HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. 3839 trame ae nee ees ATTI DELL SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI DEL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO VOL. XLVII ANNO 1908 RAFIA CESSOI Largo di Via Roma N. 7 1908 CONSIGLIO DIRETTIVO PEL 1908 Presidente. Artint Prof. Errorr, Museo Civico. Vice-Presidente. — Brsana Ing. Comm. GrusepPE, Via bella, 19. Segretario. — De-ALEssanDRI Dott. GiuLio, Museo Civico. Vice-Segretario. — RePossi Dott. EmiLio, Museo Civico. Archivista. — CASTELFRANCO Prof. Cav. Pompeo, Umberto 5 Ruga- Via Principe BeLLorTI Dr. Comm. Cristororo Via Brera 10. MagreErTI Dott. Paoto, Via Leopardi 21. a >= Consiglieri. — SALMOJRAGHI Prof. Ing. FRANCESCO, Piazz Castello 17. VienoLi Cay. Prof. Trro, Corso Venezia 89. Cassiere. — Via Cav. VirtorIo, Via Sala 6. Bibliotecario sig. ERNESTO PELITTI. ELENCO DEI SOCI per l anno 1908. AsBapo Dott. Prof. Michele — Milano. ArraGHI Dott. Prof. Carlo — Via Donizetti 27, Milano. ALBINI Prof. Comm. Giuseppe — Via Amedeo Avogadro 26, Torino. Arzona Dott. Carlo — Manicomio Provinciale in Mombello. AmBRosronI Sac. Dott. Michelangelo — Collegio Aless. Manzoni, Merate. AnpRES Prof. Angelo, Direttore del Gabinetto di Zoologia nella R. Università di Parma. ARTARIA Rag. F. Augusto — Blevio, Lago di Como. Artint Prof. Ettore, Direttore della Sezione di Mineralogia nel Museo Civico di Milano. Barassi Sac. Camillo — Roggiano Valtravaglia (Luino). BaRBIANO DI BELGIOIOSO Conte Ing. Guido. — Via Morigi 9, Milano. BarBIERI Dott. Ciro, Assistente alla cattedra di Zoologia nella R. Sc. Sup. d’Agricoltura, e all’Acquario civ. Milano. ‘ Bassani Prof. Francesco, Direttore del Gabinetto di Geologia, nella R. Università di Napoli. Bazzi Ing. Eugenio — Viale Venezia 4, Milano. BeLFANTI Dott. Serafino, Direttore dell’Ist. Sieroterapico di Milano BeLLorTI Dott. Comm. Cristoforo (Socio Benemerito) — Via Brera 10, Milano. Bernasconi Sac. Cav. Giuseppe, Parroco di Civiglio (Como). BerraRELLI Prof. Cav. Ambrogio — Via S. Orsola 1, Milano. BerroLonIi Prof. Cav. Antonio — Zola Predosa (Provincia di Bologna). Besana Ing. Comm. Giuseppe — Via Rugabella 19, Milano. Bezzi Prof. Mario — R. Liceo Alfieri, Torino. Birrt Dott. Cav. Antonio (Socio perpetuo) — Paleocapa 2, Mi- lano. BinaGHI Rag. Costantino — Cassa di Risparmio, Milano. Borris Dott. Prof. Giovanni — R. Università di Bologna. Bonrantr BarBIANo pi BeLGIOIOSo Enrico — Castel San Giovanni (Provincia di Piacenza). IV ELENCO DEI SOCI Borpini Franco (Socio perpetuo) — Piazza S. Sepolero 1, Milano. BoreHI Comm. Luigi — Via Moscova 12, Milano. BorLerTI Ing. Prof. Francesco — Via Vittoria 39, Milano. Borromeo Conte Dott. Gian Carlo — Via Manzoni 41, Milano. Borromeo Conte Giberto, juniore — Piazza Borromeo 7, Milano. Briost Dott. Prof. Giovanni, Direttore dell’Orto Botanico e della Stazione Crittogamica nella R. Università di Pavia. Brizi Prof. Cav. Ugo, Istituto di Patologia vegetale della R. Scuola Superiore di Agricoltura, Milano. BruenareLLI Prof. Luigi (Socio perpetuo), Direttore del Museo Mineralogico nella R. Università di Pavia. BrunaTI Dott. Roberto — Viale Varese 43, Como. Buzzoni Sac. Pietro, Proposto di S. Rocco, Milano. Carri Dott. Prof. Sac. Enrico — Piazza Cavour 10, Bergamo. CaLeGARI Prof. Matteo — Via San Vittore 47, Milano. Cantoni Prof. Elvezio — Via Benedetto Marcello 43, Milano. Casatr Conte Dott. Alessandro — Viale al Parco 1, Monza. Casati Conte Gabrio — Corso Venezia 24, Milano. CasTELBARCO ALBANI Conte Ing. Alberto — Via Principe Um- berto 6, Milano. CasreLrRANcO Prof. Cav. Pompeo — Via Principe Umberto 5, Milano. Carrerina Prof. Dott. Giacomo — Gabinetto batteriologico della R. Università di Padova. CeLoria Prof. Comm. Giovanni, Direttore dell’ Osservatorio Astronomico di Brera, Milano. CeRMENATI Prof. Mario — Via Cavour 238, Roma. CueLussi Prof. Italo — Via S. Marco 50, I p‘°, Siena. CircoLo Filologico milanese (Socio perpetuo) — Via Clerici, Milano. Copau Dott. Roberto — R. Scuola Superiore di Agricoltura, Milano. Corti Dott. Alfredo, Libero docente nella R. Uuniversità di Parma. Cozzi Sac. Carlo — Abbiategrasso. CriveLLi March. Vitaliano — Via Pontaccio 12, Milano. CRIVELLI SERBELLONI Conte Giuseppe — Via Monte Napoleone 21. Milano. CurLerTI Pietro (Socio perpetuo) — Via Brisa 3, Milano. Currica DI Cassine March. Luigi — Corso Venezia 81, Milano. D’Appa March. Emanuele, Senatore del Regno (Socio perpetuo) — Via Manzoni 43, Milano. ELENCO DEI SOCI v Dar Fiume Cav. Camillo — Badia Polesine. Dau Praz Dott. Giorgio, Libero docente presso la R. Univer- sità di Padova. De ALessanpRI Dott. Giulio, Prof. aggiunto alla Sezione di Geo- logia e Paleontologia nel Museo Civico di Milano. De MarcHi Dott. Marco (Socio Benemerito) Via Borgonuovo 23, Milano. De Srerano Dott. Giuseppe — Via Umberto I.’ 18, Imola Direktion der K. Universitàt und Landes Bibliotek, Strassburg. Direzione del Museo Civico di Storia Naturale (Doria March. Sen. Giacomo) Genova. Direzione del Museo Civico di Storia Naturale di Pavia. Ferri Dott. Giovanni — Via Volta 5, Milano. Frova Dott. Camillo — Piazza Borromeo 7, Milano. GeMELLI Dott. Fra Agostino — Convento dell’Immacolata, Milano. GiacHi Arch. Cav. Giovanni (Socio perpetuo) — Via S. Raffaele 3, Milano. GracomeLLi Dott. Pietro — Via S. Salvatore (Bergamo Alta). GranoLI Prof. Giuseppe — Via Leopardi 7, Milano. GiorDANO Prof. Domenico — R. Ginnasio di Ragusa (Provincia di Siracusa). Giovanola Mario — Via Abramo Lincoln 16, Milano. Grassi Prof. Cav. Francesco — Via Bossi 2, Milano. Grassi Prof. Battista, Senatore del Regno (Socio onorario), Di- rettore del Gabinetto di Anatomia Comparata nella R. Uni- versità di Roma. i GrIFFINI Dott. Prof. Achille — R. Istituto Tecnico, Genova. Gritti Prof. Comm. Rocco — Via Monte Napoleone 23 a, Milano, HoepLi Comm. Ulrico (Socio perpetuo) — Milano. InGceGNnoLI Dott. Antonio — Corso Buenos Aires 54, Milano. IsimBaRDI March. Luigi — Via Monforte 35, Milano. June Prof. Cav. Giuseppe — Bastioni Vittoria 41, Milano. KéornER Prof. Comm. Guglielmo, Direttore della R. Scuola Su- periore d’Agricoltura di Milano. LAMBERTENGHI Dott. Ada, Prof. aggiunto alla Sezione di Zoo- logia nel Museo Civico di Milano. Learpr in ArraGHI Dott. Prof. Zina — Via Donizetti 27, Milano. LuranI Conte Francesco — Via Lanzone 2, Milano. MaAppALENA Ing. Leonzio — Schio. Marri Cardinale Pietro — Arcivescovo di Pisa. Maeuio Dott. Carlo, Laboratorio di Anatomia Comparata, Pavia. Wal ELENCO DEI SOCI MacrETTI Dott. Paolo — Via Leopardi 21, Milano. Mariani Prof. Ernesto, Direttore della Sezione di Geologia e Paleontologia nel Museo Civico di Milano. Mariani Dott. Giuditta — R. Scuola Normale di Aosta. MarroRELLI Prof. Cav. Giacinto, Direttore della Collezione Or- nitologica Turati nel Museo Civico di Milano. Mazza Prof. Dott. Felice — R. Istituto Tecnico di Roma. MazzareLLi Prof. Giuseppe — R. Università di Messina. Met Prof. Romolo — R. Scuola d’Applicazione per gli Inge- gneri, Via Teatro Valle 51, Roma. MeLLA Conte Carlo Arborio — Vercelli. MeLzi D’ Erm Duchessa Josephine (Socio perpetuo) — Via Ma- nin 23, Milano. Menozzi Prof. Comm. Angelo — R. Scuola Sup. d’Agricoltura di Milano. MercaLLI Sac. Prof. Giuseppe — R. Liceo Vittorio Emanuele, Napoli. Monti Barone Dott. Alessandro — Brescia. Monti Prof. Rina (Socio perpetuo) — R. Università di Siena. Mussa Dott. Enrico — Via dei Mille 35, Torino. Myuius Cav. Uff. Giorgio — Via Montebello 32, Milano. NaroLI Dott. Prof. Rinaldo — Bellinzona. Ninni Conte Emilio — Alla Maddalena, Palazzo Erizzo, Venezia, NovarEsE Prof. Napoleone Alberto — Cancelliere del Tribunale Civile e Penale, Bozzolo. OmBonI Dott. Cav. Giovanni — Via Torresin, Padova. Oriconi Ing. Giovanni Battista — Via Felice Cavallotti 13, Milano. PaLapIinI Ing. Prof. Ettore — Regio Istituto Tecnico Superiore di Milano. Panza Ing. Adolfo — Passaggio Carlo Alberto 2, Milano. Paravictnt Dott. Giuseppe, Medico-Chirurgo presso il Mani- comio provinciale di Mombello. Parona Dott. Prof. Corrado, Direttore del Gabinetto di Zoologia nella R. Università di Genova. Parona Prof. Carlo Fabrizio, Direttore del Museo Geologico della R. Università di Torino. Partrini Dott. Plinio — Laboratorio di Geologia della R. Uni- niversità di Pavia. PEDRAZZINI Giovanni (Socio perpetuo) — Locarno. Peruzzi Dott. Luigi — Via Palestro 22, Cremona. ELENCO DEI SOCI VII ‘Ponti March. Sen, Comm. Ettore, Sindaco di Milano (Socio per- petuo) — Via Bigli 11, Milano. Ponti Cav. Cesare, Banchiere — Portici Settentrionali 19, Mi- lano. Porro Conte Dott. Ing. Cesare — Carate Lario (Provincia di Como). Portis Prof. Dott. Alessandro, Direttore del R. Istituto Geolo- gico Universitario di Roma. Pucuiese Prof. Angelo — R. Scuola Veterinaria, Milano. Reposst Dott. Emilio — Prof. Aggiunto alla Sezione di Mine- ralogia nel Museo Civico di Storia Naturale di Milano. Resta Parravicino Conte Comm. Ferdinando — Via Conserva- torio 7, Milano. Rezzonico Dott. Cav. Uff. Giulio — Via S. Spirito 13, Milano. Roncuetti Dott. Vittorio — Piazza Castello 1, Milano. Rossi Ing. Edoardo — Corsso S. Celso 9, Milano. Rossi Dott. Pietro — Foro Bonaparte, 5, Milano. Sacco Prof. Federico — R. Scuola degli ingegneri, Gabinetto di Geologia, Castello del Valentino, Torino. SALMOJRAGHI Ing. Prof. Francesco — R. Istituto Tecnico Su- periore di Milano. Satomon Dott. Prof. Guglielmo — Università, Heidelberg. SaneIorGI Dott. Domenico — R. Università di Parma. ScHIAPARELLI Prof. Comm. Giovanni, Senatore del Regno (Socio perpetuo) — Via Fatebenefratelli 7, Milano. SertoLI Prof. Comm. Enrico — Sondrio. SIBiLia Enrico — Via S. Antonio 14, Milano. SoRpELLI Prof. Ferdinando, Direttore della Sezione di Zoologia nel Museo Civico di Milano. STAURENGHI Dott. Cesare — Via Lecco 2, Monza. Supino Prof. Felice, Dir. dell’Acquario civico. Milano. Tacconi Dott. Emilio — Gabinetto di Mineralogia della Regia Università di Pavia. TARAMELLI Prof. Comm. Torquato, Direttore del Gabinetto di Geologia nella R. Università di Pavia. TERNI Prof. Dott. Camillo — Via Principe Umberto 5, Milano. TrevEs Prof. Dott. Zaccaria — Via Sacchi 18, Torino. Turati Nob. Ernesto — Via Meravigli 7, Milano. Turati Conte Comm. Emilio — Piazza S. Alessandro 4, Milano. VienoLI Prof. Cav. Tito, Direttore del Museo Civico di Storia Naturale — Milano, VIII ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI Vigoni Nob, Comm. Giulio, Senatore del Regno — Via Fate- benefratelli 21, Milano. Viconi Nob. Comm. Ing. Giuseppe, Senatore del Regno — Via Fatenefratelli 21, Milano. | Villa Cav. Vittorio — Via Sala 6, Milano. Zunini Ing. Prof. Cav. Luigi — R. Istituto Tecnico Superiore Milano. SOCI PERPETUI DEFUNTI AnnonI Conte Aldo, Senatore del Regno. VISCONTI DI MODRONE Duca Guido. ERBA Comm. Luigi. Pisa Ing. Giulio. MassaRANI Comm. Tullo, Senatore del Regno. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI in principio dell’anno 1908 ATE RIC A 1, South African Museum — Cape Town (1898 Annals, 1903 Report), AMERICA DEL NORD (Stati Uniti). 2. University of the State of New York — Albany N. Y. 1888 Bulletin, 1890 Ann. Rep.). 3. Maryland Geological Survey — Baltimore (1897 Reports.). 4. University of California — Berkeley, California (1902 Pu- blications). 5. American Academy of Arts and Sciences — Boston (1868 Proceedings). 6. Boston Society of Natural History — Boston (1862 Procee- dings, 1866 Memoirs, 1869 Occ. Papers). NB. — Il numero tra parentesi indica l’anno nel quale è incominciato lo scamhio delle pubblicazioni tra i singoli Istituti e la Società Italiana di Scienze Naturali. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI IX . Buffalo Society of Natural Sciences — Buffalo N. Y. U.S. of A. (1886 Bulletin). . Field Museum of Natural History — Chicago U. S. A. (1895 Publications). 9. Davenport Academy of Natural Sciences — Davenport (Iowa) (1876 Proceedings). 10. Iowa Geological Survey — Des Moines (Iowa) (1893 Annual Report). i 11. Indiana Academy of Science — Indianapolis (Indiana) (1895 Proceedings). 12. Wisconsin Academy of Sciences, Arts and Letters — Ma- dison (1895 Transactions, 1898 Bulletin). 13. University of Montana — Missuola (Montana) U. S. A. (1901 Bulletin). 14. Connecticut Academy of Arts and Sciences — New-Haven (1866 Transactions). 15. Academy of Natural Sciences — Philadelphia (1878 Pro- ceedings, 1884 Journal). 16. American Philosophical Society — Philadelphia (1899 Pro- ceedings). 17. Geological Society of America — Rochester N. Y. U. S. A. (1890 Bulletins). 18. California Academy of Sciences — San Francisco (1854 Proceedings, 1868 Memoirs, 1880 Occasional Papers, 1884 Bulletin). 19. Academy of Science of St. Louis — St. Louis (1856 Tran- sactions). 20. The Missouri Botanical Garden — St. Louis Mo. (1898 Annual Report). 21. 24. 25. Kansas Academy of Science — Topeka (Kansas) (1883 Transactions). . United States National Museum — Washington (1885 Bul- letin, 1888 Proceedings, 1891 Annual Reports, 1892 Spe- cial Bulletin). . United States Geological Survey — Washington (1872 Annual Report, 1873 Report, 1874 Bulletin, 1880 Ann. Report, 1883 Bulletin, 1883 Mineral Resources, 1890 Mo- nographs, 1902 Profess. Papers, 1902, Water Supply and Irrigation Paper). Smithsonian Institution — Washington (1855 Ann. Report). Carnegie Institution of Whasington — Washington (1905). 28. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI CANADA . Nova Scotian Institute of Science — Halifax (1870 Pro- ceedings). . Geological and Natural History Survey of Canada — Ot- tawa (1879 Rapport annuel, 1883 Catalog. canadian Plants, 1885 Contr. canad. Palaeontology, 1891 idem). Canadian Institute — Toronto (1885 Proceedings, 1890 Transactions). MESSICO . Instituto geologico de México — México (1898 Boletin, 1903 Parergones). AMERICA DEL SUD . Academia Nacional de Ciencias en Cordoba (1884 Boletin). . Museo Nacional de Buenos Aires — Buenos Aires (1867 Anales). 2. Museo Nacional de Montevideo — Montevideo (1894 Anales). . Museu Goeldi de Historia Natural e Ethnographia — Para, Brazil (1897 Boletim, 1902 Memorias). . Museo Nacional de Rio Janeiro — Rio Janeiro (1876 Ar- chivos). 5. Museu Paulista — San Paulo, (1895 Revista). . Revista do Centro de Sciencias, Letras e Artes de Cam- pinas — Estado de San Paulo, Brazil (1902). . Société scientique du Chili — Santiago (1892 Actes). AUSTRALIA . Royal Society of South Australia — Adelaide (1891 Tran- sactions and Proceedings). . Royal Society of New South Wales — Sydney (1876 Jour- nal and Proceedings). . Australian Museum — Sydney (1882 Report, 1890 Records). AUSTRIA - UNGHERIA . Aquila, Bureau Central Ornithologique Hongrois — Buda- pest (1896). . Kénig. Ungarisch. geologische Anstalt — Budapest (1863 Foldtani, 1872 Mitteilungen, 1883 Jahresbericht). . Annales historico-naturales Musei Nationalis Hungarici) — Budapest (1897). ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI XI 44, Magyar Botanikai Lapok. Szerkesztòsige 1902. Ung. bot. Blatter Budapest. 45. Académie des Sciences de Cracovie — Cracovie (1889 Bul- letin). 46. Verein der Aerzte im Steiermark — Graz (1880 Mittei- lungen). 47. Naturwissenschaftlicher Verein fiir Steiermark — Graz (1906 Mitteilungen). 48, Ornithologisches Jahrbuch. Organ fiir das palaearktische Faunengebiet — Hallein (1890). 49, Siebenburgischer Verein fiir Naturwissenschaften — Her- mannstadt (1857 Verhandlungen). 50. Naturwissenschaftlich-medizinischer Verein — Innsbruck (1870 Berichte). 51. Verein fiir Natur-und Heilkunde — Presburg (1856 Ver- handlungen). 52. I. R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Agiati in Rovereto (1861 Atti). 53. Bosnisch-Hercegovinisches Landesmuseum — Sarajevo (1893 Mitteilungen). 54. Tridentum, Rivista bimestrale di studi scientifici — Trento (1898 Rivista). 5b. Società Adriatica di Scienze Naturali — Trieste (1877 Bol- lettino). 56. Anthropologische Gesellschaft — Wien (1870 Mitteilungen). 57. K. K. geologische Reichsanstalt — Wien (1850 Jahrbuch, 1852 Abhandlungen, 1871 Verhandlungen). 58. K. K. zoologisch-botanische Gesellschaft — Wien (1853 Verhandlungen). 59. K. K. naturhistorisches Hofmuseum — Wien (1886 Ann.). 60. Verein zur Verbreitung naturwissensch. Kenntnisse — Wien 61. 62. (1871 Schriften). BELGIO Académie Royale de Belgique — Bruxelles (1865 Annuaire et Bulletin, 1870-71-72 Mémoires). Société Belge de géologie, de paléontologie et d’ hydrologie — Bruxelles (1888 Bulletin). . Société entomologique de Belgique — Bruxelles (1857 An- nales, 1892 Mémoires). XII 64. 65, 66. 84. 85. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI Société Royale zoologique et malacologique — Bruxelles (1863 Annales, 1872 Procès-verbaux de Séances). Société Royale de botanique de Belgique — Ixelles-les- Bruxelles (1862 Bulletins). FRANCIA Société Linnéenne du Nord de la France — Amiens (1867 Mémoires, 1872 Bulletin). . Société Florimontane — Annecy (1860 Revue). . Société des sciences physiques et naturelles de Bordeaux (1867 Mémoires, 1895 Procès-verbaux). . Société Linnéenne de Bordeaux — Bordeaux (1838 Actes). . Académie des sciences, belles-lettres et arts de Savoie — Chambéry (1851 Mémoires, 1879 Documents). . Société nationale des sciences naturelles et mathématiques de Cherbourg (1855 Mémoires). . Société d’Agriculture, sciences et industries — Lyon (1867 Annales). . Université de Lyon (1891 Annales). . Institut de Zoologie de 1° Université de Montpellier et Sta- tion Zoologique de Cette (1885 Travaux). . Annales des sciences naturelles, zoologie et paléontologie, etc. — Paris (1905 Annales). . Muséum de Paris — Paris (1878 Nouvelles Archives, 1895 Bulletin). . Société d’Anthropologie de Paris — Paris (1894 Bulletin). . Société géologique de France — Paris (1872 Bulletin). . Société nationale d’Acclimatation de France — Paris (1861 Bulletin). . Université de Rennes (1902 Travaux). . Académie des sciences, arts et lettres — Rouen. (1877 Precis). . Société libre d’émulation, du commerce et de |’ industrie de la Seine Inférieure — Rouen (1873 Bulletin). . Société d’ histoire naturelle — Toulouse (1867 Bulletin). GERMANIA Naturhistorischer Verein — Augsburg (1855 Bericht). Botanischer Verein der Provinz Brandenburg — Berlin (1859 Verhandlungen). 86. 87. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI XII Deutsche geologische Gesellschaft — Berlin (1856 Zeit- schrift), Gesellschaft Naturforschender Freunde in Berlin (1895 Sitzungsberichte). . Kénigl. zoologisches Museum — Berlin (1898 Mitteilungen). . K. Preussische geol. Landesanstalt u. Bergakademie — Berlin (1880 Jahrbuch). . Schlesische Gesellschaft fiir Vaterlindische Kultur — Breslau (1857 Jahresbericht). . Verein fiir Naturkunde zu Cassel — Cassel (1880 Bericht, 1897 Abhandungen und Bericht). . Naturforschende Gesellschaft — Danzig (1881 Schriften). . Verein fiir Erdkunde — Darmstadt (1857 Notizblatt). . Physikalisch-medicinische Societàt — Erlangen (1865 Sit- zungsberichte). . Senkenbergische naturforschende Gesellsch. — Frankfurt am Main (1871 Bericht). . Naturforschende Gesellschaft (Berichte) — Freiburg i. Baden (1890 Bericht). . Naturforschende Gesellschaft — Gérlitz (1859 Abhandlun- gen). . Verein der Freunde der Naturgeschichte — Giistrow (1857 Archiv). . Naturhistorisches Museum zu Hamburg (1887 Mitteilungen), . Medizinisch-naturwissenschaftliche Gesellschaft — Jena (1864 Zeitschrift . . Physikalisch-Oeconomische Gesellschaft — Kénigsberg ‘1860 Schriften). . Zoologischer Anzeiger — Leipzig (1878 Zoolog. Anzeiger). 103. K. Bayerische Akademie der Wissenschaften — Miinchen (1832 Abhandlungen, 1860 Sitzungsberichte). 104. Ornithologische Gesellschaft in Bayern (E. V.) — Miinchen (1399 Verhandlungen). 105. Naturwissenschafticher Verein — Regensburg(1860 Bericht) 106. Nassauischer Verein fir Naturkunde — Wiesbaden (1856 Jahrbiùcher). 107. Physikalisch-medicinische Gesellschaft — Wirzburg (1860 Verhandlungen, 1881 Sitzungsberichte). XIV 108. 109. 110. ik 112. 113. 114. 115. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI GIAPPONE Imperial University of Japan — Tékyé (1860 Calendar, 1898 Journal). Zoological Institute College of Science, Imperial University of Tokyé (1908). GRAN BRETAGNA Royal Irish Academy — Dublin (1877 Transactions, 1884 Proceedings). Royal Dublin Society — Dublin (1877 The scientific Pro- ceedings and Transactions). Royal physical Society — Edinburgh (1858 Proceedings). Geological Society of Glasgow (1865 Transaction). Paleontographical Society — London (1848). Royal Society — London (1860 Phil. Transactions, 1862 Proceedings). . Zoological Society — London (1833-34 Transactins, 1848 Proceedings). . British Museum of Natural History — London (1895 Cata- logues). . Literary and philosophical Society — Manchester (1855 Memois, 1862 Proceedings). INDIA . Geological Survey of India — Calcutta (1858-59 Memoirs, Paleontologia indica, 1861 Memoirs, 1868 Records, 1898 General Report). . Agricultural Research Institute and Principal of the Agri- cultural College, Pusa Bengal (1906 Memoirs, Botanical Series, and Entomological Series). ITALIA . Accademia Dafnica di scienze, lettere ed arti in Acireale (1895 Atti e Rendiconti). 2. Accademia degli Zelanti e P. P. dello Studio di seienze. lettere ed arti — Acireale (1889 Rendiconti e Memorie). . Ateneo di scienze, lettere ed arti — Bergamo (1875 Atti). . Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna (1856 Me- morie, 1858 Rendiconto). . Ateneo di Brescia — Brescia (1845 Commentari). ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI XV . Accademia Gioenia di scienze naturali — Catania (1834 Atti, 1888 Bullettino). . Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze — Firenze (1886 Bullettino). . « Redia » Giornale di entomologia. Pubblicato dalla R. Sta- zione di entomologia agraria in Firenze (1903). . Società botanica italiana — Firenze (1872 Nuovo Giornale botanico, Memorie, 1892 Bullettino. . Società entomologica italiana — Firenze (1869 Bullettino). . Società Ligustica di Scienze naturali e geografiche — Genova (1890 Atti). . Società Lombarda per la pesca e l’Acquicoltura — Milano (1899 Rivista mensile di pesca). . Comune di Milano (Dati statistici e Bollettino demografico). (1875 Bollettino, 1886 Dati Statistici). . R. Istituto Lombardo di scienze e lettere — Milano (1858 Atti, 1859 Memorie, 1864 Rendiconti). . R. Società italiana d’igiene — Milano (1897 Giornale). . Società dei naturalisti — Modena (1866 Annuario, 1883 Atti). . Istituto Zoologico R. Università di Napoli (1904 Annuario). . Società di Naturalisti — Napoli (1887 Bollettino). . Società Reale di Napoli. (Accademia delle scienze fisiche e matematiche) — Napoli (1862 Rendiconto, 1863 Atti). . R. Istituto d’incoraggiamento alle scienze naturali, econo- miche e tecnologiche — Napoli (1861 Atti). . La nuova Notarisia — Padova (1890). . Accademia Scientifica Veneto-Trentino-Istriana. — Padova (1872 Atti, 1879 Bullettino). . R. Accademia palermitana di scienze, lettere ed arti — Palermo (1845 Atti, 1885 Bollettino). . R. Istituto ed Orto Botanico di Palermo (1904 Bollettino). . Società dei Naturalisti Siciliani — Palermo. (1896 il Na- turalista Siciliano). . Società di scienze naturali ed economiche — Palermo (1865 Giornale, 1869 Bullettino). . Società toscana di scienze naturali — Pisa (1875 Atti e Memorie). . Rivista di fisica, matematica e scienze naturali — Semi- nario di Pisa (1906). ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI R. Scuola Sup. d’Agricoltura in Portici. Bollettino del Laboratorio di Zoologia generale e agraria Portici (1907 Bollettino). . R. Accadamia medica — Roma (1883 Atti, 1886 Bullettino). . R. Accademia dei Lincei — Roma (1876 Transunti e Ren- diconti, 1904 Memorie). . R. Comitato geologico d’Italia — Roma (1870 Bollettino). . Società italiana delle scienze detta dei Quaranta — Roma (1862 Memorie). . Società zoologica italiana. Museo Zoologico della Regia Università Roma (1892 Bollettino). . R. Accademia di Agricoltura — Torino (1871 Annali). . R. Accademia delle scienze — Torino (1865 Atti, 1871 Memorie). . Musei di zoologia ed anatomia comparata della R. Univer- sità di Torino (1886 Bollettino). 158. Ateneo Veneto — Venezia (1864 Atti, 1881 Rivista). 159. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti — Venezia (1860 Atti). 160. Accademia di agricoltura, commercio ed arti — Verona (1862 Atti e Memorie) NORVEGIA 161. Bibliotheque de 1° Université R. de Norvège — Cristiania (1880 Arch.). 162. Société des sciences de Cristiania (1859 Forhandlinger). 163. Stavanger Museum — Stavanger, Norvegia (1892 Aarsbe- retning). PAESI BASSI 164. Musée Teyler — Harlem (1866 Archives). 165. Société Hollandaise des sciences & Harlem (1880 Archives 166. 167. néerlandaises). PORTOGALLO Broteria, Revista de Sciencias Naturaes do Collegio de S. Fiel Lisboa (1902). Direccao dos Servigos Geologicos, Lisboa (Portugal) (1885 Communicagò es). 168, 169. 170. bal 172. 173. 174. 175. 176. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI XVII ROMANIA Sociètè de sciences de Bucarest (1897 Buletinul). RUSSIA E FINLANDIA Societas pro fauna et flora fennica — Helsingfors (1848 Notiser 1875 Acta, 1876 Meddelanden). Société Imperiale des Naturalistes de Moscou (1859 Bulletin, 1860 Nouveaux Mémoires). Académie Impériale des sciences de St. Pétersbourg (1859 Mémoires, 1894 Id Classe physico-mathématique, 1860 Bulletin, 1896 Annuarie). Comité géologique — St. Pétersbourg (1882 Bulletins, 1883 Mémoires). Direction du Jardin Imperial botanique de St. Pétersbourg (1871 Acta). Société Impériale des Naturalistes de St. Pétersbourg (1897 Travaux). SPAGNA Sociedad Aragonesa de Cencias Naturales — Zaragoza 1902 Boletin). Sociedad Espanola de historia natural — Madrid (1897 Actas e Anales, 1901 Boletin, 1903 Memorias). SVEZIA . Universitas Lundensis — Lund (1883 Acta). . Académie Royale suédoise des sciences — Stockholm (1864 Handlingar, 1865 Férhandlingar, 1872 Bihang., 1903 Arkiv). . Kongl. Vitterhets Histoire och Antiquitets Akademiens — Stockholm (1864 Antiquarisk-Tidskrift, 1872 Manadsblad). . Bibliothèque de l’ Université d’Upsala (Institution géolo- gique) — Upsala (1891 Meddelanden, 1894 Bulletin). SVIZZERA . Naturforschende Gesellschaft — Basel (1854 Verhandlungen). . Naturforschende Gesellehaft — Bern (1855 Mittheilungen). . Société helvétique des sciences naturelles — Bern (183447 Actes o Verhandlungen, 1860 Nouveaux Mémoires). . Naturforschende Gesellschaft — Chur (1854 Jahresbericht). XVIII ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI 185. Institut national genévois — Genéve (1861 Bulletin, 1863 Mémoires. 186. Société de physique et d’ histoire naturelle — Genève (1859 Memoires). 187. Société Vaudoise des sciences naturelles — Lausanne (1853 Bulletin). 188. Société des sciences naturelles — Neuchatel (1836 Mé- moires, 1846 Bulletin). 189. Ziircher naturforschende Gesellschaft — Ziirich (1856 Vierteljahrsschrift, 1901 Neujahrsblatt). 190. Commission géologique suisse (Société helvétique des sciences naturelles) — ZGirich (1862). SEDUTA DEL 16 FEBBRAIO 1908 XIX Seduta del 16 Febbraio 1908. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Vien letto il verbale della seduta precedente, il quale è approvato. Il prof. E. Repossi presenta la sua comunicazione: « Note di mineralogia lombarda: baritina e calcopirite di Besano »; il prof. G. Martorelli comunica una nota del prof. A. Griffini « Sopra alcuni stenopelmatidi e sopra alcune mecopodidi malesi ed austro-malesi » ed illustra un suo studio ornitologico sul « Lanius Homeyeri Cab.» presentando numerosissimi esem- plari italiani ed esotici, appartenenti alle Collezioni del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, Il presidente comunica un sommario della nota da pubblicarsi negli atti della Società dalla dott. Giuditta Mariani: « Secondo contributo allo studio della cecidologia valdostana ». Infine il socio dott. Brunati legge una sua nota: « Osser- vazioni geologiche sulla valle del Cosia » nota che per essere giunta tardi alla presidenza non era stata inscritta all’ ordine del giorno. Il presidente comunica alla Società gli omaggi pervenuti delle pubblicazioni seguenti: Dott. Zaccaria Treves: « Surmenage par suite du travail professionel »; « Die Mechanische Folge der unter normalen anatomischen Bedingungen stattfindenden durch kuenstliche indirekte Reizung erzeugten Muskelzuckung » e l’altro, fatto in collaborazione col dott. G. Salomone « Ueber die Wirkung der salpetrigen Sàure auf die Eiweissstoffe »; del dott. G. Par- ravicini: « Di un interessante microcefalia littleliana »; del dott. V. Ronchetti: « Caso di infantilismo »; del Conte E. Turati « Nuove forme di Lepidotteri »; e del dott. Fra A. Gemelli « Psicologia e biologia » « La nozione delle specie e la teoria dell’ evoluzione » e « Saggio di una teoria biologica sulla genesi della fame ». Il presidente in seguito, ricordando come il regolamento so- ciale preveda nel caso di soci i quali abbiano fatte cospicue elar- LOK SEDUTA DEL 16 FEBBRAIO 1908 gizioni alla Società che possano questi, su proposta del Consiglio direttivo, essere acclamati soci benemeriti, enumera le beneme- renze che verso la Società Italiana ha avuto il socio dott. M. De Marchi e a nome del Consiglio propone quindi che gli sia conferita tale onorifica distinzione. L'assemblea approva unanimemente, plaudendo. Il presidente aggiunge inoltre che il dott. M. De Marchi, co- nosciute le condizioni ancora leggermente precarie della Società, in causa delle spese incontrate per il Congresso del Settembre 1906, si è offerto di contribuire di nuovo, e largamente, a colmare il deficit, qualora la Società si addossi la passività rimanente. L’ assemblea applaude vivamente, incaricando la presidenza di esprimere cordiali ringraziamenti al dott. De Marchi. Si passa quindi alla votazione per l'ammissione a socio del prof. Supino F. ed in seguito a quella del dott. Giovanola M. Frattanto il presidente comunica il Bilancio consuntivo, osservando che il medesimo nel suo complesso si presenta discreto, tenuto conto delle gravi spese che la Società ha in- contrato nello scorso anno. Il Bilancio stesso si chiude con un avanzo di L. 231; esso ha subito in quest'anno un notevole ritardo nella sua compilazione, perchè molti soci invece di saldare le loro partite nel 1° bimestre dell’ annata, ritardarono il pagamento, determinando conseguentemente un impedimento alla chiusura dei conti. Si può dire che il bilancio annuale ordinario sia pienamente assestato e consolidato nelle cifre di passivo e di attivo; esso permette di guardare l'avvenire con tranquilla fidanza nell’incremento della Società. Apre poi la discussione sul medesimo; nessuno facendo osser. vazioni, il bilancio viene messo in votazione ed approvato ad unanimità. Infine il presidente comunica la proposta del Consiglio Direttivo, di assumere a carico della Società le passività re- sidue del Congresso dei Naturalisti Italiani del settembre 1906. Il saldo di tale residuo, che si riduce a circa L. 907, spetta di naturale conseguenza alla Società, perchè la medesima fu la promotrice del congresso stesso. Egli osserva che il Preven- tivo già abbozzato per l’anno 1908 permette di sostenere la spesa; considerando poi la nuova offerta del benemerito socio dott. De Marchi la passività finale sarebbe ridotta a pressapoco L. 300, sicchè resta evitato il pericolo di dover intaccare i] fondo di riserva. SEDUTA DEL 15 MARZO 1908 xxi Il prof. Brizi crede conveniente accettare la proposta e propone plauso alla Presidenza che ha amministrato così pru- dentemente i fondi e cercato volonterose contribuzioni alle spese. Messa in votazione la proposta del prof. Brizi essa è approvata. Il presidente rende conto della votazione per l’ ammissione a soci del prof. Supino F. e dott. Giovanola M., i quali sono ammessi. In ultimo si passa alla votazione delle cariche in scadenza (Vice-Presidente, Segretario, Vice-Segretario, Archivista, tre Consiglieri, e cassiere). Vengono riconfermati : Besana ing. G. — Vice-Presidente; De-Alessandri prof. G. — Segretario; Repossi prof. E. — Vice-Segretario ; Castelfranco prof. P. — Archivista; Bellotti dott. C. | Magretti dott. P. Consiglieri; Salmojraghi prof. F. \ Villa Cav. V. Cassiere. Proclamato l’esito della votazione, il Presidente toglie la seduta. Seduta 15 Marzo 1908. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Aperta la seduta, il segretario legge il verbale della seduta precedente, il quale è approvato. Il presidente legge in esteso la nota della prof. Rina Monti « L’insegnamento della Zoologia nella facoltà di medi- cina ». Il socio dott. Ada Lambertenghi illustra la sua nota « Con- tributo allo studio della cellula renale dell’ Helix pomatia L. ». Essendo per impedimento assente il dott. A. Gemelli, la sua lettura viene rimandata alla prossima seduta. Il presidente comunica la nota del socio prof. Griffini « Sopra alcuni Grillacridi «. Infine il socio prof. Ugo Brizi illustra con numerosi pre- XXII SEDUTA DEL 15 MARZO 1908 parati il suo studio « Sopra un nuovo fungo parassita : delle orchidee. i Il presidente legge una lettera del dott. M. De Marchi il quale ringrazia il Consiglio Direttivo ed i soci per il conferi- togli onorifico attestato di benemerenza, augurando sorti migliori ai buoni intendimenti della Società. Egli presenta in seguito il bilancio preventivo, fortunata- mente ritornato sul piede normale e senza deficit, cosa che rappresenta un vero successo dopo le spese ingenti degli scorsi anni. Nel bilancio furono aumentate considerevolmente le spese di stampa, per dare sempre maggior sviluppo agli Atti Sociali, avendosi intenzione nel corrente anno di stampare non 4 ma 5 fascicoli, allo scopo di mettersi completamente in carreggiata nel corso delle pubblicazioni. Il presidente apre la discussione sul bilancio preventivo. Il prof. Brizi raccomanda di rendere più attiva la vendita degli atti, ricordando come la Società botanica italiana ricavi da essa un introito molto maggiore di quello della nostra Società. Il presidente risponde che egli non vede in proposito altro mezzo che quello già in uso della nostra Società, cioè di affidare la rivendita degli atti ai librai, e riferisce come degli atti del Congresso dei naturalisti italiani furono richieste poche copie. Egli soggiunge che si farà il possibile per aumentare la vendita; ma non nasconde le difficoltà, perchè il nostro perio- dico ha ‘base molto larga nel campo delle scienze naturali e quindi la sua vendita è più difficile che per un periodico spe- cializzato in un ramo delle scienze. Il prof. Castelfranco propone, per aumentare la vendita degli atti, di offrire agli acquirenti a prezzi ridotti anche le annate passate, allettando così i soci ed i cultori delle scienze naturali a far domanda della raccolta completa. Il presidente risponde che ciò fu già fatto abbondante- mente pel passato e parecchi soci ne hanno approfittato, otte- nendo uno sconto assai notevole sul prezzo di copertina delle singole annate. Nessun altro facendo osservazioni, il bilancio è messo in votazione ed è approvato. Esaurito con questo l’ordine del giorno, la seduta è levata. SEDUTA DEL 3 MAGGIO 1908 XXI Seduta del 3 Maggio 1908. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Letto il verbale della seduta precedente,il quale è appro- vato, il socio ing. F. Salmojraghi comunica la sua nota « Su alcuni terreni alluvionali di Vizzola Ticino e Castelnovate » ed il socio prof. F. Sordelli presenta il suo studio sui « Vertebrati dell'Argentina e del Benadir donati al Museo Civico di Milano dal sig. Bondimaj. Essendo per doveri professionali ancora assente il socio Gemelli dott. A. la sua lettura inscritta all’ordine del giorno é rimandata ad altra seduta. Il presidente comunica gli omaggi pervenuti alla Società delle pubblicazioni seguenti: Cozzi Carlo. Il sentimento della natura in Aleardo Aleardi. Vigevano, 1908. Choquet. J. Etude comparative des dents humaines dans les différentes races. Can. Coco Licciardello F, Il crepuscolo. Saggio di poesie vespertine. Catania, 1908. Partecipa poi l’avviso di concorso bandito dal R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti al premio (L. 3000) di fon- dazione Arrigo Forti (scadenza 8 Gennaio 1911) per lavori di botanica e di zoologia. Egli in seguito, a termine dello statuto sociale, invita l’As- semblea a procedere alla votazione per l'ammissione di due nuovi soci: dott. Carlo Maglio, proposto dai soci prof. Taramelli e Artini e prof. A. Pugliese, proposto dai soci prof. U. Brizi e dott. G. Cobau. Mentre gli scrutatori attendono allo spoglio delle schede, il presidente avverte che, giusta le deliberazioni dell’ assemblea nella seduta del Dicembre scorso, egli coi colleghi della di- rezione ha studiato un programma per una gita sociale ad Esino col seguente itinerario: Milano-Perledo-Esino-Pizzo dei Cich e ritorno per Lierna-Lecco, gita che si farebbe il pros- simo 28 Maggio. Alla gita potranno partecipare escursionisti XXIV SEDUTA DEL 3 MAGGIO 1908 non ascritti alla Societa, purché i medesimi siano presentati da soci ed egli si lusinga che tale escursione scientifica, per la regione interessante che attraversa, per la facilità dei mezzi di accesso e per la spesa limitata, troverà largo numero di ade- renti. La presidenza sì farà premura di comunicare con apposita lettera circolare ai soci l’invito a parteciparvi. Dopo alcune osservazioni del prof. Castelfranco, il quale raccomanda di aggiungere alla circolare diretta ai soci una larga diffusione dell’invito a mezzo della stampa, l’ assemblea unanime approva il programma. Infine il presidente proclama l’esito della votazione per l'ammissione dei due nuovi soci proposti, i quali risultano ammessi; ed essendo esaurito l’ ordine del giorno, toglie la seduta. ; SEDUTA DEL 21 GIUGNO 1908 XXV Seduta del 21 giugno 1908. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Letto il verbale della seduta precedente, il quale è appro- vato, il socio prof. C. Terni comunica le sue note: « Nuova epizoozia di agoni nel lago di Lugano » e « Un nuovo mixo- sporidio flagellato parassita degli agoni » (Myxobolus alosae Terni), illustrando il suo dire colla dimostrazione di numerosi preparati. Il socio prof. F. Supino presenta la sua nota; « Morfologia del cranio e note sistematiche e biologiche sulle famiglie Tra- chinidae e Pediculati » ed in seguito comunica l’altro suo studio: « Sui cosidetti pesci antimalarici ». Il socio prof. Terni associandosi alle conclusioni del pro- fessor Supino, il quale aveva asserito che la lotta contro la malaria non si deve limitare alla distruzione della zanzara coi pesci, ma estendersi alla bonifica dell’uomo ammalato, osserva che egli col Rossi ritiene che la lotta mediante i pesci rappre- senti solo un mezzo sussidiario di combattimento, essendo pre- cipui quelli riguardanti l'igiene delle abitazioni, dei cibi ecc. Tale lotta d’altra parte avrebbe il vantaggio di cumulare una impresa economica con un’altra igienica. Egli consiglierebbe un grande sviluppo della Tinca volgare che eventualmente potrebbe essere privata del sapore di fango (dovuto a speciali bacterii) con opportuna epurazione in acque correnti limpide. Il prof. Terni desiderebbe che la Società Italiana si affer- masse con un ordine del giorno in proposito, considerato che nelle nostre acque furono già immessi troppi pesci inutili od anche ;dannosi. Fanno osservazioni in riguardo il prof. Supino, l’ing. Besana, ed infine l’assemblea approva ad unanimità il seguente ordine del giorno presentato dal prof. Terni: La Società Italiana di Scienze Naturali, presa conoscenza degli esperimenti di pisci- coltura come mezzo sussidiario di lotta contro la malaria, plaudendo all’iniziativa di. S.. M. il Re ed all’opera solerte * XXVI SEDUTA DEL 21 cIiuGNo 1908 della direzione di Sanità pubblica, rileva il fatto che nelle nostre acque esistono pesci utilizzabili per questo scopo; fa voti perchè, pur studiando la convenienza di introdurre pesci stranieri, si dia la preferenza agli esperimenti con pesci indigeni già naturalmente adattati ad acque stagnanti e favorevolmente usati per l'alimentazione pubblica. Nello stesso tempo fa voti che sia tenuto presente il divieto per la introduzione arbitraria di nuove specie di pesci in acque pubbliche, a norma di quanto prescrive il regolamento sulla pesca. Il socio prof. Sordelli a nome del socio Cozzi Sac. C. presenta lo studio « Le arboricole del salcio nell’Agro abbia- tense » ed il socio dott. C. Barbieri riferisce sul suo studio: « Neuromeri e somiti nella regione meta-otica dei Teleostei ». Il socio prof. Sordelli presenta la sua nota: « Di due testug- gini gigantesche » Poi il presidente in assenza del dott. Gemelli fra A. comunica la nota del medesimo: « Sui nervi e sulle terminazioni nervose della membrana del timpano » ed un’altra dell’ing. Maddalena L. intitolata: « Studio petrografico dei basalti delle Bragonze nel Vicentino »; in ultimo presenta una nota del socio dott. E. Mussa « Note floristiche delle prealpi torinesi fra la Dora Riparia e la Stura di Lanzo (Zona delle pietre verdi) ». Il presidente infine comunica alla società la pubblicazione giunta in omaggio dal prof. Terni « La piscicoltura nella lotta contro la malaria Roma 1906 » e legge una lettera del prof. A. Pugliese il quale ringrazia la Società per la sua ammissione a socio. Annunzia di aver inviate congratulazioni a nome suo e della Società in occasione della alta distinzione conferita dal Governo al nostro socio onorario prof. B. Grassi colla sua nomina a membro della Camera vitalizia e di aver ricevuto cortesi rin- graziamenti. Riferisce come dopo il recente ampliamento dei locali dispo- nibili nel Museo Civico la Società Italiana avrà nel prossimo anno accademico una sede più capace e più comoda, ed informa anche sopra le trattative e la susseguita stipulazione fatta dal Consi- glio direttivo di un nuovo contratto per la stampa degli atti sociali colla tipografia Succ. Frat. Fusi in Pavia, dal quale contratto egli si ripromette qualche vantaggio economico. Infine intrattiene l'assemblea sull’esito lusinghiero che ha avuto la gita sociale fatta il 28 maggio scorso nella regione SEDUTA DEL 22 NovEMBRE 1908 XXVII Varenna-Perledo-Esino-Lierna; poichè, dato il successo della prima, sarebbe desiderabile che se ne facesse un’ altra in prossima occasione, la presidenza studierà la questione ed in caso dira- merà gli inviti relativi. In ottemperanza al 3° comma dell’articolo 30 del regolamento sociale, il Segretario legge seduta stante il verbale, il quale è approvato e si toglie la seduta. Seduta del 22 novembre 1908. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Aperta la seduta nella nuova aula della Società presso il Museo Civico, il prof. Sordelli a nome del prof. Griffini presenta la nota: « Intorno ad alcuni Gryllacris » ed il segretario a nome del prof. Sacco comunica lo studio: « Glacialismo ed ero- sione nella Majella ». Essendo assente il dott. Airaghi, la comu- nicazione della sua nota posta all’ordine del giorno viene rimandata ad altra seduta. Hsaurite le comunicazioni che erano all’ordine del giorno, il prof. Martorelli da notizia di una nuova cattura di Chae- tusia gregaria (specie di pavoncella) avvenuta a Ripalta presso il lago di Lesina. L’esemplare viene dal prof. Martorelli presen- tato fresco in carne, essendo morto nella notte nell’aviario del Giardino Publico di Milano. È un giovane apparentemente in prima veste e venne preso alle reti assieme a varie pavoncelle, in compagnia delle quali giunse a Milano al sig. Ferruccio Ogliari, che gentilmente ne fece dono al Museo. Nella speranza che sopravvivesse venne posto nel Giardino Pubblico; ma nono- stante si fosse dimostrato.agevole e punto timoroso e si cibasse volontieri di carne, morì dopo sette giorni, deludendo così la speranza di poterne osservare le mute, assai poco note agli ornitologi. La Chaetusia gregaria è specie dell'Europa Sud-Orien- tale e di parte dell’Asia centrale. Questa è l’ ottava cattura ben accertata per l’Italia ed è notevole la costante apparizione di questa pavoncella colla specie comune fra noi. Il presidente in seguito notando tra i presenti all’ as- semblea il socio prof. Rinaldo Natoli, presidente della Società Ticinese di Scienze Naturali, a nome dei soci convenuti porge al collega cordiali saluti. Il prof. Natoli ringrazia vivamente. XXVII SEDUTA DEL 22 NOVEMBRE 1908 Passando alle comunicazioni, il presidente osserva come le condizioni della Società Italiana di Scienze Naturali, sia per la poca frequenza dei soci alle sedute, sia per il numero limitato delle note comunicate per il Bollettino sociale, dimostrino il pericolo di un rilassamento ovvero di un ristagno nello sviluppo dell’associazione. Egli ritiene che alla futura presidenza spetti un compito assai maggiore di quello svolto durante la sua permanenza alla direzione della Società, per evitare che la nostra associazione, la quale è la più vecchia d’Italia, ritorni inoperosa per marasma senile. Finanziariamente le sorti sono assicurate; il nuovo contratto conchiuso colla tipografia Suc- cessori Fratelli Fusi di Pavia ha permesso di economizzare una somma discreta nella pubblicazione degli Atti e consente che si guardi all’avvenire senza preoccupazioni; ma bisogna mirare più in alto. Egli raccomanda caldamente ai colleghi di promuo- vere l’iscrizione di nuovi soci e di contribuire con studi e memorie all'incremento degli Atti. Egli pel passato si era illuso che la proposta partita da Milano, e precisamente durante il Congresso pel cinquantesimo anniversario della Società, dai prof. Volterra, Issel e Pirotta, di fondare una federazione fra le associazioni esistenti, favorisse lo sviluppo della Società Italiana. Ma a quanto sembra, i frutti sono assolutamente diversi e la nuova associazione invece di rappresentare il prodotto di fusione di quelle già esistenti è una associazione nuova che porterà antagonismo e stabilirà una specie di concorrenza colle vecchie. Egli quindi si domanda se non fosse opportuno ritornare all’antica idea, la Società facendosi iniziatrice di una federazione fra tutte le Società italiane di Scienze Naturali. Un’ altra idea che egli vorrebbe attuare è la seguente: i naturalisti italiani sparsi in tutta la penisola, nelle scuole medie e private, lontani da ogni centro scientifico, privi di consigli e di incoraggiamenti, sentono vivamente la necessità di un periodico a larga base scientifica, il quale in forma piana ma pur esatta dia loro, anche in sunto, notizia di quanto si va scoprendo e facendo di nuovo nel campo delle scienze naturali. Tale pubblicazione potrebbe essere redatta a cura della direzione della Società, che dovrebbe chiamare a collaborarvi naturalisti distinti e conosciuti. La società stessa dovrebbe farsi editrice di tale periodico e concederlo a prezzo di favore SEDUTA DEL 6 DICEMBRE 1908 XXIX ai naturalisti italiani; così richiamerebbe un largo contributo di energie giovanili e disaggregate, a incremento della sua vitalità. Egli si augura che i colleghi della Società Italiana di Scienze Naturali studino la sua proposta e che si possa addi- venire a qualcosa di concreto. Il prof. Castelfranco approva le due proposte, massime la seconda, perchè egli ritiene che le giovani reclute siano indi- spensabili al buon andamento sociale; egli però, come altra volta, propone che per attirare maggior concorso nei ritrovi sociali e per affermare più vivamente attiva l'associazione, si cerchi anche mediante conferenze tenute da scienziati illustri di colpire maggiormente l’attenzione dei concittadini. Il presidente ritiene che le conferenze non riescano ad accrescere di nuove energie la compagine sociale, perchè di conferenze oramai si è abusato ed il pubblico manifesta non dubbi segni di stanchezza; egli tuttavia studierà la questione e terrà informati i soci. Infine comunica le pubblicazioni giunte in omaggio alla Società: Andres Angelo. « I meriti zoologici di Ulisse Aldrovandi ». « Onoranze ad Ulisse Aldrovandi nel 3° centenario della sua morte, celebrate in Bologna nei giorni XI, XII, XIII giugno 1907 ». La seduta è tolta. Seduta del 6 dicembre 1908. Presiede il presidente prof. E. ARTINI. Oltre ai soci sono presenti numerosi medici, veterinari, professori della R. scuola Veterinaria e di Agricoltura, fra cui i sigg. prof. Lanzillotti direttore della scuola di Veterinaria, comm. Stabilini Presidente del Comizio Agrario, dott. Pampana medico Provinciale, dott. Varaldi prof. alla scuola di Veterinaria, dott. Fiorentini, Veterinario dell’ufticio Municipale. Aperta la seduta, il segretario legge il verbale della seduta precedente, il quale è approvato. Il socio dott. Terni comunica la sua nota: « Eziologia e patogenesi dell’ afta epizootica », e presenta numerosi preparati dimostrativi, Sulle osservazioni e sui risultati del dott. Terni si XXX SEDUTA DEL 6 DICEMBRE 1908 accende un’ animata discussione, alla quale partecipano il pro- fessor Fiorentini, il prof. Stazzi, ed il dott. Vallillo ('). Il segretario a nome del prof. C. Airaghi presenta la nota del medesimo: « Di alcuni echinidi miocenici del gruppo della Majella »; a tale proposito osserva che egli avendo avuto campo di studiare una bella raccolta di ittioliti rinvenuti nella stessa località degli echinidi studiati dal dott. Airaghi, può confer- mare pienamente la miocenità del giacimento, ritenendolo come spettante al piano Elveziano del Mayer. Il socio ing. Maddalena comunica alcune osservazioni : « Sui minerali della Val Cavargna »; il presidente prende occa- sione per porgere all’ing. Maddalena, che si accinge ad un lungo viaggio in Dankalia, i saluti e gli auguri della Società, pregan- dolo al suo ritorno in patria di comunicare alla Società Italiana i risultati scientifici del viaggio stesso. i L’ing. Maddalena ringrazia e dice che si terrà lieto di informare i colleghi di quanto avrà campo di osservare. Il presidente comunica gli omaggi pervenuti alla Società dal prof. Mario Bezzi: « Ditteri eritrei » « Eine neue brasilia- nische Art der Dipterengattung Adlognosta O. S. », « Noterelle cecidologiche, Rhagionidae et Empididae Palaearcticae novae ex Museo Nationali Hungarico », « Secondo contributo alla cono- scenza del’ genere Asarcina ». « Die Chionea der Alpen ». « In memoria di Camillo Rondani, nel 1° centenario della sua nascita ». Si procede quindi alla votazione per la nomina dei revisori del bilancio consuntivo dell’anno 1908; vengono nominati il prof. E. Mariani e l'ing. Bazzi E. con 19 voti sopra 19 votanti; indi si leva la seduta. (1) Il sunto della discussione sarà pubblicato a parte fra le comunicazioni scientifiche. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO DELLE PUBBLICAZIONI RICEVUTE IN DONO OD IN CAMBIO DALLA SOCIETÀ dal 1 marzo 1908 al 31 gennaio 1909 Non periodiche (') *AMEGHINO FLORENTINO, Notes sur les poissons du Patagonien, 1908. — El arco escapular de los edentados y monotremos, y el origen reptiloide de estos dos grupos de Mamiferos, 1908. — Encore quelques mots sur les Tatous fossiles de France et d'Al- lemagne, 1908. *ANDRES ANGELO, I meriti zoologici di Ulisse Aldrovandi che fu il più grande zoologo del Rinascimento. Discorso inaugurale 1908 Roma. — Atti del terzo congresso nazionale di pesca tenutosi in Milano nei giorni 19-23 settembre 1906 sotto l’ alto patronato di S. M. Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, redatti a cura del Segretario generale prof. dott. G. Mazzarelli 1908. — La pesca in Italia. Provvedimenti governativi negli anni 1904 e 1905 pel dott. Enrico Giacobini, dalla Rivista mensile di pesca anno VIII, N. 8-10, 1906. *Bezzi Mario, Eine nene brasilianische Art der Dipterengattung Allo- gnosta O. S. aus deutsch. ent. Zeitschr, 1908. — Die Chionea der Alpen, aus « Societas entomologica » Jahrg. XXIII, pag. 97-99. — Rhagionidae et Empididae palaearcticae novae ex Museo Nationali Hungarico, Annales 1908. — Secondo contributo alla conoscenza del genere Asarcina, Annales 1908. — Noterelle cecidologiche, estratto da Marcellia, Riv. int. di Cecido- logia, Vol. VII, 1908. — In memeria di Camillo Rondani nel primo centenario della sua nascita. Bollettino dei Musei di zoologia ed anatomia comparata della R. Univ. di Torino Vol. XVIII, N. 592. — Ditteri eritrei raccolti dal dott. Andreini e dal prof. Tellini parte 2°, 1908 Firenze. (1) Le pubblicazioni segnate con asterisco furono donate dai rispettivi Autori. le altre sì ebbero da Società e Corpi scientifici corrispondenti, XXXII BULLETUINO BIBLIOGRAGICO *Boegan EugenIo, Le cavità sotterranee presso Dignano 1909 Trieste. — Carta geologica delle Alpi Occidentali !/,30-000- *CasTELFRANCO Pompeo, Monete galliche della Transpadana, 1908 Milano. — Centenario della Cattedra di Zoologia nella R. Università di Napoli 1806-1906 (1907). é *Cuoquer J., Etude comparative des dents humaines dans les différentes races 1908 Chateauroux. *Coco LicciarpeLLo F., Il Crepuscolo, Saggio di poesie vespertine, con- tinuazione di quelle pubblicate nel 1905, Catania 1908. — Congrès international d'Anthropologie et d’Archéologie préhisto- riques. Compte rendu de la treizieme session Monaco 1906 Tome II, 1908 Monaco. *Cozzt CarLo, Il sentimevto della Natura in Aleardo Aleardi. Estr. dal Viglevanum, anno ll, fasc. 1, 1908 Vigevano. *IsseL Arturo, Liguria preistorica. Epilogo. Estratto dal Vol. XL, degli Atti della Società Ligure di Storia Patria 1908. Genova. *MarIani Giupitra, Nuovo contributo alla Cecidologia italica, dalla Marcellia. Riv. int. di Cecidologia, Vol. VIl 1908 Avellino. — Monumenti veneti nell’ Isola di Creta, Relazione della Missione veneta a Creta del dott. Giuseppe Gerola. — Mordwilko A. — Origine des hòtes intermédiaires chez les para- sites des animaux, extrait du Tome XIll, 1908 de l'Annuaire. *ScHAEBERLE J. M., The earth as a heat-radiating Planet. (Reprinted from Science, N. S. Vol. XX.VII, pag. 392-393). — The infallibility of Newton's law of radiation at known tempera- tures. (Rep. fr. Science N. S. Vol. XXVII, pag. 784-785). — Geological climates ete. (Vol. XXVIl N. 701, pag. 894. June 5, 1908). — An explanation of the cause of the Eastward circulation of our atmosphere. (Rep. fr. Science, N. S. Vol. XXVIII, N. 717, pa. 415-416 September 25, 1908). — On the origin and age of the sedimentary rocks (Rep. fr. Science, N. S. Vol. XXVIII, N. 721 pag. 562-565, October 23, 1908. — Smithsonion Institution Classified List of Smithsonian Publications available for distribution May 1908. *SteLLA A., Carta Geologica della regione del Sempione, e rettifiche, Questa Carta è pubblicata per cura della Commisione Geologica Svizzera colla collaborazione del R. Ufficio. Geologico, ed ha per titolo: Beitrige zur geologischen Karte der Schweiz Lief. XXVI. Spezialkarte n. 48 etc. von C. Schmidt und H. Preiswerk (1892 1905) mit Verwertung der Aufnahmen von A. Stella (1898-1906). *Terni Gam:LLo, La piscicultura nella lotta contro la malaria. Estratto dal volume degli Atti del Congresso. agrario nazionale tenutosi a Milano nei giorni 20-26 maggio 1906 Roma. BULLETTINO BIOLIOGRAFICO XXXIII Pubblicazioni periodiche DI SOCIETÀ ED ACCADEMIE SCIENTIFICHE CORRISPONDENTI > E i ” 1.4 ” del 2° dito . : : . : . ” 2.0 ” del 5° dito . . . . . . ” —7 Lunghezza della coda, dall’apertura anale all’ apice» 31.5 Mabuia striata (Peters, sub: Tropidolepisma). — Bouleng. Cat. Liz. TIT, p. 204. Un adulto ed un giovane (n. 378). Mabuia Hildebrandtii (Pets, sub. HKuprepes/. — Bouleng. Cate diz. Alp. 207. Quattro individui (n. 879). Convengono pienamente col tipo della specie che è di Brava, a S. W. di Mogadiscio, località ora appartenente anch’essa alla Somalia italiana. Lygosoma Sundevalli (Smith). — Bouleng. Cat. Liz. III, p. 307. — £umeces (Riopa) Smith. — Mochlus afer (Peters) Bo- cage, Segunda lista dos Reptis, etc. (Jorn. Sc. Lisboa, I, 1867, pe222 01 It) Varî esemplari di diversa età (n. 877). Non offrono diffe- renza alcuna nella folidosi. Varia invece assai la colorazione. Fra gli adulti havvene di unicolori e di macchiati; dei gio- vani alcuni hanno 4 righe pel lungo, salvo che sulla coda ch'è unicolore; altri sono rigati e macchiati. Verosimilmente avviene qui, come in altri Rettili, che i giovani hanno disegni diversi da quelli che avranno poi a sviluppo completo. Chalcides ocellatus (Forsk). — Blgr. Cat. Liz. III, p. 400. Un giovanissimo individuo (n. 880) colla caratteristica mac- chiatura e folidosi, identiche a quella degli es. italiani e del- l'Africa settentrionale. La sua esistenza nella Somalia era se- gnalata già da Boulenger (loc. cit.) Boodon lineatus Dum. et Bibr. — Bouleng. Cat. Snakes Tap. 002. Cinque esemplari di diversa età (n. 1827). È specie ancor questa, avente un’area di dispersione estesissima. VERTEBRATI DELL'ARGENTINA E DEL BENADIR 21 Brachyophis Révoili Mocquard, Mém. Cent. Soc. Philo- mat. 1888, p. 125, pl XI, f. 3 ('). — Boulenger, Cat. Snakes, ITI, 1896, p. 254. Due es. adulti, di Mogadiscio (n. 1851). — Do qui alcune misure ed alcuni particolari della folidosi, trattandosi di specie ancora poco nota. a 7 Lunghezza totale . È : 7 3 Mel CMe 21.5 Lunghezza della coda . i ; ; ST 5 L.5 Serie di squame . ‘ È i : cenato Ly Scudetti ventrali . : - ; . 103 105 Sottocodali interi ; : : : We Shoe ee 13 Sopralabiali 7; il 1° tocca l’internasale ed il nasale; questo ha 5 lati disuguali ed una fessura nasale dall’avanti all’indietro, che non divide lo scudetto interamente. Il 2° sopralabiale non tocca se non il nasale; il 3° il nasale ed il prefrontale; il 4° per brevissimo tratto questo pre- frontale, il preoculare (assai pic- colo), l’occhio ed il piccolissimo postoculare inferiore; il 5° i due postoculari; il 6°, che è il più grande di tutti, il postoculare su- périore ed il parietale; il 7' il parietale. Mancano gli scudetti temporali. — Dei sottolabiali il 1°, strettissimo, racchiude un mentale triangolare assai allungato; il 2°, pure stretto, ma più corto, tocca colla sua estremità gl’ intersotto- mascellari ; il 3° assai largo tocca Brachyophis Revoili: Capo veduto pure il primo pajo degl’intersotto- di sopra, sotto e lateralmente, il doppio mascellari; 4° e 5° sottolabiali, de! vero. stretti e triangolari, toccano due grandi scudetti interposti fra essi e le tre paia di intersottomascellari. La forma quasi a scalpello del muso, il 1° sopralabiale a (1) Non ho potuto consultare la memoria originale di Mocquarp, ma solo il cenno fattone da BouLENGER nel Zoological Record, 1888, Rept. p. 13, e la descri- zione condotta su d’un esemplare tipico inserita nel Cat. of. Snakes, III, p. 254, +22 FERDINANDO SORDELLI contatto coll’ internasale, I’ assenza di temporali; la singolare disposizione degli scudetti alla parte inferiore del capo, per cui i più grandi sono separati dal margine della mandibola per mezzo dei piccoli sottolabiali; come pure la brevità del tronco e la cortissima coda, danno a questo animale una fisionomia tutta sua propria. Colorazione (in alcool) bruno-scura (') interrotta lungo il dorso, a brevi intervalli, da squame strettamente terminate di bianco; sui lati le squame sono più largamente terminate di bianco, in modo da formare quasi delle macchie trasversali, assai poco distinte fra di loro; macchie del resto assai irrego- lari, larghe in media circa due serie trasversali di squame. Le tre file più esterne sono brune soltanto alla base; le ventrali e le sottocodali bruno-caffè alla sutura, d’ un bianco sporco al margine. Il capo è di sopra bruno-scuro uniforme. Gli scudetti sopralabiali 2° e 3° sono bianchi; una gran macchia bianca oc- cupa del pari la maggior parte dei 5° e 6° sopralabiali, e bianca è parimente la mascella inferiore. La disposizione dei labiali superiori da me descritta, e che si vede anche meglio nelle annesse figure, non corrisponde in tutto alle indicazioni date da BouLENGER nel citato suo catalogo, dove dice: 7 upper labials, third and fourth entering the eye; fifth and sixth largest and in contact with the parietals. Ciò mi lasciava dubitare della esattezza della mia determinazione. Avendo però comunicato a quell’ illustre erpetologo copia delle unite figure, egli, colla consueta sua cortese premura della quale gli son grato, mi faceva avvertito che tale diversità non infirmava per nulla il mio giudizio; ed anzi mi assicurava d’a- vere sott'occhio un individuo che da un lato offre una folidosi come quella da lui descritta e dall’altro presenta il 3° e 4° la- biale toccanti il prefrontale, il 4° l’occhio, il 5° postoculari ed i due ultimi il parietale, precisamente come nei miei esemplari. (1) Per chi si serve del Codice dei colori, testè edito da KLINCKSIECK a Parigi, a tinta bruna, alquanto calda, di questo Ofidio può essere indicata col n. 114. Dott. Ada Lambertenghi CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CELLULE RENALI DELL’HELIX POMATIA L. E DEL LIMAX VARIEGATUS DRAP. Parecchie ricerche d’istologia e di chimica fisiologica fu- rono già fatte sulle cellule renali dei gasteropodi polmonati ed io debbo citare i lavori di H. Meckel (!), di F. Leydig (*), di Heol ve) ari Vogte Hi Jung, È) di) R.” Perrior (?); di Mi Bral' (6), di P. Girod (), di LL. Cugnot (8), di Ph. Schoppe (°). Benchè si abbia già, per merito dei nominati autori, una buona conoscenza di questi elementi ghiandolari, credo tuttavia, col presente lavoro, di chiarire alcuni punti controversi intorno alla loro struttura, al meccanismo dell’ escrezione ed alla com- posizione chimica dell’escreto. Una parte delle osservazioni che qui raccolgo, formarono oggetto della mia dissertazione di laurea; ebbi poi campo di completare alcune ricerche intorno alla istologia del rene del- V Helix nel laboratorio d’ Anatomia comparata di Pavia e mi sia permesso manifestare pubblicamente la mia gratitudine al prof. A. Giardina ed alla prof. Rina Monti che mi furono larghi d’assistenza e d’aiuto nel mio studio. Tecnica. — Il materiale fu esaminato a fresco ed in sezioni: dei liquidi fissatori quello che mi diede i migliori risultati fu il liquido del Carnoy: alcool assoluto parti 60; cloroformio parti 30; acido acetico parti 10. Inclusi i pezzi di rene in paraffina e mi valsi sovente, per la colorazione, dell’ematossilina ferrica secondo Heidenhein e, successivamente, di fucsina acida o di qualche altro colore d’anilina; ma se questo procedimento giova per le ricerche 24 ADA LAMBERTENGHI strutturali, occorre dir subito che l’allume ferrico scioglie in parte, e, se l’azione è prolungata, interamente le concrezioni che si trovano, quale prodotto di eserezione, nelle cellule ghiandolari del rene, per cui, volendo ottenere la colorazione nucleare, senza intaccare le concrezioni, usai con vantaggio dell’ ematos- silina Béhmer, della tionina, della toluidina ed ancora, per la seconda colorazione, di qualche rosso d’anilina. Topografia e struttura del rene. — Il rene dell’Helix po- matia si trova, come a tutti è noto, sulla volta della cavità polmonare nel mantello: la sua topografia venne recentemente studiata da Gustav Stiasny (!°), il quale ne fece un’accurata descrizione corredandola con disegni precisi di cui riporto quello rappresentato nella fig. I; in essa l’organo è visto dal lato interno sporgente nella cavità polmonare, dopo aver fessa la cavità a sinistra e rovesciato il mantello a destra, tenendo la testa dell’ Helix rivolta verso l'osservatore. Il rene, come appare dalla figura, à la forma di un irre- golare triangolo, l'angolo più acuto del quale è diretto in avanti: vi sì distinguono tre parti: il sacco del rene, il 1° ed il 2° uretere. La cavità renale (del sacco) comunica per il nefrostoma con, la cavità pericardica e, anteriormente, comunica col 1° ure- tere, il quale, alla sua volta, si continua col 2° uretere, decor- rente, per buon tratto, lungo il retto, prima di sboccare all’e- sterno. La parete del rene è costituita all’esterno dal mantello ed all’interno dalla parete del sacco polmonare che si continua sul rene e sul pericardio: queste membrane limitanti sono for- mate istologicamente da un epitelio di rivestimento e da fasci di fibre decorrenti longitudinalmente e trasversalmente, sopra le quali si appoggia nel lume renale, l’ epitelio secernente. Lateralmente, per il tratto che il rene è adiacente al cuore il pericardio è pure parete renale ed è formato da un basso endotelio verso la cavità pericardica e da fasci di fibre. Infine posteriomente il rene è separato dagli organi viscerali (fegato, ansa intestinale, receptaculum seminis) da un sottile tramezzo di fibre. La cellula secernente. — L’epitelio secernente si dispone in ricche pieghe sporgenti nel lume del sacco, accompagnate sempre da tessuto connettivo sottostante (fig. 1). nw on CONTRIBUTO ALLO STUDIO ECC, E costituito di cellule (fig. II) prismatiche, poggianti con la base sopra il connettivo e con la faccia opposta sporgenti FIG. I. — Schema del rene, del primo e secondo uretere dell’ Helix pomatia L. secondo G. Stiasny. mb; membrana che limita il sacco renale — ns; sacco del rene -- pr.u; primo uretere — se. u; secondo uretere — d; intestino — neph; nefrostoma — at; atrio — ve; ventricolo — vp; vena polmonare. nel lume ghiandolare; le loro dimensioni sono di circa 0.035 mm. per l'altezza e di circa 0.025 per la larghezza. Il nucleo, grosso, è sempre basale, solitamente un po’ ton- deggiante od un poco ovale, limitato da una membrana, ricco di granuli cromatinici di varia grossezza e provvisto di nucleolo. Nel mezzo della cellula, ma alquanto spostato verso il lume renale, vi è uno spazio vuoto che sta a rappresentare il posto occupato da una vacuola ripiena di liquido nella cellula vivente. È in questa vacuola e, sulle sezioni, nello spazio vuoto, 26 ADA LAMBERTENGHI che si trovano comunemente delle concrezioni in forma di pallottole, talvolta perfettamente sferiche, talvolta a contorni più o meno irregolari, di colore giallo a luce trasparente e bianchiccio splendente a luce riflessa. Generalmente in ogni cellula vi è una sola concrezione, ma possono esservene due o tre ed anche più; in tal caso le concrezioni sono di piccole dimensioni. Talora nella cellula può mancare la vacuola: la conerezione cioè può essere aderente al protoplasma. Della struttura e della composizione chimica dell’ escreto mi occupo in modo particolare più avanti. FIG. I. — Cellule renali escretrici di Helix pomatia L. da sezioni: Ingr. >< 600. Sul lato della cellula libero nel lume del sacco renale esistono delle brevi e sottili ciglia rigide: è alquanto difficile notarle nelle sezioni; tuttavia, dopo averle osservate in prepa- rati ove erano più evidenti, potei constatarne la presenza anche sugli elementi a fresco (fig. 3-4); avendo avuto occasione altresì di studiare il rene del Limax variegatus Drap. mi convinsi che anche in questo Gasteropodo le cellule ghiandolari sono provviste di ciglia (fig. 2). Si tratta evidentemente di quell’ ap- parecchio a spazzola già stato descritto sovente nelle cellule renali dei vertebrati. I naturalisti che fin qui si sono occupati delle cellule re- nali dei Gasteropodi polmonati, fra i quali il Perrier, il Plate (!*), il Rolle, (*”) non ne fanno cenno, anzi dichiarano trattarsi di elementi non cigliati, ma, dal canto mio, credo assai probabile che un’accurata osservazione accerterebbe dell’esistenza delle ciglia nelle cellule renali in altri Gasteropodi polmonati. Gli autori più recenti ànno studiate le cellule renali so- prattutto sulle sezioni: al contrario degli antichi che fecero le CONTRIBUTO ALLO STUDIO ECC, 27 loro osservazioni essenzialmente sugli elementi a fresco: ed invero, per acquistare una conoscenza, per quanto possibile, esatta di queste cellule ghiandolari, è importante l’esame a fresco. Mediante la dissociazione a fresco, si possono staccare Vuno dall’altro gli elementi cellulari: questi perdono in gene- rale, la forma prismatica, caratteristica sulle sezioni, e, per la tensione superficiale propria dei liquidi, assumono la forma sferica (fig. 3). È probabile che ciò si debba in massima parte alla tensione del liquido contenuto nella grande vacuola, perchè quando questa è piccola rispetto alla massa del protoplasma si conserva fino ad un certo punto la forma originaria (fig. 4). La vacuola è quasi sempre in posizione eccentrica rispetto alla superficie cellulare, cosicchè il protoplasma forma intorno ‘alla vacuola uno strato di spessore disuguale che è massimo ad un polo, ove sta il nucleo, e va degradando verso il polo opposto ove talvolta si riduce ad uno strato esilissimo (fig. 3-4). Su breve tratto del limite cellulare si osserva l’ apparecchio a spazzola che denota il tratto della cellula affiorante nel lume renale allorchè questa era in loco (fig. 3-4). Entro la vacuola vi sono le concrezioni; quasi sempre poi, nel protoplasma, si osservano dei piccoli corpiccioli gialli. Il Bial li ritenne di sostanza grassa. Lo Schoppe ne distinse alcuni di natura identica alle grosse. concrezioni, altri che alla luce polarizzata si comportano diversamente delle prime, ma che non si possono neppure ritenere gocce di grasso perchè non anneriscono in acido osmico: sovente sono infatti evidenti nel protoplasma delle piccole concrezioni che, per il loro aspetto e per la loro struttura, si debbono ritenere della stessa compo- sizione delle grosse concrezioni nelle vacuole: inoltre mediante trattamento con Sudan III in soluzione alcoolica concentrata, si vede che realmente nelle cellule esistono gocce di grasso. Il Plate ed il Rolle, studiando le cellule renali, il primo nel genere Ianella, il secondo nell’Arion empiricorum, ritengono che la vacuola sia ripiena di un liquido vischioso e gelatinoso poichè, quasi senza eccezione, la solida concrezione si trova nella parte superiore della vacuola o nel centro e non è mai appoggiata al protoplasma « denn wàre sie wasserig, so wurde das Konkrement der Schwere folgen und zu Boden sinken ». Dalla posizione che occupano le concrezioni nelle sezioni non si può certo giudicare, per ragioni ovvie, di quella da esse 28 ADA LAMBERTENGHI occupata nelle cellule viventi, ed anche dall’esame a fresco non so come si possa decidere se la concrezione sia sospesa o no nella vacuola; ma, supponendo anche fosse sospesa, non è necessario pensare che la vacuola sia ripiena di una sostanza gelatinosa, giacchè basterebbe che la densità del liquido e della conerezione fossero press’a poco uguali perchè quest’ultima dovesse stare sospesa in seno al liquido, allo stesso modo che un uovo di pollo sta in sospensione nell’acqua salata. Facendo agire delle soluzioni saline sopra le cellule viventi isolate si può convincersi che il liquido della vacuola è acquoso e che tiene in soluzione delle sostanze cristalloidi e non colloidi, giacchè aumentando la pressione osmotica del liquido esterno, con opportune concentrazioni della soluzione di Cl Na si può seguire al microscopio la fuoruscita del liquido della vacuola attraverso allo strato protoplasmatico che funziona esattamente da membrana semipermeabile, con la differenza che invece di incresparsi come farebbe una membrana, il pro- toplasma si raccoglie man mano in uno spazio più ristretto: la cellula presenta solo nei primi momenti un contorno irregolare, ma alla fine del processo riprende all'ingrosso la forma sferica. Le modificazioni osservate nelle cellule in seguito a questi processi osmotici sono disegnate nella fig. 5: in (a) la cellula è sorpresa dopo che su di essa a agito per alcun tempo il C/ Na in soluzione fisiologica: come si vede, i contorni della cellula, come quelli della vacuola, sono già un po’ alterati per la pres- sione osmotica esercitantesi dall’esterno all’interno e causante la fuoruscita del liquido: questo, a mano a mano che si con- centra la soluzione, fuoresce in maggiore quantità (>. c.), dalla vacuola passa nel protoplasma e da questo all’esterno; la va- cuola diminuisce sempre più di volume, ed i limiti di essa si addossano alla concrezione (d. e.) Inversamente si può provocare un’entrata di liquido in queste cellule così contratte, diminuendo a mano a mano la concentrazione della soluzione di C/ Na fino a fare agire dell’acqua pura. Nella fig. 6 la cellula (a) si è quasi vuotata di liquido: la vacuola si è ristretta, i suoi limiti non si distinguono più da quelli della concrezione, tanto che questa sembra del tutto aderente al protoplasma, ma a mano a mano che la concentra- zione della soluzione diminuisce e diminuisce proporzionalmente anche la pressione osmotica, si stabilisce un passaggio di CONTRIBUTO ALLO STUDIO ECC, 99 liquido dall'esterno all’interno, la vacuola si distende ancora (e. d. e.), il volume cellulare aumenta, anche i contorni si fanno più regolari; infine in (e) la cellula & quasi ripreso il volume e la forma originaria. Si può concludere che il contenuto della vacuola è una soluzione di sostanze cristalloidi. La concrezione. — M. Bial e più recentemente Ph. Schoppe si occuparono in particolare della struttura delle concrezioni; queste ànno per lo più una struttura caratteristica quantunque non sia raro trovare nelle cellule degli ammassi amorfi di granuli. Si è già detto qualche parola precedentemente sui caratteri generali: all’esame a fresco si osserva attorno ad ogni concrezione una sorta di alone trasparente o meglio di una guaina che l’avvolge separandola dal liquido della vacuola (fig. II); si direbbe che entro alla prima vacuola ve ne sia una seconda più piccola che contenga la concrezione: spesso già a fresco non si osserva una sola guaina, ma alla prima più esterna ne seguono una o due concentriche. | La struttura della masserella a fresco, non è bene evidente, tuttavia si scorge talvolta in seno alla massa della concrezione una evidente struttura radiata: la sostanza delle concrezioni sembra cioè costituita non da una massa continua, ma da tanti aghi convergenti verso il centro, divisi l’uno dall’altro da sot- tilissimi spazii che in una sezione ottica delle concrezioni ap- paiono come tante sottili linee oscure radiali. Sulle sezioni oltre che la struttura radiale, sì osserva una divisione delle concrezioni in numerosi strati concentrici com- bacianti così che, ai primi strati trasparenti circolari periferici già notati, si succedono altri strati colorati in grandissimo numero verso il centro (fig. 7) (a. d. c.). Se si fa agire della potassa diluita sulla concrezione, dopo breve tempo, gran parte della concrezione si scioglie e preci- samente la sostanza giallognola disposta a raggi e che, a prima vista, sembra costituire tutta la massa della concrezione. Così scompare la struttura raggiata della concrezione e il residuo non sciolto appare adesso come una serie di membranelle trasparenti incolore, concentriche le une alle altre, disposte a guisa, come disse lo Schoppe, delle tuniche di una cipolla. Esse stanno a rappresentare gli strati concentrici di cui la concrezione era composta (fig. 9). 30 ADA LAMBERTENGHI Queste membranelle sono state descritte dal Bial, il quale considerò l'insieme di esse come uno stroma della concrezione e dallo Schoppe, che le descrisse come involucri della concre- zione e ne studiò pure il comportamento alla luce polarizzata. Non è a credere che la potassa sia assolutamente inattiva sullo stroma: anche le membranelle vengono sciolte, ma solo assai più lentamente della sostanza colorata: cosichè non sempre sì possono seguire gli strati concentrici fino al centro, perchè molto spesso il solvente le scioglie prima che si possa fare l’osservazione: ed il processo di soluzione procede sempre dal centro verso la periferia di guisa che le ultime guaine che si sciolgono sono le più esterne (fig. 10). Della natura chimica delle conerezioni molto si occuparono gli autori, e lo stato attuale della questione si trova ben rias- sunto nel manuale di Otto Von Furth (') al quale rimando il lettore. Mentre la più parte degli autori ritiene che le concrezioni siano d’acido urico, taluni opinano che siano costituite talora d’acido urico e talora di guanina ed infine, anche recentemente, si fece l'ipotesi che siano formate essenzialmente di guanina o di qualche altra base xantinica. Dirò qui le esperienze da me fatte per decidere questo punto controverso: Le conerezioni sono insolubili nell’alcool, nell’etere, me- diocremente solubili nella glicerina bollente, difficilissimamente nell’ acqua fredda, difficilmente nell’acqua bollente. Le concrezioni sono sciolte anche a freddo nel fosfato so- dico, nella potassa e nella soda caustica anche diluite, nei carbonati alcalini (carbonato di litina e di sodio). L’ammoniaca pure scioglie le concrezioni, così l'acido solforico, l'acido ni- trico; le scioglie invece difticilmente l’acido acetico e ancora più difficilmente l’acido cloridrico (*). Il fatto solo che le concrezioni non si sciolgono sensibil- mente in acido cloridrico escluderebbe di per sè che siano costituite di basi xantiniche, le quali tutte danno con acido cloridrico dei cloridrati caratteristici più o meno solubili in (1) H. Meckel ritiene le concrezioni insolubili in ammoniaca, in acido acetico, solubili a caldo nell’ acido eloridrico. Ph. Schoppe le crede solubili anche in acqua fredda. CONTRIBUTO ALLO STUDIO ECC, 31 acqua, ed invece le prove di solubilità deporrebbero in favore della presenza dell’acido urico. Trattando inoltre le concrezioni con carbonato sodico queste ben presto si spezzettano in tante sfericciole del tutto identiche a quelle di urato sodico che si ottengono operando allo stesso modo sopra l’acido urico ('), e per aggiunta di acido acetico si riprecipitano dei cristalli indubbiamente d’acido urico. Così pure si ottengono dei cristalli caratteristici d’acido urico trattando le concrezioni con H? SO? a 66° e riprecipitando con precauzione con dell’alcool a 90°. Se, previo trattamento delle concrezioni con carbonato sodico, sì versa una goccia del liquido ottenuto sopra una carta imbevuta di una soluzione di nitrato d’argento, si produce, per riduzione dell’ossido d’argento, una macchia bruno-scura con alone giallo (reazione di Schiff, caratteristica per l'acido urico). Se si spappola un po’ di rene sopra un vetrino e si tratta dapprima con NaOH e si aggiungono in seguito alcune gocce di acido fosfomolibdico, si ottiene un precipitato bleu-verde avente splendore metallico, che al microscopio si rivela costi- tuito di piccoli prismi con 6 facce (reazione per l’acido urico dell’ Offer). Mentre i caratteri di solubilità, il comportamento delle conerezioni con carbonato sodico ed un acido, le due ultime reazioni (quantunque per loro stesse insufficienti) inducono a credere che si sia in presenza di acido urico o di urati, la reazione della murexide invece, così importante, non riesce tanto facilmente, e se si volesse fondare su di essa, l’osserva- tore può essere indotto ad erronee conclusioni. Invero se si riscalda un po’ di rene con due gocce d’acido nitrico a bagno maria fino a completa evaporazione si ottiene un residuo anzichè rosso, come darebbe l'acido urico, di un color giallo che, per aggiunta di potassa, varia dal giallo al giallo arancio, al rosso. Non si à dunque la caratteristica rea- zione bleu violetta dell’acido urico, ma piuttosto la reazione xantica delle sostanze proteiche. Nel dubbio che quest’ultima reazione, inevitabile per la (1) Come si sa, l’ acido urico cristallizzato si trasforma con carbonato sodico in urato di sodio dal quale riprecipita con aggiunta di un acido. È stata mia cura di fare tutte le esperienze di controllo con acido urico cristallizzato. 32 ADA LAMBERTENGHI presenza delle sostanze protoplasmatiche, mascherasse quella dell’acido urico, dietro consiglio del Dott. A. Rusconi assistente al laboratorio d’igiene dell’ Università di Pavia, che mi fu largo d’aiuto, passai all’ estrazione dell’acido urico. Tentai dapprima questo metodo: trattai del rene con acido cloridrico diluito e filtrai per asportare le sostanze proteiche che in acidi diluiti si sciolgono. Sopra il residuo (che conteneva inalterate le concrezioni) provai la reazione della murexide: ebbi solo una debole traccia di violaceo al primo contatto con la potassa, subito mascherata dalla colorazione prevalente giallo aranciata. Allora operai nel seguente modo: Trattai un po’ di rene, entro una capsula, con soluzione al 5 °/, circa di carbonato sodico, scaldai a bagno maria, ag- giunsi al liquido del carbone animale, filtrai, raccolsi il filtrato entro una provetta: vi aggiunsi dell’acido cloridrico fino a reazione acida e lasciai in riposo il liquido per più di 12 ore. In fondo alla provetta si separò un notevole precipitato; decantai allora il liquido ed aggiunsi acqua per sciogliere, qualora si fossero formati, dei cloridrati di basi xantiniche, decantai ancora e feci ripetuti lavaggi: il residuo al microscopio, sì presenta costituito di cristalli in prismi gialli identici a quelli dell'acido urico; provai sopra questo residuo la reazione della murexide e la ottenni con estrema nettezza. Per questa esperienza, confermate anche dalle precedenti, si deve concludere che la concrezione è per la massima parte costituita d’acido urico. È tuttavia utile notare questo fatto, che anche piccolissime tracce di basi xantiniche possono mascherare la reazione della murexide; avendo aggiunto ad una quantità notevole d’acido urico delle traccie di xantina ottenni la reazione xantica e non quella della murexide e dall’ acido urico con pochissima guanina ottenni bensì una traccia violacea, ma che fu subito mascherata dal colore giallo aranciato, cosicchè è logico supporre che l'insuccesso nei primi procedimenti si deve ascrivere alla pre- senza di basi xantiniche nel tessuto renale. Da questo fatto deve dipendere molto probabilmente anche la grande varietà di reperti dovuti ai vari autori. Mentre fin dal 1889 P. Marchal (*‘) non solamente provò la presenza dell’acido urico, ma ne fece anche il dosaggio CONTRIBUTO ALLO STUDIO ECC, 33 stabilendo una quantità di circa 7 millig. per lumaca; nel 1890 invece il Bial credette che la concrezione fosse di guanina; ancora nel 1894 il Cuénot la pensò costituita di una leucomaina xantica; egli poi si ritrattò in un lavoro del 1900, ma, come non aveva date le esperienze che lo avevano convinto della presenza della leucomaina, così non diede quelle che lo persua- sero dell’acido urico. Prima del lavoro di P. Marchal, A. Ewald e Kruckenberg (‘) ‘6) ritennero che le concrezioni fossero talora d’acido urico talora di guanina. e Goronovitsch ( Nalepa ('’) vi trovò della guanina ed infine il Barfurth (**) credette di riconoscere della xantina. Ancora in una monografia del Guiart sopra l’Arion empiri- corum pubblicata nel 1900, si ripete che le concrezioni sono di una leucomaina xantica. Si comprende come, data l'incertezza fra gli autori, nel manuale di Otto Von Furth la questione sia dichiarata irri- soluta. Gli autori o non danno, come il Cuénot, i metodi di ricerca o si limitano, per decidere della composizione delle concrezioni, a studiarne i rapporti di solubilità negli acidi, negli alcali, nell’alcool, nell’ etere, a studiarne la forma dei cristalli od a giudicare in base alla reazione della murexide. Ora quest’ultima, a cui s’annette grande importanza, non si può ottenere con sicurezza se non estraendo l’acido urico, perchè facilmente è mascherata dalla reazione xantoproteica, ed infatti le esperienze, ad esempio, del Nalepa e del Bial non sono condotte in modo tale da garantirci da questo pericolo. Riguardo alle tracce di basi xantiniche che, come si è visto, è probabile siano nel tessuto renale, non si può dire se esse appartengano alle concrezioni o pur no, perchè possono più facilmente provenire dalla scissione delle nueleine delle cellule. In ogni modo è da ritenere per certo che le concrezioni siano essenzialmente d’acido urico e in particolare è da rite- nere che sia acido urico la sostanza colorata della concrezione. Ancora un cenno intorno allo stroma delle concrezioni che si mette in evidenza dopo l’azione dei solventi dell’acido urico, ossia dopo il disciogliersi dell’acido urico, che forma, come ab- biamo veduto or ora, la parte colorata della concrezione, mentre lo stroma sarebbe formato dalle membranelle concentriche 34 ADA LAMBERTENGHI dianzi descritte. È da notarsi subito che i solventi dell’ acido urico sono pure in generale solventi dello stroma, ma la loro azione è assai più lenta su questo che su quello: tanto che nelle concrezioni si potrebbe distinguere una sostanza più ed un’altra meno solubile ad esempio nella potassa e nella soda diluite, nell’acido solforico, nell’acido nitrico e sopratutto nel- Vammoniaca. Questa a già disciolto tutto Vacido urico che ancora si conservano inalterate le membranelle. Le membranelle inoltre sono insolubili nell’acqua, nel- Valcool: si sciolgono assai lentamente nell’acido cloridrico e nel cloruro di sodio in soluzione concentrata, più rapidamente si sciolgono nei carbonati alcalini, nella glicerina bollente. Il Bial le ritenne costituite di sostanza organica, perchè si colorano coi comuni mezzi di colorazione del protoplasma, ma si differenziano da questo per l’intonazione del colore. Lo Schoppe crede che siano di natura protoplasmatica, perchè trattandole con ammoniaca ed acido acetico si rischiarono come il protoplasma. Io ritengo siano di sostanza organica, perchè dalla loro combustione non rimane alcun residuo di cenere. Volli inoltre tentare sopra lo stroma alcune reazioni colo- rate delle sostanze albuminoidi, senza tuttavia ottenere alcun risultato conclusivo. Per poter fare delle esperienze sullo stroma, senza che l'osservazione fosse ostacolata dalla presenza dell’acido urico, avevo cura di sciogliere questo in ammoniaca diluita e di lavare poi abbondantemente il tessuto in acqua. Nelle varie reazioni colorate delle sostanze albuminoidi si usano spesso dei solventi delle concrezioni, come acido nitrico, acido solforico ecc.: questa è una grave difficoltà per poter decidere del risultato della reazione poichè spesso, prima che questa possa avvenire, lo stroma si scioglie: tuttavia poichè nei preparati lo scioglimento procede gradualmente, per molte rea- zioni potei convincermi del risultato. Josi posso asserire che gli strati delle conerezioni non danno la reazione xantoproteica, nè quella del Millon; essi spiccano incolori nella massa protoplasmatica che assume un colore gial- lastro 0, nel secondo caso, un rosso rosa. La reazione dell’Adamkiewicz si ottiene pure nel proto- plasma e non sullo stroma. CONTRIBUTO ALLO STUDIO ECC. 35 Tentai più volte la reazione del biureto usando soluzioni di solfato di rame di varia concentrazione (massima concen- trazione 1 °/,) e soluzioni di potassa all’1°/, ma non ottenni mai la reazione nè sul protoplasma nè sullo stroma. Questo invece si colora in rosso intenso in alloxana e dà molto bene la reazione dell’Axenfeld. Se sotto il vetrino c. o. si fa passare del cloruro d’oro in soluzione 1 °/,,, si scalda e si aggiungono ancora 1-2 gocce d’acido formico, gli strati si colorano in rosa, rosso, porpora e poi bleu; ma, come si sa, questa reazione non è caratteristica solo per le sostanze proteiche; il color rosso sarebbe solamente peculiare ad esse; una infinità di altre sostanze, fra le quali anche l’acido urico, danno la reazione bleu e violetta. Da quanto si è detto si comprende che il problema della composizione chimica dello stroma è ancora da risolversi: allo stato presente non si può ritenere dimostrato che si tratti di sostanze albuminoidi, ma non si può neppure escluderlo. Ipotesi sulla formazione delle concrezioni. — Dall’ osserva- zione della struttura delle concrezioni si può pensare come assai probabile che il protoplasma elabori, quale prodotto di escrezione, una gocciolina di liquido (sferetta centrale della concrezione) nel quale deve trovarsi in soluzione l'acido urico: da questa gocciolina si differenziano due parti: l'acido urico che si deve evidentemente depositare in seno ad essa in mi- nutissimi granuli orientati in modo che ad ogni granulo al centro altri se ne allineano in direzione dei raggi sì che alla fine la sferetta è una struttura radiata; ed una membranella limitante (stroma); segue poi una seconda goccia che include la prima ed anche in questa avviene identico differenziamento: alla seconda goccia segue la terza e così di seguito. Talora però si notano al centro della concrezione non una ma parecchie sfericciole intorno a ciascuna delle quali sonvi delle membranelle concentriche: solo le ultime alla periferia ravvolgono tutte le altre (fig. 8; a. d. c.). In questo caso si direbbe che due o più concrezioni, dopo un periodo di accrescimento indipendente, si siano completate entro involucri comuni; non è raro del resto trovare delle cellule con numerose concrezioni (fig. 11 a. d.) assai piccole presentanti sempre la solita struttura caratteristica. 36 ADA LAMBERTENGHI Le cellule con numerose piccole concrezioni sono state considerate dallo Schoppe come rappresentanti il 1° stadio della formazione delle concrezioni. Così egli ricostruisce il processo di formazione: « In dem Protoplasma der Epithelzellen zuerst kleine, neben einonder liegende, Harnkugelchen auftreten die dann von einer gemeinsamen Uratschale umgeben werden ». Per quanto si è detto poco fa è chiaro invece che i centri di formazione delle concrezioni possono essere indifferente- mente uno o più di uno, e che nell’ultimo caso le piccole concrezioni iniziali possono rimanere sempre piccole indipen- denti, aumentando di numero, oppure, dopo essersi accresciute indipendentemente, possono essere riunite e avviluppate da stratificazioni comuni per il quale fatto in una sola conerezione si notano parecchi centri di formazione (fig. 8 a. d. c.). Sfortunatamente siccome intorno al processo di formazione delle concrezioni non si possono fare che delle ipotesi, nessuno avendo potuto seguire il graduale depositarsi delle sostanze di escrezione, non so dire in quali condizioni si forma una sola grande concrezione ed in quali invece la sostanza escreta si depositi in numerose piccole concrezioni indipendenti. E probabile infine che il liquido della grande vacuola venga prodotto dopo che la concrezione è stata ultimata. Ciò si infe- risce dal fatto che molte volte le concrezioni non sono entro una vacuola, ma aderenti al protoplasma. Meccanismo dell’ escrezione. — Gli autori non sono d’accordo sul meccanismo dell’escrezione delle cellule renali. Il primo ad occuparsi del problema fu il Meckel, il quale crede che le concrezioni fuorescano nel lume renale per deiscenza delle cellule; C. Vogt e Jung opinano invece che la cellula, satura di materiale di escrezione, si distacchi e cada nella cavità renale e che, sul tessuto connettivo sottostante, se ne formi un’altra. L’ipotesi del Meckel è ripetuta nel lavoro del Bial; la seconda in quelli del Marchal e del Girod. Quest’ ultima interpretazione, ammessa da parecchi autori (°) non solo per |’ Helix, ma anche per le cellule renali di molti molluschi, è, a ragione, ritenuta falsa dal Perrier; questi tuttavia, alla sua volta, ne dà un’altra che non è meno erronea. Egli vuole che durante l’ escrezione, sia espulsa la con- CONTRIBUTO ALLO STUDIO ECC. 37 erezione con tutta la vacuola circondata tutt’ al più da un po’ di protoplasma e qualche volta trascinando seco anche il nucleo. La sua opinione è la conseguenza di un altro errore: l’au- tore considera non come cellule, ma come vacuole staccatesi dalle prime, i corpi sferici che contengono la vacuola e la con- crezione che si osservano dissociando a fresco il tessuto renale. In altra parte del presente lavoro ò già descritto l’ aspetto delle cellule all’esame a fresco: è d’uopo notare che spesso l'osservatore vede la cellula anzichè di profilo, di fronte, dalla parte distale che, come abbiamo veduto, è occupata in massima parte dalla vacuola ed in cui il protoplasma è ridotto ad uno strato periferico sottile, talvolta così sottile che, anche a forte ingrandimento, sembra nient’altro che una membranella rive- stente la vacuola: (fig. 12 a. 5.) quando si a la cellula così disposta è ben raro il caso in cui si possa scorgere nei prepa- rati a fresco il nucleo cellulare, il più delle volte nascosto dall’opaca e grossa concrezione. In tale posizione la cellula, ad un esame superficiale può sembrare una vacuola; ma, assestando dei piccoli colpi al ve- trino c. 0. si può, molte volte, far rotare l'elemento in modo da mettere in evidenza il nucleo ed il protoplasma della zona che ne è più ricca: sovente attorno alla presunta vacuola si nota l'apparecchio a spazzola e talvolta si scorge, fuocheggiando sullo spessore della parete il nucleo cellulare. Tutto ciò ci induce alla conclusione che se l’opinione del Vogt e Jung non è più ammissibile, nessun fatto ci autorizza ad ammettere il processo di evacuazione descritto dal Perrier che è tuttavia attualmente il più accreditato, riaffermato anche recentemente dal Cuénot per l’Helix pomatia e dal Guiart per l’Arion empiricorum. Certo l'opinione più antica, quella del Meckel è anche la vera: la cellula, dopo l'elaborazione dell’escreto, si apre per espellere il liquido e la concrezione, e tosto, per la tensione superficiale del protoplasma, si richiude e riprende la sua at- tività funzionale. Pavia, Laboratorio d Anatomia comparata, Febbraio 1908. ADA LAMBERTENGHI LAVORI CITATI . H. MecgkeL. — 1846. Mikrographie einiger Drusenapparate der nie- deren Thiere. (Arch. f. Anat. u. Phys. u. wiss. med. Von. loh. Mullers). . F. Leypig. — 1857. Lehrbuch des Histologie des Menschen und der Thiere. (Frankfurt a. M.). . F. Bott. — 1869. Beitrige zur vergleichenden Histologie der Mol- lusken Typus. (Mit 4 Taf). (Arch. f. mikrosk. anat. 6 Bd. suppl. 1869). . C. Vor E E. June. — 1888. Lehrbuch der praktischen verglei- chenden Anatomie. (1 Bd. Braunschweig). . R. PerrIER. — 1889. Recherches sur 1’ anatomie et |’ histologie du Rein des Gastéropodes Prosobranches. (Ann. des Sciences natur. Zool. T. VII n. 1-2). . M. Bia. — 1890. Ein Beitrag zur Physiologie der Niere. (Arch. Phys. Pfluger 47 Bd. 3 fig.). . P. Girop. — 1893. Observations Physiologique sur le rein de l’ Escargot. (Compt. rend. T. 118). . L. Cugnor. — 1892. Etudes physiologiques sur les Gastéropodes Pulmonés. (Arch. Biol. Tome 12 T. 23). » 1894. Sur le fonctionnement du rein des Helix. (Compt. rend. IS SKE), » 1900. L’ escrétion chez les Mollusques. (Arch. Biol. T. 16 T. 5-6. . Pa. ScHoppe. — 1897. Die Harnkiùgelchen bei Wirbellosen und Wirbelthieren. (Anat. Hef. VII Bd.). . G. Stiasny. — 1903. Die Niere der Weinbergschnecke. (Zool. Anz. 1903). . L. PLate. — 1891. Studien iiber opisthopneumone Lungenschnecken. I, Die Anatomie der Gattungen Daudebardia und Testacella. (Zool. Jahrb. Anat. u. Ontog. Bd. IV 1891. » 1894. Studien iiber opisthopneumone Lungenschnecken. Il, Die Oncidiiden. Ein Beitrag zur Stammesgescbichte der Pulmonaten (Zool. lahrb. Anat, u. Ontog. Bd. VII 1894. » 1898. Beitrige zur anatomie u. Systematik der Janelliden. (Zool. Jahrb. Anat. u. Ontog. Bd. XI 1898). G. RoLue. — 1907. Die Renopericardialverbindung bei den einhei- mischen Nacktsehnecken und anderen Pulmonaten. (Jena zeit. Nat. Bd. 43 1907. . 0. Von FurtH. — 1903. Vergleichende chemische Physiologie der niederen Thiere. (Jena 1903). CONTRIBUTO ALLO STUDIO ECC, 39 « 14. P. Marcuar. — 1889. L' acide urique et la fonction rénale chez les Invertebrés. (Mem. de la Soc. Zool. de France 3. 1889). 15. Ewacp u. KrukenserG. — 1883 Ueber Besonderheiten der Guanin- ablagerung bei Fischen. (Zeitschrift. f. Biol. 19 Anmerk). 16. Goronowitscu. — 1883. Refer. nach j. Munk, Centralbl. f. d. med. Wiss. 1883. (Vergl. auch Zeitschr f. Biol. 19 Anmerk). 17. A. Nauepa. — 1883. Beitriige zur Anatomie der Stylommatophoren. Sitzungsber. der Akad. der Wiss. 87 I Abtlg. 18. D. Barrurta. — 1885. Vergleichend-chemische Untersuchungen tuber das Glykogen. (Arch. f. mikrosk. Anat. 25 1885). DESCRIZIONE DELLE FIGURE (1) Fig. l. — Sezione di una piega ghiandolare del rene di Helix pomatia sporgente nel lume renale; X 300. Fig. 2. — Cellule renali escretrici di Limax variegatus Drap. da sezioni; X 1200. Fig. 3. — Cellule renali escretrici di Helix pomatia, osservate in soluzione fisiologica di C/ Na. Fig. 4. — Cellula renale escretrice di Helix pomatia a fresco conser- vante la forma originaria; X 600. Fig. 5. (a. b. c. d. e.) — Modificazioni successive della forma di una cellula renale escretrice di Helix per azione di soluzioni vie più concentrate di CZ Na & 900. Fig. 6. (a. b. c. d. e.) — Modificazioni successive della forma di una cellula renale escretrice di Helix per azione di soluzioni dapprima concentrate di ClNa poi a mano a mano più diluite Y 900. Fig. 7. (a. b. c.) — Concrezione di cellule renali di Helix in cui è bene evidente la struttura radiale e a strati concentrici db, c, X 900 a, X 600. Fig. 8. (a. b.) — Concrezioni di cellule renali di Helix con parecchi centri di formazione X 900. Fig. 9. — Membranelle concentriche rimaste dopo lo scioglimento per azione della potassa, della sostanza colorata delle concrezioni delle cellule renali di Helix & 600 Fig. 10. — Membranelle coucentriche periferiche delle concrezioni delle cellule renali di Helix: le più resistenti all’azione dissolvente della potassa & 900. Fig. Ll. (a. 6.) — Cellule renali escretrici di Helix con numerose piccole concrezioni nella vacuola & 600. Fig. 12. (a. b.) — Cellule renali escretrici di Helix che per la loro posizione non lasciano scorgere il nucleo XK 900. (1) Le figure nella tavola sono ridotte circa di 172, Dott. Roberto Brunati OSSERVAZIONI GEOLOGICHE NELLA VALLE DEL COSIA PRESSO COMO Cenni bibliografici = Della Valle del Cosia già si occuparono molti studiosi poichè essa si trova in una delle regioni d'Europa che per la varietà e 1’ anda- mento dei terreni offri un interessantissimo campo alle osservazioni dei geologi. Nel 1794 l’Amoretti (Viaggio da Milano ai tre laghi, Maggiore, di Lugano e di Como (*)) osserva nella Val del Cosia |’ argilla che trovasi vicino a S. Martino, borgo di Como, poi i legni impietriti, (forse le impronte di vegetali del Mesozoico superiore) le ammoniti ed altre conchiglie marine, (forse quelle del Rosso ad Aptici e dei Rosso Am- monitico 8) il tripoli (marne friabili della Creta inferiore î); e ricorda pure le breccie del Montorfano Comasco, la maiolica di Ponzate e una selva sotterranea che può forse chiamarsi lignite non lungi da Albese. Quest’ ultimo deposito lignitifico a me non fu possibile di rin- tracciare. | La vera storia geologica di questa regione si può dire cominci nel 1858 colla classica opera (*) dello Stoppani sulla geologia lombarda. Lo Stoppani percorse la Val del Cosia fino alle sue sorgenti (*) e descrisse la Maiolica, il Rosso ad Aptici e il Rosso Ammonitico, che lungo la nostra Valle affiorano caratteristici e fossiliferi, come presso alla strada da Camnago Volta a Ponzate :*). Egli ricorda in tale opera anche le puddinghe e i calcari nummulitici del Montorfano Comasco attribuendoli giustamente all’ Eocene (°). Nel 1876 per incarico della Società Elvetica di Scienze Naturali, questa regione era studiata dallo Spreafico, dal Negri e dallo Stoppani, (1) AwmorETTI. — Viaggio da Milano ai tre laghi, Maggiore, di Lugano e di Como e monti che li circondano. Milano, 1794 pag. 298-299. (2) SroppanIi. — Studi Geologici e Paleontologici sulla Lombardia. Milano, 1858. (3) STOPPANI. — Op. cit. pag. 218. (4) STOPPANI. — Op. cit. pag. 80. (5) STOPPANI. — Op. cit. pag. 205. peri OSSERVAZIONI GEOLOGICHE ECC, 41 (lavoro questo che per la morte dello Spreafico dovette essere publi - cato dal Taramelli nel 1880 con modificazioni e aggiunte (')) e le os- servazioni in essa fatte dai distinti geologi poco dffferiscono da quelle dello Stoppani. Del Taramelli abbiamo inoltre una pregevole pubblicazione sui din- torni di Erba (*) dove descrive |’ andamento della serie Giura Liasica nel pian d'Erba, e ricorda i banchi di conglomerato interglaciale che si osservano anche nella Valle del Cosia. Il Taramelli in altro suo lavoro sui tre laghi (°) illustrò in seguito magistralmente questa regione così interessante dal lato geologico. Frattanto si era occupato della Valle del Cosia il prof. Benedetto Corti, studiandone il quaternario (*) ed illustrando la interessantissima fauna di Campora (°). Publicò anche un lavoro (°) riassuntivo delle precedenti osserva- zioni con carta geologica e nuove aggiunte paleontologiche e stratigra- fiche su tutta la regione compresa tra i due rami del lago di Como e ‘imitata a sud dai laghetti Briantei, ma stratigraficamente seguì gli errori dei precedenti che ritenevano la Valle del Cosia facente parte di una sinclinale del Mesozoico superiore. La stratigrafia dei terreni giuraliasici che il prof. Benedetto Corti non aveva ben compresa nella sua opera sull’Alta Brianza, fu esatta- mente interpretata ed illustrata dal dott. Guido Bonarelli (*) che di- mostrò la presenza di una faglia che dai Corni di Canzo si spinge fin sotto al monte Bolletto m. 1234, interessando I’ alta Valle del Cosia, ed addossata ad essa una piega non sinclinale come credette il Corti ma bensì anticlinale. Distinse collo studio dei fossili, i piani della serie giura liasica, |’an- (1) TARAMELLI T. — Il Canton Ticino meridionale ed i paesi finitimi. Berna, 1889. IpEM. Carta geologica della Svizzera vol. XVII, 1880. (2) TARAMELLI T. — Alcune osservazioni geologiche nei dintorni di Erba. Rend. Ist. Lomb. T. XXXI fasc. XVII 1893. (3) T\RAMELLI T. — I tre laghi. Studio geologico orografico con carta geolo gica. Milano. 1903. (4) CorTI B. — Breve nota sul quaternario e i terrenì recenti della Vallassina e Alta Brianza. Estratto dal Bol. della Soc. geol. ital. vol. IX fase. 2. Roma, 1890. (5) Corti B. — Sui fossili della Maiolica di Campora presso Como. Estratto dai rendiconti del R. Ist. Lomb. Serie II vol. XXV fase. VI 1892. IpeM. Sulla Fauna Giurese e Cretacea di Campora presso Como. Estratto dai rendiconti del R. Ist. Lomb. Serie II vol. XXVII fase. VIII 1894. IpemM. Sulla Fauna a Radiolarie dei noduli seleiosi della maiolica di Campora presso Como. Estratto dai rendie nti del R. Ist. Lom. serie II vol. XXIX 1896. (6) Corti B. — Ossorvazioni stratigrafiche e paleontologiche sulla regione compresa fra i due rami del lago di Como e limitata a sud dai laghi della Brianza con carta. Boll. d. Soc. Geol. It. vol. XI 1893. (7) BONARELLI G. — Contribuzione alla conoscenza del Giura Lias Lombardo. Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino vol. XXX Disp. 2 1894-95. BONARELLI G. — Op. cit. pag. 96. 49 ROBERTO BRUNATI damento degli strati illustrando con profili e con una piccola cartina geologica la faglia del monte Bollettone e quella di Canzo. Posteriormente alla gita del Bonarelli in Brianza il Dott. H. Becker publicò una carta geologica dell'Alta Brianza (') dove confermò le idee del Bonarelli sull’ anticlinale, ma fece qualche inesattezza circa lo svi- luppo del Morenico, come ho osservato nei dintorni di Albese. La carta geologica del dott. H. Becker fu seguita da un‘ interes- sante nota dello Schmidt (?), la quale però interessa scarsamente la Valle del Cosia. Il prof. G. De Alessandri (°) diligente illustratore della Creta e dello Kocene della Lombardia rilevò esattamente tutti i lembi cretacei che affiorano nella Valle del Cosia e dimostrò in base allo studio paleon- tologico Il’ età geologica del Montorfano Comasco ascrivendolo all’ Eo- cene superiore (Parisiano). Il dott. Giuseppe Parravicini (*) pure si occupò dell'Alta Brianza in una pubblicazione dove fatto un sunto dei precedenti lavori dà al- cuni nuovi spaccati a dimostrazione delle sue osservazioni che però non interessano la nostra Valle. L'importanza della fauma di Campora scoperta dal prof. Benedetto Corti, per lo studio dell’ Infracretaceo e del Giura superiore è rilevata anche dal prof. C. F. Parona il quale osservò che tale rinveni- mento, fu certamente una delle più interessanti scoperte paleontolo- giche fatte in Lombardia in questi ultimi anni (°). La Valle del Cosia fu anche visitata dal prof. Ernesto Mariani che la ricorda in due assai pregevoli pubblicazioni, una sui fossili del Giura e dell’ Infracretaceo (°) occupandosi della località di Campora, l'altra sul secondario della Lombardia (’) occidentale accennando alla faglia Brunute-Caslino-Canzo che interessa tutto il bacino di raccogli- mento del Cosia. Egli rinvenne inoltre nel toarciano dei dintorni di Ponzate e Solzago la Posidonomya Bronni Volz, specie che caratterizza il Lias superiore. (1) Becker H. — Carta geologica dell'Alta Brianza. Sacchi Milano estate 1894. (2) ScaMIDT C. — Zur Geologie der Alta Brianza. Extrait du compte-rendu du Congrès géologique international. 6 sessione, 1894 Zurich. (3) DE ALESSANDRI. —- Osservazioni Geologiche sulla Creta e sull’ Eocene della Lombardia. Atti della Soc. Ital. di Scienz. Nat. vol. XXXVIII. Milano 1899. (4) PARRAVICINI G. — Contribuzione alla conoscenza Geologica dell’ Alta Brianza Milano 1899, (5) Parona C. F. — Considerazioni sulla serie del Giura superiore e dell’ In- fracretaceo in Lomdardia a proposito del rinvenimento di fossili del piano Bar- remiano. Rendiconti del R. Ist. Lomb. di Scienze e Lettere. Serie II vol XXIX, fase. IV pag. 244 Milano 1896. (6) MxRIANI E. — Fossili del Giura e dell’ Infracretaceo nella Lombaria. Atti della Soc. It. di S. N. Vol. XXXVIII fasc. IV pag. 370 Milano 1900. (7) MARIANI E. — Appunti Geologici sul secondario della Lombardia occiden- tale. Atti della Soc. It. S. N. vol. XLIII fase. II pag. 117 e 155 Milano 1900, OSSERVAZIONI GEOLOGICHE ECC, 43 Delle formazioni quaternarie si occupò partitamente il prof. F. Sacco (!) studiando gli anfiteatri morenici del lago di Como, e descrivendo con esattezza le morene della Valle del Cosia e dei dintorni. Anche il prof. Benedetto Corti (*) studiando alcuni avanzi fossili di mammiferi del terrazzo morenico di Civiglio in Valle del Cosia si intrattenne sulle formazioni moreniche della regione. Infine uno studio assai importante sull’ anfiteatro morenico del ghiacciaio Abduano è quello del signor F. Wilmer (*), pubblicato con carta geologica a Berna nel 1904. In questa contribuzione alla conoscenza degli antichi terreni glaciali del bacino il distinto geologo descrisse le formazioni con ve- dute geniali e profonde segnando i limiti dei vari depositi colla più accurata esattezza. I limiti del glaciale dell’ ultima espansione nei dintorni di Como corrispondono pure a quelli indicati nella piccola carta d'insieme dei ghiacciai Insubrici che accompagna la bella opera dei geologi Penck e Briickner tuttora in corso di publicazione (Die Alpen in Eiszeitalter). OSSERVAZIONI GEOLOGICHE (*). Il torrente Cosia nasce sul versante meridionale della ca- tena di monti che da Brunate (m. 716) si spinge fino al M.te Bollettone (m. 1317), in una località detta Alpe di Albese, e sbocca nel Lario ai Pubblici Giardini di Como. La catena montuosa che ne forma il bacino di scorrimento è posta sulla parte Sud Ovest del triangolo che costituisce la penisola Lariana detta impropriamente dal Becker Alta Brianza. All’Alpe di Albese dove il Cosia nasce, sgorga da una copiosa fonte al contatto tra il rosso ad Aptici e il rosso Am- monitico, verso la fine della nota frattura descritta dal Bona- relli, (°) che dai Corni di Canzo si spinge fin sotto al Bolletto, in fondo alla valle di Tavernerio. (1) Sacco F. — Gli anfiteatri morenici del lago di Como. Ann. della R. Acc. d’Agrie. di Torino vol. XXXV 1893. (2) Corti B. — Sulle scoperte di avanzi fossili di Arctomys Marmotta e di Talpa europea nel terrazzo morenico di Civiglio presso Como. Att. Soe. Ital. di Se. Nat. vol. XXXV 3-4 Milano 1896. (3) Wu.mer F. — Beitràge zur Kenntnis des diluvialen Addagletschers. Mit- teilunzen der Niturforsehenden Geseilschaft in Bern aus demJahre 1904. (4) Per queste osservazioni geologiche mi sono servito della Carta d’Italia al venticinquemila. F. 32 tav. III. NE (Como) tav. IV. SE (Moltrasio). (5) BONARELLI G. op. cit. 44 ROBERTO BRUNATI Il bacino di raccoglimento del Cosia e del suo affluente di sinistra è compreso tra il Bolletto ad Ovest e il Bollettone ad Est, e questi corsi d’acqua sono separati da uno sprone che forma un piccolo altipiano detto Pian della Rovere dove si os- servano alcuni interessanti fenomeni carsici dei quali parlerò in seguito. Lo spartiaque e la parte più alta del bacino di raccogli- mento del Cosia e della Valle di Villa Albese è costituita da calcari del Lias inf. e più basso, a contatto colla faglia Caslino Canzo-Brunate, sotto la quota 950 affiorano la creta (‘), la Ma- iolica, poi il rosso ad Aptici, il rosso Ammonitico, il Lias medio ed inferiore, costituendo 1’ ala nord dell’anticlinale osservata dal Bonarelli e che, da Solzago, si spinge al Monte Bolettone. Il piccolo altipiano detto della Rovere è formato per la maggior parte da un tavolato di Maiolica il quale appoggia a valle con pareti ripide sugli strati del Giura. È precisamente in questo tavolato che si osservano i fenomeni carsici dovuti a cavità (doline) imbutiformi allineate sul fondo di un avval- lamento. Una di queste doline è lunga circa 17 metri, larga 12 e profonda 4; un’altra è presso a poco rotonda misurando circa 10 metri, tanto per il lungo che per il largo, ed è profonda 5 metri. Nelle vicinanze se ne osservano molte altre, ma senza la regolarità di forma delle due sopraindicate. Lasciato l’altipiano della Rovere che si trova sulla sponda sinistra del Cosia e lo divide dal suo affluente della Valle di Villa Albese, esaminiamo di nuovo il corso del Cosia scendendo lungo il torrente. Questo dalla sorgente, nella località detta Alpe di Albese a circa 750 m. sul livello del mare, fino a Ceppo d’Albese alla quota di 540, è diretto da Nord a Sud in una valle abbastanza ampia e profonda compresa fra i due sproni del Pian della Rovere che si allunga col dosso Ventone m. 734 a sinistra e dosso Fragoso m. 856 a destra; giunto a Ceppo d’Albese però piega bruscamente ad Ovest. Questa località detta Ceppo d’Albese è una sella dove forse nel quaternario antico passava il torrente prima di piegare ad Ovest. Colla direzione da Est a Ovest esso continua fino a Taverne- rio in un letto incassato tra le roccie del Lias inf. tagliando e (1) DE-ALESSANDRI G. op. cit. pag. 43. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE ECC, 45 staccando con una valle traversale lV ultima parte del dosso Fragoso e formando così una piccola collinetta che va dalla sella di Ceppo d’ Albese fino a Tavernerio e che raggiunge la massima altezza di 590 m. A Tavernerio il Cosia continua il suo corso con direzione per breve tratto verso sud poscia verso Nord Ovest nel grande avallamento compreso a sinistra tra il Monte Orfano comasco (Eocene) ('), la collinetta di Lipomo, (dove tra le morene recenti ed il diluvium recente aftiorano le rocce del Miocene) scavando parte del suo letto, fra le marne della Creta superiore (°). La sponda destra è costituita dal versante meridionale dei monti di Brunate, Civiglio, S. Tomaso, Ponzate, Solzago e Ta- vernerio, dai quali scendono numerosi corsi di acqua, che nel loro corso inferiore incisero le morene insinuate. Così nella valletta di Civiglio si trova un terrazzo morenico a circa 600 m. nel quale si scoprirono avanzi fossili di marmotta e di talpa (*). Il torrentello di Ponzate presenta materiali di provenienza alpina fino alla quota di 500 m. e al suo sboccare dalla valle, incide profondamente il terrazzo interglaciale che si osserva intorno a Ponzate e sotto alla frazione di Gilasca. Questo terrazzo si mantiene tra la quota dei 520 550. Il torrente l’ha inciso profondamente fino a raggiungere le sottostanti roccie del Lias inferiore medio e superiore (*) e al ponte prima di Casina, più in basso verso il Cosia, affiorano strati rossi e marnosi attribuibili al Lias superiore, poi gli strati selciosi del rosso ad Aptici e quindi Maiolica. In questi calcari tanto compatti, l’ opera scavatrice del- l’acqua ha determinato un bellissimo orrido detto Borrino, dove l’acqua con rumorosa cascata precipita dal rosso ad aptici in una prima grande marmitta scavata nella Maiolica e da questa in un altra sottostante ancora nella Maiolica. Queste cascate sono facilmente spiegabili quando si pensi che in questa loca- lità il letto del Cosia ha raggiunto le marne della Creta supe- riore che sono molto più erodibili dei compatti strati dell’ In- fracretaceo e del Giura. Anche il torrentello che scende perla valle di Villa Albese presenta il medesimo fenomeno del Cosia, cioè esso presenta il (1) DE ALESSANDRI G. op. cit. pag. 64. (2) DE ALESSANDRI G. op. cit. pag. 43. (3) CORTI B. op. cit. (4) MARIANI E. op. cit. 46 ROBERTO BRUNATI suo letto che per circa due chilometri è parallelo a quello del Cosia, ma presso una sella detta Ceppo di Villa, dove si osserva un’ evidente morena recente, piega bruscamente ad Ovest ed entra nel Cosia nella località detta Ponte della Valle. Questo cambiamento di direzione del Cosia e del suo affluente fa pensare alla cattura di queste vallette per arretramento del Cosia, e probabilmente è legato alla azione che esercitarono le invasioni glaciali in questa località (’). Nell’alta valle del Cosia le traccie dell’azione glaciale si scorgono nel letto del torrente a circa un chilometro a valle dalla sorgente, da questo punto fino a Ceppo d’Albese la valle si fa pianeggiante, essendovi sopra un chilometro di lunghezza un dislivello di appena due metri circa. In questo tratto pianeggiante il torrente scavandosi il letto nelle alluvioni, ha messo nudo in vari punti alcuni strati di finissime marne, argillose disposti orizzontalmente e che an- dando sempre più a valle passano, a banchi di Conglomerati che affiorano poi a Ceppo di Albese. Queste marne friabilissime quando sono asciutte, si sciolgono nell’ acqua come fango dis- seccato, acquistando una viscidità analoga a quella del sapone per cui, ed anche per la loro colorazione bigiastra o rosso ci- nerea, vengono dai contadini chiamate SAPONETTE DI MONTE. Nel punto del loro massimo sviluppo hanno una potenza di circa due metri. Non trovai in esse tracce di diatomee nè resti organici. Gli elementi che vi si trovano sono, il quarzo in prevalenza, le miche, più rari gli epidoti, i pirosseni e la staurolite e molti prodotti d’alterazione. Questi straterelli argillosi mi sem- brano analoghi a quelli che il Wilmer riferisce all’ intersta- diale (’). Della determinazione di questi minerali devo ringraziare il mio egregio amico Dott. Luigi Peruzzi. Alla sella di Ceppo d’Albese aumentano le traccie del glaciale colla presenza di numerosi trovanti nel letto del torrente, e nelle sopra descritte marne gli elementi si fanno più grossi, come si osserva alla confluenza colla Valle di Villa Albese. Seguono verso l’alto i banchi di conglomerato che diedero il (1) Sacco F. op. cit. pag. 34-28. (2) WILMER F. op. cit. pag. 84. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE ECC. 47 nome di Ceppo alla suddetta sella. Questo conglomerato affiora in molte località nei dintorni di Albese e nella valle del Cosia, si presenta di solito in grossi strati con elementi abbastanza grossi, in parte spettanti alle rocce calcari che formano i monti soprastanti, e in parte a rocce cristalline e scistose provenienti dalle Alpi. Questi banchi di conglomerato rappresentano il rimaneg- giamento di precedenti depositi glaciali spettanti ad una fase di espansione glaciale anteriore all’ ultima. A Ceppo d’Albese in una trincea operata per il passaggio di una strada, si scorge come il conglomerato riposi sopra una morena assai antica dove il ferretto predomina e gli elementi sono profondamente alterati. Certamente anteriori alla più recente invasione glaciale, sono alcuni trovanti e piccoli lembi morenici che si trovano a Nord Ovest di Ceppo sulla riva destra del Cosia all’altezza di circa 650 metri, 150 metri più in alto del conglomerato della sella. Fra i trovanti di questa località ve ne sono due Copel- liferi, che presentano cioè certi incavi rotondi dei quali fin ora non si è potuto dare alcuna spiegazione sicura; uno assai grosso vicino alla strada che da Ceppo mette alla capelletta di Tavernerio, l’altro una cinquantina di metri sopra. Un’altro assai ben conservato e con cinque distinte scodelline si trova vicino al paese di Albese e precisamente lungo la stradella campestre che dal caseggiato di Prato mette alle Vigne. La cronologia dei fenomeni glaciali (') è in questa località alquanto complicata perchè sono evidenti le tracce di due glaciazioni distinte determinate da morene antiche e da altre assai più recenti; le ultime sono ben conservate come lo attestano lo stato degli elementi e la colorazione biancastra del fango che le impasta, e per essere in alcune località sovrapposte al conglo- merato. Queste morene inoltre non raggiungono mai sui fianchi delle montagne l’altezza dei trovanti e di quelle più antiche (°). Se da Ceppo d’Albese si scende verso Cassano Albese lungo la strada diretta ad Ovest, si vede che essa attraversa dapprima una morena addossata al monte, dagli elementi assai alterati e profondamente ferettizzati, sotto Cascina Mirandola si osserva un affioramento del conglomerato sottostante ad una morena (1) WILMER F. op. cit. pag. 61-87. (2) WILMER F. op. cit. pag. 88. 48 ROBERTO BRUNATI recente. Sempre lungo questa strada si osservano depositi mo- renici recenti fin che si giunge ad una valletta [Camp Las] (campo franoso) dove affiorano potenti banchi di conglomerati analoghi a quelli di Ceppo, che sembrano adagiati in parte sopra una morena recente, erosa dall’ acqua. Osservando per bene si vede come questa morena sia stata spinta e sovrap- posta al conglomerato dal ghiacciaio che riempì tutta la valle. La superficie di contatto tra la morena e i banchi di con- glomerato non è regolare, ma vi sono frequenti apofisi di mo- renico che si spingono nei crepacci del conglomerato e spiccano per il loro colore bigio chiaro entro la roccia oscura. Questi conglomerati attestano un deposito precedente all'ultima discesa dei ghiacciai Alpini e probabilmente sono sineroni con quelli rinvenuti dal Prof. Taramelli a Nord di Pusiano e attorno alla chiesetta della Madonna della Neve ('). Il Becker nella sua carta geologica non rilevò queste roccie interglaciali ed anche al morenico non diede il suo vero svi- luppo, limitandosi a segnare presso a poco in questa località le sole morene della più recente invasione. Nel periodo interglaciale, l’ alta valle del Cosia e quella di Villa Albese per le rispettive selle di Ceppo d’ Albese e di Villa sboccavano in quella specie di altipiano a forma di qua- drilatero, limitato a Nord dalle ultime pendici che si staccano dal Bolletto e dal Bollettone. Quest’altipiano è sparso di altre morene dirette da Nord a Sud, la quale disposizione si spiega colle condizioni tutt’ af- fatto speciali nelle quali si svolsero in questa località i feno- meni glaciali. Che nell'ultimo periodo interglaciale l’alta valle del Cosia sboccasse nel sopra ricordato altipiano passando per la sella di Ceppo fanno fede e la sella stessa ed i banchi di conglomerato che si osservano nei dintorni di Albese e dei quali ho già parlato. Un fatto poi di capitale importanza è questo, che in diverse località del paese dove si scavarono pozzi, sotto uno strato di cinque o sei metri di ferretto e di materiali morenici molto alterati, si trova sempre un livello acquifero costituito da un giacimento di ghiaia in parte cemen- tata dove prevalgono elementi calcari misti sempre ad elementi (1) TARAMELLI T..« Alcune osservazioni Geologiche nei dintorni di Erba» op. cit. pag. 54. OSSERVAZIONI GEOLOGIGHE ECC, 49 di provenienza alpina alcuni dei quali hanno tali dimensioni da dover essere minati. Gli elementi che costituiscono questa ghiaia sono assai somiglianti a quelli del conglomerato e certamente sono stati depositati da correnti che scendevano dai soprastanti monti e che ora sono state catturate dal Cosia. All’opera di queste antiche correnti può «inoltre riferirsi il profondo avvallamento compreso tra Orsenigo ed Alzate ad Est e Verzago ad Ovest che è diretto da Nord a Sud verso Brenna, e fu anche dal Wilmer considerato come un antico alveo di fiume. Questo avvallamento può sicuramente ritenersi la conti- nuazione dell’ antica valle di Albese ora catturata dal Cosia, perchè è evidentemente sul prolungamento di quella, come ap- pare dando uno sguardo alla carta topografica. La cattura da parte del Cosia della valle di Tavernerio, poichè anche questa per una evidentissima sella che si osserva sopra la frazione di Sirtoro sboccava nel sottostante altipiano, di quella di Albese e di Villa Albese sembra avvenuta durante od appena dopo l’ultima invasione glaciale, e la particolare di- sposizione del ghiacciaio Abduano in questa regione deve aver affrettato tale cattura. È necessario ricordare che i due rami del ghiacciaio Abduano discesi uno dal ramo di Como del Lario, l’altro dalla valle Assina, il primo rimontando l’attuale valle del Cosia, il secondo sboccando dalla valle del Lambro si scon- trarono appunto tra Villa Albese ad Est e Tavernerio ad Ovest inalzando contro le pendici dei monti che sono a Nord una enorme barriera di ghiaccio e lasciando le tracce fino a circa 700 metri di altezza. Questo limite non fu però raggiunto dal- l’ultima invasione glaciale le di cui morene in questa località non sorpassano la quota dei 550 metri. Risulta dagli studii più recenti, che durante l’ultimo periodo interglaciale deve aver dominato un clima piuttosto asciutto di modo che le correnti che avevano trascinato tutti quei materiali che formano il con- glomerato interglaciale, devono aver erose, con periodi di magre, le proprie alluvioni in parte cementate. Al ricomparire poi dei ghiacciai si formò nuovamente una barriera di ghiaccio che non raggiunse il limite degli antichi, ma bastò appunto ad otturare come una grande diga le selle per le quali i torrenti montani scendevano nel sottostante alti- piano dei tre Albesi. Le due colline del Cornisello m. 627 e di 4 50 ROBERTO REUNATI Pusfavel m. 590, che furono staccate dai rispettivi contrafforti del Ventone e del dosso Fragoso dal continuo arretramento del Cosia, il quale riuscì così a catturare la Valle di Taver- nerio, quella d’Albese e quella di Villa Albese, rappresentano colle loro cime pianeggianti un antico terrazzo alluvionale for- mato dalle correnti dell’ultimo periodo interglaciale, e presso a poco a questo livello si osservano altri terrazzi lungo tutte le pendici meridionali di questa costiera che finisce a Brunate. Avanzi di questa linea di antico livello si osservano a Gilasca m. 573 e sotto Civiglio m. 567. Questi terrazzi appartengono a correnti che forse non andavano nel Lario, ma per il profondo avvallamento della val Basca, andavano a sboccare nelle vici- nanze di Trecallo, cosa facilmente ammissibile osservando che tanto la valle di Ponzate come il troncone isolato di val Basca siano nella medesima direzione da Nord a Sud e quasi in con- tinuazione l’uno dell’altro. Al ricomparire dei ghiacciai dell’ ultima espansione, forse il Cosia aveva già catturato tutte le vallette montane che sono ad Ovest di Tavernerio, e questa nuova barriera che ostruì le antiche selle deve certamente aver influito a facilitare I’ arre- tramento del torrente maggiore, ed è la causa probabile della deposizione di quelle sottili marne argillose che ho ricordato nella valle di Albese e che si trovano anche in quella di Villa, poichè ostruendo la sella di Ceppo si formò all’interno un tranquillo bacino lacustre il quale dall’ arretrarsi del Cosia venne in seguito raggiunto e vuotato. Da Tavernerio al Lario la vallata molto larga sembra ina- deguata alla forza di erosione delle acque del Cosia, ma dai ter- razzi che assai distinti si vedono in alto, si accorge: subito come l’opera fluviale sia stata scarsa dopo l’ultimo periodo gla- ciale, e come la gran vallata fu opera della erosione glaciale esercitata sopra rocce poco compatte e friabili quali le marne variegate del Cretaceo Superiore. I terrazzi alluvionali che si presentano assai distinti sono due, il più alto è quello già ri- cordato che passa per Gilasca, Ponzate, Civiglio e potrebbe ri- ferirsi al diluviale medio. Al glaciale recente corrisponde quel- l’altipiano compreso tra il monte Orfano Comasco e Tavernerio e che va abbassandosi sotto Solzago e Casina fino alla cascina di S. Bartolomeo; in tale altipiano il Cosia ha scavato il suo letto attuale abbassandosi di una cinquantina di metri. Poco OSSERVAZIONI GEOLOGICHE ECC. DI dopo le ultime case di Tavernerio dove affiora il Lias inferiore il Cosia scorre per breve tratto attraverso a materiali morenici ed il suo letto è seminato di grossi trovanti. Al Ponte di S. Fe- riolo affiora il rosso ad Aptici e la Maiolica dove si osservano due bellissime marmitte dei giganti, quindi le rocce in posto scompaiono sotto i detriti morenici fino al Passo della Volpe, ove affiora un banco di conglomerato interglaciale attraverso al quale il Cosia si apre un varco formando una bella cascata ed un grandioso orrido; poco a valle di questo orrido affiorano le marne della Creta Superiore. La profonda erosione che si osserva in questi terreni è tutta post-glaciale ed è assai evi- dente nella già ricordata località di S. Bartolomeo. Nei primi tempi del Post-Glaciale il torrente doveva essere spostato a destra contro la montagna, ma in seguito gli strati resistenti e compatti della Maiolica lo deviarono, obbligandolo a scavarsi il passo verso sinistra, ed isolando così il piccolo sprone dove è il convento di S. Bartolomeo stesso. Sulla sponda destra affiora la Maiolica assai sviluppata sopra Campora ed in essa il D. B. Corti rinvenne un’ interes- santissima fauna giurese. A valle di Campora affiorano nel letto del torrente ancora le rocce marnose della Creta Superiore ricoperte da argille, che secondo il prof. Taramelli dimostre- rebbero depositi del lago di Como spinti fino a questa località (*). Avvicinandoci alla città di Como, il letto del Cosia è tutto tra depositi morenici e degna di nota e la Marmitta dei Gi- ganti che si trova in uno sprone di Maiolica sotto Camnago Volta già illustrata dal Benedetto Corti. (1) TARAMELLI T. — I tre laghi — op. cit. pag. 123. SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI DI VIZZOLA TICINO E CASTELNOVATE In Provincia DI MILANO. Nota dell’ ing. Francesco Salmojraghi (con due tavole) SoMmM4RIO. Preliminari — Colle Umberto. Un fossile — Sottosuolo dell’impianto di Vizzola — Corrosione nell’ansa di Castelnovate — Sabbie. Anfiboli cuspidati — Discussione geologica. Modo di formazione. Provenienza. Età — Riepilogo — Poscritto. Preliminari. — Da parecchi anni vado raccogliendo dati di osservazione nella regione quaternaria dell’alto Milanese e specialmente nell’area fluvio-glaciale del Ticino, dove uso passare una parte delle mie vacanze. Ma sono ben lontano dal- l’aver risolto tutti i dubbi sull’ assegnazione dei terreni more- nici ed alluvionali di quell’ area alle numerose fasi glaciali ed interglaciali, in oggi stabilite. La pluralità delle glaciazioni, che gradatamente si è comprovata intorno alle Alpi, ha realmente accresciuta la difficoltà del riconoscimento geologico dei terreni anzidetti. I criterii di riconoscimento, come è noto, sono principal mente forniti dallo stato di freschezza o di alterazione, di sciol- tezza o di cementazione dei terreni stessi; poi dalla forma esterna, dall’ altimetria e dai rapporti di posizione che esistono fra di essi, talvolta dalla distribuzione della flora spontanea attuale sopra la loro superficie ed infine da qualche eventuale contri- buto di paleontologia o paleoetnologia. Ma tali criterii non sono sempre rilevabili. Quante distese pianeggianti non lasciano scorgere la natura del sottosuolo che per lo spessore messo allo scoperto dai lavori di coltivazione! Su quante ondulazioni di colli la vegetazione impedisce di giu- dicare se l’ ossatura ne è morenica o prequaternaria! Per ciò sono da ricercarsi con diligenza, man mano si presentano, tutte SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. Dd le occasioni di sterri per cave, per trincee, per fondazioni o per pozzi, che consentano di fare, anche solo fugacemente, delle preziose osservazioni del sottosuolo. D'altra parte, ai criterii di riconoscimento sopra enumerati io penso che un altro possa essere aggiunto, quello desunto dallo studio mineralogico delle sabbie, le quali in tutti i terreni fluvio-glaciali esistono o con qualche manipolazione sono ricavabili. La presente nota ha appunto il modesto scopo di porgere un esempio di applicazione dell’ anzidetto criterio e di serbare la memoria di alcuni dettagli geologici che vennero in luce negli escavi eseguiti dal 1897 al 1899 per l'impianto idroelet- trico di Vizzola e che a lavoro compiuto non sono più visibili. E per l’intelligenza di quanto dirò su tale argomento valgano il seguente brevissimo cenno descrittivo dell’opera e lo schizzo planimetrico della tav. II. (*). L'impiavto di Vizzola, uno dei primi costruiti e dei più impor- tanti d’ Italia, sviluppa una forza di circa venti mila cavalli effettivi, Un canale che fu detto industriale e poi prese il nome di Vittorio Ema- nuele III, staccandosi con un corpo d'acqua di 70 m. e. dallo stesso bacino di presa costruito dal 1882 al 1884 sul Ticino, presso Somma Lombardo, per il canale Villoresi, corre a fianco sulla destra di questo per circa 6 chilometri fin presso Vizzola. Quivi i due canali si se- parano; il canale Villoresi, svoltando a sinistra, prosegue sulla costa della valle verso Tornavento per raggiungere I altipiano; il canale industriale si divide in due rami, uno serve alla conti- nuità della navigazione e scende a sud, diritto al Ticino, guada- gnandone il livello con due coppie di conche, V altro piega a destra sopra un lungo ponte-canale e si immette nel bacino di carico, donde scendono 12 tubi all'edifizio della centrale per animarvi, con un salto di 28 m., 10 turbine motrici e 2 eccitatrici. Un canale a gradoni sca- rica le acque sfioranti dal bacino anzidetto ed un altro più in basso raccoglie le acque fluenti dalle turbine; entrambi confluiscono nel ca- nale di navigazione a pie dell'ultima conca. Tutti gli scavi per trincee e per fondazioni delle opere nominate caddero in terreni alluvionali, che sono diversi di costituzione e quindi presumibilmente di età. (1) Ricavai questa tavola dai disegni della Soczetà italiana per condotte d'acqua, che progettò l’opera, e della Socze/d lombarda per distribuzione d'energia elettrica, che la eseguì e la esercita. 54 FRANCESCO SALMOJRAGHI Colle Umberto. — L’alluvione, che si presenta prima allo sguardo, è quella che forma il colle che chiamerò Umberto, dal nome che l'Autorità comunale di Vizzola diede alla fila di edifizi sopra di esso eretti per uffici ed abitazione degli addetti alla centrale idroelettrica. Questo colle si stacca dal- l’altipiano terrazzato e si spinge verso nord-ovest a guisa di penisola contro il Ticino, fino a Castelnovate, in una magnifica ansa del fiume. Esso venne già tagliato per dare passaggio al ca- nale Villoresi con una trincea, che poscia allargata per la sede del canale Vittorio Emanuele III è lunga 300 m., larga in sommità 115, profonda 27 e importò uno sterro complessivo di 570.000 m. e. Credo che mai occorse altrove in Lombardia un’ incisione così ampia e venne messa così in evidenza la compagine interna di un’ alluvione (‘). L’alluvione del colle Umberto, come rilevai in ambedue le fasi di escavo, è una miscela incoerente di ghiaia e sabbia, di co- lore grigio, con visibili linee di stratificazione pressochè oriz- zontale, senza essere in strati distinti. Qua e là vi si notano qualche raro nucleo irregolare cementato in pudinga e qualche rara lente di pura sabbia. L’argilla vi manca; anzi la sabbia della miscela e delle lenti poco intorbida l’acqua e, se la in- torbida, il limo che si deposita non contiene quasi punto argilla, ma consta di granuli estremamente fini, per lo più di mica o di quarzo. I ciottoli della ghiaia poi non hanno dimensioni uni- formi; quelli di dimensioni mediè (0.05 — 0.10 m.) sono pre- dominanti; ma ad essi si associano, sparsi nella massa, e spe- cialmenie nella parte superiore, rari ciottoli più grossi e ciot- toloni di 0.30 — 0.50, fin di 1 m. di diametro medio. Non fu- rono trovati massi di dimensioni maggiori e ciò confermerebbe la pertinenza ad opere artificiali di quello incontrato nelle fon- dazioni del ponte sul Ticino presso Turbigo, che altrove ho descritto \Rend. Ist. lom., p. 1155, XXV, 1892. Dal punto di vista litologico i ciottoli anzidetti spettano per lo più a rocce alpine. Sono gneis e altri scisti cristallini, granito, diorite, an- fibolite e inoltre serpentino, quarzite, dolomia saccaroide, quarzo da filoni ecc. Alcune fra le rocce anfiboliche ricordano i tipi (1) Lo stesso colle, presso Castelnovate, venne tagliato anticamente, in epoca non ben nota, per il passaggio del canale, detto del Panperduto, che non giunse a compimento, e SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI: ECC. or della zona basica di Ivrea che attraversa la val d’Ossola. Meno frequenti e di minori dimensioni sono i ciottoli di provenienza prealpina; fra i quali riconosconsi i graniti ed il porfido del Verbano; e, più scarsi, il porfido del Ceresio, la dolomia triasica, la maiolica, le selci del lias e della creta. I ciottoli di provenienza alpina sono sempre perfettamente arrotondati, imperfettamente gli altri; tutti poi si mantengono compatti e tenaci, tranne qualche ciottolo di gneis in cui la decomposi- zione è iniziata. L’alluvione qui descritta continua sulla costa sinistra della valle del Ticino da Castelnovate in su fino allo Strona ed oltre, ed in giù fino a Turbigo ed oltre. Lo riconobbi benissimo nelle trincee scavate in passato pel canale Villoresi, meno bene al- trove; però andando verso ‘Turbigo le dimensioni dei ciottoli diminuiscono. Un rossite — Alcune di queste trincee, a monte del colle Um- berto, vennero allargate per spostare a sinistra il canale Villoresi e far posto al canale industriale, che altrimenti avrebbe raseutato dei fabbricati od il Ticino. In una di esse (trincea Garancini, tav. ll) venne il 30 novembre 1898 ritrovato un grosso gasteropodo, uno Strombus, cogli anfratti guasti, ma la bocca ben couservata, manifestamente fos- sile e coi caratteri di fossilizzazione del terziario recente. ll prof. E. Mariani cortesemente lo determinò per Stronbus coronatus, Defr., specie pliocenica estinta. Per le testimonianze che ho avuto d:gli operai ter- razzieri e dal loro assistente Antonio Scaini dell’ impresa costruttrice Ulisse Loni, e da mio figlio ing. Darvino, che ebbe parte nella direzione di quei lavori, sono pienamente sicuro che quella conchiglia giaceva fra le ghiaie dell'alluvione. Che se in principio, per la singolarità del ritrovamento, mi venne il dubbio che essa avesse un’altra provenienza e fosse per esempio stata posseduta, come oggetto di curiosità, da qualcuno degli operai (che in parte erano toscani), il dubbio fu presto eliminato coll’osservazione dei ciottoletti e granuli di sabbia rimastivi aderenti e cemeotati nell'interno, i quali hanno tutti i caratteri litolo- gici e mineralogici competenti ad una provenienza dal bacino ticinese (!). (1) Fra i ciottoletti riconobbi: granito, norite, gneis, quarzite, dolomia sacca- roide, micascisto ed altri scisti anfibolico, pirossenico, epidotico, cloritico, calci- tico, granatifero (non glaucofanitico) e inoltre porfido quarzifero, calcedonio e quarzo. Fra i granuli, che erano aggregati con cemento calcitico, riconobbi sol- tanto i minerali, e tutti i minerali (meno la cianite}, che vedremo trovarsi nella sabbia del colle Umberto, con quella relativa frequenza di orneblenda verde, che è propria di tntte le sabbie ticinesi, 56 FRANCESCO SALMOJRAGHI Perc:ò ritengo molto probabile che quel fossile derivi da qualcuno dei non lontani soprastanti affioramenti pliocenici subalpini (Gozzano, Gat- tico, Taino, Induno) o da qualche nascosto giacimento della stessa formazione ed abbia resistito per le sue grosse pareti al rotolamento fra le ghiaie; un fatto analogo a quello che a Cassina Rizzardi e paesi circonvicini, nella regione morenica lariana. ha destato, trent’ anni or sono, tanto interesse e tante lotte fra i geologi. i Lo Strombus coronatus infatti venne riconosciuto a Taino uel plio- cene in posto da Parona (') ed a Cassina Rizzardi, Bulgarograsso e Caccivio, fra i fossili pliocenici rimaneggiati, da Spreafico, Sordelli e Mercalli (°) e quivi pure non si ebbero che esemplari guasti. All’alluvione che ho descritto si attribuirono nelle carte geologiche speciali della regione, o generali di Lombardia, di- versi nomi: diluvium antico, da Zollikofer (1854); diluviale, da Hauer (1867 ; morenico o glaciale, da Omboni (1869); alluvione moderna (?), da Curioni (1877); alluvione diluviale grossolana, da, Taramelli (1890); sahariano diluviale, da Sacco (1892); dilu- vium recente, ancora da Taramelli (1903); e (con nome equiva- lente) diluvium superiore, da Stella nella carta *|,,, 000 del qua- ternario, tuttora inedita (?). Sottosuolo dell’ impianto di Vizzola. — Ben diversa è l’alluvione che fu incontrata in una parte degli escavi del canale Vittorio Emanuele III, a valle della trincea del colle Umberto, e in alcune fondazioni delle opere costruite per l'impianto idroelettrico di Vizzola. L’area, su cui stanno queste opere, dal piede della costa di Vizzola (circa 173 m. s.m.) si stende ondulata o declive e frazionata in terrazzi alveari (sull’ultimo dei quali scorrono le acque delle fontane di Castelnovate e di Vizzola ed un antico canale, la roggia Molinara) fino al Ticino, che in magra ivi ha la quota di circa 155 m. Il soprassuolo di quest’area, non con- tando il terriccio vegetale, è sempre alluvionale, ma spettante a tempi diversi. Nella zona più elevata ha ancora i caratteri dell’alluvione diluviale; e in questa anzi si affondò totalmente il massiccio murario della prima conca e in parte quello della se- (1) Rend. Ist. lomb., p. 629, XVI, 1883. (2) Atti Soc. it. sc. nat. XVII, p. 434, 1874; XVIII p. 334, 1875; XIX, p. 279, 1876. (3) SreLLA. — Suz derreni quaternari della valle del Po ece., Boll. R. Com, geol., Roma, 1895. = SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. DX conda. Nella zona mediana, dove cadono il susseguente canale di navigazione e le altre due conche, nonchè una parte del ponte- canale, tutta la centrale ed i due canali di scarico, il soprassuolo consta di alluvione fluviale, ciottolosa, ghiaiosa e sabbiosa, non argillosa, nè sensibilmente decomposta, dovuta probabilmente ad un Ticino posglaciale. Infine nella zona più bassa, e quindi nel- l’ultima tratta del canale di navigazione, dopo la confluenza dei canali di scarico, si ha ancora un’alluvione fluviale, ma più recente, anzi storica, poichè soltanto ivi si trovarono avanzi dell’ industria umana (*). È nella zona di altezza media (colorata in verde nella tav. II) che cogli escavi delle opere sopranominate apparve una formazione diversa e cioè argille, sabbie e ghiaie decomposte. Non fu agevole da principio giudicare dai diversi punti, che si andavano man mano scoprendo, quale giacitura avessero questi terreni e quali rapporti tra di loro. Soltanto a scavi . compiuti, riunendo i dettagli rilevati, che non è prezzo dell’o- pera di qui riportare, potei farmi un concetto della formazione e posso ora descriverla. Anzitutto sotto le alluvioni superficiali (posglaciale e dilu- viale) fu trovato quasi dapertutto, a profondità variabile da 2 a 4 m., un banco di argilla sabbiosa, bruna o azzurro-oscura, associata a strati di argilla rossastra o gialla, parimenti sab- biosa o di sabbia dello stesso colore o di ghiaia a ciottoli de- composti, con un ordine ed una giacitura (a strati orizzontali od inclinati) mutabile da un punto all’ altro. Sotto questo com- plesso, che ha la potenza di 4 — 6 m., esiste un’alluvione più co- stante nei suoi caratteri, che fu attraversata al massimo per 10 m. negli scavi della centrale. È una miscela di ghiaia e sabbia con linee evidenti di stratificazione orizzontale o debol- mente inclinata in diversi sensi. I ciottoli in essa hanno pro- venienza alpina, come quelli del colle Umberto; però il gneis e lo scisto anfibolico sono prevalenti; più distinte le rocce della zona di Ivrea (fra cui la stronalite); presenti, ma raris- simi, i porfidi del Verbano e del Ceresio ; non rinvenute finora le rocce del secondario. Inoltre questi ciottoli diversificano da (1) Sono due attrezzi di ferro, riconoscibili ad onta della profonda ossidazione * un tridente da contadino ed una fiocina da pescatore, trovati alla profondità di cirea 6 m. (155 s. m.). Rimontano probabilmente al XVI secolo, per una piena che interrò la presa della roggia Molinara. ~ 58 FRANCESCO SALMOJRAGHI quelli del colle Umberto, perchè hanno dimensioni medie sen- sibilmente uniformi e perchè, serbando pure la loro forma ar- rotondata, sono decomposti: tutti, meno i ciottoli di quarzo, si frantumano con un debole colpo di martello. La sabbia è gros- solana e gialla, sicchè gialla appare tutta la massa. Anzi questo colore persiste nelle materie di sterro poste in rifiuto, che tut- tora si riconoscono dai rifiuti grigiastri degli altri sterri. La massa infine, senza essere propriamente cementata, perchè il carbonato di calcio vi è scarso o manca, presenta una certa coerenza, talchè negli scavi di fondazione potè sostenersi con pareti verticali. In questa miscela ghiaio-sabbiosa sono poi inclusi qua e là, a diversi livelli e con diversa estensione e potenza, strate- relli, lenti e piccole masse a contorni irregolari di pura sabbia, che è parimenti gialla, talora rossastra, o di argilla plastica, azzurrognola o giallognola, povera o priva di carbonati. Gli straterelli anzidetti sono orizzontali od inclinati, talora ondu- lati e non continui; le lenti sono spesso allungate (meglio si direbbero prismoidi: colla sezione trasversale a segmento di circolo, avente la corda in alto, l’ arco in basso. Una di tali sezioni apparve sulla scarpa sinistra del canale di navigazione, presso la confluenza dei canali di scarico, e non può interpe- trarsi che come un solco scavato nell’ alveo ghiaioso di un fiume da una corrente in piena, riempito al decrescere di questa con torbide, che successivamente furono coperte da nuova ghiaia. Delle piccole masse infine non sempre potè determinarsi la forma, perchè il loro proseguimento esciva dall’ area scavata. Nello sterro del canale a piè della quarta conca, una di esse aveva forma presso che cilindrica del dia- metro di circa 3 m.; ritengo rappresenti un gorgo scavato da una piena, interrato con torbide dopo. Tale è la formazione messa in luce dagli escavi dell’ im- pianto di Vizzola. La sua superficie superiore, quella cioè che apparirebbe se si levassero le alluvioni più recenti che la co- prono, non è piana, ma ondulata, fors’ anche foggiata a gradini da interpetrarsi come terrazzi alveari o di erosione fluviale. Non ho prove che vi sieno dei salti. Il contatto della forma- zione stessa col diluviale apparve alla 2% conca, scavata per la maggior parte in questo e fondata su un banco di argilla spet- tante a quella. Infine su quali terreni appoggi e quale potenza SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. 59 / abbia, non sappiamo : il punto più basso raggiunto è a circa 152 m. s. m., nelle fondazioni della centrale. Corrosione nell’ ansa di Castelnovate. — Una formazione analoga affiora circa 750 m. a nord, al di là del colle Umberto, laddove il Ticino corrode la sponda sinistra e muta direzione per girare intorno a Castelnovate. Essa fu scoperta da Sacco che la riferì al villafranchiano e così la de- scrive : «... sotto al terreni quaternari compaiono strati e ban- « chi marnoso-sabbiosi, marnoso-argillosi, grigiastro-giallastri, « conglobanti estesi straterelli lignitici (nonchè un banco di « lignite di circa 1 metro di spessore) alternati con banchi « ghiaioso-conglomeratici....» (*). Sacco ha preveduto che I’ anzi- detto terreno doveva costituire sotto ad un sottile strato allu- viale il fondo della vallata del Ticino a monte ed a valle del- l’affioramento e per la parte a valle, cioè nell’area dove più tardi sorse l'impianto di Vizzola, la sua previsione fu esatta. In seguito Corti ha studiato la microflora fossile dell’ affio- ramento di Castelnovate e per le diatomee ritrovate ne con- fermò il riferimento al pliocene continentale (*). E Taramellii nell’ ultimo studio sintetico sulla Lombardia occidentale novera l’ affioramento stesso « fra i più antichi depositi alluvionali « della valle padana, formatosi appena che il sollevamento « delle spiaggie prealpine fece scomparire il golfo pliocenico « corrispondente all’ estremità meridionale del bacino ver- « bano » (°). Questo deposito nella carta geologica annessa è posto alla base del diluviale o quaternario. L’ affioramento di Castelnovate cade nel vivo della corro- sione e muta d’ aspetto col proseguire di questa. Ricordo che nel maggio 1899 non rispondeva più alla descrizione di Sacco. A partire dal basso vi si notava un banco, potente 2—3 m. sopra le magre, di ghiaia ad elementi alquanto minuti, pel resto uguale a quella profonda di Vizzola, quindi mista a sabbia gialla con ciottoli decomposti e spettanti alle stesse rocce. Vi Sl sovrapponeva un banco di 1—2 m. di sabbia gialla, con stri- (1) Sacco, ZL’ anfiteatro morenico del Lago Maggiore, Ann. d. r. Ace. di Agr. di Torino, XXXV, p. 25 (dell’ estr.), Torino, 1892. (2) Corti, Sul deposito villafranchiano di Castelnovate ece., Rend. r. Ist.lomb., XXVI, Milano, 1893. (3) TARAMELLI, I re laghi, p. 66, Milano, 1903. 60 FRANCESCO SALMOJRAGHI scie rossastre, più o meno argillose, sul quale sporgevano lenti discontinue di lignite dello spessore di 0,40—0,50. Un grosso banco di argilla sabbiosa, bruna, talor torbosa, con qualche in- terstrato di sabbie o ghiaie, chiudeva con una potenza di 5-7 m. la serie, poichè dopo di essa, con confini indistinti, ap- pariva il diluviale di colore grigio ed a ciottoli integri del colle Umberto. L’ affioramento in complesso era visibile soltanto su una lunghezza di 150 m. Le piene dell’ agosto 1900 e dell’ ottobre 1907 hanno arre- trato la fronte della corrosione di circa 30 m.; l’ affioramento in oggi (gennaio 1908) è visibile su una lunghezza di 300 m. e consta sempre di prevalente ghiaia gialla decomposta in basso, di uno strato di lignite in mezzo e di prevalente argilla sabbiosa, bruna in alto; ma il banco di questa appare assottigliato e al suo estremo a monte curvato a mo’ di anticlinale che affon- dandosi nel fiume accenna a scomparire, mentre lo strato di li- gnite, sempre discontinuo, si ingrossa fino ad assumere uno spessore di m. 1,30. In ogni caso le sabbie e le argille di questo affioramento sono tutte sciolte e non contengono carbo- nati otticamente riconoscibili, nè fanno effervescenza con acidi, ciò che Corti aveva già notato, o ne fanno una debolissima ; perciò non si possono dire conglomerate nè marnose. Rimontando il Ticino a partire dall’ ansa di Castelnovate, l’ affioramento descritto non si vede più in nessun punto; nè è supponibile che sia nascosto dalle opere di presa del canale Villoresi, poichè ricordo che nel 1880, cioè prima che incomin- ciasse la costruzione di detto canale, la sponda sinistra del Ti- cino fino allo Strona, era battuta dalla corrente e formata di alluvione diluviale a ciottoli integri, e nella fondazione della gran diga, che attraversa il Ticino per la presa stessa, non si incontrò nessun terreno assomigliante a quelli dell’ ansa di Castelnovate. Così nessun affioramento è visibile sulla destra a monte della confluenza dello Strona fino a Varallo Pombia (!). (1) Nella carta geologica dei tre laghi, la striscia del deposito di Castelnovate fu, per una svista, allungata dall’ ansa in su lungo il Ticino fino dentro allo Strona e ne venne colorito un altro affioramento pure listiforme sulla sponda destra presso Varallo Pombia. E qui ricordo anche una svista di Zollikofer, il quale nella sua: Geol. des en- virons de Sesto Calende (Bull. Soc. Vaud., IV, 76, Lausanne, 1854), serisse: « Al di « sotto della foce dello Strona nel Ticino (ma dal lato piemontese) vì è una pa- « rete alta e dirupata, tutta composta d’ argilla ». Probabilmente Zollikofer ritenne SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. 61 Scendendo invece il Ticino a partire dall’ ansa è grande- mente probabile che Il’ alluvione ivi affiorante continui sotto il colle Umberto per dar la mano a quella sottostante all’ impianto di Vizzola (tav. II, profilo) ed è probabile che compaia anche sulla sponda destra, poichè quivi appunto di fronte all’ impianto stesso, l’ ing. Stella mi segnalò | esistenza di un piccolo aftio- ramento di ferretto, che non potei però ritrovare. Più a valle non ve ne sono più tracce o mancarono le occasioni di osser- varle. Il canale per l’ impianto idroelettrico di Turbigo, che fu costruito dal 1901 al 1903 per utilizzare la forte pendenza del Naviglio grande, non diè luogo, tra Tornavento e Turbigo, che a scavi superficiali con ritrovamenti di interesse archeo- logico, non geologico. La centrale dell'impianto stesso cadde in un’alluvione fluviale, in prevalenza sabbiosa, probabilmente posglaciale. Andando ancora verso sud, dopo Turbigo, non ho fatto osservazioni esaurienti. Ricordo soltanto sulla sinistra del Ticino una terra ferrettiforme presso il ponte di Padregnano (Robecchetto), e un’alluvione cementata presso il molino Mussi (Magenta), che mi fu indicata dal prof. C. Airaghi, ma non sembra abbia rapporti con quella ad elementi argillosi di Viz- zola e Castelnovate. Sabbie. — Per compire lo studio delle alluvioni de- scritte, ho sottoposto ad una esauriente indagine microscopica tutte le sabbie che vi appartengono, determinandone la com- posizione mineralogica ed il grado di frequenza dei componenti. Determinai anche le proporzioni numeriche approssimative dei componenti stessi, col metodo che altre volte ho proposto e descritto ('), ma soltanto per alcune sabbie opportunamente scelte nei giacimenti più caratteristici e ad esse aggiunsi, a scopo di raffronto, la sabbia dell’alveo attuale del Ticino, benchè per argilla, senza poterla visitare, una corrosione di ghiaia diluviale, che spicca sulla sponda destra sotto il Campo dei Fiori, nei territorii di Varallo Pombia e Pombia. Ma in quei tempi non era facile traversare il Ticino nemmeno ad un geo- logo austriaco. È da notarsi che lo stesso autore pubblicò a Vienna lo stesso anno, forse sol qualehe mese dopo, nel rapporto ufficiale della 32% riunione dei naturalisti e medici tedeschi, un lavoro di maggior mole (Beitrdge zur Geol. der Lombarde?), nel quale ripetè ed ampliò le osservazioni della precedente memoria di Losanna ; ma il cenno alla parete di argilla della sponda piemontese non vi si trova più. (1) SaLMmosRaagI, Sullo studio mineralogico delle sabbie e sopra un modo di rappresentarne i risultati, Atti Soc. ital. se. nat., XLIII, Milano, 1904. 62 FRANCESCO SALMOJRAGHI la composizione di questa sia da tempo conosciuta (*). Della cospicua mole di osservazioni fatte mi limito a presentare le proporzioni numeriche anzidette, come aventi un valore sinte- tico; esse sono inscritte sotto forma di percentuali, riferite al numero dei granuli otticamente determinabili, nelle cinque ta- belle più avanti riportate, le cui colonne numerate da I a VI riguardano le sabbie seguenti : I Sabbia del Ticino, da tre saggi raccolti nell’ alveo, il primo a valle della presa del canale Villoresi, il secondo nel mollente che fa seguito alla rapida, detta Madonnina, presso Vizzola, il terzo presso il ponte di Turbigo della ferrovia No- vara-Seregno. II Sabbia del colle Umberto, da un saggio tolto all'estremo meridionale e sulla scarpa destra della gran trincea. Di esso pubblicai già la composizione (op. cit. 1904, tab. IV, colonna E), che ora con qualche ritocco ripresento. III Sabbia del sottosuolo dell’ impianto di Vizzola, ricavata dalla levigazione dell’argilla sabbiosa, bruna, superiore, incon- trata nello sterro del canale navigabile alla confluenza dei ca- nali di scarico. IV Sabbia della corrosione dell’ ansa di Castelnovate, rica- vata dalla levigazione di due saggi di argilla sabbiosa, bruna, superiore, staccati al di sopra del banco di lignite, l’ uno all’e- stremo a valle, l’altro al’estremo a monte della corrosione, (maggio 1899). V Sabbia. del sottosuolo dell’ impianto di Vizzola, da due saggi spettanti all’alluvione gialla prevalentemente ghiaiosa e decomposta, inferiore, l'uno prelevato nel punto più profondo raggiunto colle fondazioni della centrale, l’altro nello sterro del canale navigabile, alla confluenza dei canali di scarico e al disotto dell’argilla che fornì il saggio II. VI Sabbia della corrosione dell’ansa di Castelnovate, da un saggio spettante all’alluvione gialla, prevalentemente ghiaiosa e decomposta, inferiore, preso all’ estremo a valle della corro- sione, a circa 3™ sulle magre e al disotto del banco di lignite. (1) ARTINI, Intorno alla composizione mineralogica delle sabbie del Ticino, Giorn. di miner., cristall. e petrog., II, Pavia, 1891. — La sabbia del Ticino è la prima che fu oggetto di uno studio mineralogico sistematico, poichè la pubblica- zione qui citata di Artini precedette di qualche anno quelle sulle sabbie olandesi di Retgers e di Schréder van der Kolk. SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. 65 Seguono le tabelle : (!) (1) Rimando al mio citato scritto del 190{ per la giustificazione del metodo se- guìto in questa indagine e per le riserve sul grado di esattezza raggiungibile. Qui mi limito a richiamare come si ottengono le cifre delle successive tabelle. L’ operazione si inizia colla specificazione mineralogica per mezzo dei caratteri ottici e contemporanea numerazione dei granuli di ciascuna specie apparenti nel campo del microscopio, ripetuta per 20 0 25 campi e almeno in 2 0 3 preparati, sopra sabbie arricchite, coll’ agitazione, di minerali pesanti. 1 numeri così dedotti (che qui furono omessi) si sommano convenientemente e si traducono in percen- tuali riferentisi ai singoli minerali componenti (tab. 1), poscia a gruppi di minerali aventi relazioni fra di loro (tab. 2). La stessa operazione, ma limitata ai gruppi anzidetti e sopra sabbie in stato naturale (non arricchite), conduce alla tab. 3. Moltiplicando poi le cifre della tab. 1 per il rapporto fra quelle competenti delle tab. 3 e 2, si ottengono le probabili percentuali approssimative dei singoli com- ponenti per le sabbie in stato naturale (tab. 4). Infine da questa tabella (o dalla 1) si ricavano i rapporti che meglio convengono fra speciali minerali (tab. 5), che altrove esposi con quozienti, qua per uniformità esporrò con cifre percentuali. Tutte le percentuali poi delle cinque tabelle, originariamente calcolate con tre de- cimali, vennero ridotte a una sola decimale (quindi espresse con 0.0 quando sono minori di 0.050). Questa riduzione portò necessariamente qualche lieve discordanza fra le tabelle dei gruppi, 2 e 3, e rispettivamente quelle dei minerali compo- nenti, 1 e 4, Infine quando per le sabbie di uno stesso giacimento ebbi parecchi saggi, adottai la media dei risultati ottenuti, che di regola sono molto simili fra di loro. Alcuni minerali di scarsa importanza come pirite, ematite, limonite, opale vennero omessi dalle tabelle. 64 TABELLA 18 Sabbie in stato arricchito FRANCESCO SALMOJRAGHI Percentuali dei minerali componenti Alluvione ° a) Alluvione E © 5 || argillo-sab- || sabbio-ghia- 2 Fe biosa iosa i iS 5 superiore inferiore Res S|} Viz-| Cap || Viz!) Cas | © || zola | steln.|| zola | steln. | II IE VE VI Preparati = 6 a | 5, TEA 3 Campi 150 106 70 125 150 75 Granuli 5491 | 3062 || 3838 | 5730 || 8604 | 3984 Oro 0.0 li Quarzo 148.1 145.5 |[57.3. 193.6 ||49.1 163.9 Calcedonio e piromaca . OMO MORA, ORIO Ilmenite e magnetite Si MS So 94] 00990168 Spinello | 0.0 0.0 Rutilo . | 053910129] 10598 00748 Ma |) O.2 Ottaedrite e brookite | 0.0 0.0 || 0.0 | 0.0 Carbonati PON SOME) WO FOTOS KO | Ortoclasio |W3AERTAZA 23185 (AR) AGRA Microclino ORGAN 0129] NOS N06 OSSA ORS Plagicclasio . STRA RCA Rete Sea) Pirosseno trimetrico . O24 10.5 0-17 0:27 NOZINIGON Diopside ed augite | 0.3 | 0.1 || 0.1 | 0.2 || 0.0 | Diallagio . | 0.0 0.0 | 0.0 Tremolite | 0.2 | 0.2 || 0.4 | 0.5 || 0.2 | 0.3 Attinoto NOS OLS) Nh Os9 e120 Oe | Orneblenda verde . | DIL etl | Geek NOA 248 bo | SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. Glaucofane . Granato . Olivina Zircone Andalusite Sillimanite Cianite Epidoto e zoisite . Tormalina Staurolite Mica bianca Biotite Cloritoide Clorite Serpentino . . . Titanite Apatite Pasta felsitica . Minerali dubbi . Orneblenda basaltica . I Il 0.8 | 0.4 0.0 12.6 | 4.3 | 0.1 0:9)|0:3 0.0 Gea OF OFS» 0:2 Sel lke Ore 20:3 0.4 | 0.5 Weed 20 Any Ost O80 0.5 | 0.6 0.1 | 0.1 (8) MOD OLA 20:2 8.1 13.1 100.0 100.0 0.0 | 0.3 (022 0.0 8.4 MI | iv l'0.9 | 1.0 | 0.0 | 5.1 | 5.0 0.0 | 0.0 0.6 | 1.1 | 0.0 0.0 | | 0.2 0.2 0:25] .0.3 | 6.0 | 6.1 |} 0.1 | 0.2 0.4 | 0.4 | 2.9 | 1.6 1.8 | 1.0 Osta Went 071/12 0.0 | 0.0 0.2 | 0.3 0.5 | 0.6 0.0 | 0,0 5.9 | 6.8 100.0 100.0 100.0 0.4 0.3 0.0 0.4 0.2 || uv 66 FRANCESCO SALMOJRAGHI TABELLA 23 Sabbie in stato arricchito Percentuali dei gruppi di minerali | 1 Il Il IV V VI Minerali leggieri (1). . . . ||54.1 (50.2 (62.9 |60.6 55.4 |73.9 Minerali pesanti (Ae i) a0.) 20-8 | OT Oo 9:08 (250 Pirosseni ed anfiboli. . . . Tey NW AVY Ih estes MWe 7 Ml esr |) S371 Michese del ori nen SAL 0779) ord 031984510 aac Carbonate ME PAT Male We O20) ROZOM OR Minerali bb | 8.1 113.1 5.9 | 6.8 || 8.4 | 9.3 '100.0/ 100.0. 100.0. 100.0) 100.0) 100.0. TABELLA 3a Sabbie in stato naturale Percentuali dei gruppi di minerali Cicala Preparati 6 2 2 4 4 2 Campi 300 50 60 120 200 50 Granuli 7133 1662 || 3250 | 5302 || 7319 | 2169 Manerali Vecgreri Vo one) 750700 66-5 Minerali pesanti . ... ._. 9.1 | 5.3 |[14.0 Pirosseni ed anfiboli. . . . de || 228 9628 Miche evcloritis) | 202) 2003.9 || 7.5,15-10)14.31 PA 351 0-6 iCarbonsitie re E 0.1 | 4.8 0.0 || 0.0 | 0.0 Mineral din pies = sre neueran re Pall | teas) I aor POO) Mh) VAS HN ).6 100.0/}100.0} 100.0 100.0} 100.0 (1) Col peso specifico minore di 2.94. (2) Col peso specifico maggiore di 2.94 e non compresi nei gruppi seguenti. SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. 67 TABELLA 44 Sabbie in stato naturale Percentuali dei minerali componenti i. ee Re Cie ERNIA] SS |S | | | = Oro 0.0 | Quarzo 66.8 |64.4 160.5 |65.2 [73.2 |65.7 | Calcedonio e piromaca . 038 R0594 MOSIAEO5S NOA 022 I {imenite e magnetite. 2. On OOultzeor ie Seo | rool |). Wee: | Spinello 0.0 | 0.0 ‘Rutilo 0.1 | 0.1 | 0.4 | 0.2 |) 02 | 0.1 Ottaedrite e brookite 0.0 0.0 | 0.0 | 0.0 SNA OIRIZIESA O20) 1020 | OO Ont Ortoclasio e a VOR Ga | Microclino O:8E|0:38 10.307 10.4 | 0.8 | Plagioclasio . 23|26416|19|21| 19 | Pirosseno trimetrico . OFS, Oss 05] | Onl NO.OF NOS IMionside ed augite | 02, O MOL Osh |! 020 | Diallagio . 0.0 0.0 || 0.0 | Tremolite Calza 0-38 Odin Ose | Attinoto . Oe OL Mall) Orme Conza (Oza, 102 | Orneblenda verde . SCA RISO || 229M | ARQ AIG II \ Orneblenda basaltica COR, OZ O26) 110.2) Or | Glaucofane : 0.0 0.0 4.0 | Granato ACOSO | Ae (ee. O, One. 022 \Olivina 0.0 0.0 | 0.0 || 0.0 | 0.0 Zircone 0.3 | 02|05|06|06|01 | | Andalusite . . . 9.0 0.0 0.0 || 0.0 68 FRANCESCO SALMOJRAGHI Rita Ea Sillimanite 0.1 | 0.1 |] 0.1 | 0.1 |] 0.0 | 0.1 Cianite 0919041800528) OR WT @sl |) Osi Epidoto e zoisite . 127000190] R57008324 2558/45 Tormalina OHO Oar Wis Wall ih @s0) | O.0 Staurolite 0:1 | 0.3/0.4 (0:29 odi Won | Mica bianca. IRA 0255 | Pa | Wgss |i) Boel 8256 Biotite 1.9 | 4.4 | l:6 Ma eS e Cloritoide o.1 | 0.0 | 0.1 | 0.1||0.1 | 0,0 Clorite ODIOSO | OF6 ESA OL OF ORS Serpentino 0.1 | 0.0 | 0.0 |} 0.0 | 0.0 Titanite . OLY O51 10.2) |021|No oo Apatite 0.3 | 0.3 || 0.5 | 0.3 || 0.0 | 0.0 Pasta felsitica . 041 VOLS O:0 1051515020 0 Minerali dubbi 7.1 | 8.5 || 7.6 | 6.0 || 4.9 | 9.6 100.0| 100.0 100.0/ 100.0) 100.0/ 100.0 Preparati 12 7 5 9 10 5 Totale Campi . 450 156 135 245 350 125 " Granuli 12624 | 4724 || 7118 | 11032|| 15923 | 6153 TABELLA 5a Sabbie in stato naturale Rapporti fra alcuni minerali eee RR IZ Uda nea a) == | | == || @udrz0 99.5 |98.6 |99.8 [99.3 99.9 |99.7 Calcedonio e piromaca . 090407 | 0.1 | 0:3 | 100.0|100.0/ 100.0) 100.0, 100.0) 100.0 SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. 69 b) Quarzo Felspati o) Felspati potassici . Felspati sodici e sodico-caleici d) Granato . Epidoto-zoisite . e) Epidoto-zoisite . Apatite f) Pirosseni . Anfiboli 9) Mica bianca Biotite h) Miche . Cloriti I Il 89.5 |92.3 110.5 100.0} 100.0 ist 70.2 |50.9 29.8 |49.1 100.0} 100.0 71.4 |74.4 (28.6 |25.6 26.2 109.0) 100.0 19.5 113.8 90.5 |86.2 100.0} 100.0 100.0) 109.0) m | iv 100.0 73.7 26.3 100.0 42.1 |36.0 57.9 |64.0 100.0} 100.0 — — 100.0, Ì \100.0/100.0 V VI 88.6 |86.8 11.4 |13.2 100.0|)00.0 77.8 |80.9 99 9 ame 19.1 100,0 100.0 ~) ie) 97.5 0:6 | 2-5 100.0|100.0 | 0 FRANCESCO SALMOJRAGHI In queste tabelle si notano nelle percentuali di alcuni com- ponenti delle forti dissomiglianze da una sabbia all’ altra. Esse sono dovute al diverso grado di arricchimento, o sono connesse colla natura di taluni minerali, che hanno una frequenza molto variabile, sicchè le loro percentuali non possono servire a con- fronti utili. In questo caso si trovano la magnetite e l’ilmenite a motivo del peso specifico molto elevato in paragone agli altri minerali pesanti, per il che più di questi subiscono l’azione dei fattori naturali di arricchimento, le miche a motivo della forma di esili lamelle, che imparte loro una grande mobilità (*) ed i carbonati che per la loro solubilità e poca durezza tendono a diradarsi, e poi a sparire nello strato di decomposizione su- perficiale, nelle alluvioni antiche, nella zona di oscillazione di acque freatiche, negli alvei dei fiumi e nelle dune. Felspati, apatite e cloriti possono talora dar luogo a casi analoghi. Ad onta di queste dissomiglianze l’esame delle tabelle con- duce a qualche conclusione. Anzitutto si riconoscono nettamente in tutti i saggi analizzati alcuni caratteri comuni, che sono poi quelli delle sabbie provenienti dal bacino ticinese e fanno di- stinguere queste da ogni altra della regione intorno. Questi caratteri sono: la scarsezza del calcedonio e quindi I’ elevato rapporto tra il quarzo e il calcedonio stesso (tab. 5, a), con che le sabbie ticinesi si differenziano dalle sabbie di alcune alluvioni lombarde limitrofe d'origine prealpina (Arno, Olona, Seveso); la scarsezza dei pirosseni' e la grande frequenza degli anfiboli e specialmente dell’ or- neblenda verde, e quindi un basso rapporto fra i due gruppi di mi- nerali (tab. 5, f), rapporto che è alquanto maggiore nelle sabbie con- tigue dell’Agogna; la rarità del glaucofane, del serpentino e della andalusite (tab. 1 e 4) che vale a distinguere le sabbie ticinesi rispet- tivamente da quelle padane, abduane e camune (*); la presenza co- stante e contemporanea della sillimanite, della cianite e della staurolite, che invece non si verifica nelle sabbie del Brembo, del Serio e dei fiumi dell’Oltrepò pavese, e dell’ Emilia; infine l'assenza delle augiti di rocce effusive che sono caratteristiche dei fiumi veneti. (1) Nei fiumi procedenti da bacini di rocce cristalline vedonsi spesso sabbie rie chissime di mica, accanto ad altre povere; e nel primo caso or prevale la mica bianca, che è principalmente muscovite, or la biotite. (2) A meglio precisare questa distinzione aggiungo che nelle sabbie del Po (ed altri fiumi piemontesi) si trova il glaucofane, in quelle dell'Adda il serpentino, in quelle dell’ Oglio Il andalusite, e ciò sempre, cioè in ogni preparato. | tre minerali - SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC, (1 In secondo luogo si nota una certa somiglianza: anzitutto tra la sabbia del Ticino (I) e quella del colle Umberto (II); poi tra le sabbie ottenute per levigazione dall’ argilla superiore delle alluvioni di Vizzola (III) e di Castelnovate (IV); infine tra le sabbie ricavate dalla parte ghiaiosa inferiore delle allu- vioni stesse (V e VI); indi una certa dissomiglianza fra cia- scuna coppia di sabbie e le altre. Ciò deducesi specialmente dalla tabella 5, d, ove il granato prevale sull’epidoto-zoisite nelle sabbie I e II, l’epidoto-zoisite prevale grandemente sul granato nelle V e VI, ed infine le proporzioni dei detti mine- rali sono poco diverse nelle sabbie III e IV; ma più o meno è confermato anche dagli altri minerali della stessa tabella ad eccezione delle miche. Se questi rapporti non sono accidentali, come si spiegano? La somiglianza fra le sabbie di Vizzola III, V) e quelle di Castelnovate (IV, VI) ci addita chiaramente una parentela fra i due depositi; ma la dissomiglianza fra le sabbie superiori (III, IV) e quelle inferiori (V, VI) possono dipendere tanto da una variazione nell’area di denudazione, quanto dal modo di for- mazione essendo le une state deposte colle argille, le altre colle ghiaie. Il punto verrà chiarito più avanti. Una somiglianza che si spiega, anzi poteva prevedersi, è quella fra le sabbie dell'alveo attuale e del colle Umberto ; poichè il diluviale recente, cui spetta il colle stesso, è la for- mazione più sviluppata sulle due sponde del Ticino sublacuale e dovette quindi dare il maggior contributo ai materiali del- l’alveo. La scarsezza poi in questo dei carbonati, di fronte alla frequenza loro nell’alluvione del colle Umberto, fu gia sopra spiegata. E qui è il luogo di dire che i carbonati contenuti nell’ alluvione anzidetta sono tutti dolomite, tranne qualche raro granulo di calcite di formazione secondaria. La determinazione della dolomite risulta con certezza dal contegno chimico con un acido diluito e dal contegno ot- tico coll’z-monobromonaftalina (') e dal fatto stesso che i carbonati anzidetti compaiono anche nelle sabbie ticinesi, ma soltanto in qualche preparato e precisamente in quest'ordine di frequenza: 1 serpentino, 2 andalusite, 3 glau cofane; e perciò la distinzione colle sabbie padane è facile e sicura, meno lo è colle sabbie abduane. (1) Cfr.: Rend. Ist. lomb., p. 870, 1907, 72 FRANCESCO SALMOJRAGHI di quella sabbia aumentano nei preparati arricchiti (tab. 2 e 3), poichè la dolomite ha un peso specifico che è prossimo al limite scelto fra minerali leggieri e pesanti (2.94) e talora lo supera (!). ANFIBOLI CUSPIDATI. — Le precedenti deduzioni ricevono una conferma da una particolarità di forma degli anfiboli. Questi di solito nelle sabbie si trovano in prismi o solidi di sfaldatura a contorni irregolari e colle estremità irregolamente troncate, nei quali è per lo più riconoscibile l’allungamento e quindi misurabile l’angolo d’estinzione. Or bene nelle sabbie ricavate dall’ alluvione inferiore, prevalentemente ghiaiosa di Vizzola (V) e Castelnovate (VI, gli anfiboli sono per la mag- gior parte in prismi o solidi a terminazioni cuspidate o sfran- giate o seghettate e cioè hanno le estremità irte di punte cristalline e talora le facce di sfaldatura striate, come se vi si fossero addossati dei subindividui in posizione parallela. Sono cuspidate specialmente l’orneblenda bruna e l’orneblenda verde, meno spesso o meno bene gli altri anfiboli. Una microfotografia (tav. III, fig. 1) rappresenta alcuni di questi anfiboli cuspidati, che ho isolato dalle sabbie V e VI; essa fu gentilmente ese- guita dal prof. Artini insieme a quella dei granuli di dolomite faccettata della stessa tavola. La forma anzidetta, che fra i minerali delle sabbie si ri- scontra talora nei pirosseni e così distinta e frequente mi apparve per la prima volta negli anfiboli, non può essere originaria. In nessuna roccia gli anfiboli si trovano in tal modo aggregati che per effetto della denudazione meteorica o della erosione acquea si risolvano in frammenti cuspidati. Nè la forma stessa può attri- buirsi ad un accrescimento secondario. Infatti le cuspidi si estin- guono con rigorosa contemporaneità insieme all'individuo da cui sporgono e partecipano al colore di questo, essendo solo un poco più chiare perchè sottili (incolore sugli attinoti, verdognole sulle (1) Dopo questa osservazione esplorai coll’z-monobromonaftalina le principali sabbie alluviali e diluviali di Lombardia, che contengono carbonati e trovai che, quando questi sono in granuli limpidi o semilimpidi, spettano in prevalenza alla dolomite, in minoranza alla calcite, e cioè sopra 100 di carbonati la dolomite vi ha in cifre tonde la proporzione da 60 a 100, la ealeite da 40 a 0. Ciò é forse perchè i carbonati limpidi e semilimpidi delle sabbie derivano in massima parte da calcari saccaroidi e da dolomie saccaroidi e queste più di quelli sono disgrega- bili, anzi talora sono farinose Nei granuli torbidi la distinzione fra i due car o- nati col metodo rapido dell’ z-monobromonaftalina è incerta od impossibile. mo SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. do orneblende verdi, giallognole sulle orneblende brune). Ora non è supponibile che in qualsiasi deposito, e molto meno in un alluvione, esistano o si formino le materie chimicamente diverse dei diversi anfiboli ed elettivamente queste affluiscano e cre- seano sull’anfibolo competente. Un anfibolo di formazione secon- daria (che è per lo più attinoto) può crescere in posizione parallela su qualsiasi altro preesistente anfibolo; ma in tal caso, se il minerale nuovo assume lo stesso orientamento cri- stallografico del vecchio, non può sempre assumere, per la diversità di costituzione chimica, lo stesso orientamento ottico e cioè fra essi si avvertirà una piccola differenza nell'angolo d’estinzione. È più probabile che gli anfiboli cuspidati sieno forme di corrosione dovute all’azione delle acque circolanti; con che bene si spiegherebbero il colore delle cuspidi e il loro estin- guersi contemporaneamente al minerale e la striatura che tal- volta appare sulle facce di sfaldatura. Per quanto la solubilità degli anfiboli sia piccolissima, pure il ricambio del solvente per un tempo lungo rende possibile il fenomeno. E infatti gli anfiboli cuspidati sono meno frequenti o meno distinti nelle sabbie ricavate per levigazione dalle argille associate alle sabbie V e VI. Nelle argille appunto la circolazione dell’acqua vien meno od è più lenta ('). Un fenomeno analogo si avverte nel granato. Questo nelle sabbie si trova per lo più in dodecaedri o in granuli tondeggianti o in schegge, raramente in altre forme, mentre nelle sabbie di Vizzola (V) e di Castelnovate (Vl) presentasi spesso in forme irregolari, bitorzolute, scheletriformi, quasi cariate, che potrebbero parimenti attribuirsi a corrosione. Però tale fenomeno, che si riscontra anche nelle sabbie ricavate per levigazione da alcuni ferretti, è meno persuasivo di quello degli anfiboli cuspidati, giacchè la forma dei granati cariati può essere originaria. Discussione geologica. — I caratteri delle allu- vioni descritte guidano alla discussione ed-in parte alla riso- luzione dei problemi geologici che le riguardano. (1) Si ottengono forme di corrosione assomiglianti a quelle sopra descritte sottoponendo dei granuli di orneblenda all’ azione prolungata per qualche giorno di acido cloridrico concentrato ed a dolce calore e poi lavandoli con una soluzione di potissa caustica, onle sciogliere la silice gelatinosa che vi si forma intorno. 74 FRANCESCO SALMOJRAGHI Mopo pr FORMAZIONE. — Le differenze di giacitura e di associazioni tra Jl alluvione: sottostante all’ impianto di Vizzola e quella del colle Umberto, possono interpetrarsi come conseguenze di regimi alluvionali diversi. La prima rappresenta il deposito di un fiume normalmente soggetto ad alternanze di piene e di magre, che ad acque gonfie scavava solchi ed alvei secondari e gorghi e li riempiva di materie fini nella fase ‘di decrescenza; donde la formazione fra le ghiaie di lenti, prismoidi ed ammassi cilindroidi di sabbie o di argille. Invece l'alluvione del colle Umberto palesa un regime di correnti ad intensità uniforme o con poco sentite alternanze di piene e magre, quindi senza notevoli scavamenti e rideposizioni. Se poi si paragona l'alluvione sottostante all’impianto di Vizzola a quella affiorante nell’ansa di Castelnovate si riconosce bensì qualche differenza(per es. in l’una manca la lignite, nell’altra non appare l'associazione a prismoidi o cilindroidi di sabbie fini od argille), ma entrambe comprendono un’assisa superiore, caratterizzata principalmente da un banco di argilla bruna, sabbiosa ed una inferiore, caratterizzata principalmente da ghiaia gialla, decomposta. Per ciò e per i fatti trovati nello studio minerologico delle sabbie e pei rapporti di contiguità ed altimetria non può porsi in dubbio che le due alluvioni ebbero un’origine comune. Per spiegare poi le diversità litolo- giche esistenti fra |’ assisa superiore e la inferiore pensai dapprima ad uno spostamento di corrente colla trasformazione di un alveo vivo in una golena sommergibile, atta a ricevere le torbide di acque gonfie ed eventualmente a coprirsi poscia di vegetazione. Ma vedremo che ciò non è ammissibile, perchè le due assise sono indipendenti fra loro. Provenienza. — È plausibile ritenere che tutte le allu- vioni sopradescritte abbiano tratti i loro materiali dal ba- cino ticinese, preso in senso lato, dappoichè dai dati litologici raccolti sulle ghiaie e mineralogici sulle sabbie non emerse finora alcun argomento in contrario. Ma, ammesso ciò, mi parve interessante per la storia geologica l’indagare se l’una o l’altra delle alluvioni stesse abbia avuto particolare alimento dall’ una o dall'altra delle grandi valli che compongono quel bacino, come la Leventina, la Maggia, l’Ossola, ecc. A quest’uopo esaminai alcune sabbie prese negli alvei dell’alto Ticino a SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. (0 Piotta, Faido e Magadino, del Maggia tra Ascona e Locarno e del Toce a Domodossola e a Fondotoce. Il risultato di questa indagine fu negativo; però alcune osservazioni meritano di essere ricordate. Anzitutto nelle sabbie dei citati fiumi mancano il calcedonio d° o- rigine organica e la pasta felsitica, che le Prealpi forniscono alle allu- vioni ticinesi della pianura. Per contro in queste non fu mai rinvenuta l'anidrite che è molto frequente nella sabbia dell’ alto Ticino raccolta a Piotta, dove certo deriva dalla formazione gessosa della val Canaria, un affluente sinistro del Ticino e dalle sponde del Ticino stesso a monte di Airolo. Di questo solfato che poco resiste agli attriti osservai ancora qualche traccia nella sabbia di Faido, nessuna più a Magadino (*). Nella sabbia di Faido invece rinvenni con una certa frequenza la wernerite, un minerale nuovo alla composizione delle sabbie. Suppongo che questo silicato derivi da qualche banco di calcare che lo contenga copiosamente. Esso è rarissimo nella sabbia di Piotta e finora mancante a Magadino : però recentemente, dopo che appresi a riconoscerlo (°), lo trovai nel Ticino inferiore, dove, per la sua durezza potè giungere, ma dove è estremamente raro. Così mi fu dato di riconoscerlo anche nelle sabbie del Toce e appunto un calcifiro a wernerite venne segna- lato da Spezia nel bacino ossolano (*). A parte queste differenze, nelle sabbie dei tre fiumi montani an- zidetti sono presenti i minerali più caratteristici delle alluvioni tici- nesi della pianura, come anfiboli, staurolite, cianite ; però |’ orneblenda è più abbondante nel Toce che nell’ alto Ticino; la sillimanite ritrovai finora solo nel Maggia; il pirosseno trimetrico e il serpentino soltanto nel Toce e nel Maggia. Quivi poi meno rara che nell’ alluvione della pianura è l'oliviua. Il granato e l’epidoto-zoisite hanno gradi di fre- (1) L’ anidrite è in laminette pressochè rettangolari, corrispondenti alla base (001) ossia alla sfaldatura più perfetta, donde esce la bisettrice ottusa; due lati opposti spesso sono seghettati per lo sporgere di punte del prisma {110}; VT estin- zione è parallela, i colori di polarizzazione, disposti a plaghe, sono vivacissimi. Il contegno mutabile del rilievo e della linea di Becke osservati in diversi mezzi (essenza di garofano, di cannella, z-monobromonaftalina) corrispondono soltanto alle costanti ottiche dell’ anidrite. (2) La wernerite è in esili frammenti limpidi e irregolari, con tracce delle sue imperfette sfaldature prismatiche, il rilievo debole e lievemente miutabile, 1 al- lunzamento negativo, l’ estinzione parallela, i colori di polarizzazione abbastanza vivi, il peso specifico, esplorato con liquidi pesanti, di eirca 2.7. Perciò e benchè non abbia potuto osservarne con sicurezza |’ uniassicita, non vi è dubbio trattaysi di una wernerite, anche per la perfetta uguaglianza di caratteri con quella di Arendal (Norvegia), osservata nelle stesse condizioni granulometriche. (3) Atti r. Ace. d. sc. di Torino, X, 1875. 76 FRANCESCO SALMOJRAGHI quenza inutabili da un fiume all’ altro, ma non molto dissimili; e precisamente il granato di poco prevale sull’ epidoto-zoisite nel Toce e nel Ticino a Magadino; l’ inverso a Faido e nel Maggia. Ma ciò non basta a spiegare le forti differenze nei rapporti fra questi due minerali che abbiamo notato nelle alluvioni della pianura (tab. V, d). Interessanti sono anche la ripartizione e la forma dei carbonati. Questi, pressoché mancanti nella sabbia del Maggia, sono presenti in quelle del Toce e abbondano nell’ alto Ticino ; ma in questi due fiumi compaiono in modo diverso. E cioè a Piotta e Faido constano in pre- valenza di dolomite; anzi la dolomite è il minerale più abbondante di quelle sabbie. Più in basso a Magadino i carbonati si diradano di molto, ma alla dolomite si associa, con frequenza relativamente maggiore, la cal- cite che forse deriva dalle liste marmoree affioranti presso lo sbocco del Moesa nel Ticino. L'inverso ha luogo nel Toce; quivi, a Domo- dossola, i carbonati delle sabbie sono formati in prevalenza di dolomite, in minoranza di calcite; ma in basso, a Fondotoce, questa scompare, quella persiste. Inoltre la dolomite, nella sabbia dell’ alto Ticino e del Toce, si trova in granuli limpidi e per lo più poliedrici (tav. III, fig. 2), cioè irrego- larmente conterminati da faccette che non sono di cristalli nè di sfal- dature, ma sono piani di contatto o di giustaposizione separanti origi- nariamente i granuli stessi nella dolomia farinosa, da cui la dolomite della sabbia in gran parte deriva (!). Queste faccette accusano la vi- vinanza dell’ area di denudazione ; infatti esse si fanno meno distinte o meno frequenti nella sabbia di Magadino in coufronto di quelle di Piotta e Faido e nella sabbia di Fondotoce in confronto di quella di Domodossola e scompaiono poi quasi totalmente nei granuli di dolomite dell’ alluvione diluviale della pianura ; ciò che attribuirei all’ attrito sof- ferto nel trasporto. Anche il contorno dapprima laciniato e poi arro- tondato delle miche è dovuto alle stesse cause. Le precedenti osservazioni ed altre, che per brevità ometto, non consentono una risposta al problema enunciato. E invero per risolverlo non basta paragonare le sabbie delle alluvioni della pianura a quelle degli alvei dei principali fiumi affluenti al Verbano. Le alluvioni anzidette si formarono anche coi pro- (1) La dolomia farinosa al microscopio si risolve in granuli in gran parte fac- cettati e più o meno assomiglianti a quelli trovati nelle sabbie dell’ alto Ticino e del Toce. Questa somiglianza potei constatare abbastanza bene in parecchie do- lomie dell’alta Ossola (V. Antolina sopra Crodo, Vannino superiore in V. Formazza, Alpe Campello in V. Devero); meno distintamente nella sola dolomia farinosa che potei procurarmi dall’ alto Ticino (tra Nante ed Airolo); in modo perfetto poi in una del Vallese (Binnenthal), che del resto credo coeva a quelle dell’ alto Ticino. SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. 77 dotti della denudazione del bacino del Verbano stesso, e pren- dere questi in esame ora che sono trasportati al lago da cento torrenti non è più possibile. Erà. — Il riferimento al diluviale recente dell’ alluvione che forma il colle Umberto è giustificato dai rapporti che esi- stono fra di essa e le morene dell’ ultima glaciazione. Anzi nella parte superiore del colle stesso il diluviale fa passaggio al morenico ; e ciò meglio appare un po’ a monte, alla destra del Ticino, nella località detta Campo dei Fiori e alla sinistra, tra la foce dello Strona e Porto della Torre, e più distinta- mente ancora presso Varallo Pombia e Golasecca ('). Invece può essere oggetto di qualche discussione il riferi- mento alla sommità del terziario o alla base del quaternario dell'alluvione di Castelnovate, alla quale ora deve cronologica- mente associarsi quella di Vizzola. I fatti da prendersi in con- siderazione sono i seguenti: a) Entrambe le alluvioni sottostanno al diluviale re- cente. b) I ciottoli vi sono alquanto decomposti, ma non rag- giungono il grado della ferrettizzazione che è raggiunto gene- ralmente dal diluviale medio, forse perchè loro è mancato il diretto contatto coll’ atmosfera. c/) Il carattere fluviale e I’ associazione ad argille accen- nano ad un antico Ticino, che ad acque gonfie correva torbido e quindi probabilmente avanti al costituirsi della conca ver- bana. Il Ticino d’oggi è sempre limpido, anche nelle piene or- dinarie, per l’azione depuratrice del lago e per I’ assenza di affluenti che sfocino in esso presso l’incile o nell’ emissario, tranne il piccolo Strona. Sol qualche volta nelle piene straor- dinarie il fiume può lievemente intorbidarsi, ma il fenomeno è passaggiero. D’ altra parte la mancanza nelle alluvioni di Viz- (2) Cfîr.: Penk, BriickNeR, Du Pasguisr, Ze systeme glaciaire des Alpes, p. 40, fig. 8, Neuchatel, 1894. Nella mia nota sopracitata del 1904 i risultati ottenuti coll’ esame della sabbia della trincea di Castelnovate (colle Umberto) furono nella tav. IV mediati con quelli delle sabbie trovate nei pozzi di S. Antonino am, 32 e di Castano a m. 19. Ma ciò mi valse solo come esempio del metodo proposto e indipendentemente da considerazioni cronologiche. E intatti se la prima sabbia spetta al diluviale recente, le altre due sono probabilmente del diluviale medio, che in profondità non è fer- rettizzato. 78 FRANCESCO SALMOJRAGHI zola e Castelnovate di ciottoli di rocce secondarie o di calcari nummulitici esclude che esse derivino da un affluente laterale sinistro. 3 d) Le alluvioni anzidette, supposte continuative sotto il colle Umberto, non hanno continuazione, per quanto ci consta, nè a monte nè a valle; e questo loro isolamento fa pensare ad un lembo rimasto di un apparato fluviale, che fu infranto e dislocato da movimenti orogenetici. e) Da ultimo ricordansi le diatomee trovate da Corti (op. cit. 1903) in un’ argilla di Castelnovate ed il giudizio da lui dato che esse indichino il pliocene. Ora i primi dei citati fatti consentono di ringiovanire l’al- luvione di Vizzola e Castelnovate fino ad una delle fasi gla- ciali o interglaciali antecedenti all’ ultima glaciazione; gli altri invece impongono un’ antichità maggiore. Ad onta di ciò con- fesso che per lo passato fui sempre titubante ad accogliere quest’ ultima opinione, che pur fu accolta da un’ autorevole collega e ciò perchè dell’ alluvione di cui si tratta conosciamo solo un piccolo spessore, non sappiamo per qual potenza si spinga sotto il Ticino e se conservi anche in profondità i ca- ratteri riscontrati in superficie, non sappiamo infine su quale terreno si appoggi. Sacco ritiene probabile che sotto 1’ allu- vione di Castelnovate esistano le marne piacenziane; ma quante volte abbiamo atteso l’incontro di questo pliocene marino nello scavo di pozzi in Lombardia e quante volte ci è mancato! Però in oggi Vopinione anzidetta trova appoggio in un fatto nuovo. Alludo agli anfiboli cuspidati che incontrai nelle sabbie di Vizzola e Castelnovate e ritenni forme di corrosione. Anzi tutto interessava conoscere se altrove essi si presentano (’). A quest’uopo dopo essermi convinto che di anfiboli cuspidati non vi è traccia nelle sabbie di alvei e di alluvioni superficiali recenti, mi diedi a ricercarli esaminando un gran numero di sabbie alluviali e diluviali lombarde, raccolte in fondazioni o in pozzi e scelte fra le più profonde e quindi presumibilmente le più antiche. Non mi dilungo ad enume- rarle e ricordo solo, fra le sabbie di fondazioni, quella raggiunta nel 1882 dalla pila verso Novara del ponte sul Ticino a Sesto Calende, a (1) Per questa ricerca e per quella aceennata in nota a pag. 76 sulla dolomite faccettata, ebbi materiali di studio dai colleghi Airaghi, Artini, Mariani, Stella e Taramelli, ai quali rinnovo i miei ringraziamenti. SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. 79 circa 20 m. di profondità e fra le sabbie di pozzi ricordo quella incon- trata dalla perforazione eseguita nel 1888 a Milano (op. cit. 1892), alla profondità di 146 m. e quindi a 24 sotto il livello del mare e quella trovata tra 79 e 91 m. nello scavo del pozzo di Piazza Dante a Man- tova. In tutte queste sabbie gli anfiboli sono generalmente integri, ta- lora sono screpolati o portano qualche traccia di corrosione, raramente (per es. : in un pozzo a Busto Arsizio a 18 m. di profondità, e 9 sopra l’aves) hanno qualche prominenza sporgente dalle estremità, ma nes- suno è propriamente cuspidato. Ho esteso la ricerca ad altre sabbie quaternarie lombarde, che senza essere profonde si palesano antiche per il colore giallo o ros- siccio che hanno assunto. In a'cune di queste l’alterazione dei minerali è maggiormente progredita, i pirosseni sono per lo più cuspidati; gli anfiboli lo sono qualchevolta, ma il fenomeno è ben lungi dal rag- giungere la intensità e la frequenza constatate a Vizzola e Castelnovate. Nell’anzidetto caso si trovano le sabbie del quaternario antico affio- ranti in più punti ad occidente del colle di S. Colombano ('). Ho sottoposto allo stesso esame le sabbie ricavate dalla levigazione di alcuni saggi di ferretto. Questa formazione si ascrive di solito al di- luviale medio o al diluviale antico e nell’ altipiano lombardo forma delle liste parallele, intercalate al corso dei fiumi e terminanti in punta a mezzodì a guisa di penisola. | saggi esaminati furono presi ad Oleggio, Lonate Pozzuolo, Castano Primo (*), Mèsero, Cassano Magnago, Caslino al Piano, Garbagnate, Monza. In essi gli anfiboli non presentano la freschezza di quelli del diluviale recente, sono anzi spesso alterati, ma soltanto per eccezione mostrano qualche punta di corrosione. Nè finora potei constatare un rapporto sicuro fra questi gradi di alterazione e la presunta antichità dei diversi ferretti. Esaminai anche le sabbie ricavate per decalcificazione dall’ arenaria (ceppo gentile) del Brembo e dell'Adda, la cui formazione viene ascritta al quaternario più antico o al terziario più recente. In queste sabbie, da saggi provenienti da Brembate e da Trezzo, gli anfiboli sono molto rari e appaiono corrosi e screpolati, ma di solito non cuspidati. Sono parimenti rari o mancano gli altri minerali di rocce alpine, ciò che x (1) Analoga, fuori di Lombardia, è la sahbia, pure del quaternario antico, in- contrata dal pozzo 3 della galleria di Gattico. (2) La lista di ferretto, che nell’ altipiano milanese si intercala fra il Ticino e l'Arno, finisce realmente in punta presso Lonate Pozzuolo, come Len segna la carta dei 7re laghi di Taramelli; ma poscia il ferretto si sprofonda nel territorio di Castano sotto il diluviale recente (che per le rocce delle ghiaie e i minerali delle sabbie si riconosce ivi di provenienza prealpina) e perciò si incontra nello scavo di pozzi ad occidente dell’ abitato di Castano stesso. Più a sud il ferretto risorge alla superficie a Mèsero e presso Magenta, ma ivi mi pare la prosecuzione della lista che si interpone fra Arno e l Olona. 80 FRANCESCO SALMOJRAGHI conferma quanto da lungo tempo era noto che cioè quell’ alluvione ce- mentata deriva dalle Prealpi. Lo stesso risultato ottenni dalla poca sabbia isolata colla decalcificazione e la Jevigazione dalle marne sotto- poste al ceppo presso il ponte di Trezzo ; ciò che contraddice all’ as- serzione di Corti che quelle marne constino in prevalenza di elementi alpini (Rend. Ist. lomb., 1892, p. 997). Dopo queste ricerche sopra sabbie quaternarie o di formazione contineatale, mi rivolsi a sabbie ottenute da rocce terziarie di forma- zione marina. E nel pliocene, senza fare distinzioni di piani, le argille azzurre, debitameute levigate, diedero scarse sabbie, or rieche di anfi- boli (Taino), ora povere (Folla d*Induno, Almenno S. Salvatore), in ogni caso anfiboli non sensibilmente cuspidati. Ma per queste argille, come per la marna precedente e per il ferretto, la mancanza di cuspidi o la esistenza di cuspidi indistinte potrebbero attribuirsi all’impermeabilità, poichè a Vizzola e Castelnovate, come vedemmo, il fenomeno appare meno intenso nelle argille. Ma io dal pliocene ebbi a disposizione anche delle sabbie (galleria di Gattico, S. Colombano, Casteggio) ed in esse gli anfiboli, benchè non privi di segni di corrosione, non sono cuspi- dati. E lo stesso dicasi di sabbie recentemente raggiunte cou pozzi profondi presso Lesmo ed a Monza e contenenti fossili marini, che studia il collega prof. E. Mariani. Da ultimo nel miocene superiore la molassa interstratificata alla pudinga brecciforme di Montorfano bresciano non contiene che raris- simi anfiboli e non cuspidati. Così nel miocene inferiore, od oligocene, gli anfiboli sono rari nella molassa di Varano e nell’ arenaria di Mal- nate e sembrano mancanti in quella di Camerlata, mentre poi abbon- dano nella molassa del rivo Dondi presso Vergiate ; ed ivi specialmente le orneblende verdi sono in parte striate per corrosione e ben munite di cuspidi che differiscono da quelle della tav. Ill soltanto per essere più tozze e quasi spuntate. Ma oramai si tratta di rocce, che non avendo cemento calcareo mal si riducono in sabbie e che d'altra parte per la loro antichità non si prestano più a confronti utili colla allu- vione di Vizzola e Castelnovate. Le indagini fin qui riferite, benchè non esaurienti, fanno concludere, che a rendere cuspidati gli anfiboli non bastano la permeabilità del terreno che li contiene, un’ acqua circolante in esso ed un tempo sufficientemente lungo. Se questi fattori ba- stassero gli anfiboli cuspidati sarebbero molto più frequenti di quanto abbiamo trovato. Quali altri fattori concorrano coi pre- cedenti e in che misura, potrò meglio giudicare, se, prose- guendo nella via intrapresa, mi imbatterò in qualche alluvione che presenti il fenomeno colla intensità e colla frequenza os- IN ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. 81 servate a Vizzola e Castelnovate; ma in via d’ipotesi penso che questi fattori siano principalmente una certa velocità nel- l’acqua circolante e fors’ anche la possibilità che questa in un qualche contatto coll’ atmosfera acquisti una facoltà solvente maggiore. Queste due circostanze si verificano appunto nel nostro caso. Infatti sappiamo che nell’ alto Milanese la falda freatica o aves è superiore all’ alveo dei fiumi terrazzati con- tigui, ma in vicinanza a questi scende con pendenza notevole per affluire sotterra all’ alveo stesso. Ora le alluvioni di Viz- zola e Castelnovate si trovano appunto su questo piano incli- nato freatico scendente al Ticino (') e contemporaneamente nella zona di invaso e svaso, dovuti alle piene e magre del fiume, e quindi periodicamente in contatto di acque aerate. Comunque sia, poichè il tempo rimane sempre il fattore prevalente, credo di essere nel vero se interpetro gli anfiboli cuspidati dei due giacimenti alluvionali di Vizzola e di Ca- stelnovate come un altro criterio di antichità e quindi come una conferma al parere enunciato pel secondo dei detti gia- cimenti da Sacco, Corti e Taramelli. E poichè relativamente di minor conto mi sembra la quistione se i giacimenti stessi de- vono collocarsi nel terziario più recente o nel quaternario più antico, diedi loro la qualifica di alluvione preglaciale (tav. II). Questa conclusione ha una conseguenza inattesa. Finora, seguendo i precedenti autori, ho considerato I’ alluvione atfio- rante nell’ ansa di Castelnovate come una formazione unica e in modo analogo ho considerato quella sottostante all’impianto di Vizzola, salvo aver rimarcato in entrambe delle differenze litologiche tra gli strati superiori e gli inferiori, e quindi averle distinte in due assise. Ora l’interpetrazione data alle forme di corrosione degli anfiboli accentua quella differenza; perchè gli anfiboli cuspidati si trovano soltanto nell’ assisa inferiore tanto a Vizzola che a Castelnovate e non nella superiore, la quale è in prevalenza argillosa, ma comprende anche strati di ghiaie sabbiose e di sabbie. Quindi le due assise si forma- rono in tempi notevolmente diversi ed a conferma di ciò trovai recentemente a Castelnovate, che fra l’assisa superiore e l’infe- (1) Le fontane di Vizzola e Castelnovate (tav. II) hanno appunto origine frea- tica — Cfr.: Carta idrografica, in SMRECKER, Progetto della condottura delle sor- genti sotterr. della pianura di Busto Arsizio alla città di Milano, Milano 1887. 6 02 FRANCESCO SALMOJRAGHI riore il passaggio è netto; e cioè le sabbie ivi, dovunque si prendano, partendo dal basso fino al banco dî lignite, conten- gono anfiboli cuspidati, a partire dal banco di lignite andando in su li contengono intatti ('). Quindi è che per tener conto degli esposti fatti devo rife- rire al preglaciale soltanto l’ assisa inferiore delle alluvioni di Vizzola e Castelnovate, mentre l’ assisa superiore, che sottosta con immediato contatto al diluviale recente, trova naturale collo- camento nella fase interglaciale che precede al diluviale stesso. Questo partito ho adottato nel profilo delle tav. II, non senza una certa titubanza, perchè le diatomee plioceniche furono appunto trovate da Corti nell’ argilla dell’ assisa superiore ! Quindi le deduzioni fornite dalla mineralogia sarebbero in con- traddizione coi dati paleontologici; nè io per mio conto sono in grado di spiegarla. Forse la paleontologia stessa può farlo, poichè se l'argilla di Vizzola non dà traccia di organismi, quella di Castelnovate contiene impronte di fanerogame, ed un ri- cercatore paziente potrebbe forse esumarvi un materiale deter- minabile e più persuasivo indicatore dell’ età che non sono le diatomee. Riepilogo. — Col presente studio, che per 1’ associarsi ad una indagine mineralogica di sabbie si accrebbe più di quanto il limitato argomento avrebbe meritato, viene a confer- marsi che la nota alluvione antica, affiorante nell’ ansa di Ca- stelnovate sul Ticino, sì prolunga verso valle sotto il diluviale recente fino a Vizzola, dove fu messa in luce dagli scavi oc- corsi per quell’ impianto idroelettrico. Le osservazioni, che qui poterono farsi all’ epoca dei lavori e quelle consentite dal suc- cessivo corrodersi ed arretrarsi dell’ affioramento nell’ ansa so- pradetta, hanno mostrato che si tratta di un lembo di alluvioni fluviali, che in alto sono prevalentemente argillose e parzial- mente lignitifere (assisa superiore); in basso prevalentemente ghiaiose con ciottoli decomposti (assisa inferiore). Le sabbie ricavate da queste alluvioni posseggono per com- posizione mineralogica e proporzione dei componenti i carat- teri che sono comuni a tutte le sabbie provenienti dal bacino (1) La stessa constatazione non potei fare a Vizzola, perchè all’epoca dei lavori, quando gli scavi erano aperti, non aveva ancor posto mente alla corrosione degli anfiboli; però i saggi in allora raccolti non contraddicono a quanto ora ho notato a Castelnovate. ~ SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC. 83 ticinese e che anzi poterono qui essere enumerati in modo preciso, di fronte ai caratteri delle sabbie di tutti i fiumi delle regioni circostanti. Dal paragone poi tra le sabbie delle alluvioni sopradette e quelle trasportate in oggi dall’alto Ticino, dal Maggia e dal Toce, se non emerse alcun fatto interessante la storia geologica del bacino ticinese, scaturirono però alcuni rapporti fra le sabbie montane e quelle della pianura, col ritrovamento nelle prime di specie e di forme mancanti o finora non avvertite nelle seconde (anidrite, wernerite, dolomite faccettata). Nelle sabbie poi dell’ assisa inferiore delle alluvioni di Vizzola e Castelnovate si ritrovarono in copia delle forme singolari di corrosione degli anfiboli (anfiboli cuspidati), che, ricercate nelle sabbie quaternarie recenti ed antiche di Lom- bardia e nelle sabbie terziarie o ricavabili da rocce terziarie e sol qua e là parzialmente ritrovate, sono da attribuirsi al- l’azione lenta di acque sotterranee, circolanti con una certa ra- pidità in depositi permeabili e quindi sono da considerarsi principalmente come un indice di antichità. Queste forme hanno permesso di confermare il riferimento dell’assisa inferiore an- zidetta allo stesso livello in cui l'alluvione di Castelnovate era già stata collocata dagli autori precedenti e cioè sul limite tra il terziario ed il quaternario (preglaciale), venendone con ciò ringiovanita l’ assisa superiore fino all’ interglaciale. Se queste deduzioni sono esatte, il presente studio di sab- bie avrebbe contribuito a risolvere il problema cronologico per un lembo di alluvione lombarda, esiguo ma non privo d’ inte- resse. Veramente i dati principali che scaturiscono da quello studio, cioè la composizione mineralogica ed il grado di fre- quenza dei componenti, non sembrano atti a fornire in via di- retta dei criterii sull’ età delle corrispondenti alluvioni; ma può darsi che qualche criterio, sia pure vago ed indeterminato, Si ritrovi nel grado di alterazione meccanica o chimica dei componenti stessi, che è una funzione del tempo. È ciò ap- punto che si è verificato per le alluvioni di Vizzola e Castel- novate. Per contro la ricerca particolareggiata delle aree di provenienza (ricerca che nello studio mineralogico delle sabbie trova in generale una soluzione sicura) non mi diede nel pre- sente caso e per i motivi già esposti quei risultati che mi attendevo. 84 FRANCESCO SALMOJRAGHI Poscritto. — Soltanto dopo la presentazione di questa nota alla Società italiana di scienze naturali (3 maggio 1908) potei procurarmi la grande opera di Penk e Brickner: Die Alpen im Eiszeitalter, edita da Tauchnitz a Lipsia ed in corso di stampa. La trattazione delle antiche glaciazioni pel versante padano delle Alpi vi è svolta con copia di osservazioni ed esattezza di fonti da Penk, il quale a pag. 787 (dispensa VIII", prima metà) tocca brevemente del deposito di Castelnovate, e sono lieto di giungere in tempo ad inserire qui il giudizio dello scienziato straniero. A Castelnovate, egli scrive, in con- tatto del fiume, l’ alluvione gialla dei terrazzi alti (Hochter- rassenschotter) si presenta al disotto dell’ alluvione grigia dei terrazzi bassi (Niederterrassenschotter) e fra di esse si inter- pongono due depositi di torba separati da uno strato di sabbia ocracea. Penk ascrive questa interposizione all’ interglaciale, per la somiglianza che vi riscontra nei rapporti di giacitura con una formazione d’oltralpe e perchè non ritiene convincenti le prove della sua pliocenicità addotte da Sacco e Corti. Non mi soffermo sulla qualifica di torba, data a ciò che gli autori italiani chiamarono lignite, nè sul dettaglio della sua stratificazione, perchè realmente trattasi di una lignite imper- fetta, passante a torba, e perchè, come abbiamo veduto, |’ affio- ramento che il fiume corrode è mutabile. Rimarco soltanto che anche Penk distingue nell’affioramento stesso due assise e cioè il complesso di sabbie e torbe, che egli pone nell’interglaciale, corrisponde precisamente alla assisa superiore, che io pure giunsi per altra via, e contrariamente ai dati paleontologici di Corti, a collocare allo stesso livello. L’ alluvione dei terrazzi bassi e quella dei terrazzi alti corrispondono, nella nomencla- tura italiana, rispettivamente al diluviale recente ed al dilu- viale medio (questo ultimo nel senso attribuitogli da Taramelli, non in quello attribuitogli da Stella, che nel diluviale medio ravvisò l’interglaciale). Quindi l’alluvione dei terrazzi bassi è, nel nostro caso, Valluvione del colle Umberto, concordemente posta nel diluviale recente ; e l’alluvione dei terrazzi alti non è che l’assisa inferiore dell’ affioramento di Castelnovate, che ascrissi al preglaciale. Dunque io mi sono trovato d’ accordo coll’ autore tedesco sull’età dell’ assisa superiore del giacimento di Castelnovate e in massima cogli autori italiani sull’ età della inferiore, e in SU ALCUNI TERRENI ALLUVIONALI ECC, 85 tale opinione persisto, estendendola al giacimento di Vizzola, che agli anzidetti autori non era noto. Imperocchè la differenza così costante e spiccata fra l’assisa superiore contenente anfiboli integri e freschi e l’assisa inferiore contenente anfiboli corrosi e cùspidati, non solo esclude la loro contemporaneità, ma ri- chiede, a mio avviso, per essere spiegata, una differenza d’età maggiore di quella che intercede fra un diluviale ed il sus- seguente interglaciale. Tutto ciò naturalmente è subordinato al valore da assegnarsi alla corrosione degli anfiboli come indice di antichità, sul qual punto ho già ammesso di non avere e- saurito |’ indagine. OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI MINERALI DI BESANO Nota di E. Repossi La regione porfirica del Varesotto e del Luganese è ricca di filoni e di filoncelli a matrice baritica o fluoritica, talvolta abbastanza abbondantemente mineralizzati, specie da galena. Non di rado questi filoni, come ad esempio quelli già da tempo noti di Brusin Piano, di Vassera, di Piodè presso Besano, sono sufficientemente potenti e ricchi di minerali metalliferi da es- sere sfruttabili industrialmente, ed è pure noto che, se essi non sono ora oggetto di lavori minerarî, lo furono in altri tempi e non sempre senza profitto (*). Nella maggior parte dei casi però questi filoni non rag- giungono che pochi centimetri di spessore e sono pressochè totalmente riempiti da baritina o, meno di frequente, da fluo- rite. Inoltre, quantunque si presentino spesso raggruppati a mazzi, hanno sempre un andamento molto irregolare, e per di- rezione e per potenza, carattere questo ch’ è del resto condiviso anche dai filoni maggiori. Più raro è il caso di filoni discretamente potenti che pre- sentino solo scarse tracce di minerali metalliferi e siano, di conseguenza, in tutto formati da baritina o da fluorite. Difatti, avendo di recente avuto occasione di visitare con qualche diligenza la zona porfiritica che forma i rilievi mon- (1) Si veda a questo proposito specialmente il lavoro del’ Ing. V. Denti su « Z@ regione metallifera e le miniere del circondario di Varese », pubblicato nella ri- vista « L’ Industria » di Milano, nel 1891. In tale lavoro, ch’ è il sunto di una più estesa memoria manoscritta, l’Autore si occupa, particolarmente dal punto di vista industriale, dei giacimenti qui ricordati e di altri della ragione compresi invece entro la formazione scistoso-cristallina. OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI MINERALI DI BESANO 87 tuosi meno elevati ad est di Besano, di Porto Ceresio e di Bru- sin Arsizio, quasi dovunque riscontrai filoncelli e venuzze di baritina rosea, specialmente numerosi nella val dei Poncini sotto Monte Casolo ed allo sbocco del Vallone di Besano, ma solo in due punti potei osservare filoni di spessore abbastanza notevole, esclusivamente: barito-fluoritici : uno sul versante oc- cidentale del M. Grumello, poco sotto la cima, ed un altro alla Vignazza, fra Besano e Porto, non lungi cioè dal noto e già ricordato filone galenifero di Piodè, dal quale del resto non dista orizzontalmenie molto più neanche il primo. I filoni ed i filoncelli osservati, quantunque, come già dissi, ‘abbiano un andamento molto irregolare, si possono raggruppare in due sistemi: i più numerosi, fra i quali quasi tutti quelli a nord-est di Porto, presso Cà del Monte, presso Serpiano, sotto la nuova miniera di scisti bituminosi di Tre Fontane, e quelli di M. Casolo, di M. Grumello, e lo stesso filone di Piodè hanno all’ incirca una direzione nord-nord-est, altri, e specie quello di Vignazza, sono diretti a nord-ovest, incrociando quasi normal- mente i primi. I filoni che trovansi nella parte più settentrionale della zona osservata, a nord cioè di Cà del Monte, sono pressochè esclusivamente riempiti da baritina rosa spatica, negli altri, e tanto più quanto maggiormente ci si avvicina al gruppo prin- cipale di M. Grumello-Vallone di Besano, alla baritina si me- scola sempre, o con straterelli alternati o sotto forma di cri- stalli compresi in essa, la fluorite incolora o leggermente gial- lognola o azzurrognola. Se i filoncelli troppo sottili non hanno che uno scarso in- teresse teorico e non ne hanno affatto dal punto di vista pra- tico, i due filoni di Vignazza in comune di Besano e di M. Gru- mello in comune di Porto sono invece industrialmente utilizza- bili. E difatti la ditta Maffei e Spreafico di Porto Ceresio ha cavato una notevole quantità di baritina dal primo ed ora sta iniziando i lavori per lo sfruttamento anche del secondo. L’ affioramento del filone di Vignazza trovasi sul ciglio dello splendido terrazzo glaciale che da Besano si stende fino allo sbocco del Vallone, ad una cinquantina di metri sul piano della valle, ed è in gran parte ricoperto da un potente deposito sab- bioso morenico, che dovette essere abbattuto in breccia per in- traprendere la lavorazione del filone, e che non poco intralciò 88 E. REPOSSI con la sua incoerenza i lavori stessi. Anzi, per quanto mi con- sta, questi sono ora abbandonati. Il filone è compreso entro la porfirite, che è qui di color bruno o verdastro e, come ovunque, profondamente alterata per una spessa zona verso la superficie. Il suo andamento è molto irregolare : all’ estremità occidentale dell’ affioramento il filone ha lo spessore di circa un metro e mezzo, è diretto a N. 50° W e inclinato di 75° verso N. E; pochi metri più ad oriente presenta una saccoccia con uno spessore notevolmente maggiore, poi sembra sdoppiarsi, mentre la direzione si fa più vicina alla E-W e l'inclinazione passa al verso opposto. La continuazione del filone verso est è nascosta da una spessa coltre di terriccio, e riesce quindi difficile poter stabilire se esso sia in relazione coi numerosi filoncelli, che, con direzione poco differente, si trovano qualche centinaio di metri più ad oriente, presso lo sbocco del Vallone. Il riempimento è costituito, in primo luogo, dalla baritina rosea spatica, di cui si estrassero talvolta blocchi di notevole purezza, poi dalla fluorite giallognola o leggermente azzurrina, che in taluni punti si mescola intimamente alla baritina mentre in altri forma da sola discrete masse, ed in via molto subordi- nata da altri minerali, che verrò in seguito citando. Il filone è spesso marcatamente brecciato e non di rado presenta piccole cavità geodiformi, tappezzate di cristalli. Al M. Grumello invece la roccia scoperchiata, ch’ è ancora la solita porfirite, mette in evidenza due piccoli filoni diretti a N. 30° E. e pressochè verticali, poi che pendono di 80° verso S. E. Uno di essi, nel piccolo tratto ora visibile, ha lo spes- rore di 40 cm. circa, |’ altro, distante qualche metro dal primo, non raggiunge che 15-20 cm. di potenza. Fra l’uno e I altro si nota poi qualche venuzza di pochi centimetri. Il riempimento è anche qui formato quasi esclusivamente da baritina rosea o bianchiccia e da fluorite giallognola o verdastra. La struttura del filone è invece marcatamente zonata e rare sono le geodine, come pure i minerali accessorî ; alle salbande abbiamo fluorite e nel centro la baritina con qualche zona di fluorite e spesso con grossi cubi di quest’ultimo minerale sparsi entro la sua massa. Mentre alla Vignazza, come già dissi, i lavori che si sono fatti a cielo scoperto, abbattendo in breccia il filone fin dove OSSRRVAZIONI SOPRA ALCUNI MINERALI DI BESANO 89 si potè, sono ora abbandonati e inesplorabili, perchè riempiti d’acqua e di sabbia franata, al M. Grumello si è quasi ancora allo stato di ricerca, Esaurite così le poche osservazioni, intorno alle condizioni ed ai caratteri dei filoni baritici studiati, che mi parve utile richia- mare, poichè nella non ricca bibliografia della regione non si fa cenno del filone della Vignazza, quantunque sia stato lavorato da molti anni ('), passerò ad esporre i risultati delle ricerche specialmente cristallografiche, eseguite sui minerali di quest’ul- timo filone, risultati che mi paiono non privi di qualche inte- resse, avuto particolare riguardo alla loro analogia con quelli dello studio fatto dall’Artini sui minerali di Vassera (’). I minerali osservati nel filone della Vignazza sono i se- guenti : pirite, calcopirite, fluorite, siderite, dolomite, stronziamite e baritina. La pirite è fra i minerali metallici il più frequente, ma, non ostante ciò, è sempre in quantità affatto trascurabile. Tro- vasi in esili crostine cristalline sopra gli altri minerali e specie sulla baritina, od a formare sottili zone là dove il filone è più marcatamente brecciato ; talvolta è anche in piccoli cristalli, di meno che un millimetro di diametro, impiantati sulle lamine di baritina o sparsi sui cubetti di fluorite. Le uniche forme osser- vate sono |210} e |100}, spesso in combinazione. Più scarsa di molto, ma senza confronto più interessante, è la calcopirite. Questa trovasi in minutissimi cristalli, il più delle volte riuniti a gruppetti, impiantati prevalentemente sulle lamine di (1) I lavori recenti non hanno che ulteriormente approfondito il solco da tempo scavato sul margine del terrazzo di Besano pel vuotamento del filone della Vi- gnazza. E difatti il profondo solco è scavalcato da una strada comunale sopra un ponticello in pietra di data sicuramente non recente. Con tutto ciò, nè il Denti nel lavoro citato, nè il Jervis (J fesori sotterranei @ Italia, 1873), nè il Curicni (Suz giacimenti metalliferi e bituminosi nei terreni triasici di Besano. Mem. R. Ist. Lomb. vol. IX, 1863; e Geologia applicata delle provincie lombarde, Milano, 1877), nè lo Spreafico (in Taramelli T., Il Canton Ti- cino meridionale ed i paesi finitimi, Berna 1880), nè altri autori più antichi fanno cenno del filone della Vignazza ; tutti invece citano il filone galenifero di Piodè, nel Vallone. (2) E. Artini, Baritina di Vassera, Atti Soc, Ital. di Scienze Naturali, vol. XXXV; Milano, 1896. 90 E, REPOSSI baritina rosea e talora anche compresi entro la massa stessa di questo minerale. I cristalli ordinariamente freschi e rilucenti, meno spesso ricoperti da un velo d’alterazione, non raggiun- gono che in qualche raro caso il millimetro di diametro e queste loro dimensioni poco men che microscopiche rendono pratica- mente assai difficile la misura goniometrica e lo studio cri- stallografico, specie degli individui raggruppati, che sarebbero senza dubbio i più interessanti. Non ostante ciò, mi fu dato determinare con sicurezza la presenza delle seguenti forme, le quali del resto sono fra le più comuni per la calcopirite : [001L}; {110}, 3101}; {201} {410 {1119 Meno sicuramente indico anche |302}, che osservai una sola volta e che mi diede una misura poco d’ accordo col valore calcolato. i L’ abito più comune dei cristalli è quello bisfenoidale, con la prevalenza di |111}; non mancano però anche individui con abito quasi oloedrico e con grande sviluppo di {201}. Dei due bisfenoidi, il positivo ha generalmente facce striate, mentre il negativo ha facce piccole e brillanti. Costante è la presenza di {201}, con belle facce lisce e lucenti: meno frequente è in- vece |101}, sempre con un limitato sviluppo. I cristalli più ricchi hanno anche il prisma |110}, che ha sempre le facce sol- cate e striate parallelamente allo spigolo di combinazione coi bisfenoidi. Rara è la {001}, rappresentata da faccette lineari, talvolta non misurabili. In un sol cristallo, come dissi, osservai una faccetta abbastanza riconoscibile, che risponderebbe al simbolo |302}. Oltre i cristalli semplici, che a stretto rigore sono, come sempre nella calcopi- rite, una rarità, e dei quali può dar un’idea la fig. 1, osservai fra i gruppi di in- dividui, spesso complicati e, per le loro dimensioni, inde- cifrabili, non rari geminati secondo {111}, che si pre stano abbastanza bene alla mi sura goniometrica. Spesso un individuo, con spiccato abito OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI MINERALI DI BESANO DI bisfenoidale, ne reca un secondo, molto più piccolo, impiantato in posizione di geminazione sopra una delle sue facce di {111} (fig. 2); tale altra volta i due individui geminati hanno un ‘abito meno spiccatamente bi- sfenoidale per un grande svi- luppo di {201}, ed allora il gruppo assume un aspetto quale è rappresentato dalla fig. 3. Non può sfuggire la grande somiglianza che questi gruppi hanno coi geminati, descritti e figurati dal Sade- beck, della miniera Victoria ( Burgholdinghausen ) nella Vestfalia ,*). Non di rado si nota pure io: in essi una geminazione lamellare, che ne complica vieppiù la struttura. Fig. 3, Notai anche gruppi for- mati da tre o da più indivi- dui, nei quali uno, con svi- luppo prevalente, ne porta altri con esso geminati ed isoorientati fra loro. Non di rado tali gruppi assumono nel loro complesso un carat- teristico aspetto bisfenoidale. I valori forniti dalla mi- sura goniometrica sono, nella tabella che segue, messi a confronto coi risultati del cal- colo istituito in base alla co- stante di Haidinger (*,. (1) A. Sadebeck, Vever die Krystallformen des Kupferkies, Zeitschr. d. deut- schen geolog. Gesellschaft, B. XX, 1868; pag. 613 e tav. XIV, fig. 14. Vedi anche: C. Hintze, Handbuch der Mineralogie, B. I. pag. 928. (2) Valore stabilito dall’ Haidinger e confermato dal Sadebeck e dal Kokscha- row; vedi C. Hintze, Op. cit. de) bo E. REPOSSI ape 11:70, 08525 Spigoli Angoli misnrati Angoli | misurati | N. Limiti Medie calcolati 101.001 || 1 uu 44,° 18! 44.0 34/1), AO MeO || LS AR 59. 51 59. 301/, | 101, 100 | 34) 9031 =. 9004409040 90. 51 (LOT OT ih OM SSA) = 898928 89. 29 89. 9 ORTO MO GORI GOA GOL? 7 60. 15 LOU DOV eal pisa IPO 109. 45 2012001 | (2568: 2 — AGB. 39 63: 200/54) 963 Smee ZOOL || A aan SA 18. 31 18. 31 20102008 Gel aS. ole IE 53. 50 53. 49 20162 0:40) N00 -—- 126. 31 196 Sgo 2010218 NATO) RTS een i Oe pel 78. 9 “cheat 200216 AN 1Ole pou —) 1022862) OLE 101. 48 DOT ATOR 2 SORA 50. 56 50. 54 TE OOM 054 Re Be ake) 54. 21 54. 20 DOSE MIL 354320 hob. 50 35. 39 35. 40 TER 9% LOS#35 9108: 520) 08940 108. 40 miei Mist 092101102370 61095250 1099208 LR OR TO NARO 403 i eros 70 RIA IE 70 O, DO ileal) Wile 20 111 201 || 183/593. 44°=—= 398 26 39. 6 39. 6 MEZ ee = 75. 82 TESS 112010) Ma —— 104. 28 104. 23 110.11 Ng 89. 57, ==, 90) Qui) SONS a Ho fede Br. 26) 3 37. 20 Wd) 1 IAS 108,982), 109. 908 Mosto 108. 40 110.11, Matias = 73. 20) 78.01 3.— | 201.201 | 1] — _ 39. 21 39. 6 La fluorite, come dissi più sopra, è il minerale più abbon- dante, dopo la baritina, nel filone di Vignazza, come in quello di M. Grumello e nei numerosi piccoli filoni che accompagnano il filone galenifero di Piodè. Essa si presenta in masse spati- che e in cristalli cubici, talora discretamente grossi, superando OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI MINERALI DI BESANO 93 il centimetro di lato. I cristalli più vistosi non si trovano a tappezzare le pareti delle geodi, ma bensì compresi entro la barite spatica, danneggiando le qualità industriali del minerale ; questi, che del resto non si possono isolare che assai difficil- mente, raggiungono anche due o tre centimetri di lato, e si osservano più numerosi nel filone di M. Grumello. Il colore è generalmente gialliccio o verdiccio: raramente la tinta è azzur- rina assai chiara. Non ho mai trovato fluorite violetta, quale osservasi invece a Vassera, a Cuasso al Monte, etc. Nessuna forma sicuramente determinabile mi fu dato riscontrare nei cristalli, oltre il cubo ; distinte, ma non degne di misura, al- cune facce di tetracisesaedro. Nulla di notevole parmi poter rilevare intorno alla siderite ed alla dolomite, che in piccoli romboedri, generalmente ag- gruppati nel modo consueto, si trovano impiantate, la prima di preferenza sulla baritina, la seconda sulla fluorite. Molto più degno di nota è invece l’altro carbonato, che s'incontra in piccolissima quantità nel filone della Vignazza, la stronzianite. Essa forma piccoli ciuffetti bianchi di cristallini bacillari esi- lissimi ed incurvati, che a prima ispezione si possono credere aragonitici, impiantati sopra la baritina e sulla fluorite in qualche raro esemplare. Stabilito, mediante attacco con acido cloridrico, che il mi- nerale appartiene al gruppo dei carbonati, la sua determina- zione si potè fare agevolmente ricorrendo all’ osservazione spet- troscopica. La soluzione cloridrica, portata nella fiamma, dà un fuggevolissimo spettro del calcio e poi insistentemente e mar- catamente lo spettro dello stronzio, mentre manca affatto, e ciò può parere più inatteso, il bario. Una riprova della natura stronzianitica del minerale fu fatta immergendo alcuni frammenti di questo nella soluzione di Klein al massimo di concentrazione (d=3.28); essi precipi- tarono tutti rapidamente al fondo. Il minerale che più abbonda, anche in cristalli spesso assai belli e ricchi di forme, è, come già dissi, la baritina. Essa è rappresentata da individui cristallini che non di rado raggiungono discrete dimensioni, superando in qualche caso la lunghezza di un centimetro, e che si trovano a tappez- 94 ‘ E. REPOSSI zare le geodine entro la baritina spatica oppure entro altri mi- nerali. Nel primo caso sono gli stessi individui della massa spatica rosea che, nell’ estremità sporgente, sono limitati da facce cristalline: nel secondo invece si tratta di individui or- dinariamente assai più piccoli, bianchi o affatto incolori, im- piantati specie sulla dolomite. L’ abito dei cristalli è sempre tabulare secondo la base, ma, mentre lo spessore talvolta n’è relativamente notevole, altra volta si tratta di lamine sottilissime e di vere scagliette a forma di ventaglio. I cristalli sono ordinariamente allungati ‘un po’ secondo y ed impiantati sulla matrice per una delle estremità di questo asse. Le forme semplici osservate sono le seguenti : 1100}, |010}, {001}, }210}, {110}, {120}, {130} {O11}, {102}, (208), {104}, {106}, {4:0 11}, {10-16}, {111},-{112}, {113}, {4}, {LD} PUGH 8) | Lk 19201 24 bar er: Le facce di base sono sempre, come dissi, abbastanza ampie, quantunque non di rado vengano ad essere alquanto limitate dallo sviluppo dei prismi paralleli ad y e delle bipiramidi della serie |i }, che danno al cristallo un aspetto lontanamente lenticolare ; inoltre non sono quasi mai piane, ma piuttosto on- dulate o marcatamente po- liedriche. La {100} è piuttosto rara e rappresentata da facce lineari; costante è in- © Fig. 4. vece la presenza di {010}, con facce bellissime, quantunque strette e limitate. Dei prismi verticali i più frequenti sono {110} e |130}, che sono talvolta anche discretamente svilup- pati; il meno frequente è 1210}, che trovai una sol volta misurabile in un cri- stallo sottilissimo, fra quelli a forma di ventaglio. Fig. 5. Dei prismi paralleli ad x l’unico sviluppato è {011}, il quale però è sempre presente nei cristalli, con facce abbastanza ampie ed assai belle. OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI MINERALI DI BESANO 95 La serie più ricca dei prismi è data da quelli paralleli ad y. Fra questi sono assolutamente predominanti {102} e |104}, ma non è raro neppure {106}, che contribuisce a dare ai cristalli la caratteristica sezione lenticolare, sì frequente nella baritina di Besano. Il prisma |205} non è rarissimo, ma le sue facce non danno misure molto buone per una più marcata striatura parallela all’asse di zona, che non manca del resto anche alle altre. In un sol cristallo osservai {4 0 11}, forma piuttosto rara che fu tro- vata per la prima volta Fig. 6. dal Brunlechner (*); essa è però rappresentata sul cristallo da me misurato da una faccia bellissima. Pure una sol volta trovai la {1 0 16}, e perciò la dò come dubbia, essendo essa una forma nuova per la baritina. Riccamente rappresen- tata nei cristalli studiati è anche la serie delle bipiramidi | h 2, le quali hanno facce sempre piccole , e talvolta piccolissime, ma sempre bellissime ed ottimamente misurabili. La {111} è senza dubbio la più frequente e non manca che raramente nei cristalli; poi segue la |113} e, a distanza, (116) e {115}; rare sono {112}, {114} e {118}, le quali ultime osservai una volta riunite sul medesimo cristallo, mentre negli altri in genere si trovano in combinazione quelle con / dispari. In zona fra le bipiramidi di questa serie e la base si ri- scontrano sempre numerose faccette vicinali di {001}, che avrei trascurato nella misura e nel calcolo, se non avessero avuto una relativa costanza di posizione: esse difatti formano tre gruppi nettamente distinti, rispondenti ai simboli |1 1 19), 1 120}, |1 1 24} con misure abbastanza buone. Fra queste forme la seconda è già nota, mentre, per quanto so, le altre sareb- bero nuove per la specie. (1) A. Brunlechner, Tscherm. Mineral, u. petrog. Mittheil. 1891. 96 E. REPOSSI La bipiramide |122} è assai frequente, ma le sue facce sono raramente tanto ampie da dare una buona immagine al gonio- metro. Nelle figure 4, 5, 6 ho rappresentato le combinazioni più comuni dei cristalli di Be- sano; la fig. 7 dà invece un’ idea delle forme che predominano nei cristalli più laminari e del rispet- tivo loro sviluppo; nelle Fig. 8. altre due figure infine ho inteso rappresentare le combinazioni più complesse, con le forme vicinali della base, che, come dissi, sono invero molto frequenti e danno ai cri- stalli studiati una im- pronta caratteristica. In base agli angoli migliori e misurati un maggior numero di volte, ho calcolato le costanti Fig. 9. della baritina di Besano, e nella tabella che segue i dati della ossservazione sono posti a confronto coi valori ricalcolati con le dette costanti. GEO C—O: 812862 le 92 Spigoli Angoli misurati Angoli | misurati i ® Limiti Medie calcolati | 010.110 | 21 | 50%44— 51° 8’ | 50.°53/37' * | 010. 100 6 | 89.55— 90.19 | 90. 4 90°. 00! OLOM20 TOSO ego 31338 31. 36 010. 130 Gil op er 99 yi Odo 290018 OOO ga an 2 21. 53 2000] | 110.210 1 = =e 16. 52 16. 59 | 100. 110. Br vBOy 2+ 2130045 will, 39921 39. 6 1410; 1200 12 doce B= 1005 i adonale 19.18 | WMO, 180 |) a) eRe T = os Mod So87 28. 36 tO; 130. TORO rosa 9. 26 '/, 9. 18 | 100. 102 | 2 oo tA Gwalmeollecs I bl. db OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI MINERALI DI BESANO 97 a SS Spigoli Sa od tues | misurati N. | Limiti | Medie | Sn | 001. 102 400038043 38057 || 38:50 38. 55 001. 104 DA MRO 1A AVIO RAR OT) 591] MOne@e Al 154M) 4, 39 — dy Bef 15 (20) | by A | 001. 100 Sah S95 AO! — 00s Sale 80. 4. Vea GE 5 | | 102. 102 97) 102,16 == 10243 :102.29 ) |, 1027103) 102. 104 DOMA RSI 1644 16. 56 | 104. 104 AT SAS AAA 4352 43. 58 | | 102.104 || 10 | 119. 9 — 119.37 |119.22 iDISE eG 8| 104. 106 28 696 == Ea 9 6. 55 6. 55 104. 106 DANS 33731 sla BO. 59 37. 3 102. 205 9 Badoo 6: AT 6. 5 6. 4 | 205. 104 NEO 3S tal, 26%€ 055 10. 52 140 11.104]| 1 | i ns 8.23 8. 26 106.1016 || 1 | ae a 9.17 9. 18 | 001.1016 || 1 DE der 5. 42 5. 46 | 106. 106 4| 30. 4— 80.46 | 30.24 30. 8 | 100. 205 1 da o 57014 57. 9 | | 100, 104 De 67, DS 68526168113 68. | 100. 106 1 pe st 75. 11 74. 56 | | 010.011 DIRT 19) 22 18799 37020 37.18 | 010. 001 SE eo e i 29554 90. — | 011.011 AG 7436 (ba. ZA A 74.36 | 001.011 13004 SINO 41h 52.3 52. 42 TOSO a I oe! as 60. 4 59. 53 DOH: (Lie ALT 64. 9 64.33 | 64.19 64. 20 001.110 13 | 89.46 90. 5 | 89.59 Goer 24) 110. 111 34 | 25.99 — 25.48 | 25.40. 4 * | 111: 111 HOM. ls ee i ao 51. 20 || 110. 112 1 bs das 43. 59 43. 52 | IRE i SE aes 18. 23 18. 12 110. 113 Mese LO =p oa 38 cb. 20 55. 15 111.113 13 FEO Log a) 329049 29. 35 | Ren Het es ne 11.19 | MOS si 118. 001 G | 84,35 34.50 | 84) 41 34. 45 || 98 E. REPOSSI | [I *T*RkT**----=-w<-.-.-..-—,.TT——ttctt..WEEWW5 === "EEE eee e. Spigoli Angoli misurati Raso misurati N. Dino | Niedic ealcolati 111.114 ii = = 36. 45 36. 51 112.114 1 DE — 18. 51 18. 39 114. 116 1 | — = 8. 30 Bil 22 Moe 1 = a 67.36" (|. eur Wate | 1 2 dei 41490 | ALA VE = — LOS 1S 115. 001 1 ha Lai DI 22. 36 MO: | TOA SÌ 70. 53 UO 0 Sei dora 19: 7 ete. 1G) N Cee Ss mc 45. 13 | 118.116 Gl) 15598 == 5239. sini, 32 15. 38 | 115. 116 2 3.28 — 3.29 912804] 3. 29 fatale, wlits) 1 — a 49, 42 49, 45 LAA SS al = — 1299 12. 54 loggia o 63% So Sebi Gale Sandu 85. 10 COI Ie AB ees 4.47 4. 50 ASPET OM 58 Sg So FB OT ROG NES 29. 55 By ego rh su 14.18 realy! MO 51 1207) 2) hi ehn20 ==) eo2b i 5238) 85. 24 001.1 1:24 || 6 3.36 — ‘38.58 3. 49 3. 51 INORG 24 PROT MSG AS Sond 86. 9 11901 i ste 44, 32 44, 23 001.122 22) 56096 66. 56h bel AT BE ae | nt 2) I 2h = 18. 44 18. 19 | O11. 122 i Ai fai 25. 48 26. 4 120. 122 4° We BOL AT =o! 38: A he BO. 54 32. 59 Da quanto son venuto dicendo risulta chiara la somiglianza di aspetto e di abito che la baritina di Vignazza presenta con quella di Vassera, studiata dall’Artini (*). Difatti, se i cristalli di Vassera sono di solito un po’ più grossetti, delle diciotto forme che su di essi riscontrò l’Artini, quattordici sono co- (1) E. Artini, Mem. cit. OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI MINERALI DI BESANO 99 muni anche a quelli di Besano, e in comune si nota pure fre- quente un grande sviluppo delle bipiramidi | 4}. L’Artini, dei minerali citati per Vassera dal Jervis (*), trovò anche la galena ed il quarzo, che mancano affatto a Besano, almeno nel materiale da me osservato, invero non scarso. Bisogna però notare che le analogie fra le condizioni dei due giacimenti non sono poi perfette; difatti il giacimento di Vassera è contenuto nei porfidi quarziferi, mentre quello di Besano e tutti gli altri da me osservati sono, come dissi, entro le porfiriti. Galena in minuscoli, ma belli e brillanti cristallini {100} {111}, notai invece nel materiale proveniente nel più volte ri- cordato filone di Piodè, del quale potei raccogliere qualche esemplare. (1) I tesori sotterranei d’Italia, vol. I, 1873; pag. 210. Felice Supino MORFOLOGIA DEL CRANIO E NOTE SISTEMATICHE E BIOLOGICHE SULLE FAMIGLIE TRACHINIDAE E PEDICULATI Sulla morfologia del cranio dei Teleostei ho già pubblicati parecchi lavori (') che hanno per scopo sia di portare un con- tributo alla craniologia comparata di questi pesci, sia di stu- diare l’effetto prodotto dall'ambiente sulla quantità relativa di cartilagine che si trova nel cranio dei Teleostei, sia infine per cercare di chiarire mediante questi studi anatomici, alcuni punti relativi alla sistematica dei Teleostei. Poichè in questi lavori ho trattato molto dettagliatamente e corredato di numerose fi- gure il cranio delle forme studiate, così ho creduto opportuno dare per la specie di cui è argomento la presente nota, una som- maria descrizione rilevando le cose più importanti e rinviando chi desiderasse aver maggior dettagli, agli altri miei lavori. Però qui ho introdotto qualche nuovo elemento di studio; il confronto cioè tra le forme giovani e le forme adulte, tra il (1) Supino F. — Ricerche sul cranio dei Teleostei. I. Scopelus, Chauliodus, Argyropelecus. Ric. Lab. Anat. norm. R. Univ. Roma ed altri Lab. biol. Vol. VIII, fase. 3, 190ì » » II. Macrourus. Id. Vol. IX fase. 2-3, 1902 » » III. Ruvettus, Id. Id. » » Morfologia del cranio dei Teleostei — Percidae. Lux. Roma 1901. » » » » » » » Berycidae » » » » » » » » » » Trichiuridae » » » » Il cranio dei Teleostei in rapporto al loro genere di vita. Rendic. Acc. Lincei, Vol. XIII, 2 sem., s. 5, fase. 12, 1904. » » Morfologia del cranio dei Teleostei — Plectognathi: Lux, Roma. 1905 » » » » » » » Lophobranchii: Lux Roma 1906 » » Il cranio dei Pesci. Lux, Roma 1907. MORFOLOGIA DEL CRANIO ECC, 101 cranio dei giovani e quello degli adulti. Ciò mentre contribuirà a rendere più chiara la morfologia del cranio dell’adulto, nello stesso tempo porterà luce sopra alcune questioni biologiche che sono del massimo interesse. Certamente sarebbe bene poter a questo scopo disporre di tutti gli stadi di passaggio dall’ indi- viduo appena schiuso dall’uovo fino alla forma adulta, ma poichè purtroppo la maggior parte dei pesci marini molto difficilmente si riesce ad allevare in vasca e volendo d’altra parte aspettare per riunire i vari stadi, che questi vengano pescati occorre- rebbe un tempo molto lungo, correndo magari il rischio di non raggiungere l’intento, ne viene di conseguenza che tale studio completo è sommamente difficile (*). Con tutto ciò, trovandomi io l’anno scorso alla Stazione Zoologica di Napoli ebbi occa- sione di avere alquanto materiale che sto riordinando e che sarà oggetto di mie prossime pubblicazioni. Per il presente stu- dio invece il materiale che ho è assai scarso, ma non trattan- dosi qui di uno studio sullo sviluppo larvale o la metamorfosi di questi pesci, credo utile utilizzarlo fin d’ora sia per limpor- tanza che in generale hanno i confronti del cranio delle forme giovani con quello delle forme adulte, sia per alcuni particolari che mi sembrano degni di nota. La famiglia Trachinidae è costituita, secondo la maggior parte degli autori, dai Trachinidi ed Uranoscopidi. Moreau (?) appunto colloca nella stessa famiglia Trachinidae, i due generi Trachinus e Uranoscopus; Carus (*) suddivide la famiglia Trachi- nidae in due sottofamiglie: Uranoscopinae e Trachininae. Anche Ginther (*) fa di questa famiglia due gruppi, Uranoscopini e Trachinini. I caratteri generali che caratterizzerebbero la famiglia Tra- chinidae sarebbero, secondo Moreau, i seguenti: Corpo allun- gato, coperto di scaglie liscie, poco sviluppate, formanti delle (1) Vedi a questo proposito quanto dice anche Lo Bianco nel suo interessante lavoro: Sviluppo larvale, metamorfosi e biologia della « Triglia di fango » (Mullus barbatus Lin.). Mitth. Zool. Station Neapel 19 Bd., 1 Hft. 1908. (2) MoREAU. Histoire naturelle des Poissons de la France. Masson, Paris, 1881. (3) Carus. Prodromus Faunae Mediterraneae. 1889-1893. (4) GiinTHER, An Introduction to the Study of Fishes. Edimburgh 1880, 102 FELICE SUPINO specie di fascie oblique, parallele. Muso corto; mascella supe- riore pit corta dell’inferiore; mascelle, vomere, palatini, proy- visti di denti. Aperture branchiali ampie; sei raggi branchio- stegi; pseudobranchie. Linea laterale ben marcata. Due pinne dorsali, la prima spinosa e corta,la seconda più o meno lunga opposta all’anale. La caudale termina in forma quadrata o leg- germente semilunare; le ventrali sono giugulari. La vescica natatoria manca. Quanto ai due generi che costituirebbero la famiglia Tra- chinidae, ecco secondo Moreau i caratteri differenziali. Uranoscopus. Corpo più o meno cuneiforme, coperto di sca- glie liscie molto piccole. Testa grossa e larga, appiattita supe- riormente, in parte corazzata; muso molto corto, bocca verticale; mascelle, vomere e palatini dentati. Occhi posti nella regione superiore della testa, diretti in alto. Aperture branchiali grandi. Due pinne dorsali di cui la prima con raggi poco numerosi; pettorali grandi. Trachinus. Corpo allungato, compresso, coperto di piccole scaglie; ano spostato in avanti. Testa compressa; muso corto; bocca obliqua; piccoli denti sulle mascelle, vomere, palatini, pterigoidei, lingua sprovvista di denti. Occhi posti lateral mente, verso il profilo superiore della testa. Aperture branchiali estese; opercolo armato di una lunga spina diretta in addietro. La prima dorsale ha sei o sette aculei molto acuminati; la se- conda dorsale e 1’ anale sono molto lunghe, con più di venti raggi. Manca la vescica natatoria. Se noi però osserviamo bene le due forme Uranoscopus e Trachinus, vediamo subito che le differenze fra loro sono no- tevoli, e che non possono perciò esser collocate nella stessa fa- miglia. Vi sono del resto alcuni autori che ne fanno due fa- miglie distinte ed anche Boulenger (') pone nel sottordine degli Acantotteri, divisione dei Giugulari le due famiglie Tra- chinidae o Uranoscopidae. Egli si basa principalmente sul ca- rattere che i Trachinidi hanno il secondo suborbitale provvisto di una lamina interna che sostiene il globo oculare, ciò che manca invece agli Uranoscopidi. Questo carattere non mi par- rebbe a dire il vero sufficiente a far due famiglie distinte di (1) BouLENGER, The Cambridge Natural History. Vol, V1I. “tania pda i MORFOLOGIA DEL CRANIO ECC. 103 queste forme, senza considerare che anche il suborbitale dell’U- ranoscopus è provvisto di un orlo interno sporgente che sostiene in parte il globo oculare. Però se si osserva la conformazione del cranio e l'aspetto generale che questi animali presentano, non vi può, mi sembra esser dubbio che essi debbano essere collocati in due diverse famiglie, ciò che apparirà chiaramente anche dalle descrizioni che do più oltre. Anche il carattere delle uova di queste due forme è talmente diverso, che Raffaele nel suo lavoro sulle uova galleggianti dei Teleostei (") trova strano che « in una stessa famiglia si trovino due tipi di uova così diversi tra loro,. come sono quelle dell’ Uranoscopus e quelle del genere Trachinus ». Nei mari italiani si trovano fra i Trachinidi il Trachinus draco L., il Tr. vipera Cuv., il Tr. radiatus Cuv., il Tr. araneus Cuv. Tra gli Uranoscopidi abbiamo il solo Uranoscopus scaber L. Io ho preso a studiare il Tr. draco e l’ Uranoscopus scaber. Nello scheletro cefalico riscontriamo la regione occipitale che consta di un occipitale basilare molto simile nelle due forme, espanso cioè anteriormente e ristretto posteriormente dove ter- mina conformato a vertebra. Ai lati dell’occipitale basilare trovansi gli occipitali laterali (fig. 1, 0.1.) che posteriormente presentano due condili occipitali. Il forame occipitale è formato per la massima parte dagli occipitali laterali e solo in piccola parte dal basioccipitale. L’occipitale superiore (fig. 1, 2, O.s.) è più sviluppato nel Trachinus che nell’ Uranoscopus ed è in ambedue le forme provvisto posteriormente di una sviluppata cresta ossea. Nella regione otica riscontriamo gli epiotici (fig. 1, 2, Ep. ot.), in tutte e due le forme bene sviluppati; essi presentano posteriormente un processo specialmente accentuato nel Tra- chinus. Gli pterotici (fig. 1, 2, Pt.ot.) sono bene sviluppati tanto nel Trachinus che nell’ Uranoscopus, ed in quest’ultimo sono posteriormente provvisti di un robusto processo osseo rivolto verso l’esterno. Gli sfenotici (fig. 1, 2, Sph.ot.) sono pure bene (1) RAFFAELE. — Le uova galleggianti e le larve dei Teleostei nel golfo di Napoli. Mittheil, Zool. Stat, Neapel. VIII Bd., 1888. 104 FELICE SUPINO sviluppati e presentano nel Trachinus un processo rivolto in basso e all’esterno. Queste ossa sono provviste insieme agli pierotici, di una cavità per l’ articolazione dell’ iomandibolare al cranio. I prootici sono bene sviluppati. Nella regione ottica troviamo in ambedue le forme Jl ali- sfenoide piccolo, laminare, pari; il basisfenoide egualmente pari, piccolo, collocato immediatamente al di sotto dell’ alisfe- noide. Il parasfenoide è bene sviluppato e percorre la base del cranio quasi in tutta la sua lunghezza. Bene sviluppato è anche il vomere che è provvisto di denti (fig. 1, 2, Vom.).. Fig. 1. Cranio di Trachinus draco dal di sopra (ingrandito 2 volte). O.1. = Occipitale laterale; O.s. = Occipitale superiore; Pt.ot. = Pterotico; Sph.ot. = Sfenotico; Fr. = Frontale; Eth.l. = Etmoide laterale; Vom.= Vomere ; Eth.m. = Etmoide mediano; Par. = Parietale; Ep.ot. = Epiotico. I parietali (fig. 1, 2, Par.) sono più estesi nell’Uranoscopus che nel Trachinus e nel primo vengono in gran parte tra loro a contatto sulla linea mediana. I frontali (fig. 1, 2, Fr.) sono estesi in ambedue le forme; nel Trachinus si curvano anterior- mente in basso, mentre che nell’ Uranoscopus si mantengono perfettamente orizzontali e sono provvisti nella loro porzione anteriore di un processo laminare inferiore che venendo a con- tatto col suo omonimo del lato opposto e con parte dell’etmoide mediano forma in rapporto alla porzione anteriore del cranio MORFOLOGIA DEL CRANIO ECC. 105 una cavità nella quale sono accolti i processi montanti dei pre- mascellari. Gli etmoidi laterali (Fig. 1, 2. Eth.l.) sono bene svilup- pati e presentano nel Trachinus tre robuste spine, delle quali due posteriori più sviluppate ed aguzze ed una anteriore più piccola ed ottusa. Tra gli etmoidi laterali trovasi 1’ etmoide mediano (fig. 1, 2, Eth. m.) provvisto in parte di cartilagine. Fig. 2. Cranio di Uranoscopus scaber dal di sopra (grandezza naturale). O.s. = Occipitale superiore; Pt.ot. = Pterotico; Fr. = Frontale; Eth.l. — Et- moide laterale; Vom. = Vomere ; Eth.m. = Etmoide mediano; Sph.ot. = Sfenotico; Par. = Parietale; Ep.ot. = Epiotico. Esistono nel Trachinus tre ossicini periorbitali esili, disposti al margine inferiore dell’orbita; il secondo di tali ossicini pre- senta internamente una lamina disposta orizzontalmente, che sostiene il globo oculare ; il terzo, cioè quello in rapporto al- l’etmoide laterale, è provvisto di una piccola spina rivolta in basso. Nell’Uranoscopus i suborbitali formano una grande piastra la quale si estende molto anche in basso. Il margine superiore di tale piastra è internamente provvisto di un orlo relativamente spesso, disposto orizzontalmente a guisa di ala. Nello scheletro viscerale distinguiamo le seguenti ossa: L’iomandibolare è robusto in ambedue le forme e costituito da una porzione superiore più allargata che si articola al cranio e di una inferiore ristretta. A questa segue un simplettico bene sviluppato che va ad inserirsi con la sua porzione inferiore tra il quadrato ed il suo processo. Il quadrato presenta una forma 106 FELICE SUPINO presso a poco triangolare, è robusto e provvisto posteriormente di un processo osseo bene sviluppato. Il metapterigoide e l’ecto- pterigoide sono bene sviluppati in ambedue le forme e questo è nel Trachinus provvisto di denti; l’entopterigoide è bene sviluppato nel Trachinus, non così nell’ Uranoscopus dove si presenta molto ridotto. Il palatino è in ambedue le forme prov- visto di denti. I premascellari ed i mascellari sono bene sviluppati. I primi portano denti ed hanno un processo montante relativamente corto; tra questi trovasi un pezzo scheletrico cartilagineo. Nella man- dibola riscontriamo un angolare, che è nel Trachinus piuttosto piccolo mentre nell’ Uranoscopus è molto sviluppato; un arti- colare ed un dentale bene sviluppati in ambedue le forme. Quest'ultimo è provvisto di denti numerosi e fini nel Trachinus, rari ma robusti nell’Uranoscopus. Alla faccia interna dell’arti- colare e dentale trovasi la cartilagine di Meckel bene svi- luppata in ambedue le forme. L’opercolo è grande e nel Trachinus porta superiormente e rivolta all'indietro una robusta spina. Al margine inferiore dell’ opercolo trovasi il subopercolo esile nel Trachinus, più spesso ma meno esteso nell’ Uranoscopus, nel quale esso è prov- visto di una robusta spina rivolta in basso. Il preopercolo è robusto, specie nell’ Uranoscopus, nel quale è provvisto al suo margine inferiore di quattro robuste spine, nel Trachinus ha al suo margine esterno 5 spine piccole di cui la mediana è più sviluppata delle altre. Nelle forme giovani tali spine sono in proporzione più sviluppate che nelle adulte. L’ interopercolo è un osso laminare bene sviluppato. Ciascuna arcata ioidea consta dell’ipoiale, ceratoiale, epiiale, stiloiale. Nell’ Uranoscopus l’ipoiale si presenta più esteso in rapporto alla sua unione col ceratoiale, in modo che i due ipo- iali di destra e di sinistra venendo tra loro a contatto sulla linea mediana, determinano inferiormente una cavità a forma di V rovesciato. Il ceratoiale è nell’ Uranoscopus molto esteso, formando una sorta di processo che si estende in basso là dove esso si unisce all’epiiale. Questo è meno esteso del ceratoiale. Gli stiloiali od interiali sono piccoli a forma di bastoncello. Tanto il Trachinus che l’ Uranoscopus hanno sei raggi branchiostegi. Gli archi branchiali sono in numero di 5 paia, l’ ultimo delle MORFOLOGIA DEL CRANIO ECC. 107 quali è corto, formato dal solo ceratobranchiale e provvisto in ambedue le. forme di una piastrina irta di denti. Anche i farin- gobranchiali portano denti. Se noi diamo uno sguardo generale ai due crani di Tra- chinus ed Uranoscopus, vediamo subito che esistono fra loro grandi differenze. Il cranio di Trachinus è allungato; le sue ossa sono poco robuste e si presenta in rapporto alla regione orbitale curvato in basso. Nell’Uranoscopus il cranio è costi- tuito di ossa robuste; si presenta piuttosto corto e tozzo ed in tutta la sua lunghezza appiattito ed orizzontale. Le differenze tra le varie ossa del cranio del Trachinus e dell’ Uranoscopus, appariscono dalla descrizione più sopra data, qui dirò solo che la cartilagine è in ambedue le forme molto scarsa e può dirsi ridotta solo alla regione etmoidale, in rapporto all’etmoide me- diano. Nello scheletro viscerale la cartilagine è pure scarsa; se ne riscontra un’esile listarella tra il metapterigoide ed il qua- drato ed in rapporto ai premascellari dove trovasi la cartila- gine rostrale. Nell’ apparecchio branchiale e ioideo la cartilagine è scarsa e si trova solo in poca quantità nelle linee di confine tra i vari pezzi costituenti le arcate branchiali e ioidee. È interessante il confronto tra il cranio delle forme adulte e quello dei giovani specialmente nell’Uranoscopus. Gli esemplari più piccoli di Trachinus che ho potuto avere sono della lunghezza totale di mm. 25. Il cranio di questi gio- vani confrontato con quello degli adulti non presenta differenze notevoli; solo che la porzione orbitale dei frontali è talmente ristretta che esaminando uno di questi pesciolini così superfi- cialmente si vede che quasi manca uno spazio interorbitale e che le due orbite vengono al loro margine superiore a contatto fra loro per buona parte, ciò che è dovuto anche al fatto che gli occhi hanno una direzione obliqua. Il preopercolo è armato di 5 spine che qui, contrariamente a quanto dice Emery (') per la forma giovanile di Trachinus da lui studiata, non scompaiono nell’adulto ma si presentano relativamente più piccole e non (1) Emery. — Contribuzioni all’ittiologia. Mittheil, Zool. Stat. Neapel. Bd. VII, 1886. 108 FELICE SUPINO sono visibili all’esterno perche ricoperte di una membranella. Un’ altra differenza esteriore si rileva nel colorito del tegu- mento; nei giovani esistono delle macchiettine che negli esem- plari più grandi si ordinano in serie fino a formare negli adulti le caratteristiche linee dirette in senso dorso ventrale e un po’ oblique all'indietro. Il confronto dei giovani Uranoscopus con gli adulti è più interessante poichè esistono differenze abbastanza notevoli. Anche dell’ Uranoscopus gli esemplari più piccoli che ho potuto avere sono della lunghezza totale di 24 mm.,e del resto l’avere forme piccole è cosa tutt'altro che frequente. Noi sappiamo che allo stato adulto l'Uranoscopus è un ani- male sedentario; esso se ne sta nascosto nella sabbia dalla quale è quasi interamente coperto e là attende ed attira la preda per mezzo della sua appendice vermiforme situata al bordo anteriore interno della mascella inferiore, appendice che ha tutto l’aspetto di un vermiciattolo. Gli occhi sono collocati dorsalmente e guardano all’insù, donde il nome di Uranoscopus, appunto allo scopo, come osserva anche Facciolà (*), di poter osservare la preda e quanto avviene al di sopra, pur rimanendo quasi completamente nascosto nella sabbia. Lo squarcio boccale è ampio, la mascella inferiore sporge in modo che la bocca costituisce nel suo insieme una sorta di trabocchetto nel quale la preda viene attirata da quell’ appendice sopra ricordata e che viene scambiata per un vermiciattolo. La testa dell’ Urano- scopus è fortemente appiattita e così pure la porzione anteriore del tronco e ciò in rapporto al genere di vita suesposto che l’animale conduce (fig. 5 . Nelle forme larvali, come si vede dalle figure del Raffaele (?) sulla larva di Uranoscopus, gli occhi sono assolutamenta late- rali. Nei giovani da me osservati (fig. 3, 4), gli occhi sono pure laterali, quantunque qui si noti già una tendenza al loro spo- stamento in alto. Con tutto ciò essi possono dirsi ancora late- rali e certamente c'è una notevole differenza tra la posizione degli occhi nei giovani e nell’ adulto, come apparisce chiaro anche dalle figure 3, 4, 5. I giovani Uranoscopus fanno vita (1) FaccroLàì. — Di aleune disposizioni organiche dell’ Uranoseopus scaber in rapporto al suo istinto. Atti See. Naturalisti Modena S. III, Vol. I. A. XVI, 1883. (2) RAFFAELE. — Loc. cit. MORFOLOGIA DEL CRANIO ECC. 109 pelagica; la loro testa non è appiattita come nell’ adulto, ma forma una curva abbastanza sentita, curva che si riscontra anche nella porzione anteriore del tronco, per cui nell’ insieme il corpo di questi giovani, apparisce meno tozzo che negli adulti, ed arrotondato. Lo squarcio boccale è obliquo. Fig. 3. Giovane Uranoscopus scaber visto di lato (ingrandito 2 volte). Fig. 4. Giovane Uranoscopus seaber visto di fronte (ingrandito 2 volte). Fig. 5. Uranoscopus scaber visto di fronte (grandezza naturale). Abbiamo già detto a proposito della descrizione del cranio dell’Uranoscopus adulto, che questo si presenta appiattito e che la porzione orbitale del frontale è perfettamente orizzontale e superiormente ristretta, mentre si estende in basso per mezzo di una porzione verticale che si unisce all’ omonima del lato opposto. Le condizioni sono ben diverse nei giovani Uranoscopus (fig. 6), nei quali in rapporto al fatto suaccennato che gli occhi sono laterali, la porzione orbitale del frontale oltre all’ essere curvata'in basso, presenta una vera ala con un orlo orbitale molto sentito, in modo che l’occhio trovasi superiormente del tutto riparato da quest’ orlo il quale forma un semicerchio e 110 FELICE SUPINO coi sottorbitali un anello completo e regolare. La larghezza della porzione anteriore dei frontali è relativamente assai più svi- luppata nelle forme giovani che nell’ adulto e questa larghezza, come pure la configurazione generale della porzione orbitale del frontale, va riducendosi e modificandosi via via che dalle forme giovani passiamo alle adulte, finchè si hanno le condi- zioni più sopra descritte e rappresentate nella fig. 2. Ecco come l'adattamento ha potuto far si che gli occhi da laterali dive- nissero superiori e come conseguentemente anche le parti sche- letriche si sieno modificate. Fig. 6. Cranio di giovane Uranoscopus seaber dal di sopra (ingrandito 4 volte). O.s. = Occipitale superiore; Pt.ot. = Pterotico; Fr. = Frontale; Eth.l. = Et- moide laterale; Eth.m. = Etmoide mediano; Sph.ot, = Sfenotico ; Par. = Parietale; Ep.ot. = Epiotico. Il genere di vita che conducono i Trachinidi e gli Urano- scopidi è molto simile; i Trachinidi, come ho già accennato, sono pesci essenzialmente di fondo e vivono presso le coste sabbiose, stando nascosti sotto la sabbia. Anche gli Uranoscopidi stanno infossati nella sabbia, ma i movimenti dei primi sono certa- mente maggiori dei movimenti dei secondi. Secondo Day, come riferisce Gill (*), i Trachinidi nell’ acquario di Westminster non mostrano nessun desiderio di nascondersi e per quanto dice Briot, essi stanno qualche volta nell’ acquario sul fianco con l’opercolo all’insù e la spina quasi verticale. Gill però aggiunge che può essere che in questi due casi, la sabbia fosse poco adatta ed io stesso ho osservato nell’Acquario di Milano che a (1) GiLL. — Life histories of. Toadfishes (Batrachoidids), compared with those of Weevers (Trachinids) and Stargazers (Uranoscopids). Smiths. Mise. Collections, Vol. 48. ee MORFOLOGIA DEL CRANIO ECC, gl seconda della compattezza o della quantità della sabbia vi si nascondono o meno, ma sicuramente il loro moto istintivo è quello di approfondarsi nella sabbia. I Trachinidi, data anche la forma del corpo meno tozza, nuotano meno pesantemente degli Uranoscopidi ed i loro movimenti sono certamente più attivi; essi si abituano prestissimo, appena messi nell’acquario, a nuotare verso la superficie appena si getti nella vasca un po’ di cibo. Lo squarcio boccale è molto obliquo e negli Uranosco- pidi quasi del tutto verticale, ciò che è dovuto allo spostamento in avanti specialmente dell’osso simplettico che invece di unirsi per tutto il suo lato superiore all’iomandibolare, si unisce solo pel suo angolo interno avendo subìto appunto uno spostamento in avanti. Gli occhi dell’ Uranoscopus sono, come abbiamo già detto, posti superiormente; quelli del Trachinus sono laterali un po’ rivolti all’ insù ed hanno uno splendore metallico di color verde bluastro. Vi è chi ritiene che gli occhi di questi animali possano servire ad attirare la preda. pa _ bo FELICE SUPINO PEDICULATI Una forma interessante dal lato dell’ osteologia del cranio è il Lophius, e per le particolarità ch’esso a questo proposito presenta, ritengo utile descriverla come contributo alla cranio- logia comparata dei Teleostei. I Pediculati costituiscono una famiglia che comprende, con- siderando soltanto le forme nostrane, il solo genere Lophius. Questi animali sono assai strani sia per la loro forma, sia per il loro istinto predatorio che ha una certa analogia con quello presentato dagli Uranoscopus. Nei nostri mari si riscontrano solo due specie; il Lophius piscatorius L. ed il L. budegassa Spin. Io ho preso a studiare il Lophius piscatorius. Il Lophius vive esso pure sul fondo e attira la preda agi- tando un’appendice che si trova all’apice del primo raggio della pinna dorsale, raggio che è spostato in avanti verso l’a- pice del muso. Anche gli altri due raggi che costituiscono la parte cefalica della pinna dorsale, sono isolati e concorrono coi loro movimenti ad attirare la preda (fili pescatori). La testa è fortemente schiacciata, la bocca è ampia e con la mascella su- periore assai più corta dell’inferiore, e gli occhi, dato il genere di vita che questi animali conducono, sono collocati, analoga- mente a quanto si riscontra negli Uranoscopus, alla parte dor- sale della testa e guardano in alto. Nei giovani però gli occhi sono laterali. Il cranio dell’ adulto è singolare per il suo aspetto generale e per la conformazione delle sue ossa. Vediamo brevemente come esse sono formate (fig. 7). Scheletro cefalico. Nella regione occipitale riscontriamo l’occipitale basilare molto esteso, posteriormente ristretto e con- formato a vertebra, il quale ai lati e superiormente si mette in rapporto con due ossa molto sviluppate che sono gli occi- pitali laterali. Questi formano la massima parte del forame oc- cipitale che è ampio, ovalare ; la base di detto foro è data dal basioccipitale. Esistono due condili occipitali bene sviluppati. L’occipitale superiore (fig. 7, O.s.) trovasi per il grande sviluppo degli epiotici, spostato in avanti. Quest’ osso, come del resto gli epiotici, sono stati per le particolarità che presentano oggetto MORFOLOGIA DEL CRANIO ECC. alto di discussione, ma come osserva giustamente anche Briihl (!) queste ossa vanno interpretate come un occipitale o parte del- l’occipitale superiore ossificato spostato e come epiotici molto estesi. Gli epiotici (fig. 7 Ep. ot.) si trovano collocati al di sopra degli occipitali laterali, e si estendono molto alla faccia supe- riore del cranio dove vengono fra loro a contatto sulla linea mediana. Essi perciò confinerebbero inferiormente con gli occi- pitali laterali, anteriormente con l’occipitale superiore ed i parietali, lateralmente con gli pterotici. Gli pterotici (fig. 7 Pt. ot.), sono relativamente poco estesi. Nella fig. 7 si vede al di Fig. 7. Cranio di Lophius piscatorius dal di sopra (grandezza naturale). Le parti trateggiate indicano la cartilagine. Ep.ot. = Epiotico; O.s. = Occipitale superiore; S. sc. — Soprascapolare’ Pt.ot. = Pterotico; Mt.pt. = Metapterigoide; Ent.pt. = Entopterigoide; Mx. = Ma- scellare; Pmx. = Premascellare; Pal. — Palatino; Eth.l. -- Etmoide laterale; D. = Dentale; Art. = Articolare; Q. = Quadrato; In.op. = Interopercolo; Pr.op.= Propercolo ; Sy. = Simplettico; Hym. = Iomandibolare; Op. = Opercolo; Sb.op. = Subopercolo ; Sph.ot. = Sfenotico ; Fr. = Frontale; Par. = Parietale. (1) Briiat. — Zur Osteologie der Knochenfische, Friedlander. Berlin 1887. 114 FELICE SUPINO dietro dello pterotico, un piccolo osso di forma triangolare, appuntito posteriormente (fig. 7, S.sc.). Esso, come dice giusta- mente Siebenrock (*) contrariamente all'opinione di vari autori, va considerato come una soprascapolare, e fa parte perciò del cinto toracico. Gli sfenotici (fig. 7 Sph. Ot.) sono pure pic- coli e concorrono con gli pterotici a formare le cavità per l'articolazione dell’ iomandibolare al cranio. I prootici sono relativamente estesi e formano parte della faccia inferiore del cranio. Nella regione sfenoidale gli alisfenoidi sono piccoli; non ho trovato le ossa orbitosfenoidi e basisfenoide. É invece molto svi- luppato il parasfenoide che è provvisto di due espansioni laterali le quali superiormente si mettono in rapporto coi frontali. Poste- riormente il parasfenoide termina con due branche in rapporto al basioccipitale. Il vomere è molto esteso nella sua porzione ante- riore ed è provvisto di denti. I parietali (fig. 7 Par.) sono piccoli, situati ai lati dell’occipitale superiore e confinano posteriormente con gli epiotici; dal lato esterno con parte degli pterotici e con gli sfenotici; anteriormente coi frontali; dal lato interno con l’occipitale superiore che appunto vi passa in mezzo. I frontali (fig. 7 Fr.) sono molto sviluppati e provvisti al loro margine superiore ed esterno di punte più o meno robuste. Nella regione rinica troviamo gli etmoidi laterali (fig. 7 Eth. 1.) grandi, che vengono fra loro a contatto sulla linea mediana. Manca il mesetmoide. Una esilissima listarella cartilaginea interposta fra i due esetmoidi potrebbe forse interpretarsi come etmoide mediano; ad ogni modo una ossificazione mesetmoidale, manca del tutto. Scheletro viscerale. L’iomandibolare (fig. 7 Hym., consta di un osso formato da una porzione superiore allargata che si attacca al cranio, alla quale segue una porzione ristretta che si ad- dossa al preopercolo. Generalmente avviene che il simplettico è collocato subito dopo la porzione inferiore ristretta dell’io- mandibolare; nel Lophius invece questo pezzo si unisce alla base della porzione superiore allargata dell’ iomandibolare, in modo da esser collocato parallelamente all’iomandibolare stesso. Il simplettico (fig. 7, Sy.) è perciò molto lungo e va inferior- mente ad insinuarsi fra il quadrato ed il suo processo. (1) SIEBENROCK. — Uber die Verbindungsweise des Schultergurtels mit dem Schadel bei den Teleosteern. An. d. K. K. naturhistoriseh. Hofmuseums Bd. XVI, 1901. —- + MORFOLOGIA DEL CRANIO ECC. 115 Il quadrato (fig.7,Q.) è relativamente piccolo ed ha posterior- mente un processo molto sviluppato. Al di sotto della porzione superiore dell’iomandibolare e al davanti del simplettico, tro- vasi il metapterigoide (fig. 7, Mt.pt.) che è un osso laminare rela- tivamente bene sviluppato. L’ectopterigoide manca. L’entopte- rigoide (fig. 7, Ent. pt.) è bene sviluppato e trovasi al davanti del quadrato. All’entopterigoide segue il palatino (fig. 7, Pal.) ro- busto e provvisto di forti denti. .I premascellari (fig. 7, Pmx.) sono bene sviluppati e portano denti acuminati. Essi sono provvisti di un processo montante molto sviluppato al cui lato esterno trovasi un bastoncello carti- lagineo che poggia con la sua base in rapporto al mascellare. I mascellari (fig. 7 Mx.) sono robusti e più lunghi dei premascellari. La mascella inferiore consta di un robusto articolare (fig. 7, Art.) e di un dentale (fig. 7, D.) bene sviluppato, il quale è provvisto di denti acuminati. Anche la cartilagine di Meckel è bene sviluppata. L’opercolo (fig. 7, Op.) è un osso ristretto ed allungato, che superiormente e dal lato anteriore si unisce all’ioman- dibolare, dal lato posteriore è provvisto di un ossicino allungato e ristretto a guisa di filamento. Il subopercolo (fig. 7, Sb. op.), è robusto e provvisto di tubercoli e spine; il preopercolo (fig. 7, Pr. Op.) è ristretto e allungato e trovasi collocato, come abbiamo già detto, dietro all’ iomandibolare; Vinteropercolo (fig. 7, In. Op.) è piccolo, laminare. Nell’arcata ioidea gli ipoiali sono piccoli, i ceratoiali sono molto allungati, gli epiiali più corti e gli stiloiali piccolissimi a mo’ di bastoncello. Ciascuna arcata ioidea porta 6 raggi bran- chiostegi, sottili e molto lunghi. Gli archi branchiali sono in numero di 5 paia, l’ultimo delle quali è formato di un sol pezzo, il ceratoiale, corto, di forma appiattita e provvisto di una larga piastra con denti robusti ed acuminati. Denti simili si trovano anche sui faringobranchiali. ala Il cranio del Lophius piscatorius si presenta molto schiac- ciato, le mascelle sono divaricate e la mandibola è molto estesa. Per queste circostanze le ossa iomandibolari, quadrate e pte- rigoidee anzichè esser disposte come avviene di solito verti- calmente al di sotto del cranio, si presentano slargate in fuori 116 FELICE SUPINO e disposte quasi orizzontalmente rispetto al cranio, in modo che dal di sopra si possono vedere oltre le ossa del cranio anche quelle dello scheletro viscerale (fig. 7). Abbiamo già notato che l’occipitale superiore si trova spostato in avanti per l’enorme sviluppo degli epiotici i quali occupano anche la parte superiore del cranio e che si sono estesi fino a venire a contatto fra loro sulla linea mediana. È da notarsi anche che le ossa opercolari sono caratteristiche e non appariscono all’esterno, ma sono completamente ricoperte dalla pelle ; le aperture bran- chiali si trovano collocate alla base delle pettorali. Le ossa si presentano in generale esili, e la cartilagine è dappertutto abbondante. Debbo però dire che poichè io ho preso in esame esemplari di dimensioni pittosto piccole, perciò il va- lore della quantità di cartilagine non va preso qui in senso asso- luto. Ho trovato abbondante cartilagine in corrispondenza agli occipitali, agli epiotici, pterotici e sfenotici, alla porzione po- steriore dei frontali e molta nella regione etmoidale. Essa però trovasi quasi sempre racchiusa nell’osso ed appare all’esterno solo per tratti più o meno estesi, in rapporto alle linee di di- visione fra le varie ossa e alla regione etmoidale. Anche nello scheletro viscerale si trova abbondante carti- lagine in rapporto alla porzione superiore dell’iomandibolare e del simplettico, ed un largo tratto fra il metapterigoide ed il quadrato. Anche nei tratti di divisione e nell’interno delle estremità dei vari pezzi costituenti le arcate branchiali e ioidee, si trova abbondante cartilagine. Stazione di Biologia e di Idrobiologia applicata — Milano, Maggio 1908. Felice Supino I COSÌ DETTI PESCI ANTIMALARICI Van Dine (*) pubblicò nel 1907 una Nota sulla introduzione nelle isole Hawaii di alcuni pesci considerati come i naturali nemici delle zanzare. Infatti nello stomaco di questi pesci e specialmente delle Gambusie, furono trovate numerose uova e larve di zanzare, per cui si era da alcuni pensato di utilizzare queste forme per distruggere le zanzare e già in molti luoghi stranieri sì cerca di combattere la malaria appunto con tali pesci. Da noi non è si fatto finora niente a questo proposito, e fu in seguito al lavoro di Van Dine che S. M. il Re d’Italia ebbe la geniale idea di conoscere se tali pesci avrebbero potuto essere introdotti ed impiegati con successo da noi per la di- struzione dell’Anopheles, ed anche la Direzione generale della Sanità pubblica presso il Ministero dell’Interno, fa allevare per suo conto nella Stazione Zoologica di Napoli alcuni pesciolini dell'Australia (Pseudomugil signifer), che vengono ormai co- munemente denominati pesci antimalarici, allo scopo di speri- mentare ed eventualmente tentare di introdurre da noi questi pesci appunto come distruttori del terribile flagello della ma- laria. Poichè io ho potuto avere a mia disposizione alcuni esem- plari sia di Gambusia, sia di Pseudomugil, questi ultimi gen- tilmente donatimi dalla Direzione generale della Sanità, ho desiderato fare qualche piccolo esperimento in proposito. Debbo però dire che data la scarsità del materiale, tali esperimenti non possono naturalmente essere esaurienti; tuttavia credo utile dirne qualche cosa, vista l’importanza dell’argomento ed in (1) Van Dine. — The introduction of Top - Minnows (Natural Enemies of Mo- squitoes) into the Hawaiian Islands. Hawaii Agricultural Experiment Station, Ho- nolulu. Bul. N. 20, 1907. 118 FELICE SUPINO attesa che condizioni più favorevoli, possano farci allargare la portata degli esperimenti, i quali, a dir vero, piuttosto che in laboratorio, dovrebbero esser fatti in località malariche, avendo a disposizione abbondante materiale. E veniamo anzitutto alla parte sperimentale, riserbandomi di far poi alcune considerazioni d’indole generale. Dapprima ho provato a dare tanto alle Gambusie che agli Pseudomugil, larve e ninfe di zanzare e larve di vari altri insetti e specialmente di Chironomus. In questo caso ho sempre constatato che essi mangiavano le une e le altre indifferente- mente, senza mostrare a questo riguardo spiccate preferenze. Del resto si sapeva, ed era naturale, che tali pesci si cibano oltre che di larve di zanzare anche di larve di altri insetti, ma io non ho notato che essi preferissero le une piuttosto che le altre. Separati i pesci in tante vasche in modo che in ciascuna vi fosse un sol pesce e gettato in ognuna delle vasche un egual numero di larve di Chironomus e di larve e ninfe di zanzare, non ho notato che fossero mangiate prima le une o le altre in modo da far ritenere che i pesci avessero una preferenza o che mangiassero quelle di Chironomus solo quando mancavano quelle di zanzare. Ripetute in vario modo e tempo queste osservazioni, esse diedero sempre lo stesso resultato, talchè si può dire che tali pesci non solo non mangiano esclusivamente larve di zan- zare, ma sembra che non mostrino neppure una preferenza spic- cata per queste. Ho voluto provare se i nostri pesci si comportassero nello stesso modo e a tale scopo ho scelto quelle forme che sono più comuni, che hanno vitalità più resistente e che vivono in acque che poco si rinnovano, dove si possono trovare facilmente anche larve di zanzare, per cui avrebbero potuto essere impie- gate con vantaggio alla distruzione di queste. Così ho speri- mentato sopra tinche, gobi, piccole anguille ed altro. Il risul- tato è stato sempre costante ; tutti mangiavano egualmente larve di vari insetti comprese quelle di zanzare. Le anguille e spe- cialmente le tinche si mostravano le più voraci per le larve e le ninfe di zanzare. Anche con le uova di zanzare sono giunto a risultati simili. Io ho osservato che le Gambusie mangiano volentieri le uova, il che non avviene per gli Pseudomugil. Tra i pesci nostrani, le anguilline pare non gradiscano questo I COSÌ DETTI PESCI ANTIMALARICI 119 genere di cibo, ma ciò che è interessante si è che le tinche se ne mostrano ghiottissime e divorano quantità di uova di zanzare in breve tempo. Per quanto, ripeto, tali esperienze siano fatte su piccola scala e perciò non possano essere esaurienti, tuttavia mi pare si possa pensare che l’acclimatare e l’allevare da noi le forme americane e australiane, oltre a non portare utilità dal lato commerciale avendo tali pesci un valore quasi nullo dal punto di vista alimentare, non porterebbe gran vantaggio neppure nei riguardi della lotta contro le zanzare, poichè ritengo che molti dei nostri pesci, utili anche dal lato del loro valore alimentare, possano comportarsi in modo simile ai suddetti pesci esotici. Basterebbe perciò coltivare questi pesci nostrani che avrebbero il vantaggio di farci raggiungere un doppio scopo. Restano ora alcune considerazioni d’ indole generale circa la praticità della cosa per quanto concerne l'utilizzazione dei pesci nella lotta contro la malaria. Ho già accennato più sopra che in molti luoghi stranieri sì sono adoperati pesci come di- struttori di zanzare e si dice che anche nei riguardi della ma- laria essi abbiano apportato vantaggi. Da noi già il Terni (*) aveva proposto di rendere più at- tiva la piscicoltura sia a scopo di procurare un’ alimentazione buona ed a buon mercato, sia per la distruzione di larve e ninfe di zanzare che molti dei nostri pesci mangiano insieme ad altri insetti. L’idea può dirsi in tesi generale certamente buona e le esperienze sopra riferite provano che certi pesci particolarmente, mostrano una grande voracità non solo per le larve e le ninfe di zanzare, ma anche per le loro uova. Con tutto ciò per quanto riguarda la lotta contro la malaria, dubito si possa con questo mezzo giungere a risultati pratici e sicuri e veramente si ot- tenga la scomparsa di questo flagello. È noto che le zanzare malariche possono deporre le uova anche in quelle acque dove i pesci non troverebbero modo (1) TERNI. — La piscicoltura nella lotta contro la malaria. Atti congresso agrario nazionale tenutosi in Milano nei giorni 20-26 Maggio 1906. Soc. Agricoltori italiani, Roma 1906, 120 FELICE SUPINO di vivere. Egualmente può avvenire che in una vasca, in un pozzo, in una depressione anche occasionale del terreno, una buca scavata, od altro che si riempia per la pioggia od in qua- lunque altro modo, vengano depositate le uova e si sviluppino le zanzare. È naturale che in questi ed in casi simili non po- tranno trovarsi i pesci lì pronti a divorare le uova e le larve di zanzare. Gli Anopheles inoltre non depongono le uova che formano come nei Culex la ben nota barchetta, ma le loro nova galleg- giano orizzontali e in natura molto facilmente si sparpagliano, ciò che permette loro di poter sfuggire ai loro nemici. Questo può spiegare perchè esse, a differenza di quanto avviene per i Culex, possano trovarsi abbondanti anche là dove esistono nu- merosi pesci. Si potrà dire che se questa distruzione non potrà avvenire dappertutto, avverrà in qualche luogo e che se le uova o le larve saranno distrutte anche solo in una certa quantità, sarà tanto di guadagnato. E certamente questo è vero. Ma basta conoscere il modo di propagarsi della malaria, per comprendere subito come sia lecito dubitare che questa distruzione di larve di zanzare per quanto grande, possa portare a risultati vera- mente pratici. Noi ritorniamo alla solita quistione dibattutasi anche alcuni anni fa. Distruggere completamente gli Anopheles è cosa quasi impossibile; è molto più semplice curare l’uomo ammalato coi mezzi che ci hanno suggeriti i recenti studi; il problema malarico potrà in tal modo esser risolto. In ogni modo ritengo che senza ricorrere a pesci esotici, la cui introduzione deve esser fatta sempre con grande cautela, molti dei pesci nostrani potrebbero essere impiegati come mezzo sussidiario, nella lotta contro la malaria e che convenga perciò sperimen- tare su larga scala anche con questi. Stazione di Biologia e di Idrobiologia applicata — Milano, Giugno 1908. Ing. Dott. L. Maddalena STUDIO PETROGRAFICO DEI BASALTI DELLE BRAGONZE NEL VICENTINO = See Il pittoresco gruppo di colline delle Bragonze o Bergonze si eleva a S. dell’altipiano dei Sette Comuni tra la base di esso e la pianura, di fronte alla cittadina di Thiene. L’Astico che prima sboccava nel piano tra Rocchette e Chiuppano, si è poi aperta la via, per un fenomeno di cattura, tra le colline pedemontane di Calvene, Lugo e queste delle Bragonze, scavandosi una valle stretta, profonda e in qualche punto veramente selvaggia. La massima altezza di questo rilievo è di m. 421 s. 1. d. m. (M. Costone): il livello della pianura circostante oscilla tra 240 (Chiuppano) e 150 (Zugliano). Eccetto una zolla di calcare oligocenico che a guisa di nastro si svolge per quasi due Km. dall’Astico di Chiuppano fino a Sangonini, e un’altra di calcare miocenico di Schio, a Zugliano e Grumulo, tutto il resto delle Bragonze è formato da basalti, tufi e brecciole basaltiche (’). La roccia basaltica si trova raramente in filoni, ma per lo più in colate ed è quasi sempre accompagnata da tufi più o meno regolarmente stratificati: la loro colorazione è svariatis- sima; ve ne sono di grigi, di gialli limonitici e di rossicci amigdalari. Il tipo dei basalti è assai variabile: ve ne sono di neri e compatti ora senza interclusi, ora con grossi elementi olivinici e pirossenici; altri sono di un color grigio scuro, in qualche località compattissimi, in altre tutti bollosi; altri infine hanno (1) P. PATRINI. — Studio geologico delle Colline di Chiuppano. Rendiconti del R. Ist. Lom. S. II, Vol. XXXV 1902. 122 L. MADDALENA un color grigio cosi chiaro ed una struttura tale che si direb- bero tufi o basalti molto alterati e invece sono veri basalti freschissimi, però molto poveri di pirosseno; anche questi ora sono zeppi di cavità ed ora compatti. Ecco i risultati delle studio microscopico dei numerosi cam- pioni raccolti nella campagna geologica del 1907: 4. — La roccia si trova in forma di colata presso la con- trada Chiovetti a N. E. di Grumolo. A primo vederla si direbbe che è un tufo: si presenta come una massa grigia-verdognola, bollosa, colle cavità, che arrivano fino al diametro di 1 em., rivestite di una sostanza giallognola forse dovuta a prodotti di alterazione. Nella massa si osservano numerosi punti gialli rossicci che sono piccole olivine alterate: qualche cristallo raggiunge anche la lunghezza di 1 cm. e mostra ai bordi un contorno iddingsitico di 1 mm. e internamente serpentino verde. Al microscopio la roccia presenta una struttura porfirica ipocristallina intersertale. L’olivina soltanto si presenta come intercluso: è abbondan- tissima e idiomorfa; si trova per lo più in cristalli a contorno abbastanza netto e talora in granuli. Essa è tutta e completamente trasformata in iddingsite; ne presenta il bel colore giallo arancione. Sono abbastanza frequenti i geminati a 61°. Le inclusioni sono costituite solo da granuletti di magnetite. L’augite è presente in una sola generazione, nella pasta, ed è in quantità minima in proporzione agli altri elementi che costituiscono la roccia, cosicchè al microscopio, anche a leggero ingrandimento, si ha talora l’intero campo privo di augite. Essa è incolora, in granuli per lo più allotriomorfi assai piccoli e riuniti in gruppetti di parecchi: talora formano anche dei veri microliti. Certi granuli che si trovano in mezzo ai feldspati sono idiomorfi. Negli elementi più grossi si osservano inclusioni di vetro e di magnetite, ma in complesso sono assai rare. Il feldspato, assai abbondante e freschissimo, è un plagio- clasio in listerelle presso a poco tutte delle medesime dimen- sioni, diversamente orientate. Assai numerosi sono i geminati secondo la legge dell’ al- bite, più rari quelli secondo le leggi combinate albite-Carlsbad. La media delle estinzioni simmetriche sulla zona normale a 010 è di 30°, il che parla per una labradorite piuttosto basica. Le STUDIO PETROGRAFICO DEI BASALTI ECC. 123 osservazioni su tre geminati albite-Carlsbad diedero i seguenti valori coniugati: Ee 35° 14° 30° 9° 980 a cui corrispondono nelle tavole di Michel-Lévy le seguenti miscele; i Ati ADEs Ang, Ab,, Anjz Abby: L’indice di rifrazione è sempre nettamente superiore a 60 quello del balsamo. La sostanza feldspatica è perfettamente limpida : come inclusioni si osservano solo degli aggregati granulari minutissimi che sembrano riferibili a devetriticazione della mesostasi. Abbastanza abbondante è la magnetite in granuli a con- torni netti in sezione quadrata o triangolare o in forme allun- gate. Vi è anche qualche granulo di ilmenite che mostra per riflessione la caratteristica lucentezza metallica. I prismetti di apatite sono rarissimi. Tra gli elementi descritti e specialmente negli spazi ango- losi compresi tra le listerelle di plagioclasio si annida una mesostasi che a nicols incrociati si rivela come un aggregato di minutissimi individui feldspatici, granuletti di augite ed una base vitrea incolora in parte devetrificata con formazione di globuliti. Dentro la roccia descritta si osservano spesso delle masse sferiche od ovoidali di svariate dimensioni (da un decimetro fin quasi un metro di diametro). Spezzandole si osserva che hanno come una corteccia assai compatta dello spessore di 3 cm., per le più grosse, e internamente si trova la roccia stessa includente. Al microscopio la zona periferica mostra la stessa compo- sizione mineralogica della roccia prima studiata, soltanto l’au- gite, pur essendo presente in una sola generazione, cioè come cristallini e granuli nella pasta fondamentale, è assai più abbon- dante che in quella: d’altra parte l’iddingsite è per lo più trasformata in serpentino: generalmente l’alterazione è inco- minciata ai bordi, cosicchè i cristalli mostrano un nucleo cen- trale di iddingsite, ma qualche volta questa si trova alla peri- feria e nel mezzo c'è il serpentino; talora poi la trasformazione 124 L. MADDALENA è cominciata contemporaneamente ai bordi e lungo le serepo- lature interne del cristallo dando l’ aspetto caratteristico della olivina alterata con struttura a maglie. Gli altri elementi sono identici a quelli della roccia includente. Altri interclusi hanno l’aspetto di veri ciottoli basaltici arrotondati, non superano come dimensione massima i 20 cm. . e spesso sono assai più piccoli e costituiti di una roccia nera a pasta uniforme e compattissima. Al microscopio essa presenta la medesima composizione della roccia includente, solo i vari elementi sono più piccoli e la pasta si mostra quindi assai più compatta. Gli interclusi di olivina sono trasformati parte in iddingsite e parte in serpentino e ossidi. Le numerose lamelle di feldspato sono limpidissime e disposte talora fluidalmente: nelle sezioni non ho trovato gemi- nati secondo le leggi combinate albite-Carlsbad, ma per le lamelle della zona normale a 010 le estinzioni simmetriche non superano i 31°; si tratterebbe quindi di labradorite piuttosto basica: l’indice di rifrazione è anche qui notevolmente supe- riore a quello del balsamo. L’augite è assai più abbondante che nella roccia includente; per lo più si trova in granuletti infinitamente piccoli, veri microliti piantati ai fianchi delle lamelle di feldspato unitamente ai granuli e cristallini di ma- gnetite che sono numerosissimi. Abbondanti sono pure i pri- smetti di apatite per lo più come interclusi nei feldspati. Questa differenza di struttura farebbe pensare ad un inter- cluso omeogeno, ma la sezione di un altro intercluso raccolto presso l’antica chiesetta di S. Biagio presenta tutti i caratteri precisi della roccia includende pur mostrandosi nettamente distinto da essa per la durezza molto maggiore, il colore più oscuro e i contorni arrotondati. Io credo trattarsi di interclusi anallogeni dovuti ad una roccia preesistente attraverso la quale ebbe luogo una nuova eruzione di un magma della medesima composizione e nelle identiche condizioni, il quale trascinò con sé elementi della prima eruzione. La roccia descritta al N. 1 è accompagnata da veri tufi- stratificati talora violacei, ma per lo più rossi, che si presentano spesso in forma di arnioni. Ad occhio nudo si mostrano così uniformi e compatti da sembrare marne argillose: sono così teneri che colle mani si sgranano facilmente e sono allappanti. STUDIO PETROGRAFICO DEI BASALTT ECC. 125 Guardando colla lente sembra trattarsi di una arenaria minu- tissima: non si distingue che qualche cristallo arrotondato di plagioclasio e pochi di olivina alterata. Al microscopio si vede un massa isotropa, semitrasparente, giallo-rossiccia, che è la materia cementante e risulta composta di ossidi di ferro oscuri o giallognoli e di sostanze siliceo-argillose. In questa si trovano come interclusi cristalli o meglio brandelli di cristalli degli elementi costitutivi del basalto: augiti, plagioclasi, olivine e solo eccezionalmente magnetite. 2. — Sotto alla chiesa di S. Biagio continua la roccia grigia, bollosa, di aspetto tufaceo: il torrentello che scorre poco a Sud in una profonda valletta, ha messo a nudo una colata di basalto nero, di una durezza straordinaria e così compatto che nemmeno colla lente si possono distinguere interclusi. Al microscopio la roccia si mostra composta dei medesimi elementi della precedente, ma la struttura è alquanto diversa: come interclusi, le cui dimensioni non superano 0,2 mm., si ha tutta l’olivina che è completamente trasformata in ser- pentino verdognolo con qualche macchia gialla di ossido di ferro, e qualche augite fresca, incolora. La pasta fondamentale è costituita specialmente da plagioclasio il quale solo in parte si presenta in lamelle con geminazione secondo la legge del- l’albite, e in parte in masse irregolari che riempiono gli spazi compresi tra i cristalli idiomorfi degli altri elementi. Non trovai alcun geminato albite-Carlsbad: le estinzioni simmetriche mi diedero valori che fanno riferire anche questo feldspato alla labradorite basica. Per maggior sicurezza ne separai qualche lamella ed esaminando quelle di sfaldature secondo } O10 ! e } 001 { in liquidi a indice di rifrazione conosciuto ‘') ottenni come valore medio 1,560, il quale conferma il risultato prece- dente. L’augite di seconda generazione è abbondantissima in forma di veri microliti perfettamente limpidi, di abito prisma- tico; abbondano pure individui microlitici tozzi di aspetto granulare. Anche la magnetite è frequente in granuli cristal lini. Nella sezione ho osservato qualche concentrazione di piros- seno ed un intercluso anallogeno di quarzo coi bordi arrotondati: (1) Gli indici di rifrazione dei liquidi, sia per queste osservazioni come per quelle descritte in seguito, vennero determinate volta per volta prima dell’ espe- rienza, con un refrattometro Pulfrich. 126 I. MADDALENA 3. — Passando oltre la valletta e seguendo la strada che conduce alla chiesa di Grumolo, si ritrova la roccia di aspetto tufaceo e in essa un bellissimo filone verticale della potenza di un metro: questo presenta una struttura afanitica e un colore grigio-nerastro omogeneo. Colla lente non si distinguono inter- clusi: questi si rilevano al microscopio e sono solo di olivina serpentinizzata, numerosissimi e presso a poco tutti di eguali dimensioni (0,1 mm.): pochi conservano i contorni cristallini, per lo più hanno l'aspetto di aggregati granulari. Il serpentino è generalmente di un colore giallo verdiccio: talora però ha delle plaghe nettamente distinte di color verde carico. Nella massa fondamentale predominano le lamelle di pla- gioclasio a contorni per lo più nettamente idiomorfi, con strut- tura fluidale attorno agli interclusi olivinici: le estinzioni sim- metriche sulla zona normale a 010 danno una media di circa 30°: un geminato secondo la legge albite-Carlsbad diede come valori coniugati: i do. 39° che corrispondono alla miscela An,, Ab,,. Anche qui si tratta dunque di una labradorite basica. L’augite abbonda in gra- nuli incolori, spesso disposti a gruppi tra le listerelle di pla- gioclasio. Poca la magnetite talora in grossi cristalli a contorni regolari, disposti attorno alle masse serpentinose mostrando di derivare dalla alterazione delle olivine. Interessante è la pre- senza di una notevole quantità di ilmenite, freschissima, opaca, nera, a riflesso metallico leggermente violetto: si osserva in scheletri cristallini a simmetria trigonale e in listerelle irre- golari. L’apatite si vede raramente in lunghi cristalli esagonali inclusa indifferentemente in tutti gli elementi della roccia. 4. — Lungo la strada che dalla casa Castello sopra San Biagio conduce verso il M. Rua si ha una grande colata ba- saltica: la roccia ha un colore nero-verdastro; la grana non è così minuta come nelle precedenti, ma si distinguono ad occhio nudo lamelle lucenti di feldspato (fino di 1 mm. di lunghezza) ed altre di aspetto micaceo e colore rossiccio che sono di iddingsite. Al microscopio si osserva una struttura intersertale. Pre- domina il plagioclasio in listerelle fresche e limpidissime tutte di eguali dimensioni (circa 1 mm.). I geminati polisintetici STUDIO PETROGRAFICO DEI BASALTI ECC. 127 secondo la legge dell’albite hanno delle estinzioni simmetriche la cui media non supera 28°, la labradorite è quindi meno basica che nelle roccie precedenti; questo è confermato anche dai valori coniugati osservati in due geminati albite-Carlsbad : 14° 32° cui corrisponde An., Ab,. 45 14° 36° ” ” An. Ab,, Le osservazioni, con liquidi a indice di rifrazione noto, sulle lamine di sfaldatura secondo }010{ e }001{ confermarono nuovamente quei risultati. Il pirosseno è in grossi granuli incolori, per lo più allo- triomorfi. L’olivina in qualche sezione è poco abbondante, sovente ha perduto il suo idiomorfismo ed è completamente trasformata in serpentino verde fibroso-raggiato ; in altre invece abbonda, conserva i suoi contorni cristallini e talora presenta un nucleo centrale di iddingsite. In una sezione ho osservato una concentrazione (4 mm. di diametro) di grossi granuli di augite che sono screpolati e in parte impregnati di serpentino verde e lamelle di iddingsite, dovuti probabilmente ad inclusioni oliviniche alterate. La magnetite manca quasi completamente: si ha invece una discreta quantità di ilmenite freschissima. I prismetti di apatite sono assai comuni specialmente come interclusi nei feldspati. Una varietà della stessa roccia si trova salendo dalla chie- setta di S. Biagio alla casa Castello: l’aspetto ne è identico, soltanto questa presenta numerosissime cavità subrotonde le cui dimensioni variano da pochi decimi di mm. a un cm.: spesso sono vuote, ma talore riempite di calcite o di zeoliti. Al microscopio non si osservano diversità nella composi- zione e nella struttura, soltanto l'alterazione è più progredita cosicchè anche i granuli di augite si mostrano meno trasparenti per la presenza di un po’ di sostanza delessitica fioccosa bian- chiccia. Qua e là presso il serpentino si vede un po’ di vetro bruno. 5. — Nettamente distinta da quelle finora vedute è una roccia basaltica che occupa la zona compresa tra la chiesa di Grumulo e le prime case di Centrale: essa presenta una pasta compattissima, di un colore nero corvino, nella quale risaltano 128 i. MADDALENA numerosi interclusi di olivina (noduli) le cui dimensioni supe- rano talora qualche cm. Si vedono inolire, in minor quantita, delle lamelle lucenti di pirosseno la cui lunghezza non supera mai qualche cm. Al microscopio si osserva che manca completamente I’ ele- mento feldspatico. L’augite in tutti i suoi caratteri corrisponde alla augite basaltica: ha colore bruno pallido, stuttura zonata e a clepsidra; presenta le solite geminazioni; l’angolo di estin- zione è di 45°. Si trova in due generazioni, ma gli interclusi sono pochi e a contorni per lo più indeterminati: invece la pasta fondamentale è quasi completamente costituita da un aggregato compattissimo di lamelline prismatiche idiomorfe e granuletti di augite: in essa vi sono inoltre pochi cristalli di magnetite e poco vetro bruniccio trasparente. Gli interclusi di olivina sono numerosissimi e le loro dimen- sioni superano sempre il mezzo mm.: complessivamente sono idiomorfi; si osservano cristalli a contorni ben netti, freschi e incolori, e granuli alquanto arrotondati. Qualche volta lungo i bordi e le screpolature si ha un principio di serpentinizzazione. Si vedono raramente delle inclusioni e queste sono piccoli ottaedri neri, opachi, a spigoli arrotondati, che sono probabil- mente di magnetite. Questa roccia priva di feldspato, che si osserva per una estensione abbastanza considerevole, si può considerare come una grandiosa concentrazione di elementi basici dovuta a mo- vimenti magmatici durante il raffreddamento (Schlierigkeit der Magmen). 6. — Ad Ovest di Sangonini sopra alle marne tipo Castel- gomberto, abbiamo un bel basalto nero a grana piuttosto grossa: la roccia ha qualche intercluso di olivina (2 mm.) e numerose lamelle lucenti di plagioclasio. Al microscopio si osserva la più bella e caratteristica struttura intersertale. Il plagioclasio predomina in foma di liste freschissime idiomorfe: si hanno geminati secondo le leggi dell’albite e di Carlsbad, raramente secondo quella del peri- clino: non si tratta qui di vera labradorite, come nelle rocce finora esaminate, ma di una labradorite bytownitica, essendo la media delle estinzioni simmetriche sulle zone normali a {010}, di 34". Ciò è confermato dallo studio dei numerosi geminati STUDIO PETROGRAFICO DEI BASALTI ECC. 129 secondo le leggi combinate dell’ albite e di Carlsbad: noto fra gli altri i seguenti valori coniugati : Ich 40° che corrispondono alla miscela An,. Ab. bo 30 5° 40° ” ” ” Ang CAD, 13° 37° ” n ” An.) Ab,, 0 QR? ii 36 ” ” ” An, Ab,, L’augite è completamente allotriomorfa e in una sola ge- nerazione: essa si modella sul feldspato e forma quasi il cemento che ne riunisce le liste: è raro trovarne qualche plaga con contorni cristallini riconoscibili. Tale augite è incolora e trasparente; presenta talora delle inclusioni vetrose riunite in gruppetti. Benchè meno abbondante dei minerali finora descritti, l’olivina è assai frequente come intercluso, ma per lo più è trasformata in serpentino verde spesso con struttura fibroso raggiata: i pochi cristalli ancor freschi hanno numerose scre- polature ai bordi delle quali si osserva una lista di serpentino bruno. Manca la magnetite, si hanno invece poche listerelle di ilmenite fresca. L’apatite è scarsa e si vede solo come inter- cluso nei plagioclasi. Finalmente si ha anche un poca di mesostasi negli spazi cuneiformi compresi tra le liste di feldspato. 7. — Sopra il calcare a Nord di Sangonini, il basalto è notevolmente diverso dal precedente: è a grana finissima e molto compatto. Neppur colla lente si distinguono interclusi, i quali si vedono al microscopio ma sono assai piccoli (0,1 mm.): sono di olivina per lo più completamente trasformata in serpen- tino verdognolo, talora con un nucleo centrale ancor fresco. Nella massa fondamentale l'elemento predominante è la magnetite in minutissimi cristallini e granuletti a sezione qua- drata, esagona o triangolare, che tempestano la sezione: poi viene il plagioclasio, in lamelle e più sovente in masse irre- golari senza geminazione, che riempiono gli spazi tra gli altri elementi, come ultimo prodotto di solidificazione. Non ho trovato geminati di Carlsbad ed anche quelli dell’ albite sono così pochi che la determinazione del feldspato mediante le estinzioni simmetriche non è sicura: studiando gli indici di rifrazione con liquidi di indice noto ho trovato che sono compresi tra 1,554 e 1,560, il che prova che si tratta di una labradorite meno basica delle precedenti. 9 130 L. MADDALENA L’augite non è molto abbondante e si trova solo in micro- liti incolori sparsi uniformemente in tutta la massa. L’apatite come al solito si trova inclusa nei feldspati. 8. — Assai simile a questo, sia macro che microscopica- mente, è il basalto che in forma di grande colata si trova di fronte alla cartiera Nodari poco prima che la strada carrozzabile incontri i calcari miocenici di Zugliano. Soltanto il plagioclasio si trova di preferenza in lamelle piuttosto che in masse a contorni irregolari e con una certa disposizione fluidale. La estinzione simmetrica sulla zona normale a | 010} raggiunge 27°, mostrando che si tratta anche qui di una vera labradorite normale: mancano geminati di Carlsbad. L’augite si trova solo in microliti e in quantità ancor minore che nella roccia precedente, così che a debole ingrandi- mento la sua presenza non si può avvertire. Assai interessante è un intercluso omeogeno feldspatico di forma subrotonda (4 mm. di diametro). Esso è costituito da parecchi grossi elementi e da qualche granulo di minori dimen- sioni, tutti di plagioclasio; ma alcuni sono termini più ‘acidi (tra andesina e labradorite), altri più basici (tra labradorite e labradorite bytownitica). L’intercluso mostra un principio di riassorbimento magmatico. 9. — I campioni raccolti lungo la strada che dalla contrada Pan conduce a Chiuppano lungo il versante Nord del Monte Grumalto, sono di un basalto notevolmente diverso da quelli finora descritti. Osservato macroscpicamente si direbbe iden- tico, ma al microscopio si notano facilmente le differenze. L’augite è assai più abbondante che in tutte le altre roccie e non in una sola generazione, ma se ne vedono anche nume- rosi interclusi automorfi con contorni ben netti e di dimensioni considerevoli (3 mm.). Ha un colore bruno rossiccio molto pallido, con leggero pleocroismo. I cristalli si presentano tutti crepacciati e contengono numerose inclusioni di sostanza vitrea e magnetite; ho osservato anche qualche granulo di olivina e lamelle feldspatiche come interclusi. L’augite di seconda gene- razione è molto abbondante in granuli allotriomorfi: in qualche punto essi formano delle vere concentrazioni. Il plagioclasio è in quantità eguale del pirosseno; ha STUDIO PETROGRAFICO DEI BASALTI ECC. 131 quasi sempre forma di listerelle e disposizione fluidale. Due bellissimi geminati secondo le leggi combinate di albite e Carlsbad permettono di determinarle come una labradorite nor- male. Ecco i valori coniugati : 15° 32° che corrispondono a An,, Ab, 10° 24° ” ” » An,, Abj, L’olivina è abbastanza fresca in grossi cristalli e granuli che presentano solo un principio di serpentinizzazione; è però meno abbondante che nelle altre roccie descritte. I granuli e cristallini di magnetite sono assai numerosi; scarseggia invece l’apatite. Degna di nota è la presenza, specialmente negli spazi ango- losi compresi tra le liste di plagioclasio, di abbondanti lamelline bruno-violacee, trasparenti, isotrope, a lucentezza metallica, di ilmenite /¢itaneisenglimmer). Questo basalto è l’unico che si può dire identico a quelli delle vicine colline di Sarcedo descritti del Fabiani ('). 10. — Il basalto che si attraversa salendo da Centrale verso il M. Rua, è nero-grigio a grana minutissima e assai fresco al pari di tutti gli altri. Colla lente si distinguono a stento dei piccoli interclusi di iddingsite. Essa al microscopio si rileva molto abbondante come nella roccia descritta al N.1; ha perduto completamente i suoi contorni olivinici e si presenta in granuli e masse irregolari col suo colore caratteristico e con un leggero pleocroismo: ai bordi si vede un principio di serpentinizzazione. L’olivina fresca manca completamente. Il feldspato plagioclasio è l’ elemento predominante: si trova in sottili lamelle limpidissime, con un principio di disposizione fluidale. Le estinzioni simmetriche sulla zona normale a |010| che arrivano a 31° e i seguenti valori coniugati osservati per due Carlsbad: 19° 38° che corrispondono a An,, Ab, 13° 35° ” ” » Ang, Ab,, mostrano che si tratta nuovamente di una labradorite basica. Anche qui controllai il risultato esaminando gli indici di rifra- (1) R. Fagiani. — Sulla costituzione geologica delle colline di Sarcedo. Atti Ist. Ven. Tomo LXVI. Parte 2, 1907. 132 L. MADDALENA zione per le lamine di sfaldatura secondo {010} e {001} in li- quidi di indice noto. L’augite si trova solo in granuletti e cristallini spesso allotriomorfi tra le liste di plagioclasio. La magnetite è abbon- dante e l’apatite scarsa. Nel complesso la roccia si avvicina molto a quella descritta al N. 1: essa ha soltato una tessitura più compatta ed una maggiore quantità di pirosseno. Caratteri comuni: Eccetto uno, riferibile a Schlieren, gli altri basalti contengono tutti plagioclasio che pur essendo ora più ora meno basico, è sempre compreso nella serie delle labra- doriti: esso si trova sempre in una sola generazione nella pasta fondamentale, mai come intercluso. L’olivina non manca mai ed è presente presso a poco sempre nelle medesime considerevoli proporzioni. L’augite invece si trova in condizioni variabili: per lo più si ha in una sola generazione, quella del periodo effusivo, ma qualche tipo la contiene anche come intercluso. In una delle colate descritte essa è scarsissima e in qualche punto manca completamente. Io credo potersi concludere che tutte le rocce studiate sono forme diverse di un medesimo magma basaltico a plagioclasio con olivina: soltanto la prima descritta si differenzia dalle altre e si può classificare come un basalto iddingsitico normale povero di augite: il tipo privo di feldspato non è che la facies limbur- gitica dello stesso magma. Quanto all’epoca di eruzione essa è certamente posteriore ai calcari azzurri di Sangonini considerati oligocenici, poichè essi hanni subito una alterazione in prossimità della roccia eruttiva: hanno mutato colore assumendo una tinta rosso-gial- lastra e sono divenuti più teneri, così che si sgretolano facil- mente. Non ho potuto fissar bene i rapporti tra i basalti e gli strati miocenici, poichè causa i lavori agricoli il terreno è coperto e spostato così che non si possono fissar mai con pre- cisione i limiti delle varie formazioni. Però la mia impressione è che il calcare di Schio che af- fiora a Zugliano e a Grumolo sia stratificato sopra una colata STUDIO PETROGRAFICO DEI BASALTI ECC. 133 basaltica: ciò non escude però che nel gruppo vi sieno state delle eruzioni posteriori alla deposizione degli strati miocenici. Che l’attività vulcanica nelle Bragonze abbia avuto diverse riprese lo prova il fatto di aver rinvenuto in qualche colata come interclusi dei ciottoli basaltici di composizione pressochè identica alla roccia includente. Degno di menzione è il fatto che in alcuni punti delle Bragonze e specialmente nella valle dell'O, presso alla contrada Cerchiarola, di fronte a Lugo, si trovano delle enidri, chiamate comunemente opali: sono globetti di calcedonio internamente cavi, racchiudenti oltre a poca aria, anche una goccia d’acqua. La roccia in cui si trovano non è che un basalto amiddalare in via di decomposizione, il quale contiene nelle sue cellule, oltre al citato calcedonio, anche una steatite verdognola e della calcite. Le opali si estraggono facilmente intere quando l’alte- razione del basalto è molto avanzata: se invece la roccia è dura, si rompono mostrandosi tappezzate internamente di cri- stalli minutissimi di quarzo. Per il bell’effetto che produce il movimento dell’ acqua inclusavi, queste enidri vengon pulite e si montano come gioielli. Ma coll’andare del tempo perdono l’acqua per evapo- razione attraverso i pori del calcedonio. Dal Gabinetto Mineralogico della R. Università di Pavia, Maggio 1908. CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA DISTRIBUZIONE DEI NERVI E DELLE TERMINAZIONI NERVOSE DELLA MEMBRANA DEL TIMPANO 22 Nota preventiva del Prof. Dott. Agostino Gemelli dei Minori (') Ad onta delle insistenti ricerche compiute sin qui da pa- recchi studiosi sulla distribuzione dei nervi nella membrana del timpano e sui modi di terminazione che essi presentano, le nostre conoscenze sono su questo punto ben lungi dall’ essere complete. La ragione di questo fatto si può trovare in ciò che le difficoltà tecniche per la applicazione dei fini metodi di rea- zione proprî del sistema nervoso si sono dimostrate insormon- tabili a giudizio di quanti si sono occupati dell’ argomento. Avendo applicato questi metodi con quella particolare in- sistenza nella quale sta il segreto di riuscita di queste reazioni ancora infide, sono riuscito a stabilire alcuni fatti che mi sembra opportuno rendere di pubblica ragione riservandomi di trattarne con maggiore estensione nel lavoro completo alla preparazione del quale attendo. Le mie ricerche furono condotte sul gatto, sul cavallo, sul cane e su di una scimmia. Ho usato di preferenza del metodo di Golgi. Ad onta di ciò che fu detto da Deineka, da Wilson e da Jacques, io ritengo che questo metodo sia ancora quello che meglio si presta allo studio dei nervi e delle terminazioni nervose della membrana del timpano. Alcuni resultati ebbi con la colorazione vitale con il bleu di metilene. Applicai pure con buoni resultati i metodi di Cayal. Ecco quanto io ho potuto dimostrare : (1) GEMELLI. — Su? nervi e sulle terminazioni nervose della membrana del Timpano- Comunicazione alla Società Milanese di Medicina e Biologia, 15 aprile 1908, CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA DISTRIBUZIONE ECC, 135 I nervi della membrana del timpano vengono dati da rami del nervo auricolo-temporale del trigemino e in parte dal nervo di Jacobson del glossofaringeo. I nervi che vengono alla membrana del timpano si possono, come ha fatto giustamente notare Wilson, dividere in quelli che arrivano ad essa entrando nella regione della membrana flaccida passando sopra la plica anteriore e posteriore e in quelli che arrivano entrando per l'inserzione della membrana del tim- pano nel solco timpanico (limbus). In ambedue i casi i nervi entrano per mezzo del condotto uditivo, sono formati da fibre midollate e penetrano in diversi punti della membrana del timpano, parte raggiungendo lo strato fibroso e parte portandosi direttamente sullo strato cutaneo. Per procedere alla descrizione del modo di distribuzione nei nervi conviene però distinguere i nervi della pars flaccida da quelli della pars tensa, il comportamento dei quali è affatto diverso. I nervi che entrano nella pars flaccida contengono parec- chie fibre midollate. Seguono una direzione che va dall’ alto in basso, dirigendosi verso il manubrio. Da questi fascetti si se- parano alcune fibre che si addentrano sotto lo stato cuticulare, vanno a formare un fitto plesso che occupa lo strato medio della membrana e che possiamo denominare plesso fondamentale. Altre fibre invece passano sopra la plica anterior e posterior e vanno nella pars tensa. Ne seguiremo ulteriormente il decorso. Altre fibre vanno a dare, insieme con fibre provenienti dal plesso fondamentale, il plesso sottoepiteliale, dal quale si distaccano fibre numerose che vanno a terminare nello strato epiteliale. Infine vi hanno fibre che vanno a dare i plessi perivasali. Meno ricca di nervi è la pars tensa, sia per il fatto che non passano attraverso ad essa nervi diretti ad altre parti, sia per il fatto che sono minori di numero anche le terminazioni nervose. I nervi della pars tensa entrano per due vie: o vengono dal meato uditivo esterno, passando attraverso la membrana flaccida, e precisamente dalla parte supero-posteriore, seguendo il decorso della branca arteriosa del manico del martello, o pro- vengono dal meato uditivo esterno penetrando nella membrana per il limbus. Come ammettono tutti gli studiosi, vi hanno poi poche fibre che passano direttamente ad essa dalla cavità del timpano, 136 AGOSTINO GEMELLI I fascetti nervosi, che, come abbiamo visto più sopra, arri- vano alla membrana del timpano per mezzo della pars flaccida, costituiscono la più grande parte dei nervi di questa regione. Essi sono fascetti di fibre midollate che passano sopra la plica anterior e posterior; la incrociano; si dirigono verso il manubrio del martello; cedono fibre che si dirigono in vario senso e ven- gono a costituire attorno al manubrio un vero plesso. Alcuni rami si spingono ad unirsi colle diramazioni che provengono dal limbus. Altri, più numerosi, penetrano nello strato fibroso e vi formano un plesso fitto, plesso fondamentale, composto di fibre tenui, le quali tengono un decorso ora tortuoso, ora ret- tileneo e vengono a costituire una rete a maglie larghe. Alcuni rami poi vanno a costituire i plessi perivasali, i quali sono composti di poche fibre che seguono il decorso dei vasi cedendo tratto qualche diramazione laterale. Infine alcune fibre seguono un decorso affatto indipendente e vanno a costituire i plessi sotto- epiteliali, a formare i quali pervengono anche fibre del plesso fondamentale e fibre provenienti dai vasi e fibre provenienti dal limbus. I nervi che provengono dal meato uditivo esterno per mezzo del limbus formano alla periferia della membrana del timpano un plesso anulare, dal quale si staccano fibre che vanno, alcune verso il manubrio del martello ove, o si anastomizzano con le fibre provenienti dalla membrana flaccida, o prendono parte al plesso del manubrio, dopo di essersi finamente suddivise. Altre vanno a formare il plesso fondamentale, altre invece a formare il plesso subepiteliale. Da ultimo alla membrana tensa arrivano fibre dalla cavità timpanica. Queste sono assai scarse di numero e costituiscono quasi esclusivamente il plesso sottomucoso. Anche qui nella pars tensa noi troviamo un fitto plesso fondamentale come nella pars flaccida. Vi ha solo la differenza che questo è assai più fitto. Esso è dato in massima parte dai rami nervosi del condotto uditivo che, come abbiamo visto, sono costituiti in grande parte da fibre midollate ed entrano dalla periferia della membrana timpanica. Inoltre a formare questo plesso prendono parte fibre che si staccano dai plessi perivasali e fibre che provengono dall’ orecchio medio. Però tanto le une che le altre sono scarse di numero. Da questo plesso fondamentale si staccano numerose fibre CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA DISTRIBUZIONE ECC. 137 le quali vanno direttamente a costituire alcune un plesso sot- tocutaneo e altre, più scarse di numero, un plesso sottomucoso, Dal plesso subepiteliale si dipartono fibre che, dopo ayer per lo più decorso parallelamente allo strato epiteliale, entrano tra le cellule di questo e vi terminano con ricche arborizzazioni. Similmente dallo strato mucoso si dipartono fibre che termi- nano con caratteristiche arborizzazioni. Dal sin qui detto si ricava che i nervi nella compagine della membrana del timpano sono distribuiti nel seguente modo. Abbiamo un plesso fondamentale dato da rami del nervo auricolo-temporale del trigemino e da rami del nervo di Ja- cobson del glosso faringeo. Questo plesso giace nella compage dello strato fibroso. Inoltre abbiamo nn plesso anulare posto alla periferia dato dalle fibre che entrano dalla periferia. Dal plesso fondamentale si staccono fibre che danno i due plessi superficiali: sottocutanea l’uno e sottomucoso l’altro. Da questi due plessi si dipartono fibre che entrano nello strato mucoso e cutaneo per rispettivamente terminarvi. Una speciale menzione meritano i plessi perivasali e le ter- minazioni nervose. I plessi perivasali sono dati da poche fibre che seguono parallelamente il vaso nel suo decorso. Da queste fibre si di- partono fibre che incrociano il vaso e si anastomizzano con altre fibre dando così un plesso a maglie molto larghe. Le fibre dei plessi perivasali sono date nella massima parte da fibre prove- nienti dal condotto uditivo esterno. Alcune fibre provengono dal plesso fondamentale. Le perminazioni nervose sono di triplice ordine. 1) Terminazioni ad arborizzazione nello strato cutaneo. 2) Terminazioni ad arborizzazione nello strato mucoso. 3) Apparati teminali nello strato fibroso. La forma delle due prime specie di terminazione è quella consueta nei tessuti epiteliali. Sono vere forme a arborizzazione, più ricche di rami nello stato cutaneo, portanti talvolta dei bot- toncini, dei piccoli rigonfiamenti, terminanti tra le cellute epi- teliali. Gli apparati terminali posti nel tessuto fibroso sono più caratteristici. Essi sono dati da fibre distaccatesi dal plesso fondamentale, le quali si sfibrillano in fibrille assai tenui aventi alla loro 9* 138 AGOSTINO GEMELLI estremità, ed anche lungo il loro decorso terminale, delle pic- cole placchette. La forma dei vari apparati terminali è diversa per il fatto che sono piu o meno numerose e più o meno sud- divise le singole fibrille. Nelle placchette si nota con il mezzo del metodo di R.y Cayal un fine reticolo nervoso simile a quello che fu descritto da R. y Cayal, Dogiel e da me in altre terminazioni. Questo reticolo non è molto fitto. Questi apparati terminali sono posti sopratutto al limite delle fibre circolari e radiali, come fu notato da Deineka, alla periferia. Da ultimo non posso far a meno di notare con Wilson la somiglianza della distribuzione dei nervi nella membrana del timpano con quella dei nervi della cornea. Lo studio anatomico della distribuzione e della terminazione dei nervi nella mem- brana del timpano fa pensare che sia fondata la opinione già espressa da alcuni studiosi che la loro probabile funzione è in rapporto con la necessità di giudicare delle variazioni della tensione della membrana del timpano. Tuttavia sulla funzione dei nervi e delle terminazioni ritornerò tostochè avrò terminato alcune ricerche che ora sono ancora incompiute. Dal convento dell’Immacolata, in Milano, Aprile 1908. NOTA BIBLIOGRAFICA. CALAMIDA, Terminasioni nervose nella membrana timpanica Acca- demia Medica di Torino, 15 marzo 1901. ‘ BERTELLI, Anatomia comparata della membrana del timpano, Aun. Univ. Toscane, Vol. XXI, Pisa 1893. DeinEKA, Ueber die Nerven des Trommelfells, Archiv f. mikrosko- pische Anatomie und Entwicklungsgeschichte, B. 66, 1905. Jacques, De la fine innervation de la membrane du tympan, XIII Congres Int. de Med. Sect. D’ Otol. P. 46. Paris, 1904. KesseL; vedi in STRICKER, Handbuch der Lehre von den Geweben des Menschen, Leipzig, 1872. TroLTscH, Die anatomie des Ohres, Wurzburg, 1861. Witson, The nerves and Nerve-Endings in the Membrana Tympani, Journal of comparative Neurology, and Psychology, Vol. XVII, 6, 1907. Dott. Enrico Mussa NOTE FLORISTICHE DELLE PREALPI TORINESI FRA LA DORA RIPARIA E LA STURA DI LANZO (ZONA DELLE PIETRE VERDI) La giogaja di Prealpi compresa fra la Dora Riparia e la Stura — quale si presenta allo sguardo di chi miri da Torino, verso occidente e tramontana, la splendida cerchia alpina — considerata sotto il punto di vista geologico appartiene alla Zona detta dal Gastaldi delle Pietre Verdi ('). Tale giogaja, tutta costituita da montagne inferiori ai 1700 m. comincia col monte Musinè, il quale apre la imponente Comba di Susa e, per le vette di monte Curto (1300), della tozza forma dell’Arpone (1601), del Colombano (1658), della Lera (1371), del Roch-Neir (1517), del Mon-Basso (1356), si estende fino al monte Corno (m. 1227), il quale, digradando, sovrasta la città di Lanzo nel punto dove la valle di Stura dà luogo alla carat- teristica stretta cotanto nota per l’esistenza del così detto ponte del Diavolo e per le ampie marmitte di erosione. È mia intenzione di compilare il catalogo delle piante crescenti appunto su tali montagne così omogenee per confor- mazione geologica e per condizioni meteoriche, e dove non mancano interessanti forme vegetali (°). Con riserva pertanto — in attesa di poter completare studi floristici della regione con ulteriori visite sui singoli monti del gruppo in questione — incomincio la breve serie di questi contributi colla florula del monte Musine. (1) Tavolette al 100 m. quadri n. 55 e 56 della carta d’Italia I. G. M. T. (2) Così alle radici del monte Lera, cioè presso a Givoletto, si trova la interessante Adenophora liliifolia Bess., di cui anch'io posseggo esemplare in erbario, il cui habitat, oltre a tale unica stazione piemontese, é indicato per regioni molto lontane: Canton Ticino, Bresciano, Tirolo, Trentino, Veronese, Treviso, Belluno, Friuli: Cfr.: Flora analitica d’Italia di Fiori e Paoletti, vol. III, p. 188; e Re, Flora segusina commentata dal Caso, p. 227, 140 ENRICO MUSSA PRIMO CONTRIBUTO IL MUSINE Questa montagna prealpina, rimasta — come bene osservò Michele Lessona — « celebre nei fasti della Botanica e men- zionata in tutte le flore » presenta indubbiamente un certo interesse floristico in quanto trovansi in essa, benchè di limi- tata altezza, le prime avanguardie della flora montana ed alpina propriamente detta, e cioè specie che si internano nelle valli di Susa (Dora Riparia) e che facilmente salgono fino alla alti- tudine di 2000 e più metri. Si possono, a tale riguardo, citare ad esempio: Avena Scheuchzerii, Festuca spadicea, Gentiana acaulis, Arnica montana, Phyteuma Halleri et betonicaefolium, Arctostaphylos officinalis, Geranium sylvaticum, Laserpitium, latifolium, Sempervivum mon- tanum, Rosa alpina, Cerastium alpinum, che vigorosamente prospe- rano alCenisio (2000 m.), Stipa pennata, Melica Magnolii, Centaurea montana, Anemone Halleri al Pramand (2100 m.) Lonicera alpigena et etrusca, Sambucus racemosa in Valle Stretta, sopra Bardonecchia (1700 m.) Narcissus poéticus, Pulmonaria angusti folia, Valeriana tripteris a Bar (1300 m.) Plantago serpentina al colle delle Finestre (2100 m.) Atragene alpina all’Assietta (2500 m). Il monte Musinè (*) si alza a 1150 metri sul mare in forma svelta terminante in una vera vetta, sulla quale nel 1900 venne eretta una colossale Croce bianca la quale subito fa distinguere quella fra tutte le altre montagne del gruppo. Nel suo lato di levante si osserva un vallone che si inti- tola dal Rio Pilone (?) che lo solca; questo vallone è rive- stito sui suoi versanti da boscaglie essenzialmente di Rovere — Quercus sessiliflora — a ceduo con rotazione decennale, di proprietà del Comune sottostante di Caselette (bosco Ramà e bosco della Costa). Il versante nord del monte costituisce il fianco destro della vicina valle della Torre: questa, che è percorsa dal torrente (") Cfr. tavoletta al 2:;:000 dell’I. G. M. I. (2) Da questo rio è derivata una piccola condotta di acqua potabile per V ali- mentazione idrica del comune di Caselette situato alle radici del Musiné. NOTE FLORISTICHE DELLE PREALPI TORINESI ECC. 141 Casternone, si apre sul piano, a destra, col monte Calvo, alto m. 500, semplice propaggine del Musiné stesso. Detto versante nord è percorso da due rivi: il rio Musinè ed il rio Candellone, tributarii entrambi del Casternone. Il versante di ponente dà origine ad un altro piccolissimo corso di acqua, il rio Morsino, che trae le sue sorgenti da un ventaglio di minuscoli rivoletti i quali incidono la regione detta Gran Comba coperta in alto (sopra i 900 m.) da boscaglia, e più in basso (fra i 900 e 500 m.) da magro pascolo. Il versante sud guarda la Dora Riparia e si presenta d’una tipica aridità: in alto esso è molto dirupato ed offre una specie di canalone scabroso; dalla vetta lo spigolo spartiacque mostra le roccie perfettamente denudate fin verso la quota di m. 800, ‘dove la roccia in posto viene rivestita da una cuticola terrosa su cui rabbiosamente si abbarbica una vegetazione erbacea a tipo xerofilo, riarsa continuamente dal pien sole; tale spigolo di roccia viva si continua sotto quel manto terroso e riappare quindi a giorno in una emergenza detta True Bandolera (m. 643). Il monte Musinè è costituito essenzialmente da Serpentina la quale passa però in gran parte in Eufotide e Lherzolite ('). Esso ha nelle parti non coperte da vegetazione (e non sono poche) un colore rossatro ranciato, dovuto a sesquiossido idrato di ferro nella scomposizione del Diallaggio (eufotide) e della Serpentina. Nel versante orientale appunto nell’ Eufotide si osservano le attive Cave di Magnesite di Caselette (Giobertite bianca) in cui si è pure trovato: resinite, idrofane, saussurite, smarag- dite ecc. Il monte Musinè esce, per così dir, fuori nei suoi lati est sud ed ovest, dal terreno morenico facente parte del grandioso anfiteatro morenico di Rivoli, e frequenti sono i massi erratici che si incontrano nella regione: quali il così detto Roch di Pianezza, mazzo eufotidico dedicato al Gastaldi ed il masso serpentinico sulla strada di Caselette dedicato recentemente al Sacco (*). E abbastanza facile stabilire la linea liminale del terreno (1) Sulla composizione mineralogica del Musinè efr. Giobert in Mémoires dell’ Ac- cademia delle Scienze di Torino anno XII. 18 parte pag. 316. (2) Per il testo della lapide dedicatoria a Federico Sacco di tale masso, etr. Rivista Mensile del Club Alpino Italiano 1907 pag. 544. Vedansi le fotografie delle Cave di Caselette e dei massi erratici Gastaldi e Sacco in Réunion extraordinaire de la Société Géologique de France en Italie 1906. 142 ENRICO MUSSA morenico in base al cambiamento repentino che assume la ve- getazione specialmentente erbacea dalla morena fertilissima ai fianchi rocciosi della montagna. Il grande ghiacciajo di Val di Susa nel suo estendersi verso il piano di Torino mandò un lembo insinuato di morena nel citato vallone del Morsino — dove il terreno glaciale, spintosi fin oltre a 600 mentri di altitudine, permette una ve- getazione rigogliosa ed è quindi sottoposto a coltura agraria: viti, campi e prati — poi nella sua discesa incontrò lo spuntone meridionale del Musinè — Truc Bandolera — e dovette perciò ripiegarsi su se stesso; ma, superato tale ultimo ostacolo, si espanse liberamente e costituì un’ampia regione ad oriente del monte nella quale si notano parecchi piccoli laghi morenici: lago grande di Caselette, lago piccolo di Caselette, omai ridotto a palude, laghetto Sclopis, laghetto Borgarini. Tale ampio terreno morenico, più o meno ondulato ed ora in gran parte coltivato, si allargò fin che potè, cioè fino a quando non incontrò il potente cono di deiezione della Stura di Lanzo ('). FLORULA DEL MUSINE APPUNTI BIBLIOGRAFICI : Re, flora Segusiensis, 1805, Re, flora torinese, 1825-1826. Caso B., la flora Segusina di G. F. Re riprodotta nel metodo di De- candolle e commentata, 1881. Almanacco di Torino 1885 p. 33 (?). Mattirolo O., la flora Segusina dopo gli studi di G. F. Re in Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino 1907; in questa magi- strale opera che completa il censimento vegetale di Val di Susa arricchendolo di ben 504 specie nuove e 191 varietà, sono pure in- dicate molte piante del Musine. ABBREVIAZIONI: Le piante da me personalmonte riscontrate sul sito portano il segno!, delle altre indico fra parentesi il nome del raccoglitore. Il N. in parentesi quadre [|] indica la pagina di riferimento all’ opera dianzi citata del Mattirolo. (1) Per la descrizione minuta di questa importante regione geologica Cfr. il pregiato lavoro del Sacco « L’anfiteatro morenico di Rivoli » in Bollettino del Comitato geologico Italiano, anno 1887. Cfr. pure, Baretti, Geologia della Provincia di Torino pag. 149-151-152-158. (2) In questo almanacco è data una descrizione minuta del Monte Musinè, NOTE FLORISTICHE DELLE PREALPI TORINESI ECC, 143 F'ilices Aspidium filix mas Sw.! ” ” » var. crenatum Milde (Ferrari) [247] Asplenium filix foemina Schr. (Ferrari) (’). ” septentrionale Sw., fenditure del Masso serpen- tinico intitolato a Federico Sacco! ” germanicum Weiss. id! ” adianthum nigrum L. ! Cystopteris fragilis Bernh. var. anthrischifolia Koch, falde del Musinè (Ferrari, Mattirolo, Val- lino) [247]. Notholaena Maranthae R. Br., regione Morsino ! Pleris aquilina L., M. Calvo! Cave di magnesite ! Scolopendrium officinarum Sw. (Re in fl. Tor.). Coniferae. Pinus sylvestris L., qualche esemplare rachitico verso Rivera! Iuniperus communis L., radici del Musine! Alismaceae. Alisma plantago L., fossi lungo la strada Caselette-Brione e lago piccolo! Cyperaceae. Carex distans L., base del Musinè ! » digitata L. Camerletto! » humilis Leyss = C. clandestina Good. = C. prostrata All., lato verso Caselette. » montana L.! » muricata L.! » ornithopoda W., (Defilippi, Gras.) [254]. » pallescens L.! » paludosa Good., Caselette (Delponte) [254]. » vesicaria L., località paludose presso il lago piccolo! Cladium mariscus R. Br., praterie umide fra il monte Calvo e la strada di Brione! (1) Compio con tutta effusione d’animo il dovere di qui ringraziare vivamente l’egregio sig. Enrico Ferrari, Conservatore al R. Orto Botanico di Torino, solerte e sagace investigatore della Flora delle Alpi occidentali, che mi onora di sua amicizia ed a cui debbo preziosissime indicazioni per questa compilazione. 144 ENRICO MUSSA Eleocharis palustris R. Br., rive del lago di Caselette! ” carniolica Koch id.! Fimbristylis dychotoma Vahl., rive del lago piccolo! Rhyncospora alba Vahl., radici del Musinè! Scirpus holoschenus L. loc. umide Musinè e sotto il monte Calvo! ” parvulus Roem. Sch. Rive del lago di Caselette. Schoenus nigricans L. fontana di S. Abaco! (versante sud est). Graminaceae. Aira caryophyllea L.! Avena pratensis L. n Scheuchzerii All. (Re in fl. tor.). Agrostis vulgaris Wit. y pumila Parl., siti umidi di Case- lette (Re). ” canina L.! Anthoxanthum odoratum L., Camerletto, falde del Musiné! Briza media L.! Bromus erectus Huds. (Re). ” mollis L., 8. Grato di Brione! Chrysopogon Gyllus Trin., Musiné e monte Calvo! Danthonia provincialis D.C., rimpetto la fornace di magnesia! Digitaria sanguinalis Scop. Fontana B. Rama! Festuca ovina L., Musiné e M. Calvo! ” capillata Lamk., Musinè (Berrino) [250]! ” glauca Lamk. var. tawrinensis Hack., Musiné [251]. ” glauca Lamk. var. pallens Hack. Musinè (Re) [251]. ” pseudovina Hack subv. typica Hack. Musinè (Ferrari) [251]. ” sulcata Hack. var. pseudovina Hack. fp. typica Hack. Musine (Ferrari) ('). ” spadicea L. var. vulgaris Hack., abbond. sulla cresta di divisione del versante est da quello Sud! ” ” L. var aurea H. K, verso Brione (Delponte) [252]. ” arundinacea Schr. var. vulgaris, Musinè (Delponte) [251]. (1) Cfr. Belli, Le Festuche italiane degli Erbari del R. Istituto botanico di To- rino determinate secondo la monografia di Hackel, in Malpighia XIV. NOTE FLORISTICHE DELLE PREALPI TORINESI ECC. 145 Glyceria aquatica Wahl., presso il lago grande di Caselette ! n fluitans R. Br. id.! (Ferrari). Holcus lanatus L.! Lolium perenne L.! Melica Magnolii Gr. God., alla vetta del Musineé! ” unifiora L.! Molina coerulea Ménch., Dintorni di S. Abaco! ” serotina M. K. = Diplacne serotina Link., S. Abaco, Bosco Rama! Phleum Michelii All., vigne di Caselette! Poa bulbosa L., masso erratico Sacco! Setaria glauca P. B., praterie setto le cave di magnesite! Stipa pennata L., verso la vetta del Musiné! Vulpia ciliata Linck., Musinè (Re). Liliaceae. Allium sphoerocephalum L., canalone nel versante verso la Dora! n descendens L., (Re in fl. tor). Asphodelus albus Willd., zona superione Bosco Rama! Eryihronium dens canis L., B. Rama! (’). Iuncus effusus L. sotto il monte Calvo! ” conglomeratus L., presso il lago grande di Caselette (Noelli)! ” lamprocarpus Ehr. Lilium croceum Chaix.! Luzula pilosa Willd., Bosco Rama! n Forsteri D. C., paludi Campagnola (Re). ” nivea D. C.! Muscari botrioides Mill.! ” comosum Mill., verso Brione! Narcissus poéticus L., abbond. sul monte oltre S. Abaco! Ornithogalum tenuifolium Guss., Caselette (Ferrari) [255]. Ruscus aculeatus L., Miosa! Camerletto! Scilla bifolia L.! Smilaceae. Convallaria majalis L.! Paris quadrifolia L.! Polygonatum officinale All.! n verticillatum All. (Alm. di Torino 1882). (1) Molto frequentemente colpito da Uromyces erythronii. 146 ENRICO MUSSA Irideae. Iris graminea L.! (’). Gladiolus imbricatus L. (Belli) [255]. Gladiolus segetum. Gawl. nei seminati lungo la strada di Brione! Xyphion pseudacorus Parl. scaricatore del lago grande di Caselette, ed in fossi a Brione! Orchideae. Anacamptis pyramidalis Rich., pascoli di Caselette. Cephalanthera ensifolia Rich.! Listera ovata R. Br. (Noelli3! Orchis rubra Iacq., verso la cava di Magnesia. ” papilionacea L., sopra castel Camerletto (Noelli)! Orchis laxiflora Lamk. O. ensifolia Vill., di questa bella or- chidea il Balbis in Miscellanea cosi riferisce : copiose legi in pratis umidis di Caselette prope la Favo- rita [355]. ” Sambucina L.! ” Morio L. prati subumidi sotto le cave di Magnesia! Serapias longipetala Pollin., dintorni del lago grande lato verso Brione! Spiranthes aestivalis Rich., prati umidi di Caselette (Re). ” autumnalis Rich., presso il lago piccolo e nei boschi delle colline moreniche! Borragineae. Echium vulgare L.! Pulmonaria officinalis L.! ” angustifolia L., lungo il Rio di Bosco Rama e presso la cresta di divisione dei versanti est e sud! Verbasceae. Verbascum blattaria L. alla vetta del Musiné! n phlomoides L. (Ferrari). n phoeniceum L., (Ferrari). - (1) G. F. Re nella sua Flora Torinese (anno 1825) vol. I. p. 42 cita pure la Zrés pallida (provenit quoque in Musinej; pare però trattisi d’ un equivoco, NOTE FLORISTICHE DELLE PREALPI TORINESI ECC, 147 Scrophulariaceae. Scrophularia nodosa L.! Anthirrhineae. Linaria italica Trev.! ” cymbalaria M., a Camerletto! ” elatine Mill., Caselette! Gratiola officinalis L. dintorni dei due laghi di Caselette, abbonda, rifiorisce in autunno! Veronica anagallis L. (Ferrari). ” beccabunga L. (Ferrari). ” spicata L., verso la vetta del Musiné! presso al Masso erratico Sacco! ” officinalis L., Calvo! ” urticaefolia Iacq., Musine! Rhinanthaceae. Melampyrum arvense L.! ” memorosum L.! Euphrasia Salisburgensis Funk! Globulariaceae. Globularia vulgaris L. S. Abaco! Plantagineae. Plantago major L., M. Calvo! ” serpentina All.! ” media L. S. Abaco! Labiatae. Betonica officinalis L., freq. M. Musine, M. Calvo! ” stricta Ait., Musiné [281]. Brunella vulgaris L.! Melittis melissophyllum L., M. Calvo! Origanum vulgare L.! Scutellaria galericulata L., sit. umidi vallone del Rio Pilone. Stachys recta R., L. Abaco, B. Rama, M. Calvo! Teucrium scordium L., prati umidi di Caselette (Re). ” chamaedris L.! Thymus serpyllum L., Musine, M. Calvo! 148 ENRICO MUSSA Gentianeae. Eryihraea centaurium Pers. Musinè, M. Calvo! Geniiana acaulis L.! abbondante. ” lutea L., copiosa (Re in. fl. tor.) (!). ” pneumonanthe L., presso il lago piccolo Caselette! Apocyneae. Vinca minor L. S. Abaco! Asclepiadeae. Cynanchum vincetoxicum R. Br.! Aubiaceae. Galium lucidum All. var. corrudaefolium Vill. [283]. ” p2lustre L. rive del lago di Caselette! ” purpureum L.! ” verum L.! ” vernum L.! (Ferrari). Caprifoliaceae. Lonicera alpigena L. (Defilippi). ” etrusca Sant. (Re). ” nigra L. (Defilippi). Sambucus racemosa L. (Re). Viburnum lantana L., presso il lago grande! Valerianeae. Valeriana officinalis L., sorgenti del Rio Mosimo! ” tripteris L., (Re). Valerianella olitoria Poll., nei campi alle radici del Musine! ” microcarpa Lois. tra Caselette ed il Musinè nei coltivati. (Ferrari) [284]. ” Morisonii Dc. campi sotto il Musinè (Vallino, Berrino) [284]. Dipsaceae. Knautia arvensis Coult.! Compositae. Achillea millefolium L.! ” tanacetifolia L. (Re). (1) Il Re dà come copiosa questa specie: non mi fu dato però di riscontrare questa pur così cospicua pianta sul Musinè. NOTE FLORISTICHE DELLE PREALPI TORINESI ECC 149 Arnica montana L.! Aster amellus L. Bosco Rami! Bellidiastrum Michelii Cass.! Carlina acaulis L.! ” ” Balpina Jacq., verso la vetta del Musiné ! ” vulgaris L.! Centaurea axillaris Willd. (Re). ” maculosa Lunk.! ” montana L. |a vulgaris Godr. 287]. ” nervosa Willd. (Re). ” Scabiosa L.! ” forma ad tenuifoliam Schleich. vergens B. Rama! var integrifolia Gaud. = a’ Gelmii Briq.), M. Musine a levante Ferrari, Vallino) [288]. Cirsium palustre Scop., fontana del Bosco Rami! Crepis foetida L., fosso stradale presso il Masso erratico Sacco! Cychorium intybus L., alla vetta del Musinè! Eupatorium cannabinum L., abbondante nei siti umidi del Vallone del Pilone ! Gnaphalium dioicum L.! n luteo album L.! n sylvaticum L., selve di Campagnola, (sub no- mine: Gn. rectum, Re fl. tor. 2 p. 67). Hieracium brachiatum Bertol. falde del Musinè (Ferrari) [28]. ” boreale Fr., rive del lago grande di Caselette! ” murorum L. var sylvaticum L. (A. T.) Ferrari) [295]. ” cymosum L. (Defilippi) [290]. Sulla vetta (Re). ” pilosella L.! ” praenanthoides Vill. Musinè, (Fontana, Crosetti) [296].! ” pelleterianum Merat. S. Abaco! [289]. var. depressa A. T., Musinè [289]. ” polyadenum A. T. Musiné! [292]. ” umbellatum L., Musinè! [297]. n vallisiacum Fr. Musinè (Fontana, Crosetti) [296]. var tephrophyllum A. T., Musine (Fontana, Crosetti) [296]. 150 ENRICO MUSSA Hieracium vulgatum Fr., (Re, sub. H sylvatico). Hypochaeris unifiora Vill., falde dirupate Musinè (d. Noelli). Inula hirta L. (Caso) versante orientale! » salicina L.! » spiraeifolia L., Musinè (Defilippi) e dintorni Caselette (Ferrari) [285]. Lampsana communis L.! Lactuca perennis L., S. Abaco (Noelli)! ” muralis Fres. (Ferrari). Leucanthemum maximum D.C. Musinè (Ferrari) [286]. n montanum DC. (Re). ” vulgare DC.! Linosyris vulgaris Cassin, in B. Rama! Matricaria inodora L., presso il lago grande Caselette! ” chamomilla L., Camerletto! Picris hjeracioides L.! Prenanthes purpurea L., Roccie boscose presso la vetta! var P angustifolia Koch (Re). Pyrethrum corymbosum Willd., B. Rama! Scorzonera austriaca Willd., fre le roccie salendo a 8. Abaco (Noelli). Senecio aquaticus Huds. presso i due laghi! alle cave di Magnesia (Ferrari, Mattirolo) [286]. ” erraticus Bert., presso il lago grande di Caselette! n Iacobaea L.! Serratula tinctoria L., vallone del Pilone! Solidago virgaurea L., Musinè, M. Calvo! Sonchus asper All., a Camerletto! Tanacetum Vulgare L., a Camerletto! Thrincia hirta Roth., Brione ! Tragopogon pratense L. £ tortilis Koch (Ferrari) [298]. Tussilago farfara L., cave di magnesia! Xanthium strumarium L., Lago Sclopis! Campanulaceae. Campanula spicata L., frequente sul Musiné! ” ea L. Bosco Ramà! var. farinosa Andrz (Defilippi) [285]. ” Bertolae Colla, Musinè (Ferrari) [284], Bosco Rama! M. Calvo! NOTE FLORISTICHE DELLE PREALPI TORINESI ECC, 151 Campanula Re Colla, alto Bosco Ramà! M. Calvo! ” Trachelium L. Bosco Rama! Phyteuma betonicaefolium Koch, costa di separazione dei ver- santi est e sud! ” Halleri All., Musine! Specularia speculum D.C. presso il lago grande Caselette ! Primulaceae. Primula latifolia Lapey., verso Brione (Gras.). ” acaulis Iacq., Bosco Rama! Lysimachia vulgaris L., fontana di B. Rama! Plumbagineae. Armeria plantaginea Willd, falde orientali Musiné! Ericaceae. Arctostaphylos officinalis Wimm., versante meridionale (Berrino). Calluna vulgaris Salisb., Bosco Ramà! Rhododendron ferrugineum L., Musinè (Re). Vaccinium myrtillus L., cisterna nel piano sotto la vetta Musine! Cupuliferae. Fagus sylvatica L.! Castanea vulgaris Lamk! Quercus sessiliflora Sm., Bosco Rama, M. Calvo! [256]. ” Tanzini Bubani, Musine [257]. Salicineae. Populus tremula L., cave Magnesia! 5 Alba L.! Urticeae. Celtis australis L. Caselette! Polygoneae. Polygonum minus Huds, lago grande di Caselette ! ” dumetorum L., alta zona Musinè! ” . aviculare L.! Chenopodiaceae. Chenopodium bonus — Henrichus L. (Re). 152 ENRICO MUSSA Sileneae. Dianthus sylvester Wulf. Musine, M. Calvo! n Seguieri Chaix id. id ! ” Carthusianorum L., M. Calvo con forme a fiori in- fensamiente colorati in carmino! Lychnis viscaria L., M. Calvo! Silene inflata Smith., Strada 8. Abaco, M. Calvo! ” gallica L., Caselette (Ferrari) [259]. ” italica Pers. (Ferrari). ” nutans L., Camerletto! Alsineae. Alsine laricifolia Wahl., Strada Caselette ! Arenaria tenuifolia L. Musinè! Cerastium manticum L.! ” vulgatum L.! Moenchia erecta Smith. trovata nei campi macilenti di Caselette da Molineri (Re). Moehringia muscosa L. roccie presso la vetta! Stellaria media Vill.! Parony chieae. Polycarpon tetraphyllum L.! Berberideae. Berberis vulgaris L., Caselette! Ranunculaceae. Aconitum pyrenaicum Lamck., Musinè, indicata dal Re in App. I. 24 [261]. | ” Lycoctonum L., vetta Musine. Anemone pulsatilla L. zona inferiore del Musinè fino alla fontana B. Rama! ” nemorosa L., Musiné, M. Calvo! ” hepatica L., Musinè, M. Calvo! ” Halleri All., cresta fra S. Abaco e la vetta! Atragene alpina L. Roccie superiori! Caltha palustris L. Rio Morsino! Clematis recta L. S. Abaco! M. Calvo! ” vitalba L. Musine! Poeonia peregrina Mill., lato sud Musine. NOTE FLORISTICHE DELLE PREALPI TORINESI ECC, 153 Ranunculus flammula L. lago Caselette! ” ficaria L. Musiné! ” acer L., Camerletto! Nympheaceae. Nymphaea alba L., lago grande Caselette! Nuphar luteum Smith, lago grande Caselette! Cruciferae. Alyssum argenteum Willd. Strada S. Abaco! Biscutella laevigata L. id. Arabis turrita L. presso la vetta! ” thaliana L., strada di Caselette! Isatis tinctoria L. sulla vetta Musine! Sisymbrium alliaria Scop. verso Rivera! Thlaspi montanum L., Musine! / ” virgatum Gren. God.! Capparideae. Capparis spinosa L. Castello Caselette (Re). Violaceae. Viola odorata L., boschi e macchie! ” tricolor L. var arvensis presso la vetta Musiné! » lancifolia Thore, Musiné (Piolti) [275]. Droseraceae. Drosera longifolia L. lago piccolo Caselette! Parnassia palustris L., rio del B. Rama! Cistineae. Helianthemum vulgare Gaert., M. Calvo! ” fumana Mill. Musine! Hy pericineae, Hypericum perforatum L., Musine, M. Calvo! Malvaceae. Malva alcaea L., presso Caselette (Re). Geraniaceae. Geranium sylvaticum L. Musiné! ” sanguineum L. presso la vetta! 154 ENRICO MUSSA Geranium molle L., muri a secco strada di Caselette (Fer- rari) [271]. ” pusillum L., dintorni di Alpignano (Ferrari) [271]. Oxalideae. Oxalis acetosella L., verso la vetta del Musine! Lineae. Linum tenuifolium L., M. Calvo! ” gallicum L. id. ! ” strictum L. versante sud Musiné! T'iliaceae. Tilia ulmifolia Scop.! Simarubaceae. Ailanthus glandulosa Desf.! [272]. Acerineae. Acer pseudoplatanus L. Polygaleae. Polygala vulgaris L. Musinè e M. Calvo! Celastrineae. Evonymus latifolius Scop. Cima del Musinè (Ferrari) [274]. Rhamneae. Rhamnus cathartica L.! ” frangula L. (Ferrari). Huphorbiaceae. Euphorbia falcata L. Fornaci di Magnesia! ” pilosa L. Bosco Rama! ” plathyphylla L. presso il lago Caselette! ” verrucosa Lank. Strada S. Abaco! Mercurialis perennis L. Vetta del Musinòè! Umbelliferae. Anthriscus sylvester Hoffm, Vetta Musinè (Defilippi). Astrantia Major L., verso la vetta Musine! Daucus carota L.! Eryngium campestre L., versante merid.! S. Abaco! NOTE FLORISTICHE DELLE PREALPI TORINESI ECC. 155 Heracleum spondylium L.! Laserpitium latifolium L. poco sotto la vetta del Musiné!, a Brione (Dott. G. Negri), alle radici del Musine! panax Gou. (L. hirsutum L).! ” prutenicum L.! Molopospermum cicutarium DC. Sommità del Musinè, ver- sante verso Brione! Peucedanum carvifolium Vill., S. Abaco! ” cervaria Lap., Bosco Rama! ” oreoselinum Moench., boschi! ” officinale L. alta zona del monte! Pimpinella magna L.! ” Saxifraga L.! Pleurospermum austriacum Hoff. (Re). Selinum carvifolia L.! Cornaceae. Cornus mas L.! ” sanguinea L. (Ferrari). Crassulaceae. Sedum maximum L., presso la Croce monumentale! Sempervivum tectorum L., alla vetta del Musinè! ” montanum L. (Re). Saxifrageae. Saxifraga aizoon Iacq.! ” bulbifera L.! Onagrarieae. Evilobium parvifiorum Schr., siti umidi! n angustifolium L., alla Vetta Musine! ” montanum L. siti ombrosi! Isnardia palustris L., siti umidi presso il lago di. Caselette! Lythraceae. Lythrum salicaria L., siti umidi di B. Rama! Thy meleaceae. Daphne Mezereum L., presso la Vetta Musiné! ” cneorum L. presso il Santuario di S. Abaco! 156 ENRICO MUSSA Passerina annua Spr., presso le fornaci di Magnesia! Rosaceae. Crataegus monogyna Iacq.! Fragaria vesca L.! Potentilla agrivaga Timb. Lag. (= P. verna var. hirsuta D.C.) (Ferrari) [265]. ” verna L., strada 8. Abaco! ” alba L., boscaglie! ” tormentilla Sibt., Musine! forma spiccatamente pro- strata, umile alla fontana di B. Rama! Poierium Sanguisorba L.! ” officinale A. G. Caselette (Dott. G. Negri). Camerletto! Prunus Mahaleb L., Santuario di S. Abaco! Rosa alpina L., (Re). » gallica L., presso il Santuario di S. Abaco (Dott. A. Noelli). » gallica x canina et » gallica x arvensis, ibridi raccolti da E. Ferrari fra Alpignano e Caselette [268]. Rubus glandulosus Bell. (Re). » tomentosus Bork., foliis utrinque tomentosis, » idaeus L. (Defilippi). Sorbus aucuparia L., Scaturigini del Morsino! e alla Vetta del Musine! n aria Crantz., Vetta del Musine! Spiraea aruncus L., vetta del Musine. n ulmaria L., fonte Morsino! ” filipendula L., Musine, M. Calvo! Papilionaceae. Anthyllis vulneraria L., Musine! M. Calvo! Astragalus glycyphyllos L., Vetta del Musinè in esemplari lussureggianti ! Coronilla emerus Tg, presso il Santuario di S. Abaco! ” varia L., vetta del Musine! Cytisus alpinus Mill., (Balbis Re). ” Laburnum i Vetta del Musine! ” hirsutus L.! ” nigricans L., Cave di Magnesia! Gleditschia triacanthos L., strada di Caselette! NOTE FLORISTICHE DELLE PREALPI TORINESI ECC, 157 Genista tinctoria L.! n var. mantica Poll. (Re). Hippocrepis comosa L. Strada al Santuario di S. Abaco! Lotus corniculatus L. id.! Lathyrus sylvester L., Castel Camerletto! ” latifolius L., Vigne di Caselette (Re). ” pratensis L., presso il lago grande di Caselette! Ononis spinosa L.! Trifolium rubens L., presso il Santuario di S. Abaco! » striatum L., ai piedi del Musinè (Re). ” pratensis L., presso il lago grande di Caselette! Vicia sepium L., alle radici del Musine! » sativa L., coltivati id. ! » lutea L., Camerletto! Aristolochieae. Aristolochia clematitis L., Castel Camerletto! ” pallida W., Caselette [258], cisterna presso la vetta del Musinè! Santalaceae. Thesium intermedium Schr., dintorni Santuario di S. Abaco! Torino, 21 Giugno 1908. LE ARBORICOLE DEL SALCIO NELL’AGRO ABBIATENSE Nota del Socio Sac. Carlo Cozzi Coadiutore in S. Pietro d’Abbiategrasso Già da parecchi anni, prima ancora che apparisse in Italia la pregevole monografia dei dottori Brcurnor e TRAvERSO — la quale pei cultori di tale argomento dovrà sempre considerarsi come il miglior lavoro fondamentale — Varboricolismo inteso quale fenomeno di insigne adattamento biologico nella storia naturale delle piante, era stato segnalato e degnamente apprez- zato nel suo giusto valore da non pochi membri dell’ Imperiale Società Botanica di Berlino. Ed infatti i signori BoLLe, Ritz, BEYER, GEISENHEYNER, JAPP e BARNEWITZ ('), in una serie di accurate comunicazioni fatte al dotto consesso prussiano esposero con molti dettagli i risultati ottenuti dallo studio delle arbori- cole osservate entro il territorio della provincia di Brandenburg : studio ch’essi avevano quasi sempre limitato ad un solo sub- strato, al Salix alba L. Quasi contemporaneamente poi, se ne occuparono in Francia i signori MAGNIN e GAGNEPAIN (*) e da ultimo il THomas (*). E, naturalmente, l’autorità di costoro autorizza a credere che non sia totalmente ozioso il tempo occupato in ricerche di questa natura, le quali invece potrebbero portare un contributo non lieve alla soluzione di tanti problemi di capitale e vitale importanza, condurre all’acquisto di cognizioni tuttora dubbie (1) Vedi le indicazioni dei lavori nella Bibliograra. (2) MaGNIN A.: Florule adventice des saules tétards de la region Lyonnnaise. Ann. Soc. Bot. de Lyon, 1893-94, pag. 97. GAGNEPAIN F.: Vegetation epiphyte des saules tétards des environs de Cercy la Tour /Niévre\, Bull. Soc. d’ Hist. Nat. d’Autun, 1897, 2 parte p. 77. (3) Tuomas C.: Vegetation épiphyte des saules tétards. Bull. Accad. intern. de Géographie botan., 1904, n, 180 bis. LE ARBORICOLE DEL SALCIO NELI AGRO ABBIATENSE 159 o di verità addirittura recondite e impenetrabili, come potrebbe, anche, esser quello di chiarir sempre meglio, alla stregua di fatti palpabili, le relazioni misteriose che esistono qualche volta fra pianta e ambiente. Per lungo che sia il cammino percorso a tutt'oggi da questa scienza giovanissima che è la moderna biologia degli esseri, sorta trionfalmente su un indirizzo sperimentale e rigo- rosamente scientifico, chi può prevedere il progresso ch’essa è destinata a fare per lo innanzi, valendosi delle minime osser- vazioni, nonchè dei minimi dati raccolti ? Ecco dunque in breve le ragioni principali per cui io, lusingandomi di interpretare il tacito desiderio dei due laboriosi e geniali botanici dell’Ateneo di Padova, ho stimato prezzo del- l’opera la compilazione della presente florula arboricola del Saliv alba. La quale non è altro così che il frutto di osservazioni mie personali, protrattesi per tutto quel tempo che mi rimase libero da altri doveri e da altri impegni. Certo, giova ripeterlo, è difficile trovare in Lombardia e fors’anche nel resto d’Italia, una regione agricola dove i filari di salici siano più abbondanti di qui. E se il numero delle specie ch’io ho citate è piuttosto esiguo — veramente se lo si confronta con quello degli autori sopra citati parrebbe di nò — ciò vuol dire che il margine restante potrà, se mai, riempirsi di nuove entità in seguito a ulteriori ricerche. BIBLIOGRAFIA CONSULTATA 1. BARNEWITZ A. — Aopfweidenueberflanzen aus der Gegend von Brandenburg etc. Verhandlungen des Bot. Verein d. Provinz Bran- denburg, Berlin, XXXX (1898). 2. BarsaLi E. — Sulla flora arboricola toscana. Bull. Soc. Bot. Ital. Firenze 1905, 3. BeGIUNOT A. E Traverso G. B. — Notizie preliminari sulle arbo- ricole della flora italiana, ib. 1904. 4. » » Ricerche intorno alle « arboricole » della Flora Italiana. Nuovo Giornale Botanico Ital., n. s. vol. XII, Firenze 1905. 5. » Cenni critici intorno ad alcuni recenti lavori sulle arboricole. Bull. Soc. Bot. It. 1906. 6. Beyer R. — Weitere Beobachtungen von « Ueberpflansen » auf Weiden. Verhandl. Bot. Verein Brand., XXXV (1895). 160 CARLO COZZI 7. Boe K. — Nachtrag zur Florula der Kopfweiden. Ibid. XXXIII (1891). 8. GEISENHEYNER L. — Zur epiphytischen Kopfweiden Flora, Ibid. XXXVI (1894). . Jaap O. — Kopfweiden Ueberpflanzen bei Triglits in der Prignitz. Ibid. XXXVI (1895). . Lorsener TH. — Zur Kopfweidenflora. Ib. XXXVI (1894). . Loew E. — Anfange epiphytischer Lebenweise bei Geftisspflanzen Norddeutschlands. Ib. XXXIII (1891). . Rierz R. — Ein weiterer Beitrag sur Florula der Kopfweiden. Ibid. XXXV (1893). . UGoLini U. — Contributo alla florula arboricola della Lombardia e del Veneto ecc. Commentari dell'Ateneo di Brescia, 1905. Graminacee. . Anthoxanthum odoratum L. Becuror E TRAVERSO: Ficerche intorno alle « arboricole » della Flora Italiana. Nuovo Giorn. Bot. vol. XII (1905) Firenze, pag. 503. Ebbi a incontrarlo solo poche volte. . Holcus lanatus L. Breurnot E TRAVERSO, l. c. pag. 503. Dopo qualche specie del genere Poa, sembrami questa la graminacea che più facilmente si adatta all’arboricolismo. . Poa pratensis L. Béeurnor E Traverso, |. c. pag. 505. Comunissima dovunque, tanto sul salcio bianco che su altri substrati. . Poa trivialis L. BéGuInor E TRAVERSO, |. c. pag. 504. Meno frequente dell’ altra congenere. . Dactylis glomerata L. Rierz: Hin weiterer Beitrag zur Florula der Kopfweiden Verhandl. ecc. ecc. XXXV (1893) pag. 89, 92; BARSALI: Sulla flora arboricola toscana, Bull. Soc. Bot. It. 1905 pag. 279; Bk&eurnor E TRAVERSO, |. c. pag. 504. Arboricola sufficientemente diffusa sia sul salcio che su altri soggetti. LE ARBORICOLE DEL SALCIO NEL AGRO ABBIATENSE 16] 6. Vulpia myuros Gm. Arboricola nuova per l’Italia. 7. Bromus sterilis L. Beyer: Weitere Beobachtungen von « Ueberpflanzen » auf Weiden. Verhandl. Bot. Verein Brand., XXXV (1893) pag. 40; Breurnor E Traverso, |. c. p. 505. Osservasi quà e colà in discreta frequenza. 8. Serrafalcus secalinus Baq. JAAP. O.: Kopfweiden Ueberpflanzen bei Triglitz in der Prignitz. Verhandl. Bot. Verein Brandenburg, XXXVII (1895) pa. 102, 104. Osser.: In Italia appare nuova quanto al soggetto. 9. Serrafalcus mollis Parl. JAAP, l. c, p. 102; BéGuinor E TRAVERSO, |. c. p. 505. 10. Secale cereale L. JAAP, 1. c. pag. 102, 104. Osserv.: Come arboricola è specie molto rara. Due anni or sono ne rinvenni qualche esemplare anche sul gelso. 11. Triticum vulgare var. aestivum (L.). BécuInor E TRAVERSO, l. c. p. 506. Osserv.: Un pò più comune della forma precedente. Betulacee. 12. Alnus glutinosa Gaernt. BarnewIrz A.: Kopfweiden Ueberpflanzen aus der Gegend von Brandenburg etc. Verhandl. Bot. Verein Brand., XXXX (1898) p. 9; Bécuinor E TRAVERSO, |. c. pag. 507. Osser.: L'ho riscontrata solo in pochi casi. Quercacee. 13. Corylus Avellana L. Rietz, 1. c. pag. 88. Oss.: Mi ha fatto specie che il nocciuolo, arboricola fre- quentissina — per non dire la più frequente di tutte — nei boschi dell’agro abbiatense, sia stato solo ultima- mente ricordato dal dott. U. UGoLInI (cfr. Beguinot : 10* 162 CARLO COZZI Cenni critici intorno ad alcuni recenti lavori sulle arbori- cole, Bull. Soc. Bot. Ital., 1906, pag. 137 in nota) senza nemmanco precisare la qualità del substrato. 14. Quercus Robur L. BEYER, l. c. pag. 39; Rierz |. c. p. 88; Bécuinor E TRAVERSO pag. 507. i Oss.: Questa specie è, assieme alla Stellaria media, quella che fornisce il maggior contingente numerico sia sul Salcio che sull’Olmo, sul Gelso e su altri substrati ospi- tali delle arboricole su grande scala. I nostri contadini credono, anche, di darne la spiegazione dicendo che sono i corvi ad abbandonare le ghiande sulle capitozze: spie- gazione questa che ha, se non altro, un aliquale valore folk-loristico. Manco dirlo poi, la Quercus Robur L. come arboricola, è sempre rappresentata, da noi, dalla var. pedunculata (W). Urticacee. 15. Urtica urens L. BARNEWITZ, l. c. p. 8. Oss.: Per l’Italia è una forma nuova tanto come arboricola in genere che per riguardo al substrato, non risultando vi citata dai diligentissimi osservatori dott. Béguinot e Traverso. 16. Urtica dioica L. Rietz, l. c. p. 92: Jaap I. c. p. 103; BéGuinor E TRAVERSO pag. 508. Oss.: Abbastanza comune dappertutto. 17. Parietaria officinalis L. BeGuINnor e TRAVERSO, l. c. pag. 508. Oss.: Quà e colà, ma non di frequente. 18. Humulus Lupulus L. Rierz, |. c. pag. 92; Jaap, l. c. pag. 103; Bécunor e TRA- VERSO, l. cit. pag. 508. Oss:: Arboricola assai rara, anche su altri soggetti legnosi. 19. Ulmus campestris L. BéGuinor E TRAVERSO, l. c. p. 507. Oss.: Incontrasi quà e là, ma senza eccessiva frequenza. LE ARBORICOLE DEL SALCIO NELL’AGRO ABBIATENSE 163 20. Morus alba L. BeGurnor E TRAvERsSO, 1. c. p. 508. Oss.: Ne osservai qualche esemplare appena. Poligonacee. 21. Rumex pratensis M. et K. Oss.: Anche questa entità appare nuova per l’Italia sia dal lato dell’arboricolismo in genere, come da quello della specificazione del substrato. Rarissimo. 22. Rumex conglomeratus Murr. BEGUINOT E TRAVERSO, l. c. p. 509. Raro. bo So Rumex acetosa L. Rietz, 1. c. pag. 92; Jaap, lic. pag. 103;. BARNEWITZ, |. c. pag. 8; BéGuinort E TRAVERSO, l. c. pag. 509. Oss.: Discretamente comune. Chenopodiacee. 24. Chenopodium polyspermum L. Oss.: Arboricola nuova per l’Italia. 25. Chenopodium album L. Retz, 1. c. pag. 92; Jaap, l. c. pag. 103; BeGuInoT e Tra- VERSO l. c. p. 510. Oss.: Non si rinviene troppo frequentemente. Ranunculacee. 26. Ranunculus acer L. Rierz, l. c. pag. 88; BARNEWITZ |. c. pag. 5; BéGuINoT E TRAVERSO |. c. pag. 514. Oss.: Venne da me osservato parecchie volte. Papaveracee. 27. Chelidonium maius L. Botte K.; Nachtrag zur Florula der Kopfweiden. Verhandl. Bot. Verein Brandenburg, XXXIII (1891) pag. 72; Jaap, l. c. pag. 103; Barnevvitz l. c. pag. 5; Béeumor E TRa- VERSO, l. c. pag. 513. 164 CARLO COZZI È una delle specie vegetali che costituiscono l’ essenza della florula arboricola del salcio e di altri soggetti affini. Brassicacee. 28. Thlaspi Bursa-pastoris L. Jaap, l. c. pag. 108; B&aurnor E TRaverso, l. c. p. 513. Si trova raramente. Violacee. 29. Viola odorata L. Bryer, |. c. pag. 40; BiGuinot E TRAVERSO, |. c.-p. 512. Abbastanza frequente. 30. Viola canina L. BARSALI, |. c. pag. 279; Brcurnor E TRAVERSO, p. 512. Un po’ meno della viola mammola. Diantacee. 31. Lychnis alba Mill. Bécuinor E TRAVERSO, l. c. pag. 512. La rinvenni raramente. 32. Stellaria media Cyr. BEYER, l. c. p. 39; Rierz, l. c. p. 88, 90, 92; GEISENHEYNER L.: Zur epiphytischen Kopfweiden- Flora. Verhandl. Bot. Verein Brandenburg, XXXVI (1894) p. LVIII; Jaap, Lc. p. 103; Becuinor E TRAveRso, l. c. p. 511. Per ordine di frequenza il centonchio é la prima e la pit volgare delle piante arboricole. Essendo poi tale specie marcatamente polimorfa, avrei pure desiderato di poter stabilire i rapporti numerici tra le diverse entita minori di Stellaria media che trasformano quasi, per dir cosi, le capitozze del salcio in. altrettanti graziosi giardinetti pensili, ma disgraziatamente, causa la ristrettezza del tempo, dovetti limitare il mio compito a vedute più larghe e a ricerche meno minuziose. Così pure ho creduto bene di escludere dal presente elenco qualche forma di Cerastium rimastami indeterminata, nonchè talune compo- site le quali per essere in troppo giovane età non pote- vano offrirmi caratteri di sicura ed esatta classificazione. LE ARBORICOLE DEL SALCIO NELL’AGRO ABBIATENSE 165 Geraniacee. 33. Oxalis corniculata L. BéeuInor E Traverso, l. c. p. 520. Si trova talvolta in magri cespuglietti quà e colà. Borraginee. 34. Symphytum tuberosum L. È una novità per l’Italia sia come arboricola in genere che per rispetto a detto substrato. La trovai piuttosto comune sui salci che si distendono in lunghi filari in vicinanza del fiume Ticino da Ozzero alle cascine Prato- ronco, Casorasca e Lasso. 35. Symphytum officinale L. GEISENHEYNER, l. c. pag. LIX; Béaurnor E TRAVERSO, l. c. pag. 521. È frequente sui Salici che trovansi lungo le marcite. Si potrebbe chiamare una forma vicariante della specie ricordata in precedenza, poichè tiene precisamente le veci del S. tuberosum L. Solanacee. 36. Solanum Dulcamara L. Beyer, |. c. p. 38; GEISENHEYNER, |. c. p. LVIII; BARNEWITZ, l. c. p. 7; Bécurnot E TRaveRSO, l. c. p. 522. È una delle arboricole più visibili e volgari. Trovasi in discreta frequenza anche su altre essenze legnose, ma il salcio è senza confronto il soggetto da essa più preferito. 37. Solanum nigrum L. BARNEWITZ, l. c. p. 7; Bécuinor E TRAVERSO, l. c. p. 522. E poco frequente. Scrofulariacee. 38. Veronica Chamaedrys L. Rietz, |. c. p. 89, 93; Jaap, 1. c. p. 103; Bécurnor E TRA- VERSO, l. c. p. 523. Questa specie — senza confronto certamente la più bella del genere, nel basso milanese per lo meno — conferisce ai Salici che hanno Vonore di ospitarla, uno charme inesprimibile. Non è però tanto comune. 166 CARLO COZZI 39. Veronica Tournefortii Gm. Béeumor E TRAVERSO l. c. p. 523. Assai più comune della V. Chamaedrys. 40. Veronica hederaefolia L. BécuInot E TRAVERSO, l. c. p. 523. Compete in frequenza con la V. Tournefortii. Labbiate. 41. Nepeta Glechoma Benth. Rierz, l. c. p. 93; GEISENHEYNER, |. c. pag. LX; Jaap, I. c. p. 103; BARNEWITZ, l. c. pag. 8; BARSALI l. c. pag. 279; BéGurnor E TRAVERSO, l. c. pag. 524. In base alle mie osservazioni statistiche questa specie va ritenuta per una delle arboricole più importanti. 42. Galeopsis Tetrahit L. Rierz, l. c. pag. 88, 93; Jaap, |. c. pag. 103; Bicumor E TRAVERSO, 1. c. pag. 524. Comunissima questa pure. Nei boschi si trova talvolta — s'intende sul salcio — anche l’altra congenere, la G. La- danum, ma molto più raramente della Tetrahit. 43. Lamium purpureum L. Retz, l. c. p. 88, 92; BARSALI p. 279; Bécuinor E TRAVERSO, p. 524. Abbastanza diffuso. 44. Lamium album L. BEYER, lc. pag. 415) RreTz; ble 88,92; - JAAP, lcs pease BARNEWITZ, l. c. p. 8; Becuinort E TRAVERSO. |. c. p. 524. È questa altra delle arboricole che abbondano sulle capi- tozze salicine giungendo sempre a completa fioritura. 45. Lamium maculatum L. Béaumor E TRAVERSO, l. c. p. 524. Questa pianta che cresce in copia stragrande in tutta Lombardia e che è arcivolgare anche alle porte di Milano, offre uno strano fenomeno di dispersione, arre- stando cioè i suoi confini alle sponde del Naviglio in Comune di Albairate. Per modo che in tutto il territorio di Abbiategrasso, la cui circonferenza può valutarsi di LE ARBORICOLE DEL SALCIO NELL’AGRO ABBIATENSE 167 una quarantina di chilometri il Lamium maculatum brilla per la sua assoluta assenza. Come arboricola la trovai discretamente diffusa per l'appunto sui salici oltre il Naviglio, a pochi chilometri da questa cittadina, 46. Aiuga reptans L. BEYER, l. c. p. 39; BARSALI, l. c. p. 279; BeGumor E TRA- VERSO, l. c. p. 523. Frequente un po’ dappertutto. 47. Salvia glutinosa L. BEGUINOT E TRAVERSO, l. c. p. 525. Comunissima sui filari dei Salici presso il fiume Ticino e principalmente in comune di Ozzero e Morimondo, dalla cascina Pratoronco al Lasso. Plantaginee. 48. Plantago lanceolata L. Rierz, 1. c. pag. 92; GEISENHEYNER, l. c. p. LX; BEGUINOT E TRAVERSO, l. c. p. 526. Non troppo comune. 49. Plantago maior L. BARNEWITZ, l. c. p. 8; BéGuinor E TRAVERSO, l. c. p. 525. Più comune della pianta antecedente. Sapindacee. 50. Acer Pseudo-platanus L. Ne trovai un saggio presso alla cascina Baraggia Roma, ove detto albero è coltivato per ornamento. Trattasi perciò di un’arboricola nuova finora per l'Italia. bI. Acer campestre L. Bécumor E TRAVERSO, l. c. p. 519. Se ne trovano parecchi esemplari qua e colà. FRosacee. 52. Prunus spinosa L. Rietz, l. c. p. 88; BeGuinor E TRAVERSO, |. c. p. 515. Qua e là, ma non di frequente. 168 CARLO COZZI 53. Prunus avium L. Béicumor E TRAVERSO, |. c. p. 515. Abbastanza comune in quel d’Albairate e qua e là nel territorio del comune abbiatense. 54, Prunus Padus L. Riemzaal eC. pe Oe. Arboricola nuova per l’Italia. Mi piace ricordare che il P. Padus è uno degli alberi più caratteristici della flo- rula dei nostri boschi. 55. Poientilla reptans L. Beeuinor E TRAVERSO, |. c. p. 515. La ritrovai parecchie volte, ma non la credo troppo fre- quente. 56. Fragaria vesca L. Rietz; |. c. pag. 188; BARNEWITZ,: l. ¢. p. 6; BEGUINOT E TRAVERSO, l. c. pag. 515. Assai frequentemente. 57. Rubus caesius L. Beyer, l. ci p. 38; Rierz, 1c. p. 88; BARNEWITZ, ICP Beeumor E TRAVERSO, |. c. p. 515. Specie comunissima dovunque tanto sul Salix alba che su altri substrati legnosi. Con molta probabilità vi si trova anche il R. discolor W. et N., ma stante la enorme dif- ficoltà di determinazione che presenta questo genere eminentemente polimorfo, m'è parso meglio di escluderlo dal presente catalogo. 58. Rosa canina L. Rietz, |. c. p. 88; Béeurnor E TRAVERSO, l. c. p. 516. Ne scopersi un’esemplare in vicinanza della cascina Po- scallo (Abbiategrasso). 59. Crataegus Oxyacantha L. Segnalata dall’ UGoLini di Brescia nel suo: Contributo alla florula arboricola della Lombardia e del Veneto ecc. (Commentarii dell'Ateneo di Brescia per l’anno 1905 \ ? p. 138), senza però indicarne il substrato. 60. 61. 62. 63. 64. 66. 67. LE ARBORICOLE DEL SALCIO NELL’AGRO ABBIATENSE 169 Ombrellifere. Conium maculatum L. Riconosciuta già come arboricola dalla breve ‘nota: Sulla flora arboricola del gelso da mè pubblicata negli Atti di codesta Società (vol. XIV, p. 141). È dunque una novità in riguardo al substrato. Aegopodium Podagraria L. Beaurnor E Traverso, |. c. p. 517. La osservai varie volte. Anthriscus silvestris (L.) Hotfm. Rinrz, la ¢: p-'88, 93; BARNEWITZ,( 1. cp. 6. Nuova per l’Italia. Angelica silvestris L. GEISENHEYNER, l. c. pag. LIX; Bscurnor E TRaverso, l. c. pag. 513. Si riscontra in discreta abbondanza. Araliacee. Hedera Helix L. BARSALI, l. c. p. 279; BecuInoTt E TRAVERSO, l. c. p. 517. Rarissima. Cornacee. . Cornus sanguinea L. Beyer, |. c. p. 38; Rierz, |. c. p. 88; BécurnoTr E TRAVERSO, p. 518. — Lo rinvenni solo in pochi casi. Rubiacee. Galium cruciata L. Bécunor E TRAVERSO, |. c. p. 526. Piuttosto raro. Galium verum L. BARNEWITZ, l. c. p. 6; Bécummor E: TRAVERSO, l. c. p. 526. Molto più frequente, principalmente lungo un filare di Salici presso alla cascina Pratograsso. 17 68 69 71 =~] NO) 13 74 0 CARLO COZZI . Galium Aparine L. Rierz, l. c. pag. 88, 91; Jaap, 1. c. pag. 102; Bicuinor E TRAVERSO, l. c. p. 527. Ancora più frequente della specie precedente. Cucurbitacee. . Bryonia dioica Jacq. Arboricola nuova per l’Italia. Loniceracee. . Sambucus nigra L. Rierz, l. c. p. 88; BARNEWITZ, |. c. p. 5; BéGuinoTt E TrRa- VERSO MI Mc Mp-0014: Tanto frequente quanto il Rubus caesius e il Solanum Duleamara. . Viburnum Opulus L. REenZ a1 esap.2Se. Arboricola nuova per l’Italia. Valerianacee. 2. Valeriana officinalis L. GEISENHEYNER, l. c. p. LIX; BARNEWITZ, l. c. p. 6; BéGuINOT E TRAVERSO, l. c. p. 528. Si riscontra qua e colà, un po’ dappertutto. . Valeriana dioica L. BéGuinor E TRAVERSO, l. c. p. 528. Come la precedente. Composte. . Bellis perennis L. Rierz, 1. c. p. 88; BéGuinor E TRAvVERSO, 1. c. p. 528. Qua e colà, non troppo di frequente. 5. Artemisia vulgaris L. Loew.: Anfange epiphytischer Lebenweise bei Gefdsspflanzen Norddeutschlands. Verhandl. Bot. Verein Brandenburg, XOXSXITT (1891) p66; Rintz, Live. p88 3 Jas. cops bor BécuInor E TRAVERSO, p. 529. LE ARBORICOLE DEL SALCIO NELL’ AGRO ABBIATENSE Pat In un filare di salci tra la cascina Pratograsso e il Molino delle Monache (Abbiategrasso). 76. Arctium maius Schk. Presso alla cascina Baraggia Roma. Arboricola nuova per l’Italia. 77. Centaurea nigrescens W. Rierz, 1. c. p. 88; BéGumor E TRAVERSO, l. c. p. 529. Ne osservai parecchi individui. 78. Taraxacum vulgare Lam. Rierz; l. c. p. 89, 91; GEISENHEYNER, |. c. p. LIX; Jaap, l. Cipent0ok BARNEWarZ, lle. tp. 7; Barsari, 15 pi 279; BeGuInor E TRAVERSO, p. 530. Lo trovai una dozzina di volte. Epperò dalla sopra esposta enumerazione, il cui materiale di compilazione ebbe a costarmi la fatica di non poche e con- tinuate escursioncelle attraverso i campi e i boschi di questa plaga, parmi di poter lecitamente dedurre quanto segue: I° Le arboricole nuove per l’Italia, cioè che non furono finora ricordate da nessuno degli studiosi di questa attraentis- sima branca della biologia vegetale, sommano a 7; e sono: Vulpia myuros, Urtica urens, Rumex pratensis, Symphytum tu- berosum, Bryonia dioica, Viburnum Opulus e Arctium maius. Son nuove invece, semplicemente per il substrato: Serrafalcus secalinus e Conium maculatum. II° Le piante riscontrate sui Salici dell’agro abbiatense in numero di specie 78 — numero questo che per ulteriori indagini potrà indubbiamente in seguito accrescere anche più del doppio — appartengono a ben 27 famiglie naturali, tra le quali appaiono più largamente rappresentate le Graminacee (con 11 sp.), le Rosacee (con 8 sp.), le Labbiate (con 7 sp.), le Urticacee (con 6 sp.) e le Composite (con 5 sp.), 8 famiglie risultano monotipiche, vale a dire non aventi che un sol rap- presentante. Quanto poi alla consistenza della loro natura, esse si ripartiscono in 61 piante erbacee, in 3 suffrutici e in 14 alberi, prevalendo il Centonchio tra i primi, la Dulcamara tra i secondi e la Quercia tra gli ultimi. III° Per ciò che riguarda il quantitativo numerico nella 172 CARLO COZZI - LE ARBORICOLE DEL SALCIO NELL’AGRO ABBIATENSE diffusione delle piante arboricole, ho creduto opportuno di stendere, per mio uso e consumo, un pò di statistica; e tanto per non riportare che le conclusioni ultime ottenute, senza bisogno di riprodurre i singoli dati raccolti, dirò che, in con- fronto alle altre tutte, mi risultarono sempre predominanti con una enorme maggioranza la Stellaria media per la prima specie, poi il Lamium album, la Quercus Robur, il Solanum Dulcamara e da ultimo il Rubus caesius. Trovo pur degno di menzione il fatto che, allorquando due, tre o più arboricole occorre di rinvenirle conviventi simultaneamente sull’identico soggetto, la Stellaria media e il Lamium album non vi abbiano a mancar mai. Ma non tutte e sempre le specie dedite solitamente all’ ar- boricolismo, particolarmente se di natura legnosa, riescono ad adattarsi alle condizioni spesso sfavorevoli di sviluppo che offrono le capitozze di un albero. Gli aceri, la quercia, i Rubus, le Rose non conseguiscono che un accrescimento stentato e insufficiente. E se la stagione primaverile è troppo disturbata dai venti e dalle prolungate siccità, com’ebbe appunto a veri- ficarsi nell’anno scorso, può succedere che anche parecchie specie erbacee, tra cui per es. le Composite, non abbiano non solo a portare a maturanza i frutti, ma neanche a raggiungere il periodo della fioritura. IV° Il novanta per cento dei Salici affetti da carie nel fusto o alla testa, cresciuti in località sommerse o molto umide, quali potrebbero essere le risaie e le marcite, accoglie specie arboricole. Lungo le strade invece non vi si presta che il cinquanta od anche il trenta per cento. Sono poi ribelli in modo assoluto, oltre i Salici giovani su cui non potrebbe ordinariamente allignare nessuna pianta, quelli le cui capitozze si invadono di edera, la quale soffoca già in sul primo nascere i germogli che spuntassero dal seme di qualsiasi arboricola. Abbiategrasso, Maggio 1908. SUNTO DEL REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (1904) (DATA DI FONDAZIONE: 15 GENNAIO 1856) Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. I Soci sono in numero illimitato: effettivi, perpetui, benemeriti e ONOVAVI. I Soci effettivi pagano L. 20 all'anno, in una sola volta, nel primo bimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. Chi versa Lire 200 una volta tanto viene dichiarato Socio perpetuo. Si dichiarano Soci benemeriti coloro che mediante copiscue elargi- zioni hanno contribuito alla costituzione del capitale sociale. A. Soci onorari possono eleggersi eminenti scienziati che contribui- scano coi loro lavori all’ incremento della Scienza. La proposta per l ammissione d’un nuovo Socio effettivo 0 perpetuo deve essere fatta e firmata da due soci mediante lettera diretta al Con- siglio Direttivo (secondo l’Art. 20 del Regolamento). Le rinuncie dei Soci effettivi debbono essere notificate per iscritto al Consiglio Direttivo almeno tre mesi prima della fine del 3” anno di obbligo o di ogni altro successivo. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Atti ed alle Memorie non si possono unire tavole se non sono del formato degli Atti e delle Memorie stesse. Tutti i Soci possono approfittare dei libri della biblioteca sociale purchè li domandino a qualcuno dei membri del Consiglio Direttivo o al Bibliotecario, rilasciandone regolare ricevuta e colle cautele d’ uso volute dal Regolamento. Gli Autori che ne fanno domanda ricevono gratuitamente cinquanta copie a parte, con copertina stampata, dei lavori pubblicati negli Atti e nelle Memorie. Per la tiratura degli Estratti (oltre le dette 50 copie), gli Autori dovranno rivolgersi alla Tipografia sia per l'ordinazione che per il pagamento. La spedizione degli estratti si farà in assegno. INDICE DEL FASCICOLO lo E 2° Consiglio direttivo pel 1908 ; : : po E ef Elenco dei Soci per l’anno 1908 i : 3 sE INI Istituti scientifici corrispondenti in principio dell’an- no 1903 . i F : 3 : i EA) VII. Seduta del 16 febbraio 1908 : ; : 3 Ina XIX Seduta del 15 marzo 1908 . ; 3 ; SAR) XXI Seduta del 3 maggio 1908. i : È i e a AcHILLE Grirrint, Sopra alcuni grillacridi del genere Eremus Brunner. : ‘ : ; = AR) 1 FeRrpINANDO SorpELLI, Vertebrati dell’ Argentina e del Benadir, donati al Civico Museo di Milano dal Sig. Silvio Bondimaj . : ; : a E, 10 Apa LAMBERTENGHI, Contributo allo studio delle cel- lule renali dell’ Helix. pomatia 1. e del Limax variegatus drap .. : ; : : 3 VASI) 23 Roperto BRuNATI, Osservazioni geologiche nella valle del Cosia presso Como È i : : ORSO 40 FRANCESCO SALMOJRAGHI, Su alcuni terreni alluvionali di Vizzola Ticino e Castelnovate in Provincia di Milano . . . . . . . . ” 52 E. Repossi, Osservazioni sopra alcuni minerali di Besano . x IAA Lao 86 FeLice Supino, Morfologia del cranio e note sistema- tiche e biologiche sulle famiglie Trachinidae e Pediculati. .. : i : : : ; Nee gee axe 8) Fenice Supino, I così detti pesci antimalarici . e rie fe L. MAppALENA, Studio petrografico dei basalti delle Bragonze nel Vicentino 3 . È IE 900) EEE Agostino GEMELLI, Contributo alla conoscenza della distribuzione dei nervi e delle terminazioni ner- ; vose della membrana del timpano : pron TEL Enrico Mussa, Note floristiche delle Prealpi Torinesi . fra la Dora Riparia e la Stura di Lanzo (Zona delle pietre verdi) : ; i Cda Carro Cozzi, Le arboricole del Saleio nell n Ab biatense i ; È eet : i RR ick 1 NB. Ciascun autore è solo responsabile delle opinioni manifestate nei suoi lavori, e ne conserva la proprietà letteraria. 39 5% we SA : ba i TA POTE CI IEEE I AE Ah A ATTI DELLA SOCIETÀ ‘ITALIANA = DI SCIENZE NATURALI E DEL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO VOLUME XLVII FascicoLo 3° — FogLI 6 (Con tre tavole) PAVIA PREMIATA TIPOGRAFIA SUCCESSORI FRATELLI FUSI Largo di Via Roma N. 7. GeNNAIO 1909 Per la compera degli ATTI 6 delle MEMORIE rivolgersi alla Segreteria della Società. Palezzo del Museo Civico di Storia Netursle, Corso Venezia. L'invio dei singoli fascicoli ai Soci e Corpi Scientifici vien fatto colla Posta, CONSIGLIO DIRETTIVO PEL 1908 Presidente. ArtINI Prof. Errorr, Museo Civico. Vice-Presidente. — Besana Ing. Comm. Giuseppe, Via Ruga- bella, 19. Segretario. — De-ALEssanDRI Dott. GiuLio, Museo Civico. Vice-Segretario. — RePossi Dott. EmiLio, Museo Civico. Archivista. — CASTELFRANCO Prof. Cav. Pompeo, Via Principe — Umberto, 5. BeLLOTTI Dr. Comm. Cristororo, Via Brera, 10. Macrerti Dott. PaoLo, Via Leopardi, 21. Consiglieri. — SALMOJRAGHI Prof. Ing. FRANCESCO, Piazza Castello, 17. VienoLi Cav. Prof. Trro, Corso Venezia, 89. Cassiere. — Via Cav. Virrorio, Via Sala, 6. Bibliotecario sig. ERNESTO PELITTI. INTORNO AD ALCUNE GRYLLACRIS del Musée Royal d'Histoire Naturelle e del Musée du Congo, di Bruxelles pel socio Dott. Achille Griffini -— e >_< Il materiale scientifico che forma oggetto della presente nota mi fu recentemente spedito in comunicazione dal sig. Dott. G. Severin, conservatore del Musée Royal d’ Hist. Natu- relle di Bruxelles, unitamente ad un buon numero di altri in- setti, per la cui determinazione egli volle gentilmente a me indirizzarsi. Le Gryllacris, di cui qui mi occupo, appartengono in parte al Musée R. d’ Hist. Naturelle suddetto, e in parte al Musée du Congo, pure di Bruxelles; le prime sono specie indo-malesi, le seconde sono specie africane. Tutti gli esemplari sono con- servati a secco. Benchè non vi si comprendano grandi novità, reputo non- dimeno non inutile il darne quì conto, poichè la migliore co- noscenza di specie finora incompletamente od imperfettamente note e lo studio della variazione di altre, possono spesso riu- scire anche più utili della descrizione di qualche nuova specie. Genova, R. Istituto tecnico, 1 Settembre 1908. a) — Specie indo-malesi. Gryllacris fumigata De Haan. Sg — Gryllacris fumigata. De Haan 1842 (2), pag. 219. — Gerstaecker 1860 (3), pag. 264. — Brunner 1888 (5), pag. 328-29. — Pictet et Saussure 1891 (8), pag. 304, Tab. 1, fig. 7. — Kirby 1906 (9), pag. 139. Q — Gryllacris fumigata Griffini 1908 (11), pag. 34. Una 9. — Ile Madura (Cap. von Ende). Questa 9 è alquanto più piccola del tipo da me descritto e un po’ meno colorata, inoltre fornita di ovopositore relativa- ll 174 ACHILLE GRIFFINI mente più corto: però per tutti i caratteri principali corrisponde bene a quel tipo. Ecco le sue principali dimensioni : Lunghezza del corpo mm. 27,9 ” del pronoto ” 7 ” delle elitre n 35 ” dei femori anteriori DO ” dei femori posteriori De mAbs) ” dell’ ovopositore ni 1S Il fastigium verticis raggiunge appena una volta e mezza la larghezza del primo articolo delle antenne. Il colore del capo è fondamentalmente come nel tipo; l’occipite e il vertice sono lievemente più scuri della fronte e non presentano parti brune -miste al colore più smorto; le fascie suboculari, il clipeo, il labbro, i palpi sono come nel tipo; le antenne hanno il primo articolo bruno chiaro, il secondo bruno scuro, come quelli che subito lo seguono. Il pronoto è fatto come nel tipo; la metazona è alquanto ascendente, il solco longitudinale abbreviato posteriormente è un po’ a fossetta. Il dorso del pronoto principalmente al mezzo e posteriormente è giallastro, i fianchi sono piuttosto bruni, e questo colore va fondendosi con quello nerastro dei margini : il margine posteriore del dorso però è appena bruno. Elitre, ali e zampe come nel tipo. — L’apice delle tibie piuttosto che nero è bruno, mentre i ginocchi sono ben neri : i tarsi sono brunicci; la parte inferiore dei femori posteriori non è più scura della superiore. Le spine delle 4 tibie anteriori sono piuttosto brune coll’estremo apice brevemente pallido. L’ ovopositore, tolta la lunghezza proporzionalmente minore, è come nel tipo, e così la lamina sottogenitale. Gryllacris podocausta De Haan, var. mu- tabilis Pict. et Sauss. Gryllacris mutabilis var. 2, Pictet et Saussure, 1891 (8), pa- gine 307-309, Tab. 1, fig. 10... Gryllacris podocausta var. mutabilis Griffini 1908 (10) pag. 2. 1 Q — Iava (Fruhstorfer). 1g — Iava (Fruhstorfer). ‘ La © corrisponde esattamente alla var. mutabilis: il o' è INTORNO AD ALCUNE GRYLLACRIS ECC. 175 particolarmente interessante, perchè in esso ogni colore oscuro del pronoto è scomparso, e il pronoto è dunque completamente giallastro come tutte le zampe. Le elitre stesse sono alquanto più pallide del solito, colle venature meno brune. Però i disegni del capo in gran parte sono conservati, i caratteri dell’ultimo segmento addominale esistono ben ricono- scibili, e persino il colore castano dell’ apice dell’addome per- siste. Gryllacris genualis Walker. JS — Gryllacris genualis Walker 1869 (4), pag. 179. — Kirby 1906 (9), pag. 140. JS — Gryllacris nigroscutata Brunner 1888 (5), pag. 330. Un g°. — Preanger - Tjinangrang (P. Vermersch). Di questa specie finora non si conoscono che esemplari ? ] versus attenuata, sed apice latiuscule truncata, angulis obtuse rotundatis, margine apicali transverso fere recto. Gryllacris africana Brunner. SJ. — Gryllacris africana Brunner 1888 (5), pag. 362-63. Kirby 1906 (9), pag. 147. J, 9. — Gryllacris africana Karsch 1890 (6), pag. 368-69. Griffini 1908 (12), pag. 26-27. — Griffini 1908 (13), pag. 51. Un g°. — Iringui (Don Lindemans). E rimarchevole pel corpo molto nitido, per le elitre molto pellucide e per l’apice dell’addome superiormente bruno. Per ogni altro carattere va certo riferito alla vera Gr. africana. Gryllacris Fulleborni Grittini. J, 9.— Gryllacris Fulleborni Griffini 1908 (13) pag. 52-55. I tipi di questa specie appartengono al K. Zool. Museum di Berlino. Trovo ora nelle collezioni del Museo del Congo di Bruxelles una Q, coll’indicazione: Moero (Heco). Essa corrisponde benissimo al tipo; è un pò più piccola, ma va notato che essendo a secco ha il corpo alquanto con- tratto; eccone le principali dimensioni: Lunghezza del corpo mm. 21,5 n del pronoto emt) ” delle elitre 3» eae ” dei femori anteriori» 7,5 ” dei femori posteriori » 15 ” dell’ ovopositore n 24 Il fastigium verticis in questo esemplare raggiunge la lar- ghezza 1 '/, del primo articolo delle antenne. Le vene basali del campo AR (inferiore esterno nel riposo) delle elitre sono leggermente oscure. 184 ACHILLE GRIFFINI - INTORNO AD ALCUNE GRYLLACRIS ECC, BIBLIOGRAFIA CITATA l. I. G. AuvineT-SrRVvILLE. — 1859 — Histoire Natur. des Insectes Or- thoptères, Paris. 2. W. De Haan. — 1842 — Bijdragen tot de Kennis der Orthoptera. Verhandl. over de Natuurl. Gesch. der Nederl. overzeesche Bezittingen. 3. A. GERSTAECKER. — 1860 — Ueber die Locustinen-Gattung Gryl- lacris Serv. Archiv f. Naturg. Band. XXVI. 4. F. WaLKkER. — 1869 — Catalogue of the spec. of Dermaptera sal- tatoria etc., London. 5. C. BRUNNER VON WATTENWYL. — 1888 — Monogr. der Stenopel- matiden und Gryllacriden. Verhandl. K. Zool. Bot. Gesellschaft. Wien. Band. XXXVIII. 6. F. Karsca. — 1890 — Verseichn. der von Preuss auf der Ba- rombi-station in Deutsch Westafrika gesamm. Locustodeen. En- tomolog. Nachrichten. Berlin, XVI Ihg. n. 23-24. 7. |. BoLivar. — 1890 — Les Orthoptères de St. Ioseph' s College a Trichinopoly (sud de l’Inde). Annales Soc. Entomolog. de France, vol. LXVIII. 8. A. Picrer er H. pe Saussure. — 1891 — De quelques orthopt. nouveaur. Mittheil. Schweizer. Entom. 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VIII. ¥ NEUROMERI E SOMITI META -OTICI IN EMBRIONI DI SALMONIDI pel Dottor Ciro Barbieri Libero docente di Zoologia Con la presente ricerca intendo di completare un mio lavoro precedente, pubblicato nel « Morphologisches Jahrbuch » (1907) intorno ai nervi cranici dei Teleostei. Il mio assunto è precisamente questo: 1) studiare la for- mazione dei neuromeri e determinare i loro rapporti coi nervi cranici. 2) seguire lo sviluppo dei somiti della regione cefalica. 3) dimostrare quali e quanti sono i nervi con caratteri spinali che si accennano nella regione occipitale, e determinare insieme in qual modo ed in qual punto si stabilisce il limite fra regione cranica e regione del tronco. Con tali intenti ho enunciato i problemi più gravi e più discussi intorno alla natura ed all’embriologia del capo. Io credo utile illuminare le dette questioni con quanto ci può dimostrare |’ embriologia dei Teleostei, in primo luogo perchè in merito a tali problemi i Teleostei poco furono studiati, secon- dariamente perchè nell’embriologia di questi pesci in realtà si osservano manifestazioni metameriche di una grande chiarezza. Dividerò il mio lavoro in due parti: in una prima esporrò soltanto le mie ricerche, non entrando in considerazioni comparative se non quando sia strettamente necessario; in una seconda parte invece rife- rirò, nella maniera la più succinta, sullo stato attuale delle nostre cognizioni intorno alla metameria del capo, e sulle conseguenze che possono trarsi dalle mie osservazioni. Le mie ricerche furono eseguite sopra serie di embrioni di Salmo irideus (Gibb) e di Salmo fontinalis (Mitch). Per gli stadi più avanzati ho utilizzato anche embrioni e larve di Salmo fario (Linn). 186 CIRO BARBIERI La fissazione del mio materiale fu ottenuto in questo modo: Sublimato acetico al 5°/, per ore 2 — quindi sublimato al 2 °/, ed alcool al 90°/, in parti eguali per ore 10. Gli embrioni piccoli furono asportati, mediante rasoio, con una piccola parte di vitello, e quindi inclusi. Gli embrioni maggiori furono da me completamente liberati dal vitello prima dell’ imparattinamento. Per la colorazione ebbi i mi- gliori successi col carmallume. Usai però anche l’emallume, |’ emotossillina, e per gli stadi avan- zati la rubina s. preparata secondo Apathy, al fine di differenziare bene le parti cartilaginee. Ho fatto anche moltissime osservazioni su embrioni preparati in toto, che io liberavo quanto più mi era possibile dal vitello, coloravo leggermente con carmallume, chiarificavo in xilolo, e montavo quindi in balsamo. x E opportuno, prima che mi inoltri nell’ esposizione delle mie ricerche, dividere il periodo embrionale che ho esaminato in fasi successive, onde meglio poter fissare lo svolgersi dei fenomeni da me studiati. Io mi atterrò ad una distinzione di stadi analoga a quella che ho stabilita nel mio lavoro precedente sui nervi cranici. Stadio 1, — Embrioni di S. trideus di 2 !/, mm. — embrioni di S. fontinalis di 2 mm. Asse nervoso senza cavità ependimale. Primo accenno delle vescicole ottiche. Stadio 2. — Embrioni di 8S. ivideus di 3 mm. — embrioni di S. fontinalis di 2!/, mm. Le vescicole ottiche sono ben distinte con accenno di cavità interna, mentre nell’asse nervoso si ha appena l’acceuno di una fessura longitudinale. Stadio 3. — Embrioni di S. ¢rideus di 3 !/, mm. — ed embrioni di S. fontinalis di 3 mm. Asse nervoso cavo; vescicola acustica con lume, ma ancora unita all’epidermide. Stadio 4. — Embrioni di S. irideus di 4!/, mm. — ed embrioni di S. fontinalis di 4 mm. La vescicola acustica è staccata dell’ epi- dermide. Stadio 5. — Embrioni di S. irideus di 12 a 14 giorni, ed embrioni di S. fontinalis di 14 a 16 giorni. Comincia nella vescicola ottica a delinearsi lo strato delle cellule gavglionari. Stadio 6. — Embrioni dai 20 ai 26 giorni di incubazione. Nella retina si forma lo strato granulare interno. Stadio 7. — Epoca della schiusa. Stadio 8. — 20 giorni dopo la schiusa. Stadio 9. — 40 a 50 giorni dalla schiusa; assorbimento quasi totale del vitello. NEUROMERI E. SOMITI META-OTICI ECC, 187 I? PARTE Formazione dei neuromeri e dei metameri e sviluppo della regione occipitale nei Salmonidi. Poco finora fu indagato riguardo alle manifestazioni di metameria del capo dei Teleostei; forse ciò fu in parte dovuto al preconcetto che detti animali non dovessero presentare se non scarse tracce delle primitive disposizioni. Riassumerò bre- vemente quanto fu osservato. I neuromeri, differenziamenti del cervello intravisti per primo dal Baer e dal Bischoff, che hanno acquistato, in base a studi recenti, tanta importanza pel riconoscimento della strut- tura primitiva del capo, furono descritti nel cervello di Te- leostei da parecchi Autori. Al Dohrn dobbiamo il primo accenno sulla segmentazione del cervello di Teleostei. Nel suo studio « Ursprung der Wirbelthiere ecc. 1875 » afferma, in una maniera però molto vaga, che nel midollo allungato di Teleostei in genere, si notano da 8 a 9 segmenti. ll Kupffer nel 1885 ha trattato in modo più preciso della metameria primitiva del tubo nervoso degli embrioni di Trota. Egli osservò cinque paia di segmenti nel midollo allungato ; il limite posteriore del 5° coin- ciderebbe col limite posteriore della vescicola acustica. Nel cervello medio L'A. avrebbe distinto ancora 5 segmenti. In embrioni di Gasterosteus l'A. confermò questi dati; però poste- riormente al quinto neuromero del midollo alluugato avrebbe quivi os- servato altre 5-4 paia di segmenti, di evidenza sempre decrescente. ll criterio per la distinzione dei segmenti del cervello usato dal Kupffer consiste nella presenza di solchi sulla parete del tubo nervoso. Le osservazioni del Kuptler sono le prime fatte con accuratezza intorno allo sviluppo dei neuromeri. ll Reighard (1890) notò nel midollo allungato di Stirostedion vitreum 6 segmenti. Di essi il primo persiste e forma il cervelletto dell'adulto, i cinque posteriori scompaiono. L'A. non accenna affatto che il cervello medio ed anteriore si’ presentino segmentati. Il Waters (1892) ci ha tracciato la segmentazione del' cervello di Gadus. Sarebbero presenti 11 neuromeri così ripartiti: 3 nel cervello anteriore, 2 nel cervello medio e 6 nel cervello posteriore. La dimo- strazione che l'A. ci fornisce dei ‘segmenti del cervello anteriore e 188 - CIRO BARBIERI medio è molta vaga, ed è prova della mancanza di una netta distinzione fra i pretesi neuromeri di queste due regioni. Riferirò con maggiori particolari le ricerche dell’ Hill (1900) su embrioni di Trota, come le più recenti ed accurate. L’A., che ha contemporaneamente fatte osservazioni anche su embrioni di pollo, viene alla conclusione che il cervello di Salmo consta di 11 segmenti, i quali avrebbero valore metamerico, e rappre- senterebbero anzi gli unici elementi su cui basare una deter- minazione precisa dei metameri del capo. La distinzione di cervello anteriore, medio e posteriore sarebbe più recente della distinzione dei neuromeri. I neuromeri dell’ Hill sono così ripartiti: 3 pel cervello anteriore, 2 pel cervello medio e 6 pel cervello posteriore; il primo segmento del cervello posteriore rappresenta il cervel- letto. L’ Hill si accorda pertanto col Waters pel numero totale dei segmenti del cervello e per la loro distribuzione, non crede però che i suoi segmenti coincidano con quelli del Waters, soprattutto pel cervello anteriore e medio. La dimostrazione che ci fornisce |’ Hill è dettagliata, e le illustrazioni sono talmente evidenti, da far sembrare strano il disaccordo che esiste riguardo alla metameria del cervello anteriore e medio. Bisogna inoltre tener conto che tale netta distinzione l’A. avrebbe osservato anche in embrioni viventi, e quindi senza alcun artifizio di preparazione. [le connessioni fra neuromeri e nervi cranici sono secondo |’ Hill le seguenti : 1° neuromero e nervo olfattorio ; 2° neuromero e nervo ottico ; 3° neuromero senza nervo; 4° neuromero e nervo oculo-motorio, che sorge dalla sua parte posteriore e ventrale; o° neuromero e trocleare, che ha origine dalla parte dorsale e posteriore del neuromero ; 6° neuromero e radice anteriore del trigemino; 7° neuromero e radice principale del trigemino; 8° neuromero senza nervo ; 9° neuromero e acustico faciale ; 10° neuromoro senza nervo; 1l° neuromero e glosso faringeo. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC. 189 Ritornerò ancora sulle osservazioni dell’ Hill (*). È opportuno frattanto premettere qualche nozione sulla nomenclatura dei segmenti del cervello. L’Ahlborn (1884) usò per prima il termine neuromeri per indicare i metameri del tubo nervoso. Il Beraneck (1884) usò il termine « replis medullaires » ed il Kupffer (1885) « Medullarfalten ». Mc Clure chiama col nome di neuromeri tutte le formazioni segmentali del sistema nervoso-centrale, e distingue i neuromeri in mielomeri o segmenti del mielon, ed in encefalomeri o seg- menti dell’encefalon. La nomenclatura del Me Clure è la più usata, ed anch’io mi atterrò ad essa. I criteri per la distinzione dei neuromeri furono stabiliti in modo classico dall’Orr (1887), a proposito dei segmenti neu- rali delle Sauri del genere Anolis, e sono i seguenti: l° Ciascun neuromero è separato dai neuromeri vicini mediante un solco esteruo ed un rilievo interno parallelo al primo; ciascun neu- romero appare iu tal modo come un piccolo arco di circonferenza. 2° I solchi sono precisamente corrispondenti sui due lati del cervello. 3° Le cellule allungate del tubo nervoso sono disposte radialmente, rispetto alla superficie interna curvata del neuromero. 4° I nuclei sono generalmente più vicini alla superficie esterna, e si approssimano alla superficie interna solo in corrispondenza dei rilievi. 5° In corrispondenza del piano di separazione di due neuromeri, le cellule sono orientate in modo che uessuna passi da un neuromero in quello vicino. Questi criteri furono confermati dal Me Clure (1893) con osserva- zioni su embrioni di pollo, di lucertola e di Amblystoma, e dal Locy (1895) su Selaci. Autori recenti però hanno messo in dubbio la validità di questi criteri. Così il Neal (1898) fa notare, che nel cervello di embrioni di Acanthias i neuromeri sono separati anche sulla faccia interna e laterale del tubo nervoso da un solco; solo nella (1) Il Pedaschenko (1901) in una breve nota parla di una particolare segmen- tazione del cervello medio di Zoarces viviparus, accennando all esistenza di 6 liste trasversali sulla parete interna del cervello medio embrionale. La descrizione dataci è così incompleta che non è possibile fare confronti coi neuromeri descritti da altri Autori. 12 190 CIRO BARBIERI parte dorsale e ventrale della faccia interna del tubo nervoso si osserverebbe la presenza del rilievo descritto dall’ Orr; così cia- scun neuromero ci appare non già come una semplice porzione di arco, ma come costituito di un ispessimento laterale del tubo nervoso, e di due dilatazioni, una dorsale ed una ventrale. L’Hill (1900) in embrioni di trota e di pollo ha osservato che i neuromeri sono separati da solchi tanto sulla superficie interna che su quella esterna del tubo nervoso; egli non può confer- mare che il 2° ed il 4° dei criteri stabiliti dall’ Orr. Dal riassunto presentato si rileva come intorno alla meta- meria del cervello di Teleostei parecchie osservazioni siano state fatte. Invece di gran lunga più scarse sono le cognizioni che possediamo intorno alla segmentazione del mesoderma cefalico ed allo sviluppo della regione occipitale. Intorno a quest’ argomento non posso citare se non notizie incidentali, che si trovano in lavori destinati ad altro scopo. LL’ Henneguy (1888), nel suo elassico lavoro sull’ embriologia della Trota, accenna che la serie delle protovertebre normali giunge fin a poca distanza dalla vescicola acustica. Avanti l'ultima protovertebra uormale si estendono delle lamine di mesoderma cefalico, senza traccia di segmentazione. L'A. non ci fa sapere affatto se alcune delle proto- vertebre normali facciano parte della regione del capo, ed a quali modificazioni esse vadano incontro. Discuterò in seguito più partico- larmente gli asserti dell’ Henneguy. Il Goronowitsch (1898) nota l’esistenza, dietro la vescicola uditiva, di un’ammasso irregolare di mesoderma, che egli crede corrisponda ad una protovertebra rudimentale. Ad esso seguono, in direzione caudale, delle protovertebre normali. L’ Hill, nel lavaro citato, accenna semplicemente che il mesoderma del capo di Trota non presenta tracce di segmentazione. L' Harrisson (1895), studiando lo sviluppo delle pinne di Salmonidi, accenna abbastanza particolareggiatamente allo sviluppo della regione occipitale di questi pesci. In embrioni di circa 24 giorni di sviluppo egli trovò nella regione occipitale, un primo somite (che chiama a) con caratteri rudimentali, cui seguono somiti normali, dei quali i primi due, per i fatti ulteriori dello sviluppo, si appaleserebbero per I° e 2° somite occipitale. Nelle fasi successive il somite rudimentale a scompare disolvendosi in mesenchima; il primo somite occipitale seguita a svilupparsi senza presentare traccia di radice nervosa nè dorsale ne ventrale; in corrispondenza al secondo somite occipitale si accenna una radice dorsale con ganglio ed una ventrale. Verso l'epoca della schiusa la radice dorsale ed il ganglio sono regrediti, la radice ventrale NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC. 191 soln persiste e forma il nervo ipoglosso. Seguono ad esso somiti nor- mali con nervi spinali completi. Le osservazioni dell’ Harrisson possono riassumersi nel seguente specchietto: Protovert. embrionali] Segm.corr.dell’adulto Nervi a Mesenchima 2 l 1° miotomo occipitale ? 2 2° miotomo occipitale |Ipoglosso (sola rad. ventr). 3 1° miotomo del tronco 1° spinale Come avrò modo di dimostrare in seguito, le osservazioni del- l'Horrisson a questo proposito non sono del tutto esatte. Con ciò io ho terminato la rassegna di quanto si conosce intorno allo sviluppo delle formazioni metameriche del capo nei Teleostei. Mi è ora necessario riassumere anche quanto si conosce sulla regione occipitale dell’adulto nei Salmonidi, onde il let- tore abbia chiaro dinanzi a se il problema che io debbo risol- vere coi fatti dello sviluppo. Pur rimandando alla seconda parte la discussione sulla struttura della regione occipitale in genere dei Vertebrati, e sulle varie e complesse teorie elaborate in proposito, accenno fin d’ora che in tutti i Vertebrati Gnatostomi la parte occipitale del cranio mostra evidentemente di essere costituita da un com- plesso di segmenti simili a quelli del tronco. Questa costitu- zione è di gran lunga più chiara negli embrioni; però non si oblitera del tutto anche nell'adulto, in cui essa può dedursi: 1° dalla presenza di nervi simili ed omodinami senza discus- sioni ai nervi spinali, cioè le radici dell’ipoglosso; 2° dalla presenza di archi neurali (detti archi occipitali), che si inse- riscono sul basi-occipitale, e che sono più o meno fusi assieme a costituire l’ occipitale laterale. I Teleostei, per quanto riguarda la regione occipitale, mostrano, secondo il Sagemehl (1891), una chiara derivazione dai Ganoidi ossei. In Amia si trovano, al disopra dell’ occipitale basilare, due archi occipitali liberi; in Lepidosteus e Polypterus i due archi sono fusi a formare un arco unico pure libero, e ciò si deduce dai rapporti dei 192 CIRO BARBIERI nervi ipoglossali. Nei Teleostei si osserva spesso, nella parte cartilaginea dell’ oceipitale laterale, la traccia evidente di un arco occipitale, che limita il forame occipitale (Esocidi, Clupeidi, Salmovidi). I rapporti coi nervi dimostrerebbero, secondo Sagemehl, che tale arco corrisponde al 2° arco occipitale di Ama, mentre l’ arco corrispondente al primo di Amia, nei Teleostei sarebbe completamente fuso col cranio. Il Sagemehl convalida la sua interpretazione dimostrando, che esiste omologia fra l'occipitale superiore dei Teleostei, e le apofisi spinose dei due archi occipitali liberi di Amia, già saldate nell’Amia adulta stessa in una lamella ossea unica. In altri Teleostei gli archi occipitali sono completamente fusi col cranio (Ciprinoidi), in altri sono in parte regrediti, come l'A. deduce soprattutto dai rapporti coi nervi. Le osservazioni del Sagemehl si collegano con quanto nella re- gione occipitale dei Teleostei fu riscontrato dal Gegenbaur (1887), il quale dimostrò in Exox, Salmo, Gadus ed altri generi quanto siano svariati i rapporti degli archi occipitali, e come si possono avere con- crescenze e regressioni che rendono questo parte del cranio di difficile interpretazione. ll Firbringer (1897) confermò sostanzialmente le osservazioni e le interpretazioni del Sagemehl. Attraverso la regione occipitale fuoriescono dei nervi simili a quelli spinali; però in essi è per lo più regredita la radice dorsale. Questi nervi, che negli Amnioti formano l’ipoglosso, vanno ad innervare nei Vertebrati acquatici la muscolatura che è in rapporto coll’apparato branchiale, (muscoli epibranchiali ed ipobranchiali), nei Vertebrati terrestri innervano dei muscoli (muscoli della lingua soprattutto) corrispondenti ai muscoli ipobranchiali dei pesci (Fiirbringer 1897). Nei Teleostei il numero edi caratteri dei nervi ipoglossali varia secondo le specie; nè inoltre i diversi A. si accordano completamente nelle loro osservazioni. Secondo lo Stannins (1842) esistono due nervi occipitali completi (cioè con radice ventrale e dorsale) in Trigla, Lophius, Rhombus ed altri generi; due nervi, di cui il 1° solo con radice ventrale, il 2° com- pleto, in Lucioperca, Caranx, Raniceps ; un solo nervo completo nei Ciprinoidi, in Silurus, Anguilla; una sola radice ventrale in Salmo, Cottus, Belone. Le osservazioni dello Stannins furono in parte contraddette da altri Autori. L’ Haller (1897) dimostrò che in Salmo esistono due radici ventrali occipitali, che a poca distanza dall'origine si uniscono assieme, e fuo- NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 193 riescono dal cranio per andare a congiungersi col tronco del 1° nervo spinale. La stessa cosa si verificherebbe nel Luccio, Nelle Anguille invece si noterebbero due radici ventrali, delle quali la seconda con ganglio. Il Fiirbringer (1897) ha osservato del pari in Salmonidi e Luccio ed in molti altri Teleostei due radici ventrali occipitali, che si uniscono al l° nervo spinale a costituire un plesso cervicale. Da questo plesso, e precisamente dalla parte di esso formata dalle due radici occipitali, si stacca un ramo cervicale che innerva i muscoli ipobranchiali. L'A. non esclude che i muscoli ipobranchiali dei Teleo- stei siano innervati anche da un ramo del vago. Altri reperti che ancora voglio citare sono quelli dell’ Handrick (1901), che in Argyropelecus riscontro due nervi occipitali, di cui il secondo con radice dorsale e ganglio, e del Gierse, che in Cyclome acclinidens (1904) dimostrò l’esistenza di due semplici radici ventrali occipitali. Molta importanza ha infine il reperto del Supino (1907) che in giovani larve di Conger vulgaris notò tre nervi fra il cranio cartilagineo ed il primo arco vertebrale, i quali si dirigono al plesso branchiale. Tutti e tre questi nervi constano di radice ventrale e di radice dorsale, con relativo ganglio. Nell’ adulto il medesimo Autore avrebbe riscon- trato ancora tre radici ventrali, le quali corrisponderebbero probabil- mente ai tre nervi della larva. Il Fùrbringer (1897) chiama i nervi della regione occipitale di Teleo- stei col nome di nervi occipito-spinali, giacchè egli non li considera come omologhi ai nervi occipitali dei Selaci, ma sibbene come corrispondenti ai primi nervi spinali dei Selaci stessi (!). Discuterò nella seconda parte il valore dell’interpretazione del Fiirbringer. Fin d'ora però preferisco chiamare questi nervi col nome di nervi occipitali o nervi ipoglossali. Molto strana è l'interpretazione data dall’ Haller (1897) ai nervi occipitali dei Teleostei. L’A. parte dai rapporti che si osservano vei Ciprinidi, dove esiste un unico nervo occipitale con radice ventrale e radice dorsale munita di ganglio, il quale si collega, mediante un ramo anastomotico, col ganglio del trigeminio, come fu già dimostrato dal Weber e meglio illustrato più tardi dal Bischoff (1832), Questo complesso fu chiamato dal Weber col nome di Accessorius (Ac. Weberi). In realtà non è in nulla paragonabile al vero accessorio. Il tronco dell’ accessorio di Weber si divide ben presto in due rami, di cui quello (1) Il Fiirbringer denomina i due nervi occipitali dei Teleostei col nome di nervi occipito-spinali b e e, in quanto ammette che nei Teleostei un nervo occi- pitale, corrispondente al primo di Ama (nervo occipito spinale a), sia scomparso. Con ciò il Fiirbringer viene ad affermare, che al capo dei Teleostei si sono aggiunti, in confronto ai Selaci, per processo secondario, tre segmenti spettanti in origine al tronco. Si tratta di pure ipotesi. 194 CIRO BARBIERI anteriore si dirige alla muscolatura dell’ ipoglosso, (muscoli ipobran- chiali), quello posteriore invece si unisce ai primi nervi spinali, ed innerva le pinne pettorali. Nei Salmonidi |’ Haller dimostra |’ esistenza di due piccole radici ventrali, che chiama, seguendo il Gegenbaur, nervi post-vagali, e le quali ben presto si uniscono in un tronco unico, che va a sua volta ad unirsi col primo nervo spinale. Da questo complesso non partirebbe, secondo l’A., alcun ramo per la muscolatura dell’ipoglosso. la quale invece sarebbe innervata da un ramo speciale del nervo vago, quello che L'A. chiama r. ipoglossus nervi vagi. L'A. conclude da ciò: 1) che i nervi post-vagali nulla hanno a che fare coll’ipoglosso dei Mammiferi, ma sono da considerarsi upica- mente come radici ventrali di nervi spinali che hanno perduta la loro radice dorsale. 2) L’ipoglosso dei Mammifferi non sarebbe altro che il r. ipoglossus del nervo vago, che l'A. ha descritto in Salmonidi, il quale si renderebbe indipendente. Anzi la radice dorsale che si trova in alcuni Teleostei in corrispondenza dei nervi (o del nervo) post- vagali, corrisponderebbe appunto a quella parte del vago dei Salmonidi che forma il ramus ipoglossus. Questa interpretazione del tutto nuova dell’ ipoglosso, che lA. tenta giustificare anche con osservazioni isto- logiche, è nel più stridente contrasto con quanto già fin d'allora il Chiarugi ed il Froriep avevano dimostrato sullo sviluppo dell’ ipoglosso degli Amnioti, e per la sua oscurità fa veramente contrasto colla chiara e logica esposizione del Firbringer, il cui classico lavoro sui nervi spino-occipitali è pubblicato per i appunto nel medesimo volume dei Festschrift f. C. Gegenbaur. Il poco conto in cui il Firbringer ha tenuto i dati embriologici, rende, secondo me, molto discutibili alcune delle sue teorie; però delle sue ricerche emerge limpida ed indubitabile la conclusione opposta a quella dell'Haller: che cioè nervi spino-occipitali dei Vertebrati inferiori ed ipoglosse dei Mammiferi siano omologhi o per lo meno omodinami. Srapro I° (Figure 1-8) In questo stadio osserviamo le prime fasi della formazione dei somiti, mentre mancano ancora tracce ben precise dei neuromeri. L’asse nervoso è abbozzato sotto forma di un cordone compatto, a sezione ovale, unito intimamente all’ epi- dermide; nella sua parte anteriore esso presenta due rigonfia- menti, che sono gli accenni delle vescicole ottiche. La lista gangliare non fa ancora sporgenza ai due lati del cordone nervoso. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECO. 195 In questo stadio esistono generalmente 10 a 11 protover- tebre. La formazione del mesoderma si compie nei Teleostei in modo molto confuso, e davvero inadatto per valutare in base ad essa il grave problema dei rapporti fra meso ed entoderma. Nei Petromyzon secondo Koltzoff (1902), in Torpedo secondo il Dohrn (1903), la parte anteriore del mesoderma cefalico prende origine dall’ entoderma primario per un processo di estroflessione identico a quello che si osserva nell’Anfiosso. Tutto il resto del mesoderma del capo e del tronco si forma del- l’entoderma per proliferazione e delaminazione. Nei Teleostei, come risulta dagli studi dell’ Henneguy sui Salmonidi, che io posso confermare in base a mie osservazioni, si nota, in uno stadio che non precede di molto quello che sto descrivendo, al disotto dell’ispessimento ectodermico, primo inizio del cordone nervoso, una massa pluristratificata di cel- lule, che costituisce l’entoderma primario. In questa massa indifferente comincia ben tosto a delinearsi un cordone longi- tudinale compatto, in contatto colla faccia ventrale del cordone nervoso; si tratta dell’accenno della corda dorsale. Nello stesso tempo, ai due lati dell’asse longitudinale del- l'embrione, l’entoderma primario, mediante una fenditura, si distingue in una parte superiore, rappresentante il mesoderma ed in una parte inferiore, che costituisce |’ entoderma secondario o futuro intestino. Quest’ ultimo è a diretto contatto col vitello. Le due masse mesodermiche, costituitesi così per delaminazione ai due lati dell’embrione, non si continuano fra loro, ma sono separate sulla linea mediana dalla corda dorsale. Questo differenziamento ora accennato non si estende però su tutta la lunghezza dell'embrione; esso è limitato invece alla sua parte mediana. Nella parte anteriore dell'embrione, in avanti dell’ accenno della vescicola acustica, troviamo per molto tempo entoderma primario; solo lentamente la fessura ;separante il mesoderma dell’entoderma secondario si estende verso l'estremità rostrale. Così mentre in Selaci i rapporti fra mesoderma ed ento- derma sono molto più evidenti nella parte anteriore dell’em- brione, nei Teleostei si verifica il fenomeno inverso; i due foglietti sono quivi maggiormente confusi assieme. Verso l’ estremità posteriore dell’ embrione egualmente 196 CIRO BARBIERI manca distinzione fra mesoderma ed entoderma e si osserva in- vece una massa unica, colla quale viene a confondersi anche la corda dorsale ed il cordone nervoso. Questa massa indifferenziata dell’estremo posteriore è tessuto in via di attiva proliferazione, e costituisce il cosidetto bottone caudale, cui si deve principal- mente l’aumento in lunghezza dell’ embrione. Pertanto, se noi esaminiamo la regione cefalica di un embrione di Salmonide nello stadio 1°, tanto con sezioni tra- sversali che longitudinali ed orizzontali, la troviamo così co- stituita (fig. 1-8) Il cordone nervoso al suo estremo anteriore è unito coll’ecto- derma, come lo dimostrano tagli orizzontali. (fig. 4-5). Ben tosto esso si dilata notevolmente per un certo tratto, e forma così Vaccenno delle vescicole ottiche. A questo rigonfiamento segue una leggera restrizione laterale, che ‘segna evidentemente il limite fra regione del prosencefalo e quella del cervello medio. Si osserva quindi una nuova e più graduale dilatazione, la quale è limitata in addietro da un secondo restringimento; i fenomeni successivi dello sviluppo dimostrano che questa dila- tazione corrisponde al cervello medio. In seguito il cordone nervoso presenta ancora un rigonfiamento, che si attenua insen- sibilmente in addietro (fig. 4-5-6). La regione che incomincia con questa ultima dilatazione rappresenta il cervello posteriore o rombencefalo, il quale senza limite netto, come del resto anche nell'adulto. si continua col midollo spinale. Come dimostrano le fig. 4-6, la regione del cervello posteriore non presenta a questo stadio alcuna traccia di neuromeri. Le condizioni dell’ endo erma e del mesoderma sono più complicate. All’estremità anteriore dell'embrione troviamo, ven- tralmente al rigonfiamento delle vescicole ottiche, una massa pluristratificata la quale si continua coll’ectoderma (fig. 1-7). Questa massa rappresenta la parte anteriore di quello che giustamente l’ Henneguy chiama « entoderma primario », e che virtualmente corrisponde all’entoderma ed al mesoderma assieme. Entoderma primario ed ectoderma si confondono al- l’ estremo anteriore fra di loro; fatto questo non strano e non nuovo, fù già studiato dal Dohrn (1882) in altre specie di Teleostei. Nella regione che corrisponde alla parte posteriore delle NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, LOT vescicolo ottiche, l’ entoderma primario è ben distinto dall’ ecto- derma. Esso abbraccia, come dimostrano sezioni trasversali, la parte ventrale del midollo spinale (fig. 2), e le sue cellule presentano un certo ordinamento in strati. Procedendo sempre posteriormente noi vediamo delinearsi, nella regione che corrisponde al principio del cervello poste- riore, nell’interno dell’entoderma primario, una fessura pressochè parallela alla superficie del vitello, la quale separa uno strato ventrale, endoderma secondario o propriamente detto, da due masse dorsali, poste ai due lati del cordone nervoso, e che sono le due masse mesodermiche. In corrispondenza del margine ventrale del cordone nervoso l’entoderma si assotiglia grande- mente, e mancano le lamine mesodermiche, cosicchè queste sono separate l’una dall'altra. Nelle parti laterali l’endoderma è invece ispessito, e comincia gia a mostrare un’accenno di fenditura, primo inizio del lume intestinale. La porzione laterale ispessita va pure considerata come il principio delle estroflessioni destinate a formare le prime fessure branchiali. In questo punto non si nota ancora corda dorsale. (Vedi per queste particolarità la fig. 3°. La distinzione fra mesoderma ed entoderma secondario si fa ancor più netta seguitando a procedere verso l’ estremo po- steriore. Il mesoderma già a questo stadio è differenziato in un certo numero di protovertebre; cioè la sua parte prossima al cordone nervoso si presenta divisa in masse piene, a sezione trasversale trapezoidale ed a sezione longitudinale rettangolare, le quali mediante un piccolo restringimento sono individuate dal resto del mesoderma, che costituisce le lamine laterali. Le protover- tebre, dette anche somiti o mesomeri, sono a questo stadio in numero da 10 a 11; le loro cellule formano alla superficie uno strato regolare, mentre nell’interno sono disposte senza nessun ordine apparente. La formazione delle protovertebre non è estesa a tutto l'embrione; come |’ Henneguy ha fatto rilevare, essa cessa a qualche distanza dell’accenno della vescicola acustica. Si conclude quindi da molti Autori, come già esposi, che nel capo di Teleostei non si osservino segmenti. Questa asservione è del tutto superficiale ed inesatta. 198 CIRO BARBIERI Anzittutto debbo affermare che i primi somiti normali, accen- nati a questo stadio, fanno effettivamente parte della regione occipitale e quindi del capo. Non è punto vero, come sembra ammettere |’ Henneguy, che la regione cefalica cominci avanti la prima protovertebra normale; tutt'altro! I fatti ulteriori dello sviluppo, e che io verrò esponendo in seguito, dimostrano che le prime 4 protovertebre di questo stadio (quindi la metà circa del numero totale) appartengono alla regione occipitale; il limite fra capo e tronco cade appunto fra il somite 4° ed il 5°; quivi nella larva molto avanzata termina il cranio car- tilagineo e comincia la colonna vertebrale. Questi 4 somiti li indicherò, seguendo la nomenclatura del Firbringer adottata dal Braus e dal Dohrn, colle lettere dell’ alfabeto, cominciando dalla z, colla quale viene distinto il somite occipitale più caudale. I 4 somiti occipitali portano quindi rispettivamente le lettere z-y-x-w. Questa nomenclatura è anche conforme ad un concetto che io seguo, che cioè la distinzione del Sagemehl fra cranio protometamero e cranio auximetamero, e la distinzione del Fùrbringer fra nervi occipitali e nervi occipito-spinali non abbiano ragioni sufficienti per essere ammesse, concetto che spero di poter meglio chiarire nel seguito del mio lavoro. Il medesoderma presenta ancora altre particolarità degne di rilievo. Fra la prima protovertebra normale (protovertebra w) e VY accenno della vescicola acustica (*) esiste una massa di mesoderma incompletamente segmentata. Questa massa corri- sponde al metamero metaotico del Goronowitsch, e si lascia facilmente riconoscere per un complesso di protovertebre; in base all’ordinamento dei nuclei sembra di poter distinguere in essa 4 segmenti; però l'aspetto di questa massa varia da indi- viduo ad individuo, talchè non è possibile determinare con certezza a quante protovertebre essa possa corrispondere. In ogni caso tuttavia, la parte più caudale di tale porzione del mesoderma mostra abbastanza distintamente i caratteri di una protovertebra. (1) In questo stadio l’ ectoderma del capo presenta unispessimento longitudinale ed laterale, che è il luogo di origine comune di parte dei placodì del trigemino e del facciale, della vescicola acustica e del nervo laterale. Tale ispessimento fu chiamato dal Kuppfer nei Petromizonti, lista epidermica. Una porzione più ingrossata della lista epidermica segna il primo accenno della vescicola acustica. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC. 199 Questa massa mesodermica meta-otica segna pertanto un graduale passaggio fra i somiti occipitali ed il mesoderma della regione anteriore alla vescicola acustica, nel quale nemmeno a me risultò alcuna distinzione di protovertebre. (Per questi particolari vedi fig. dal 4 all’8). Le condizioni del mesoderma nella vicinanza della vesci- cola uditiva dei Teleostei, ci richiamano quanto ha descritto il Dohrn (1902-1904-1905-1907) in embrioni di svariatissime specie di Selaci. Quivi, particolarmente nei Batoidi, secondo il Dohrn, la serie dei somiti del tronco si continua fino all'estremità anteriore del capo; senonchè man mano che ci avviciniamo all’estremo anteriore i somiti si fanne più piccoli, più rudimen- tali e quindi meno distinguibili fra loro. La distinzione classica, introdotta dal Van Wijhe, di 9 segmenti nel capo dei Selaci e di altri Vertebrati, sostenuta da molti ricercatori, non è accettata dal Dohrn, il quale invece nei segmenti del Van Wijhe riconosce dei complessi di somiti. Nei giovani stadi di Mustelus, di Torpedo, di Acanthias e di altri Selaci (embrioni da 2 a 5 mm.) l'A. ha riscontrato che il mesoderma del capo tende a suddividersi in somiti identici a quelli del tronco; però questa segmentazione non riesce a com- piersi in modo perfetto. Nella parte posteriore od occipitale del capo si formano è vero protovertebre complete, ma nella regione anteriore i somiti appaiono difettosi, parzialmente fusi a gruppi, in numero varia- bile fra specie e specie, ed anche fra individui della stessa specie, e fra il lato destro ed il sinistro dello stesso individuo. Si osserva quindi, come concisamente si esprime il Dohrn, una « comprimirte und inhibirte Urwirbelbildung ». Tali fenomeni, descritti dal Dohrn nei Selaci, sono perfetta- mente paragonabili a quanto ci addimostra l’embriologia dei Salmonidi; anche in questi le manifestazioni metameriche del mesoderma cefalico possono interpretarsi nello stesso modo: una serie di somiti che vanno facendosi sempre più rudimen- tali procedendo verso l'estremità anteriore. La differenza sta in ciò, che nei Selaci anche anteriormente alla vescicola uditiva si hanno tracce di metameria, mentre non si osservano nei Salmonidi. Il comportamente della lista gangliare e dei nervi conferma questo concetto, come vedremo a proposito degli stadi successivi. 200 CIRO BARBIERI Debbo ancora, prima di lasciare questo stadio, far rilevare una particolarità di struttura, che può avere un certo valore per spiegare il significato dei neuromeri. I somiti, come ben ci dimostrano le fig. 4-5, si trovano talmente addossati al cor- done nervoso ed alla corda dorsale da produrre come delle incavature sulla superficie di questi due organi. Cordone ner- voso e corda dorsale presentano così dei solchi arrotondati in corrispondenza della parte mediale dei somiti, e delle sporgenze negli spazi intersomitali. Questo fenomeno lo osserveremo pure negli stadi seguenti, soprattutto per quanto concerne il tubo nervoso. Anche nelle altre classi di Vertebrati furono notati gli stessi fatti, e furono da molti A. assunti come prova dell’esi- stenza di neuromeri anche nel midollo spinale, i così detti mie- lomeri (Kuppfer 1885, Mc Clure 1889, Platt 1889, Kolzoff 1902), i limiti dei quali sarebbero dati da solchi del midollo in cor- rispondenza del mezzo dei somiti;i mielomeri pertanto si alter- nerebbero regolarmente coi somiti. Altri A., e soprattutto il Neal 1898, negano invece il valore metamerico di questi seg- menti del midollo spinale, ed interpretano i solchi e le spor- genze della sua faccia esterna come effetto meccanico, o meglio come adattamento in rapporto coi somiti, strettamente addossati al midollo ed alla corda dorsale. Io mi associo alla interpretazione del Neal, che mi sembra la più rispondente ai fatti. In vero troppo perfetta è la corri- spondenza fra gli incavi del cordone nervoso ed i somiti, e troppo intimo è l’addossamento di questi a quello, perchè una interpretazione meccanica non si presenti in questo caso come la più naturale. A prova di essa è anche il fatto che i mede- simi solchi e sporgenze si osservano anche sulla corda dorsale. Va tenuto conto inoltre che i mielomeri appaiono distinti nella parte ventrale del midollo spinale, e non nella dorsale, mentre pei neuromeri del cervello posteriore si ha la maggior evidenza nella parte dorsale, come si dimostrerà in seguito. Di più i mielomeri scompaiono, mentre ancora i neuromeri del cervello posteriore si mantengono evidenti. To sono persuaso che un tempo il midollo spinale realmente doveva essere diviso in segmenti; ma questi segmenti dove- vano essere corrispondenti ai somiti e non alternati con essi, come si dovrebbe dedurre se veramente i mielomeri fossero tracce di una primitiva metameria. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 201 Riassumendo, due sono i fatti più notevoli messi in evi- denza in questo I° stadio. 1. Nell’ abbozzo del cordone nervoso sono discernibili gli accenni delle vescicole ottiche ed i limiti fra le tre regioni principali del cervello: prosencefalo, mesencefale e rombence- efalo; nessuna traccia ancora di neuromeri. Non credo però che da questo fatto debba concludersi che la divisione nelle tre vescicole principali, come pure la formazione dell’ occhio, siano anteriori fileticamente ai neuromeri. Sono persuaso invece che la mancata evidenza, in questo stadio, dei neuromeri, sia in rapporto colla forma compatta del tubo nervoso, che non permette ancora l’esplicazione di questa tendenza metamerica, rivelantesi per l'appunto mediante solchi sulla faccia interna del midollo allungato. D’altra parte l'apparizione, già a questo stadio, delle divisioni principali dell’adulto, è una novella prova che le strutture più importanti tendono a manifestarsi sempre più precocemente nell’ontogenesi dell’individuo. 2. Alla serie dei somiti normali segue, in direzione ro- strale, una breve serie di somiti rudimentali, i cui caratteri regressivi si accentuano con tale rapida progressione, che in avanti della vescicola acustica non è possibile intravvedere alcuna traccia di disposizione metamerica nel mesoderma. Srapio II° (figure 9-12) L'organizzazione generale del corpo non è in questo stadio di molto più progredita che non nella fase precedente. Le vescicole ottiche sono molto più allungate e distinte dal cordone da cui sorgono, e nel loro interno comincia a formarsi una cavità. Il resto del sistema mervoso non presenta ancora cavità ependimale, però mostra |’ accenno di una fessura longitudinale (fig. 11-12). Le protovertebre sono in numero di 15 a 16. Nel cordone nervoso non si notano ancora differenziamenti speciali; i limiti delle tre regioni principali del cervello sono sempre ben manifesti, ma nessuna traccia di neuromeri. Tagli orizzontali (fig. 11) ci addimostrano che le due metà del cordone nervoso, anche nella regione del midollo allungato, decorrono uniformemente; le loro cellule sono disposte con estrema rego- larità, verticalmente all’asse maggiore del midollo. Studiando embrioni preparati in toto (fig. 12), egualmente 202 CIRO BARBIERI non si riesce a mettere in evidenza nel cordone nervoso nulla di più della distinzione di cervello anteriore, medio e posteriore. Molto più interessanti sono i cambiamenti che si notano nel mesoderma cefalico. Le 4 protovertebre normali, che come dissi debbono assegnarsi alla regione del capo, si pre- sentano immutate. Però la massa di mesoderma imperfetta- mente segmentato che si trova fra la prima di esse (a co- minciare dall’avanti) e l’ accenno della vescicola acustica (in questo stadio abbastanza netto) mostra uno stato di regressione assai più spiccato. Essa infatti si presenta uniforme, essendo scomparsa quella tendenza alla disposizione concentrica delle cellule, che nello stadio precedente ci ha condotto ad am- mettere, essere detta massa equivalente ad un’insieme di so- miti. In avanti della vescicola acustica notiamo due fatti : 1) la distinzione fra mesoderma ed endoderma secondario, che non oltrepassava di molto, nella fase antecedente, la vescicola acustica, si è estesa fino alla vescicola ottica (fig. 9). 2) Nella regione acustica l’endoderma forma due ispessimenti longitu- dinali e laterali, che sono il punto di partenza delle fessure branchiali (fig. 11). La prima fessura branchiale /spiraculum/ è ben evidente, ed è inoltre accennata anche la seconda (fes- sura ioidea). Le lamine mesodermiche poste in avanti della vescicola acustica cominciano già a perdere la loro forma compatta, ed a dissolversi in mesenchima, come risulta evidente dalla fig. 9. Srapio III° (fig. 13-16) Il fenomeno più caratteristico di questo stadio consiste nella formazione di una cavità ependimale nell’interno dell’ asse nervoso. La fessura virtuale, che già nello stadio precedente divideva in due metà il cordone nervoso, si è resa reale, allar- gandosi più o meno a seconda delle regioni. E importantissimo questo stadio, perchè con esso incominciano a rendersi evidenti le manifestazioni metameriche del tubo nervoso. Io ho preso in esame tanto embrioni preparati in toto, previa leggera colorazione, quanto sezioni longitudinali ed orizzontali. L'esame di embrioni in toto non mi ha dato risul- tati certi, se non quando essi erano osservati dall’alto. Nessuna particolarità ben chiara ha potuto riscontrare tentando di esa- minare gli embrioni di fianco. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 203 Quanto ho potuto dimostrare in questo stadio riguardo al cervello può riassumersi così: Il prosencefalo è relativamente ben distinto dal mesencefalo; la distinzione però non può farsi studiando embrioni in toto, sibbene coll’ esame delle sezioni, facendo attenzione soprattutto al primo aecenno dell’infundibolo, Un solco che divida nettamente prosencefalo da mesencefalo, come vorrebbe |’ Hill, non esiste. L’ Hill ha voluto anche dimo- strarci che nel prosencefalo si riscontrano, fin da questo stadio, 3 neuromeri, il 2° dei quali in rapporto colla vescicola ottica. To non posso in alcun modo confermare questo reperto dell’Hill, giacchè in nessun modo mi riuscì di poter vedere i solchi di separazione che egli descrive e figura così nettamente. Le due pareti laterali del prosencefalo non sono certo uniformi, e presentano delle dilatazioni che rappresentano l’inizio delle di- sposizioni dell’adulto. Quello che l’Hill chiama primo neuromero corrisponde, secondo me, all’ingrossamento inizio della parte basale telencefalo ; il 2° secondo neuromero dell’ Hill corrisponde al diencefalo; nessuna formazione potrei citare che corrisponda al suo terzo neuromero. La regione del cervello medio, come dissi, non è troppo chiaramente limitata rispetto al prosencefalo; è invece netta- mente distinta dal cervello posteriore, e più particolarmente dalla piega del cervelletto. Anche questa regione si presenta uniforme, tanto in questo stadio che negli stadi seguenti. L’ Hill descrisse nel mesencefalo due neuromeri, e disegnò il solco che li separa così marcato, che non avrei davvero creduto di non poter dimostrar nulla che ad esso possa corrispondere. Debbo notare anche che in questi reperti |’ Hill si accorda col Waters. Parecchi altri A., che si occuparono dei neuromeri, descris- sero, in altre forme di Vertebrati, egualmente 2 neuromeri nel cervello medio. Il Neal, nel suo lavoro sulla segmentazione del sistema nervoso di Sg. acanthias, nota giustamente che sono state interpretate per segmenti delle strutture aventi un significato ben diverso. Riguardo al mesencefalo poi il medesimo A. rileva, che da molti è stato descritto come limite fra due neuromeri la costrizione che corrisponde alla flessura del tubo nervoso /plica encephali ventralis). Per quanto concerne i Teleostei io posso affermare che in essi manca una ben distinta 204 CIRO BARBIERI curvatura del cervello, e quindi una particolarità che avrebbe potuto dar l'illusione di un segmentazione. Rimando a questo proposito ad un mio lavoro precedente (1906', in cui descrissi quali siano i fenomeni che nei Teleostei corrispondono alla curvatura del cervello degli altri Vertebrati. Nel cervello posteriore esistono veramente, a questo stadio, manifestazioni certe di metameria. Qui posso accordarmi coll’Hill e cogli altri osservatori, che simili fenomeni studiarono in altre forme di Vertebrati. Il cervello posteriore è distinto in segmenti successivi, limitati fra loro da solchi ben marcati sulla faccia interna del tubo midollare. Ai solchi interni corrispondono sulla faccia esterna delle leggere e pressochè insensibili costri- zioni. Sui due lati del tubo midollare i solchi sono perfettamente corrispondenti. La presenza dei solchi è, secondo me, il criterio principale per la distinzione dei neuromeri. Molti A. danno importanza al fatto che le cellule di un neuromero non passano mai nel neuromero vicino, cosicchè sì può stabilire nettamente il piano di separazione di due neuro- meri. Questo fatto si verifica egualmente nei Teleostei; però non con molta evidenza; d’altra parte mi sembra che possa spiegarsi anche con la disposizione parallela e perpendicolare al tubo nervoso di queste cellule. I neuromeri presenti a questo stadio sono 5: il primo cor- risponde al cervelletto; è più piccolo degli altri ed è nettamente limitato rispetto al midollo allungato, ma non così rispetto al cervello medio; meglio che in embrioni preparati in toto lo si mette in evidenza con tagli longitudinali. Seguono quindi altri quattro neuromeri più grandi, e tutti pressochè uguali fra loro. In corrispondenza dell’ultimo si trova la vescicola acustica. (Vedi per queste particolarità le fig. 13-14). Secondo l Hill, già a questo stadio sarebbe distinto un 6° neuromero, caudalmente al 5°. Questo neuromero non riuscì a me dimostrarlo se non nello stadio che segue. I rapporti dei neuromeri coi nervi non mostrano in questo stadio nulla di definito. I nervi cranici sono rappresentati ancora da porzioni irregolari della lista gangliare, che si dipar- tono dal midollo allungato in maniera indifferente rispetto ai neuromeri; solo in modo approssimativo possiamo affermare che l’abbozzo del trigemino corrisponde ai 2 primi neuromeri; NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC. 205 che lo spazio fra trigemino e facciale corrisponde al 3° neu- romero, e che il facciale acustico si trova in corrispondenza del 4° neuromero. Nello stadio seguente, con il formarsi delle radici dorsali, potremo meglio renderci conto delle relazioni fra nervi e neuromeri. Frattanto, riassumendo possiamo, fin d’ ora constatare, che realmente il cervello posteriore si presenta segmentato; esso è costituito di tante porzioni equivalenti, ben individuate, che forse in origine erano altrettante coppie di gangli, come sup- pone anche il Dohrn (1907). La chiarezza e la regolarità di questi fenomeni, la concordanza con quanto si osserva in tutti, i Vertebrati, e la insostenibilità di qualunque altra spiegazione, (come esporrò in seguito) concorrono ad avvalorare questa in- terpretazione. I neuromeri virtualmente esistenti fin dagli stadi che pre- cedono, solo con l’allargarsi, e conseguente allungarsi, delle due metà del midollo possono render manifesta la loro indivi- dualità. Probabilmente un identica metameria è insita, in modo latente, in tutto il tubo nervoso, però nessun segno certo di essa si può mettere in evidenza. Il Neal (1898) ha dato valore di segmento alle due prime vescicole del cervello, prosencefalo e mesencefalo, supponendo ciascuna equivalente ad un neuromero. Molto più probabile, in considerazione del volume che queste due parti presentano nell’embrione, è il supporre che esse corrispondano ad un insieme di neuromeri, le cui vestigia si siano cancellate anche nell’ontogenesi per gli svariati e complessi differenziamenti cui sono andati incontro questi due segmenti del cervello, diffe- renziamenti che tendono a manifestarsi fin dai primi stadi, mascherando le vestigia della originaria struttura. Nel mesoderma i mutamenti sono minori. Le lamine meso- dermiche preorali si sono dissolte completamente in mesenchima. La massa mesodermica che esisteva fra vescicola uditiva e primo somite normale, ha egualmente perduto ogni indivi dualità. Dei quattro somiti occipitali il primo comincia a presentare segni di degenerazione. Non solo esso è più piccolo degli altri, ma non mostra che deboli tracce della formazione di un miotomo, mentre nei tre somiti che seguono le cellule della porzione 13 206 CIRO BARBIERI mediale si sono trasformate distintamente in fibre muscolari embrionali. Questi fenomeni sono evidenti nella fig. 15. In tagli più ventrali a quello riprodotto da detta figura, il somite W si presenta ancor più impicciolito. La lista gangliare, in corrispondenza dei somiti, è ancor poco sviluppata; si presenta in questo stadio sotto forma di un piccolo cordone longitudinale, che si stacca dalla volta del midollo allungato, e si estende discretamente sui lati fino all'estremo superiore dei somiti. Non si può ancor parlare di ammassi ganglionari definiti (fig. 16). La fig. 15 mette in rilievo anche i così detti mielomeri, cioè i pretesi segmenti del midollo spinale; infatti osserviamo in corrispondenza ai singoli somiti delle incavature del midollo, le quali dovrebbero corrispendere ai limiti fra i singoli mielo- meri. In questo stadio appare ancor più chiaro come siano dovute a meccanismo di sviluppo, e non si debbano interpretare come traccie di una primitiva segmentazione del midollo. In vero l’ adattamento delle incavature alla forma dei so- miti è evidentissimo; d’altra parte si può anche dimostrare che i solchi ed i rilievi dei mielomeri sono limitati alla parte ventrale del midollo, cioè a quella parte che si trova a contatto coi somiti; non si estende affatto alla parte dorsale. Così non avviene invece pei neuromeri del cervello posteriore. Negli stadi successivi, contemporaneamente al distanziarsi dei somiti dal midollo, scompare ogni traccia di mielomeri. Srapio IV® (fig. 17-18) Questo stadio è di molta importanza per l'esame dei feno- meni che ci interessano. In esso il numero delle protovertebre varia fra 30 e 35, e le singole parti del cervello sono meglio individuate; nel midollo allungato la fossa romboidale si è ampliata, ed estesa sensibilmente dietro la vescicola uditiva. Nulla debbo aggiungere a quanto dissi riguardo al cervello anteriore e medio; nessun indizio certo dell’esistenza di neu- romeri in queste due regioni è dimostrabile nemmeno a questo stadio. Nel cervello posteriore le manifestazioni metameriche rag- giungono la maggior evidenza. Procedendo dall’avanti osser- viamo: un primo neuromero che corrisponde al cervelletto, NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC. 207 quindi un secondo neuromero che è quello chiamato dagli A. neuromero del trigemino; segue dippoi un terzo neuromero che non ha relazioni con nessun nervo; viene in seguito il neuromero del facciale, cui seguono ancora 2 neuromeri. Abbiamo quindi in tutto 6 neuromeri, uno di più che nello stadio precedente. Questo aumento è dovuto al fatto che un nuovo neuromero si è reso evidente, caudalmente all’ ultimo dello stadio già descritto; fenomeno questo da mettersi in rap- porto colla maggiore dilatazione ed estensione della fossa rom- boidale, che permette ai segmenti del cervello di manifestare meglio la propria individualità. L’ esame di embrioni in toto (fig. 18) conferma pienamente quanto si vede in sezioni (fig. 17). Riguardo alle caratteristiche dei neuromeri, farò osservare che i solchi interni di separazione sono in questo stadio più evidenti che negli stadi già esaminati prima; la faccia interna di ciascun neuromero, eccetto quello del cervelletto, è chiara- mente convessa, e non concava, come si dovrebbe avere se i criteri dell’Orr per la distinzione dei neuromeri fossero validi per tutti i Vertebati. I nuclei non seguono però la convessità della faccia interna, e li vediamo più avvicinati ad essa in cor- rispondenza dei solchi e più distanti al centro del neuromero (fig. 17). Parallelamente ed in corrispondenza alle costrizioni interne si notano sulla faccia esterna dei leggeri solchi. La superficie esterna dei neuromeri è pressochè pianeggiante. Il neuromero meglio definito mi è apparso il neuromero 3°, cioè quello appunto che non ha rapporti con nervi. Il neuromero del cervelletto è il meno individuato, mancando un solco netto che lo separi dal cervello medio. Il soleo che separa il neuromero 5° dal 6° corrisponde alla parte posteriore della vescicola acustica. In questo stadio i nervi cranici sono ad uno stato di svi- luppo piutosto avanzato, soprattutto il gruppo del trigemino e del facciale, che cominciano a mostrare fibre nervose ben evi- denti. Sarà bene esaminare un po’ dettagliatamante i rapporti che corrono fra nervi cranici e neuromeri. In un mio studio precedente (1907) parlai appunto dello svi- luppo dei nervi cranici nei Salmonidi, dimostrando delle condi- zioni tutte diverse da quelle dei nervi spinali, talchè non si può in alcun modo parlare di omodinamia fra gli uni e gli altri. Non intendo quindi rifare qui la storia dello sviluppo di questi nervi. 208 CIRO BARBIERI I rapporti degli abbozzi di nervi cranici coi neuromeri sono i seguenti. L’accenno del trigemino (fig. 17) si inserisce al midollo allungato in corrispondenza della parte posteriore del neuromero del cervelletto e della parte anteriore del 2° neu- romero. Negli stadi seguenti la sua radice si estende posterior- mente, talchè possiamo seguire la maggioranza degli A., e chiamare il 2° neuromero, neuromero del trigemino. La radice del nervo facciale-acustico ha evidentemente rap- porti colla parte posteriore del neuromero 4° e con quella ante- riore del neuromero 5°. Le radici del glossofaringeo e del laterale, non ben individuate ancora fra di loro, sorgono in corrispon- denza dell’ ultimo neuromero (6° neuromero.. La radice del vago presenta a questo stadio un decorso ricorrente; si estende lungo il midollo, ed a contatto con esso, fino in corrispondenza del 2° somite, sotto forma di un cordone di cellule ancora indifferen- ziate; solo nella sua parte anteriore si notano delle fibre, che formano un piccolo tronco. Il tratto del midollo spinale che è in rapporto con questo ultimo nervo non presenta traccia di neu- romeri. (Vedi fig. 17). Riguardo ai nervi motori puri ricordo che l’oculo motorio ha origine dal cervello medio; il trocleare, che non si riesce a dimostrarlo in questo stadio, sorge fra cervelletto e cervello medio; ambedue quindi senza rapporti con i neuromeri del mi- dollo allungato. L’ abducente sorge ventralmente alla vescicola acustica, e quindi in corrispondenza del neuromero 5°. Questo sguardo obbiettivo ai rapporti fra nervi e neuromeri dimostra, quanto vano sia il tentativo di dare ai nervi cranici a un valore segmentale identico a quello dei neuromeri e dei somiti. Ubbidendo ad un simile preconcetto teorico, la maggio- ranza degli A. ritiene i nervi cranici come omodinami ad uno o pochi nervi spinali, e li fa corrispondere a determinati neu- romeri. I risultati disparati e contradditori cui si è giunti, anche studiando sullo stesso animale, sono una conferma dalla man- canza di dati sufficienti per stabilire il valore metamerico dei nervi cranici. Così mentre secondo Platt (1889), Locy (1894) Hill (1900) le radici dei nervi cranici sorgono dalle costrizioni fra due neu- romeri successivi; invece seguendo Mc Clure (1889), Neal (1898), i nervi cranici, per lo meno i nervi misti, sorgerebbero dal- l’apice dei rispettivi neuromeri. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 209 Riferendoci più particolarmente ai rapporti dei neuromeri del cervello posteriore, noi vediamo che il Koltzoff nei Petro- nizonti riferisce il trigeminio al 2° e 3° neuromero del cervello posteriore (l'A. non considera come neuromero distinto il cer- velletto, onde scrive veramente che il trigeminio corrisponde ai neuromeri 1° e 2°); il gruppo del vago lo riferisce al 5° e 6° neuromero (4° e 5° stando al suo concetto). In Squalus acanthias, seguendo il Neal, si avrebbe un identico rapporto. Nei Teleostei, secondo l’ Hill, e secondo quanto riscontrai, si dovrebbe con- cludere che il trigemino sia il nervo corrispondente ai segmenti 1° e 2° del cervello posteriore; che il glosso-faringeo corrisponda al 6° neuromero, e che il vago corrisponda a neuromeri posti caudalmente al 6° e non ben distinti. Tanto il Neal che il Koltzoff riconoscono però |’ indetermi- natezza di queste relazioni, ed il Kolzoff soprattutto confessa che tali rapporti si deducono dal complesso dei fenomeni dello sviluppo. Già il Froriep (1892) aveva notata questa imprecisione di rapporti in embrioni di Talpa, ed osservato come spesso la radice di un nervo ‘invada le regioni vicine; di questi fatti il Froriep si valse per negare il valore metamerico dei neuromeri. Recentemente il Dohrn (1907) ha confermato la neuromeria del cervello posteriore dei Selaci, ed insieme la mancanza di ogni corrispondenza fra i neuromeri ed i nervi cranici. Questi reperti del Dohrn si collegano con le sue laboriose osservazioni precedenti, in cui ha dimostrato come i nervi cranici non siano omodinami coi nervi spinali, e come essi quindi non possano in alcun modo servirci di base per stabilire la forma originaria del capo; i neuromeri sono invece realmente, secondo il Dohrn, un avanzo della primitiva segmentazione del capo. Di fronte a questioni così complesse quali sono queste che trattiamo, ed intorno a cui lavorarono i migliori scienziati, cercando ognuno di sintetizzare e schematizzare i fenomeni osservati, assai difficile è liberarsi da preconcetti teorici. Il Dohrn appare a me uno dei pochi che, con menta aliena da qualunque prevenzione, esponga quanto si osserva, non gia quanto si dovrebbe osservare. Le sue descrizioni e le sue illu- strazioni appaiono conformi al vero, e da esse emerge una concezione della metameria del capo tutta nuova, ed insieme profonda e persuasiva. Lo sviluppo del trigeminio nei Selaci, ad esempio, si compie, seguendo il Dohrn (1907) in questo modo: 210 CIRO BARBIERI Dalla porzione di lista gangliare che parte dalla volta.del cer- vello medio e del cervelletto si differenziano tre segmenti; uno anteriore, che costituirà il futuro ganglio mesocefalico, e che, mediante una commessura, si mette in rapporto col segmento posteriore; un segmento medio, che in seguito acquista rapporti col nervo trocleare; ed un segmento posteriore, il futuro ganglio di Gasser, che forma la parte principale di questo abbozzo, ed è connesso col ganglio mesocefalico per mezzo della commessura accennata. Orbene questi rapporti che ho accennati soltanto, ma che il Dohrn chiarisce con lunghe e minuziose descrizioni, non hanno nulla di comune con quello che potrebbe essere Vabbozzarsi di uno o più nervi spinali. E non parliamo poi dei fenomeni di fusione coi placodi, che sono una caratteri- stica dei nervi cranici! Quindi se neppure dei Selaci, dove senza dubbio |’ embrio- logia ricorda molte disposizioni primitive, non possono ricavarsi prove in favore dell’omodinamia fra nervi spinali e nervi cranici, è duopo abbandonare questa fissazione, e nemmeno affa- ticarci per sapere a qual neuromero corrisponde questo o quel nervo cranico. Per quanto ho osservato nei Teleostei e per quanto posso dedurre dalle osservazioni di altri A. in altri gruppi di Ver- tebrati, io convengo nelle linee generali col Dohrn, e sono persuaso che mentre i neuromeri del cervello posteriore, per la loro costanza ed uniformità in tutti i gruppi di Vertebrati, ciò che dimostrerò in seguito, e per la loro regolarità, vanno ritenuti come avanzi di una metameria primitiva del tubo ner- voso, invece i nervi cranici, ad eccezione dell’ipoglosso, non conservino tracce della segmentazione primordiale del cranio. Il loro sviluppo dimostra che essi non sono omodinami coi nervi spinali; i loro rapporti coi neuromeri imprecisi e variabili dimo- strano d’altronde, che essi non possono ritenersi coi primi elementi di uno stesso segmento del capo. Come dissi, dietro il 6° neuromero non esistono altri seg- menti del tubo nervoso. Ricordo però che, secondo il Neal, in Squalus acanthias si distinguerebbero caudalmente ancora altri 4 neuromeri. La maggior parte degli A. tuttavia fa terminare la serie dei neuromeri col 6° segmento del cervello posteriore. In questo stadio è scomparsa ogni traccia dei cosidetti mie- lomeri, cioè di quei falsi segmenti del midollo spinale, che si producevano in rapporto coi somiti. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC. ZI Veniamo ora ai somiti. Fin dallo stadio precedente vedemmo che il somite w presentava indizi indubitabili di degenerazione. L’involuzione di questo somite è evidentissima in questo stadio, in cui esso è rappresentato da un ammasso di cellule allungate, che in direzione rostrale va confondendosi col resto del me- senchima (fig. 17). Il somite rudimentale w è posto in corrispondenza dell’ ab- bozzo dell’ ultimo arco branchiale. In questo stadio osserviamo il primo accenno evidente di nervi in rapporto ai somiti occipitali; la proliferazione della lista gangliare di questa regione si localizza, e costituisce gli abbozzi dei gangli e delle radici dorsali. Di fronte al somite rudimentale w non si forma nessun accenno di ganglio. In corrispondenza al somite x, il quale ha un miotomo ben evi- dente, si nota un ammasso di cellule della lista gangliare, il quale è in continuità col cordone di cellule che forma l’ab- bozzo del nervo vago. Considero questo ammasso come l’inizio del ganglio del somite x; negli stadi successivi questo ammasso scompare; le sue cellule sono probabilmente incorporate col ‘nervo vago, che si estende posteriormente fin oltre il somite x. Il decorso ricorrente della radice del vago, la fusione in essa dei primi nervi a carattere spinale, son fenomeni osservati in tutte le classi di Vertebrati; così ne parla il Koltzoff pei Petromizonti, il Neal ed il Braus pei Selaci, il Chiarugi pegli Anfibi, Uccelli e Mammiferi. Il Braus (1899) da speciale importanza alla fusione di radici dorsali spinali col vago, e vede in questo fenomeno una prova dello spostamento in avanti dei somiti occipitali. Questo modo di vedere mi sembra inesatto; in realtà è la radice del vago che si estende all’ indietro. In corrispondenza dei somiti occipitali y e z si nota del pari un ammasso di cellule della lista gangliare. In questo stadio nulla di più si può osservare; non esiste ancora una radice dorsale ben definita, e nemmeno ho potuto mettere in evidenza una radice ventrale. Stapio V° (fig. 19-21) I neuromeri del carvello posteriore cominciano a perdere di evidenza: non è più facile dimostrarli con sezioni, e solo in embrioni preparati in toto si riesce a scorgere, sul fondo della fossa romboidale, alcuni di quei solchi che separano i ZIO CIRO BARBIERI neuromeri. La scomparsa dei limiti fra i detti segmenti del cervello posteriore si completa nelle fasi successive, ed è in rapporto col maggior differenziamento del cervelletto e del midollo allungato. I nervi cranici seguono in questo stadio la loro evoluzione normale. Il nervo vago, soprattutto, mostra un sensibile progresso; la sua radice è meglio definita, presenta fibre nervose ben evidenti, e decorre lungo il midollo fino al limite posteriore del somite y; (fig. 19) quindi ha aumentato in estensione rispetto allo stadio precedente. Questo tronco fibroso longitudinale, giunto in avanti a poca distanza dalla vescicola acustica, si stacca dal midollo allungato, e forma due tronchi destinati agli archi branchiali, come già descrissi nel mio studio precedente sui nervi cranici. In questo stadio si conservano ancora tracce del somite rudimentale w, ridotto omai ad un piccolo tratto della lamina esterna (la così detta lamina cuticolare) (fig. 19-20). Il somite x si presenta sempre ben sviluppato; però non abbiamo più traccia dell’ammasso gangliare che nello stadio ° precedente esisteva di fronte ad esso; tale ammasso si è incor- porato tutto quanto colla radice del vago. Il somite y è pure ben differenziato; in rapporto con esso troviamo un nervo a carattere spinale completo, provvisto cioè di radice dorsale con ganglio e di radice ventrale. La radice dor- sale è a contatto con l'estremità posteriore della radice del vago (fig. 19). Tl ganglio che da essa parte sembra quindi quasi un ap- pendice del vago. Questo rapporto dipende dall’estendersi in di- rezione caudale della radice del vago, per cui il suo estremo posteriore viene a confondersi colla radice dorsale del somite y. La radice ventrale del somite y è pure ben evidente (fig. 20). Nella fig. 21, che riproduce una sezione trasversa, si può osser- vare tanto la radice dorsale che la venetrale. Ambedue sono più deboli di quelle corrispondenti ai somiti che seguono; così dicasi pure del ganglio. Il somite z è del pari fornito in questo stadio di radice dorsale con ganglio e di radice ventrale. Una particolarità di questo stadio, che interessa pel nostro studio, è l’addensarsi delle cellule mesenchimali in corrispon- denza della linea mediana ventrale, fra la vescicola acustica e NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC. Zio la radice ventrale del somite y (fig. 20). Vediamo in questo fenomeno il primo accenno della cartilagine occipitale /carti- lagine paracordale, secondo Stòhr (1882); parte occipitale del cranio secondo Severtzoff (1895). Srapio VI° (fig. 22-23) Questo stadio corrisponde ad un periodo di sviluppo dai 20 ai 26 giorni, ed è abbastanza caratterizzato dalla prima apparizione di organi cartilaginei nel capo. Scompare in questo stadio ogni traccia di neuromeri, quindi di essi non si farà più parola. Scompare del pure affatto il somite rudimentale w. D’ora innanzi ci occuperemo soltanto dei mio- tomi occipitali, dei relativi nervi, e delle parti cartilaginee collegate con essi. I rapporti che si osservano nella regione occipitale a questo stadio possono riassumersi così: L’abbozzo della cartilagine occipitale, iniziatosi nello stadio precedente, è passato dallo stato procondrale allo stato condrale; si è pertanto costituita una piastra cartilaginea, che si estende posteriormente fino dietro il livello posteriore del miotomo y (fig. 23); anteriormente essa termina a qualche distanza della capsula acustica, delimitando il forame pel nervo vago. Una particolarità, che interessa al mio proposito, presenta l’estremo posteriore della cartilagine occipitale; in corrispondenza del miocomma fra il somite y e z le cellule cartilaginee mostrano un evidente ordinamento con- centrico, costituendo una specie di nucleo. In questa disposi- zione vedo l’indizio di un arco cartilagineo, il quale si è fuso colla cartilagine occipitale, ma che in questo primo stadio rivela ancora una leggera individualità. Questo fenomeno riceve luce da quanto 1’ Hoffmann (1894-1896-1897-1899) osservò in embrioni di Sq. acanthias, dove la cartilagine occipitale deriva dalla fusione di quattro accenni di archi vertebrali, nei primi stadi indipendenti fra loro. Sull’importanza delle osservazioni dell’ Hoffmann ritornerò in seguito. L’estremita posteriore della cartilanine occipitale termina a becco di flauto, cosicchè, mentre in sezioni orizzontali molto vicine alla corda dorsale la vediamo spingersi fin a metà del somite z (fig. 23), in tagli invece più dorsali essa non rag- giunge l’estremo posteriore del somite y (fig. 22). 214 CIRO BARBIERI Le condizioni dai nervi occipitali sono alquanto modificate rispetto allo stadio precedente. In corrispondenza al somite y non si rinviene che una radice ventrale (fig. 22) assai debole, la quale attraversa l'estremo posteriore della cartilagine occi- pitale. Il miotomo z ha radice ventrale e radice dorsale con ganglio ben sviluppato. Fra il miotomo z ed il seguente 1° miotomo del tronco si accenna un arco ventrale cartilagineo. Srapio VII° (fig. 24-26) Questo stadio corrisponde all’epoca della schiusa. Quanto dimostra la regione occipitale di questo stadio è del maggior interesse. La cartilagine occipitale si è estesa verso l’alto, in modo da abbracciare e ricoprire la parte poste- riore del cervello. La cartilagine occipitale limita pertanto all’indietro un forame, il cui piano non è verticale, ma è molto obliquo ri- spetto all’ asse dell’ embrione, come può dedursi esaminando la fig. 24. La parte basilare della cartilagine suddetta si estende molto caudalmente, fin dietro il somite z (fig. 24-26). Su di essa si impianta l’arco vertebrale che vedemmo accennarsi già nello stadio precedente fra il miotomo z ed il primo miotomo del tronco. Questo arco vertebrale, rappresentante di una vertebra, ha quindi perduto la sua individualità e lo chiameremo arco occipitale. Possiamo renderci conto di questo fenomeno esami- nando la fig. 24 e confrontando fra loro le fig. 25 e 26 che riproducono tagli orizzontali a diverva altezza. La radice ventrale che osservammo nello stadio precedente in corrispondenza del miotomo y è scomparsa completamente. In corrispondenza del miotomo z osserviamo ancora un nervo spinale completo, cioè con radice ventrale, radice dorsale e ganglio, il quale fuoresce avanti l’arco occipitale (fig. 25). Questi rapporti rimangono poco immutati negli stadi suc- cessivi, nei quali vediamo completarsi la volta della regione occipitale e l'arco occipitale incorporarsi più intimamente col cranio. Il nervo del miotomo z va perdendo la sua radice dor- sale, e nell’avanotto che ha assorbito tutto quanta le vescicola NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 215 vitellina lo vediamo generalmente ridotto alla sola radice ven- trale; questa radice evidentemente non è altro se non l’ipo- glosso dell’ adulto. Le deduzioni del Saghemel (1891), basate è vero solo su fatti di anatomia comparata, dovevano farmi sospettare che non un unico arco vertebrale, ma due archi si unissero alla regione occipitale del cranio. Per questo cercai di far attenzione, se anche l’ accenno del corpo vertebrale fra somite 1° e 2° del tronco finisse per fondersi col cranio cartilagineo. Un simile fenomeno non ho riscontrato, pur avendo esami- nato dei giovani in cui si iniziava il processo di ossificazione; anche in quest'epoca gli archi neurali ed emali posti fra 1° e 2" miotomo del tronco si mantengono indipendenti rispetto al cranio, e si deve dedurre, con tutta probabilità, che essi formeranno la prima vertebra dell’ adulto. Pertanto il limite fra capo e colonna vertebrale si trova fra il miotomo z ed il seguente. Riassumendo, nella regione occipitale do questo stadio si rinvengono gli elementi che seguono: 1. Tre miotomi (x y 4). 2. Una cartilagine occipitale che in avanti si inalza ad abbracciare il cervello posteriore, mentre all’indietro si estende con una porzione piu sottile fino dietro il miotomo z; su questa porzione si inserisce un arco occipitale che rappresenta l arco esistente fra miotomo ze ed il primo miotomo del tronco. 3. Un sol nervo con carattere spinale, che corrisponde al miotomo 3. Da queste condizioni derivano immediatamente quelle del- l'adulto. È interessante confrontare queste conclusioni con gli as- serti in proposito di altri Autori. Da quanto riferisce l’ Harrison (1895) sulla regione occipi- tale dei Salmonidi e che già riassunsi, si dovrebbe dedurre che Vipoglosso dell’ adulto corrisponda al miotomo y (mentre invece secondo me corrisponde al miotomo z°, e che il limite fra capo e tronco si stabilisca fra miotomo y e z. Evidentemente l’Har- rison fa derivare le condizioni dell’ adulto dei Salmonidi da quelle dello stadio 6°, in cui di fronte al somite y si ha una radice ventrale, destinata poi a scomparire; l’A. non ha inoltre osservato la formazione dell’arco occipitale. 216 CIRO BARBIERI E pure importante la presenza di un solo nervo occipitale. Secondo il Fiirbringer (1897) nella maggior parte dei Teleostei esistono due nervi occipitali, e così avverrebbe nei Salmonidi. In altri Teleostei può aversi un solo nervo occipitale (Ciprinidi); in altri invece, come in Conger (Supino 1907), esisterebbero tre nervi occipitali. Riguardo ai Salmonidi deve notarsi che lo Stannius (1892) descrisse in essi un solo nervo occipitale, e che 1° Harrison (1895) confermò questo fatto. L’ Haller (1897. descrisse e figurò nei Salmonidi un ipoglosso con due radici, ma molto vicine, e confluenti ben tosto assieme. Mi astengo da qualunque conclusione riguardo a quelle specie di Teleostei, in cui il Firbringer ha osservato due radici ventrali occipitali. Però nel caso dei Salmonidi è mia con- vinzione che le due esili radici ventrali vedute dal Furbringer e dell’Haller, non siano che parti di un medesimo nervo ventrale, che è appunto il nervo del miotomo z. Un’ ultima considerazione a proposito del limite fra cranio e colonna vertebrale. I fenomeni da me descritti dimostrano quanto graduale sia il passaggio fra capo e tronco. Infatti nei primi stadi si osserva una serie continua di somiti che vanno facendosi sempre più rudimentali procedendo verso l’ estremo anteriore, cosicchè al livello della vescicola acustica essi hanno perduto ogni individualità. Negli stadi successivi vediamo for- marsi, in rapporto coi somiti, radici dorsali e ventrali, le quali pure regrediscono dall’avanti all’indietro. Infine; la parte po- steriore del cranio cartilagineo è formata da un piastra occipi- tale, che si estende dapprima fino al somite y, in corrispondenza del quale si ha evidente traccia di una porzione cartilaginea indipendente; in seguito la cartilagine occipitale si estende ancora caudalmente, e con essa si fonde l'arco vertebrale che si era costituito fra miotomo z e 1° miotomo del tronco; ori- gina così l’arco occipitale, e si stabilisce il limite posteriore del cranio (*). In conclusione quindi, i segmenti che prendono (1) Lo Stéhr (1882) trattò, ma molto ineompletamente, dello sviluppo della re- gione occipitale dei Teleostei. Descrisse la cartilagine paracordale posteriore, che io chiamo cartilagine occipitale, ma non osservò la fusione fra detta cartilagine ed un primo arco vertebrale. Quello che egli chiama arco occipitale dei Teleostei non è se non la parte più elevata della cartilagine occipitale, posta dietro la capsula acustica. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 217 parte alla costituzione del capo conservavano tanto più a lungo i caratteri originari, quanto essi sono piu vicini all’ estremo po- steriore del capo stesso; il limile fra capo e tronco si stabilisce relativamenti tardi. Identici fenomeni furono riscontrati in altri gruppi di Verte- brati. Così secondo 1’ Hoffmann (1894), confermato in linea gene- rale dal Severtzoff (1897), nei Selaci (Sq. acanthias) la porzione della cartilagine paracordale posta dietro il vago (cartilagine occipitale), prende origine per fusione di quattro pezzi cartila- ginei, corrispondenti a quattro archi vertebrali. Nei Ganoidi cartilaginei (Acipenser) il Severtzoff (1895) dimostrava che dietro la vescicola acustica si osservano 8 mio- tomi, dei quali i due primi stanno di fronte alla cartilagine della regione acustica, i seguenti tre sono in rapporto con la cartilagine occipitale; in relazione cogli ultimi tre si formano distinti archi vertebrali, che vanno fondendosi colla porzione occipitale del cranio. A ragione quindi il Severtzoff conclude, che esiste una perfetta continuità fra la segmentazione del capo e quella del tronco. Negli Anfibi, secondo lo Stéhr (1881, confermato dal Se- vertzoff (1895), si osserva egualmente un pezzo cartilagineo, che corrisponderebbe ad un unico arco vertebrale, il quale si unisce alla parte posteriore del cranio. Negli Uccelli (pollo) e nei Mammiferi (maiale e ruminanti) fu dimostrato dal Froriep (1882-1883), che per lo meno I’ abbozzo di una vertebra si fonde colla regione occipitale del cranio. Da questo breve riassunto emerge, come i fenomeni descritti nella regione occipitale dei Teleostei concordino fondamental- mente con quelli che si riscontrano in altri Vertebrati, e come sia variabile il numero dei segmenti di detta regione. Per questo il Severtzoff ammette, che il limite fra capo e cranio non sia omologo in tutti i Vertebrati, e che la regione occipitale abbracci un numero di segmenti che varia a seconda dei diversi gruppi di Vertebrati. L’interpretazione del Severtzoff credo omai possa ritenersi come dimostrata. Anche il Sagemehl (1891) era venuto ad una conclusione simile, però con criteri tutti diversi, in quanto che si era basato unicamente su reperti di anatomia comparata. Le sue idee hanno acquistato un particolare interesse, perchè sono uno dei punti di partenza del celebre lavoro del Fiirbringer sui nervi spino- 218 CIRO BARBIERI occipitali. Il Sagemehl ritiene che il cranio dei Ganoidi e dei Teleestei debba considerarsi come derivato dal cranio dei Selaci, con l'aggiunta di nuovi corpi vertebrali. L’A. riconosce, come già riferii in principio, nella regione occipitale dei Ganoidi ossei e dei Teleostei, allo stato adulto, tracce evidenti di nuovi corpi vertebrali aggiuntisi di recente, e che mancano invece nei Selaci. Il cranio dei Selaci egli lo chiama quindi proto- metamero, quello dei Ganoidi e Teleostei auximetamero. Anche gli Anfibi possederebbero un cranio protometamero. Le condizioni dei Teleostei, sarebbero derivate da quelle del- l’Amia, in cui si hanno tracce evidenti di due archi vertebrali unitisi al cranio. Nei Teleostei di questi due archi il primo si sarebbe fuso completamente col capo, il secondo sarebbe ancora più o meno evidente a seconda dei gruppi di Teleostei. La teoria del Sagemehl è chiara, ma non ha nessun fon- damento embriologico. Quanto ci rivela l’ embriologia non con- ferma in alcun modo che il cranio dei pesci ossei sia derivato da quello dei Selaci; tanto negli uni che negli altri troviamo nei primi stadi delle condizioni comuni (reperti dell’ Hoffmann riguardo alla regione occipitale dei Selaci); deve quindi con- cludersi, che la regione occipitale dei Selaci e dei Pesci ossei abbiamo avuto per punto di partenza uno stato indifferente, in cui dietro la vescicola acustica si aveva una serie di segmenti non ancora fusi assieme, come si osserva attualmente nei Ci- clostomi. A questo proposito ha un certo valore il reperto del Rosenberg (1886), il quale osservò che in Carcharias una ver- tebra già ben differenziata, si fonde col cranio durante il periodo giovanile; quindi un fenomeno identico a quanto si osserva in Ganoidi e Teleostei. L’embriologia dai Salmonidi inoltre dimostra la presenza di un solo arco occipitale ben distinto, e non di due, quanti, almeno nello sviluppo, dovrebbero riscontrarsi, se la derivazione dall’Amia e quindi la fusione recente di due archi vertebrali, avesse realmente valore. Spero di ritornare sopra la teoria del Sagemehl discutendo quella del Fiirbringer. I miei risultati possono così riassumersi: 1° NellaTregione del prosencefalo e del mesencefalo di Salmonidi mancano traccie evidenti di neuromeri; tuttavia ap- NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 219 pare probabile, che ciascuna di queste due regioni corrisponda ad un insieme di segmenti. Nel cervello posteriore si osservano invece dei neuromeri molto netti. Io ammetto che questi neu- romeri abbiano valore metamerico, e rappresentino le ultime vestigie di una metameria primitiva del tubo nervoso, il quale forse in origine era costituito di copie successive di gangli, come suppone anche il Dohrn (1907). Una simile ipotesi è, socondo me, avvalorata dai seguenti fatti: a) Dalla regolarità e chiarezza con cui si presentano i neuromeri del cervello posteriore. 5) Dalla loro costanza e corrispondenza in tutti i gruppi di Vertebrati. c) Dalla presenza di un neuromero (il neuromero 3° del cervello posteriore) il quale non ha rapporti con nessun nervo cranico. Quest'ultimo fatto toglie valore all’ unica obbiezione plausibile che si possa fare all’interpretazione data, e cioè che i neuromeri siano ingrossamenti del midollo allungato in dipen- denza dei nervi cranici. 2° Nella regione occipitale si osservano 4 somiti ben netti (z-y-x-w); fra il somite w e la vescicola acustica si nota una massa inperfettamente segmentata; avanti la vescicola acustica manca nel mesoderma ogni traccia di metameria. Il somite w scompare ben presto; i somiti x-y-z sviluppano un miotomo che Si conserva fino all’ adulto. 3° In corrispondenza al somite w non si osserva giammai alcun accenno di ganglio nè di radice ventrale. Di fronte al somite x si ha un’accenno molto transitorio di ganglio. Il so- mite y è fornito nell’embrione di radice dorsale con ganglio e di radice ventrale. Il somite z è provvisto nell’embrione esso pure di ganglio e radice ventrale; il ganglio scompare più o meno completamente dopo la schiusa e solo lentamente; la radice ventrale persiste e forma, con tutta probabilità da sola, il cosidetto « ipoglosso » dell’ adulto. 4° Nell’embrione si forma una cartilagine occipitale estesa fino al somite z. Fra somite z e primo somite del tronco si forma un’arco neurale cartilagineo, dapprima indipendente, e che poi si salda colla cartilagine occipitale. Nel seguente specchietto sono riassunti i fenomeni di me- tameria del capo dei Salmonidi. 220 CIRO BARBIERI wear] Regioni Cervello anterior. Cervello medio 210119) S0Od o[[9A199 Neuromeri 1 neuromero (in rap- porto col trocleare e con una parte del tri- gemino). 2 neuromero (in rap- porto con una parte del trigemino). 3 meuromero (senza rapporti con nervi cra- niel). 4 neuromero (in rap- porto col facciale acu- stico) 5 neuromero (in cor- rispondenza della ve- scicola acustica, e senza evidenti rapporti coi jnervi cranici). \ 6 neuromero (in rap- porto col glosso-farin- geo e col laterale). ? 2 ? Somiti Massa mesodermica imperfettamente segm. Somite w Somite x Somite y Somite z 1°somite deltroneo II° PARTE Nervi a tipo | Archi neurali spinale cartilaginei ? ? ? ? 2 2 ? ? 2 ? 2 ? ? ? ? \ ? ? 2 2 Ganglio dorsale ; i transitorio Cartilagine occipitale Ganglio dors. e radice ventrale ambedue trans. Radice dorsale] Arco neurale transit. radice|(detto arco oc- ventr. persist.|cipitale) che si fonde colla 1° nervo spinale |cartilag. oeci- persistente, pitale). Considerazioni generali I fenomeni che ho potuto riscontrare nello sviluppo del sapo dei Salmonidi sono troppo modesti, perchè su di essi possa fondarsi una nuova concezione della metameria del capo, o perchè da essi possa ritenersi convalidata questa o quella teoria. Ciò nonostante non credo inutile esaminare le principali NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 221 teorie emesse a proposito della metameria del capo, e discutere quale di esse risponda maggiormente ai fatti che l’ embriologia dei vari gruppi dei Vertebrati ha posto in rilievo, compreso quanto potei io stesso dimostrare nei Teleostei. Nello studio dei fenomeni di segmentazione del capo si sono seguiti due criteri diversi; hanno preso origine così due cor- renti distinte di pensiero, che solo in questi ultimi anni si sono fuse assieme. Secondo I’ un criterio, si deduce il numero ed i caratteri dei metameri del capo dallo studio del mesoderma (somiti, accenni di corpi vertebrali); nello stesso tempo si da molto va- lore ai nervi. Seguendo l’altro criterio, si studia la formazione dei neuro- meri, e da essi si deduce il numero dei segmenti che in origine costituivano il capo. Riassumerò brevemente dapprima le teorie basate sui ca- ratteri del mesoderma, poi quelle che hanno per punto di par- tenza i neuromeri, e quindi esporrò con maggior diffusione le interpretazioni più moderne e più riassuntive, sulla forma pri- mitiva del capo. Fin da quando le idee evoluzioniste intorno agli esseri viventi cominciarono ad affermarsi (principio del secolo decimonono), vediamo delinearsi nella mente degli scienziati questo concetto assiomotico: il capo dei Vertebrati deve originariamente aver avuto una struttura identica al tronco, e quindi una metameria. { primi investigatori credettero di trovare la dimostrazione di questa loro convinzione nell'ordinamento delle ossa del capo dei Vertebrati superiori. Le teorie in proposito del Goethe (1790) e dell’ Oken (1807) sono troppo note perehé debba rias- sumerle. L’Huxley (1858) pose fine a questi primi e vani tentativi, dimo- strando, con l'esame del cranio di tutte le classi dei Vertebrati, ed in particolare delle inferiori, ed anche con dati embriologici, che le ossa del cranio sono formazioni su? generis, le quali si riscontrano in tutta la serie dei Vertebrati, più o meno modificate, ma che nulla hanno a che fare con le vertebre. La teoria vertebrale del cranio sarebbe morta, se il Gegen- baur (1862) non l'avesse rinvigorita, ponendola su nuove basi. Il Gegenbaur fece attenzione alle parti cartilaginee del cranio, ed esaminò in particolare il cranio dei Selaci. Egli concluse che nel cranio si deve distinguere una regione anteriore, in cui 14 222 CIRO BARBIERI manca ogni traccia di metameria (parte evertebrale), ed una regione posteriore (parte vertebrale) omologabile ad un’insieme di vertebre. La segmentazione di questa regione e la sua omo- dinamia con la colonna vertebrale il Gegenbaur ha dedotto: dall’inoltrarsi della corda ‘dorsale nella base del cranio; dagli archi viscerali, che paragona alle costole; e dai rapporti dei nervi cranici, che considera omodinami ai nervi spinali. Secondo lA. il numero dei segmenti di questa regione, dedotto dagli archi branchiali, deve essere per lo meno di 9 (!). Le radici dell’ipoglosso erano considerate, secondo questa prima teoria del Gegenbaur, come radici ventrali del vago. Il vago per questo riferimento e pei suoi rapporti coll’apparato bran- chiale, veniva considerato come equivalente ad un insieme di nervi a tipo spinale. La concezione del Gegeubaur dovette venir modificata ben presto, perchè fatti nuovi e di importanza fondamentale, furono posti in luce dallo Stéhr, dal Froriep e dal V. Wije. Lo Stéhr (1879-1881) dimostrò che negli anfibi Anuri, come negli Urodeli, il segmento caudale del cranio apparteneva primitivamente al tronco, giacché si sviluppa allo stesso modo di una vertebra, e si salda solo in seguito col cranio. Lo Stòhr concluse che il cranio si sia esteso in direzione caudale, e che perciò nei Vertebrati superiori abbracci una regione più ampia che non in quelli inferiori. Gli omologhi di certi nervi dei Vertebrati superiori (ipoglosso, accessorio di Willis) non sarebbero da ricercarsi secondo lo Stéhr fra i nervi cranici dei Ver- tebrati inferiori, ma fra i loro nervi spinali anteriori, Il Froriep (1882) dimostrava, coll’ esame di embrioni di Ruminanti e di maiale, che l’ ipoglosso non può in alcun modo essere considerato come la radice (o le radici) ventrale del vago. Esso invece corrisponde ad un insieme di nervi a tipo spinale, i cui gangli e radici dorsali appaiono solo transitoriamente nell’embrione. Questo reperto importan- tissimo servi di base al Froriep per stabilire, che il capo deve imma- ginarsi costituito di due segmenti; uno anteriore, che termina all’ in- dietro col vago-accessorio), segmento cerebrale), ed uno posteriore, che comincia dietro il vago ed il quale deriva senza dubbio dalla fusione di un'insieme di vertebre (segmento spinale). I reperti e le teorie del Van Vijhe (1883) non ebbero minor influenza. (1) Il Gegenbaur considerava allora le cartilagini labiali dei Selaci come omodiname con gli archi viscerali e quindi con le costole. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 2293 Questo scienziato osservò in embrioni di Seyllivm e Pri stiurus che il mesoderma del capo si suddivide in una serie di segmenti, i quali presentano nell'interno una cavità. Il V. Vijhe li considera come omologhi ai somiti del tronco. Gli archi viscerali sono ritenuti corrispondenti a porzioni delle piastre laterali del mesoderma. Ciascun somite è provvisto, secondo V. Wijhe, di una radice dorsale e di una ventrale, come i somiti del tronco; però nel capo le due radici rimangono di- stinte anche nell’ adulto. I somiti del V. Wijhe ed i loro rapporti principali sono i seguenti: 1° somite, o somite premandibolare; presenta di caratteristico un ponte cellulare, che lo collega col somite corrispondente dell’ altro lato; sua radice dorsale è 1’ oftalmico profondo, e sua radice ventrale è l’oculo motorio; da origine ai muscoli dell’ oculo-motorio. 2° somite, o somite mandibolare; la sua cavità comunica con quella dell’ arco mandibolare; radice dorsale il trigemino (meno loftal- mico profondo), radice ventrale il trocleare; da origine al muscolo obliquo superiore. 3° somite, è posto al disopra dell’arco ioideo; nervo dorsale il. facciale acustico, nervo ventrale l’abducente; da origine al muscolo retto esterno. 4° somite, è posto pure al disopra dell’ arco ioideo; tanto però la cavità del somite 4° che quella del 3° non comunicano colla cavità dell’arco ioideo embrionale ; poichè l'arco ioideo corrisponde a due so- miti, lA. suppone che esso sia equivalente a due archi branchiali, e che il nervo facciale-acustico sia pure doppio, e comprenda in sè anche la radice dorsale del somite 4°. La radice ventrale del somite 4° sarebbe mancante. Allo stato adulto il somite 4° degenera. 5° somite, radice dorsale glosso faringeo; radice ventrale manca; degenera allo stato adulto. 6° 7° 8° 9° somite, ad essi corrisponde come radice dorsale il vago, come radice ventrale l'ipoglosso. IL V. Wijhe conserva quindi, in questo lavoro, la falsa idea del Gegenbaur, che le radici dell’ ipo- glosso rappresentino le radici ventrali del vago. In seguito però (1889) abbandonò questo concetto, e ritenne il vago come corrispondente a due segmenti soltanto (6° e 7°) mentre 1° 8° ed il 9° segmento sarebbero innervati da nervi a tipo spinale, cioè dalle radici dell’ ipoglosso. Il V. Wijhe, in ultima analisi, riconosce nel capo dei Selaci una metameria non meno evidente di quella del tronco. La sua teoria ebbe la maggior influenza, perchè molti scienziati presero alla lattera i suoi asserti. Nel 1887 il Gegenbaur pubblicò un vigoroso lavoro critico, che segna veramente una tappa importante nello sviluppo delle 224 CIRO BARBIERI teorie intorno alla configurazione primitiva del capo. Il Gegen- baur prende come punto di partenza gli asserti del V. Wijhe. Però, mentre questi aveva dimostrato che i segmenti del capo formano un tutto continuo, il Gegenbaur, in base a considera- zioni di anatomia comparata, riferentesi soprattutto alle condi- zioni dell’Anfiosso, viene alla conclusione che i 6 segmenti anteriori del V. Wijhe, e con essi tuttii nervi cranici del capo, eccetto le radici dell’ipoglosso, e tutti gli archi branchiali, costi- tuiscano la parte più antica del cranio palaeocranium) e che i tre segmenti posteriori (7° 8° e 9°), insieme alle radici dell’ipoglosso, formino una parte più recente (neocranium), che conserva ancora somiglianza colla colonna vertebrale. Fra neocranium e palocra- nium un numero notevole di segmenti sarebbe scomparso. Questa concezione del Gegenbaur, che differisce sostanzialmente dalla sua precedente del 1862, acquistò diffusione soprattutto dopo che il Firbringer la accettò e convalidò con nuovi argomenti (1897), e segnò il principio di un dissidio fra anatomia compa- rata ed embriologia, in quanto chè con questa teoria si affer- mano, basandosi sulla comparazione, trasformazioni importantis- simi, delle quali nessun vestigio ci è dimostrato dall’embriologia. Contemporaneamente e successivamente a questo classico studio del Gegenbaur, molti embriologici trattarono della metameria del capo; la maggior parte sono però ancora influeuzati dalla teoria del V. Wijhe. Ricorderò le osservazioni più notevoli. Nei Selaci il V. Wijhe stesso (1889) dimostrava che in Galeus esiste un ammasso mesodermico avanti il suo 1° somite, Questo reperto fu con- fermato dalla Platt (1891) in Squalus Acantias; VA. indicò questo nuovo segmento col nome di « anterior head cavity », nome che fu conservato dai ricercatori successivi (Hoffmann, Neal, Dohrn), che confermarono l’esistenza di questo ammasso mesodermico. L' Hoffmann (1894-96-97-99) ha interpretato la « anterior head cavity » della Platt come un somite radimentale. Gli studi dell’Hoffmann fatti sullo Sg. acanthias, sono una conferma, in linea generale, della concezione del V. Wijhe: l’A. ha infatti riscontrato 1 9 somiti del V. Wijhe. ed ammette corrispondenza fra somiti ed archi viscerali. L’ Hoffmann ritiene però che anteriormente al 1° somite del V. Wijhe siano scomparsi dei segmenti. Come nella « anterior head cavity » vede le tracce di un somite anteriore al primo del V. Wijhe, così in altre disposizioni, in realtà molto insignificanti, e che non mi fermerò a discutere, crede di osservare gli avanzi di archi e di fessure branchiali anteriori alle esistenti. Notevole è soprattutto la dimostra- NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 225 zione, data dall’ Hoffmann, che nella regione occipitale di Sg. acanthias esista un somite posteriore al 9° del V. Wijhe; quindi in questo Se- lacio il capo consterebbe di 10 segmenti ben definiti, più alcuni ac- cenni rudimentali all’ estremo anteriore. Anche le ricerche della Platt (1891) sono in ultima analisi la con- ferma dei reperti del V. Wijhe; notevole però che l'A. suddivida in due il 2° ed il 4° somite del V. Wijhe; in tutto quindi essa descrive (sempre in Sq. acanthias), compresa la « anterior head cavity », 12 seg- menti. Negli studi del V. Wijhe, e di quelli che lo seguirono, sono evidenti due difetti: 1° E del tutto improbabile che i tre somiti preotici del V. Wijhe siano veri somiti; essi differiscono troppo pei loro caratteri e per il comportamento dai somiti del tronco; e d’ altra parte appare incomprensibile come i somiti, che già dietro la vescicola uditiva troviamo in stato assai rudimentale, ritornino di nuovo ad acquistare evidenza avanti la vescicola uditiva Stessa. 2° Non è ben definito il limite posteriore della regione cranica. Tanto il V. Wijhe che l’ Hoffmann hanno ritenuto come primo somite del tronco, quello che presenta una radice dorsale ed una ventrale ben distinte, e che si conservano fino in stadi piuttosto avanzati. Questo criterio è del tutto inaccettabile. Il primo difetto delle ricerche del V. Wijhe fu messo in evidenza da molti osservatori. Il Kastschenko (1888) affermava che la segmentazione del corpo dei Selaci incomincia nelle regione media del corpo, e prosegue in due dire- zioni, caudalmente e cranialmente ; nel capo la formazione di somiti ben distinti si arresterebbe alla vescicola uditiva. Anteriormente ad essa non si avrebbero che tracce confuse di seguweutazione, talchè non sarebbe possibile stabilire il numero dei segmenti di questa regione. Il Rabl (1889) affermava più decisamente che i segmenti preotici del V. Wijhe sono formazioni mesodermiche « sui generis », in cui mancano i caratteri essenziali del somite (distinzione fra miotomo e sclerotomo soprattutto). Nel capo, secondo Rabl, si deve distinguere una parte segmentata ed una parte non segmentata; il limite fra le due parti è segnato dalla vescicola acustica. Il Dohrn (1890) ed il Killian (1891) pongono i germi di un interpretazione nuova dei segmenti mesodermi preotici; ambedue, basandosi su osservazioni in embrioni di Torpedo, ritengono i somiti preotici del V. Wijhe come corrispondenti ciascuno ad 2926 CIRO BARBIERI un’insieme di somiti, più o meno completamente fusi assieme. Su questa interpretazione dovrò ritornare riassumendo gli ultimi studi del Dohrn. Una interpretazione tutta opposta dei somiti preotici del V. Wijhe è quella del Kupffer, che in base ad osservazioni su embrioni di Sto- rione (1893) e su embrioni di Ciclostomi (1894-95) interpreta tali somiti come rudimenti di fessure ed archi branchiali, che si dissolvono in mesenchima senza prender parte alla formazione dei muscoli oculo- motori, i quali deriverebbero invece dalle cellule degli abbozzi degli archi mandibolare e ioideo. È bene rammentare però che questa interpretazione del Kupffer è contraddetta dalla maggior parte degli A., e che la derivazione dei muscoli oculo-motori dal tessuto dei somiti preotici, o meglio dalle masse mesodermiche che li rappresentano, è omai un fatto indiscusso. I dubbi sollevati intorno al valore metamerico dei primi somiti del V. Wijhe hanno una speciale importanza, perchè appunto la continuità fra somite 2° ed arco mandibolare era invocata come prova della corrispondenza fra somiti ed archi viscerali. Se le masse mesodermiche preotiche dei Selaci non sono veri somiti, omodinami a quelli del tronco, viene a mancare l'argomento di maggior peso per il valore metamerico degli archi viscerali. Il secondo difetto delle ricerche del V. Wijhe, cioè 1° erronea in- terpretazione del limite posteriore del capo, non tardò ad essere rile- vato. Il Severtzoff (1894) dimostrò evidentemente in Acipenser, seguendo lo sviluppo della regione occipitale in stadi piuttosto avanzati, che dietro la vescicola acustica il capo comprende per lo meno 7 segmenti, non già 6. È ben vero però, che il Severtzoff non crede che questo suo reperto in- firmi quelli dell’ Hoffmann e del V. Wijhe, ma ritiene in ciò una prova della variabile estensione della regione cefalica. Tuttavia nei Selaci stessi, e più particolarmente nella specie Spinax niger, il Braus (1899), avendo seguito con molta accuratezza lo svi- luppo dei somiti metaotici, fino allo stadio in cui si stabilisce con evi- denza il limite fra cranio e colonna vertebrale, dimostrava l’ esistenza di 7 somiti metaotici. Il Braus ritiene che il V. Wijhe abbia errato nella numerazione dei somiti metaotici. Le ricerche sulla segmentazione del capo compiute in altri gruppi di Vertebrati, non armonizzano troppo colla teoria del V. Wijhe. Così in embrioni di Petromizonti 1’ Hatschek (1892) descrive due somiti preotici e due somiti metaotici. Questi risultati sono però contraddetti da ricerche recenti del Koltzoff, che riassumerò in seguito. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 227 Riguardo alla segmentazione del capo degli Anfibi ricorderò che il Goette (1875), nel suo celebre lavoro sul Bombinator igneus, distinse nel capo 4 segmenti; due preotici e due metaotici. L’ Houssay (1890) riconobbe in Stredon 10 segmenti, solo parzial- mente corrispondenti a quelli del V. Wijhe. Miss I. Platt (1894) avrebbe invece osservato in Necturus una segmentazione del mesoderma identica a quella descritta dal V. Wijhe in Scyllium e Pistiurus, cioè di 3 somiti nella regione preotica e di 6 in quella metaotica. Gli asserti della Platt sono in evidente contrasto con le accurate osservazioni del Chiarugi (1891) e del Sewertzoff (1894), per quel che riguarda la regione metaotica. Il Chiarugi, che portò la sua attenzione solo sui miotomi della regione occipitale, dimostrò in Bufo vulgaris |’ esistenza di un solo miotomo occipitale. ll Sewertzoff studiò oltre i miotomi anche i somiti, e potè così di- mostrare che in »iredon si formano, nella regione occipitale, 2 somiti, di cui solo il 2° è persistente, e da origine al miotomo. In Pelobates fuscus si osserverebbero invece tre somiti occipitali, di cui solo quello più caudale persisterebbe. Nei Rettili pure si volle da alcuni trovare la conferma dei somiti del V. Wijhe. Il V. Wijhe stesso (1886) vi aveva già dimostrato fenomeni di me- tameria identici a quelli riscontrati nei Selaci. L’Oppel (1890) confermerebbe, con osservazioni su Anguis fragilis, il V. Wijhe, soprattutto per quanto riguarda la regione preotica, dimo- strando la presenza di tre somiti (le cosidette cavità cefaliche). L’ Hotfmann (1887) osservò, nella regione occipitale di embrioni di Lacerta, 5 somiti cefalici, dei quali il primo è rudimentale, e giace dietro il vago. Secondo il Chiarugi (1890) in embrioni di Lacerta esistono 4 mio- tomi occipitali, ciascuno con radice ventrale; avanti il 1° miotomo esiste una radice ventrale senza il corrispondente miotomo. E evidente che il Chiarugi inizia le sue osservazioni da stadi più avanzati che non l' Hoffmann, e ciò spiega come egli non abbia descritto il primo somite visto dall’ Hoffmann. Negli Uccelli il Froriep (1883) dimostrò la presenza, nella regione occipitale, di 4 miotomi ; in corrispondenza agli ultimi due si svilup- pano degli accenni di vertebre simili a quelle del tronco, che poi si fondono col resto del cranio. Il Chiarugi (1890) confermò la presenza di 4 miotomi, ed osservò inoltre che i tre miotomi posteriori sono forniti, nell’ embrione, di ra- dice dorsale rudimentale e di radice ventrale. (ll Froriep aveva descritto 228 CIRO BARBIERI solo due radici ventrali). Le radici ventrali, insieme al primo nervo cervicale, daranno origine all’ ipoglosso dell’ adulto. Secondo il Goronowitsch (1893), anteriormente ai miotomi dimo- strati dal Froriep e dal Chiarugi, il mesoderma presenterebbe, in stadi molto giovani, altri segmenti; più precisamente fra il primo somite di Froriep e Chiarugi e la vescicola acustica esisterebbero due somiti; un terzo somite, molto più rudimentale, si troverebbe avanti la vescicola acustica. Collegando le ricerche del Froriep e del Chiarugi con quelle del Goronowitsch, si è indotti ad affermare che negli Uccelli esistano 6 somiti metaotici. Nei Mammiferi furono pure riscontrate tracce evidenti di metameria nella regione occipitale. Caduta la vecchia teoria vertebrale del Goette e dell’Oken, il Kolliker (1879) aveva tentato di dedurre prove, a favore della segmentazione del ca: 0, dalle dilatazioni che presenta la parte cranica della corda dorsale. È merito del Froriep (1883-86) avere dimo- strato anche pei Mammiferi, che le prove più sicure per il riconosci- mento dei metameri del capo, sono date dalle disposizioni dei miotomi e dei nervi occipitali. 1l Froriep dimostrò nella regione occipitale di embrioni di Mammiferi (maiale, ruminanti) la presenza di 4 nervi, di cui il 3° ed il 4°, cioè quelli più caudali, con radice dorsale e ventrale ; il le ed il 2° con sola radice veutrale. I miotomi sarebbero 3, corrispondenti agli ultimi tre nervi; in rapporto col 3° miotomo si forma un accenno cartilagineo di vertebra, destinato a riunirsi col resto del cranio. Questi reperti del Froriep trovano la conferma, per quanto concerne le radici nervose ed i miotomi occipitali, nelle ricerche del Chiarugi (1890) su embrioni di coniglio. In tal modo abbiamo terminato la rassegna degli studi e delle teorie sulla metameria del capo basati sui caratteri del mesoderma, tralasciando solo alcuni lavori più recenti che riassumerò in seguito. Daremo ora un rapido sguardo al progresso delle nostre conoscenze intorno ai neuromeri, ed alle deduzioni che da essi furono tratte in merito alla metameria del capo. Già fin dal principio del secolo scorso gli anatomici sì erano accorti che il cervello embrionale si presenta diviso in un certo numero di segmenti; questo fenomeno apparve soprattutto evi- dente nel midollo allungato. Il Von Baer (1828) descrisse nel midollo allungato di embrioni di pollo di 5 a 4 giorui dei solchi trasversi. (1 Bischoff (1842) affermò che in embrioni di cane si notano, dietro NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC. 229 la curvatura del cervello, 7 pieghe, le quali probabilmente corrispon- dono ai solchi di separazione dei nenromeri. Il Remak (1850) completò le osservazioni del Baer riguardo ai seg- menti del midollo allungato di embrioni di pollo. Egli notò in questa regione 4 o 5 solchi trasversi, che dividono ciascuna metà laterale in 5 a 6 segmenti di forma quadrata, il cui significato gli è ignoto. ll Dursy (1869) accennò alla presenza di 6 pieghe sporgenti del cervello posteriore di embrioni di bue. Il Beraneck (1884) descrisse nel cervello posteriore di Lacerta agilis (embrioni di 3-4 mm.) 5 paia di segmenti, e stabili per primo che essi hanno relazioni definite coi nervi cranici. Importanti sono le ricerche del Kupffer (1885), che in parte ho riassunto a proposito della bibliografia riguardante i Teleostei. L'A. con osservazioni su embrioni di Trota, di Salamandra e di uomo, conclude che il cervello medio embriona'e consta di 3 segmenti, ed il cervello posteriore di 5. Il Kupffer per primo quindi descrisse con precisione la presenza di neuromeri in avanti del cervello posteriore, e per primo affermò chiaramente chi i segmenti del cervello vanno ritenuti come prove di una « primire Metamerie der Anlage des Centralnervensystems ». Il cervello anteriore non presenterebbe traccia di segmenti; d'altra parte il Kuptfer ammetteva che la serie dei neuromeri si continuasse nel tronco. Molti A., dopo il Kupffer, si occuparono della neuromeria del cer- vello ; ricorderò, per quanto concerne i Pesci, oltre i lavori già citati (Kupffer, Waters, Hill), le ricerche dello Zimmermann (1891) e del Locy (1895); per quanto riguarda gli Anfibi i lavori del Me Clure (1890) e del Froriep (!892): per i Rettili gli studi dell’ Orr (1887), dell’ Hoffmann (1889) e del Me. Clure (1890); per gli Uccelli i lavori della Platt (1889), del Me. Clure (1890) e dello Zimmermann (1891); pei Mammiferi infine i lavori dello Zimmermann (1891) e del Froriep (1892). Dall'esame di tutti questi studi si rileva che esiste un relativo accordo per quanto concerne il cervello posteriore, in cui la maggior parte degli A. descrivono 6 neuromeri. Il Kupffer, citato in precedenza il Me. Clure, ed altri pochi descrivono nel cervello posteriore solo 5 neuromeri; questi A. sembra abbiano interpretato come un unico segmento il cervelletto col neuromero che segue, interpretazione che, come vedremo fra poco, è adottata anche da alcuni A. recenti (Neal, Koltzoft) i quali si sono sforzati di trovare corrispondenza fra neuromeri e somiti del V. Vijhe. Altri A., al contrario, descrissero nel cervello posteriore più di © segmenti (Hoffmann, Froriep, Locy). Anche qui si tratta di una diffe- renza non sostanziale, in quanto ché i detti A. credettero di distinguere nuovi segmenti caudalmente al 6°. 230 CIRO BARBIERI Dall’ esame di tutte le suddette ricerche, possiamo trarre questa conclusione : in tutte quante le classi di Vertebrati sono chiaramente discernibili per lo meno i neuromeri 3° 4° 5° 6°; è ben visibile pure il solco fra neuromero 3° e 2°. La distinzione fra neuromero 2° e cer- velletto è meno evidente, talchè ha fatto ritenere che il cervelletto non costituisca un segmento a sè. 7 Per quanto riguarda i neuromeri compresi nel cervello medio ed anteriore, vi è fra i diversi A. il massimo del disaccordo. Così mentre 1’ Orr e la Platt e l° Hoffmann laseiano indeterminato il numero dei neuromeri di queste due regioni del cervello, il Kupffer, come già ricordai, afferma l’ esistenza nel cervello medio di tre neuro- meri, e non precisa quelli del cervello anteriore; il Waters avrebbe trovato 2 neuromeri nel cervello medio e tre nel cervello anteriore ; lo Zimmermann descrisse 2 neuromeri nel cervello anteriore e 3 nel cervello medio; il Froriep egualmente trovò 3 segmenti nel mesencefalo e 2 nel prosencefalo ; l'Hill descrisse invece 3 segmenti nel cervello an- teriore e 2 nel medio; il Neal, le cui teorie riassumerò più largamente in seguito, ammette che cervello anteriore e cervello medio costitui scano ciascuno un sol neuromero. La enorme discordanza che esiste riguardo al numero dei neuromeri del mesencefalo e del prosencefalo prova, secondo me, che in queste due regioni la neuromeria non è ben evidente; essa è andata scomparendo, come mi risulta anche delle mie osservazioni su Salmonidi. Merita un particolare accenno la concezione dello Zimmermann (1891). Egli distingue nel cervello segmenti primari e segmenti secondari, Nel cervello di Selaci, come pure di Uccelli e Mammiferi, riscontrò 8 segmenti primari; i tre primi sono prosencefalo, mesencefalo e cervel- letto ; gli altri 5 appartengono al midollo allungato I tre primi seg- menti devono essere considerati, secondo Zimmermann come complessi di encefalomeri, che si rendono evidenti successivamente; il prosence- falo consterebbe di 2 segmenti, il cervello medio di 3, ed il cervelletto pure di tre. E bene ricordare che lo studio dello Zimmermann, è senza figure, quindi è difficile rendersi conto preciso delle sue affermazioni, alle quali realmente sembra non debba darsi troppo peso. il Neal in- fatti, che con tanta diligenza ha seguito la segmentazione del cervello di Squalus acanthias (studiato anche dallo Zimmermann), afferma di non aver riscontrato alcuna disposizione, che possa in qualche modo giusti- ficare gli asserti dello Zimmermann. Per ultimare questo rapido riassunto degli studi intorno alla neu- romeria ricorderò ancora, quanto già ebbi ad accennare nella prima parte del mio lavoro, che mentre secondo lo Zimmermann, il Neal e pochi altri il midollo spinale non si deve considerare come segmentato (cioè i così detti mielomeri non debbono considerarsi come veri seg- menti), invece secondo il maggior numero degli A. (Kupffer, Me. Clure, Platt, Koltzoff) il midollo spinale dovrebbe considerarsi costituito di NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 231 segmenti (mielomeri) omodinami a quelli del cervello. Io segno, come già spiegai, l'opinione del Neal, nel senso, che pur ammettendo una neuromeria primitiva del midollo spinale, ritengo che di essa siano scomparse le traccie anche nel periodo embrionale. In merito al valore dei neuromeri possiamo -dire che quasi tutti gli A. sono concordi nel ritenere, che essi non siano delle formazioni superficiali, sibbene delle unità morfologiche nelle quali si ripetono le medesime disposizioni istologiche, e che debbano quindi interpretarsi quali avanzi e prove di una primitiva metameria del cervello, Il Neal ed il Dohrn precisano meglio questo concetto, come vedremo in seguito. Il Froriep (1892) negò ogni valore morfologico ai neuromeri, affer- mando che essi rappresentano delle pieghe del cervello posteriore, prodotte per allungamento di detto organo in uno spazio. ristretto. Contro tale interpretazione sta però il fatto della costanza e della re- golarità dei neuromeri, ed il fatto anche che il midollo allungato non mostra di subire, nel suo sviluppo, alcuna coercizione di spazio. Gli studi e le teorie esposte sono di data non anteriore alla fine del secolo scorso. Le ricerche e le ipotesi emesse in questi ultimi anni ho lasciato a bella posta in disparte, per poter ora riassumerle con maggiori particolari, come è neces- sario perchè più recenti ed importanti. Dirò anzittutto che anche al giorno d’oggi non esiste pur troppo nessun accordo fra quanti hanno studiato e studiano intorno al difficile problema della metameria del capo; ciò ri- sulterà da quanto sono per riferire. Le concezioni odierne della metameria del capo possono ridursi fondamentalmente a quattro: 1) teoria del Froriep, 2) teoria del Gegenbaur e Fiirbringer, 3) teoria del Neal e del Koltzoff, 4) teoria del Dohrn. Teoria del Froriep. — Ho ricordato i lavori del Froriep, coi quali egli pose in evidenza per primo che l’ipoglosso cor- risponde ad un’insieme di nervi a tipo spinale. Nel 1901 egli volle dimostrare che la lista gangliare del capo e quella del tronco non si continuano l’una con l’altra, ma che nella regione occipitale decorrono parallelamente |’ una all’ altra, quella del tronco esternamente a quella del capo. Affermò inoltre che i nervi degli archi viscerali, che deri- vano della lista del capo, possono svilupparsi solo in quanto i gangli spinali della regione si sono, annientati. Queste osser- vazioni rimasero senza conferma, e sono invece contraddette dai reperti del Dohrn in embrioni di Selaci, come vedremo in seguito. to wo Lo CIRO BARBIERI Accennai in precedenza alla teoria del Froriep, emessa fin dal 1882, riguardante la distinzione di un segmento spinale e di uno prespinale o cerebrale nel capo dei Cranioti. In due scritti apparsi nel 1902 il Froriep ha precisato meglio la sua teoria, i cui capisaldi sono i seguenti. 1) Partendo dal fatto che nel capo si osserva una serie di protovertebre la quale si estende fino al livello della 1% fes- sura viscerale, e dal fatto che l’ apparato branchiale si diffe- renzia contemporaneamente al regredire dei somiti del capo, ed utilizza come sostegno la corda dorsale lasciata, per così dire, scoperta da questi, il Froriep deduce essere insostenibile Vipotesi del Gegenbaur e del Fiùrbringer, di un capo primitivo (palaeocranium), con divisione in protovertebre nella regione dorsale e con divisione corrispondente in archi viscerali nella regione ventrale. Il palaeocranium, secondo Froriep, non sarebbe mai esistito; il capo attuale dei Vertebrati non rappresente- rebbe il perfezionamento di un capo primitivo, ma costituirebbe una neoformazione, derivata dalla parziale regressione e fusione di vari sistemi di organi « Die Enstehung des Wirbeltierkopfes, wie eine jede fortschrittliche Organisation, eine Neubildung ist, eine mit teilweiser Riickbildung und Verschmelzung vorhan- dener Organsystem verknipfte Neubildung aus gegebenen An- lagen heraus ». 2) Primitivamente la regione cefalica dei Vertebrati do- veva constare di 2 segmenti; un segmento anteriore, detto prespinale o branchiale, il quale non era segmentato, ed un segmento posteriore detto spinale o perennicordato, il quale presentava una segmentazione identica a quella del tronco. Dall’ esame di embrioni di Torpedo VA. deduce che il limite fra questi due segmenti è segnato dalla posizione occupata at- tualmente dalla prima fessura viscerale. La vescicola acustica doveva essa pure trovarsi primitivamente al limite fra i due segmenti, cioè nella posizione della fessura ioidea, in seguito si sarebbe spostata caudalmente. In conseguenza di ciò tutte le protovertebre in origine erano metaotiche. Il segmento prespinale viene dal Froriep suddiviso in due: un segmento caduci-cordato, che corrisponde alla regione man- dibolare, nel quale si accenna la corda dorsale, ma poi scompare; un segmento acordato, corrispondente alla regione premandibo- lare, nel quale non si osserva mai alcun accenno di corda dorsale. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 933 3) Il capo dei Vertebrati si costituirebbe nel seguente modo: il mesoblasto della regione prespinale si differenzia a costituire gli archi viscerali; durante questo processo esso in- vade la regione ventrale del segmento spinale, mentre i primi somiti spinali cominciano a regredire. Il primo e secondo arco viscerale sono provvisti di una porzione dorsale, che il V. Wijhe interpretò come 2° e 3° somite del capo. Gli altri archi visce- rali mancano di una porzione dorsale giacchè essi, grazie al loro spostamento in senso caudale, possono utilizzare come sostegno il mesenchima paracordale (futura cartilagine paracordale), la- sciato disponibile dalle protovertebre regredite della regione spinale. La teoria del Froriep richiama da una parte la concezione del Dohrn, in quanto ammette che nel capo si abbia una serie di somiti identici a quelli del tronco, i quali regrediscano in dire- zione rostro-caudale, e che gli archi viscerali non abbiano nessuna corrispondenza coi somiti. Da un'altro lato invece questa teoria si collega a quella del Gegenbaur e del Firbringer, perchè si ammette con essa la sovrapposizione nel capo di due regioni dapprima distinte. Questa sovrapposizione è però, nel concetto del Froriep, inversa a quella ammessa dal Gegenbaur; infatti, secondo il Froriep, sono gli archi viscerali che vanno ad occu- pare il posto di somiti scomparsi; invece secondo Gegenbaur, sono i somiti del tronco che si spostano, ed invadono la regione del palaeocranium, dorsalmente agli archi viscerali. L’obbiezione maggiore che si deve fare, secondo me, alla teoria del Froriep sta in ciò; tanto dal punto di vista embrio- logico che da quello comparativo, il mesoderma ventrale della regione prespinale non è affatto individuato rispetto al meso- derma ventrale della regione spinale; l’uno si continua col- l’altro, ed è gratuita l'affermazione che gli archi branchiali posteriori al terzo abbiamo origine dal mesoblasto prespinale, piuttosto che da quello del segmento spinale ('). (1) In merito alla tanto discussa questione del limite fra cranio e tronco, il Froriep ha recentemente sostenuto (1905), che detto limite deve ritenersi omologo in Selaci ed Amnioti. L’A. hariscoutrato bensi che nei Selaci e nei diversi gruppi di Amnioti appaiono durante l ontogenesi un numero variabile di somiti occipitali; però in tutti quanti solo le ultime tre protovertebre partecipano a formare la porzione occipitale del- l'adulto. Queste tre protovertebre vengono dal Froriep chiamate oecipitoblasti. 234 CIRO BARBIERI Teoria del Gegenbaur e del Firbringer. Ho riassunto nelle pagine precedenti la teoria vertebrale del cranio, emessa nel 1887 dal Gegenbaur. Punto principale di questa teoria è la distinzione fra un segmento palingenetico o palaeocranium, ed un segmento cenogenetico o neocranium dedotta sopratutto dalla comparazione coll’Anfiosso. Nell’Am- phioxus un tratto notevole del corpo è formato dall’intestino respiratorio, (intestino fornito cioè di fessure branchiali) e di più, almeno nei primi stadi, si osserva corrispondenza fra fes- sure branchiali e somiti, in modo che le prime dodici fessure corrispondono perfettamente a 12 metameri. La regione respi- ratoria dell’Anfiosso deve paragonarsi, secondo il Gegenbaur, con quella dei Cranioti, nel senso che questi siano derivati, se non direttamente dall’Anfiosso, per lo meno da una forma molto vicina ad esso. Partendo da un tale conoetto, si deduce facil- mente che la regione respiratoria ha subito ne Vertebrati una progressiva riduzione dall’indietro all’ avanti. Secondo il Gegenbaur i somiti posti dietro il 6° somite del V. Wijhe, in base ai loro rapporti coi nervi, devono conside- rarsi come segmenti del tronco incorporatisi secondariamente nel capo; essi costituiscono la parte neocraniale o secondaria del capo, in contrapposto al resto che è la parte primaria o paleocraniale. L’A. crede perciò probabile, data la concordanza nel comportamento, che le ultime tre protovertebre occipitali dei Selaci siano omologhe alle ultime tre degli Amnioti, e che le differenze nel numero complessivo dei somiti occipitali dipendano dall’ accentuarsi dei processi di riduzione nelle protovertebre più rostrali, man mano che si sale la scala dei Vertelrati. A conferma della sua ipotesi cita il fatto, che l’ estremo rostrale del rene pri- mitivo coincide, tanto nei Selaci che negli Amnioti, col 3° somite del tronco. Ammessa l’ omologia fra il limite tronco-cefalico dei Selaci e quello degli Amnioti, dovrebbe dedursi che anche negli altri gruppi di Vertebrati tale limite si mantenga immutato. In realtà però é appunto lo studio della regione cefalica dei Ganoidi, dei Te- leostei e degli Anfibi, che avvalora la conclusione apposta, che ciò il limite fra capo e tronco non sia omologo in tutti i Vertebrati; quindi su questi gruppi di Vertebrati avrebbe dovuto portare la sua attenzione il Froriep. Bisogna notare inoltre che la prova dedotta dalla posizione del rene primitivo non ha valore de- cisivo, giacchè anche quest’organo subisce spostamenti per quanto riguarda la sua origine. In questo studio del Froriep mi sembra tuttavia importante la constatazione di una fondamentale corrispondenza fra il comportamento della regione occipitale dei Selaci e quella degli Amnioti. Questo fenomeno è in armonia coi concetti che io sostengo. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC. 235 Poichè i somiti del neocranium sono sovrapposti agli ultimi archi branchiali, che sono parti del palaeocranium, così VA. viene all’ affermazione che paleocranio e neocranio si compene- trino in parte l’uno con l’altro. Più precisamente, il neocranio si sarebbe costituito perchè somiti del tronco si sono spostati nella regione del capo, per prendere il posto dei somiti del paleocranio scomparsi. L’A. infatti così si esprime a pag. 99. « Gleichzeitig tritt eine Ausbildung der vorderen Kiemen un deren Bogen, und damit Hand in Hand eine Riickbildung und ein Schwinden der hinteren auf. Die Stelle eines Theils der an seinem hinteren Abschnitte ruckgebildeten Somiten nehmen solche ein, die von Rumpfe her vorwarts geruckt sind ». Questa concezione sull’origine del capo dei Cranioti è stata validamente sostenuta dal Fiirbringer, salvo poche modificazioni, nel suo celebre lavoro sui nervi spino-occipitali, più volte citato. Il Firbringer ha anche ripreso e rinvigorito l’ipotesi del Sage- mehl, già riferita, riguardo ‘alla distinzione fra cranio protome- tamero e cranio auximetamero. Il palaeocranium è così concepito dal Firbringer (1897). Egli ammette l’esistenza dei 4 segmenti anteriori di V. Wijhe; il quarto di essi ha un miotomo rudimentale, e corrisponderebbe al 3° arco viscerale. Seguono altri archi viscerali, ai quali debbono aver corrisposto dei miotomi; poichè in Heptanchus si osser- vano 6 archi che fanno seguito al 3°, così altrettanti somiti debbono essere esistiti posteriormente al 4° di V. Wijhe; di essi non si ha più alcuna traccia. Dal confronto con i Ciclostomi, che possono aver più di 7 fessure branchiali, e con l’Amphioxus in cui le fessure branchiali sono ancor più numerose, lA. deduce come probabile, che un numero molto grande di archi viscerali e di corrispondenti somiti abbia un giorno esistito posterior- mente all’ ultimo di Heptanchus. Il posto di.tutti questi somiti paleocraniali scomparsi fu occupato da somiti del tronco spostatisi verso l’avanti. La parte essenziale ed originale del lavoro del Firbringer, consiste però nella affermazione, ricavata dal confronto della regione occipitale di tutti i gruppi di Vertebrati, che al neo- cranium dei Selaci si siano aggiunti nei Vertebrati superiori nuovi segmenti. I segmenti ed i nervi corrispondendi a quelli del neocranium dei Selaci sono detti occipitali; i nuovi aggiunti 236 CIRO BARBIERI sono invece chiamati occipito-spinali. Questa distinzione corri- sponde a quella del Sagemehl, fra cranio protometamero e cranio auximetamero. I segmenti ed i nervi occipitali sono indicati colle lettere dell’ alfabeto a cominciare dalla z, con cui si indica il segmento più caudale; i segmenti ed i nervi occipito-spinali sono indicati pure colle lettere dell’ alfabeto, ma a cominciare dalla prima, con cui si denomina il segmento occipito-spinale anteriore. Il nesso della dimostrazione del Fuùrbringer è il seguente. Il cranio dei Ciclostomi, considerato dal Gegenbaur come un cranio paleocraniale in quanto termina posteriormente col vago, ha, secondo il Firbringer, anch’esso la sua porzione neocranica; infatti all’ altezza del vago, e nei Missinoidi anche anteriormente al vago, si notano due nervi completi a tipo spinale; le radici ventrali di questi nervi erroneamente furono interpretate nei Petromizonti come ipoglosso. L’A. dimostra, e veramente con molta evidenza, in base ai rapporti coi muscoli, che i due nervi occipitali dei Ciclostomi non sono omologhi alle radici del- Vipoglosso degli altri Vertebrati; debbono considerarsi invece omologhi con queste i nervi spinali di Petromyzon dal 6° al 9° paio. Confrontando i Petromizonti coi Missinoidi, il Firbringer è indotto a concludere che i due nervi occipitali dei primi non corrispondano a quelli dei secondi; nei Petromizonti i nervi ed i somiti occipitali, corrispondenti ai due di Missinoidi, sarebbero scomparsi; i due nervi occipitali di essi sarebbero omologhi ai primi nervi del tronco dei Missinoidi. ; Nei Selaci si notano nella regione occipitale 5 nervi a tipo spinale, costituiti per lo meno dalla radice ventrale; essi rap- presentano quindi 5 segmenti neocraniali. Dal confronto coi Ciclostomi, i cui nervi occipitali non sono, come si è detto, omo- loghi con quelli dei Selaci, deve dedursi, secondo il Fiirbringer, che anteriormente al primo segmento occipitale dei Selaci, un certo numero di segmenti neocraniali (per lo meno 4) coi ri- spettivi nervi sia scomparso. Negli Olocefali l’A. riscontrò, per primo nella serie dei Vertebrati, il principio di una regione occipito-spinale, che si aggiunge alla regione occipitale. In Chimaera si notano 5 radici nervose posteriormente al vago, in Callorhynchus (altro Oloce- falo) se ne notano 4. Di questi nervi i due primi presentano NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC. 237 tanto nell’uno che nell’altro genere un comportamento simile ai nervi occipitali dei Selaci, e diverso da quello degli ultimi due o tre, i quali sorgono dal midollo con un insieme di fasci nervosi, e prendono parte più o meno completamente al plesso brachiale, mandando però rami anche al plesso cervicale. Gli ultimi due o tre nervi post-vagali di Olocefali rappresentereb- bero quindi nervi occipito-spinali (a-b-c in Chimaera e a-b in Collorhynchus) e starebbero a provare, secondo il Firbringer, che alcuni segmenti del tronco si sono aggiunti secondariamente al neocranium, e che perciò l'articolazione fra cranio e colonna vertebrale degli Olocefali non è omologa a quella dei Selaci, ma si è spostata caudalmente di 2 a 3 segmenti. Un simile ragionamento applicato pei Ganoidi, induce l’A. ad affermare per questa classe una grande variabilità nella estensione del cranio, ed una conseguente maggiore o minore incorporazione, a seconda dei generi, di segmenti occipito-spinali. Molto discutibile è veramente il criterio col quale il Firbringer nei Ganoidi ha determinato il limite fra regione occipitale, omologa a quella dei Selaci, e regione occipito-spinale di nuova formazione. Egli stabilisce dapprima questo limite in un Condroganoide, nel Po- liodon, ed afferma, basandosi sulla semplice presenza di un legamento, che in questa forma il limite fra le due regioni cade fra il 2° e 3° nervo post-vagale. Dal confronto con Poliodon riesce poi a stabilire, quali fra i nervi post-vagali degli altri Ganoidi debbano ritenersi come occipitali, e quali come occipito-spinali. Deve inoltre osservarsi che anche i criteri dedotti dalla partecipazione ai plessi brachiale e cervicale non hanno molto valore, osservandosi in ciò una grande va- riabilità. Le condizioni della regione occipitale di Amza, un genere di Ganoidi ossei, sono per Fùrbringer, come già per Sagemehl, il punto di partenza per lo sviluppo della regione occipitale dei Teleostei. Di ciò riferii nella prima parte del mio lavoro, e non starò quindi a ripetermi. i Negli Anfibi il limite fra cranio e colonna vertebrale sa- rebbe omologo a quello dei Selaci, cioè in essi mancherebbe una regione occipito-spinale. Nei Sauropsidi, secondo il Firbringer, un numero variabile di segmenti occipito-spinali si fonderebbe col cranio; nei Mam- miferi si renderebbe costante il numero di 3 (a-b e c). 238 CIRO BARBIERI In complesso quindi, secondo la teoria del Fiùrbringer, si ammette che il capo dei Vertebrati sia sorto da una forma pri- mitiva molto simile a quella attuale dell’Anfiosso; che i Missi- noidi siano fra i Vertebrati quelli più affini, per quanto sempre concerne la regione cefalica, agli Acrani; che le condizioni dei Petromizonti siano derivate da quelle dei Missinoidi, e quelle dei Selaci a sua volta da quelle di Petromizonti. Il costituirsi del neocranio dei Selaci segna, secondo il Fiirbringer, una tappa fondamentale nell’evoluzione del capo, in quanto che le con- dizioni che troviamo nei Selaci formerebbero il punto di par- tenza per gli altri gruppi di Vertebrati. Solo gli Anfibi avreb- bero una regione cefalica omologa a quella dei Selaci. Nella regione cefalica di tutti gli altri Vertebrati si deve distinguere una parte corrispondente al capo dei Selaci, più una parte va- riamente estesa, che si è aggiunta secondariamente. È bene rilevare che il Fiirbringer basa le sue deduzioni unicamente su reperti di anatomia comparata, ostentando anzi un certo disprezzo per i dati embriologici, che con troppa facilità interpreta per fenomeni di cenogenesi. Ma come pos- sono essere dovute a fenomeni di cenogenesi tante strutture embriologiche, che non hanno rapporto colla forma dell’ adulto, e che nemmeno sono di alcuna utilità apparente per la vita del- l'embrione? Il Gegenbaur, nel suo ultimo trattato di Anatomia compa- rata (1898), accetta le deduzioni del Firbringer per quanto con- cerne la regione occipitale, ed insiste ancora sulla distinzione fra palaeocranium e neocranium. Nello stesso tempo riprende e precisa meglio un’ipotesi emessa fin dal 1862, dell’ esistenza cioè di un segmento anteriore del capo, il quale non sarebbe stato mai diviso in metameri, e che chiama segmento precordale. Questo segmento avrebbe avuto origine piuttosto recente, e si sarebbe differenziato in rapporto col forte sviluppo degli organi di senso e del cervello. Apparterrebbero a questa porzione del cranio, che corrisponde circa al 1° somite (cavità premandi- bolare) del V. Wijhe, il nervo olfattorio ed il nervo ottico. Quindi secondo l’ipotesi più recente del Gegenbaur il capo sarebbe costituito di tre porzioni: 1) paleocranio o porzione branchiale, che è la più antica e che primitivamente era divisa in segmenti omodinami a quelli del tronco; 2) porzione pre- cordale differenziatasi dal paleocranio ; 3) neocranio, che rappre- NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 239 senta un insieme variabile di metameri del tronco, aggiuntisi secondariamente al paleocranio, Teoria del Neal e del Koltzoff. Il Neal ed il Koltzoff, il primo nei Selaci il secondo nei Ciclostomi, hanno studiato con cura i fenomeni di metameria del capo, ed hanno creduto di trovar in essi la conferma del- l’esistenza dei 9 somiti del V. Wijhe. Ambedue hanno concluso, in armonia con quanto già affermò il V. Wijhe, che i nervi cranici attuali sono la derivazione diretta dei nervi di questi pretesi somiti, e che esiste, o meglio deve essere esistita, corrispondenza fra mesomeria e branchio- meria. Le ricerche di questi due A. rivestono inoltre un parti- colare interesse, perchè essi si sono sforzati di dimostrare anche la corrispondenza fra somiti e neuromeri, ricavando così una nuova prova per la teoria del V. Wijhe. Sarà bene quindi riassumere brevemente il pensiero di questi due scienziati. Il Neal (1898) studiò la segmentazione del capo di Squalus acanthias. Nel cervello distinse 11 encefalomeri; come gia ricordai il prosencefalo ed il mesencefalo formerebbero, secondo il Neal, ciascuno un unico segmento. Nel cervello posteriore si ritroverebbero 9 neuromeri. Il neuromero 3° del Neal, che è il primo del cervello poste- riore, corrisponde, come già dissi, al neuromero del cervelletto ed al 1° neuromero del midollo allungato della maggior parte degli altri Autori. Riguardo alla metameria del mesoderma il Neal si discosta dal V. Wijhe solo perchè ammette come probabile, che la « head cavity » di Miss Platt rappresenti un somite anteriore rudimen- tale, e perchè non esclude che possano esistere nella regione cranica segmenti posteriori al 9°. Molto importante è il fatto, posto in evidenza dal Neal, che il nervo abducente sorga dal cervello con un insieme di radici, reperto confermato dal Dohrn, e che quindi detto nervo vada considerato come un nervo polimero, corrispondente ad un insieme di somiti; mentre secondo V. Wijhe corrisponderebbe ad un solo somite. I rapporti fra neuromeri, somiti, radici nervose dorsali e ventrali, ed archi branchiali, stabiliti dal Neal, possono riassu- mersi così, prendendo come punto di riferimento i neuromeri. 240 CIRO BARBIERI Encefalomero 1° (prosencefalo); vi corrisponde come somite, probabilmente, la « anterior head cavity » della Platt; come nervo dorsale l’olfattorio; manca nervo ventrale ed arco vi- scerale. Encefalomero 2° (mesencefalo); somite 1° del V. Wijhe; n. d. oftalmico profondo; n. v. oculomotorio; a. v. manca. Encefalomero 3°; somite 2°; n. d. trigemino; n. v. trocleare; a. v. arco mandibolare. Encefalomero 4°; somite 3°; non esiste un nervo dorsale nè un arco viscerale; il Neal crede probabile che in corrispondenza di questo neuromero sia scomparso un arco viscerale, fondendosi coll’arco mandibolare, e che nello stesso tempo il relativo nervo dorsale si sia unito al trigemino. Il nervo ventrale di questo segmento sarebbe rappresentato da una parte dell’ abducente. Encefalomero 5°; somite 4°; n. d. facciale; n. v. abducente (in parte); a. v. arco iodeo. Encefalomero 6°; somite 5; n. d. glosso-faringeo ; n. v. abdu- cente; a. v. 1° arco branchiale. Encefalomero 7°; somite 6°; n.d. vago; n. v. abducente; a. v. 2° arco branchiale. Encefalomero 8°; somite 7°; n. d. vago; n. v. 1° radice dell’ipoglosso embrionale; a. v. 3° arco branchiale. Encefalomero 9°; somite 89; n. d. radice dorsale che si fonde in seguito col vago; n. v. 2° radice dell’ipoglosso embrionale; a. v. 4° arco branchiale. Encefalomero 10°; somite 9°; n. d. radice rudimentale n. v. 3° radice dell’ipoglosso; a. v. 5° arco branchiale. Encefalomero 11°; somite 10°; n. d. radice rudimentale; n. v. 4° radice dell’ipoglosso; a. v. arco branchiale scomparso. È bene mettere in rilievo come, secondo il Neal, gli archi viscerali costituiscano una parte essenziale dei segmenti primitivi del capo, tanto che egli interpreta i neuromeri come ispessimenti del tubo nervoso in rapporto colla formazione dei nuclei d’ori- gine dei nervi destinati agli archi branchiali. Quindi benchè ammetta il valore metamerico dei neuromeri, pure il Neal li ritiene differenziati in rapporto cogli archi branchiali. Il Koltzoff (1902) con ricerche di grande importanza sullo sviluppo del capo in Petromyzon, volle esso pure dimostrare, che il mesoderma del capo si divide in somiti identici a quelli descritti dal V. Wijhe in Selaci. sila NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 241 Questi segmenti nella regione metaotica si continuano con tale graduazione con quelli del tronco, che è impossibile stabi- lire negli embrioni di Petromyzon il limite fra capo e tronco. Nella regione preotica si rinverrebbero tre somiti, i quali pren- derebbero parte alla formazione dei muscoli oculo-motori, nella stessa maniera descritta dal V. Wijhe. Il 4° somite sarebbe posto in parte al disotto della vescicola acustica, fra il facciale ed il glosso faringeo; gli altri somiti sarebbero decisamente metaotici. Calcolando che tutto l'apparato branchiale faccia parte della regione cefalica, si dovrebbero ritenere, secondo l’A., come somiti cefalici altre 2 protovertebre caudalmente alla 9° del V. Wijhe; quindi in tutto 11 segmenti del capo. Il Koltzoff si discosta dal V. Wijhe alquanto nell’interpre- tazione dei rapporti dei somiti cogli archi viscerali. Riconosce anzittutto che attualmente, se si fa eccezione dell’ arco mandi- bolare, manca ogni corrispondenza fra somiti del V. Wijhe ed archi viscerali; però ammette, al pari dei seguaci della teoria del V. Wijhe, che una tale corispondenza abbia un tempo esi- stito, e che in seguito sia stata disturbata per spostamenti secondari degli archi viscerali. Il Koltzoff crede che questa spiegazione sia la più naturale, e non vede la necessità di ricorrere all'ipotesi, non confermata da nessun reperto embrio- logico serio, di archi branchiali scomparsi o fusi assieme, come fecero V. Wijhe, Hoffmann e Neal. E ‘notevole nel lavoro del Koltzoff il ritorno al concetto della polimeria del vago. È noto che il V. Wijhe aveva dap- prima ammesso, che il vago rappresentasse l'insieme delle radici dorsali degli ultimi suoi 4 somiti. In seguito, come già esposi, si corresse, e ritenne il vago come un insieme di 2 radici dor- sali, corrispondenti ai somiti 6° e 7°; solo per processo secondario esso entrerebbe in rapporto con molti archi viscerali. Questa ipotesi è accettata anche dal Neal. Il Koltzoff ammette invece una parziale polimeria del vago, nel senso che egli ritiene la radice del vago come appartenente ad un solo segmento che sarebbe il 6°, (vago primitivo) mentre considera il tronco branchio-intestinale del vago come un tronco colettore, che raccoglie i rami branchiali provenienti da un certo numero di nervi segmentali. Questi rami hanno perduto in se- guito il legame coi nervi da cui furono originati, e si sono uniti 949 CIRO BARBIERI a costituire un tronco longitudinale, che penetra nel cervello me- diante la radice del vago primitivo. I rapporti dei somiti metao- tici coi nervi sarebbero, secondo Koltzoff, i seguenti: il somite 4° ha per radice dorsale il glosso-faringeo e manca di radice ven- trale; il somite 5° ha per radice dorsale quella del vago primitivo e manca pure di radice ventrale; il somite 6° ha una radice dor- sale rudimentale con ganglio che si fonde col vago, ed una radice ventrale che scompare in seguito; 1 somiti che seguono hanno radici dorsali. con ganglio, e radici ventrali ben svi- luppate. Anche il Koltzoff ha cercato di determinare i rapporti fra somiti e neuromeri. Anzittutto egli afferma che il cervello ante- riore e medio non presentano tracce chiare di segmentazione; ciò è quindi in accordo con quanto io ho descritto nei Teleostei. Nel cervello posteriore rinviene invece ben delimitati 5 ence- falomeri, i quali si continuano coi mielomeri del midollo spi- nale, che il Koltzoff ritiene del medesimo valore segmentale degli encefalomeri. I 5 neuromeri del Koltzoff corrispondono a quelli del Neal, quindi anche a questo proposito debbo ricor- dare, che il suo 1° neuromero è ritenuto dalla maggior parte degli Autori come equivalente a due; anch’io divido quest’ultima opinione, come già esposi. I rapporti coi nervi e coi somiti descritti dal Koltzoff pei suoi 5 neuromeri, sono identici a quelli ammessi dal Neal. Tanto il Neal che il Koltzoff concordemente affermano, che la serie dei somiti cefalici si presenta di una continuità per- fetta; nessuna lacuna nè sovrapposizione è possibile notare. Quindi ambedue rigettano la teoria del Gegenbaur e del Fir- bringer riguardante la distinzione fra paleocranio e neocranio. Infatti secondo quanto affermò Gegenbaur nel 1887, i somiti posteriori al 6° di V. Wijhe dovrebbero interpretarsi come neocraniali, cioè somiti del tronco che si sono spostati rostral- mente, andando ad occupare il posto di somiti paleocraniali scomparsi. Secondo poi la concezione del Firbringer, tutti i somiti metaotici, dal 4° di V. Wijhe in poi, sarebbero neocraniali. Il contrasto fra la teoria del Gegenbaur e del Firbringer ed i reperti embriologici, come ben mettono in evidenza il Neal ed il Kolzoff, è certo molto stridente. Ad esempio, negli embrioni di Petromyzon i somiti metaotici formano una serie continua e NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 943 regolare; essi sono posti al disopra degli archi branchiali, ed a a cominciare dal 3° tutti sono provvisti di radici dorsale e ventrale a tipo spinale; essi sono quindi veri somiti neocraniali, nel senso del Gegenbaur e del Fiirbringer. Se la posizione di questi somiti fosse secondaria, se al loro posto fossero esistiti somiti ora scomparsi in rapporto coll’apparato branchiale ed i cui nervi sono andati a formare il vago, e se i somiti metaotici si fossero formati in origine dietro il capo, non sarebbe in alcun modo spiegabile la continuità perfetta che, in riguardo allo sviluppo, esiste fra il mesoderma preotico ed il mesoderma metaotico. Inoltre l’embriologia della regione occipitale, che ha svelato tante condizioni primitive, dovrebbe pur darci qualche traccia dei numerosi segmenti paleocraniali scomparsi. Io credo questa come la più valida fra le obbiezioni che possano farsi al dottrinarismo del Gegenbaur e del Fùrbringer. Teoria del Dohrn. La maggior parte delle teorie esaminate in precedenza, si fondano sul presupposto che la disposizione dei nervi cranici e delle fessure branchiali corrisponda alla metameria primitiva del capo. A tutte queste teorie si oppone la concezione del Dohrn, che interpreta invece l'ordinamento seriale dei nervi del capo e delle fessure branchiali come indi- pendente affatto dalla primitiva segmentazione del capo. Quindi mentre per la maggior parte degli A. precedenti nervi cranici e nervi spinali sono omodinami fra di loro, il Dohrn, basandosi su di un più accurato esame dell’ embriologia dei Selaci, giunge invece alla conclusione opposta. Ricordai come nel 1890 il Dohrn scoprisse, che negli em- brioni di Torpedo la segmentazione del mesoderma cefalico presenta caratteri ben diversi da quella di embrioni di Squali, lasciando scorgere chiaramente, come i pretesi somiti del V. Wijhe non siano in realtà che dei complessi di somiti. Queste osservazioni aprirono la mente del Dohrn ad un concepimento nuovo della metameria del capo, e possiamo ben affermare, che d’allora in poi tutta l’attività dell’illustre scienziato fu rivolia a dimostrare, come nel capo dei Vertebrati si osservi nei primi stadi una serie graduale di somiti identici a quelli del tronco, che vanno facendosi sempre più rudimentali procedendo verso l'estremo anteriore, e come, nervi cranici sensitivi e misti e le fessure branchiali appaiano in seguito indipendentemente dalla metameria primaria del mesoderma. 244 CIRO BARBIERI Il Killian (1891) già citato, il Severtzoff (1899), il Froriep (1905) confermarono l’esistenza di un maggior numero di seg- menti nella regione cefalica di embrioni di Torpedo. Al Dohrn spetta però il merito di aver dimostrato, comparando lo sviluppo del capo in Torpedo con quello di numerose forme di Squali, come le condizioni di Torpedo debbano considerarsi primitive rispetto alle altre, e ci diamo la chiave per interpretare giusta- mente la metameria del capo. Lo studio dei somiti occipitali dei Selaci, e dello sviluppo del nervo vago (Studien 18-19-21) dimostrarono al Dohrn I’ in- sostenibilità della teoria del V. Wijhe, come di quella del Gegenbaur. Infatti, nella parte posteriore della regione occipi- tale si formano è vero protovertebre complete, ma nella parte anteriore della medesima appaiono dei somiti difettosi, come parzialmente fusi a gruppi, ed in numero variabile da specie a specie, ed anche fra gli individui della stessa specie e fra i due antimeri di uno stesso individuo. Quindi nei Selaci, del pari che nei Teleostei, si osserva nella parte anteriore della regione metaotica una segmentazione incompleta e rudimentale. In embrioni di Torpedo i somiti occipitali sono più netti, ed in numero superiore a quelli degli altri Selaci. Il Severtzoff spiegò questo fatto supponendo uno spostamento in avanti dei somiti, per cul in Torpedo un maggior numero di segmenti verrebbe a trovarsi nella regione occipitale. Il Dorhn dimostra con molta evidenza, come l’embriologia di Torpedo non fornisca nessuna prova all’ ipotesi degli spostamenti dei somiti, e come invece si debba spiegare il maggior numero di segmenti di em- brioni di Torpedo in base alle condizioni primitive forniteci da questi enbrioni, per cui in essi minori sono le fusione reci- proche fra somiti. I caratteri ed. il numero dei somiti metaotici non corri- spondono quindi affatto a quanto viene affermato dal V. Wijhe e dai suoi seguaci. Riguardo alle radici nervose dei somiti occipitali il Dorhn mise pure in evidenza fenomeni importanti. Si sapeva già che i somiti posti dietro il vago sono forniti nell’embrione di un accenno di radice dorsale e di radice ventrale. In embrioni di Torpedo il Dohrn potè dimostrare; che anche di fronte ai somiti posti in corrispondenza dell’abbozzo del nervo vago si accennano dei gangli, sotto forma di piccoli ammassi cellulari derivati dalla NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 245 porzione di lista gangliare che costituirà il vago. Il Dohrn chiama questi gangli rudimentali col nome di gangli « vago-spinali ». Un: simile reperto, convalidato dal Dohrn con una gran numero di osservazioni, è della massima importanza; esso dimostra infatti che i primi somiti metaotici, i quali giacciono al disotto del- l’abbozzo del vago, possedevano in origine una radice dorsale con ganglio ed una radice ventrale (il Dohrn ha osservato in questi somiti anche tracce di radici ventrali) perfettamente simili a quelle dei somiti del tronco; dimostra di più che il vago si è costituito secondariamente, mentre le radici a tipo spinale regredivano. In questi fenomeni abbiamo quindi una prova evidente della mancanza di omodinamia fra nervi cranici misti e nervi spinali. È importante ricordare, che la presenza di accenni di gangli a tipo spinale ventralmente all’abbozzo del vago fu dimostrata anche in embrioni di Ammocoetes per opera del Kupffer (1894-95). Il Dohrn ammette, basandosi su quanto si verifica nella regione occipitale, che in origine i segmenti del capo dovevano tutti quanti esser provvisti di radici nervose ventrali e dorsali, omodiname a quelle dei somiti del tronco; queste radici nervose avrebbero subito una riduzione progressiva dall’avanti all’ in- dietro. I gangli attuali del capo dell’adulto non sarebbero affatto omodinami a quelli spinali, essi rappresenterebbero, secondo l’A., un apparato nervoso che primitivamente doveva essere coordi- nato coll’apparato dei gangli spinali del capo, e che poi, collo scomparire di quest’ultimo, nè ha sostituito le funzioni. Ecco come il Dohrn stesso si esprime: « Offenbar bilden die eigentlichen Kopfganglien eine von Hause aus andere _Kategorie nevéser Bildungen, als die Spinalganglien, hatten bei den Vorfihren der Selachier, und damit eben aller Wirbel- thiere, andere Functionen zu erfiillen, als die aus der Ganglien- leiste hervorgegangenen Spinalganglien. Hierauf ist schon von verschiedenen Seiten aufmerksam gemacht worden, und jeder consequente Schritt nach vortwiirts, den die vergleichende Ontogenie macht, bestatigt die Annahme, dass es sich bei Kopfganglien mit ihren Schleimcanalnerven und dem ganzen System der Seitenlinie, um ein primitives, dem System der Spinalganglien resp. der Ganglienleiste coordinirtes receptorisches Nervensystem handelt ». (Studien z. Urgesch. ecc. Stu. 21, p. 251). 246 CIRO BARBIERI Nessuna discontinuità, nessun spostamento egli osservò nei somiti della regione occipitale, che potesse in qualche modo giustificare l’ipotesi di un paleocranio contrapposto ad un neo- cranio ; il Dorhn si schiera quindi decisamente contro la teoria del Gegenbaur. Lo studio della regione preotica forma argomento di due lavori magistrali del Dohrn, che sono gli ultimi pubblicati (1904-07). Lo sviluppo del mesoderma di questa regione presenta, seguendo il Dohrn, dei caratteri ben diversi, a seconda che si considerano gli Squali od i Batoidi. Nei primi (embrioni di Squalus-Galeus-Spinax ecc.) il me- soderma preotico tende ad una disposizione vescicolare, ordi- nandosi a delimitare tre cavità cefaliche (Kopffholen), le quali corrispondono appunto ai tre primi somiti del V. Wijhe. Nei Batoidi invece, e specialmente in embrioni di Torpedo, non si osserva nessuna formazione di vescicole nella regione preotica; la serie dei somiti occipitali si continua ininterotta fino all’estremo anteriore del capo; però i somiti si fanno sempre più rudimentali, ed appaiono come più o meno parzialmente fusi assieme. Come nella regione occipitale, così anche in quella preotica gli embrioni di Torpedo appalesano dei rapporti che sono senza dubbio primitivi rispetto a quelli degli Squali; le vescicole cefaliche di questi ultimi (cioè i primi 3 somiti del V. Wijhe) sono quindi equivalenti ad un complesso di somiti. Una simile interpretazione si presenta chiara e naturale, elimina ogni contraddizione, e pone fine a tante vane speculazioni sul numero dei segmenti del capo. Se infatti realmente le tre vescicole preotiche degli Squali avessero valore di somiti, si dovrebbre dedurre questo fatto inverosimile, che le protovertebre, le quali già in corrispondenza della vescicola acustica si mostrano molto rudimentali, tornino di nuovo ad acquistare evidenza nella regione preotica, che è appunto quella più modificata in rapporto agli organi di senso. Il Dohrn ha saputo anche dimostrarci, che certi rapporti dei somiti del V. Wijhe, divenuti omai classici, sono in realtà ine- satti. Così si ammetteva che il m. retto esterno fosse un muscolo derivato unicamente dal miotomo del 3° somite del V. Wijhe. Il Dohrn dimostrò invece che alla costituzione di questo mu- scolo interviene anche la parte protovertebrale della 2 vescicola NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 247 del capo (cavità mandibolare). L’ obliquo superiore, interpretato come derivato dal miotomo del 2° somite di V. Wijhe è invece, secondo il Dohrn, un muscolo viscerale, giacchè si origina dalla parete dorso-laterale della cavità mandibolare, e non dalla parete mediale. Il nervo trocleare, che, come ognuno sa, sorge dalla parte dorsale del cervello, fra cervello medio e cervelletto, ed innerva il muscolo obliquo superiore, venne generalmente considerato come nervo ventrale, solo secondariamente spostato verso l’ alto, Il Dohrn ha dimostrato invece che la posizione dorsale del trocleare è originaria, soprattutto perchè esso prende intimi rapporti con la lista gangliare, precisamente con quel segmento di essa che è fra l’accenno del ganglio mesocefalico e del ganglio di Gasser, e cui fu dalla Platt assegnato il nome di « trocleare primario ». Il nervo trocleare deve quindi interpre- tarsi come un nervo motore laterale, omodinamo alla parte motrice del trigeminio e del facciale; esso infatti innerva un muscolo, l’obliquo superiore, che deve per l’appunto conside- rarsi, secondo il Dohrn, come muscolare viscerale. Nel suo ultimo lavoro il Dohrn si è anche occupato dei fenomeni di neuromeria di quella porzione del cervello poste- riore, che è posta in avanti della vescicola acustica; nei suo istudi precedenti l’illustre scienziato aveva prescenduto affatto dalla segmentazione del tubo nervoso. Non solo egli ha ora riscontrato la presenza dei neuromeri, ma vede in essi, come già feci cenno, uno degli elementi più importanti per dedurre la strut- tura primitiva del capo; interpreta infatti le singole coppie di neuromeri come rappresentanti di altrettante copie di gangli, che in origine dovevano costituire il sistema nervoso. Una così autorevole conferma dissipa omai ogni dubbio sul valore metamerico dei neuromeri. Come manca corrispondenza fra somiti del capo e nervi cranici, così non esiste pure, secondo il Dohrn, corrispondenza fra somiti ed archi branchiali; questa conclusione è una diretta e chiara conseguenza del modo con cui il Dohrn concepisce la segmentazione del mesoderma cefalico, e non ha certo bisogno di esser ulteriormente spiegata. Ricorderò tuttavia che la maggior parte degli A. ammetteva ed ammette la corrispondenza fra mesomeri e branchiomeri, basandosi soprattutto sui rapporti fra il preteso secondo somite del V. Wijhe e l’arto mandibo- 248 CIRO BARBIERI lare. Tutti quanti riconoscono, che per gli altri archi branchiali corrispondenza coi somiti attualmente non si osserva, nemmeno negli embrioni; suppongono però che essa sia esistita in origine. Si comprende quindi, come negato il valore di somite al secondo somite del V. Wijhe, venga meno la prova maggiore per una primitiva corrispondenza fra branchiomeri e mesomeri. Voglio ricordare ancora, che la discordanza fra archi visce- rali e somiti, prima del Dohrn, fu affermata dall’Ahlborn (1884), il quale però ammetteva i somiti del V. Wijhe, ed in seguito dal Kastschenko (1888) e dal Rabl (1889), i quali, come già riferi, hanno negato il valore metamerico dei primi segmenti del V. Wijhe. Ho terminato in tal modo la rassegna dei principali lavori, e delle teorie più notevoli riguardanti la segmentazione del capo dei Vertebrati. Durante la discussione delle idee dei singoli A., non ho mancato di lasciare trasparire quale fosse il mio parere in pro- posito. Crede quindi di poter ora, senza mancare di chiarezza, riassumere in somiti capi il concetto, che, in base a mie os- servazioni ed in base a descrizioni di altri A., mi sono formato intorno alla primitiva metameria del capo. 1) Il capo dei Vertebrati deve aver avuto origine da una serie di somiti identici a quelli del tronco, e forse tutti quanti provvisti un tempo di radice nervosa dorsale e ventrale. I so- miti del capo si continuano con quelli del tronco in modo così graduale, che nei primi stadi nessuna particolarità può indi- carci dove finisce il capo e comincia il tronco. 2) Nella regione preotica, in rapporto coi notevoli diffe- renziamenti che condussero appunto alla formazione del capo (il costituirsi del cervello, degli organi di senso, dell’apparato branchiale ecc.) i somiti primitivi sono regrediti, tanto che di essi nemmeno nelle prime fasi embriologiche rinveniamo più tracce. Fanno eccezione i Selaci batoidi, i cui embrioni ci forniscono le migliori prove di una metameria della regione preotica identica a quelle della regione occipitale, e collegata con essa gradualmente. Dobbiamo al Dohrn le nostre conoscenze sul comportamento del mesoderma in embrioni di 7orpedo. 3) I nervi cranici sensitivi puri e quelli sensitivi misti non corrispondono affatto a questa primitiva metameria; essi inoltre presentano caratteri sostanzialmente diversi dai nervi a nts ei NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC, 249 tipo spinale. Deve dedursi, che i detti nervi abbiano avuto per punto di partenza dei rami di nervi primitivi a tipo spinale, che si sarebbero poi particolarmente modificati in rapporto colle nuove strutture (organi di senso ed archi viscerali soprattutto) sovrappostesi alla primitiva metameria, dando così origine ai nervi cranici attuali. Pel nervo ottico l’interpretazione deve però certamente essere diversa. 4) Gli archi viscerali, al pari dei nervi, non corrispondono alla metameria dei somiti cefalici. 5) I somiti preotici del V. Wijhe, cioè le cosidette cavità cefaliche (Kopfholen), rappresentano evidentemente dei com- plessi di somiti. 6) La continuità perfetta che si osserva nella serie dei somiti cefalici, qualunque gruppo di Vertebrati si esamini, la mancanza di omodinamia fra nervi cranici e nervi spinali, la mancanza di corrispondenza fra somiti ed archi viscerali, l’ine- sistenza di veri fenomeni di spostamento dei somiti, sono tutti argomenti contro il modo di concepire la distinzione fra paleo- cranio e neocranio adottato dal Gegenbaur e dal Fiirbringer ('). Stazione di biologia e di bioidrologia (Aequario Civico di Milano) 12 Maggio 1908. (1) Mentre il presente lavoro era in stampa, il Nusbaum ha pubblicato sull’ Ana- tom. Anzeiger (N. 21-22 1908) uno studio sul significato morfologico della regione occipitale e degli ossicini di Weber in Cyprinus carpio. Il Nusbaum ritiene come fatto dimostrato l ipotesi del Fiirbringer, che nei Teleostei ad un capo primordiale si siano aggiunti tre nervi occipito-spinali, e quindi di conseguenza che tre vertebre del tronco si siano, per processo secon- dario, assimilate al cranio. L’A. non cerca nei fatti embriologici la conferma di questa concezione, che ritiene dimostrata all’ evidenza dall’ anatomia comparata, bensì si forza di inter- pretare sulle bas: di essa quanto l’ embriologia dimostra. I fatti principali messi in evidenza avrebbero a mio parere dovuto invece far dubitare della concezione del Fiirbringer; essi sono i seguenti : 1) La prima vertebra è così completamente assimilata al paleocranio che in nessuno stadio embriologico «i può dimostrare il limite fra paleocranio e prima vertebra. Qui va inoltre notato che l’A. equivoca: chiama paleocranio quello che invece, secondo la concezione del Fuùrbringer, andrebbe chiamato « cranio protometamero ». 2) La regione occipitale di Cy. carpio possiede nell’ adulto un solo nervo oc- cipitale. Anche embriologicamente l’A. non ho visto che questo unico nervo Egli ritiene che tale nervo segni il limite fra la prima e la seconda vertebra assimilata al cranio. 3) La massa cartilaginea posta dietro quest’ unico nervo corrisponde certa- mente, secondo l’A., alla 2° e 3° vertebra assimilata. Egli è però costretto a ricono- scere che questa massa appare in modo unitario ; non solo non è evidente il limite 250 CIRO BARBIERI BIBLIOGRAFIA (!) AuLBorn. — Ueber die Segmentation des Wirbelthierkorpers. Zeitschr. wiss. Zool. Bd. 40 p. 309-337. 1884. BAER (v.) K. E. — Ueber Entwicklungsgeschichte der Siiugethiere und des Menschen. Leipzig 1842. Baurour F. M. — The development of Elasmobranch Fishes. Journ. of. Anat. and. Phys. Vol. 10, 1878. 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Faccio notare che è soprattutto discutibile che la porzione dell’occipitale poste- riore all’ unico nervo occipitale rappresenti due corpi ventrali. L’A. avrebbe potuto benissimo risolvere questa questione considerando, ciò che non ha fatto, i rapporti coi somiti e coi miotomi, prendendo a tale scopo in esame anche stadi più giovani. (1) Data Venorme falange di pubblicazioni riferitesi all’ argomento trattato, mi limiterò a ricordare solo quelle più salienti e citate nel testo. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC. 251 et de la région proximale du trone dans les embryons des Am- phibies anoures. Arch. It. de Biol. Tome 15 fasc. 2, 1891. CorninG H. K. — Ueber einige Entwicklungsvorginge am Kopfe der Anuren. Morph. Jahrbuch. Bd. 27. 1899. Doarn A. — Der Ursprung der Wirbelthiere und das Princip des Func- tionswechsels. Genealogische Skizzen. Leipzig. 1875. » Studien zur Urgeschichte des Wirbelthierkorpers. I. Der Mund der Knochenfische; 2. 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ZIMMERMAN W. — Ueber die Metamerie des Wirbelthierkopfes. Verh. anat, Gesellsch. 1891. SPIEGAZIONE DELLE INDICAZIONI a — ganglio acustico. a 0— aorta. a vl — arco occipitale. a v 2 — 1° arco neurale del tronco (1). av — arco neurale. e — corda dorsale. e c — ectoderma. en — entoderma. e p — entoderma primario. f a — nervo facciale. g f — nervo glosso-faringeo. k — vescicola di Kupffer. m — mesoderma m i — asse nervoso centrale. (1) Nella figura 26, per errore di Stampa, si legge a v (a sinistra) in luogo di av2,evindissv. : 256 CIRO BARBIERI m p — massa di protovertebre rudimentali. so— somite. tr — nervo trigemino. v — vitello. va — vescicola acustica. v g — nervo vago. v 0 — vescicola ottica. w — somite occipitale w. x — somite occipitale x. x d — radice dorsale e ganglio del somite x. y — somite occipitale y. y d -- radice dorsale e ganglio del somite y. y v — radice ventrale del somite y. z — somite occipitale z. z d — radice dorsale e ganglio del somite z. z V — radice ventrale del somite z. 1 — 1° neuromero del cervello posteriore 2 — 20 » » » 3 — 30 » » » 4 — 4° » » » 5 — 5? » » » 6 — 6° » » » 1 s — 1° somite del tronco. ls d — ganglio del 1° somite del tronco 1 sv — radice centrale del 1° somite del tronco. 2 a — 20 arco branchiale Za-- 30 » » 4a— 40 » » SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Fig. 1. -- Sezione trasversa di embrione di S. fontinalis di mm. 2 — estremo an- teriore. Ingr. obb. 3, ocul. 4 Koristka. Fig. 2. — Sezione trasversa di embrione di S. fontinalis. di mm. 2 — regione ottica. Ingr. obb. 3 oc. 4. Kor. ; Fig. 3. — Sezione traversa di embrione di S. fontinalis di mm. 2 — regione uditiva. Ingr. ob. 3 oc. 4 Kor. l Fig. 4. — Sezione orizzontale di embrione di S. fontinalis di mm. 2 — Ingr. ob. 3 oc. 2 Kor. Fig. 5. — Sezione orizzontale di embrione di S. fontinalis di mm.2 — Ingr. ob. 3 oc. 2 Kor. Fig. 6. — Sezione longitudinale di embrione di S. ¢7¢édews di mm. 2,5 — Ingr. ob. 3 oc: 2 Kor, Fig. 7. — Sezione longitudinale di embrione di §. 7rédeus di mm. 2-- Ingr. ob. 3 oc. 2 Kor. Fig. 8. — Sezione longitudinale di embrione di §S. é7édeus di mm. 2,5 — parte laterale. Ingr. ob. 3 oc. 2 Kor. NEUROMERI E SOMITI META-OTICI ECC. 257 9. — Sezione longitudinale di embrione di §. ¢rédens di mm. 3 — Ingr, ob. 3 oc. 4 Kor, 10. — Sezione longitudinale di embrione di S. fontinalis di mm. 2,5 — Ingr. ob. 3 oc, 2 Kor. . 14. — Sezione orizzontale di embrione di S. 7774eus di mm. 3 — Ingr, ob. 3 oe, 2 Kor. . 12. -- Embrione di $. érédeus di mm. 3 — regione del capo. Osservato in toto con ob. 3 oc. 2 Kor. 13. — Sezione orizzontale di embrione di §S. î774eus di mm. 3,5 — Ingr. ob. 3 oc. 4 Kor. 14. — Embrione di S. 77zdeus di mm. 4, osservato in toto con ob. 3 0c.2 Kor. 15. — Sezione orizzontale di embrione di 8. é7édeus di mm, 3,5 — regione metaotica. Ingr. ob. 3 oc, 4 Kor. 16. — Sezione trasversale di embrione di §. 777deus di mm, 4 — regione me- taotica. Ingr. ob. 3 oc. 4 Kor, 17. — Sezione orizzontale di embrione di $. zrédews di mm. 4,5 — Ingr. ob. 3 oc. 4 Kor. Fig. 18. — Embrione di §. 7rédews di mm. 4,5 — visto in toto, con ob. 3 oc. 2 Kor. Fig. 19. — Sezione orizzontale di embrione di $S. 77édeus di 14 giorni; regione metaotica. Ingr. ob. 3 oc. 4 Kor. Fig. 20. — Sezione orizzontale di embrione di §S. 77zdeus di 14 giorni; regione metaotica. Ingr. ob. 3 oc. 4 Kor. Fig. 21. — Sezione trasversale di embrione di S. 7r¢deus di 15 giorni; regione me- taotica. Ingr. ob. 3 oc. 4 Kor. Fig. 22. — Sezione orizzontale di embrione di S. 7rideus di 18 giorni; regione metaotica. Ingr. ob. 3 oc. 4 Kor. (1). Fig. 23. — Sezione orizzontale di embrione di S. érédeus di 18 giorni; regione metaotica. Ingr. ob. 3 oc. 4 Kor. Fig. 24. —- Sezione long. di avanotto di §. farzo appena nato; regione occipitale. Ingr, ob. 3 oe, 4 Kor. Fig. 25. — Sezione oriz. di avanotto di S. fario appena nato ; reg. occip. Ingr. ob. 3 oc. 4 Kor. ; Fig. 26. — Sezione oriz. di avanotto di §. fario appena nato; regione occipitale. Ingr. ob. 3 oc. 4 Kor. (2). (1) In luogo di 2 a fu scritto:in questa figura per errore 4 a (a sinistra). (2) Vedasi nota a pag. 255. DI ALCUNI ECHINIDI MIOCENICI DEL GRUPPO DEL M., MAJELLA Nota del Dott. Carlo Airaghi ——_ C8 C9 ®T___- Il chiaro prof. F. Sacco e l’egregio ing. A. Reichenbach, ai quali porgo i miei ringraziamenti, mi inviarono diversi echinidi raccolti nel gruppo montuoso della Majella nella zona calcareo marnosa, eocenica secondo alcuni e miocenica secondo altri ('), perchè li avessi a determinare e portare così un qualche contributo paleontologico utile all’ interpretazione stra- tigrafica del deposito entro cui vennero trovati. Essi però si trovano in uno stato di conservazione alquanto cattivo, poichè, pur non avendo nella maggior parte dei casi subite forti deformazioni, tutti quanti sono privi del guscio. Dato ciò la loro determinazione si rende oltremodo difficile e talvolta anche impossibil-. Di essi una ventina circa appartiene, con molta probabilità, al genere Pericosmus. Sono modelli interni e quindi, non potendo osser- vare nè i tubercoli nè i fascioli, tanto importanti per l'interpretazione della Brissidae, la loro determinazione generica non resta talora priva di dubbi. Alcuni di essi raccolti a Cerratina sopra Roccamorice, corrispon- dono esattamente nella forma della faccia superiore e inferiore, nonchè nell’ andamento dei solchi occupati dagli ambulacri, nella posizione dell’ apice ambulacrale, del periprocto, e peristoma, a quelli raccolti nel miocene medio della Corsica e a quelli della molassa burdigaliana di Vence recentemente figurati da Lambert (*) e riferiti al Pericosmus latus Agass. (1) F. SAcco, Gli Abruzzi, Soc. geol. ital., vol. XXVI, 1907. Vedesi in questo lavoro anche la bibliografia. | (2) F. LAMBERT, Hlud. s. l. Echin. de la mol. de Vence, Ann. de la Soc. de Lett. et Se. et Art. des Alpes Marit. vol. XX, 1906, p. 43, tav. II, fig. 3, tav. IX, fig. |. DI ALCUNI ECHINIDI MIOCENICI DEL GRUPPO DEL M, MAJELLA 259 Alcuni altri trovati a Fonticelle presso Abbateggio, corrispondono molto bene agli eleganti e ben conservati Pericosmus Edwarasti Agass. (!) dell’ elveziano della collina di Torino, sia per la faccia supe- riore rigonfia, corta, subconica, pei petali larghi, profondi, e quelli pari posteriori relativamente alquanto lunghi, come per la posizione dell’ apice ambulacrale centrale, del periprocto grande e subcircolare e del peristoma posto molto all’ avanti. Ma più interessanti sono gli altri esemplari che rappresentano a mio modo di vedere due specie nuove, che chiamerò Pericosmus Saccoi e Pericosmus Reichenbachi. Il Pericosmus Saccoi, Tav. Vl, fig. 1, 2, è una specie di grandi dimensioni (altezza mm. 33, lunghezza mm. 76, larghezza mm. 80), sub- circolare, cuoriforme, leggermente più largo che lungo, colla faccia in- feriore piana, quella posteriore molto bassa, subtriangolare, quella superiore alta, subconica, colle aree interambulacrali inclinate sui mar- gini a foggia di tetto, quella impari posteriore però leggermente carenata e inclinata meno ripidamente; i margini angolosi. Solco anteriore ben marcato dall’apice al marg ne che ne viene fortemente intaccato; gli ambulacri pari grandi, lunghi, profondi, diritti, divergenti, i posteriori però meno lunghi e meno divergenti degli anteriori. Zone por:fere larghe, spazio interporifero alquanto più stretto. Apice ambulacrale leggermente spostato all’avanti, peristoma trasversale, labiato e rela- tivamente lontano dal margine, periprocto trasversale. Questo Pericosmus si avvicina molto al Pericosmus latus Agass. da cui si distingue specialmente per la conformazione della faccia superiore meno rotondeggiante e meno carenata posteriormente, ma spiccatamente conica, pei fianchi e i margini molto meno rigonfi, ma più piani i primi e più taglienti i secondi. Loc. Cavallaro sopra Roc- camorice. Il Pericosmus Reichenbachi, Tav. VI, fig. 3, 4, è di minori dimen- sioni, cuoriforme, più largo che lungo (lunghezza mm. 55, larghezza mm. 57, altezza mm. 32), colla faccia superiore rigo:fia, convessa, for- temente inclinata verso i margini nella parte anteriore, e alquanto alta e carenata nella parte posteriore; faccia posteriore subtriangolare, alta e diritta: faccia inferiore leggermente subconvessa sul piastrone e munita di due mammelloni posteriormente; margini rigonfi e rotondeg- gianti. Soleo anteriore, molto ben sviluppato, intacca fortemente il mar- gine; gli ambulacri pari grandi, profondi, diritti, divergenti, quelli pari posteriori però meno divergenti e relativamente alquanto brevi. Apice ambulacrale subcentrale, leggermente spostato all'indietro, peristoma trasversale, labiato, vicino al margine, periprocto alla sommità della faccia posteriore, grande e subrotondeggiante. (1) C. ATRAGHI, Hchin. del Piemonte e della Liguria, Paleont. ital., vol. VII, 1901, pag. 59, tav.VIII, fig. 4. 260 CARLO AIRAGHI Il Pericosmus Reichenbachi lo distinguo tanto dal Peric. latus Agass. quanto dal Pericosmus Saccoi, n. sp., non solo per le minori dimen- sioni, ma specialmente perchè maggiormente tronco posteriormente e quindi munito di faccia posteriore più alta, per i margini e i fianchi molto più rigonfi e rotondeggianti, per l’ apice ambulacrale spostato all'indietro anziche all’ avanti e infine per gli ambulacri pari posteriori relativamente più brevi. Questa specie per le dimensioni sue e per l'andamento della faccia superiore si avvicina maggiormente al Pericosmus pedemontanus de Ales. ('), mai caratteri sopra ricordati la distinguono nettamente anche da esso. Loc. Cerratina sopra Roccamorice. Degli altri esemplari inviatimi poco mi resta a dire perchè molto mal conservati e quindi indeterminabili tranne uno proveniente da Fontanelle presso Abbateggio, che, senza dubbio alcuno, riferisco al- l’Echinolampas angulatus Mér.; identico in tutto e per tutto ai nume- rosi trovati nel miocene medio dell’ Emilia, della Toscana e dell’ Um- bria (7). Concludendo si ha una piccola echinofauna formata dalle specie: Pericosmus latus Agass. ” Edwardsii Agass. n Saccoi n. Sp. ” Reichenbachi n. sp. Echinolampas angulatus Mér. che indipendentemente da considerazioni stratigrafiche sul depo- sito entro cui venne raccolta si deve ritenere del miocene medio. Milano, Museo Civico, 1908. (1) C. AIRAGHI, 7d., pag. 60, tav. VIII, fig. 3. (2) G. STEFANINI, Hehim.foss. del mioc. dell’ Emilia R. Ace. dei Lincei, vol. XVI, V seria, fase. 8, p. 539. — P. de LoRrIOL, Descript. des Echim. de Camerino, Mem. Soc. Phys. et Hist. Nat. de Geneve, vol. XXVIII, 1882, pag. 17, tav. II, — C. Ar- RAGHI. Mchim. mioc. di S. Maria Tiberina, Atti R. Ace. delle Se. di Torino, 1904, pag. 12, tav. I. fig. 19-20. DI ALCUNI ECHINIDI MIOCENICI DEL GRUPPO DEL M, MAJELLA 261 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1, 2 — PFericosmus Saccoi n. sp. » 3,4 » Reichenbachi n. sp. Ing. Dott. L. Maddalena OSSERVAZIONI SOPRA UNA ANTICA MINIERA DI FERRO IN VAL CAVARGNA (MENAGGIO) = SS Partendo da Piano, stazione della linea Porlezza-Menaggio si sale a Carlazzo attraverso alla dolomia principale dopo aver superati alcuni lembi morenici. Dal fertile ripiano dove è situato questo ridente paesello si entra nella valle Cavargna profon- damente incassata tra due ripide e nude pareti di calcare del Muschelkalk i cui strati si trovano in posizione quasi verticale. Questa valle ha una direzione N.N.E. — 8.8.0. ed è certamente dovuta ad una faglia come lo attestano i numerosi e bellissimi liscioni a superficie speculare che vennero osservati special mente in occasione dei lavori per l’impianto idroelettrico di Ponte Dovia. Circa a metà strada tra Carlazzo e S. Bartolomeo il pae- saggio muta improvvisamente, la valle si allarga, alla sterile vegetazione che s’ arrampica sulle scoscese balze calcari, suc- cedono magnifici boschi di castagno; alle nude rocce, vaste estensioni coltivate a prato e ad orzo. E un mutamento che ricorda la profonda impressione provata entrando nella Carnia verde dopo aver percorsa la sterile valle del Tagliamento. Siamo passati negli scisti cristallini attraversando la grande faglia che li separa dai terreni secondari e continua verso oriente lungo tutta la catena orobica (‘'). « Il piano di scorri- « mento è pressochè verticale, o forse leggermente inclinato a (1) C. Porro, — Cenni preliminari ad un rilievo geologico nelle Alpi Orobie (Rend. R. Ist. Lomb. Serie II. Vol. XXX, 1897). Cenni preliminari ad un rilievo geologico della catena orobica dalla Valsassina al M. Venerocolo. (Rend. R. Ist. Lomb., Serie II, Vol. XXXII, 1899). OSSERVAZIONI SOPRA UNA ANTICA MINIERA ECC. 263 « N., il movimento relativo delle due labbra della frattura « sembra essere stato di abbassamento per gli strati secon- « dari » (*). Fra S. Bartolomeo e S. Nazzaro si trova un esteso lembo morenico che costituisce il limite superiore (m. 900) dei depo- siti di un ramo del grande ghiacciaio abduano che penetrando per Val Menaggio nel bacino del Ceresio s’insinuava profon- damente nelle valli laterali. Nella valletta di Lana a N. di S. Bartolomeo e a S.E. della cima detta il Sasso, nella località Val Caldera, alla quota 1200, si trova una miniera di minerale di ferro abbandonata da circa 50 anni. La mineralizzazione non interessa superficialmente una zona molta estesa ‘circa 150 mq.) e si trova completamente nelle rocce scisto-cristalline. Ad immediato contatto col giacimento si ha una roccia di tipo gneissico, compatta, durissima, di color grigio-verdastro ed avente una stratificazione molto evidente e minuta. Ad occhio nudo si distinguono straterelli anfibolici di color verde- nerastro ed altri bianco-grigi più sottili; si può anche riconoscere che l’anfibolo è l' elemento costitutivo più importante della roccia. Colla leute si osserva che vi è molto diffusa la pirite talora trasformata in limonite; in qualche piano di scistos'tà ho veduto dei ciuffetti di mica biotite. Al microscopio si vede una struttura che varia tra la granoblastica e la poikiloblastica (*), dovuta alla inclusione di tutti gli elementi della roccia nelle larghe lamine di anfibolo, come si osserva comunemente negli hornfels. L’anfibolo predomina sia per la quantità, sia per le dimensioni degli individui ; raramente si trova in forma lamellare o nelle carat- teristiche sezioni basali, ma per lo più in grossi aggregati a contorni irregola"i e pieni di interelusi. Ha il pleocroismo evidentissimo della orniblenda comune: giallo-verdognolo, verde-erba, verde azzurro; il primo corrispoude alla brachidiagonale, il secondo alla macrodiagonale e si vedono nelle sezioni basali, il terzo in quelle secondo l’asse prin- cipale. L'elemento più abbondante, dopo I’ anfibolo, è costituito da gra- (1) E. RePossI. — Osservazioni stratigrafiche sulla Val d'Intelvi, la Val Solda e la Val Menaggio. (Atti Soc. It. Se. Nat. Vol. XLI, 1902). (2) U. GRUBENMANN. — Die Kristallinen Schiefer. B. I. 264 L. MADDALENA nuli incolori, in parte limpidissimi, in parte torbidieci per sopravvenuta alterazione. Eccetto alcuni pochi che per la presenza di geminazione poli- sintetica sono indubbiamente riferibili ad un feldspato della serie sodico- calcica, la maggior parte dei granuli limpidi facevano pensare al quarzo, ma tutte le numerosissime osservazioni fatte a luce convergente mo- strarono trattarsi di minerale biassico : questo fatto e lo studio della rifrangenza e birifrangenza dei granuli, dimostrarono trattarsi dello stesso feldspato sopra citato. La rifrazione dei granuli è vicinissima e cioè alquanto superiore a quella del balsamo ('). Le poche lamine che presentano lamelle di geminazione hanno estinzioni piccolissime, la massima osservata fu di 12°. Il segno ottico del minerale determinato colla lamina di gesso per sezioni normali ad uno degli assi ottici è positivo. Per questi caratteri ritengo essere il feldspato un termine compreso tra Ll’ albite e |’ albite-oligoclasio. L’ alterazione che si osserva sovente e che ha prodotto un intorbidamento, risulta di minuti aggre- gati muscovitici. Fra i granuli alterati alcuni lasciano dubbio trattarsi di cordierite sopratutto per l’ orientazione dei prodotti di alterazione che fa pensare ai caratteristici geminati di questo minerale. A tali geminati fanno pensare anche alcune sezioni che per la minore alterazione permettono di meglio distinguerne i caratteri. Tuttavia la mancanza assoluta delle aureole policroiche intorno ai numerosi zirconcini inclusi ed il fatto che in non pochi casi si potè con sicurezza stabilire che il minerale alterato è feldspato mi decide a lasciar in dubbio la presenza o meno della cordierite. Molta titanite in granuli incolori e in aggregati granulari si trova sparsa in tutta la roccia fin dentro l’anfibolo. Ho osservato anche qualche cristallino fusiforme tagliato secondo le taccie 110, ma sempre con contorni un poco tondeggianti. L’epidoto si trova in quantità notevole in forma di minuti gra- nuli distribuiti irregolarmente nelle varie parti delle sezioni. Sovente è poikilitico nell’ anfibolo: in qualche sezione non troppo sottile mostra il caratteristico pleocroismo. Tra i granuli di feldspato, a costituire quasi un cemento si osserva della calcite, la quale con molta probabilità è di seconda formazione. Apatite esclusivamente in granuli si trova sia in mezzo ai feldspati sia nelle masse anfiboliche. Magnetite e pirite sono scarse in cristalli e granuli di piccole dimensioni. (1) NOTA. — In seguito a numerose esperienze 1’ indice del balsamo usato per le sezioni eseguite nel gabinetto mineralogico della R. Università di Pavia, si può ritenere compreso tra quelli della nefelina: 1,538 — 1,542. OSSERVAZIONI SOPRA UNA ANTICA MINIERA ECC. 965 Qua e là si osserva qualche ciuffetto di clorite circondata da epidoto. Piccoli zirconi si trovano numerosi quali interclusi in tutti gli altri elementi che costituiscono la roccia. Da questo tipo di anfibolite si passa rapidamente ad un vero micascisto a due miche con fortissimo predominio di mu- scovite, nel quale sovente si osservano dei granati comuni: il quarzo si trova spesso concentrato in grosse venature irrego- lari che sporgono qua e là per la maggiore resistenza alla erosione. Nelle identiche condizioni e quasi allo stesso livello si trovano delle gallerie abbandonate sul versante occidentale di Val dei Molini che scende parallelamente a Val di Lana cioè in direzione N.N.E.— S.5.0. alla distanza di 1 Km. in linea retta. Si era detto che queste gallerie vennero abbandonate perchè non si trovava più del minerale di Fe, ma invece blenda in grande quantità la quale non rappresentava alcun valore per chi eserciva la miniera. Ciò non è esatto; da informazioni assunte sul posto mi risulta che essa fu abbandonata per la mancanza di combustibile locale necessario al processo metal lurgico che si faceva sul posto: è bensì vero però che unita- mente al minerale di ferro si trovava molta blenda. Degli antichi lavori in Val di Lana sono visibili le imboc- cature di due gallerie, una a N.E. e una a S.0. corrispondenti alle due vallecole confluenti di destra: esse erano completa- mente ostruite da materiale franato: feci sgombrare quella di N.E. e potei penetrare nell’interno per circa 20 metri; ora si stà aprendo anche l’altra. Inoltre sul dosso delle due vallette si osservano delle depressioni che dovevano essere aperture di camini inclinati i quali servivano per l’estrazione del mi- nerale: anche questi sono ostruiti eccetto uno dal quale potei calarmi e scendendo per una trentina di metri, visitare due piani di coltivazione. In corrispondenza di queste antiche aperture si hanno importanti discariche di materiale sterile che veniva scartato nella cernita. Esaminando questi detriti si riconosce facilmente che il minerale di ferro doveva essere carbonato spatico o siderosio in larghe lamine di color biondo aggregate in masse più o meno compatte con ganga di quarzo: 266 i. MADDALENA quasi tutto è trasformato alla superficie in ematite terrosa e qualche volta in oligisto. Nelle discariche presso l’imboccatura S.0. ho trovato una grandissima quantità di blenda grigio-nerastra, compatta, talora con aspetto saccaroide, per lo più pura e talora mista a calco- pirite e poca galena: essa deve avere un tenore in ferro assai elevato come si deduce dall’aver sempre alla superficie una patina di alterazione limonitica ('). Nel carbonato di ferro si osservano talora dei nidi di pirite, di calcopirite, di rame grigio (tetraedrite) e di pirrotina. I blocchi di blenda sono così abbondanti che si può calcolare di poter raccoglierne oltre 2 tonnellate tra quei detriti: sono per lo più assai grossi da superare il peso di 40 e 50 Kg. Questo fatto dà sicuro affida- mento che il minerale di Zn non deve presentarsi come piccoli filoni, ma forse come una completa sostituzione al minerale di ferro, dato che ne fu estratto una così grande quantità e in blocchi così grossi da chi avrebbe avuto tutto l’interesse di evitarlo. In una seconda visita alla miniera ho potuto entrare nelle gallerie facendomi calare dall’imboccatura del camino accennato. Dopo una discesa di circa 10 m. sono entrato in una vasta camera di forma allungata in direzione presso a poco N.E. (6 m. X 15 m.); questa doveva essere piena di minerale, car- bonato di Fe, di cui si trova ancora traccie sulle pareti. La parete verso Ovest è costituita da un magnifico liscione. Da questa camera si dipartono due gallerie, una verso N.E. e una verso N.0. le quali sono impraticabili: scendendo di altri 10 m. per la continuazione del camino, si raggiunge una seconda camera meno larga, ma più lunga della precedente, la quale fu pure vuotata dal minerale di ferro. Anche da questa partono due gallerie nelle stesse direzioni delle superiori, quella verso N.E. è scavata lungo il liscione, è conservatissima e deve certamente corrispondere all'imboccatura esterna di N.E.: l’altra invece è interrotta subito da un pozzo e poi continua: qui non fu possibile nè oltrepassare il pozzo, nè scendere ancora per il medesimo: ritengo che da questa parte si debba uscire all’im- (1) Di questa blenda furono fatte due analisi per determinarne il tenore in Zn: una dal chimico Dott. A. Romagnoli di Milano che trovò 45 079 di Zn; l’altra diede come risultato il 47 079 e fu eseguita dal Sig. E. Galli chimico municipale della città di Como, OSSERVAZIONI SOPRA UNA ANTICA MINIERA ECC, 267 bocco 8.0. e che sotto a questo esistano altri piani di colti- vazione. È necessario procedere allo sgombero della galleria e del camino onde poter vedere anche i piani sottostanti, osservare in quali condizioni si presenta la blenda e giudicare quindi dell’importanza del giacimento. In Val dei Molini le cose stanno presso a poco allo stesso modo: anche qui si vedono delle camere che dovevano esser ripiene di minerale; la direzione della mineralizzazione è pure presso a poco N.S.; il minerale doveva esser carbonato di ferro. Qui ho constatato una maggiore quantità di calcopirite bellissima, la quale si presenta in masserelle compatte dentro il carbonato di ferro: si trova pure molta pirrotina. La prima impressione avuta dalla visita di questa regione fu che le mineralizzazioni di Val di Lana e di Val dei Molini fossero tra loro collegate, anzi forse la continuazione luna dell'altra e insieme di quella pure abbandonata di Dongo, supponendo trattarsi di una frattura negli scisti pressochè pa- rallela a quella accennata che separa tale formazione dai ter- reni secondari. Ma esaminando le gallerie abbandonate, la forma allungata delle camere che dovevano costituire il giaci- mento, la loro direzione parallela alle valli e la presenza di liscioni, mi persuasi trattarsi di due giacimenti indipendenti di tipo filoniano. La frattura che ha formato la valle Cavargna e che a tutta prima credevo arrestarsi all’entrare negli scisti cristallini, si suddivide invece in due aventi la medesima dire- zione tra loro e colla prima, a formare le vallette parallele di Lana e dei Molini. In queste zone di frattura si sono deposi- tati il carbonato di ferro ed i solfuri in giacimento di tipo filoniano. Molto si è discusso sull’età degli scisti micaceo-anfibolici di questa regione: gli autori che se ne occuparono furono il Negri, lo Spreafico, il Curioni, il Gimbel, |’ Harada, il Tara- melli: recentemente l’Ing. Stella, basandosi sulla discordanza tra gli scisti cristallini e le formazioni clastiche soprastanti, da lui riscontrata dovunque, affermò, che geologicamente queste roccie formano un unico insieme, spettante ad un’unica for- mazione, |’ arcaico. Quanto all’origine della mineralizzazione essa si può rite- nere strettamente legata alla esistenza di grandi masse grani- tiche abissali che certamente devono trovarsi sotto agli scisti. Infatti non molto lontano si osservano affioramenti di granito 268 L. MADDALENA - OSSERVAZIONI SOPRA UNA ANTICA MINIERA ECC. in mezzo agli scisti: così sulla destra di Val Migliassina, tra Novaggio e Cervio e presso la vetta dell’alpe di Lago, ad oriente di Camignola. A tale proposito il prof. Taramelli (*) dice di aver osser- vato che questo granito non assomiglia del tutto a quello di Baveno, del Mottarone e di Montorfano, perchè questo si pre- senta come una roccia massiccia, mentre in quelle località luganesi è sempre più o meno gneissico. La mineralizzazione provenne dalla massa granitica, forse anche in epoca assai più recente della sua consolidazione, ma fu contemporanea o meglio immediatamente successiva alla formazione delle fratture le quali ne furono causa diretta rompendo le condizioni di equilibrio della massa eruttiva esi- stente sotto gli scisti allo stato di focolare secondario, produ- cendo così una serie di manifestazioni eruttive secondarie di carattere pneumatoidatogenico ed essenzialmente rappresentate da emanazioni gassose e da acque termo-minerali. Un giacimento analogo si trova a Allevard (*), dipartimento dell’Isère dove si coltivano importanti filoni di carbonato di ferro negli scisti cristallini, con una potenza talora superiore a 10 m.: anche questo è spesso accompagnato da calcopirite e da blenda. Nel trattato dello Stelzner e Bergeat (*) sono descritti i filoni di siderosio nelle filladi devoniane di Stahlberg vicino a Coblenza: anche qui vi sono i soliti minerali che lo accom- pagnano: pirite, calcopirite, rame grigio e galena, i quali in qualche punto stabiliscono un vero passaggio a filoni di rame grigio, blenda etc. in cui il carbonato di ferro non e più che una ganga accessoria. In modo analogo suppongo che nella miniera di Val Ca- vargna si passi dalla siderite, già estratta, alla blenda. I lavori di sgombero metteranno a nudo questo passaggio certamente raggiunto colle antiche gallerie e si potrà allora giudicare se questa miniera esaurita per il ferro ha ancora qualche impor- tanza per lo zinco. Dal Gabinetto Mineralogico della R. Università di Pavia, Dicembre 1908. (1) I tre laghi, pag. 68, Milano 1902. (2) Traité des gites minéraux et metalliféres-Fuchs et De-Launay. I, 693. (3) Die Erzlagerstàtten, p. 1041. SUNTO DEL REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (1904) (DATA DI FONDAZIONE: 15 GENNAIO 1856) Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. I Soci sono in numero illimitato : effettivi, perpetui, benemeriti e onorari. : I Soci effettivi pagano L. 20 all’ anno, in una sola volta, nel primo bimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. Chi versa Lire 200 una volta tanto viene dichiarato Socio perpetuo. Si dichiarano Soci benemeriti coloro che mediante cospicue elargi- zioni hanno contribuito alla costituzione del capitale sociale. A Soci onorari possono eleggersi eminenti scienziati che contribui- scano coi loro lavori all’ incremento della Scienza. La proposta per V ammissione d’un nuovo Socio effettivo 0 perpetuo deve essere fatta e firmata da due soci mediante lettera diretta al Con- siglio Direttivo (secondo l’Art. 20 del Regolamento). Le rinuncie dei Soci effettivi debbono essere notificate per iscritto al Consiglio Direttivo almeno tre mesi prima della fine del 3" anno di obbligo o di ogni altro successivo. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Atti ed alle Memorie non si possono unire tavole se non sono del’ formato degli Atti e delle Memorie stesse. Tutti i Soci possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, purchè li domandino a qualcuno dei membri del Consiglio Direttivo o al Bibliotecario, rilasciandone regolare ricevuta e colle cautele d’ uso volute dal Regolamento. Gli Autori che ne fanno domanda ricevono gratuitamente cinquanta copie a parte, con copertina stampata, dei lavori pubblicati negli At e nelle Memorie. Per la tiratura degli Estratti (oltre le dette 50 copie), gli Autori dovranno rivolgersi alla Tipografia sia per l'ordinazione che per il pagamento. La spedizione degli estratti si farà in assegno. INDICE DEL FASCICOLO 3° = Acme Grirrini, Intorno ad alcune Gryllacris del Musée Royal d’ Histoire Naturelle e del Musée du Congo, di Bruxelles : ; 3 : opera hie Ciro BARBIERI, Neuromeri e somiti meta-otici in em- brioni di Salmonidi : i : : ; #185 CarLo Amacnm, Di alcuni echinidi miocenici del gruppo del M. Majella : i S i m_ 258 L. MADDALENA, Osservazioni sopra una antica miniera di ferro in Val Cavargna (Menaggio) i) op) bo NB. Ciascun autore è solo responsabile delle opinioni manifestate nei suoi lavori, e ne conserva la proprietà letteraria. ATTI DELLA SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI E DEL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO VOLUME XLVII FascicoLo 4° — FoetLI 6 !/, (Con una tavola) PAVIA PREMIATA TIPOGRAFIA SUCCESSORI FRATELLI FUSI Largo di Via Roma N. 7. Marzo 1909 ©) x} Per la compera degli ATTI o delle MEMORIE rivolgersi alla Segreteria della Società. Palazzo del Museo Civico di Storia Naturale, Corso Venezia, L'invio dei singoli fascicoli ai Soci e Corpi Scientifici vien fatto colla Posta. CONSIGLIO DIRETTIVO PEL 1909 Presidente. ArRTINI Prof, Errors, Museo Civico. Besana Ing. Comm. Giuseppe, Via Ruga- Vice-Presidenti. — bella, 19. De Marcui Dott. Marco, Via Borgonuovo 23. Segretario. — Dr-Atessanpri Dott. Grutio, Museo Civico. Vice-Segretario. — RePossi Dott. Emm1o, Museo Civico. Archivista. — CasTELFRANCO Prof. Cav. Pompro, Via Principe Umberto, 5. / BeLLortI Dr. Comm. Crisrororo, Via Brera, 10. Maeretti Dott. PaoLo, Via Leopardi, 21. Consiglieri. — SaLMmoJraGHI Prof. Ing. FRANCESCO, Piazza Castello, 17. VienoLi Cav. Prof. Trro, Corso Venezia, 89. Cassiere. — ViLa Cav. Virrorio, Via Sala, 6. Bibliotecario sig. ERNESTO PELITTI. GLACIALISMO ED EROSIONI NELLA MAJELLA Osservazioni del Prof. Federico Sacco Il gruppo montuoso della Majella, uno dei più alti e dei più eccentrici dell'Appennino centrale, si presenta particolar- mente interessante pel geologo sia per la sua costituzione intima e la sua tettonica, sia per i fenomeni esogeni che, in epoca abbastanza recente, vi hanno lasciato una impronta pro- fonda e caratteristica. Della costituzione geologica della Majella già ebbi a trat- tare in apposito lavoro (*), al quale quindi rimando senz’ altro, solo qui ricordando come detto gruppo montuoso calcareo sia costituito da una potente serie di banchi calcari del Cretaceo, a Requienie in basso ed a Rudiste in alto (che appare nelle grandi fratture e nelle più profonde incisioni), coperto da un grandioso manto di banchi pure calcarei dell’Eocene nummulitifero, il. tutto spaccato verso il mezzo da un’enorme frattura posteoce- nica, diretta da N.0. a S.E., che ha diviso il gruppo montuoso in due parti, una minore occidentale o del Morrone ed una maggiore orientale o della Majella pr. d. e che, per sollevamento e scorrimento delle parti, originò la parete subverticale della Majella verso Ovest ed invece il suo dolce pendio verso Est. Attorno e dentro a questa regione cretaceo-eocenica si deposi- tarono più tardi i terreni miopliocenici di tipo marino-littoraneo, marnoso-sabbiosi qua e là gessiferi; infine (dopo un nuovo po- tente accentuamento orogenetico che escluse il mare dalla regione montuosa in questione) si deposero i terreni pliocenici marini che vengono solo più a lambire parte delle falde (1) F. Sacco. — Il gruppo della Majella, Mem. R. Ace. Sc. Torino. Sezione II, Tomo LX, 1908. 17 270 FEDERICO SACCO orientali della Majella. È nella susseguente era quaternaria che si verificarono più intensamente i fenomeni esogeni di cui intendo far qui breve cenno. E bensì vero che specialmente nel Cretaceo superiore e nell’ Eocene inferiore possiamo constatare fenomeni di rimaneg- giamento che accennano ad avvenute erosioni; è vero che il grande hyatus esistente nella serie stratigrafica del Terziario fra l’Eocene ed il Miopliocene ci indica un intermedio periodo di emersione e conseguente abrasione; è anche vero che nei depositi miopliocenici riscontriamo qua e là lenti ciottoloso- brecciose, e specialmente poi in quelli pliocenici troviamo potenti zone ciottolose che ci attestano ampie abrasioni nonchè notevoli erosioni incisive verificatesi alla fine dell’ Era ter- ziaria; ma contuttociò è certo che i fenomeni esogeni raggiun- sero un’intensità straordinaria, qui come altrove in generale, specialmente nell’Era quaternaria. Ma l'interesse particolare di questa regione della Majella rispetto a tali fenomeni esogeni, e che quindi mi spinse a farne un cenno speciale sta nel fatto che, per la posizione eccentrica e per la forma a dolce cupola di questa montagna, noi possiamo misurare, direi, alcuni di questi fenomeni nell’intensità e nella cronologia loro. Riguardo alla cronologia del Quaternario, per quanto rico- nosca in molti casi l’opportunità di numerose suddivisioni, qui mi attengo alla semplice divisione in due periodi principali, del resto gradualmente passanti uno all’altro, cioè quello più antico: Sahariano, Plistocene, Diluvio-glaciale ecc. e quello più recente: Terrazziano, Olocene, Alluvionale, ecc. Riguardo ai fenomeni esogeni, per quanto in realtà assai complessi, li raggrupperò per semplicità in due principali capitoli, glacialismo ed erosione, esaminandoli partitamente. Glacialismo. Già 1’ Hassert (*) ebbe ad occuparsi del glacialismo nella Majella, però dando forse troppa importanza sia all’erosione glaciale (che credo sia stata invece assai limitata) sia al vallone di Femmina morta, dove invece prevalgono essenzialmente i (1) HASSERT K. — Traccie glaciali negli Abruzzi. (B. S. Geogr. It. fase. VII, 1900). GLACIALISMO ED EROSIONI NELLA MAJELLA 271 fenomeni di erosione e di semplici accumuli detritici; nevati più o meno glaciali certo vi si accumularono e vi persistettero a lungo, data l'elevazione della regione, ma per la forma della vallata non vi poterono certamente operare nel senso caratte- ristico solito dei veri ghiacciai. Però nella parte alta della gran valle di Orte-Orfento, cioè sulle pareti del digitato bacino di Macchia di Caramanico, e specialmente nella cosidetta Valle Andrea, vediamo qua e là a circa 2200-2300 m. s. 1. m. residui di levigature attribuibili al glacialismo. Ma le migliori traccie di questo fenomeno le riscontriamo nella Valle Cannella sita immediatamente ad Est del M. Amaro il quale raggiunge i 2795 m. s. 1. m. Questa cosidetta Val Can- nella è in realtà il circo, subelittico però (fotogr. 4), terminale della Valle Macchia Lunga — S. Spirito — Verde. Il fondo di questo circo scende, da monte a valle, da 2500 m. a 2250 m. circa; le sue pareti sono generalmente abrupte con ampio zoccolo di detriti di falda. Orbene in molti punti (specialmente allo sbocco di vallonetti laterali) questi detriti franoidi mostransi al- quanto allontanati dalle falde del circo e talora disposti ad irre- golari depresse collinette ; si tratta evidentemente di materiale detritico (originatosi dal solito fenomeno di gelo e disgelo) che non potè depositarsi regolarmente a conoide come detrito di falda, ma per la presenza, direi intermedia, di placche o di conoidi di nevati più o meno glaciali, andò a depositarsi a qualche distanza dalle falde dei fianchi della valle o del circo. Scomparso l'elemento intermedio ne rimasero a testimonio le speciali collinette detritiche sovraccennate, per le quali proporrei il nome di detriti di nevato per distinguerle dai semplici detriti di falda. Il fenomeno è d’altronde caratteristico del glacialismo, largamente inteso, in tutte le alte regioni apenniniche ed alpine, colla differenza che nell’Apennino esso costituisce spesso l’unico residuo del fenomeno glaciale antico plistocenico, mentre che nelle Alpi rappresenta spesso solo un fenomeno recente, olocenico. Del resto si tratta di differenze di grado anche assai variabili secondo le località, giacchè in certe regioni alpine (p. es. in molti valloni laterali alle valli principali) che non furono occupate da veri ghiacciai, queste collinette di detriti di nevato sono anche i soli rapresentanti del glacialismo plistocenico; viceversa depositi consimili si formarono anche in speciali alti circhi apenninici durante 1’ Olo- DIO FEDERICO SACCO cene, come probabilmente nell’ alta Val Cannella, tanto più se si considera che sulla Majella è tuttora talvolta straordinaria la caduta di neve e la sua conservazione nelle depressioni più protette contro l’azione solare. Questi speciali accumuli di detriti di nevato spesso passano intensibilmente a veri detriti (fotogr. 3) di falda e di frana, risultandone evidente la loro comune origine. Si comprende facilmente come le infinite differenze di mole, di forma, di sviluppo, di durata, di natura (più nevosa o più glaciale) di questo elemento intermedio che, o trasporta sul dorso o serve solo come superficie inclinata di scorrimento dei detriti rocciosi, anch’essi variabilissimi di grossezza, di quantità, di natura, ecc., unitamente alle grandi varietà locali orografiche, climatologiche, ecc. producano un’infinita serie di forme diverse di questi detriti di nevato, siano essi plistocenici od olocenici o formantisi tuttora. Oltre a questi detriti di nevato, che si possono osservare più o meno tipici nei circhi terminali di diversi valloni che solcano la Majella, in Val Cannella possiamo anche osservare resti di glacialismo più schietto, quali già notammo al Velino (*) ed al Gran Sasso d’Italia (*). Essi sono rappresentati da vere col- linette moreniche subarcuate che sbarrano irregolarmente la valle e (vedi fotografie) presentano anche numerosi massi era- tici di varia mole, tra i 2300 e i 2250 m. circa s. 1. m. E questo, credo, il vero terreno morenico dell’epoca glaciale, probabil- mente deposto sulla fine del Plistocene, giacchè esso è tuttora abbastanza ben conservato e d’altronde presuppone l’esistenza del circo di Val Cannella che accogliesse un nevato-ghiacciaio abbastanza imponente e dotato di lento movimento di discesa verso Est. Non è improbabile che il ghiacciaio di Val Cannella, come pure altri vicini, siano scesi più in basso dei 2250 m. sovraccennati, ma le susseguenti erosioni, i franamenti ecc. ne mascherarono le traccie. Quale appendice quasi al glacialismo ricordo un fenomeno che ebbi spesso ad osservare sulla Majella e che contribuisce oggi, come deve aver contribuito nel passato, alla degradazione della montagna. (1) Sacco F. — Gli Abruzzi. (B. S. G. I. XXVI, 1907). (2) Sacco F. — Il gruppo del Gran Sasso d’ Italia. (Mem. R. Ace, Se. Torino. Serie II. Tomo LIX, 1907). GLACIALISMO ED EROSIONI NELLA MAJELLA Tie Nelle regioni pianeggianti, o dolcemente inclinate, la roccia calcarea è spesso ricoperta dal solito detrito irregolare deri- vante essenzialmente dall’ opera di gelo e disgelo sul sottostante calcare; orbene in tali regioni detritiche (specialmente nella parte alta della montagna durante l’estate) veggonsi sovente più o meno regolari serie (subparallele fra di loro o conver- genti e scendenti nel senso della pendenza locale) di rigole di detriti un po’ sollevati come se vi fossero passate sotterranea- mente altrettante piccole talpe a foggiare minuti cunicoli. Il curioso fenomeno può spiegarsi considerando che i filetti acquei (fra loro naturalmente subparalleli o convergenti) che scorrono fra i detriti rocciosi a poca profondità, congelano specialmente durante la notte, e quindi producono i sovraccen nati rialzamenti lineari del materiale detritico. Il fatto, per quanto in fondo rappresenti solo una modalità dell’ importan- tissimo fenomeno generale del gelo e disgelo, ha un certo interesse circa l'erosione dei rilievi montuosi, giacchè per esso riesce molto facilitata sia la degradazione locale, sia la susse- guente esportazione del materiale detritico per opera delle acque selvaggie. Erosione. Sotto questo nome inglobo provvisoriamente quel com- plesso di svariati fenomeni per cui la regione centro-orientale della Majella, originalmente foggiata a regolare dorso o scudo di testuggine, si ridusse poco a poco a quello stato di profonda e svariata incisione che ora la caratterizza. Fin da quando il gruppo in questione, spaccatosi in due parti verso la metà dell’ Era terziaria, cominciò ad emergere dal mare miocenico poi pliocenico, fin d’allora, e specialmente alla fine del Pliocene, si dovette iniziare l’opera di degradazione e di erosione degli agenti esterni; questi indirizzati, direi, nel loro lavoro, sia dall’andamento orografico generale derivante dal fenomeno orogenetico di grandioso fratturamento e solleva- mento, sia dalle piccole ondulazioni stratigrafiche della massa emersa, sia dalle lacerazioni secondarie che dovettero prodursi negli strati fortemente stirati dall'azione di sollevamento, come sì può tuttora osservare direttamente alla superficie di certi strati denudati. Ma fu certamente solo nell’ Era quaternaria che 274 FEDERICO SACCO quest’azione erosiva dovette raggiungere un'intensità straordi- naria per varie cause, cioè : 1° fortissima emersione della Majella per l’intenso mo- vimento orogenetico generale che chiuse l’Era terziaria, emer- sione che dovette essere almeno superiore ai 600 m. giacchè p. es. costatiamo lembi astiani marini raggiungere i 577 m. s. 1. m. nelle colline di Guardiagrele (*) alle falde della Majella; quindi, aumentato notevolmente il pendio del rilievo montuoso, ne venne conseguentemente di molto accresciuta la forza ero- siva delle acque scorrentivi sopra; 2° straordinario aumento delle precipitazioni atmosferiche, fatto caratteristico appunto del periodo plistocenico, e che na- turalmente accrebbe enormemente |’ agente erosivo, intensifican- done il potere per maggior massa e più lunga durata ; 3° copiosa e frequente precipitazione nevosa (in rap- porto colla notevole elevazione della montagna), ciò che, se apparentemente protesse il dorso montuoso in generale contro la diretta azione fisica dell’acqua di pioggia, viceversa prolungò per quasi tutto l’anno l’azione erosiva e dissolutiva dell’ acqua derivante dalla fondita della neve ed agente così di continuo sia alla superficie del terreno sia nel suo interno, potendovi penetrare quasi continuamente. Per tal modo non solo dovette allora verificarsi una pro- fonda incisione superficiale della Majella, ma anche una gran- diosa erosione fisica e dissoluzione chimica della massa cal- carea interna cambiatasi quasi in una enorme spugna rocciosa inzuppata d’acqua; da ciò derivò naturalmente, anzitutto una quantità straordinaria di sorgenti che andarono poi grada- tamente diminuendo di numero e di portata fino a scomparire quasi del tutto oggi, ed inoltre un infinito numero di caver- nosità grandi e piccole o solo interne od anche aprentesi all’esterno, come grotte, che spesso rappresentano appunto il residuo degli antichi corsi acquei sotterranei. Che l'incisione della Majella nei suoi caratteristici profondi (1) Notisi che, se si considera che |’ incisione prodotta dalle acque nelle col- line plioceniche di Guardiagrele fu di oltre 300 m. (come lo prova l’ attuale alveo del T. Lajo), è logico dedurre che originalmente il Pliocene superiore marino qui potesse oltrepassare di molto i 600 m. s. 1. m.; ora se il sollevamento verificatosi quivi alle falde della Majella fu di oltre 600 m. è probabile che, come di solito, quello della regione montuosa sia stato ancora più intenso. GLACIALISMO ED EROSIONI NELLA MAJELLA 275 valloni, per quanto già ben iniziata nel Pliocene (come ci mo- strano i bei banchi ciottolosi di Orsogna-Lanciano, ecc.), siasi verificata essenzialmente nel Plistocene, ce lo indicano i gran- diosi depositi diluviali di Rapino, Piana della Roma, Civitella, D'altronde la presenza di collinette moreniche abbastanza ben conservate sul fondo di Valle Cannella ci prova che i circhi terminali della Majella erano già ben costituiti alla fine del Pleistocene e quindi anche i rispettivi Valloni di deflusso dovevano essere fin d’allora non solo ben delineati, ma ben profondi, per quanto meno che non oggi. La forma e pro- fondità di questi Valloni (fotogr. 8-15) sovente veri caiions, gole o fosse strettissime (fra cui tipica, splendida, quella di Val S. Spirito poco ad Ovest di Fara S. Martino), è causata, sia dal pendio regolare della regione montuosa, sia dalla poca resistenza della maggior parte degli strati calcarei all’azione fisica e chimica dell’acqua. Durante il periodo olocenico l’azione erosiva dell’acqua continuò assai intensa, specialmente nella parte inferiore dei Valloni che solcano la Majella nelle sue regioni periferiche, poi andò gradualmente e sempre diminuendo tanto che oggi vediamo gran parte di detti valloni col fondo coperto da detriti di falda o di frana e sempre o quasi sempre asciutti. Nello stesso tempo anche le acque interne andarono gra- dualmente diminuendo di quantità ed abbassandosi di livello nel loro complicato reticolato sotterraneo, lasciando infinite ca- vernosità e raccogliendosi in basso in poche linee principali o canali sotterranei irregolarissimi che talora danno poi origine a speciali sorgive verso le falde della Majella; fra esse è im- portantissima quella che origina di tratto il T. Verde, fuoriu- scente presso Fara S. Martino. L’intensità di questa incisione acquea fatta durante |’ Olo- cene può essere misurata abbastanza bene paragonando il livello del corso acqueo plistocenico (segnatoci dai depositi, ora alti- piani, diluviali) col livello dell’attuale fondo vallivo prossimo. Tale intensità di erosione è molto varia secondo le re- gioni, il corso acqueo, la forma e pendenza della valle, la natura della roccia incisa, ecc. Così vediamo l’altipiano plisto- cenico di Civitella Messer Raimondo giacente a circa 600 m. s. 1. m., mentre il vicino fondo vallivo attuale nella roccia calcarea sotto Fara S. Martino è a circa 400 m. s. l. m., e 276 FEDERICO SACCO poco a valle, nel terreno marnoso presso il Molino, è a circa 300 m. s. 1. m. Ecco quindi chiaro che l’incisione olocenica fu quivi di circa 200 metri nel Calcare e di un 300 metri nella marna. Verso Pennapiedimonte vediamo i residui lembi plistocenici di Colle Allaugni e vicinanze a circa 650-600 m. s. l. m. ed il grande altipiano di R. Caprafico oltrepassare i 560 m. s. 1. m., mentre il prossimo letto attuale dell’Avello trovasi a circa 450 m. nella roccia calcarea ed a 400-350 m. s. l1. m. nelle marne sabbiose del Miopliocene; donde risulta un’ incisione post- pliocenica di 150 a 250 m. secondo i punti e la natura litolo- gica. Se poi ci portiamo nei dintorni di Pretoro troviamo l’al- tipiano travertinoso plistocenico di Montepiano toccante quasi 1 650 m. s. l. m. mentre nei calcari eocenici della sottostante Valle di Capo d’acqua il fondo dell’alveo trovasi a circa 350 m. s. 1. m.; e nelle prossime regioni delle marne piacenziane vediamo il letto del Vallone « la Vesola » a circa 300 m. ed il letto del F. Aleuto presso Serramonacesca a 250-300 m. s. l. m.; anche in questo caso risultandone incisioni di 200-300 e più metri verificatesi nell'epoca olocenica. La grandiosa placca travertinosa di Montepiano sopraindi- cata è anche assai interessante perchè ci prova che durante l’epoca plistocenica grandiose sorgenti calcarifere dovevano sgorgare dai fianchi della Majella a notevole altitudine, mentre in seguito consimili sorgenti andarono straordinariamente di- minuendo di portata ed abbassandosi di livello, come si è già sopra accennato. Oltre ai fenomeni di erosione ed incisione furono e sono tuttora notevolissimi quelli riferibili complessivamente all’ opera del gelo e disgelo e producenti i cosidetti detriti di falda; prove della grandiosità loro sono gli accumuli di oltre 100 m. di potenza che veggonsi ammontare le falde degli scoscesi di- rupi occidentali della Majella, accumuli detritici riferibili per buona parte al Plistocene e, per l’ammanto superiore, all’Olocene. Consimili enormi accumuli detritici, a facies parzialmente di frana ed essenzialmente olocenici, vediamo alle falde orientali della Majella, tant'è che la fascia miopliocenica ne riesce quasi sempre mascherata. Anche oggi tale lavorio fisico sì compie su larga scala lungo le pareti rocciose dei valloni, continuamente GLACIALISMO ED EROSIONI NELLA MAJELLA 277 degradandoli in alto e costituendo conoidi detritiche verso il basso, come mostra p. e. la fotografia 5. Il fenomeno 6 interessante perché ci spiega il modo di allargarsi continuo dei circhi e dei valloni apenninici. Natural- mente detto complesso lavorio, direi, meteorico (giacché all’opera del gelo e disgelo si aggiunge quella del vento, dell’acqua di pioggia trascinante il detrito in basso, ecc.) si compie assai variamente secondo le stagioni, le esposizioni, le roccie, le fratture, ecc.; donde derivarono cornici (fotogr. 5, 8, 11) prodotte da certi banchi più resistenti, numerose cavernosità, come mostra p. e. la fotografia 7, ed un’infinità di svariate forme di degradazione in grande e piccola scala. Quanto al fenomeno carsico non credo sia qui il caso di trattarne, rinviando invece ai cenni fattine nei miei lavori sugli Abruzzi e sul Gran Sasso e negli studi particolari, circa i calcari dell'Appennino centrale, che furono publicati da Tuc- cimei, Cacciamali, Viola, Chelussi, Lorenzi, ecc. Ricordo sem- plicemente che in mille punti, specialmente sul dorso della Majella nelle regioni più o meno ondulate, così tra Pesco Falcone e Tavola Rotonda, ed in modo particolare nell’ ampia zona attorno a Grotta Canosa, nonchè nelle depressioni (come p. e. nella Valle di Femmina morta, al fondo di Van Cannella ecc.) veggonsi imbuti, conche ad anfiteatro, doline e simili fenomeni che formano tutta un’interotta e lunga serie che, dalle minime corrosioni e dai piccoli sprofondamenti terminanti talora al fondo in una specie di irregolare maglia calcarea tutta traforata e cariata cioè in un vero crivello naturale (come mostra la foto- grafia 6), passa gradualmente alle grandiose depressioni di cen- tinaia di metri di diametro, sia irregolarmente subcircolari {come veggonsene esempi appunto nei dintorni di Grotta Canosa), sia allungate e passanti a vere vallette. Tali fenomeni carsici dovettero verificarsi sul dorso della Majella sin dall’epoca pliocenica e sul principio del Pleistocene originando così larghe conche o depressioni, diventate poi imbu- tiformi e cambiatesi infine nei circhi terminali attuali per la con- corrente e continua (opera acquea e glaciale) dapprima chimica e fisica, poi essenzialmente fisica. La Valle di Femmina morta, continuantesi poi nel Vallone d’Izzo e nella regione irregolare di Tavola Rotonda ecc., può darci una qualche idea del come potesse essere la forma delle antiche depressioni vallive solo 278 FEDERICO SACCO delineate alla fine dell’era terziaria, prima cioè che il grandioso movimento orogenetico che chiuse detta Era accentuando il pendio del dorso della Majella, e le straordinarie precipitazioni atmosferiche del Plistocene, vi producessero quelle profonde in- cisioni che ora solcano radialmente, ma specialmente da Ovest ad Est, il massiccio della Majella. La posizione, la direzione ecc. della Valle di Femmina morta la salvarono, direi, da tale pro- fonda trasformazione. Concludendo sull’ azione esogena compiutasi nella Majella, come nei monti calcarei in generale, si può dire che essa fu, nei diversi periodi geologici, come è tuttora, essenzialmente chimica (dissoluzione) e fisica (gelo e disgelo, abrasione e vera erosione) nella sua fase iniziale, risultandone lo sfasciume de- tritico superficiale e l’infinita serie dei fenomeni carsici, sino a delinearci depressioni circolari o allungate, diventando poi essenzialmente fisica nella susseguente fase erosivo-incisiva da cui risultarono in gran parte i circhi e quasi del tutto i valloni e le gole montane. Tale opera di erosione (1. s.) si iniziò nel Miopliocene, accen- tuandosi alla fine del Pliocene, si intensificò in modo straordi- nario nel Plistocene, proseguendo poi ancora molto notevole nella prima meta dell’Olocene, mentre essa vi è ora molto ridotta. Ne risultarono per tal modo quei circhi terminali, ampi anche 2 o 3 Km., quei valloni profondi persino 700, 800 m., quegli orridi, tipici canons che oggi solcano in modo caratteri- stico ed in varie direzioni la montagna della Majella. Nella parte N. O. della Majella, dove il pendio è più dolce, l’azione incisiva delle acque fu naturalmente minore ma ancora notevole; infatti colà vediamo che i depositi mioplio- cenici, i quali alla fine del Terziario dovevano ammantare la formazione calcarea, trovansi ora ridotti a lembi staccati (come quelli di S. Giorgio) od a digitazioni, come quelle di S. Valen- tino, od a cornici come quelle di Bolognano situate 400, 450 e più metri s. l. m., mentre gli intermedi alvei attuali trovansi (nel calcare) a 250-300 m. s. l. m., attestandoci che nell’era quaternaria vi si verificarono incisioni anche di un 200 metri, di cui una parte abbastanza notevole è riferibile all’ Olocene, come ci prova la profonda incisione verificatasi nei depositi plistoce- nici sublacustri di Capo la Vena — Val Carpeneto (v. fotogr. 9) » » » l.— 2.— 3. — 4, — 5. — 6. -- 7. — 10. — ll. GLACIALISMO ED EROSIONI NELLA MAJELLA 279 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLA VII —__NNn_ Arco morenico con blocchi erratici sparsi, visto dal fondo dell’ alta Val Cannella. Accumulo morenico con blocchi erratici sparsi (alta Val Cannella). Terreno detritico-morenico (alta Val Cannella). Circo dell’alta Val Cannella (Eocene) con frane, morene, imbuti. Cono di deiezione prodotto dalla disaggregazione dei banchi eocenici (a Nummuliti e Polipai) del fianco destro dell’ alta Val Cannella. Caleari eocenici cariati al fondo di un imbuto, nell’ alta Valle di Fem- mina morta. Grotta di erosione meteorica nei banchi cretacei del fianco destro del Vallone di S. Spirito, poco ad Ovest di Fara S. Martino. Parete destra del Caton di Orfento (calcari eocenici) sotto Case di contra, a monte Caramanico. Valle di erosione nel deposito fiuvio-lacustre plistocenico di Bassa Val Carpaneto, a Sud di Roccamoricce. Vallone o Caîîon del T. Orte presso la forte angolosità esistente a N. O. di S. Valentino. Incisione, a Caton, di Valle Orfento e gruppo della Majella visto da Case di Contra (Caramanico). 12. — Forra-Caîlon nel Cretaceo di Vallone S. Spirito ad Ovest di Fara S. Martino, 13. — 14. — 15. — Forra-Camon del fosso Cusano nell’ Eocene, presso il ponte ferroviario della Galleria Pilone (Cave di Asfatto). La stessa, vista da detto ponte. Vallone del Torrente Lavino. In fondo le colline plioceniche di Turri- valignani, ecc. A destra, in alto Lettomanoppello, a metà costa la miniera asfaltifera di Piano dei Monaci e Cese. A sinistra i banchi e strati calcarei e marnosi dell’ Eocene superiore coperto dal Mio- cene superiore. In basso al centro il T. Lavino e la ferrovia asfal- tifera. NB. Le fotografie furono fatte dall’Autore, salvo quelle dei N. 10, 13, 14 e 15 eseguite e gentilmente offerte dall'ing. R. Plueschke. NOTE SU ALCUNI VERTEBRATI DEL MUSEO CIVICO DI MILANO VAL >< DESCRIZIONE DI DUE TARTARUGHE GIGANTESCHE; premesse alcune notizie storiche intorno al gruppo cui appartengono ; del socio Prof. Ferdinando Sordelli n OL Dall’antico e notissimo genere delle Tartarughe i moderni naturalisti hanno stimato opportuno staccare e distinguere con particolari denominazioni un buon numero di specie, conser- vando l’antico nome generico di Testudo ad un gruppo ancora abbastanza numeroso, poichè conta circa una cinquantina di specie, facilmente riconoscibili, fra altro, per lo scudo in gene- rale in forma di volta assai rilevata e pegli arti robusti e come troncati; caratteri che indicano costumi essenzialmente terrestri. Il colore è per lo più a fondo giallo, di solito con macchie nere o brune, oppure con strisce gialle su fondo scuro, irra- dianti, non senza eleganza, dal centro di ciascuna scaglia. Fra di esse se ne distingue non di meno un certo numero avente una colorazione nera o nerastra, uniforme, grande sta- tura, testa piccola, in proporzione, ed il collo assai lungo, teso in avanti mentre camminano e rialzato quando si fermano; arti anteriori più lunghi e più robusti dei posteriori. Di queste le più piccole, allorchè adulte, non misurano meno di 40 a 50 cm. di lunghezza ed una altezza di 20-30 cm. Generalmente hanno dimensioni assai maggiori, così da giusti- ficare il nome che si dà loro di Testuggini gigantesche. Una di esse è quella che fu acquistata per 12.000 franchi da Sir WALTER Roruscuitp nel 1897, e che viveva nell’isola Maurizio da circa NOTE SU ALCUNI VERTEBRATI DEL MUSEO CIVICO DI MILANO 281 150 anni (*). Vero è che, per quanto si conosce, questo sarebbe il più colossale individuo ora vivente del genere Testudo. È un maschio ed il suo scudo misura infatti una lunghezza in linea retta di 55 pollici (m. 1.40) e secondo la curva 67 (m. 1.71. Pesa Kg. 254. Come è noto, le Tartarughe in genere hanno vita lunghis- sima. Nei primi anni il loro sviluppo è relativamente rapido; ma poi l'accrescimento continua sempre più lentamente fino verso i 40, od anche 60 anni, allorchè si può ritenere abbiano raggiunto il loro completo sviluppo. Dico ritenere, poichè da alcune osservazioni fatte su individui viventi in ischiavitù sembra che anche adulti la loro mole si accresca ancora di qualche poco. Tale è anche l’opinione di Lucas e di Heller. Il più grande esemplare di 7. gigantea Schweigg. (elephantina Ginth.) vivente a Tring, presso l’on. Rothschild, quindi cer- tamente un adulto, sarebbe cresciuto in 4 anni di più che 2 pollici (inglesi) in lunghezza, misurata in linea retta; poll. 9 secondo la curva; e poll. 4 in larghezza, pure secondo la curva (’*). Di molte si è potuto constatare la lunga durata. Una de- scritta da SauzieR col nome di 7. Sumeirei, appartenente a quanto pare ad un gruppo di cinque individui portati nel 1766 dalle Seychelles, esisteva nell’isola Maurizio l’anno 1810, al- lorchè questa fu dai francesi ceduta all’ Inghilterra e viveva ancora certamente nel 1903 presso la caserma d’artiglieria di Port Louis, dove ritengo si trovi tuttora. Sono quindi più di 130 anni di cattività, accertati, e se si pensa che essa era già considerata come una cosa rimarchevole fin dall’epoca della sua importazione, non è punto esagerato il ritenere che dessa possa avere oggidi |’ età d’un paio di secoli (°). (1) Proveniva dall’ isola Egmont, una delle sei (Sév Islands) dell’ arcipelago di Chagos. Il suo scudo è identico a quello di 7’estudo Davudini Dum. e Bibr. e come tale si ritiene sia stata importata da Aldabra. Le isole Chagos, gruppo a E. delle Seychelles ed a Sud delle Maldive, appartengono all’ Inghilterra. (2) RotAscHILD W. — Further Notes on gigantic Land-Tortoises. (Novit. zool. IV, 1897. p. 407). (3) RorascHILD W. — On giant Land-Tortoises. (Novit. zool. I, p. 676) dà la figura di questo individuo. Il nominato signore, che impiega il lauto suo censo a vantaggio degli studi zoologici e non risparmia spese peraequistare, ed impedire che vadano dispersi, i più interessanti esemplari, voleva comperare anche la detta Tartaruga per arricchirne la sua raccolta; ma gli fu risposto dal governatore dell’isola, Sir Hubert Jernigham che dessa, quale proprietà dello Stato, era stata esplicitamente contemplata nel trattato di cessione e perciò inalienabile. 982 FERDINANDO SORDELLI Si comprende che animali così longevi dovessero trovarsi, come vedremo, in gran numero in luoghi dove potevano vege- tare indisturbati. Le Testuggini depongono poche uova in un anno e, per quelle di cui si tratta, si ritiene non più di 2 a 4 per ciascuna deposizione. Non di meno, anche supponendo che questa cominciasse a 30 anni, od anche più tardi, per es. a 50, e cessasse verso i 200 anni, si vede che una sola femmina poteva dare più di 400 uova. Le nuove generazioni si anda- davano così aggiungendo, anno per anno, alle generazioni pre- esistenti, dotate com’erano di grande resistenza alla inanizione e ad alcuni pochi animali indigeni che, se potevano diminuire il numero delle neonate e mantenere un certo equilibrio, erano però impotenti contro individui già più sviluppati e robusti. Nei terreni terziarî e quaternarî si rinvennero avanzi di grandi Chelonî, alcuni dei quali offrono affinità più o meno strette colle specie in discorso. Tralasciando tuttavia di parlarne qui per restringere questi miei cenni alle specie viventi in tempi storici, si osserva che queste si rinvennero tutte in alcune isole dell'Oceano Indiano e del Pacifico, e si aggruppano quindi nettamente in due serie (*): da una parte le isole Al- dabra, le Seychelles, le Mascarene ed altre isole dell’ Oceano Indiano, dall’altra l'arcipelago delle Galapagos nel Pacifico. Prima che i Portoghesi, girato il Capo di Buona Speranza, aprissero la via marittima alle Indie ed inaugurassero così da quella parte Vera delle grandi scoperte geografiche, le isole or ora nominate erano disabitate. Sola vi dominava incontra- stata la fauna indigena, ed è nelle relazioni dei navigatori che primi vi posero piede che troviamo fatta menzione del gran numero di grosse Tartarughe che le popolavano. Allorchè Francesco LeGuAT (°), gentiluomo francese, sbarcò (4) Più esattamente dovrebbero andar distinte in tre gruppi: Aldavra ed isole vicine; le Mascarene e qualche altra isola più a nord. Indi le Galapagos. Ma pei caratteri offerti dalle singole specie e forse più per l’incertezza intorno alla patria originaria di alcune di esse, i limiti fra i primi due gruppi sono meno nettamente definiti di quel che lo siano fra essi e le specie galapagoensi. (5) FRANCOIS LEGUAT, nobiluomo della Bresse, rifugiato in Olanda in seguito alla revoca dell’editto di Nantes (a. 1685), sedotto da quanto aveva udito intorno all'isola Hden (nomata poi Bourbon e più recentemente la Reunion), decise di andarvi, ma per segreti motivi fu sbarcato invece all’isola Rodriguez 11 30 aprile 1691, insieme a sette altri francesi. Questi dopo due anni passarono all’isola Maurizio, lasciandolo solo. Dopo molte peripezie, due superstiti tornarono infine in Europa, ed uno, LEGUAT, pubblicò una relazione del loro viaggio con molti (AI NOTE SU ALCUNI VERTEBRATI DEL MUSEO CIVICO DI MILANO 283. nel 1691 all’isola Rodriguez vi trovò dei branchi di Tartarughe perfino di 2000 a 3000 individui e talmente stipati che si po- teva fare più di un centinaio di passi sul loro dorso senza toccare terra. Similmente allorchè MAScARENHAS in principio del XVI secolo approdava a Maurizio ed alla Riunione vi rinveniva delle grandi ed abbondanti Testuggini, menzionate pure dai navigatori di quei mari fino al principio del successivo secolo XVII; tra i quali VAN NECK, lo scopritore del Dodo (°), che visitò Maurizio nel 1598, fa menzione del loro grande numero e delle enormi dimensioni, tali che sei uomini potevano sedere sul guscio d’una sola. A Rodriguez LeGuAT aveva notato che le specie ivi esistenti erano tre; e così pure l’autore (7) di una relazione su quella isola, stesa nel 1737, ne indicava parimente tre specie e faceva osservare consistere in esse la principale risorsa dell’ isola. Ciò concorse a far si che da quell’epoca e per una parte del secolo XVIII, si facessero apposite spedizioni per portarne a Maurizio perfino 6000 individui alla volta, mai meno di 1200; risultando dai registri di bordo che più di 26.000 se ne imbar- carono in un anno e mezzo. Si comprende che di tal maniera il numero di quegli animali doveva diminuire rapidamente. E nel 1761, infatti, erano già tutt’ altro che abbondanti, e le più grandi, come quelle a preferenza prese di mira, erano divenute rare. La bontà delle loro carni, paragonate a quelle di bue, specialmente il grosso fegato assai lodato, il grasso copioso ed eccellente, la tenacità di vita e la resistenza ad un digiuno anche prolungato, ne facevano un mezzo di sussistenza vera- mente prezioso per le navi di lungo corso, che allora erano particolari che, non creduti dapprima, furono poi trovati esatti. A LEGUAT si deve anche la prima notizia di due famosi Uccelli, ora estinti, il Gigante ed il Solitario (Pezophaps solitaria) (Voyages et aventures de FRANGOIS LEGUAT et de ses com- pagnons en deux iles desertes des Indes Orientales. Amsterdam et Londres, 1708). (6) Dodo, o Dronte (Didus ineptus), tipo di una famiglia affine a quella dei Colombi. Aveva corpo assai tozzo, non volava; le sue carni erano cattive, e gli Olandesi lo chiamavano Walyh Vogel, uccello disgustoso; tuttavia fu distrutto e la sua estinzione risale probabilmente alla fine del secolo XVII. Di esso non ri- mangono ora se non pochi avanzi nei Musei e qualche disegno, non sempre fedele. (7) Si ritiene sia un Mr. DE PUVIGNE. 284 FERDINANDO SORDELLI soltanto a vela, e per quei paesi, lontani da ogni civile con- sorzio, senza bestiame domestico di sorta. A Maurizio erano una vera manna anche per quell’ospedale. In breve, popolata l’isola, più non vi rimasero Testuggini adulte. Gli individui giovani, meno resistenti, venivano poi mangiati dai Gatti, dai Topi e da altri animali, soliti compagni dell’uomo. Alla fine del XVIII secolo non ve ne restava neppur una. Delle tre specie di Rodriguez solo qualche rarissimo avanzo fu conservato nei Musei e due di esse poterono venire identificate: Testudo Vosmaeri, descritta e figurata da ScHoePFF nel 1792; di cui una corazza ed uno scheletro sono nel Museo di Parigi; e 7. pel- tastes, Dum. e Bibr., della quale si conosce un solo esemplare completo, che era nell’ antico convento dei « Génovefains » ed è ora parimente nel Museo di Parigi. Quello che s’è detto di Rodriguez, dovrei ripetere anche per le isole Bourbon o Riunione, e Maurizio. Se delle specie di Rodriguez furono trovati anche recen- temente (*) alcuni resti fossili che permisero di accertare la entità di qualcuna delle specie che vi abbondavano, non si conosce affatto qual fosse quella che abitava la Riunione, giacchè nessuno allora si curava di conservarne nei Musei, come si fa adesso, e un pò per la enorme distanza dei luoghi, un pò anche perchè, fino a tempi assai vicini a noi, tutte quelle grandi Testuggini andavano sotto la comune denominazione di Tarta- rughe delle Indie (°), non sospettandosi dai più la esistenza di forme distinte in isole diverse, ed anche, come fin d’allora aveva notato LEGUAT, in una stessa isola. Secondo una relazione, pubblicata nel 1671, erano una volta anche là abbondantis- sime (!°). Ancora verso il 1726 dovevano essere copiose, poichè il governatore dell’isola avendo dato ordine di raceoglerne 200, queste gli furono portate la sera del giorno appresso. E (8) Nel 1874, nell’ occasione che vi si recarono alcuni scienziati inglesi per osser- varvi il passaggio di Venere. (9) Zestudo indica. Non meno di cinque specie furon comprese sotto questo nome che, per diritto di priorità, spetterebbe ad una, ora estinta, di Maurizio. (10) « Zoute Viste est remplie de Tortues de terre qui est une très bonne manne a’ icelle; elles ont le col trés long et la teste faite comine les Tortues a’ Europe, une grosse queue et quatre pieds; elles ont deux on trois pieds de long et un pied et demi de large environ et plus @un pied @ cpaisscur ». (Les Voyages faits par le sicur D. B. aux isles Dauphine ou Madagascar et Bourbon ou Masca renne és années 1669-70-71 et 72. Paris 1774. Cit. da VAILLANT). NOTE SU ALCUNI VERTEBRATI DEL MUSEO CIVICO DI MILANO 285 chi riferisce questo fatto ('') nota malinconicamente che una volta ve n’era in maggior numero, ma dopo che l’isola fu abi- tata se ne distrussero molte, ed aggiunge che desse trovansi sull’alto d’ una montagna « qui en est toute couverte ». A Maurizio dove fino al principio del XVII secolo ve n’ era in quantità, ne esistevano ancora in istato libero fino ai pri- mordî del XIX, ma non è certo se di quelle indigene o piut- tosto di quelle importate, come s’é visto, da Rodriguez, e rinsel- vatichite. Certo è che Quoy e GAIMARD, i naturalisti che fecero con Dumont p’URrviLLE il celebre viaggio sull’ « Astrolabe », nel 1828, non ne trovarono pur una in istato di libertà, bensì alcuni avanzi fossili (!?). E così scomparvero le Tartarughe che popolavano le Sey- chelles, giacchè quelle che vi si trovarono in tempi recenti vi furono importate. E già in una relazione di viaggi del 1789 e 1790 è detto che le femmine venivano, per ordine del governo conservate in parchi appositi onde usufruire delle loro uova; segno che cominciavano a scarseggiare. Parimente nelle isole Juan de Nove (oggidi Farquhar (!°) nel 1742 esisteva « de la Tortue de terre teriblement grosse », e gli inviati da MAHÉ pe LA Bourponnars ad esplorare quella deserta località ne imbarcarono 54 « qui valent bien selle de mer de 100 a 150 pesant net ». Ma allorchè gl’ Inglesi rilevarono il piano del piccolo arcipelago non vi trovarono più alcuno dei detti Chelonî. A quale specie appartenessero non è dato sapere. Forse facendo degli scavi vi si potrebbero trovare degli avanzi istruttivi; si suppone che potessero essere, se non iden- tiche, per lo meno affini a quelle ben note di Aldabra. Al presente in due sole località vivono ancora con certezza (11) LUILLIER. — Nouveau voyage aux Grandes Indes. Rotterdam, 1726. (12) Ne descrisse alcuni resti G. CUVIER nei suoi Ossements fossiles. Pit recen- temente maggior copia di ossami vennero alla luce nella località Mare aux Songes, tanto da potervi riscontrare tre specie distinte: 7estudo triserrata Giinth., 7. inepta Giinth., 7. microtympanum Boul. Tre altre vennero pure segnalate (7. leptocnemis Giinth., 7. Sauzieri e Giintheri Gadow.), ma ia loro autonomia non pare per anco bene accertata. (13) Scoperte dai Portoghesi che le chiamarono Jozo de Nova, dagli Inglesi ribattezzate Farquhar. È un piccolo gruppo madreporico (un 40/7, cioé con una laguna centrale) di 11 miglia e mezzo di lunghezza, diretto da N. W. a S. O; trovasi a NNE di Madagascar, a 10° 6/ 45" di lat. Sud e 510 14/ 24” Est da Green- wich. Un’ altra isola detta Joao de Nova trovasi nel canale di Mozambico, e non va confusa colle Farquhar. 18 286 FERDINANDO SORDELLI in istato di libertà alcune poche delle grandi Tartarughe che un di le popolavano: le isole Aldabra e le Galapagos (!4). Le isole A/dabra, segnate anche nelle vecchie carte col nome portoghese di [/ha do Arco, o Assumcion, a 250-300 Km. al N. di Madagascar, null’altro sono se non una scogliera madreporica ad anello (Atoll) stendentesi da E. a W. per circa 31 Km. e non più larga di 11 Km. L’ area emersa è però assai minore, poichè come in tutte le isole di tal genere havvi internamente una laguna, e l’anello è qui interrotto e distinto in tre parti principali; una delle quali a N. e Valtraa S. sono le più grandi. Il piccolo mare interno gode di una calma rela- tiva; le rive esterne, invece, sono di continuo flagellate dai marosi, di accesso difficile e talora pericoloso. Presso la spiaggia interna una spessa foresta di Rizofore contrasta il passo al- l’esploratore e il terreno stesso formato di corallarî irti e taglienti rendono assai malagevole l’inoltrarsi. A queste spe- ciali condizioni si deve se le Testuggini che fin verso il 1850 vi si rinvenivano a migliaia non sono scomparse del tutto ad Aldabra. Diverse sono le circostanze alle Galapagos. Scoperte dagli Spagnuoli, che le chiamarono così per il gran numero di Te- stuggini ivi rinvenute, esse costituiscono un vero arcipelago di 15 isole nel Pacifico, poste sotto l’ Equatore ed a 89-92 W. da Greenwich. Appartengono alla repubblica dell’ Ecuador. Sono d’origine vulcanica. La più grande, Albemarle, non (14) Il conte ETTORE ARRIGONI DEGLI ODDI in un suo cenno intorno al ma- gnifico gruppo di 65 Tartarughe giganti, esposte dall’ on. W. ROTHSCHILD nel Giardino Zoologico di Londra nell’ agosto 1898 in occasione del Congresso Zoolo- gico di Cambridge, asserisce che vivono anche in qualcuna delle Masearene; e cita la 7. inepta Ginth. di cui un maschio era nella Esposizione suddetta. Osservo che tale specie, al pari di qualche altra dell’isola Maurizio, fino a qualche anno fa almeno, non si conosceva se non subfossile, essendosene trovati gli ossami nella Mare aux Songes. Invero GiNTHER fra tre esemplari vivi, inviati dalle Seychelles al- lon. ROTHSCHILD, ne riconobbe uno che per la mancanza della piastrà nucale si stacca dalle specie di Aldabra, che ne sono provviste, e lascia quindi supporre possa essere originario delle Mascarene, le cui specie hanno appunto tale carat- tere. Ma ROTHSCHILD mantiene su di ciò una certa riserva e dice che per averne la conferma bisognerebbe poter trovare un altro esemplare vivente della razza delle Mascarene: essere, inoltre, più che probabile che, anzichè da una delle grandi isole, l’ esemplare in discorso possa provenire. da una delle minori isole circonvicine. Comunque sia, rimane il dubbio se nelle isole dell’ Oceano Indiano viva oggidi, libera, qualcuna delle specie indigene mascareniensi. (ARRIGONI, in Atti Istit. Veneto, 1898-99, p. 757. BOULENGER, Cat. Chelon. p. 172. ROTHSCHILD, in Novit. Zool. II, 1895, p. 483). NOTE SU ALCUNI VERTEBRATI DEL MUSEO CIVICO DI MILANO 287 ha meno di 135 Km. di lunghezza, con altipiani di 1400 m. e più sul livello marino, ed una superficie di 4350 Km. quadrati. Otto altre isole minori, per non dire delle più piccole, hanno esse pure una notevole estensione e tutte nutrono una Fauna assai caratteristica, distinta affatto da quella del più vicino continente americano. La vegetazione consta in buona parte di grandi Cactee, piante succulenti, eminentemente adatte a resi- stere a lunghi periodi di siccità, e cibo preferito delle Tar- tarughe. Dopo le spedizioni di Damprer (a. 1684) di CoLnetT nel 1798, non pochi furono quelli che visitarono le Galapagos e diedero contezza delle copiose Testuggini che le abitavano. Fra gli altri DELANO Amasa, capitano di una nave mercantile, vi fu la prima volta nel 1800 e ne trovò in 4 isole, da una delle quali (James) ne tolse in una sol volta 300, trasportandole all’isola Mas-a-fuera. Porrer, nel 1813, il primo che notasse esservene di diversa forma; Hart, nel 1822; e tutti s’ accordano nel dirle numerosissime. Carto Darwin, che colla celebre spedizione del Beagle visitò quelle isole nel 1835, ne trovò ancora in alcune, tanto che il battello potè caricarne 200 con facilità, osservando tut- tavia che erano diminuite di numero per causa dei cacciatori e dei balenieri che ne salavano le carni e ne preparavano il grasso. Undici anni più tardi, nel 1846, SEEMANN, che in qua- lità di naturalista vi approdava colla nave Herald, non ne trovò all'isola Charles, dove Darwin ne aveva riscontrate. E nel 1875 Cookson, capitano della nave Petrel, avvertiva che pochi indi- vidui erano a Chatham, e diminuiti erano parimente a Hood, James, Indefatigable, sebbene ancora copiose ad Albemarle e Abingdon. Alle Galapagos cause identiche a quelle che agirono nelle isole più addietro nominate, congiurarono ai danni delle povere, innocue abitatrici di cui vado discorrendo. Da che cominciarono ad essere visitate da europei, naviganti e residenti vi facevano le loro provviste, imbarcandole vive, oppure salandone le carni ed utilizzandone il grasso. Le navi che vi andavano per rifor- nirsi di acqua ne caricavano a centinaia, come s'è visto, perfino più di 700 in una sol volta, provvista eccellente, poichè si conservavano vive per parecchi mesi, resistenti alla sete ed alla fame e sempre in grado di fornire carne fresca e bonis- sima. 988 - FERDINANDO SORDELLI Per colmo di disdetta il governo dell’ Ecuador, nel 1829, stabilì nell'isola Charles una colonia penale. I raccoglitori di oricello (!3), inoltre, vi si recavano ogni anno per alcuni mesi vivendo in gran parte colle risorse locali, vale a dire a spese delle Testuggini. La raccolta poi del grasso, dal quale si estraeva un ottimo olio, limpido, giunse a tale che nel 1875 ad Albemarle vi erano sette persone che in soli 12 mesi ave- vano raccolto 3000 galloni (') di olio, ciò che rappresenta per lo meno un ugual numero di individui sagrificati. Rettili indigeni e Uccelli di rapina, divorando parte delle uova ed i più giovani e men difesi rampolli ('), contribuirono dal canto loro a limitarne il numero. I cani ed i maiali, intro- dotti dagli europei, fecero il resto. Nessuna maraviglia, quindi, se ora vi sono divenute rarissime. La rapida loro scomparsa, il dubbio intorno alla entità specifica di parecchie ed il problema della loro geografica distri- buzione, connesso con quello delle origini medesime di, quel- l'arcipelago; la speranza di trovarne ancora; il desiderio di arricchirne per quanto era ancora possibile i Musei che con lodevole intento venivano fondati in tutti i centri di scientifica coltura, suggerirono l’idea di farne ricerca; e furono special mente le Galapagos lo scopo principale, se non unico, di apposite spedizioni. i Una di esse, diretta da Aressanpro AGassiz, fu inviata nel 1888 dalla U. S. Fish Commission colla nave Albatross. Nel 1897 WesstER e Harris, sotto gli auspicî dell’ onorevole Sir WALTER RorHscHILp, imbarcati sulla Lisa and Mattie di 105 tonnellate, dopo varie peripezie, raggiunsero il 28 dicembre le Galapagos, che esplorarono durante 5 mesi, raccogliendo, fra altro, in quattro delle isole visitate, 15 Tartarughe appartenenti a 5 diverse specie (**). Un anno dopo una spedizione, organizzata (15) Oricello, lichene usato in tintoria per trarne un colore porporino e le cui specie fanno sulle rupi presso al mare. Pregiato quello che si traeva dalle Canarie, Madera ed isole di Capoverde. Una delle specie più diffuse, Roccella tinctoria, è comune anche in Europa. Ne prese il cognome la famiglia Rucellad di Firenze, ed Orti oricellari eran detti i giardini ch’ essa vi possedeva e furono per qualche tempo nobile ritrovo di eletti ingegni. (16) Un gallone equivale a litri 4.548. (17) Queste specie giganti delle Galapagos hanno in generale il guscio piut- tosto sottile, (V. nota 32). (18) Zestudo vicina Giinth. e 7. Bechi Giinth. ad Albemarle; 7. Abingdon? ad Abingdon e 7. ephippium a Duncan; ed una della quale mi è ignota la determi- nazione. NOTE SU ALCUNI VERTEBRATI DEL MUSEO CIVICO DI MILANO 289 dalla istituzione Hopkins-Stanford, esplorava le dette isole rac- cogliendo preziosi dati intorno ai costumi ed alla geografica distribuzione delle specie ancora esistenti nell’arcipelago. La più recente, per quanto è a mia cognizione, è quella inviata dall'Accademia delle Scienze di S. Francisco e che, decisa nel 1905, salpò nel giugno dello stesso anno, collo scopo di studiare la geologia delle isole, di farvi una accurata ricerca dei fossili e di non risparmiare cura alcuna per procurarsi esemplari vivi, od almeno gli avanzi, di quelle razze di gigan- tesche Testuggini terrestri da tempo ritenute estinte. E la ricerca, durata un intero anno, ebbe un esito di gran lunga maggiore di quel che si poteva prevedere. Tutte le razze che sì supponevano estinte furono trovate ancora viventi, ad ecce- zione di quella che abitava l’isola Charles. Queste notizie che raccolgo da una nota preventiva di VAN DENBURGH ("*) non devono per altro illudere chicchessia. L’ultima ora è sonata per le Testuggini giganti. Le accurate indagini di questi ultimi anni ci dimostrano purtroppo che di esse alcune specie veramente più non esistono viventi (7°) e le altre, così intensamente ricercate, non sono oramai TELIT ENTE tate se non da pochi individui. L’uomo coll’estendere il suo dominio anche sopra quei punti della Terra che parevano destinati ad una perenne, igno- rata esistenza, doveva di necessità por fine ad uno stato di cose divenuto una singolare eccezione rispetto a tutte le altre regioni abitate del nostro pianeta. Ed era fatale che le Testug- gini di cui è parola dovessero cedere il suolo fino allora occu- pato senza contrasto. È, per altro, sempre deplorabile il fatto della loro quasi totale estinzione, della rapida scomparsa di questi viventi testimonî di un passato per noi già abbastanza remoto. Se quindi è buon provvedimento la raccolta e la conser- vazione di alcuni individui vivi presso persone od istituzioni che ne abbiano cura, e la preservazione nei Musei delle loro (19) VAN DENBURGH J. — Preliminary descriptions of four nem Races of Gi- gantic Land-Tortoises from the Galapagos Istanas.(Proceedings of the Californian Academy (4) I, p. 1, 1907. (20) Nell’ isola Barrington, che si riteneva non albergasse Tartarughe, furono trovati i resti di 14 individui, assai probabilmente ancor questi spettanti a specie del tutto estinta. 290 FERDINANDO SORDELLI reliquie, quali istruttivi documenti sottratti allo sperpero ed alla distruzione ; ottima sarebbe la difesa degli ultimi ed oramai rari rappresentanti delle poche specie ancora esistenti, là, nella loro stessa patria, dove potrebbero campare più a lungo di quel che sia fattibile sotto diverso cielo ed in diverse condi- zioni di cibo e di ambiente. Così come si cerca di fare nel Parco nazionale degli ‘Stati Uniti per la conservazione della Fauna indigena; nella Nuova Zelanda per proteggere il Tuatera (Sphenodon punctatus), unico rappresentante attuale dei Rinco- cefalidi. E si tenta ora in Africa per impedire la scomparsa dell’ Elefante, delle Giraffe e di altri grossi Mammiferi (?!). Scopo non impossibile, senza dubbio, ma difficilissimo da rag- giungere; di che ognuno può persuadersi pensando allo stesso genere umano ed alle molte sue tribù del tutto cancellate a quest’ ora dalla faccia della Terra, o ridotte a ben misera, incerta esistenza pel fatto dell’invasione di popoli di razza diversa e di diverso grado di civiltà. A questo punto non credo utile aggiungere maggiori par- ticolari, per quanto possano tornare interessanti, bastando a mio avviso il fin qui detto a dimostrare quali cause abbiano contribuito alla scomparsa e prossima estinzione d’un gruppo così notevole di Rettili. Dei quali qualche avanzo è posseduto anche dal nostro Museo e che passo a descrivere. Testudo gigantea Schweigg. var. elephantina (Dum. et Bibr.). T. elephantina D. B. Erpét. gen. II, p. 110. — BouLENGER Cat. Chelon. p. 167. — T. gigantea elephantina W. RorHscHILp in Novit. Zool. IV, p. 407. La nostra collezione possiede tre corazze di questa specie, in parte prive delle scaglie cornee. Una, la più grande, appar- partiene indubbiamente ad un maschio, le altre due sono vero- similmente di femmine. Non mi fu possibile sapere esattamente d’onde venissero (21) Foà EDOUARD. — Zo?îs de protection et permis de chasse (in: Chasses aux grands fauves pendant la traversée du Continent noir du Zambeze au Congo Jrancais ; 8° Edit. 1906, p. 333-337. Devo la conoscenza di. questo volume alla cor- tesia del sig. CARLO VANDONI, studente di medicina. Leggendo in esso il capitolo dedicato a queste leggi, che vorrebbero essere protettive, si ha in realtà VY im- pressione che si voglia chiudere la stalla dopo scappati i buoi. NOTE SU ALCUNI VERTEBRATI DEL MUSEO CIVICO DI MILANO 291 questi tre individui. Essi vivevano alcuni anni or sono nel Giardino reale di Monza, forse recati in dono al Re Vittorio Emanuele II da qualche nave: di ritorno da lungo viaggio, 0, come parmi più probabile, acquistati ad Amburgo, od altrove, da qualche negoziante di animali esotici. Poichè, è bene ram- mentarlo, presso la Villa Reale di Monza, soggiorno allora prediletto del Principe ereditario, si era venuto creando a poco a poco un vero Giardino Zoologico, del quale per la liberalità del Sovrano potè profittare in più d’una occasione anche il Museo di Milano. Certo uccise dalle sfavorevoli circostanze in cui si trovarono, le tre Testuggini morirono evidentemente a breve intervallo una dall’altra, e, sembra, verso la fine del regno di Vittorio Emanuele II o poco dopo. A Lui succeduto Umberto I, per motivi che qui non importa di ricordare, la direzione dei RR. Giardini e del Parco fu cambiata, e quella costosa collezione fu in gran parte soppressa e gli animali che la componevano furono regalati qua e là, od uccisi, secondo conveniva (°°). Ciò che ora sto per narrare sembrerà incredibile. Le nostre Tartarughe gigantesche, morte, furono abbandonate in un canto senza che alcuno se ne curasse ed a nessuno degli addetti di allora alla Real Corte passò per la mente di donarle a qualche Museo od Istituto, od in altro modo provvedere alla loro con- servazione. Soltanto un buon uomo occupato nei lavori del giardino, cui era stato ordinato di seppellire quei puzzolenti cadaveri, pensò di riporre in luogo appartato le corazze, già intaccate pur esse dalla putrefazione. E fu solo parecchi anni dopo che io, venuto a sapere, per mezzo dell’egregio nostro socio dott. CESARE STAURENGHI, che ancora esistevano, benchè malconci, gli avanzi di quelle disgraziate Testuggini, ne scrissi al cav. ALESSANDRO SCALARANDIS, succeduto nella direzione dei RR. Giardini, manifestando il desiderio di esaminarli. Saputo questo per mezzo del conte G. CARMINATI DI BRAMBILLA, ispet- tore generale delle RR. Caccie, Re UmBeRTO volle fossero immediatamente spediti e donati senz'altro al nostro Museo. Ciò avveniva alla fine di ottobre 1899. ] : Sd : (22) Ora, dopo il delitto di Monza (Luglio 1900), nulla più vi resta. Anche gli allevamenti di Fagiani che vi si facevano sono cessati affatto, e distrutta fu pure la selvaggina che animava il Parco. 292 FERDINANDO SORDELLI Colgo il destro del presente scritto per rinnovare ai pre- detti Signori l’espressione del mio grato animo e volgere un pensiero di mesta ricordanza al Regale Donatore, benemerito del Museo di Milano pell’invio di questi e di altri pregevoli animali. Ecco le principali misure delle corazze in discorso (?°): A(g) BC Lunghezza dello scudo in linea retta GIS UV IO O VO VO Lunghezza lungo la curva . : : Sel oes SL OMM Erte Larghezza massima della corazza in linea retta . 5 È : . ” 73 53 54 Larghezza dello scudo lungo la curva n° 134) AL0305 Lunghezza del piastrone . z : ” 78 64 65 Larghezza del medesimo (da sutura a sutura) 5 : : È : ” (de SCOZIA Altezza dell’intiera corazza Began ” 56 40° 41-5 Queste misure valgono a dar un’idea della mole che dove- vano avere i nostri animali. Specialmente l’ esemplare A, che ritengo un maschio (*'), se non poteva gareggiare colla Testug- gine favoleggiata dal PuLci (?) che ...parea di lungi un monticello, doveva però avere un aspetto abbastanza imponente, paragonato con quello della gran maggioranza dei Chelonii terrestri. Tutti e tre gli esemplari appartengono evidentemente ad una medesima specie. Lo scuo è convesso, a volta assai rile- vata, molto declive davanti ed ancor più posteriormente. Le piastre cornee, discretamente rugose nel maschio, lo sono assai meno nelle femmine, hanno solchi concentrici fini, non molto (23) Dalle misure dei due individui minori (B e C) risulta che B, di poco mi- nore dell’altro, ha una forma un po' più globulosa. Questa ed altre leggere differenze sono affatto individuali, essendo identica la folidosi; di simili, ed anche maggiori, se ne osservano in quasi tutte le specie di Chelonî. (24) Il piastrone n’ è profondamente ineavato per 13 em. di saetta, cioè circa un sesto della larghezza del piastrone medesimo. Questa coneavità non è sempre un buon carattere secondario dei maschi; tuttavia nel genere 7esfudo fornisce un distintivo abbastanza costante per differenziare i due sessi. Nei due esemplari minori, il piastrone è si può dire affatto piano, rientrando esso appena per 2 em. su d’una larghezza di 48, contando quindi soltanto per un 24° della larghezza medesima. (25) Il Morgante maggiore, canto XIX. NOTE SU ALCUNI VERTEBRATI DEL MUSEO CIVICO DI MILANO 293 profondi, ma numerosi, così da occupare, nell’es. A, più di 4/. dell’area di ciascuna (°°). Nucale piccola, pressochè quadrata. Undici marginali per parte; la 9% 10% e 11% si allargano all’ infuori. Sopracodale integra, molto larga in alto e fortemente ricurva in basso. Vertebrali 5 assai rilevate nel mezzo; la 5" è la più grande, a sei lati rettilinei, col lato posteriore più breve degli altri cinque. Delle 4 costali la 3° è la più grande (nel- l'esemplare figurato questa scaglia manca a destra ma è distin- tissimo il posto ch’essa occupava). Piastrone quasi troncato Fig. 1. — Corazza dell’es. A. In basso, a destra, è una Tartaruga comune i I (Testudo graeca) di media grandezza, per confronto. To circa del vero. davanti, smarginato di dietro. Suture mediane fra le golari, le pettorali e le anali assai corte. Scaglie ascellari ed inguinali, piccole. Il ponte (?") nell’es. A. è di 40 cm., e sta circa due volte e mezza nella lunghezza rettilinea della corazz Questi caratteri convengono pienamente colla descrizione della 7. elephantina per la prima volta distinta da Duméril e (26) I due esemplari minori hanno le scaglie quasi affatto lisce e soltanto in alcune lievi solchi presso l'orlo; ma il piastrone, come s’é avvertito, ha una smarginatura posteriore manifestissima; carattere della 7. elephantina. (27) Con questo nome si indica il tratto pel quale il piastrone trovasi unito allo scudo. 294 FERDINANDO SORDELLI Bibron, e separata dalla 7. indica. Gli autori stessi notarono per altro assai opportunamente le strette affinità esistenti fra la elephantina e la T. gigantea, descritta fin dal 1814 da ScHWEIGGER, la quale non ne differisce se non per aver lo scudo meno elevato, le piastre cornee meno solcate nell'adulto, il piastrone non ismarginato posteriomente e la piastra sopra- codale divisa, mentre nell’elephantina è intiera. Altri caratteri differenziali sono poi anche meno importanti. Perciò l’on. W. RoraAscHILp, che potè esaminare un gran numero di tali Cheloni, facendo ragione all’idea già espressa da BouLENGER (’*) ritiene, per diritto di priorità, quale denominazione della specie 7. gi- gantea Schweigg. e la elephantina quale varietà; riunendo alla specie medesima anche la hololissa, distinta soltanto per la sopracodale indivisa; e la ponderosa Ginth., semplice aberra- zione individuale, che lo stesso Boulenger aveva già fin dal 1889 collocata fra i sinonimi. (Catal. Chelon. p. 167). Determinata così la specie, rimane accertata anche la patria, la quale non può essere che il piccolo gruppo delle Aldabra, di cui è detto a pag. 286. i Gli esemplari che ora il Museo possiede, quantunque in- completi e guasti, presentano ancora, come s’è visto, parecchi buoni caratteri distintivi. Le piastre cornee, già in parte per- dute, sono disposte in modo da poterle all’ occorrenza levare e lasciare del tutto allo scoperto le ossa, utile materiale di con- fronto colle specie fossili. Niun dubbio, quindi, ch’essi meritino di venire conservati, tanto più che oggidi sarebbe tutt’ altro che facile averne di migliori, ed in avvenire fors’anche impos- sibile. L'on. barone W. RorHscHiLp che da anni va raccogliendo con cura tutto quanto si riferisce a questo gruppo di Testuggini fa osservare (°°) che delle due specie indigene delle Aldabra, la sola 7. Daudinii, propria dell’isola più grande, meridionale, vi fu rinvenuta anche recentemente (°°); mentre la 7. gigantea, (28) Possibly that this (7. hololissa) and the precedent (7. gigantea) species are based upon individual variations of 7. elephuntina, which should bear the name 7. gigantea ». (Cat. Chelon. p. 168). (29) Novit. Zool. IV, p. 407. (30) Il prof: VOELTZKOW ne raccolse 8 individui; dei quali 3 passarono al Giar- dino Zoologico di Francoforte s. M. e 5 andarono ad arricchire Ja già splendida collezione di Testuggini gigantesche viventi del barone Rothschild, a Tring. (SIEBENROCK F. — Schildkrdéten von Madagascar und Aldabra gesammett von Prof. Dr. A. Voelézkow. (Abhandl. herausgeg. von der Senckenb. Naturw. Gesell. Bd. 27, 1902, p. 252). NOTE SU ALCUNI VERTEBRATI DEL MUSEO CIVICO DI MILANO 295 originaria delle isole settentrionale e centrale, con tutta pro- babilità vi è estinta, e soltanto se ne conservano alle Seychelles, dove moltissime ne furono portate dai piantatori e tenute in istato di semidomesticità. Queste e poche altre, sparse nei giardini zoologici o presso privati, sono tutto ciò che rimane della Testudo gigantea ancora viventi. Testudo vicina Ginther. GinrHER A. — Descript. of the living and extinet Races of Gigantic Land- Tortoises (Phil. Trans. R. Soc. London, vol. 165, pt. I; p. 277, pl. 35, f. A. — Bourencer, Cat. Chelon. p. 170. Di non minore interesse è un’altra Testuggine esistente in Museo da più di 40 anni, essendo stata acquistata dal di- rettore G. Jan. Essa era in raccolta colla indicazione « Testudo elephantopus Harl., Isole Galapagos », nè dai cataloghi si hanno altre notizie sulla più precisa sua provenienza. Ora il nome di J. elephantopus essendo stato applicato a forme alquanto di- verse (*'), parvemi opportuno esaminare il nostro esemplare per vedere se realmente gli conveniva il nome della specie di Harlan. La sua corazza ha le seguenti dimensioni: Lunghezza dello scudo in linea retta i È I AICIN NO Id. lungo la curva . : i ; : 5 DENIS Larghezza massima della corazza, in linea retta . » 48 Id. lungo la curva (in corrispondenza della 3” vertebrale e 7* marginale . : ; - » 85 Lunghezza del piastrone . : : . : : n DI Larghezza dello stesso (da sutura a sutura) . : n 49 Id. del « ponte » . - o 5 5 : n 28 Altezza della intera corazza 5 A ; . : n 32 (31) 7. nigrita D. B., 7. vicina Gùnth., 7. nigra Quoy et Gaimard, oltre la forma che GiiNrTHER ritiene per la sua elephantopus, di cui una corazza, priva delle scaglie cornee, è nel Museo di Oxford e parmi diversa dalla legittima 7. nigra di Quoy e Gaimard. - Sel’esemplare descritto e figurato da Giinther corrisponde davvero al tipo di HARLAN, esso si scosta grandemente dalla specie nostra per avere il profilo anteriore dello scudo quasi orizzontale, in linea retta col tratto mediano del dorso e per nulla affatto declive, mentre lo è più o meno nelle altre tre specie più affini del gruppo. A complicare maggiormente la sinonimia di questi Chelonii concorse altresì la circostanza che il tipo di Harlan non esiste più nel Museo dell’Accademia di Filadelfia, essendo stato scambiato con uno di T. vicina. (RovascHILD W. - Note regarding Testudo elephantopus, in Novit. Zool. IX, 1902, p. 448. 296 FERDINANDO SORDELLI Corazza piuttosto grossa alla periferia, di spessore mediocre altrove, di forma pressoche ovale vista di sopra, col massimo diametro trasverso a metà della lunghezza; scudo convesso, molto declive posteriormente, a partire dal mezzo della 4* ver- tebrale, assai meno declive davanti. Manca la nucale, al cui posto havvi una smarginatura di cm. 1,5; sopracodale rettan- golare, larga quasi il doppio della lunghezza. Vertebrali assai larghe, la 3* la più larga di tutte e poco meno del doppio Fee: VEE ; CR ere Ea E 1 . — Circa — dal vero. 10 do Fig. della sua lunghezza (cm. 23 X 14). Le marginali 2, 3, 9, 10, ed un po’ anche la 11* si allargano alquanto all'infuori; la 5%, 6% e 7% sono le più grandi. Le vertebrali 1 a 4, liscie per buona parte della loro area; le altre scaglie dello scudo rugose, con solchi non molto profondi alla periferia, man mano meno distinti verso il mezzo. Piastrone ristretto e brevemente troncato davanti, smarginato posteriormente; quasi piano, appena rien- trante 2 cm. su d’una larghezza di circa 25. Suture fra le golari, le pettorali e le anali brevi, quella fra le pettorali la più breve di tutte. Scaglie ascellari assai strette, le inguinali piccole, ma più larghe. Il ponte misura circa 28 cm. e sta 2 volte e */, nella lunghezza della corazza. Capo con un distinto frontale quasi triangolare, e due prefrontali un po’ minori. Becco seghettato, non bicuspide. Arti NOTE SU ALCUNI VERTEBRATI DEL MUSEO CIVICO DI MILANO 297 anteriori con una grande squama ovale al lato interno presso l'articolazione dell’avambraccio, e dietro questa una minore, pure ovale, entrambe ben distinte dalle circonvicine. Colore nero, piceo, uniforme. ee PESTE OD SSS REBORN Nessun dubbio che questo esemplare provenga dalle Galapa- gos. L’assenza della piastra nucale, la forma generale e le dimen- sioni della corazza, ed il colore, lo dicono abbastanza. La descri- zione che ne ho dato lo allontana però tosto dalle specie del gruppo aventi lo scudo più o meno depresso (7. Abingdonii Ginth. (°’), (32) La Testuggine dell' isola Abingdon sembra la forma estrema del gruppo. La sua corazza, oltre la forma caratteristica, ha le piastre sottilissime, qnasi coriacee, che si lasciano facilmente perforare con un coltello. 298 FERDINANDO SORDELLI T. galapagoensis Giinth.), od allungata e stretta anteriormente (T. ephippium Ginth.) (°°). Le sole specie a me note aventi stretti rapporti colla Fig. 4 A. — Profilo della corazza di. 7. vicina, visto posteriormente. Si osserva’ la forma arro- tondata dai lati. Fig. 4 B. — Il piastrone dalla sua faccia inferiore. nostra sono: 7. nigrita Do B:,.. TL nigra DAS T. vicina Ginth. e nu- crophyes Ginth. Questa ultima se ne scosta per avere le scaghe affatto lisce ed il piastrone troncato posteriormente nell'adulto; inoltre lo scudo, convesso, non è molto alto, essendo lun- go più del doppio del l-altezza. T. nigra é parimente distinta dalla nostra per lo scudo più declive davanti, a pro- filo posteriore meno in- clinato, e la parte an- teriore del piastrone assai larga (*'). Le mag- giori affinità sono con T. vicina. Con questa concorda nella forma generale della corazza, la quale è lunga appros- simativamente il doppio dell’ altezza; per essere poco declive davanti, assai declive posterior- mente; i lati assai cur- vati all’ingiù, così che le scaglie marginali mediane poco si scorgono dall’ alto; il piastrone assai stretto anteriormente, largo (33) Anche le nuove specie descritte da VAN DENBURGH, per quanto si può dedurre dalla nota preventiva del 1907, non coincidono colla nostra per la forma della corazza. (Vedi la nota 19). (34) Testudo nigra Quoy e GAIMARD (F#yeycinet, Voyage autour du Monde... sur les corvettes lUranze et la Physicienne, III Zool. p. 172, pl. 40). - WIEGMANN, NOTE SU ALCUNI VERTEBRATI DEL MUSEO CIVICO DI MILANO 299 e breve posteriormente, con una smarginatura poco profonda; identica la folidosi. Paragonato l'esemplare di Milano coi tipi descritti e figu- rati da GinTHER nelle Philosophical Transactions, conservati nel Museo britannico, si scorge non di meno che nella 7. vicina la maggior larghezza della corazza è verso il quinto posteriore, mentre nel nostro è esattamente alla metà, d'onde la figura al- l’incirca ovale dell'intera corazza, carattere che rinviensi nella affinissima 7. nigrita (°°). Se non che questa ha lo scudo quasi ugualmente declive davanti e di dietro, ed i lati meno ricurvi e rotondati. Queste differenze possono essere individuali 0, forse meglio, dipendenti dal sesso e dall’età. La nostra Testug- gine nera è con tutta probabilità una femmina giovane (°°). Comunque, avendo interrogato in proposito il dott. J. VAN DENBURGH, la cui competenza è avvalorata dallo studio di una copiosa serie di Chelonî delle Galapagos, egli mi assicurava appartenere l'esemplare nostro a 7. vicina, specie vivente e ritrovata ancora in buon numero nel 1905, nella parte meridio- nale di Albemarle, fra Iguana Cove e Vilamil, come da notizia comunicatami dallo stesso Van Denburgh (*’). in Nova Acta Leopol. Carol. XVII, p. 188, pl. 13. - Secondo BOULENGER (Cat. Chelon. p. 170) questa specie ha il piastrone ¢voncato posteriormente. Tale infatti è nel- l’es. del Museo di Oxford (GUNrHER, in Phil. Trans. 1875, p. 261, pl. 33, fig. A, destra). Osservo, per altro, che negli esemplari pubblicati da Quoy e GAIMARD, e da WIEGMANN esso è smarginato, anzi in quest’ ultimo le è profondamente. (35) GiiNTHER in Phil. Trans. p. 267, pl. 33 B. (36) Il tipo del Museo britannico ha la corazza lunga 90 em.; la nostra raggiunge appena i 65. (37) JOHN VAN DENBURGH, Curator della sezione erpetologica dell’ Accademia delle Scienze di California, a S. Francisco, che mi è gradito ringraziare qui pub- blicamente ver gli utili schiarimenti fornitimi. STUDI SUI GRILLACRIDI DEL MUSEO DI OXFORD pel socio Dott. Achille Griffini — I rE — PARTE I° Specie etiopiche, indo-malesi ed australiane Il prof. R. SHELFORD, del Museo Zoologico Universitario di Oxford (Gran Brettagna) volle cortesemente inviarmi i Grillacridi indeterminati appartenenti alle collezioni di quel Museo, affi- dandomene la classificazione. Della sua gentilezza e delle lusinghiere parole colle quali egli a me si è rivolto, lo ringrazio ancor qui sentitamente. Gli esemplari comunicatimi sono tutti preparati a secco; alcuni, probabilmente molto vecchi, sono ancora trapassati da grossi e brevi spilli, ed in parte sono un po’ guasti; quelli più recentemente avuti, e principalmente quelli donati al Museo dallo stesso prof. Shelford, dal D". M. Burr e da qualche altro raccoglitore, sono in molto migliori condizioni. Le specie mi risultano essere numerose, in parte rare 0 poco note, ed in parte anche nuove. Nella presente memoria pubblico il risultato dei miei studi sopra le specie etiopiche (di Madagascar e di Mauritius) e sopra le numerose interessanti specie indo-malesi ed australiane conte- nute nelle collezioni del Museo di Oxford statemi inviate: mi riservo di descrivere in una seconda parte le specie americane. Genova, R. Istituto Tecnico, 25 Gennaio 1909. Gryllacris borneensis subsp. Friihstor- feri Griffini. QO. — Gryllacris borneensis subsp. Frihstorfert Grittini 1908 (8) pag. 13-14. 1 ®. — Singapore, Botany Gardens. STUDI SUI GRILLACRIDI DEL MUSEO DI OXFORD 301 Questa 9 è piuttosto grande, e corrisponde però ottima- mente alla descrizione da me data dal tipo di questa sottospecie, appartenente al K. Zoolog. Museum di Berlino: Longitudo corporis mm. 35,5 (abdomine extenso) ” pronoti ” 7,3 n elytrorum DITO? n femorum anticorum » 12,8 n femorum posticorum » 23 ” ovipositoris » 24,2 Caput ut in typo, totum saturate ferrugineum; maculae ocellares parum perspicuae; palpi etiam saturate ferruginei, articulis basi fuscioribus, apice pallidioribus. Pronotum disco latiuscule ferrugineo, sulcis bene expressis. Elytra, pleurae, pedes, segmenta ventralia, ut in typo quem descripsi. Femora postica tamen subtus margine externo 8-9 spinuloso, margine interno usque ad 14 spinuloso. Ovipositor subtotus ater, basi pernitidus, dein minute pun- ctulatus, denique ad apicem crebre ruguloso-scabriusculus. Gryllacris baramica Kirby. dc. — Gryllacris fasciata Brunner 1898 (4), pag. 275 (nec Walker). Gryllacris baramica Kirby 1906 (11), pag. 140. 1g. — N. W. Borneo; N. Sarawak, Trusan. Coll. June 03. Pres. 1906 by the Sarawak Museum. È perfettamente intermedio fra la Gr. nigrata. Brunn. e la Gr. fasciata Walker nec Brunner da me ridescritta (8, pag. 2-4). Anzi è forse più vicino a quest’ ultima. Longitudo corporis mm. 19,4 ” pronoti DN ” _elytrorum m 716.5 ” femorum anticorum ” 7,4 n femorum posticorum m 12.5 ” segmenti octavi abdominis » 3 Fastigium verticis articuli primi antennarum latitudinem 1 */, attingens et subsuperans, eius latitudinem duplam haud attingens. Antennae totae pallidae. Oculi fere globosi (perparum elongati). Occiput fusco-testaceum; vertex niger, fastigio testaceo maculato basi anterius (inferius) utrinque fusca; fastigium 19 302 ACHILLE GRIFFINI frontis macula saturate testacea maiuscula praeditum; frons nigra, perparum testaceo maculata, neque reticulata ut in typo Brunneri. Genae, clypeus, labrum, luteo-testacea; palpi pallidi. Pronotum convexum, ut in Gr. fasciata Walk. a me de- scripta confectum sed circiter ut in Gr. nigrata coloratum; atrum, macula antica lutea cum medio marginis antici contigua, in sulco antico constricta, postice latiore, maculis 2 luteis (antica et postica) in utroque lobo laterali, vitta transversa ob- scure lutea indecisa ad marginem posticum in metazona anterius in medium dorsi sensim extensa. Elytra apicem abdominis attingentia, alis sensim breviora, ut in descriptione Brunneri picta. Pedes ut in descriptione Brunneri picti, annulis tamen anteapicalibus tibiarum omnium valde dilutis. Spinae tibiarum 4 anticarum modicae. Femora postica basi valde incrassata, apice fere gracilia, subtus spinulis nigris utrinque 14-17 prae- dita. Tibiae posticae superne parum planiusculae, spinis extus 7, intus 6, basi brunneis ibique dilute brunneo circumdatis, dein pallidis, apice rursus leviter fuscis. Apex abdominis —— Domenico Sangiorgi SOPRA UN SUPPOSTO CALCARE NUMMULITICO DELL'ALTA VALLE DELLA MARECCHIA Ad Est del paese Le Balze, presso le sorgenti del Sena- tello, affluente del fiume Marecchia sboccante nell'Adriatico presso Rimini, si trova una gran placca di calcare biancastro, durissimo, che dallo Scarabelli viene così descritto a pag. 38 nel classico e poderoso lavoro sulla regione compresa fra la Foglia e il Montone (1). « Calcare marnoso, compatto suscettibile di pulimento, e il cui colore ordinariamente bianco giallastro, è qualche volta a macchie cenericce, o tutto uniformemente di questa tinta. Se la roccia fu arruotata e levigata, si vede per la massima parte composta di corpi interi di Polipai e Briozoi, cui ad intervalli aderisce una pasta compatta calcarea formata con frammenti di Echinidi, Conchiglie e poche Nummuliti, non che molti altri frantumi di organismi indeterminabili ». Stratigraficamente questa placca trovasi compresa fra le sottostanti argille scagliose, da cui è interamente circondata, e la formazione arenacea sabbiosa di monte Fumaiolo da cui trae le sue origini il Tevere. Tanto la zona calcarea, quanto la sovrastante arenacea, viene dallo Scarabelli riferita al Bormidiano, o miocene infe- riore, e omologata al calcare di San Marino, San Leo, Scorti- cata, Pennabilli, Sasso di Simone, Simoncello, Pietracuta, Uf- fogliano, Doccia, Rompetrella, Verruchio, luoghi tutti illustrati nel predetto lavoro. Il Capellini già negli anni 1868-69 aveva riferito al piano nummulitico le scogliere madreporiche di Scorticata, Pietracuta, Uffogliano, Doccia, Rompetrella e Verruchio (2); e il Manzoni (3) 340 DOMENICO SANGIORGI e il Fuchs (4), al miocene inferiore il calcare di San Marino e formazioni analoghe. Il primo di questi due, in una lettera al Lawley nel 1881, modifica in parte le sue idee, riportando il calcare di San Marino al miocene medio (5). Il De Stefani (6) e il Simonelli (7), innalzarono la forma- zione di San Marino, e conseguentemente le altre ricordate, fino al miocene superiore: mentre all'opposto il Sacco nello Studio geologico sommario della Romagna (8), riporta all’ oligo- cene e più precisamente al Tongriano, tanto le formazioni calcaree, quanto le arenacee, come quelle di Monte Fumaiolo. Finalmente il Capellini, nell’illustrare più recentemente ancora un prezioso avanzo di balenottera trovata al monte Titano (9), fissa nel miocene medio la posizione stratigrafica del calcare sammarinese, Fra gli autori ora ricordati, quelli che riferiscono i calcari dell’ alta val di Marecchia ad una formazione antica, parlando della fauna fossile ivi rinvenuta, accennano sempre alla pre- senza di Nummuliti. Così fa lo Scarabelli, il Manzoni prima, e il Sacco. Io ebbi occasione di raccogliere, proprio alla sorgente del Senatello, parecchi campioni di quel calcare. Esso è il tipico cal- care bianco-giallastro di cui parla lo Scarabelli, e proviene da un grandioso ammasso a indistinta stratificazione e che l’erosione meteorica ha ridotto alla solita caratteristica superficie scabra e fortemente scanellata. L'esame di parecchie sezioni microsco- piche, mi rivelò la presenza, assieme a Litotamni e ad altri avanzi di organismi, di numerose forme di nummulitidi. Però la piccolezza di queste forme, l'andamento della spira e la disposizione dei setti, mi sollevarono il dubbio che invece di una vera Nummulites, si trattasse di una Amphistegina. E l’Egregio dott. Prever, al quale comunicai in esame le sezioni, mi confermò che le foraminifere del calcare del Senatello sono realmente tutte Amphisteginae e che specialmente vi è dominante la A. Niasi I. Verbeck. Pretendere di stabilire un riferimento cronologico in base a questa sola specie di rizopode, sarebbe un avventare un giudizio. Tuttavia poichè è ancora controversa l'età di questi calcari, e poichè in appoggio al riferimento eocenico od oligo- cenico di questi terreni si sono portati e si portano i rinve- nimenti in essi di Nummuliti, così può avere un certo valore SOPRA UN SUPPOSTO CALCARE NUMMULITICO ECC, 341 il constatare, almeno per il calcare del Senatello l’assenza delle forme di rizopodi decisamente eocenici od oligocenici, e la presenza di specie che sono prevalentemente comuni nel miocene. Questo indipendentemente dal concetto se abbia o no ragione di esistere il genere Amphistegina. Tanto più può avere importanza questo fatto, se si consi- dera che i calcari del Senatello, topograficamente, stanno fra quelli di San Marino, di cui ormai è ben definito il riferimento cronologico, e quelli della Verna, dal De Stefani (*) e dal Simonelli (*) assegnati al miocene superiore. Interessante sarebbe lo stabilire se /'Amphistegina ricordata dal Simonelli nel suo lavoro, è la stessa specie del calcare dell’alta valle del Senatello. Università di Parma, Gennaio 1909. (1) Loe. cit. (2) Loe. cit. 342 DOMENICO SANGIORGI - SOPRA UN SUPPOSTO CALCARE NUM. ECC, BIBLIOGRAFIA 1. G. ScarapeLLi Gommi FLamini. — Descrizione della carta Geologica del versante settentrionale dell Appennino, fra il Montone e la Foglia. Forlì, 1880. 2. CapeLLINI G. — Cenni geologici sulle valli dell’Ufita, del Calore e del Cervaro. Bologua, 1869, pag. 19. — Giacimenti petroliferi di Valacchia, e loro rapporti coi terreni terziari dell Italia centrale. Bologna, 1868, pag. 36-37. 3. Manzoni A. — Il monte Titano, i suoi fossili, la sua età e il suo modo di origine. Bol. R. Com. Geol. d’It., Firenze, 1873, p. 27-28. 4. Fucus. — Die Gliederung der Tertidirbildungen am Nordablange der Apenninen von Ancona bis Bologna. (Sitz. K. J. AK. d. Wiss. Wien, 1879). i 5. LawLey R. — (Selache Manzoni n. sp.). Denti fossili della molassa miocenica del monte Titano. (Soc. Tose. disc. Naturali, Vol. V, fasc. 1, pag. 168, Pisa, 1881). 6. De STEFANI C. — Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono l'Appennino settentrionale, pag. 241, Pisa, 1881. 7. SimoneLLi V. — Jl monte della Verna e i suoi fossili. Bol. Soc. Geol. (t., An. Il, 1884, p. 235. 8. Sacco F. — L’ Appennino Settentrionale Parte IV. L’ Appennino della Romagna. Bol. Soc. Geol. It., Ann. XVII, 1899, pag. 354. 9. CapeLLINI G. — Balenottera miocenica del monte Titano (Repubblica di San Marino). Mem. R. Ace. Se. Ist. Bologna, serie V, Tom. 1X, 1901, pag. 26, 2 Tav. INDICE Consiglio direttivo pel 1908 Elenco dei Soci per 1 anno 1908 Istituti scientifici corrispondenti in principio del- l’anno 1908 Seduta del 16 febbraio 1908 Seduta del 15 marzo 1908 Seduta del 3 maggio 1903 Seduta del 21 giugno 1908 . ; : . : Seduta del 22 novembre 1908 . ‘ 9 . 5 Seduta del 6 dicembre 1908 Bullettino bibliografico : È ACHILLE GRIFFINI, Sopra alcuni grillacridi del genere Eremus Brunner : Ferpinanpo SorpELLI, Vertebrati Ilia e del Benadir, donati al Civico Museo di Milano dal Sig. Silvio Bondimaj Apa LAMBERTENGHI, Contributo allo ua delve ae lule renali dell’ Helix pomatia l. e del Limax variegatus Drap . z : : ; È Roperto BsunatI, Osservazioni geologiche nella olo del Cosia presso Como . : 3 FRANCESCO SALMOJRAGHI, Su alcuni iarioni Alioni di Vizzola Ticino e -Castelnovate, in Provincia di Milano 5 : : : : E. Repossi, Osservazioni sopra alcuni minerali di Besano . ; o 3 5 5 F : FeLice Supino, Morfologia ‘al cranio e note sistema- tiche e biologiche sulle famiglie Trachinidae e Pediculati . : : : 5 3 FeLIcE Supino, I così detti pesci antimalarici L. MADDALENA, Studio petrografico dei basalti delle Bragonze nel Vicentino XXVII XXIX XXXI 10 23 344 INDICE Agostino GemeLti, Contributo alla conoscenza della distribuzione dei nervi e delle terminazioni ner- vose della membrana del timpano > . pag. 134 EnrIco Mussa, Note floristiche delle Prealpi Torined: fra la Dora Riparia e la Stura di Lanzo (Zona delle pietre verdi) 5 ” 139 Carro Cozzi, Le arboricole del Sala nell'Agro Abe biatense . > È ” 158 ACHILLE GRIFFINI, Takoen aa bane GA sui Musée Royal d’Histoire Naturelle e del Musée du Congo di Bruxelles : _ 5 SA) 173 Ciro BARBIERI, Neuromeri e somiti eines in em- brioni di Salmonidi i ì : : . Sasa 185 CarLo ArracHi, Di alcuni echinidi miocenici del gruppo del M. Majella > 3 3 SA 258 L. MADDALENA, Osservazioni sopra una antica miniera di ferro in Val Cavargna (Menaggio). ‘© . St) 262 Frperico Sacco, Glacialismo ed erosione nella Majella » 269 FERDINANDO SorpELLI, Note su alcuni vertebrati del Museo Civico di Milano — VII, Descrizione di due Tartarughe gigantesche premesse alcune notizie storiche intorno al gruppo cui appartengono . » 280 ACHILLE GRIFFINI, Studio sui Grillacridi del Museo di Oxford 5 . È : : : : Ag, 300 Domenico SANGIORGI, Sopra uu supposto calcare num- mulitico dell’alta Valle della Marecchia . Rai 339 SUNTO DEL REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (1904) (DATA DI FONDAZIONE: 15 GENNAIO 1856) Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. I Soci sono in numero illimitato : effettivi, perpetui, benemeriti e onorari. I Soci effettivi pagano L. 20 all'anno, in una sola volta, nel primo bimestre dell’ anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. Chi versa Lire 200 una volta tanto viene dichiarato Socio perpetuo. Si dichiarano Soci benemeriti coloro che mediante cospicue elargi- zioni hanno contribuito alla costituzione del capitale sociale. A Soci onorari possono eleggersi eminenti scienziati che contribui- scano coi loro lavori all’ incremento della Scienza. La proposta per V ammissione d’un nuovo Socio effettivo 0 perpetuo deve essere fatta e firmata da due soci mediante lettera diretta al Con- siglio Direttivo (secondo l’Art. 20 del Regolamento). Le rinuncie dei Soci effettivi debbono essere notificate per iscritto al Consiglio Direttivo almeno tre mesi prima della fine del 3” anno di obbligo o di ogni altro successivo. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Atti ed alle Memorie non si possono unire tavole se non sono del formato degli Atti e delle Memorie stesse. Tutti i Soci possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, purchè li domandino a qualcuno dei membri del Consiglio Direttivo o al Bibliotecario, rilasciandone regolare ricevuta e colle cautele d’ uso volute dal Regolamento. Gli Autori che ne fanno domanda ricevono gratuitamente cinquanta copie a parte, con copertina stampata, dei lavori pubblicati negli Atti e nelle Memorie. Per la tiratura degli Estratti (oltre le dette 50 copie), gli Autori dovranno rivolgersi alla Tipografia sia per l'ordinazione che per il pagamento. La spedizione degli estratti si farà in assegno. INDICE DEL FASCICOLO 4° FepERICO Sacco, Glacialismo ed erosione nella Majella pag. FERDINANDO SorpELLI, Note su alcuni vertebrati del Museo Civico di Milano — VII, Descrizione di due Tartarughe gigantesche, premesse alcune notizie storiche intorno al gruppo cui appartengono AcHILLE GRIFFINI, Studio sui Grillacridi del Museo di Oxford : È : 3 : 3 DomENICO SANGIORGI, Sopra un supposto calcare num- mulitico dell’alta Valle della Marecchia Seduta del 21 giugno 1908 . Seduta del 22 novembre 1908 Seduta del 6 dicembre 1908 Bullettino bibliografico 269 NB. Ciascun autore è solo responsabile delle opinioni manifestate nei suoi lavori, e ne conserva la proprietà letteraria. A. Lambertenghi. Cont. allo studio d. cellule renali dell’Relix pomatia Atti S, |, Sc, Nat. Vol. XLVII. Tay |. |e A. del ELIUT CALZOLARI & FERRARIO-(iLANO ee = F.SALMOJRAGHI, Sv alum erren allor di Vizzota Ticino e Casrecmovate : Atti Soc.it se.nat. XLVII, Tav. 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