio di poter esa- minare l’occhio in qualsiasi posizione dell'animale, che può es- sere variata con adatti movimenti del recipiente secondo la comodità dell’osservatore. Per atropinizzare gli animali, in alcuni casi più interessanti, abbiamo preferito di farli stazionare prima della osservazione per alcuni minuti in una soluzione di solfato di atropina gr. 0,5 °/o. I pesci del resto resistono assai bene a dosi anche alte di atro- pina per iniezione, ma a noi interessava di evitare specialmente il pericolo di lesioni di continuo che negli animali acquatici non Si possono poi proteggere contro le infezioni. In questo modo l’azione dell’atropina si otteneva egualmente bene e per un tempo più che sufficiente. Alcune volte per ot- tenere un effetto più rapido e durevole, si inoculava 1-5 gr. della soluzione 1°/, secondo il peso dell’animale direttamente nello stomaco, mediante un tubetto di gomma che funzionava da sonda esofagea in continuazione collo schizzetto. Sempre abbiamo potuto rilevare negli animali atropinizzati, come gia aveva notato il Beer, la completa abolizione del po- ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI 15 tere di accomodazione che nell'occhio dei pesci si effettua per la retrazione della lente in seguito a contrazione della can:- panula di Haller, muscolo che secondo il Beer dovrebbe essere con più ragione denominato relractor lentis ('). L'apertura del- l’iride rimane invece inalterata: anche nei salmerini che pre- sentano una reazione pupillare abbastanza vivace per la luce solare, paragonabile a quella già osservata dal Beer nelle specie dei generi Solea, Uranoscopus, Lophius, non era sensibile un’a- zione decisiva dell’atropina e la conseguente midriasi del foro pupillare, e solo si notavano lievi deviazioni del contorno con tendenza ad accentuarne la forma ovale nel senso del diametro longitudinale. Alcuni dettagli dell’osservazione endoculare nei pesci come sono stati da noi rilevati, offrono uno speciale interesse. Contrariamente all’opinione di Beauregard e Cuignet (*), l’e- same del fondo dell’occhio nei pesci è possibile e con risultati completi anche quando sono rinchiusi in vasi di vetro, purché sì proceda col metodo da noi esposto. Il punto di ritrovo fissato dal Beer, e cioè il disegno a mosaico formato dagli zaffi e coni della retina in alcune specie non è sempre ben visibile, ma si possono nettamente rilevare la papilla, il processo falciforme e i vasi relativi che offrono un punto di orientamento costante e preciso. Nei pesci che presentano per natura un potere di accomo- dazione lenta o che vengono leggermente atropinizzati, si può osservare il meccanismo del movimento della lente per con- trazione del aiusculus retractor lentis, che si esplica non sol. tanto colla retrazione della lente nel senso retino-caudale, ma (1) Per i lettori non zoologi, ricorderò che l’occhio dei pesci presenta tre parti- colarità anatomiche che lo differenziano nella serie dei vertebrati. Un legamento sospensorio della lente che si distacca in alto dal bordo di inserzione dell’iride alla sclera, e scende perpendicolarmente a fissarsi sul margine superiore anteriore della lente. Un muscolo liscio per la sua forma detto campanula da Haller — il quale si fissa col tendine al margine inferiore della lente, quasi in antagonismo alla inserzione del legamento, ma un po’ più in dentro e in avanti: colla base invece è inserito alla sclera e al bordo ciliare in direzione temporo-caudale, e un po’ in dentro. Un tascetto neuro-vascolare che ha origine dalla papilla del nervo ottico, e si dirige lungo la cavità interna dell'occhio al detto muscolo, descrivendo nel tragitto una curva somi- gliante a una falce: da ciò la denominazione di processo falciforme. Per questa disposizione la contrazione del muscolo di Haller, tende a spostare la lente all’indietro e in direzione temporo-caudale, e inoltre a imprimerle un movi- mento di rotazione sull’asse frontale. (2) Op. cit., Arch., f, Physiol. pag. 543. Nota 14 CC TERNI anche con un vero movimento a bascule, in modo da intercet- tare completamente il passaggio ai raggi luminosi. In effetti si assiste come all’abbassamento di una tenda grigio-perlacea che impedisce l’ulteriore visione del fondo: sarebbe questo un mo- vimento paragonabile nei risultati a quello delle palpebre negli animali che ne sono provvisti e da l'impressione come di un ve- lario analogo alla terza palpebra quando esiste, moventesi però dietro l’iride. Ci allontanerebbe troppo dall’attuale argomento, se voles- simo discutere più a fondo l’origine di questo fenomeno, del quale potrà in seguito meglio e con più opportunità, occuparsî uno di noi (il dott. Sancassani) specialista della materia. Si tratta certamente di un movimento che può essere in parte re- golato dalla volontà, e inteso a impedire la penetrazione di una luce troppo viva nel fondo dell’occhio. Essendo la lente dei pesci sferica, parrebbe singolare che il movimento di retrazione e di contemporanea rotazione su uno- degli assi, dovesse intercettare il passaggio della luce in un mezzo apparentemente di rifrazione uniforme. Il fenomeno non potrebbe essere altrimenti spiegato, se non con una speciale ri- frazione degli strati del tessuto della lente, messa in posizione obliqua, in modo da conseguirne una deviazione di tutto o di parte del fascio luminoso, come avviene in un #icol polarizza- tore. L'osservazione della lente dei pesci in questa posizione da appunto l’impressione che si tratti di deviazione della luce- per effetto della posizione della lente, la quale non è poi asso- lutamente sferica nel senso matematico, e potrebbe anche per questa ragione offrire un impedimento al passaggio dei raggi luminosi, quando venisse per effetto dei movimenti del /iusculus retractor lentis, a trovarsi col suo massimo spessore dinanzi al foro pupillare. Sembra strano che ad un osservatore così accurato come il Beer, sia potuto sfuggire un simile fatto, che mentre conferma ancora più l’importanza delle sue vedute sulla funzione della. campanula di Haller nel meccanismo della accomodazione nei pesci, ci dimostra che anche negli animali ad iride più o meno- fissa e privi di palpebre, può aver luogo la occlusione dell’occhio. ad una luce troppo viva. Forse a togliere al Beer la percezione del fenomeno deve aver contribuito il sistema da lui preferi- bilmente seguito di curarizzare e atropinizzare gli animali per procedere alla osservazione. ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI 15 La rifrazione venne determinata in due modi, e sempre in immagine diritta. La lente o la più debole concava o la più forte convessa con cui erano più visibili i dettagli del fondo, indicava la rifrazione del punto esaminato. Alcune volte abbiamo anche usato la Skiaskopia, seguendo scrupolosamente le indicazioni del ‘Beer. Riportiamo ora i dati delle osservazioni eseguite nell’intento di rilevare le condizioni normali della visione nei nostri animali di esperimento, e le variazioni che intervenivano nel succes- sivo sviluppo della malattia. Nel presente quadro sono riassunti i risultati negli animali ad occhio normale. I, Specie e lunghezza Ritrazione Specie e lunghezza Ritrazione || dei pesci in cm. in diottrie dei pesci in cm. in diottrie || Salmo fontinalis 15 — 9,3 Salmo carpio 10 — 9,6 a si 105 eG 3 A 3 ee 9 ATA O, 2A) È È 5: eee 2 IE toi Wie I ” ” 12,3 pr CHO ” ” ( 8,9 Ì ” ” 10 ri 6,5 ” ” 12 + 2 | ” ” 14,2 eS: Il n n 1% ue 1,9 | ” n» 11,6 x 9,9 | ” ” 13 — 9,2 Carassius auratus14 | — 6 i e eee deb ge 20 Fn I | Salmo irideus 25 RR E = 15 — 8 | 2a 2 è ” ” 20,5 see ” ” 15 Sta n n 18,5 DE 1,5 ” ” Le. —%8,9 | n n 15 =" n ” 15,9 | ano | n ” 15,9 a ” n 12 — 5,2 5 carpio ly — 18 ii " 10 Se Da Pa 9 . AY hes @) || ” ” 15 219 ” ” 10,5 — 28 ” ” 11,5 ag n ” 8 ene | Confrontando queste cifre con quelle riportate dal Beer, si ri- leva che nei salmerini anche in condizioni normali, si ha un au- mento per quanto lieve, della miopia rispetto alle altre specie di pesci, e forse a questo fatto si connette in parte la facilità con cui si verificano in essi le lesioni esterne dell’occhio. 16 C. TERNI I dati esposti non corrispondono certo all’esattezza di quelli del Beer, che all’osservazione oftalmoscopica faceva seguire la misurazione diretta colla inclusione e sezione in serie degli occhi: tuttavia essendo i nostri risultanti dalla media di parecchie osservazioni nello stesso individuo, assumono una certa attendi- bilità, come base di giudizio per la visione normale in queste specie di pesci. Vedremo ora il comportamento della visione nei pesci am- malati, prima che abbia luogo una vera e propria deformazione dell’occhio. Già prima dell’inizio dell’esoftalmo è manifesta una intensa iperemia del fondo dell’occhio con ectasia dei vasi re- tinici, e qualche volta vere e proprie emorragie puntiformi, oltre che nella papilla anche nella zona retinica peripapillare e lungo il processo falciforme. Quando l’esoftalmo incomincia a manife- starsi da un lato, aumentano i fatti congestizî dell’altro occhio, mentre nell’ectasico si accentua l’anemia del fondo. L'osservazione diottrica in simili casi iniziali, ha dato i se- guenti risultati che acquistano maggior valore per il confronto fra l’occhio sporgente e quello ancora in posizione pressochè nor- male nello stesso animale. | Specie e lunghezza dei pesci Rifrazione in diottrie eee notti o. in esorbitismo | o. normale | Salmo fontinalis 15 — 99 — 9 A a 14 312015 Nee | N 3 12,5 6 Bers a a 11 SEO EOS i x 15,5 HAI PERO 3 i 3 Soa EI | ; 5 13,5 Fee ES coe J 12 OL CN, i x 10 RS =. 49 n È 10,5 Mpa CS Salmo irideus 18 | — 96 — 6,9 O N 99 | SB. Mao In un’altra serie di osservazioni in periodo più inoltrato della malattia, ma sempre negli occhi ancora con rifrangenza per- fetta dei mezzi, abbiamo rilevato cifre che non discordano da ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI 17 «queste ultime, e crediamo quindi inutile di riportarle. Resta perciò provato che in seguito alla lesione in esame, dei mezzi diottrici dell’occhio il vitreo soltanto subisce fino dal principio un breve aumento di volume per imbibizione, che rimane però stazionario; e che per molto tempo allinfuori dei disturbi della circolazione, negli occhi in esorbitismo, le alterazioni nella fun- zione visiva si riducono a un lieve aumento della miopia. È poi singolare che i fatti congestizi dell’occhio opposto a ‘quello sporgente anche nei pesci (Carassius) in cui sono assai più gravi (mentre non presentano ordinariamente una vera e propria protrusione degli occhi), si mantengono per lungo tempo con alter- native di miglioria e di aggravamento, in rapporto come ve- dremo colle condizioni della infezione e intossicazione di origine gastro-intestinale. S’intende che nei casi di gravi emorragie sotto-retiniche con versamento nella cavità oculare, e persino nella camera anteriore (7p00m4, v. Tav. I, Fig. 6, 7, 8), la funzione visiva viene poi gradualmente a spegnersi per l’intorbidamento dei mezzi; ma quasi mai è accaduto di verificare una infe- zione dell’occhio ridotto in tali condizioni, senza che sia stata preceduta da una lesione esterna. E se il pesce è lasciato a sè appartato in luogo oscuro, guarisce dopo. un periodo più o meno lungo di digiuno, e l'occhio leso si ristabilisce nelle con- dizioni pressochè normali se puramente in esorbitismo, o coi residui più o meno gravi consecutivi alle emorragie verificatesi durante il periodo acuto della malattia, sempre che sia rimasta integra la cornea. Così tutto quanto si poteva rilevare dall’osservazione clinica veniva a confermare sempre più il giudizio che la causa della malattia dovesse ricercarsi all’infuori della lesione degli occhi, la quale evidentemente risultava un fatto secondario. TO, Ricerche microscopiche e batteriologiche. Audige, limitandosi alla osservazione microscopica dei tessuti dell’occhio e specialmente del vitreo, descrisse come causa di questa malattia dei bacilli e micrococchi di colore bruno, che mal si colorano coi colori nucleari e si scolorano col metodo di Gram. Nelle osservazioni eseguite nel passato anno il Mazzarelli 2 18 C. TERNI escluse che si trattasse di bacilli, e si convinse che tali presunti bacilli corrispondevano ai cristalli già segnalati dal Piana in. casi di esoftalmo di origine nervosa (epilessia) nei pesci persici [Perca fluviatilis ()]. In tutti i casi di esoftalmo esaminati durante la epizoozia verificatasi nel nostro acquario, non fu possibile di osservare nei tessuti dell’occhio leso alcun bacterio coll’esame microscopico e- batteriologico, quando il materiale venga raccolto colle dovute. cautele, e prima che si manifestino negli occhi lesioni secondarie. Nei preparati a tresco del vitreo facilmente si osservano elementi in tutto somiglianti ai bacilli, più evidenti particolarmente in al- cune specie di pesci (Salmo fontinalis e altri); ma si tratta di una speciale qualità di pigmento a bacilli, proprio delle cellule. epiteliali dello strato pigmentario della retina, che facilmente viene a diffondersi nel vitreo, quando per azione meccanica o- patologica gli elementi che lo contengono sono comunque alterati. Dalle ricerche istituite per controllare l’affermazione di Au- digè ho potuto raccogliere alcune conoscenze utili sulla natura, sede e funzione di questo pigmento a bacilli di color marrone,. finora assai poco noto e studiato. E poichè queste osservazioni sa- ranno oggetto di uno studio speciale, che esorbita dall’argomento- ora prefissomi, mi limito soltanto ad accennare che questa qua- lità di pigmento è presente in tutti i vertebrati, e caratterizza. le cellule epiteliali dello strato pigmentario della retina, cioè. fino all’ora serrata. Si estende quindi al solo campo visivo del bulbo oculare; e si differenzia per sede, forma e colore dal ri- manente pigmento dell’occhio. Altri elementi bacillari si possono rinvenire nei tessuti del- l’occhio dei vertebrati inferiori, e sono i cristalli segnalati dal Piana a forma di bastoncino in tutto simili ai bacilli del carbonchio. Questi cristalli hanno origine dagli strati profondi dell’argentea e sono costituiti in gran parte da carbonato di calcio, e si ac- compagnano con altri romboedrici o aciculari di cui sono spe- cialmente zaffate le cellule dello strato formatore della mem- brana argentea — la membrana che dà la lucentezza e la iride- scenza madreperlacea alla pupilla e alla sclera dei pesci. Altri particolari su questi elementi istologici dell’occhio dei pesci riservo per lo studio sopra accennato. (6) L'Acquicoltura Lombarda, Anno VI, N. 12, pag. 316. ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEL PESCI 19 Le più accurate indagini escludevano in modo assoluto la presenza di elementi figurati che facessero anche lontanamente sospettare che si trattasse di parassiti. Con sostanze coloranti di in- tensa azione quali il liquido di Ziehl, di Gram, il bleu di Loffler, ecc., tanto i bastoncini di pigmento più chiari, come i cristalli, assume- vano il colore in modo da mentire quasi la presenza di bacteri, ma l’esame di paragone con preparati da pesci sani, fece subito rilevare l'errore di osservazione. Anche le ricerche sul liquido ascitico che si poteva racco- gliere dall’addome in quantità talvolta rilevante (1/2 - 1 cm*.), rimasero sempre negative con i mezzi di colorazione. Special- mente sul trasudato nella parte centrifugata furono insistente- mente eseguite le indagini più accurate nel dubbio che si trat- tasse di forme di parassiti spesso di difficile osservazione, quali i tripanosomi e le spirochete. La mancanza assoluta di bacteri nell'occhio ammalato e negli altri tessuti fu ripetutamente confermata da numerose osservazioni batteriologiche, eseguite nelle condizioni più op- portune anche per la ricerca di eventuali germi anaerobî. Bi- sognava quindi concludere da questa prima serie di ricerche che la strana malattia fosse causata da un vis invisibile ai nostri mezzi attuali di ricerca, o da una auto-intossicazione da prodotti elaborati per discrasia dall'organismo stesso del pesce. In questo ordine di idee mi aveva specialmente indotto il tatto che il liquido della cavità peritoneale era capace di riprodurre, ino- culato nei pesci sani, il quadro morboso, mentre il più accurato esame escludeva la presenza di micro-parassiti. L'osservazione era già stata fatta in precedenza dal Mazzarelli, il quale aveva così riprodotta la malattia nelle tinche che ordinariamente presentano maggior resistenza all’infezione per via naturale. Per la esigua quantità del materiale raccolto, non tu possi- bile di esaurire in modo completo una serie di prove col liquido ascitico filtrato, che presentavano un certo interesse nell’avva- lorare o l’una o l’altra delle ipotesi accennate, e d’altronde la questione sarebbe sempre rimasta insoluta se si fosse trattato di un virus invisibile, ma filtrabile. Però, contro questa supposizione e in contraddizione con alcuni precedenti risultati, che facevano piuttosto pensare a una intossicazione di origine discrasica, si verificava in modo quasi costante il fatto gia notato da Hofer, che bastava inquinare, con 20 C. TERNI acqua proveniente da vasche infette l’alimento normale dei pesci, per comunicare in altre vasche l’infezione, mentre ciò non avveniva con acqua filtrata alla candela Chamberland, come ho potuto facilmente constatare. Così si poteva stabilire che il virus doveva esistere nell'ambiente esterno e in piena attività infet- tante, e che la causa della malattia era anche legata al sistema di alimentazione (prevalentemente carnea), tanto più che lo stesso pesce ammalato poteva curarsi col digiuno, appartandosi in luogo oscuro. Era quindi logico di fissare specialmente l’ordine delle inda- gini sull'acqua della vasca inquinata, sull’alimento somministrato ai pesci e sul contenuto intestinale. >» Le osservazioni batteriologiche eseguite sistematicamente ogni giorno per oltre un mese sull’acqua della condottura e delle vasche inquinate o immuni dall’infezione, condussero a risultati inconcludenti, perchè gli stessi bacteri acquatili, con rare varia- zioni di numero e di qualità, si notavano in tutte le vasche senza distinzione, e quindi le condizioni batteriologiche del mezzo, almeno in apparenza, sembravano identiche tanto per i pesci sani come per gli infetti. A complicare anche di più la soluzione del problema contribuiva la circostanza che essendo stati riuniti i pesci ammalati nello scompartimento centrale della vasca in- fetta, i pesci sani immessi negli scomparti laterali comunicanti col precedente, attraverso le maglie di una reticella metallica di mezzo millimetro, ammalarono molto tardi, il che dimostrava la poca diffusione del virus nel mezzo liquido ambiente, che era pure in continua circolazione da un punto all’altro della vasca. Questo fatto apparentemente in contraddizione col precedente della facilità della trasmissione della malattia coll’alimento ba- gnato con acqua delle vasche infette, troverà la sua logica spie- gazione nelle ricerche successive. Intanto noto che anche tutte le altre indagini relative ai protozoi e micofiti acquatili, che si riscontrano normalmente nel limo delle vasche di allevamento, non offrirono nulla di spe- ciale. Trattavasi nella massima parte delle solite specie di ciliati e di alghe molto ristrette per numero, quali si riscontrano nei depositi delle acque anche purissime, e non potevano offrire alcun interesse nell’ordine delle presenti ricerche. ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI 21 Nè meno fortunate risultarono le osservazioni relative all’ali- mento. Come è noto, l’alimentazione artificiale delle specie di pesci che occorrevano per le nostre ricerche è a base di carne: e per ragioni economiche si preferisce quella di cavallo, alter- nandola con qualche altro alimento animale (cervella, lombrici, larve di mosche, vermi di terra, ecc.), per correggerne l’unifor- mità, e per evitare l’influenza non troppo favorevole di un alimento eccessivamente carico di acidi. Il pesce, per quanto vorace e non troppo schizzinoso nella scelta dell'alimento (quando sente più forte lo stimolo della fame), non è però completamente indifferente alle diverse qualità di cibo, specialmente se alterato per fermentazione putrida. Si può dire che quando le carni hanno raggiunta la fase di putrefazione con formazione di sostanze alcaline, vengono dalla maggior parte dei pesci, anche dai più voraci, rifiutate. Il pesce carnivoro è per natura predatore, e preferisce quindi l’alimento tresco e meglio vivente. L'alimentazione artificiale nelle nostre condizioni, per quanto accudita, non risponde mai alle esigenze dietetiche normali del- l'organismo del pesce, e quasi sempre lo espone a cause di ma- lattia, perchè trattasi di carni ordinariamente fermentate. Nes- suna meraviglia quindi che a questo sistema di alimentazione impropria potessero riferirsi i disturbi della malattia in esame, risultando evidente un certo rapporto coll’alimento in determi- nate condizioni di inquinamento. In tutte le qualità di alimento che venivano somministrate, l'esame microscopico e batteriologico rivelava la presenza di nu- merosi bacteri riterentisi più specialmente al gruppo dei pote e del bac. coli, nella fase iniziale di fermentazione, e alcune volte anche di specie anaerobie del gruppo dell’edenza nialigno, quando il materiale era in putrefazione inoltrata, e di reazione decisa- mente alcalina. Nessuna però di queste specie di bacteri si dimostrava ca- pace di riprodurre nei pesci sani i sintomi della malattia, sia introdotta in coltura pura coll’alimento, o per inoculazione in- tramuscolare o sottocutanea, sia per l’azione dei loro prodotti tossici. A questo proposito ho potuto rilevare la grande resistenza che i pesci offrono ai germi infettanti ed ai loro veleni più nocivi per l'organismo degli animali a sangue caldo, mentre 22, C. TERNI soccombono facilmente all’azione dei bacterî acquatili comune- mente ritenuti innocui, se inoculati direttamente nei tessuti o nella cavità peritoneale. L’infezione per via gastrica offre invece difficoltà insormontabili, con qualsiasi specie di bacteri, quando non vi concorra a determinarla l’ingestione di cibi impropri per quantità e qualità. Si comprende che le difese naturali che il pesce oppone in condizioni normali a questo modo di infe- zione debbano essere attivissime, data la natura del mezzo in cui vive e che lo espone continuamente per la caccia dell’ali- mento nel limo, e anche per la necessità della respirazione, a introdurre nelle prime vie digestive tutte le impurità presenti nelle acque. Il pesce è quindi per natura ben difeso contro l’in- quinamento bacterico delle acque, mentre è sensibilissimo per l'inquinamento chimico, bastando per questo brevi traccie di rifiuti per rendergli l’ambiente nocivo, quando ne alterano la rea- zione anche in minimo grado o ne depauperano comunque il contenuto di ossigeno. Pe La poca o nessuna conoscenza che si ha ancora in batterio- logia della flora bacterica intestinale dei vertebrati inferiori specialmente acquatili, rese anche l’ultima parte delle ricerche prestabilite assai complicata, dovendosi differenziare una lunga serie di bacteri, pei quali ben pochi dati esistono nella lettera- tura. Fra le specie isolate (più di 30) escludendo i bacteri acquatili già noti, una meritava di essere specialmente considerata, perchè costante nei pesci ammalati ed eccezionalmente rara in quelli sani, e in alcuni casi quasi in coltura pura nell’intestino dei giovani pesci più gravemente colpiti, e in quelli più adulti che soccombevano. Le feci in questi casi erano sempre diarroiche, cariche di emazie e di melena, e filanti per notevole quantità di muco. Il reperto microscopico era, come sempre accade nell’esame delle feci diarroiche, molto ricco di bacteri di forme e dimen- sioni diverse, e non mancavano spesso anche amebe e alcuni ciliati per complicare ancora più la soluzione del quesito. Col- l'esame batteriologico tu però facile di rilevare in questi casi più tipici della malattia, la prevalenza di colonie rapidamente flui- dificanti la gelatina, ben sviluppate già al secondo giorno a temperatura di 18° C., e costituite da una massa di colore giallo ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI 23 ‘sporco, raccolta nel fondo della escavazione, in modo da ricor- «dare la colonia di alcuni micrococchi piogeni. (Tav. I, fig. 1). Al 3-4 giorno intorno al bordo irregolare della colonia si staccano dei piccoli fiocchetti che rimangono isolati nella esca- vazione della gelatina, formando come una costellazione intorno ‘alla massa principale, visibile anche ad occhio nudo. Questa singolare disposizione della colonia costituisce uno dei caratteri più tipici per l'isolamento di questo nuovo bacterio (Tav. I, fig. 2, 3), nelle colture a piatto. Le colonie formanti una massa mucosa e filante, sono co- stituite da bacilli lunghi '/,-2 uv. per !/,-!/, vu. di spessore, con ‘estremità arrotondate, facilmente colorabili coi comuni colori basici di anilina. Si scolorano col metodo di Gram. Questo bacillo si sviluppa molto bene in tutti i substrati di col- tura, meglio a temperatura dell'ambiente (0ptin22177)2 + 20° C.), ‘e possiede come carattere saliente marcatissimo la facoltà di pro- durre una materia collogena analoga alla mucina, in presenza delle sostanze albuminoidi, e specialmente della gelatina. Le colture in brodo intorbidano nelle prime 24 ore, durante le quali il bacillo presenta un movimento alquanto vivace, poi mentre incomincia la produzione della sostanza mucosa, la massa della colonia si raccoglie sul fondo del tubo come una nube spessa avvolta nel muco che dà alla coltura la consistenza «di una muncilagine di semi di lino in macerazione. La forma- zione di questa sostanza è in rapporto diretto colla quantità di materia albuminoide del mezzo nutritivo assimilabile, è quindi poco evidente nell’agar, abbondante nella gelatina e più ancora nei brodi addizionati di peptone al 3-5 °/. La coltura in gelatina per infissione presenta pure alcuni ‘caratteri notevoli, e assai distintivi, per identificare il nuovo bacillo. Lo sviluppo alla temperatura ambiente si manifesta lungo tutta l’infissione, ma la fluidificazione del mezzo a scodella avviene solamente in presenza dell’ossigeno, e progredisce assai lenta- mente verso gli strati più profondi. La colonia forma poi una z00- glea a cotenna spessa alla superficie del mezzo, aderente con fiocchi alle pareti del tubo, generando come nelle colture in brodo di Bac. pestis una serie di stalattiti che si distaccano e «cadono in basso costituendo sul fondo della gelatina fluidificata una nube analoga a quella delle colture in brodo. Verso 18° IA C. TERNI giorno, mentre la fluidificazione raggiunge la meta circa dello strato di gelatina, si avverte la comparsa di una tinta rosea che: dagli strati più superficiali si diffonde in basso, determinata dalla formazione di acidi liberi, di ac. nitroso semi-combinato, e di nitriti che reagiscono sull’indolo prodotto in grande quantità fino dal primo sviluppo della coltura, formando un nitroso- derivato che dà appunto il color rosa al mezzo, come si verifica nella reazione rossa delle colture di colera asiatico. Questo bacillo oltre di essere un attivissimo generatore di muco manifesta dunque proprietà nitrificanti straordinarie, e veramente eccezionali in confronto con gli altri bacterì finora studiati, poichè nessuno di questi offre la simultanea comparsa nelle colture dell’indolo e dell’acido nitroso libero. Il carattere speciale della produzione di muco avvicina questo. bacillo a quelli già noti, isolati per solito dalle mucose delle vie aeree dell’uomo, di alcuni animali (bovini), ed eccezionalmente: da sostanze diverse dell’ambiente esterno. Ricordo fra questi bacilli i principali che ebbi presente per la diagnosi differenziale: Bac. pnevmoniae di Friedlander, Bac. ozenae, Bac. rhinoscleromatis, Bac. sputigenus crassus, Bac. viscosus lactis, Bac. viscosus cerevisiae, Bac. vis. sacchari, Bac. glischrogenum, e il Bac. ruber sardinae. Quest'ultimo specialmente offriva caratteri di confronto più interessanti degli altri, perchè fluidifica rapidamente la gelatina con forte formazione di muco, e colla produzione di un colore: rosso carmino. Du Bois Saint-Sévrin inoltre aveva trovato questo. bacillo nelle sardine da poco tempo condizionate in olio per la vendita, e quindi anche per l'origine esso presentava condizioni pressochè identiche a quelle del bacillo da me isolato. Tutti gli altri bacterî offrono il carattere differenziale tipico dello sviluppo in gelatina a chiodo, senza fluidificazione del mezzo, e anche per il modo di produzione del muco non pos-_ sono confondersi con quello in esame. Lo studio di questo bacillo specialmente per la produzione del muco presenta condizioni molto interessanti che mi indussero nei confronti colle altre specie a differenziare il gruppo dei bacilli così detti mucosi o viscosi in due gruppi differenti. L’uno che com- prende i bacilli in cui la produzione del muco si limita alla massa della colonia, e non formano o quasi enzimi capaci di trasformare in mucina o sostanze collogene il mezzo nutrizio, ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI 25 specialmente se albuminoide. I bacterî di questo gruppo (Bac. pneumoniae, Bac. aerogenes, ozenae, Rinoscleromatis, sputi- genus cr., viscosus lactis e cerevisiae, leuconostoc inesenterot des, ecc.) producono il muco come una secrezione cutanea che costituisce una capsula limitante attorno al bacillo e che aumenta solo in ragione diretta colla massa della coltura. Nell’altro gruppo che indico col nome più appropriato di bac. mucogeni, la produzione del muco avviene non per assi- milazione e secrezione, ma per fermentazione, generando il ba- cillo enzimi capaci di trasformare tanto l’albumina come le sostanze ternarie (zucchero) in mucina e altri derivati collogeni. Così in queste colture la produzione di muco non è in rap- porto colla massa della coltura, ma colla sua potenzialità fer- mentativa. A questo gruppo si devono riferire il Bac. piewiionicus liquefaciens bovis di Arloing, il Bac. viscosus sacchari e vini (anaerobio), il Bac. glischrogenum, isolato dall’urina filante dal Malerba, Sanna-Salaris e Melle, il Bac. ruber sardinae, e quello da me isolato dai pesci che distinguo col nome di bacillo filante o meglio Bacillus collogenes. Su tale questione che interessa anche come studio di bio- logia generale di questo gruppo di bacteri, intendo occuparmi dettagliatamente in altro studio in corso. Da tutte le osservazioni precedenti rimaneva intanto asso- dato che il bacillo presente nel tubo gastro-intestinale nei casi più tipici della malattia in esame, era una specie nuova che se per alcuni caratteri poteva riferirsi al tipo del Bac. uber sar- dinae, se ne differenziava per altri, e specialmente, come ve- dremo, per le sue proprietà patogene, dipendenti dall’attiva produzione di tossine, paragonabili negli effetti ai veleni pro- dotti dal bac. pneumonicus liguefaciens bovis di Arloing. Già il fatto che nei casi più tipici di esoftalmo epizootico il liquido ascitico manifestava proprietà agglutinanti sul bac. collogenes, fino alla diluizione di 1:500,e qualche volta anche in dose minore, veniva a stabilire un altro dato importante pel rapporto etiologico fra il nuovo bacterio e la malattia in esame. Restava quindi per risolvere completamente la questione di esa- 26 C. TERNI minare il comportamento della coltura pura negli animali, per inoculazione e per ingestione. Nella prima serie di esperienze la coltura veniva inoculata o sottocute o intramusculare o nel peritoneo in dosi variabili da */1-'/, di cm?., secondo le dimenzioni del pesce. Tutti gli animali sono morti in un periodo di tempo varia- bile fra 2-5 giorni, e all’autopsia si riscontrò una diminuzione notevolissima dei bacilli nel punto d’innesto, o la scomparsa dopo oltre il 5° giorno; edema gelatinoso siero sanguinolento in una vasta zona di circuito intorno alla inoculazione, nessun germe della coltura nel sangue o negli organi interni, mentre dalla ferita erano penetrati fino nel circolo sanguigno diversi bacteri acquatili, e sopratutto il bac. fluorescens liquefacens, il quale è uno dei bacteri più comuni della flora parassitaria e com- mensale dei pesci, avendolo riscontrato spesso nelle feci e nel ‘contenuto dello stomaco, e sempre nel muco aderente alla su- perficie del corpo e fra le sinuosità delle squame. I pesci inoculati presentavano subito disturbi più o meno gravi nell’organo visivo, rappresentati specialmente dalla facilità alle emorragie. Gli stessi fenomeni si riproducevano inoculando nello stesso modo il filtrato delle colture, e si manifestavano con maggiore rapidità e intensità, secondo la quantità del materiale inoculato, ‘e il luogo della inoculazione : erano quindi assai più gravi in se- guito alla inoculazione intraperitoneale. Con ciò veniva dimostrato che il bacillo non era capace di riprodursi dentro i tessuti, ma agiva anche a distanza per mezzo di prodotti tossici solubili, i quali anche inoculati a sé, provocavano lesioni caratteristiche. Ma poichè tatti consimili si potevano riprodurre nei pesci anche con tossine provenienti da altri bacteri patogeni per gli animali a sangue caldo (tossine del proteus vulgaris e dell’e- dema maligno), non si poteva certamente indurre che le lesioni oculari fossero specifiche, e dalle stesse inferire che l’agente etio- logico della malattia fosse veramente il nuovo bacillo isolato dalle teci dei pesci ammalati. In diverse serie di esperienze fu quindi tentata la prova dell’alimentazione dei pesci con cibo sterile, inquinato al mo- mento con colture pure, mettendo ogni cura nell’ovviare pos- sibili errori. ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI 27 Dopo pochi giorni non vi poteva essere più dubbio alcuno ‘sulla decisiva influenza che questo sistema di alimentazione ‘esercitava sullo sviluppo dell’esoftalmo, poichè tutti i pesci più piccoli rapidamente morivano con tumefazione dell'addome e protrusione del bulbo oculare, e gli adulti subivano con decorso più lento gli stessi sintomi, come si verificava nelle condizioni naturali di sviluppo della malattia. A rendere più grave nei pesci piccoli le conseguenze della infezione, oltre alla minore resi- :stenza organica, contribuivano le tendenze più voraci per l’ali- mento, e il fatto di essere più esposti alle lesioni dei pesci adulti ‘che per cannibalismo strappano con morsi gli occhi ai più piccoli appena incominciano a sporgere. Da ciò la istintiva tendenza degli animali ammalati ad ap- partarsi nei punti più oscuri, non soltanto per il riposo dell’or- gano visivo, ma anche per cercarvi un più sicuro asilo. A questa serie di esperienze si riferiscono le figure 1-8 della tavola II, dalle quali si rileva il graduale sviluppo delle lesioni ‘che si iniziano prima colla tumefazione addominale per versa- mento ascitico, e poi col fenomeno dell’esorbitismo di uno o di ‘ambedue gli occhi. È notevole il fatto che in alcuni casi (lay.-T, fig. 4, 5; 6,8; 14) ha luogo, per effetto della pressione retrobulbare, una vera extroflessione dei tegumenti capsulari dell’occhio, che vengono a formare fuori dell’orbita come un tubo a canocchiale, analogo a quanto avviene come fatto di organizzazione normale nei pesci abissali. Lo stessa fenomeno venne anche notato dal Lo Bianco (!) durante l’epizoozia sviluppatasi in alcune vasche del- l'acquario di Napoli. In altri casi invece la raccolta liquida retrobulbare si diffonde nei tessuti circostanti impregnandoli e costituendo come una infiltrazione edematosa (Tav. I, fig. 6, 7) intorno all'occhio. Forme simili a quelle riprodotte nell’esperimento difficil- mente si osservano in condizioni naturali di sviluppo della ma lattia, perchè o il pesce cessa di prendere alimento e si cura ‘appartandosi, o incorre in lesioni esterne dell’occhio che ne pregiudicano la vita con infezioni secondarie. Gli esperimenti ‘eseguiti riescono quindi doppiamente probativi perchè evitando Vinfluenza di agenti esterni, coll’isolamento dei pesci ammalati, (1) Lo Branco, op. cit., pag. 567. 28 C. TERNI e somministrando il cibo inquinato a piccole dosi e in condi- zioni di non renderne avvertibile il sapore disgustoso, l'infezione avviene sempre e con risultati costanti. Come negli animali morti perinfezione contratta naturalmente i bacilli non penetrano nel sangue o negli organi interni, si anni- dano quasi esclusivamente nell’intestino, più specialmente nella parte superiore, corrispondente al tenue, e spesso nella parte pilorica dello stomaco e delle appendici relative. L'infezione risulta anche per l’esperimento strettamente le- gata al sistema di alimentazione carnea, e il veicolo migliore è- la carne equina, in cui questo bacillo, forse per la presenza di una maggiore quantità di glicogene e inosite, trova condizioni mi- gliori e più favorevoli di sviluppo e di produzione di muco. La mancata penetrazione dei bacteri dentro l'organismo, come era gia stata confermata dalle prime indagini, bastava per stabilire che il bacillo capace di riprodurre la malattia introdotto. in coltura pura cogli alimenti nel tubo intestinale dei pesci, doveva agire per mezzo di prodotti tossici nel determinare l’e- sottalmo e i fatti addominali. In ogni modo per riprova assoluta del fatto, in altra serie di esperimenti i pesci furono alimentati con cibo sterile imbevuto: di tossine tratte dalle colture del bacillo per filtrazione, otte- nendosi così un maggiore accumulo di prodotti tossici in una quantità assai minore di alimento. Alla prova corrispose un ri- sultato completo e decisivo, perchè non solo si ebbe la riprodu- zione della malattia, ma con sintomi ben più gravi dal lato del- l’esoftalmo, in rapporto appunto alla maggiore quantità di tos- sine ingerite dagli animali in esperimento nello stesso periodo. . di tempo: mancavano però i fenomoni addominali non avendo. luogo la localizzazione dei bacteri nell’intestino. A questa serie di prove si riferiscono le fig. 9-12 della tavola II, e il caso N. 12 che presenta la lesione al massimo grado, prima di aversi l’a- pertura spontanea della raccolta liquida retrobulbare, la quale si è fatta strada fra la parete della cavità orbitaria e il bulbo- oculare, riversandosi davanti fra la cornea e l'epidermide pro- tettiva dell'occhio, formando anche uno pseudo cheratocele, che al minimo urto si sarebbe ulcerato e aperto all’esterno. ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI 29 Il modo di azione patogena di questo bacillo nell’organismo del pesce merita qualche speciale considerazione, perchè non avviene nelle condizioni ordinarie delle comuni infezioni. Non verificandosi gravi fatti infiammatori o congestizi locali e anche per il decorso relativamente lento della malattia, e per la fa- cilita della guarigione, bisogna dedurre che il bacillo nel tubo intestinale agisce non tanto come un germe infettante ma piut- tosto come un con:zmiensale che diventa nocivo, solo in presenza Ai determinate qualità di alimento, e in condizioni speciali del- l’organismo ospite, risultando più facilmente colpiti i pesci pic- coli, e le specie meno adattabili a peculiari condizioni di vita, o più voraci (Salmo fontinalis, Eupomotis aureus). La produzione del muco contribuisce solo indirettamente negli effetti della malattia per l'ingombro dell'intestino, l’osta- ‘colo meccanico alla eliminazione della coltura colle feci, per l’alterato chimismo della nutrizione ed assimilazione dell’ali- mento: mentre i fenomeni più salienti, quali l’esoftalmo, dipen- dono da altri veleni solubili, e infatti essi sono riprodotti dai filtrati delle colture, coli’assenza o quasi dei fatti di reazione ad- dominale, essendo eliminata l’azione locale dei bacilli e del muco. Il versamento ascitico addominale è quindi solo in parte dovuto all’azione tossica del bacillo, e più dai disturbi circolatorî pro- vocati dalla distensione dell’intestino per lo sviluppo della col- tura che ne ingombra il lume. Nella intossicazione dirò intensiva, quale si ottiene colla somministrazione di cibo imbevuto di tossine, facilmente nei pesci più voraci, ha luogo la morte in modo quasi fulmineo con lesioni oculari rappresentate da emorragie della coroide e dell’iride, che Si riversano anche nella camera anteriore formando un (poema, come nelle figure 6, 7, 8, della Tav. I, disegnate da Carassius aureus e Salmo irideus. Queste lesioni dimostrano che l’origine del trasudato e dell’esoftalmo consecutivo nei casi a lento de- corso, deve essere in relazione con fatti congestizî dipendenti forse dall'azione paralizzante vasomotoria delle tossine: le quali infatti manifestano negli animali a sangue caldo (conigli e cavie) prima effetti vaso-dilatatori con notevole abbassamento della pressione sanguigna, e accelerazione del polso e della respira- zione, e poi una depressione nervosa generale con tendenza allo stupore e al sonno. In molti casi abbiamo anche osservato che l’inizio della le- 50 C. TERNI sione oculare era preceduto da edemi intorno agli occhi, più spesso limitati alla parte antero-superiore della cavità orbitaria. (Tav. I, fig. 6, 7). Avendo questi edemi carattere talvolta tran- sitorio, appare tanto più evidente la loro analogia di origine cogli edemi idiopatici circoscritti, specie alle palpebre, che si verificano anche nell’uomo per discrasie e per alterato ricambio: materiale: i quali di solito precedono o accompagnano tutti gli altri disturbi occasionati da auto-intossicazioni gastro-enteriche, come sonnolenza e inattitudine ad applicarsi dopo i pasti, cefalee, emicranie, nevralgie, debolezza mentale e corporea, vertigini,. dispnea, crampi, tetania, eclampsia, epilessia, corea, paralisi,. afasia, coma, delirio e forme assai gravi di psicosi. Come corollario alle precedenti ricerche, restava, dopo le- conoscenze assunte intorno alla natura dell'agente della ma- lattia, a stabilirsi il modo di diffusione della medesima per even- tuali provvedimenti di difesa contro questa infezione. Essendo il bacillo immobile nell’acqua, esso viene colle feci dei pesci ammalati a raccogliersi nel limo, dove anche a bassa temperatura si sviluppa costituendo delle masse mucilagginose intorno ai residui di cibo e sulle vegetazioni del fondo. La torza adesiva dei bacilli nella cultura per la grande- quantità di muco, impedisce che si diffondano nell’acqua anche se fortemente smossa; e perciò riusciva nei primi esperimenti difficile di rintracciarli nell'esame batteriologico dell’acqua delle- vasche, più volte prelevata anche allo scarico. Per la stessa causa ha luogo una distribuzione sempre molto limitata dei ba- cilli nei diversi punti delle vasche infette, e bisogna ricercarli nel limo aderente alle pareti e sul fondo, sopratutto nel punto dove per abitudine o comodità viene a preferenza gettato l’ali- mento. Si comprende che in questo modo, anche somministrando- un cibo puro, se la vasca è infetta, facilmente i pesci vengono: ad ammalare, perchè nel momento dei pasti coll’impeto in cui si gettano sull’alimento caduto al fondo, sollevano il limo e ne ingeriscono una notevole quantità. Nel caso di sviluppo di questa malattia negli allevamenti arti- ficiali, la prima cura dunque dovrà essere di ripulire e disinfet- tare le vasche, e risciacquarle poi per alcuni giorni con acqua pura, prima di riporvi il pesce sano: e di escludere con selezione ESOFTALMIA EPIZOOTICA NI PESCI SI diligente i pesci che presentassero un accenno a rigonfiamento dell'addome con perdita dall’ano di feci filanti. Per differenziare se la distensione dell’addome è dovuta a raccolta di liquido come nel caso in esame o dipendente da altre cause (esagerata inge- stione di cibo, sviluppo degli organi sessuali, ecc.), basta esami- nare l’animale per trasparenza dinanzi a un lume, e nel primo caso si potrà rilevare la limpidezza perfetta del liquido ascitico attraverso le pareti addominali, e una limitata ombra dei visceri spinti verso la parete anteriore e cefalica, nel secondo caso l’ad- dome offre in tutti i punti una opacità più o meno completa. Conclusioni. Riassumendo quanto ho potuto raccogliere nello studio di questa malattia, si può con tutta sicurezza concludere : 1° Che l’esottalmo epizootico dei pesci è una entità mor- bosa ben caratterizzata da sintomi proprî, e per l’agente etiolo- gico che lo determina. 2° Questa malattia è causata da una intossicazione di ori- gine intestinale, determinata da un bacillo (bac. collogenes) appartenente al gruppo dei n2ucogeni. 3° L’azione patogena del bacillo si manifesta quasi esclu- sivamente in presenza di alimenti albuminoidi, con formazione di una grande quantità di muco e di tossine, che provocano nell’organismo del pesce gravissimi disturbi nel sistema ciicola- torio, e quindi la formazione di trasudato nelle cavità lintatiche e orbitarie. 4° Le lesioni del bulbo oculare e annessi che si verificano in questa malattia dei pesci, offrono un contributo di conoscenze utili per chiarire molti dei fatti osservati anche nell'uomo in casi di oftalmie metastatiche, che sono state riconosciute di origine veramente autotossica. Già da tempo molti oculisti, fra i quali Herrnheiser Trousseau, Gayet, Gasparrini, Lagrange, Signorino, Angelucci, Joung, Pes (!), (1) M. Herrnuetser, Klin. Monatsblitter Augenheilk., decem. 1892. — A. TroussEau, Ann. d’Oculistique, mars 1894. — M. Gaver, Atti II Congresso med. intern., Roma, 1594. — E. Gasparrint, Oftalmia metastatica tipica bilaterale, Pavia, 1895. — M. LaGraNGE, Arch. d’Ophtalmol. Fevrier, 1897. — Siexorino, Arch. di Ottalmologia, Anno VI, vol. VI, tase. 6. — ANGELUCCI, id., id., fasc. 10-11, 1893. — Joune, New York med. Journ., Oct., 1898, — O. Prs, Ann. d’Ottalmol., ann. XXIX, fasc. 1-2. — S. Tornaroua, Atti della R. Accad. Peloritana, anno XV, 1900-901, pag. 103. — F. DE Bono e B. Frisco, Ann. d’igiene spe- rimentale, 1900. 32 C. TERNI sulla base di osservazioni cliniche ammettono la possibilità di simili alterazioni dell’occhio, e il Tornatola con una serie di espe- rimenti negli animali venne a conclusioni affermative sulla pos- sibilità di lesioni infiammatorie degli occhi di origine tossica. Mancava però finora una dimostrazione veramente positiva, non potendosi in tutto paragonare ciò che può avvenire nell’orga- nismo per auto-intossicazione, con quanto accade in seguito alla inoculazione di tossine microbiche. Colle osservazioni esposte nel presente lavoro, credo di avere colmato la lacuna; e mentre esse vengono in gran parte a confermare i risultati del Tornatola, dimostrano ancora più l’importanza che lo studio comparativo dei fatti patologici nella serie animale può offrire di vantaggioso e di pratico alla clinica e alla medicina sperimentale, applicate al’uomo e agli animali superiori. Milano, ottobre 1905. - Museo Civico di Storia Naturale, Laboratorio Biologico. o Si WwW ESOFTALMIA EPIZOOTICA NEI PESCI SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. NAVs. ol Fig. 1. Colonie del Bac. collogenes al 2° giorno di sviluppo a 18°-20° C. » 2. Colonie id. al 4°-5° giorno. Fluidificazione della gelatina. » 5. Colonie id. al 7°-8° giorno. » 4. Colonie al 2° giorno in cui risulta evidente il tragitto nello . sviluppo dagli strati profondi della gelatina alla superficie libera, dove incomincia l’espansione colla fluidificazione del mezzo. » 5. Colture per infissione in gelatina: A dopo 3 giorni, B dopo 5-6 giorni, C fluidificazione completa del mezzo, formazione della zooglea e stalattiti. » 6. Carassius auralus con irite, irido-ciclite e /p0ema. Edema del contorno dell'occhio, specialmente in alto e in avanti. Occhio destro. >» Idem, idem, occhio sinistro. » 8. Salmo irideus, come sopra, con sinechie anteriori e posteriori. sale Fig. 1. Salmo fontinalis in condizioni normali. » 2-4 Idem, con sviluppo naturale della malattia in diverso stadio. » 5-8. Idem, alimentati con cibo sterile inquinato con colture di Bac. collogenes. » 9-12. Idem, idem, con cibo sterile addizionato di tossine del bacillo. » 13. Eupomolus aureus in condizioni normali. » 14. Idem, con esoftalmo dell’occhio sinistro. Ulcerazione e perdita completa dell’occhio destro. » 15. Idem con esoftalmo di ambedue gli occhi, irite e sinechia po- steriore a sinistra. » 16. Testa di anguilla con occhi abissali. > 17. Testa di Salmo irideus Gibb. con pseudo-amopsia, deviazione della mandibola, edema periarticolare e versamento nella articolazione. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE SUL GRUPPO DELL’ALBENZA E SUE FALDE MERIDIONALI del socio Dott. Roberto Brunati Chi osserva le Prealpi lombarde dai bastioni di Milano di- stingue chiaramente a mattina del noto Resegone una montagna piatta ed uniforme che fa a quello come di basamento; è |’Al- benza, alla quale i bergamaschi hanno dato questo nome perchè verso Bergamo presenta nudo e biancheggiante il fianco orien- tale. Assai ricca è la bibliografia geologica sul gruppo dell’ Al- benza, perchè la numerosa schiera degli scienziati nazionali e stranieri che si occuparono delle condizioni geologiche della Lombardia in genere e delle provincie di Bergamo e di Como in ispecie, non trascurano questa interessantissima regione, dove sono rappresentati i terreni che vanno dal Trias superiore all’at- tuale. Nel 1857 Vabate Antonio Stoppani nella sua pubblicazione “ Studii geologici e paleontologici sulla Lombardia ,, inangurava un’éra nuova per la geologia delle Alpi meridionali, collo stabi- lire nettamente le grandi suddivisioni della serie stratigrafica lombarda, distinguendo in base allo studio dei fossili una serie, ben ordinata di piani. I fossili spettanti alla Valle Imagna che rimane a nord-est. dell’Albenza, vennero poi da lui più tardi illustrati assieme ad altri nella sua monografia sugli strati ad Avicula contorta (1860-65). Nei seguenti anni abbiamo moltissimi e pregevoli lavori per la Lombardia e, mentre la parte occidentale veniva illustrata nel 1876 per incarico dalla Società Elvetica di Scienze naturali,. dallo Spreafico, dal Negri e dallo Stoppani (questo lavoro per la OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE, ECC. 35 morte dello Spreafico dovette esser pubblicato dal Taramelli nel 1880 con modificazioni e aggiunte) anche quella orientale aveva i suoi intelligenti rilevatori; poco dopo, infatti, comparve la “ Carta Geologica con note illustrative della provincia di Bergamo ,,, pubblicata dal Varisco (1881). Il Varisco, salvo poche inesattezze, diede una carta geolo- gica che rivela una indiscutibile esattezza di osservazioni. Dopo il Varisco, che illustrò tutta la provincia di Bergamo, abbiamo altri scienziati che si occuparono dei fenomeni geologici di questa regione, e che meglio e più accuratamente tracciarono quanto il Varisco abbozzò a grandi tratti. Per il gruppo dell’Albenza in particolare ha importanza la Nota del prof. Taramelli “ Sui giacimenti pliocenici dei dintorni di Almenno , edita nel 1895. In essa tratta dell’equivalenza del. : ceppo colle argille plioceniche, e chiude questa nota ricordando le traccie degli antichi decorsi del Brembo, ed il magnifico ter- razzamento esercitato da quel fiume. Nel medesimo anno 1895 il prot. Taramelli pubblicava anche una Nota “ Sugli strati a Posidonomya nel sistema Liasico del monte Albenza in provincia di Bergamo ,. In questa pubblica- zione vi sono due importantissime osservazioni, una riguardante la parte più profonda della Creta, l’altra la serie Liasica; egli osservò infatti alla sella tra Burligo ed Opreno in alcuni scisti argillosi scuri soprastanti alla Maiolica e sottostanti alle marne variegate delle impronte delicatissime di ammoniti ed altri avanzi di cefalopodi, i quali furono determinati dal prot. Parona come appartenenti al Barremiano: colle specie Lytoceras c. f. Phestus Math. ; Silesites Serranonis D'Orb. sp.; Costidiscus recti- costatus D’Orb. sp. Ancora nella medesima valletta di Malanotte, della quale il prof. Taramelli da un accurato rilievo, scoprì gli strati a Posi- donoinya che prima non erano mai stati osservati in questa montagna. Egli descrive diligentemente la roccia che contiene queste bivalvi, e conclude dicendo che essa occupa una posi- zione sicurameute superiore al calcare grigio del Domeriano e inferiore alla zona delle selci rosse con aptici, che rappresentano cumulativamente i piani del Giura. Dopo questa nota importante, per meglio precisare la serie Liasica della nostra regione non abbiamo altre pubblicazioni che riguardino anche indirettamente questa regione fino al 1897, 36 R. BRUNATI anno in cui il dottor Emil Philippi pubblicò la sua * Geologie der Umgegend von Lecco und des Resegone Massivs in der Lombardei ,. In questa memoria, accompagnata da un molto esatto rilievo delle adiacenze di Lecco, non si espongono, a dir vero, molte notizie nuove quanto alla serie dei terreni ed ai fossili che quivi si riscontrano, ma con un colpo d’occhio assai lodevole si mette in chiaro per quali ragioni la massa dolomi- tica del Resegone colle sottostanti marne Raiblane siasi acca- vallata sopra la massa dolomitica della Corna Camozzera più a sud, strisciando sempre sopra un piano di salto reso scorrevole dagli Scisti del Retico., Il gruppo della Corna Camozzera, che trovasi direttamente attiguo verso nord-ovest alla regione da me studiata, costitui- rebbe quivi un’anticlinale coricata a sud, la quale, dal lato nord, presenta soltanto gli scisti retici, sui quali avvenne l’accennato scorrimento, mentre dal lato sud offre regolare ma invertita tutta la serie di terreni fino alla Creta, spiegandosi così quel rovesciamento che era stato avvertito gia nel 1856 dallo Stop- pani nella Valle di Erve. È appunto sulla prosecuzione verso oriente di questa anti- clinale della quale vedremo la varia movenza, che si eleva il gruppo che io intendo di esaminare e che rimane interamente a sud dell’accennato piano di scorrimento. Questa faglia procede verso l’alta Valle Imagna e quindi nei dintorni di Morterone si connette con quelle enormi dislocazioni che furono ultimamente così bene studiate dall’ing. Cesare Porro. Dal punto di vista stratigrafico possiamo notare come alquanto importante la con- ferma che il Philippi crede di portare ai precedenti riferimenti dei nostri geologi, ad esempio quello degli Scisti ad Aptici al Titoniano. Nel medesimo anno 1897 abbiamo due pubblicazioni del prof. E. Mariani, la prima è un “ Resoconto sommario di una gita nelle Prealpi bergamasche ,. In questa pubblicazione sono accuratamente descritti i terreni che affiorano nei due versanti della montagna ed un nuovo affioramento di Scisti neri Retici nell’Alta Valletta di Malanotte. La seconda si intitola: “ Osservazioni Geologiche e Paleon- tologiche sul gruppo del monte Albenza , e vi si descrive l’an- damento e le più interessanti /acies dei terreni ivi affioranti dal Cretaceo al Trias. Vi è poi aggiunto un ricco elenco dei fossili ivi raccolti dal chiaro geologo. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE, ECC. Be Terreni Triasici. Quest’epoca è rappresentata nella nostra regione dalla Do- lomia principale. Questa nella serie triassica segue ai terreni raibliani, i quali nella finitima regione del Resegone, studiata dal Philippi, resero possibili colla loro scistosità gli scorrimenti da lui illustrati. Assai importanti nella nostra regione sono gli affioramenti di questa dolomia e già il Varisco li ha chiaramente indicati e descritti. Essi formano il gruppo del Serada (1600) eppoi gli atfiora- menti del versante settentrionale dell’Albenza, dei quali il più esteso è quello sotto Costa di Valle Imagna e più a valle ab- . biamo altri affioramenti minori: quello del Ponte Cepino che si spinge quasi fino a Ponte Giurino ed il più meridionale vicino al Ponte la Grate. La /acies sotto la quale la Dolomia principale si presenta è quella tipica di Dolomia chiara, farinosa, manifestamente cristal- lina; questa roccia è assai caratteristica ed appare subito all’oc- chio per l’aspetto selvaggio ed orrido che da al paesaggio dove affiora, in questa località resa più evidente dal contatto cogli Scisti neri Retici, ai quali invece corrispondono sempre pendici verdeggianti e regolari. Terreni Giuraliassici. La serie Giuraliassica nella regione studiata è largamente rappresentata ed affiorano più o meno potenti quasi tutti i ter- reni che dal Trias sup. vanno al Sopracretaceo interiore. Retico. Il Retico si presenta con una potenza assai ragguardevole nel versante settentrionale dell’Albenza, cioè verso la Valle Imagna e presenta degli interessantissimi affioramenti anche nel versante meridionale. Il Retico, nella nostra regione, presenta i due piani: inte- riore a Bactrylliuni striolatum costituito dai notissimi Scisti neri in prevalenza e Superiore o dell’Azzarola rappresentato da cal- 38 R. BRUNATI cari lumachelle o dal caratteristico banco madreporico. Questa formazione dell’Azzarola sfuma nella Dolomia a Conchodon In- fraliassicus ed è molto difficile tracciarne i limiti; essa è però litologicamente benissimo distinta dagli Scisti neri che rappre- sentano il Retico inferiore classico o Infralias inferiore dello Stoppani. Gli Scisti neri hanno il loro massimo sviluppo in Valle Imagna. Risalendo la Valle noi li vediamo affiorare sulla riva destra circa a mezzo chilometro prima di Strozza val Imagna. Sul ver- sante destro dell’Imagna non mantengono mai la potenza che hanno sul sinistro e per la loro grande erodibilità furono in molte località completamente asportati lasciando affiorare la Dolomia principale. Questi affioramenti di Dolomia sono come isole biancheggianti e dirupate in mezzo agli Scisti neri. Gli Scisti infraliassici a nord-ovest sono in contatto col banco co- rallino che affiora fin sotto un centinaio di metri alla fontana del Pertus e continuandosi verso Valsecca e li separa dalla Do- lomia principale del Locone e della Corna Camozzera. Sul versante meridionale dell’Albenza invece abbiamo dei ristretti affioramenti di Scisti neri dovuti all’erosione di alcuni tratti di terreno Ettangiano e dell’Azzarola e sono isolati e divisi sempre da quelli che affiorano sul versante settentrionale che non raggiungono mai il crinale. L’affioramento più settentrionale è sotto al Pertus e quello più meridionale nell’alta valletta del Sambuco ('). Ho cercato nell’unito profilo che attraversa l’affioramento di Valcava di rappresentare come risultano spiegati dalle mie osservazioni in posto, questi affioramenti. Ettangiano. L’Ettangiano nella nostra regione è rappresentato da for- mazioni dolomitiche che lo Stoppani comprese nella Dolomia a Conchodon Infraliassicus. Questa Dolomia, detta anche Infraliassica, rappresenta il vero Infralias ed è inferiore alle masse Sinemuriane, la formazione dell’Azzarola che le è sottostante e rappresenta il Retico supe- (1) E. Martani, Osservazioni geologiche e paleontologiche sul gruppo dell'Albenza. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE, ECC. | } riore per l’atfinità litologica colla Dolomia Infraliassica e qiffi- «‘cilmente distinguibile dove non vi sono fossili, sfumandosi l’una formazione nell’altra. Mentre invece sono assai evidenti i limiti tra queste due formazioni e gli Scisti neri a BacW&wyllium strio- latunr che costituiscono il Retico inferiore. Le formazioni Ettangiane e dell’Azzarola costituiscono una larga fascia che occupa il crinale dell’Albenza dal Pertus a Costa Massaia e nelle selle affiora il Banco Corallino Retico, mentre le cime, Monte Tesoro 1432, il Pizzo 1401 e le cime minori sono costituite da banchi dolomitici che spiccano tra le altre forma- zioni per la loro caratteristica impronta selvaggia e dirupata. Queste formazioni scendono anche nei due versanti; e nel settentrionale arrivano fino a quella striscia di Scisti neri Retici dove è fabbricata Costa di Valle Imagna, mentre sul versante ‘meridionale scendono fin verso la quota dei mille metri, stu- mandosi nella formazione Sinemuriana, ed appunto da questo versante nei valloni dove l’erosione fu più potente abbiamo gli affioramenti di Scisti neri, che si presentano sempre circondati «dalle formazioni dell’Azzarola ed Ettangiane. A Costa Massaia poi queste formazioni passano nel versante settentrionale e per Portola, S. Defendente arrivano al fiume qualche chilometro più a valle di Strozza Val Imagna, raggiungendo il crinale an- cora una volta nella sella di S. Bernardo, antico passaggio d’una ‘corrente che preparava il presente corso dell’Imagna. Sinemuriano. I terreni riferibili al Sinemuriano nella nostra regione sono ‘assai sviluppati, essi formano la parte centrale della nostra mon- taena e a sud-est di Costa Massaia raggiungono il crinale for- mando la vetta del Monte Linsone (1391), e si abbassano anche ‘sul versante settentrionale fino sopra Roncola a press'a poco sono limitati dal sentiero che da Portola mette a C. Sclappa. Da un lato della sopraccennata sella di S. Bernardo essi formano il Linsone e dall’altra il monte Botto (914), tra questo e il monte Castra (539), più a sud-est vi è un’altra grande sella, forse an- tico passaggio dell’Imagna. In tutta questa zona affiorano le roccie della parte più pro- fonda del Lias, che confinando nel versante settentrionale collo Ettangiano arrivano al torrente Imagna, che si è scavato in esse una profonda e stretta valle. 40) R. BRUNATI Sul versante meridionale dell’Albenza, sopra Carenno, ven- nero da tempo trovate in alcuni calcari neri del Sinemuriano delle piccole ammoniti, descritte dal prot. Parona. Esse sono da riferirsi alle seguenti specie: Phylloceras stella, Sow. sp.; Lyto- coras arliculatuni, Sow. sp.; Aegoceras comptuin, Sow. sp.; Ae- goceras ventricosum, Sow. sp. Tropites ullratriasicus, Can.; Arietites bisulcatus, Brug. sp.; Avrietites Conybeari, Sow. sp.; Arielites rotiforniis, Sow. sp. Questa piccola fauna rappresenta, come è noto, la zona a Schlotheimia angulata del Lias interiore. Il Varisco mette giustamente nel Lias interiore: dolomie, calcari siliciferi, arenarie da coti, con Avietites bisulcatus Brug.,. rinconelle e pettini. I calcari dolomitici prevalgono a tratti nella parte più pro- fonda del Sinemuriano e presentano certe tacies cristalline sac- caroidi che qua e là contengono piccole terebratule e rinconelle, e che forse in parte corrispondono stratigraficamente al calcare salino di Zandobbio. Alla Foppa dei Merli sotto Colle di Sogno. queste dolomie presentano l’aspetto di vero marmo saccaroide identico a quello di Zandobbio. I calcari sono in generale azzurro ardesia a trattura concoi- dale, ora compatti, ora alquanto argillosi e presentano sempre- assai abdondanti i noduli selciosi. Le arenarie sono bigie cineree a grana più o meno fina con cemento calcare. Si presentano a straterelli incassati nei calcari selciosi e servono a fabbricare le notissime coti. E noto come: queste coti si prestino ottimamente ad uso di pietre molari in causa dei resti silicei di organismi che esse contengono (*). Nella nostra regione si trovano alcune cave di pietre da coti nell’alta valletta di Malanotte. Il limite del Lias inferiore col medio o Charmutiano è assai difficile a stabilirsi perchè gli strati superiori del Sinemuriano si confondono con quelli più profondi del Charmutiano. Lias medio 0 Charmutiano. Come ho detto sopra è difficile dare un limite esatto nella nostra regione a questo terreno, poichè le sue roccie si confon. (1) Zarriro Pozzi, Le pietre da coli delle Valli Bergamasche. Studio clinico-analitieo, estratto dalla rivista L'industria chimica, Anno V, 1903. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE, ECC. 41 dono cogli ultimi strati del terreno precedente; esso però atfiora in tutta l’Albenza e si distingue dai calcari azzurri ardesia del Sinemuriano e da quelli argillosi e variamente colorati del Lias superiore. Le roccie di questo terreno sono calcari poco o nulla ar- gillosi, a grana fina, piuttosto duri, a frattura concoidale: esse ricordano talvolta il calcare bianco detto Maiolica e contengono fossili piritizzati, come d’altronde si verifica comunemente nella parte superiore del Charmutiano lombardo. Lias superiore 0 Toarciano. Il Toarciano nella nostra revione è costituito in prevalenza da una roccia calcare argillosa di color rosso mattone, a grana più o meno fina e compatta, questo calcare per essere assai ricco di ammonili ta detto, come è ben noto, anche Rosso Am- monitico. Sul versante meridionale dell’Albenza, negli strati più ele- vati del Toarciano, è molto sviluppato l'orizzonte a Posidonontya Bronni scoperto dal prot. Taramelli, come dissi sopra. Oltre all’affioramento scoperto dal prof. Taramelli nella val- letta di Malanotte ed un altro da lui ricordato vicino ad Opreno, nelle mie escursioni ebbi occasione di osservare questi banchi di Posidonomye sopra ad Erve, dove queste bivalvi sono assai ben conservate e prevale la varietà 724924; così pure lungo la strada che da Torre de Busi sale a Valcava, a monte di una cappelletta di S. Carlo alla base degli strati selciosi scuri che rappresentano la parte più profonda del Giura; in val della Cal- carola sopra Palazzago dove l’affioramento si accompagna per una cinquantina di passi e finalmente nella valletta dell’Armisa, sempre nella medesima posizione, cioè superiori al Domeriano e inferiori agli strati selciosi scuri de] Giura. Giura 0 Rosso ad Aptici. Il Giura nella nostra regione è rappresentato cumulativa- mente dalla zona dei calcari rosso mattone più o meno argillosi con aptici, intercalati da banchi di selci rosse. I suoi limiti col Lias superiore come coll’Infracretaceo sono molto discussi, poichè i fossili passano da una formazione all’altra 49 R. BRUNATI confondendosi, col Lias superiore poi anche litologicamente non vi è passaggio netto. Esso si presenta con piccola potenza nella nostra regione, ma però l’attraversa tutta; è sottostante alla Maiolica dalla quale si distingue a colpo d’occhio per la diver- sità del colore, ma però è strettamente legato a questa per i fossili che generalmente sono apfici; si confonde invece anche litologicamente, come dissi sopra, col Lias superiore. Infracretaceo 0 Maiolica. Come il Rosso ad Aptici, anche la Maiolica si presenta nella nostra regione con piccola potenza, ma essendo formazione di mare profondo rappresenta, come lo dimostrarono i più recenti studi, oltre a qualche orizzonte del Titonico quasi tutti i piani dell’Intracretaceo. Al Titonico possono riferirsi sul versante me- ridionale dell’Albenza quegli strati più profondi della Maiolica che hanno una tinta carnicina e più si avvicinano al Giura acquistano una colorazione maggiormente intensa accompagnata da un notevole arricchimento in silice. Al Neocomiano va riferita la Maiolica che ha carattere lito- logico tanto facile a distinguere che basta averla vista una volta ‘sola per riconoscerla ovunque si trovi. Nel versante meridionale dell’Albenza e precisamente presso Opreno seguono gli accennati Sciti neri del Barremiano, i quali formano delle evidenti depressioni a contatto degli affioramenti della Maiolica. Questi cogli strati più alti della Maiolica formano nella nostra regione il più recente dei piani Infracretacei. Sopra-Cretaceo inferiore. I terreni di questo piano nella nostra regione formano la parte più meridionale lungo tutta la val S. Martino e l’Adda fino a poco a monte di Vercurago. Essi sono costituiti da un’al- ternanza di marne variegate a volta scagliose, con dei calcari marnosi che presentano il loro massimo sviluppo nei dintorni di Calolzio e di monte Marenzo. Queste formazioni potenti centinaia di metri, rappresentano «complessivamente il Cenomaniano ed il Turoniano senza pre- sentare dei limiti netti dall’uno all’altro piano: di solito però le marne variegate sottostanno ai calcari marnosi. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE, ECC. 45 Il sopra-cretaceo inferiore è limitato alla base dagli Scisti neri e dagli strati superiori della Maiolica che rappresentano il Barremiano, e mostra superiormente una grande potenza di are- narie, le quali passano prima a brecciole, poscia a puddinghe nei loro banchi più recenti e rappresentano la creta superiore. Questa successione assai bene corrisponde al progressivo di- minuire di profontita di un mare, che era aperto e libero al chiudersi dell’epoca giurese, mentre nello svolgersi dell’epoca Cretacea venivano sostituendosi delle terre emergenti. È poi noto che anche le seguenti roccie Eoceniche del monte Gilio vicino a Carvico, mantengono carattere tutto litoraneo e che in queste falde Prealpine mancando i terreni Miocenici della regione co- masca avviene il contatto discordante delle argille plioceniche colle marne variegate del Sopra Cretaceo. Terreni Cenozoici. Formazioni Plioceniche. — Devo ricordare anche gli inte- ressantissimi affioramenti Pliocenici nella valletta del Tornago nel Comune di Almenno S. Bartolomeo e nella valletta dell’Armisa dietro la chiesa di Almenno S. Salvatore e nei dintorni di Pa- ladina lungo il Brembo. Questi furono già minutamente descritti dal Varisco nella sua carta geologica della provincia di Bergamo e dal Taramelli nella ricordata pubblicazione Sui giacinienti plio- cenic? nei dintorni di Almenno, edita nel 1895. Terreni Neozoici. Periodo glaciale. — Il Varisco gia seguì assai dilingente- mente il ghiacciaio abduano, che si spinse in Val di Erve e su per la Valle di Pra Marchee, seminando i trovanti anche sopra i 700 metri, e segnò i suoi limiti nelle falde meridionali dell’Al- benza. Egli fa giustamente notare che il piano di Carenno è il fondo di un lago glaciale, però non osservò un piccolo giaci- mento interglaciale sotto il paese di Erve. Pure con lodevole precisione descrisse le morene laterali del ramo più grosso che per la Val di S. Martino si spinse verso Almenno innalzando i suoi fianchi considerevolmente sul versante nord-ovest del Canto Basso e su quello sud-ovest dell’Albenza. Ad [ Vy ! | | SEER) See raed af” tt! MA \\ \ \ \ HE | SN Spia erelacto rifewore CHEE vicsuep yer 3 È NI \\\ ‘ \ \ osnolaS ( 2 [ee LL \ Ò \ \\ \ \ ERG AY evel 27 metti È > speroni TÀ ATA AY wrFY AR elico inf Ka] Gas Jus Qontwearo BE Baa Pllangearo« Medico Sey), ae beiza epicure Uf Gra 0 0030 ar Apici + È È = N = x eS = Jose TT 1] dit 1 CHEECH dnfrac rblaceo e Marla 5 “3 x sù N SI ° ole one ° R. BRUNATI Alluvionale. E questo terreno di pochissima importanza nella nostra regione e sì osserva lungo le rive dell'Adda ed in Val S. Martino. Interessante è il delta della Galavesa che restringendo |’Adda divide il laghetto di Garlate da quello di Olginate. Parte Tectonica. Il motivo tectonico principale della nostra regione è la continuazione del- l’anticlinale della Corna Camozzera, la cui gamba meridionale coricata a sud termina nel lago di Garlate a nord- ovest di Vercurago. I terreni che costituiscono questa gamba sono quelli stessi che si svi- luppano sul versante meridionale del gruppo dell’Albenza. Essi man mano che dalla valle: dell’Adda si innalzano a nord-est sui fianchi dell’Albenza si raddrizzano fin- chè dopo essersi fatti verticali si in- curvano in senso opposto formando la volta regolare che costituisce il crinale del gruppo dell’Albenza. Gli affioramenti di Dolomia princi- pale che si osservano sul versante set- tentrionale verso la Valle Imagna sono una continuazione della Dolomia prin- cipale della Corna Camozzera e del Locone e sono dovuti all’erosione degli Scisti neri retici. Sopra Valsecca poi abbiamo il con- tatto discordante del Retico Superiore, Banco corallino dell’Azzarola colla Do- OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE, ECC. 45 lomia principale, e questo contatto dipende senza dubbio dalla continuazione del salto descritto dal Philippi che passa per Morterone, Passo di Pallio e viene a terminare sotto il Pertus mantenendo sempre la direzione da nord a sud. Nell’unito profilo che va dall’Adda a Piazzo in Valle Imagna passando per la Val del Sonna e Valcava ho cercato di rappre- ‘sentare l'andamento degli strati e di spiegare colle mie osser- vazioni sul terreno gli affioramenti di Scisti neri Retici sul versante meridionale dell’Albenza dovuti ad abrasioni parziali e molto localizzate che lo scolpimento nelle valli meridionali ha praticato nella gamba di sud-ovest della ricordata anticlinale che forma il monte Albenza. ELENCO DI PIANTE DELL’ALTO APENNINO PAVESE raccolte e studiate da Vittorio Pavesi Dottore in Chimica e in Scienze naturali L’Apennino pavese, nella sua zona più alta, fu esplorato da parecchi botanici, che si occuparono essenzialmente di racco- gliere dati per lo studio della flora della intera provincia. Primi fra questi Nocca e Balbis(!), che ci dettero quella classica Flora ticinensis, divenuta il nucleo intorno al quale deposero materiali tutti gli altri. Infatti subito dopo, nel 1823-24, il Bergamaschi (?) esponeva il risultato di alcune sue gite floristiche al Lésima e sui monti limitrofi ; il Rota (3) nel 1847, col suo elenco, contribuiva alla illustrazione botanica dell’ Apennino, quantunque non abbia avuto troppa esattezza nel citare le località e le forme; per ultimo il Farneti (4), in escursioni estive di giugno e luglio, dal 1888 al 1890, raccoglieva un numero rilevante di nuove specie e varietà, che egli soltanto in parte enumerava nelle sue ag- giunte alla flora pavese. In questa memoria, fra l’altro, ’egregio- libero docente di Patologia vegetale a Pavia, tondandosi sulla presenza o assenza di alcune specie, assurge anche a spiegare l’origine diversa della flora oltrepadana dalla cisticinese della (1) Flora ticinensis, seu Enumeratio plantarum quas in peregrinalionibus multipli- cibus.... colligerunt Domixicus Nocca et Joannes Baprisra BaLBIS, Ticini, tom. I 1816, tom. II. 1823; D. Nocca, Clavis rem Herbariam ... seu Enchiridion ad escursiones bota- nicas in agro licinense, Ticini regii 1825. (2) Gita botanica agli apennini Boglelio e Lesima tatta dal dott. Giuserpe BERGA- mascui, lettera al prof. Giuseppe Moretti, in bim. I. 1823 del Giornale di Fisica, ecc., di Pavia; lett. 2* Sopra varie piante degli apennini, colli oUrepadani e della campagna pa- vese da aggiungersi alla flora ticinese, bim. III. 1824 del Giornale cit. (3) Prospetto delle pionte fanerogame finora ritrovate nella provincia di Pavia dal dott. Lorenzo Rora, in Giornale botanico italiano, vol. 2, Firenze 1852. (4) Aggiunte alla flora pavese e ricerche sulla sua origine. Nota di RopoLro FARNETI in Atti dell’Istituto botanico della Università di Pavia, n. s. vol. VI. 1900. ELENCO DI PIANTE DELL'ALTO APENNINO PAVESE 47 nostra provincia; cioè insubro-germanica e glaciale questa, quella preglaciale alpina e marittimo-meridionale. Nella seconda metà di agosto scorso, percorrendo io alcune delle più note regioni dell’alto Pavese, ebbi occasione di osser- varne la flora (!), pur troppo in detta stagione povera; e di persuadermi altresì che essa può formare ancora oggetto di studi proficui, per quanto riguarda la distribuzione delle specie in rapporto alla natura del terreno. Il prodotto delle mie rac- colte, benchè tuttavia in attesa della seconda parte delle ag- giunte del Farneti, non credo di dover tenere in silenzio, poichè sono convinto, al pari di molti, che giovano sempre anche i piccoli appunti alla conoscenza completa della flora di una re- gione e sua distribuzione, permettendo spesso di raggiungere più rapidamente lo scopo, con dati e fatti, che a un sol uomo possono facilmente sfuggire. La zona da me visitata è quella che dal monte Boglelio conduce alle Capanne di Cosola, valicando il Chiappo, e da queste al Lésima, indi il Pénice e dintorni, specialmente sul versante di Bobbio, ossia della val Trebbia. Le mie raccolte arricchiscono la flora dell’Apennino pavese di parecchie specie, e numerose varietà e forme, o indicazioni: di località non per anco segnalate; ne do il seguente elenco, avendo cura di far rilevare quelle piante, che in agosto trovai limitate ai serpentini. Fra le specie e forme nuove (una trentina) per la provincia ricorderò: l’Asplenium septentrionale, il Dianthus Seguieri, forse da altri contuso col Carthusianorum, Vl Arabis muratlis, il Seseli montanun var. glaucum, VAthamanta cretensis, VHypo- pithys multifiora var. glabra, gli Hieracium psevdojuranuni, coringacfolium, heterospermum e virga-aurea (7). Nuove per l’Apennino, ma non per la provincia, sono poi la Parnassia pdlustris e il Colchicum alpinum. L'una trovasi, sebbene non abbondante e con forme ridotte, in acquitrini tra il Penice e il monte di Pietra Corva; l’altra vidi abbastanza comune verso le Capanne di Cosola, che giacciono sul confine (1) Un reperto faunistico della stessa gita motivd la nota del professor Pierro Pavesi: I] piviere tortolino in provincia di Pavia. Avicula, a. IX, fase. 93-94, Siena, 1905. (2) Delle monocotiledoni, noto qui incidentalmente come nuova per la provincia pavese anche la Spiranthes autumnolis Rich., che scoprii nei boschi del Ticino sotto il Canarazzo alla prima metà di settembre 1904, insieme con la Scilla autumnolis L. 48 VITTORIO PAVESI della provincia. È alla creduta assenza di esse sull’Apennino pa- vese che il Farneti annette grande importanza in appoegio alle sue ipotesi. Nella disposizione sistematica seguii la Flora analilica ita- liana di Fiori e Paoletti, che mi servi in massima alla deter. minazione, salvo di alcune composite, per le quali ricorsi alla squisita cortesia del noto specialista italiano prof. Saverio Belli. Come nelle Aggiunte del Farneti, i nomi delle piante con- trassegnate con un asterisco (*) indicano le specie o le forme nuove per la flora pavese; con due asterischi (**) le non com- prese nella Flora di Nocca e Balbis. Le località scritte in carat- tere corsivo sono nuove, ossia non indicate da tutti i prelodati botanici. Pavia, 25 dicembre 1905. F'ilices 1. Ceterach officinarum W. Sassi neri (!) a levante del Pénice sopra Pozzallo. 2. Notholaena Marantae (L.) KR. Br. Limitato alle roccie serpentinose dei Sassi? 7e7°%. 3. Asplenium Adiantum-nigrum L. Sassi neri. #4. Asplenium septentrionale (L.) Hoff. Roccie serpen- tinose dei Sassi ner/. Graminaceae **5. Stipa calamagrostis (L.) Whinb. Penice. 6. Phleum pratense L. var. nodosum (L.). Penice. #57. Oalamagrostis arundinacea (L.) Hort. var. mon» tana Hort. Penice. 8. Molinia coerulea Moench. Sassi neri. #*9, Koeleria setacea (L.) Ard., v. pubescens Parl. Monte Léesima a 1721 m., pochi esemplari in frutto. 10. Melica ciliata L. var. Magnolit Gr. et Godr. Sassi neri. 11. Sesleria coerulea (L.) Ard. var. argentea Savi. Monte Boglelio. (1) Cf. Prof. T. Taramenni, Sulla formazione serpentinosa dell'Apennino pavese, in Atti Reale Accademia Lincei, anno CCLXXV, serie 2*, vol. II, pag. 56, Roma 1877-78. ELENCO DI PIANTE DELL’ALTO APENNINO PAVESE 49 de Liliaceae *12. Colchicum alpinum D. C., Capanne di Cosola. 13. Allium sphaerocephalum L. Sassi neri, Lesima. Finora citato soltanto per la regione insubrica. Orchidaceae 14. Epipactis latifolia All. Penice. Cupuliferae 15. Ostrya carpinifolia Scop. Boschi presso i Sassi neri. 16. Quercus Cerris L. Come sopra. 17. Fagus sylvatica L. Come sopra. Santalaceae Is. TNhesium linophyllum L. var. intermedium Schrad. Se/vassa. Chenopodiaceae 19. Chenopodium Bonus-Henricus L. Selvassa. Paronychiaceae 20. Herniaria glabra L. Sassi neri. Caryophyllaceae *#21. Alsine laricifolia L. Crautr. Sassi neri. Il Rota cita pei dintorni di Bobbio la var. linéflora Ar., alla quale non credo si possano ‘attribuire, secondo i caratteri analitici della Flora italiana, le forme da me trovate. *#22. Arenaria grandiflora L. Sassi neri, gia in frutto maturo. i 23. Moerhingia muscosa L. Sassi neri. 24. Silene inflata Sm. (FI. germ. p. 823) var. ciliata R. form. angustifolia (Cucubalus anguslissinius, Nocca e Balbis). Esclusivamente nei serpentini dei Sass? wert; anche il Nocca trovo questa forma nei luoghi serpentinosi del vicino M. Groppo. #25. Dianthus Seguierii Chaix in Vill. Castellaro, Sassi neri. 26. Dianthus caryophyllus L. var. *virgineus L. Penice. 50 VITTORIO PAVESI *297. Dianthus monspessulanus L. Monte Chiappo, Lésima. Hy pericaceae 28. Hypericum Richerét Vill. Lesima. 29. Hypericum montanum L. Penice. Cruciferae #30. Arabis muratlis Bert. In trutto sulle roccie calcaree del Penice. 31. Alyssum argenteum Vitm. Appena tra le ofioliti dei Sassi neri. 32. Alyssum calycinum L. Penice. 33. Vesicaria utriculata D. C. Sassi neri. Ranunculaceae 34. Aconitum variegatum L. var. Cammarum L. Selvassa, Penice. 35. Aconitum Lycoctomum L. Selvassa, Penice. Crassulaceae 36. Sempervivum tectorum L. Selvassa, Sassi neri, Penice. 37. Sedum album L. Lesima. Rosaceae 38. Spiraea Aruncus L. In frutto a Selvassa. 39. Potentilla argentea L. torm. *demissa Jord. Sassi neri. 40. Potentilla erecta Hamp. Lesima. #41. Alehemilla vulgaris L. var. alpestris F. W. Schm. form. pubescens (Buser). Selvassa. #49. Rosa canina L. var. dumalis Rechst. In frutto alle Capanne di Cosola. #43. Rosa villosa L. var. pomifera Herm. Come sopra. ##44, Rosa alpina L. var. laevis Ser. In frutto a Selvassa.. #245, Rosa alpina L. var. pyrenaica auct. In frutto a Selvassa. #46. Rosa pimpinellifolia L. Lesima, Penice. 47. Pirus Aucuparia Ehrh. Selvassa. ELENCO DI PIANTE DELL’ALTO APENNINO PAVESE Si Leguminosae 48. Cytisus alpinus:Miil. Boglélio. 49. Genista radiata Scop. In frutto Pey, M. Chiappo. 50. Ononis pusilla L. S. Maria di Bobbio. 51. Ononis natrix L. Penice. 52. Trifolium ochroleucum Huds. Lesima. 53. Trifolium hybridum L., var. elegans (Savi). M. di Pietra Corva. e854. Astragalus Tragacantha L. var. sirinicus Ten. In frutto sul Lésima. 55. Coronilla minima L., Penice. *56. Lathyrus pratensis L.t. pubescens Strobl. Penice. Umbelliferae 457. Bupleurum ranunculoides L. Boglélio, Lésima, Chiappo. #8. Seseli montanumnm L. var. glaucum Jacq. Roccie cal- caree del Penice e del Chiappo. #59. Heracleum sphondylium L. var. longifolium Jacq. Boglelio. 60. Laserpitium Siler L. Sassi neri. 61. Laserpitium gallicum L. Selvassa. 62. Chaerophyllum hirsutum L. Forma a tratto lungo 20 mm. Boglelio. #*63. Chaerophyllum aureum L. Penice. *64. Athamanta cretensis L. In trutto maturo sul Lésima a 1721 m. #265. Trochiscanthes nodiflorus Koch. Selvassa. Malvaceae 66. Malva Alcea LL. var. italica Pollini Penice. Euphorbiaceae 67. Euphorbia exigua L. Penice. Ericaceae #68. Hypopithys multiflora Scop. tor. glabra D. C. Fra i Corylus avellana. Penice. 69. Vaccinium uliginosum L. Lésima. 52 VITTORIO PAVESI Primulaceae #70. Primula officinalis Jacq. var. suaveolens Bert. In frutto alle Capanne di Cosola. Plumbaginaceae 71. Armeria vulgaris W. var. seticeps Rchb. (scor- sonerifolia Balb. et Nocca). Sassi neri. Aschlepiadaceae 72. Cynanchum vincetoricum Pers. Sassi neri. Gentianaceae #73. Gentiana Pneumonanthe L. Sassi neri. Citato pel Boglélio dal Bergamaschi. 74. Gentiana cruciata L. Boglélio. 75. Gentiana ciliata L. Penice. Borraginaceae 76. Cymoglosswn creticum Mill. Bobbio. 7. Lappula Myosotis Moech. S. Maria di Bobbio. Scrophulariaceae #78. Linaria supina Desf. tor. bipunctata Dum. Fra le roccie ofiolitiche dei Sassi neri. 79. Scrophularia canina L. Penice. 80. Digitalis ferruginea L. Pénice. 81. Melampyrum nemorosum L. Boschi presso i Sassi nervi. 82. Euphrasia salisburgensis Funck in Hpe. Penice. #83. Euphrasia officinalis L. var. hirtella Jord. in Reut. Penice. #84. Rinanthus alectorolophus Poll. for. medius Rch. Penice. Labiatae 85. Teucrium Chamaedrys L. Penice. 86. Teucrium montanum L. Sassi neri. 87. Brunella vulgaris L. var. laciniata L. for. pin- natifida Koch. Sassi neri. ELENCO DI PIANTE DELL’ALTO APENNINO PAVESE Da 88. Brunella vulgaris L. var. grandifiora L. Penice. 89. Stachys officinalis Trevisan. Lesima. #90. Satureia montana L. var. communis Vis. tor. chamaedurus Brig. Lésima. 1. Satureia grandiflora Scheele. Selvassa. 92. Satureia Acinos Scheele,? lancifolia Briq. Penice. 93. Fhymus serpyllum L. var. pannonicus All. Monte di Pietra Corva. 94. Origanum vulgare L. tor. viridulum Mart. Don. Penice. Rubiaceae #95. Galium rubrum L. tor. glaberrimunmni Ces. P. et G., Boglelio. Caprifoliaceae **96. Sambucus racemosa L. In trutto a Selvassa. Cc 97. Lonicera alpigena L. In trutto a Selrassa, Penice. Ne Dipsacaceae 98. Succisa pratensis Moench. Lesina 1721 m., Penice. *99. Knautia sylvatica Duby. var. dipsacifolia Heuff. Lesima. 100. Scabiosa columbaria L. Lésima. Valerianaceae 101. Valeriana tripteris L. In trutto sul Boglelio. Campanulaceae 102. Campanula glomerata L. tor. aggregata W. Rchb. Penice. 103. Campanula rotundifolia L. Lesima, Penice. Compositae. #104. Adenostyles alpina Bl. et Fing. var. australis Nym. for. lucida Nob. Boglelio. 105. Senecio Jacobaea L. Capanne di Cosola. 106. Senecio nemorensis L. var. Fuchsii C. C. Gm. Bogleélio. 54 VITTORIO PAVESI - ELENCO DI PIANTE, ECC. 107. Aster Amellus L. Pénice. 108.. Solidago virga-aurea L. var. vulgaris Lam. Boglelio. *109. Erigeron acer L. for. corymbosus Wallr. Ca- panne di Cosola, Selvassa. 110. Helichrysum italicum G. Don. Sassi neri. 111. Inala montana L. Fra le roccie ofiolitiche dei Sassi neri e Monte di Pietra Corva. 112. Inula conyza D. C. Sassi neri. 113. Inula bifrons L. Penice. 114. Buphthalmum salicifolium L. Penice. 115. Cartina acaulis L. var. alpina Jacq. (caulescens Bergamaschi). Penice. #116. Carlina vulgaris L.tor. pusilla N. Terr. Sassi neri. #117. Serratula tinctoria L. var. Vulpii Fisch. Oost. Lésima. 118. Cirsium eriophorwm Scop. Capannetta di Pey. #119. Cirsium eriophorum Scop. for. glabrum Gelm. Boglelio. 120. Cirsium acaule Scop. All. Chiappo, Boglélio, ecc. #121. Leontodon autumnale L. tor. runcinatus K. Selvassa. 122. Leontodon proteiforme Vill. var. hispidus L. t., Lésima. 123. Prenanthes purpurea L. Selvassa. #5124. Robertia tararacoides D. C. M. di Pietra Corva. #125. Hieracium pseudojuranum Arv. (jurassicum var.?). Penice. #126. Hieracium coringaefolium Arv. (forma). Boschi presso 1 Sass? neri. #127. Hieracium virga-aurea Coss. Boschi presso il Monte di Pielra Corva. #128. Hieracium heterospermum Ary. T. var. vér- gauroides Belli. Insieme col precedente. LA GALLERIA FERROVIARIA DI GATTICO (LINEA SANTHIA-ARONA). Nota del Socio Dott. Mederico Sacco Fra le cosidette linee di accesso al Sempione, quella di “Santhia-Arona, sviluppandosi in terreni di pianura od appena collinosi, sembrava relativamente facile e quindi fra le prime a ‘mettersi in attività di servizio. Viceversa nel tratto Borgoma- nero-Arona, e precisamente nella galleria attraversante la col- lina di Gattico, si incontrarono, specialmente negli ultimi 500 m. ‘verso Arona, tali difficoltà che per superarle si richiesero quasi quattro anni di tempo, spese straordinarie e l’impiego delle più ‘alte risorse dell’arte dell'ingegnere, tanto che, iniziatosi i lavori nel 1° settembre 1902, solo in quest'anno 1906 la linea potrà ‘essere messa in esercizio. Orbene, siccome tali enormi difficoltà furono precisamente di carattere geologico, sembrami opportuno farne cenno, sia per l'interesse scientifico, sia perchè la dolorosa esperienza del pas- ‘sato possa riuscire utile in avvenire (!) per scansare quando possibile formazioni consimili, o per sapere almeno subito di ‘doverle affrontare coi criteri e coi mezzi necessari. La regione che ci interessa, come già ebbi a descrivere in un lavoro complessivo (*) al quale rimando pei dettagli, è co- ‘stituita da un imbasamento generale di marne grigio-bleuastre di Pliocene inferiore marino, riccamente fossilifero (Piacenziano), che affiora in vari punti, come ad ovest di Borgomanero, presso "Gozzano, sotto Invorio inferiore, presso Taino, ecc. Questa tor- (!) Per esempio casi consimili si presenteranno nell’attraversare l’ Anfiteatro morenico d’Ivrea per l'eventuale linea ferroviaria direttissima Torino-Ivrea, tanto più se prolungata sino a Biella. (2) Sacco F., L'Anfiteatro morenico del Lago Maggiore (Mem. R. Accad. Agric. di Torino, Vol. XXXV, 1892, con Carta geologica alla scala di 1 a 100.000). Imbocco 0 Soreomanero Galleria Piano dh 56 SN FEDERICO SACCO ea ; mazione, dove è completa, termina in alto. Suna as con marne sabbiose grigio-gialliccie o con 3 N sabbie giallastre del Pliocene superiore pi marino (Asli470), come osservasi nei din- torni di Boca e Maggiora; ma in generale questa porzione superiore del Pliocene fu abrasa dagli agenti acquei o glacali del- Vepoca fluvio-glaciale. Sopra al Piacenziano, negli altipiani e nelle colline attorno a Borgomanero e tra Borgomanero e Varallo Pombia, si adagia direttamente un deposito ciotto- loso-sabbioso-terroso, giallastro o giallo-ros- siccio, cioè il cosidetto Diluviwir, più -o meno alterato, cioè /errettizzato, e termi- nante in alto (quando libero) con un manto di lio argilloso-terroso, giallo- rossiccio, caratteristico, molto usato per laterizi. Il Diluviuit è in generale di non grande spessore, cioè di trenta a quaranta o cinquanta metri, ed inoltre si va rapi- damente assottigliando sotto i manti more- nici sino a scomparire affatto. Questo ter- reno diluviale fu estesamente ed anche profondamente inciso in trincee ed attra- versato con gallerie da Romagnano a Bor- gomanero senza incontrarvisi notevoli dit- ficoltà, giacchè trattasi di terreno solo qua e là e non eccessivamente acquifero, poco compatto e quindi di facile escavazione e viceversa non soggetto a grandi pressioni che richiedano straordinari muri di so- stegno o rivestimenti di galleria di carat- tere speciale; è solo a notarsi che le scar- pate vi debbono essere a pendenza assai dolce perchè detto terreno (salvo quando. cementato in vero conglomerato) è sog- getto a sgretolare facilmente nelle parti esposte agli agenti esterni, specialmente- sotto l’azione del gelo e disgelo. LP LL DEA EAA aeRO O. ‘ 25,000 Imbocco È, Galleria (285m) LL aA DD CÀ 7 < dei cassoni distanze altezze | 5, gona Scala per le della Galleria ai Gattico a I Gattico a 4 và 4 fa) g Ù gaqpd AY CARITAS: II gI Gad Morenico Pozzo Il? - To" GLI? ORICA / ROM TÀ LILI Liluviurm GeO Motto Presane/3 Foz20/° Sezione CIEL 4 SS Ma, 7 rn. ) LETT) i SV (3 LA GALLERIA FERROVIARIA DI GATTICO 57 Infine sul Di/uviuwin, verso l'esterno dell’Anfiteatro morenico «del Lago Maggiore, e direttamente sul P/acenziano verso l’in- terno di detto Anfiteatro, vediamo che si estende amplissima- mente ed irregolarmente la formazione morenica costituita di depositi varii sabbioso-argillosi inglobanti qua e là massi rocciosi, di svariatissime forme e erossezze. I bassi piani (come quello amplissimo di Borgomanero) ed i fondi di valle sono naturalmente coperti da un deposito ciot- toloso-ghiaioso-terroso di A4//w722 di pochi metri di spessore, spesso ammantato da una sottile cuticola di limo impuro terroso- giallastro. Premessi questi dati geologici generali sulla regione in esame, vediamo quali furono le formazioni realmente incontrate nella Galleria di Gattico, lunga circa 3300 m., e le relative con- iseguenze di carattere pratico. All’imbocco ovest sotto Maggiate la profonda e lunga trincea «d’accesso mostra ancor oggi come vi sia ampiamente inciso il Diluvium giallastro, sabbioso-ciottoloso, abbastanza compatto, i cui banchi appaiono dolcemente inclinati verso l’ est all’incirca. Per circa un chilometro la Galleria attraversò il Diluviuin con relativa facilità sia di escavazione sia di rivestimento mu- rario (circa centim. 80 di spessore), risultandone un costo chi- lometrico di L. 800.000 ad un dipresso. Il Pozzo verticale N. 1, profondo una cinquantina di metri, raggiungente il piano del ferro a circa 305 m. s. 1. m., mostrò ‘che il passaggio tra il terreno morenico ed il Diluriwin-si veri- ficava verso i 323 m. s. 1. m. La Galleria incontrò colla sua base verso i 304 m. s. 1. m. le marne sabbiose micacee, grigie, riccamente fossilifere (!), del Piacenziano; quindi il Diluvium in questa parte, occidentale, «della Galleria di Gattico mostra una potenza media di una ven- tina di metri. i Entrata la Galleria nel terreno Piacenziano si procedette ‘abbastanza regolarmente per circa 1 chilom. ed !/, (colla pen- denza solita dell’ 8,70 °/,9), presentandosi le sabbie marnose nel ‘complesso relativamente sostenute e compatte. Il Pozzo N. 2 (profondo 61 m. e toccante il piano del ferro (1) P. Parsint, Rinvenimento di fossili pliocenici nell'escovazione della Galleria di Galtico presso Borgomanero. Rendiconto R. Istituto Lomb. di Scienze e lettere, Serie II, Vol. 36, 1903. 4* D8 FEDERICO SACCO a circa 298 m. s. 1. m.) attraversò dapprima naturalmente un grande spessore di terreno morenico, poi una zona diluviale di ciottolami profondamente alterati immersi in terriccio sabbioso: giallo-rossiccio, quindi una diecina di metri di Di/uviun: tipico più compatto, ed infine circa 20 metri del solito Piacenziano. Il Pozzo N. 3 (profondo,53 m. e raggiungente il piano de? ferro a circa 293 m. s. ]. m.), dopo attraversata la potentissima. formazione morenica con grossi blocchi e con prevalenza, verso il basso, di quelle sabbie ed argille che rappresentano il depo- sito di morena di fondo, non incontrò più il tipico Dilwviunz, ma, verso i 312 m. s. L m., dopo tagliato un banco di circa 80 centim. di sabbia giallastra compatta, entrò senz’altro nelle sabbie marnose grigie del Piacenziano. Ciò ci prova che la for- mazione diluviale di questa regione andò rapidamente assotti- gliandosi da ovest ad est, cioè come al solito nell’insinuarsi sotto al concentrico morenico, e probabilmente in gran parte a causa dell’erosione prodotta dallo avanzarsi esportante dell’an- tico grandioso ghiacciaio plistocenico. Tali fenomeni geologici costituirono nel lavoro in galleria un nuovo stato di cose, e quindi vennero mutate le condizioni geoidro- logiche che dovettero ben presto far sentire le loro dolorose con- seguenze dal punto di vista pratico. Infatti siccome le marne sabbiose compatte del Pliocene sono quasi impermeabili, le so- vrastanti formazioni moreniche (accogliendo l’acqua scendente dall’alto e non potendola smaltire verso il basso) si presentano molto umide, anzi qua e là affatto inzuppate d’acqua; ciò spe- cialmente nella parte inferiore (0 morena di fondo costituita in gran parte di materiali piuttosto fini, fra cui sono sparsi irrego- lari blocchi ciottolosi) ed in speciali zone irregolari funzionanti quasi da locali borse argilloso-sabbiose eminentemente acquifere, quindi poltigliose e perciò instabili al sommo appena viene disturbato l’equilibrio in cui esse si trovano, nella massa col- linosa. A ciò si aggiunga che, mentre sul margine esterno (in questo- caso occidentale) dell'Anfiteatro morenico le acque di precipita- zione meteorica hanno in generale abbastanza facile, e quindi rapido, deflusso verso il basso, invece sul lato interno dell’Anfi- teatro (in questo caso verso est) dette acque superficiali si ra- dunano in parte in depressioni intermoreniche e quindi, lenta- mente filtrando verso il basso, vengono ad imbibire largamente: e copiosamente i terreni soggiacenti. LA GALLERIA FERROVIARIA DI GATTICO loto, Nella regione in esame vediamo appunto che andando da Gattico alla conca del Lago Maggiore si incontrano numerose depressioni (fra cui massima quella che costituì la Valle del Rese, ma per noi più interessanti le prime od occidentali) gia- centi fra allungati rilievi collinosi, come quelli di Gattico, C. Si- monetti, S. Martino, C. Motto d’Ornino, C. Santini, Muggiano, Il Costone, C. Lagoni-C. Cuchetta, Dormello, ecc. Anzi alcune di tali depressioni costituironsi in vere conche lacustri, come appunto il Lagone di Dormello ed un piccolo laghetto situato poco ad Est di Gattico, laghetto che con apposito canale di ‘scarico venne prosciugato appunto a fine di diminuirne i perniciosi effetti idrologici nei lavori sotterranei. Ad ogni modo le condizioni oroidrografiche esterne, unita- mente alle cangiate condizioni geoidrologiche interne, dovevano necessariamente produrre gravi conseguenze nella lavorazione ‘sotterranea della collina di Gattico nel suo lato orientale. Infatti proseguendo la Galleria ad Est del Pozzo N. 3, essa venne ben presto ad intaccare la base della formazione more- nica coi conseguenti smottamenti in piccola e grande scala, sco- scendimenti lenti o rapidi, spinte formidabili (rese ancor più dannose per l’irregolarità prodotta dai massi rocciosi inglobati caoticamente nelle sabbie argillose) e talora vere colate fangose, come p. es. la grandiosa scarica subitanea che si verificò circa 277 m. ad est del fondo del Pozzo 3, riempiendo rapidamente la galleria per quasi 150 m. dalla fronte di attacco, mentrè con- seguentemente sprofondamenti paurosi si verificavano alla su- ficie del terreno collinoso sull’asse della galleria in escavazione; tale escavazione riusciva naturalmente non solo straordinaria- mente difficile, pericolosa e lentissima, ma anche enormemente ‘costosa, tanto più che per lunghi tratti si dovette ricorrere a cu- nicoli laterali per girare le straordinarie difficoltà incontrate nella regolare fronte di avanzata. Nè naturalmente procedeva meglio l’escavazione della gal- leria di Gattico dal suo attacco orientale. Infatti il Pozzo N. 4, profondo circa 40 m. ed attraversante soltanto la formazione morenica, giacchè non incontrò traccia di Diluvinim nè raggiunse più il Piacenziano, oltre alle difficoltà solite incontrate in tale terreno, intaccò verso i due terzi della discesa una zona sabbioso-argillosa, acquifera, instabilissima, per modo che gli sprofondamenti gravi e continui produssero la 60 FEDERICO SACCO completa ostruzione del pozzo stesso, obbligarono l’impresa ad abbandonarlo ed a scavarne a poca distanza un altro che si andò pure ostruendo e si dovette quindi infine abbandonare dopo gravi, costosissimi e pericolosi sacrifizi fatti per man- tenerlo. All’imbocco orientale la galleria, iniziatasi sin dal 1902, subi pure fortunosissime vicende appunto per essere escavata com: pletamente, sin oltre il Pozzo N. 4, come già accennammo, in terreno morenico costituito di materiale’ sabbioso-ghiaioso-ciot- toloso grigiastro o grigio-giallastro, caoticamente disposto, spesso. molto acquifero e quindi facilissimo a franare, commisto con zone (spesso inclinate leggermente verso ovest) e lenti sabbioso- argillose, sovente imbevute d’acqua e sommamente mobili e fluenti appena se ne alteri in qualche punto o modo l'equilibrio instabile;. inoltre i blocchi rocciosi sparsi irregolarmente nella massa sab- bioso-argillosa ne rendono, come di solito, ancora più irregolari e poderose le spinte talora straordinariamente tormidabili, sia lente, sia repentine. Ecco perchè dopo essersi iniziata la galleria, all’imbocco est, coi metodi soliti, vedendosi che essa, oltre a detormarsi si an-- dava lentamente sprofondando nel terreno, si dovette ricorrere. ad un rivestimento più robusto e completo, cioè anche ad arco. rovescio. Ma dopo una settantina di metri di galleria costrutta in tale maniera, aumentando le difficoltà, si dovette infine ricorrere ad un metodo affatto speciale, per quanto straordinariamente lento: e costoso, un po’ analogo a quella dei cassoni metallici ad aria compressa usati nelle costruzioni subacquee. Cioè, senza voler scendere a descrizioni tecniche qui fuori luogo, basti accennare come: eseguita sull’asse della futura galleria, dalle vicinanze dell’imbocco est alla prossimità del Pozzo N. 4, un’amplissima. trincea, profonda 10-15 m. secondo i diversi punti, sul piano di detta trincea si posarono e poi (per mezzo di escavazione sot- terranea eseguita da una piccola squadra di operai lavoranti in ambiente ad aria compressa) si fecero lentamente e delicatamente. sprofondare nel terreno, in posizione orizzontale, speciali cassoni metallici, lunghi circa 17 m. per 8 m. di larghezza, sui quali intanto. si an'lavano gradatamente costruendo in muratura la base, i piedritti (con rivestimento di lamiera metallica per protezione ed aiuto allo scivolamento del manufatto in discesa) ed infine LA GALLERIA FERROVIARIA DI GATTICO 61 la calotta della galleria; cosi lentamente si affondavano nel ter- reno ed infine vi sparivano completamente (salvo le torri ver- ticali di servizio) queste singole tratte di galleria, finche dopo circa 20-30 metri di discesa (secondo le varie zone della trincea) esse venivano arrestate nella precisa posizione orizzontale loro rispettivamente assegnata lungo l’asse della galleria generale e collegate assieme abbattendo i provvisori tramezzi verticali divisori. I cassoni metallici rimasero naturalmente perduti sotto all'opera muraria basale sostenente il piano del ferro. Questa operazione, che si eseguì per una dozzina di tratte di galleria, aveva la durata di circa 2 mesi per il completo approtondamento e messa a posto di ciascuna tratta, essendovene però in generale due contemporaneamente in diverso stato di lavorazione. In altre e più semplici parole, la galleria di Gattico per no- tevole porzione della sua parte orientale, in causa delle pessime qualità statiche del terreno morenico, dovette essere costrutta in diverse tratte fuori terra e poi fatta sprofondare a suo posto nel terreno, con quali straordinari artifizi tecnici e con quali enormi sacrifici di tempo e di danaro è facile immaginare. Conclusioni. Dal punto di vista pratico le conclusioni della presente nota sono abbastanza semplici e chiare; cioè per le condizioni geo- idrologiche esposte schematicamente nelle pagine precedenti, ri- sultò che nella galleria di Gattico il costo chilometrico fu di circa 800.000 lire nel Dilwrinni e nel Piacenziano, ed invece di quasi dieci milioni nel Movenico; il tempo necessario per l’escavazione ed il rivestimento della Galieria fu, proporzionatamente, quasi corrispondente al costo sovraccennato. SULLA PRETESA ANTICA PRESENZA IN ITALIA DELLA DIASPIS PENTAGONA Tare. Nota del socio Prof. Felice Franceschini Quando nella primavera del 1886 nei territori di Proserpio, di Asso, di Canzo, di Caslino, di Ponte-Longone e Castelmarte furono accertati i primi punti di attacco della dannosa coccini- glia, che il mio illustre e compianto maestro Adolfo Targioni Tozzetti giudicò specie nuova che “ avrebbe chiamata, descri- vendola, Diaspis penlagona (') , nessuno seppe dare alcuna no- tizia sull'origine del nuovo malanno. Appena, dalle notizie rac- colte sul posto, si poteva ritenere che la infezione non doveva risalire a più di due o tre anni addietro. Quattro anni dopo non si era meglio informati, epperò trovandoci in pieno accordo, abbiamo, il Targioni ed io, affermato nel Bollettino della So- cietà Entomologica Italiana (7) che sull’origine della Diaspis dei gelsi non si aveva notizia di sorta, soggiungendo : “ Non è pro- babile però che ella sia specie nostrale, passata inavvertita fin. ora e ad un tratto venuta a tanta intensa manifestazione; e per trovarne forse la provenienza e la via seguita per arrivare fino a noi, converrebbe avere contezza maggiore delle piante d’altro paese, introdotte ne’ giardini, in tempo prossimo alla prima ap- parizione di essa. , Contro il nostro parere insorse recentemente il prof. Farneti con una nota. “ Intorno alla comparsa della Diaspis pentagona Targ. in Italia e alla sua origine , pubblicata negli Atti del R. Istituto Botanico dell’Università di Pavia. (1) Sullinsello che danneggia i gelsi. Lettera del prof, A. Targioni Tozzetti a Fe- lice Franceschini. Vedi Rivista di Bachicoltura, Anno XVIII, 1886, N. 11. (©) A. Targioni Tozzertr e F. Francescuini, La nuora cocciniglia dei gelsi. Bollet. Società Entomologica Italiana, Anno XXI, 1890. SULLA PRESENZA DELLA.“ DIASPIS PENTAGONA ,,, ECC. 63 La tesi che si è proposta il Farneti è senza dubbio interes- sante, e dirò anche seducente, il che mi spiega come esso siasi appunto lasciato indurre in errore: “ se invece fosse provato — egli dice — che la Diaspis pentagona esisteva in Italia fino dal principio del secolo scorso e forse del secolo xvi, ne ver- rebbe di conseguenza che non siamo di fronte all’invasione di un nuovo parassita che va diffondendosi con spaventevole ra- pidità e contro il quale dovremmo cercare nella sua patria d’o- rigine i nemici naturali per importarli da noi, onde averne de- gli alleati per rendere più facile e meno dispendiosa la lotta contro di esso..... Ne deriverebbe di conseguenza la necessità di indagare le cause, che per l’innanzi ne limitavano la riprodu- zione o ne decimavano le legioni; e ciò potrebbe spingerci alla ricerca dei mezzi di lotta o di difesa, non più tra gli insetticidi, ma nel campo della biologia. , Incominciando dalla opinione da noi espressa, il prot. Far- neti si prova a dimostrare che dall’attento esame di parecchie decine di Cataloghi degli Orticultori del Comasco e regioni li- mitrofe non risulta “ in alcun modo che essi, nel decennio 1875- 1885 abbiano introdotto direttamente piante esotiche dall’Asia, dall'Australia, dalle Americhe o da altre regioni lontane. ,, Io non contesterò la esattezza delle ricerche del Farneti, ma tengo però a dichiarare ch’egli a torto ci accusa di avere in- colpato gli orticultori comaschi della introduzione della Diaspis pentagona, perchè nè il prot. Targioni Tozzetti, nè io, non ci siamo mai sognati di tar colpa ad alcun orticultore comasco della disgraziata introduzione di questa Cocciniglia. Appena ora, che si sa essere la specie in questione conosciuta al Giappone, è permesso di sospettare per qual via essa sia arrivata fino a nol. Fu soltanto nel 1891 che si incominciò a reputare essere la Diaspis pentagona una specie asiatica: ed il merito di avere istradate le ricerche in tale direzione, devesi al signor Dusuzeau di Lione, che, riferendo sulla attività del Laboratoire delude de la soie, e sulla missione affidata all’ing. Coutagne per lo studio della Diaspis in Italia, mentre esprimeva il dubbio che questa Cocciniglia tosse originaria dell’estremo Oriente, ac- cennava di avere ricevuto nel 1889 da Hanoî un centinaio di talee di gelsi nani del Tonkino, e riferiva che molte di quelle talee portavano aderenti alla corteccia “ ces coques grises qui 64 FELICE FRANCESCHINI sont l’indice du séjour et des attaques du puceron. Les planter c’était exposer nos mriers d’étude a étre tot ou tard infestés, elles furent brùlées sans hesitation. (!) , Inoltre il Dusuzeau riferiva che un antico allievo del Collegio di Agricoltura di Tokio, il signor Miyoschi, lo aveva assicurato che la Cocciniglia del gelso era ben nota al Giappone, ma che non causava danni apprezzabili, perchè il taglio continuo dei giovani rami limita la moltiplicazione dell’insetto. “ Più o meno innocente laggiù, diceva l’illustre direttore del Laboratoire d’étude de la soie, di- venta invece dannosissima in Europa dove i gelsi, destinati ad una lunga vita, sono generalmente tenuti ad alto fusto e non subiscono che un solo taglio annuale. , Sperai allora di potere accertare subito se la cocciniglia del Tonkino fosse la stessa da noi temuta; scrissi al signor Dusu- zeau nella speranza che qualche campione delle talee di gelso venute da Hanoi tosse stato conservato nella collezione del La- boratorio, ma la risposta non corrispose al mio desiderio. Per un eccesso di precauzione proprio tutte erano state distrutte, così che mancò il materiale per la desiderata verifica. Subito però avvisai, con lettera del 9 marzo 1891, il Mini- stero di Agricoltura di quanto aveva detto il signor Miyoschi al Dusuzeau, ed il Ministero con sua nota del 16 detto mese, mi assicurava di avere prontamente interessato il Ministero degli Affari Esteri affinchè per mezzo del nostro rappresentante nel Giappone, si potessero avere alcuni rami infetti dalla Cocciniglia di colà. Intanto nell’istesso senso avevo pure interessato il si- gnor Dusuzeau. E poichè con vera sollecitudine il R. Ministro italiano al Giappone corrispose al desiderio nostro, sul finire del 1891 la R. Stazione di Entomologia Agraria di Firenze riceveva parec- chi trammenti di ramoscelli di gelso conservati in alcool; e su questi il prot. A. Targioni Tozzetti potè ben riconoscere “ la Diaspis penlagona dei due sessi, con distribuzione e forme per- fettamente simili a quelle colle quali sul gelso si trova fra noi. Solamente le femmine meno avanzate nella maturità, erano piuttosto obovate che pentagonali, giallastre non brune, mentre poi corrispondevano tutti i più minuti caratteri, fra gli altri (1) Laboratoire d'etude de la Sow. Rapport présenté è la Chambre de commerce de Lyon, 1889-1890, pag. XV et XVI, Lyon, 1891, NI SULLA PRESENZA DELLA ‘ DIASPIS PENTAGONA ,,; ECC. 65 quelli delle squame piliformi, lunghette, lamellose, semplici, in- cise e fimbriate sui margini del pigidio; che è terminato poi nell’apice da un incisione in mezzo a due palee grandi, brevi, trilobate, avvicinate tra loro e che sono più colle forme gene- rali, i caratteri più spiccati della specie in esame , (!). Inoltre il signor Dusuzeau nel luglio 1892 cortesemente volle favorirmi parte di un campioncino di gelso infetto venu- togli dal Giappone; così io pure potevo accertare la identità della specie giapponese, con quella che già troppo rapidamente an- dava difondendosi nelle nostre campagne. E ormai — se non erro — è da tutti ammesso che la Diaspis pentagona Tar. Tozz. è la stessa cocciniglia che venne da altri descritta sotto diversi nomi: Diaspis amygdali Tryon, D. lanatus Morg. e Cokll D. patelliformis Sasaki. Il prof. Farneti sostiene in una sua seconda nota non essere ammissibile che la forma giapponese “ la Diaspis patelliforitis introdotta recentemente in Italia vi si sia trasformata immedia- mente nella perniciosa Diaspis pentagona , (*). Ma è evidente che tale tesi non è sostenibile perchè è co- mune l’esempio di specie che fuori della loro patria mostransi assai più dannose che nel paese dal quale furono importate ; non foss’altro pel fatto indiscutibile che non sempre sono nella emigrazione accompagnate dalle specie nemiche (parassite e pre- datrici) che nella patria ne frenano lo sviluppo, e di conse- guenza ne limitano i danni. Intanto, però sappiamo dal signor Miyoschi che se al Giap- pone la Diaspis pentagona non causa danni apprezzabili è an- che perchè il taglio continuo dei giovani rami limita la molti- plicazione dell’insetto ; e questa spiegazione trova una preziosa conteriaa nelle notizie, tradotte dal giapponese, che accompa- gnavano i rami di gelso trasmessi dal Ministro di Agricoltura al compianto prot. A. Targioni Tozzetti. L’insetto al Giappone trovasi dovunque vi sono dei gelsi, ma solo osservasi che in al- cune località abbonda, e in altre no; e ciò dovrebbesi a circo- stanze diverse di terreno e di coltura. Scarseggiano sui gelsi che (!) Targioni TozzertI, Sulla provenienza e diffusione del nuovo pidocchio del gelso Diaspis pentagona T. T.) in Italia. Bollettino di Notizie Agrarie, 1892. Rivista di Ba- chicoltura, Anno XXIV, N. 26, 1892. (2) R. FARNETI, Risposta alla nota del prof. G. Leonardi “ Sulla pretesa antica pre- senza in Italia della Diaspis pentagona Targ., Pavia, novembre 1905. 66 FELICE FRANCESCHINI si tagliano al piede ogni anno, mentre sui gelsi che si tagliano all’altezza di 1 o 2 shakus (1 shakus = 33 centimetri) sopra il suolo, se ne trovano molti, e sui gelsi che si lasciano senza ta- glio ne di rami ne del tronco, soltanto sfrondandoli ogni anno, gli insetti vi sono anche in maggior numero ('). Provata così l’origine giapponese della Diaspis pentagona, come ho già detto è ora permesso di sospettare per qual via possa essere venuta nel nostro paese. Basterà ricordare che dal 1865 al 1885 vennero fatti da parte dei semai italiani che ogni anno si recavano a Yoko-hama per l’acquisto di cartoni seme bachi, molti tentativi di importazione di gelsi dal Giappone, perchè molti agricoltori allora giudicavano necessario di intro- durre con le varietà giapponesi del Bombice anche le varietà di gelsi coltivate nell'Impero del Sole nascente. Ecco perché, già nel dicembre scorso nell’ Agricoltura mo- derna ho scritto che è per me, più che probabile, certo, che la Diaspis pentagona sia stata introdotta in Italia, e precisamente in uno o più punti dell'Alta Valle del Lambro, con alcuno di quei gelsini giapponesi. Ebbe ragione il signor G. Coutagne di ‘scrivere nel 1891: on doit s’attendre a découvrir un jour la Diaspis pentagona dans quelque pays lointain; on saura seule- ment alors d’où nous est venu ce fàcheux présent (?). Ma il sig. Farneti ha esposto un’altra ragione a sostegno della (1) Riporto testualmente le notizie che accompagnavano l’invio dei ramoscelli trasmessi al nostro Governo dal R. Ministro al Giappone : “Il n’y a aucun endroit où l’on ne voit pas ces insectes sur les miiriers, mais il y a plus ou moins de difference quant à la quantité, et cela dépend du courant d’air bon ou mauvais du terrain placé en haut, ou en bas, du nombre des mùriers et de la maniére de tailler les mùriers. “ Il n’y a que peu d’insectes dans un endroit qui a un bon courant d’air, mais dans un endroit contraire il y en a beaucoup. “ Il n’y a pas beaucoup d’insectes dans un terrain élevé, mais dans un placé en bas, il y en a beaucoup. “ Il n’y a pas beaucoup d’insectes non plus dans les terrains plantés à mùriers clairsemés, mais dans les terrains où l’on y a fait un grande plantation, il y en a beaucoup. “ Dans les mùriers qu'on coupe avec les branches et les feuilles & la part pres -de leur racines, chaque année, à la saison des vers-à-soie, on ne trouve pas beaucoup de ces insectes; mais dans les mùriers qu’on coupe à la hauteur de 1 o 2 shakus (1 shakus = 33 centimétres) de terre, où en trouve beaucoup, et dans les mùriers ‘qwon laisse sans leurs couper ni branches ni troncs, en prenant seulement leurs feuilles à chaque année il y ena beaucoup plus., V. Rivista di Bachicoltura, Anno XXIV N. 26, 1892., ; (2) Le nowveau parasite du mùrier (Diaspis pentagona). Rapport è la chambre de «commerce de Lyon par M. Grorers Couraene. Lyon, 1892. SULLA PRESENZA DELLA ‘ DIASPIS PENTAGONA ,,, ECC, 67 sua opinione, e questa egli ha cercata in una Relazione pel 1837 dell'osservatore agrario Bernardino Angelini, inserita nelle Me- morie dell’Accademia d’Agricoltura Commercio, ed Arti di Ve- rona (') dove discorre : “ Del Succiamoro o Chermes del Gelso. ,, ‘Confesso che leggendo la descrizione data dall’Angelini mi sono meravigliato che un esperto osservatore quale è il prof. Far- neti abbia potuto riconoscere nel Succiamoro dell’agricoltore veronese la oramai troppo nostra Diuspis pentagona! E la mia meraviglia è anche aumentata, vedendo che nè meno la saggia critica del professore G. Leonardi (?) sia bastata a convincerlo dell’errore nel quale è caduto. Tanto che non saprei come meglio ‘combattere l’opinione ed il giudizio del prof. Farneti altro che riportando fedelmente dall’istessa memoria di quest’ultimo, lo scritto dell’Angelini, sufficiente per nettamente chiarire che l’in- setto descritto non è altro che il Lecaniuni persicae Signoret 0 L. cymbiforme Targioni. “ Non è a mia notizia — scriveva l’Angelini — che alcuno ‘entomologo abbia data la storia e descrizione dell’insetto singo- lare che attacca la preziosa pianta del gelso. Spetta alla classe degli emitteri il genere Cherines, e della specie di cui trattasi io non conobbi che la femmina la quale è attera, ed altresì at- fine nelle forme e nelle proporzioni alle femmine delle coccini- glie dell’ulivo e della vite. Le sue corte zampe la rendono lenta al movimento, e bastano per tenerla aderente alle foglie o cor- tecce. Il maschio è ignoto, e dovrebbe per analogia essere alato. Dopo la fecondazione, alla femmina s’ingrossa il corpo e muore. Le uova dischiudonsi in gran numero sotto il cadavere materno che le copre e che figura nello stato di vita una specie di galla ‘© di escrescenza vegetale sulle corteccie dei rami. Gli anelli «dell’adomine sono distinti avanti la fecondazione, dopo si sten- dono per lo sviluppo delle uova in una sola massa globosa, nè ‘alla superficie appaiono menomamente traccie delle prime divi- «sioni degli anelli. Da un uovo tondo minutissimo nasce il no- vello, che si affaccia lucido e semidiafano, e cammina anche ‘agile durante la giovane eta. Le femmine crescendo si fissano ‘e si accollano sui rami luna all'altra. Succhiano l'umore nu- tritivo senza più cangiare di sito dopo la fecondazione e persino (1) Vol. XVI, MDCCCXL, pag. 233. (2) G. LEONARDI, Sulla pretesa antica presenza in Italia della Diaspis pentagona Targ. Rivista Agraria. Napoli, Anno XV, N. 44, ottobre 1905. 655 FELICE FRANCESCHINI coprendo la figholanza che nella morta spoglia sembra nei primi momenti porre il suo nido. , Mi fermo qui; è inutile riferire il resto dello scritto del- l'osservatore veronese, e tutt’al più, ripeterò con lui, che nel Mantovano queste femmine si chiamano cappe e i nostri conta- dini le appellano piattole. (1) Io non saprei immaginare una migliore descrizione di un: Lecanium, mentre nulla trovo che possa riferirsi ad una Diaspis.. E non esito, come ho detto, a riconoscere trattarsi proprio del Lecuniuini persicae. La femmina è attera, dice l’Angelini, ed altresì affine nelle- forme e nelle proporzioni alle femmine delle cocciniglie del- l’ulivo e della vite. E certamente assomiglia a quella dell’ulivo, ma più ancora a quella della vite, perchè è la stessa specie che: Réeaumur ha descritto sotto il nome di Gallinsectes du pecher en forme de bateav (7), e ormai ognuno sa che la cocciniglia così bene descritta da quest’autore è precisamente il Lecanin persicae, e che questo vive pure sulla vite e sul gelso. Che l’insetto sia lento al movimento e che le sue zampe ba- stino per tenerlo aderente alle toglie e corteccia, è altro carat- tere dei Lecaniun e non delle Diaspis. Le Diaspis intatti non camminano che nei soli primi giorni di vita, ed allora sono tutt'altro che lente al movimento. Poi con la muta perdono le zampe, e le femmine più non si muovono. I maschi si muove- ranno quando avranno raggiunta la forma adulta, rimettendo- zampe e spiegando ali. Ma il maschio è ignoto, dice l’Angelini. Oh! se si fosse trattato della Diaspis pentagona i maschi non gli sarebbero stuggiti, perchè non è quasi possibile vedere. un albero colpito da questa specie, senza osservare che i maschi sono forse anche più numerosi delle femmine. Ma l'osservazione dell’Angelini riguarda il Lecaniuni per- sicae, e perciò gli si può credere, perchè i maschi di questa. cocciniglia, benchè Réaumur li avesse gia bene osservati e de- scritti, stuggirono all'osservazione di molti altri e sono davvero rarissimi; e nessuno vorrà perciò criticare lo studioso veronese (1) Dice il Massalongo che molte cocciniglie in veronese hanno il nome volgare di cappeta e di barchetta. (2) Reaumur, Mémoires pour servir a Vhistoire des insectes. Paris MDCCXXXVIII,. Imprimerie Royale, Tome IV, SULLA PRESENZA DELLA ‘' DIASPIS PENTAGONA ,,, ECC. 69 non foss’altro pensando che anche 1’O. G. Costa nella sua Fauna del Regno di Napoli (*) credette di poter negare le osservazioni di Réaumur, così che per mostrarsi benevolo verso i naturalisti posteriori che si sono acquietati sulle assertive di questo grande ‘osservatore “ ed hanno — scriveva O. G. Costa — tenuto per fermo ciocché Réaumur ha credulo vedere ,, finì col dire “ che facendo attenzione all’organizzazione eterogenea e svariata di questo presunto maschio, si resta agevolmente convinto dell’as- surdità di tale divisamento ....... in una parola il maschio delle cocciniglie, per le sole pochissime specie delle quali si presume essere noto, è un proteo, anzi un essere indefinibile. ,, È mo possibile che descrivendo con tanta cura la femmina del suo Succiamoro l’Angelini, se avesse avuto sott'occhio, come vorrebbe il prof. Farneti, la Diaspis pentagona, è mo possibile, dico, che non potesse di notare che essa sta riparata sotto uno scudo grigiastro che la nasconde completamente e che le serve di difesa ? Invece l’Angelini queste femmine, ben si capisce, le ebbe ‘sott'occhio nude, e così ha visto “gli anelli distinti dell’adomine avanti la fecondazione ,,; poi ha visto che si stendono per lo sviluppo delle uova in una sola massa globosa, e ci dice che le uova dischiudonsi in gran numero sotto il cadavere materno che le copre e che figura una specie di galla...., persino coprendo la figliolanza che nella morta spoglia sembra nei primi momenti porre suo nido. Così fanno i Lecanium, ma assolutamente così non usano le Diaspis che invece abbandonano le uova intorno al loro corpo, di modo che uova e femmina hanno eguale ri- paro e difesa nello scudetto. Leggendo l’Angelini pare quasi di vedere tradotto un brano del Réaumur, dove sempre parlando del Lecarniuni persicae, dice: “ c'est son propre corps que le gallinsecte employe pour ‘couvrir les ceufs; son corps leur tient lieu d’une coque bien close; elle ne les laisse pas un instant exposés aux impressions de l’aire, elle les met parfaitement a l’abri, elle les couve, pour ainsi dire, des l’instant où elle vient de les pondre.... de sorte que le gallinsecte méme après étre perie, est utile soit a ses eufs, soit a ses petits; elle les couvre encore alors avec son corps, qui se dessèche sans tomber en pourriture ,, (*). (1) Famiglia de’ Coccinigliferi o de’ Gallimelli, pag. 3. (?) Reaumur, Op. cit., Tom. IV, pag. 13. 7O FELICE FRANCESCHINI - SULLA PRESENZA, ECC. A me sembra che il prof. Farneti non abbia torse ancora avuto occasione di osservare femmine adulte di Lecanium per- sicae, perchè diversamente non negherebbe a queste una forma globosa, che per nulla proprio ricorda la torma giovane, de-- pressa, di battello capovolto, con carena longitudinale promi- nente, come egli evidentemente ritiene sia carattere costante: delle femmine dei Lecanium. E ne meno vale l’altra osservazione del Farneti che rileva. come l’Angelini non accenni affatto alla secrezione amorfa e alla secrezione filamentosa, talora in forma di cuscinetto, di aspetto: cotonoso nel quale si accoglieranno le uova, perchè se questi caratteri si addicono alla sottotamiglia dei Lecaniini, non è detto che nel Lecaniunr persicae la secrezione sia tanto abbon- dante come in altre specie. Réaumur accennava a questa secre- zione, dicendo: “ il posto dal quale si levano gli insetti — parlava evidentemente delle femmine adulte — appare come tappezzato d’una materia cotonosa ,. Epperò è noto che dal Lecanium, vennero dal Targioni tolte alcune specie che a lui servirono per costituire il suo genere Pulvinaria (!), specie che: hanno precisamente per carattere l'abbondante cuscinetto di se- crezione di aspetto cotonoso, in forma di cuscinetto, nel quale: vengono deposte le uova, come si vede assai bene p. es. nella Pulvinaria vitis, e nella Pulvinaria linearis. Anzi qui mi viene l’opportunità di notare che è precisa- mente alla Pulvinaria vitis che si riferiscono le chiare indi- cazioni che il prof. Farneti ha esposte discorrendo della Cocci- niglia della vite, come di insetto bene conosciuto dall’ Angelini.. Milano, dal Laboratorio di Entomologia Agraria, 3 febbraio 1906. (!) Pulvinari gossypiforme abdomine insidentes. Vedi Targioni TozzertI, Studi sulle Cocciniglie. Atti Soc. It. Scienze Naturali, Vol. XI, 1868, pag. 727. SUNTO DEL REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (1904) DATA DI FONDAZIONE : 15 GENNAIO 1856 Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. I Soci sono in numero illimitato, effeltivi, perpetui, benemeritt e onorari. I Soci effettivi pagano L. 20 all'anno, în una sola volla, nel primo bimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ‘ricevono gratuitamente gli Atti della Società. Chi versa Lire 200 una volta tanto viene dichiarato Socio perpeluo. Si dichiarano Socî benemeriti coloro che mediante cospicue elar- gizioni hanno contribuito alla costituzione del capitale sociale. A Soci onorarî possono eleggersi eminenti scienziati che contri- buiscano coi loro lavori all’incremento della Scienza. La proposta per l’ammissione d'un nuovo socio effettivo 0 per- petuo deve essere fatta e firmata da due soci mediante lettera diretta al Consiglio Direttivo (secondo l'Art. 20 del Regolamento). Le rinuncie dei Soci effellivî debbono essere notificate per iscritto al Consiglio Direttivo almeno tre mesi prima della fine del 3° anno di obbligo o di ogni altro successivo. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Atti ed alle Memorie non si possono unire tavole se non sono del formato degli Alli e delle Memorie stesse. Tutti i Soci possono approfittare dei libri della biblioteca sociale purchè li domandino a qualcuno dei membri del Consiglio Direttivo 0 al Bibliotecario, rilasciandone regolare ricevuta e colle cautele d’uso volute dal Regolamento. Gli Autori che ne fanno domanda ricevono gratuitamente cin- quanta copie a parte, con copertina stampata, dei lavori pubblicati negli Ali e nelle Memorie. Per la tiratura degli Estratti (oltre le dette 50 copie), gli Autori dovranno rivolgersi alla Tipografia sia per l'ordinazione che per il pagamento. INDICE DEL FASCICOLO I Khe Crh se ars CRIP An rn eee ig te ee RR APERTI AP MIO I 0 SR 4 Consiglio Direttivo pel 1906 . pag. I 6 Elenco dei Soci. Ie eri 1 Istituti scientifici corrispondenti POSSA GUI: i Seduta del 19 novembre 1905 » XVII ? Seduta del 17 dicembre 1905 9 RX Seduta del 4 febbraio 1906 Rie © 4 : Seduta. dell’11 marzo 1906. so ARI | C. TERNI, Esoflalmia epizootica nei pesci .. . . pag. 1 : R. BRUNATI, Osservazioni stratigrafiche sul gruppo i dell’Albenza e sue falde meridionali . 1:94 A VITTORIO Pavesi, Elenco di piante dell’alio Apennino È pavese : earn: pi 46 Frepertco Sacco, Lu galleria ferroviaria di Gattico 100 4 FELICE FRANCESCHINI, Sulla pretesa antica presenza in : Italia della Diaspis Pentagona Targ.. ni 302 f 4 È NB. Ciascun autore è solo responsabile delle opi- — di nioni manifestate nei suoi lavori, e ne conserva la. è | i proprietà letteraria. E a j : A ATT I DELLA SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI E DEL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO VOLUME XLV FascIicoLo 2° — FoGLI 4!/, (Con una tavola) MILANO TIPOGRAFIA DEGLI OPERAI (SOC. COOPERATIVA) Corso Vittorio Emanuele 12-16. Acosto 1906. Per la compera degli ATTI e delle MEMORIE rivolgersi alla Segreteria della Società, Palazzo del Museo Civico di Storia Naturale, Corso Venezia. L'invio dei singoli fascicoli ai Soci e Corpi Scientifici vien fatto colla Posta. CONSIGLIO DIRETTIVO PEL 1906. Presidente. — ARTINI Prof. ETTORE, Museo Civico. Vice-Presidente. — Besana Ing. Cav. GiusePPE, Via Torino 51. Segretario. — DE-ALESSANDRI Dott. GIULIO, Muse@ Civico. Vice-Segretario. — RepossiI Dott. EMILIO, Museo Civico. Archivista. — CASTELFRANCO Prof. Cav. Pompso, - Via Principe Umberto 5. ioe BeLLOTTI Dott. Cristororo, Via Brera 10. MAGRETTI Dott. PaoLO, Foro Bonaparte 76. SALMOJRAGHI Prof, Ing. Cav. FRANCESCO, Piazza Castello 17. SE: ViGNoLI Cav. Prof. Tito, Corso Venezia 89. Consiglieri. — Cassiere. — VILLA Cav. VITTORIO, Via Sala 6. Bibliotecario sig. ERNESTO PELITTI. I CIECHI DELL’INTESTINO TERMINALE DI COLYMBUS SEPTENTRIONALIS L. CON RAGGUAGLI COMPARATIVI E CONSIDERAZIONI per il socio Dott. Alfredo Corti Assistente al Laboratorio di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparate della R. Università di Parma (con 4 figure) Nella seconda metà del mese di novembre del 1905 il Museo di Zoologia dell’Università di Parma si arricchiva di un bellissimo esemplare maschio di Strolaga minore (Colyiibus septentiio - nalis L.). Catturato vivente e in buone condizioni lungo uno stradale nei pressi della città, era stato facile preda per la difficoltà che tali animali hanno di alzarsi a volo quando siano posati su ter- reno piano su cui si muovono a stento, procedendo non a passi o a salti ben diretti, ma a balzelloni, con l’aiuto delle ali. Le zampe, situate molto posteriormente, mentre servono loro di facili ed ottimi propulsori nell'acqua, male reggono sul terreno il corpo che quindi si appoggia con la regione toracica al suolo. L'individuo che ci interessa, portato in laboratorio, non appa- lesò nè vivente, nè più tardi alla sezione, alcuna lesione rileva- bile. Si mostrava non eccessivamente timoroso, accoglieva in sulle prime le carezze, nè tentava la fuga; sembrava non avesse coscienza che quanto lo attorniava potesse rappresentare un peri- colo alla sua libertà e integrità. In una vasca acquario del Laboratorio ove vivono diversi animali, pesci e anfibi e numerosi invertebrati di vario tipo, nonchè vegetali, alghe e polloni di Elodea canadense, si accontentò di bere abbondantemente, assaggiando solo qualche pezzo di vege- tale, e non curandosi assolutamente di qualunque cibo animale 2 2, ALFREDO CORTI gli venisse offerto. Dopo una giornata di cattività cominciò a mostrarsi diffidente, emettendo, quando era avvicinato, un grido molto stridulo e sgradevole, e rispondendo alle carezze con colpi di becco vibrati con poca forza, e debole era la stretta della ranfoteca poco robusta. Morì al terzo giorno di cattività, forse per fame. Alla sezione, come già dissi, non osservai lesioni organiche rilevabili al semplice esame macroscopico dei visceri; solo nella parte posteriore del lume intestinale rinvenni alcuni grumi di sangue. Nella meta anteriore del tenue vivevano numerosi indi- vidui di un cestode, il Prosthecotyle (Tetrabothrium) megaloce- phala Rud., comunissimo, per indicazione del prof. Parona, nei colimbi e uccelli affini. Il pannicolo adiposo era discretamente abbondante. Il Museo ne conserva la spoglia. Misura dalla punta del becco all’apice della coda cm. 58. Io ne esaminai con cura l’organizzazione e ne preparai alcuni visceri. In questa nota espongo i risultati delle mie osservazioni sulle due appendici cieche dell'intestino posteriore, avendovi riscontrati alcuni fatti notevoli nella loro forma e struttura; specialmente in riguardo alle cognizioni nostre dell’anatomia comparata di tale tratto dell’intestino degli uccelli. Conformazione esterna ed interna dei diverticoli ciechi dell’intestino posteriore. — Vasi. Ai lati dell’intestino del Colimbo settentrionale, a non molta distanza dalla estremità terminale, sono innestate pressochè sim- metricamente due porzioni di tubo, due diverticoli a fondo cieco. Giacciono in un medesimo piano col tratto di intestino fra loro decorrente, e sono situati in modo che i loro assi maggiori fanno un angolo acuto, di circa 20°, con l’asse maggiore di tale tratto intercluso di tubo digerente. Con questo sono collegati per tutta la loro estensione dai due foglietti peritoneali del mesenterio, nonchè per altri rapporti che esporrò più oltre. Al punto di origine dei ciechi, 0, in altre parole, al punto della loro inserzione sul tubo intestinale, non è dato rilevare alcun apparecchio, valvolare o di sfintere, che possa regolare o ostacolare l’ingresso o Vuscita di materiali; solo si nota una leg- giera diminuzione del calibro interno. I CIECHI DELL’INTESTINO TERMINALE, ECC. 13 Hanno forma grossolanamente rettilinea, e cioè non presen- tano alcuna ansa o piegatura. Il punto e il modo di confluenza dei due diverticoli è sim- metrico, completamente indipendente per ognuno dei due, gia- cente per entrambi ad uno stesso livello e in posizione simile rispetto al piano mediano antero-posteriore del tubo intestinale. Sono invece evidentemente asimmetrici nella loro forma, e cioè il diverticolo cieco del lato destro non ripete esattamente le linee del cieco del lato sinistro. Nè identiche sono le dimensioni. Il diverticolo cieco del lato sinistro è il più lungo e il più sottile; ricorda la forma di un lungo dito di guanto. Misura nel suo massimo asse, 0, per meglio fissare i punti di misura, dall’origine del suo lato interno all’apice mm. 46, e man- tiene un diametro medio, calco- lato sempre all’esterno delle pa- reti, di circa mm. 7, misurando mm. 4-5 presso l’apice, mm. 6,5 al terzo distale, mm. 7,5 al terzo medio, mm. 7 al terzo prossimale. lilidecorso.-delle due pareti. non. 6 \ rig.1. = I diverticoli ciechi dell'inte. sempre perfettamente regolare stino posteriore di Colymbus sep- tentrionalis L. con l’ultimo tratto quale un tronco di cono, ma pre- dell’intestino anteriore e il primo senta qualche sinuosità, qualche del posteriore. Visti dal lato ven- lieve restringimento alternato con trale. Fu trascurato il mesenterio, È È at e vennero rappresentate le arterie porzioni piu allargate. con tubi aperti e le vene con tubi Il diverticolo cieco del lato opachi. destro è di forma più accorciata e più tozza. Il suo massimo asse, misurato come per il sinistro, è di mm. 37, con una differenza di poco meno di 1 cm. Il dia- metro trasversale medio è superiore a quello del cieco sinistro, le cifre offerte da misure condotte sul destro con metodo uguale a quelle soprariportate per il sinistro dando un diametro di mm. 7,5 al terzo distale, mm. 9 al terzo medio, mm. 7,5 al pros- simale; da ciò risulta, oltre la media superiore a quella del dia- 74- ALFREDO CORTI metro del cieco sinistro, che il destro presenta una forma piu lontana a quella del tronco di cono di quanto ne differenzi il sinistro. Anche il destro offre qualche sinuosita alle pareti. Il diametro del tratto intestinale compreso fra i due diver- ticoli è di mm. 7,5 circa. Poco al disotto della confluenza con i due ciechi è di mm. 10,5. La lunghezza totale dell’intestino del Colimbo da me studiato è di cm. 107. Il diametro esterno, maggiore nella porzione ini- ziale, si mantiene di quasi 20 mm. per il primo quinto della lunghezza totale del tubo; va man mano e regolarmente sce- mando fino ai ciechi, alla cui confluenza notasi un allargamento, e il tratto posteriore ha un diametro esterno superiore a quello della porzione immediatamente antecedente. L’intestino all'esame esterno non addimostra forti variazioni fra diverse porzioni, ma mostrasi come un tubo a superficie liscia, omogeneamente regolare e di diametro regolarmente variantesi. Le appendici ciecali del nostro Colimbo sono riccamente va- scolarizzate. Dall’arteria mesenteria inferiore dipendono i tronchi che danno rispettivamente il sangue all'una e all'altra. Nella appendice destra il vaso arterioso sale per due terzi circa della sua lunghezza in situazione mediana fra il tenue e il cieco, con questi parallelo; indi piega a destra e va ad accollarsi alla parete del cieco stesso. Dà sul percorso numerose diramazioni successive; due maggiori al terzo prossimale decorrono poi verso Valto a vascolarizzare anche il terzo medio che non ha che una breve via diretta; il terzo terminale possiede per diramazioni e per l’arborizzazione terminale dell'arteria una discreta vascola- rizzazione. Nel lato sinistro le cose avvengono in modo diverso, giacché il vaso sale tenendosi presso il tenue sino all’altezza dell’apice distale del cieco, oltrepassandolo forse anche per ripiegarsi poi ad ansa a percorrere in senso opposto un nuovo cammino paral- lelo e quasi simile al primo, cominciando anche subito a dare al cieco diramazioni distribuite con regolarità sul suo percorso. È poi notevole il fatto che i due rami arteriosi, di cui ho indicato il percorso e le diramazioni interessanti i ciechi, man- dano anche dei rami al tratto di tubo intestinale fra i diverticoli intercluso; più uniformi nella distribuzione e nel calibro al lato destro, meno ordinatamente al sinistro. La vena di destra decorre quasi sempre parallelamente alla I CIECHI DELL’INTESTINO TERMINALE, ECC. (is) arteria; con meno regolarita quella di sinistra, dove una grossa branca decorrente libera nel mesentere raccoglie le venuzze dei due terzi distali, mentre un’altra accollata alla superficie del- l'organo raccoglie il sangue del terzo inferiore che va poi sotto a fondersi con il restante. La superficie interna dei diverticoli ciechi mostrasi a un primo sguardo omogenea e liscia, cioè non possiede nè appa- recchi valvolari di sorta e nemmeno solchi o rughe ben delineate della mucosa. Quando Vorgano non è rigonfio la mucosa mostra alcune linee longitudinali di elevazione, a decorso parallelo, in numero di tre o quattro, formazioni riconducibili del resto a solite ripie- gature della mucosa gastrica o intestinale dei vertebrati dovute alla minor capacità di dilatazione e retrazione dello strato mu- coso in confronto all’areolare e al muscolare, e alla necessità quindi della mucosa di possedere una superficie avvicinabile a quella che nella maggior estensione dell’organo possono avere gli strati finitimi; col che acquista notevoli vantaggi la parte ghiandolare e assorbente potendo moltiplicare il proprio campo d’azione. Le pieghe della mucosa dei ciechi del Colimbo non sono per altro molto salienti, e nemmeno molto ben delineate tanto da assumere spiccata individualità. Siamo ben lungi, anche lasciando da parte quanto potrebbe riferirsi al numero loro, da una ras- somiglianza con quanto avviene in altri animali, con quanto ad esempio è stato descritto e figurato in proposito per il Tetrao urogallus L. (Maumus 1902). Ad occhio armato di lente a mano (ingrandimento di una decina di volte) si osserva come la mucosa sia costituita tutta, non da una superficie continuatamente omogenea, ma presenti invece tante creste, tante salienze limitate da solchi profondi. Siamo nel dominio di una mucosa intestinale dove le forma- zioni villari non hanno la individualità caratteristica propria ad esempio e specialmente dei mammiferi, e cioè di cilindri o di prismi o forse meglio di tronchi di coni o di piramidi. Ricor- dandoci le pliche della mucosa intestinale dei vertebrati inferiori regolarmente continue e prolungantisi per notevoli tratti con decorso regolare, tali formazioni in esame ci rappresentano mor- fologicamente uno stato intermedio. Sono ripiegature della mucosa di forma varia oltremodo, di 76 decorso pure vario, ma non mai molto lungo, contorte nel loro percorso spesso, bene individualizzate per le separazioni profonde dei solchi intermedi e a terminazioni arrotondate. Il loro dia- ALFREDO CORTI Fig. 2. — Superficie in- terna di un tratto della parete del cieco destro al terzo prossimale. Si vedono le pieghe della mucosa sistemate spe- cialmente in una dire- zione la trasversale. La figura venne eseguita con ingrandimento di circa 10 volte: nella ri- produzione ridotta di metro minore, il loro spessore, è general- mente contenuto alcune volte nel mag- giore o lunghezza. È importante notare che l'andamento, il decorso di tali emergenze della mucosa, di tali creste, e perciò anche il decorso dei solchi, benchè sempre irregolare e tor- tuoso si può con la maggiore frequenza ricondurre al trasversale, cioè normale all'asse maggiore dei ciechi. Costituzione anatomica. Le pareti dei diverticoli ciechi del Colimbo sono costituite dalle tonache ti- piche e caratteristiche del tubo intesti- nale, nessuna esclusa; la sierosa, la mu- cine: 7/58 scolare, la cellulare e Ja mucosa con la propria zona muscolare. Lo spessore notevole della parete complessa e quello dei singoli strati va progressivamente scemando dalla base od ori- gine dei ciechi stessi all’apice. Nella parte prossimale lo spessore complessivo della parete è di circa 125 centesimi di mm., nella media di 75, e un po’ meno verso l’apice. Dirò parlando delle varie tonache le variazioni singole. Il tratto intercluso di un intestino, poco anteriormente alla confluenza coi ciechi ba le pareti che misurano circa 175 cente- simi di millimetro di spessore, di cui oltre 100 spettano alla mucosa, circa 2 all’areolare e quasi 70 alla muscolare, mentre l'intestino posteriore, poco oltre lo sbocco dei diverticoli, ha la parete di spessore notevolmente inferiore, oltrepassando di non molto i 50 centesimi di mm., dei quali oltre 30 spettano alla muscolare, 3-4 all’areolare e soli 15 o pochi di più alla mucosa. Tonaca sierosa. — È l'esterna, ininterrotta, costituita da tessuto connettivale a elementi piuttosto grandi, talvolta disposti in strati sottili, talvolta in ammassi spugnosi entro cui decorrono I CIECHI DELL’INTESTINO TERMINALE, ECC. 77 vasi e nervi. La sua potenza è però sempre esigua da potersi ritenere quasi trascurabile nel computo dello spessore comples- sivo delle pareti. La tonaca muscolare immediatamente sottostante è costi- _tuita da due strati, uno esterno e uno interno, questo di potenza molto superiore al primo. Le fibre liscie che li costituiscono hanno due direzioni principali, longitudinali all’asse maggiore del cieco quelle dello strato esterno, trasversali o orbicolari quelle dell’interno, fatto questo corrispondente a quanto siamo soliti osservare nel tubo digerente: come pure avviene ancora qui che le fibre non abbiano direzione precisamente parallela agli assi maggiore e minore del tubo, e quindi normali tra loro, ma siano variamente inclinate. Ciò che invece è notevole nei tubi ciecali è la disposizione non continua di detti strati. Abitualmente, negli animali superiori, e nel colimbo medesimo nel restante intestino, sia la zona orbi- colare che la longitudinale hanno il tessuto loro in siffatta guisa intrecciato che continuamente decorrono, senza interruzioni, con potenza e struttura omogenea. Nella musculatura dei ciechi che andiamo studiando e spe- cialmente nello strato interno avviene diversamente. Le fibre .sono riunite a grandi zolle, a masse, a costituire dei veri fasci muscolari, quasi muscoli morfologicamente autonomi, isolati e indipendenti l’uno dall’altro. Di potenza varia, essi sono avvolti ciascuno in una capsula propria che talvolta assume potenza di un vero staterello connettivale, e che non saprei se ritenere omologa all’epimisio (Lachi) dei muscoli striati; con poca fre- quenza è dato osservare rapporti di continuità fra un muscolo e l’altro. Tale disposizione, di per sè evidente, è accertata dallo studio comparato di sezioni longitudinali e trasversali e rappresentata nelle figure 3 e 4. Si riscontra con meno evidenza nell'intestino posteriore in continuità delle zone muscolari dei ciechi, e con evidenza ancora minore nel tubo antecedente la confluenza dei diverticoli. Talvolta tutta la tonaca muscolare è in certi tratti comple- tamente arrestata. Due o più fasci contigui presentano le loro estremità tronche o smussate e lasciano tra loro un vano com- pleto, dalla tonaca sierosa all’areolare, dove per solito si ritro- vano vasi, arterie e vene, e nervi circondati da una massa di 73 ALFREDO CORTI connettivo spugnoso. Vasi minori si osservano spesso decorrere fra i fasci, senza rapporti stretti coi muscoli. Lo strato esterno, a fibre longitudinali, va assumendo nella ultima porzione dell'intestino, prima dell’inserzione dei ciechi, uno sviluppo tanto esiguo da scomparire perfino, mentre poste- riormente a detta inserzione, anche nelle prime porzioni, ha uno sviluppo non molto dissimile dall’interno a fibre orbicolari. Il maggiore sviluppo della tonaca muscolare è nel terzo prossimale delle appendici, dove lo spessore oltrepassa i 50 cen- tesimi di mm.; va decrescendo subito verso il terzo medio di poco meno della metà, e all’estremità distale lo spessore di tale strato è di circa 20 centesimi di mm. All’imbocco dei ciechi, al loro punto di inserzione sul tubo intestinale, lo strato muscolare non differenzia per i diverticoli speciale apparecchio valvolare o di sfintere. Io ho condotto sezioni longitudinali interessanti la porzione prossimale delle pareti dei ciechi e la continuazione loro nella parte posteriore dell’intestino, e sezioni comprendenti in una i tratti vicini e il punto dove le varie tonache, tornando quasi su sè stesse, risalgono dall’intestino anteriore a costruire il cieco. Nel primo caso la continuità della tonaca muscolare, e di tutti due gli strati, è omogenea, si può dire che non è assolu- tamente rilevabile il punto in cui cessa di far parte della parete del cieco per passare fra i costituenti di quella del crasso. Nel secondo caso la zona esterna dell’intestino anteriore, a fibre longitudinali, nei pressi della ripiegatura va scemando tanto da scomparire; la zona interna a fibre orbicolari mantiene un forte sviluppo, ed è composta per gran parte di numerosi fasci di non grande potenza. Verso il lume del cieco, 0, per meglio dire, in direzione parallela alla linea d’imbocco, che non è normale al- l’asse del tenue ma obliqua, non si nota alcuna differenza di sviluppo; in altri termini la linea delimitante internamente la zona muscolare decorre presso a poco anche in tal punto paral- lelamente alla esterna, nella direzione della restante parte già indicata. Nella parte del taglio che interessa la estremità della parete dell'intestino anteriore alla confluenza coi ciechi si nota un maggiore sviluppo della linea interna di delimitazione dello strato muscolare; ed è ciò la rappresentazione nella sezione di un orlo o cercine che si osserva al punto terminale dell’intestino I CIECHI DELL’INTESTINO TERMINALE, ECC. 19 anteriore ai ciechi e che costituisce un vero apparecchio di val- vola a sfintere, non molto robusto ma pur tuttavia esistente, come le sezioni accertano. In tal punto la parte della tonaca che sta più verso l’interno, cioè verso lo strato sottomucoso, è costituita per lo più da straterelli muscolari di spessore non molto grande, ma ampi, quasi a guisa di fogli, disposti col loro piano parallelamentealla superficie della tonaca. Tutto ciò dimostrando, come ho detto, l’esistenza di una formazione valvolare del tubo intestinale toglie ogni dubbio sulla inesistenza -di uno sfintere all’imbocco dei ciechi, come del resto ac- ‘certa l'esame della parete opposta, esterna, dove non troviamo assolutamente nul- la che possa anche lontana- mente indicare speciale di- sposizione in proposito. Poco oltre la ripiegatura Fig. 3. — Sezione longitudinale di parete della si ripresenta nei ciechi evi- parte terminale dell’intestino anteriore con Aente lo strato esterno della la continuazione nella EIA del cieco. Il lato destro della figura è la parte del cieco: tonaca, a fibre longitudinali, si vede, la disposizione speciale della muscu- che assume poi subito un ra- latura allo sbocco dell'intestino ; la costi- , 5 tuzione delle tonache dell’intestino e del pido crescente sviluppo. cieco. Ingrandimento e riproduzione come La tonaca sottomucosa alla figura 4. o areolare non ha abbon- dante sviluppo nei diverticoli ciechi; e tale carattere non è esclusivo per tale porzione del digerente. Nella porzione dell’intestino antecedente i ciechi la sotto- mucosa è quasi mancante e la tonaca mucosa sembra diretta - mente applicata alla muscolare. Nei primi tratti del posteriore la sottomucosa è presente, benchè non abbondante: meno di un decimo dello spessore della parete. ALFREDO CORTI Nei ciechi ha uno sviluppo discreto, circa 6 centesimi di mm. Fig. 4. — Sezione longitu- dinale di parete di cieco destro con continua- zione (nell’ultima parte inferiore) nell’intestino posteriore. Le figure 3 e 4 ven- nero eseguite con mi- croscopio Koristka,tubo a 160 mm., obb. O, oc. 2, camera chiara Abbe-A- paty, tavolino di dise- gno all’altezza del pre- parato. Nella riprodu- zione ridotte di circa ?/3. nel terzo prossimale; scende poi subito a proporzioni più modeste mantenendosi a circa 3 centesimi di mm. È costituita da grossi elementi connet- tivali riuniti a trama molto bassa, fra cui disseminati qua e là o raccolti più spesso a gruppetti, decorrono numerose dirama- zioni vasali. Vi si rinvengono sparse cel- lule linfoidi. Tonaca mucosa. — La mucosa dei ciechi del Colimbo ripete la struttura ge- nerale della mucosa intestinale: uno stra- terello muscolare proprio, indi tessuto con- nettivo disposto variamente e ricoperto a sua volta verso il Iume intestinale da una assisa continua. di cellule epiteliali. La muscolaris mucosae ha uno sviluppo discreto che si mantiene tale, proporziona- tamente a quello complessivo della parete, fin verso la estremità distale delle appen- dici. I Lo strato connettivale rappresenta morfologicamente il più importante di tutta la tonaca mucosa, poichè con le molteplici disposizioni sue da l'aspetto, l’architettura generale della tonaca stessa, dove lo strato funzionalmente più attivo e importante, l’epiteliale, non ha che rapporti passivi. Lo strato connettivale è costituito da una trama di elementi piuttosto grandi, fra cui salgono a frammischiarsi dalla mu- scolaris mucosae fibre lisce in fascetti ed isolate. Nervi, arterie, vene, linfatici vi de- corrono immersi, e tutta la trama è per- vasa da elementi cellulari a tipo linfoide, diffusi costantemente e uniformemente nello strato per tutta la sua potenza, non mai però accalcati in maggior numero in zone speciali in confronto con altre, e nemmeno mai. tanto fitti 1 CIECHI DELL’INTESTINO TERMINALE, ECC. 81 da mascherare la natura del tessuto fondamentale. Lo strato è continuo nella sua parte basale, cioè verso la muscolaris, e per una potenza maggiore o minore a seconda della zona del cieco esaminata; si differenzia poi verso il lume in processi più o meno potenti, più o meno fitti, alternati con dei solchi che nelle sezioni specialmente longitudinali delle pareti ciecali a una prima osservazione darebbero l’idea della presenza di veri villi, ma che non sono altro che Vimpalcatura interna, il corpo di quelle piiche della mucosa che ho gia descritto, e che pure potendosi riconoscere quali formazioni villari non hanno però la vera natura tipica del villo intestinale. Nell’esame delle sezioni l’aspetto è essenzialmente diverso a seconda che queste siano state condotte in senso trasversale o longitudinale al maggior asse dei ciechi. In questo secondo caso per la gia accennata prevalenza della disposizione trasversale delle sopradette formazioni villari della mucosa risulta un aspetto più omogeneo, più facilmente carat- terizzabile; l'apparenza del preparato è tale che con estrema facilità si sarebbe portati a ritenere per certa la presenza di veri villi, ben individualizzati e costituiti secondo lo schema ge- nerale di tali formazioni; poichè dalla parte basale dello strato connettivale si elevano a altezza notevole dei processi a lati sub- paralleli, più spesso ordinatamente decorrenti e disposti, varia- mente differenziati, che rappresentano le sezioni trasversali delle pieghette della mucosa; tale fatto è accertato poi chiaramente dalle sezioni in direzione normale all’asse del cieco, le quali hanno aspetto più vario che non nell’altro caso, a seconda che siano cadute su punti di maggiore o minore sviluppo delle pic- cole pliche, e che sono necessariamente assai istruttive per la conoscenza generale della parte. | La compagine connettivale costituente la base e l'ossatura delle pliche non è omogeneamente continua, ma in essa sono scavati dei tubi, veri tubi ghiandolari, di maggiore o minore frequenza, a calibro non molto variabile e tappezzati da una continua assisa di cellule epiteliali di cui dirò più oltre. La struttura dello strato connettivale, come del resto quella di tutta la tonaca mucosa, non presenta variazioni qualitative ‘essenziali nelle regioni diverse dei ciechi. Si mantiene cioè sempre la medesima con disposizioni simili e sole variazioni quantitative. Le descritte piccole pliche e i tubi ghiandolari si presentano 82 ALFREDO CORTI ancora verso l’apice con disposizione simile al resto delle pareti, solo con dimensioni minori. Qui infatti la mucosa ha lo spessore assottigliato, ridotto a circa 40-45 centesimi di mm., mentre al terzo medio è di 50-55 e alla parte prossimale di oltre 60. Nelle sezioni longitudinali dei ciechi le pliche mostrano un — diagramma piuttosto costante; qualche semplice ramificazione, qualche dilatazione o suddivisione apicale, mai però grandemente differenziate o a ventaglio o comunque, e mai con complicazioni notevoli per ampio e vario sviluppo della loro compagine. Nelle sezioni trasversali l’aspetto muta assai; è più difficile su queste il voler tentare una costruzione stereoscopica per la difficoltà di un giusto riconoscimento e assegnamento delle parti, e occorre nel rilievo e descrizione tener conto con esattezza delle direzioni di taglio, e comparare le due principali per evitare errori di in- terpretazione. Nell’intestino, anche nel tratto quasi immediatamente ante- riore ai ciechi di cui ho già indicato lo spessore complessivo della tonaca mucosa, lo strato connettivale ha, nella parte basale, uno scarsissimo sviluppo: mentre la tonaca muscolare è qui assai sviluppata, Vareolare e la parte basale della mucosa sono appena rappresentate; lo stroma connettivale è suddiviso tutto, fin quasi alla sua base, in un infinito numero di processi sottili, assai lunghi, che rivestiti dall’epitelio costituiscono villi veri e tipici nella loro forma e struttura, disposti fittamente in modo com- patto, di solito semplici, qualche volta con diramazione verso Vapice. Alla loro base quando esista una possibilità di spazio si osservano delle pliche ghiandolari e dei tubi sul tipo di quelli comuni nel cieco, ma in iscarso numero. Dopo lo sbocco dei ciechi, la mucosa dell’intestino mantiene invece uno strato continuo di discreta potenza, il quale presenta verso il lume processi sul tipo delle pliche già descritte per i diverticoli, ma qui sono più radi, meno sviluppati per potenza e per numero, come rare sono le infossature e i tubi ghiandolari nello spessore dello stroma connettivale. Nelle sezioni interes- santi in una la parte di un diverticolo e la sua continuazione nell’intestino posteriore si vede poco oltre il punto di sbocco questo sminuire rapido della complessità della mucosa. Nelle sezioni condotte sull’ultima parte dell’intestino ante- riore e insieme sulla prima dei diverticoli, e quindi in senso longitudinale a questi ultimi, la mucosa tutta ha un aspetto più I CIECHI DELL’INTESTINO TERMINALE, ECC. 83 uniforme. Solo è da notarsi per un tratto e con prevalenza verso lo sbocco del tenue un maggior accumulo compatto di stroma connettivale, carattere che può rafforzare l’idea di un appa- recchio regolatore per tale località. Nella descrizione della superficie interna della mucosa ho accennato ad alcune elevature longitudinali di non grande po- tenza che si osservano in numero scarso nello stadio di minor distensione dei diverticoli. Si formano per lo più in corrispon- denza a grossi vasi decorrenti nella tonaca areolare, e interes- sano, oltrechè questa, la mucosa. L’epitelio che in istrato continuo riveste la mucosa in ogni suo sviluppo e anfrattuosità è simile assai a quello tipico di tutto il tubo intestinale, sia anteriore che posteriore; un’assise unica di cellule cilindriche o prismatiche, innestate sul connet- tivo per la loro parte più sottile, ben individualizzabili benché la loro membrana sia esilissima, con protoplasma finamente gra- nuloso e nucleo vescicolare, tondo o ovalare, di solito situato nel terzo inferiore della cellula, con reticolo cromatinico ben netto e discretamente ricco: verso l’esterno la membrana è dif- ferenziata nell’orletto striato con bastoncini individualizzabili tanto da poter assumere quasi l’aspetto di cilia simili a quelle di epiteli vibratili. Tale tipo di cellula ricopre, come gia dissi, in istrato continuo l'interno dei ciechi, tutta la superficie della mucosa, entrando anche a tappezzare o per meglio dire a costi- tuire la parte essenziale di quelle anfrattuosità e di quei tubi che si trovano scavati nello spessore dello strato connettivale della tonaca mucosa e che si possono ritenere identiche alle cripte dell’intestino tenue. Qui gli elementi subiscono qualche modificazione nella forma per adattamento allo spazio, e mo- strano molto meno evidente l’orlo striato alla superficie esterna. Con tale tipo di cellula, che è da ritenere l’essenziale, sta alternato e frammischiato un secondo tipo, facilmente ricono- scibile a funzione mucipara e riconducibile al solito tipo di cali- ciforme che con alcune modificazioni si presenta costante in tutto l'intestino dei vertebrati. La frequenza di tali cellule, legata molto al tratto intestinale osservato, è nei ciechi maggiore nelle parti di mucosa elevate verso il lume ove si alternano con grande frequenza con tipiche epiteliali, non mancando però di presen- tarsi con abbondanza anche in fondo alle cripte e anche nei tubuli ghiandolari. 34 ALFREDO CORTI Nelle varie regioni dei ciechi non ho rintracciato una diver- sita di frequenza relativa delle due sorta di cellule. sia Ho creduto opportuno di eseguire un dettagliato esame della morfologia esterna e della struttura delle appendici ciecali del Colymbus che mi venne alle mani, perchè non sono abbondanti le notizie sicure che si hanno intorno a questi organi, e si tro- vano inoltre diffuse parecchie inesattezze tanto nelle memorie originali quanto nei trattati maggiori di Anatomia comparata. A complemento della descrizione dei miei reperti reputo quindi necessario di far seguire un esame critico di quanto di interes- sante sull'argomento venne pubblicato, sperando di eliminare con ciò alcune di tali notizie malsicure o errate, e di contri- buire con qualche idea personale alla migliore conoscenza del- l'argomento. Ragguagli comparativi e considerazioni. Se noi ci accingiamo a rintracciare negli Archivi dell’Ana- tomia comparata la storia naturale delle appendici ciecali dell’ intestino posteriore degli Uccelli troveremo spesso con meraviglia notizie incomplete e talvolta inesatte. Saremo mera- vigliati del come organi di non difficile esame siano sfuggiti ad osservatori coscienziosi od abbiano ben poco attratta l’attenzione sì da permettere che si diffondessero errori di fatti e ipotesi non rispondenti al vero. E a dimostrazione del mio asserto basterebbe che io citassi il principe degli anatomici passati, il Cuvier. Nelle sue classiche Lezioni sta scritto: “ Les coecums sont tellement accessoires au plan d’organisation de leur (des oiseaux) canal intestinal qw'ils ne servent plus essentiellement a limiter les divisions de cette partie. ,, Questa conclusione e i fatti talvolta non rispondenti al vero che il grande morfologo riporta sono tanto più inspiegabili quando si pensi che Home, nelle “ Lectures, tanto diffuse al principio del secolo decimonono aveva già ammassato una certa copia di fatti minuziosamente raccolti e di osservazioni ben condotte. È anzi da Home che possiamo ritenere iniziato lo studio della morfologia comparata dei ciechi degli Uccelli. I CIECHI DELL'INTESTINO TERMINALE, ECC. 85 È caratteristica del Cuvier l’idea, su cui anche insiste, che l'inserzione dei ciechi segni il punto di divisione fra il retto e il restante intestino, non fra la porzione tenue e la grossa come altri autori vorrebbero, e: cito ad esempio il Carus e lo Stannius. Come pure è da notarsi che il Cuvier assegnò alle specie del genere Colymbus (che comprendeva allora anche quelle riu- nite poi sotto il genere Podiceps) una sola appendice ciecale ; più tardi corresse tale suo errore, riconoscendo la duplicità dei ciechi dei colimbi; ma pur tuttavia tale sua falsa osservazione è stata riportata da autori anche recenti. Il Cuvier aveva però fatto una assai buona osservazione della mucosa dei ciechi della Strolaga maggiore, rinvenendovi delle pieghe ondulate piuttosto trasversali, la cui potenza va diminuendo dalla base all’apice dei diverticoli. È strano come una tanto ben fatta osservazione non sia stata mai considerata dagli autori posteriori. Io nella Strolaga minore ho trovato il fatto simile a quello del Cuvier descritto per la maggiore. Meckel nel suo grande trattato dedica lunga lena di lavoro all'argomento che ci interessa; ritiene condizione generalissima la presenza dei due ciechi laterali. Per gli uccelli d’acqua afferma esistere grandi variazioni di forme e di grandezza, perfino in uno stesso genere, come ad esempio enumera il caso di molte specie di Anas. Nel Colimbo (sp. ?) i diverticoli sono molto più corti che in altri, non misurando che un pollice e mezzo. I ciechi di Colymbus e di Podiceps si rassomigliano secondo VA. a quelli di Lestris, e perciò fra loro; tale osservazione cor- regge la prima errata del Cuvier che ammetteva un solo diver- ticolo per i Colimbi. Anzi, procedendo, il Meckel dà brevemente i caratteri per il genere Colymbus, ‘dove i ciechi avrebbero grossezza uniforme con ]leggero restringimento alle due estremità. Per la costituzione delle pareti il Meckel dice che negli Uccelli dove si riscontrano pieghe della mucosa dell’intestino terminale queste sono a zig-zag e longitudinali, mentre la su- perficie interna dei ciechi è abitualmente liscia, oppure in certi casi presenta villosità, anche assai lunghe (cigno) ma solo nelle parti prossimali. Per il Colimbo descrive villosità lunghe e ser- rate nel tenue, diminuenti di volume dall’innanzi all’indietro, essendo al contrario l’intestino grosso e i ciechi intieramente lisci. 86 ALFREDO CORTI Contro tali asserzioni noi possiamo richiamarci le osserva- zioni fatte sul Colimbo nostro, dove l'intestino terminale ha la mucosa provvista di pieghe, ma queste sono brevi, ondulate e sopratutto trasversali, mentre i ciechi non hanno villi veri in alcuna porzione, ma viceversa le assai fitte piccole pliche rico- prenti tutta la loro superficie interna. È anche degna di nota una forte contraddizione in cui il Meckel cade proprio a proposito degli uccelli che ci interessano. A pag. 216-217 dice lA. che l’organizzazione del Colimbo per ciò che concerne l’intestino tenue è la stessa che quella della Procellaria antecedentemente descritta, dove su tutta la super- ficie della mucosa si trovano, invece che valvole come in altri uccelli, villosità lunghe, serrate, diminuenti di volume dall’in- nanzi all'indietro; l'intestino grosso e i ciechi al contrario in- tieramente lisci. — A pag. 220 invece si legge: “ Le canal inte- stinal du plongeon (Colymbus) montre dans son commencement des replis longitudinaux et ondulés, se transformant postérieure- ment en villosités considérables, qui couvrent, indipendamment des autres portions intestinales la face interne des coecums. , Fra tale disparità abbiamo visto che le mie osservazioni por- tano una conoscenza nuova, diversa dalle due opposte di Meckel. Stannius, come ho già accennato, interpreta come l’inizio della porzione grossa dell’intestino il punto di inserzione dei ciechi. Nota per primo il fatto, e la disposizione da me descritta nel Colimbo è di conferma, di una debole salienza circolare, che talvolta (?) VA. dice mutarsi in vera valvola, alla faccia interna dell’intestino al punto di passaggio del tenue col grosso. Ammette come generale la presenza di due ciechi; e a pro- posito della descritta unicità del Colimbo la riferisce a caratteri individuali. L’intestino grosso per lo Stannius mostrerebbe negli uccelli villosità abbondanti alla sua parte superiore, mentre in- feriormente o anche in tutta la sua lunghezza, a seconda delle specie, si troverebbero pliche longitudinali e trasversali. I re- perti miei del Colimbo almeno in gran parte possono riferirsi a quanto è sopra detto, mentre non dimostrano d’altra parte come sia carattere generale la asserzione dell’A. che la superficie in- terna dei ciechi degli uccelli abbia la mucosa provvista di rare villosità. In tempi successivi e per animali vari nuove osservazioni si andarono accumulando specie per opera di Garrod, Forbes, ) (0 0) I CIECHI DELL’INTESTINO TERMINALE, ECC. fi Beddard i cui risultati sono apparsi in numerose note in Pro- ceedings della Società Zoologica di Londra. Nei trattati recenti e di maggior peso non troviamo ancora grandi fonti di notizie. Il Perrier con brevi e non troppo ben definite notizie porta esempi di vario sviluppo e di mancanza dei ciechi, e non ac- cenna ad alcuna maggiore o minore importanza morfologica o funzionale. Il Wiedersheim in modo pur breve ma più felice riassume le varie modalità con cui i ciechi dell’intestino posteriore degli uccelli si mostrano o prendono sviluppo, e con molta proprietà accenna all’importanza che i ciechi possono avere nelle funzioni digestive. Oppel nella seconda parte della sua grandiosa opera sul- l'anatomia microscopica dei vertebrati riporta con grande dili- genza le notizie. analitiche antiche e recenti ed espone l’idea che dai rettili sia tramandato agli uccelli tale dettaglio d’orga- nizzazione: idea chiaramente esposta anche dal Wiedersheim nell’asserzione che dai “ rettili in su abbiamo al principio dell’in- testino terminale un insaccamento asimmetrico chiamato inte- stino cieco. ,, i Il Gegenbaur nel Manuale di Anatomia comparata non de- dicò che poche righe ai ciechi degli uccelli; radunò invece maggior copia di fatti in proposito e formulò qualche ipotesi nella sua ultima Anatomia comparata dei vertebrati, la maggiore e certa- mente la più autorevole odierna trattazione generale dell’orga- nizzazione degli animali superiori. Noto però che mentre la maggior parte dei fatti e delle ipotesi esposte risponde a vere cognizioni acquisite, credo occorrano ricerche di elucidazione in qualche caso, e altra volta non sia perfetto l’accordo dei fatti con le asserzioni del grande morfologo. Il Gegenbaur conferma l’antica idea da Cuvier e Meckel esposta che i ciechi appartengano all’intestino terminale e ne segnino l’inizio e contribuiscano alle funzioni. Ammette che le Ardee e altri uccelli abbiano un solo cieco, e a torto cita il Podiceps e il Plotus che invece è ormai accertato posseggano due appendici ciecali. Riporta l’osservazione di Stannius circa il restringimento alcune volte (?) valvolare che si nota all’estre- mità dell’intestino anteriormente ai ciechi. — Ricordando alcune strutture speciali (struzzo) dove i due diverticoli confluiscono in 6 88 ALFREDO CORTI uno solo prima di sboccare nel lume intestinale lA. pone il quesito se i duplici diverticoli comuni alla gran parte degli uc- celli non si abbiano a interpretare quale i derivati da una struttura unitaria, rappresentata ancora in alcune specie. E ritorna su tale questione sembrando possibile che appunto tale formazione solitaria sia da interpretarsi con maggior pro- babilità come una condizione primitiva che come una deriva- zione dalla duplice. Ammette villosità nella mucosa dei ciechi e della prima parte dell’intestino terminale, e attribuisce alla mucosa priva di villi un epitelio vibratile. Abbiamo visto nel Colimbo quale sia stato il reperto in proposito al primo di tali fatti. Per il secondo, per le ciglia, forse A. s'è fondato su osservazioni antiche rico- nosciute erronee; nessuna notizia recente ho trovato che suffra- gasse tale fatto che non è affatto riscontrabile nel Colimbo. Nel 1902 appariva una nota preventiva di C. Calleja sulla struttura delle appendici ciecali degli uccelli, nota a cui non è a mia conoscenza abbia fatto seguito altro lavoro. Il Calleja, come nel titolo ha indicato, dà indicazioni per tutta la classe, e non accenna ad alcun nome di specie su cui egli abbia fatte le sue indagini. La sola figura che accompagna il lavoro, e che per vari rapporti non è invero molto elucidativa, sta a rappresentare una sezione di cieco di Piccione (Columba). Se nella organizzazione viscerale degli uccelli vi sono fra specie e specie disposizioni anatomiche assai variabili le appen- dici cieche dell’intestino posteriore certamente devono annove- rarsi fra le prime. E le variazioni sono enormi, di mancanza o di presenza, di unità o di duplicità, di sviluppo rudimentale o enorme, con una gran serie di forme intermediarie che sono ben lungi assai dall’essere legate al posto tassico delle singole specie e neppure al loro modo di vita. Così ne risulta che le dimensioni che il Calleja dà (lun- ghezza di cm. 1 circa, diametro di cm. 0,5) non sono affatto affatto generalizzabili e così pure la forma che, variabilissima essa pure, l'A. dichiara olivare. Neppure generale è il fatto asserito che il lume interno sia per lo più virtuale, perchè stretto con pareti a contatto. Già nel nostro caso del Colimbo e in molti altri il lume è aperto e il contenuto intestinale lo pervade, per non citare quei casi in I CIECHI DELL'INTESTINO TERMINALE, ECC. 39 cui i ciechi rappresentano una parte importante, forse prepon- derante nelle dimensioni e nelle funzioni dell’intestino. Il Gallo domestico, del resto, il più comunemente dissecato fra gli uc- celli, non presenta forse dei ciechi molto sviluppati, che trovansi spesso riempiti di materiale in digestione? Per le tonache dei diverticoli il Calleja afferma che solo la esterna, la peritoneale, si continua con l’intestino restante, es- sendo le altre proprie dei soli ciechi. Affermazione questa gene- rale che si può con probabilità grande dubitare vera anche per singole specie. Nel caso del Colimbo ciò certamente non avviene. Sezioni interessanti zone prossimali di ciechi e nel mede- simo tempo e continuatamente zone contigue di intestino rispet- tivamente anteriore e posteriore abbiamo visto mostrare le varie tonache continue e nei normali rapporti; solo lo strato esterno della musculare, a fibre longitudinali, subisce forse una solu- zione al passaggio dall’intestino anteriore al cieco. Calleja indica come grandemente irregolare la cavità dei ciechi per la linea sonimamente disuguale e sinuosa che disegna la superficie interna. Ciò è vero per alcuni casi, come nel figurato di Columba, e anche in altri animali a cieco pochi sviluppati. Ma ancora una volta occorre dire che non è affatto generalizzabile tale fatto, poichè in molti uccelli e nella strolaga nostra ad esempio in cui il lume è piuttosto ampio, la linea di superficie è relativamente regolare e semplice. L’A. afferma poco appresso che i ciechi mancano di vere villosità simili a quelle deli’intestino. Ciò anche è adattabile ai casi in cui i ciechi hanno poco sviluppo e non devono perciò compiere funzioni importanti. Al- lora lo strato connettivale molto sviluppato mostra ispessimenti con andamento tortuoso, ricoperti, verso l’esterno dall’epitelio. Ciò avviene nel Colombo come è figurato nella nota. Ma in altri uccelli, specialmente a ciechi bene sviluppati, formazioni ricon- ducibili alle villari sono bene sviluppate, e su tutta la superficie interna sino all’apice. E l’importanza che tali formazioni possono assumere in alcuni animali era pure stata gia ben rimarcata, come riporta l’Oppel. L’A. conclude dalle sue brevi ricerche che le appendici cie- cali degli uccelli siano un organo linfatico un po’ trasformato, 90 ALFREDO CORTI se si tiene in conto la presenza di fibre muscolari liscie, cellule epiteliali, elementi ghiandolari “ procedentes sin género alguno de duda de una dislocacion de los elementos proprios del inte- stino ,. Interpretazione questa di cui non sono riuscito ad affer- » rare il significato. Come non mi sono potuto indicare i fatti (non certo ontogenici e non so quali filogenici) su cui il Calleja ha potuto basare l'affermazione che i due ciechi degli uccelli, mentre rappresentano strutturalmente una stessa cosa, hanno ad evolversi in senso distinto. Ciò è contenuto nella risposta che VA. si da al postosi quesito del come la doppia formazione ciecale degli uccelli, affermata omologa a quella dei mammiferi, sia in questi ultimi unica. In tale risposta il Calleja asserisce poi che un’ap- pendice verrebbe, con modificazioni di forma, di struttura e di dimensioni, a trasformarsi nella porzione intestinale conosciuta col nome di cieco, mentre l’altra restando come organo linfatico verrebbe a costituire l’appendice vermiforme, e ciò per fusione, o meglio per addizione delle appendici, giacchè nei mammiferi Vappendice vermicolare è una dipendenza del cieco. Sarebbe da augurarsi che lA. avesse ad addurre qualche fatto per mantenersi il diritto di affermazioni tanto impressio- nanti. Nel 1902 è apparso anche, con una ricca Monografia di I. Maumus, un notevolissimo contributo di conoscenze ordinate e positive sui ciechi degli uccelli. Ricerche condotte su abbon- dante materiale, circa duecento specie, e alcune rare, dei vari ordini, hanno permesso all’A. di esporre e di accertare copia di fatti di morfologia macroscopica e di minuta struttura, nonchè nozioni nuove di vascolarizzazione e di innervazione dei ciechi, alla conoscenza dello sviluppo e delle funzioni dei quali porta in altra parte del lavoro notevoli contribuzioni. Tutto il lavoro è ben condotto; vi si nota però un eccessivo uso dei nomi volgari francesi in confronto delle denominazioni scientifiche degli animali, il che riesce poco pratico per chi legge. Inoltre sembrami che avendo lA. potuto disporre di una copia straordinariamente fortunata di materiale non sarebbe stato lavoro del tutto inutile per l'anatomia comparata l’esporre con certo dettaglio analitico i vari reperti. X Dopo un largo riassunto storico, VA. imprende a trattare in rivista i ciechi dei vari ordini, riferendo le proprie osservazioni. Per i palmipedi crede poter stabilire due gruppi: uno con ani- I CIECHI DELL’INTESTINO TERMINALE, ECC. 4. mali a ciechi rudimentali e accollati al tubo intestinale per le specie viventi abitualmente sulle grandi distese d’acqua e un secondo con animali a ciechi ben sviluppati e trattenuti dai foglietti del mesentere per le specie viventi specialmente a terra. Il Colimbo è generalmente considerato come vivente o in mare o in altre grandi distese d’acqua; ha i ciechi ben sviluppati e liberi nel mesentere. Tale fatto non conforta la proposta di- stinzione. Studia la disposizione dei nervi e dei vasi rispettivamente in un animale a ciechi ben sviluppati, in un secondo a ciechi rudimentali e in un terzo con l’intestino posteriore privo di ap- pendici. Comparando con le vicine classi dei rettili e dei mammiferi il fatto anatomico che ci interessa, crede di poter giungere a stabilire una reale omologia delle formazioni ciecali delle tre classi. A me sembra di poter avanzare qualche dubbio in pro- posito; pur ritenendo esistere qualche analogia di funzione, ve- diamo che nei mammiferi la presenza e lo sviluppo della parte cieca dell’intestino è collegato con maggiori legami alla posizione tassica e al genere di vita dell'animale, mentre negli uccelli ciò assolutamente non siamo autorizzati a credere. Come già era noto, e come le ampie ricerche del Maumus hanno confermato, se alcuni fatti poterono e possono far nascere l’idea di un legame fra la posizione tassica dell’animale e il suo modo di vita da una parte e la presenza e lo sviluppo dei ciechi dall’altra, troppo numerosi fatti possono rafforzare dei dubbi in proposito; animali appartenenti a specie di un solo genere, vicine per modi di vita e per aspetto, mostrano troppe volte diversità fortissime nella disposizione anatomica che andiamo studiando. Così non è topo- graficamente identico nei mammiferi e negli uccelli il punto di inserzione della parte cieca dell’intestino sul tubo principale. Ma su tale questione avremo in seguito occasione di ritornare. Una trattazione estesa e per noi importante fa il Maumus dell’anatomia microscopica dei ciechi. Riconosce la presenza delle varie tonache dell’intestino nei diverticoli, contraddicendo quindi le contemporanee asserzioni di Calleja da me riportate. Per lo strato muscolare proprio della mucosa il Maumus, mentre dice di averlo riscontrato con certezza nei ciechi grandemente sviluppati come di Corridori, ne avrebbe constatato la sparizione nei ciechi ru- dimentali, mentre in diverticoli di sviluppo medio poche fibre 99 ALFREDO CORTI di poca importanza starebbero a rappresentarlo. Nel nostro Co- limbo, i cui ciechi benchè ben sviluppati sono lungi dal ricor- dare anche lontanamente quelli grandissimi degli struzzi, la muscularis mucosae ha uno sviluppo più che discreto. Il Maumus asserisce che le villosita hanno, specialmente nella parte prossimale, dove sono più sviluppate, un aspetto co- nico. Io non so se lA. abbia suffragato tale osservazione con ricerche comparative di vari animali, macroscopiche e microsco- piche, in sezioni condotte nelle due direzioni, longitudinali e trasversali all’asse del cieco: sta il fatto da me visto che nel Colimbo tutta la superficie interna della mucosa è differenziata in formazioni villari lontane dall'aspetto conico, ma riconduci- bili a quello di piccole pliche. Cosi pure l'affermazione di Maumus che nei diverticoli non rudimentali si trova sempre uno sfintere alla loro origine non credo rispondente a un fatto generale vero. Anche nel Colimbo esiste in corrispondenza al punto ove il cieco fa un angolo acuto con l’intestino un ispessimento muscolare. Ma noi lo dobbiamo piuttosto attribuire all’intestino anteriore e non al cieco, e per lo meno escludere l’idea di un vero sfintere, poichè nello spessore delle restanti parti della parete dei ciechi, attorno al loro imboccco non vi è assolutamente traccia della disposizione anatomica ne- cessaria per un apparecchio valvolare di sorta. Così non è assolutamente applicabile al Colimbo l’afferma- zione che la mucosa nei ciechi bene sviluppati presenti sempre delle valvole conniventi; anche le strie longitudinali che dissi esistervi sono di potenza e di numero assai scarse. Maumus, ricordando che già altri autori, lo: Stannius e re- centemente l’Oppel, trattarono dei villi della mucosa dei ciechi, li ammette per tutta la superficie, benchè più numerosi alla parte prossimale, almeno per gli animali a diverticoli di discreto sviluppo. Sarebbe caratteristica la grande varietà di forme, che VA. vorrebbe ricondurre a cinque principali, di cui descrive la tipica. Per il Colimbo il Gadow, riportato dall’Oppel, asserì che nei ciechi si continua la presenza dei villi dell'ultima parte an- teriore dell’intestino. Io ho osservato che le sezioni delle pie- ghette della mucosa in tagli longitudinali hanno aspetto ricon- ducibile al descritto tipico con esempi ravvicinabili anche ad altre delle forme menzionate, come devo notare che in tagli trasversali, dove specialmente le piccole pliche possono mostrare I CIECHI DELL’INTESTINO. TERMINALE, ECC. 93 sezioni le più varie nel senso del loro maggiore sviluppo, si mo- strano figure complesse che possono quasi ricordare quelle de- scritte e fizurate per i grandissimi ciechi del Nandù. Per le ghiandole omologizzabili alle cripte di Galeati (Lie- berkiihn) riferirò che mentre il Maumus le attribuisce, e forse con ragione, ai soli ciechi bene sviluppati, il Vogt e Young ne asseriscono la presenza, benchè più rare che nel duodeno, anche ai ciechi quasi rudimentali di Columba. Dove le mie osservazioni dissentono dal Maumus si è nella presenza e trequenza delle cellule caliciformi che sarebbero proprie solo dei diverticoli a massimo sviluppo come nei Corridori; nel Colimbo, i cui ciechi non sono di dimensioni tanto grandi, le cellule caliciformi sono pure tanto frequenti. Il Maumus, accanto alla presenza alle sopradette ghiandole, pone come generale quella di altre, trovantisi a tutti i livelli dei ciechi, ma chiuse, senza sbocchi, e che riconduce ai follicoli chiusi linfatici dell’intestino. I miei reperti su sezioni condotte in tutte le regioni dei ciechi di Colimbo infirmano tale asser- zione, giacchè io non rinvenni mai altro tipo ghiandolare che quello descritto e riconducibile alle tipiche cripte di Galeati, mai ghiandole chiuse o altre a tipo linfatico. Il Maumus fa una trattazione speciale per lo strato corri- spondente allo stroma della mucosa che si trova sempre abbon- dantemente pervaso da elementi linfoidi. In alcuni animali, a diverticoli rudimentali, tale strato assume la maggior importanza per diminuire notevolmente dove i ciechi hanno il maggiore svi- luppo. In animali invece in cui le appendici che ci interessano hanno uno sviluppo medio, lA. avrebbe rinvenuto, reperto strano, il tessuto linfoide pervadere la tonaca muscolare con dei ger- mogli ben individualizzati, alle volte occupanti si può dire tutto lo spessore della tonaca; una tavola illustra tale fatto. Nel Colimbo, che si deve ritenere fra gli uccelli che pos- seggono diverticoli ciechi a sviluppo medio, per il cui studio io praticai numerosi tagli in varie direzioni e in tutte le regioni, non trovai assolutamente traccia di un fatto simile. Il Maumus ha fatto ricerche embriologiche sul Pollo; riporto solo come fatto interessante che i ciechi si originano prestissimo, al quarto giorno di incubazione, e appaiono fin da principio doppi, bilaterali e simmetrici. Una parte importantissima del lavoro è dedicata a ricerche 94 ALFREDO CORTI fisiologiche sperimentali, secondo le quali VA. ha potuto stabi- lire non solo che i ciechi, pur non essendo indispensabili all’ani- male, compiono, quando abbiano uno sviluppo discreto, funzioni importanti, ma anche esaminare e stabilire quali e quante mo- dificazioni le materie alimentari possano subire per opera dei ciechi stessi. E una trattazione speciale lA. dedica al terzo cieco, evi- dente in molti uccelli, in altri no, proprio della regione me- diana dell’intestino, e già riconosciuto da tempo quale resto del canale vitellino. Da quanto ho esposto nella mia descrizione di fatti e da quanto risulta dalle notizie comparative riportate nasce evi- dente la conclusione che i ciechi dell’intestino posteriore degli uccelli non siano ancora un campo di studio completamente noto, che molte ricerche potranno essere condotte prima che sia dato per le singole specie riconoscerne il significato ana- tomico e funzionale e poter stabilire per gli aggruppamenti tas- sici una ragionata esplicazione delle variazioni e modificazioni di tale dettaglio strutturale. Per l’interpretazione, lasciando vecchie idee, quale quella di Home che li voleva analoghi alle borse del nero della sepia o alle ghiandole digitiformi dell’intestino dei selaci, di Oken che li credeva quali appendici della vescica urinaria, di Carus come corrispondenti ai vasi biliari degli insetti, opinioni già da Meckel combattute, è generale negli autori, come già in parte abbiamo visto, il volere trovare referenze alla parte cieca dell’intestino dei mammiferi. Già Meckel stesso, dopo scartate le sopracitate, avanza questa, combattendo con la analogia funzionale le differenze morfolo- giche, di cui principale riconosce la duplicità. E altri per tale cammino seguirono il vecchio anatomico di Halle. Recentemente il Gegenbaur, pur senza recise dichiarazioni, sembrami propenda per tale interpretazione. Il Calleja per suffra- garla immagina meccanismi nuovi, e anche il Maumus se ne mostra seguace. A me non pare, per altro, sia la cosa troppo evidente. Contro Gegenbaur, che ripetutamente, benchè non esplici- tamente, ritorna sulla possibilità di una forma primitiva unitaria I CIECHI DELL’INTESTINO TERMINALE, ECC. 95 di cieco negli uccelli, avanzando l’ipotesi che sia carattere re- cente la duplicità, sta il fatto messo in evidenza dal Maumus che fin dai primissimi stadi dello sviluppo ontogenico, come ca- rattere stabile e fermo i ciechi si presentano doppiamente costi- tuiti, con sbocchi indipendenti e simmetrici. Sarebbe forse anzi gia per tal fatto ammissibile come ipotetica interpretazione dei pochi casi di unità dei diverticoli e degli altri pochi anche, ove avvi confluenza degli sbocchi prima dell’inserzione nell’intestino, su cui il Gegenbaur si sofferma, quella che si sia qui in pre- senza di caratteri recenti! Si potrà obbiettare che le ricerche finora fatte sono troppo scarse per decidere. Io anzi voglio es- sere primo a proclamare ciò. Ma tra i dispareri, fra le ipotesi del Gegenbaur e di quanti altri con maggiore o minore forza ne ‘ammisero o sostennero di consimili, e l’idea da me avanzata con- traria o dubitativa, sta l’unico fatto noto, le uniche ricerche di embriologia finora condotte; mentre le affermazioni dei vari au- tori non ebbero in proposito alcun suffragio di fatti, e Maumus anzi non curò di interpretare i fatti ontologici da lui per primo messi in luce per seguire l’ipotesi comune, io voglio che tali reperti valgano almeno a dare base a un forte dubbio. D'altro canto è necessario considerare che fra gli uccelli, per tutte le ricerche fatte sin qui, l’ordine dei palmipedi è quello che presenta la maggiore costanza e proporzionatamente la mi- nore variazione nella disposizione anatomica dei diverticoli ciechi. Orbene, non è forse conosciuto filogeneticamente fra i più antichi tale ordine e più avvicinabili i suoi componenti a quello che potrebbe essere Varchetipo fra le forme degli uccelli? I Colimbi, che mostrano una forma tipica doppia, a sviluppo discreto, nè eccessivo, nè rudimentale, nè per caratteri interpretabili quali cenogenetici varia, sono anzi interpretati nelle moderne conce- zioni filogenetiche quali costituenti il primo sottordine del primo ordine della prima legione degli uccelli viventi. D'altra parte ancora occorre tener nota del fatto che mentre nei mammiferi pure la parte cieca dell’intestino è situata appena oltre la fine del tenue, e cioè all’inizio dell’intestino posteriore, e questo si può poi ben dividere in una porzione di crasso e in una di retto, negli uccelli i ciechi delimitano ancora, è vero, dal tenue la porzione posteriore dell’intestino, ma questa, general- mente breve, non è differenziabile in parti diverse, tanto che per alcuni autori, come ho riferito, fu fin dal suo inizio ritenuta per crasso, da altri per retto. 96 ALFREDO CORTI E qualche considerazione merita pure l’interpretazione fun- zionale che ai ciechi dell’intestino posteriore si è potuto o vo- luto dare. La più importante è quella di una correlazione tra la pre- senza e lo sviluppo loro e il genere di alimentazione dell’ani- male; e bisogna riconoscere che era naturale dovesse sorgere e raccogliere il maggior numero di seguaci. Buffon per primo avanzò tale idea, e Home pure la emise; Gmelin e Tiedemann, Carus la sostennero. Meckel, che studiò con larghezza di dettagli, avendo pure fatto sorgere qualche dubbio in proposito, attri- buendo esplicitamente ai ciechi funzioni digestive, li ritiene anche legati al genere di alimentazione, e più tardi lo Stannius, benchè di sfuggita, riporta ancora come esistente una costante analogia di sviluppo con il cibo solito, vegetale o carneo, assunto dal- l’animale. Il Gegenbaur, dopo aver rimesso in evidenza una osserva- zione in gran parte gia fatta dal Cuvier, di un rapporto fra la forma e lo sviluppo dei diverticoli e dell’intestino terminale, dà valore all’influsso dell’alimentazione; e si può dire che tutti gli autori che trattarono dei ciechi, esposero, dandone maggiore o minore trattazione, idea consimile. Il Maumus, dopo lo studio dettagliato di quanto era già noto e del largo suo materiale, benchè ponga in rilievo nume- rosi fatti contradditorî, tuttavia anche per le sue ricerche di fisiologia ammette un legame esistente, quale nella linea gene- rale gli autori intravidero. Ma occorre ricordare molti fatti, e fare in proposito qualche considerazione. Per cominciare con un eserapio lato assai, e notissimo, i ra- paci diurni posseggono diverticoli straordinariamente piccoli, e con mucosa si può dire atrofica, mentre i notturni li posseg- gono sviluppatissimi, con grandi imbocchi e con mucosa diffe- renziata. I rampicanti eminentemente insettivori ne sono privi, e così la rondine e la cingallegra ne hanno poco sviluppati, mentre, ad esempio, il Merops ed il Caprimulgus ne hanno di- screti. Fra i generi e le specie affini esempi consimili di differenze di apparato in una, si può dire, identità di alimentazione sono frequenti. Così, per antiche osservazioni di Meckel, il Casoario della Nuova Olanda ha due ciechi rudimentali, mentre la specie I CIECHI DELL’INTESTINO TERMINALE, ECC. OY simile dell’Asia li ha assai sviluppati; e non sono affatto rare, come dissi, le variazioni grandi fra le specie di uno stesso ge- nere, anche se tutti assumono alimenti di ugual natura ed hanno conformazione generale ed abitudini simili, come ad esempio fra i componenti del genere Anas fra i palmipedi che pure rappre- sentano, fra i vari ordini, gli animali la cui struttura dei ciechi è più costante e meno variabile. Ancora la Otix tarda L. e la Otix tetrax L. simili per struttura e per alimentazione hanno la prima diverticoli grandi a lume ampio, sacculati, la seconda sottili e lunghi, a lume ridotto. Ed esempi altri numerosi si potrebbero addurre seguendo quanto di notizie analitiche con- crete hanno riunito i ricercatori fin qui. Io non voglio proseguire, bastando al mio intento il potere metter in evidenza tale fatto quando si voglia credere per sta- bilita ed elucidata la suddetta relazione di sviluppo maggiore o minore dei ciechi, a seconda che rispettivamente l’animale si nutre di sostanze vegetali o di animali. Voglio però ricordare ancora che i palmipedi che in gene- rale hanno sviluppate le appendici ciecali sono in prevalenza carnivori, e appunto carnivoro è ritenuto il Colimbo che ha i ciechi non atrofici e ben organizzati. Perciò, pure essendo assodata (Maumus) la loro funzione attiva quando presentano sviluppo notevole, credo, per quanto ho detto, che ancora nuove ricerche si dovranno intraprendere per una interpretazione generale, sia morfologica che funzionale. Riassunto. Il Colymbus septentrionalis possiede due diverticoli ciechi dell’intestino posteriore ben sviluppati, inseriti simmetricamente e indipendenti fra loro e rispettivamente ai due lati dell’inte- stino. Sono abbondantemente vascolarizzati. Le pareti dei diverticoli sono costituite da tutte le varie tonache del restante intestino e ne ho potuto scorgere la con- tinuazione. Le tonache e i vari loro strati delle pareti dei diverticoli, pur scemando di potenza, si continuano fino all'apice. La tonaca mucosa è ben organizzata e differenziata, e siste- mata in piccole pieghe per lo più trasversali; non esistono veri villi. 98 ALFREDO CORTI Non vi è apparecchio valvolare all’imbocco dei ciechi; ne esiste uno invece alla estremità terminale dell’ intestino anteriore ai ciechi, nel punto di sbocco alla confluenza con i diverticoli. Nella mucosa si nota la presenza, oltrechè delle infossature, di veri tubi ghiandolari omologizzabili alle cripte del Galeati. L’epitelio della mucosa è il tipico funzionante dell’intestino ; cellule coniche o piramidali o prismatiche, con la parte esterna differenziata in una cuticula striata, disposte in una sola assise continua e compatta e alternate con altre caliciformi a secre- zione mucipara. Il punto di inserzione dei ciechi è da interpretarsi general- mente come l’origine del retto. Non si deve ritenere finora basata su fatti l’idea che la du- plicità generale dei ciechi degli uccelli derivi da una primitiva condizione unitaria. È assai probabile che i casi di unicità di cieco si debbano interpretare come fatti recenti. Non è da stabilire per ora un’assodata omologia fa i ciechi degli uccelli e i mammiferi. I ciechi degli uccelli quando assumono discreto sviluppo hanno certamente funzioni digestive e entrano in stretti rapporti col restante tubo intestinale. Negli uccelli la presenza e il vario sviluppo delle appendici ciecali mostrano talvolta una certa costanza per gruppi di specie, spesso variazioni anche fra animali vicinissimi per organizza- zione e modi di vita. Non è possibile ancora indicare il vero si- gnificato anatomico dei ciechi. Questa nota era già completamente composta quando venni a conoscenza di un lavoro pubblicato or quasi un ventennio dal prof. A. Marcacci (Arturo Marcacci, I/ significato fisiologico del- l'intestino ceco, Perugia, 1888). L’A. condusse varie ricerche su ani- mali diversi, mammiferi e uccelli; fra quest'ultimi studiò il pollo. La maggiore conclusione che mi piace qui riportare, anche perchè trascurata da ricercatori seguenti, fu nell’attribuire ai cechi una grande importanza nella formazione ed emissione delle feci; piuttosto che a funzioni digestive per azione di se- creti cecali, che VA. giungerebbe a negare, tali tratti di inte- stino sarebbero deputati all’assorbimento dell’acqua. Il Marcacci riporta anche alcuni dati morfologici che interpreta a conforto della asserta funzionalità. I CIECHI DELL’INTESTINO TERMINALE, ECC. 99 BIBLIOGRAFIA. ARRIGONI degli OppI dott. E., Manuale di ornitologia italiana. Mi- lano, 1904. CALLEJA C., Nota preliminar sobre la estructura de los apéndices cecales de las aves. Bolet. de la Socied. espanola de Hist. Natur., T. II, N. 6, Madrid, 1902. Carus, Trailé élementaire d’anatomie comparée. Traduct. franc. Paris, 1835. Cuvier G., Lecons d’Anatomie comparée recueillies et publiées par M. Dumeril, Troisiéme édit., T. II, Bruxelles, 1849. — Le régne animale distribué dapres son organisation. Les, oiseaux, Paris. Gapow in Végeln in Bronn, Klassen und Ordnungen des Tier- reiches, Abth. IV. GEGENBAUR dott. C., Manuale di anatomia comparata, Traduzione italiana, Napoli, 1882. — Vergleichende Anatomie der Wi belthiere mit Beriicksichtigung der Wirbellosen, Bd. II, Leipzig, 1901. HAECKEL E., Systematische Phylogenie, Bd. 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Ciro Barbieri (Laboratorio biologico del Museo Civico di Storia Naturale) Le mostruosità doppie dei Teleostei e soprattutto dei Salmo- nidi costituiscono un fenomeno niente affatto raro; in qualunque incubazione accade sempre di veder schiudere qualche larva più o meno completamente raddoppiata. Queste mostruosità dei Te- leostei furono oggetto di molti studi a cominciare dal Jacobi (1) e venendo su fino ai nostri giorni; i lavori più importanti sul- l'argomento sono quelli del Meckel (7), del Quatrefages (3), del Coste (*), del Lereboullet (°), dell’Oellacher (5), del Knoch (’), del Bugnion (*), del Rauber (°), del Windle (2°), dello Schmitt (1). (1) Jacopr Z. H., Ueber das Ausbriiten der Forellen. Hannoversches Magazin, 22 Stiick, 1765. ?) MeckeL J. F., De duplicitate monstrosa commentarius. Halae et Berolini, 1815. (3) Quarreraces A. (DE)., Formation des monstres doubles chez les Poissons. Comptes rendus des séances de l’Académie des Sciences, Tome XL, Paris, 1555. (4) Coste M., Origine de la monstruosilé double chez les poissons osseux, Comptes rendus des séances de l’Académie des Sciences, Tome XL, Paris, 1855. €) LereBouLLET, Recherches sur les monstruosiles du brochel observées dans Voeuf et sur leur mode de produclion. Annales des sciences naturelles. Quatriéme Série, Zoo- logie, Tome XX, 1863. (6) OeLLacueR J., Ueber einen Doppelembryo von Trutta Fario. Berichte des na- turwiss.-medic. Vereins in Innsbruch, 3 Jahrg, 1 Heft, 1573. (1) Kxocu J., Ueber Missbildungen belreffend die Embryonen des Salmonen-und Co- regonus. Geschlechts. Bulletin de la Société imperiale des Naturalistes de Moscou, Année 1873, Tome 46, N. 2. (8) Buanton E., Description de quelques alvelins de Truite monstrueuse. Bulletin de la Société vaudoise des sciences naturelles, II S., V. 16. 1880. (9) RauseR A, Formbildung und Formstòrung in der Entwickelung von Wirbel- thieren. Morph. Jahrb. Bd. 6, 1880. (11) Winnie B. C. A. On double malformations amongst fishes, Proceedings of the Zoological Society of London, Part. III, 1895. (2) Scumrrr F., Systematische Darstellung der Doppelembryonen der Salmoniden. Arch. f. Entwickelungsmech, Bd. 13, 1901. SULL’ORIGINE DELLE MOSTRUOSITA, ECC. 101 Le diverse manifestazioni di queste mostruosita sono state omai completamente illustrate; rimane però ancora oscura la loro genesi, cioè quali siano le alterazioni nello svi- luppo in base alle quali si possa spiegare l'apparire di mostri doppi. Fra i numerosi casi di mostruosità doppia, che io stesso ho avuto modo di riscontrare nei Salmonidi, mi è sembrata inte- ressante una strana deformazione, osservata in un embrione di Trota arco-baleno (Salo irideus), che consisteva essenzial- mente in un raddoppiamenio della metà ventrale dell'embrione, mentre la metà dorsale rimaneva unica. Quest’anomalia mi è apparsa come la manifestazione più semplice di una mostruosità doppia, e per certe sue particolarità mi ha suggerito alcune considerazioni sul modo di origine degli embrioni doppi in genere. È opportuno premettere che i casi svariati di raddoppia- mento, riscontrati tanto nei Teleostei quanto negli altri Ver- tebrati, e massime negli Uccelli, possono appartenere a due tipi diversi: I. Embrioni completamente separati, uniti solo dal sacco vitellino, ciascuno dei quali segue uno sviluppo indipendente. II. Embrioni che hanno solo una parte più o meno note- vole del loro corpo raddoppiata, il resto unico. Le anomalie di questo secondo tipo furono a loro volta di- stinte in tre gruppi. 1. Terata anadidyma - quando la parte anteriore dell’em- brione o della larva si presenta raddoppiata, la parte posteriore indivisa; 2. Terata katadidyma - quando l embrione o la larva mostra un capo unico e due appendici caudali. 3. Terata mesodidyma [Oellacher (')] o terata emididyma [Rauber (*)] quando rimanendo unica la parte cefalica e la cau- dale, la regione di mezzo del corpo si raddoppia. Quest'ultimo caso è però assai raro. Lo Schmitt (8), cui si deve il lavoro più recente sugli em- (1) OeLLacHer J. Terata mesodidyma von Salmo salvelinus. Wiener Sitzungsber, Bd. 68, 1873. (*) RAUBER A., Lavoro citato. (3) Scumrrr, Lavoro citato. 102 CIRO BARBIERI brioni doppi di Salmonidi, ha stabilito sei gruppi di tali mo- struosita: a) Embrioni doppi uniti solo mediante il sacco vitellino; b) concresciuti puramente lungo la faccia ventrale: c) concresciuti a preferenza lungo la faccia ventrale; d) concresciuti metà ventralmente e metà lateralmente; e) concresciuti a preferenza lateralmente; f) concresciuti unicamente lungo una faccia laterale; g) Embrioni doppi che appaiono esteriormente come forme semplici. Le forme dei gruppi e, fe g furono riscontrate dall’A. solo in stadi assai giovani, prima della schiusa. La mostruosità che io debbo descrivere appartiene al tipo g dello Schmitt, cioè al gruppo degli embrioni doppi che esterna- mente appaiono unici. Le disposizioni anatomiche riscontrate sono interessantissime ed assai strane. Si tratta di un embrione di S. 7rideus assai giovane, di sette giofi di sviluppo e della lunghezza di 3 mm. A questo stadio, anche in caso normale, il differenziamento degli organi è assai poco progredito. La maggior parte dell'embrione è occu- pata dall’abbozzo del sistema nervoso, che si estende sotto forma di cordone pieno lungo la linea mediana. Nella regione cefalica si notano gli abbozzi delle vescicole ottiche, nel cui interno co- mincia a formarsi una cavità (vescicole ottiche primarie). Nella regione del tronco, ai lati dell'asse nervoso, il mesoderma si è differenziato in protovertebre, che in questo stadio di sviluppo raggiungono un numero da 16 a 20. È ben evidente la corda dorsale. Nella regione del capo sono pure accennati i nervi cra- nici e le prime due fessure branchiali. L’estremita posteriore del corpo è occupata da una massa di tessuto indifferenziato, che fornisce materiale per l'aumento in lunghezza dell'embrione; questa massa di tessuto forma il così detto boltone caudale (Oellacher) o bottone marginale (Ziegler). — Nella parte posteriore dell'embrione è notevole anche la così detta vescicola del Kupffer, una piccola cavità sferica, di significato non ben chiarito, posta al principio degli strati ento- dermici. Nella mostruosità che io ho in esame si nota, come ho detto, una tendenza a raddoppiarsi degli organi della metà ventrale SULL’ORIGINE DELLE MOSTRUOSITA, ECC. 103 dell’embrione, mentre quelli della meta dorsale rimangono perfet- tamente indivisi. Il comportamento del sistema nervoso, che oc- cupa in parte la regione dorsale ed in parte la ventrale, è soprattutto caratteristico. L’asse nervoso si biforca ventralmente in modo da assumere in sezione, nella regione cefalica, l’aspetto di una stella a tre raggi (vedi fig. 1), e nella regione del tronco quello di un Fig. 1. — Sezione trasversale nella regione encetalica. - a cordone cerebrale - o vescicole ottiche. triangolo con due lati convessi ed uno concavo (vedi fig. 2). Così il cordone encefalo midollare consta di una metà dorsale impari e di due metà ventrali. La corda dorsale è perfettamente raddoppiata in rapporto alla biforcazione del cordone nervoso. Il mesoderma è regolarmente sviluppato ai due lati dell’asse nervoso; nella regione del tronco esso è differenziato in un certo numero di protovertebre, che nulla hanno di anormale. Lungo la linea mediana ventrale, nello spazio limitato dalle bi- forcazioni del cordone nervoso, si presenta una terza massa me- sodermica, che da luogo ad una serie anormale di protover- tebre più irregolari di quelle poste ai lati. Dalla loro forma è facile dedurre come in questo punto vi sia tendenza allo svi- luppo di due serie di protovertebre, le quali però, per ragioni 7 104 CIRO BARBIERI di spazio, si fondono o meglio dire si manifestano in una serie unica. Nella regione delle vescicole ottiche i rapporti sono grande- mente istruttivi; ai lati del cervello si hanno le due vescicole ottiche normali, come in qua- lunque altro embrione; nella parte mediana ventrale dell'embrione, in mezzo alle due bran- che di biforcazione del- l’asse nervoso, si os- Fig. 3. — Sezione trasversale nella regione mediana serva l’abbozzo di una del corpo. - a cordone midollare - d corda dorsale terza vescicola ottica. - b entoderma - p protovertebre - m massa meso- dermica anormale. irregolare (vedi fig. 1), molto allungata, di- stinta in due porzioni laterali rigonfie e cave nell’interno ed in una mediana stretta e piena. E chiarissimo che tale abbozzo rap- presenta la fusione incompleta di due vescicole ottiche, 0, se vo- gliamo esprimerci più esatta- mente, manifesta in sè la tendenza a dar origine a due vescicole ottiche. L’esame di questo em- brione mostruoso mi ha mo- strato un’altra particolarità, che è forse più interessante delle precedenti. Si tratta di una marcata dissimetria fra l’antimero de- stro ed il sinistro del corpo, di cui l’uno si presenta alquanto meno evoluto dell’altro. 5. — Sezione trasversale nella regione posteriore. - a cordone midollare - m mes- derma - c vescicola del Kupffer. Questo fenomeno, poco evidente nella parte anteriore del- l'embrione, lo è invece assai in quella posteriore, dove si mani- festa soprattutto per la forma delle protovertebre, più piccole e meno differenziate su di un lato che non su quello opposto. Inoltre la serie delle protovertebre è più breve sul lato meno evoluto dell’embrione. SULL'ORIGINE DELLE MOSTRUOSITÀ, ECC. 105 A questo proposito è tipico il comportamento della vescicola del Kupffer che, come ho detto, è una piccola cavità posta al- l’estremo posteriore del corpo, al punto di passaggio graduale fra gli abbozzi degli organi dell'embrione e la massa di tessuto indifferenziato che forma il così detto bottone caudale. Nell’embrione mostruoso che descrivo anche questa vesci- cola si è raddoppiata; però le due vescicole gemelle non sono più allo stesso livello; quella del lato meno evoluto è posta più innanzi dell’altra. Questo particolare illustra maggiormente la dissimmetria che esiste fra le due meta del corpo dell’embrione. La singolare mostruosità che ho descritta può servire di base a qualche considerazione sul modo di origine degli em- brioni doppi in genere. Il Rauber (!) crede che, già fin dal momento in cui si compie la prima segmentazione, sia deciso se si svilupperà un embrione unico od una mostruosità doppia. L'A. ritiene inverosimile che cause esterne possano influire tanto sullo sviluppo da provocare la formazione di embrioni multipli. Contro questo concetto sta però il fatto, che si è riusciti artificialmente ad ottenere mostruosità doppie, ricorrendo a sti- moli di natura fisica o chimica. Così negli Uccelli il Gerlach (7) ha potuto ottenere embrioni doppi alterando i rapporti normali di respirazione. Nei Teleostei il Bataillon (*) riuscì a provocare nelle uova di Leuciscus mostruosità poliembrionali, facendole sviluppare in soluzioni di sale da cucina o di zucchero di determinata concen- trazione. Il Kopsch (') operò su uova di Teleostei a segmentazione molto avanzata per mezzo di stimoli elettrici, e riuscì così ad ottenere sdoppiamento della parte posteriore dell'embrione. Queste esperienze lasciano intravedere un nesso fra il rad- doppiamento dell'embrione nei Vertebrati e la moltiplicazione vegetativa tanto frequente nei Metazoi inferiori. (') Rauber, Lavoro citato. (°) Gervaca L., Die Entstelungsweise der Doppelmissbildungen bei hoheren Wirbel- thieren. Stuttgart, Verlag von F. Enke, 1582. (3) BararLLox E., La pression osmotique et les grands problémes de la biologie. Archiv fiir Entwickelungmech, Bd. XI, L901. (4) Kopscua Fr., Die organisation der Hemididymi und Anadidymi der Knochenfische und ihre Bedeutung friv die Theorie tiber Bildung und Wachsthum des Knochenfischembryos. Monatschr. f. Anat. u. Phys., Bd. 16, 1899. 106 CIRO BARBIERI In particolar modo poi le esperienze dello Spemann (!), il quale tagliando in due un embrione giovanissimo di Tritone avrebbe osservato che ciascuna metà si organizza in un embrione com- pleto, dimostrerebbero la capacità a moltiplicarsi vegetativamente delle forme embrionali dei Vertebrati. Questa capacità è stata espressa dal Maas (*) con una legge, che può ritenersi come il risultato delle moderne esperienze di bio-meccanica, e che suona così: “ Una parte di un organismo, rimossa dalla sua posizione normale, conserva la capacità, cor- rispondentemente alla sua nuova posizione, di svilupparsi come un tutto ,. Nella formazione delle mostruosità doppie, tanto di Teleostei che di altri Vertebrati, una causa puramente meccanica è da escludersi senza dubbio. Ciò nonostante non è difficile spiegarsi la genesi di queste anomalie in base alla legge suesposta. Perchè due parti di uno stesso organismo agiscano indipendentemente non è necessaria una separazione materiale: basta pensare ad una diversità nel loro modo di accrescimento perchè esse più non armo- nizzino e si comportino come fossero separate. Ora sappiamo che uno stimolo chimico o fisico può far risentire i suoi effetti su un organo in via di accrescimento con una certa polarità, producendo cioè in un punto acceleramento di sviluppo e ritardo nel punto opposto; i botanici hanno dimostrato pienamente questo fatto. Senza voler troppo generalizzare io credo tuttavia che uno stimolo chimico o fisico o di altra natura, possa provocare lo sviluppo di mostruosità poliembrionali in quanto genera di- versità di accrescimento fra le parti dell'embrione, le quali perciò entrano in antagonismo fra loro e si comportano come indipendenti. Quindi, secondo me, nella mostruosità descritta la dissimme- tria osservata fra meta destra e sinistra del corpo, costituirebbe la causa anatomica del raddoppiamento. Tutti gli altri casi svariati di embrioni doppi e multipli potrebbero, a mio avviso, essere spiegati collo stesso principio, secondo che le disuguaglianze di sviluppo sono intervenute in stadii più o meno precoci, e con maggiore o minore intensità. (1) Spemann Hays, Enlwickelungsphysiologische Studien am Triton-Ei, Arch. fir Entwicklungsmech, Bd. 12, 1901 e Bd. 15, 1902. (2) Maas O., Einfiihrung in die experimentelle Entwickelungsgeschichte. Wiesbaden, Verlag von J. F. Bergmann 1903. UN NUOVO GENERE DELLA SOTTOFAMIGLIA DELLE ECHINOCORYNAE Nota del socio Dott. Carlo Airaghi Nella revisione degli echinidi della scaglia cretacea veneta da me pubblicata or son due anni nelle Memorie della R. Acca- demia di Torino figuravo (!) (tav. II, fig. 5) un frammento di un echino dalla faccia superiore cupuliforme e, senza determinarlo specificamente, lo riferivo provvisoriamente al genere Car'diaster, pur tacendo rilevare la strana forma della sua faccia superiore, almeno in quella parte conservata. Ora il rinvenimento di un nuovo esemplare completamente conservato, rinvenimento do- vuto alla diligenza e costanza dell’egregio dott. Dal Lago di Valdagno, a cui invio i miei ringraziamenti per avermelo comu- nicato in istudio, mi permette di studiar meglio la strana forma e di stabilire un nuovo genere che chiamerò Paronaster gen. nov. Questo nuovo genere lo si deve riferire alla sottofamiglia delle Echinocorynae e precisamente al gruppo dei generi a pe- riprocto posteriore come il Lanipadocorys, lo Stegaster, il Tho- laster, V Offaster e il Duncaniaster, coi quali credo opportuno confrontarlo, facendone emergere in tal modo le differenze. (1) Echin, della scaglia cretacea venela. Mem. Accad. delle Scienze di Torino, sez. IT, tom. LIII, 1903. 108 CARLO AIRAGHI Dal genere Lanpadocorys si distingue per i suoi pori molto allungati, diversi quelli interni da quelli esterni; dal genere S/e- gaster, oltre che per tale carattere, anche per le assule più basse; dal genere Tholasler per le stesse agioni e per il solco ante- riore meno angusto e profondo al margine e sulla faccia infe- riore. Dai generi O/faster e Duncaniaster poi la distinzione è ancora più facile, inquantochè questi due generi, oltre che una diversa conformazione degli ambulacri e dei pori, presentano anche il peristoma superficiale. Per quanto riguarda la conformazione degli ambulacri il nuovo genere presenta delle più grandi affinità invece coi generi Pseudananchis e Lampadaster. In tutti e tre infatti abbiamo gli ambulacri lunghi, quasi di ritti, composti da placche basse, con pori ineguali, quelli esterni più allungati di quelli interni, ma nel genere Pseudananchis invece di un periprocto posteriore si ha un periprocto infero marginale e il solco anteriore molto meno sviluppato, talora delimitato alla faccia inferiore davanti al peristoma; nel genere Lampadaster poi si ha pure un peri- procto inferiore e non posteriore e un solco anteriore molto più sviluppato, specialmente vicino al peristoma. È adunque un nuovo genere caratterizzato dalla forma subcir- colare, dalla faccia superiore alta, quella inferiore piana, dagli ambulacri tutti eguali tra loro, nastriformi, con placche ambu- lacrali basse e pori allungati, quelli esterni però più svilup- pati di quelli interni; dal solco anteriore, nullo alla sommità apicale, molto largo e profondo al margine fino al peristoma; dal peristoma grande, similunare, labiato; dal periprocto poste- riore, sopra marginale; dai tubercoli piccoli e radi. Paronaster cupuliformis n. sp. (Vave i fio db Specie di grandi dimensioni, subcircolare, cuoriforme, più larga all’avanti che posteriormente, colla faccia superiore alta, appuntita nella parte centrale, cupuliforme, leggermente ca- renata nell’area interambulacrale posteriore, con solco ante- riore nullo alla sommità apicale, largo e molto pronunciato al UN.NUOVO GENERE DELLA SOTTOFAMIGLIA, ECC. 109 margine fino al peristoma. La faccia posteriore verticale, bassa, larga, subtriangolare, coll’apice posto all'estremità della carena interambulacrale posteriore, colla faccia inferiore infine pianeg- giante, leggermente convessa sul piastrone e fornita da due mammelloni all’estremità posteriore al disotto del periprocto; margini rotondeggianti. Peristoma semilunare, labiato, grande, posto molto vicino al margine anteriore, al termine del solco anteriore che presen- tasi molto largo e poco profondo. Periprocto subcircolare, grande, posto trasversalmente alla sommità della bassa faccia posteriore, sotto alla carena interam- bulacrale posteriore della faccia superiore, in modo da non poter essere visto nè guardando il fossile dalla sua faccia superiore, nè da quella inferiore. Apice ambulacrale subcentrale, leggermente spostato al- Vavanti, posto alla sommità della faccia superiore; mal con- servato. Ambulacri molto allungati, nastriformi, tutti quanti formati da paia di pori eguali, lunghi fin quasi vicino al margine; quello impari anteriore è però leggermente più stretto degli altri e quelli pari anteriori molto più divergenti di quelli pari poste- riori e leggermente rivolti all’avanti alla loro estremità. Zone porifere larghe, formate da pori disposti ad accento circonflesso, quelli interni meno lunghi di quelli esterni; fitti, vicino all'apice apicale, vanno, man mano che si allontanano, di- ventando radi, specialmente all’estremita. Spazio interporifero largo, all’estremità libera dell’ambulacro, di più del doppio di una zona perifera. Aree interambulacrali larghe, formate da placche alte e leggermente rigonfie, quella impari posteriore carenata. 3 Tubercoli piccoli, radi, e sparsi senza alcuna regolarità su tutto il fossile, più spessi e grossi lungo il margine e sulla faccia inferiore. È una specie quindi che si distinguerà sempre molto facil- mente per la sua torma foggiata a cuore, più larga anterior- mente che posteriormente, intaccata fortemente nella parte ante- riore da uno svasato solco che scompare nella faccia superiore avvicinandosi alla sommità apicale; per la sua faccia superiore foggiata a cupola, molto appuntita nel centro. L’esemplare figurato proviene, come già l’altro di cui ho 110 CARLO AIRAGHI - UN NUOVO GENERE, ECC. parlato nel mio lavoro sopra citato, dalla scaglia cretacea rossa di Novale e fa parte della collezione del dott. Dal Lago (!). R. Museo geologico di Torino, 1906. (1) Insieme all’esemplare sopra descritto il dott. Dal Lago mi rinviava gli echinidi già da me illustrati nella memoria citata accompagnati dalle determina- zioni appostevi da un paleontologo tedesco che ebbe occasione di studiarli dopo di me. Secondo questa revisione inedita al Cardiaster sublrigonatus (Cat.) apparterebbero nientemeno che il Cardiaster ? sp. ind. da me figurato (1. c., tav. II, fig. 5) ora dive- nuto Paronaster cupuliformis, lo Stegaster Dallagoi Air., (1. c., tav. 1, fig. 2) e tre esem- plari di Micraster indeterminabili specificamente! L’Echinocorys concava Cat. diverebbe un Holaster. Che il genere Cardiasler non abbia nulla di comune col nuovo genere Paronaster non credo sia necossario ritornar sopra dopo la descrizione data; che lo Stegaster Dallagoi Air. non abbia pure a che fare col Cardiaster subtrigonatus (Cat.) lo dimostra il nuovo e abbastanza ben conservato esemplare che ora figuro (tav. I, fig. 2). Questa specie però per le sue basse assule deve essere riferito al genere Lampadocorys anzichè al genere Stegaster. Del’ Ananchites concava Cat. ricorderò che per i suoi ambulacri ° eguali deve far parte della sottofamiglia delle Echinocorynae e forse, piuttosto che del genere Echinocorys, del genere Pseudananchis per la presenza di una traccia del solco anteriore specialmente vicino al margine. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. Fig. 1. — Paronaster cupuliformis n. gen. et. sp. n 2. — Lampadocorys Dallagoi Air. ME ee STUDI SUI LUCANIDI. E. SU eso D'ONTOLADISEOVNEELETARR: pel socio Dott. Achille Griffini Professore titolare presso il R. Istituto tecnico di Genova Nel mio studio precedente: (ZL), nel quale mi sono occupato diffusamente ed in generale dei fenomeni notevolissimi di grande variazione nei maschi dei Lucanidi, ebbi occasione di ricordare più volte e per diverse cause la specie Odontolabis Lowei Parr, perchè degna di particolari osservazioni per parecchi fatti. Invero in questa specie la variazione dei maschi è, come nella maggior parte delle congeneri, assai grande, ma è poi in pari tempo irregolare; inoltre le femmine stesse presentano no- tevole variabilità, e benchè questa nelle femmine si riferisca solo alla colorazione, il fatto non cessa d’essere interessante, poiché, nei Lucanidi, solo in poche specie eccezionali si osser- vano tali variazioni. Dell Odontolabis Lowei Parr. intendo occuparmi in modo particolare nel presente studio. E credo di far cosa non inutile, perchè questa specie solo da poco tempo si conosce un po’ bene, non fu mai completamente figurata nelle sue varie forme e nem- meno studiata in modo da metter queste a confronto fra loro, ed infine mi offre modo di riprendere e di appoggiare coll’esempio in discorso alcuni miei concetti esposti nello studio generale. Il materiale che mi ha servito per le osservazioni che verrò esponendo, compresi gli esemplari che ho disegnati e che appa- iono figurati in grandezza naturale nelle unite incisioni, fa parte della mia collezione; gran numero di questi esemplari mi fu gentilmente donato dal conosciutissimo raccoglitore e stimato entomologo, signor René Oberthtir di Rennes, che qui ancora ringrazio per la sua generosità. 112 ACHILLE GRIFFINI L’ Odontolabis Lowei Parr. abita Borneo. Tutti gli esemplari che io vidi provenivano anzi dalla regione nord di quella inte- ressante isola, e propriamente dal Kinabalu. Secondo Ritsema, la specie stessa si troverebbe anche a Sumatra (vedi Boileau, Y. p. 413); ciò però merita conferma. Nel 1873, Parry istituì questa specie (A, p. 336, Pl. V, fig.1, var. minor) su di un unico esemplare maschio, di forma amfio- donte ('), e la dedicò al suo scopritore con queste parole: “ This interesting addition to the Lucanoid Coleoptera was discovered by H. Lowe Esq., a gentleman who has contributed so much to our knowledge of Bornean entomology ,,. Il dott. Leuthner, autore della bella monografia degli Odon- tolabini, nel 1885, conobbe dell'O. Lowe? soltarco Vesemplare maschio tipo di Parry (B, p. 470, Pl. XCV, fig. 9) e si limitò a nuovamente descriverlo e figurarlo. Cinque anni dopo, Van de Poll (C, p. 159-160) ebbe cinque esemplari maschi di questa specie, tutti di forma priodonte, e li descrisse, dandone anche parecchie misure. Più tardi, nel 1894, Albers (D, p. 165) che ebbe quattro ma- schi, di cui due priodonti, uno amfiodonte ed uno telodonte, e quattro femmine di varia colorazione, descrisse appunto la forma ‘maschile telodonte dell’Odontolabis Lowei Parr. e diede notizie abbastanza diffuse intorno alle femmine ed alla variazione di colore osservata nei suoi esemplari. La specie descritta nel 1900 dal dott. von Rothenburg, col nome di Od. rufonotatus (2), va con tutta probabilità conside- rata, non come specie distinta, ma come una delle numerose variazioni di colorito delle femmine di Od. Lowei. Ciò che ap- punto dichiara recentemente Mòllenkamp (74) parlando della (1) Le denominazioni: priodonte, amfivdonte, mesodonte, telodonte, farono introdotte nella scienza da Leuthner per indicare le diverse più caratteristiche forme mandi- bolari, passanti poi luna all'altra, quali si osservano negli Odontolabis. Per la loro esatta interpretazione vezgasi la Monografia di quell’ Autore (5, fig. 2, a pag. 399). Ne ha riparlato il Kolbe (P, fig- 1-4), e ne ho riparlato io stesso, sia nel mio studio generale (Lì), sia in qualche altro, introducendo anche alcuni nomi nuovi per casi differenti. Veggasi ad esempio la nota a pag. 144 nel mio lavoro sui Lucanidi rac- colti da L. Fea nell'Africa occidentale. Annali Museo Civico, Genova, serie 3°, vol. II, (XLII), 1906. (2?) Entomolog. Zeitschrift des Internat. Vereins, n. 12, 15 septemb. 1900. a SULL’ODONTOLABIS LOWEI PARR. TS ‘variazione di tinta e di disegno osservata in circa quaranta femmine di questa specie, mentre contemporaneamente istituisce una nuova varietà di Od. Lowei, sopra un maschio in cui il colore nero sul pronoto e sulla sutura elitrale è più sviluppato, assegnandovi il nome di var. nubigena. Infine, anche più recentemente, il compianto Zang, morto in così giovane età, in uno dei suoi ultimi lavori (Z, p. 214) diede ancora un cenno sulla variazione di colore delle femmine della specie in discorso, e descrisse la forma maschile mesodonte. Io stesso, nel mio studio generale (L, fig. 4 a pag. 37) raf- figurai dell’Odontolabis Lowei Parr. un maschio priodonte ed uno telodonte di quasi eguale statura, esponendo considerazioni mie, unite a. quelle scrittemi da Boileau, intorno alla irregolarità di variazione corporea e mandibolare nei maschi di questa specie. Come dunque appare, la specie fu descritta nelle sue varie forme molto fran&mentariamente; la femmina non fu mai figu- rata, e delle forme maschili, all'infuori di quelle rappresentate con disegni a tratto nel citato mio lavoro, fu figurato solo il tipo amfiodonte di Parry. Non è mia intenzione, nel presente lavoro, quella di ride- scrivere minuziosamente questa specie, il che sarebbe superfluo, anche perchè le figure che ne do, qui unite, possono per gran parte supplire a tale riguardo. Nel descriverne le singole forme di variazione, esporrò bre- vemente i caratteri specifici: Odontolabis Lowei Parry. Parry, 1873 (A), p. 336, PI. V, fig. 1, 77. — Leuthner, 1885 (2), pag. 470, PI. XOV, fig..9, 67.:— Van de Poll, 1890, (G), pa- gina 159, gf. — Albers, 1894 (D), pag. 165, 64, 9. — Rit- sema, 1895 (E), pag. 142. — Boileau, 1898 (Ff), pag. 413. — Van Roon, 1905 (G), pag. 29. — Mòllenkamp, 1905 (7), J, &. — Griffini, 1905 (Z), pag. 37, fig. 4, gf. — Zang, 1905. (I), paoli gh. Sinon.: 0. rufonotatus von Rothenburg, 1900, Entom. Zeit. des Internat. Ver., N. 12, teste Méllenkamp (77), 9. Specie prossima all’Odont. Sonimeri Parry ed all’Odont Brookeanus Vollenh. 114 ACHILLE GRIFFINI 9 - Fig. 1. — Le numerose femmine che ebbi occasione di esaminare presentano una statura assai poco varia. Riferendomi a quelle della mia collezione, la loro lunghezza è compresa tra 34 e 30 mm,, e la larghezza massima fra. 17 e 14 mm. Queste misure coincidono con quelle già indicate da Albers. Le proporzioni rispettive poi delle varie parti del corpo sono assal costanti. Il loro capo è fortemente punteggiato, con mandibole piut- tosto piccole e coi canthus oculari a margine regolarmente ar- Fig. 1. — Odonlolabis Lowei, femmine. Grand. nat. (Collez. dell'autore). rotondato, il pronoto ha i margini laterali molto arrotondati, senza angoli pronunciati. Il colore del lato ventrale e delle zampe è di un nero di pece uniforme o alquanto meno intenso sul mesosterno; supe- riormente il capo, il pronoto e lo scudetto sono sempre neri, mentre le elitre sono di colore vario. In un gran numero di femmine che considero come di co- lorazione maggiormente tipica, perchè meno diversa da quella dei maschi e più consimile a quella che pur si osserva nelle femmine delle specie congeneri vicine, le elitre sono gialle (fig. 1 A) coll’orlo esterno sottilmente nero e con una grande macchia comune nera, subtriangolare che colla propria base ne occupa quasi tutta la base, e che man mano si attenua all’in- dietro, estendendosi sulla sutura col proprio vertice fin presso l’apice della sutura stessa, che resta sempre nera. I margini laterali di questa macchia nera sono alquanto irregolari, però simmetrici sulle due elitre. La macchia in di- SULL’ODONTOLABIS LOWEI PARR. 115 scorso può avere poi maggiore sviluppo lateralmente e all’in- dietro, divenendo quasi ovale (fig. 1 B), quindi riducendo il co- lore giallo ad una zona laterale più o meno ristretta. Così proseguendo, in altre femmine le elitre sono in mas- sima parte nere e non presentano di giallo altro che una mac- chia allungata e stretta su ciascuna, presso il margine esterno (fig. 1 C). Questa macchia, residuo del color giallo, può essere ridotta a minime proporzioni, tanto da divenire persino poco distinguibile. Infine si hanno in numero anche considerevole delle fem- mine completamente nere (fig. 1 D). Tra le forme principali così descritte esistono tutti gli im- maginabili gradi di passaggio. Mi sembra però che le forme estreme (fig. 1 A e D) sieno le più numerose. d' - Fig. 2. — Nei maschi la statura varia molto e le man- dibole sono variabilissime, invece la colorazione, salvo rare ecce- zioni, è molto costante. Quanto alla statura, riferendomi agli esemplari della mia collezione, do qui le seguenti misure in mm.: 2 Brot ssa 32 22 | 88 | 2° N NI Nye No NQ RRS NO NS MASCHI SA BEE EST e Ac ann Sa ats CIO = Le CALCI N 5a E SI rg 5 Sr Sio, |. Soo SME) be Emo aS a lei Hrg He rd us) | cae taal Mie’ Neat. TRelodonte, > 2a. 57,59] 16,0 455,14 |19 ,10 | 21,5) 21,4 sa SAGA A 55 |15 |45 |18 |17,8, 9,6|20,5|20,4 eo Mesodonte .".. . <. 58.1 14,3 43,8 | 11,2) 16,5 | 9,5) 91,2 | 20.5 pena Meso-amifiodente. +) 52>.) 127 1434 104.116.3529" ~ 20-2.) 20.2 » 5. Amfiodonte ..../56 |18 |47,6|192|19 | 10,5 | 23,8 | 22,8 Pos amno-priodonte. . 4153. | 12465 (eGo 10” 192) O15 wdePriodonte:.... . 48,5 |10,8| 41,6] 9 | 15,5} 8,6] 19,7 | 19,8 | 42, O ‘i SEC IO AD DI ESS CONOR TOA LIT, 8,5 | 17,3 | 17,9 TRO) 5 TSE, B} (ooo (Pret ae Cla) a hea lle ote bello) DEIO Aia N 33,2] 5,5|292) 5,5] 9 6,9|13,2|13,8 NB. — Delle surriferite misure, la lunghezza delle mandi- bole è presa esaminando gli esemplari dal lato ventrale; la lun- ghezza del corpo e quella del capo sono prese tenendovi incluso 116 ACHILLE GRIFFINI anche l’epistoma che nei maschi telodonti (fig. 2 A) è sensibil- mente prominente; la lunghezza del capo è presa dalla metà del suo orlo anteriore al mezzo dell’orlo anteriore del pronoto: così la lunghezza del pronoto è misurata fra i punti di mezzo dei suoi due margini, anteriore e posteriore. ‘ Altri autori diedero altre misure alquanto differenti che qui anche riferirò (in mm.): © { 2 i è o) | E SOMA Si a N Cia N (e) N 2 N o) Na Nie N92 NES) NES RSS ses Ris Se! cia Nee Sa :C [de | go | dol Bo) a2 e MASCHI RS jee pes! Be | oe | og do ad qa eaten! aos Du Do Db dea Lei») x © Leo! ial Hai 5 ay Sy Ca Du aa a i 59 n° Sa ES SIE peo i Ue) uo] ©) | | Telodonte (sec. Albers) ....|65 | — |-— | —.| — | — Mesodonte (sec. Zang). .... 56 | Amfiodonte, tipo (s. Leuthner) |60 | 14 |12,5/19 |10°|24 | 22 | Priodonte (sec. Van de Poll) | 57 | 41 ‘| 412 |} 18 | 10,5 |:24* 723 2) Da queste misure appare gia quanto sia irregolare la varia- zione nei maschi dell’Odontolabis Lowei, e come ne sarebbe difficilissimo lo studio anche col metodo somatometrico del pro- fessore Camerano. Non v'è qui una lunghezza base possibile a scegliersi ed alla quale riferire le altre, in ciascun individuo, in modo da ottenere risultati meglio comparabili, la variazione delle mandibole e degli altri caratteri sessuali secondari proce- dendo molto indipendente dalla variazione della mole del corpo. Le dimensioni del capo e del pronoto, ad esempio, non di- pendono solamente dalla mole del corpo o dallo sviluppo man- dibolare, ma dipendono da questo e da quel carattere, che pos- sono trovarsi diversamente associati. Quindi solo le figure e le descrizioni, finora, possono servirci per un esatto studio comparativo (1). (1) Il metodo statistico è qui applicabile soltanto per determinare su di un dato numero di individui, quanti sono quelli che presentano questo o quel determinato carattere, e quindi la frequenza di una data forma di variazione, così come appunto tu usato da Brindley (S) e più recentemente, per altri insetti, dal Mainardi (Ricerche somatom. sul Mesocarabus Rossii, Atti Soc, Toscana di Scienze Naturali, vol. XXI, SULL’ODONTOLABIS LOWEI PARR. TLT I maschi dell’Odontolabis Lowei hanno corpo mediocremente allungato. Il loro capo è piuttosto depresso, sempre privo di creste frontali, coi lati finamente e fittamente punteggiati superior- mente, meno fittamente e più grossolanamente punteggiati infe- riormente; i canthus oculari sono relativamente stretti; i lati del capo, dietro gli occhi, sono in modo variabile alquanto sa- lienti a guisa di guance, talora appena arrotondati, talora invece alquanto angolosi, mai però in modo molto pronunciato. A questo riguardo credo vi sia esagerazione nella figura data da Leuthner. Il mento e il labbro inferiore hanno una fitta e breve barba vellutata di peli rossastri. Il pronoto ha i margini esterni a contorno arrotondato con lievissima sinuosità fino agli angoli laterali posteriori che si ar- rotondano pure; il margine del pronoto termina, verso l’insena- tura prossima a ciascuno di questi angoli, arrotondato o legger- mente angoloso. Il prosterno è prominente. Le tibie anteriori sono lunghe ed arcuate, principalmente negli individui più grandi, solcate e punteggiate, e terminano con due punte per parte e con una punticina inferiore; il loro margine esterno presenta due o tre spine nella metà apicale. Il colore delle zampe è superiormente tutto nero, inferior- mente nero coi femori medii e posteriori in gran parte rossi, gli anteriori dotati di minore macchia rosso-bruna. Il colore del lato ventrale del corpo è nero di pece, però coi lati del protorace nella loro parte posteriore, il mesosterno e i segmenti addomi- nali in gran parte rossi. In alcuni esemplari le parti inferiori, ad eccezione del capo che è sempre nero, sono quasi tutte ros- sastre. Pisa, 1904), e da Kellogg et Bell (Studies of variat. in insects, Proceed. Washington Acad. of. Sciences, vol. VI, 1904). Il metodo somatometrico è ancora applicabile per ciascun individuo isolata- mente, riferendo ad una sua dimensione, pres& come base, quelle delle varie parti del suo corpo. Potrebbe fors’anche applicarsi allo studio di qualche parte speciale, e cioè delle mandibole, la cui larghezza ad esempio cresce col scemare della lunghezza, quasi regolarmente, come già si vede dalle figure. Ma non può portare ad altri con- fronti fra individuo e individuo, non potendosi prender per base alcuna dimensione del corpo per riferire alle variazioni di questa le variazioni delle dimensioni dei ca- ratteri sessuali secondari, che ne sono indipendenti. Questo studio è invece perfettamente applicabile a quelle specie nelle quali la variazione, per quanto grandiosa, delle mandibole o di altri caratteri, segue passo passo la diminuzione di mole del corpo. 118 ACHILLE GRIFFINI Il capo, anche dorsalmente, è tutto nero; il pronoto è nero coi lati esterni più o meno largamente giallo-rossicci, in modo però poco ben delimitato, e cogli estremi orli sempre neri; una frangia di peli gialli, brevi ed abbastanza fitti, si osserva lungo l’orlo anteriore e sotto Vorlo posteriore del pronoto. Lo scudetto è nero. Le elitre sono gialle, giallo-rossiccie o rossiccie, sottilmente marginate di nero anche lungo la sutura e con una fascia basale nera, a margine posteriore irregolare, ma simmetrico sulle due elitre. Forma telodonte (fig. 2 A, fig. 3 A). — È questa la forma maschile più evoluta, che appare come più perfetta e che do- vrebbe essere la più normale, presentando il maggior numero di caratteri sessuali secondari e questi sviluppati nel senso di offrire le massime differenze coi caratteri delle femmine. Il capo è relativamente largo, in avanti; l’epistoma è pro- minente, quasi orizzontale, col margine anteriore incavato al mezzo, i margini laterali concavi, gli angoli esterni pronunciati. Le mandibole sono lunghe e relativamente esili, falcate, non depresse, appuntite all’apice, e fornite prima di questo di un lungo dente interno a base molto larga e ad apice bilobo. La punteggiatura delle mandibole è fina; la base delle mandibole ha superiormente una escavazione. Forma mesodonte (fig. 2 B). — Il capo appare meno largo in avanti; l’epistoma è già rudimentale. Le mandibole, relativa- mente più brevi e già più grosse, sono ancora alquanto falcate, benchè meno arcuate; esse hanno alquanto innanzi alla base un dente lungo, robusto, subconico, volto internamente ed al- quanto all’ingiù, e terminano con una punta apicale, preceduta da due o tre denti ottusi e grossi, connessi fra loro alla propria base. La punteggiatura delle mandibole è piuttosto grossa. La fig. 2 C rappresenta un individuo che fa passaggio fra la forma mesodonte e quella amfiodonte, e che potremmo chiamare meso-amifiodonte. Le sue mandibole sono ancor più brevi e più grosse, molto meno falcate; hanno un grosso dente basale poco lungo, ad apice arrotondato, al quale segue una insenatura del margine interno che precede la dilatazione terminale formata dalla punta apicale e dai quattro denti ottusi, connessi fra loro alla base, che ne vengono prima. La punteggiatura delle man- dibole è grossolana. SULL’ODONTOLABIS LOWEI PARR. ao Forma am/fiodonte (fig. 2 D, fig. 3 B). — Il capo appare piuttosto grosso, ma non largo in avanti come nella forma telo- Fig. 2. — Odontolibis Lowei, maschi. Grandezza naturale (Collezione dell'autore). donte; il pronoto appare piuttosto largo. Le mandibole sono corte, ma assai grosse, sensibilmente depresse, contigue lungo quasi tutto il loro margine interno, fuorchè per la limitata in- senatura che separa il dente basale dalla espansione formata te] 120 ACHILLE GRIFFINI dalla punta apicale coi quattro denti ottusi, connessi fra loro alla base, che la precedono. Il dente basale, grosso, corto ed ar- rotondato, non è più inclinato all’ingiù, ma è orizzontale come gli altri. La punteggiatura delle mandibole è piuttosto grossa. Forma priodonte (fig. 2 E, F). — Il capo appare relativa- mente minore; il protorace è meno largo. Le mandibole sono subtriangolari a margine esterno convesso, però brevi, depresse, contigue lungo tutto il loro margine interno che è formato da quattro o cinque denti molto brevi ed ottusi, oltre la punta api- cale, La punteggiatura delle mandibole è mediocremente fina. Quest'ultima appare essere la forma maschile 77620 evoluta, meno perfetta, e che dovrebbe essere la meno normale, presen- tando il minor numero di caratteri sessuali secondari e le minori differenze coi caratteri delle femmine. Fra le varie surriferite consecutive forme maschili di varia- zione, si noteranno certo in questa specie, come negli altri con- generi e in generale fra le forme maschili di variazione in ogni specie di Lucanide, tutti i possibili gradi di passaggio. È bensì vero che per alcuni Lucanidi, fra cui talune specie di Odontolabis, finora si conoscono solamente alcune forme ma- schili di variazione, talora anche lontane tra loro, ma, se eccet- tuiamo le specie poco variabili, come lO. latipennis Hope, a maschi sempre priodonti, quel conoscersi solo di alcune delle forme di variazione dipende certo dalla scarsezza del materiale riunito nelle collezioni. Infatti, per le specie più comuni e per quelle che man mano: vennero meglio raccolte, a poco a poco furono trovate tutte le forme e tutti i relativi gradi intermedii. Basti citare, per limi- tarci ora agli Odontolabis, VO. bellicosus Cast., VO. alces Fab., VO. cuvera Hope. Analogamente per le specie di tanti altri ge- neri, così nel Psalidoremus inclinatus Motsch, di cui molto par- ticolarmente mi sono occupato nel mio studio generale (!), nei Prosopocoelus, nei Metopodontus, pure a maschi assai variabili, in alcuni dei quali le forme minori hanno le mandibole. liscie come lame di forbici, che chiamai forma lissognata (*), ecc., ecc. (1) A. GRrIFFINI (L), p. 9-10, fig. 1. (2) Op. cit., pag. 12. Vedi anche in: A. GrIeFINI, Lucanidi raccolti da L. Fea nel- l'Africa occidentale, op. cit., pag. 139. SULL’ODONTOLABIS LOWEI PARR. HAL Insisto su ciò, in appoggio alla mia convinzione, secondo la quale nei maschi di Lucanidi non vi è un vero polimorfismo nel senso della coesistenza di due o più qualità diverse di ma- schi, distinte e separate (') nella stessa specie. Fino a prova con- traria, pur possibile in qualche caso, ma finora non accertata (?), credo dunque non applicabile in senso rigoroso il nome di poli» morfismo a questi fenomeni di variazione grandiosa sì, ma con tutti i passaggi fra le singole forme individuali di vario svi- luppo. Quindi io non parlerò a questo riguardo come alcuni autori, fra cui il Kolbe (P), di polimorfismo, ma parlerò invece di estesa variazione individuale, nella quale si possono bensi dare denominazioni speciali a particolari fasi rimarchevoli di sviluppo mandibolare e corporeo, ritenendo sempre che queste non sono che fasi di un unico fenomeno di grande variazione, e non gia fenomeni singoli, divisi l’uno dall’altro. Della variazione nei Lucanidi in generale si sono occupati parecchi autori, così il Lacordaire nel suo Genera des Coleop- teres, il Burmeister nel suo Handbuch der Entomologie, Band V, opere notissime, il Leuthner nella sua monografia (B), il Planet nella monografia dei generi Lucanus e Pseudolucanus (3) e in qualche altro lavoro, il Kolbe (P), ed infine io stesso nel mio studio generale (L). Il Dohrn in un suo lavoro sulla variazione Prosopocoelus antilopus Swed. (sinon.: Cladognathus quadridens Hope) (5), chiama questi Lucanidi, coi loro fenomeni di grande variazione individuale, una “ fiir die Kinder Darwin willkommenes Manna,,. Infatti qua e la si trova ricordata la variazione di mole e di caratteri sessuali secondari nei Lucanidi in molti libri di argomento molto generale, oltre che in lavori non precisamente (1) Ecco la definizione del polimorfismo vero data da Wallace e riportata da Camerano nel suo volume sugli Insetti (Torino, Loescher, 1879, pag. 6S): “ con questo nome io indico la coesistenza nella stessa località di due o più forme distinte che non sono collegate da forme intermedie, e cionondimeno sono spesso prodotte da ge- nitori comuni ,. Molti casi di dimorfismi e polimorfismi negli Artropodi sono ricordati nel lavoro di Peyerimhoff (IV). (2) Il Waterhouse, descrivendo Vl’ Eurytrachelus Wickhami, esprime l’idea che in questa specie siavi un vero dimorfismo maschile. Ann. Magaz. Nat. Hist., London, ser. 6, vol. XIII, 1894, pag. 283. (3) L. Puanrt, Essai monogr. sur les coléopt. des genres Pseudolucane et Lucane, Paris, Deyrolle, 1899. (4) C. A. Donrx, Exolisches. Stettin. Entom. Zeit., 36 Ihg., 1875. 12 ACHILLE GRIFFINI diretti a studiarla in modo speciale (!). Certo la variazione è sorprendente. I fatti generali che meritano di essere principal- mente ricordati sono i seguenti: 1° Le grandi differenze sessuali secondarie spesso visto- sissime, tanto più nelle specie più grandi, e consistenti in molti caratteri (*), fra i quali lo sviluppo straordinario delle mandibole dei maschi è il più evidente, ma a cui si unisce quasi sempre la mole dei maschi notevolmente maggiore, la forma diversa del capo, la presenza di creste su questo, e talora lo sviluppo note- vole delle zampe anteriori, delle antenne, la barba al mento, ecc. 2° La generale maggior variabilità di mole e di caratteri sessuali secondari nei maschi che non nelle femmine. 3° La gran riduzione di molti caratteri sessuali secondari nei maschi di forma mediocre e più ancora in quelli di forma minore, entro la stessa specie, tanto che alcuni di quei caratteri, come le creste cefaliche, possono persino scomparire del tutto, ed altri, come la lunghezza mandibolare, si riducono esagerata- mente, rispetto alla diminuzione di mole del corpo. 4° Il cambiamento di forma delle mandibole, passando dai maschi maggiori via via a quelli minori, in certe specie, tanto che negli Odontolabis, ad esempio, entro la stessa specie, da ma- schi di forma maggiore a mandibole liscie, scarsamente dentate solo all’apice, si giunge ai maschi di forma minore a mandibole priodonti, cioè tutte dentate a sega, e in molti Melopodontus, da maschi maggiori a mandibole ramificate si giunge a maschi minori, dotati di mandibole lissognate, cioè liscie come lame di forbici (3). (1) Veggasi ad esempio: L. CameRANO, La scelta sessuale e i caratteri sessuali secon- dari nei coleotteri, Torino, 1880, ed altri lavori. W. von Reicuenau, Ueber den Ursprung der secund. miinnl. Geschlechischaraktere, insbesondere bei den Blatthornkifern. Zeitschr. “ Kosmos ,, V Ihg.,9 H., Stuttgart, 1851, ed i lavori di Peyerimhoff (N), di Planet (0), ecc. (?) Sono enumerati diffusamente questi caratteri da Leuthner (B, pag. 390). (3) Questi cambiamenti, di cui in generale si conoscono tutte le fasi graduali, sono ancor più strani dell’esagerata variazione di lunghezza. Dei diversi modi di ri- duzione delle mandibole, nelle differenti specie, io ho tentata una classificazione nel mio studio generale (L, p. 13-15), che qui riporto per sommi capi: a) Leggera riduzione di grandezza delle mandibole, restandone la forma ed i ca- ratteri costanti o pressochè costanti; b) Riduzione non grande con forma pressochè costante, e però con distinta atte- nuazione di parti secondarie ; c) Riduzione generale con spostamento di appendici secondarie ; SULL’ODONTOLABIS LOWEI PARR. 123 oO x se Non è qui il caso ch'io ritorni diffusamente su quanto fu detto dagli autori e da me stesso (Z) per cercar di interpretare questi fatti. Le cause probabilmente devono esserne molteplici, complesse, ed atte ad interferire spesso fra loro. Questo sbizzarrirsi della famiglia dei Lucanidi in tante forme stravaganti, di cui molte strutture destinate assai probabilmente a funzionare come organi mimetici, come organi terrificanti, come organi di combattimento, o di presa per assicurare la riprodu- zione, quasi come se questa famiglia stesse attraversando un periodo difficile della propria esistenza, potrebbe persino far pensar male per l’avvenire dei Lucanidi o almeno di molti di essi. Poichè ciò mi ricorda lo sbizzarrirsi dei Trilobiti quando furono prossimi ad estinguersi, negli ultimi loro periodi, in forme anormali e con appendici molteplici e stravaganti, il deviare poi delle Ammoniti dal loro piano fondamentale di struttura, arric- chendosi di sorta di ornamentazioni e differenziandosi assai, nel tempo della loro decadenza, immediatamente precedente alla loro estinzione. Questi fatti devonsi essere verificati anche in altri gruppi prossimi a perire, quando ormai la loro variabilità, per quanto era delle strutture fondamentali, si era progressivamente ridotta, secondo il concetto del Rosa, non concedendosi loro una vera, profonda, ulteriore evoluzione appropriata ai nuovi tempi. Io non voglio già dire che ciò sia ora nei Lucanidi; ho detto che la stranezza della loro variazione può far pensare anche a questo. Sono poi d'accordo col Kolbe (P) in quanto egli considera la forma maschile priodonte, forma minore, degli Odontolabis, come la meno allontanata dal tipo primitivo ancestrale, e come fors’anche d) Riduzione con totale decrescimento, con diminuzione di curvatura e di svi- luppo di ‘appendici secondarie ; e) Riduzione con totale decrescimento, diminuzione di lunghezza e scomparsa di appendici secondarie ; f) Riduzione generale con accrescimento di qualche appendice secondaria ; g) Riduzione con cambiamento di caratteri, passando per la forma amfiodonte ; h) Riduzione con cambiamento di caratteri, passando per la forma eopriodonte ; i) Riduzione a forma lissognata ; 1) Riduzione a forma priodonte in modo eguale o subeguale per ambedue le man- dibole, in modo da conservarsi inalterata la simmetria bilaterale ; im) Riduzione a forma priodonte con sopravveniente dissimmetria fra le due man- dibole. 124 ACHILLE GRIFFINI tutti i Lucanidi maschi nei tempi antichi fossero priodonti o quasi, rappresentando invece le altre forme una successiva mag- giore evoluzione di caratteri, probabilmente in gran parte mi- metici, terrifici, difensivi, offensivi e di presa. Le forme maschili minori peccherebbero dunque di atavismo. Certo le femmine, assai più conservatrici di caratteri primi- tivi, sono più uniformi anche fra specie persino non congeneri (*), quindi hanno ancora molti caratteri del ceppo originario comune dei Lucanidi, e per quanto è dei maschi di forma minore, cioè meno diversi dalle loro femmine, lo stesso può ripetersi, almeno fra le specie vicine, che essi non possono servir bene a caratte- rizzare, mentre le specie si distinguono bene nei rispettivi maschi di forma maggiore. La forma maggiore sarebbe appunto, secondo il Kolbe: “ die echte und rechte von der Natur gewollte Ent- wickelungsform der Spezies ,,. Ma, lasciando le considerazioni filosofiche, e le cause di va- riazione non materialmente determinabili, io cercai già nel mio studio generale diverse cause che potrebbero determinarsi colla esperienza, come impellenti della grande variabilità in questi coleotteri, cause che naturalmente devono agire durante i pe- riodi precedenti lo stato adulto. Questi studi sarebbero meno difficili se la variazione fosse omogenea, se cioè in tutte Je specie, gli individui 7207 iano di mole minore presentassero riduzioni di certi loro organi, ri- duzioni anche esagerate, secondo coefficienti differenti, modifi- cazioni di forma, ma regolarmente nello stesso senso. Ciò, è vero, si osserva in molti casi, ma in moltissimi altri casi non si può verificare. Eccoci nuovamente all’ Odontolabis Lowei. Forma maggiore e individuo di maggior mole, non sono sempre sinonimi, e nep- pure forma media e individuo mediocre, forma minore e individuo piccolo. Fondamentalmente la variazione si delinea bensì secondo tale regola, ma già nella figura 2 noi vediamo l’individuo D, che è di forma minore rispetto a B ed a C, esserne alquanto più grande di corpo. Ancor più evidente ciò appare nella fig. 3, in cui ho rap- (1) È abbastanza difficile, ad esempio, il distinguere fra loro le femmine del- V Odontolabis Siva Hope e quelle del Neolucanus lama Oliv. SULL’ ODONTOLABIS LOWEI PARR. 125 presentato, in grandezza naturale, due maschi della mia colle- zione, di cui l'individuo A, telodonte, cioè di forma maggiore, notevolmente più piccolo dell’indiviluo B, appena amfiodonte, il quale dunque come mole di corpo è assai grande, come svi- luppo invece delle mandibole e degli altri caratteri sessuali se- condari, non è neppure di forma media o mesodonte, ma è quasi di forma minore. Questo fatto del potersi trovare nella stessa specie individui grandi, di forma media o minore ed individui relativamente pic- coli, di forma maggiore, oltre naturalmente ai grandi di grande forma, ed ai piccoli di forma minore, è molto frequente nel- l’Odontolabis Loweî, ma si verifica pure in ispecie congeneri, come l’0. brookeanus Voll., O. Castelnaudi Parr. e lO. Siva Hope; esso si osserva ancora in generi anche lontani. Esso mi ha indotto dunque a considerare due serie di cause, e cioè cause agenti genericamente su tutto l'organismo e cause agenti specialmente sugli organi riproduttori. Alle prime credo devansi riferire essenzialmente le variazioni di mole, alle seconde quelle dei caratteri sessuali secondari. Nel mio studio generale (Z, pag. 20-21), scrivevo a tale ri- guardo quanto segue: “Le cause agenti su tutto l'organismo influiranno su tutti gli organi di questo, e quindi anche sugli organi sessuali, e forse potranno agire su certi organi più che su altri, portando a sa- crificarsi, ad esempio, in individui meschini il possibile migliore sviluppo di parti alquanto accessorie, a vantaggio di una even- tuale migliore formazione di organi più essenziali. “Le cause agenti prevalentemente sugli organi riproduttori, potranno avere un’azione indiretta anche su altri organi diver- sissimi, ma devono avere certo azione sui caratteri sessuali se- condari, il cui sviluppo più o meno rigoglioso o stentato, anche qui, come in tanti altri animali, deve indubbiamente essere in diretto rapporto collo sviluppo degli organi sessuali, di cui sono in certo qual modo l’insegna esteriore. “Di tante cause, ora l’una, ora l’altra, ora tutte, ora poche, agiranno di prevalenza; ogni causa potrà volta per volta essere più energica o meno. Il diverso grado di variazione e della mole del corpo, e dei caratteri sessuali secondari, sarà dovuto alla diversa intensità delle singole cause e al diverso interferire di queste fra loro. ,, 126 ACHILLE GRIFFINI Quanto alle cause che possono agire, s’intende durante i periodi precedenti lo stato adulto, su tutto Vorganismo, come efficienti essenzialmente della variazione della mole complessiva del corpo, credo esse vadano ricercate principalmente nelle se- guenti: a) quantità maggiore o minore di nutrimento utile; b) qualità più o meno conveniente di nutrimento; c) condizioni più o meno favorevoli o sfavorevoli, dura- ture o temporanee, di temperatura, di umidità, e in generale di ambiente, più o meno riparato e conveniente; d) possibili offese di varia natura: mancanza o presenza di parassiti, numero e qualità di questi parassiti. (Escludendo qui i parassiti degli organi sessuali in formazione e quelli in- fluenti in modo tutto speciale sugli organi sessuali). L'influenza della quantità e della qualita del nutrimento è certo grande, e così infatti ne scriveva il prof. Camerano (M): “ È certo tuttavia che la qualità e la quantità del nutri- mento che è a disposizione dell'animale, esercita a questo pro- posito un'azione grandissima. E cosa certa pure che in generale non tutti gli individui di una stessa specie possono nutrirsi in egual maniera. Ne verrà quindi una diversa statura nei vari in- dividui stessi (!). “Questo variare della mole di un animale è molto impor- tante, poichè induce, per l’azione correlativa dello sviluppo delle parti, modificazioni notevolissime in certi determinati organi, e quindi fa variare profondamente molti caratteri. , Per quanto è delle condizioni di ambiente, le esperienze fatte su Lepidotteri, su Crostacei, su vari animali, sono ormai note e sicure, e, nel nostro caso, per ciò che riguarda l’ambiente in cui è passato lo stato crisalidale, mi basterà di riferir qui quanto scrive il Planet (0): “ Plus la métamorphose en nymphe a lieu tardivement, plus l’insecte est petit. Or, la métamorphose en nymphe est d’autant plus retardée que la larve s’est trouvée dans des conditions anor- (1) Veggasi il caso di un Papilio machaon lillipuziano ottenuto da Ragusa da una larva nutrita insufficientemente, e da lui descritto e figurato nel “ Naturalista Sici- liano ,, 1982, anno 1, n. 1, pag. 24, tav. 1, fig. 9. SULL’ODONTOLABIS LOWEI PARR. 127 males. Il m’est arrive, par ex., de recueillir des larves de Lu- canes a toute leur taille qui, souffrant chez moi la captivité, ne se sont transformées que l’année suivante, apres avoir réduit de volume, et m’ont donné des insectes beaucoup plus petits que ceux que j’aurais pu attendre de larves aussi fortes au début. ,, . Ora io credo, benchè entri qui nella spinosa questione dei caratteri acquisiti, che anche l’ereditarietà non vada trascurata, nel caso di queste specie così variabili, portando un contributo di caratteri dovuti alle condizioni di sviluppo individuale, di attività o esaurimento, di maggiore o minor salute dei proge- nitori, o di uno di essi. Noi leggiamo in Darwin quanto segue: (1). “La dissomiglianza fra i fratelli e le sorelle di una stessa famiglia e fra le piante sOrte dai semi della stessa cassula, può in parte essere spiegata dall’ineguale fusione dei caratteri dei due genitori. “La somiglianza meno grande dei membri successivi d’una stessa famiglia, sembra provare che lo stato dei genitori nel mo- mento stesso della concezione, o la natura del susseguente svi- luppo embrionale, esercitino una influenza diretta e possente sui caratteri del prodotto. ,, Nei Lucanidi non abbiamo alternanze di generazione, meta- genesi, eterogonie, dimorfismi di stagione, quindi la trasmissione dei caratteri deve passare direttamente dai progenitori ai figli immediati. E mi ripugnerebbe fin ora ammettere che larve figlie di individui di forma minore, possano, per quanto viventi in ottime condizioni, giungere a divenire esse stesse adulti di forma massima, s'intende non confondendo la mole del corpo colla forma di sviluppo individuale. Solo l’esperienza però, anche a questo riguardo, potrà dare risultati chiari e convincenti. Per quanto si può fin qui stabilire, pare che in generale, in ogni specie, gli individui più frequenti sieno quelli di forma media e di mole mediocre od all’incirca, quasi ad eguale distanza fra i più grandi ed i più piccoli, fra i più rigogliosi ed i più stentati (°). (1) Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, Traduzione ita- liana di G. CanesTRINI, Torino, 1876, pag. 595. (2) Ciò appare almeno nelle specie più note, e così nei nostrali Lucanus cervus L. © Lucanus tetraodon Thunb., salvo qualche oscillazione a seconda delle località. Dallo chi 128 ACHILLE GRIFFINI ** L’idea di un legame probabile fra lo sviluppo più o meno rigoglioso dei caratteri sessuali secondari e lo sviluppo anato- mico e fisiologico degli organi riproduttori nei maschi dei Luca- nidi, si era già presentata ad alcuni autori, e fra questi a Peye- rimhoff, il quale però ammetteva la nutrizione più o meno opportura come causa fondamentale del fenomeno. Egli infatti (N, p. 255), così scriveva: “Les Lucanus g' de petite taille ont habituellement des caractères féminins: leurs mandibules surtout sont très réduites. Cela semble prouver que l’insuffisance de nutrition a agi sur l’organisme entier, provoquant d’une part une reduction de taille, et d’autre part une atrophie des organes genitaux; ce phénomène a inversé, par corrélation, les caractères sexuels secondaires. L’explication serait plus solide s’il était établi que ces homé- omorphes sont peu féconds, ou méme stériles: leur homéomor- phisme serait le résultat, et réciproquement l’indice externe, le stigmate de leur nullité ou de leur faiblesse sexuelle. , Come si vede, l’autore si occupa di casi in cui la riduzione dei caratteri sessuali secondari si accompagna, benchè con esa- gerazione, alla riduzione di mole, e pertanto è indotto a ricor- rere ad una sola causa comune per i due fenomeni. Per i casi come quello dell’Odontfolabis Lowei, più numerosi di quanto fin qui si sia creduto, in cui la variazione di mole non è legata a quella dei caratteri sessuali secondari in modo uniforme, ci appare evidente come le cause delle due variazioni vadano ricercate separatamente. Nel mio studio generale (Z, p. 30-36) mi occupai di questo argomento, e come cause capaci di agire direttamente sugli or- gani sessuali, o aventi su questi il massimo effetto, ed agenti quindi indirettamente, ma per naturale correlazione, sui carat- teri sessuali secondari, ammisi dei parassiti castratori. Ormai sono noti moltissimi casi di castrazione parassitaria, studiati principalmente da Giard: i parassiti castratori appar- studio fatto da Brindiey su 115 maschi di Lucanus cervus misurati, e dalla curva da lui tracciata (S, pag. 593) assumendo come ascisse le lunghezze delle mandibole e come ordinate il numero dei casi osservato per ogni lunghezza, risulta una notevole regolarità ; le forme medie sono quelle che prevalgono. È naturale infatti che ciò si verifichi. SULL’ODONTOLABIS LOWEI PARR. 129 tengono volta per volta a gruppi zoologici anche assai disparati ; non sempre si attaccano direttamente agli organi riproduttori, ma in certi casi, pure soggiornando in altri organi, influiscono “su quelli in modo essenziale, cagionandone una maggiore o mi- nore riduzione od alterazione; taluni persino vi si sostituiscono. La castrazione parassitaria è accompagnata da cambiamenti anche nella forma esterna degli individui infettati, e ciò infatti è naturale. La castrazione stessa può essere più o meno incom- pleta, ben di rado assoluta, con ciò dunque i cambiamenti in organi esterni sono più o meno numerosi e profondi. Noti ormai a tutti sono i fenomeni che accompagnano la «castrazione in tanti animali, e ben rimarchevole è l'influenza che essa esercita specialmente sui caratteri sessuali secondari, variandone od arrestandone lo sviluppo. I maschi castrati acqui- stano qualche carattere secondario di femminilità, e le femmine invece soggette ad analoga alterazione acquistano qualche carat- tere secondario di natura maschile. Questi fatti inducono in Giard le seguenti considerazioni (A): “On a souvent repété que le sexe male représente le type de lespéce, qu'il est essentiellement progressif et qu'il determine la marche en avant dans les variations...; qwen un mot, par rapport au male, le sexe femelle est dans un’état de retard evolutif. “ Cela est exact pour un certain nombre de types; mais il faut avoir soin d’ajouter que dans ces cas la femelle non seulement possede la proprieté virtuelle et prospective de transmettre a sa posterité male des caractères qu’elle renferme a l’état latent, mais quelle peut aussi parfois développer actuellement elle-méme ces caractères lorsque la castration vient supprimer l’action ini- bitrice de Vovaire qui arrétait non la croissance, mais l’evo- lution. “On pourrait méme dire que, dans ces cas, la femelle réalise la forme typique plus facilement que le male, puisqu’elle atteint cette forme dès qu'elle est débarrassée de l’obstacle qui entravait sa marche en avant, tandis que le màie ne peut y arriver si on le prive, par castration également, d’une action adjuvante (dé- pendant du testicule), sans laquelle il reste a l'état infantile tout en poursuivant sa croissance réculiére. , Che poi una sorta di secrezione interna, proveniente dai te- sticoli, sia quella che favorisce lo sviluppo dei caratteri sessuali 130 ACHILLE GRIFFINI secondari, fu recentemente dimostrato, almeno per i vertebrati, da Shattock e Seligmann (!). Per quanto è dell’azione di parassiti castratori come modi- ficatrice di caratteri sessuali secondari, in certi insetti, Giard ne parla in un altro suo lavoro (Q), nel quale ricorda le For/ficule, le cui pinze anali dei maschi (caratteri sessuali secondari) sono variabili di sviluppo nella stessa specie, mentre le forficule stesse albergano come parassiti castratori certe Gregarine. E l’autore così scrive: “Tl est possible en effet d’après la longueur de la pince d’affirmer qu’une Forficule male possede des Grégarines et qu'elle en posséde en plus ou moins grande quantité. Comme ces pa- rasites produisent un amoindrissement du caractère sexuel se- condaire sans déterminer la stérilité (la castration complete étant un cas exceptionnel) il arrive fréquemment que les indi- vidus a pinces courtes, c’est-a-dir ceux qui ont des parasites, sont plus nombreux que ceux a pinces longues. ,, i L’autore stesso parla dello Scarabeide Yylotrupes Gideon, i cui maschi, come quelli di tanti altri, hanno un corno frontale assai variabile, e così scrive: “Je n’ai pas étudie d’une facon speciale le cas de Xy/0trwpes Gideon et comme il s’agit d’un insecte de l’Archipel indien que nous ne possédons qu’a l’état sec dans nos collections, il est assez malaisé de savoir s’il possède fréquemment des parasites. Cela paraît cependant probable en raison de ce que nous savons de l’Oryctes nasicornis et de la plupart de nos Scarabéides in- digénes. Bien que ces insectes soient a métamorphoses complètes et que les Grégarines soient surtout abondantes chez les larves, leur action peut se continuer pendant tout la période de la nymphose grace aux kystes colomiques dont L. Léger nous a revelé l’existence. Il conviendrait donc d’examiner dans quelle mesure la présence de ces parasites retentit sur les caractères sexuels secondaires de l’hote. , Parmi che tutte queste considerazioni abbiano nel nostro caso molto valore. (1) S. G. SuHarrock and C. G. SeLIGMANN, Observat. upon the acquirement of second. sex. characters, indicating the format. of an intern, secretion by the testicle. Transact. Pa- tholog. Society, London, vol. 56, part. I, 1905. — Proceed. Royal Society, London, vol. 73, 1903. SULL’ODONTOLABIS LOWEI PARR. Hest Separando dunque le cause agenti sulla mole generale del corpo, da quelle agenti prevalentemente sugli organi riprodut- tori e di conseguenza pure sullo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, ammesso che queste ultime vadano ricercate in par- ticolari parassiti castratori, io così mi esprimevo: “ Ritengo quale forma rappresentante della migliore espres- sione del sesso maschile, e insomma quali maschi nor- mali, la forma di maschi forniti di caratteri sessuali secondari di massimo svi. luppo, e perciò anche più degli altri dissimili dalle femmine della loro stessa specie, e palesanti col grande sviluppo di quei caratteri la loro rigogliosa virilità. Que- sti maschi d’ordinario sono anche i più grossi ('). “Ioriterreichei maschi piccoli, ad es., dell’Odon- tolabis Lowei, aventi carat- teri sessuali secondari benis- simo sviluppati, saranno bensì derivati da larve mal nutrite o in altro modo sfortunate nella loro esi- stenza, ma sessualmente sa- Fig. 3. — Odontolabis Lowei, due maschi. Grand. natur. (Collez. dell'autore). ranno maschi altrettanto o quasi altrettanto virili di quelli grandi e pure aventi caratteri sessuali secondari di grande sviluppo; mentre gli individui di qualunque mole aventi caratteri sessuali secondari ridotti saranno in maggiore o minor grado dotati di potere sessuale ridotto, senza che perciò sia molto strano che ve ne sieno anche di grandi, potendo alcuni provenire da larve ben nutrite. , (?) (1) A. GRIFFINI, (L), pag. 21. (4) Op. cit., pag. 35. 2 ACHILLE GRIPFFINI Veggasi ancora a questo riguardo la figura 3. Sui Lucanidi però finora non fu fatta, ch'io mi sappia, al- cuna ricerca diretta in proposito. Gli esemplari delle collezioni sono a secco, quindi inutilizzabili per tali studi, e per parte mia posso assicurare chi mi legge che, nonostante promesse da parte di raccoglitori e offerte di pagamento o d’altro compenso da parte dello studioso, è più facile avere dei Lucanidi rari da Sumatra che non dei comuni Cervi volanti in alcool. Questi ultimi bisognerebbe aver tempo e modo di racco- glierseli personalmente; e quelli esotici, inviati da qualche com- merciante, o sono a secco, o, se in alcool, non sempre, per il numero relativamente esagerato in cui furon messi in bottiglie relativamente piccole, o con alcool poco buono, sono conservati internamente in modo da. offrire materiale utile per le volute delicate ricerche anatomiche. Devo anzi soggiungere che quanto è stato finora, forse un po’ troppo superficialmente, tentato al riguardo, avrebbe dato risultato negativo. Nella monografia di Leuthner infatti si legge: «I also convinced myself by careful examination that the smallest males, although so similar to the females, possessed fully developed sexual organs, and were not to be regarded as sexually imperfect individuals, as some authors hawe suggested ('). “The idea that the so-called degenerated forms should be regarded as neuters, was refuted by an examination of the fully developed and even comparatively large sexual organs, in which not only the chitinous parts, but also the testes and their con- tents (the spermatozoa: These could only be observed in the smallest males of Lucanus cervus) were found to be well deve- loped in the smallest males. , (7) Ora, noi non diciamo certo che le forme maschili minori sieno dei neutri, e nemmeno che devano mancare di spermatozoi e di testicoli, ma supponiamo che in esse certi parassiti, anche di organi che non sieno i testicoli, ma agenti principalmente sugli organi riproduttori veri, non già sulle parti chitinose di questi, possano influire in modo da concorrere alla grande mo- dificazione dei caratteri sessuali secondari, facendoli restare ad uno stadio evolutivo più primitivo, più o meno ancestrale. (1) F. LEUTHNER; (B), pag. 395. (2) Op. cit., pag. 403. SULL’ODONTOLABIS LOWEI PARR. 133 Quando finalmente si possa riunire sufficiente materiale op- portuno, cioè fresco o ben conservato in alcool e fissato, le ricerche non dovranno essere molto difficili. Gli organi ripro- duttori dei comuni Lucanidi nostrali sono accuratamente descritti da Escherich (!) e sopratutto nel recente importante lavoro di Bordas (?). Con queste guide, le variazioni non devono tardare ad essere messe in evidenza, se vi sono, e se accompagnano, come par- rebbe dovrebbe essere, i mutamenti dei caratteri sessuali se- condari. Il Leuthner stesso (*) asseriva di aver fatto. ricerche sopra gli organi maschili di molti Lucanidi e di esser giunto ad im- portanti risultati; però non credo che il lavoro da lui promesso su questo importante argomento, sia mai stato pubblicato. Infine, ancora I’ Odonlolabis Lowei Parr., mi porge occasione di considerare la grande variazione di caratteri nei maschi dei Lucanidi sotto tutt'altro punto di vista. Le mandibole dei maschi di questi Lucanidi, oltre all'essere probabilmente organi di difesa come organi terrificanti e organi che forse giovano per particolari mimetismi, sono anche forti organi di presa per trattenere la femmina ed organi di combat- timento fra maschi della stessa specie. Che sieno organi di presa per trattenere la femmina, non v'è dubbio. Basti osservare come procede l’accoppiamento, e come il maschio sul dorso della femmina si aggrappi a questa colle zampe e la stringa inoltre anteriormente colle mandibole. Nello scorso luglio 1905, in Aquila, il mio collega prof. F. Rosati, che gentilmente mi raccoglieva nella sua villa dei Lucanus tetraodon Thunb., me ne recò un giorno una coppia. (1) K. Escuercn, Ueber die verwandsch. Beziehungen zwischen den Lucaniden und Scarabaeiden. Wien. Entom. Zeitung, XII Jhg., 1893, pag. 265 e figura a pag. 269. (2) L. Borpas, Iecherches sur les org. reproduct. idles des Coléopléres. Annales des Sciences Natur., Zoologie, 7 ser., Tome XI, 1900. (3) Op. cit. (B, p. 393): “I nevertheless examined the male sexual organs in a large number of Lucanidae, and arrived at very interesting results, which I will re- serve for future publication, as they are rather beyond the limts of the present in- vestigation. ,, 134 ACHILLE GRIFFINI Questi due individui sì accoppiarono sotto i miei occhi oltre una trentina di volte in ciascuno dei due giorni successivi, finchè sacrificai il maschio per la mia collezione e inviai la femmina a Boileau. Orbene, in quegli accoppiamenti il maschio, non ap- pena la femmina si fosse mostrata riluttante, la stringeva con tale rabbia, mediante le mandibole, da farne fortemente scric- chiolare il dermascheletro chitinoso. Per quanto si riferisce all’essere le mandibole delle armi di combattimento fra i maschi all’epoca della riproduzione, mi pare che ciò pure non possa essere negato, almeno nella gran mag- gioranza dei casi. Quasi tutti gli autori ne parlano in questo senso. Il Planet, autore molto accurato nelle sue osservazioni, par- lando del comune Lucanus cervus L., così si esprime (1): “Le Lucanus cervus est tres-ardent a l’époque de la copu- lation; il est rare de trouver deux de ces insectes accouples, sans apercevoir ou entendre dans le voisinage d’autres males en train de s’administrer une volée en règle. ,, Leuthner spiega come probabilmente dovute a combatti- menti le scalfitture, rotture, lesioni, tanto comuni e facili ad osservarsi sul corpo dei Lucanidi maschi, e principalmente degli Odontolabis, che sembra sieno particolarmente bellicosi. Egli anzi scrive particolarmente così (?): “Numerous injuries were observed in specimens of Odon- tolabis alces of all sizes; some of these consisted of deep punc- tures and indentations, generally in pairs, on the hard prothorax and elytra, which were evidently produced by the middle teeth of the mesodont form. In other cases the tips of the front tibiae were amputated, and in two instances saw-like impressions were noticed on the side of the elytra, evidently due to the jaws of the priodont forms. In some interesting cases these double wounds were completely cicatrized. This shows that the injuries must have been inflicted when the example had only just emerged from the pupa and was still soft. “If we consider that it is more than probable that the males fight for the possession of the females, we may regard the mandibles of the large forms as offensive, and those of the small ones as defensive weapons. , (1) Essai monogr. sur les coléopt. des genres Pseudolucane et Lucane. Op. cit., I, p. 42. (2) B, p. 401 e fig. 3. SULL’ODONTOLABIS LOWEI PARR. 135 To stesso, nel mio studio generale, ho spiegate le lesioni che si notano sul corpo di molti esemplari di Lucanidi maschi, come dovute alle lotte fra questi. È bensì vero che, come mi scrisse R. Oberthiir, molte lesioni che si osservano sul corpo di Lucanidi possono esser state loro fatte da altri insetti, da altri animali, ma moltissime però, prin- cipalmente al capo e alle mandibole, di cui varie parti sono assai frequentemente logorate, smussate, intaccate, rotte, mi pare rivelino proprio, anche per la forma delle lesioni e rotture stesse, un combattimento fra maschi della stessa specie. Il prof. Camerano è di questo parere. Egli scrive del Lu- canus cervus (1): “Nei maschi le mandibole servono come armi di combatti- mento. Se si tengono molti individui riuniti insieme, dopo qualche tempo, se ne trovano sempre alcuni o col capo o col torace tagliati o con profonde ferite sulle varie parti del corpo, ferite che sono state prodotte dai formidabili denti delle mandibole. ,, Il distinto naturalista raccoglitore Henri Rouyer mi scriveva quest'anno da Sumatra che gli era difficile avere dei Lucanidi e principalmente degli Odontolabis gazella intatti, perchè, per poco che i suoi indigeni ricercatori ne avessero lasciati alcuni maschi vivi assieme nello stesso recipiente, questi si mutilavano fra loro con rabbia. I fatti ultimi così ricordati non sarebbero del tutto probanti, in favore dei sostenitori dei combattimenti dei Lucanidi maschi, poichè osservati in prigionia, nel qual caso anche molti altri animali, come toporagni, o arvicole, o pipistrelli, pur della stessa specie, messi assieme in uno spazio ristretto si sbranano a morte; essi nondimeno provano l’indole battagliera dei Lucanidi. Insisto su ciò, perchè taluni autori, come il Reichenaw, ne- gano alle mandibole di questi coleotteri il carattere di armi di combattimento. A me pare invece che si possa ben ammettere col Leuthner che le mandibole dei Lucanidi si sieno evolute sia come armi di combattimento, sia come organi terrifici. Orbene, noi vediamo che nella grande generalità delle specie i maschi di forma maggiore o quasi, cioè quelli in cui, anche (1) L. Camerano, Ricerche int. alla forza ass. dei muscoli degli insetti. Memorie R. Accad. delle Scienze, Torino, ser. II, Tom. XLIII, 1893. 136 ACHILLE GRIFFINI indipendentemente dalla mole, che pur ordinariamente è grande, i caratteri sessuali secondari sono maggiormente evoluti, pos- seggono le mandibole non solo più lunghe, più ramose, ma anche più grosse, più forti, più armate. Essi dunque, sia per difesa come per offesa, sono meglio equipaggiati di quelli di forma minore. Basti ricordare in proposito i Lucanus, i Pseudolucanus, gli Hexarthrius, i Cladognathus, i Neolucanus, e tanti altri, non escluse diverse specie di Odontlolabis. Invece, in qualche specie, e l’Odontolabis Lowei ce ne offre uno dei migliori esempi, i maschi di forma minore appaiono meglio armati di quelli di forma maggiore. Infatti, basta esami- nare le figure 2 e 3 per vedere che i maschi di forma minore, cioè, indipendentemente dalla mole, dotati di caratteri sessuali secondari molto ridotti, di mandibole corte, priodonti o quasi, vengono ad avere queste più larghe, più forti, più poderose assai, di quelle dei maschi spettanti alla forma maggiore, telo- donti o quasi, aventi cioè caratteri sessuali secondari rigogliosa- mente evoluti, e le cui mandibole sono bensì lunghe e ramifi- cate, ma molto esili. Adunque questi maschi di forma maggiore, in caso di lotta, verrebbero a trovarsi meno bene armati, meno adatti; e, per quanto il loro capo sia alquanto più largo di quello dei maschi di forma minore, e tale larghezza sia in rapporto coi muscoli interni mo- tori delle mandibole (1), ciò non può compensare la relativa gracilità di queste armi. Pertanto, nelle specie in cui ciò si verifica, i maschi di forma maggiore sono appunto rari, prevalendo su di essi quelli della forma media e minore, i quali hanno maggior solidità nelle man- dibole, carattere indubbiamente utile. Ciò fa pensare ad una azione della scelta naturale, interfe- rente colle altre cause di variazione prima enumerate. E su questo soggetto rimando completamente al lavoro del prof. Camerano, sulle Aberrazioni di forma negli animali e sul loro diventare caratteri specifici (M). (1) “ Lo sviluppo dei muscoli flessori delle mandibole ed anche del loro tendine varia notevolmente talvolta da individuo a individuo della stessa specie, secondo lo sviluppo del capo e delle mandibole ; uno degli esempi più spiccati di quest’ultimo fatto si ha nel comune Lycans cervis. , L. CameRANO, Ricerche int. alla forza ass. dei muscoli degli inselli, op. cit., pag. 7. SULL’ ODONTOLABIS LOWEI PARR. BT Il problema adunque della variazione nei Lucanidi, per chi vi si addentra alquanto, appare sempre più complesso, come le cause possibili appaiono esserne numerose, multiformi e capaci di interferire fra loro. L’Odontolabis Lowei Parr. ha il merito di riassumere in sè stessa tanti fatti interessanti di variazioni molteplici, irregolari, ed in parte anche eccezionali, da poter servire di esempio con- creto e di base per le numerose considerazioni fatte al riguardo. E perciò credo aver fatto cosa non inutile, descrivendo e figurando questa specie in tutte le sue principali forme di svi- luppo, come finora non era ancor stato fatto. : Essa infatti ci ha mostrato: la variabilità di colore delle femmine, caso raro nei Lucanidi; la grande variabilità di mole e di caratteri sessuali secondari dei maschi, col fatto notevole della variazione di mole e di quella dei caratteri sessuali secon- dari non procedenti regolarmente di pari passo; infine la maggior poderosità di mandibole acquistata dalle forme maschili via via minori. Le osservazioni sull Odontolabis Lowei mi hanno riportato più volte nel campo dell'argomento generale, ma le questioni che vi si collegano sono troppo interessanti, perchè possano essere lasciate in disparte ! Queste si connettono anche ai problemi sull’origine delle appendici corniformi negli Scarabeidi ed alla loro variazione, riguardo alle quali il Brindley scrive (S, p. 594): “ The fantastic secondary sexual horns present one of the most difficult problems in Evolution, for as to their modes of origin even guesses can scarcely be made. To their production a considerable expenditure of energy is clearly needed, and yet in many cases they have no obvious function. ,, Certo, prima di ricercare delle leggi generali, sarà bene studiare i fenomeni della variazione separatamente in ciascuna specie per la quale ciò sia possibile. Lo studio, su materiale abbondante ed opportuno, dovrebbe essere essenzialmente sperimentale, per quanto possibile, ed ana- tomico. Io lo segnalo ai biologi che dispongono di mezzi ne- cessari. 138 ACHILLE GRIFFINI El insisto particolarmente, come sempre, sullo studio speri- mentale degli animali vivi, in questi casi propriamente dei Luca- nidi vivi in tutte le fasi delle loro metamorfosi, Sarà difficile, in principal modo per gli ostacoli che si incon- treranno nella ricerca, nella conservazione, nell’allevamento in condizioni al più possibile prossime a quelle naturali, e per altre cause ancora, ma i risultati non mancheranno e non saranno certo privi d’interesse. Genova, R. Istituto tecnico, 14 giugno 1906. SULL’ODONTOLABIS LOWEI PARR. 139 INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE PRINCIPALI. (A) Parry F. I. S., Characters of seven nondescr. Lucanoid Coleoptera. Transact. of the Entomolog. Society London, 1873. (B) LEUTHNER F., A Monograph of the Odontolabini. Transact. of the Zoolog. Society London, vol. XI, 1885. (C) NEERVooRT van de Pott I. R. H., On the forma priodonta of Odontol. Lowei Parry. Notes Leyden Museum, vol. XII, 1890. (D) ALBERS G., Die telodonte form des Odontol. Lowei Parry und dessen Weibchen. Deutsche Entom. Zeit., 1894. (E) RITsEMA C., The spec. of Lucanoid Coleopt. hitherto known as inhabit. the isl. of Borneo. Notes Leyden Museum, vol. XVII, 1895. (F) Borreau H., Note sur le Catalogue des Lucanides de M. C. Felsche. Annales Soc. Entom. de France, vol. LXVII, 1898. (G) VAN Roon G., Naamlijst der Lucaniden welke tot heden beschr. zijn. Tijdschr. voor Entomologie, Deel XLVIII, S. Gravenhage, 1905. (H) M6LLENKAMP W., Beilr. zur Kenntniss der Lucaniden : Odontolab. Lowei Parry var. nubigena, n. var. Insekten Borse, XXII, Jhg., 1905. (I) Zana R., Ueber einige Lucaniden des Deutsch. Entomol. National Museum. Deutsche Entom. Zeitschr., 1905. (L) GRIFFINI A., Studi sui Lucanidi. 1° Considerazioni generali sulla grande variazione di caratteri nei maschi dei Lucanidi. Torino, tipografia P. Gerbone, 1905. (M) CAMERANO L, Ricerche intorno alle aberrazioni di forma negli animali ed al loro diventare caratt. specifici. Atti R. Accademia delle Scienze, Torino, vol. XVIII, 1883. (N) PEYERIMBHOFF P. de, La variation sexuelle chez les Arthropodes. Annales Soc. Entomolog. de France, vol. LXVI, 1897. (0) PLANET L., De la différ. de developp. chez les insectes coleopteres. Le Naturaliste, 14° année, n. 122, Paris, 1892. (P) KoLBE H. I., Ueber den polymorphismus im miinnl. Geschlechte der Lucaniden. Insekten-Bòrse, XX Jhg., Leipzig, 1903. (Q) GIARD A. Sur certains cas de dédoubl. des courbes de Galton dus au parasitisme et sur le dimorphisme d'origine parasitaire. Comptes-rendus Soc. de Biologie, Paris, 28 avril 1894. (R) GIARD A., Comment la castration agit-elle sur les caract. sea. se- condaires ? Comptes-rendus Soc. de Biologie, Paris, 9 janvier 1904. (S) BRINDLEY H. H., On some case of variat. in second. sex. characters statistically examined. Proc. Zool. Soc. London, 1892. Veggansi poi citati nel corso della memoria altri lavori di: Bordas, Bur- meister, Camerano, Dohrn, Darwin, Escherich, Griffini, Kellogg et Bell, Lacordaire, Mainardi, Planet, Ragusa, v. Reichenaw, v. Ro- thenburg, Shattock et Seligmann, Wallace, Waterhouse. SULLA FLORA ARBORICOLA DEL GELSO. Nota del socio Sac. Carlo Cozzi Coadiutore in S. Pietro d’Abbiategrasso Sotto il nome di arboricole (1) oppure di tychoepifite (), come ha proposto ultimamente di chiamarle il dott. Egidio Barsali, vengono intese comunemente, da qualche anno almeno a questa parte, quelle piante vascolari od in senso un po’ più ristretto quelle fanerogame che nascono alla loro volta sovra di altre piante vascolari o semplicemente fanerogame. Si capisce quindi come la denominazione di arboricole sia stata felicissima, cioè ben scelta e appropriata, dal momento infatti che gli altri termini di epifite, parassite, saprofite, com- mensali e simbionti indicano ben altra cosa e mal si prestano perciò a richiamare il fenomeno in tutta la sua natura e inte- grità. Comunque, insomma, l’arboricolismo è una bellissima pa- gina di biologia vegetale, la quale ha per oggetto di far cono- scere uno dei tanti mezzi escogitati da natura allo scopo di viemeglio assicurare alla specie la propagazione e la diffusione. E del resto le ricerche del prof. Mattei, che è altro dei conti- nuatori dell’opera delpiniana, intorno all’azione ed all’influenza degli uccelli carpofagi (8), provano abbastanza quali legami stringono provvidenzialmente i due regni a reciprcca utilità. Premesse queste brevi considerazioni d’ordine generale, 0s- servo che se vi ha regione in cui le arboricole sono più frequenti (1) Becuinor A. e Traverso G. B., Notizie preliminari sulle arboricole della flora italiana. Bull. Soc. botanica italiana, 1904, pag. 342. — Arboricole della flora italiana in Nuovo giornale botanico italiano, n. s., vol. XII (1905), pag. 495. (2) Barsari E., Sulla flora arboricola toscana, Bull. Soc. bot. ital., 1905, pag. 276. (3) Cfr. : G. Apesi, Somiglianze e Mimismo nel regno vegetale, Messina, 1905, pa- gina 100 e seguenti. SULLA FLORA ARBORICOLA DEL GELSO 141 che mai, questa dev’essere per l’appunto il basso milanese, dove le piante cosi dette a capitozza ed atte quindi maggior- mente ad accogliere sopra sè stesse i più svariati elementi di una flora aerea, offrono la maggior percentuale degli alberi col- tivati. Basta ricordare a questo proposito che i lunghi, intermi- nabili filari di ontani, pioppi, olmi, ed in modo particolare di salici capitozzati (gabb de scitice, gabb de scalva), segnano sen- z’altro, a grandi linee, la facies caratteristica, sebbene monotona e poco attraente, del nostro paesaggio vegetale. E per ciò che riguarda lo studio dell’arboricolismo limitato ad un solo sub- strato, rilevo ancora un altro fatto, ed è, che se da una parte si contano già per il salcio numerose pubblicazioni di Bolle, Rietz, Beyer, Magnin, Geisenheimer, Gagnepain, Barnewitz e Thomas ('), dall’altra invece nessuno ha mai rivolto l’attenzione, ch’io mi sappia, alla florula fanerogamica del gelso, pianta che è senza confronto molto più importante di quelle accennate. Imperocchè se il gelso ospita quasi abitualmente parecchi vegetali inferiori, come, ad esempio, vari licheni, tra i quali la volgare Xanthoria parietina Ach., con varie forme di Lecanora e di Parmelia; tra i muschi abbondanti gli Orthotrichui ed il Leucodon sciuroides Sch., ho riconosciuto per conto mio che non è meno importante il numero delle fanerogame. Ne cito pertanto un manipolo di una cinquantina di specie, osservate e raccolte nelle mie escursioni: Aegopodium Podagraria L.; Ajuga reptans L.; Alliaria officinalis Cranz; Artemisia vulgaris L.; Bellis perennis L.; Brassica napus L.; Bryonia dioica Jacq.; Cardamine hir- suta L.; Centaurea cyanus L.; Centaurea nigrescens W. ; Che- lidoniumi majus L.; Chenopodium album L.; Conium macu- latum L.; Convolvulus arvensis L.; Cornus sanguinea UL. ; Dactylis glomerata L.; Euphorbia anygdaloides L., Galeopsis Tetrahit L.; Holcus lanatus L.; Lamium album L.; Lamium purpureum L.; Lampsana communis L.; Lappa major Gaertn. ; Lithospermum arvense L.; Lychnis alba Mill.; Morus alba L.; Nepeta glechoma Benth.; Phytolacca decandra L.; Plantago lanceolata L.; Plantago major L.; Poa pratensis L.; Prunus spinosa L.; Quercus robur L.; Rumex pratensis M. et K.; (1) Per le indicazioni bibliografiche vedi le citate monografie dei dottori Bé- guinot e Traverso. 142 CARLO COZZI - SULLA FLORA ARBORICOLA, ECC. Sambucus nigra L.; Secale cereale L.; Senecio vulgaris L.; Silene inflata Sm.; Solanum duicamara L.; Stellaria media L.; Slellaria media var. major Koch; Taraxacum vulgare Lam. ; Trifolium sp. (non essendo in fiore la determinazione rimane dubbia); Ulmus campestris L.; Veronica agrestis L.; Ver. hederaefolia L.; Ver. Tournefortii Gm.; Viola odorata L. Sono così rappresentate 24 famiglie, col seguente numero di specie: Graminacee 4, Quercacee 1, Urticacee 3, Poligonacee 1, Chenopodiacee 1, Fitolaccacee 1, Cariofillee 4, Violacee 1, Croci- fere 3, Papaveracee 1, Rosacee 2, Leguminose 1, Ombrellifere 2, Cornacee 1, Euforbiacee 1, Borraginee 1, Convolvulacee 1, Sola- nacee 1, Scrofulariacee 3, Labiate 5, Plantaginee 2, Lonice- racee 1, Cucurbitacee 1, Composite 8. La più parte di esse sono a seme anemocoro e zoocoro, poche invece a seme bolocoro, ed allora si capisce facilmente senza bisogno d’indagare altre ra- gioni, quali sieno le origini dell’arboricolismo nel gelso, come pure in altri alberi. Non posso però tacere qualche fatto che ebbi campo di riscontrare e che mi sembra interessante quanto mai. Mentre le specie erbacee si osservano qua e là saltuaria- mente, s'intende sul gelso, le specie legnose arboricole non sono mai isolate, ma riunite sempre in certo numero. Per esempio, nelle campagne che vanno dal Palazzo dei conti Arconati ai cascinali Orcellera, Pianzola, Girasole, Case, Valentino e Canova di sopra, ho avvertito come notevolmente diffusa l'associazione legnosa del Gelso col Sambuco (Sambucus nigra). E lo stesso si può dire a riguardo del Prunus spinosa, del Cornus sanguinea, di Ulmus campestris e di Solanum Dulcamara, piante che rinvenni frequentemente non solo, ma anche con attitudini gregarie. In un caso solo vidi il Gelso crescere sul Gelso, e credo anzi sia questa l’unica arboricola che notai per una volta sola; mentre trovai sempre arcicomune il centonchio (Stellaria media Linn.) a fiori grandetti, corrispondente cioè alla forma 724707 di Koch. Abbiategrasso, maggio 1906. SUNTO DEL REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (1904) DATA DI FONDAZIONE : 15 GENNAIO 1856 Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi ‘relativi alle scienze naturali. I Soci sono in numero illimitato, effettivi, perpetui, benemerili e onorari. i i I Soci effettivi pagano L. 20 all'anno, în wna sola volta, nel primo bimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. Chi versa Lire 200 una volta tanto viene dichiarato Socio perpeluo. Si dichiarano Soci benemeriti coloro che mediante cospicue elar- gizioni hanno contribuito alla costituzione del capitale sociale. A Soci onorarî possono eleggersi eminenti scienziati che contri- buiscano coi loro lavori all'incremento della Scienza. La proposta. per l'ammissione d'un nuovo socio effellivo 0 per- petuo deve essere fatta e firmata da due soci mediante lettera diretta al Consiglio Direttivo (secondo Art. 20 del Regolamento). Le rinuncie dei Soci e/fellivi debbono essere notificate per iscritto al Consiglio Direttivo almeno tre mesi prima della fine del 3° anno di obbligo o di ogni altro successivo. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Afli ed alle Memorie non si possono unire tavole se non sono del formato degli Alli e delle Memorie stesse. Tutti i Soci possono approfittare dei libri della biblioteca sociale purchè li domandino a qualcuno dei membri del Consiglio Direttivo o al Bibliotecario, rilascianaone regolare ricevuta e colle cautele d’uso volute dal Regolamento. Gli Autori che ne fanno domanda ricevono gratuitamente cin- quanta copie a parte, con copertina stampata, dei lavori pubblicati negli Atti e nelle Memorie. Per la tiratura degli Estratti (oltre le dette 50 copie), gli Autori dovranno rivolgersi alla Tipografia sia per l'ordinazione che per il pagamento. | INDICE DEL FASCICOLO II ALFREDO Corti, I ciechi dell’intestino terminale di Co- limbus septentrionalis L. Ciro BARBIERI, Sulla origine delle mostruosità embrio- nali doppie nei Teleostei CARLO ATRAGHI, Un nuovo genere della sottofamiglia delle Hcehinocorynae . ACHILLE GRIFFINI, Studi sui Lucanidi. - II Sull’Odon- tolabis Lowei Parr. CarLo Cozzi, Sulla flora arboricola del gelso 100 107 IDE 140 NB. Ciascun autore è solo responsabile delle opi- nioni manifestate nei suoi lavori, e ne conserva la proprietà letteraria. ATTI DELLA ‘SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI E DEL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO VOLUME XLV FascicoLo 3° — Foeur 6°/, (Con quattro tavole) MILANO TIPOGRAFIA DEGLI OPERAI (SOC. COOPERATIVA) Corso Vittorio Emanuele 12-16. «GENNAIO 1907. Por Ja compera degli ATTI e delle MEMORIE rivolgersi alla Segreteria della Società, Palazzo del Museo Civico di Storia Naturale, Corso Venezia. L’invio dei singoli fascicoli ai Soci e Corpi Scientifici vien fatto colla ‘Posta, CONSIGLIO. DIRETTIVO PEL 1906. Presidente. — ARTINI Prof. ETTORE, Museo Civico. Vice-Presidente. — Besana Ing. Comm. GiusEPPE, Via Torino 51. Segretario. — De-ALESSANDRI Dott. GiuLIo, Museo: Civico. Vice-Segretario. — REPOSSI Dott. EMILIO, Museo Civico. Archivista. — CASTELFRANCO Prof. Cav. Pompro, Via Principe Uniberlo 5. ARGAN BeLLOTTI Dott. Comm. Crisrororo, Via Brera 10. MacRrETTI Dott. PaoLo, Foro Bonaparte 76. Consiglieri. — < SALMOJRAGHI Prof. Ing. Cav. FRANCESCO, Piazza Castello 17. \ ViIGNOLI Cav. Prof. Trro, Corso Venezia 89. Cassiere. — ViLLa Cav. Virrorto, Via Sala 6. td ‘ Bibliotecario sic. ERNESTO PELITTI, Dott. Cesare Staurenghi Processus petrosi postsphenoidales (risp. dorsales-postsphenoida- les) negli Sciuromorpha, Prosiniae, Antilopinae, e loro ar- ticolazione sostituente, od associata col Dorsum sellae post- sphenoidatle. Processus petrosi praesphenoidales nelle pareti laterali della - Loggia dell’Ipofisi della Mustela foina Briss. e del Canis vulpes L. Annotazione intorno al Dorsum sellae dell’ EF. caballus L. (*). La legge d’organizzazione, che stabilisce l'origine del Dorsum sellae s. ephippii dal corpo del Postsfenoide (risp. Basipostsfe- noie, Basisphenoid, Sfenoidale basilare) secondo le mie osser- vazioni sui Mammiferi soggiace a varianti. Nel Dasypus sexemcinctus, nel Delphinus delphis, nel Globicephalus melas infatti esso è rappresentato dalle sporgenze ‘lineari articolate dei margini dorsale del Postsfenoide e ventrale del Basioccipitale (7), ed in alcuni B. {aurus procede: od esclu- sivamente da quest’ultimo, od anche dal mezzo della Syncon- drosis postspheno-basilaris (8). Ho accennato altresì, che il Dorso della sella turca deriva dai Processi postsfenoidei delle Rocche petrose nel Sciurus (Xerus) erythropus (4), disposizione, che ritenni degna di più ampia (1) Queste ricerche furono comunicate in riassunto insieme colla dimostrazione di tutti. + preparati e relativi disegni al Congresso dei Naturalisti italiani, tenutosi in Milano nel settembre 1906. (2) Confr. C. SraurENGHI, Foramen Dorsi sellae (s. Dorsi ephippii) in alcune specie dei Mammiferi. Com. fatta nella seduta del 14 giugno 1903 della Soc. ital. di Scienze nat., Estr. p. 15. (3) Idem, Dorso della sella turcica (Dorsum ephippii) derivato dal basioccipitale in ‘ alcuni B. taurus L. (Com. fatte alla Soc. med.-chir. di Pavia il 25 maggio 1897). {4) Note scientifiche, Gazz. med. lomb., anno LX, N. 33, 22 sett. 1901, p. 385. 9 144 CESARE STAURENGHI indagine, sembrandomi poco probabile, che fosse limitata ad una sola specie. Con questo intendimento passai in rassegna quanti crani potei degli ordini dei Mammiferi, ed a mia volta verificai: che nella maggioranza il Dorsum sellae proviene dal Basipostsfe- noide, fuorchè in determinate specie di alcuni ordini (Rodentia- Prosimiae-Arctiodactyla) nelle quali trae origine: o soltanto dai Processi petrosi postsfenoidei, od anco si associa col Dorsum sellae postsfenoideo. Tale rivista venne praticata sopra esemplari dei Musei civici di Storia naturale di Milano e di Genova e del Museo di Ana- tomia comparata della R. Università di Pavia (!) e della mia rac- colta privata, scelti, ben s'intende, fra quelli acconci, sia per essere stato tolto il Tegnien cranii, sia per le dimensioni del foramen occipitale, sufficienti per l'ispezione diretta della Fossa cranii posterior. Ne ricavai i risultati seguenti, che stimo di qualche interesse d’esporre sommariamente. Ord. Monotremata. Ornithorhynchidae. Neli Ornithorhyn- chus paradoxus (' N. 2767) il Dorsum sellae ha forma di rileva- tezza quadrilatera; dai Pelosi non escono processi verso di esso. Echidnidae. L’ Echidna hystrix (' N. 22496) possiede il Dor- sum sellae configurato come lamina quadrilatera rudimentale, isolata dai Pelosi. Ord. Marsupialia. Macropodidae. Il Macropus giganteus ha la Fossa hypophyseos limitata dorsalmente da una lamina ossea quadrilatera verticale derivata dal Postsfenoide, che al margine craniale si piega ad angolo retto, e si protende a coprirla a guisa di tetto. Questa lamina, che evidentemente, per l’origine, l'ubicazione ed i rapporti è il Dorsum sellae, emette dei pro- cessi, che si articolano coi Pelrosi. (1) Gli esemplari del Museo civico di Milano sono contrassegnati con +, quelli di Genova con *, e con' i preparati del Museo di Anatomia comparata della R. Uni- versità di Pavia. Rendo le dovute grazie ai chiarissimi professori L. Sordelli, direttore della Sezione zoologica del Museo civico di Storia naturale di Milano; A. Giardina, diret- tore dell’Istituto di Anatomia e Fisiologia comparate della R. Università di Pavia ; R. Gestro, vicedirettore del Museo civico di Genova; L. Varaldi, direttore dell’Isti- tuto di Anatomia normale e della R. Scuola superiore di Medicina Veterinaria di Milano; A. Visconti, prosettore dell’Istituto anatomo-patologico dell’Ospitale Mag- giore di Milano, per avermi concesso di esaminare le collezioni craniologiche dei ri- spettivi Musei, ed inoltre al prof. F. Sordelli per avermi fornita la determinazione di parecchie specie. COTTO eS re PROCESSUS PETROSI, ECC. 145 Phascolomidae. Nel Phascoloimys Mitchelli s. platyrhinus (Owen), e nel Ph. wrsinus (Shaw) s. Ph. fossor (4A. 1551), non esiste il Dorsun? sellae, nè processi petrosi, che lo sostituiscano. Nel Macropus pennicillata (') havvi il Dorsum sellae post- sfenoideo senza Processi petrosi. Phalangistidae. Come nei Phascolomidae manca il Dorsum sellae anche nel Phalanger maculatus (Geff.) (4 A. 887). Didelphidae. Parimenti nel Didelphys opossum (4 A. 1141) non havvi un Dorsum sellae propriamente detto, nè tale mi sembra la rilevatezza orizzontale, che sporge ventralmente alla Syncondrosis postspheno basilaris. Ord. Edentata. Il Dorsum sellae del Dasypus sexenrcinctus è rudimentale, e, come notai, consiste di due crestoline frontali, una derivata dal margine dorsale ingrandito del Basipostsfenoide, l’altra dal margine craniale del Basioccipitale, che compren- dono la Syncondrosis postspheno-basilaris. Il Bradypus tri- dactylus Cuv. ha il Dorsum sellae postsfenoideo, piccolo e li- bero da Processi petrosi. Ord. Cetacea, sottord. Odontoceti. Nella fam. Delphinidae: nel Globicephalus melas (4 A. 1825) e nel Delphinus delphis (+ A. 349) il rudimento del Dorswm sellae è dovuto alle spor- genze giustapposte dei margini caudale del Basipostsfenoide e craniale del Basioccipitale, divisi dalla Syncondrosis post spheno-basilaris (!). Ord. Ungulata, sottord. Arctiodactyla, tribù Suina. Nell’ Hippopotamus amphibius (+) il Dorsum sellae è come nelle condizioni ordinarie una lamina ossea mediana prodotta dal Basipostsfenoide, e così pure nel Sus scrofa selvatico e domestico, e nella tribù Colylophora: nella Giraffa camelopar- dalis (4- A. 2062), e tra.i Cervidae, p. es. nel Cervus sp? (+ A. 801), ed altresì nella tribù Tylopoda: nel Camelus drome- darius (+ A. 663), nel C. bactrianus (+ A. 957) e nell’ Auchenia lama (+ A. 1872). Il Dorsum ephippii dei Bovidae proviene come è noto dal Basipostsfenoide (*?) e reca lateralmente due sporgenze corri- (1) Nella monografia del dott. R. E. Granr: On the cranium of the round-headed Grampus (Delphinus globiceps Cuv., P. Z. S. I, 1838) non si fa cenno del Dorsum sellae. (2) Confr. ad es.: FursTtENBERG-LEISERING, Anat. uw. Phys. des Rindes, II Aufl. von G. L. Miiller, Berlin, 1876, p. 19. 146 CESARE STAURENGHI spondenti ai Proc. clin. post. hom. eccettuati alcuni individui, ne’ quali, come dissi, viene emesso dal Basioccipitale. Nella maggior parte delle Antilopinae che ebbi in esame; il Dorsum sellae era costituito come di regola nei Bovidae, tranne nella sp. Madoqua Salliana (Sclater et Thomas) che presenta una complicazione singolare, a cagione della forma- zione graduale, coll’inoltrare dell’eta, di un secondo Dorsum sellae a tergo del primo (postsfenoideo) derivato dall’articola- zione dei Processi petrosi dorso-postsfenoidei, che potrebbe appel- larsi: Dorsum petrosum, come verrà descritto più partitamente, Sottord. Perissodactyla. I miei reperti sulla Basis cranii interna dell E. caballus adulto e vecchio mi portano anzitutto a distinguere due tipi nella configurazione dell’area sulla quale, coll’interposizione della Dura madre, si adagia lIpofisi. È agevole rilevare nel preparato recente, che dalla 7ipie- galura detta in “ Anatomia veterinaria , pituitaria o sopra- sfenoidea (*) (fig. 1. ri. pi.) sporge liberamente l’Ipofisi nel mezzo della metà ventrale della Fossa cranica media, e non soltanto coll’ Infundibulum, sibbene con una parte considerevole del suo volume, ricoperta solamente dalla Pia madre. Da ciò si comprende, che nell’ E. caballus non vabbia il Diaphragma hypophyseos s. sellae (lenda od opercolo del- ? Ipofisi) come p. es. nell’Uomo, nè quindi lo sdoppiamento della Dura madre. Ho osservato in molte preparazioni apposite, che questa, dopo aver tappezzata la fossa del Basioccipitale che accoglie il Ponte, cambia di piano, e salendo verticalmente si inserisce alla Crista spheno-occipitalis, che nella parte di mezzo è ordinariamente rialzata, e come dirò, non di raro prolungata in un’apofisi in luogo della connessione fibrosa colla Dura madre. Dalla inserzione sulla Crista spheno-occipitalis la Dura ma- dre sale ancora per circa mezzo centimetro, indi si piega formando un angolo diedro retto, il cui spigolo si può immaginare, che sia L. Franck, Handb. d. Anat. der Hausthiere, 1 Abth., Stuttgart, 1882, p. 107. Id., id., III Aufl. von P. Martin, Stuttgart, 1892, p. 197. "SE A. G. T. Letsertne, C. MueLLER, Handb. d. vergl. Anat. der Haus-Siugethiere, VI Aufl., Berlin, 1885, p. 122. T. MonciarpINo, Man. di Anat. descritt. comparata degli animali domestici, Torino, 1905, p. 61. (1) L. VaraLpI, Anat. veterinaria, Vol. 7, p. 426, Milano. Le PROCESSUS PETROSI, ECC. 147 poi stato piegato ad arco colla concavita dorsale, corrispondente al solco tra i Peduncoli cerebrali ed il Ponte, e sui lati vada a con- fondersi colla Dura madre, che ricopre cranialmente la Vagina N. trigemini. La superficie ventrale dell’angolo diedro incombe orizzontalmente sopra la metà dorsale della Fossa cranica media in forma di una benderella fibrosa, irregolarmente quadrango- lare, contesta come un chiasma. Il margine ventrale di questa benderella è a sua volta arcuato, e l’arco appartiene ad un cerchio di raggio minore di quello dianzi menzionato, e colla concavità in direzione opposta (ventrale). Quest’arco raggiunge il lobo nervoso dell’Ipofisi, ed i poli dorsali del lobo ghiandolare, e poi circonda l’intiera ghiandola a guisa di ferro di cavallo, terminando più basso, affilato e con- fuso colla guaina durale del N. maxzlaris (V). Il Corpo pituitario in posto apparisce quindi emergente da una sottile cornice durale concava ventralmente, dalla quale scende una lamina unica, che delimita tutta la concamerazione che ricetta l’Ipofisi e che dai rapporti con essa si può per conven- zione distinguere : in una parete dorsale a contatto diretto col lobo nervoso, ed in due pareti laterali adiacenti al lobo ghian- dolare. La parete dorsale prende impianto sul Dorsun? sellae — che è rudimentale — e separa la loggia dell’Zpofisi dalla concame- razione, che le segue dorsalmente, compresa tra essa e I’ inser- zione della Dura madre sulla Synostosis postsphenobasilaris (Crista spheno-occipilalis Auct). Lo sporgere dell’Ipofisî nel Cavum cranii prova anche, che l’area del Postsfenoide che denominasi Sella turcica o Fossa hypophyseos, non è capace di contenerla interamente. Ed invero non è che un distretto relativamente poco esteso e profondo, triangolare isoscele col perimetro rialzato, simile nell’aspetto ad una Lingula, la cui base lunga mm. 15 sta poco sotto alla Fis- sura optica, ed ha Valtezza totale di circa 25 mm.: termina con apice arrotondato, che sovente si riflette, rialzandosi leggermente verso il Postsfenoide. E questo piccolo apice, che si ammette, seguendo un criterio comparativo generale, per il Dorsum sellae del Cavallo, poichè da impianto al sepimento che discende, ripeto, dal margine libero arcuato della Dura madre, che attornia l’Ipofisi. 148 CESARE STAURENGHI L’area postsfenoidea, che sostiene l’/pofisi, presentasi con- figurata in due modi principali, tra i quali intercorrono natu- ralmente delle forme di passaggio, e cioè: o come depressione concava in tutte le direzioni (fig. 2. f. hyp.), ovvero assai più allungata e concava in direzione sagittale, alquanto convessa in direzione frontale (fig. 3. se. tu.). Secondo il mio avviso, nel primo caso havvi la Fossa hypo- physeos vera e propria; nel secondo la Sella turcica, che sarebbe anche più trequente (72 °/o). Inclino a ritenere, che la Sella turcica ricorra quando i Sinus sphenoidei, o l’uno di essi, si allungano dorsalmente in modo da sospingere nella parte ventrale mediana della Fossa cranica media una porzione considerevole della loro parete craniale. Dorsalmente al Dorsiuii sellae havvi spesse volte nei due tipi una rilevatezza trasversale, poichè il piano successivo fra essa e la Crista spheno-occipitalis è conformato a semicanale trasversale, che può essere bipartito da una cresta mediana sa- gittale che per la topografia può dirsi: Crista inter Fossa hypo- physeos (vel. Sella turcica) et Syncodrosis postspheno basilaris (fig. 2 cr. in, f. hyp. et syn. pst. sph. bas.). Questa cresta mette capo nella Crista spheno-occipitalis s. synostosis postsfeno-basilaris (fig. 2, 3 syno. pst. sph. ba.) che ha direzione transversale dalla quale risale — in alcuni indi- vidui — proseguerdo cranialmente nell’apofisi dianzi accennata della stessa Crista spheno occipitalis. (*) Cotesta apofisi va ad impiantarsi nel mezzo della parete durale che ricopre il semi canale trasversale, e dalla quale scende più ventralmente il sepimento, che fa le pareti della Loggia per l’Ipofisi. Tale processo può denominarsi dalla direzione: Processus duralis della Crista spheno-occipitalis. È interessante notare, che nei cavalli vecchi e decuemiti (dai 15-30 anni) nel i di impianto del Processus durdlis nella Dura madre si ordisce non di rado una ossificazione (fig. 1, h.) (*), che a guisa di alone si diffonde nel tessuto della me- (1) In alcuni individui la Crista inter Fossa hypophyseos (s. Sella turceica) et syno- stosis postspheno-basilaris (s. Crista spheno-occipitalis) è un ampio rialzo tondeggiante (fig. 3) che rimpiccolisce gli infossamenti laterali, manifesti nella fig. 2. (2) Sopra 12 preparazioni rinvenni 4 volte l’ossificazione diffusa, e 2 volte l’os- sicino nel margine libero della ripiegatura piluitaria. PROCESSUS PETROSI, ECC. 149 ninge sino a confondersi nell’ossicino o colle concrezioni, che alle volte si rinvengono isolate in prossimita del margine libero ven- tralmente concavo, già più volte menzionato, e che distinguonsi anche nella fig. 1 indicate dalla retta è (!). È curioso, che tale ossificazione endo-durale lentamente cre- scendo fra il Dorsum sellae e la Crista spheno-occipitalis as- suma la silhowetle della Lamina quadrilatera s. Dorsum sellae postfenoideo di molti Mammiferi (fig. 1, h.). Il rimanente della Dura madre non ossificata, la contorna, ed apparisce di traspa- renza vitrea nel preparato esiccato. Non possiedo ancora delle preparazioni per affermare, se la ossificazione si propaghi anche a quest’ultima parte. Certo è, che si può estendere sui lati invadendo il perimetro caudale (inferiore) della Vagina N. trigemini, ed in questo tratto, secondo me, sarebbe omologa ed omotopica coi Process? pelosi postsphenoidei degli Sciurumorpha, sui quali mi intratterrò in appresso. Il Processus duralis è costantemente inclinato sul Post- sfenoide; varia di forma: dalla semilunare colla convessità cra- niale, alla quadrilatera terminata con margine concavo e coi capi ingrossati, alla triangolare isoscele come nella fig. 4 (pr. du.) ove ha la base di mm. 14 fusa colla Crisla spheno-occipitalis coll’altezza di mm. 12, fortemente inclinato sul Posfs/enoide. Sul suo apice si inserisce la Dura madre, e l’adesione è così intima, che nei cavalli vecchi è facile svellerlo con essa. Il Processus duralis d' ordinario prosegue verticalmente, come notai, colla crestolina mediana che mette capo nel Dorsun: sellae, intendo il Dorsuni sellae, come è descritto e raffigurato dai trattatisti, poichè anche il Processus duralis — che non mi risulta sia stato segnalato — simula con molta somiglianza (fig. 4, pr. du.) il Dorsum sellae Ai quei Mammiferi ne’ quali quest’ or- gano esce dal margine dorsale del Basipostsfenoide, immediata- mente ventrale alla Syncondrosis 0 Synostosis postspheno-basi- laris, mentre quello piccolissimo, spesso irrilevabile, accettato per il Dorsum sellae propriamente detto, dista ventralmente almeno 1 cent. dalla Cr'ista spheno-occipitalis. Questo fatto della trasformazione del Procesus duralis in un osso simile al Dorsun (1) Confr. la mia nota: Formazione ordinaria di ossicula petro-postsphenoidalia epi- fisari del Canalis N. trigemini nel L. cunicuius e nel L. timidus, ecc. (Com. alla Soc. ital. di Sc. nat., seduta del 14 giugno 1903, Estr. p. 29). 150 CESARE STAURENGHI sellae, se non m’inganno, puo prestarsi ad una peculiare inter- pretazione. Comparando ad es. il cranio equino col bovino viene tosto al’occhio l’accorciamento della base cranica, e la disposizione più spiccata in terrazzi delle Fosse cianiche del bove, sicchè la Fissura optica è più alta e la Sella lurcica maggiormente inca- vata, e — come ho confermato più volte — il Corpo pituitario del B. taurus trovasi spostato dorsalmente sino a contatto col Dorsum sellae, che per norma esce dal mezzo del margine dor- sale del Postsfenoide. Per conseguenza, atteso l'allungamento della Basis cranii dell’E. caballus, l Ipofisi apparisce traslocata sulla metà ventrale del corpo del Postsfenoide, onde dal rapporto con essa dell’apice della Fossa hypophyseos o della Sella turcica venne attribuito a questa il significato e l'ufficio di Dorsuni sellae, sebbene sia rudimentale, ed in alcuni soggetti non differenziato (1). (1) Alcuni trattatisti non ne fanno menzione alcuna, p. es.: Gurtl (Hand. der vergi. Anat. d. Haus-Sdugethiere (Bd, Berlin, 1843); L. Patellani (Abbozzo per un trattato di Anat. e Fisiol. veter., vol. I, fase. III, Milano, 1845, p. 146) che invece descrive il Dorsum sellae del bove (loc. cit, vol. I, fasc. IV, p. 208); L. Varaldi (loc. cit., p. 147). Gli altri sono concordi nel giudicarlo organo rudimentale: Così: L. Franck (Hand. d. Anat. d. Hausthiere, I. Abth., Stuttgart, 1882) qualifica il Dorsiwim sellae equino : “eine kleine Beule , ed aggiunge in nota: “ Die Sattellehne fehlt beim Pferde nie, ist aber nur schwach angedeutet: ein sogennanter Sattelknopf fehlt beim Pferde geschlechte vollstiindig. ,, A. Chaveau (Tratt, di Anat. comp. degli animali domestici, 1* trad. ital., Torino, 1888, p. 63) lo dice: “ appena sensibile, , e nel: Traité d’Anat. comp. des animaux dome- stiques, in collaborazione con S. Arloing (Paris, 1903, V édit.. t. I) lo descrive come: “une saillie transverse peu marquée, trace de la lame quadrilatére ou dos de la selle turcique, que l’on trouve dans d’autres espéces ,. M. Sussdorf (Lehrb. d. vergl. Anat. d. Hausthiere, nota che: “beim Pterd und Rind jederzeit sehr niedrig bleibende, bei den iibrigen Tieren dagegen weit in die Schidelh6hle vorspringende, quere, kammartige Erhebung Dorsum seltae ,, osservazione esatta per il cavallo, e non per il B, tawrus, nel quale ha sviluppo molto più grande che nell’E. caballus. W. Ellemberger, H. Baum (Hand. d. vergl. Anat, der Hausthiere, IX Aufl., Berlin, 900, p. 73) asseriscono che: “ Die Lehne (Dorsum) Tùrkensattel d. h. eine Hervor- ragung am hinteren Ende der Grube ist ganz undeutlich. ,, E. J. Struska (Lehr. d. Anat. d. Hausthiere, Wien und Leipzig, 1903, p. 135) « Aboral (nach hinten) wird der Tiirkensattel von einer beim Pferde nur schwach angedeuteten Hervorragung der Sattellehne (Dorsum sellae) begrenzt. , Ed anche E. Mongiardino nel recentissimo: Manuale di Anat. descritl, compar. degli animali domestici (1905, p. 61) trattando delle differenze specifiche dello sfenoide, avverte: nel bue la “ sella turcica è sormontata all'indietro da un rialzo ben distinto, mentre esso è appena segnato nel cavallo ,. Per cortesia del prof. L. Varaldi ho esaminato nel Laboratorio dell’Istituto di Anatomia della R. Scuola Superiore di Medicina veterinaria di Milano un Postsfenoide PROCESSUS PETROSI, ECC. 151 E poichè il margine arcuato della Dura madre dal quale cala la parete dorsale della Loggia per l’Ipofisi viene come questa a contatto diretto col lobo nervoso del Corpo pituitario, mi sembra che l’ossicino, che talvolta si trova lunge quel mar- gine (fig. 1, i.) possa rappresentare un Dorsumn. sellae rudimen- tale, d’origine membranosa. E se quest’illazione si estende anche all’ossificazione diffusa entro la Dura madre, che collega quel- l’ossicino col Processus duralis della Synostosis postspheno-occi- pilalis, ne segue, che al complesso di coteste ossificazioni sia attribuibile il medesimo significato morfologico dell’ ossicino sopra nominato. Percui non mi pare assurda speculazione l'ipotesi; che il Dorsum. sellae procedente dal margine dorsale del Posfsfenoide possa riapparire nel cavallo — quantunque non costantemente, poichè ha perduto il suo rapporto principale coll’/po/isi — in forma di Processus duralis del margine craniale (ant.) della Synostosis postspheno-basilaris, sia isolato che connesso colle calcificazioni ed ossificazioni del margine durale, che recinge il lobo cerebrale dell’Ipofisi (fig. 1, ri. pi.) Secondo tale teoretica concezione lE. caballus nella vec- chiaia e decrepitezza potrebbe avere per varietà individuale il Dorsum sellae duplicato, di cui uno rudimentale, e ciò nono- stante parzialmente funzionante, perchè in rapporto di contatto coll’Ipofisi, e l’altro eccezionale (atavico) ridotto a sepimento osseo, mediano, fra la Fossa cranica media et posterior, e a dar inserzione alla Dura madre. Ord. Rodentia. Tribù Duplicidentata. Nel ZL. timridus e nel L. cuniculus il Dorso della sella turca è postsfenoideo simile a quello del Macropus giganteus. Con- siste di due parti: una verticale, talvolta col Foranen dors. sellae, ed una orizzontale protesa sulla Fossa hypophyseos (*). disarticolato dell’E. caballus, che presentava all'apice della Sella turcica un’eminenza apofisaria, conoide, completamente isolata, colla base larga mm. 5, lunga mm. 6, col- l’asse di circa 4 mm., diretto verticalmente. Fu l’unico esemplare che mi venne fatto d’osservare, che legittimasse l’esistenza del Dorsum sellae equino. Tuttavia, in relazione colle mie numerose osservazioni su cavalli vecchi, lo considero una varietà eccezionale, torse dovuta ad un centro osseo autonomo. (') Veggasi anche la Nota già citata: Formazione ordinaria di ossicula petro-post- sphenoidalia epifisari del Canalis nervi trigemini nel L. cuniculus e L. timidus, ece., fig. 3, 5, 6. (Com. alla Soc. ital. di Sc, nat. seduta 14 giugno 1903). 152 CESARE STAURENGHI Tribu Simplicidentata, fam. Caviidae. Nella C. cobaya il Basioccipitale ed il Basipostsfenoide si fronteggiano con angolo alquanto sporgente, che corrisponde alla Syncondrosis postspheno-basilaris. In realtà manca il Dorsum sellae, come viene definito. Fam, Arvicolidae. Il Myodes lemnus (P. 2055’) non ha dif- ferenziato il Dorsum. sellae. Fam. Hystricidae. L’ Hystrix cristata L. (4 A. 937) ha il Dorsum sellae postsfenoideo libero da rapporti coi petrosi, e tale è anche fra gli Octodontidae: nel Myopotanus coypus Geoff. (+ parecchi esemplari), nel Capromys sp. (?) (+ te Muridae. Manca il Dorsum sellae nel Mus. rattus, nel M. decumanus, ed in sua vece havvi lo spigolo o cr'esta postsfeno- basilare come nella C. cobaya. Per conseguenza l’Ipofisi sporge libera dalla Basis cranii inlerna. Castoridae. Il C. canadensis (+ A. 146) possiede il Dorsum sellae poststenoideo, indipendente dai petrosi. Sciuromorpha. Fra i Rosicanti fanno eccezione gli Sciwro- morpha, ne’ quali, in modo parziale o totale, il Dorsuni sellae deriva dai Processi petrosi postsfenoidei, talvolta combinato con un rudimento di Dorsum sellae postsfenoideo. Intorno a questa speciale disposizione mi soffermerò più avanti. Ord. Insectivora. Talpidae. Nella Talpa europaea dorsal- mente alla Fossa hypophyseos vi ha lo spigolo postsfenoideo- basilare. Soricidae. EA anche nella Crocidura leucodon è lo stesso spigolo; invece negli Erinaccidae, nell’ E. europaeus la cresta ha origine esclusivamente postsfeinoidea fra i tre quarti dorsali ed il quarto ventrale della superficie craniale del Basipostsfenoide, e le fa seguito il Clivus. È questo il primo abbozzo del Dorsum sellae, che apparisce nelle presenti ricerche (1). Sottotam. Centetinae. Ii Centetes setosus (') ha il Dorsum sellae postsfenoideo, ed i Processi petrosi diretti verso di esso. Ord. Chiroptera. Tribù Microchiroplera. Vespertilionidae. Il Vespertilio murinus ha ben delimitata la Fossa hypo- (1) Nelle Notes on the Anatomy of the Erinaceidae di G. E. Dosson (P. Z. S. of London, P. II, 1831, pag. 339) non è accennato questo particolare del cranio. PROCESSUS PETROSI, ECC. 153 physeos il cui margine dorsale ingrossato viene a contatto coi petrosi, rappresentando esso pure un Dorsun? sellae primordiale. Ord. Carnivora. Sottord. Pinnipedia. Trichechidae.Il Dorsum sellae è postfenoideo e senza congiunzioni coi Petrosi; nel Tri- chechus rosmarus (+ A. 1606); nelle Olariidae: nell Otaria pu- silla (+ A. 1403); nelle Phocidae: nel Pelagius monachus (|). Sottord. Fissipedia. Tribù Arctoidea, Mustelidae. La Mustela foina e la M. martes, la Lutra vulgaris, il Meles tavus hanno 1] Dorsuin sellae postfenoideo. Nella Lutra vulgaris il Dorsum ephippii si sviluppa lentamente. Nei giovani consiste in un pic- colo processo impari mediano nel mezzo del margine dorsale della Fossa hypophyseos, che ingrandendo viene ad occupare per intero il margine stesso, conformato a lamina quadrilatera, terminata da due processi corrispondenti ai clinoidei posteriori dell'Uomo, onde la figura bifida. Inoltre in continuazione colla superficie dorsale del Petroso si avanzano nel Cavum cranii due processi aliformi, che dor- salmente si articolano per armoniam col Tentorium osseum, e ripiegandosi caudalmente compongono coll’Apexr petrosuni, VIn- cisura N. tr. ossea. Questi processi si prolungano anche più in là dell’Incisura N. tr,, come Processus praesphenoidales, e nel mio preparato di Lontra adulta sono vicinissimi, benchè non a contatto col Dorsum sellae. Anche nella M. martes e M. foina esistono questi processi dei petrosi. In parecchi scheletri cefalici della M. foina ho potuto rilevare alcune disposizioni di essi, che non mi consta siano state descritte (fig. 5, 6). La superficie craniale del Petrosum della M. foina è rico- perta da una lamina ossea sottile (fig. 5 z.) sporgente sulla Fossa cranii posterior, che prosegue col Tentorium osseum (te. os.). Questa lamina, dopo aver formato l’orlo craniale della Vagina N. tr. ossea, si prolunga in un’apofisi appuntata diretta al Presfenoide, che termina circa a livello dell’estremità libera delle apofisi corrispondenti ai Proc. clin. post. hom.molto allun- gati (pr. cl. p.). Sul suo apice si attacca la parete laterale della Loggia dell’Ipofisi, e può denominarsi Processus petrosus praes- phenoidalis (pr. p. prae. sph.). Nell’età avanzata si forma un nucleo osseo entro il tessuto durale della parete laterale della concamerazione dell’Ipofisi, 154 CESARE STAURENGHI che nei miei preparati è gia divenuto un ossicino ellissoideo, lungo 1 cm., sospeso nel mezzo del tessuto durale (fig. 6, 0.). Questo ossicino crescendo si fonde: o col Processo pelroso presfenoideo prolungandolo fino al Presfenoide (fig. 5, pr. p. prae. sph.), oppure prendendo direzione obliqua (fig. 6, 0.) fa coalescenza col Processo clinoideo posteriore del Dorsum sellae (pr. cl. p.) raggiungendo ancora nei soggetti molto vecchi il corpo del Presfenoide (prae. sph.), medialmente al Foramen opticum (fo. op.). Perciò l’ossificazione della parete laterale della Loggia del- lIpofisi sopra notata può ritrovarsi: o sul prolungamento della; lamina ossea che copre il petroso (fig. 5, z.) e però indirettamente sul proseguimento del Tenloriune osseum (te. os.), ovvero sul prolungamento del Processo clinoideo posteriore, e quindi indi- rettamente sulla continuazione del Dorsiuinr sellae. Può accadere ancora, che le tre ossa (Proc. clin. post. — Proc. prae. sph. — Ossicino endodurale) sieno tangenti in un punto (fig. 5, 2). Oltre di ciò nell’esemplare di M. /0îna disegnato nella fig. 6, dalla Vagina N. tr. ossea sporge medialmente verso il Dorsunr sellae un processo irregolarmente triangolare, che a mio criterio, per la sua origine e direzione, è da qualificarsi: Processus pe- trosus postsphenoidatis (pr. p. pst. sph.). Se anche in questa specie esso sia bilaterale, e coll’avan- zare dell’età arrivi a congiungersi coll’opposto, non mi fu dato finora di poterlo asseverare. I Processi petrosi presfenoidei descritti nella M. /oina, e quelli della M. martes, a seconda dell’eta sono articolati, o sino- stosati col Tenlorio osseo. Derivano da ossificazione durale, e, dopo la sinostosi, sembrano processi del Tentorio. Tribù Cynoidea. Canidae. Nel feto del C. familiaris nasce da ossificazione endodurale un ossicino dorsale all’ Apex petroswim, il quale crescendo ven- tralmente dà luogo alla Vagina (Canalis) N. tr. ossea (1). Nel cane giovane si protende dalla Crista petrosa limitante il Canalis N. lrigemini un’apofisi verso il Postsfenoide, che può dirsi: Processus petrosus dorso-poslsphenoidalis (fig. 7, pr. p. d. (1) Confr. ancora la mia Nota: Formazione ordinaria di ossicula petro-postsphe- noidalia epifisari, ecc., succitata (pagg. 31-32, fig. 9-10). PROCESSUS PETROSI, ECC. 155 pst. sph.) nel tempo stesso, che le estremita del margine craniale del Dorsum sellae (d. se.) si distendono in due bracci od apofisi corrispondenti ai Proc. clin. post. hom. Entrambi si articolano fra di loro nell’adulto (pr. p. d. pst. sph. — pr. p. d .) generando insieme coi petrosi un arco osseo trasversale al confine fra la Fossa cranti media e posterior. Questa disposizione conosciuta come particolare descrittivo- topografico (1) riceve conferma circa la sua costanza anche dalle osservazioni che eseguii sui cranii di C. familiaris della mia raccolta, e massime da quelli dell'Istituto di Anatomia della R. Scuola di Medicina veterinaria di Milano (500 esempl.). Assai di raro si rintracciano anche nel C. familiaris dei Processi petrosi retroposti al Dorsum sellae. Di un esemplare siffatto (fig. 47, pr. p. d. pst. sph.) sarà detto in prosieguo. La disposizione sopradescritta comune nel C. faniiliaris, si ripete anche in altre specie, come nel C. melanotus (4 M. 4561), e più complicata: nel C. vulpes (11 esempl.) (fig. 8) (k. — pr. p. pst. sph.). In un C. vulpes molto vecchio il Processus praesphenoidalis (fig. 9, pr. p. prae. sph.), frequente nella specie, si univa diret- tamente al lato destro con un piccolo processo in direzione in- versa del Presfenoide (pr. cl. a.), corrispondente al Proc. cli- noideus ant. homni., componendo un arco osseo dorso-ventrale 0 sagittale nello spessore della parete laterale della Loggia del- UIpofisi, sopra la Fossa cranii media. In un altro esemplare ov’era conservata la dura madre sta- vano due ossificazioni rotondeggianti, libere dentro di essa, e disposte con simmetria lateralmente al Dorsum sellae. Verosi- milmente corrispondevano al nucleo accennato nella M. /foina (fig. 6, 0.). I Processi praesphenoidales, che emanano dalla Crista N. trigemini, hanno indubbiamente per substrato d’ossificazione la Dura madre (?). Tribù Aeluroidea. Hyenidae. Anche nell’ Hyaena striata (+ A. 1808. + A. 954) e nell’Hyaena crocuta (4 A. 959) il (1) ELLEMBERGER H. Baum, Anat. descript. et top. du Chien, trad. par I. Deniker, Paris, 1894, p. 26. (2) Veggasi anche la mia Nota: Due casi di Proc. lot. del Clivus del Dorsum sellae W. Gruber) nell’ Uomo, e ricerche comparative nel Canis vulpes (Gazz. med. lomb., N. 45, 7 nov., 1904 p. 425). 156 CESARE STAURENGHI Dorso della sella turca è postsfenoideo senza connessioni coi petrosi. Felidae. Nel Leo nobilis (4- A. 1807, + A. 1808) il Dorsum sellae (fig. 10, d. se. da un Leo nobilis 2 di circa otto anni) è postsfenoideo, e chiaramente differenziato come negli altri car- nivori. Ne varia però, poichè non si articola col Petroso, come nella grande maggioranza dei Mammiferi, bensì riceve un pro- cesso lamellare derivato dal Tentorio osseo (te. os.), qualificabile quindi: Processus lentorialis ad Dorsum sellae (pr. te. d. te.) (1). Processi petrosi del Dorsum sellae si osservano nel Felis ma- niculata (4 A. 1893); invece nel Leopardus pardus (+ A. 591, + A. 329) e nel L. concolor (Gray) il Dorsum -sellae non ha dipendenze dai petrosi. Nel Felis catus domestica Varcione della sella turca è triango- lare o quadrilatero, di notevole lunghezza, talora perforato sui lati in vicinanza della base. Noto per incidenza, che in uno de’ miei esemplari, nel quale sono conservate le pareti laterali della Loggia dell’Ipofisi, vedonsi colla maggiore chiarezza nello spessore di essa due nuclei ossei compatti, bilaterali, simmetrici, affatto isolati, la cui origine endodurale è incontrastabile. Ord. Primates. Sottord. Lemuroides. Lemuroidea. Nel Lemur collaris Geoff. (4 A. 1677) e nel L. macaco var. niger, il Dorsumi sellae è postfenoideo, e nel primo manda un processo al petroso, Nello Stenops gracilis (P. 1886’) havvi il Dorsum sellae con grande forame; mancano i Processi petrosi verso di esso. Chiromidae. Parimenti nel Chiromys madagascariensis il Dorso della sella turca è differenziato e postfenoideo: per contro nella sottofam. Galaginae sp. Galago senegalensis Geoff., e nella sp. Hemigalago aff: demidoffii Fisch, si riscontrano dispo- sizioni diverse, simili a quelle accennate, e che saranno descritte in parecchie specie degli Sciuridae e nella Madoqua Saltiana (Antilopinae). Sottord. Anthropoidea. Hapalidae. Nell’ Hapale penicillata il Dorsum sellae è dato dal Post- sfenoide, variabile di forma, spesso col Foramen (?). (1) Di questo particolare del cranio del Leone non ho trovato menzione in: Owen R., On the Distinguishing Peculiarities of the Crania of the Lion and Tiger. P. S. Z. of London, 1834, P. II, p. 1. BranpLeYy 0. CHARNOCK, Notes on the Skull of a Lion. Anat. Anz., Bd. 27, p. 317, 1905. (4) C. SraurencHI, Foramen dorsi sellae nell’Hapale penicillata. Com. prev. (Gazz. med. lomb., anno xLv, N. 7, 12 febbraio 1906, p. 62). PROCESSUS PETROSI, ECC. Tor Tribù Platyrrhini, Pithecidae; nel Pithecia israelita Spix dI A.b.\ Schr. | ui sono provveduti del Do7'sw77 sellae postsfenoideo. FTA , e nei Cebidae, il Cebus apella (+ ah il C. fatuellus Nel C. fatuellus un processo petroso del Dorso si continua cogli apici petrosi. A mio avviso merita particolare menzione il Dorsuii sellae A.b. (fig. 11, d. se.) dell’ Aleles paniscus Wagn. (+ sp poiche riceve ad un tempo un processo dal Tentorio osseo ed un altro dal Petrvoso (Processus petro-tentorialis), come osservasi al lato destro dell’esemplare citato (pr. te. d. se. - pr. p. pst. sph.): a sinistra solamente il processo petroso raggiunge il Dorsune sellae. Nella figura succitata il Processus tentorialis al Dorsuni sellae (pr. te. d. se.) dopo fornito il lato dorsale alla Vagina N. tr. ossea (vag. n. tr.) raggiunge il Dorsum ephippili e vi si articola. Il Processus petrosus poslsphenoidalis (pr. p. pst. sph.) è tozzo e sul proseguimento del contorno ventrale Vagina N. tr.; termina articolandosi col Dorsuni sellae. Il Processus tentorialis dell’ Ateles paniscus corrisponde alla parte del Processus petrosus praesphenoidalis, che p. es. nella Mustela foina, sta caudalmente al Dorsum sellae (fig. 5 pr. p. prae. sph.), ed è continuo col Tentorium osseum (fig. 11 te. os.). Dimodochè nelle condizioni nelle quali presentasi a questa eta, apparisce — anche per la direzione e configurazione — come la parte craniale del Tentorio stesso. Tribù Catharrini. Cynomorpha. Cercopithecidae: il Macacus cynomolgus presenta il Dorsui sellae postsfenoideo ed isolato dai petrosi; nel M. sinicus (+ A. 1890) il Dorso della sella emette anche processi petrosi, ed ha il Foramen. Il Dorsum sellae è pure postsfenoideo ed indipendente dai ; BEST A.b. 5 | petrosi: nell’ Jnwus ecaudatus Geoff. (+ 155 , nel Cercopithecus patas (+ A. 1894), nel C. sabaeus (+ A. 1638 + A. 1761) nel C. callitrix, nel C. ruber (+ A. 1870). Semnopithecidae. Il Dorsuin sellae del Semmopithecus i1au- A.b. rus Desm. | ssh del S. neitratus (+ A. 1483) è postsfenoideo 158 CESARE STAURENGHI (sees ed esente da rapporti coi petrosi: invece nel S. entellus es a whanno processi del Dorswm sellae ai petrosi, e viceversa. Tribù Anthropomorpha. Negli Antropoidi il Dorswm sellae proviene costantemente dal Basipostsfenoide, ed i petrosi gli mandano dei processi in alcune specie, come nell’ Hylobales concolor (* N. 58) (7), nel Gorilla gina (* N. 52) (*), e negli esemplari di questa specie (+ A. 1858, + A. 527). Nei Troglodytes girardi (*) e Troglodytes aubryîi (*) (8) vhanno parimenti dei processi petrosi al Dorso della sella turca Ac. ed anche nell’ Ourang-Utan [+ "A il Dorso della sella turca — frequentemente pertugiato — invia dei processi ai Petrosi. La costituzione e disposizione ordinaria del Dorsuir sellae dell’ Uomo, e quella eventuale dei processi, che invia o riceve dai petrosi, sono noti dall’Anatomia sistematica e da monografle (*), nè dalle mie ricerche numerose ho potuto finora rintracciarne delle diverse. La figura 12 richiama per semplice raffronto le condizioni normali del Dorsunr sellae in un fanciullo quinquenne. Circa all’uomo accenno solo al Processus detto dal W. Gruber lateratis del Clivus del Dorsum sellae, di cui descrissi due casi (°), uno dei quali è disegnato al lato sinistro della fig. 13 (pr. lat. clivus) da un cranio di un contadino d’anni 61, morto in seguito ad apoplessia (°). È irregolarmente triangolare coll’apice (1) Veggasi la mia Nota già citata: Foramen dorsi sellae, ecc., fig. 17. (2) Idem, fig. 16. (3) Idem, fig. 15. (4) Ad es.: W. GruBER, Beitr. z. Anal, d. Keilbeines und Schliifenbeines. Mem. de l’Acad. imp. des Sc. de St. Petersbourg, VII S., T. I, N. 3, Besond. Abdr., St. Pe- tersbourg, 1859. Idem, Menschlichen Analog on der thierischen Vagina Nervi trigemini ossea am Felzenbeine Mém. de l’Acad. imp. de Sc. de St. Petersbourg, VII S., T. I, N. 4-St. Petersbourg, 1857, p. 4. À Nella monografia: On the Development and Morphology of the human sphenoidee Bone (P. 8. Z. of London, p. 577) di J. BLanp Surron, l’A. non si occupa del Dorsum sellae, perché ancora cartilagineo all’eta considerata. Come Vorietà ho descritto sulla faccia craniale del Dorsum sellae umano un canaluccio (Canalis transversus s. frontalis) di una certa frequenza (Gazz. med. lomb., N. 46, 14 novembre 1904). (5) Due casi di Processus lateralis del Clivus del Dorsuin sellae (W. Gruber), ecc. Gazz. med. lomb., N. 45, anno LXIII, 7 novembre 1904, p. 425. (5) Collez. craniologica del Museo anatomico patol. dell’Ospitale Maggiore di Milano, N. 55. PROCESSUS PETROSI, ECC. 159 continuo col Processus clinoideus posterior superior (pr. el. post. sup.) e medialmente colla ripiegatura, che a modo di gronda sporge dorsalmente dal margine ventrale del Dorsuin sellae (d. se.). La base del Processus lateralis del Clivus è frastagliata, ed il pezzo più laterale si articola per armonia coll’apice del Petroso sinistro (p.). Ha Valtezza di 20 mm. colla base lunga 11 mm.; struttura compatta. È dissomigliante dal caso del Ca- lori (!), poichè il Processo laterale ora descritto si articola col Petroso, mentre per ciò somiglia all’esemplare del W. Gruber. Lascio per brevità la relazione dell’altro esemplare riferito nella Nota sopracitata, che preparai nell'Istituto anatomico patologico dell'Ospedale maggiore di Milano, ove si conserva. Considerando i casi precedenti del W. Gruber e di L. Calori, e quelli occorsimi, è da escludere il Processo laterale del Clivus dai prodotti morbosi, perchè non presenta alcuna nota patolo- gica, e ricorre in forma determinata che, a mio avviso, ha riscontro nella formazione tipica indicata (fig. 8) nel C. vulpes — che esiste in tutti gli esemplari che posseggo di questa specie — colla quale è omotopica ed anche omologa, avendo entrambe per substrato d’ossificazione la Dura madre. Queste notizie intorno al Processus lateralis del Clivus val- gano a mostrare, che oltre ai processi più frequenti, che inter- cedono fra Postsfenoide e Petroso, più raramente anche per mezzo di esso si viene a comporre l’arco osseo fra il Pe/roso ed il Postsfenoide rispett. il Dorsum. sellae, a conferma della ten- denza delle due ossa alla reciproca connessione. Riepilogando nelle linee generali le osservazioni brevemente comunicate intorno all’ Anatomia comparata del Do7sun. sellae, consegue: che il Dorsun sellae manca nelle specie esaminate dei Marsupiali (Phascolonydae, Phalangistidae, Didelphidae), esiste nel Macropus giganteus. Che lo stesto organo formasi per apposizione dei margini ingranditi, che limitano la Syncondrosis postspheno-basilaris (Crista postspheno-basilaris): nel Dasypus sercmeinctus, nel Globicephalus melas, nel Delphinus delphis, nella C. cobaya, nel M. decumanus, nel M. rattus, nella Talpa europae. Il differenziamento o fissazione dell’origine del Dorsuim (4) L. CaLorI, Su alcune particolarità osteologiche detta base del cranio umano. Mem. della R. Acc. dell’Ist. di Bologna, S. V., T. II, Bologna, 1891. 10 160 CESARE STAURENGHI sellae nel corpo del Postsfenoide si colpì nell Erinacaeus euro- paeus, in cui Vorgano è foggiato a crestolina trasversale del Basipostsfenoide. Negli altri ordini si accertò esclusivamente l’origine post- sfenoidea del Dorsum sellae, il quale, a seconda della specie o degli individui, manda o riceve processi dai Petrosi, od anche dal Tentorio osseo, sia direttamente (Leo nobilis), sia per Vinter- vento del Processo presfenoideo del Petroso (p. es. M. /0îna). Nell’Afeles paniscus si ravviserebbe la disposizione indif- ferenziata, ossia un Processus petrosus-tentorialis, articolato col Dorsum. sellae. Varia anche l'ubicazione del Dorsum sellae postsfenoideo in rapporto colla lunghezza della faccia craniale del corpo del Post- sfenoide. La situazione più ventrale venne presentata dall’ XE. caballus. In generale nasce direttamente dal margine dorsale del Postsfenoide. L'origine postsfenoidea del Dorsuiz sellae, siccome la più comune, costituisce una legge conosciuta, per altro, secondo le mie osservazioni, soggiace a notevoli eccezioni, oltrechè in alcuni B. taurus, ne’ quali il Dor:sun sellae procede dal Basioccipitale, anche in parecchie specie degli Sciuroniorpha, e delle Prosimiae, nelle quali deriva da Processi petrosi, ed in una specie delle Antilopinae (Madoqua salliana), ove ha origine duplice postsfe- noidea-petrosa anzichè postsfeno basilare come nella Crista omo - nima, duplicità d’origine che si ripete, secondo la mia opinione, anche nell’E. caballus vecchio. Molto di rado nel C. faniiliaris si rinvengono i rudimenti dei Processi petrosi postsfenoidei, e talvolta anche nella M. foina. Tali interessanti disposizioni — delle quali ritengo di aver dato la prima notizia — meritano, parmi una relazione più par- ticolareggiata, che passo ad esporre. SÙ, Cominciando dagli Sciuromorpha debbo dire, che l’afferma- zione di qualche trattato, che i Rosicanti — abbenchè l’ordine il più ricco di specie fra i Mammiferi — non manifestano tra loro “ che differenze morfologiche insignificanti ,, (‘), se conviene (1) E. H. GiaLioLi e G. Cavanna, Zoologia, P, II, Vertebrati (E. H. Giglioli), Milano, 1886, p. 173. PROCESSUS PETROSI, ECC. 161 ancora genericamente, va contro, secondo le mie osservazioni, ad eccezioni evidenti in alcune parti dello scheletro cefalico. Ad es. nella presenza 0 mancanza, a seconda della specie, della Sutura fra le Pars orbitalis del’ Os frontale, che men- zionai in altra occasione col nome di Sul/ura melopica basalis (*). Ed ora aggiungo anche per l’unione indiretta fra i Petrosi, già accennata, che accade con disposizioni svariate, e sovente per mezzo di apofisi, che si articolano alla maniera dei processi che qualificai antisfenoidei per la Sutura metopica basalis, compo- nendo una Sutura mediana sopra la Basis cranii interna. Le mie ricerche intorno a questo argomento, iniziate come già dissi nel 1901, turono pubblicate a mano a mano in brevi co- municazioni preventive sulla “ Gazzetta medica lombarda ,, usando per le apofisi petrose suddette la denominazione generica, de- sunta dalla loro origine e rapporti, di: Processi petrosi post- sfenoidei. Al presente però dall’assieme coordinato degli esami ritengo da distinguersi: il Processus pelrosus postsphenoidalis dal Pro- cessus pelrosus dorso-postsphenoidalis, differenziandosi tali pro- cessi a seconda della specie in una pars lateratis che ha la base in continuità coll’ Apex petrosum ed arriva al margine laterale del corpo dell’Os postsphenoidale, ed in una medialis, che ac- cavalla la superficie craniale del Postfenoide nel tratto più dor- sale, ed è quella che ha rapporto di contiguità col lobo nervoso dell’/Ipofisi. Qualora esistesse soltanto la prima parte si avrebbe pro- priamente il Processus postsphenoidalis; se coesistesse anche la seconda, il Processus diverrebbe dorsalis postsphenoidalis. Al confine fra di esse sta nella maggioranza delle specie un’ apofisi spinosa diretta ventralmente, che appellai: Processus spinosus praesphenoidalis, corrispondente al Proc. clin. post. hom. La pars medialis, od il Processus pelrosus dorsalis post- sphenoidalis, può congiungersi coll’opposta; o direttamente con un’articolazione, che per ciò che precede è da dirsi: Sufura inter (1) Dell’esistenza frequente di processi antisfenoidei della parte orbitaria dell'osso frontale umano e di una sutura rara, non ancora conosciuta (sutura melopica o frontale basilare) loro significato morfologico. Boll. della Soc. Med.-Chir. di Pavia, 1506. Sutura metopica o frontale basale (unione post-etmoidea delle lamine orbitali dei frontali) in un delinquente, in alcuni rosicanti, ed in un pinnipedo, Associazione della S. sfeno (pre)-etmoidea colla s. metopica basale nel Myopotamus coypus e nell Homos. Pro- cessi antisfenoidei degli uccelli. Com. fatta alla Soc. Med.-chir. di Pavia nella seduta del 15 luglio 1898. 162 CESARE STAURENGHI Processus petrosi dorsales postsphenoidales, o con un legamento interosseo: Syniphys isinter Processus petrosi dorsales postsphe- noidales, od anche per interposizione di ossicini: Ossicula inter Processus petrosi dorsales postsphenoidales. Praticai la prima osservazione sui Processus petrosi posisphe- noidales nello Sciurus vulgaris L. indi sui Processus petrosi dor- sales postsphenoidales dello Sciurus (Xerus) erythropus, e ne presentai la relazione all’on. Direzione della “Gazzetta medica lombarda , insieme con altri studî di craniologia comparata nel settembre dell’anno 1901. Senonché la loro estensione ed il numero rilevante (14), e l’indole esclusivamente anatomica, ne sconsigliarono l'inserzione in quel pregiato periodico di Medicina, come la Direzione stessa ebbe a dichiarare nel N. 38 del 22 settembre 1901, nel tempo stesso che ne faceva pubblicare tutti i titoli, come cenni pre- ventivi. Il primo di essi, espresso colla nomenclatura, usata dapprin- cipio, riguardava appunto i “ Processi postsfenoidei delle rocche petrose nello Sciurus vulgaris, e derivazione da essi dal Dorso della sella turcica (Dorsum ephippii) nello Sciurus erythropus ,. Di questo fatto io aveva già dato comunicazione verbale alla Società medico-chirurgica di Pavia colla dimostrazione dei preparati, di cui quelli dello Sciwrus o propriamente Xerus erythropus appartenevano al Museo civico di Storia naturale di Milano |Sez. zool. N. sete ee A B E feci rimarcare, che i Processi postfenoidei degli X. ery- thropus si avvicinavano di tanto alla linea mediana da potersi supporre fondatamente, che in altri individui di età maggiore sarebbero venuti a contatto. Di poi non ebbi occasione di disporre di cranii dello X. evy- thropus fino all’8 agosto 1903, quando me ne venne concesso un altro di età più inoltrata dal chiarissimo prof. F. Sordelli, Di- rettore della sezione zoologica del Museo civico di Milano. In esso certificai oltre i Processus petrosi dorsales postsphe- noidales anche la Sulura interpetrosa dorsalis postsphenoidatis. Nel frattempo proseguendo le ricerche coll’obbiettivo di ve- rificare, se i Processus petrosi postsphenoidales fossero presenti anche in altri Sciuromorpha, pubblicai nel N. 29 del 19 lu- glio 1903 della stessa “ Gazzetta medica lombarda ,, di avere PROCESSUS PETROSI, ECC. 163 cerziorata la loro esistenza e sutura nell’Arctomys marmota, colla dichiarazione condizionata, che tale fatto “risulterebbe nuovo dalle numerose ricerche bibliografiche finora eseguite ,. Seppi in seguito, che in una voluminosa monografia d’altro tema dei Dott. A. Bovero ed U. Calamida pubblicata nell’anno 1903 erano stati menzionati per incidenza i detti processi e la loro sutura nell’ A. marmota (*), ciò che m'era sfuggito, come d’altro canto non era stato avvertito dagli AA. citati il mio annuncio sui Processi postfenoidei dello S. vulgaris, ecc., pub- blicato, come dissi, nella “ Gazzetta medica lombarda , N. 38, 22 settembre 1901. E poichè il concetto dell’esistenza e della disposizione ana- tomica dei Processus petrosi postsphenoidales parmi espresso con sufficiente chiarezza anche nel semplice titolo di quel mio primo lavoro, e poichè dalle numerose ricerche bibliografiche che mi fu possibile di praticare, non mi risultò nè ancora mi risulta, che la detta disposizione fosse stata accennata o descritta nel S. vulgaris e nello X. erythropus mi sembra legittimo di ritenere quella mia notizia, siccome l'approccio all’interessante argomento dell’esistenza dei Processus petrosi postsphenoidales (rispett. dorsales postsphenoidales) e della derivazione da essi del Dorso della sella turca negli Sciuromorpha. E giacchè all’infuori del cenno dei Dottori A. Bovero e U. Ca- lamida esclusivo per la Marmolta alpina non conseguiva, come ho detto, dalla bibliografia, che altri si fosse occupato di cotesto argomento, ho stimato opportuno di continuare la rivista degli scheletri cefalici di ogni genere degli Sciuromorpha secondo la direttiva, che mi era proposta. La raccolta degli esemplari fu lunga e laboriosa. La tecnica della preparazione fu la consueta, vale a dire la schelettrizzazione del capo colla macerazione nell'acqua, e l’esic- camento previa ablazione del fegimencranii ed accurato spoglio della dura madre dalla base, poichè le formazioni in discorso non sono visibili a fresco attraverso la dura meninge (confr. la fig. 36). Nella Tabella seguente offro l’elenco delle specie esaminate degli Sciuromorpha, alle quali corrispondono le note preventive comunicate nella “ Gazzetta medica lombarda , : (1) A. Bovero e U. Caramina, Canali venosi, emissari temporali squamosi e petro- squamosi. Acc. R. delle Se. di Torino, anno 1902-1903, Torino, 1203, Estr. p. 77. 164 CESARE STAURENGHI Fam. Sciuromorpha, sp. Sciurus vulgaris L. (1). = Prevosti Desm. (°). 33 a pyrrhopus F. Cuv. (8), a Pi Rafflesi (Vigors-Horsfield) (*). » Xerus erythropus (X. leucombrinus var. orient. Agordat Rupp) (°). » -Xeruspunctatus(S.punct. Temm.) (°). » Sciuropterus (Pteromys) volans (7). » Sciuropterus (Pteromys) sabrinus (Shaw) (Pteromys s. Richards) (8). » Spermophilus citillus L. (°). » Tamias striatus L. (19). » Arctomys marmotta Schreb. (11). n ” bobac n (1°). ” ” monax ” () » Cynomys ludovicianus (Wagn.) (15). Gli esami più numerosi e maggiormente approfonditi sul complesso sistemato degli esemplari, dapprima osservati in modo frammentario, e la loro comparazione mi suggerirono alcune modificazioni ai brevi cenni delle “ Comunicazioni preventive , ottenendo i risultati che seguono : RODENTIA (SciuRoMORPHA) I. — Gen. Sciurus, sp. Sciurus vulgaris L. (fig. 14). (Esempl. 12). Nello scoiattolo italico il Dorsunz sellae è sosti- tuito da una ripiegatura della Dura madre (Plica duralis) tesa frontalmente fra le estremità mediali di un piccolo processo (1) Gazz. med. lomb., N. 38, 22 sett. 1901, p. 885. — Idem, N. 34, 23 agosto 1903, p. 331, 332. (2) Idem, N. 1, 4 gennaio 1904, p. 6. (*) Idem, N. 14-15, 4-11 aprile 1904, p. 131. (4) Idem, idem. (5) Idem, N. 33, 22 sett. 1901, p. 385. — Idem, N. 34, 23 agosto 1903, p. 331, 332. (6) Idem, N. 14-15, 4-11 aprile 1904, p. 131. (7) Idem, idem. (8) Idem, idem. (9) Idem, N. 42, 18 ottobre 1903, p. 412. (19) Idem, N. 1, 4 gennaio 1904, p. 6. (11) Idem, N. 29, 19 luglio 1903, p. 283. (1°) Idem, N. 42, 13 settembre 1903, p. 364. (13) Idem, N. 43, 25 ottobre 1903, p. 425. (14) Idem, N. 44, 80 ottobre 1905, p. 481. PROCESSUS PETROSI, ECC. 165 stiloideo, che sorte bilateralmente dall’Apex petrosum (fig. 14 pr. p. pst. sph. - pr. p. d. pst. sph.) e caudalmente si inserisce ad una cresta o spigolo (cr. pst. sph.) generata dall’inflettersi ad angolo ottuso della superficie craniale del Basipostsfenoide (pst. sph.) permodoché questa apparisce distinta in una parte ventrale più lunga ed alquanto ascendente, ed in una dorsale inclinata verso il Basioccipitale (bo), che compone il Clivus e la Syncondrosis postspheno-basilaris. Sinostosandosi questa, e scomparendone le traccie nell’animale attempato potrebbe sem- brare che la Crista postsphenoidalis (cr. pst. sph.) segnasse la Synostosis postspheno-basilaris, e quivi mettessero capo i Pro- cessus petrosi postsphenoidales, che all’incontro hanno origine a livello della Syncondrosis risp. Synostosis postspheno basilaris, ed arrivano ai lati della Crista postsphenoidalis. I Processus petrosi postsphenoidales sono le piccole apofisi stiloidee, emesse dall’Aper petrosi sopra accennate: hanno la lunghezza media di mm. 3, la larghezza di mm. 0,5 e struttura compatta: di solito sono simmetriche, od alquanto convergenti fra loro. Rispetto ad altri Sciuridi, nello S. vulgaris se ne riscontra in generale solamente la pars lateralis, ossia il Processus pe- trosus postsphenoidalis (pr. p. pst. sph.). Talora uno dei processi — d’ordinario il sinistro — è più lungo, e per una leggiera inflessione vi si differenzia anche la pars medialis protesa alcuni millimetri a ridosso del Basipost- sfenoide, come è disegnato a sinistra della figura citata, onde un rudimentale Processus petrosus dorsalis-postsphenoidalis (pr. p. d. pst. sph.). Nel feto dello S. vulgaris verso il termine della gestazione non sono formati i Processi petrosi. La Plica duralis fra i Pro- cessus pelrosi postsphenoidales analogamente ad un legamento interrosseo (Ligamentum inter Processus petrosi postsphenot- dales s. dorsales postsphenoidales) dà luogo nello S. vulgaris alla Symphisis Processus petrosi postsphenoidales s. dorsales postsphenoidales (*). (1) Nella pubblicazione di Horrmann C. K. und H. WerEeNBERGH, Die Osteologie und Myologie von Sciurus vulgaris verglichen mit Anatomie der Lemuriden und des Chi- romys, und iiber die Slellung des letzteren in naturlichen Systeme (Sep. Haarlem Loojes Erben, 1870, Natuurk. Verh. Holl. Maatsch. Vetensch., Haarlem, 3 Verz., 1872) il cui titolo potrebbe fare supporre, che avesse rapporto colle osseryazioni descritte in queste relazioni, in realta non ne ha. 166 CESARE STAURENGHI Sp. Sciurus Prevosti (Desm.) (fig. 15). (Esempl. 1). La costituzione del Dorswi sellae in questa specie è differente dal S. vulgaris. Sono presenti 1 Processus petrosi postsphenoidales (fig. 15, pr. p. pst. sph.) lamellari, lunghi mm. 5, solcati all’origine dal- l’Impressio N. trigemini, ristretti nel mezzo ed espansi alle estremità, di cui la laterale. è continua coll’Os petrosum (p), e la mediale termina con margine sinuoso, appuntato nel tratto ventrale corrispondente al Proc. clin. post. hom. Sormontano di poco la superficie craniale del Basiposisfenoide (pst. sph.), per essere rudimentale la pars medialis. i Lo spazio fra loro compreso è occupato da un ossicino auto- nomo lamellare configurato a rettangolo irregolare, relativa- mente grande, impari, mediano, simmetrico (0. in. pr. p. pst. sph.) la cui superficie craniale è libera nel Cavum cranii, mentre la caudale è adagiata sul Basipostsfenoide (pst. sph.) rilevata soltanto col margine ventrale, invece l’orlo dorsale, più lungo, appoggia direttamente sul Basipostsfenoide (pst. sph.) 2 mm. di- nanzi alla Syncondrosis postspheno-basilaris (sy. pst. sph. ba.). Tale ossicino sia per la topografia rispetto al Basioccipitale (bo.) ed al Basiposisfenoide (pst. sph.) che per il rapporto coll’ Zy- pophysis mi sembra chiaramente omologo ed omotopico col Dorsum setlae degli altri mammiferi, eccettuata la direzione, che nel S. Prevosti s'avvicina all’orizzontale. Lo denominai dall’ubicazione: Ossiculum inter Processus. petrosi postsphenoidales (0. in. pr. p. pst. sph.); i suoi margini laterali sono articolati coi Processi suddetti (Sulura inter ossi- culum et Processus petrosi postsphenoidales). Immaginando di togliere l’ossicino resterebbero i Processus petrosi posisphenoidales come nello S. vulgaris, la differenzia si riduce all’ossicino intercalare, ossia, si potrebbe anche dire al Dorsum sellae di origine autonoma, anzichè postsfenoidea, o basioccipitale, o dai processi petrosi postsfenoidei, come in altri. Mammiferi. Sp. Sciurus Rafflesi (Vigors et Horsfield) (fig. 16). (Esempl. 1). Coesistono il Processus pelrosus postsphenoi- dalis (fig. 16 pr. p. pst. sph.) coll’Ossiculun. interposto (0. in. pr. pst. sph.) similmente alle disposizioni descritte nello S. Prevosti, PROCESSUS PETROSI, ECC. 167 riconfermando anche con questa Nota dello scheletro cefalico, che lo S. Ra/flesi sia una semplice varietà del S. Prewvosti. Sp. Sciurus pyrrhopus 2 Fi. Cuvio). (Esempl. 1). Possiede i Processus pelrosi dorso-postsphenot- dales (fig. 17, pr. p. d. pst. sph.) lunghi mm. 6,5 facilmente distinguibili in pars medialis (b) e pars lateralis (a) per un restringimento nel mezzo del percorso. Essendo i due processi non solo di considerevole lunghezza rispetto alle dimensioni del cranio, ma di lunghezza assoluta - mente maggiore che nel S. Prewvosti, il cui cranio è più grande, mentre la distanza fra gli apici petrosi (mm. 8) è minore che in quello del S. Prevosti (mm. 10), ne viene, che i Processus petrosi dorsales postsphenoidales del S. pyrrhopus giungano ad incontrarsi nella linea mediana, componendo un’articolazione 0 Sutura inter Processus petrosi dorsales postsphenoidales ondu- lata (S. in. pr. p. pst. sph.) adiacente alla Crista postsphe- noidalis, che n'è ricoperta. Tale sutura appoggia per intero sul piano — alquanto inclinato all’indietro — della superficie dor- sale del Basipostsfenoide (pst. sph.) I Processus petrosi dorsales postsphenoidales al vertice del- Vangolo fra la pars lateralis e la pars medialis mandano bila- teralmente una piccola apofisi ventrale lungo i margini late- rali del Basiposlsfenoide qualificabile dall’aspetto e dalla dire- zione Processus spinosus praesphenoidalis. (pr. sp. prae. sph.) corrispondente al Proc. clinoideus post. hom. Le parti mediali suturate dei due processi sono omotopiche col Dorsuni seliae degli altri Mammiferi, e funzionano analogamente ad esso, con- traendo i medesimi rapporti coll’ Hypophysis. Havvi la Sulura metopica basalis e la Sinostosis postspheno- basilaris. II. — Gen. Xerus, sp. X. erythropus (fig. 18-19-20). Tre esemplari in gradazione d’età, appartenenti al Museo civico di Storia naturale di Milano. In tutti sono i Processus petrosi dorsdles-postsphenoidales (pr. p. d. pst. sph.) foggiati a spezzata per l’unione ad angolo quasi retto della pars lateralis (a) colla pars medialis (b). La: 168 CESARE STAURENGHI pars lateralis riproduce interamente il Processus pelrosus post- sphenoidales del S. vulgaris (fig. 14 pr. p. pst. sph.), del S. Pre- vosti (fig. 15 pr. p. pst. sph.) e S. Ra/flesi (fig. 16 pr. p. pst. sph.) e la pars lateralis del Processus petrosus dorso postsphe- noidalis del S. pyrrhopus (fig. 17 a.). La pars medialis ha direzione frontale, ed è tangente al dorso del Basipostsfenoide: trova riscontro nella pars medialis rudimentale, che rinviensi, talvolta nel Proc. poslsphenoidalis del S. vulgaris (fig. 14 pr. p. d. pst sph) presente anche nel S. Prevosti e S. Raffiesi (fig. 15-16). Il contegno del segmento mediale (b) cangia coll’eta: nel- l'esemplare più giovane (fig. 18) le estremità libere della pars medialis sono dentellate, e riunite da un legamento fibroso lungo mm. 1,5 omologo ed omotopico colla Plica duralis del S. vul- garis, onde la Symphysis Processus petrosi dorsales postsphe- noidalis (sy. in. pr. p. d. pst. sph.). Nell’individuo che segue per età (fig. 19) i Processus petrosi dorsales postsphenoidales (pr. p. d. pst. sph.) sono allungati in maniera che il Ligamentum inter Processus petrosi dorsales postsphenoidales, o la sinfisi omonima (sy. in. pr. pe d. pst. sph.) è così impicciolita da lasciar presu- mere, come già avvisai, che in età maggiore le loro estremità mediali si sarebbero accostate. Tale disposizione verificai infatti nella X. erythropus adulto (fig. 20) i cui tratti mediali dei Processus petrosi dorsales post- sphenoidales (pr. p. d. pst. sph.) lunghi mm. 2,5 terminano con estremità frastagliata, alcuni dentelli della quale vanno incontro agli opposti componendo una sutura armonica (Sutura inter Processus petrosi dorsales postsphenoidales) (s. in. pr. p. d. pst. sph.) 2 mm. cranialmente alla Syncondrosis postspheno- basilaris, e raggiungendo in tal modo il massimo sviluppo in lunghezza, come nello S. pyrrhopus (fig. 17 s. in pr. p. pst. sph.). La Sutura sopra nominata ed i Processi omonimi stanno molto vicino al Basipostsfenoide (pst. sph.), e fra loro intercede un vano molto ristretto, nel quale si possono introdurre delle setole sottili. I due dentelli più mediali, che concorrono a comporre la Sutura hanno parvenza di ossicini autonomi, e tale fu la mia pripia impressione. Tuttavia non è possibile verificare in modo decisivo tale condizione nel preparato da conservarsi integro, poichè il loro PROCESSUS PETROSI, ECC. 169 x contorno è continuo col rimanente del Processus petrosus dor- salis postsphenoidalis, dal quale distinguesi non per sutura pro- priamente detta, o residui di essa, sibbene per cambiamento di piano. Certo è che la Sutura inter Processus petrosi dorsales post- sphenoidales (fig. 20, s. in. pr. p. d. pst. sph.) deriva dall’ossifi- cazione della Sinfisi degli stessi Process? (fig. 18, 19, Sym. in. pr. p. d. pst. sph.) sia che si frapponesse anche nello X. ery- thropus qualche ossicino autonomo similmente al S. Prevosti e S. Rafflesi (fig. 15, 16, in. pr. pst. sph.), sia che l’ossificazione abbia proseguito in continuità col Processus petrosus dorsalis postsphenoidalis. Di più all’emergenza di questo processo dal Petioso è di- scernibile, specie a destra, una linea sinuosa somigliante ad una sutura (fig. 20, x.), che pare il reliquato di un processo epi- fisario. Anche a tale quesito non m’é dato rispondere con giudizio assoluto, essendomi mancato il materiale anatomico per cerzio- rare, se lo stato d’epifisi sia realmente preesistito, o se quella linea, ad onta dell’aspetto suturale, avesse avuto altra genesi. Aggiungo, che in un esemplare havvi la Sutura praespheno etmoidalis (fig. 18, prae. sph. et.), che nel successivo (fig. 19) viene ricoperta dalla Sutura metopica basalis (s. m. ba.). Sp. Xerus punctatus è (Sciurus punctatus Temm,) (fig. 21). (Esempl. 1). In questa specie è manifesta una corta Sutura inter Processus petrosi dorsales postsphenoidales (fig. 21, s. in. pr. p. d. pst. sph.) mediana, alquanto sinuosa, lunga 1 mm., adiacente alla superficie dorsale del Basiposls/enoide (pst. sph.). I Processus petrosi dorsales postsphenoidales (pr. p.d. pst. sph.) sono sottili, distinti nei due segmenti mediale (b) e late- rale (a). Dal vertice dell'angolo generato dal loro incontro esce un piccolo Processus spinosus praesphenoidalis (pr. sp. prae. sph). come nel S. pyrrhopus (fig. 17, pr. sp. prae. sph.). Havvi la Sutura metopica basatis (fig. 21, s. m. ba.). 170 CESARE STAURENGHI III. — Gen. Sciwuropterus. a) Sp. Sciuropterus volans (fig. 22-23). (Esempl. 2) (4). I Processus petrosi postsphenoidales (pr. p- pst. sph.) della lunghezza di mm. 1,5 vengono fuori dall’ Apex petrosum all’altezza della Syncondrosis postspheno-basilaris (sy. pst. sph. ba.) e convergendo fra di loro terminano circa a livello della metà del margine laterale del Basiposisfenoide (pst. sph). Manca la Crista postsphenoidatis. Per conseguenza nell’esemplare disegnato nella fig. 22 la pars lateralis dei Processi prepondera, mentre la medialis è da poco iniziata. E poiche le estremità libere di questa — che presentano una fossetta — distano quasi come la larghezza del Basipostsfe- noide (mm. 3) viene a mancare completamente la Sutura fra i Processi pelrosi dorso-postsfenoidei. Perciò nel Sciuroplerus volans sono rispecchiate le disposi- zioni dei Processus postsphenoidales, che occorrono nello S. vul- garis (fig. 14, pr. p. pst. sph.). b) Sciuropterus sabrinus (Shaw) (Pteromys sabrinus Richards) (fig. 24). (Esempl. 1). In questo Sciurottero il difetto della Sutura fra i Processi petrosi dorso-postsfenoidei è resa più manifesta dalla piccolezza dei Processi petrosi postsfenoidei (fig. 24, pr. p. pst. sph.) ridotti alla pars lateralis lunga 1 mm., che nasce a livello della Syncondrosis postspheno-basilaris (sy. pst. sph. ba.). Sono i Processi petrosi postsfenoidei più piccoli della col- lezione. IV. — Gen. Tamias, sp. Tamias striatus L. (fig. 25). (Esempl. 2). Il cranio di questo Sciuromorpha contiene i Processus petrosi dorsales postsphenoidales (fig. 25, pr. p. d. pst. sph.), nei quali la pars medialis o dorsalis-postsphenoidalis (b) è appena abbozzata. (1) Dono del console italiano Gòsta Sundermann di Helsingfors, al quale rinnovo i più sentiti ringraziamenti. PROCESSUS PETROSI, ECC. AA x La pars lateralis è conica, diretta obliquamente al Basi- postsfenoide (pst. sph.), che raggiunge all’altezza della Crista postsphenoidalis 1 mm. circa ventralmente alla Syncondrosis post- spheno-basilaris (sy. pst. sph. ba.), dopo percorsi all’incirca 2 mm. Ivi si curva ad angolo pressochè retto, aperto caudalmente, e prosegue con un altro piccolo tratto, che incrocia il corpo del Postsfenoide per mm. 1,5. Alle estremità mediali dei due Processus dorsales postsphe- noidales è inserta la Plica duratis. Dall’unione di una incisura mediana del Postsfenoide con un’altra del Basioccipitale nasce un canaluccio perforante simile a quello descritto da A. Borero nell’A. marmota, che può denominarsi: Canalis basioccipitalis- postsphenoidalis (ca. ba. pst. sph.). V. — Gen. Spermophilus. Sp. Spermophilus citillus L. (fig. 26-31). (Esempl. 7). Nello scheletro cefalico dello Spermophilus ci- tillus accadono delle varianti nella disposizione dei Processus petrosi dorsales postsphenoidales, degne di essere segnalate. Questi Processi esistono in tutti gli esemplari con dimen- sioni relativamente considerevoli, solcati nel tratto laterale dal- VImpressio N. trigemini (fig. 27, imp. n. tr.), e nell'angolo tra la parte laterale (b) e la mediale (a) emettono un Processus spinosus praesphenoidalis (pr. sp. prae. sph.) rispondente al Proc. clin. post. hom. molto lungo, sino a */, dal margine laterale del Basipostsfenoide (pst. sph.). Nell’esemplare più giovane i Processus petrosi dorsales- postsphenoidales non sono ancora articolati tra di loro (fig. 26, pr. p. d. pst. sph.). In due altri si articolano direttamente (fig. 27-28, s. in! pr. p. d. pst. sph.), in: altri due, oltre l'unione diretta, vi ha quella mediante un ossicino intercalare (fig. 30-31, s. in. pr. p. d. pst. sph. — o. in. pr. d. pst. sph.), e nel sesto concomita la Sutura inter Processus petrosi dorsales postsphenoidales (fig. 29, s. in. pr. p. d. pst. sph.) col Dorswm: sellae (A. se.) del Basipostsfe- noide. In tutti persistono aperte le ordinarie suture cranio-facciali. Per tale accumulo di variazioni in cotesti cranii, quantunque in numero esiguo, stimo conveniente darne delle descrizioni suc- cinte, distinguendoli numericamente. 172 CESARE STAURENGHI N. 1. È l’esemplare che contiene i Processi petrosi dorso- postsfenoidi ancora separati da un intervallo mediano, distin- guibili nella parte laterale (fig. 26, a.) e mediale (b). Questa sor- passa alquanto la superficie craniale del Postsfenoide, ed alla stessa guisa dello X. erythropus jun (fig. 18-19, pr. p. d. pst. sph.) (b) termina con dentellature, senza raggiungere l’opposta. Come nello X. erythropus anche nello Spermophilus citillus i dentelli sono indizi dell’osso in via di crescimento, ond’é che negli esemplari successivi (N. 2, 3) trovasi formata la Sutura inter Processus petrosi dorsales postsphenoidales, che nel N. 2 è sinuosa e mediana (fig. 27, s. in. pr. p. d. pst. sph.) ed aderisce insieme colla pars medialis dei processi (b) alla superficie cra- niale del Basipostsfenoide (pst. sph.) per tessuto osseo, che si erge dalla Crista postsphenoidatis, la quale in questo esemplare è resa crittica o ricoperta dalla sutura sopranominata. Questa sutura è situata 2 mm. ventralmente alla Syncondrosis postspheno-basilaris (sy. pst. sph. ba.) e dinanzi ad essa sta la Fossa hypophyseos (f. hyp.), Il Processus spinosus praesphenoi- dalis (pr. sp. prae. sph.) tocca 3 mm. di lunghezza. Nell’esemplare N. 3 (fig. 28) la Sulura fra i Processi petrosi dorso-poslsfenoidei (s. in. pr. p. d. pst. sph.) è laterale destra, e distante 2 mm. dalla Syncondrosis postspheno-basilaris (sy. pst. sph. ba.). La pars medialis (b) è più gracile che nel precedente, ed anche più lunga a sinistra. Non è ora possibile di decidere: se il maggiore allunga- mento del Processo di sinistra fu cagionato dalla fusione di esso con un ossicino incastrato fra i Processi. L’esemplare è interessante, anche perchè la pars medialis (b) dei Processi e la loro sutura, sono coalescenti colla Crista post- sphenoidalis, la quale, per la riduzione in larghezza dei Processi petrosi, ha raggiunto tale sviluppo da potersi giudicare un Dor- sum sellae rudimentale. Ond’è che la parete dorsale della Fossa hypophyseos (f. hyp.) di questo Spermophilus citillus è composta non soltanto dalla pars medialis dei Processi petrosi suturati, ma anche dalla Crista postsphenoidatis. Nel N. 4 (fig. 29) l'associazione del Dorsum sellae, d'origine postsfenoidea, colla Sutura fra i Processus petrosi dorsales post- sphenoidales (s. in. pr. p. d. pst. sph.) è ancora più palese, es- PROCESSUS PETROSI, ECC. 173 sendo scoperto il Dorsunz sellae (d. se.) a cagione della cor- tezza della Sutura fra i Processus petrosi ridotta ad un piccolo dentello per lato, mentre che nell’esemplare N. 3 era resa crittica o ricoperta dalla maggiore lunghezza della sutura stessa fig. 28, Bi im. pr..p. d. pst. sph). Il Dorsum sellae, sorto, come dissi, direttamente dal Basi- postsfenoide è posto 2 mm. dinanzi alla Syncondrosis postshpeno- basilaris (sy. pst. sph. ba.). N. 5-6 (fig. 30-31). In questi esemplari similmente al S. Pre: vosti (fig. 15) e S. Rafflesi (fig. 16) fra le pars medialis dei Processus petrosi dorsales-postphenoidales è incuneato un ossi- colo (0. in. pr. p. d. pst. sph.) di figura triangolare, che ne smi- nuisce la lunghezza, e ne separa totalmente i margini craniali coi quali si sutura. E poichè non ne raggiunge i margini caudali, quivi ha luogo una cortissima Sutura inter Processus petrosi dorsales-postsphe- noidales (s. in. pr. p. d. pst. sph.). Le pars medialis suturate coll’ossicino suddetto sono omo- topiche ed analoghe al Dorsumn. sellae. Come nello X. erythropus (fig. 18 s. prae. sph. et. e fig. 19 s. m. ba.) anche nello Sper- mophilus cilillus juv. havvi la Sulura praespheno-elmoidatis (fig. 26, s. prae - sph. et.), ricoperta, nell’età più inoltrata, dalla Sulura inetopica basalis (fig. 27. s. m. ba.). Esiste anche il Canalis basioccipitalis-postsphenoidalis (fig. 26, ca. ba. pst. sph.), come nel Tamias striatus (fig. 25, ca. ba. pst. sph.) colla differenza che è attraversato sagittalmente da un sottile processo che dal Basioccipitale va al Postsfenoide (Pro- cessus basioccipilalis postsphenoidalis) visibile con piccolo ingran- dimento, come in alcuni A. marmota (fig. 34-37, pr. ba. pst. sph.) e nell’A. bobac (fig. 39, id.). È presente anche il Canalis per il N. abducens che A. Bovero riscontrò nell’A. marmota. VI. — Gen. Arctomys a) Sp. Arctomys marmota Schreb. (fig. 32-37. (Esempl. 16). (1) Nella marmotta nostrana sono costanti i Processi petrosi dorso-postsfenoidei distinguibili in pars lateratis (fig. 33, 34, 35, pr. p. d. pst. sph. (a)) ed in pars medialis (1) Provenivano dal Piemonte (Monti d’Oropa, Alagna Sesia, Gressoney) e dalla Svizzera (St. Moritz). 174 CESARE STAURENGHI (id. id. (b) ); la prima è solcata all’origine dall’Impressio N. tri- gemini (imp. n. tr.) ed attraversa la Syncondrosis postspheno- basilaris (sy. pst. sph. ba.). Di regola sono articolati fra di loro negli adulti (fig. 33-34, s. in. pr. p. d. pst. sph.). Le fig. 33-34 rappresentano i Processi petrosi dorso-post- sfenoidei in situ (pr. p. d. pst. sph.); nella fig. 35 vedonsi sepa- rati dalla Basis cranti interna ed articolati fra di loro; nella fig. 85 (b) è disegnato il Processo destro, isolato (pr. p.d. pst. sph.). Immaginando di proiettare sul Basipostsfenoide la linea percorsa dai Processi si ottiene la tratteggiata y (fig. 37) coin- cidente col decorso della Crista poslsphenoidalis, accennata nel S. vulgaris, che a sua volta coincide con quello dei Dorsum sellae postsfenoideo, rudimentale dello Spermophilus citillus. Nella Basis cranii interna esaminata nel preparato recente, dopo tolto l’encetalo coi nervi lasciando in posto la Dura madre e ’ Hypophysis (fig. 36) notasi cranialmente alla sporgenza dei Processi petrosi il suo lobo nervoso (1. n.), che sta a contatto colla pars medialis dei Processi nell’identico modo che d’ordi- nario col Dorsum. sellae del Postsfenoide. Nel disegno rilevasi anche che la Dura madre nasconde completamente le disposizioni degli organi in discorso, come avvisai nella tecnica. Nelle marmotte giovanissime — da sei a sette mesi — è ossificata compiutamente la pars laleralis del Processus petrosus dorsalis-postsphenoidalis, langa in media mm. 5, e principiata l’os- sificazione della pars medialis, sulla cui estremità libera — diretta obliquamente all’infuori, sicchè i suoi punti mediali sono più avvicinati dei laterali — si inserisce la Dura madre, contenente pimmento nerastro, che funziona da Ligamentum inter Pro- cessus petrosi dorsales-postsphenoidales componendo la Sinfisi omonima, situata immediatamente dietro alla Fossa hypophyseos (fig. 32, 1. in. pr. p. d. pst. sph.). Talvolta in questo legamento si trovano dei granuli ossei liberi, come in un preparato che conservo; l’ossificazione totale di esso dà origine al rimanente della pars medialis, che termina nella linea mediana con den- tellature relativamente grossolane, le quali — secondo la mia osservazione — sogliono articolarsi per affrontamento delle due digitazioni più dorsali, che per l’obliquità del margine sono, come dissi, le più vicine; raramente si congiungono con maggior. numero. PROCESSUS PETROSI, ECC. 175 Perciò la Suluia inter Processus pelrosi dorsales postsphe- noidales dell’ A. marmota appare corta in proporzione delle di- mensioni del suo scheletro cefalico, avendo la lunghezza di mm. 1,5 secondo la media delle mie osservazioni, od al mas- simo mm. 3. D’ordinario è alquanto sinuosa, talvolta rettilinea, diretta od obbliqua, distante circa 4 mm. della Syncondrosis postspheno- basilaris. Alle volte — verosimilmente per differenze individuali — permane nell'adulto, la Sinfisi fra i Processi, larga mm. 1 (N. 12 della mia raccolta). La facile disarticolazione della Sutwra fra i Processi petrosi dorso-postsfenoidei (fig. 35-37) o di uno dei Pro- cessi (fig. 35 b.) dalla Basis cranii interna è prova visibile, che non aderiscono al Basiposts/enoide, ed infatti sono semplicemente adagiati su di esso, che attraversano a guisa di arco. Dai Processus petrosi dorsales postsphenoidales nascono negli adulti piccoli processi secondari, e cioè: il Processus spinosus praefrontalis (fig. 35, a. b. - pr. sp. prae. sph.) come nello S. pyr- rhopus (fig. 17, pr. sp. prae. sph.) e nello Spermophilus cilillus (fig. 29-31, p. es. pr. sp. prae. sph.) corrispondente al Proc. clin. post. hom. Ed anche un altro processo più corto ma più largo, uni o bilaterale, che spunta dal margine caudale sia della pars medialis, che della pars lateralis vicino alla Syncondrosis post- spheno-basilaris diretto al Basioccipitale, che mi sembra oppor- tuno di denominare: Processus basioccipitalis (fig 3 a, b, pr. ba. oc.) mediale al Canalis per il N. abducens (A. Bovero) (1). (4) In seguito alla Memoria pubblicata col dott. U. Calamida nel 1903, già citata, A. Bovero comunicava nel 1904 all’ Accad. R. delle Se. di Torino una sua Nota mono- grafica: “Sulla costituzione del Dorsum sellae nel cranio dell’Arclomys marmota x (Processo soprasfenoideo dell’Os petroswin) desunta dall'esame di 50 teschi. L’A. dà una metodica e minuta descrizione dei Processi pelrosi dorso-postsfenoidei della Marmotta alpina da lui qualificati soprasfenoidei, tacendo rilevare, fra l’altro, il semicanale per il N. abducens. Distingue con ragione il Processo in due parti, a confine tra le quali sta quella piccola apofisi, che appellai presfenoidale. Ritiene costante l'articolazione dei Processi negli adulti, che si completa nel terzo anno di vita. Eseguì l’esame istologico della Sinfisi e della parte ipofisaria dei Processi sopra sezioni frontali in serie di quattro individui, e conchiude : “io posso confermare la ipotesi avanzata già dallo Staurenghi, che si tratti di ossificazione endodurale. ,, Giudica i Processi siccome apofisi dirette dei Petrosi, e pur non avendo rinvenuti ossicini nella loro Sinfisi ne reputa verosimile l’esistenza. Tra le figure, la 7* rappresenta il comportamento della Dura madre e dei Nervi cranici in rapporto coi Processi soprasfenoidei. Aggiunge la notizia della presenza di una incisura mediale del margine dorsale 1 176 CESARE STAURENGHI I Processi spinosi presfenoidali sono costanti, e corrispon- dono, come negli altri Sciuromorpha, al Proc. clin. post. homi.; i Processi basioccipitali si trovano nella maggioranza degli adulti. In alcuni esemplari dell'A. 724rmota esaminati per i primi se- gnalai una linea sinuosa, come quella indicata x (fig. 33), che in un esemplare è cambiata in una fessura, che faceva congettu- rare all’unione epifisaria del Processus petrosus posisphenoi- dalis coll’ Os petrosum. Senonchè moltiplicando le ricerche non potei confermare tale induzione coll’esame diretto, come per lo X. erythropus (fig. 20 x), benchè fosse razionale e fondata su altri fatti simili positivamente accertati, p. es. la fusione del- VOs suprapetrosum (W. Gruber) — indubbiamente endodurale col Petrosum nell’Uomo. Nel rispetto paleontologico ottenni i medesimi reperti anche in due esemplari fossili dell’A. marmota del terreno glaciale di Civiglio sopra Como, conservati nella Sezione zoologica del Museo civico di Storia naturale di Milano. b) Sp. Arctomys mona (Schreb.) (fig. 38). (Esempl. 1, adulto). Nel cranio di questo Arc/0mys essendosi trovato divelto il Processus pelrosus dorsalis-postsphenoidalis destro, l’esame al lato sinistro, ove il Processo era integro (fig. 38, pr. p. pst. sph.) dette per risultato: Il Processo pelroso dorso- postsfenoideo è lamellare quadrilatero, lungo mm. 8 fra la base continua col Petroso ed il Basipostfenoide, colla larghezza mas- del Postsfenoide fronteggiata da altra simile del Basioccipitale onde il canaletto per- forante, disegnato anche nelle figure 32-33 di questa relazione, riferentisi all’A. marmota, ed anche nella fig. 38relativa all’A. monax, e che denominai: Canalis basioccipitalis post- sphenoidalis (ca. ba. pst. sph.) come p. es. nel Tamias striatus (fig. 25, ca. ba. pst. sph.) e nello Spermophilus citillus (fig. 25, ca, ba. pst. sph.). In alcuni esemplari di A. marmota, invece del canale era un forame endocranico, chiuso sul fondo da una membrana, e diversamente dalle altre nelle figure 34-37 al posto del Canale basioccipito-postsfenoideo dell’A. marmota, havvi un processo otturatorio del Bosioccipilale (pr. ba. pst. sph.) appellabile: Processus basioccipilalis postsphenoidalis, che interviene, come dissi, anche nello Spermophilus citillus e come dirò nella A. bobac. Inoltre notai in un esemplare adulto, che la incisura postsfenoidale, che rappre- senta la parte poststenoidea del Canale basioccipito-postsfenoideo era estesa a tutto il corpo del postsfenoideo, dorsale alla Sutura inter Processus petrosi dorsales postsphenoi- ‘dales, e circa al sistema nervoso centrale, come l’Epifisi si protenda fino a contatto col Tegmen cranii ove aderisce alla Dura madre, 3-4 mm. ventralmente al margine ventrale dell’ Os supraoccipitale. Nell’A. marmota havvi la S. praespheno elhmoidalis bilaterale con un forame inter- posto, in luogo della S. metopica basalis di altri Rosicanti (S. pyrrophus, X. punctatus, Spermophilus citillus). PROCESSUS PETROSI, ECC. Lee sima di mm. 2. Arriva con percorso obliquo al margine corri- spondente del Basipostsfenoide (pst. sph.) terminandovi libera- mente con orlo arrotondato a spatola, 5 mm. ventralmente alla Syncondrosis postsphenoidalis basilaris (sy. pst. sph. ba.). (1) Havvi il Canalis basioccipilalis-postsphenoidalis (ca. ba. pst. sph.). Per l'uniformità del contorno dell’estremità libera del Pro- cesso, per la sua direzione mediale, e dal raffronto colle dispo- sizioni della Marmotta nostrana ritengo, che nell’ esemplare della Marmotta americana sopra descritta i Processi petrosi dorso-postsfenoidei fossero articolati per sin/isi. c) sp. Arctomys bobac Schreb. (fig. 39). (Esempl. 1, adulto). I Processus petrosi dorsales-postsphenor- dales (fig. 37, pr. p. pst. sph.) sono simili a quelli dell’A. marmota, (p. es. fig. 34 pr. p. pst. sph.) e A. monax (fig. 38, pr. p. pst. sph.). Vi si nota il tratto laterale (a) lungo mm. 5 profondamente incavato dall’ Impressio N. trigemini (fig. 30 im p. n. tr.) ed il mediale (b) lungo mm. 4, che termina con margine grossolana- mente dentato. Dal vertice dell'angolo di unione dei due tratti esce il Processus spinosus praesphenoidalis (pr. sp. prae. sph.). Per mezzo del Ligamentum inter Processus pelrosi dorsales postsphenoidales (1. m. pr. d. pst. sph.) lungo 1 mm., i due Pro- cessi sono articolati per sinfisi, che attraversa il Basipostsfenoide distando da esso mm. 1, e mm. 7 dalla Sutura postspheno- basilaris (s. pst. sph. ba.). Dorsalmente esce dai Processi petrosi anche il Processus basi occipitalis. Il Canalis basioccipitalis postsphenoidalis contiene un esile Processus basilaris postshpenoidalis (pr. ba. pst. sph.), che ne divide il vano in due parti disuguali. Non ho potuto disporre di altri individui più inoltrati nel- Veta per accertare, se anche nell’A. bobac occorra la Sutura inter Processus petrosi dorsales postsphenoidales. (1) Nell’Hand. d. Zoologie di G. v. Hayek (Wien, 1893) a pagine 547 e 548 lo sche- letro cefalico dell’A. mona» è rappresentato da tutti i piani esteriori, ne fu omesso Vesame interno. 178 CESARE STAURENGHI VII. — Gen. Cynomis. Sp. Cynomis ludovicianus Wagn. (fig. 40). (1 Esempl. adulto). È fornito dei Processi petrosi dorso- postsfenoidei (fig. 40, pr. p. d. pst. sph.) continui col’ Apex pe- trosum, differenziabili nella pars lateralis (a) lunga mm. 3,5 e nella mediale (b) lunga mm. 2,5. La prima è solcata dall’ Jm- pressio N. trigemini (imp. n. tr.) ed è suturata col Basipostsfe- noide; fra di essi è un canalino per il N. abducens, come nel- VA. marmota (A. Bovero). La parte mediale è allargata, ed emette il Processus spinosus praesphenoidatis (pr. sp. prae. sph.) lungo mm. 2, e non è suturata coll’opposta nè col Basipostsfe- noide, essendo interposto un Ossiculum inter Processus petrosi dorsales postsphenoidales (0. in. pr. A. pst. sph.). Questo ossicino è suturato lateralmente coi Processi petrosi dorso-postsfenoidei e caudalmente col Basipostsfenoide, e sta col margine dorsale mm. 2,5 dinanzi alla Syncondrosis postspheno- basilaris (sy. pst. sph. ba.). Riempie quindi lo spazio fra il Bast- postsfenoide, le parti mediali dei Processi petrosi dorso-postsfe- noidei, e costituisce la parte di mezzo del Dorsum sellae, le cui parti laterali sono date dai tratti mediali dei Processi petrosi dorso-postsfenoidei. Per la presenza dell’Ossiculum inter Processus petrosi dor- sales-postsphenoidales il Cynomis ludovicianus possiede una di- sposizione simile a quella di alcuni Spermophilus citillus (fig. 30-31, o. in. pr. d. pst. sph.), col divario, che nella Sp. citillus la sepa- razione tra i due processi è incompleta, e coesiste la Sul/ura inter Processus petrosi dorsales-postsphenoidales. L’ossicino sopra detto è simile ad un tetraedro irregolare, essendo ristretto fra il - terzo ventrale ed i due terzi dorsali, tanto che, visto sotto date incidenze della luce, si potrebbe essere indotti a ritenerlo com- posto dalla coalescenza di due ossicini. Tanto l’Ossiculum intercalare quanto il Processus petrosus dorsalis-postsphenoidalis hanno struttura spugnosa, come le ossa pneumatiche degli Uccelli (1). (1) Nella pubblicazione del dott. G. ELLior, A Synopsis of the Mammals of North America and the adjacent Seas (Filed Columbian Museum Zool. Ser., V. II, p. 103, Chi- cago, 1901), è rappresentato in una nitida tavola lo scheletro cefalico del Cynomis ludovicianus visto esteriormente dai diversi piani, manca la rappresentazione del- l’interno. PROCESSUS PETROSI, ECC. 179 PROSIMIAE a) Gen. Galago, sp. Galago senegalensis Geoff. (fig. 40-41). I risultati delle prime indagini per rintracciare gli eventuali Processus petrosi dorsales-postsphenoidales anche nei Prosimii, aventi caratteri di Rodilori (Chiromys madagascariensis (1), ed anche nei Marsupiali con proprietà di Rosicanti (Phasco- lomys Mitchelli, Ph. ursinus Shaw.) mi riuscirono negative, come già riferii. Ad onta di ciò continuai le ricerche in altre famiglie dei Prosimii, e fui avventurato di essere pervenuto ad un esito po- sitivo nella sottofam. Ga/agininae gen Galago, verosimilmente nella sp. G. senegalensis Geoff., che non fu possibile di determi- nare con pari precisione del genere, avendo disposto soltanto di due teschî: uno di giovane e l’altro di adulto. In entrambi l’Impressio N. trigemini per ossificazione totale dell'anello osteo-fibroso era trasformata nella Vagina N. trige- mini ossea (fig. 41-42, Vag. n. tr.). Nello scheletro cefalico del G. Senegalensis juv. rappresentato nella fig. 41, alla Vagina N. trigemini ossea del lato sinistro seguiva un piccolo processo lamellare (pr. p. d. pst. sph.) (b) ir- regolarmente quadrilatero, che sporgeva alquanto sulla superficie craniale del Basipostsfenoide, terminando con orlo dentato. Aveva la lunghezza di 2 mm., la larghezza di 1 mm., situato ad 1 mm. circa ventralmente alla Syncondrosis postspheno-basilaris (sy. pst. sph. ba.). A destra, per la presenza di una piccola super- ficie di frattura sull’apice della Vagina N. trigemini era pa- lese, che la mancanza della pars medialis del Processus pe- trosus dorsalis-postsphenoidatis, era dovuta all’ asportazione di essa. Gia da questo esemplare potevasi dedurre, che nel G. sene- (4) L'osservazione che riferii (pag. 16) circoscritta ad un esemplare potrebbe lasciar credere che la disposizione ricercata si verificasse in altri. Tuttavia anche il pro f. E. Zuckerkandl, che aveva esaminato in antecedenza dei cranii del Chiromys madagascariensis, osservò soltanto che: “ Die Sella turcica ist klein, ihre Riickenlehne niedrig und hohl., Zur Anatomie vom Chiromys madagascariensis, Denkschritt. d. K. Akad. der Wissenschaften. Math. Nat. Cl. Bd. 68, Wien, 1900. Veggasi anche quanto scrissero sul cranio dell’Aye-aye G. Pouc®et e H. Beaurrcarp, Traité d’osleologie com- paree, Paris, 1889, p. 24. 180 CESARE STAURENGHI galensis juv. esiste il Processus petrosus dorsalis-postsphenot- dalis, e differenziato nelle parti mediale e laterale. Oltre di che dal raffronto cogli Sciuromorpha mi parve conseguisse, che il ramo caudale (fig. 41, a) della Vagina N. trigemini ossea corri- spondesse alla pars lateralis del loro Processus petrosus dor- salis-postsphenoidalis, per essere omotopico col lato, che con- tiene VInupressio N. trigemini, ed il ramo mediale, che gli fa seguito (b), abbia riscontro colla pars miedialis dello stesso pro- cesso. Di più nel G. senegalensis, a cagione della presenza della Vagina N. trigemini ossea, si potrebbe annoverare tra i com- ponenti del Processus pelrosus dorsalis-postsphenoidalis anche il ramo craniale (ant.-sup.) delia Vagina stessa (c), esso pure apofisi uscente dall’ Aper petrosum, la quale mette capo nel processo lamellare che, per ragioni che esporrò tosto, è da con- siderarsi omologo ed omotopico con quello indicato colla let- tera } nella seguente fig. 42. Ammettendo questo significato, il tratto laterale del Processus petrosus dorsalis-postsphenoidalis dei Galago sarebbe composto di due bracci o radici (fig. 41, a-c), che riuniti proseguono col tratto mediale (b). Ciò posto, e considerato, che le dentellature del margine libero del Processo pelroso dorso-postsfenoideo avevano le note di questo processo in fase di crescimento, mi parve probabile, seguendo un criterio analogo a quello applicato con buon esito allo X. erylrhopus, ed allo Spermophilus citillus, che anche nei G. senegalensis adulti i Processi in discorso potessero ingrandire tanto da articolarsi. L’ipotesi divenne realtà coll’esame del teschio del G. sene- galensis di età maggiore. In questo infatti le parti mediali del Processo petroso dorso- postsfenoideo (fig. 42, pr. p. d. pst. sph.) (b) lamellari, quadrila- tere, raggiungevano la lunghezza di mm. 4 e la larghezza di mm. 3, per modo che oltrepassavano come un ponte il Basi- postsfenoide (pst. sph.), giungendo ad articolarsi fra loro nella linea mediana con sutura armonica (Sutura inter Processus pe- trosi dorsales postsphenoidales) (s. in. pr. p. pst. sph.) avente direzione sagittale, lunga 2 mm., e situata 2 mm. circa dinanzi alla Syncondrosis postspheno-basilaris (sy. pst. sph. ba.). Tale disposizione rispecchiava con ammirevole similitudine le condizioni anatomiche dei Processus petrosi dorsales-postsphe- noidales, che descrissi negli Scîur0morpha. PROCESSUS PETROSI, ECC. 181 Fra la Sutura dei processi sopraddetti ed il Basiposls/enoide «era un forame mediano, ovale, coll’asse maggiore di 2 mm., il minore di 1 mm., attraverso al quale la Dura madre della Fossa cranica posteriore combaciava con quella della Fossa cranica media. Il contorno craniale del Forane era dato dalle parti mediali dei Processi e dalla loro sutura, il caudale era formato da una cresta, rispondente per topografia e modo d’origine, ma con dimen- sioni maggiori, alla Crista basipostsphenoidalis dello S. vulgaris. E poichè essa stava immediatamente dietro alla Fossa hypo- physeos costituendone la parete dorsale, per quanto tu detto, mi sembra, che si possa giudicare un Dorsunr sellae rudimentale, onde il detto Forame potrebbe dirsi dalla ubicazione Forainen inier Processus petrosi dorsales-postsphenoidales et Dorsum sellae. b) gen. Hemigalago sp. Hemigalago aff. demidoffii (fig. 43). (Esempl. 1). A provare, che nei Lemuroidea la presenza dei Processus petrosi dorsales-poslsphenoidales non sia varietà indi- viduale del Ga/ago senegalensis, valga il fatto della loro esi- stenza in altra specie, cioè nell’ Hemigalago aft. denidoffii adulto Fisch. (gen. Galago, subgen. Hemigalago). Nello scheletro cefalico di un individuo della detta specie, lungo mm. 38 dal culmine della Fossetta cerebellare mediana (vermiana) all'estremità anteriore della Sulura internasalis, colla larghezza massima di mm. 19, le cui ossa erano leggerissime e come pneumatizzate —- il teschio intero pesava gr. 1,35 — rilevai: che dall’estremità ventrale della Vagina N. trigemini ossea (fig. 43, vag. N. tr.) usciva nei due lati una formazione palesemente simile alla pars medialis del Processus pelrosus dorsalis postsphenoidatis (pr. p. d. pst. sph.) più volte menzio- nata in parecchie specie degli Sciuromorpha, e nel Galago senegalensis. Nell Henigalago aff. demidoffii tale parte del Processus petrosus dorsalis-postsphenoidalis è cilindroidea, lunga 2 mm., ed attraversa la parte dorsale della Fossa cranica media, e termina coll’articolarsi col processo simmetrico per mezzo dj Sutura armonica, e cioè la Sutura inter Processus petrosi dor- 182 CESARE STAURENGHI sales-posfsphenoidales (s. in. pr. p. d. pst. sph.) lunga 1 mm., situata mm. 1,5 cranialmente alla Syncondrosis postspheno-basi- laris (sy. pst. sph. ba.). Havvi anche il Processus spinosus praesphenoidatis (Proc. clin. post. hom.), lango 1 mm. (pr. sp. prae. sph.). Nell’ Hemigatago aff. denridoffii esiste insieme colla Sutura fra i Processi petrosi dorso-postsfenoidei anche il Dorsum sellae (d. se.) proveniente dal Postsfenoide (pst. sph.) come nella mag- gioranza dei Mammiferi, onde i rapporti di esso coi Processus petrosi dorsales-postsphenoidales richiamano quelli già descritti inun Spermophilus cilillus (tig. 29, d. se. — s. in. pr. p. A. pst. sph.). Perocchè al posto del Foramen inter Processus petrosi dor- sales postsphenoidales et Dorsuni sellae del Galago senegalensis, si erge dal Basipostsfenoide dell’ Hemigalago aft. demidoffii, in continuazione diretta con esso, una cresta trasversale omotopica colla Crista postsphenoidalis basilaris, che limita caudalmente la Fossa hypophyseos mm. 1,5 ventralmente alla Syncondrosis postsphenoidalis basilaris, che è senz’altro il Dorsun? sellae post- sfenoideo, fig. 43, d. se.) il quale nell’ Hemigalago aff. demidoffii è più grande che nel Galago senegalensis, e giunge a suturarsi coi Processus pelrosi dorsales-postsphenoidales. ANTILOPINAE Recentemente rilevai fra cinque individui della sp. Madoqua saltiana (fam. Cavicornia, sottotam. Antilopinae) dei quali al- lestii a secco la base del cranio, che in tre erano presenti i Processus petrosi dorsales-postsphenoidales in serie graduale di sviluppo sino alla loro sutura, come venne descritto in alcune specie degli Sciuromorpha, e delle Prosimiae. La fig. 44 fa vedere la Basis cranii interna dell’ esemplare avente i rudimenti dei Processus pelrosi dorsales-postsphenoi- dales (pr. p. d. pst. sph.), e come dal contorno della Vagina N. trigeniini ossea (vag. n. tr.) si protenda una cospicua apofisi irregolarmente quadrangolare il cui margine laterale è in con- tinuazione col Tentorium osseunr (te. os.), la quale si divide più innanzi in due tratti aventi direzione diversa. Uno di essi, il più corto d’aspetto lamellare (pr. p. d. pst. sph.), si porta con direzione traversale o frontalmente verso il Dorsun? sellae (d. se.), che nel M. salliana proviene dal Postsfenoide, e PROCESSUS PETROSI, ECC. 183 l’altro è ventrale o sagittale diretto al Presfenoide, ed è quindi un Processus praesphenoidalis (pr. prae. sph.). Il primo affiora la superficie dorsale del Dorswin sellae ricoprendola per 1 mm., e per la sua direzione convergente alla linea mediana insieme col Processo del lato opposto, dal quale dista circa mm. 4, lascia scoperta di altrettanto la detta super- ficie. Mi parve chiaro dalle nozioni sugli Sciuromorpha, che il tratto trasversale dianzi accennato fosse d’interpetrare per l’inizio del Processus petrosus dorsalis-postsphenoidalis, e fosse attendibile che, crescendo, finisse col congiungersi coll’ opposto. Infatti procedendo nelle ricerche ritrovai in un altro esemplare deta superiore (fig. 45) che i detti tratti trasversali del Processo uscente dalla Vagina N. trigemini ossea (vag. n. tr.), vale a dire i Processus petrosi dorsales-postsphenoidales (pr. p. d. pst. sph.), erano più ingranditi, e più avvicinate le loro estremità mediali, tanto da distare soltanto 2 mm. circa, lasciando sco- perta per eguale estensione la parte interposta del Dorsumn. sellae. Da ultimo in un esemplare di Madoqua saltiana, apparte- nente al Museo civico di Storia naturale di Milano (A. 2015), d’età ancora più inoltrata dei precedenti — come indica anche la sino- stosi di parecchie suture — l’intero processo che esce dalla Va- gina N. trigemini ossea (fig. 46, vag. n. tr.) era ingrandito, sicchè l'estremità libera del Processus praesphenoidalis (pr. prae. sph.) trovavasi molto più vicina al Presfenoide, ove terminava sud- divisa in tre punte. Noto per incidenza, che medialmente al tratto presfenoideo sinistro fu disegnata nella fig. 46 una lamella ossea, che decorre lungo il margine laterale sinistro del corpo del Posts/enoide com- presa coll’estremità caudale nella parte di mezzo della parete laterale della Loggia dell’Ipofisi liberamente incombente col restante sulla Fossa hypophyseos. Anche questo esiguo particolare giova, a mio vedere, a ri- prova della proprietà osteogenica della Dura madre, che verrà ripresa in considerazione più avanti. Ritornando al ramo trasverso diagnosticato come Processus petrosus dorsalis postsphenoidalis, esso ha raggiunto nei due lati dell’esemplare in discorso Ja lunghezza di mm. 3,5 e la lunghezza massima di mm. 4. E sia per la concorrenza dei due Processi alla linea mediana, che per la loro lunghezza accresciuta, essi vennero a reciproco contatto, articolandosi con sutura armonica, 184 CESARE STAURENGHI Voramai nota Sulura inter Processus petrosi dorsales-postsphe- noidales, lunga mm. 4. Di più essendo i Processi petrosi del M. saltiana dissimili da quelli di tutti gli altri Mammiferi fi- nora esaminati — cioè retroposti rispetto al Dorsum sellae (A. se.) del Poslsfenoide — ne viene, che la sutura dianzi nominata copra o renda crittica la parte di mezzo della superficie dorsale del Dorso medesimo, colla quale è anche concresciuta. Pertanto nella sp. Madoqua saltiana si trovano individui, ove esistono simultaneamente i Processus petrosi dorsales-post- sphenoidates o la sutura fra questi Processi insieme col Dorsum sellae d'origine postsfenoidea, situato immediatamente sotto di essi, di guisa che il Dorsuii sellae sembra duplicato. Ad indizio dell’età avanzata dell'esemplare, l’ossificazione del Tentorium (te. os.) era più estesa che negli altri due, e raggiungeva i lati dell’estremità craniale della Fosselta cerebellare mediana (ver- miana), mentre nell’esemplare descritto per il secondo, distava da essa 20 mm. L’allungamento dei Processi petrosi dorsales- postsphenoidales, il cui margine laterale è continuo col 7en- torium osseum, sembra in diretto rapporto col procedere dell’ os- sificazione di questo (1). CANIDAE. L’esistenza contemporanea del Dorsuii sellae pos!sphenoi- dale colla Sutura inter Processus petrosi dorsales-postsphenoi- dales accade, giusta le osservazioni riferite, con due disposizioni : a) Ja detta sutura è situata cranialmente al Dorsuii sellae (Sper- mophilus citillus — fig. 29, d. se. — s. in. pr. p. d. pst. sph.) (He- (1) Di queste disposizioni del Madoqua salliana non trovai parola, oltre che nella Bibliografia allegata in fine (Antilopinae), anche in: R. Owen, On the Anatomy of Vertebrate, V. II, Birds and Mammals, London, 1836. Skeleton of Arctiodactyla, pagine 472, 474. G. v. Hayek, loc. sit., p. 471. W. T. BLanrorp, Observations on the Geology and Zoology of Abyssinia, London, 1870, pagine 267, 268. E. L. Trovessarr, Catalogus Mammalium tam viventium quam fossilium. Nova Editio, T. II, Berolini, 1893-99 (Madoqua salliana, p. 926). W. L. Scuarer, The Mammals of South Africa, V. I, London, 1900 (M. saltiana, p. 181). RowLanp Warp, Records of Big Game, IV Ed., London, 1903 (M. saltiana, p. 163) e nella grande opera di Pattie Lurey Scuarer ed OLprIELD Tuomas, The Book of An- telopes in four volumes, London, 1894-1900, che contiene una ricca letteratura (M. salliana Blainv, Salt’s Dik-Dik) V. II, Skull, p. 70). e stai ee dici hi PROCESSUS PETROSI, ECC. 185 migalago aff. demidoffii, fig. 43, d. se. — s. in. pr. p. A. pst. sph.); b) odè posta a fergo al Dorsum sellae come nel Madoqua sal- tiana (fig. 46, d. se. — s. in. pr. p. d. pst. sph.). Queste com- binazioni sono tali da potersi logicamente supporre, che si riscontrino sporadiche in altre specie dei Mammiferi, che posseggano Processi petrosi postsfenovidei, non essendo incom- patibili colla presenza del Dorsun. sellae postsphenoidale com- piutamente sviluppato nelle condizioni comuni. La prova speri. mentale dell'ipotesi che ho avanzata, ossia la ricerca e la osservazione, esigono almeno per le specie la cui anatomia è ampiamente conosciuta, un novero grandissimo di esami. Finora ho eseguito delle osservazioni nella tribù Cynoidea, nella sp. C. familiaris L., utilizzando la numerosa raccolta di cranii di cani (500 esempl.) dell’Istituto di Anatomia della R. Scuola superiore di Medicina veterinaria di Milano, già citata. Uno di essi dimostrava, se non in tutto, in gran parte la mia previ- sione. In questo esemplare, del quale ho già fatto cenno (pag. 15) (1), escono bilateralmente dall’ Aper pelrosî due processi: uno ven- trale o sagittale diretto al presfenoide (fig. 47, pr. prae. sph.), e l’altro trasversale o frontale, che perciò che venni esponendo, e particolarmente per la disposizione simile a quello del Mado- qua saltiana (fig. 44, 45 — pr. p. d. pst. sph.) denomino: Pro- cessus petrosus dor'salis-postsphenoidalis (fig. 47, pr. p. d. pst. sph.) più sviluppato a sinistra, ove articolasi anche con un processo del Dorsum sellae (d. se.). Come vedesi i due Processus petrosi in parola sono situati a tergo del Dorsunm sellae, che è postsfe- noideo come di norma nel cane, ed hanno direzione convergente fra di loro. Secondo le mie osservazioni sono molto rari (1: 500). MUSTELIDAE. Un processo simile unilaterale fu avvertito anche nella M. foina. 1 Questa disposizione come quella del Canis familiaris, ch'io sappia, non vennero peranco descritte. Attesa la direzione di questi Processi, ne parrebbe possibile anche l’articolazione. (1) N. 24 della collezione, Cane bracco aS d'anni cinque. 186 CFSARE STAURENGHI SAUROPSIDA (CLASSE RETTILI). Seguendo l’ipotesi, che la cavità cranica dei Mammiferi “equivale a quella dei Rettili con l’aggiunta di spazii primi- tivamente estranei al cranio , (!) ho fatto osservazioni sulla Basis cranii interna della Chelonia caoanna (‘134 P. e della Chelonia virgata (‘136 P.) e della Cistudo europaea Schneid. ma non vi ho trovato indizii di processi corrispondenti ai Pro- cessus petrosi postsphenoidales s. dorsales-postsphenoidales. co Raccogliendo ora in forma comprensiva i risultati delle analisi anatomiche deducesi: che in determinate specie degli Sciuro- morpha, delle Prosimiae, delle Antilopinae, dei Canidae, dei Mustelidae v hanno nello scheletro cefalico dei Processi dell’ Os petrosum, diretti al corpo dell’ Os postsphenoidale distinguibili : in una pars laleralis, o Processus pelrosus postsphenoidalis ed una pars medialis o Processus petrosus dorsalis-postsphenoidatis, fra le quali esce il Processus spinosus praesphenoidalis, omologo col Processus clinoideus posterior hon. Solo la pars lateralis puo persistere autonoma. I Processus petrosi pos!sphenoidales, ed in condizioni speciali anche i Pro- cessus petrosi dorsales postsphenoidales — nei giovani, o per varietà — sono riuniti dalla Dura madre a guisa di legamento interosseo, onde la Symphysis inter Processus petrosi dorsales- postsphenoidales. Questi processi si articolano fra loro per sutura armonica, o sinuosa, o rudimentalmente dentellata (Sutura inter Processus petrosi dorsales-postsphenoidates). Talvolta in luogo della sutura trovasi un ossicino intercalato fra i Processi. La sutura e l’ossicino nominati ponno associarsi col Dorsum sellae postsphenoidale, od anco colle Crista postsphenoidalis, vale a dire col primo rudimento di quello. L’esistenza del solo Processus petrosus postsphenoidalis fu osservata come disposizione ordinaria fra gli Sciuroniorpha nelle specie Sciurus vulgaris Sciuroplerus sabrinus Pleromys volans (1) C. Emery, Compendio di zoologia, II ediz., Bologna, 1904, p. 484. PROCESSUS PETROSI, ECC. 187 La presenza del solo Processus petrosus dorsalis-postsphe- noidalis fu notato tra le specie seguenti degli Sciuromorpha: Sciurus vulgaris vecchio Xerus erythropus juv. Tamias striatus Spermophilus citillus juv. Arctonys marmota juv. 9 MONAL A bobae e tra i Canidae: in un C. familiaris, e nei Mustelidae: in una M. foina, ne’ quali, per difetto di esemplari, non si pote certi- ficare, se esistesse anche la Sii/isi. La Sutura inter Processus petrosi dorsales-postsphenoidales fu accertata fra gli Sciuronorpha nel: Sciurus pyrrhopus Xerus erythropus adulto Xerus punctatus Arctomys marmota adulto Spermophilus citillus (individuale) e nelle specie delle Prosimiac: Galago senegalensis Hemigalago aft. demidoffii e fra le Antilopinae nella sp. Madoqua saltiana. Fu verificata la coesistenza della Sutura inter Processus petrosi dorsales-postsphenoidales colla Sutura metopica basalis nelle specie: Sciurus pyrrhopus NXerus erythropus Xerus punctatus Spermophilus citillus nello X. erythropus, e nello Sp. citillus, anche Vassociazione della Sutura praespheno-ethmoidatis colla Sutura metopica basalis. L’ Ossiculum inter Processus petrosi dorsales-postsphenoi- dates si rinvenne solamente negli Sciuromorpha, e nelle specie: 188 CESARE STAURENGHI Sciurus Prevosti e S. Rafflesi; in alcuni Spherniophilus citillus, e nel Cynoniis ludovicianus. La combinazione della Sutura inter Processus petrosi dor- sales-postsphenoidales col Dorsuim sellae postsphenoidale reci- procamente articolati, venne rilevata in alcuni Sphermophilus citillus (Sciuromorpha) e nell’Hemigalago aff. demidoffii. In un Galago senegalensis coesistevano disuniti la Crista postsphenoidalis, ingrandita tanto da potersi considerare per un Dorsum sellae e la Sutura inter Processus petrosi dorsales- postsphenoidales. La concomitanza dell’ Ossiculuinz fra questi processi colla loro Sutura occorse in individui della sp. Spermophilus citillus. La Sutura inter Processus petrosi dorsales-postsphenoidales, senza complicazioni, sostituisce totalmente, per regola, il Dorsumn. sellae postsphenoidale, e se la combinazione con questo accade in un medesimo ‘piano, lo sostituisce parzialmente, cioè nella porzione craniale, ad eccezione del Madoqua saltiana, nel quale, essendo associati i due organi in piani diversi, la Sutura inter Processus petrosi dorsales-postsphenoidales è retrostante, e adesa col Dorsum. sellae postsphenoidale, compiutamente sviluppato, come nella maggioranza dei Mammiferi. Nelle specie nelle quali si istituì l'esame in serie graduale Veta (X. erythropus, Spermophilus citillus, A. marmota) risultò chiaro: che la pars medialis dei Processus petrosi posisphenoi- dales, e però la loro Sufura, sono prodotte da ossificazione della Dura madre della parete dorsale della Loggia dell’ Ipofisi, che ne collega le estremità mediali, vale a dire della Sympnysis inter gamento fino ai vicendevole contatto. Anche nel Madoqua sal- liana è ammissibile, che Vossificazione dei Processus petrost dorsales-postsphenoidales siasi formata nel foglietto dorsale della ripiegatura durale, avvolgente il Dorsune sellae postsphenoidale. ‘Tenuto conto poi, che in 66 osservazioni sull’A. marmota (50 di A. Bovero + 16 mie), senza eccezione, esistevano i Processi ora nominati, tali formazioni sono da ritenersi — almeno nella detta specie — non solo ordinarie, bensì costanti. * * * Per indagare il significato morfologico delle formazioni de- scritte, segnatamente dei Processus petrosi dorsales-postsphe- PROCESSUS PETROSI, ECC. 189 noidales, che rappresenta un quesito “ molto interessante e così oscuro , come lo giudicarono per VA. marniwta A. Bovero ed U. Calamida ('), potranno giovare, se non mi illudo, le argo- mentazioni, che andrò svolgendo (?). Richiamo anzitratto alcuni rapporti che corrono, a mio pa- rere, fra i Processi nominati ed altre formazioni conosciute del cranio. È noto dall’Embriologia, che durante la craniogenesi dei Mammiferi i Petvosi manifestano tra loro parecchie colleganze indirette per parte del cranio viscerale. E cioè: per mezzo degli ossicini uditivi incudine e martello, e della cartilagine del Meckel (1° arco branchiale) e della car- tilagine del Reichert (2° arco branchiale) onde provengono i rami della staffa, lo stilo-iale, il legamento stilo-ioideo (rispett. l’e- piale), il cerato iale, ed inoltre mediante la parte condrificata del 3° arco branchiale, ossia il basiiale (copula) e le grandi corna (tiroiale) dell’ioide. Queste colleganze interpetrose mediate sono costanti, essendo in stretto rapporto colla funzione uditiva per mezzo della sutura degli ossicini. Per contro il cranio cerebrale o neurale dà soltanto in alcuni ordini e generi dei Mammiferi (Sc/ur0morpha, Antilopinae, Prosimiae), un arco interpetroso nel Cavin cranii in direzione metamerica, che ricollega indirettamente i Petrosi, arco com- pletamente osseo, od anco — come negli archi branchiali — in parte legamentoso, od integrato da un ossicino a guisa di copula, e quantunque abbia origine in corrispondenza della lamina 0 piastra basale ha per matrice ossificativa il tessuto fibro-con- nettivo della Dura madre. Confrontando poi la genesi dei Pro- cessus petrosi dorsales-postsphenoidales e della loro Sutura col processo formativo della Sutura metopica basalis, parmi, come gia avvisai, che intercedano molteplici similitudini. Poichè i Processi petrosi dorso-postsfenoidei ed i Processi antisfenoidei hanno origine connettivale, rispettivamente durale o dal cranio secondario, e se i primi sormontano il corpo del Postsfenoide, i secondi accavallano il Processus ethmoidalis del. (1) loc. cit. (2) Nell’insigne monografia di E. Ficangi, Sulla ossificazione delle capsule periotiche nell'uomo e negli altri mammiferi (Atti della R. Acc. di Roma, 1836-57, anno XIII, V. III, S. II, Roma, 1887, p. 71-142) nulla trovasi circa l’esistenza di Processi pelrosi in relazione coi descritti. 190 CESARE STAURENGHI VJuguin del Presfenoide, e le suture corrispondenti (S. inter Processus petrosi dorsales-postsphenoidales. S. metopica basalis), sono dovute al loro prolungamento. Inoltre come fra i Processi antisfenoidei è frapposto talvolta un wormiano (!), anche fra i Processi petrosi dorso-postsfenoidei può essere intercalato un ossetto, che ne impedisca la sutura [S. Prevosti (fig. 25, o. in. pr. d. pst. sph.)] S. Ra/flesi [fig. 16 id. ( Spermophilus citillus fig. 80-31, id.)] Cynomis ludovicianus (fig. 40, id ). Ed oltre a ciò, come può aversi nell’ 0779 e nel Myopota- mus coypus Vassociazione della Sutura metopica basalis ed in un piano più caudale (inf.) il Processus o Lamina ethmoidalis dell’ Jugum sphenoidale (risp. la Sutura praespheno-ethmoida- lis) (?), accade di trovare ad un tempo la Sutura fra i Processi petrosi dorso-postsfenoidei, ed in un piano retrostante (inf.) il Dorsum sellae postsphenoidale. Ed anco la concomitanza della Sutura inter Processus petrosi dorsales-postsphenoidales colla Sutura metopica basalis (Sciurus pyrrhopus [fig. 17, s. m. ba. =. g, in. pr. p. d. pst. sph. — Xerus-punctatus (fig. 21, id. vidi} ed a determinata età dello XY. erythropus e dello Spermophilus citillus la coesistenza della Sulura praespheno ethinoidalis e Su- tura metopica basalis colla Sutura inter Processus petrosi dorsales-postsphenoidales. In relazione poi colla dottrina metamerica del cranio mi sembra notevole la disposizione frontale (trasversale) tanto dei Processi antisfenoidei, che dei Processi petrosi dorso-postsfenoidei, le cui suture giacciono d’ordinario nella linea mediana. I Processi petrosi dorso-postsfenoidei, dei quali si vorrebbe interpretare il significato morfologico, hanno origine connetti- vale, come già dissi, poichè sono ossificazioni della parete po- steriore o caudale della 7piegatura durate da cui deriva la Loggia per VIpofisi, e sono continue col’ Apex petrosum, e la loro articolazione è effetto — a mio giudizio — del loro pro- gressivo crescimento lineare, combinato colla convergenza alla linea mediana, che si esplica gradatamente nella filogenesi. (1) G. SeErIno e A. Bovero, Su la sutura melopica basilare o frontale basilare nel cranio umano. Estratto dal Giornale della R. Acc. di Medicina di Torino, 1896, N. 8, p. 31, fig. 27, W. 1. et j. (?) Contr. C. Sraurencut, Sutura metopica o frontale basale (unione postetmoidea delle lamine orbitali dei frontali) in un delinquente, in alcuni rosicanti ed in un pinni- pedo, ece., già citata, PROCESSUS PETROSI, ECC. 191 La loro origine durale, che dapprima indussi. per ipotesi, venne poscia dimostrata vera coll’esame macroscopico ripetuto su varie specie, e dall'esame istologico. Per mezzo del primo si segui la loro ossificazione graduale entro la Plica duralis, s. Ligamentum inter Processus petrosi dorsales postsphenoidales (X. erythropus, fig. 18-19, pr. p. d. pst. sph.) (A. marmota fig. 32) sino alla composizione della Sutura; lo spazio occupato da quel Legamento vedesi nello Sper- mophilus citillus (fig. 26) e nel Galago senegalensis juw. (fig. 42). Coll’esame microscopico di sezioni in serie dello stesso Lega- mento risultò ad A. Bovero ('), ed anche a me, che la sua tes- situra è esclusivamente fibro-connettivale. Che nelle condizioni normali occorrano delle ossificazioni nella Dura madre encefalica dei Mammiferi, non parrà straor- dinario, essendo conosciuta l’ossificazione del Tenloriuin (Solipedi, Rosicanti, Marsupiali, Scimmie e massime nei Carnivori) e l’ossificazione parziale della gran falce nel D2//ino e nell’ Echidna, e specie nell’ Ornilorinco (>). Alle quali sono d’aggiungere quelle minori menzionate in questo scritto, come le ossificazioni libere nella parete laterale della Loggia per l’Ipofisi del gatto e della volpe, e quella con- tinua, ossia il Processus postsphenoidalis della Mustela foina (fig. 5, pr. p. prae. sph.) e l’ossificazione diffusa nella parete caudale della vipiegatura ipofisaria del’ LE. caballus, nonché la laminetta aderente alla parete laterale di essa nel Madoqua salliania. Per non dire delle ossificazioni durali dell'Uomo (P. es. Os su- prapetrosum W. Gruber, Processus lateralis del Clivus (W. Gru- ber), ecc., rispetto alle quali lo Charpy avverte “ assez souvent chez les vieillards, les aliénés, les femmes enceintes, des plaques osseuses qu’on trouve sur la convessité, dans la grande faux, dans la tente du cervelet rappellent le caractère periostique de la dure mere ,, (*). E da considerarsi fors’anco — qualora sia esclusa qualsiasi patogenesi — come varietà individuali per ricomparsa di condizioni palingenetiche. (1) A. Bovero, Sulla costituzione del Dorsum sellae nel cranio dell'Arctomys marmota, Torino, 1904, p. 13. (2) P. Pancert, Nole di Anatomia comparata, raze. da A. Della Valle. Napoli, 1875, pag. 408. (3) P. Potrrer, A. Cuarpy, Trailé d'Anatomie hum., T. III. Systéme nouveaux (A. Charpy}, p. 107). 12 192 CESARE STAURENGHI Ho fatta questa digressione, perchè nei vertebrati inferiori Alfio Motta Coco affermò invece: “che mancando nella dura madre uno strato osteogeno propriamente detto, manca natu- ralmente ogni ragione plausibile per riferirle l’ufficio di pe- riostio del cranio, manca ogni cognizione anatomica per consi- derarla utile sotto quest’ultimo aspetto , (!) per cui “ non pos- siede alcun potere osteogeno ,, (*). Tale osservazione non è generalizzabile ai: Mammiferi, per quanto attestano i fatti anatomici assodati. E che i'allungamento diretto dei Processi congiunto colla convergenza alla linea mediana sia la causa prima della loro articolazione, basti citare le fasi evidenti dell’accrescimento sino alla Sulura dei Processi medesimi nel Madoqua saltiana (fig. 44, 45, 46, p. d. pst. sph.) per non richiamare anche quelle dello X. erythropus, e dell'A. marmota. Per converso, se manca l’allungamento dei Processi, manca la Sutura anche negli adulti (Sciurus vulgaris, Tamias stria- tus, Sciuropterus sabrinus, Sciuropterus volans). Ond’è che for- mandosi un ossicino, che riempie totalmente lo spazio proprio del Ligamentum inter osseum (Symphysis inter Processus petrosi dorsales postsphenoidales), ne vengono accorciati e separati d’al- trettanto i Processi stessi (Sciurus Prevosti fig. 15, o. in. pr. p. pst. sph.), S. Ra/flesi (fig. 16, id.), Cynomis ludovicianus (fi- gura 40, id.). E se l’ossicino è più piccolo della Sin/fis?, i due Process, prolungandosi nel tratto rimasto legamentoso, ricostituiscono l'articolazione (Spermophilus citillus, fig. 30-31, o. m. pr. d. pst. sph. — s. in. pr. ip. d. pst. sph.): Quanto alla coesistenza nel M. saltiana e nell’ E. caballus di eta avanzata del Dorsuir sellae postfenoideo e del Dorsuin sellae petroso, se nel Cavallo potrebbesi interpretare come l’ad- dizione di un organo complementare, che amplifica il minuscolo Dorsum sellae postsfenoideo, nel M. saltiana mi sembra prova patente della potenzialità di ricomparire in forma rudimentale di organi scomparsi per disuso (ancestrali), permanenti ed attivi in altre specie. (1) Aurio Morra Coco, Sul polere osteogenetico della dura madre, Contributo all’isto- logia della dura madre encefalica in aleuni vertebrati inferiori. Anat. Anz, XXII Bd., N. 1, 20 Sept. 1902, p. 7. (7) Loc. cit., p. 9. ni Rd PROCESSUS PETROSI, ECC. 198 Perocche il Dorsum sellae postsfenoideo del Madoqua sal- tiana ha dimensioni relativamente grandi, ed adempie da solo alle funzioni di sostegno e difesa dell’Ipofisî e di fulcro per la parete dorsale della Loggia di essa, finchè come venne descritto, la parte di mezzo delia sua parete craniale viene attorniata, a modo di semianello, dai Processi petrosi dorso-postsfencoidei, che articolati fra loro compongono a ridosso di esso il Dorsiuiii sellae petroso, aumentando lo spessore del Dorso-postsfenoideo. Il primo ritorna dunque tardivamente in questa specie, che per una parte considerevole della vita presenta la disposizione più evoluta, e senza che se ne arguisca la necessità fisiologica nella funzione accessoria di rinforzo parziale del Dorsiiit sellac postsfenoideo. La trasformazione ossea diffusa della parete dorsale della Loggia dell’Ipofisi nelVE. caballus o quella organata nei P70- cessi petrosi dorso-postsfenoidei, o nei Processi presfenoidei della M. foina è da ritenersi un fatto normale anche dalle no- zioni generali dell’Istologia comparata (1). Ed essendo il tessuto osseo una evoluzione del connettivo, ne segue che i Mammiferi aventi i detti Processi, o l’ossificazione diffusa, siano sotto questo aspetto più differenziati ed evoluti di quelli colle stesse pareti rimaste connettive (p. es. Cavia Cobaya) od in parte ossea (P7'0- cessi petrosi postsfenoidei del S. vulgaris, Sciuropterus volans, Tamias striatus, X. erythropus juv., Spernophilus citillus juv., A. marmota juv., Galago senegalensis juv.) rispetto ai Mammi- feri colla Sutura fra gli stessi Processi (S. pyrrhopus, X. erythro- pus, Sphermophilus citillus, A. marmota e Galago senegalensis adulti). I Mammiferi poi, ne’ quali la funzione ripartita nei Process? petrosi dorso-postsfenoidei originari dai due complessi petrosi è accentrata in un organo unico proveniente da un solo com- plesso osseo, vale a dire il Dorswir sellae postsfenoideo, rappre- sentano la disposizione organica più nettamente differenziata o perfezionata. Già l'intervento dell’Ossiculwn fra i Processi petrosi dorso- postsfenoidei sembra predisporre l’avvento ad un osso mediano stabile fra i Py0ocessî medesimi, che, riducendone la lunghezza, divida nella linea mediana la Fossa cranica media dalla posterior. (1) R. Fusari e A. Monri, Compendio d’istologia generale. Torino, 1891, p. 100. 194 CESARE STAURENGHI Questa nuova disposizione si avvera, allorchè sorge dal Postsfenoide il Dorsum sellae, che allo stato di rudimento viene in contatto coi Processi petrosi dorso-postsfenoidei e colla loro sutura. Successivamente, nel contrasto di sviluppo prevalendo il Dorsum sellae postsfenoideo, si accorcia la Sutura fra i Pro- cessi petrosi dorso-postsfenoidei e gradatamente si annulla, rim- piazzata dallo stesso Dorswim sellae postsfenoideo, originario dal cranio primitivo. Il confine mediano tra la Fossa cranica media et posterior è dato in fine dal cranio osseo, preceduto transitoria- mente dal cranio cartilagineo, mentre nelle forme meno evolute è rappresentato dalla Dura madre allo stato membranoso, e poi ossificato. L'esistenza simultanea delle due forme in antitesi, e gli svariati modi di disposizione dei Piocessi petrosi dorso post- sfenoidei riuniti dalla Plica duralis col Dorsum sellae postsfe- noideo, si avvicendano, a mio avviso, per l'analogia reciproca, per modo che si completano precariamente, ma in ultimo prevale il Dorsuim sellae postsfenoideo, atteso il suo funzionamento più pertezionato, onde ricorrono in questa serie di fenomeni parec- chie applicazioni della legge di sostituzione degli organi. R. Wiedersheim avverte, che la storia filogenetica del cranio dei Vertebrati: “ non si otterrà solo coll’analisi anatomica ed embriologica dello scheletro: occorre piuttosto la cognizione della storia primordiale di una intera serie di organi, che nei loro abbozzi ci portano più in là dello scheletro. Parlo degli organi di senso, del cervello co’ suoi nervi, e dell’intera regione del- l'intestino anteriore con la bocca e le fessure viscerali ,. (!) Ed O. Hertwig rincalza, che lo scheletro cefalico: “si è adattato alla conformazione del cervello, degli organi dei sensi e del- l'intestino cefalico, e si è trasformato per la prima volta nei vertebrati superiori in un apparecchio molto complesso ,. (2) Talirapporti furono verificati recentemente in via sperimentale (G. D’Abundo) (8). Anche le formazioni più volte nominate dei Processi petrosi dorso-postsfenoidei e la trasformazione ossea della parete dorsale (1) R. WiepersHEIM, Compendio di Anal. comp. dei verlebrali. Ediz. ital. per cura di G. Cattaneo, p. 59. () O. Hertwie, Traité d'embryologie, 1891 (cit. da G. D’Abundo). (8) G. D’ABunpo, Atrofie cerebrali sperimentali ed atrofie craniensi concomitanti (dal volume in omaggio al prof. Ziino). Gazz. med. lomb., annata XV, N. 29, 16 luglio 1906. a PROCESSUS PETROSI, ECC. 195 della Loggia per VIpofisi del Cavallo, ed i Processi presfenoidei prolungati sino a contatto del Pres/enoide non sono dovuti alla sola funzione scheletrica, bensì rispettivamente anche per sostegno e difesa dell’ Zpo/isi, e dei nervi che transitano dalla Fossa cranii posterior alla media, ed a sostegno e difesa del seno cavernoso coi nervi che vi passano. Oltre a ciò il Dorsum sellae nell’embrione sta in relazione, come è saputo, coll’estremità cefalica della Corda dorsale, che, secondo la recente conferma di G. Perna (!), raggiunge la parte piu alta del Dorsuim sellae, ove ripiegasi ad uncino nei modi indicati dal Froriep (?). Sarebbe opportuno in proposito di investigare il compor- tarsi dell’estremo cefalico della Corda dorsale nei Mammiferi, che hanno l’arco osseo dei Processi petrosi dorso-posts/enoidei al posto del Dorswim sellae postsfenoideo. A me difetto il ma- teriale necessario per siffatta ricerca. Senonchè in confronto coi Processi petrosi dorso-postsfe- noidei essendo l’ufficio scheletrico e di difesa ipofisaria ancor più valido e fisso, se compiuto dal Dorsum sellae postsfenoideo, particolarmente nelle specie ove è molto proteso sull’ /po/fisi (Ma- cropus giganteus, L. timidus, L. cuniculus, S. scrofa) e nel- V Uomo, nel quale, oltre l’inclinazione ventrale, ne accoglie il lobo nervoso ed in parte il ghiandolare nella Fossula hypophyseos (3), si può comprendere come nella evoluzione filogenetica sieno stati sostituiti da esso. Il fatto già richiamato della sovraposizione del 20752772 sellae petroso alla meta della superficie craniale del Dorsune sellae poststenoideo nel M. saltiana, dopo che questo adempia (1) G. Perna, Sul canale basilare mediano e sul significato della fossetta faringea dell'osso occipitale, Anat. Anz., 28 Bd., N. 15-16, 1906, p. 379. (®) A. FrorIrp, Kopftheil der Chorda dorsalis bei menschlichen Embryonen Ant. z. Anat. u. Embry. als Festgabe, Jacob Henle, Bonn, 1882. (8) Della Fossula hypophyseos ho trovato un cenno generico nel Sysléme nerveux (suite par A. Charpy) del Traite d’Anat. hum. di P. Porrier, nel quale a pag. 328 dicesi, che il lobo cerebrale della Ghiandola pituitaria “ occupe en arriére du lobe glandu- laire une petite fossette creusés sur la paroi anterieure de la lame quadrilatère de la selle turcique ,. Stupisce, che non ve n’abbia parola nel T. I, Osteologie (P. Poirier), pag. 286 dello stesso Traile d'Anat. hum. Nella mia breve Nota citata: Moramen Dorsi sellae (s. Dorsi ephippii) in alcune specie dei mammiferi, Mossula hypophyseos nel Dorsum sellae dell’uomo, detti il nome a quella fossetta, e ne ricercai le modalità a seconda dell’età, e la frequenza anche in rapporto colle razze. 196 CESARE STAURENGHI lungo alle relative funzioni rispetto alla Dura madre ed al- l’Ipofisi, fanzione che prosegue anche in seguito, poichè emerge liberamente col margine ventrale nel Cavum cranii dando im- pianto alla dura meninge, mentre colla superficie caudale resta a contatto coll’ Ipofisi, prova a sufficienza, secondo il mio cri- terio, che delle due formazioni sia divenuta principale il Dorswn sellae postsfenoideo, e complementare il Dorsum sellae petroso. Perciò il passaggio delle funzioni del Dorsum sellae petroso nel Dorsum sellae postsfenoideo, che lo sostituisce gradatamente, rappresenta un progresso, sia per abbreviazione dello sviluppo stabilitosi in un organo unico (cenogenesi), che per differenzia- mento e localizzazione delle funzioni nominate. Alla stessa guisa che la sostituzione della Lamina 0 Pro- cessus ethmoidalis dell’ Iugum sphenoidale, risp. della Sutura praespheno-ethnoidalis, alla Sutura metopica basalis è forma- zione progressiva, come si può ritenere dimostrato, oltre che dalle osservazioni mie, anche da quelle di Sperino e Bovero, di Frassetto e Le Double (1). La trasformazione ossea della parete dorsale della Loggia dell’Ipofisi in alcuni X. caballus vecchi, onde anche in questa specie la costituzione dell’arcione si avvicina a quella dei Mam- miferi col Dorsum. sellae postsfenoideo di grandi dimensioni, è da giudicare, per la modalità del processo, il ritorno — come procurai di dimostrare — di una forma ancestrale omologa ed omotopica col Dorsum sellae formato dai Processi pelrosi nel M. saltiana, ed omologo anche alla sutura (risp. Dorsuni sellae) fra i Processi petrosi dorso-postsfenoidei degli Sciuromorpha. Che la Dura madre, la quale rappresenta dapprima il Dov- sum ephippii, venga rimpiazzata nell’evolvere dei Mammiferi da tessuto osseo del cranio secondario o del cranio primitivo, cosicchè il limite fra la Fossa cranica media e posteriore vien fatto infine da un osso unico (Dorsum sellae postsphenoidale) riceve conferma indiretta, parmi, anche dal fenomeno dell’ossifi- cazione del Foramen dorsi sellac — che è un vano nel Dor- sum sellae poslsphenoidale ricoperto ventralmente e dorsalmente dalla Dura madre — e dalla scomparsa del Foramen inter Pro. cessus petrosi dorsales postsphenoidales del Galago senegalensis in seguito alla formazione del Dorsuwi sellae postsfenoideo. (1) A. F. Le Dousur, Traité des variations des os du crine de l'homme, Paris, 1903, pag. 191-193. PROCESSUS PETROSI, ECC. 107 Infine i Processi presfenoidei della M. foina estesi in alcuni individui sino a contatto col Presfenoide, essendo prodotti dalla trasformazione ossea del connettivo della parete laterale della Loggia dell’Ipofisi alla quale forniscono un sostegno più resi- stente, sono pure da considerare come utili adattamenti fun- zionali. Consegue pertanto dalle osservazioni riferite: 1° Che il Dorsum. sellae s. ephippii dei Mammiferi possa avere parecchie origini, espresse colle denominazioni: a) Dorsum sellae postsphenoidale basilare ; b) " n» posisphenoidale (tipico); c) ss pra VASTLATE 5 a) 5 n pPetrosum (s. Sutura inter Processus pe- trosi dorsales postsphenoidales); e) “5 » postsphenoidale-petrosuni ; 1) S » durale (s. complementare) (2. caballus); di cui sarebbero varietà : g) VOssiculum inter Processus petrosi dorsales postsphe- noidales ; h) Il Dorsum sellae derivato dalla Syncondrosis, postsphe- noidalis basilaris (B. taurus), onde la legge dell'origine del Dor- sum sellae dal Postsfenoide è valida per la maggioranza dei Mammiferi, ma non ha valore assoluto. 2° Il Dorsum sellae posisphenoidale si presenta dapprima come Crista postsphenoidalis (Erinaceus europaeus, S. vulgaris, E. caballus) ed ingrandendo nello Spermophilus citillus e nel Galago senegalensis acquista gli attributi del Dorsumn. sellae. 3° Quanto alla topografia rispetto alla superficie craniale del Postsfenoide, il Dorsum sellae rispett. I Hypophysis ponno tro- varsi immediatamente ventrali alla Syncondrosis rispett. Syno- stosis postsphenoidalis-basilaris (Uomo, Scimmia, Carnivori) 0 più discosti in modo da lasciare uno spazio libero dietro al Dorsum sellae (S. Prevosti, S. Rafflesii, Spermophilus citillus) ed al massimo occupare la metà ventrale del corpo del Posts/e- noide (E. caballus) — che fu la più ventrale ubicazione osser- vata — come per contro interviene in alcuni B. tawrus Vestrema topografia dorsale, quando il Dorsun? sellae proviene dal Basi- occipitale. 198 CESARE STAURENGHI 4° Per intendere Vorigine ed il significato morfologico del Dorsun sellae petrosum fa d’uopo riandare il cammino evolu- tivo dei Processus petrosi postsphenoidales s. dorsales postsphe- noidales, che, dalla comparazione delle osservazioni onto-filoge- netiche riferite, risulterebbe il seguente: Dalla primitiva Plica duralis collegante i capi mediali dei Processi petrosi postsfe- noidei si passa per gradi ai Processi petrosi dorso-postsfenoidei, quindi agli stessi Processi associati, e divaricati totalmente od in parte, per l’interposizione di un ossicino mediano di origine connettivale. Successivamente ai Processi consociati con un rudi- mento del Dorsum sellae poststenoideo, il quale prevalendo a poco a poco sullo sviluppo dei Processi, li disgiunge compiuta. mente, sostituendoli in tutto od in parte, onde nell’evoluzione filogenetica se ne vedono da ultimo le reliquie in forma di piccole apofisi, che dall’apice del Pef70so vanno al Dorsum sellae, op- pure scompaiono. Nell’un caso e nell’altro permane stabile nella linea mediana solamente il Do,'sum sellae — ad eccezione del M. saltiana — e poichè quelle due disposizioni occorrono negli Anthropomorpha e nell’ Uomo (fig. 12, d. se.) sono da ritenere le più evolute, come è più evoluta la presenza del Processus ethmoidalis fra i Pro- cessi antisfenoidali rispetto alla Sutura metopica basalis. In conchiusione: i Processus petrosi postsphenoidales risp. dorsales postsphenoidales sono ossificazioni endodurali della pa- rete dorsale della Loggia per ’Ipofisi; i Processus praesphe- noidales fusi col nucleo osseo endodurale nella M. /0îna sono parimenti ossificazioni endodurali sviluppate nella parete late- rale deila stessa concamerazione, ed entrambi, insieme coll’ossi- ficazione endodurale della parete dorsale della Loggia dell’ Ipofisi dell’E. caballus, si ponno considerare come unità ossee di uno stesso sistema scheletrico, vale a dire ossificazioni endodurali periipofisarie, e valgono a riprova del coefficiente durale nel completamento dello scheletro cefalico dei Mammiferi, come concorrono al rimanente dello scheletro le ossificazioni dei lega- menti e dei tendini. Il loro significato morfologico è quindi essenzialmente il medesimo già conosciuto per le corrispondenti pareti della Loggia per l’Ipofisi, sebbene più perfezionato, perchè le fortificano maggiormente dando loro l’ossatura, e poichè i Processus petrosi dorsales postsphenoidates articolandosi fra loro, vincolano meccanicamente i Pe/rosi, epperò indirettamente PROCESSUS PETROSI, ECC. 199 le pareti laterali della Fossa cranica posterior, e più della sem- plice Dura madre sostengono e difendono l’Ipofisi, ed inoltre forniscono infossamenti e semicanali per il passaggio del N. £7°- geminus, e del N. abducens. Le varie disposizioni dei Processi petrosi potrebbero anche contribuire alla serie dei caratteri specifici interni. SPIEGAZIONE DELLE ABBREVIAZIONI E DELLE LETTERE USATE NELLE FIGURE (') prae. sph. Os praesphenoidale. pst. sph. » postsphenoidale. Pp. » petrosum. bo. » basioccipitale. o. in. pr. p. pst. sph. Ossiculum inter Processus petrosi dorsales post- sphenoidales. lagfcrivet, Lamina cribrosa ethmoidalis. fo. op. Foramen opticum. d. se. Dorsum sellae (postsphenoidale). Giese. 00, si ev edurale. se. tu. Sella turcica. f. hyp. Fossa hypophyseos. fe. Fossa per il Ponte. cr. in. fhp. et syn. pst. sph. ba. Crista inter Fossa hypophyseos (s. sella turcica) et Syncondrosis postspheno basilaris. cr. pst. sph. Crista postsphenoidalis. hyp. Hypophysis. gre Lobo nervoso dell’Hypophysis. lle OE Ripiegatura pituitaria o soprasfenoidea della Dura madre. vag. n. tr. Vagina ossea N. trigemini. te. os. Tentorium osseum. ca. ba. pst. Canalis basioccipitalis postsphenoidalis. prs Oo fr. Pars orbitalis dell’Os frontale. pr. et. sph. Processus ethmoidalis dell’Os postsphenoidale. pr. p. prae. sph. 9 petrosus praesphenoidalis. (1) La spiegazione delle figure è compresa nel testo. Esse vennero disegnate dalle preparazioni dal pittore Emilio Parma. 200 prcl.n a. pre:cl.p. pr. cl. post. sup. pr. p. pst. sph. pr: p. d.;*pst:.sph pr ip. a. pr. sp. prae. sph. pr. lat. cliv. pr. te. d. se. pr. ba. OC. pr. du. pr. ba. pst. sph. s. prae. sph. et. Sema. s.in.pr.p.d.pst.sph. sym. in. pr pst. sph. sy. pst. sph. ba. syno. pst. sph. ba. L.in.pr.p.d.pst.sph. a (pr. p. d. pst. sph.) b Ji k 0 CESARE STAURENGHI Processus clinoideus anterior. " 7 posterior. si pa 3, superior (W. Gruber). 3 petrosus postsphenoidalis. hi dorsalis postsphenoidalis. oi del Dorsum sellae all’Os petrosum. È spinosus praesphenoidalis (Proc. clin. post. hom.). lateralis del Clivus (W. Gruber). 5 tentorialis al Dorsum sellae. n basioccipitalis. "i duralis della Crista spheno-occipitalis. È basioccipitalis postsphenoidalis. Sutura praespheno-ethmoidalis. n metopica basalis. be inter Processus petrosi dorsales postsphe- noidales. Symphisis inter Processus petrosi dorsales post- sphenoidales. Syncondrosis postsphenoidalis-basilaris. Synostosis postsphenoidalis-basilaris. Ligamentum inter Processus petrosi dorsales post- sphenoidales. Pars lateralis del Processus petrosus dorsalis post- sphenoidalis. Pars medialis del Processus petrosus dorsalis post- sphenoidalis. Punto di tangenza di tre ossa: Processus praesphe- noidalis. Processus ethmoidals posterior. Ossicino endodurale (M. foina). Ossificazione endodurale dell’E. caballus configurata come la Lamina quadrilatera dell’Os postsphe- noidale di altri Mammiferi. Ossicino endodurale nel margine libero deila Ru- piegalura piluiltaria (E. caballus). Processus del Dorsum sellae al Processus petrosus | postsphenoidalis nel C. vulpes. Rialzo mediano tra la Sella turca e la Crista spheno- occipitalis (E. caballus). Nuclei ossei complementari del Processus petrosus postsphenoidalis (M. foina). Solcatura alla base del Processus pelrosus post- sphenoidalis d’aspetto suturale. PROCESSUS PETROSI, ECC. 201 y Proiezione verticale del percorso dei Processus petrosi dorsales postsphenoidales sulla Basis cranit interna (A. marmota). z Lamina ossea sul prolungamento del Ten/orium osseum che ricopre l’Os petrosum. BIBLULOGRA PIA ©. Gen. Sciurus. BacHMAN, Monograph of the species Squirrel inhabitmg North America. P. Z. S. of London, 1838, P. VI, pag. 89. WATERHOUSE G. R., On a new species of Squirrel. Id. id., P. VI, p. 19. — Description of a new species of Squirrel (Sciurus Philippinensis from the Philippine Islands). Id. id., P. VII, p. 117. — On the Differences observable in the Skulls of two species of Squir- rels, usually confonded unter the name Sciurus palmarum. Id. dE ps 18; — On a new species of Squirrel (Sciurus dimidialus). Id., 1840, Po Vad, pie OcILBY W., On a new species of Squirrel (Sciurus variegatoides) from the west coast of South America. Id., 1839, P. VII, p. 117. GRAY J. E., On a new species of Squirrel (Sciurus macrotis) from Borneo. 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Bovero colle sue ricerche bibliografiche riuscì, secondo asserisce, a risultati negativi al pari di me circa l’esistenza di qualsiasi notizia precedente. . Anche dalla Letteratura che mi fu accessibile intorno agli altri Rosicanti, non trovai menzione delle disposizioni anatomiche riferite. 202 CESARE STAURENGHI DE Winton W. E., On some West African Squirrels with a Description a new species and proposed Alleration in the Arrangement of the Groups. Ann. of Nat. Hist., V. 2, 1878. TROUESSART E. L., Revision du genre Ecureuil. Le Naturaliste, 1880, ep e200: JENTINK F. A., On three new Squirrels (Sciurus) in: Notes from the Leyden no. Ne Ie Nota GUI — On the genus Rheil Sciurus Gray. Notes Leyden Mus., 1881. Sciurus Salae n. sp. Jentink from Siberia S. Paul River. Notes Leiden Mu- seum, 1881. — Monograph of the Africa Squirrel. Notes Leyden Mus., IV, 1882. — List of the specimens of Squirrel in the Leyden Museum. Notes Leyd. Mus., V, 1883. Brown J. 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IL GARROTILHO O GARGANTILEO CROUP CARBONCHIOSO DEI BOVINI. pel socio Prof. dott. Camillo Terni Docente d’igiene in Milano tea colla collaborazione del Dott. Emilio Emiliano Gomes Capo del Laboratorio Batteriologico Federale in Rio de Janeiro (Brasile) I. — Natura e caratteri clinici della malattia. Nell’ America meridionale, in quasi tutti i grandi allevamenti «di bestiame che formano una delle ricchezze straordinarie di quei fortunati paesi, è molto diffusa una malattia dei bovini de- nominata garroliiho o gargantilho (*), caratterizzata da una tumefazione edematosa del collo in corrispondenza delle prime vie aeree, seguita ordinariamente dalla morte dell’animale per soffocazione. Il decorso della malattia si svolge per lo più rapidamente in 5-6 giorni, e la percentuale di perdita nelle mandre raggiunge talvolta una cifra assai alta, tanto più che questa malattia suole ‘quasi sempre associarsi. al carbonchio ematico, noto in quelle località col nome di baceira o passarinha (?). Nelle mandre radunate per il posteggio nei pascoli intorno al grande mattatoio di Santa Cruz (Rio de Janeiro), dove furono specialmente eseguite le presenti ricerche, si possono calcolare a circa 2000 1 bovini che ogni anno si perdono per garrotilho. E da notizie assunte presso i grandi allevatori degli Stati brasiliani del Minas Geraes, Goyaz, Rio Grande e dell'Uruguay (1) Espressioni dialettali portoghesi da garrotàr = strozzare, e garganta = gola tretta: si pronuncia garrotiglio e gargantiglio. (2) Da bago e passarinha = milza. IL GARROTILHO 0 GARGANTILHO 2238 e dell’Argentina, risulta che questa malattia predomina do- vunque con intensita pitt o meno grave, e spesso vi reca danni enormi, poiche si diffonde rapidamente con carattere epizootico, distruggendo intere mandre, attaccando preferibilmente gli ani- mali giovani e meglio adatti per il commercio. Il presente studio è una parte della relazione generale estesa a tutto l’andamento del servizio igienico e sanitario della macel- lazione in Rio de Janeiro — dall'acquisto, arrivo, sosta, abbatti- mento degli animali, a tutte le altre successive operazioni fino alla distribuzione delle carni nelle rivendite della città — redatta per incarico della Direzione di Sanità Pubblica dal dott. E. Gomes, Capo del Laboratorio Batteriologico Federale, da me e dal dot- tor Alvez Guimaraés, assistente, ora defunto. Per meglio comprendere l’interesse della questione dal lato tecnico ed economico, basterà osservare che il movimento del bestiame bovino nei dintorni del mattatoio di Santa Cruz pel consumo alimentare della città di Rio, è in media di 10-20 mila capi, stazionanti in pascoli estesi per 3 mila ettari intorno al villaggio, e giornalmente vengono abbattuti da 900 a 1000 capi, rimpiazzati da altrettanti che arrivano dai mercati interni del Minas Geraes e del Goyaz. Nelle pianure di Santa Cruz la malattia più facile a riscon- trarsi con una perdita giornaliera di 10-20 capi, è il così detto garrotilho, e su questa manifestazione morbosa abbiamo neces. sariamente indirizzate a preferenza le nostre ricerche, e in se- conda linea al carbonchio ematico e ad altre eventuali in- fezioni meno frequenti. In generale le condizioni sanitarie del bestiame ivi raccolto e proveniente quasi tutto da allevamento brado, si mantengono buone, con una mortalità ordinaria per malattie assai limitata, trattandosi di animali già selezionati, si può dire, da tutte le infezioni nei pascoli di allevamento. Gli animali rifiutati pel consumo alla ispezione sanitaria, accuratissima dopo la macella- zione, è in media di 50 °/, quasi sempre per lesioni traumatiche suppuranti, o per malattie parassitarie. In questo scarto le ma- lattie infettive concorrono: la tubercolosi per 1-1,3 °/,, e delle altre anche in tutta la massa di animali stazionanti in attesa della mattazione, sono completamente sconosciute l’afta, il car- bonchio sintomatico e la febbre del Texas o malaria dei bovini, benchè si trattasse di pascoli malarici. Solo il carbonchio vi si 14 224 CAMILLO TERNI manifesta in forma sporadica con una mortalità media di 2-10 °/o,, ma qualche volta si diffonde in vere epizoozie, di cui una delle più gravi, verificatasi nel 1898-99, venne studiata in un accu- rato rapporto dal prof. Chapot-Prevost della Facoltà medico- chirurgica di Rio Janeiro. Il garrotilho si inizia costantemente con una tumefazione edematosa nella regione ioidea che si estende poi alla regione sottomascellare e qualche volta anche a tutta la testa, che ap- parisce molto ingrossata e d’aspetto butalino. L'animale, prima che si manifesti il tumore locale, non mangia, si isola dalla mandra e rimane colla testa abbassata e il collo disteso anche quando è sdraiato. In seguito, coll’aumento dell’edema, la respi- razione diventa stentorea, alternata con colpi di tosse e con atti continui di deglutizione, tanto che a prima vista si direbbe trat- tarsi di disturbi cagionati da un corpo estraneo impegnato nella faringe. Questi sintomi sono però sempre accompagnati da una elevazione rapida della temperatura, che perdura in seguito a 40-41° C.; si nota inoltre uno scolo mucoso abbondante dalle narici e dalla bocca, da far quasi sospettare l’afta, non però emorragico : le urine sono normali. Intanto i fenomeni di stenosi laringea aumentano sempre più, le mucose si fanno cianotiche e l’animale soccombe per soffocazione. All’autopsia si osserva un edema gelatinoso più o meno dif- fuso nei tessuti del collo, specialmente in corrispondenza delle prime vie aeree: infiltrazione edematosa dei muscoli della la- ringe, edema della glottide ; notevole tumefazione delle amigdale e delle ghiandole salivari, che alla sezione presentano focolai emorragici e di suppurazione. I gangli linfatici della regione, specialmente i retrofaringei e sottomascellari, sono pure tume- fatti ed emorragici e spesso suppuranti: qualche volta il processo infiammatorio interessa anche i gangli sopraclavicolari e più raramente i mediastinici, sempre cogli stessi caratteri. Tutti gli” organi del torace e addominali si presentano normali, eccettuata una notevole iperemia da stasi con sangue fluido nerastro come sempre accade in casi di asfissia. La trachea e le prime vie bron- chiali sono ripiene di bava schiumosa, ma la mucosa appare iperemica, edematosa soltanto nella porzione laringea, nel resto normale. IL GARROTILHO O GARGANTILHO 225 II. — Ricerche microscopiche, batteriologiche ed espe- rienze negli animali. Gia nei dati anamnestici e dalla autopsia si poteva chiara- mente desumere che il processo morboso fosse strettamente lo- calizzato alla gola e nelle regioni vicine. L’osservazione microscopica dei prodotti patologici in corri- spondenza delle lesioni locali (muco, sangue, edema, succo delle amigdale e dei gangli linfatici) dimostrava la presenza di un numero straordinario di bacterî di forme diverse, più special- mente però di diplococchi, streptococchi, grossi bacilli capsulati e altri coi caratteri tipici di quelli del carbonchio ematico. I tessuti e liquidi organici prelevati a distanza dal punto leso ap. parivano esenti da bacteri e da altre forme parassitarie. Le ricerche batteriologiche eseguite in 30 casi, costantemente dimostrarono una infezione mista di diversi bacteri, che aveva origine da alcune ulcerazioni della mucosa delle fauci e delle amigdale e si diffondeva coi caratteri di una infiammazione flem- monosa lungo le vie linfatiche della regione. Ma mentre in cor- rispondenza delle lesioni primarie prevalevano alcuni bacilli evi- dentemente accidentali, fra i quali più spesso il B. capsulatus bovis di Arloing, facile a riscontrarsi in tutti i processi catarrali delle vie respiratorie nei bovini — nelle parti profonde abbonda- vano invece gli streptococchi ed i comuni micrococchi piogeni, e in modo costante in tutti 1 casi si poteva anche constatare la presenza in numero sempre più rilevante dei bacilli coi caratteri culturali specifici del carbonchio. Nei gangli linfatici più centrali e lontani dal processo iniziale, che già all’osservazione esterna e al taglio si presentavano emorragici, tanto nei preparati mi- croscopici come nelle colture, risultava quasi esclusivamente presente il B. anthracis. Quali di questi bacterî isolati poteva essere la causa esclu- siva o preponderante di una così tipica e letale manifestazione morbosa? Per analogia con altre lesioni flemmonose locali eravamo subito indotti a ritenere che nel processo morboso in esame do- vessero concorrere a preferenza lo streptococco e i micrococchi pio- geni, e meno il B. anthracis, sia per la forma locale e a lento de- corso della malattia, sia per i caratteri infettanti specifici del bacillo carbonchioso che nei bovini tende a diffondersi rapidamente 226 CAMILLO TERNI per le vie sanguigne più che per il sistema linfatico. Invece nel garrotilho si verificava che anche nelle vicinanze dei gangli emorragici più lontani, dove l’agente infettivo risultava quasi esclusivamente rappresentato dal B. anthracis, questo era ancora e sempre localizzato nelle vie linfatiche e mancava nel sangue. L’esperimento negli animali era l’unica possibile soluzione per chiarire ogni dubbio in proposito, e venne eseguito con una prova decisiva direttamente sui bovini, grazie al largo e cortese concorso della Ditta Cardoso, Salgado e C. della Empreza de abastecimento des carnes verdes (!) di Rio de Janeiro. La qualità delle lesioni locali nei casi più tipici indicavano nettamente che la via della infezione era la mucosa delle fauci, faringe e bocca, per abrasioni e soluzioni di continuo che si trasformavano prima in pustole opaline, poi in ulceri. Ma per meglio garantirci contro ogni possibile errore, furono fatte, come vedremo, minuziose indagini per escludere la possibilità che la malattia potesse anche avere origine dalla penetrazione dei bac- teri per la via della cute, inoculati da insetti ematofili (tafani, estri, stomossidi, glossine, ixodi). Ciò era necessario di decidere inquantochè spesso si notavano negli animali anche pomfi, e infiltrazioni nodose della cute del collo con ingorgo dei gangli linfatici superficiali retrofaringei e sottomascellari, e anche ascessi prodotti da parassiti. Su queste speciali ricerche e sui risultati ottenuti ritorneremo più tardi, perchè si riferiscono anche allo studio sulle modalità di diffusione del carbonchio ematico nei pascoli di Santa Cruz. Quanto al modo come potevano avvenire le lesioni buccali e del faringe nei casi di garrotilho, era evidente che dovesse contribuirvi la qualità speciale del foraggio. E infatti nei pascoli di Santa Cruz prevalgono in zone estesissime e specialmente nei campi acquitrinosi, alcune graminacee, fra le quali una specie diffusissima di Loliwm temulentum con foglie a bordi rigidi e taglienti, preferita dal bestiame per il gusto sapido dovuto ai sali che assorbe dal terreno. Gli animali che arrivano affamati dai lunghi viaggi, portati in questi pascoli, ne mangiano con straordinaria avidità e ingordigia, e più facilmente in questi si manifestano casi di garrotilho, in confronto delle mandre tenute, come vedremo, in altri pascoli. (1) Impresa per la fornitura delle carni fresche. 227 Era dunque evidente che per riprodurre con pit fedelta il fatto come poteva verificarsi in natura, la prova negli animali doveva farsi: 1° con inoculazioni sottocutanee nella regione del collo, di colture pure o miste dei bacteri isolati ; 2° con abrasioni endorali prodotte con un fascio del foraggio (capîm) sopra indicato, intetto colle stesse colture pure o miste. Il risultato delle esperienze è riassunto nelle seguenti tabelle: IL GARROTILHO 0 GARGANTILHO I SERIE. — Imoculazioni sottocutanee in corrispondenza della regione ioidea. Animali Materiale inoculato Esito OSSERVAZIONI Bovino 1 5 cm. di colture | Negativo Lieve infiltrazione e- in brodo di strep- dematosa che si rias- tococco e stattilo- sorbe dopo circa dieci cocchi piogeni (al- giorni. L’animale non bus e aureus) mi- ha mai cessato di ali- ste a parti eguali. mentarsi regolarmente, Colture di 48 ore e non ha presentato | virulenti per il alcun disturbo nella de- coniglio e per le glutizione o respirazio- cavie, isolate da ne. Temperat. massima casi di garrotilho. al secondo giorno 40°,8 C.: in seguito normale. Bovino 2 2 cm. di coltura | Positivo Morto improvvisa- di B. anthracis mente per apoplessia di 48 ore, isolata carbonchiosa il 7° gior- da un bovino. no dalla inoculazione. | Coltura virulen- Infiltrazione edematosa tissima recente- locale: ma nessun di- mente isolata da sturbo nella degluti- un caso di carbon- zione e respirazione. i chio ematico. AlVautopsia si rilevo il reperto tipico del car- bonchio ematico, e i bacilli diffusi in tutti gli organi e nel sangue. Bovino 3 5 cm'. di liquido | Negativo Nessuna alterazione (controllo) | sterile. locale né generale. 928 CAMILLO TERNI II SERIE. — Infezione mediante abrasioni endorali con foraggio (capim) infetto. Animali Bovino 4 Materiale usato 100 cm. di col- ture in brodo di 48 ore a parti e- guali (streptococ- cus pyogenes, staf- fil. aureus e al- bus). Esito OSSERVAZIONI Negativo Bovino 5 Bovino 6 (controllo) Bovino 7 20 cm. di col- tura di 48 ore in brodo di B. An- thracis, isolata da un caso di garro- tilho. Positivo L’animale non man- gia per alcune ore, poi incominciaa riprendere gradatamente il cibo, in principio con evidente difficoltà di deglutire e qualche colpo di tosse. Perdita spontanea di bava e muco per circa due giorni dalla bocca e dalle nari: dopo si rimette completamente. | Elevazionetermica mas- sima alla sera del se- condo giorno 40°,9 C. Morto per soffocazio- ne al quinto giorno coi sintomi più classici del garrotilho. Edema dif- fuso a tutto il capo che assume un aspetto mo- struoso,ingorgo dei gan- gli linfatici del collo e sottomascellari. Visceri del torace e addominali normali. Assenza di ba- cilli nella milza, fegato, sangue. Temperatura massima poco prima della morte 41°,8 C. Liquido sterile. Negativo Qualche lieve distur- bo nella deglutizione durante le prime ore, consecutivo al maltrat- tamento. Il giorno se guente era ristabilito. Come al N. 5. Positivo Come al N. 5. IL GARROTILHO O GARGANTILHO 229 La prova era stata raggiunta in modo cosi evidente che si riteneva inutile di sacrificare anche il bovino N. 7, il quale fu infettato solo per una maggiore dimostrazione al personale di servizio, secondo il desiderio espresso dal rappresentante della Ditta, allo scopo di renderlo persuaso del modo di infezione e della tipica forma della malattia, che veniva riprodotta come si verificava appunto nelle condizioni naturali fra il bestiame dei diversi pascoli. Da queste esperienze restava quindi nel modo più positivo dimostrato che la malattia dei bovini denominata garrotilho, era prodotta dal bacillo del carbonchio ematico, e che doveva essere considerata come una manifestazione clinica diversa, ma di origine identica quanto all'agente etiologico. Di Coll’esame batteriologico veniva inoltre chiarita un’altra importante questione relativa al differenziamento empirico, fatto dai naturali, di due forme di gary'otilho bianco 0 nero (branco o preto), secondo la possibilità che la tumefazione del collo fi- nisse con un ascesso (garrotilho branco), oppure diventasse emorragico (garrotitho preto). Nel primo caso, secondo l’opinione dei pratici locali, conter- mata anche dal veterinario-capo del Macello dott. Bezerra, in seguito alla suppurazione delle ghiandole e gangli linfatici sot- tomascellari e del collo, l’animale poteva anche guarire sponta- neamente. Avemmo l'occasione di osservare cinque casi di simile forma di garrotilho, e nei preparati e dalle colture oltre che i germi del carbonchio ma in numero minimo, si notava una sovrab- bondanza di cocchi, streptococchi e altri bacterî (B. coli com- munis, B. fluorescens pulidus, B. capsulatus bovis di Arloing). In un solo caso non fu possibile di isolare il germe del car- bonchio, ma l’animale aveva gia subito un trattamento curativo con cauterizzazioni protonde, praticate con ferro rovente nella regione dove si era iniziato il processo infettivo. Questo metodo di cura, che a detta dei pratici riesce sicuro nell’inizio della infezione, presenta molta analogia colla cura da tempo immemorabile in uso per la pustula maligna dell'uomo. Da ciò possiamo inferire che il garrotilho benigno è certamente 230 CAMILLO TERNI una infezione mista, e probabilmente consecutiva al sopravvento di altri germi, che favorendo la suppurazione ostacolano il pro- cesso infettante del bacillo del carbonchio, e anche prodotta da una maggiore resistenza dell'animale a tutti gli agenti infettanti, compreso quello del carbonchio. In queste osservazioni è però sempre interessante la dimostrazione di fatto che tanto il gar- rotilho branco, come quello preto, rapidamente mortale, con- siderati finora come entità morbosa speciale nei campi di Santa Cruz e negli allevamenti di bestiame di diverse altre località dell'America meridionale, sono causati dallo stesso bacitlo det carbonchio ematico, e che gli altri bacteri che talora si acconi pagnano nel processo infettivo, possono eventualmente concor- rere nel modificare il decorso clinico dell'infezione, ma non rappresentano la causa specifica della malattia. In Santa Cruz è pure facile osservare un’altra manifestazione locale del carbonchio ematico detta o/ho preto (occhio nero), perchè si manifesta con un’escara necrotica centrale contornata. da vescicole opaline e con una larga zona edematosa circostante. tanto da ricordare l’aspetto di un occhio. E una vera pustula maligna dei bovini, che viene pure curata col cauterio, e si osserva a preferenza nelle parti cutanee più delicate, nella re- gione addominale, mammaria e perineale. L’esame microscopico e batteriologico anche in questi casi dimostrò la presenza costante dei bacilli del carbonchio, in qualche raro caso soltanto associati con altri bacteri accidentali e patogeni (streptococcus pyogenes). III — Alterazioni anatomo-patologiche e reperto isto- patologico. Il garrotitho nella sua forma clinica e anatomo-patologica. è quindi da considerarsi come identico al carbonchio così detto glandulare, quale si manifesta specialmente nei maiali. Forme simili di carbonchio non furono finora mai osservate nei bovini, e anche nei più recenti trattati non se ne fa alcun cenno. La natura speciale delle lesioni interessanti particolarmente il sistema linfatico, meritava perciò di essere studiata con mag- giori dettagli, per poterne indurre con sicurezza le cause di una simile manifestazione, ignota nei bovini di altre località. IL GARROTILHO O GARGANTILHO 231 I gangli linfatici profondi in più diretto rapporto colle ton- sille e il faringe sono più voluminosi fino a raggiungere tal - volta le dimensioni di una mela: qualche volta con punti flut- tuanti, ma in generale duri e resistenti colla capsula fortemente tesa, ispessita, o edematosa e sparsa di punti emorragici. Allon- tanandosi dal focolaio primitivo, i gangli sono meno tumefatti ma più emorragici. Al taglio nei più grossi si osserva la totale distruzione del tessuto, sostituito da una massa necrotica sparsa di emorragie ed edematosa; nei piccoli si riconosce ancora la struttura propria del ganglio, pur essendo la parte specialmente centrale in tutto o in parte emorragica. I risultati dell’osservazione macroscopica corrispondono per- fettamente alle lesioni che si rilevano all’ esame istopatologico, tanto da dare un quadro tipico. Distruzione più o meno com- pleta del parenchima con necrosi, emorragie, infiltrazioni di ba- cilli e leucociti, insieme con una grave infiammazione emorragico- flemmonosa del tessuto connettivo circostante e del tessuto adi- poso, con linfangioite, enorme dilatazione e trombosi dei vasi linfatici afferenti occlusi da zaffi di bacilli e leucociti. Per quanto caratteristica l’immagine istologica che si osserva in questi gangli carbonchiosi, manca di alterazioni specifiche, nello stretto senso della parola, e ricorda quanto si rileva nella peste dell’uomo e in altre infezioni emorragiche. Il parenchima del ganglio linfatico è quasi completamente scomparso, e sosti- tuito o da stravasi di sangue o da infiltrazioni di leucociti poli o mononucleati, che dappertutto lasciano intravedere la forma- zione di vaste zone necrotiche. Nelle parti centrali in singoli punti si possono ancora os- servare alcuni follicoli, spesso del tutto isolati dalla rimanente massa di tessuto in via di disfacimento e circondati da emor- ragie (fig. 1). Altrettanto abbondante come la infiltrazione emorragica e leucocitaria è quella dei bacilli. Già con debole ingrandimento si possono riconoscere nei preparati tinti col Gram e picrocarmino che in alcuni casi rappresentano la parte princi- pale «della infiltrazione. Nei piccoli gangli emorragici spesso la loro forma si intuisce solamente per una fascia violacea alla periferia, costituita quasi esclusivamente di bacilli del carbon- chio, fra i quali sono conservati ancora pochi leucociti e piccole zone residuali del parenchima appena riconoscibili. Così si ha nelle diverse sezioni una immagine molto varia, secondo che DI CAMILLO TERNI prevalgono le emorragie, la infiltrazione leucocitaria e bacterica o la necrosi, ma in generale nei ganglî iniziali prevale la di- struzione più o meno completa del tessuto adenoide prodotta dall’intervento di altri germi insieme col bacillo del carbonchio, ‘e nei gangli in cui il processo si propaga come infezione secon- daria, si accentuano sem- pre più i fatti emorragici e l’infiltrazione bacterica e leucocitaria, costituita da elementi polinucleari che danno qualche volta l’aspetto di una infiltra- zione purulenta. — Nelle parti centrali i leucociti presentano i segni carat- teristici dello sfacelo: spesso si verifica una de- generazione granulosa del nucleo (carioresst) in cui tuttala massa si trasforma in un detrito granuloso, come si può in modo ca- ratteristico osservare nella Fig. 1. — Sezione di ganglio linfatico: a) Focolai morva e nelle pustule va- necrotici intorno a vasi linfatici afferenti; 6) Fo- juolose. In altri casi ha colai emorragici; c) Follicoli infiltrati da leuco- hb È ogo Invece una vera - citi. (Ingrand. 100 D., obb. 2, ocul. IV, Koristka.. the a x sr ca riolisi, in cui il nucleo della cellula sparisce e la cromatina disciolta si diffonde in modo quasi uniforme nel corpo cellulare che è ancora tingibile col- l’eosina. Esaminando in diversi punti i gangli più ingrossati, è facile ricostruire il processo di propagazione al tessuto circostante. Le numerose emorragie, l'enorme quantità di bacteri e l'abbondanza dei leucociti diffusi nel parenchima del ganglio linfatico, rom pono finalmente la forte capsula fibrosa, già edematosa, e si ri- versano largamente nel tessuto perighiandolare, producendo un identico, variato aspetto. La capsula fibrosa viene per così dire lacerata, e i singoli fasci di elementi appaiono rigonfiati, spesso in modo omogeneo, o sono dei tutto distrutti: sicchè fra il gan- glio linfatico originario e il tessuto circostante non vi è più li- IL GARROTILHO O GARGANTILHO 233 mite. Così l’essudato e il tessuto connettivo e adiposo perighian- dolare assumono l’aspetto di grave flemmone. I leucociti sono per lo più polinucleari, e presentano spesso numerosi piccoli nu- clei, e un più o meno forte disfacimento dei medesimi in nu- merosi granuli fini di diversa grandezza, cosicchè in molte parti ‘il tessuto appare costituito da una massa amorfa di detriti di nuclei. Si aggiunga inoltre un abbondante edema gelatinoso che nel preparato indurito appare in forma di masse finamente gra- nulose o del tutto omogenee, sempre tinte dall’eosina in rosa - pallido. I vasi sanguigni sono dilatati e la parete notevolmente ispessita; raramente si osservano bacilli nel sangue. In qualche punto si constata attorno e dentro i vasi una vera forma di coagulazione fibrillare, molto più rara e meno intensa di quella che caratterizza i bubboni e focolai primarî pestosi nell'uomo. Si tratta di un intreccio finissimo di fibrille nello spessore della parete del vaso e dentro il lume, che ricorda la necrosi da coa- gulazione nello strato epiteliale delle mucose con infiammazione difterica, ma non consiste di fibrina, perchè non si colora col metodo di Weigert. Caratteristica di questa forma morbosa del carbonchio è la disposizione dei bacteri dentro il ganglio infetto, in focolai che partono da un vaso linfatico afferente e sue diramazioni. Intorno a questi focolai si forma un’estesa zona di necrosi visibile nelle sezioni anche ad occhio nudo, per la tinta pallida che assume il tessuto, mentre spicca nella parte centrale una macchia in corrispondenza del lume del vaso linfatico, costituita da un am- masso di bacilli (fig. 1 e 2). Nel carbonchio ematico l'infezione dei gangli parte invece dalle vene e dai capillari, della capsula, e ha luogo una tardiva diffusione quasi omogenea dei bacilli in tutto il parenchima del ganglio, e specialmente nei follicoli, in modo da dare in questi quasi l’aspetto del gomitolo di bacteri, come si osserva nei glo- meruli renali; ma più spesso nelle forme emorragiche a rapidis- simo decorso il ganglio linfatico si trova sparso di emorragie senza essere ancora penetrato dai bacilli, i quali rimangono an- nidati nei capillari del tessuto pericapsulare e nei focolai emorra- gici della infiltrazione flemmonosa di questo tessuto e della capsula. I vasi linfatici afferenti sono enormemente dilatati dal con- tenuto che consiste in prevalenza di un fittissimo intreccio di 234 CAMILLO TERNI bacilli del carbonchio insieme con pochi leucociti e coaguli fibri- nosi, e molti cocchi e streptococchi nei ganglî più vicini alla lesione primaria. Le pareti dei vasi linfatici non presentano notevoli altera- zioni: sono più sottili ma per sfiancamento, e in qualche punto soltanto appaiono necrosate, giacchè i nuclei della mucosa pa- rietale non assumono il colore o si presentano disfatti in fini granuli o in masse granulose simili ai detriti già accennati nel EAS Rate tee: di CTernn0is. Fig. 2. — Focolaio necrotico ingrandito (500 D., obb. 8*, ocul. 3. Koristka): a) Vasi linfatici afferenti; b) Ramuscoli linfatici decorrenti nelle trabecole del sinus. contenenti bacilli; c) Vaso linfatico con trombo di bacilli del carbonchio ; d) coagulo fi- brinoso e masse di bacilli nel lume di un vaso linfatico forte- mente ectasico. parenchima. In tal caso le pareti sono infiltrate di bacilli, i quali anche nei vasi meglio conservati aderiscono in giro alla mucosa, parietale. Se si tien calcolo della presenza sovrabbondante dei bacilli dapprima sempre esclusivamente localizzati nei vasi lin- fatici afferenti (fig. 2) e nel tessuto perivasale, dove però si pre- sentano subito in una forma degenerativa (fig. 3), abbiamo dati interessanti per spiegare l’origine e l’andamento di questa forma. clinica del carbonchio. Si direbbe che i bacilli trovano nel gan- glio una barriera insormontabile, perchè non arrivano mai a IL GARROTILHO O GARGANTILHO 235 penetrare nelle vie sanguigne, e cid deve avvenire più per effetto di una azione antibacterica del siero di sangue, anzichè per la fagocitosi o per l’azione antibacterica propria degli elementi del parenchima e della linfa del ganglio. Infatti nell'esame delle preparazioni si rileva : 1° lo straordinario sviluppo dei bacilli e la perfetta con- dizione del loro protoplasma (conformazione e reazioni micro- chimiche normali) dentro i vasi linfatici afferenti che decorrono Fig. 3. — Preparato di linfa. — Bacilli in forma degene- nativa con protoplasma vacuolizzato, granuloso e solo parzialmente colorato. - Leucociti mononucleari grandi e polinucleari in fagocitosi. — Cellule eosinofile idem. =shinfociti, — Corpuscoli di pus e Globuli rossi. (In- grand. 900 D. 1/;. Imm. omog. Oc. 4 comp. Koristka). nel sinus e nelle trabeccole, perdendosi poi nelle striscie midol- lari e nei follicoli ; 2° lo sviluppo limitato dei bacilli nel parenchima delle masse midollari e dei follicoli, dove appariscono rari e subito contorti e granulosi, e solo parzialmente e imperfettamente colorabili ; 3° il disfacimento dei bacilli insieme con una estesissima degenerazione per cariolisi e necrosi dei leucociti e degli ele- menti propri, del ganglio, che si inizia nel tessuto perivasale e 236 CAMILLO TERNI si estende in focolai circolari intorno ai vasi linfatici estasici per accumulo di bacilli. La necrosi da coagulazione degli elementi del tessuto e dei fagociti non può essere dipendente da veleni elaborati dal car- bonchio, perché comincia ad apparire solamente dove i vasi sono trombizzati per lo sviluppo della massa culturale che occlude completamente il lume del vaso, e manca intorno ai vasi dove l'accumulo dei bacilli non è ancora tale da impedire la circolazione della linfa. Queste singolari alterazioni stabiliscono in modo evidente che l’ostacolo maggiore al progressivo sviluppo della infezione nel garrotilho, proviene dal plasma sanguigno, e che la infil- trazione tagocitaria da sola non basta ad arrestare l’invasione dei bacteri, ma concorre cogli altri elementi del parenchima del ganglio a limitare l’infezione in singoli focolai. È anche da no- tarsi che i bacilli ordinariamente non arrivano a penetrare nè meno nei vasi linfatici efferenti; e il contrasto è tanto più ri- marchevole collo straordinario sviluppo che si verifica nei vasi afferenti, dove l’intero lume enormemente ectasico è occupato da un trombo-coltura di bacilli che aderiscono alla parete e vi penetrano in tutti i sensi, invadendo il tessuto circostante (lige 2): L’esame microscopico della polpa dei gangli linfatici, spe- cialmente di quelli in cui la fase di necrosi non è ancora inol- trata, risulta pure molto interessante per chiarire questa nuova forma clinica del carbonchio. Nei preparati vi si notano forme così numerose di fagocitosi da rendere il reperto caratteristico, poichè non si riscontra mai in nessuna delle altre manifestazioni cliniche del carbonchio, sia nei bovini che in altri animali, anche se terminano colla guarigione spontanea. Prevalgono quasi sempre i leucociti polinucleari e molti eosinofili sopracarichi di bacilli e detriti bacillari, ma anche fuori delle cellule bianche, si osservano i bacilli in filamenti vacuo- lizzati, contorti e rigonfiati, con una larga zona capsulare, solo in parte e malamente tingibili coi colori ordinari e col metodo di Gram (fig. 3). Si riproduce qui naturalmente lo stesso fatto che si verifica nella prima fase di inoculazione dei bacilli del carbonchio in animali refrattari, specialmente in quelli a sangue freddo (rane e lucertole) in cui già prima della fagocitosi, la linfa dei tessuti e il siero di sangue agiscono sulla cellula bacte- ny rine? dai IL GARROTILHO O GARGANTILHO 23% rica per dissolverla (batteriolisi). Cosa dal Phisalix (1891) e da me (1894) gia rilevata, dimostrando che quasi tutti i sieri di animali immuni al carbonchio, anche 7” v7/'0, manifestano un potere batteriolitico attivissimo, che si inizia con un’azione di- struttiva dell'attività riproduttiva e sporigena del protoplasma bacterico, per cui i bacilli non producono più spore, anche se. coltivati in altri mezzi più idonei al loro sviluppo; e che questa lesione funzionale del protoplasma si mantiene come carattere specifico nelle colture successive. La constatazione evidente di questo potere di difesa dell’or- ganismo contro il carbonchio, quale si rileva negli animali af- fetti da garvolilho, veniva a confermare in modo positivo che la forma clinica di questa malattia si svolge come una infezione: localizzata, per effetto principalmente di una maggiore resi- stenza dell'animale alla diffusione dei bacilli nel sangue. In altre parole che gli animali colpiti da garrolilho offrono una resistenza naturale maggiore alla penetrazione e diffusione dei bacilli del carbonchio, e quindi viene a mancare il quadro: tipico della setticemia carborchiosa, anche per il fatto che gli animali soccombono per i gravi disturbi provocati dalla lesione locale, prima che l'infezione possa generalizzarsi. Non essendo questa forma speciale di carbonchio nei bovini. mai stata osservata in altre località, bisogna inferirne che nel sud America, forse per effetto di una più attiva selezione deter- minata dalle frequenti e gravi epizoozie di carbonchio ematico, viene a fornarsi in luogo una razza di bovini più resistente a questa infezione. La stessa forma clinica con identico esito vediamo appunto riprodursi nei maiali, molto più resistenti dei bovini al carbon- chio, e anche in questi la morte avviene esclusivamente per soffo- cazione, prima ancora che siano esauriti i poteri di difesa del- l'organismo, e che sia avvenuta l'infezione generale. Certamente se fosse possibile provvedere alla intubazione o alla tracheotomia per scongiurare l’asfissia, vedremmo soccombere gli animali af- fetti da garv'otilho in un periodo più tardivo per infezione gene- rale oppure guarire in seguito a suppurazione o per intervento chirurgico. La possibilità di questi due esiti del garrotilho sono confermati da altre nostre osservazioni, in cui era manifesto un processo combinato di una lesione locale alla gola, qualche volta semplicemente percettibile da una ristretta infiltrazione 238 CAMILLO TERNI gelatinosa perifaringea e delle pleiadi linfatiche vicine, conco- mitante però con una infezione generalizzata. In questi casi poteva essere dubbio o che la lesione locale fosse sviluppata insieme colla infezione intestinale, oppure che dal focolaio primitivo alla gola, i bacilli avessero rapidamente trovato modo di diffondersi per le vie sanguigne, in un soggetto più sensibile alla infezione. In molti altri casi poi, in cui veniva dimostrata l’azione ef- ficace di un intervento chirurgico all’inizio delle manifestazioni locali, di solito dai pratici del luogo eseguito col ferro rovente, la guarigione, come nei casi di suppurazione, dimostrava che ve- ramente nel garroliiho trattavasi di un processo locale in cui la morte sopravveniva per fatto puramente meccanico, prima della infezione generale. * Nel garrotitho vediamo riprodursi quanto il Phisalix (1891) aveva gia da tempo osservato circa il meccanismo della guari- gione negli animali carbonchiosi, dimostrando che i bacilli sono distrutti nel sangue, mentre solamente nei gangli linfatici possono ancora lungo tempo conservarsi vilali, e capaci di riprendere poi nei passaggi le loro primitive proprietà infet- tanti. Questa accresciuta proprietà di ritenzione dei bacilli car- bonchiosi nel sistema linfatico dei bovini, anche per parte dei ganglî profondi in relazione colle mucose, depone per un aumento considerevole di tutti i poteri della immunità naturale contro la malattia, essendo i bovini in altre condizioni molto sensibili alla infezione per le vie digerenti, tanto da aversi sempre la forma setticemica. Tutto quanto rilevasi nel garrotilho viene inoltre a confermare in gran parte i risultati delle esperienze del Perez (1897-1898) e del Manfredi e Viola (1898) sul compor- tamento dei ganeli linfatici nella produzione della immunità. Il Manfredi ritiene che il meccanismo della immunizzazione per mezzo dei ganglî linfatici risiede solo in parte in una reazione generale dei noti poteri difensivi dell’organismo (fagocitosi, po- tere bactericida), e in parte deve essere determinato da proprietà bio-chimiche speciali del loro funzionamento. Ora dalle nostre osservazioni in questa forma di infezione carbonchiosa localiz- zata nel sistema linfatico profondo, il maggiore potere di difesa «contro i bacilli risulta solo in minima parte dovuto alla fago- IL GARROTILHO O GARGANTILHO 239 citosi, e più all’azione bacteriolitica del plasma del parenchima dei ganglî, e specialmente del siero di sangue, perchè i bacilli appariscono intatti dentro i vasi e spazi linfatici, mentre sono in via di degenerazione dentro il tessuto e più specialmente dove è infiltrato da emorragie. E anche in vitro risultano le stesse alterazioni morfologiche dei bacilli coltivati nel siero di sangue degli animali morti per garroliiho. La virulenza però non è punto diminuita, ottenen- dosi colla sola puntura di uno spillo intriso nella polpa del ganglio infetto, la morte delle cavie e dei conigli, come avviene colla polpa splenica nei casi di carbonchio ematico. La prova è però sempre dubbiosa pel fatto che dentro il ganglio e nelle colture non si potevano differenziare i bacilli provenienti da forma in degenerazione dagli altri ancora mor- fologicamente normali. Ma dai confronti con quanto avviene nella azione degenerativa e bacteriolitica dei sieri di animali refrattarî sul bacillo del carbonchio, specie di quelli a sangue freddo, siamo indotti a ritenere che la virulenza e la attività infettante dei bacilli del carbonchio dentro i gangli linfatici si mantiene per molto tempo inalterata, e che la limilazione alla loro diffusione nel parenchima é dovuta più che alla fa- gocitosi, alla azione bacteriolitica del plasma, il quale agisce in primo tempo sul protoplasma bacterico, ledendone princi- palmente la funzione riproduttrice e germinativa, come venne già dimostrato nelle esperienze sopra citate. IV. — Modo di diffusione del carbonchio ematico e del garrotilho net campi di Santa Cruz. Lo studio del garrotilho ci portò a rilevare alcune delle più importanti questioni relative ai diversi modi di diffusione e in- fezione del carbonchio. E poichè le nostre osservazioni furono eseguite non nel ristretto campo delle esperienze di Laboratorio, ma nelle condizioni naturali di sviluppo della epizoozia e sui luoghi stessi dove si manifestavano tutte le svariate forme cli- niche del carbonchio, acquistano uno speciale interesse dal lato epizootico. Per maggiore intelligenza premettiamo alcuni accenni sulla località, meglio chiariti dalla carta topografica annessa. 240 CAMILLO TERNI Le campagne di Santa Cruz si svolgono per un perimetro di circa 20 chilometri al sud di Rio Janeiro nel Delta formato dal fiume Guandù, emissario dell’Itaguahy, e confinano a nord con questo fiume, a nord-owest con una serie di colline e dagli. altri lati col mare (Oceano Atlantico). Nel. mezzo sorge il vil- laggio di Santa Cruz interamente costituito dai fabbricati del macello e dalle abitazioni del personale di servizio. La località ws 4 y PE hos 7 At t+ A ores Bre Pogues 4 g VI + + +s Oe © SACE toi, Pascoli più poricofosiper Carbonchio sessione. Pascoli acquitrimosi. e macehie i Fig. 4. — Topografia di Santa Cruz e campagne adiacenti. dista circa 15 chilometri da Rio de Janeiro, ed è collegata con questa da una ferrovia per il trasporto del bestiame e delle carni, e pel movimento dei passeggeri. I due fiumi che la attraversano non sono molto larghi, ma profondi, e come quasi tutti i fiumi del Brasile soggetti a piene torrenziali periodiche, specialmente durante la stagione delle pioggie. I pascoli sono quindi ubertosissimi per quanto non siano curati con speciale coltura. IL GARROTILHO O GARGANTILHO 241 Tutta la regione è ancora ,malarica, ma lo doveva essere ancora più in passato, quando i gesuiti vi affermarono la loro proprietà nel 1730, iniziandovi le opere di bonifica per colmata, continuate poi dal governo imperiale e completate sotto la re- pubblica. Queste consistono, anzitutto, in diversi canali a ven- taglio, derivati dai fiumi Itaguahy e Guandu (Valla S. Francisco, Canal D. Pedro II e diramazioni), e da un grande collettore generale delle acque chiare e di scolo degli acquitrinî situati più a nord (Canale Ità), il quale nella parte bassa riceve il collettore di scarico delle acque luride del macello (Cana! de sangue). E poichè nelle forti e frequenti piene, il canale Ita non basta a convogliare tutta la massa di acqua, le campagne sottostanti più basse confinate fra questo, il collettore del macello e il vil- laggio di Sepetiba, sono soggette a periodiche inondazioni di acque inquinate dai rifiuti del macello — circostanza da tenersi ben presente per le considerazioni che rileveremo in seguito — le quali non si verificano negli altri pascoli posti più a monte o sull’altra riva del canale Ità o del fiume Guandù. Come abbiamo detto, in tutti i pascoli di Santa Cruz l’unica malattia veramente temibile è il carbonchio nelle sue diverse forme cliniche, e ripetiamo che tutte le ricerche per rintracciare casi di febbre del Texas, che a priori potevano ritenersi, se non frequenti, almeno possibili, data la località malarica e il pascolo libero del bestiame, riuscirono sempre negative, forse per il troppo rapido stazionamento del bestiame nei pascoli prima della mattazione e il continuo ricambio nelle mandre, avanti che possa ultimarsi il ciclo biologico del piroplasma bigeminum nei pa- rassiti (ixodi) che lo devono diffondere da animale ad animale. Per la diffusione del carbonchio invece abbiamo in luogo tutte le circostanze più favorevoli per determinare le epizoozie. Per molto tempo gli animali morti di carbonchio sporadico nei pascoli, venivano abbandonati in luogo, e anche attualmente non sempre possono essere raccolti prima che torme di avoltoi (Urubù, Cathartes aura), di insetti necrofagi e altri animali carnivori, ne facciano scempio, disseminando dovunque visceri, carni, sangue. Intorno ai carcami residuali dei pasti degli avoltoi, in un perimetro spesso di oltre 500 metri dal luogo in cui era caduto l’animale, abbiamo potuto raccogliere campioni di fo- raggio inquinati con spore di carbonchio. La prima questione che si affacciava per constatare se gli 242 CAMILLO TERNI urubù potessero diffondere a maggiori distanze bacilli e spore colle feci, fu subito oggetto di studio ed esperienze accurate. Dodici urubù furono catturati e nutriti parte con milza car- bonchiosa, parte con milza di animale sano imbrattata di fili di seta impregnati di spore di carbonchio. Nell’uno e nell’altro caso la potentissima attività dei liquidi gastro-intestinali di questi rapaci ebbe un completo successo nella distruzione dei bacilli e delle loro spore, le quali anche all’osservazione diretta nei pre- parati fatta coi fili tolti dalle feci, risultavano sformate, rigonfie per evidente parziale o totale digestione del loro contenuto e rammollimento della capsula: in ogni caso risultarono non ca- paci di germogliare. In quattro degli urubù catturati furono però riscontrate spore di carbonchio nel sudiciume aderente agli artigli e scaglie dei tarsi, e fra le setole della base del becco, della testa, del collo e sulle piume del petto. Era quindi evidente che questi animali se non infettavano colle feci, potevano con- tribuire largamente nella diffusione a grandi distanze dei bacilli del carbonchio coi rifiuti del loro pasto immondo, rimanendo sempre insudiciati il becco, le piume e gli artigli. Inoltre sia pei prodotti patologici dell’animale ammalato, sia pel concorso di altri animali carnivori e numerosisssimi insetti necrofagi che intervenivano in seconda linea a ultimare la distruzione delle carogne dopo l'intervento degli urubù, specialmente durante la notte, la dispersione dei bacilli alla superficie del suolo era straor- dinariamente attiva e rapida, e tale da facilitarne in modo effi- cacissimo la sporificazione. Anche in località dove dai residui appena riconoscibili delle ossa si poteva presumere che l’animale vi era morto da almeno 3-5 anni, attesa la rapida distruzione delle ossa esposte all’aperto in un clima soggetto a continue alternative di piogge e di sole tropicale, fu possibile di dimo- strare in diversi campioni di terreno spore vive e virulenti. Altre osservazioni abbiamo ancora raccolte specialmente sul concorso che gli insetti necrofagi stafilini (esemplari molto si- mili al nostro Staphilinus caesareus, ma molto più grossi); silfe (Necrophorus vespillo, N. humator, Silpha atrata), isterini (Hister sinuatus F.); mosche (Sarcophaga magnifica, S. car- naria, Musca cesarea, Calliphora vomitoria, M. domestica, Stomoxis calcitrans, St. fusca); termiti (Termes arenarius, Bates, T. dirus, Klug, T. Lesperi, Miller); formiche (Hciton Hamata, E. rapax, E. legionis, Atta cephalotes) e blatte (Pe- IL GARROTILHO O. GARGANTILHO 243 riplaneta americana) — potevano portare alla diffusione dei germi del carbonchio nei pascoli, e ne riassumiamo brevemente i risultati ottenuti. Nel tubo digerente di questi insetti necrofagi o delle loro larve non fu mai possibile di isolare bacilli del carbonchio: ‘erano però visibili ancora nei preparati microscopici, ma gra- nulosi e deformi, tanto da poter giudicare che l’azione dei succhi digestivi aveva esercitata un’azione bactericida rapida ed efficace. La inoculazione degli animali (cavie) con simili prodotti ‘ebbe sempre esito negativo. : Ben diverso fu invece il risultato delle ricerche stabilite lavando gli insetti raccolti in soluzioni acquose sterili di car- bonato sodico (5 °/,) tiepide (35°-40°), allo scopo di staccare più facilmente i germi eventualmente aderenti alla cute di questi animali. Centrifugando la soluzione e inoculando il residuo, quasi costantemente su oltre un centinaio di osservazioni in esemplari delle più svariate specie d’insetti necrofagi, e loro larve, fu possibile di isolare il bacterio del carbonchio, o in colture 0 «direttamente colla inoculazione nell’animale del residuo delle acque di lavaggio. In 50 formiche operaie (probabilmente schiave, perchè di specie diversa) prelevate da un formicaio di atte, a distanza di quasi un chilometro dal punto dove era rimasta abbandonata una carogna carbonchiosa, si potè in 18 individui riscontrare sulla superficie del corpo germi del carbonchio, certamente in forma di spora. E in altre 30 formiche (atte) combattenti e ‘operaie raccolte sul luogo intorno al cadavere, tutte portavano aderenti al corpo germi del carbonchio virulenti. In queste espe- rienze si è notato però un ritardo nello sviluppo delle colture e nella infezione degli animali, certo in dipendenza delle tracce di acido formico e formiato di sodio disciolto nel liquido di la- vaggio, e provenienti dagli insetti. Così da queste nostre osservazioni acquistano una più estesa e generale importanza le prime esperienze del Pasteur sulla in- fluenza di alcuni insetti del terreno, e specialmente dei lombrici nella infezione dei pascoli, poichè ono dove non ha luogo l’in- fossamento dell’animale, tutti gli altri esseri viventi alla super- ficie del suolo, che utilizzano comunque le carogne per la propria esistenza, diventano agenti diffusori dei germi del car- bonchio. Fra questi nelle regioni tropicali i più pericolosi sono 244 CAMILLO TERNI certamente gli avoltoi, i quali d’altra parte compiono un’azione benefica distruggendo rapidamente le carogne, che abbandonate a una piu lenta dissoluzione sarebbero causa di maggiori danni anche dal lato della infezione dei pascoli. Da tutte le ricerche precedenti bisognava quindi concludere che l'inquinamento per carbonchio nei pascoli di Santa Cruz doveva essere molto esteso e di grave intensità. Ma a queste condizioni apparentemente così favorevoli e generali per lo svi- luppo di epizoozie in tutti i pascoli, non corrispondevano le con- dizioni sanitarie del bestiame ivi stazionante, nel quale, molto di rado e in circostanze affatto eccezionali, la mortalità per car- bonchio eccedeva la perdita normale del 2-5 °%/ su oltre 20 mila capi, compresi i casi di garrotilho. Vere epizoozie si verificavano soltanto fra le mandre dei pascoli di S. Josè, Sapieu, Bonito e Papagaio, situati a valle del canale Ità e del collettore lurido del macello: pascoli che erano perciò abbandonati. Per quali cause poteva ciò avvenire, mentre identiche apparivano le con- dizioni di inquinamento in tutti gli altri campi, e anche per qualità di foraggio, specialmente fra quelli più acquitrinosi si- tuati fra il Rio Guandù e l’Itaguahy (Campi S. Miguel, S. Paulo, de Roma, Frainha) fino al mare? In queste condizioni era evidente che nei pascoli compresi fra il canale Ità e Sepetiba dovevano intervenire altre cause che aumentavano l’inquinamento dei foraggi, perchè qui special- mente erano anche più frequenti i casi di carbonchio ematico e apoplettico. Ammessa la possibilità di una vita saprofitica, e quindi di una moltiplicazione dei germi del carbonchio, diffusi alla superficie del suolo, quale risulta dalle osservazioni di Koch, le condizioni più favorevoli per questo modo di inquinamento esistevano in tutti i campi acquitrinosi di Santa Cruz soggetti a alternative di impaludamento e essiccamento con temperatura media, ottima per lo sviluppo dei bacilli. Invece anche solo nelle campagne situate fra il canale Ità e il Rio Guandù, le condizioni di morbilità dei pascoli mutavano d’un colpo. Bisognava quindî ammettere che a rendere più intensivo l'inquinamento dei pa- scoli verso Sepetiba, dovevano concorrere le piene e i dilaga- menti delle acque luride proveni nti dal collettore del macello. L’ispezione degli animali abbattuti e le più minuziose e prolun- gate ricerche nelle acque di rifinto del collettore, esclusero asso- lutamente che l'inquinamento delle campagne potesse avvenire IL GARROTILHO O GARGANTILHO 245- per importazione diretta di bacilli o spore provenienti dal ma- cello, e restava così nel modo più evidente dimostrato che l’unica causa doveva risiedere nelle più favorevoli condizioni per la vita saprofilica e per la moltiplicazione dei bacilli del carbon- chio in sito, determinate dalle acque luride riversate sui pa- scoli, riproducendosi in natura le stesse condizioni degli esperi- menti di Feser, Schwakam e Kitt, che portarono un nuovo corredo di fatti alla teoria di Koch sulla diffusione del carbonchio nei pascoli. Nel nostro caso poi la conferma del fatto venne rag- giunta nel modo più dimostrativo, poichè anche a detta dei pra- tici del sito, il campo S. Josè, soggetto più direttamente e di frequente alle inondazioni dei due canali, risultava più pericoloso fra tutti, e appunto quivi e in nessun altro sito fu possibile di isolare da diversi campioni di foraggio e terreno i germi del carbonchio. A tale scopo si erano prelevati i campioni di terreno e di fo- raggio lungo le due diagonali intersecantisi al centro del pen- tagono, formato dai campi S. Josè, Sapieu, Bonito, Papagaio, inoculando negli animali (cavie) le polveri di lavaggio sospese in acqua sterile, previo decantamento dei detriti più voluminosi. Sopra 200 campioni, i risultati furono positivi per la presenza dei bacilli del carbonchio solo in 11 (6 di terreno e 5 di foraggio), tutti corrispondenti al campo di S. Josè. Come cognizione com- plementare di questa serie di ricerche interessa notare che su tutti i campioni di terreno raccolti in sito non fu mai riscontrato il bacillo del tetano e del carbonchio sintomatico e rare volte l'edema maligno. Pu Restava a vedere in quali condizioni poteva verificarsi la diffusione del carbonchio per inoculazione da animale ad ani- male, specialmente per differenziare i casi di garrotilho vero da forme consimili di carbuncolo cutaneo. In Santa Cruz gli insetti emofili alati capaci di trasmettere l’infezione per puntura, quali i tafani (Tafanus bovinus), gli estri (Hypoderma bovis) e le glossine e stomossidi, non erano molto numerosi, forse per la spaziosità dei pascoli, ma più, credo, per la presenza di moltissimi uccelli insettivori, sopratutto di una specie di succiacapre, la Nacunda (Podager Nacunda : in Brasile detto criango o coriango), che abitualmente in numero talvolta -246 CAMILLO TERNI straordinario riposano in groppa ai bovini, proteggendoli e ripu- lendoli da simili parassiti anche durante il giorno, ma più nelle ore del crepuscolo e della notte. Pochi esemplari delle prime due specie di insetti emofili ab- biamo potuto raccogliere, e tanto l'osservazione microscopica del contenuto dell’apparato succhiatore e dello stomaco e inte- stino, come le colture e le prove in animali sensibili (topi e cavie) hanno dato costantemente risultati negativi. Per le sto- mossidi e glossine, i risultati furono invece sempre ben dimo- strativi, e potemmo facilmente e a lungo controllare le nostre prove con numerosissimi esemplari raccolti sugli animali in esperimento durante il decorso della malattia. Però soltanto negli esemplari che avevano succhiato il sangue degli animali nel periodo preagonico fu possibile di ottenere risultati concludenti, sia coll’esame microscopico, come colle colture a inoculazione nei topi e cavie delle parti anteriori. (toracica e cefalica) com- prendenti l’apparato succhiatore. Dal contenuto gastro-intesti- nale, benchè fossero visibili e ancora ben differenziabili i bacilli del carbonchio, il risultato fu sempre negativo. Mentre è convinzione generale fra i trattatisti del carbon- chio che la forma cutanea dell’antrace sia specialmente deter- minata da punture di estri e tafani, dalle nostre osservazioni risulterebbe invece che è maggiore pericolo è rappresentato dalle punture soprattutto delle stomossidi, ben più numerose e tenaci nella loro indole sanguinaria verso i bovini. Noi rite- niamo.anche provato dalle ricerche esposte che la immunità rela- tiva che anche i bovini offrono alla infezione carbonchiosa con- tratta per via cutanea, sia specialmente dovuta alla facilità di un innesto vaccinale, prodotto appunto dall’azione delle stomos- sidi a preferenza di tutti eli altri insetti emofili parassiti dei bovini. Certo nell'America meridionale ie stomossidi e le glussine esercitano una larga e benefica influenza, che si potrebbe dire di vaccinazione naturale, preparando anche fra i bovini razze generalmente più temprate alla infezione carbonchiosa, Di tutti gli altri parassiti emofili dei bovini, più interessanti per il nostro studio in Santa Cruz, gli ixodi (Ixodes ricinus) dovevano richiamare specialmente la nostra attenzione perchè più frequenti e di straordinaria grossezza :. abbiamo raccolto degli esemplari di 4 centimetri di lunghezza e 2 di diametro, che pesavano più di 5 grammi. IL GARROTILHO O GARGANTILHO Q47 La questione se gli ixodi possono 0 meno essere agenti trasmissori del carbonchio non é stata finora da nessun osserva- tore studiata, e fu perciò oggetto di speciali ricerche. Ben raramente ci è incorso di riscontrare ixodi sugli ani- mali già morti nei pascoli, il che indica che questi parassiti abbandonano rapidamente l’animale ammalato nel periodo prea- gonico. Infatti negli esperimenti di garrotilho da noi eseguiti, gia al terzo giorno della malattia gli ixodi abbandonavano gli animali, anche nei casi che finivano più tardi colla setticemia, e quindi presumibilmente quando ancora non erano presenti i bacilli nel sangue periferico. In 56 ixodi raccolti da 3 animali nel periodo preagonico di carbonchio ematico, non fu possibile di dimostrare la presenza dei bacilli nei parassiti, nè meno coll’esame batteriologico ; ma bisogna però considerare che anche nel sangue periferico degli animali i bacilli erano sempre ancora rarissimi. Dalle nostre ricerche ci è rimasta la convinzione che questi parassiti difficilmente possono essere veicoli del carbonchio, e «ciò non solo per le abitudini migratorie di questi animali dal- l’organismo affetto da carbonchio, ma anche in relazione colla rarità dei casi di carbuncolo nelle pianure di Santa Cruz, in confronto col numero straordinario degli ixodi che infestano le mandre. V. — Conclusioni. Da tutte le osservazioni raccolte dai nostri studi e dalle ‘esperienze esposte, resta quindi dimostrato : 1° Che la malattia nota nell'America meridionale col nome di garrotilho o gargantilho è una manifestazione locale del car- bonchio in animali (bovini) per selezione naturale meno suscet- tibili alla infezione generale. 2° Che questa malattia riveste gli stessi sintomi e carat- teri del carbonchio dei suini. 3° Che il garrotilho non è da confondersi col carbuncolo cutaneo della regione del collo, il quale può terminare colla gua- rigione spontanea o per atto chirurgico, e se pure termina colla setticemia , non dà luogo a soffocazione dell’animale. 4° Che questa malattia è prodotta da abrasioni e incisioni della mucosa orale e del faringe (tonsille) per foraggi taglienti © spinosi, inquinati da spore di carbonchio. 248 CAMILLO TERNI 5° Che i parassiti emofili dei bovini (tafani, estri, stomos- sidi, glossine, ixodi) se possono essere causa di carbuncolo cu- taneo, non hanno alcuna relazione colla etiologia del garrotilho. 6° Che gli urubù (Cathartes aura, C. foetens) possono con- tribuire in larga misura all'inquinamento dei pascoli, disseminando col materiale del loro pasto bacilli e spore di carbonchio, non però colle loro feci: quindi indirettamente sono da considerarsi come principali agenti diffusori del garrotilho e del carbonchio ematico, e di molte altre malattie infettive degli animali in alle- vamento brado. 7° Che tutti gli altri animali necrofagi, e specialmente gli insetti (stafilini, silfe, isteridi, dermestidi, tafani, mosche, estri, termiti, blatte e formiche) concorrono pure largamente alla in- fezione dei foraggi e dei pascoli, sopratutto nei climi tropicali e subtropicali dove l’allevamento è libero, e per solito l’ani- male morto per malattia è abbandonato alla superficie del suolo. La decisiva influenza che gli animali necrofagi esercitano nella diffusione del carbonchio e di altre infezioni epizootiche, in pre- cedenza non considerate nella teoria di Koch, nè in quella di Pasteur, sono state nelle nostre ricerche chiaramente affermate. Nei climi tropicali però sono più a temersi da questo lato gli avoltoi e gli altri uccelli rapaci notturni, che si cibano pure di carogne, perchè da essi dipende in massima parte il lavoro di distruzione del cadavere prima della putrefazione. Essi com - piono così un ufficio altamente benefico, ma non privo di in- convenienti dal lato della polizia sanitaria. 8° Che anche nei climi tropicali per determinare la mor- bilità massima dei pascoli per carbonchio, e a produrre vere epizoozie, gli agenti precedentemente considerati non bastano, e sono necessarie speciali condizioni di luogo, costituite da un suolo inquinato da rifiuti organici, che possono offrire un ottimo terreno di vita saprofitica ai bacilli del carbonchio, e lo sviluppo di qualità di foraggio lesivo della mucosa delle vie dirigenti dei bovini. * Dopo questi risultati è naturale che i provvedimenti di po- lizia sanitaria contro il garrotilho debbano essere indirizzati in prima linea a diffondere la vaccinazione anticarbonchiosa. Nel caso speciale di Santa Cruz, poichè le mandre in luogo non sta- IL GARROTILHO O GARGANTILHO 249 zionano un tempo sufficiente per raggiungere l'immunità prima della mattazione, la pratica della vaccinazione può essere esclusa, limitando le misure di profilassi alla diligente raccolta degli ani- mali ammalati o morti nei pascoli per sottrarli agli urubù, e falciando e incendiando a diverse riprese i pascoli più infetti per risanarli più rapidamente, invece di attendere l’azione sempre lenta degli agenti esterni sulla vitalità e virulenza delle spore di carbonchio. Prima di finire sentiamo il dovere di ricordare colla maggiore obbligazione la fiducia accordataci dal Direttore della Sanità Pub- blica del Governo del Brasile prof. dott. Nuno de Andrade, nonchè la squisita cortesia del Dott. J. Cotrim, capo dell’ Ufficio Sanitario del Distretto Federale di Rio Janeiro, e del Direttore del Matador di Santa Cruz, ringraziandoli di tutte le facilita- zioni concesse pel compimento di questi studi. (Dal Laboratorio Biologico del Museo Civico di Storia Naturale. - Milano, giugno 1906). BIBLIOGRAFIA. 1891. PHisALIX P., Nouvelles recherches sur la maladie charbonneuse. Archiv de med. exper. et d’anat. pathol, T. XIII, pag. 159. 1894. TERNI C., Das Serum der kaltbliitigen Tiere bei der Milzbrandin- fection. Centralbl. f. Bakter. und Paras., Bd. XV, pag. 863. 1896. PEREZ G., (1) Del modo di comportarsi del sistema ganglionare linfatico rispetto ai microrganismi. Parte T. Parassitismo microbico latente nei gangli linfatici normali. Ann. d’Igiene Sperimentale, Vol. VII, pag. 275. 1898. — (2) Id. id. Parte II, I gangli linfatici nelle infezioni. Ann. VI- giene Sperimentale, Vol. VIII, pag. 75. 1898. 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RN eae oes È, - SUNTO DEL REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (1904) DATA DI FONDAZIONE: 15 GENNAIO 1856 Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. I Soci sono in numero. illimitato, e/fellivi, perpetui, benemerili e onorari. I Soci effettivi pagano L. 20 all'anno, i wna sola volta, nel i primo bimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. Chi versa Lire 200 una volta tanto viene dichiarato Socio perpeluo. Si dichiarano Soci benemeriti coloro che mediante cospicue elar- gizioni hanno contribuito alla costituzione del capitale sociale. A Soci onorari possono eleggersi eminenti scienziati che contri- buiscano coi loro lavori all'incremento della Scienza. «La proposta per l'ammissione d'un nuoto socio effettivo 0 per- petuo deve essere fatta e firmata da due soci mediante lettera diretta al Consiglio Direttivo (secondo | Art. 20 del Regolamento). Le rinuncie dei Soci e/fellivi debbono essere notificate per iscritto al Consiglio Direttivo almeno tre mesi prima della fine del 3° anno di obbligo o di ogni altro successivo. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Alli ed alle Memorie non si possono unire tavole se non sono del formato degli Alli e- delle Memorie stesse. Tutti i Soci possono approfittare dei libri della biblioteca sociale purchè li domandino a qualcuno dei membri del Consiglio Direttivo 0 al Bibliotecario, rilasciandcne regolare ricevuta e colle cautele d’uso volute dal Regolamento. Gli Autori che ne fanno domanda ricevono gratuitamente cin- quanta copie a parte, con copertina stampata, dei lavori pubblicati negli Affi e nelle Memorie. Per la tiratura degli strali (oltre le dette 50 copie), gli Autori dovranno rivolgersi alla Tipografia sia per ordinazione che per il pagamento. CESARE A Processus petrosi Poslspiherio nalas _ (risp. dorsales-prstsphenoidales) negli Sciuromor- pha, Prosimiae, Antilopinae, ‘@ loro. articolazione : ‘sostituente, od associato col Dos SUN sellae post. Sphenoinale. me Processus petrosi pos isphenoidales mele pareti laterali della Loggia dee aie della Mustela Ri Briss. Pe del Canis vulpes Li sE x Annotazione intorno al Dorsi ‘sellae dell'E * do ballus x, #5 wars . 3 Gass hemi oy ee 3 Ria sto CAMILLO TERNI, Garrotilho O Gury yan tilho, crop car. Bos bonchioso dei bovini . RR e IA proprietà 1 letteraria. vel STESSI SOCIETÀ ITALIANA ALT ET DELLA DI SCIENZE NATURALI E DEL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO VOLUME XLV FascicoLo 4° — FoGLI 6/ 4 (Con una tavola) MILANO TIPOGRAFIA DEGLI OPERAI (soc. COOPERATIVA) Corso Vittorio Emanuele 12-16. Giuano 1907. Per la compera degli ATTI e delle MEMORIE rivolgersi alla Segreteria della Società, Palazzo del Museo Civico di Storia Naturale, Corso Venezia. L’invio dei singoli fascicoli ai Soci e Corpi Scientifici vien fatto colla Posta. CONSIGLIO DIRETTIVO PEL 1906. Presidente. — ARTINI Prof. ETTORE, Museo Civico. Vice-Presidente. — Besana Ing. Comm. GIUSEPPE, Via Ruga- bella 19. Segretario. — DE-ALESSANDRI Dott. GIULIO, Museo: Civico. Vice-Segretario. — Reposst Dott. EmiLio, Museo Civico. Archivista. — CASTELFRANCO Prof. Cav. Pompeo, Via Principe Umberto 5, BeLLOTTI Dott. Comm. CrIstToFoRO, Via Brera 10. MagRETTI Dott. PaoLo, Via Leopardi 21 Consiglieri. — < SALMOJRAGHI Prof. Ing. Cav. FRANCESCO, Piazza Castello 17. VIGNOLI Cav. Prof. Tiro, Corso Venezia 89. Cassiere. — VILLA Cav. VITTORIO, Via Sala 6. Bibliotecario sig. ERNESTO PELITTI. OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA Nota del socio Prof. G. De Alessandri Illustri zoologi ed anatomi intrapresero in questi ultimi anni lo studio dei Cirripedi viventi della Francia, determinandone le specie, illustrandone la costituzione istologica e lo sviluppo em- briogenetico. Citerò fra essi i nomi illustri del Gruvel, del Lacaze Duthiers, «del Pouchet et Jobert e dell’Hesse. I Cirripedi fossili finora non furono oggetto di studi spe- «ciali. Bruguiere (1789), Leach (1817), Chenu (1818), Lamarck (1838), Darwin (1851 e 1855), Hébert (1854 e 1855), Fischer (1873 e 1886), Des-Moulins (1875), Fontannes (1877, 1881, 1882 e 1889), Locard (1877 e 1878), Gourret (1889 e 1891), Bertrand (1890), ed altri si occuparono più o meno partitamente di qualche specie o di qualche gruppo senza però attendere al loro studio monografico. Come l’Italia, la Francia abbonda di avanzi fossili di Cirri- pedi; e col grande sviluppo che in essa hanno le formazioni ter- ziarie e colla spiccata differenziazione di facies che tali depositi presentano, ne consegue come abbastanza numerose siano le specie che in essa si rinvengono. Io ho accolto quindi con grato animo la proposta del signor G. Dollfus di accingermi allo studio degli avanzi fossili che di tali Crostacei si rinvenivano nella regione francese. Oltre a quelli numerosi della sua collezione io ho potuto avere in esame quelli del Museo di Storia Naturale della città di Nantes, quelli della collezione dell’ing. M. Cossmann di Parigi, quelli della collezione Bartesago di Avignone, quelli della rac- colta Bial de Bellerade di Cenon presso Bordeaux, quelli rac- 16 252 G. DE ALESSANDRI colti dal prof. A. Peyrot di Bordeaux, ed infine quelli della col- lezione P. Chantegrain di Maintenon (Kure et Loire). Il materiale quindi che ho avuto in esame è abbondante e mi offre occasione di portare un primo e piccolo contributo alla conoscenza della fauna carcinologica fossile della Francia. Dall'esame di essa si scorge come abbastanza numerose- siano le specie di Balani che si rinvengono nel terziario francese. Gli esemplari fossili che dapprima si conoscevano e che erano determinati coi concetti dei tempi passati, concetti che attribuivano un grande valore alla forma, all’ornamentazione, alla colorazione della conchiglia, erano dagli autori riferiti ad un numero assai grande di specie. Chenu e Lamarck, più degli altri, descrissero e illustrarono- numerosissime specie del gen. Balanus ed i paleontologi fran- cesi che ad essi seguirono le citarono nei vari orizzonti del terziario. Ma in seguito agli studi ed alla conoscenza più profonda. della costituzione anatomica e fisiologica dei diversi organi dei Cirripedi, la determinazione loro si fece unicamente in base alla. forma ed all’ornamentazione delle piastre principali nei Pedunco- lati e delle piastre opercolari negli Opercolati. Si vide allora come. molte specie che i paleontologi francesi avevano stabilite, ca- devano in sinonimia con altre, gia conosciute in regioni finitime. E mentre dall’elenco degli autori antichi pareva che la. Francia avesse una fauna di Balanidi e di Lepadidi affatto pe- culiare, risultò come essa annoverasse press’a poco le stesse specie che si rinvengono nel terziario italiano ed in quello. inglese. Invero esaminandone l’elenco si vede come di nove specie del gen. Balanus rinvenute nella Francia, sette si riscontrino anche in Italia e sei nell’Imghilterra. Fra i Cirripedi opercolati sembrano caratteristici del terziario: francese alcuni avanzi di Balanus che sembrano spettare ad una specie nuova, da me distinta col nome di B. Dolifusii, e la. Tetraclita Dumortieri. S Invece i Cirripedi peduncolati che si raccolgono nel terziario: della Francia, quantunque presentino una specie comune col- l’Europa occidentale e meridionale, lo. Sca/pellum magnum “Darw., manifestano una fauna abbastanza caratteristica. Sono infatti specie proprie lo Scalpellum recurvalum Bert., CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 253 lo S. Fischeri (?) Bert., la Lepas burdigalensis VOrb. e la L. Or- bignyi Des. Moul. I Cirripedi opercolati rappresentano, come ben si sa, forme essenzialmente costiere, mentre i Cirripedi peduncolati rappre- sentano forme che scendono e che vivono nei profondi abissi dell Oceano. I primi, soggetti alle molteplici influenze dell’ambiente, pre- sentano una grande variabilita di specie e di esemplari; i secondi invece, sottratti maggiormente alle cause modificatrici, hanno una grande costanza di forma ed una grande persistenza nelle loro specie. : E strano il fatto che nella Francia sono appunto caratteri- stiche le specie pelagiche; cid che dimostrerebbe come i profondi bacini dei suoi mari terziari abbiano avuto faune proprie, poco influenzate da immigrazioni o da passaggi da regioni finitime. I periodi nei quali si ebbe nella régione francese massimi di depressione nei mari terziari sarebbero, secondo i dati tor- niti dai Cirripedi, l’eocene inferiore, e l’oligocene superiore, ossia durante la deposizione del Luteziano e dell’Aquitaniano. Que- st’ultimo orizzonte però, in alcune località, ha facies di mare costiero, come gli abbondanti avanzi di balani attestano. Il miocene medio e superiore e tutto il pliocene sono rap- presentati invece da depositi di mare costiero 0 poco profondo; del pliocene la parte inferiore è costituita da formazioni più pelagiche di quella superiore. Giova però osservare che le specie appartenenti ai Cirripedi del terziario inferiore hanno una spiccata analogia colle forme della Creta superiore che si rinvengono nel Belgio e nell’In- ghilterra, anzi dimostrano una evidente discendenza da esse. Le specie invece del terziario superiore sono schiettamente di tipo mediterraneo, e quindi sono comuni alla Spagna, alla Svizzera, all'Austria ed all’Italia. Lo studio dei Cirripedi viventi e fossili ha dimostrato come le forme opercolate derivino da quelle peduncolate. Le seconde risalgono grandemente nella serie stratigrafica e si spingono fino ai primi periodi paleozoici, mentre le prime sembrano ini- ziare con sicurezza la loro comparsa solo al cominciare dell’éra terziaria. Anche nella regione francese si scorge come nei primi pe- riodi del terziario superiore prendano sviluppo e predominio gli Opercolati. 254 G. DE ALESSANDRI Durante la deposizione dell’Aquitaniano e del Burdigaliano, epoche poste nella meta del terziario, hanno in tutta la Francia, come pure in Italia, grande sviluppo e dispersione alcune forme peduncolate che si possono ritenere come caratteristiche di quel periodo e di quei depositi. I Cirripedi che si rinvengono nel terziario francese non hanno mai grandi dimensioni; quelli peduncolati presentano qualche esemplare (ad esempio, lo S. magnum) di grande sviluppo nel Burdigaliano del Gard ed in quello dell’’Aquitania (Lepas bur- digalensis A Orb.). Il B. tintinnabuluni ha buone dimensioni nel mioeene della Vandea e dell’Indre et Loire; il B. concavus in quello della Aqui- tania, ma non presenta mai le dimensioni grandi degli avanzi del miocene americano, svizzero ed italiano e del pliocene del Portogallo e dell’Italia. | Come nelle altre regioni, i Cirripedi presentano nella Francia molta persistenza nella serie stratigrafica. Alcune specie passano senza evidenti differenze interi periodi geologici. Il B. bisulcatus, ad esempio, che si rinviene già nell’eocene superiore di Marines e di Le-Ruel, si ritrova nell’oligocene di La-Bonneville e di Pier- refitte, nel miocene medio di Poutlevoy, e lo si riscontra ancora nel pliocene di Gourbesville. L’ing. M. Cossmann ha rinvenuto. nel Suessoniano di Liancourt (Oise) lo Scalpellum magnuni, e tale rinvenimento è importante perchè questa specie si trova abbondantissima in tutto il miocene, ed in Italia si raccoglie quasi cogli stessi caratteri ancora nel pliocene. In queste forme di vita abissale le azioni modificatrici fu- rono naturalmente assai lente: sorprende però il fatto che anche i Balanidi organismi di vita costiera presentino le stesse ca- ratteristiche. Se noi consideriamo la distribuzione geografica dei Cirripedi rinvenuti nella Francia, e che io ho avuto in esame, si scorge come la valle del Rodano presenti nel miocene tutte specie di tipo mediterraneo, identiche a quelle che si raccolgono nelle stesse formazioni in Italia (Colli di Torino, Appennino, ecc.), e nel pliocene le stesse specie del pliocene italiano, presentando anche identico sviluppo ed ornamentazione. Assieme ad esse si raccolgono però, in quest’ultimo piano, esemplari spettanti a specie di tipo nordico (ad esempio, il B. crenatus). Nella Normandia e nella Senna si raccolgono specie di tipo CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 255 nordico nell’eocene(S.magnun, S. recurvatum, S. Fischeri(?),ecc.), e nell’oligocene (B. bisulcatus, B. unguiformis, ecc.), ma nel miocene cominciano le specie di tipo schiettamente mediterraneo (B. spongicola, B. perforatus, ecc.). Nel miocene della Francia occidentale (Turenna, Vandea, Bretagna, ecc.), si rinvengono Cirripedi di tipo misto; in gene- rale però predomina il tipo mediterraneo (5. lintinnabulun, B. perforatus, ecc.). Nell’ Aquitania invece sono nel terziario nettamente distinti due periodi: nel 1°, cioè in quello più antico (oligocene), abbon- dano, anzi sono esclusive, le specie di tipo nordico (5. bisulcatus, B. crenatus, B. unguiformis, S. magnum, ecc.); nel 2° periodo, cioè in quello più recente (miocene), compaiono le specie di tipo mediterraneo (B. tintinnabulum, B. concavus, B. amphitrite). Sembrerebbe quindi che le specie dell’eocene della Francia superiore abbiano un diretto passaggio, od una discendenza na- turale, da quelle dell’eocene inglese e belga, perchè tutte le specie che in esso si rinvengono sono comuni od hanno grandi affinità con quelle dei depositi di quelle regioni. Le specie dell’oligocene che si rinvengono nella Francia su- periore ed in quella occidentale conservano lo stesso tipo, e quindi manifestano una evidente collateralità con le eoceniche che vivevano nella regione settentrionale, mentre nel miocene, tanto della Francia occidentale quanto di quella orientale, com- paiono forme spiccatamente mediterranee, comuni quindi ai de- positi della Spagna, dell’Italia, della Svizzera e dell’Austria. Nel pliocene si riscontrano specie di tipo mediterraneo nella valle del Rodano, ma ancora di tipo nordico nella parte su- periore della Francia. Negli studi che ho fatto sui Cirripedi fossili d’Italia (!) io ho avuto campo di osservare e di intrattenermi sulle molteplici cause che modificano le dimensioni, la forma, l’ornamentazione e la colorazione della conchiglia. Alcune di queste cause sono dipendenti direttamente dall’am- biente, dalle condizioni fisiche e chimiche dei mari ove vissero i Cirripedi, come pure dalla natura del fondo e dalla superficie di appoggio. ({) G. DE ALESSANDRI, Contribuzione allo studio dei Cirripedi fossili d'Italia. Boll. Soc. Geol. Ital. Vol. XIII, 1895 e — Studi monografici sui Cirripedi fossili d’Italia. Pa- laeontagraphia italica, vol. XII, Pisa 1906. 256 G. DE ALESSANDRI La causa che ha azione piu profonda nel modificare la su- perficie esterna della conchiglia è però quella dovuta al mime- tismo, fenomeno pel quale i Cirripedi tendono ad imitare a loro vantaggio la forma, l’ornamentazione e la colorazione degli og- getti sui quali si fissano. Nei Cirripedi fossili d’Italia ho riscontrato interessanti esem- plari che illustravano evidentemente il fenomeno. Nelle opere di alcuni autori francesi, quali ad esempio nel Chenu, si vedono riprodotti possibili casi di mimetismo. Così gli esemplari di balani figurati da questo autore sotto il nome di B. squamatus (Illustr. Conchyl. ecc. Tom. IV, tav. VI, fig. 2. 2a) rappresentano con tutta probabilità il B. spongicola, nel quale la squamosità è dovuta a mimetismo coll’oggetto di sostegno. In questo caso l'oggetto sembrerebbe una Cardita o qualche altro mollusco ad ornamenta- zione lamellosa. Anche negli esemplari fossili che io ho avuto in esame dal terziario della Francia, ho riscontrato casi tipici e spiccati del fenomeno, quantunque esso non sia così comune come negli avanzi fossili d’Italia. Nella collezione Bial de Bellerade si conservano parecchi esemplari di B. concavus raccolti nell’Aquitaniano superiore di Dax (S. Paul) e fissi sopra valve di Pecten opercolaris L. Io ho riprodotto (fig. 1) uno di questi esemplari e da esso si scorge come le costole grosse ed appianate del Pecten salgano parabolicamente sulle piastre compartimentali del Balano, in guisa che l’ornamen- tazione del mollusco sembra continuarsi con quella del Cirripedo. Inoltre tutta la caratteristica zigrinatura della superficie del Pet- tine è riprodotta su quella dei compartimenti parietali del Balano. Anche in un altro esemplare di B. tintinnabulum (?) che si trova nella stessa collezione, fisso sopra una Turritella terebratis Lk. e proveniente dall’Aquitaniano superiore di Dax (Cabannes), si osserva come nella parte inferiore dei suoi compartimenti si trovino solchi in corrispondenza di quelli fra un anfratto e l’altro del Gasteropodo e pieghe festonate che imitano l’ornamentazione dello stesso. Nella collezione Bartesago si osserva pure qualche esem- CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 257 plare di B. crenatus proveniente dal pliocene del Gard con traccie «li mimetismo sui compartimenti. Prima di finire queste mie osservazioni mi è grato esprimere al sig. G. Dollfus, all’ing. M. Cossmann, al sig. Bial de Bellerade, al prof. Peyrot, al sig. Bartesago ed al sig. Chantegrain i sensi della mia viva gratitudine per il materiale che cortesemente mi affidarono in istudio. Milano, Museo Civico di Storia Naturale, 14 dicembre 1906. Cirripedi illustrati in questo studio. {== 2 Eocene ae Miocene | Pliocene 2 le] PI 3 È S 2 2 >) >) (co) co) ® A i NOME DELLA SPECIE Ha pa o H = H D & 5 | Se VAS ESSA] RESTI eal Of eer ISO RI a eg a E EEE SARO Dei n = n or n i n Scalpellumrecurvatum: Bert. | —.| & | s)he n Fischeri (?) Bert. |-|#|—-|-|—-|-]|-{|-{|-]|- S magnum Darw..|-|—-|*|=s=|a|xa|xaz{|—-|_-|—_ || Lepas burdigalensis @’Orb. .|—-|—-|-|-|a|-|-{-]{|-]|—- | 4 Orbignyt Des-Moul. ..| —|—|—]—| #* _ Balanus tintinnabulum L. . | —|—|--|—| #* |] * | *# |—|—|— p Dollfusti n. sp.?. .|—|—-{|—-|—-|-|-|®*|-|-.|—- 4 spongicola Brown . | —|—/]—/]—|—|—] * |—] #* |— es perforatus Brug. . * |— | * |— AI concavus Bronn. .|—}|—]—|]—]|# | #|*# | * |] * |— Da amphitrite Darw. .|—|—|—|—|] * | # | */—|—I— DI crenatus Brug. .. .|-|—-|-|a|-|-{|-|®*|[|={|- a bisulcatus Darw. .|—|—) * | * | ?.| * | #|—] «| — 3 unguiformis Sow..|-|—-|-|?|*a|-{-|-|—-|- Acasta cfr. spongites Poli. .|--{—-|-|—-|-]|-{|-{-|=a|_- il Tetraclita Dumortieri Fisch. |—|—|T—-{|j—-|—-|-{|{a{|_-|—-|—- 258 G. DE ALESSANDRI Scalpellum recurvatum Bert. Tav. IX, fig. 1-4. 1891. Scalpellum recurvatum BERTRAND L., Note sur trois espéces dic gen. Scalpellum du calc. gros. des env. de Paris. Bull. Soc. Géol. de France. Série III, Tom. XIX, pag. 693, Tav. XIII, fig. 1-8. Lo S. recurvatum è una buona specie, rappresentata da. esemplari di piccole dimensioni, ma di ottima conservazione. Numerosi scudi, alcune carene, ed un solo lato superiore: fanno parte della collezione Cossmann. Lo scudo è subromboidale ed ha gli angoli basi-laterale e: quello fra il margine occludente e la base assai arrotondati. L’angolo fra il margine di chiusura e quello tergale è molto acu- minato ed un po’ ricurvo verso il margine tergale. Il margine basale è quasi retto; quello di chiusura un po’ arcuato, quello. tergale curvo in dentro e quello laterale leggermente sinuoso. La superficie esterna è ricurva, rigonfia e presenta una grossa. costola mediana che dall’angolo basi-laterale va all’ apice. Su questa costola si inflettono le linee di accrescimento che sono: in parte parallele al margine basale ed in parte a quello tergale.. Un'altra costola più larga ed appiattita si osserva presso il mar- gine occludente. Internamente la piastra presenta cordoni laterali appiattiti presso l’apice e lungo i margini tergali ed occludenti, ed una. cavità liscia, larga, e profonda nella sua parte superiore. Il tergo è pure subromboidale, ma ha l’angolo careno-scutale: assai acuminato; l’apice è appuntito e curvo verso il margine di chiusura. Il margine carenale è assai arcuato nella parte superiore e quasi rettilineo in quella inferiore; il margine scu- tale sembra sinuoso perchè formato da due tratti subretti che s'incontrano formando un’angolo assai ottuso; il margine di chiu- sura è fortemente curvo in dentro. La superficie della piastra è: alquanto ricurva; una grossa costola trigona sale dall'angolo ca- reno-scutale all’apice, un’altra più larga ed appiattita trovasi presso il margine carenale ed infine una terza dalla prominenza. del margine scutale si dirige all'apice. Su queste costole si inflet- tono le linee di accrescimento che sono talora assai spiccate. La. superficie interna della piastra è piana e liscia. CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 259- La carena è lievemente ricurva in fuori, presenta l’umbone all’apice ed ha la parte basale largo-arrotondata. La costola centrale è grossa, rilevata e decrescente dalla base all’apice; il tetto è piano, un po’ depresso e le infrapareti sono alquanto rilevate. Tutta la superficie esterna presenta grosse: e numerose lamelle di accrescimento parallele alla base. In vicinanza della regione umbonale si osservano lungo i margini cordoni laterali appiattiti ed assai spiccati; nella re- stante parte la carena è scanellata in tutta la sua lunghezza. Il lato superiore è subpentagonale cogli angoli presso il margine basale alquanto arrotondati. L’apice è diritto ed un po’ allungato; l’umbone si trova circa ai quattro quinti della distanza dalla base all'apice. Dall’apice lungo i due lati adiacenti corrono grossi cordoni appiattiti. Le linee di accrescimento sono numerose, spiccate e costituiscono col loro perimetro linee pentagonali attorno all’umbone; la su- perficie esterna della piastra è alquanto irregolare e ricurva. Il Bertrand ha descritto anche di questa specie il rostro,. ma di questa piastra io non ho avuto esemplari in comunica- zione; la descrizione che di essa dà il Bertrand lascia però al- quanto dubbiosi sulla sua esatta interpretazione. Lo S. recurvatum ha grandi analogie collo S. quadratum Dixon dell’Eocene inglese dal quale però si distingue facilmente per un’ornamentazione diversa, costituita da grosse costole, per i margini delle singole piastre più irregolari e contorti e per la forma della carena più ricurva in fuori. Per quest’ultimo ca- rattere lo S. recurvatum si avvicina allo S. Formae De Al. ed al vivente S. villosum Leach, dai quali però differisce per la forma delle altre piastre. Gli esemplari che di questa specie ho esaminato provengono. dal Luteziano (eocene inferiore) di Chaussy. Scalpellum Fischeri (?) Bert. 1891. Scalpellum Fischeri BERTRAND. L., Note sur trois espèces du gen.. Scalpellum du cale. gross. des env. de Paris.. Bull. Soc. Géol. de France. Série III, Tom.. XIX, pag. 697, Tav. XIII, fig. 9-11. Nel Luteziano di Chaussy e di Trye sono numerose alcune: piccole carene che appartengono alla categoria di quelle ad um: bone subcentrale, ma assai prossimo all’apice. ‘260 G. DE ALESSANDRI Queste carene vanno riferite ad una specie certamente di- versa dallo S. recurvatum Bert. e probabilmente spettano ad una forma assai prossima allo S. magnum Darw., se pure non appartengono allo stesso S. m209nvm. Invero parecchi esemplari hanno nelle sporgenze laterali delle pareti e nella larga e tozza curva delle infrapareti grandi analogie cogli esemplari di S. ma- gnum figurati dal Reuss (Ueber fossile Lepadiden. 1864, Tav. II fig. 5 e 6) del miocene di Bordeaux. Nella ripiegatura della parte posta superiormente all’ umbone e nella posizione dell’umbone stesso questi esemplari hanno grandi affinità collo S. Pheifferi Weith. dello Schlier di Ottnang. Il Bertrand ha descritto pure un’altra presunta specie, lo S. vomer, fondata anch'essa sopra una carena che per la mag- giore inflessione dell’apice sembrerebbe diversa da quella dello S. Fischeri (?), ma questa carena, a mio avviso, data la grande variabilità di forma nei Cirripedi peduncolati, può riferirsi ancora ad una stessa specie collo S. Fischeri (?). Lo S. Fischeri (?) va considerato come una specie non suffi- cientemente caratterizzata e della quale è necessario conoscere le altre piastre principali. Scalpellum magnum Darw. Tav. IX, fig. 5-12. 1551. Scalpellum magnum DARWIN C., A monograph on the fossil Lepadidae. Palaeontographical Society, Vols IX ‘pag isi Lav, vl, diga 1864. 43 5; Reuss A., Ueber fossile Lepadiden. Sitzung. i d. Matemat. Naturwiss. Class. d. K. K. Akad. d. Wissench. Wien, XLIX Bd.I. Atk. pag. 228, Tav. II, fig. 5-12 1873-76. > A e molinianum SEGUENZA G., Ricerche pa- leont. int. ai Cirripedi terz. della prov. di Messina. Atti Acc. Pontoniana. Na- poli, Parte II, pag. 8 e 10, Tav. VI, fig. 8-13. 1875. D burdigalensis Des-MouLINS Ch., Cirrhipédes pedon- culés du terrain tertiaire miocène. Actes d. la Société. Linnéenne de Bordeaux, Série III, Tom. X, pag. 131, Tav. I e II. CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 261 1877. Scalpellum burdigalensis, FONTANNES F., Les terr. tertiair. sup. du Haut Comtat Venaissin. Annal. de la Soc. d’Agricult. Hist. Nat. ecc. de Lyon, Série IV, Tom. IX, pag. 629 e 641. 1880. * 5 FONTANNES F., Les terr. terliair. du bas- sin, de Visan-id. id:, Série .V;Lom:- L pag. 65. 1881. n 5 FONTANNES F., Les terr. tertiair. de la région Delphino-Provencal id. id., Sé- rie V, Tom. IV, pag. 257. 1889. ‘3 - FONTANNES F., Diagnoses de quelq. espèces et var. nouvell. des terr. tertiair. sup. du bassin du Rhones id. id., Série IV, Tom. IX, pag. 665. 1895. si 5 DE-ALESSANDRI G., Contrib. allo stud. d. Cirripedi fossili d'Italia. Boll. Soc. Geol. Ital., Vol. XIII, pag. 27, Tav. I, fig. 4a-4b. 1905. > studeri, TIEcHE M., Beitrag zur Kenntnis der fossil. gestielt. Cirripedien in der Umgebung Berns, Mitteil. d. Naturforsch. Gesellsch. in Bern. Nr. 1565-1590, pag. 1, Tav. I. 1906. Lo magnum, DE-ALESSANDRI G., Studi monograf. sui Cirripedi fossili d'Italia. Palaeontogra- phia Italica, Vol. XII, pag. 259, Tav. XIII, fig. 26-35. Lo S. magnum fu stabilito dal Darwin sopra esemplari del coralline-crag di Sutton, di Getgrave, ecc., e fu da lui considerato come specie dubbia, perchè a suo modo di vedere essa poteva rappresentare una varietà del vivente S. vulgare. Io ho esaminato di questa specie un numero straordina- riamente grande di esemplari, provenienti dall’Italia meridionale, dalla Sardegna, dalla Toscana, dal Piemonte, dalla Svizzera, dalla Valle del Rodano, dall’Aquitania, ecc. e mi sono dovuto con- vincere che essa è oltremodo variabile sia nei diversi orizzonti Ove si raccoglie, sia nei differenti ambienti di sedimentazione, sia nelle varie regioni nelle quali fu rinvenuta. Ed è per questo che parecchi autori pregiati e conoscitori dei Cirripedi quali il Se- guenza, il Des Moulins, il Tièche, riferirono i suoi avanzi a specie distinte e che questi Paleontologici ritennero specie nuove. Io fino ad ora non conoscendo lo S, burdigalensis che per 262 G. DE ALESSANDRI la descrizione e le figure date dal Des-Moulins ('), l’ho ritenuto una specie molto affine allo S. Lovisaloi De Al. del miocene della Sardegna, ma distinta e ben caratterizzata dalle altre per le peculiarità della forma dello scudo, del tergo e del lato medio. Recentemente però il sig. Bial de Bellerade mi comunicava una ricca collezione comprendente oltre 250 avanzi di piastre raccolte nell’Elveziano superiore di Salles (Largileyre) e riferite a S. burdigalensis. Esaminando questo importante materiale, di ottima conser- vazione, io mi sono convinto che contrariamente a quanto aveva ritenuto il Des-Moulins e contrariamente a quanto io avevo ac- cettato lo S. burdigalensis non può ritenersi distinto dallo S. magnum. Ben si comprende che io asserendo ciò intendo applicare il concetto lato che io ho della specie per la sistematica dei Cirripedi. Lo studio ed il confronto sempre più ampio e pro- fondo che io vado facendo dei Cirripedi fossili mi ha dimostrato come gli individui, sopratutto nei Peduncolati, siano variabilis- simi nei loro caratteri esterni o cuticulari. L’esame continuato ed esteso di un materiale abbondante che ho avuto in comuni- cazione mi ha convinto come nei Lepadidi le peculiarità della specie si debbano ricercare solo in complessi di caratteri spiccati nella forma, nell’ornamentazione e nello sviluppo, e comuni ad una grande quantità di esemplari, e non a qualche individuo isolato. Lo S. burdigalensis venne abbastanza minutamente descritto ed illutrato dal Des-Moulins, ma il materiale inviato dal sig. Bial de Bellerade non corrisponde perfettamente ed in tutto alle descrizioni del chiaro Paleontologo bordolese. Ritarò quindi la descrizione dei tratti caratteristici di ogni piastra dello S. bur- (1) Come ho già osservato nel mio studio sui Cirripedi fossili d’Italia, del 1906 questa specie va ritenuta stabilita dal Des-Moulins e non dal D’Orbigny per le se- guenti considerazioni: il D’Orbigny citò un’Anatifa burdigalensis D’Orb. nel faluniano di Bordeaux; il Des-Moulias credette che questa specie rappresentasse uno Scalpellum comunissimo nel miocene di Bordeaux e quindi riferì le piastre da lui rinvenute nella stessa località, e spettanti a Scalpellum, alla specie del D’Orbigny. Ma recentemente il Fischer riscontrò in queste località due vere Anatife cioè, come ora si chiamano, due Lepas (L. aquitanica e L. Orbignyi) e non potendosi am- mettere che il D’Orbigny abbia confuso un’Anatifa con uno Scalpellum, bisognerà di- stinguere lo S. burdigalensis col nome del Des-Moulins e la Lepas più comune, cioè la L. aquitanica chiamarla L. burdigalensis D’Orb. a5 2a CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 623 digalensis traendone confronti con Je omologhe che si raccol- gono nelle altre formazioni. Devo prima aggiungere come nelle collezioni Cosmann e Bartesago io abbia rinvenuto numerosissimi avanzi (scudi, ter- ghi, carene, lati superiori, lati carenali, lati rostrali) di uno Scal- pellum di dimensioni abbastanza sviluppate e che erano stati raccolti nelle marne grigie del miocene inferiore di Les Angles presso Avignone. Questi esemplari portavano l’indicazione di S. burdigalensis, ma io considerando le loro strette affinità, anzi le non dubbie analogie, cogli esemplari che io avevo già studiato del miocene (Langhiano ed Elveziano) d’Italia, e la mancanza in essi di quelle caratteristiche che parevano proprie della specie del Des-Moulins li ho riferiti tutti a S. magnum. Seudo. — Nella collezione del sig. Bial de Bellerade si con- servano circa una quarantina di scudi riferiti alla specie del Des-Moulins. La loro forma e la loro ornamentazione sono ab- bastanza costanti e non presentano spiccate differenze nei diversi esemplari, ma non sono quelle disegnate dal Des-Moulins (tav. I e II, pag. 147, fig. 2a, 2b, 2c, 2d), perchè in essi la regione sopraumbonale è meno allungata e meno ristretta di quanto si osserva negli esemplari figurati. La forma predominante invece corrisponde perfettamente a quella degli esemplari illustrati dal Darwin sotto il nome di S. magnum (tav. I, fig. 1e) ed a quella degli avanzi illustrati dal Seguenza sotto il nome di S. molinianum (tav. VI, fig. 10), specie che come io ho già dimostrato deve fondersi con quella del Darwin. Gli esemplari che io ho illustrato nel mio studio del 1895 tav. I, fig. 4a, 4b e quelli riprodotti recentemente (1906, tav. I, fig. 27a, 27) corrispondono appieno ad essi. Il primo pro- viene dal miocene dei Colli di Torino, il secondo dal pliocene dell’Astigiano. In generale gli scudi raccolti nell’Elveziano dell’Aquitania presentano la superficie esterna liscia come gli esemplari che si raccolgono in Italia nel miocene di Torino (Monte dei Cap- puccini, Cavoretto, ecc.) e nel pliocene dell’Astigiano e della Toscana (Orciano). Gli avanzi di scudo raccolti invece a Les Angles, oltre ad essere più sviluppati, sono più costati, presentano linee transverse 264 G. DE ALESSANDRI radianti dall’umbone; essi corrispodono agli esemplari di S. ma- gnum che io ho raccolto nelle Langhe (Acqui, Cessole, ecc.) e che il prof. V. Simonelli ha rinvenuto al Monte della Verna (!). Tergo. — Ho potuto esaminare circa 25 iterghi provenienti da Salles; generalmente hanno medie dimensioni e buona conser- vazione. Negli esemplari adulti la forma predominante non è quella data dal Des-Moulins (tav. I e II, pag. 147, figure 3a, 3b, 3c, 3d) che è triangolare ed ha gli} angoli arrotondati ed i lati curvi. Questa forma si riscontra solo negli esemplari gio- vanili, ma devesi notare che la parte superiore costituente l’an- golo fra il margine di chiusura e quello tergale è sempre tronca ed un po’ appianata. La grande maggioranza invece degli esemplari ha la forma quadrangolare, con un area laterale triangolare, soprelevata, adiacente al margine di chiusura e che si estende nel margine scutale. Questi terghi quindi corrispondono in tutto a quelli che il Seguenza aveva illustrato (tav. VI, fig. 12, 12 a) sotto il nome di S. molinianumi. Il Des-Moulins non aveva fatto notare in essi la presenza dell’area triangolare, sopraelevata lungo il margine occludente,, carattere che stabilisce più intime affinità fra gli avanzi del- l’Aquitania e quelli del miocene e del pliocene italiano. Il dimorfismo che si osserva in questa piastra fra le forme adulte e quelle giovanili lo si riscontra anche negli esemplari che di S. magnum si raccolgono nel miocene dei Colli di To- rino e di Baldissero, come pure nel pliocene di Toscana (Orciano). Gli avanzi di tergo riferiti a S. burdigalensis e che si rac- colgono nella valle del Rodano a Les Angles hanno evidenti analogie con quelle dell'Aquitania; nella prima località però siccome le dimensioni sono maggiori la forma è sempre qua- drangolare e gli esemplari richiamano maggiormente quelli del Langhiano d’Italia (Acqui, Terzo, ecc.). Nella collezione de Bellerade esiste però un grosso esem- plare di questa piastra proveniente dal Burdigagliano superiore di Saucats (Saint Pourquey) il quale corrisponde appieno a quelli della Valle del Rodano e delle Langhe. In ultimo devo ancora rammentare come la forma degli esem- (1) SioneLni V., Il monte della Verna ed i suoi fossili, Boll. Soc. Geol. Ital., vol. II, 1883, pag. 272, tav. VI, fig. 16-17. ch Wan CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 265: plari tipici di questa piastra data dal Darwin per lo S. magnum sia precisamente identica a quella data dal Des-Moulins per il suo S. burdigalensis. Carena. — Le carene che si raccolgono nell’Aquitania a Salles sono di dimensioni assai meno sviluppate di quelle di Les Angles, ma hanno forma costante, ossia presentano pochis- sime differenziazioni nei vari esemplari. In esse l’umbone è posto ad una distanza, a partire dal- l’apice, uguale ad un terzo della lunghezza della piastra e la cur- vatura, in generale, non è molto accentuata. Negli esemplari invece figurati dal Des-Moulins (tav. I e II, pag. 147, fig. 10, 1c) la piastra oltre ad essere più larga e robusta nella regione umbonale è assai più arcuata e quindi più affine a quella del Darwin (tav. I, fig. 10). Sembrerebbe quindi, come ho già osservato altrove, che ia curvatura si ac- centui maggiormente col crescere di età degli individui. Le ca- rene di Salles sono perfettamente identiche, anche per lo svi- luppo, a quelle mioceniche di S. magnunr che si raccolgono nei Colli di Torino, a Sciolze, a Baldissero, ecc. come pure a quelle del Modenese illustrate dal Seguenza (tav. VI, fig. 13 a, 130) sotto il nome di S. molinianum ed hanno strettissima affinità con quelle della molassa di Belpberge illustrate dal Tièche sotto il nome di S. Studeri. Gli esemplari di questa piastra che si raccolgono nel pliocene dell’Astigiano e della Toscana (Orciano) hanno la stessa forma e la stessa ornamentazione di quelli della regione francese, testè citati. Quelli di Les Angles corrispondono assai bene per la foma e per la curvatura agli esemplari di Salles. Le carene sono piastre assai abbondanti nelle formazioni di Salles; il sig. de Bellerade me ne ha comunicato una ses- santina. Lato superiore. — Anche questa piastra ha in generale nel- l’Aquitania piccole dimensioni. Negli individui giovani predo- mina la forma subpentagonale e la striatura radiante, come si scorge nelle figure date dal Des-Moulins (tav. I e II, e pag. 147, fig. 4a, 4b, 4c, 40), ma negli individui adulti la forma è va- riabilissima, subrotonda più o meno allungata, od elittica, colla superficie liscia. Negli esemplari giovanili la forma del lato superiore corri- 266 G. DE ALESSANDRI sponde quindi perfettamente a quella della piastra omologa dello S. magnum figurato dal Darwin tav. I, fig. le. Gli avanzi che di tale piastra si raccolgono nella Valle del Rodano sono più costati in guisa che la loro superficie ha una fitta ornamentazione radiale e periferica; questi avanzi hanno quindi maggiori analogie con i lati superiori di S. magnum che si raccolgono nel miocene di Torino. L’umbone negli avanzi di Salles e di Les Angles è sempre A subcentrale; talora è assai eccentrico. Lato carenale. — Questa piastra è nello S. magnum variabi lissima; anche negli esemplari dell'Aquitania la sua forma è assai varia, talora tozza e ristretta, talora sottile ed allungata. La superficie esterna è liscia, solo in qualche raro esemplare adulto essa presenta leggiere tracce di costole longitudinali, radianti dall’umbone. Gli esemplari di Salles corrispondono appieno a quelli di S. magnum figurati dal Darwin (tav. I, fig. 1, 1, m, n.) ed a quelle del pliocene toscano da me figurati nel mio studio del 1895 (tav. I, fig. 472, 4”), come anche a quelli del pliocene del Messinese illustrati dl Seguenza (tav. VI, fig. 8, 8a) e ri. feriti a S. magnum. i Gli esemplari di questa piastra che si raccolgono a Les Angles ‘sono più tozzi, più irregolari nel margine libero ed hanno co- stole radianti dall’umbone. Essi corrispondono a quelli del mio- cene dei Colli di Torino, e delle Langhe. Il lato carenale essendo la piastra più resistente per la sua no- tevole robustezza è la più numerosa fra quelle che mi furono co- comunicate dal sig. de Bellerade (circa un’ottantina di esemplari). Lato rostrale. — Questa piastra, come tutte le altre che del ge- nere Scalpellum si rinvengono nell’Aquitania, ha piccole dimen- ‘sioni ed ha la superficie liscia, senza linee radianti o longitudi- nali, quantunque quelle di accrescimento sieno ben spiccate e distinte. La sua forma è identica a quella delle omologhe di S. ma- gnum figurate dal Darwin (tav. I, fig. 1, g, 4, 7, k); sembra però un po’ meno arcuata. Gli esemplari che di questa piastra si raccolgono a Les An- gles sono un po’ costati ; invece quelli dei Colli di Torino sono più espansi nella regione libera, ed un pò più tozzi, come si os- serva nella figura che io ho dato nel 1895 (tav. I, fig. 4 p, 4 4 4 7) ed in quelle più recenti del 1906 (tav. I, fig. 34 a, 34 0). CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 267 Lato inframedio. — Gli esemplari che di questa piastra mi furono comunicati dal sig. Bial corrispondono per bene alle figure date dal Des-Moulins (tav. I, e II, e pag. 147, figure 7a, 7 b, 7c, 7d) e presentano la superficie liscia, priva di linee radianti. Darwin non ha figurato dello S. magnuni questa piastra, ne io, nè il Seguenza abbiamo avuto esemplari di essa, prove nienti da altre località. Da quanto ho finora esposto risulta: primo, che le piastre riferite dal Des-Moulins alla nuova specie S. burdigalensis non furono da lui per bene descritte ed illustrate; secondo, che esse, pur presentando leggere caratteristiche dovute probabilmente, all'ambiente di sedimentazione ove vissero gli avanzi fossili presentano una perfetta corrispondenza con quelle rinvenute in altri giacimenti ed in altre località e ritenute appartenenti a S. magnum. Terzo, che nessuna di queste piastre presenta mo- dificazioni costanti e profonde in modo da poterle considerare come caratteristiche di una nuova specie. Come ho già fatto rilevare in altri miei studi, qui siamo di fronte ad un complesso di formazioni cuticulari che presentano singolarmente differenze e variazioni, ma nel loro assieme non hanno peculiarità da ritenerle distinte da quelle pure grande- mente variabili delle altre regioni. Bisognerebbe per ciascuna di queste mutazioni creare una nuova specie od una nuova varietà intralciando e complicando la loro sistematica e senza facili- tare il loro studio morfologico e filogenetico. Io essendo contrario a queste complicazioni ho preferito considerarle tutte come mutazioni locali di una specie grande- mente polimorfa, e diffusa nel tempo e nello spazio. Lo S. magnum è così una specie abbastanza comune nel terziario della Francia; nell’Aquitania oltre che a Salles ed a Saucats lo si rinviene nel Burdigaliano inferiore di Les Eyquems presso Merignac (Gironde) ed in quello medio di Léognan (Co- quillat). Avanzi di queste località mi furono comunicati dal si- gnor de Bellerade. Nella collezione Cossmann si conserva di questa specie un piccolo scudo ed una piccola carena provenienti dal Suesso- niano di Liancourt (Oise). Lo scudo essendo di un individuo giovane non presenta presso all’umbone la grossa costola parallela al margine basale, nè la strozzatura allungata nella regione sopra umbonale che 17 268 G. DE ALESSANDRI è caratteristica di questa specie, ma corrisponde perfettamente ai piccoli esemplari di S. m.a9gnwn raccolti in Italia nel miocene di Baldissero, presso Torino. Il Fontannes cita lo S. burdigalensis nelle marne a Pecten Bedanti e nelle marne a Cer'ithium vulgatum dell’ Haut Comtat Venaissin, come anche nelle sabbie e marne a Cardita Jowan- neti (Tortoniano) del bacino di Visan e nelle marne ad Ancillaria glandiformis della regione Delphino-Provencal. Io ritengo che tutti questi esemplari si debbano riferire a S. magnum. Lepas burdigalensis D'Orb. (1). Tav ENG tale UES: 1852. Anatifa burdigalensis D’ORBIGNY A., Traité Element. de Paléon- tologie. Tom. I, pag. 254. 1886. Lepas acquitanica FiscHER P., Sur deux espèces de Lepas fossiles du miocene des env. de Bordeaux. Actes de la Soc. Linnéenne de Bordeaux, Vol. XL, Série TV,-Tom..X; pag. 190;Tav. IV, digondet Fra le Lepas fossili conosciute e descritte questa è quella che ha caratteri peculiari più distinti e spiccati. Essa non ha caratteri comuni con nessuna forma fossile nè tantomeno con quelle viventi; ha qualche lontana analogia colla L. anserrifera L., che è comune nelle coste occidentali della Francia e nel Mediterraneo. Come ha già osservato il Fischer dalla L. anserifera dit- ferisce per lo scudo che è più convesso, ed ha i margini più arcuati e più irregolari e per la lamina interna ricurva presso il margine basale. Differisce pure per la carena più tozza e più assottigliata nelle pareti. e nelle infrapareti. Questa specie sembra propria del Burdigaliano della Gi- ronda. Un conservatissimo esemplare di tergo spettante a L. bur- digalensis si trova nella collezione Cossmann, e fu raccolto dal sig. Benoist a Saucats (Pont-Pourquey). Le sue dimensioni sono alquanto più limitate di quelle dei terghi di dimensioni normali spettanti a L. anserifera L. (1) Per la sinonimia di questa specie vedi nota a pag. 262 (14). CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 269 Delle Lepas fossili si descrisse un numero assai grande di specie, fondate generalmente sopra qualche piastra che nel più gran numero di casi è lo scudo. Queste specie naturalmente sono assai incerte e solo quando si saranno rinvenuti numerosi avanzi di esse e constatato la costanza dei loro caratteri si potranno accettare definitivamente. Per ora la loro determinazione ha carattere di provvisorietà. Lepas Orbignyi Des Moul. ?. Lepas Orbignyi DES-MOULINS (manoscritto). 1886. * x FiscHER P., Sur deux espéces de Lepas fossiles du miocène des env. de Bordeaux. Actes de la Soc. Linnéenne de Bordeaux, Vol. XL, Série IV, Tom. Ro pac. 191 Day. IV, io8. Nella collezione del sig. Bial de Bellerade esiste un conser- vatissimo scudo assai distinto per i suoi caratteri dagli scudi della L. burdigalensis d'Orb. e che corrisponde per bene a quelli raccolti dal Des-Moulins e descritti dal Fischer sotto il nome di L. Orbignyi. Questa piastra ha la forma subtriangolare, ha il mar- gine di chiusura leggermente arcato, quello tergo-laterale di- ritto nella parte apicale, assai ricurvo in quella basale, ed infine il margine basale quasi diritto, un po’ curvo ed uncinato in vicinanza all’umbone. La superficie della piastra è solcata da finissime linee di accrescimento parallele al margine tergo-laterale e che s’inflet- tono sopra una costola o carena diritta che corre dall’umbone all’angolo apicale, ad una distanza dal margine occludente uguale pressapoco ad !/ della lunghezza del margine basale. Interna- mente la piastra è concava e cava in tutta la superficie; presso al margine basale si osserva un piccolo cordone a lunetta che si estende lungo il margine basale e superiormente ad esso. Questo cordone si osserva altresì nella vivente L. anatifera L., specie che indubbiamente ha grandi affinità colla specie del Des-Moulins. Il Fischer dubitava fortemente che L. Orbignyi dovesse considerarsi come specie non distinta, e ritenersi come la forma fossile della vivente L. anserifera L. che vive sulle coste dell’Africa e nel Mediterraneo. A me sembra che la specie fossile si distingua abbastanza dalla vivente per la superficie 270 G. DE ALESSANDRI liscia delle sue piastre e per i caratteri della superficie interna dello scudo. Come ho gia detto nel mio recente studio sui Cirripedi d’Italia (1906 op. cit., pag. 271) la L. Orbignyi ha strettissime affinità colla L. Rovasendai De Al., specie che si rinviene in Italia, nel- l’Oligocene di Acqui e nell’Elveziano dei Colli di Torino. Ne sembra distinta per il cordone a lunetta nella superficie interna dello scudo e per la carena fortemente ricurva. Probabilmente queste due specie allorchè saranno maggior- mente conosciute nelle loro piastre si dovranno fondere assieme. Gli esemplari di L. Orbignyi raccolti dal Des-Moulins e de- scritti dal Fischer provengono dai /a/uns di Pont-Pourgquey presso Saucats (Gironde), quelli del sig. Bial furono rinvenuti nell’Aqui- taniano superiore di Leognan (Le Thyl). Balanus tintinnabulum L. sp. Tav. IX, fig. 14-18, 1767. Lepas tintinnabulum LINNEO, Systema naturae. Tom. I, pars VI, pag. 3208. 1785. Balanus tulipa BRUGUIERE, Enciclop. meth. 1818. 5, tintinnabulum et D'Orbigny CHeNU, Illustrat. Conchi- gliolog. Tom. VI, Tav. VI, fig. 10, non Tav..1V, fig. 13. 1818. = crassus SOWERBY J., Min. Conchiol. Tav. 84. 1855. Fp lintinnabulum DARWIN C., Fossil Balanidae and Ver- rucidae. Palaeonthographical Society, Vol. IX, pag. 18, Tav. I, fig. L'a-ld 1875. n A Fiscuer P. et TouRNOUER R. in GAUDRY A., Animax fossil. du Mont Léberon (Vau- cluse). Paris, pag. 117. 1877. a : FONTANNES F., Les lerrains tertiair. sup. du Haut Comtat. Venaissin, ecc. Annal. Soc. Agricult. Hist. Nat. ecc. de Lyon, Série IV, Tom. IX, pag. 0599, 603 06re 623, 627, 629, 645, 651, 654. sp SI LOCARD A., Descripl. de la faune de la molasse marine el d'eau douce du Lyon- nais el du Dauphiné Arch. du Muséum d’Hist. Nat. de Lyon, Tom. II, pag. 8. 1880. . i, FONTANNES F., Les terrains tertiair. du Bassin de Visan id. id., Série V, Tom. I, pag. 40, 51, 60. CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA ide 1889. Balanus linlinnabulum GOURRET P., Etude geolog. du tertiaire mar. de Carry et de Sausset. Bull. Soc. Géol. de France, Série III, Tom. XVII, pag. 84 e 89. 1892. S "i GOURRET P., La faune tert. de Carry, de Saussel. et de Couronne. Bull. de la Soc. Belge de Géol., de Paléont. et d’Hydrol. Mémoire, Tom. XV, pag. 88. 1896. f 5 RoMAN M., Note sur le bassin miocéne de Sommiéres (Gard.). Bull. Soc. Géol. de France, Serie III, Tom. XXIV, p. (72. 1897. a » RoMAN M., Recherch. stratig. et paleont. dans la Bas.-Languedoc, Annal. de l’U- niversité. de Lyon. Paris, pag. 215. Il B. tintinnabuluini è la specie più tipicamente francese e rappresenta in Francia il B. concavus dell’Italia. Esso però, allo stato fossile, non è come il B. concavus così polimorto. Gli esemplari più tipici di B. lintinnabulum sono quelli che provengono dal miocene medio di Bossée (collez. Cossmann), di Mauthelan (Indre et Loire) e di Mirebeau (Raulii-Pochard) della collez. Dollfus. Tutti questi esemplari hanno pareti grosse, robuste, untuose al tatto (donde il nome di 2. crassus dei paleontologi francesi); hanno apertura intera, larga, subromboidale, cogli angoli assai arrotondati, ma leggermente acuminata verso il compartimento carenale. I compartimenti hanno colorazione gialliccia, od azzurro- cupa, hanno grosse pieghe trasversali e pliche festonate, longitu- dinali; i radii hanno il margine superiore parallelo alla base, si estendono da un compartimento all’altro, sono larghi, non molto depressi sul piano dei compartimenti, e presentano oltre alle linee transverse di accrescimento, costoline longitudinali un po’ irregolari. Invece altri esemplari, pure del miocene medio, ma di Saint Saternien, presso Angers, e di Saint Gregoire, presso Rennes, della collezione Dollfus hanno generalmente pareti sottili, apertura tipicamente subpentagonale, assai acuminata, colorazione roseo- porporina, filettata da striscie bianche nei compartimenti e roseo- carnicina nei radii. Questi ultimi sono larghi, hanno qualche piega transversa, ed il margine superiore parallelo alla base, mentre le 272 G. DE ALESSANDRI ali sono appena percettibili, ed hanno il margine leggermente obliquo. Questi esemplari presentano grandi analogie cogli esem- plari di B. tintinnabulun del pliocene dell’Italia meridionale e possono facilmente con essi confondersi. Nella collezione Dollfuss, provenienti da Mirebeau (Raulii- Pochard), si trovano numerosi scudi colla superficie esterna tipicamente solcata da costole di accrescimento trasversali che sono spiccate a guisa di lamelle. Nella superficie interna il rialzo articolare è lungo, diritto, sporgente ; la cavità del muscolo ad- duttore larga, poco spiccata, leggermente striata nella parte in- feriore, presso il margine basale. Nella superficie interna si osservano lungo il margine , di chiusura pieghe dovute a risvolto delle costole che si trovano nella superficie esterna, e che spiccano a guisa di cordone la- terale al margine stesso. Riferisco pure con qualche dubbio a 2. tintinnabulum, un grosso esemplare di forma globosa, un po’ ricurva, coll’apertura intiera, largo-romboidale, cogli angoli arrotondati proveniente dal Messiniano di Chabrière (Vaucluse), facente parte della col- lezione Cossmann. Per i radii larghi, aventi il margine superiore parallelo alla base e striati transversalmente, come anche per gli altri caratteri summentovati esso ha grandi analogie colla specie linneana, mentre la sua forma ed i compartimenti solcati longitudinalmente da strie fitte ed equidistanti, manifestano af- finità con qualche esemplare di B. concavus del pliocene ita- liano. Nella collezione Bial de Bellerade si trovano numerosi avanzi di Balani di ottima conservazione raccolti nell’Aquitania, i quali hanno la conchiglia cilindracea, ricurva, apertura subqua- drangolare, assai divaricata e dentata, lievemente ristretta verso il compartimento carenale, compartimenti lisci, radii larghi col margine obliquo alla base e la guaina liscia o lievemente solcata da strie finissime. Assieme a queste conchiglie si raccolsero numerosi scudi e terghi; i primi hanno la superficie esterna solcata da solchi longitudinali e da lamelle assai spiccate, parallele al margine basale; essi nella superficie interna presentano il rialzo artico- lare diritto e prominente ed il rialzo aduttore curvo, spiccato e robusto ; la cavità adduttrice è larga e non bene circoscritta. I terghi hanno la superficie esterna solcata da qualche linea CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 273 radiante e la scanellatura longitudinale stretta, leggermente espansa verso l’apice dello sperone. Quest'ultimo è fino, un po’ ricurvo e lungo. Il margine carenale è assai curvo, quello scu- tale è diritto, ad eccezione del tratto presso all’apice che è ricurvo, in modo che tutta la piastra è piegata a becco. Internamente essi presentano il rialzo articolare assai curvo e spiccato e le creste del muscolo depressore molto evidenti ed in numero da cinque a sei. Per il complesso dei caratteri summentovati e sopratutto per la obliquità dei radii nella conchiglia, per la superficie esterna degli scudi e dei terghi io fui lungamente dubbioso se ascrivere questi esemplari a PB. concavus od a B. linlinnabulum. Io mi sono deciso a riferirli a quest’ultima specie per le seguenti considerazioni : Primo: perchè nelle conchiglie i radii sono assai più larghi e sviluppati di quello che usualmente si osservi nelle conchiglie. del B. concavus, e per di più essi presentano gli orli dei margini liberi (e coi quali si saldano ai compartimenti laterali) con la crenulatura caratteristica del B. tintinnabulum, crenulatura che si osserva assai bene nell’esemplare figurato da Darwin (op. cit., taw, I, ‘fig. 16). Secondo : l’ornamentazione clatrata degli scudi è assai meno protonda di quella degli esemplari di B. concavus che si raccol- gono nel miocene di Torino, località ove gli esemplari presen- tano i solchi longitudinali pochissimo spiccati, rispetto agli altri del pliocene. Terzo: questi scudi che presentano la superficie clatrata fu- rono raccolti a Saucats ed a Léognan (Coquillat), altri invece rin- venuti a Léognan (Le Thyl) e che corrispondono perfettamente per gli altri caratteri ai primi hanno la superficie esterna priva di solchi longitudinali e quindi corrispondono indubbiamente a . quelli di B. tintinnabulum. Sembra quinai che questo carattere non abbia una costanza assoluta, inoltre negli esemplari viventi illustrati dal Darwin alcune varietà presentano i solchi longitudinali. Quarto : infine perchè nei terghi lo sperone in proporzione colla rimanente parte della piastra è assai più sottile e più esile di quelli degli esemplari di B. concavus che si rinvengono nel miocene e nel pliocene d’Italia, e la sua radice è verso la metà della piastra, mentre nella specie del Bronn è assai più in basso. 274 G. DE ALESSANDRI Questi esemplari provengono in parte dall’ Aquitaniano su- periore di Saucats (Lariey) e da quello di Léognan (Le Thil), ed in parte dal Burdigaliano medio di Saucats (Moulin de Lagus) e di Leognan (Coquillat). Io ho raffigurato uno scudo ed un tergo di Saucats (Lariey) a tav. IX, fig. 17 e 18. Un bellissimo gruppo di grandi dimensioni colle pareti, coi radii, colle ali tipicamente forate, di forma conico-prismatica coll’apertura larga, subquadrata, coi radii che si estendono da un compartimento all’altro, mi fu recentemente comunicato dal signor Chantegrain. Esso corrisponde quasi perfettamente agli esemplari di 2. tintinnabulum che si raccolgono nell’Aquitaniano e nell’Elve- ziano dei Colli di Torino e fra tutte le varietà che di questa specie ha stabilito Darwin, esso si avvicina maggiormente alla var. occator, però la superficie dei suoi compartimenti è liscia, non così irregolarmente solcata e costata. Questo gruppo fu raccolto nell’Aquitaniano di Lariey (Gi- ronde). Altri esemplari più piccoli della stessa specie, ma meno ti- pici e di forma globulare mi furono comunicati dallo stesso si- gnor Chantegrain, il quale li raccolse nel Burdigaliano di Langlin (Gironde). Nel R. Museo Geologico dell’Università di Torino si trova un esemplare di medie dimensioni, di colorazione bianco-lapidea, apertura subtrigona, radii larghi, e col margine dei medesimi parallelo alla base, che io ho riferito a questa specie. Esso pro- viene dal Burdigaliano di Les Angles, ove lo ha raccolto il si- gnor Casimir Chatelet. I signori Fischer e Tournouér citano il B. lintinnabulum ner miocene del Monte Léberon (Vaucluse). I] Fontannes lo rinvenne abbondante negli strati a Congerie, nella molassa a Sculella paulensis, nelle sabbie a Terebratulina - calathricus, nelle marne a Pecten Bedanti, nelle marne a Ceri- tnium vulgatum, nel Messiniano dell’Haut Comtat Venaissin e nella molassa a Sculella paulensis, nelle sabbie e nei grés ad Ostrea crassissima e nelle sabbie e nei grés a Pecten Celestinii del Bacino di Visan. Il Locard lo raccolse nel Jardin des Plantes de Lyon, presso les balmes di Saint Fons (Rhone) e di Fyrin (Isère). Il Gourret rinvenne questa specie nell’Elveziano presso Sausset, Carry e CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 275 presso il Grand Vallat, come pure nel Tortoniano di Tanaris; il Roman nell’Elveziano di Mus ed Aiguevives nel parco d’Is- sanca, e presso lo stagno Than (Basse Languedoc). Balanus Dollfusii n. sp. ? Tav. IX, fig. 19-20. Nelle collezioni Dollfus, Cossmann, ed in quella del Museo di Storia Naturale della citta di Nantes si trovano numerosi scudi di grosse dimensioni e di buona conservazione apparte- nenti al gen. Bal/anus, scudi che furono raccolti assieme a molte piastre compartimentali di conchiglie disciolte. I medesimi hanno forma alquanto irregolare e la superficie esterna longitudinalmente inflessa lungo una linea che dall’apice si spinge alla metà del margine basale. Le linee di accresci- mento sono rappresentate da lamelle un po’ irregolari e paral- lele al margine basale; queste lamelle sono longitudinalmente crenulate, ma le linee di crenulazione non passano dall’una all'altra. Il margine basale è molto irregolare e forma una piega- tura ad angolo ottuso nel punto di incontro colla linea me- diana, longitudinale. Internamente il rialzo articolare è lungo, diritto; quello ad- duttore, assai prossimo al primo, è pure lungo e sinuoso. La ca- vità del muscolo adduttore è larga, poco spiccata; quella del muscolo laterale, depressore è larga e profonda. Assieme a queste piastre opercolari si rinvennero, come dissi, piastre compartimentali disgiunte, che io credo si possano riferire alla stessa specie. Queste piastre compartimentali sono sottili, solcate longitu- dinalmente da costole bianche, tondeggianti, regolari e promi- nenti; esse sono equidistanti e sparse su tutta la superficie. Queste linee sono intersecate da lamelle di accrescimento che in parecchi esemplari sono numerose, regolari, rendendo la superficie crenulata in modo che essa rammenta l’ornamentazione delle alette dei pettini. I radii sono larghi, hanno il margine superiore quasi paral- lelo alla base e leggiere striscie di accrescimento parallele al margine superiore stesso. I margini laterali, coi quali i com- partimenti, o: meglio i radii si saldano gli uni agli altri, sono crenulati. 276 G. DE ALESSANDRI Internamente la guaina è liscia; i compartimenti nella loro parte inferiore, presso alla base, presentano costole a guisa di lamelle assai numerose. In alcuni esemplari, tanto sui compartimenti quarto sui radii, si scorgono pori abbastanza numerosi. Le piastre compartimentali testè descritte hanno senza dubbio nella porosità delle pareti e dei radii, nella crenatura laterale dei margini, nello sviluppo dei radii, nell’ornamentazione esterna, grandi affinità colle omologhe del B. tintinnabuluni. Da esse mi sembrano differire per la forma, per la disposi- zione e per lo sviluppo nella superfice interna delle creste addut- trici ed articolari. Forse, allorchè si conosceranno numerosi esemplari completi, questa specie potrà identificarsi o meglio costituire una varietà del polimorfo B. tintinnabulum; ma certamente sia nello svi- luppo, sia nella costituzione delle piastre, sia nell'aspetto gene- rale, gli avanzi or ora descritti sono ben diversi da quelli più conosciuti della specie darviniana e che si raccolgono abbondanti in Turenna ed in altre regioni della Francia. La forma dello scudo presenta grandi affinità con quella del B. psittacus Molina, specie vivente nelle coste meridionali del- l'America del Sud, e conseguentemente ha anche delle analogie con quella del B. nigrescens Lamarck, che col B. psittacus ha grandi rassomiglianze. Differisce però per l'apice generalmente più acuminato e un po’ curvo verso il margine tergale, per uno sviluppo mag- giore e per una maggiore depressione della cavità del muscolo laterale, depressore. Gli avanzi di scudo rinvenuti sono numerosi ed alquanto variabili sia nella forma, come nello sviluppo e nelle dimensioni dei rialzi articolari. Taluni esemplari, di piccole dimensioni, si accostano mag- giormente degli altri agli scudi del B. psittacus, dai quali però sempre ne differiscono per i caratteri della superficie interna. Nessun avanzo di tergo tu rinvenuto assieme a questi scudi. Gli esemplari descritti provengono dal miocene superiore della Loira inferiore (Pigéon-Blanc) e della Manche (Saint George de Bohon), dal miocene medio di Picauville (Manche), e di Cail- laud (Vendée). Io ho distinto provvisoriamente questi avanzi col nome del ¢ CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA AC sig. G. Dollfus, al quale sono grato per avermi comunicato, as- sieme agli altri Cirripedi, numercsi esemplari di questo balano, che ritengo con probabilità specie nuova, ma non completamente conosciuta. Balanus spongicola Brown Tav: DG fig. 22. 1827. Balanus spongicola Brown’s, Illustrat. of the conchiolog. of Great. Britain. Tav. 7, fig. 6-7, 2° ediz, 1844, Tav. 53, fig. 14-16. 1855. 5 Si DARWIN C., Fossil Balanidae and Verru- cidae. Palaeonthograpical Society, Vol. IX, pag. 16, tav. I, fig: 3a3c. 1875-76. ne I SEGUENZA G., Ricerche paleontolog. int. ai Cirripedi terz. della Prov di Messina. Atti Accad. Pontoniana. Napoli, Vol. X, Parte I, pag. 24, Tav..I,fig. 3; Parte JI, pag. 74-75, Tav. IX, fig. 5-17. 1895. 5 Di DE-ALESSANDRI G., Contrib. allo studio d. Cirripedi fossili d'Italia. Boll. Soc. Geol. Ital., Vol XIII, pag. 41, Tav. II, fig. 6a-6d. 1906. er Be DE-ALESSANDRI G., Studi Monograf. sui Cirripedi fossili d'Italia. Palaeonthogra- phia Italica, Vol. XIII, pag. 290, tav. XVI, fig. 6-13. Questa specie sembra rara nel terziario della Francia. Gli esemplari più caratteristici consistono in alcuni scudi che si trovano nella collezione Dollfus, provenienti dal pliocene di Gourbesville (Manche). Tali scudi, di piccole dimensioni, hanno la superfice un po’ ricurva all'apice ed un’ornamentazione a linee longitudinali che intersecano le costole di accrescimento. Internamente la cresta del muscolo adduttore è abbastanza pro- minente, diritta e quasi parallela al rialzo articolare. La cavità del muscolo adduttore non è spiccata e poco circoscritta; l’apice presenta cordoni appianati che si prolungano ai margini laterali e di chiusura. Questi esemplari hanno grandissime affinità con quelli del coralline-crag di Sutton illustrati dal Darwin, ma sono abbastanza differenti da quelli del pliocene d’Italia figurati dal Seguenza e da me. 278 G. DE ALESSANDRI Ascrivo dubitativamente a questa specie qualche esemplare della collezione Dollfus del miocene medio di Mirebeau (Raulii- Pochard) i quali hanno la conchiglia sottile, l'apertura molto di- varicata, acuminata verso il compartimento carenale, ed i radii obliqui, colla guaina solcata da strie ondulate. Un esemplare abbastanza tipico di questa specie trovasi nella collezione Cossmann, proveniente dall’Elveziano di Bolléne (Vau- cluse). Esso per la forma ricurva, caratteristica, per l'apertura ristretta, acuminata, per la colorazione bianco-rosea o carnicina corrisponde appieno agli esemplari che si rinvengono nel plio- cene d’Italia. Riferisco pure con dubbio a 2. spongicola un piccolo scudo della collezione Dollfus, proveniente dal miocene medio di Pi- cauville (Manche), che ha l’apice acuminato e la superficie esterna clatrata; internamente il rialzo adduttore non è percettibile, come pure la cavità del muscolo adduttore. Questo scudo ha grandi analogie con quelli di Gourbesville e di conseguenza con quelli dell’Astigiano, del Piacentino e dell’Italia meridionale. Assieme ad esso tu raccolta una conchiglia sottile, rosea che ritengo spettare probabilmente ad altra specie. Nessuno degli autori che io conosco cita il B. spongicola nel terziario della Francia; probabilmente gli avanzi spettanti a questa specie furcno dai paleontologi francesi in parte riferiti a B. amphitrite ed in parte a B. miser. A me sembra che forse gli esemplari figurati dal Chenu (op. cit., tav. VI, fig. 1 e 2) sotto il nome di B. miser e B. squa- matus rappresentino questa specie. Balanus perforatus Brug. Tav. IX, fig. 23-25. 1789. Balanus perforatus BRUGUIERE, Encyclop. Meth. Tav. 164, fig. 12 infra. 1854. ss " DARWIN C., A monograph on the sub- class Cirripedia. Ray Society, pag. 231, Tav. IV, fig. 3a-3c. 1875-76. i ; SEGUENZA G., Ricerche paleontolog. int. ai Cirripedi terz. della Prov. di Mes- sina. Atti Accad. Pontoniana, Napoli, Vol. X, Parte I, pag. 28, Tay: 3: fig. 2-2 a. Parte II, pag. 77, Tav. IX, io. 18-22. (2° (ei w CIRRIPED] FO=SILI DELLA FRANCIA 279 1877. Balanus perforalus LocAarRD A., Descript. de la faune des ter- rains lertiair. moy. et sup. de la Corse. Annal. Soc. Agricult. Hist. Nat. ecc. de Lyon, Série IV, Tom. IX, pag. 22. 1889. Fe È GOURRET P., Elude géolog. du lertiaire mar. de Carry et de Sausset. Bull. Soc. Géol. d. France, Série III, Tom. XVII, pag. 89. 1392. 5 ‘ GouRRET P., La faune tert. marin. de Carry, de Saussel et de Couronne. Bull. de la Soc. Belge de Géol., de Paléont., et d’Hydrol. Mémoire, Tom. IV, pag. 88. Questa specie è piuttosto rara nel terziario della Francia. Un esemplare di piccole dimensioni, ma di forma abbastanza tipica, trovasi nella collezione Peyrot di Bordeaux e proviene da Louans presso Tours (/4/uns di Turenna, Elveziano interiore); esso corrisponde alla varietà angustus Gmel. La sua conchiglia è conica, ha l’apertura intera, abbastanza ristretta, però con di- mensioni un po’ superiori a quelle abituali della stessa varietà. I compartimenti sono tipicamente costati e scanellati; e cio deriva dalla facile degradazione che la lamina esterna di questa specie presenta agli agenti atmosferici e marini. I radii sono im- percettibili e ridotti a semplici suture; la guaina è piuttosto larga e striata da linee di accrescimento non molto fitte ed un po’ sinuose. Riferisco con qualche dubbio alla stessa specie un gruppo di balani della collezione Dollfus, i quali hanno piccole dimen- sioni, forma globulare-allungata, apertura ristretta, intera, ovale o subquadrangolare, acuminata verso il compartimento care- nale. Essi hanno i radii abbastanza sviluppati, col margine su- periore parallelo alla base, e la guaina solcata da strie poco nu- merose ed ondulate. La forma generale di questi esemplari e le loro dimensioni ricordano alcuni gruppi del pliocene italiano che si raccolgono a Corneto, presso Civitavecchia. Questi esem- plari provengono dal miocene medio da Mirebeau (Raulii-Po- chard). Assieme a questi avanzi si sono pure raccolti alcuni scudi, che hanno l’apice acuminato e ricurvo, e la superficie esterna solcata da costoline parallele al margine basale. Essi non hanno solchi longitudinali, e presentano nella superficie interna una 280 G. DE ALESSANDRI piccola cresta, assai sporgente, al disotto della prominenza del muscolo adduttore. Questi scudi corrispondono per bene a quelli fossili della Si- cilia, illustrati dal Seguenza (op. cit., parte II, tav. IX, fig. 20, 20 a), ma sono un po’ diversi da quelli illustrati dal Darwin (tav. IV, fig. 3a). Essi per la superficie esterna e per la grande promi- nenza adduttrice corrispondono pure a quelli dell’Astigiano che io ho recentemente illustrato (1906, op. cit., pag. 294, tav. XVI, fig. 19). Un bellissimo scudo di questa specie, che corrisponde per- fettamente a quelli tipici dell’Astigiano, trovasi nella collezione Dollfus, e proviene dal miocene medio di Noellet (dintorni di Rennes). Esso ha la superficie esterna con costole un po’ curve e presenta nella superficie interna il rialzo adduttore prominente, curvo e caratteristico. Un altro della stessa collezione proviene dal pliocene di Gourbesville (Manche). A me sembra che probabilmente il B. cylindraceus figurato dal Chenu, (op. cit., tav. V, fig. 2), rappresenti questa specie. Alcuni esemplari fossili del pliocene dell’Astigiano, che si con- servano nel R. Museo Geologico di Torino, e che per la forma ed ornamentazione delle piastre operculari ho riferito a B. per- /oratus, corrispondono perfettamente ad esso. Il Locard cita il B. per/oratus nel miocene medio di Boni- facio ed alla punta di Crovo (Corsica): il Gourret nel Tortoniano di Sausset rinvenne di questa specie la var. angustus. Balanus concavus Bronn Tav. IX, fig. 26-27. 1831. Balanus concavus Bronn, Italiens Tertidr-Gebilde, pag. 127. 18384 i, * Bronn, Lethaea Geognostica, b. II, S. 1155, Tav. XXXVI, fig. 12. 1818. x sulcatus, miser, pustularis LAMARCK J. B., Histoire natu- relle des animaux sans vertebres. Tom. V, pag. 370, 392, 396. 181860, PI B. roseus fossile CHENU J. C, Illustrat. con- chygliolog. Tom. IV, Tav. II, fig. 10 e 12, AI). SB concavus DARWIN C., Fossil Balanidae and Verrucidae. Paleonthographical Society, Vol. IX, pag. 17, Tav. I, fig. 4.a-4.p. j CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 281 1877. Balanus sulcatus FONTANNES F., Les terrains tertiair. sup. du Haut Comtat Venaissin, ecc. Annal. Soc. Agri- cult. Hist. Nat. ecc. de Lyon, Série IV, Tom. IX, pag. 593 e 603. 1889. = concavus GOURRET P., Elude geolog. du. tertiaire. mar. de Carry et de Sausset. Bull. Soc. Géol. d. France, Série III, Tom. XVII, pag. 89. 1892. fi 7 GouRRET P., La faune tert. marin. de Carry, de Sausset et de Couronne. Bull. de la Soc. Belge de Géol., de Paléont., et d’Hydrol. Mé- moire, Tom. IV, pag. 88. TA DOUXAMI A., Etudes sur les terrains du Dau- phiné, de la Savoie et de la Suisse Occident. Annal. de l’Universitè de Lyon, Tom. XXVII, pag. 260. 1905. pi mi DEPERET CH. et Cazior M., Gisements pliocènes et quaternaires marins des environs de Nice. Bull. Soc. Géol. d. France, Série IV, Tom. III, pag. 328. Il B. concavus è abbastanza raro fra i Cirripedi fossili della Francia, però non manca in essa. Nella collezione dell’ing. Cossmann si conservano alcuni esem- plari tipici di questa specie, provenienti dal Burdigaliano di Sau- cats e raccolti dal sig. Benoist. a Questi esemplari paragonati con quelli del pliocene e del mio- cene d’Italia, del Portogallo e del Maryland hanno medie dimen- sioni, ma forma tipica. Essi corrispondono alla varietà che ha la conchiglia globosa, ricurva, coll’apertura largo-acuminata e dentata. I compartimenti sono sottili, hanno colorazione roseo- porporina o bluastra, sono quasi lisci o con pliche irregolari nella parte inferiore, presso alla base. I radii sono larghi, hanno il margine superiore molto obliquo alla base; le ali sono bene evidenti ed hanno il margine superiore meno obliquo dei radii. Questi balani corrispondono assai agli esemplari del pliocene subappenninico. Nella collezione Bartesago si conserva un piccolo scudo, colla superficie esterna tipicamente clatrata e colla grande cresta ad- duttrice in quella interna, che io ho riferito a questa specie. Esso proviene dal pliocene inferiore (Piacenziano) di Roquemaure nel Gard. 282 G. DE ALESSANDRI Nella coliezione Bial de Bellerade si conservano tipici esem-. plari di questa specie provenienti dall’Aquitaniano superiore di Dax (Saint Paul). Essi per la forma, e per l’ornamentazione sono perfettamente identici a quelli che si raccolgono in Italia, nel pliocene dell’Astigiano e del Piacentino. Un piccolo scudo ed una piastra compartimentale, che si tro- vano nella stessa raccolta, riferisco con qualche dubbio pure a B. concavus; essi provengono dall’Elveziano superiore di Salle- spisse presso Ortlez, ed hanno conservazione assai pessima. Il Fontannes cita il B. sulcatus (che io ritengo rappresenti questa specie) negli strati a Congerie di Mont-des-Pins e del Ca- stello di Chabrières (Haut. Comtat Venaissin) e nelle sabbie ad Ostrea cucullala della stessa regione; il Gourret annovera il B. concavus fra i fossili tortoniani dei dintorni di Canaris e di Sausset. Il Depéret ed il Caziot rinvennero il B. concavus nel Sici- liano di M. Alban fra Nizza e Villafranca. Come ho già osservato in altro mio studio (1906, op. cit. pag. 238) tale rinvenimento ha grande importanza, perchè stabi- lisce che questa specie, attualmente emigrata nei mari dell’ Ame- rica centrale e dell'Australia, visse durante il terziario fino al Si- ciliano nei mari europei, ove fu assai abbondante. Il Fourtau (') cita il B. sulcatus negli strati a Clypeaster di Clizeh (Egitto), ed il Flick et Pervinquière (?) annoverano con dubbio il B. concavus nel Piacenziano di La Thonara (Tunisia). Balanus amphitrite Darw. 1854. Balanus amphitrite DARWIN C., A monograph on the sub-class Cirripedia. Ray Society, pag. 240, Tav. V, fig. 2a-2 0. 1877. 7 3 Locarpb A., Descript. de la faune des terrains tertiaires moy. et sup. de la Corse. Ann. Soc. Agricult. Hist. Nat. ecc. de Lyon. Série IV, Tom. IX, pag. 23. 1889. a <5 GOURRET P., Etude geol. du tertaire mar. de Carry et de Sausset. Bull. Soc. Géol. d. France, Série III, Tom. XVII, pag: 89. (1) Fourrau R., Sur les sables a Clypeaster des environs des Pyramides de Clizeh. Bull. Soc. Géol. de France, 1898, série III, tom. XXI, pag. 39. (?) Fuick et PervIinquIÈRE, Sur les plages sowlevées de Monastir et de Sfax (Tunisie). Bull. Soc. Géol. de France, 1904, série IV, tom. IV, pag. 198. CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 283 1892. Balanus amphitrite var. Stutburi GOURRET P. La faune tert. marin. de Carry, de Sausset et de Couronne. Bull. de la Soc. Belge de Géol., de Pa'éont., et d’Hydrol. Mémoire, Tom. IV, pag. 80 e 89. Riferisco a questa specie alcuni esemplari della collezione Cossmann i quali hanno, in generale, buona conservazione e forma assai varia. Auzi fra essi sono rappresentate buona parte della varietà nelle quali Darwin ha suddiviso questa polimorfa specie. La var. communis, la var. pallidus, la var. Stutsburi sono quelle che si riscontrano abbondanti. La conchiglia ha quindi forma variabile, ora conico-schiac- ciata, ora cilindraceo-ricurva, ora prismoidale ed ha l’apertura quasi sempre dentata, più © meno allargata. La superficie dei compartimenti è liscia, con qualche plica traversale nella parte inferiore, e presso alla base. La colorazione è variabilissima, ge- neralmente azzurro-cupa o violacea con venature rosee o bianche. I radii sono depressi hanno colorazione più chiara dei compar- timenti e si presentano in qualche esemplare jalini; essi hanno il margine superiore assai obliquo alla base. Le ali sono pur esse bianche, hanno strie di accrescimento parallele e presentano i margini in alcuni esemplari assai obliqui alla base, in altri quasi paralleli ad essa. La guaina è striata da linee fine, spiccate, non molto nu- merose, e disposte scpra tutti i compartimenti. La base è cal- carea, con numerosi pori, Negli esemplari che di questa specie furono raccolti in Francia non mi fu dato esaminare le piastre opercolari, che altrove hanno forma assai caratteristica. Il B. amphitrite è una specie assai comune nei mari della Francia ed in genere ovunque. Fossile è invece assai rara; so- vente gli autori l’hanno contusa col B. balanoides. (Poli, Risso, Philippi, Costa, ecc.). In Italia la si rinviene nel Tortoniano della provincia di Messina e nel Pliocene dell’Astigiano. Gli esemplari che io ho esaminati provenienti dal terziario francese furono raccolti nel miocene inferiore di Saint Avit. (Bordolais) e nel Burdigaliano di Saucats. Il Locard cita il B. anphitrite nel miocene medio di Bo- 18 284 G. DE ALESSANDRI nifacio (Corsica); il Gourret rinvenne la var. Stutburi nel mio- cene delle vicinanze di Tanaris e nell’Aquitaniano e Tortoniano di Carry. Balanus crenatus Brug. Tav. IX, fig. 28-29, ( 1818. a cylindraceus var. foss. testis aggregatis (2?) LAMARCK J. B., Histoire Naturelle des animaux sans vertée=- bres. Tom. V, pag. 659. 1818. 5 fistulosus CHENU J. C., Illustrat. Conchyliolog. Tom. IV, Tav. IV, fig. 9. 1855. + crenatus DARWIN C., Fossil Balanidae and Verrucidae. Palaeonthographical Society, pag. 23, Tav. I, fig. 6-69. Allo stato vivente il B. crenatus è una delle specie che hanno una dispersione geografica più estesa e che passano dai mari tropicali a quelli artici. Allo stato fossile, fino ad ora, era. ritenuto assai raro. Lo si rinvenne nel miocene d’Italia ed in quello della Germania, nel pliocene inglese, e nel quarternario della Scandinavia, dell’Inghilterra e del Canada. Nella collezione dell’ing. Cossmann trovasi un gruppo di ba- lani che io riferisco a B. crenatus, provenienti dall’Elveziano di San Mori (Catalogna), i quali hanno dimensioni e forma per- fettamente identica a quelli viventi. (Darwin C., Monog. on sub- class. Cirripedia, Balanidae, tav. VI, fig. 6). In Francia questa specie sembra riscontrarsi, ma non di frequente nel Pliocene di Gourbesville (Manche). Nella collezione Dollfus si riscontrano alcune piastre oper- colari che io ho riferito con qualche dubbio a B. crenatus. Lo scudo è triangolare, ed ha la superficie ricurva nella parte su- periore, come appunto si osserva negli esemplari viventi ed in quelli del ved-crag figurati dal Darwin. Le linee di accresci- mento sono larghe, ma non molto prominenti, esse sono paral- lele al margine basale, che è leggermente curvo. Internamente il rialzo articolare è breve, un po’ arcuato e prominente, la cresta adduttrice non è percettibile (e questa è una caratteristica della specie); la cavità del muscolo adduttore è larga, ma non molto spiccata. CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 285 Il tergo è tozzo, uncinato all’apice, collo sperone appena segnato da una sporgenza acuminata. La scanellatura mediana è larga, poco depressa. Internamente il rialzo articolare è curvo e spiccato ed il solco articolare largo; non si riscontrano traccie di creste del muscolo depressore. La forma di queste piastre opercolari è senza dubbio tipica. Nelle sabbie gialle (pliocene superiore) di Pujault (Gard) il B. cre- natus è estremamente abbondante presentando ivi una grande variabilità di forma, di ornamentazione e di dimensioni. Come già Darwin aveva osservato, l’aspetto esterno di questa specie è variabilissimo; nel pliocene di Pujault, la conchiglia che ha generalmente la forma conica, regolare, talora diventa schiac- ciata, o cilindraceo-allungata, o tubolare-prismatica, ciò sempre in dipendenza coll’oggetto sul quale essa si posa. La superficie compartimentale che nel maggior numero di casi è regolarmente costata o plicata, talora è appena solcata da fine strie, talora è completamente liscia. L’apertura pure è più o meno regolare ed allungata a seconda che gli esemplari sono schiacciati od allungati; la guaina è solcata da finissime strie. La superficie interna dei compartimenti è costata, anzi generalmente presenta piccole lamelle, assai spiccate. La distanza nelle pareti fra le due lamine è notevole, dimodochè i compar- timenti hanno talora un grande spessore; alcuni esemplari pre- sentano per questo carattere delle analogie col gen. Telraclita. La sezione trasversale delle pareti mostra canali larghi, qua- drangolari, un po’ allungati verso la lamina interna e lamelle secondarie presso la lamina esterna. Una grande quantità di esemplari provenienti da Pujault, mi fu comunicata dal sig. Bartesago di Avignone, ed assieme anche qualche piastra opercolare. Nella stessa collezione si con- servano due scudi raccolti nel pliocene inferiore (Piacenziano) di Grotte de Roquemaure, pure nel Gard. Anche nella raccolta Bial de Bellerade si conserva un tipico esemplare di B. crenatus rinvenuto nel calcare ad Asferie (Stam- piamo) di Quinsac (Gironde). Esso ha colorazione bianca, forma conico-depressa, apertura largo-acuminata; i radii hanno il mar- gine molto obliquo alla base. Quest’esemplare non presenta a mio avviso differenza alcuna da quelli pliocenici del Gard. Come ho gia detto nel mio studio sui Cirripedi d’ Italia 286 G. DE ALESSANDRI (1906, op. cit. pag. 307) io ritengo che Lamarck parlando del B. cylindraceus var. foss. testis aggregatis che si rinviene presso Torino, intendesse parlare di questa specie, perchè essa è ap- punto quella che nei Colli torinesi presenta esemplari allungati, soventi aggregati gli uni agli altri. Ritengo pure che a 2. crenatus debba riferirsi il B. fistulosus figurato dal Chenu, ba- lano che corrisponde perfettamente a quello vivente figurato dal Darwin op. cit., tav. VI, fig. 6. Balanus bisulcatus Darw. (1). Tav. IX, fig. 30. 1855. Balanus bisulcatus DARWIN C., Fossil Balanidae and Verrucidae. : Palaeonthographical Society, Vol. IX, pag. 26, Tav. II, fig. 2a-2h. Questa spece è quasi propria dell’ Europa occidentale-supe- riore. In Francia si presenta con esemplari di pessima conser- vazione nel Bartoniano di Marines e di Le-Ruel, e con buoni esemplari nello Stampiano di Pierrefitte e nel miocene medio di Pontlevoy (collezione Cossmann). In questa località il 2. bisulcatus si raccoglie sempre a (1) Darwin mette dubitativamente in sinonimia di questa specie il B. sulcalinus Nyst. apud d’Omalius (sine discript. avi tabula). Géologie. de Belgique, 1853. Nella ollezione Dollfus ho osservato un piccolo esemplare rappresentante una piastra com- partimentale di un Cirripedo proveniente dal miocene medio del Belgio e precisa- mente da Bolderberg, il quale portava l’indicazione di B. sulcatinus Nyst. Esaminato questo avanzo a me sembra che esso per le lamelle, della superficie interna, grosse, numerose e spiccate, potrebbe forse spettare al gen. Chelonobia e rappresentare un raro avanzo di questo genere, che finora tu rinvenuto fossile unicamente in Italia. Io ho continuato a riferire, dietro l’indicazione del cartellino comunicatomi dal sig. Dollfus, questo esemplare alla specie sulcatina, ma io non sono certo di questo riferimento specifico, perchè il Nyst, del B. sulcatinum non ha dato nè descrizione, nè figura. Darwin invece dice di aver avuto in comunicazione dal Bosquet un esemplare portante l’indicazione della località precisa nella quale il Nyst aveva riscontrato la sua nuova specie e che tale esemplare consisteva in una porzione del rostro, con un pezzo di base attaccato; ora siccome queste parti sono carat- teristiche egli ritenne che l’esemplare appartenesse a B. bisulcalus. Non è certa- mente possibile mettere in dubbio la determinazione del Darwin, ma d’altra parte osservo, che tanto il Bosquet, comunicando il presunto avanzo di B. sulcatinum Nyst al Darwin, quanto il Dollfus nel comunicarlo a me possono avere raccolto esemplari differenti da quelli del Nyst e quindi fino a che non siano illustrati gli esemplari tipici di questo autore, tanto il riferimento del Darwin, quanto il mio vanno ritenuti incerti. CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 287 piastre disciolte, che hanno colorazione bigio-gialliccia e costo- line bianche, longitudinali. Tali costole sono a sezione tondeg- giante, ben divaricate le une dalle altre; esse si riscontrano su tutta la superficie e si spingono dall’apice alla base. Internamente la guaina è più o meno sviluppata e presenta strie parallele alla base. I compartimenti sono costulati nella loro superficie interna. Anche nell’oligocene di La-Bonneville (Manche) si raccol- gono piccoli esemplari di questa specie, a valve disciolte e co- stulate (collezione Dollfus). Dove però la specie si riscontra nella sua forma più tipica si è nel pliocene di Gourbesville (Manche) ed in quello del Cotentin. Nella collezione Dollfus si riscontrano numerose piastre com- partimentali piccole, di colorazione scura, costate longitudinal- mente e crenulate sopratutto nella parte inferiore, come appunto si osserva negli esemplari tipici figurati da Darwin. Internamente la guaina è striata e presenta pieghe numerose presso alla base. Gi scudi sono tipicamente triangolari, allungati, col margine tergale un po’ concavo e conseguentemente coll’apice legger- mente ricurvo. La superficie esterna presenta tre profondi solchi longitudinali dai quali è divisa in quattro aree; numerose co- stoline trasversali incrociandosi con altre longitudinali rendono clatrata la superficie. Internamente il rialzo articolare è lievis- simamente curvo e ben sporgente; il rialzo adduttore pure è spiccato e sinuoso; la cavità del muscolo adduttore è triango- lare e non molto profonda. Io non ho riscontrato e nella collezione Dollfus non si con- servano esemplari di tergo. Nella stessa raccolta trovasi un gruppo di numerosisimi pic- coli individui, fissi sopra un Ostrea sp., provenienti dal miocene superiore di Montaigu in Vandea. Essi hanno generalmente aper- tura ampia, assai divaricata (cosa abituale quando gli esemplari sono addossati gli uni agli altri) ed hanno nella superficie esterna costole assai rilevate, quasi a guisa di lamelle. Tali avanzi hanno grandi analogie con quelli figurati dal Darwin tav. II, fig. 2 c, 2d. Nella collezione de Bellerade trovansi numerosi piccole conchiglie di colorazione bianchiccia, di forma conico-schiacciata ed apertura largo-subquadrangolare un po’ acuminate verso il compartimento carenale. Assieme a questi avanzi si raccolsero parecchi scudi, coi solchi caratteristici della specie. 288 G. DE ALESSANDRI Tutti questi esemplari furono raccolti nel Burdigaliano su- periore di Cestas (Gironde). Balanus unguiformis Sow. Tav. IX, fig. 31. 1846. Balanus unguiformis J. DE C. SOWERBY, Mineral Conchology (sine discriptione), Tav. 648, fig. 1. 1846. Ss erisma J. DE C. SOWERBY, id. id., fig. 2. 1855. = unguiformis DARWIN C., Fossil Balanidae and Verruci- dae. Palaenthographical Society, Vol. IX, pag. 29, Tav. II, fig. 4a-4f. 1881. fA i (?) LAMBERT J., Sables oligocènes d’Etam- pes. Bull. Soc. Géol. d. France, Série III, Tom. IX, pag. 498. La conchiglia di questa specie presenta generalmente, nel terziario francese piccole dimensioni. La sua forma è tubolosa o conica, un po’ depressa; la su- perficie dei compartimenti è costulata con larghe falde festonate presso alla base. L'apertura è romboidale, irregolare, acuminata verso il com- partimento carenale; i radii sono stretti ed hanno il margine superiore assai obliquo alla base; le ali sono appena percettibili ed hanno il margine molto obliquo. La guaina sembra liscia; la superficie interna dei compartimenti è nella parte inferiore lon- gitudinalmente costata, anzi quasi lamellosa. Gli scudi hanno la superficie esterna leggermente curva e le linee di accrescimento poco spiccate. E caratteristico in essi un solco molto profondo che si osserva in vicinanza del margine occludente e che va dall’apice al margine basale della piastra. Internamente il rialzo articolare è molto prominente e diritto, quello adduttore è spiccato a guisa di lamella sulla superficie della piastra, ed è alquanto sinuoso. La cavità del muscolo ad- duttore è larga e poco evidente. Fra gli esemplari raccolti in Francia non mi fu dato rinve- nire nessun tergo. Questa specie, come già Darwin ha osservato, presenta una grande incostanza nei fori dei suoi compartimenti, i quali talora esistono, talora mancano completamente. Essa è fra i Balani quella che ha presentato buoni esemplari in formazioni più an- CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 289 tiche. Nell’Inghilterra fu rinvenuta nell’ Eocene dell’Isola di Wight, di Colwell Bay, di Hordwell, di Barton (Chama bed), Headon, ecc. In Francia fu citata con dubbio dal Lambert nelle sabbie oligoceniche di Etampes. Gli esemplari che io ho esaminato provengono dall’Aquita- niano medio di Moaillau (La Sambotte) nella Gironda e mi furono comunicati dal signor de Bellerade. Acasta sp. cf. spongites Poli 1795. Lepas spongites PoLI,Testacea utriusque Siciliae. Tav. 6, fig. 3-6. 1854. Acasta spongites DARWIN ©., A monograph on the Sub-class. Cir- ripedia. Ray Society, pag. 308, Tav. IX, fig. 1a-1d. 1905. 35 ‘5 GRUVEL A., Monographie des Cirrhipédes ou The- costracés, pag. 263, fig. 293. L’A. spongites finora non è stata rinvenuta fossile. Io rife- risco con dubbio a questa specie una piastra compartimentale che si trova nella collezione Dollfus e che fu raccolta nel plio- cene di Gourbesville (Manche). La superficie esterna di questa piastra è quasi liscia, con piccole punte rivolte verso la base; internamente la guaina è solcata da numerose strie transverse. Le dimensioni della con- chiglia dovevano essere piccole giudicandone da questa piastra. Essa fu raccolta assieme ad esemplari di B. spongicola, specie colla quale vive generalmente associata. Darwin ha descritto fossile VA. undulata, che egli raccolse nel coralline crag di Sutton; essa differisce da questa specie per alcuni caratteri dello scudo e per la larghezza dell’apertura. Il mio esemplare, benchè incompleto, presenta qualche affi- nità colla specie tossile del Darwin, ma i suoi caratteri corri- spondono maggiormente a quelli della A. spongites, specie d’al- tronde tuttora vivente nelle coste francesi della Manica. Il Seguenza (!) ha raccolto nel pliocene dell’Italia meridionale VA. muricata Seg. specie che ha grandi affinità coll A. spongites Poli. Essa però è distinta dall’esemplare che io ho esaminato del pliocene della Francia, per la superficie esterna dei com- partimenti costulata ed irta di numerosissime spine acuminate. (1) Seguenza G., Op. cit., 1873-76, Parte I, pag. 48, tav. II, fig. 3-3q. 290 G. DE ALESSANDRI Tetraclita Dumortieri Fisch. TavellX,: fio. 32: 1865. Tetraclita Dumortiert FISCHER P. in FALSAN et LOcARD, Monog. géol. du Mont d'Or lyonnais, pag. 434, Tav. I, fig. 1a-1c. ae LocarD A., Descript. de la faune de la mo- lasse marine et d'eau douce du Lyon- nais et du Dauphine. Arch. da Muséum d’Hist. Nat. de. Lyon. Tom. . IL Pag;89; Tav. XVIII, fig. 1-2, fig. 3 (?). 1896. Ff 9 DoUxAMI H., Etudes sur les terrains tertiai- res du Dauphine, de la Savoie et de la Suisse Occidentale. Annal. de l'Université de Lyon, pag. 260. Questa specie esattamente descritta ed illustrata dal Fischer è caratteristica delle formazioni di Chimilin o d’Aosta, che corri- spondono alla parte superiore del miocene medio. Essa, come tutti gli altri Cirripedi opercolati, presenta note- voli variazioni nella forma e nello sviluppo della sua conchiglia. Il Locard ne ha distinto una var. alta Loc., varietà che a me sembra corrispondere ad una delle tante mutazioni che la con- chiglia di questa Tetraclita assume. La 7. Dumortieri è assai comune a Messinin-Veyrins, a Bas-Leysin, a Saint-Sorlin, come pure nel Jardin des Plantes de Lyon, mentre è rara presso la stazione di Saint-Paul ed a Gorge du Loup. Nella collezione Cossmann si trova un bel esemplare prove- niente dall’Elveziano di Saint Paul Trois-Chateaux, presso Bol- lene (Vaucluse). La specie vivente che con questa ha grandi analogie è la T. porosa Gmel. la quale, come quella fossile, ha grandi varia- bilità di forma e di dimensioni, tant'è che Darwin ne ha distinte sette varietà. Fra tutte la var. cominunis è quella che maggior- mente per l’apertura e per la forma si avvicina a quella del Fischer. La 7. Isseli De Al., specie che si rinviene in Italia, nell’oli- gocene di Sassello, è distinta da questa per l’apertura più allar- gata e più ovale, come pure per l’ornamentazione dei compar- timenti più fine e meno irregolare. CIRRIPEDI FOSSILI DELLA FRANCIA 291 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IX. are i - Numero Nome della specie Oggetto Giacimento - Località Collezione la-1b Scalpel. recurvatum Bert. scudo Luteziano - Chaussy Cossmann 2a-2b ” ” ” tergo ” ” ” 5a-3 b a Fe x carena “3 - Lo 4a-4b ” ” ” ” n n n 5 » magnum Darw. scudo Miocene -LesAngles Bartesago 6a-6 b 1, 5 > E Elveziano - Salles —Bellerade Ta-tD n n n tergo ” ” ” Sa-8 Db n n ” carena ” ” ” 9a-9b È 59 a lato superiore be FS DI 10 a-10 b n a, Di » carenale È n i | lLa-11b 5; x i » inframed. ò x » | 12 a-12 Db do > x sa rostrale si n P | 13a-13b Lepas burdigalensis D’Orb. tergo Aquitaniano-Saucats Cossmann 14 Balanus tintinnabulum L. conchiglia Elveziano - Turenna A 15 Da a Ù n Miocene-S. Gregoire Dollfus 16a-16b ,, Pas = + » — Mauthelan zt dati, S » Scudo Aquitan. - Saucats Bellerade 18 a-18b ” n n tergo n ” ” 19a-19b =, Dollfusti(?) De-Al. scudo Mioc.- Pigéon-Blane Dollfus 20a-20b ,, Ms 5 si » Caillaud Cossmann 2la-21b ,, È 5 + . = Pigéon-Blane Dollfus 22a-22b ,, spongicola(?) Brown. conchiglia n —Picauville n 23 a-23b ,, perforatus Brug. Ù Elveziano - Luans Peyrot 24 > n n gruppo conch. Miocene - Mirebeau Dollfus 25a-25b , 5 5s scudo È - Noellet > 26 , concavus Bronn. conchiglia Burdigal. - Saucats Cossmann 27 ” ” ” n ” ” ” 28 » Ccrenatus Brug. gruppo conch. Miocene - San Mori 3 29 DI è = conchiglia Stampiano - Quinsac Bellerade 30 a-50 b ,, Disulcatus Darw. scudo Burdigal. - Cestas * dla-3B1b , unguiformis Sow. tergo Aquitan. - Moaillan si 32 a-32 b Telracl. Dumortieri Fisch. conchiglia Elveziano - Bollèene Cossmann CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI CALICI DI HELD Nota preventiva del socio Dott. Fra Agostino Gemelli Dell Ordine dei Minori La presente nota ha lo scopo di meglio precisare i rapporti tra il reticolo endocellulare e le neurofibrille provenienti da altre cellule. I calici di Held si prestano assai bene a questo studio e infatti essi furono oggetto di ricerche da parte di una lunga serie di studiosi. Rimandando ad una mia nota precedente per quanto ri- guarda la bibliografia dell'argomento ('), riassumo brevemente i risultati ottenuti da me, studiando queste caratteristiche for- mazioni nei cani e nei gatti con i metodi di R. y Cayal e di Bielschowsky. La grossa fibra afferente, giunta in vicinanza più o meno grande della cellula, si sfibrilla in fasci, alcuni dei quali, rag- giunto uno dei poli delle cellule, si allontanano approfondendosi nel tessuto circostante, altri rami camminano rasente alle cel- lule, altri ancora la circondano. Da questi rami partono delle fibrille che penetrano nelle cellule. Per lo più, quando dalla reazione vengono colorati netta- mente la fibra afferente e i fasci di fibrille cui essa dà origine, la cellula non presenta quasi traccia di reticolo endocellulare; ne è possibile seguire per molto spazio le fibrille che vengono abbandonate dai fasci della fibra afferente e che penetrano nel- Vinterno delle cellule. Che realmente si tratti di fibrille nervose lo dimostra il loro aspetto, il fatto che si ramificano e il fatto della loro continuità con le fibrille della fibra afferente. (4) Atti Accademia Pont. Nuovi Lincei, Roma, A. LX. Sess. 1°. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI CALICI DI HELD 293 E opportuno osservare che nelle figure date da Cayal si ha segnato un reperto consimile. L’illustre istologo spagnolo crede che cid dimostri che le fibre afferenti terminano liberamente. Ma io ho potuto notare che in realta alcune grosse fibrille ap- portate dalla grossa fibra afferente si arrestano bruscamente appena arrivate nell’interno delle cellule, ma ciò non dimostra che qui si abbia una terminazione reale. Il fatto che alcune di queste fibrille sono “ spinose ,, dimostra che vi debbono essere delle anastomosi con altre fibrille non colorate. A dimostrare però in modo perentorio quale è il comporta- mento di queste fibrille, sta il reperto che si ha quando con l’im- pregnazione si riesce a mettere in evidenza il reticolo endocel- lulare. È questo a maglie piuttosto strette ed è costituito da neurofibrille finissime. Riesce importante lo studiare in questi casi i rapporti tra cilindrasse e fibra afferente. Sono questi assai varî. In alcuni casi la fibra afferente si applica con le sue dira- mazioni precisamente la dove esce il cilindrasse, talora invece in un punto affatto diverso. La fibra afferente, giunta in vici- nanza maggiore o minore della cellula nervosa, da origine a pa- recchi fasci di fibrille che abbracciano il corpo cellulare. Anche qui alcune fibrille, dopo di aver rasentato ik corpo cellulare, se ne allontanano, molte altre invece entrano nell'interno delle cellule e si continuano direttamente e si anastomizzano con le neurofi- brille del reticolo endocellulare. Tale continuità avviene direttamente e in certi casi riesce di facile constatazione. Non è infrequente il vedere che un ramo della fibra afferente di una cellula vada a costituire il calice di un’altra cellula, oppure il vedere una grossa fibra afferente dividersi in due e dare due calici. Siccome anche in questi casi ho potuto constatare che le neurofibrille della fibra afferente si anastomizzano con le neurofibrille del reticolo endocellulare, si comprende quanto intimi siano i rapporti delle varie cellule tra loro. LA BARRA DI VISSO IN PROVINCIA DI MACERATA Studio geologico del socio Prof. Italo Chelussi È ricordata dal Fischer nella sua opera La Penisola Italica; dal Bonarelli nella descrizione di alcuni fossili della collezione Bellucci di Perugia; si trova nella parte meridionale della pro- vincia di Macerata e congiunge la catena occidentale marchi- giana o del Catria, con ia catena orientale o del Sanvicino, andando dal monte Cavallo ad Ovest al monte Bove dei monti Sibillini ad Est. Geograficamente sembra costituita dalle alture seguenti : ad Ovest dal monte Fema (a. m. 1575), che staccandosi dal monte Cavallo, o meglio dai monti di Torricchio e di Cetrognola, con l’asse maggiore diretto da N.-O. a S.-E., viene a terminare alla Valneria, che lo separa dal monte Forgaletto, situato a Sud della città di Visso; ad Est dal monte Efra e dal monte Tor- rone (a. m. 1346), che per il Piano dell'Arco, si congiunge al monte Cornaccione, che fa parte del gruppo del monte Bove; a Nord del monte Careschio (a. m. 1366), separato per mezzo della Valle Stretta dal monte Rotondo; e finalmente a Sud ed a S.-E. dal monte Cardosa (a. m. 1819), dal colle Cerasole e dal monte Forgaletta. Le più basse pendici di alcuni di questi monti, cioè del Careschio, del Forgaletta, del Torrone e del Fema, si riuniscono a formare una specie di cavità imbutiforme, entro la quale giace la città di Visso, e dove confluiscono, a tormare la Nera, i tor- renti Ussita e fosso Castello, fosso delle Rote e quelli di val di Nocria, cioè il Fossato e quello della Madonna di Cardosa. Da Visso partono in diverse direzioni cinque strade, quattro delle quali carrozzabili ed una mulattiera, le quali facilitano grande- mente lo studio geologico della regione, perchè percorrono valli LA BARRA DI VISSO IN PROVINCIA DI MACERATA 295 strettissime, a pareti talvolta quasi perpendicolari, valli eviden- temente di erosione, con panorami che ricordano quelli del Canton Ticino, scavate dai torrenti rammentati sopra, i quali, per essere sempre perenni, richiamano alla mente del visitatore il carduc- ciano dei torrenti Urlo solingo e fier. Queste cinque vie sono: 1* da Pievetorina a Visso, cioè da Nord a Sud; la sua maggiore altitudine di m. 816 è alle Fornaci poco a Sud dell’a- meno paesetto di Appennino ; 2% quella lungo il torrente Ussita in direzione E.-.N.-E., che conduce da Visso a Sorbo e a Castelfantellino fin quasi alle falde occidentali del monte Bove; 3° quella lungo il fiume Nera, localmente chiamata valle del fosso di S. Angelo o Fosso di Castello fino alle sorgenti della Nera sotto Vallinfante in direzione E.-S.-E. fino alle falde set- tentrionali ed occidentali del monte Cardosa ; 4% quella mulattiera che verso Sud da Visso percorre la val di Norcia e va a terminare alla carrozzabile Preci-Norcia ; 5* quella che da Visso in direzione O.-S.-O. va per la Valnerina a Triponzio, località di bagni sulfurei, e quindi, attra- verso all’Appennino, scende a Spoleto. Per ciascuna di queste vie segue la descrizione geologica: 1% e 2% - Val dell’Ussita, Macereto, Appennino, Visso. — Da Visso risalendo il corso dell’Ussita si trova dapprima il calcare rosato con strati pendenti verso Ovest, cioè verso Visso e le te- state ad Est tanto sull’una che sull’altra sponda. Procedendo poi oltre, al rosato si sostituisce da prima il calcare bianco com- patto, marmoreo, tanto comune nell’Urbinate; quindi calcari bianchi, duri, compatti, che ricordano la corniola tipica. Tali calcari hanno la stessa pendenza di quelli del rosato; ma alla Madonna dell’Uccelletto essi appariscono ripiegati e contorti e a S. Cataldo sono raddrizzati; mentre la corniola perde il suo color bianco divenendo dapprima giallastra e grigiastra fino ad assumere un color brunastro. Dopo 8. Cataldo, venendo verso il Sasso, gli strati s’inchinano in senso inverso, cioè si sprofondano verso Est e perciò ‘in dire- zione del monte Bove. In questo tratto dalla Madonna dell’Uc- 296 ITALO CHELUSSI celletto al Sasso ho trovato frammenti di calcare verde chiaro e di calcare rosso paonazzo, identici nell’aspetto litologico a quelli consimili del Nerone e del Catria e che ricordano perciò il rosso ammonitico del toarciano ed i calcari ad aptici del titonico; ma gli strati o devono essere di potenza piccolissima o ricoperti dal detrito di falda, perchè sfuggono non di rado ad una osservazione, per quanto possibilmente, accurata. Tali formazioni hanno grande potenza al monte Nerone. Poco dopo il Sasso ricomparisce il calcare bianco e più spe- cialmente quello compatto marnoso che il Bonarelli attribuì al cenomaniano; però il calcare rosato non vi comparisce affatto. An- dando più oltre, la valle si allarga ed in faccia verso E. s’inalza imponente la mole del monte Bove con i fianchi settentrionali ed occidentali dirupati e quasi a perpendicolo. L’area, forse an- tico lago, compresa tra la Pieve, Sorbo, Vallazza, Castelfantel- lino e Calcara è riempita, si può dire quasi totalmente, dai detriti del monte Bove, i quali hanno formato estesissimi depositidi brec- cie talora sciolte, talora tortemente cementate come a Calcara. Dal Sasso risalendo le falde orientali del. monte Careschio per andare verso Macereto, si trova dapprima il calcare bianco marnoso del cenomaniano (Bonarelli); ma più avanti, cioè verso Valle Stretta, ricomparisce il rosato che alterna col calcare bianco; con gli strati che presentano le testate verso E.-S.-E., come se appartenessero all’ellissoide di sollevamento del monte Rotondo, dal quale sono state tagliate dal fosso di Valle Stretta. Al colle delle Arette, poco prima di giungere a Macereto, proprio sul chinale, a metri 1141 s. m. comparisce solo il calcare bianco, di qui a Macereto, dove sorge il tempio, che è monu- mento nazionale, v'è un’estesa pianura coltivata a campi in cui non si osservano che scogli e blocchi di calcare bianco, forse alquanto più compatto dell'ordinario calcare marnoso; tra questi massi ne ho trovati alcuni granellosi, grigio chiari, evidente- mente zoogeni, all’aspetto non dissimili dal calcare grigio-chiaro della Madonna di Collevento presso il paese della Muccia. Le sezioni sottili da me inviate per la determinazione al dottor Prever di Torino, gli hanno dato le forme seguenti : Bruguierea sub. Capederi, Prev. a «SUDAVINGIHOLE E Laharpeia Benoisti 5 LA BARRA DI VISSO IN PROVINCIA DI MACERATA 297 Paronaea Beaumonti, D’ Arch. ne sub-Beaumonti, De La H. 5 Heeri ” Orthophragmina Pratti, Michu 7 discus, Rut. » Chudeani, Schlumb. " Ci: lanceolata ©, ” cf. nummutlitica, Giimb. 2 Tarameltii, Mun-Ch. 3 Bartholomei, Schlumb. Hemistegina, sp. Alveolina elliptica, Son. pe Sp. Molte di queste forme sono comuni con quelle della Ma- donna di Collevento presso la Muccia. Intorno alla chiesa di Macereto il calcare è tutto bianco più o meno compatto; al monte di Macereto vi sono pure cal- cari compatti bianchi, entro cui si trovano straterelli di calcare bianco ricchissimo di nummuliti, quasi una lumachella; in un pezzo abbastanza largo del medesimo, il dottor Prever determinò le forme seguenti : Bruguierea sub. Virgilia, Prev. Laharpeia sub. Benoisti * : sub. Molli, D’ Arch. Gumbelia sub. Oosteri, De La H. = parva, Prever. Paronaea sub. irregularis, De L. H. n SUDESHCCRIBTEV: A Heeri, De La H. si sub. Beaunonti, De La H. {l calcare rosato, che non appariva nella Valle dell’Ussita verso il monte Rotondo, compare invece nei monti all’intorno di Macereto e a N.-E. verso Bolognola. Interessantissima riguardo alla posizione del bisciaro, è la discesa di Macereto verso la strada Pieve Torina-Visso al suo sbocco alle Fornaci. Infatti, dopo il calcare bianco di Macereto scendendo verso Ovest si trova dapprima il rosato alternante 298 ITALO CHELUSSI col calcare bianco, poi il solo rosato e quindi la scaglia rosea e la cinerea, raramente verdognola, il bisciaro e le marne del così detto Schlier; una successione, insomma, identica a quella che trovai nell’Urbinate e specialmente nei monti delle Cesane, al Fossombrone, al monte Nerone, ecc. Al confine tra il rosato e la scaglia, a circa un chilometro in linea retta da Macereto, sempre venendo verso Ovest, vi è una piccola cava di calcare bianco con massi di calcare grigio chiaro, simile a quello del colle delle Arette, che presenta le seguenti forme, pure determinate dal dott. Prever: Bruguierea Silvestri, Prev. + Virgilioi, » Orthophragmina Pratl, Michu = Donvillei, Schlumb. si nummulitica, Gimb. Dictyoconus sp. Sempre sulla stessa via, a circa un chilometro dalle For- naci, la scaglia cinerea alterna col bisciaro tipico siliceo, ricordato dal Mici (J lerreni dell? Urbinate) e con il gengone; ed è questa un’altra prova della eocenicità del bisciaro, non ammessa però da alcuni eminenti geologi. Altrettanto si può osservare lungo la via Appennino-Visso fino alla villa S. Antonio, cioè in tutta la valle tra il monte Fema ed il monte Careschio, in cui si ada- giano le formazioni, dalla scaglia cinerea alle argille grigie tal- volta turchiniccie dello Schlier. Ma, a confermare sempre più la relazione intima che esiste tra la scaglia ed il bisciaro, credo opportuno riportare il giudizio, sebbene antico, pur competente, di Spada, Lavini e Orsini, i quali, a pag. 1209 del Bollettino della Società geologica francese del 1854 nella loro memoria si esprimono in questo modo: “Les schistes marneux rouges, en s’élévant, deviennent bigarrés, verts, gris et rouges, et puis ils se colorent totalment en grisàtre, en verdatre et ils conservent cette nuance jusqu’au contact du calcaire nummulitique. En outre des couches de cal- caire tendre et argilleux (l’alberese di Toscana), dont la couleur communement jaunatre est quelquefois brunatre et puis noire, paraissent fréquentement, mais non pas constamment, parmi les schistes grisatres et verdatres qui se trouvent au dessus des TOUPES4 LA BARRA DI VISSO IN PROVINCIA DI MACERATA 299 In conclusione si può affermare, che nella plaga tra Visso e Casavecchia esista un altro bacino simile al bacino camerte e a quello di Fabriano, in cui si presentano tutte le formazioni terziarie, ad eccezione delle arenarie mioplioceniche che appa- riscono soltanto nel bacino camerte e non si trovano a Sud di Visso, andando verso Norcia. In quanto alla tectonica mi risulterebbe esistere, lungo la valle dell’Ussita, una ellissoide di sollevamento tagliata del tor- rente per azione dell’erosione retrograda determinata dal mede- simo; essa, quasi completa, formata dal monte Careschio, che probabilmente doveva essere unito in origine al monte Torrone, avrebbe il suo nucleo di corniole tra la Madonna dell’ Uccelletto e S. Cataldo, dove la presenza di un calcare scuro, sottostante alla corniola stessa, starebbe ad indicare o un piano inferiore del lias medio od un piano superiore del lias inferiore ; nel ver- sante occidentale della ellissoide le formazioni andrebbero fino al miocene medio; nel versante orientale non si anderebbe più in su del rosato, perchè da questa parte manca la scaglia rosea e cinerea e le formazioni più recenti. Ad Est della Pieve e di Vallestretta avrebbe principio un’altra ellissoide che probabil- mente culminerebbe al monte Rotondo. Questa tectonica sarebbe perciò del tutto identica a quella da me osservata nell’Urbinate, alle Cesane, al monte Nerone, ecc., cioè un insieme di ellissoidi di sollevamento, alcune delle quali rimaste integre, altre divise in due, più spesso secondo il loro asse maggiore, dal corso di un fiume. 3° - Alta Val Nerina. — Intendo la Valle della Nera da Visso alle sorgenti, chiamata localmente fosso di Castello o di S. Angelo. Partendo da Visso si trova subito il rosato; ma esso appa- risce molto meno sviluppato che nella valle dell’Ussita; ha gli strati non di rado ripiegati, contorti e spezzati. Dopo poco vien sostituito dal calcare bianco e dalla corniola e tra l’uno e l’altra non ho potuto trovare formazioni intermedie. Presso il ponte di S. Benedetto gli strati della corniola hanno direzione inversa a quella che hanno presso Visso, cioè si sprofondano verso Est in modo da presentare una ellissoide di sollevamento, la quale non sarebbe che la continuazione verso Sud di quella osservata nella valle dell’ Ussita tra monte Careschio, monte Torrone e monte Efra; perché il nocciolo dell’ellissoide della val d’Ussita e quello 19 300 ITALO CHELUSSI della val Nerina si trovano sopra una linea che va da N.-0. a S.-E. presso a poco parallele all'andamento della catena appen- ninica. Poco dopo il ponte di S. Benedetto, dopo il ravaro della Madonnella e il ponte Tavola, la corniola non è più tanto bene stratificata e ricuopre un calcare duro, compatto, grigio, grigio cupo o rossiccio, analogo a quello di val d’Ussita, che rappre- senta il nucleo dell’ellissoide, e perciò il terreno più antico. Risalendo la valle verso Est, le splendide conoidi di deie- zione che si trovano specialmente sulla sponda sinistra e quindi in dipendenza del monte Cornaccione, in corrispondenza di grandi ravari, ricoprono il terreno fin presso il Camposanto di S. Angelo, dove ricomparisce il calcare grigio e rossastro; più oltre gli strati di corniola tornano ad inclinarsi verso Visso, probabilmente indizio di due ellissoidi di sollevamento, separate da una piccola sinclinale che si troverebbe quasi sotto S. Pla- cido a costituire il fosso omonimo. Verso oriente, cioè a Val- linfante, Nocelleto, Ravegna prevale la corniola, come pure di corniola sembra formato quasi tutto il monte Cardosa; manca da quella parte il calcare bianco, il rosato, la scaglia rosea e la cinerea. Verso Gualdo in sostituzione della corniola apparisce un calcare compatto, grigio chiaro, litologicamente simile a quello di Monte Pettino, presso l'Aquila nell’Abruzzo, che io chiamai calcare litografico, con impronte di Harpoceras radians; altre due ammoniti della stessa località, donatemi dal signor dottor Amantini di Visso, accennerebbero all’Aleniano; esse sono, de- term. Parona: Hammatoceras subarmatum, I. e B. sp. Coeloceras Desplacei, D’Orb. sp. Ed è noto inoltre che impronte di ammoniti H. radians, bi- frons, comense, ecc., furono notati dal prof. Canavari nei din- torni di Bolognola, a Nord della quale esisterebbe, secondo questo geologo, la continuazione della frattura generale che dal Gran Sasso, per monte S. Franco, Antrodoce, monte Vettore, interessa una gran parte dell’Appennino centrale. Calcare identico a questo e a quello Aquilano, con nume- | rose impronte di ammoniti, ho pure trovato sulla sponda orien- tale dell’altipiano di S. Scolastica presso la città di Norcia, sopra il paese di S. Pellegrino tra il convento di Montesanto e la strada per Arquata del Tronto e sotto il Monte Ventosola. LA BARRA DI VISSO IN PROVINCIA DI MACERATA 301 Tale torma litologica del lias superiore non sembra appa- rire, secondo gli studi dello Zittel, del padre Piccinini e del Mici, negli anelli più settentrionali della catena, cioè al Catria e al Nerone e nemmeno a me è stato possibile ritrovarla nelle regioni dell’Urbinate che ho visitate. In questa valle i vavari che sono frequentissimi, danno origine a bellissimi conoidi di deiezione, sulle quali si coltivano campi, si costruiscono abitazioni con pericoli manifesti di pos- sibile distruzione; perchè, durante i temporali e nelle piene im- provvise dei fossi che scendono dalle montagne, le acque su- perficiali e le acque freatiche, smuovono e trascinano le breccie che le formano distruggendo quanto si trova sulle medesime; così avvenne nel 27 luglio del 1906 in cui il rio S. Angelo, il torrente Rapegna, il Rio Falcone e il Fosso di S. Chiedo pro- dussero una grandissima trana che invase anche il Cimitero, rovinando molte case di S. Angelo. 4% - Val di Norcia. — Si trova a S. di Visso ed è compresa tra il colle Le Cerreta e il monte Forgaletta; è solcata da tre fossi che si riuniscono al paesetto di Vallopa; l’orientale picco- lissimo detto della Madonna di Cardosa; l’altro detto il Fossato, ed il terzo è quello che percorre la val di Norcia propriamente detta e che è asciutto d’estate fino alla sorgente d’acqua. In tutte e tre si trovano massi di rosato e massi di calcare grigio, durissimo, granelloso, ricco di nummulitidi visibili in sezione anche ad occhio nudo; ma il punto più istruttivo è in prossimità della Sorgente, dove il calcare grigio nummulitico alterna con la scaglia cinerea e verdastra (sasso morto dei na- turali) e gli strati tanto dell'uno quanto dell’altra si sprofondano verso Visso appoggiandosi sul monte della Forgaletta. Ho tatto numerosissime sezioni di questo calcare, le quali, studiate dal dott. Prever, hanno presentate le forme seguenti : Alla Sorgente sopra Vallopa Bruguierea sub-Virgilioi Prev. Laharpeia Benoisti a sub. Benoisti y Paronaea eocenica 5 Orthophragmina discus Rut. 5 scalaris D’Arch. È Sella Schlumb. 302 ITALO CHELUSSI Orthophragnina Bartholomei Schlumb. D varians Kaufm. n dispansa Sow. re Prati Michn i i Claudiani Schlumb. ” Douvillei a Amphislegina sp. Sopra la Sorgente Paronaea sub-Beaunionti De La H. 5 Guettardii var., D’Arch. 5 venosa Jicht et Moll da cr'ispa 5 sE sub-Heer'i Prev. ‘i Heeri he Laharpeia Benoisti ‘5 = sub Benoisti bs i sub-Italica Tell. Orthophragmina Pratti Michu 5 discus Rut. n Sella D’Arch. 5 Claudeani Schlumb. “i Marthae » n Priabonensis Gimb. tO Bartholomei Schlumb. x: nunimulilica Gimb. Operculina complanata Detr. In un masso erratico entro al fosso della Madonna di Cardosa Globigerina sp. sp. Orbulina sp. sp. Hemistegina sp. 5* - Valnerina propriamente detta. — È la valle della Nera percorsa dalla strada che da Visso conduce a Triponzio e quindi a Spoleto; artisticamente più bella delle altre sopra ricordate, è di queste più stretta e con le pareti quasi sempre perpendi- colari. Oltrepassato il tratto di strada, che da Visso a Casa Aureli LA BARRA DI VISSO IN PROVINCIA DI MACERATA 303 corre pel terreno d’alluvione, comincia subito sulle due rive della Nera il calcare rosato con balze scoscese, poco bene stra- tificato, intercalato da sottilissimi e molto rari filoncelli di cal- care che all'apparenza sembra nummulitico e di breccia molto compatta a piccoli ciottoletti calcarei bianchi. A questo rosato che ha strati ora verticali ora leggermente inclinati ed appoggiati ai Cappuccini, segue una serie, che a me è sembrata molto confusa, di calcari bianchi e giallognoli, di breccie compattissime, di corniola, di rosso ammonitico, di cal- care verdastro, questi due ultimi però pochissimo sviluppati e tutti con stratificazione contorta e non troppo evidente. Tra il ponte di Pietra, la Cantoniera e la piaggia di Or- vano, ricompare quel calcare duro, compatto, grigio o rossastro che mi sembra identico a quello sopra ricordato che esiste presso a S. Cataldo nella valle dell’Ussita e al camposanto della Valle del Fosso S. Angelo. Oltre Orvano ricompare la corniola ed il calcare verdastro: talchè è da ritenersi che il nucleo del monte Fema sia formato di questo calcare ricoperto poi dalla corniola e dalle assise più recenti; e lo stesso può dirsi del monte For- galetta, il quale in origine doveva essere unito al monte Fema prima della erosione retrograda della Nera, la quale, secondo l'opinione espressa da qualcuno di Visso, doveva sboccare nel- l'Adriatico, volgendo a N. e raggiungendo presso il paese di Ap- pennino lo spartiacque del Tirreno, che ad E. passa per il colle Morelle, colle delle Arette fino al monte Rotondo e ad O. pro- segue per monte Fema e monte Cavallo; e questo dovette acca- dere prima dell’erosione che divise il monte Fema dal monte Forgaletta. Oltre il ponte Nuovo ed i Mulini ricomparisce il rosato ed il calcare bianco marnoso; sopra il primo si sono formati pic- coli depositi di breccie e travertino. _ Riassumendo brevemente quanto sopra si è esposto, si può asserire che non molto diversa si presenta la. costituzione geo- logica di questa regione in confronto di quella dell’Urbinate. Le differenze principali, risalendo dalle formazioni più antiche, sa- rebbero le seguenti: 7 1° La presenza del calcare grigio e rossastro che forma il nucleo di queste ellissoidi ed è sempre sottostante alla corniola; non esiste al Nerone e nemmeno al Catria; viceversa qui manca 304 ITALO CHELUSSI il calcare oolitico e pisolitico del monte Nerone, sottostante alla corniola, e che, secondo i fossili studiati dal prof. Parona, in- dica con tutta probabilità il lias inferiore già riconosciuto dal medesimo geologo a Trevi presso Spoleto; 2° La mancanza nella regione intorno a Visso delle are- narie frequentissime nel Camerinese e nell’Urbinate; 3° La mancanza del calcare e degli schisti neri bitumi- nosi, frequentissimi nelle formazioni, finora ritenute SO dell’ Urbinate. Pressochè identica a quella dell’Urbinate sarebbe la tec- tonica, poichè si hanno, tanto negli anelli settentrionali, quanto nei più meridionali della catena del Catria, le solite ellissoidi di sollevamento, in parte integre, in parte divise in due parti dai corsi d’acqua. Ma il fatto che presenta il massimo interesse in questa re- gione è il dover ringiovanire molte formazioni, di grandissima importanza ed estensione nell'Appennino marchigiano; forma- zioni che fino a pochi anni or sono erano ritenute secondarie. Infatti il dott. Prever nell’accompagnare la determinazione di calcari nummulitici di Visso, che gli ho inviati, così si esprime: “ Circa il piano geologico a cui vanno alta le roccie che contengono queste singole faune credo di poter affermare essere l’eocene inferiore. Dopo il rinvenimento delle nummuliti nella scaglia non si può più ammettere che esse appaiano nel- l’Ipresiano, ma conviene farle scendere fino al primo sottopiano dell’eocene inferiore. Appunto io credo che qui siano rappre- sentati due di questi sottopiani. Ed è da notarsi che sulla via di Macereto alle Fornaci (Appennino-Visso) esiste un esemplare di Dictyoconus che io ritengo diverso dal Dictyoconus aegyp- tiensis d'Egitto; sarebbe perciò la prima volta che questo genere vien ritrovato non solo in Italia ma in Europa. ,, Ora tenendo conto che la fauna nummulitica non si trova solo nella scaglia e nel rosato, come osservarono il prof. Cana- vari. e gli ingegneri del Comitato geologico per l’Abruzzo Aqui- lano, ma si trova eziandio nel calcare bianco alternante e.sot- toposto al rosato, come io ebbi a vedere a Visso presso Macerata tanto ad E quanto ad O, ne viene per consegnenza il ringiovi- nimento di quella potente serie di formazioni che va dal calcare bianco marnoso (cenomaniano del Bonarelli) fino al bisciaro LA BARRA DI VISSO IN PROVINCIA DI MACERATA 305 selcifero del Mici. E se inoltre si tiene -conto pure delle idee del Sacco (!), che ritiene eoceniche molte formazioni che altri geologi riferiscono al miocene medio, bisogna dare all’eocene dell'Appennino centrale un enorme sviluppo, comprendente for- mazioni che vanno dal calcare a fucoidi alle marne langhiane dello Schlier. Resta a decidere se le formazioni consimili dell’Urbinate come quelle delle Cesane, del Fossombrone nonchè quelle del Furbo, del Nerone, nelle quali invano ricercai il calcare num- mulitico, debbano anch’esse esser ringiovanite e ascritte all’eo- cene, malgrado il parere dello Zittel, del Piccinini e di altri geologi: ma a me sembra che la cosa non sia più dubbia, per- chè per l'identità litologica e per la identità di posizione non possono differenziarsi dalle consimili del Camerinese e di Visso, malgrado che in esse non si sia rinvenuta ancora alcuna fauna nummulitica. E necessaria conseguenza di tutto ciò è anche il ringiovi- nimento del monte Carpegna, il quale formato di strati alter- nati di giaiolo e calcare bianco, fu da me ritenuto del cretaceo superiore, per l’analogia di detto calcare a quello bianco mar- noso sottostante al rosato. Termino questa nota, facendo un’osservazione che mi sembra di non dover trascurare, e cioè che gli echinidi erratici di Visso studiati dal Bonarelli apparterebbero, secondo questo autore, al Campaniano (?). () La questione eo-miocenica dell'Appennino, Boll. Soc. geol. it., 1906. (°) Bonarelli (Atti R. Acc. Scienze, Torino, 1898-99) determinò i seguenti fossili, probabilmente della piromaca di Visso, che si trova nel rosato: Stenonia tubercolata Defr. Offaster globulosus De Lor. Stegaster subtrigonatus Cat. Stegaster cfr. planus Agas. PEROWSKITE DEL MONTE LUNELLA Nota del socio Giovanni Boeris Tre giacimenti di perowskite in cristalli macroscopici sono Stati rinvenuti finora nel nostro paese. Si conobbe dapprima quello delle cave d’amianto del Monte Lagazzolo in Val Malenco, e la perowskite di questo fu rinve- nuta dal Lovisato e studiata poi dallo Strtiver ('). Chi scrive menzionò in seguito il giacimento che ebbe a trovare nelle serpentine sovrastanti a S. Ambrogio in Valle di Susa (*). Il terzo giacimento, quello delle cave d’amianto di Emarese sopra S. Vincent in Valle d’Aosta, fu illustrato dal Millosevich (5). La perowskite di quest’ultimo giacimento supera senza dubbio quello degli altri nostri per la bellezza dei suoi cristalli e per la ricchezza di forme che questi presentano. Perowskite poi in cristalli microscopici fu osservata da Artini e Melzi (‘) nella serpentina scistosa formante la vetta dello Stoffel sopra Alagna in Valsesia, serpentina in cui è presente la. titanolivina. Anzi questi autori ritengono che la perowskite presente nella roccia derivi dalla alterazione della titanolivina. A questo proposito parmi sia da farsi notare che avendo recentemente seguitato a cercare la perowskite là dove l’avevo trovata in addietro sopra S. Ambrogio, e dove è in connessione con lenti granatitiche, potei vedere che il serpentino, il quale (1) G. Srrii ver, Sulla perowskite di Val Malenco. Atti R. Acc. Lincei, v. IV, serie III, Trans., 210, 1880. (?) G. Borris, Sopra la perowskite di S. Ambrogio in Valle di Susa. Ibidem, vol. IX, serie V, 1° sem., 52, 1900. (3) F. MiLLosevicHa, Perowskile di Emarese in Valle d'Aosta. Ibidem, Rend., vol. X, ~ serie V, 1° sem., 209, 1901. (4) E. Artint e G. MeLzi, Ricerche geologiche e petrografiche sulla Valsesia. Mem. R. Istituto Lombardo, vol. IX, serie III (XVIII), 334, 1901. PEROWSKITE DEL MONTE LUNELLA 307 racchiude le lenti granatitiche, al contatto con queste, contiene titanolivina. Esempi bellissimi di questo rapporto fra titanolivina e masse granatitiche si possono vedere nelle serpentine che sono imme- diatamente a ridosso delle case Rubatera facenti parte dell’abi- tato di S. Ambrogio. Qui si hanno massi abbastanza considerevoli di granatite ravvolti da uno strato cloritico, cui fa seguito una zona di ti- tanolivina di discreto spessore che li circonda per intero. Qualche raro esempio di tale rapporto, presentato però da masse assal piccole di granatite, potei pure riscontrare nelle serpentine formanti la base della montagna detta il Fort presso Balme in Val d’Ala, nelle quali serpentine non si hanno soltanto lenti, ma anche banchi assai potenti a granato e idocrasio com- patto, da uno dei quali, sito nella località detta Bec 7'0uss, ho cavato una bella serie di esemplari di idocrasio verde a cristalli non molto grossi, ma assai interessanti perchè ricchi di nitide facce. In questi ultimi anni ho fatto ripetute visite alle cave di amianto della Lunella, montagna posta sulla catena divisoria fra la Valle di Susa e la Valle d’Usseglio, allo scopo di vedere se nelle serpentine amiantifere ‘di queste cave, come in quelle di Monte Lagazzolo e d’Emarese, si trovasse la perowskite ed eventualmente l’artinite che il Brugnatelli scoprì nei giacimenti d’amianto di Val Lanterna, e in seguito riscontrò anche su roc- cia amiantifera proveniente da Emarese ('). Ma se nelle mie escursioni alla Lunella potei assistere alla estrazione di fasci straordinariamente grossi di fibre d’amianto della lunghezza di un metro, e se potei raccogliere con una certa frequenza magnetite in ottaedri e in rombododecaedri qualche volta di notevoli dimensioni, pirite in cristalli di qualche grossezza rimarchevoli per le singolari distorsioni loro, titanite in forma di larghe e sottili lamine, penninite in grossi cristalli, non mi venne fatto di trovare tracce dei due cercati minerali, né entro le cave nè nel materiale delle discariche di queste. (1) L. BruenaTELLI, Sopra un nuovo minerale dei giacimenti di amianto in Val Lan- terna. Rend. R. Istituto Lombardo, serie II, vol. XXXV, 869, 1902. — Ueber Artinil, ein neues Mineral der Asbestgruben von Val Lanterna. Centralblatt fiir M. G. P,. Jahrg. 1903, 144. — Idromagnesite ed artinite di Emarese. Rend. R. Istituto Lombardo, serie II, vol. XXXVI, 824, 1903. 308 GIOVANNI BOERIS - PEROWSKITE, ECC. Però nell’estate decorso, alla superficie di un banco di gra- natite che sta pochi metri al disotto della vetta della Lunella, sul versante di Usseglio, banco che per la sua potenza e la estensione sua ricorda quello famoso di Testa Ciarva in Val d’Ala, ma non sembra promettere per altro di essere come questo ferace di bei campioni di minerali cristallizzati (tutto il raccolto si riduce fin qui a pochi esemplari di granato e clorite, uno solo dei quali di qualche bellezza), ho trovato alcuni cristalli di perowskite, d’aspetto cubico, i quali stanno immersi entro alla crosta cloritica che ricopre la parte del banco granatitico spor- gente dalla serpentina che lo racchiude. Tra questi pochi cristalli di perowskite non avvene che uno alquanto grosso. Non sono poi disseminati nell’anzidetta crosta cloritica, ma sono invece raccolti, così da essere molto vicini, in un tratto di questa. _ Anche estraendoli tutti dalla loro matrice non avrei potuto mettere insieme una quantità di minerale sufficiente per farne uno studio sia pure incompleto. Perciò in questa breve nota devo limitarmi a non far altro che segnalare questo nuovo rin- venimento di perowskite nelle Alpi piemontesi, rinvenimento che può far pensare che il raro minerale, pur rimanendo in complesso scarso, sia nelle Alpi stesse alquanto più diffuso di quello che si è creduto finora. PN bile Consiglio direttivo pel 1906 i : Elenco dei Soci effettivi per l’anno 1906. Istituti scientifici corrispondenti al principio dell’ anno ‘1996 Seduta del 15 novembre 1905 Seduta del 17 dicembre 1905 Seduta del 4 febbraio 1906 Seduta dell’11 marzo 1906 . Seduta del 1° aprile 1906 Seduta del 27 maggio 1907 Seduta del 24 giugno 1906 Seduta del 18 novembre 1906 . Seduta del 18 dicembre 1906 Seduta del 3 febbraio 1907 Seduta del 3 marzo 1907 Bollettino bibliogratico : Pubblicazioni non periodiche Pubblicazioni periodiche C. TERNI, Esoftalmia epizootica nei pesci (con due tavole). ROBERTO BRUNATI, Osservazioni stratigrafiche sul gruppo dell’Albenza e sue falde meridionali. a : È VITTORIO PAVvESI, Elenco di piante dell’alto Apennino pavese FepERICO Sacco, La galleria ferroviaria di Gattico (con una tavola) . : ; ; FELICE FRANCESCHINI, Sulla, I, amiga presenza in Tano della Diaspis Pentagona Targ. . : : x ALFREDO CoRTI, I ciechi dell’intestino ter Linalo di OL seplentrionalis L. 5 Ciro BARBIERI, Sulla origine delle i ona doppie nei Teleostei . : : CARLO AIRAGHI, Un nuovo genere della ciglia ‘dene Echinocorynae (con una tavola). - : : : ACHILLE GRIFFINI, Studi sui Lucanidi. - II Sull’ Odo7tolabis Lowe Parr. ” n n ” Pasti Il VIII XVII XX XXI XXII XXV XXVI XXVII XXVIII XXX XXXI XXXIII pag. 1 107 ata 310 INDICE Caro Cozzi, Sulla flora arboricola del gelso. CESARE STAURENGHI, Processus petrosi postsphenoidales Riso. dorsales-postsphenoidales) negli Sciuromorpha, Prosimiae, Antilopinae, e loro articolazione sostituente, od associata col Dorsum sellae postsphenoidale. — Processus petrosi praesphenoidales nelle pareti laterali della Loggia del- UIpofisi della Mustela foina Briss. e del Canis vulpes L. — Annotazione intorno al Dorsuwm sellae dell’ E. cabal- lus L. (con quattro tavole) . s LIE CAMILLO TERNI, Garrotilho 0 Conan croup carbon- chioso dei bovini . : 4 ; G. DE ALESSANDRI, Sopra alcuni i dello Braet (con una tavola) . : ; : : : 3 : Pra AGosTINO GEMELLI, Contributo allo studio dei calici di Held ; È 2 ; ITALO CHELUSSI, La hana i Visso in arenes dii Macerata GIOVANNI Borris, Perowskite del Monte Lunella pag. 140 SUNTO DEL REGOLAMENTO DELLA SOCIETA (1904) DATA DI FONDAZIONE : 15 GENNAIO 1856 Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. I Soci sono in numero illimitato, effeltivi, perpetui, benemerili e onorari. I Soci effettivi pagano L. 20 all'anno, in una sola volta, nel primo bimestre. dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. Chi versa Lire 200 una volta tanto viene dichiarato Socio perpetuo. Si dichiarano Soci benemeriti coloro che mediante cospicue elar- gizioni hanno contribuito alla costituzione del capitale sociale. A Soci onorarî possono eleggersi eminenti scienziati che contri- buiscano coi loro lavori all’incremento della Scienza. La proposta per lammissione dun nuovo socio effellivo 0 per- petuo deve essere fatta e firmata da due soci mediante lettera diretta al Consiglio Direttivo (secondo l'Art. 20 del Regolamento). Le rinuncie dei Soci e/fellivi debbono essere notificate per iscritto al Consiglio Direttivo almeno tre mesi prima della fine del 3° anno di obbligo o di ogni altro successivo. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Alti ed alle Memorie non si possono unire tavole se non sono del formato degli Ali e delle Memorie stesse. Tutti i Soci possono approfittare dei libri della biblioteca sociale purchè li domandino a qualcuno dei membri del Consiglio Direttivo o al Bibliotecario, rilasciandone regolare ricevuta e colle cautele d’uso volute dal Regolamento. Gli Autori che ne fanno domanda ricevono gratuitamente cin- quanta copie a parte, con copertina stampata, dei lavori pubblicati negli Affi e nelle Memorie. Per la tiratura degli Estratti (oltre le dette 50 copie), gli Autori dovranno rivolgersi alla Tipografia sia per l'ordinazione che per il pagamento. INDICE DEL FASCICOLO IV G. DE ALESSANDRI, Sopra alcuni cirripedi della Francia pag. 251 Fra AGostINO GEMELLI, Contributo allo studio dei calici Gt: Held been ai eae yal) E ZO ALCI R ye IraLo CHELUSSI, La barra di Visso in provincia di Ma- CETRA Bo ToL e alc E ar! GIoVANNI Borris, Perowskite del Monte Lunella . BOVE peduta del eo aprile 4906: 573 ATE LOS EE seduta del 27- maggio 19060" litri e ae NOTI IONI Seduta. del-24 giugno 1906 ec. Sri Ve N Seduta. del 18 novembre 1906 +: e A Seduta :del:-13: dicembre, 1906... > oe ua Seduta del 3 febbraio 1907 III Seduta: del 4 3’ marzo; OT e pela NONE IA DE BollettmosbiblipgTalico oo ee A) e x NB. Ciascun autore è solo responsabile delle opi- nioni manifestate nei suoi lavori, e ne conserva la. © proprietà letteraria. ant . C. TERNI, Esoftalmia epizootica nei pesci. Atti Soc. Ital. Sc. Nat., Vol. XLV Tav. ‘ È 5 de N = = + = > pe = = 3 A x i ‘ 7 - 5 i " = b i \ 24 7 Ù ' È gsroy F ‘ n 1 ‘ i ha ì : ’ at < } = ” Ù ' "a ” A = = nd a ” i r È ‘ ” ‘A ¢ x È v - “cf id aa a gd 1 I La \ i i , È — 5 | x ‘ . ' = 4 : ' y ° , Atti Soc. Ital. Sc, Nat. Vol. XLV Tav. Il. G. TERNI Esoftalmia epizootica nei pesci LETI See 3 DI [A È C, TERNI FOT F. Sacco, La Galleria ferroviaria di Gattico Atti Soc. It. Sc. Nat. Vol. XLV Tavy Ik S. CAFFARO PHOT, ELIOT. CALZOLARI & FERRARIO-MILANO == pocanesssessteSisstesssctsesssssszisese: Steet = resi essa, TEZZE = SITA sivasesessvsatetssiiatersre eee “o C. Airaghi, Un nuovo genere ecc. Atti Soc, Ital, Sc, Nat. Vol. XLV, Tav, IV. E. FORMA FOT. ELIOT CALZOLARI B FERRARIO-MILANO Atti Soc Ital Sc nat. Vol. XLV Tav. V or o Eee C i petrosi postsphenoidales negli Sciuromorpha etc Fig. 6.48) se. tu Ssyno pst sph pai cP Equus caballus L Equus caballus L Equus caballus L Equus cabellus L Mustela foina Fig.11% Mustela foina Fig 104 Canis familians r. 5 Canis vulpes tti] Canis vulpes Ateles paniscus hit lacchinandi e Ferrari -Savia a ' è Ù e 7 i é a 7 i Li s = » ‘I » WS Fa 7 | 4 Ù x - è ro a ‘ ‘ i ' Poe i 7 n a DI ra n 4 i ‘ y b i i * ‘ Pa - we È r fo Atti Soc Ital Sc SIAE Tav. V1 : C STAURENGHI-Processus petrosi postsphenoidales negli Sciuromorpha etc Fig. 12 Fig. 18 Fig. 1A) Fig. 17) Fig. 1869) Fig. 19 08) sym in. pep psk. sph jy. ps. sph ba ep Sciurus vulgaris ho Fig. 15 () : Fig. 16.6) Yerus ergiàropus Fig:2169) Sciurus purrhopus be È Fig.23 Venus punctatus Yerus erytaropus 4 Scturus pravesti Sciurus prevesti vay Rofflesi Sciuropterus volans Jciuropterus —volans Uk lacchinarli e Fermari-favia Van Soc Ital. Sc ni Vol. XLV. Tav. VII C STAURENGHI-Processus petrosi postsphenoidales negli Sciuromorpha ete. Fig.35 “ x Fig. 24-9) Fig.264) — “ig. 30¢ Fig. 33) prsp.pre sph— Phyp PY pra, Sph Arctomys marmeta Simp cls Fig. 32 (7 Spermophilus citillus L. Spermophilus citillus L ‘Scturoplerus sabrinus Fig.25 04) << Ae) Ssermiobilus etilus 1 2 Arctomys marmot SEE mel Tomias striatus Spermophilus citillus L S Spermephilus citillus 1 x Spermophilus citillus 1 rctomys marmota lib lacchinandi e Ferran-favia al So nat Vol XLV Tav VII. C STAURENGHI-Processus petrosi postsphenoidales negli Sciuromorpha etc Fig. 4-10" Arctomys marmola Cynomis ludovicranus Arclomys monax Fig 478 = Madoqua saltiane ans famihams a bracco) Madoqua saltiane Hemigalago aff demidolti | lil''achnarli e fomani-favia è pel SR : SEN, x » - ba ‘ = c s " 6 ra 3 o 7 è a di = ad FSE ko A +} ; . : } - of n Li f vedi Pa + Atti Soc. Ital, Scien, Nat. Vol. XLV Tav, IX. Î| Bi | | Ii IR fal i, oe E. FORMA PHOT, ELIOT CALSOLARIA FERRARIO MILANO if iso DAN dt. Ù [egg Si i ewe a i l i . i ba ion mh È de pur Ca VIN) i i oer nei) RIMARRA La di a SI A my XK Ù / a DI | i i | i a : 19 n i a. ACT "APPARE RO Li v4 n.d TAI Pi = l vie ne a : i _ ni a> od (00 ~~ Da IPYCN MMI 3 2044