HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. el ab \T\> 1) MENAMEE BINDERY, Li È MI & GR» GG ML E î È APS ® EDS A MW I Lo & a E] SENTE AIA GIA RESRIPSATSGI ESA APRISAASA PAESIIRAERIIFIAI or i a O > —_ È 2 lmssero 535 3 e. 95 È | = 7? RK ri Pe ai a) È 2 A È & S Es È — = Si ÈI Ce recon - > fa £ > & CÒ < 7. i = = CO 2% @ “ i = e | S PE E 4 ; Co D a = e) E) iu 100 @ ì CT 2) I Z ese Sx >: \ N (>) > (oe) usi O = 204) TAC a ss Z. > = S = d Ge lv 4 fi DD pa = BO, IS) | a » S = È in È, SÒ sa i O 5 3 pi Î < N DARI [ep ATTI SOCIETÀ ITALIANA SCIENZE NATURALI VOLUME V. Anno 1863. MILANO COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI DI GIO. Me ME tc Nada” Vigo) d MIO RA CIT 100 SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI Scopo della Società è di promovere in Italia il progresso degli studii relativi alle scienze naturali. ll numero dei Socii è illimitato. I Socii si distinguono in onorarii, effettivi e corrispondenti. I Socii effettivi pagano italiane Lire 20 all'anno, in una sola volta, nel primo trimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presen- tano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. A Socii corrispondenti si eleggono persone distinte nelle scienze naturali, le quali dimorino fuori d’Italia, e possano in qualche modo essere utili alla Società ed al progresso delle scienze naturali in Italia. — Essi possono diventare socii effettivi, quando si assogget- tino alla tassa annua di lire venti. — Non sono invitati particolar- mente alle sedute della Società, ma possono assistervi e presen- tarvi o farvi leggere delle Memorie o delle Comunicazioni, le quali possono essere stampate per esteso o per estratto negli tt della Società, come quelle dei Socii effettivi. La proposizione per l’ammissione d'un nuovo socio deve essere fatta e firmata da tre socii effettivi, la votazione si fa segreta, e il socio è ammesso se ottiene almeno due terzi dei voti dei socii pre- senti all’adunanza. La presidenza manda al nuovo socio una lettera 4 SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ ITALIANA di nomina ed una copia dei Regolamenti della Società. E quando il nuovo socio effettivo ha aderito per lettera alla nomina, ed ha pa- - gato la quota pel semestre in corso, la Società gli manda i fascicoli degli Atti già pubblicati nell’anno in corso e poi dopo, regolar- mente, tutti gli altri, fino a che esso continua a far parte della So- cietà. I socii effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’anno sociale (che. termina col 31 dicembre) continuano ad essere tenuti per socii; se sono in ritardo nel paga- mento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono nel pri- mo trimestre dell’anno successivo, cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni e Memorie presentate nelle adunanze possono essere stampate o negli Atti della Società o nelle Memorie, per estratto o per esteso, secondo la loro estensione ed importanza. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Atti non si possono unire tavole se non sono del formato degli Atti stessi. Gli scritti destinati per gli Atti devono essere comunicati tali e quali devono essere stampati. Agli autori che ne fanno domanda, si danno gratuitamente 25 copie a parte dei loro lavori stampati negli Atti o nelle Memorie; a loro spese possono poi farne tirare a parte un numero qualunque. Le Memorie si vendono ai socii ad un prezzo che è la metà di quello fissato per le persone estranee alla Società ; gli 4ttî si danno gratis a tulti i socii effettivi. Gli Atti e le Memorie si danno anche in cambio con Atti e Me- morie d’altre Società ed Accademie. Tutti i socii possono approfittare dei libri della biblioteca so- ciale, ritirandoli per leggerli a casa, purchè li domandino a qual- cuno dei membri della Presidenza, e particolarmente ai segretarii o al conservatore, e ne rilascino regolare ricevuta. —T—T—_—_ ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1863. Cone 4%) SN: cenni I socj fondatori erano in origine 153; e alla fine dell’anno so- ciale 1859-60 si erano ridotti a soli 102, essendone morti 12, es- sendosene ritirati 18, ed essendone stati cancellati 24 perchè troppo in ritardo nel pagamento della quota di fondazione e della quota per l’anno 1858-59. — Dal 6 gennajo 1858 al 50 novembre 1859 fu- rono ammessi 42 nuovi socj effettivi, ed altri 24 nell’anno socia- le 1889-60, ma prima della fine di quest’ ultimo anno sociale ne morirono 2, uno diede la sua rinuncia in iscritto, e 3 furono can- cellati pel troppo ritardo nel pagamento delle quote. La Società rimaneva dunque formata , alla fine dell’ anno sociale 1889-60, da 102 socj fondatori e 57 socj ammessi dal 6 gennajo 1858 in avanti; constava dunque di 159 soc]. Dalla fine dell’anno sociale 1859-60 sino alla fine dell’anno 1864 morirono 4 socj, Archinto, Brocca, Nava e Robiati, ne furono can- cellati parecchi, sia per rinuncia da loro stessi annunciata regolar- mente, sia perchè troppo in ritardo nel pagamento delle quote, e furono ammessi come nuovi socj effettivi, i signori Bertoli, Bianconi, Capellini, Casati, Cossa, Costa, De Bosis, Durer, Gaddi, Issel, Keller, Michaud, Mya, Pedrazzini, Perazzi, Romej, Stoppani Carlo, Tacchetti, Taverna ed Uzielli. — Al principio dell’anno 1862 la Società risul- tava così composta di 162 socj effettivi. Nell'anno 1862 sono morti i socj De Ujehli e Vacani; hanno ces- sato di far parte della Società i signori Annoni, Anzi, Arrigoni, Bossi Annibale , Casartelli, Cesati, Dal Bosco , Della Valle, Donati Carlo, Foglia, Galluzzi, Giordani, Michaud, Pallavicino-Clavello, Rainoldi e Regazzoni; furono ammessi come socj nuovi i signori Borromeo Carlo, Caruel, Consoli, D'Ancona, Galanti, Gardini, Gemellaro, Magni-Griffi, 6 ELENCO DEI SOCI EFFETTIVI Majocchi, Migliavacca , Padulli, Pecchioli e Tagliasacchi. — Dunque la Società conta, al principio dell’anno 18653, 187 socj effettivi, 79 dei quali dimorano in Milano, 71 fuori di Milano, ma in diverse pro- vincie del Regno, e 7 nel Veneto. Acsanetti Filippo, capo-sezione presso il Ministero dell'Interno, Torino. Arcari Paoto, professore di storia naturale nella Scuola Tecnica di Cremona. Ascmeni ragioniere Giovanni, Milano, via dell’Annunciata 22. Axerio Giutio, ingegnere nel Corpo Reale delle Miniere, presso l'ufficio del Genio civile, in Milano. Baponi Giuseppe, Milano, via di S. M. Fulcorina 17. Barsamo CriveLri nobile Giuseppe, professore di storia naturale nella R. Università di Pavia. Barserra Ansetmo, Guidizzolo (provincia di Brescia). Barro” di Soresina marchese Pietro, corso di S. Celso 20. Bazzi Cesare, professore a Cremona. Beuorti ALessanpro, professore nel Ginnasio Comunale e Direttore de- gli studii nello Stabilimento Bosisio in Monza. BerLorni dottor Crisrororo, Milano, via dî Brera 9. Berrazzi padre Gatticano , direttore della farmacia dell’ Ospedale dei Fate-bene-fratelli in Milano, lungo il naviglio di Porta Nuova 3. Bertè dottor Eucenio, Parma. Bertori sacerdote Giovanni, canonico, Chiari. BertoLio Antonio, professore di chimica a Casale di Monferrato. Braxconi Giuseepe, professore nella R. Università di Bologna, Bocaxi dottor Innocente, Milano, borgo della Fontana 137. Bouuni Ancero, Milano, borgo di Porta Romana 4613. Bonzanini ingegnere Ewanuece, Milano, corso di S. Celso 4224. Bonnoneo conte Carro, Milano , corso di Porta Nuova 1470. Boruonro conte Revaro, Milano, piazza Borromeo 3. Bossi Gio. Bartisra, ingegnere per le strade ferrate, Milano, via di Chiossetto 227. Burn sacerdote Asceto, professore nel R. Istituto Tecnico, Milano , via di Santa Marta 7. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1865 7 Buzzerti dottor Cunzio , allievo astronomo nella R. Specola di Brera. Milano, nel paluzzo di Brera. Buzzoxi sacerdote Pietro, vice-parroco a Brenna (provincia di Como). Casiati Acuiute, farmacista in Milano, via di S. Antonio 4794. Caxerti dottor Carro, Milano, via di S. Z'ittore e 40 Martiri 1202. CareLuini Grovansi, prof. di geologia nella R. Università di Bologna. Caprio: conte Tomwaso, Brescia. Carver Troporo, professore di botanica nell’Istituto Tecnico Superiore in Milano, via dei Bigli 21. Casati nobile Camiio, Milano, via di S. Nazaro Pietrasanta 6. CastisLioni Giosuè, professore di storia naturale a Como. Cavacceri padre Giovaysi, professore di fisica nel Collegio dei Barnabiti in Monza. Cavezzaui dottor Francesco, Milano, via de Bigli 21. Cuerici nobile Pierro, Milano, via di Brera 14. Cocci dottor Icisto, professore di geologia al Museo di Storia Naturale in Firenze. Corso Gaerano, Palazzolo Bresciano. Coryaia dottor Emuio, direttore aggiunto del Museo Civico di storia naturale in Milano, via del Monte Napoleone 38. Corvisi dottor Lorenzo, del R. Istituto Veterinario di Milano, via della Spiga 37. Cossa dottor Atroxso, professore di chimica nella R. Scuola Tecnica di Pavia. Costa Acuiute, Napoli, via di S. Antonio alla Vicaria 8. Criverui marchese Luici, Milano, borgo di Porta enezia 1%. Curioni nobile Giuio, Milano, cia di Borgo Spesso 23. Cunò Axroxio, Bergamo. D’Ascosa Cesane, assistente di geologia nel Museo di storia naturale di Firenze. D'Arco conte Luis, Mantova. De Bosis ingegnere Francesco, Ancona. De Fiirpi liuipro, professore di storia naturale nella R. Università di Torino. De Mavso marchese Nonsenro, Milano, via di Borgo Nuoro A. 8 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI De Veccm ingegnere Biacio, Milano, via di Brera 8. Dorci Gray Francesco, direttore di uno stabilimento d’ istruzione pri- vata in Milano, borgo di Porta Ticinese 23. Doria marchese Giacowo, Genova. Doria marchese Marcecto, Genova. Dosseva ingegnere Feuce, Milano, via di S. Orsola 4. Durer Bernarpo, alla Villa Sommariva presso Tremezzo sul lago di Como. Erra professore Luci, Verolanova. Fepricnini Artio, ingegnere, Sàrnico (provincia di Como). Ferrario ingegnere Emtio, Milano, piazza del Verziere 20. Fumacarui ingegnere Srerano, Milano, via Palestro 20. Gappi Antonio, Milano, corso di Porta Nuova 1460. Garanti Antonio , prof. di Agraria nel R. Istituto Tecnico a S. Marta in Milano. Gaci padre Berxarro, Rettore del Collegio dei Barnabiti in Lodi. Garavacuia ingegnere Maurizio, Milano, corso dî Porta Nuova 1468. Garavaccia ragioniere Antonio, via Belgiojoso 4. Garpini Ganpino, professore di storia naturale a Ferrara. Gasraupi avv. BartoLonro, della Scuola d’Applicazione degli Ingegneri, Torino. GexeLtaro Carro Giorcio , professore di geologia nella R. Università di Palermo. Gurorti Aressanpro, Milano, via del Pantano 410. Isser Arturo, Genova, via Caffaro 7. KetuLer Ateerto, Milano, via di S. Paolo 13. Lazzari-Baniti ingegnere Viscenzo, Cremona. Lowsarpini ingegnere Ea, già direttore dell’ Ufficio della Pubbliche Costruzioni in Milano, via dî S. Giovanni in Conca 6. Macni-Grirri Francesco, Sarzana. Maneri ingegnere Anrowio, Milano, corso di Porta Vittoria 12. Masoccm dottor Francesco, direttore della Scuola Tecnica di Codogno. Mavzi padre Micnetancevo, Barnabita, Lodi. Marani Giovanni, Milano, via dei Bigli 6. Mari Fiuippo , ingegnere dell’ Esercizio delle strade ferrate, Verona. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 4863 9 Martinati Pierro Paoto , dottore in legge, Verona. Masserorti dottor Vincenzo, professore di storia naturale, Milano, via della Torre de° Moriggi 2856. Mera conte Arsorio, Vercelli. Mevwecmni Giuserre, professore di geologia ‘nella R. Università di Pisa. Micuiavacca Acme, Milano, via del Marino 1. Mouinari Ferpinanpo, Montechiari. Mourexi ingegnere Giuserre, Milano, via del Durino 28. Monpocro Segasriano, Milano, borgo di Porta Venezia 26. Mormitrer Gasriete , ingegnere delle strade ferrate lombardo-venete, Milano, via del Gesù 11. Mussi Giuserre, Milano, via dell’Unione 8. Moracuia ingegnere Pierro, Milano, cia di S. Bernardino alle Mo- nache 5. Mya cav. Pierro, ispettore generale della Amministrazione del catasto nelle antiche Provincie del Regno, Torino. Necri ingegnere Pierro, Milano, via di S. Z'ittore e 40 Martiri 15. Nocca Carro Francesco, Pavia, via del Gesù 266. Ouzoxi Giovanni, professore di storia naturale, Milano, via della Mad- dalena al Cerchio 3. Orsini professore Antonio, senatore del Regno, Ascoli. Oscurati Giuseppe Antonio, Milano, via dei Bossi 6. Papurui conte Pierro, istruttore pratico di chimica nel laboratorio della Società d’Incoraggiamento d’arti e mestieri in Milano, via del Gesù 11. Pacuia sacerdote Enrico, già professore nel Seminario di Mantova, Asola. Panceri dottor Paoto, professore di anatomia comparata nella R. Uni- versità di Napoli. Parero marchese Lorenzo, Genova. Parouini nobile ALserto, Bassano. Passerini Giovansi, professore di Botanica nella R. Università di Parma. Peccmori Virrorio, Firenze. Peprazzini Giusepre, professore di fisica nell'Istituto Bosisio di Monza. Peuuso dottor Francesco, Milano, corsia del Giardino 4. 40 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI Penazzi Cosravrivo , ingegnere del Corpo Reale delle Miniere, Torino, piazza della B. Y°. degli Angeli 2. Perez professore Apotro, Moncalieri. Praszora Luici, dottore in legge, Milano, via di S. Mattia alla Mo- neta 2. Picciòi dottor Ferpinanno , assistente al Museo di storia naturale di Firenze. Picciou Francesco, farmacista, Milano, borgo di Cittadella 3684. Picozzi ALessanpro, Sévere (provincia di Bergamo). Pirowa dottor GiuLio Anprea, professore di storia naturale nel Ginnasio Liceale di Udine. Pisani ingegnere Giuseppe, Milano, via del Monte Napoleone 1272. Pocuiani Carto, ingegnere municipale, via di S. Eufemia 18. Povosto Antonio Feperico, Bologna , via Barbderia 400. Prapa dottor Troporo, Pavia. Ravio.i ingegnere Giuseppe Epvarno, Capitano del genio , Genova. Rescaru marchese Paoro, Milano, borgo di Porta Henezia 82. Resretuini canonico Giuseppe, teologo di S. Babila in Milano, via di S. Romano 8. Riccniarpi Segastiano, professore di anatomia comparata nella R. Uni- versità di Bologna. Riva-Patazzi Giovanai, Milano, piazza del Teatro alla Scala 1828. Rocca-Saroriti marchese Arounane, Milano, borgo di Porta 7 ene- zia 4, Rowes Giuseppe, capitano farmacista, Casale di Monferrato. Ronpani Cawito, professore d’Agraria a Parma. Rossi professore Gucuiemo, Milano, via del Monte Napoleone 34. Rossi dottor Luci, professore di storia naturale nel R. Ginnasio Li- ceale in Venezia. Sanseverino conte Faustino, Milano, via del Monte di Pietà 13. Sant'Awsrocio professore Lorenzo, Milano, via di Rugabella 9. Savosa Giovanai, architetto, Milano, strada al dazio di Porta Nuova 3. Scarageui Gonmi Framns Gioserre, Imola. Scora dottor Lorevzo, Milano, via della Passarella 3. SeuraEQuintino, ingegnere delle Miniere, deputato, Torino. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 41865 11 SoLera sacerdote Giovavsi, prefetto del Ginnasio Liceale di Crema. Sprearico sacerdote Francesco, canonico di S. Babila, Milano, via S. Ro- mano d. Spiseui Gio. Battista, Verona. Stoppani sacerdote Antonio, professore di geologia applicata nell’ Isti- tuto Tecnico Superiore in Milano, corsia del Broletto 20. Sropramni sacerdote Carro, professore nel Collegio di Merate. SrroseL PeLcecrino , professore di storia naturale nella R. Università d Parma. Srrozzi marchese Carro, Firenze. Srupiati Cesare, professore di fisiologia nella R. Università di Pisa. Taccnerri Carro, impiegato presso la Direzione del Demanio, Bologna. Tacuiasaccn ingegnere Saverio, Milano, via dei Bigli 1. Tansurini Venanzio, segretario del Municipio di Abbiategrasso. Tassani dottor ALessanpro, medico provinciale, Como. Taverna Giuseppe, Milano, via dei Bigli 14. Tesra ingegnere Anprea, Milano, piazza Lelgiojoso 1. Terrananzi ingegnere Amanzio, Milano, via della Spiga 9. Tixecti nobile Canto, Milano, via della Guastalla 110. Turami conte Encore, Milano, via dei Meravigli 11. Turati conte Ervesro, Milano, via dei Meravigli 44. Uzicisi Emuo, professore di storia naturale, Milano, via dellaSala 8. UzieLui Virtorio, Livorno, via di S. Francesco 18. Vacerio Aressaxpro, Milano, via di Rugabella 10. Vita Antonio, Milano, via della Sala 3. Viva Gio. Barrisra, Milano, via di S. Vittore e 40 Martiri. Visconri-Erwes marchese Cano, Milano, via di Borgo Nuovo 4. Viscoxri pi Moprose duca Ramoxpo, Milano, via della Cerva 331. Venanzio dottor Giuserre, professore di fisica nel R. Ginnasio Liceale di Bergamo. la + ba midi" ia Vit PIE esa dino Pigi, fi; ps “vt ne Mall pin» (sore cn UA J'ai i - Lanib ib eviti) A ettoa rigliii emmeton simana -diagoiofi oiagsiatote sicilia arpa cu lag for Pda Maga pisa ITA ona minaeazsoaT , È potnn a! resine T | La De i “pio ni soltob sez N Ie Piove ME ANGRI 9 bill soa rar T sriirart Hai Ò fi Ì canta mogli! rosa, viaggi stai T pra fari uu nio conieliti - 0 ogni sara rara 9 somolili panni) olidon sta ben LO fp to vai | ) se palili sominzai 9J009 casyî * annie i vrazestony vr ic: 2 Mt ager cuori) sordo, vu WII oiadapai ib ni conglil e, ent Capri ef iui. Locat? vltoh 015 conglilftvamoreA. sassi Vr i cina A By ire sons n RITA DI ETTI A "ano RINO RO sont cseodirtego camaliivroga i MR oarsià ailal it one 06 sblantiini io) ano sla Remo fa poi ib viossitan orga) rottob. sana A vi Frari n SE “ni rag. LIE Seti gti omega ib i 4 stfrnsere 1 Mente, pid de Frignani Ji "I sin sir dl OR illo. cd ARIA RA MN Posa: Agra è. Manini i Pia Sr; Vena AGRO Nua i) È i FUR ib Petr on, RA dit, Peet “uo Nes 00% ca Agli tab love, Pan) bo ARI d é = ». \ 4 à “ à Le PI e UL \ i BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ Nelle pagine 46, 50, 55 e 56, d9 e 60, 63, 113-124, 549-352 del I.° Volume degli Atti, nelle pagine 158-164 del II° Volume, e poi alla fine dei processi verbali delle singole sedute, pubblicati nei volumi II.° III° e IV.° degli Atti stessi, si può vedere di quali libri sia ora composta la Biblioteca Sociale ; tutte quelle liste di libri pos- sono quindi servire, almeno per ora, come un catalogo generale della Biblioteca Sociale. Molti furono i libri ed opuscoli donati alla Società dai loro Autori, e molto più numerosi sono i volumi di pubblicazioni periodiche man- date in dono da Accademie e Società scientifiche d’Italia e d'altri paesi, ed anche dalle Redazioni d’alcuni Giornali e di Riviste. Tali opere periodiche che riceviamo regolarmente sono : 41. Atti del R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti. Milano. 2. Memorie dello stesso R. Istituto. Milano. 3. Cantoni. Annali d’agricoltura, che fanno seguito all’ Amico del Contadino dello stesso autore. Milano. 4. Giornale agrario lombardo, pubblicato dal Comizio agrario lom- bardo. Milano. 3. Stoppani. Paléontologie lombarde. 6. Atti dell’ Ateneo di scienze, lettere ed arti di Milano, già Acca- demia fisio-medico-statistica. 7. Commentarj dell'Ateneo di Brescia. 8. Anmgrosi. Flora del Tirolo Meridionale. 9. Il Politecnico. Milano. 10. Atti e Memorie dell’ I, R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Venezia. 44. Rendiconto delle Sessioni dell’Accademia delle scienze del- l’ Istituto di Bologna. 12. Memorie dell’ Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna. 15. Atti dell'Accademia Reale di scienze e lettere di Palermo. 4. Atti del R. Istituto d’incoraggiamento delle scienze naturali in Napoli. Ii 13. 16. 7. 18. 49. 20. nt. 22. 23. 24. 23. 26. 27. 28. 29. 30. dA. 32 33. 54. 55. 56. BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ Scanpecuini. Bollettino nautico e geografico di Roma. Scanpettini, Corrispondenza scientifica in Roma. Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena. Atti della Società d’acclimatazione in Sicilia. Palermo. Annali dell’Accademia degli Aspiranti Naturalisti. Napoli. Rendiconto dell’Accademia delle scienze fisiche e matematiche della Società Reale in Napoli. Esercitazioni dell’Accademia agraria di Pesaro. L’Incoraggiamento , Giornale di Agricoltura che si pubblica a Bologna. MornicLer. Revue scientifique italienne. Milano. Bulletin de la Société Florimontane d’Annecy. Revue Savoisienne. Journal pubblié par l’Association Florimon- tane d’Annecv. Memoires de l’Accadémie impériale des Savoie. Chambery. Bulletin de la Société de statistique, des sciences naturelles et des arts industriels du département de l’Isère. Grenoble. Bulletin de la Société impériale zoologique d’acelimatation de Paris. Mémoires de la Société impériale des sciences naturelles de Cherbourg. Mémoires de la Société de physique et d’histoire naturelle de Genève. Jabresberichte der Naturforschenden Gesellschaft Graubun- dens. Chur. Bulletin de la Société des seiences naturelles de Neuchàtel. Mémoires de la Société des sciences naturelles de Neuchatel. Vierteljahrschrift der Naturforschenden Gesellschaft in Zurich. Bulletin de la Société vaudoise des sciences naturelles. Lau- sanne. Mittheilungen der Naturforschenden Gesellschaft in Bern. 37. Verhaudlungen der Naturforschenden Gesellschaft in Basel. 58. Atti della Società Elvetica di scienze naturali. Berna. 39. Jahrbuch der k. k. geologischen Reichanstalt. Wien. 40, hi. 4h2, h3. hh, 45. h6. 47, 48. h9, Bo. dI. 32. b3. LL b3. 56. 57. 58. b9. 60. 64. 62. 63. BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ (0) Mittheilungen der k. k. geographischen Gesellschaft. Wien. Verhandlungen der zoologischen-botanischen Geselleschaft in Wien. Hénnes. Die fossile Mollusken des Tertiàr-Beckens von Wien. Hauer. Beitràge zur Palaontographie von Oesterreich. Wien. Leperen. Wiener Entomologische Monatschrift. Wien. Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft. Berlin. Leonnaro und Bronn. Neues Jahrbuch, fur Mineralogie, Geo- gnosie, Geologie und Petrefaktenkunde. Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschiehte in Me- cklenburg. Neubrandeburg. Berichte des Offenbachers Vereins fiir Naturkunde. Offenbacl auf Mein. Wiirzburger Naturwissenschaftliche Zeitschrift. Jahreshefte des Vereins des Krainischen Landes-Museums. Berichte der geologischen Gesellschaft fùr Ungarn. Schriften der k. phisikalisch-ceconomischen Gesellschaft zu Konigsberg. Verhandlungen des Vereins fiur Naturkunde zu Presburg. Abhandlungen der Naturforschenden Gesellschaft zu Gòrlitz. Verhandlungen und Mittheilungen des Siebenburgischen Ve- reins fur Naturwissenschaften zu Hermannstadt. Berichte des Naturhistorischen Vereins in Augsburg. Abhandlungen der Schlesischen Gesellschaft fùr Vaterlàndische Caltur. Jahresberichte der Schlesischen Gesellschaft fr Vateviàndische Cultur. Jahrbiicher des Vereins fir Naturkunde im Herzogthum Nassau. Wiesbaden. Bulletin de la Société impériale des naturalistes de Moscou. Nouveaux Mémoires de la Société impériale des naturalistes de Moscou. Memoires of the litterary and philosophical Society of Man- chester. Proceedings of the litterary and philosophical Society of Manchester. 16 BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ 64. The Transactions of the Academy of St. Louis. 63. Annual Report of the board of Regents of the Smithsonian In- stitution. Washington. 66. Boletin de la Sociedad des Naturalistas Neo-Grenadinos. Confrontando questa lista con quella pubblicata a pagina 361 nel Volume 1.° (1859-60) degli Atti, si vede che da quell’ epoca in, poi sono cresciuti considerevolmente i rapporti della Società nostra colle altre Società e Accademie scientifiche. La Società manda le proprie pubblicazioni (finora i soli Atti) alle Società e Accademie che ci mandano le loro, non che alla Redazione del Politecnico, a quella degli Annali d’agricoltura (Cantoni), a quella del Giornale l’ Incoraggiamento, al signor professore Scarpellini, di Roma, ai signori Hauer e Lederer di Vienna, ai professori Leonard e Bronn, che ci mandano le loro pubblicazioni. Le manda pure all’ Ac- cademia delle scienze di Berlino, a quella di Monaco ,. alle, Società Reale, geologica e zoologica di Londra,alle Società geologica e botanica di Parigi, all'Accademia delle scienze dell'Istituto di Francia, alla Re- dazione della Bibliotheque de Genève, all’ I. R. Gabinetto Mineralo- gico di Vienna, alle due Società d'incoraggiamento di Milano, alla Biblioteca dell’ Ospedale Maggiore di Milano, all’ Accademia dei geor- gofili di Firenze, all'Accademia delle scienze di Modena, ed alla Società italiana delle scienze di Modena, per far conoscere. più che sia possibile la nostra Società e i suoi lavori. È le manda anche al signor Haidinger di Vienna, che si è molto adoperato per la fondazione della Società stessa, ed al signor Senoner, pure di Vienna, per il molto che ha fatto onde mettere la nostra Società in rapporto. con molte Società e Accademie scientifiche dell’ Europa centrale e set- tentrionale e dell'America. In avvenire si cercherà di accrescere ancora le relazioni della no- stra con altre Società e Accademie scientifiche d’ Italia e fuori, af- finchè vengano sempre più conosciute le nostre pubblicazioni, e vada crescendo nello stesso tempo la ricchezza della nostra biblioteca, au- mentandosi sempre più il numero delle pubblicazioni mandate ;in dono alla Società da quelle Società e Accademie e dai singoli Autori. HI Segr. G. Omponi. Seduta del 25 gennajo 1863. È aperta la seduta colla lettura fatta dal socio profes- sore Caruel di una breve nota Sul fiore femmineo degli Arum. Dalle sue osservazioni microscopiche sullo svi- luppo di quel fiore, l’ Autore deduce che tal fiore non è altro che un pistillo nudo, e non già un pistillo con in- voglio fiorale, come si crede dal professore Gasparrini. Il presidente Cornalia riferisce intorno alla proposta fatta dal professore Giovanni Polli, in una seduta del R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti, di far uso del solfito di soda per guarire i bachi da seta dalla ma- lattia attualmente dominante. — Partendo dal principio che tale malattia provenga da qualche fermento morbi- fico, ed avendo provato con varie esperienze che i solfiti arrestano l’azione di tali fermenti negli animali, il profes- sor Polli propone di far assorbire il solfito di soda ai gio- vani rami di gelso staccati dalle piante e messi in vasi contenenti una soluzione di quel sale, e di dare poi ai bachi la foglia di quei rami. Cinque o sei ore bastano al- l'ascesa della soluzione di solfito fin nelle foglie, come si può provare con un apposito reattivo. Due esperienze fatte dal professor Polli con semente infetta diedero buonissimo risultato, poichè i bachi nutriti colla foglia contenente il solfito si trovarono sani e diedero bozzoli abbastanza belli e semente sana, mentre gli altri bachi, ottenuti colla stessa Vol. V. 2 18 SEDUTA DEL 25 GENNAJO 1865 semente, ma nutriti con foglia allo stato naturale, riesci- rono ammalati, molti perirono troppo presto, e i rimanenti diedero semente infetta. — Il presidente Cornalia chiama quindi l’attenzione della Società e dei bachicultori sulla proposta e sugli esperimenti del professor Polli, dice che lo scritto dello stesso professore sarà pubblicato fra poco dal R. Istituto, e promette di comunicare alla Società i ri- sultati delle esperienze che egli farà nella prossima pri- mavera. Il segretario Stoppani legge alcuni cenni sulla Carta geologica dei dintorni del monte Bianco, or ora pubbli cata dal professore Favre di Ginevra. Dice come siffatta . carta contenga indicazioni interessantissime intorno ad alcuni terreni, come faccia nascere molti problemi sulla storia geologica delle Alpi, e come debba essere impor- tantissima anche per i geologi che studiano le Alpi lom- barde e venete. Il socio professore Buzzetti legge la prima parte di un suo Rendiconto sul Congresso scientifico italiano di Siena. Il socio Tinelli legge una Nota Sull’allevamento del baco da seta dell’ ailanto, nella quale si dimostra che la maggior parte dei tentativi fatti fino ad ora per allevare all'aperto quel baco non ha avuto risultati soddisfacenti. Il socio professore Galanti prende occasione dalla pa- rola del presidente Cornalia sull’uso del solfito di soda per curare i bachi da seta, per far osservare che gli espe- rimenti dei signori Polli e Vittadini non hanno nulla di comune colla miscela di so/fo e calce idrata proposta dal padre Cavalleri per curare i gelsi, poichè, quand’ anche questa miscela possa in certe circostanze trasformarsi in vero .so/furo di calcio, questo deve poi passare allo stato SEDUTA DEL 23 GENNAJO 1863 419 di so/futo di calce in conseguenza dell’azione dell'ossigeno dell’aria, così come si trasformano in solfato di ferro le piriti esistenti in molti luoghi sotto al terreno vegetale. Che se il padre Cavalleri, trattando con un acido forte la sua miscela, già rimasta per qualche tempo nel suolo, ne ebbe la produzione di idrogene solforato, questo non prova che il solfuro rimanga sempre solfuro, ma prova soltanto che la sua trasformazione è lenta. e che il padre Caval- leri ha fatto l’esperienza quando tale trasformazione non era ancora completa. Il sienor Galanti non crede che la malattia attuale del baco da seta sia l’effetto d'una speciale condizione mor- bosa del gelso o delle sue foglie, e quindi non può dare la sua approvazione a tutti i mezzi proposti per curare 1 gelsi, onde aver bachi sani. In quanto poi alla maggiore potatura, proposta dal socio Tinelli, per avere della fo- glia più resistente alle influenze morbose atmosferiche supposte dallo stesso signor Tinelli, egli fa osservare che la potatura si ammette necessaria per far crescere lo svi- luppo delle foglie, a scapito dei fiori e dei frutti; ma non può non essere più o meno dannosa alle piante, e che ciù è dimostrato dal fatto che i gelsi non mai potati sono più robusti, più grandi e più longevi che quelli costantemente tormentati dal ferro. Egli fa pure osservare che le foglie più grandi e più ricche di acqua, che si producono dopo la potatura, non devono essere più nutritive che quelle dei gelsi non potati, poichè nelle prime la materia nutri- tiva dev’ essere stemperata in una maggiore quantità di suechio, e quindi il baco deve mangiare una maggiore quantità di foglia per introdurre una eguale quantità di sostanza nutritiva. E letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. 20 SEDUTA DEL 25 GENNAJO 1863 È approvato il rendiconto amministrativo per l’ an- no 1862, e poi il preventivo pel 1863. È rieletto vice-presidente il signor ANTONIO VILLA. È rieletto segretario il signor GIOvANNI OMBONI. È rieletto cassiere il signor marchese Pietro BARBÒ. È rieletto economo il signor AnToNIO GADDI. È rieletto conservatore il signor CRISTOFORO BELLOTTI, e poi, dietro sua rinuncia, è chiamato allo stesso posto il signor TEoporo CARUEL. A membri della Commissione amministrativa si rieleg- gono i signori CARLO Visconti ERMES, OscuLaTI e An- TONIO (HARAVAGLIA. Sono nominati soci effettivi i signori: SpreaFIco Emicio di Milano (Cordusio, 12), proposto dai soci Villa fratelli e Omboni. Giusti Giuseppe di Milano (via dei Due Muri, 22), proposto dai soci Villa fratelli e Omboni. FrancescHini FeLIce di Milano (piazza dei Filo-dram- matici, 5), proposto dai soci Villa fratelli e Cornalia. Craveri FepERICO, professore di chimica a Brà, pro- posto dai soci Gastaldi, Stoppani Antonio e Omboni. SiLvestRI dottor OrAZIO, professore di chimica alla R. Università di Catania, proposto dai soci D'Ancona, Cor- nalia e Omboni. SpacwnoLINI dottor ALESSANDRO, professore di storia na- turale nel Collegio Militare di Firenze (via della Pergo- la, 61), proposto dai soci d’Ancona, Cornalia e Omboni. Varisco ANTONIO, professore nell'Istituto Tecnico di Bergamo, proposto dai soci Cornalia, Omboni e Stoppani. ParLatore FiLiePo, professore di botanica al Museo di Storia Naturale di Firenze, proposto dai soci Caruel, Cornalia e Omboni. SEDUTA DEL 25 GENNAJO 1863 DU Targioni-TozzerTI Aporro, professore di zoologia al Museo di Storia Naturale di Firenze, proposto come sopra. Savi Pierro, professore di botanica alla R. Università di:Pisa, proposto come sopra. CacanpRINI FiLIePo, professore di botanica all’ Istituto Agrario di Firenze, proposto come sopra. Biccni CESARE, direttore dell'Orto Botanico di Lucca, proposto come sopra. MarcHI PietRo, dissettore zoologico al Museo di Storia Naturale di Firenze, proposto come sopra. Caupesi Lopovico, di Faenza, proposto come sopra. BeccarI OpoarDpo, di Firenze, studente alla R. Uni versità di Pisa, proposto come sopra. Sono nominati soci corrispondenti 1 signori : Harpincer GueLiELMo, direttore dell’ I. R. Istituto geo- logico di Vienna. Hauer Francesco, consigliere, ecc., dell’I. R. Istituto geologico di Vienna. SENONER ApoLro, bibliotecario dell’ I. R. Istituto geo- logico di Vienna. Desor Epoarpo, professore di geologia alla Scuola Po- litecnica di Neuchàtel. Picret F. J., professore di zoologia e anatomia com- parata all'Accademia di Ginevra. STUDER BeRrNARDO, professore di geologia a Berna. FAvRE ALFONSO, professore di geologia a Ginevra. MeRIAN, professore di geologia al Museo di Storia Na- turale di Basilea. PiLLer Luci, avvocato, direttore del gabinetto mine- ralogico di Chambery. Lory CARLO, professore di geologia alla Facoltà delle Scienze di Grenoble. 292 SEDUTA DEL 25 GENNAJO 1863 Micnaup Anprea Lurci Gaspare di Sainte-Foy-les- Lyon (Rbòne) in Francia. Hrer OsvaLpo, professore di botanica al Politecnico di Zurigo. Grnitz Bruno, direttore del R. Gabinetto di mine- ralogia a Dresda. - GaPPERT, consigliere intimo medicinale, direttore del R. Orto Botanico di Breslavia. Guerin-MENEvILLE redattore del Magasin. de zoolo- gie, ec. di Parigi (rue des Beaux Arts 24). BARRAL, direttore del giornale L’Agricolture prati- que, Parigi. FiguieR, di Parigi, autore dell’'Année scientifique, ecc. Ramsay ANDREA, presidente della Società geologica di Londra. LyeLL Caro, della Società geologica di Londra, ecc., (Harley Street, 53). FALCONER, della Società geologica di Londra, ecc., (Sockewille Gia 30). AUERBACH, uno dei segretarj della Società imperiale dei ai di Mosca. Boug Amico, di Vienna, (Wieden Mittersteig Schloessel- gasse, 994), Dal giorno dell'ultima seduta fino ad oggi sono giunti 1 seguenti libri: Csruer, Observations sur VHeterotoma lobelioides Zucc., de la fa- mille des Lobeliacées ( Annales des sciences naturelles, IV série, tome XI, cahier 5.) — Illustratio in hortum siccum Andree Cesalpini. Florentize, 41858. — Prodromo della Flora Toscana, fascicoli 1 e 2, Talamiflore e Caliciflore polipetale. Firenze, 1860 e 1862. — On Combretum butirosum, a new kind of Butter-tree from South- Fastern Africa. (Proceed. of the Linn. Soc. IV.) “ sepuTa DEL 23 GENNAIO 1885 25 Carver Vozioni elementari di botanica per le scuole dei comuni ayri- coli. Parte prima e parte seconda. Firenze. Dal giornale Za /a- miglia e la Scuola. 1860. De Bosis, Z/ clima d’ Ancona. Ancona, 1862. — Rapporto ed Appendice sull’ ampliazione del porto d’ Ancona. Ancona, 1862. Revue Savoisienne, 4." année (1865), num. 4. Borrsnauser, Sull’ umidità dei muri. — MORTILLET, Sul libro di Fi- guier intitolato La terre avant le Déluge. — E diversi articoli di storia, archeologia, ecc. 3rovx und Leowmanp, Newes-Jahrbuch, 1862, fase. 6. CoTTA, Rocce e loro composizione. — SCARFF, Calcare e sna cristal- lizzazione. — WiiRTEMBERGER, Piante fossili terziarie del Klettgau. — Lettere, estratti, ecc. PiuLer, Mémoire géologique sur la commune de Chanaz. (Mémoires de l’Acad. de Savoie.) Dei, Catalogo degli uccelli che si trovano nella provincia senese. Siena, 1862. Masoccn, Storia naturale della creazione. Codogno, 1860. Stena e il suo territorio. Siena, 1862. — Opera pubblicata in occa- sione del Congresso scientifico di Siena. Comperata dalla Società, per mezzo del signor professore Buzzetti. Favne, Carte géologique des parties de la Savoie, du Piémont et de la Suisse, voisines du Mont Blanc. Genève, 1862. Cantoni, Annali d’ agricoltura, 1862, Num. 24. L'almanacco del coltivatore del professore Ottavi. — Saggio botanico- agrario dell’agro lodigiano. — Modo di preparare del letame od ingrasso senza l’aiuto del bestiame Salassi di precauzione degli animali dome- stici. — Dell’ unità organica. Il Politecnico, Num. 79 (1.° del vol. XVI, gennajo 1865). LomBARDINT, Sui progetti intesi ad estendere l'irrigazione della pia- nura del Po. — Marzoto, Sulla educazione dei sordo-muti. — Lettere della figlia di Galileo a suo padre. — La chimica organica di Berthelot. — L'ultima esplorazione nell’Australia centrale. — Scavo di miniere di piombo nella Valsassina. 24 SEDUTA DEL 25 GENNAJO 1863 Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschichte in Meklen- burg. 16 Jahr. 1862. Mémoires de l’ Acaderzie royale de Savoie, tome I, HI, I. BiLuieT, Sul censimento delle persone affette dal gozzo o dal cretii- smo. — Baruuy, Costumi e abitudini degli uccelli della Savoja. — Re- VEL, Causa dell’insensibilità prodotta dall’ inspirazione dell’etere. — Bin- LIET, Sui terremoti sentiti in Savoja. — BouJran, Colpo di fulmine ca- duto su una chiesa presso Chambery. — CaALLoup, Sull'’ammendamento delle terre. — HuGuENIN, Piante fanerogame che amano stare presso le abitazioni dell’uomo. — VALLET, Conchiglie perforanti del bacino di Chambery. —: PiLuET, Sull’erosione fluviale nel bacino d'Aix. — PILLET e Giron, Memoria geologica sul comune di Chanaz. — VaALLET, Sulla craie blanche dei dintorni di Chambery. — HuGuEntIN, Alcune piante rare della Savoja. — PILLET, Descrizione geologica dei dintorni d’Aix. E alcuni lavori di archeologia, numismatica, ecc. Memoires de l’ Academie imperiale de Savoie, seconde serie, to- mo ÎV e tomo V, fascicoli 1 e 2. BONJEAN, Quantità dell’iodio e del bromo contenuti nelle acque d'Aix e di Marlioz. — PiLLET, Studii geologici sulle Alpi della Moriana. — PiLLET, Rendiconti dei lavori e delle sedute dell’ Accademia. — CAL- LOUD, Sull’ozono manifestato a cielo sereno e nella rugiada. — CALLOUD, Analisi d’una terra argillosa in coltura a Saint-Jeoire (Chambery.) Atti del R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti, vol. III, 9 e 10. LomBARDINI, Sui progetti intesi ad estendere l'irrigazione della pia- nura nella Valle del Po. — PoLr, Sull’insegnamento della pubblica istru- zione. — MaGrINI, Sui punti stabiliti nel X.° Congresso degli scienziati italiani in Siena intorno all’ Associazione meteorologica per la Lombardia. — Lavori del R. Istituto. — Osservazioni meteorologiche. Bulletin de la Société impériale d’acclimatation, tome IX, 11. Descrizione dei montoni della China. — Sul modo di riconoscere le uova di gallina fecondate e quelle non fecondate. — Insetti erbivori della Riunione. — La vite in Australia. — La coca, e la sua coltivazione in America. — Processi verbali, conferenze, ecc. Rendiconto dell’.fccademia delle scienze, ecc., di Vapoli, fasc. 7 e 8, novembre e dicembre 1862. NaroLr, Sulla produzione del sale ammoniaco nelle fumarole vesu- viane. — Dre Luca, Azione dell’haschish sull’ organismo. — GASPAR- SEDUTA DEL 25 GENNAJO 1865 25 RiNI, Sopra talune modificazioni organiche in alcune cellule vegetali. — De GASPARIS, Sulla determinazione delle orbite planetarie. — BATTA- aLINI, Sulle forme geometriche. — De Luca, Sui composti a base di protossido di ferro e sul protocloruro di ferro. Esercitazioni dell’ Accademia agraria di Pesaro, anno XI, seme- stre 2.°, anno XII e anno XIII, semestre 1.° MANCINI, Pozzi forati e fontane salienti. — FRABETTI, Modo d’ iden- tificare le caratteristiche influenti sui prodotti della terra. — GATTI, La malattia delle uve. — PeTRucCI, Sulle api. — GriroLaAMI, Sulla pella- gra. — PeTRUCCI, Sul miglioramento dell’aere nel territorio pesarese. — SERPIERI, Sulle osservazioni meteorologiche. — GALVANI, Sulla distru- zione degli insetti dannosi ai peri e meli. — GALVANI e PETRUCCI, Sulla malattia delle viti. — PURGOTTI, Analisi dell’acqua delle pubbliche fonti di Pesaro. — CraLDI, Sul moto ondoso del mare. — CraLDpr, Sul porto di Pesaro. — SENONER, Delle cactee. — Guipi, La capra dev'essere bandita dalle provincie d'Urbino e Pesaro? — Gurpr, Sul periodico abbassamento di temperatura che suole avvenire verso la metà di maggio. — GurpI, Di un osservatorio meteorologico in Pesaro. — BoussingaULT, La fossa del letame. — Gur, Le piante da foraggio. Il Topinambur. — Guip:, La- vori dell’ Accademia nell’ ultimo quinquennio. — Gurpr, Sull’ industria serica nel Mandamento di Pesaro. — ForTUNATI, Di alcuni errori sulla coltivazione della vite. — GutpI, Osservatorio meteorologico da erigersi in Pesaro. — Guipi, Oggetti mandati da Pesaro all’esposizione di Lon- dra. — VREISE, Discorso di fisiologia vegetale sul miglior governo delle piante. — GiRoLAMI, Sul compilamento delle statistiche mediche e igie- niche. — Elenco dei socj. Pigorini und Srrose, Die Terramara-Lager der Emilia. Erster Be- richt. Ziirich 18635. (Mittheilungen der antiquarischen Gesellschaft in Zirich. Band XIV, Hest. 6). Con tre tavole rappresentanti la disposizione dei pali, e gli oggetli trovati nelle Terremare. 26 SEDUTA DEL 25 GENNAJO 1865 RENDICONTO AMMINISTRATIVO peL 1862 Approvato dal Consiglio d'amministrazione nel giorno 18 gennajo 1863, e dalla Società nella seduta del giorno 25 gennajo 1863. Rimarevano alla Società, il dì 31 dicembre 1861 Entrarono: Per riscossione di quote arretrate . . . L. 387 28 Per riscossione di quote per l’anno 1862. n 2500 — Per rimborsi per Memorie stampate a parte per conto degli Autori . . . . +» 205 — Per Atti venduti a Soci e ad asti sua Tn 163 + L. 3155 28 Uscirono : Per la stampa degli Atti, comprese le tavole, ed anche le copie a parte delle Memorie per conto dei singoli Autori . L. 1743 — Circolari per le Sedute. . . . È n 99 — Circolari e Diplemi pei Socj E » TD- Soscrizione per la collezione degli oggetti scientifiei lasciati dal Volta, da acqui- starsi pel Regio Istituto Lombardo di scienze, ecc. i. n° 200 — Libri comperati per la Biblioteca ssaa n'-20L 90 Legatura di libri della Biblioteca . . . » 23 — Stipendj d’inservienti . . . . >. m 329 80 Carta ed altri oggetti di I at s ‘70:25 60. Legna per la stufa . . . » 1 5) Porto di libri e spese otlatt fatte dalla Presidenza .. .._. RE Os SERE ago 20 Spese diverse fatte dal Calo REI 4 — Ailanti piantati al Museo Civico, per fare delle esperienze sull’ allevamento del Bombyx Cynthia . . . 0...” 8 L. 3011 63 Restano alla Società, nel giorno 31 dicembre 1862 L. 1762 02 DL. 3155 28 L. 4917 30 n S011 65 "I. 1905 67 SEDUTA DEL 25 GENNAJO 1863 27 Rimane a riscuotersi una trentina di quote arretrate (una del 1861 e le altre del 1862), e nel 1863 si avranno a riscuotere almeno cento settanta quote pel 1863, essendo ora i socj effettivi in numero di 157, e dovendosene ammettere 15 già nella seduta di gennajo. Si avranno dunque a riscuotere almeno duecento quote, da 20 lire ciascuna, cioè almeno 4000 lire. Si avranno pure a riscuotere quasi 480 lire per rimborsi di copie di Memo- rie stampate a parte per conto degli Autori negli anni 1860, 1861 e 1862. I libri comperati nel 1862 per la Biblioteca Sociale, e che possono, secondo i Regolamenti, essere consultati e adoperati dai singoli socj, come tutti gli altri libri della Società, sono i seguenti: JAN, /conographie générale des Ophidiens, 1.° et 2.8 livraison. Dunker und Meyer, Palaeontographica. Alcuni volumi e fa- scicoli ALBERS, Meliceen . Bruck, Osteologie des Biitalagiono PREVENTIVO peL 1863 approvato col rendiconto precedente Entreranno, per circa 30 quote arretrate e per circa 170 quote pel 1863. E per rimborsi circa . Si prevede quindi un entrata di circa . . Rimangono alla Società, alla fine del 1862 . Si può quindi supporre pel 1863 un attivo totale di . Le principali spese da farsi saranno appress’ a poco come nel 1862 , cioè Per gli Atti 120} L. 2000 — Per le spese di cancelleria . . ..... » 50 Per le circolari stampate... ;.-.. ... (0% 1125.—- Pier le'spese postali (0 ..r. a LE IO PRESE L'IOSGENICOE SO SI, LE PI Si può quindi prevedere una spesa totale di L. 2500 — £X quindi un avanzo attivo di. Io (= » 1658 — » 13 50 n 48 — L. 251 50 L. 4000 -- » 480 — L. 4480.— » 1905 67 L. 2800 — L. 3585 67 Il Segretario G. OMBONI. SUL FIORE FEMMINEO DEGLI ARUM NOTA DEL PROFESSORE TEODORO CARUEL CON UNA TAVOLA (Tav. 1). (Seduta del 25 gennajo 1863.) Una diecina d’anni fa, il professore Gasparrini pubblicò negli Atti dell’Accademia di Napoli, e contemporaneamente negli Annali delle scienze naturali di Parigi (1), alcune sue osservazioni sullo sviluppo del fiore dell’Arum italicum, dalle quali sarebbe risultata la necessità di ammettere la presenza di un invoglio fiorale nei fiori femminei di questa pianta, e delle sue congeneri, in contrario alla generale cre- denza dei botanici, che avevano sempre considerato quei fiori come nudi. lo mi occupava allora di simili studj organogenici, e ne aveva fatto appunto sull’ Arum, che peraltro mi avevano condotto a un modo di vedere ben diverso da quello del professore Gasparrini, e in accordo con la opinione comune: perlochè stimai bene di pubblicare subito le mie osservazioni in proposito, e lo feci negli stessi Annali delle scienze naturali (2), perchè i botanici potessero almeno con- frontare le due opinioni prima di giudicare la questione. (4) Note sur la présence d’une enveloppe florale dans l’Arum italicum, par M. Guil- laume Gasparrini (Ann. sc. nat. Botanique, 3.° série, tome XV). (2) Note sur le développement des fleurs ile l'Arum italicum, par M. T. Caruel (Ann. se. nat. Bot., 3.° série, tom XVI). T. CARUFL, SUL FIORE FEMMINEO DEGLI ANRUM 29 Ultimamente il signor Federico Polonio ha pubblicato una memo- ria sul medesimo argomento (1), nella quale avendo preso ad’esame i due contrarj pareri sovraccennati, egli ha concluso ricisamente in favore di quello sostenuto dal professore Gasparrini. Se si trattasse di una mera diversità di pareri, ben volentieri io serberei il silenzio, lasciando al libero giudizio d’altri il decidere da quale parte stesse la maggiore apparenza di verità: molto più in questo caso, dove mi trovo dissentire da un uomo come il professore Gasparrini, per cui come scienziato ho la più alta stima, mentre gli sono vincolato da legami di amicizia e di riconoscenza. Siccome però trattasi più che altro di fatti, nella osservazione dei quali non credo di essermi ingannato, io mi sento in dovere, in omaggio al vero, di richiamare sopra di essi l’attenzione dei botanici italiani, col ripro- durre le parole colle quali io ne rendeva conto negli Annali delle scienze naturali, più col corredo di figure a schiarimento del testo, che i redattori del periodico francese credettero allora cosa superflua pubblicare. Ecco infatti presso a poco come io mi esprimeva intorno allo svi- luppo del fiore femmineo dell’ 4rum italicum: « La prima forma con la quale presentansi nel nascere i fiori femminei dell’ 4rum, è quella di un capezzolo circolare, a pena inalzato al disopra della superficie dell’asse dello spadice, e piano o anche leggermente depresso nella sua sommità. In allora, que’ fiori possono avere tutt'al più 0,15 mil- limetri di largo; essi occupano la metà inferiore di uno spadice lungo un millimetro e mezzo (Tav. I, fig. 41). Esaminati un po’ più tardi, sopra uno spadice lungo 2 millimetri, mostransi cresciuti a pena nel senso della loro larghezza, mentre la loro altezza è aumentata di molto; la forma da essi acquistata è quella di un bottoncino arroton- dito, posto perpendicolarmente nella superficie dell’ asse dello spa- dice, troncato in cima, e leggermente ristretto in basso!; ;il tessuto otricellare che li costituisce è ancora pieno, la depressione che hanno in cima è poco nolevole (fig. 2). A poco per volta, quella depres- sione va facendosi più profonda, per il graduato rialzamento del suo ({) Osservazioni organogeniche sui fioretti femminei dell’ Arum ttalicum. Memoria di Antonio Federico Polonio. — Pavia, 18614. 50 T. CARUEL, margine, che forma in tal guisa una cinta continua, di così notevole spessezza, da non lasciare nel centro del capezzolo fiorale altro spazio vuoto che un canaletto, il quale si allarga in alto a guisa d’ imbuto nella superficie superiore del capezzolo stesso: come meglio che con qualunque altro metodo si vede praticando un taglio nel suo interno (tig. 3). Poco di poi la estremità inferiore del canaletto si dilata, e trasformasi in una cavità, spesso eccentrica e di forma irregolare (fig. 4). Quella cavità s’ingrandisce rapidamente, e occupa in fine tutta la parte centrale del capezzolo; e, prima che questo abbia acqui- stata una lunghezza di * di millimetro, la parete della sua cavità prin- cipia a cuoprirsi in basso di un certo numero di corpi otricellari, prima arrotonditi, di poi conici (fig. 8). Or bene, questi sono gli ovuli rudimentali (o gemmette come meglio si direbbe), come ce lo dimostra il loro ulteriore progresso (fig. 6): per conseguenza l’ or- gano che li rinchiude, e di cui abbiamo seguito passo passo il pro- gressivo sviluppo, è un pistillo, ed è a quel pistillo nudo che ridu- cesi il fiore femmineo dell’ Arum italicum. » Tale non è però il sentimento del professore Gasparrini e del si- gnor Polonio. Il professore Gasparrini pensa di avere osservato sulla superficie del capezzolo fiorale dell’ rum, studiato quando esso è lungo circa '/3 di millimetro, vale a dire al periodo rappresentato dalla mia fig. 3, quattro solchetti longitudinali, che starebbero a rap- presentare le commettiture di quattro lobi disposti in cerchio, i quali poi, mediante la compressione del capezzolo fra due lastre di vetro, mostrerebbero col loro contorno regolare intero, un poco allargato e curvato in cima, di essere realmente distinti l’uno dall'altro, e di costituire col loro insieme un vero invoglio fiorale o perigonio; in seno al quale comparirebbe più tardi, cioè nel fiore lungo ?/; di mil- limetro (vedasi la mia fig. 8), un ovario distinto col suo stilo e più tardi con lo stimma, ovario che poi si salderebbe col perigonio in inodo da non lasciare più tardi traccia veruna della sua primitiva esistenza. Sento bene che non lieve assunto sarà per me il voler dare una spiegazione conforme al mio modo di vedere, di quelle apparenze descritte e figurate dal professore Gaspatrini. Tuttavia sarebbe ella SUL FIORE FEMMINEO DEGLI ARUM 54 soverchia temerità la mia, di pensare che i nostri diversi pareri ri- sultino unicamente dal diverso sistema d’investigazione praticato da ciascuno di noi? Niente di più facile, per esempio, trattandosi di og- getti così minuti e delicati da indurre in errore il più sagace os- servatore, che la compressione del fiore giovanissimo (vedasi la mia fig. 3), facendo comparire ad un tratto sotto il microscopio il suo canaletto interno, abbia dato a questo l’ apparenza dei margini di varj lobi nei quali si sarebbe diviso il fiore; che più tardi il cana- letto stesso dilatatosi in basso, abbia simulato un ovario col suo stilo ; e via dicendo. Per me, devo dire che non ho mai potuto distinguere solchi longitudinali sui giovani fiori, meno che in qualche caso ec- cezionale; e che i fiori compressi non mi si sono mai separati in parti che potessero fare sospettare l’esistenza di pezzi distinti. Se a parer mio questa spiegazione riesce abbastanza soddisfacente quando sia applicata alle figure della memoria del professore Gaspar- rini, devo per altro confessare che non è più applicabile a diverse di quelle addotte dal signor Polonio e precisamente alle sue figu- re 7,9 e 11, nelle quali non si vede più come in quelle altre la contrastata divisione di parti indicata da solchi cc., ma quelle parti stesse interamente disgiunte, a modo di veri lobi di un perigonio. In quanto al corpo rappresentato dal signor Polonio nelle sue figu- re 8 e 9 come il carpello ossia pistillo, quello è per me evidente- mente un ovulo. Aggiungerò in ultimo a conferma del mio modo di vedere, che Io sviluppo del fiore femmineo dell’ 4rum tale quale 1’ ho osservato, quadra perfettamente con quanto si conosce intorno alla genesi dei pistilli, mentre non starebbe in armonia con quella degli invogl) fiorali. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (TAVOLA 1) Fig. 1. Taglio longitudinale per il mezzo di uno spadice di 4run italicum lungo un millimetro e mezzo, la di cui metà inferiore è occupata da pistitli nascenti. 39 T. CARUEL, SUL FIORE FEMMINEO DEGLI ARUM Fig. 2. Pistilli lunghi un quinto di millimetro all'incirca. Fig. 3. Pistilli più avanzati, tagliati per il lungo per mostrare il canaletto interno che fa seguito alla depressione della loro sommità. Farò osservare che spesso il canaletto è irregolare tanto per la. sua direzione quanto per la sua forma, e che spesso ancora il suo orifizio ha sembianza di una fessura. Fig. 4. Pistillo più avanzato ancora, e tagliato per lungo nel mezzo, in cui la estremità del canaletto si è allargata in modo da formare una cavità interna. Fig. 5. Tre pistilli ancora più avanzati, lunghi due terzi di milli- metro, con dentro giovanissimi ovuli; il pistillo di mezzo intero, gli altri due tagliati per lungo, in quello di sinistra il taglio passa esat- tamente per il mezzo del canaletto. Fig. 6. Due pistilli lunghi più di un millimetro, tagliati per lungo per mostrare gli ovuli più avanzati che nella figura. precedente. ‘ Tutte queste figure sono state disegnate con la camera lucida, ad un ingrandimento di circa d0 diametri. —_ 1 LTKVI IT SULL’ACIDO CARBONICO EMESSO DALLE PIANTE Osservazioni Chimico - Fisiologiehe DEI DOTTORI G. PASSERINI e G. GIORGINI PROFESSORI NELL'UNIVERSITÀ DI PARMA. (Seduta del 22 febbraio 1863.) Sapevasi già da tempo che le radici delle piante emettono acido carbonico non altrimenti di ciò che fanno tutte le parti colorate dei vegetali. Tanto almeno rilevasi chiaramente dalle opere di Jussieu e di Schleiden (1) i quali adducono un tal fatto come notorio, e per nulla bisognevole di prove. Nessuno per altro sembra aver dato a simil fenomeno un’ importanza diversa da quella che si è data al funzionamento, in rapporto coll’aria atmosferica, di tulte le parti della pianta che non hanno il color verde; nè tampoco pare essere stato avvertito nelle lunghe controversie che sonosi dibattute intorno alle escrezioni delle radici. Ma poichè il celebre Liebig, nelle sue lettere chimiche pubblicate nella Gazzetta universale d’ Augusta l’anno 1857, dopo aver fatta conoscere la proprietà del suolo arabile di sottrarre da’ loro sciolti e trattener quindi le sostanze che costituiscono i principali alimenti della pianta, chiamò in iscena, non senza una cert’aria di novità, l’a- cido carbonico emesso dalle radici siccome il mezzo col quale esse strappano all’avaro suolo i materiali di cui la pianta ha bisogno; l’attenzione degli scienziati fu come risvegliata d’un tratto, e non mancarono anche fra noi esperimentatori che presero a studiare il fenomeno in discorso Il quale successivamente sorrise per niodo alla (4) A. De Jussigu, Cowrs élémentaire de Botanique, p. 237. — M. 1. ScaLeinen, Griind- zitye der wissenschaflichen Botanik 2 Aufl. Il. p. 487. Vol. V. 5 SL PASSERINI E GIORGINI, mente di un dotto agronomo, che fabbricò su di esso una nuova teo- ria fisiologica delle piante, rovesciando fin dalle basi quanto aveva dapprima costituito il vangelo de’fisiologi rispettivamente alle fun- zioni che si compiono dalle piante. Non è ora nostro intendimento di prendere qui ad esame i Muovi Principii di Fisiologia vegetale del chiarissimo professore Gaetano Cantoni, nè tampoco di pronunziare intorno ad essi un giudizio pel quale in tanta penuria di fatti fisiologici bene accertati ne verrebbero meno gli argomenti; ma soltanto essendo stati condotti dalla lettura di quel lavoro ad istituire alcune ricerche sul fatto fisiologico che ne costituisce il cardine fondamentale, stimiamo di far conoscere i ri- sultamenti ottenuti, i quali in una materia sì oscura qual’ è quella de’ rapporti della pianta coll’aria atmosferica e colla luce, potrebbero aver forse qualche importanza, e provare alla loro volta, che molto rimane ancora a scoprirsi intorno alle più semplici funzioni dell’or- ganismo vegetale. Per verificare innanzi tutto la semplice emissione dell’acido carbo- nico per parte delle radici ripetemmo variamente l’esperimento di Liebig, che consiste nell’immergere le radici di una pianta divelta entro la soluzione della tintura dilaccamuffa. Le radici levate dal suolo quanto più potevasi integre ed intatte, venivano previamente pulite e deterse da ogni materia solubile mercè la protratta lavatura con acqua stilata, ed immerse quindi totalmente nella tintura. La parte aerea della pianta, cioè il fusto i rami e le foglie, veniva conservata quale trovavasi prima che l'individuo fosse tolto dal terreno. Durante la fredda stagione, allorquando è assai lento il funzionare dell'organismo vegetale, verificavasi a capo di quattro a sei giorni un deciso arrossamento della tintura a seconda della specie e segna- tamente della forza e della massa delle radici ; mentre in primavera ed in estate ottenevasi il medesimo risultato entro la giornata, e molte volte eziandio al termine di poche ore. Simile arrossamento era dovuto all’azione di un acido, non già ad alterazione altrimenti subita dalla tintura organica, perchè il colore azzurro veniva ripristinato cogli alcali. L'acido in quistione appalesa- vasi poi essere acido carbonico, perchè l'acqua di calce produceva SULL'ACIDO CARBONIGO EMESSO DALLE PIANTE 55 nel liquido arrossato un inalbamento che fugavasi coll’aggiunta ulte- riore del liquido medesimo ; oppure riscaldando la tintura ‘arrossata in tubetto d’assaggio, vedevasi riacquistare il colore azzurro. Gli stessi esperimenti furono ripetuti immergendo le radici in sem- plice acqua stillata, nel quale caso dopo un tempo più o meno lungo a seconda della stagione, l’acqua che avea servito all’ esperimento inalbavasi coll’acqua di calce, e ridiveniva limpida coll’aggiunta suc- cessiva di altra porzione dell’acqua saggiata, ciò che provava ugual- mente la presenza dell'acido carbonico libero. Analoghi risultati sonosi ottenuti così al bujo come a luce diretta e diffusa, ciò che forse ne indicherebbe non avere la luce un'azione, almeno immediata, sul fenomeno che abbiamo preso a considerare. È qui notiamo di volo, che al contrario di quanto ha osservato il dot- tor Zanardini (Atti dell'Istituto Veneto), noi abbiamo costantemente ottenuto anche al bujo l’arrossamento della tintura, ossia l'emissione di acido carbonico dalle radici. Se non che il modo di esperimentazione da noi praticato, che è pur quello del Liebig, del Pollacci, e di molti altri, non isfugge al- l’obbiezione che divellendo le radici dal suolo, torna pressochè im- possibile il non lacerarle almeno nelle più fine loro diramazioni, e che perciò i risultati con quelle ottenuti non possono rappresentarci quanto avviene nelle condizioni normali. Inoltre lo stato ben di- verso che si crea ad una pianta terrestre posta colle radici a pescare entro l’acqua può assai facilmente modificarne le fanzioni; e perciò nell'intento di eliminare queste ed altre simili possibilità di errore , venne ad uno di noi il pensiero di sperimentare con una pianta natu- ralmente galleggiante. Opportunissima a quest'uopo parve una specie di lente acquajuola, la Lemna minor, di cui si fece galleggiare un fitto strato sulla tin- tura di laccamuffa, riunendo così nel medesimo esperimento i van- taggi di non alterare le abitudini della pianta e di evitare il rischio di lacerarne le radici. Anche in questo caso si ottenne l’arrossamento della tintura che si fugava facendo bollire il liquido arrossato ; e l'’arrossamento era poi più pronto ed energico allorquando l'appa- recchio mantenevasi esposto alla luce solare diretta. Se a taluno 36 G. PASSERINI E G. GIORGINI, sembrasse di ritenere che in questo sperimento, anzichè dalle ra- dici esilissime, buona parte almeno dell’acido carbonico doveva pro- cedere dal verde caulofillo della Zemna posto a contatto della tintura, noi noteremo tanto più volontieri il fatto, poichè secondo le vigenti teorie dovrebbesi avere dalle parti verdi sferzate dal sole emissione di ossigeno, non già di acido carbonico. Si noti che in questo come in tutti gli esperimenti istituiti al sole, veniva la tintura sottratta all’azione de’ raggi solari, ed il vaso che la conteneva collocavasi entro vaso più ampio ripieno di acqua a modo di refrigerante. Verificato in simil guisa ciò che altri aveva in gran parte prima di noi ottenuto, fummo curiosi di ricercare in qual modo si com- portassero sotto ugual trattamento altre parti della pianta. Ed innanzi tutto ne parve di dover tentare le radici aeree scegliendo a ciò un ramosissimo individuo di /Zartwegia comosa, pianta più comunemente nota ne’giardini sotto il nome di Cordyline vivipara ; e per questo altro non ebbesi a fare, fuorchè immergere un copioso fascio di radici pendenti da un ramo, e senza staccarlo dalla pianta, entro la tintura di tornasole, la quale divenne rossa al pari che nelle prece- denti osservazioni. Successivamente divennero i rami staccati soggetto di esame. Ri- conosciuto da prima collo stesso trattamento già praticato per le ra- dici che dalle estremità tronche de’rami emettevasi acido carbonico, si variò l'esperimento ponendo a confronto de’ rami di uno o due anni semplicemente recisi con altri della stessa specie e di pari forza, ad alcuni de’quali erasi tolta la scorza per tutto il tratto immerso, men- tre gli altri erano stati pel tratto medesimo privati del corpo legnoso, avendo cura di coprire con luto l’orlo inciso della scorza nel primo caso, e la superficie troncata del legno nel secondo. In tutti questi casi, così al chiaro come al bujo, tanto al sole che all’ombra, si ot- tenne il solito arrossamento della tintura e l’acidulamento dell’acqua stillata. Tutti i rami così trattati erano vestiti delle loro foglie, € quando fummo condotti ad esperimentare alla sua volta con rami spo- gliati di foglie, vedemmo la tintura mantenersi inalterata o mutare appena colore ed in grado incalcolabile. Dalle quali cose ci crediamo SULL'ACIDO CARBONICO EMESSO DALLE PIANTE 37 autorizzati a conchiudere che i rami recisi emettono acido carbonico, così dal legno, come dalla scorza; ma che per tale effetto richiedesi la presenza delle foglie. Anche le foglie direttamente immerse nella tintura, ne produce- vano l’arrossamento di giorno a luce diffusa e durante la notte. Questa facoltà per altro di emettere acido carbonico, tanto nelle radici di piante divelte quanto ne’rami recisi, non sembra che di breve durata. Il primo avviso a questo riguardo ne venne dall’osservare che radici e rami tagliati, i quali eransi mantenuti freschi pel corso di 24 ore, entro pura acqua stillata, immersi nella solita tintura di lac- camuffa la lasciarono inalterata, o soltanto vi produssero un incerto e debolissimo arrossamento; nè altrimenti si comportarono sia di giorno che di notte, così a luce diffusa come diretta; e lo stesso av- venne anche facendo uso di radici voluminose, le quali senza la precedente immersione nell’acqua stillata, avrebbero di certo in po- che ore arrossata fortemente la tintura. Un simile fatto ci conduceva naturalmente a sperimentare fino a qual punto durasse in una pianta divelta 1’ emissione di acido carbonico dalle radici. Si collocò un forte esemplare di Zactuca sativa entro la tintura nel modo superiormente esposto, e dopo ventiquattro ore di immer- sione si verificò un bellissimo arrubinamento , per fugare il quale e ricondurre il liquido all’azzurro, fu necessaria l'aggiunta di un dato numero di millimetri cubici di uno sciolto norinale di potassa cau- stica. La pianta medesima venne tosto passata entro nuova tintura , e dopo ventiquattro ore osservossi in questa un debole arrossamento, cui bastò a dissipare un trentesimo della quantità di sciolto normale che era occorso il di innanzi per ottenere la neutralizzazione. Ricol- locata la radice in altra porzione di tintura non si ebbe dopo venti- quattro ore che una leggera mutazione di colore, e poche goccie dello sciolto normale caustico bastarono a ripristinarlo. Simile decrescenza e successivo arresto nell’ emissione dell’ acido carbonico ne sembra la natural conseguenza dell’alterazione che de- vono subire le radici immerse nell’acqua, ed inoltre dello sconcerto che deve parimente verificarsi in tutte le funzioni di una pianta sot- toposta a simile trattamento. 58 G. PASSERINI E G. GIORGINI, SULL’ACIDO CARBONICO, EC. Oltre all'emissione dell’acido carbonico dalle radici e dai rami re- cisi ne sembra risultare dalle indagini esposte: 1.° Che entro i tessuti delle piante trovasi in copia dell’acido carbonico il quale percorre una via discendente, cioè dall’alto al basso della pianta, come lo provano i rami recisi, emettendo dalla superficie troncata il predetto gas. 2.° Che l'acido carbonico portantesi dalle parti superiori alle infe- riori della pianta, può ritenersi somministrato dalle foglie, come lo accennerebbe il comportarsi de’ rami sfrondati. ne’ nostri esperimenti. 3.° Che l'acido carbonico introdottosi, o comunque esistente ne’tes- suli delle foglie, non viene, almeno in gran parte, decomposto dai predetti organi nemmeno col soccorso della luce solare; come lo proverebbero tutti i nostri esperimenti eseguiti al sole, e segnata- mente quello della Lemna minor, ne’quali tutti continuava l’uscita dell’acido carbonico dalle radici; e forse meglio ancora, nel caso della Zemna, dalle parti verdi. Risultati di simile natura sembrerebbero più che bastanti per di- mostrare l’erroneità della teoria tuttora universalmente accettata in- torno alle funzioni delle foglie in rapporto coll’aria atmosferica e colla luce; od almeno per sollevare de’gravissimi dubbi contro la forza decomponente accordata alle parti verdi, ajutate dalla luce, verso l'acido carbonico. Certamente, restando pur sempre vero che entro alla pianta com- piesi di continuo un processo di disossidazione, tocca ora alla chi- mica di cercarne il magistero altrove che nelle foglie, e nella de- composizione dell’acido carbonico da essa operata, fenomeno tanto sorprendente, che si direbbe essere stato finora creduto, soltanto per- chè non pareva credibile. Forse più che la misteriosa virtù decom- ponente delle foglie e della luce diretta, prendono parte a questo mirabile giuoco della fissazione del carbonio nell'organismo vegetale gli alimenti azotati, come sembra lecito dedurre dagli esperimenti di Boussingault, intorno all’azione del nitro sulla vegetazione. Co- munque, noi saremmo lietissimi se le nostre tenui fatiche concor- ressero ad affrettare di un solo istante il giorno in cui verrà posto in luce il grande mistero dell’assimilazione nei vegetali. Parma, gennajo 1863 SULLA CARTA GEOLOGICA DEI DINTORNI DEL MONTE BIANCO PUBBLICATA DAL PROF. A. FAVRE CENNI DELL'ABATE A. STOPPANI (Seduta del 25 gennajo 1863. ) lì sig. Favre, già a voi ben noto, pe’ suoi lodatissimi lavori sui terreni delle Alpi, mi incarica di presentare a codesta nostra Società la sua Carte geologique des parties voisines du Mont- Blanc che or ora acquieta l’impazienza dei geologi, i quali, conoscendo il valore dell'autore, affrettavano coi voti una pubblicazione che, pigliando ad illustrare la più elevata regione dell’ Europa, il vero nodo delle al- pine catene, doveva tornare di tanto incremento alla scienza. Noi abitatori e studiosi di un versante della grande catena, salutiamo con speciale diletto una tale comparsa che, accresce di molto, per dir così, i nostri mezzi geologici, aumentando le nostre cognizioni rela- live a quella massima rugosità del continente europeo, intorno alla quale si adoperano già da oltre mezzo secolo gli ingegni più eletti, spingendosi su un’ erta segnata da nobili sforzi e deplorabili cadute, e offrendoci nuova ed ampia base di confronti, fecondi di risultati. La carta del signor Favre è in un sol foglio grande, tracciata alla scala di 1-180000. Ha per confini della parte colorata a Nord le sponde meridionali del lago di Ginevra; a N. E. il Rodano fino al- l'altezza di Martigny, quindi la valle d’Entremont, ossia la via che conduce al Gran S. Bernardo, la cui massa vi è compresa: si piega 40 A. FAVRE, quindi a S, E., incontrando su una linea quasi retta il Piccolo S. Ber- nardo, il Borgo S. Maurice, donde continua, seguendo il corso del- l' Isère, fino a Moutiers: esso fiume prosegue a segnarne i confini S. 0. fino a Conflans, dove essi passano oltre il Col de Tamié e sono indicati dal fiume Eau Morte, dalle sponde orientali del lago d’Annecy, quindi dalla via che conduce a Ginevra, passando per S. Julien. — Tutta la regione così limitata è già quindi compresa nella Carta geologica di Savoja, Piemonte e Liguria pur essa recentemente pubblicata dal nostro illustre compatriota Angelo Sismonda; ma la carta del sig. Fa- vre, oltre all’aver potuto indicare un molto maggior numero di par- ticolari, per essere ad una scala quasi quadrupla di quella del Sis- monda, esprime anche la discrepanza delle opinioni tra due geologi così benemeriti degli stud} alpini, o quella, dirò meglio, che distingue due scuole sorte da una lotta gloriosa di studj e da una nobile gara di progresso. Non mancherà la carta del sig. Favre di richiamare sul- l'arena i campioni, a sempre crescente vantaggio della scienza, che trova nell’ urto delle opinioni una condizione necessaria del suo svi- luppo. Il sig. Favre distingue i terreni di quella massa alpina in 24 gruppi o terreni ai quali corrispondono 17 colori, comprendendo alcuno di essi due terreni o piani contigui. In tre gruppi sono distinti i terreni eruttivi, uno comprende i terreni metamorfici, il restante appartiene ai terreni d’alluvione e di sedimento. Eccone la distinta. ALLUVIONALI 4. Scoscendimenti e alluvioni moderne. 2. Massi erratici calcarei. 3. Diluvium. TERZIARI ll. Molassa. 8. Macigno o grès di Taviglianaz. 6. Calcari e schisti nummulitici. SULLA CARTA GEOLOGICA DEI DINTORNI DEL MONTE BIANCO 16. 17. 18. 19. 20. 21. La succinta Explication de la Carte géologique che accompagna la CRreETACEI . Terreni della creta. . Albien-Gault. . Aptien. . Urgonien. . Néocomien. . Valangien. Giuresi . Giurese. . Liasico. . Infra-liasico. Triasici Triasico. PaLEozorci Carbonifero. MerAMORFICI Schisti cristallini. ERUTTIVI Protogine. Granito. Serpentino. 41 carta porge, in attesa di un’opera geologica ben più vasta, promes- saci dall'autore, dati più che sufficienti per l’intelligenza ed appre- ziazione della carta stessa. Il 1.° gruppo comprende le grandi frane, le alluvioni moderne che spesso si confondono colle antiche, le quali affettano ordinariamente a forma di terrazzi elevati al dissopra del livello attuale dei fiumi. 49 A. FAVRE, ll 2.° gruppo è quello del terreno .d’ origine glaciale. I massi di granito del Mont-Lachat, a 730" quelli sopra Bonneville a 1080", e fin 1220" d’elevazione sopra il fondo attuale delle rispettive valli, fanno toccare con mano l’enorme sviluppo degli antichi ghiacciaj, e ci fanno meravigliare che altri ne contesti ancora la esistenza. Se- gnala alla speciale attenzione una antica morena di mostruosi massi calcarei, cinti da una serie di massi granitici, che occupa tra Mont Salève e Bonneville uno spazio di tre leghe, sulla larghezza di una. Il diluvium comprende gli ammassi fangosi con erratici e ciottoli striati del periodo glaciale, e le antiche alluvioni a terrazzi, di cui si fe’ cenno più sopra. Dalla natura e dalla disposizione delle diverse porzioni del terreno detritico si dedurrebbe l’ esistenza: 1.° di una grand’epoca alluvionale anteriore al periodo glaciale; 2.° di un’epoca contrassegnata dallo sviluppo de’ ghiacciaj; 3.° di una seconda epoca alluvionale, determinata dalla fusione de’ ghiacciaj alla quale è do- vuta la formazione dei terrazzi. La mollassa miocenica non avrebbe che i caratteri d'una forma- zione d’acqua dolce nei dintorni di Ginevra. L’eocene è rappresentato dal macigno alpino avente forma talora di grès e di conglomerato, ma più sovente di schisto marnoso. Al- terna talora col grès dî Taviglianaz, che offre tutti i caratteri di una cenere o tufo vulcanico. L'idea che esso tufo, riposante, come le rocce trappiche del Vicentino, sul terreno nummulitico, abbia la stessa epoca e la stessa origine di quelle, è idea nuova, per quanto io mi sappia, ed io la accolgo con trasporto, come feconda di bril- lanti risultati. L’altezza a cui attinge ora il terreno nummulitico nelle Alpi, mostra quanto era in quell'epoca la depressione delle Alpi savojarde, che dovevano figurare come una scogliera isolata nel mare eocenico. Qual meraviglia, domanda il sig. Favre, che i prodotti dei vulcani del Vicentino, fossero portati fin nelle acque della Svizzera ai Diablerets, dove ora sono le casipole di Taviglianaz? La storia dei vulcani ci autorizza a ben più ardite ipotesi. I calcari e gli schisti nummulitici segnano una zona ben distinta e ben caratterizzata. Circa trenta specie, riconosciute da Hébert c Renevier, pongono fuor di dubbio la loro determinazione. SULLA CARTA GEOLOGICA DEI DINTORNI DEL MONTE BIANCO 45 La creta può ritenersi un equivalente del sénonien ossia della creta bianca. Scarsa di fossili, tra i quali però figurano gli inocerami, è specialmente determinata dalla sua giacitura sull’aldien o gault. Questo non è troppo sviluppato, ma in compenso appare in inolte località, presenta tutti i caratteri del gres verde ed è ricco di quella fauna brillante che fu deseritta da Pictet e Roux. Del pari caratterizzato da numerosi fossili sono l’aptien e l’urgonien. Il neocomiano presenta in Savoja uno sviluppo considerevole sotto il duplice aspetto di neocomiano giurese, cioè di calcare marnoso, giallastro, con o senza glauconia superiormente, di marne bleu assai fossilifero nella parte media, e di calcare ragginoso inferiormente, 0 di neocomiano alpino più marnoso del precedente. I terreni giuresi non sono sulla carta distinti che in due gruppi, uno superiore, giurese propriamente detto, l’altro inferiore, che com- prende il lias e l’infralias. Abbastanza riconoscibili sono però, se- condo le diverse località, e per buon numero di specie caratteristi che il kimméridien, il corallien, V'oxfordien e il callovien. Il Zias, al quale riportasi una massa enorme di terreni alpini, è per sventura troppo povero di fossili. Non mancano tuttavia di venire in ajuto di tale determinazione certi dati paleontologici sufficiente- mente accertati, e buoni dati stratigrafici. Nella memoria che aveste la pazienza di ascoltare nella precedente seduta io feci rimarcare la importanza del nuovo orizzonte geologico scoperto nelle Alpi, quello cioè degli strati ad Avicula contorta, ed ebbi l'occasione di mostrare la parte importantissima presa dal sig. Favre nello svolgere e nel precisare un tale orizzonte, del quale anzi a lui si deve la scoperta nelle Alpi della Savoja. In questo nuovo lavoro mostra l’autore quanto sentito sia il vantaggio di tale scoperta per rapporto alla delermi- nazione dei terreni alpini. Non veggo infatti da qual dato migliore egli parta per fissare l’epoca dei terreni, finora rimasti entro le oscu- rità di mille problemi, ed or classati francamente e indubbiamente nel lias e nel trias. È forse I interesse speciale d’una causa, cui io posso dir mia propria con qualche diritto, il quale fa si che il lavoro del sig. Favre, mi lasci qualche desiderio. !o avrei voluto che il si- gnor Favre accarezzasse meglio egli stesso le sue scoperte. Dal mo- mento che la zona ad 27. contorta è oramai, per confessione dei geo. 4h A. FAVRE, logi più eminenti, il più sicuro orizzonte per la stratigrafia alpina, dal momento che lo stesso sig. Favre se ne servì come di punto di par- tenza per fissare due terreni, il lias e il trias, nella cui determina- zione sta certamente il maggior pregio e la maggior novità della sua carta, perchè non indicare con colore distinto quella zona, dovesse pur ciò eseguirsi con tracce interrotte, nel modo, per esempio , con che appare indicato il gawlt? Ciò non toglie tuttavia che la causa da me sostenuta circa l’infralias non guadagni assai dall’ autorità del geologo e dall’uso ch’ei potè fare di tale orizzonte. ll terreno triasico, composto di molti membri mostra, anche dietro le mie proprie osservazioni nelle Alpi di Savoja, la più evidente analogia coi terreni lombardi della stessa epoca. Oserò quindi porre a fianco ai nomi dati dal sig. Favre, quelli che esprimono gli equi- valenti lombardi, facendo solo eccezione del membro superiore, ossia delle marne e argille rosse che riposano sulle cargneules, e che non troverebbero un equivalente in Lombardia. Essendo finora prive di fossili, potrebbero forse un dì figurare come la zona inferiore degli strati ad 1, contorta, la zona a Bactryllium. Fors’ anche, non essen- dovi in nessun luogo la serie completa, potrebbero identificarsi cogli schisti argillo-ferruginosi rossi e verdi. Certamente nè a Moutiers di Tarantasia, nè a S. Michel di Moriana io non osservai tale zona di marne rosse tra gli strati ad 4. contorta e le dolomie cavernose (cargneules). Sono riflessi forse troppo gratuiti, ma avranno il van- taggio di spingere il sig. Favre a dilucidare questo punto interes- santissimo, se pure non ne riserva già gli elementi per l’opera geo- logica che egli ci promette. Ecco infine la serie triasica. 4. Marna e argilla rossa. 2. Cargneule (gruppo della dolomia media avente alla hase i petrefatti di Esino). 3. Schisto argillo-ferruginoso rosso e verde (gruppo di Gorno e Dossena). 4. Letto di ardesie nere (gruppo degli schisti ittiolitici di Per- ledo, e marmi neri di Varenna). 8. Gres arkose a grossi frammenti di quarzo, a grani di quarzo roseo, con sostanze talcose verdastre; talora semplici quar- ziti (Servino e parte triasica del Verrucano, Buntersandstein). SULLA CARTA GEOLOGICA DEI DINTORNI DEL MONTE BIANCO Ut La stessa via di confronto si potrebbe continuare, venendo al fer- reno carbonifero, il quale, precisamente come da noi, è rappresen- tato da enormi ammassi di grès più o meno micacei e di puddinghe (puddinga di Valorsine e per noi puddinghe e gres di Fiumenero, del Caffaro ecc.) e di schisti argillosi, neri, lucenti, antracitiferi (per noi schisti ardesiaci di Carona, Darfo ecc.) già resi cotanto famosi dalle discussioni suscitate a cagione della posizione di un lembo di essi schisti, ricco di una stupenda flora carbonifera, posto in condi- zioni affatto eccezionali a Petit-Cceur. Forse lo stadio, che si può dire non ancora iniziato, della enorme zona paleozoica, che si di- stende a Nord delle provincie di Bergamo e di Brescia, in condizioni assai migliori che gli equivalenti nelle Alpi troppo sturbati dai gran- diosi accidenti stratigrafici, maturerà la soluzione di vasti problemi. La massa dal signor Favre indicata sotto il nome complessivo di Schisti cristallini è, come da noi, assai varia e complicata. È solo nella parte inferiore che si sviluppano i diversi tipi del gneiss. Su- periormente invece stanno gli schisti talcosi, cloritici ecc., ove la presenza del calcare e della grafite trovansi già come indizii della sedimentazione e della organizzazione del globo. lo soscrivo con in- tima convinzione alla opinione, benchè dubbiamente espressa dal Sig. Favre, che in quella zona giacciano i rappresentanti del terreno carbonifero inferiore, e del diluviano. Il protogine. questo granito svilupatissimo del Monte Bianco che, presentando talora indizii di stratificazione, sollevò tante discussioni sulla sua natura ed origine, è a buon diritto distinto con apposito colore, mentre un colore diverso è assegnato ai graniti communi, ai graniti porfiroidi, e al detto gneiss porfiroide di Cevins, che sem- brano, alcuni almeno, più recenti del protogine. Non toccherò la brevissima parte conclusionale della Spiegazione dell'Autore, che riguarda l’ardua teorica del sollevamento delle Alpi. Ei si esprime ora in proposito troppo brevemente, per poterne ap- preziare le vedute. Il vedere il collosso alpino, coronato dal Monte Bianco, formato dai terreni eruttivi, metamorfici, paleozoici, triasici e giuresi, cinto da regolarissima zona cretacea che, se si tiene verso Nord ad una riguardevole distanza, a Sud si arretra forse il triplo, nasce spontanea l’idea di un'isola, elevantesi dal seno del mare cre- 46 A. FAVRE, SULLA CARTA GEOLOGICA DEI DINTORNI DEL MONTE BIANCO taceo che ne bagnava le coste da una parte nei dintorni di Varese, dall'altra su una linea appena sinuosa che, diretta da S. O, e N. E., congiunge il Col de-Tamié a S. Maurice nel Vallese. Eppure l’ autore non sembra disposto a dar passo all'ipotesi. La cosa sarebbe assai meno problematica, se così presso alla stessa massa alpina, per es. sulle rive dell’Are, presso S. Michel, non si mostrassero evidenti gli strati nummulitici in stretto rapporto col lias, se le colline di Torino svelassero le tracce del terreno cretaceo. Il sig. Favre non parla, per esempio , della possibilità di una grande oscillazione, avvenuta sullo spirare dell’epoca cretacea, per cui la supposta isola alpina si abbas- sasse in guisa entro la cerchia dei sedimenti della creta, che il mare eocenico si insinuasse, forse entro una specie di fiords, fino presso al gruppo centrale, ricoprendo ad un tempo la creta e i terreni più antichi. Questa ipotesi si potrebbe forse conciliare con quella di una grande dislocazione, che segna, secondo Fayre, i limiti dei terreni recenti (dalla creta in su) verso la catena del Monte Bianco a Nord. lo slancio queste idee qui, forse fuor di luogo, e senza l'intenzione di addentrarmi in una discussione che ne chiamerebbe mille altre, e la cui soluzione deve essere la sintesi di gran s!udj sovra un’immensa zona tutto all’ingiro delle Alpi. E in questo appunto sta il gran prezzo della carta di Favre, che, sollevando discussioni del più alto grado d’importanza, offre già folla di preziosi elementi per la loro soluzione. L’aver cercato nelle regioni vicentine la ragione dei terreni vodesi, mostra già in quale ampia cerchia vanno abbracciati gli studj alpi- ni, e il necessario legame che stringe fra loro i due versanti delle Alpi, i cui limiti verso Mezzodì sono forse ancora ristretti se si arre- stano alla zona cretacea a S. E. del Monte Bianco che attraversa la Lombardia, il Veneto, la Toscana e la Liguria. SULL’ ALLEVAMENTO DEL BACC DELL’ AILANTO COMUNICAZIONE Der Socrto CARLO TINELLI (Seduta del 25 gennaio 1863.) Nello scorso anno mi feci un dovere di render conto a questa So- cietà dell’esito d’ una mia piccola coltivazione del bombice dell’ Ai- lanto fatta nell’anno 1861 a Laveno sul Lago Maggiore, e questa con un risultato piuttosto soddisfacente; se non che ebbi a lamentare una considerevole perdita di bacolini distrutti sulla pianta, come m’accorsi, in ispecie dalle lucertole. Ad onta di ciò n’ ebbi un di- secreto raccolto, di circa 60 bozzoli sulla fine di settembre, mentre tale coltivazione era a considerarsi per la seconda, essendo proveniente da semente ottenuta in questo Civico Musec nella prima coltivazione. Così ora mi faccio dovere d’ un breve resoconto a questa stessa So- cietà dell'unica coltivazione da me fatta d’ esso baco nell'ora scorso anno 4862 nella medesima località. Come conservai in primavera i bozzoli ottenuti nell’anno prece- dente, insieme alla semente del baco comune in luogo fresco, cioè in una cantina, e non li esposi in una sala terrena di mite tempera- tura se non alla metà di aprile colla semente comune, così, attesa la stagione, che in questo anno in ispecie volgeva piuttosto fredda in quella località, non cominciò la nascita delle farfalle del Bombyx Cynthia che nella prima metà di luglio, e continuò sino verso la fine, da tutti i bozzoli. 48 C. TINELLI, Allevai i bacolini sino a discreta grossezza in una camera, ponen- doli sopra ramoscelli d’'ailanti immersi nell’acqua e posi poi i bachi su tre Ailanti, allorchè erano già divenuti sufficentemente grossi da poter resistere allo scuotimento de’ venti, anche impetuosi in quella località, ad onta de’ quali mai m’accorsi che ne fossero gettati. Pre- sto m’avvidi ch’essi venivano in parte decimati, supponeva, dai sorci, dagli uccelli o dalle vespe, non più dalle formiche o dalle lucertole, dalle quali li aveva preventivamente difesi. Tuttavia, attesa la quantità di bacolini appesi a quelle tre piante, vidi queste abbon- dantemente fornite di grossi bachi, che mi lusingavano d’un discreto raccolto in bozzoli. Diffatti, alla fine di agosto, e più ai primi di set- tembre vidi molte foglie accartocciate , in ispecie sopra una di esse piante, e ne dedussi che molti bozzoli erano compiuli, ma dopo al- cuni giorni m’avvidi che questi andavano sempre più diminuerdo in numero, per cui m’ accinsi a raccoglierli, e con mia sorpresa trovai che ne era rimasto un piccolo numero, e che parte delle foglie ac- cartocciate erano sparite, e parte erano rimaste senza il bozzolo. Quindi dalle uova avute da 60 farfalle non potei ottenere che circa 20 bozzoli colle crisalidi. E questo risultato io credo dovuto alle rondini, che spesso vedevo volare presso gli Ailanti. Tale fu l'esito infelice di questa mia coltivazione nell’ ora scorso anno; infelice fu pure l'esito d’una coltivazione tentata in Toscana dal marchese Cosimo Ridolfi, come lo stesso accennava alla classe d’Agronomia del Congresso scientifico di Siena, ed a me in par- ticolare con maggiori dettagli e osservazioni, attribuendo il disastro alle vespe. E infelice fu anche l’ esito di molte altre coltivazioni, per cui pare accettabile 1’ opinione della non convenienza della coltiva- zione del baco dell’Ailanto fra noi. Ma alcuni se ne trovarono sod- disfatti in Dalmazia; e ne ebbero buoni risultati il signor conte Ade- lelimo Coccastelli e il signor Mayr di Montevideo, come risulta da una lettera del primo al signor. Cantoni (Annali d’ Agricoltura dello stesso Cantoni, dicembre 1862) e da una lettera del secondo al si- gnor Guerin-Meneville, a cui spedì 30 kil. di bozzoli, da essere filati e convertiti in stoffa (Comp. rend. ecc.). Non facile a lasciarmi vincere dalle difficoltà, anzi abituato a ten- SULL’ALLEVAMENTO DEL BACO DELL’ AILANTO 49 tare con qualche pertinacia di trovar mezzo a superarle quando trat- tasi di cose di probabile utilità, e trattandosi d’una coltivazione sì facile, semplice ed economica, io penserei che prima di abbando- narla si dovrebbe cercare di trovare i mezzi per combattere i nemici del baco dell’Ailanto e impedire che rechino danno, così come ci curammo di combattere e vincere tante malattie del bombice del gelso, senza l’idea d’ abbandonarne la preziosa coltivazione neppure al presente, ad onta della dominante malattia eminentemente dis- truggitrice. E tanto più poi in oggi verrebbe ancor più apprezzata questa nuova coltivazione, dacchè ci si annuncia che in Francia la contessa di Venède de Corneillan, nipote del celebre F. De Giraud, l'inventore della filatura meccanica del lino, trovò il mezzo di filare i bozzoli del baco dell’Ailanto, per ora in seta greggia, ottenendo un filo continuo di 800 metri, e contemporaneamente un medico di Jounnent (Senna e Marna) giunse a sciogliere lo stesso difficile pro- blema (Annee scientifique etc.). Vol. V. " Seduta del 22 febbrajo 1863. Al principio della seduta, il socio Mortillet presenta alla Società il primo volume della sua Revue scientifique italienne, e chiama l’attenzione dei socj sopra alcune notizie recenti, pubblicate in detta rivista, relative alle antiche abitazioni lacustri. Dice come differiscono le scuri di bronzo dell’ antica epoca del bronzo da quelli dello stesso metallo, ma dall'epoca etrusca, che egli ha veduto a Chiusi durante il Congresso di Siena. Espone per quali ragioni certe pietre, che hanno la forma di pani circolari e depressi, e che si trovano cogli altri avanzi delle antiche abitazioni lacustri, non possono es- sere considerate come pesi che si attaccavano alle reti, nè come pietre da fionda, ma devono essere state adope- rate a guisa di martelli. Soggiunge che nel lago di Bourget si trovano altre pietre analoghe, ma più grandi, e che devono essere state adoperate per battere i pali delle abi- tazioni lacustri. E termina coll’ annunciare che gli og- getti di legno provenienti da quelle abitazioni , di solito prontissimi ad alterarsi e distruggersi quando sono estratti dall'acqua o dalle torbiere ed esposti all'aria, si conservano bene, per qualche tempo, quando sono imbe- vuti di silicato di potassa. È poi letta una Memoria dei professori Passerini e Giorgini di Parma (vedi a pag. 33), nella quale sono de- scritte alcune esperienze fatte dagli stessi Autori per istu- SEDUTA DEL 22 FEBBRAJO 18653 BI diare l'emissione dell’acido carbonico che avviene in certe circostanze, da varie parti delle piante. Gli Autori hanno trovato che parecchie piante, vegetando colle radici im- merse in una soluzione di laccamuffa, emettono acido carbonico dalle radici, ma che questa emissione, copiosa sul principio, si va a poco a poco rallentando, e poi cessa; e che anche i rami, purchè muniti di foglie, immersi nella stessa soluzione, emettono acido carbonico per qualche tempo. E si crede dagli Autori che questi fatti bastino a dimostrare l erroneità della teoria attualmente ammessa dai botanici per le funzioni nutritive delle piante. Il socio professor Caruel esprime la sua soddisfazione di vedere che i professori Passerini e Giorgini, volendo ripetere le esperienze di Becquerel, Liebig e Pollacci sulla emissione di gas acido carbonico dalle piante, hanno cer- cato di variarle e di ravvicinare un po’ più le condizioni dell’ esperimento a quelle che costituiscono lo stato nor- male delle piante. Ma egli opina che forse più adattata che la Lemna, scelta fra le altre per soggetto di disamina, sarebbe stata qualche specie solita a stare nell'acqua con la sua radice soltanto, come per esempio una Pistia. Im- portante eziandio sarebbe stato, secondo lui, di assogget- tare all’esperimento separatamente le diverse parti di una radice, cioè l’estremità giovane cui è affidata la funzione dell’assorbimento delle materie alimentari, e le parti vec- chie che sono inerti. Comunque siasi di ciò, il professor Caruel mostra di conservare ancora qualche dubbio sulle conseguenze teoriche da dedursi dagli esperimenti fatti finora, facendo riflettere che finora non si è osservata l’e- missione dell’ acido carbonico dalle radici se non sopra piante messe in condizioni anormali, e nelle quali ancora cessa di manifestarsi dopo breve tempo. Dubbia è ancora 82 SEDUTA DEL 2% FEBBRAJO 1865 la relazione che potrebbe avere l'emissione del gas con la funzione dell’assorbimento, essendochè, a detta degli stessi autori, avverrebbe ugualmente nelle parti aeree delle piante, estranee a quella funzione. Anche il socio professor Galanti cita alcuni fatti rela- tivi a questo argomento, e parla particolarmente della grande importanza della luce per la completa e normale vegetazione delle piante. Il socio Buzzoni, vice-parroco a Brenna in Brianza, legge una Memoria sui rapporti fra è caratteri esterni e i caratteri interni o microscopici delle uova sane e ma- late dei bachi da seta. Da moltissime osservazioni fatte sulle uova sane ed infette dei bachi da seta, l'Autore crede di poter dedurre che si possono prevedere sane le uova quando sono deposte prontamente ed in abbondanza da farfalle bianche e di forme perfette, quando sono agglo- merate regolarmente sulle carte o tele, e quando sulla carta non si vedono macchie escrementizie , torbide ‘0 nerastre. Se uno qualunque di questi indizii manca, non si può più con certezza predire che le uova, esa- minate col microscopio, si mostreranno sane. Quando poi le farfalle sono manifestamente ammalate, rattrap- pite, sucide; quando le farfalle e specialmente i ma- schi hanno soverchia grossezza ; quando sono tarde nel deporre le uova, aspettando la notte o il giorno suc- cessivo ; quando le carte o tele hanno macchie nerastre, torbide o d’un rosso ferruginoso; quando si vedono molte uova non fecondate; quando le uova deposte da ogni far- falla sono poche, avvizzite, sparse irregolarmente sulla carta, e poco aderenti alla carta stessa, quelle uova sono indubbiamente infette. La Memoria del socio Buzzoni contiene delle tabelle in cui sono indicate sommariamente tutte le osservazioni fatte dall’Autore. SEDUTA DEL 22 rFeBBRAJO 1863 35 Questa lettura dà origine ad una lunga discussione, alla quale prendono parte parecchi socii. Cornalia dice avere talvolta osservato che da una stessa farfalla si pos- sono avere uova sane ed uova infette, a seconda delle parti degli ovarii in cui si sono formate le uova. Bellotti Cristoforo conferma la maggior parte delle osservazioni di Buzzoni, e specialmente quelle relative all’ aderenza e alla disposizione delle uova ; e aggiunge che le uova in- fette sono più facili a schiacciarsi fra 1 vetri per l’ osser- vazione microscopica; che talora le uova sembrano sane appena deposte, ma poi si trovano infette quando hanno cangiato di colore; e che il peso specifico non ha alcun rapporto collo stato di sanità o di infezione. Il socio Durer fa leggere una sua breve Nota sulla sol- forazione delle viti. Egli è di parere che il solo solfo su- blimato (fiori di solfo) sia utile alle viti, contenendo del- l'acido solforico, che agisce sull'oidio. Ma il socio Bellotti fa osservare che anche le solforazioni fatte con solfo ma- cinato riescono utili; e il socio Galanti aggiunge che il solfo trovato più utile nelle Marche e nell’ Umbria è quello proveniente della Sicilia, ben macinato e stacciato. E letta infine una lettera del socio Gastaldi di Torino al presidente Cornalia, nella quale sono descritti gli avanzi di antracoterio di una lignite d’ Agnana, quelli d’una balenottera, trovati a San Damiano (Asti), e quelli d’un mastodonte, scoperti a Mongrosso in Valle Andora. Il socio Galanti presenta il seguente Manifesto per la formazione d'una Associazione fra gli agrofili italiani per la pubblicazione di un giornale agrario italiano : Fra i grandi vantaggi prodotti all’ intera Penisola dalla recente Esposizione Italiana, vuolsi considerare forse come il maggiore quello di aver rivelato il paese a sè stesso , facendogli ben conoscere le BU SEDUTA DEL 22 FEBBRAJO 1865 proprie risorse, lo stato delle sue diverse industrie, ed accendendo una nobile emulazione fra tutti quelli che le coltivano. Nè 1’ agricoltura fu da meno delle manifatture da questo lalo; e gli agronomi, i coltivatori e gli intelligenti possessori di terre non indarno si conobbero, sludiarono i respettivi prodotti, e fraternizza- rono fra di loro, eccitandosi a gara a far progredire 1’ arte che somministra i principali prodotti alla civil convivenza, alle manifat- ture ed al commercio. Molti di loro però non si lasciarono sedurre dalla splendida mo- stra che l’arte agraria aveva apparecchiata giudicandone lo stato da quella soltanto , ma con savio intendimento cercarono i suoi difetti, i suoi bisogni con animo d’accingersi a correggerli ed a provvedervi. A questo oggetto non limitarono i loro studj fra le pareti del palazzo dell'Esposizione, ma corsero i campi, visitarono le scuole, e cercarono i libri ; e allora videro quanto tulte queste cose lascias- sero a desiderare, e si convinsero delia necessità grandissima che v'è in Italia, e massime nelle campagne, di popolarizzar la scienza, di far comune e di tutti, quello che oggi si sa da pochi; di porre i nostri al corrente dei progressi dell’arte presso gli stranieri; in una parola di far in modo, che la coltivazione ed il coltivatore possano facilmente tenersi a livello d’ogni miglioria, d’ogni progresso che Ta scienza o la pratica suggeriscano. E ricercando i mezzi per raggiungere codesto scopo importante , videro come non lo possano conseguir pienamente le Società agrarie, le Accademie e le Scuole, comunque operose e ben dirette, perchè ciascuno di codesti Istituti , agisce dentro un cerchio ristretto e non dispone di un rapido ed esteso mezzo di propagazione dell’insegna- mento, che sia proporzionato al bisogno. Videro che la sola beneme- rita Associazione agraria del Regno, col mezzo dei congressi e delle conferenze; col provvedere alle esposizioni dei bestiami, di prodotti e di macchine rurali ; col distribuire premj e ricompense; col fare o commettere esperimenti; col promuovere l’ istruzione agricola ; e col tenere raccolta di libri, di incisioni, di macchine e di strumenti d’agricoltura, potrebbe bastare all'intento, se non fosse temibile che appunto la vastità dell’impresa che intende dirigere da un centro, e » SEDUTA DEL 22 FEBBRAJO 1863 55 se la complicanza a cui si fa luogo per la moltiplicità dei comizj lo- cali che si formano e ne dipendono, non le preparasse crescenti dif- ficoltà. Videro finalmente che, in ispecie nelle nuove condizioni d’1- talia, un facil mezzo pur vi sarebbe da adoperare per conseguire l'intento, il quale, ben lungi dall’ offrire il minimo inciampo a tutto quanto esiste e che mira all’utile ed al progresso dell’arte agraria , di tutto anzi si gioverebbe , da tutto caverebbe alimento, di tutto addoppierebbe l’efficacia e l'utilità. E questo mezzo è un periodico, il quale, a differenza dei tanti pe- riodici che pur vi sono in Italia, non avesse alcuno spirito municipale, e si proponesse, senza rinunziare a contenere articoli originali, di fare una frequente e completa rivista di tutto ciò che di relativo al- l'agricoltura si pubblica in Italia e all’estero, illustrando le materie con opportune figure , e procurando, per quanto è possibile, di riu- nire la chiarezza alla brevità per raggiungere l’economia, affinchè la spesa non sia di ostacolo alla sua diffusione , la quale se non dive- nisse grandissima, verrebbero a mancare la riuscita e 1’ utilità del- l’intrapresa. Questo pensiero, sorto fra i Giurati del Consiglio agrario dell’Espo- sizione italiana, non era nuovo. Nacque nella Sezione d’ agronomia del IX Congresso delli Scienziati Italiani a Venezia: e questo ripe- tersi della medesima idea in circostanze diverse e coll’ intervallo di non pochi anni, non che indebolirne il valore, non fa che ratificarne l’importanza ed aumentarne l’ effetto sperato, quandu possa conve- nientemente attuarsi. E che d’attuarlo sia giunta l'opportunità, che sia per questo ve- nuta la pienezza dei tempi, lo fa giudicare la premura e l’amore con cui fu discusso il progetto fra gli agronomi più distinti che 1°Esposi- zione Italiana aveva richiamato a Firenze, i quali deliberarono che un manifesto si redigesse a cura di alcuni di loro che s' intitolarono Promotori dell’intrapresa, che vi apporrebbero in calce il loro nome, e che si adoprerebbero a farlo conoscere agli amici loro e confra- telli, affinchè questi con la loro firma confortassero all'opera, pro- mettessero di toadiuvaria, e si desse luogo così alla formazione di una Società per ridurla ad effetto. B6 SEDUTA. DEL 22 FEEBRAJO 1865 Sarebbe quindi intendimento dei Promotori qui sottoscritti, che la Società si formasse da che le sottoscrizioni dei fondatori unite alle loro giungessero a duemila, e che ogni soscrittore s’ impegnasse a pagar per due anni consecutivi Ln. 20 nelle mani di un cassiere da nominarsi da quelli tra loro ai quali piacerà d’ intervenire ad una riunione che si terrebbe in una città da stabilirsi dai. Promotori a suo tempo, e che loro ne darebbero avviso per redigere e discutere lo statuto sociale, e per formare la gerenza e il Consiglio di compi- lazione e di direzione «del Giornale, di cui dovrebbe essere rilasciata una copia a ciascuno dei sottoscittori, i quali si chiamerebbero Soc? fondatori, e che costituirebbero la società editrice del Giornale , sotto il nome di Società degli Agrofili Italiani, \' elenco dei quali sarebbe pubblicato. I Soci fondatori conserverebbero questo titolo e i già enunciati diritti anche dopo due anni, purchè rimangano asso- ciati al giornale. Un'altra classe di soscrittori si aprirebbe a suo tempo , e sarebbe quella dei semplici associati, ai quali si distribuirebbe il giornale al prezzo che sarebbe fissato nell’ adunanza suddetta , nella quale do- vrebbe stabilirsi il numero dei fogli da stamparsi e il periodo con cui i fascicoli del giornale dovrebbero venire alla luce. Se la intrapresa prosperasse ed offrisse un lucro, questo darebbe luogo alla Società di deliberare qual uso dovesse esserne fatto in pro del progesso agrario, non dovendo in nessun caso la progettata in- trapresa divenire una speculazione per chicchessia. Intanto il Consiglio dei Promotori elesse il suo domicilio in Fi- renze presso il Signor Gio, Pietro Vieusseux , al quale dovranno es- ser diretti i manifesti tutti che verranno firmati da chi intende di divenire Socio fondatore del giornale degli Agrofili Italiani. Sperano i Promotori di questa nuova impresa che dessa sarà bene accelta ed incoraggiata da quanti amano e vogliono il progresso del- l'agricoltura italiana. 1 PROMOTORI. Accapema pei GeorcoriLi, professori Anca, Antinori, CupPaRI,, GALANTI, Gui, Insenca, Pasi, Riporri, ecc. SEDUTA DEL 22 FEBBRAJO 1863 b7 Il presidente Cornalia comunica una lettera che an- nuncia la morte del socio prof. Luigi Rossi di Venezia, direttore del Ginnasio di san Procolo in quella città, av- venuta nel gennajo p. p. Sull inviare ai Socj Corrispondenti gli Att pubblicati della Società, si rimanda la decisione alla seduta pros- sima. Si nomina Socio Effettivo il signor T'opARO AGostINO , professore di botanica nella R. Università di Palermo , proposto dai soc] Caruel, Omboni e Cornalia. Si nomina Socio Corrispondente il signor VALLET, ca- nonico e professore nel seminario di Chambery, proposto dai soc} Stoppani, Omboni e Cornalia. Dal giorno 25 gennajo fino ad oggi sono giunti in dono alla Società i seguenti libri : Memorie dell’Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna. Vol. XII, Fasc. 4. ScARzI. Escremento dell’ Uromastix Spinipes. — FABBRI. Caso d’ antica gravidanza tubaria. — CasontI. Influenze lunari sull’ atmosfera. — GHE- RARDI. Magnetismo polare di palazzi ed altri edifizj di Torino. — DELLA Casa. Cangiamenti di forma e apparenti plasticità del ghiaccio. Atti delli. r. Istituto veneto di scienze, ec. Tomo VII della Serie III, Dispensa 10, e Dispensa 1 del Tomo VIII. Monografia delle acque minerali del Veneto (seguito). — ARCARI. Teo- ria del pendolo di Foucault. -- PANTE. Strumento geodetico. — MINICH Alcuni teoremi di geometria. — NINNI. Lepidopus pescato nel Quarnero nel 1860. — GALvANI, Del jodio. — ZrGno. Uredinea del frumento. — BERTI. Cometa scoperta da Tempel a Marsiglia. — GaLvaAnI. Dono d’un erbario, ec. — GALVANI. Sull’urea di un'orina patologica. — ZANTEDE- scHI. D’un preteso modo nuovo proposto da L. Magrini per rendere palesi i suoni concomitanti. — NARDO. Sulla differenza fra i pesci ossei e cartila- ginosi. — SENONER. Elenco di minerali del Veneto. — Morte del signor Bizio. . 38 SEDUTA DEL 22 FEBBRAJO 1863 Memorie dell’ i. r. Istituto veneto di scienze, ec. Vol. X, Parte III. TuRrAZzza. Di alcuni problemi spettanti alla Teoria dinamica del calori- co. — MENIN. Sui risultati della guerra fra gli Stati Uniti d’ America. — DE VISIANI. Planta serbice rariores aut nove. — ZANARDINI. Scelta di ficee nuove o più rare del Mare Adriatico. Atti del Reale Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti. Vol. Il, Fascicolo 412 a 20. MAGRINI. Notizie sul Volta. Meteora scoppiata sul duomo di Milano il 4 marzo 1861. Sopra un nuovo metodo di far constare i suoni concomitanti. — CREMONA. Superficie gobbe di terz'ordine. — Premj d’industria, scien- tifici, ec. — CaAn'rù. Erasmo e la Riforma in Italia. — PoRTA. Acque dior- tonotiche Cattaneo. — MAGRINI. Condizioni dell’ atmosfera di Pavia, tem- porale a Milano nel 7 settembre 1861. — MaAGGI. Di Giovanni Gherardini. — AmBrosoLI. Di Andrea Zambelli. — Rossi. Di Pietro Gori. — Poi. Dell’ insegnamento dell’ economia politica in Inghilterra. — Lavori dell’Isti- tuto, libri, ec. Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti. Vol. VII, Fasc. VI e VII. Porta. Dell’angectasia. — PoLLI. Malattie da fermento morbifico e loro trattamento. — LoMBARDINI. Dei terreni quaternarj di trasporto. — FRI- SIANI. Sul magnetismo terrestre. Cossa e Natimno, Intorno aî semi del ricino. Ricerche e considera- zioni chimiche e farmacologiche. — Torino, 1863. Dal Giornale di Farmacia, Chimica, ec. Cantoni, Annali d’ Agricoltura. Anno III, numeri 1-2. Ai lettori. — Coltivazione del riso nelle Fiandre. — Dell’unità orga- nica. — Rettificazioni sull’ailanto, ec. — Notizie sull’Istituto Agricolo di Corte Palasio. — Dell’avvenire dell’agricoltura italiana. — Sull’insegna- mento speciale di Zootecnia nel corso agronomico. — Potatura e dirama- zione delle piante. —# La calce nell’agricoltura. — Nuovo metodo di col- tura dell’asparagio. — Cronaca agricola, ec. SEDUTA DEL 22 reBpraso 1863 59 Monnet, Revue scientifique italienne. A." Année. — 1862. — Milan chez le Redacteur, et Paris chez Savy libraire. Atti dell'Ateneo di Milano. Volume Il, Dispensa 4.°, e Volume III , Dispensa 1.° CavaLLERI. Sull’ esame della semente dei bachi da seta. — Processi ver- bali, e diverse memorie non di scienze naturali. Pori, Proposta di applicare i solfiti e gli iposolfiti nella profilassi e nella cura della dominante malattia del baco da seta ( Atti del- l’Istituto Lombardo, ec. Vol. 111). Milano, 1863. Rendiconto dell’Accademia delle scienze fisiche e matematiche della Società reale di Napoli. Anno Il, Fascicolo 1.°, gennajo, 1863. — Comprende un rapporto di Scacchi sui lavori dell’ Accademia nel 1862. Parcatone,, Coniferas novas nonnullas, ec. Sava, Per l’inaugurazione della cattedra di storia Naturale nel R. Liceo-Collegio Cicognini di Prato. — Prato, 1863. Giornale ed Atti della Società Agraria di Lombardia. Anno |, Numero 3. Necessità di una efficace rappresentanza degli interessi agrarj. — Noti- zie campestri, — Atti della Società e del Consorzio di Milano. — Analisi del latte a varie ore del giorno. — Rivista bibliografica. — Mercato di Milano. L’ Incoraggiamento, Giornale d’ agricoltura, ec. — Supplemento al num. 4. — Contiene un Progetto di Regolamenti della Camera di Commercio di Bologna. — Bologna, gennajo 1863. L’ Incoraggiamento. Anno XV. Num. 3. Sul ravagliatore Certani. — Sul miglioramento del regime delle acque. — Consiglio provinciale di Forlì, sedute. -—- Pellagra a Forlì. — Peste bovina in Italia. — Borse. — Esposizione Romana. — Bollettino commer- ciale. — Seduta della Società agraria di Bologna. — Il monte dei Paschi di Siena si lasci come è. 60 SEDUTA DEL 22 FERBRAJO 1863 Gazzetta delle scuole italiane. Anno 1, Numero di saggio col pro- gramma. Passerini, Aphidide italice hucusque observate. Genue, 1863. Bianconi, Degli scritti di Marco Polo e dell’uccello Ruc da lui men- zionato. Bologna, 1862. Corrispondenza scientifica in Roma. VI, 42 e 43. Il Prodromo della flora romana di Sanguinetti, lettera di Derossi. — Sulle diverse condizioni dell’urea. — Il movimento atomico dei corpi. — Acido antropurico nell’urina. — Barometro aerometrico a bilancia della Loggia dell’Orgagna in Firenze. Sanseverino, Due congressi in Milano nel 1860. Milano, 1861. Bulletin de la Société imperiale d’ acclimatation, IX, 12. Sull’esposizione della razza canina al giardino d’acclimazione. — Sul giardino stesso. — Sui conigli-lepri. — Albinismo d’alcune galline. — Par- chi di crostacei in Inghilterra. — Introduzione della cocciniglia in Sicilia. — Cotone coltivato in Francia. — Letture, ec. Bulletin de la Société des sciences naturelles de Neuchatel. Tome VI. Premier Cahier. Sedute. — Anodonte del lago di Neuchtel. — Rovine della Bonneville. — Velocità di propagazione delle correnti elettriche. — Sull’ipotesi di più zone di Asteroidi. — Nuovo fotometro. — Esperienze cronoscopiche sulla velocità delle sensazioni e della trasmissione nervosa. — Apparecchio re- golatore delle correnti elettriche. — Modo di tener a mente i segni del telegrafo di Morse. — Rapporto della commissione geodetica. — Statura dei coscritti. — Orografia e geologia delle Alpi (Desor). — Vendemmie di Neuchàtel nel 1861. — Rapporto del comitato meteorologico. Favre, /ote sur la Carte géologique des parties de la Savoie, ec. (Comp. rend. 1863). Favre, Explication de la Carte géologique des parties de la Savoie, du Piemont et de la Suisse voisines du Mont Blanc. Genève, 1862. Revue Savoisienne, 4.9 Année, N.° 2. — Diversi articoli non di scienze naturali. SEDUTA DEL 22 FEBBRASO 1865 6A Rasur, Xapport sur les habitations lacustres du lac de Bourget (Savoie). (Bulletin de la soc. savoisienne d’histoire et d’archéolo- gie, 1861-62, Deuxiéme numéro). Chambery, 1862. Verhandhungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sedute 16 di- cembre 1862 e 20 gennajo 1863. Brunner, Sanitùtliche Bedenken gegen die Lagerung von Leichenà- ckern in zu grosser Nihe der Stidte. Erlangen, 1863. Wiener Entomologische Monatschrift, IV, AA e 12. Jahrbicher des Vereins fiir Naturkunde im Herzogthum Nassau. XVI. Wiesbaden, 1861. Bronn und Leonnarp, Neues Jahrbuch fiir Mineralogie. 1862, VII. FucHs, Granito dell’Hartz e rocce affini. — BRoNN, Foglia di Palma dattilifera della Marna molassica, ec. — Libri, estratti, ec. SUI RAPPORTI FRA I CARATTERI ESTERNI E I CARATTERI INTERNI 0 MICROSCOPICI DELLE UOVA DEI BACHI DA SETA DEL SOCIO SACERDOTE PIETRO BUZZONI (Seduta del 22 febbrajo 1863.) Con questo titolo troppo pomposo e promettente temo che il mio lavoro richiami la favola del mons parturiens. Presento centi- naja d’osservazioni microscopiche, un monte di annotazioni e di cifre, il cui risultato è quasi zero, almeno al mio occhio. Ma forse il mio occhio è miope. Chi sa che altri invece non sappia scoprire delle entità anche tra gli zeri! Le cifre e le tabelle statistiche sono come carte da giuoco; in mano di uno non servono a nulla, in mano d’un altro invece si prestano a delle combinazioni magiche. Per que- ste ragioni mi sono indotto a produrre i risultati tuttochè meschi- nissimi delle mie osservazioni. Affinchè si possano intendere le cifre e le tavole che quì pre- sento è necessario che prima ne faccia due parole di storia. Considerando che in una partita d’uova di bigatti sunt mala mixta bonis et bona mixta malis in varia proporzione ; considerando che quan- tunque col sussidio del microscopio si riesca a scoprire l’infezione, e quasi ad indicarne il grado, pure non si arriva a fare la separazione delle uova sane dalle infette, cosicchè, o insieme alle sane bisogna CARATTERI ESTERNI ED INTERNI DELLE UOVA DEI BACHI 65 allevare le malate , ovvero insieme alle malate bisogna gettare le sane, pensai; se esistessero relazioni tra i caratteri esterni ed interni delle uova e tali relazioni si conoscessero, usando poi un ben inteso sistema d’ isolamento nella fabbricazione della semente, sarebbe tro- vato il modo di separare i depositi delle farfalle sane da quelli delle farfalle infette. Il supposto era troppo lusinghevole per non sollevare subito un nugolo di dubbiezze e di difficoltà, principalmente sull’applicazione del sistema d’isolamento nelle grandi falbricazioni di semente. Ma tutte queste difficoltà credetti di poterle saltare a piè pari pensando che quello che non si potrebbe fare in grande si farebbe in piccolo, il che sarebbe pure qualche cosa. La difficoltà vera sulla quale non poteva proprio transigere, era quella .di sapere se tutte le uova deposte da una stessa farfalla fos- sero o equalmente sane o equalmente infette. In ciò come ognuno vede, stava la pietra fondamentale, la chiave maestra del mio aereo castello. Ebbene, fatte le opportune prove, credo di avere trovato che solitamente, quando v'è infezione, questa è egualmente, cioè in grado simile, diffusa in quasi tutte le uova di una stessa farfalla, e che, se sane trovansi alcune uova d’ una farfalla , generalmente le uova di quella farfalla sono quasi tutte sane, Tali fatti furono da me constatati un sufficiente numero di volte da potere, se non cavarne un dogma, almeno derivarne un alto grado di probabilità. Prendendo dunque questa probabilità come punto di partenza, pensai a cercare se esistessero corrispondenze tra i caratteri interni ed esterni delle uova. Dissi tra me stesso: « per riescirvi, io terrò separate le singole coppie di farfalle, segnerò i loro connotati indivi- duali, terrò nota del loro modo di accoppiarsi, del lore modo di de- porre le uova, raccoglierò separate le uova, e, separatamente ancora, le esaminerò tutte al microscopio; noterò, confronterò, farò, dirò ... Se ci sono, devono venirmi fuori nelti e sicuri i rapporti che cerco. Ecco quindi che allora chi vorrà seguire il sistema dell’ isolamento nella fabbricazione della semente e vorrà degnarsi di confrontare i depositi delle singole farfalle coi dati delle tabelle ch'io compilerò, avrà modo, non dico facile, ma possibile, di procurarsi un poco di 64 P. BUZZONI, semente sana o almeno, quando di sana ve ne sia, di separarla dalla malata, ec. » Sogni o delirj, tali furono i miei ragionamenti. Ora eccomi a nar- rare i fatti. Disposi un pajo di migliaja di bozzoli su telai ad arpa come di costume, avvertendo però di tenerli abbastanza tra loro separati da non lasciare succedere l’accoppiamento delle farfalle nè troppo pre- sto nè del tutto secondo i ciechi loro amori, in maniera insomma da potere alla spartana escludere dalla copula le farfalle, mon dico brutte, chè ne aspettavo troppe, ma almeno le pessime. Forse avrei fatto meglio a non impedire l’accoppiamento nemmeno di que- ste, giacchè forse nelle loro uova i caratteri dell'infezione sarebbero stati più marcati, ma confesso che non vi pensai. Cominciato lo sfarfallare, prendevo le coppie, le deponevo ad una ad una su cartoline numerizzate, affinchè ivi depositassero le loro uova, poi disponevo queste cartoline in serie corrispondente al- l’ordine progressivo della nascita. Durante poi il tempo dell’accop- piamento e della successiva deposizione delle uova io giravo per la stanza con penna e calamajo segnando sulle singole cartoline la clas- sificazione ossia i caratteri esteriori delle farfalle che v'avevo deposte. Dirò anche i segni che usavo, poichè essi sono conservati nelle tabelle che presento. Adunque, segnavo: Bianche, quando ambedue le farfalle della coppia erano bianche e belle ; segnavo: Maschio nero quando d’una coppia era nero il maschio e bianca la femmina; F'em- mina nera , quando era nera la sola femmina; Maschio e femmina neri, quando lo erano entrambi; Zebbrose, quando le farfalle o al- meno una di esse, senz’essere nere, erano però spelate, brutte, col- ‘ali rattrappite; Spruzzate di nero, quando le farfalle erano spruz- zate o injettate di quel tal liquido nerastro che tutti conoscono; Tarda, quando la femmina era tarda a deporre le uova; finalmente segnavo con segni particolari tutte le altre circostanze che mi pa- revano meritare d’essere avvertite. Terminata così la confezione della semente , raccolsi le cartoline nel loro ordine e le chiusi in fascicoli tenendo separate le une dalle altre per mezzo d'una pagina dei fascicoli stessi. CARATTERI ESTERNI ED INTERNI DELLE UOVA DEI BACHI 65 Fin quì procedette tutto a meraviglia, com poca fatica e, dirò an- che, con qualche diletto, attesa la novità della cosa, e attesa quella benedetta speranza di riescire ad alcun che di utile. Ma mi attendeva il nojoso lavoro dello scrutinio microscopico. À questo posi mano ai primi di luglio e, lavorando per media un pajo d’ ore al giorno, ter- minai nel corrente febbrajo. Nell’esame microscopico tenni questa regola: prendevo (sempre in serie) una delle cartoline raccolte, ne staccavo in punti differenti una decina d’ uova, poi le esaminavo col metodo comune. Se dopo diligente esame non trovava indizio d’infezione, seguavo zero sulla cartolina e su apposito registro. Se nella pasta guardata e riguardata non trovava che qualche rarissimo corpuscolo pestilenziale, segnavo una piccola croce (X) sulla scheda e sul registro. Finalmente, quando i detti corpuscoli mi apparivano abbondanti, segnavo due croci (XX) in un sito e nell’ altro. Premesse queste notizie, loro signori sono in grado di capire i se- gni delle ‘tabelle che presento. Nella 1.° tabella sta esposta tutta la nota progressiva delle cartoline secondo il loro ordine di tempo, con descrizione dei caratteri esterni delle singole farfalle e con a fronte i dati delle singole osservazioni microscopiche. A questa prima tabella seguono altre due (tab. I.* e III.) compilate su due altre partite d' uova fabbricate, annotate ed esaminate collo stesso metodo della prima. Îlo creduto bene di condurre parallelamente un triplice esperimento, sì per un curioso confronto, sì per togliermi il dubbio che i risultati della prima tabella fossero proprj esclusivamente di quella partita. Del resto, se si vuole, la Il.® e la II.® tabella possono fondersi e considerarsi come un solo tutto colla I.*, restando così aumentata la somma dei fatti e delle osservazioni. La IV.* tabella è un riassunto della 1. La V.? è un riassunto della 11. La VI. è-un riassunto della Iif.° La VII.® è un riassunto generale. Quì io potrei finire, riparandomi dietro il noto: Posto t'ho innanzi, ora per te ti ciba. Prima però di chiudere mi permettano d’aggiungere alcuni riflessi quasi corollarj pratici delle esperienze fatte. Vol. V. hi) 66 P. BUZZONI, Una sola occhiata alle tabelle che ho presentato bastà a persua- dere, essere forse impossibile conoscere con sicurezza dai soli carat- teri esterni delle farfalle, quali di queste diano nova sane e quali malate. Difatti vi sono registrati centinaja di casi in cui farfalle brutte hanno dato uova sane e viceversa farfalle apparentemente sane hanno dato uova infette. Ad onta però di tutta la frequenza di questi casi che tolgono la sicurezza a qualsiasi pronostico, io credo che la mag- giore probabilità sarà sempre, che le farfalle brutte abbiano a dare uova infette e che le uove più sane abbiano ad essere quelle deposte dalle farfalle migliori. Orbene, se a questi deboli indizj desunti dai connotati delle farfalle s’ aggiunga qualche altro indizio desumibile dai caratteri esterni delle uova, la probabilità complessiva risulterà aumentata, il pronostico su d’ una scheda sarà facilitato e acquisterà qualche maggiore fondamento. Non arriveremo forse al punto di po- ter dire: le uova di questa scheda sono sicuramente sane e quest’al- tre sono malate; ma potremo dire: molto probabilmente lo sono. Ma dunque, vi sono caratteri esteriori delle uova visibili ad occhio nudo, che corrispondendo ai caratteri microscopici, valgano a dare qualehe lume sulla loro sanità o infezione? Non oso rispondere affer- mativamente per timore che qualcuno, prendendomi in parola, mi obblighi a citare fatti e produrre prove; prove e fatti che finora non ho nè formulati, nè, per dire tutta la verità, abbastanza bene compresi. Tuttavia dico che qualche cosa, almeno in confaso , mi pare d’avere rilevato. Difatti, arrivato ad un certo punto nell’ esame microscopico delle mie 768 schede, non solo io, ma anche alcuni amici che qualche volta mi facevano il favore di assistermi e coa- djuvarmi (1), avevamo fatto l’occhio pratico per modo che dalla sola ispezione d’una scheda arrivavamo a pronosticarne Ja sanità o 1’ infe- zione, anzi quasi il grado dell’infezione. Era caso raro che il micro- scopio non confermasse esattamente i nostri pronostici. E perchè dunque non tenere nota anche di questi caratteri este- riori delle uova e raccoglierli in apposite finche delle tabelle che ho (4) Tra questi sono in dovere di fare speciale menzione del nobile don Alessandro Meroni e del sig. don Giosuè Villoresi. CARATTERI ESTERNI ED INTERNI DELLE UOVA DEI BACHI 67 presentato? Capisco benissimo ch’ essi sarebbero stati gl'indizi più importanti; ma, non che tenerne nota allora, quasi non saprei darne conto esatto nemmeno adesso. Non è ch'io allora pronosticassi die- tro caratteri pronunciati, dietro indizj chiari e certi; no, aveva for- mato l’occhio pratico, ecco tutto. È questo occhio pratico non lho formato che a poco a poco e solo dopo l’incontro quasi inavvertito di molti casi identici. Quando poi cominciai a riflettere su quei dati che mi servivano di lume ne’ pronostici, il lavoro microscopico era già portato molto avanti; alcune cartoline, quantunque le conservassi tutte, erano già state o spogliate delle uova o altrimenti alterate, cosicchè non mi era più possibile dare dei caratteri esteriori delle uova una statistica esalta quale mi era proposto darla dei caratteri esteriori delle farfalle. Per supplire ora in parole a quella grave ma non colpevole om- missione di cifre e per accostarmi un po’ meglio all’intitolazione di questo scritto, enumererò i caratteri principali tanto delle farfalle come delle nova che secondo me vanno avvertiti nel giudicare una scheda, avendo essi un’aliquale relazione coi caratteri interni o mi- croscopici. Gli indizj per dire con probabilità che una scheda è sana, sono i seguenti: 4. Le farfalle bianche, bene sviluppate e bene proporzionate nelle loro membra. Stando alle mie tabelle però non sarebbe a farsi gran caso che le farfalle fossero a pelurie bianca, plumbea o quasi nera. 2. La prontezza della femmina nel deporre le uova. 5. L’abbondanza delle uova. 4. Il loro agglomeramento, ossia avvicinamento. 5. La loro turgidezza. 6.. L'assenza d’uova non fecondate. 7. L’assoluta assenza d’uova state fecondate, ma in seguito av- vizzite, arrossate, morte, 8. La nettezza della scheda da ogni macchia escrementizia tor- bida o nerastra. Poco importa però se la scheda, del resto bella, sia in qualche piccola parte sporca delle solite secrezioni bianco-rosee e pulverulenti. 68 P. BUZZONI, 9. Più che tutto la salda adesione della uova alla tela od alla carta su cui furono deposte. Non occorre dire che tali caratteri o condizioni per giudicare sana una scheda, devono riscontrarvisi tutti simultaneamente giusta il ce- lebre aforismo; « bonum ex integra causa ». Invece « malum ex quolibet defectu »; quindi per sospettare infetta e perciò colpire di ostracismo una scheda, basterà che in essa si verifichi anche una sola delle seguenti condizioni: 4. Che le farfalle fossero poco bene sviluppate, sucide, rattrap- pite, /ebbrose insomma secondo la mia classificazione. Le finche di queste infatti nelle mie tabelle rassomigliano a campi mortuarj, tanto sono irte di croci. Anzi ritengo che il già piccolo numero dei casi privilegiati in cui farfalle lebbrose hanno dato uova sane, vada ri- dotto forse ancora, essendo probabile che non tutte le farfalle che furono classificate per lebbrose lo fossero realmente, ma che soltanto lo paressero per essere state insudiciate dagli sprizzi di qualche farfalla vicina. 2. Che le farfalle, segnatamente il maschio, fossero molto grosse Già fin dagli anni scorsi avrei trovato essere questi se non i più in- felti, certo i meno atti alla copula. 3. Che le uova siano state deposte tardi. E per tardi, quì in- tendo non prima di sera, cioè a notte e peggio il giorno successivo alla copula. 4. Che la scheda sia inquinata da macchie nerastre, torbide o d’un rosso ferruginoso. Le dette macchie da me esaminate molte volte, furono sempre trovate infettissime; ed infettissime pure ho quasi sem- pre trovato le uova delle schede molto macchiate. Questi fatti con- cordano pienamente colle belle esperienze communicateci lo seorso anno dal socio signor Bellotti. 5. Che trovisi sparsa tra le uova fecondate una certa quantità d’uova non fecondate. Quanto più queste abbondano, tanto più le altre generalmente appajono infette. 6. Che le uova deposte siano poche. 7. Che le uova abbiano molto marcata la depressione centrale o che alcune di esse siano avvizzite , mezzo arrossate, direi quasi CARATTERI ESTERNI ED INTERNI DELLE UOVA DEI BACUHI 09 semifecondate. Se anche la maggiore depressione centrale non fosse indizio d’infezione, ma, ciò che non credo, fosse effetto di semplice varietà di specie, starebbe ancora il fatto che questa varietà o sub- specie sia generalmente più soggetta all’ infezione. 8. Che le uova siano state deposte da farfalle che stentarono ad accoppiarsi. Di tante farfalle che non arrivai ad accoppiare che dopo mezzo giorno, non ottenni neppure un deposito sano, anzi anche solo leggermente infetto, È sì che alcune di esse nel resto erano belle. 9. Che le uova siano troppo sparse e quasi dirò gettate a caso sulla scheda anzicchè depostevi secondo natura. 10. Finalmente e più di tutto che le uova siano poco aderenti al panno od alla carta su cui furono deposte. Questa facilità a stac- carsi mi risultò un indizio quasi infallibile di grande infezione. Si dirà che tali caratteri erano in gran parte già stati e indicati dalla scienza e riconosciuti dalla pratica. Ebbene, godo di averli confermati. Però a che giovò finora il possesso di tanti fatti e di tanti indizi? Perchè non si penserà a trarne qualche partito? Non sarebbe egli conveniente usufruirli tutti servendosene nello spoglio dei depositi qualora si volesse tentare la fabbricazione della semente col sistema dell’isolamento? È vero che anche con questo sistema di isolamento, di schede e d’ostracismo non arriveremo a garantirci che la semente risultante abbia ad essere assolutamente sana ; dico però che, usando queste cure, arriveremo ad una maggiore mondezza e separazione delle uova. Sarà una separazione grossolana, a ventilabro come si dice, ma che pure in mancanza di meglio a qualche cosa gioverà. Si avesse a ridurre anche solo di qualche grado la propor- zione delle uova infette sulle sane, sarà sempre un guadagno da va- lutarsi e da farne tesoro, quando si pensi che l’onda pestifera ha già rotto anche a quei lontani lidi d’onde finora ci sono venute sementi sane. Se il male progredisce ancora d’un passo, senza che vi si trovi efficace rimedio , bisognerà pure che i cultori della scienza a forza di studj e di cure e tenendo calcolo di tutto, s’' adoprino onde con- servare viva per tempi migliori almeno Ja razza del prezioso insetto della seta ora minacciato d’ universale eccidio. Mi si dimanderà se, compita l'osservazione microscopica delle sin- 70 P. BUZZONI, gole cartoline e staccatene le uova, non ‘abbia. poi pensato a riassu- mere sulla massa tutte le precedenti parziali osservazioni. Questo lavoro che dirò sintetico, veniva quasi di necessità dopo 1’ analitico , come quello che doveva o dare conferma alle osservazioni già fatte o mandarle tutte a monte con mia grande confusione. Ebbene, af- frontai anche questo controllo ; ed eccone i risultati. Feci varie osservazioni, alcune prima, altre dopo il lavamento delle uova. Le prime, cioè quelle fatte sulla massa delle uova ras- chiate dalle cartoline, ma non ancora lavate, mi diedero risultati molto sconfortanti. Difatti, mentre trovai conservate le due distin- zioni d’nova molto infette e poco infette, trovai che invece la classe delle uova sane, era scomparsa e s'era cambiata in leggermente in- fetta. Si mantenne ancora un gran salto tra il grado dell’ infezione di questa ed il grado dell'infezione delle altre, ma tuttochè leggiera, l’ infezione non era quella sanità ch'io mi aspettava. Per dare un'idea delle gradazioni del male che con queste prime prove trovai nelle tre masse di uove non lavale dirò che, esaminate col metodo comune ossia con quello che fu così bene descritto dal no- stro presidente prof. Cornalia nell'adunanza 26 agosto 1860, la più infetta m’ha dato il 100 per % d’uova malate, la seconda il 90 per ‘o ma con molto minore abbondanza di corpuscoli oscillanti, la terza il 10 ©’. Esaminandole invece col sistema della media immaginata e descritta dal socio prof. Cavalleri, avrei trovate che, a pari densità di liquido, la prima conteneva da 20 a 30 e più corpuscoli per ogni campo di microscopio, la seconda ne conteneva uno, due ed anche tre per campo, la terza ne conteneva uno ogni tre o quattro campi. Colle seconde osservazioni invece, con quelle cioè fatte dopo un diligente lavamento dell’ uova, trovai ridivenute sane quelle che nelle osservazioni parziali erano state giudicate tali, e per le altre trovai confermata la prima classificazione, forse però con qualche leggiera riduzione del numero dei corpuscoli. Ma d’onde mai l'aumento d’infezione nelle uova non lavate, dal momento ch’ esse non erano state lavate nemmeno nell’ osservazione parziale? La circostanza che dopo il lavamento le uova riapparvero sane , CARATTERI ESTERNI KD INTERNI DELLE UOVA DEI BACHI 74 basta a stabilire che l aumento d’infezione fosse tutto esterno. Ciò posto, io inclinerei a credere che 1’ aumento in discorso non dipen- desse da altro se non dalla circostanza che col raschiamento delle cartoline siansi staccate e quindi mescolate colle uova anche alcune particelle escrementizie infette che forse trovansi su alcune schede. Una tale spiegazione mi pare abbastanza probabile per non cercarne altre. Per ciò mi credo in diritto di conchiudere che l’aumento d’in- fezione esteriore non dovendosi confondere coll’ infezione interna delle uova, non valse ad alterare le tre distinzioni e separazioni d’uova da me ottenute; distinzioni e separazioni ch’io raggiunsi col microscopio, ma alle quali altri potrebbe riescire anche soltanto os- servando ad occhio nudo i caratteri esteriori delle farfalle e delle uova, î quali, come credo d° avere dimostrato, sono în qualche rap- porto coi caratteri interni o microscopici delle medesime. 72 TABELLA 1. Descrizioni dei caratteri esteriori delle farfalle (4) Sa 3 |Ss S SE Se| 58 ss 108 SE 55 È t; QUALITA’ 22] 483 QUALITA’ È 3 2 5 bo) IHS = he à uri É 4 Bianche 0 29 Femmina nera (0) 2 idem 0 30 Bianche (0) ino idem 0 31 idem (0) O idem (0) 32 idem 0 5 idem (0) 35 Femmina nera 0 6 idem 0 54 Bianche X 7 idem (0) 35 idem X 8 idem (0) 36 Femmina nera 0 9 idem O 37 idem (0) 40 idem 0 58 Bianche 0 41 idem (0) 39 idem (0) 12 idem X 40 idem 0 13 idem (0) 4A idem 0 44 idem 0 492 idem (0) 45 idem (0) 45 idem X 46 idem 0 4 idem (6) 47 idem XX 45 idem 0 48 idem XX 46 idem XX 19 idem (0) 47 idem X 20 idem 0 48 idem (0) 21 idem 0 49 idem (0) 22 idem XX| 50 idem 0 23 Femmina nera 0 dI Maschio nero (0) 24 idem O | 32 | Spruzzate di nero | 0 28 | Spruzzate di nero | 0 53 Bianche 0) 26 Bianche (0) BI idem (0) 27 idem 0 Bb idem 0 28 Lebbrose X 56 idem 0 (4) Le dette farfalle provenivano da bozzoli raccolti ad aria libera. Semente di Macedonia sana. N. progress. secondo l’ordine di nascita P. BUZZONI, CARATTERI ESTERNI ED INTERNI DELLE UOVA DEI BACHI QUALITA” Bianche Femmina nera idem Bianche Maschio nero Lebbrose Maschio nero idem Nero e Nera Bianche idem Tarda Maschio nero Femmina nera Bianche Nero e Nera Bianche idem Spruzzate di nero Bianche idem Sprazzate di nero Bianche idem idem Maschio nero Bianche Femmina nera Bianche idem Femmina nera Bianche idem Tarda, non fecondata Dati dell’osservaziune microscopica muso! n rmofoxoxoo00o Y omo oco | Ribepepe Bi pe papero N. progress. secondo l’ordine di nascita 91 92 95 94 95 96 97 98 99 100 (01 102 103 104 105 106 107 108 109 110 1AL 1412 115 1414 115 116 117 118 119 120 1214 122 1253 124 QUALITA’ Bianche non fecondate Tarda Bianche idem idem idem Maschio nero Bianche Tarda, non fecondata Bianche Maschio nero Bianche idem idem Tarda Femmina nera tarda Bianche idem idem idem idem idem idem idem idem Maschio nero Bianche idem idem idem idem Tarda Spruzzate di nero Tarda 75 Dati dell’osservazione microscopica pe non of rooboro oro iotistooh.i| obo “I £- P. BUZZONI , N. progress. secondo l’ordine di nascita QUALITA’ Bianche idem idem Lebbrose Maschio nero Tarda idem idem idem Bianche Femmina nera tarda Maschio nero Tarda idem idem idem idem idem Maschio nero Femmina nera Spruzzate di nero Lebbrose Tarda Bianche idem Maschio nero Bianche idem Lebbrose Bianche Lebbrose Tarda Bianche idem Dati dell’osservazione microscopica XX N. progress. secondo l’ordine di nascita QUALITA’ Bianche idem Tarda idem Bianche idem idem Lebbrose Bianche Lebbrose tarda Bianche Tarda Bianche Tarda Lebbrose Spruzzate di nero Maschio nero Bianche idem idem Tarda Bianche idem idem Femmina nera Tarda Bianche idem Tarda Bianche idem Bianche femm. morta Bianche idem Dati dell’osservazione microscopica rricmoomomomonzto | XX N. progress. secondo l'ordine di nascita > > o o - QI 195 196 197 198 199 200 201 202 205 204 205 206 207 208 209 210 Qi 212 213 2A 215 216 217 218 219 220 224 229 223 224 225 226 CARATTERI ESTERNI ED INTERNI DELLE UOVA DEI BACHI QUALITA’ Bianche idem idem idem idem idem idem idem idem Spruzzate di nero Femm. nera, tarda Bianche Femmina nera Bianche Tarda Bianche idem idem Tarda Bianche idem idem idem Lebbrose idem Tarda Bianche idem idem idem idem idem Maschio nero Bianche Sooxocoo X Pet cefxocccecsccsgochkexocosoee Dati dell’osservazione microscopica N. progress. secondo l’ordine di nascita QUALITA’ Spruzzate di nero Bianche non fecondate Bianche idem idem Maschio nero Lebbrose Bianche idem idem Tarda Bianche idem Tarda Nero e nera Spruzzate di nero Bianche Spruz. di nero, tarda Lebbrose Bianche idem Maschio nero idem Bianche idem Spruzzate di nero Tarda Spruzzate di nero Bianche idem idem Maschio nero Bianche idem = (2.9 Dati dell’osservazione microscopica fontomtoloohomocscofocrofzocot=] % | CS Sì P. BUZZONI, N. progress. secondo l’ordine di nascita Dati dell’osservazione microscopica N. progress. secondo l’ordine di nascita Dati dell’osservazione microscopica QUATITA’ QUALITA’ 261 Bianche O | 295 Bianche XX 262 Tarda XX | 296 idem XX 265 | Spruzzate di nero | O | 207 Lebbrose X 264 Bianche O | 298 idem XX 268 idem X | 299 Tarda XX 266 idem O | 300 Bianche X 267 idem XX È 501 ‘Tarda XX 268 idem O | 502 Bianche XX 269 : idem XX | 53505 idem X 270 idem X | 304 | Bianche non fecond. | — 271 idem O | 303 | Spruzzate di nero | X 272 idem XX | 306 Bianche 0 273 idem XX | 307 idem (8) 274 idem XX | 3508 Tarda XX 275 idem X | 309 Bianche (0) 276 idem X { 310 | Spruzzate di nero | 0 277 idem XT 341 Bianche (0) 278 Lebbrose X { 312 | Spruzzate di nero | 0 279 Bianche XX | 515 Bianche 0 280 idem XX | 544 Maschio nero 0 281 Tarda O | 545 Bianche XX 282 | Spruzzate di nero | XX | 516 Femmina nera X 285 Bianche O | 517 Maschio nero (0) 284 idem XX | 348 Bianche X 285 idem O | 519 | Bianche non fecond. | —- 286 idem X } 320 Bianche X 287 |Lebbrose non fecond.| — | 521 Maschio nero XX 288 Bianche XX | 522 Bianche XX 289 {Lebbrose non fecond.| — | 323 idem X 290 Tarda XX | 524 idem 0 291 Bianche O | 325 Lebbrose X 299 Lebbrose X 326 idem X 2953 Bianche X | 527 Bianche XX 294 Tarda XX | 328 Lebbrose X N. progress. secondo l’ordine di nascita CARATTERI ESTERNI ED INTERNI DELLE UOVA DEI BACHI QUALITA” Lebbrose idem Maschio nero Lebbrose idem Bianche Lebbrose Bianche Maschio nero Lebbrose, tarda Bianche idem idem Spruzzate di nero Lebbrose Bianche Lebbrose idem Bianche idem idem idem Maschio nero Bianche Lebbrose, non fecond. Bianche idem Lebbrose idem Maschio nero Bianche idem Lebbrose Bianche Dati dell’osservazione |. microscopica A za | omo xi suor ra PE E p Sgocszzorn Fase . progress. secondo l'ordine di nascita N 365 6 365 366 3607 308 369 370 371 372 375 574 I7d 976 377 378 979 380 381 382 5835 584 385 386 187 388 389 590 394 592 3953 394 395 396 QUALITA” Lebbrose, non fecond. Lebbrose Maschio nero Lebbrose Maschio nero Lebbrose Tarda Bianche idem idem idem Maschio nero Femmina nera Bianche idem idem idem idem idem idem Lebbrose Bianche Lebbrose Bianche idem idem idem Lebbrose Bianche idem idem idem Tarda non fecond. Lebb. tarda, non fec. “I “I Dati dell’osservazione microscopica € a PE “BEE | 78 P. BUZZONI , Ss 5 | Ss È S8 Sel 33 Sg £ Al È 5 QUALITA’ E a FAlG QUALITA’ 23 èpo ci S fi (e/o) c = 9 DE 58 | (83 LE ZE 5 Z.ll S 397 Bianche XXI 431 Bianche XX 398 idem O | 4132 idem X 399 idem XX | 433 idem XX 400 idem X | 4134 idem XX 401 Lebbrose X | 4135 idem (0) 402 idem XX 436 idem 0 403 Bianche O | 457 idem XX 404 | Spruzzate di nero | XX. | 438 idem XX 405 Lebbrose XX | 459 idem XX 406 Bianche O | 440 idem 0 407 Lebbrose O | 441 idem 0 408 Bianche X | 442 idem (0) 409 idem O | 4453 idem X 440 Lebbrose O | 444 idem (0) 444 | Spruzzate di nero | O | 445 Tarda X 442 Maschio nero O | 446 | Spruzzate di nero | X 4413, Nero e nera XX| 447 Maschio nero XX 444 | Spruzzate di nero | O | 448 | Spruzzate di nero | XX 4A 8 Bianche XX | 449 Nero e nera 0 4A 6 idem X | 450 Bianche O 447 idem O | 451 idem XX 448 | Spruzzate di nero | O | 452 idem XX 419 Maschio nero XXI 453 idem X 420 |Bianche trovata morta] XX | 454 Tarda XX 421 Lebbrose X | 455 Bianche XX 429 | Spruzzate di nero | XX| 456 Femmina nera 0 423 Lebbrose XX 457 idem (0) 424 Bianche X | 458 Bianche XX 425 idem XX | 459 idem XX 426 idem O | 460 | Lebbrose, tarda 0 427 |Bianchenon fecondata| — | 464 Bianche XX 428 Bianche O | 462 idem XX 429 Nero e nera XX | 4653 Tarda XX 430 Bianche X | 464 | Spruzzate di nero | XX CARATTERI ESTERNI ED INTERNI DELLE UOVA DEI BACHI 79 progress secondo l’ordine di nascita È E IA E :9 2 2 SE E SE QUALITA" 23| #= QUALITA” #3 à aa à Bianche O | 199 Bianche O Tarda, non fecondata| —- f 300 idem X Spruzzate di nero | XX | BOI Maschio nero XX Bianche O | 502 Lebbrose X Maschio nero X | 505 Bianche O Spruzzate di nero | XX { bou idem XX Bianche O | 505 idem | (0) Spruzzate di nero | X { 306 idem XX idem XX | 507 | Spruzzate di nero | 0 Bianche XX | 508 Bianche XX idem XX | 3509 idem (0) Femmina nera O { 510 Lebbrose XX Tarda XX BII idem (0) Bianche X | 512 Bianche XX idem X | 313 |[Spruzz. di nero, tarda| Q Maschio nero X | BI‘ Bianche (0) Tarda XX | B45 Maschio nero XX T., m.°, farfalllesem.| X | 346 Lebbrose XX idem X | BI7 Bianche XX Bianche XX | 518 Lebbrose XX Spruzzale di nero | X | 3519 Bianche X Lebbrose O | 520 | Spruzzate di nero | XX Tarda, non fecondata|l —. | 521 Femmina nera X Bianche X | 522 Bianche (0) idem O | 525 idem XX idem X | 524 idem X idem O | 525 Tarda X Spruzzate di nero | XX | 526 idem © XX Tarda XX | 527 | Spruzzate di nero | XX idem O | 528 Bianche 0 Bianche XX | 529 | Spruzzate di nero | XX idem O | 330 Bianche O idem X | 5534 Lebbrose XX Maschio nero XX | 352 Nero e nera (0) (ee) (©) P. BUZZONI, . progress. secondo l’ordine di nascita È QUALITA” $ 2 î. à Bianche XX idem (0) idem O idem 0 idem (0) idem XX idem 0 idem XX idem X idem X idem 0 idem XX idem XX idem XX Spruzzate di nero | 0 idem XX Bianche X idem XX idem XX idem XX idem (0) idem (0) idem XX idem X idem X idem (0) idem XX idem XX idem X idem 0 idem XX Lebbrose XX Tarda XX Bianche XX N. progress. secondo l’ordine di nascita QUALITA’ Bianche idem Tarda Lebbrose Bianche idem Tarde idem Bianche Tarda Bianche idem idem idem Tarda Bianche idem Tarda idem idem Lebbrose Tarda Spruzzate di nero Bianche idem idem Tarda, non fecondata Bianche ‘Tarda Bianche idem idem idem idem Dati dell’osservazion microscopica TABELLA IL* Descrizione dei caratteri esteriori delle farfalle (A) si c = Da E $3= QUALITA” 53/63 QUALITA’ dE * se| ts îs 2a é 2° E i Bianche O 29 Bianche O 92 idem XX 50 idem (0) 3 idem XX | 53M Maschio nero (0) 1 idem (0) 52 | Spruzzate di nero (0) bh) idem 0 35 Bianche (0) 6 idem XX SU idem O 7 Femmina nera 0 35 idem (0) 8 idem 0 36 idem XX 9 | Spruzzate di nero | 0 37 Femmina nera (0) 10 Bianche (0) 38 idem (0) ti Lebbrose X 59 Bianche (0) 12 Femmina nera (0) 40 Maschio nero (0) 15 Bianche (0) 4A idem (0) 44 idem (0) 49 Femmina nera X 413 idem (0) 453 Nero e nera 0) 16 Femmina nera (0) 4h Bianche XX 17 Bianche X 45 idem (0) 18 idem 3a 46 Maschio nero XX 19 Femmina nera 0 47 Femmina nera 0 20 idem (0) 48 Bianche O 21 Bianche (0) 49 Nero e nera (0) 29 idem 0 #10) Bianche XX 25 idem 0 BI Spruzzate di nero | X 2h idem (9) 392 Bianche XX 23 idem 0 53 idem (0) 26 idem X 354 | Spruzzate di nero | XX 27 idem XX| 35 Bianche X 28 idem X 56 | idem IVO (4) Queste farfalle provenivano da bozzoli raccolti ad aria libera una settimana prima di quelli della Tabella 1-8 Istessa specie di semente Vol. V. (©) 9 N progress. secondo l’ordine di nascita QUALITA’ Maschio nero Bianche Femmina nera Bianche Femmina nera Bianche idem idem idem idem idem idem Maschio nero Bianche Tarda Maschio nero Bianche idem Tarda Femmina nera Bianche idem idem. Tarda Bianche Dati dell’osservazione microscopica N. progress. secondo l’ordine di nascita P. BUZZONI, CARATTERI ESTERNI ED INTERNI DEI BACHI DA SETA QUALITA’ Bianche idem idem idem idem idem idem idem Spruzzate di nere Tarda Bianche idem idem Maschio nero Tarda idem Tarda idem Femmina nera Maschio nero Bianche idem idem idem idem Dati dell’osservazione microscopica sE XX cocco comono fox TABELLA II.® Descrizione dei caratteri esteriori delle farfalle (1) <£ S 35 3 2 ze] s2 25 Oc D Za DI DA Mi QUALITA’ 120 = QUALITA”, 23 $ È 35] Ss Sh 2 = = E (= e - 4 5 3 |a A 1 Bianche (0) 32 Bianche 0 dala idem (0) 55 idem 0 35 idem (0) 34 idem è d 4 idem 0 35 idem (0) h) idem (0) 56 idem (0) 6 idem (0) 37 idem (0) 7 idem (0) 38 idem XX 8 Lebbrose X 39 idem 0 () Tarda X 40 Lebbrose X 10 Bianche (0) HA Bianche (0) 11 idem X 49 Lebbrose x 12 idem X 43 Tarda XX 15 Tarda XX 4 Bianche 0 14 Bianche 0 48 idem (0) 15 idem X 46 idem x» 16 idem 0 47 idem XxX 47 Maschio nero (0) 48 idem (8) 18 Tarda x 49 idem X 19 Lebbrose XX bo idem 0 20 Bianche X BI idem (0) DA | Tarda X B9 idem 0 29 Lebbrose XX B3 Tarda XX 23 idem X bu Bianche (0) 24 Bianche (0) 55 idem x 28 Lebbrose X 36 idem (0) 26 idem XX 37 idem O 27 Bianche 0 58 Lebbrose XX 98 Tarda XX Bo Nero e Nera XX 29 Bianche (0) 60 |Bianche non fecondata| XX 30 idem O 61 idem O 54 idem (0) 62 idem (0) (4, Queste farfalle provenivano da bozzoli raccolti in camera chiusa. Seme Bukarest, leggermente infetto. 8h TABELLA IV. Riassunto della Tabella I.* (cb) — O oo so CARATTERI sel Legger-! monto | N°" Mag Sane | mente fecon- . . («b) in esteriori delle farfalle È infette infette Gale - L=) TT, - _tb1_r_wm____m_.wil Coppie di farfalle bianche | 365 175 68 119 h) —htprrnl———_——_—_ _———__ y _'il_tt@m>—t— Maschio nero Femmina bianca 07 da 5 ai i de bianco DE ik A MI d einmina nera pr o nn Spruzzate di nero DA Au 7 20 _ Lebbrose 64 A ia 24 h) Tarde a deporre le uova 66 Ae 13 ci 6 Totale 600 249 123 212 Artt 85 TABELLA V* Riassunto della Tabella IT $ © L N CARATTERI s& e88€5: Molto (‘N o © Sane | mente fecon- eriori ; Do ti i | esteriori delle farfalle sin infette infette date a Coppie di farfalle bianche 67 37 10 20 —_ Maschio nero a z I 3 3 — Femmina bianca SI L Maschio bianco gr 9 vu La Femmina nera 13 n I Maschio nero a 5 CA mal Femmina nera Ti Spruzzate di nero l) 2 2 TI Lebbrose 4 n 4 Li Tarde a deporre le uova 8 3 2 3 Totale 106 39 20 27 186 TABELLA VI? Riassunto della T abella III CARATTERI esteriori delle farfalle Cn’ —1_‘ e e‘ Coppie di farfalle bianche Maschio nero Femmina bianca Maschio bianco Femmina nera Maschio nero Femmina nera Spruzzate di nero Lebbrose Tarde a deporre le uova Totale Numero totale delle Coppie » > | | Sane Legger-| Molto menle infette infette 8 9, — DI 5 “ 3 I 16 Il Non fecon- date CLAIRE: CDOT IONE AZ LATE TIRATI III Ate POICOZTISO SEL 87 TABELLA VIL?* hiassunto generale © = © (nea J CARATTERI sÈ Legger-! motto | N90 o Sane | mente fecon- n RINPI n fall S 2 E ) I a esteriori delle farfalle Ne infette infette Ale e Coppie di farfalle bianche| 476 | 245 86 | 444 6 Maschio nero Femmina bianca 18 16 na se RI Maschio bianco 56 45 P hi ui Femmina nera Maschio nero in - 3 15 Femmina nera SE Spruzzate di nero 46 16 9 22 — Lebbrose 7A 41 27 28 dB Tarde a deporre le uova 81 20 18 37 6 Totale 768 549 159 251 16 ANTRACOTERIO DI AGNANA BALENOTTERA DI CÀ LUNGA PRESSO SAN DAMIANO E MASTODONTE DI MONGROSSO Lettera del socio B. GASTALDI al presidente E. CORNALIA (Seduta del 22 febbrajo 1863.) Carissimo amico, Torino, 20 febbrajo 1863. Or sono due anni mi cadde fra mani una Memoria del Capitano Cre- scenzo Montagna Sulla giacitura del terreno carbonifero di Agnana, e la lessi con piacere perchè parvemi un lavoro fatto con diligenza e perizia per quanto riguarda la parte topografica e la descrizione degli spostamenti e delle altre circostanze di giacitura. Se bene ho giudicato, l’autore inclina a considerare quel combu- stibile fossile come un deposito dell’epoca giurassica. Finchè mi limitai a leggere la descrizione che ci dà del terreno incassante il combustibile e dei terreni che sotto e sopra giaciono a quello, io non trovava difficoltà a convenire coll’ idea dell’ autore stesso; ma dovetti sospendere ogni ulteriore giudizio quando esaminai le figure del dente di mammifero che vedonsi nella Tav. Il dell’ai- lante annesso alla Memoria. Per quanto mi ricordi, l’autore non dice che quel dente sia stato trovato nel combustibile di Agnana, ma dice bensì che è ancora in- crostato di carbone. Non ostante il di lui silenzio a questo riguardo, to doveva supporre che il signor Montagna l’ avesse raffigurato perchè B. GASTALDI, ANTRACOTERIO DI AGNANA, EC. 89 proveniente dal combustibile fossile che aveva impreso a descrivere, perchè trovato nella massa del carbone stesso. Ora, siccome era per me evidente che quelle figure rappresentano porzione (i due ultimi terzi) del 4.° molare inferiore sinistro del- l’ Anthracotherium magnum, avrei dovuto conchiuderne che il car- bone di Agnana è non solo terziario ma miocenico, è cioè la conti- nuazione della zona lignitifera già stata segnalata a Savona e Monte Bamboli nel bacino Mediterraneo: a Nuceto, a Vicenza e dintorni nel bacino dell’ Adriatico. Tuttavia mi ripugnava adottare tale conclusione così lontana da quella del sig. Montagna ed io finii per credere che quel dente non provenisse punto dal carbone di Agnana, ma bensì da qualche altro letto di combustibile fossile di età più recente. Pochi giorni sono ho avuto occasione di ritornare sullo stesso ar- gomento, esaminando alcuni fossili che un mio amico mi portava dalla miniera stessa di Agnana, e questa volta ho dovuto persuadermi che quel deposito di combustibile è positivamente miocenico, giacchè fra essi trovai altri molari, e molto ben conservati, dell’ .4nthracotheriun magnum. Sonvi altresì fra quei fossili parecchie porzioni di scudo di 7ryo- nix; uno di questi scudi si presenta dalla parte interna e porta. an- cora le estremità costali che appajono in forma di masse fibrose, schiacciate, aventi l'aspetto di pennelli piatti, e che, a quanto pare, furono scambiate per piante monocotiledoni. Trattandosi di un deposito di combustibile, attorno al quale si sono già spese rilevanti somme, e sul quale pare si fondano speranze che potrebbero non realizzarsi, ho creduto meritasse pubblicare queste mie osservazioni, le quali, fissando con precisione 1 epoca geologica di quel deposito, vengono a collegarlo con altri di identica età già ben noti in località più settentrionali dell’ Italia, ed a dare perciò una idea ben giusta di quanto se ne possa sperare dal lato economico- industriale. Ecco dunque una nuova giacitura dell’Animale delle Ligniti, ed io son lieto di confermare ora ciò che dicevo alcuni anni sono (Cenni sui certebrati fossili del Piemonte): che il genere Antracoterio sarebbe 90 B. GASTALDI , divenuto pel Mioceno inferiore un fossile caratteristico come già lo era il genere Paleoterio per l’ Eoceno. I molari provenienti da Agnana sono interamente identici nella forma e nelle dimensioni a quella specie di Cadibona cui il Cuvier diede l’appellativo di magnum, specie che non è quella descritta e raffigurata con tal nome dal Riitimeyer, come io spero di provarvi in altra mia nota corredata di figure. Veniamo ora a fossili più recenti e più grossi. Nel novembre scorso fui a vedere uno scheletro di balenottera, sco- perto presso la stazione di San Damiano (luogo detto Ca lunga, Cir- condario di Asti) nell’argilla azzurrognola pliocenica. Sgraziatamente quello scheletro non era intero, e consisteva in 55 o 36 vertebre (a partire dalle cervicali), le une e le altre ancora aderenti, a taluna delle quali stava ancora vicina una delle coste. Mancavano affatto il eranio e le natatoje, state probabilmente distrutte quando si aperse la profonda strada sulla cui sponda affioravano le prime vertebre cervicali ora sco- perte. Quantunque monco, io avrei fatto acquisto di quello scheletro pel Gabinetto mineralogico della Scuola di Applicazione, il quale possiede già un bel cranio probabilmente della stessa specie e che appartenne ad un individuo di eguali dimensioni. Ma lo scopritore che credevasi aver scoperto un tesoro mi chiese una somma ben superiore a quella che era in mia facoltà di spendere e dovetti lasciarglielo. Nello stesso giorno mi recai a Mongrosso in Valle Andova, ove sa- pevo che si erano scoperte ossa di Mastodonte, ed ove ero atteso. Almio arrivo trovai uno scavo già molto largo, dal cui mezzo sporgeva una grossa ed informe massa; era il cranio capovolto ed in posizione tale da presentare superiormente la volta palatina. Le zanne e due molari già erano stati con molta diligenza staccati, ed io per un istante cre- detti poter giungere ad averne il cranio intero, ma dovetti disingan- narmi, vedendolo disfarsi in minutissimi pezzi ed in molle poltiglia a misura che c’innoltravamo nello savo. Dopo aver a malincuore rinunciato al cranio, si procedette alla estrazione delle altre ossa che erano, si può dire, tutte in un mucchio avente 2 a 2,530 metri di diametro. Si lavorò per più di due giorni, ANTRACOTERIO DI AGNANA, EC. 91 e si portarono a Torino sei casse di frammenti, i quali, dopo tre mesi, trovarono modo di riavvicinarsi l'un l’altro e di riprendere forma. Eccovi i risultati dello scavo: Due molari, uno superiore, l’altro inferiore; da essi ho potuto ve- dere che l'individuo apparteneva alla specie Arvernensis, e che era vecchio giacchè i molari sono i sesti, consunti ed enormi. Le due zanne, conservatissime ma molto piccole, tenuto conto del- l’età dell'individuo e della grossezza dei molari; la piccolezza delle zanne farebbe supporre che l'individuo era femmina. I due membri anteriori quasi intieri, cioè : le scapole, gli omeri, i radii, i cubiti e le mani. Uno dei membri è, si può dire, perfetto, e persino la scapola ha l’ala conservatissima anche nelle parti in cui lo spessore non giunge che a 3 o 4 millimetri. Le ossa sono notevoli per grossezza, e l’ omero, che già è quasi interamente rimesso assieme, è altresì notevole per la sua cortezza o brevità. Oltre alle ossa accennate si trovarono alcune vertebre, molte coste e porzione del bacino. Lo scheletro ha dovuto essere intiero giacchè un vecchio del paese mi assicurò che l’abatè& Sotteri, 1’ amico di Brocchi, aveva fatto, 50 o 40 anni prima, non infruttuose ricerche nello stesso luogo in cui noi abbiamo praticato lo scavo. ? EVI SULLA ORIGINARIA FORMAZIONE DELLE ACQUE OCEANICHE E SULLA LORO SALSEDINE MEMORIA DI ROBERTO SAVA PROFESSORE DI STORIA NATURALE A PRATO, ECC. (Seduta del 29 marzo 1863.) La description physique du monde doit signaler dans les combinaisons ou les de- compositions de la matière l’action des méme agents qui donnent aux tissus or- ganiques leurs formes e leurs propriétés. HumBorp, Cosmos, trad. de Faye. Il chiarissimo Mongitore, svoigendo le opere dell’insigne siciliano Hodierna, annovera fra le inedite quella Sulle cause precipue della salsezza dei mari. Per quanto abbia ricercato nel zibaldone di carte, che di lui diconsi autografe o essergli appartenute, non mi è riuscito raccoglierne elemento veruno. Tuttavia cotal distinto pensiero mi ha simpatizzato con tanta pre- dilezione, da sospingermi ad indagare, insieme alla cagion della sal- sedine delle acque oceaniche, la originaria loro formazione, molto più per essere coteste due indicate tesi neglette negli studii naturali, quantunque di luminosissime deduzioni nella geogenia, ritenendo di R. SAVA, DELLE ACQUE OCFANICHE E SULLA LORO SALSEDINE 95 poco e nessun conto le ipotesi evulgate a darne spiegazione, come i banchi inconsumabili di sale supposti in fondo all’ oceano, ovvero, ammassi immensi di quello sparsi su la terra, e che le acque piovane disciolgono e recano al mare, o invece che il sale marino si forma tutto giorno in grembo a’ mari, e l’acido idroclorico che si cava dal sale essere il prodotto dell’atmosfera, o meglio, che la salsuggine sia il prodotto d’un fluido primitivo, antico quanto la creazione, avve- gnacchè quest’ultimo divisamento meritava ogni analitica discussione, oggetto di questo lavoro, che più accuratamente ora si riproduce, A riuscire in questo arduo argomento, ho dovuto occuparmi delle migliori e più adottate considerazioni sulla storia chimica della terra, ovvero, su lo stato originario e ie trasformazioni de’ materiali che compongono il suo apparente rivestimento. Ed eccomi all’ esposizione de’ competenti particolari a cominciare della idrogeica. La ignea origine del globo terrestre, e l’alta sua temperatura al- l’epoca di sua configurazione, appiattita per la rotazione, essendo un fatto fondamentale della teoria della terra, la esistenza primitiva del suo avvolgimento fluido attuale eccita una filosofica sorpresa. L’antagonismo, direbbesi, che in noi desta l’idea d’acqua, e quella che ci formiamo d’ una combustione durevole, rende troppo difficile lo attribuire ragionevolmente all’ acqua una coesistenza simultanea con lo stato igneo primiero, e l’associazione di elementi fluidi cotanto eterogenei, come l’ ossido, l’ azoto e l’acqua, sembra discostarsi da quell’ eminente semplicità che si richiede quasi spontanea nelle qui- stioni d'origine. Nello studio di fenomeni naturali la varietà degli ef- fetti sembra dappertutto derivare dall’ unità d’ azione, e nel rintrac- ciare la realtà di questo principio emerge l’idea di rannodare tanti disparati risultamenti ad unica sorgente, ad un fenomeno semplice in rapporto alle leggi chimiche or conosciute. La quistione immediata da risolvere si versa dunque su la forma- zione dell’acqua, che Talete Milesio mostrò esser principio delle cose, cioè, tutte le cose essere composte dell’acqua, e nell’acqua tutte dis- solversi. Esaminandola, tutta la serie de’materiali, che formano la superficie del globo attualmente osservabile, si appresenta da sè 94 R. SAVA, stessa a coteste indagini, e ad unirsi come per un vincolo comune all idea dell’ ignea origine della terra. Questo nodo, per così dire, vitale ed animatore dei materiali superficiali del globo; ormai si rav visa nell’ influenza dell’ ossigeno. Se ci dipartiamo dall’ipotesi primiera dell’origine ignea del nostro pianeta, è naturale supporre, dietro le nozioni evidentissime della chimica, che i corpi vi si trovano e vi si trovavano primilivamente alla superficie, non già isolati, ma raggruppati ben vero in combina- zioni definite, secondo le affinità particolari della via ignea. Riflettendo alla natura definitiva de’ composti che formano l’ attuale rivestimento del pianeta medesimo, si desume che la presenza dell’ ossigeno ap- porta grandi difficoltà al concepimento di tale stato primitivo del globo. Da ciò segue la induzione a ricercare se, nel disgiungere que- sto gas, tutti gli altri corpi potrebbero essere contenuti in limitato numero di combinazioni semplici, dedotte dalle affinità calorifiche, d’onde l’azione dell’ossigeno stesso avrebbe detratto le svariate com- binazioni attualmente osservabili. T'ale è il pensiero fondamentale che costituisce la base di queste ricerche. Le considerazioni cosmogoniche che possono autorizzarle, ond’esser breve, si tralasciano, indicando bensì quel tanto indispen- sabile a perscrutare le condizioni chimiche primitive del terrestre ammanto. Noi ignoriamo in realtà e forse s’ignorerà sempre qual sia la sor- gente materiale da cui Ja mano onnipossente della provvidenza abbia tratto il globo che abitiamo. Non è interdetto ben vero congetturare che la sua origine possa avvincersi ad una legge grandiosa di crea- zione, e nemmeno è improbabile supporre che tutto l’ insieme dei mondi osservabili sia congiunto in una immensa unità di forza vitale creatrice. Le brillanti scoverte della recente astronomia sono avviate direttamente verso questo risultamento, verso quest’alta congettura, e ci sarà forse permesso di pensare che il progresso delle scienze, chi- mica e geologica insieme tende a condurci a così fatto scopo, il più eminente e sublime che possano proporsi i nostri studii materiali. Questo nobile e filosofico divisamento indusse due ingegni elevati e preclari, Buffon e Laplace, ciascuno però per diverse vie, ad abbrac- DELLE ACQUE OCEANICHE E SULLA LORO SALSEDINE 9d ciare il sistema solare da sè solo in una distinta unità di formazione, come se si fosse trovato isolato in mezzo dello spazio. Il sistema del primo, laudevole per la sua originalità, non è più seguito da ve- run partigiano: l’altro, sebbene rafforzato da trascendenti appoggi dinamici, ha per base una ipotesi, di cui molti fatti permettono s0- spettarne la verosimiglianza. Ma, se provar si potesse esservi adito a ricusar questi due sistemi, e ritenersi come limitati ed insufficienti, malgrado 1° apparente loro illusiva grandezza, rimarrebbe sempre ad applicare un'idea, espres- sione ognora la più semplice delle leggi newtoniane, quella che con- sidera il sistema de’ pianeti qual provenienza estranea al sole, e de- rivante in totalità da un impulso simultaneo verso la sfera d'attrazione dominante di quest’ astro, Senza esaminare per ora la causa presumibile di cotal impulso, l’esito di questa teoria è forse una successione nella provenienza delle due parti costituenti il nostro sistema planetario, l’astro centrale cioè ed i suoi satelliti. E questo risultamento medesimo rientra evidente. mente nella serie delle cose possibili, anzi delle probabili. Ragionando dietro tali dati si può ammettere parimenti che i pianeti medesimi, derivando da un’ origine ignea particolare, avessero potuto scontrare nel loro corso, 0 piuttosto al punto di loro arrivo, una sostanza dif- fusa, straniera alla propria loro composizione. Se potrebbe essere vero che il sole non abbia avuto la sua rotazione allorquando il si- stema de’suoi satelliti entrò nella sua sfera d’attività, si capirà bene quel che non era affatto comprensibile nell’ ipotesi di Laplace, per la quale il sole, in un dato istante, potè essere attorniato d’ un at- mosfera estensibile almeno fino all’ orbe della terra, e forse ancora sino a quella de’ pianeti più lontani. Questi corpi, trovandosi ravvolti di simil fluido, avran dovuto adunarlo attorno di loro, qualunque fos- sesi la sua rarefazione, e formarsene come un mantello. , Or se ammettasi adesso che questo fluido sia ossigeno puro, e non entrasse nella composizione dei pianeti, ne risulterebbono, in riguardo alla terra, le più notevoli conseguenze. Da ultimo è desiderio accordarsi soltanto che la terra, formata di sostanze ignee, ossia combinate fra loro sotto I’ influenza del calore 96 R. SAVA, e prive d’ossigeno, abbia potuto trovarsi ad un tratto circondato da un’atmosfera ossigenata: l’influenza subitànea di questa nuova sostanza sopra una superficie combustibile e calda ha dovuto produrre, come or vedrassi, fenomeni d’ una singolare precisione relativamente all’at- tuale stato del rivestimento terrestre. E primamente è naturale arguire che in una massa planetaria, for- mata sotto la potenza del calore, i corpi più leggieri debbano tro- varsi diretti alla superficie, e far parte speciale nella composizione del- l'involucro esteriore. Aggiungasi che, fra’corpi conosciuti, il più leg- giero è l’idrogeno e al tempo stesso il più combustibile pel contatto dell’ ossigeno e l’ azione del calore. Nessun dubbio quindi, nella pre- messa ipotesi, che l’indicato corpo non sia uno dei primi, ed il più suscettibile forse su cui eserciterebbesi l'influenza dell’ ossigenata at- mosfera. Ma il prodotto della combustione dell’idrogeno è 1’ acqua. l’acqua degli oceani, quest’ immenso rivestimento liquido della su- perficie del globo ...; puossi adunque ragionevolmente ammettere per cotesta congettura, che la massa delle acque sia stata un prodotto, non già un principio nella economia originaria del globo. A dare bensì un corpo, una forma chimica a questo concepimento, bisogna indagare in qual combinazione poteva primitivamente rien- trare questo gas infiammabile. L’ idrogeno, come sappiamo, si combina con energia a corpi non metallici, coi quali egli forma in generale composti d'una tendenza acida pronunziatissima: avvene due frattanto, l'azoto ed il carbonio, coi quali ei può formare composti basici, e col primo produce anco una base potentissima, l’ammoniaca. Laonde spontanea vien l’idea d’immaginare aver potuto esistere un insieme di sali idrogenati nella superficie primitiva della terra, e questa base, oggidi eccezionale, 1’ ammoniaca, siavi stata di molta importanza. Sorregge questo argomento un esito materiale chimeri- camente notevolissimo, proveniente dalla combustione de’ sali ammo- niacali, l’acqua e l’azoto, quindi il mare e I’ atmosfera, e due oceani fluidi che circondano la terra. In questo risultamento scorgerebbesi al certo un accordo porten- toso ed una maravigliosa coincidenza de’ fatti chimici con i dati della DELLE ACQUE OCEANICHE E SULLA LORO SALSEDINE 97 natura. Tuttavia bisogna esser cauti, nè lasciarsi illudere facilmente dalle seduzioni di un’idea semplicissima, che per la sua medesima semplicità fuor misura grandeggia. Esaminandola più attentamente, si scorge non poter soddisfare a tutte le relazioni di quantità che esige la formazione simultanea dell’aria e dell’acqua. Dal peso conosciuto dell'atmosfera, per metro quadrato di superficie terrestre, è facile dedurre la quantità di azoto che contiene, suppo- nendone identico a tutte le altitudini il miscuglio con l'ossigeno; e, comunque considerevole esser ne possa il volume, non potrebbe pa- ragonarsi giammai alla massa delle acque. Nè colpirebbesi il segno valutando la combustione de’ sali ammoniacali sufficiente alla produ- zione contemporanea dell'idrogeno dell’acqua, e dell’ azoto dell’aria. In riguardo a questa, altra sorgente supplettiva si ravvisa, la quale sussiste tutt'ora, per ripianare i vuoti che lascerebbero le altre sca- turigini d'azoto atmosferico, e qual agente principale alla sua for- mazione. E ad essa frattanto riferir si possono, come parti contri- buenti, l’idro-clorato d’ammoniaca, forse ancora l’idro-fluato e l’idro- cianato della medesima base. Ma per l’acqua bisogna rintracciare parimente un’altra provenienza immediata. La più semplice delle supposizioni fosse lo accordare alla terra una originaria atmosfera composta d’idrogeno puro, ovvero unito ad idrogeno protocarbonato, che generar poteva l’acido carbo- nico, tuttora esistente in poca quantità attorno il globo, ma che avrà dovuto ridondare in maggior copia a giudicarne dall’antica vegeta- zione rigogliosa e gigantesca, e dal carbonio ora soltterra nelle mi- niere di carbon fossile. Questa supposizione di un'atmosfera in parte formata d’idrogeno libero non esibisce elemento alcuno d’ inverosimiglianza, nulla d’in- compatibile con l’origine ignea del pianeta, e ciò basta onde renderla ammissibile, anco perchè di transizione alle irrecusabili conseguenze su la formazione degli altri elementi dell’attuale mineralizzazione, che sarebbe oggetto d’allro più esteso lavoro, a cui è base fondamentale la formazione preliminare dell’acqua, ossia quella semplicissima pel- licola acquea, prodotto della combustione, come dissesi, alla superficie del globo terrestre, che non ricuoprene ben vero tutta la massa, nè Nol W. 7 98 R. SAVA, viene a disputare al fuoco la liquidità primitiva della terra, come il fluido caotico di Werner, Kirwan e Deluc, da loro; ammesso, sospinti dalle idee inspirate quasi instintivamente dalle apparenze generali della geologia. ? Laonde verrebbesi ad architettare la composizione, ragionevolmente possibile, alla superficie primitiva del nostro pianeta, delle masse di- stinte che attualmente vi scorgiamo, per. lo sviluppo delle diverse combinazioni, in esito ad una ossidazione istantanea de’ metalli costi- tuenti il suo nocciolo; secondo l’ ammirabile concetto del genio di Davy, per la decomposizione dell’acqua, con isvolgimento di carburi o solfuro d’ idrogeno, derivandone la combinazione della silice con l’alumina, la potassa ed il fluore, e la immediata loro precipitazione, elemento futuro dei graniti, ed al tempo stesso, ma in contrario, la dissoluzione del cloruro di sodio, con la quantità. sopra eccedente di cianuri. e. solfo-cianuri, compresivi quelli di calcio e. di magnesio, elemento futuro delle calcarie, delle dolomie e de’solfati alcalini della dissoluzione marina, Ed ecco per tal guisa ridotta or finalmente a nozioni scientifiche Ja inarrivabile ‘opinione filosofica d’ Eraclito, il quale disse, principio dell'universo essere il fuoco, perchè tutte le cose nascevano di fuoco, e terminavano, nel fuoco, spento il quale essersi generato il mondo: avvegnachè primieramente la porzione di lui più grossa, condensata in sè stessa, diveniva terra, la quale poscia, disfatta dalla natura del fuoco, diventava acqua. A chiarire quanto si è cennato, ed a provare distintamente l’ ori- gine della salsedine delle acque oceaniche, or si porrà a scontro della «composizione del primo stato del globo per dedurre dal contrasto dei loro, rapporti la soluzione della proposta tesi. Esiste, negli studii geogenici, un punto di vista di positivo inte- resse, benchè non-ancora; decifrato, quello appunto. che versare si debbe su la: ripartizione originaria de’ minerali alla. superficie ' del globo. Un rivestimento di singolare uniformità e di matura costante ne diversi punti della terra, si è esteso sovra tutta la sua superficie, sin dall’ inizio di sua origine. E questo il granito. Dappertutto in ef- felto ritrovasi al disotto de’più antichi terreni di sedimento, costituiti DELLE ACQUE OCEANICHE E SULLA LORO SALSEDINE 99 dagli avanzi di lui, e sebbene il granito, considerato come roccia di iniezione e de’ filoni, sembrasse accidentalmente posteriore ad alcuni terreni sedimentarii molto innoltrati nella scala geologica, egli si mo- stra ovunque intimamente connesso ai più vetusti depositi, e come base d’ogni stratificazione. Questo carattere di remotissima antichità e di terreno universale non saprebbesi negare al granito da veruna teoria; e l'uniformità di questa roccia maggiormente si apprezza allorquando si paragona alla diversità di composizione delle rocce plutoniche più recenti. In faccia a cotesto gran fatto poniamone un altro, in apparenza meno importante, non meno notevole però pel suo carattere di sem- plicità ed estensione, vuol quanto dire, la salsedine dei mari. E con- siderando la natura delle sostanze contenute, allo stato di dissoluzione, nella gran massa delle acque oceaniche, non si può far a meno di rav- visare la semplicità e l’essenza tutta speciale della sua composizione chimica, caratterizzata quasi esclusivamente per la peculiare miscela del cloruro di sodio o sal marino. La simultaneità d’epoca di questo prodotto con quella del granito primitivo potrebbe sembrar singolare, se non ponessesi mente alla manifesta evidenza che ne’primi depositi fossiliferi si rinvengono in grandioso numero i resti di animali marini, di cui i generi abitano fin oggidi nelle acque salate; e che sin dall’epoca carbonifera, si pos- sono mettere in parallelo, come vivente ne’ fiumi e ne’ laghi d'allora, generi analoghi a quelli delle nostre acque dolci. La salsedine delle acque del mare è adunque un successo di prima origine, simile a quello della produzione primordiale del granito, e nessuno ostacolo si frappone a considerare contemporanea la loro origine, non disgiunta cioè da alcun geologico avvenimento. Nessun naturalista non potrà mirare con filosofico sguardo la di- stribuzione attuale delle materie minerali, senza rimanere convinto di questa singolare emergenza che, de’due alcali principali, sparsi alla superficie del globo, uno, la soda, sia concentrato, e, per così dire, iso- lato nella immensa dissoluzione marina; mentrechè l’altro, la potassa, caratterizza esclusivamente la prima solida rivestitura terrestre, il granito, come dissesi, ove costituisce diggià la base attiva e radicale 100 R. SAVA; di duc clementi cristallini, il feldspato ed il mica, In effetto tuttoil feldspato delle antiche rocce è a base di potassa, e la predominanza quasi assoluta in esse della potassa sopra la soda è uno de’dati meglio inconcussi e più sperimentali della mineralogia chimica, Questa separazione originaria di due basi cosiffattamente simili per lò insieme delle loro proprietà è un argomento degno di ponderata attenzione, specialmente per la provenienza della via ignea, avvegna- chè ‘di questi due corpi, importantissimi nella natura attiva, Ja po- tassa fa parte integrale di tutta la. vegetazione terrestre, e l’altro forma base ed alimento di tutta l’organizzazione marina. Tuttavia questo subbietto, malgrado il manifesto suo interesse, non è nemmeno proposto nella storia geogenica, specialmente nella ricerca delle ori- gini. Nella preoccupazione de’grandi avvenimenti fisici della ‘terra. si è tenùto poco conto de’caratteri speciali che esibisce la composizione intima delle rocce e dei terreni, e la disamina della salsedine delle acque oceaniche è stata trasandata, non tenendosi in conto la prove- nienza della condizione cotanto particolare delle. matetie contenute disciolte dalle medesime acque. ‘Eppure, riello stato attuale delle nostre conoscenze, non è più per- messo di préterire un simil fatto, e la concentrazione originaria della potassa ne’'graniti e della soda nelle acque dei mari resta a studiarsi qual soggetto ancor vergine ed uno dei più interessanti problemi della chimica. naturale. A rassodare cotali indagini ha scopo quindi unica- mente questo impulso. » Epilogando sommariamente le premesse nozioni storiche delle ori- gini chimiche, discusse o accennate, e a ravvisare Ja composizione possibile della superficie primitiva del globo terrestre, onde una me- tallica ossidazione istantanea abbia potuto svilupparvi le combinazioni diverse e le masse distinte che attualmente vi scorgiamo, risulta che un'atmosfera d’idrogeno puro, frammisto forse ad idrogeno carbonato; ad azoto 0 a cianogene, avrebbe involto un nucleo metallifero, com- posto, almeno nel suo ‘esteriore; di cianuri e delle loro combinazioni coi eloruri, fluoruri e solfuri, potendovisi aggiungere quei sali ammo- niacali corrispondenti agli svariati acidi idrogenati. Senza supporre nemnieno a questa massa un calore considerevole, DELLE ACQUE OCEANICHE E SULLA LORO SALSEDINE 101 l’azione dell’ossigeno sovra taluno de’ composti de’ metalli ha dovute determinare una incandescenza locale, capace di portar la deflagra- zione su tutto l’ infiammabile miscuglio d’ ossigeno e d’ idrogeno, o produrre così subitamente la gran massa delle acque, di cui i vapori, condensandosi poco a poco sul nucleo stesso, hanno dovuto esercitare la propria loro azione sulle materie che ne forinavano il rivestimento. Da ciò, per la decomposizione dell’acqua, ossidazione de’ metalli, con isvolgimento di carburi e di solfuro d’idrogeno; da ciò la combina- zione della silice con l’allumina, la potassa ed il fluore, e la loro pre- cipitazione chimica immediata, elemento futuro de’graniti; da ciò la dissoluzione al contrario del cloruro di sodio, con la quantità ecce- dente de’cianuri e solfocianuri, fra quali quei di calcio e di magne- sio, elemento avvenire delle formazioni calcarie e dolomitiche, e dei solfati alcalini della dissoluzione marina. Questi fatti dunque si rannodano e si connettono l’un l’altro, e formano un insieme completo di principii chimici, che raggruppa tutta la serie degli avvenimenti originarii, non esclusi i processi de’ filoni metalliferi; e queste nozioni estender parimente si possono ad ulte- riori risultamenti, ed includere i fenomeni ignei di tutte le età, il che formerebbe la continuazione dello studio sovraccennato,. Purnondimeno queste idee enuclear si possono come ipoteliche so- lamente, se così piacerà meglio riguardarle. Allora conchiuderassi col sapiente di Potsdam: che lo studio filosofico della na tura oltrepassa i limiti d'una semplice induzione de’ fenomeni c he vi succedono, poi- chè non circoscrivesi nella sterile enunciativa di fatti isolati, non di- mostrabili. Ma sia permesso bensi all’ ingegno dell’uomo, cu rioso, in- quieto, trasportarsi talvolta dal presente nelle tenebre del passato, trasvolandovi per indovinare ciò che non è tuttora manifesto; e dilet- tarsi delle antiche favole geologiche rinnovate sotto forme diverse. BIBLIOGRAFIA BOTANICA (Seduta del 29 marzo 1863.) ALPH. DE CANDOLLE. — Étude sur l’espèce, d l’occasion d'une revision de la famille des Cupulifères. — (Biblioth. univ. de Ge- nève, livrais. de novembre 1862.) La questione della specie in storia naturale, de’suoi limiti, delle sue modificazioni, della sua origine, stata trascurata dopo Linneo: per altre questioni relative ai gruppi superiori nella classazione alle spe-. cie, oggidi per i progressi della geologia, della geografia botanica, e della fisiologia, è ricomparsa in scena ad occupare uno dei primi posti fra quelle che si dividono l’attenzione dei naturalisti. Laonde io spero che non riuscirà discaro ai naturalisti italiani, e più partico- larmente ai botanici, un'analisi del sopracitato lavoro del profes- sore De Candolle, diretto a rischiarare da qualche lato un argomento cotanto importante. Il professore De Candolle ha voluto trarre ‘occasione dagli studj cui si era sobbarcato per lavorare ‘l’ordine delle Cupalifere per il volume XVI del Prodromus, per vedere se gli fosse possibile, avendo dinanzi a sè un radunamento considerevole di forme analoghe, costi- tuirvi gruppi subordinati e posti l’uno accanto all’altro, che avessero ognuno qualche prova all'appoggio della sua formazione, e che, fatti in modo veramente naturale, potessero meglio svelare la loro natura propria e lasciare indovinare la loro origine. A raggiungere lo scopo, BIBLIOGRAFIA BOTANICA 105 egli ha cominciato col ravvicinare, nella doviziosa raccolta di esem- plari di cui disponeva, quelli che si presentavano identici o quasi identici fra di loro. Nei gruppi per tal guisa formati, egli ha osser- vato con la più minuta attenzione, quali caratteri variavano sopra uno stesso ramo, quali si mostravano invariabili. Ha trovato così, che nelle quercie e generi vicini, variavano frequentemente sullo stesso ramo: la lunghezza del picciòlo, nel limite di 4a 3; la forma gene- rale del lembo, per quanto dipendesse dal rapporto della lunghezza fra i due diametri e la posizione del diametro trasverso più grande; la forma del lembo alla sua base, acuto, ottuso o a cuore; la profon- dità dei lobi o dei denti, Ia presenza o assenza di denti nel contorno della foglia; la terminazione ottusa o acuta delle foglie; la grandezza del lembo; la forma delle brattee negli amenti, e la presenza di tali brattee; il numero e la forma delle divisioni del perigonio nel fiore maschio; il numero degli stami; la terminazione più o meno ad un- cino delle antere; la lunghezza dei peduncoli di fiori femminei e frutti nel limite di 1 a 4; il numero dei frutti sopra ogni peduncolo, quasi sempre da 1 a 2, spesso da 4 a 5; il rigonfiamento del dorso delle squamme dell’invoglio; la lunghezza della ghianda per rapporto al- l'invoglio, dipendente a quanto sembrerebbe più dal grado di perfe- zione di ogni frutto che dalla sua natura propria. Variavano alcune volte i caratteri seguenti: la lunghezza dci pic- ciòli al di là da 4 a 3; la pubescenza caduca o non caduea della su- perficie inferiore delle foglie; la lunghezza e direzione delle punte che terminano i denti o lobi delle foglie; i fiori maschi pedicellati 0 sessili; la lunghezza dei peduncoli dei fiori femminei o frutti al di là da 4a 4; la forma della cupula alla sua base; la terminazione delle squamme ‘inferiori, medie o superiori della cupula, e il loro prolun- gamento in una lacinia più o meno lunga ; la direzione delle squamme alla completa maturità. + Vi erano infine variazioni così rare che potevano dirsi inostruosità; f così a mo’ d’ esempio la presenza di fiori ermafrediti. l caratteri che non furono mai visti variare sopra un medesimo ramo, erano: la grandezza e pubescenza delle stipole, come pure la loro forma, però in minor grado; la nervazione del lembo, per quanto Li LO4 BIBLIOGRAFIA BOTANICA concerne la direzione e la relativa grossezza delle nervature di vario grado, e ‘fino a un certo punto il loro numero, la pubescenza della foglia e dei rami, riguardo alla natura dei peli isolati o a fascetto, alla loro presenza sulle nervature o il parenchima, e alla loro lun- ghezza nella età giovanile degli organi; la durata delle foglie, tal- volta varia secondo l’età dell’ albero o l’annata; le antere glabre 0 pubescenti; la forma della cupula nella sua parte superiore, quando il frutto è in istato normale e perfettamente maturo; la grandezza della cupula, che varia poco nelle condizioni di maturità normale; la forma generale e grandezza relativa delle squamme della cupula matura e ben costituita; la maturazione del frutto nel primo 0 secondo anno; la posizione degli ovuli atrofizzati nella ghianda matura. La variabilità o la costanza de’ caratteri, accertati per tal guisa so- pra centinaja di esemplari, servirono quindi a formare due ordini di gruppi, l’uno subordinato all’altro. Il primo grado, ossia l’inferiore, fu composto per mezzo dei caratteri che variano sopra un medesimo ramo; onde si ebbero le varietà, che possono ancora essere razze. Il gruppi un poco più elevati, che differivano, sia per caratteri non riuniti sopra alcuni individui, sia per caratteri che non offrono pas- saggi da un individuo all’altro, costituirono le specie. Per le quercie di paesi abbastanza conosciuti, tali specie riposano sopra basi soddisfacenti; la cosa va altrimenti per quelle rappresen- tate negli erbarj da uno o pochi esemplari, le quali devono essere conservate provvisoriamente fino a che non vi sia prova in contrario, ma che forse in seguito cadranno al rango di semplici varietà. L’au- tore credesi giustificato a stimare, che sopra quasi trecento specie di Cupulifere che compariranno nel Prodromus, /3 almeno sono prov- visorie; e in genere, qualora si pensi alla quantità di specie descritte sopra un esemplare solo,.o0 sopra forme di una sola località, di un solo paese, o mal descritte, è difficile credere che più del terzo delle specie attuali dei libri di botanica possano restare senza cambia- mento. Per le quercie, le specie meglio conosciute sono appunto quelle che hanno il maggior numero di varietà e solto-varietà spontanee. Laonde è da inferirsi che, contrariamente al sentimento comune, le specie dubbie o provvisorie formano sempre una maggioranza; e che, BIBLIOGRAFIA BOTANICA 108 a misura che si conoscono meglio, si vedono i passaggi fra una spe- cie e l’altra sorgere più numerosi, e crescere i dubbj sui limiti spe- cifici. I progressi della scienza e il ragionamento conducono alla opi- nione, che quanto più i gruppi sono superiori, tanto meglio sono de- finiti i loro confini, Non vi sono quasi ordini che uno esiti a classare nelle Crittogame o nelle Fanerograme, o neanco nelle Dicotiledoni o le Monocotiledoni. 1 generi che si stanno ambigui fra due ordini sono meno rari. Le specie di cui è dubbio il posto in un genere o in un altro sono più numerose. gruppi chiamati dagli uni specie, dagli altri varietà o razze, sono, e debbono essere, numerosissimi. Infine, allor- quando si scende alle varietà o razze, i limiti non si scorgono quasi più. Alcuni naturalisti vedono ivi confusione; il pubblico s' immagina che la storia naturale dà indietro, Invece la cosa è da considerarsi come un progresso, giustificato da un’ osservazione più attenta dei fatti, e nel tempo medesimo da una sana filosofia della classazione naturale. I gruppi inferiori, medj e superiori sono sempre gruppi; hanno leggi comuni, precisamente perchè sono compresi gli uni negli altri; hanno tutti la loro ragione di essere, sono tutti naturali, sola- mente sono sempre più distinti, quando il loro grado è più elevato. Taluno potrebbe muovere il dubbio contro alle idee del professore De Candolle, che forse vi siano nelle forme intermedie che gli hanno servito di transito fra le sue varietà, ibridi provenienti da due specie. Per quanto valore si voglia dare all’obbiezione in genere, per il caso particolare delle quercie è da osservarsi che non vi è fra questi al- beri alcun caso provato d’ ibridismo, che i casi probabili sono rari assai, e che all’ idea d’ ibridismo si oppone l’esistenza generalmente locale delle forme intermedie. Altra obbiezione più generale, potrebbe fondarsi sull’assenza quasi completa di osservazioni sulla eredità delle forme nelle quercie e i generi vicini. l naturalisti che basano la specie principalmente sulla eredità, contesteranno i risultati ottenuti in modo diverso. Però è da osservarsi che l’eredità essendo un attributo delle razze come delle specie, non costituisce un carattere più assoluto di quello dedotto dal paragone delle forme. La non eredità può rovesciare una pretesa specie, ma la eredità quando sembra indefinita non prova l’esistenza 106 BIBLIOGRAFIA BOTANICA di una specie. D'altronde le osservazioni sulla eredità, per le ristret- tezze di tempo e di numero in cui volgono, sono necessariamente li- mitate e incomplete, forse più ancora delle osservazioni sulle forme; nè questo metodo può considerarsi più assoluto dell’ altro. In una parola, non vi sono dimostrazioni assolute in storia naturale; tutte le asserzioni, tutte Ie opinioni non sono altro che probabilità fondate sopra indizj, sopra fatti suscettibili di essere meglio osservati, o sopra cifre di medie, che come la più parte delle indicazioni numeriche, non sono altro che una forma del calcolo delle probabilità. Dopo tutte queste considerazioni pratiche sulla determinazione delle specie, il professore De Candolle passa alla seconda parte del suo la- voro, risguardante la storia e l’origine delle forme delle Cupulifere. La distribuzione geografica degli esseri organizzati era impossibile a concepirsi quando si voleva spiegare tutto mediante le cause fisi- che attuali, é le condizioni sconosciute di una certa distribuzione originaria. La maggior parte dei fatti di geografia botanica non si connettono con le circostanze presenti dei climi, nè forse con la ori- gine, sempre antica e oscura, bensì con la serie degli avvenimenti geologici, geografici e fisici, a traverso de'quali hanno dovuto passare le nostre specie, come le specie di epoche anteriori. A. rischiarare l'argomento, oltre lo studio, oramai provato necessario, delle forme fossili. utilissimo sarebbe il metodo di riandare la serie della storia delle specie presenti ben conosciute, principiando dai fatti attuali sufficientemente accertati, per indovinare i fatti anteriori, onde rav- vicinarli a quelli della paleontologia. Ed è quello che l’autore ha cer- cato di fare per le Cupulifere. Egli ha considerato da prima la loro distribuzione presente sulla superficie del globo, prendendo in disamina le specie principali, onde tracciare la storia dei loro limiti nei tempi storici, e nelle epoche anteriori alla storia. Facendo riflettere, per esempio, quanto i semi pesanti delle quercie si oppongano ad una accidentale naturalizza- zione a traverso un braccio di mare, molto più che presto perdono la loro facoltà germinativa, egli ne deduce essere impossibile che un bosco di quercie s'introduca in un'isola, e conseguentemente la pre- senza della quercia comune nelle Isole Britanniche provare un'antica BIBLIOGRAFIA BOTANICA 107 unione di quelle isole col continente, e la esistenza da tempi remoti della specie in Europa. Nei tempi presenti la quercia tende a ristrin- gere il suo dominio. Il faggio invece e il castagno mostrano di volersi estendere sempre di più; sono alberi che hanno camminato verso l'occidente, molto tempo dopo la quercia; non si trovano veramente spontanei nelle Isole Britanniche, e si ha la prova che il faggio, in particolare, non si è sparso sulla costa occidentale del continente eu- ropeo che dopo i Romani. Queste tre specie esistono sulle colline e sui monti di Sicilia, di Corsica e di Sardegna, mentre mancano ai monti d’Algeria. Vuol dire che si sono sparse verso il mezzogiorno di Europa ad un'epoca in cui le principali isole del Mediterraneo erano congiunte al nostro conti- nente, e quando il clima era abbastanza freddo perchè vi potessero prosperare anche nei luoghi bassi. Tali condizioni potevano esistere all’epoca detta glaciale, quando vi erano in Italia immensi ghiacciaj, di cui vedonsi le traccie. Allora quegli alberi hanno potuto spargersi nelle pianure ora sommerse; poscia, scomparsi i ghiacciaj, hanno dovuto inalzarsi sui fianchi dei monti, loro abitazione attuale. Se mancano in Algeria, dove troverebbero tutte le condizioni fisiche di alcuni fra i loro luoghi nativi, bisogna che sia o perchè un braccio di mare disgiungeva l’Africa dall’ Europa fin da quando si sono avanzati verso il mezzogiorno, o perchè (ipotesi meno probabile) altissime tempe- rature li hanno fatti perire in Algeria, se anticamente vi esistevano, Da tutti gli studj fatti dall'autore sull'argomento, ecco quali con- clusioni egli ne deduce. L’attuale distribuzione geografica, combinata con la osservazione di piante fossili dell’epoca moderna, mostra fre- quenti cambiamenti di limiti per le varietà, razze e specie, a seconda delle successive circostanze fisiche e geografiche, però senza apprez- zabili cambiamenti di forme o di qualità fisiologiche. In secondo luogo, qualora si risalga fino all’epoca terziaria in Europa, sono pre- sumibili cambiamenti di forme, oltre i cambiamenti di limiti, in gra- zia della distribuzione presente di specie molto analoghe, della durata del tempo che è scorso, e della impossibilità di provare alcuna identità specifica fra i vegetali presenti e quelli dell’ epoca terziaria. Da quanto precede, si vede che il professore De Candolle inclina 108 BIBLIOGRAFIA BOTANICA evidentemente ad ammettere le idee della scuola di Darwin sulla formazione degli esseri organizzati per mezzo dell’evoluzione. | pro- gressi della geologia che hanno mostrato l’ antichità degli organismi negli strati terrestri, e una successione di forme secondo leggi ba- stantemente regolari; il trionfo del sistema dell’epigenesia degli or- gani; le recenti esperienze che hanno ricacciato, una volta di più il sistema della generazione spontanea; il fatto che la tendenza alla eredità delle forme e delle funzioni, per quanto sia reale, non è mai completa; e sopratutto la difficoltà di spiegare altrimenti che con la teoria dell'evoluzione certe anomalie di conformazione (come sarebbe l’esistenza degli organi rudimentali e inutili all'individuo), e molti problemi ancora di distribuzione geografica; tutte queste considera- zioni e altre ancora di minor rilievo, fanno sì che l’autore stima la teoria di una successione di forme per deviazioni da forme anteriori come la ipotesi più naturale, e che spiega meglio i fatti conosciuti di paleontologia, di geografia botanica e zoologica, di struttura ana- tomica e di classazione. Non per ciò egli cerca nascondere tutti i lati deboli della teoria, o negare ch’essa manca di prove dirette, e che, se è vera, le cagioni cui accenna non possono avere agito che molto lentamente, da far sì che i loro effetti fossero. visibili soltanto dopo periodi di tempo assai più lunghi della nostra epoca storica. L’autore termina' col far riflettere che lo studio della distribuzione è della successione degli esseri organizzati, dalla loro origine fino all’epoca presente inclusivamente, oggidì costituisce una sola ed unica scienza, che abbraccia la paleontologia, e la geografia botanica e zoo- logica, e che con unico nome egli propone che si chiami epiontologia. T. C. Seduta del 29 marzo 1863. _ Si dà principio alla seduta colla lettura d’una Memoria del signor R. Sava, professore di Storia naturale a Prato, nella quale si tratta d’una nuova ipotesi su//a formazione primitiva dell’acqua del mare e sull'origine della sua salsedine. — L’ autore ammette l’ antica incandescenza e pastosità ignea della terra, ma la spiega nel modo se- guente, insieme colla formazione dell’acqua del mare, del granito, del sale marino, ecc. La massa terrestre, formata di un nucleo metallico e d’un inviluppo aeriforme e com- posto in gran parte di idrogeno, venne ad incontrare, muovendosi nello spazio, un ammasso di ossigeno, il quale si unì al primo inviluppo aeriforme; il contatto del- l’ossigeno col nucleo metallico cagionòdò molte combina- zioni chimiche, con produzione di un intenso calore, e dando origine, per l'ossidazione del silicio, dell'alluminio, del potassio, ecc,, e per altre azioni e reazioni chimiche, alla silice, alla potassa, alla soda, all’allumina, al cloruro di sodio, eec.; sotto l'influenza del calore l'idrogeno si unì ad una parte dell’ ossigeno, producendo dell’ acqua; la silice, l’allumina; la potassa, ecc., formarono il gra- nito e le altre rocce più antiche, e l’acqua, condensan- dosi a poco a poco e cadendo sul nucleo granitico, disciolse il cloruro sodico o sale comune, e diede origine ‘al primo oceano, nel quale poi si formarono i primi sedimenti marini, 110 SEDUTA DEL 29 marzo 418653, Dopo la lettura della Memoria del signor Sava si co- munica una nota bibliografica del socio prof. Caruel sopra un lavoro recente del prof. Alfonso De Candolle, in cui è trattata la quistione delle specie. — Avendo compiuto un lungo studio delle quercie e delle altre piante della famiglia delle cupulifere, il prof. De Candolle potè aver dati sufficienti per istudiare la variabilità dei caratteri specifici, e la loro importanza per definire le specie; di- stinse quelli che variano più frequentemente da quelli che non variano che di raro, e da quelli che non variano mai; trovò che molte specée, ora ammesse, non devono conside- rarsi. che come warietà o come razze; ed osservò che i gruppî fatti per classificare le piante sono tanto meglio definiti quanto più sono elevati; e hanno limiti tanto meno certi e meno determinati quanto meno sono elevati, così che le specie, le razze e le varietà sono ben lontane dal- l'essere così ben definite come le classi e le più grandi divisioni del regno vegetale. Il prof. De Candolle am- mette quindi difficilissimo il determinare i limiti delle specie col mezzo dell’ eredità, e crede alla variabilità li- mitata delle specie come è ammessa da Darwin, ed alla formazione di nuove specie per via di naturali variazioni nei caratteri specifici, ma sempre durante intervalli lun- ghissimi di tempo; e in questo modo spiega la successione delle diverse /lore che si trovano nei terreni geologici, dai più antichi fino ai più recenti. E sotto a questo ri- guardo egli ha studiato la distribuzione antica e attuale delle cupulifere in Europa, i dati che esse forniscono re- lativamente all'antico stato dell’ Europa, all’ unione del- l’Inghilterra al continente, ecc. E conchiude col dire che lo studio della distribuzione geografica attuale degli esseri organizzati e quella della loro distribuzione nei terreni siDUTA DEL 29 MANZO 1803. {il geologici, ossia la zoologia geografica, la botanica geo- grafica e la paleontologia devono formare una scienza sola, che egli vuol chiamare epiontologia, quasi per dire studio della sovrapposizione degli esseri viventi nelle di- verse epoche geologiche e storiche. Il segretario Stoppani comunica verbalmente alcune notizie sullo studio da lui intrapreso dei fossili dell’Infra- lias della Savoja e del Delfinato, a lui mandati gentil- mente a questo scopo dall’ abate Vallé, dall'ingegnere Mortillet , e dai professori Hebert, Lory e Favre. —Da siffatto studio risulta che v' ha una completa analogia fra le Alpi lombarde e quelle della Savoja e del Delfinato, quanto alla successione dei terreni secondarj, quanto alla loro natura mineralogica, e quanto ai fossili in essi con- tenuti. Molti fossili dell’Infraltas lombardo si ritrovano nell’Infralias della Savoja e del Delfinato; in Savoja sì raccolsero diversi fossili proprj del così detto done-bed dell’ Inghilterra, della Germania, ece.; e si trovarono pure degli echini irregolari, delle belemniti e dei fossili del gruppo d'’Hettange; così che non solo è confermata l’esistenza dell’InfraZias in Savoja, ma è confermata an- che l'opinione che esso appartenga al gran gruppo iasi- co, piuttosto che al terreno #riastco. Il presidente Cornalia annuncia una seconda edizione della Memoria del professore Polli su7/° uso dei solfiti e degli iposolfiti per la cura dei bachi da seta, fatta negli Annali di Chimica dello stesso signor Polli; e fa osser- vare che l’autore vi ha aggiunto alcune nuove indicazioni di esperienze da farsi in quest'anno. Lo stesso presidente annuncia pure la partenza del si- gnor Orio pel Cachemire, e del signor Meazza per ‘la Tartaria Indipendente , collo scopo di raccogliere buona #12 seDUTA DEL 29 Manzo 1863, semente di bachi da seta; e legge una lettera del si- gnor Meazza sulle pratiche fatte per ottenere dal go- verno russo sufficienti ajuti per compiere il viaggio, e sui paesi che il signor Meazza intende di vedere in que- sto viaggio (1). Dopo breve discussione, alla quale prendono parte i soc] Stoppani, Bollini, Mortillet, Cornalia e Villa, si de- cide che siano mandati gli Atti della Società ai soc) cor- rispondenti, cominciando col volume relativo all'anno in cui essi soc] sono nominati. | Si presentano le lettere con cui quasi tutti i socj cor- rispondenti finora nominati accettano di far parte della Società. Il socio Stoppani Antonio propone la compera di qual- ‘che libro per la biblioteca sociale, ma, non essendo que- sto argomento all’ ordine del giorno, se ne riporta la dis- scussione e decisione alla seduta prossima. Il socio Mortillet propone che la Società, ad imitazione di altre Società e Accademie, dia principio ad un album di ritratti fotografici dei soc) corrispondenti e di altri scienziati ;Mustri. Il presidente Cornalia annuncia che dona cia Società i volumi da lui posseduti del Bulletin de la Société ‘géologique de France. Si ammette socîo corrispondente il signor CARLO Bot- . LE, naturalista a Berlino (Leipziger Platz, 13), proposto da Caruel, Cornalia e Omboni. Si ammettono soc) effettivi 1 signori: Govin LEONE, ingegnere a Cagliari, PAPRRERI da Cu- rioni, Axerio e Cornalia. f(4) Questa lettera fu pubblicata poi nel giornale La Perseveranza. $ n sEDtTA DEI 29 manzo 1863 113 Rosran Opoarpo, medico a Perrero di Pinerolo, pro- posto da Caruel, Cornalia e Omboni. La Società riceve i seguenti libri a lei pervenuti in dono: Lonparpini, Sui progetti intesi ad estendere l irrigazione della pia- nura nella Valle del Po (Dagli Atti del A. Istituto lombardo ec. Vol. Nil.). Milano 1862. Monmittet, Revue scientifique italienne, 1° année, 1862. Paris et Milan, 1863. Sava, Per la inaugurazione della cattedra di Storia Naturale nel Liceo Cicognini di Prato. Prato, 1863. Atti dell'Ateneo di Milano. Nuova serie. vol. II, disp. 42; e vol. III, disp. 1.° CavaLteRI, Sull’esame delle uova dei bachi da seta. — Ed altre Me- morie, che non sono di scienze naturali. Giornale ed Atti della Società agraria dî Lombardia. Anno I, nu- meri 1 a 3. Milano, 1863. Ai lettori. -—- Sementi dei bachi da seta pel 1863. — Notizie campestri. — Atti della Società e dei Consorzj nazionali lombardi. — Atti del Mi- nistero d’agricoltura. — Rivista bibliografica. — Foglie dei gelsi. — Necessità d’una efficace rappresentanza degli interessi agrarj. — Sulla macchina da innalzare acqua del sig. Franzi. — Analisi del latte a varie ore del giorno. — Sul progetto di legge per la risicoltura. — Alimenta- zione dei bovini con cibi cotti. Memorie dell’Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna. Se- rie Il, tomo II, fase. 1. Bologna, 1863. BrancoNI, Dell’Epyornis. — VERSARI, Della tubercolosi. -- RIZZOLI, Ablazione della mascella inferiore. — PAOLINI, Del movimento intestinale. Atti del R. Istituto lombardo, ec. Vol. HI, fase. 41 a 8. Lavori dell’Istituto. — CugIoNI, Scisti di Setarolo presso Salò. — FERRARIO, Loro analisi chimica. — RoboLoTTtI, Angine epidemiche, ec. — LomBARDINI, Opere per il prosciugamento del lago Fucino. — MA- GRINI, Fulmine scoppiato nel sobborgo di Porta Magenta. — MAGRINI e FRISIANI, Di un meccanismo per surrogare il telegrafo elettro-magne- tico di Morse. — Rapporto sul premio per la malattia dei bachi da seta. 8 ALA SEDUTA DEL 29 MAnzo 1865, — Rapporto sulla fondazione d'una società meteorologica lombarda: — PoRTA, Associazione medica italiana. — FERRARIO ed altri, Sulla dis- tilleria degli spiriti della ditta Sessa e Comp. — MAGRINI, Di un pro- getto per navigazione aerea. — Ed altre Memorie che non sono di scienze naturali. Porowio, Sdellideorum italicorum prodromus. Bononie, 1863. Potui, Proposta di applicare i solfiti e gli iposolfiti nella profilassi e nella cura della dominante malattia del baco da seta. — Dagli Atti dell'Istituto lombardo, ec. Vol. INI. Milano, 1863. BeLtarpI, Quadri iconografici di Zoologia proposti ad uso delle scuo- le. Programma della loro pubblicazione, ec. . STUDIATI » Intorno all'ordinamento degli studj medico-chirurgici. Pisa, 1863. Cantoni, Annali d’agricoltura, Anno 1863, num. 2,3, 4 e 3. Dell’avvenire dell'agricoltura lombarda. — Potatura delle piante frut- tifere. — La calce in agricoltura. — Coltura dell’asparagio. — Saggio botanico-agrario sul lodigiano. — La peste bovina. — Sul luppolo. — Concime per le viti. — La teoria dei tre agenti. — L’ epizoozia. — O8s- servazioni di Bechi sui principj di fisiologia vegetale di Cantoni. — Ras- segna di chimica agraria. — Varietà. — Notizie campestri, ec. Rendicondo dell'Accademia di scienze fisiche e matematiche di Na poli. Anno Îl, fase. 2. Da Luca, Formazione della materia grassa nelle ulive. — De Luca, Sull’acido borico di Monte Rotondo in Toscana. — DE MARTINI e UBaL- DINI, Della quantità dell’ acido carbonico espirato nello stato fisiologico, e RO stato febbrile. — ScaccHI, Sui tartrati di stronziana e barite. — De GasparIs, Nuova equazione pel calcolo delle orbite dei pianeti. — NicoLucci, Armi, utensili e cranj dell’epoca della pietra in Italia. — PALMIERI, Terremoto. Atti dell’I. R, Istituto veneto, ec. Tomo VIII, disp. 2.° GALYANI, Orina patologica. — CARLINI, Modo di fare i panorama di monti, ee. — Bizio, Dell’ eritrogeno. — MoLIN, Sull’ittiologia veronese. PAZIENTI, Vita e scritti di Bizio. — PINALI, Organismo e vitalismo, Il Picentino, Giornale di agricoltura pratica, arti e industrie agra- rie, che si pubblica dalla Reale Società Economica del Principato Ulteriore. — II serie, Anno 2, fasc. 11 e 12. SEDUTA DEL 29 Manzo 1863, (15; Contengono diversi lavori sulla coltivazione del cotone, sulla : pratieol- tura, ec, Vi L'Incoraggiamento. Serie IV, anno XV, numeri 8 a 12, MarescoTTI, sugli affitti rurali. — SesTINI, Rassegna di. chimica, agraria. — Forlì e le sue scuole. — Il cannone adoperato come istrumento agricolo. — Impresa Aventi per prosciugamenti a vapore. — @utDr, Istruzione per la peste bovina. — Notizie campestri, ec. Bulletin de la Soctéetè imp. d'acclimatation. Tome IX, num. 4. JACQUEMAR, Lama e alpaca portati in Francia nel 1860. — LAMIRAL, Acclimazione delle spugne nelle acque. francesi del Mediterraneoì — GranpMoNT, Il Féra e suo allevamento. — PomPe VAN MEERT DE Woort, Educazione del baco da seta Jamamai. — SouBEIRAN, Coltura del cotone. — DAvELOUIS, Riso aquatico. — Processi verbali, confe- renze, ec. Bulletin de la Societé imp. des naturalistes de Moscou. Année 1862, num. 1. Piscicoltura in Finlandia. — Piante da Siberia. — Monografia delle Marantee. — Fenomeno ottico nel guardare col cannocchiale la luna. — Due nemici della vite in Crimea. Cuarer, Maladie de la vigne: Supplement. Angers, 1863. Jahrbuch der k. k. geol. Reichs, XII, Band, num. 4, 1862. LipoLp, Carbonifero della Boemia. — STOLICZKA, Geologia di parte dei confini militari. — PicaLER, Per la geologia del Tirolo. —— CARLO DI HAUER, Lavori chimici, ec. Mittheilungen der k. k. geograph. Gesellschaft. V, Jahrgang, 1861. Catalogo della biblioteca della Società. — Altitudini nella Transilva- nia. — Topografia antica della Stiria. — "Terremoti. — Elbrus presso Teheran. — Etnografia della Russia europea. — Valle di Malta nella Carinzia. — Colture nei bacini idrografici d'Europa, e particolarmente in quello del Danubio. Guerin-MeneviLLe, Aévue de sériciculture comparée. Primo numero. ’ } Paris, 1865. Corrispondenza scientifica in Roma. Tomo VI, num. 44, L’epizoozia bovina. — Applicazione dell'algebra elementare ai baro- metri areometrici. — Sulle febbri nervose. — Bibliografia, ec. 316 SEDUTA DEL 29 Manzo 1865 Atti dell'Ateneo di Milano. Nuova serie, vol. III, disp. 3. BertAzzI. Analisi chimica dell’acqua crenato-ferruginosa di Zogno. — E diverse Memorie non di scienze naturali. Vitta, Gite malacologiche e geologiche nella Brianza e nei dintorni di Lecco. Milano, 1863. Il Politecnico. Numeri 80 e 81. MEDICI, La legge sulla vaccinazione e i medici condotti di Lombardia. — L'Istituto agrario parmense. — PoLLI, Ultimi progetti della chimica e sue applicazioni. — Liov, La botanica e la zoologia negli ultimi due anni. — MANTEGAZZA, L'ordine nella scienza. — E diverse Memorie non di scienze naturali. Seduta del 26 aprile 1863. La seduta è aperta colla lettura di una nota del socio prof. Caruel sopra due crocifere italiane, nella quale si discute sul nome e sulla classificazione di queste due piante. Il presidente Cornalia presenta alla Società un esem- plare del Rapporto sulla campagna bacologica del 1862, pubblicato dalla Società d’incoraggiamento d'arti e me- stieri; accenna d’un tentativo che egli sta facendo per l'allevamento del nuovo baco da seta che vive sulla quer- cia, chiamato ja-ma-mai, e del quale egli renderà conto nella seduta prossima. Il socio ingegnere Maimeri presenta alla Società alcuni avanzi di vasi di terra cotta, e alcuni oggetti in bronzo dell’epoca romana, provenienti dai dintorni di Somma; e presenta pure alcuni saggi dei minerali metalliferi che si scavano nelle miniere di Astano, di Macagno, di Vicona- go, di Lavena e di Marzio. Il socio Maimeri fa dono di tutti questi oggetti al Museo civico di Storia naturale. Il signor Desor di Neuchàtel, socio corrispondente che onora la società colla sua presenza a questa seduta, invi- tato dal Presidente a manifestare la sua opinione su que- gli oggetti presentati dal socio Maimeri, dice che essì gli rammentano molti oggetti che si trovano altrove, e che appartengono all’epoca del ferro. Egli viene poi a parlare degli avanzi più antichi della industria umana. Dice che 118 SEDUTA DEL 26 APRILE 1863 nei paesi al nord delle Alpi sì trovano oggetti di tre epo- che antiche ben distinte, cioè dell’ epoca della pietra (punte di freccie, scuri, ec., in pietra, vasi di terra anne- rita e non cotta fino ® diventar rossa), dell’epoca del bronzo (armi e ornamenti în ‘bronzo, vasi di terra ancora cotta male), e dell’epoca del ferro da mi e altri oggetti di ferro, oltre a quelli di bronzo, vasi di terra cotta rossa), doven- dosi però ben distinguere questa antica epoca del ferro dalle epoche, dininlii suceessive, nelle quali si continuò a far-uso-del ferro, del bronzo, ec. Accenna che l’epoca più antica del ferro si distingue Se da quella del bronzo: 1.° per la presenza degli oggetti di ferro, 2.° per gli ‘0g- getti di terracotta rossa; e .3.° per le monete che sono dif: ferenti da. quelle dell’epoca del bronzo. Parla poi delle spade e dei. pugnali dell’epoca del bronzo, che hanno l’im- pugnatura molto più piccola di quella delle armi analoghe dell’epoca del ferro; ciò. che indica.che gli uomini viventi in Isvizzera durante l'epoca del bronzo avevano le mani più. piccole che-quelli viventi nell'epoca del ferro. E ter- mina col dire che i cranj trovati cogli oggetti dell’epoca del. bronzo; cominciano a. ristringersi lodczialc più presso alla fronte che quelli dell'antica epoca del. ferro e dell’ epoca attuale. 3 i In:séguito a nuove domande di parecchj soc]; il signor Desafo riprende il discorso; per parlare degli oggetti tro vati nelle marniere 0 mariere del Parmigiano, special mente per opera del socio prof. .Strobel. di Parma. Dice che furono trovati molti. pali infissi nel suolo e portanti un palco: coperto con uno strato di terra battuta; che questi non possono! non essere ;avanzi d’antichissime ‘abitazioni lacustri dell’epoca del bronzo, simili a quelli già trovati in':Isvizzera;ochevisvasineci molti altri oggetti trovati in. SEDUTA DEL 26 aprite 4863 119 quelle marniere, devono essere confrontati con quelli delle più antiche epoche storiche italiane, per esempio cori quelle dell’epoca etrusca; che gli oggetti trovati nel Parmigiano. sembrano fatti un po’ più artisticamente che quelli dell’e- poca del bronzo della Svizzera; che questi ultimi conten- gono del nichelio, metallo proprio di certe miniere del versante meridionale delle Alpi; che quindi bisogna am- mettere delle relazioni di commercio fra i popoli antichis- simi dei due versanti delle Alpi; e che nei laghi d’Italia si devono trovare avanzi di antiche abitazioni lacustri e oggetti dell’ antichissima industria umana, simili a quelli che furono scoperti e studiati in quasi tutti i laghi della Svizzera. Il socio ingegnere Mortillet annuncia la scoperta fatta recentemente d’una mascella umana negli strati di Abbe- ville in Francia, che contengono molte scuri di pietra e gli avanzi di elefanti, rinoceronti e altri animali di specie non più viventi nell’ epoca attuale. A proposito delle mani dei popoli dell’ epoca del bronzo, il socio Rossi rammenta l’ opinione del cardinale Wiseman sulla piccolezza delle mani degli antichi Saraceni. Il socio G. B. Villa presenta alcune rocce e alcuni fos- sili da lui raccolti nel Genovesato, ed espone come e per- chè egli ritenga per crefacei certi strati che il Pareto considera come eocemnici. Si comunica una lettera del socio Strobel, nella quale si fanno lamenti sul modo con cui furono rimandati da Lon- dra a Parma certi oggetti interessantissimi che il profes- sore Strobel aveva mandati all’ Esposizione di Londra. Quegli oggetti erano giunti pertfettartiente intieri a Lon- dra; ma nel ritorno uno d’essi scomparve, e gli altri si ri- dussero in frantumi o si guastarono in modo da perdere 420 sebUutA beL 26 APRILE 1863 ogni pregio. (Questa lettera sì leggerà per intero subito , dopo questo processo verbale.) Si chiude la seduta coll’ approvazione della compera di un’opera paleontologica per la biblioteca sociale (le pub- blicazioni della Paleontographical Society di Londra, che costeranno circa 480 lire italiane), e colla nomina di tre nuovi soci effettivi nei signori: Eminiani EmiLio, professore di storia naturale al liceo di Firenze, proposto dai soci Caldesi, Caruel e Omboni.. . Anpreossi Enrico di Bergamo, proposto da Galanti, Omboni e Cornalia. Gayani Mario, professore di fisica e matematica nella scuola tecnica di Pergola (Marche), proposto da Galanti, Omboni e Cornalia. La Società ha ricevuto in questa seduta i seguenti. libri a lei pervenuti in dono: Il Picentino, Giornale pubblicato dalla Reale Società economica pel Principato Ulteriore. Napoli e Salerno, 1846, 1847, 1864, 1862. Anni I e Il della 1.* Serie, e 1 e Il della Sat 8.5 Il Picentino, 2.° Serie, anno III, fasc. 1 e 2.. Sulla peste bovina. — Disinfezione delle stalle. — Praticoltura. — Camera di commercio ed arti di Salerno. — Rivista di Giornali agrarj. — Varietà. — Bibliografia, ec. Giornale della Commissione d’agricoltura e pastorizia per la Sicilia, 2.° Serie, vol. III, fasc. 6. Palermo, 1863. Prognostici del tempo. — Sulla epizoozia bovina. — Imboschimento delle montagne di Sicilia. — Le cavallette, ec. Rendiconto dell’ £ccademia delle scienze di Napoli, anno II, fasc. 3. Napoli, 4863.0 | - BATTAGLINI, Questione di massimi e di minimi. — CaPoccI, Osserva- zioni di Marte. — De Luca, Sul mare non gelato al polo nord. — De Luca e UBALDINI, Ricerche chimiche sulla terra arabile presso Pisa. — Processi verbali. Poccioi, Alcuni scritti inediti di Michelangiolo Poggioli. Roma, 1862. SEDUTA DEL 26 aprite 1865 121 Rapporto della Commissione d’agricoltura della Società d’ incorag- giamento d'arti e mestieri sulla campagna bacologica del 1862. Milano, 1865, Bulletin de la Société imp. d’acclimatation, tome X, num. 2 et 3. . Paris, 1863. Seduta pubblica annnale. — Premj dati, premj proposti, ec. — Discorso d'apertura. — Acquario dei Giardini d’acclimazione. — Jack del Tibet. — Acclimazione del casoar in Inghilterra. — Sulla pesca. — Sull’industria della seta nel 1862. — Processi verbali, ec. Wiirzburger Naturw. Zeitschrift. WI Band, Il Heft. Wirzburg, 1862. Bronn unp Leownano, Neues Jahrbuch, ec., 1862, VII Heft. — 1863, I Heft. — Stuttgart. Granito dell’Harz. — Gabbro e altre rocce dell'Harz. — Gneiss di Munchberger. — Rocce granitiche di Predazzo e dei Monzoni in Tirolo {Cotta B.) — Teoria della formazione dei filoni. — Rivista, ec. Revue Savoîsienne, 4.° année, num. 4. Annecy, 1863. Casroni, Annali di agricoltura, 1863, num. 6 e 7. Milano. L'acido carbonico nella nutrizione delle piante. — Il solfito di soda nella peste bovina. — Coltura del cotone. — Chimica agraria. — L'agricoltura vampiro. — Il materiale scientifico per l’agronomia. — Il Catechismo del mio fattore. — Saggio botanico dell’agro lodigiano (segue). — Cronaca, ee. L'Incoraggiamento, anne XV, num, 45. Epizoozia. — Guano indigeno, — Coltivazione del cotone in Italia. — Notizie diverse, ec. Giornale ed Atti della Società agraria di Lombardia. Anno I, num. 6 e 7. Rivista campestre. — Atti della Società. — Concorsi a premj. — VILLA, Apparizione periodica della carruga comune o melolonta. — Seminatore del signor Cassina. — Rivista bibliografica. Deur., Sulla parziale ed innata occlusione dell’appendice vermiforme dell'uomo. Dagli Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, 18653. Vita Anromo, Apparizione della carruga comune o melalonta (Dal Giornale della Società agraria). Milano, 1863. Musei, Del sano-fieno 0 lupinella. Bassano, 1852. LETTERA DEL SOCIO PROFESSORE STROBEL AL SEGRETARIO G. OMBONI Carissimo collega Segretario. Vi prego a volere nella seduta della Società di dopodomani, 26 cor- rente, leggere la comunicazione. che vi do colla presente, e. della quale domanderei la inserzione, per esteso , negli Atti della Società. Dietro invito del Ministero, io inviava nell’anno scorso alla Espo- sizione internazionale di Londra varj oggetti del Museo di storia naturale di questa università. e fra essi una bella serie delle ricer- cale Baritine della Vernasca, un Ammonites radians Schl., 1’ unico; a saper. mio, ehe sia stato raccolto nei nostri. Apennini, e la mascella inferiore fossile di Rhinoceros leptorhinus trovata dal Cortesi, e da lui illustrata nei Saggi geologici a Tav..V. fig. 5. Di questo fossile il gabinetto paleontologico di Bologna fece eseguire il modello in gesso, al quale uopo vi fu da me spedito in apposita cassetta; e, sepa- ratamente, nella medesima, lo inviai pure alla Esposizione, ove giunse in buon essere; le Zaritine con altri minerali della provincia furone. posti in una seconda cassa. | Alcune settimane or sono, ebbi di ritorno quegli oggetti, z2en0 l'Ammonites, ma in uno stato da eccitare la indignazione di qualun- que naturalista non abbia solo della linfa ne’ vasi. Il tutto era stipato. in na sola e piccola cassa, quasi senza fieno, stoppa od altro che impedisse lo sfregamento; i pezzi maggiori, senza carta che li invol- STROBEL , LETTERA AL SEGRETARIO OMBONI 125 gesse, giacevano in fondo della cassa, e colle druse di Barilina a con- tatto con altri pezzi; nella parle superiore erano riposti i minerali più piccoli, ravvolti in sottile striscia di carta da aranci; e frammezzo agli uni e agli altri trovavasi compressa la mandibola, pure da nul- l’altro difesa, che da un foglietto di quella carta, Con una tal sorta di imballaggio non fu possibile, che nè meno ad un sol pezzo non toccasse un qualche guasto, come ognuno di leggieri può imaginarsi ; e singolarmente le Baritine, tutte rovinate sugli angoli e sugli spigoli de' cristalli, e parecchie in frantumi; la mascella poi rotta in cento pezzettini. Ai Non posso trattenermi di mettere i miei colleghi a parte di questo non lieve mio dispiacere, e di interessarli a che un simile atto di vandalismo scientifico sia degnamente posto alla berlina. I membri della commissione italiana presso la.Esposizione saranno forse in grado di potere somministrare alla Società i lumi necessarj per spiegare una sì insultante azione; come pure sarà loro più facile o possibile indagare in quale tasca estera o nazionale od in quale gabinetto pubblico o privato sia passato 1’ Ammonites. Scusate dell’incomodo ed abbiatemi sempre pel vostro Parma, 24 aprile 4863. Affezionatissimo collega Strogti.. SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA TRA | DUE VERSANTI DELLLE ALPI DEDOTTA DAGLI STUDI DELL'INFRALIAS SUL VERSANTE X. 0. MEMORIA DELL'ABATE ANTONIO STOPPANI {Seduta del 29 Marzo 4863.) PRELIMINARI. Nelle mie precedenti letture (1) ebbi l’ occasione di intrattenere la Società delle importanti scoperte dei signori Escher, Mortillet, Favre, Vallet, Piltet, Lory, Hébert, ecc. nella Savoja, e nei diparti- menti del S. E. di Francia, per ciò che riguarda specialmente lo sviluppo del terreno infraliasico. lo non aveva certo allora l’inten- zione di ritornare sì tosto sull’argomento, ma eccovi la circostanza che mi vi conduce. Il nostro socio corrispondente abate Vallet ma- nifestommi il desiderio di vedere illustrati in Appendice alla mia opera sull’Infralias lombardo (2) i graziosi gasteropodi che egli aveva raccolti negli strati ad 4. contorta in Savoja. Quantunque fosse un mettere la falce nella messe altrui, pensai che un'appendice consa- crata ad arricchire la fauna, ad allargare e fissar meglio l'orizzonte {4) Sulle condizioni generali ecc. Atti della Società, Vol. III, — Nuove osservazioni. sull’infralias. Vol. IV. {2) Paléontologie lombarde, 3.* Série. SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA, RC, 12% degli strati ad .4. contorta, sarebbe al suo posto in seguito ad un'opera che la fauna stessa presenta nella sua ricchezza maggiore e lo stesso orizzonte mostra nella sua maggiore ampiezza. Non mi credetti d’al- tronde permesso trascurare un lavoro che, per quanto piccolo, doveva assumere un'importanza grandissima per la geologia alpina, Gli studj sulla costituzione delle Alpi lombarde, intrapresi da scien- ziati di grido, ed in ultimo luogo da me, hanno sparso una luce grande al certo sulla costituzione generale delle Alpi. Ma gli è col soccorso di ostinati confronti fra’ due versanti che si verrà a capo di impossessarsi della Geologia di quel colosso dell’ Europa. Il ver- sante N. E. della grande catena, le Alpi Noriche, Retiche ed Elvetiche, prestarono glorioso campo d’ investigazioni ai geologi della Svizzera e del l’Austria, e già numerosi avvicinamenti s'erano felicemente tentati. Il versante N. O. della grande catena, le Alpi Pennine, Greche, Cozie, Marittime non furono al certo esplorate con minore accuratezza e perseveranza dai più illustri geologi; ma le interminabili lotte pro- vocate da tali studj, se hanno giovato da una parte allo sviluppo della scienza, dall’ altro ne ritardarono le conclusioni. Affrettarle sarebbe lo scopo di questo nuovo lavoro. Una volta deciso ad occu- parmi dei fossili dell’ Infralias dell’ altro versante dell’Alpi, dovea volgere la mira a rendere il mio lavoro più completo e quindi più utile che mi fosse possibile, e mi rivolsi perciò a quelli ch'io co- nosceva possessori di fossili negli strati ad 4. contorta di quel ver- sante. Al mio appello fu risposto con una gentilezza quale dove- vasi attendere da uomini tutto devoti alla scienza per la scienza. La collezione dell’abate Vallet ritornò presso di me: il signor Mortillet procurommi da parte del signor Revon direttore del Museo di Annecy i fossili che egli vi avea deposti: il signor Hébert m’inviò quelli dei dintorni di Digne e di Dijon, ed il signor Lory gli scoperti recente- mente a Vizille: il signor Favre finalmente mise a mia disposizione la collezione dei fossili di Meillerie, della Dranse, ecc. di cui era ben lungi dal supporre la ricchezza. Vidi così con soddisfazione immensa ritornarmi, per così espri- mermi, dall’altro versante delle Alpi le mie specie lombarde, con buon numero di quelle d’ Inghilterra, di Germania ece., e numerosa 136 Ax STOPPAND, serie di specie nuove riclamanti un posto di diritto nelle file infra liasiche: potei quindi apprezzare. a colpo d’oechio l'intimo legame che veniva a stringersi, per mezzo di questa fauna, tra i due versanti opposti e tra gli estremi delle Alpi, e nutrir fede che il mio lavoro potesse tornare assai utile alla scienza. La parte illustrativa dei fossili spetta alla Pantéologie lombarde: qui credo utile soltanto il riferire i risultati cavati da tale illustra» zione, |. RIVISTA GENERALE DELLA GEOLOGIA DEL VERSANTE N. 0. ‘DELLE ALPI IN CONFRONTO DI: QUELLA DEL JV. D’ITALIA. Per formarci un idea di quelle contrade dove siamo per rintràc- ciare il piano infraliasico non vi ha nulla di meglio a fare che con- sultare la-Carta geologica delle parti vicine al Monte Bianco pub- blicata dal signor Favre, della quale parlai nella. seduta del 28 gennajo. È un magnifico lavoro il quale, benchè limitato allé regioni che dipendono direttamente dalla catena del Montè Bianco, porge un'idea completa dello sviluppo dei terreni anche nelle. contrade che si distendono verso HP 0. Quanto è a desiderarsi che un simile lavorò si stenda alla Tarantasia ed alla Moriana, dopo le brillanti scoperte dei signori Vallet, Pillet, Lory, Favre, Mortillet, ecc.! Cre- diamo di sapere che il desiderio dei Geologi in proposito non tarderà molto ad essere soddifatto. Così giova sperare che una seconda edi- zione dell’ eccellente Carta Geologica del Delfinato, pubblicata dal signor Lory nel 1858, l’arricchisca dei preziosi dati raccolti dall’au= tore in quattro anni di ricerche infaticate. Potrassi allora disegnare una carta complessiva che sveli la serie e i rapporti dei terreni lungo tutta la catena più gigantesca d’ Europa. Si vedra allora, come soprà una zona di mediocre estensione, tutti i terreni si succedono in série completa, dai terziari ai paleozoici, disegnando altrettante fasce parallele al grande asse del Monte Bianco che si prolunga con quello delle Alpi del Delfinato. Gli è ciò che si osserva sul versante opposto specialmente in Lom bardia, ma per rapporto ai terreni più recenti, si verificano rimat- SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA, EU, 427 chevoli differenze. Durante il periodo del Giura il sollevamento del- l'Alpi determinava già i due versanti: la divisione dei due mari ele frequenti oscillazioni della cdtena, di cui esistono scolpiti sui fianchi de’ suoi abissi gli indelebili documenti, dovevano determinare delle ineguaglianze tra la natura chimica dei depositi, la natura e la di- stribuzione delle faune. Ma dal cominciamento dell’epoca paleozoica fino a quella del Lias la cosa andava ben altrimenti. Se discendiamo da questo terreno, una concordanza ammirabile di caratteri chimici, stratigrafici e paleontologici lega in un sol tutto i terreni dell’Italia del nord e quelli delle dipendenze del Monte Bianco. Nell’ epoca del- l’Infralias sovratutto nulla turbava la tranquilla uniformità di quel mare, che copriva la più gran parte d'Europa, nel cui grembo me- scolavansi colle acque del Mediterraneo quelle del mare del Nord, La Toscana, la Liguria, la Venezia, la Savoja, tutti i dipartimenti orientali della Francia, il Lussemburgo, le parti meridionali dell’ In- ghilterra e il nord d'Irlanda formavano un solo e medesimo littorale, dove per migliaja di secoli si aceumulavano sedimenti fangosi o sab- biosi, sui quali l'A. contorta stendeva il suo pacifico dominio colla bella fauna ehe le era compagna. È un fatto che risulta evidentemente dall’ analisi statigrafica dei terreni inferiori che cireondano il Monte Bianco. Siamo debitori spe- cialmente al signor Favre di averli conscienziosamente rintracciati nelle località più classiche della Savoja. Al di sotto dei terreni terziari cretacei e giuresi, i cui membri non troveranno che difficilmente i loro equivalenti nel nord d’Italia, giace la massa enorme del Lias. La scarsezza e il guasto dei fossili ha sempre impedito di stabilirvi quelle suddivisioni che trovansi sl chiare e sì istruttive altrove. Ma la fauna della Grosse- Pierre del Col-des-Encombres, così somigliante a quella del calcare rosso am- monitico di Lombardia, i fossili del Grammont scoperti dal signor Favre, la Gryphea arcuata portate dal fondo della valle di Sixt:(1) danno a sperare che si potranno un giorno distinguere, come nel- l'Italia del Nord, almeno due piani, l'uno che comprende il Lias - (4) Favni, Explic. de la carte géol., pag, 27. 428 A. STOPPANI, superiore e medio, l’altro che corrisponde al Lias inferiore a Gry- phea arcuata. Le liste dei fossili stese dal signor. Favre mostrano anche che in Savoja del pari che in Lombardia trovansi insieme me- scolati nello stesso strato i fossili che in Francia e in Germania caratterizzano differenti zone. \ Il Lias giace sull’Infralias. Vedremo come probabilmente potrassi distinguere un /nfralias superiore a fuuna hettangiana, e un infra- lias inferiore o strati ad A. contorta. Questi almeno vi sono perfet- tamente caratterizzati, ben sviluppati, ed è con loro, come io l’ ho detto, che i terreni cominciano ad accordarsi in modo singolare sui due versanti. Dovendo occuparci in special maniera dell’ infralias, qui passeremo oltre. Sotto gli strati caratterizzati dalla fauna ad 4. contorta vengono, stando agli spaccati del signor Favre, delle calcaree rosse, o meglio delle marne e delle argille verdastre e rossastre, alle quali sono subordinate le dolomie e le cargneules. Se questa zona è rappresen- tata nelle località della Moriana e della Tarantasia, che ho io stesso visitate, non la vi esiste certamente molto sviluppata. Ma invece sulle sponde del lago di Ginevra offre da 60 a 80 metri di potenza, e rassomiglia, come dice il signor Favre, a marne îridate, indu- rite. Non vi si raccolsero fossili, ma sotto il punto di vista chimico e stratigrafico, il signor Favre considera quegli strati come costi- tuenti la prima zona delle marne iridate. Colpito dalla perfetta analogia che identifica sui due versanti la serie deì terreni inferiori, vuoi nel suo complesso, vuoi nelle sin- gole zone e quasi nei singoli strali, io non posso convincermi che esista al di sopra delle dolomie una zona di Keuper, mentre in Lom- bardia del pari che in Savoja trovansi al di sotto delle dolomie una zona potente che per tulti i suoi caratteri chimici, statigrafici e paleontologici costituisce un perfetto equivalente del Keuper, delle marne irridate, del San Cassiano ecc. Se mi è permesso esprimere la mia opinione su tale argomento, direi che le marne verdastre e rossastre superiori alle dolomie devonsi ancora riunire all’/nfralias (1): {4) Ecco le idee che mi condussero a formulare questa mia opinione. 4.° Gli strati ad A. contorta in Lombardia si dividono in due zone, Ia supertora SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA, EC, 129 La Paleontologia verrà forse un giorno in mezzo a decidere la que- asia Intanto gli è cosa che colpisce il trovare dovunque in Savoja sotto la zona precedente quella zona di dolomia bianca, rugginosa, qual- che volta rossa, cristallina, pulverulenta e cavernosa sopratutto alla base, quella zona che in Lombardia si stacca improvvisamente dalla gran zona dell’ Infralias e discende colla sua immane potenza fino ai calcari ed alle dolomie cavernose contenenti la ricca fauna dei din- torni di Esino. Basta perciò gettare uno sguardo sullo Spaccato de} fianco nord della Moriana che accompagna il rapporto della Riw- nîone straordinaria a Saint Jean de Maurienne , ossefvandone sopra- tutto la porzione compresa tra Saint Julien e Saint Michel. In quei bizzari ripiegamenti, disegnati dagli strati ad _4. contorta nelle loro numerose apparizioni, noi vediamo sempre essi strati ricoperti dalle calcaree compatte del Lias a belemniti, e sopportate da una zona di dolomie e di cargnewles. La zona dolomitica, là come in Lombardia sì stende sopra uno spessore grande di schisti, argillo-ferruginosi di calcaree in grossi banchi, marnose o compaile, con marne intercalate; l’inferiore di lumachelle, schisti neri marnosi e marne. La zona degli schisti neri ba uno spes- sore enorme (300 a 400 piedi). Osservai in Savoja, e meglio ancora nelle collezioni che mì vennero comunicate, degli schisti neri affatto somiglianti a quelli di Lombardia, e sì debbono certo riportare alla zona inferiore le Marnes mnoîres et jaunes N. 5 dello. spaccato di Matringe ecc. — Ma ce ne va ancor molto per toccare lo spessore della nostra. zona a Bactryllium. 2.° Questa zona anche da noi è priva di fossili sopra vaste estensioni e spessore im- menso. D’ordinario sono gli strati superiori che sì fanno rimarcare per quell’ abbon- danza di piccoli acefali di cui sono sovente impastati gli schisti neri della Lombardia e della Savoja. Inferiormente predominano i Bactryllium. : 3.° La zona a Bactryllium non consta sempre di schisti neri e di lumachelle; vi sì trovano spesso marne ed argille d’ogni gradazione ove predominano i colori giallo e verde. A Predore, p. es., dove questa zona è svilupatissima non si rimarca di schisti neri che poco e punto: sono le marne verdi, gialle, variegate che costituiscono la maggior parte del deposito. Sono zeppe di fossili infraliasici, ma la loro somiglianza colle marne del Keuper, specialmente al basso, è tale qualche volta che un Geologo ha potuto annunciarvi l’esistenza delle marne iridale. 4.9 Il passaggio delle marne e degli schisti a fossili dell’ A. contorta alle Dolomie con petrefatti di Esino è in Lombardia brusco, senza transizioni. — Quanto sarebbe interessante di scoprire i Bactryllium in questa zona del signor Favre. 430 A. STOPPANI, rossi, color feccia di vino, violetli, verdi ecc. o sopra i gessi che si vedono sempre associati a tali schisti inferiormente alla dolomia. Gli è ancora il medesimo che si osserva in Lombardia, come io l'ho dimostrato ne’ miei lavori precedenti, Sempre e poi sempre la dolo- mia triasica (dolomia media) riposa sulle calcaree e marne rosse, verdi, ecc. (gruppo di Gorno e Dossena, Keuper, marne iridati. e sempre il gesso è loro associato. lo non credo che si possa in Sa- yoja meglio ammirare questa serie di terreni che portandosi da Mo- dane al Col-de-la-Roue. Sbucando dalla Gora nei bacino a pascoli, donde si gode la prospettiva del colle e delle rupi magnifiche che lo fianchegg iano, si ponno a colpo d’ occhio. abbracciare parecchie zone, i cui contorni serpeggianti, grazie alla diversa composizione delle roccie, si disegnano sui fianchi dirupati dei monti. La zona del calcaire du Brianconnais che comprende, lo vedremo più tardi, il Lias e l’Infralias, corona quei severi dirupi; si può alla sua base aceompagnare a perdita d’occhi una fascia regolarissima di dolomia bianca, rugginosa che tocca quasi il colle. Il colle stesso è scavato in una zona di schisti argillo-ferruginosi, rossi, verdi, ecc. che qui gode di uno spessore stragrande. Nessuna differenza tra le rocce compo- «nenti quest’ultima zona e le rocce iridate di Lombardia, ad ecce- zione di una schistosità più marcata, di quel lustro che differenzia già dal nostro il Lias delle Alpi, attribuito a metamorfismo chimico o meglio meccanico giusta il vedere del signor Favre. La concordanza tra la serie lombarda e la savojarda è confermata dai terreni che completano la serie discendente. Altre cargneules e calcaree, tra le quali io osservai sulla via al Col-de-la-Roue degli schisti ardesiaci somiglianti agli schisti ittiolitici di Perledo e un marmo rosso quale si trova a questo livello in Lombardia, ecc., so- stengono gli schisti iridati e costituiscono ciò che noi potremmo chia- mare Muschelkalk. i Dei Gréès arkose, delle puddinghe a grossi grani di quarzo bianco- roseo, dei Grès rossi, schistosi, delle quarziti, formano un complesso alla base del trias così in Savoja come in Lombardia. Gli è il Bua- tersandstein, il Grès bigarre. Quest’ orizzonte non manca mai; ma chi vnol vedere riprodotti nella sua spessezza, nel suo tutto e ne’ suoi SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA, EC. {SL accidenti il Servino (Grès schisteux) e il Sales ( Poudingue rouge quartzeux) costituenti quella massa enorme in Lombardia che troppo inopportunamente si chiama Zerrucano, dovrà discendere dal Col- des-Encombres a Saint Michel. È una località veramente classica per osservare la serie del Lias, dell’Infralias, del Keuper, del Bunter- sandstein addossata agli schisti del terreno carbonifero. Per completare il ravvicinamento tra le serie dei due versanti delle Alpi, non ci resta che una parola sui terreni paleozoici: « Le terrain houiller, dice il signor Favre (1), est composé à sa partie inféerieure de poudingues plus on moins grossiers (poudingue de Va- lorsine), au-dessus on voit des schistes argileux renfermant de l’an- thtacite et les débris d'une nombreuse flore fossile identique è celle des véritables terrains houillers. On le trouve égalment formé d’une enorme série de grès plus on moins micacés qui conslituent par exemple, le grand massif houiller des environs d’Aime en Tarantaise. Ces grès ont un caractère particulier quils partagent avec Tes grès des terràins houlliers des autres parties de la France et de la Forét- Noire les plus rapprochées. » Nulla manca, ad eccezione dei fossili, per descrivere la zona che stendesi in Lombardia alla base dei ter- reni sedimentari, zona svilupatissima, singolarmente verso i confini orientali, dove attende che la si faccia soggetto di uno studio spe- ciale, degno dell'importanza che ella è destinata ad assumere nella teorica degli equivalenti statigrafici. Conchiudendo,, un ammirabile accordo lega, identifica i terreni in- feriori dei due versanti delle Alpi. Lo specchio seguente è destinato a mettere in luce ed a riassumere quanto s'è detto fin qui. Nella distribuzione comparativa dell’ Infralias introduco degli elementi il cui valore dovrà provarsi in seguito, (41) Explication de la carte, ccc., pag. 34. 152 SERIE LOMBARDA Lias, ‘ Formazione di Saltrio. (Lias inferiore. Calcare a Gry- phea arcuata.) InFRALIAS. Calcare del Sasso-degli-Stam- pi. (Infralias superiore, o strati a fauna hettangiana.) Calcare dell’Azzarola. (!nfra- lias inferiore, zona supe- riore, zona a Terebratula gregaria.) Schisti neri e lumachelle. (In- fralias inferiore, zona in- feriore, zona a Zactryl- lium striolatum. ) Trias. Dolomia media a fauna d’E- sino. Gruppo di Gorno e Dossena. (Keuper, marne iridate. ) Schisti ittiolitici di Perledo, marmi di Varenna e Dolo- mia inferiore. ( Muschel- kalk. ) +. A. STOPPANI, SERIE SAVOJARDA Lias. Schisti a belemniti. Calcare del Grammont, della valle di Sixt, ecc. IneraLias. Calcare n. 10 dello spaccato di Favre a Lima hettan- gensis, Fischeri, Pecten valoniensis, Ostrea picte- liana, ecc. Calcare n. 7 dello spaccato suddetto contenente la T'e- rebratula gregaria in gran- de abbondanza. Marna nera e gialla n. d dello Spaccato del Maupas e schi- sti argillosi e marnosi fria- bili n. 19 F. dello spacca- to della Balle, ecc. ? Marne ed argille verdastre e rossastre. Trias. Dolomia bianca, rugginosa, rosa, cavernosa. Schisti argillo-ferruginosi, ros- si, color feccia di vino, vio- letti verdi, ecc. e gesso. Cargneules e calcaree. SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA , EC, 155 Servino e Sales o Grès schi- Gréès arkose, Grès rosso, schis- tosi rossi, ecc., quarziti e toso, quarzite, puddinghe puddinghe quarzose. (Bun- quarzose. tersandstein. Grès bigarrè.) CARBONIFERO E SERIE PALEOZOICA. CARBONIFERO E SERIE PALEOZOICA. Schisti neri, argillosi, arde- Schisti neri, argillosi, arde- siaci, antracitiferi di Darfo siaci, antraciliferi a flora e Carona. carbonifera. Grès e puddinghe di Fiume- Grès e puddinghe inferiori nero, del Caffaro, ecc. agli schisti argillosi. (Pud- dinga di Valorsine. ) II SVILUPPO GENERALE DELL’INFRALIAS SUL VERSANTE .V. 0. DELLE ALPI. Prendiamo la sommità del Monte Bianco come centro al quale convergono i raggi di un arco di cerchio, disegnato dalle località più classiche per gli studj sull’ Infralias. La corda che tende que- st'arco si dirigerebbe da N. E. a S.0. e il piano d’inclinazione ca- drebbe per conseguenza verso N.0. Tracciando questa figura imma- ginaria non ebbimo di mira che uno spazio ristretto, i paesi cioè che si posseno chiamare in senso larghissimo dintorni del Monte Bianco e partendo dal Cantone di Berna per arrestarci ai confini del Delfinato. È la regione alla quale si limita la specialità di questa Memoria. Le località che escono dai limiti indicati, donde ebbi pure dei fossili, potranno condurci a viste più generali. Partirò dunque dalla località di Alment Blumenstein a S.E. di Thun, ai piedi dello Stokhorn (Cantone di Berna) donde il signor Favre in- viommi dei fossili che dimostrano gli strati ad 4. contorta perfetta- mente caralterizzati. Ei mi scrive che nessuno ha parlato di questa località tranne il signor Studer nella Geologia della Svizzera e il. signor Brunner nella Geologia dello Stokhorn (1). È cosa ben inte- ressante la scoperta di tale orizzonte in quel luogo! Si può am- {8} Mem. Soe. helvét., tom. XV. 154 Ì A. STOPPANI, mettere la certezza che gli strati ad .4. contorta si scopriranno sui due versanti della catena bernese, ai confini della grande zona giuro-liasica che si distende tra il gruppo del Monte Rosa e le Alpi bernesi. Continuando sulla nostra linea troviamo i dintorni di Villeneuve (all’estremità est del lago di Ginevra). Questa località è ricchissima di fossili infraliasici dei quali il signor Renevier, come ebbe la bontà di scrivermi, sta occupandosi. Partendo da Villeneuve e tenendo la sponda meridionale del Jago, ci imbattiamo nelle località più classiche, più anticamente conosciute eome infraliasiche e le più fossilifere. Sono le cave all’est ed all’ovest di Meillerie, già segnalate sulla carta di Studer e di Escher, studiate da Mortillet, e mirabilmente illustrate da Favre. Viene quindi il letto della Dranse, studiato egli pure da Favre. La zona dell’Infralias si ripiega verso il S. 0. per mostrarsi nei dintorni di Cervens, dove il signor Favre 1' ha scoperta ricca di fos- sili presso il Chalet Marmoi. Di là la si può seguire nella stessa di- rezione a Matringe, donde ci vennero i piccoli gasteropodi raccolti dall'abate Vallet, quindi alla montagna di Sullens, altra località stu- diata. da Vallet e da Favre. Di quì VInfralias si getta sui due ver- santi della gran mole che sorge tra l'Arc e l’Isere. Lungo quest’ ul- timo fiume gli strati ad 4, contorta furono rintracciati da Vallet, Lory e Pillet che gli hanno scoperti ovunque in Tarantasia alla base del Lias, come al Col-de-Valorsiere, à Brides-les-bains presso Mon- tiers, a Saint Jean-de-Belleville, in cima del vallone di Nantbrun, ecc. Gli stessi scienziati segnalarono gli strati ad 4. contorta nella Mo- riana, in quelle locilità di Saint Julien, di Saint Michel che la riu- nione straordinaria della Società Geologica di Francia nel 1861 ha reso cotanto celebri. Noi ci troviamo così all'estremo capo di qnell’arco che cinge il Monte Bianco; ma volendo continuare sulle tracce dei nostri strati infraliasici nel loro generale sviluppo, gli è uopo abbandonare la. Moriana e spingerci verso le Alpi Cozie, seguendo un’altra volta il cammino tracciata dalla Società Geologica attraverso il Col-de-la-Roue, dove abbiamo promesso di giustificare l'introduzione dell’ Infralias. SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA , FC. 135 Gli strati ad 4. contorta non furonvi indicati fino al presente: ma quando si vede in cima a quel calle quella zona schistosa coi colof delle inarne itidate, coperta da una zona magnifica di dolomia, mos piiò nascer dubbio circa il trovarci ben tosto entro il dominio del- l’Infralias. Egli deve, come ho detto, formare la base di quella massa formidabile di calcare che giace sulla dolomia, indicato negli spae- cati del signor Lory sotto il nome indeterminato di calcaires du Brianconnuis. lo trovai almeno ai piedi di quei dirapi rocce e fin limachelle, che richiamavano perfettamente gli strati ad 4. con- torta. La supposizione si eleva a certezza se si continua sulle traece dei membri della Società da Cézane al Mont-Genèvre. Là si osserva la serie identica a quella del Col-de-la-Roue. Sugli schisti caleareo- talcosì (per me Kenper, marne iridate, S. Cassiano, grappo di Goro e Dossena (1)) giaciono le dolomie (Hauptdolomite, dolomia me- dia, Calcare di Esino, ece.) e queste sono ricoperte dal Calcare (Calcairèes du Briangonnais), nel cui detrito « i signori Vallet, Hébert è diversi niembri della Società trovarono copiosi frammenti di calearée avefiti l'aspetto e la struttura granalare delle iumachelle dell’Infraliàas, e contenenti del pari gran copia di piccole bivalvi, (4) Nella necessità di portarmi a Firenze per le sedute della Giunfa consultiva per ta Cartà Geologica d'Italia che dovevano cominciare il giorno stesso dell’ apertura del- } Esposizione industriale; avéà preceduto la Società di due giornate, sulla via del Col-de-la-Roue col prof. Capellini e mio fratello, Tenendo conto esatto della serie de- gli Strati tra Modane e la sommità del calle, io non aveva dubitato di indicare nelle mie note come Keuper quegli schisti calcareo-talcosi rossì o verdi sottoposti alla zona dolomitica the mostrasi dapertutto alla base dell’ Infralias. Fui quindi lieto di vedere | come una tale questione venne in questo senso dgitata dai membri della Società é così ben difesa specialmente dai signori Hébert e Lory (Réunion extraordinaire, pag 793- 798.) Non è qui il luogo di rifarsi sulla questione, ma io devo al postutto dichiarare una volta ancota che it gritppo di Gotho e Dossentà, composto di gres, di mArhé verdi , rosse, gialle; ecc. soggiace ni petrefatti di Esino, e ad una massà immensa di dole- mie sulle quali posa l’infralias. II gruppo di Gorno e Dossena è per me l'equivalente del Keuper, delle marne iridate, del Sant Cassiano, degli schisti calcareo -taleost del Col-de-le-Roue, eec., come i Calcari d’Esino e le dolomie sovrapposte sono l'equiva- lenté dell’ Hauptdolomite del Tirolo, delle dolomie sottoposte all’ Infraliàs in Savoja, aee , membro stiperiorè del tria che al di fuoti della regione delle Alpi hom avrebba fio al présénte un sicuro rapprésentante, miantre entro il Aormtinio delle Alpi costituistà Un orizzonte che non vien meno giammai. 156 A. STOPPANI » Benchè non vi si trovasse alcun fossile determinabile specificamente con certezza, la completa analogia di posizione e di facies di questi calcari conchiferi con quelli dell’ Infralias ci ha pienamente convinti dell’esistenza di quest’ orizzonte paleontologico alla base dei calcari del. Mont-Genévre » (1). Dietro l'analogia delle rocce formanti la serie che accompagna sempre l’Infralias delle Alpi si può asserire con certezza che questo terreno continui, girando attorno l’ enorme masse dei terreni cristal- lini che formano le Alte Alpi. Ei va così da una parte mostrandosi a Vizille (Isére) dove, come io l'ho già annunciato, il signor Lory; l’ha or ora scoperto. Dall'altra parte ei si getta nei dipartimenti delle Basse Alpi, del Gard, dell’Hérault, dove fu studiato dal signor Hébert. In direzione al nord la zona infraliasica si spinge da Vizille a Dijon passando attraverso la Còte-de-Or, la Meurthe, la Moselle fino al Luxembourg, tenendosi ai confini orientali della Francia. In quella a N. O. tiensi verso le sponde del Mediterraneo, e sembra av- vanzarsi da Digne fin verso .il centro dei Pirenei. Non posso dire veramente che altri l'abbia segnalata in quella catena, ma il signor Capellini mi comunicò or ora che nell’anno scorso, all’ epoca della riunione straordinaria della Società Geologica di Francia a Saint Gaudens, visitando col signor Daubrée i dintorni di Saint Béat ( Haute-Garonne), ne riportava l'opinione, in base a osservazioni sta- tigrafiche, che i calcari saccaroidi (marmi di Saint Béat) ed altri calcari associati siano equivalenti a marmi di Carrara ed alla dolo- mia superiore della Spezia, cui già ebbe l’occasione di identificare coll’ Infralias: — Avremmo dungne una zona infraliasica continua, che dal centro dei Pirenei, abbracciando la Francia dal lato est, va a terminare ai confini orientali del Belgio. Che ci sia permesso di insistere ancora una volta, sull’ importanza di questo orizzonte geologico. Dietro numerosi fatti avverati in que- sti ultimi tempi o dietro ragionevoli supposti basati sui fatti stessi, (4) Aéunion extraord.. pag. 769. Una nota alla pagina 770. osserva che io « ayant examiné, quelques uns des, échantillons recuéillis sur ce point, je les ai trouvés exa- ctement.semblables aux }umachelles compactes de. Lombardie. ». [o confermo. piena- mente questa asserzione. SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA, EC. 137 l’Infralias nominalamente gli strati ad 4. contorta rivelati sempre dalla stessa fauna, formano a N. 0. dell’Alpi un circolo 0 piuttosto una specie d’elissi, il cui grand’asse è diretto da S.0. a NO. abbrac- ciando il gran bacino anglo-francese. Nello stesso tempo essi strati si stendono sopra due archi paralleli lungo gli opposti versanti delle Alpi principali, avanzandosi sulle regioni settentrionali d’Italia da una parte e dall’altra sulla Svizzera, la Baviera, la Svevia, 1° Un- gheria fin presso la sponda del mar Nero cingendo così il gran ba- cino del Mediterranao dalla parte di nord. :Si può scommettere che questa cerchia sarà completata poco a poco dalla esplorazione lungo le catene giuresi e triasiche dell’ est della Spagna e del litorale me- diterraneo dell’Africa. Fu in mezzo a questa cintura che, in cpoca più recente ed a diversi intervalli, si sollevarono gli Appennini e le catene che ne dipendono, mettendo così a nudo gli strati ad 4. con- torta nelle montagne: della Spezia e nei Monti-Pisani, e si può cre- dere così che questi strati si scopriranno lungo tutta la catena indi- cata semplicemente come giurese che divide in tutta la sua lunghezza . I ftalia meridionale. III. PARTICOLARI SULLE LOCALITÀ FOSSILIFERE. Gioverà ch'io porga alcuni particolari sulle località: delle quali mi furono comunicati i fossili perchè meglio si scorga l’ammirabile con- cordanza dei caratteri stratigrafici, petrografici e paleontologici tra gli strati infraliasici dei due versanti. Alment Blumenstein. — Di questa località ho determinato le se- guenti specie: Cardinia depressa Zieten. Pleurophorus sp. Mytilus psilonoti Quenst. Pecten Valoniensis Defr. «Anomia Reconii n. sp. Terebratula gregaria Suess, 158 A. STOPPANI, Le quattro ultime specie si trovano anche negli strati di Meillerie. La Cardinia depressa e il Pecten Valoniensis rendono assai proba- bile che in questa località s' abbia a scoprire il doppio orizzonte in- fraliasico, quello ad 4. contorta, e l’altro a fauna hettangiana. Meillerie. — Le rupi di Meillerie, sulla sponda meridionale del lago di Ginevra presentano sezioni interessanti già studiate da Escher, Mortillet, ece., e che il signor Favre ha descriito minutamente nella sua Memoria sui terreni liasico e keuperiano della Savoja. Per un effetto di ripiegamento, ben descritto e figurato dal signor Favre, l Infralias si ripete alle due estremità dello spaccato da lui delineato: sicchè l’autore ha potuto offrire due sezioni dello stesso tefreno che noi riportiamo abbreviate una a fianco dell’ altra, per facilitare il” confronto e le conseguenze che possano derivarne. Grazie alla esa- tezza del signor Favre, che m'indicò per ciascun fossile Jo stratò donde l'aveva tratto, possiamo a ciastuno aggiungere i suoi fossili quali io li ho determinati. Mantengo per ciascun strato il numero assegnatogli dall’ autore. | Pante an Ovest pi Mernuerte Parte ap Esr pi Meruusnis Ossia Ossia Cava di Maupas. Cava della Balle. Trias 0 marne iridate. Thias o marne iridate. IvenaLtas, Inpratas. 8.° Marna nera e gialla. 19.° F. E. D. Schisti argillosi e Avicula contorta Porti. marnosi, neri friabili. Plicatula intusstriata Emmer. Cardium Philippianum Dr. Nucula? Meilleria n. sp. Avicula contorta Portl. Pecten Mortilleti n. sp. Anomia Lemani n. sp. 8.° Caleare grigio a coralli. 19.° €. Strati calcari. Pecten Valoniensis Defr. — Hebertii n. sp. SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA , EC, 1589 7.9 Strati marnosi e calcare 49,° B. Strati di caleare mapnoso giallo. a coralli. Terebratula gregaria Sss. Terabratula greguria Sss. Spirifer Minsteri Davids. 8.° Marna nera e calcare bleu dominante. Anomia Schafhiutli Winkl. — Reconii n. sp. Ostrea nodosa Goldf. 9° Calcare bleu e marna nera 19.° A. Marne d'un grigio nero. Pecton Faorii n. sp. Leda Deffneri ? Opp. Plicatula intusstriata Emm. Anomia Schafhiutli Winkl. — Revonii n. sp. 10,° Calcare testaceo bleu oscuro. Peeton Valoniensis Defr. Lima hettangiensis Tqm. — Fischeri Tqm. Pecten Valoniensis Defr. — Falgeri Mer. — Zoryi n. sp. — Hehlii d Orb. — Lemanensis n. sp. Ostrea pictetiana. Mort. Laas. Lias. 4 io Gran masso di calcare bleu- 18,9 Calcare grigio bleu in grandi astro difficile a separarsi masse dello spessore com- dal N. 10. plessivo di 270 metri. ha cura colla quale il signor Favre ha rilevato le precedenti se- zioni e ne ha distinto i fossili ci permette di cavarne delle conclu- sioni preziose pel soggetto nostro. Eccole : 4.° In Savoja come in Lombardia possono benissimo distinguersi ‘due zone negli strati ad 4. contorte, l’ inferiore di marne e di schi- sti neri argillosi, la superiore di calcare con marne intercalate. In difetto di seritta non si potrebbero guari distinguere gli sehisti {40 A. STOPPANI, neri 49° F. dello spaccato della Balle; zeppi di piccoli acefali inde- terminabili, dei quali gran numero di pezzi mi furono inviati dal signor Favre dagli schisti neri impastati di bivalve che riempiono le valli bergamasche, i dintorni di Bene, ecc. Non è che a un certo livello e in calcari affatto somiglianti a quelli dell’Azzaroia che si trova la Terebratula gregaria. 2.9 lo credo di potere arrischiare l'opinione che gli strati di Meil- lerie presentano anche la distinzione in due sotto-piani. L’Infralias inferiore (strati ad 4. contorta) è perfettamente rappresentato dal complesso degli strati N. 3.° a 9.° della sezione del Maupas. H N. 10.° sembra veramente rappresentare l’Infralias superiore (strati a fauna bettangiana). Ci abbiamo le Zima hettangiensis e Fischeri, i Pecten Valoniensis et-Helyi che depongono altamente in favore di que- st'opinione. Potrebbe alcuno domandarmi: perchè questo sotto-piano non è rappresentato nella sezione della Balle? Ma richiamiamoci che lo stesso signor Favre rimarca più volte nella sua Memoria che la separazione tra il Lias propriamente detto e gli strati ad 4. con- torta non è punto facile a stabilirsi. Lo stesso si osserva in Lombar- dia. È molto probabile perciò che una parte: inferiore del Calcare N. 48.°, il cui spessore è di circa 270 metri, debba staccarsi dal Lias per occupare nella serie il posto vuoto dell’ Infralias superiore. Letto della Dranse. — Ad ovest di Meilierie si apre la gora selvag- gia e pittoresca della Dranse; ma bisognerà rimontare la corrente fino a Bioge per osservare il magnifico spaccato di cui Favre ci de- lineò i particolari. Anche qui gli strati dell’ Infralias si mostrano due volte per un effetto di ripiegamento. Ecco la sezione compendiata. Triasslio gi TE Ixrranias. a. Calcare grigio e marne nere. 12. metri; 4. contorta abbon- dantissima. Escher vi sco- perse la Gervillia inflata. b. 1% metri di marna nera. Avicula contorta. È qui probabilmente che Escher raccolse la Plicatula intusstriata. - | ©. 80 metri di marne grigie. 4. contorta. ET a RAI SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA , EC, 141 Escherraccolse, oltre 1°.4. contorta, la Cardita austriaca, il Bactryl- lium striolatum, ecc. Il signor Mortillet ne riportò colla Z'erebratula gregaria e V Anomia Reconii le belemniti che io chiamo 2. infra- liasicus. Chalet Marmoi presso -Cervens. — Vi si ritrovano le specie se- guenti: Avicula contorta Portì. Pecten valoniensis Defr. Ostrea nodosa Goldf. Terebratula gregaria Sss. Rhabdophyllia langobardica Stpp. Qui dunque esiste il Banco madreporico che può considerarsi co- . me il prolungamento del gran banco lombardo. Matringe. — Piccolo villaggio che porta questo nome situato nella provincia di Faucigny, sulla sponda diritta del Giffre, tra S. Jeoire e Taninge, poco lungi da Mieussy. Il signor Favre vi ha rilevato lo spaccato seguente. 4.3 Masse di strati giuresi 1000 piedi 4.b Calcare nero 41. Strato di carbone 1.° Calcare con miniere di Infralias 50 » ferro Ardesia (4 piede) Calcare (6-8 piedi) 2.8 Calcare marnoso rosso 80-190 » Dolomia grigio-bianca o rosea Trias 80-90» Cargneules e gessi Il Calcare 2.°, come l’indica il signor Favre, ha qualche cosa di eccezionale. Del resto qui non abbiamo che la serie lombarda ripro- dotta. Questa località è ricchissima di fossili come lo mostra la lista seguente: Sargodon tomicus Quenst. Chemnitzia Mortilleti n. sp. Chemnitzia sp. — Minuscula n. sp. — sp. Acieonina —alleti n. sp. _ Sabaudie n. sp. _ Pilleti n. sp. 442 A. STOPPANE; Natica Valleti n. sp. Gervillia Pagneri Wkl, Turbo Billieti n. sp. — inflatù Schaf. Cerithiùm Stoppanii Winkt. Pecten Valleti n. sp. — Lorioli n. sp. Plicatula intusstriata Emmer. Pholadomya lariana? Stpp. — Archiaci Stpp. Mytilus psilonoti Quenst. Ostrea sp. ; Posidonomya Faorii n. sp. Terebratula gregaria Sss. Avicula contorta Port. Metaporhinus Favrii n. sp. — gregaria Stpp. Richiamo l’attenzione sopra l'ultima delle citate specie. Sarebbe il primo Orsino degli Echinidi irregolari; i quali non cominciano che coll’ epoca del lias e ci avremmo quindi uno dei migliori argomenti in favore dell’ annessione dell’ Infralias al sistema liasico. Grand- Bornand. — Località fossilifera sulla Montagna di Almens nella Comune del Gran Bornand. L’abate Vallet dà una bella se- zione (1) che presenta la serie dei terreni sul Col de-Maroly tra il Col-des-Ferrands e Chàtillon. Dalla parte del Col-des-Ferrands si contano in serie discendenti i seguenti terreni: 1.° Lias. 2.° Strati ad 4. contorta. 5.° Calcare argilloso: rosso. 4.° Dolomia, 5.° Cargneule e gesso. 6.° Grès carbonifero. Gli strati N. 2.° contengono: Saurichthys acuminatus Quenst. . Plicatula Archiaci Stpp. Mytilus psilonati Quenst. Ostrea picietiamtà Mort. Anomia Schafhiiutli Wink. Frammenti d’ossa. Montagne di Sullens. — La località fossilifera è Ja Frasse sul versante ovest della Montagna di Sullens, tia il Monte Charviîn e la Tournette (Comune di Serravalle). Eeeo' i fossili che furono scoperti negli strati dell’ infralias, Mytilus psitonoti Quenst. Gervillia: prascursor Quenst. Avicula contorta Port. Anomia Schafhautli Wink. Gervillia inffata Schaf. :3) Reunion extraordinaire, pag. 4182. SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA, EC. 145 Saint Julien de Maurienne. — In uno di quei ripiegamenti del- lInfralias che i membri della Società Geologica hanno osservato tra S. Julien e S. Michel, il signor abate Vallet ha raccolto i piccoli gasteropodi di Matringe: Trochus Valleti n. sp. Turbo Pilleti n. sp. Cerithium Stoppanii Wink. Pas-du-Roc. — È una rupe sagliente a fianco della strada fer- rata presso S. Michel verso S. Julien. Io ho già parlato di questa località, e lho anche visitata negli anni 1861 e 1862. Gli strati ad A. contorta offrono in un modo mirabile i medesimi caratteri che in Lombardia; essi sono ricchissimi di fossili, tra i quali ho distinto: Chemnitzia Valleti n. sp. Avicula sp. Turbo Chamousseti n. sp. Lima subdupla Stpp. __ Cardita austriaca? Hauer. Pecten Massalongi Stpp. Mytilus psilonoti Quenst. — Hehlii dOrb. Avicula contorta Port. Anomia Schafhàutli Wink. — Gregaria Stpp. Plicatula intusstriata Emm. — inequiradiata ? Schaf. —Terebratula gregaria Sss. Dintorni di Digne. — Tra i fossili che il signor Hebert mi ha comunicato provenienti dagli strati infraliasici, ho determinato le specie seguenti: Astarte? Suessi Rolle. Pecten valoniensis Defr. Teniodon precursor ? Schlinb. Anomia Hebertii n. sp. Avicula contorta Port. Chateau Chaylard. — Questa è una località della Comune di Anjac, tra S. Ambroise et Willefort (Gard). L'’ infralias s’ estende su una linea non interrotta che fu diligentemente esplorata dal signor Hebert, che Vi ha segnalate le località del Gamnal, delle Balmelles, 144 AL STOPPAMI, ecc. Tra i fossili del Chaylard e del Gamnal ho perfettamente rico- nosciuto l’Apicula gregaria Stpp. si caratteristica degli strati ad A. Contorta. Del resto queste località furono splendidamente illu- strate dal signor Hebert nella sua /ote sur la limite inférieure du lias et sur la composition du trias dans les departements: du Gard et de l’ Herault. Vizille. —- Nella mia precedente lettura ho già annunciato la sco- perta fatta dal signor Lory di strati ad 4. contorta presso Zizille (Isére). È questa una zona di 0," 10 grès, 1,"20 di calcare sab- bioso nero, 3" di calcare nero ed 4. contorta, giacente al di sotto d’un calcare nero ad Entrochi, e questo ricoperto da calcari neri schistosi a Lelemmniti.. La zona infraliasica ricopre la mole della do- lomie che forma il tetto del gesso. La serie che noi abbiamo stabi- lito per l’infralias e pei terreni limitrofi in Lombardia, e nelle Alpi, è quì rappresentata come non si può meglio. — ] fossili ch'io ri- conobbi nelle Ilumachelle somigliantissime alle lumachelle lombarde sono: % Cardita Luere Stpp. Avicula contorta Port. Anatina precursor Opp. ‘ — . Loryi n. sp. Nucula Stenonis ? Stpp. Gervillia caudata Wink. Leda sp. Dintorni di Dijon. — Il signor Hébert mi ha comunicato i fossili che ha raccolto nelle vicinanze di Dijon (Còte-d’Or), tra i quali ho riconosciuto l'A. contorta Port, la Gervillia precursor Quenst, e lAnomia Schafhiutli Vink. Dai particolari raccolti nelle località percorse sembrami appieno confermata quella concordanza stratigrafica, paleontologica, petro- grafica, che io intesi stabilire tra i due versanti dell’Alpi. Insisterò alquanto sulla somiglianza petrografica. Essa non è certamente un ar- gomento di troppo valore quando la si invochi per stabilire gli equi- valenti dei terreni: ma quando l'equivalenza è già fondata sui ca- ratteri stratigrafici e paleontologici, come nel nostro. caso, allora questo elemento diventa un dato preziosissimo per la geologia ra- zionale, sopratutto per indovinare la costituzione generale e partico- SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA, EC. 145 lare del globo ad una certa epoca. L'identità petrografica nel nostro caso ci dimostra che, durante il periodo dell’infralias, uno stesso lit- torale continuo, governato dalle stesse leggi chimiche e fisiologiche si stendeva per lo meno dal centro dell’Italia fino al mezzo della Francia attraversando lo spazio oggi occupato dalla catena occiden- tale delle Alpi. Più verso nord la prevalenza dei grès sulle marne e le argille rivela già condizioni differenti del littorale, che non sem- brano però avere influito in modo rimarchevole sulle leggi fisiologi- che. Ricevendo i fossili d’un sì gran numero di località sparse a si larghi intervalli sul versante N. O. delle Alpi, fui veramente colpito da questa collezione che riproduceva al mio sguardo tutte le impres- sioni della mia raccolta lombarda. Nel tracciare lo spaccato di Meil- lerie ho già fatto rimarcare l'estrema rassomiglianza tra gli schisti neri che stanno colà alla base dell’infralias e quelli che stanno in Lombardia allo stesso livello. Non è già una eccezione per Meillerie; gli stessi schisti si trovano al Pas-du-Roc, a Villeneuve, ecc. Le lu- machelle compatte a decomposizione gialla, che accompagnano gli schisti in Lombardia sono le stesse impastate d’acefali a Matringe, al Mont-Forché, al centro del Col-des-Furches-d’Habére, sulla Mon- tagna di Sulleus e sulla via da Cezane al Mont-Genévre, a Vizille, ecc. Le lumachelle chiare, a gradazioni rosee, piene di bivalve a Cervens, riproducono esattamente una varietà di lumachelle della Val-Ritorta. Il Calcare bleu nerastro N. 8.° della sezione di Meillerie è il nostro calcare compatto dell’Azarola a decomposizione superficiale giallastra, La stessa cosa deve ripetersi dello strato 1.° del letto della Dranse ricco di 4. contorta, del calcare a Ostrea nodosa del Chalet Mar- moi, del Calcare del Gamnal, del Chaylard, ecc. Osserverò soltanto che un esemplare d’ Ostrea nodosa del Chalet Marmoi si trova con un Pecten in un vero grés calcare a cemento argilloso. Esiste anche a Matringe al Pas-du-Roc, a Brides-les-Bains e probabilmente do- vunque una roccia, il cui carattere basterebbe da solo a distinguere gli strati ad 4. contorta. Parlo di una varietà di calcare bleu nero, assai comune in Lombardia, che si risolve alla superficie in una so- stanza pulverulente gialla, lasciandovi però quasi uno strato lacerato di vernice bituminosa, resistente all’ atmosfera e poco attaccabile 10 446 A. STOPPANI , dagli acidi. Finalmente il calcare testaceo N. 40.° dello spaccato di Meillerie, da me riportato all’ Infralias superiore, si rassomiglia al calcare del Sasso-degli-Stampi allo stesso livello in Lombardia. . Riassumendo possiamo da quanto abbiam detto venire alle seguenti conclusioni : 4.° Partendo dal Lias la serie discendente è identica sui due ver» santi dell’Alpi. 2.° L’Infralias in particolare si identifica sui due versanti per tutti i suoi caralteri: a) stratigrafici, giacendo tra i calcari liasici ed una massa do- lomitica che riposa sul gesso e sulle rocce iridate del Keuper. b) petrografici, presentando sempre le stesse varietà di rocce. c) paleontologici, offrendo buon numero delle specie più carat- teristiche degli strati ad 4. contorta di Lombardia, di Ger- mania, d'Inghilterra, ecc. .° Sopra siitisane i versanti l’Infralias si delia abbastanza bene in superiore a fauna hettangiana, ed inferiore ad A. contorta. L’ inferiore si distingue pure assai bene in due zone, l’una calcare-murnosa a Terebratula gregaria, Valtra schisto- argillosa a Bactryllium. 4.° Gli strati ad 4. contorta del versante N. 0. appoggiano l’ an- nessione dell’Infralias al sistema liasico ed in particolare: a) coi passaggi insensibili alle rocce liasiche. b) colla separazione netta dalle rocce triasiche. c) colla apparizione delle prime belemniti e dei primi echinidi irregolari. Presentiamo la lista complessiva dei fossili determinati che ver- sanno illustrati in apposita Appendice alla terza serie della Poleon- tologia lombarda. SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA , EC. 1h7 LISTA DEI FOSSILI DETERMINATI ———_—t=t st Sargodon tomicus Plien. Saurichthys acuminatus Quenst. Belemnites infraliasicus n. sp. Chemnitzia sp. — Sp. — — Valleti n. sp. — — Sabandix n. sp. — — Mortilleti n, sp. — minuscula n. sp. Acteonina Valleti n. sp. — — Pilleti n. sp. Natica sp. — Valleti n. sp. Trochus Valleti n. sp. Turbo Billieti n. sp. — Chamousseti n. sp. Cerithium Stoppani Winkl. — Lorioli n. sp. Astarte Suessi Rolle Cardinia depressa Zieten Pholadomia lariana Stpp. Cardium Philippianum Dkr. — sp. Cardita austriaca Hauer — — Luera Stpp. Anatina precursor Opp. Myophoria isosceles Stpp. Taeniodon praecursor? Schlonb. Nucula Stenonis ? Stpp. — ? Meillerie n. sp. Leda Deffneri? Opp. — sp. Pleurophorus elongatus Moore — sp. Mytilus psilonoti Quenst. Posidonomya Favrii n. sp. Avicula contoria Port. — inaquiradiata? Schaf. — gregaria Stpp. — sp. — Loryi n. sp. Gervillia Wagneri Wink. —_ inflata Schaf. — precursor Quenst. — caudata Wink. Lima subdupula Stpp. — hettangiensis Tqm. — Fischeri Tqm. Pecten Valoniensis Defr. — Falgeri Mer. —- Massalongi Stpp. — Loryin. sp. -- Mortilleti n. sp. — Valleti n. sp. — Heberlii n. sp. — Favrii n. sp. 148 A. 8TOPPANI) SULLA CONCORDANZA GEOLOGICA, EC. Parigi Heblii d’ Orb. Ostrea nodosa Goldf. lemanensis n. sp. — Pictetiana Mortil. — sp. — sp. Anomia Schafhàutli Wink. Terebratula gregaria Sss. Spirifer Minsteri Davids. — Picteti n. sp. Metaporbinus Favrii n. sp. — Hebertii n. sp. Rbabdopyllia langobardica Stpp. Plicatula intusstriata Emmer. — Archiaci Stpp. — Revonii n. sp. SOPRA DUE CROCIFERE ITALIANE NOTA DEL PROFESSORE TEODORO CARUEL. (Seduta del 26 aprile 1863.) 1. Sisvyuprivm Zanona Car. in epist. ad clariss. Ball, novembr., 1860. — Eruca Serpeggiante fruticosa Alpina Zan. ist. bot. p. 88. t. 34. — E. frutescens alpina reptante radice Zan. et Mont. rar. stirp. hist. p. 104. t. 73. Vitm. ist. erb. alp. Pist. ec. p. 18. — Sisymbrium dentatum Vitm. summ. plant. IV. p. 47 (ex parte). — S. pinnati- fidum J. Bert. iter bonon. p. 15 (non Dec.). Bert. fl. ital. VII. p. BA (ex parte). Pucc! svn. plant. lucens. p. 341. ic. (bona). Car! prodr. fl. tosc. p. 44. — Zrucastrum Zanonii Ball! in bull. soc. bot. de Fr. VII. p. 252. i Questa crocifera, comune nelle parti alte dell'Appennino, era stata malamente confusa da tutti i botanici italiani, e da me in ultimo nel mio Prodromo della flora toscana, col Sisymbrium pinnatifidum delle Alpi. Gli rassomiglia infatti per l’aspetto, ma tuttavia n’è sufficiente- mente distinta per varj caratteri, cioè per le foglie alquanto diverse, e principalmente per la siliqua più stretta e un po’ meno compressa, e lo stimma più grosso. La differenza specifica di queste due piante è stata fatta rilevare dal signor John Ball in un articolo inserito nel n. 4 del tom. VII del Bulletin de la Societé botanique de France. Anzi egli è andato più oltre, e sull’analisi di un seme della pianta dell’Appennino, in cui ha trovato i cotiledoni piegati (conduplicate), egli ha creduto doverla riferire al genere Zrucastrum per tal carattere che solo distingue questo genere dai Sisymbrium, e in conseguenza le ha imposto il nome di Zrucastruna Zanoni, 150 T. CARUEL, Mentre convengo pienamente nelle altre osservazioni del signor Ball, non mi troverei d'accordo con esso riguardo a quest’ ultima. la ho sezionato più dozzine di semi della pianta in discorso, e in tutte ho trovato l' embrione coi cotiledoni piani e incombenti, e con la commettitura diritta dei Sisymbriums; avvertendo però, che la ro- dicetta, invece di essere situata contro il mezzo del dorso del coli- ledone che le sta dirimpetto, trovasi spostata da una parte, verso iì margine del seme, e applicata più o meno esattamente lunghesso il margine della faccia dorsale del cotiledone, la quale su questa linea spesso mostrasi depressa onde riceverla. È una disposizione analoga a quella stata figurata da Reichenbach (ic. cent. 2) per il seme della Braya alpina, dei Sisymbrium officinale, S. Loeselii, Erysimum suf- fruticosums ma che d'altronde non altera la struttura fondamentale dell'embrione, onde non mi pare cosa dubbia che la nostra specie debba rimanersene fra i Sisymbrium, accanto al S. pinnatifidum, col nome di S. Zanonti (1). Il S, pinnatifidum delle Alpi è messo da Koch nel genere Braya, insieme alla 2. alpina, per i suvi semi disposti, secondo alcuni autori, in due serie. Il signor Ball invece li ha osservati disposti per lo più in una serie unica, eccetto in alcuni casi, quando la siliqua essendo alquanto slargata, i semi prendono una disposizione intermedia, detta da alcuni autori semi-biseriata. lo non so se il genere Braya si so- sterrà per la £. alpina per cui è stato fatto; ma sembrami che non si possa anneltere molto valore ai caratteri delle valve della siliqua uni-nervate e dei semi bi-seriati, mercè dei quali è stato disgiunto dai Sisymbrium, che dovrebbero avere le valve tri-nervate e i semi uni-seriati. Trovo, è ben vero, tre nervature pressochè uguali e più o meno fortemente marcate nei S. polyceratium, S. Irio, $. crassi- folium, S. strictissimum, S. Loeselii ec.; ma nei S. Zanonii, S. Thalianum, S. supinum ec., vedo le due nervature laterali ridursi a vene appena sensibili, nel S. Sophia spariscono del tulto, e nel (4) Avendo io comunicato queste mie osservazioni al mio amico signor Ball, egli ha avuta la compiacenza di ripetere le sue, e con la schiettezza del vero scienziato è meco convenuto che la struttura del seme della pianta in discorso era realmente quella di un Sisymbrium. tdi SOPRA DUE CROCIFERNE ITALIANE 4131 $S. contortum la nervatura centrale sparisce con le laterali. In quanto ai semi, ognun sa che sono in realtà sopra due serie in tutte le cro- cifere, poichè appartengono a due distinti trofospermi, e che, se di sovente si sovrappongono in serie unica, ciò dipende dal volume dei semi e dalla poca larghezza del tramezzo; dimodochè basta un leg- gero cambiamento nelle proporzioni di queste parti per mutare l’or- dinamento dei semi. Tali considerazioni farebbero opinare che biso- gna lasciare nel genere Sisymbrium i S. pinnatifidum e S.supinum, o, sull'esempio di Webb, suddividere questo genere abbastanza eterogeneo in parecch) altri. La particolare positura della radicetta nell’embrione del Stisym- brium Zanonii, Ja quale pare si ritrovi sia allo stato normale, sia come eccezione, in parecchie altre crocifere, sembrerebbe quasi indicare un passaggio dal tipo dell'embrione coi cotiledoni incombenti, al tipo coi cotiledoni accombenti. Peraltro, variazioni nell’ embrione delle crocifere in piante vicinissime, ed anco in una medesima pianta, sono state avvertite da recenti osservatori, e segnatamente dai signori Gay, Cosson, Fournier (1). Qui, come ovunque, si ritroverebbe pertanto quella gran legge della variabilità di forme e di struttura, che do- mina sopra tutto il regno organico, e che abbatte ad ogni momento le deboli barriere che le nostre classazioni tentano opporle. Poichè i caratteri derivanti dall’embrione delle crocifere variano come tutti gli altri, sarebb’egli a dire che bisogna per questo rinun- ziare a farne uso nella classazione? No certamente: chè negli altri or- gani, presi isolatamente, ritroverebbesi ancora minore stabilità nei earatteri. E al postutto, credo sia necessario abbandonare ogni idea di una classazione naturale delle crocifere. Ciò dicasi dell’ ordine delle crocifere come di tutti gli altri ordini estremamente naturali. Le spe- cie che li compongono avendo fra loro relazioni strette e molteplici, e rassomigliandosi per tutti i punti essenziali della loro organizzazio- ne, lasciano per ciò pochi caratteri differenziali di un certo va- lore a disposizione del classatore che vuol riunirle in gruppi secon- darj; e ognuna di tali riunioni sarà necessariamente artificiale, poi- (4) Vedasi il Bull. de la Suc. bot. de Fr., tomi VII e IX. 152 T. CARUEL, chè varrà ad esprimere un minor complesso di rassomiglianze di quel ehe sieno le separazioni che avrà operato. Vedasi a comprova di ciò, oltre le crocifere, quello che n'è stato delle ombrellifere e delle gra- migne per esempio. 2. Bivonza Saviana Car! Prodr. fl. tosc., p. 47. — Jonopsidium Savianum Ball! ined. in Herb. centr. ital. Nel Prodromo, della flora toscana io descrissi questa specie nuova, soltanto sopra un esemplare in frutto che mi era stato comunicato dal professore Pietro Savi, e la misi provvisoriamente nel genere Bivonea, sembrandomi che più si avvicinasse a quello fra i generi conosciuti della tribù delle Lepidinee. Posteriormente, il signor Ball avendo rinvenuta questa pianta in fiore nel luogo stesso dove primo la raccolse il professore Savi, l’ha studiata, e riportata invece al genere Jonopsidium. «+ Questo ravvicinamento, per quanto più felice di quello da me im- maginato, pure non so se dovrà sussistere. Il genere Jonopsidium, co- stituito in tal guisa, comprende tre specie, abbastanza diverse l’ una dall’ altra per il portamento e i caratteri. L’/. acaule Reich. del Portogallo, tipo del genere, ha un abito tutto proprio, con le sue fo- glie a rosetta e i suoi fiori ascellari lungamente pedicellati; 1° J. al- biflorum Due. dell'Algeria e di Sicilia, rammenta invece una Co- chlearia, la C. danica per esempio; mentre I J. Savianum rasso- miglia a un 7laspi o alla Bivonea, In quanto ai caratteri, trovo fra quelli su cui poggiano le distinzioni generiche nelle crocifere, che l'J. Savianum ha i sepali esterni concavo-carenati, e gl’ interni piani, le valve della siliquetta cinte da un'ala strettissima, e circa due semi in ogni casella, col podosperma aderente al tramezzo ; nel- VI. albiflorum trovo tutti i sepali concavi, le valve della siliquetta senz’ala, e da 6 a 12 semi in ogni casella, col podosperma libero o appena aderente; nell’. acaule i sepali sono tutti concavo-carenati, le valve della siliquetta senz’ala, i semi da 3 a 4 in ogni casella, col podosperma libero, e a differenza delle altre due specie, le valve della siliquetta nel cadere lasciano una parte di se attaccata al tra- mezzo, che per questa specie di lembo rimastogli prende da un lato deall’altro l’aspetto quasi di una barchetta. SOPRA DUB CROCIFERE ITALIANS 155 Forse converrebbe meglio lasciare 1° J. acaule solo a rappresen- tare il genere Jonopsidium, e riunire le altre due specie in un ge- nere separato, che sarebbe il genere Pustorea già creato dal profes- sore Todaro per 1° J. albiflorum (41). Certo si è che un giudizio fon- dato potrà essere pronunziato solamente da chi avrà fatto un esame comparalivo di tutte le piante che formano il gruppo delle lepidi- nee spartite fra i generi Capsella, Hymenolobus, Noccea, Jonopsi- dium ec., così vicini fra loro e così incerti nei loro confini. In ge- nerale, l'ordine tutto delle crocifere ha grandemente bisogno d’un valente monografo che lavori per toglierlo dallo stato di confusione in cui sempre più va cadendo. (4) Nei suoi Nuovi generi e nuove specie di piante dell'orto botanico di Palermo. La specie, detta dal professore Todaro Pastore@a precox, fu messa dal professore Bertoloni (FI. ital. X. p. 520) nel genere Bivonea col nome di B. precox PRIMA RICERCA DI ABITAZIONI LACUSTRI NEI LAGHI DI LOMBARDIA RELAZIONE DELL' ABATE ANTONIO STOPPANI (Seduta del 31 maggio 1863. ) Sciolgo il mio debito implicitamente contratto colla Società, quando nell’ultima tornata le feci noto che io avrei accompagnato il si- gnor Desor nella sua corsa di perlustrazione sui nostri laghi, diretta a scoprirvi quelle abitazioni lacustri, di cui finora le torbiere sol- tanto avevano offerto gli indizj. Nessuno si attenderà certamente che, trattandosi di una semplice esplorazione, abbia a tornar carico di antichità lacustri, per farne bella mostra davanti ai socj. È già molto se venne constatato un fatto di tale importanza; se le abitazioni lacustri furono realmente scoperte; e dobbiamo esser grati al mostro tanto benemerito socio corrispondente, la cui esperienza acquistata in parecchi anni consa- crati a tal genere di difficili ricerche, ci hanno risparmiato, come si suol dire, un lungo noviziato. Del resto poco di più e nulla di me- glio polrò aggiungere a quanto della nostra gita riferì il socio Mor- tillet nel suo pregevole articolo /abitations lacustres d’ Italie inse- rito nel numero 6 maggio del giornale l’/talie, al quale mi riporto interamente per ciò che riguarda la prima giornata d’esplorazione che fu anche la più, o per meglio dire. l'unica fortunata. A. STOPPANI, ABITAZIONI LACUSTRI DELLA LOMBARDIA 155 ll 27 aprile partimmo, il signor Desor, il signor Mortillet ed io. e il 28 ci trovavamo sul lago di Varese. Benz, labile pescatore del signor Desor ci aveva precorsi, e fu nopo veramente che il nuovo Linceo, aguzzasse l’acume di due occhi avezzi a scandagliare le profondità dei laghi della Svizzera, per scoprire, attraverso un’ acqua torbida e mossa da una brezza temporalesca, i deboli indizj delle antichissime magioni, che sfaggirebbero di leggeri anche all'occhio più attento ove non si fosse almeno una volta abituato a distinguerli. Ma tant'è; quella prima esplorazione fu coronata da un successo veramente in- sperato. Due grandiose stazioni lacustri vennero in breve scoperte, e rimase tempo di pescarvi degli oggetti che ne sancissero la natura e l’epoca in base a quanto è già noto su tale argomento. | grossolani cocci, preziosi per la scienza, che io vi presento, e che il signor De- sor mi volle gentilmente cedere, sono i primi saggi, oso dire, di una magnifica raccolta di antichità lombarde, che ormai non sarà più un segno. La prima delle due accennate stazioni si trova a nord est di Bian- dronno, accosto all’isolino di pertinenza del duca Litta, e si diparte precisamente dalla punta nord-est dell’isola, spingendosi in direzione sud. È una palafitta che si stende per circa 200 metri di lunghezza avendone da 50 a 40 di larghezza. I pali sono numerosissimi, e se ne scorgono le testate rose affatto fino al livello del fondo, a circa 4." 20 di profondità dal pelo dell’acqua. Coperti di belletta e arro- tondati, a mala pena si distinguono dai ciottoli erratici sparsi egual- mente sul fondo, se non fosse la loro apparenza spugnosa, quale deve offrirsi da un tronco posto da sì gran tempo a macerarsi nell’ acqua. Si trassero dal fondo alcuni ossami. Un osso cilindrico, conser- vato dal socio Mortillet, apparterebbe ad un bue di piccola taglia; mostra delle intaccature praticatevi con uno stromento tagliente, e si vede, come fu avvertito di molti estratti dalle palafitte svizzere, rotto alle due estremità all’ intento di estrarne il midollo. Aleuni saggi di vasi, che non possiamo ancor dire di terra cotta, non constando che di quella specie di grès arlificiale, cioè di um impasto di argilla con frammenti di rocce trite grossolanamente, for- nirono il più comune, ma nel tempo stesso indizio più caratteristico 156 A. STOPPANI, delle abitazioni lacustri. Se ben mi ricorda, in Svizzera è il quarzo principale ingrediente solido di quell’impasto: i vasi di Varese invece sembrano formati specialmente di frantumi di feldspato misti ab- bondantemente all’anfibola, di cui. si scorgono benissimo i cristalli di un verde cupo. È evidente che gli antichi coloni del lago di Va- rese fabbricavano le loro stoviglie pestando e riducendo in sabbia grossolana i ciottoli dioritici, provenienti dalle regioni del San Got- tardo, di cui li fornivano a dovizia le antiche morene adossate ai colli che cingono il lago sulla sponda sud-ovest e, facendone coll’ ar- gilla un impasto, ne foggiavano vasi di diverse forme, cuocendoli al sole od alla fiamma. I vasi da noi scoperti, al contrario di quanto si osserva general- mente in Svizzera, si reggevano da sè sopra l’ampia base perfetta- mente piana. Uno anzi si alza sovra uno zoccolo o piedestallo con- cavo, ossia a imbuto rovesciato, forma che il signor Desor notò come affatto eccezionale. À quall’epoca appartiene la stazione dell’Isolino? Nè una selce lavorata nè un utensile di metallo vi si trovò per poterla riferire all’età della pietra piuttosto che a quella del bronzo. Ma argomen- tando dalla forma dei vasi, sopratutto dai loro ornamenti che accen- nano ad una cultura assai più avvanzata che i fatti finora raccolti non consentano all’ epoca della selce, il signor Desor non dubitò di affermare che la delta stazione appartiene all’età del bronzo. Non vi imaginate tuttavia un lusso d’ornamenti soverchio. Un vaso ha il labbro adorno di impressioni lineari oblique , equidistanti , praticate a quel che sembra, da un rozzo stromento qual sarebbe una scheg- gia di pietra. Ua altro porta pure esternamente intorno al labbro una specie di ghirlanda di piccole eminenze, ottenute, come scrisse Mortillet, premendo col dito la superficie del vaso ancor molle. Le anse consistono semplicemente o in un breve rilievo laterale quale si osserva ancora sui fianchi di alcune grossolane marmitte, o in una orecchia traforata, per sospendere il vaso mediante una cordicella. Quanto si è detto della prima stazione deve ripetersi o meglio è già detto della seconda, dalla quale anzi furono estratti per la mag- gior parte i cocci descrifti. Si trova essa nel piccolo golfo sotto Bo- ABITAZIONI LACUSTRI DELLA LOMBARDIA 157 dio. La stazione di Bodio fu meno studiata della precedente: consi- sterebbe in una grande palafitta che gira attorno ad un monticolo elittico, rilevato sul fondo del lago, simile ai molti che si osservano nei laghi della Svizzera. Non passerò oltre senza far cenno di una terza stazione scoperta sulla opposta riva in faccia a Bodio dal signor Quaglia Bene-Sperando di Bardello appassionato raccoglitore di quanto i regni animale e minerale offrono di bello nei dintorni di Varese, e sulla di cui rac- colta di fossili può fin d’ ora contare la paleontologia, per alcune specialità del massimo interesse di cui mi intratterò altra fiata , per non uscire quì di troppo dal seminato. Di detta stazione scrisse, or son pochi giorni, lo stesso signor Quaglia al socio Mortillet. Colgo ben lieto questa occasione per rendere omaggio al suo zelo per la scienza, e per ringraziarlo, anche a nome de’ miei colleghi, di sua cortese ac- coglienza. — Anche l’abbate Ranchet, coadjutore di Biandronno pi- gliò un vivo interesse a queste scientifiche scoperte, e mi scrisse offrendosi pronto a giovarci nelle successive indagini, informandomi intanto della scoperta di altri oggetti lacustri, di cui attendo la co- municazione per poterne più adequatamente favellare. Ho pure l’ o- nore di sottoporre alla vostra considerazione un altro oggetto per verità assai curioso. Gli è una specie di piramide di bronzo, del peso di oltre due chilogrammi, o meglio una vera stalagmite quale suole formarsi dallo sgocciolare dall’ alto d’ un metallo fuso, ma prossimo al punto di solidificazione, sicchè un grumo sull’ altro si va ammon- ticchiando , e veste le forme più bizzarre. Ei mi venne gentilmente comunicato dal signor Alessandro Talacchini per mezzo del signor av- vocato Aureggi, e fu trovato nel 18388 a circa tre metri di profondità nello scavare la torba presso il lago di Varese. lo non saprei chè ag- giungere in proposito di un oggetto, che non rappresenta infine che un pezzo bruto del metallo impiegato dai popoli della seconda età nella fabbricazione delle loro armi e dei loro utensili. Solo vo’ dire che un pezzo sì considerevole di metallo, che anche oggigiorno avrebbe un certo valore, e doveva averne assai in quel tempo di bambina metallurgia , non deve essere stato buttato a caso colà, e parebbemi bella cosa, dopo aver ammirato i prodotti dell’ arte, il trovarci, quasi 188 A. STOPPANI, direi, così dapresso al fornello dell’ artefice. Ad ogni modo quali tesori per la scienza non ci promettono i dintorni di quell’ ameno laghetto! La sera dello stesso giorno, allegrato da quelle prime scoperte, visitammo allo stesso scopo il laghetto di Biandronno. È uno stagno limaccioso, della profondità di 1 a 2 metri, il cui fondo è tutto co- perto di alghe che sembrano voler in breve ricolmarlo cambiandolo in torbiera. Improbabile perciò 1’ esistenza di abitazioni lacustri, è impossibile, quand’ anche ve ne esistessero , lo scoprirne gli indizi. In tanto era cominciata quella sequela di venti e di pioggie tor- renziali che dovevano rendere quasi assolutamente frustranei i nostri sforzi. La stagione non poteva scegliersi meno opportuna, nè certo il signor Desor si sarebbe messo se, impedito da dolorosa malattia dal farlo prima, come aveva promesso, non avesse voluto assolutamente sciogliere un voto già da lungo tempo maturo. È durante l'inverno e specialmente, a quanto mi si asserisce dai pescatori, nei mesi di novembre e dicembre, che le acque dei nostri piccoli laghi acqui- stano una trasparenza straordinaria. Sul principiare della. primavera cominciano a intorbidarsi finchè diventano quasi melmose; nè ba- stano a darne ragione i venti del marzo e che sommovono il fondo ordinariamente basso e fangoso, e i temporali del maggio che gon- fiano i torrentelli, i quali torbidi si scaricano in quegli angusti bacini. Io credo che lo sviluppo proporzionalmente enorme della vegetazione subacquea , lo svolgersi di quelle miriadi di spora, di diatomee, di infusorii, il moto idrostatico, quella vita infine e quel movimento cui desta in quel mobile clemento il rapido elevarsi della temperatura atmosferica, sieno la causa molteplice di tanto intorbidarsi dell’ onda. Basti il dire che, mentre in favorevoli circostanze si può esaminare be- nissimo il fondo di un lago a otto o dieci metri di profondità , il fondo dei nostri laghetti nell’attuale stagione si nasconde affatto ad 4 o 2 metri. Ecco la ragione principale del quasi nessun successo delle seguenti giornate. Se dall’ esperienza fatta sui laghi della Svizzera le palafitte dell’ epoca della pietra si trovano a due, e quelle del- l'epoca del bronzo a quattro o cinque metri di profondità , si vede che la scoperta se ne rendeva pressochè impossibile. Tuttavia ci ostinammo nella ricerca. ABITAZIONI LACUSTRI DELLA LOMBARDIA 159 ll 28 aprile si fece il giro del lago di Monate. 1 pioggia imper- versava, ma ci parve anche che quel lago, di cui è decantata la pro- fondità e che è generalmente chiuso tra le scoscese pareti formate dal calcare nummulitico, non potesse offrire piaggia opportuna per le palafitte. ll 29 fu speso sul lago di Comabbio. Col torbido straordinario delle acque, congiurava contro di noi l'altezza del livello del lago accresciuto sensibilmente dalla chiusa edificata in servizio della filatura di cotone dei signori Borghi. Il fondo tuttavia mostrossi per lunghi tratti per- fettamente adatto alle abitazioni lacustri. Non potendosi sperar nulla di meglio da reiterate perlustrazioni in stagione così inopportuna , il signor Desor si decise a partire pel Trasimeno, nella speranza di sco- prire qualche vestigio di abitazioni lacustri in una regione ove, av- verandosi il caso, si potrebbero meglio che altrove afferrare i rap- porti che legassero per avventura 1’ epoca delle palafitte a quella degli Etruschi, secondo le idee da lui vagheggiate. Si offrì tuttavia di lasciarmi il suo pescatore, perchè m'’ajutasse a continuare le ricerche nei dintorni di Lecco, ove mi recai infatti appena eo darci tregua le pioggie ostinate. Il giorno 4 maggio perlustrai tutto all’ ingiro il bacino inferiore al ponte di Lecco, fino alla strozzatura d’ Olginate. lo credo non ci sia nulla a sperare in un tratto di lago dove le alluvioni moderne, stante il precipitare de’ torrenti laterali attraverso la mobile congerie delle antiche morene insinuate in ciascuna delle valli che lo fian- cheggiano, devono avere sì profondamente modificato il lido, e se- polte le palafitte che possono supporsi esistenti. 1 recenti incanala- menti del Bione, della Galavesa, e le altre grandi opere idrauliche tendenti ad aprire più libero regresso all’Adda, il cui letto era ormai in molti punti ostrutto, mostrano l’attività di tali alluvioni benchè sì breve sia il corso dei confluenti (1). (4) Le strozzature del lago di Lecco, di cui le principali sono quella del ponte pro- dotta dal Caldone, quella tra Pescarenico e Mazzianico causata dal Bione, finalmente quella molteplice e veramente singolare che risulta dal corrispondersi di parecchi tor- renti sulle due opposte rive, tra i quali primeggiano la Galavesa e la Val-Greghentino, costituiscono uno de’ più begli esempj che si possono citare in geologia del valore delle 160 A. STOPPANI, Il giorno 5 maggio percorsi il vero bacino di Lecco superiore al ponte. Se la sponda sinistra è tutta il prodotto di alluvioni recentis- sime, la destra dal ponte a Malgrate, ove non sbocca nessun torrente non deve aver subito alcuna modificazione considerevole. Scoprii in- fatti presso l’ antico vivajo di pesci, detto il Pescherino, una bella palafitta, a cui nulla mancherebbe per ritrarre perfettamente quelle dell’ età del bronzo, quali per esempio sono descritte dal signor Desor nella sua recentissima memoria Les costructions lacustres du lac de Neuchatel (4). 1 pali piuttosto smilzi, tutti ugualmente aguzzati dalla lenta corrosione , sporgono 41 0 2 piedi dal fondo fangoso. Credo di averne contato parecchie dozzine. Cominciavano a comparire a circa quattro metri di profondità , dove li poteva scorgere distintamente, stantechè anche nell’ attuale stagione, l’acqua dei grandi bacini è sempre più limpida di quella degli stagni, e accennavano di conti- nuare verso le profondità allora inesplorabili. Non ci fu verso di co- glierci niente che testimoniasse una stazione lacustre, ma io m’ ho fermo in mente lo sia. Penso che la parte visibile di quella palafitta non rappresenti che il ponte, il quale congiungeva le abitazioni lacu- stri al lido asciutto (2) in prova di che posso assicurare d’ aver os-. servato in un punto i pali piantati in due file regolarissime, che par- tivano dal lido in direzione obbliqua verso il profondo. Quando so- pravvenga la magra, vedremo se l’ho indovinata. Quì vorrei proporre una piccola questione forse non indifferente, e sarebbe: come si comportavano gli abitatori dei laghi per rispetto alla mutabilità del livello causata dall’a'’:’nare delle piene e delle magre a considere- alluvioni dipendentemente dalla natura del suolo attraversato dalla corrente, e delle rapide modificazioni che può subire un recipiente dal rapidissimo accumularvisi di materiali di trasporto. Uno studio ponderato e documentato di tali fenomeni, come servirebbe di scuola agli ingegneri idraulici, della cui previdenza non danno tutte ugnalmente favorevole testimonianza le belle operazioni eseguite pel regime dell’Adda al dissotto di Lecco , servirebbe anche a porci in guardia contro i risultati dei calcoli cronologici basati sullo spessore delle alluvioni, che si vanno invocando a proposito appunto delle grandi questioni d’attualità relative all’antichità dell’ uomo. (4) Bibliot. universelle, e Revue Suisse t. XV. novembre e dicembre 1862. (2) Vedasi il Village helvéte sur pilolis restauré d’aprés F. Keller, disegno inserito nell’ Almanacco di Neuchàtel del 1861, e riprodotto nell’opera recentissima di Lyell, On the geological evidence of the anliquity of man, London, 41863. ABITAZIONI LACUSTRI DELLA LOMBARDIA 161 vole distanza di massimi o di minimi (4)? Vorrei anche aggiungere un riflesso, che cioè la profondità delle antiche palafitte ci può for- nire un nuovo dato geologico, per verificare e calcolare i muta- menti avvenuti durante l’epoca attuale nei bacini lacustri, e il va- lore delle cause che gli hanno prodotti (2). Ma sarebbe inopportuno l’ insistere, finchè non siansi scoperte palafitte d’ epoca determinata nel lago di Como, o le già note altrove siano studiate in rapporto alle accennate questioni, in modo di sottoporre al ragionamento una base di fatto. Ma continuiamo. Il giro del doppio bacino del lago di Sala e di Annone occupò tutta intera la giornata del 6 maggio. La configurazione del lago, la cui massima profondità pare non superi gli 8 o i 10 metri, e le cui rive sono frastagliate da seni tranquilli, non può che prestarsi op- portunissima alle nostre ricerche. Ma trovai le acque di quello sta- gno così torbide, che a poco più d’un metro di profondità tutto si nascondeva allo sguardo. La stessa sorte mi attendeva il 9 maggio sul lago di Pusiano che si direbbe, principalmente sulla riva sud-est, fatto espressamente per (4) La differenza massima di livello tra le magre e le piene nel lago di Lecco, prima delle operazioni idrauliche, era di 4.m 20. Supposto che i costruttori lacustri costruis- sero il piano delle loro abitazioni appena superiormente al pelo dell’acqua nella mas- sima magra, la piena le avrebbe inondate, o piuttosto inghiottite, supposto che la loro altezza non o dì poco superasse i 4m 20 come è da supporsi per capanne costruite da popolazioni ancora prossime allo stato selvaggio. Dovevasi dunque calcolare la lun- ghezza dei pali in guisa che, quantunque infissi a profondità sì considerevoli quali le attesta l’ esperienza , emergessero sufficientemente dall’ acqua durante la piena, e tenuto calcolo dell’ altezza almeno ordinaria delle onde sotto 1° azione di forti venti. (2) L’effetto delle alluvioni tendenti ad ostruire un emuntario qualunque, come é il caso pel lago di Como, deve essere quello naturalmente di un rialzo di livello nel bacino da cui dipende 1’ emuntorio stesso. L'idea che il lago di Como siasi per questa ragione rialzato può anche trovare appoggio ne” fatti, che certamente, per dirne uno, l’antichissima Como non avrebbe gettate le sue fondamenta sotto il livello delle piene, dalle quali fu appena recentemente nè certo a perpetuità sottratta colle grandi opere intraprese dopo la piena straordinaria del 1829. Ciò aggiunge probabilità alla mia opinione che Ja palafitta del Pescherino non sia che il porte costrutto in prossimità del lido, e renderebbe perciò difficile assai 1’ esplorazione e lo scavo delle stazioni la- custri che si scoprissero sul fondo del lago di Como. Ma intanto si guadagnerebbe un dato di più, come mi espressi, per calcolare i cambiamenti avvenuti nei nostri laghi, e cavarne applicazioni alla geologia. 11 162 A. STOPPANI, le costruzioni lacustri, la cui presenza è già abbastanza attestata da- gli oggetti dell'età della pietra già rinvenuti nelle torbiere che ri- colmarono in parte il seno più spinto ad Est tra Bosisio e Pusiano (4). Ma la disdetta non fu completa. Sapendo che le isole erano tra le stazioni prescelte dagli antichi abitatori lacustri, mi feci traghettare direttamente alla nota isoletta che verdeggia poco lungi da Pusiano. È uno scoglio di calcare marnoso cretaceo , rivestito di scarso ter- riccio, Il lago è così profondo tutto all’ingiro e sono così ripide le sponde, che aveva omai lasciata ogni speranza. Ma sulla estremità nord lo scoglio offre sott'acqua un prolungamento di assai mediocre esten- sione: la sua superficie era quasi interamente coperta da ciottoli di varia dimensione , quali vi sarebbero gettati da mano d'uomo. per produrvi una colmata, nè tardai a scorgervi dei monconi, sporgenti pochi centimetri dal sasseto e dal fango, dei quali. non contai che forse una dozzina. | più vicini al lido non ne distavano che 2 0 3 metri, i più lontani 6 o 7, e la loro profondità non era che 0.", 50 ad 4,° 50. Nulla infine di più concorde colle palafitte dell’epoca della selce. Mi diedi ad esplorare il lido, dove gli antichissimi abitatori di quella miserabile stazione sedevano un giorno allestendo le reti e le armi, e sovra un’area di forse cinquanta passi che guarda la pala- fitta, trovai il lido seminato di scheggie di selce rossa o bionda, una delle quali offre ben distinta la forma di una freccia abbozzata , e l’altra un frammento di una sega a due tagli della forma stessa di quelle ch’ io vidi abbondare nelle collezioni di antichità lacustri nella Svizzera. Le sono ben povere cose e devono far stringere le labbra e crollare Ja testa a chi non siasi almeno una volta familiarizzato con tali aborti dell’umana industria ; ma all’occhio di chi abbia una sol volta avuto l’ opportunità, non dirò di ammirare una delle tante col- lezioni frutto di soli otto o nove anni di appassionate ricerche sui fondi de’ laghi svizzeri, ma solo di esaminare attentamente il mira- (1) Tali oggetti da me osservati in parte presso il signor Cesati e in parte presso il R. Giuseppe Fumeo paroco di Bosisio, sgraziatamente ora defunto, e che aveva preso il più vivo interesse a questo genere di ricerche, sono diverse freccie di selce di lavoro squisitissimo, un coltello pure di selce, una pallottola di serpentino traforata , diversi frutti, mandibole di cane. ed altri ossami, ec. ABITAZIONI LACUSTRI DELLA LOMBARDIA 1653 bile magistero di una semplice freccia di selce, deve anche qui ap- parire la mano guidata da quella intelligenza, che si rileva ugual- mente nella superba città, come nell’ umile palafitta, in un cameo di inaprezzabile valore, come in una scheggia spiccata da un morsello di selce. Oltre le selci non trovai su quella piazzetta che un grosso dente di cervo, ma ripetute indagini saranno coronate certamente da più brillante successo. Mi meraviglio io stesso d'aver fatto per così poca cosa una così lunga cicalata; ma, se ciò mi può valere a scusa, terminerò come ho cominciato. Lo scopo delle nostre perlustrazioni non era di far mostra, ritornando, di antichità lacustri, ma di constatare un fatto di somma importanza per la scienza, e l'abbiamo constatato. Le abita- zioni lacustri dell'età della pietra e dell’età del bronzo esistono del pari sui due opposti versanti delle Alpi (1). Troppo di leggeri si com- prende di quale importanza sia questo semplice fatto per rifare la perduta istoria della umanità. Un nuovo campo intanto è aperto, nè vorrem noi esser: da meno degli scienziati stranieri che ci hanno pre. ceduto sulla gloriosa via. Non lascierò quindi, anche in quest’ oggi, . di esprimere caldissimo il voto già da me espresso nella precedente tornata e ripetuto dal sig. Mortillet nel già lodato articolo dell’Ztalie che i cercatori delle antichità lacustri muovano quindi innanzi sotto gli auspicj della «Società italiana di scienze naturali la quale pro- movendo la scienza intende per sua parte di assicurare quanto vi può essere di utile e di glorioso al paese. (4) I lavori militari circa Ia fortezza di Peschiera hanno recentemente rivelato le abitazioni lacustri all'estremità meridionale del lago di Garda. Lacoressco- Tnt LE SPORE COME CAUSA DI MALATTIA NEL BACO DA SETA RICERCHE C. RONDANI x G. PASSERINI PARTE PRIMA (Seduta del 31 maggio 1863.) L'esame microscopico dell'umore estratto dalle ova del baco serico ed allungato con un po’ d’acqua stillata , se venga istituito cogli ingrandimenti superiori ai 800 diametri, ne appalesa un gran numero di globetti di varia grandezza, trasparenti nel mezzo e cinti da un margine bruno più o meno largo; insieme ad altri molti assai più minuti, non trasparenti ed oscillanti nel liquido un po’ torbido e poco o punto colorato. Mescolati a siffatti globuli non è poi raro di vedere de’ corpuscoli ben diversi nella forma , che suol essere più o meno ovale ed allungata ; i quali saltano al- l'occhio per la loro uniforme bianchezza e trasparenza. Questi ul- timi però non incontransi che nelle ova provenienti da farfalle ammalate, ed invano si cercano nella semente de’ bachi sani; onde la loro mancanza o presenza negli umori si ritiene come contrassegno delle ova sane od infelte; ed il dottor Osimo che primo ve li cercò e li rinvenne avrebbe fornito un prezioso criterio alla pratica bacologica. Gli stessi corpuscoli si rinvengono pure nel sangue, negli. altri umori e ne’ varii organi e tessuti del baco ammalato in tutti quanti i periodi della sua vita; e perciò la loro comparsa ed il loro nu- mero diviene indizio e misura della malattia dell'animale. C. RONDANI E G. PaSSERINI, LE SPORF, EC. 165 Conosciuto questo carattere costante della malattia del filugello , bacologi e naturalisti rivolsero i loro studi ad indagare la natura di essi corpuscoli, e cercarono sopratutto di stabilire come si tro- vino negli umori del baco, e se debbansi considerare come causa od effetto «el male. Molte furono ed assai diverse le opinioni emesse a tale proposito, alcune delle quali avvalorate da importanti e giudiziose osserva- zioni; e fra queste primeggiano sicuramente quelle del Lebert e del Ciccone: ma nell’esporre le nostre nuove idee sull’istesso argomento non crediamo utile di trattenerci a combattere quelle degli altri, poichè se venga per avventura provato che la nostra opinione si fonda sopra solide basi, resteranno di necessità escluse le altre teo- rie; ed in caso contrario poco varrebbe l’averle confutate quando nulla di vero od almeno di più probabile si avesse a sostituirvi. Essendoci persuasi con molte e ripetute osservazioni esistere una straordinaria analogia fra i corpuscoli ovali del baco e le spore di non poche piante crittogame (1), nacque in noi il primo pensiero che le une e gli altri non fossero che una sola e medesima cosa, od altrimenti, che i corpuscoli ovali del baco fossero semplicemente spore di crittogame penetrate nel suo corpo e passate in seguito nella crisalide, nella farfalla e finalmente nelle ova. (2) {1) Non estimando necessario in questo scritto il rigore della nomenclatura botanica, comprendiamo sotto il nome di spore anche le sporule ed conidii di varii miceti. (2) Questa opinione fu dapprima esposta dagli stessi Autori nella seguente Nota pub- blicata nella Gazzetta di Parma, num. 69, che qui si crede utile di riprodurre perchè in istretta relazione con la presente Memoria. « Sulla causa della malallia dominante nel baco da seta. Ricerche dei professori 6. Rondani e G. Passerini, lette nell’Adunanza della Giunta del Comizio Agrario Parmense la sera del 24 marzo 41863. » Fino dall’anno 4860 l’insigne bacologo prof. E. Cornalia nutò con sorpresa una meravigliosa somiglianza dei corpuscoli ovali soliti a trovarsi nei varii umori, e per- sino nelle uova del baco malato, colle spore (a) di una muffa cresciuta a caso sulcadavere di un baco morto per atrofia. Questa isolata ma importantissima osservazione mosse uno di noi a confrontare le spore ed i conidii (b) di svariate piante crittegame coi (a) Organi riproduttori o semi delle piante criltogame, tormantisi col concorso di appositi apparati di riproduzione. (5) Spore secondarie che-si formano in varie piante crittogame, per opera soltanto degli or- gani di vegetazione. 166 C. RONDANI E 6. PASSERINI, Un considerevole numero di spore da noi studiate col microscopio combina coi corpuscoli ‘ovali ne’ principali caratteri, tali che il co- lore, la trasparenza, il poter rifrangente, il peso maggiore del- acqua, la facoltà di resistere all’azione degli acidi minerali non troppo concentrati, il leggero coloramento in giallo-bruno colla tin- tura jodurata di jodio, la nessuna impressionabilità dall’alcool e dal- l‘etere, e persino il leggero moto oscillatorio. E quando la forma e la mole sono quelle stesse di corpuscoli ovali, la somiglianza ap- pare così perfetta che non resta più modo di distinguere questi da certe spore e' da certi conidii, Quando si osservano questi seminali corpuscoli ovali del baco infermo, e riscontrò in numerosi casi tali e tante analogie che non di rado parevano confinare coll’identità » In seguito occupandoci entrambi di somiglianti confronti ci siamo trovati sovente nell’impossibilità di distinguere certe spore dai corpuscoli predetti, e fummo indotti quindi ad ammettere che questi altro non sieno che quelle introdotte dall’ esterno nell'organismo del baco, sul quale agirebbero come causa nociva. » Questa idea, ammessa in prima come una semplice ipotesi, acquistava colle ulte- riori ricerche maggiori caratteri di verità; poichè, oltre all’aver trovato anche su foglie di gelso (sane d'altronde e non attaccate da alcun parassito) delle spore iden- tiche nell’ aspetto ai corpuscoli in discorso, ciò che accenna ad.una delle principali vie di loro introduzione nel corpo del baco, non abbiamo finora incontrato alcun fatto abbastanza certo che con essa non si concilii, od anzi non le valga di appog- gio; e tutti i fenomeni che presenta la malattia del filugello ne’diversi stati di larva di crisalide e di farfalla, trovano in essa, a quanto ne pare ,’la loro spiegazione. » Tracciata questa via alle nostre osservazioni ed ai nostri ragionamenti fummo innoltre indotti a sospettare che oltre l’atrofia ed il calcino, pel quale ultimo il fatto è dimostrato, anche altre malattié del baco possano essere prodotte da spore di crittogame; col quale supposto non è difficile spiegarne i caratteri e le differenze. » Eravamo già fermi in questo nostro concetto, allorehé venimmo a conoscere il * metodo curativo dell’atrofia sperimentato dal Dott. Polli, il qual metodo essendo quasi una conferma delle nostre idee, e queste mostrando forse alla loro volta la razionalità di quello, ne parve non solo di poter bene augurare dell’ industria serica, ma baleno pure alla mente l’idea dell'importanza immensa che la nostra ipotesi, una volta con- fermata, potrebbe acquistare, se valesse per avventura all’ interpretazione di certe malattie tuttora misteriose che affligono gli animali maggiori, arricchendo la patologia generale di un nuovo fatto, che la porrebbe sopra una via di ricerche affatto nuova, e forse con incalcolabile vantaggio della medicina curativa. » Per tali e somiglianti riflessioni ci siamo determinati a render pubbliche Je nostre idee sulle malattie del filugello, anche prima di aver loro dato quello sviluppo di cui ne sembrano suscetlive, nell’intenio specialmente di chiamare l’attenzione degli scien- LE SPORE COME CAUSA DI MALATTIA NEL BACO DA SETA 167 entro una goccia d'acqua stillata appajono veramente un po’ più ia- lini e bianchicci, ma se si mescolino al contenuto nelle ova di baco, anche queste differenze minime scompajono, e l'occhio più esercitato ne rimane ingannato; come più volte abbiamo provato colle sporule di un ifomicete che infestava lo scorso anno le foglie delle rose selvatiche. Nelle molte osservazioni istituite in questa primavera e durante l'inverno sulle ova di bachi, abbiamo potuto rilevare che i corpu- scoli di forma allungata nuotanti ne’ loro umori non sono tutti uguali; e sebbene il maggior numero offra una certa uguaglianza di forma, di grandezza, di trasparenza , di colore ec. ve n’ha però di assai di- ziati sull’importante argomento, e procurarcì così, mentre continueremo le nostre indagini, il concorso degli studi e delle osservazioni altrui, per meglio fondare od, altrimenti, abbattere il nostro edifizio. » Ecco i punti principali di quella che noi chiameremmo: Nuova leoria sulle ma- lattie del baco da seta. » Varie malattie del bombice del gelso riconoscono come lor causa principale l’in- troduzione di spore o di conidii di piante crittogame nel corpo dell’animale. » Le differenze de’caralteri e dell’andamento ne’ varii morbi dipenderebbero : 1.° Dalla differenza delle specie e delle proprietà delle spore, I 2.° Dalla diversa quantità di esse che venga ad introdursi, 3.° Dall’ epoca di loro introduzione, 4.° Dal concorso e dalla concomitanza di altre cagioni. » Le spore entrano o possono entrare nel corpo del baco per la bocca insieme al- l’alimento, o per le trachee a gli esteriori tegumenti. Entrate per queste vie si dif- fondono ne’ diversi organi esercitando in vario modo un’azione morbifica. 1.° Germogliando e sviluppandosi nelle parti stesse sulle quali vanno a fermarsi, 2.° Oppure accumulandosì in organi diversi, 3.0 O finalmente col mescolarsi agli umori e circolare insieme con essi. » Nel primo caso riescono fatali per l’azione mecanica che esercitano coll’ espandere il loro micelio (a) negli umori e ne?’ tessuti, e per l’azione chimica della vegetazione che si compie a spese dell’ organismo animale. » Nel secondo deformano gli organi, o ne alterano o sospendano le funzioni colla semplice loro presenza come corpi estranei. » Nel terzo, agendo forse come fermenti, mutano la crasi degli umori e li rendono incapaci di servire agli usi fisiologici ai quali sono destinati » Se il parere dei dotti non ci dissuada ci proponiamo, compatibilmente col tempo e coi mezzì di euiì potremo disporre, di sviluppare il concetto qui di volo enunciato. » (a) Quel complesso di fili esilissimi e variamente intrecciati che costituisce gli organi di ve- getazione nelle muffe ed in molti altri funghi. S 168 C, RONDANI E G, PASSERINIy stinti, così pel volume maggiore o minore come per la forma più allungata e persino cilindrica. Considerando noi questi corpuscoli come seminuli di crittogame, dobbiamo conchiudere che non una sola ma diverse specie di spore ponno penetrare nel corpo dell’ in- setto, benchè forse non tutte, ma quelle soltanto che sogliono in- contrarsi più numerose e costanti siano da ritenersi come causa della malattia dominante, senza per altro escludere che non possano le altre aggravare il male od anche produrlo ogni qual volta si trovino in maggior quantità. Le osservazioni stesse poi ci hanno condotto anche a ritenere che, oltre alle spore oblunghe, debbano pure tro- varsi negli umori e nelle ova del baco anche delle spore rotonde, le quali, parlando specialmente delle ova, non è finora possibile di- stinguere con certezza dai globuli vitellini o da quelli di grasso, es- sendo troppo lieve e dubbio carattere una peculiare. trasparenza di eerti globetti che veggonsi sotto al miscroscopio allo stesso livello de'corpi ovali, e che, trattati colla tintura jodurata di jodo , si mo- strano nucleati al pari di varie spore di simil forma. È chiaro che, se negli umori del baco introduconsi spore ovali, ne devono pure entrare delle sferiche; e perciò l'esame microscopico delle ova non fornirà mai un criterio sicuro per distinguere le sane dalle infette, finchè oltre ai seminuli ovali, come finora soltanto si è fatto, non si sia in grado di riconoscere anche i rotondi , e perciò verificarne od escluderne la presenza. In ciò troviamo una delle cause precipue del disaccordo non raramente avveratosi tra il giu- dizio microscopico di un seme non infetto e l'esito dell’ allevamento dei bachi che ne nacquero; ma di ciò dovremo altrove e più diffusa- mente occuparci, Sanno tutti, sebbene se ne ignori la causa, che dura da diversi anni uno sviluppo straordinario di miceti infestissimi a molte piante tanto spontanee che coltivate, e che la malattia del filugello si è largamente diffusa contemporaneamente o successivamente al molti- plicarsi di quelli, cosicchè moltissimi dotti e non dotti hanno cre- duto e credono, debba esistere un intimo rapporto fra lo estendersi delle crittogame parassite e quello dell’atrofia; ma il nesso tra que- sti fatti non è possibile a trovarsi se non accettando la nostra opi- LE SPORE COME CAUSA DI MALATTIA NEL BACO DA SETA 10609 nione, la quale ci spiega l'incremento della malattia del baco col numero straordinario ed eccessivo delle spore, avente un necessario rapporto con quello delle specie e degli individui che le sommini- strano. È noto ormai generalmente che i bachi nati da buona semente, portata da luoghi ove peranco la malattia non domina, ammalano più o meno da noi nel corso del loro allevamento; come per l op- posto si sarebbe osservato che bachi nati da semente non sana, ma allevati in luoghi immuni dall’infezione, avrebbero percorsi senza gravi accidenti tutti gli stadj del loro sviluppo. ll male adunque non è tutto e soltanto nella semente, ma bensì procede in gran parte dai mezzi coi quali l’animale è posto in diretto rapporto, 1’ alimento cioè, l'atmosfera, l'abitazione, ec. i quali, secondochè sono contami- nati o no da seminuli di crittogame, ponno diventare cagione di sa- lute o di malattia pel baco. E qui si noti che, sebbene noi siamo per- suasi che la foglia del gelso può essere in molti casi il veicolo del prineipio infezioso, ciò non. vuol dire che essa sia affetta a somi- glianza della vite e di tanti altri vegetali da una criltogama paras- sita. Il prodigioso numero delle spore che l’aria atmosferica può staccare dalle tante crittogame che a’ dì nostri infestano le cam- pagne, bastano a contaminare anche la foglia del gelso, senza che una data specie le produca direttamente su di essa ; il che se pur fosse, o venisse da un giorno all’altro a scoprirsi, non istarebbe che a confermare vieppiù la nostra opinione. Ma questi seminuli immensamente moltiplicati e diffusi per l’aria, se offendono il baco domestico, nuoceranno ugualmente ad altri bachi e ad altri animali almeno della stessa classe, viventi ne’ campi e ne’ boschi, e la nostra opinione scemerebbe di valore quando quello del baco da seta rimanesse un fatto isolato, e non se ne eo- noscessero altri comprovanti l’ azione morbifica delle spore sovra altri esseri animali. Già da parecchi anni sonosi avveduli gli entomologi della scar- sezza assai grande di alcuni generi di insetti, ed uno di noi ha più volte notato che alcune specie, solite a comparire in cerle stagioni , in dati luoghi e su fiori speciali in gran numero d’individui, sono 170 C. RONDANI E G. PASSERINI, da qualche tempo scarsissimi o mancano affatto. È stato inoltre 0s- servato anche da chi non è entomologo, che diversi generi di mo- sche andarono soggetti ad una grande mortalità, massime nella sta- gione autunnale (1), ed è cosa conosciuta e provata che questi in- setti sono uccisi dallo svilupparsi nel loro interno organismo di una specie di micete le cui spore si introduranno necessariamente dal- l'esterno cogli alimenti od in altra guisa. Di più abbiamo diverse volte raccolto delle femmine di bombici selvatici, ed alcune in par- ticolar modo della specie comunissima del salice (Zyparis dispar) affette decisamente da idropisia come le femmine ammalate del bombice del gelso. Ma il fatto più importante e più decisivo è quello da noi veduto nell’anno scorso. Una sorprendente quantità di bruchi di una farfalla polifaga ( Amphydasis alpinaria) divorava i talli dell’ erba spagna rinascente dopo la prima falciatura, e, cercando noi di allevarne in casa per ottenere le farfalle, non ne fu dato, su varie centinaja raccolte in più volte, di salvarne che un individuo solo, il quale potè trasformarsi in crisalide che ne diede la farfalla nello scorso marzo; ma gli altri tutti perirono coi sintomi non equivoci dell’atro- fia. non escluse le petecchie, che si potevano in molti distinguere con certezza dai punti neri normali della loro cute. Nè sorte di- versa toccò a quelli che rimasero ne' prati, ove quasi tutti perirono prima di trasformarsi, come ne facevan fede i cadaveri anneriti od in isfacelo sparsi a migliaja sul terreno. Dal complesso de’ quali fatti si deve argomentare che una causa morbifera unica agisce ugualmente sugli insetti domestici e sui sel- vatici, e che la malattia del filugello non è quindi prodotta da una degenerazione della razza, e nemmeno occorre attribuirla ad una condizione speciale della foglia del gelso, mentre colla nostra opi- nione il tutto rimane spiegato. Importa quì di osservare che molti generi d’ insetti possono non patir nocumento dall’eccessiva moltiplicazione delle spore, ed anzichè scemare di numero, per ispeciali condizioni favorevoli al loro svi- 4) Musca domestita L., Antomya canicularis L., Stomoxys calcitrans L., ted altre. LE SPORE COME CAUSA DI MALATTIA NEL BACO DA SETA 171 luppo, potrebbero invece maggiormente moltiplicarsi; non essendo ammissibile che spore o conidii invadano le specie acquatiche, 0 quelle che vivono nell’ interno delle piante, nel terreno, nelle so- stanze organiche in decomposizione, ec.; e poco facilmente potranno essere offese quelle che succhiano col mezzo di un rostro gli umori interni dei vegetali, come pure le zoofaghe, ec.; ma di ciò basti per ora. Che le spore di certi miceti possano introdursi e diffondersi nel- l'organismo animale non potrà da alcuno mettersi in dubbio dopo le decisive osservazioni del Vittadini sulla Zotritis Lassiana che pro- duce il calcino, e dopo che sonosi veduti de’ fatti analoghi in larve selvatiche attaccate da varie specie del genere Zsaria ; ed anche in insetti perfetti, nell'interno de’ quali si sviluppano e vegetano alcune crittogame divenendo causa di malattia e di morte. Veramente sembrerà potersi opporre, che, trattandosi dì muffe od altri miceti vegetanti nell’ interno degli animali, si comprende come possa venirne nocumento ; ma ciò non può dirsi nel caso nostro, nel quale, per quanto finora si conosca, non hassi vegetazione di sorta. La quale obbiezione non ne sembra di molto peso, considerando che, anche senza svilupparsi, possono i seminuli delle crittogame alterare gli organi e turbarne in varii modi le funzioni. Il Cornalia, il Ciccone, il Quatrefages ed altri hanno fatto cono- scere che sopra diverse parti interne del baco ammalato si osser- vano delle concrezioni e delle escrescenze, che col mezzo del micro- scopio si appalesano formate quasi per intero di corpuscoli ovali, e questi essendo da noi considerati come spore, ci riesce facile di scoprire la genesi di siffatte morbose produzioni coll’ accumulamento locale delle medesime, e la gravezza del male che ne consegue sarà naturalmente in ragione dell’ importanza dell’ organo sul quale si fermano e dell’entità dell’alterazione che vi possono recare. Inoltre è provato all’evidenza dagli argomenti e dalle sperienze del Ciccone che le petecchie del baco sono prodotte dalla materia colorante de- positata dal sangue che si arresta ed accumula in dati punti; ma non si è ancora spiegato in qual modo, e per quale cagione, av- venga un simile arresto. Intorno al quale proposito sembra proba- 172 C. RONDANI E GC. PASSERINI, bile a noi, che, ammessa l’introduzione e diffusione de'seminuli ne!- l'interno del baco, possano essi portarsi anche ne’ tessuti sottocu- tanei, e qui, arrestandosi, cagionare colla compressione od altrimenti de’ parziali ristagni sanguigni, che si fanno strada verso l’ esterno, e si rendono visibili sotto la forma di que’ punti o macchie nericce accompagnanti l’atrofia. Che la causa della stasi sanguigna abbia sua sede sotto la cute e si mantenga sempre nello stesso punto, è posto fuori di dubbio dalle mute della pelle che succedono nel baco, nelle quali il nuovo tegu- mento che si forma sotto l’antico non offre alcun indizio di macchie al suo primo comparire, ma poco tempo scorre, e queste si mostrano nel punto medesimo delle prime. Egli è del pari agevole il dar ragione della morbosa influenza che esercitar possono le spore anche colla semplice loro presenza negli umori plastici del filugello. Senza parlare del posto che occupano a detrimento de’normali costi- tuenti degli umori, senza far calcolo della loro azione meccanica che può di leggeri anch'essa turbare i lavori della nutrizione, senza accor- dar loro una speciale potenza fermentativa, la semplice mescolanza di questi corpuscoli organizzati cogli umori del baco può sostanzialmente alterarli. È noto che le spore al pari delle sporule e de’ conidii sono cellule vegetali racchiudenti nella loro cavità un umore complesso, per opera del quale deve stabilirsi attraverso alla membrana cel- lulare un processo di endosmosi col liquido esterno, il quale verrà necessariamente modificato, sì per perdita di parte de’ suoi costi- tuenli, come per acquisto di nuovi ed insoliti; onde la salute del- l’animale verrà più o meno turbata in ragione del numero e della qualità delle spore che siffattamente agiscono sui liquidi di esso. Alla quale azione nociva delle spore per tal modo considerata s’in- tenderà come possa opporsi il solfito di soda sperimentato dal dottor Polli, ammettendo ch’esso ne arresti od impedisca appunto lo scambio endosmotico col liquido entro al quale nuotano. Simile credenza ne parrebbe confermata da un semplicissimo esperimento istituito con due eguali pezzetti di pane custoditi sotto campanette separate dopo averli ammollati l’uno in pura acqua di fonte, l’altro in una soluzione LE SPORE COME CAUSA DI MALATTIA NEL BACO DA SETA 175 di solfito di soda entro acqua. stillata. Sul primo comparvero ben tosto le solite specie di muffe, nell’ altro non è stato possibile ve- derne traccia nemmeno dopo lungo tempo; il che significa non avere in questo potuto germogliare le spore che dovevano trovar- visi come nell’altro, forse per essere divenute incapaci di trarre dal. l'esterno per endosmosi i materiali ond’hanno bisogno a quest’ uopo. Anche la qualità delle spore ha per noi un certo valore, dovendo a nostro avviso aver influenza sulla salute del baco la natura de’ ma- teriali contenuti nella loro cavità, e che devono in parte ricambiarsi col liquido entro cui nuotano; anzi crediamo che per questo lato sianvi delle spore nocive e delle innocue, almeno rispetto a diverse specie di animali, ciò che può anche desumersi dal singolarissimo fatto che una sola specie o qualità di spore è finora conosciuta (quelle del Merulius lacrymans) capace di far ammalare e condurre anche a morte l’uomo (1), mentre è continuamente circondato da un’atmo- sfera invasa da un numero incalcolabile di spore di ogni genere e specie senza provarne nocumento. Non ci saremmo occupati della seguente opposizione alla nostra teoria se non ci fosse stata già espressa. Si domanda come mai una malattia di nuova data possa essere prodotta da spore di crittogame che devono aver sempre esistito. La quale quistione si fonda sopra un errore e sopra un fatto poco preciso. L’ errore sta in ciò che il male di cui oggi si lamentano i danni non è, come si vorrebbe credere, comparso da poco tempo. Basta leggere qualche trattato anche antico sulle malattie del filu- gello per convincersi che le petecchie, 1’ annerimento , lo sfacelo e le altre morbose apparenze dell’atrofia si sono sempre osservate nelle nostre bigattiere, e perciò di questo morbo non è nuova che l’in- tensità e l’attuale estensione. È poi poco preciso il dire che le crit- togame hanno sempre esistito , dovendosi riconoscere almeno che prima dell’attuale colluvie crittogamica non potè esistere tanta copia di spore come al presente, la quale appunto ci rende ragione della nuova ed insolita estensione acquistata dal morbo da esse prodotto; (4) Giornale di Hufeland, vol. 62 n.° VI pag:-3. 174 €. RONDANI E G. PASSERINI, LE SPORE, EC. ciò che, invece di combattere, conferma anzi maggiormente la nostra teoria. Altre quistioni ponno essere sollevate, altre difficoltà si opporranno forse alla spiegazione dei fatti colle nostre idee; ma per ora ci basta di averne sciolte alcune, e di aver fatto conoscere le osservazioni ed i ragionamenti che ci persuasero ad abbracciare l’ esposta opi- nione intorno alla causa della malattia dominante del filugello. Parma, d maggio 1863. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE IN BRA DAI FRATELLI CRAVERI. NELL'ANNO 1862. (Seduta del 51 maggio 1863.) La città di Bra capo luogo di mandamento della provincia d'Alba, trovasi nella latitudine 44° 41' 48” N. Longitudine 0° 09° b5' E, dal meridiano di Torino (1). La declinazione dell’ago magnetico era in gennajo 1862 N. 14° 0, La ciltà occupa i piedi delle colline plioceniche, che partendo dall’ Astiggiana sono fiancheggiate al S. E. dal fiume Tanaro: giunte in Bra, ove terminano, formano un angolo, contando come uno dei lati, Ja vallata stessa del Tanaro, mentre l’altro lato serpeggiando verso il Nord va a confondersi coi colli di Moncalier che guardano, Torino. Il fiume Tanaro occupa attualmente un letto assai ristretto, se pa- ragonasi alla spaziosa vallata in cui scorre, vallata che non può meno di far nascere in chi l’ osserva l’idea, che in remoti tempi dovesse essere l’alveo d’ un gigantesco, fiume. Ubertose campagne, orti e boschi, tra mezzo ai quali si scorgono le rovine dell’antica Pollenzo, ed il Castello Reale col suo bellissimo parco , formano di questa valle un paesaggio de’ più pittoreschi. Confluisce. nella precedente vallata quella percorsa dal fiume Stura, il quale girando sotto Che- rasco taglia il meridiano di Bra alla distanza di tre chilometri, e (1) Questi dati sono quelli che corrispondono al punto del nostro osservatorio meteo- rologico, e sono copiati dalla bellissima carta degli Stati Sardi in terra ferma colla palla, di 41! scala di £',0000 Da 7 osservazioni d'altezza meridiana solare da noi prese col restante ad orizzonte artificiale, la fatitudime sarebbe N. 44° 40” 367, 176 FRATELLI CRAVERI, va riunirsi col Tanaro vicino a Pollenzo; e gli abitanti di Bra che dai loro poggi coperti di vigneti, vedono come in un panorama quelle vallate, godono il diletto d’una vista’ pittoresca senza soffrire l'inconveniente d’un’aria umida e pregna di febbri intermittenti, flagello che da que’ siti bassi estendesi talora persino sulle vette delle colline che specchiansi nelle acque dei due fiumi. Colui che da Bra volta le spalle al Nord, vede partendo dal me- ridiano insino al suo N. 0. un magnifico arco formato dalle Alpi, e sulla precisa linea dall’ O. inalzarsi una punta gigantesca frasta- gliata e sempre bianca di neve che è il Monte Viso. Le pianure che separano lo spettatore dalle Alpi, seminate di città di villaggi , irri- gate dal Po e da altre fiumane, coperte or da boschi, or da fertili campi, s'assomiglian nel loro complesso, al bacino d’un mare interiore. AI Nord della città trovasi la collina Braidese, la quale non è molto elevata misurando appena 92 metri dal punto più basso della città sino ad una delle vette più apparenti, ove esiste un casino circolare denominato la Zizzola. Da questo punto un magnifico panorama si stende dinnanzi allo spettatore, ai suoi piedi la città, al Sud e all’Est le vallate già descritte del Tanaro e Stura, i colli delle Langhe e le prime vette dell’ Appennino; dal Sud sino, al N. O. le pianure del Piemonte dominate dalle Alpi, e finalmente al Nord una serie di colli, i quali colle loro molteplici vette che si rassomigliano ai cavalloni d'un mare in burrasca, vanno confondersi coi colli di Superga, men- tre ad un lato di questa, precisamente sulla linea meridiana, si scopre la cima del monte Rosa. I primi abitanti dell’antica Braida costrussero i loro casolari nei ripieghi delle falde della collina; ma nel crescere della popolazione, i caseggiali invasero il piano, e ne risultò quell’area urbana tanto comune nelle città e villaggi d’Italia, colle vie mezze piane e mezze inclinate. Come vedesi la situazione di Bra deve contarsi fra le più felici per ciò che ha relazione colla salubrità del clima e colla bel- lezza del sito, prerogative che vengono sanzionate appieno da tutti i forestieri che visitano questo paese. Verso il limite Nord della città ed elevata 23 metri dal punto più basso della medesima trovasi la dimora dei fratelli Craveri, ove si È Termini medii delle osservazioni meteorologiche fatte in Bra alle ore 10 del mattino, durante l'anno 1862 all'osservatorio della casa Craveri, elevato metri 285 dal livello del mare, coll’aggiunta di alcune delle osservazioni fatte in Torino quasi all’ istess’ ora onde facilitare è paragoni. Ni a) (3) (4) (3) (6) (n (8) (9) (10) (44) (12) É Temperatura | Temperatura { Temperatura Termometro Barometro Bazoma teo Termometro PRIGIOIESIA PAMIaGeTO Altezza Giorni VENTI È LORO DIREZIONE NEL SOFFIARE £ ® minima in minima in massima in {del barometro in Bra in Torino del barometro in Bra in Bra della neve in cui E 3 Bra Torino Bra in gra in Torino in Bra appari il I numeri indicano centimetri cubici di miglio gettati E © Termine medio] Termine medio];Termine medio|Termine mediofTermine mediofTermine medio {Termine medio | Termine mediof Acqua della Sole dall’anemometro. Ogni centimetro cubico corrisponde Ei S | d'ogni mese | d’ogni mese | d'ogni mese f d’ogni mese { d’ogni mese { d’ogni mese { d'ogni mese | d'ogni mese | pioggia e neve in Bra a 7 giri all’ incirea del molinello. R | Centigrado Centigrado Centigrado Centigrado Millimetri Millimetri Centigrado Centimetri Centimetri Gennajo. . . + — 3,844 — 5,093 3,552 6,476 735,538 737,281 — 0,339 0,940 4,50 34 { 24 È Febbrajo eco 0 maz — 14,555 6,620 8,258 737,943 738,329 3,646 2 4,745 Marzo . . . . 4,924 5,082 43,000 42,597 735,245 735,278 410,658 68,874 41,698 Aprile... + » 8,866 40,276 24,552 16,464 738,350 739,543 417,970 60,074 7,945 Maggio . . . 42,355 13,532 25,653 419,164 738,060 739,421 21,010 55,322 5,550 Giugno . . . 44,925 15,553 32,185 24,664 736,282 737,324 24,790 50,344 5,740 Luglio... .- . 418,032 18,890 33,878 25,434 739,348 740,834 27,826 39,500 4,000 Agosto. .. . . 46,448 417,271 30,066 23,350 737,840 739,073 25,519 48,780 4,004 Settembre. . . 13,732 414,730 22,461 48,923 739,227 740,682 19,900 72.250 416,100 Ottobre . . . 10,560 14,458 47,508 744,440 744,374 15,854 74,254 14,785 Novembre . . 5,094 6,223 44,900 734,656 734,766 9,026 84,400 29,290 Dicembre. . . —_ 2,481 — 1,743 8,677 744,246 744,222 2,550 60,774 2,080 eric Pet RS I I | ic a nà] 8,160 8,748 15,828 737,909 738,749 15,867 97,841 60,50 2044 | 4544 T. medio T. medio T. medio T. medio T. medio T. medio T. medio Totale Totale . VIE, x : È dell’anno dell’anno dell’ anno dell’anno dell’anno dell’anno dell’anno Ni FE Dry gi La A i POI N LOC STA Si ; » 1% , j w ;i fn HD qui alt salsa poeti: fait Pe, # + \ srcmmmmemzszzi rriov este =t= atti ara LISTTRI verano © pe n8a. avete EEICATE i pendio i TOT là entee 1,09801 RI YI90E RO i bear Di dif odns’Uah ca x ma: cibarsi Tsi Vu n osnmo'Htab , NI PI Ù ; È 3 , i Vi } A I Gi 4 Ci IN sM s i Ugg { È Ti ba ur, x ' 7 fi] OSSERVAZIONI METEREOLOGICHE 177 conservano varii oggetti, componenti tutti assieme un piccolo gabi- netto zoologico e mineralogico, raccolta già incominciata dal nostro genitore, e da noi aumentata. Sul culmine di detta casa esiste un terrazzino che venne da noi destinato all’uso di osservatorio meteorologico. «Or son due anni incominciammo ad osservare e notare le. varia- zioni d'un buon barometro, unitamente alla temperatura massima e minima, però queste osservazioni erano troppo imperfette, e non servirono che ad assuefarci a tal genere di lavoro, laonde discusso fra noi il' sistema orario da seguire nelle future osservazioni, deci- simo di fare una sola osservazione nelle 24 ore, e scielsimo le ore 10 del mattino ; nel pensiero che queste osservazioni possano avere qualche interesse per coloro che si occupano di meteorologia, le presentiamo al vostro giudizio , trascrivendone però soltanto i dati medii, parendoci opera troppo lunga ed inutile, il ricopiare dal no- stro libro i dati giornalieri. Credemmo altresì che le nostre osservazioni potrebbero presentare maggiore interesse se venissero paragonate con quelle fatte in ‘Torino press’ a poco all’ istess’ era, cioè alle 9 del mattino. Per questo fine ci vediamo costretti di copiare le osservazioni Torinesi dalla Gaz- zetta ufficiale del Regno d' Italia; perchè se aspettassimo la pubbli- cazione che deve esserne fatta per cura dell’Accademia delle Scienze, non potressimo completare il nostro lavoro che nel finire dell’anno, cioè non dare il risultato del 62 che nel finire del 63. Abbiamo notato questa particolarità perchè siam persuasi che qualche piccolo errore s’introduce sempre in un giornale che copia quei dati, inoltre non sappiamo per qual motivo non si trovano in detto giornale i dati della temperatura massima, mentre sappiamo che quest’osservazione viene fatta sulla specola dell’Accademia delle Scienze. Non paragonammo i dati dell’anemometro di Torino con quelli del nostro, perchè questi due istromenti costrutti su principii affatto diversi non sono paragonabili, come spiegheremo più innanzi. Ecco frattanto lo specchio di tutte le osservazioni, sul quale da- remo le spiegazioni opportune (vedi la tabella in fine). 12 178 FRATELLI CRAVERI , Colonna N. 4. Si trovano facilmente nel commercio buoni termometri capaci d’indicare colla precisione e costanza necessaria la temperatura mi- nima delle 24 ore. Il nostro che ci servi durante l’anno scorso, fu costrutto dal signor Duroni e lo collocammo sul terrazzino in modo che i raggi solari non lo percuotano mai, riparandolo a tal uopo con un grosso tavolato dal lato dell’ est, mentre la parete che serve d’ap- poggio al termometro lo ripara dal rimanente del quadrante percorso dal sole. Una rete di filo di ferro Io preserva dalla grandine e questa rete a grosse maglie, essendo collocata ad una certa distanza dal- l’istromento, deve avere poco d'influenza per modificare la tempera- tura dell’ ambiente. Colonna N. 2. Paragonando i dati di questa colonna con quelli della precedente, si nota una piccola differenza nella benignità del freddo in favore di Torino; e sebbene in gennajo e. febbrajo appaja più fredda la temperatura di Torino , il contrario succede in dicembre, e vediamo già adesso nelle osservazioni del 65 che in Bra il termometro minimo in gennajo discende un po’ più che in Torino. Nell’ estate le notti Braidesi sono un po’ più fresche. Colonna N. 3. Soltantò coloro che sì occupano di osservazioni, sanno le difficoltà che s'incontrano nel nostro paese, in trovare buoni termometri mas- sima. Il nostro di cattiva costruzione si guastò verso la metà del mese di ottobre, e tutte le nostre sollecitudini furono vane per pro- curarcene fosto un altro, Ora però abbiamo la soddisfazione di pos- sederne uno di costruzione per noi nuovissima, sortito dal labora- torio di M. Fastré in Parigi: non è che un mese che l’ adoperiamo ma basta già questo spazio di tempo per convincerci che 1’ istro- mento non sì guasterà .più coll’uso giornaliero che ne facciamo. Questa colonna imperfetta non ci permise di prendere il termine medio dell’anno. OSSERVAZIONI METEREOLOGICHE 179 Il termometro massima è collocato sul nostro osservatorio accanto al minima e trovasi nelle medesime circostanze climatologiche notate nella colonna N, 41. Colonne N. 4 e 3. DI ll barometro è quello di Gay-Lussac con montatura metallica. Ha servito in lunghi viaggi in America e lo consideriamo come in ot- timo stato. È collocato in una camera sotto il terrazzino alla distanza di 9 metri. Ogni mattina prima di fare l’ osservazione 1’ incliniamo in modo che il mercurio tocchi Ja parte superiore della camera ba- rometrica, avendo notato che l’ inerzia della colonna mercuriale non è vinta abbastanza dai piccoli urti delle dita coi quali si suol scuo- tere l’ istromento. Non abbiamo più tenuto conto del termometro libero dal momento in cui l’esperienza ci ha dimostrato che quando l’ istromento non si muove dal sito in cui è appeso, il termometro del barometro ha lo stesso guarismo del libero. Colonne N. 6 e 7. Coi dati di queste due colonne e con quelli delle due precedenti, abbiamo fatto il calcolo della differenza d’ altezza tra Bra e Torino, servendoci delle tavole di Oltmanns, e troviamo che il nostro baro- metro è collocato metri 7,87 più che quello di Torino; ora l'altezza assoluta di quell’osservatorio essendo metri 278, ne risulterebbe che l’altezza assoluta della nostra casa sarebbe metri 282,87. La specola di Torino s’innalza metri 44,50 dal piano del cortile dell’Accademia, dunque il nostro barometro sarebbe più alto dal suolo di Torino di metri 32,57. Ma il nostro barometro domina lo scalo della ferrovia Braidese di metri 27, secondo una livellazione barometrica eseguita l’ anno scorso, dunque lo scalo della nostra ferrovia, sarebbe più alto del cortile della R. Accademia delle scienze di Torino di metri 25. Tutti questi numeri delle altezze relative tra Bra e Torino, es- sendo il risultato della media d’un solo anno di osservazioni compa- rative, non rappresentano ancora quel grado d’ esattezza al quale speriamo ridurle colle osservazioni che ci proponiamo di proseguire. 480 FRATELLI CRAVERI, Colonna N. 8. Gl’igrometri sono istromenti che malamente si prestano a para- goni fra loro. Noi abbiamo il psicometro perfezionato da M." August, il quale viene osservato collocandolo ogni mattino sul terrazzo della casa, e quando piove notiamo 100. Non potemmo ottenere quell’istro- mento dal signor Duroni che verso la metà di febbrajo , motivo per cui non incominciammo a notare le osservazioni che al principio di marzo. Colonna N. 9. Il nostro pluviometro consta d'un recipiente di latta cilindrico, avente 357 millimetri di diametro, e 150 millimetri d’altezza ; aperto superiormente questo cilindro , ha il fondo alquanto conico con un foro nel centro, comunicante con un tubo di piombo, il quale porta l’acqua nella camera inferiore ove esiste il barometro. Il nostro scopo nell’adottare questo sistema si fu di evitarci la noja d’andare a misurare l’acqua sul terrazzo appena cessato di piovere, precau- zione indispensabile se l’ eudiometro aperto rimane esposto all’ eva- porazione. Dalle misure del diametro del cilindro risulta che l’acqua che vi cade dentro , arrivata ad un centimetro d’altezza (supponendo che il fondo non sia bucato e non conico ) , misurerebbe approssimativa- mente un litro; ogni litro adunque d’acqua che noi misuriamo abasso, corrisponde ad un centimetro d’altezza di pioggia. In questa colonna è compresa pure l’acqua prodotta dalla neve che cade nel cilindro pluviometrico e si fonde naturalmente. Il ter- razzo è alto dal piano del suolo delle vie metri 16. Avremmo collo- cato un'altro pluviometro sul suolo, ma non abbiamo uno spazio ab- bastanza libero. Colonna N. 412. ll nostro anemometro è un meccanismo che non venne eseguito con troppa perfezione, eccone la descrizione : sul terrazzo esiste una ban- deruola di latta, avente un'asta lunga abbastanza, perchè il suo perno OSSERVAZIONI METEREOLOGICHE 4184 ‘riposi sopra una tavola di marmo infissa orizzontalmente nel muro della camera inferiore alla distanza di 9 metri. La parte dell’asta che è esposta alle intemperie è di ferro, ma il rimanente che penetra nella casa è di legno con un canale nel suo interno ; lungo questo canale passa un filo metallico che va ad attaccarsi dietro la bande- ruola, ove esiste un molinello che funziona come un molino a vento, e dà al filo metallico un movimento che viene utilizzato nel modo seguente. Ad una piccola altezza dal perno dell’asta, attaccammo.a questa una ruota a palette, o meglio a cassette, la qual ruota gira entro un tamburro che rimane fisso e verticale ; questo tamburro ha un buco superiore nel quale entra del miglio contenuto in un imbuto, fisso nel tamburro stesso. Se Ja ruota gira, i suoi cassettini superiormente si empiono di miglio, ed arrivati al basso si vuotano, passando il miglio per un foro praticato al tamburro nella parte inferiore. Insomma questa ruota agisce come una piccola Noria. Un sistema di leve dà la spinta alla ruota per farla girare, e ad ogni rivoluzione che fa il molinello sul terrazzo, la ruota versa uno. de’ suoi cassettini pieno di miglio: ora siccome tutto questo meccanismo automata è attaccato all’asta della banderuola, quando questa gira nel perno, il sistema gira pure, ed il miglio va spandendosi nell’area d’un circolo, il quale diviso in otto segmenti da otto cassettini di latta orientati ai punti cardinali, indica nelle 24 ore la direzione del vento. La costanza di questo è indicata dalla quantità del miglio che esiste nei singoli cassettini, avendo l’esperienza indicato che ogni centimetro cubico di miglio gettato dalla ruota , corrisponde a 7 giri del molinello. Nel quadro notammo le quantità del miglio in centimetri cubici, corrispondenti ad ogni mese, come altresì le quantità corrispondenti ad ogni vento; se si volesse tradurre queste quantità in giri del mo- linello, converrebbe moltiplicare per 7. L’anemometro non si trovò in grado di funzionare che al primo d’aprile ed è perciò che notasi una lacuna nei mesi anteriori. Sin’ ora non abbiamo ancora potuto risolvere il problema di tro- vare un termine di paragone pel nostro anemometro. Il misurare la velocità del vento e fissare i giri che fa il molinello in quello spazio 182 FRATELLI CRAVERI, OSSERVAZIONI METEREOLOGICHE di tempo, non è cosa tanto facile, e noi sin’ora ci contentammo di graduare il molinello che incomincia a muoversi quando spira un vento sensibile cioè: quella meteora che siamo tutti d'accordo di no- minare vento. Quando poi non si sente che quel zefiro che appena fa muovere un fazzoletto sospeso per un angolo, il nostro molinello non gira ancora. L’anemometro dell’ osservatorio di Torino è una tavola mobile, verticale, annessa al di dietro della banderuola, che il vento spinge ed inclina d'una certa quantità. L’osservatore quattro volte al giorno, ad ore fisse, guarda e nota i gradi d’inclinazione di quella tavola nell'istante in cui l’osserva nonchè la direzione della banderuola. Dal sopra esposto emerge che l’anemometro di Torino ed il nostro non sono comparabili, epperciò non copiammo nel quadro le osser- vazioni fatte in quella città. Quantunque non possediamo la serie completa dei venti di tutto l’anno, tuttavia si nota che il vento dominante in Bra è l’ovest. Che il mese più ventoso fu ottobre e dopo questo maggio e giugno in cui dominarono i venti dall’est al sud. Termineremo quest’esposizione col notare che una scossa di terre- moto venne segnata dal sismoscopio il giorno 44 agosto alle 40 del mattino, direzione 5 40° 0, lunghezza dell’arco segnato 8 centimetri. Il sismoscopio ha un raggio lungo 2 metri. Altra scossa molto sensibile si sentì il 18 novembre alle 72- 14" mattino, ma fu assolutamente sussultoria, e non venne marcata dal sismoscopio. Bra, 20 aprile 1863. Feperico Cnaveri SULLA MALATTIA DEI BACHI DA SETA NELL'ANNO 1863 LETTERA PIETRO BUZZONI ANTONIO STOPPANI (Seduta del 31 maggio 1863.) La memoria che gli egregi soci Rondani e Passerini leggeranno nella prossima seduta della nostra Società, probabilmente porterà la discussione sull’attuale malattia dei bachi. Ebbene, se in tale occa- sione tu credi di poter communicare alla Società alcune mie osser- vazioni di questi giorni, te le mando, ed eccole. Infiniti esami al microscopio, numerose osservazioni su partite di bachi di molto varie provenienze in allevamento, quantità di notizie raccolte, m'hanno indotto nell'opinione che i gravi disastri che que- stanno si lamentano nelle coltivazioni dei bachi non siano imputa- bili alla solita e già nota atrofia 0 petecchia, ma ad una malattia di- versa, forse nuova, quantunque già fin dallo scorso anno da me va- gamente sospettata. Le ragioni su cui appoggio tale mia opinione sono principalmente le seguenti: 184 P. BUZZONI, 4. Perchè le stesse qualità di sementi educate in località ed in tempi diversi hanno dato prodotti dove o quando nulli, dove o quando abbondantissimi. — Le sementi invece affette in grado grave di atro- fia e come tali riconosciute al microscopio, negli anni passati hanno fallito dovunque e sempre. i 2. Perchè la vita dei bachi di quest'anno, generalmente (fuori i pochi casi di partite molto infette d’atrofia ) procedette benissimo fino alla quarta muta. I disastri ed i rovesci apparvero improvvisi soltante dopo tale età, togliendo d’un colpo le più liete speranze. — Nella solita atrofia invece non presentansi mai questi improvvisi trs- balzi, ma il deperimento delle partite comincia presto, rilevasi au- bito, continua a gradi, si, protrae lentamente, lungamente. 3. Perchè quest’ anno non si viddero, fuorchè in poche par- tile giudicate molto infette in seme, le solite punteggiature o fun- gosità nerastre sui corpi dei bachi, nè prima nè dopo la loro morte. 4. Perchè sulla pelle dei bachi apparvero macchie giallognole, larghissime, talvolta simmetriche, che. spesso davano una tinta giallo- oscura a tutto il baco. — Tali macchie o non esistevano o erano ra- rissime negli scorsi anni anche in partite del resto infettissime. b. Perchè le partite che perirono della malattia dominante in «quest anno non presentarono il solito specifico carattere della. ine- guaglianza di sviluppo. I bachi furono sempre quasi tutti egual- mente sviluppati. 6. Perchè osservossi una quasi totale assenza dei famosi corpu- scoli vibranti anche nelle partite totalmente perite. — Abbondantis- simi al solito invece riscontraronsi i detti corpuscoli in alcune pic- cole partite di semente indigena o in partite già in seme ricono- sciute molto infette. 7. Perchè nel sangue o meglio nei tessuti del baco sì morto che moribondo , invece dei soliti corpuscoli ovoidali, vibranti, trovansi -altri corpuscoli quadrati o soltanto quadrangolari (non cubici però, ma come piastrine o mattonelle), a varie dimensioni, semitrasparenti , -bianco-lattei, non rifrangenti la luce come i primi, più pesanti del- l’acqua distillata e del sangue, non vibranti, qualche volta raggrup- pati, il più spesso uniti ad angolo ottuso.a zig-zag. — Si dirà che que- SULLA MALATTIA DEI BACHI DA SETA NELL'ANNO 1863, 185 sti sono forse alcuni dei soliti cristalli del sangue. Sia pure, ma e la loro straordinaria quantità? — Qui devo notare che in alcuni casì | questi nuovi parallelepipedi si trovano in maggiore o minore abbon- danza associati ai corpuscoli oscillanti. In questi casi, del resto poco frequenti, si ha una prima e facile occasione di raffrontarli tra di loro. 8. Perchè quest'anno il baco moriva col tubo alimentare vuoto o pieno indifferentemente, a seconda cioè del momento in cui veniva colpito e oppresso dal male. — Invece nell’atrofia, per i protratti digiuni, il baco generalmente muore vuoto di cibo. 9. Perchè i bachi tante volte morivano quasi repentinamente, cioè pochi istanti dopo essere saliti da soli sopra frasche recente- mente apprestate. — Invece nelle partite affette dell’atrofia, la morte dei bachi succede sempre così lentamente, che s’ebbero a verificare infiniti casi di bachi che sostennero un’ agonia di quindici, venti e più giorni dopo la quarta muta. I soli punti di somiglianza che riscontransi tra partite affette delle due diverse malattie sono l’ atrofia del seriterio e quindi il nessun prodotto serico. Se della malattia ch’io dico causa dei disastri di quest’ anno tro- vasi riscontro nelle antichissime malattie dei bachi, io inclinerei a ravvisarlo in quell’ apoplessia che sotto questo identico nome e con quasi identiche parole fu già descritta dagli egregi Balsamo-Crivelli e Gaetano Cantoni. Il desiderio di far noti questi miei rilievi agli onorevoli Socj in tempo utile perchè possano ripetere essi stessi e con maggiore pre- cisione le osservazioni, spero che mi varrà di scusa se ne ho affret- talo l'esposizione in modo da non curarne il debito ordine e la debita forma. Addio. Brenna, 29 maggio 1863. L’ affezionatissimo amico Pierro Buzzoni. LE SPORE COME CAUSA DI MALATTIA NEL BACO DA SETA RICERCHE DEI PROFESSORI C. RONDANI x G. PASSERINI PARTE II (Seduta del 28 giugno 1863.) La teoria della natura vegetale dei corpuscoli ovali, patologici del baco da seta, non è nuova (41); anzi fu dessa la prima colla quale si tentò di spiegare l’attuale malattia del filugello. Ma fra l'opinione del dottissimo Lebert, la sola che formi la base di una teoria vegetale, che riconosce in questi corpuscoli delle alghe uni- cellulari riproducentisi per scissione, e quella che li considera come seminuli di piante crittogame introdotti dall'esterno ed accumulati entro l’insetto, bavvi così sostanziale differenza, da doversi di ne- cessità escluder l’una, quando l’altra venga accettata. (2) Se infatti la scissione messa innanzi dal Lebert non fosse. stata inutilmente cercata da tanti valenti osservatori, e precisamente, fra gli altri, dall’Amici, dal Cornalia, e dal Ciccone, la nuova teoria delle spore sarebbe riuscita di sua natura inammissibile, e noi ci sa- remmo bene guardati dal proporla; ma infino a che al solo Lebert (1) V. Verbale della Seduta 34 maggio 1863, della Società Ital. di scienze naturali. (2) Il celebre Amici conobbe che i corpuscoli ovali sono identici alle spore, ma non sì valse di tale concetto per fondere una teoria. C. RONDANI E G. PASSERINI , LE SPORE ECC. 4187 rimarrà riserbato di sorprendere i suoi panistofiti nel momento in cui si segmentano, sarà lecito, crediamo, di non ritenere come po- sitivamente osservato un simile processo di moltiplicazione, e di non accettare la teoria su di esso fondata. Altrimenti, come si può rispondere al dilemma seguente del dott. Ciccone? O il processo di scissione è un fatto raro, ed allora non si spiega la grande moltiplicazione de’ corpuscoli ovali: oppure è frequente, e non s'intende come fra tanti osservatori che lo cercarono, nessuno abbia potuto verificarlo. Ma un’altra difficoltà contro la segmentazione de’ panistofiti risiede ne'tentalivi sempre falliti di comunicare la malattia ai bachi sani col mezzo dell’innesto, mentre un solo di questi corpuscoli intro- dotto nell’insetto, trovandosi in luogo opportuno, dovrebbe molti- plicarsi e rapidamente diffondersi, quando fosse veramente un’alga come venne asserito. Quantunque noi conosciamo nel professore di Zurigo un abile osservatore, non troviamo però difficile il comprendere come certe apparenze abbiano potuto indurlo ad ammettere quella propagazione per scissione della quale avea pur tanto bisogno a sostegno della sua opinione, supponendo che abbia osservato, come a noi pure è accaduto, in alcuni corpuscoli ovali una linea bruna longitudinale che può simulare una segmentazione, ed accennare ad un’incipiente propagazione per transversum. Le quali apparenze però non fre- quenti ne’ corpuscoli ovali del baco, sono più spesso osservabili in certe spore di forma allungata, quando avvizzite per siccità si por- tino sotto al microscopio entro una gocciola d’acqua, ma poi scom- pajono ben presto a misura che la membrana si distende e la cavità delle spore si riempie dell’acqua di cui avidamente s’imbevono. E qui ne cade in acconcio il notare che l’igroscopicità delle spore uguaglia perfettamente quella dei corpuscoli ovali, i quali trovaronsi in condizioni analoghe di anteriore avvizzimento per siccità, e ven- nero poscia immersi in un liquido, come egregiamente fece cono- scere il chiarissimo De Filippi; il che somministra un altro punto di analogia a conferma della nostra opinione. Per le quali ragioni stimando di non doverci maggiormente pre- 188 C, RONDANI E G. PASSERINI , occupare di panistofiti, passiamo ad esaminare alcuni fatti. che ven-. gono prodotti come contrari. alla dottrina delle spore. Il modo di trovarsi de’corpuscoli ovali nel filugello al posto de’glo- buli del grasso è uno degli argomenti che si accampano per non riconoscere i corpuscoli stessi come spore, e per considerarli invece come globuli di grasso trasformati; quindi conseguenza e non causa della malattia. Ma ammessa una volta l’introduzione delle spore nel tessuto adi- poso per la via principalmente delle trachee che in esso diffondonsi e diramansi in ogni senso (1), è facile comprendere come possano collocarsi nel posto medesimo de’globuli del grasso, de’quali provo- cherebbero la distruzione determinando su di essi una più forte fîis- sazione di ossigeno atmosferico alla foggia dei micodermi studiati dal Pasteur; conseguenza di che sarebbe la riduzione de’globuli adiposi in acqua ed acido carbonico. Onde l’atrofia sarebbe il risultato di un’aumentata e rapida ossigenazione de’ tessuti del baco, del quale s'intenderebbe così il progressivo diminuir di volume continuando tuttavia una sufficiente alimentazione. Lo stesso fatto chiarirebbe del pari lo straordinario aumento della massa degli umori nel gial- lume, e nell’idropisia del baco. Ne sembra poi d’altra parte che torni maggiormente difficile l’in- tendere e spiegare la supposta metamorfosi degli elementi organici del filugello. Chi ha mai osservata questa trasformazione nell'atto medesimo in cui si compie, e chi ha potuto seguirne le fasi? E che cosa è egli mai questo prodotto patologico di forma e ca- ratteri affatto nuovi ed insoliti nell’organismo animale? Come può accettarsi la natura animale di questi corpuscoli, cui vediamo resistere ad ogni agente capace di dissolvere qualunque forma elementare dell’organismo zoologico? Abbiamo abbandonato al naturale e prolungato processo di putrefa- zione gli umori estratti dalle uova.ed i bachi stessi ripieni di cor- (41) La somma tenuità de’corpuscoli ne dispensa dal trattenerci intorno ai loro pas- saggi attraverso ai tessuti, potendosi ritenere coll’appoggio di fatti analoghi già speri- mentati, ch’essi penetrino ovunque torni possibile l’endosmosi. LE SPORE COME CAUSA DI MALATTIA NEL BACO DA, SETA 189 puscoli ovali, avendone per risultato in ambo i casi la scomparsa completa di ogni forma organica animale, mentre nel superstite fra- cidume ne sono apparsi sotto al microscopio nitidi ed intatti i soli corpuscoli patologici. Che cosa possiamo logicamente conchiudere da questo fatto, men- tre sappiamo essere proprio de’ seminuli delle crittogame il resistere appunto all’azione decomponente della putrefazione, siccome quelli cui natura destinava a promuoverla ed affrettarla senza rimanerne offesi, anzi trovando in essa le opportune condizioni del loro svi- luppo? Avevamo anche prima d’ora osservate diverse sostanze organiche in decomposizione, entro le quali molte maniere di spore vedevansi incolumi, dopo avervi passata un’intera stagione; e per quanto cer- chiamo, non ci si affacciano fuorchè i tessuti cornei e cartilaginei, affatto estranei al caso nostro, dividenti colle spore una simile pro- prietà; la quale se troviamo ne’controversi corpuscoli del filugello congiunta agli altri caratteri di essi, dobbiamo logicamente dedurne che gli uni e le altre non sono che la stessa e medesima cosa. Si è detto anche i corpuscoli ovali essere normali nella farfalla e nella crisalide matura; e questo si accomoderebbe invero difficil- mente colla teoria delle spore quando fosse incontrastabilmente di- mostrato; ciò che non possiamo concedere dopo le osservazioni da noi appositamente istituite, dalle quali risulterebbe: 1.° Che vi sono farfalle, nelle quali non rinvengonsi corpuscoli ovali ne’ tessuti e negli organi interni; 2.° Che parecchie non ne presentano alcuno nelle dejezioni urinose; 35.° Che nelle farfalle nelle quali si trovano, assai variabile ne risulta la quantità con una gradazione dal pochissimo al molto ; 4.° Che nelle razze da qualche tempo educate fra noi è molto più difficile abbattersi in farfalle prive di corpuscoli ovali, ed in- vece vi si incontrano per solito più numerosi che in quelle prove- | nienti da razze di recente importazione; come ce ne siamo persuasi coll’esame delle farfalle di razza persiana allevate quest'anno per la prima volta nel nostro paese. Ciò che dicesi per le farfalle, vale ugualmente per le crisalidi. 190 C. RONDANI E G. PASSERINI; Il complesso delle quali osservazioni ci esime dall’adurre altri ar- gomenti contro la normalità de’ corpuscoli nelle farfalle, mentre ba- sta per non accettarla, il potersi trovare un solo bombice che non ne contenga. Aggiungeremo soltanto che prima di poter. esaminare le farfalle allevate in quest'anno, abbiamo osservati alcuni lepidotteri affini al genere Bombix, ne’ quali non ci fu dato incontrare corpu- scoli di simil sorta, mentre ne sembrerebbe che un fatto istologico così singolare, non dovesse essere di esclusiva pertinenza della sola specie del gelso. Sebbene le cose fin qui discorse ne sembrino militare efficace- mente in favore della nostra teoria, rimane però verissimo che la decisiva dimostrazione di essa, come ragionevolmente esige il pro- fessore De Filippi (1), risiede nello assistere di fatto alla vegetazione da’ problematici corpuscoli promossa sperimentalmente. Intorno alla qual cosa premetteremo, essere assai probabile che vere spore, dopo aver lungamente soggiornato entro un mezzo così straniero qual’ è il sangue del baco e la. varia miscela de’ suoi umori, abbiano per- duta la facoltà germinativa, in causa de’ mutamenti che l’endosmosi deve necessariamente indurre nel loro contenuto. Molte sono infatti le presunzioni che ne fanno credere, essere la continuata immersiche nei liquidi contraria allo sviluppo delle spore, le quali non germo- gliano che alla superficie di quelli che sono abbastanza densi per te- nerle a galla, mentre nell’acqua che le lascia cadere al fondo non sappiamo che si sviluppino miceli aerei, non appartenendo a questo gruppo vegetale, ma sibbene alle alghe, la Saprolegnia ferax e l’af- fine Achlya prolifera, che compajono negli insetti annegati. Con tutto ciò non vogliamo troppo profittare del soccorso di questo e somi- glianti argomenti, e convinti noi pure che la prova perentoria ri- siegga appunto in questo fatto sovrano, non abbiamo tralasciato di provocarlo, come altri per viste diverse lo hanno pure sperimentato, fra quali il dott. Ciccone, che riesci ad ottenere fra i suoi vetri delle tracce, e talvolta anche de’veri micelii, quale ne sembra quello rap- presentato alla fig. 74 tav. 11, dell’opera Malattie del baco da seta, (1) Relazione sulla memoria, ecc. Nel giornale Economia rurale, 25 maggio 41863. LE SPORE COME CAUSA DI MALATTIA NEL BACO DA SETA 191 che ricorda abbastanza chiaramente il micelio reticolato e serpeg- giante dell’Oidium Tuckeri. A noi non è finora riuscito, forse per non aver convenientemente adoperato, di ottener nulla di simile fra i nostri vetri; però ci permettiamo di addurre alcuni risultati, i quali sebbene non decisivi ci sembrano tuttavia meritevoli di nota. Spalmate due foglie di vite coll’umore estratto da un baco mo- rente per atrofia, e fatte cadere alcune gocciole del sangue di un baco assai malato su due foglioline di rosa, abbiamo coperto le due piante sotto campane separate. In capo ad una decina di giorni, le foglie così preparate mostrarono un velo di bianca muffa simile a fa- rina leggermente aspersa. Ricorrendo al microscopio si è trovato che sulla foglia di vite eravi una specie di Y'erticillium, avente, oltre le spore terminali de’rami, una quantità infinita di conidii che nessuno potrebbe distinguere a vista dai corpuscoli ovali del baco; e sulle foglioline della rosa eravi invece una specie di Polyactis colle spore identiche anch'esse ai ripetuti corpuscoli. Noi sappiamo abbastanza qual valore e quali eccezioni possono darsi a queste osservazioni, ma intanto ne piace notare che muffe svilupparonsi soltanto sulle foglie e ne'tratti di esse bagnati coll’umore de’bachi, e che sebbene diverse di specie possedevano egualmente de’ corpi riproduttori aventi i ca- ratteri tutti de’ corpuscoli ovali. E poichè siamo venuti parlando di muffe, spenderemo anche qual- che parola su quelle specie che secondo noi somministrerebbero la materia infeziosa, consistente in seminuli di forma elittica; riserban- doci di parlare in altra occasione delle spore globose come causa anch'esse di malattia pel filugello. Veramente se fosse ad evidenza provata la nostra nuova teoria, crediamo che nessuno vorrebbe porre in dubbio che la materia di essa mancasse o fosse scarsa in natura; pure riconoscendo negli altri il diritto di vedere indicate da noi le specie che più ragionevolmente supponiamo riescire infeziose pel se- rico insetto, metteremo in accusa francamente tutte le molte forme di Oidium, da quella che si sviluppa sulla carta umida fino all’al- tra della vite, oltre a varie specie di /eronospora che fin dal prin- cipio della primavera compajono sulle foglie di varie piante vive; e senza curarci di altre muffe più o meno volgari dotate di spore o di 192 C. RONDANI E G. PASSERINI, LE SPORE ECC. conidii elittici, siamo certi che bastano anche da sole a popolar l’at- mosfera di una quantità di seminuli non inferiore a quelle miriadi che sorprendono chiunque primamente le osservi nel baco malato. È su- perfluo il notare che quanto alle Peronospore ed alla maggior parte degli Oidium noi accusiamo non gia le spore terminali, per solito assai voluminose, ma bensì i conidii o sporidioli che in numero più o men grande le accompagnano, In simil guisa venendo ad escludere la degenerazione di razza nel baco da seta predicata da alcuni, ed una speciale malattia del gelso o delle sue foglie sostenuta da altri, leghiamo scientificamente la dominante epidemia del filugello con altri fenomeni ugualmente estesi e misteriosi, quali sono la malattia della vite, quella delle pa- tate, e tutta la rimanente sequela delle altre che colpiscono tante piante coltivate o spontanee sotto forma di crittogame parassite; non altrimenti da ciò che il buon senso e l’intuito popolare aveva già fatto empiricamente prima di noi. Mostreremo a suo tempo i vantaggi che la teoria delle spore può riflettere sull'industria bacologica; per ora ne basta aver toccato alcuni punti più vitali del lato scientifico e tecnico, e torneremo sul- l'argomento quando gli esperimenti che stiamo ripetendo, e che in- vitiamo altri pure a ripetere ed a variare, ci confermino il successo che ne sembra di avere già ottenuto; quello cioè di far direttamente ammalare i bachi da seta spolverando le foglie ad essi somministrate mediante le spore di varie crittogame. Parma, 22 giugno 1863. DELLA CARATTERISTICA E DEFINIZIONE DEL VEGETABILE PER FRANCESCO AMBROSI MEMBRO DELLA SOCIETA BOTANICA DI FRANCIA. (Seduta del 28 giugno 1863.) AI Chiarissimo signor D." Ewio Cornatia. Chiarissimo Signore Le scienze naturali sono così inoltrate nel campo delle osserva- zioni, che non è più possibile arrestarne il corso entro i confini della semplice analisi dei fatti. Sarebbe ingiuria fatta alla legge del progresso, che regola lo sviluppo e gli ordinamenti della scienza, il ricusare di sottomettere i fatti parziali alla generalità della sintesi, le sole che possono dare norma per ben giudicare ciò che i fatti contengono. Frutto del convincimento, in cui mi pongono questi principj, è la maniera colla quale considero il vegetabile: maniera non tanto nuova quanto abbandonata dalla comune dei botanici, per il vezzo, che hanno molti, di schermirsi da tutte quelle cose che escono dalla sfera dei sensi, So, ch’Ella, Ill. Signore, ha per me un affettuoso compatimento, e quindi spero, che questi miei pensieri saranno da Lei bene accetti, e che mi procureranno l’ onore di esserle costantemente, Di Borgo in Valsugana, b giugno 1863. Devotissimo Serv. Fr. Amprosi. 415 198 F. AMBROSI , In che consiste la vera caratteristica del vegetabile. Fra la moltitudine degli esseri che abbelliscono le scene della na- tura creata, i vegetabili sono quelli che vestono Ja nudità della terra e la cospergono di vita. Sono essi che tappezzano gli: scogli, e v'im- primono il gradevole contrasto che esiste fra l’ aridità della rupe e la fecondità dell’ organizzazione ; sono essi che interrompono la nojosa monotonia delle sabbie dei deserti, che dipingono sui piani e sulle colline le immagini più ridenti e deliziose, che animano di eterno verde le meste prospettive d’ inverno, che ornano i monti e le valli, che ingemmano i margini e la superficie delle acque, che, in una parola, rivelano la esuberanza della vita in seno alla sterilità della materia bruta. Nessuno è che ignori essere il vegetabile un che. di diverso ‘tra l’animale e il minerale, e questa cognizione, che è universale in tutti gli uomini, nasce da una generalità fisionomica, che la natura mantiene costantemente nella varietà infinita delle forme comprese in una determinata serie di esseri. Ciò che distingue a primo aspetto il vegetabile dagli esseri non è la fissità al luogo ove nasce, la in- sensitività ed altre differenze, il più delle volte vere soltanto in ap- parenza; ma è una forza comune, che domina in tutti i vegetabili, e determina il loro organismo a svolgersi entro una data cerchia di termini vitali. Questa forza, che costituisce 1’ unità nella moltiplicità delle forme vegetali, è quella che dà alla materia vegetativa il carat- tere fisionomico del regno, ed è la stregua certa e invariabile di ciò che distingue il vegetabile dal minerale. e dall’ animale. Una tal forza è intesa da noi solto il nome di vegetatività, la quale si distingue dalla vegetazione in quanto ch’ essa riguarda il principio e non il processo, come fa questa, dei fenomeni organico-vegetali. Ma ogni forza è dotata di una internità e di una esternità, ed è che a quest ultima appartiene soltanto la forma sensibile, sotto la quale la forza si manifesta. La forza, come potenza meramente inte- CARATTERISTICA E DEFINIZIONE DEL VEGETABILE 195 riore, è una particolare direzione della ‘forza unica universale che regna nell’ universo creato, e da qui avviene, che l’ internità delle forze naturali non cade nell’ apprensione dei sensi, ed è di sovente ignorata dai naturalisti che troppo confidano nell’ analisi minuziosa e circostanziata delle loro esperienze. Ciò che rende manifesta la forza e la sua realizzazione in un fatto sensibile che contiene la forma individuale e primigenea dell’ essere, a cui la forza si riferisce. Nella successione degli esseri le forze, che vi presiedono, assumono un carattere esterno proporzionale alla loro direzione, donde nasce, che nel minerale la forza di coesione e affinità sì manifesta esterior- mente sotto la forma di un aggregato semplice, unificato, rettilineare; mentre nelle piante la vegetatività è rappresentata da un aggregato composto di aggregati, mistilineo e semicentrale. L’ animalità ascende più alto, ed è una forza che si attua in un aggregato composto, ove predominano le forme curve e la centralità. La direzione di una data forza attuata in un elemento esteriore è, adunque, la vera caratteri- stica che distingue i regni della natura fra di loro. Il vegetabile conserva stabilmente la sua caratteristica, come tutti gli altri esseri, ed è distinto essenzialmente da loro per la costanza che ha la forza vegetativa di realizzare la propria direzione entro i limiti di un ‘aggregato che incomincia ad incentrarsi, e unisce le due forme rettilinea e curvilinea. I punti d’incentramento si rimarcano nel fiore, nella radice e nelle gemme, la forma rettilinea nel fusto e nei rami, e la curvilinea nelle foglie. La viunione dei limiti, in cui la forza discorre, costituisce la fisio- nomia esterna del vegetabile, che è la figura sensibile del tipo pri- mitivo, il quale è affatto interiore, e si confonde colla forza mede- sima di vegetatività. Da tutto questo si rileva, che la vera caratteristica del vegetabile risiede nella forza di vegetatività, che si attua in un aggregato mi- stilineo e semicentrale. 196 F. AMBROSI, Il Nesso che lega il vegetabile col minerale e coll’ animale. Siccome il vegetabile è essenzialmente distinto da ogni altro essere della natura per ragione della propria forza che si realizza in una forma sensibile, è inutile cercare nelle comparazioni analogiche la linea di demarcazione, che separa il vegetabile dall’ animale e del minerale. L’ analogia prova il nesso che congiunge gli esseri fra loro; ma non rivela 1 essenza dell’ essere, in cui sta il vero principio dell’ individuazione, e conseguentemente la caratteristica che distingue un essere dall’ altro. Dicendo principio d’ individuazione intendo la forza nella presenzialità del suo tipo. Il vegetabile è in nesso col minerale e coll’ animale, perchè la vegetatività unisce le due forme rettilinea e curvilinea, la prima figurativa della forza che si travasa nel minerale, e la seconda ini- ziativa della forma sensibile, in cui si realizza la forza di animalità. La congiunzione di queste due forme sopra un solo medesimo essere dà idea del modo che la natura impiega per arrivare alla. pie- nezza del suo sviluppo. Essa realizza le proprie forze, trapassando costantemente dal semplice al composto per una infinita gradazione di modificazioni, che si compiono in seno della maleria, Ma la forza, che è interna ed esterna, è eziandio una e moltiplice, e quindi armonizza e polarizza con diverse proporzioni gli effetti che produce negli ordini del finito esistente. Ora ella fa prevalere unità sulla moltiplicità, ed ora questa su quella, Il predominio del- l'unità sulla moltiplicità è più esplicito, ove la forza è giunta al punto massimo della sua evoluzione , donde avviene, che il concetto della maggiore o minore perfezione degli esseri naturali emerge | unicamente dal grado, in cui sale 1’ unità nella moltiplicità che equi- libra ed armonizza. Negli esseri di classe inferiore il predominio della; moltiplicità sull’ unità è indicato della maggiore tendenza, che ha la; forza, nei primordj del suo svolgimento, a polarizzarsi. Nella molecola} primitiva, generatrice di tutto, la forza consegue il più alto grado di CARATTERISTICA E DEFINIZIONE DEL VEGETABILE 197 sua polarità, perchè operativa di tutte le forme sensibili, di cui è capace la materia ereata. Non così è nell’ uomo, il più perfetto fra tutti gli esseri della creazione, in cui si fissa la forza e si attua per- fettamente. Molecola primitiva ed uomo sono i due termini che rac- chiudono tutta la gerarchia degli esseri della natura, e rappresentano in pari tempo i due estremi del massimo predominio della moltipli- cità sull’ unità e viceversa. Ma la forza, come fu detto, non si svolge sempre in una medesima direzione: essa varia costantemente, e lungo il suo corso segna dei punti intermedj molto salienti, che sono come i confini, dove la forza cessa di produrre i suoi effetti in ordine a un dato tipo. Su questi punti la forza si raccoglie per ripigliare energia e seguire un nuovo indirizzo. Due ordini di cose vi si trovaro congiunti insieme, quelle del regno che comincia, e quelle del regno che termina. La cellula, a modo di esempio, che è l’ elemento generativo dell’ organizzazione vegetale e animale, dà luogo alla formazione di cristalli, che s' allo- gano nel suo interno quasi per indicare il passaggio della forza che si realizza in essere composto d’ ordine superiore al minerale. Il cristallo è l’ espressione permanente della forza attuata nella materia bruta, ed è la individualità esteriore che fa scala alle individualità aggregative centralizzanti. Per questo nella eterogenia la formazione dei cristalli è allato alla formazione degli infusorj (1), e per questo la cristallizzazione è frequente nei nuclei cellulari delle sostanze proteiche (2). Nei vegetabili i cristalli s’ insinuano con frequenza nella corteccia, nel tronco e nelle foglie, non meno che nelle cellule de’ loro tessuti, ove non è raro, che le vescicchette nucleolari as- sumino la forma cristallina, come fu dato osservare a Trecul nel- l’albume dello Sparganium ramosum (3). La presenza adunque dei cristalli ne’ vegetabili indica il nesso, che collega questi ultimi col minerale. Ma un tal nesso non è che esteriore, e s’ attiene più al- l'apparenza che alla realtà degli effetti della forza vegetativa; e ciò, (4) Burdach, Physiologie II, pag. 424. (2) Radlkofer, Ueber Krystalle proteinartiger Korper pfianzichen und ihierischen Ursprungs. {3) Trecul, S » des cristaux organisés el vivants, 1858. 198 F. AMBROSI, derchè la vita del vegetabile comincia all’ attività della cellula, 1a quale è la forza attuata in un aggregato generativo curvilineo € centrale. Ben diverso è il modo, col quale si manifesta il nesso che unisce il vegetabile coll’ animale. Ambedue questi esseri sono generati dal- l’attività della cellula, e solo differiscono tra loro per la diversa dire- zione, che la forza impiega nel giungere a due differenti risultati. Nasce da ciò, che il nesso, che unisce il vegetabile all’ animale, si fa più intimo a misura, che le formazioni organiche dei due regni si accostano alla cellula, da cui ebbero origine. Se noi consideriamo l’animale e il vegetabile dal grado più elevato del loro sviluppo, troviamo, che notabilissime sono le differenze che esistono tra di loro. Da questo grado l’ animale si presenta fornito di uno o più sistemi di circolazione composti di canali di sovente ramificati, nei quali circolano il sangue e la linfa; -mentre il vegetabile offre dei vasi laticiferi e canali con un succo nutritivo affatto diverso. L’ ani- male superiore ha pure un apparecchio per la digestione e la respi- razione, un sistema nervoso, che è sede, ad un tempo, della sensa- zione e dell’ istinto, organi destinati per la locomozione e per altre facoltà chela natura ha negate ai vegetabili. Non è così dei vegetabili e degli animali monocellulari. Entrambi presentano un corpo gelati- noso, semplicissimo, dotato di movimenti e di funzioni pressochè identiche. Si nutrono per assorbimento e sono egualmente generanti senza il bisogno di sessi. JI nesso del vegetabile coll’ animale è così intimo, presso la cellula generativa de’ loro organismi, che ha fatto credere a più d’uno essere impossibile orientarsi. sui limiti che distinguono un regno dall’ altro. Quella specie d’ indifferenza, che si osserva sui primondj delle due organizzazioni, animale e vegetale, nasce dalla forza che si travasa nella fusione degli elementi vegeto- animali nell’ atto che polarizza sè stessa in due diverse direzioni. La diversità del nesso, adunque, che collega gli esseri generati da un centro comune, dipende dal grado di prevalenza, che ottiene la ‘ moltiplicità o l’ unità della forza durante il processo del suo svolgi- mento, Quanto più un essere è dominato dall’ unità della forza, tanto più si scerne e diversifica dall’ essere vicino, col quale ha avuta in CARATTERISTICA E DEFINIZIONE DEL VEGETABILE 199 comune l’ origine. Ciò risulta dell’ osservazione, la quale ci mostra, che il nesso del vegetabile coll’ animale va perdendo d’ intimità a misura, che i due ordini di organizzazione si discostano dalla cellula e divengono vieppiù unitivi. HI Definizione del vegetabile. Noi abbiamo veduto, che ciò che distingue il vegetabile dagli altri esseri della natura è la vegetatività, che è quella forza che si realizza in un aggregato composto mistilineo e semicentrale. Da quì deriva, che la definizione del vegetabile non può allontanarsi dall’ i- dea della forza che gli dà forma e lo rende per sè stesso conoscibile. Nelle scuole fu cercata la difinizione del vegetabile nella diversità delle funzioni che si compiono in ciascuno dei tre esseri della natura. Fu detto dall’ immortale Linneo, che è vegetabdili sono esseri che cre- scono e vivono, a differenza dei minerali, che semplicemente crescono ; e degli animali, che hanno insieme coll’ accrescimento e la vita la fa- coltà di sentire (4). Ma come distinguere |’ accrescimento dalla vita; e questa dalla facoltà di sentire? Negli ordini della natura la vita è così universale, che la morte stessa non ha potere contro di lei, non essendo la morte che un passaggio della vita individuale alla vita generale. Non diversamente si dee dire della vita in ordine alla facoltà di sentire. Questa facoltà non è che una manifestazione più 0 meno circostanziata dalla vita. Le zoospore di certe alghe munite di cigli vibratili si muovono nelle acque alla guisa degli infusorj ; la sensitiva (Mimosa pudica Linn.) contrae le sue foglioline ad ogni pic- colo urto, ed è pure sensibilissima all’azione dell’ elettricità , dei vapori irritanti, del calore e del freddo concentrato, e di altri agenti esterni. che passano indifferenti per la maggior parte delle altre piante ; il Desmodio di Bengala (Desmodium gyrans DeCand.) muove te due-fogline laterali alla foglia in due diverse direzioni, una ascen- (4) Linn. Phil. bot. $ 3. Lapides crescunt. Vegelalia crescunt et. vivuni. Animalia cr'escunt, vivunt el sentiunt. 200 F. AMBROSI , dente e l’altra discendente, e più frequentemente, se è stimolato dall’azione del calore e della luce solare; la Dionea chiappamosche (Dioncea muscipula Linn.) ravvicina i lobi delle sue foglie e at- trappa gl’ insetti che vanno a posarvisi per suggere il liquore che distilla dalle sue glandole. Questi ed altri movimenti che si rimar- cano nelle foglie, nei viticci e negli stami di non poche piante sono analoghi, se non vogliamo dire identici, ai movimenti, di cui sono dotati i Rotiferi, le Idre, le Vorticelle, le Monadi ed altri animali che i naturalisti pongono nella categoria degli Zoofiti. È vero, che ci vien detto, che i movimenti dei vegetabili dipendono dalla irritabilità de’ loro tessuti, e :che quelli dell’ animale sottostanno alla legge di una nuova facoltà che ha Ja sua origine nel sistema nervoso; ma chi ha trovata la linea di demarcazione fra la irritabilità vegetale e la sensi- tività animale? Chi ha portato il ferro anatomico nella cavità della cellula primitiva, per investigare se l’ elemento irritabile è distinto dall’ elemento sensitivo? Fin’ a tanto che la scienza non porge mag- giori lumi intorno ai principj generatori di queste due facoltà, noi riteniamo, che la irritabilità è il più basso grado della sensibilità, e che la pianta è sensibile, avvegnachè priva di veri sensi e circo- scritta dai fenomeni della vita vegetativa. Non è quindi abbastanza netta e precisa la definizione del vegetabile data da Linneo, perchè parte dal principio dell’ associazione di due facoltà che nulla distin- guono e lasciano indeterminati i confini che separano i regni della natura. Ogni definizione, perchè sia chiara e precisa dee essere un giu- dizio, che contenga ad un tempo il genere e la differenza della cosa che si definisce. Per genere intendesi 1’ unità, e per differenza la moltiplicità, che) l’unità subordina e regge. Nel vegetabile 1° unità risiede nella sua propria forza, e la moltiplicità nella forma sensibile in cui la forza si realizza. Ambidue queste idee noi le troviamo nel concetto di vegetatività, il solo che guida a conoscere la vera carat- teristica del vegetabile, senza della quale non è possibile arrivare alla sua definizione. Partendo adunque da questo concetto il vegeta- bile non è che la forza attuata in un aggregato composto mistilineo e semicentrale. Questa definizione unisce l’unità della forza colla molti- CARATTERISTICA E DIFINIZIONE DEL VEGETABILE 201 plicità delle forme, per le quali la forza discorre, e abbraccia tutte le gradazioni di organizzazione contenute nel regno de’ vegetabili. Nella cellula primitiva il vegetabile non si distingue dall’ animale ; ma tosto che l’unità della forza vi si polarizza in due opposte dire- zioni, la cellula dà origine a due aggregati composti, che ascendono, divergendo, in proporzione che conseguono la piena realizzazione del loro tipo. Il vegetabile comincia a prodursi sotto la forma di corpic- ciuoli generanti , ora cristalloidei, aciformi, cuneiformi o quadrangoli (Frustalia, Styllaris, Gomphonema, Diatoma, ece.), ed ora gelati- nosi con globetti o fili semplici ovvero ramosi, continui od articolati ( Protococcus, Palmella, Undina, Chaetophora, ecc.); mentre 1° ani- male comincia per un corpicciolo generante gelatinoso, ovale, globoso bislungo o rotondo, ora mancante di visceri e di organi visibili (Zibrio, Cercaria, Proteus, Monas, Volvox, ece.), ed ora fornito d’una bocca, d’uno stomaco, d’un intestino e di un ano situato presso la bocca ( Rotiferî). Dallo studio delle facoltà che funzionano ne’ protorganismi dei due regni non esce chiara la distinzione di un regno dall’ altro, perchè sono facoltà indiscernibili, o pressochè iden- tiche in ambi gli ordini d’ organizzazione. Ciò che distingue i due regni è adunque la diversa direzione della forza, che si realizza in due differenti aggregati. Questa diversa direzione, che comincia dalla cellula primitiva, si manifesta da una parte per mezzo di cor- piccioli, in cui predomina la forma curva, e che divengono vieppiù centrali per la formazione di nuovi centri organici; e dall’ altra per via di piccioli corpi, in cui predomina la forma rettilineare, e che sono centralizzati in quanto sono generativi. l primi si comprendono sotto il nome generico di animali, ed i secondi sotto quello di vege- tabili. In ambedue i casi l’ unità della forza regge ed armonizza la moltiplicità delle forme che la forza produce, e in ambidue chiari appariscono il genere e la differenza necessarj in ogni definizione. METODO FACILE PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI DA SETA NEL PROPRIO PAESE ESPERIMENTATO CON FELICE SUCCESSO NEL CORRENTE ANNO E PROPOSTO DAL SOCIO CRISTOFORO BELLOTTI (Seduta del 26 luglio 1863. ) Vox populi vox Dei. Le mie particolari convinzioni mi persuadono a porre per base di questa relazione un principio che da molti scienziati non viene am- messo, quantunque lo sia da alcuni pochi fra essi, non che dalla gene- ralità del volgo dei coltivatori di bachi, che suole giudicare dalle appa- renze; intendo accennare alla malattia del gelso quale causa prima della dominante malattia del baco da seta. E invero, se, rigettati i sem- plici indizii, si volessero raccogliere prove irrefragabili a sostenere tale opinione, non si saprebbe ove rintracciarle. Voi avete ascoltato nelle due ultime sedute della nostra Società la lettura della Memoria di due dotti naturalisti di Parma, Rondani e Passerini (1), intesa a stabilire l’esistenza di spore di vegetali crittogamici vaganti nell’aria, . e che, entrate nei bachi per le vie respiratorie o insieme al cibo, sa- rebbero causa in essi dell’ attuale malattia. Le osservazioni e le conclusioni di quella Memoria non parvero ad alcuni socj abbastanza assolute e accertate per indurre in essi la per- lt) Sulle Spore come causa di malattia nel baco da seta. Vedi a pag. 164. C. BELLOTTI, METODO PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI 203 suasione che quei due distinti autori si siano in lutto apposti al vero; e molte obbiezioni si potrebbero fare alle opinioni da loro emesse le quali forse non troverebbero facile risposta. Altri distinti cultori delle scienze sostennero invece la presenza nelle foglie del gelso di corpuscoli ovali identici o analoghi a quelli che riscontransi nelle uova de’ bachi affette da malattia. Il professore Antonio De Martino e il cavaliere Vincenzo Spinelli fin dall’aprile 1889 ne facevano argomento di una loro Memoria letta alla R. Accademia delle scienze in Napoli; il dottor Giovanni Capra esternava la stessa opinione in un suo re- cente lavoro (1). Taccio di molti altri che mostrarono più o meno di aderire a simili ipotesi. Abbandonando ai botanici ed ai fisiologi il trattare scientificamente l'ardua questione, e discendendo nel campo dei fatti, egli è tenendo conto di questi ultimi che poco a poco si generò in me la persuasione che nella dominante malattia de’bachi la natura del loro nutrimento dovesse aver la sua parte d'influenza. Più volte ebbi occasione di osservare negli ultimi anni che dagli alleva- menti molto precoci, che si sogliono fare in primavera per assicurarsi della sanità d’una partita d’uova di bachi, si ottengono spesso risul- tati sorprendenti proporzionatamente alla esigua quantità di uova che mettonsi a schiudere a tal uopo. La primavera dello scorso anno 1862, avendo ottenuto a Varese cogli ultimi di maggio un raccolto precoce di bozzoli soddisfacente in proporzione al piccolissimo numero di uova im- piegate pel medesimo, destinai que’ bozzoli a produrre semente; ne vidi uscire fra il 40 e il 14 giugno vispe farfalle, dalle quali ottenni poche oncie di uova; esaminate queste al microscopio, contene- vano dal sei all’otto per cento di malate. L’ allevamento era stato fatto coi metodi ordinarj, somministrando ai bachi quella qualunque qualità di foglia che la stagione permetteva di procurarsi, vale a dire teneri getti nelle prime età e foglia matura sulla fine dell’ alleva- mento. Venni da ciò in pensiero che la supposta malattia del gelso si sviluppasse soltanto ad un’ epoca avanzata della sua vegetazione , (4) Studj sul modo di ricondurre allo stato di allevamento normale î bachi da seta , dlel dottor Giovanni Capra, Op, in-8., Milano, tipografia Redaelli, 1862. 204 C. BELLOTTI, come avviene dell’ oidio sulla vite, il quale è solito mostrarsi agli ul- timi di giugno nei nostri paesi, appena dopo la sua fioritura; e che si potesse attribuire, sia ad una corruzione dei succhi interni delle foglie giunte a maturanza, sia allo sviluppo sulle medesime, e forse per lo stesso motivo, di qualche microscopica mucedinea. Abbandonate anche tutte simili congetture, mi rimaneva a sup- porre che le tenere foglie soltanto avessero facoltà nutritive tali da preservare il baco dalla dominante malattia. L’ esperienza sola po- teva venire in appoggio di tali supposizioni. A tal uopo nella ora scorsa primavera destinai venti grammi d’uova di bachi per una coltivazione possibilmente precoce da farsi a Varese, e perchè l’espe- rimento fosse più concludente, e non s’avesse a attribuire al caso quel risultato qualunque che ne sarebbe derivato, mi proposi di distribuire in cinque partilelle pressochè eguali i bachi che ne sarebbero nati, onde essere allevati separatamente nelle diverse case coloni- che. Dal 15 al 415 aprile nacquero i bachi della prima di queste partitelle, consistente in quattro grammi, e destinata a rimanere in casa del fattore; dal 19 al 21 nacquero quelli degli altri sedici grammi di cui era stata ritardata l’incubazione per mancanza di foglia; vennero divisi i bachi nati da questi in quattro parli pres- sochè eguali e consegnati a quattro differenti coloni, avendo cura di dare a ciascuno di essi i nati di un sol giorno, onde evitare la disu- guaglianza in sì piccola partita. All'atto di consegnare questi bachi e durante tutto l’allevamento ho raccomandato e preteso dai coloni, che per giustizia debbo dire che sono abbastanza diligenti ed arren- devoli, che si guardassero dal somministrare foglia alcuna che non fosse delle più tenere, cosa facile nei primi giorni e meno praticabile a stagione inoltrata, mentre allora prescriveva scegliessero in ogni campo i gelsi più ritardatarj e da ogni gelso le foglie più tenere all’ estremità dei rami, guardandosi sempre dal dare una sola foglia Inatura, o assodata. Le uova di bachi scelte per questo esperimento erano sanissime; provenivano da una partita da me acquistata, di quaranta oncie, otte- muta nei monti di Dalmazia sopra Spalato, a bozzoli simili a quelli delle antiche razze coltivate in Lombardia e di qui trasportate in quei METODO PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI 203) paesi prima dell’invasione della attuale malattia. All’ esame microsco- pico falto sopra ottantatre uova non mi fu dato rinvenire il più piccolo indizio d’ infezione, cosa abbastanza rimarchevole in una partita pro- veniente da un paese in cui la malattia de’ bachi fece in questi ultimi anni rapidissimi progressi. Tranne la prescrizione risguardante la foglia, l'allevamento di que- sti bachi venne fatto colle norme solite a usarsi da’miei coloni, le quali differiscono dalle comuni soltanto per la maggior ventilazione che si dà ai locali, lasciandovisi quasi costantemente libero l’accesso all’aria esterna, e per la quasi totale abolizione del fuoco, anche di camino, abbandonando alle vicissitudini dell’ atmosfera esterna la cura del termometro appeso internamente. L'allevamento procedette nelle cinque partite colla massima rego- larità, quantunque assai lentamente a motivo del freddo della stagio- ne. Al 23 maggio soltanto cominciarono a salire il bosco i bachi nati dal 15 al 13 aprile, e fra il 5 e il 4 giugno salirono gli altri nati dal 19 al 21 aprile, vale a dire da 40 a 45 giorni dopo la nascita. Trascorsi dodici giorni circa dalla salita al bosco, si colsero i bozzoli di ciascuna partita e se ne riscontrò il peso complessivo in kil. 47 che, essendo il prodotto di 20 grammi d’uova, corrispondono a kil. 64 per un’oncia milanese di grammi 27,23, ovvero a circa 84 libbre grosse, prodotto, come ognun vede, veramente straordinario. I bozzoli erano tulti bellissimi, come il campione che vi presento, e assai pesanti; 420 se ne richiedevano per ogni chilogrammo (1); 1 chilo- grammo filato diede 96 grammi di seta; per cui meno di 44 chilo- grammi di bozzoli sarebbero bastati per ogni chilogrammo di seta. Animato da questo prodotto, e volendo pur vedere il risultato fi- nale dell'esperimento, destinai circa 355 chilogrammi di quei bozzoli alla produzione di uova, tenendo sempre distinte le cinque diverse partitelle da cui provenivano. Egli è vero che al momento di salire (1) Se si calcola che in 20 grammi di semente di Dalmazia non si contengono più di 25 mila uova, avendo da queste ottenuto circa 20 mila bozzoli, cinque mila bachi, vale a dire ‘/5 sarebbero andati dispersi, fra i quali debbonsi calcolare i primi e gli ultimi nati che, come di solito, vennero rigettati. Negli allevamenti più prosperosi si può calcolare che due quinti almeno dei bachi vadano perduti. 206 C. BELLOTTI, il bosco avevo rimarcato che alcuni bachi presentavano la punta del cornetto leggermente avvizzita e nericcia; ma quesli erano così rari, che sperai dovessero assai poco influire sulla sanità delle uova che intendeva ottenere da essi. Esaminai pure alcune crisalidi uscite dal chilogrammo di bozzoli fatto filare; sopra cento di esse, una sola mi si mostrò colle ali leggermente annerite. Volli anche assoggettare all'esame microscopico le uova estratte da una ventina di crisalidi femmine ancor vive, e in niuna di esse riscontrai traccia di malattia. Osservate in egual modo le uova di alcune crisalidi scelte da partita che sapeva infetta, vi rinvenni in abbondanza i corpuscoli vibranti. Lo sfarfallamento dei bozzoli si compì perfettamente; le farfalle erano vispe e sane con pochissime eccezioni ; il numero dei maschi e delle femmine quasi ogni giorno eguali fra loro; la copula pronta e sostenuta senza interruzione dalle sette del mattino alle cinque dopo mezzodì, nella quale ora venivano le coppie disgiunte per comodo di chi doveva assistere a questa confezione. La semente era deposta con prontezza ed abbondante. Sopra una tela separata si mettevano le farfalle che davano il più leggero indizio di meno perfetta salute. Coi primi di luglio tutto era finito. La semente ottenuta in totalità pesava kil. 2,63, vale a dire circa 96 oncie milanesi. Mancava sol- tanto l'esame microscopico per constatarne il grado di sanità. A tal uopo levai da ogni tela un campione abbondante, facendo passare su di esse una spazzola e raccogliendo tutta quella già prima caduta e che si distaccava con questa operazione. Primo ad essere assoggettato ad esame fu il campione della tela di scarto. In trentadue uova, esa- minate il 410 luglio tre o quattro per volta, non rinvenni un solo cor- puscolo vibrante. Feci allora un campione con porzione di tutti quelli già tolti dalle tele e in proporzione al peso netto di cadauna; avendo di questo esaminate cinquanta uova, cinque. per volta, non vi scorsi traccia di infezione; cinque bacolini che trovai nati erano parimenti sanissimi; questo risultato mi dispensò dall’ assoggettare ad esame i singoli campioni che avrei senza dubbio trovati tutti egualmente sani. Il saggio che vi presento è il medesimo che ha servito all’ esame di cui sopra, e nel quale ciascuno di voi potrà riscontrare perfella sanità, assoggettandolo. all’ osservazione microscopica. Il mio ottimo METODO PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI 207 amico prof. Cornalia, al quale diedi parte di questo medesimo cam- pione, pregandolo volesse assoggettarlo ad esame microscopico, mi scrive che « sopra cento uova, di cui 80 esaminate ad uno ad uno, e 80 a cinque a cinque, solo una volta gli occorse di vedere un qualche cosa che si assomigliasse a un corpuscolo e che notò sul libro delle suo osservazioni con un segno dubitativo, » Questo felice risultato non si deve far dipendere dall’epoca in cui venne fatto l’ allevamento, poichè alla metà di giugno, allorquando ne vennero raccolti i bozzoli, già varie partite considerevoli erano state consegnate alle filande, oltredichè, come ebbi già campo di osservare, dall’ allevamento precoce fatto lo scorso anno con semente sanissima e di cui raccolsi i bozzoli non più tardi della fine di maggio , cioè quindici giorni prima di quel che abbia fatto in quest'anno, ebbi un prodotto di semente che conteneva dal sei all’otto per cento d’uova infette. Da_altro allevamento di bachi fatto in marzo e aprile scorso, sopra gelsi tenuti a Milano in un corritojo esposto a mezzogiorno, - ebbi pure uova malate. Neppur si può attribuire la buona riuscita dell’ esperimento alla sanità delle uova impiegate o al metodo di al- levamento praticato, perchè riguardo a quest’ultimo già abbiamo veduto essere il medesimo usato dai miei coloni nell’ educazione in grande, dalla quale, se ottengo ordinariamente abbondante raccolto di bozzoli, tentai però sempre invano negli scorsi anni di aver se- mente sana. Dagli stessi allevamenti sugli alberi in piena aria non ottenni mai semente abbastanza sana da poterne trarre conveniente partito nell’anno successivo. Riguardo poi alla sanità delle uova im- piegate, come esperimento di confronto, ho destinato a produrre se- mente una libbra di bozzoli della partita di un mio colono proveniente dalla stessa sanissima semente di Dalmazia e tenuta colle stesse norme, tranne riguardo alla qualità della foglia, che venne somministrata senza alcuna scelta quale si ritrae dagli alberi. Once 6 ‘/s (grammi 177) di quella semente diedero un raccolto di kil. 238 di bozzoli, vale a dire in ragione di 48 libbre grosse per oncia. Le uova ottenute dalla lib- bra di bozzoli riservata come sopra, all'esame microscopico si mo- strano infette del 50 per cento. Da un’altra partita che mi diede l'abbondante raccolto di kil. 72, 44 per grammi 37 d’uova, avendo 208 C. BELLOTTI, egualmente tentato di aver semente, ottenni per risultato 40 per cento d’uova malate. Da ciò si vede che la duona regola nell’allevare i bachi vien preniata da copioso raccolto di bozzoli, dai quali però non escono farfalle atte a dar uova sane per l’anno successivo. Bisogna quindi conchiudere che la virtù preservativa de’ bachi contro l’attual malattia stette intieramente nella qualità delle foglie somministrate, vale a dire nelle più tenere, con assoluta esclusione di ogni foglia matura. Di contrario parere si mostrarono diversi fra gli scrittori di bacologia. Berti Pichat (1) dice di usare molta circospezione e riguardo ne' som- ministrare ai bachi la foglia dei gelsi maschi che sbuccia e si com- pleta più tardi essendo più tenera e più appetita dai medesimi. Pa- rimenti il Ciccone (2) vuole che i primi e teneri germogli non con- vengano che alle prime età dei bachi, e che dopo la seconda s’abbia a somministrare foglia perfetta e assodata. E invero tale parrebbe dover essere la norma suggerita dalla natura, e tale è la pratica che, seguita generalmente, diede per molti anni ottimi risultati. Quale sarà adunque la causa che dopo l'invasione del morbo attuale ci indurrà a deviare da quelle regole che la natura ci addita come le più con- sentanee al processo normale di sviluppo contemporaneo sì del gelso che del baco? Volendo inoltrarsi nel vasto campo delle supposizio- ni, nessuna più probabile mi si affaccia per ora al pensiero fuor- chè quella di ritenere che, per uno stato morboso dell'albero, nel succo delle foglie del gelso giunte a maturità, sia quando ancora aderiscono al medesimo o appena colte, sia negli intestini del baco che se ne ciba, si sviluppi un principio di fermentazione alcoolica , dalla quale avrebbero origine i corpuscoli vibranti, che, trascinati nel sangue e nelle uova, perpetuano la malattia nel baco da seta, moltiplicandovisi a dismisura. Questi corpuscoli vibranti non sarebbero quindi altro che Torule (3), quali soglionsi generalmente incontrare nei prodotti di ogni fermentazione alcoolica, nel lievito di birra, nella feccia del (4) Allevamento del baco da seta, 5.% edizione. Torino, 41857, paragrafo 23. (2) Della coltivazione del gelso e del governo del filugello, trattato teorico-pratico. Torino, 1854, pag. 38 e pag. 277. (3) Genere di vegetabili crittogamici. METODO PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACINI 209 vino. Se si esamina al microscopio un frammento del frutto maturo del gelso caduto al suolo e disseccato, si riscontra composto quasi esclusivamente di queste torule, le quali hanno a primo aspetto tutta l'apparenza dei corpuscoli vibranti delle uova infette de’ bachi ; sono però un poco più grandi ed il loro movimento oscillatorio è meno arcato. Potrebbe darsi che queste differenze si dovessero attribuire al diverso elemento nel quale ebbero origine, vale a dire nelle foglie del gelso o nel corpo del baco invece che nel frutto, (1) La tendenza delle foglie del gelso ad una pronta fermentazione ci viene fino a un certo punto provata dalle generali asserzioni dei no- stri coltivatori di bachi sulla breve durata della foglia dopo colta, sull’ odore acidulo che sviluppa appena si lasci per poco tempo am- mucchiata, il che, a loro dire, non accadeva negli anni scorsi. L’idea che i corpuscoli ovali delle uova de’bachi malati non siano altro che spore di vegetali crittogamici non è nuova, come già vedemmo; però l’ ipotesi emessa nella citata Memoria de’ professori Rondani e Passerini, sul trovarsi tali spore vaganti nell’aria in date stagioni dell’anno, e potersi quindi fissare sulle foglie del gelso per esser poi inghiottite dal baco, sarebbe in opposizione col risultato del mio esperimento: poichè le spore vaganti andrebbero a deporsi senza differenza tanto sulle foglie adulte che sulle tenere di uno stesso albero, anzi sopra queste ultime potrebbero più facilmente aderire e svilupparsi; oltre a ciò dagli allevamenti fatti in stagione, in cui tali spore non ancora trovansi così diffuse nell’aria, si dovrebbero ot- tenere uova sane, il che in pratica non si verifica. Accennando ad uno stato morboso del gelso, parmi sentire 1’ oppo- sizione che a tale supposto suol farsi, essere i gelsi vigorosi e vegeti, non mostrare alcun indizio di malattia. Questa asserzione, che non può essere rigorosamente accettata, giacchè, a detta di tutti i coltiva- tori di fondi, v’ebbe negli ultimi anni assai maggiore mortalità nei gelsi che non per lo passato, troverebbe altra objezione paragonando (4) I corpuscoli vibranti non sono causa di fermentazione, ma l’effetto, il prodotto della medesima; nell’ uovo appena deposto non si moltiplicano per difetto d’aria ; si sviluppano invece durante l’incubazione, quando già alcuni preesistano, per l’assor- bimento d’aria che si verifica nell’uovo in quell’epoca. 414 210 C. BELLOTTI; l'apparente stato florido dei gelsi con quello della vite. Ognun sa che da parecchi anni le nostre viti vennero intaccate dall’oidio, che, sviluppandosi di solito verso la fine di giugno, ne invade completa- mente le foglie e i grappoli distruggendo le une e gli altri. A parte la considerazione che tale malattia esterna ed apparente ad occhio nudo possa derivare da uno stato morboso interno dell’albero, che si presta alla vegetazione della crittogama, egli è evidente che la vite, così abbandonata in preda di questo suo nemico, debba risentirne gran danno. Mentre però il danno si scorge reale verso la fine dell’ estate, per l’azione, direi quasi, meccanica della crittogama sulle foglie e sui frutti, non appare menomamente in primavera , giacchè noi ve- diamo ogni anno la vite rivestirsi completamente di foglie e grappoli senza dar quasi verun indizio del male sofferto negli anni anteriori, e benchè ne venga generalmente assai trascurata la coltivazione. Se vi ha indizio di malattia, egli è nella maggior mortalità che si verifica nelle viti dopo l’invasione dell’ oidio. 1 nostri sensi sono troppo gros- solani per renderci sempre conto delle piccole variazioni che può subire un albero nel suo aspetto esterno per lente cause morbose in- terne. Non è raro il caso di veder morire in pochi giorni un albero in apparenza sano e rigoglioso. Ciò che ho detto per la vite può va- lere anche per molte altre piante di minore importanza, quali sareb- bero gli olmi, i pioppi, i rosni, che pur vengono spesso invasi da crittogame, senza che ne soffra apparentemente l’albero che si riveste in primavera di orgogliosa vegetazione. L'opinione emessa sulla fermentazione delle foglie mature del gelso — avrebbe pure un appoggio nelle esperienze ultimamente suggerite dal nostro valente chimico professore Polli (4), e dirette ad impe- dire coll’uso dei soltiti e degli iposolfiti l’azione di un fermento, che secondo il citato autore sarebbe causa dell’attuale malattia del baco; questi solfiti potrebbero agire tanto sulle foglie direttamente , impe- dendone la fermentazione, quanto sul baco per lo stesso scopo. Non è poi necessario che tutti i gelsi o tutte Je foglie di un gelso si tro- (4) Proposta d’ applicare i solfiti e gli iposolfili nella profilassi ‘e nella cura della dominante malattia del baco da seta. Nota del dottore Giovanni Polli: Jetta nella tornata del 22 gennajo 1863 al R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti, METODO PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI 211 vino in tale stato anormale perchè siano causa di malattia nei bachi che se ne cibano; non tutti i bachi di una bacheria si ammalano il primo anno quando provengano da uova sane, ma soltanto quelli ai quali sgraziatamente vengono somministrate foglie che contengono quei principj contrarj) alla loro conservazione. Solo pochi giorni sono, mi venne sott'occhio un brano di una Memoria letta al R. Istituto Lombardo dal distinto chimico Davide Nava e che si riferisce a esperimenti fatti per constatare la supposta malattia del gelso; m'accorsi che } ipotesi suila fermentazione della foglia de’ gelsi malati non è nuova, ma già propugnata nella Memoria sud- detta; dalia quale risulterebbe, in seguito a ripetute analisi chimi- che, che, allorquando Ja foglia trovasi in circostanze speciali di alte- razione, la materia azotata vi è non solo più scarsa, ma è pure in uno stato di proclività a scomporsi prontamente al contatto dell’aria agendo sugli altri principj della foglia stessa (pettina, glucosi, cera) e determinandovi una fermentazione anomala, tanto più rapida e profonda quanto più questi materiali, uscendo dal parenchima, vennero in contatto dell’aria, come succede nella foglia tagliuzzata ; Ja quale fermentazione anomala fa sì che essi, in vece di nutrire e riparare il baco, l’avvelenano più o meno, e lo conducono a quei patimenti per cui il suo prodotto serico è scarso 0 manca, e il suo organismo soffre o si estingue. Il citato autore ritiene alterata la foglia che, « raccolta e disseccata, presenta una tinta rossigna nelle costola- ture e macchie rosso-brune nel parenchima, » ciò che si scorge assai frequente, quanto alle macchie, anche nella foglia aderente agli alberi dopo che è giunta a maturanza in giugno e luglio ; egli è su queste macchie che suole osservarsi lo sviluppo di un fungo che venne chiamato da Turpin /usarium lateritium e dal dottor Montagne Fusisporium mori. Non fa menzione però il Nava dello sviluppo di corpi ovali o torule durante tale fermentazione. Non essendo questa che una mia congettura non ancora basata sull’ osservazione diretta, attendo da quest’ultima la conferma o meno del supposto. Ugnun vede quanto facilmente il sistema da me adottato possa applicarsi anche in grande alla produzione di uova sane di bachi. Se atutti i coloni di un dato fondo sì distribuisce una piccolissima quan- 212, C. BELLOTTI, tità di uova sane, come sarebbero due o tre grammi, da allevarsi precocemente con tenere foglie, non ancora giunte a completo sviluppo e scevre di macchie o di qualsiasi alterazione visibile ad occhio nudo, si avrà ogni anno un prodotto di semente sana di gran lunga superiore al bisogno. Nella mia piccola tenuta di Varese si allevano annualmente i bachi di circa venti oncie d’uova distribuite sopra cinque partite coloniche; avendo in questo anno dato a ciascun co- lono quattro grammi di uova da allevarsi precocemente, ottenni, come già dissi, un prodotto di chilogrammi quarantasette di bozzoli, che, se avessi tutti destinati a semente, m’avrebbero dato tre chilo- grammi almeno di uova sanissime, vale a dire più di cinque volte l'occorrente per l’allevamento dell’anno prossimo, Dirò di più, che non credo necessario che l'allevamento sia fatto precoce, ma în qualsiasi tempo indifferentemente, purchè non si parta dal principio di somministrare sempre ai bachi teneri germogli; a tal uopo, e per aver sempre foglie tenere durante tutto l’ allevamento e in qualunque stagione, si potrebbero cogliere le prime foglie già mature dei gelsi a ciò destinati, in scala di sei a otto giorni da un gelso all’altro o da una fila di gelsi all'altra, e attendere la seconda produzione di foglie per nutrirne i bachi da allevarsi per semente. Nè si tema che i bachi nutriti sempre con teneri rampolli possano amma- larsi di giallume, come è volgare opinione; le esperienze del De Sauvages e del Nysten in proposito provano il contrario (1); nè fra’ miei bachi mi occorse di vederne un solo affetto da questa malattia. A constatare l’azione diversa che producono sui bachi le foglie mature in confronto alle tenere, propongo il seguente facile esperi- mento: si tolgano le foglie alla metà di uno o più gelsi, e vi si lasci il rimanente; spuntate le seconde foglie si educhino due piccole par- tite di bachi provenienti dalla stessa semente, l’una con foglie tenere, l’altra con foglie mature dello stesso gelso, nello stesso ‘locale e con- temporaneamente ; potrei quasi con certezza asserire che si otterranno nel primo. caso uova sane, e nel secondo uova più o meno infette. (4) Bossier De Sauvages, Memoires sur léducation des vers-a-soie. Nimes 4763, vol. 41.° pag. 4148. Nysten, Recherches sur les maladies des vers-a-soie. Paris 1808, pag. 419. METODO PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI IS L'esperimento da me fatto ha il valore di cinque, avendo ottenuto lo stesso felice risultato di perfetta sanità delle uova dalle cinque partite distinte di bozzoli raccolti. Da un esperimento che rimase incompleto sono quasi condotto a credere persino che, se i bachi sani si conservano tali alimentandoli esclusivamente di tenere foglie, i bachi nati da uova infette in tal modo nutriti possano risanare. Attendo da ulteriori prove la conferma o meno di tale credenza. Il conservarsi di solito più sani i bachi a tre mute, per conseguenza anche le loro uova, deve dipendere dal nutrimento di foglie più tenere che viene loro somministrato ; vediamo nelle partite sane comparire i primi indizj di malattia dopo la quarta muta, quando il baco consuma maggior quantità di foglia, e questa già troppo matura. Ammessa l'ipotesi che il gelso sia malato, quantunque d’ aspetto rigoglioso, nasce il dubbio se il metodo propugnato in questa Memo- ria possa valere negli anni futuri, quando la malattia facesse continui progressi, come sembra finora aver fatto anche nei diversi vegetabili invasi da crittogame. A questo dubbio risponderà l'avvenire; intanto dovrebbe esser cura degli agronomi il migliorare la coltura dei vec- chi gelsi ed introdurne di nuovi, ricorrendo a semente importata da paesi ove la malattia del baco non si è ancora mostrata, come sa- rebbero, per es., il Giappone, il Bengala. ! gelsi selvatici provenienti da tali sementi potrebbero di preferenza riservarsi ai bachi che de- vono produrre uova sane, mentre gli altri di innesto, di cui ab- bondano i nostri campi, servirebbero all’ allevamento in grande per averne bozzoli. Accennerò di passaggio che le sanissime uova di bachi che ebbi di Dalmazia lo scorso inverno, e che mi servirono per l'allevamento di quest'anno, sono di partita che si mantenne finora in una località particolare esente da malattia," e che viene allevata con foglia di gelsi selvatici della vera specie Morus alba, non alterata dai molti incrociamenti ai quali andò soggetta nelle nostre campagne, ove dif- ficilmente si potrebbe ora riscontrare la forma tipica primitiva. Di questo potei accerlarmi, essendomi fatto spedire per gentilezza dal professore Lanza di Spalato alcune foglie dei gelsi della detta loca- 21h C. BELLOTTI, lità, di cui vi presento quì una sola, avendo spedito le altre al professore Passerini di Parma, il quale parimenti asseriva apparte- nere quelle foglie al Morus alba selvatico genuino. A proposito degli allevamenti precoci mi è dovere di giustizia il non passare sotto silenzio un breve articolo, di cui molti di voi avranno preso notizia, essendo stato inserito nella Gazzetta di Milano del giorno 27 giugno p. p. col nome dell’ autore Pietro Cairoli, in data di Brescia 8 giugno; e tanto più che le asserzioni in esso con- tenute vengono in parle in appoggio di quanto ho finora esposto. In quello scritto viene additato come mezzo ad ottenere uova sane di bachi l’anticipare di quindici giorni l'allevamento della piccola partita a ciò destinata, nutrendo in principio i bachi con foglie di gelsi se- minati l’anno prima, ben concimali e tenuti coperti con paglia o foglie secche durante l’inverno per averne un pronto sviluppo in primavera; e somministrando in seguito foglie tolte ai vecchi gelsi; come d’ordinario. L'Autore dice che in tal modo si evita l’ effetto delle « pioggie e soffochi primaverili, i quali producono nebbie che in- festano le piante. » Ma se il mezzo suggerito combina fino ad un certo punto con quello di cui nella. presente Memoria, il motivo ‘addotto delle pioggie e ‘soffochi primaverili non può ammettersi come causa di malattia del gelso, perchè questi accidenti atmosferici non si rin- novano ogni anno e non abbracciano una estensione di territorio. pari a quella in cui troviamo diffusa la malattia, vale a dire in tutta Europa e gran parte dell'Asia. Una stagione calda e umida per venti sciroccali potrà favorire la fermentazione dei suechi nelle foglie del gelso, ammesso che per difetto di forza vitale nell’ albero vi sia la predisposizione a tale alterazione. Gli allevamenti precoci non bastano per sè stessi a fornire semente suna se non si osserva in essi la con- dizione essenziale di somministrare sempre ai bachi teneri germogli ; adempita questa condizione scrupolosamente, poco importa in quale stagione l'allevamento si faccia, come già ebbi campo di osservare. ll mezzo suggerito dal signor Cairoli, combinato con quanto ebbi oggi } onore di esporvi, potrà essere raccomandato nella pratica come più speditivo ed economico. L’abbondante prodotto di bozzoli ricchissimi in seta e la conseguente METODO PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI 215 sanità assoluta delle uova ottenute sono argomento ad invalidare la teoria emessa dal dottor Capra nella Memoria più sopra citata, se- condo la quale la produzione serica starebbe in ragione inversa della futura vitalità della specie, o, in altri termini, il maggiore sviluppo dell'apparato serico sarebbe a detrimento dell’ apparato di riprodu- zione. A parte le diverse considerazioni, dalle quali 1’ autore venne condotto in tale opinione, molte delle quali non hanno la sanzione dell’esperienza, non mi sembra ammissibile come principio fisiolo- gico, che un animale, dopo di aver percorso in piena salute e vigore tutti gli stadj della sua vita, dopo d'essere stato abbondantemente nutrito con cibi sani e confacenti alla sua organizzazione , debba poi mancare di forza riproduttrice, pel fatto solo che la sua salute e il suo vigore gli permisero di tessersi un bozzolo robusto, perchè ricco in seta, di compiere nel modo più perfetto ciò che potrebbe considerarsi come atto preparatorio alla riproduzione della specie. Contro tale supposizione sta sempre il fatto degli abbondanti rac- colti normalmente ottenuti fra noi per lungo periodo di anni, sce- gliendo sempre, per trarne semente, i bozzoli più ricchi e più fini di seta, per cui le razze della nostra Brianza erano salite in tanto pregio ; che se ora queste si sono quasi totalmente perdute, dobbiamo rintracciarne la causa affatto all'infuori del metodo di allevamento finora impiegato pei bachi, essendo evidente come le migliori razze importate ogni anno nel nostro paese vi contraggono tosto l’at- tuale infezione, qualunque sia il modo col quale vengano trattate. Anche il Ciccone ritiene che da bachi sani si ottengano i bozzoli più forti e ben forniti di seta (4). Contro il parere però dello stesso Ciccone (2), e d'accordo invece con molti altri autorevoli bacologi, credo che le diverse malattie da quell’autore distinte coi nomi di chiarelle o mal del chiaro, ma- cilenza, peteechie, idropisia delle farfalle, altro non siano che un modo diverso di palesarsi della stessa malattia ora dominante. che ben potrebbe col Maestri chiamarsi polimorfa; e a ciò sono con- (1) Sulle malatlie del baco da seta, di Antonio Ciccone. Napoli 1863, pag. 403. (2) Opera suddetta, pag. 199,200. 216 C. BELLOTTI, dotto principalmente dal vedere come da una partita d’ uova in fette nascano bachi che nei loro diversi stadj' di vita presentano tutte queste malattie l’ una in seguito all’ altra, quantunque non sem- pre sugli stessi individui e colla medesima intensità, mentre da uova trovate sane al microscopio si hanno bachi, che conservansi sani fin presso la loro salita al bosco, e soltanto allora lasciano scor- gere traccie d’infezione, che si rende più palese nelle farfalle che ne escono. Credo per ciò che il mal del chiaro e la macilenza siano indizio d’infezione preesistente nelle uova, mentre. le petecchie e l’idropisia sarebbero modi di manifestarsi della stessa domi- nante malattia contratta da bachi nati sani, in conseguenza di viziato alimento. i Conchiudo questa esposizione abbastanza lunga, ammettendo che al metodo da me suggerito per avere uova sane di bachi possano farsi modificazioni e miglioramenti che la praticafsuggerirà. Se l’importanza della questione non rendesse dannoso quel qualunque ritardo frapposto alla comunicazione d’ogni fatto che può venire in ajuto a scongiurare l’attuale flagello, miglior consiglio sarebbe stato per me il consacrare ancora alcuni anni ad esperienze meglio dirette, dalle quali avrei forse potuto ricavare più precise ed importanti conseguenze. Non ho la pre- tesa di aver sciolto la questione scientifica sulla causa della domi- nante malattia de’ bachi; ho soltanto esposto un’ opinione che, al pari di tante altre, potrà forse nel seguito chiarirsi erronea. Ma per chi non vuole assolutamente ammettere che tal causa risieda in uno stato anormale del gelso, starà tuttavia il fatto che le tenere foglie soltanto posseggono virtù nutritive tali, da conservare i bachi sani e robusti in modo che possano reagire contro influenze esterne morbifere di cui non sì conosce la natura, mentre le foglie adulte sono insuffi- cienti a tale scopo. Non mi rimane ora che a far voti, perchè il metodo proposto risponda alle esigenze del nostro paese, che avrebbe a lamentare danni incalcolabili dalla diminuzione o quasi totale perdita d’uno fra i suoi più preziosi prodotti. Si sarà ottenuto assai se verrà fatto ai bachicultori di prepararsi ciascuno quella quantità d’uova sane suf- ficiente pei loro allevamenti , lasciando intanto agli scienziati il tempo C. BELLOTTI , METODO PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI 2417 necessario ad indagare le vere cause della dominante malattia e sco- prire i rimedj atti a combatterla radicalmente (4). (1) La presente Memoria era già data alla stampa quando mi pervenne una lettera dal Tirolo italiano, nella quale si asserisce che qualche contadino di colà seppe finora conservare la sua razza nostrale di bachi mediante allevamento precoce e con esito felice; il che viene attribuito al preservare che si fa in tal modo i bachi dall’ aria resa infetta dalla massa generale dei bachi della casa e del paese. Questo motivo, come l’altro dei soffochi primaverili, non è ammissibile come causa precipua e universale d’infezione; ma l’esito spesse volte fortunato degli allevamenti precoci viene in ap- poggio del metodo da me proposto. Seduta dal 31 maggio 1863. È letta una memoria dei socj Rondani e Passerini Sulle spore, come causa di malattia del baco da seta. In que- sta Memoria si espongono alcune ragioni, le quali fanno. credere agli autori che i corpuscoli ovoidali vibranti, che si vedono nei bachi malati, siano spore di vegetali microscopici, e che la malattia stessa sia prodotta da quelle spore, vaganti in grande quantità nell’ atmosfera e penetranti o col cibo o coll’ aria nel corpo dei bachi. Finita la lettura di questa Memoria, il socio Dossena fa osservare che la teoria della natura vegetale dei cor- puscoli non è nuova, essendo stata già emessa e pubbli- cata da altri, ed anche dalla Commissione della Società Agraria di Lombardia nell’anno 1862, come si può vedere negli Atti della Società Agraria Lombundi del 1863 (Giornale ed Atti della Società Agraria Lombarda, Anno L° pag. 146). Il presidente Cornalia soggiunge che il modo di trovarsi dei corpuscoli al posto dei globuli di grasso nel baco e il non essersi ancora potuto vedere il loro sviluppo nè dagli autori della Memoria, nè dall’ A- mici, nè da altri osservatori, gli fanno credere ancora che essi corpuscoli non siano spore di vegetali, ma globuli di grasso trasformati, e siano una conseguenza e non la causa della malattia del baco. Avendo il signor Bruni fatto menzione di certi anima- letti piccolissimi che si vedono sulla pagina inferiore delle SEDUTA DEL 54 maGgGiOo 1863 219 foglie dei gelsi, Cornalia osserva essere certi dcari, la cui presenza non può avere influenza sulla malattia del baco da seta, ed aggiunge che la malattia del baco va estendendosi sempre più, essendosi ormai fatta comune anche in quasi tutte le parti dei Principati Danubiani, al punto che ora se ne occupa seriamente lo stesso governo di quei paesi. A proposito di questo estendersi della malattia del baco, il signor Bruni dice che, quando egli fu nei Principati Danubiani, qualche anno fa, vi trovò già dominante la malattia, quantunque si continuasse da molti a compe- rarvi le sementi da mettersi in commercio ; suggiunge che in questi ultimi anni si sono ottenuti buoni risultati con sementi di varie provenienze, anche nostrane, allevando i bachi con foglia solforata, oppure in luoghi ben difesi dal vento di scirocco; e cita molti esempj, comprovanti appunto il buon esito dei bachi in luoghi difesi da quel vento per mezzo di colline, di montagne, di boschi, ecc. E il socio ing. Dossena conferma l’ esistenza della malat- tia del baco nell’ Europa orientale, avendola egli trovata già molto sviluppata nel 1858 nei Principati Danubiani, nella Dalmazia, nella Turchia settentrionale, nella Croa- zia, nell’ Ungheria e nei dintorni di Gratz; cita paree- chi fatti favorevoli alla coltura delle sementi nostrane in luoghi freschi, al piede dei monti, ecc.; conferma l’ os- servazione di Rondani e Passerini sul non essersi manife- stata la malattia in certe varietà di bachi, per esempio nei così detti trevoltini, ed espone come la stessa semente, messa in ghiacciaja prima di colorirsi o dopo avere acqui- stato il colore delle uova ben-fecondate, diede buon risul- tato nel primo caso, cattivo nel secondo. Una lettera del socio Buzzoni di Brenna dà alcune no- 220 SEDUTA DEL 54 maccio 1865 tizie sull’ allevamento dei bachi in Brianza. Da esse risulta che molte partite andarono a male, ma non per la malattia solita (atrofia o petecchia), bensì per una specie di apo- plessia 0 morte repentina, che presentò dei sintomi e ca- ratteri un po’ differenti da quelli della prima, cioè la comparsa improvvisa della malattia, dopo la quarta muta, senza o con poche macchie nere, senza o con pochi cor- puscoli vibranti, con macchie giallognole, con dei corpu- scoli angolosi e parallelepipedi (cristalli) nel sangue, col tubo digerente non sempre vuoto, ecc. Egli desidera che altri osservatori abbiano a studiare questa nuova malattia già conosciuta, ma poco nota. Il socio professore Galanti legge un breve scritto, in cui raccomanda l'uso del solfato di seda in agricoltura. In questo scritto l’Autore annovera le proprietà fisico- chimiche del so/fato di soda, passa a trattare dell’impor- tanza delle combinazioni solforate in genere nell’alimen- tazione dei vegetabili, ed espone come la potassa possa in molti casi rimpiazzare la soda nella economia di alcune piante, e viceversa la soda possa rimpiazzare la potassa. A questo proposito cita le esperienze di Fournet, Ber- thier e Lassaigne, ed accenna alla possibilità della tras- formazione del solfato di soda in carbonato in seno alla terra. Indica i depositi di solfato di soda che esistono in in Milano senza che se ne faccia alcun uso, sebbene il prezzo di questo sale non sia che di 10 franchi al quintale. L’Autore passa in seguito ad accennare l'utilità del solfato di soda come mezzo igienico onde migliorare la condizione degli alimenti pel bestiame domestico, e ne indica le dosi per le diverse specie degli animali stessi. A questo proposito entra in particolari economici sulla sostituzione di questo sale a una parte del sale marino SEDUTA DEL 34 MacGIE 1865 221 agrario che si usa a questo uopo, cercando di dileguare con esempj pratici il dubbio che una tale sostituzione possa riuscire dannosa all’ economia animale. Lo stesso socio indica pure l'utilità che verrebbe dal- l’aggiungere il solfato di soda al latte di calce, con cui si incalcinano i cereali per preservarli dalla golpe; e addita esso solfato come uu mezzo efficacissimo ed economico per fissare l’ammoniaca nei concimi solidi e liquidi, non che nella formazione dei così detti urati, unendolo all’u- rina in luogo del gesso. E aggiunge molti particolari chi- mico-agrar) per dimostrare come il solfato di soda possa essere per tale uso, sotto molti rispetti, preferito allo stesso vetriolo di ferro, sebbene non possa, come il vetriolo, servire di disinfettante. L’Autore continua esponendo come il solfato di soda possa servire in agricoltura come ingrasso stimolante di- rettamente; e riassume a questo proposito le esperienze dirette istituite dal Puvis e dal Martin. Nel corso del suo scritto L'Autore fa osservare quanto sia plausibile l’idea che l'azoto preesista nelle piante allo stato d'ammoniaca, e riferisce in proposito le esperienze dei signori Viale e Latini di Roma, non che i dotti ri- flessi del prof. Purgotti di Perugia. Il socio Bollini fà alcune osservazioni sul prezzo e sulla disidratazione del solfato, alle quali risponde il socio Galanti col dire che di questa disidratazione deve tener conto anche il compratore nel fissare il prezzo di compera del solfato. Il segretario Stoppani rende conto degli avanzi delle antichissime abitazioni lacustri finora scoperti in Lombar- dia. Questo rendiconto è pubblicato per esteso (pag. 154), come la Memoria di Rondani e Passerini (pag. 164). 222 SEDUTA DEL 3î MAGGIO 1865 Il socio Lombardini osserva che il lago di Pusiano deve aver formato con quello d’' Alserio un solo lago, l’ antico Eupili; e che la separazione loro deve essere stata pro- dotta dai depositi del Lambro. Il socio Mortillet fa poi cenno della decisione degli scien- ziati francesi e inglesi sulla mascella umana trovata ad Abbeville, insieme colle scuri di pietra e colle ossa. di elefanti, rinoceronti, ecc. Il vice-presidente Antonio Villa presenta un nuovo am- monite trovato coi catilli, in certi strati della Brianza. Si chiude la seduta colla lettura e approvazione del processo verbale della seduta precedente, e col nominare socj effettivi i signori: GiseLLI GiusEPPE, assistente alla cattedra di Bota- nica di Pavia, proposto da Omboni, Cornalia e Stoppani. Lancia FepERICO, Duca di Brolo, segretario dell’ Ac- cademia di scienze e lettere di Palermo, proposto dai fratelli Villa e da Marani. GeRrLI ALBERICO, dott. in legge, consigliere di prefet- tura in Bergamo, proposto dal dott. Tassani e dai fra- telli Villa. La società riceve i seguenti libri, a lei mandati in dono: Atti del R. Istituto d’ Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli. Tomo X, Napoli, 1863. ; DeL GIupice, Notizie istoriche pel R. Istituto. — CAPoNI, Memoria terza sul catalogo dei Terremoti ece. — CostA ACHILLE, Additamenta ad centuria cimicum regni napoletani. — O. G. Costa, Sulle miniere nelle prov. merid. del Regno d’Italia. — DeL GIupicE, Delle scuole agrarie, industriali e commerciali nelle provincie merid. del Régno d’ I- talia. — Novi, Sui materiali da ponte. — PePoLI, Discorso nell’ adu- nanza solenne del 20 maggio 1862. — GrogpaNo, Eruzione del Vesuvia del 7 dicembre 1861. — SEDUTA DEL 5A maGGIO 1865 225 Capra. Muovi studj sul modo di ricondurre allo stato di allevamento normale i bachi da seta. — Dal Giornale 1° Economia Rurale, ecc. Torino, 1865. Bollettino della Associazione nazionale italiana di mutuo soccorso degli scienziati, letterati e artisti. Dispensa 2.°, Napoli, 1863. O. G. CosrA, Sull’ attuale movimento scientifico in Italia per le scienze naturali. — De Luca, Degli elementi simili nei diversi climi. — Ed altre memorie che non sono di scienze naturali. De-Bosis, Za collezione Baroni deî minerali fossili e testacei marini del dipartimento del Metauro. Ancona, 1865. Bulletin de la Société imp. des natur. del Moscou. Année 1863, lell. Ko6RNICKE, Monografia delle Marantee, Prodromo. — HoLMBERG, Piscicoltura in Finlandia. — REGEL, Piante della Russia Asiatica. — NoRDMANN, Della scoperta di un nuovo gigantesco Cryptochilon Stel- leri. — STEVEN, Nemici della vite in Crimea. — EicHwALD, Fauna e Flora fossili del Grès verde di Moscowa. — SCHWEIZER, Attrazione lo- cale presso Mosca. — LEWAROSKY, Geologia della Russia meridionale. — REINSCH, Studio chimico del vischio bianco. — TRAUTSCHOLD, Cal- care a coralli del Giura russo. — PETROWSKY, Studj algologici. — JANKA, Cuscute della Flora russa. — RADOoscHKoFFsKy, Nuovi imenotteri. — QuALEN, Geologia degli Urali. — AUERBACH, Meteorite di Tula. — Se- dute della Società. Bulletin de la Société imp. zool. d’ acclimatation. X., 4. Morte di Moquin-Tandon. — WALLUT, Sul progetto di ristabilire le madragues. — AUCAPITAINE, Sul mufione di Corsica. — TESSIER DES FaRGES, Albinismo di alcune galline. — VALENCIENNES, Specie di pesci che vivono: negli acquarj. — BRETAGNE, Sulla Venus verrucosa. — CAILLAUD, Certi pesci di mare che si possono allevare nelle acque dol- ci. — De MILLY, Educazione del Bombyx Cynthia e coltura dell’ailan- to. — CorTTLE, Bachi da seta dell'America settentrionale. — RocHussen, Coltura della Chinachina a Giava. — Sedute, fatti diversi, ecc. Il Picentino. Anno HII.°, Fasc. 3 e 4. 224 SEDUTA DEL 34 MAGGIO 1863 Indennizzazione degli animali sacrificati per l’epizoozia. — Praticoltu- ra. — Atti della Camera di Commercio. — Il Ravagliatore Certani. — Corrispondenza, ecc. Cantoni, Annali d’ agricoltura, 1863. Fasc. 8 e 9. Sunto dei nuovi principj di fisiologia vegetale di G. Cantoni. — Il 1863 secondo Mathieu de la Dròme. — La neve. — L’apicoltura d’oltr'Alpe. — La seta dei gelsi. — Dei Foraggi. — Tosare le bestie. — ecc. Verhandlungen des botanischen Vereins fiir die Provinz Brande- burg und die angrenzenden Lénder. I, Il, II e IV, Berlin 1859, 1860, 1861 e 1862. Petizione alle Camere sul progetto di legge sull’ industria mineraria. Emuisni, Caso di supposto ermafrodismo. Dal Bollettino delle scienze mediche di Bologna, 1862. Garsicietti, Relazione su due memorie anatomiche del Dr L. Maschi Dal Giornale della R: Accademia di Medicina di Torino, 1863. Dizionario di cognizioni utili alla gioventù studiosa. Torino 1863. Invito d’ associazione e programma. Revue savoisienne. 4.° Année, Num. 4 et 3. L’ Incoraggiamento di Bologna, 1863. Num. 48 (con supplem.), 49 e 20. PrREDIERI, Malattie del bestiame derivanti dalla mandriatura. — RoveLLI, Modo di far cessare le imposte. — SESTINI, Rassegna di chi- mica. agraria. — Camera di Commercio. — BrAncoNCINI. Di una malat- tia del bestiame bovino. — Saggio di coltivazione del luppolo. Wiener Entomologische Monatschrift. VII. Band. 1863, Num. 4. Giornale ed Atti della Società agraria di Lombarda. Rivista bacologica. — Atti della Società. — GABBA, Sull’aria delle grandi città e delle campagne, sull’ossigeno ozonizzato, ecc. — Rivista bibliografica. Il Politecnico, fascicoli 82, 83 e 84. SEDUTA DEL 54 MAGGIO 1865 228 MAYO, Rrogetto di abitazioni per i coloni delle Maremme toscane. — MatTTEUCcI, Della elettricità animale e delle proprietà dei nervi. — Lioy, L’astronomia negli ultimi due anni. — PANTARELLI, L'avvisatore elettrico Vincenzi. — Copazza, Commemorazione del prof. G. F. Mos- sotti. — La coltura del cotone in Italia e fuori. — E diverse memorie e notizie non di scienze naturali. Broni, Sulla malattia dei bachi da seta detta Atrofia. Relazione letta nel Comizio Agrario di Brescia il giorno 411 gennajo 1863. Brescia, 1863. L’ Abbevillois, 15 mai 1863, 19 mai 1863. (Questi due numeri contengono notizie sulla mascella umana trovata nel Diluvium presso Abbeville.) ib Seduta del 28 giugno 1863. Il socio professore Balsamo-Crivelli presenta in questa seduta una sua Memoria sugli spongiarj del golfo di Napoli, nella quale sono descritte parecchie specie nuove e sono trattati diversi argomenti sull’organizzazione e sulla classazione di quegli animali. Si legge una Memoria dei socj professori Rondani e Passerini, che fa seguito a quella letta nell’ultima seduta, e nella quale si espongono alcuni nuovi fatti e alcune nuove considerazioni favorevoli, secondo gli autori, al- l’ origine crittogamica dell’attuale malattia dei bachi da seta. Secondo le loro opinioni, i corpuscoli ovali sono spore di vegetali crittogamici, entrate nei bachi insieme coll’ aria per le vie respiratorie, e non già alghe unicel- lularî, che sì possono riprodurre per scissione, come crede Lebert, nè globuli di grasso alterati, come crede Cornalia; non si trovano in modo normale nella farfalla e nella cri- salide matura; non si sviluppano in muffe o altri vegetali ben riconoscibili nell'interno del baco o nel sangue estratto dai bachi, perchè si alterano pel contatto dei liquidi del corpo dei bachi; messi, insieme con un po’ del sangue de’ bachi malati, sopra delle foglie di vite, vi determinano la produzione di muffe particolari, i conidj delle quali hanno la stessa loro forma e l’ istesso aspetto loro; e de- vono la loro origine all’ oîdium e a varie specie di pero- nospora, ora frequenti su molte piante. SEDUTA DEL 28 Giugno 1863 27 Il presidente Cornalia dichiara che egli non vi trova ancora argomenti che valgano a fargli cangiar d’ opinione, credendo egli ancora che i corpuscoli ovali dei bachi ma- lati sono un risultato della alterazione delle sostanze com- ponenti il baco stesso, e non la causa, ma una conseguenza della malattia in discorso; e il signor professor Galanti fa osservare che dall’ esistenza o dalla mancanza del cal- cino là dove esiste o manca la malattia del gelso chiamata male del falchetto non si deduce l’ essere il calcino una conseguenza di questa malattia del gelso, e analogamente non si può, almeno per ora, asserire che la malattia at- tuale del baco derivi da una determinata malattia del gelso o di altre piante. Si presenta una Memoria del sig. Ambrosi di Borgo Valsugana, sulla caratteristica e definizione del vegeta- bile. In questa Memoria si rifiuta la definizione data da Linneo e ripetuta poi da tutti i naturalisti, e si propone di definire il vegetabile /a forza attuata in un aggregato composto mistilineo e semicentrale. Si presenta una Memoria del sig. Giglioli, ora studente a Londra, sugli apterigidi. In questa Memoria si tratta della prima scoperta, dei caratteri esterni, della struttura anatomica, dei costumi e della classificazione di quegli uc- celli, e se ne descrivono le quattrospecie ora note. presentata una Memoria in francese del socio signor Gabriele di Mortillet, intitolata Coupe géologique de la colline de Sienne, e nella quale sono descritti minuta- mente gli strati sedimentar) che si vedono a Siena, sono citati i fossili che vi sono contenuti, e se ne deducono in- teressanti conseguenze intorno allo stato del territorio se- nese nelle successive epoche geologiche corrispondenti a quegli strati. 228 SEDUTA DEL 28 ciugno 1863 Il socio Dossena, per incarico della Società agraria lombarda, domanda che sì nomini una Commissione per istudiare certi insetti che danneggiano i poponi a Campi; tello, e proporre qualche mezzo per distruggerli; e la So- cietà vi acconsente, nominando una Commissione com- posta dei signori Cornalia, Villa Antonio e Franceschini? e incaricandola di comunicare al più presto i risultati de- loro studj e le loro proposte alla presidenza della Società agraria lombarda. Il presidente Cornalia legge un breve rapporto sui ten- tativi da lui fatti per allevare delle nuove specie di bachi da seta che si chiamano Saturnia Hesperus e Saturnia Yama-mai. Sopra proposizione del socio Stoppani, si destina la. somma di L. 500 per fare delle ricerche di avanzi d’ an- tiche abitazioni lacustri, e per raccogliere fossili in due 0 tre località assai interessanti; s’ incarica la Presidenza di fare queste ricerche e raccolte con detta somma; e si de- cide che alla fine di ogni anno si determini nel preven- tivo dell’anno successivo una somma destinata per ispese di questo genere. Si chiude la seduta coll’ incaricare i soc} Antonio Stop- pani, Curd e Villa Antonio di rappresentare la Società alla riunione dei naturalisti svizzeri a Samaden, il socio Mor- tillet di rappresentarla al Congresso seientifico francese a Chambery, ed i socj Rossi Guglielmo, Galanti e Bertazzi di rappresentarla al Congresso agrario di Cremona; e coll’ ammettere quattro nuovi soc) effettivi nei signori: GarovaeLio Santo, professore di Botanica nella R. Università di Pavia, proposto da Stoppani A., Cornalia e Omboni. Bienami ingegnere Eminio di Milano (via dei Moroni, 6), proposto da Cornalia, Omboni e Visconti Ermes. tà sepbuta DeL 28 Giugno 1863 229 Secuenza GiusepPE, professore di Storia Naturale nel Liceo di Messina, proposto da Stoppani Antonio, Omboni e Cornalia. Rosari dottor Francesco di Milano (via dei Pattari, 3), proposto da Stoppani Antonio, Cornalia e Omboni. La Società riceve i seguenti libri a lei mandati in dono: Atti della R. Accademia dei georgofili di Firenze. Nuova Serie, Vol. IX, e Dispensa 1.° del Vol. X. Processi verbali delle Adunanze. — BONAZIA, Legislatura delle mi- niere. — FRANCOLINI, Acque potabili. — Bozzi, Pubblici mercati di Firenze. — STUDIATI, Dei concorsi agrarj. — LAMBRUSCHINI, Corso le- gale delle monete d’ oro. — BurALINI, Teoria dello sviluppo e del per- fezionamento dell’ uomo. — SESTINI, Analisi di terre arabili. — SESTINI, Potere assorbente della terra coltivabile. — Rossini, Sull’irrigazione della pianura dell’ Arno sotto Pisa. — CarEGA, Del modo di coltivare i gelsi. — Corsr, Dell’ amministrazione delle opere pie. — CuPPARI, L’ a- gricoltura della pianura lombarda. — SESTINI e FABRINI, Composizione dei vini d’ Italia. — RuBIERI, La scribocrazia e l'industria. — CIARDI, Firenze e le strade ferrate italiane. —— STEFANELLI, Analisi di legumi esposti a Londra nel 1862. — GupRRI, Analisi di cereali. — BECHI, Analisi delle acque del padule di Scarlino. — PARLATORE, Rapporto. — TARGIONI, Altro Rapporto. — Bonazia, Sulla legge di proprietà delle invenzioni, ecc. — RUBIERI, Dello stesso argomento. Canroni, Annali d’ Agricoliura. 1865, Numeri 10 c 11. Sull’ordinamento degli studj agronomici. — Sull’acido carbonico emesso dalle piante. — Sull’ostreocoltura. — Sull’ agricoltura in China. — Fio- ritura e danni degli insetti. — Innesto a scudetto. — Causa della ma- lattia del baco da seta. — Uso dei cascami delle distillerie per i bestiami. — Osservazioni, notizie, ecc. Giornali ed Atti della Società agraria di Lombardia. 1863, Numeri 410 e li. Rivista bacologica lombarda. — La glicerina contro l’oidio. — Atti della Società e del Ministero. —— Rivista campestre. — Scalvo e potatura dei gelsi. — Notizie diverse. 230 SEDUTA DEL %8 ciuGno 1863 Annuario della pubblica istruzione pel 1862-63. Rendiconto dell’ Accad. delle Scienze fisiche, ecc. di Napoli. Anno. IW.° Fasc. 5, Maggio 1863. De Luca, Dell’ acido borico di Vulcano. — BATTAGLINI, Della dipen- denza di primo ordine. — ScAccHI, Della polisimmetria dei cristalli. Corrispondenza scientifica in Roma. Vol. VI, Numeri 45 e 46. L’ epizoozia bovina. — I barometri a bilancia. — I satelliti di Sirio. — Osservazioni meteorologiche e fenologiche. — Bollettino bibliografico. Giornale della commessione d’ agricoltura e pastorizia per la Si- cilia. 5.° Serie, Vol. I.°, Fasc. 1.° Statistica della prov. di Girgenti. — Colonia agricola di S. Martino. — Mal nero della vite. — Sulla sovrimposta, — Sull’ industria del cotone. JI Picentino. Anno 3, Fasc. è, Maggio 1865. Lezioni di storia naturale applicata. — Pratitoltura. — Rivista, Cor- rispondenza, Bibliografia, Varietà, ecc. L’ Incoraggiamento. Anno XV, Numeri 14, 16,17, 21,22, 23, 24 e 25. Pantatore, Considerations sur la méthode naturelle en Botanique Florence, 1863. Bulletin de la Soc. imp. d’ acclimatation. X, 3 Mai 1863. Sui volatili del Giardino d’ acelimatazione. — Sulla acclimazione dei salmoni nella Marna. — Salmoni del lago Povin. — China-china colti- vata a Giava. — Pino Pei-go-song di China. — Invio d’alberi del ca- nadà. — Fatti diversi, ecc. Revue Savoisienne. 4. Année, Numero 6, Juin 1863. ScanretLini, Coup d’ eil sur la decouverte du compagnon de Sirius. SrroseL, Avanzi preromani raccolti nelle Terremare e palafitte del- l’ Emilia. Parma 1863. Schriften der k. physikalisch — òkonomischer Gesellschaft zu Konigsberg. IV Jahrgang, 1862, I, II, Abth. Notizblatt des Vereins fior Naturkunde zu Darmstadt. 1862, Num. 9,40, 44, 12. SEDUTA DEL 28 GIUGNO 1865 251 Funfzelinter Bericht des Naturhistorisches Vereins in Augsburg. 1862. Wiirzburger Naturw. Zeitschrift. III Band. 4 Heft. Socamtina, Zur Paragenesis des Glimmers, ecc. S. Petersburg, 1862. Sicatinc, Die Forischritte der physikalischen Geographie im Jahre 1860. Berlin, 1862. Abhandlungen der Naturf. Gesellschaft zu Gorlitz. Elfter Band. Gorlitz, 1862. Verzeichniss der Mittglieder und Beamten der Naturf. Gesell. zu Gorlitz. 1862. Karte zu con Mollendorffs Regenverhdltnisse Deutschlands. Gorlitz, 1862. Zeitschrift der deutschen geolog. Gesel. XIV Band, 2 und 3 Heft. Il Politecnico. Num. 85, Luglio 1863. — Non contiene alcuna Me- meria o Rivista relativa alle scienze naturali. Seduta del 26 luglio 1863. / Il segretario Omboni apre la seduta col render conto brevemente di due recenti lavori del socio prof. Capellini, cioè di una Memoria sull Infralias dei monti del golfo della Spezia, e della Carta geologica dei dintorni del golfo della Spezia. Questi due lavori mettono in chiaro la struttura geologica di quei monti intorno al golfo della Spezia, e contengono le ragioni per le quali si devono considerare dell’ Infralias e non del terreno neocomiano certi calcari di quei monti, e particolarmente quelli presso a Porto Venere, e quelli componenti le isole Palmaria, Tino e Tinetto. Si dà poi lettura d’una lettera del socio Gastaldi al socio Mortillet, e si presenta una risposta di quest’ul- timo al primo, sulla azione escavatrice dagli antichi ghiacciaj alpini sul fondo delle valli. — Credono Gastaldi e Mortillet che le valli alpine nell'epoca pliostocenica siano state riempite dall’ alluvione antica, e che poi i ghiacciaj, discendendo per le valli stesse, ne abbiano smossa e levata via l’alluvione antica, rigettandola sulla pianura, e dando poi origine ai bacini attuali del lago Maggiore, del lago di Como, del lago di Garda, ecc. I segretar) Stoppani e Omboni dicono poche parole, per esporre come essi non credano ammissibile questa ipotesi della riescavazione delle valli alpine dopo la for- mazione dell’ a//uvione antica; e si riservano di trattarne più diffusamente in migliori occasioni. » SEDUTA pbEL 26 LuGLIO 1863 935 Il socio Bellotti legge una sua Memoria che ha per ti- tolo: Metodo facile per ottenere semente sana di bachi da seta nel proprio paese, esperimentato con buon successo nel corrente anno. L'autore, partendo dal principio, che nella attuale malattia dei bachi da seta la qualità del loro nutrimento debba esercitare una influenza più o meno buona sul loro stato di salute, ed avendo motivi per cre- dere che una non ancora ben accertata malattia del gelso si sviluppi soltanto ad epoca inoltrata della sua vegetazione, venne in pensiero di nutrire una certa quantità di bachi provenienti da uova sane con foglie sempre tenere, esclu- dendo qualunque foglia matura. Cinque esperimenti fatti contemporaneamente nella scorsa primavera in cinque differenti località, gli diedero per risultato un buon pro- dotto di bozzoli. La semente avuta dalle farfalle uscite da questi bozzoli, esaminata al microscopio, si trovò assolu- tamente sana, cioè affatto priva dei corpuscoli vibranti, caratteristici della semente infetta. In altri esperimenti, fatti senza alcuna scelta di foglia, la stessa qualità di uova diede ancora un abbondante raccolto di bozzoli, ma poi le farfalle, che ne nacquero, deposero della semente infetta in grado eminente. L'autore crede probabile che la sup- posta malattia del gelso dipenda da un principio di fer- mentazione nelle foglie mature, ancora aderenti all'albero, oppure già nello stomaco del baco, e che da quella fer- mentazione abbiano origine i corpi ovali, i quali, traspor- tati nel sangue e nei tessuti del baco, vi siano causa di malattia, moltiplicandosi poi all’infinito. I corpuscoli ovali non sarebbero dunque altro che oru/e, simili a quelle che generalmente si osservano nelle fermentazioni alcooli- che. Parlando degli allevamenti precoci, l’autore dice essere utili per ottenere bachi più sani, ma non essere 2354 SEDUTA DEL 26 LUGLIO 18653 sufficienti per produrre uova esenti affatto d’infezione, se non sì osserva in essi, come condizione indispensabile, quella da lui proposta, di nutrire esclusivamente ‘è bachi con tenere foglie fino alla loro salita al bosco. Messa questa condizione per base degli allevamenti destinati a produrre uova sane, poco importa la stagione in cui si compiono; ben inteso che non s’abbiano a trascurare le altre norme di ogni buona coltivazione. Il presidente Cor- nalia ha esaminato le uova trovate sane dall’autore, ed ha confermata la loro perfetta sanità. L'autore fa voti perchè 1 bachicolturi mettano in pratica il modo proposto perla produzione delle uova sane necessarie per le loro grandi coltivazioni annuali, potendosi in tal modo, se non vin- cere affatto la dominante malattia, paralizzarne almeno gli effettti (*). E letto un breve scritto del socio Tassani, in cui si fa sapere che, abbruciando gran copia di solfo nelle bigat- tiere, si poterono avere soddisfacenti quantità di bozzoli da partite formate da bachi col calcino e da bachi affetti dalla dominante malattia. Lo stesso scritto conchiude doversi aspettare l’ esito di altri esperimenti prima di oc- cuparsi degli effetti dell'acido solforoso sui bachi affetti da atrofia. Il socio Franceschini legge il rapporto mandato alla Società Agraria di Lombardia sugli insetti danneggianti i poponi a Campitello, e compilato dai socj Antonio Villa Cornalia e Franceschini. ' (*) Questa Memoria del signor Bellotti è pubblicata negli Atti della So- cietà, e se:ne':stampò a parte, a spesa dell'Autore, un certo numero di esem- plari, che furono/messi in vendita presso la tipografia Bernardoni, al prezzo di UNA LIRA ed a totale beneficio dai pellagrosi poveri di Busto Garolfo e di Furato. SEEUTA DEL 26 LueLio 1863 2355 Si chiude la seduta col decidere che non se ne terrà aleun’altra sin verso la fine del mese di novembre, in consegnenza delle prossime vacanze autunnali e delle gite scientifiche che molti socj intendono di fare nell’ agosto in paesi più o meno lontani da Milano ; e col nominare socj effettivi i signori: Rovasenpa cav. Luci, di Torino (via della Consola- ta, 1), proposto da Gastaldi, Cornalia e Stoppani A. SaLvaporiI dott. Tommaso, di Porto S. Giorgio (Mar- che), proposto da D'Ancona, Cornalia e Stoppani A. Puini CarLo, di Firenze (via S. Agostino, 19), pro- posta da D'Ancona, Cornalia e Stoppani A. KramER EpuaRDO, di Milano (via S. Pietro all’Orto, 16), proposto da Galanti, Omboni e Stoppani A. Ecco un sunto del Rapporto sugli insetti dannosi ai poponi di Campitello. « Alla Direzione della Società Agraria di Lombardia n Incaricati i sottoscritti, nella seduta del 28 p. p. giugno della Società Italiana di Scienze Naturali, di studiare certi insetti, che danneggiano i po- poni a Campitello, ora hanno 1’ onore di presentarle il risultato dei loro studj. » Gli insetti presentati, essendosi riconosciuti per Gorgoglioni o Afidi (Aphés), i sottoscritti crederono bene di dirigersi al loro collega prof. Passerini di Parma, che, avendo fatti molti studi su tal genere d’insetti, meglio poteva de- terminare la specie alla quale appartengono; ed infatti ci scrisse ritenere es- sere l’Aphis Symphyti Schrk, che quest'anno è copiosissimo ed assai dannoso anche a Parma. n Tutti i Gorgoglioni sono forniti di un rostro, che talvolta è più lungo del loro corpo, e che internano nei tessuti dei vegetali per succhiarne i loro umori. Benchè sembrino assai pigri e stazionarj, pure qualche volta, principalmente d’autunno, emigrano a grandi distanze. » Reaumur, che studiò la loro riproduzione, trovò che uno di questi insetti può produrre 90 figli, di modo che nel corso di una state, in ripetute gene- razioni, si arriva ad avere una discendenza di più milioni. I maschi compa- jono solo all’ autunno, si accoppiano colle femmine, che poi depongono le 256 SEDUTA DEL 26 LuGLIO 1863 uova, e talora anche animali viventi; nella primavera escono dalle uova i piccoli che sono tutti femmine, e che senza accoppiamento si moltiplicano sino al nuovo autunno, deponendo sempre animali viventi. » Per i diversi cambiamenti di pelle, che subiscono questi ‘insetti prima di arrivare al loro stato perfetto, le foglie si coprono delle loro spoglie, che ge- neralmente conservano benissimo la forma di Afide. n I Gorgoglioni, benchè contino molti nemici fra gli insetti, e principalmente le larve delle Coccinelle dette volgarmente Gallinette della Madonna, pure, qualora siano straordinariamente numerosi, riuscendo di gran danno alle piante si cerca di distruggerli con varj mezzi; ma sfortunatamente quasi tutti hanno l'inconveniente di non potersi senza molta fatica e spesa realizzare in una grande coltivazione. » Fra i più usati accenneremo i seguenti, che crediamo i più utili. 1.° Alla primavera, appena apparsi, tagliare le parti infestate e abbruciarle. 2.° Fumo di tabacco, che bisognerebbe applicare con apposito soffietto. 3.° Aspergere le piante con acqua di tabacco, che si può facilmente avere dalle fabbriche. 4.° Gesso misto a calce in polvere. 5.° Cenere mista a un decimo circa di sale polverizzato. 6.° Spazzolature con acqua di calce, alle parti più coperte di Afidi. » Abbenchè le stagioni calde siano propizie alla maggiore moltiplicazione di questi animaletti, pure non credono i sottoscritti che il mite clima dello scorso inverno sia stato la causa della loro straordinaria apparizione. » Avanti di chiudere, raccomandiamo di non lasciare nel venturo inverno le piante di popone nei campi, ma, appena terminato il raccolto, estirparle ed abbruciarle assieme a tutte le foglie, distruggendo così le larve vive e le uova che vi fossero. » « Milano, 6 luglio 1863. » Seguono le firme. Nel mese di luglio sono giunti alla Società i seguenti libri: Careruini, Carta geologica dei dintorni del golfo della Spezia e di Val di Magra inferiore. Rendiconto dell'accademia delle scienze, ecc. di Napoli. Aprile e giugno 1863. De Luca E UBALDINI, Ricerche chimiche sulla terra arabile di Pisa. — De Luca, Sull’acido borico di Vulcano. — Costa, Sulla Phylliroe Bucephala. — De Luca, Sulla formazione della materia grassa nelle ulive, e sulla trasformazione della pelle dei serpenti in zucchero. sebUTA DEL 26 Luccio 1863 D37 Giornale ed Atti della Società Agraria di Lombardia. Num. 42 e 413 del 1865. Rivista Campestre. — Sul decreto per l’uso dei cavalli e muli del Treno d’armata nella agricoltura. — Atti della Società. Cantoni, Annali di agricoltura. Num. 12 e 13 del 1863. Sulla coltivazione del cotone in Italia. — Corrispondenza dal Tirolo italiano. — Cronaca agricola svizzera. — Bachicoltura. — Coltivazione del lino in Lombardia. — Albericoltura, ece. CoLomso, Discorso in occasione della consegna delle medaglie agli Industriali premiati all’ esposizione di Londra. Milano 1863. Politecnico. Num. 86, agosto 1863. CANTONI, La metereologia vegetale. — E nessun’allra memoria rela- tiva alle scienze naturali. ScarpeLuni Caterina, Za luna osservata in Roma nell’ eclisse totale del 1.° giugno. 1865. Corrispondenza scientifica in Roma. VI num. 47. La luna nell’ eclisse del 1.° giugno 1863. — Due nuovi barometri, — Studj sul sangue bovino nell’epizoozia presente. — Alcaloidi volatili artificiali. Garanti, Discorso preliminare per le adunanze della Società Eco- nomico-Agraria di Perugia. Letto il 3 maggio 1863. Bullettino dell’ Associazione nazionale italiana per il mutuo soccorso degli scienziati , letterati e artisti. Dispensa Ili, Napoli 1863. Giornale della Commissione di agricoltura e pastorizia di Sicilia. — Seconda serie, Tomo 1.°, 11.9, HII.°, — Terza serie, Vol. I.°, fa- scicolo 2.° Sava, Sulle condizioni dinamiche del sollevamento delle montagne, Prato 1863. Atti del R. Istituto lombardo di scienze, ecc. Vol. III, fascicoli XI a XIV, Milano, 1863. Lavori dell’ Istituto. — PotLI, Uso dei solfiti e iposolfiti nella cura dei bachi da seta. — FERRARIO ErcoLE, Bonificazione della brughera di 238 SEDUTA DEL 26 LuGLIO 1863 Gallarate. — GHisi, Manipolatore pel telegrafo elettrico di Morse. — Commemorazioni di Carlini, Strambio, De Cristoforis, Zambelli e Vacani. Memorie del R. Istituto lombardo, ecc. Vol. IX (III delle serie II), fascicolo III, Milano 1863, BorponI, Equilibrio astratto delle volte; e sulle svolte delle strade. — . CastIGLIONI, Sordo-mutezza dalla nascita in rapporto colla legislazione ed educazione. — MAGRINI, Sulla elettricità atmosferica. — E altre me- morie, che non si riferiscono alle scienze naturali. Secuenza, Prime ricerche sui rizopodi fossili pliostocenici di Catania. Del rame nell’ olio di fegato di merluzzo. Paleontologia malaco- logica dei terreni terziarj del distretto di Messina. Sulla forma- zione miocenica di Sicilia. Dei terreni terziarj del distretto di Messina e dei foraminiferi monotolamici delle marne mioceniche messinesi. Atti dell'I. R. Istituto Veneto di Scienze, ecc. Tomo VIII, dispen- se III, IV, Ve VI. Moto d’un corpo pesante, ecc. — Sulla piscicultura. — Sulla coltura degli animali acquatici del Veneto. — Sulle pesche venete. — Ipsometria delle Alpi Venete. — Sulle condizioni del Mississipì. — Ficee nuove, ecc. — Muro di rivestimento sulla spiaggia del mare. — ecc. Sewoner, Enumerazione sistematica dei minerali delle provincie ve- nete, ecc. Dagli Atti dell’I. R. Istituto veneto. Vol. VIII. L’Incoraggiamento, 1863. Numeri 26, 27 e 29. Bulletin de la Société d’acclimatation, ecc. Tome X, numéro 6, Juin 1865. | Capre d'Angora e Yack. — Allevamento dei gallinacei. — Sulla po- darga. — Educazione dei salmoni nei laghi. — Esperienze sericicole nel 1860, 1861 e 1862; ecc. Detesse, Materiaua de construction d l'exposition universelle de Lon- dres de 1862, Paris 1863. Decesse er LauceL, Revue de geologie pour 1861, Paris 1862. Bulletin de la Soc. imp. des naturalistes de Moscou, Année 41858 num. III, x SEDUTA DEL 26 LugLIO 4863 239 Revue Savoisienne, IV annee, num. 7. Leonnarp und Grinitz, Neues Jahrbuch, 1863, Il. Mittheilunque des Naturforschenden Gesellshaft in Bern aus dem Jahre 1862, (num. 497 a 850). Correspondenzblatt des Vereins fiir INaturkunde zu Presburg, 1} Jahrgang 1862. Verhandlungen und Mittheilungen des siebenb. Vereins fiir Naturw. zu Hermannstadt, XIII Jahrgang. Wiener Entomologische Monatschrift, VII Band. Num. 2, 3, 4, B. Jahrbuch der k. k. geol. Reichsanstalt, 1863, num. 1. Marscuatt von BurcuoLzaausen, General-Register der ersten zehn Biinde (num. 4 von 1850 bis num. 10 von 1859) der Jahrbuches der k. k. geol. Reichsanstalt, Wien 1863. » SULLA ESCAVAZIONE (AFFOUILLEMENT) DEI BACINI LACUSTRI COMPRESI NEGLI ANFITEATRI MORENICI LetTeRA DEL socio GASTALDI ar socio MORTILLET (Seduta del 26 luglio 1863.) Torino, 7 luglio 1863. Carissimo Amico, Niuno poteva essere meglio di me preparato a ricevere e ad adot- tare la vostra nuova idea di attribuire all’azione erosivo-spostante dalla parte terminale dei grandi ghiacciaj la riescavazione dei bacini lacustri, giacchè da parecchi anni io aveva dato grandissima impor- tanza ai fatti sui quali quella idea è basata. I fatti cui accenno possono riassumersi in questi due principali, cioè: Primo, che gli strati diluviali o di alluvione antica sono subordi- nati, sottogiacienti alle morene, ciò equivalendo a dire che il diluvium o l’alluvione antica fu formata prima che i ghiacciaj discendessero sino nella pianura del Po. Secondariamente , che allo sbocco di cadauna vallata vi è un dé/u- vium speciale o cono di dejezione esclusivamente formato di roccie provenienti dalle parti superiori della valle stessa. Se nella pianura del Po, allo sbocco di cadauna delle valli alpine ed inferiormente ai laghi, laddove questi esistono , il diluvium con- stasse di una miscela di ciottoli provenienti da punti diversi e con- siderevolmente fra loro distanti, come lo è, per esempio, il conglome- GASTALDI E MORTILLET, SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI 241 rato miocenico; se non esistesse quella mirabile distribuzione topo- grafica di ciottoli, così fatta, che allo sbocco di cadauna valle alpina trovinsi i ciottoli di natura identica a quella delle rocce in cui la valle stessa è scavata, si potrebbe credere che non vi ha connessione alcuna fra il diluvium ed i laghi, si potrebbe credere che quello è affatto indipendente da questi. Noi abbiamo tre specie di bacini lacustri: 4.° I piccoli bacini morenici, quelli cioè racchiusi fra morene, e posti ad un livello più o meno elevato al disopra del fondo del- l’anfiteatro (laghetti di Alice, di Meugliano e di Bertignano presso Ivrea). 2.° I bacini esclusivamente scavati nel diluvium, quelli cioè le cui sponde non sono, in alcun punto, di roccia in posto, e trovansi a livello dal fondo dell'anfiteatro (laghetti di Candia e di Viverone presso Ivrea). 5.° I bacini estesi o misti, quelli che sono scavati parte nella roccia e parte nel diluvium o strati ad esso inferiori (1), ad esempio il Lago Maggiore. Mi limiterò per ora a parlare di questa terza specie di laghi.’ Dal momento in cui è constatato che cadauna valle sboccante nella pianura del Po ha un diluvium suo particolare, composto cioè di rocce provenienti dai diversi punti della parte superiore della valle stessa: dal momento in cui è provato che il deposito del diluvium precedette quello delle morene: dal momento in cui fra il diluvium posto nella pianura del Po e le rocce da cui provengono gli elementi di quel diluvium sta un bacino lacustre, egli è forza ammettere che, quando si è formato il diluvium a valle del lago, il bacino di questo o non esisteva o fu riempiuto dal diluvium stesso. Per quanto io sia proclive a dare la più alta importanza alle idee di un geologo così versato nella questione dei ghiacciaj e dei laghi quale è il nostro amico Desor, non posso ammettere che i bacini la- custri siano stati occupati da una massa di ghiaccio durante la for- (4) Ometto di citare certi laghetti quasi esclusivamente scavati nella roccia, quali sono quelli di San Giuseppe, di Campagna, Pistone e Nero presso Ivrea. 16 249 GASTALDI E MORTILLET, mazione del diluvium nella pianura del Po, giacchè la supposta; massa di ghiaccio avrebbe dovuto fondersi, superiormente, sotto l’in- fluenza dell’acqua corrente che faceva discendere nella pianura del Po gli elementi o materiali del diluvium, inferiormente , sotto quella della temperarura. Se neghiamo che il bacino lacustre abbia preesistito all’ epoca in cui grandi masse d’acqua discendenti dalle Alpi formarono il diluvium, ne viene per conseguenza che il bacino lacustre ha dovuto essere scavato nella roccia e nel diluvium dal ghiacciajo, e veniamo ‘allora nelle idee emesse dal distinto geologo inglese il professore Ramsay. Se ammettiamo che il bacino preesisteva con profondità e contorni più o meno corrispondenti agli attuali, ne viene per necessaria con- seguenza che ha dovuto essere riempiuto dal diluvium. prima che questo arrivasse nella pianura del Po. Talo è il dilemma cui parmi riducasi in oggi la questione. O si nega che i bacini lacustri preesistevano all’epoca diluvio-gla- ciale, ed allora bisogna adottare la teoria di Ramsay, attribuire cioè ai ghiaccia) la forza di scavarli nella roccia e nei depositi diluviali. O si ammette che i bacini già preesistevano, ed allora convien adot- tare il modo vostro di vedere, concedere civè che. furono riempiti dagli strati diluvio-glaciali (e forse precedentemente dagli strati plio- cenici), e quindi riescavati dai ghiacciaj quando venivano a posare le loro morene terminali sul vertice dei coni di dejezione. Molti dei geologi, che conoscono in tutta la loro particolarità i mi- croscopici ghiacciaj ancora esistenti nelle Alpi, si rifiutano di ricono- scere alla parte terminale di un ghiacciajo il potere di escavare una roccia poco coerente, quale è il deposito diluviale, od una roccia di poca, durezza quali sarebbero la marna e la sabbia plioceniche. Di ciò non dobbiamo stupirci, giacchè i ghiacciaj ancora esistenti non operano in tal guisa. E ciò perchè? Perchè la parte terminale ossia il piede loro si trova sovrapposto a roccia viva e non a un ammasso incoerente di ciottoli, di ghiaja e di sabbia, come ‘succedeva a quelli che si estendevano sin nella pianura del Po. D'altronde, paragonare l’azione escavatrice degli antichi con quella dei moderni ghiaccia] sarebbe lo stesso che paragonare l’ immenso deposito diluviale cogli insignificanti coni di dejezione dei ghiaccia] d’ oggidi. SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI 245 Se noi tentiamo applicare la teoria del professore. Ramsay al ver- sante italiano delle Alpi, il primo appunto che dobbiamo farle sta in ciò, che al piede del gigantesco ghiacciajo discendente fino a Caluso, dalle punte del monte Bianco, del Rosa e di altre cospicue montagne, non vi è un lago, giacchè quelli di Viverone e di Candia, compresi nel perimetro della morena di quell’antico ghiacciajo, non sono, per la loro piccola estensione , paragonabili ai laghi Maggiore, di Como, di Garda, ecc. Questo fatto è di alta importanza, giacchè, se a senso delle idee esposte dal professore Ramsay, il piede di un grande ghiacciajo ha la potenza di scavare profondamente la roccia, e di formare un bacino lacustre, questa potenza doveva certamente averla il ghiacciajo della valle di Aosta , il più lungo e fra i più potenti, per massa, dei ghiac- ciaj del nostro versante. Noi vediamo tuttavia che, non solo quel ghiacciajo non iscavò nei dintorni di Ivrea un bacino lacustre nella viva roccia, ma lasciò sus- sistere una catena di testate di diorite, che, partendo dalla Serra, os- sia dalla morena laterale sinistra, e sbarrando lo sbocco della valle, va a perdersi ai piedi della morena laterale destra. Certamente su queste testate di roccia si fece con forza sentire l’azione limante dell’antico ghiacciajo; esse sono infatti arrotondate (imoutonnees), e là, dove sono rivestite di sottile strato di terra o di altro riparo che le tenne al coperto dall'azione atmosferica, sono anche profondamente rigate; ma insomma queste testate esistono, e si ele- vano non poco aldisopra del livello del fondo della valle. Però, se questo fatto milita contro la teoria del signor Ramsay, esso non milita punto contro la vostra, giacchè l'assenza di un vasto lago nei dintorni di Ivrea ci autorizza a credere che il bacino non pree- sisteva bello e fatto all’epoca diluvio-glaciale. Perciò il ghiacciajo che discendeva dal Monte Bianco ad Ivrea, dopo aver oltrepassate, scavalcate le cupole di diorite che sbarrano la valle, e perduta in questo sforzo una parte della spinta che aveva, si limitò a scavare nel diluvium posto a valle di esse, e nei sottoposti strati di marnpa e sabbia plioceniche, i due bacini di Viverone e di Candia. La posizione di questi due bacini, che negli scorsi secoli dovevano d’ al- 244 GASTALDI E MORTILLET , tronde essere molto più vasti: la altezza e la massa della collina di Masino, che rientra molto avanti nell’ anfiteatro morenico, ci fanno supporre che il ghiacciajo si divideva in due e perdeva perciò an- cora della sua forza scavante. ] laghi incassati in mezzo a montagne e masse considerevoli di roccia (Lago Maggiore) sono anche molto profondi; quella parte però che, scavata nel diluvium, trovasi circoscritta da morena è, al con- trario, poco profonda. Egli è naturale che il ghiacciajo , finchè, costretto fra pareti di roccia, ha dovuto esercitare sul fondo del cunicolo una gran forza di erosione, forza che andava diminuendo a misura che il ghbiacciajo diveniva libero de’ suoi movimenti in senso laterale. Il ghiacciajo della Dora Riparia, giunto a Sant'Ambrogio, si divideva in due; il ramo che progrediva verso Trana, incassato in mezzo a masse di roccia in posto, ha lasciato due laghi (anzi che no pro- fondi relativamente alla loro estensione), quello di Trana e quello di Avigliana ; il ramo, al contrario, che procedeva verso Rivoli non ha lasciato alcun bacino, perchè probabilmente a Poe profondità sul fondo della valle trovasi la roccia in posto. L’enorme massa di ghiaccio risultante dall’ unione dei ghiacciaj dell’Anza e del Toce, giunta ad Ornavasso, si divideva in due. Il ramo di destra, incassato fra montagne di granito e di porfido, ha la- sciato il lago di Orta, la cui profondità è notevole; il ramo di sinistra, ancor esso costretto fra monti di roccia, ha, in unione col ghiacciajo del Ticino, lasciato nella stretta un profondo bacino, la cui profon- dità va tuttavia diminuendo tra Belgirate ed Arona, fra quest’ ultimo luogo e Sesto Calende. Queste osservazioni, quantunque già da voi fatte, vogliono essere ripetute, perchè gli oppositori trarranno appunto argomento dalla profondità di certi laghi, dal non trovarsi laghi allo sbocco di certe valli, per contestare le idee da voi emesse. A Vi ha un fatto che non si può negare e cui non è possibile non dare una grande importanza, ora che venne molto a proposito ge- neralizzato e messo in gran rilievo dal prof. Ramsay: esso è la intima connessione esistente fra i laghi e gli anfiteatri morenici. Rigorosa- mente parlando, si può dire che, sul nostro versante almeno, non vi SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI 245 ha lago, che non sia compreso in un anfiteatro morenico. E quì cade in acconcio notare che, se al sud di Trana non vi son più laghi, egli è perchè non vi sono più anfiteatri morenici. Di più, l’importanza di un lago (la sua estensione cioè e la sua profondità) risponde appieno alla grandezza della massa di ghiaccio, all’azione della quale deve la riescavazione del suo bacino ; e, se vi ha una eccezione a questa regola nell’anfiteatro di Ivrea, essa è do- vuta, oltre ai motivi già sopra notati, alla intera libertà di movimento laterale di cui godeva il ghiacciajo una volta escito dalla valle. lo già aveva segnalata, alcuni anni sono, senza spiegarla, la pro- fondità degli anfiteatri morenici relativamente al livello del diluvium, che, in forma di coni di dejezione, si protende verso il Po a valle delle morene: e recentemente, mentre voi esternavate le vostre idee sull’affouillement dei bacini lacustri, io vedeva la necessità di attri- buire la profondità degli anfiteatri morenici ad una particolare azione esercitata sul vertice del cono di dejezione dalla parte terminale del ghiacciajo. A questo concetto io era condotto dall’ osservare che tutti gli anfi- teatri morenici, anche quelli che non servono di ricettacolo a grandi masse di acqua, sono veri bacini lacustri; tant’ è che la tradizione pone un vasto lago nell’anfiteatro d’ Ivrea, lago che sarebbe in gran parte scomparso coll’approfondarsi dell’ alveo della Baltea al punto in cui questo torrente esce dal perimetro delle morene. Un accurato studio dei resti di depositi pliocenici, che ancora esi- stono ai piedi delle Alpi sul versante nostro, ci farebbe forse per- suasi che i bacini lacustri preesistevano all’ epoca pliocenica, o in altre parole, che erano fiordi del mare pliocenico , tanto più profon- di, quanto più alte e ripide avevano le sponde. Se ciò venisse pro- vato, ed io son persuaso che lo sarà, ne conseguirebbe che quelle profondità furono ricolmate dagli stessi depositi caratteristici del pliocene, da marne cioè e da sabbie e perciò, anche nella supposi- zione che tutto il diluvium posto inferiormente ai laghi sia passato sui bacini lacustri senza soffermarvisi, perchè ripieni di ghiaccio, con- verrebbe sempre ammettere che il ghiaccio dovelte prima sbaraz- zarli dagli strati pliocenici che li riempivano. 246 ‘GASTALDI E MORTILLET, Rimontando la valle del Po al sud di Moncalieri, noi troviamo che essa si restringe, fiancheggiata al sud-est dalle Langhe, al sud-ovest dalle Alpi Cozie, e che termina ai piedi delle Alpi marittime. Le pro- fonde erosioni del Tanaro, della Stura e di altri torrenti ci fanno vedere che sul fondo della valle, al dissotto del.diluvium, si esten- dono strati postpliocenici e pliocenici. Noi abbiamo anche quì una estesa superficie di suolo suscettibile «di essere affowillé, di essere escavato. Perchè in tutta questa vasta regione non vi sono laghi? La risposta è facile. Vi sarebbero laghi, anzi vi sarebbe forse un solo ma vastissimo e poco. profondo lago nell’alta valle del Po, se le Langhe, la catena del Viso e le Alpi Co- zie fossero montagne dell’altezza e dell’ estensione del monte Bianco, del monte Rosa, del Cervino, ece. Ricorderò quì, a titolo di semplice singolarità, che il signor Godef- froy (1), cui dobbiamo una si strana e. falsa interpretazione dei feno- meni dei ghiacciaj, emise sin dal 1840 l’idea che la parte terminale di un ghiacciajo agisca a guisa di vomere sul terreno mobile della vallata. In questa questione vi ha però una cosa per me inesplicabile; de eccola. lo credo, e son persuaso che voi converrete con me nel cre- dere , che il deposito diluviale è, in tutto od in gran parte almeno, opera idei torrenti sgorganti dai ghiacciaj, mentre discendevano dalle Alpi nella pianura. Ciò posto perchè gli stessi ghiacciaj, ritirandosi gradatamente; non' han dato luogo a tant’altra quantità di diluvium da riempire di nuovo in tutto od in:gran parte i laghi? I ciottoli. che riempirono il bacino del lago Maggiore, risollevati per spostamento dal ghiacciajo, sono oggidi sparsi sulle pianure che si estendono a destra ed a sinistra del Ticino a valle di Sesto Calende. I tre ghiac-_ ciaj dell’Anza, del Toce e del Ticino, che insieme uniti occupavano il bacino lacustre, come han fatto a ritirarsi sino alle punte del Rosa, del Gries e del San Gottardo senza produrre altre dejezioni di ciottoli capaci di riempire di nuovo, in tutto od in gran parte il bacino del lago ? i (4) Notice sur les giaciers, les moraines et les. blocs ervatiques des Alpes. SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI 9247 Siatemi cortese di una risposta e, ringraziandovene anticipatamente, vi prego gradire gli affettuosi saluti del Tutto Vostro B. GASTALDI P. S. Permettetemi che io riprenda per un momento la penna, e noti con dispiacere che l’errore da me commesso nel considerare come erratici i massi sparsi superficialmente sul suolo della collina di Torino (Essai sur les terrains de la vallée du Po) fu causa di altri errori, giacchè la esistenza di massi erratici su quella collina venne citata in appoggio di una duplice o tripla grande estensione di ghiaccia] alpini durante l’ epoca postpliocenica, come altresì venne usufruita per provare che i coni diluviali di dejezione non sono che morene profonde od il sottostrato degli antichi ghiacciaj. lo debbo quì ricordare che in un recente scritto (Frammenti di geologia del Piemonte) segnalai io stesso il mio errore, dopo di aver constatato che i massi superficiali della collina fecero già parte di conglomerati del mioceno, e rimasero alla superficie del suolo in seguito alla distruzione degli affioramenti di quei conglomerati. L’idea di una duplice o tripla estensione dei ghiacciaj alpini po- trebbe non essere erronea che in senso relativo ; e mi spiego. In Pie- monte sarebbero contro di essa i fatti (se pure li ho bene interpre- tati), giacchè nelle profonde escavazioni dei torrenti noi vediamo sottostare al diluvium strati postpliocenici o pliocenici sensa ombra di massi erratici; forse in Svizzera, ove il regime dei ghiacciaj (per quanto si riferisce alla loro estensione) è oggidi ancora ben diverso da quello che si osserva sul nostro versante, quella idea può non esseré lontana dal vero. SUR L’AFFOUILLEMENT DES ANCIENS GLACIERS REPONSE DE: MONSIEUR GABRIEL DE MORTILLET A M. BARTOLOMEO GASTALDI. (Seduta del 26 luglio 1863.) SOMMAIRE — 1, Coupes du quaternaire. — 2, Desor: Théorie des lacs. — 3, Théorie des affaissements. — 4, Affouillement des glaciers actuels. — 5, Pirona: Glaciaire du Frioul. — 6, Omboni: Thégorie de 1’ époque glaciaire. — 7, Lombardini: Origine des terrains quaternaires. — 8, Ramsay: Origine glaciaire des lacs. — 9, Ball: Contre l’affouillement glaciaire. — 10, Lyell: Résumé de la question. — 11, Lory: Affouille- ment dans la vallée de l’Isère. — 12, Conclusion. Mon Cher Ami, 4. — Il est impossible de mieux défendre la théorie des affouille- ments glaciaires. Connaissant à fond la géologie du Piémont, votre examen raisonné des anciens glaciers de ce pays vous permet de préesenter une démonstration des plus positives. Vous procédez de la bonne manière; en vrai naturaliste, c’est-à-dire par l’étude exacte et minutieuse des faits. A toutes les excellentes choses contenues dans votre Jlettre Je n’ajouterai qu’ une coupe. Elle est prise dans un de vos amphithéà- GASTALDI E MORTILLET, SULLA ESCAVAZIONE ECC. 249 tres glaciaires, celui de Rivoli, terminant l’ancien glacier de la Doire- Riparia. (Fig. 1) Amont p Lit de la Doire-Riparia a Alluvion ancienne g Glaciaire avec blocs erratiques. Lorsqu’on suit le chemin de fer de Turin à Suse, après la station d’Alpignano, on traverse une tranchée qui coupe une magnifique moraine, puis on entre dans l’intérieur de l’amphithéAtre glaciaire profondément excavé. Toutes les pentes du terrain sont plus ou moins revétues de boues glaciaires, contenant et supportant un grand nombre de blocs erra- tiques. Cet amphithéàtre, comme on peut le reconnaître è première vue, était entiérement fermé. La Doire, qui coule au fond, a été obligée, pour se frayer un passage, de corroder le sol et de se creuser un canal étroit et profond. Ce sont ces corrosions de la rivière qui ont mis à nu la coupe intéressante que je viens de représenter. On voit dans le fond du canal l’alluvion ancienne, votre diluvium, for- mant un poudingue très dur, à stratification torrentielle, coupée en biseau en amont, par suite d’une dénudation, et recouverte entière- ment par le glaciaire, non seulement sur sa partie supérieure, mais encore sur la face de dénudation, ce qui prouve bien que cette dénu- dation est de l’époque glaciaire. Je pourrais citer un grand nombre de coupes semblables hors du Piémont. Je me contenterai d’en donner deux. L’ane prise sur la ligne de Milan à Camerlata, dans l’amphithèàtre 250 | GASTALDI E MORTILLET, du Jac de Come. La station de Cucciago est vers l’estrémité sud de cet amphithèàatre. Depuis cette station on voit l’alluvion ‘ancienne, formant également sur ce point un poudingue assez dur, supporter une moraine glaciaire. (Fig. 2) i a Alluvion ancienne, stratification torrentielle g Moraine glaciaire d Dénudation post-glaciaire. Un peu plus loin une coupe (Fig. 3) montre cette alluvion ancienne dénudée, taillée en biseau, face de corrosion que recouvre complète- i ment la boue glaciaire et contre laquelle se trouvent plaqués des blocs erratiques. a Alluvion ancienne g Glaciaire. Les blocs erratiques plaqués contre les faces dénudées de l’allu- vion ancienne sont souvent sur des pentes telles qu'ils ne peuvent y avoir été fixés que par l’action extrémement calme et lente des glaciers. J'ai pu, ce printemps, faire observer ces faits, depuis le wagon à ‘nos amis Desor et Stoppani. SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI Q54 L’autre coupe est savoyarde. Elle se trouve à l’extrémité d'une des promenades de Chambéry, à La Boisse. L’alluvion ancienne est ‘formée, sur ce points, d’assises horizontales diverses, composées de bas en haut de sable, d’argile, de cailloux. Toutes ces assises sont cou- pées successivement en biseau par le glaciaire (Fig. 4), fait que j'ai observé depuis longtemps et que j'ai eu le plaisir de faire constater par l’abbé Vallet. s Sable a Argile Alluvion ancienne c Cailloux g Boues glaciaires. 2. — Depuis le 4 juillet 1859 époque où j'ai émis pour la pre- mière fois, à la Société géologique de France (1), l’idée de l’affouil- lement des glaciers, et surtout depuis le 23 décembre 1860 où j'ai développé cette idée devant la Società Italiana di scienze natu- rali (2), elle est entrée largement dans le domaine de la discussion et a gagné du terrain. E. Desor s’est occupé d’une facon toute particulière de l’étude des lacs des Alpes. En 4860 ila publié, dans la Revue suisse: De la physionomie des lacs suisses; et l'année suivante: Quelques consi- dérations sur la classification des lacs à propos des bassins du revers meridional des Alpes (3). (1) Note géologigae sur Palazzolo et le lac d’ Iseo dans Bull. Soc. géol. 2.° sér. vol. 16, p. 888. (2) Carte des anciens glaciers du versant Italien des Alpes dans Alti Società Ita- liana sci. nat. vol. 3, p. 44. Dans le numèro de novembre 1860 de la Revue Savoî- sienne j'ai appliqué d’une maniére spéciale l’idée de l’affouillement. glaciaire au lac d’Annecy. Note géol. sur la Savoie n.° A. (3) Dans Atti della Società Elvetica sci. nat. riunita a Lugano, 44,412 e 413 sel 1860, p. 4123. 252 GASTALDI E MORTILLET, Desor divise les lacs en lacs orographiques et en Jlaes d’érosion, auxquels il ajoùte les lacs morainiques. Cette division me parait très juste et très rationnelle. J'admet donc complètement ce qui fait le fond, la partie essentielle de l’important travail orographique de notre ami, Je ne différe d’opinion avec lui que sur quelques questions de détail. Quel est l’agent qui a creusé les lacs d’érosion? Quel est celui qui a conservé ou bien vidé le bassin des lacs oro- graphiques pendant la période glaciaire? Quant aux vrais Jacs morainiques, je n’en parlerai pas, il y a entre nous, sur ce point, un accord plein et entier. Desor admet que les bassins des lacs d’érosion ont été creusés par les eaux courantes. Mais l’action de ces eaux, quelque soit leur puissance, loin de creuser des bassins vastes et profonds, comme ceux des lacs, tend au contraire à niveler le fond des vallées. C'est là un des principes les plus positifs de 1’ hydraulique. Au moment des grandes crues il y a bien quelquefois dans le lit des fleuves des affouillements momentanés et partiels. — Desor cite Je Mississippi, — mais ces affouillements sont très circonscrits. IIs n’atteignent jamais, sont bien loin méme d’approcher, des étendues et «des profondeurs des plus petits lacs d’érosion: Morat, Bienne, Sem- pach, Hallwyl, Greiffen, Pfaffikon; à plus forte raison des grands Jacs de Neuchatel et Constance! Et encore les affouillements si restreints des rivières se produisent seulement sur des limons et des sables meubles, tandis que le bassin «des divers lacs d’érosion de la Suisse est creusé dans des assises de -cailloux, d’argile et surtout dans des couches de molasse. A l’exemple du Mississippi, dont le volume est bien supérieur à tout courant d’eau qu'on peut supposer dans la région des Alpes, J'opposerai un autre exemple, tiré aussi d’Amérique, la chutte du Niagara. Quel bassin creuse en tombant cette puissante masse d’eau? Elle forme un simple canal dont le fond se nivelle successivement à mesure qui le canal s’allonge. C'est pourtant une des plus violente action hydraulique qui puisse ètre citée. Du reste si, comme le reconnait Desor, la géologie suisse ne SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI 253 fournit aucun indice, depuis l’époque glaciaire, de courants assez violents pour creuser les lacs d’érosion, sourtout ceux de Morat, Bienne et Neuchàtel qui n’ont que des affluents et émissaires de peu d’im- portance, je ne sache pas non plus que la géologie suisse ait fourni des indices de ces violents courants antérieurs à cette grande époque. Audessous du glaciaire on retrouve, il est vrai, un peu partout, l’al- luvion ancienne. Mais la petite dimension et la régulière distribu- tion des éléments qui composent cette alluvion prouvent qu'elle a été le produit de dépòts dus à des eaux dont le regime n’était pas violent eteavait a peu près l’énergie du régime des eaux actuelles. Ce sont là les seuls produits des innondations puissantes et prolongées qui, suivant Desor (1), ont précédées l’établissement des grands glaciers. Les violents cours d’eau supposés pour expliquer le creusement des lacs d’érosion n’ayant laissé aucune trace; et ces cours d’eau È quelque violents qu’on puisse les supposer, étant, comme le prouve les lois de l’hydraulique, incapables de creuser des bassins pareils à ceux des lacs il faut chercher une autre cause d’érosion, d’affouil- lement de creusement. Cette cause ne peut étre que les glaciers! Et en effet tous les lacs d’érosion se trouvent dans la région glaciaire. Passons maintenant aux lacs orographiques. Leurs bassins sont bien le résultat des soulévements qui ont donné aux Alpesl'aspect actuel. Seulement ces bassins ont dù se remplier d’alluvions après leur for- mation, ;car à leur partie aval on observe toujours des assises de l’alluvion ancienne formées par des cailloux provenant des montagnes qui limitent la vallée en amont du bassin. Ces cailloux n’ont pu par- venir à l’extrémité inférieure des Jlacs qu’entrainés par de l’eau courant sur un sol légérement incliné qui remplissait alors les bassins actuels. Les innondations puissantes et prolongées qui, d’après Desor lui- méme, ont précédées l’établissement des grands glaciers, ont dù avoir pour effet de combler ces bassins. (41) Quelques considérations , pag. 13. Atti, Lugano, pag. 4132. QUA GASTALDI E MORTILLET, Les glaciers, qui marchent toujours précédés de leurs moraines terminales, auraient dù aussi, en y entassant les. matériaux de ces moraines, largement contribuer à combler ces bassins s'ils avaient encore existés vides à l’arrivée des glaciérs. Malgré toutes ces preuves du contraire, notre ami Desor admet que les bassins des lacs étaient vides au moment de l’arrivée des glaciers et que ce sont les glaces elles-mémes qui ont sauvé ces bassins. Je ne m'étendrai pas sur cette hypothèse si bien réfutée dans votre lettre, mon cher Gastaldi. 5. — L'impossibilité de faire préserver les bassins des lacs du remplissage par les alluvions anciennes et par les dépòts glaciaires a ‘engagé, certains géologues, à admettre que ces bassins se sont formés depuis l’époque glaciaire par suite d’affaissements locaux. Mais de pareils affaissements, comme. le fait observer Desor, ne peuvent avoir eu lieu sans laisser des traces au moins sur les bords des bassins. Or sur ces bords on retrouve toujours l’alluvion ancienne en couches sensiblement horizontales. Pour les lacs orographiques comme pour les lacs d’érosion il faut donc forcément avoir recours à l’affouillement glaciaire. Les glaciers dans le premier cas ont déblayés l’alluvion ancienne qui remplissait le bassin et dans le second cas ils ont corrodé et creusé des dépòts peu résistans comme les couches diverses de la molasse. 4. — La seule objection que Desor formule contre la théorie du creusement des lacs par l’affouillement glaciaire c'est qu'elle a le tort de ne pas étre en harmonie avec les phenomeénes actuels (4). . « En effet, dit-il, il n’est point dans Ja nature des glaciers de la- bourer le sol sur lequel ils marchent. Au contraire, tous ceux qui ont pénétrés sous les glaciers ont pu s’assurer qu’à moins d’étre trés encaissés, il glissent sur la surface, sans mème entamer sensiblement les amas de gravier qui remplissent le fond de la vallée ». Ce serait là une objection majeure si elle était fondée. Heureu- sement elle ne l’est pas. Bien que les conditions actuelles et les con- ditions anciennes ne soient pas similaires, ce qui doit produire des (1) Quelques considéralions, pag. 413. Atti, Lugano, pag. 4133. SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI 258 effets différents, argument que vous avez parfaitement développé, il y a pourtant entre l’affouillement de l’époque glaciaire et l’action actuelle des glaciers de grands rapports. On peut méme dire que sauf les proportions grandioses l’affouillement se produit aujourd’hui tout comme autrefois. De quoi est-il question dans la citation qui précède? De prome-: nades sous les glaciers. Or ces promenades n’ont pu avoir lieu qua sous des portions de glacier où il n'y avait pas de pression. Ce sont les seules parties qui permettent à la glace de laisser en fondant, entre elle et le sol, assez de vide pour que l’homme puisse s’y intro- duire. Il n'est pas étonnant qu'en ces points il n’y ait pas eu affouil- lement. Puisqu'on pouvait si bien pendant ces promenades observer l’al- luvion il parait que cette alluvion n’était pas recouverte de bones glaciaires, doit-on en conclure que les glaciers actuels ne déposent pas de ces boues? L’affouillement des glaciers anciens ne s’est pas produit partout également. Il s'est surtout développé sur certains points. Il doit: en ètre de mème pour les glaciers actuels. Or Desor reconnait qu'il peut y avoir affouillement lorsqu’un glacier est très encaissé. L’af- fouillement rentre donc bien dans les phénoménes actuels. Ce qui du reste prouve l’étendue et la généralité de ce phénoméne c'est que sur les espaces abandonnés depuis peu par les glaciers on voit la roche entièrement mammelonnée, complètement libre de tout linceul alluvionnal. Desor a reproduit son objection à la réunion de Lausanne de la Société Suisse des sciences naturelles (1). Favre à la méme réunion, a invoqué la plasticité de la glace contre l’affouillement. Pourquoi n’a-t-il pas complété sa démonstration en établissant que la plasticité s’oppose au polissage et au moutonnement des roches? B. — Dans la séance de la Società Italiana di Scienze Naturali où j'ai communiqué ma Carte des anciens glacîers du versant Italien (4) Compte-Rendu de la 45.° session. Le 20, 21 et 22 aoùt 1864, p. 78, 256 GASTALDI E MORTILLET, des Alpes, on a lu une très bonne stude de Giulio Andrea Pirona sur les antiques moraines du Frioul (1). Dans cette étude l’auteur ar- rive aux mémes conclusions que vous. Après avoir parlé des objections de Desor il ajoùte: «lo non posso pretendere di fare la parte di giudice in siffatto argomento; ma mi pare che i fatti osservabili nel Friuli possano valere a dare un appoggio alle vedute del signor de Mortillet. » (2) (Je ne peux pas prétendre de faire le juge dans cette question; mais il me semble que les faits qui s’observent dans le Frioul peuvent donner un appui aux vues de M. de Mortillet.) 6. — Quelques mois plus tard Giovanni Omboni entretenait aussi la Società Italiana (3) de la question des anciens glaciers. Ses con- clusions sont entièrement différentes des miennes. Toute la partie des- criptive de son mémoire me parait excellente, mais il me semble que les considérations théoriques ne découlent pas assez directement des faits. Voici d’après Omboni la succession des phénomènes quaternaires. 4° Partie de l’époque glaciaire. Les Alpes et les Apennins pren- nent lentement et graduellement leur aspect actuel; les glaciers com- mencent à se former et à se développer. La vallée du Pò devient un grand golfe de la mer Adriatique. Dépòts à ossements de gros qua- drupèdes. 2.° Partie de l’époque glaciaire. Les glaciers ont occupés toutes les vallées alpines et les bassins des lacs jusqu’à leur extrémité a- val. Formation de l’alluvion ancienne par les grands torrents qui sortent des glaciers. Cette alluvion se déposant en couches dans le sein de l’eau restreint successivement le golfe. 5. Partie de l’époque glaciaire. Les glaciers s’étendant encore un peu corrodent la partie supérieure de l’alluvion ancienne et atteignent le point où l’on voit leurs moraines terminales. Continuation de la production de l’alluvion en déhors des amphiteatres morainiques. (1) Sulle antiche morene del Friuli. Dans Atti soc. ital. sc. nat., vol. 2, p. 348, séance du 23 décembre 4860. (2) Ibid., p. 354. {3) Séance du 28 avril 1864. I ghiacciai antichi e sl terreno erratico di Lombardia, dans Atti soc. ital. sc. nat., vol. 3. SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI 257 4.2 Partie de l’époque glaciaire passant à l’actuelle. Les glaciers se relirent lentement, cependant les bassins les plus profonds restent encore occupés pendant longtemps par la glace qui les empéche de se colmater. C'est ce qui a formé les lacs. Le grand golfe marin de la vallée du Pò pendant l’époque qua- ternaire est un fait inadmissible, aucun dépòt de cette époque n’avant, dans cette vallée, fourni des traces de la mer, tandis que dans tout le reste de l’Italie les dépòts quaternaires marins abondent en fossiles. Bien plus dans l’Astaisan la partie supérieure du pliocène, comme vous l’avez si bien fait observer (1), est déjà un dépòt terrestre et d’eau douce. Gmboni admet que les glaciers ont d’abord envahis rapidement les vallées alpines et sont venus remplir les bassins actuels des lacs avant que les alluvions aient pu les colmater, puis se sont arrètés juste à l’extrémité de ces bassins. Ce ne serait qu’après une longue période d’arrét que les glaciers se seraient encore accrus et auraient remplis tout l’intérieur de leur amphithéàtre terminal. C'est Jà une hypothèse purement gratuite, qu'aucun fait ne vient appuyer. L’observation indique tout le contraire, un mouvement inverse, une plus grande extension des glaciers, puis un petit recul, suivi d’un nouvel arrèt trés long. En effet en déhors et à une certaine distance du grand amphithéatre si bien conservé et si complet de l’extrémité du Jac de Garde, on trouve, le long de la Chiese, les débris d’une moraine terminale plus vaste, mais toute démantelée (2). Evidemment le glacier s'est d’abord étendu jusqu’à Ponte S. Marco, Montechiari et Carpenedolo, puis il s'est retiré vers la ligue de Lonato à Casti- glione et Solferino. ( Planche.) La formation de l’alluvion ancienne après le remplissage des lacs par la glace n’est pas admissible. En effet, mon cher Gastaldi, vous démontrez très-bien, dans votre lettre, que les éléments qui consti- (4) B. Gastaldi, Cenni sui vertebrati fossili del Piemonte, 1858, p. 45. (2) Le professeur Enrico Paglia (Sulle colline di terreno erratico del Lago di. Garda dans les Alti soc. ital. sc. nat., vol. 2, 4860, p. 337) a, comme moi, constaté l’isole- ment et l’état démantelé de la moraine voisine de la Chiese qui, dit-il, est actuellemen* rompue en dix sections principales. 17 258 GASTALDI E MORTILLET, luent cette alluvion si vaste et si puissante n’ont pu étre charriés par des courants d’eau sur la glace. Pourtant ces éléments ont subis un long roulis car ils sont tous très arrondis. Si ces éléments pro- venaient d’un glacier voisin on trouverait dans l’ensemble des pierres encore irrégulières et surtout des blocs volumineux, car les grands torrents supposés par notre ami Omboni auraient très cer- tainement entrainés et roulés des blocs erratiques. Or tout cela n’existe pas. L’alluvion ancienne est formée généralement d’éléments uniformes, bien arrondis, sans mélange de gros blocs. Mes recherches sur l’alluvion ancienne de l’Oglio (1) m’ont en outre montré que les roches diverses dont elle est composée ne sont pas dans-la méme proportion que dans les moraines et dans les dépòts supérieurs à gros blocs et a pierres parfois mal roulées provenant des moraines. On ne peut done pas confondre le mode de formation de de ces deux assises. Les lambeaux d’alluvion ancienne qui se trouvent le long des bas- sins des lacs, comme ceux qu'on peut voir le long du lac d'Iseo, entre Sale et Vello, viennent aussi renverser la théorie qui pré- céde. Omboni fait encore continuer l’alluvion en déhors des amphithé- àtres, après la plus grande extension des glaciers. Je crois que c'est à tort. Déjà alors, par suite de soulevement du sol, les eaux au lieu de continuer à déposer des alluvions nouvelles. commencaient à dénuder les alluvions précédentes et à former les terrasses. Le commencement de ces grandes dénudations date certainement, aumoins pour le versant italien, de la grande extension des glaciers, comme nous avons pu le reconnaître, Desor, Stoppani et moi, en nous rendant de Gallarate à Varèse. i Enfin Omboni après le retrait des glaciers laisse encore les bassins des lacs pleins de glace pendant longiemps. Ce maintien de la glace dans les bassins n'a pas dù avoir lieu, car plongée dans l’eau ia glace fond beaucoup plus vite qu’à l’air. Les bassins des lacs se sont donc probablement vidés de glace à peu près aussi rapidement que (4) Note sur Palazzolo, p. 890. SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI 259 Je reste des vallées, seulement s’ils se sont maintenus c’est tout sim- plement parcequ'ils étaient trop vastes pour ètre combiés par les alluvions provenant des parties supérieures de la vallée. 7. — Elia Lombardini s’occupait de la question à peu près en méème temps qu'Omboni, et communiquait è l’Institut Lombard (1) Ces études sur les terrains quaternaires de transport. Il admet une alluvion ancienne qui a comblé tous les lacs et qui est venue former le sol de la plaine. Puis un courant furieux, provenant du nord, qui, passant par dessus les Alpes, est descendu avec une extrème violence dans les vallées Italiennes et a creusé les bassins actuels des lacs. Enfin une époque glaciaire dont le froid a fait geler les lacs ce qui a permis aux matériaux erratiques de passer dessus et a sauve- gardé les bassins, remis ensuite à jour par la fonte des glaces. L’auteur présente cette théorie comme un simple essa sans se dissimuler les grandes objections qu'elle soulève. Le travail de Lombardini a été lu en deux fois, le 48 avril et le 6 juin 1861. Entre ces deux lectures les idées de l’illustre hydro- graphe du Pò se sont un peu modifiées. Ainsi dans sa seconde lec- ture (2) il admet que le dernier soulèvement des Alpes est postérieur à la formation de l’alluvion ancienne de la plaine Lombarde. Ce serait done ce soulèvement qui, occasionant des dépressions dans les vallées, aurait formé les bassins des lacs. Malheureusement le fait sur le quel l’auteur se base pour admettre un violent soulèvement alpin après le dépòt de l’alluvion ancienne est inexact. Lombardini confond les grès et poudingues tertiaires, probablement miocènes, de Come, fortement redressés, avec la véritable alluvion ancienne toujours sen- siblement horizontale. Lombardini, en habile hydrographe, a fait à ma théorie des affouil- lements glaciaires une objection qui a première vue parait avoir une certaine valeur. Un nivellement de l’Oglio, partant du lac d’Iseo et suivant la (4) Séances du 18 avril et 6 juin 1864. Studi sull’ origine de? terreni quadernari di trasporto. Dans Mem. Istituto Lombar, vol. 8. (2) pag: 32. 260 GASTALDI E MORNTILLET, rivière sur une longueur de 6 kilomètres, a donné pour pente moyenne 4 mètres 23 par kilomètre. Supposant cette pente moyenne de. 4 mètres jusqu'à Palazzolo, sur une longueur de 11 kilomètres, et. ajuoutant 17 mètres, défférence qui d’après de Mortillet existerait entre. le niveau supérieur de l’alluvion ancienne à Palazzolo et près Sarnico, on obtiendrait, d’après Lombardini, pour la surface de l’alluvion an-. cienne une pente de 5", 05 par kilomètre. Mais prenant seulement 4 mètres pour cette pente prolongée sur. le lac, l’alluvion aurait dù s’elever à 140 méètres audessus du fond | de la vallée près de Lovère, En admettant la méme pente de 4 mètres par kilomètre pour les lacs de Come et Majeur, à 50 kilomètres de Come, extrémité amont. du premier de ces lacs, le niveau de l’alluvion ancienne devait s’élever | à 240 mètres audessus du niveau actuel des eaux. Pour le lac Majeur. long de 72. kilomètres jusqu’à Bellinzona, le niveau de l’alluvion devait ètre à 288 métres audessus du fond de la vallée. Je ferai observer que cette objection n’a pas parue tout. d’abord bien gràve à e l’auteur lui mème, puisqu’il a, comme moi, dans sa. première lecture, adopté la continuité de l’alluvion ancienne. Scule- ment il fait dénuder et affouiller cette alluvion par un courant furieux. venu du nord, qui n’a laissé aucune trace de son passage, au lieu. d’admettre que l’affouillement a été produit par les glaciers dont l’existance est si bien établie. Les calculs de Lombardini sont évidemment exagérés. En effet le. Pò, de son embouchure jusqu’à Plaisance, a plus de 230 kilomètres de long, pourtant les plus hautes eaux à Plaisance ne s’élèvent qu’à 48 mètres sur la mer: la pente maximum n'est done que de 0", 21 par kilomètre. Mais c’est là un extréme. Le Pò avec cette pente faible ne charie que des sables et des limons. En le prenant pour exemple j'exagère dans un sens inverse. Pour rester dans le vrai il faut choisir un fleuve qui charrie des, cailloux analogues à ceux de l’alluvion ancienne. Le. Rhòne, en dessous de Lyon, est parfaitement dans ces conditions. Or la pente moyenne entre Lyon et la mer est seulement de 0", b4 par kilomètre. Dans la section où celte pente est la plus forte, entre SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI 261 l'embouchure de l’Isère et Donzère, elle n’atteint que 0", 7% par kilomètre, moins de trois quarts de méètre. Il y a loin de-là aux 4 metres admis par Lombardini. La Durance, qui charrie des maté- riaux bien plus volumineux que ceux de l’alluvion ancienne des lacs italiens, na pourtant dans le département de Vaucluse (4), entre Cadarache et son embouchure dans le Rhòne, qu’une pente de 2", 47 par kilomètre. Partant des données concernant le niveau des alluvions anciennes Lombardini fait un colossal calcul de la quantité de matière excavée, calcul autant et mème plus exagéré que le précédent, et il suppose que toutes ces matières se sont accumulées pour fermer des moraines. li construit ainsi une moraine, très respectable en volume, qui aurait deux fois la longueur de Turin à Paris. L’auteur seulement a oublié de tenir compte de l’action des eaux courantes. Pendant une longue série de siceles, qu'a duré la période glaciaire, ces caux ont bien dù entrainer et disperser une partie des éléments affouillés puis triturés par les glaciers. 8. — D'Italie la discussion a passé en Angleterre. Le 5 mars 1862, A. C. Ramsay a communiqué à la Société géolo- gique de Londre, dont il était président, un très remarquable travail sur l’origine glaciaire de certains lacs (2). Les conclusions sont: 4.5° Tous les lacs alpins se trouvent dans la région glaciaire ce qui ne peut ètre accidentel. 2.° La théorie d’un affaissement spécial pour chaque lac est insou- tenable. Les grands lacs n’offrent pas plus de preuves de cet affais- sement, que les étangs creusés dans le roc, qui se trouvent par cen- taines dans tous les pays de glaciers présents ou passés. Ramsay, dans sa note sur les anciens glaciers du nord du pays de Galles (3), a prouvé la relation de ces étangs avec des glaciers diminués ou disparus. Dans les Alpes on peut passer graduellement des plus petits (1) Scipion Gras, Description géologique du dep. de Vaucluse. 41862, p. 14 et 23. (2) On the glacial origin of certain lakes. Dans Quarterly Journal of the Geological Soc., Aoùt, 1862. (3) The Old Glaciers of North Wales. 262 GASTALDI E MORTILLET, étangs des montagnes aux plus grand lacs des vallées et des plaines.i 5. Aucun lac alpin ne se trouve dans une ligne de faille ouverte. Si d’anciennes lignes de fracture éxistent dans la mème direction elles sont refermées. Leur présence a bien pu déterminer le sens de l’écoulement, mais la vallée et le bassin du lac n’en sont pas moins, le produit d’érosions et dénudations. 4.° Aucun lac ne se trouve dans un simple bassin syncelinal formé par le soulévement du miocène. 5.° Les lacs ne sont pas le produit d’érosions aqueuses: ni l’eau courante, ni l’eau stagnante, n’est capable de ereuser de vastes bassins, profonds et à bords plus on moins escarpés. 6.° Il ne reste donc plus que l’ action de Ja glace qui, d’après le vaste développement des glaciers, doit avoir exercé une puissante | action de dénudation. La glace, corp solide, comprimant lourdement et puissamment les roches avec lesquelles elle etait en contact direct et sur lesquelles elle pesait, a pu creuser de profondes excavations. Cette action a dù varier suivant la dureté inégale des roches sous jacentes et le plus ou moins de puissance de la glace d’un point à un autre. i hi 7.° Les glaciers ont suivi la direction des vallées et se sont répandus_ dans la plaine à leur débouché. Ces vallées et portions de plaine par suite du poids et de la puissance comprimante de la giace en mouvement ont été grandement modifiées dans leurs formes. Parmi ces modifications le creusemement du bassin des lacs a été une des. principales. En effet tous ces lacs, sauf ceux de Neuchàtel, Bienne et Morat, se trouvent dans le courant direct des anciens glaciers. 8.° Enfin, ce qui complète l’évidence, les dimensions des lacs sont en rapport avec la puissance des glaciers qui recouvraient le pays. Ce résultat général n’est modifié que par la nature des roches encais- santes et la forme du sol qui maintenait le glacier. Ramsay résume parfaitement la question, seulement je crois, comme vous, mon cher Gastaldi, qu'il exagère un peu trop la puis- sance érosive ou affouillante des glaciers. 9. — C'est aussi ce que lui reproche un des membres les plus istingués et les plus actifs du Club des Alpes, John Ball, dans un SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI 265 article, sur la formation des vallées et des lacs alpins, paru en février 1865 (1). Pour combattre le creusement des vallées par les glaciers, Ball oppose, avec raison, l’existence du défilé de Saint-Maurice, dans la la vallée du Rhbòne, entre Bex et Martigny. Il v a là un rocher cal- caire, rocher qui barre entièrement la vallée. Ce rocher aurait cer- tainement été détruit si Ja glace avait sur les roches dures tout le pouvoir excavateur que lui préte Ramsay. Mais Ball va beaucoup plus loin. Pour combattre ma théorie du déblaiement des depòts meubles et de l’érosion des roches tendres, il prétend que le mouvement des glaciers se fait entièrement par la surface et nullement par le fond. Ainsi un glacier ne peut pas ereuser son fond quel qu'il soit. Il n°y exerce pas la moindre action de pul- sion. Cette doctrine est renversée par le simple examen des faits. C'est à leur partie inferiéure que les glaciers triturent les matériaux et forment la boue glaciaire si caratéristique. Cette puissante action inférieure des glaciers est nettement prouvée par le moutonnement et le polissage des roches qui garnissent Je fond des grandes vallées. Jl me suffira de citer les roches moutonnées d’Iseo; les roches mou- tonnées et polies d’Aix-les-Bains, les magnifiques surfaces polies de Montmeillan et d’Annecy en Savoie. Toutes ces roches moutonnées, toutes ces roches polies montrent des stries, des rayures longitudi- nales qui établissent parfaitement le mouvement de pulsion inférieur nié par Ball. i La vérilé se trouve donc entre Ramsay qui exagère la puissance des actions de fond et Ball qui nie entièrement ces actions. Mais elle est plus près de Ramsay que de Ball. La puissance d’affouillement des glaciers est allé jusqu'à labourer profondément le sol meuble. C'est ainsi que les glaciers ont produit les Tacs orographiques en déblayant les bassins de toutes les alluvions dont ils étaient remplis. Cette puissance d'’affouillement a pu aussi, dans certains cas, dé- (4) On the Formation of Alpine Valleys and Alpine Lakes, dans Philosophical mage- zine and Journ. of science. Février 1863, vol 25, p. 84. 26% GASTALDI E MORTILLET, nuder assez profondément des roches tendres, comme les diverses assises de la molasse suisse, c'est ce qui a donné naissance aux lacs d’érosion de la plaine. Enfin parfois elle a entamé des roches dures, mais toujours dans des proportions fort restreintes. C'est ce qui a formé les petits lacs d’érosion des montagnes. En se rapprochant des glaciers il est facile de ‘reconnaitre que ces petits lacs ou étangs se relient intimément au moutonnement général des roches. Là se bornent les effets de l’affouillement glaciaire, mais pour peu qu'on observe on est forcé d’admettre qu'ils vont bien jusque là. Depuis que j'ai publié ma Carte des anciens glaciers du versant Italien des Alpes, j’ai découvert une localité bien intéressante sous le rapport des phénomènes qui nous oceupent, localité que j'ai fait visiter à Desor et Stoppani et que j'ai signalée à Omboni. En allant de la station de Camerlata à Come, par V’ancien chemin, à gauche en descendant, entre les chapelles de S. Carpoforo et de S. Rocco, on voit un grand escarpement, à nu, de grès-poudingue miocène. Cet escarpement est tout poli ei strié, méme sillonné. Les stries sont généralement inclinées dans le sens de la pente de l'’amphithéàtre. On voit très clairement qu’elles on été produites par des matériaux qui allaient de bas en haut, c'est-à-dire de Come vers Camerlata. C'est une preuve directe de l’affouillement du bassin du lac par la glace. Le glacier a témoigné lui méme de sa puissance par cetteinscription, L’escarpement entre Camerlata et Come témoigne aussi de l’action énergique produite par la glace sur tes roches les plus dures. En efiet_ les cailloux retenus dans la pàte du poudingue ont été usés, Fig. 5 coupés, fig. 5. Arrondis de toute part RE n comme le sont généralement les cail- loux, ils présentent sur la face exté- rieure dela roche une coupure plane, très nette, parfaitement polie et for- tement siriée. Ce ne sont pas des cailloux calcaires qui ont ainsi été usés par le glacier, mais bien des cailloux quarizeux, de roches cristal- lines fort dures, granites, gneiss, ete SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI 265 Il yena dont la coupure présente une face plane de 0”, 20 à 0", 30 sur 0", 13 à 0", 20. J'ai méme mesuré un caillonx de granite offrant une face plane polie de 0", 33 sur 0", 29. Ce sont done des masses plus grosses que la tète , presque comme le corps. Ramsay a fait observer, avec raison, que tous les grands lacs sont dans le courant direct des anciens glaciers, sauf ceux de Neu- chàtel, Bienne et. Morat. Cette exception est plutòt apparente que réelle. En effet ces trois lacs sont dans la direction prise par le grand glacier du Rhòne quand après avoir heurté contre le Jura li s'est rejeté vers le nord-est. On comprend done très bien que les amas de glace en prenant cette nouvelle direction aient produit de violentes actions sur le sol qu’ils envahissaient. Ball objecte à la théorie de la formation du bassin des lacs par l’affouillement glaciaire la position des lacs de Lugano et de Zug. Ces lacs n’ont que des affluents insignifiants et se trouvent dans des val- lées de peu d’étendue qui ne recevaient que des bras latéraux des glaciers. Le grand glacier de la Reuss, après avoir été resserré forlement audessous d’Altorf, dans la partie la plus méridionale du lac des Quatre-Cantons, s'est ensuite dilaté, en forme de patte d’oie, en enveloppant le Rigi. D'un coté de ce mont célébre, il a profondé- ment affouillè le sol et a produit le bassin de la partie nord du lac plus specialement désignée sons le nom de lac de Lucerne. De l’autre coté du Rigi il a donné naissance aux lacs de Schwanan, Zug et Egeri. Mais comme de ce còté le glacier avait moins de puissance les lacs creusés par lui sont moins importants. Du reste comme le lac de Zug est en partie un lac d’erosion, l’exiguité du bassin et te manque d’affluents sont bien plus embarassants encore dans toute autre hypothèse. Passons au lac de Lugano. La vallée de ce lac a été occupée par des bras de deux puissants glaciers: le grand glacier de l’Adda qui pénetrait dans la vallée par le passage de Menaggio à Porlezza; et le grand glacier du Tessin qui est arrivé par le col du M. Cenere. En effet le lac de Lugano peut se diviser en deux direetions générales qui correspondent à celle des deux bras de glacier, comme on 266 GASTALDI E MORTILLET, le reconnaitre à simple inspection d’une carte. La hauteur jusqu'à laquelle on trouve des dépòts erratiques sur les parois de la vallée prouve combien ces deux bras de glacier étaient puissants. Tout le monde connait l’action que les seuils produisent sur l’eau courante. Il suffit pour se rendre compte de l’énergie de cette action d’examiner dans un courant d’eau les barrages ou seuils artificiels crées par l’industrie. Eh bien il parait que dans les grands glaciers le passage d'un seuil augmente aussi la force dynamique de la glace, En Brianza les bras latéraux du grand glacier de l’Adda ont pro- duits des effets analogues. Ainsi le bras qui a suivi le passage de Canzo a formé les petits lacs de Segrino, Pusiano et Alserio. Le ras qui a tourné au nord le M. Baro a creusé le lac d’Annone. Ces di- vers lacs se trouvent placés dans la direction des bras de glacier aux quel ils doivent leur origine. A ma théorie des déblaiements Ball oppose les vides qui se trouvent derrière les obstacles. Lorsqu'il y a, par exemple, un promontoire rocheux avancé dans un lac, on comprend très bien que le còté d’où venait le glacier soit complètement dénudé, mais le còté opposé devrait conserver des lambeaux d’alluvion ancienne protégés par la roche. C'est effectivement ce qui arrive. En général à l’abri des obstacles se rencontrent des portions d’alluvion encore existantes. Je rappellerai les lambeaux dont j'ai déjà parlé, au bord du lac d’Iseo, protégés par les dolomies triasiques qui sont au nord de Vello. Ball cite le promontoire qui se trouve, sur le lac de Come, au sud de Tremezzo et demande comment il se fait que l’alluvion ancienne ne soit pas demeurée du coté opposé à l’arrivée du glacier? Justement elle s'y trouve ét un examen plus approfondi de la localité la lui aurait fait reconnaître. Enfin pour expliquer le dépòt de l’alluvion ancienne à l’extrémité inférieure des lacs, alluvion avec des cailloux alpins, John Ball dans son intéressant mémoire, a recours à la mer qui suivant lui couvrait la plaine du Pò pendant lépoque glaciaire. Les glaces auraient rempli tous les bassins des lacs et les matériaux de l’alluvion ancienne auraient tous passés sur le dos des glaciers. Ces matériaux regus et remaniés par la mer auraient été reduits a Vétat de galets, triés et SULLA ESCAVAZIONE DEI BACINI LACUSTRI 267 déposés en couches horizontales, en banes, en barres, le long des glaciers au débouché des vallées. Ce sont autant d’'hypothèses gra- tuites que vous et moi avons suffisamment réfutées pour qu'il ne soit pas nécessaire d’y revenir. Il suffira de demander qu'on montre une seule trace évidente de la mer dans les alluvions anciennes de la vallée du Pò ?... Un seul fossile marin?... Et puis la mer peut elle étre invoquée pour expliquer la formation des alluvions anciennes qui se trouvent à l'extrémité inferieure du lac de Genève et d’autres lacs Suisses, alluvions dans des conditions tout à fait identiques è celles des lacs Italiens? 10. — Dans son remarquable ouvrage sur l’antiquité de l’hom- me (1), Charles Lyell résume et discute, avec le talent qui le carac- térise, ma théorie et celle de Ramsay. Ses conclusions sont qu'il y a une intime connexion entre la région glaciaire et la prédominence des lacs. Le glace, dit-il, a produit une triple action dans la production des lacs. 4. Elle a creusé directement des Dbassins peu profonds là où le roc est de dureté inégale. Opération qui ne s’est pas limitée seulement à la surface de la terre mais qui a pu s’étendre, au fond de la mer, à mille pieds et plus audessous des hautes marées. 2.° La glace a agi indirectement sur d’anciennes cavités occa- sionnées par l’action des soulévements ou affaissements ; cavités qui primilivement occuppés par l’eau ont ensuite été remplies et nivellées par des alluvions qui avaient fait disparaitre les anciens lacs. 5.° La glace est egalement une cause indirecte des lacs par l’ac- cumulation de hautes digues morainiques qui donnent naissance à des étangs et mème à des nappes d'eau de plusieurs milles de diamètre. Done le peu de lacs de l’époque post-pliocène qui existent dans les contrées tropicales et généralement au sud des quarantièmes et cin- quentièmes degrés de latitude, peut-ètre expliqué par l’absence, dans ces régions, de l'action glaciaire. (4) The geological evidences of the antiquity of man. 4 eros vol. in-8.°, Londre 1863, p. 305 à 349, 268. GASTALDI E MORTILLET, SULLA ESCAVAZIONE DEI’ BACINI LACUSTRI 41. — Après cette citation des conclusions de l’illustre géologue anglais, je ne mentionnerai plus, mon cher Gastaldi, qu’une note de Charles Lory: sur les dépots erratiques et l’extension des anciens glaciers dans le departement de l’Isère (1). Vous savez avec quel soin serupuleux ce géologue travaille, son opinion a donc un grand poids. « Les anciens giaciers, dit-il, ont formé des dépots extrémement étendus dans les parties basses du département de l’Isère; et pour former ces dépòts, ils ont dù nécessairement corroder, dans une pro- portion correspondante, le sol des montagnes et des gorges par les quelles ils débouchaient. Notre compatriote, M. G. de Mortillet, a expliqué, d'une manière très ingénieuse, par cette action érosive des anciens glaciers, le creusement des grands Jacs du nord de l’Italie et celui de plusieurs Jacs de la Savoie et de la Suisse. Des preuves semblables à celles qu'il a données, plus complètes encore et plus frappantes peut-étre, se présentent pour attribuer à la mème action le creusement de la vallée de l’Isère, à sa profondeur actuelle, jusqu'à Saint-Gervais. » 12. — Comme on le voit l’étude de détails ‘conduit forcément à l’adoption de l’affouillement glaciaire. Pirona dans le Frioul, vous dans le Piémont, Lory dans le département de l’Isère, vous. arrivez tous à la mème conclusion. Conclusion qui, ainsi que l’a montré le grand généralisateur Lyell, s'adapte si bien à l’ensemble générai des faits, (4) Communication faite à la Société de Stalistige de l’Isére, 29 décembre 4862. SULL’AZIONE RIESCAVATRICE ESERCITATA DAGLI ANTICHI GHIACCIAJ SUL FONDO DELLE VALLI ALPINE ALCUNE OSSERVAZIONI DEL SOCIO GIOVANNI OMBONI. Leggendo rapidamente i due scritti di Gastaldi e Mortillet sull'azione riescavatrice esercitata sul fondo delle valli Alpine dagli antichi ghiacciaj, ho trovato di poter subito fare su di essi alcune osserva- zioni, ed ho in pari tempo sentito la necessità di studiare più minu- tamente e completamente molti fatti per meglio trattare sotto ogni punto di vista la quistione dei bacini lacustri e dei loro ghiacciai. Ritornerò dunque più tardi su questo argomento; per ora mi limito alle seguenti osservazioni: 1.° L'esistenza delle morene terminali sull’alluvione antica presso Ivrea e presso Torino non può provare nè che i ghiacciaj abbiano occupato le valli alpine e i bacini dei laghi dopo l'alluvione antica, nè che le abbiano occupate prima; ma prova soltanto che è ghiae- ciaj si sono estesi fin la dove sono le morene dopo la formazione dell'alluvione antica, ossia che la massima estensione dei ghiacciaj al di fuori delle valli ha avuto luogo dopo la formazione dell’allu- vione antica. 2.* In Lombardia le morene e gli altri depositi glaciali si trovano spesso sopra strati orizzontali o quasi orizzontali di puddinghe, che si vedono lungo alcuni fiumi. Ma queste puddinghe a qual’ epoca geologica appartengono? — Si può crederle continuazione di quelle 270 G. OMBONI , che si vedono rialzate nei monti presso Como, ossia ferziarie ; ed allora la posizione delle morene sovr’ esse prova soltanto che i ghiac- ciaj ebbero la loro massima estensione dopo l’ epoca terziaria. — E si può ‘crederle dell’epoca quaternaria; ed allora vale per esse quello che ho detto prima per l’alluvione antica sotto le morene di Caluso, Rivoli, ecc. 5.2 Se il fondo di ogni anfiteatro morenico è più basso della pia- nura al di fuori dell’ anfiteatro, si può spiegare tanto coll'ipotesi di Mortillet quanto colla mia, cioè tanto colla riescavazione di quel fondo durante la massima estensione dei ghiacciai, quanto colla sem- plice esistenza del ghiacciajo su quel fondo durante l’ aumento in altezza dell’alluvione al di fuori dell’anfiteatro. nà Se i bacini dei grandi laghi sono più profondi che quelli dei laghi morenici , si può spiegare tanto colle ipotesi di Mortillet, cioè colla diversa forza erosiva dei ghiacciaj nei diversi luoghi, quanto colla mia ipotesi, cioè coll’ammettere la formazione dell’ alluvione sul fondo degli anfiteatri morenici durante l’ esistenza dei ghiacciaj nei bacini lacustri più profondi. 32 L’intima connessione dei laghi e degli anfiteatri morenici si spiega tanto colla ipotesi della riescavazione, quanto con quella del- l’esistenza dei ghiacciaj nelle valli e nei bacini lacustri durante la formazione dell’ alluvione antica a valle dei ghiacciaj. 6.° Se in molte valli alpine non esistono laghi, si può spiegare tanto col supporre in quelle valli dei ghiacciaj non abbastanza potenti per iscavare dei profondi bacini, quanto col supporre che quei ba- cini, perchè originariamente piccoli, siano stati colmati dalle allu- vioni durante e dopo la distruzione dei grandi ghiaccia]. 7. Se certi bacini non furono colmati dalle alluvioni durante e dopo la distruzione dei grandi ghiacciaj, mi pare facile trovarne una spiegazione nella loro stessa grandezza, per cui le alluvioni avranno potuto formare un deposito più o meno grande sul loro fondo, ma non avranno potuto colmarli. 8.° Per spiegare la formazione dell’ alluvione antica della pianura durante Vl esistenza dei ghiacciaj nei bacini lacustri, non è neces- sario supporre che sui ghiacciaj abbiano esistito dei fiumi o dei ; “— “sconta batto achecne CÀ pn SULL’AZIONE RIESCAVATRICE ECC, 271 torrenti; ma basta supporre che quei ghiacciaj abbiano agito come i ghiacciaj attuali, durante una lunghissima serie d’anni o di secoli; giacchè i ghiacciaj attuali accumulano dei materiali ‘alla loro estre- mità inferiore, e danno origine a torrenti e fiumi, i quali smuovono quei materiali e ne fanno delle alluvioni e dei coni di dejezione simili in tutto, fuorchè nelle dimensioni, a quelli sottostanti alle antiche morene. 9. Non tocca a me di trattare dell’azione escavatrice dei ghiac- ciaj attuali; mi basta sapere che i geologi svizzeri, che meglio cono- scono i ghiaccia]}, non l’ammettono o la ammettono piccolissima. — Ma supponiamo che i microscopici ghiacciaj attuali, il cui spessore può giungere a 3500 o 400 metri, possano scavare un poco: 7 gigan- teschi ghiacciaj antichi, il cui spessore giunse ben di rado ai 1000 o 2000 metri, avranno scavato con una forza tripla o quadrupla di quella dei ghiacciaj attuali. Supponiamo pure che abbiano avuto una forza scavatrice dieci o venti volte maggiore: non potrà però mai essere stata così grande da riescavare bacini profondi fin 200 o 300 metri. 10. Se sotto î ghiaccicj attuali manca l’ alluvione antica, si può spiegare ammettendo che i ghiaeciaj antichi Pabbiano portata via, ma può anche spiegarsi ammettendo che nelle valli alpine l’alluvione antica non si sia mai formata, avendo i ghiacciaj occupato le valli prima della formazione dell’ alluvione. 41.2 La parete lisciata e solcata del monte fra Camerlata e Como non prova punto alcuna escavazione profonda fatta da un ghiac- ciajo antico sul fondo della valle, ma prova soltanto che /d passava un ghiacciajo; e non può dimostrare nè che il ghiacciajo sia venuto là dopo la formazione dell’alluvione antica, nè che vi sia venuto prima. — / solchi inclinati, rialzati verso la pianura, provano sol- tanto che il ghiacciajo, escendo dal bacino del lago per passare sulla pianura, ha dovuto muoversi un po'dal basso all'alto, obliquamente, per passare sopra l'alluvione già esistente al piede di quei monti che ha arrotondati, lisciati e solcati. 12.° Le altre osservazioni fatte da Mortillet presso Rivoli, a Cuc- ciago e presso Chambery provano bensi che l'alluvione antica fu 272 G. OMBONI, corrosa alquanto in quei luoghi, ma non indicano punto da chi fu corrosa, se dai ghiacciaj o da acque correnti; e provano poi che dopo la corrosione furono deposti è materiali del deposito glaciale. — E se anche provassero una corrosione fatta dai ghiacciaj, sarebbe pur sempre una corrosione di parli prominenti collocate davanti ai ghiacciaj, ben diversa dalla corrosione ed escavazione dei materiali collocati sotto i ghiacciaj, voluta da Mortillet. 43.° Se è proprio vero che gli strati regolari d’ alluvione antica di Lombardia differiscono essenzialmente da quelli tuttora in via di formazione allo sbocco del Po nell’ Adriatico, io non ho difficoltà alcuna a rinunciare alla idea che quegli strati d’alluvione antica si siano formati in un golfo di mare; ma tuttavia persisto a crederli formati in seno ad acque profonde e non torrenziali, perchè regolari e affatto simili a quelli dei sedimenti formati nelle acque profonde e quiete. — Si saranno dunque formati in vaste lagune, o in vasti laghi o paludi profonde. 44.° I coni di dejezione colla struttura irregolare sovrapposti al- l'alluvione a strati regolari si devono essere formati con materiali portati da torrenti o fiumi. 13.° Confrontando la teoria di Mortillet colla mia, si vede facil- mente che io, come lui, ammetto l’ estensione dei ghiacciaj fino alle morene estreme e il loro moto retrogrado; e che la mia teoria dif- ferisce dalla sua soltanto per l’ammettere i ghiacciaj nei bacini la- custri prima dell’ alluvione antica. 16.* Rinuncerò anche alla persistenza di una certa quantità di + ghiaccio nei bacini lacustri dopo il ritiro dei ghiacciaj nelle alte valli, quando mi sarà dimostrata proprio inammissibile. 47. Mortillet non vuole ammettere per la superficie dell’alluvione antica la pendenza del 4 per 1000 proposta da Lombardini; e cita la pendenza di 2", 47 per chilometro, che ha la Durance, che smuove e porta ciottoli simili a quelli dell'alluvione antica. — Eb- bene, ammettiamo per la superficie dell’alluvione antica la pendenza del 2 per 1000. In tal caso l’avanzo d’alluvione antica di Lovere dovrebbe avere la sua superficie a 90 metri sul livello del lago d'Iseo. Se dunque la pianura di Lovere non è a quell’altezza, non , SULL AZIONE RIESCAVATRICE ECC. 275 può ammettersi come un avanzo dell’alluvione antica nel bacino del lago d’Iseo. — Se poi si volesse considerare come tale un potente deposito detrilico che si vede salendo da Lovere a Pianico e Sòvere, io farei osservare che quel deposito non ha la composizione del- l'alluvione antica, ma, come mi fu affermato dal collega Stoppani, è un accumulamento di detriti provenienti dai soli monti circostanti. 18.° Colla stessa pendenza del 2 per 1000, la superficie dell’ al- luvione antica, estesa convenientemente, passerebbe a Colico a 140 metri sul livello del lago di Como, ed a Bellinzona a circa 180 metri sul livello del Lago Maggiore. 19.2 Secondo l’ipotesi di Mortillet ogni ghiacciajo deve aver spinta davanti a sè e portata sulla pianura, formandone la sua morena ter- minale estrema, tutta quanta l'alluvione antica preesistente nella vallata da esso occupata; e quindi la morena terminale estrema deve aver avuto un volume appress’a poco eguale a quello di tutta quel- l alluvione con cui deve essersi formata. — Quando si conosceranno bene le profondità e le forme dei bacini lacustri, si potranno fare dei calcoli approssimativi per istituire dei confronti fra i volumi delle alluvioni portate fuori dai ghiacciaj e i volumi delle morene termi- nali estreme lasciate dai ghiacciaj. Ma già fin d'ora mi pare che queste morene siano sempre state troppo piccole per essersi formate nel modo supposto da Mortillet. i 20.° La mia ipotesi. sembra gratuita a Mortillet; ma noi abbiam visto che le principali prove citate in favore della ipotesi di Mortillet non reggono ad un severo esame; e di più l'ipotesi di Mortillet non va d'accordo con ciò che si conosce dell’ azione escavatrice dei ghiaccia) attuali. E dunque io non credo ancora di dover abbandonare la mia ipo- tesi, che ammette: 1.° la esistenza dei ghiacciaj nei bacini lacustri prima e durante la formazione dell’alluvione antica della pianura al difuori delle valli alpine, coi materiali apportati dagli stessi ghiacciaj ; 2.° un successivo estendersi dei ghiacciaj sui conî di dejezione fino alle morene terminali estreme; 3.° un moto retrogrado dei ghiacciaj fin nei loro limiti attuali , 18 274 G. OMBONI, SULL’ AZIONE ECC. rimanendo pieni d’acqua i bacini che non poterono esser colmati dalle alluvioni durante e dopo il moto retrogrado deî ghiacciaj. Quando avrò studiato maggiormente tutti gli altri argomenti, tanto favorevoli quanto contrarj, che si riferiscono alle due ipotesi, mi occuperò di scrivere qualche cosa di più completo e di più impor- tante che questa semplice /ota, e potrò finalmente vedere quale delle due sia preferibile e da adottarsi definitivamente. Milano, 30 luglio 1863. TENTATIVI D° ALLEVAMENTO DELLA SATURNIA HESPERUS E DELLA S. YAMA-MAI FATTI DAL PROF. EMILIO CORNALIA (Seduta del 28 giugno 1863. ) Sento il dovere, onorevoli Colleghi, di non lasciar passare l’occa- sione di questa seduta senza darvi relazione dei tentativi che feci in questi ultimi mesi per allevare e acclimatare quindi nel nostro paese due specie d’ insetti produttori di bozzoli, che vennero recentemente proposti siecome un mezzo a paralizzare le perdite che 1’ Europa sente in causa delle malattie che affliggono il baco da seta. — I materiali per questi studj giunti in mie mani erano a Voi diretti, e quindi debbo questo rapporto a Voi che aveste la bontà di incaricarmi delle rela- tive esperienze. Ma pur troppo sul bel principio io debbo dirvi, che i risultati fu- rono infelici e ben contrarj alle speranze che io ne aveva conce- pito, tanto più che per parte mia. tutto avevo fatto a che le cose procedesser per bene. Prima di entrare nella descrizione, debbo con gratitudine no- minare il giovine nostro socio signor Franceschini, che mi seguì nelle mie osservazioni, giovandomi non poco nel sorvegliare, come fece con molta perizia, l’allevamento. 276 E. CORNALIA, Un allevamento fu tentato per la Saturnia Hesperus. Questa spe- cie originaria dall'America fu per la prima volta spedita in Francia dal sig. Michely, ove finora per altro non riuscì felicemente. — Vive essa a Cajenna sulla Casearia ramiflora o Café diable, mentre però s’adatta ad altri cibi, tra cui alle foglie dell’Ailanto. Il 2 aprile di quest'anno io riceveva una cassa contenente 71 boz- zoli di questa specie. Questi dovevano contenere le crisalidi vive, che, trasmutatesi in farfalle avevano a dar qui seme e poi bachi. Ma la cassa pur troppo fece soverchio viaggio. — Partita da Cajenna il 28 ottobre, venne in Francia alla società di Montauban nel dipar- timento di Tarn e Garonne, e passò poi in Tirolo prima di arrivare a me. — Potete immaginarvi il mio dolore nell’aprire la cassa e nello scorgere che una quantità di farfalle erano già nate e già morte. 1 loro cadaveri, perduta la vaga polvere di cui sono cospersi, e mu- tilati, giacevano nel fondo della cassa, nella quale durante il viaggio si erano anche accoppiate; ciò che dedussi dalle uova che trovai quà e là deposte, da cui pure erano nati anche i piccoli bache- rozzoli, trovati egualmente morti. Quasi tutti i bozzoli erano così vuoti. Solo aleuni mi presentarono la crisalide nell'interno. Esa- minate alcune di queste, le trovai morte. Disperai quindi di tutti, sup- ponendo che le crisalidi fossero tutte morte. Ad onta di ciò posi quei bozzoli in una cassetta coperta d’un velo. Passarono nello stesso modo tre mesi, allorquando il 18 del corrente giugno comparve una bellissima farfalla. Mi s’ aperse allora il cuore a muova spe- ranza, che cioè que’ pochi bozzoli conservati mi avessero a dare an- cora qualche farfalla. Ma fui in inganno, poichè quella farfalla campò indarno sei giorni, e solo quando le forze le erano venute meno, altre due farfalle comparvero, ma entrambe femmine ed anche in giorni sepa- rati. Così nessun uovo fecondo. Per tal modo di questo sperato alleva- mento non restommi che il diletto d’ aver conosciuto i bozzoli e di avere veduto fresche e vivaci le farfalle. I bozzoli somigliano molto, come vedete Voi pure, a quelli della iS. Cynthia pel colore e l’aspetto, ma il volume è maggiore, le pareti sono più ferme, e la forma più regolare ; per questi motivi sarebbero da preferirsi. TENTATIVI D’ ALLEVAMENTO ECC. 1 La farfalla poi è d'una eleganza singolare; l'ampiezza, i colori varj ed armonici che l’ adornano, gli ampj specchi trasparenti delle sue ali Ja rendono una delle più vaghe farfalle notturne, L’esser poi nate queste farfalle in giugno, mentre le altre s’ erano già sviluppate prima, in aprile, non dee recarvi meraviglia. Ora io tengo vive alcune farfalle della S. Cynthia, mentre le loro coetanee nacquero già tutte molti mesi sono. Il signor Michely a Cajenna osservò un fal fatto con questa stessa S. Z/esperus, avendo ottenuto da bozzoli tessuti negli stessi giorni farfalle e dopo 8 dì e dopo 18 mesi. — La qual cosa vi faccio rimarcare, poichè parmi, più che altro, un incon- veniente, specialmente per la coltivazione in grande. Questa specie, là nel suo sito natale, offri poi anche il fatto singo- lare di prosperar meglio sull’Ailanto, pianta esotica a Cajenna, piut- tosto che sulla Casearia ivi indigena, e destinata ad essa dalla na» tura nello stato di selvatichezza. Ora eccomi a intrattenervi dell’ altro allevamento, cioè di quello del celebre bruco della S. Yama-mai, proprio del Giappone. Di questa specie discorse già diffusamente e forse un po’ con so- verchio amore il signor Guérin, per cui io non starò a ridir le cose già dette. li bruco, verde e grosso, fu già descritto e figurato del pari che il bozzolo e la gigantesca farfalla. Le figure però date dal Guérin mi sembrano tutte un poco maggiori del vero. In febbrajo io riceveva dalla Società Imperiale d’Acclimatazione di Francia una scatoletta con entro un grammo di seme. — Le uova, nere e compresse, sono assai più grosse di quelle del baco comune. — Una metà di quelle uova erano sformate e secche, e non da- vano certo malta speranza di buona riuscita. La difficoltà maggiore, che s'era elevata all’ educazione di questa specie prima d’ora in Francia, consisteva nell’aver pronto il nutrimento per l’epoca in cui il baco si svolge. — Si sa che esso nutresi della foglia della quercia; e ormai possiamo affermare che tutte le specie di quercie a foglie caduche gli convengono; quelle a foglie persi- stenti non gli sono adatte per la loro durezza. A Parigi si fecero venire le foglie di quercia da Tolone. — Pre- vedendo ciò, io aveva pregato il nostro distinto orticoltore Croff di pre- 278 E; CORNALIA, pararmi nelle sue serre delle pianticelle di quercia comune, che, convenientemente traltate, potessero avere in aprile teneri germogli, e sotto questo aspetto nulla di meglio potevo desiderare. Le pic- cole querce erano già coperte da bellissime e tenere foglie, quando al 7 aprile, con una temperatura di 13 gradi, comparve il primo bruco. Questo svolgimento de’bacolini durò moltissimo, e al 4 di maggio, cioè quasi un mese dopo, ancora un bacolino svolgevasi dal guscio, Di mano in mano che uscivano le piccole bestioline, venivano collo- cate sui teneri germogli delle mie quercie. Ma il prospero andamento durò poco. Senza causa riconoscibile, quasi tutti i bachi dopo un giorno morivano. Nutrimento, quiete; temperatura, aria, nulla loro mancava; ma essi erano deboli e la vita fuggiva da ‘loro. lo non posso attribuire ciò che all’imperfezione del seme, ai viaggi da esso sopportati, di che sarebbe indizio la quantità di uova secche che già conteneva. Solo tre individui supe> rarono le avverse circostanze e proseguirono nella loro vita. Il bruco è verde-giallognolo in principio, poi decisamente verde. — Si fa negli ultimi giorni grosso il doppio del baco comune. Il suo corpo, semi-trasparente, è delicatissimo e di un'eleganza senza pari. Tubercoletti coperti di un ciuffo di lunghi peli ornano il dorso e i lati. ll capo, voluminosissimo dopo la quarta muta, è verde, non bruno o nero come lo figurò il Guérin. Le due prime stigmate sono coperte da una squammetta lucente come la madreperla. ll corpo non è coperto da nessun pulviscolo, come quella della S. Cynthia e della S. Arrindia. La vita di questa larva è d’una lunghezza, che sarebbe sufficiente ad impedirne l’artificiale allevamento, se questo non si potesse. fare direttamente sulle piante ;. però anche sulle querce. un soggiorno tanto prolungato non può che essere di grande nocumento alla quantità del raccolto, a cagione delle intemperie e degli animali nemici. Vi darò orale epoche nelie quali si compirono le diverse fasi della larva. — Seguiremo gli atti dell’ individuo che resistette meglio e che precedette gli altri. Nato il 7 aprile, al 4Gsi assopì per la prima volta; — quel sonno durò 4 giorno, TENTATIVI D'ALLEVAMENTO ECC. 279 al 417 accadde la prima muta, al 25 si osservò il secondo assopimento, al 27 la seconda muta, all’11 di maggio il terzo sonno, al 45 la terza muta, al 30 il quarto sonno, al 1.° giugno la quarta muta, al 18 di questo stesso mese cominciò a tessere il bozzolo. Così trovasi che la prima età durò 9 giorni, « il primo sonno A giorno la seconda età 7 giorni il secondo sonno TRINO la terza età IL» il terzo sonno Di La la quarta età 1g ita il quarto sonno 2 la quinta età 18» . în tutto 72 giorni, dal 7 aprile al 18 giugno. Vedete qual lunghezza di vita! eppure fu minore di 10 giorni di quella del baco del signor Guérin a Parigi, che dalla nascita al prin- cipio del bozzolo mise 82 giorni. Il bozzolo è chiuso. Così anche lo dice il signor Guérin. — Uno però di quelli che vi presento mostra un'estremità un poco accumi- nata e i fili stirati un poco ad ansa, disposizione che si vede nei boz- zoli aperti della S. Cynthia (dell’Ailanto) e della S. Arrindia (del Ricino). La seta è di un verdognolo chiaro, come quella di alcuna varietà di bozzoli del B. mori del Giappone. Essa è lucidissima, forte e bella. Il bozzolo è grosso, non però come lo figura il prelodato si- gnor Guérin; la quantità totale di seta, vuoi in sè stessa, vuoi in ragione alla grossezza del bruco, non credo che sia tale quale è van- tata. Una larva grossa, già presso a filare, che trovai ferita per non so qual causa, presentommi l’ opportunità di farne l’ anatomia, e trovai 280 E. CORNALIA, che l'apparato serico della Yama-maî è costrutto nell'identico tipo di quella delle altre vere Saturnie, S. Cynthia, S. Arrindia, S. major, cioè d’un tubo ristretto, press’a poco sempre d’egual diametro, lungo e disposto ad anse regolari ; non presenta quindi quell’ampio allarga- mento che la larva del £. mori offre, e pel quale il suo apparato contiene una copia ben maggiore di umor serico. Vi presento qui le figure dei due apparati che potete confrontare fra loro (4). Ora io tengo solo due bozzoli. Confido che avrò le farfalle. — Se fossi abbastanza fortunato che una fosse femmina e maschio l' altra, potrei sperare un po’ di seme. | Ad onta che questo primo tentalivo non sia stato molto felice, esso ammaestrommi’ sulle abitudini di questa specie, — L’anno venturo (4).A,. apparato .serico; del. baco: da .seta. comune che vive del gelso; B, apparato serico del brueo della quercia. TENTATIVO D'ALLEVAMENTO ECC. 281 confido di poter ripetere sifalta coltivazione, poichè, quantunque da quanto vidi quest'anno, e in breve quì vi narrai, non concepisca tutta la speranza nudrita da altri sopra i vantaggi dell’acclimatazione della Yama-mai, pure non dobbiamo trascurare alcun tentativo allo scopo di portare qualche vantaggio alla serica industria, fosse pure questo vantaggio piccolo, e si dovesse attendere qualche tempo avanti di raggiungerlo. Aggiunta fatta dopo la lettura. In seguito a reiterate domande fattemi dal signor conte D’Epréme- snille, spedii a Parigi i bozzoli di Yama-mut da me ottenuti, arrenden > domi alla speranza di poter con maggiore sicurezza ottenere del seme fecondo facendoli schiudere insieme ad altri. — Dovevo d’altronde mostrare la mia gratitudine alla Società che m’aveva spedito il seme. Dopo la coltivazione che feci, mercè le illuminate cure del signor Giuseppe Gavazzi, si riuscì qui in Milano ad avere buona dose di sela di Yama-mai ed ammirarne le proprietà. — Questa seta fu ottenuta nel conosciuto e meritamente vantato stabilimento di trattura del signor Gavazzi. — Il giovane e distinto filatore aveva falto acquisto nel 1861 a Marsiglia di una discreta quantità di bozzoli provenienti del Giappone e di cui non avevasi alcun dato di scienza 0 d’arte. — Furono messi e abbandonati ne’suoi magazzeni. — Veduti in quest'anno i bozzoli ottenuti del Yama-mai, si capì che appartenevano a questa specie, e si pensò di trarne profitto assoggettandoli a studj € prove. Que’bozzoli, che pesavano chil. 8,620, erano 3788 in numero, per cui ogni bozzolo pesava gr. 2,27. La filatura fu discretamente facile, avuto riguardo all’estrema vecchiezza di que’ bozzoli. Il signor Gavazzi ritiene che, freschi, si dovrebbero filare colla stessa facilità che quelli del baco da seta comune. — La grossa crisalide secca pesa in media 4 grammo, per cui sta al bozzolo nella proporzione di 1 a DE a Non occorsero sostanze di sorta per filare il bozzolo; l’acqua bollente comune chiara fu sufficiente; soltanto rimarcò il signor Gavazzi che i bozzoli, dopo aver girato nella caldaja per un certo tempo, presen- 282 E. COBNALIA» tavano un buco ad una delle estremità, pel quale penetrando l’acqua, i bozzoli si affondavano. À questo rimediò in parte collocando un gra- ticcio di latta a tre centimetri sotto il pelo dell’acqua. Il bozzolo, prima di dar la seta, vuol essere svestito di un invo- lucro ruvido, che colla macerazione nell’ acqua bollente e una forte scopinatura si toglie con facilità. Quest’involucro presenta di prefe- renza un bel color verde. — Spogliato di esso, il bozzolo si fa bianco; Il filo ottenuto è forte, di grande elasticità, di un color bianco gri- gio, assai lucido. — La sua grossezza sta a quella del filo del baco comune nella proporzione di 7 a 5. — È dunque impossibile far con esso i titoli fini che si fanno colle gallette comuni. Ecco la distinta dei prodotti ottenuti: Chilogrammi 8,62 bozzoli Soltraggonsi chil. 0,10 tolti per conservarli Chilogrammi 8,52 bozzoli filati Prodotto in greggia chil. 0,400 DI) in strusa » 4,050. Da questo prodotto si rileva che riesce impossibile basarsi sulla rendita del bozzolo comune per stabilire un preventivo sulla rendita di questo, poichè i bù6ni bozzoli comuni consumano: freschi, circa, chil. 12 per 4 chil. di seta secchi ”» gr na eli dando in strusa circa il 53 per cento, mentre i bozzoli.di Yama-mai consumarono: chil. 23. 100 per 1 chil. di seta e diedero il 257 per cento in strusa. Per conoscere poi la rendita a peso fresco occorrerebbe sapere in quali proporzioni questi bozzoli si riducano, disseccando, al peso as- assoluto. Furono dati in lavoro per organzino e trama chil. 0,270 di questa seta, e i sigg. figli di Giulio Fortis e Bressi di quì gentilmente s’incaricarono di farne dei campioni di tessuti, che a suo tempo si vedranno. Il bozzolo, secondo le fine osservazioni del signor Gavazzi, è tessuto in modo diverso di quello comune, poichè, mentre il filu- gello gira il suo filo da un capo all’altro del bozzolo, il bruco della quercia fa delle anse a cifra otto, come io ebbi già campo di TENTATIVI D' ALLEVAMENTO ECC. 285 vedere nel bozzolo della S. Cynthia o dell’Ailanto; così per lunghi tratti di filo il bozzolo si svolge con piccolissimi movimenti. Ho riportato quasi testualmente quanto gentilmente il signor Giu- seppe Gavazzi mi comunicò per lettera: sono preziosissimi dati, e i primi che si raccolgono su questo argomento. Dal successo ottenuto in questa filatura si vede l’importanza che il prodotto del Yama-mai potrebbe acquistare se si riescisse ad averlo in paese ed in abbondanza. Dobbiamo quindi con maggiore diligenza e costanza tentare questo allevamento e cercare di superare le diffi- coltà che sembra finora presentare (4). (4) Ora sappiamo che dai bozzoli conservati, 39 giorni dopo la loro formazione, sono nate alcune farfalle che presentano tinte diverse dal giallo, come le ficurò il Guérin, al rossastro ed al bigio il più distinto. 10 luglio 1865, DI ALCUNI SPONGIARJ DEL GOLFO DI NAPOLI MEMORIA G. BALSAMO CRIVELLI Con tre Tavole (IV, V e VI) (Seduta del 28 giugno 1863.) L’ amenità di posizione, la mitezza del clima, e 1’ abbondanza d’ esseri naturali che vivono-lungo le coste italiane dell’ Adriatico e del Mediterraneo, sono le favorevoli circostanze, per cui molti natura- listi, anche forestieri, si recano in alcune delle principali città marit- time, ed ivi si stabiliscono per qualche tempo onde godere dei co- modi della vita e dell’ opportunità di praticare studj principalmente sugli animali inferiori. Per questa circostanza dir si può che la conoscenza della Fauna dell’ Adriatico e del Mediterraneo è già di molto inoltrata, e sarebbe desiderabile che qualcuno dei nostri zoologi distinti riunisse i varj lavori, arrecandovi però quelle modificazioni che dipendono da nuove ricerche, onde così poter meglio invogliare la gioventù nostra a cono- scere la riechezza della fauna nostra marina, ed a facilitarne lo studio. Per provare quanti sono i materiali che si possono aver in proposito, credo opportuno semplicemente annoverare i principali autori, tanto forestieri che nazionali, che si occuparono della nostra Fauna marina, non pretendendo di annoverarli tutti, giacchè ora che le più impor» tanti Memorie scientifiche trovansi sparse in Atti Accademici ed in G. BALSAMO CRIVELLI, SPONGIARJ DEL GOLFO DI NAPOLI 285 Giornali, è quasi impossibile averne di tutti special cognizione; sarà mia cura però, giacchè mi sono proposto di esporre i *miei studii sugli Spongiarj, indicare particolarmente quali dei sovradetti Autori se ne sono occupati. Fra i più distinti naturalisti che studiarono e pubblicarono lavori speciali sugli animali dell’ Adriatico e del Mediterraneo, si annoverano professori di diverse nazioni. I più rinomati sono Giovanni Miiller, la cui acuta mente scientifica, e le cui minute ricerche fecero riscontrare oggetti e rilevare fatti di grande importanza, si può dir che tutte le classi degli animali o scien- ficamente o classicamente furono da lui esaminate; e prima di com- piere la sua vita fece conoscere degli strani esseri Amorfozoarii , le Policistinee, che avea e raccolte e studiate nel Mediterraneo. Dappoi si annoverano il Kéllicher, Vogt, Gegenbauer, Leukart, Grube, Van Beneden, Keferstein, Rapp, Forbes, Saars, Lieberkihn, Schmarda, Hellen, e Oscar Schmidt. A tutti poi è noto quali progressi abbia fatto non solo la Zoologia sistematica, ma ben anche la scientifica per gli studj fatto nelle Sicilie dai sigg. Edwards, Quatrefages e Blanchard. Non è però da credersi che gl’ Italiani abbiano trascurato di stu- diare le loro marine produzioni. In fatti noi sappiamo che il Padre Boccone si occupò di molte preduzioni della Sicilia, che il Boccone ed il Poli ne illustrarono le Conchiglie. Devesi annoverare l’Imperat che descrisse molti Polipi e Spongiali delle coste di Napoli, e le sue figure quantunque rozze pure per alcune specie sono bastatemente precise per farle riconoscere. Nella metà del secolo scorso un ricco signore di Ravenna il conte Ginnani riunì un museo di oggetti del- l’ Adriatico, ed un suo nipote ne pubblicò la sua opera postuma, Nell’anno 1763 venne pubblicata del sig. Vitaliano Donati la sua Storia Naturale dell’ Adriatico. Sebbene il sig. Cuvier dichiari 1’ opera del Vitaliano Donati «o0uvrage incomplet et superficiel» dirò che troppo amaro è il giudizio, chè se alcune opinioni del Donati sono superfi- ciali e dirò anche strane, ciò devesi riferire alla tendenza degli stu- diosi di quel tempo, i cui paragoni hanno spesso più del ridicolo che del reale. Però non si può negar che il sig. Vitaliano Donati sia stato un osservatore diligente, e mi è di sorpresa, come il signor. Oscar 286 G. BALSAMO CRIVELLI, Schmidt, nella sua celebre opera sulle Spugne dell'Adriatico, nella quale dà una storia alquanto estesa di tutti quelli che si occuparono . delle Spugne di quel mare, non faccia menzione alcuna del Donati. Le figure date del sig. Donati non sono spregevoli specialmente per. gli Spongiali; egli illustrò due specie di 7 ethye, delle quali una non fu distinta dalla Zyncurium, sebbene i caratteri dati dal Donati, e le sue figure avrebbero potuto indurre a realmente riconoscerla diversa. La figura poi che dà dell’Aleyoniun cidaris Lamk o Geodia cidaris è di tale esatezza che rassomiglia perfettamente anche per gli accidenti delle forme, ad un esemplare che trovasi nel Gabi- netto di Pavia. Quantunque giustamente il sig. Schmidt faccia elogio al sig. Lieberkihn perchè il primo che diede importanza maggiore, e che presentò ingranditi di molto gli aghi degli Spongiali dobbiamo dire che il merito primo è del Donati, il quale non solo si accontentò di dare la figura che rappresentasse l’ aspetto degli oggetti che esa- minava, ma che tanto delle Tethie, quanto dell’Alcionio ne fece rappre- sentare ad un forte ingredimento le parti interne, ed i disegni rap- presentanti i globuli silicei, le ancore e spicule, avrebbero potuto determinare l’attenzione degli studiosi su questa parte, come in se- guito la richiamò il Lieberkihn. Trentadue anni dopo sig. Ab. Giuseppe Olivi pubblicò un opera intitolata Zoologia Adriatica. In quest opera 1’ Autore si occupa, specialmente dei Crostacei e dei Molluschi, e così pure emise alcune opinioni sulla vita delle Spugne, sulla loro struttura, e riproduzione, e molte delle sue osservazioni vennero poi confermate dalle microscopiche ricerche eseguite dal Lieberkiihn, ma riguardo alle specie poche nè descrisse. All’Olivi però devesi la prima cogni- zione completa dell’ A/cyoniun domuncola (Suberites Schm.). In appen- dice alla sua Zoologia Adriatica 1 Olivi pubblicò due brevi saggi 1’ uno dell’ inglese Commendatore Strange che specialmente descrisse alcune specie del mar Tirreno, l’altro dell’ Ab. Camaldolese P. Vio che descrisse molte specie dei mari dei contorni di Smirne. Rispetto agli Autori Italiani del presente secolo che si occupa- parono degli esseri inferiori dell’ Adriatico devesi dapprima indicare il Renier, che istancabile nelle sue ricerche, arrichì pure per gene- SPONGIARJ DEL GOLFO DI NAPOLI 287 rosa disposizione dell’ antico Regno Italico i principali stabilimenti scientifici, c quantunque tali oggetti non fossero tenuti separati, pure ancora, almeno per quelli contenuti nel Gabinetto di Pavia, per certa particolarità del modo di montatura e per indizio di vecchi cata- loghi si poterono riconoscere essere gli autentici spediti dal distinto Professore di Padova. Tra questi oggetti meritano special menzione i Tunicati, dei quali lo studio mi convinse, che se la loro descrizione pubblicata nell’ opera postuma del Renier dal chiar. prof. Meneghini, fosse dapprima stata fatta di pubblica ragione, sarebbe stata molto più interessante ed apprezzata se la pubblicazione avesse preceduto le Memorie del Savigny e dell’ Edwards. Poche sono le Spugne che vennero spedite dal Renier, il che però mostra come anche di questi esseri si occupasse quel distinto Professore, e che provano come a buon diritto il chiar. sig. Nardo gli dedicò un buon genere di Spu- gnali. Dei prodotti dell’ Adriatico poi si occupò il Naccari, ma il dott. Nardo, che principiò coll’illustrare opera del Naccari, fu il primo tra i Naturalisti che si dedicò a fare uno studio speciale sulle Spugne ; e già fino dell’anno 1833 egli ne aveva pubblicata una classificazione, ed in seguito molte altre Memorie sull’ argomento medesimo, ma non potè compiere il suo desiderio di pubblicare la descrizione delle specie, che aveva più volte promessa. Ciò però che non fa meraviglia pei scienziati Italiani, che spesso privi di mezzi e d’ incoraggiamento dovettero subire la dolorosa impressione di vedere dagli esteri pubblicati studj che con fatica e stento ave- vano già in gran parte compiti. Delle Spugne dell’ Adriatico devesi pure come illustratore riportare il chiar. professore, il Nestore dei Botanici viventi italiani, il Comm. Antonio Bertoloni. In un occasione di una gita fatta a Ravenna si occupò il Bertoloni di visitare il Museo Ginnani, ne studiò le raccolte, ne illustrò le principali marine produ- zioni tra le quali anche le Spugne riportandole alle specie descritte del Lamarck. Ma venendo ora ad accennare agli autori nostri che parlicolarmente illustrarono i nostri prodotti inferiori marini del Mediterraneo, il primo che devesi annoverare è lo Spallanzani; ed infatti da’ suoi viaggi risulta come egli raccolse e studiò molti animali marini, ed anzi cer- 288 G. BALSAMO CRIVELLI, tamente allo Spallanzani devonsi la maggior parte dei. Zoofiti del Mediterraneo che trovansi nel Gabinetto di Zoologia, e specialmente poi. molte Spugne provenienti dallo stesso mare, come trovasi indicato in un antico catalogo. Prima però dello Spallanzani devesi annoverare il Cavolini, che illustrò la storia, non solo di alcuni vegetali, ma ben anche di molti Polipaj marini. Sappiamo pure che presso a poco nell’epoca in cui lo Spallanzani compiva i suoi viaggi venne pubbli- cata l’opera rinomata dell’ Esper intitolata Die P/anzenthiere, nella quale sono indicate venti specie che egli dichiara del Mediterraneo. L’immensa ricchezza dei prodotti del mare che bagna le coste delle provincie napoletane e della Sicilia, è quella che determinò distinti zoologi di quelle regioni a specialmente occuparsene. A tutti i naturalisti che occupar soglionsi della storia degli ‘animali senza vertebre del ex-regno di Napoli è nota l’ estesa opera sovra . tal argomento pubblicata dal Delle Chiaje. Qui non è mio compito il discutere sul merito di tal opera, specialmente per ciò che risguarda altri animali, ma però specialmente occupandomi delle Spugne dirò che egli ne descrisse ventidue specie, ma che tanto le sue descri- zioni che le sue figure possono ben poco servire all’ esatta loro deter- minazione, giacchè per la maggior parte le figure non rappresentano che frammenti, senza particolarità alcuna relativa alla loro struttura, e ristrette e confuse sono pur le descrizioni. Tra i più rinomati Zoo- logi che si occuparono degli animali inferiori delle Provincie Napo- letane devonsi annoverare dapprima il sig. senatore Oronzio Costa, ed il di lui figlio Achille ora professere di Zoologia nell'Università di Napoli, che pubblicarono molte Memorie speciali, ed il primo più particolarmente una Fauna Napolitana. Tra gli autori Siciliani che principalmente trattarono d’ animali invertebrati, citerò il Calcara, il Benoît, 1° Aradas, il Barone di Man- dralisca, i quali in particolar modo diressero i loro studj ai Molluschi, ed il sig. Rizza Alessandro che illustrò molti Molluschi del lido di Siracusa, e che con grande utile della scienza si applicò pure ai Cro- stacei, tra i quali nè illustrò e descrisse specie molto interessanti. Ma venendo ora al mare che bagna le coste della Toscana, del Geno- vesato e di Nizza, dapprima fra gli autori che ne illustrarono le SPONGIARJI DEL GOLFO DI NAPOLI i 289 produzioni devesi annovere il commendatore Antonio Bertoloni, il quale oltre di aver illustrato le Spugne dell’ Adriatico descritte dal Ginnani, pubblicò uno Specimen Zoophytonum Portus Lune, ed un altro lavoro sulle produzioni naturali del golfo della Spezia, acce- nando ad alcuue Spugne di quel golfo. In seguito meritano d’ essere citati il sig. Viviani che specialmente scrisse sugli animali fosfore- scenti, il Risso che fu un solerte raccoglitore e che descrisse molti oggetti del mare di Nizza e Genova, ma più ancora merita special menzione il sig. Verany che pubblicò una monografia rinomatissima sui Cefalopodi, e che diede estesi cataloghi accompagnati da spe- ciali illustrazioni degli animali inferiori tanto del mare di Genova «che di quello di Nizza. Il chiar. prof. Filippo De Filippi, descrisse alcune nuove specie di Asteridi del Mediteraneo, ed una nuova specie di Dichelaspis, e di alcuni rami speciali di Zoologia marina trattarono il prof, Capellini ed il prof. Canestrini. Anche tra i nostri Lombardi dobbiamo accennare quelli che con- tribuirono agli studj degli animali marini in questi ultimi tempi. Tra questi meritano speciale menzione il nostro infaticabile Presidente il cav. Cornalia, ed il prof. Paolo Panceri ora professore d’ Anatomia comparata nell’ Università di Napoli. In fatti gli studj sulle branchie accessorie dei Plagiostomi fatti dal Cornalia, e quelli sulla Gyge bran- chialis fatte dal cav. Cornalia e dal prof. Panceri sono dovuti alle loro ricerche pralicate in Nizza ed a Venezia. ll gabinetto di Pavia poi per cura del professore Panceri potè arrichirsi di prodotti marini interessantissimi. Lo stesso prof. Panceri nello scorso maggio oltre molti Radiarii e Tunicati spedì molti Spugnali ben conservati, dei quali ho principiato lo studio, ed ora presento parte dei risul- tamenti de’ miei studj sovra questi esseri, riservandomi a compierne il lavoro di molti altri che esigono uno studio più accurato. Qui però trovo mio dovere di soggiungere, che io non avrei potuto, attendere a questo lavoro, in mezzo alle continue occupazioni se non fossi stato coadjuvato da uno de’ miei distinti studenti di scienze naturali il sig. Torquato Taramelli, il quale non solo con grande dili- genza e premura mi coadjuvò nelle microscopiche preparazioni ed osservazioni, ma eseguì pure tutte le figure, con intelligenza ed 19 290 G. BALSAMO CRIVELLI , \ assiduità. Qui mi si permetta pure il dire, che tutti gli studenti inscritti presso la nostra Università per le scienze naturali, cioè i sig. Pavesi, Marinoni, Saglio, coadjuvati dalle cure del dott. Leopoldo Maggi, di molto servirono a facilitare i miei studj, e spero ben presto di poter comunicare a codesta nostra Società il frutto delle loro occu- pazioni. Credo pure opportuno premettere, che sebbene io sia piuttosto ritroso nell’ ammettere o introdurre nuovi generi, pure ho dovuto riconoscere la necessità di farlo, e per riunire più vicine alcune specie e per essere già stata preveduta l’ opportunità di formarli anche dal sig. Schmidt. A questi generi occorreva dare nuove denomina- zioni, e onde porgere un omaggio ai due distinti Naturalisti che die- dero un nuovo indirizzo allo studio dei nostri Spugnali 1’ uno lo de- nominai Schmidtia V altro Lieberkihnia. Nel genere Schmidtia vi comprendo quattro specie, l' una era già stata descritta dal sig. Schmidt e conosciuta dal sig. Nardo sotto il nome di Reniera dura propria dell’ Adriatico, ma però con dubbio se alle Reniere si potesse riferire, del quale ne ebbi esemplari di forma variata dal golfo di Napoli, le altre tre specie che pure trovansi nel nostro gabinetto provengono dalla stessa località. L’altro genere Lieberkihnia comprende un’ antica specie che il Nardo aveva denominata Esperia calyx, e lo Schmidt, Reniera calye; indicando però che probabilmente doveva formare un genere distinto. L’ altra specie che vi riunisco per identità di struttura, quantunque a primo aspetto ben diversa di forma, per quanto mi consta, non fu ancora descritta come propria dei nostri mari, e l'ho denominata Lieberkihnia aegagropila. Descrivo poi in questo mio saggio quattro specie del genere Suderites, trà le quali una anch'essa a mia notizia non ancora annoverata trà quelli del Mediterraneo e dell’Adriatico, alla quale forse con dubbio si può riferire l’M/alichondria mammil- laris dell’ lohnston, che a torto riferisce alla Spongia Imperati del Delle Chiaje. Di quest’ ultima specie, e delle altre delle quali ho già dato principio allo studio ne farò soggetto in un’ altra mia relazione. I SPONGIARJ DEL GOLFO DI NAPOLI 291 Gen. Scaminrra Bals. Spongie tuberose, vel tuberoso-elongate, vel inaequaliter no- dosae, plus minusve pedunculatae. Sepe singule, interdum bine, vel plures inter se coalite. Superficie superiori nunc ovata nunc planu- lata. Apertura seepe centrali decurrente in tubo intus favoso, cum canaliculis parenchymatis interni communicante. Parenchyma plus minusve cribrosum. Pars exterior spiculis falcatis procumbentibus contexta. Globuli silicei potius rari vel adventii ( Gemmule ?). Le specie che io riporto a questo genere, per la loro sistematica di- stribuzione si dovrebbero collocare dopo le Corticate del sig. Schmidt, e le prime tra le Halichondrie. In fatti se esse non offrono una vera corteccia costituita da elementi diversi da quelli delle parti interne, pure la loro superficie in apparenza liscia è coperta da un leggiero strato di spicule, eguale a quelle che si osservano nell’ interno, ma solo sdrajate orizzontalmente, mentre nell'interno si riuniscono in maglie imperfette in modo di presentare un tessuto poroso; esterna- mente poi veggonsi delle aperture che communicano con un canale a pareti forate che trovasi in communicazione con dei canaliculi irre- golari del parenchima. La forma delle specie è assai variabile, ed in tutte vi è grande tendenza negli individui che tra loro crescono vicini, di riunirsi e costituir così degli ammassi anche di un discreto volume. Le specie che ri- tengo doversi ritenere costituire questo genere sono: I. Schmidtia ficiformis. II. Schmidtia fungiformis. III. Schmidtia clavata. IV. Schmi- dtia dura, Nardo. I, Schmidtia ficiformis Bals. Spongia tuberosa vel tuberosa elongata, plus minusve pedunculata, ‘superius obtuse rotundata. Specimina interdum singula unico osculo centrali, interdum composita osculis pluribus. Nel Gabinetto ve ne sono varii esemplari, dei quali ne ho falto rappresentare due individui l’ uno semplice, l’ altro aggregato, ossia 292 G. BALSAMO CRIVELLI, composto dalla riunione o per meglio dire, con nome d’ uso, fusionei di cinque individui. Altri individui hanno la forma d’ un fico docili mente pedunculato , più o meno allungato. Tutti gl’ individui offrono un’ apertura verso la sommità di circa sei mill.i di diametro. La loro superficie alla vista sembra uniforme ed è formata da una specie d’invoglio dello spessore di circa '/ mill.°. Tanto le spicule della superficie che si presentano sdrajate, quanto le interne tra loro intree-; ciate, e assieme saldate come da un pigmento, sono tutte falcate, lunghe circa ?/10 di mill. e larghe 1/100 di mill.°. | 2. Schmidtia fungiformis Bals. Spongia Pedunculata vel subsessilis, vel trochiformis, superiu planulata, vel aliquantisper excavata, et osculis plurimis predita. Ne ho esaminati tre individui. La loro forma generale si è quella a primo aspetto trochiforme, o come d’un fungo più o meno pe- dunculato. L’ esemplare più grande ha il suo massimo diametro di circe 19 centim., il minore di 48; è alquanto incavata, ed offre molte aperture un po’ sporgenti, delle quali ciascuna mette ad un tubo a pareti foracchiate. Le Spicule tanto dell’ esterna. superficie come del- l’interna sono e per forma e per modo di distribuzione eguali, sole che alcune mi sembrano un po’ più grandi, raggiungendo la lun-d ghezza di ?/so di mill.° 3. Schmidtia clavata Esp. Spongia clavata Esp. Pflanzth. th. Tav. XIX. Sp. rotundata compressa, nodosa, ramosa; ramis clavatis, apice rotundatis. Superficie glabra hine illic excavata cum osculis plurimi. inequaliter dispositis. Oscula in tubo decurrentia intus favosa. Spi- cule sub-falcato magnitudine varia. Questa specie è certamente la Spongia clavata dell’ Esper che egli pure cita del Mediteraneo, e che il sig. Schmidt non cita dell’Adri tico. SPONGIARI DEL GOLFO DI NAPOLI 293 4. Schmidtia dura Nardo. Reniera ? dura Nardo. Schmidt, Die Spong. des Adriat. Meeres. pag. 76. Tav. VII. f. 15. Sp. tuberoso, vel tuberoso-ramosa, dura. Stratum superficiale e spiculis arcuatis congestis efformatum. Parenchyma e spiculis ar- cuatis inter se reticulatim conjunctis, canalibus crebris et canali- culis innumeris. Oscula majora hinc illinc disposita. Riferisco questa specie per la prima volta accennata dal Nardo, che anche lo Schmidt provvisoriamente aveva collocata nel genere ‘Reniera, al genere Schmidtia, offrendone tutti caratteri. In questa specie vedesi predominare la tendenza che hanno gl’ individui a con- giungersi assieme, formando così talora delle masse anche volominose. Uno dei nostri esemplari corrisponde di molto a quello figurato dallo Schmidt. Vi ho osservato e spicule grandi e piccole, ed una ottusa all’ estremità, ma un po’ diversa da quella figurata dallo Schmidt alla lettera d. Ritengo questa specie variabilissima d’ aspetto ma che dalle altre bastantemente si possa distinguere per essere la più resistente di tutte. Genere Lreserxunnia Bals. Spongie halicondrie infundibuliformes, vel turbinato, vel glo- bose, vel excavato compresse. Textura omnimode reticulata. Fibre extus a substantia mucosa, în exsiccatis, granulosa obtecte, et intus inter se conjunete. Spicule potius parvule leviter arcuate, utrinque acuminate seriatim disposite ad fibras efformandas. I. Lieberkihnia calyx. Bals. Esperia calye Nardo Reniera? calye Schm. Die Spong. des Adriat. Meeres, pag. 76. Sp. fusca vel potius tabacina, formam poculi apprime imitans. 294 G. BALSAMO CRIVELLI, Spicule utrinque acuminate, seriatim disposite, et substantie organice) ope conjuncte, efficiunt fila et filorum retia in se concentrica. Due sono gli esemplari di questa specie che trovansi nel Gabinetto dell’ Università di Pavia, e che certamente provengono dal mare di' Napoli, come ho potuto rilevare dalle indicazioni di un vecchio Cata- logo. Una singolare circostanza sembra confermare ancor più la loro provenienza, giacchè uno dei nostri esemplari ha una perfetta rassomi- glianza colla figura che trovasi nell’ opera dell’ Imperati soito il nome di Alcionio Stopposo pag. 640, che 1° Autore cita del mare di Napoli, Quest’ individuo è alto circa 24 centim. ed un po’ incurvo. Alla som-. mità è largo in tutto 10 centim. La sua cavità all’ apice si appro= fonda obbliquamente per quasi 15 centim. Alla superficie esterna all lato incurvo si osservano alcuni processi pieni e formati da fibre? affastellate: talora sembrano fibrosi per lo staccarsi delle fibre stesse, L’ altro esemplare ha un aspetto poculiforme, con un ampia cavità, nel mezzo, ed è alto circa 10 centim. Nell’ interno della cavità vi si. possono riconoscere delle piccole aperture, e la cavità in questo in- dividuo si approfonda solo per circa 4 centim. Ambidue gli esem= | plari si osservano formati da molti strati di fibre addossati gli uni, agli altri, che facilmente si possono staccare quando sono secche, e| la loro superficie esterna è ricoperta da una materia granulare. Il sig. Schmidt ritrovò questa specie anche nell’ Adriatico, ed asse=, risce offrire spesso un aspetto bichieriforme con un peduncolo più o meno marcato. Lo stesso autore riporta questa specie al suo genere Reniera, ma con dubbio, dichiarando però che non può essere eollo- cato nel genere Esperia come lo aveva riposto il Nardo. Questi però opinava che dovesse costituire un nuovo genere, ed il sig. Schmidt, ripose solo con dubbio questa specie al genere Reniera, giacchè è il. genere al quale più rassomiglia specialmente per la figura delle Spi- cule. La grande differenza di struttura però che si osserva tra questa, specie e quelle del genere Reniera, struttura che pure verificai iden- tica ritrovarsi in un altra specie di aspetto affatto diverso di questa mi determinò a formarne un nuovo genere dedicandolo al signor Lieberkiùhn che fece un accurato studio sulle Spongille, e che spe- cialmente si occupò della struttura delle Spugne. La seconda specie di Lieberkuhnia è la seguente: SPONGIARI DEL GOLFO DI NAPOLI 295 2. Lieberkihnia egagropila Bals. Sp. fusco-flavescens, ovata vel ovato-depressa, vel concheformis, contexta fibris reticulatis rigidis diversimode decussatis, et compo- silis e spiculis serie longitudinali, sepe obtecle parenchymata mu- coso, et spiculis reticulatim dispositis continente. Questa Spugna a primo aspetto sembra un uniforme ammasso di fibre diversamente tra loro intralciate, in modo da rassomgliare ad un vero egagropilo. Alcuni esemplari sono lunghi presso poco 8 centim., e colla massima larghezza di d centim. e la minima di 5. In gene- rale hanno una forma ovale compressa, ed offrono alla superficie una quantità di piccoli fori, dei quali però due più grandi l’uno è collo» cato verso il suo terzo inferiore, l’ altro verso la parte superiore più ristretta. Alcuni esemplari offrono l’ aspetto come di una conchiglia di Haliotis leggermente incavati da un lato, convessi dall’ altro. AL lato concavo sono le fibre in gran parte coperte da una specie di membrana, o meglio come da un pigmento in cui gli aghi sono tra loro in modo congiunti da formare come delle maglie incomplete. Nelle fibre all’ incontro, le quali si intrecciano e decorrono in vario senso gli aghi sono disposti in fasci nella direzione della loro lun- ghezza e anch’ essi sembrano rimanere aderenti per una materia pig- mentaria. Tanto le spicule della superficie, come quelle delle fibre sono in proporzione molto più grandi di quello che si osserva nella Lieberkiihmia calyx. lo ritengo questa specie probabilmente identica all’Halicondria 2gagropila di lohnston da lui descritta nella sua opera sulle Spugne d’ Inghilterra alla pag. 419, e poco bene rappresentata alla tav. XI fig. 41. Però diversifica per le spicude, giacchè l’Iohnston dichiara che nella sua Halicondria segagropila sono le spicule acuminate ad una estremità; e solo ottuse dall’ altra, mentre nella nostra specie sono acuminate ad ambe le estremità ; e solo uno ne rimarcai un pò più acuta ad un estremità che all’ altra. La figura del- I’ Iohnston pel modo con cui vennero eseguite lasciano però molti dubbii. In ogni caso ritengo che quantunque sommamente diversa di forma, pure per la sua grande analogia di struttura devesi rite - 296 G. BALSAMO CRIVELLI; nere una specie ben distinta dell’ egual genere della Zieberkinia calyx. Genere SusezaitEs Nardo. Schmidt. Die Spon. des Adriatis Meeres. Pag. 6%. Questo genere venne stabilito dal chiar. dott. Nardo nella sua Spongiariorum Classificatio pubblicata nell’ Isis nell’anno 1833. In questo suo prospetto annovera tre specie cioè il Suberites typus, che è poi l'Aleyondum domuncula dell’Olivi, il S. ficus, Nardo, ed il Sub. volubilis. Il Lieberkiùhn tra le specie da lui osservate nel Golfo di Trieste indica l’ Halicondria compacta che dichiara sinonimo dell’ al- cyonium domuncula e lo Schmidt nelle sue Spugne. dell’ Adriatico dopo di aver data un’ estesa frase generica, ne annovera sei specie che sono Sub. crambe, S. fruticosus, S. arcicola, S. massa, S. domun- cula, e bursa. Nella raccolta avuta da Napoli per mezzo del dott. Panceri riscon- irai quattro specie, tre già conosciute, ed una che è nuova, e sino ad ora non mai indicata dei nostri mari, e sono il Sub. domuncula , un altra specie da altri riunita al S. domuncula che credo meritare il nome di S. compactus, indi il Suberites flavus Schm. e finalmente un altra specie che ho denominata Suberites appendiculatus. 1. Suberites domuncula Nardo. Ritengo inutile esporne la frase specifica già esposta dallo Schmidt, opera citata, pag. 67. Ne ho ricevuti molti esemplari tanto nel liquido che essiccati. Sono perfettamente identici i miei esemplari di Napoli con quelli dell’ Adriatico. Ho ritenuto opportuno presentare un disegno di questa specie, per poterne rilevare anche le caratteristiche microscopiche, e special. mente il modo con cui gli aghi si osservano intralciati, la forma degli aghi, ed il Joro aspetto capitellato. SPONGIARJ DEL GOLFO DI NAPOLI 297 2. Suberites compactus Bals. non Auct. S. globosus vel ovatus, plerumque pedunculatus, superficie lavi (in Speciminibus exsicatis) subfusca. Intus compactus, et aliquando &rregulariter excavatus. Tutti gli esemplari che trovansi nel nostro Gabinetto devonsi rite- nere del Golfo di Napoli, e ciò per le indicazioni che ho potuto ve- rificare. In generale sono tutti più piccoli della specie antecedente, e non racchiudono corpo alcuno estraneo. La loro parte esterna è di colore fulvo-rossastra, ed è perfettamente di solito liscia, e spaccati offrono un aspetto o parenchima in apparenza compatto, solo alcuni mostrano una cavità. La maggior parte offre una specie di allungamento alla loro parte inferiore, o peduncolo ed altri alla parte superiore offrono una depressione che forse può dipendere dal loro esiccamento. Gli aghi hanno il loro capitello che per aspetto si avvicina un poco a quelli del Suberites domuncula, ma sono però più lunghi e più gracili. Egli è perciò ch'io la ritengo una specie affine bensì, ma però distinta dal Suberites domuncula, quantunque alcuni autori la considerino come una varietà. Egli è certo però almeno per l’ aspetto che non si può ravvicinare al Suberites Massa Nardo, della qual spe- cie lo Schmidt. ne ha fatto figurare lo spugnale, ma non gli aghi. 5. Suberites flavus Schmidt. an Zalicondria flava Lieberk. S. irregulariter lobatus, superficie levi passim excavata. Paren- chymate leviter fibroso. Spiculorum duo genera, alterum capitatum paulisper incurvum, alterum uno apice obtuso. A me sembra corrispondere perfettamente l’ esemplare avuto da Napoli alla specie annoverata dallo Schmidt che letteralmente tra- scrisse la descrizione dello Lieberkilhn senza darne la frase specifica. 298 G. BALSAMO CRIVELLI , 4. Suberites appendiculatus Bals. S. ovato-compressus, compactus, albo flavescens, intus fibroso- sporgiosus ; tubulis în superficie conico-flexuosis, sepe deciduis, quo casu osculu quamplurima remaneni. Questa specie è compatta, coriacea, di figura allungata e alquanto compressa, di colore bianco sporeo. Alla sua superficie veggonsi spor- gere molti processi allungati, ed ove ne è priva si scorgono molte aperture tondeggianti con margine un po’ rilevato. Osservata attenta- mente la sua superficie ofire una specie di corteccia costituita da aghi disposti a rete in una specie di pigmento. Nell’ interno gli aghi sono disposti in fasci assieme riuniti da una specie di membrana, e lasciano gli spazii scorgere nelle loro pareti delle aperture di com- municazione tra uno spazio a l’altro. Le appendici o tubi variano in lunghezza, sono perfettamente cavi, e anch’ essi hanno le pareti co- slituite da aghi riuniti da un pigmento. NOTA. In aggiunta alla descrizione della Decade delle Spugne del Golfo di Napoli da me descritte, credo opportuno il dare un elenco di quelle specie che mi furono favorite dal prof. Panceri, citando con dubbio quelle che è necessario siano ancor rivedute. Questo semplice elenco però viene a confermare l’importanza dell’opera dello Schmidt, giac- chè molte delle specie da me esaminate sono esattamente descritte nella di lui opera, più volte citata. 4, Una specie che per la natura degli aghi va annoverata tra le Caleispongie, molto vicino al genere Grantia, ma che probabilmente per la forma degli aghi semplici è una nuova specie del genere Nardoa di Schmidt. | 2. Un’ Zuspongia che ha prima giunta si potrebbe credere la Spon- gia Imperati del Delle Chiaje, ma che ne è certamente diversa. 3. Una Reniera che si potrebbe ritenere essere la R. palmata dello SPONGIARJ DEL GOLFO DI NAPOLI 299 Schmidt, ma che perfettamente rappresenta la Spongia lactuca del- l’Esper tav. XXXII. 4. La vera Acanthella obtusa dello Schm., pag. 63, tav. VI, fig. 8. b. La Stelletta discophora Schm., pag. 47, che oltre la caratteri- slica mi mostrò anche degli aghi acuminati ad ambe le estremità diritte, ed altri arcuati. 6. La Tethya morum Schm., pag. 44; vi osservai alcune particolari stellette, i cui raggi sono capitellati all’ apice. 7. Un altra Zethya che ritengo dover essere (come ho già accen- nato) una nuova specie denominata 7'ethya Donati. 8. Una Reniera che ancora dubito se debbasi ritenere la Reniera semitubulosa. 9. La Geodia conchilega ? Schm., pag. BI. 40. Geodia tuberosa Schm., pag. 50, tav. IV, fig. 40. 41. Geodia placenta Schm., pag. 49, tav. IV, A fe 12. Hircinia fasciculata Schm., pag. 54, che è S. fusciculata Esp. Pfianzentb. tav. XXXII. 13 Halidondria ....? 44. Reniera ... ..? 18. Esperia Lorenzii Schm., pag. 86, tav. V, fig. 7. 16. Esperia massa Schm., pag. 56, tav. V, fig. 8, Sarcotragus Species? 19. Cacospongia sealaris Schm., pag. 27, tav. III, fig. 4. 20. Cacospongia mollior Schm. ? 21. Gummina Schm. Il sig. Schmidt di questo suo nuovo genere ne descrive due specie, questa ne è una nuova specie. 22. Cacospongia cavernosa Schm. 23. Myxilla anhelans Schm., pag. 72. 24. Spongia quarnerensis Schm., pag. 22, tav. I. fig. 2. e tav. IIL fig. 4? 23. An Axinella? 26. Clathria compressa Schm., pag. 38, tav. VI, fig. 4. 27. Spongia an foveolaria Delle Chiaje. 28. Reniera alba Schm.? 300, G, BALSAMO CRIVELLI, 29. An Raspaillia Schm. - 30. Axinella cinnamomea Schm., pag. 64. tav. VI, fig. 2. Di questa specie ne ho ricevuto un solo esemplare, che rassomiglia di molto alla sovracitata figura, e che mostra pure anche il suo Poli- pajo parassita denominato Palythoa Axinelle Schm. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE (Tav. IV°,.V' e VI?) GENERE SCHMIDTIA BALS. 1. Schmidtia ficiformis Bals. (Tav. IV°, fig. 4. a 4) Fig. 1. Individuo semplice spaccato d’un esemplare non molto grande — a cavità che presenta come delle piccole boccuccie ad aspetto spugniforme — 6 strato esterno — c canaliculi sinuosi dei quali alcuni giungono alla cavità centrale. n 2. Individui dell’egual specie che nell’accrescimento si sono fusi assieme rappresentati di ‘/, della grandezza naturale. n 3. — a Aghi falcati di diversa grandezza della parte interna — 5, aghi della superficie esterna — c, aghi della superficie esterna ottenuti con un taglio più accurato (ing. 300). » 4. globuli silicei rotondi ed ovali (ing. 600). 2. Schmidtia fungiformis (Tav. IV°, fig. dB a 40). » 5. Aghi e granuli formanti la superficie esterna, tra i-quali dei filetti, forse residui d'una membrana (a 300). » 6. Spicule corte falcate ed un granulo (ing. 400). » 7. Modo di disposizione delle spicule che limitano una delle piccole cavità interne (a 300). » 8. Un esemplare della accennata specie a #/, della grandezza naturale. » 9. Altro individuo per mostrare come le boccuccie sono sporgenti, e per la sua forma un po’ diverso dall’antecedente rappresentato ad '/, della sua grandezza. 10. Aghi e spicule o grani osservati alle pareti corrispondenti d’ una delle cavità. x SPONGIARJ DEL GOLFO DI NAPOLI 301 5. Schmidtia clavata Bals. (Tav. IV?, fig. 41 e 12) Fig. 11. Rappresenta un pezzo della Schm. clavata n 12. Aghi della medesima di varia grandezza (ingr. 100). 4. Schnvidtia dura Nardo (Tav. V?, fig. 1,2 e 3). % (n . Aspetto degli aghi o spicule della superficie. . Modo con cui gli aghi s'intrecciano per formare le maglie. » 3. Figura degli aghi di diverso aspetto del tessuto interno. % iso) GENERE ZIEBERKUHNIA BALS. 1. Lieberkùhnia calyx (Tav. V®*, fig. 4a 9). » 4. Esemplare di figura conica '/, di grandezza naturale. . Altro esemplare di figura poculiforme di ‘/, del naturale. . Spicule raccolte della materia esterna esiccata disposte in modo da formare maglie incomplete (vedute a 275). n 7. Spicule ingrandite a vista (a 400). » 8. Spicule delle fibre come si osservano in esse disposte (vedute a 275). »n 9. Aspetto della reticolezione delle fibre a vista, al di sotto della ma- teria esterna esiccata. 32 Sì O 2. Lieberkihnia cegagropila (Tav. V°, fig. 10 a 14). » 10. Esemplare ovato oblongo veduto da un lato ristretto per mostrare due grandi fori d’uscita e altri piccoli fori d’ ingresso. » 11. Idem rappresentante un individuo concavo convesso, veduto dal lato concavo, la parte più oscura e concava mostra una specie di membrana che riunisce e ricopre in tal posizione le fibre intralciate. » 12. Spicule disegnate, all’ing. 130, intralciate in modo da formare come delle maglie incomplete disseminate nella membrana pigmentaria. » 13. Spicule come si osservano disposte nelle fibre ottenute colla bollitura nell’ acido nitrico. n 14. Le stesse spicule ingrandite, una delle quali si osserva terminare da un lato meno acuta delle altre. 302 Fig. G. BALSAMO CRIVELLI, SPONGIARJ DEL GOLFO DI NAPOLI GENERE SUBERITES 1. Suberites domuncula Nardo (Tav. VI°, fig. 4 a 3). 1. Aghi capitellati (a 300). 2. Estremità ingrossata degli aghi (a 400). 8. Spaccato d’un individuo di grandezza naturale, colla conchiglia contenuta. 2. Suberites compactus Bals. (Tav. VIP, fig. 4 a 6). 4. Un individuo di grandezza naturale. o. Aghi capitellati ed uno falcato ottuso ad una delle estremità (a 400). 6. Globulo siliceo (a 400). 3. Suberites flavus Schmidt (Tav. VI°, fig. 7,8 e 9). 7. Figura di un individno di grandezza naturale. 8. Idem. spaccato per vederne l’interna apparenza. 9. Aghi capitellati veduti ad ing. 130. 4. Suberites appendiculatus Bals. (Tav. VIP, fig. 10 a 17). 10. Esemplare veduto all’esterno con tutte le sue appendici tubulose. 11. Altro individuo nel quale molte delle suddette appendici sono cadute , per cui vedesi la superficie mostrare molti fori. 12. Spaccato d’un individuo per mostrare l’interna apparenza. 13. Una delle appendici ingrandita e spaccata. 14. Un pezzo ingrandito per mostrare come la cavità del tubo s’interni, e come tra i fasci degli aghi si osservano dei fori di communicazione. 15. Aghi della superficie, veduti all’ing. 90. 16. Aghi della superficie esterna, veduti a 130. 17. Aghi della parte interna, che compongono i fasci. DELLA FAMIGLIA ORNITICA DELLE APTERIGIDEE E SPECIALMENTE DEL GENERE APTERYA PER ENRICO GIGLIOLI STUDENTE DI SCIENZE NATURALI A LONDRA Con due tavole (VII e VIII) (Seduta del 28 giugno 1863.) Prima d’incominciare il mio soggetto, dirò la sola ragione che mi mosse a scrivere o piuttosto a compilare questa monografia essere la speranza di promovere debolmente gli studj ornitologici, riunendo in una memoria tutte le osservazioni fatte sulla famiglia delle 4p- terigidee, e specialmente sul genere Apteryx o Apterice. Mirando alla mappa del nostro globo , l’occhio dell’ornitologo si ferma volontieri sul gruppo delle isole della Nuova Zelanda ; terre che contrastano stranamente nei loro caratteri fisici e naturali colle terre cinconvicine; queste differenze si possono forse spiegare, sup- ponendo che questo gruppo d’isole non sia che il residuo di un va- sto continente da lungo tempo sommerso. La Nuova Zelanda si compone di tre isole principali, che sono: l’isola Settentrionale, l'isola di Mezzo o Centrale, l’iséla Stewart o Meridionale e varie isolette meno importanti; queste isole formano l habitat della famiglia di cui intendo parlare. Incomincerò colla parte storica. 304 E. GIGLIOLI , Fu nel 41812 che il primo Apteryx giunse in Europa, portatovi dal capitano Barclay, del bastimento « Providence, » Per mezzo di un amico, intimo col Capitano, il dottor Shaw potè ottenere questo uc- cello, che trovò diverso da qualunque altro da lui prima veduto. Egli lo figurò, e descrisse minutamente nel /Vaturalist's Miscellany (4), che allora stava compilando. Però succedette al povero Shaw, quello che succede a quasi tutti gli uomini che fanno una grande scoperta, e che rendono servigi importanti ad una scienza; a lui non fu credu- to, ed il versatile Lesson scrisse nel 1828: « L’Apteryx de M. Tem- minck ne sérait-il pas, fondé sur les pièces de dronte conservées au Muséum de Londres (2)? » Però alla pagina 210 della stessa opera egli descrive come comune nelle foreste della Nuova Zelanda sotto il nome di Dromiceius Nove-Zelandie, l'uccello della cui esi- stenza dubita nella pagina seguente. E poi nello stesso anno scrive- va: « Les naturels (della Nuova Zelanda) nous parlèrent fort souvent d’un oiseau sans ailes, dont ils nous apportèrent les débris, qui nous parurent étre celles d’un Emou. Les naturels chassent ces oiseaux avec des chiens et les nomment Ziwikiwi. Nous ne doutons point aujourd’hui que ce soit l’Apteryx Australis de Shaw. (3) » Quello che non posso capire è che quest’ultimo paragrafo fosse scritto da quanto pare prima del sopra citato, come si può vedere da citazioni che vi fa. Pare che anche il Temminck ponesse poca fede nell’ esi- stenza dell’Apteryx. L'unico esemplare in Europa a quel tempo, quello del dottor Shaw, fu venduto in un con altre cose, dopo la sua morte, e fu comperato da Lord Stanley (poi Lord Derby ), il quale lo pose nella sua Collezione privata a Knowsley; questo contribuì non poco a far credere immaginaria a molti naturalisti l’ esistenza di questo uccello. Però Lord Derby qualche anno dopo lo fece esaminare alla Società zoologica di Londra, di cui egli allora era presidente, e l'illustre ornitologo Yarrell lo descrisse minutamente dissipando tutti (1) Siaw, Naturalist's Miscellany, tav. 4057, 4058, vol. XXIV, 41813, e SHAW, General zoology, vol. XIII, pag. 71. (2) R. P. Lesson, Manuel d’Ornithologie, vol. II, pag. 2414. Paris 1828. (3) Lesson, Voyage aulour du Monde de la corvette la Coquille, Zoologie, pag. 418. Paris 1828. | | DELLE APTERIGIDEE 300 i dubbj che ancora esistevano sull’esistenza dell’Apteryx di Shaw (4). Poco dopo arrivarono in Europa e specialmente in Inghilterra altri esemplari di Apteryx, e nel 1858 il chiarissimo Owen, potè dare in esteso l’anatomia di questi uccelli (2). Sinora se ne conosceva una sola specie, benchè l’Apteryx si tro- vasse di già in tutte le Collezioni di qualche importanza in Europa ed America. Però nel 1847 il signor Gould ricevette dalla Nuova Ze- landa un Apteryx, diverso affatto che egli nominò Apteryx Qwenti (3). Nel 1850 il signor Bartlett, trovò, che sotto il nome di Apteryx Australis si confondevano da lungo tempo due specie ben distinte, il vero A. Australis di Shaw (rarissimo nei musei) ed una nuova specie, che egli chiamò 4. Mantellii molto più comune (4). Ecco le tre specie ben conosciute, però abbiamo dati quasi certi dell’esistenza di una quarta più grande, dal Bonaparte nominata 4. maxima, ma sinora nessun esemplare di questa specie è giunto in Europa. Ecco in poche parole la storia del genere Apteryx. Nel 18539 il chiarissimo Owen ricevette dalla Nuova Zelanda un femore di un enorme uccello struzionico; poco tempo dopo altre ossa furono trovate, e presto il chiarissimo professore potè dimostrare l’esistenza in tempi non molto remoti d’uccelli rappresentanti un gruppo interessantissimo di struzionidi, di cui il professore Owen fece tre generi: Dinornis, Palapterix ed Aptornis (8). ll primo fu (4) W. YARRELL, Description with some additional particulars of the APTERYX AUSTRA- LIS (Shaw) nei Trans. Zool. Soc. London, vol. I, pag. 74, tav. 10. Giugno 41833; ed anche W. YARRELL, Beschreibung des AptERYX AuSTRALIS (mit. abbildgn ) in Isis 4836, p. 386. (2) R. Owen, On the Anatomy of the Southren Apterya. Tran. Zool. Soc, London Vol. II, pag. 257, tav. 47, 48, 49, 50; dI, 52,53, 54, 55. aprile 1838; ed anche R. OwEN On the Myology of the Southren Apterya. Trans. Zool Soc. London. vol. III, pag. 277 tav. 34, 32, 33, 34, 35, 36, febbrajo 1842. (3) J. Goutn, On a new species of Aptery®. Trans. Zool. Soc. London. Vol. HI, pag. 379, tav. 57. 41847. — Abstr. nei Proc. Zool. Soc. 41847, pag. 93, — e nei Ann. of nat. hist. Vol. 20, 1847, pag. 282. (4) A. D. BARTLETT, On the genus Apteryx, nei Proc. Zool. Soc. London 41850, p. 274, Aves tav. 30 e 34. (5) R. Owen, Nolice of the fragment of a femur of a gigantic Bird of New Zealand, (4 tav.) Trans. Zool. Soc. London, vol. III, 1839, pag. 29. — On Dinornis, part. 1, Trans. Zool. Soc. (con 45 tav.), vol. III, 1849, p. 243, — part. II, Trans. Zool. Soc. vol. HI (43 tav.), pag. 307, — part. III ibid. (5 tav.) pag. 345, — part. IV ibid- vol. IV (tav. 4), pag. 4, — part. V ibid 4853, pag. 59, ed in altri giornali scientifici. 20 306 E. GIGLIOLI , posto (non so perchè) da G. R. Gray nei Grallatori. Questi uccelli abitavano esclusivamente, come l’ esistente genere Apteryx , le isole della Nuova Zelanda , e non è cosa strana che uccelli di una tal grandezza, fossero oggetto di una caccia attiva dalla parte dei robu- sti Maori (è un fatto certo che questi uccelli esistevano, quando l’uomo approdò a quei lidi, e contemporanei loro esistevano Apte- ryx, specificamente identici a quelli che ora abitano le stesse terre , come è stato provato da ossa colà trovate, che avevano certamente la stessa età di quelle de° Dinornis, Palapteryx ed Aptornis) ed es- sendo per così dire rinchiusi nell’area comparativamente piccola che presentano quelle isole, presto divennero estinti; come fra pochi anni lo sarà il genere Apteryx i cui individui si fanno ogni giorno più rari. Lo stesso avviene di tutti gli uccelli il cui volo è debole o nullo affatto come lo Strygops, il Motornis ed altri. E chi sa, se lo Struz- zo, la Rhea, il Casuario e l' Emeu, esisterebbero ancora, se invece di abitare grandi continenti o vaste isole, fossero confinati in isole non molto estese come quelle della Nuova Zelanda, abitate da una razza d’uomini vigorosi e guerrieri, che fanno, o piuttosto facevano della caccia, una delle occupazioni principali; io parlo in generale, chè vi sono delle eccezioni, i casi però dell’Apyornîs, Didus, Pezo- phaps ed altri comprovano la mia asserzione. Ma ritorniamo al nostro soggetto, ed avendo determinato il sito naturale che il genere Ap- teryx deve occupare tra gli uccelli, parlerò della famiglia delle Apterigidee indi del genere Apteryx. ll Shaw ed alcuni vecchi autori che ebbero conoscenza dell’Apte- ryx, inclinavano a porlo tra i Pinguini ( Aptenodytes) e Shaw Io fi- gura in una posizione eretta come assumano quelli uccelli, ed il La- tham (1) le chiamò Apterous Penguin, Pinguinus apterus. Il Tem- minck pose il genere Apteryx nell’ordine degli Znerti con il Didus ineptus; ordine posto alla fine degli ordini ornitici. Cuvier nel suo Reègne Animal pone l’Apteryx dopo il Didus con i suoi Brevipenni < nell’ordine delle Gralle. Il Lesson e lo Swainson mettono l'Apteryx cogli Struzionidi tra i Gallinacei. Van der Hoeven nel Handbuch der (4) J. Latnam, A general history of Birds, vol. X, pag. 394. Winchester 1824-24. DELLA APTERIGIDEE 307 Zoologie mette questi uccelli fra i Grallatori nella decima famiglia dei Proceri (Illiger) di cui formano la prima sezione le Apterigidee. E Blanchard pone l’Apteryx fra i suoi /Zomalostermii (1). Owen (2) Yarrell, G. R. Gray (3) ne fanno un genere dell’ordine dei Cursorîi o Struzionidi, che è veramente il suo posto naturale. Secondo il Gray la famiglia delle Apterigidee si compone come segue: Famiglia II Apterygide (Selys) Sotto famiglia I Apterigine (Gray) Aptornis (Owen) tipo. Dinornis otidiformis (Owen) GENERI | Aromalopteryx (Reichenb.) Dinornis didiformis (Owen) ESTINTI ) Palapteryx (Owen) Movia (Reichenb.) Palaptery® ingens (Owen) ? — ? Palapteryx (Reichenb.) Palapterya dromoides (Owen) GENERE vIVENTE. Apterya (Shaw) Apternya (4) (Sw. 1837). Apternix (Agassiz). Senza voler contraddire un valente ornitologo come G. R. Gray, non. posso capire con quale ragione egli ponga i generi Anomalop- teryx (Reich.), Palapteryx (Owen) e Palapteryx (Reich.) nella fami- glia delle Apterigidee. Ora questi generi insieme coi Dinornis, come lo dimostrò il professore Owen, occupano un posto tra gli Apteryx e gli Emeu (Dromaius) per i loro caratteri osteologici; e poi anche Owen ha i suoi dubbii riguardo a questo. Il solo Aptornis si ap- prossimarebbe all’Apteryx per essere tetradattile, però mi vien detto dal chiarissimo Owen, ch'egli sospetta che l’Aptornis lungi dall’ es- sere un Cursore sia un Psitaceo ; se ciò fosse, la cosa cambierebbe totalmente. Frattanto io proporrei come fece il Bonaparte molti anni or sono, che la famiglia delle Apterigidee se pure può assumere un tal rango si componesse per ora del solo genere Apteryx. Famiglia Apterigide (Selys). Piedi tetradattili, becco allungato. — Nuova Zelanda. Genere Apteryx (Shaw). (da « privativa, artepvi, ala). (1) E. BLancHarD, L'organisalion du Reégne Animal, Oiseaux, 4.° livraison. Paris. (2) R. OwEN, Articolo « Aves » in Todd’s Cyclopedia of Anatomy and Physiology , vol. I, pag. 269. London 41836. (3) G. R. Gray, Catalogue of the Genera and Subgenera of Birds, Appendix, p. 153. London 1855. (4) Questo è un errore di stampa. 308 E. GIGLIOLI, CanartERI GENERICI ESTERNI. Becco lungo, diritto o curvo; due scana- lature da ciaschedun lato percorrono tutta la lunghezza della man- dibola superiore, il cui apice si espande e ricuopre l'estremità della mandibola inferiore; una membrana nuda (pseudo ceroma) cuopre la base del becco o da cui nascono setole più o meno lunghe e nume- rose. Le narici sono quasi situate all’ estremità del becco alla parte delle scanalature inferiori. Ali rudimentali nascoste dalle coperte, terminate da un unghia curva più o meno lunga. Coda appena trac- ciata; Tarsi forti, corti, ricoperti di scaglie irregolarmente disposte, reti- colate o scutellate in avanti secondo la specie; dita anteriori forti munite di unghie ricurve; dito posteriore elevato provveduto di una unghia diritta. Notomia del genere Apteryx. Ora mi proverò di dare un sunto della Notomia di questo genere, illustrata con tanto sapere dall’Owen (1). Non farò che aggiungervi le poche osservazioni che ho potuto fare in proposito, relative all’o- steologia di questi uccelli, il rimanente è un sommario dei caratteri anatomici più salienti osservati dal professore Owen; le sue osserva- zioni furono fatte sui corpi non perfetti di due Apteryx, uno maschio e l’altro femmina, e sul cadavere intero di un maschio. L’esoscheletro è composto come in tutti gli uccelli dalle piume, che sono rimarchevoli come quelle di tutti di Struzionidi, per la loro ri- lassatezza, e rassomigliano specialmente a quelle dell’ Emeu, ma sono ancora più semplici in istruttura, mancando della piuma accessoria. La cute dell’Apteryx è molto spessa e forte, specialmente lungo il dorso. Le scaglie che formano i podetechi, sono piccole e reticolate, ma al davanti dell’ osso tarso-metatarsale sono molto più grandi, e scutellate o reticolate secondo la specie; le dita non sono connesse alla loro base da una membrana. L’endoscheletro , ci presenta ossa di una struttura compatta, che (4) Op. loc. cit. DELLE APTERIGIDEE 309 non posseggono la bianchezza caratteristica di quelle di altri uccelli; rassomigliano di più alle ossa dei rettili, e all’ eccezione di quelle che formano le cavità auditorie e nasali non sono traforate per acco- gliervi aria. lì cranio è notevole per l’assenza totale di creste sopra orbitali ; l’interezza e lo spessore del setto #nterorbitale, il grande sviluppo dell’ etmoide, la piccolezza delle ossa lacrimali, e 1 espansione delle cavità olfattorie di dietro a queste ossa. Il meato auditivo esterno è molto grande, i limiti delle piccole cavità orbitali non sono ben de- finiti, per la mancanza delle creste sopra orbitali, carattere singolare tra gli uccelli e che offre una somiglianza interessante col Monotre- mato Echidna. L’etmoide è molto allargato, ed invece di essere ri- stretto al setto interorbitale, si estende per più di 0, 007 millimetri al di là dei margini anteriori delle ossa frontali; la larghezza del- l’etmoide è di 0, 013. I forami ottici sono posti molto lontani l’uno dell’ altro. Nella base del cranio troviamo tutti i caratteri pro- prj agli uccelli Struzionidi; i pferigoîdi si estendono dal dasisfenoide all'osso quadrato, e si continuano nelle ossa palatine con cui sono connesse; il vomere è continuato in avanti al basisfenoide articolan- dosi colle palatine; i mascellari, giugali, e quadro-giugali formano assieme un bastone osseo compresso, che unisce i premascellari e le ossa quadrate. La mandibola inferiore presenta tutti i caratteri or- nitici colle modificazioni Struzioniche. Nell’interno del cranio i nervi olfattorj invece di essere continuati lungo il setto interorbitale per un'canale od una scanalatura ossea, passano attraverso una lamina cribriforme e si ramificano sull’estesa superficie pituitaria dell’etmoi- de. I forami ottici sono distinti internamente ed esternamente, ed invece di essere perforati nell’ alisfenoide , forano il margine inflesso dell’osso frontale, carattere che non si trova in altri uccelli. La sella turcica è grande, di forma ovale, la parte anteriore della cavità del cranio è relativamente più grande che in altri uccelli. Come si può vedere, il grande sviluppo dell'organo olfattorio è causa delle modificazioni che si osservano nel cranio dell’Apteryx, perchè quì le cavità, che in altri uccelli appartengono alla vista, sono adat- tate all’ odorato. 5410 E. GIGLIOLI, La colonna vertebrale è relativamente più forte nella regione cer- vicale, che non quella di altri Cursori; consiste di quindici vertebre cervicali, nove dorsali, e ventidue che formano le regioni, lombare, sacrale e caudale. Le vertebre cervicali, presentano i caratteri co- muni a quelle di altri uccelli; i processi spinosi sono forti, ma dimi- nuiscono gradualmente sino alla settima vertebra, ove sono ridotti ad un mero rudimento; dall’undecima vertebra crescono di nuovo gra- datamente sino all’ultima cervicale, ove hanno l’istessa forma (quasi) di quella della prima vertebra dorsale. ll canale da ambi i lati per l'arteria vertebrale ed il nervo simpatico è formato dall’anchilosi delle coste rudimentali, coll’ estremità dei processi transversali supe- riori ed inferiori; i processi costali diminuiscono nelle vertebre an- teriori e mancano nella dentata; l’ atlante ha due processi trasversali inferiori rudimentali. La lunghezza della regione cervicale è di 0. 177. Le vertebre dorsali crescono leggermente in larghezza dalla prima alla settima; la terza, quarta, quinta e sesta sono parzialmente sal- date assieme per i loro processi spinosi; la settima, ottava e nona sono coperte dalle ossa iliache, con cui i loro processi spinosi si saldano probabilmente negli individui vecchi. Ma l'articolazione sino- viale, tra i corpi delle vertebre e tra i processi obliqui, sussiste sem- pre in quasi tutte le vertebre dorsali, ed un poco di movimento vi è possibile; l’ultima vertebra dorsale è saldata al sacro. Verso la parte anteriore da ambo i lati dei corpi o centri delle vertebre dorsali è un’infossatura emisferica per l'articolazione del capitolo della costa; quest’infossatura è situata su di un rialzamento rappresentante il processo trasversale inferiore. I processi trasversali superiori, sono larghi, quadrati e contro di loro si appoggia il tubercolo della costa (eccetto nella seconda e terza vertebra). I processi spinosi delle ver- tebre dorsali sono troncati in sulla cima e compressi lateralmente, i loro margini vengono in contatto. La lunghezza della regione dor- sale è di 0. 10. La parte sacrale della colonna vertebrale è lunga 0.076; le quattro prime vertebre sacrali mandano infuori processi trasversali inferiori, che si appoggiono alle ossa iliache, crescono in grandezza, larghezza e spessore, la largliezza diminuisce nella quarta, e nelle ver- tebre seguenti, che non hanno processi trasversali inferiori che DELLE APTERIGIDEE 34L pure si appoggiano sulle ossa iliache. L’anchilosi dei corpi vertebrali si continua nelle quattro vertebre che seguono, che sono però sprov- vedute di processi, e che diventano gradualmente più compresse ed allargate verticalmente, in modo che paiono lamine ossee; la linea di articolazione tra esse è ben marcata, ma i loro processi spinosi si fondono assieme formando una continua cresta ossea, che è stretta- mente abbracciata dalle estremità posteriori delle ossa innominate. Vi sono nove vertebre caudali che sono più profonde e proiettono più al dissotto delle ossa iliache, che non in altri uccelli struzionidi ; queste vertebre discendendo crescono lateralmente e diminuiscono verticalmente ; il canale spinale continua nelle cinque prime; tutte sono movibili l'una sull’ altra, eccetto le due ultime, che saldate as- sieme formano la vertebra coccigeale, che differisce dalle altre sola- mente nell’essere più lenga, terminante in una punta ottusa ; nello Struzzo queste due vertebre si allargano, ma nella Rhea e nell Émeu sono come nell’ Apteryx poco sviluppate. La prima costa vera è rudimentale e stiliforme lunga 0. 024; tutte le altre sono rimarchevoli per la loro larghezza che è relativa- mente più grande che in qualunque altro uccello, il Casoario in que- sto più si approssima all’Apteryx. Le seconde, terze, quarte e quinte coste si articolano collo sterno per mezzo delle loro porzioni sternali; la sesta costa si articola anche collo sterno, ma per mezzo della por- zione sternale, della quinta costa; le coste false non presentano particolarità. Le appendici unciformi delle coste vertebrali, sono sviluppate dalla seconda all’ ottava costa, e sono articolate in una in- solcatura quasi mediana sul margine posteriore delle coste che ne sono provvedute; nell’ individuo esaminato dal chiarissimo Owen non erano saldati, alle coste; le più Junghe erano quelli della terza, quarta, quinta e sesta costa. Lo sterno (tav. VIII, fig. 12), così sviluppato in tutti gli uccelli, è ridotto nell’Apteryx ad uno stato quasi rudimentale, essendo talvolta cartilaginoso in uccelli quasi adulti. Non presenta la minima traccia di carena o cresta mediana, nel che rassomiglia a quello di tutti gli Struzionidi, ma ne differisce per l’ estensione degli spazj membranosi alla sua parte posteriore (tav. VIII, fig. 12, p.), e per avere due perfo- 312 E. GIGLIOLI , x razioni subarlicolari poste lateralmente alla linea mediana nella parte anteriore (tav. VIII, fig. 12, 0). Ora lo sterno che figuro, e che dise- gnai da uno che esiste nella Collezione osteologica del Museo Britan- nico, presenta, come quello osservato dall’ Owen, le due perforazioni sopra descritte. Ma esaminando lo sterno di uno scheletro intero di A. australis nel Museo Britannico fui sorpreso di non trovarvi trac- cia alcuna di questi due forami, il tutto era ben ossificato. Come il professore Owen non fa menzione di questo fatto, volli far delle ri- cerche in proposito: in un altro sterno probabilmente di 4. Qwentî (un esemplare piuttosto giovane), il cui sterno era quasi affatto carti- laginoso, non trovai traccia di perforazioni ; dunque la mancanza di esse non è certamente effetto di età, ed è cosa singolare assai che lo sterno varii talmente nello stesso genere, e come ora vedremo nella nella stessa specie; questo fatto prova l'impossibilità di basare una classificazione ornitologica sui caratteri che presenta lo sterno, come alcuni si provano a fare. Gli Apteryx esaminati dall’Owen erano certamente 4. Mantelli , lo sterno che figuro apparteneva probabil- mente ad un uccello della stessa specie; però nel /°oyage au pole du sud (41) è figurato lo scheletro intiero di un 4. Mantelliî , il cui sterno è ben ossificato non presentando traccia delle perforazioni in questione. Di più nel Museo di anatomia comparata del Collegio dei Chirurghi di Londra vi è uno scheletro di 4. Australis che non presenta li due forami sternali; ed ultimamente leggendo parte di quella magnifica opera di Blanchard, l’Organisation du Reègne ani- mal, vi trovai figurato (2) lo scheletro di un 4. Australis il cui sterno era pure sprovveduto dei due forami; tutto ciò mostra come è incostante questo carattere. ]l margine anteriore dello sterno non presenta traccia del manubrio che esiste nello Struzzo; gli angoli esterni formano un processo triangolare ad apice ottuso (tav. VIII, fig. 12, g); il margine costale è spesso ed ondulato per l’ articolazione delle porzioni sternali delle coste. Gli spazj membranosi posteriori non sono simmetrici. (4) Voyage au pole du Sud et dans l’Océanie sur les corvettes l’Astrolabe et la Zelée, pendant les années 1837-40, commandées par Dumont D’URvILLE, Aflas. zoologie, tav. 25. Paris. (2) E. BLancHARD, Op. cit., Oiseaux, tav. 2, fig. 9. DELLE APTERIGIDEE 343 Le scapole ed i coracoidi sono saldati assieme; una piccola perfo- razione (tav. VIII, fig. 12, s), anteriore all’articolazione dell’omero in- dica la separazione tra il coracoide e la clavicola, di cui è la sola traccia. I coracoidi (tav. VIII, fig. 12, r) sono forti; le scapole si esten- dono sino alla terza costa, sono strette e leggermente curve, lun- ghe 0. 025. L’omero è sottile e cilindrico più o meno curvo, (tav. IL, fig. 12, t) si allarga alle due estremità, più all'estremità prossima, ove è arlicolato per mezzo di una membrana sinovio-capsulare col coracoide e la scapola, che formano assieme la cavità glenoidale, l'estremità distante dell’omero è articolata colle ossa che formano 1 a- vambraccio rudimentale, la sua lunghezza è di circa 0. 039. Il radio e l’ulna (tav. VIII, fig. 12 w,v) sono osse, sottili, cilindriche a leggermente curve, lunghe 0. 02 (all’incirca), un processo olecrano rudimentale proietta di sopra alla superficie articolare dell’ ulna. A queste duc ossa seguono: un osso carpico, due metacarpici, ed una falange (tav. VIII, fig. 12, x, y, 2), che sostiene un’ unghia, la quale varia molto in lunghezza (tav. VIII, fig. 10 ed 41 a). Alcune penne a metà sviluppate sono inserite lungo il margine ulnare e metacarpico. Le ossa iliache in grandezza e forma rassomigliano a quelle di tutti i Cursori ; la lunghezza loro è di 0. 107; non esiste nell’Apteryx la preminenza al di sopra dell’acetabolo che si trova negli altri Stru- zioniti. L’ischio si estende indietro parallelamente col sacro, è una lamina sottile, e si espande all'estremità libera. L'elemento pubico è rappresentato da uno stilo osseo connesso da ligamenti coll’ischio. Nella pelvi dell’Apteryx si osserva che gli ischi non s’ incontrano al di sotto del sacro, da cui, e dalle ossa iliache, sono più separate che in altri Cursori. Le ossa pubiche non sono congiunte alle loro estre- mità, come nello Struzzo, e le estremità degli ischi non si saldano colle ossa iliache come nel Casoario. È l' Emeu che nella struttura del bacino più si approssima all’ Apteryx, ma ne differisce avendo il margine del forame per il muscolo otturatore interno interamente ossificato, mentre nell’Apteryx è completato posteriormente da liga- mento. Il femore presenta i caratteri comuni a quell’osso in tutti gli uc- celli, è forte e leggiermente curvo colla convessità in avanti; la sua 344 E. GIGLIOLI , lunghezza è di 0, 093. La tibia è un osso lungo 0, 128, è molto forte. L'articolazione del ginocchio è complicata; la patella sottile ed allungata è cartilaginosa. La testa della tibia manda in giù po- steriormenle una cresta angolare; esternamente vi è un>altra cresta a cui la fibola è saldata in due luoghi; incominciando 0, 042, al dis- sotto della testa, la saldatura continua per 0, 024: e dopo un inter- vallo di 0, 019 incomincia di nuovo, e la fibola gradualmente dimi- nuisce in grandezza, sinchè ha fine a circa tre quarti della lunghezza della tibia. L’osso tarso-metatarsico è fortissimo, 0, 036 in lunghezza; la sua superficie arlicolare superiore è formata da un solo pezzo, ma la separazione originale dell’osso metatarsico in tre ossa distinte è chiaramente dimostrata, all’ estremità, da due profonde solcature che dividono quest estremità in tre parti che si articolano colle tre dita anteriori. La superficie articolare per il quarto dito si trova alla parte posteriore dell’osso tarso-metatarsico 0,012, dalla sua estre- mità inferiore; un piccolo osso connesso da ligamenti con questa su- perficie si articola con una falange e questa colla falange terminale. Le altre dita seguono la regola normale; l'interno avendo tre falangi, il medio quattro e l’ esterno cinque. Sistema muscolare. — L’Apteryx è rimarchevole per avere un diaframma molto sviluppato ; invero questo esiste in tutti gli uccelli, ma in uno stato molto rudimentale, per le grandi perforazioni delle tasche d’ aria addominali. Nei Cursori è più sviluppato, ma anche in loro è incompleto per sosta di sviluppo centripeto e per le stesse perforazioni delle celle d’aria. ] muscoli cutanei sono bene svilup- pati nell’Apteryx, forse acciò scuota dalle piume la terra che vi si accumula, quando l’uccello scavasi la tana (se pure ne scava una). Come si potrebbe arguire dallo stato di rudimento delle ali, i muscoli del braccio e specialmente quelli del petto sono affatto rudimentali al pari degli altri muscoli attenenti all’ atto del volare ; mentre quelli del collo e delle estremità inferiori sono fortissimi, anche il pettineo è bene sviluppato, benchè 1’ Apteryx non s’inalberi. È inutile dire di più sul sistema muscolare di questo genere , che è stato illustrato con tanta accuratezza dal chiarissimo Owen (1). (4) OwEN, loc. cit. Ca DELLE APTERIGIDEE 343 Sistema digestivo. — ll becco dell’Apteryx è eminentemente ac- concio ad un insettivero, ed atto, come quello dell’Ibi, a cercare nella terra rammollita, e tra le foglie morte, anellidi, molluschi, miriapodi, arachnidi, larve ed anche insetti perfetti, che costituiscono il cibo di questo uccello. Come in quasi tutti gli uccelli a becco lungo, nel- PApteryx quest’organo varia moltissimo in lunghezza; anche negli individui della stessa specie; e per regola generale tutti i giovani hanno il becco comparativamente molto più corto che non gli adulti; pare, come lo indicò il professore Owen, che la lunghezza del becco sia un carattere sessuale, il maschio avendo il becco più corto della femmina. Gli integumenti molli della testa si continuano sulla base del becco da ciascun lato in forma di due processi angolari (tav. VII, fig. 5, c), coperti di corte piume tra cui nascono setole più o meno lunghe e numerose secondo le specie ; la parte nuda che cuopre la base del becco ha una forma particolare (tav. VII, fig. 5, @), ma non corrisponde però al ceroma che cuopre l’istessa parte del becco nei Rapaci e Psittacidi, ed in cui sono forate le narici. Dall’apice dei processi angolari sopra citati, e dalle estremità del pseudo-ceroma , scorrono lungo ciascun lato, parellele l’ una all'altra due strelte sca- nalature che percorrono quasi tutta la lunghezza della mandibola su- periore; le scanalature superiori s' incontrano e formano un’insolca- tura leggiera , subarticolare sull’estremità deflessa e troncata della mandibola; le scanalature inferiori terminano nelle narici che sono quasi dilatazioni di esse; 0, 003 dall’estremità del becco (tav. VII, fig. 6, e). Due stretti processi angolari coperti di corte piume si avanzano sulla base della mandibola inferiore, dai loro apici partono due leggiere scanalature ; di più due solcature divergono in avanti dall’ angolo di confluenza dei rami della mandibola marcando il pezzo mediano così caratteristico nella Rhea. La mandibola inferiore diventa più stretta e più piatta verso la sua estremità, che è totalmente nascosta dall’estremità dilatata della mandibola superiore (tav. VII, fig. 6, d, f)). Da tutti questi caratteri il becco dell’Apteryx è veramente struzionico e non grallatorio (come si può benissimo vedere comparandolo coi becchi di un Ibi e di uno Struzzo, o meglio ancora di un Casoario); è solamente modificato per essere adatto a prendere il cibo animale 316 E. GIGLIOLI , di cui l’Apteryx si nutre. Dalla parte anteriore delle narici poste- riori una stretta cresta si continua nella linea mediana della super- ficie palatina sino all’ estremità del becco; una scanalatura mediana corrispondente percorre la mandibola inferiore, in modo che le due mandibole vengono perfettamente in contatto l’una coll’altra; però dal poco sviluppo dei muscoli masticatori l’Apteryx è costretto ad inghiottire Ja sua preda intiera, ed il professore Owen trovò questo esser vero, esaminando i cibi ingesti nello stomaco di uno di questi uccelli; però forti ligamenti rinforzano le due mandibole. La super- ficie del palato è perfettamente liscia, e sprovveduta delle rughe che si (rovano su quella degli altri Struzionidi. La lingua è corta, ma più lunga comparativamente che in altri Cursori; è compressa, trian- golare , coll’apice corneo troncato e leggiermente dentato. Nella cavità della bocca didietro alla glottide, Ja membrana mucosa forma due processi quadrati che proiettano indietro nella faringe. L’esofago si continua in giù lungo la parte diritta del collo, di die- tro alla trachea senza formare un gozzo; la membrana mucosa è dis- posta in rughe, più marcate inferiormente; la lunghezza dell’ esofago è di 0, 223. Il proventricolo è stretto, allungato, di forma cilindrica, e nell’asse dell’ esofago, di cui è una continuazione; le glandole gas- triche disposte lungo la sua circonferenza sono numerose, e consi- stono in follicoli per la più parte bilobati; la membrana mucosa in- terna è reticolata. Nei Casoari e negli Emeu il proventricolo è diviso dallo stomaco da una lista circolare di epitelio più biancastro del rimanente, nell’Apteryx questa striscia non esiste. Lo stomaco mu- scolare non presenta la forma compressa. caratteristica di tutti gli Struzionidi, ma nella sua forma ovale rassomiglia a quella degli uc- celli rapaci; le sue fibre muscolari non sono disposte in masse diga- striche e laterali, ben definite come negli altri Cursori, ma sono de- boli ed appena discernibili. Nell’interno dello stomaco sono due prominenze, così situate da chiudere più o meno le aperture car- diaca e pilorica, quando quest’organo si contrae. Per uno stretto pas- saggio pilorico lo stomaco conduce nel duodeno, la cui superficie interna è coperta di villi; non esiste nell’Apteryx un sacco pilorico come nello Struzzo e nell’ Emeu, e non vi è uno sfintere distinto ai DELLE APTERIGIDEE 947 piloro. L’intestino avendo formato le solite convoluzioni termina nel retto. Dalle ultime convoluzioni dell’ileo partono due cechi lunghi da 0, 125 a 0, 418; il retto è lungo 0, 10; la sua membrana mucosa contiene piccoli villi e glandole solitarie; non vi sono traccie delle valvole conniventi, così caratteristiche al retto ed ai cechi dello Struzzo e della Rbea ; in questo l’Apteryx rassomiglia al Casoario ed all’ Emeu. Il retto comunica colla dilatazione uro-genitale per mezzo di una piccola apertura semi-lunare, che quando è contratta sembra una fissura obliqua. La parte orinaria della cloaca non forma un grande ricettacolo (vescica) come nelio Struzzo; gli ureti terminano per aperture oblique munite di valvole, nella parte posteriore. I vasi deferenti, come in tutti i Cursori, terminano su due papille verso la parte anteriore della cavità uro-genitale che è separata dalla parte esterna della cloaca da una forte ripiegatura della membrana interna, che poi si perde sui lati del pene, che proietta nella parte esterna della cloaca; questa si continua didietro al passaggio uro-genitale in una larga borsa di Fabricio. ll fegato presenta i caratteri comuni a quell’organo tra gli uccelli; la cistifellea era presente in due individui, come è nel Casoario e nell’ Emeu, ma nel terzo Apteryx anatomizzato dal professore Owen mancava, come nello Struzzo e nella Rhea. Hl panereate non è diverso da quello di altri uccelli; la milza ha una forma rotonda, 0, 028 in diametro. Il peritoneo, che ricuopre tutti gli organi contenuti nella cavità addominale, è spesso e forte; l’omento è grande nell’Apteryx. Sistema circolatorio. — Il cuore è circondato da un sottile peri- cardio, la sua parte ventricolare penetra nell’addome per la larga fissura anteriore del diaframma, tra i due grandi lobi del fegato; mancava solamente un’aponevrosi centrale, continuata dai margini anteriori del diaframma tra il cuore ed il fegato per separare total- mente la cavità toracica dalla addominale, come è nei mammiferi. Il cuore presenta la forma ornitica; l’orecchietta destra quando distesa sembra molto voluminosa. La disposizione dei vasi e delle valvole segue le regole ordinarie. La deviazione principale dal tipo ornitico del cuore si vede nel carattere quasi membranoso della valvola al- l’entrata del ventricolo destro, caratteristico in tutti gli uccelli per 318 E. GIGLIOLI ,, ì essere muscolare e per avere il margine semilunare libero, questo nell’Apteryx è connesso colle pareti del ventricolo. L’aorta dopo di. aver descritto il suo arco, discende, e passa tra i pilastri del dia- framma nell’ adome, in un modo molto analogo a quello che succede nei mammiferi; infatti l’Apteryx sembra essere il solo uccello in cui i limiti dell’ aorta toracica e della addominale siano bene segnati; ma alcune grandi arterie, che nei mammiferi partono dall’aorta addo- minale, vengono nell’Apteryx dalla toracica. La vena cava inferiore non fora il diaframma, ma penetra nell’ addome per la fessura ante- riore. In generale il sistema vascolare è disposto nell’Apteryx come in altri uccelli. Organi di respirazione. — Questi sono alquanto modificati. Il chiarissimo Owen avendo gonfiato tutto questo sistema nell’Apteryx che notomizzava, introducendo aria per la trachea, non potè trovare la minima traccia di ricettacoli per l’aria nell’addome, e dopo di avere tratto fuori i visceri, trovò un diaframma bene sviluppato, che differiva da quello dei mammiferi pei seguenti caratteri: 4.° Nella estensione relativamente più grande del frapposto spazio anteriore; 2.° nella più grande quantità di tessuti tendinosi ed aponevratici che entrano nella sua composizione ; 3.° nell’essere perforato da tre grandi arterie, e non dalla vena cava e dai nervi splancnici; e finalmente nelle posizioni relative delle aperture per. l’ esofago e per l’aorta; di più il piano del diaframma è più orizzontale che nei mammiferi in generale; però i Dugong (Halicore) in quest ultimo carattere somi- gliano all’Apteryx. 1 due pilastri del diaframma, che sono quasi del tutto tendinosi, sono però bene sviluppati, le loro fibre aponeurotiche si diramano in tutte le direzioni. La parte muscolare è, come nello Struzzo, formata da fascicoli separati larghi e sottili, che non formano tutto lo spessore del diaframma. Benchè così bene sviluppato nell’Ap- teryx, il diaframma entra però poco o niente nel meccanismo della respirazione, che si effettua come negli altri uccelli. La superficie addominale del diaframma è principalmente in contatto col fegato, la milza e lo stomaco; ma la sua superficie toracica è separata dai polmoni da una serie di tasche d’aria, piccole, ma ben definite. Nel- l’Apteryx non esiste un sacco toracico o pleura. Ciaschedun polmone DELLE APTERIGIDEE 519 ha una forma triedrica irregolare, più larga anteriormente, ed è lo- bato. I bronchi, subito che entrano ne’ polmoni, si dividono in quat- tro rami, il terzo ed il quarto terminano nelle celle d’aria sopra menzionate. La laringe e la trachea sono come quelle di altri Stru- zionidi, solamente nell’Apteryx non esiste un’epiglottide rudimentale alla laringe superiore e non vi è una laringe inferiore. Dai caratteri del sistema respiratorio si vede che abbiamo nell’Apteryx il solo esempio tra gli uccelli in cui la parte ricettiva dei polmoni non sia continuata nell’addome, però il tipo ornitico esiste sempre, ed il corso di sviluppo è ristretto non cambiato. Organi escretori. — I reni nell’Apleryx, come in altri uccelli sono situati nella parte posteriore della cavità pelvica. Hanno ciascheduno 0, 073 in lunghezza, e 0, 025 di massima larghezza, ed il loro più grande spessore è di 0, 008. Sono lobati; gli ureteri dopo un corso tortuoso di 0, 038, sboccano nella cavità uro-genitale. | corpi s0- prarenali sono ovali, di color giallo ed aderiscono fortemente alla vena cava. Sistema nervoso. — Questo non è stato descritto dall’Owen (ov- vero la sua descrizione non è mai stata pubblicata), e, per quanto ho potuto sapere, da nessun altro; solamente il signor C. Dareste in una corta Memoria (1) dice: ( parlando di due cervelli d’Apteryx conser- vati nel Museo d’anatomia comparata del Jardin des Plantes), che - sono rimarchevoli per la piccolezza dei lobi ottici, ivi affatto rudi- mentali, mentre in tutti gli uccelli formano una parte preminente del cervello; di più, il ponte di ZYarolio non esiste nell’Apteryx, mentre vi è allo stato rudimentale nello Struzzo. Dalla grandezza della cavità cerebrale del cranio si può dedurre che il cervello aveva un volume considerevole, relativamente alla grossezza dell’ uccello, e che i lobi olfattorii debbono essere molto sviluppati. Organi dei sensi. — Gli occhi in coincidenza collo stato rudi- mentale dei lobi ottici sono piccoli, e rimarchevoli per I’ assenza del (1) G. Daneste, Note sur l’encephale de l'Aplerye. Compt. rend. Acad. Sc. Paris, vol. 42, pag. 864. — L’Instilut XXIV 1856 N.° 4166, pag. 167. — Amm. Sc. Natur. 3 Serie, Zool., vol. 5, 1856, pag, 48. 520 E. GIGLIOLI , pettine o marsupio , così caratteristico degli uccelli; la lente cristal- lina è più convessa, che in altri uccelli, e tutto indica una vista de- bole, e come vedremo parlando delle abitudini degli Apterici, essi (da quanto si è osservato ) fanno poc’ uso degli occhi. — Come si è detto parlando delle ossa che formano la cavità nasale, il senso del- l’odorato dev'essere molto acuto, e forse in essi loro supplisce al difetto della vista; le narici esterne, difese da una valvola membra- nosa, sono situate quasi all'estremità del becco, i canali olfattorii si continuano nell'interno della mandibola superiore sino alle narici posteriori, che s’aprono parallelamente all’ asse del becco sulla su- perficie palatina. Gli organi dell’udito sembrano bene sviluppati, ed il meato auditorio esterno (tav. VII, fig. d, 0) è ricoperto di piume di una tessitura rilasciata. Organi di riproduzione. — Gli organi riproduttori maschili consi- stono in due testicoli di forma ovale; i vasi deferenti sono formali dalla rinnione di minutissimi tuboli, che vengono dai testicoli senza formare un epididimo, e passano in una sostanza grigia che sembra il residuo del corpo Wolfiano; ed ove alcuni tuboli si perdono, ma la maggior parte passano fuori per formare il vaso deferente; i vasi deferenti poi terminano nella parte uro-genitale della cloaca su di papille al di sotto delle aperture degli uretri. Il pene proietta nel vestibolo della cloaca; diminuisce all’apice in punta ; l’ estremità n’ è retratta spiralmente ; una scanalatura percorre tulta la lunghezza di quest’organo, Gli organi genitali femminili consistono in due ovarj, il destro essendo, come in altri uccelli, rudimentale, è situato in avanti alla capsula sopra-renale destra ed è attaccato ad essa non che alla vena cava inferiore; presenta una superficie minutamente granulata, ha una forma ovale schiacciata con una lunghezza di 0, 0417, una larghezza di 0, 014 ed uno spessore di 0, 002. (Le misure date qui ed in seguito parlando, degli organi riproduttori femminili, furono prese dal professore Owen su di un esemplare mandato dal. si- gnor Cunningham. Le altre feimmine anatomizzate avevano gli organi genitali in istato troppo cattivo per permettere una descrizione.) L’ o- vario sinistro era (nell’ esemplare sopra citato) molto sviluppato, con- sistendo principalmente in un enorme calice maturo per la deîscenza, DELLE APTERIGIDEE 321 e contenente il vitello di un uovo di 0, 075 in lunghezza e 0, 050 in larghezza (1), gli altri calici erano comparativamente piccoli , e molti minutissimi. L’ovidotto incominciava per un’apertura co’ mar- gini lisci, avendo il lungo diametro dì 0, 050, l’ovidotto avendo un diametro di 0, 016 ; la sua membrana mucosa è disposta in rughe: a poca distanza della bocca si dilata acquistando un diametro di 0, 025, indi si contrae per dilatarsi di nuovo più in giù formando la parte uterina che secerne la materia calcarea del guscio dell’uovo; il dia- metro di questa parte è 0, 056, la tunica dell’ovidotto vi diventa più spessa; dopo uno spazio di 0, 050 la membrana mucosa ridiventa plicata a 0, 028 dall’ apertura ove ha termine l’ovidotto nella cavità uro-genitale, apertura di forma elittica, con margini tumidi provve- duto di uno sfintere. Sviluppo. — L’uovo dell’Apteryx è molto grande in proporzione alla grossezza dell’ uccello, un esemplare mandato all’ Owen dal si- gnor Cotton, dall'isola settentrionale della Nuova Zelanda aveva le seguenti dimentioni: Lunga circonferenza 0, 325. Maggior circonferenza trasversale 0, 255; lungo diametro 0, 122; corto diametro (larghezza) 0, 080; il guscio aveva uno spessore di '/g di linea. La femmina dell’4. Man- telhi che vive nei giardini zoologici di Londra, ha prodotto varie uova, una delle quali pesava sessanta oncie (inglesi) quasi un quarto del peso totale dell’ uccello (2). Il professore Owen ricevette pure dal signor Cotton un uovo contenente un Apteryx embrionico quasi del tutto sviluppato e pronto ad uscire (5); il sacco ombelicale essendo ridotto a 0, 023 in lunghezza e 0, 012 in larghezza. Tutto il corpo di quest’ embrione, era coperto di fascicoli di piuma, avendo apparenza di grossi peli 0, 938 in lunghezza, rinchiusi in una ca- psula cornea delicatissima che ricuopriva la piuma a metà sviluppata. Le dimensioni di quest’ embrione erano le seguenti: (1) R. Owen, Notes on the Eggs’s young of Apteryx. Proc. Zool. Soc. A852 pag. 9. Aves tav. XLVI. (2) Op. et loc. cit, (3) P. L. ScLaTER, Exhibition of an Egg laid fy the Apteryxe (A. Mantelli) which has been living in the Gardens Suice 1852. Proc. Zool. Soc. 1359, pag. 350. 2A 322 E. GIGLIOLI , Lunghezza del corpo, dalla base del becco alla coda 0, 10; lunghez= za del becco 0, 040; lunghezza della gamba dal ginocchio 0, 106; lunghezza dell'ala, dal gomito 0, 015. La gambe erano munite d’un- ghie ben formate, il becco era bene sviluppato, ma ancora molle ; le ali possedevano l’ unghia terminale, la coda aveva l'apparenza di una prominenza bifida, ed il collo era comparativamente grosso e corto. Da tutto questo il chiarissimo Owen potè dedurre che l’Apteryx na- sce in uno stato molto sviluppato e capace di camminare e nutrirsi. Sulle abitudini degli Apterici. — È sempre stato per me una cosa dilettevole assai l’ osservare le abitudini ed il modo di vivere di ani- mali allo stato libero; e quando ciò non era possibile allo stato di schiavitù, ed i giardini zoologici di Londra in quest’ultimo rispetto, offrono un campo vastissimo di osservazione. Mi sono quì giovato delle osservazioni notturne fatte dai signori Wolley e Newton (1) sull’Apterye Mantelli femmina, presentata dal signor Eyre alla: Società zoologica nel 1852, e che da quel tempo vive nei giardini di essa. Aggiungerò le poche osservazioni che ho potuto fare io stesso sul medesimo individuo. 1l signor Cunningham, (ben conosciuto ai Bota- nici) fu il primo a raccogliere dati sulle abitudini dell’Apteryx, che fece mediante i missionarj in comunicazione co’ Maori (2). Pare che l’Apteryx nelle sue terre native abiti le folte selve delle monta- gne, nascondendosi fra i frondosi sterpeti di felci che ne cuoprono il terreno; una volta gli uccelli di questo genere erano assai più nu- merosi che non lo siano adesso, e fornivano un cibo favorito ai Neo- zelandesi (Maori), i quali ne facevano la caccia di notte al chiaror di torce, con cani ammaestrati appositivamente. Un mantello ‘ornato colle piume di Apteryx era una volta il più costoso ornamento che un capo Maoro potesse avere, le piume servivano anche a fabbricare mosche artificiali per la pesca. Il signor Shorf in una lettera scritta (1) A. Newrom e Woctey, On the habits of the Apteryo in caplivity: Zoologist, vol. X. London 4852, pag. 3409 e 36053, come anche: A. NewTon, Ueber die Lebensweise des Kivi-Kivi (A. Mantelli) în der Gefangenschaft; in Fror. Tagsber, N.° 664 (Zool. Bd. 3) 1852, pag. 240. (2) A. CUNNINGHAM, On the habits of A. Australis nei Proc. Zool. Soc. London 41859, pag. 63. DELLE APTERIGIDEE 325 al signor Yarrell e citata dal Gould (1) dice che l’Apteryx, inseguito, corre con grande velocità colla testa alta come lo Struzzo, e si di- fende colle gambe facendo profonde ferite coll’ unghia acuta del dito posteriore. I signori Walley e Newton osservarono che l’Apteryx dorme di giorno, ripiegandosi in forma ovale, e presentando l’ aspetto di un mucchio di piume e peli irsuti, colle gambe ripiegate sotto il corpo, le unghie contratte ed il becco nascosto (eccetto l’ estremità), - nelle piume del dorso; l’Apteryx dunque è essenzialmente notturno; s'irrita facilmente, ed allora, come ho provato, le sue zampe costitui- scono un arme rispettabile, capace ad infliggere profonde ferite, e certamente ad sbudellare un cane; l’Apteryx attaccato si difende colle zampe come si è detto, gettandosi sul dorso. Il signor Woller dice che questo uccello adopera il becco, quasi come un insetto le sue antenne, od un mammifero il naso; toccando la terra coll’ estre- mità ed «aspirando fortemente l’aria colle narici. L’Apteryx immerge il becco sino alla base nella terra molle per estrarne i lombrici, questo spiega l’uso delle vavoli nasali, che impediscono alla terra di penetrare entro, e turare le narici; si chiudono esse alla minima pressione esterna. È stato detto che l’Apteryx scava una tana ove fa un nido e vi deposita le uova, ma l'esemplare vivente da dieci anni e più a Londra non è mai stato veduto a raspare la terra colle zampe, dunque è più probabile che l’Apteryx faccia il suo nido nei folti cespugli di felci, ma nulla sappiamo di positivo a questo riguar- do. Il nome maoro degli Apteryx, Kiwî, viene dal loro grido. Ora procederò a descrivere le specie del genere Apteryx. Ultima- mente i signori Sclater e Hochstetter fecero un bellissimo rapporto sulle specie ora conosciute (2). Apteryx Australis (Shaw 1812; Bartl.,1850; Sclat. e Hochst., 1861). Pinguinus Apterus (Latham, 1821-24). Dromiceius Nova-Zelandie (Lesson, 1828). Kiwi, Kiwikiwi, dei Maori. (4) J. GouLp, Birds of Australia, vol. VI. (2) P. L. ScLATER AND F. von HocHsTETTER, Report on the Present state of one Know- ledge of the species of Apteryx living in New-Zealana — Nat. Hist. Review. October 1861, pag. 504. London. 324 E. GIGLIOLI ; Questa è la specie originalmente scoperta e descritta dal Shaw (4). Il primo esemplare conosciuto, poi descritto dal Yarrel esiste tuttora nel Free Museum di Liverpool. Questa specie ha il becco eurvo, di. un color corneo, alla sua base sono due piccole prominenze, più pro- nunciate in questa che nelle altre specie ; le setole che nascono alla base del becco , ed intorno agli occhi, sono corte ed in piccolo nu-. ‘ mero. Le piume della faccia e della gola sono di un color grigio-bruno lavato di bianco, tutte le altre piume sono di un bruno-carico spe» cialmente sul dorso, con una striscia mediana longitudinale più chiara su di ogni piuma. Le penne delle ali sono deboli e sottili (tav. VII, fig. 2). Ha le zampe color di carne, i tarsi reticolati in avanti, (tav. VIII, fig. 7) le unghie biancastre, e di ugual lunghezza; l’alluce o dito po- steriore è più sviluppato in questa che nelle altre specie. Nella col- lezione ornitologica del Museo Britannico vi è un esemplare giovane, non classificato, di un color bruno-giallo, con strisce transversali più scure, in tutto il corpo eccetto la gola e la faccia; il becco è diritto, corto e biancastro, con poche setole alla sua base. Le zampe sono di un color bianco sporco, (esemplare disseccato) e le unghie color di corno. ll signor G. R. Gray, mi disse che credeva questo essere il giovane dell’A. Australis, ma io non posso convenire in ciò con lui, perchè quest’ individuo presenta tutti i caratteri dell'A. Owenii come vedremo in seguito. Gli esemplari di A. Australis giunti in Europa vengono dalla parte meridionale dell’isola Centrale, specialmenta da Dusky Bay, Otago, che sembra esserne l’ habitat. Il dottor Hochstetter non n’ ebbe noti- zie nella provincia di Nelson nella stessa isola; pare che questa spe- cie sia sul punto di estinguersi. Apteryx Mantelli (Bartlett, 1850; Sclat e Hochst., 1864). Apteryx Australis (Gould) (2). Kiwi-nui dei Maori. Nel 1850 il signor A. D. Bartlett (ora sopraintendente dei giardini zoologici di Londra, ricevette dal dottor Mantell, una pelle d’Apteryx (4) Op. et loc. cit. (2) I. Goutp, Birds of Australia, vol. VI, tav. 2. DELLE APTERIGIDEE 525 che gli parve affatto diversa da tutte le altre ch'egli avea vedute Dopo di aver confrontato quest'Apteryx con esemplari nelle diverse collezioni di Londra, egli era sul punto di descriverlo come specie nuova, allorquando seppe, che l’ esemplare originalmente descritto dal Shaw come A. Australis, esisteva nella collezione di Lord Derby a Knowsley. Il chiarissimo Lord, presidente della Società zoologica di Londra, ebbe la compiacenza d’ inviare al signor Bartlett quell’ e- semplare; egli allora potè constatare che era affatto identico coll’Ap- teryx del dottor Mantell, e che la specie comunemente descritta come A.Australis era invero affatto diversa dalla specie così nominata dal Shaw; per la prima egli propose il nome di 4. Mantelliî, (1) con- servando il nome originalmente dato dal Shaw all’altra specie. L’Apteryx Mantellii che a me sembra un po’ più grande della spe- cie precedente benchè il signor Bartlett Ja dica più piccola, ha il becco diritto, comparativamente più lungo che quello dell’A. Austra- lis, le scanalature vi sono pure più pronunciate ; dalla base del becco ed intorno agli occhi, nascono una quantità di lunghissime setole (tav. VII, fig. 3) caratteristiche di questa specie. Il color delle piume è di un bruno rossiccio carico; le ali che sono più rudimentali che nella specie precedente, hanno le penne grosse e forti (tav. VII, fig. 4; e tav. VIII, fig. 11). Le zampe sono di un color carneo, che diventa corneo nell’esemplare disseccato, i tarsi sono scutellati al davanti, (tav. VIII, fig. 8) le dita sono relativamente più corte che nell’A. Aus- tralis (però non sempre in un modo così marcato come nell’individuo figurato che doveva essere non del tutto adulto); le unghie sono di un color corneo, quella del dito medio è la più lunga. Il giovane ha il becco più corto, ed il color delle piume molto più chiaro; l° uovo dell'A. Mantellii è già descritto. Parlando di questa specie il dot- tor Hochstetter (2) dice, che a borea dell’isola Settentrionale l’À, Mantellii pare estinta, ma nell’isola di Houtourou, isoletta coperta di boschi circa 1000 piedi dal livello del mare, solamente accessibile quando il mare è tranquillo e situato nel golfo di Huaraki vicino ad (4) Op. et loc. cit. (2) Op. et loc. cit. 326 E. GIGLIOLI , Auckland si dice che questa specie sia ancora diseretamente comu- . ne. Nelle parti abitate delle provincie meridionali dell’isola Setten- trionale, l'A. Mantellii è stato quasi distrutto da uomini, cani e gatti; ed ora si trova solamente nelle montagne meno popolate tra il capo Pelliser ed il capo Orientale. Gli abitanti dell’isola Settentrionale parlarono al dottor Hochstetter (egli fu nella Nuova Zelanda colla spedizione Austriaca del /ovara) di due specie d’Apteryx che dis- tinguevano come Aiwi-nui (grande Apteryx) e Kiwi-iti ( piccolo Ap- teryx); il primo si trova, secondo loro, nel distretto di Tuhua, a ponente del lago Taupo, ed è secondo il dottor Hochstetter l'A. Man-. tellii, mentre l’altro potrebb’ essere l'A. Qwenii. L’Apterye Man- telliî abita 1’ isola Settentrionale esclusivamente. Apteryx Owenii (Gould, 1847; Sclat. e Hochst., 1861). Apterya Mantellii juv. (Schlegel). Kiwi-iti, Kiwi-hoihoi? dei Maori (1). “. Questa è una specie ben designata, descritta per la prima volta dal Gould nel 1847 da un esemplare procurato dal signor Strange e supposto proveniente dell’isola Meridionale (2). È più piccola delle due specie precedenti, ed è di color grigio chiaro macchiato sopra tutto il corpo, con striscie transversali più ‘scure, eccetto le piume della faccia e della gola che sono più chiare; vi è una macchia scura sopra le aperture auditorie. Il becco è più corto comparativamente che nelle altre specie; il Gould lo figura col becco leggermente curvo (3), l’ esemplare figurato possedeva dunque questa particola- rità, perchè tutti gli esemplari che ho veduti, sono rimarchevoli per la dirittura del loro becco; ed il signor Gould è troppo buono osser- vatore per commettere un tale errore, Il color del becco (disseccato) é corneo chiaro, le narici sono piccole; le setole alla base del becco ed intorno agli occhi sonò rare e corte come nell’À. Australis. Le ali (4) ELLMAN, Zoologist 4864, pag. 7469 (che potrebbe essere una nuova specie). (2) Op. et loc. cit. (3) J. GouLp, Birds of Australia, vol. VI, tav. 3, e nei Trans. Zool. Soc. London loc. cit. tav. 57. DELLE APTERIGIDFE 3527 sembrano ancora più rudimentali che nelle altre specie. Le zampe, piedi ed unghie sono di un color carneo. Secondo le osservazioni del dottor F. von Hochstetter, questa specie sarebbe ancora assai comune nelle vallate delle più alte muntagne di Wairau, ceperte di foreste; nella parte settentrionale dell’isola di Mezzo, a ponente di Blind Bay; e nelle montagne selvose tra le valli di Motucka ed Aorere. Durante il suo soggiorno nella provincia di Nelson, egli ottenne due esem- plari viventi, maschio e femmina, presi da alcuni Maori inviati appo- sitamente verso la parte superiore del fiume Slate confluente dell’Ao- rere, in un paese elevato 2000 a 3006 piedi sopra il livello del mare. L’habitat di questa specie è l'isola di Mezzo. Apterye Maxima? (Verreaux (1) e Bonaparte, (2) 1856; Sclat. e Hochst. 1861). Apterye Major (Ellman, 1864) (3). Fireman (Gould) (4). Kiwiî parure, Roa-roa, dei Maori. Dati importanti riguardo a questa specie ancora ipotetica, sono stati raccolti dal dottor Hochstetter, però egli non potè ottenerne un esemplare. Darò le sue proprie parole estratte dalla Memoria già citata : « Oltre 4. Qwenîi un’ altra specie più grande vive nell'isola di Mezzo, della quale benchè nessun esemplare sia giunto in Europa l’esi- stenza è certa. 1 Maori distinguono questa specie non come un A7wi, ma come un fioa (perchè è più grande dell’A. Owenii, roa volendo dire lungo, alto ). Giovanni Rochfort, ispettore provinciale a Nelson, ritor- nando da una spedizione alla costa occidentale della Provincia, men- tre io ero a Nelson descrive, nel suo rapporto, inserito nel /elson Examiner del 24 agosto 1889; questa specie, che si dice essere (4) Malgrado le mie ricerche non ho potuto trovare in quale Memoria il sig. Ver- reaux nomina quest’ uccello. (2) C. Bonaparte, Conspectus Ineptorum et Strulhionum Aves, nei vie Rendus tom. 43, pag. 840-441. Paris 1856. (3) ELLman, On the birds of New Zealand nel Zoolagist. A864, pag. 7478. London, (4) J Gouup, Birds of Australia, vol. VI, (parlando dell’A. Australis). 3528 E. GIGLIOLI , non rara sulle montagne di Paparoa tra î flumi Grey e Buller, colle seguenti parole: » Un Kiwi della grossezza di un Dindio, molto forte, avendo sproni sulle gambe, e che si difende quando attaccato da cani, così bene da escirne frequentemente. vittorioso. » Il mio amico F. Haart, un tedesco che fu il mio compagno di viaggio nella Nuova Zelanda, e che al principio del 4860 intraprese una spedizione di scoperta nelle parti meridionali ed occidentali della provincia di Nelson, mi scrive in luglio 1860, dieci miglia dalla bocca del fiume Buller ad un'altezza da 3000 a 4000 piedi, (ove, essendo allora inverno alla Nuova Zelanda, la terra era leggiermente coperta di neve) che le impronte delle zampe di un Kiwi della gros- sezza di un Dindio, erano comuni nella neve, e che di notte egli udiva il grido singolare di quest’ uccello, ma come sfortunatamente egli non aveva seco un cane, non gli era riuscito possibile il procu- rarsene; però egli lasciò ad alcuni aborigini di quel distretto una cassa di latta con spirito, promettendo una buona mancia se potevano procurargli uno di questi uccelli nell’alcool e mandarlo a Nelson per uno dei bastimenti che trafficano su di quella costa ». In conclusione dirò che la testimonianza del dottor Hochstetter è certamente in favore dell’esistenza di questa specie interessante, e speriamo che presto alcuno dilettante o cultore dell’ Ornitologia ne spedisca qualche esemplare in Europa, mettendo fino ai dubbii man- tenuti non senza ragione sulla realtà dell’4. Maxima; e avanti che il genere Apteryx sia estinto, qualche zoologo ne faccia conoscere più in particolare le abitudini, e sopratutto la nidificazione, poichè finora non ne sappiamo nulla di positivo. Londra, .30 marzo 4863. DELLE APTERIGIDEE 599 Spiegazione delle tavole (Tav. VII e VIN). TAVOLA VII. Figure 1 e 2. Testa ed ala di A. Australis. Figure 3 e 4. Testa ed ala di A. Mantellit (illustranti la differenza che esiste tra queste due specie. Le figure sono estratte dalla Memoria del si- gnor Bartlett. Proc. Zool. Soc., 1850, tav. XXX). Figura 5. Testa di A. Mantelliù maschio; mostrando la forma del pseudo- ceroma, (estratta dalla Memoria del professore Owen. Trans. Zool. Soc. Vol. II, tavola 47, fig. 2). Figura 6. Estremità del becco di A. Mantellii femmina; mostrando le narici esterne (estratta pure della Memoria del professore Owen, tav. 47, fig. 1). TAvoLA VIII. Figura 7. Zampa di 4. Australis. Figura 8. Una Zampa di A. Mantelli; mostrante la differenza tra queste specie (estratte dalla Memoria del signor Bartlett. Op. cit. tav. XXXI. Figura 9. Dito posteriore di Apteryx. Figura 10. Ala di Apterye Mantelli; mostrando l'inserzione delle penne; (estratta dal Voyage au Pole du Sud. Zoologie, atlas, tav. 45. Figura 11. Ala di A. Mantellii; scoperta di piume (estratta. dalla Memo- ria del professor Owen. Op. cit., tav. 25.) Figura 12. Sterno ed ala di A. Mantelli (da uno mio schizzo preso da un esemplare nel Museo Britannico). NB. Tutte le figure sono di grandezza naturale. COUPE GEOLOGIQUE DE LA COLLINE DE SIENNE PAR GABRIEL DE MORTILLET Avec une Planche (Tav. II) (Seduta del 28 giugno 1863.) Pendant mon séjour à Sienne, au moment de la réunion du Con- grès des Savants Italiens, qui a eu lieu du 14 au 28 septembre 1862, dans mes moments de loisirs j°ai étudié la constitution géologique des collines sur lesquelles est batie la ville. Voici les résultats de mes recherches. Ils me paraissent offrir un certain intérét. . Je ne m’étendrai pas sur la géologie générale du bassin de Sienne. Je ne pourrais que répéter ce qu’a si bien dit, si bien exposé, Gio- vanni Campani dans le chapitre Sulla costituzione geologica e sulla ricchezza mineraria della provincia di Siena, chapitre extrèmement intéressant de l’ouvrage Siena e il suo territorio. Je me contenterai de décrire, aussi exactement que possible , une coupe prise, dans toute la hauteur de la colline, à la station du. chemin de fer. Pareto d’abord, en 1843, Capellini ensuite, ces temps derniers, avaient signalés sur ce point des alternances de couches d’eau douce cu saumàtre avec les couches marines. Jai voulu véri- fier le fait. Il m’a été facile de constater ces alternances sans pour- tant pouvoir retrouver d’une manière précise la coupe publiée. Mais plus heureux que mes savants dévanciers il m’a été donné de recon- naître neuf à dix alternances au lieu de trois ou quatre qu’ils indi» quent, G. DE MORTILLET, COUPE GÉOLOGIQUE SIA Comme l’extrème précision est actuellement une condition indispen- sable de tout travail géologique , je ne me suis pas contenté de rele- ver une coupe théorique plus ou moins exacte, j'ai fait une coupe vraie, une coupe mathématique. Je donne d’abord le plan détaillé des lieux, à l’échelle de 1 pour 10000, soit 10 mètres par millimètre. Ce plan est divisé par zones numérotées. Les mèmes zones, seulement d’une dimention triple, existent dans la coupe et montrent à quelle partie du plan chaque partie de la coupe se rapporte. Outre l’exactitude topographique qui permettra à chacun de re- trouver sans peine chaque partie de ma coupe, j'ai fait un tableau parlant, c'est à dire qui pourrait se passer de texte. En effet, à pre- mière vue, on peut apprécier l’épaisseur des couches qui sont, autant que possible, dessinées d’une manière proportionnelle à l’échelle de deux millimètres par mètre; on reconnait la nature des sédiments indiquée par des hachures spéciales; on distingue les amas de cail- loux, les dénudalions, les failles, etc. En allant de haut en bas voici le trajet qu’il faut faire pour suivre tous les détails de la coupe. Partant de la porte Camollia on descend le long des murs de la ville jusqu'à la station du chemin de fer; on prend alors le chemin de Malizia jusqu'à son passage à niveau sur la voie qui va à Salarco et Chiusi; on suit la voie ferrée jusqu'à l’ex- trémité de l’explanade de garage, puis on descend dans le fosso de Malizia en suivant un ruisseau qui provient de la route Chiantigiana. Je vais maintenant donner des détails sur chaque couche en re- montant de bas en haut. C'est à l’extréme obligeance de Charles Mayer, paléontologue si connu, surtout par ses beaux travaux -sur les terrains tertiaires supérieurs, que je dois la détermination des fos- siles que j'ai recueillis dans les diverses couches de la coupe. Qu'il me soit permis de lui témoigner ici publiquement toute ma gratitude. a — Marnes argileuses bleuàtres, formant le lit du fosso de Ma- lizia un peu en aval du viaduc du chemin de fer qui de Sienne va à Salarco et Chiusi. On les voit sur une épaisseur de plus d’un mètre. Elles contiennent abondamment des fossiles marins, surtout à leur partie supérieure. 3392 G. DE MORTILLET» Ce sont presque exclusivement: Cardium edule L. var. rustica, Phil. Sic. pl. n, f. 12-17. Disper- sion Mayencien; mers d’Europe. Cerithium tricinctum Broc. (Murex). Subap. p. 446, pl. 9, f. 43. Disp. Tortonien ; Astien. Cerithium etruscum Mayer. Espèce voisine du C. disjunctum Sow. Cerithium minutum Serres. var. Hoern. /7ien p. 390, pl. 44, f. 8-9. Disp. Mayencien; Méditerranée. Conus mediterraneus Brug. Pkil. Sicil. pl. 12, f. 19. Disp. Plai- sancien ; Méditerranée et Océan Atlantique. Les trois Cerithium et le Cardium sont extrémement abondants. Le Conus est un peu moins. Les autres espèces, parmi lesquelles Jai trouve la Syndosmya obovalis Wood (A4bra). Crag, p. 240, pl. 22, f. 41. Disp. Astien; Méditerranée, sont rares. Les Cardium ont souvent les deux valves reunies; ils sont de petite taille. b — Marnes blanches qui, en remontant le fosso de Malizia, for- ment le fond du ravin jusqu’au-delà du viadue. Assise de 2", 50 con- tenant dans toute sa puissance exclusivement des petites espèces d’eau douce, sauf vers la base où il y a encore quelques Cardium edule. c — Les marnes précédentes se terminent par un lit de 410 cen- timètres de lignite feuilleté. d — Marnes Dleues, 0", 40, contenant beaucoup de coquilles marines: Cardium, Cerithium, etc. e — Sables jaunes 1”, 40. f. — Lit de cailloux assez gros, 0”, 30. g — Sables jaunes, 0”, 20. h — Amas de cailloux, 2”, 30; très gros à la partie inférieure, (il en est qui dépassent le volume des deux poingts), diminuent de grosseur en s’élevant; la parlie supérieure est presque du gravier. î — Cet amas de cailloux, dont la surface est irrégulière, se trouve recouvert d’une assise de marnes blanches sableuses, dont l’épaisseur moyenne est 0", 30. Ces marnes contiennent un très COUPE GÉOLOGIQUE dI I grand nombre de débris de coquilles marines remaniges et, en très bon état, des Melanopsis prerorsa L. (Buccinum). Férus. Melanop. pl. 7, f. 10. Disp. Mayencien; Contrées Méditerranéennes. La partie supérieure de ces marnes est un peu charbonneuse. ji — Sables fins, un peu marneux jaunes, devenant plus pùurs vers le haut, 1”, 60, avec deux lits de grandes Ostrea, lun à la partie moyenne, l’autre vers le sommet. k — Marnes blanches, 1”, 30. La base un peu bleuàtre contient des Cardium et Cerithium. Tout le reste avec fossiles d’eau douce. Terminé au sommet par un lit de lignite feuilleté, C'est Ja troisième zone d'eau douce. I — Marnes bleues, 0". 40, à coquilles marines: Ceritium et Ostrea. m — Sables jaunes, 7 à 8 mètres de puissance, coupés par deux lits de cailloux et par un lit de grandes Ostrea edulis L. Toute la série qui précéde peut s’étudier parfaitement gràce à un ruisseau qui, descendant de la route Chiantigiana, se jette dans le fosso de Malizia. Ce ruisseau entame assez profondément le sol des champs qui recouvrent la pente du coteau pour mettre, dans toute Ja longueur de son lit, le soussol à découvert. Les sables m fissent au chemin qui, partant de fesa de garage de la voie ferrée, va à la route Chiantigiana. Mais on peut les suivre en partie le long de cette esplanade de garage, et l’on .voit leur porlion supérieure se charger plus ou moins de cailloux, qui en général restent d’un assez petit volume. » — Sur les sables et cailloux m reposent des marnes bleues pé- tries de fossiles marins généralement en parfait état de conservation. Ces marnes se développent depuis le chemin qui rejoint la route Chiantigiana jusque bien au-delà de l’esplanade de garage, du coté du nord, au point où le chemin de Malizia vient couper à niveau la voie ferrée et plus loin encore. Mais cette couche marneuse varie beaucoup d’épaisseur et de composition. L’étude de ces variations offre un grand intérèt parcequ’elle prouve qu'il y a eu de grandes dénudations pendant l’époque mème où se formaient ces dépòls. 354 G. DE MORTILLET, Le point le plus favorable pour bien étudier l’assise n est l’éxtré- mité de l’esplanade de garage là où elle se relie à la voie ferrée. En ce point l’assise a environ 3 mètres de puissance. | Tout à fait à Ia base, et mèéme peut-ètre au sommet des sables m, se trouve un lit de petits nodules calcaires, blancs, applatis, isolés. Audessus viennent 1", 80 de marnes un peu sableuses tirant au jaunàtre, contenant beaucoup de fossiles, surtout à la partie supé- rieure où il y a un véritable lit de gastéropodes, ne contenant que de rares acéphales. Le sommet de l’assise, 1", 20, est composé de marnes très bleues pétries de grosses Ostrea lamellosa bien conservées, souvent par | paquets, plus souvent encore ayant les deux valves réunies, et de Cardium edule var. rustica, la plupart avec les deux valves unies. Ils sont plus gros et plus robustes que ceux de la couche a. Enfin tout à fait en haut de ces marnes bleues réapparaissent les gastéropodes marins mélés déjà avec des /Veritina et des Bythinia. Voici d’après Charles Mayer des détails sur les espèces que j'ai re- cueillies., sur ce point, dans l’assise n. 4.° Ensemble de l’assise: Cardium edule L. var. rustica. Ostrea lamellosa Broc. var. Subap. p. 864, Goldf. Petref. p. 18, pì. 78, f. 3. Disp. Plaisancien; Astien. Turritella vermicularis Broc. (Turbo). Subap. p. 372, pl. 6,f. 13. Disp. Mayencien, Astien. Rissoia lachesis Bast. (Turbo). Hoern. Wien, p. 572, pl. 48, f. 16-17. Disp. Aquitanien; Tortonien. Rissoia Montagui Payr. var. Hoern. Wien, p. 569, pl. 48, f. 13. Disp. Mayencien; Méditerranée. Turbonilla elegantissima Mont. (Turbo). — Melania Campanella Phil. Sic. pl. 9, f. 3. Disp. Plaisancien; Mers d'Europe. Odontostoma plicatum Mont. (Turbo). Hoern. /7ien, p. 496, pl. 43, f. 26. Disp. Aquitanien; Mediterranée. Natica helicina Broc. (Merita). Subap. p. 297, pl. 1, f. 40. Duri ‘+ Aquitanien; Mers d’Europe. Trochus turgidulus Broc. Subap. p. 383, pl. 8, f. 16. Disp. Ma- vencien; Astien. COUPE GÉOLOGIQUE 3555 Triphoris perversus L. (Trochus). Horn. Wien. p. 414, pl. 42, f. 20. Disp. Tongrien; Mers d'Europe. i Cerithiopsis spina Partsch. (Cerithium). Horn. /Vien, p. 409, pl. 42, f. 15. Disp. Aquitanien ; Astien. Cerithium tricinctum Broc. (Murex). Cerithium etruscum Mayer. Cerithium mediterraneum Desh. var. Heern. /Zien, p. 395, pl. #1, f. 14. — C. doliolum Broc? Disp. Mayencien; Méditerranée Cerithium vulgatum Brug. Hoern. /Zien, p. 386, pl. 44, f. 4-4, Disp. Mayencien; Mers d'Europe. Pleurotoma Mortilleti Mayer, voisine du PI, recticosta. Fasciolaria Rainevali Mayer, voisine du . fimbriata. Fasciolaria fimbriata Broc. (Murex). Subap. p. 419, pì. 8, f. 8. Disp. Helvétien; Astien. Murex plicatus Broc. Horn. /Vien, p. 245, pl. 25, f. 9-10. Disp. Aquitanien; Mers d’Europe. Murex rudis Borson. Heern. /Zien, p. 674, pl. d1, f. 6. Disp. Ma- yencien ; Astien. Triton affine Desh. Hoern. Z7ien, p. 670, pl. 20, f. 1-4. Disp. Aquitanien ; Astien. Columbella semicaudata Bon. Heern. ZZien, p. 117, pl. 44, f. 10. Disp. Mayencien; Astien. Colombella turgidula Broc. (Buccinum). Bell. Columb. p.40, pl. 4, f. 7. Disp. Mayencien; Astien. Buccinum musicum Broc. Subap. p. 340, pl. d, f. 1. Disp. Ma- yencien; Astien. Buccinum variabile Phil. Sic. I, p. 224, pl. 12, f. 2. Disp. Ma- yencien; Mers d’Europe. Conus Mercati Broc. Subap. p. 287, pl. 2, f. 6. Disp. Aquitanien; Astien. Conus striatulus Broc. Subap. p. 294, pl. 3, f. 4. Disp. Helvétien;; Astien. Mitra pyramidella Broc. (Voluta). Subap.p. 318, pl. 4, f. B et 7. Disp. Aquitanien; Astien. 2.° Lit de gastéropodes au sommet de l’assise, audessus de l’amas. d'Ostrea lamellosa et de Cardium edule. 336 G. DE MORTILLET, Rissoia Montagui Payr. Phasianella pulla L. (Turbo). Grat. Atlas. pl. 14, f. 33-36 Disp. Aquitanien; Méditerranée et Océan Atlantique. Bythinia stagnalis Baster. (Turbo). var. Hoern. /7ien, p. 386, pl. 47, f. 22. Disp. Helvétien; Cotes d'Europe. Neritina Brocchii Mayer, forme indienne. Natica helicina Broc. (Nerita). Trochus turgidulus Broc. Cerithiopsis spina Partsch. (Cerithium). Cerithium tricinctum Broc. (Murex). Cerithium etruscum Mayer. Cerithium mediterraneum Desh. var. Buccinum variabile Phil. Columbella turgidula Broc. (Buccinum). Columbella semicaudata Bon. Conus striatulus Broc. Mitra pyramidella Broc. (Yoluta). Si du point que je viens de décrire on se dirige vers l’angle extrème de l’esplanade de garage, à mesure qu'on suit la berge, on voit V’as- sise n devenir moins régulière, s'onduler et ètre plus ou moins en- tamée par l’assise supérieure qui se charge de plus en plus de cailloux. Les coquilles sont plus altérées. Peu à peu les gastéropodes disparais- | sent, les Cardium ensuite et il ne reste plus que les Ostrea dont le test est plus solile, mais elles ne sont alors représentées que par des valves séparées, généralement brisées. La marne elle mème a dis- parue et on ne voit plus qu’un épais lit de fragments d’Ostrea qui va en s’amincissant. Sur le chemin qui conduit de l’esplanade à la route Chiantigiana il n’a plus que 30 centimètres d’épaisseur. On reconnait très clairement qu'il y a eu là une puissante action de dé- nudation contemporaine du dépòt. o — Marnes blanches, légérement durcies, 0", 20, contenant des fossiles d'eau douce écrasés parmi lesquels des Melania et en assez grand nombre Dreissenia africana? Van Beneden, Ann. Scien, nat. Paris 1838. Disp. Nord de l’Afrique. COUPE GEOLOGIQUE 537 De petits Cardium se trouvent mélés avec ces Dreissenia. Les marnes bleues n tout à fait au contact des marnes blanches o offrent un mélange de fossiles qui dénote un estuaire ou des eaux saumatres. Melania curvicosta Desh. Michelotti, Mioc. p. 189, pl. 6, f. 24. Disp. Tortonien; Plaisancien. Bythinia stagnalis Baster. (Turbo). Neritina Brocchii Mayer. Cerithium tricinctum Broc. (Murex). Cerithium etruscum Mayer. La couche o se voit très bien au point de jonction de l’esplanade de garage avec la voie ferrée. On la retrouve dans la berge qui précéde le passage à niveau du chemin de Malizia. C'est à partir de ce point qu'il faut suivre le reste de la série. p — Sables jaunes, 1", 80. q— Marnes blanches, 1", 30, contenant des coquilles d’eau douce. A la partie supérieure il y a d’abord mélange de coquilles. d’eau douce et marines, puis prédominance des coquilles marines. Ces di- verses coquilles sont: Cardium edule L. Melania curvicosta Desh. Bythinia unifasciata Mayer, voisine de l’acuta. Cerithiopsis spina Partsch. (Cerithium). Cerithiopsis scabra Olivi (Murex). Horn. Wien, p. 440, pl. 42, f. 16. Disp. Aquitanien; Mers d'Europe. Cerithium minutum Serres, var. Buccinum variabile Pbil. Columbella turgidula Broc. (Buccinum). On retrouve des traces de cette couche en g', dans les champs, du còté de l’esplanade de garage. r — Sables jaunes, avec lit de Cardium au sommet, 2", 00. s — Marnes blanches 4”, 00, avec: Cardium edule L. Melania curvicosta Desh. Bythinia 22 338 G. DE MORTILLET , Cerithium. Contenant de petits nids ou feuillets de lignite. Cette assise s’observe bien à découvert en bas du chemin de Ma- lizia. On la retrouve indiquée dans les champs, en s', audessus de l’esplanade de garage. Enfin elle se montre sur une assez longue éten- due vers le haut du chemin qui de l’esplanade de garage rejoint la route Chiantigiana. Sur ce dernier point, s', elle a 0", 30 d’épais- seur. ll se trouve un petit lit de lignite à sa base. Les Melania cur- vicosta abondent mélées à quelques MNeritina et Cardium. A la partie supérieure la marne devient sableuse et jaunàtre et contient beaucup de coquilles marines brisées. L’examen des deux còtés de la coupe entre les assises n et s mon- tre combien il y a eu de grandes dénudations contemporaines de l’époque du dépòt du terrain. Les assises marneuses o et q n’existent pas du còté de la route Chiantigiana. Elles sont remplacées par de grands amas de cailloux qui occupent également la place des assises de sable p et r. Entre deux je n’ai pas pu étudier les berges de l’esplanade de garage, comme je l’aurais désiré, parceque le temps ayant été très pluvieux, l’angle extréme de cette esplanade était entièrement inondé et rempli d’une boue liquide qui couvrait traverses et rails. t — Sables jaunes, 2”, 00, contenant à la partie inférieure un lit de Ostrea edulis L. Goldf. Petref. 2, p. 18, pl. 78, f. 4 Disp. Ma- yencien; Mers d'Europe. u — Sables jaunes avec cinq petits lits de cailloux, 4", 80, con- tenant des Ostrea edulis. v — Sables jaunes, 1", 00. Toutes ces assises de sable s’observent en remontant le chemin de Malizia. Sur la route Chiantigiana elles sont encore remplacées en partie par des cailloutis, et on trouve dans les sables des lam- beaux de couches de marnes blanches, plus ou moins charbonneuses - qui montrent des traces évidentes de dénudation. x — Marnes blanches, 0", 40, avec fossiles d’eau douce, By- thinia et Neritina. COUPE GÉOLUGIQUE 999 y — Marnes bleues, 0", 80, avec fossiles marins Cerithium très abondants. Ces deux assises peuvent se voir dans le lit du ruisseau immédia- tement audessus du chemin de Malizia. Plus à droite dans les champs, les marnes imperméables y' donnent lieu à une source et tout près on trouve beaucoup de fossiles au milieu des cultures. Cardium edule L. var. rustica. Neritina Brocchi Mayer. Cerithium tricinctum Broc. (Murex). Cerithium etruscum May. Cerithium mediterraneum Desh. var. Murex rudis Borson. z — Sables jaunes dans le ruisseau. Amas de cailloux audessus de la source 2”. Assise de 4 à 3 mètres ne pouvant pas facilement s’observer étant recouverte par le talus du chemin de fer supérieur. C'est le seul point un peu douteux de la coupe. A — Marnes bleues, avec coquilles marines, Cardium edule. In- diquées dans le lit du ruisseau, en amont du talus du chemin de fer, après avoir passé sous le viaduc. Je n’ai pu mesurer leur épaisseur, ni constater si elles sont accompagnées de marnes blanches d’eau douce ou saumàtre. B — Sables jaunes, environ 3”, 00. C — Marnes blanches, 1”, 40, au bas de la tranchée du chemin de Malizia, en amont du viaduc. Contient quelques Cardium edule, surtout à la base où il y a un lit de débris de ces coquilles. J'ai re- cueilli vers le milieu de l’assise de belles Melania curvicosta. Dans la partie supérieure il y a des /eritina et beaucoup de Lythinia stagnalis et B. procera. i D — Marnes bleues, souvent noircies par des débris de végé- taux, 1", 45. La partie supérieure sur 0", 23 est rougeàtre, couleur qui empiéte aussi, dans certains points, sur le reste de l’assise. Con- tenant beaucoup de débris de coquilles marines mélées à des individus entiers. Les acéphales sont très brisées, le gastéropodes le sont moins. J'ai trouvé quelques Melania curpicosta mélées avec les espèces marines suivantes: 340 G. DE MORTILLET, Venus excentrica Ag. Icon. p. 34, pl. 5, f. 9-11. Distribution: Plaisancien; Astien. Cardium edule L. Lucina astensis 22 Bon. Michelotti. Brach. ed acef. p. 2%, Disp. Plaisancien ; Astien. Ostrea denticulata Chemn. Encycl. pl. 183, f. 1-2 Disp. Plaisan- cien; Océan AUlantique. Rissoia Lachesis Bast. (Turbo). Rissoia Montagui Payr. Cerithiopsis spina Partsch. (Cerithium). Cerithium tricinctum Broc. (Murex). Cerithium mediterraneum Desh. var. Cerithium vulgatum Brug. Triton affine Desh. Buccinum variabile Phil. Columbella semicaudata Bon. Columbella turgidula Broc. (Buccinum). Conus striatulus Broc. E — Sables jaunes, 2”, 00. La partie supérieure de ces sables est au njveau de l’esplanade de la station. En suivant cette esplanade jusque vers la machine à vapeur fixe, des excavations au pied de la berge m’ont permis de reconnaître qu’en ce point E' le sable est remplacé par un amas de cailloux, F — Marnes blanches, 1", 60 dans la tranchée du chemin de Malizia. Cette assise peut se suivre tout le long de la berge qui li- mite la station, berge que l’on était, malheureusement pour le géologue, en train de soutenir et masquer par des murs. A l’extremité de cette berge vers la machine fixe l’assise n’a plus que 1”, 00 de puissance. Dans le chemin de Malizia l’assise contient, dans toute son épais- seur, des Bythinia et des Neritina subpisiformis? d’Orb. Grat. Atlas pl. d, f. 24-25. Disp. Mayencien; Plaisancien. A la partie supérieure les marnes deviennent, sur une épaisseur de 0", 20, sableuses et prennent une teinte rougeàtre. Il y a dans cette partie, qui commence par un véritable lit de Cardium edule COUPE GEÉOLOGIQUE SUA presque tous brisés, beaucoup de débris de coquilles marines. On y rencontre pourtant encore quelques Melania curvicosta. Comme aussi on voit déjà quelques Cardiwm edule vers le sommet de la partie blanche des marnes. Vers le milieu de la berge de la station l’assise a encore 1", 60 de puissance. Tout à faitàla base se trouve une légère croùte calcaire concrétionnée, sur laquelle se voient quelques Cardium edule. A 0", 30 de la base il y a un banc bleuàtre, avec une ligne noire de débris végétaux, entourée d’abondantes Lythinia écrasées. A_1", 40 se trouve une couche noire tourbeuse atteignant jusqu'à 0®, 03 d’é- paisseur. Les Cardium réapparaissent à la partie supérieure. Enfin derrière les atéliers, vers la machine fixe, l’assise n’a plus que 1” 00 d’épaisseur. Elle contient trois petites couches de lignite feuilleté. La plus considérable est à la partie supérieure. On y trouve: Dreissenia Neritina Brocchii May. Neritina subpisiformis? d'Orb. Bythinia stagnalis Bast. (Turbo). Les assises D, E, F et G se retrouvent dans la grande tranchée qui suit le viaduc du chemin de fer. On peut observer là une faille très nettement dessinée. Les différences de composition des couches permettent de bien apprécier le déplacement des deux parois de la faille. La difference de niveau entre les deux còtés de la faille est d’environ 1", BO. G — Sables jaunes, avec cailloux sur certains points, 9", 00. Talus lateral du chemin de Malizia et couronnement des berges de la station. Les sables contiennent en assez grande quantité des Ostrea edulis L. qui sont en général disposées par petits lits, plus ou moins ré- guliers. La disposition des cailloux est très capricieuse, très irrégulière. C'est surtout dans la tranchée du chemin de fer que ces cailloux abondent. H — Tuf cu ealeaire concerétionné d’épaisseur assez variable, 542 G. DE MORTILLET, moyenne 0", 80. Plus compact au sommet où il forme comme une lumachelle d’Ostrea. Sableux vers la base. Poreux et caverneux au centre. Empàtant d’abondantes coquilles d’Ostrea; très riche en moules interieurs d’espèces marines, on distingue surtout un fort grand nombre de Cardium et de Cerithium. Les Ostrea et acéphales sont principalement groupées au sommet, les gastéropodes à la base. Les moules de ces derniers sont généralement spathisés. Cette assise qui se trouve au sommet de la berge de la station, vers le haut du chemin de Malizia, s'observe très nettement le long du chemin qui partant de la Porte du chemin de fer se dirige vers la Porte Camollia en suivant les remparts de la ville. C'est en re- montant ce chemin qu’on rencontre toutes les assises qu'il me reste a décrire. I — Sables jaunes fins 1", 20, J— Lit de gros cailloux, 0”, 10, avec des coquilles d’ Ostrea edulis, qui parfois sont encore fixées aux cailloux. Ce lit se prolonge au loin. On le retrouve en J' sur le sentier qui du chemin de Malizia, un peu audessus du viaduc, gravit le coteau, pour aller à la porte Ca- mollia. Sur ce point parmi les cailloux il en est qui sont recouverts de Balanus très frais, nullement altérés par le roulis. Balanus stellaris Broc. Subap. p. 599, pl. 44, f. 17 Disp. Astien. K —. Sables jaunes généralement fins, cependant devenant un peu plus gros vers le haut, où l’on voit quelques petits lits de petits cailloux, 10”, 00. J'ai trouvé vers la base des empreintes de Car- dium et autres acéphales, des valves isolées d’Ostrea denticuluta Chemn. et de nombreux Pecten, le plus souvent avec les deux val- ves unies. Pecten flabelliformis Broc. (Ostrea). Goldf. Petref. p. 65, pl. 96, f. 8. Disp. Mavencien; Astien. Vers le milieu il y a de rares débris de Cardium et de Pecten. Près du sommet j'ai rencontré un moule de Cytherea pedemontana Ag. Hoern. /Zien. p. ABA, pl. 17 f. 4-4 — C. affinis Duj. Disp. Mayencien; Astien. Dans la masse sont disséminés de gros rognons de grès plus ou moins alignés. COUPE GÉOLOGIQUE 343 L — Sables et petits. cailloux qui atteignent jusqu'à 1”, 20 de puissance. Sur cette épaisseur en un point j'ai compté jusqu’à onze lits de cailloux qui s’encheveètrent les uns avec les autres. Parmi ces cailloux il y en a quelques uns de perforés par des coquilles litho- phages. i M — Sables jaunes assez gros, 2", 80, contenant de très rares débris d’ Ostrea. Î N — Calcaire sableux concrétionné , à base irrégulière, jaunàtre, 0”, 30; empàte quelques fragments d’Ostrea et. contient de très nombreux moules intérieurs ou empreintes extérieures de Cardium edule, de Cerithium divers et autres gastéropodes. O — Calcaire marneux blane, par petits lits ou feuillets, 0", 4. J'ai trouvé une empreinte de Cardium et des traces de Fucoides. N’y ai rien vu qui puisse se rapporter à des espèces d’eau douce. P — Sables jaunes, 4", 80, avec quelques rares petits cailloux disséminés et quelques débris plus rares encore de Cardium. A la hauteur de 1", 80 grandes lentilles de sable agrégé par un ciment calcaire blanchàtre. Ces sables terminent sur ce point l’escarpement du coteau et sup- portent les murs de la ville. Parmi les cailloux disséminés dans les diverses assises on retrouve toutes les roches des formations éocène et crétacée. Ce sont elles, surtout le calcaire alberése, qui ont fourni les éléments les plus abon- dants. Les calcaires anciens avec leurs silex se montrent aussi en assez grand nombre. J'ai rencontré quelques granitones et des felds- paths en décomposition, mais ce sont en général de tout petits cailloux. Resume et conclusion. La coupe a une hauteur totale de 77 à 78 mètres. Dans ses diverses assises j'ai recueilli 47 espèces, dont 24 c’est-à- dire près de la moitié, sont encore vivantes. Sur les 26 éteintes Mayer en a reconnu 6 non encore deécrites: Bythinia unifasciata Bythinia procera 344 G. DE MORTILLET, Neritina Brocchii Cerithium etruscum Pleurotoma Mortilleti Fasciolaria Rainevali Il doit les décrire et figurer dans le Journal de Conchyliologie, Une partie des 47 espèces trouvées, tels que les Dreissenia, Me- lanopsis, Melania, Bythinia et Neritina, sont d'eau douce cu saumitre. Elles se rencontrent plus spécialement dans les marnes blanches. Toutes les autres espèces provenant presque exclusivement des marnes bleues et des sables sont marines. | Il y a au moins neuf alternances de marnes blanches, à fossiles d’eau douce ou saumàtre, avec les assises marines. Toutes ont une population a très peu près semblable. Les espèces actuellement vi- vantes de cette population dénotent un climat légèrement plus chaud. Ainsi le Melanopsis prerorsa L. vit actuellement en Espagne, en Algérie, dans les îles de Rhodes, Candie, Chypre et dans l’Asie Mineure. La Melania curvicosta Deshayes, qui d’après cet auteur lui- mème n’est autre que la Melania tuberculata Mull., se trouve main- tenant à Constantine. L'Italie du reste ne possède plus actuellement en fait de mélanien qu’une petite espèce Melanopsis etrusca Villa, variété de la Dufourii Fer. Elle se rencontre au sud de la Toscane, dans des eaux thermales. Les conclusions déduites des mélaniens se corroborent par la présence de la Dreissenia africana du nord de l’Afrique. Quant aux espèces marines qui vivent encore elles paraissent ap- partenir généralement à la Méditerranée. Les espèces marines semblent peu varier dans toute la hauteur de la coupe pour les sediments de mème nature. Ainsi toutes les as- sises de marnes bleues paraissent avoir la méme population. Popu- lation qui, suivant toutes les probabilités, a aussi fourni les moules des assises supérieures de calcaire concrétionné. Il n’y aurait eu que très peu d’exceptions, comme par exemple le Ceritium tricinctum Broc. Les sables jaunes présentent aussi, quelque soit leur niveau, a peu près les mémes espèces. Ainsi 1’ Ostrea edulis L. apparait dès les premières assises de sable. COUPE GÉOLOGIQUE 345 Néanmoins Charles Mayer croit que l’on peut distinguer dans la coupe de Sienne les deux étages qu'il a établi dans le pliocène: le Piaisancien ou pliocène inférieur et l’Astien où pliocène supérieur. Voici ce qu'il m’écrit à ce sujet: « Vous vous rappelez que jadis, je délimitais les étages pliocènes “inférieur et supérieur de manière à laisser les marnes bleues supé- rieures de Castelarquato dans l’étage astien. Depuis lors la réflection et l’étude des faunes m’ont fait reconnaître qu'il vaut beaucoup mieux placer la limite entre les deux étages pliocènes à la base des sables jaunes, le caractère pétrographique se joignant ici à la difference sensible des faunes pour faciliter la distinetion des deux niveaux. A Sienne mème, où cependant l’alternance de couches marines et d’eau douce semble effacer la ligne de partage, on peut, sans crainte de se tromper beaucoup, tirer cette ligne de démarcation au dessus de la dernière couche de marnes bleues marines D et de l’avant dernière couche de marnes blanches d’eau douce F. Dèslors l’étage astien sera ici, comme dans le Plaisantin et le Reggianèse moins bien développé et plus pauvre en fossiles que dans l’Astésan et le Bolonais. » Les neuf alternances d’eau douce, avec lits tourbeux, au milieu des dépòts marins; les fréquentes et profondes varialions de compo- sition de ces dépòts divers; l’abondance des cailloux, tout montre qu'il y a eu de nombreuses oscillations dans le sol Senèse pendant la période pliocène. Par suite de ces oscillalions le pays se trouvait alternativement recouvert par la mer et mis presque à sec. Ces oscil- lalions occasionnaient des dénudations contemporaines qui ont laissé des traces très nettes et qui ensuite se trouvaient recouvertes elles- mémes par de nouveaux dépòts. La coupe montre aussi que, malgré l’àge relativement très récent du terrain, il s'est néanmoins formé une belle faille très visible dans la tranchée du chemin de fer. BIBLIOGRAFIA (Seduta del 26 luglio 1863.) CareLuni. — Studj stratigrafici e paleontologici sull’ Infralias nelle montagne del golfo della Spezia. Bologna, 1862. Careuini. — Carta geologica dei dintorni del golfo della Spezia e Val di Magra inferiore. Torino, 1863. L’importantissimo golfo della Spezia è compreso, come tutti sanno, fra montagne in gran parte calcaree, essendo di macigno soltanto quelle al nord del golfo, attraversate dai torrenti che terminano nel golfo presso la ciltà da cui il golfo stesso ebbe il nome. Tutti sanno pure che il braccio occidentale si ristringe e s’'ab- bassa verso la sua estremità meridionale, e termina a Porto-Venere, ma gli fanno seguito le isole Palmaria, Tino (o Tiro) e Tinetto (0 Tiretto); e che il braccio orientale, compreso fra il golfo e la Ma- gra, si restringe pure verso mezzodì, e termina al Capo-Corvo colla Punta-Bianca. È egualmente noto a tutti i geologi che i monti del Capo-Corvo verso la Magra sono fatti di rocce che i Geologi Toscani dicono del Verrucano s che sopra queste rocce si appoggiano , sollevate verso levante ed inclinate verso il golfo, altre rocce, generalmente calca- rec; che queste rocce calcaree, meno antiche di quelle del Verru- cano , si ritrovano nei monti di Cadimare , Fezzano, Porto-Venere a BIBLIOGRAFIA 544 ponente del golfo, e nelle isole Palmaria , Tino e Tinetto; che, sa- lendo da San Vito o Marola ai Monti di Coregna, passando di là a Campiglia e discendendo a Schiara o Monesterolo, si vedono quelle rocce calcaree sovrapposte ad altre rocce, ora calcaree ed ora sci- stose, che contengono ammoniti del terreno giurese, e che si appog- giano al macigno dei monti di Monesterolo , Schiara e Navone. Esaminando i principali lavori pubblicati sul golfo della Spezia da Paolo Savi prima del 1850, e quelli di Pareto, De-la-Bèche, Sismonda Angelo, Coquand, Pilla, Collegno e Murchison, e con- frontandoli con quelli pubblicati dallo stesso Paolo Savi, da Meneghini e da Cocchi dopo il 1850, si trova che furono emesse due opinioni ben differenti sull’età relativa delle rocce calcaree di Coregna, Por- to-Venere, Palmaria, Tino e Tinetto, e sulla loro eri normale o anormale sugli strati con ammoniti giuresi. La Memoria di Dela-Bèche (Mem. Soc. géol. de France. Vol. 4, 18533) è accompagnata da una piccola carta geologica, e da alcuni spaccati, e mostra che quell’ Autore riteneva della stessa epoca giurese i cal- cari del Capo-Corvo e quelli di Porto-Venere. Nel primo lavoro in cui il Savi parla dei monti della Spezia (7'a- gli geologici delle Alpi Apuane e del Monte Pisano. Nuovo giornale dei Letterati, Pisa, 1833) si trova che anche questo Autore consi- derava il calcare nero fossilifero delle isole Tino, Tinetto e Palmaria come lo stesso calcare che è sovrapposto al così detto /'errucano dei monti del capo-Corvo. Negli anni 1850 e 52 Hoffmann fece un viaggio in Italia, e, ren- dendone poi conto nel 18539, descrisse dei fossili raccolti nel calcare nero di Tino e Tinetto, e conchiuse essere questo calcare dell’epoca giurese ( fieise durch Italien, Berlin 18532). Nel 1842 Angelo Sismonda mise pure nel lias il calcare nero di Tino e Tinetto, ma non lo credette identico a quello del Capo-Corvo. Vennero poi i lavori del Pilla e del Collegno, anch'essi favorevoli alla classazione di quel calcare nero fossilifero di Tino e Tinetto nel terreno liasico. (Pila, Saggio comparativo dei terreni che compongono îl suolo d’Italia, Pisa, 1848. — Pira, Notice sur le calcaire rouge am- monifère de l’ Italie, Bull. Soc. géol. de France, IX, 1847. — Courecno., 548 BIBLIOGRAFIA Elementi di geologia pratica e teorica, 1847. -— Pina, Trattato di geologia. Vol. II. Pisa, 1847-51.) Nel 7rattato di Geologia (come nella Memoria pubblicata nel 2ul- letin della Società geologica di Francia) si vede particolarmente come ‘ il Pilla ammetteva disposti gli strati nei monti a ponente ed a le- vante del golfo, come egli trovava identico il calcare fossilifero di Tino e Tinetto con quello del Capo-Corvo, e come egli spiegava la sua sovrapposizione agli altri strati giuresi e al macigno nei monti a ponente del golfo, col supporre un completo rovesciamento di tutti gli strati componenti quei monti a ponente del golfo ( Trattato di Geologia. Vol. Il, pag. 342-402). Finalmente questa opinione sul doversi mettere il solito calcare nero nel lias trovasi sostenuta dal Murckison nella Memoria sulla struttura geologica delle Alpi e degli Apennini (traduzione ita- liana di Savi e Meneghini, Pisa, 1850); e il Capellini asserisce es- sere stata sempre ammessa come un assioma dal Pareto. Ma alla loro traduzione italiana della citata Memoria di Murchison sulle Alpi e sugli Apennini i professori Savi e Meneghini fecero se- guire delle Considerazioni sulla geologia stratigrafica della Toscana, nelle quali emisero un’ opinione affatto nuova , considerando il solito calcare nero di Tino e Tinetto come un calcare neocomiano , ed ammettendo come specie nuove i fossili di quel calcare noti ad essi. E come neocomiamo ammisero un calcare analogo esistente nelle Alpi Apuane e nei Monti Pisani. E benchè Collegno sorgesse subito a protestare contro questa innovazione, ed a sostenere l’ antica opi- nione sua e di tutti gli altri geologi ( Mem. della R. Accad. delle scienze di Torino, 1852), il prof. Meneghini non mutò d’avviso, e il prof. Cocchi adottò la nuova classazione del calcare nero nel terreno cretaceo. (Menecuini, Vuovi fossili toscani, negli Annali dell’ Univer- sita toscana. Tomo III., 1853. — Cocci, Description des roches ignées et sedimentaires de la Toscane, nel Bull. Soc. géol. de France, XIII. 1856.) Di fronte a questa grave differenza fra l'opinione di Savi, Mene- ghini e Cocchi, e quella di Pilla, Sismonda, Collegno, Pareto, ec., chi non avesse la possibilità di visitare i luoghi stessi e di studiarne BIBLIOGRAFIA 549 i fossili, rimarrebbe ancora non poco imbarazzato, se non fossero venuti in luce gli Studj stratigrafici e paleontologici sull’ Infralias del golfo della Spezia del Capellini, ai quali tenne dietro più recen- temente la bella Carta geologica dei dintorni del golfo della Spezia dello stesso Capellini. Gli studj pubblicati nel 1862 constano d’una breve introduzione, d’una nota dei principali lavori nei quali si parla del calcare nero fossilifero delle montagne della Spezia, di cenni topografici sui din- torni del golfo e specialmente sulle località interessanti pei fossili del calcare nero, della stratigrafia delle montagne della catena occiden- tale, della stratigrafia della catena orientale e specialmente del Capo- Corvo, del catalogo dei fossili del calcare nero fossilifero della Spe- zia, di un rapido squardo sulle principali memorie di altri Autori su questo calcare nero, d’ una nota sull’ opinione del prof. Cocchi sulle rocce del golfo della Spezia e sulle analoghe della Toscana, d’un quadro comparativo degli altri luoghi in cui sì trovano i fos- sili infraliasici della Spezia, d’una tabella in cui sono messi a confronto i terreni infraliasici di varj paesi, e di due tavole litogra- fiche con spaccati. La Carta geologica, pubblicata nel 1863, comprende il «Gal della Spezia, le catene montuose che l’abbracciano , non che una zona al nord del golfo, e una parte dei monti a nord-est di Sarzana. È in cromolitografia, ed eseguita assai bene. Leggendo gli Studj ed esaminando la Carta del Capellini, si trova che l’Autore è giunto ai seguenti risultati: 1.° Le rocce eoceniîche (scisti galestrini e macigno) formano i monti al nord del golfo. 2.° I monti di Pignone, Bovecchio, Valdipino, Caprile, Castè, Ceppo, Fabiano, Coregna, Cadimare, Fezzano, Castellana, Porto- Venere, e le isole Palmaria, Tino e Tinetto constano delle rocce messe ora nel lias ed ora nel terreno cretaceo. 3.° Queste rocce (calcare dolomitico, portoro, calcare nero fossilifero e scisti) contengono (specialmente alla Grotta Arpaja presso Porto-Venere, e nelle vicine isole Palmaria, Tino e Tinetto) molti (44) fossili già descritti come caratteristici dell’ /nfralias d’altri paesi, € 350 BIBLIOGRAFIA molte specie nuove (39), e quindi non. possono essere classificate che nel terreno dell’ /nfralias. 4.° Per Serenella, Codeglia, Carpena, Biassa, Campiglia e il Monte della Castellana passa una zona formata da due gruppi di strati, l'uno propriamente giura-liassico (scisti varicolori, scisti a Posidonomie , calcare e scisti con ammoniti) e addossato alle prece- denti rocce dell’ Infralias, 1’ altro propriamente cretaceo (scisti gale- strini inferiori, pietra forte, calcare alberese , con diaspri, ec.) e concordante col gruppo giuraliassico. b.° I monti fra questa zona e la riva del mare, su cui sono Corniglia, Manarola , Rio Maggiore, Monesterolo e Navone, sono di rocce eoceniche. 6.° Fra il macigno del nord del golfo e la zona di infralias compare qua e là una zona interotta di calcare cavernoso (presso Pozzo, Montenero, La Foce, ec.). 7.° Fra il macigno e questo calcare cavernoso (e fra il macigno e le rocce infraliasiche, se manca il calcare cavernoso) si osserva una discordanza con ispostamento (faglia), la quale è indizio della grande frattura del suolo, che ha dato origine al golfo. 8.° Salendo quindi da Manarola e camminando verso levante, si passa successivamente sul macigno inclinato verso sud-ovest, sugli scisti varicolori, su un calcare grigio chiaro senza fossili, sugli scisti a Posidonomya Bronni, sui calcari o scisti con ammoniti ed altri fossili liasici piritizzati, su un calcare dolomilico a stratificazione poco distinta, sul calcare fossilifero dell’ Infralias, su certi scisti a Bactryllium , su una dolomia cavernosa , e finalmente sul macigno che forma i monti al nord-ovest del golfo. 9.° Anche salendo da Schiara al Monte di Coregna e discendendo di là alla Madonna del Porto, si passa dal macigno al gruppo giura- liasico, e da questo all’ Infralias. E lungo questo piano gli strati sono tutti concordanti, ma un po’ a ventaglio, così che quelli di macigno s’abbassano verso sud-ovest, quelli dell’infralias verso nord-est, quelli di calcari con ammoniti sono verticali, e tutti gli altri s’ abbassano verso ponente o verso levante secondo che sono a ponente o a levante di quelli con ammoniti, BIBLIOGRAFIA SBI 10.° Nell’ isola Tino si vedono bene gli strali inclinati tutti in- sieme verso nord-nord-est, essendo superiori quelli a bactrillj, e ve- dendosi poi sotto di essi. dall’ alto al basso, quelli dell’ infralias e quelli del calcare dolomitico e del portoro. 41.° Nell'isola Tinetto gli strati s'inclinano ancora a nord-nord- est, e sono quelli del calcare dolomitico, del portoro e del calcare nero fossilifero. 12.° Quest'ultimo solo si vede negli scogli vicini all’isola Tinetto. 43.° I monti a levante del golfo presentano le stesse rocce e al- cune altre più antiche, ma con una distribuzione geografica meno semplice. 44.0 Esaminando i monti del Capo-Corvo dalla Punta del Corvo alla Punta-Bianca, e da questa fino alla foce della Magra, si trovano tutti gli strati sovrapposti concordemente l’uno all’altro, rialzati verso N. N. E. fin presso la Batteria di Santa Croce, e poi leggermente in- clinati verso N. N. E. 15.° I monti del Capo-Corvo presso la foce della Magra sono di rocce paleozoiche (parte del verrucano, cioè scisti diversi, calcari saccaroidi, puddinga calcarea , scisti cloritici e violacei); quelli tra Ja punta del Corvo, Telaro, Pugliola, Cerri e Ameglia sono di calcari dell’ infralias ; e fra questi calcari e le rocce paleozoiche v'ha una zona di terreno triasîco (quarzite con anagenite del verru- cano, e calcare cavernoso). 16.° Lerici è al piede di monti di rocce triasiche, che sono se- parate dalle vicine infraliasiche per mezzo d’ una zona di terreno giuraliassico. 17.° Di terreno triasico sono i monti fra S. Terenzio e la pia- nura al fondo del golfo ; di terreno eocenico sono quelli fra S. Te- renzio , Barcola , Bonezzola e Cerri, e quelli di Trobiano, Arcola e Gaggiano; e fra questi due gruppi di monti eocenici v'ha una zona di terreno cretaceo, sulla quale sono Baccano e Fresonara. 18.° Di muocenico (conglomerati, argille, molasse, ec.) è una zona lungo le falde dei monti di Sarzana, che sono formati di ter- reno eocenzco, con un’ emersione di serpentina nella valle di Falci- nello, fra il terreno eocenico e il miocenico. 352 BIBLIOGRAFIA 19,0 Altre emersioni di serpentina si vedono all’ est di Pignone (a nord-ovest della Spezia), presso la punta settentrionale della zona infraliasica dei monti a ponente del golfo. Da tutto questo si può dedurre: che il calcare nero fossilifero della Spezia dev’ esser considerato dell’ /nfrulias; che gli strati del Capo-Corvo sono în posizione normale, essendo i meno antichi; che. nei monti a ponente del golfo gli strati sono capovolti, essendo i più antichi (calcare nero fossilifero) sovrapposti ai più recenti (macigno); che non si deve ammettere l’esistenza dello spostamento (faglia) im- maginato da Savi e Meneghini per ispiegare la concordanza del cal- care nero fossilifero cogli strati ammoniliferi., e il contatto di questi colle rocce eoceniche; e che il calcare fossilifero della Tecchia e di altri luoghi delle Alpi Apuane, ed il calcare grigio-cupo fossilifero e senza selce di Asciano e d’altri luoghi dei monti Pisani devono es- sere collocati, come il calcare nero fossilifero ed altri calcari della Spezia, nel terreno înfraliasico, quantunque da Cocchi e da altri siano stati messi nel neocomiano o nel triasico. Per queste importanti conclusioni io ho creduto bene di chiamare l’attenzione della Società su questi due lavori del socio Capellini, ed ora termino col dire che questi stessi lavori fanno desiderare la prossima pubblicazione degli altri che sono promessi dall’ Autore, cioè il volume di testo relativo alla carta geologica, e la Paleonto- logia del calcare nero infraliasico, in cui devono essere figurati i fossili di quel calcare. Milano, 12 luglio 1863. G. Omboni, . BIBLIOGRAFIA DELLE PRINCIPALI OPERE FINORA PUBBLICATE SULLA GEOLOGIA DEL VENETO” . (Seduta del 6 dicembre 1863.) È spesso utile e interessante fare un elenco delle opere che trat- tano della geologia d’ un dato paese, e dar loro un rapido sguardo, per vedere a qual punto sono gli studj relativi a quello, quali ‘rapporti possono avere con quelli relativi ad altri e quali conclu- sioni se ne possono trarre sullo studio geologico dei singoli paesi, e sullo studio della geologia in generale. Per questi motivi, ed anche ‘perchè ci ho aggiunto alcune note prese in una gita geologica in diversi luoghi del Veneto, credo che possa essermi perdonata la pub- blicazione delle seguenti note bibliografiche sulle opere relative allo stato geologico del Veneto. Esse potranno servire come appendice a quella parte dei miei Cenni sullo stato geologico dell’ Italia (Milano Vallardi, 1886), che tratta della geologia stratigrafica del Veneto. Vicentino. — Fra il bacino dell’ Adige e quello del Brenta s’ innalza «un gruppo di montagne, che mandano verso mezzodì molte linee di monti a guisa di contrafforti, fra le quali si estendono altrettante valli dirette verso il sud o verso sud-est, a guisa dei raggi d’ un quarto «di ruota, o delle bacchette d’ un ventaglio. Queste sono le valli di San Pietro Incarnato, di San Vito, di Grezzana, di Montorio, di Mez- 23 354 G. OMBONI, zane, di Masi e di San Giovanni Ilarione, che stanno nel territorio Veronese, e le valli di Arzignano, dell’Agno, dell’Astico e del Brenta, che appartengono al Vicentino. La disposizione dei terreni in queste. montagne è tale che, generalmente parlando, si passa successivamente . dai più recenti a quelli di mezzo ed a quelli più antichi, risalendo le valli fino alla loro erigine; ma è difficile disegnarne un’esatta carta geologica, a motivo delle molte corrosioni e delle dislocazioni parziali dei singoli terreni. Tre o quattro giorni occupati nel percorrere ed esaminare i din- torni di Schio, quelli di Recoaro e la valle dell’ Agno, bastano a dare un’ idea della struttura geologica genèrale del Vicentino. Si può cominciare il primo giorno salendo da Schio a Magré. Si vede un calcare bianco con selci, rialzato verso il nord, e su di esso una serie di calcari marnosi, fissili, rossi, grigi e bianchi. Il primo è ciò chei geologi veneti chiamano biancone; e i calcari marnosi sono la cosi detta scaglia. Si vede pure uua brecciola vulcanica, che passa ad una puddinga, la quale contiene dei ciottoli di un basalte compatto, di cui si vede poco dopo un’ emersione. E poi si trova ben presto del caleare con nummuliti. Da Magré andando alla Pieve, percorrendo una strada quasi piana a tina certa allezza, si vede quasi sempre la scaglia formare il monte; e da lontano si riconoscono formati di rocce calcaree i monti di Enna e di Novegno; avendo le forme ben note dei monti calcarei giuresi e liasici appartenenti al versante italiano delle alpi. Di altra forma si vedono le alture di Sant' Ulderico e di Poleo, e chi le esamina, trova nelle prime le stesse rocce dei dintorni di Magré, e nelle se- conde uni’ emersione di porfido pirossenico. A Pieve si può lasciare a sinistra la valle dei Casarotti e Tessari , camminare al piede di monti calcarei, giuresi, ed entrare nelle valle dei Mercanti o dei Zuccanti, passando al piede d’ un bel monte co- nico (di Castello di Pieve), formato di calcare giurese; e si vedono ben presto cominciare a sinistra i monti di porfido pirossenico,, con grandi frane bianche, di caolino più o meno puro. Più.avanti la valle si restringe, e il porfido si vede fin nel mezzo di essa, nell’ alveo. del torrente, ed anche nei monti a destra, colle solite frane bianche SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 365 ‘di caolino. Benissimo si vede la graduata trasformazione del porfido pirossenico in caolino, facendosi a poco a poco meno resistente e più terroso. Verso l’ origine della valle si vedono i monti ancora di cal- care. Il porfido forma dunque un ammasso o un filone nel mezzo dei calcari giuresi della valle dei Mercanti. Ritornando di là a Schio si vede che il porfido attraversa la valle della Leogra, per congiungersi a quello dei dintorni di Poleo, il quale poi, secondo che dicono i geologi che hanno meglio studiato il paese, continua fino a Velo nella valle dell’Astico. Un altro filone di porfido si vede al monte Alba. Il secondo giorno può essere occupato nell’ andare da Schio a Recoaro, facendo osservazioni interessantissime lungo la strada. Appena fuori di Schio si vedono delle colline di scaglia alterata e ‘rotta, di terreno erratico e di porfido pirossenico. Dopo Torre Bel- vicino, dove la strada va lungo il torrente, si cominciano a vedere a nudo le rocce cristalline scistose, rialzate verso mezzodì, verso la spaccatura, da cui è uscito il porfido. E con queste rocce si continua fino al principio della salita dei monti che dividono il Comune di Valli da Recoaro, anzi fino a una certa altezza sugli stessi monti; e là si co- minciano a vedere, e poi, continuando a salire, si continuano a ve- dere le rocce sedimentarie più antiche. descritte fin dal 1824 da Maraschini. La prima a vedersi è una arenaria rossa ; la seconda, so- vrapposta alla prima, è un calcare; la terza è un’arenaria variegata, che sta sopra il calcare precedente; la quarta, sovrapposta alla terza, è un calcare fossilifero, con fossili caratteristici del muschel- kalkz la quinta è una terza arenaria, che deve rappresentare il keuper , se il calcare che le sta sotto si può considerare come mu- schelkalk. Si giunge così finalmente ad un colle, che è fra diverse cime d rocce calcaree, coll’aspetto delle solite calcaree giuresi e liasiche alpine ; e ben presto si trova il villaggio di Rovegliana. Durante questa salita si vedono bene i monti disposti ad anfiteatro intorno alla valle dei Signori, e si riconosce facilmente che sono for- mati di strati rialzati verso il centro della valle, così che, salendo dalla valle sopra ognuno di essi, si deve passare successivamente dalle rocce più antiche alle meno antiche, cioè dal micascisto, di - ‘386 G. OMBONI, ‘cui & formata la valle, fino alle rocce calcaree giuresi ‘o liasiche di. cui sono le parti superiori. | :9 La discesa da Rovegliana fino a Recoaro è ripida ; il suolo è quasi sempre formato di terreno alluvionale, che lascia rivedere a stento diversi gruppi già osservati nella salita, cioè il Keuper, il muschelkatk, P arenaria variegata , il calcare sottoposto a questa, 1’ arenaria più antica , e finalmente gli scisti cristallini, di cui è formato il fondo della valle di Recoaro. 133683 Salendo da Recearo ale fonti, e di là nella valle superiore, si vede ancora, ma non così bene come nell’ ascendere da Torre Belvi- cino a Rovegliana, la serie dei terreni dagli scisti cristallini al terreno giurese; ma si possono raccogliere begli esemplari di muschelkalk. Nel discendere da Rovegliana a Recoaro e percorrendo i dintorni di questo paese è facile imbattersi in qualche filone di dolerite 0 d’altra roccia analoga , essendo questi filoni molto frequenti in quei luoghi, attraverso gli scisti cristallini e le rocce sedimentarie più antiche. i pie Il terzo giorno può essere occupato nel discendere da Recoaro ‘a Vicenza. Da Recoaro fin presso a San Quirico si vedono gli scisti cri- stallini ; poi sì vedono di nuovo le arenarie già citate, col muschel- ‘kalk e cogli altri caleari, liasici e giuresi, e ben presto. il biancone e la scaglia; poi un monte isolato, distinto dagli altri pel suo aspetto, che rammenta quelli di porfido pirossenico della valle dei Mercanti; poi dei massi e ciottoli di basalte, provenienti dalle valli ‘laterali; poi, presso Castel Gomberto, una specie di breceiola vulcanica (pe- -perite), che si divide in palle e poi in strati sferici concentrici, e dei calcari che | accompagnano solto e sopra. Con una gita di tre giorni si possono così vedere molte rocce, che furono oggetto di studio per molti geologi distintissimi, nazionali e stranieri. ig Alcune delle principali località del Vicentino furono minutamente descritte da Brongniart nel 1823, e particolarmente quelle in cui si vedono meglio le brecciole vulcaniche o peperiti. Sono: la Val Nera, burrone nella valle del Chiampo, due leghe al nord di Arzignano, e dove si vede una bella alternanza di strati di calcare nummulitifero SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 357. e di brecciola vulcanica; Val Roncà, dove si vede un’analoga alter- nanza, gli strati calcarei sono fatti quasi unicamente di nummuliti , e si vede pure del basalte prismatico e del basalte che si divide in isferoidi; Montecchio Maggiore’, celebre per esservi una amigdaloide colle cavità tappezzate di zeoliti; Monte Viale, a una lega e mezza al nord-ovest di Vicenza; Monte Bolca, con alternanti gli strati d’o- rigine basaltica e i calcari con pesci. — Conchiude Brongniart col- I’ ammettere prodotta l’ argilla plastica di Parigi coll’ alterazione di brecciole analoghe a quelle del Vicentino, e trova con ciò molta analogia fra il terreno parigino inferiore e quello del Vicentino. Ma il primo geologo che si sia occupato seriamente di tutte le roccie del Vicentino è il Maraschini, che le ha descritte fin dal 1824 nel suo, Saggio sulle formazioni delle rocce del Vicentino, opera da consul- tarsi ancora per la prima da chi vuol fare uno studio di questa parte delle Alpi Venete. Ecco in breve quale è la serie delle rocce distinte e descritte dal Maraschini. La roccia fondamentale, che porta tutte le altre, è lo scisto mica- ceo e tulcoso, colle sue diverse varietà, che si vede particolarmente a Recoaro e a Staro nella Valle dei Signori. Gli sovrasta e lo attraversa in filoni una roccia pirossenica, una specie di trappo o di dolerite, talvolta amiddaloide e trasformata in vacchia, che si vede nelle parti più elevate delle valli dell’ Agno e dell’ Astico. Contiene talvolta frammenti di scisto talcoso e si vede particolarmente nei dintorni di Recoaro. Maraschini la chiama mé- mosite ; altri la tengono per una diorîte ed allri per una dolerite. Sulla roccia pirossenica o sullo scisto micaceo sta una arenaria screziata, che fu delta metassite dal Maraschini, e si vede benissimo nei comuni di Recoaro, di Valli, di Torre Belvicino e di Posina, ora in grossi banchi, ora scistosa, ad elementi ora grossi ed ora minuti, e talvolta ridotta a vera argilla. Contiene del carbon fossile, tronchi di alberi ridotti alla sola corteccia, ccc. È attraversata da qualche fi- lone di roccia pirossenica. i Sull’ arenaria screziata sta un calcare grigio, detto da Moi cchini prima calcarea grigia, talvolta trasformata in marmo variopinto, i cui strati nella valle del Pechele alternano a più riprese con dei 388 G. OMBONI, banchi di dolerite. Da questo calcare si credeva che escissero le. acque acidule di Recoaro, ma nel 1841 fu fatto conoscere dal Pasini che escono presso un filone di dolerite, come le acque acidule di’ Staro e di Capitello. Maraschini considerava questo calcare come del gruppo della calcarea alpina 0 zechstein. Vedremo più avanti quale sia l’ opinione ora adottata in proposito. Segue poi il secondo grès, cioè un’ arenaria ordinariamente mi- cacea, rossa, grigia e screziata a var) colori, considerata dal Mara- schini come rappresentante il dunfersandstein 0 grès bigarre. Contiene banchi di calcare conchiglifero , ammassi di gesso, banchi di argilla conchiglifera, e nella valle di Sarentale, nel Comune di Valli, i suoi strati sono in parte attraversati e in parte dislocati da un filone di roccia pirossenica. Viene in seguito la seconda calcarea grigia, conchiglifera in basso, con barite solfata nella parte di mezzo, e terminata superiormente da banchi marnosi. Era per Maraschini il vero muschelkalk. Succede alla seconda calcarea grigia il terzo grés, paragonato da Maraschini al quadersandsteîn dei Tedeschi, e che è il rappresen- tante del vero keuper. i Su questo grès sta poi una serie di calcari e dolomie, che formano una parte del terreno giurese, con fossili diversi e caratteristici. La dolomia è spesso attraversata da filoni di dolerite , e presso a questi è più sparsa di cavità a pareti cristalline. Contiene anche filoni e ammmassi di porfido, particolarmente lungo la strada da Schio a Ro- veredo, tra la valle della Prigione e Vallarsa. — Questo gruppo ter- mina superiormente con delle marne, delle argille e delle calcaree a coralli, che portano immediatamente il gruppo seguente. Certi ‘calcari rossi, spesso marnosi., che si lavorano come marmi e contengono ammoniti, ‘certi calcari bianchi, sovrapposti ai rossi, anch’ essi con ammoniti , e costituenti il-così detto diancone , ed altri calcari, più e meno marnosi e fissili, ‘ora rossi, ora gialli, ora grigi, ora biancastri, che si conoscono comunemente sotto il nome volgare di scaglia, formano insieme un gruppo, che fu da Maraschini ritenuto rappresentare il terreno cretaceo. Contengono anche dei banchi subordinati di peperiti o brecciole vulcaniche o tufi basaltici, SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 359 ed anche di dasalte, che si vedono bene a Magré, a Schio, a Valda. gno, a Chiampo, ecc. Il basalte è spesso prismatico, come nella valle degli Stanghellini a Vestena Nuova, a Roncà, a Muzzolon, a Trissino, ecc. La sua alterazione dà origine ad argille da gualchiere, che si raccolgono presso Arzignano, Magré e Schio, e si adoperano nelle fabbriche di panno; oppure a terre rosse ocracee, come sopra il ca- stello d’ Arzignano, alle Bogiole presso Schio, ecc. Collegate colle rocce or ora descritte sono diverse rocce ignee, un porfido pirossenico, un’ eurite, un mimofiro, una vacchia con zeo- liti, ecc., che si vedono qua e là nelle valli, a varie altezze, spesso alterate e trasformate in argilla da gualchiere e in caolino, che si estraggono con profitto , servendo specialmente la seconda ad un e- steso commercio, sotto il nome di ferra di Z'icenza. Un’argilla con ligniti del monte di Magré, di Asiago, ecc., un’argilla azzurrognola conchiglifera di Castelgomberto, una peperite formata coi detriti basaltici , spesso ammiddaloide e con zeoliti, formano un piano superiore alla scaglia; e furono considerate da Maraschini come equivalenti dell’ argilla plastica parigina. i Sulle argille e sulle peperiti stanno delle calcaree nummulitifere , ricche d’ altri fossili, oolitiche talvolta, e ben visibili al monte di Magré, sulle alture di Cerealto, ad Altissimo, a Bolca, a Vestena, a Roncà, a Monteechio Maggiore, a Castelgomberto , a Priabono, ece. Sono meno ricche di fossili, ma ancora riconoscibili; nelle Bragonze e nelle alture fra 1’ Astico e il Brenta. I fossili, oltre le nummaliti, sono molte specie di echini, polipaj, mitili, ecc. Alternano talvolta con della peperite conchiglifera. Queste peperiti sono specialmente svi- luppate al monte Grumi di Castelgomberto, dove trovasi anche il cal- care tartufite (con odore di tartufi), a monte Castello di Uastelgom- berto, a Monteviale (con celestina), alla Trinità di Montecchio Mag- giore, a san Pietro di Monteechio Maggiore (con celestina azzurro- gnola), nella valle di Roncà, nella valle dei Chiuppj a San Giovanni tiarione, nella valle di Sangonini a Salzedo. Fra le calcaree a nummuliti si trovano dei banchi di calcare mar- noso al monte Bolca, al monte di Novale e al monte di Slazedo, Quelli di Novale contengono pochi pesci fossili, ma molte filliti; altrettanto 360° G., OMBONI, si trova a Salzedo; ma i monti di Bolca sono i più famosi pei pesti, che’ contengono, e specialmente i luoghi chiamati Pesciaja di Vestena, e Postale di Altissimo. - i ‘In alcuni luoghi lo stesso grupppo di strati contiene anche lignitez- scisti bituminosi, argille bituminose e scistose (Librone , Libro del. Diavolo). . i, tal A tutti questi strati sovrastano i depositi alluvionali, di argille; sabbie, ghiaje, ecc., che contengono scheletri di mammiferi a Nove- gno, gesso, legno bituminizzato ; giargoni, pleomasti e ferrò ossidn= lato (Leonedo e Salzedo). Nello studio : particolareggiato di tutte queste rocce il Maraschini | ebbe per compagno ed ajuto Lodovico Pasini, il quale, percorrendo ed esaminando minutamente tutte le parti del Vicentino, potè fornire per il libro del Maraschini molte osservazioni interessantissime. Ciò è attestato dallo stesso Maraschini in più luoghi del suo Saggio geologico, e ciò fece sì che pochi sono i lavori geologici sul Vicentino pub- blicati dal 1824 in poi dallo stesso ‘Pasini eda altri, e quasi tutti hanno per iscopo di chiarire eerti particolari argomenti o di risolvere particolari quistioni. Infatti: nel 1825 il Pasini pubblicò una descrizione minuta delle | variazioni presentate dal porfido pirossenico ‘che attraversa la valle della Logra (dapprima è privo o quasi privo di quarzo, poi a poco a | poco acquista del quarzo e perde il felspato, così che diventa quasi formato di solo: pirosseno e quarzo, e finalmente si trasforma in una roccia di solo quarzo); — nel 1828 si occupò delle ghiaje e delle pud- dinghe quaternarie ; — nel 1829 cerresse alcune indicazioni erronee contenute nel Saggio di Zoologia fossile del Catullo relativo al Vicen- tino; — nel 1834, trattò la questione dell’epoca. a. cui si deve riferire il sollevamento delle Alpi Venete, conchiudendo che queste Alpi si - devono essere sollevate in più riprese, ‘corrispondenti alle varie epoche in cui vennerò fuori i diversi filoni di rocce ignee attraverso alle rocce sedimentarie; — nel’ 1832 distinse bene la serie delle rocce calcaree ‘cretacee e giuresi , che sono, cominciando dall’alto , la scaglia, il biancone, un altro calcare bianco, il calcare ammoniti- . fero ‘rosso, un calcare bigio fossilifero (con nerinee; ecc.), un calcare SULLA GEOLOGIA DEL VENETO SO1 con rilegature spatiche, dei calcari compatti, rossi è bianchi, od oolitici, senza ammoniti, una dolomia che forma spesso le ‘cime frastagliate dei monti, e un calcare compatto pellucido, sovrapposto immediatamente all’ arenaria del Aeuper; — nel 1841 fece nota la: scoperta della vera provenienza delle acque acidule di Recoaro presso un filone doleritico ; — nello stesso anno pubblicò delle nuove 0s- servazioni sulla scaglia e sul terreno terziario del Monte orrigi (Valdagno) e sulla giacitura della lignite di Pulli; — nel 1844 indicò alcune correzioni da farsi all’opera di Fuchs sulle Alpi Venete; — dal 1845 al 1847 trattò due o tre volte la questione della promiscuità dei fossili cretacei e giuresi nel calcare rosso ammonitifero , della quale parlerò più avanti; — e nel 1847, nella sezione di geologia del Congresso scientifico di Venezia, ebbe a discutere su varie par- ticolarità già prima trattàte o accennate in. diversi luoghi. Nel 1847, finito il Congresso scientifico italiano di Venezia, una parte della Sezione di geologia dello stesso Congresso, composta dei signori de Buch, Murchison, Ewald, De Verneuil, Charters, Pasini; Parolini, De Zigno, Pareto e Pentland, fece un viaggio geologico in varie parti del Veneto, cominciando col visitare le classiche località del Vicentino, cioè i dintorni di Recoaro e di Schio. Questo viaggio trovasi descritto con molti particolari negli Atti della sezione di geo- logia del nono Congresso ecc., pubblicati nel 1853 a Genova dal marchese Lorenzo Pareto. | Partita da Vicenza, la Sezione vide prezzo Creazzo le più basse falde delle colline del Vicentino, formate di strati orizzontali o quasi orizzontali di calcare nummulitico. Continuò a vedere altri strati dello stesso terreno , con polipaj, coralli, echinidi, ecc., salendo la valle dell’ Onte, piccolo affluente del Bacchiglione. Dirimpetto ‘a Castel- gomberto, sotto Monte Veraldo, vide altri banchi più inferiori, dello stesso terreno. Passando sulla destra del fiumiciattolo, e salendo a Castelgomberto trovò del basalte, le peperiti, e gli strati nummuli- feri. Da Castelgomberto discese nella valle dell’Agno; osservò ad Agno il passaggio dall’ eoceno al cretaceo, di scaglia con piromaco ; visitò a Puli la lignite collocata con istrati argillosi fra il terreno cretaceo e il nummulitico; vide la sommità del monte di Puli formata di cal- 362 G. OMBONI, care nummulitico; e attraversando le zone dei terreni giurese e tria- sico, giunse a Recoaro, che è, come ho già detto, sul micascisto. Un giorno intiero fu occupato dalla Sezione di geologia coll’ esa- minare il monte Spitz presso Recoaro, per vedere il micascisto del fondo della valle, l’ arenaria sovrapposta ad esso, la calcarea messa nel Maraschini nello zechstein, l’arenaria variegata, il muschelkalk e il keuper del trias, e i calcari giuresi; e parecchj fatti osservati per- suasero quei distinti geologi a mettere nel trias anche 1’ arenaria rossa inferiore e il calcare unito ad essa e classificato dal Maraschini nello zechstein. Presso al colle di Fongara la Sezione di geologia vide un bel filone porfirico, che attraversa i calcari giuresi, un altro filone a poca distanza , e più in basso una massa di conglomerato porfirico. Da San Quirico scese nella valle dell’Agno onde visitare certi filoni di porfido pirossenico, che attraversano le rocce più antiche e le triasiche. Nel terzo giorno la Sezione di geologia lasciò Recoaro per recarsi nella valle dei Signori, rivedendo le stesse rocce triasiche e giuresi, ammirando la bella vista dei monti intorno ‘alla valle dei Signori e la loro regolare struttura (essendo la loro base di micascisto, la parte superiore di calcari giuresi, e la parte media di rocce triasiche)» raccogliendo presso Rovegliana molti fossili caratteristici del vero muschelkalk, e visitando la valle dei Zuccanti. Un enorme filone di porfido pirossenico o di roccia doleritica, che comincia sulla destra dell’ Agno al vallone della Terrazza presso Fongara, passa al sud di San Quirico, sulla riva sinistra dell’ Agno stesso, si vede al Colle fra il M. Civillino e il M. di Scandelara, e scende nella_valle dei Zuccanti, la percorre tutta, passa al sud della Pieve, attra- versa la valle della Leogra, per Poleo va a formare i monti detti le Guizze di Schio (presso il Tretto), e va a terminare presso Velo nella valle dell’Astico. Alcune parti di questo filone furono esaminate nella valle dei Zuccanti dalla Sezione di geologia, che poi passò a vedere le rocce cretacee e nummulitiche del monte di Magré, e discese a Schio. Nel quarto giorno la Sezione di geologia esaminò la raccolta .geo- logica del signor Pasini, ammirò un teschio di saurio che fu trovato I SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 365 nel calcare rosso ammonitico dei Sette Comuni , e poi visitò aleune parti dei dintorni di Schio. Vide quindi presso la chiesa dei Fran- cescani dei banchi di mollassa con scutelle e pettini; lungo il torrente detto la Gogna di Schio, dei banchi con alcune nummuliti e con co- ralli; quasi dirimpetto a San Giorgio, dei banchi terziarj con conchi- glie lacustri ; alle falde del monte Enna il micascisto ; e da San Giorgio a Sant'Orso un filone di porfido pirossenico ed un generale rovescia- mento degli strati, per il quale il calcare nummulitico viene a tro- varsi sotto la scaglia. Nei giorni successivi la Sezione di geologia visitò la valle dell’Asti- co, i Sette Comuni e la valle della Brenta, come dirò più avanti. Nel 1855 Schaurothì ha pubblicato una carta geologica dei dintorni di Recoaro, nella quale il fondo della valle dei Signori (Comune di Valli) e quello della valle di Recoaro sono formati dalle rocce cri- stalline fondamentali ; il trias forma intorno a queste una zona, mo- strandosi nei fianchi dei monti d’ Enna, del Monte Alba , del Monte Spizze e del Monte Civillina ; il terreno giurese e liasico forma una ‘zona intorno alla precedente, per i monti del Tretto, Colle di Zomo, Monte Pasubio, Monte Cengio Alto, Monte Laste , e i monti al sud del Monte Civillina ; tutto il restante dei monti al sud, fino alla pia- nura, è formato dai terreni cretaceo ed eocenico, mostrandosi il primo nel fondo delle valli, il secondo nei monti; e tutto questo ter- ritorio è sparso di emersioni basaltiche e trachitiche, e particolar- niente il monte fra la valle del Chiampo e quella d’ Illasi, e fra la stessa valle del Chiampo e quella dell’Agno. E il signor Foetterle, mandato dall'Istituto geologico di Vienna ad esplorare le Alpi Ve- nete, ha trovato anche qui gli equivalenti del così detto Dachstein, in una parte dei calcari giuresi degli autori che l'avevano preceduto. Da tutto questo si vede che nel Vicentino esistono bene sviluppati i terreni eocenico, cretaceo, giurese e triasico, appartenendo al primo i calcari nummulitici e le brecciole ad essi unite ; al secondo la scaglia ed altri calcari analoghi; al terzo il biancone, il calcare ammonitico rosso, ed altre rocce calcaree diverse fino al Keuper; ed al quarto il keuper stesso , il muschelkalk, e due arenarie compren- denti il caleare che fu dapprima paragonato dal Maraschini allo ” 564 G. OMBONI ; zechstein. Ma non si hanno ancora dati sufficienti per disegnare urna buona carta geologica di tutto il Vicentino, giacchè quella del Scha- uroth, confrontata coi lavori di Maraschini e di Pasini, non sembra , completamente esatta, non comprende tutto il Vicentino. Veronese. — Passando dal Vicentino nel Veronese, si ritrovano gli. stessi terreni cretacei e giuresi, ma non i triasici, che quì non sono. giunti alla superficie del suolo. La valle del Progno o del torrente d’Illasi fu descritta particolar-_ mente dal Massalongo nel 1850. — Partendo dalla pianura, si tro-, vano sorgere dai terreni alluvionali gli strati eocenici, di calcare. nummulitico, e di calcare sabbioso giallastro (preapura dei valli- giani), di peperiti e di basalte, che continuano da Caldiero fin al. Purga di Bolca nelle Vestene. Talvolta i calcari sono trasformati in marmi cristallini e lumachelle. Al Monte Spilecco di Bolca si trova. del calcare rossastro, brecciato, sfoglioso, zeppo di terebratale ; e. sotto questo seguono le rocce del ferreno cretaceo, cioè un calcare bianchissimo e sporcante, delle marne scistose e bituminose, un cal- care duro e compatto con polipa], terebratule, pentacriniti, alcioni, ec.) , dei calcari marnosi con vene di selce piromaco, con catilli , spa- tanghi ed altri fossili, un calcare sabbioso senza fossili, la scaglia 0 calcare marnoso rosso e bianco, e il biancone, calcare bianco con ammoniti, che si vede da Tregnago fino al Monte Zevola, ed a Tre- gnago dà alle falde dei monti l’ aspetto di gradinate. Segue poi il terreno giurese, formato da un calcare rosso ammonitico, da diversi calcari brecciati, sabbiosi, ec., da lumachelle, ec. I dintorni del Monte Bolea, che è posto fra la valle d’Ilasi e quelle del Chiampo e d’ Arzignano, sono già stati descritti nella Ittiologia veronese del Volta, fin dal 1796. — Presso Tregnago si comincia la salita, da chi vuol visitare il luogo ove si raccolgono i pesci fossili, e si ascende sui calcari marnosi fino a Vestena Vecchia, dove cominciano i depositi vulcanici. All'ingresso di Vestena Nuova, che è subito dopo la Vecchia, si vede la valle degli Stanghellini, con cascate, banchi di basalte prismatico verticale, ec. Si percorrono poi ancora due miglia montane prima di giungere al Monte Purga di SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 565 “Bolca. Di là si scende nella valle dello Scaranto, che sbocca in ‘quella del Chiampo. Si scende fino alle Case Brusaferro, e si giunge allo Scaranto ; e di là si può salire alle diverse /astrare, che sono all’intorno del luogo ove i torrenti Rivolo, Reper e Vajolo (che discendono dai monti Altissimo, Postale, Purga di Bolca e di Vestena Nuova) si riuniscono per formare lo Scaranto Maestro. Il signor De Zigno ha trovato a San Bartolomeo presso Selva di Progno , nella valle d’Illasi, dei vegetali fossili giuresi , araucariti, equisetiti, zamiti, cicadee, ec., di specie nuove (1852 e 1853); Massa- ‘longo cita un Zoophycos trovato al Bolca (1853); Catullo parla di crostacei macruri raccolti a Vestena, e di altri del Monte Postale (1854); «e al Monte di Zoppega furono trovati degli ossami, che furono creduti : di rinoceronte, di babirussa e di ippopotamo da Scortegagna (1842), ma furono riconosciuti dal signor De Zigno appartenere soltanto ad ippopotami ed a cervi (1853). Nella valle d’Arzignano si trova un combustibile fossile, che fu descritto da Corniani nel 1809, e sta fra un’argilla grigia, detta sapo- : nella, e un’argilla carboniosa e scistosa, detta librone. La Valle Pantena o di Grezzana e le alte valli vicine a Verona ‘non furono finora completamente descritte. Dirò brevemente ciò che osservai nella prima, in una breve gita fattavi col signor professore Manganotti di Verona nel settembre 1857. Appena fuori della Porta S. Giorgio di Verona si può esaminare ‘uno spaccato artificiale . fatto per cavare pietre. Si vedono dei pezzi di un calcare grossolano molto duro, racchiusi in un calcare gros- solano meno duro, con un impasto di tritumi di fossili e con nume- rosissimi echini pieni dell’istesso cemento. Ambedue i calcari conten- ‘gono nummuliti. Lo spaccato è presso la Valle Dominica, volgarmente detta Val Dònica. Asceso il colle di San Leonardo, si trovano degli straterelli di de ‘triti di conchiglie, di echini, ec., nei quali, al Castello di San Felice, Manganotti ha raccolto dei gusci, che gli parvero di cardio edule. . Da quell’altezza si vede bene la valle dell’Avesa, e al di 1à il Monte delle Ungherine, tutto di calcare nummulitico, che viene estratto col mezzo di cunicoli e gallerie sotterranee, e si trova anche 366 G. OMBONI, nelle parti inferiori del colle di San Leonardo, sotto i calcari brec- ciati osservati al principio della gita. Quel calcare è adoperato sotto il nome di matton. — Più lontano si vede il Monte Pastello, e poi il Monte Batdo, di calcari diversi, ma colle parli superiori di terreno eocenico. Quei due monti racchiudono la stretta valle dell’Adige, e i loro strati si corrispondono, così che sembra che la valle si sia formata spaccandosi gli strati, che ora, staccati, costituiscono quei due monti. È: Giungendo all’origine della valle Dònica (compresa fra il colle di San Leonardo e quello di San Felice, che è verso levante), e cammi- nando sempre sul dorso del monte e verso il nord, si vede in posto. il vero calcare nummulitico sopra Quinto. E verso levante si vede al di là della valle la linea di colli che va da Montorio verso il nord, ed è composta di eocene da Montorio fino alla valle del Paradiso. (presso Grezzana). Sempre sullo stesso calcare nummulitico si può camminare ancora. per 3.0 4 miglia verso il nord. Giunto sui monti di Carrara (fra-. zione di Grezzana), cominciai la discesa verso la valle di Grezzana Bi e sotto certe cornici prominenti di roccia nummulitica vidi comin-. ciare il terreno cretaceo, con un calcare bianco, con del basaltei alterato e con della peperite basaltica, che produce delle frane di. colore oscuro. Poi, discendendo a Carrara, raccolsi della scaglia rossa e bianca, del quarzo piromaco contenuto in detta scaglia, del cal- care bianco eguale al majolica lombardo, del calcare rosso con nu- clei, apparentemente biancone, cavato come marmo , ed eguale al marmo di Sant Ambrogio di Val Policella, e del calcare bianco. della stessa cava. Sopra Lugo questo calcare bianco si fa rosso a contatto della peperite; ma non presenta altre alterazioni vicino alle rocce basaltiche. AI nord di Carrara si vedono nei fianchi dei monti sporgere gli strati di questi calcari collocati fra la scaglia e il vero neocomiano; ed all’entrata della valletta del Paradiso (Vajo del Pa- radiso) si vede un calcare bianco, neocomiano o giurese , che rico- pre un calcare rosso ammonitico, il quale fu veduto una volta da Manganotti in un burrone laterale, ma che non si mostra a nudo nel fondo della valletta in discorso, SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 367 Nella valle Pantena esistono quindi , dal basso all’alto: 4.° Un calcare rosso ammonitico j 2.° Un calcare bianco, spesso rossigno, e cavato come marmo neocomiano (biancone) ; 3.° Un calcare bianco, argilloso, con piromaco, neocomiano; 4.° Un calcare bianco senza piromaca , adoperato a selciare le strade di Verona (sechiar dei Veronesi), talvolta rossigno ; 3.° La scaglia (lastra, lasta dei Veronesi), calcare marnoso, rosso, grigio, ec. più o meno schistoso, ec., dell’epoca cretacea ; tal- volta coperta da argille scistose di vario colore, verdi, cinerec, rosse, ec.; 6.° Un calcare nummulitico , eocenico, che si cava come pietra da costruzione ed anche come pietra d’ ornamento, e per farne sculture ; 7.° Un calcare brecciato, nummulitifero , del piede dei colli presso Verona, dal signor Manganotti creduto dall’ epoca miocenica. Quando feci nel 1887 questa gita nel Veronese, e un’altra nel Vicentino, per visitarne le classiche località di Recoaro e di Schio, e conoscere di persona i distinti geologi Pasini, Catullo e Massalongo, potei vedere nelle mani del Massalongo una sua Carta geologica del Veronese, già finita o quasi finita, e da lui destinata ad essere pub- blicata, appena glielo avrebbero permesso le altre sue numerose oc- cupazioni; come pure vidi una Carta geologica del Vicentino co- minciata da poco dallo stesso Massalongo, ed alla quale egli stava lavorando. Queste carte geologiche furono vedute anche da Mortillet e da Pictet nel 1859. Ora è doloroso il pensare che per la morte prematura del Massalongo queste carte possano rimanere sepolte fra gli altri manoscritti ancora inediti; e giova sperare che coloro, i quali ora possedono la carta del Veronese, si decidano a renderla di pubblica ragione, come un’opera postuma del Massalongo , assai ‘onorevole per l’ Autore e assai utile e interessante per chi si occupa di geologia. Serre Comuni, FeLtRIno, BeLLunese E Capomno. — Per farsi una idea della successione e disposizione dei terreni nei Sette Comuui e nelle 368 + :G. OMBONI, valli del Brenta e del Piave, si potrebbe forse cominciare collo studiare il Saggio di zoologia fossile delle provincie austro-venete «di Catullo (che è il più antico libro in. cui siano descritti estesa- mente tutti quei terreni), confrontandolo però coll’ Estratto ragionato . della stessa opera, pubblicato da Pasini nel Giornale di Padova del Da Rio nel 1828. Ma io credo ora miglior partito studiare dapprima | la Relazione delle gite geologiche fatte in quei luoghi nel 1847 dalla | .Sezione di geologia del Congresso scientifico italiano di. Venezia, - pubblicata nel 1853 a Genova dal marchese Pareto. RE La Sezione geologica , dopo avere esaminati i dintorni di Recgatii e di Schio, lasciò questa città nella direzione di S. Orso, per recarsi | snella valle dell’Astico. AI piede del Monte Sumano, alle cave di' Pio- vene, vide le belle pietre di calcare compatto di color paglia, hell là si estraggono come materiali da costruzione ; e credette di pote. ‘classificare quella roccia nel terreno giurese. Entrando nella vall .dell’Astico e camminando sulla riva destra del fiume, vide le paret della valle costituite in basso di calcare giurese; a Velo osservò il filone di porfido pirossenico proveniente dal Vicentino ; dopo Velo, rivide le rocce calcaree giuresi; lasciò a sinistra la ‘valle di Posine; | e a Pedescalla cominciò la salita all’altipiano dei Sette Comuni, _ Questo altipiano ha l'altitudine media di mille metri, è limitato «mezzogiorno , verso la pianura, da colline distese fra l’Astico e .i Brenta; a levante ed a tramontana dalla valle del Brenta; eda ‘ponente da quella dell’Astico, È piano nel mezzo, ma verso tramon-. tana si innalza in montagne, che hanno fianchi assai scoscesi verso la valle Sugana, in cui scorre il Brenta. È poi solcato da tre valli, la Val d’Assa, che scende in quella dell’Astico a Pedescalla.;, Ja Val ‘Franzena che termina in quella del Brenta presso Valstagna, e la Val Gadena, che pure manda le sue acque al Brenta. ; Salendo da Pedescalla verso Asiago per la strada tagliata a biscia ‘nella parete quasi verticale del fianco occidentale dell’ altipiano., Ja. Sezione di geologia osservava le rocce calcaree e dolomitiche giuresi | in grossi strati poco distinti, quasi orizzontali o meglio ondulati in «grande ; ‘vedeva pure. dei filoni attraversanti quelle rocce. calcaree ; più in alto trovava diversi. calcari a strati sottili con fossili poco de-| SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 369 terminati, aleune ooliti, altri calcari con univalvi; e alla fine della salita, presso Castelletto, trovava il calcare rosso ammonitico, con Amm. tatricus e Aptychus lamellosus. Presso Rotzo questo calcare rosso è coperto da calcari bianchi del gruppo del biancone, con fossili neocomiani, e poi da strati calcarei del gruppo della scaglia con catilli ed altri fossili del vero terreno cretaceo. Questi strati sono quasi orizzontali nel mezzo dell’ altipiano, ma siinclinano sempre più quanto più si avvicinano ai monti a tramon- tana, così che, salendo verso tramontana, si vedono l’uno dopo l’altro gli strati osservati nella salita da Pedescalla a Castelletto, e fra essi un certo numero di strati con vegetali fossili. Visitati i dintorni di Rotzo, la Sezione si recò ad Asiago, vedendo sempre gli strati cretacei e neocomiani, attraversando la Val d’Assa, che è scavata negli stessi strati. Da Asiago la Sezione si recò nel secondo giorno a Gallio, dove trovò un calcare e degli strati marnosi, con foraminiferi, cerizj gi- gantei ed altri fossili dell’eocene; discese per la Valle Frenzana, camminando sulle rocce cretacee sottoposte alle eoceniche di Gallio ; e poi per la Valle Stagna (la parte inferiore della Valle Frenzana), assai stretta ed a pareti verticali, aperta nelle rocce giuresi (calcare rosso ammonitico superiormente , poi calcari giallognoli , poi calcari dolomitici ). Gli strati sono come nella Valle dell’Astico. Nella Valle del Brenta, a Valstagna, si osservarono ancora gli strati quasi orizzontali , ma un po’ rialzati verso nord, e inclinati verso sud, e le pareti ancora verticali, di rocce giuresi in basso e nel mezzo, e di rocce cretacee in alto. Di là la Sezione discese lungo il Brenta; vide le grotte da cui esce l’ Oliero, e in una delle quali è un lago sotterraneo con una bella caverna a stallattiti; presso allo sbocco della valle nella pia- nura, dopo Campolungo, osservò gli strati abbassarsi e scendere verso la pianura, così che a Campese si vedono presso il letto del fiume gli strati di scaglia rossa, e poi quelli di calcare nummulitico , fino a poca distanza da Bassano; e presso questa città osservò degli strati di sabbie giallognole e poi di banchi di ciottoli, leggermente inclinati , in cui furono trovate delle ostriche, e che spettano al miocene o al pliocene. 24 370 G. OMBONI, Nel terzo giorno la Sezione di geologia visitò i dintorni di Possa- gno ed Asolo. Vide nelle colline di Romano delle marne azzurro- gnole fossilifere, delle sabbie gialle, delle arenarie, ed altre sabbie, in istrati inclinati verso il nord e rialzati verso la pianura; a Cre-. spano dei banchi inclinati di marne scure, che discendono sotto al nummulitico e dei banchi orizzontali; a Possagno degli strati di scaglia bianca, rossa e grigia, inclinati verso la pianura; nelle col line fra Possagno e Asolo degli strati di marne azzurrognole con fos- | sili del terziario inferiore, poi del calcare nummulitico , poi dei cal- cari con echini, scutelle, ee.} poi, verso Castelcucco, un calcare | grossolano concrezionato , di cui sono formate le colonne del tempio di Possagno; e nelle colline d’ Asolo le solite marne subapermine con È molti fossili caratteristici, le solite sabbie gialle con dei conglome- rati e dei banchi di ciottoli, in istrati inclinati verso mezzogiorno. Ora passiamo ai libri in cui sono descritte più minutamente tutte le rocce dei Sette Comuni, del Bellunese, ec. , ed in cui si discute | la loro classificazione ; e cominciamo col Saggio di zoologia. fossile del Catullo e col suo Zstratto ragionato fatto dal Pasini. | Come la roccia fossilifera più antica è descritta da Catullo un’are- naria rossa, che è da lui delta arenaria rossa antica e paragonata al Rothe-todte-liegende dei Tedeschi. Vedemmo già che questa roccia | esiste nel Vicentino; essa si vede anche nella Carnia e nel Bellunese, in Val Sugana (a Strigno); manca nelle montagne all’ovest di Feltre, | nel Bassanese e nei Sette Comuni, dove la roccia più antica è del | terreno giurese. Contiene impressioni di conchiglie, avanzi di vege- tali che sembrano calamiti, e tracce di carbon fossile (nel Vicen- tino). Deve ora mettersi, come quella del Vicentino, nella parte infe- riore del terreno triasico. Sopra l’arenaria rossa antica mette Catullo una calcarea alpina (zechstein), che dice molto sviluppata nelle Alpi Venete. Ma se- condo il Pasini il vero zechstein (il quale poi, come si è già veduto prima, deve esser collocato nella parte inferiore del trias , insieme coll’arenaria precedente e coll’ arenaria immediatamente sottoposta al muschelkalk) è ristretto, fra I’ arenaria rossa antica e l’arenaria variegata, nel solo Vicentino; e Catullo ha preso per zechkstein il gruppo di calcari giuresi, che forma la gran massa delle Alpi Venete. SULLA GEOLOGIA DEL VENETO I74 Alle Listolare nell’Agordino l’arenaria rossa contiene dei filoni ver- ticali di una roccia verde, detta pietra verde, che è una roccia ignea, probabilmente una diorite. Una vera arenaria variegata non si vede secondo Pasini che nel Vicentino e nell’ Alto Bellunese (a Falcade, a Pieve di Canale, a Cemenighe sul Cordevole, ec.); e il Catullo ha preso per arenaria variegata la scaglia delle montagne meridionali del Bellunese, di Feltre e di Arsiè, che sta sopra le calcaree giuresi prese da Catullo per zechsteîn, e contiene fossili della vera scaglia. Il vero muschelkalk si vede nel Vicentino e nell’ Alto Bellunese , insieme coll’arenaria variegata, quantunque Catullo lo dica mancante nel Bellunese. L’arenaria quadrata (quadersandstein) di Catullo, ossia il Keuper, accompagna il muschelkalk nel Vicentino e nell'alto Bellunese. La gran massa delle Alpi del bacino del Piave e del Friuli è for- mata dal terreno giurese, generalmente composto di rocce calcaree, cioè della calcarea del giura e della calcarea alpina di Catullo. Però sotto queste, nel Monte Pelmo e nel Monte Antelao si vedono alcune rocce del trias, Catullo osserva che le dolomie giuresi contengono magresia naturalmente e non per azione di rocce pirosseniche. Alla parte superiore dei calcari giuresi stanno dei calcari rossi con selci, che portano le rocce del terreno cretaceo. | dintorni d’ Alpago sono di queste rocce. Una frana del Monte Sochero ha chiuso l’antico alveo del Piave, e costretto questo fiume a passare per la valle di Belluno e unirsi al Cordevole, lasciando nel suo antico letto il lago di Santa Croce e gli altri laghi Lapisini. Le stesse rocce giuresi, coperte da rocce cretacee, si ritrovano nel Feltrino e nei Sette Co- muni. Le sferuliti e ippuriti del terreno cretaceo dei dintorni de lago di Santa Croce furono particolarmente descritte da Catullo in una memoria pubblicata nel 1835. Catullo credette per molto tempo che si trovassero insieme com- misti fossili giuresi e fossili cretacei nel gruppo di calcari rossi am- moniltiferi, che sta fra le rocce giuresi medie e la scaglia, e perciò sostenne la promiscuità dei fossili giuresi e cretacei , e classificò tutte le rocce con ammoniti nel terreno giurese. 372 G. OMBONI , © Sopra le rocce ammonitifere sta un’ argilla ‘uzzurra, che Catullo considera equivalente al grès verde e alla glauconia cretacea, e si vede nei Sette Comuni, nel Bellunese, nel Vicentino, ece. 11 bdiancone forma le parti superiori di molti monti della sinistra del Piave , del Feltrino, dei Sette Comuni. Catullo descrisse molte sue ammoniti come specie nuove, mettendole nel terreno cretaceo. Accompagna l’argilla azzurra o la scaglia, che fu presa da Catullo per arenaria variegata, e che forma gran parte dei monti sulla sini- stra del Piave. Nell'anno 1829 Murchison pubblicò degli spaccati per dimostrare come si succedano regolarmente le rocce nei monti di Possagno e Bassano. Alle rocce giuresi si appoggia in istratificazione coneordante la scaglia di San Rocco e Possagno; a questa le rocce terziarie an- tiche, nummulitifere , di Castelcucco ,. dei Capuccini, di Sarzon, di San Boro e di Sant’ Eusebio; ed a queste le terziarie più recenti, di Asolo e Bassano. E in una carta geologica delle Alpi orientali, pubblicata dallo stesso Murchison nel 1834, i terreni terziarj formano | una zona quasi continua lungo il piede delle Alpi; Ie rocce cretacee una zona nel Feltrino, sulla sinistra del Piave, e attraverso il Friuli; e le rocce giuresi il restante delle Alpi Venete, lasciando vedere nel fondo della Valle del Cordevole le rocce più antiche. Avendo Pasini criticato nel 1831 e nel 1833 gli spaccati pubblicati dal Murchison , avendo detto che gli strati cretacei e terziarj di Pos- sagno sono inclinati, e non concordanti cogli strati giuresi e quasi orizzontali, e avendo soggiunto che il Murchison deve aver prese per istratificazioni verticali dei calcari giuresi le loro spaccature perpendico- lari agli strati, il signor De Zigno si determinò a studiare in modo particolare quei luoghi, e conchiuse nel 1844, che le rocce terziarie di Asolo, Castelcucco, ece.., separate dai monti di Possagno per mezzo della valle Orcana, furono smossi dopo la loro formazione, e. che la scaglia è certamente concordante colle rocce più antiche e fu insieme ad esse sollevata. A questa opinione del De Zigno aderì anche Catullo in una Memoria stampata nel 1842; e la stessa opinione è espressa come la più probabile nella già esaminata relazione della gita geologica della Sezione di geologia del 1847 nei dintorni di Bassano. SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 375 Avendo poi il Pasini messo in dubbio l’ origine della pietra verde descritta da Catullo come una dolerite, ed avendo detto essere quella pietra ora un’arenaria ed ora una marna, Catullo ritornò nel 1842 a descrivere più esattamente la natura e la giacitura di quella roccia, di cui sostenne ancora l’ origine ignea. Ma pare che esistano real- mente delle arenarie e marne verdi nel Zoldiano, e dei filoni di dio- rite nell’ Agordino, e che dall’ aver confuso insieme quelle diverse rocce sia nata la differenza d’ opinione dei due geologi. Dall’ epoca della pubblicazione della zoologia fossile di Catullo fino al 14850 vi fu un continu@@disputare fra i geologi veneti sulla classi- ficazione dei calcari ammonitiferi, nel mentre che ciascuno in parti- colare attese a pubblicare nuovi dettagli sui singoli terreni o sulle singole località. Così, per esempio, ritornò Catullo a descrivere più volte i terreni triasici, giuresi e cretacei; — De Zigno distinse nel 1846 due calcari rossi, l’ uno (il vero calcare rosso ammonitifero) inferiore al biancone, con fossili giuresi, l’ altro (scaglia rossa) superiore al biancone, con fossili cretacei, e sostenne doversi separare il calcare rosso ammonitifero con fossili giuresi dal biancone con fossili neoco- miani , ripristinando la classificazione già proposta da Pasini fin dal 1832, e rifiutando affatto la pretesa promiscuità di ammoniti giuresi e cretacei nello stesso gruppo di strati; — nel 1840 il Pasini scrisse poche pagine sullo steascisto di Agordo, osservando che ve n’ è uno solo , sollevato insieme colle altre rocce, e non due come voleva il Marzari Pencati; — nel 1844 lo stesso Pasini parlò dell’opera di Fuchs sulle Alpi Venete (nella quale sono particolarmente descritti i din- torni di Agordo, con una carta geologica e molti spaccati), ma ne criticò alcune parti, relative al Keuper, al calcare ammonitico, alla scaglia, al porfido quarzifero , ecc.; — dal 1845 al 1847 parlò varie volte contro la promiscuità dei fossili cretacei e giuresi nel calcare rosso ammonitifero, e sostenne contro Sismonda ed altri la esistenza del vero trias nelle Alpi Italiane ; — nel 1850 Catullo si indusse a divi- dere i calcari ammonitiferi in due gruppi, cioè in calcari epioolitici inferiori (il vero calcare ammonitifero rosso) con fossili solamente giuresi, e in calcari epioolitici superiori, con fossili misti giuresi e meocomiani, ammettendo così ancora la promiscuità dei fossili per i 374 G. OMBONI, calcari superiori; — nello stesso anno 1850 De Zigno pubblicò un cenno generale sui terreni sedimentarj delle Alpi Venete con uno spaccato generale assai interessante e colle note dei fossili più caratteristici dei singoli terreni ; — nel 1882 lo stesso De Zigno distinse diversi piani nel terreno giurese del Veneto ; — dal 1853 al 1856 pubblicarono Hauer e Foetterle le loro osservazioni sui diversi terreni del Veneto; — De Zigno espose in diverse epoche le sue scoperte sui pesti e vegetali fossili del terreno giurese dei Sette Hg descrisse dei calcari che si cavano presso Bassano, ecc. ] piani distinti nel 1850 da De Zigno*Mmel terreno giurese delle Alpi Venete sono, dal basso all’ ‘alto, i seguenti: ° Scisti argillosi, bruni e verdognoli, con dei conglomerati gresiformi, con un calcare grigio-violaceo a vene spatiche, senza fossili ( Lias); 2.° Calcare cristallino, da Borgo di Val Sugana a Bassano, da Perarolo a Bassano, nella valle dell’ Astico e nei Sette Comuni, ecc. con pochi modelli di gasteropodi ( Dolomia di Pasini, Lias); 5.° Calcare oolitico e calcare grigio compatto con fossili nume- rosi, ma difficili ad estrarsi (Bajocien, Oolite inferiore, Giura Bruno); 4.° Calcare compatto, argilloso, cinereo, con uno strato marnoso grigio oscuro, con fossili vegetali al monte Spitz nei Sette Comuni, e presso Rotzo ; ritrovato anche a San Bartolomeo presso Selva di Pro- gno nel Veronese (Grande Oolite, Bathonien) ; 3.° Straterello di marna di color giallo utili con fugacissime impronte di bivalvi; 6.° Lumachella bianco-grigiastra, con Terebratula ornithoce- phala, ecc., ( Grande Oaglite); 7.° Marmo suberistallino, bianco , giallo e rosso , e poi calcare rosso ammonifero, con ammoniti, terebratule, ecc. (Callovien e Oxfordien). Nell’ Agordino, nel Zoldiano e nel Cadorino vide Feetterle (1886) il verrucano (che non pare essere la arenaria rossa antica di Catullo e Maraschini) sotto a tutte le rocce sedimentarie (da Perarolo a Forno di Zoldo, ad Agordo, ecc.); poi un calcare con Posidonomia Claroe ; poi degli scisti rossi con Iyacites fassaensis; poi un calcare nero con UE Tan n oca SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 375 fossili, rappresentante il Muschelkalk inferiore; poi degli scisti e la pietra verde (che serve d’ ottimo orizzonte), che terminano il frias ; poi delle dolomie e altre arenarie e rocce scistose, i calcari ( Dach- steinka!k) col Megalodus triqueter del M. Antelao, del M. Pelmo, ed altre roccie liasiche e»giuresi. AI sud di Capo di Ponte nel Bellunese vide cominciare il calcare rosso ammonitifero e sovr’ esso degli scisti marnosi con vegetali fossili e la scaglia del terreno cretaceo, fino ‘a Feltre ; e infine le rocce nummulitifere , e il miocene e. pliocene di Ceneda e Fregona, di Conegliano, ecc. | Finalmente negli Atti dell’ Istituto Veneto del 1887-58 si trova un Prospetto dei terreni sedimentarj del Veneto compilato dal ba- rone De Zigno ; in diverse memorie speciali dal 1856 fino ad ora, lo stesso autore ha descritto la flora fossile liasica di Rotzo e di altri luo- ghi del Veneto, da lui particolarmente studiata ; e il signor Gabriele de Mortillet, esplorando la valle del Brenta da Primolaro a Bassano e i dintorni di Serravalle, nelle più antiche rocce calcaree finora classifi- cate come giuresi ha trovato degli strati, i quali, per l’ aspetto e pei fossili che contengono, lo hanno indotto a considerarli come appar- tenenti al gruppo dell’/nfralias. Da tutto quanto ho detto finora sul Veneto si vede che anche per i Sette Comuni, il Feltrino, il Bellunese, l’Agordino, ece., nei libri e nelle memorie finora pubblicate non si possono raccogliere dati suf- ficienti per poterne costruire una buona carta geologica, quantunque se ne possano dire ben conosciuti tutti i terreni sedimentarj. FrivLi. — Passando ora al Friuli, troviamo che Pirona e Foelterle sono i geologi che hanno maggiormente lavorato per farne conoscere la struttura geologica. ‘Dopo che il nostro collega Pirona ebbe pubblicate alcune sue Lettere geologiche sul Friuli (4886), si conobbero i rapporti fatti dal Foet- terle all’ Istituto geologico di Vienna sulle ricerche da lui fatte nel Friuli e nelle altre parti del Veneto. ll Foetterle indica in quei rap- porti, al nord d’ una linea da Forni Avoltri a Tavolaro, il gruppo di Gaîilthal (terreno carbonifero) di scisti, calcari e arenarie; al sud” di quella linea, fino ai Forni di sotto, ad Ampezzo ed a Tolmezzo, il 376 G. OMBONI , trias, formato da caleari, scisti e arenarie, in cui Foetterle trovò gli equivalenti dei gruppi di Raibel, di Hallstatt, di Werfen e di Gut- tenstein ; poi il terreno giurese, formato da una serie di calcari infe- riori (Dachsteinkalk), di Pradielis, Gemona, Peonis, Tramonti, Claut, ecc., da un calcare bituminoso e oolitico, e dal calcare rosso ammo- nitico ; poi il terreno cretaceo, di calcare ippuritico, da Peonis e Cor- nino «fin verso Serravalle; poi l’ eocene, di marne, arenarie con nummuliti, calcari grossolani, ece., in una zona che comincia molto larga al confine orientale, e si ristringe passando per Gemona, Cornino, Maniago e Ariano, sin verso Ceneda; poi il miocene, di scisti marnosi fossiliferi, conglomerati e arenarie, a Cornino, Travesio, _ Spilimbergo , San Daniele, ecc.; e finalmente il pliocene, di sabbia e argille, con ligniti, delle colline di Trigesimo, San Daniele, ecc. Più recentemente (1864) il Pirona, che ha guidato il Foetterle nelle gite geologiche fatte nel Friuli, ha pubblicato dei. Cerini geo- gnostici sul Friuli, accompagnati da uno schizzo di carta geologica di quella interessantisima regione. ; Da questo lavoro del Pirona si vede che la parte più alta del Friuli è di terreno carbonifero (gruppo della valle del Gail), compo- | sto inferiormente di scisti diversi, inferiormente di calcari spesso marmorei, con fossili ben caratteristici. Questo terreno è al nord di Rigolato, Comeglians, Paluzza, Paularo e Ponteba. Sopra il terreno carbonifero sta il triasico, composto di arenarie va- riegate, di un calcare conchiglifero (spesso trasformato in dolomia, in dolomia cavernosa , ecc.), di marne variegate o keuperiane, e di certi calcari, che pei loro fossili devono essere considerati del gruppo di Hallstatt. Questo terreno occupa una zona fra il terreno carbonifero e una linea passante per Forni di Sotto, Tolmezzo, la base settentrio- nale del monte Sernio, Moggia, Dogna, ecc. In essa si trovano tre emersioni di una roccia cristallina, verde e porfirica, la prima presso cima Sappada , la seconda fra Rigolalo e Comeglians, e la terza fra Paularo e Moggio. AI terreno triasico segue il terreno giurese, in cui il Pirona di- stingue una parte inferiore, calcare bianco o. d’ altro colore, con Megalodus triqueter, una parte media, calcare bigio-nerastro con SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 377 selci, ed una parte superiore, caleari oolitici, breccie o calcari diversi con ammoniti. La parte inferiore rappresenta probabilmente 1’ /n- fralias della Lombardia. La zona di questo terreno sta fra il terreno triasico e una linea che passa per Gorgazzo, Barcis, Andreis, Pofabro, Budi (al nord di Medon), il piede meridionale del monte Corno, Ospedaletto, Gemona e Caporetto (sull Isonzo). A questa zona giurese segue una zona interrotta di terreno cretaceo, che si vede fra Aviano, Barcis e Maniago, fra Medun e Clausetto, fra Clausetto e il Tagliamento, nei monti fra il bacino della Torre e quello dell’ Isonzo, al sud di Gradisca, e nel colle isolato di Medea presso Gradisca; ed è accompagnato da marne di varj colori, che devono appartenere al solito gruppo della scaglia. Il terreno eocenico è formato ora di arenarie con diversi fossili ma con rarissime ammoniti, ed ora di marne con abbondanti nummu- liti, e si vede fra Barcis, Cavasso e Medun, intorno a Clausetto, e da Gemona fino a Gorizia, e in un monte isolato presso Gradisca. Eerte colline sulle rive del Tagliamento, fra San Daniele, Forgaria e Sequals, constano di sabbie arenarie, ghiaje, ecc., con molti fossili de terreni terziarj superiori all’eocene. E della stessa natura è una collina allungata che si innalza al sud di Udine, a Variano e Campoformido. Finalmente le colline fra San Daniele, Buja, Trigesimo e Fagagna furono dimostrate dal Pirona (1860) appartenenti al terreno erratico glaciale, essendo morene d’ antichi ghiacciaj della vallata del Ta- gliamento. Corri Euganei. — I terreni vulcanici, cretacei ed eocenici dei Colli Euganei, contenenti trachiti, euriti, pumiti, tufi, domiti, perliti, ba- salti, scaglia con fossili cretacei, arenarie e brecciole vulcaniche con nummuliti , ecc., furono già descritti da Da Rio fin dal 1856, nella Orittologia Euganea. Secondo il Da Rio vi sono negli Euganei due centri, nei monti Venda e Cero. L’ aspetto loro è svariatissimo, con boschi d’abeti, campi, boschetti, ecc. Una delle rocce principali è la trachite ( vol garmente detta masegna), di color bigio per lo più, con cristallini di felspato, mica e amfibola, fusibile in ismalto bianco al cannello, ece. 378 G. OMBONI 4 È in prismi a Lonzina, Monterosso e Sasso San Biagio ; globulare e a strati concentrici al M. della Zucca. Il Marzari Pencati diceva la tra- chite spesso sovrapposta al calcare, e il Da ‘Rio la riteneva dapprima inferiore e quindi più antica del calcare. AI M. Rovolone, ad Arquà, al M. Ventolone, ecc. si vede sotto la scaglia che è scavata per far calce. In qualche luogo però si vede sopra certa marna bigia, spesso alterata in argillolite. La trachite è spesso porfirica e luciccante, ed è quarzifera e porfirica al Colle di San Daniele presso le sorgenti d’Abano. Diventa poi spesso compatta e scistosa, passando all’ eurite, oppure granellosa e terrosa, passando alla punite, al tufo, alla domite. Con essa è collegata una specie di perlite d’ ordinario bianco grigio verdastra, con lucentezza madreperlacea, che al cannello si gonfia e si fonde in vetro bolloso, ecc. E v’ ha un porfido petrosiliceo (porfido euritico), di difficile fusione, alla base della trachite, e spesso pas- sante alla trachite stessa e alla perlite. V'è un secondo gruppo di rocce vulcaniche, comprendente il ba- salte e la vacchia. 1 loro monti sono meno elevati di quelli di wra- chite. A Teolo si vedono queste rocce sotto'la scaglia. Crede il Da Rio che una corrente basaltica abbia formato i monti Croce e di Ca- tajo; e che queste rocce basaltiche siano posteriori alla trachite. Su queste rocce vulcaniche, trachitiche e basaltiche si appoggiano le rocce calcaree del terreno cretacec, spesso trasformato in marmi di varj colori, e con nuclei di selce piromaco. Vi sono infine degli strati nummulitiferi (di arenarie e brecciole ‘0 tufi vulcanici), che a Teolo si vedono sovrapposti alle calcaree cre- tacee; e vi.sono le solite alluvioni antiche, di argille, sabbie, ecc., le torbe fra Battaglia e Monselice, e dei calcari d’acqua dolce sui monti- celli da cui sorgono le acque termali di Abano, di S. Elena, di Bat- taglia, ecc. Il Pasini, rendendo conto dell’ Orittologia euganea del Da ‘Rio negli Annali delle scienze del Regno lombardo-veneto (1836), volle correggerne alcune inesattezze, affermando che la trachite forma veri filoni nella scaglia e nella sua marna (particolarmente alla Schiva- noja); che il terreno terziario è così esteso negli Euganéi come nei Colli Berici, constando di argille, marne, tufi e calcare nummulitico; SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 379 che le rocce basalliche sono tutte o almeno in parte più antiche delle trachitiche ; che la trachite ha smosso in più luoghi la scaglia; che la carta geologica dei monti Euganei del Da Rio non è abbastanza perfelta, ecc. Alcuni particolari furono pubblicati in appresso da Catullo (18536), che descrisse Ie acque termali, i fanghi, gli animali viventi nelle acque, ece.; e da De Zigno che si unì a Pasini per affermare l’ esi- stenza dei terreni terziarj (1842), trovò dei crioceri a Vignola nel calcare bianco, e ne dedusse 1’ età crelacea per questo calcare (1848), e descrisse poi (1846) più particolarmente le rocce di Vignola, e un certo marmo di Fontana fredda con belemniti e con ammoniti giuresi, Durante il Congresso scientifico italiano di Padova (1842) la Se- zione di geologia fece una gita ai Colli Euganei. Lungo la strada da Padova a Villa ebbe a rimarcare da lungi le masse trachitiche del M. Rosso e di M. Merlo, con forma colonnare. A Villa esaminò la scaglia; da Villa a Pianezze ancora la scaglia, di color rosso ; da Pia- nezze a Teolo la scaglia biancastra, poi un filone di trachite coi lati sfogliati, e la scaglia calcinata al contatto del filone; a monte Oliveto, sopra Ja scaglia, le marne terziarie e le peperiti, e del basalte che si altera e rompe in palle; al luogo detto Salto della Gocciola un filone verticale di trachite a guisa di muraglia ; al monte delle Forche un’ altra scogliera trachitica ; al molino della Schivanoja un filone di trachite con alterazione delle marne terziarie in marmo cinereo-grigio. Cocui Berici. — Anche i Colli Berici (che si estendono a mezzogiorno di Vicenza, e sono separati dalle ultime ramificazioni delle Alpi per mezzo della stretta pianura percorsa dalla strada postale da Verona a Vicenza ) presentano delle rocce vulcaniche e sedimentarie insieme collegate. Catullo ha descritto nel 1845, in una lettera al conte Salina, i dintorni di Lonigo, dove si vedono sedimenti miocenici e pliocenici con echini, pettini, pinne, balani ed altre specie recenti. Nel 1847 la Sezione di geologia del Congresso scientifico italiano riunito a Venezia ha fatto una escursione a questi colli. Da Vicenza è salita al Santuario di monte Berico, vedendo a metà della salita una roccia decomposta (basalte) con piccole cavità spesso piene di sostanza 380 G., OMBONI + calcarea; e poi un calcare grossolano con nummuliti in gran numero, Dal Santuario fino al luogo detto i Margaritoni vidde sempre le rocce nummulitiche e con echini terziarj, spesso attraversate dal basalte, ora duro ed ora decomposto, ma senza che il basalte avesse meno mamente alterato le rocce nummulitiche. Dai Margaritoni andò verso Arcignano , osservando lungo la strada, sotto la calcarea grossolana nummulitifera, un’altra calcarea più compatta, e con punte d’ echini, ma ancora con nummuliti. Fermatosi a riposare alla Villa Pasini, ritornò poi a Vicenza per altra via, vedendo dei banchi di peperite uniti a quelli nummulitici; e conchiuse che le ejezioni basaltiche devono es- sere state contemporanee o di poco posteriori al deposito del terreno nummulitifero. La scaglia, così abbondante nei monti Euganei, forma nei monti Berici soltanto una stretta zona verso sud-est; e il resto dei Berici è tutto composto delle rocce vedute nella gita della Sezione geologica. Caverne 8 TERRENI SUPERFICIALI. — Delle caverne del Veronese e del Vicentino e del Bellunese si occupò più volte Catullo ,, e le descrisse tutte in un’ opera speciale pubblicata nel 1844. Lo stesso Catullo e Massalongo descrissero gli ossami di orso che vi si trovano. Anche i terreni più recenti furono descritti da Catullo in diverse opere, ma particolarmente in una pubblicata nel 1858.Ìn un’ altra:0- pera, del 1839, raccolse molti particolari sulle argille utili; in. una terza opera, del 1840, trattò dei massî erratici in particolare, e si mostrò favorevole alla teoria della loro dispersione per opera delle forze vulcaniche messe in azione durante il sollevamento delle Alpi; e in una quarta opera , del 1846, si oppose alla teoria, secondo la quale molte rocce sono state levigate da ghiacciaj, e sostenne non; essere levigate e solcate le rocce se non dalle acque correnti e dal muoversi delle due pareti delle fessure aperte nelle rocce. l recenti. lavori di Pirona e Mortillet dimostrano quanto abbia torto. Catullo, nella quistione del trasporto dei massi erratici, provando che questi anche nel Veneto fanno parte delle morene formate e abbandonate da, antichi ghiacciaj. Le principali morene antiche del Veneto sono quelle. descritte dal Pirona, che formano le colline fra San Daniele Trigesimo e allo sbocco della valle del Tagliamento nella pianura di Udine. SULLA GEOLOGIA DEL VENETO dal Le trivellazioni praticate a Venezia per fare dei pozzi artesiani, e descritte da Challaye e Degousée, dimostrano 1’ origine alluvionale del suolo su cui è Venezia. Dopo i tentativi fatti dal 1826 al 1836 senza poter riescire a fare dei buoni pozzi artesiani, dopo le trat- tative fatte inutilmente dal 1838 al 1844 per Ja costruzione di acque- dotti per condurre in Venezia le acque della terra ferma, il signor Degousée si propose di fare nuovi tentativi di pozzi artesiani. Si co- minciò nel 1846, e nel 1850 si avevano già dieci sorgenti, che da- vano 1800 metri cubi al giorno. Si attraversarono strati di argilla , di lignite con pezzi di legno, ecc. I pozzi sono a Ca di Dio, S. Francesco, S. Maria Formosa , SS. Apostoli, Giudecca, S. Stefano, S. Polo, S. Leonardo, S. Margherita, Sabbioni. Il pozzo più profondo è di circa 150 metri. L’ acqua non si adopera per far cuocere ali- menti, nè per bevere, ma si usa in alcuni opificj, contenendo circa 5,0 di calcare, 20 di carb. magnesico , 7 a 48 di carb. di soda, 2 a 8 di ossido di ferro, 2 o meno di cloruro potassico, 1 a 6 di silice, 7 ad 8 di materia azotata. Alcuni particolari interessanti sugli stessi pozzi artesiani si trovano anche nei rapporti fatti da Pasini nell’ Istituto Veneto negli anni 1846 e 1847. Da questi rapporti e da una nota del signor Nardo si rileva che nel pozzo di S. Maria Formosa, dalla profondità di 86 metri a quella di 104 metri, si trovarono molte conchiglie, alcune intiere, altre ridotte in frammenti, esattamente eguali a quelle tuttora viventi nelle lagune venete e lungo le spiagge dell’Adriatico. Finalmente le ricerche di Nardo provarono come si formi anche attualmente nelle lagune venete quella particolare specie di conglo- merato che è detto caranto, sotto l’ influenza degli oggetti di ferro caduti sul fondo della laguna. RIEPILOGO DEI TERRENI SEDIMENTARI. — l terreni sedimentarj del Veneto, quali risultano da tutti i lavori passati rivista in questo Cenno biblio- grafico, dal Prospetto dei terreni sedimentarj del Veneto del De Zi- gno (1857-58), e da una Memoria di Mortillet in cui si confrontano i terreni del versante italiano delle Alpi con quelli del versante fran- cese (1862), e cominciando dal più antico, che si appoggia sugli scisti cristallini, sono i seguenti : 382 G. OMBONI , 1.° Carbonifero, ben determinato da Foetterle e Pirona, diviso in due parti. L’inferiore è di scisti argillosi, spesso micacei, neri o nerastri, rossastri, violacei, ecc., con resti di vegetali, diverse con- chiglie fossili caratteristiche, diversi polipaj, ecc. ( Spirifer mosquen- sis, Fisch., Retzia radialis, Phill., Orthis eximia , Eichw., Produc- tus semireticulatus, Mart., Spirifer striatus, Mart., Fenestrella, Al veolites, Favosites, Cyathophyllum, ecc.). La parte superiore è di calcari con vene spatiche , concordanti cogli scisti, e con crinoidi, Produetus, Ortoceratiti. Corrisponde questo terreno agli scisti neri talcosi delle più. ele- vate. valli lombarde, al terreno carbonifero della Savoja, della To- scana, ecc. 2.° Trias. Inferiormente diverse arenarie variegate, con marne e argille rosse, con un calcare particolare e del gesso nel Vicentino e nel Bellunese. Comprende il Buntersandstein, lo Zechstein e V’are- naria rossa più antica del Maraschini. Fossili: Myacites fassensis, Po- sidonomya Lomelli, Pos. Clare, Naticella costata Munst, Ammo- nites (Ceratites) Cassianus Quenstedt, Wolizia, ecc. Corrisponde a certe arenarie rosse di Lombardia. Parte mediana, calcare conchiglifero, vero muschelkalk, con Tere- bratula vulgaris, Pos. Lomelli, Avicula socialis, Encrinites liliifor- mis, Spirifer fragilis, Lima striata, ecc. Corrisponde al gruppo di Varenna e Perledo e alla dolomia inferiore di Lombardia. Parte superiore, Keuper, marne di varj colori, talvolta bituminose, con carbon fossile (Raveo), con Myophoria Kefersteini, M. elongata, ecc. Sul Aeuper v'è nel Friuli un calcare grigio-bianco , compatto, tenace, ecc., con Ammonites don, Am. Johannis Austria, ecc. Corrisponde il Keuper al gruppo di Gorno e Dossena di Lombardia, e il calcare al gruppo d’ Esino di Lombardia. 5.° Infralias. Il lias dei geologi veneti, che fu veduto coi fossili caratteristici dell’ Znfralias presso Serravalle e nella valle del Brenta presso Primolano dal signor Mortillet. Corrisponde al gruppo dell'Az- zarola e alla Dolomia superiore di Lombardia. 4.° Lias. Il bajociano (od oolite inferiore) di De Zigno. Calcari oolitici bianchi, rossi e grigi, calcari cinerei e biondi, compatti, con SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 985 modelli di nerinee, terebratule, ecc. E diversi altri calcari. Un am- monite che fu trovato nel Veronese da Massalongo, e che fu. classifi- cato come A. Humphresianus, sembra a Mortillet una specie liasica simile a quelle di Pilzone sul Jago d’ Iseo. Corrisponde al gruppo di Saltrio e al calcare rosso ammonitico di Lombardia. 5.° Giura. Il gruppo che contiene la /lora fossile di Rotzo de- scritta da De Zigno. Molte otozamiti e zamiti, abbondanti conifere, ecc. Pecopteris propinqua Lind., P. polypodioides Lind., Sagenopteris Phillipsii Presl., ed altre dell’Oolite inglese, e molte specie nuove, Sopra questo gruppo di strati stanno dei calcari di var] colori, i calcari rossi ammonitici, i marmi di Verona, di Torri, di Cesuna, di Longaro- na, ecc. Gli ammoniti sono tutti dell’epoca osfordiana. (Amm. plicatilis, oculatus, zignodianus, tortisulcatus, viator, anceps, tatricus , athle- ta, ecc.) Esono accompagnati dall’ Aptychus latus e dall’ Ap. lamellosus. Il Giura veneto corrisponde al calcare ad aptichi ed alla parte inferiore della majolica di Lombardia. 6.° Neocomiano. Biancone e calcari collegati con esso ; conten- gono Belemnites latus, B. bipartitus, Amm. subfimbriatus, Am. Astierianus, ece., Crioceras Duvalii ed Emerici, Aptychus Didayi e angulicostatus, ecc. Corrisponde alla parte superiore della mayolica di Lombardia. 7.° Cretaceo. Inferiormente calcari affini al biancone, con Am- monites Mayorianus, mamillatus, inflatus (?) e latidorsatus. Poi di- versi calcari con ippuriti, acteonelle ed attri fossili della creta cloritica - della Francia. Poi il gruppo della scaglia, con Ananchites ovata e tuberculata, catilli, ecc. Corrispondono rispettivamente alla puddinga con ippuriti di Sirone e ai calcari a catilli della Brianza in Lombardia, 8.° Focenico. Calcari diversi, fra i quali predomina il calcare grossolano con nummuliti, accompagnato, in alcune parti del Veneto delle brecciole vulcaniche, dagli strati con pesci fossili, ecc. Corri- sponde alle rocce nummulitifere di Lombardia. 9.° Neogenico (Miocenico e Pliocenico). Marne con ittioliti e piante fossili, arenarie con spatanghi, clipeastri, ecc., ligniti, sabbie, puddinghe incoerenti, arenarie, ecc., con ostriche, pettini, ecc. Cor- risponde a diverse arenarie, a diversi conglomerati ed alle argille vlioceniche di Varese in Lombardia. 384 G. OMBONI, 10. Quaternario. Conglomerati , argille con ossa di mammiferi, sabbie, argille e ghiaje del di/uvium, ecc., e le morene di Friuli, in- dicate da De Zigno come dune presso le colline subalpine; e. final- mente i depositi attuali, alluvioni, torbiere, ecc. Conccusione. — La conclusione di questo mio scritto è che moltis- simo fu fatto, specialmente dai geologi Veneti, per mettere in chiaro la struttura geologica delle Alpi Venete ; che si conoscono i terreni se- dimentarj di quelle Alpi così bene. come quelli delle Alpi Lombarde, della Liguria, della Toscana, ecc.; che quei terreni corrispondono com- pletamente a quelli delle Alpi Lombarde ; che è tuttavia desiderata una carta geologica di tutte le Alpi Venete, anche su una scala non molto grande, e senza i più minuti particolari, tanto da potersi con- frontare con quelle che si hanno per le Alpi Lombarde, per le Alpi Piemontesi, per la Savoja, ecc. ; e che devonsi fare nelle Alpi Venete nuove ricerche per riconoscere l’ estensione dell’ Infralias, e per iscoprire nei terreni più recenti qualche traccia delle antiche abita- zioni lacustri e degli oggetti della più antica industria umana. Or sono pochi giorni mi fu detto che il barone De Zigno stia per pubblicare presto una carta geologica del Z'eneto. Egli può essere ben certo che sarà accolta con molta contentezza da tutti quelli che si occupano di geologia, e particolarmente della geologia italiana; così come sarebbe accolta una simile carta che venisse pubblicata dal Pasini. Finirò rammentando il desiderio che ho espresso più sopra, di ve- der pubblicata una carta geologica del Veronese del Massalongo, che fu veduta almeno da me, da Mortillet e da Pictet, e che dovrebbe trovarsi insieme cogli altri manoscritti lasciati da quel distintissimo geologo. Milano; 17 luglio 4863. G. Ouponi. NOTA DEI PIÙ IMPORTANTI LAVORI PUBBLICATI FINO AD ORA SULLA GEOLOGIA DEL VENETU. Agassiz. — Revisione critica dei pesci fossili rappresentati nella Ittiologia veronese del Volta. (Leonard und Bronn, Jabrbuch, 1835, pag. 290.) Anpuno. — Delle miniere d’allume, ecc. — Denti di coccodrillo della Favorita. — Su alcune ossidiane, ecc. — Sugli antichi vulcani del Vicentino. — Ed altre memorie pubblicate, come queste, nel Giornale d’ Italia prima del 1800. Atti dei Congressi Scientifici italiani. Bevitacqua - Lazise. — Dei combustibili fossili del Veronese, Vi- centino e Tirolo. Verona, 1816. Brocnuart. — Mémoire sur les terrains de sédiment supérieur cal- caréo-trappéens du Vicentin, ece. Paris, 1823. — Descrizione delle diverse località principali di Val Nera, Val Roncà, Montecchio Mag- giore, Monte Viale, Monte Bolca, dei loro strati e dei fossili, con delle considerazioni sulla formazione dei terreni descritti, Bronn. — Italien’s Tertiirgebilde und deren organische Einschliisse. Heidelberg, 1832. Caru.Lo. — Memoria sull’arenaria grigia, e Memoria sull’arenaria verde del Bellunese. Nel vol. XXXV del Giornale scientiflco-letterario di Padova. 1833. — L’Autore descrive quelle due arenarie come 25 386 G. OMBONI, rocce di sedimento superiore, benchè altri avessero già messa la arenaria verde nel basalte e nel griinstein. (Broechi, Mem. sulla valle di Fassa. Milano, 1810.) CarurLo — Sopra le rovine ch’ ebbero luogo nel Comune di Borca ne! Cadorino, ecc. Belluno, 1814. — Rovine prodotte dallo sfascia- mento del monte Antelao. — Vedasi anche la Memoria sui terreni . alluvionali del Veneto (1844). petto. — Sulla necessità di promuovere lo scavo delle miniere nella provincia Bellunese, ecc. Belluno, 1848. petto. — Memoria sopra l arenaria verde del Bellunese. Seconda edizione. Verona, 1816, con riprodotta la narrazione delle rovine di Borca nel Cadorino. pero. — Sull’origine dei ciottoli postdiluviani. Padova, 1817. Nel Giornale dell’Italiana letteratura. — Descrizione dei depositi ciot- tolosi del Piave, da Visdende al mare. pETTO. — Osservazioni intorno i monti che circoscrivono il distretto di Belluno. Verona, 1818. petto. -— Memorie sopra i corpi organici fossili del Bolca, ecc. Nel Giornale scientifico di Pavia, 1818-1822. perro. — Memoria mineralogico-chimica sull’ acqua marziale .di Civillina nel Vicentino. Verona, 1819. petto. — Memoria epistolare sopra alcune specie minerali osser- vate nella comune d’ Agordo, e nei paesi adjacenti. Giornale di Pa- via, 1819. — Discorre specialmente del solfato di soda. perto. — Memoria metallurgica sulle miniere d’Agordo, Giornale di Pavia, 1820-1821. — Parla pure della genesi dei calcari primi- tivi, mostrandosi favorevole a Breislack e contrario a Pini. petto. — Memoria epistolare sopra i giacinti che si trovano sparsi nelle campagne di Lonato nel Vicentino. Giornale di Pavia, 1822. — I giacinti si trovano nel così detto Campo dell'Oro, ed anche nel conglomerato della valle della Laverda presso Marostica, insieme con ciottoletti di calcare nummulitico e di basalte. perto. — Lettera a Brugnatelli sugli encrini fossili dei monti ter- ziarj del Veneto. Giornale di Pavia, 1823. DETTO. -— Osservazioni colle quali si dimostra non potersi confon- SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 387 dere colle sabbie verdi la glauconia del Bellunese. Giornale di Pa- via, 1824. — La glauconia del Bellunese contiene glistessi fossili che il calcare grossolano del Veronese, e quindi è terziaria e non cretacca. Carutto. — Lettera a Brugnatelli sulle ossa di Orso spaleo delle spelonche del Veronese. Giornale di Pavia, 1825. perto. — Nota sul sale amaro in fioritura sui grès terziarj del Bel- lunese. Belluno, 1828. petto. — Lettera a Brugnatelli sopra le conchiglie e filliti di Monte Postale, come pure sopra una foresta fossile scoperta a Roana nei Sette Comuni. Giornale di Pavia, 1826 e 1827. — Le radici della foresta fossile sono annerite e quasi trasformate in lignite e contengono granellini di ambra. DETTO. — Saggio di Zoologia fossile delle provincie venete. Pa- dova, 1827. — È una delle principali opere di Catullo, contiene la descrizione delle Alpi venete e di molti fossili; e in essa l'Autore ammelte la promiscuità di fossili giuresi e cretacei, riuniti insieme nel gruppo del calcare rosso ammonitifero. petto. — Lettera a Boué sopra la pietra verde che vedesi inclusa sotto forma di dicchia nei terreni di sedimento inferiore dell’Agordino e del Zoldiano. Giornale delle provincie venete, 1828. perro. — Osservazioni sopra le peperiti delle province austro-ve- nete, ecc. Giornale dell’ Italiana letteratura. Padova, 1828. — Cita e descrive i fossili e i granelli d’olivina delle peperiti. perro. — Memoria epistolare sopra i petrefatti dei monti Euganei. Giornale delle scienze e lettere delle provincie venete, 1829. — Dei polipaj, delle belemniti , delle nummuliti, ecc. perto. — Sopra alcuni terreni del Veneto, adeguabili alla forma- zione di sedimento inferiore e sopra varj fossili trovati nel terreno di sedimento medio. — Annali di storia naturale di Bologna, 1829. — Tratta delio studio mineralogico delle rocce, e di alcune belemniti della creta. perro. — Brani di lettera a Monsignor Ranzani, ecc. Treviso, 1829. Cita delle laminelle d’oro trovate nei ciottoli di porfido quarzifero nelle campagne del Veronese e del Vicentino. 388 6. OMBONI, CatuLo. — Memoria geognostico-zoologica sopra alcune conchiglie | fossili di calcare jurese che si eleva all’ est del lago di S. Croce nel | Bellunese. — Saggi dell’ Accademia di Padova, 1833. — I fossili | sono rudisti; e il calcare è quello che ora si mette nel terreno, neocomiano. perto. — Osservazioni sopra i terreni postdiluviani delle province austro-venete. Padova, 1854. pero. — Sopra le acque termali del territorio padovano. Padova, 4836. — Cita le opere anteriori, descrive le singole acque, i fan- ghi, ecc. perro. — Memoria geognostica sopra le puddinghe alluviali e sopra il terreno di trasporto delle provincie venete. Biblioteca italiana, 1857, perro. — Trattato sopra la costituzione geognostico-fisica dei fer-. reni alluviali o postdiluviali delle provincie venete. Padova, 1858. — Riassume le preeedenti pubblicazioni sui terreni alluviali del veneto. verro. — Memoria geognostico-geologica sopra è sollevamenti delle Alpi venete. Biblioteca italiana, 1858. perro. — Sulle argille delle Alpi Venete, servienti alle arti. Pa-. dova, 1837-40. Nel Dizionario di conversazione. verro. — Dei massi erratici, che si veggono sui monti e nelle: valli adjacenti dello Stato veneto. Atti dell'Istituto Veneto, 1840. verro. — Sulle caverne di Custoza nel Vicentino. N. Annali di Bo- logna, 1841 — Caverne artificiali con correnti d’aria. perro, — Nota intorno agli Echinidi fossili della creta e della, «calcaria nummulitica delle provincie venete. Ann. di Bologna, 1844. perro. —- Memorie sulla caverna di Cerè nel veronese. Padova, 4844. Stampato nel 1842. t . verro. — Osservazioni geognostico-zoologiche sopra due scritti pub- blicati nel tomo III° delle Memorie della Società geologica di Pa- rigi, ece. Padova, 1841. — Tratta dei terreni terziarj della Crimea, e del Veneto, delle teredratule del veneto , del /Vautilus Bonellii, ecc.) verro. — Memoria epistolare sopra un nuovo filone doleritico sco- perto presso le acque acidule di Recoaro. N. Ann. di Bologna, 1844, verro. — Memoria intorno le ossa e i denti fossili di mammiferi SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 389 di specie incerte trovati nelle torbe postdiluviane dell’ Agro padpta no. Venezia, Atti dell’ Istituto Veneto , 1842. CarurLo. — Nota sopra alcuni fatti attinenti alla geognosia delle Alpi venete. Giornale dell’ Istituto Lombardo, 1842. petto. — Reclami ed osservazioni concernenti la geognosia delle Alpi venete, 1842. perro. — Catalogo delle specie organiche fossili raccolte nelle Alpi Venete, ecc. 1842. perro. — Memoria epistolare sulla calcaria neocomiana delle Alpi Venete. Padova, 1843. — Parla dei rudisti del calcare neocomiano. verro. — Sulle caverne delle Provincie Venete. Venezia, 1844. petto. — Trattato dei terreni alluviali, ecc. Seconda edizione. Padova, 1844. petto. — Lettera al signor conte Salina. N. Annali di Bologna 1844. — Sull’arenaria grigia di Belluno, sul calcare di Serravalle, sulle marne subapennine, sui colli Berici, ecc. perro. — Sul calcare rosso ammonitico nel terreno giurese. Bull. de la Soc. géol. de France, 17 giugno 1844. DETTO. — Sopra alcune quistioni risguardanti il ferreno crefaceo delle Alpi Venete. Lettera di Pilla e risposta di Catullo. Cimento, 1845. N. Annali di Bologna, 1845. — Sul calcare ammonifero, sal macigno, sulla promiscuità dei fossili, ecc. perro. — Lettre à M. D’Archiac. N. Annali di Bologna, 1845. — Saul calcare rosso ammonitifero, tutto nel terreno giurese. petto. — Remarques extraites de l’ouvrag ge inédit sur la géognosie paleozoique des Alpes venetiennes, etc. N. Annali di Bologna, 1846. perro. — Osservazioni sopra le rocce levigate delle Alpi Venete. Atti dell’ Istituto Veneto, 1846. pento. — Osservazioni gegnostico-paleozoiche sopra il Aeuper delle ipi Venete. N. Annali delle scienze naturali di Bologna, 1846. perto. — Cenni sopra il sistema cretaceo delle Alpi Venete e de- serizione di alcuni cefalopodi della calcaria rossa ammonitica e del biancone. Venezia, 1846. perro. — Sulle cause delle striature delle rocce. Bull. de la Soc. géol, de France, 20 aprile 1846. 590 G. OMBONI, CatuLLo. — Osservazioni sopra uno scritto intorno alla non pro- miscuità, ecc. Padova, 1847. perro. — Cenni sopra il terreno di sedimento superiore delle pro- vincie venete, e descrizione di alcune specie di polipaj fossili che | esso racchiude. Memorie dell’ Istituto veneto, 1847. perto. — Memoria geognostico-paleozoica sulle Alpi venete. (Pro-. dromo di geognosia palcozoica delle provincie venete.) Memorie della Società italiana di Modena, 1847. perrto. — Sulle osservazioni di Ewald sulle nummuliti. Atti del- | l’Istituto veneto, 1847. perto. — Appendice al catalogo degli ammoniti delle Alpi venete Padova, 1848. — Seconda appendice, ecc. Padova, 1848. verro. — Lettera a Bronn. N. Jabrbuch di Bronn, 1848. Sui fos- sili dei calcari ammonitici del Veneto, verro. — Memoria sopra le nummuliti delle Alpi venete. Annali di fisica del Zantedeschi. (1849-50) petto. + Del suo Prodromo di geognosia paleozoica delle Alpi venete. — Bull. Soc. geol. de France, 3 juin 1850. petto, — Lettera a Murchison. N. Annali delle scienze naturali di Bologna, 1851. — Sul calcare rosso ammonilico. petto. — Priorità delle osservazioni consegnate nella Zoologia fos- sile intorno al posto occupato dalla calcaria ammonitica rossa nella serie geologica dei terreni di sedimento. Atti dell’ Istituto veneto, 1852. N. Annali di Bologna, 1852. DETTO. — Intorno ad una nuova classificazione delle calcaree rosse ammonttiche delle Alpi venete. Memorie dell'Istituto veneto, 1833. perto. — Raddrizzamento da farsi all’ opera sulle filliti del /icen- tino di Abramo Massalongo. Lettera a Bronn. Padova, 1855. perro. — Collezione presentata all’ Istituto veneto, delle materie terrose ottènute colla perforazione artesiana praticata nel Campo di S. Maria Formosa in Venezia, ecc. Venezia, 1853. perro. — Sui crostacei fossili della calcarea grossolana del Vero- nese. Lettera a Naumann, Padova, 1854. petto. — Proemio all'Opera sopra i polipaj fossili delle Alpi ve- nete, 1855. i SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 594 CatuuLo. — Considerazioni intorno ad alcune memorie di geognosia paleozoica. Atti dell’ Istituto veneto, 1856. perro. — Dei terreni di sedimento superiore e dei fossili briozoarj, antozoarj e spongiarj, ai quali danno ricetto. Padova, 1856. perto. — Vedi Prospetto, ecc. Cnartave. — Primi pozzi artesiani fatti a Venezia. Bull. Soc. géol. de France, 8 novembre 1847. CoxsiLari. — Pietra litografica della Val di Chiampo nel Vicentino. Collettore dell'Adige, Verona 1853, num. 40. Contarini. — Ossa di quadrupedìi scavati a Padova. Atti dell’Isti- tuto veneto, ecc. 1846. Corniani. — Sul carbon fossile di Arzignano nel Dipartimento del Bacchiglione. Padova, 1809. — Contiene una descrizione degli strati e degli scavi, le analisi fatte, cce. perto. — Trattato delle miniere di Agordo, ecc. Venezia, 1823. — Descrive la valle e i dintorni d° Agordo, i terreni, le miniere, i lavori metallurgici, ecc. Da Rio. — Orittologia Euganea. Padova, 1836. — Descrive i monti Euganei, le loro rocce, le acque termali, ecc. perro. — Due memorie sui monti Euganei. Annali delle Scienze del Regno lombardo-veneto , 1831 e 1833. perro. — Sulle trachiti. Atti dell’ Accademia R. delle scienze di Torino, XXXIV. DETTO. — Sulla masegna degli Euganei. Atti della Società italiana di scienze, 1810. Decousir. — Note sur les alluvions des lagunes vénitiennes et sur les puits artésiens de la ville de Venise, executés par lui de 1846 à 1849. Bull. Soc. géol., 6 mai 1850. De Zieno. — Sulla giacitura dei terreni di sedimento del Trivigiano. Padova, 18441. pETTO. — Note sur les terrains tertiaires des environs de Trévise et de Padoue. Bull. de la Soc. geol. de France, 7 novembre 1842. petto. — Sopra due nuovi fossili (erioceri) rinvenuti nella calca- rea dei monti padovani, 1815. DETTO. — Sui pentacriniti del Veronese e del Piemonte e sui crio- ceri. Bull. de la Soc. géol. de France. 16 giugno 1848. 392 G. OMBONI, De Ziono — Osservazioni sul terreno cretaceo dell’Italia settentrio- nale. Nei Saggi dell’Accademia di Padova. 1846. pero. — Nota intorno alla promiscuità dei fossili fra il biancone e la calcarea ammonitica delle Alpi Venete. Atti dell’ Istituto Ve- neto. 1846. berto. — Del marmo di Fontana Fredda nei monti Euganei. Isti- tuto Veneto. 1846. petto. — Novelles observations sur les terrains crétacés de l’Italie septentrionale Bull. de la Soc. géol. de France. 19 novembre 4849. pero. — Uebersicht der geschichteten Gebirge der venetianischen Alpen. Jahrbuch K. K. geol. Reichsanstalt. Wien, 1850. DETTO. — Coup d’euil sur les terrains stratifiés des Alpes venitiennes. Naturwissenschaftliche Abhandlungen di Haidinger. Vienna, 18514, IV. petto. — Sui terreni jurassici delle Alpi Venete e sulla flora fos- sile che li distingue. Padova, 1852. perto. — Dei pesci fossili e delle piante fossili dei Sette Comuni. Bull. de Ja Soc. géol. de France. 7 febbrajo 1853. pETTO. — Dei vegetali fossili di Rotzo nei Sette Comuni. Bull. de la Soc. géol. de France. 20 febbrajo e 3 giugno 1854. perTo. — Sulle ossa fossili di rinoceronte finora trovate in Italia. Padova, 1855. petto. — Memoria sulla flora fossile dell’oolite. Venezia, 1856. Atti dell’Istituto Veneto, 1855-56, pag. 492. pETTO. — Del terreno carbonifero delle Alpi Venete. Atti Istituto Veneto, 1857-58. petto. — Prospetto dei terreni sedimentarj del Veneto, ibidem. petto. — Florae fossilis formationis oolithicae. Padova, 1856 e . seguenti. pETTO. — Sulla flora liassica. Jahrbuch K. K. geol. Reichsanstalt, 1860. peTTo. — Sulla costituzione gelogica dei monti Euganei. Padova , 4861. [ D'Oupres - Firmas. — Fossili dei monti Euganei. Bull. de la Soc. geol. de France. Novembre 1842. Ewaup. — Quelques remarques sur les nummulites, ecc. Padoue, 1848, SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 395 Ewa.p — Sui rudisti di Pola nell’ Istria ed a S. Croce nelle Alpi Bellunesi. Zeitschrift der d. geol. Gesellschaft, Berlin, 1850. p. 40. Ferser. — Lettres sur la minéralogie et sur divers autres objets de l’histoire naturelle de l’Italie. Strasbourg, 1776. Foerrerte. — Rapporti all’ Istituto geologico di Vienna, nella Wiener Zeitung, 1856. petto. -—— Rapporto sulla lignite di Zovencedo presso Vicenza. Ja- hrbuch K. K. geol. Reichsanstalt, 1860. perro. — Rapporto sulla lignite di Valdagno Jahrbuch K. K. geol. Reichsanstalt, XII. Forris. — Memoires pour servir à l’histoire maturelle de l’Italie. Paris 1802. — Contiene: Essai de géologie du Vicentin. — Des di- scolithes. — Lettres relatives à des expériences hydrostatiques et métalloseopiques. — Des ossemens d’èléphants fossiles de Romagnano dans le Veronais. Fontis. — Della valle vulcanico-marina di Roncà nel territorio Veronese. Venezia 1778 con tavole. Fucus. — Die venetianer Alpen. Solothurn, 1844. Con carta geolo- gica ed 414 tavole di spaccati. Haver. — Versteinerungen aus der venetianischen Alpen. — Be- richte iber die Mittheil. von Freunden der Naturw. Wien 1848. Denkschriften der k. k. Akademie der Wissenschaften in Wien 18B1. petto. — Gliederung der Trias-Lias-und Juragebilde in den nor- dostlichen Alpen. Jahrb. k. k. geol. Reichs. 1855. DETTO. — Sulle ammoniti delle alpi venete. Jahrbuch 1838). perro. — Sui fossili raccolti da Fuchs nelle Alpi Venete. Ibidem, IV. perro. — Das Quecksibber von Gagliano bei Cividale. Jahrb. k. K. geol. Reichsanstalt 1835. perro. — Allgemeiner Bericht iber die geologischen Arbeiten der Section IV der k. k, geolog. Reichsanstalt in Sommer 1833. HecgeL. — Sui pesci eocenici raccolti da De Zigno (Accademia di Vienna, atti, 1853. XI). petto. — Sui pesci di Chiavon ecc. (Ibidem). perTo. — Sui pesci del monte Bolca (Jahbrbuch k. k. geol, Reichsan- stalt, 1850). S9U G. OMBONI, Mameni. — Lettera sul monte detto la Petraja presso Bassano —. Collettore dell’ Adige 14 nov. 18553. perro. — Cenni sulla pietra litografica della montagna detta la Pietraja presso Bassano. Atti della Società geologica in Milano (ora Società italiana di scienze naturali). Aprile 1858. Maracarne. — Lettera intorno ad alcune scoperte mineralogiche fatte dal conte Marzari-Pencati nei colli del Vicentino. Biblioteca italiana. 1818. o Marascnini. — Saggio geologico sulle formazioni delle rocce del Vicentino, Padova 1824. MassaLonco. — Schizzo geognostico della valle del Progno o tor- rente d’Illasi, Verona 1850. perro. — Osteologia degli orsi fossili del Veronese con un saggio sopra le principali caverne del Distretto di Tregnago. Vienna, 1850. (Haidinger, Naturw. Abhandl, IV). perro. — Sulle piante fossili dei terreni terziarj del Vicentino. Padova, 1851 perro. — Enumerazione delle piante fossili miocene fino ad ora conosciute in Italia, Verona 1855. perro. — Sopra un nuovo genere di Pandanee fossili della Pro- vincia Veronese. Verona, 1853. perro. — Planta fossiles nove in formationibus tertiariis Regni Ve- neti nuper inventa. Veronee. 1853. petto. — Risposta alla lettera di Catullo a Bronn. Verona 1853. DETTO. — Synosis flore tertiare novalensis. Ratisbone, 1854. DETTO. — Zoophycos, novum genus plantarum fossilium. Verona 1855. perro. — Monografia delle Nereidi fossili del monte Bolca. Verona 1855. petto. — Flora fossile dei terreni terziarj di Novale nel Vicentino, Torino 1836. Mem. Reale Accad. Torino. DETTO. — Studj paleontologici. Verona 1856. petto. — Descrizione di alcuni fuchi fossili del monte Spilecco mella Provincia Veronese. Padova, Rivista dell’ Accad. di Padova, 4855-56. È SULLA GEOLOGIA DEL VENETO 395 Massatonco. — Sulle ligniti della valle dei Tessari nel Comune di Badia Calavena. Verona 1856. perro. — Flora fossile del monte Colle nella Provincia Veronese, Venezia 1887. Mem. dell’ Ist. Veneto. perro. — Reliquie della flora fossile eocena del monte Pastello. Verona 1838, Atti dell’Istituto Veneto. perro. — Sulle piante fossili di Zovencedo e dei Vegroni. Let- tera a Visiani. Verona 1858. perro. — Palzophyta rariora formationis tertiarie Agri veneti. Venezia 1858. Atti dell’ Istituto Veneto. perro. — Specimen photographicum animalium plantarumque fos- silium Agri Veronensis. Verone 1859. perro. — Syllabus plantarum fossilium hucusque in formationibus tertiaris Agri Veneti detectarum. Veronoe 1859. perro. — Musacearum palmarumque fossilium montis Vegroni scio- graphia. Venetiis, 1860. Memorie dell’ Istituto Veneto. Menecuini. — Sul combustibile fossile di Raveo nella Carnia. Pa- dova, 1846. Mono Lazzaro. — Dei crostacei e degli altri corpi marini che si trovano sui monti, 1710. Ristampato a Udine nel 1857. MornitLer. — Carte des anciens glaciers du versant méridional des Alpes. Dal Vol. III. degli Atti della Società italiana di scienze naturali. Milano 1861. perro. — Terrains du versant italien des Alpes comparés à ceux du versant francais. — Bull. Soc. géol. de France, 3 mai 1862 (XIX). Muncuisor. — On the relation of the tertiary and secundary rocks forming the Southern flanks of the tyrolese Alps near Bassano. Philosoph. magaz. and annals 1829. — Descrizione e spaccati dei monti di Possagno. petto. — A sketch of the structure of the Easterne Alps, 1831. Transations of the geol. Soc. of London. Vol II. p. Il. London 41832. Murcnison. — Memoria sulle Alpi e sugli Apennini. Firenze 1851. Narpo. — Alcune osservazioni chimico-geologiche sul potere ag- gregatore del ferro e sulla formazione del così detto Caranto nel bacino dell’ Adriatico. Atti dell’ Istituto Veneto 1831. 396 G. OMBONI, Parero. — Nono congresso degli scienziati Italiani in Venezia. Atti della Sezione di geologia. Genova 1853. Pasini. — Sul porfido pirossenico. Giornale di Brugnatelli, 18238. perro. — Ghiaje e alcune pudinghe del Vicentino. Giornale di Pa- dova 1828. perro. — Estratto ragionato della Zoologia fossile di Catullo. Pa- dova 1829. perro. — Sul Roveretano. Biblioteca Italiana, 1830. - erro. — Sull’ epoca a cui si deve riferire il sollevamento dalle Alpi Venete. Annali delle scienze del Regno Lombardo Veneto 1831 peTto. — Osservazioni sulla calcarea ad ammoniti e sulle rocce attigue del Vicentino. Ivi 1832. petto. — Sui rapporti dei terreni secondarj e terziarj delle Alpi Venete. Ivi 1853. perro. — Sull’orittologia euganea del Da Rio. Ivi 1836. perro. — Osservazioni fatte ad Agordo, Atti dell’I. R. Istituto Ve- neto di scienze ecc. 1840. perro. — Sulle acque acidule di Recoaro, ivi 1841. petto. — Sul monte Torrigi e sulla lignite di Pulli, ivi. petto. — Sulla valle del Boite nel Tirolo meridionale, ivi. perro. — Sugli antichi ghiacciaj, ivi. petto. — Sulla antica flluidità ignea della terra, ivi 1843. petto. — Sull’opera di Fuchs sulle Alpi Venete, ivi 1844. peTTO. — Sulla grotta o còvalo di Custoza, ivi. petto. — Intorno ad alcune quistioni di geologia fisica, ivi. DETTO. — Sul pozzo artesiano di Napoli, ivi 1848-6. perto. — Sulle variazioni di livello del mare, ivi; perro. — Sul carbon fossile della Carnia, ivi. pETTo. — Sul calcare rosso ammonitifero, ivi. verro. — Sul sistema cretaceo delle Alpi Venete, ivi. perro. — Sui pozzi artesiani di Venezia, ivi 1846-47. petto. — Rapporti delle Alpi con altre catene di montagne, ivi. PizzoLani e PeLtecrini. — Esistenza del terreno plioceno nella Pro- vineia di Verona. (Collettore dell’ Adige, 1855, 28.) PoLumni. — Lettera geologica sui monti Veronesi, Biblioteca ita- liana 1827, tomo XXVIII, SULLA GEOLOGIA DEL VENETO $ 397 Pinona. — Lettere geologiche sul Friuli. Annotatore friulano, agosto 1836. perro. — Sulle antiche morene del Friuli, con una tavola. Dal volume II degli Atti della Società italiana di scienze naturali. Mi- lano, 1860. petto. — Cenni geognostici sul Friuli. Dall’ Annuario dell’ Associa- zione agraria friulana pel 18641. Udine 1861. Prospero degli scritti pubblicati da T. A. Catullo, compilato da un suo amico e discepolo. Padova, 1857. Scuaurora. — Uebersicht der geognostischen Verhiltnissen der Gegend von Recoaro in Vicentinischen. Sitzungsbericht der K. Akad. der Wissenschaften in Wien, 1855, XVII, p. 481. Scortegagna. — Sulla formazione geologica della collina detta /a Favorita presso Lonigo. Accademia di Padova, 1836. — Cita ossa di coccodrilli, conchiglie, echini, alveolili e diverse rocce (pietra cornea, pozzolana, trappo, argilla, bombe vulcaniche ecc.), che si tro- vano in quei luoghi. perro. — Notizie risguardanti le ossa fossili degli animali mam- miferi rinvenute sepolte nel monte Zoppega di S. Lorenzo presso Soave nella provincia Veronese. Padova 1842. Sepewica and Murcuison. A sketch. of the structure of the Eastern Alps. Trans. of the geol. Soc. of London, 1852. — Contiene una carta della distribuzione generale dei terreni nelle Alpi Orientali, comprese le Tirolesi e le Venete. Senower. — Cenni geologici sulla Carnia. Boll. dell’ assoc. agraria d’ Udine, 1856. num. 10. Sismonpa. — Osservazioni sopra una nota del prof. Catullo intorno agli Echinidi fossili della creta e del terreno terziario delle Alpi Ve- nete 1842. Spapa. — Corporum lapidefactorum agri Veronensis quoe apud Joan. Jacobum Spadam, ecc. 1744. Vocta. — Ittiologia Veronese. Verona, 1796, in foglio con 76 tavole. — Contiene la descrizione dei luoghi ove si trovano i famosi pesci del Bolca e la descrizione e le figure di molti pesci fossili. 398 G. OMBONI, SULLA GEOLOGIA DEL VENETO Ziccu. — Pietre litografiche del Vicentino. Collett. dell’ Adige , 1853. num. 4101. Zenprini. — Sulla invariabilità del livello del mare. Memorie del- YI. R. Istituto Veneto, 1843 e 1844 (1). (1) Questa nota di libri e la precedente Bibliografia sulla geologia del Veneto erano già scritte quando venni a conoscere l’ Enumerazione sistematica dei minerali delle Pro- vincie Venete, accompagnata da annotazioni geologiche, da una nota bibliografica e da una Ipsometria delle Provincie Venete, pubblicata dal signor Senoner nel volume VIII della Serie III° degli Alti dell’ Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. — In questo opuscolo si potranno trovare alcuni dati relativi ai minerali più importanti, ed allo rocce che si adoperano come materiali da costruzione. LIBRI arrivati in dono alla Socielà dal 27 luglio 1863 in avanti. ot: Atti del R. Istituto Lombardo di scienze lettere ed arti, vol. HI 3 fasc. XV-XVI. Lavori dell’ Istituto. — SCHIAPARELLI, Forma del globo di Saturno. — LomBARDINI, Irrigazioni di Lombardia e nuovo canale del Ticino. — Premj, ec. Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti, vol. IX, fasc. IV. | CurionI, Sui giacimenti metalliferi e bituminosi di Besano. — PORTA, Fratture del femore. Atti dell’I. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, tomo VIII , dispense VII, VIII e IX. MesseDAGLIA, Idrografia del Mississipi. — NAMIAS e BERTI, Rela- zione meteorologica. — SANTINI, Della figura della terra. — NARDO, Coltura degli animali acquatici nel Veneto.— MoLin, Delle valli salse. — VELADINI, Della parabola Apolleniana. — WinrscaGaU, Cellule del- l’uovo di rana. — VANZOTTI, Aneurisma varicoso guarito, ec.— PIRONA, Costituzione geologica di Recoaro e de’ suoi dintorni. Memorie dell’I. R. Istituto Veneto di scienze lettere ed arti, vol. XI, parte 1. De Ziano, Sulle piante fossili del trias di Recoaro. — BELLAVITIS, Lingua universale. — Turazza, Moto d'un corpo rotondo, ec. Giornale ed Atti della Società agraria di Lombardia. Anno 1, nu- meri 44 a 21. Congresso agrario a Cremona. — Baco dell’ailanto. — Notizie sui bachi da seta. — Rivista agraria lombarda. — Fecondazione artificiale dei ce- reali. — Notizie campestri. — Modo di riconoscere le variazioni dell’aria atmosferica (colla carta ozonoscopica). — Atti ufficiali della Società e del Governo. La Sericultura. Rivista universale dei progressi dell’ industria se- rica. Anno primo, numeri 4 e 2. Ai lettori — Rivista serica. — Baco dell’ailanto. — Sistema di bicol- tura (piantamento dei gelsi). — Piantagione degli ailanti. — Notizie sta- | stistiche sull’industria serica, ec. 400 LIBRI ARRIVATI IN DONO ALLA SOCIETÀ I Giardini. Giornale d’orticultura, redatto da un Antofilo. Anno X, luglio ed agosto 1863, num. 41 e 2. Ciclamino trionfo. — Amarillis vittata. — Piante nuove, rare o poco conosciute. — Costruzione delle serre. — Malattia delle viti. — Distru- zione d’ insetti nocivi. — Organografia delle piante, ec. Annali d’agricoltura del dott. Gaetano Cantoni. Anno III, num. 14 a 24. Coltivazione del lino in Lombardia. — L’ ortodossia e l’ eresia vegetale. — Rassegna di chimica agraria. — Circolazione dell'azoto nell'organismo animale. — Nuovo insetto dannoso ai limoni. — Sul seminare rado o fit- to. — La meteorologia vegetale. — Economia domestica. — Tempera- tura del suolo, ee. — Educazione del Bombyx Cynthia. — Influsso della | luna sulla vegetazione. — Irritabilità vegetale. — Conservazione degli in- - grassi. — Degli alimenti. — Relazione della Commissione d’ agricoltura, | inviata in Inghilterra dal Consiglio provinciale di Milano. — I nuovi. principj di fisiologia vegetale. — Nuove malattie della vite e del gelso. — Alcuni risultati delle coltivazioni nell’orto sperimentale di Corte del Pa- lasio. — Ancora della malattia delle viti. — Sulle seminatrici a grani piccoli. — Escrezioni vegetali e rotazione agraria. — Nuove malattie della vite e del gelso. Monnier. Terrains du versant italien des Alpes comparés d ceux. du versant francais (Bulletin de la Société géol. de France, 2° sé- rie, 419 mai 1862). — Il quadro sinottico unito a questa Memoria ci pare così interessante per gli italiani, che si crede bene di ri- produrne qui unita la parte principale. j Bullettino dell’Associazione nazionale italiana di mutuo soccorso de- gli scienziati, letterati ed artisti, Dispense IV e V. Lavori dell’Accademia pontaniana di Napoli. — Lo spiritismo. — Pro- getto del porto di Napoli. — Cranio fossile di jena. — E diversi scritti non di scienze naturali. Atti della Società di acclimazione e d’agricoltura in Sicilia , tom. II, num. 3 ad 8. L'agricoltura in China. — L'avena sibirica coltivata in Italia. — Cura del moccio degli equini. — Coltura del cotone. — Consumo delle carni in Palermo — Ostricoltura in Sicilia. — Tifo bovino nell’agro palermi- tano. — La vita a buon mercato in China. — Solforazione della vite. — Nuove malattie del gelso e della vite, osservata in Aci Reale. — Com- missione reale per la coltura del cotone in Italia. — Nuovo baco da seta del Canadà. — Bevanda per i mietitori.— Apparato genitale d'una capra meticcia. — Allevamento dei bufali in Sicilia. — Rivista bibliografica osservazioni meteorologiche, ec. (Continua) CL TABLEAU COVIPARATIF des terrains paléozoiques et secondaires du versanti frangais et du versant italien des Alpes; par GABRIEL De MogmtILLET. Atti della Soc. ital. di scienze naturali. Vol. V. pag. 400, Division des Terrains. ——_—_—_ _ T©P€WmP»ymyx»_ GÉNÉRALES. SUBDIVISIONS. SENONIEN 0U CRAIE SUPÉRIEURE. TUNONIEN, CREÉTACÉ. ... GAULT GRES VERT. TR n SN A R g TTTIAESsa CORALLIEN. JURASSIQUE . . to] OXFORDIEN. FONMATION — a Sa OLITANGUR,, | LIAS (A ESE Torni — LIAS INFÉRIEUR DAS anna SINÉMURIEN, INFRALIAS. KEUPER 0U MANNES IRISÉES TTRIASs n tara MUSCHELKALK OU CALCAIRE CONCHYLIEN, BUNTERSANDSTEIN ou GRÈS BIGARRÉ, ET SILURIEN. | PACERELIA CRISTALLIN . | DIVENS. Gutten-Steiner-kalk de l’Autriche jusqu'au n MARIN CARBONIFÈRIEN. ET TERRESTRE DÉVONIEN VERSANT FRANCAIS OU NORD DES ALPES. CENTRE DES ALPS, SAVOIE, DAUPHINÉ, PIÉMONT. SAVOIE , DAUPHI! ALLEMAGNE ET SUISSE, | PIÉMONT. VERSANT ITALIEN OU SUD DES ALPES. LUMBANDIE. Zone calcaire le long des Alpes, en Savoie et en Dauphiné. Dans les Alpes maritimes ces de ux terrains peuyent se distinguer. WE, <= —" _ ——_—_——_—_ r—————t————————————__—_ Tout le long des Alpes, depuis l'extrémité de la Suisse jusqu'à Nice, Calcaire de Sceven de Suisse. Epoques pendant lesquelles les pentes des Alpes piémuntaises sont resiées & sec. Pendant les époques tértiaîre, cretacée et juras sique, le centre des Alpes est resté à sec, Tout le long des Alpes, comme le gault. Le long des Alpes suisses, En Chablais, se reliant avec celni de la Suisse. Très en dehors des Alpes, de Genève jusque prés Grenoble, Basses-Alpes et Var. Tout le long des Alpes, depuis l’extrémité de la Suisse jusqu'a Nice. Bien caractérisée sur le versanti suisse des Alpes. | Col d'Anterne (Savoie), se reliant à Ia Suisse. | Calcaires et ardoises à Bélemnites de tout l’intérieur des Alpes. rr Meillerie (Savoie). Mont Rachat (Isère). | Petit Geeur (Savoie). Trés bien caractérisé, sur le versant nord, par la couche à Avicula contorta, depuis ’Autri- che jusqu’en Suisse. Kossener schiichten. Zone qui, à partir du canton de Vaud, traverse la Savoie et a été reconnue jusqu'en' Maurienne Entre Césane et le mont Genévre, 2° Hallstatter-schichten de l’Autriche jusqu'au Rhin. 4 Assises des schistes bariolés, des gypses et cargneules, des: calcaires plus ou moins magnésiens 4° Saint-Cassianer-schichten. des Alpes du Dauphinè, de la Savoie, de la Suisse et du Piémont. (Formation de Lagonis.) Assise calcaire Rhin. inférieure du Var. Werfener-schiefer de l’Autriche jusqu'au Grès, marnes Rhin, Assise des quartzites des Alpes du Dauphiné, de la Savoie, de la Suisse et du Piémont. et poudingues du Var. (Formation de Ghiesers.) Calesires marneux et grés à Mmoceramus. VÉNETIE. TYROL, CARINTHIE ET TOSCANE, Partie supérieure de la scaglia à Ananchites. Pietra forte de la Toscane, Grès de Sarnico, poudingues de Sirone. Calcaires à rudistes. —_———______________ Scaglia entre la maiulica et les grés de Sarnico Parlie infér. de la scaglia; Véronais et Vicentin. Maiolica, Biancone. i ————____________& Biancone du Tyrol. Couches inférieures de la maiulica & fossiles néocomieus el oxfordiens mélés?. Calcaire a Nérinées du Frionl. Calcareo rosso ad aptichi. Couches à silex, Jura de Hauer Calcareo rosso ammonitico de Vénétie. [Calcareo rosso ammonitico du Tyrol italien. Couches à plantes du Vicentin et du Véronais. Calcareo rosso ammonitico proprement dit des Lombards. Oberer-lias d’Hauer, Série des roches oolithiques supér. de Pasini. Calcaire oolithique du Frioul. Formation de Saltrio. Roches oolithiques inférieures de Pasini; calcaires bitumineux du Frioul. 20 2° Dolomie supérieure; kalk d'Hauer. 4° Couches à Avicula contorta; assises de l'Aza- rola et schistes nuirs; Kossener schichten. partie du Dachstein- 2° Couches à Megalodus triqueter ; nitiens. 4° Schistes argileux de couleur foncée, caîres bruns. lias des Vé- et cal- ———_________________ Couches à petits gastéropodes et acéphales de la Spezia. 2° Groupe d’Esino ou dolomie moyenne; Esino- kalk et partie du Daehstein-kalk de Hauer; équivalent de Hallstatt. 4° Groupe de Gorno et Dossena; Raibel. équivalent de 2° Calcaire compacte équivalent de en Frioul, 41° Gres vineux et_calcaire marneux, Raibler- schichten, en Frioul. Mélange de couches sa- bleuses et calcaires peu développées, en Bellu- mais et Vicentin. Hallstatt, 2° Groupe de Varòse et Perledo. 1° Groupe de la dolomie inférieure. 4° Verrucano de Lombardie. Carboniférien terrestre: verrucano des Alpes maritimes; gròs et schistes anthracifères ; poudingues de Valorcine; partie de verrucano du Dauphiné. de la Savoie, de Suisse et du Piémont. Schistes noirs talqueux, entre la Valteline et les vallées du Brembo et du Seriv?. Extrémité nord-est de la chaîne à Dieten ! (Salsbourg,: silurien, Formant l’axe central des Alpes. Formation de Saint-Cassian (équivalent de Raibel, de Gorno et Dossena). Tyrol. Calcareo salino des monts Pisani et du mont Rombola (Toscane). Calcaire compacte brun du Frioul. Bellunais et Vicentin. Calcareo grigio cupo senza selce de Savi (Toscane). Grés de diverses teintes. Kohlen-for- nord du Carboniférien marin, Alpine-stein, mation ou Gailthaler-schichten, Frioul. Poudingues supérieurs du verrucano de Toscane, Carboniférien marin, Carinthie et Tyrol oriental. Id. marin sur terrestre à Torrì prés Iauo (To- scane): majeure partie du verrucano. RE SEO E — — _ —_— _—— T Tm _. eo cc 6 00cn:;?D2nh°°ÙEVÒbiiil. 1_kmmm_@t1m1r———_—_r____————_————— — o o»O_OO+|A\+e+—oo»»»oo_y_y_—t ottÒt _—1#@tbi.c Exlrémité est des Alpes: environs de Gratz. Dévonien inférieur ou silurien supérieur. 11111, 1 _—_—__—_tttt1t1tmt-6T——_—__—_—_m_—mmwxé< e @mòÈ@ÒÈ\M\'M©hhi]l:E o-oà=-;-:<:<«<« <;<;oi eco S TI) ataonzo È i ge Tre î Lia aianicarigieina matri | Camauicoio. | - n | rn dif v re Sennò Frieteron + 3 n PA ‘ II " » < O > Pea) 1 bt ) IRE z ELA = pecora ha da ente or ire rprone n pae DO » p: x ì a A Ù . î peo ” v DI a i 7 è “ fi Pi ta r 4 " 4 3 ù È 1. Ù DI v PR ro PA bio ) n° ui a n É pi uti ri - è bll ala li Ma Seduta del 6 dicembre 1863. È aperta la seduta colla lettura d'una relazione del segretario Stoppani sul congresso scientifico di Samaden. A proposito di questa relazione e della quistione del- l’epoca glaciale e dell'antichità dell’uomo, che fu trat- tata a Samaden, il socio Mortillet annuncia che egli ha osservato in certi strati recenti dei dintorni di Parigi, costituenti il così detto di/uvium rouge dei geologi fran- cesi, molti massi erratici e ciottoli senza i caratteri dei massi e ciottoli trasportati dai ghiacciaj; e quindi egli crede che quei materiali furono portati là dove sono dal- l'antica Senna, sopra delle zattere di ghiaccio ben più grandi di quelle portate dalla Senna attuale negli inverni più rigidi. Quei materiali del diluvium rosso devono dun- que essere trasportati nell'epoca glaciale che precedette | l’epoca attuale. Ma sotto quel diluvium rosso, nei dintorni di Parigi, ad Amiens e altrove, esiste l’altro diluvium, che contiene gli avanzi dei rinoceronti, degli elefanti e d'altri animali fossili; e con essi le scuri e gli altri og- 26 402 sEebUTA DEL 6 picumpre 41863 getti in selce dell'industria umana primitiva; dunque, dice il signor Mortillet, l'uomo viveva già prima del- l'epoca glaciale, o almeno viveva nei primi tempi di quell epoca. A proposito dei fatti relativi alla parfenogenesi, citati a Samaden da De Filippi e Siebold, il socio Bellotti dice che una volta vide anch'egli nascere delle uova di baco da seta certamente non fecondate; il vicepresidente Villa aggiunge di aver anch'egli già da più anni osservato un fatto analogo; e il presidente Cornalia fa noto aver egli osservato che nelle uova deposte dal Bombyx Ya-ma-mai si sviluppa in autunno il bacolino, e vi rimane rinchiuso per tutto l'inverno, per escirne poi in primavera. Il segretario Stoppani rende conto delle ricerche fatte nel lago di Varese ed a Besano, a spese della Società, per raccogliere oggetti della più alta antichità umana, appartenenti alle abitazioni lacustri, e per raccogliere al- cuni dei fossili che rendono interessantissimi per il paleon- tologo gli scisti bituminosi di Besano. Il segretario Omboni presenta un suo lavoro bibliogra- fico sulle principali opere finora pubblicate sulla geolo- gia del Veneto. | Lo stesso segretario presenta una F/orula dell’ isola Montecristo del socio Caruel, una nota del socio Seguen- za di Messina intorno alla fluorina siciliana, una lettera del socio Paglia sui buoni risultati avuti dal signor Co- castelli nell’ a/levamento del baco da seta dell’ ailanto, ed una lettera del socio Mortillet sopra due fossili cretacei trovati nelle argille scagliose del Bolognese. Il vicepresidente Villa Antonio legge la seguente let- tera della signora Scarpellini di Roma sulle osservazioni da lei fatte sulle stelle filanti dell'agosto : sebuTA DeL 6 piceupne 1863 405 Roma, 21 agosto 1863. «u Chiarissimo sig. prof. Antonio Villa. » Ho l'onore di comunicarle in quest'anno per la Società delle Scienze Naturali, e per l'Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti, i risultamenti delle mie osservazioni relative alle Stelle filanti periodiche del 10 di agosto. » 1.° Nel 1861 si notarono 141 stelle filanti nel 1862 ” 19 ” nel 1863 ” LOT ” » 2.° Da quest'ultimo numero dedussi di 1.* grandezza N. 35 stelle f. di 2.8 grandezza DISZO. n di 3.* grandezza I 99 n Le tre ebbero vista di bolide smorzandosi, Dorsi » 3.° In questo anno ho creduto di esporre per colcre quelle sol- tanto di prima grandezza determinandole în bluastro -.-. . N. 5 in bless o, 04 in bleu biancastro. » 22 Invece nia a. ALS I AIdACIO i. n.2 le quali mi ricordarono quella legge formulata dal signor Doppier sulle va- riazioni di colore di un punto luminoso in movimento, cioè, che la maggior parte dei globi filanti si tingono i in bleu nello avvicinarsi all orizzonte ed al- l'osservatore. » 4.° Le diferenti loro direzioni furono dal Nord" eee zo dal Nord Nord Est. . 4 dal Nord-Est) su. (21% dall'Est. Ct o ego dall'iSud Bist; ‘iii 09 dal Sud Sud Est _.. . 2 UBbSuAze e e 0 dal Sud Sud Ovest. . 3 dal Sud Ovest. . . . 14 dalliOvest. 0. .... 93 dal Nord Ovest . . . 6 dal Nord Nord Ovest . 13 404 seDUTA peL 6 DicemBRR 1865 » 5.° Divisi poi il loro numero contate dalle 8.517. alle 8.h 57.0 . . . 13 di niRII O ca bride de n ASSO e 28 ooo 0° IENE 5°. DO CRE ted (3 » 13. eo ernia È » 6.° In questo periodo notai che tutte avevano un moto rapidissimo. » 7.° In questo periodo non mancarono di quelle stelle, che appena visi- bili si manifestarono di luce debolissima fra la mano armata di Perseo e Cas- siopea, per le quali ci trovavamo nella impossibilità di numerarle perchè erano una miriade ed ugualmente con un moto rapidissimo . . . . . + » 8.9 In questo periodo si notarono due stelle ascendenti. » 9.0 In questo periodo si notarono eziandio più stelle che erano con- temporanee. » 10.° Si videro stessamente alcune stelle spente per un tratto più o meno lungo e poi ricomparse. » 11.° Dovrò anche notare che nelle prime ore di osservazioni spirava forte il vento di Ovest e più tardi quello di Sud-Ovest, che durò tutte le ore delle osservazioni. » Da ultimo, onorevole signore, dirò che queste delicate e spinose osserva- zioni sono di una difficoltà infinita per le loro apparenti posizioni, richiedendo molt’ arte, molta destrezza e molta sagacità di spirito, e perciò prego la di lei molta compiacenza di essere interprete fedele di questa mia comunicazione, augurando alla Scienza Italiana di penetrare più facilmente nei reconditi arcani di natura, permettendomi di ricordarle quell’ aureo principio del Romano oratore; quod nullus est casus qui pro libertate et dignitate Patria non sit ferendus, nullum incommodum pro Patria grave putandum est! » Intanto mi è gratissima questa fortunata circostanza per rinnovarle i sen- timenti della mia maggiore stima, estesi puranco al degnissimo fratello, e credermi sempre n La obbligatissima serva » CATERINA SCARPELLINI » Il socio Mortillet presenta e dona alla Società un sag- gio di seta del baco da seta della quercia della China, filata dalla signora Leonia Buisson di Saint Germain-la- Tronche, presso Grenoble, nello scorso novembre. Un chilogrammo di bozzoli secchi, provenienti dalla China, ha dato 142 gramme di seta; ciò che equivale a chil. 7,042 di bozzoli per un chilogrammo di seta. SEDUTA DEL © Dicembre 18653 405 Finalmente il socio Bellotti Cristoforo comunica alla Società alcuni esperimenti fatti dal signor Tosi di Busto Arsizio e dal signor dott. Carlo Vittadini per provare il metodo proposto dallo stesso Bellotti onde avere semente sana di bachi da seta mediante la nutrizione con foglie giovani; e fa osservare come quegli esperimenti sem- brano confermare quelli già da lui fatti, o almeno non sembrano contrari al metodo da lui proposto. IL CONGRESSO DEI NATURALISTI SVIZZERI A_SAMADEN RELAZIONE DEL SEGRETARIO A. STOPPANI (Seduta del 6 dicembre 1868) Il Congresso di Samaden, per la singolarità dei luoghi in cui fu tenuto (nei luoghi più alti abitati in Europa), pel concorso di scien- ziati di diverse nazioni, per l'accoglienza ricevuta, che non ha ancora un epiteto nel dizionario delle cortesie, lasciò tali impressioni nell’animo di chi ci assistè, e tal eco ebbe nei giornali italiani e stra- nieri, che mal per ultimo io vengo a parlarvene. Una sola cosa vi dirò tuttavia, prima di sciogliermi dal debito di un breve rapporto scientifico, una sola cosa, come quella che mi ha vivamente colpito. Recandomi dalla Valtellina per il passo della Bernina a Samaden, Rent all'aria abbastanza forestiera o preoccupata ch'io mi avessi, o forse . in veggendomi curvo si spesso sulle rocce di que’ giganteschi col- lossi, era naturale che io fossi interrogato più volte se io mi av- viassi per colà dove si attendevano tanti-dello stesso gusto. Ma sapete di quali parole vestissero la loro dimanda? erano così singolari, ch'io rimanevami in sulle prime trasognato senza intendere, e quindi senza rispondere. La parola d'ordine, l’imprescrittibile domanda, fosse in italiano, in francese, in tedesco, era questa: va alle feste? Questo modo così singolare, così nuovo per esprimere il concetto di un congresso scientifico mi ha lasciato, vi ripeto, un’ impressione as- A. STOPPANI, IL CONGRESSO DEI NATURALISTI SVIZZERI A SAMADEN 407 sai profonda. Questo modo, passato quasi per incanto nelle conven- zioni del linguaggio, adottato senza sottigliezze , affatto naturalmente dal popolo, il cui linguaggio è sempre così filosofico, quando esprime l’effetto che producono nell’animo gli esterni avvenimenti, vi dice quanto debba esser divenuto colà popolare il concetto della scienza, quanto graditi, preziosi, festeggiati il nome e la persona dello scien- ziato. Vi assicuro che non mi aspettava un tale progresso nell’ or- dine delle idee popolari, su quei gioghi inaccessi, tra quei ghiacci eterni, in paesi isolati quasi per otto mesi dal consorzio del mondo. Quando poi il concetto espresso di una festa popolare si traduceva nel fatto, quando foste passati sotto quegli archi di verzura tra il gajo sventolare di panni d’ ogni colore, tra il plauso delle liete popolazioni vestite a festa, mi avreste concesso che il linguaggio non si sarebbe mai detto come questa volta segno o simbolo del vero. Uno degli scienziati, del quale v’ è noto, anzi prezioso il nome, e al quale pure sono noti e cari gli scienziati italiani e le glorie scienti- fiche dell’Italia, che assistette agli splendori degli italiani congressi, stupito egli stesso di tanta popolarità guadagnata dalla scienza, mi si volgeva con queste parole: quando credete voi si potrà combinare una tal festa in Italia? ditemi, fra dieci anni? Che avreste risposto voi? Se mi avesse chiesto una splendida festa in qualunque delle no- stre brillantissime e cortesissime città, gli avrei risposto : venite quan- do volete. Parlava di una festa popolare, per cui basta il suono fe- stoso delle campane, gli archi di verzura, e i cappelli di gala, e non seppi rispondere. Non chiedetemi ch'io giustifichi questo nuovo genere di esordio ad un rapporto scientifico. La Societa italiana di Scienze naturali saprà rispondere col fatto, meglio che colle parole al nostro amico d’ oltralpe. Il mio rapporto si limiterà ad accennare per sommi capi le quistioni agitate nelle diverse sezioni, in cui fu diviso il Congresso. Non avendo naturalmente potuto assistere che ad una delle sezioni, quella di geo- logia, mi riporto all’ esposizione del sig. Pictet inserita negli Archi- ves della Bibliothèque universelle di Ginevra. T. XVIII, per ciò che riguarda la sezione di fisica e chimica. Per ciò che riguarda la sezione 408 A STOPPANI, di zoologia e botanica, il socio sig. Curò, altro dei rappresentanti della nostra Società al Congresso, si incaricò gentilmente di un rapporto che io riproduco testualmente. Seduta generale del 23 agosto. Apresi Ja Seduta con un eruditissimo discorso del presidente si- gnor De Planta, diretto a mettere in Juce la parte che ebbe |’ Enga- dina nella storia civile e religiosa, letteraria e scientifica, ll professore Studer legge un rapporto sui progressi dei lavori per la carta geologica della Svizzera, Un foglio verrà presto in luce, nella scala stessa della carta topografica del Dufour. Questo foglio presenta una parte del cantone Grigioni, ed anche un primo esame del foglio di modello presentato alla Società basta ad accertare che gli studj di quelle difficilissime regioni vennero condotti dall'autore prof. Theobald con precisione e perseveranza veramente esemplari. Mi si permetta di dire qui di passaggio che dai lunghi privati trattenimenti che ebbi col sig. Theobald riportai Ja piena convinzione che quel primo foglio della carta Svizzera sarà un gran dono fatto alla scienza. Il prof. Mousson legge un rapporto di quanto fu fatto per lo stabi- limento delle stazioni metereologiche. È un documento importantis- simo, che venne pubblicato nella Libliothèque univ. di Ginevra (Ar- chives, T. XVIII, pag. 121). Ciò per norma delle persone incaricate di organizzare le stazioni metereologiche anche fra noi. ll prof. Vogt fa una communicazione sopra alcuni cranii ‘antichis- simi, dei quali intrattenne poi, come vedremo, la sezione di zoologia. Il giorno seguente, 24 agosto, la Società si riunì per sezioni. Sezione di Fisica e Chimica. Il prof. Dufour narra come un colpo di folgore a Clarens gua- stò 150 ceppi di vite. Ciò sarebbe consentaneo al fatto osservato da Arago, che la folgore si divide in 2, 3 o 4 rami, e deporrebbe in favore della teoria di Feddersca, che vuole costituita la scintilla elettrica da una serie di scariche che si conseguono rapidissimamente. IL CONGRESSO DEI NATURALISTI SVIZZERI A_SAMADEN 409 ll prof. Wartmann parla di un temporale con grandine annunciato un’ ora prima da un suono prodotto certamente per effetti di elettri- cità nella picca del prof. Alizier di Ginevra e della sua guida sulla sommità dell’ Oldenhora. Il prof. Clausius intrattiene la sezione coll’ esposizione del secondo principio della teoria meccanica del calore, ossia dell’ equivalente del calorico e del lavoro. Il prof. Wislicenus parla degli acidi organici, arrestandosi special- mente all’acido lattico, che sarebbe ad un tempo un acido unibasico ed un alcool monoatomico. Sotto l’istessa forma si presenterebbero altri acidi organici, come il malico, il tartrico, il citrico. In fine il sig. Adolfo de Planta communica un suo lavoro sul va- lore della analisi chimica, sotto lo speciale rapporto delle sorgenti medicinali del cantone Grigioni. Sezione di Geologia. ll professor Martins comunica i risultati delle sue speciali indagini sui dintorni di Cette. Quei cordoni littorali, che offrono un esempio così spiccato di tal genere di formazioni, sono costituiti da sabbie, ove prevale a gran maggioranza la selce. I due colli onde par deri- vare il detrito sono o di prodotti vulcanici, o di calcari oxfordiani. Onde deriva dunque la selce in tale abbondanza? Certamente dal de- trito dei ciottoli di selce che coprono il fondo di quel littorale. Que- sti poi non possono da altro ripetersi che dagli antichi ghiacciaj alpini, il cui detrito sarebbe stato spinto fin là dalle correnti, e dall’ azione delle onde. Il sig. Martins aggiunge inoltre molti particolari circa lo sviluppo della vegetazione su quei banchi e in quelle lagune, altri fatti che in- teressano grandemente la teorica geologica e la paleontologica riguar- dante la miscela dei fossili terrestri, marini, d’acqua dolce e d’acqua salmastra. ll prof. Desor presenta le osservazioni che ebbe campo di fare nei dintorni del lago di Varese nell'occasione che venne fra noi per la ricerca delle palafitte. I due risultati più degni di rimarco sono: 410 A. STOPPANI, DI 1.° che anche nelle Alpi, come nel Giura, l’ orografia è in assoluto rapporto colla geologia, sicchè si può adottare lo stesso linguaggio per esprimere gli accidenti orografici e geologici cui offrono, sebbe- ne in sì diversa scala, le due catene; 2.° che le Chondrites e i Zoo- phycos di quei dintorni, identificati dal sig. Heer con quella degli strati terziarj della Svizzera, si trovano nella creta, essendo sottomessi a strati ammonitiferi della creta. Il vostro relatore appoggia la prima tesi del sig. Desor, dimostran- do come tutta l’ orografia lombarda sia legata alla geologia, e sia quindi adottabile per tutta Ja catena delle Alpi Ia nomenclatura oro- grafico-geologica già introdotta pel Giura. Quanto all’ esistenza delle Chondrites e dei Zoophycos nella creta, richiama come già fin dal 1857 egli aveva asserito ne’ suoi Studj genlogici e paleontologici sulla Lombardia, essere da noi distinta la creta dal predominio delle fucoidi, delle specie appunto che si raccolgono a Morosolo, sulle quali versarono i confronti di Heer. Espone inoltre gli argomenti pei quali, anche prescindendo dalla presenza degli ammoniti in un deposito superiore alla zona delle fucoidi, questa va ritenuta assolutamente cretacea. Il sig. Fischer-Ooster parla in appoggio di questo modo di vedere, estendendo le conclusioni anche alla Svizzera, combattuto dal sig. Stu- der, il quale, delineando lo spaccato delle montagne a nord del lago di Thun, crede abbastanza provato che il flysh a fucoidi sia terziario. Tra i presenti alla sezione era vivo il desiderio che il Congresso non fosse chiuso senza che si facesse parola delle nuove teorie rela- tive alla formazione dei laghi alpini per effetto dei ghiacciaj, di quelle sopratutto del refoulement, messe in campo dal nostro socio Mortillet, e sostenute dal socio Gastaldi. Ma siecome nè l’ uno nè l’altro erano presenti al Congresso, il sig. Desor non credette di poter far altro che esporre storicamente la questione. Il sig. Omboni e il vostro relatore, dichiarandosi non favorevoli alla tesi del sig. Mortillet, ma edotti della questione per le ripetute communicazioni fatte dai due citati geolo- gi alla nostra Società , esposero gli argomenti da loro invocati in fa- vore della nuova teoria. La sezione fu unanime nell’acconsentire che non si possedevano elementi bastanti per decidere, nè, in assenza di IL CONGRESSO DEI NATURALISTI SVIZZERI A SAMADEN hAI una delle parti, esservi possibilità d’ intrattenere con profitto la di- scussione, che fu rimandata al prossimo Congresso. Il prof. Strobel descrive le palafitte delle marniere nelle vicinanze di Parma, presenta i saggi della così detta terra mura, ove si rinven- gono gli avanzi d’età ante-storica, ed è d’avviso che quella terra debba considerarsi come prodotto direbbesi artificiale, derivare cioè da mate- rie accumulate per la lunga dimora su quelle palafitte delle popola- zioni ante-storiche. Il sig. Meesch discorre dei lavori da lui intrapresi principalmente sulla catena del Weissenstein presso Soletta, per la carla geologica della Svizzera. Il sig. prof. Theobald parla delle sue ricerche geologiche nel can- ton Grigione. Si intrattiene specialmente sul trias, il lias e l’ infralias dei dintorni di Samaden, pigliando il Piz Padella come punto di partenza. Il vostro relatore esprime }a sua soddisfazione perchè il sig. Theo- bald, senza aver contezza dei suoi lavori sugli stessi terreni in Lom- bardia, e rilegando con mirabile acutezze di vedute gli scarsi lembi dei terreni di sedimento laceri e sconvolti entro il dominio de’ ter- reni eruttivi, abbia ottenuto l’identica serie riconosciuta in Lom- bardia. ll sig. Theobald conviene perfettamente nell’ idea di un tale ravvicinamento, e chiude la sezione presentando alcune osserva- zioni sulla pietra ollare di Val Malenco, la cui natura apparve ognora così problematica. Egli inclina a crederla sedimentare. Sezione di Zoologia e Botanica (A). Nella sala di riunione erano esposte per cura del sig. Kràtli, mem- bro della società dei naturalisti svizzeri, Je specie più rare e più im- portanti della flora engadina, perfettamente preparate e classificate, co- me pure tutte le varietà dei pesci viventi nei laghi e torrenti della vallata, raccolti ed ordinati dal dott. Brugger di Samaden. A presidente della sezione viene acclamato il chiarissimo entomo- (4) Note communicate dal socio Curò. h12 A STOPPANI, logo prof. Siebold di Monaco. Dichiarata da questi aperta la seduta, il prof. Strobel di Parma presenta un gambero del genere Palaemon, comunissimo nelle acque del Po, che fu riconosciuto quasi identico di altro del lago di Garda, proveniente da tipo marino, che sembra poco a.poco essersi adattato a vivere nelle acque dolci. Osserva il prof. Vogt che simili fenomeni sono frequenti in Isve- zia e Norvegia, ove in diversi seni di mare, trasformati lentamente in laghi pel sollevamento del suolo, e scambiata mano mano in dolce l’acqua salsa, si trovano molte specie di molluschi e crostacei di tipo marino che vivono anche nei circostanti mari. Esaurita Ja discussione sopra questo interessante argomento, il si- gnor Martins di Montpellier chiama |’ attenzione dell’ assemblea sulle radici aerifere di alcune Jussiee, ch’egli incontrò nei dipartimenti me- ridionali della Francia e nell’ Asia minore. Questi vegetali hanno tre specie di radici: ordinarie, intermediarie., biancastre e contenenti qualche bolla d’aria, e finalmente ovali-rilevate, ripiene d’aria, che sostengono la pianta e la fanno galleggiare; l’aria che racchiudono le loro cellule, non contiene che la debole proporzione di 10 a 12 °/s di ossigeno. In nome poi del sig. De Rouget di Montpellier, lo stesso sig. Mar- tins communica il risultato di lunghe e delicate ricerche sul modo con cui i nervi motori si congiungono coi muscoli. Trovò il signor Rou- get che i nervi motori non penetrano nei muscoli, ma vi si applicano in forma di dischi. Codesti dischi si rinvengono in tutti i vertebrati, ma sembrano mancare ai rettili nudi. Osserva il prof. De-Filippi che tali dischi funzionano probabilmente come placche elettriche, e che col- l’impiego di certi reagenti si potrebbero forse scoprire anche nei mu- scoli di animali in cui non si sono ancor vedati. Prende poscia la parola il signor Presidente e la sua communica: zione, una fra le più importanti della seduta, è seguita da una inte- ressantissima discussione, alla quale partecipano i membri più di- stinti dell’ assemblea. Dice l'illustre entomologo di Germania avere osservato da due anni il fatto interessante che in un alveare presso Costanza si producevano di continuo dei Zwilter (ermafroditi in- completi?) varianti infinitamente fra di loro, quanto agli organi ma- Il CONGRESSO DEI NATURALISTI SVIZZERI A SAMADEN 415 schili e femminili esterni ed interni, e presentanti il curioso feno- meno, che, quando sono muniti degli organi sessuali femminili, le ovaje non si rinvengono mai perfette, come nella regina, ma riman- gono sempre allo stato incompleto di quelle delle operaje, mentre che ogni qual volta si trovano organi maschili, questi sono bene svilup- pati ed il liquor seminale contiene spermatozoidi in quantità. — Le api non tollerano questi ospiti inutili nell’alveare, e li ‘espellono prima ancora che abbiano potuto interamente svilupparsi. L’ egregio osservatore non considera questi fatti come contrari alla partenogenesi, e spiega l’ apparizione di questa anormalità ammetten- do un'azione incompleta ed insufficiente de’ spematozoidi su quelle ova, associandosi in massima all’opinione de’ fisiologi che vogliono derivato il prodotto femminino dagli ovi dei quali molti, ed il ma- schio da quelli in cui pochi spermatozeidi penetrarono. Oltremodo interessante, come già notammo, riuscì Ja discussione che seguì questa relazione, e che versò specialmente sui fenomeni della generazione. Il sig. prof. Chavannes di Losanna, lo stesso che ebbe premiata dal R. Istituto di Milano una bellissima memoria sulla malattia del baco da seta, citò il fatto di un distinto agronomo Vodese, che die- tro le indicazioni del professore Thury di Ginevra ottenne dei vitelli maschi o femmine a volontà (e ciò a quest’ ora già ventidue volte di seguito), col metodo semplicissimo di far coprire la vacca sul finire o nei primordi del calore. Sarebbe interessante di veder confer- mato questo fatte da ulteriori sperimenti; ad ogni modo non si tro- verebbero in contraddizione coll’ opinione sopra enunciata, essendo anzi probabilmente nel principio del calore l’ ovo più tenero e di più facile penetrazione agli spermatozoidi, che quindi vi possono introdursi in maggior copia, mentre forse in seguito s’ indurisce e diventa meno penetrabile. Prendendo sempre argomento dai fenomeni della generazione , i signori De-Filippi e Siebold riferiscono dei casi, in cui da ova non fecondate di lepidopteri, e fra altre anche del B. mori, nacquero dei bacolini, ed afferma il primo possederne egli stesso alcuni attual - mente in Torino, sviluppatisi dalle ova di un'unica femmina di razza H{h A. STOPPANI, giapponese: l'emissione succedette con gran facilità come ciò av- viene quando vi fu accoppiamento, e non stentatamente e a lunghi in- tervalli. Cita poi il distinto entomologo inglese Curtis, che da un unico bozzolo del 8. atlas pervenutogli d’ America ebbe, dalla fem- mina che gli sbucciò, ovi che quasi tutti regolarmente si sviluppa- rono. | prof. Heer di Zurigo e Chavannes invece, in numerosi spe- rimenti intrapresi con razze diverse e a varie epoche, non poterono mai registrare simili fatti. Seguirono due comunicazioni di botanica di poco momento, l’ una sopra lo sviluppo anormale delle foglie de’fiori d'una Saxifraga sarmentosa , V'altra relativa alla flora dell’ Albula, indi il sig. Fatio di Ginevra parlò della distribuzione altimetrica di alcuni mammiferi della Svizzera, ed invitò i membri presenti della Società che si oc- cupano di zoologia a completare quelle osservazioni. Apposite tavole da lui per ciò ideate furono loro distribuite. Sulle relazioni che si rimarcano fra la flora e la fauna delle Alpi e quelle delle regioni artiche tenne poi il prof. Heer un’ eruditissi- ma dissertazione, citando molti fatti in apparenza stranissimi, di specie nordiche viventi sulle Alpi, ora sparsevi per ogni dove, ora .concen- trate in gruppi isolati; di altre, mancanti a queste, che s'incontrano quà e là nella Germania meridionale, e poi di nuovo molto più al nord; e di allre ancora, comuni alle Alpi e mancanti totalmente alle regioni boreali, e viceversa. Questi fenomeni che l’ egregio prof. sottopose a minuta analisi, possono secondo l’opinione di lui e di altri distinti naturalisti facil- mente spiegarsi, riportandosi all’epoca dei ghiacciaj, per il lento ed irregolare squagliarsi de’ quali, animali e piante poco a poco si ri- trassero verso il nord, e non rimasero che quà e là sparsi in gruppi isolati, ove i ghiacci furono ultimi a scomparire, e forse già separati dalla gran massa che mano mano andava ritirandosi. La conferma di questi fatti troverebbesi anche nei fossili dell’epoca diluviale, e vi furono dal dotto naturalista stesso constatati, benchè il diluvium fosse in massima poco atto a trasmetterci dei resti vegetali ed animali. Questo fenomeno dell’avanzarsi e del ritirarsi della fauna boreale osservasi d’altronde ancora oggidi nelle alte latitudini, in modo che certe specie di animali si rinvengono ora già al 70.° ora solo verso l’ 80.° a IL CONGRESSO DEI NATURALISTI SVIZZERI A SAMADEN 418 di latitudine borcale, secondo che l’estate vi è di breve o di lunga du- rata, e quindi minore o maggiore lo squaglio delle nevi e ghiacci (1). Sul finire della seduta il prof. Vogt torna sull’argomento trattato il giorno precedente in seduta generale, lo studio comparativo cioè dei cranii dell’epoca diluviale, e di quelli della pietra e del bronzo, e sottopone all'esame dell'assemblea i modelli di gesso di alcuni te- schi appartenenti irrefragabilmente secondo lui a quei remoti tempi, esprimendo in pari tempo l’opinione che probabilmente 1’ uomo vi- veva già all’ epoca terziaria, che offriva indubitamente circostanze favorevoli alla sua esistenza, dichiarando però che non si può finora citare alcun fatto in appoggio della tesi. Chiude la seduta della sezione una communicazione del sig. Lec- che di Ulma sulle piante crittogame in generale e specialmente sui danni recati dal Merul. vastator, Bolet. destructor, e della Mim. domestica, proponendo per combatterli un cemento di sua invenzione. Finalmente venne dal sig. Stitzherger di Costanza mostrata una pre- ziosa raccolta di licheni rari. Seduta generale del 23 agosto. Esaurita la trattazione di molti affari appartenenti alla Società, il sig. Theobald delinea a rapidi tratti la geologia dell’ Engadina. Il si- gnor Desor discorre dell’azione dei ghiacciaj, riportandosi special- mente al grappo della Beraina. Propone quindi introdurre nella lin- gua geologica la parola roffla, termine romancio, per indicare quelle gore strette, profondamente incassate, la cui forma è dipendente dal- l’azione erosiva delle correnti alpine. Un tale accidente non si ve- rifica propriamente nel Giura, e costituirebbe uno dei caratteri più saglienti della orografia alpina. L'esempio più segnalato è offerto dalla Via-mala fra Andeer e Thusis, Il congresso per l’anno venturo è fissato a Zurigo, sotto la presi- denza del prof. Heer. A. SToPPANI. (1) Potrebbesi forse spiegare in modo analogo il fatto opposto di molte specie di anî- mali (le cui ossa si rinvengono nelle caverne), che da certe latitudini dovettero mano mano ritirarsi verso il sud, pel continuo formarsi ed estendersi degli immensi ghiac- ciai che diedero il nome a quel periodo geologico. INOCERAMUS ET AMMONITES DANS LES ARGILES SCALIEUSES Lertae DE GABRIEL DE MORTILLET A EMILE CORNALIA. ( Seduta del 6 dicembre 1863.) La Tronche, 14 novembre 1863. Mox cner Pafsipent, Permettez-moi de vous signaler un fait paléontologique des plus curieux et des plus embarassants. Je le soumet à l’étude et à l’ap- préciation de tous nos confrères. Vous savez que l’Apennin contient en abondance des terrains extrèémement tourmentés, à couches brisées et mélées, que le profes- seur Bianconi a désignés sous le nom d’.4rgille scagliose, argiles en écailles. Ce nom désigne parfaitement l’aspect de ces argiles, qui, à la place de couches, n'offrent plus que des séries d’écailles plus ou moins grandes; aussi a-t-il été généralement admis. Les argiles scalieuses sur le versant nord de l’Apennin se mon- trent assez ordinairement suivant deux bandes parallèles à la direc- tion générale de la chaîne. La première de ces bandes est assez centrale, et se trouve en contact avec la grande zone des macignos qui forment la ligne de créte. La seconde bande se rapproche beau- coup plus de la plaine. Elle n’en est séparée que par des gypses et quelques autres assises du tertiaire moyen et supérieur. La zone la plus centrale parait repouser directement sur les maci- gnos. C'est ce qu'on peut reconnaître a Pavana, dans la gorge de la sp G. MORTILLET, INOCERAMUS ET AMMONITES 447 Limentra, et au pont de la Venturina, dans la gorge du Reno, en amont de la Porretta. A La Porretta mème on voit une percée de macigno, au Ponte della Madonna, qui semble ‘enveloppée par. les argiles scalieuses. C'est ce qu'ont vu, comme moi et avant moi, Scarabelli et Pareto. C'est ce que confirme l’examen de la limite opposée de la zone; où l’on ne retrouve plus de macigno, et où l'on voit les grès miocènes reposer directement sur les argiles scalieuses. Je dois pourtant reconnaitre que Bianconi est d’un ‘avis contraire. La zone la plus extérieure a encore une physionomie plus récente. On ne la voit en contact qu’avee des terrains bien certainement miocènes et pliocènes, qui la recouvrent des deux còtés. Pourtant ces argiles paraissent contenir des fossiles crétacés, En 4858, parcourant la vallée de l’Idice, près de Bologne, j'ai trouvé au sommet des argiles de la zone la plus voisine de la plaine, tout près de l’église de Monte Armato, mais sur la rive opposée de la rivièére, un fragment de grès anguleux, non roulé, contenant un de ces grands Znoceramus acceptés comme caractéristiques de la craie en Italie — Toscane et Brianza —. J'ai donné cet échantillon intéressant à M." le professeur Bianconi qui l’a déposé au Musée de Bologne. Dans le courant de septembre de cette année 1865, étant allé à Pistoja, l’ingénieur divisionnaire du chemin de fer de l’Italie cen- trale, M." Siben, m’a montré un morceau de calcaire alberese qui contenait une empreinte d’4,monifes, en très mauvais état, mais pourtant bien reconnaissable. Elle a été recueillie par M." l’ingénieur Rieumès, au souterrain de Casale, dans la vallée du Reno. Ce sou- terrain est ouvert en entier dans la zone centrale des argiles sca- lieuses. L'échantillon n’ètait pas isolé. M." Rieumès a été obligé de le détacher d’un bloc d’alberèse. Dans la méme zone, près de Vergato, au Rio Anevo, j'ai recueil- li, il y a trois ans, sur des blocs de grès provenant de la partie supérieure des argiles scalieuses, de ces bourrelets sinueux qui ca- ractérisent si bien, en Toscane, la pietra-forte à Znoceramus et à Ammonites. Jai remis quelques uns de ces échantillons à M." le pro- 27 —©<©€<=@PT_——€—=—2APÀYT=*W*k€W®©f@w..Ì.ékWWNÌlWWNh3x..WWWÈkwwwww°ww°.=w.www.w_ Acque varie non segnate nel piano Rn VRIS4 6° LOLA A d° _is Cisterna alla vigna Chioselli . . . . . RATA RANE 2) 04 I] 0 id. al convento dei P. Cappuccini ........... 16 id. alla filatura del signor Curti ............ 13 id. alla vigna del conte Baldi... ........... 17 eegaliatziazola). 1901 Ae 415 id. al Santuario della Vergine dei Fiori . ....... 10 Canale del molino proveniente dalla Stura sul ...... camino di UDErASCO: -. . 11 TALE 48 Acqua potabile di Torino... ...........0 44 Pozzo con pompa nel palazzo civico di Torino . . .... - 48 4792 F. CRAVERI, Questo quadro indicante la bontà relativa delle varie acque, rimane imperfetto come quello che non fa il minimo cenno-della natura delle sostanze fisse che sono contenute nelle acque. Bramando completare il meglio possibile questo lavoro idrografico mi decisi di fare due ana- lisi complete e scrupolose di due acque dei pozzi, prendendo come campioni i due estremi cioè il pozzo che dà la migliore acqua e quello che fornisce la peggiore; trovai la prima condizione nel pozzo N. 49 e la seconda nel N. 9. Non avendo ancora analizzato l’acqua del pozzo di casa nostra, ed essendo quest’ operazione indispensabile per noi che possediamo un laboratorio chimico, il quale viene alimentato dall’ acqua di questo pozzo, colsi quest'occasione per praticarne pure l’analisi; e l’azzardo vuole che il nostro pozzo N. 4 abbia un numero idrometrico quasi intermedio fra i due estremi, ciò che aumenta 1’ interesse della sua ‘ ‘analisi, poichè possediamo in tal modo tre paragoni ai quali si pos- sono riferire tutte le acque dei pozzi Braidesi in quanto alla natura e quantità delle sostanze che le rendono più o meno cattive. Quadro comparativo delle analisi delle acque dei pozzi IN. 9,4, 49, lavoro eseguito da settembre a dicembre del 4862. Pozzo N.0 9 Pozzo N.U 1 Pozzo N.y 49 Residuo secco Residuo secco Residuo secco Sostanze in un litro in un litro in pn litro d’ acqua d’ acqua d’ acqua grammi 2,193 grammi 1,471 grammi 0,246 Carbonato di calce ..... 0,24570| 0,26769 0,05209 Solfala.dicealeniot Lau. 0,65728 0,2355359 0,03255 Cloruro di sodio . ..... : 0,56628 | 0,04292 _. Carbonato di soda ...... 0,05510 0,06728 — Azotato di soda......... ... 0,4753597 0,62251 0,41437 Solfato di potassa . . .... 0,05472 — — Silicato di potassa . . . ... 0,10787 0,04287 0,01497 Cloruro di magnesio. . . . . 0,12691 0,1856535 0,0153549 Allumuna.. <..../60. sil 0,05819 0,01474 0,00930 2,1253599 4,47870 0,2553577 Perdita o aumento. . . ... + 0,0710414 |— 0,00770 |+ 0,01223 (1) 2,19500 1,47100 0,24600 (41) Considerando l’acqua potabile che alimenta Torino come un campione eccellente fra le acque bevibili, credeì non far cosa discara al lettore ricercandone la sua ana- lisi onde poter fare dei paragoni colle nostre acque di Bra; e trovato quel lavoro ese- IDROGRAFIA SOTTERRANEA DELLA CITTA’ DI BRA 475 Da come si vede il materiale mineralogico più abbondante nelle nostre acque si è la calce, e ciò deve essere poichè vidimo che il tufo su cui riposa è essenzialmente calcareo. 1 pozzi collocati sulla parte alta della città sono inferiori in bontà a quelli collocati nella parte bassa, come si può facilmente conoscere esaminando il quadro idrometrico e la posizione dei singoli pozzi no- tati nel piano topografico della città (1). Questo dato ottenuto coll’assaggio, rovescia compiutamente l’idea radicata nella mente degli abitanti, i quali sempre supposero che le acque -altinte nei pozzi profondi delle alture, freschette in estate e sempre limpide, dovevano essere migliori di quelle del piano , rin- venute a fior di terra e sovente di dubbia trasparenza. Possiamo ora occuparci del dato chimico, il quale, come sopra an- nunciai, può servirei di guida per trovare con molta probabilità la provenienza delle acque che scorrono sotto i nostri piedi. fo suppongo i guito dall’ egregio professore cav. Abbene, e stampato nel 41853 in una Memoria della Società amonima per condurre l’acqua potabile a Torino, copio da quello i dati che possano servirci. Analisi delle malerie solide dell’ acqua presa alle fontane della vallata del Sangone presso Rivolta. Carbonato di magnesia Carbonato di calce Cloruro di calcio tracce Solfato di calce tracce dubbiose Selce tracce * Ossido di ferro tracce Materia di natura organica tenuissima quantità. Quest’acqua evaporata lasciò grammi 0,055 di residuo fisso per ogni litro, ma ripe- tuta quest’operazione nel 1859, quando finalmente si potè prendere l’acqua sulla piazza Carlo. Felice in Torino, si trovò all’ evaporazione grammi 0,070 per ogni litro invece di 0,055 come dava alla sorgente. L’acqua di molti pozzi della Capitale analizzata dal prelodato professore gli die- de 0,400 — 0,500 — 0,600 di materie solide , fra le quali predomina il solfato di calce, molte contengono azotato di calce. (1) Qui m’incumbe il dovere di rendere le dovute grazie alle gentilezze del signor geometra Traversa, il quale mi procurò i mezzi onde aggiungere al piano della. città (copiato dal Cadastro dal mio amato fratello Ernesto) i suoi dintorni, i quali vennero cortesemente disegnati dai signori Marengo e Rebuffo. Finalmente al signor geometra Ghersi che volle incaricarsi di tratteggiare topograficamente le ondulazioni del terreno montuoso, dando in tal modo compimento a questo piano. 474 . Pa CRAVERIS che i tufi sottostanti le nostre colline, contenendo buona dose di sali calcarei, questi si disciolgono nell'acqua che loro sta in contatto, ed è perciò che trovansi in abbondanza nei pozzi che primi sono ali- mentati dalla corrente che viene dal IV. E. al 5. O., ma non tardando | il terreno a cambiar natura , ed a diventare arenoso, allora non so- lamente l’acqua sotterranea non trova più materiali calcarei da di- sciogliere , ma perde persino poco a poco gran parte di quelli che | teneva in soluzione, come succede quando si filtra l’acqua sull’ arena | in apparati speciali ; quindi la bontà dell’ Mia ; Va vi prada; a gradi e divenendo troppo basso verso i pozzi N. 45, 46 e 64 l’acqua vi sta gna e caricasi di altri materiali che la°rendono cattiva. v L’analisi c' insegna pure che se la nostr’ acqua camminando lenta: mente sotto terra dal /V. O. al S. O. perde gran parte dei sali cal- carei, acquista invece degli azotati o nitrati; la sua quantità arriva Ì al massimo nel pozzo N. 49, e sebbene questa quantià non sia nell’ana lisi rappresentata che da un numero assai piccolo in apparenza qual è quello di 14 centigrammi per ogni litro ,. però facendo i calcoli ope. portuni si trova che esso è in quantità maggiore relativamente alle. materie fisse contenute nelle acque degli altri pozzi. i Onde dare un’idea di queste proporzioni estrassi col calcolo lol quantità relative dell’acido azotico contenute nelle tre acque e sono: Pozzo N.9 il 47 p. °/ nel residuo secco » 4 il 54 ”» ” D) 49 il 57 » D) Per spiegare l'abbondanza dei nitrati in questi pozzi si deve sup-. porre che le arene del talù Braidese appartengono a quella classe dei terreni favorevoli alla formazione dell’acido azotico, il quale comè c’'insegna la teoria chimica e come fu provato dagli industriali fab- bricanti il nitro fin dal principio di questo secolo, formasi cogli ele menti forniti dall’atmosfera, quando le circostanze locali favoriscono la reazione, ed i nitrati che si trovano in certe località si rinnovano continuamente alla nostra vista. IDROGRAFIA SOTTERRANEA DELLA CITTA’ DI BRA 475 Comunque siasi, il contenere una quantità notevole di azotati è uno dei caratteri particolari delle acque Braidesi, e volendo para- gonare queste quantità con altre prese su varii punti del globo , compulsai il Dizionario delle analisi chimiche e passai in rassegna più di 60 analisi di acque potabili, fra le quali soltanto 22 sono in- dicate come contenenti dei nitrati, ma nissuna ne contiene la quan- tità che io trovai nella nostra Braidese. Notisi però che la determi- nazione analitica dell’acido azotico presenta qualche difficoltà, e nei tempi passati, quando i metodi d’analisi erano meno perfetti, l’acido azolico fuggiva facilmente alle investigazioni dei chimici, Un fatto assai curioso e che io noto per la sua singolarità è la mancanza di iodio nelle acque dei nostri pozzi. Noto questo fatto non per le conseguenze fisiologiche che se ne potrebbero dedurre ( que- stioni queste in cui non voglio addentrarmi), ma bensì per la sua singolarità sotto il rapporto dell’analisi chimica delle acque ; egli è difatti assai curioso che questo corpo, il quale fu rinvenuto dai chi- mici moderni in quasi tutte le acque analizzate, rinvenuto da quanto pare nell’aria che respiriamo, manchi totalmente nelle nostre acque; eppure le tante e scrupolose investigazioni che praticai onde sco- prirlo essendo riescite inutili, mi trovo quasi mio malgrado costretto d’asserire che le nostre acque non contengono jodio. Ben inteso che questa mia asserzione riposa sul fatto di aver ricercato questo corpo in 40 litri d’acqua del pozzo di casa nostra, non potrei dunque per- sistere sulla negativa , se si facesse l’ esperimento su qualche cen- tinajo 0 migliajo di litri, ma ciò non toglierebbe la singolarità di possedere un’acqua così povera di jodio. Le acque Braidesi confrontate con molte altre che si bevono nelle principali città Europee, occupano un posto assai inferiore , nulla- meno quelle dei pozzi N. 49, 53, 37, 38, 40, 54, 63, ecc. sono assai buone. | Bra, 17 novembre 1863. LIBRI arrivati in dono alla Società nell’anno 1865 dopo quelli indicati nelle pagine 22, 57, 113, 120, 222, 229, 236 e 399. ' La n si Giornale della Commissione di agricoltura e pastorizia per la Sicilia, ; vol. I, della terza serie , fasc. 3. , Rapporto sui cotoni cata nell’ Orto botanico di Catania. — Colti- vazioni irrigue fatte colle acque del Simeto. -- La pastorizia in Sicilia. — Tifo bovino. — Trifoglio ocroleuco. — Colonia agricola di San Martino. Atti della R. Accademia dei Georgofili di Firenze. Nuova serie, vol. X, dispensa 2 e 3. Lavori dell’ Accademia. — Programmi di concorso per premj. — sull l'insegnamento agrario (Cuppari). — Sulle ripe e arginature dei fiumi, ece. iI — Piccole industrie da introdursi in Italia (materie tessili della ginestra, s ld aloe, ecc.; resine dei nostri sesti legno dei pini viventi sui terreni fibre delle foglie dei coniferi ; ‘maslice del e comune. Parlatore)i | — Lavori di chimica del prof. Bechi. -- Formazione dell’ammoniaca nell’arrostitura dei minerali; ed azoto contenuto nelle rocce di Toscana. | — Soffioni boraciferi di Travale. — Conguaglio delle imposte fondiarie, — Proprietà letteraria e proprietà intellettuale. — Azione del solfito e_ dell’iposolfito di soda nella malattia dei bachi da seta. — Parasiti del gelso | e dell'olivo. — Condizioni del suolo italiano relativamente all’economia | rurale. Ni Di Atti del R. Istituto d’ incoraggiamento alle scienze naturali di Na. poli. Tomo XI. i CosraA. Alcuni fossili dell'Isola Pianosa, ecc. — Novi. Opere di bonizti ficamento nelle provincie napoletane. — PasquaLe. Stato fisico-econo- | mico-agrario della Prima Calabria Ulteriore. Rendiconto delle sessioni dell’Accademia delle scienze dell’ Istituto” i di Bologna. Anno 1862-63, Memorie dell’Accademia delle scienze di Bologna. Serie Il. Tomo II È Fascicolo 3. FABBRI. Utilità dell’ostetricia sperimentale. — RizzoLi. Nuova lussa- zione traumatica dell’avambraccio. — CALORI. Duplicità congenita della | milza. — BELTRAMI. Coniche di nove punti. — RESPIGHI. Latitudine Ù geografica dell’ Osservatorio di Bologna. ì LIBRI ARRIVATI IN DONO ALLA SOCIETA” 477 Societa Reale di Napoli, Rendiconto dell’Accademia delle scienze fisiche e matematiche. Anno. II. Fascicoli 7 a 10. Processi verbali. -- BaTTAGLINI. Involuzioni di diversi ordini. — Dr-Luca. Peso delle ossa dello scheletro umano. — Ricerche chimiche sul pane e sul frumento trovati negli scavi di Pompei. — Trasformazione della pelle dei serpenti in zucchero. — Studj sul livello del mare. — Costa. Emitteri stranieri all'Europa. — PaLmIERI. Pretesa elettricità negativa del cielo sereno. — Scosse sentite al Vesuvio durante un’eruzione dell'Etna, — Misura della declinazione e inclinazione magnetica a Napoli. — Nuovo udometro autografico. -—- NicoLucci. Stirpe ligure antica e moderna. — Rapporto sul livello del mare nel golfo di Napoli. — E alcune memorie di matematica. Memorie di matematica e fisica della Società italiana delle scienze fondata da A. M. Lorgna, ora residente in Modena. Serie se- conda. Tomo I, Modena 1862. Statuto della Società. — Membri. — Annali della Società dal 1855 al 1862. — BrANcHI. Dei numeri interi, ecc. — ALESSANDRINI. Mostro umano bicefalo e bispinale. — BrIGNOLI. Piante nuove o non ancora de- scritte. — MAINARDI. Integrabilità delle funzioni. — ToRrtoLInI. Divi- sione degli archi di una curva di quarto ordine, ecc. — MassaLonGo. Mo- nografia del genere Sylphidium. — BeLLAVITIS. Calcolo dei quaternioni. — Tapper. Nuovo modo di filtrazione. — MARIANINI. Applicazione del- l'elettricità alle persone. Cura elettrica con vantaggio. — SANDRI. La logica applicata allo studio dei contagi. — MARIANINI. Luce ed elettrico, loro analogie, ecc. Commentarj dell'Ateneo di Brescia per gli anni 1888, 1859, 1860 e 41861. Brescia 1862. Lo scandaglio elettrico di Balestrini. — Della grandine. — Osservazioni meteorologiche. — Leggi del clima di Brescia. — Conservazione delle so- stanze alimentari. — Mercato delle vettovaglie in Brescia. — La pellagra in Italia: stato della questione. — Igiene dell’agricoltore, relativa alla pellagra. — Natura e cura della migliare. — Polipo al fondo dell'utero, ecc, — Prolasso dell’ intestino retto. — Acqua termale di Montefalcone e acqua dell’ Adriatico, analisi. — Acque della fonte di Mompiano. — Insetti no- civi all'agricoltura, distruzione loro. — Crocieri a doppia fascia, Piglia - mosche, ecc. Silvine dei generi Hippolais e Calamoherpe. — Sulla ma- lattia del baco da seta. — Del governo delle Api. — Conservazione delle sanguisughe già usate. — Agave americana fiorita a Mantova. — Miceti dell’agro bresciano. — La Torba come sorgente di gas-luce. — Terreni terziarj della provincia di Brescia (Ragazzoni). — Stato dei boschi, ece. nel Bresciano. — Le miniere di Val Trompia. — E altre memorie o note relative alle Lettere e alle Arti. — Premj. 478 LIBRI ARRIVATI IN DONO ALLA SOCIETA” Il Politecnico. Numeri 87, 88 e 89. Psicologia delle schiatte. — Origine, indole e cura del morbo conta- gioso bovino. — Nuovo motore Barsanti e Matteucci. — Dei precipui fatti della paleontologia (Stoppani). — Meteorografia (Galton). — E diverse memorie non di scienze naturali. È Stroser. Sticerche paleo-etnologiche nelle terremare e nelle palafitte del Parmigiano. Lettera al Direttore della Gazzetta di Parma (Gazzetta di Parma. N. 182, 1863). Costa A. [Vota sopra un nuovo genere di Imenotteri della famiglia dei Calcididei (Bull. Accad. Aspiranti Naturalisti 1865). Costa A. Illustrazione di taluni emitteri stranieri all’Europa. Nota prima (Rendiconto Accad. Scienze fis. e mat. di Napoli. Agosto 1863). Relazione della commissione d’Agricoltura inviata in Inghilterra. dal Consiglio provinciale di Milano in occasione della mostra universale in Londra nel 1862. Milano, 1863. Bermini. Considerazioni critiche sui nuovi principj di Fisiologia ve- getale del prof. Gaetano Cantoni, ecc. Siena 1863. Steraneti e Sestini. Sommario degli studj di chimica pubblicati da Chimici italiani nell’anno 1862. Firenze 1863. Ferrovia delle Alpi pel Monte Settimo. Progetto eseguito per ordine della Giunta Municipale di Milano dalla Commissione a ciò delegata, Milano 1862. Tansunini. Nuovo e sicuro metodo per distruggere gli insetti nocivi alla vegetazione e specialmente la Carruga. Abbiategrasso 4863. Corrispondenza scientifica in Roma. Volume VI. Numeri 18 a 52. Del petrolio e del suo uso per l'illuminazione. — Stelle cadenti osser- vate in Roma nell'agosto 1863. — Delle febbri intermittenti e loro trat- tamento. — Il barometro areometrico a bilancia della Loggia dell’ Orgagna a Firenze. — Il fotopantografo del prof. Marucchi. — Sulla propagazione della luce elettrica. — Congresso dei naturalisti svizzeri a Samaden. — Bullettino bibliografico. Bullettino nautico e geografico. Vol. Il. Numeri 8 a 10.. santa Statistica del Tevere nel quarantennio 1822-1861. — Roma e la luce . elettrica nei fari. — Stelle cadenti periodiche. — Nuovo ponte di ferro sul T'evere. Il Picentino. Giornale d’agricoltura, ecc., della R. Società Econo. mica del Principato Citeriore (Salerno). 2.°. Serie. Anno 3.° Fasci- colo 6-2 41. i LIBRI ARRIVATI IN DONO ALLA SOCIETA” 479 Esposizione di Londra. — Praticoltura. — Macchina da sgranellare il cotone. — Atti del Governo. — Seminatore Cassina. — Lezioni domeni- cali di botanica applicata all’igiene, all’ agricoltura, ecc. — Rimedj contro la rabbia. — Programma di premio. -— Rivista bibliografica, bullettini meteorologici, ecc. — Esposizione agraria in Toscana. L’ Incoraggiamento. Anno XV. Serie quarta. Numero 28 a 47. Scuola agraria in Noto. — Il Tavogliere di Puglia. — Trebbiatura a vapore. — tavolo rapa. — La scienza e l’arte. agraria. — Bonifiche- — Vendemmia in due tempi. — Solforazione e chiarificazione dei vini. — Propagazione della vite, nuovo metodo. — Coltivazione del cotone nel Ferrarese. — Fecondazione artificiale dei cereali. — Colonia «agricola di Perugia. — Credito fondiario, proposta Pepoli. — R. Commissione eno- logica. — Società agraria di Bologna. — Condizione del cotone in Ro- magnola. — La Previdenza. Vira. Rocce e fossili cretacei della Brianza spediti alle esposizioni di Firenze e di Londra. Milano, 1863 (Dal Giorn. dell’ Ing. Arch. e Agron. XI). Picrer. Mélanges paléontologiques (Mem. Soc. de tipe et d’hist. nat. de Genève. Tome XVII). Genève 1863. Raspair. Nouveau système de physiologie végetale. Deux volumes avec Atlas. Paris. 18537. Bulletin de la Societe vaudoise des sc. nat. Tome VII. N. 50. Apparecchio telegrafico per trasmettere simultaneamente 20 a 30 di- spacci. — Osservazioni limnimetriche e pluviometriche nel Cantone di Vaud. — Sull’esperienza di Foucault sulla velocità della luce. — Età del marmo di Saltrio. — Flora del Labrador. — Sistema fiorale delle erocifere. — Veleno delle foglie delle ortiche. — Foglie fossili di Pa- lermo. — Ecc. Bulletin de la Société imp. zool. d’acclimatation. Tomo X. Numeri 7 a 9. Sulla deposizione delle uova dei pesci di mare. — Sulle vipere di Francia. — Fecondità di alcune razze dei montoni chinesi. — Progressi dell’acclimazione del baco da seta della quercia. — Fabbricazione del formaggio di Olanda per la marina. — Produzioni della Mongolia. — Ibridi di pernice. — Pesci di fiume della Quadalupa. — Baco da seta del Madagascar. — Razze ovine della repubblica Argentina. — Animali e piante utili della Turchia. — La piscicoltura in China. — La coltura del cotone in China. — Giardino d’acclimazione, cronaca, fatti diversi, cor- rispondenze, ece. Revue Savoisienne. 4.° Année. Num. 8 à 41. Congresso scientifieo di Chambery. — E articoli non di scienze naturali, 480 LIBRI APRIVATI IN DONO ALLA SOCIETA” Martins. IVote géologique sur la vallée du ZYernet dans les Pyrenées, et sur la distinction des fausses et des vraies moraines (Mem. Acad. des science et lettres de Montpellier). Deson. Sur les lerrains secondaires du versant méridional des Alpes, spéecialement ‘e la Lombardie. Neuchàtel 1863 (Bull. Soc. des sc. nat. de Neuchàtel). Lorv.-Votes sur les dépòts tertiaires et quaternaires du bas Dau- phiné. (Ball. Soc. géolog. de France, avril 1863). MormiLer. Coupe geologique de la colline de Sienne (Atti Soc. ital. di scienze nat. di Milano, 1863). ; GasraLpi et MortiLLet. Sur la théorie de | usim glaciair e | (Atti Soc. ital. di scienze nat. di Milano, 1863). Bulletin de la Société imp. des naturalistes de Moscou. Année: 1862. Num. IV. Materiali per lo studio dei Carabici. — Nuovi generi di piante fossili giuresi di Russia. — Forma gigantea del Mitilo edule. — 08 et È gici. — Epoca della fioritura delle piante. — Sedute, ecc. Bulletin de la Société imp. des naturalistes de Moscou. ARES 1863., Num. |. Sviluppo periodico delle piante nel giardino botanico di Pietroburgo. — Piscicoltura nella Finlandia. — Cicindele e Carabici di Russia. — Tre Licheni della Nuova Zelanda. — Embrione di pesce nell’ Anodonta. — Corrispondenza, sedute, ecc. Mittheilungen des Osterreichischen Alpen-Vereins. Erstes Heft. Wien 1863. Ghiacciaj delle Alpi meridionali. -—- Escursioni, descrizioni, ecc. relative alle Alpi tedesche. — Notizie. — Bibliografia. \ Jahresbericht des naturforschenden Gesellschaft Graubindens. Neue Folge. VII. Jahrgang (1861-62). Chur. 1863. Coleotteri dell'alta Engadina. — Valle di Miinster, geologicamente. — Uccelli dei Grigioni. — Osservazioni meteorologiche. — Piccoli animali delle Alpi Retiche. — Sedute, ecc. Wiener Entomologische Monatschrift. VII Band. Num. 6 a 9 Wien. 1863. Jahrbuch des K. K. Geol. Reichsanstalt. XIII. Band. 1863. Num. 2. Geologia d’una parte della Boemia. — Altimetrie. — Grafite di Boe- mia. — Geologia della valle di Kéròst in Ungheria. — Foraminifere del Dachsteinkalk. — Carboni fossili della monarchia Austriaca. — La- vori chimici. — Sedute, ece. - ... . . +... Seduta del 28 gennajo 1863... . . .. . Rendiconto amministrativo pel 1862 . Ereventivo, pel 4862/00 i... doglie ? Carver. Sul fiore femmineo degli Arum. . . . . Passerini e Giorcini. Sull acido carbonico emesso dalle piante. aioa . Stoppani. Sulla carta a iu dintorni del ‘Monte Bianco, pubblicata da. Fare... .. LL, +1: della Tixevui. Sull’ allevamento del baco dell’Ailanto. . . . Seduta del 22 febbrajo 1863 siolotazli . Buzzoni. Sui rapporti fra i caratteri esterni e i caratteri interni o microscopici delle uove deî bachi da seta. Gasraupi. Antracoterio di Agnana, Bulenottera di Calunga e Mastodonte di Mongrosso. . . . TIA Sava. Sulla originaria formazione delle acque Moric e sulla loro salsedine. 7 T. C. Bibliografia botanica: Etude sur irpini à v oc- casion d’ une revision de la famille des Cupuliferes , par Asde Carndollespo: bat ietttagn0 crt Seduta dellia9 malezo;1863ct calamaio Mass isti Seduta del\26saprile 4867. isa cite oltob nizate 5 9 bo) 102 109 417 dl ro ——__—-—ecoano@m i ino 486 INDICE Srroser. Lettera al Segretario G. Omboni . . . . pag. Stoppani. Sulla concordanza geologica tra i due versanti delle Alpi : Carver. Sopra due Oradifee italiane ; * Sroppani. Prima ricerca di abitazioni lacustri nei ; laghi di Lombardia . : 4 è x Ronpani e Passerini. Ze Spore come cause di sodicntà nel baco da seta . . . . LA ”» FrareLui Craveri. Osserpazioni melcroogioh dii in Bh nell’anno 1862 Buzzoni. Sulla malattia dei bachi n seta n anno 1865, » Ronpani e Passerini. Ze spore come causa di malattia nel baco da seta (parte Il) . . . . - i Amgrosi. Della caratteristica e definizione e al agitato. Berrorni. Metodo fucile per ottenere semente sana di bachi da seta nel proprio paese < 4) ALI Seduta del 34 maggio 1863. . . . . Seduta del 28 giugno 1863 Seduta del 26 luglio 1863 . Da Gasraupi. Sulla escavazione ecco dei (e la- custri compresi negli anfiteatri morenici. Lettera al socio Mortillet . MEET L MormiLter. Sur l affouillement dea anciens glaciers. Re- ponse à M. Bartolomeo Gastaldi Onsoni. Sull azione riescavatrice esercitata dagli antichi ghiacciaj nel fondo delle valli alpine. . PO. Cornania. Tentativi di allevamento della Saturnia Binda e della S. Yama-mai . o Batsano-Carverti. Di alcuni Ipiorngit del golfo ‘di Napoli Gicuiou. Della famiglia delle apterigidee e specialmente del genere Apteryx . . HH MortiLLET. Coupe géologique de la ‘adito da Stienne . Oxgoni. Bibliografia: Capellini, Studj stratigrafici e pa- leontologici sull’ infralias nelle montagne del golfo della Spezia; detto, Carta geologica dei dintorni del golfo della Spezia e Val di Magra inferiore ” ” 29 » 25 ” » » 122 124 149 154 164 175 1835. 186 195 202 218 226 252 240 248 269 275 284 303 330 346 ti“ recate ISTE orse i : resize INDICE 487 Onsoni, Delle principali opere finora pubblicate sulla Geologia del Veneto LUN SLI OA n e O paga tabo Libri nuovamente arrivati in dono alla Sughi. Ro, Seduta del 6 dicembre 1863 . . . 0 Stoppani. ZI congresso dei Naturalisti Sui a Stmiagieni n 406 MortiLLet. /noceramus et ammonites dans les argiles scalieuses . . a A AAT iI (RNA Seduta del 27 dicembre: 1865. ATEO LL VETRI o NCO, Sroprani. Rapporto sulle ricerche fatte a spese della So- cictà nelle palafitte del Lago di Varese e di schi- sti bituminosi di Besano . . o AO Pacuia. Sull allevamento del toga cpitiia O eng VASO Secuenza. Intorno alla fluorina siciliaua . . . i.» H4Q Ronpani e Passerini. Sul metodo proposto dal sig. Gudo foro Bellotti per ottenere semente sana di bachi da seta. » 47 Craveri. Idrografia sotterranea della città di Bra. . » 452 Libri nuovamente arrivati in dono alla Società . . . » 476 Libri comperati a spese della Società nel 1863 per la BIiDlIOteCaisa ga ee e a RO La Florula dell’ Isola di Montecristo del socio Caruel, presentata nella Seduta del 6 dicembre, sarà pubblicata nel volume VI degli Atti. Il Segretario Onson. 3% Dese RO ERRATA-CORRIGE Pag. 193, lin. 19, alla generalità, si legga alle generalità. n 194, » 18, dagli esseri, sé legga dagli altri esseri. » 199, ziata, della vita. » 201, » 26, centralizzati, sé legga centralizzanti. » 21-22, una manifestazione più o meno circostanziata d vita, sî legga una manifestazione, più o meno circc Caruel, Sviluppo del fiore femmineo dell'Arum ifalicum. Atti della Società ital di Scienze natur VolV Tav}? Milano bi Monet Atti della Società Italiana di Scienze naturali Vol V®Tav IE COUPE EXNACTE DU PLIOCENE SUPERIFUR DE LA COLLINE DE SIENNE, TOSCANE. Prise depuis les murs de la Ville pres la Porte Camollia jusqu au fond du fosso de Malizia,en passant par la station et lesplanade inferieure de garage du chemin de fer par Gabriel de Mortillet. o 25 Janvier 1863. Tuls ou sables agglitines par du calcaire / Sables marins luillouttis Marnes banches d'eau douce Cli Marnes bleues marines — — Lignites dans les marnes blanches . : : < SIE 3 Cisto: gia @=/Sia 09 seed ERE MER TUOI ie vane" 00 K vado à vi Porte | Ovile Porte du Chemin Tranchee j 7 Y)/)) sto ES ARESE SIL E Pt APT malaga Cn: [ [ ' I ' ' I] Il \ I I ' ' Il I] ' ' I] [ | I] ' Ù i] I S (SS =_--------------7-------: =" TA E LOTTI A Ni di AT: Sr; i anto 1 dipl È obra tate dense stat Lol | A n É va u cn dii dt n han neve Alione pv Ro TA LEE ar] . «pi MET VIEROIZZnE Tigorie del'affonillement. Affi della Sorietà italiana di Scienze naturali, VoLV Tav eizinan ( ==" : dn o. Ti \\\\ \\\ \ di } n =: MA, = 2 day, E Il Ttime SK \ DIM SUN È EA I I x 2 cA NU volpi, D Grado Li Î VILLE K A {\ad KA lia ut e [strani ii I \ 9 roauo) € \ > ® ( jo; IS P sci Malanca a / disopra Bemedello\ de sopra ) 4 di » RALSANO n si i Sue ELE del Golfo di Napoli. È. Mi della Societa Italiana di Scienza naturali VoLV Tav IV3 SE È Aia ALTE Milano Lit. Ronchi esteri da rina n LZ TA RA ni E icano-cRiveLI. Sulle Spugne del Golfo di Napoli. Atti della Società Italiana di Scienze naturali VLV. TavV? - ua fn, I a <» vw CNICAFTA sprroe n Milano Lit. Ronchi © BALSAMO=CRIVELLI . Sulle Spu fne del Golfo di Napoli. P | Atti della Società Italiana di Scienze naturali VolVTav.VI® LIS = Milano Lit Ronchi cl ARA PIAZZI RI GI RASA O MEZ II SA PAT no DA RM Tesio cer cd nm i GIGLIOLI. Sulla famiglia degli Apleryx Atti della Società Italiana di Scienze naturali VolV Tav VI se pisie TOR TRENTINA eroi pa VII 7 AREA i dle Pi GIGLIOLI. Sulla famiglia degli Apteryx Atti della Società Italiana di Scienze naturali VolV Tav VII afia sotterranea di Bra. Idro 5 TAVEnI- Atti della Soc.italdi Sc.nat.Vol.V.Tav.IX. (0) JA NIII I\\ AITAIAD iI I NI I / VII FERROVIA: TICANI IR S.GIO-LONTA CIMITERO PIANO TOPOGRAFICO dI n) CITTA. ( DELLA = È e a x iMilana, Lit Fondi è iS 4 PI % x » Y n "Ri bg hl Prg to n Ù vo .. . ‘ L* * asd afro . ‘ » ’ ‘ ” » ci ” I eli A i ki Ù U È va e x ser Ropyro saba LA da SE PURO! "LP PEA ip SIVORI d.e i : ° | ls tO d- : MA Ni T ‘ol. \ al DT VIAOLII 0}VIg MN Milano, Lit. Ronchi. Di n gir oxzarii % 019AVUD DULIISDI Le 4 OXZO] opavuog 09 sl” oxv9] T LI AC oxzo][ GIA 0339 [ Ki : : 270 podsg I Ì RATASE È QUifcoxxo È mila N LCA 24 i h | os oxzagT bad Il SN NN È RI Ò i. la 0pUO10);* | INEIG N D-i SÒ ye 0330] ni dI N VISI] _ v | CUZIZTUTIA i L SUN OXXO] 19 4 0329] 347 dado della ol QUuI7pD{ Hey 0839] |! Me’ Kit 0220)}}* ; CAO PU fl | dUITULOI | ICÀ vOXZ0O LI, € OPUDUOL | egresresnogii —_ e38mpnp” |. 5 Vf agi i Vo eno Mella Z7774 CAZZI 9 Vai SUDAN ‘Jenze natur / del puanee de ISIN IL del Seanto Choi DL D/Z3 3 w ‘ Ù N 2ppouoddny L ‘0puo90g"g | C N ùì s2ppruoq |: R N E 4 ZO] . N 0CW OXX0] È CIN OZZ0T || N i | xè /WDSLIADI[ |. N E ‘= È VE O30L ogfowmvg |: F S ki . % 2° 0x9 || 0uIZUO) | è = î 240004) f;{"0x39f SS SS 002799gnd Nu = CHAN OXXOd 2 \ ì DS GARORRA] a BIN 0220] : S è ECHO RZ N N N 02X14g . 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