UNLLLN hd il E NT © SOCIETÀ ITALIANA < DI SCIENZE NATURALI. . VOLUME VI. ANNO 41864 A ve , iù - ig a @ 1 € PN lo) » à CI . G = LS Di ») con 4 Tavole litografiche AR di — a _ x = ali ia o xl as bei tl XL MILANO PG COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI DI GIO. È 1865. A Sri Son ina 5 AA (E 7 ANSASF AS UA, LI LI " EPS È O f; \ AZA\ INZANI, 4A AO Sa de i | California Academy of Sciences Presented by_SocietàÀ Italiana di Scii- enze Naturali, Milano. February __14 197. AEREI - DELLA SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI VOLUME VI. I Anno 41864. MILANO COÌ TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI DI GIO. 1864 ; } Mii e Cai Vi cpr i PAR. j vi A ; Terzo sai 3; ia pa 7 NI SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI —_—o oo Scopo della Società è di promovere in Italia il progresso degli studj relativi alle scienze naturali. ll numero dei Socj è illimitato. I Socj si distinguono in onorarj . effettivi e corrispondenti, I Socj effettivi pagano italiane Lire 20 all'anno, in una sola volta, nel primo trimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presen- tano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. A Socj corrispondenti si eleggono persone distinte nelle scienze naturali, le quali dimorino fuori d’Italia, e possano in qualche modo essere utili alla Società ed al progresso delle scienze naturali in Italia. — Essi possono diventare socj effettivi, quando si assogget- tino alla tassa annua di lire venti. — Non sono invitati particolar- mente alle sedute della Società, ma possono assistervi e presen- tarvi o farvi leggere delle Memorie o delle Comunicazioni, le quali possono essere stampate per esteso o per estratto negli Att della Società, come quelle dei Socj effettivi. -—— Ricevono gratuitamente gli Atti della Società. La proposizione per l’ummissione d’un nuovo socio deve essere fatta e firmata da tre socj effettivi, la votazione si fa segreta, e il socio è ammesso se ottiene almeno due terzi dei voti dei soc} pre- senti all’adunanza. La presidenza manda al nuovo socio una lettera CI SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ ITALIANA di nomina ed una copia dei Regolamenti della Società. E quando il nuovo socio effettivo ha aderito per lettera alla nomina, ed ha pa- gato la quota per l’anno in corso, la Società gli manda i fascicoli degli Att? già pubblicati in quell’anno, e poi dopo, regolarmente, tutti gli altri, fino a che esso continua a far parte della Società. I socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad essere tenuti per socj; se sono in ritardo nel paga: mento della quota di un anno, e, invitati, non Io compiono nel pri- mo trimestre dell’anno successivo; cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni e Memorie presentate nelle adunanze possono essere stampate o negli Atti della Società o nelle Memorie, per estratto o per esteso, secondo la loro èstensione ed importanza. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. À Agli Atti non si possono unire tavole se non sono del formato degli Atti stessi. Gli scritti destinati per gli Atti devono essere comunicati tali e quali devono essere stampati. Agli autori che ne fanno domanda, si danno gratuitamente 2% copie a parte dei loro lavori stampati negli Att ; a loro spese possono poi farne tirare a parte un numero qualunque, ai prezzi seguenti : Esemplari 25 50 75 100 1], di foglio (4 pagine) |L. — 78|L.4150|L. 2158 |/L.53 — tia ioglio:(8° paethe). | > e e 8 e] Se 51, di foglio (12 pagine) | » 17%8| #3 B0| »- B 1358] »7 — 4 foglio (16 pagine). . |» 2—|»4—]|»6T—-]|=»8— Le Memorie si venduno ai socj ad un prezzo che è la metà di quello fissato per le persone estranee alla Società ; gli 4tt# si danno gratis a tutti i socj effettivi e corrispondenti. I socj che desiderano avere i volumi degli Z4ttî relativi agli anni anteriori a quello in cui hanno SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ ITALIANA a) cominciato a far parte della Società, li pagano la metà del prezzo fissato per le persone estranee alla Società, purchè li domandino direttamente ad uno dei segretarj. Gli Atti e le Memorie si danno anche in cambio con Atti e Me- morie d’ altre Società ed Accademie. Tutti i socj possono approfittare dei libri della biblioteca so- ciale, ritirandoli per leggerli a casa, purchè li domandino a qual- cuno dei membri della Presidenza, e particolarmente ai segretarj, e ne rilascino regolare ricevuta. reseone EE tree pia n QUAI a So cc cool aa - dI N — GIORNALI, ATTI, MEMORIE ED ALTRE OPERE PERIODICHE che la Società riceve in dono o in cambio dei suoi Alti. . Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere in Milano. . Memorie dello stesso R. Istituto. . Atti dell’ Ateneo di scienze, lettere ed arti di Milano. . L’Agricoltura. Giornale ed Atti della Società agraria di Lombardia. . Il Politecnico, Milano. . Annali d’Agricoltura compilati dal dott. Gaetano Cantoni. Milano. . } Giardini. Giornale d’ orticoltura redatto da un Antofilo. Milano. . Commentarj dell'Ateneo di Brescia. Atti dell’I. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Venezia. . Memorie dello stesso I. R. Istituto Veneto, ecc. Venezia. . Bullettino della Associazione agraria friulana. Udine. . Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena. . Memorie di matematica e fisica della Società italiana delle scienze, 14. 48. 16. fondata da A. M. Lorgna, ora residente in Modena. Rendiconti delle Sessioni dell’ Accademia delle scienze dell’ Isti- tuto di Bologna. Memorie dell’Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna. ll Giornale d’agricoltura, industria e commercio del Regno d’ Italia, diretto dal prof, Botter. Successo all’ Incoraggiamento. Bologna. 27. . Atti della Società d’acclimazione e agricoltura in Sicilia. Palermo. 29. 36. dI, 358, GIORNALI, ATTI, MEMORIE ti . Atti della R. Accademia dei Georgofili. Firenze. . La Sericoltura. Rivista universale dei progressi dell’ industria serica. Organo diretto della Società ailantina italiana. Firenze. . Esercitazioni dell’Accademia agraria di Pesaro. . Bollettino nautico e geografico. Appendice alla Corrispondenze scientifica in Roma. . Corrispondenza scientifica in Roma, redatta dal prof. Scarpellini. . Rendiconti dell’ Accademia delle scienze fisiche e matematiche della Società Reale in Napoli. . Annali dell’Accademia degli Aspiranti Naturalisti. Napoli. . Atti del R. Istituto d’ incoraggiamento delle scienze naturali in Napoli. . Bullettino della Associazione italiana di mutuo soccorso degli scienziati, letterati e artisti. Napoli. . ll Picentino. Giornale d’agricoltura pratica, ecc., pubblicato dalla R. Società Economica del Principato Citeriore. Salerno. Atti dell’Accademia Reale di scienze e lettere di Palermo. Giornale della Commissione di agricoltura e pastorizia per la Si- cilia. Palermo. . Giornale del R. Istituto d’ incoraggiamento di agricoltura, arti e manifattura in Sicilia. Palermo. 34. Bulletin de la Société Florimontane d’Annecy. 32. Revue Savoisienne. Journal pubblié par 1° Association Florimon- tane d’Annecy. . Mémoires de l’ Académie impériale des Savoie. Chambery. Bulletin de la Société de statistique, des sciences naturelles et des arts industriels du département de l’ Isère. Grenoble. . Bulletin de la Société impériale zoologique d’ acclimatation de Paris. Mémoires de la Société impériale des sciences naturelles de Cherbourg. Mémoires de la Société de physique et d’histoire naturelle de - Genève. Jahresberiehte der Naturforschenden Gesellschaft Graubundens. Chur, 8 39. 40. HA. 49. 43. 4h, 4d. 46. 47. 48 49. 50. Bi; 32. di. BU Bb do. b7. 58. 59. 60, 61. 62. 65. 64. GIORNALI, ATTI, MEMORIE Bulletin de la Société des sciences naturelles de Neuchàtel. Mémoires de la Société des sciences naturelles de Neuchàtel, Vierteljahrschrift der Naturforschenden Gesellschaft in Zurich. Bulletin de la Société vaudoise des sciences naturelles. Lausanne. Mittheilungen der Naturforschenden Gesellschaft in Bern. Verhandlungen der Naturforschenden Gesellschaft in Basel. Atti della Società Elvetica di scienze naturali, pubblicati ora in francese, ora in tedesco ed ora in italiano, a seconda della sede d’ogni riunione generale annuale della Società. Revista agronomica, florestal, zootechnica e noticiosa e orgao da Real Associacao central de Agricoltura portugueza, derigida por D. Josè D’ Alarcao. Lisboa. Jahrbuch der k. k. geologischen Reichsanstalt. Wien. Mittheilungen der k. k. geographischen Gesellschaft. Wien. Verhandlungen der zoologischen-botanischen Gesellschaft in Wien. Mittheilungen des dsterrichischen Alpen-Vereins. Wien. Haver, Beitrige zur Palaontographie von Oesterreich. Wien. Leperer, Wiener Entomologischen Monatschrift. Wien. Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft. Berlin. Verhandlungen der botanischen Vereins fiur die Provinz Bran- deburg un die angrenzeuden Lander. Berlin. Leonuarp und Geinirz. Neues Jahrbuch fur Mineralogie, Geognosie, Geologie und Petrefaktenkunden. Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschichte in Mecklen- burg. Neubrandeburg. Berichte des Offenbachers Vereins fur Naturkunde. Offenbach auf Mein. Wirzburger Naturwissenschaftliche Zeitschrift. Wiirzburg. Jabreshefte des Vereins des Krainischen Landes-Museums. Berichte der geologischen Gesellschaft fiur Ungarn. Sehriften der k, phisikalisch-ceconomischen Gesellschaft zu Ké- nigsbersg. Verhandlungen des Vereins fiur Naturkunde zu Presburg. Abhandlungen der Naturforschenden Gesellschaft zu Gòrlitz. Verhandlungen und Mittheilungen des Siebenburgischen Vereins fiur Naturwissenschaften zu Hermannstadt. 78. vd” GIORNALI, ATTI, MEMORIE 9 65. Berichte des Naturhistorischen Vereins in Augsburg. 66. Abhandlungen der Schlesischen Gesellschaft fùr Vaterlàndische Cultur. Breslau. 67. Jahresberichte der Schlesischen Gesellschaft five: Vaterliindische Cultur. Breslau. 68. Jahrbiicher des Vereins fur Naturkunde im Herzogthum Nassau. Wiesbaden. 69. Correspondenz-Blatt des zoologisch-mineralogischen Vereins in Regensburg. 70. Der Zoologische Garten. Giornale pubblicato dalla Società Zoo- logica di Francoforte sul Meno. 74. Notizblatt des Vereins filtr Natur-Kunde zu Denali. 72. Bulletin de la Société impériale des naturalistes de Moscou. _ 75. Nouveaux Mémoires de la Société impériale des naturalistes de Moscou. 74. Memoires of the litterary and philosophical Society of Man- chester. 75. Proceedings of the litterary ad philosophical Society of Man- chester. 76. Proceedings of the Natural History Society of Dublin. 77. The Transactions of the Accademy of Science of St. Louis. Annual Report of the Board of Regents of the Smithsonian Insti- tution. Washington. Boletin de la Sociedad des Naturalistas Nen-Grenadinos. ELENCO DEI SOCI AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1864, SOCJ EFFETTIVI ALBANELLI FiL1ipro, capo-sezione presso il Ministero dell’ Interno, Torino. Anpreossi Enrico, Bergamo. Ascmeri ragioniere Giovanni, Milano, via dell’Annunciata 22. Axerio GiuLio, ingegnere nel Corpo Reale delle Miniere, presso l’uf- ficio del Genio civile, in Milano, piazza di S. Marta. Banoni Giuseppe, Milano, via di S. Maria Fulcorina 17. Barsamo-Criveti Giuseppe, professore di Zoologia nella R. Università di Pavia. Barpetta AnseLmo, Guidizzolo (provincia di Brescia). Barpo’ di Soresina marchese Pietro, corso di S. Celso 20. Bazzi Cesare, professore a Cremona. Beccari Opoarpo, di Firenze, ajuto al professore di botanica nella R. Università di Pisa. BeLLOTTI ALESSANDRO, direttore degli studj nello Stabilimento Bosisio in Monza. BeLLotTI Cristororo, Milano, via di Brera 9. BeLtrRAMINI Francesco, assistente alla cattedra di botanica nell’Uni- versità di Padova. Bertazzi padre GaLLicano, direttore della farmacia dell’ Ospedale dei Fate-bene-Fratelli in Milano, lungo il naviglio di P. Nuova 3. ELENCO DEI SOCJ AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1864 41 Bertè dottor EuceNIO, Parma. BertoLi sacerdote Giovanni, canonico, Chiari. BertoLio ANTONIO, professore di chimica a Casale di Monferrato, Branconi Giuseppe, professore nella Università di Bologna. Biccni Cesare, direttore dell’ orto botanico a Lucca. Bicnami Emicio, ingegnere, Milano, via dei Moroni 6. Bocani dottor Innocente, Milano, borgo della Fontana 137. BoLLini AnceLo, Milano, borgo di Porta Romana 4618. Bonzanini ingegnere EmanueLe, Milano, corso di S. Celso 4224. Borromeo conte Carto, Milano, corso di P. Nuova 1470. Bossi Gio. BatTISTA, ingegnere, Milano, via di Chiossetto 227. Buri sacerdote AnceLOo , professore nel R. Istituto Tecnico, Milano, via di S. Marta 7. BuzzetTI Curzio, professore di fisica ecc. nell’ Università di Ferrara. Buzzoni sacerdote Pietro, vice-parroco a Brenna (provincia di Como). Capriati AcHinte, farmacista in Milano, via di S. Antonio 4794. CALANDRINI FILIPPO, sopraintendente ai RR. Giardini in Toscana, Firenze. CaLpesi Lopovico, Faenza. CanETTI dottor Carro, Milano, via di S. Z'ittore e 40 Martiri 1202. Cantoni GaETANO, professore d’agronomia nell’Istituto di Corte Pa- lasio presso Lodi. CapeLLini Giovanni, prof. di geologia nella R. Università di Bologna. CapRIOLI conte Carto, Brescia. Carver Troporo, professore di botanica medica all’ Istituto di studj superiori in Firenze, via Garibaldi 3525. Casati nobile Camitto, Milano, via di S. Nazaro Pietrasanta 6. CastieLioniI Giosuè, professore di Storia Naturale a Como. Castracani BeLMonTE-CimA conte ALESSANDRO, in Rimini. CavALLERI padre Giovanni, professore di fisica nel Collegio dei Bar- nabiti in Monza, CavezzaLi dottor Francesco, Milano, via de’ Bigli 21. CLeRrici nobile Pietro, Milano, via dî Brera 14. Cocchi dottor Icinio , professore di geologia al Museo di Storia Natu- rale in Firenze. Consori GartANO, Palazzolo Bresciano. 12 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI Cornania Emitio, direttore aggiunto del Museo Civico di storia natu- rale in Milano, via del Monte Napoleone 38. Corvini dottor Lorenzo, professore nel R. Istituto Veterinario di Mi- lano, via della Guastalla 53. Cossa ALFonso, professore di chimica nella R. Scuola Tecnica di Pavia. Costa Acuitte, Napoli, via S. Antonio alla Vicaria 3. Craveri FepErIco, professore di chimica a Brà. CriveLui marchese Luici, Milano, dorgo di P. Zenezia 1%. Curioni Giucio, Milano, via di Borgo Spesso 23. Curò Antonio, Bergamo. D’ Ancona CESARE, assistente di geologia nel Museo di storia naturale di Firenze. D’ Arco conte Luici, Mantova. De Bosis ingegnere Francesco, Ancona. De Fiuipri FiLippo, professore di zoologia nella R. Università di To- rino, al Museo di storia naturale. DeL Mayno marchese Norserto, Milano, via di Borgo Nuovo 24. De Veccui ingegnere Bracio, Milano, via di Brera 8. Dotci Gran Francesco, direttore di un stabilimento d’ istruzione pri- vata in Milano, dorgo di P. Ticinese 23. Doria marchese Giacomo, Genova. Doria marchese MarceLLO, Genova. Dossena ingegnere Fetice, Milano, via di S. Orsola 4. Durer BernarDo, alla Vilia Sommariva presso Tremezzo sul lago di Como, Emziani Emicio, professore di storia naturale nel Liceo di Faenza. Erra professore Luici, Verolanova: FEDRIGHINI ingegnere ArtiLIO, Sarnico (Bergamo). FERRARIO ingegnere Emiio, Milano, piazza del Verziere 20. Francescuini FeLice, Milano, piazza dei Filodrammatici 5. FumagaLLi ingegnere Sterano, Milano, cia Palestro 20. Gappi Antonio, Milano, via S. Romano 2. Gasani Mario, professore di fisica e matematica nel Liceo di Per- gola (Marche). AL PRINCIPIO DELL'ANNO 4864 15 GaLANTI Antonio, prof, di agraria nel R. Istituto Tecnico a 38. Marta in Milano. Gar: padre Bernarpo, Rettore del Collegio dei Barnabiti in Lodi. Garavaciia ingegnere Maurizio, Milano, corso di Porta Nuova 1468. GarAVAGLIA ragioniere Antonio, via Lelgiojoso 4. GarpinI Gacpino, prof. di storia naturale nell’ Università di Ferrara. Garovaccio Santo, professore di botanica nella R. Università di Pavia. GastaLbI BartoLomeo, segretario della Scuola d’Applicazione degli Ingegneri in Torino. GerLi ALBERICO, dottore in legge, consigliere di Prefettura a Bergamo. GemeLLaro Carto Giorgio, professore di geologia nella R. Università di Palermo. Guiorti ALEssANDRO, Milano, via del Pantano 10. GiseLLi GiusePpE, assistente alla cattedra di botanica nella R. Uni- versità di Pavia. Giusti Giuseppe, Milano, via dei due Muri 22. Goun Leone, ingegnere, Cagliari. IsseL Arturo, Genova, via Caffaro 7. Kramer Epoarpo, Milano, via di S. Pietro all’ urto 16. KeLLer ALBERTO, Milano, via S. Paolo 13. Lancia FepERICO duca di Brolo, segretario della Accademia di seienze e lettere di Palermo. Lazzari-BARILI ingegnere Vincenzo , Cremona. Lomparpini ingegnere ELIA, emerito direttore delle Pubbliche Co- struzioni di Lombardia, via di S. Giovanni in Conca 6. Macni-Grirri FraNcESCO, Sarzana. Marmeri ingegnere Antonio, Milano, corso di Porta Ziltoria 12. Masocc®i Francesco, direttore della Scuola Tecnica di Codogno. Manzi padre MicneLanceLo, Barnabita, Lodi. Marani Giovanni, segretario all'Ufficio del Debito Pubblico in Torino, via dei fipari 2A. Marchi Pietro, dissettore zoologico del Museo di storia naturale di Firenze. Mari Fitippo, ingegnere dell’ Esercizio delle strade ferrate, Verona. Marinoni CamiLo, Milano, borgo di P. Zigentina 22. {4 ELENCO DEI SOCÌ EFFETTIVI Mantinati Pietro Paoto, dottore in legge, Verona. MasseroTTI dottor Vincenzo, professore di storia naturale, Milano, cia della Torre de’ Moriggi 2856. Mecta conte Arborio, Vercelli. Menecnini Giuseppe, professore di geologia nella R. Università di Pisa. Micriavacca Acnitue, Milano, via del Marino 4. Monporro Sepastiano, Milano, dorgo di Porta Zenezia 26. MoragLia ingegnere Pietro, Milano, via di S. Bernardino alle Mo- nache 3. | MortiLLeT GagriELE, La Tronche presso Grenoble (Francia). Mussi Giuseppe, Milano, via dell’ Unione 8. Negri ingegnere Pietro , Milano, via di S. Zittore e 40 Martiri 45. Nocca Carco Francesco, Pavia, via del Gesù 266. Omponi Giovanni, professore di storia naturale, Milano, via della Mad- dalena al Cerchio 3. Orsini professore Antonio, senatore del Regno, Ascoli. OscuLati Giuseppe AntoONIO, Milano, via dei Bossi 6. PapucLi conte Pietro, istruttore pratico di chimica nel laboratorio della Società d’ Incoraggiamento d’arti e mestieri in Milano, via del Gesù 11. PagLia sacerdote Enrico, già professore nel Seminario di Mantova, Asola. Panceri Paoto, professore di anatomia comparata nella R. Università di Napoli. Pareto marchese Lorenzo, Genova. è ParLatore FiLippo, professore di botanica al Museo di storia naturale in Firenze. Parocini nobile ALBERTO, Bassano. Passerini Giovanni, professore di Botanica nella R. Università di Parma. PeccnioLi VitToRIO, Firenze. PeLuso dottor Francesco, Milano, corsia del Giardino 1. Perazzi Costantino, ingegnere del Corpo Reale delle Miniere, To- rino, piazza della B. V. degli Angeli 2. Perez professore ApoLro, Genova. AU PRINCIPIO DELL'ANNO 1864. 45 Pianzora Luici, dottore in legge, Milano, via di S. Mattia alla Mo- neta 2. PicciòLi dottor FERDINANDO, assistente al Museo di storia naturale di Firenze. | PiccioLi FrANcESCO, farmacista, Milano, borgo di P. Ticinese 3684. Picozzi ALESSANDRO, Sòvere (provincia di Bergamo). Pirona Giulio ANDREA, professore di storia naturale nel Ginnasio Li- ceale di Udine. PogLiani Carto, ingegnere municipale, via di S. Eufemia 15. Prapa dottor Troporo, Pavia. Puri Carto, Firenze, via di S. Agostino 19. RavioLi ingegnere Giuseppe EpoArpo, Capitano del genio, Genova. ResteLLINI canonico Giuseppe, teologo di S. Babila in Milano, via di S. Romano 8. RiccHiarpi SEBASTIANO, professore di anatomia comparata nella R. Uni- versità di Bologna. Riva-Parazzi Giovanni, Milano, piazza del Teatro alla Scala 1823. Rocca-Saporiti march. ApoLLinare, Milano, borgo di P. Zenezia 4A. Romes GiuserpE, capitano farmacista, Casale di Monferrato. Rònpani CamiLto, professore d’ Agraria all’ Università di Parma. Rosari Francesco, Milano, via della Passione 13. Rossi GueLieLmo, Milano, via del Monte Napoleone 5h. Rostan Opoarpo, medico, S. Germano di Pinerolo. Rovasenpa Luici, Torino, via della Consolata 1. SALVADORI dottor Tommaso, Porto San Giorgio (Marche). SANSEVERINO conte Faustivto, Milano, via del Monte di Pietà 45. Sant’ Amproeio professore Lorenzo, Milano, via di Rugabdella 9. Savi Pietro, professore di botanica nella R. Università di Pisa. Savosa GIOVANNI, architetto, Milano, stradu al dazio Porta Nuova 3. ScarageLci-Gommi-FLamins Giuseppe, Imola. Scora dottor Lorenzo, Milano, via della Passarella 3. SeLLA QuinTINO, ingegnere delle Miniere, deputato, Torino. SEGUENZA GiusePPE, professore di storia naturale nel Liceo di Messina. SiLvestRI Orazio, professore di chimica a Catania. SoLera sacerdote Giovanni, prefetto del Ginnasio Liceate di Crema. SorpeLLi Ferpinanpo, Milano, via della Bagutta 46. 18 ELENCO DEI SOCÌ EFFETTIVI AL PRINCIPIO DELL'ANNO 4 864 SPAGNOLINI ALESSANDRO, professore di storia naturale nel collegio mi- litare di Firenze, cia della Pergola 61. SpineLti Giovanni Battista, Venezia, a piè del ponte di S. Antonio, Calle della Bissa 3462. Sprearico Emiio, Milano, Cordusio 22. SpREAFIcO sacerdote FraNncEScO, canonico di S. Babila, Milano, via di S. Romano 3. StopPANI sacerdote Anronio, professore di geologia applicata nell’Isti- tuto Tecnico Superiore in Milano, via dî S. Maria alla Porta 10. StoppAnI sacerdote Carto , professore di fisica nel Collegio dei Bar- nabiti a Lodi. StrobeL PeLLEGRINO, professore di zoologia e mineralogia nella R. Università di Parma. Strozzi marchese Canto, Firenze. STUDIATI CesaRE, professore di fisiologia nella R. Università di Pisa. TaccnetTI CarLo, impiegato presso la Direzione del Demanio, Bologna. TacLiasAccHI ingegnere Saverio, Milano, via dei Bigli 1. Tampurint Venanzio, segretario del Municipio di Abbiategrasso. Tarcioni-TozzetTI ApoLro, professore di zoologia al Museo di storia naturale di Firenze. Tassani dottor ALEssANDRO, Consigliere sanitario, Como. Taverna Giuseppe, Milano, via dei Bigli 14. Testa ingegnere AnpREA, Milano, piazza Belgiojoso 4. Tettamanzi ingegnere Amanzio, Milano, via della Spiga 9. TinerLi CarLo, Milano, cia della Guastalla 110. Tòparo Agostino, prof. di botanica nella R. Università di Palermo. Turati conte Ercoce, Milano, cia dei Meravigli 11. Turati conte Ernesto, Milano, via dei Meravigli A1. Usicini Emilio, ispettore dei telegrafi delle strade ferrate, Ancona. UzieLLi VirtoRIO, Livorno, via di S. Francesco 18. VaLerIO ALessanpro, Milano, via di Rugabella 10. Varisco Antonio, professore nell’ Istituto Tecnico di Bergamo. Vita Antonio, Milano, cia della Sala 5. Vita Giovanni Battista, Milano, via di S. Zittore e 40 Martiri. Visconri-Ermes marchese CarLo, Milano, via di Borgo Nuovo 4. Visconti pi Moprone duca Rarmonpo, Milano, via della Cerva 381. SOCJ CORRISPONDENTI Averpaca, uno dei segretarj della Società imperiale dei naturalisti di Mosca. Barrat, direttore del Giornale L’Agriculture pratique, Parigi, rue Notre Dame des champs 82. Bore Carto, naturalista, Berlino, Leipziger Platz 43. Boué Amico, Vienna, Wieden Mittersteig, Schloessel-Gasse 594. Desor Eboarpo, professore di geologia nella Scuola Politecnica di Neuchatel. FaLconer Uso, 34 Sockwille Street, Piccadilly, Londra. Favre ALronso, professore di geologia, Ginevra. Fieuier Luici, Parigi, rue Marignac 21. Gemirz, direttore del Gabinetto mineralogico di Dresda. Gorppert, direttore dell’ orto botanico di Breslavia. Guerin-MéméviLLe, Parigi, rue des Beaux-Arts 24. Hamineer GucLieLMo, direttore dell’ I. R. Istituto geologico, Vienna. Hauer Francesco, dell’ I. R. Istituto geologico, Vienna. HeerR OsvaLpo, professore di botanica nel Politecnico di Zurigo. Lory Caro, professore di geologia nella facoltà delle scienze a Grenoble. LveLL CarLo, Londra, 53 Marley Street. Merian, professore di geologia al Museo di storia naturale di Basilea. Micgaup Anprea Luici Gaseare, di Sainte-Foy-les-Lyons (Rhòne, Francia). Picrer F. J., professore di zoologia e anatomia comparata nell'Accademia di Ginevra. Pier Luici, avvocato e direttore del gabinetto mineralogico di Chambery. Ramsay Anprea, presidente della Società geologica di Londra. Museum of pratical geology, Jermin Street, S. W. Senoner Apotro, bibliotecario dell’ I. R. Istituto geologico di Vienna. Sruper Bernarpo, professore di geologia, Berna. ] Vaser abate, professore nel Seminario di Chambery. Vol. VI 3 Seduta del 31 gennajo 1864. È aperta la seduta con un rapporto del presidente Cornalia su alcuni nastri fatti in Europa colle seta della Saturnia Ya-ma-mai, ossia del baco da seta che vive al Giappone sulla quercia. — La seta che servì alla confe- zicne di questi nastri era stata ottenuta dai signori Ga- vazzi, che ebbero la felice idea di mandarla ad una delle più distinte fabbriche di Francia, perchè vi venisse tes- suta. Se ne fecero tre nastri a colore unito: uno rosa, l’altro cilestro, e il terzo di un colore foglia secca, ora di moda. In questi nastri si osserva che la seta della Ya- ma-mai prende i colori meno bene della seta comune, specialmente se chiari; e il tessuto riesce un poco peloso. A compenso di questi difetti, i tessuti presentano una lu- centezza meravigliosa, e sono di una robustezza grande, che spiega la lunga durata degli abiti giapponesi. Certa- mente alcuni generi di stoffe si potranno fare con questa nuova seta e riusciranno egregiamente; e nel tempo stesso è a credersi che nuovi studj chimici potranno fare otte- nere buoni risultati nella colorazione delle stoffe, Il pre- sidente Cornalia termina ringraziando i signori Gavazzi, e dando loro le debite lodi per la premura che mostrano in tutto ciò che può tornar utile al paese. Il segretario Omboni presenta una Memoria dell’ abate seputa DEL 31 GENN4J0 1864 19 G. Stabile Sue molluschi terrestri del Piemonte, propo- nendone la stampa e pubblicazione negli Att? della So- cietà. Tale proposta è accettata. Il segretario Stoppani presenta e legge la seguente circolare, da stamparsi e mandarsi a tutti i soc], per do- mandare il loro parere sul progetto di tenere in autunno una riunione straordinaria della Società fuori di Milano. Milano, 31 gennaio 1864. Dietro iniziativa presa da alcuni socj, a cui rispose assai favorevole il voto dei socj presenti alla seduta del 24 dicembre 1863, e quello del corpo presi- denziale ed amministrativo, adunatosi il 20 corrente, la Presidenza accettò vo- lontieri l’incarico di promovere e condurre in atto quelle sedute straordinarie od escursioni scientifiche, delle quali, in modo però affatto indeterminato, par- lano gli articoli 23 e 24 del Regolamento generale. Il rapido sviluppo della nostra Società, dopo i felici eventi del 1859, per cui essa può dirsi veramente /talzana, contando numerosi i suoi membri in tutte le parti della Penisola, e tra questi i più distinti cultori di scienze fisiche e naturali, rende, non solo possibile, ma veramente necessario uno sviluppo del primitivo programma, nel quale siano comprese, non già semplici escur- sioni, ma vere adunanze straordinarie, fuori dell’ ordinaria residenza della Società, come è costume delle Società più illustri e più attive, quali la Società geologica di Francia e la Società elvetica di scienze naturali. Chi fu presente alle sedute straordinarie di quelle Società, use a trasportare temporaneamente ogni anno la loro sede nei diversi paesi delle rispettive pro- vincie, si sarà convinto come tali sedute straordinarie siano mezzo efficace a raggiungere lo scopo d’ ogni Società scientifica, ehe è pure lo scopo della no- ‘stra — promovere la scienza e dilatarne ad un maggior numero possibile i - beneficj. i _. Servendo a questo scopo generale della Società, noi ci proporremo di rag- giungere colle annuali sedute straordinarie alcuni fini speciali. 1.° Aggiungere stimoli e facilitare l’ occasione ai socj lontani dall’ ordi- ‘naria residenza della Società di trovarsi insieme almeno alcuni giorni dell’anno, sicehè abbia luogo, col mutuo scambio degli affetti, quello delle idee, onde sia più rapidamente effettuata, per rapporto alle idee ed al linguaggio scientifico, quella unificazione, di cui sente bisogno l’Italia scientifica del pari dell’Italia politica. 2.° Popolarizzare la scienza, costringendola, se fa d’uopo, ad uscire da’ suoi centri naturali, dalle grandi città, per mostrarsi benefica, fostiva, po- polare ovunque, anche ne’ più ermi recessi delle Alpi e dell’ Appennino. E uu 20 i SEDUTA peL SÌ cEensalo A864 bisogno dell’ epoca, è un dato di giustizia a cui soddisfece, con mirabile risul tato, la Soczetà elvetica. 3.° Conoscere il nostro paese, cui dobbiamo confessarci, per molte pih e per troppi lati, il più sconosciuto a noi stessi. 4.° Rendere agli scienziati stranieri quel tributo di fratellevole accoglienza, che ottennero sempre da loro gli scienziati italiani, e nello stesso tempo soddisfare al giusto e nobile desiderio di far conoscere al di fuori quanto si faccia per la scienza in Italia. . Ma in affare di sì grave momento, il cui esito esige il più cordiale, il più attivo concorso di tutti i socj, e specialmente di quelli che dimorano lontani dall’ ordinaria residenza della Società, la Presidenza e i membri presenti alla seduta del 31 gennajo sentirono il bisogno di non procedere oltre, senza aver interrogato il parere di tutti i socj. I membri della Società italiana di scienze naturali sono petciò pregati di serivere in proposito alla Presidenza, dichiarando dapprima se annuiscono alla proposta in massima di una riunione straordinaria, duratura per alcuni giorni in qualunque parte o paese d’ Italia, fuori dell’ ordinaria residenza della Società; saranno poi accolti con grato animo quei riflessi, o progetti, o proposte che ciascuno credesse di partecipare. Quando il voto della maggioranza mostri possibile ed opportuna la realiz- zazione del progetto, nella prossima seduta si tratterà la cosa a norma dei re- golamenti, sicchè si stabilisca uno speciale regolamento per la riunione straor- dinaria, e si provveda ai modi di ottenere l’ effetto. La circolare è approvata, e il socio Rossi propone come luogo per la prossima riunione straordinaria, la città di Napoli. Il socio Rossi comincia a leggere una sua Relazione Sul Congresso agrario di Cremona, parlando della qui- stione della solforazione delle viti, e terminando eoll’ e- sprimere l’ idea che da tale solforazione abbia avuto ori- gine un aumento nel numero delle morti improvvise per apoplessia. Questa idea dà origine ad una lunga discus- sione, nella quale alcuni soc) ammettono l’ esistenza del- l’arsenico nel solfo in polvere, ma in così piccola dose da non poter recare alcun danno nè all'uomo, nè ai quadru- pedi che mangiano l’erba crescente sotto le viti solforate; e la maggioranza dei soc] si mostra favorevole all’ opi- SEDUTA DEL 54 cGENNASO 1864 24 nione che realmente riesca utile la solforazione, benchè in molti casi, forse per circostanze sfavorevoli particolari ancora ignote, non abbia dato buoni risultati. Sono presentati ed approvati il rendiconto amministra- tivo pel. 1863 e il preventivo pel 1864. Sono ammessi come nuovi soc) effettivi 1 signori: Macgci LeoPoLDo, dottore in scienze naturali, assistente alla cattedra di zoologia nella R. Università di Pavia, proposto dai soc} Balsamo, Cornalia e Omboni. Bompicci Luigi, professore di mineralogia nella R. Uni- versità di Bologna, proposto dai socj Meneghini; Cornalia e Omboni. io PoLLI PreTRO, assistente alla cattedra di chimica tecnica nel R. Istituto tecnico di Milano, proposto dai socj fra- telli Villa e Franceschini. Duysarpin GIovANNI, professore di mineralogia e geo- logia nell’ Istituto tecnico di Genova, proposto dagli stessi soc] fratelli Villa e Franceschini. OrseNIGO PIETRO, parroco di Careno sul lago di Como, proposto dai soc] T'assani e fratelli Villa. MaLeRrBA STEFANO di Milano (via della Cerva, 3), pro- posto dai soc} Giusti, Marinoni e Omboni. Il socio Stoppani fa alcune osservazioni verbali sopra un articolo pubblicato in un giornale intorno alle pala- fitte del lago di Varese, sostenendo, contro l’ opinione emessa in quell’ articolo, che le palafitte furono fatte nel lago e non sulla terra ferma. Si fanno le seguenti nomine: Segretario STOPPANI prof. ANTONIO. Cassiere Visconti Ermes marchese Carro. Conservatore BELLOTTI CRISTOFORO. Vice-conservatore FRANcCESCHINI FELICE. Fconomo GADDI ANTONIO. 05 senura DEL 54 GcENNAJO 186% Commissione amministrativa, BarBò marchese PrerRO, GARAVAGLIA ANTONIO, OSCULATI. Risulta così la Presidenza composta dai signori: - CornaALIA. prof. EMILIO, presidente. VILLA ANTONIO, vice-presidente. OmBONI prof. GIOVANNI Î SIRRIIITA, StoPPANI prof. ANTONIO | n nei BeLLOTTI CRISTOFORO, conservatore. FRANCESCHINI FELICE, vice-conservatore. E sarà, coadjuvata nell’ amministrazione dei fondi so- ciali nell’anno 1864 dall’ economo, dal cassiere e dai soc] componenti la commissione amministrativa, di cui sì sono indicati or ora i nomi. SEDUTA DEL 34 GENNAJO 1864 25 RENDICONTO AMMINISTRATIVO reL 1863 Approvato dal Consiglio amministrativo il giorno 24 gennaja 1864, e dalla Società nella seduta del 31 gennajo 1864. Il 31 dicembre 1862 rimanevano alla Società . Entrarono nel 1863: Per riscossione di 30 quote arretrate. Per riscossione di 156 quote 1863 Per rimborsi di copie a parte di Memorie stampate per conto degli Autori Per vendita di Atti a soc] ed esteri. . Per 3 quote 1864 pagate anticipatamente Uscirono: Per la stampa degli Atti, comprese le tavole e le copie a parte delle Me- morie pei singoli Autori i Per le circolari per le sedute, ed alb Per gli stipendj degli inservienti . Per legatura di libri della Biblioteca sociale . Pel riscaldamento Lila SA dat ite Per oggetti di cancelleria Per porto di libri arrivati alla Sheet Per le spese postali Piccole spese fatte dal Rsiclazio e dal Cassiere.. Spese straordinarie: Per libri comperati per la Biblioteca so- ciale (Guida di Siena e parecchj volumi della Paleotographica) Per le ricerche sulle abitazioni lughabta e pei fossili raccolti a Besano . D » ”» 487 — 500 — L. 4214 52 Restano alla Società il giorno 31 dicembre 1863 . I... 1905 67 L. 4299 60 L. 6205 27 L. 4214 52 iL £990 75 Qua SEDUTA DEL 3Î GENNAJO 186% PREVENTIVO PeEL 18604 approvato col rendiconto pel 1863 dal Consiglio amministrativo e dalla Società. Sono nella cassa sociale il giorno 1 gennajo 1864 Saranno da riscuotersi nell’ anno 1864: Circa 160 quote 1864 (escluse le 3 già riscosse ‘nel'.11863). . i. . Lui. H.4/1.:3200,.— Circa 30 quote arretrate . . . . . . n 600 — Per rimborso di copie a parte di Memo- rie stampate per conto degli Autori . » 293 30 Per vendita di Atti a socj ed esteri . . mic AG L. 4293 30 Attivo totale . Si avranno a spendere: Per. gli Affo 04 da i o Pt 2000 Per le cireolari stampate . . . . . » 120 — Per gli stipendj d’inservienti . . . . » 300 — Per le spese di cancelleria . . . . . » 50 — Perle apraretpegtalim SU 4 et eta 250 Per legatura @li libri . «o. n 60 — Pel riscaldamento della sala delle anto) » 20 — Pel porto di libri ehe arriveranno alla Sotietà be via, sel La de L. 3360 — Si potranno dunque fare delle spese straordinarie per ricerche scientifiche e per libri per la Società fino alla somma di . Resterà alla Società alla fine dell’ anno un avanzo di . L. 1990 75 L. 4293 30 L. 6284 05 L. 3360 — L. 2924 05 L. 1000 — . L. 1924 05 SEDUTA DEL 5A GENNAJO 186% 25 LIBRI arrivati in dono alla Società nel gennajo 1864. Esposizione italiana 1864. Relazione dei giurati. Classe. VI. Se- zione ll. Industria mineraria e metallurgica. Carver, Prodromo della flora toscana. Fasc. III. Caliciflore monope- tale, Corollifiore e Monoclamidee. Coccu, Introduzione al Corso di Geologia, letta il 8 marzo 1860, nel R. Museo di storia naturale di Firenze. — Esposizione internazionale del 1862, Regno d’ Italia, Mineralogia e Geologia. Prodotti litoidei. Catalogo .lescrittivo pubblicato per cura del R. Comitato Italiano. Firenze, 1862. Pieragnoi, Cenni sui progressi e le applicazioni della Fisica. Fi- renze, 18653. Tenore Garrano, Ragguaglio sulle miniere di ferro nel Distretto di Sora, ecc. Napoli, 1863. Zanteescn, La camera lucida applicata alla: fotografia dei prototipi del mondo esteriore ossia delle immagini impresse sulla retina dell’ occhio. Padova, 1863. — Osservazioni scientifico-accademiche. Padova, 1864. Secuenza, Disquisizioni paleontologiche intorno ai corallarj fossili terziarj di Messina. Dispensa I. Torino, 1863. Georrrov-Sant-Hiaire, /Mistoîire générale et purticulière des ano- malies de l’organisation chez l’homme et les animaux. Vol. 3 con atlante. Bruxelles, 1837 e 1838. — Dono del socio Rostan. Verandlungen der Schweizerischen Naturforschenden Gesellschaft bei ihrer versummlung zu Luzern den 25, 24 und 23 September 1862 (46 Versammlung). — Contiene i processi verbali, i discorsi, le memorie e le comunicazioni fatte in quella riunione, e poi un sunto dei lavori della singole Società di Aarau, Berna, Lucerna, Ginevra, Zurigo, Basilea, Grigioni, Neuchàtel, Losanna e S. Gallo. 26 SEDUTA DEL 34 cCENNAJO Î1864 Der Zoologische Garten. Giornale pubblicato dalla Società zoool- gica di Francoforte sul Meno. Anno V, Num. 1. Introduzione. — Sull’allevamento degli animali (Schmidt). — Notizie del Giardino zoologico di Francoforte. — Corrispondenza. — Miscella- nea. — Bibliografia. I Giardini. Anno X, 1863, Num. 3 e 4. Milano. Ciclamino di Parsa. — Rodante Manglesii. — Piante nuove, rare o poco conosciute. — Costruzione delle serre. — Coltura delle fragole. — Dei Pelargonii in vaso. — Coltivazione del cotone in Lombardia, impos- sibile. — Variabilità delle specie di peri. — Intonaco sulle radici. — Seminazione delle gemme. — La Malmaison. — Tappeti erbosi. — E altri articoli minori. Atti del Congresso tenutosi în Cremona dalla Società agraria di Lombardia nel settembre 1863. Milano, 1863. GeneLLano Gaetano Giorcio, Monografia del genere Zteria (Materon). Palermo, 1863. Dal Giornale del R. Istituto d’ incoraggiamento ece., in Sicilia. Atti della Societa d’ acclimazione e di agricoltura in Sicilia. Tomo III, Num. 9 e 10. ToparOo, Sui lavori della Società. — VAGLIASINDI, Morbo nero delle viti. — LANCIA di BroLo, Consumo delle carni in Palermo. — Baco da seta del Canadà. — Congressi agrarj di Cremona e di Modena. — Espo- sizione d’ orticoltura in Palermo. — Bibliografia. Bulletin de la Soc. imp. d’ acclimatation. Tome X, Num. 44, no- vembre 1865. Influenza dei mezzi sulla lana. — Sul pollo d'India. — Di certi pesci del Brasile. — Insetti erbivori sulla canna da zuccaro. — Baco da seta del Canadà (Bombyx Cecropia). — Piante lignee del Giardino d’ accli- mazione di Algeri. — Coltura del cotone in Algeria. —. Processi ver- bali, ecc. Bullettino dell’ Associazione nazionale italiana di snutuo soccorso degli Scienziati, ecc. Dispensa VI. Napoli, 1863. La Sericultura. Anno 1, Num. 3-6. Firenze, ottobre e novembre 1863. Rivista serica. — Piantamento dei gelsi. — Storia del baco da seta. — Relazioni sull'industria serica, sull’ailantocoltura, ecc. — Letto dei bachi adoperato per l’ ingrassamento dei bovini. — Notizie statistiche, ecc. SEDUTA DEL 5Î ceENNAJO 1864 27 Bullettino della Associazione agraria friulana. Anno IX, Num. 1 e 2. Udine. Elenco dei socj. — Rapporto sul miglioramento dei bovini e d’ altri animali utili. — Dell’istruzione elementare agraria dei contadini. — Uti- lità dei rulli. — Apertura della scuola agraria di Conegliano. — Alma- nacchi agrarj. — L’ istituzione agraria in Conegliano. — Varietà e no- tizie commerciali. Cantoni, Annali d'agricoltura. Anno IV, 1864, Num. 4 e 2. Milano. Ai lettori. — L’alucita cerealella. — Il vino del follatore. — Metal- lizzamento e conservazione del legno. — Sul modo di dare il pasto agli animali. — Raccolta, conservazione e imballatura dei frutti. — Corri- spondenza dal Tirolo Italiano. — L' Istituto Tecnico di agronomia e di agrimensura in Corte del Palasio. — Fabbricazione del vino lambrusco modenese. — Della propagazione della vite. — Coltiviamo la canapa. — Rivista, ecc. Giornale ed Atti della Società agraria di Lombardia. Anno |, Num. 24. Milano, 31 dicembre 1863. Giornale del l. Istituto d' incoraggiamento di agricoltura, arti e ma- nifattura in Sicilia. Serie III, Anno I, Num. 41 a 3. Coltura del fagiuolo-riso in Palermo. — Sulle specie di cotone colti- vato nel R. Orto botanico di Palermo. — Analisi delle bovine siciliane. — Coltura delle calotropidi. — Del genere Itieria. — Manometro ipsome- trico. — Del genere Gossypium. Il Picentino. Anno Ill, fasc. 12, dicembre 1863. Salerno. Esposizioni di Tortona e di Cremona. — Praticoltura. — Coltivazione del ricino a Scafati. — Varietà, Cronaca, ecc. Bullettino nautico e geografico. Vol. Il, Num, 441 e 12, Roma, di- cembre 1863. Strade ferrate d’Italia. — Problema di diritto internazionale. — Va- riazione di livello del mare nel Golfo di Napoli. — I nuovi mondi (aste- roidi) — Varietà. Borrer, Giornale di agricoltura, industria e commercio del Regno d’ Italia. (Fa seguito al Giornale / Incoraggiamento.) Anno I, Vol. |, Num. 4.°, gennajo 1864. Bologna. Del nuovo Giornale. — Studj sulla agricoltura piemontese e ligure. — Delle istruzioni agrarie popolari. — Enologia. — Della agricoltura nelle provincie di Forlì e Ravenna. — Ravagliatore Certani e aratro Gardini, — Cause che contrariano il progresso agrario. — Interessi generali della agricoltura italiana. 28 SEDUTA DEL 5Î GENNAJO 1864 Rendiconto dell’Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli. Anno II, fasc. 12, dicembre 1863. De Luca e UBALDINI, Sulle sostanze contenute nello Stygmaphyllon Jatrophoefolium. — PALMIERI, Nuovo elettrometrico bifilare d’introdu- zione. — DE GASPARIS e FERGOLA, Quinta cometa del 1863. — GASPAR- RINI, Melata osservata nell’ estate passato. — GASPARRINI, Sull’origine del calice monosepalo e della corolla monopetala. Memorie dell’Accademia delle scienze di Bologna. Serie II, Tomo I, Fasc. 4. | BRIGHENTI, Bonificamento delle paludi. -— FABBRI, Uso della leva in Ostetricia. — CALORI, Splancnologia e sistema linfatico dell’ Uromastix Spinipes. Memorie dell’Accademia delle scienze di Bologna. Serie II, Tomo III, Past. do CorraDI, Morti repentine avvenute in Bologna dal 1820 al 1844. — Stud} di statistica e meteorologia medica. — GHERARDI. Magnetismo po- lare. Seconda Memoria. Revue Savoisenne. V Année, Num. 1. Annecy, 1864. TRoyon, Nuove ricerche fatte a Concisa per le antichità umane. — E diversi articoli non di scienze naturali. Revista agronomica, florestal, ecc. Lisboa, Serie Ill, T. I, N. 8 a 14 Corrispondenza scientifica in Roma. Vol. VII, 1864, Num. 2 e 5. Equilibrio d’un solido appoggiato nelle estremità e caricato di n forze. — Avvertenze sull’ uso e sulla costruzione dei lumi a Petrolio. — Sulla propagazione della luce elettrica. — Bibliografia, ecc. L’ Agricoltura. Giornale ed Atti della Società agraria di Lombardia. 1864, Num. 4. Milano, 18 gennajo. Programma del Giornale, — Credito fondiario..— La proprietà fondia- ria rurale nella provincia di Como. -—- Strumenti agrarj, zappa a buoi. — Operazioni rurali pel mese di febbrajo. — Corrispondenze, Atti ufficiali della Società, ece. — Questo Giornale, diretto dal sig. Chizzolini, fa se- guito al Giornale ed Atti della Società agraria di Lombardia, che era pubblicato sotto la direzione del sig. ing. Dossena, e che ha cessato di es- sere pubblicato colla fine dell’ anno 1863. Il Politecnico. Vol. XX, fasc, 1.° (91), gennajo 1864, Milano, Daelli. Copazza , La storia delle matematiche. — De Fiuiepi, Viaggio in Persia. — STOPPANI, Precipui fatti della paleontologia. — Studj dello spettro solare e delle fermentazioni. — CATTANEO, Sui dazii suburbani. — Corrispondenze. Seduta del 28 febbrajo 1864. Si dà lettura delle Osservazioni meteorologiche fatte în Brà nel 1863 dal socio Craveri; e se ne ammette la stampa negli Atti. Si dà pure lettura d’una nota del sig. Ambrosi sul- l’ alta antichità dell’uomo e sulla genesi mosaica, nella quale si sostiene che l'alta antichità dell’uomo voluta da qualche geologo non è contradetta dalla Bibbia. Il segretario Stoppani protesta contro il modo di in- terpretare la Bibbia usato dal sig. Ambrosi; e i socj pre- senti alla seduta decidono che la nota del signor Am- brosi non venga stampata negli Aftî, considerando che è di pura polemica, e non contiene alcun fatto scientifico nuovo relativamente alla antichità dell’ uomo. Il socio Salvadori presenta un suo Catalogo degli uc- celli di Sardegna, e ne legge la prefazione. Si pubbli- cherà il tutto negli Att. Il segretario Stoppani comunica quanto segue, sulle nuove scoperte di oggetti dell'antica industria umana in Lombardia. | Le ricerche che si continuano a spese della Società col residuo della somma già destinata, continuano a portare i loro frutti. L'abbate Ranchet, incaricato dalla Presidenza di proseguire nelle ricerche lacustri nei dintorni di Varese, valendosi dell’opera dello sperimentato Spariss, ci annuncia la scoperta di 30 sepura DeL 28 PAT 1864 due stazioni nel lago di Monate, l’unico che, stante la sua profondità, non siasi ghiacciato nell’ inverno spirante. Amendue le stazioni si trovano sulla sponda ovest, precisamente sotto Codrezzate, e non distano l’ una dall’altra più di 200 metri. I piuoli sono, o almeno si veggono, assai radi. Ci fu spedita la testa di uno di essi, che è di betula, e conserva perfettamente la corteccia. Le sta- zioni, più che palafitte, appajono enormi mucchj di grossi ciottoli. Una ha circa 120 metri di lungo e 30 di largo, l’altra è molto meno della metà. La, profondità dell’acqua sulle stazioni è da 22,00 a 2,80. Sono notevoli per la estrema abbondanza delle stoviglie, che per l’ impasto e lavoro corrispondono perfettamente a quelle del lago di Varese. V’ hanno tuttavia delle rimarche- voli specialità. Un fondo di vaso era colmo di sostanza terrosa, che andrà analizzata. Vi abbondano pure dei carboni spenti; nulla del resto, eccetto .una sega, due punte di freccia e alcune scheggie di selce. » Gli studj, a cui la Società nostra diè impulso, sembrano già aver risve- gliata l’attenzione da ogni parte. Il sig. Guglielmo Mutti, proprietario a Gui- dizzolo (tra Castiglione delle Stiviere e Goito ), appena seppe delle scoperte lacustri nel lago di Varese, si affrettò a recarci saggi di remote antichità dagli estremi opposti di Lombardia: 1.° un’azza ben modellata; la pietra sem- brami d’una varietà di quei porfidi verdi, che abbondano nella Val-Sabbia; fu trovata nel territorio di Ceresara in una zona chiamata Pozzenta; 2.° una freccia lunga, bellissima, di selce gialla, trovata presso Guidizzolo operandosi dal sig. Mutti la livellazione di un pezzo di terra; 3.° uno spillone formato d’una laminetta di bronzo attorcigliata a spira con capocchia a disco. Lo spil- lone di bronzo potrebbe essere di epoca relativamente recente. Nei dintorni di un lago che già secondava gli ozj voluttuosi dei Catulli, e che furono prima e poi campo di mille disastrose battaglie, è da attendersi un vero semenzajo d’antichità d’ ogni epoca. Il sig. Mutti infatti mostrommi un vero cumulo di medaglie e di monete, da lui raccolte fra i campi, dove imperatori Romani e Spagnoli, numi e santi giacevano insieme confusi. Tanto più adunque sono importanti quelle armi di pietra, che ci rivelano quelle antichità remote, a cui non ci accosterebbero nè i simboli, nè le iscrizioni. » Non è punto improbabile che la depressione ov'è il territorio di Guidizzolo fosse un dì occupata da una palude o da un vero bacino lacustre. Il doppio cordone delle morene di Calcinato, Montechiaro, Carpenedolo e di Lonato, Castiglione, Cavriana e Volta par fatto per delineare le sponde di quella pa- lude. Tale è pur l’avviso del nostro socio Anselmo Barbetta, espresso in una lettera colla quale mi accompagnava il sig. Mutti. « Quì a Guidizzolo. mi scrive, vi sono indizj di un’antica palude o stagno , dacchè diverse località contengono filoni di torba nera, in parte di vecchia formazione da sembrare un terriccio, ma che, essicata a dovere, arde nella stessa guisa del carbone. Una via della parte più bassa del paese chiamasi Valborghetto, e diversi prati e campi conservano il nome di Lame (ZJame chiamansi colà i fontanili), e la strada che SEDUTA DEL 28 FEBBRAJO 1864 31 vi conduce si denomina ancora delle lame» I terreni limitrofi al paese dal S. O. al S. E. sono molto ricchi di sorgenti, in causa del vicino altipiano sot- toposto ai colli erratici di Cavriana, che distano solo 3 chilometri circa. » » Anche il paludoso Pian-di-Colico non era al certo anticamente altro che un lago, o meglio un seno del Lario. Il sig. conte Giovanni Passalaqua m'ha, appena l’altro dì, mandato una bella azza-martello di serpentina, rinvenuta presso il Forte di Fuentes; è spezzata alla metà del foro dove passava il ma- nico, ed è salva la parte del tagliente, che è assai allungata. Non occorre il dire che i mentovati oggetti, unitamente ad un’azza dei dintorni di Laveno, donata dal socio Tinelli, si conservano al Museo Civico. E così si va avanti. Altri ha già fatto la storia dell’ uomo; noi per ora ci accontentiamo di racco- gliere i documenti per rifarla; il tempo dirà chi abbia miglior senno, se chi ha già fatto o chi crede che sia ancor tutto a farsi. » Si comunica una lettera del socio T'melli, che ha rap- presentata la Società alla festa centenaria della nascita di Galileo, che si fece a Pisa il giorno 18 febbrajo. Si comunica pure una lettera della Società agraria di Lombardia, nella quale si chiede che la Società nostra coadiuvi la Società agraria nel fornire materiali pel suo Giornale / Agricultura. E il presidente Cornalia dice che i soc] saranno ben contenti di poter accondiscendere all’onorevole invito, ciascuno secondo i proprj studj e coi proprj lavori. Si presentano molto lettere mandate dai socj per appro- vare il progetto in massima di attivare delle riunioni straordinarie în autunno fuori di Milano, in risposta alla circolare approvata dalla Società nella seduta di gennajo. E si nomina una Commissione, composta dei socj Stop- pani, Bellotti e Omboni, per preparare un regolamento per dette riunioni. Si ammettono come nuovi soc] effettivi i signori: GaRrGANTINI-PIATTI Giuseppe, di Milano (strada a? ponte S. Andrea, 3), proposto dai socj Stoppani Antonio, Franceschini e Cornalia. 9* 592 SEDUTA DEL 28 rEBBRAJO 1864 PoUILLADE Constant; ingegnere a Catania, proposto dai socj Capellini, Omboni e Stoppani Antonio. FERRINI RinALDO, professore di fisica nel R. Istituto Tecnico di Milano (via Bagutta, 12), proposto dai socj Stoppani Antonio, Cornalia e Omboni. ANSIDEI conte REGINALDO, sindaco di Perugia, proposto dai. soc; Galanti, Cornalia e Omboni. DeL Pozzo pi MomBeLLO Enrico, professore di mine- ralogia e geologia nell’ Università di Perugia, proposto dagli stessi soc]. Ricca dottor GIUSEPPE, professore d’ agronomia nel R. Istituto T'ecnico di Forlì, proposto dagli stessi soc]. Finalmente i socj presenti, sopra proposta del socio Bollini, esprimono la loro gratitudine ai socj che più si adoperarono e si adoperano tuttora per aumentare il nu- mero delle persone componenti la Società. seputa peL 28 respraso 186% 55 LIBRI arrivati in dono alla società nel mese di febbrajo 1864. Pirona, Costituzione geologica di Recoaro e dei suoi dintorni. (Dagli Atti dell’ Istituto Veneto di scienze, ecc.) Gappi e Gisetuini, Diligenze pratiche igieniche e terapeutiche contro la morva equina. Modena, 1864. Fari, Essenza della pellagra villereccia e scolastica. Udine, 1864. Convini, Istruzioni intorno la peste o tifo bovino esotico. Milano , 1864. Vita Antonio, 7/ congresso dei naturalisti svizzeri a Samaden. Rela- zione letta all'Ateneo di Milano. Personari, Della morva. Due articoli (24 settembre 1863 e 13 feb- brajo 1864). Modena. — Cenno scientifico e pratico sulla polvere per curare e sollecitare la riproduzione dei peli sulle ferite cutanee dei cavalli. Modena. Atti dell’Istituto Lombardo di scienze, ecc. Vol. III, fasc. MIX-XX ed ultimi. Lavori dell’Istituto. — LoMBARDINI, Sull’abbassamento delle piene del Lago Maggiore. — Porro, La celerimensura. — Libri, osservazioni me- teorologiche, ecc. — Col principio del 1864 l’ Istituto si divide in due se- zioni o classi, e ciascuna di queste pubblicherà il proprio Rendiconto. ftendiconto dell’Accademia delle scienze fisiche e matematiche di. Napoli. Anno III, fasc. 1.° Contiene un rapporto sui lavori dell’Ac- cademia. L’Agricoliura. Giornale ed atti della Società agraria di Lombardia. 4864, numeri 2 e 5. Della perequazione delle imposte. -- Cordoni contro la peste bovina. — Strumenti agrarj. — Società bacologiche. — Rimondatura delle viti. — Osservazioni del marzo. — Corrispondenze, ecc. Il Picentino. Anno 7, fas. 1,2 e 3. ! Praticoltura. — Coltivazione del cotone a Scafati. — Rivista agra- ria, ecc. DI Vol. VI IU sepura DEL 28 FEBBRAIO 1864 Bulletin de la Soc. Imp. d’acclimatation. Tome X, numéro 12. Il giardino d’ acelimazione nel 1863. — Miglioramento delle lane in Al- geria. — Introduzione del gourami. — Educazione del Bombyx Cynthia. — Canna da zuccaro. — Ailanto. Borrer, Giornale di agricoltura, ecc. 41864, num. 2 e 3. I cereali coltivati nel Trentino. — Il Trasimene. — Cotone coltivato a Salerno. — Strumenti agrarj adoperati a Forlì. — Istituto agrario di Caserta. — Canapificio. — Cause che contrariano il progresso agrario. — Enologia. — Bonificazioni. — Prove precoci dei bachi da seta. — Cro- naca, ecc. Bullettino della Assoc. agraria friulana. 1864, num. 3 e 4. Condizioni meteorologiche, economiche e agrarie della Carnia nel 1863. — Cerretano in Udine. — Lezioni d’agricoltura. — Mezzo contro l’oidio delle uve. — Concimi artificiali. — Sessi degli animali. — Rivista agra- ria, ecc. Canroni, Annali d’agricoltura. 1864, num. 3 e 4. Cronaca agricola. — Fecondazione artificiale dei cereali. — Coltiva- zione del ricino a Scafati. — Solfo in agricoltura. — Distillazione delle torbe. — Risposta alle osservazioni critiche di Bertini sulla fisiologia ve- getale. — Pratiche agricole, ecc. I Giardini. Anno X, num. d e 6. Cenno sulle felci. — Infusorj indispensabili pel germogliamento. — Coltivazione del cotone in Toscana. — Etichette per le piante. — Influsso della luna e della luce in genere, ecc. Revue savoîsienne. 1864, num. 2. Revista agronomica. Lisboa, 1863, num. 12. Archiv des Vereins der Freunde der INaturgeschichte in Mecklen- burg. 47 Jahr. Neubrandeburg, 1863. Leonssrp und Geinitz, MVeues Jahrbuch fiir Mineralogie u. s. w. 1863. Heft. 6. Nuova Wolframite. — Minerali che si trovano nei combustibili fossili — Età d’una parte delle montagne carbonifere di Saarbriicher-Pfalzer. — Corrispondenza, ecc. | Wiirzburger Natarw. Zeitschrift. Band IV. Heft. 4. Proceedings of the Natural History Society of Dublin. Vol. | (1849- 48585), Vol. II, Part I (1856-57), Vol. II, Part Il (1857-58), Vol. Il Part III (1858-59), Vol. HI, Part I (1859-60). SU ALCUNI TESSUTI FATTI COLLA SETA DEL BOMBYX YA-MA-MAI » RELAZIONE DEL PROFESSORE EMILIO CORNALIA (Seduta del 31 gennajo 1864. ) Nella seduta del 28 giugno dell'anno scorso ebbi |’ onore di esporvi i risultati della mia coltivazione di bachi del Giappone che si nutrono della quercia. Quella coltivazione non fu punto felice, imperocchè la maggior parte delle uova non si schiuse , o, schiusa che fu, le piccole larve se ne morirono tosto. Non ebbi la for- tuna che di ottenere due bozzoli, i quali io spedii alla Società d’Ac- climazione di Francia. Parecchi al certo furono più felici di me, sebbene a nessuno riescisse un abbondante raccolto. Nella. Ri- vista di sericoltura comparata che publica in Parigi l'illustre Guérin Meneville , ed in altri periodici si trovano diverse relazioni su tali allevamenti. ll sig. Zlik sopra 50 uova, ottenne 5 bozzoli; il sig. Berthier a Versailles ne ebbe otto sopra lo stesso numero d’ uova messe in in- cubazione ; il sig. De-France a Montauban, ancora sopra 50 uova ottenne, dopo 78 giorni di cura, 10 bozzoli ; il sig. Baumgartner a Loerrach nel Baden ne ottenne 17; e così altri. Il sig. Tominz fu più fortunato, chè sopra 50 uova ebbe 39 bruchi, che gli filarono il bozzolo. Egli li pose su varie specie di quercie , per provarne la maggiore o minore attitudine a nutrire i bacolini. Adoperò il Quercus pubescens Wild, ed il Quercus Cerris Linn. En- 36 E. CORNALIA , trambe specie che, per la villosità della loro superficie, si mostrarono meno adattate della quercia comune e del Quercus pedunculatus, che hanno foglie glabre. In quell’allevamento fece il bachicultore succitato parecchie osser- vazioni utili assai all'argomento; tra cui la tenacità della vita dell’in- setto, la preferenza che dà allo stato umido dell’aria, durante il quale si pasce meglio e mostrasi più vivace; non che l’ abitudine di star isolato, contrariamente al costume dei bruchi dell’ailanto e del ricino, che vivono associati sotto le foglie. Malgrado un forte abbassamento di temperatura per neve caduta nelle vicinanze di Trieste, ove si fa- ceva l’ allevamento, i bachi furono tenuti sempre all’ aperto ; ed in giugno cominciarono a tessere il bozzolo, avendo impiegato nelle di- verse età 38 giorni. Tutto ciò farebbe credere che una temperatura poco elevata, anzi che essere dannosa, acceleri e favorisca la vita dell’ animale, come fa notare il sig. Tominz, paragonando la sua alla coltivazione da noi fatta a Milano, che durò 72 giorni. È invero nelle latitudini più nordiche della nostra noi vediamo indicata da tutti nell’ allevamento una durata minore di quella da noi osservata. ll sig. Frerot, altro allevatore dell’ancor raro bruco, ottenne 2% bozzoli, da cui uscirono 40 maschi e 12 femmine. Sei di queste furono fecondate, le altre moriron vergini. Tutti gli altri coltiva- tori non ebbero uova feconde, mentre il sig. Frerot ne raccolse 1300, che gli fanno presagire bene per l'allevamento del 1864. L’accoppiamento è brevissimo ; ha luogo di notte , e cessa prima del crepuscolo ; ma il citato osservatore potè durante la notte sor- prendere le 6 coppie appajate, ed accertarsi della copula avvenuta. Nelle uova feconde trovò pure già formato il piccolo verme, come già notò pel primo il Chavannes, e come ebbi io pure occasione di confermare nel modo che esposi nell’ultima nostra seduta , nella di- scussione nata su tale argomento. I sig. Frerot adunque e il sig. Chavannes di Losanna, che, come si rileva dal Bollettino della Società d’acclimazione di Francia, ebbe 35 bozzoli, vanno salutati come i più fortunati allevatori del baco del Bombyx Ya-ma-mai nel 1863. Facciam voti che questa specie SU ALCUNI TESSUTI FATTI COLLA SETA DEL BOMBIX YA-MA-MAI DA s’acclimati veramente fra noi, e che possa esserci generosa dell’ ot- timo suo prodotto. Intorno alla seta che dai bozzoli del Lombyx Ya-ma-mai si ot- tiene, io già riferii, in una nota che aggiunsi alla relazione da me letta nella seduta di giugno. In quella nota io diceva come i signori fratelli Gavazzi di Milano avessero ottenuto molta e bella seta dagli otto chilogrammi di boz- zoli, che di questa specie eransi occupati di filare. Ora debbo ag- giungere che gli stessi signori Gavazzi spedirono quella seta alla casa De-Barry Merian di Guebwiller nel dipartimento dell'Alto Reno, la quale, con una gentilezza che merita tutta la nostra gratitudine, si impegnò di mutarla in tessuto. -—- Or sono pochi giorni mandava i tre magnifici campioni di nastri ottenuti nell’ esperimento, e che i signori Gavazzi ebbero la bontà di donarmi perchè facessi noto il fe- lice risultato. In una prima lettera, che precedeva l'invio de’ nastri ed è datata dal 4 dicembre p. p., così si esprimeva il sig. De-Barry : « Queste sete ritornarono dalla tintoria da poco tempo. lo le confidai ad un operajo abile chimico, accompagnandole d’osservazioni adatte alla circostanza; ed ad onta di ciò esse non diedero de’ risultati molto soddisfacenti, malgrado l’attenzione e'le cure del tintore. Esso non potè ottenere un bianco discreto, ciò che è la pietra di paragone d’ ogni seta ; il che proviene da ciò che per sua natura essa non si spoglia bene; il qual motivo, aggiunto alla difficoltà di fargli prendere il colore , fu causa ancora della poco riuscita dei colori chiari. » L'altra lettera, che accompagnava i saggi che vi presento, dava i seguenti ragguagli : « Finalmente vi posso inviare il risultato finale delle prove. alle quali mi sono dedicato sugli organzini e sulle trame prodotte dalla seta Ya-ma-mai che ci inviaste; io sono in posizione di spedirvi dei nastri, alla confezione de’ quali essi servirono, e li accompagno con saggi fatti in seta di China, onde rendere il paragone più facile per quanto riguarda il merito complessivo d’ogni specie. Questo para- gone sarà sempre più esatto quanto più le condizioni di, tintura e ‘ di fabbricazione e i rispettivi titoli delle sete sono press’ a poco eguali. Ecco ora alcuni rimarchi in proposito. 38 E. CORNALIA, » All’orditura l’organzino si mostrò ben purgato ; il filo però, in genere abbastanza netto, si mostrò coperto d'una peluria che non si sviluppò che nelle tinture, e che non si trova, relativamente alle sete d’ Europa e d’Asia, che adopero, se non in quelle d’un merito affatto secondario. Alla tessitura | organzino si lavora bene, e i filì mi parvero possedere tanto nerbo quanto quelli delle buone Tsatlée. » De’ nastri che vi invio, il rosa e il cilestre sono prodotti intie- ramente colla seta Ya-ma-mai, pel terzo nastro, di color bruno, la trama sola è di seta Ya-ma-mai, 1 organzino è di seta d’Italia. » Paragonando queste prove a quelle della seta di China che li accompagna , voi noterete senza falica che queste sono superiori ; superiorità che prova come il filo di Ya-ma-mai non si spogli bene, e come conservi sempre, checchè si faccia, un fondo nerastro, che ne’ colori chiari produce un cattivo effetto ed un tessuto di minor va- lore; ma mi affretto ad aggiungere che è assai probabile che me- diante uno studio più profondo su queste sete, e col mezzo di nuovi tentativi, il tintore arriverebbe a migliori risultati un’ altra volta. » ]l tre nastri di seta Ya-ma-mai hanno più lucidezza che non gli altri. La ragione sta in ciò che il tintore, che doveva tingere le trame in modo che non avessero a perdere del loro peso , fu obbligato di sottometterle a tali operazioni, che le hanno rese delle vere sete cotte, onde ottenere che prendessero il colore. » Da ultimo, riassumendo la mia opinione su questo genere di seta, dirò, che, visti i difetti segnalati più sopra, io non credo che la seta di Ya-ma-mai possa mai rimpiazzare quella de’ bachi da seta or- dinarj, in ciò che concerne le stoffe e i nastri uniti e lavorati, ma io non dubito che essa, sopratutto se il prezzo è relativamente basso, possa rimpiazzarla vantaggiosamente nelle altre industrie, come sa- rebbero i foulards, le sete da cucire, le passamanterie , ecc. » Noi porremo fine a questa relazione coll’aggiungere che riteniamo forse più severo che indulgente il giudizio del distinto artefice di Guebwiller, ed ognuno di voi se ne persuaderà esaminando i nastri che vi presento. La tinta, che forse lascia più a desiderare nei due colori chiari, e la pelurie per ora esistono realmente; ma tali difetti ‘ SU ALCUNI TESSUTI FATTI COLLA SETA DEL BOMBYX YA-MA-MAI 359 sono compensati dalla lucidezza veramente sorprendente e da una robustezza di tessuto, la quale ci fa comprendere come i Giapponesi possano trasmettere da padre in figlio e per generazioni un abito fatto di questa seta prima che si logori. Alcune stoffe marezzate e fors’anche i velluti riusciranno, se si potranno con esito fare di questa seta. lo debbo porgere i miei più vivi ringraziamenti ai signori Fratelli Gavazzi che mi porsero l'occasione di questa relazione, e mi misero in grado di mostrarvi questi tessuti, che ritengo i primi che si siano ottenuti in Europa. — Di questi farò parte alla Società d’ Acclima- zione di Parigi. Là essi mostreranno che l’amore al progresso anima anche i nostri industriali quanto quelli d’ogni altra nazione, e che i signori Gavazzi, già noti nell’industria serica per la bontà de’ loro prodotti, gareggiano, nè si lasciano vincere da altri, nel tentare tutto ciò che può tornare utile al commercio ed al paese. —____ eee CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA CON NOTE E OSSERVAZIONI DEL SOCIO TOMMASO SALVADORI (Seduta del 28 febbrajo 1864.) La Sardegna è certamente in Italia, per non dire in Europa, il paese più ricco di cacciagione di ogni maniera, e la sua fama a questo riguardo è così ben stabilita che in ogni anno numerose co- mitive di cacciatori vi sì recano dal continente, e le pernici, le anatre di molte specie, le lepri, i cervi, i daini, i mufioni, edi cignali li compensano a dovizia delle fatiche, e conviene pur dirlo, dei disagi e delle privazioni di ogni sorta che è assolutamente neces- sario di sopportare per le condizioni poco felici dell’ isola. L’abbondanza di cacciagione si spiega facilmente per le condizioni topografiche e climatologiche, per la poca estensione delle terre coltivate e per la scarsezza della popolazione. Avviene sovente che il viaggiatore passi intere giornate a traverso pianure incolte co- perte di cisti e di asfodeli, od in mezzo a selvaggie montagne vestite di interminabili foreste di elci, di sugheri, o di castagni. Nelle col- line più basse abbondano il mirto, le filliree , i lentischi, i corbez- zoli, e lungo i ruscelli bellissimi leandri. Non mancano inoltre, spe- cialmente lungo le coste, frequenti stagni, più spesso salati, i quali sono popolati da uccelli acquatici di moltissime specie. T. SALVADORI, CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 4A In questo stato di cose l'impressione che si riceve nel visitare la Sardegna è quella di un paese alquanto primitivo, avente molti ca- ratteri dei luoghi meridionali o piuttosto orientali, e che spesso ri- cordano l’Asia Minore, od alcune delle isole dell'Arcipelago in specie, perciò che riguarda i costumi degli abitanti. Nella parte meridionale sorgono frequenti palmizi, che, sebbene non conducano a perfetta maturità i loro frutti, non sono meno mae- stosi colle loro chiome superbe; all’ intorno dei villaggi i piccoli campi sono chiusi inesorabilmente da siepi di grandissimi fichi d’India (cactus opuntia), alti sovente più di tre, quattro e cinque metri, i di cui frutti sono avidamente mangiati dagli abitanti, e che ne fanno larga parte ai porci onde ingrassarli; infine s° incontrano sovente agave gigantesche dei grandi fusti floriferi. Alcuni luoghi della Sardegna , tali i contorni di Cagliari, non pre- sentano lussureggiante vegetazione a causa dell’aridità del suolo, ma, dirigendosi all’interno, le montagne presentano un aspetto veramente ridente per le belle foreste che le rivestono, e per i numerosi ru- scelli che sgorgano dai loro fianchi rocciosi. — Questi ruscelli riu- nendosi non valgono a formare grandi corsi di acque, onde anche il Tirso ed il Flumendosa sono fiumi di poca importanza. In mezzo a questo paese si trovano sparsi rari villaggi, ai quali difficilmente si accede per la mancanza di strade rotabili, onde V’an- dare a cavallo per viuzze difficili e spesso pericolose è il modo più comune di viaggiare. — Le case di questi villaggi sono per la mas- sima parte costruite con laderi o mattoni di terra cruda, e nel loro interno, più spesso senza pavimento, la parte principale è la cucina, ove si trova un focolare senza cappa e senza cammino, e all’ intorno del quale nei mesi invernali dormono gli abitatori distesi sopra stuoje di giunchi. — L’indole di essi non è certo attiva ed industriosa, «ma al contrario indolente, onde spesso si vedono oziosi sull’ uscio delle loro dimore senza pensare alle immense ricchezze che calpe- stano, in un suolo, che non aspetta che la mano dell’uomo intelligente ed attivo per produrre cereali in grandissima copia, o per versare dal suo seno gl’inesauribili tesori metallici che racchiude. —- L’ agri- eoltura è affatto primitiva; il vomere dell’aratro che adoperano è 192 T. SALVADORI, simile a quelli di duemila anni fa, quali si vedono nel Museo Ar- cheologico di Cagliari; le miniere sono per la massima parte in mano di società straniere, e continentali il maggior numero degli operaj. È ben naturale che un paese, ove l’agricoltura è così poco innanzi, presenti invece la pastorizia universalmente soverchiante, e difatti grandissimo è il numero degli armenti che vagano per le campagne di Sardegna, e dei loro cadaveri fanno grasso bottino i molti av- voltoj che le percorrono. Un tale paese adunque, ove le terre incolte e le foreste superano in una proporzione così soverchiante la parte coltivata, ed ove la popolazione è così scarsa , non è meraviglia se sia ricco di selvag- giume d’ ogni maniera, ed in specie di moltissimi uccelli ; e riflet- tendo alla sua postura geografica tra il 39.° e 44.° lat. nord, al suo clima temperato, cosi che quasi giammai la neve discende più in basso delle cime degli alti monti, ed alla sua vicinanza all’Affrica, intenderemo come, mentre la sua fauna ha i principali caratteri del- l’Europea, ne differisca notevolmente per prendere molti dei carat- teri dell’Affricana settentrionale. Ond’ è che, come tra le piante la Palma a datteri ed il Fico d’India ci annunziano d’ esser vicini al- l’Affrica, così tra gli uccelli la Pernice di Barberia (Perdix petrosa, Lath.), gli Avvoltoj in grandissimo numero, il /asser sulicicolus, il bel Porphyrio veterum, la comune Lranta rufina, la non rara Erismatura leucocephala, ed i moltissimi fenicotteri danno in parte all’Avifauna Sarda l’aspetto di quella dell’estremità meridionale della Regione Paleartica, quale è stata circoscritta dallo Sclater, vossia della costa settentrionale dell’Affrica, mentre poi il Gypaetus occidentalis , il Gyps occidentalis, lo Sturnus unicolor, il Melizophilus sardus, ed il Phalacrocorar Desmarestii gli danno un carattere proprio ed in- dividuale. lo mi sono recato in Sardegna al principiare di gennajo del. cor- rente anno, e nel mese successivo vi fui raggiunto dall’illustre viag- giatore il marchese Orazio Antinori, col quale ho in comune molte delle osservazioni che andrò esponendo , e col quale restai altri tre mesi fino al terminare di aprile, e così la durata del’îmio soggiorno nell'isola non è stata che di quattro mesi circa. Questo spazio di CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 45 tempo è stato certamente troppo breve per farmi acquistare cono- scenza intera dell’ Ornitologia Sarda, onde io, volendo dare una rela- zione per quanto m’era possibile completa degli uccelli dell’isola, ho dovuto valermi di varj elementi; e perciò oltre le osservazioni da me fatte in natura ho accuratamente studiato la collezione del Museo dell’ Università di Cagliari, il che m' interessava moltissimo, avendo essa servito di base alla Ornitologia Sarda del cav. Cara, e però io doveva verificare negli esemplari esistenti le specie da esso no- tate. — E qui io debbo rendere grazie pubblicamente al prof. Patrizio Gennari, il quale mi dette amplissima licenza di studiare nel Museo di cui egli è direttore, e Dio voglia che lo sia per lungo tempo a be- nefizio di quello stabilimento, che egli ha non solo notevolmente ar- ricchito, ma al quale inoltre egli ha saputo dare l’aspetto e l’ ordi- namento scientifico. — Infine io ho fatto tesoro di alcune notizie’ somministratemi a voce dal Cara stesso, e dai pescatori degli stagni, e dai cacciatori indigeni. — In specie la collezione del Museo, formata nello spazio di molti anni, ricca di molti individui e di interessan- lissime specie, è stata per me grandemente profittevole. E per non tralasciare alcuna cosa, che potesse somministrarmi qualche lume, io ho consultato ancora l’erudita opera del Cetti (Gli Uccelli di Sar- degna, Sassari 1766), la quale, sebbene non manchi di giuste osser- vazioni, è poco atta, per l’ epoca in cui fu scritta, ad essere studiata utilmente. Per tal modo io spero di poter dare un Catalogo esatto e completo più di ogni altro fatto finora, e che potrà essere un elemento utile nella compilazione di una Ornttologia Italiana, alla quale, se le forze mi reggeranno, spero di dar mano. Intanto la mia presente pubblica- zione servirà a correggere gli errori in cui sono caduti coloro che antecedentemente si sono occupati di questo argomento, e mi verrà fatto sovente di aggiungere nuove specie a quelle già enumerate tra le Sarde, e di escluderne altre indebitamente inclusevi. Le specie che io ho creduto di poter annoverare in questo Cata- logo ammontano a 268, mentre il Cara ne descrisse 26%. Questi nu- meri, che sembrano quasi eguali, risultano di differenti elementi , ed appunto per fare apprezzare le differenze tra il suo Catalogo ed il mio io divido le specie in quattro categorie : 4h i 2. 3. Br T, SALVADORI, Specie comuni ad ambedue. Specie errate e mal determinate dal Cara. Specie annoverate dal Cara, ma non esistenti in Sardegna. Specie non descritte dal Cara, ma esistenti in Sardegna. — La 4.8 serie o categoria comprende 234 specie comuni al Cara ed a me, nelle quali sono incluse 18 specie, che il Cara asserisce di aver trovato in Sardegna , ma intorno alle quali io non ho potuto avere altra prova della loro esistenza nell'isola, e che Ped io ri- tengo come dubbie, e queste sono : 1 pila è Le Side ad e Lie le . Milvus niger, Briss. . Corvus corone, L. . Lusciola philomela, BI. . Pratincola rubetra , Koch. . Anthus cervinus, Pall. . Euspiza melanocephala, Bp. . Eudromas morinellus, Boje. . Limicola pygmea , Koch. . Pedidna maritima , Bp. . Totanus stagnatilis, Bechst. . Hydrochelidon leucoptera, Boje. . Larus marinus, L. . Chroicocephalus melanocephalus, (Natter). . Rissa tridactyla, Leach. 1Ù. Fuligula marila , Steph. Le specie della 2.° serie cioè quelle errate e mal determinate dal Cara sono le seguenti: 1. 2. Schleg. Vultur Kolbii, Daud. invece di Gyps occidentatis, Bp. Gypaetus barbatus, Cuv. invece di Gypaetus occidentalis, Le specie della 3.* serie cioè quelle annoverate dal Cara, ma non esistenti in Sardegna, e però escluse da me, sono: 1 2. d. 4. Vultur auricularis, Daud. Gyps fulvus, Bp. Falco imperialis, Temm. Alauda cristata, L. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SA RDEGNA hd 8. Emberiza citrmella, L. 6. Fringilla citrinellla , L. 7. Ardea egrettoides, Temm. 8. Limosa rufa, Br. 9. Sterna dougalli, Mont. 10. Larus glaucus, Brunn. 11. Larus capistratus, Temm. 12. Larus atrscilla, L. Infine la 4.° serie comprende le specie non descritte dal Cara, ma esistenti in Sardegna, e però da me aggiunte in questo Catalogo, e sono 1. Phyllopneuste trochilus, Meyer. 2. Calamodyta melanopogon, Bp. 3. Lusciniopsis luscinioides, BI. 4. Chalamoherpe arundinacea, Boje. 8. Budytes flavus, Bp. * 6. Fulica cristata, Gm. » 7. Machetes pugnax, Cuv. 8. Pelidna temminckii, Cux. 9. Buphus bubulcus, Bp. 10. Phoenicopterus erythreus, Verreaux. 11. Sterna anglica, Mont. 12. Oceanites oceanica, K. et BI. 13. Colymbus glacialis, L. 1. Fratercula glacialis, Schleg. 15. Podiceps longirostris, Bp. La cosa più singolare di questa serie è il trovarvisi inclusa l’ Ocea- niles oceanica, che ora per la prima volta viene annoverata tra le specie trovate entro i confini italiani, mentre è specie americana , ed accidentalmente trovata finora solo in Inghilterra. Da quest’analisi è manifesto quanto inesattamente !l’ Ornitologia del Cara ci dia conto dell’Avifauna di Sardegna, e ciò si renderà anche più palese nel Corso del mio Catalogo, dove io ho dovuto ret- tificare numerosi errori in cui egli era incorso. Forse potrà sembrare a taluno che io anche troppo mi sia occupato nel rilevare gli errori del Cara, e che io avrei dovuto notare ciò che io aveva osservato n6 | T. SALVADORI, senza curarmi di altro, ma io ho così fatto, perchè, essendo l’opera del Cara la sola che Si avesse finora, e che sola si poteva consultare da quelli che volevano conoscere l’Ornitologia Sarda , poteva sem- brare che io avessi trascurato di verificare le sue asserzioni, e spe- cialmente quante volte le mie osservazioni erano contradittorie alle sue. Anche con ciò io non pretendo di aver fatto una cosa completa e perfetta, e certo, per la brevità del tempo che io ho speso in Sardegna, di alcune specie mi sono sfuggite interessanti particolarità riguardanti i costumi e la nidificazione, ed altre specie saranno forse da aggiungere, giacchè non sono lontano dal credere che si trovino in Sardegna e qualche Z/ypolais, e qualche altra specie della stessa sezione Calamoherpine, e qualche altro Budytes, ed altre specie ancora. Mi giova avvertire che io non pretendo di fare un lavoro metodico, ma solamente un catalogo, che valga a far conoscere le specie sta- zionarie o di passaggio regelare in Sardegna, come pure quelle che accidentalmente vi sono capitate. Ond’ è che io non potrò ingolfarmi nel laberinto della sinonimia, e quindi io mi limiterò a riferire il nome recato da Bonaparte nella /auna Italica e quello dato dal Savi nella Ornitologia Toscana, che sono certamente le due opere maggiori in- torno agli uccelli italiani. Siccome poi l’ opera del cav. Cara tratta esclusivamente delle specie sarde, perciò noterò sempre il nome spe- cifico recato da lui. Ho notato i nomi sardi quali sono indicati in que- st’ultima opera, pochi aggiungendone o variando. Infine ho apposto il nome italiano. Avrei forse dovuto notare certe inesattezze di nomenclatura che s'in- contrano in tulte tre quelle opere, e singolarmente in quella del Cara, ma, oltre che questo sarebbe stato ufficio tedioso, ho stimato fosse cosa superflua per il mio scopo, mentre a me bastava che ognuna delle specie da me annoverate si potesse riferire con cer- tezza alle corrispondenti del Bonaparte, del Savi e del Cara. Infine io debbo dire qualche parola intorno alla nomenclatura da me adottata, la quale talora si allontana da quelle più comunemente in uso. lo mi sono stabilito la legge che il nome specifico primo ad essere imposto ad una specie debba essere religiosamente conservato , a meno che non si tratti di una suprema necessità, una delle quali sa- rebbe quella di due specie che, riunite in uno stesso genere, venissero CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 47 ad avere lo stesso nome specifico. Questo mi è sembrato sempre uno dei mezzi per non aumentare la inestricabile confusione che s'è in- trodotta nella sinonimia. ll mio maestro prof. Paolo Savi, che per ragione di onore qui nomino, così si esprimeva nell’/ntroduzione alla Ornitologia Toscana, a pag. 54. « Debbonsi adunque considerare i nomi come sacrosanti, e nessuna causa si deve credere capace ad autorizzare a cambiarli; il primo che a quella tale specie fu dato è il suo vero, è quello che devesi costantemente e serupolosamente mantenere, e, se questa specie per i progressi della scienza converrà porla in altro genere, sarà allora permesso cambiare il nome gene- rico, dovendo bensì rimanere immutabile lo specifico. » Guidato da questo principio, a me è sembrato che nessuno meglio vi si confor- masse del prof. Blasius, nel suo recente Catalogo degli uccelli d’ Eu- ropa (A list of the Birds of Europe, by prof. 1. H. Basius, reprin- ted from the German, wîth the author°s corrections. Norvich : Mat- chett and Stevenson, 1862). È vero che, per seguire scrupolosamente quella legge, egli s’° è trovato talora costretto a creare alcuni nuovi nomi generici, ma mi sembra che questo sia stato necessario e giusto. Necessario per il nome generico, giusto per il nome specifico primo, che veniva così restituito a quella specie. So che di questa opinione non sono i più dei naturalisti attual- mente, ma l’autorità del Savi e del Blasius mi salverà dall’accusa di novatore pericoloso, tanto più che quasi fedelmente io ho seguito que- sto secondo, e solo una volta mi sono permesso di creare un nuovo nome generico quello cioè di Lambruschinia, Salv. per il Larus ge- lastes, Licht., ed a suo luogo ne ho esposte le ragioni. Come per la nomenclatura, così per l'ordine di successione delle specie mi sono raramente allontanato da quello tenuto dal Blasius nella sua lista suddetta. Per tal modo io spero di aver fatto cosa non indegna dell’ atten- zione degli ornitologi, singolarmente italiani; e io sarò lieto se avrò potuto contribuire a far meglio conoscere in qualche parte 1° Ornito- logia Italiana, od almeno ripeterò col Poeta : Vagliami il lungo studio e il grande amore. 31 dicembre 1863. VULTURIDA 4. Vultur monachus, L. Vultur cinereus, L. (Savi, Orn. tosc. V. 1, p. 9). Aqypius cinereus, Bp. (Bp., !aun. ital. Introd.). V. cinereus, L. (Cara, Orn. sard. sp. Il). Contruxiu e Bentruxiu nieddu. (Capo meridionale.) Benturzu e Anturzu. (Capo settentrionale.) Avvoltojo. Questo avvoltojo m’ è sembrato il più comune di tutti in Sardegna. — Abita i luoghi montuosi. — Più volte, mentre io era in agguato presso qualche cadavere, ne ho visti giungere da grandi distanze, e fino a cinque se ne sono posati contemporaneamente sulle roccie, a me circostanti, ma sempre fuori della portata del fucile, onde.sem- brava che scoprissero la mia presenza, sebbene io avessi adoperato tutte le cautele possibili per tenermi perfettamente nascosto. Nel feb- brajo il mio compagno Antinori ebbe un maschio di questa specie, ed un altro io nel marzo; in ambedue ho osservato alcune. penne per- fettamente candide ai lati del petto presso l’ articolazione dell’ omero col corpo. lo ho potuto osservare molti individui di questa specie, e tutti provenienti dalla Sardegna. Nel Museo di Cagliari n’ esistono.due; l'uno ha l'abito bruno più comune, l’altro un poco più grande, l’ha bruno quasi nero, ed in esso si nota il vertice coperto di piumino bianco sudicio cosparso di macchie bruno-nere; il loro sesso non è indicato; il secondo è forse una femmina. Questo individuo, che per la cattiva preparazione presenta il meato uditivo molto ‘aperto e spie- gato, ha fatto credere al Cara che in Sardegna esistesse il Z ultwr auricularis (Cara, Ornîtologia sarda, specie 1.°), che egli asserisce comune, stazionario e nidificante. E nel leggere nella descrizione CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 49 come sia dotato nel ventre di penne lunghissime, appuntate, e che incompiutamente ricuoprono una peluria di color bianco puro, si cre- derebbe ch’ egli realmente avesse sott'occhio un individuo del vero V. auricularis, mentre è certo che ambedue gli individui del museo sono veri 7. monachus, ed egli stesso ora riconosce il suo errore. Schlegel recentemente nel suo Musewn d° histoire naturelle des Pays.Bas divide la terza sezione del genere Vultur, L. in due gruppi, distinto l'uno dal collo nudo con pieghe longitudinali, 1 altro dal collo senza pieghe, ed in questo pone il /ultur monachus, L. Però, come giustamente ha fatto notare il marchese Orazio Antinori in una nota del suo Catalogo ornitologico dell’ Affrica centrale, i due individui di questa specie, che noi avemmo freschi in Sardegna, pre- sentavano distintamente nella parte più alta del collo alcune pieghe cutanee, le quali partivano dalla parte posteriore, e non longitudinal- mente, ma quasi orizzontalmente si dirigevano in avanti sulle parti laterali del collo, ed alcune si biforcavano. Queste pieghe collo scor- ticare l’animale scomparivano per la distensione della pelle, e così è che nell’individuo rimasto all’ Antinori inutilmente si cercherebbero quelle pieghe, che io colle pinzette ho dovuto riprodurre artificial- mente nell’individuo a me toccato, e che montai immediatamente men- tre era ancor fresco. Queste pieghe però sono ben altra cosa da quelle dell’ Auricularis ed io non potrei giammai convenire con lui nell’ opinione ch’ egli ha emesso nel catalogo suddetto, cioè che, in Sardegna esista lAuricularis e non il Monachus, mentre è precisa- mente il contrario. — Schlegel e gli altri, che dell’esistenza delle pie- ghe sul collo hanno fatto un carattere differenziale per distinguere l’Auricularis dal Monachus, non hanno forse osservato del secondo individui viventi o freschi, ma solamente pelli, nelle quali, Io ripeto, le pieghe del collo per la distensione seompariscono; ma, mentre ine- sattamente hanno dato quel carattere come esclusivo dell’ Auricula- ris, ne hanno aggiunti altri per i quali facilmente si distinguono le due specie; tali, nell’ Auricularis, il becco più grosso e più ricurvo, e le piume delle parti inferiori lunghissime, acuminate, contorte (cour- bées) e ricuoprenti incompletamente il bianco piumino sottostante, Vor. VI. 4 50 T. SALVADORI 4 mentre nel Monachus sono meno lunghe, rotondate, piane, allargate; ed il piumino sottostante è cinereo o bruno-nero, AI mio compagno Antinori fu recato un uovo, che era stato tolto, circa alla metà di aprile, da un nido ove se ne contenevano due; esso è alquanto globoso, ed io suppongo che sia del 77. monachus. Eccone la descrizione: fondo bianco sudicio volgente al vinato, asperso di macchie e punteggiature ferruginose irregolari ed irregolarmente disposte. Il guscio è assai grosso e dall’ apertura si scorge che gli strati più interni sono di color verde cupo, e bianchi i più superfi- ciali. Le granulazioni calcaree sono sottili, ma rilevate, e la superficie dell'uovo è scabra al tatto, ed osservata colla lente presenta l'aspetto di sabbia incollata ad una superficie, Diametro maggiore 0,087. Diametro minore 0,069. Un altro uovo alquanto più allungato dell’antecedente ebbe 1’ An- tinori, e non v’ ha dubbio che appartenga al Gyps occidentalis, sic- come insieme ad altro, che pur si ruppe, fu nei primi giorni di mag- gio tolto da un nido ove si trovava una femmina di questa specie, e che fu uccisa. Esso ha pure il fondo bianco sudicio volgente al vinato, ma più oscuro che nell’ antecedente, ed è fittamente asperso di macchie e di punteggiature ; le macchie sono di color vinato più vivace del fondo sebbene sempre sbiadito, e sono fittamente ravvicinate alle due estre- mità, ma più alla piccola che è quasi unicolore; le punteggiature sono di color bruno-cioccolata, molto piccole e corrispondono agl’ in- cavi esistenti tra le granulazioni; queste non sono distinte ed isolate le une dalle altre, ma riunite in isolette più o meno estese, tra le quali corrono i solchi; da questa disposizione deriva che la superfi- cie dell'uovo non è molto ruvida e scabra. La spessezza del guscio è minore che nell’antecedente, e gli strati calcarei interni sono bian- chi come i superficiali. Diametro maggiore 0,095. Diametro minore 0,068. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA DI. 2. Gyps occidentalis, Bp. Vultur fulvus occidentalis, Schlegel. V. fulvus, L. (Savi, Orn. tosc. V. I, p. 4). Gyps fulvus, Gr. (Bp., lun. ital.). Vultur fulvus, L. (Cara, Ora. sard. sp. HT) (il giovane). V. kolbii, Dand. (Cara, Orn. sard. sp. IV) (V adulto). Bentruxiu murru, G. M. Anturzu 0 benturzu, C. S. 3 Grifone occidentale. Questa specie, che per Schlegel ed altri non sarebbe che una razza locale del 7/7, fulvus, Gm., è comunissima in Sardegna. lo ne ho visti moltissimi individui nei monti di Oridda e di Capoterra, e molti in- dividui ne ho potuti studiare nel Museo di Cagliari, ed in quello di Torino e nella collezione del marchese di Breme, ed infine due indi- vidui sono posseduli da me. La cosa, che più richiama l’attenzione studiando questa specie, è il vedere come alcuni individui abbiano Je penne allungate ed acu- minate ed altri invece le abbiano rotondate e più brevi, ed io non so nascondere, che, ricordando come in questa diversità di forma delle penne congiunta a colorito alquanto differente si facesse da taluno consistere il carattere principale per distinguere il G. occidentalis dal vero G. fulvus, io ho ritenuto per lungo tempo che l’una e V'al- ira specie esistessero in Sardegna, siccome io vi aveva trovato indi- vidui coll’una e l’altra caratteristica. Solamente quando io ho potuto sorprendere alcuni individui in muta, ed aventi penne dell'una forma e dell’altra, mi sono accorto come per corrosione di acuminate si fa- cessero rotonde, e però quella diversità di forma non è carattere spe- cifico ma dipendente dall’età, ed è validissimo a far distinguere i giovani dai vecchi. Ecco le descrizione dei diversi abiti secondo 1’ età: Apuuti. — Estremità delle penne rotonde: Colorito generale fulvo- grigio, o, come alcuni dicono, color caffè e latte; becco color di corno chiaro gialloguolo; testa coperta di piume bianche, rigide, pili- 52 T. SALVADORI, liformi, che sul collo si convertono in una calagine bianca e molle. Alla base del collo un collare bianco, assai folto, formato di piume molli a barbe decomposte, quasi lanose ; alto del dorso di color fulvo- scuro, che si fa fulvo-grigio più o meno chiaro sul resto delle parti superiori; grandi e medie cuopritrici brune con largo margine gri- gio-chiaro; gozzo coperto con piume di color fulvo-scuro, corte e ri- gide. Parti inferiori di colore fulvo-cinereo; remiganti e timoniere bruno-nere; coda quadrata. Parte interna delle gambe coperta di ca- lugine bianca, che si estende sulla parte anterior superiore del tarso. Tarsi bruno-neri. Iride scura. lo ho visto due individui nel suddetto abito, l'uno nel Museo di Cagliari e l’altro pur di Sardegna nel Mu- seo di Torino. Altri tre individui, l’uno nel Museo di Torino, l’altro nella colle- zione del marchese di Breme ed il terzo nella mia, hanno penne acu- minate e penne rotonde, ed il collare misto di piume lunghe, sottili, fulviccie e di piume bianche a barbe decomposte. Giovani. — £Estremità delle piume acuminate: Colorito generale fulvo-cannellino; becco scuro-nero; testa e collo rivestito di calugine bianca; alla base del collo un collare di piume lunghe, sottili ed affi- late di color fulvo; parti superiori di color fulvo-grigio più o meno intenso, e le inferiori di color fulvo-cannellino, e ciascuna piuma nella sua parte mediana è di color più chiaro collo stelo quasi bianco. La parte interna della gamba e la parte anterior superiore del tarso è vestita di calugine bianca; gozzo di color fulvo più chiaro che negli adulti; remiganti e timoniere bruno-nere; tarsi bruni. i In quest'abito io ho osservato tre individui, uno nel Museo di Ca- gliari, l’altro nel Museo di Torino, ed uno è posseduto da me. Essi differiscono tra loro per la tinta, che è variamente cupa. Quello del Museo di Torino è molto giovane ed ha il colorito assai fosco. Gli altri non presentano alcun indizio di essere in muta, e variano lieve- mente nella vivezza della tinta fulvo-cannellina in specie delle parti inferiori. | Un giovane all’ uscir dal nido, esistente nel Museo di Cagliari, è as- sai più oscuro degli altri soprannominati: ha il gozzo coperto di calu- gine bianco-sudicia, e le penne del collare alquanto corte. Dopo ciò CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA dI mi sembra di poter concludere che il colorito si fa sempre più sbia- dito in ragione che l’ uccello invecchia. Il pulcino all’uscir dall’ uovo è tutto coperto di una peluria bianco-sudicia, meno la porzione più alta del collo nella parte posteriore e laterale, che è nuda. I vecchi individui dai colori pallidi sono un poco più grandi, ed hanno il becco un poco più grosso e robusto, e meno compresso lateralmente. Anche il Cara (op. cit. pag. 4) parla di un avvoltojo dalle penne rotonde e non acuminate, avente la tinta caffè e latte, e lo dice il più comune e dotato delle stesse abitudini delle altre specie, e che ho già detto essere il vecchio del G. occidentalis, mentre il Cara, co- piando il Zemminck (V. Manuel d’ornitologie, rv° partie, pag. 587), ne fa il Z'ultur kolbii di Daudin. Anche il principe di Canino dubîtò che si trattasse di questa specie, che annoverò nella sua fauna italica. Narrano i pastori sardi che essi spesso uccidono gli avvoltoj, che si sono saziati con qualche grosso cadavere, perchè resi pesanti dal soverchio cibo, che hanno ingerito, con difficoltà riescono a solle- varsi da terra. Questa cosa ho inteso in Sardegna confermare da mol- tissime persone degne di fede. GYPATIDA 3. Gypetus occidentalis, Sehlegel. Barbudu, Ingurtossu, Achila ossaja, C. M Benturzu barbudu, C. S. Avvoltojo barbato occidentale. lo ho potuto studiare quattro avvoltoj barbuti (un giovane e tre adulti) conservati nel Museo di Cagliari, ed altri individui esistenti nel Museo di Torino, ed uno posseduto da me. La specie di Sardegna, distinta dal vero Gypetus barbatus, Cuv. delle Alpi, ce dal G. nudi- pes, Brehm, si trova anche sui Pirenei (1), e recentemente il signor (1) Ecco le parole di Bonaparte a questo riguardo: «+ La deuxiéme, plus petite, à couleurs plus vives, a tarses emplumés, qui vit en Sardaigne et sur le Pyrénées, et bu T. SALVADORI, Tristram ha osservato nella collezione del sig. Le Coq di Clermont otto ‘Gypeeti dei Pirenei col petto di un colorito assai cupo. Nel Museo di Pisa invece esiste un individuo, che sî dice proveniente dai Pirenei, ed è perfettamente simile a quelli delle Alpi, dai quali gl’individui di Sar- degna differiscono per la statura alquanto minore e pel colorito assai più vivo. Però io non ho alcuna prova certa che l'individuo del Museo di Pisa sia veramente dei Pirenei, e, se così fosse, converrebbe credere che sui Pirenei si trovino ambedue le specie o forme, cioè tanto l’occidentalis che il vero G. barbatus, Cuv., la qual cosa non mi sem- bra molto probabile. Ecco la descrizione degli individui adulti di Sardegna: becco co- lor di corno chiaro; iride di color rosso arancione; penne setolose della barba e della base del becco nere e rivolte în avanti; queste ultime cuoprono le narici, che sono allungate e dirette obliquamente dall’alto al basso e dall’avanti all'indietro; pileo bianco latteo leg- germente tinto di gialliccio, limitato da due linee nere laterali, che dalla base del becco passano sopra gli occhi, e quindi posteriormente sull’ occipite curvandosi colla concavità in fuori si avvicinano e de- scrivono così la figura del ferro di alcune alabarde. Nel mezzo del pileo dalla base del becco fino all’occipite corre una sottile linea nera, che divide in due metà la figura suddetta. Una macchia nera nella regione auricolare. Le gote sono di color bianco tendente al lionato- gialliecio chiaro, e sono asperse di grosse penne setolose nere. Parte posteriore del collo di colore bianco leggermonte tinto di lionato. Parte anteriore del collo di color rosso lionato vivacissimo, Petto, ventre, fianchi, calzoni e penne dei tarsi di color lionato; le penne del petto hanno alla loro estremità alcune macchie mere che nell’in- sieme formano una specie di fascia trasversale più o meno larga nei diversi individui. Sottocoda lionato con grandi macchie bruno-nere più estese sulla metà esterna di ciascuna penna. Penne del dorso, que M. Schlegel, qui l’a le premier distinguée, du moins avec quelque assurance, a nommée Gypatte occidental (Gypetus occidentalis). » Ch. Bonaparte, Comptes rendus de l'Acad. des Sciences, séance du AL mars 1850, tom. 30 p. 272. Anche Blyth recentemente (Ibis, January 41863, p. 25) ripeté: « Prince Bonaparte re- coguises as distinct G. orientalis (doveva dire occidentalis) from the Pyrenees, Sar- dinia, ecc. » i CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA b5 groppone e sopraccoda grigio-scure collo stelo biancastro. Le cuopri- trici superiori delle ali dello stesso colore del dorso collo stelo ed una stretta macchia allungata su ciascuna penna di color bianco ten- dente al lionato gialliccio chiaro. Remiganti e timoniere bruno-cene- rine collo stelo bianco, Coda cuneiforme. Dita livide, unghie color di corno, dito esterno unito alla base col medio da una larga mem- brana. Dimensioni: Lunghezza totale 4%,00 circa. — Dall’angolo dell’ala all’ estremità delle remiganti da 0,78 a 0,82. — Coda, dalla base al- l'apice delle timoniere da 0,58 a 0,60. — Apertura del becco 0,140. Tarso da 0,08 a 0,085. — Dito medio non compresa l’ unghia 0,09. I giovani hanno il collo nero; le parti superiori bruno-nere con grandi macchie biancastre sul dorso e sulle cuopritrici superiori delle ali; le parti inferiori sono bruno-cenerine con macchie biancastre sulle estremità delle penne. L’avvoltojo barbuto in Sardegna non è molto raro; io ne ho ve- duti due individui nello stesso giorno nelle montagne presso il Genar- gentu, Era facile riconoscerli dalle lunghe ali e sottili, e dalla coda lunghissima e cuneiforme. Essi non avevano il volo pesante degli av- voltoj, ma scorrevano con grandissima agilità e leggerezza intorno ai fianchi rocciosi dei monti tenendo le ali quasi immobili. L’ avvoltojo barbuto è ben conosciuto dagl’ indigeni ed in specie dai pastori e dai cacciatori, i quali mi hanno sovente ripetuto come questo uccello abbia il costume di prendere le ossa, portarle ad una grande altezza, e di là farle cadere sulle roccie perchè si rompano, e quindi calare ed ingoiare i frammenti minori, e poscia riprendere i più grandi e ripetere la stessa azione. Anche dal dottor Cauglia, distinto veterina- rio sardo, ho inteso narrare come una volta egli fosse stato spettatore di questo fatto; e da questa abitudine hanno avuto origine i nomi sardi di ingurt’ ossu (ingoia ossa) e di achila ossaia (aquila mangia- trice d’ossa). Questa cosa infine mi è stata confermata dal mio amico «e compagno il marchese Orazio Antinori, che mi diceva di aver tro- vato in un individuo ucciso nell’ Asia Minore un frammento di un femore di pecora lungo diversi pollici, e che si conserva in Smirne dal suo amico signor Guido Gonzembach. 36 T. SALVADORI, * FALCONIDA 4. Aquila chrysetos, Pallas. Falco fulvus, L. (Savi, Orn. tose., vol. I, pag. 20). Aquila fulva, Bp. (Bp., Faun, ital.). F. fulvus, L. (Cara, Orn. sard., sp. XX). Achili o Achiloni, C. M. Abila, C. S. Aquila reale. \ Di questa specie, che, al dire del Cara (op. cit., pag. 14), è comune in tutta l'isola, io ho veduto due individui nel Museo di Cagliari, ed uno vivente nei monti presso il picco di S. Perdaliana. 5. Aquila Bonelli, Bp. Falco Bonelli, Vemm. (Savi, Orn. tose., vol. 1, p. 24). Aquila Bonelli, Bp. (Bp., Faun. ital.). Falco Bonelli, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. XVII). Achiloneddu, C. M. Abilastru, C. S. Aquila del Bonelli. Questa specie è comune in Sardegna, da dove io ho avuto un gio- vane individuo; ne ho veduto volare un adulto in abito perfetto presso Domus Novas, ed un-altro presso Capoterra in vicinanza di Cagliari. Quattro individui si conservano nel Museo Cagliaritano, ed uno di essi, perfettamente adulto, ha le parti inferiori bianco-candide, e snllo stelo di ciascuna penna una sottile linea nera. Gl’ individui in questo abito sono rari. — lo posso asserire che i caratteri assegnati dal Degland (V. Ornithologie curopcenne) nella frase specifica per distinguere le CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 37 ‘aquile non sono affatto costanti; così nell’.4. Lonelli, invece di sette scaglie larghe sull'ultima falange del dito mediano, il più delle volte ne ho trovate soltanto cinque, e quattro sull’interno. 6. Halietus albicilla, Boje. Falco albicilla, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 14). Halietus albicilla Boje. (Bp., Faun. ital.). F. albicilla, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. XVI). Achiliera, C. M. Abila, C. S. Aquila di mare. Ne ho visto volare un individuo sulle sponde dello stagno di Ca- gliari, ed un altro bellissimo individuo adulto fu ucciso nell’ aprile presso Seui nell'interno dei monti dell’Ogliastra. Altri quattro indi- vidui esistono nel Museo di Cagliari, due dei quali in perfetta livrea; gli altri due sono giovani, ed in essi il Cara ha creduto di riconoscere due giovani del Malco imperialis, che perciò ha annoverato tra le specie sarde (specie XIV)! 7. Pandion halietus, Cuv. Falco halicetus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I p. 12). Pandion halietus, Cuv. (Bp., Faun. ital.). Falco halicetus, L. (Cara, Orn. sard., sp. XIX). Achili de pisci, C. M. Abila marina, C. S. Falco pescatore. Non raro sulle sponde del mare e degli stagni, e sebbene il Cara (op. cit., p. 13) affermi che arrivando in autunno parta in primavera, io credo che resti a nidificare in qualche parte, giacchè un pulcino da nido, preparato recentemente, esiste nel Museo di Cagliari. Jota; T. SALVADORI, 8. Cireetus galfieus, Vieill. Falco gallicus, Gmel. (Savi, Orn. tosc., vol. I p. 27). Circetus gallicus, Vieill. (Bp., Faun. ital.). Falco brachidactylus, Temm. (Cara, op. cît., sp. XVIII). Biancone. lo non ho incontrato questa specie in Sardegna, ma dei tre indi- vidui esistenti nel Museo di Cagliari uno, per quanto asserisce il Cara (op. cit. p. 13), fu preso nell’isola, ove sembra raro. 9. Archibuteo lagopus, Brehm. Falco lagopus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. T p. 33). Buteo lagopus, Less. (Bp., Faun. ital.). Falco lagopus, L. (Cara, Orn. sarda; specie XXV). Falco calzato. Ne ho veduto un solo individuo nel Museo di Cagliari, ed è quello che il Cara (op. cit. p. 17) dice predato ad Iglesias nell’inverno del- l’anno 1834. La sua venuta sembra accidentale. 10. Buteo cinereus, Bp. Falco buteo, L. (Savi, Orn. tosc., vol. | p. 28). Falco pojana, Savi. (Savi, Orn, tosc., vol: HI p.. 197), Buteo vulgaris, Bechst. (Bp., F'aun. ital.). Falco buteo, L. (Cara, Orn. sard., specie XXIV). Stori, C. M. Astoreddu, C. S. Falco cappone, 0 pojana. Comunissima è questa specie, e gl’ individui nelle loro mute sono similissimi a quelli dell’Italia continentale, se non che mi sono sem- brati un poco più piccoli. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 59 44. Milvus regalis, Briss. Falco milvus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. 1 p. 38). Milvus regalis, Briss. (Bp., /aun. étal.). FP. milvus, L. (Cara, Orn. sard., sp. XXII). Zuaddia, C. M. Atturolia e Tirulia, C. S. Iibbio reale. Stazionario e comunissimo tanto in monte che in piano. M'è avve- nuto d’uccidere un individuo venuto a prendere la sua porzione di un cadavere di montone, mentre io stavo in agguato aspettando gli avvolto]. | 42. Milvus niger, Briss. Falco ater, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I p. 37). Milvus niger, Briss. (Bp., Faun. ital.). F. ater, L. (Cara, Orn. sard., sp. XXHI). Nibbio nero. Noto questa specie, perchè dal Cara (op. cit. pag. 16) viene com- presa tra le specie sarde dicendola meno comune del /. milvus ed avente gli stessi nomi ‘vernacoli. Però nessun individuo rappresenta questa specie nel Museo Cagliaritano, nè io ho potuto mai incontrarne nelle mie escursioni. 13. Falco peregrinus, Briss. Falco peregrinus, Gmel. (Savi, Orn. tosc., vol. I p. 40). F. peregrinus, L. (Bp. Faun. ital.). PF. peregrinus L. (Cara, Orn. sard., sp. VII). Astori perdighinu, €. M. ( Astore da pernici). ‘Astore, C. S. l'alcone. 60 T. SALVADORI, Stazionario in Sardegna, e si vede non raramente tanto nei luoghi di monte che di pianura, io ne ho ucciso un giovane maschio a breve distanza dallo stagno grande di Cagliari sul lato occidentale. 44. Falco lanarius, Schleg. F. lanarius, Lin.! (Cara, Orn. sard., sp. VI). Quell’ individuo (femmina) che nel 1842 fu col nome di /. lana- rius, L. depositato dal Cara nel Museo di Cagliari vi esiste tuttora. Però per mancanza di libri io non ko potuto studiarlo in modo da to- gliermi il dubbio che non si tratti piuttosto di una femmina del £, peregrinus. Ricordo che di questa è un poco più grande, che ha Ja nuca di color ceciato-giallastro con macchie brune, le piume delle parti inferiori sono brune nel centro ed hanno un largo margine bianchiccio; il suo becco è assai più grosso e più alto che nel pere- grinus; dall’ angolo dell’ala all’ estremità delle remiganti corrono 37 centimetri, il dito mediano senza l’ unghia misura 0,06, Avrei amato di poterlo studiare più accuratamente per arricchire con cer- tezza la avifauna italiana di questa interessantissima specie (4). 45. Falco Eleonora, Gené. Falco Eleonore , Genè. (Bp., Faun. ital., tav. 24). Falco Eleonore, Genè. (Cara, Orn. sard., sp. X). falco arcadicus, Lindermayer. Falco dichrous, Ehrh. Falco della regina. Nella stagione invernale io non ho avuto l’ opportunità di recarmi agli isolotti del Toro e della Vacca, che sono frequentati da questo (4) Mentre questo mio catalogo era in corso di stampa, ho potuto verificare che un bellissimo falco posseduto da me, e trovato sul mercato di Roma nell’inverno 1852- 1853, appartiene a questa specic, che perciò ora prende luogo con certezza tra gli uc- celli italiani. — I miei dubbi intorno all’individuo di Sardegna si sono aumentati. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 61 falco ed in nessun altro luogo ho potuto incontrarlo, sebbene il Cara mi abbia assicurato di averne avuti anche da altre località, e segna- tamente dal Capo Carbonara, e di averne veduti nelle vicinanze di Cagliari al Capo Sant’ Elia. Molti individui di Sardegna io ho veduto di questa specie. Uno in cattivo stato esiste nel museo di Pisa, dono dell’ illustre generale Al- berto La Marmora recentemente rapito alla patria ed alle scienze, un altro esiste nel Museo di Cagliari, ed ambedue hanno l'abito e 1’ a- spetto del Falco subbuteo. Ecco la descrizione di quello del Museo Cagliaritano: Becco celestognolo, cera turchina, iride bruna, vertice e lati della testa di color scuro-nero. Fronte bianco-giallastra sudicia. Penne delle parti superiori scuro-nere. Le barbe interne delle penne della cervice di color giallo-lionato visibile solo rimovendo le penne. Baffi neri, gola, gozzo e lati del collo di color bianco sfu- mato lievemente di giallo con sottili strie nere. Penne del petto scuro-nere con sottile margine fulvo più visibile nelle penne della parte mediana. Penne dell’ addome e fianchi di color fulvo-nocciola aventi nel centro grandi macchie allungate di color scuro-nero; cal- zoni (femoraliu) dello stesso color fulvo-nocciola con macchie più sot- tili; sottocoda dello stesso colore e con macchie cordate. Cuopritrici inferiori delle ali scuro-nere con sottil margine fulvo. Remigantl su- periormente bruno-nere senza macchie sulle barbe interne; inferior- mente di color cenerino scuro. Timoniere bruno-nere celéstognole macchiate trasversalmente di color nocciola sul lato interno. Piedi...? Unghie nere. Lunghezza totale 0,57 circa. Apertura del becco 0, 025. Coda SAT: Tarso 0,038. Le remiganti sorpassano la coda di un centimetro (forse per cattiva preparazione). — Credo utile osservare che il carattere assegnato da Bonaparte nella Fauna italica per distinguere questa specie da Falco subbuteo, di avere cioè il margine della mandibola superiore diritto dall’ angolo del becco fino al dente, non si verifica nell’ indi- 52 T. SALVADORI , viduo ‘del Museo di Cagliari, che l’ha manifestamente festonato. A _me è parso invece che nell’abito suddetto il /. Eleonore si possa distin- guere dal /. subbuteo per la statura maggiore, e per avere le remi- ganti unicolori, senza macchie cioè sulle barbe interne, dato che que- sto ‘carattere sia costante, la qual cosa non potrei affermare. lo ho osservato altri due individui nello stesso abito, l'uno nel Mu- seo di Torino e 1’ altro in quello del marchese di Breme, ed. infine altri due individui pur di Sardegna esistono nei suddetti musei e ve- stono l'abito bruno-nero senza alcuna tinta fulva in nessuno parte del corpo; la gola non è biancastra; le scapolari, il groppone ed il sopracoda nero-sudicio ; le timoniere bruno-nere, superiormente più chiare, inferiormente con fascie fuggevolissime. Questo falco raro ancora nelle collezioni, e sulla cui legittimità fino a pochi anni indietro si elevavano gravi dubbii oltre che nella Sardegna è stato trovato in molti altri luoghi: dal Lindermayer in Grecia che gli ha dato il nome di /u/co arcadicus (Ibis, 1843), da Osbert Salvin nella regione orientale dell'Atlante, dal dottor Heuglin in diversi arcipelaghi del Mar Rosso; e recentemente dal Kruper nelle Cicladi, ove per l’innanzi I’ aveva trovato l’Ebrhardt, che lo chiamò F. dichrous. Questi ultimi osservatori meglio del Genè nella sua me- moria originale quando annunziò questa nuova specie (Iemorie della Reale Accademia di Torino, serie Il, tom. Il, pag. 41) e meglio del Bonaparte nella fauna italica, hanno potuto determinare gli abiti di questà interessante specie. E specialmente Teodoro Heuglin (Ibis, n. .4, pag. 358, e n. 6, pag. 4124), che oltre le uova ha potuto avere dei giovani da nido che sono vissuti per qualche tempo, ci assicura che giovanissimi sono quelli somiglianti al /. subbuteo, come quello da me prima descritto; dopo la prima muta in autunno presentano un colorito generale nero-brunastro-sudicio con la gola chiara, ed in tale età sarebbe l'individuo rappresentato da Bonaparte nella £auna italica (tav. 24) se non che in esso restano i margini rugginosi delle penne (indizio di gioventù); e finalmente il vecchio maschio sarebbe uniformemente colorito di nerastro schistaceo; l’ iride bruno-cupa ; cera e pelle nuda perioculare di color giallo sulfureo, becco bluastro, giallastro alla base; piedi giallo-cupi, ed unghie nere di corno. Il " CATALOGO DEFLI UCCELLI DI SARDEGNA 63 quale abito noi vediamo rappresentato nelle due tavole della IMemo- ria di Genè. Questa specie abita una vasta regione essendo stata tro- vata nidificante dall’ Heuglin nel Mar Rosso su di un alto scoglio presso l’ isola di Dahalak-el-Kebir (15° L. N.), mentre La Marmora per il primo la trovò nidificante sugli altissimi scogli del Toro e della Vacca (39° L. N.) presso la costa occidentale della Sardegna. Non voglio lasciare di ricordare come anche prima di La Marmora e di Genè, il Durazzo avesse riconosciuto che un falco da lui acquistato sul mercato di Genova apparteneva ad una specie allora sconosciuta, e che più tardi fu riconosciuto essere un individuo di questa specie. Quella fu, io credo, la prima volta che questo falco è stato trovato nell’ Italia continentale. Nel dicembre del 1846 il signor De Negri trovò sullo stesso mercato di Genova un altro bellissimo individuo in abito bruno scuro uniforme, che ora fa parte della sua preziosis- sima collezione (4). 16, Falco subbuteo, L. P. subbuteo, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 42). F. subbuteo (Bp. Faun. ital.). F. subbuteo, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. VIII). Storixeddu, C. M. (1) Prendo questa occasione per notare come nella collezione del De Negri si ammi- rino le seguenti specie: Aquila pennata (Genova, 20 ottobre 1863). Turdus varius (Genova, inverno 41863). Turdus naumanni, Temm. ossia T. dubius, Bechst (Genova, inverno 1862). Saxicola leucomela (Cornegliano, dicembre 4860). Erythroslerna parva (Genova, 1834). Emberiza pityornus (Savona). Emberiza aureola (Genova, — Tenuta viva per due anni). Emberiza rustica (Genova. — Attualmente viva). Plectrophanes calcarata (Savona). Linota montium (Genova). Otocourys alpestris (avuta viva in Genova). Picus leuconotus (Genova, due individui). Buphus bubulcus (Genova). Actiturus longicaudus (Genova, ottobre 1859). Fringilla incerta (due individui viventi, che io eredo siano giovani del Carpodacus erythrinus). 64 T, SALVADORI , Astoreddu, C. S. Lodolajo. Dal gennaio alla fine di aprile non ho visto alcuno di questi fal- chetti che al dire del Cara (op. cit., pag. 8) giungono in autunno, Forse sono di passaggio e non si trattengono. 47. Falco esalon, Gmel. F. lithofalco, Gm. (Savi, Orn. tosc., vol. 1 pag. 43). PF. lithofalco et esalon, Gm. (Bp., Faun. ital.). F. cesalon, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. 1X). Storittu, C. M. Astorittu, C. S. Smeriglio. Questo bel falchetto m° è sembrato assai comune nell'inverno e specialmente nei luoghi bassi e boscosi. In primavera parte per luo- ghi più settentrionali. 48. Falco vespertinus, L. F. vespertinus, Gm. (Savi, Orn. tosc., vol. 1 pag. 50). PF. vespertinus, L. (Bp., £aun. ital.). Falco rufipes, Bechst (Cara, Orn. sard., sp. XI). Astorixeddu, GC. M. Astorittu, C. S. Falco cuculo. Di passaggio in primavera. 49. Falco cenchris, Naum. Falco cenchris, Frisch. (Savi, Orn. tosc., vol. 1 pag. 47). Cerchneis cenchris, Brehm. (Bp. Faun. îtal.). Falco tinnunculoides, Natt. (Cara, Orn. sard., sp. XI). Falco grillajo. E raramente di passaggio, ed un solo individuo maschio si trova nel Museo di Cagliari. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 65 20. Falco tinnunculus , L. Falco tinnunculus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I pag. 48). Cerchneis tinnunculus, Boje. (Bp., Faun. ital.). Falco tinnunculus, L. (Cara, Orn. sard., sp. X). Tilibricu, o Zerpedderi, &. M. Tilibricu, o Tilibriu, C. S. Gheppio. Comunissimo. 24. Astur palumbarius, Bechst. Falco palumbarius, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I pag. 55). Astur palumbarius, Bechst. (Bp., £'aun. ital.). Falco palumbarius, L. (Cara, Orn. sard., sp. XX). Storî columbinu, GC. M. Astore, G. S. Astore. In una giornata di gennajo ne ho veduto volare un individuo adulto, mentre stavo cacciando sul Capo Sant'Elia. L’astore sembra piutto- sto comune in Sardegna, giacchè oltre i tre individui, che si conser- vano nel Museo di Cagliari, ne ho pur veduti altri individui prepa- rati, ed io ho avuto di Sardegna un individuo adulto ucciso nel mag- gio, e recentemente un giovane dal signor Francesco Cara. 22. Accipiter nisus, Pallas. Falco nisus, L. (Savi, Orn. tose., vol. 1 pag. 87). Accipiter nisus, Pall. (Bp. Faun. ital.). Falco nisus, L. (Cara, Orn. sard., sp. XXI). Feridori, C. M. Astorittu feridore, C. S. Sparviere. Comunissimo in inverno. Voc, VI. 5 66 T. SALVADORI, CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 23. Circus 2eruginosus, Bp. Falco rufus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. | pag. 60). Circus eruginosus, Bp. (Bp., Faun. îtal.). Falco rufus, L. (Cara, Orn. sard.., sp. XXVI). Stori de pisci, G. M. Astore marinu, G. S. Falco di palude. Stazionario e comunissimo. 24. Circus cyaneus, Boje. Falco cyaneus, Mont. (Savi, Orn. tosc., vol. | pag. 65. Circus cyaneus, Bechst. (Bp., Faun. ital.). Falco cyaneus, Mont. (Cara, Orn. sard., sp. XXVII). Stori de pisci, C. M. Albanella reale. Questo falco mi è sembrato piuttosto comune e sulla sponda sud- ovest dello stagno grande di Cagliari, ove sono folte boscaglie, ne ho veduti diversi individui nella livrea perfetta del maschio adulto. Uno di questi, avendo io ferito gravemente un falcone, si precipitò sopra di esso involandosi allorchè io mi avvicinai, 25. Circus cineraceus, Cuv. Falco cineraceus, Mont. (Savi, Orn. tosc., vol. 1 pag. 65). Circus cineraceus, Mont. (Bp., Faun. ital.). Falco cineraceus, Mont. (Cara, Orn. sard., sp. XXVIII). Albanella piccola. Di questa specie, che non so se rara, o se sfugga all’ osservazione per la sua somiglianza coll’ antecedente, esistono nel Museo Cagliari- tano due individui, uno dei quali adulto, e |’ altro non so se giovane o femmina. (Continua) OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE IN BRA NELL'ANNO 1863 DAL SOCIO FEDERICO CRAVERI (Seduta del 18 febbrajo 1864 ) In quest'anno sentii parlar molto delle profezie del sig. Mathieu de la Drome, vidi una critica sul suo triple almanach (1) e non potei a meno di fare un paragone tra il coraggio morale del citato signore ed il mio, azzardandosi esso a predire i fenomeni meteorologici molti mesi all’avvanzo, mentre io con tutta timidezza consegno alle stampe queste osservazioni di cose passate; e la mia timidità è figlia del- l’esperienza, la quale troppo sovente c'insegna con quanta facilità s’introducano errori nelle osservazioni d’ ogni genere che fa l’uomo, e come si debba sempre temere di stampare degli equivoci. Tro- vandomi fra le mani una serie di osservazioni racchiudenti i dati da cui il sig. Mathieu dedusse le sue famose profezie, mi venne in mente che potrei cercare se date le osservazioni meteorologiche e Je fasi lunari, esista qualche relazione tra il movimento di quell’ astro ed i cambiamenti successi nell’involuero che ci circonda, e che chia- miamo atmosfera. La tentazione era forte; e perciò sul finire del- l’anno testè scorso, coi materiali di due anni di osservazioni, cioè del tempo trascorso durante 96 fasi lunari, mi provai a cercare qualche recondita relazione tra le citate fasi ed i fenomeni atmosfe- rici. Torturai il mio cervello, empii più fogli di cifre, e dovetti (41) IMustration, 21 novembre et è décembre 1863. 68 F. CRAVERI 4 convincermi che nessun ordine, nessuna costanza di relazione esi- stette tra i citati fenomeni e le 96 fasi lunari che avevo a mia di- sposizione. Nell’entusiasmo del lavoro non mi venne in mente che quand’ an- che avessi trovato qualche relazione tra le fasi lunari ed i cambia- menti successi costi, bisognava poi ancora che eguale relazione si verificasse coi fenomeni meteorologici successi a Costantinopoli a New-York, a Pechino, ecc. poichè la luna esercita nelle 24 ore eguale influenza su tutti questi punti. Questa difficoltà mi convinse dell’inutilità del mio lavoro, e confesso che non credo più affatto nella luna. Migliaja di persone prima di me avevano già naufragato in questo viaggio lunatico; pareva dunque inutile che io venissi raccontando questo nuovo naufragio; ma dissi fra me: milioni di persone hanno creduto e credono tutt'ora col sig. Mathieu che si possa predire il tempo colla luna, e il sig. Mathieu lo pubblica attualmente, dunque anch'io potrò ripetere quello che molti sapevano, cioè che l’ osserva- zione non trova alcun fatto che provi che un'influenza, qualunque venga esercitata dal nostro satellite sui fenomeni della nostra atmo- sfera. | Ciò sia detto fra noi, ma non oserei poi contradire 1’ influenza della luna sull’accrescimento dei capelli delle nostre donne, sulle macchie del bucato, sul germogliamento del Reseda e Basilico e su mille altri fatti consimili, fatti, che se non sono veri, servono però a mantenere una certa dose di credulità, specialmente nel sesso de- bole, eredulità che pare importi a molti il perpetuare il più che sia possibile. L’anno testè trascorso non fu troppo benigno verso di noi. ll rac- colto del grano fu talmente scarso, che si ebbe una diminuzione del 30 per 100 sulla media degli anni precedenti. | primi fieni furono assai abbondanti; ma è l’unico raccolto che ci abbia pagato un di- screto tributo. Le frutte in generale mancarono, ma il maggior danno ci venne dalla scarsità delle uve le quali non sbucciarono dalla pianta in primavera e nell’ingrossare rimasero cogli accini scemi. La crit- togama presso noi perdette assai della sua maligna influenza; ne OSSERVAZIONI METEOROLOGICHi 69 sarebbe ragionevole l attribuire questo risultato all’efficacia dello zolfo, poichè pochi (nemmeno la metà) sono tra noi i proprietarii che lo usino, e quelli che in quest'anno non l’adoperarono, in generale non s'accorsero della sua mancanza. Se le uve furono scarse, la qualità per contro ne fu ottima, ed oserei predire (mi perdoni il sig. de la Drome se faccio anch'io il profeta) che i vini di quest'anno si conserveranno senza alterarsi ciò che non successe ai vini fatti nel 62 i quali nell’ estate s’ alte- rarono quasi tutti, ed in alcuni il male fu sì profondo che i proprie- tarii non ebbero di meglio a fare che convertirli in aceto. Il territorio Braidese non produce quelle uve di qualità superiore, dalle quali si possa essere certi di ottenere un vino il quale si con- servi inalterato per una serie di anni, e direi nemmeno per due anni, senza perdere di quel sapore gradevole che noi abituati troviamo nei nostri vini dell’ annata. Le nostre uve ci danno un mosto debole, potressimo migliorarlo, ma siccome tutti vogliamo dere del vino naturale, così ci contentiamo di bere un vino di qualità inferiore. Quando poi per disgrazia succede un’annata come quella del 62, allora non solamente si fa un vino piccolo, ma questo si guasta prima di venire consumato. Abitante da pochi anni il mio paese non ho ancora potuto rac- cogliere sui vini un numero sufficiente di dati, tuttavia desideroso di concorrere per quanto posso al benessere comune, publico i ri- sultati di alcuni assaggi fatti nel 62 e ripetuti nel 65 coi vini pro- venienti dalle stesse regioni. La quantità di alcool trovata nei vini del 62 paragonata con quella trovata nei vini del 63 ci servirà di norma per giudicare quale sia la quantità approssimativa d'alcool ne- cessaria, perchè i nostri vini si conservino inalterati durante un’anno intero per lo meno. Nel 1862 feci soltanto cinque assaggi di campioni presi nelle varie regioni dei nostri vigneti: questi assaggi mi diedero una media del {1 per 100 d’alcool a’ 22° Cartier. Nel 1863 gli stessi assaggi fatti coì vini provenienti dai medesimi vigneti, diedero il 18,48 per 100. Feci inoltre gli assaggi di 24 qualità di vini provenienti dai diversi vigneti del nostro territorio e la media generale in alcool fu il 416 70 F. CRAVERI, per 100. Vedremo se questo grado alcoolico sarà come spero suffi- ciente per la conservazione dei vini, e l’anno venturo ne renderò conto. Poco o nulla mi rimane a dire sul quadro delle osservazioni me- teorologiche del 1863 che presento al publico. Il lettore potrà fare i paragoni che più gli talentano; a me incambeva l'obbligo di ri- petere il calcolo della nostra elevazione assoluta, onde accertare sempre meglio questo dato importante. Da questo lavoro fatto colle osservazioni barometriche e termometriche consegnate nel quadro, trovo che l'elevazione assoluta di Bra è di metri 284,58: l’anno scorso avevo trovato metri 288,88 dunque il termine medio è me- tri 288,46. Bra, il 49 gennajo 1864. FEDERICO CRAVERI. ANNI Temperatura minima in Bra T. medio dell’anno T. Medio dell’anno Temperat. minima in Torino cent.°| cent.® 1862|8 1608 7183 1863|7 3237 873 n_——T— | -- -—— .' _ -..-- 7 71898 298 T. m.\T. m. mperat. massima in Bra T. medio dell’anno i U- a sel A 9 a 2 nai = A [= Ra O ‘o ife; ele ©) [e MU© aa) = = er Bic. Ciro) o Su Ela °u a E = "® E OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE cent.° | millim. 15 828/737 909 16 0791739 666 15 9531738 787 Tom Tom. “J Pa | © (©) .2 [nl9) z © “38385188 at = MA iti = 0 SI RR Ei SS .£ Go [o Re ds Ser sè oneri gal d'a nopic del de Lo o.g|#9]|25]|3.2 | S.9 sd ATF ST (==; ® TI O >) Oo o 2 TO è . mu _- i) [eos 1 N» s E E E A SE fà > ni È _ < millim. | centigr. centim. | certim. 138 74914 867 97 841| 60 50 740 323/14 578/58 058/70 585/105 11 139 536/14 722 84 213/52 805 Posa. Tm. T. m.|T. m. Altezza assoluta del nostro osservatorio in Bra, calcolata coi dati del 1862 DRS Altezza id., calcolata coi dati del 1863. . . . . » 284 58 Altezza media . metri 285 88 (*) » 285 23 (*) Per equivoco nel rendiconto dell’anno 1862 si stampò essere l’altezza assoluta metti 282 87. 72 F. CRAVERI, Termini medii delle osservazioni meteorologiche fatte in Bra alle 0 elevato metri 285,46 dal livello del mare coll’ aggiunta delle 0 a a x . È E E E E E | a EE Ser ° ©| {er ento = | et do’ ® dd wa PR DYYIleeasglo EL8)9 Egt&|85838 5,53 )S,35|2g52 083 2|Sg32|2,368|5 Sal ERE SE aSETaNE ta ome S| Se QE&SEISZ MESE 0. |k do. |Face.Llcfdo._|EM@o. £60.-|2060L-| EB S GEO - mE com S 9° ESSO Emo EmÈE 2 E gE 700850 ia Di o Til le DUI s SR 2 O porco, i CT Sum DE 5° _ 0 = a) S Ei iN = “Es RU n. Ei © (e8) D D | D | E [dr È Ei E | Centigr. | Centigr. | Centigr. | Centigr. | Millim. | Millim. | Centigr Ceni | Gennajo .|.— 2,508/— 2, 103 (*) 7,250 | 739, 730 | 739, 417 4,964 | 70.484 14, Febbrajo .|— 3,767|— 3,067 (*) 8,423 | 745,950 | 745,744 2,804 | 64,744 ; Marzo . .| 2,446] 3,309] 40,341 | 10,836 | 734,043|734,744| 9,445 | 68,324 10, Aprile . .| 7,750] 9,440| 24,683 | 6,547 |738,262|739,271| 17,050 | 49,793 al Maggio. .| ‘44,097| 42,697| 25,048 | 18,356 | 737,309|738,825| 20,587 | 57,449 | 14, Giugno. .| 44, 616| 45,480] 29,650 | 21,916 | 738,346 ‘739,690 21,326 | 43,033 | 2, Luglio . .| 47,055) 44,474] 34,872 | 24,426 | 740,0410|744,412| 23,558 | 37,666 | 4, Agosto . .| 46, 661| 47,748| 34,540 | 24,663 | 740,303|744,537| 26,574 | 44,383 | 4, Settembre| 44,966| 43,573] 25,243 | 20,812 | 739,382|740,868| 20,444 | 54,375 | 6, Ottobre. .| 9, 606| 40,574} 47,858 | 17,580 | 749,986|740,198| 15,132 | 79,533 | 12, Novembrej 3,294 3,960) 12,284 | 12,043 | 744,166|741,103| 9,146] 73,650 | 8, Dicembre.|— 4,018|— 4,242) 8,285 | 40,424 | 744,500|744,402| 4,249 | 59,322 1,0 7,323 7,878 16,079 | 739, 666 | 740,323 | 414,578 | 58,058 | 70,| T. medio |T. medio T. medio |[Tme dio |T. medio {T. medio |T. medio Tot dell’anno|dell’anno dell’annojdell’anno|dell’anno|dell’anno|dell’anno (*) Non avevamo ricevuto tuttay OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 753 I mattino durante lanno 1863 all’ Osservatorio della Casa Craveri, zioni Te in Torino quasi all’ istess'ora onde facilitare è paragoni. er, a | è | Co) (eb) ts a © Venti e loro direzione nel soffiare. % 2 " n ong Wai = = SE | 0s® { numeri indicano centimetri cubici di miglio © Es 3A E° 6 |s2 = fa 35 3 fa gettati dall’ anemometro. o |USE Sue a ade 0 I a - Ss asl S ‘=. Ogni centimetro cubico corrisponde a 40 giri Magcirta EP 2 () a Ei s 2 < = del molinello È z [| nlim PERSA N. E E ‘S. E S S. 0 0 N. 0 20,44 | 34 | 45 » » » » » 160 4155 . 3 3415 » 28 97 | » » ” » » » » . 4,00 | 34 | 49 I 65 55 730 280 210 | 2,670 | 1,040 450 44 3,500 | 30 | 23 100 2412 488 |4,930 140 230 190 20 7 3,380 34 | 23: 4,640 130 75 245 83 200 365 800 14 3,538 30 | 24 | 690 20 280 570 820 50 130 605 10 3,165 31 | 30 975 199 200 85 45 DD 90 325 8 41,530 34 | 28 355 40 90 70 | 490 60| 455 | 740 5 4,700 s0|23/ s7ol » | 57) <0| 255]1,320|4,280] 590] 11 | 4,112 34 1414 » 100 145 50 | 30 » ’ 100 h 425 30 | 22 | 5, 360 400 80 ” » D 450 { 2,990 4 8,980 34 | 27 2,520 130 420 » » » » 790 4 3,860 5,414 | 44,875 |4,242 |2,565 |3,270 4,773 4,745 |3,555 [7,480 | otale | Totale di tutti i venti che spirarono durante 1’ anno ometro dal signor Fastré di Parigi. FLORULA DI MONTECRISTO COMPILATA DAL SOCIO T. CARUEL (Seduta del 6 dicembre 1863) L’Isola di Montecristo, resa celebre da un moderno romanzo, giace nel Mar Tirreno nel 42.° 24' L. N. e 7.° 87' L. E. di Parigi. Le terre che stanno ad essa più vicine sono varie altre isole dell’ Arcipelago toscano, cioè fra ponente e tramontana lo scoglio detto Formica di Montecristo a una distanza di 12 chilometri, e più oltre l'isola Pia- nosa a 29 chilometri, a tramontana diretta l’ Elba, fra tramontana e le- vante gli scogli detti Formiche di Grosseto, e a levante l’isola del Giglio, tutte queste terre pressochè alla stessa distanza fra i 44 ei 33 chilometri, e a levante pure, ma distante 61 chilometri, l’ isola Gian- nutri, mentre i due punti più vicini della terraferma toscana distanno circa altrettanto, nel littorale sito in faccia all’ Elba tra il forte delle Rocchette e la torre Troia, e nel monte Argentario, che è però na- scosto dietro l’isola del Giglio. La Corsica chiude l'orizzonte a po- nente a una distanza di circa 50 chilometri. La figura dell’Isola è un ovale molto largo, con la maggiore lun- ghezza da nord a sud di poco più di 2 chilometri, e la maggiore lar- ghezza da est a ovest di 1 chilometro e mezzo, e con un perimetro di circa 10 chilometri. La sua configurazione è montuosa, o per dir meglio: è tutta un monte di granito, che sorge eminente dal mare sino ad un’altezza di 644 metri, ed è perciò inferiore di altezza, fra le isole dell’arcipelago toscano, soltanto al monte Capana dell’ Elba, alto 1018 metri. | suoi fianchi scoscesi piombano quasi a perpendi- T, CARUEL, FLORULA DI MONTECRISTO 7% colo nel mare, e la rendono inaccessibile, principalmente dalla parte di settentrione, meno che nel fondo dei piccoli seni o cale da cui è intersecata di tratto in tratto, dove poca spiaggia rocciosa sta come termine di un borrone che ivi scende solcando il monte. La più antica menzione dell’isola trovasi in Plinio, che |’ accenna di volo sotto il nome di Og/asa. Ma la sua storia comincia dopo la metà del secolo V, quando con alcuni compagni vi si rifugiò San Ma- miliano vescovo di Palermo, fuggendo dalla persecuzione dei Vandali. Fu allora eretto in Montecristo un monastero, che più tardi, cioè poco prima della metà del secolo XIII, passò nell’ubbidienza dei monaci Camaldolensi. Vi si mantennero questi sino a che l’isola venne pro- tetta dalla repubblica di Pisa dominatrice di quei mari, ma dopo la cessione che ne fu fatta nel 1599 agli Appiani divenuti signori di Piombino, per le crescenti scorrerie dei corsari barbareschi dovettero i monaci ritirarsi da Montecristo, abbandonandolo alle capre selva- tiche, alle martore, ai conigli ed ai topi, i soli romiti abitatori che vi restassero. Pochi anni addietro un Francese, il signore Abrial, concepì il dise- gno di ritornare l’isola al suo antico stato abitato, acquistandone Ia proprietà; quindi nel 1852 egli la cedè al signore Giorgio Watson- Taylor, Inglese, che da quell’epoca sino al 1860 passò gran parte del suo tempo nella isola, occupandosi di metterla a coltura. Nessun naturalista, per quanto io sappia, aveva visitato Ja deserta isola di Montecristo ad oggetto di farvi ricerche scientifiche, quando circa trent'anni fa vi approdò il professore Giuseppe Giuli di Siena. Di quanto vi avesse veduto egli rese conto ‘in una memoria che pubblicò nel giornale L’/ndicatore Sanese, anno 2.° (18553). Non mancò di raccogliervi alcune piante, che comunicò al professore Antonio Ber- toloni, il quale le inserì nella sua /ora italica. Eccone l'elenco, che ho estratto dalla citata opera: Clematis flammula Myrtus communis Cakile maritima Asteriscus spinosus Cistus monspeliensis Anthemis maritima Pistacia lentiscus Helichrysum angustifolium Cneorum tricoccum Senecio cineraria 76 T. CARUEL, Carduus cephalanthus T'eucrium fruticans Sonchus asper T. flavum Crepis bulbosa Statice virgata Arbutus unedo Euphorbia dendroides Erica multiflora E. characias Phillyrea vulgaris Quercus ilex Rosmarinus officinalis Dactylis glomerata Sono in tutto 24 specie, che per quanto fossero interessanti per la loro provenienza, non bastavano certamente a dare un’ adequata idea della flora di Montecristo. Per buona ventura della botanica il signore G. Watson-Taylor, attuale possessore dell’isola, si è dimo- strato zelante botanico , il quale durante il lungo soggiorno che vi ha fatto l’ ha diligentemente percorsa, ed ha raccolto un erbario di tutte le piante che vi ha trovato fra gli anni 1883 e 1860, Sono in tutto 555 specie. Egli mi ha con somma cortesia permesso di esaminare questo erbario, e comunicato. ancora tutte le indicazioni sulle loca- lità delle piante, nonchè le figure e i nomi di varie specie delle quali non aveva esemplari: la cui mercè ho potuto mettere insieme una Florula di Montecristo, che crederei doversi giudicare poco meno che completa. Al signor G. Watson-Taylor va dunque debitrice la scienza di un servigio, che certamente sarà apprezzato da quanti hanno amore allo studio della geografia botanica. Oltre di che va notato che fra le specie da esso raccolte ve ne sono 11 che fino ad | ora nessun botanico aveva mai raccolto nel dominio della flora To- scana, e sono le seguenti: Zychnis leta, Arenaria balearica, Sedum hirsutum, Concoleulus siculus, Alkanna lutea, Myosotis versicolor, Linaria stricta, Phelipea Muteli, Mentha Requieni , Plantago cor- nuli, Arum pictum. Le poche notizie date più sopra sull'Isola di Montecristo sono state da me estratte dalla sovraccennata memoria del professore: Giuli, e dal relativo articolo del Dizionario geografico-fisico-storico della To- scana del benemerito Repetti. Per completarle, e dare una idea più particolareggiata dello stato presente della isola, non posso far meglio che lasciare la parola al signore Watson-Taylor stesso, e riportare quanto egli me ne ha scritto in proposito: FLORULA DI MONTECRISTO 77 « A chi si avvicina all’isola venendo dall’Elba, egli dice, essa com- parisce quale un immenso altissimo scoglio ‘ coperto da una magra boscaglia di scope (Zrica arborea), e pressochè inaccessibile. Ma dopo averne girata l'estremità nord-ovest, e passata la Cala del Santo , avvicinandosi alla Cala maestra , situata nella sua spiaggia occiden- tale, la si vede presentare un aspetto più piacevole, alle sterili rupi mostrandosi congiunte macchie di eriche ed erbose pendici. Dalla Cala maestra medesima l’aspetto dell’isola è assai pittorico: sulla si- nistra sporgono in alto a una distanza in linea retta di meno di un miglio le rovine del vecchio Convento, dominate dalla cima del monte detta /a Fortezza; e sulla destra l’altra, cima del monte chiamata Colle del Leccio , ricoperta di lecci sempre verdi. » La spiaggia della Cala maestra è arenosa, e la sola nell’isola ab- bastanza libera da scogli per lasciare che le barche si tirino a terra; peraltro piccoli spazj arenosi si riscontrano anche nella Cala Santa Maria e la Cala Scirocco. Dalla spiaggia si ascende nella valle di Cala maestra per una strada che mena alla Villa di abitazione che io vi ho fatto costruire, con un giardino intorno alla casa, altro giardino posto più in basso nel letto del fiumicino che percorre la valle, ed un terzo più in alto della casa. Molte piante, non trovate altrove nel- l'isola, sono nate spontanee in quei giardini, sia che i loro semi fos- sero sepolti nel terreno, o portati dal di fuori con quelli delle piante che vi si coltivano. Il fiumicino della valle dividesi in tre rami; è quasi asciutto nell’estate, e la poc'acqua che contiene viene da una sorgente che sgorga presso il Convento; l’acqua negli altri due rami s' infiltra nel terreno, quantunque manifesti la sua presenza col for- mare una specie di paduletta nel mezzo della valle là dove si uni- scono i due principali rami. » Questa vallicella è stata per la massima parte ripulita dalle mac- chie di scope che prima l’occupavano, e messa in istato di cultura ; e tra il mare e la villa è stata piantata una piccola vigna. Dalla parte meridionale della valle il terreno s’innalza precipitoso, formando pen- dici erbose assai scoscese e sparse di numerose roccie, e avanzan- dosi nel mare esso costituisce un promontorio roccioso che separa la Cala maestra dalla Cala S. Maria. Questa criniera di monte s’innalza a . 78 T, CARUEL, quasi a perpendicolo dal mare per un centinaio di piedi, e quindi per un pendio dolce va' a congiungersi al Colle del Leccio. La parte superiore della valle si spartisce in tre borroni. Quello a mezzogiorno scende dal Colle del Leccio, e i suoi fianchi sono rivestiti da vecchi lecci di grandi dimensioni, ma in buona parte cavi per l’età, e da magnifici individui di £Yica arborea e di £. scoparia, alcuni dei quali alti 20 piedi e di quasi un piede di diametro. Lungo questo borro scorre uno dei rami del fiumicino. Îl borro a settentrione ter- mina sotto il Convento, » Il lato settentrionale della Cala maestra non è. così scosceso come il meridionale, ed una parte n'è stata convertita in vigne, fra mezzo alle quali un antico sentiero: mena al Convento. Sul mare s’avanza un promontorio simile a quello dell’altro lato della valle, ma esso s'inoltra meno di questo ed è più declive; al suo piede vi è un molo stato costruito nel mare, dal quale parte una strada praticabile? pei muli che va fino al Convento, A mezzo la via da questa strada se ne stacca un’altra che conduce alla Grotta del Santo, situata a breve distanza; è questa uno scavo nella rupe contenente una pozza di acqua eccellente, che senz’alcuno apparente ingresso o egresso rimane sempre allo stesso livello; questo scavo è stato convertito in una cap- pella. Ivi sono pure i resti di un mulino da macinare l’ulive, con la pietra ancora ritta al suo posto, come fu lasciata probabilmente tre- cento anni fa. » ll Convento è tutto in rovine. Partendo da esso una vecchia strada conduce fino alla Fortezza, girando intorno alla sua parte settentrionale. È questa la cima più alta dell’ isola, ed è chiamata così dai marinari probabilmente a cagione di una torre diruta che ancora vi esiste. La sommità del monte è formata da rupi perpendicolari, appena acces- sibili per una crepaccia che hanno: dal lato dell’ est. » Dalla strada della Fortezza nella direzione nord-ovest si stende fino alla Grotta del Santo una macchia di scope, con pochi lecci, e confi- nata da un fiumicello che scorre verso la Grotta, e al di Jà del quale fino al mare è un altipiano roccioso con poche piante frutescenti. Nell’ estremo settentrionale dell’isola vi è un seno inaccessibile detto Cala del Diavolo; e dalla parte di ponente sotto alla Grotta stà la Cala del Santo. FLORULA DI MONTECRISTO 79 » La Cala della Fortezza è un borrone che scende rapidainente verso il mare dalla parte dell’ isola che guarda il levante, incassato fra rupi perpendicolari e occupato dalla macchia di scope. lo non ho esplorato questa cala, nè tampoco la Cala Scirocco ch’ è situata ac- canto alla prima dal lato meridionale, ed è una valletta pure coperta da una macchia quasi impenetrabile: se vi sono nell’ isola piante che io non abbia osservato, è probabile che si troveranno in queste due cale. Proseguendo sempre verso mezzogiorno s'incontra il Piano, ch’ è una spaziosa pendice, più declive di quelle che si trovano generalmente in Montecristo, e terminata da rupi che s’innalzano soltanto da dieci a quindici piedi sul mare. In prossimità trovasi la Cala del Corfù, situata a mezzogiorno dell’isola; fra questa e la Cala S. Maria ve n’ è ancora un’altra piccola, detta Cala Mandolino. Ho visitato poco que- sta parte dell’ isola. Nella Cala S. Maria trovansi le rovine di una cappella dedicata alla Madonna. - » Il suolo nella valle della Cala maestra è argilloso, di buona qualità per farne mattoni, e credo che quest’argilla deve trovarsi nelle altre parti dell’ isola dove il suolo è profondo. Al di sopra dell’ argilla havvi uno strato di terra vegetabile nera dello spessore di un piede e più. La maggior parte dell’isola era anticamente coltivata, come risulta dalle tracce di numerosi muri e terrazze in varie parti di essa. Il clima è delizioso e sanissimo. I geli d'inverno non durano che un giorno 0 due alla volta, e in qualche anno non gela, eccettuato forse in cima al monte. Nell'estate il caldo è temperato dalla brezza di mare. Come può credersi a ragione del clima, gli aranci e i limoni coltivansi con successo, non richiedendo che di essere riparati dalla tramontana. La vite prospera e dà un vino di qualità superiore. ll signore Abrial ed 10 abbiamo introdotto diversi alberi e piante erbacee che hanno alli- gnato bene, e sono le seguenti specie: Salix alba, Populus nigra, Al- nus glutinosa, Opuntia vulgaris, Agave americana, Arundo Donax, Trifolium pratense, Poterium sanguisorba, Cichorium Intybus e Nasturtium officinale. » Le specie di piante vascolari raccolte in Montecristo dal signore G. Watson-Taylor sono come ho già detto 338, alle quali bisogna aggiungerne 8 indicate dal Giuli e non trovate dal signore Taylor, che 80 T. CARUEL, sono le seguenti: Pistacia lentiscus, Cneorum tricoccum, Asteriscus' spinosus, Anthemis maritima, Erica multiflora, Teucrium fruticans, T. flavum , Euphorbia dendroides. Le ho distribuite in catalogo, se- condo l’ordine stesso che ho seguito nel mio Prodromo della Flora to- scana. Le indicazioni delle località e del tempo della raccolta sono quelle somministratemi dal signore Taylor. Ho aggiunto quelle dello stato in cui trovavasi l’esemplare che ho potuto esaminare. Per le specie di cui non ho veduto esemplari, ho messo fra parentesi il nome della persona (il prof. Bertoloni o il sig. Taylor) sulla fede della quale l’ ho riportata. Avrei desiderato, quale corollario del mio lavoro, desumerne al- cuni dati generali sulla flora di Montecristo, istituendo un accurato confronto fra essa e quella delle terre vicine, cioè le altre isole del- Y. Arcipelago toscano, la costiera della Maremma toscana, e la Cor- sica. Disgraziatamente non sono riuniti ancora sufficienti materiali per un simile lavoro; e per non dire che delle isole toscane, se quelle più lontane di Capraia e di Gorgona hanno le loro flore per le solerti cure dei professori Moris e De Notaris, e del professore Pietro Savi, le altre più vicine della Pianosa, del Giglio, di Giannutri, nonchè l' Elba medesima a malgrado della sua importanza, sono ancora po- chissimo conosciute per le piante che vi abitano, ed. attendono tut- t ora chi si voglia dare premura di riempire questa lacuna nelle no- stre cognizioni delle ricchezze vegetali d’ Italia. I. RANUNCULACEE. 4. CLematis FLammuLa Linn. sp. plant. Nell’ alto della valle di Cala Maestra. Luglio (fior.). 2. RanuncuLus sarpous Crantz stirp. austr. — . Philonotis Retz. obs. In Cala Maestra. Luglio (fior.). 5. R. parvicLoRUS Linn. syst. nat. Comunissimo. Maggio (frutt.). II. PAPAVERACEE. 4. Papaver Ruoras Linn. sp. plant. Comunissimo. Giugno (fior. frutt.). FLORULA DI MONTECRISTO 81 5. GLaucium FLAVUM Crantz. stirp. austr. Nella spiaggia di Cala Maestra e Cala S. Maria. Aprile (fior.). II. FUMARIACEE. 6. FumariA caPpREOLATA Linn. sp. plant. Nei luoghi coltivati, comune. Marzo (fior.). 7. F. parvirLoRA Lam. ene. Nel Giardino presso al mare in Cala Maestra, probabilmente in- trodotta. Maggio (fior. frutt.). IV. CROCIFERE. 8. Aragis verna È. Brown in hort. kew. In luoghi umidi sulla cima del Monte dalla parte meridionale della Cala Maestra. Aprile (fior. frutt.). 9. CAarpamine HIRSUTA Linn. sp. plant. Nei luoghi umidi, ovunque. Marzo (fior. fruit.). 10. TEESDALIA REGULARIS Smith in trans. linn. soc. — 7. lepidiuni Cand. syst. nat. Nei luoghi umidi, comune. Febbraio (fior. frutt.). 41. CAKILE MARITIMA Scop. fl. carn. Nella spiaggia di Cala Maestra. Settembre (fior. frutt.). 42. SISYMBRIUM OFFICINALE Scop. fl. carn. Nei luoghi coltivati, comunissimo. Marzo (fior.). 43. S. tHALIANUM Gay in ann. sc. nat, Nei luoghi coltivati, comune. Marzo (fior.). 44. Erysimum perroLiaTum Crantz stirp, austr. Nel Giardino presso al mare in Cala Maestra. Maggio (fior. frutt.). 45. LePIDIUM pRABA Linn. sp. plant. I Lungo la strada presso la Vasca in Cala Maestra. Maggio (fior. frutt.). 46. NesLia PANIcuLATA Desv. in journ, de bot. Non comune, trovata una volta sola, probabilmente introdotta col grano. Giugno (fior. frutt.). Vor. VI. 6 82 T. CARUEL , 47. ErucastruM Incanum Koch syn. fl. germ. et helv. In Cala Maestra, comunissimo, Giugno (fior. frutt.). 48. Rapnanus Lanpra Mor. in Cand. syst. nat. In Cala Maestra presso il mare, non raro. Fior. in giugno e luglio (Wats.-Tayl. ms.). 19. Bunias Erucaco Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Aprile (fior.). V. CISTINEE. 20. Cisrus sALviroLius Linn. sp. plant. Comunissimo. Giugno (fior.). 24. C. monspeLiEnsis Linn. sp. plant. Comunissimo, per esempio nell’ estremo settentrionale dell’ isola. Maggio (fior.). 22. HeLiantHEMum GuUTTATUM Mill. dict. Comunissimo per tutta 1’ isola. Aprile (fior. frutt.). VI. VIOLACEE. 25. VioLa HIRTA Linn. sp. plant. In Cala Maestra, e nel borro del Colle del Leccio. Marzo (fior.). 24. V. trIcoLOR Linn. sp. plant. In Cala Maestra, comunissima. Marzo (fior. frutt.). VII. CARIOFILLEE. 23. DrantHUs veLuTINUs Guss. hort. Boccadif, In Cala Maestra. Aprile (fior.). 26. SiLENE GALLICA Linn. sp. plant. Marzo (fior.). 27. Lycunis LETA var. — £. corsica Lois. not. Nella spiaggia della Cala Maestra, e sulle rupi presso il mare alla Cala del Santo. Aprile (fior. frutt.). 28. SAGINA APETALA Ard. anim. bot. spec. alt. Alla Fortezza, e nel borro del Colle del Leccio. Giugno (frutt.). FLORULA DI MONTECRISTO 85 29. S. supuratA Wimm. fl. Schles. Al piede della sommità della Fortezza, e in cima al Monte dalla parte meridionale della Cala Maestra. (Fior. frutt.). 50. ARENARIA SERPYLLIFOLIA Linn. sp. plant. Al piede della sommità della Fortezza, e alla Grotta del Santo. Giugno (fior. frutt.). 54. A. BALEARICA Linn. syst. nat. Comune in luoghi ombrosi del Monte dalla parte meridionale della valle di Cala Maestra, e nel borro del Colle del Leccio, come pure al piede della sommità della Fortezza, Aprile (fior. frutt.). 32. STELLARIA MEDIA Vill. hist. pl. Dauph. ; In Cala Maestra e Cala S. Maria, comune. Fior. tutto l’anno (Wats.- Tayl. ms.). 355. CERASTIUM GLOMERATUM Thuill ? In Cala Maestra, comune. Fior. in febbraio e marzo (Wats.-Tayl. ms.). 54. HERNIARIA HiRsuTA Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Giugno (fior. frutt.). 35. ParonycHia ecHINaTA Lam fl. fr. > Nel promontorio dalla parte meridionale della Cala Maestra. Giugno. 36. PoLycarRPoN TETRAPHYLLUM Linn. sp. plant. Comunissimo. Giugno (fior. frutt.). VIN. LINACEE. 37. RapioLa LINonES Linn. syst. nat. Comunissima, per esempio nel borro al principio della strada nuova del Convento. Maggio (fior. frutt.). 38. Linum AncustIFoLIUM Huds, fl. angl. Nel promontorio dalla parte meridionale della Cala Maestra. Aprile (fior. frutt.). 59. L. GALLIcuM Linn. sp. plant. Comunissimo. Maggio (fior.). C' BU T. CARUEL , IX. MALVACEE. 40. Marva svLvestRIs Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Giugno (fior. frutt.). 44. M. nicaENsIS All. fl. ped. In Cala Maestra. Giugno (fior. frutt.). X. IPERICINEE. 42. Hypericum HIRciNnUM Linn. sp. plant. In un luogo paludoso presso la Grotta del Santo. Lage: (fior.). 45, H. perroraTUM Linn, sp. plant. In Cala Maestra, ec. Giugno (fior.). XI. GERANIACEE. 44. Eropium moscaatum L’ Hér. geran. In Cala Maestra, comune. Fior. in febbraio e marzo (Wats.- Tayl. ms.). 45. E. BotRYs Bert. amoen, ital. Presso la cima del Monte tra Cala Maestra e Cala S. Maria, raro. Fior. in maggio (Wats.-Tayl. ms.). 46. GeRANIUM DISSECTUM Linn. amoen. acad. In Cala Maestra. Maggio (fior.). 47. G. corumsinum Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Maggio (fior.). 48. G. rorunpiroLIUMm Linn. sp. plant. Comunissimo. Marzo (fior.), giugno (fior. frutt.). 49. G. Lucipum Linn. sp. plant. Nel borro del Colle del Leccio, comune. Fior. in maggio (Wats - Tayl. ms.). 80. G. roBeRTIANUM Linn. sp. plant. In Cala Maestra e altrove, comune. Fior. in aprile e maggio (Wats.- Tayl. ms.). FLORULA DI MONTECRISTO 85 XII. OSSALIDACEE. 84. OxALIS cornIcuLATA Linn. sp. plant. Comunissima. Maggio (fior. frutt.). XII. ZIGOFILLACEE. 52. TrisuLus TERRESTRIS Linn. sp. plant. In Cala Maestra e nelle viottole del giardino della Villa. Giugno (fior. frutt.). XIV. RUTACEE. 53. Rura sracteosA Cand. prodr. Nell’ alto della valle di Cala Maestra. Maggio (fior. frutt.). XV. ANACARDIACEE. 54. Pisracia LENTIScus Linn. sp. plant. (Bert. fl. ital.). XVI. CAMELEACEE. 35. CneorUM TRICOccUM Linn. sp. plant. (Bert. fl. ital.). XVII. PAPIGLIONACEE. 36. Lupinus ancustiroLIus Linn. ‘sp. plant. Fra le rupi lungo la strada vecchia del Convento. Fior. in aprile e maggio (Wats.-Tayl. ms.). 87. Ononis RECLINATA Linn. sp. plant. Comune, per esempio fra le rupi lungo la strada veechia del Con- vento. Aprile (fior. frutt.). 86 T. CARUEL, 38. CaLycorome spinosa Link. hort. berol. Fra le rupi che chiudono il giardino dietro la Villa, rara. Fior. in aprile e maggio (Wats.-Tayl. ms.). 39. GENISTA canpICcAnS Linn. amoen. acad. In abbondanza sulla destra della strada sopra il Convento. Aprile (fior.). 60. HyMENOCARPUS cIRCINNATA Sav. fl. pis. In Cala S. Maria e nelle viottole del giardino della Villa. Aprile (fior.). 64. MepicAGo Minima Bart. cat. piant. sien. Fra le rovine del Convento. Aprile (frutt.). 62. MeLILoTUS PARVIFLORA Desf. fl. atl. Nata nel giardino presso il mare in Cala Maestra. Maggio (fior.). 63. M. rratica Pers. ench. Fra le rovine del Convento. Aprile (fior. frutt.). 64. TriroLium stELLATUM Linn. sp. plant. Comunissimo. Aprile (fior.). 65. T. Ligusticum Balb. in Lois. fl. gall. Comunissimo. Maggio (fior.). 66. T. Arvense Linn. sp. plant. Comunissimo. Maggio (fior.). 67. T. stRIsatum Linn. sp. plant. Alla Fortezza. Giugno (frutt.). 68. T. scaprum Linn. sp. plant. Alla Fortezza. Giugno (fior. frutt.). 69. T. susrerRANnEUM Linn, sp. plant. Comunissimo. Maggio (fior. frutt.). 70. T. resupinaTum Linn. sp. plant, Intorno alla Villa, non comune. Aprile (fior.). 74. T. cLomeratum Linn. sp. plant, Comunissimo. Maggio (fior. frutt.). 72. T. agraRrIOn Linn. sp. plant. — 7. campestre Schreb. Comunissimo. Aprile (fior. frutt.). 75. T. riLirorme Linn. sp. plant. In Cala Maestra, e nel borro del Colle del Leccio. Giugno (fior. frutt.). FLORULA DI MONTECRISTO 87 74. Lotus EpuLIS Linn. sp. plant. Comunissimo. Aprile (fior. frutt.). 75. L. cornicuLatus Linn. sp. plant. In un luogo paludoso nel centro della Cala Maestra. Maggio, giu- gno (fior. frutt.). 76. L. nispipus Desf. hort. par. Comunissimo. Aprile (fior.). 77. BiserruLa PeLecinus Linn. sp. plant. Comunissimo. Aprile (fior. frutt.). 78. Ervum ParvirLoRUM Bert. obs. bot. Comunissimo. Marzo (fior.). 79. Vicia aLtissima Desf. fl. all. In un luogo paludoso nel centro della Cala Maestra, dov’ è comune. Maggio (fior.). 80. V. ATROPURPUREA Desf. fl. atl. In Cala Maestra, rarissima, ed ora probabilmente distrutta. Aprile (fior.). 84. V. srraynica Linn. sp. plant. Alla Villa, nel Giardino presso al mare, e in un luogo incolto in vicinanza, però rarissima. Maggio (fior.). 82. V. rurra Linn. sp. plant. Comunissima. Aprile (fior. frutt.). 85. V. sariva Linn. sp. plant. Comunissima. Maggio (fior.). 84. V. perEGRINA Linn. sp. plant. Comunissima. Maggio (fior.). 85. LatHyRus Ap®aca Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Maggio (fior. frutt.). 86. L. Crymenum Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Maggio (fior.). 87. L. ancuLatus Linn. sp. plant. Comunissimo. Aprile (fior. frutt.). 88. L. spHoerIcus Retz. obs. bot. In Cala Maestra, comune. Aprile (fior.). 89. OrnitmoPUS EBRACTEATUS Brot. fl. 1us. In Cala Maestra. Aprile (fior, frutt.). 88 ! T. CARUEL, 90. 0. compressus Linn. sp. plant. |. In Cala Maestra. Aprile (fior.). 91. Hepysarum coronarIUM Linn. sp. plant. “Nel Giardino presso al mare in Cala Maestra. Fior. in giugno e luglio {Wats.-Tayl]. ms.). » XVII. ROSACEE. 92. Rupus piscoor Weih. et Nees rub. germ. t. 20. Ne esiste una sola pianta sopra una rupe per la strada vecchia del Convento. Luglio (fior.). 95. PorENTILLA REPTANS Linn. sp. plant. ‘Presso la Villa in Cala Maestra, ora forse distrutta. Fior. in aprile e maggio (Wats.-Tayl. ms.). 94. ALCHEMILLA ARVENSIS Scop. fl. carn. Al piede della sommità della Fortezza. Maggio (fior. frutt.). XIX. ONAGRARIE. 9%. EpiLoBium TETRAGONUM Linn. sp. plant. Comunissimo, per esempio in un luogo paludoso sulla strada vec- chia del Convento. Maggio (fior. frutt.). XX. CALLITRICHINE. 96. CaLLITRICHE vERNA Kiitz? Nelle pozze d’ acqua di Cala Maestra. Fior. in primavera ed estate (Wats.-Tayl. ms.). XXI, LITRARIE. 97. LyTHRUM HyssopiroLIa Linn. sp. plant. Comunissimo, per esempio in un luogo paludoso sulla strada vec- chia del Convento. Maggio (fior.) FLORULA : DI MONTECRISTO 89 98. L. saLicaria Linn. sp. plant. Dietro il giardino della Villa, e alla vicina Cava, raro. Maggio (fior.). U XXII. MIRTACER. 99. Myrtus communis Linn. sp. plant. Nei luoghi umidi, non raro, per esempio presso la Grotta del Santo. Luglio (fior.). XXIII. CUCURBITACEE. 400. EcsaLLIUM ELATERIUM Rich. in dict. class. d’ hist. nat. In Cala Maestra, raro, e nelle viottole del giardino della Villa. Ot- tobre (fior.). | XXIV. PORTULACACEE. 401. Portutaca oLeRAcea Linn. sp. plant. Comunissima in Cala Maestra. Fior. l’ estate e 1’ autunno (Wats. - Tayl. ms.). 102. Montia Fontana Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Maggio (fior. frutt.) XXV. CRASSULACEE. 105. Tiuues muscosa Linn. sp. plant. Fra le rupi lungo la strada vecchia del Convento. Fior. in marzo (Wats.-Tayl. ms.). 104. UnsiLicus renpuinus Cand. pl. grass. Comunissimo in Cala Maestra e altrove. Fior. in maggio (Wats.- Tayl. ms.). 105. Sepum sreLLatum Linn. sp. plant. Comune sulle rupi in Cala Maestra. Fior. in maggio (Wats.- Tayl. ms.) 90 T. CARUEL, 106. S. nupens Linn. sp. plant. Comune. Maggio (frutt.). 407. S. mrsurum All. fl. ped. Nel borro del Colle del Leccio, e alla Grotta del Santo. Fior. in giugno (Wats.-Tayl. ms.). XXVI. SASSIFRAGACEE. 108. SaxFraga GRAnuLaTA Linn. sp. plant. In Cala Maestra e nel borro del Colle del Leccio. Aprile (fior.). XXVII. OMBRELLIFERE. 109. Eryncium maritimum Linn. sp. plant. Nella spiaggia di Cala S. Maria. Giugno (fior.). 110. Hetosciapiom nopirLorum Koch umb. Comune nelle pozze d’acqua in Cala Maestra. Fior. in aprile e maggio (Wats.-Tayl. ms.). 414. Amm masus Linn. sp. plant. ‘Nelle viottole del giardino della Villa. Maggio (fior.). 112. Fognicutum orficinate All. fl. ped. Presso il mare in Cala Maestra. Fior. in giugno e luglio (Wats. — Tayl. ms.). 413. Criramum maritimum Linn. sp. plant. In Cala Maestra, nella spiaggia. Ottobre (fior.). 144. Daucus cummirer Lam. ene. — D. Gingidium var. Bert. fl. ital. Lungo la strada presso la Grotta del Santo. (Fior.). 145. Toriis ueLverica Gmel. fl. bad. Comunissima. Giugno (frutt.). 116. T. noposa Geertn. de fruet. Sopra il Convento. Giugno (frutt.) 417. Scanpix Pecren Veneris Linn. sp. plant. AI Convento. Giugno (frutt.). FLORULA DI MONTECRISTO 91 XXVII. ARAGLIACER. 118. Hepera Hetix Linn. sp. plant. Sulle rupi inaccessibili in cima alla Fortezza (Wats.-Tayl]. ms.). XXIX. CAPRIFOGLIACEE. 419. Visurnum Tinus Linn. sp. plant. Nel Monte dalla parte meridionale della Cala Maestra, dove ne esi- ste una pianta sola in una rupe a mezza costa sopra il luogo paludoso che sta nel mezzo della valle. Febbraio (in boccia). 120. Lonicera mpLexa Ait. hort, kew. Sulle mura del Convento. Giugno (fior.). XXX. RUBIACEE. 121. Saerarpia arvensis Linn. sp. plant. Comunissima in Cala Maestra. Fior. dalla primavera all’ autunno ' (Wats.-Tayl. ms.). 122. Rusia peregRIina Linn, sp. plant. Nell’ alto della valle di Cala Maestra. Giugno (fior.). 123. Garin saccuaratum All. fl. ped. In Cala Maestra, comune. Maggio (fior.). 124. G. Aparine Linn. sp. plant. Nel luogo paludoso nel centro della Cala Maestra, Fior, in maggio (Wats.-Tayl. ms.). 125. G. parisiense Linn. sp. plant. Comunissimo. Maggio (fior. frutt.). 126. G. patustre Linn. sp. plant. In un luogo paludoso nel centro della Cala Maestra, dov'è comune, Giugno (fior. frutt.). 127. G. eupricum Willd. hort. bero!. Nell’alto della valle di Cala Maestra, comune. Maggio (fior.). 128. CaLueLtis munatis Mor. fl. sard. —— Galium murale AI. fl. ped. In Cala Maestra e Cala S. Maria. Giugno (fior. frutt.). 92 T. CARUEL,, 129. Varuantia muraLis Linn. sp. plant. Presso al mare, nel promotorio dalla parte meridionale della Cala Maestra. Aprile (frutt.). XXXI, VALERIANACEE. 150. VaLerianeLLA puperuLA Cand. prodr. In Cala Maestra, comune, Aprile (fior. frutt.). 434. Cenrrantnus caLcimrapa Dufr. hist. val. Comunissimo , per esempio fra le rupi lungo la strada xsona del Convento. di pallo (fior. frutt.). XXXII. COMPOSTE. 132. EuparoRium cannasinom Linn. sp. plant. In un luogo paludoso presso la Grotta del Santo. Giugno (fior.). 435. Ericeron canapensis Linn. sp. plant. Comunissimo. Ottobre (fior. frutt.). 154. Convza ambigua Cand, fl. fr. Comunissima. Ottobre (fior. frutt.). 155. Inura squarrosa Linn. sp. plant. Sopra la vigna nel Monte dalla parte meridionale della Cala Mae- stra. Fior. in agosto (Wats.-Tayl. ms.). 136. I. craveotens Desf, fl. atl. Comunissima. Ottobre (fior.). 157. I. viscosa Ait. hort. kew. Comunissima. Ottobre (fior.). 438. Puvicaria pysenterica FI. wett. In Cala Maestra, e nel luogo paludoso presso la Grotta del Santo. Fior. in luglio e agosto (Wats.-Tayl]. ms.). 439. Asreriscus spinosus Gren. et Godr. fl. de Fr. — Pallenis spinosa Cass» (Bert. fl. ital.). 440. XantHun sPinosom Linn. sp. plant. In Cala Maestra, nella spiaggia. Settembre (fior. frutt.). 444. Anraemis cora Linn. sp. plant., Bert. fl, ital. Lungo la strada in Cala Maestra, non comune. Giugno (fior.). FLORULA DI MONTECRISTO 93 142. À. corua Linn, sp. plant. Lungo la strada in Cala Maestra, comunissima. Giugno (fior.). 143. A. mixra Linn. sp. plant. Lungo la strada in Cala Maestra. Giugno (fior.). 144. A. maritima Lino. sp. plant. (Bert. fl. ital.). 445. AcmiLea Licustica All. auct. bort, taur. Nell’ alto della valle di Cala Maestra. e nel Monte dalla sua parte meridionale, sopra la Vigna. (Fior.). 146. Carysanraemun myconis Linn, sp. plant. In Cala Maestra, comunissimo. Giugno (fior.). 147. HeLicarysum ancusniroLivi Cand. fl. fr. Comunissimo, per esempio nell’estremità settentrionale dell’ isola. Giugno (fior.). | 148. FiLaco ceRmanica Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Giugno (fior. frutt.). 4149. F. garrica Linn. sp. plant. In Cala Maestra, comune. Maggio (fior. frutt.). 150. Senecio vuLsaris Linn. sp. plant. Comunissimo. Novembre (fior. frutt.). | 154. S. uivipus Linn. sp. plant. — S. foeniculaceus "Ten. Comunissimo , per esempio fra le rupi lungo la strada vecchia del Convento. Giugno (fior. frutt.). 152. S. cineraria Cand, prodr. Sulle mura del Convento. Giugno (fior.). 153. Carenpura ARvensis Linn. sp. plant. In Cala Maestra e Cala S. Maria, e fra le rupi lungo la strada vec- chia del Convento. Giugno (frutt.). 154. Cartina corymposa Linn. sp. plant. Comunissima. Giugno (frutt.). 4153. Crupina vuLcaris Pers. ench. Nel Monte dalla parte meridionale della Cala Maestra, sopra la Vi- gna. Agosto (frutt.). 156. Centaurea meitensis Linn. sp. plant. Comunissima. Giugno (fior. frutt.). 94 T. CARUEL, 487. Carpuus cepuarantaus Viv. fl. cors. diagn. Comunissimo. Maggio (fior. frutt.). 458. C. pvcwocepnarus Linn. sp. plant. In Cala Maestra, comune. Maggio (fior. frutt.). 159. RuagapioLus steLLATUS Cand. prodr. Non molto comune: al piede della sommità della Fortezza. Giugno (fratt.). A 160. Hepypnois poLvmorpna Cand. prodr. In Cala Maestra. Maggio (fior. frutt.). 161. Hyoseris rapiata Linn. sp. plant. In Cala Maestra, rarissima. Marzo (fior.). 162. Torpis unseLLata Bert. rar. Lig. plant. Comunissima. Maggio (fior. frutt.). 165. Hypocnagris GLagra Linn. sp. plant. Comunissima. Giugno (fior. frutt.). 464. Serio aranensis Linn. sp. plant. In Calà Maestra. Maggio (fior.). 163. Urospermon picroes Desf. hort. par. Comunissimo. Maggio (fior. frutt.). 466. Picripiom vursare Desf, fl. atl. Comunissimo. Maggio (fior.). 4167. Soncaus asper Bart. cat. piant. sien. Comunissimo. Settembre (fior. frutt.). 168. Lacruca . . .. (Wats.-Tayl. ms.). 169. CnonpriLta suncea Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Giugno (fior.). 470. Crepis neGLecra Linn. mant. Giugno (fior. frutt.). 474. C. sursosa Froel, in Cand. prodr. Comunissima. Aprile (fior.). 172. Hieracion sapaupum Linn sp. plant. Non raro, per esempio nell’alto della valle di Cala Maestra. Otto- bre (fior. frutt.). | 475. AnpryaLa sinuata Linn. sp. plant. FLORULA DI MONTECRISTO 9% Nel Monte dalla parte meridionale della Cala Maestra, sopra ia Vi- gna. Luglio (fior. frutt.). XXXIH. CAMPANULACEE. 474. Specuraria Specurum Veneris A. Cand. mon. camp. In Cala Maestra. (Fior.). 175. S. raucata A, Cand. mon. camp. Nell’ alto della valle di Cala Maestra, rarissima, anzi negli anni 1859 e 1860 era scomparsa. Maggio (fior. frutt.). XXXIV. ERICACEE. 176. Arsurus Unepo Linn. sp. plant. In un luogo paludoso presso la Grotta del Santo. Ottobre (fior.). 477. Erica murtirLora Linn. sp. plant. (Bert. fl. ital.). 178. E. arsorra Linn. sp. plant. Comunissima per tutta l'isola. Fior. in febbraio e marzo (Wats.- Tay!. ms.). 179. E. scoparia Linn. sp. plant. Comunissima. Maggio (fior.). XXXV. PRIMULACEE. 180. Asrerorinum steLLatum Îioffm. et Link. fl. port. Comunissimo. Aprile (frutt.). 184. Anagattis arvensis Linn. sp. plant. Comunissima. Marzo a maggio (fior. frutt.). 182. Samorus Vaceranpi Linn. sp. plant. Ne luoghi umidi, comune , per esempio presso la Grotta del Santo. Maggio (fior.). 96 T. CARUEL, XXXVI. OLEINEE 183. Otra evropza Linn. sp. plant. Fra le rovine del Convento, e nel centro della valle di Cala S. Maria. Giugno (fior.). 184. PiuLygea vuLcaris Car. prodr. fl. tosc. Se ne trova una unica pianta lungo il fosso nel centro della valle di Cala S. Maria. Luglio (fior.). XXXVII. ASCLEPIADEE. 185. Vixceroxicum orricinaLe Moench meth. Comunissimo. Maggio (fior.). XXXVIII. GENZIANACEE. 4186. Eryrurza centauRrIUn Pers. ench. Comunissima. Maggio (fior.). 487. E. maririma Pers. ench. Comunissima , per esempio fra le rupi lungo la strada vecchia del Convento. Aprile (fior.). 188. Cicenpia rilirormis Delarb, fl. d’ Auv. Non rara, per esempio nel borro al principio della strada nuova del Convento. Aprile (fior.). XXXIX. CONVOLVULACEE. 189. ConvoLvuLus aLtazones Linn. sp. plant. In Cala Maestra, presso al mare. Maggio (fior.). 190. C. sicutus Linn. sp. plant. In Cala Maestra, e fra le rupi lungo la strada vecchia del Convento. Ottobre (fior. frutt.). 494. C. anvensis Linn. sp. plant. Comune. Maggio (fior.). FLORULA DI MONTECRISTO 97 192. C. Sorvanetta Linn. sp. plant. In Cala Maestra, sulla spiaggia. Giugno (fior.) 4193. Cuscura . . . In Cala Maestra, e per la strada vecchia del Convento, Maggio (fior.). XL. BORRAGINEE. 4194. HeLiorropium europzum Linn. sp. plant. Comune. Ottobre (fior. frutt.). 195. Ecnium pLantacineum Linn. mant. In Cala Maestra. Giugno (fior. frutt.). 196. E. catycinum Viv. ann. bot. Nel cortile del Convento. Aprile (fior. frutt.). 497. Lirnospermum arvense Linn. sp. plant. In luoghi coltivati della Cala Maestra. (Fior. frutt.). 198. ALkanna Lutea Cand. prodr. Comune. Maggio (fior. frutt.). 499. Myosoris intermepia Link en. hort. berol. In Cala Maestra. Aprile (fior.). 200. M. nispipa Schlecht. mag. nat. Aprile (fior. frutt.). 201. M. versicoLor Reich. fl. germ. exc. Aprile (fior. frutt.). 202. CrnogLossum picrum Ait. hort. kew, Nell’ alto della valle di Cala Maestra. Maggio (fior.). XLI. SOLANACEE. 203. Sovanum nienrum Linn. sp. plant. Comune. Maggio (fior. frutt.). 204. S. miiarom Bernh. in Willd. en. hort. berol. Comune. Maggio (fior. frutt.). 203. Darura Srramonium Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Fior. in maggio e giugno (Wats.-Tayl. ms.). Voc. VI. ug 98 T. CARUEL, XLI. SCROFULARINE. 206, Vensascum puLomones Linn? In Cala Maestra. Giugno (frutt.). 207. Linaria aeQuitRILOBA Spreng. syst. veg. AI piede della sommità della Fortezza , e alla Grotta ‘del Santo, sotto rupi ombrose. Giugno (fior. frutt.). 208. L. srriata Cand. fl. fr. Sulle mura del Convento, ec. Giugno (fior.). 209. L. Peuisseriana Cand. fl. fr. In Cala Maestra. Aprile (fior. frutt.). 2410. Antiraminum Orontiva Linn. sp. plant. Comune. Maggio (fior. frutt.). 214. Scropuucaria TRIFOLIATA Linn. sp. plant. In Cala Maestra, e nel borro del Colle del Leccio. Giugno (fior. frutt.). 212. Veronica arvensis Linn, sp. plant. Comune , per esempio al piede della sommità della Fortezza. Mag- gio (fior. frutt.). 213. V. Crmpacaria Bod. méra. Comune. Maggio (fior. frutt.). 214. Eurragia LatiroLIa Gris. spic. fl. rum. AI piede della sommità della Fortezza. Giugno (frutt.). XLII. OROBANCOIDEE. 215. Puevipza Mureri Reut. in Cand. prodr. Comune. Maggio (fior.). 216. Onosancne minor Sutt? In Cala Maestra. Maggio (fior.). XLIV. ACANTACEE. 217. Acantuus moLuis Linn. sp. plant. In un Juogo paludoso nel centro della Cala Maestra. Giugno (fior.). FLORULA DI MONTECRISTO 99 XLV. VERBENACEE. 248. Virex Agnus castus Linn. sp. plant, In Cala Maestra, nella spiaggia. Giugno (fior.). - XLVI. LABIATE. 919. LavanpuLa Srorcuas Linn. sp. plant. . Comune, per esempio nell'estremo settentrionale dell’ isola, Marzo (fior. frutt.). 220. Menna Requieni Benth. jab. Nel borro del Colle del Leccio. Giugno (fior. frutt.). 224. M. Poreciom Linn. sp. plant. In luoghi umidi, comunissima. Giugno (fior.). 222. Micromeria craeca Benth. lab. In Cala Maestra, comune. Giugno (fior. frutt.). 223. CaLamintua parvirLora Lam. fl. fr. — C. MVepeta Sav. fl. pis., Hoffm, et Link, fl. port. Comune. Ottobre (fior. frutt.). 294. Saivia muctIFIDA Sibth. et Sm. Presso la cava in Cala Maestra. Fior. in maggio e giugno (Wats.- Tayl. ms.). 225. Rosmarinos orricinatis Linn. sp. plant. Febbraio (fior. frutt.). 226. Stacuvs arvensis Linn. sp. plant. Marzo (fior. frutt.). 227. Lamun pirivum Cyr. pl. rar. neap. Comune. Maggio (fior.). 2928. Tevcrium rruticans Linn. sp. plant. (Bert. fl. ital.). 229. T. rtavum Linn. sp. plant. (Bert. fl. ital.). 250. T. Maruw Linn. sp. plant. Comune, per esempio nell’ estremo settentrionale dell’ isola. Maggio (fior.). 100 T. CARUEL, XLVII. PIOMBAGINEE. 254. Sratice vircata Willd. en. hort. berol. — &. oleefolia Bert. fl. ital. Lungo il mare, per esempio in Cala Maestra, comune. Giugno (fior.). XLVII. PIANTAGINEE. 232. PLantago cornuti Gouan ill. In Cala Maestra, in un luogo umido presso il Molo. (Fior. frutt.). 233. P. Becarpi All. fl. ped. Comunissima. Aprile (frutt.). 234. P. LanceoLata Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Fior. tutto 1’ anno (Wats.-Tayl. ms.). 238. P. coronopus Linn. sp. plant. Comune. Aprile (fior. frutt.). 236. P. Psyuuum Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Maggio (fior. frutt.). XLIX. CHENOPODIACEE. 237. ArkipLex Patuta Linn, sp. plant. In Cala Maestra. Giugno (fior. frutt.). 258. Chenopopivm ALsum Linn. sp. plant. Comune. Giugno (fior.). 239. C. murate Linn. sp. plant. Comune, Giugno (fior. frutt.). 240. Sarsova Kaui Linn. sp. plant. Nella spiaggia in Cala Maestra. Fior. in luglio e agosto (Wats.- Tayl. ms.). L. AMARANTACEE. 244. Amanantus prostRratus Balb. misc. bot. In luoghi coltivati. Ottobre (fior. frutt.). FLORULA DI MONTECRISTO 404 249. A. nerrorLexus Linn. sp. plant. In luoghi coltivati. Luglio (fior. frutt.). 245. A. agus Linn. sp. plant. Comune. Giugno (fior. frutt.). LI. POLIGONACEE. 244. PoLvconum avicuLare Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Giugno (fior. frutt.). 245. P. maritimom Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Ottobre (fior. frutt.). 246. P. Convorvurus Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Giugno (fior. frutt.). 247. Remex concLomerates Murr. prodr. stirp. gott. In Cala Maestra. Giugno (frutt.). 248. R. suceppaLopporus Linn. sp. plant. In Cala Maestra, comune. Aprile (fior. frutt.). 249. R. AceroseLra Linn. sp. plant. Comunissimo. Giugno (fior.). LI. CITINACEE. 230. Cyrinus Hvpocistis. Linn. sp. plant. Non raro. Fior. in aprile e maggio (Wats.-Tayl. ms.). LUI. EUFORBIACER. 254. Eupuorsia Pepris Linn. amoen. acad. In Cala Maestra, nella spiaggia. Ottobre (fior. frutt.). 232. E. neioscopia Linn. amoen. acad. Intorno alla Villa, probabilmente introdotta, (Fior, frutt.). 253. E. penproipes Linn, amoen. acad. (Bert. fl. ital.). 254. E. PepLus Linn. amoen. acad. In Cala Maestra. Marzo (frutt.). 102 T. CARUEL, 255. E. Pinea Linn. syst. nat. Fra le rovine del Convento. Giugno (frutt.). 256. E. Cuanacias Linn. amoen. acad. In Cala Maestra. Marzo (fior.). 257. Mercuriaris annua Linn. sp. plant. Febbraio (fior. frutt.). LIV. ORTICACEE. 258. Parieraria orricinais Linn. sp. plant. Comune per tutta l’ isola. Fior. tutto 1’ anno (Wats.-Tayl. ms.). 259. Tuericonum Cynocrame Linn. sp. plant. Comune. Luglio (fior. frutt.). LV. MORACEE. 260. Ficus Carica Linn. sp. plant. Nelle rovine del Convento, nella Cala del Santo, e sulle rupi in Cala Mandolino (Wats.-Tayl. ms.). LVI. CUPOLIFERE. 264. Quercus ILex Linn. sp. plant. © In Cala Maestra, nel Colle del Leccio, nell’ estremo settentrionale dell’ isola, ec. Giugno. LVII. SALICINEE. 262. Sarix Caprea Lion. sp. plant. In un luogo paludoso presso la Grotta del Santo. Fior. in febbraio (Wats.-Tayl. ms.). LVII. CONIFERE. 265. Juniperus PRoENicea Linn. sp. plant. Nel centro della valle di Cala S. Maria. Giugno (frutt.). FLORULA DI MONTECRISTO 103 LIX. ORCHIDEE. 264. Limoporum aportivom Swartz in nov. act. holm. Non molto comune. Aprile (fior.). 265. SpirantHes aestivaLis Rich. in mém. du. mus. In un luogo paludoso presso la Grotta del Santo. Giugno (fior.). 266. Serapias Lingua Linn. sp. plant. Nel Monte dalla parte meridionale della valle di Cala Maestra, so- pra la Villa e nel borro al principio della strada nuova del Convento. Marzo (fior.). 267. Orcuis tRIDENTATA Scop. fl. carn. Nel Monte dalla parte meridionale della Cala Maestra, sopra la Vi- gna. Marzo (fior.). LX. IRIDEE. 268. Romucea Couumna Seb. et Maur. fl. rom. prodr. Da tutti e due i lati della Cala Maestra , sulle rupi coperte di po- chi centimetri di terra. Fior. in settembre (Wats.-Tayl. ms.). 269. Narcissus . . . . (Barr. ic. 954). Comunissimo. Marzo (fior.). LXI. GIGLIACEE. 270. OrnitnoGaLuM PyRENaA:cum Linn. sp. plant. Nel Monte dalla parte meridionale della Cala Maestra, sopra la Villa. Fior. in maggio (Wats.-Tayl. ms.). 271. UrcixeA ScitLa Steinh. in ann. sc. nat. Abbondante in Cala del Corfù, Cala Mandolino e Cala S. Maria. Fior. in agosto (Wats.-Tayl. ms.). 272. SciLLa aurumnaris Linn. sp. plant. Nei luoghi stessi della Romulea Columne. Fior. in settembre (Wats.-Tayl. ms.). 104 1. "Ta CARUEL, 273. BeuLevaLia comosa Kunth enum. plant. Nel Monte dalla parte meridionale della Cala Maestra, sopra la Villa. Maggio (fior.). 274. Auuium TrIQuETROMm Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Fior. in aprile (Wats.-Tayl. ms.). 275. A. susmrsutum Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Fior. in aprile e maggio (Wats.-Tayl. ms.). 276. A. vineate Linn. sp. plant. ‘ AI piede della sommità della Fortezza. Giugno. 277. AspuopeLus microcarpus Viv. fl. cors. diagn. — 4. ramosus Wild. Nella parte settentrionale della Cala Maestra, sulla estrema punta verso il mare. (Fior.). "XII. GIUNCACEE. 278. Juncus errusus Linn. sp. plant. Comunissimo. Giugno (frutt.). 279. J. Lamprocarpus Ehrh. calam. ta | Presso la. Cava in Cala Maestra. Giugno (frutt.). 280. J. compressus Jacq. enum. stirp. vind. Nella spiaggia della parte meridionale della Cala Maestra, non molto comune. Giugno (frutt.). 281. J..suronius Linn. sp. plant. Comunissimo. Giugno (fratt.). var. rascicuLatus Mor. et De Not. fl. capr. — J. insulanus Viv. Alla Fortezza. Giugno (frutt.). 282. J. capiratus. Weig. obs. bot. Comune. Aprile (frutt.). - LXHI. LEMNACEE. 283. Lenna .... ‘ :Nelle pozze d’acqua della Cala Maestrà, (Wats. ag ms.). FLORULA DI MONTECRISTO 105 LXIV. AROIDEE. 284. Arisanum vuicare Ott. Targ. obs. bot. Comunissimo. Novembre (fior.). 285. Arum picrum Linn. fil. suppl. In Cala Maestra e nel borro del Colle del Leccio, Fior. in ottobre (Wats.-Tayl. ms.). LXV. TIFACEE. 286. Typaa ancustiroLia Linn. sp. plant. In un luogo paludoso presso la Grotta del Santo (Wats.-Tayl. ms.). LXVI. CIPEROIDEE. 287. Cvperus Bapius Desf. fl. atl. Comunissimo. Giugno (fior.). 288. Heeocnaris parusrris R. Brown prodr. fl. Nov-Holl. Nel fosso del borro che scende dal Colle del Leccio. Giugno (fior.). 289. Scirpus Savit Seb. et Maur. fl. rom. prodr. Comunissimo. Giugno (frutt.). 290. S. Lacustris Linn. sp. plant. LA Nel fosso del borro che scende dal Colle del Leccio. Giugno (fior.). 294. S. maritimus Linn. sp. plant. In un luogo paludoso sotto le vigne per la strada del Santo. Luglio (fior.). 292. Carex muricata var. — C. dipulsa Good. In Cala Maestra. Marzo (fior.). 2953. C. vucrina Linn. sp. plant. In Cala Maestra in un luogo paludoso presso il Molo. Giugnoi (frutt.). 294. C. penpua Huds. fl. angl. In un luogo paludoso nel centro della Cala Maestra. Marzo (fior.). 4106 T, CARUEL, LXVII GRAMIGNE, 295. Sorcnum narepense Pers, ench. Nel Monte dalla parte meridionale della Cala Maestra, sopra la Vi- gna. Luglio (fior.). 296. Dicrraria sanguinatis Scop. fl. carn. ‘Comune, Giugno (fior. frutt ). 297. Panicum Caus garti Linn. sp. plant. Nel Giardino. Ottobre (fior. frutt.). 298. Seraria vinipis Pal. agrost. Comune. Ottobre (frutt.). 299. Antmoxantaum oporatim Linn. sp. plant. Comunissimo. Maggio (fior. frutt.). 300. GastRIpIUm austRALE Pal. agrost. Comune. Maggio (fior.). 504. Acrostis verticitLaTa Vill. prosp. Comunissima. Giugno (fior.).. 302. A. asa Linn. sp. plant. In Cala Maestra. Giugno. 303. PoLyPocon mantimom Willd. in nov. act. nat. cur. Comune. Maggio (fior.). 504. Lacurus ovarus Linn. sp. plant. Comunissimo. Aprile (fior.). 305. Paracmites communis Trin. fund. agrost. In un luogo paludoso presso la Grotta del Santo. Fior. in agosto (Wats.-Tayl. ms.). 3506. Aira capiLuaris Host gram. austr. In Cala Maestra. Maggio (fior.). 3507. Avena parBata Brot. fl. lusit. Comunissima. Maggio (fior.). 508. HoLcus Lanatus Linn. sp. plant. Comunissimo per tutta 1 isola. Giugno (fior.). 309. Metica ciiata Linn. sp. plant. Comunissima. Giugno (fior.). FLORULA DI MONTECRISTO 4107 540. M. minura var. LatiFoLIa. — MM. major Sibth. et Sm. fl. grec. prode. — M. pyramidalis Bert. (non Lam.). In Cala Maestra. Maggio (fior.). 314. Crnosurus ecunatus Linn. sp. plant. Comune. Maggio (fior.). 512. Briza minor Linn. sp. plant. Comune. Maggio (fior.). 5153. B. maxima Linn. sp. plant. Comune. Maggio (fior.). 344. Serraratcus moLtis Parl. pl. rar. sic. — Bromus mollis Linn. Comunissimo. Giugno (fior.). 315. Bromus maprivensis Linn. sp. plant. in Cala Maestra. Maggio (frutt.). © 546. Fesruca Ligustica Bert. in opusc. scient. di Bol. In Cala Maestra. Maggio (fior.). 347. F. arunpinacea Schreb. spic. fl. lips. — . elatior Bert. (non Linn.). In Cala Maestra, nella spiaggia. Giugno (fior.). 318. Dacrvyus cLomerata Linn. sp. plant. Comunissin:a. Giugno (fior.). 319. Scueropoa Rigida Gris. spic. fl. rum. — Poa rigida Linn. Comunissima. Giugno (frutt.). 520. Carapopium Loriaceum Link hort. berol. descr. In Cala S. Maria, nella spiaggia, non comune. Giugno (frutt.). 524. C. Hatteri var. renvicuLum Gris. spic. fl. rum. — Zestuca tenui- cula Kuntb. In Cala Maestra. Maggio (fior.). 522. Bracnvpopium Pinnatom. Pal. agrost. (Wats.-Tayl. ms.). 525. B. namosum Roem. et Schult. syst. veg. Comune. Giugno (fior.). 524. B. pisracuvon Roem. et Schult. syst. veg. Comune. Maggio (fior.). 323. Horpeum murinom Linn. sp. plant. Comune. Maggio (fior.). 108 T. CARUEL, 526. H. secaLinum Schreb. spic. fl. lips. Raro : sopra una rupe in un angolo del giardino della Villa. (Frutt.). 527. IT. maritimon With. arr. brit. pl. In Cala Maestra. Maggio (frutt.). 528. Gaupinia avenacea Pal. agrost. In Cala Maestra, nella spiaggia. Giugno (fior.). 529. Lorium perenne Linn. sp. plant. ‘ Comunissimo. Giugno (fior.). LXVIN. EQUISETACEK. 330. Equiserum ramosum Schleich. cat. plant. helv. In un luogo paludoso presso la Grotta del Santo. Luglio. LXIX. LICOPODIACEE. 334. SeacineLLa penticuLaTA Koch syn. fl. germ. et helv. Comunissima. Febbraio. LXX., FELCI. 332. Opniogrossum Lusitanicum Linn. sp. plant. Novembre. 533. Osmunpa Regatis Linn. sp. plant. In un luogo paludoso presso la Grotta del Santo. Giugno. 334. Gyunocramme cererAca Spreng. syst. veg. In Cala Maestra, e sulle mura del Convento. 335. PoLypopium vurcare Linn. sp. plant. Non raro, per esempio nel borro del Colle del Leccio. 336. Grammtis LePropuyLLA Swartz syn. filic. Comune. Aprile. 337. Aspipium acuteatum D6ll rbein. fl. In Cala Maestra, e nel borro del Colle del Leccio. 338. AspLenivm Filix Femina Bernh. in Schrad. neu. journ. In Cala Maestra, e nel borro del Colle del Leccio. FLORULA DI MONTECRISTO 109 339. A. Tricuomanes Linn. sp. plant. Comune : nel borro del Colle del Leccio. 340. A. Apiantum nicrum Linn. sp. plant. Comunissimo. 544. Preris aquiina Linn. sp. plant. Comune per tutta 1° isola (Wats.-Tayl. ms.). 342. Apiantum CapiuLus Veneris Linn. sp. plant. Comunissimo. 345. CueiLantaes opora Swarlz syn. filic. In Cala Maestra. , Si aggiunga : 84 bis. Vicia LATHYRo:DES Linn. sp. plant. Intorno alla Villa, non comune. Maggio (fior. frutt.). Si tolga: 522. BRACHYPODIUM PINNATUM. — BPDIBGIE— BIBLIOGRAFIA Lyell, AandzioRhita dell’uomo. Gastaldi, Strobel e Pigorini, Avasnzei dell’ antica dnaelersEn'dee vasprersaee dm Elation. Broca, Zavori della società d’antropologia di Perdei. LyeuL. The geological evidences of the antiquity of Man. Lon- don, 1865. Traduzione francese di Chaper, pubblicata a Parigi nel 4863, col titolo L’ancienneté de l’ homme prouvée par la géo- logie, etc. Questo libro del Lyell è di tale importanza, che, eredo, non potrà spiacere ai miei Colleghi di trovarne qui un breve sunto, coll’ ag- giunta di altre notizie, e di note su altri fatti o altre opinioni relative allo stesso argomento. Comincia l’autore nel primo capitolo col rammentare la sua divi- sione dei terreni terziarj in eocene, miocene e pliocene. Confrontando le conchiglie fossili di quei terreni colle viventi attualmente, l’autore ha trovato che su 100 specie dell’eocene circa 3 sono ancora vi- venti, su 100 del miocene sono ancora viventi 17, su 100 del pliocene inferiore sono ancora viventi 33 a 59, e su 400 del su- periore vivono ancora 90 a 95. E avverte che egli chiamerà re- centi i terreni con conchiglie e mammiferi di specie tutte viventi , G. OMBONI, BIBLIOGRAFIA dii post-pliocene quello con conchiglie ancora viventi e mammileri di specie viventi, post-terziario l'insieme del post-pliocene e dei terreni recenti. Nel secondo capitolo l’autore parla del terreno recente, delle tor- biere e dei mucchj di conchiglie della Danimarca, e delle abitazioni lacustrî della Svizzera e dell’irlanda. Negli strati più antichi di certe torbiere di Danimarca si trovano copiosi avanzi di pinus sylvestris , insieme con armi ed altri oggetti in selce; negli strati di mezzo abbondano invece gli avanzi di quercus robur, con oggetti in pietra e in bronzo; negli strati superiori ab- bonda la bdetula verrucosa, con oggetti di ferro ; e dall’epoca dei Romani fino ad ora le foreste della Danimarca sono di faggio. Dunque le foreste della Danimarca furono dapprima di pini, poi di querce, poi di betule, e poi di faggi; e queste variazioni nelle piante corrispondono approssimativamente alle epoche della pietra , del bronzo, del ferro, e storica. Sulle rive danesi del Baltico si vedono molti ammassi di conchiglie rotte, di ossa rotte, di armi di pietra e di corno, di frammenti di vasi di terra cotta, di carboni e di ceneri. Le conchiglie sono di ostrea edulis, ma più grandi di quelle ora viventi nel Baltico; e le ossa sono di cane , di daino , di capriolo , di volpe, di lupo, di castoro , di foca; e quelle lunghe furono rotte in modo d'’ estrarne la midolla, e sono corrose come quelle rosicchiate dai cani. Îl cane, di cui si trovano le ossa, è più piccolo di quello trovato nella torba dell’ epoca del bronzo, il quale è più piccolo di quello dell’ epoca del bronzo, il quale è più piccolo di quello dell’ epoca del ferro e dell’epoca attuale. Mancano le ossa di bue domestico, di cavallo e di montone negli ammassi in discorso, ma si trovano nella torba del- l’epoche del bronzo e del ferro. Si trovano nei mucchj di conchiglie anche ossa di alca impennis, ora vivente solo nella Groenlandia, di tetrao urogallus e di diversi pesci marini; ma non si trovò alcun osso umano. Questi mucchj di conchiglie, ossa, ec. si chiamano in da- nese Aojkken-mbddings ossia ammassi di avanzi di cucina. Nella torba e in certe sepolture della Danimarca furono trovati dei cranj umani, piccoli, tondeggianti e simili a quelli degli odierni 112 i G., OMBONI , Lapponi, accompagnati da armi e altri oggetti dell’epoca della pietra; e cogli oggetti di bronzo e di ferro furono trovati pochissimi cranj grandi e di forma allungata. Siccome tutti gli oggetti di pietra e di bronzo si trovano nella . torba col pino, colla quercia, o colla betula, e non mai col faggio, e questa pianta esisteva già in Danimarca quando vi giunsero i Romani, così î popoli delle epoche della pietra e del bronzo devono essere più antichi dei Romani dei tempi di Cesare. Siccome poi le conchiglie nei mucchj colle ossa sono più grandi di quelle ora viventi nel Baltico, così provano che una volta l’acqua di quel mare era bene salata, non così allungata con acqua dolce come oggidiì ; e ciò fa credere che nell’ epoca della pietra il Baltico sia stato in comunicazione coll’ Atlantico mediante bracci di mare assai più larghi degli attuali (Morlot, nel Bull. de la Soc. caudoise des sc. nat. VI. Lausanne 1860. — Lubbock nella Matural istory Re- view, 1861) (1). Nei laghi della Svizzera furono trovati gli avanzi di antichissime abitazioni lacustri fondate sopra palafitte, con istrumenti di pietra, di bronzo, di ferro, di ambra, con avanzi di frumento, di orzo co- mune, dell’orzo che accompagna le mummie d’ Egitto, di mele, di pere, di prugne, di lamponi, di nocciuole , di lino, ec. Nel laghetto di Moosseedorf presso Berna non si trovarono oggetti di bronzo; € questi invece si trovarono in gran copia a Morges (lago di Ginevra). Si trovarono pure nelle palafitte molte ossa di 24 specie di mam- miferi selvatici che vivono ancora in Europa, di cinque specie do- mestiche ( cane. cavallo, asino, porco, capra, e diverse razze di bue), di 18 specie di uccelli, di 3 rettili, e di 9 specie di pesci; e le ossa furono per la più parte rotte apposta e in modo di estrarne la midolla. Nelle palafitte più antiche sono più copiose le ossa di cervo, di capriolo e d’altri animali selvatici; nelle più moderne pre- dominano quelli del bue, del montone e di altri animali domestici. Non si trovano più le ossa di volpe nelle abitazioni dell’ epoca del. (8) Sugli studj di Morlot e sugli avanzi dell’ uomo in Danimarca e nella Svizzera sì vegga anche la Bibl. de Genéve dell’ agosto 1860; e si vedano pure due articoli di Claparéde sull’Eta del bronzo nella Scandinavia, nella Bibl. de Geneve del 1863. BIBLIOGRAFIA 115 bronzo, in cui si cominciano a vedere quelle di una grossa razza di cane. Mancano le ossa di lepre. Il bos primigenius (l’urus di Ce- sare) viveva selvatico e domestico nella stessa epoca del bronzo, mentre nell’epoca della pietra vi era un bue più piccolo, il due delle paludi, bos brachyceros. Verso la fine dell’epoca della pietra vi erano due razze di porco, una simile al cignale ed un piccolo porco, sus scrofa palustris. Nell’ epoca della pietra v'era un cane di statura mediocre, poi venne un grosso cane da caccia con un piccolo ca- vallo. Più recentemente cessò di esistere il castoro, diminuirono ra- pidamente gli orsi, i cervi, i caprioli, le tartarughe d’acqua dolce, e il bisonte di Lituania; e nelle palafitte più recenti compajono il gatto, un montone a corna ricurve, e il pollo comune. E finalmente nelle epoche ancora più recenti la capra continuò inalterata, il pic- colo montone a corna di capra si ridusse a vivere in qualche valle delle Alpi presso le origini del Reno, insieme col piccolo porco delle paludi. Un solo cranio umano fu trovato, non piccolo e ton- deggiante come quelli delle torbiere di Danimarca, ma simile a quello degli Svizzeri attuali, che sta fra le forme corte e le allun- gate (Keller, Pfahlbauter, nelle Memorie della Antiquarische Gesell- schaft in Zùrich. — Troyon, Sur les abitation lacustres, Paris 1860. — Rutimeyer, Die Fauna der Pfahlbauten in der Schweiz, Basel 1864) (1). (4) Chi desiderasse conoscere maggiori particolari senza ricorrere al libro di Lyell od a quelli di Troyon, Keller e Morlot, veda 1’ anno 1855 del Magasin pittoresque (pag. 36 e 479), il vol. I.° dell’anno 41862 della Revue des Deux Mondes, la Bibliotheque de Genève dell’ agosto 1861, la Bibl. britannique del 1862, ecc. Anchc nel lago di Bourget in Savoja furono trovati avanzi di palafitte, pezzi di legno carbonizzati a metà, vasi di terra cotta, frutti carbonizzati, spighe di fru- mento, martelli di pietra, ecc. Vedasi in proposito il Bulletin de la Soc. savoisienne d’histoire et d'archeologie, 1861-62. numero 2. Il signor Keller, che aveva già pubblicato (nel 1854, nel 1858, nel 1860 e nel 41861) quattro rapporti sulle abitazioni lacustri della Svizzera nelle Memorie della Società archeo- logica di, Zurigo, ne ha ora pubblicato un quinto, di cui il signor Morlot ha pubbli- cato un estratto in francese nel Bull. de Institut national genevois. In questo rapporto si“tratta delle Terremare dell’ Emilia e di nuove scoperte fatte a Peschiera, nell’ Un- tersee, a Nieder-Wyl, presso Zug, sull’ Ebersberg, a Robenhausen, nel lago di Bour- get, e nel lago di Neuchàtel; ed è compresa una critica del libro di Troyon sulle Abitazioni lacustri. — Nell’ Untersee (parte occidentale del lago di Costanza) si sono tro- vate delle stazioni dell’epoca della pietra, senza oggetti di bronzo, con abbondantis- Voc. VI. 8 144 G. OMBONI , Morlot ha tentato di calcolare l’antichità assoluta delle più antiche palafitte della Svizzera, studiando i sedimenti della Tinière al delta simi avanzi d’ una fabbrica di oggetti di selce, con azze di serpentina assai bene lavorate, forate trasversalmente, ecc. — A Wieder-Wy] presso Frauenfeld (Turgovia) si trovarono gli avanzi d’ una isola fatta artificialmente con fascine gettate nell’acqua, per fabbricarci poi sopra delle capanne rettangolari, che ora non presentano alcuna traccia di incendj, e sono accompagnate da oggetti dell’ epoca della pietra. — Presso Zug fu pure trovata una stazione lacustre. — Sull’ Ebersberg, collina presso il Reno nel cantone di Zurigo, esistono avanzi d’ uno stabilimento terrestre e non lacustre , dell’ epoca del bronzo, con mezzelune, collane di granelli di vetro, ecc. — La sta- zione lacustre già nota di Robenhausen diede nuovi oggetti, archi, canotti semplicis- simi, tessuti, ecc. — Nel lago di Neuchatel il colonnello Schwab ha trovato con molti altri oggetti, una ruota di bronzo, parecchie mezzelune dello stesso metallo, dei granelli di vetro per collane, un piatto di terra cotta ornato di laminette di stagno disposto in modo da fare un disegno regolare ed alquanto analogo alle così dette greche. — Una delle tavole unite al rapporto contiene le carte topografiche di diversi laghi, colla indicazione dei luoghi delle antiche stazioni. — Delle terremare e. delle scoperte falle a Peschiera dirò più avanti. Del bronzo si è occupato specialmente Schrotter (Institut, 4861, pag. 320). — Quel bronzo contiene del nichelio; e siccome questo non si trova che in pochi luoghi, così è da credersi che già in quelle epoche antichissime le popolazioni dei diversi paesi abbiano avuto fra loro un commercio abbastanza attivo per il cambio delle. diverse - produzioni dei loro paesi rispettivi. Il signor Keller, nel quinto Rapporto sulle abitazioni lacustri pubblicato nelle Me- morie della Società degli antiquarj di Zurigo (vol. XIV, Zurigo 1863) critica, come ho detto prima, alcune idee emesse da Troyon nel suo libro intitolato Habitations lacustres des temps anciens et modernes. — Troyon ammette che i più antichi popoli abitanti sui laghi svizzeri siano stati distrutti violentemente da altri popoli venuti d’ altrove, e che le loro case siano state incendiate dai popoli conquistatori. Keller ammette pure degli incendj, ma casuali o per guerre intestine, perchè non tutte le abitazioni antiche furono distrutte, anzi quasi tutte servirono anche-per i popoli nuovamente arrivati. — Troyon non ammette che vi sia stata un’epoca del rame; e Keller sostiene che si fab- bricarono oggetti di rame in alcuni paesi. — Troyon vuole che nell'epoca del bronzo sia assai progredita tutta l'industria, comprendendo in questa il lavoro del cuojo e delle stoffe, e Keller osserva che non furono trovate tracce ben certe di cuojo lavorato e di stoffe ben lavorate nei villaggi di quell’ epoca. — Keller non ammette, come vuole Troyon, che durante l’epuca del bronzo i popoli della Svizzera occidentale siano stati differenti da quelli dell’orientale, giacchè gli oggetti trovati nei diversi paesi sono identici; e nega che si conosca alcun fatto, dal quale si possa dedurre che all’ epoca del bronzo vi fosse I’ uso di bruciare i morti; anzi cita delle tombe dell’epoca del bronzo con cadaveri non bruciati. — Keller non può ammettere che i popoli dell’ epoca del bronzo siano stati distrutti in guerra da quelli con armi di ferro provenienti da altri paesi, e così barbari da distruggere tutte le abitazioni lacustri, poichè si conoscono tante abitazioni senza alcuna traccia di incendio; e spiega la grande quantità degli BIBLIOGRAFIA 41153 presso Villeneuve; ed ha trovato l’antichità di 5000 a 7000 anni. Troyon ha fatto altrettanto, studiando un terreno torboso a Chamblon oggetti di bronzo trovati nei laghi dicendo che i popoli li hanno perduti a poco a poco, e non le seppero ritirare dal fondo dei laghi per mancanza di draghe e degli altri istrumenti ora usati dagli archeologi. — Secondo Troyon i popoli dell’ epoca della pietra furono autoctoni, forse Finnici o Iberici, quelli con oggetti di bronzo furono Celti, e quelli con armi di ferro Elvezj. Keller crede invece che furono tutti della stezza razza, tutti simili fra loro per costumi e per caratteri, e soltanto differenti per la civilizzazione cresciuta lentamente col succedersi dei secoli, e fors'anche per frequenti immigrazioni di colonie straniere. — E la conclusione è che rimane ancora molto da studiare prima di poter conoscere bene la storia dell’arrivo dei Celti e degli Elvezj nelle regioni alpine (Iemarques sur le livre, ete. Lausanne 1863). Il dottor Hoefer, nel giornale Cosmos, ha sostenuto la singolare tesi che le abita- zioni lacustri devono essere state fatte non dall'uomo ma da castori. Si vedano in pro- posito gli articoli del Courrier des sciences, etc. di Victor Meunier. vol. I, 1863, pag. 56, 441, 225 e 253. Lartet (Annales des sciences naturelles, 4861), studiando gli animali dell’ epoca qua- ternaria e gli avanzi umani della stessa epoca, è giunto alle seguenti conclusioni : 1.° Gli animali di specie estinte non si estinsero tutti insieme, ma a poco a poco, ad epoche diverse. Il renne abbandonò | Europa meridionale prima dell’ Europa media. Il mammut venne in Europa dall’Asia dopo la formazione dei più antichi depositi quaternarj. 2.° Si può dividere 1’ epoca quaternaria in quattro parti. — Nella prima vivevano l’orso speleo, la jena spelea, la tigre spelea; e colla sua fine cessò di esistere 1’ orso speleo. È 1° epoca delle caverne ossifere più antiche. — Nella seconda si formarono i sedimenti coll’ El. primigenius, col Rh. tichorhinus , coll’ippopotamo fossile , col Mega- ceros hibernicus, ecc. ; e colla sua fine cessò d’esistere VEIL. primigenius. — Alla terza appartengono le ultime tracce del renne. — La quarta è I’ epoca del Bison europeus e del Bos primigenius. 3.° L’uomo ha cominciato a vivere in Europa nella prima parte dell’epoca quater- naria, nello stesso tempo dell’orso speleo, e si servi degli istrumeuti di pietra più rozzi, quali sono quelli della grotta di Aurignac. Nella seconda parte fece gli istrumenti di pietra menu rozzi, che si trovano nei sedimenti alluvionali di Grenelle, Clichy, Saint- Acheul, Abbeville, ecc. Della terza parte sono gli avanzi trovati nelle grotte di Arcy, di Savigné, etc. Della quarta sono le frecce più lavorate, con barbe di penne, gli uncini fatti con corna di cervo, gli spilloni di osso d’ uccello, ecc. E da quell’ epoca si passa insensibilmente a quella del bronzo, e poi a quella del ferro (Bibl. Geneve 41861). Rutimeyer e Steenstrup sono i dotti che hanno maggiormente studiato gli avanzi degli animali delle abitazioni lacustri. Le specie più frequenti sono il cervo e il bue, il primo nelle abitazioni più antiche, il secondo in quelle meno antiche. Vengono poi il porco, il capriolo, Ja capra, il montone, la volpe, la martora, il cane, il cavallo e l’asino, che gia si trovano di raro, e poi il castoro, il tasso, il riccio, 1’ orso il lupo, ecc. L’uro viveva prima coll’elefante primigenio, poi col renne e colla marmotta, poi coll’ alee e col bisonte. Gli altri risultati più importanti sono già citati dal Lvell. 116 G. OMBONI, presso Yverdon sul lago di Neuchàtel, ed ha trovato per 1’ età del bronzo 3300 anni almeno. E Gillieron ha fatto un terzo tentativo sul lago di Bienne , ed ha trovato per l’età della pietra 6780 anni (4). Nei laghi d'Irlanda furono trovate delle isole artificiali (chiamate crannoges) con pali orizzontali, ossa di animali domestici, istrumenti di pietra, ec. Erano abitazioni affatto diverse da quelle della Svizzera (2) (Mudge Archeologia, XXVI. — Wylie Archeologia, XXXVIII, 1859). ‘ Ne capitolo terzo continua Ja descrizione degli oggetti umani del periodo recente, trattandosi del Delta del Nilo, dei tumuli antichi dell’Ohio e del Brasile, del Delta del Mississipì, dei banchi di corallo della Florida, dei movimenti avvenuti nell’epoca recente in varie parti dell'Europa settentrionale, e dell’epoca in cui hanno cominciato questi movimenti. Gli scavi e i pozzi fatti a spese della Società geologica di Londra e sotto la direzione del signor Horner nel Delta del Nilo, dopo l’in- ondazione, hanno mostrato che non si distinguono i sedimenti di un anno da quelli dell’anno precedente; che contengono conchiglie Un sunto dei lavori di Rutimeyer e di Steenstrup si trova nella Bibl. univ. de Genéve del 1864 (novembre). Citerò più avanti, in altra nota, la memoria di Desor, in cui questo Autore sostiene che gli animali quaternarj non sono tutti comparsi insieme; ma quali più presto e quali più tardi, in diverse epoche; così che la fauna quaternaria andò a poco a poco completandosi durante l’ epoca quaternaria. Nella Bibl. de Geneve del 1860 (agosto) sì trova una interessante lettera di Gaudin sulla vegetazione contemporanea dell’uomo primitivo. Dagli studj fatti su questo argo- mento a Durnten, in Sicilia, a Cannstadt, presso Marsiglia, nei travertini di Tivoli e Monticelli, ecc. risulta che gli ossami di grandi mammiferi contemporanei dei primi uomini si trovano con una flora un po’differente da quella delle foreste attuali ; che al- cuni generi una volta d’ Europa vivono ora in America e nelle isole Atlantiche; che alcune specie si sono estinte: che altre non hanno cessato di vivere, e sono restate negli stessi paesi che durante l’epoca quaternaria antica, od hanno emigrato nelle contrade vicine; e che per conseguenza anche la flora, come la fauna, ha poco va- riato, ed ha variato molto lentamente , durante V epoca quaternaria, dopo la comparsa dell’ uomo in Europa. (4) I calcoli di Morlot sull’antichità delle epoche del bronzo e della pietra, desunti dallo studio dei sedimenti delle Tiniere, sì trovano esposti coi necessarj particolari nella Legon d’ouverture d’un cours sur la haute antiquité, fait à VAcademie de Lau- sanne en 1860, par A. Morlot (Lausanne 4861). (2) Però anche in Isvizzera si trovarono gli avanzi d’una isola artificiale a Wieder- Wyl presso Frauenfeld. Vedasi in proposito la nota 4 a pag. 443. BIBLIOGRAFIA 417 terrestri, ed ossa di mammiferi recenti, e sono tutti di origine flu- viale fino alla profondità raggiunta cogli scavi; e che in essi si tro- varono oggetti di terra cotta. Si sa che già 1300 o 41400 anni prima dell'era volgare gli Egizj sapevano fare oggetti in terra cotta. D'altra parte non si è finora giunti ad un risultato soddisfacente circa alla velocità nell’ aumento in altezza del suolo dell’ Egitto , e non si può ammettere la cifra di 12 centimetri per secolo supposta da Girard, nè quella di 60 millimetri per secolo proposta da Rosière (Lavori di Horner nelle Philosophical Transactions 1855-58. — Ro- sière, Description de l Egypte). In America Squier e Davis hanno trovato nelle pianure dell’ Ohio dei tumuli, che hanno servito come tempj, come sepolcri, ec., banno il volume di circa 8530000 metri cubi, contengono vasi di terra cotta, oggetti d’argento e di rame, armi di pietra, conchiglie marine del golfo del Messico, ec. Quando i primi coloni li videro, i selvaggi non se ne servivano più, e non ne costruivano più ; anzi, studiando gli alberi sorti sugli stessi tumuli, si trova che devono essere già passati più migliaja d’anni dopo la costruzione dei tumuli ( Smithso- nian Contributions, 1847. — LvyetL, Travels in North America). A Santos nel Brasile si trovano delle ossa umane rinchiuse in una roccia solida che forma dei tumuli, e contiene delle ostriche con serpule, probabilmente accumulate dai selvaggi sui luoghi stessi dei pasti (Lvet, Travels in North America. — Meigs, Transactions of the American Phil. Society, 1828). Il delta e l'alluvione del Mississipèì hanno la superficie di 77000 chilometri quadrati e la profondità di 100 metri o più, ma non si può sapere quanto tempo è stato necessario per la loro formazione. Però questo tempo non pare minore di 100,000 anni. In un luogo, alla profondità di 5 metri, fu trovato uno scheletro umano, a cui si vuol dare l’antichità di 50,000 anni; e con esso si trovano dei tron- chi di cipresso con parecchie centinaja di strati concentrici di legno (Lyell Travels, ec. — Usher, Nott and Gliddon. Types of Mankind). Una parte della Florida consta di polipaj accumulati , ed ancora in continuo aumento. Agassiz ha trovato che devono essere passati 153,000 anni durante la formazione della metà meridionale di quella 118 G. OMBONI, parte della Florida; e crede che alcune ossa umane, trovate in essa, abbiano almeno 10,000 anni. Tutti sanno che presso il tempio di Serapide a Pozzuoli, nel Ca- chemire, nel Chili e nel Perù, e in altri luoghi, si trovano sedimenti che contengono avanzi dell’ industria umana, e che furono smossi dalla loro posizione naturale, e si sono sollevati al di sopra del livello del mare (Lyell. Principles of geology). Or bene, molti fatti analoghi a questi furono osservati in altri paesi. Nel fango marino e in altri sedimenti di argilla della Scozia, par- ticolarmente presso Glasgow, si trovarono molti canotti, quali più e quali meno perfetti, con armi ed altri istrumenti di pietra e di me- tallo; recenti studj fatti sulle mura romane ivi esistenti fanno. cre- dere che quei sedimenti si sono sollevati e sono emersi in un’ epoca posteriore alla costruzione di quelle mura. D'altra parte, presso Stir- ling esiste un sedimento argilloso e torboso, che contiene degli avanzi di grandi balene, delle corna di cervo lavorate dall’uomo, e che era una volta fondo di mare ; e in altri luoghi della Scozia si trovano altri sedimenti con conchiglie marine di specie recenti, sollevati al di sopra del livello attuale del mare. È pare che il sollevamento di tatti questi sedimenti sia stato di 6 a 10 metri, e assai lento, ma conti- nuato. Finalmente, in un luogo della contea d’Ayr si è trovato un ornamento di carbon fossile a 12 metri e più al di sopra del livello del mare ; ciò che fa credere ad un’antichità di tre o quattro mila anni per quell’ornamento. Altre prove di movimenti del suolo avvenuti dopo la comparsa del- l’uomo si trovano in molti luoghi sulle coste della Cornovaglia ; e sulle coste della Svezia e della Norvegia, sono famosi i sedimenti con conchiglie di specie ora viventi, sollevati a 30, 40, 90, e per- fino a 180 metri sul livello del mare. (Lyell, Principles of geology). Questo movimento di elevazione continua tuttora, colla velocità di un metro e mezzo al secolo nelle parti più nordiche, e con velocità mi- nori nelle parti meridionali. Partendo da questo dato , e supponendo che la velocità del movimento d’elevazione sia sempre stata la stessa fin dal principio, di soli 75 centimetri per secolo, si trova che gli strati portati a 4180 metri devono aver cominciato a sollevarsi in un’ epoca distante da noi circa 24,000 anni, BIBLIOGRAFIA 1419 Nel. quarto capitolo V autore comincia ad occuparsi delle tracce dell’uomo esistenti nei terreni postpliocenici; e tratta particolarmente delle ossa umane e di mammiferi di specie estinte delle caverne del Belgio. Già nel 1828 Tournal e Christol avevano trovato delle ossa umane nel fango di una caverna di Bize presso Narbona (Aude) e di una ca- verna di Pondres presso Nîmes, insieme con vasi o con ossa di jene e di rinoceronti di specie estinte. Ma si era trovato modo di spiega- re quelle scoperte anche e senza ammetterla coesistenza dell’ uomo e dei mammiferi di specie estinte (Desnoyers, Bull. Soc. geol. de France, 1851. — Lyell, Principles of geology, nona edizione). Nel 1834 il dottor Schmerling fece molte ricerche in quaranta caverne ossifere dei dintorni di Liegi; trovò nel fango, sotto le sta- lattiti, delle ossa d’ uomo , di orso, di jena, di elefante e di altri mammiferi, alcuni di specie viventi, altri di specie estinte, delle conchiglie terrestri, degli istrumenti di pietra; trovò tutte le. ossa disperse irregolarmente e senza l’ accompagnamento di coproliti e d’ossa rosicchiate; e ne dedusse il riempimento delle caverne per opera di acque correnti, e la contemporaneità dell’uomo e degli ani- mali con esso trovati nelle caverne (Schmerling, Recherches sur les ossements fossiles découverts dans les cavernes de la province de Liège. Liège, 1853-54. — Malaise, Bull. Acad. Royale de Belgique pour 1860). — Più tardi Lyell visitò minutamente una delle caverne non ancora distrutte, e non potè che verificare tutte le osservazioni di Schmerling, e ammettere come vere le sue conclusioni. È ne deduce che dovette passare una ben lunga serie di secoli dall’ e- poca degli orsi e delle altre specie fossili fino all’ epoca attuale , poichè sono avvenuti molti cangiamenti nella geografia fisica del paese in cui sono le caverne, e tali cangiamenti sono già molto an- tichi, e devono essersi prodotti con una grande lentezza. Per tali cangiamenti cessarono d’esistere le acque correnti che hanno portato nelle caverne il fango, le ossa e il carbonato calcare delle stalattiti e incrostazioni , si seavarono delle valli più o meno profonde ; e ces- sarono forse all’epoca delle eruzioni dei vulcani dell’ Eifel. Il capitolo quinto è destinato intieramente alle ossa umane delle caverne di Neanderthal e di Engis. 120 G. OMBONI, In una caverna del Neanderthal presso Diisseldorf fu trovato nel 1887 un cranio insieme con alcune altre parti d’ uno scheletro umano , e con delle ossa d’orso speleo. Il cranio aveva la fronte as- sai bassa , le pareti molto grosse, e la forma generale assai analoga a quella di un cranio di scimmia antropomorfa. Tra le ossa raccolte da Schmerling in una delle caverne di Liegi, e precisamente nella caverna di Engis, vera un cranio, il quale fu trovato somigliare a quello dei negri. Il prof. Huxley studiò questi due cranj, e dalle sue osservazioni risulta : 1.° che il cranio di Engis appartiene al tipo dolicocefalo, ma ha un’altezza normale; 2.° che il cranio di Neanderthal è quello che più si avvicina a un cranio di scimmia, essendo molto più lontano da quello degli Europei che da quello del Chimpansé, per la bas- sezza della fronte, la prominenza dell'osso tra la fronte e l’ occhio, la poca altezza generale, la poca curvatura dell’occipite, ec.; 3.° che la capacità di questo cranio è la media umana, ed è molto superiore alla massima capacità dei cranj di scimmia; 4.° che questo cranio non poteva appartenere che ad un uomo ; 3.° che un cranio trovato in un tumulo della Danimarca, dell’epoca della pietra, ha dei carat- teri analoghi a quelli del cranio di Neanderthal, mentre altri cranj umani degli stessi tumuli ne differiscono assai. Studiando poi molti cranj di selvaggi dell’ Australia, lo stesso Huxley ha trovato che fra essi possono essere delle differenze eguali a quelle fra i cranj d’Engis e di Neanderthal. E da tutto questo si può dedurre soltanto che forse già in quell’epoca così antica vivevano nell’ Europa setten- trionale due razze distinte di uomini, ambedue assai distanti per i loro caratteri dalle scimmie antropomorfe, ma l’ una di esse meno distante che l’altra. Il capitolo sesto tratta di altre caverne con istrumenti di selce e di alcune alluvioni postplioceniche cogli stessi oggetti di selce. Nella caverna detta Kent's Hole presso Torquay nel Devonshire fu- rono scoperte già da più anni delle ossa di elefante, di rinoceronte, di orso, ec. accompagnate da istrumenti di pietra; e più recente- mente, in una serie di caverne a Brixham, anch'esse presso Torquay, furon fatte delle ricerche da Falconer, Prestwich e Pengelly, e diedero per risultato la scoperta di ossa di elephas primigenius , di BIBLIOGRAFIA 4121 rhinoceros tichorinus, d’ ursus speleus, di hycena spelea, di felis spelea, di cervus tarandus, di cavallo, di bue, di parecchj rosicanti accompagnati da istrumenti di selce, e comprovanti l’ esistenza del- l’uomo insieme con quei mammiferi, e il riempimento delle caverne per opera delle acque correnti {Pengelly, Geological Magazin 1861). Boucher de Perthes trovò nel 184% i primi oggetti di selce esi- stenti nelle a//ucioni antiche di Abbeville in Picardia, poi se ne tro- varono molti altri insieme con ossa di elefante , di rinoceronte, di orso, di jena, di cervo, di bue, di cavallo , ecc. di specie quali estinte e quali ancora viventi. Rigollot trovò poi altrettanto nelle cave di sabbia di Amiens, e particolarmente a Saint-Acheul. Ciò che indusse Falconer e Prestwich, dopo che ebbero confermata la sco- perta degli istrumenti in selce nelle caverne ossifere di Brixham , a | visitare nel 1858 anche i dintorni d’Abbeville e di Amiens; e il ri- sultato fu che trovarono în posto alcuni oggetti di pietra, e si per- suasero della verità delle scoperte e delle asserzioni di Boucher de Perthes e di Rigollot (Prestwich, Proceedings of the Royal So- ciety, 1859. — Philos. Trans. 1860). D’ allora in poi lo stesso Prestwich ritornò altre volte a. visitare quei luoghi, e molti altri geologi, fra i quali Lyell, Pouchet, Gaudry, Hebert ed altri, vennero a vedere o a fare nuove ricerche, e tutti si persuasero della antichità degli istrumenti di selce, e della conse- guente coesistenza dell'uomo e dei mammiferi di specie ora estinte (Geol. quart. Journal, AVI. — Proceed. of British Assoc. for 1859. — Comp. rend. Acad. des sciences 1859. — Bull. Soc. géol. de France, XVII) (1). (41) Già nel 1862 Garrigou e Filhol avevano trovato nelle caverne presso Tarascon (Arièége) delle ossa di mammmiferi, manifestamente lavorate dall’ uomo. Poi trovarono nel fango del suolo di queste caverne degli straterelli di carboni e di ceneri, con ossa di animali rotte in modo d’ estrarne la midolla, cranj rotti per estrarne i cervelli e abbondanti conchiglie di helix nemoralis, che possono aver servito di pasto agli uomini, ossa lavorate in varj modi, oggetti lavorati in pietra, pietre che hanno servito a ma- cinare, avanzi di stoviglie grossolane, ecc. (Courrier des sciences, ete. par V. Meunier, 1863, vol. I. pag. 354). — Più tardi, in una di quelle caverne, Guarrigou ha trovato delle ossa umane, e particolarmente una mascella (Institut, num. 41564, dicem. 1863). Paolo Gervais ha pubblicato i risultati delle esplorazioni fatte nelle caverne ossifere 120 G. OMBONI, Nei capitoli settimo e ottavo sono descritti tutti i depositi post- pliocenici della valle della Somma, e si espongono tutti i fatti com- provanti l’esistenza dell’uomo nell’epoca postpliocenica. La valle della Somma in Picardia ha un fondo piano, il quale con- sta di una torba, che giace, separata da uno straterello di argilla, sopra un deposito di sabbia. Questa torba contiene ossa di mammi- feri ora viventi in Europa, istrumenti deil’epoca romana e dell’epoca celtica; e non può essersi formata se non durante un. continuo e lento abbassamento di tutto il territorio da Abbeville fino al mare. Ad Abbeville le pareti della valle, formate di craie blanche, por- tano dei depositi di allucioni antiche, i quali contengono una grande copia di oggetti in selce. Questi oggetti sono per lo più punte di lancia e di freccia, scuri e coltelli, di un lavoro assai grossolano ; sono per lo più coloriti come la sabbia in cni si trovano ; presentano spesso un sottile intonaco calcare e delle dendriti nerastre; ed hanno la superficie con un’apparenza di vernice vitrea prodotta dall’ altera- della Bassa Linguadoca (Institut, num. 4574, febbrajo 1864. — Comp. rend. della stessa epoca). — Nella caverna di Bize, già descritta da Tournal e da Marcel de Serres, si trovarono ossa di Bos primigenius, camoscio (chiamata erroneamente Antilopes Cristolii da Marcel de Serres), di renne, insieme cogli avanzi di stoviglie, cogli ‘istrumenti di selce e d’osso, ecc. -- Le ossa trovate nella caverna di Pondres appartengono al rino- ceronte ticorino, al bue primigenio, all’ orso speleo, ecc. — Le ossa della grotta di Lunel-Viel non provano nulla perchè possono essere state introdotte a varie epoche recenti. -- La caverna di Pontil presso Saint-Pons (Herault) ha dato pure delle ossa di mammiferi fossili, con avanzi dell’industria umana. Le stesse cose furono trovate nella caverna di Roque presso Ganges (Herault). Le ossa sono state rotte dall'uomo. — L’Autore conchiude col dire che, che prima di trarre delle deduzioni da questi e dagli altri fatti consimili, bisogna ben determinare le specie dei mammiferi estinti ,, studiare quali si sono estinti prima e quali dopo il principio dell’ epoca storica. Ancora più recentemente Milne Edwards e Lartet hanno reso conto dei fatti osser- vati in una caverna presso il castello di Bruniquel sulle rive dell’ Aveyron (Institut, num. 1572, febbrajo 1864). — Il fango della caverna contiene un’enorme quantità di ossa di renne, di bue, di cavallo miste ad oggetti dell’industria. umana, e ad avanzi d’ossa umane, Di più su un osso scolpito, trovato a. molta. profondità, si trovano di- segnale una testa di cavallo ed una di renne, ben riconoscibili. Dunque il disegno fu fatto dall’ uomo, e questi viveva in Francia quando vi viveva tuttora il renne. Or bene, se è da ammettersi, come è creduto da moltissimi, che il renne sia scomparso da quei paesi molto prima dell’ epoca storica più antica, anche l’esistenza dell’ uomo negli stessi paesi devesi credere più antica della più antica epoca storica, quantunque non si possa ben definire la sua antichità assoluta, in anni o secoli. BIBLIOGRAPIA 4125 zione della pietra. Con questi oggetti si trovano dei piccoli corpi rotondi, con una cavità tubulare nel centro, e che sono dei fossili della craie blanche, ed hanno probabilmente servito come oggetti d’ ornamento. Lo studio di queste alluvioni e della torba prova al- l'evidenza che le alluvioni hanno coperto tutto il fondo della valle, e ne furono poi levate via, prima della formazione della torba. Le alluvioni più profonde, contenenti le ossa di mammiferi fossili e gli oggetti di pietra, contengono presso Abbeville anche conchiglie terrestri, fluviali e marine (litorali), e quindi sono di origine fluvio- marina. Finalmente alcune ossa dei mammiferi presentano delle tracce di colpi e di corrosioni fatte colle armi di pietra (1). Ad Amiens le alluvioni antiche non contengono conchiglie marine; e nella loro parte superiore furono seppelliti dei cofani dell’epoca gallo-romana (a Saint-Acheul). I materiali delle alluvioni sono di rocce del bacino della Somma, e comprendono dei massi di grès provenienti dai terreni terziar), e così grandi da non poter essere trasportati dalla Somma che. col mezzo di zattere di ghiaccio. Inoltre a Saint-Acheul si vedono delle sabbie con istraterelli di marne, che presentano delle contorsioni dovute alle pressioni laterali dei ghiacci ed alla fusione ineguale delle nevi soprastanti, quando gli strati erano assai imbevuti di acqua. È le conchiglie trovate nelle alluvioni sono le stesse che ora vivono nella Francia settentrionale e fin nella Norvegia e nella Finlan- dia. Se ne deduce facilmente che, durante la formazione di quelle alluvioni, il clima della valle della Somma dev’ essere stato un. po’ più freddo che adesso, cogli inverni più lunghi, e coi fiumi coperti per più mesi da una crosta di ghiaccio. E assai probabilmente gli oggelti di pietra si trovano ora là dove una volta gli antichissimi uomini stavano durante l'inverno fermi sul ghiaccio dei fiumi per pe- scare attraverso delle aperture fatte nella stessa crosta di ghiaccio , così come fanno tuttora parecchj popoli selvaggi dell’ America set- (4) Sulle tracce dei colpi dati dall’uomo con diversi istrumenti alle ossa dei mam- miferi fossili sì vegga particolarmente una comunicazione dì Lartet nei Comp. rend. del 23 aprile 1860, nel Bull. de la soc. géol. de France (7 maggio 1860), e nella Bibl. de Genève del luglio 1860. 124 G. OMBONI, tentrionale. Da tutto questo si può pure conchiudere che | epoca della pietra fu d’ una durata lunghissima, e terminò con una lenta modificazione nel clima, e durante la produzione della torba del fondo della valle. Dopo che Lyell ebbe scritto il suo libro, esprimendovi la spe- ranza che si sarebbe trovato anche qualche osso umano, fu real- mente raccolta a Moulin-Quignon presso Abbeville una mascella umana, che diede luogo ad una serie di discussioni sulla sua auten- ticità, ma che ora generalmente si crede proprio trovata în posto nella alluvione antica (4). (41) Sui lavori umani nelle alluvioni antiche si vedano particolarmente: Bibliotheque de Geneve, 1859 a 1863. Comp. rend. degli stessi anni. L’ Institut degli stessi anni (e per gli oggetti di Moulin-Quignon in particolare i numeri 1529 a f548, dell’anno 4863). Bull. de la Soc. géol. de France degli stessi anni. Si troveranno là le objezioni portate contro la contemporaneità dell’ uomo e dei mammiferi di specie estinte; e specialmente l’ opinione di Robert e di E. de Beaumont, secondo la quale le alluvioni di Abbeville sarebbero sedimenti antichi, con ossa di mammiferi fossili, smossi da acque correnti in epoca molto recente, dopo la comparsa dell’ uomo. Le stesse cose, con disegno della mascella umana di Moulin-Guignon, si possono leggere nell’ Année scientifique di Figuier (anno ottavo). Dopo che il congresso di naturalisti francesi e inglesi ebbe ammessa l'autenticità degli oggetti di pietra e della mascella umana di Moulin-Quignon. Evans continuò tuttavia a dubitare di quella autenticità (Ateneum, 4 luglio 41863). Evans crede che tutti quegli oggetti furono messi nella sabbia dagli stessi operaj, e che intorno ad essi si vedono le tracce della terra smossa per introdurli, che alcuni presentano delle tracce delle dita degli operaj stessi, ecc. Mortillet ha studiato le conchiglie terrestri e d’acqua dolce che si trovano nelle sabbie d’Abbeville colle ossa di elefanti e rinoceronti. Risulta dai suoi studj che il clima durante la formazione di quei depositi non differiva molto dall’ attuale, quantunque vi si trovino due o tre varietà che rammentano quelle di paesi più meridionali ( Bull. Soc. geol. 1863, XX, pag. 293; e Bibl. de Genève, Archives. Aoùt 1863). Hebert distingue, a proposito dei terreni diluviali della vallata della Mosa, otto epoche distinte; cioè: 1.° Escavazione delle valli per erosione; 2.° Sviluppo della fauna dell’ elefante primigenio. formazione di depositi erratici (diluvium grigio), comparsa dell’uomo cogli oggetti di pietra; 3.° Deposito del less, concrezioni calcaree, ecc.; 4.° Formazione d’un sedimento d'argilla rossa, sabbia quarzosa, ecc. (diluvium rosso); BIBLIOGRAFIA 125 A proposito della mancanza completa o quasi completa di ossa umane nelle alluvioni con oggetti di pietra, Lyell fa osservare che nel fondo dell’antico lago d’ Harlem, che fu asciugato artificialmente in questi ultimi anni, non fu trovato alcun osso umano, quantunque le rive del lago siano state abitate, e sulle sue acque abbiano avuto luogo combattimenti navali e molti naufragi, e quantunque siano state trovate delle monete, delle armi spagnuole , e degli avanzi di alcuni battelli spagnuoli naufragati. Nel capitolo nono si continua a parlare degli oggetti lavorati dall'uomo trovati nelle alluvioni postplioceniche della Francia e dell’ Inghilterra. 5.° Erosione di molte parti del diluvium rosso; e sua miscela col grigio (colla formazione di Moulin Quignon contenente la mascella umana, ecc.); 6.° Nuova escavazione delle valli; 7.° Formazione di pozzi naturali nel deposito di Moulin-Qnignon, e loro riempi- mento con argille smosse dalle acque; 8.° Formazione delle alluvioni torbose , della cui stessa epoca vuole Elia di Beau- mont che sia il deposito dì Moulin-Quignon colla Mascella umana (Institut. num. 41535, giugno 4863). Inoltre Hebert, ammesso che i sedimenti con oggetti di pietra di Saint-Acheuil sono veramente del diluvium antico, che quegli oggetti sono realmente lavori umani, che si trovano in posto insieme colle ossa dell’ elefante primigenio, che quindi furono se- polti insieme con quelle ossa, ne conchiude bastare questi fatti bene accertati per compro- vare la esistenza dell’ uomo nell’ epoca quaternaria, ad onta dei dubbj emessi da Elie de Beaumont sui depositi famosi di Moulin-Quignon (Comp. rend. giugno 1863; ed Institut, num. 1536). Qualunque sia l’autenticità della mascella di Moulin-Quignon, vi sono già, secondo d’ Archiac, fatti abbastanza accertati e abbastanza numerosi per comprovare l’esistenza dell’uomo nel nord della Francia durante l’epoca quaternaria, insieme coll’elefante primige- nio e cogli altri mammiferi proprj di quell'epoca. Paragonando poi i sedimenti di Francia eon avanzi umani cogli analoghi sedimenti d’ Inghilterra, superiori ai depositi glaciali, D’Archiac trova che.non possono non essere contemporanei, e quindi anche i depositi francesi con avanzi umani devono essersi formati dopo la grande epoca glaciale , verso la metà dell’ epoca quaternaria. Egli aggiunge anche che devono aver preceduto la se- conda epoca glaciale, senza però spiegarsi più particolarmente su questa asserzione. E conchiude col dire che si devono distinguere due epoche della pietra, una più antica , l’altra più moderna, appartenendo a quest’ ultima i mucchj di conchiglie di Dani- marca, le abitazioni lacustri più antiche della Svizzera, ecc. (Du terrain quaternaire ete., d’aprîs les lecons de M. d’Archiac. Paris Savy, 1863. — L’ Institut, num. 41345. — Bibl. de Genéve, 20 decembre 1863). Nella seduta del 6 dicembre 1863 della nostra Società, il socio Mortillet ha esposto Ja sua opinione sulla esistenza dell’uomo nei dintorni di Parigi prima dell’epoca gla- ctale , a motivo della esistenza di massi erratici nel diluvium sovrastante agli strati con avanzi umani presso Parigi (Alti della Soc. ital. di scienze nat. vol. V, pag. £04). 126 G, OMBONI, Nel 1860 e più recentemente Gosse e Lartet hanno trovato presso Parigi degli strumenti di selce e delle ossa di elefanti nel solito ter- reno diluviale con massi erratici e ciottoli di granito del Morvan. Nelle caverne d’Arcy-sur-Yonne il marchese di Vibraye ha trovato ossa umane ed ossa di elefanti, rinoceronti, ec. (Bull. Soc. geol. de France 1860). Anche nella valle dell’ Oise, e particolarmente a Préey presso Creil, ed a Chauny presso Noyon, furono raccolti dal ferreno dilu- viale degli oggetti di pietra e delle ossa fossili di elefante, ippopo- tamo, ec. (1). Uggelti di pietra e ossa di mammiferi fossili si trovano insieme anche nelle alluvioni postplioceniche d’inghilterra , a Londra, nella contea di Kent, nella valle dell’Ouse presso Bedford (particolarmente a Biddenham, dove si osserva che gli oggetti in discorso sono. in alluvioni posteriori ai sedimenti con massi erratici e ciottoli traspor- tati dagli antichi ghiacciaj), ed a Jeklingham e Hoxne nel Suffolk. Il capitolo decimo comprende delle notizie sulle cagerne e su altri luoghi di sepoltura dell’epoca postpliocenica. La caverna di Wells nella contea di Somerset, e quella di Gower nella Galles del sud (Glamorganshire) contengono, come altre già citate prima, oggetti lavorati dall'uomo e ossa di mammiferi di spe- cie estinte. Altrettanto si deve dire di certe caverne di Sicilia, e particolar- mente di quella di Macagnone presso Carini, nella baja di Pa- lermo; la quale fu dapprima riempita di fango con ossa, oggetti di pietra, conchiglie, ec. per opera di un’acqua corrente tranquilla , ma fu poi quasi intieramente svuotata da altre acque correnti. Nella vicina caverna di San Ciro esisteva una enorme quantita di ossa (4) Il signor Bourgeois ha trovato delle selci lavorate in una breccia ossifera di Caves (Loir e Cher). Le ossa sono di specie estinte di mammiferi (Bull. soc. geol. de France, 1863, XX, pag. 206). Vibraye ha confermato questa scoperta. (Ibidem p. 238; e Bibl. de Genève, 1863. Archives, XVII, pag. 344). Su altri lavori umani trovati nelle alluvioni di Clermont presso Tolosa si veda parti- colarmente la memoria di Noulet nelle Memoires de l’Academie imperiale des sciences de Toulouse, 5.° série, IV. (Bibl. Geneve 1860, luglio). BIBLIOGRAFIA 127 fossili di ippopotamo. In quella di Mondello e in quella di Oiivone si raccolsero mascelle dell’ elefante ora vivente in Africa (1). Sulle coste della Sardegna, presso Cagliari, si trovano a 70 o 90 metri sopra il livello del mare dei sedimenti marini, con conchiglie del mitilo comune, e con pezzi di antiche stoviglie, e con una palla forata di terra cotta ; ed ammettendo un sollevamento di 7% centimetri per secolo, si trova Jantichità di 12000 anni per quelle stoviglie. (Lamarmora, Zoyage en Sardaigne). Altri movimenti, per cui certi porli si sono asciugati, e certe altre parti si sono affondate, sono avvenuti nell’ isola di Candia. Inoltre esiste fra la Sicilia e V Africa, nel fondo del mare, un rialzo ossia una successione di rialzi, che giungono a 25 o BO metri sotto il livello del mare; così che, se si innalzassero di 50 metri, la Sicilia ne verrebbe ad essere congiunta all'Africa. Tutto ciò fa credere che nell’ epoca pliostocenica siano avvenute molte variazioni nella geografia fisica del Mediterraneo e delle terre circostanti, che una volta la Sicilia sia stata realmente unita all’ Africa, e che allora siano passati dall’ Africa in Sicilia gli ippopotami e i rinoceronti, di cui si trovano gli avanzi nelle caverne presso Palermo. Quanto agli ippopotami, si può però anche credere che siano giunti in Sicilia, in spagna e in Francia per mare, nuotando. Presso Aurignac (Haute Garonne) fu scoperta accidentalmente una caverna chiusa da una grossa lastra di pietra, e che conteneva un ammasso di ossa umane appartenenti a 17 individui d’ogni età e sesso. Queste furono poi sepellite in un cimitero, e il signor Lartet non le potè più esaminare quando andò a vedere la grotta. Sotto l'ammasso delle ossa si rinvenne un deposito di terra contenente al- cune ossa umane delle mani e dei piedi, delle ossa di mammiferi di specie estinte e viventi, e degli strumenti di pietra. Al di fuori della grotta, e su una specie di terrazza davanti alla grotta stessa, esiste un altro deposito di terra, analogo al precedente, e con della cenere; e al disotto di esso un deposito di cenere e di carbone con (4) Per le ossa trovate nelle caverne di Sicilia dal barone D’Anca si veda un suo Rapporto nel Bull. de la soc. géol. de France , (4, 48 giugno 41860), con disegni degli oggetti trovati, ecc. — E si vedano pure Je notizie pubblicate da Falconer (Bibl. Genéve, Preced. of the geol. soc. of London, 41859). 128 G. OMBONI, istrumenti di pietra, con pietre affumicate, e con ossa di mammiferi viventi ed estinti. alcune delle quali abbrustolite ed altre rosic- chiate. Lartet trovò pure aderente alla parete della grotta un po’ di conglomerato con piccole ossa umane. Molte ossa di mammiferi sono aperte pel lungo, e mostrano chiaramente che ne fu estratta la midolla dall'uomo, e che qualche animale carnivoro (probabil- mente la Jena, di cui si trovano pure le ossa) li ha rosicchiati dopo che furono abbandonate dall’ uomo. Da tutto ciò si può dedurre che una volta la grotta serviva come sepolcro umano ; che insieme coi cadaveri vi si gettavano pure degli istrumenti di pietra e degli oggetti d’ ornamento; che dopo il seppellimento si facevano dei banchetti, accendendo del fuoco, rompendo le ossa dei mammiferi , cuocendole al fuoco, ed estraendone la midolla; e che gli avanzi dei pasti servivano poi come alimento alle jene e ad altri carnivori. I mammiferi di cui si trovarono gli avanzi nella grotta sono di 9 specie carnivore {orso speleo , orso bruno , tasso, puzzola, leone speleo, gatto, jena spelea, lupo e volpe), e di 10 specie erbivore ( elefante primigenio, rinoceronte ticorino , cavallo, asino , porco , cervo, cervo megacero, capriolo, renne ed uro o bisonte di Lituania). Nel capitolo undicesimo l’autore tratta delle ossa umane fossili di Denise nella Francia centrale e di Natchez sul Mississipì. In una specie di tufo vulcanico, che si è formato sulla montagna di Denise, nel Puy (nella Francia centrale), si trovarono già da molti anni alcune ossa umane, che furono descritte da Aymard nel 1844. Le ricerche fatte dopo d’ allora per trovarne altre riuscirono inutili ; e soltanto inducono a credere che esistevano in un tufo dell’ epoca postpliocenica caratterizzata dall’ elephas primigenius e dal rhino- ceros tichorhinus, ma non d’un’ epoca più antica, caratterizzata dall’elephas meridionalis e da altri mammiferi estinti. Alla latitudine di Vicksburg, a quasi 33.° lat. nord, la pianura del Mississipì , formata di alluvioni moderne, è compresa fra pianure più alte, che sono formate inferiormente di rocce eoceniche, e superior- mente di fango (less). Per. passare dalla bassa pianura moderna a queste pianure alte bisogna salire per delle pareti scoscese, alte circa 60 metri. A Natchez, a 128 chilometri al sud di Vicksburg , PA BIBLIOGRAFIA 129 sì trovano le stesse rocce; e sempre fra le coceniche e il less v’ha uno strato di sabbia e ghiaje con coralli, ciottoli, ec. Nel /oess si trovano spesso molte conchiglie terrestri o fluviatili, ec.; e sotto di esso si trovò un banco di argilla con ossa di mastodon ohioticus, di una specie di megalonix , e altri mammiferi, quali estinti, quali vi- venti tuttora, un osso umano, del quale non si può ragionalmente mettere in dubbio la esistenza coi citati mammiferi. E considerando il livello delle alte pianure, la potenza dei depositi, ec., non si può non ammettere per quell’ osso una grandissima antichità, simile a quella dell’uomo fossile del bacino della Somma. Nel capitolo dodicesimo si comincia a trattare Ja quistione del- l’ antichità dell’uomo relativamente all’epoca glaciale. Nel Suffolk e nel Norfolk si possono distinguere bene tre parti nel terreno pliocenico , e sono il cray corallino, il crag rosso e il crag di Norwich. Tutte e tre contengono molte conchiglie fossili, stu- diando le quali si è trovato che il clima dell'Inghilterra andò a poco a poco raffreddandosi verso la fine dell’ epoca pliocenica. Su quei crag sì trovano poi altri strati più recenti, con conchiglie che indi- cano un clima ancora più freddo. Su questi strati regolari e conchi- gliferi si trova il forest-bed , ossia uno strato con tronchi d' alberi ancora al loro posto e radicati, e con ossa di elephas meridionalis, elephas primigenius , elephas antiquus , rhinoceros etruseus , ec. È sopra questo si vede un deposito fluvio-marino, con lignite, poi un’ar- gilla con ciottoli e massi erratici dell’epoca glaciale (#4 o boulder-clay), poi il fango (drift) a straterelli contorti, anch'esso dell’epoca glaciale, e finalmente la sabbia superficiale col terreno vegetale. A _Mun- desley si vede che la valle fu corrosa dopo la formazione dei depo- siti glaciali, e che sul suo fondo si formò un gran deposito di torba, il quale fu poi coperto da sabbie e ghiaje recenti. È siccome i depositi recenti della valle di Mundesley sembrano contemporanei a quelli che nella valle della Somma contengono gli avanzi umani, così fanno credere che l’uomo non sia apparso sulla terra se non dopo l'epoca glaciale (1). (1) L’esislenza dell’uomo in Europa prima dell’ epoca glaciale fu sostenuta partico- larmente da Collomb in una leltera a Favre pubblicata nella Bibl. de Geneve (luglio Voc. VI. 9 - 150 G. OMBONI , L'argomento dei rapporti cronologici del periodo glaciale colle piu antiche traccie dell’uomo in Europa continua ad esser trattato da Lyell nei capitoli XIII, XIV e XV. L’autore rammenta come gli antichi ghiacciaj hanno lasciato le loro traccie nelle rocce arrotondate, lisciate e solcate; come, là dove i ghiacciaj arrivano fino al mare, il loro fango e i loro massi sono de- posti sul fondo del mare, formando un sedimento irregolare e non stratificato (il tl dei geologi inglesi); e come i ghiacci galleggianti, che se ne distaccano, possono solcare il fondo del mare, e smuovere e dislocare gli straterelli di fango superficiale, ec. Egli rammenta 4860) e in un’altra a Desor. L'Autore, ammessa l’esistenza delle tracce dell’ uomo nel diluvium insieme cogli avanzi dei grandi mammiferi di specie estinte, comincia col dire che in Francia il terreno quaternario è diviso in tre parti, la superiore, detta anche Zehm o loess; la media, composta di sabbia e ghiaje d’origine non lontana (diluvium rouge di Parigi); e la inferiore, di sabbie e ghiaje d’origine lontana, e che contiene gli avanzi dei mammiferi fossili e dell’uomo; e che il terreno quaternario della vallata del Reno, da Basilea a Magonza, consta di tre parti, la superiore o lehm, che si estende fin nelle valli Vogesi, dove trovasi sotto alle morene; la media, di sabbie provenienti dai Monti Vogesi, dal Giura e dalla Foresta Nera, e la înferiore di ghiaje esclusivamente provenienti dalle Alpi. E ne conchiude che la parte inferiore del ter- reno qualernario del Reno, anteriore all’epoca glaciale alpina, è contemporanea del diluvium coi mammiferi fossili e colle traccie dell’uomo; e che dunque luomo ha vis- suto în Europa prima dell’ epoca glaciale alpina. — D'altra parte è un fatto che in Inghilterra i mammiferi fossili e Je traccie dell’uomo si trovano solo in depositi supe- riori ai sedimenti dell’ epoca glaciale, e quindi sono più recenti dell’epoca glaciale del- V Europa settentrionale. E 1° Autore ne deduce che l'epoca glaciale dell’ Europa setten- trionale non fu contemporanea di quella delle Alpi, ma venne molto prima di essa, e che fra le due epoche glaciali avvenne la comparsa dell’ uomo. Il prof. Desor, in una lettera a Collomb, gli dichiara di non poter accettare la sua cpinione perchè non ci sono fatti i quali provino la contemporaneità del diluvium fran- cese con mammiferi e con traccie umane e della parte inferiore del terreno quaternario della valle del Reno; perchè nella regione alpina te ossa di mammiferi fossili nou si trovano che in sedimenti formati con uno smovimento dei sedimenti glaciali arvenuto posteriormente all’ epoca glaciale ; perchè qualche volta può darsi che si bovino ossa di mammiferi fossili sotto dei massi erratici, ma sono nei sedimenti più superficiali, e provano soltanto che quei mammiferi vissero verso la fine dell’epoca glaciale alpina, quando le basse pianure erano ancora coperte d’acqua, ce i ghiacciaj davano dei ghiacci galleggianti, e questi portavano lungi dalle alte valli gli ultimi massi erralici; e per- chè l’esistenza d’una sola epoca glaciale, la quale abbia avuto intiuenza su tutta l’ Europa è molto più naturale che quella di due epoche successive, |’ una propria del nord e l’altra delle Alpi, separate da un’epoca non glaciale. BIBLIOGRAFIA 454 poi i fatti che provano che una volta la Scandinavia era totalmente coperta di ghiaccio, ed era un centro di dispersione di massi er- ralici, così come ora avviene della Groenlandia, il cui suolo è quasi totalmente coperto di neve e di ghiaccio, con dei veri ghiacciaj nelle valli più grandi e profonde. e va continuamente abbassandosi, ben- chè con una estrema lentezza. Egli rammenta pure come nella Groenlandia furono trovate delle piante fossili, Ie quali provano che quel paese aveva una volta un clima meno freddo dell’ attuale. E conchiude che la Scandinavia ebbe una volta le sue valli occupate da grandi ghiacciaj, poi si abbassò e si coprì tutta di nevi e di Siccome poi il prof. Pictet aveva espresso l’opinione che tulti gli animali dell’epoca qualernaria fossero comparsi contemporaneamente al principio di quell’ epoca, che la estinzione delle specie abbia poi avuto luogo gradatamente durante la stessa epoca, così Desor cerca di dimostrare che quegli animali non sono comparsi tulli insieme, ma quali più presto quali più tardi, in diverse epoche. Egli cita, fra gli altri, i pesci ed altri animali proprj dei laghi d’Italia, e di quelli dei laghi dell’ Europa settentrio- nale, che non hanno potuto venirvi ad abitare da altri paesi dopo il ritiro dei ghiac- ciaj, che devono aver cominciato a vivere in epoche differenti nei diversi laghi, in conseguenza della diversa latitudine e dei diversi climi di detti laghi. E conchiude che la fauna quaternaria, cominciata al principio dell’ epoca quaternaria, fu poi successi- vamente, in diversi tempi, completata colla creazione di nuove specie, in seguito alle variazioni climatologiche e agli altri cangiamenti fisici avvenuli nei diversi paest. Più recentemente Desnoyers annunciò di aver trovato delle tracce della esistenza del- l’uomo in un’ epoca più antica del terreno quaternario delle valli della Somma e della Senna (Comp. rend. 8, 22 et 29 juin 41863). Nelle sabbie di S. Prest presso Chartres , nella valle dell'Eure, si sono raccolte molte ossa di quadrupedi; e su alcune di queste si vedono dei solchi ed altre analoghe tracce di colpi dati con istrumenti duri e ap- puntati, solchi ‘e traccie ben differenti dai solchi fatti dai denti dei carnivori, dai ciot- toli sotto i ghiacciaj, dai ciottoli nelle acque correnti, ecc. E Desnoyers trova in esse le tracce delle armi di pietra degli antichi uomini. — D’altra parte, quelle sabbie contengono tali avanzi di mammiferi (E. meridionalis, B. leptorhinus, Hippop. ma- jor, ecc.), che si debbono credere contemporanee degli analoghi depositi fossiliferi di Val d’ Arno, del crag di Norwich e dell’Alvergna; e quindi più antiche delle alluvioni coll’E. primigenius , e col R. tichorhinus ( Institut, num. 1536 e 1537, giugno 1863; e Comp. rend. della stessa epoca). — Desnoyers le crede anche plioceniche, ma la Bibl. Univ. de Genève non crede di poter adottare tale opinione. Devo qui citare anche il dubbio emesso da Eugenio Robert che i solchi descritti da Desnoyers siano stati fatti da chi ha ripulito quelle ossa cogli istrumenti di ferro (In. stitut, num. 1539). Ho gia citato in altra Nota la opinione di Mortillet sulla esistenza dell’ uomo prima dell’ epoca glaciale nei dintorni di Parigi. 152 G. OMBONI, ghiaccio a guisa della Groenlandia attuale, e poi si rialzò lentamente, così ehe le sole valli rimasero cccupate da grandi ghiacciaj, e final- mente, sotto l'influenza di varj cambiamenti nella geografia fisica dell’ Atlantico e dell’ Europa, e continuando a sollevarsi continua- mente, si spogliò di quei grandi ghiacciaj e si ridusse al suo stato attuale. Ora, nella Svezia, presso Upsala, v' ha un deposito stratifi- cato con ostriche piccole, eguali a quelle viventi nel Ballico; è sol- levato a più di 30 metri sul livello del mare; e sovr' esso si trovano dei massi erratici. E danque l'epoca glaciale non era ancora finita nella Scandinavia quando cominciarono a vivere le ostriche nane nel Baltico ; e quindi esistevano ancora i grandi ghiacciaj nella Scandinavia quando vivevano nel Baltico le grosse conchiglie am- mucchiate dall’ uomo sulle coste della Danimarca. Per la Scozia si può giungere a risultati analoghi. In certe valli di questo paese si trovano delle terrazze parallele, che sono strati- ficate come i sedimenti litorali o di alluvione, parallele fra loro, quasi perfettamente orizzontali, e terminano bruscamente senza causa visibile. Furono proposte per esse diverse spiegazioni, e particolar- mente si supposero ora sedimenti deposti sulle rive di seni di mare occupanti le valli, quando la Scozia sporgeva meno che adesso dal mare, ed ora sedimenti formati sulle rive di laghi prodotti nelle valli per opera di ghiacciaj che trattenevano le acque a guisa di argini. La prima ipotesi, proposta da Darwin, e secondo la quale le diffe- renti terrazze sovrapposte erano le tracce di successive fermate nel lento sollevarsi dalla Scozia, fu dapprima ammessa anche da Lyell (Elements of geology, 1844). La seconda ipotesi, proposta da Agassiz, fu poi da Jamieson dimostrata essere la sola ammissibile , giacchè essa sola spiega il brusco cessare delle terrazze (là dove esistevano i ghiacciaj a guisa di argini, ora scomparsi), la mancanza di conchiglie fossili (non essendoci conchiglie viventi nei laghi presso i ghiacciaj attuali della Svizzera), la sovrapposizione delle terrazze (per effetto dell’abbassarsi delle acque col diminuire dell’ altezza dei ghiaccia], o coll’aprirsi di nuove vie di scolo verso delle valli late- rali), la forma regolare delle terrazze (perchè non corrose da onde simili a quelle del mare), ec. E Lyell conchiude coll’ ammettere in BIBLIOGRAFIA 155 quelle terrazze la prova de’ ghiacciaj così collocati da arrestare l’acqua nelle valli e dar origine a dei laghi, esistenti nella Scozia forse in un'epoca in cui l uomo viveva sul continente europeo col- l'elefante primigenio e con altri mammiferi di specie ora estinte. Passando dalla Scozia nell’Inghilterra, si trovano nel paese di Galles dei sedimenti con e senza conchiglie, ma certamente d’ ori- gine marina, collocati a varie altezze, cioè fino a 400 o 800 metri sul livello attuale del mare, i quali provrano in modo certo che il suolo dell’Inghilterra era una volta ad un livello molto più basso del- l’attuale, così che si trovava in gran parte sommerso, e poi ritornò lentamente ad emergere, portando fino a quelle altezze i depositi marini. E Ramsay trovò di poter distinguere tre epoche glaciali suc- cessive, nella prima delle quali 1’ fughilterra era press’ a poco come ora, ma con dei ghiaccia] enormi, nella seconda fu quasi totalmente sommersa, e nella terza si risollevò, e fu occupata da grandi ghiac- ciaj, che ne hanno spazzato via da quasi tutte le valli i sedimenti marini. Questa terza epoca deve corrispondere a quella in cui si for- marono le terrazze parallele di Glen Roy in Iscozia. Anche le montagne dell’Inghilterra presentano molte tracce del- l’esistenza d’antichi ghiacciaj e di ghiacci galleggianti. Altrettanto si deve dire dell'Irlanda, dove si trovano anche dei se- dimenti marini a varie altezze, come nel paese di Galles. Tutti questi fatti indussero Trimmer, Forbes e Lyell a cercare quale forma e quale estensione dovevano avere le Isole Britanniche nelle diverse epoche del periodo glaciale. Da queste ricerche ebbero origine diverse carte geografiche, che rappresentano dette isole nei loro diversi stadj, e che-sono riprodotte nel libro di Lyell. Nella prima epoca, quando vegetava la foresta di Cromer (ossia quando vivevano gli alberi di cui si vedono ancora gli avanzi in posto sotto al terreno glaciale nelle costiere del Norfolk), le altitudini delle diverse parti delle isole superavano almeno di 150 metri le attuali, e tutto l’attuale fondo del mare all’intorno delle isole, fino alle vicine coste del continente, era allora terra ferma, così che él continente europeo si estendeva fino a comprendere le Isole Britanniche ; e vi era fra questo continente e le coste della Scandinavia un profondo 15% G. OMBONI, canale, là dove attualmente il mare ha una profondità maggiore di 180 metri. — Venne poi un movimento di abbassamento , e co- minciò la seconda epoca. L’abbassamento fu di circa 360 metri; così che rimasero asciutte soltanto le parti superiori delle più alte mon- tagne delle Isole Britanniche {e specialmente del paese di Galles e della Scozia). Più tardi l'abbassamento continuò ancora, così che il suolo della Scozia venne a trovarsi a 600 metri, e l'Inghilterra a 590 metri sotto la sua posizione attuale ; e tutte le Isole Britanniche si trovarono ridotte ad un arcipelago di piccole isole , mentre la Scan- dinavia fu ridotta ad un continente lungo e stretto. In questa epoca la Scandinavia fu come è in oggi la Groenlandia; di ghiacci furono pure coperte le Isole Britanniche, i ghiacci galleggianti trasportarono i massi erratici dalla Scandinavia fin sulle Isole Britanniche, sulla Germania settentrionale, ec. Pare però che durante la massima som- mersione delle Isole Britanniche la parte meridionale dell’Inghilterra e le parti settentrionali della Francia si siano innalzate e siano emerse dal mare, giacchè nel Sussex si trovano molti massi erratici disposti come lungo una spiaggia di mare, e manca il til glaciale. — Con un movimento di sollevamento ebbe principio la terza epoca, nella quale le isole Britanniche e la Scandinavia vennero a poco a poco ad emergere dal mare, rimasero colle valli occupate da enormi ghiaccia) e simili a quelli attuali della Svizzera, e portarono a varie altezze i sedimenti marini dell’epoca precedente. L'altezza a cui giunse il suolo fu forse maggiore di quella raggiunta nella prima epoca, così che le Isole Britanniche ritornarono a far parte del con- tinente. Allora la flora e la fauna del continente poterono passare da questo nei paesi che ora formano le Isole Britanniche, e con esse l’uomo, mano mano che i ghiacciaj andarono diminuendo d° esten- sione, e il clima andò facendosi meno rigido. — Finalmente un nuovo movimento d’abbassamento ricondusse le Isole Britanniche al loro stato insulare, e cominciò 1’ epoca attuale. In questa avvennero var] cangiamenti di livello, così che si formarono dei sedimenti marini contenenti gli avanzi dell'industria umana, e poi furono portati al di sopra del livello del mare. E il fatto osservato da Forbes, che le specie di rettili del Belgio sono in numero doppio di quelle dell’ In- BIBLIOGRAFIA 155 ghilterra, queste sono più numerose di quelle della irlanda , e tutte quelle dell’Irlanda e dell’Inghilterra si ritrovano nel Belgio, fa cre- dere che la migrazione delle specie dei rettili dal Belgio verso 1’ Ir- landa abbia durato un certo tempo, che FIrlanda si sia sepa sta dal- l’Inghilterra prima che vi fossero passate tutte le specie dell’Inghil- terra, e che l’ Inghilterra si sia separata dal continente dopo il di- stacco dell’ Irlanda , in modo di poter ricevere dal continente un nu- mero maggiore di rettili che V'Erlanda. Lvell cerca di calcolare in qualche modo il numero degli anni passati dal principio della seconda epoca glaciale fino ad ora, e giunse a trovare 224,000 anni, supponendo una velocità di 75 cen- timetri per secolo tanto pel movimento d’ abbassamento quanto per quello di sollevamento. Ma si può credere che quel numero deve es- sere stato più grande, senza però che si abbiano dati abbastanza positivi per poterlo determinare. Lyell dice pure qualche cosa sulle cause probabili di quei movi- menti di sollevamento e d’abbassamento , e le trova nelle variazioni di volume delle rocce già solide che costituiscono la crosta terrestre, in conseguenza di variazioni nella loro temperatura, e nella contra- zione delle rocce ancora fluide, che si vanno solidificando sotto la crosta già solida. Da tutto quello che si è trattato fin quì si può dedurre che la comparsa dell’uomo data già da parecchie migliaja d’ anni, è anti- chissima relativamente alle epoche storiche, ma è recentissima rela- tivamente alla innumerecole serie di secoli che ci separa dal prin- cipio della formazione dei più antichi terreni fossiliferi. ll capitolo XV è destinato specialmente agli antichi ghiacciaj delle Alpi. L’autore rammenta la storia delle ipotesi proposte per ispiegare il trasporto dei massi erratici, Ja formazione del terreno erratico, ec. Rammenta dunque l’idea degli antichi ghiacciaj, emessa per la prima nel 1824 da Venetz, riproposta poi e rafforzata con molte e molte prove nel 1856 da Charpentier, nel 1840 e nel 1847 da Agassiz, ec. Parla dei massi erratici portati fino al Giura dal gran ghiacciajo del Rodano; dell'ipotesi dei ghiacci galleggianti ammessa nel 1841 dalla 156 G. OMBONI, . stesso autoree da Darwin, e nel 1849 da Murchison; delle nuove prove favorevoli ai ghiacciaj antichi messe in campo da Guyot nel 1845 e da Maclaren nel 1852, da Morlot, ee.; e finalmente dice come egli stesso è giunto a persuadersi nel 1857 della giustezza della teoria degli antichi ghiacciaj , delle loro morene, ec. (Charpentier, Essai sur les glaciers. — Agassiz, Etudes sur les glaciers, Neuchatel, 1840; Systéme glaciaire, Paris, 1847. — D’Archiac, Mistoire des progrés de la geolo- gie, F. II. — Lyell. Elements de géologie, Bull. de Soc. des sc. nat. de Neuchdatel , 1845. — Maclaren nel ZEdinburgh New Philos. Maga- zin, 1852. — Carta di Morlot nel geological quarterly Journal , vol. XVIII). Dopo aver parlato dei giacciaj antichi della Svizzera, Lyell passa a quelli del versante italiano delle Alpi, descritti da Gastaldi, Martins, Mortillet, ec. L’autore tratta poi la quistione della escavazione dei bacini lacustri alpini, ed espone alcune ragioni per le quali egli non può ammet- tere questa escavazione per opera dei ghiacciaj antichi. Egli spiega la formazione di detti bacini con dei movimenti e delle conseguenti rotture e dislocazioni avvenute nella catena delle Alpi prima e durante l’epoca glaciale, ed ajutati nei loro effetti dagli istessi ghiacciaj (1). Morlot ammette per le Alpi quattro epoche glaciali prima del- l’epoca attuale. Nella prima i ghiacciaj ebbero la loro massima esten- sione; nella seconda si ritirarono alquanto, in conseguenza d’un ge- nerale abbassamento di tutta la regione alpina, e si formò la così detta alluvione antica (0 diluvium antico o inferiore); nella terza i ghiacciaj si estesero di nuovo, ma senza raggiungere le dimensioni avute nella prima epoca; nella quarta i ghiacciaj diminuirono d’esten- sione e si ridussero nei loro limiti attuali, formandosi nuove allu- vioni, immediatamente anteriori a quelle dei fiumi e laghi attuali. Non si hanno dati sufficienti per paragonare queste diverse epoche a quelle già descritte per le regioni settentrionali dell'Europa. Ma da certe conchiglie dei sedimenti marini posteriori di Sicilia si può de- (4) Vedansi su questo argomento le mie Osservazioni pubblicate nel volume V di questi Affi (pag. 269). » BIBLIOGRAFIA 137 durre che anche in Sicilia vera un clima più freddo dell’attuale al- l'epoca della formazione di quei sedimenti. Hooker ha trovato nel 1860 delle antiche morene sul Libano, e ne ha dedotto l’esistenza d’antichi ghiacciaj anche in quei paesi ora così caldi. E ciò prova che él clima fu molto più freddo o meno caldo dell’attuale în tutti î paesi intorno al Mediterraneo durante un'epoca anteriore all’ attuale, e probabilmente anteriore alla comparsa del- l’uomo in quei paesi. Nel capitolo XVI l’autore tratta del less e degli avanzi umani che în esso si trovano. IT /oess è un fango analogo a quello ora deposto dal Nilo, e che fa parte del terreno quaternario della grande vallata del Reno, di quella della Mosa, di quella del Danubio ee., si estende, benchè con minore spessore, anche su gran parte della Francia settentrionale , sul Belgio , ec., fino ad una linea, la quale non indica che là abbia cessata la formazione dello stesso loss, ma indica fin dove si estese verso terra la corrosione del /cess fatta dal mare. Siffatto fango rasso- miglia pure assai a quello prodotto dai ghiacciaj, e che ora è por- tato dai fiumi fino al mare. E somiglia anche a quello deposto dal Gange su una gran parte delle pianure del Bengala all’ epoca delle inondazioni. L’autore inclina dunque a spiegarne l'origine col sup- porre che nell’ultima parte dell’epoca glaciale tutta la regione delle Alpi si sia lentamente abbassata; che, durante la conseguente diminu- zione dei ghiaccia], questo abbassamento del suolo sia stato maggiore nel centro della regione alpina che nei paesi circostanti; che per conseguenza i fiumi abbiano diminuito di velocità, e deposto sul continente il fango che prima trasportavano al mare ; e che poi, per diverse variazioni di livello, sia ora cresciuta ed ora diminuita la ve- locità dei fiumi, dando origine ora a corrosioni e scavamento di valli profonde nello stesso less, ed ora a nuove deposizioni di fango. A Lahr, piccola città sul Reno quasi di fronte a Strasburgo furono trovate nel less, già nell’anno 1823, parecchie ossa umane, che fu- rono viste da Cuvier e deposte al museo di Parigi, ma poi andarono perdute. E al museo di Leida si conserva una mascella umana, che fu trovata con una grande quantità di ossa di mammiferi durante 158 G. OMBONI, l’ escavazione d’un canale nel /oess fra Maestricht e Hocht, e preci- samente al villaggio di Smeermass. Per compiere l esposizione dei fatti relativi all’ epoca glaciale, l’autore descrive nel capitolo XVII le dislocazioni e contorsioni av- venute nell'isola di Moen in un’ epoca assai recente. Quell’ isola è a circa 80 chilometri al sud di Copenhagen, ed ha circa 96 chilometri di circonferenza. In quasi tutte le sue parli si vede il terreno post- terziario disposto regolarmente orizzontale, sugli strati pure orizzontali del terreno crelaceo; ma in cerle parti si vedono tutti questi strati, antichi e moderni, attraversali da spaccature e spostamenti, contorti e ripiegati alla guisa di molti strati del terreno carbonifero , così che non si può negare che si siano spaccali, smossi, contorti e ri- piegati dopo 1’ epoca glaciale. (Puggaard, Geologie der Insel Man, Berna, 1851. — Zulletin de la Soc. geol, de France, 1854). I movimenti che diedero origine a quelle dislocazioni e fratture si possono credere simili a quelli avvenuti più recentemente in una parte della Nuova Zelanda e nella Scandinavia. Nel capitolo XVIII l’autore descrive il periodo g/aciale dell’ America del nord, i cui effetti furono aflatto simili a quelli studiati in Eu- ropa. Specialmente nel Berkshire (Massachusset) si trovano dei massi erratici così disposti, che non si può spiegare il loro trasporto se non coi ghiacci galleggianti. L'autore spiega poi come una variazione nella direzione del Gulf-stream ed un abbassamento del deserto di Sahara, tale da trasformarlo in un mare, possono aver prodotto il clima freddo del- l'epoca glaciale, e come non si può decidere se i fenomeni glaciali siano avvenuti in America nello stesso tempo che in Europa, benchè sia assai probabile che non siano stati contemporanei. Il capitolo XIX riepiloga brevemente le prove geologiche dell'anti- chitàa dell’uomo già esposte nei capitoli precedenti, e i fatti relativi alle variazioni nelle faune, nelle flore e nella geografia fisica dopo la comparsa dell’uomo in Europa. La lunghissima durata di tempo che passò fra la formazione delle alluvioni della Somma fino a quella della sovrastante torba fa credere ad una lunga serie di secoli , nella quale l’uomo continuò a servirsi dei soli istrumenti di pietra, perfe- zionandone ben poco le forme e gli ornamenti: così come molti po- BIBLIOGRAFIA 159 poli selvaggi continuano ancora a servirsi attualmente di istrumenti analoghi a quelli dell’epoca della pietra. È quì l’autore fa osservare che gli studj archeologici fanno vedere con quanta lentezza si sia formata e sia cresciuta la civilizzazione dell'Egitto antico, Dal che si deduce che nulla ci impedisce di credere ad una serie assai lunga di secoli per il passaggio dal primo stato selvaggio dei primi uomini dell’epoca della pietra allo stato attuale della civiltà e coltura eu- ropea, essendo tale sviluppo dapprima lentissimo, poi meno lento, e poi sempre più rapido quanto più vicino ‘all’epoca nostra. Nei capitoli XX, XXI e XXII l'autore parla delle teorie del pro- gresso o successivo perfezionamento presentato dalle faune e flore successive, e della trasmutazione delle specie. Ammettendosi la grande antichità dell’uomo, non è così difficile spiegare l’ origine delle sue diverse razze da un sol tipo come col credere ad una antichità di poche migliaja d’anni, Lo studio sempre più completo e perfetto degli esseri viventi fa trovare sempre più difficile la distinzione fra le razze e le specie ; giacchè ogni giorno si trovano fatti comprovanti una certa variabilità dei tipi o delle specie secondo le circostanze esterne, e ogni giorno si trovano meno facili a ben definirsi le specie a cagione dei nume- rosi passaggi che si vanno scoprendo fra le specie già definite. La maggior parte dei fatti paleontologici ora noti lascia credere ad un perfezionamento sempre maggiore nelle faune e nelle flore delle suecessive epoche. La teoria di Darwin della origine delle specie, secondo la quale si conservano le specie che meglio sono conformate per resistere al- l’azione distruttiva delle circostanze esterne, e le altre, che resistono meno, 0 si estinguono o si modificano a norma delle circostanze , dando origine a nuove specie, sembra a Lyell intieramente am- missibile. Sono argomenti favorevoli alla teoria di Darwin le mo- dificazioni che hanno luogo negli animali domestici, e la facilità con cui la teoria di Darwin spiega le somiglianze fra gli animali, la esistenza degli stessi organi ( benchè allo stato rudimentale ) nelle diverse specie d’uno stesso gruppo, e i rapporti intimi fra gli esseri ora viventi e quelli di specie estinte; mentre non hanno molto va- 110 G. OMBONI, lore le ragioni contrarie, dedotte dalla stabilità delle specie che hanno vissuto dai tempi più antichi fino ad ora sempre cogli stessi caratteri, ma sempre negli stessi paesi e nelle stesse circostanze. (Darwin, Origine delle specie , ec.) Il dottor Hooker ba dedotto dallo studio della flora dell’ Australia molti fatti favorevoli alla teoria della tendenza alla variazione , che esiste sempre negli esseri viventi (Hooker, /ntroductory Essay to the flora of Australia, London, 1859). lo un recente lavoro sui brachiopodi fossili, Davidson ha trovato essere semplici varsetà di un piccolo numero di specie molte forme, che prima erano ritenute vere specie distinte ( Paleontographical So- ciety, ec. 1859). — Nelle numerose forme del genere fubus un autore vede molte specie, mentre un altro ne vede assai poche, ma con molte varietà. — Gli studj fatti da Heer su molti insetti e molte piante mio- ceniche di Svizzera provano che quelle specie sono identiche a quelle tuttora viventi negli stessi paesi o in paesi poco distanti (Heer, £ora tertiaria Helveti@). — L’elephas primigenius e il mastodon Borsoni (pliocenico) sono due tipi estremi, fra i quali stanno, come passaggi 0 anelli di transizione e di congiunzione, molte specie fossili e viventi. Falconer ne ha trovate almeno 26, mioceniche, plioceniche , post- terziarie e attuali. Lo stegodo»n è il genere intermedio fra gli elefanti e i mastodonti. Dell’ elephas primigenius Falconer ha fatto quattro specie distinte, che si somigliano assai fra loro, ma ciascuna delle quali ha le sue varietà locali. Lo studio dei rinoceronti ha dato risul- tati analoghi. I paleontologi sono bene spesso incerti sull’ identificare i mammiferi fossili colle specie attuali; tanta è la loro rassomiglianza, consistendo le differenze quasi soltanto nella grandezza. — Altrettanto può dirsi per altri animali d’altre categorie. — Gli studj di Hooker e di altri provano che sono più variabili le piante più complesse, e gli animali delle classi superiori, così che è più lunga la durata delle specie dei raggiati e dei molluschi, che quella delle specie dei mammiferi. — D'altra parte la conservazione dei tipi di mammiferi nelle isole da molto tempo separate dai continenti, prova che le variazioni delle specie sono assai lente. --- La scoperta recente del- l’archeopterus macrurus, uccello con penne ancora ben riconoscibili, BIBLIOGRAFIA 441 trovato nel calcare litografico di Solenhofen , fa credere che noi siamo ancora ben addietro nella conoscenza delle specie fossili, e che in avvenire si avranno a trovare ben più numerosi fatti favore- voli alla teoria di Darwin. Nel capitolo XXIII l’autore espone brevemente dei fatti relativi alle orzgini e allo sviluppo delle lingue, che si possono paragonare a quelli relativi alle origini delle specie. Studiando l'italiano, lo spagnuolo, il portoghese, il francese, ec., si trova che hanno fra loro una certa parentela, e che devono es- sere venute da una sola lingua più antica; questa lingua originaria sappiamo che è il latino, e dai documenti scritti possiamo conoscere le trasformazioni a cui andò soggetta per dare origine a quelle lin- gue moderne in meno di 1000 anni. Confrontando poi il latino col greco, col sanscritto, ec., si trova fra queste lingue antiche una certa parentela, così che si deve credere alla loro origine da una sola lingua ancora più antica, ma ignota. — E analogamente si possono ritenere derivate da un solo tipo le specie ora viventi e componenti un genere, mentre poi molti generi fra loro affini possono aver avuto origine da un tipo unico ancora più antico, e così via. Alcuni linguisti ammettono come lingue distinte la Danese, la Svedese e la Norvegia, mentre altri le tengono per dialetti. d’ una sola lingua Scandinava. Altrettanto succede per molte altre lingue e per molti dialetti, così che non si possono ben definire nè i dia- letti nè le lingue. — È analogamente si trova una immensa difficoltà nel definire le varietà , le razze e le specie. Tutte le lingue moderne non hanno più di mille anni d’esistenza, si sono formate a poco a poco, e lentamente hanno subito molte modificazioni, così che, per esempio, il tedesco moderno è ben diverso dall’ antico. —- È d’altra parte noi abbiamo negli animali domestici le prove che le specie ora viventi, che sono quali più e quali meno antiche, possono variare quando variano le circostanze in cui sono costrette a vivere. Ma la lentezza con cui si modificano le specie, è ben più grande di quella con cui si modificano le lingue, Si conoscono ora molte e molte lingue, e spesso rimangono ignote le lingue intermedie, che possono far comprendere i loro rapporti RD G. OMBONI, reciproci, e quelli colle lingue più antiche; così come non si cono- scono che assai poche specie intermedie o di passaggio fra le specie ora viventi, e fra queste e le estinte. Ma tuttavia non possiamo porre in dubbio la derivazione di tatte le lingue attuali da un certo. nu- mero di lingue antiche, così come è ragionevole ammettere l’origine delle specie attuali da quelle che hanno preesistito nelle varie epo- che geologiche. i Una colonia norvegia, che si è stabilita in Irlanda nel nono se- colo , conservò il vecchio linguaggio della madre patria , ma modifi- candolo alquanto, nello stesso tempo che nella Norvegia succedeva nel linguaggio antico una modificazione, più rapida e differente, così che ora in Irlanda si trova ancora il linguaggio antico un po’ variato, mentre in Norvegia v ha una lingua affatto differente dall’ antica. Qualche cosa di analogo è avvenuto per una colonia tedesca stabi- lita nella Pensilvania, benchè in un tempo meno lungo, così che la colonia parla ancora il tedesco che in Germania si parlava nel secolo XVII. — E qualche cosa di analogo deve pure esser avvenuto delle specie passate nelle isole, ed ivi rimaste dopo la loro separazione dai continenti; esse devono cioè aver conservato più a lungo i loro caratteri, mentre quelle rimaste sul continente devono averli alquanto mutati. Le cause che tendono ora a modificare di continuo le lingue e i dialetti sono le parole formate di nuovo per indicare cose nuove , le parole passate dai dialetti nelle lingue o da queste in quelli, le parole più particolarmente adoperate dagli autori divenuti popolari , la moda che adotta certe parole e ne rifiuta alire , le invasioni, le conquiste e le comunicazioni commerciali fra popoli che parlano lin- gue o dialetti differenti, ec. — Quelle che possono far mutare le spe- cie sono le variazioni nel modo di vivere, nel clima, nelle specie di nuovo venute da altri paesi, nelle specie che cessano d’esistere 0 vanno altrove, nell’ influenza dell’uomo, ec. La trasmissione della lingua da una generazione all’altra, le scuole e lo studio degli autori sono le principali cause che si oppongono alla troppa rapida variazione delle lingue, e tendono quindi alla loro conservazione; così come la estrema lentezza delle variazioni nei BIBLIOGRAFIA 145 climi e nelle altre circostanze della vita sono le cause che si oppon- gono alla rapida variazione delle specie. Durante la continua variazione delle lingue, e la continua deriva- zione di nuove lingue dalle preesistenti, è chiaro che molte e molte lingue cessarono d’ essere in uso, e sono ora le così delte lingue morte. Altre lingue cessarono d'essere usate, e talune si perdettero affalto, e noi sappiamo solo che esistettero, ma non come erano ; e la loro scomparsa è d’ ordinario dovuta alla distruzione repentina dei popoli che le parlavano, per opera di altri popoli, più forti e più atti a guerreggiare e conquistare. — À queste lingue estinte si pos- sono paragonare non solo le specie che si trovano fossili nei terreni più o meno antichi, e che ora non vivono più, ma anche quelle poche specie (didus, ec.), che si estlinsero durante l'epoca nostra, la- sciando le tracce della loro esistenza fino a tempi più o meno lon- tani da noi. Finalmente, quando si tenta di cercare le origini delle lingue più antiche, si finisce col perdersi nelle incertezze, e poi anche nell’ as- soluto mistero; così come riescono inutili le ricerche dirette a tro- vare l'origine delle specie nelle epoche geologiche. L’ultitso capitolo dell’opera, è dedicato alla ricerca del posto del- l’uomo nel creato e della origine dell’uomo secondo la teoria di Darwin. | Nell’Zistoire naturelle générale des Règnes organiques (Paris, 1836, vol. II.) di Isidoro Geoffroy-Saint-Hilaire si trova un riassunto dei prin- cipali sistemi di classificazione proposti per detti Regni. — Linneo ha collocato l’uomo colle scimmie nell’ ordine dei primati; Blumen- bach ne lo separò facendone l'ordine dei dimani, che fu adottato da Cuvier e da altri, chiamando quadrumani le scimmie e le specie af- fini. Ma Isidoro Geoffroy-Saint-Hilaire e più tardi Huxley (1860-61) hanno dimostrato come sia erroneo il nome di quadrumani (non es- sendo mani ma veri piedi i piedi delle scimmie), come il cervello - dell’uomo non differisca da quello delle scimmie che nel volume relativo, e come abbia avuto torto Owen di trovare delle importanti differenze fra il cervello umano e quello delle scimmie, studiando un cervello di scimmia sformato da compressioni e dalla conservazione nell’alcool. Altri 444 G. OMBONI, autori si sono poi occupali della stessa quistione, studiando i cervelli di molti quadrumani insieme con quello dell’uomo; e sono giunti allo stesso risultato della nessuna differenza organica fra il cervello delle scimmie antropomorfe e quello dell’uomo. Finalmente Quatrefages nel suo libro sull’ unitd della specie umana dimostra come l’ essere bipede e la stazione verticale non sono caratteri che valgano a se- parar molto l’uomo dagli altri mammiferi; come in quanto alla intel- ligenza, alla voce e ai sentimenti del cuore l’uomo non differisca dai mammiferi superiori se non per un maggiore sviluppo e perfeziona- mento; e come la vera differenza fra l’uomo e gli altri mammiferi stia nei sentimenti naturali e religiosi. À questi sentimenti, che fanno differire l’uomo dagli altri animali, si aggiunga la perfettibilità , e si vedrà che l’uomo differisce tanto, moralmente se non fisicamente, dagli altri animali, che se ne può ben fare un regno a parte, il re- gno umano. Se è vera la teoria di Darwin per l’ origine delle specie, 1’ uomo non può esser derivato che da qualche specie di scimmia antropo- morfa. Ed a questo proposito si può bensì osservare che le scimmie non si trovano fossili che nei terreni terziarj; e non si è ancora tro- vato alcun animale fossile, che possa prendersi per il passaggio dalle scimmie antropomorfe all’ uomo. Deve però anche osservarsi che la patria dell’uomo sembra essere stata l'Asia, e che, se quell’animale intermedio sarà trovato, lo sarà nell’Asia o nell’ arcipelago Indiano , luoghi finora vergini o quasi vergini d’ogni ricerca paleontologica. Finalmente l’autore fa osservare che la ipotesi della trasmutazione delle specie applicata all'uomo, non è punto contraria alla teologia nalurale, perchè, ammettendola, non si negano punto Ja potenza e la sapienza del Creatore, ma si può ammettere che il Creatore, invece di creare successivamente tutte le specie già estinte e per ultimo quelle ora viventi, abbia creato in una sola volta le specie più antiche, fa- cendole in guisa che abbiano poi potuto trasformarsi a poco a poco durante le epoche geologiche, dando origine a specie sempre più perfette e per l’organizzazione e per le facoltà dell’anima, fino all’ul- tima, che è l’uomo, e che è la più perfetta di tutti. BIBLIOGRAFIA 445 Gasratpi. Cenni su alcune armi di pietra e di bronzo, ec. (Atti Soc. ital. di sc. nat. in Milano, febbrajo, 1861). ; CapeLuini. Ze scheggie di diaspro dei monti della Spezia e l’ epoca della pietra. Bologna, 4862. Srroser. Marniere. Nell’ appendice della Gazzeita di Parma, lu- glio, 1861. Pigorini e Strope. Ze terremare dell’Emilia. Prima relazione (Gaz- zetta di Parma, 1862, numeri 82, 853, 88, 89). GASTALDI. Mio cenni sugli oggetti di a antichità trovati nelle torbiere e nelle marniere dell’Italia. Con 6 tavole. Torino, 1862. SrroseL. Palafitta di Castione (Gazzetta di Parma, 1862, nu- meri 2534 e 255). Pigorini. Terramara di Casaroldo in Samboseto (Gazzetta di Parma, 1862, numero 277). StrogeL. Éicerche paleo-etnologiche nelle terremare e nelle palafitte del Parmigiano (Gazzetta di Parma, 1863, numero 482). Pigorini. Scavi di Traversetolo (Gazz. di Parma, 1863, nn. 246 e 247). Pigorini und SrroseL. Die Terramara-Lager der Emilia (Mit. der antiquar. Gesellschaft in Zùrich , 1863). Con tavole. | SrroseL. Avanzi preromani raccolti nelle terremare e palafitte del- Emilia, illustrati popolarmente. Parma, 1863. Con tavole. Queste sono le pubblicazioni che finora giunsero a me o alla So- cietà, relative alla antichità dell’uomo ed agli avanzi dell’ industria umana antichissima in Italia. | Nel 18553 il sig. Capellini trovò sulla Castellana (Spezia) una scheggia di diaspro rosso, foggiata in punta di freccia, e la donò poi al marchese Giacomo Doria, che la diede al prof. Gennari. Cra il sig. Capellini ha potuto riaverla, e 1’ ha rappresentata in una tavola unita all’opuscolo; ha fatto delle ricerche nella grotta ossifera di Cas- sano, in quella di Spadoni a Fabbiano, in quella dei Colombi all'isola Palmaria, ma senza trovare altre schegge consimili. L'autore parla poi di altri luoghi d’Italia, in cui furono trovati degli avanzi del- l’antica industria umana, cioè di Goccianello nell’ Imolese, delle grotte della Sicilia, di una fenditura nel Monte Tignoso presso Livorno (Strozzi), del Capo Argentale (Grabau), dell’ Anconitano (De Bosis). Nos. VI. 10 146 G. OMBONI, Delle stesse località, e degli oggetti che vi furono trovati, parla pure, ma con maggiori particolari, il sig. Gastaldi (Nuovi cenni ec.). Egli cita: una trentina di punte di freccia, due ascie, alcuni globetti di argilla forati, delle piccole macine di talcoscisto, un mazzuolo di diorite, e quattro accette dell’ Imolese (Scarabelli); — frecce, ascie, coltelli, ec. di rocce vulcaniche , delle caverne di Sicilia ( barone Anca); — frecce, accette, dischi appiattiti e taglienti, ossa e denti di mammiferi, conchiglie, crostacei e carboni nelle caverne di Men- tone (Forel); — la punta di freccia e altre schegge di diaspro tro- vate dal Capellini alla Spezia; — ossa umane e punte di freccia nella grotta dei Santi presso a Monte Argentario (marchese Strozzi); — molte porzioni di cranio umano, denti umani logorati orizzontalmente, punte di freccia, punte di lancia, un’ accetta di diorite, in una grotta di Monte Tignoso (marchese Strozzi); — vasi di terra e coltello di selce fra la porta Torre Lunga di Brescia e Santa Eufemia (Filippini); — varie armi di selce alle Fornaci a sud-ovest di Brescia (Ragazzoni); — punte di' freccia di selce delle Marche; —- quaranta scheletri umani con armi di bronzo e di pietra a Cumarola presso Modena; — tre teschi umani, uno presso Reggio, l’altro di Cumarola, e il terzo di un pozzo in Modena, colla sutura fronto-frontale ; — fusajuole, terraglie, ascie, ec., nei depositi conchigliferi e in altri sedimenti dei dintorni di Cagliari in Sardegna (La Marmora); — una accetta di Saussurrite in un bur- rone dell’Apennino ligure; — un’ascia e delle punte di freccia nella torbiera di Bosisio (Villa ed altri); — e diversi oggetti di bronzo nelle torbiere di Brenna (presso Varese) e in alcune del Veneto; — alcuni vasi presso Sesto Calende; — un vaso con ornamenti trovati nel territorio di Brà; — finalmente gli avanzi umani delle mariere del- l'Emilia, e quelli delle torbiere presso Arona e presso Ivrea. Il signor prof. Ponzi di Roma ha citato delle ossa di mammiferi e denti umani della seconda epoca pliostocenica , trovati nel travertino di Tivoli e Monticelli, promettendo di darne in appresso maggiori particolari (Bull. Soc. géol. France, 2 avril 1860). Delle mariere, marniere o terremare dell'Emilia e dei loro oggetti umani antichi si sono occupati particolarmente Gastaldi, Strobel e Pigorini nei Muovi cenni e negli opuscoli sopra citati. BIBLIOGRAFIA 147 La terra delle marniere o mariere consta di sabbia e argilla, con carbonato di calce, fosfato di calce, ec. È adoperata a concimare i prati irrigui, ma non a marnare i terreni. Gli oggetti umani trovati in essa furono spesso spostati e rimaneggiati dalle acque. Le mar- niere sono per lo più in prossimità di torrenti, e dovettero essere spesso soggette ad inondazioni. Finalmente, alcune di esse sono stra- tificate. Fu supposto che le mariere fossero: 1.° avanzi di sepolereti ro- mani, perchè contengono avanzi di embrici sepolcrali, lacrimatoj, lucerne, monete, ec.; 2.° resti di cimiteri e di roghi dell’epoca del bronzo, perchè contengono ceneri, carboni, ossa umane, armi e strumenti di pietra, vasi rozzamente lavorati, ed altri oggetti del- l'epoca del bronzo; 3.° avanzi di conviti, convegni 0 stazioni, per- chè danno ossa di bue, cervo, castoro , ee., infrante in modo d'’ es- trarne la midolla, con tracce di colpi d’accetta, e rose da carnivori, e pezzi di corno di cervo con traccie del lavoro dell’uomo. Dagli studj e dalle ricerche di Strobel, Pigorini, Gastaldi, ec., ri- sulta., oltre alle cose già dette or ora, che nelle mariere vi sono pure delle palafitte (Conventino di Castione), dei vasi di terra poco in- durita, non fatti al torno, senza vernice, ed altri meglio cotti, e fatti al torno, degli aghi fatti con corno cervino , dei cavicchj pure di corno, dei pettini, delle ruotelle , delle macine , delle pietre sferoi- dali (fionde o pesi), delle fusajuole (dischi e sferoidi con un foro centrale), delle ossa del cane delle torbiere, del porco delle torbiere, di due razze di cavallo , di capra, di bue, di pecora, di cervo, di capriolo, di orso, e di pollo, delle conchiglie simili alle viventi at- tualmeute nello stesso paese, dei semi di frumento, veccie, fave, pere, nocciuole , ec. E risulta pure: 4.° che la maggior parte delle marniere devono essere avanzi di stazioni, nelle quali gli antichi ‘ uomini abitavano, facevano cuocere gli alimenti, mangiavano , bru- ciavano i loro defunti, ec.; 2.° che gli abitanti delle palafitte del- V Elvezia e quelli delle nostre erano d’ una sola stirpe; 3.° che, sic- come le macine di scisto sono di rocce provenienti dalle Alpi occi- dentali, del nord-ovest, così si può credere che il popolo delle ma- riere sia venulo dai paesi alpini del nord-ovest; 4.° che le armi di 148 G, OMBONI, pietra sono in poco numero nelle marniere, e sono accompagnate da armi e oggetti di bronzo, e quindi l’uomo viveva nei paesi alpini al- l’epoca della pietra, e di la venne nell'Emilia all’epoca del bronzo, evi tenne prolungata stanza, perfezionandosi, a contatto dell’elemento etrusco , ligure e romano , nelle industrie e nell’agricoltura , fino a che vennero î Romani a distruggere quei popoli antichi od a far loro ° che, se è vero che nell’ Imolese mutare costumi, abitazioni ec.; 3. non si trovano oggetti di bronzo, è a credersi che là si fosse stabilita una delle più antiche colonie provenienti dai paesi alpini; 6.° che la regione delle terremare è la stessa che secondo gli storici fu oc- cupata un dì dai Galli Boj, popoli cacciatori e pastori, viventi sopra palafitte, quando il paese era tutto a boscaglie e paludi; 7.° che pro- babilmente / uomo cominciò coll’ abiture le caverne , passò poi alle palafitte lacustri, e poi alle stazioni delle marniere. Dopo la pubblicazione dei Nuovi cenni del Gastaldi (dai quali ho estratto i risultati or ora accennati) furono pubblicate diverse notizie . da Strobel e Pigorini intorno alle nuove ricerche e scoperte che si fecero da essi in diverse marniere. Nella marniera di Castione ( Borgo San Donnino ) furono studiati più minutamente i pali verticali, le travi trasversali, le assi disposte sulle travi, e lo strato di terra sabbiosa, che copriva le assi a guisa di pavimento. Si trovò che una parte della palafitta fu distrutta dal fuoco; che i pali erano infissi nel suolo mediante colpi, di cui si ve- dono ancora le tracce ; che le assi non si facevano che spaccando i tronchi con cunei, ed accomodandole coll’accetta e collo scalpello; e che i fori nelle assi si facevano quadrati, senza usare il tri- vello. Si raccolsero tre pale che sembrano remi, una spatola, dei manichi di lesina, degli anelli di legno per portare i vasi di terra, dei canestri, delle ossa appuntate e lavorate in varie guisa , delle conchiglie fossili subapennine, che avevano servito da ornamento, appese ad un cordoncino, dei vasi col cordoncino per portarli, degli omeri di porco perforati alla fossa olceranica, due cranj di pecora , varj vegetali, ed una specie di granajo (distrutto in parte dal fuoco, con un pavimento, uno strato alto un decimetro di frumento e di fave, e dei pali riuniti in modo di formare una specie di 8 per poter BIBLIOGRAFIA 449 meglio sostenere il peso del pavimento e del grano), una scodella di legno, un bottone di bronzo, delle spille di bronzo, varie armi dello stesso metallo, ec. A Scipione di Salso, quasi presso al vertice d’un colle, si trova- rono carboni, avanzi di capanne, pezzi di macine, cocci ed ossa, ed altri oggetti, i quali fanno credere che i popoli antichi abbiano abi- tato là, e non sulla sommità del colle, a motivo dei venti troppo forti che spesso regnano sulla stessa sommità. Dalla terramara di Casaroldo in Samboseto si ebbero: un frangitojo di arenaria, una tazza di terra cotta, delle fusajuole, dei pezzi di in- tonaco e di pavimento di capanne, semi di frumento, frutti di pru- gno, ossa di vertebrati, varie conchiglie, che servivano d’ornamento, uno scheletro di tasso, una lancia di bronzo, un pugnale, un fram- mento. d’un vaso di terra cotta col fondo a fori, così che sembra aver servito a vagliare, ed altri oggetti di minore importanza. Nei dintorni di Traversetolo, e particolarmente a Scevola ed a Monticelli di Guardasone, si trovarono avanzi dei popoli antichissimi, dei Celti e dei Romani. Consistono in armi di pietra, frammenti di stoviglie, fusajuole, pesi da telajo, pezzi di pavimento, pezzi di into- naco di capanne ( curvi e colle impronte dei graticci di cui erano fatte le pareti delle capanne), una forma di ollare per fondere pet- tini di bronzo, una punta di giavellotto di bronzo, ossa di diversi ani- mali domestici, ec. Questi sono i luoghi più al sud a cui giunse la grande immigrazione calata dalle Alpi nei tempi più antichi. — Anche gli avanzi dell’epoca romana sono interessantissimi, e particolarmente un vaso di pietra ollare ed un piede romano (misura), diviso in due parti unite a cerniera, e con una laminetta e due chiodetti per im- pedire il moto dei due pezzi della misura quando questa è aperta. Dalle torbiere di Borgo Ticino e Mercurago presso Arona (lago Maggiore) il prof. Moro e il signor Gastaldi hanno raccolto delle punte di freccia di selce, delle punte di giavellotto di bronzo, delle terraglie imperfette, un’ancora di legno, un canotto formato con un tronco d’albero scavato, uno spillone di bronzo, delle fusajuole, delle nocciuole, delle corniole , dello strame di felci pigiate , dei coltelli di pietra, due ruote di legno con dei granellini di sabbia ancora in- 150 G. OMBONI, cassati nella superficie del legno, delle palafitte, dei carboni, delle ceneri, ec. E in quelle di San Martino e Torre Burro presso Îvrea il signor Gastaldi trovò dei vasi di terra, una fusajuola, una piccola macina , ec. Se ne conchiude che, essendo le torbiere sopra le mo-. rene, le-traccie lasciate dall’uomo durante l'epoca del bronzo nelle torbiere sono posteriori all’epoca glaciale. Ciò che non impedisce che la prima comparsa possa datare dell’epoca immediatamente an- teriore a quella che dicesi glaciale. I più importanti fra gli oggetti descritti e citati sono rappresentati nelle tavole che accompagnano i Muovi cenni del Gastaldi , e i la- vori di Strobel intitolati Die Terramara- Lager e Avanzi preromani. Si aggiungano ora gli oggetti trovati nel lago di Varese e nel lago di Monate, ecc., di cui ha reso conto Stoppani nelle sedute 27 di- cembre 1863 e 28 febbrajo 1864 (Atti, vol. V. pag. 4253 ), e poi altri trovati a Peschiera, e di cui parla Keller in un suo quinto rap- porto sulle abitazioni lacustri, e si vedrà che l’Italia superiore € centrale non si può più dire povera di acanzi dell’ antichissima in- dustria umana (A). Broca. Zistuire des travaux de la Société d’ anthropologie. — Il signor Broca, segretario generale della Società di antropologia di Parigi (1) Nel lago di Varese furono scoperte, secondo il rapporto dello Stoppani, sei stazioni. — La prima di esse è all’ Isolino, con circa 100 metri di lunghezza e 40 di larghezza rettangolare. Il fondo all’intorno è fangoso, ma di sassi nel perimetro della stazione, e da questi sassi sporgono i pali disposti in circoli o in altre linee regolari. Il fondo è coperto d’un fango viscido, con carboni, schegge di selce, ossa lavorate, formanti uno straterello di 20 centimetri. Vi si trovarono anche un amo di bronzo ed una punta di lancia di selce e pochi avanzi di piatti. — La seconda stazione è a Cazzago, ove fu- rono trovate poche cose interessanti. —- La terza è a Bodio. Diede circa 200 punte di freccie, piccole seghe, coltellini ed altri oggetti analoghi di selce, tre azze di serpen- tina, un amo di bronzo, differente da quella dell’ Isolino, molte ossa, denti di porco, di bue, di cervo, di capra, di cignale, di castoro, due punte di lancia di bronzo, uno spillone di bronzo, molti frammenti di vasi di terra, e molte monete romane, dell’ul- timo mezzo secolo della Repubblica, nuove per la Lombardia, e raccolte tatte in un solo punto della stazione. — La quarta è a sud-est della precedente, e presso Bodio, — La quinta è a :nord-ovest della terza, pure presso Bodio, e vi fu raccolto un’enorme quantità di frammenti di vasi di terra, alcuni con ornamenti. — La sesta presso Bar- dello. — Ogni stazione sembra avere un carattere speciale. All’ Isolino si trovarono BIBLIOGRAFIA ADI ha letto nella seduta generale di questa Società del giorno 4 giugno 1863 una relazione o storia dei lavori della stessa Società; relazione interessantissima , benchè assai succinta, per cui fecero a gara a pub- pubblicarla parecchj giornali, fra i quali gli Archives generales de medecine (juillet 1863), la Presse scientifique, e più recentemente, fra noi, il Politecnico. ll signor Broca comincia col tessere brevemente la storia della etnologia e dell’ antropologia; dice poi come nacquero a Parigi, al principio di questo secolo, la Società degli osservatori dell’uomo e la Società etnologica, poi le Società etnologiche di Londra e di Nuova- York, e più recentemente la Società antropologica di Parigi, quella di Londra, e in Germania il Congresso antropologico. Fra le importanti pubblicazioni e discussioni della Società antro- pologica di Parigi citerò soltanto le principali. Di Isidoro Geoffroy-Saint-Hilaire c'è una Memoria sulla classifi- cazione antropologica e sui principali tipi del genere umano. L’ au- tore ammette dei tipi, intorno ai quali si raggruppano tutte le razze umane. Sono il tipo caucasico, il mongollo, l’etiopico, e l’ottentotto , nel primo dei quali predomina la regione del cervello, nel secondo la parte superiore della faccia, nel terzo la parte inferiore della faccia. Egli distingue nei popoli abitanti attorno al polo artico due razze principali, l’iperbdorea e la paraborea , attese le grandi diffe- coltellini e seghe di selce, ma non frecce; a Bodio abbondantissime frecce, nella quinta abbondantissimi vasi. Pare dunque che in una palafitta vi fosse una fabbrica di punte di freccia, in un’altra una di vasi. — Tutti questi oggetti sono ora al Museo Civico di Storia Naturale in Milano. Più recentemente nuove ricerche hanno fatto scoprire nuove palafitte con oggetti diversi nel laghetto di Monate, che è presso quello di Varese. Altri oggetti della più alta antichità erano stati raccolti già prima presso Guidizzolo (sul Bresciano), e a Laveno sul lago Maggiore, ma da poco tempo fu fatta nota al pubblico la loro esistenza. Il signor Silber, ufficiale del genio austriaco, ha scoperto, facendo dragare l’entrata del porto di Peschiera, gli avanzi di palafitte, e vi ha raccolto molti oggetti di bronzo, ° che sono rappresentati nel già citato quinto rapporto di Keller sulle abitazioni lacustri. Tra essi se ne trovano alcuni di rame. Altri molti dello stesso metallo furono trovati in Ungheria e Transilvania. E ciò prova che anche il rame ha servito, forse fra l'epoca dlella pietra e quella del bronzo, a fare le armi e gli altri oggetti dell’industria umana antichissima. (ia 152 G. OMBONI, renze che v’ hanno fra quei popoli, e particolarmente fra i Lapponi e gli Esquimesi. La Società ha cominciato la pubblicazione di Zstruzioni per i viaggiatori e in generale per chiunque vuol raccogliere fatti per la più perfetta conoscenza delle razze umane, conan con quelle stesse che vissero e vivono tuttora in Europa. Due lavori furono pubblicati sulle razze degli antichi Egizj, che si possono aggruppare intorno a due tipi, uno dei quali fu il fonda- tore dell’ antica civiltà egizia. Ma nel lavoro di Bruner-bey si am- mette che i popoli di questo tipo civilizzatore sia venuto in Egitto dalla Barberia e si sia sviluppato nella valle del Nilo; mentre nel la- voro di Perier si ammette che quel tipo civilizzatore sia venuto dal- l'Oriente, dall’ Asia , dall’ India. A proposito delle deformazioni artificiali del cranio, Gratiolet di- mostrò che in generale i popoli tendono a esagerare con esse i ca- ratteri naturali più saglienti e distintivi del loro cranio. E Gosse ha trovato dei fatti, i quali fanno credere che antichi popoli col capo artificialmente cuneiforme siano passati dalla Florida al Messico., a Cuba ed al Perù. Berchon ha pubblicato uno studio sul tatuaggio alle isole Marchise. Furono studiate le migrazioni e le combinazioni delle razze della Polinesia da Bourgarel e da altri. Cordier ha trattato dei rapporti anatomici e artistici fra le teste turche, le greche e le arabe. Le ricerche e gli studj fatti da parecchj socj hanno provato che, mentre i Celti, Cimri, Germani e Romani, che sono successivamente entrati in Francia, erano dolicocefali, certi popoli primitivi della Francia erano brachicefali, come i popoli più antichi d’altri paesi; e che gli ultimi discendenti di quelle razze antichissime si trovano ora in certi Reti romanci viventi presso Coira. D'altra parte, anche i Baschi sono avanzi di popoli antichissimi della Francia, eppure sono del tipo dolicocefalo. Ciò fa credere che i popoli più antichi dell'Europa fos- sero in generale brachicefali, ma fra essi vivessero dei popoli dolico- cefali, come dovevano pur essere quelli a cui spettavano i cranj tro- vati in alcune caverne ossifere insieme con ossa di mammiferi fossili. Si discusse pure sulle lingue , sulle loro figliazioni e trasforma- zioni, ec., ma senza alcuna conclusione ben definita e ben certa. BIBLIOGRAFIA 1553 Si fecero lavori e discussioni sulle differenze fra l’uomo e le scim- mie, che si credono ben piccole da taluno, grandi invece da Gra- tiolet, il quale trovò che nell’uomo si sviluppano per le prime certe circonvoluzioni cerebrali, che sono le ultime a svilupparsi nelle scim- mie, e viceversa. Un lavoro di Bondin sul non-cosmopolitismo delle razze umane (nel quale si ammette che ogni razza è fatta per una data regione, e non può prosperar bene nelle altre, così che la razza europea, per esempio, non può continuare a vivere in India e altrove se non col continuo arrivarvi di individui provenienti dall’ Europa) diede origine ad im- portanti discussioni, a cui presero parte Brown-Sequart, Baillanger, Verneuil, Bertillon, Martin de Moussy, Simonot, ec. E in proposito si citarono malattie proprie a certe razze, e che non affliggono mai le altre razze, benchè viventi negli stessi climi delle prime, gettando così i fondamenti d’una patologia comparata delle razze umane. Boudin e Perier sollevarono la quistione delle conseguenze dell’in- crociamento delle razze e dei matrimonj fra consanguinei; si discusse, si citarono fatti pro e contro i danni di quei matrimonj, e sui di- versi effetti degli incrociamenti, ma non si giunse ad alcuna conclu- sione che fosse accettata da tutti. Quatrefages, de Mussy ed altri parlarono della variabilità delle razze umane col variare dei climi e d’ altre circostanze, del deperi- mento di certe razze selvagge e delle sue cause, della perfettibilità delle razze umane, dei modi d’ottenerla, delle razze che vi sono refrattarie, e finalmente della unita della specie umana, ma senza poter trovare per ciascuna quistione una soluzione generalmente ammissibile. Le precedenti quistioni condussero naturalmente a trattare della antichità deli’ uomo , e la Società ammise la esistenza dell’ uomo in- sieme cogli elefanti e degli altri mammiferi di specie ora estinte ; ed ammise pure la autenticità della famosa mascella umana fossile trovata da Boucher de Perthes a Moulin-Quignon. La Società antropologica di Parigi, fondata or sono quattro anni, contava al principio 19 socj; ora ne ha 200; e tutto fa sperare che continuerà a crescere in numero ed importanza. 154 G. OMBONI, AGGIUNTE Dopo che furono scritte le pagine precedenti venni a conoscere alcune altre cose relative all’ uomo più antico. Eccole in breve. Secondo il signor Blauner anche un'isola nello Stagno di Diana , sulla costa orientale della Corsica, sarebbe un mucchio di avanzi di conviti, simile a quelli della Danimarca ( Courrier des sciences et de l’industrie par V. Meunier. 1864, num. 1). Milne Edwards ha reso conto alla Accademia dellesscienze di Pa- rigi di nuovi fatti scoperti da Lartet e Christy in alcune caverne dell’antico Perigord. E maggiori particolari furono poi pubblicati in una lettera dello stesso Lartet a Milne Edwards, In una di quelle caverne (quella di Eyzies, comune di Tayac) si trovò una breccia con selci lavorate , e con armi ed altri oggetti fatti con corna di renne. Furono pure trovati in esse alcuni frammenti di lamine di roccia sci- stosa, sulle quali esistono degli avanzi di disegni informi, fatti inci- dendo la pietra con una punta; e quei disegni rappresentano dei ru- minanti del gruppo dei cervi. E fuori delle caverne si trovarono dei mucchj di ciottoli, di ossa rotte dall'uomo, di selci lavorate, ecc. Le ossa sono di cavallo, di bue, di camoscio, di renne, di uccelli, di pesci, ecc. Con esse si trova una falange di ruminante erbivoro, sca- vata in modo da diventare un istrumento da produrre fischj ( Un al- tro simile strumento era stato trovato da Lartet nella caverna d’Au- rignac). E su alcuni oggetti fatti con corna di renne si vedono scol- pite delle figure di cavalli, di qualche cervo, ecc. (/nstitut. Num. 1875, marzo 1864). In un’altra caverna fu raccolta una vertebra di renne, in cui cera. infitta una punta di freccia di selce (/nstitut. Num. 1374, pag. 65 del 1864). Da tutto questo si vede chiaramente che l’uomo viveva in Francia quando vi esisteva ancora il renne. E il signor Lartet deduce poi dallo studio degli oggetti di selce che in quell'epoca anteriore alla scomparsa del renne gli uomini non sapevano ancora lisciare le ar- mi di pietra. D'altra parte si sa che il renne è scomparso dalla Fran- BIBLIOGRAFIA 158 cia prima delle epoche storiche. Cesare ne parla come d’ un animale a lui ignoto, e vivente solo in alcune parti della Gallia. Non si trova nelle caverne con oggetti di selce ben lisciati; nè cogli avanzi drui- dici; nè negli avanzi delle palafitte lacustri della Svizzera (/nstitut. 1375, marzo 4864). Il signor Garbiglietti ha pubblicato una sua Relazione presentata alla R. Accademia di medicina di Torino sopra due memorie paleo- etnologiche del dott. G. Nicolucci. La prima di queste tratta di armi e utensili in pietra trovati nell'Italia meridionale. Tali oggetti, punte di frecce, cuspidi di lancia, coltelli a punta e a doppio taglio, maz- zuoli, ecc., furono raccolti nelle provincie di Terra di Lavoro, del- l'Abruzzo ulteriore secondo, e di Frosinone , per lo più in luoghi di collina o montuosi, o in pianure molto elevate, senza ossami di animali. ll sig. Nicolucci si è pure occupato dei cranj umani più an- tichi finora trovati in Europa (che sono per lo più brachicefali se del- l’epoca della pietra, dolicocefali se dell’epoca del bronzo), e partico- larmente di quelli trovati a Torre della Maina presso Modena (che sono brachicefali), e di quelli di Cadelbosco di sopra presso Reggio (uno brachicefalo ed uno dolicocefalo); e ne conchiude che i popoli italiani più antichi, dell’epoca della pietra, furono autoctoni, brachi- cefali, della stirpe degli Iberi, dei Liguri e dei Siculi; e che dal prin- cipio dell’epoca del bronzo in poi vennero in Italia altri popoli, ma i primi continuarono a vivere coi nuovi arrivati, trovandosene tuttora dei discendenti sparsi nel Piemonte e nella Liguria. La seconda me- moria del Nicolucci tratta d’un antico cranio fenicio, trovato nella necropoli di Tharros in Sardegna, e che, secondo l’ autore, si può considerare come un buon tipo dei cranj degli antichi Fenicj , ed è conforme a quello d’un Assiro trovato a Nimrod, mentre diferisce da un cranio trovato a Malta, più probabilmente berbero che fenicio. Nel num. 63 della Gazzetta di Parma del 1864 (18 marzo) il signor Pigorini rende conto d’una palafitta trovata nella città di Parma. ll signor Strobel ha ora scritto una seconda Relazione sulle terre- mare dell'Emilia, che sarà presentata alla Società nella seduta dei 3 aprile, e poi stampata negli Atti. In tale Relazione si tratta dap- prima della terra torbosa della palafitta di Castione, dimostrandosi 486 G. OMBONI, BIBLIOGRAFIA che si è formata nell’acqua, ma non a guisa della torba, e che, dopo l’ asciugamento della palude, l’ uomo continuò a vivere sullo stesso luogo, accumulandovi all’ intorno gli avanzi della sua industria e dei suoi pasti. Si parla poi delle terremare in genere, distinguendosi quelle di collina da quelle di pianura, quelle stratificaté (le meno numerose e per lo più in pianura) da quelle non stratificate (le più numerose, e per lo più di collina), dandosi delle nuove analisi della loro terra, e dimostrandosi che quelle non stratificate sono gli avanzi delle anti- che stazioni dei popoli dell’epoca del bronzo, e quelle stratificate ebbero la stessa origine, ma i loro componenti furono poi smossi dal- l’acqua. E finalmente si dimostra che le mariere non sono avanzi di cimiteri, che differiscono dai Ajokkenmodding della Danimarca sol- tanto per l'epoca e per non essere vicine al mare, e che un’ origine assai analoga devono aver avuto i fepe della Persia descritti da De Filippi (Zntorno ad alcuni depositi con acanzi dell’ industria umana osservati in Persia. Nella Rivista contemporanea 1863, agosto). Finalmente , or sono pochi giorni , il signor Stoppani ha trovato delle palafitte nel lago di (rarda, e ne renderà conto alla Società. Milano, 28 marzo 1864. G. Omgoni REGOLAMENTO PER LE RIUNIONI STRAORDINARIE DELLA SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI APPROVATO NELLA SEDUTA ORDINARIA DEL 3 APRILE 1864 Generalità. S 4. La Società Italiana di Scienze Naturali tiene ogni anno una Riunione straordinaria in un luogo d’ Italia a ciò preventivamente scelto. è 2. Per questa riunione è nominato un Presidente straordinario, le cui attribuzioni abbracciano tutto quanto ha rapporto colla riu- nione stessa. A Presidente straordinario si elegge un socio, che abbia domicilio o convenienti relazioni nel luogo scelto per la riunione. $ 3. Il Sindaco del luogo è di diritto Presidente onorario. S 4. L’epoca della riunione si fisserà entro il quadrimestre dal principio del luglio alla fine dell’ottobre. $ 5. La riunione dura quattro giorni; si tengono sedute generali e sedute per sezioni. $ 6. Le sedute sono pubbliche. | $ 7. Prendono parte attiva alla Riunione, oltre i Socj: 1.° i Rap- presentanti dei Corpî Scientifici; 2.° gli Invitati od Ammessi dalla Presidenza straordinaria. 158 REGOLAMENTO S 8. I socj, la vigilia della riunione, si presenteranno nel luogo fissato dalla lettera d’invito per essere inscritti in apposito Elenco , dichiarando la sezione a cui intendono di appartenere. In altro Elenco e colle stesse norme si inscriveranno gli ospiti. $ 9. Le votazioni durante la riunione straordinaria hanno luogo per alzata e seduta sopra proposizione formulata dal Presidente, e a semplice maggioranza di voti. ‘6 10. In tutte le sedute le letture e le discussioni verseranno esclu- sivamente su materie di scienze fisiche e naturali, salvo le eccezioni contemplate al 2 17. S 441. Il Presidente straordinario e i Presidenti delle Sezioni pos- sono escludere le letture che credessero inopportune. Del Presidente straordinario. S 12. Îl Presidente straordinario fissa 1’ epoca della riunione, e dirama le lettere d’invito, almeno un mese prima dell’ apertura. .$ 13. Nomina un Segretario fra i Socj per le sedute generali. È del resto autorizzato, d'accordo col Presidente onorario, a giovarsi del grazioso concorso anche di persone non addette alla Società pel disimpegno dei proprj incarichi prima e durante la riunione. S 14. La Società mette a disposizione del Presidente straordinario, per le spese occorrenti, una somma «da votarsi ogni anno nel pre- ventivo. Prima seduta generale. $ 15. La riunione straordinaria si apre con una seduta generale , nella quale si terrà quest’ ordine: 4.° Discorso d’ apertura del Presidente straordinario; 2.° Rapporto sullo stato e sull'andamento della Società, letto da unodei Membridella Presidenza Ordinaria, scelto dalla Presidenza stessa. 3.° Rapporti delle Commissioni nominate nella Riunione straor- dinaria dell’anno precedente. 4.° Divisione in Sezioni. 3.° Letture e Comunicazioni ammesse preventivamente dal Pre- sidente. PER LE RIUNIONI STRAORDINARIE 415bG S 46. Il numero e l'indole delle Sezioni sono determinati dal Pre- sidente straordinario dietro le risultanze dell'iscrizione de’ soc]. $ 47. Fra le letture sarà accordata la preferenza a quelle che hanno per oggetto l’illustrazione dei paese in cui si tiene l'adunanza, benchè estranee alle scienze fisiche e naturali. Sedute per Sezioni. S 18. Nei due giorni consecutivi alla prima . seduta generale ten- gono le Sezioni le loro sedute speciali. S 19. La prima di queste sedute è aperta dal socio che è anziano per età, il quale invita la Sezione a nominare il proprio Presidente. La votazione si fa per schede. È presidente chi raccoglie il mag- giore numero di voti, qualunque sia il numero dei componenti la Sezione. S 20. Il Presidente nominato si sceglie un segretario, che dev’ es- sere anche il relatore della Sezione. Si fanno poi le letture e discus- sioni secondo i $$ 10, 41 e 47. Seduta generale di chiusura. S 24, La riunione si chiude con una seduta generale, in cui si con- serva l’ordine seguente: 4.° Verbali delle Sezioni, letti dai rispettivi segretarj; 2.° Scelta del luogo per la riunione straordinaria dell’anno se- guente, e nomina del suo presidente; 5. Proposte d'interesse generale della Società; 4,° Proposte e nomine di commissioni per istudj speciali od altro ; 8.° Letture e Comunicazioni come nella prima seduta generale. Atti posteriori alla riunione. S 22. Il Segretario generale della riunione straordinaria è incari- eato di una Relazione, la quale sarà inviata alla Presidenza ordinaria al più presto possibile, per la sua pubblicazione negli Atti della So- cietà. 160 REGOLAMENTO PER LE RIUNIONI STRAORDINARIE 6:23. Questa relazione si divide in due parti: I. Resoconto. 1.° Elenco dei socj intervenuti e degli ospiti. 2.° Verbali delle due sedute generali. 35.° Verbali delle sedute delle sezioni. II. Documenti. 4.° Discorso d'apertura del Presidente. 2.° Memorie e comunicazioni, $ 24. Questa relazione sarà stampata negli Atti della Società, nei modi già determinati per detti Att dai Regolamenti generali della Società. S 25. Verificandosi l’incompatibilità della Riunione straordinaria nel luogo prescelto dalla Società o la mancanza del Presidente eletto, si passa alla nuova scelta in una seduta ordinaria, e la Presidenza ordinaria è incaricata delle disposizioni necessarie fino alla scelta del luogo od alla nomina del nuovo Presidente. Articolo transitorio. S 26. In una delle sedute ordinarie si delibera su quanto riguarda la prima riunione straordinaria fino alla scelta del luogo, e alla nomina del primo Presidente straordinario. Seduta del 3 aprile 1864. Il socio padre Cavalleri legge una memoria Sui più interessanti esperimenti fatti fin qui nei nostri paesi per ottenere semente sana dat bachi da seta. 'Toccatii metodi dei suffumigi varj, dell’acqua zuccherata, dei solfiti, del solfuro di calcio, e. trovatili insufficienti, e lodato il me- todoiBellotti, come di grande speranza, s’ arresta sopra un nuovo metodo. Questo consiste nel nutrire i bachi con foglia presa a preferenza nella bassa Lombardia, lontano dalle viti, scegliendo quella che all’olfato e al gusto dà buon saggio di sè; e l’Autore ne indica in parte il modo. Questo metodo, che ha il merito di esser riuscito a bene per cinque anni, fu da ultimo condotto a termine e perfe- zionato dal consigliere dottor Andrea Buffini, il quale in questo anno ottenne centocinquanta once di sementi così perfette, che non hanno riscontro se non nell’ottima del Giappone. Il socio Cavalleri conchiude animando i cultori a far buona semente nella bassa Lombardia col metodo descritto. — Questa memoria sarà pubblicata negli At. Alle domande fatte da var] soc], il socio Cavalleri ri- sponde che la foglia dei gelsi trattati col solfuro di calcio sa un poco di acido solfidrico ; che per distimguere la foglia Vol. IV. It 162 SEDUTA DEL 3 APRILE 1864 sana dall’ammalata devono servire, più che altri mezzi, la finezza dei sensi e l'esercizio; e che vi sono troppi fatti comprovanti uno stato anormale della foglia, perchè que- sto possa ancora essere messo in dubbio. Rispetto all’asserzione del padre Cavalleri che le viti sì ammalino più facilmente nei luoghi aprichi e soleggiati «che nei luoghi bassi e ombrosi, il socio Galanti osserva che egli ha veduto nel cremonese e nel mantovano le viti portate in alto e lasciate libere sugli alberi mantenersi sane più di quelle tenute basse e distese presso a terra; e che è bensì vero che le viti si conservano più sane nella bassa Lombardia, ma ciò può dipendere dall’ acquistarvi mag- giore robustezza e fors’ anco dalla loro particolare qualità. Il socio Tinelli osserva in proposito che, secondo lui, il gelso non è malato, ma dall'aria si depone qualche cosa sulle foglie, e a ciò si deve lo stato anormale della foglia, che è causa della malattia dei bachi da seta. Si legge una seconda relazione dei signori Strohel e Pi- gorini Sulle terramare e palafitte dell’ Emilia. In essa si parla dell’origine della terra torbosa, che è intorno alla palafitta di Castione, dell’uso delle terremare per conci- mare e non per marnare, e della distribuzione, struttura e origine delle terremare stesse. Si conchiude che queste sono avanzi di antiche stazioni delle popolazioni dell’ epoca del bronzo, così come sono avanzi di antiche stazioni di popolazioni d'epoca più antica i kjokkenmodding della Danimarca e i tepe della Persia descritti dal prof. De Fi- lippi nella ivista contemporanea. — pato. relazione sarà pubblicata negli Atti. Il socio Mortillet presenta alcune notizie sulla stessa terra torbosa di Castione, e su una palafitta antica tro- vata da poco tempo in Parma. SEDUTA DEL 3 APRILE 41864 163 SÌ presenta una relazione del socio Capellini sopra un suo viaggio scientifico fatto nell’ America. settentrionale nel 1363. | Il socio Bellotti Cristoforo legge una sua breve risposta ad alcune osservazioni dei signori Rondani e Passerini sul metodo da lui proposto per avere semente sana di ba- chi da seta col nutrire î bachi con foglia giovane. — Que- sta risposta sarà stampata negli Aff. Il socio Stoppani rende conto di alcuni avanzi antichis- simi di abitazioni lacustri trovate sulla riva del lago di Garda, a poca distanza da Salò, e precisamente nel golfo di San Felice. — E anche questo rapporto sarà sfiro cato negli Att. E pisano il socio Galanti legge dei brani di una. me- moria Sulla convenienza di coltivare il tabacco in Val: tellina; memoria che sarà pubblicata in un giornale agra- rio, e non negli Atti della Società. In questa memoria si dimostra: 1.° che la natura del terreno e delle rocce della Val- tellina racchiudono tutti i principj inorganici di cui il ta- bacco abbisogna; 2.° che il clima, fatta astrazione dei venti e d’altre intemperie, si può considerare come assai favorevole alla coltivazione del tabacco; 3.° che le condizioni economiche ed agricole della valle reclamano già da molto tempo questa nuova risorsa, e quindi la relativa concessione da farsi dal Governo; 4.° che da tale concessione deriverebbe un freno al- l’attuale contrabbando, il quale, per l’ ubicazione del paese, non può essere frenato in alcun modo dalla vigilanza delle guardie, a motivo dei prezzi a cui si vende il tabacco sviz- zero, inferiori anche a quelli delle meno buone qualità dei tabacchi nazionali ; 6 SEDUTA DEL 35 APRILE 1864 5.° che la coltura del tabacco non può offrire alcun dubbio di buon successo in Valtellina, quando venga estesa abbastanza, e non può riuscire che vantaggiosa per i col- tivatori e per lo Stato. Si ammettono come nuovi soc) 1 signori: LawLey RoBERTO di Firenze, proposto dai socj effettivi Pecchioli, D'Ancona e Antonio Villa. Pizzini ing. Grovanni di Milano (Borgo S. Croce, 3), proposto dai socj Omboni, Cornalia e Stoppani. GrapAaU ENRICO, ingegnere delle miniere, a Napoli (via della Pace, 7, Chiaja), proposto dai soc} Omboni, Cor- nalia e Stoppani. Il segretario Stoppani dà lettura del Regolamento per le riunioni straordinarie della Società. — Dopo alcune osservazioni fatte da qualche ‘socio, il Regolamento è ap- provato in massima, e si pregano i soc] Sanseverino e Cor- nalia ad unirsi alla Commissione che ha redatto il Rego- lamento, per occuparsi della sua revisione definitiva, a seconda delle osservazioni tatte durante la seduta. PO = — CRESTE Seduta del 24 aprile 1864. Il socio Ferrini presenta un suo Saggio di esposizione elementare della teoria. dinamica del calore, che sarà stampato negli Attz. Il presidente Cornalia presenta una nota del signor Ascherson di Berlino Sopra una specie di SACRE nuova per la flora italiana. I Lo stesso signor presidente presenta una lettera del si- onor Taramelli al socio prof. Balsamo-Crivelli Sopra deè crostacei di forme marine trovati nelle acque dolci, e specialmente sul Palceemon lacustris dî Martins. Il socio Bellotti legge la seguente lettera a lui diretta dal socio prof. Galanti Sulla coltivazione del gelso delle Filippine nella bassa pianura. « Carissimo Amico, » Osnago li 24 aprile 1864. n Già vi dissi a voce che ho gran fede nella riuscita del vostro metodo per ottenere semente sana di bigatti, perchè lo trovo perfettamente consentaneo alle idee che mi sono fatto sulla natura del morbo letale che li percuote. Esso dipende, secondo me, dall’esserci noi troppo discostati dai procedimenti natu- rali nell'educazione di questo insetto, la quale unicamente noi rivolgiamo ad accumulare nel suo organismo materia serica, perdendo di mira le condizioni biologiche che debbono presiedere alla riproduzione della razza, pel quale ul- timo scopo il trattamento dell'animale dovrebbe essere diverso dal primo: 166 SEDUTA DEL 24 APRILE 1864 Questa differenza, noi la osserviamo in altri casi più o meno analoghi. Difatti il trattamento del verro non è lo stesso che quello del majale da ingrasso. La gallina che dee fare delle uova, la non si ciba come quella che si mette nella stia per ingrassare. Perchè dunque il baco destinato alla riproduzione della specie deve essere trattato alla stessa guisa di quello destinato a morire nella stufa del trattore di seta, allo stato di crisalide dentro il bozzolo? Non può es- sere possibile che coi nostri allevamenti artificiali il baco abbia acquistato tale tendenza a trasformare in tessuto adiposo e quindi in setà la parte più es- - senziale del suo alimento, da scapitarci proporzionalmente la condizione intrin- seca delle sue funzioni generative? Di qui il tralignamento della specie e quindi una forma morbosa, che appunto nel seme prima che nella larva si trasfonde. E non giungiamo forse anco nelle oche a generare artificialmente la degene- razione adiposa del fegato? I leoni e le altre belve trasportate dalle foreste nelle gabbie dei serragli non mojono forse di tabe? Che fate voi dunque col nutrire il baco di foglie tenere ed immature? Secondo me non fate altro che ricondurlo ad un equilibrio di funzioni, seguendo una via perfettamente oppo- sta a quella fin qui seguita nostro malgrado per degenerarlo; via bensì assai consentanea ai voti della natura, la quale ha appunto disposto che anche tutti gli altri insetti nascano sugli alberi assai per tempo onde si possano nutrire delle tenere foglioline appena dischiuse dai giovani bottoni. Arroge l’ esempio che vi portai della ruca della vite, che nell’ Umbria e nelle Marche si. molti- plica tanto quando si sviluppa presto e trova le foglie ancor tenerine, mentre segue il contrario quando si sviluppa tardi. » Che che sia di ciò, qui non voglio nè discutere nè illustrare il vostro me- todo, che credo eccellente, ma solo trattare di facilitarlo dal lato agricolo, e ciò si potrebbe forse ottenere ricorrendo di preferenza al moro delle Filippine. Que- sto gelso è il solo (fatta eccezione dal Llhou che è forse suo legittimo figlio o fratello) che si propaghi per talea. Or bene, isolatine gli occhi, come si fa ora vantaggiosamente anco per le viti, vorrei che questi si seminassero a spaglio in terreno preparato, buono ed irrigabile. È un fatto che si potrebbe avere con questo mezzo in breve tempo una specie di prateria di foglia tenerissima, da sottoporre a tagli regolari, e da destinare singolarmente alla confezione di se- menta col vostro metodo. Quello che avanzasse all’educazione dei bachi, po- trebbe pur sempre servire agli animali di stalla, perchè la foglia di moro è un cibo sano e molto azotato. Tagliarla bisognerebbe, affinchè non allegnisse troppo ed impedisse alla frullana di funzionare un’altra volta pel taglio suc- cessivo. Se una brina compromettesse il taglio troppo precoce e troppo tardivo, poco male, perchè il gelso multicaule, con cui si ha da fare, ributta presto più volte all'anno e si mostra tollerantissimo più di ogni altro, di qualunque stra- pazzo. Come suffrutice, anzichè albero propriamente detto, rilevasi adattatissimo a questo special modo di conduzione. Credo superfluo dilungarmi minutamente su questo procedimento, perchè ne parlammo a voce ad esuberanza quella sera SEDUTA DEL 24 APRILE 1864 4167 che ebbi il piacere di incontrarvi costà a caso, e poi ogni schiarimento sarò sempre in grado di darlo a Voi od a chiunque altro ?n tempo utile volesse cimentar in piccolo un esperimento in proposito, che io vedrei assai volentieri. Il vantaggio di questo metodo,non consiste soltanto nel risparmio di tempo; ma dispensa altresì dalla necessità micidiale per gli alberi di sfrondarli e ri- sfrondarli più d’una volta, onde aver costantemente foglia immatura. Scusate se ho scritto alla peggio, e credetemi di gran cuore » Aff.N° Amico e Servo, » A. GALANTI. » Il socio Maimeri osserva in proposito che il gelso soffre della presenza di acqua troppo abbondante. Bellotti risponde che, a quanto pare, il signor Galanti crede che al gelso faccia male solo l’acqua ferma, c non quella in moto. Il socio G. B. Villa presenta un ammonite (Am. sub- fimbriatus D'Orb.) trovato a Palazzago, nella roccia rife- rita da lui stesso al 1.° sruppo cretaceo Brianteo, serie 1.*, cioè al neocomiano, e descritta nelle Osservazioni geo- gnostiche e geologiche in alcuni colli del Bresciano e del Bergamasco, lette nell’Adunanza del 9 agosto 1857 di questa Società, e pubblicate per esteso nel Giornale del- V Ingegnere Architetto ed Agronomo (Anno V, 1857). Nella Tavola annessa a quella Memoria leggesi per errore Palazzolo in luogo di Palazzago. Il segretario Stoppani legge una nota del socio Paglia sulla morena laterale destra dell’antico ghiacciajo Met lago dî Garda, e sulla teoria della»formazione dei bacini dei laghi alpini. Tale lettura è seguita da alcune osser- vazioni critiche dei segretar] Stoppani e Omboni, i quali sl propongono di occuparsi più tardi e di nuovo di questo argomento. Il segretario Omboni presenta la to parte della seconda Relazione del socio Strobel Su//e terremare e pa- laftte dell’ Emilia. 168 SEDUTA DEL 24 APRILE 4864 È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. A proposito della malattia delle viti, di cui si fa cenno in quel processo verbale il socio Maimeri sì dichiara fa- vorevole all'opinione che le viti in luoghi esposti a mez- zodì sono spesso più malate che quelle con altre esposi- zioni o in luoghi ombreggiati. E a proposito di una nota letta del socio Galanti nel- l’ultima seduta Sulla coltivazione del tabacco in Valtel- lina, il presidente Cornalia annuncia che il Governo ha ora permessa quella coltivazione in quella provincia. Finalmente, dopo la lettura d’una lettera del socio Quin- tino Sella, e sopra proposta della Presidenza, si sceglie come luogo per la prossima Riunione straordinaria della Società la città di Biella, e si nomina presidente per detta riunione lo stesso socio Quintino Sella; e dopo una breve discussione si decide di non fissare preventivamente al- cuna somma per quella riunione, non potendosi ora avere alcun dato per poterlo fare. DEI PIU’ INTERESSANTI ESPERIMENTI FATTI NEI NOSTRI PAESI PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI E DI UN NUOVO METODO RIUSCITO PERFETTAMENTE FELICE DA CINQUE ANNI MEMORIA DEL socio PADRE G. CAVALLERE, BARNABITA. ( Seduta del 3 aprile 1864.) I metodi fin qui fra noi adoperati per ottenere semente sana di bachi partivano da tre distinti principj, a norma dei quali e teorici e pratici s'adoperarono a veder modo di ritrovare efficaci rimedj per sanare l’atrofia dominante e così ottenere semente sana. Furonvi taluni i quali opinarono che l’origine del male derivasse dalla debilitazione delle nostrali specie di bachi, i quali erano oramai ridotti alla fine della loro era vitale. Li accusavano debilitati e sfiniti dalla perpetua servitù alla quale furono ridotti da una educazione artificiale e contro natura. Per questi non rimaneva altro partito che di educare i bachi alla spartana e in modo selvaggio e libero , co- merano un tempo liberi e selvaggi i loro antichi progenitori. Rifatta così poco a poco la razza e ritemperata a nuove forze, speravasi ri- condurre fra noi l’antica vigoria dei bachi e quindi l'antica bontà di semente. Ma una troppo dura esperienza insegnò ben presto che questa via, oltre essere difficile e poco meno che praticamente im- possibile, era nel tempo stesso fallace. Ci ebbero educazioni all'aria libera le quali diedero una smentita alle belle speranze che si atten- devano., e fu giocoforza abbandonare l'impresa. Nei tilimbar a modo dei Persiani si ottennero bachi in generale più belli e robusti, e in notevole quantità, ma quello che si guadagnò in forza nei bachi, si 170 P. G. M, CAVALLERI, perdette in bontà di semente. Ritardando d’ assai le partite così edu- cate a salire il bosco, incontravano un grave ostacolo nella stagione di troppo inoltrata, e nelle condizioni della foglia. Altri, diversamente interpretando i fenomeni del morbo dominante dei bachi, opinarono che l’origine di esso provenisse da una specie di pestilenza o contagio, che trasfuso da baco a baco e da partita a partita o portato anche per contatto dagli uomini o dall’ aria stessa, avesse in breve infestato tutte le nostre partite e sementi. Per questi erano aperte due vie: l’una di trovare un medicale farmaco che va- lesse a sanare o ad arrestare il male, l’altra di procacciarsi sementi da paesi immuni dal male stesso. Molti furono i rimedj proposti. e tentati; si usarono suffumigi di solfo, di fumo, aspersioni di zuc- chero alla foglia, fuliggine, ed altri molti rimedj; ma quali più quali meno fallirono l’intento, e quelli che ancora propongonsi danno poco o nulla a sperare. Per la qual cosa, mancando la buona semente all’ enorme e cre- scente ricerca, si diedero tutti, e specialmente i nostri attivi e co- raggiosi lombardi, a percorrere pressochè tutte le regioni del globo. Per tal modo s’incominciò a battere Yaltra via che rimaneva aperta, e che lascia tuttora qualche debole filo di speranza, nell’ attenzione che la provvidenza allontani il flagello che d’anno in anno ci stringe più da vicino. Altri infine credettero che 1’ origine del male risiedesse nel gelso stesso il quale colla sua foglia infetta rovinasse il baco, il quale poi alla sua volta produceva sementi infette. Le dispute, le lotte scienti- fiche. la moltiplicità dei fatti addotti dalle varie parti contendenti, nel mentre che da un lato svisceravano ed analizzavano davvicino i più reconditi fenomeni, misero in luce sempre più chiara l’ opinione di questi ultimi, ed al presente lJa grande maggioranza dei dotti pra- tici non solo ma anche dei dotti teorici attribuisce alla foglia infetta l’origine del male. E qui alla lor volta si volgono ora gli studj di alcuni a trovar modo cioè di aver foglia sana, e così ottenere semente sana. Fino dallo scorso anno nel mese di gennajo in questa onorevole Società di scienze naturali e, prima ancora, all’Ateneo di Milano in ESPERIMENTI PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI 4174 una memoria apposita, emisi l'opinione anch'io che bisognava sanare il gelso, e proponeva il solfuro di calcio. Mi permetterete che a sca- rico della mia proposta ed a soddisfazione dei molti che tentarono questo rimedio io vi riepiloghi i risultamenti ottenuli. Furono da circa 40 le persone che a tenore della mia proposta solforarono il gelso al piede col solfuro di calcio, e le solforazioni ‘ sì fecero quasi tutte in primavera. Gli esperimenti, tutti quali più quali meno completamente, si estesero in una scala che si poteva dire decisiva. Alcune delle suddette persone educarono un quarto d’oncia, altre un’ oncia, parecchie fin due e più oncie di bachi, e tutto ciò fatto in un modo comparativo. L’effetto però non corrispose che in parte alle aspettative. Due terzi degli esperimenti diedero un esito finale insignificante. La raccolta dei bozzoli fu pressochè eguale in queste due terze parti, sì pei bachi nutriti con foglia medicata come con quelli nutriti con foglia non medicata. L’altra terza parte degli esperimenti però diede un esito bastante- mente felice, e sul Vicentino, in alcune parti della provincia di Bre- scia e di Milano l’effetto della foglia medicata fu decisivo, special- mente colà dove possibilmente si poterono conservare identiche Je condizioni di località e di cure. Nelle sementi ottenute l’effetto fu ancora più saliente, e nel men- tre una metà circa di sementi nutrite con foglia medicata diede se- menti eguali a quelle nutrite con foglia non medicata, l’altra metà diede sementi notabilmente migliori. Ci furono sementi, sempre con- siderate a pari condizioni, le quali nel mentre non medicate diedero fino il 30 per cento d’infezione , medicate diedero il 10*ed anche solo l'otto per cento. Forse l’ esito generale poco felice dipendeva da ciò che a sanare perfettamente il gelso abbisognava di un lasso di tempo maggiore di quello impiegato. Nella presente primavera si procurerà di scio- gliere questo dubbio sconsolante. Fino ad ora però dobbiamo confessare, che nel mentre, a detta di tutti gli esperimentatori , il gelso trattato col solfuro di calcio prosperò assai più degli altri, il baco al contrario , se si liberò in parte dal male dominante, non potè mai riuscire a liberarsi intiera- 172 P. G. M. CAVALLERI , mente. E in ciò trovo un riscontro nelle viti alle quali applicai: per due anni come esperimento il solfuro di ‘calcio. L’ esperienza mi fece edotto che la ‘vite così trattata prosperava , e diminuiva in ‘essa la crittogama; ma questa non iscompariva del tutto. Dovetti ricorrere ancora alla solita solforazione esterna, che ritrovai di efficacia tale che in molti anni non mi falli giammai. Il signor Mariano Crespi chimico farmacista in Vertova suggerisce per ogni gelso di media grandezza, di mettere al piede del medesimo frammisti alla terra quattro chilogrammi di calce in polvere grossa e due chilogrammi di vetriolo verde ossia solfato di ferro, e di Ja- , vare inoltre nell’autunno ed alla primavera il gelso nelle parti esterne con una soluzione dello stesso vetriolo, composto di un chilogrammo di questa sostanza con tre quintali di acqua. Si può forse sperar bene da questo rimedio e da molti altri che ‘in gran ‘copia suggerisce il bravo chimico per le'viti, pei bachi, per le sementi, ecc. Tuttavia non vedendo nel suo libro accennati esperimenti e prove. pratiche, ci resta sempre un ragionevole dubbio che i rimedj da lui proposti non abbiano a riuscire a bene quantunque da lui confortati con chimiche teorie. Liebig invece vorrebbe che i gelsi si mfedicassero col fosfato di calce , e ciò per più ragioni. Il Liebig parte dal principio che il gelso, per le eccessive pioggie e per le soverchie umidità , abbia perduto i minerali necessarj alla sua normale vegetazione. Anche il Crespi opina il medesimo, ma vuole inoltre che sporule invisibili di funghi circolino, e si manifestino poi nel gelso, le quali lo rendono guasto , €, col fermentare, anche puzzolento , come di fatto accade. Nel mentre questa seconda opinione pare meno infondata, anche per ciò che dissero dottamente Rondani e Passerini, la prima opinione, col debito rispetto al sommo chimico di Germania , sembrami ben poco fondata. In fatto di chimica applicata alla agricoltura, da alcuni anni a questa parte, anche il Liebig cangiò d’assai, e non v'ha dub- bio che si cangierà ancora. Infatti nei luoghi più umidi, dove la terra è sempre percorsa dalle acque la foglia del gelso sebbene: più floscia e men nutritiva, si mostra più sana. In ciò si ha il preciso. fenomeno della ‘malattia delle viti, dove l'oidio infierisce maggiormente colà ESPERIMENTI PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI 175 LI . dove è. aprico ed asciutto, mentre in-riva ai fiumi e in mezzo alle selve l’oidio attecchisce assai meno. In questi deplorabili casi le leggi della chimica, trovate pronte ed obbedienti sulla materia bruta ed inerte, si trovano spesso in lotta con altre leggi ancora ignote che sono i fenomeni della vita, Nel cozzo di queste due leggi chimiche e vitali è d'uopo correre pazien- temente la via degli esperimenti del provare e riprovare, secondo che Ippocrate e Galileo insegnavano, anzi che abbandonarsi a teorie ed a sistemi comechè belli in apparenza e seducenti. Un altro rimedio fu suggerito in seguito dal dottore Giovanni Polli i cui studj sui solfiti ed iposolfiti applicati alla medicina pare che ab- biano a sortire un esito felicissimo. Il Polli volle anch’ egli tentare di sanare il baco malato. Indeciso però se l'origine del male stesse nel gelso o nel baco, opinò ad ogni modo che questo male potesse essere di natura settica ossia putrida; e pensando che i solfiti sono antisettici, fece assorbire ai rami tagliati dei gelsi una parte di questi solfiti sciolti nell’acqua con quelle dosi che parvero a lui più convenienti. Con ciò il dotto professore pen- sava che, o sia che il male risiedesse nel gelso, o sia che fosse ori- ginale nel baco, semprechè fosse di natura putrida, doveva il solfito rimediare a tutto. Sgraziatamente gli esperimenti finali da lui esposti con mirabile lealtà e precisione non risposero che in debol grado alle belle aspettative; e siamo perciò ancora nella dura situazione di dovere attendere per questa parte una cura più soddisfacente e decisiva. Più fortunato fu il nostro collega Cristoforo. Bellotti, il quale aveva già tentato con molto accorgimento altri lodevoli esperimenti. Persuaso egli da ultimo che il male risiedesse nel gelso, e reso ac- corto dal fatto che il male impiegava un certo lasso di tempo ad in- taccare le foglie del gelso stesso, e che inoltre il male cresceva col crescere della foglia, venne in pensiero che le foglie più tenere le quali. di mano in mano spiegavansi sulla sommità: dei nuovi ramo- scelli, non dovevano essere infette. Epperò tolse a. fare da 4 a d esperimenti che confermarono le sue previsioni. Egli ottenne per questo modo e presentò a questa Società sementi, che io non trovai 174 P. G. M. CAVALLERI, perfettamente sane, ma tali però che si potevano ritenere delle più buone che correvano alla giornata. Esaminate da me nel luglio scorso, ossia poco dopo la loro deposizione, trovai che, per ogni campo del microscopio coll’ingrandimento di 300 volte e col diametro di cir- ca 50 centesimi di millimetro, contenevano. ovoidali 0,14. Le stesse sementi esaminate il gennajo scorso. il male crebbe un poco più, come avviene comunemente, e mi diedero ovoidali 0,45. Da ul- limo esaminate le uova nel momento che erano per nascere i baco- lini ritrovai che in complesso la semente poteva riputarsi. bastante- mente buona. Questi esperimenti potrebbero parere non abbastanza consolanti, se non sapessimo d’altra parte che altra eguale semente, nutrita colla solita foglia matura, non avesse dato al Bellotti una se- mente infetta in massimo grado. Sotto questo punto di vista abbiamo dunque fatto vero progresso. Rimarrà ora a vedere se questo seme, elaborato da bachi nutriti costantemente con sì tenera foglia e poco succolenta , potrà dare bachi robusti e tali da fornire un buon rac- colto di bozzoli. Si può però sperar bene; giacchè anni or. sono la signora Ponti di Monza, avendo costantemente nutrito una partita di bachi con foglie tenere di gelsi, e precisamente con quelle. cime: di frondi che si sogliono rigettare dai contadini, ebbe un copioso rae- colto. Tuttavia a sciogliere compiutamente il problema ci vorranno proprio i venturi e replicati allevamenti, e giova ‘credere che:sa- ranno felici. Dal Intanto all’ insaputa di queste ricerche scientifiche e di questi elà- borati esperimenti, una vecchia contadina nelle parti basse di Lom- bardia faceva staccare cinque anni or sono un poco di semente :de- positata da alcune farfalle nelle travi di una povera abitazione e.la coltivava amorevolmente. In mezzo alle questioni che anche fra i villici agitavansi sul dominante flagello , il suo buon senso ja fece avvertita che il male deve risiedere nella foglia malata del gelso. Questa foglia, poco appena raccolta, putiva e data ai bachi li faceva ammalare. Dunque abbisognava cercar loro una foglia sana. se era possibile : dunque l’ origine del male era nel gelso. Questo sempli- cissimo ragionamento, accompagnato da continue. osservazioni guidò la mano di questa contadina. Ella andò sempre cercando fra i gelsi ESPERIMENTI PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI 4173 quella foglia che odorata, assaggiata per bocca, o fatta anche al bi- sogno fermentare un poco, presentava sapore e odore grato come quello che mandava l’ antica foglia nei bei tempi dell’ abbondanza. L'esperienza ha mostrato che sebbene nelle parti basse ed irrigue di Lombardia e lontane dalle viti la foglia sia di natura più floscia ed acquosa di quella dei colli, è però più sana. La vecchia non ebbe quindi difficoltà a ritrovare foglia sana, e ad ottenere bachi sani, farfalle sane, e semente sempre pura e sana. Sono oramai cinque anni che da quella prima semente si ritrae semente sana. Questo fatto lo scorso anno cadde sotto gli occhi di una persona penetrante ed attiva e dotata inoltre di tutte le cogni- zioni teoriche e pratiche che si potevano desiderare. Era questo |’ il- lustre consigliere dottor fisico Andrea Buffini. I piccoli esperimenti che per suo conto faceva la modesta contadina furono da lui ben compresi con tutte le loro importantissime conseguenze, e quindi estesi sopra una scala bastantemente grande per essere il suo primo anno, usando sempre della semente di questa contadina. Tocchiamo in breve le cure e le avvertenze usate dall’ egregio dottore quali si fecero nella bassa Lombardia, e da lui liberalmente a me comunicate, piacente che, quali si fossero i suoi studi, potessero giovare agli altri. La covatura dei semi sempre lunga e gradatamente crescente si alzava fino a gradi 24 di Reaumur, e i neonati bacolini toccavano sempre circa i gradi 20 nella prima età, nel mentre che nelle suc- cessive andava diminuendo il calore, non però mai al di sotto di 18 gradi. La stanza ove educavasi la partita era riscaldata dalla stufa insieme e dal camino; perchè nel mentre che la stufa dava un ca- lore omogeneo e ben ripartito, il piccolo focolare del camino cam- biava l’aria in modo dolce senza correnti troppo violenti. Alcuni grossi pezzi di calce viva posti in appositi ed espansi recipienti nella stanza servivano ad assorbire, più che la soverchia umidità, il sovrabbondante acido carbonico emesso dalla respirazione di mi- riadi di insetti ai quali è desso nocivo. Nella scelta della foglia sana furono poste le essenziali e fondamentali cure. Un olfato e un *gusto delicato .era necessario a ciò , e in questo le donne sono preferibili agli uomini. Non è però a credere che per iscegliere la buona dalla 176 P. G. M. CAVALLERI, cattiva foglia si richiegga una abilità straordinaria. Più che altro vale il continuo esercizio, per mezzo del quale si affinano assai i sensi, principalmente allora che sono diretti a sempre giudicare della bontà o meno di una data sostanza, La pulizia poi era Ja massima possibile e quindi i bachi a maturanza si levavano dai loro graticci e si ponevano in boschetti appositamente preparati, sotto i quali stendevasi uno strato di segatura di legno, onde al cadere delle immondezze non venissero ad imbrattarsi altri bachi che quà e colà cadessero dal boschetto. Quest'ultima cura volle il dottore che fosse eseguita appuntino , e la disposizione stessa del bosco concorreva sempre a questo scopo che i bachi non s’ avessero ad imbrattare di feci. Egli opinava che in queste feci ritrovavasi un fomite funesto ‘alla crittogama fatale dai bachi. Le sue previsioni erano ben fondate; poichè, com’egli osservò e provai anch'io, gran parte del male do- minante è esterno al granello del seme ed aderisce ad esso. Questo fenomeno si trova in debol grado nelle sementi depositate sui panni, ma in grado talora grandissimo nelle sementi sgranate e senza gomma come sono quelle del Caucaso e del Cachemire. In queste ritrovai tali volta che, quando sono gravemente infette, fin due terzi del male è esteriore. Ne è a credere che questa crittogama esteriore sia innocua a bachi, ma dobbiamo anzi persuaderci che sottile e penetrante com'è, s'apra un adito alle trachee respiratrici dei bacolini, s'appigli ai peli loro, e si porti qua e Jà in giro per tutta Ja loro famiglia. Ognuno perciò converrà meco che in ciò le cure e gli scrupoli non sono mai soverchi. Egli è anche per questo motivo che il valente dottore ebbe cura di levare presto dai panni le sementi deposte , onde; libe- rarle dalle feci che più o meno imbrattano sempre le sementi stesse. Non è mai ripetuto abbastanza che le sementi debbonsi lavare e ri- lavare e soffregare nell’acqua in modo che, se esiste crittogama este- riore, se ne distacchi e non attecchisca e forse moltiplichi con danno enorme. L’ ultima lavatura fatta con vino generoso e ben colorito dovrebbe essere raccomandata, come quello la di cui materia colo- rante, e i cui sali più facilmente ad essa aderenti pajono giustamente tali da non dar origine a fermenti nocivi. ESPERIMENTI PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI 177 Ora, qual fu la semente che l’egregio dottore ritrasse pel solo numero di 150 once? Esaminata più e più volte da altri e da me fu trovata di una sanità ed anche di una bellezza, che, a tutto rigor di termini, si può dire non rara ma unica. Non ho mai potuto scor- gere un solo ovoidale anche col mio metodo col quale mi si presen- tano infette sementi giudicate immuni con altri metodi. Si fecero di questa semente in questa primavera già due provini. Il primo diede già dei bei bozzoli, il secondo ha i bachi della quarta muta, e come doveva ben essere, primeggia fra. mezzo a circa 130 provini o saggi diversi che si educano con grandissima cura. Non esagero punto di- cendo che questa semente è una vera rarità, un miracolo bacologico delle sementi lombarde. Si conservano ancora i bozzoli d’ onde lo scorso anno uscirono le farfalle, e sono così netti e puliti nel foro praticato da esse, si che pare che siano uscite senza neppure umet- tare i bozzoli. Eccovi dunque una serie di fatti, e di una sequela di anni tale da meritare la vostra considerazione. Eccovi degli esperimenti condotti a termine felicissimo, dapprima dal solo istinto e dal buon senso co- mune, e poi sufiragati e perfezionati dai lumi della scienza. A conferma poi di questi fatti in generale, ed in particolare a conferma di ciò che asserii più sopra, che la foglia della nostra bassa Lombardia quantunque piuttosto floscia e poco succulenta., sia più sana di quella dell’alta Lombardia, accennerò alcuni altri fatti tacendo in parte i nomi delle persone perchè non autorizzato. Lo scorso anno si diedero buone sementi estere ad educare nelle vicinanze di Codo- gno ed in Brianza. Quelle di Codogno quantunque educate poco meno che fra mezzo al lezzo e ad una trascuranza veramente esem- plare!, diedero buone gallette e buone sementi. Quelle educate in Brianza con. cure intelligenti e tutte speciali, diedero semente infetta e cattiva. Da due anni in vicinanza di Milano fuori di porta Lodovica in campi irrigati dal cavo Vetabbia si coltivarono sementi Bukarest e se n’ ebbero due volte buone sementi con molto buon raccolto e con pochissima o nessuna cura, nel mentre la stessa semente coltivata in Brianza , diede buon raccolto ma farfalle guaste e semente cattiva. Lo stesso accadde a Melegnano e a Melzo, dove si Vol. IV. 412 178 P. 6. M. CAVALLERI, fecero sementi che trovai non già perfette, ma abbastanza buone. Si trovano piccole partite alla bassa Lombardia specialmente tra i prati le risaje, e lontane dalle viti, che da parecchi anni coltivano sempre con bastante raccolto la stessa semente; e nelle vicinanze di Lan- driano mi assicurò il signor Santo Villoresi sotto direttore dei Giar- dini reali di Monza, che un fittabile non ha mai cambiato semenza fin dall’origine del male che invase la Lombardia, e fece sempre un raccolto abbastanza soddisfacente. Un'altra semente nostrale che da più anni si coltiva da un signore diede anche in quest'anno ottimo seme in Milano, mentre lo diede infetto a Sesto Calende. Di questi piccoli fatti consolanti qua e colà ce ne sono molti assai, e più di quello che alcuno si potrebbe per avventura immaginare. Il male è che sono latenti e in situazione svantaggiosa ad essere studiati. Nella bassa Lombardia forse per la poca disposizione che si ha a fare esperimenti e a tentare nuove vie per iscongiurare il domi- nante flagello, si rigettano come men buone alcune sementi deposte da deboli o men belle farfalle. Spesso però qui sta ascoso un inganno. Il male dominante, detto atrofia, e cagione unica della comune sven- tura, si appalesa in un modo tutto suo proprio e spesso latente. Ci sono farfalle nerastre, brutte, con molti piccoli difetti, com'erano le ultime di Bukarest, di Macedonia, e delle nostrali, le quali danno semente sana. È per lo contrario farfalle in apparenza bianche, belle, senza apparenti difetti, e tutte scelte, come accadde spesso in Brian- za, diedero semenza infetta, e talvolta in massimo grado. Il Bruni in una sua relazione al Comizio agrario di Brescia , il Pestalozza in una sua pregiata memoria sui bachi del Giappone, il nostro Pietro Buzzoni nella sua relazione che fece intorno alle farfalle sane e ma- late a questa Società Italiana, possono dare lumi intorno a questo argomento così ancora oscuro, Noi non siamo mai sicuri, in una sfar- fallatura abbondante , di sciegliere fra le molte farfalle quelle che siano esenti dall’atrofia, e ciò è per noi un argomento di una specie di disperazione. Con tutto ciò, e attesi appunto i fatti strani che oc- corrono in questa inestricabile questione, noi diremo che il più si- curo indizio che non esista il male sarà sempre quello pel quale, dopo aver scelto buona e sana semente, potremo dire di averla nu- ESPERIMENTI PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI 179 trita con foglia sana giudicata dall’olfato, dal sapore, ed anche dal traguardarla in faccia alla luce viva. Si devono schivare quei gelsi i quali danno foglie qua e là punteggiate e quasi forate in molte parti. ‘ Il microscopio, questo caro e penetrante strumento, non ci fornisce per ora sicuri indizi della malattia della foglia, e in ciò convenni già pienamente colle idee del professore Cornalia, sebbene altri credano diversamente. Il defunto conte Nava forse il primo in questa aula stessa, il nostro dottor Carlo Tinelli, il defunto chimico Nava, e in parte il lettore di questi cenni, con parecchi altri, furono i più pertinaci sostenitori della teoria che il male risiedesse nella foglia del gelso , o comec- chessia nel gelso da cui dipende la foglia. Le idee del Rondani, del Passerini, e del gran chimico della Germania con molti altri, quali in un modo quali nell'altro, tutte però convengono in ciò, che alla foglia infetta del gelso debbasi l’origine del male dominante. Siccome però dall’ esposto fin qui appare che non tutti i gelsi sono infetti, e non in tutte le località, come è appunto della vite, così in mezzo a que- sta desolante prospettiva si appalesa un’ ancora di speranza, uno scopo, a cui tendendo, potremo salvare la Lombardia dalle gravi per- dite di cui è più ancor minacciata che in passato (4). Intanto gli studj del Bellotti già sullodati, e i suggerimenti per medicare il gelso non devono essere trascurati, e sarebbemi caro che questa provvida Società di scienze naturali dal suo canto ani- masse e concertasse esperimenti diretti a sanare il gelso. Attaccando da molte parti il nemico, potrebbe non essere temeraria la fondata speranza di una vittoria. L’avvilimento e la disperazione è ancora il peggiore nemico che dobbiamo temere. (4) A questo proposito diremo che dalla buona semente del Giappone coltivata con cura nelle basse parti di Lombardia si potrebbe ottenere semente buona e forse per cinque e più anni consecutivi. Gli esperimenti hanno dimostrato che la semente del Giappone, anche coltivata nella Brianza, dove |’ infezione del gelso è massima, si con- serva buona per due o tre anni. Sotto questo punto di vista le idee del Pestalozza mi pajono molto lodevoli. I Bachi del Giappone possono forse essere in breve l’unica ta- vola di salvamento. Deboli da piccini e fastidiosi da principio, percorrono le ultime mute con una energia e sicurezza singolare. 480 P.6, M. CAVALLERI, ESPERIMENTI PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHT Possa questa serie di esperimenti, che io scelsi a preferenza di altri, i quali finora non diedero risultamenti troppo favorevoli, ani- mare i coltivatori a tentare come il valente Buffini coltivazioni an- cora più estese. Per ciò fare non si avrebbe che a procurarsi una semente più che si possa sana. A conforto degli esperimentatori dirò che, sebbene di perfettamente sana non ce ne sia che pochissima e affatto insufficiente ad una estesa coltivazione , tuttavia ci sono al- cune sementi del Caucaso e della Macedonia, le quali hanno un sì debol grado di infezione da potersi ritenere per sane e buonissime agli esperimenti. SULLE ANTICHE ABITAZIONI LACUSTRI DELCÒ LAGO DIE GARDA NOLA pi ANTONIO STOPPANI (Seduta del 3 aprile 1864. ) Nella precedente seduta riferi come alcuni oggetti di pietra e di bronzo raccolti nelle vicinanze di Guidizzolo, non che le anteriori scoperte presso Peschiera, indicassero evidentemente come anche il lago di Garda era abitato nelle epoche antistoriche. Riusciva quindi del massimo interesse una gita in quei dintorni, e l’effettuai, appro- fittando delle ferie pasquali. Condussi meco pur questa volta il si- gnor Barazzetti, e ci si unì pure il socio Giuseppe Gargantini Piatti. Ecco in breve il risultato delle nuove perlustrazioni. ll lago di Garda è soggetto ai venti di NE. , detti colà venti del Tirolo , che vi infuriano talora a dismisura, ed al vento di SE., detto Venezia, ossia vento di Venezia. L'esperienza ci insegnava a drizzare le ricerche su quelle parti del lido che sono meglio difese dai venti dominanti. Come tale ci invitava anzitutto 1 ampio seno difeso dal lato occidentale della penisola di Sirmione. Nulla infatti ci si poteva pre- sentare di più lusinghiero; sponda riparata, fondo fangoso a lentis- simo pendio, le circostanze più favorevoli ad uno stabilimento lacu- 182 A. STOPPANI, stre; ma le ricerche ripetute due giorni non ci fruttarono nulla. Forse le fanghiglie che coprono il fondo, forse le palafitte moderne, spinte ben addentro dai pescatori per Ja pesca delle anguille, hanno o co- perto o sturbato le antiche palafitte. Ho l’intima convinzione che la scoperta delle abitazioni lacustri non richiede colà che cercatori più fortunati. Sirmione è penisola monumentale; se alle romane anti- chità venissero ad aggiungersi i monumenti d’ antichità remota, di- verrebbe una delle stazioni più importanti per l’archeo-geologia. Da Sirmione ci recammo direttamente a S. Felice di Scovolo a SE. di Salò, ove trovai gentilissima ospitalità presso quel degnissimo pre- vosto Avogadro. Le condizioni orografiche e geologiche di quei dintorni, sulle quali ritornerò altra fiata, come su interessantissimo argomento, pongono il golfo sotto S. Felice nelle migliori condizioni per gli stabilimenti lacustri. Dalla Rocca, o Punta di Manerbo, parte una scogliera che, dirigendosi verso NÉ. e quasi sempre a fior d’acqua, forma colle sue parti più prominenti l’isola S. Biagio, quindi una eatena di scogli, e termina col rilievo orientale dell'Isola di Garda od Isola Lechi. Il calcare nummulitico , formante la scogliera inclina a NO., e si incontra col pendio determinato dalla degradazione delle an- tiche morene. Abbiamo là dunque un bacino ben difeso, ed a sponde a lento pendio. Due luoghi singolarmente doveano ritenersi opportu- nissimi per le ricerche lacustri: 4.° il seno formato dall ’incurvatura dell'Isola Lechi, protetto dai venti di NE. del pari che da quelli di SE.; 2.° il seno assai pronunciato a NÉ. del piccolo torrente ad E. di S. Felice di Scovolo, difeso dai venti di NE., ma non del pari da quelli di SE. Dietro tali induzioni ci ostinammo ad esplorare i due seni citati, non tralasciando però di percorrere tutto il golfo all’ ingiro. L’ esito confermò la giustezza della induzione. Due palafitte ci si scoprirono all'Isola Lechi, e tre nel golfo di S. Felice. Tutte queste palafitte presentano gli stessi caratteri; sono molto accostate al lido, e con- stano di piuoli anneriti, così fino al livello del fondo, o appena ele- vanti da esso la testa conica. Molti non si scoprivano che tentando la fanghiglia. La sola stazione occidentale dell'Isola Lechi, la più ripo- sta, la più sicura dai venti, ci offrì gli indizii più sicuri della desti- SULLE ANTICHE ABITAZIONI LACUSTRI 185 nazione e dell’epoca di quelle palafitte. Raccogliemmo infatti sul lido, con molte schegge di selce, un piccolo ma bellissimo cultro pure di selce, e sul fondo della palafitta stessa molti frammenti di vasi, com- posti del solito grès artificiale. La forma del cultro e l'impasto dei cocci attestano che la palafitta dell'Isola Lechi è dell’ epoca stessa delle palafitte di Varese. Le altre stazioni non ci diedero che qualche scheggia di selce, si intende con indizii di lavoro. È da notarsi che la selce, onde constano il cultro e le schegge con certe traccie di la- voro, è gialla, cioè della stessa varietà ond’è composta la freccia di Guidizzolo, menzionata nella seduta antecedente. Tal selce proviene dal Tirolo. Ci si chiederà naturalmente perchè così scarsa, e per al- cune stazioni fu nulla la raccolta di oggetti d’industria? perchè non credemmo nemmeno d’insistere nella ricerca? Bisogna riflettere all’in- dole affatto speciale del lago di Garda : Fluctibus et fremitu adsurgens, Benace, marino (4). Gli abitatori di quelle sponde amenissime sono pieni dell’idea della violenza, veramente marina, con cui talora si sollevano le onde in quell’ampio bacino. Benchè la massima calma favorisse le nostre ri- cerche, abbiam potuto formarci un concetto della forza delle onde colà, che in confronto cogli altri laghi lombardi, può dirsi veramente eccezionale. Alla profondità di forse 20 metri, le dune sabbiose sul fondo chia- rivano come fin laggiù scendesse l’azione delle onde durante le tem- peste. Il lido pci è ovunque coperto da montoni 0 cordoni regolaris- simi di ghiaje, e di ciottoli o piastrelle, ripetuti a diversi livelli, per l’effetto delle oscillazioni del livello del lago. Notai uno di tali ban- chi di ciottoli, che i francesi direbbero /évees de galets, sul lido nord . della punta di S. Fermo assai esposta ai venti, che misurava non meno di 1", 50 d’altezza. Ogni corpo mobile, purchè non soverchi un certo peso, è inevitabilmente scopato dall’onda e gettato sul lido. Prova ne sia quanto ci risultò dai tentativi fatti per lo scavo della palafitta più orientale del golfo di S. Felice, quella che per la sua ampiezza ei lusingava maggiormente. Il lido è coperto da grossi ban- (1) Vineinio, Georgica, II, 166. 184 A. STOPPANI, chi di ghiaja; sul fondo, appena inferiormente al livello della magra, non si scorgono che grossi ciottoli disseminati sovra un leggerissimo strato di sabbia; questo strato copre immediatamente un’argilla tena- cissima che può dirsi costituisca il fondo primitivo, il fondo vergine, ove sono impiantati saldamente i piuoli. Risulta chiaro da ciò che gli oggetti, come carboni spenti, freccie, azze, ec., i quali poterono un tempo cadere sul fondo, dovettero es- sere rimossi e gettati sul. lido, dove non è impossibile si trovino i più resistenti, come trovammo il cultro e le schegge di selce lavorata. Parrebbe anzi difficile a spiegarsi come su quei lidi, per quanto di- fesi dai venti, potessero reggersi le abitazioni lacustri, se le splendide illustrazioni delle palafitte svizzere, pubblicate da Keller, non ci aves- sero svelato con quale mirabile intreccio, e con quale abbondanza di materiali sapessero quegli antichissimi popoli dare alle loro pensili abitazioni tutta la solidità de’ più robusti edificii (1). In tali condizioni credo che basti, anzi è assai, quando si possano scoprire le palafitte, sicchè si dilatino sempre più i confini della geo- grafia antistorica. Può anche ritenersi che ad evitare possibilmente l’impeto dell’onde, quelle tribù edificassero colà le loro abitazioni più prossime al lido. Ecco in proposito alcuni dati approssimativi (2): 1.9 Isola Lechi, Stazione orientale, vasta di circa 80% quadrati. Vicinissima al lido. 2.° Isola Lechi, Stazione occidentale, vasta circa 40"q. Distanza dal lido 4" ; profondità minima sotto la magra 0", 60, profondità massima 2". 3.° S. Felice, Stazione orientale, vasta 120" q. Distanza dal lido 7%; profondità minima 0%, 60; profondità massima 2", 30. 4.° S. Felice, Stazione media, vasta 59% q. Vicinissima al lido. 3.° S. Felice, Stazione occidentale. Piccolissima e poco esami- nala. (4) Vedasi specialmente il terzo Rapporto di Keller, tav. I. (2) Le nostre osservazioni si fecero essendo il lago quasi alla massima magra cioè a eirca: un metro sotto la piena ordinaria. Il lago di Garda, stante l’ ampiezza del reei- piente, non presenta oscillazioni d’ un valore paragonabile a quelle del lago di Como, La differenza massima di livello tra la magra e la piena ordinarie, stando all’idrome- tro di Sermione, è pel lago di Garda di 4® circa, mentre il lago di Como, prima delle operazioni di disostruzione e d’incanalamento dell’emuntorio, era di 4, 20. SULLE ANTICHE ABITAZIONI LACUSTRI 185 Una volta che non si abbia a temere di qualche brutto incontro, la sponda veneta, la sola che possa dirsi difesa dai venti, non man- cherà certo di assicurare agli studiosi miglior fortuna. Colgo oggi l’ occasione di rettificare un fatto da me sull’altrui fede riportato nella mia relazione letta nella Seduta del 31 maggio 1863. Parlai allora di una grossa lagrima di bronzo, del peso di oltre due chilogrammi, communicatami dal sig. Alessandro Tallacchini, come trovata nel 1838 a tre metri circa di profondità nelle torbiere del lago di Varese. Un frammento di quel pezzo fu immediatamente spe- dito al socio corrispondente M. Desor, perchè lo rimeitesse al si- gner Fellenberg, chimico, che si occupa strenuamente dell’analisi dei bronzi antichi, a profitto dell’archeo-geologia. Ecco in proposito quanto mi serive lo stesso M. Desor: « J'ai envoyé dans le temps à M. Fellen- » berg pour l’analyse différents bronzes, entre autres la pointe de » lance de Campeggine et la larme de métal de la tourbière de Va- » rese. Il résulte de ses recherches qu'on peut admettre trois types » de bronze; le bronze lacustre, le bronze étrusque-grec et le bronze » romain. Le bronze lacustre se distingue par l’absence de plomb et » de zinc et par la contenance fréquente de ni@kel; le bronze étrus- » que-grec, par sa teneur en plomb. et le bronze romaîn par celle » de zine. » La pointe de lance de Campeggine rentre [entièrement dans la » catégorie des bronzes lacustres. Le miroir romain ou étrusque de » Turin que m'avait remis M. Gastaldi, également analysé par M. Fel- » lenberg, » de zine aux bronzes étrusques ou grecs, et serait par conséquent » d'une haute antiquité. Quant à la larme de métal de la tourbière » de Varese, sa pauvreté en étain et sa richesse en zinc, la claisse- appartiendrait par sa forte teneur en plomb et l’absence » rait parmi les laitons des derniers siècles romains. » Se c'era un bronzo che per la sua giacitura, dovesse ritenersi bronzo lacustre, doveva esserlo la lagrima trovata a tre metri di pro. fondità sotto la torba, ove difatti già tanti oggetti e di pietra e di bronzo si raccolsero dell’età lacustre. Come è dunque divenuto un bronzo d'epoca sì recente? Ecco la spiegazione dell’enigma. Nello scorso settembre, mentre mi occupava delle ricerche nelle palafitte di 186 A. STOPPANI, SULLE ANTICHE ABITAZIONI LACUSTRI Varese, venni assicurato che l’onorevole persona a cui apparteneva quel pezzo di bronzo, era stato vittima di una di quelle obbrobriose mistificazioni, degne di secoli barbari, che in un secolo ove la scienza più che l’autorità, domina il campo sociale, dovrebbero essere punite come atti proditorii. Quel bronzo infine usciva da una delle nostre officine. Avrei dovuto informarne immediatamente il sig. Fellenberg, perchè non sprecasse inutilmente il suo tempo e i suoi studii; ma non potendomi riportare per comporre il fatto che all’autorità, per quanto sicura, di una sola persona, era meglio attendere dalla scienza la sua sanzione. Ora è noto a ciascuno che i bronzi attuali, prescindendo dalle mille varietà introdotte da tanto progresso nell’arte delle leghe metalliche, sono piuttosto ottoni che bronzi, contenendo gran quan- tità di zinco, ordinariamente il 17 e il 18 per cento, e come tali si assomigliano perfettamente ai bronzi romani dell’epoca più recente. È una bella vittoria per la scienza se, colla semplice analisi chimica , potè escludere da una immensa serie di oggetli di remota antichità , come intruso, un semplice pezzo bruto di metallo. —— __eooktoee————— RISPOSTA peL socio CRISTOFORO BELLOTTI ALLA NOTA DEI PROFESSORI RONDANI E PASSERINI SUL METODO DA LUI PROPOSTO PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI DA SETA (Seduta del 3 aprile 1864) Sarà stimato soverchio ardire il mio, se mi permetto di fare delle osservazioni intente a ribattere gli appunti fatti alla mia memoria , Sul modo di ottenere semente sana di bachi da seta, da due fra i più distinti naturalisti di cui si onora l’Italia, e tanto più in argomento che interessa da vicino la botanica e l’ entomologia, che sono princi- pale oggetto degli studii e delle coscienziose fatiche dei due valenti professori Rondani e Passerini. Nè mi sarei peritato in tale spinoso sentiero se il mio silenzio non potesse dar a credere che, accet- tando le obbiezioni fatte, io rinunci alle idee esternate in quella mia memoria, e ammetta come puramente accidentale il buon esito ottenuto dalla applicazione del metodo ivi da me proposto; il che potrebbe distorre taluno dal tentarne la prova nel prossimo alleva- mento, La prima delle osservazioni che mi vennero fatte è che il mio esperimento manca di un elemento importantissimo, quello del con- fronto , senza del quale non si possono attribuire al solo aliniento è risultamenti ottenuti. Mi rincresce di essermi forse spiegato male in 188 C. BELLOTTI , proposito; ma ho creduto di aver accennato sufficientemente ad un esperimento di confronto quando alla pagina 6 del mio opuscolo (4) dico che come esperimento di confronto ho destinato a produrre se- mente una libbra di bozzoli della partita di un mio colono prove- niente dalla stessa semente sana di Dalmazia e tenuta colle stesse norme, tranne riguardo alla qualità della foglia, che venne sommini- strata senza alcuna scelta, quale si ritrae dagli alberi ; e accenno in seguito il grado di infezione riscontrato nella semente così ottenuta, in ragione del 50 per cento. i Do ragione ai signori professori quando osservano che sia neces- sario ritentare la prova con sementi diverse e in diversi tempi, il che io non potei fare per mancanza di mezzi a tal uopo predisposti ; dal risultato di tali esperimenti e di altri molti, che ciascuno potrà tentare nella prossima primavera, si avranno dati ulteriori per giu- dicare della maggiore o minore utilità di attenersi al proposto me- todo e del grado di estensione che si potrà dare alla sua applica- zione in via economica. È questa pure non è che una ripetizione con altre parole di quanto già ebbi a dire alla pag. 15 della citata me- moria (2). Riguardo alla teoria delle spore vaganti nell’aria, s’egli è vero che sulle foglie giovani de’ gelsi se ne debba riscontrare meno che non sulle mature, pel minor tempo che quelle stettero esposte all’aria, bisogna però osservare che questo tempo non potrà mai essere mi- nore di dieci o dodici giorni, quanti si richiedono pel loro sviluppo anche incompleto, e che tale lasso di tempo dovrebbe credersi suf- ficiente perchè sulle foglie stesse vengano a deporsi alcune di queste spore vaganti, che, sebbene in minor numero, dovrebbero essere causa di malattia pei bachi ai quali accade di inghiottirne. A niuno è dato di determinare il numero di spore occorrenti perchè un baco ne venga ammalato ; bisogna quindi attenersi al probabile, e supporre che non se ne richieda una gran quantità, se quasi tutte le partite di bachi provenienti anche da uova sane non reggono fra noi ad un se- (1) Atti della Società italiana di scienze naturali, vol. 5, pag. 207. (2) Loc. cit. pag. 216. SUL METODO PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI 189 condo allevamento. Oltre a ciò è raro che durante la stagione baco- logica non vengano pioggie e acquazzoni ogni dieci o dodici giorni, le quali, lavando le foglie e scacciandone le spore, dovrebbero sotto questo rapporto rimettere a pari condizione le foglie mature colle giovani. Le spore vaganti dovrebbero essere di natura diversa di quelle che infestano la vite e molti altri vegetabili fra noi; queste non resi- stono all’azione della solforazione ben diretta, mentre ripetuti espe- rimenti hanno constatato l’inutilità di tale rimedio praticato alle fo- glie de’ gelsi. Le dette spore poi dovrebbero deporsi egualmente su tutti i vegetali, ed essere causa di malattia agli insetti tutti che se ne nutrono, e s'egli è vero, come accennano i signori Rondani e Pas- serini, che furono in questi anni osservati diversi casi di malattia o di limitata apparizione di varie specie di insetti, ognuno potrà però ricordarsi come la scorsa primavera vi sia stata una invasione straor- dinaria e devastatrice di melolonte (melolonta vulgaris), le quali, ci- bandosi delle foglie di varii alberi, non eselusa la vite, avrebbero già dovuto nelle precedenti generazioni risentire gli effetti malefici delle spore inghiottite cogli alimenti; ammettendo invece che la sede della malattia sia piuttosto nei succhi interni o nell’interna organizzazione dell’ albero , si scorge la probabilità che alcune specie ne vadano esenti in confronto di altre. Non intendo che queste mie obbiezioni siano a ritenersi come as- solute, giacchè sono così molteplici le circostanze in natura che all’ uomo non è dato di tutte calcolarle a giusto peso; bisogna però che in simili indagini egli si attenga al probabile, lasciandosi guidare dall’ analogia. Il fatto accennato dai signori Rondaui e Passerini, di alcune partite che anche nell’ ultima stagione si conservarono sane e diedero semente sana, verrebbe piuttosto in appoggio della mia teoria basata sopra una condizione anormale del gelso, mentre po- trebbe difficilmente spiegarsi ammettendo le spore vaganti nell’ aria come causa di malattia ; poichè, se è lecito supporre delle eccezioni nello stato morboso dei gelsi di un dato territorio, non si può egual- mente ammettere che l’aria in una stessa località sia a brevi inter- valli diversamente provveduta di spore vaganti. 190 C. BELLOTTI , L’odore particolare disaggradevole che acquista la foglia de’ gelsi poco dopo célta e il suo pronto appassimento non avrebbero una ragione di essere causati dall’ azione esterna di spore non vegetanti sulla medesima, mentre si spiegherebbero più facilmente ammet- tendo un principio di fermentazione come causa di siffatte alterazioni. Circa al moltiplicarsi dei corpuscoli ovali nelle uova e nel corpo del baco, a parte qualunque considerazione sulla loro origine o natura, mi pare che le osservazioni microscopiche non permettano di dubi- tare in proposito. Chiunque siasi occupato dell’esame delle uova di bachi o dei bacolini appena sbucciati, deve essersi accorto più volte che, mentre durante l’inverno nelle uova di alcune partite poco in- fette si rinvengono rari i corpuscoli ovoidi, se queste si esaminano dopo messe in incubazione e prossime a nascere, si scorge bensì un’eguale proporzione fra le uova sane e le infette, ma queste si ve- dono abbondantemente provviste di quei corpuscoli che prima si mo- stravane rari; che se si esaminano i bacolini appena nati e non an- cora nutriti di foglia si osservano spesso i malati quasi esclusivamente composti dei corpuscoli stessi; prova che questi ultimi si svilupparono durante l’incubazione nelle uova e nel corpo del baco. Questa molti- plicazione avviene probabilmente per l'introduzione di una maggior quantità d’aria nell’ uovo durante il suo sviluppo. I signori Rondani e Passerini non credono di poter finora ammet- tere la moltiplicazione dei corpuscoli ovali nel baco e nelle uova; ma questa loro opinione è contraria tanto alla teoria da me posta di una produzione di forule per risultato di fermentazione, quanto a quella da loro emessa di spore vaganti nell’ aria e introdotte nel baco cogli alimenti. E innanzi tutto è d’uopo ritenere che nei tessuti del baco, come nelle uova di esso, non vi ha mai presenza di vere spore, ma sibbene di conidii provenienti dalle spore inghiottite, for- matisi nell’intestino, poi trascinati in circolazione coi succhi nutritivi; le spore non possono soggiornare nelle sostanze liquide più o meno dense, ma devono poter surnuotare alle medesime; in caso diverso vi è sempre produzione di conidii; Ja presenza di questi conidii nel- l'intestino del baco si appalesa all’ esame microscopico degli esere- menti, che quasi sempre mostrano copia di corpuscoli ovali. Ora, se SUL METODO PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BAGHI 491 non si ammette la moltiplicazione dei conidii di forule nel baco e nelle uova, non potrà ammettersi neppur quelle dei conidii di altri mi- ceti. Che tale moltiplicazione avvenga è un fatto; il modo col quale si verifica non fu dato finora di poterlo sorprendere, ed è questo anzi uno degli argomenti più forti per chi non ammette la natura vege- tale dei corpuscoli ovali. Poche altre osservazioni vengono fatte alla mia memoria, per ri- spondere alle quali occorrerebbero esperimenti, che soltanto nel prossimo allevamento potranno effettuarsi. L’opinione dei signori prof. Rondani e Passerini non differisce in sostanza dalla mia che nel supporre la sede della malattia del gelso piuttosto esterna, sulle foglie, che nell’interno delle medesime; in entrambe le ipotesi viene ammesso come causa della dominante infezione un vizio nell’alimento; se ciò venisse ad essere definitivamente constatato avremmo fatto un gran passo verso la soluzione dell'importante problema. Accennano finalmente gli onorevoli signori Rondani e Passerini, come la pratica di alimentare i bachi esclusivamente con foglie gio- vani sia già stata suggerita fin dal 1859 dai signori Chazel e Reidan senza che si sappia qualche cosa della sua applicazione. Intorno a questo punto confesso che, quantunque la notizia mi sia riescita nuo- vissima, pure potei constatarne la verità; e infatti in un rapporto letto dai suddetti signori Chazel e Reidan in una seduta della Società d’agricoltura d’ Algeri, questi esternarono l’ opinione, appoggiata a diverse esperienze, che l’attuale infezione de’ bachi provenga da uno stato morboso delle foglie del gelso, e che questo si verifichi soltanto quando le dette foglie hanno raggiunto il loro completo sviluppo; ritengono perciò rimedio efficace preventivo il nutrire i bachi con foglie ancora giovani. Non so se tale rimedio sia stato messo in pra- tica e con quale risultato. In ogni modo, siccome io non ho fatto della mia proposta nè un segreto nè un soggetto di speculazione , così se anche dovrà sottostare al vecchio proverbio: nihil sud sole novwmn, qualora ne venga riconosciuta Ja pratica utilità, come ne ho fiducia, mi rimarrà ]a soddisfazione di avere dietro mia esperienza rivolto specialmente l’attenzione dei bachicultori sopra uno fra i tanti rimedii proposti e raccomandati nelle diverse pubblicazioni 192 C. BELLOTTI, SUL METODO PER OTTENERE SEMENTE SANA DI BACHI scientifiche, nelle quali spesso, fra la molta copia di notizie di poco interesse, passano inosservate anche le cose più degne di rimarco. La nuova campagna bacologica si avvicina a gran passi e sotto auspicii poco promettenti, se si ha riguardo alla scarsità di sementi sane che vennero poste in commercio, e all’ abbondanza invece di partite infette che trovarono facili compratori fidenti nel buon esito ottenuto gli scorsi anni da sementi provenienti da identiche località. Possano gli sforzi di tutti ottenere che, fra le molte vie indicate a combattere l’attuale infezione, una se ne rinvenga atta a raggiun- gere la meta tanto desiderata. Allora soltanto si renderà più facile l’indagare la causa prima della malattia perchè prevalga quella teoria che meglio potrà spiegarne gli effetti. Egli è specialmente. ai proprietarj bachicultori più diligenti che la Società si rivolge an- siosa di veder spuntare un raggio di speranza in così imminente naufragio; ma le persone versate nello studio della fisiologia animale e vegetale potranno riuscire utilissima guida alla pratica rendendo di pubblica ragione quelle teorie che presentano maggior fonda- mento di verità e si prestano ad un’utile applicazione. Da tale reci- proco soccorso sarà lecito attendere quei felici risultati che invano si chiedono sia alla scienza pura di gabinetto sia alla sola pratica, la quale rifugge spesso da qualunque novità, serbandosi schiava di vec- chie tradizioni, che non hanno talvolta altra origine fuorchè la super- stizione o l’empirismo. Se non ci sarà dato di porre un freno alla rapida corsa del morbo che invade il filugello, e che negli scorsi dieci anni si diffuse con spaventevole progresso, possiamo aspettarci che fra dieci anni ancora il bombice del gelso e il suo prezioso involucro si riducano ad un oggetto di curiosità nelle collezioni di storia naturale. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA CON NOTE ED OSSERVAZIONI DEL SOCIO TOMMASO SALVADORI e» (Coniinuazione, vedi pag. 40.) STRIGIDA. 26. Athene noctua, Bp. Strix noctua, Retz. (Savi, Orn. tosc., vol. III, pag. 201), Athene noctua, Bp. (Bp., Fuun. ital. i Strix passerina, Auct. (Cara, Orn. sard., sp. XXX). Cuccumeu, GC. M. Cuccumiau, C. S. Civetta. Comunissima e stazionaria. 27. Ephialtes scops, K. et BI. Strix scops, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 75). Scops ephialtes, Savig. (Bp., £aun. ital.). Strix scops, L. (Cara, Orn. sard., sp. XXXIII). Zonca, C. M. Tonca, C. S. Assiolo. lo non ho potuto vedere alcun individuo di questa specie, mentre, secondo il Cara (op. cit., pag. 22) l’assiolo sarebbe stazionario; nel- Vol. VI, 13 194 T. SALVADORI ; l’Italia continentale invece arriva in primavera e nidificandovi resta fino all’autunno. 28. Aegolius otus, K. et BI, Strix otus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. 1 pag. 70). Otus vulgaris, Flem. (Bp., Faun. îtal.). Strix otus, L. (Cara, Orn. sard., sp. XXXII). . Stria, C. M. Strea, C. S. Allocco. Nel Museo di Cagliari esiste un solo individuo di questa specie, che sembra rara in Sardegna. 29. Aegolius brachyotus, K. et BI. Strix brachyotus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I pag. 72). Brachyotus palustris, Gould. (Bp., Faun. ital.) Strix brachyotos, Latb. (Cara, Orn. sard., sp. XXXI). Stria, GC. M. Strea, C. S. Allocco di palude. ll Cara lo dice non molto comune; io però nel gennaio n’ho incon- . trati vari individui, e n’ho uccisi alcuni nelle saline abbandonate dello stagno grande di Cagliari, e cinque individui esistono nella collezione del Museo. 30. Strix flammea, L. S. flammea, L. (Savi, Orn. tosc., vol. 1, pag. 82). S. flammea, L. (Bp., Faun ital.). S. flammea, L. (Cara, Orn. sard., sp. XXIX). Stria o Istria, C. M. Strea o Istria, C. S. Barbagiamni. Comunissimo e stazionario. __e_a-’{t{191ioe—m——r—8g*‘ttgtTtt‘t’Qo.l Sii e I dA IE INIZI e — CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 195 Prima di terminare delle Strigide farò notare che in Sardegna manca il Budo maximus ed il Syrnium aluco. PICIDA. 34. Yunx torquilla, L. ® Yunx torquilla, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 146). ‘Yuna torquilla, L. (Bp., Faun. ital.). Yunx torquilla, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXX). Fromigaju o Papa-formiga, C. M. Torcicollo. Giunge in primavera, ed io ne ho visti in aprile lungo l’ istmo dalla Scaffa alla Maddalena. 32. Gecinus viridis, Boje. Picus vîridis, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 140). Gecinus viridis, Boje (Bp., Faun. ital.). Picus viridis, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXVII). Biccalinna 0 piccalinna, C. M. Attaccadorza o toccadorza, C. S. Picchio verde o picchio cardinale. Non ho potuto incontrare alcun individuo vivente di questa specie, che il Cara dice esser più comune al Capo Settentrionale , però an- che là deve esser rara, siccome il Cetti non potè averne mai alcuno. Nel Museo si osservano tre individui. 33. Picus major, L. P. major, L. (Savi, Orn. tosc., vol. l, pag. 142). P. major, L. (Bp., Zaun. ital.). P. major, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXXVIII). Picchio rosso maggiore. Comunissimo tra i monti nei boschi di elci. Questa e la specie che segue hanno in Sardegna gli stessi nomi dell’antecedente. 196 T. SALVADORI, 34. Picus minor, L. P. minor, L. (Savi, Orn. tose., vol. I, pag. 148). P. minor, L. (Bp., Faun. ital.). P. minor, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXIX). Picchio piccolo. Non sembra così comune come l’antecedente. - CUCULIDA. 35. Cuculus canorus, L. C. canorus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 149). C. canorus, L. (Bp., Faun. ital.). C. canorus, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXVI). Cucu, GC. M., C. S. Cucco o cuculo. In aprile ne ho intesi molti cantare nei monti di Capoterra. | CORACIIDA. 36. Coracias garrula, L. C. garrula, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 104). C. garrula, L. (Bp., Faun. ital.). C. garrula, L. (Cara, Orn. sard., sp. XLII). Ghiandaja marina. Nel Museo di Cagliari esistono due individui di questa specie , che secondo il Cara (op. cit. pag. 29) frequenta in numero non grande i luoghi submarini tra la Maddalena ed Orri e le vicinanze di Oristano. lo credo che ricercando accuratamente se ne troverebbe anche il nido, giacchè io ho rinvenuto molti individui di questa specie nidifi- | | i CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 497 canti presso Barcellona in Sicilia, e Bonaparte ne ha trovati nella Campagna romana. | ALCEDIDA. 37. Alcedo ispida, L. A. ispida, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 178). A. ispida, L. (Bp., Faun. ital.). A. ispida, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXXIV). Pilloni de S. Perdu, C. M. Puzzone de S. Martinu, C. S. Uccel S. Maria. Comune. MEROPIDA. 38. Merops apiastar , L. M. apiaster, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 174). M. apiaster, L. (Bp., Faun. ital.). M. apiaster , L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXXIII). Marragau, C. M. Abiolu o Piana, GC. S. Gruccione. Ai primi di aprile ne ho visti branchi innumerevoli. Molti vi ni- ficano. UPUPIDA. 39. Upupa epops, L. U. epops, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 182). U. epops, L. (Bp., Faun ital.). U. epops, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXXII). Pubusa, C. M. Pupusa, C. S. Upupa o Bubbola. Giunge in primavera, e vi pone il nido, talune restano in inverno 198 T, SALVADORI, (Cara, (op. cit. pag. 95). lo non ne ho viste altre fuori. di. quelle del Museo. CAPRIMULGIDA. 40. Caprimulgus europeus, L. C. europe@eus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. 1, pag. 158). C. europeus, L. (Bp., Faun. îtal.). C. europeus, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXLI). Avis della noces, GC. M. (Uccello della notte). Passalitorta, C. S. Succiacapre o calcabotto. Il Cara (op. cît., pag. 102) vorrebbe che questo uccello fosse sta- zionario ; io non l’ho mai incontrato, ma ho saputo che nel maggio, al- lorquando sopraggiungono , anche in vicinanza di Cagliari se ne uc- cidono tra i molti boschetti di Pinastro (Pinus Alepensis) che sono nella parte settentrionale. CYPSELIDA. AA. Cypselus melba, Tlig. C. melba, Vieill. (Savi, Orn. Tosc., vol. I, pag. 172). C. melba, Vieill. (Bp., Faun. ital.). C. alpinus, Temm. (Cara, Ord. sard., sp. CXXXIX). Varzioni, C. M. Varzia, Babbarottu panza bianca, G. S. Rondone di mare. Circa alla metà di aprile, scendendo da Seui al Flùmendosa, ed es- sendo il tempo piovigginoso, ed il vento furioso, ne vidi un grandissimo branco, che sembrava di passo. Molti abitano i luoghi montani; non sono però stazionarj ripartendo, in settembre. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 199 42. Cypselus apus, Illig. C. apus, lllig. (Savi, Orn. tosc.. vol I, pag. 170). C. apus, llig. (Bp., Faun. ital.). C. muraria, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. CXL). Varzia, C. M. Babbarottu, C. S. Rondone. Comune, ed emigra regolarmente. HIRUNDINIDA. 13. Chelidon urbica, Boje. Hirundo urbica, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 164). Chelidon urbica, Boje, (Bp., faun. îtal.). Hirundo urbica, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXXVI). Arrundili o Pilloni de Santa Luria, GC. M. Rundine, C. S. Balestruccio o Rondinella casalinga. Sollecita a venire come la specie seguente : 44. Hirundo rustica, L. H. rustica, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 162). H. rustica, L. (Bp., Faun. îtal.). H. rustica, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXXV). Arundili, C. M. Rundine, C. S. Rondine. Ho notato che le rondini giungono in Sardegna assai prima che nel continente, giacchè alla fine di febbrajo già se ne vedevano alcune, moltissime poi ai primi di marzo. 200 T. SALVADORI, 45. Cotyle rupestris , Boje. Hirundo rupestris, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 167); Cotyle rupestris, Boje, (Bp., Faun. îtal.). Hirundo rupestris, L. (Cara, Orn. sard., sp. GXXXVIII) Arrundili marina, C. M. Rundine marina, C. S. Rondine montana. Questa rondine è stazionaria. Forse l’epiteto di marina viene dato ad essa per trovarsi in gran numero nelle grotte aperte sul mare, come nella grotta dei Colombi al capo S. Elia ove io l'ho veduta volare nel mese di gennajo. Si trova anche nell’interno ; così nel fe- brajo ne ho vedute molte abitare la bella grotta di Oridda presso Domus-Novas e più avanti ancora tra quegli asprissimi monti; al principiare d’aprile ne ho vedute sulla via dell’Ogliastra in vicinanza del Flumendosa, e più tardi, circa alla metà di aprile, presso Capo- terra lungo un ruscello ove raccoglievano fango per costruire il nido. Nulla so dell’entrare in città, partite le altre specie, come afferma il Cara (op. cît., pag. 100). 46. Cotyle riparia, Boje. Hirundo riparia, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 166). Cotyle riparia, Boje (Bp., Faun. ital.). Hirundo riparia, L. (Cara, Orn. sard., sp. CKXXXVII). Arrundili, C. M. Rundine, C. S. Topino. Benchè io mi trattenessi in Sardegna fino al terminare di aprile, pure nè sullo stagno nè altrove io vidi volare alcun individuo di que- sta specie. Il Cara dice (op. cit., pag. 99), che arrivando le ultime sono pure le ultime a partire, e che in gran numero vengono predate dai pescatori nell'autunno tra le canne presso le peschiere dello stagno. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 204 MUSCICAPIDA. 47. Muscicapa collaris, Bechst. M. albicollis, Temm. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 4). M. albicollis, Temm. (Bp., Faun. ital.). M. albicollis, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. LUI). Biccafigu, C. M., C. S. Piglia mosche a collare bianco. Questa specie sembra rara in Sardegna. Un individuo è nel Museo dell’ Università. 48. Muscicapa atricapilla, L. M. luctuosa, Temm. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 5). M. atricapilla, L. (Bp., Faun. îtal.). M. luctuosa, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. LIV). Piglia mosche nero. Due individui di questa specie, rara come l’ antecedente, esistono ‘ nel Museo. 49. Butalis grisola, Boje. Muscicapa grisola, L. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 2). Butalis grisola, Boje (Bp., Faun. ital.). Muscicapa grisola, L. (Cara, Orn. sard., sp. LIl). Biccafigu, C..S. | Suida candelas o papa linu, C. M. Piglia mosche grigio. Secondo il Cara (op. cît., pag. 36) questo pigliamosche nidifica nei cortili, e negli antichi edifizii!? Emigra regolarmente in autunno ; © due individui esistono nel Museo di Cagliari. 202 T. SALVADORI , LANIIDA. 50. Lanius excubitor, L. L. excubitor, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 94). L. excubitor, L. (Bp., Faun ital.). L. excubitor, L. (Cara, Orn. sard., sp. XLVII). Averla maggiore. Raramente si vede questa Averla, e soli due individui sono nel Museo Cagliaritano. 54. Lanius minor, Gm. L. minor, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 97). L. minor, Gm. (Bp., Faun. îtal.). L. minor, L. (Cara, Orn. sard., sp, IL). Passerargia, C. M. Monteddada, C. S. Averla cenerina o Averla d’Italia. Questa e le ultime due specie di questo genere sono comunissime, giungono in primavera e sono chiamate dai Sardi collo stesso nome. 52. Lanius meridionalis, Temm. L. meridionalis, Temm. (Savi, Orn. tosc,, vol. I, pag. 102). L. meridionalis, Temm. (Bp., Faun. îtal.). L. meridionali, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. XLVII). Averla forastiera. Di questa specie, che come le altre giunge in primavera , si fa preda non raramente. | CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 205 53. Lanius rufus, Br. L. rufus, Br. (Savi, Orn. tose., vol. I, pag. 98). L. rufus, Br. (Bp., Faun. ital.). L. rutilus, Br. (Cara, Orn.sard., sp. L.). Averla capirossa. E fra le Averle la prima a giungere in Sardegna ; io ne ho viste alla metà di aprile, ed è forse la specie più comune. 54. Lanius collurio , L. L. collurio, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 100). L. collurio, L. (Bp., Faun. ital.). L. collurio, Briss. (Cara, Orn. sard., sp. LI). Averla piccola. PARIDA. 59. Parus major, L. P. major, L. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 14). P. major, L. (Bp., Faun. îtal.). P. major, L. (Cara, Orn. sard., sp. CIV). Accuzzaferru, C. M. Conca de moro, C. S. (testa nera). Cinciallegra. Comune e stazionaria. 56. Parus ater, L. P. ater, L. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 14). P. ater, L. (Bp. Faun. ital.). P. ater, L. (Cara, Orn. sard., sp. CV). Cincia nera. Tre individui sono nel Museo. Dice il Cara (op. cit., pag. 72) che rarissimamente si vede nei più freddi inverni, facendo quasi dubitare 204 T. SALVADORI, che vi giunga d’oltre mare! lo credo che abiti i più alti monti, giac- chè non ha certo la conformazione adatta a far lunghi viaggi 97. Parus ceruleus, L. P. coeruleus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 48). P. ceruleus, L. (Bp., Faun. ital.). .P. coruleus, L. (Cara, Orn. sard., sp. CVI). Accuzzaferru, C. M. Cinciarella. Comune e stazionaria. CERTHIIDA. ,98. Tichodroma muraria , Ill. T. muraria, Bp. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 185). T. muraria, Il. (Bp. Faun. ital.). T. phenicoptera, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. CXXXI). Bicca muru, C. M. Picchio murajolo, È alquanto raro, due individui sono nel Museo. Frequenta le rupi del Capo S. Elia, ove sono stati uccisi varj individui dal Cara (op. cît., pag. 92) e da altri posteriormente. | i | | TROGLODYTA. 59. Troglodytes parvulus, Koch. T. europaeus, Leach. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 296). T. europaeus, Cuv. (Bp., Faun. ital.) T. vulgaris, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. LXXXIII). Pilloni de beranu, C. M. Puzone de veranu, C. S. (Uccel di primavera). Scricciolo o re degli uccelli. E assai comune, in estate vive sui monti, in autunno scende in pianura. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 205 CINGLIDA. 60. Cinelus aquaticus , Bechst. C. aquaticus, Bechst. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 200), C. aquaticus, Bechst. (Bp., Faun. ital.). C. aquaticus, Bechst. (Cara, Orn. sard., sp. LXII). . Meurra de arriu o sturru d’acqua, C. M. Sturru de riu, C. S. Merlo acquajolo. ’ Si trova lungo i torrenti montani. TURDIDA. 64. Turdus viscivorus , L. Sylvia viscivora, Savi. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 208). Turdus viscivorus, L. (Bp., Faun. ital.). T. viscivorus, L. (Cara, Orn. sard., sp. LV). Turdu colombinu, turdu suerinu ( ep del sughero), GC. M., C. S. Tordela. L’ho incontrata frequenti volte nei luoghi montani, e so che vi nidifica, e però erra il Cara quando afferma che parte principiando l’estate (op. cit., pag. 38). 62. Turdus pilaris , L. Sylvia pilaris, Savi (Savi, Orn. tosc., vol. l,-pag. 209). Turdus tata L. (Bp., Zaun. ital.). T. pilaris, L. (Cara, Orn. sard., sp. LVI). Tordela gazzina o cesena. Questa specie non è distinta dai Sardi con nome speciale come do- 206 T. SALVADORI, vrebbe essere se annualmente vi giungesse in gran numero sul prin- cipiare dell’antunno, e partisse in fin di primavera, secondo afferma il Cara (op. cit., pag. 39). lo dal gennajo all’ aprile non ne ho in- contrato nessun individuo, e penso che la specie sia assai rara, giac- chè altrimenti in un paese molto più caldo dell’ Italia centrale ed in una latitudine più meridionale avverebbe ciò che non è nell’ Italia centrale, ove in alcuni anni non se, ne vede alcuno, e solo è comune negl’ inverni molto freddi. Un solo individuo, e questo’ albino, esiste nel Museo di Cagliari. | . 63. Turdus musicus, L. Sylvia musica, Savi (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 211). Turdus musicus, L. (Bp., Fauun ital.). T. musicus, L. (Cara, Orn. sard., sp. LVII). Turdu, G. M. Ismurtidu, C. S. Tordo. È comunissimo nell’inverno, e se ne prende gran numero. dalla parte di Pula e d’ Iglesias, e quindi bolliti nell'acqua, e messi in ‘sac- chi con gran quantità di foglie di mirto, sono venduti sul mercato di Cagliari ed a caro prezzo; pel mirto, acquistano un odore aromatico non sgradevole. Dice il Cetti che il nome di /smurtidu o smortitu secondo alcuni deriva dal colore del grasso di che si veste , secondo altri da murta cioè mirto dentro cui il tordo cotto s’ involge. (Cetti, Glì Ue- celli di Sardegna, pag. 169). 64. Turdus iliacus, L. Sylvia iliaca, Savi (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 215). Turdus iliacus, L. (Bp., Fuun. ital.). T. îliacus, L. (Cara, Orn. sard., sp. LVII). Tordo sassello o Rosciolo. Pochi individui di questa specie giungono in Sardegna , ‘e non in tutti gli anni. CATALOGO DFGLI UCCELLI DI SARDEGNA 207 65. Turdus merula, L. ‘ Sylvia merula, Savi (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 203). Merula vulgaris, Ray. (Bpo, Faun. ital.) Turdus merula, L. (Cara, Orn. sard., sp. LIX). Meurra, C. M. Merula, C. S. Merlo. Comunissimo, e molti individui vi sono stazionarj. 66. Petrocossyphus cyanus, Boje. Sylvia solitaria, Savi (Savi, Orn. tose., vol. I, pag. 218). Petrocassyphus cyanus, Boje (Bp., Faun. ital.). Turdus cyanus, L. (Cara, Orn. sard., sp. LXI). Solitariu, GC. M., C. S. Passero solitario. Gl’ individui di questa specie e della seguente, secondo il Cara, giungerebbero in autunno, porrebbero il nido sulle rupi scoscese e sulle torri, e quindi ripartirebbero ; però il trovarsi in inverno (ed io ne ho visti ed uccisi in questa stagione) ed il farvi il nido mi fanno cre- dere che piuttosto siano stazionarj, mentre se la loro emigrazione av- venisse nell’estate per tornare in autunno ciò sarebbe contro le leggi che sogliono determinarla. ‘67. Petrocinchla saxatilis, Vis. Sylvia saratilis, Savi (Savi, Orn. tosc., vol. 1, pag. 148). Petrocinchla saxatilis, Vig. (Bp., Faun. ital.). - Turdus saxatilis, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. LX). Solitariu coa arrubia, C. M. . Solitariu, C. S. Codirossone. 208 T. SALVADORI , SYLVIIDA, 68. Saxicola leucura, K. et BI. Sylvia leucura, Savi, (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 226). Vitiflora leucura, Bp. (Bp., Faun: ital.). Saxicola cachinnans, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. LXXXIV). Culu biancu, GC. M., C. S. Cul bianco abbrunato. Tre individui esistono nel Museo dell’ Università. Durante il mio soggiorno in Cagliari fu preso un individuo sulle rocciose colline di S. Avendrace in vicinanza della città, ove si trova non raramente. . Forse vi pone anche suo nido. 69. Saxicola stapazina , Koch. Sylvia stapazina , Lath. (Savi, Orn. tosc. , vol. 1, pag. 228; vol. III, pag. 206). , Vitiflora stapazina, Bp. (Bp., Faun. ital.). Saxicola stapazina, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. LXXXVI). Culu biancu, C. M., C. S. Monachella colla gola nera, Nel Museo ve ne sono tre individui. Al dire del Cara (op. cit., pag. 38) «è comune e stazionario, nell’inverno in pianura nei campi presso le saline, nell’estate nei luoghi montuosi. » To non ne ho mai in- contrato alcun individuo. 70. Saxicola aurita, Temm. Sylvia rufescens, Savi, (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 223; vol. III, pag. 206). | Saxicola aurita, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. LXXXVII). Culu biancu, C. M., C. S. Monachella. Qualche individuo vedesi in primavera (Cara, op. cit.) pag. 38). CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 209 74. Saxicola enanthe, Bechst. Sylvia enanthe, Latl. (Savi, Orn. tose., vol. I, pag. 221). Vitiflora cenanthe, Bp. (Bp., Faun. ital.). Saxicola cenanthe, Bechst. (Cara, Orn. sard., sp. LXXXV). Culu biancu, C. M., C. S. Cul bianco. AI contrario di quanto afferma il Cara (op. cit., pag. 58) che dice gl’individui di questa specie sopravvenire scarsamente negl’ inverni più rigidi, io ne ho veduti non solo taluni in inverno lungo 1 istmo dalla Scaffa alla Maddalena, ma molti più sopravvenienti nell’aprile. 72. Pratincola rubetra, Koch. Sylvia rubetra, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 228). Saxicula rubecula! Bechst. (Bp., Faun. îtal.). S. rubetra, Bechst. (Cara, Orn. sard., sp. LXXXVIII). Stiaccino. Sebbene io non abbia argomenti proprj per annoverare questa spe- cie tra le sarde, pure io la noto giacchè il Cara (op. cit., pag. 38) afferma che lo staccino è « stazionario, e vi nidifica; ama vivere nei luoghi vicini al mare, ha l’ abitudine di posarsi all’ estremità delle piante, e salta di sasso in sasso. » Ad onta di queste parole io debbo notare che non l’ho mai veduto, che nessun individuo esiste nel Mu- seo di Cagliari, che nei luoghi submarini come nei montuosi v’ ha gran copia d’individui della specie seguente , colla quale io dubito che il Cara abbia preso equivoco, tanto più che il nome Sardo, ch'egli gli assegna, di Concamoru (testa nera), non può mai convenire allo stiaccino , ma solo al saltimpalo. Con tutto ciò io non nego che lo stiaccino possa approdare in Sardegna. Vol, VI. LITI 210 T. SALVADORI, 73. Pratincola rubicola, Koch. Sylvia rubicola, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 250). Saxicola rubicola, Bechst. (Bp. Faun. ital.). S. rubicola, Bechst. (Cara, Orn. sard., sp. LXXXIX). Sartiarellu o conca de moru, C. M. Saltimpalo. Comunissimo tanto in pianura che nei luoghi montani. 7A. Accentor alpinus, Bechst. A. alpinus, Bechst. (Savi, Orn. tosc , vol. 1, pag. 300). A. alpinus, Bechst. (Bp., Faun. ital.). A. alpinus, Bechst. (Cara, Orn. sard., sp. XC). Sordone. Accidentale è la sua venuta. Due individui sono depositati nella Col- lezione del Museo. 75. Accentor modularis, Cuv. A. modularis, Cuv. (Savi, Orn. tosc., vol. I, 299). A. modularis, Cuv. (Bp., Faun. îtal.). A. modularis, Cuv. (Cara, Orn. sard., sp. XCI). | Passera scopajola. I Cara (op. cit., pag. 80) vorrebbe che non svernasse in Sardegna , e che passasse in primavera; io invece ne ho viste, ed una ne ho uc- cisa nei monti d’Oridda presso Domus-Novas, nel mese di febbrajo. 76. Ruticilla phenicura, Bp. Sylvia phenicurus, Latl. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 232). Ruticilla phoenicura, Bp. (Bp., Faun. îtal.). Sylvia phenicurus, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. LXXVIII). Coa de fogu, G. M. Codirosso. Qualche individuo ne ho veduto anche nei mesi invernali, ma più nell’aprile. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 244 77. Ruticilla tithys , Bp. Sylvia tithys, Scop. (Savi, Orn. tose., vol. I, pag. 234). Ruticilla erythaca, Bp. (Bp., Faun. ital.). _ Sylvia tithys, Scop. (Cara, Orn. sard., sp. LXXVII). Coa de fogu, C. M. Codirosso spazzacamino. Durante l’ inverno l’ ho trovato assai comune al Capo S. Elia , ed altre località. 78. Erythacus rubecula, Cuv. Sylvia-rubecula, Lath.. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 244). Dandalus rubecula, Boje (Bp., Faun. ital.). Sylvia rubecula, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. LXXVI). Barba arrubia grisu, C. M. Fra Gavinu, C. S. Pettirosso. Come nel continente passa l'inverno in pianura, e l'estate sui monti ove nidifica. 79. Lusciola luscinia, K. et BI. Sylvia luscinia, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. 1, pag. 240). Philomela luscinia, Selb. (Bp., Faun. ital.). Sylvia luscinia, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. LXVI). Rusignolu, C. M., C. S. Usignolo. Giunge in Sardegna assai prima che nel continente , ed io ne ho intesi cantare anche nel marzo nei boschi della Tanga di Nizza. 242 T. SALVADORI, 80. Lusciola philomela , Bp. Sylvia philomela, Bechst. (Savi, Orn, tosc., vol. I, pag. 242). Philomela major, Sw. (Bp., Faun. îtal.). Sylvia philomela, Bechst. (Cara, Orn. sard., sp. LXVII). Rusignolo forestiero. Nessun individuo di questa specie io ho trovato nel Museo di Ca- gliari, ed io ritengo dubbia la sua comparsa in Sardegna. 841. SvIvia atricapilla, Latb. S. atricapilla, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 247). Curruca atricapilla, Br. (Bp., Faun. ital.). Sylvia atricapilla, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. LXVII). | Conca de moru, C. M. Filomena (il maschio), muschita (la femmina), C. S. Capinera. Comune al sopraggiungere di primavera. 82. Sylvia curruca , Lath. S. curruca, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 253). S. curruca, Lath. (Bp., Faun. ital.). S. curruca, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. LXXII). Bigiarella. Pochi individui giungono in primavera. Un solo è nel Museo di Ca- gliari. (83. Sylvia cinerea , Lath, S. cinerea, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 252). S. cinerea, Lath. (Bp., Faun. ital.). S. cinerea, Latb. (Cara, Orn. sard., sp. LXXI). Stampacresuras, GC. M. Sterpazzola. Comune e nidificante, ma pure emigrante in autunno, CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 2153 84. Sylvia conspicillata, Marm. S. conspicillata, Marm. (Savi, Orn. tosc., vol. |, pag. 263). S. conspicillata, Marm, (Bp., Faun. ital. S. conspicillata, Marm. (Cara, Orn. sard , sp. LXIII). Topi de mata, C. M. Sterpazzola di Sardegna. Contro l’ affermazione del Cara (op. cit., pag. 49) che questa spe- cie sia stazionaria in Sardegna, io credo solamente pochissimi individui vi restino nell’ inverno, non avendone visto che un solo individuo dal gennajo a tutto marzo in prossimità della Scaffa; ai primi di aprile invece molti comparvero nella vicinanza delle spiaggie presso Ca- gliari, e molti ne uccisi. Essi amano i luoghi coperti di cespugli tra i quali vanno nascondendosi e saltellando con grande agilità. Mi fu detto che vi nidifica. 85. Sylvia subalpina, Bonelli. S. leucopogon, Meyer (Savi, Orn. tosc., vol, I, pag. 251). S. subalpina, Bonelli (Bp., Zaun. itul.). S. passerina, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. LXXV). Sterpazzolina. lo non credo questa specie stazionaria, giacchè durante 1’ inverno che io passai in Sardegna non ne ho incontrato alcun individuo; e, sebbene qualcuno vi restasse a svernare, la specie deve considerarsi come emigrante. Ne esistono tre individui nel Museo di Cagliari. 86. Pyrophthalma melanocephala, Bp. Sylvia melanocepala, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 267). Pyrophthalma melanocephala, Bp. (Bp., Faun. ital.). Sylvia melanocephala, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. LXIX). Conca de moru, C. M., C. S. Occhiocotto. E stazionario , e l’ho trovato comunissimo ovunque, sebbene in maggior copia in vicinanza del mare, 214 T, SALVADORI, 87. Melizophilus sardus, Gerbes. Sylvia sarda, La Marm. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 266). Pyrophthalma sarda, Bp. (Bp., Faun. ital.). Sylvia sarda, Marm. (Cara, Orn. sard., sp. LXX). Topi de mata, GC. M. Ogu de boe, C. S. Magnanina sarda. Ho cambiato a questa specie il nome assegnatole dal Savi di Oc- chiocotto sardo in quello di Magnanina sarda, perciò che essa somiglia assai più alla Magnanina (Melizophilus provincialis ) che all’ Occhiocotto (Pyrophthalma melanocephala). Per la stessa ra- gione ho dovuto (seguendo il Gerbes che ha chiamato la Magnanina sarda Melizophilus sarda!) trasportare questa specie dal genere Py- rophthalma , Bp., nell’altro Melizophilus, Leach. Ed è veramente singolare che Bonaparte, così esatto osservatore, l’ abbia inclusa in quello anzi che in questo, mentre anche senza averne osservato i co- stumi, come io ho potuto fare in Sardegna, avrebbe dovuto riconoscere che la sua Pyrophthalma sarda, ed il Melizophilus provincialis hanno gli stessi caratteri generici e che perciò non v’era ragione di porre queste due specie in due generi separati per quanto affini, È cosa poi singolarissima che Blasius nella sua recente Lista degli uc- celli d' Europa abbia confuso in una stessa specie e il IM. provincia- lis e il M. sardus! e convien credere che egli non abbia avuto l’op- pertunità di confrontare individui delle due specie, chè altrimenti gli sarebbe stato impossibile di commettere un simile errore. Questo è forse l’uccello più comune che si trovi in Sardegna. Esso abita tanto il monte che la pianura, ma sempre ove il terreno è ri- vestito di cisti (Cystus monspeliensis) e di eriche; specialmente nelle colline coperte da queste piante ve ne ha un numero grandissimo ; non l’ ho mai trovato nei grandi boschi di elci. Quando sta nascosto entro i cespugli saltellando sui rami o scorrendo in terra non è fa- cile vederlo, poichè i cisti sono quasi a contatto gli uni cogli altri. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 245 Talora poi si vedono inalzarsi nell'aria a tre o quattro metri da terra e quindi gettarsi in basso per nascondersi tra le piante, o fermarsi per un breve istante sulle cime un poco più alte, d’onde specialmente in primavera fanno sentire un grazioso gorgheggio. Nell’ inverno in- vece, e quando sta nascosto tra i cespugli, si fa riconoscere da un grido ripetuto a brevi intervalli, e che può tradursi colle sillabe cié, ciè pronunziate coll’ e larga. Quando stanno entro un macchione og un cespuglio è difficilissimo far prender loro il volo, e quando ciò avviene volano con grande rapidità rasentando il terreno, ed a note- vole distanza. lì maschio adulto ha il becco nero colla base della mandibola in- feriore giallastra ; iride color nocciola ; margine delle palpebre nudo di color giallo carnicino. Pileo e gote di color cenerino nerastro intenso ; gola, gozzo, lati del collo e del petto dello stesso colore un poco più chiaro, quasi biancastro nella gola; cervice, dorso e sopraccoda nero cenerino leggermente tinto di rugginoso. Fianchi di color cenerino sudicio scuro. Parte media dell’addome bianco su- dicia. Penne del sottocoda cenerine scure, marginate di biancastro. Remiganti bruno-nere marginate ora più ed ora meno di cenerino rugginoso più manifesto sulle remiganti secondarie. ‘Timoniere bruno- nere con suttile margine cenerino rugginoso ; le timoniere esterne sono orlate di biancastro esternamente, e nella metà apicale del mar- gine interno. Piedi giallastri. La femmina differisce per avere i colori un poco più chiari, ed il cenerino più tendente al rugginoso ; però non è sempre facile di- stinguerla dal maschio. 88. Melizophilus provineialis, Leach. Sylvia provincialis, Temm. (Savi, Orn tosc., vol. I, pag. 264). Melizophilus provincialis, Leach. (Bp., Maun. îtal.). Sylvia provincialis, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. LXXIV). Topi de mata, C. M. Magnanina. Non ho mai trovato questa specie in pianura, ma sempre nelle 246 T. SALVADORI, colline e nei luoghi montani coperti di cespugli e non boscosi. Essa si trova spesso in compagnia della Magnanina sarda, della quale però è ‘assai meno comune essendovene appena un individuo per ogni dieci dell’altra; ha gli stessi costumi; il suo grido è alquanto differente per essere più aspro e gutturale, e può sebbene malamente esprimersi colle sillabe ché, chè, rapidamente emesse talora una sola volta, e ta- lora ripetute per due volte. 89. Regulus ignicapillus, Cuv. R, ignicapillus, Savi (Savi, Orn, tosc., vol. Il, pag. 10). R. ignicapillus, Cuv. (Bp., Faun. îtal.). R. ignicapillus, Bustein ? (Cara, Orn. sard., sp. LXXXII). Fiorrancino. Questa e la specie seguente sembrano piuttosto rare nel Capo me- ridionale , meno nel settentrionale. Esistono individui di ambedue. le specie nel Museo di Cagliari. 90. Regulus cristatus, Ray. R. vulgaris, Vieill. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 9). R. cristatus, Ray. (Bp., Faun. ital.). R. cristatus, Lath. (Cara, Orn. sard., sp, LXXXII). fiegolo. 94. Phyllopneuste rufa, Bp. Sylvia rufa, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 292). Phyllopneuste rufa, Bp. (Bp., Faun. ital., tav. 27, f..5). Sylvia hippolais, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. LXXIX). Luà piccolo. Tre individui di questa specie col nome di Sylvia hypolais esi- stono nel Museo di Cagliari, e non v ha dubbio che il Cara 1 abbia CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 217 confusa colla Motacilla hypolais, L. Egli dice (op. cit., pag. 32): « Al principiare dell’ inverno compariscono fra noi questi uccelli , vi sono comunissimi e frequentano i nostri giardini, massime degli agru- mi. » Ora io ho veduto questi uccelli ed ho trovato essere la S. rufa della quale ve ne ha un numero grandissimo sull’istmo dalla Scaffa alla Maddalena specialmente sui cespugli di Solani e sugli alberi di fico presso il Giorgino. Ne è da dire che il Cara abbia seguito gli autori Inglesi del tempo passato i quali per errore di Pennant chia- mavano Sylvia hypolais, la S. rufa, giacchè allora egli non avrebbe dovuto attribuire a questa specie il nome volgare di Leccafino cana- pino , o quello francese di Aauvette de poitrine jaune i quali appar- tengono solo alla Motacilla hypolais di Linneo (£icedula hypolais , Schleg.) o meglio alla Aicedula polyglotta, Schlegel. Nessuna specie del genere £icedula, Koch, (hypolais, Brhm.) esiste nel Museo di Ca- gliari, nè è notata dal Cara nell’opera citata, e neppure io nè ho in- contrata alcuna durante l’aprile. Questo genere non ha adunque nes- sun rappresentante in Sardegna ? lo stento a crederlo. 92. Phyllopneuste syIvicola, Lath. Sylvia sylvicola, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 290). Phyllopneuste sibilatrix, Bp. (Bp., Faun. ital., tav. 27, fig. 1). Sylvia sibilatrix, Bechst. (Cara, Orn. sard., sp. LXXX). Lui verde. lo non ho incontrato alcun individuo di questa specie, che al dire del Cara (op. cèt., pag. 52) è rara, e di cui esistono due individui nei Museo di Cagliari. 95. Phyllopneuste trochilus , Meyer. Sylvia trochilus, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 291). Phyllopneuste trochylus, Bp. (Bp., Faun. îtal., tav. 27, f. 2). Lui grosso. lo ho ucciso un individuo di questa specie nell’aprile sulle colline 248 T. SALVADORI, presso il Rio di S. Girolamo in vicinanza di S. Barbara e Capoterra. Dal Cara non è notata, il che mi fa credere che in Sardegna sia rara come l’antecedente, tanto più che nel Museo Cagliaritano non ve n’ha alcun individuo. 94 Cettia cetti, Blasius. Sylvia cetti, Marm. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 273). Cettia altisonans, Bp. (Bp., Faun. îtal,, tav. 28, f. 3). Sylvia cetti, Marm. (Cara, Orn. sard.. sp. LXIV). Passarilanti, C. M., C. S. Rusignolo di Palude. Questo uccello è comunissimo e stazionario, Vive lungo i ruscelli di piano e nei luoghi impaludati, ove crescono salci, pioppi ed altri alberi palustri. E difficile vederlo, stando sempre nascosto nei cespu- gli folti, d'onde fa udire un canto se non variato quanto quello del- l’usignolo, certo non meno liquido e sonoro, e talora anche più forte. Dei due individui esistenti nel Museo di Cagliari uno presen Dei d divid tenti nel M di Cagl presenta le parti inferiori cenerine con delle penne sparse di color bianco. È d’esso un giovane in muta ? 95. Calamodyta melanopogon, Bp. Sylvia melanopogon, Temm. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 279). Calamodyta melanopogon, Bp. (Bp., Zaun. ital.). Forapaglie castagnolo. Un individuo di questa specie, proveniente dalla Sardegna, esiste nel Museo di Torino, ed io penso che in primavera non vi debba es- ser raro nei luoghi palustri, nei quali accuratamente ricercando pro- babilmente troverebbesi anche la Calamodyta phragmitis, e se il Cara non ha veduto queste due specie forse è derivato dal pericolo di percorrere per la mal’aria i luoghi paludosi nei tempi opportuni, CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 249 96. Calomadyta aquatica, Bp. Sylvia aquatica, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 277). Calamodyta aquatica, Bp. (Bp., Faun. ital.). Sylvia aquatica, Latb. (Cara, Orn. sard., sp. LXIII). Pagliarolo. Giunge in primavera. Un solo individuo è nel Museo di Cagliari. 97. Schenicola cisticola, Blasius. Sylvia cisticola, Temm. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 280). Cisticola schenicola, Bp. (Bp., Faun. ital.). Sylvia cisticola, Temm. (Cara, Orn. sard.. sp. LXV). Pi-zi, C. S.? (Cetti). Beccamoschino. È stazionario in Sardegna; dal gennajo all’ aprile ne ho trovati molti abitare nei cespugli che ricoprono l’istmo che dalla Scaffa va fino alla Maddalena. 98. Lusciniopsis luscinioides, Blasius. Sylvia luscinioides, Savi (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 270). Luscinioides Savîi, Bp. (Bp., Faun. îtal., tav. 50, f. 2). Salciajola. Un individuo di questa specie esiste nel Museo di Cagliari, ed io dubito che il Cara abbia creduto di riconoscere in esso la Sylvia Philomela, della quale dice che nidifica nei luoghi umidi, ciò che tonviene assai meglio alla luscinioides. 220 T. SALVADORI, 99. Calamoherpe arundinacea, Boje. Sylvia arundinacea, Latb. (Savi, Orn. tosc., vol. 1, pag. 288). Calamoherpe arundinacea, Boje (Bp., Faun. ital., tav. 29, f. 2). Beccafico di padule. - Anche questa specie non è notata dal Cara, ma nel Museo di Ca- gliari ve n’ è qualche individuo. To penso che in Sardegna debba. tro- varsi anche la Calamoherpe turdoîdes, Bp. MOTACILLIDA. 400. Motacilla alba, L. M. alba, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 28). M. alba, L. (Bp., Faun. ital.). M. alba, L. (Cara, Orn. sard., sp. XCII). Coetta bianca, C. M. Culisaida bianca, C. S. Ballerina. Comunissima. Giunge al principiar d’ autunno e riparte in pri- mavera. 104. Motacilla boarula, Penn. M. boarula, L. (Savi, Orn. tose., vol. II, pag. 32). M. boarula, Penn. (Bp., Faun. ital.). M. boarula, L. (Cara, Orn. sard., sp. XCIII). Coetta groga, C. M. (gialla). Culisaida groga, G. S. Cutrettola. Questa specie deve essere stazionaria in Sardegna, giacchè iò ne ho veduti alcuni individui in inverno, ed il Cara (op. cit., pag. 62) dice che vi nidifica; certamente egli deve essersi ingannato) credendo che partisse di poi; forse si ritira su per i torrenti? alpestri per ca- lare in autunno, CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 221 102. Budytes flavus , Bp. Motacilla flava, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 34). Budytes flava, Cuv. (Bp., Faun. ital., tav. 52, f. 1). Cutti o gialletta. Questa specie non è notata dal Cara, ma è indubitato che si trovi in Sardegna, giacchè quattro individui presi nell’ isola esistono nel Museo di Cagliari. Però m’è sembrato singolare di non averne ve- duta giungere alcuna durante il mese d’ aprile. Non è difficile che con essa arrivi anche la M. cinerocapilla, Savi, e la B. nigricapilla, Bp. ossia la M. melanocephala, Savi nec Licht. 103. Anthus aquaticus , Bechst. A. aquaticus, Bechst. (Savi, Orn. tosc, vol. Il, pag. 93). A. spinoletta, Bp. (Bp., Faun. ital.). A. aquaticus, Bechst. (Cara, Orn. sard., sp. XCIV). Pispanti, G. M., Pispante, C. S. Spioncello. Giunge in autunno e parte in primavera. 104. Antbus pratensis, Bechst. A. pratensis, Bechst. (Savi, Orn. tose., vol. Il, pag. 43). A. pratensis, Bechst. (Bp., Haun. itol.). A. pratensis, Bechst. (Cara, Orn. sard., sp. XCVI). Pispanti, C. M., Pispante, C. S. Pispola. Nell’ inverno è uno degli uccelli più comuni in Sardegna. Il Cara (op. cit., pag. 64) assicura che vi nidifica, forse negli alti monti, ma non certo in pianura. 2292 T, SALVADORI, 105. Anthus arboreus, Bechst. A. arbereus, Bechst. (Savi, Orn., tosc., vol. Il, pag. 40). A. arboreus, Bechst. (Bp., Faun. ital.). A. arboreus, Bechst. (Cara, Orn. sard., sp. XCVIII). Pispanti, G. M., Pispante, C. S. | Prispolone. lo non ne ho visto alcuno durante l’inverno sebbene il Cara (op. cît., pag. 68) lo dica stazionario. Nel Museo *v' è un individuo di questa specie. 106. Anthus cervinus, K. et BI. A. cervinus, K. et BI. (Bp., Faun. ital.), A. rufogularis, Briss! (Cara, Orn. sard., sp. XCVIII). Pispola a gola rossa. Il Cara (op. cit., pag. 64) la dice rara, io non ho potuto vederne nessun individuo nè nel Museo, nè fuori. 107 Anthus campestris, Bechst. A. campestris, Bechst. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 145). A. campestris, Meyer (Bp., Faun. ital.). A. rufescens, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. XCV). Fanfarroni, C. M., Fanfarrone, C. S. Calandro. lo non credo di aver veduto il Calandro in Sardegna, però sicco- me non ricordo ciò con certezza lo annovero in questo Catalogo poi- chè il Cara lo nota come sopravveniente in autunno ed emigrante in primavera (Vedi Cara, op. cit., pag. 63). CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 925 ALAUDIDA. 108 Alauda arvensis, L. A. arvensis, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 55). A. arvensis, L. (Bp., Faun. îtal.). A. arvensis, L. (Cara, Orn. sard.. sp. XCIX). Calandria, C. M. Chilandra, C. S. Lodola. Nell’ inverno ve ne ha un numero grandissimo. Molte vi nidificano. Nel marzo non ho incontrato alcun branco di passaggio come se ne vedono sul continente. 109. Alauda arborea, L. A. arborea, L. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 68). A. arborea, L. (Bp., Faun. ital.). A. arborea, L. (Cara, Orn. sard., sp. C). Calandria, toccaterra, G. M. Calandrina, Accuccadita, C. S. (da accuccare, accovacciarsi). Tottavilla.. Comunissima nei mesi invernali , essa è così poco paurosa da Ia- sciarsi avvicinare quasi fino a prenderla colle mani. 410. Alauda calandrella, Bonelli. A. calandrella, Bonelli (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 67). A. arenaria, Vieill. (Bp., Faun. ital.). A. brachydactyla, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. CIII). Calandrino. Comune e stazionario. (Cara, op. cit., pag. 69). 224 T. SALVADORI, Il Cara (op. cit., pag. 68) annovera pure tra le specie sarde 1’ 4- lauda cristata, L., e dice giungere in primavera e partire nell’ in- verno. Gl’ individui del Museo segnati con questo nome non erano che lodole comuni (4. arvensis) con becco mostruosamente lungo , ed io non ho incontrato aleun individuo di questa specie, per. cui credo che essa non si trovi in Sardegna. Non può negarsi. che. la mancanza di questa specie in Sardegna sia uno dei fatti più» singo- lari della sua avifauna , mentre .si tratta di una sua specie che abita quasi tutto il continente europeo, e parte dell'Asia ed in Africa la parte più settentrionale. Anche il Cetti (Uccelli di Sardegna, pags 156) aveva notato marfcare in Sardegna questa specie. 414. Melanocorypha calandra, Boje. Alauda calandra, L. (Savi, Orn. tosc., vol..H, pag. 50). Melanocorypha calandra, Boje (Bp., Faun. ital.). Alauda calandra, L. (Cara, Orn. sard., sp. CIII). Calandrioni, C. M. Calandra reale, C. S. Calandra. Comunissima e stazionaria; ho notato che lin Sardegna non, è icosì diffidente come nell’Agro Romano ed altri luoghi. Forse {perchè,, non vi è molestata. FRINGILLIDA. 112. Cynchramus miliarius, Bp. Emberiza miliaria, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 79). Cynchramus miliarius, Bp. (Bp., Faun. îtal.). Emberiza miliaria, L. (Cara, Orn. sard., sp. CIX). Orgiali de denti, G. M. Orgiali o cincirrî a dentes, C. S. Strillozze. E uno degli uccelli più comuni; sui margini delle terre coltivate e per ogni dove ve ne ha:un grandissimo numero, e.non sono affatto diffidenti. CATALOGO DEGL! UCCELLI DI SARDEGNA 225 113. Fuspiza melanocephala , Bp. Emberiza melanocephala, Scop. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 95). Euspiza melanocephala, Bp. (Bp., Faun. îtal.). Emberiza melanocephala, Scop. (Cara, Orn. sard., sp. CVII). Zigolo capinero. Nel Museo non ho potuto trovare il giovane individuo depostovi dal Cara (op. cit., pag. 75). Essendo rarissimo non so come possa attribuirgli i nomi sardi di Orgiali, C. M., e Cincirri, C. S. Senza negare assolutamente la sua accidentale comparsa in Sardegna io du- bito che il Cara, a riguardo al giovine individuo di cui parla, sia ca- duto in errore. Anche Bonaparte nei primi tempi aveva creduto que- sta specie propria della Sardegna (vedi, Specchio comparativo delle Ornitogie di Roma e di Filadelfia. Pisa, 1827). 144. Emberiza hortulana , L. E. hortulana, L. (Savi, Ora. tosc., vol. Il, pag. 87). E. hortulanus, L. (Bp. Faun. ital.). E. hortulana, L. (Cara, Orn. sard., sp. GXI). Ortolano. Accidentale è la sua venuta. 445. Emberiza cirlus , L. E. cirlus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 76). E. cirlus, L. (Bp., Faun. ital.). E. cirlus, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXII). Zigolo nero. Ne ho visti moltissimi tanto in inverno che in primavera. Varj in- dividui femmine di questa specie, esistenti nel Museo, portavano il 15 226 T. SALVADORI, nome di Emberiza citrinella, e su di esse deve essere stata fondata l’esistenza di questa specie (Cara, op. cit, specie CVIII) in Sardegna, della quale però io non ho incontrato nessun individuo nè in pianura, nè sui monti di Oridda, nè in quei di Seui presso il Genargentu , che in quel momento era coperto di neve fino alle falde. Dice il Cara (op. cit., pag. 84) che arriva în primavera vi annida e parte in ottobre; le quali parole bastano a dimostrare come egli siasi in- gannato siccome l’Emberiza citrinella in paesi molto più al nord della Sardegna, come in Toscana, scende in pianura solo nei più ri- gidi inverni, mentre egli ne fa un uccello estivo. Egli aggiunge che trovasî più comune in montagna che in pianura e così deve essere dell’Emberiza cirlus, che dall’ aprile all’ autunno abbandona le pianure per andare più in alto a porre il nido. 416. Emberiza cia, L. E. cia, L. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 85). E. cia, L. (Bp., Zaun. ital.). E. cia, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXIII). Zigolo muciatto. Ne ho visti in inverno alcuni pochi individui. 417. Emberiza scheniclus , L. E. scheeniclus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 89). E. scheeniclus, L. (Bp., Faun. ital.). E. scheeniclus, L. (Cara, Orn. sard., sp. CX). Migliariano di Palude. Ne ho visti ed uccisi varj individui nel gennajo dalla, parte di El- mas sulle canne in riva allo Stagno. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 227 1418. Passer montanus , Steph. Fringilla montana, L. (Savi, Oru. tosc., vol. II, pag. 4107). Pyrgita montana, Guv. (Bp., Faun. sard.). Fringilla montana, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXIX). Passera maltugia. lo di questa specie non ho visto in Sardegna altro che i due indi- vidui esistenti nella Collezione del Museo. Il Cara (op. cit., pag. 82) afferma che vi è rarissima. 149. Passer salicicolus, Bp. Fringilla hispaniolensis, Temm. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 106). Pyrgita salicaria, Vieill. (Bp., Yaun. ital.). Fringilla hispaniolensis, Temm. (Cara. Orn. sard., sp. CXVIII). Crucculeu, C. M. Furfurrinu, Biddiso, C. S. Passera sarda. Questa specie o razza, come alcuni vogliono , rappresenta in Sar- degna la Fringilla cisalpina, Temm. del continente italiano, e là F. domestica, L, delle regioni più al settentrione dell’ Italia. La passera sarda è nell’ Isola comunissima e SR ed ha gli stessi costumi delle due specie continentali. 120. Pyrgita petronia, K. ct BI. Fringilla petronia, L. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 138). Petronia stulta, Bp. (Bp., Faun. ital.). Fringilla petronia, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXVII). Crucculeu de monti, C. M. Furfurinu de monte, C. S. Passera lagia. Ne ho visti miolti individui nei primi giorni d’ aprile sui monti presso Sèuî H Cara (op. cit., pag. 80) assicura che annida nei monti. 298 T. SALVADORI, CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 424. Fringilla celebs, L. PF. colebs, L. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 4110). F. colebs, L. (Bp., Yaun. ital.). I. coelebs, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXI). Frinquellu, C. M., C. S. ° Frinquello. In gran copia giunge in autunno, e riparte in primavera; non po- chi restano a porvi il nido. Ne ho ‘trovati tanto in pianura che in montagna. 123. Chlorospiza chloris, Rp. Fringilla chloris, Temm. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 134). Chlorospiza chloris, Bp. (Bp., Faun. îtal.). Sc: Fringilla chloris, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. CXVI). Verdurolu, GC. M. Canariu areste, C. S. | - I Verdone. Comunissimo e molti vi nidificano. 123. Linota cannabina , Bp. Fringilla cannabina, L. (Savi, Orn. sard., vol. II, pag. 128). Linota cannabina, Bp. (Bp., Faun. ital.). Fringilla cannabina, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXII). Passarella, G. M. Passericu, C. S. Montanello o Fanello. Sembra stazionario , o almeno in gran numero vi restano tutto l’anno, mentre i più vi giungono in autunno, fo nell’inverno ne ho ve- duti grandissimi branchi nei prati intorno a S. Bartolomeo o presso il Capo S. Elia, e spesso erano mescolati coi verdoni e colle pispole: (Continua) SULLA MORENA LATERALE DESTRA DELL'ANTICO GHIACCIAJO DELL'ADIGE LUNGO LA SPONDA OCCIDENTALE DEL LAGO DI GARDA +. NOTA DEL PROFESSORE =” ENRICO PAGLIA (Seduta del 24 aprile 1864) Con una TAVOLA (Tav. VI) In attesa di circostanze più favorevoli, che mi permettano di com piere lo studio intrapreso sulla geologia del bacino del Garda , credo opportuno di pubblicare le osservazioni fatte da me in una recente escursione lungo la sponda occidentale del detto lago, principalmente riguardo alla morena laterale destra dell’antico ghiacciajo dell'Adige. Ne presento quindi a miei rispettabili colleghi lo schizzo (Tav. VI). Non è necessario che io ripeta qui l’enumerazione dei caratteri onde si distingue una morena; bastandomi di accennare averli riscon- trati con tutta evidenza nella linea non interrotta di colli, clte dai confini tirolesi sopra Limone scende fino a Salò, addossata quasi sem: pre ai monti cretacei, e da Gargnano fino oltre Limone segnando il confine della anticlinale tra i monti cretacei dell’interio e la zona di giurese che forma la sponda del lago, elevata a picco su di esso per più di 150 metri. 230 F. PAGLIA, Sotto Limone, dove il rivo, che esce dalla valle di Brada, si aprì un varco corrodendo e tagliando l’argine morenico che la chiudeva, abbondano i massi erratici di granito sienitico: ma più a Vesio, dove tutte le case hanno alle porte ed alle finestre stipiti, soglie, davan- zali ed architravi di detto granito erratico, e che fu nei passati tempi un ramo d’ industria speciale per i terrazani di Vesio, che ne spedi- «divano pel lago anche in paesi lontani. Il fertile allipiano che tro- vasi a monte dl Vesio, detto dai paesani la pertica, è pure indubbia- mente un deposito morenico: esso ha la forma di anfiteatro a doppio giro, e chiude l’imboccatura della valle di Bondo. Nell’ interno di questa la durezza della roccia giurese sottoposta al torboso laghetto di Bondo, che resta asciutto nella calda stagione dell’anno, ci spiega la sua poca profondità: mentre il ramo del ghiacciajo che dal To- nale discese fino a qui (1), senza potersi avanzare di più perchè frenato dalla stretta gola della valle superiore, nè quindi riunirsi al ghiac- ciajo del Garda, come fece quello della valle di Ledro, limitò la sua forza escavatrice all’accumulamento frontale dai materiali erratici che formano la pertica. A Tremosine si riscontrano pure in direzione parallella al lago gli avanzi della morena laterale, sparsa di massi angolosi di granito, d’are- naria rossa e di micaschisto; seguendo questa per Vojandes fino alla valle S. Michele che la interrompe, si notano varie sue diramazioni nella dire- zione di Sermerio, dove tra gli strati giuresi si trova un ricco filone di manganese. Nella mia rivista per quei monti pochissimi furono i fossili che mi fu dato di trovare, sicchè mi fece grata sorpresa lo scoprire in un masso, sul sentiero onde si scende da Sermerio al ponticello che attraver- sa il torrente S. Michele, profondamente incassate nella roccia giurese molte belemmiti, che non potei però distaccare. Risalito alla destra di detta valle, che nella sua pare inferiore non è che un solco orri- do e profondissimo, numerosi massi erratici di granito e di micaschisto mi seguirono lungo i soliti rialzi morenici fino ad Olzano. Di qui la (1) Questo ramo del ghiacciajo del Chiese non trovasi segnato nella Carta degli an- lichi ghiaccioj del versante italiano delle Alpi, ‘pubblicata dal sig. De Mortillet nel vol. III degli Atti della Società italiana di scienze naturali, ed io lo segnalo agli stu- diosi di queste materie come un’importante aggiunta a quella importantissima carta, | | SULLA MORENA DELL'ANTICO GHIACCIAJO DELL'ADIGE 951 morena laterale addentrandosi nelle vallette che si aprono a Gardola, ad Oldese, a Piovere, s'abbassa più o meno integra fino a Gargnano, Da questo ridentissimo paese in riva al lago adossato alla morena, salendo verso Formaga, si incontrano dovunque massi di gneis, di are- narie, di graniti, e verso Terra di Sasso alla destra anche di melafi- Yo, che attestano la certa provenienza di questi materiali dalle valli tirolesi, donde il ghiacciajo dell'Adige li trainò su questi monti a un’al- tezza non minore di 100 metri sul lago. Tali collinette , formate da una congerte di ghiaja e sassì di smisurata grandezza. , alcuni de’ quali sono di porfido rosso con punti di felspato bianco, altri di pietra delle fornaci ricchissime di mica dorata e argentina qua e là sfio- rita în ocra gialla, le ebbe già ad osservare Mons. Serafino Volta nel 1788; talchè meravigliato esso che simili pezzi erranti corrispondano nella qualità e nella tinta al granito delle Alpi della Germania, si fa a domandare: qual causa maî avrà potuto svellere e trasportare dal seno della Germania în Italia pezzi cotanto enormi e pesanti? (1) È consolante per noi che ad una tale richesta possa oggi la scienza ri- spondere colla teoria dei ghiacciaj. Verso Sasso trovasi pure un largo ammasso di pietrame calcare , ammontato irregolarmente in forma più di morena che di franatura , e che probabilmente non è che un avanzo di morena secondaria. Qual'è quella ruina che nel fianco Di qua da Trento lAdice per- cosse (2), ricordata da Dante, e citata spesso dai geologi come tipo di vera morena secondaria, che trovasi in valle d’Adige presso Mori. Avvicinandosi a Formaga, insieme a un grande deposito irregolare di sabbie, ciottoli calcari e qualche masso di granito , che verso S. Rocco si distende in vera morena laterale, si scorge una puddinga stratificata , a grossi elementi , lisciata e arrotondata alla superficie ; prova che su di essa ebbe a strisciare il ghiacciajo. Soprapposta com’ è a calcari schistosi dell’ epoca della creta inferiore , potrebbe rite- nersi come un rappresentante della puddinga di Sirone; ma non oso (1) Descrizione del lago di Garda e de’ suoi contorni di Mons. Serafino Volta. Man- tova 4788, pag. 49 e dò. (2) Inferno. Canto XII, v, 4, È, 252 È. PAGLIA, asserirlo assolutamente, non avendovi trovati fossili. Da Formaga scen- dendo a Bogliaco e quindi a Toscolano, si vedono le colline fiancheg- gianti il lago formate anch'esse di materiali erratici, tra cui abbon- dano i massi di dolomia, di granito e di micaschisto fino di 30 metri di cubicità. A Toscolano è celebre l’angusta ed elevatissima spaccatura nel monte cretaceo della riviera, per cui scorre il torrente Toscolano; lungo il quale sono stabilite da secoli molte cartiere, *Osservabile pure è la larga pianura semicircolare, detta in paese la capra, for- mata dai materiali morenici che dovettero chiudere I° imboecatura della valle del Toscolano. Allo sciogliersi del ghiacciajo essendosi for- mato un lago nell’interno di essa , rottasi la diga per il peso delle acque , queste seguitarono ad alluvionare il litorale, colmato prima- mente coi materiali della diga morenica rovesciata. Scorgonsi infatti nell’ interno della valle a grande altezza sulle pareti rocciose i certi segnali di un tale corso repentino e potente di acque. Ai tempi Ro- mani questa deliziosa spiaggia si coperse di ville sontuose, di cui, se non della favolosa città di Benaco, si vedono le rovine principalmente nei poderi parrocchiali di fianco alla Chiesa. I dossi dei monti a si- nistra della valle di Toscolano verso Gaino sono vestiti di erratico, con massi di sienite, di micaschisto, di conglomerato e di dolomia: di questa roccia trovai un bel masso rigato sopra la cartiera Maffiz- zoli. Salendo sulla destra del Toscolano a Senigo, si vedono nelle val- lette a destra ed a sinistra della via avanzi di morene, simili a quelle che fiancheggiano il lago, con numerosi massi di micaschisto. Più in su trovasi il neocomiano, poi la majolica fino verso le allure scoscese del Pizzocolo, che è giurese. Da Maderno a Gardone, a Morgagna, e salendo lungo la valletta del Seterolo , i colli che si percorrono non sono che una continua- zione della morena laterale, sparsi di grandi massi angolosi di mica- schisti e di puddinga ; dei quali alcuni si trovano fino sui fianchi del monte S. Bartolomeo, che sovrasta a Salò, elevati circa un centinajo di metri sul lago. In varj luoghi di questi dintorni vedesi una pud- dinga estesamente stratificata, sconvolta irregolarmente, alla quale sottostanno strati di sabbia, senza fossili e che vuol considerarsi come appartenente all’ antica alluvione, che prima dell’ epoca glaciale do- SULLA MORENA DELL'ANTICO GHIACCIAJO DELL’ ADIGE 235 vette avere colmato il bacino del Garda, almeno fino all'altezza di Gardone, dove ora trovasi elevata sul lago circa 40 metri. Alle falde del S. Bartolomeo, formato di un calcare schistoso bruno e vinato fu scoperto recentemente un deposito di lignite, che diede buoni risul- tati calorifici in una prova che se ne fece dai piroscafi che solcano le acque del Garda : ignoro quanto siasi fatto d'avantaggio per la sua utilizzazione. Salendo da Salò per S. lago a Rezzano, dove trovansi come a Gar- done resti della puddinga alluvionale antica, si scorge lungo la costa oc- cidentale del S. Bartolomeo la valletta. per cui scorre il Rio, ingom- bra di massi erratici di micaschisto con pochi graniti, e le colline circostanti , appoggiate al giurassico di Agnedo, Volciano , ecc., che divide il bacino del Chiese da quello del Garda, essere di vera for- mazione merenica. Da qui a Lonato scende una elevata e molteplice linea di colli morenici che vanno a continuarsi colle morene frontali, che prospet- tano il lago , e sulle quali non mi estendo di più per non ripetere quanto già scrissi delle altre cui sono pienamente conformi. Noto però come ì massi che vi si incontrano, fino di 10 metri di cubicità, sieno principalmente di calcare giurese, d’ arenaria e di graniti; e più in basso verso Puegnago e S. Quirico quasi esclusivamente di micaschi- sti. Sopra Caccavero presso i mulini si vede un bel masso ‘di granito con scannellature parallele, larghe fino un decimetro. Ciò che havvi di osservabile in questo punto sono gli affioramenti dei terreni terziarj eocenici di Portese, S. Felice, Manerba, Moniga, corrispondenti sulla riva opposta del lago al nummulitico di Garda. Essi sono divisi dalla morena da un uuovo rialzo assai esteso di con- glomerato solido , a grossi elementi di arenaria, di graniti e di cal- cari fino di 40 cent. di diametro ; ed occupa gran parte del terreno da Bissiniga a Soprazzoco, parallelamente al lago, ed inclinato verso di esso, con una potenza di più decametri. ] caratteri complessivi di questa roccia, sebbene anch'essa avara di fossili, m’ indussero a clas- sificarla per terziaria, ed a considerarla come un conglomerato mio- cenico , riferendosi petrograficamente a quello di Montorfano Bre- selano , e stratigraficamente agli altri conglomerati che il socio Ga- 254 E. PAGLIA, staldi riconobbe nella collina di Torino. Il ghiacciajo lasciò anche st questa roccia indubbie prove del suo passaggio nella lisciatura arro- tondata della sua superficie e nelle scannellature che in varie in parti la insolcano nella direzione di nord a sud, che fu appunto quella dello avanzarsi del ghiacciajo nella pianura. Noto ancora come la morena principale, altra volta da me de- scritta (1), costeggi il Chiese non interrotamente fino altre a Bediz- zole, confondendosi per mezzo delle ondulazioni del terreno colle morene di ritiro del ghiacciajo, che scendono a Lonato, In essa i por- fidi, i graniti, i micaschisti, le arenarie , i calcari compatti sono co: munissimi, ma di massi di nummaulitico non mi fu dato vederne, come neppure nella morena laterale che divide i terreni terziarj sovrac- cennati. Questo fatto mi conduce a toccare della differenza di opi- nione che è tra i geologi sulla origine, e sull’epoca degli attuali la- ghi morenici alpini, le cui cavità aleuni vogliono fossero occupate dai ghiacciaj durante la formazione dell’alluvione antica, ed altri le vogliono riscavate dai ETA) dopo che l’alluvione antica ebbe a colmarle. Della prima è sostenitore nella nostra Società il chiarissimo sig. Om- boni; dell’ altra è autore e diffensore l’ illustre sig. De Mortillet (2). Il non trovare massi di nummulitico nella morena pringipale, men- tre di assai voluminosi se ne riscontrano nelle altre più vicine al lago, m’ induce a credere che nella prima invasione del ghiaccio sulla al- luvione antica della pianura non abbia avuto tale spessore da smuo- verla profondamente col suo peso e dislocare il terreno nummulitico, il quale doveva più che non mostri oggidì restringere l’imboccatura del lago. Dopo un lasso di tempo meno freddo, che fece ritirare il ghiacciajo dalla linea del Chiese a 6 chil. verso 1° interno del ba- cino, essendo sopravenuta un’epoca di freddo più intenso, il ghiac- (1) Sulle colline erratiche intorno all’ estremità meridionale del lago di Garda. Atti della Società italiana di scienze naturali. Vol. 1I, pag. 337, con 4 tavola. (2) Vedi negli Atti della Società italiana di scienze naturali. Vol. JI, IMI, e V: gli scritti di Omboni, Pirona, Gastaldi, De Mortillet; e di quest’ultimo anche la Note géologi- que sur Palazzolo et le lac d’ Iseo del 1859, e l’altra Sur les terrain du versant ita- lien des alpes comparés a ceux du versant francais, del 41862, nel Bollettino della So- cietà geologica di Francia. Vol, 417 e 49. SULLA MORENA DELL'ANTICO GHIACCIAJO DELL’ ADIGE 2355 ciajo dovette crescere talmente di mole da innalzarsi fino sul dor- so dei monti che fiancheggiano il lago, al livello a cui si scorge la morena laterale sopra descritta. Fu allora che gravitando e so- spingendo potentemente la sottoposta alluvione, formò con essa alla sua estremità il maggior corpo degli archi morenici che fronteggiano il Garda, a cui si mescolarono i massi delle morene superficiali pro- venienti dall’ interno delle valli tirolesi, e quelli di nummulitico spo- stati dalla gigantesca azione escavatrice del ghiacciajo. Nè mi pare concludente l’obbiettare, che questo accrescimento del ghiacciajo avrebbe dovuto allargarlo di nuovo nella pianura fino oltre alla morena principale, poichè il crescere di peso doveva obbligarlo non ad avanzarsi, ma a profondarsi nel terreno mobile alluvionale sottoposto, e a carcerarsi da sè dentro i limiti delle morene frontali. Oltre di ciò nell’ ipotesi del sig. Desor sostenuta da Omboni, tutto i materiale morenico dovette provenire direttamente dall’ interno delle Alpi e sdrucciolando sulla superficie del ghiacciajo acculmuarsi al piede ed ai lati di esso: ma ciò non può essere vero per i massi di num- mulitico che non provengano dall’ interno del bacino, ma si trovano in posto alla sua estremità, donde le correnti immaginate da Omboni per la formazione dell’alluvione antica, non potevano certo nè stac- earli, nè sospingerli all'altezza a cui si trovano sulle morene. Si badi ancora nel mio schizzo alla penisola di Sirmione, Sporge essa per 3 chilom. nel lago ed alla sua estremità , dove si trovano i celebri avanzi della villa di Catullo, vi si inalza un cenlinajo di me- tri; la compattezza della roccia calcarea che ne forma la testa, ed il rincalzo della roccia miocenica oppostamente adossata alla prima, do- vettero, creare un ostacolo fermissimo al ghiacciajo, che dividendosi volse la sua forza all’escavazione dei due golfi laterali. Questi ingom- bri in parte di terreno terziario, dovevano nel resto essere ricolmi di alluvione antica, se, come vedesi a Sirmione prima di entrare nel paese, trovavasi essa ad un livello superiore a quello che ha esteriormente all’anfiteatro morenico e vicino all’altezza di 53 metri sul lago. Vi si osservano infatti i soliti depositi di ghiaje e di sabbie stratificate oriz- zontalmente con puddinga, simile a quella che trovasi lungo le sponde dei nostri fiumi, e quale il Chiese stesso mostra sulla sua sinistra a 2356 E. PAGLIA, Casalmoro, 15 chilometri sotto Carpenedolo. La conservazione di que- sto avanzo d’antica alluvione è dovuta all’ostacolo opposto dalla salda estremità della penisola, che la tenne al coperto dell’azione del ghiac- ciajo, parallela alla direzione della stessa: tanto è vero che un poco al di sotto ebbe subito a formarvi una parziale morena laterale, come vedesi alle Colombare , ed un basso fondo litorale che venne’ poscia rialzato dalle alluvioni moreniche e dalle moderne a circa 10 metri sul lago, mentre l’ alluvione antica esterna all’ anfiteatro gli sovrasta sotto Montecchiaro circa 30 metri. Così finalmente il livello a cui tro- vasi l’alluvione antica a Sirmione ed a Gardone confermerebbe l’asser- serzione di Mortillet (1) sulle esagerazioni del sig. Lombardini nel calcolo del 4 per mille dato alla pendenza delle antiche alluvioni , che ebbero già ad interrire il bacino dei nostri laghi. Infatti il livello dell’alluvione antica dal piano di Montecchiaro , a quello che si ‘os- serva a Sirmione ed a Gardone, distante dal primo punto 2% chilom. ci dà una pendenza di 0,40 per mille; e tale deve ritenersi essere stata la media pendenza di tutta la pianura preesistente nell’ interno del bacino del Garda, sufficiente al trasporto dei materiali non troppo voluminosi dell’alluvione antica, qual’ è il corso dell'Adda inferiore a Pizzighettone fino al Po (2). Ora con tale pendenza all’estremità set- tentrionale dél lago l’alluvione non poteva elevarsi sul medesimo che metri 86: donde si vede come il volume delle materie alluvionali già contenuto nel bacino del Garda dovette essere minore d’assai dei 97 chilom. cubi calcolati da Lombardini presuntivamente e nell’ ipotes che l’elevazione della alluvione antica sul lago fosse stata alla estre- mità del medesimo di 247 metri (5). Nel mio calcolo infatti tale cubatura non passerebbe i 60 chilom. e sarebbe perciò meglio proporzionale al volume delle morene attuail che si trovano tra il Chiese e l'Adige, se ad onta delle diminuzioni (1) Sur l’affouillement ‘des anciens glaciers. Reponse de M. Gabriel De Mortillet è M. Bartolomeo Gastaldi. Atti della Società italiana di scienze naturali. 1863, vol. V, pag. 21. (2) Stato idrografico naturale. Prospetto II del sig. ing. Elia Lombardini, nelle Noti- zie civili e naturali sulla Lombardia. 1846. (3) Studj sull’origine dei terreni quadernarj di trasporto, ecc., dello stesso. Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti. 1861, vol, VIII, pag. 34. DELLA MORENA DELL'ANTICO GINACCIAJO DELL'ADIGE 237 grandissime a cui andarono soggette dopo lo scioglimento dei ghiac- ciai, occupando tuttavia all’ incirca un’area di 480 chilom. quad. ed elevandosi in media circa 80 metri, presentano oggidi un volume complessivo di circa 40 chilom. cubi. I nuovi fatti ed i calcoli suesposti , rendono adunque assai proba- bile la ipotesi del sig. de Mortillet, e come tale io la accolgo a pre- ferenza di quella del sig. Desor, tuttochè la sua grandiosa speciosità mi avesse in fino a qui indotto nell’animo contrarie prevenzioni. Colgo questa occasione per annunziare, come non abbia trascurato, durante la mia gita lungo la sponda occidentale del lago, di spingere lo sguardo nel limpidissmo seno di esso per scoprirvi pure qualche avanzo delle antiche abitazioni lacustri, per cui divennero oggidì tanto importati alla scienza altri nostri laghi. Ma mi è doloroso il confessare che, per quante ricerche io abbia fatto nei seni più tran- quilli e di basso fondo, dove probabilmente tali abitazioni potevano stabilirsi, per quanto io abbia interrogato navicellai e pescatori sulla esistenza di tali palafitte in fondo al lago, nulla potei raccogliere di positivo. Ed ancora mi suona sfiduciosamente all’ orecchio 1° osserva- zione dei pescatori, che ben dovevano, prima degli scienziati, avere scoperto tali palafitte, se vi esistessero, le loro reti. Avendo chiesto nuove informazioni a persona intelligente, che più volte ebbe a percorrere col piroscafo la linea da Salò a Limone a una decina di metri dalla riva, e a farvi diligenti osservazioni in pro- posito, ancora mi fu risposto nulla trovarsi che accenni ad abitazioni lacustri. Lungi però dal credere che le pescose e celebrate onde del Garda non sieno state visitate nei tempi antestorici dalla nomadi tribù, che stanziarono sugli altri nostri laghi, auguro al chiarissimo Stoppani miglior fortuna, che non sia toccata a me, nelle ricerche por tale oggetto da lui incominciate anche intorno al Garda. Asola, 6 aprile 1864. SOPRA UNA SPECIE DI CROCIFERE NUOVA PER LA FLORA ITALIANA nota pEL poTT. PAOLO ASCHERSON ‘ ASSISTENTE ALLA DIREZIONE DEL R. ORTO BOTANICO DI BERLINO (Seduta del 24 aprile 1864) Nell'anno 41854 il signo? Reuter di Ginevra descrisse (Compt. rend. soc. Haller. p. 18) una specie di Capsella trovata nei dintorni di quella città, alla quale egli diede il nome di C. rubella. Sono già alcuni anni che la tengo nel mio erbario, raccolta in Isvizzera (presso Lo- sanna ) dall’ amico Muret, e in Savoia dal signor Perrier; ma non avevo gran confidenza nel valore specifico di quella pianta, confon- dendola a torto colle numerose creazioni fabbricate dal signor Joàdan e dai suoi discepoli alle spese di quasi ogni pianta comune. Dovevo rincontrare viva la pianta in questione sul suolo italiano, per rico- noscere il mio errore. Facendo nell’antio scorso 1863 un viaggio botanico ‘all'isola di Sardegna coll’amico O. Reinhardt, passai per To- rino per ricevere i preziosi e salutari consigli dell’ illustre autore: della Flora Sarda. Quivi, passeggiando nella compagnia amichevole dell’egregio signor Gras, alle sponde del Po, trovai una Capsella, che al primo aspetto, pel colore porporino dei fiori, mi richiamava quella pianta finora da me negletta. Non dubitai di aver trovato la C. rubella Reut., mentre l’amico Gras, di cui la flora torinese intera manca SOPRA UNA NUOVA SPECIE DI CROCIFERE 9359 già troppo lungo tempo al pubblico botanico, sosteneva la propria riserva contro la detta creazione specifica. Dopo il nostro tragitto alla Sardegna, noi, occupati di quella richissima raccolta offerta dal mezzodì dell’ Europa al botanico tedesco, vi dimenticammo quella modesta crocifera di Torino, e quindi per disgrazia abbiam trascurato di raccogliere la Capsella, comune nelle strade di Cagliari. Non fu che alcuni mesi dopo il nostro ritorno alla patria, che mi ram- mentai di quell’erba, leggendo nel Bulletino della Società botanica di Francia (1861, p. 258) una nota del rev. de Lacroix, trattante i caratteri e la distribuzione geografica della detta pianta. Paragonando la Capsella torinese cogli esemplari di Svizzera e di Savoia, mi persuasi della loro identità riguardo ai due caratteri essenziali in- dicati già dell’egregio signor Reuter, cioè la figura del frutto, del quale i margini laterali si formano di una linea concava (dritta o convessa nella C. dursa pastoris), e la proporzione dei petali, poco più lunghi dei sepali (superantigli del doppio nella C. dDursa pastoris). Non posso confermare il carattere dell’inflorescenza riferito del rev, de Lacroix; ma, trovando sempre riuniti quei due caratteri sopradetti, debbo riconoscere come ben distinta dalla C. dursa pastoris la specie del Reuter. Avendo cercato la nostra pianta negli erbari dei miei amici, posso aggiungere altre tre stazioni italiane, dove la Capsella rubella fu raccolta dal mio amico signor Schweinfurth, cioè una nella terra ferma, nei colli al disopra di Genova, e due nell’istessa isola di Sardegna, dove noi abbiamo negletto l'osservazione, a levante della città d’Oristano e nelle rovine del castello d’ Iglesias. Quelle quattro stazioni italiane, rappresentate per caso nelle collezioni dei botanici berlinesi, mi paiono dare ragione sufficiente per sospet- tare, che quella pianta sia comune nella più gran parte dell’Italia, cioè nelle regioni marittime della terra ferma e delle isole, come nel bacino del Po, dove essa si trova senza dubbio dapertutto, insieme colla congenere più comune, che non manca anche alle isole e fu rac- colta del Schweinfurth sulle mura di Sassari in Sardegna. Raccomando dunque ai botanici d’Italia la ricerca di quella pianta, che si ricono- sce facilmente, oltre che per i caratteri sopradetti, anche pel proprio colore; i sepali porporini poco superati dei petali (bianchi come nel + 240 P. ASCHERSON, SOPRA UNA NUOVA SPECIE DI CROCIFERE resto del genere) danno a tutto il. fiore un colore rossiccio, che si trova volgarmente anche in una faccia del frutto, mentre l’altra è verde. Non dubito che si troverà anche nell’Italia la forma ibrida delle C. rubella e bursa pastoris, descritta del signor Godron nella florula massiliensis advena col nome di C. gracilis. Credo che la C. rubella si incontrerà dapertutto nel bacino mediterraneo; almeno essa mi pare trovarsi in Soria, giacchè ne ho veduto nel R. Museo di botanica di Berlino due esemplari, per disgrazia raccolti in stato troppo cattivo per essere determinati con certezza. ; | SAGGIO DI ESPOSIZIONE ELEMENTARE TEORIA DINAMICA DEL CALORE DEL SOCIO PROFESSORE KR. FERRINI (Seduta del 24 aprile 1864) Con uNA TAvoLAa (Tav. VII) PARTE PRIMA INTRODUZIONE $ 1. Fenomeni in cui si verifica o la scomparsa di una quantità di calore o la distruzione di un lavoro meccanico. — 2. Calore latente dilatazione dei gas. — 3. Fusione e vaporizzazione. — 4. Perdita di forze vive nell’urto dei corpi anelastici, e nell’attrito. — 5. Sperimenti di Rumford e di Davy sullo sviluppo di calore per l'attrito. — 6. Altri fatti comprovanti lo svol- gimento di calore corrisponlente alla distruzione di un lavoro meccanico. — 7. Conclusione. 1.° Nello studio della fisica e della meccanica si incontrano dei fenomeni di cui alcuni hanno per carattere particolare la scomparsa di una certa quantità di calore, altri la distruzione di una parte più o meno rilevante del lavoro meccanico che corrisponderebbe al- l'esercizio di una data forza. Nei primi, la scomparsa del calore è sempre accompagnata dalla produzione di qualche lavoro meccanico ‘esterno od interno al corpo dove si compie il fenomeno, nei secondi la distruzione del lavoro è sempre contrassegnata da sviluppo di ca- 16 242 R. FERRINI, lore. I due fatti, della distruzione di calore e produzione di lavoro, o della creazione di calore e distruzione di lavoro, sono sempre si- multanei, seno sempre l’uno all’altro commisurati, cosicchè non si può a meno di pensare che tra l’uno e l’altro corrano le relazioni di causa ad effetto. Vediamone degli esempi. 9 2.° È noto che a scaldare di uno stesso numero di gradi termo- metrici una stessa massa gasosa si esige una quantità di calore ‘sen- sibilmente più piccola, quando si mantenga invariato il volume del gas, che non quando se ne lasci libera la dilatazione. Ora, nel pri- mo caso, il calore fornito al gas non produce che l’ effetto di riscal- darlo, mentre nel secondo, oltre a questo, eseguisce anche il lavoro di aumentarne il volume malgrado la pressione esterna, cioè di tra- sportare i punti di applicazione della pressione in direzione opposta a quella secondo cui essa tenderebbe a muoverli. L’esempio citato dimostra così che una parte del calore impiegato a scaldare un gas che si lasci liberamente distendere sotto la pres- sione iniziale vien distrutta, o si consuma nel lavoro della dilatazio- ne, lavoro che ha per inisura il prodotto della ripetuta pressione per l'aumento del volume. Si può togliere questo consumo di calore coll’ impedire il lavoro che vi corrisponde, cioè col crescere la pres- sione per modo che il volume del gas rimanga costante; lo si può rendere invece maggiore coll’ aumentare la pressione iniziale del gas che si scalda e di cui non si contrasta la dilatazione. 5.° È del pari notissimo come nell’atto della fusione di un solido, in quello della vaporizzazione di un liquido, il corpo in cui si veri- fica il cambiamento dello stato fisico assorba una considerevole quan- tità di calore che non ne innalza la temperatura, che sembra scom- parire e che perciò suol essere designata colla denominazione di calore latente. Basta poca riflessione a concepire come in tali fenomeni avvenga nel corpo un lavoro intestino considerevole. Sealdato che sia il solido fino alla temperatura della fusione, perchè questa si compia, bisogna svincolare le sue particelle tanto che non siano più costrette a con- servare le loro rispettive giaciture, ma possano anzi scorrere libe- ramente l’una sull'altra, ed a ciò è d’uopo superare l’effetto della DELLA TEORIA DINAMICA DEL, CALORE 245 coesione che tuttora gagliarda si esercita tra le molecole solide alla temperatura della fusione e che risulta molto più debole nel liquido prodotto da questa, non che l’effetto della forza di orientazione, al- meno per ì corpi a struttura cristallina dove si distrugge il modo di aggruppamento molecolare da cui dipende quella struttura. Siccome poi, tranne in pochissimi casì, il volume del corpo riceve nel fon- dersi un notevole incremento, così, quando ciò si verifichi, al Javoro intestino della liquefazione si deve aggiungere quello delia. dilata- zione in onta alla pressione sostenuta dalla superficie del corpo. Nei corpi che, come l’acqua, il bismuto, si contraggono nel fon- dersi, è assai rilevante il lavoro delle forze di orientazione; già presso ai 4° C, le molecole dell’acqua cominciano ad aggrupparsi per modo da disporsi a poco a poco in quelle rispettive giaciture che terranno nell’acqua solidificata, ed è in causa di tale smovi- mento interiore che tra i + 4° € e lo Zero termometrico, 1’ angno nel raffreddarsi si dilata invece,di restringersi. Nell’atto della vaporizzazione di un liquido, bisogna disgregarne affatto le molecole, renderle reciprocamente indipendenti, cosicchè non solo possano smuoversi affatto liberamente le une rispetto alle altre, ma tendano anzi a discostarsi semprepiù fra di loro. A tale effetto è pur necessario vincere la coesione residua del liquido e quella debole tendenza di orientazione che si riscontra almeno tra le molecole dei liquidi viscosi: oltre a ciò ha poi sempre luogo un al- tro lavoro assai riguardevole dipendente dall’ingrandimento del vo- lume contro la pressione esteriore, per essere la densità dei vapori sempre e di molto minore di quella dei liquidi che li hanno prodotti. Ecco dunque corrispondere in ogni caso l’ esecuzione di un Frvero alla scomparsa od al rendersi latente del calore. Se si determinano i fenomeni opposti, la solidificazione di un li- quido, la condensazione di un vapore, allora si distrugge il lavoro eseguito nell’atto della fusione o della vaporizzazione e tutti sanno che allora si fa libero il calore latente, il che è quanto dire che distruggendo il lavoro si sviluppa la quantità di calore consumata nel produrlo. h n.° La percussione e l'attrito sono da tutti riconosciute come sor- 24h R, FERRINI, genti efficaci di calore. In tutti i trattati si trovano descritti gli espe- rimenti che dimostrano quanto calore si possa ottenere da, quelle azioni meccaniche: ora tanto l’una che l’altra. si riducono ad una distruzione di lavoro, ad una perdita di forze vive. In che infatti consiste la percussione se non nell’urto di due corpi, uno dei quali generalmente è fermo? Ebbene è facilissimo il dimostrare come in generale nell’ urto di .due corpi avvenga una perdita di forze vive, toltone il caso che i due corpi siano perfettamente elastici, nel qual caso non ha nem- meno luogo sviluppo di calore. Consideriamo il caso particolare dell'urto diretto pra di due corpi, al quale, come è noto, si possono ridurre gli altri casi degli urti obbliqui ed. eccentrici. Siano m, m' le masse di due corpi 4, B, e v, v' le loro rispettive velocità, nell’istante in cui si incon- trano. Nell’ atto dell’urto i due corpi si cgmprimena a vicenda, fin- chè assumono una velocità comune .U che, come è noto, è espressa dalla formola mod m'v' UT Ri Dopo, se i corpi sono anelastici, si muovono insieme colla velocità “, se invece sono perfettamente elastici, vengono disgiunti per la reazione elastica dalla quale ricevono una nuova variazione di ve- locità eguale e dello stesso segno di quella già subita, cosicchè Te velocità di 4 e di 8 dopo l’urto sono rispettivamente u—(v—u), u—(v'—u). Tolti questi due casi, quasi ipotetici, si può dire che in generale allo stadio della compressione, tien dietro una reazione elastica più o meno perfetta; nella quale i due corpi separandosi ricevono una nuova variazione di velocità, minore di quella subita nel comprimersi, ma proporzionata a questa e dipendente dal mag- gior o minor grado di elasticità dei due corpi. Chiamando quindi w, w' le velocità di 4 e 2 dopo l'urto, ed esprimendo con f un numero compreso tra 0 ed 41, supposte per semplicità eguali le con- dizioni elastiche dei due corpi, saranno in generale : wu f(0— uu) wu f(0'.—.u) DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 245 od anche w= (14) fo w=u—-(14f)fo. Sommando i quadrati di w e w' dopo averli moltiplicati rispettiva- mente per m, m' risulta mw? + m' wu (14 f)?(m+4-m')— 2uf(14-f) (mv +m'v 4 (2 (mo? + mi'v'?). Siccome (m -- m') u = mv-+ m'v' così, sostituendo ad w il suo valore, dedotto da questa equazione, risulta : _(mv+ mv) mt + mi ETETT 44 2A ++ | mt m | + f2 (mv + m'v2). Ma (mv + m' v' )) = (m + m') (mo + mv?) — mm' (v — v')? quindi | mm' mwî + m'w'? — (mv? + m'ova — —_b — v')?) (1 — f?) m+ m + f2 (mo + m'v'?) ossia : Ù iaia L'AUe dk mn nia mwî + m'w'? = mv + m'v'2 — (1—-f2)—_(v— 0)? e finalmente: mim mm! mv + mv?) — (mw?+m'w'3) = (A1- f?) (o — vd). ( SI gt rm levi ) Il primo membro di quest’ equazione esprime la differenza tra le somme delle forze vive possedute dai due corpi prima e dopo l’ urto: essendo f<4 questa differenza è sempre positiva, vale a dire ha sempre luogo una perdita di forza viva, tranne nel caso di f= 1. Ecceltuato questo caso, il secondo membro non potrà mai ridursi a zero, perchè 0 v e v' hanno lo stesso segno, e ‘allora non possono essere eguali tra loro, altrimenti i corpi non si incontrerebbero e non potrebbe succedere l’urto; oppure v e v' hanno segni contrarii, e allora al differenza v — v' si muta nella somma v-+ v' ed il secondo membro è necessariamente positivo finchè f differisce dall’ unità. La massima perdita di forze vive corrisponde all'ipotesi di f/=0 cioè alla completa mancanza di reaziono elastica, nel qual caso è appunto maggiore che negli altri lo sviluppo di calore. Se / non è 246 R, FERRINI, zero, allora alla fase della compressione ne succede una opposta di distensione, fenomeno a cui corrisponde un raffreddamento: quanto più f si approssima ad 4, cioè la reazione elastica si avvicina ad essere perfetta, tanto più il raffreddamento che corrisponde al lavoro della distensione si accosta ad eguagliare il riscaldamento dovuto alla eompressione, mentre la perdita di forze vive si va facendo rispet- . tivamente minore. Finalmente se i corpi sono perfettamente elastici, allora la perdita di forze vive è nulla e i due effetti di riscaldamento e di raffreddamento essendo eguali, si compensano a vicenda. Così dunque, come in generale nell’ urto di due corpi, anche nella per- eussione avrà luogo una perdita di forze vive, corrispondente e com- misurata alio sviluppo di calore che ne consegue. Per meglio vedere ora come l’attrito importi pure una perdita di forze vive o ciò che fa lo stesso una distruzione di lavoro meccani- eo, consideriamo una macchina che si trovi in condizione di movi- mento o equabile o periodico (a). Non essendovi variazione nella somma delle forze vive nel primo caso, e risultando nell’altro nulla questa variazione tra due ‘istanti qualunque separati da un intervallo eguale alla durata del periodo, la meccanica insegna che vi deve essere eguaglianza tra il lavoro della potenza e quello della resistenza corrispondenti, ad un tempo qualsiasi nel caso del moto uniforme, e ad un tempo eguale alla durata di un periodo o multiplo di questa, nel caso del motò periodico. Ma tale eguaglianza è ben lungi dal verificarsi in pratica; il lavoro della resistenza è sempre di molto inferiore a quello della potenza e ciò in causa del dispendio di forze vive necessario ad attuare ed a mantenere il moto della macchina, anche indipendentemente dall’ ef- felto meccanico che dessa è destinata a produrre. Però, indicando con £Z,, il lavoro motore, cioè quello della po- tenza, e con Z, il lavoro utile della macchina, in luogo dell’ equa- zione ZL, = Li, per esprimere le condizioni di fatto, si è condotti a sostituire l’altra: Kn ago L, -P Ly. (a) Venner, Erxpose de la théorie mecanique de la Chaleur. DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 247 dove col simbolo 4, si indica la somma delle forze vive consumate nel movimento della macchina. La quantità £4,, che i meccanici denominano laporo delle resistenze passive, corrisponde ad un complesso di fenomeni alcuni dei quali si possono a buon dritto considerare come lavori meccanici, altri no. Difatti nel movimento delia macchina sono inevitabili delle communi- cazioni di moto all'aria, al suolo, ai corpi circostanti, che importano di necessità un dispendio di forze vive e sono veri lavori meccanici, i quali se operassero in senso inverso potrebbero imprimere moto alla macchina od acceleraria; ma la massima parte di £, è in generale rappresentata dall’effetto dell'attrito, cioè di quella particolare re- sistenza al moto che si manifesta dove la superficie di un corpo scorra a contatto di quella di un altro fermo od in movimento ancor esso. A questa resistenza non si può associare l’idea di un lavoro mecca- nico; non è dessa che il risultato di azioni tra le molecole, che ha sempre per effetto di diminuire la velocità del più celere dei due corpi, ma che è affatto inetta a togliere la macchina dallo stato di quiete od a crescerne la velocità se è un movimento, Vero è che a lungo andare le superficie dei pezzi che si strofinano, si logorano ed i liquidi onde si sogliono spalmare sì alterano e si potrebbe pen- sare che questi effetti importino un lavoro meccanico. Ma si ponno immaginare e, più ancora, si sanno costruire dei pezzi così ben la- vorali e con materiali così resistenti che il loro deterioramento riesca affatto insensibile alla fine di un tempo considerevole. Allora al prin- cipio ed al fine di uno dei periodi che separano due stati identici della macchina, la situazione relativa delle molecole reagenti è as- solutamente la stessa e perciò la somma dei lavori che potrebbero corrispondere allo sfregamento è nulla. Concludiamo pertanto che nell’equazione ZL, = Zy -+- ZL, il termine Z, è introdotto empirica- mente allo scopo di renderla soddisfatta, mentre in realtà essa non si verifica, perchè almeno tutta la parte di £, che rappresenta l' ef- fetto dell’attrito non si può riguardare come un lavoro meccanico. Alla diminuzione dell’effetto meccanico dovuta all’attrito corri- sponde lo sviluppo di calore che si manifesta fortissimo alle superficie strofinate anche nel caso in cui esse non si logorino minimamente, 248 R. FERRINI, sviluppo di colore che non si può .ascrivere ad altra causa, perchè non importa nessuna diminuzione di temperatura in alcun'altra parte della macchina nè nei corpi circostanti. E giova notare come il detto sviluppo di calore cresca e diminuisca per quelle stesse circostanze che fanno crescere o diminuire la perdita dell’ effetto utile che sa- rebbe commisurata all'esercizio della potenza. Gli unti, le sostanze grasse interposte tra le superficie strofinantisi rendono insieme mi- nore la perdita di lavoro e la produzione di calore. 5.° Nella teoria della materialità del calore, cioè in quella dove lo si considerava come una sostanza particolare contenuta nei corpi, si spiegava lo sviluppo di calore mediante le azioni meccaniche, colla diminuzione della capacità dei corpi per il calore. Un corpo battuto, dicevano, si fa più denso; ma crescendo la densità, a parità di mas- sa, diminuisce nella medesima sostanza il calore specifico, onde la quantità di calorico contenuta nel corpo eccede quella che sarebbe necessaria a mantenerlo alla temperatura di prima, e perciò la tem- peratura del corpo deve innalzarsi e rendersi così sensibile una por- zione del calore che era latente. L'osservazione di Berthollet che quando un corpo è stato già compresso notevolmente da colpi repli- cati, le nuove percosse che riceve non producono più molto calore, mentre non possono variarne gran fatto la sua densità, sembrava venire in appoggio di questa spiegazione. Ma oltrechè vi sono dei casi a cui essa non si adatta quale è quello del piombo che dimi- nuisce un pochetto di densità nell’essere lavorato e che nondimeno. si scalda fortemente al punto di fondersi alle volte e sparpagliarsi in goccie sotto il martello, bisognerebbe provare, per poterla accet- tare, che lo sviluppo di calore è appunto commisurato alla variazione della capacità specifica avvenuta nel corpo, il che non è vero. Quanto poi all’ effetto particolare dell’attrito, Rumford studiando, sulla fine del secolo scorso, lo svolgimento di calore che si ottiene nel trapanare un pezzo di artiglieria, trovò che girando il pezzo colla velocità di 32 giri al minuto, dopo due ore si era svolto tanto calore da poter scaldare di 100° cinquanta litri d’acqua, o di 50000 gradi i 250 grammi di limatura che si erano raccolti, supponendo che aves- sero potuto reggere senza fondersi a questa temperatura, e constatò DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE Q49 in pari tempo essere il calorico specifico della raschiatura di bronzo assolutamente lo stesso, e non minore, come allora si riteneva, di quello del bronzo compatto. — Più \convincente ancora è il celebre esperimento di Davy, il quale ottenne la fusione parziale di due pezzi di ghiaccio strofinandoli uno contro l’altro in un’ambiente dove la temperatura era inferiore a 0° e prendendo le più minute precau- zioni perchè i due pezzi non potessero ricevere calore da nessun corpo circostante. II calore specifico dell’acqua essendo più che doppio di quello del ghiaccio non si può certo attribuire ad una’ di- minuzione del calore specifico lo sviluppo del calore necessario alla fusione del ghiaccio, il quale è tanto che potrebbe scaldare l’ acqua proveniente dalla fusione da 0° fino a quasi 80° C. 6.° Lo sviluppo di calore simultaneo e correlativo ad una distru- zione di lavoro meccanico, si rende pure manifesto nei seguenti fatti. Il signor Le Roux avendo stretto in una morsa un capo d’ una lamina di legno, la fece vibrare girando velocemente presso il suo estremo libero una ruota i cui denti l’incontravano e lo percuote- vano di mano in mano che vi passavano davanti. Dopo poco tempo, la lamina scottava nel luogo dove era serrata nella morsa, e dove quindi il moto vibratorio veniva distrutto e la forza viva annientata, Sospesa una palla di rame mediante un filo elastico frammezzo ai poli di una potente elettromagnete il cui circuito sia aperto, la si faccia girare sopra il suo diametro verticale torcendo il filo. Lascian- dola poi libera essa prende a ruotare intorno a quel diametro in senso contrario al primo, mentre il filo si storce. Se allora si chiude tosta- mente il circuito, la palla si ferma d’un tratto, in causa della rea- zione delle correnti indotte promossevi dall’ elettromagnete e in pari tempo si scalda. Riaprendo il circuito, ripiglia la rotazione e la palla si raffredda, e torna ad arrestarsi subitamente e si riscalda, richiu- dendo il circuito. Analogo al descritto è il brillante sperimento di Foucault. Con un apposito meccanisino si fa rotare con molta celerità un disco di rame frammezzo ai poli di una robusta elettromagnete, ed intorno ad un asse paralello alla linea assiale, tenendo intanto aperto il circuito. Se ad un tratto si chiude il circuito, il disco si arresta quasi istan- 250 R. FERRINI, DELLA TEORIA DINAMICA BEI. CALORE taneamente, per effetto della reazione fra le correnti indotte e le induttrici, e si scalda. Cercando allora di farlo girare, mentre il cir- cuito è chiuso, si incontra una valida resistenza, e il disco si riscalda fortemente e tanto più quanto maggiore è lo sforzo impiegato a farlo girare: il calore promossovi risulta sensibile anche alla mano tenuta a qualche distanza. 7.°Si potrebbero moltiplicare a piacimento gli esempi di fenomeni dove | si riscontri il fatto di uno sviluppo di calore correlativo e commisurato ad una perdita di effetto meccanico, ovvero di una scomparsa di ca- lore corrispondente ad uno sviluppo di forze vive, giacchè, per poco che si rifletta su quelli addotti, scelti appositamente in campi dispa- rati, è agevole persuadersi che quel fatto è tra i più comuni e fre- quenti. Ora come spiegarlo, quando non si vogliano ammettere in- sieme effetti senza cause, e cause prive di effello, se non conchiu- dendo che allora il calore si trasforma in lavoro meccanico, o vice- versa il lavoro si tramuta in calore? — Quest’ipotesi, sola che valga a rendere ragione dei fenomeni in discorso, è del resto pienamente razionale, perchè, come vedremo, tutto si riduce ad ammettere la possibilità di communicazioni e di trasformazioni di movimenti che nessuno vorrà certo negare; mentre rigettandola si è costretti a con- cedere che l’uomo possa creare e distruggere forza e calore. i _—_—__ _———— PARTE SECONDA TEORIA DINAMICA DEL CALORE $ 1. Insufficienza della teoria dell'emissione a spiegare i fenomeni termici. — 2. Concetto della temperatura secondo la teoria delle ondulazioni. Forza centrifuga molecolare, e sua influenza sul volume. — 3. Corpi allo stato solido e liquido. — 4. Corpi gasosi. Fenomeno dell’evaporazione e leggi relative. — 5. Verosimiglianza della nuova teoria dei gas. — 6. Misura della pressione di un gas sopra una data superficie. — 7. Leggi di Ma- riotte e di Gay Lussac. — 8. Inesattezza di queste leggi. — 9. Pres- sioni dei gas, avuto riguardo all’azione della gravità. — 10. Objezioni alla nuova teoria dei gas. — 11. Trasformazione del calore in lavoro mec- canico e reciprocamente di questo in quello. — 12. Effetti del calore assor- bito da un corpo. — 13. Importanza di tener calcolo del lavoro interno di dilatazione. — 14. Consegnenza importante degli esposti principii. — 15. Calorie di dilatazione dei corpi solidi e liquidi. — 16. Effetti di pres- sione o di trazione che si ponno ottenere da una caloria impiegata a scal- dare un’asta di metallo. — 17. Relazione tra le calorie di dilatazione ed il coefficiente di compressibilità di alcuni liquidi. — 18 Analogia delle leggi che governano gli scambi di velocità nell’urlo diretto di due corpi clastici e gli scambi di calore tra due corpi a stretto contatto. — 19. Calorie di dila- tazione dei gas. — 20. Calorie di fusibilità e di fusione. — 21 Sul fenomeno della dissoluzione. — 22. Sul fenomeno della vaporizzazione. — 23. Conse- guenza dei fatti riscontri tra i fenomeni termici e le proprietà fisiche dei corpi. 24. Sviluppo di calore nelle combinazioni chimiche. — 25. Sperimenti di Favre sul calore promosso nel circuito di una pila idroelettrica. — 26. Po- larizzazione degli elettrodi nella elettrolisi. — 27. Perchè un solo elemento 252 R. FERRINI, alla Wollaston od alla Daniell riesca inefficace a scompor l'acqua in un voltametro, mentre basta a questo effetto un elemento di Grove. — 28. Ef- fetti dello zinco e del cadmio amalgamati. — 29. Altre applicazioni della teoria dinamica del calore. 1.° Dopo i citati sperimenti di Rumford e di Davy tornava impos- sibile attribuire la produzione di calore coll’attrito ad una diminu- zione della caloricità specifica dei corpi. Però nella teoria dellà ma- terialità del calore, allora generalmente addottata, si era riusciti a spiegarla in qualche modo col supporre che la quantità di calore contenuta in un corpo crescesse semprepiù a partire dalla superficie negli strali di mano in mano più interni, di modo che venendo stac- cate od almeno smosse momentaneamente le molecole superficiali per lo sfregamento, si aprisse così il varco all'emissione più copiosa di calorico dalle parti sottostanti. Ma quella teoria doveva combat- tere per sostenersi contro nuove e crescenti obiezioni; mentre le immortali scoperte di Young, di Malus, di Fresnel andavano stabi- lendo e rassodando la teoria delle ondulazioni per i fenomeni lumi- nosi, l'illustre Macedonio Melloni provava nella sua Termocrosi come i raggi termici oltre al seguire, come era noto, le stesse leggi dei lu- minosi nel propagarsi nel riflettersi e nel rifrangersi fossero a guisa dei raggi luminosi separabili in generale in raggi elementari di ineguale rifrangibilità, ciò che rendeva evidente sia mostrando la loro differente trasmissibilità traverso una 0 più lamine diatermiche (cioè trasparenti al calore) di sostanze differenti, analoga affatto alla differente trasmissi- bilità dei raggi omogenei luminosi traverso sostanze diafane diversa- mente colorate, sia ottenendo con un prisma di salgemma uno spettro termico affatto analogo a quello della luce bianca; poi in una Memoria « Sull’identità dei raggi di qualunque sorta » edita nel 1842, dimostrava ancor più compiutamente l'identità della luce e del calore. Uno però dei fenomeni luminosi, quello delle interferenze, non si era potuto ancora realizzare coi raggi di calore. Questo, come è noto, consiste in ciò che facendo cadere due raggi di eguale rifrangibilità sopra uno stesso punto a seconda delle condizioni in cui li riceve esso può risultarne più vivamente rischiarato che non quando vi batta: uno dei DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 255 raggi separatamente; può essere invece illuminato più debolmente, od anche trovarsi in perfetta: oscurità. Ed: ecco che Fizeau e Fou- cault nel 4847 riuscivano ad ottenere l'interferenza dei raggi ter- mici ed a produrre freddo coll’ aggiungere calore a calore in circo- stanze affatto analoghe a quelle -in cui risultano tenebre da lucc aggiunta a luce. Ommettendo, per non divagar troppo, di citare i.lavori e le sco- perte di altri fisici illustri che semprepiù tendevano a dimostrare la piena identità della luce e del calore, basti il ricordare ad ulteriore conferma che Masson e Jamin hanno recentemente provato che quando un fascio luminoso semplice incontri una lamina trasparente, in ge- nerale questa vien traversata da parte della luce e del calore del fascio, e che tra le. quantità di luce e di calore incidenti sulla la- mina e quelle che ne sono trasmesse, esiste il medesimo rapporto. A fronte di tali risultati la vecchia teoria della materialità del ca- lore non si sorreggeva più che a prezzo di sforzi di ingegno, imma- ginando un'ipotesi novella per ciascun nuovo fenomeno di cui le si domandava la spiegazione. Ora una teoria ridotta a tali condizioni, una teoria dove la spiegazione dei fenomeni particolari non discenda come chiara e logica conseguenza da un'ipotesi sola, da. un unico postulato, è una teoria condannata. È diffatti, malgrado ingegnosis- simi sforzi per sostenerla, si può dirla oggimai abbandonata da tutti. 2.° Secondo i nuovi principii generalmente addottati i fenomeni termici non meno che quelli della luce si fanno dipendere da par- ticolari ondulazioni di un mezzo estremamente tenue e di perfettis- sima elasticità, diffuso in tutto fo spazio, tanto all’esterno come nel- l'interno dei corpi, mezzo che si denomina l’etere. — | gruppi mo- lecolari dei corpi solidi o liquidi, scossi per intervento dell’etere, si /5suppongono sempre in istato attuale di moto vibratorio o rotatorio intorno ai rispettivi centri di massa, e nella. maggiore o minore ve- locità di questo moto si ritiene consistere quella condizione di cose che sogliamo dire la temperatura del corpo. Senza entrare in nessun dettaglio, diretto a specificare sia il moto ondulatorio dell’ etere, sia quello dei gruppi molecolari, il che qui non importa, si può però dire che tra la velocità dei supposti moti\molecolari e la condizione ge- 254 R. FERRINI, nerale del movimento ondulatorio dell’ etere circostante vi dovrà essere una relazione determinata, e che ove questa non sia soddi- sfatta, la velocità in discorso non potrà mantenersi qual'è, ma dovrà crescere o diminuire secondo che sarà minore o maggiore di quella che risponderebbe alla relazione anzidetta. Figuriamoci un corpo situato in un ambiente a temperatura meno elevata della sua. In tal caso la velocità dei suoi gruppi molecolari “sarà maggiore di quella che comporterebbe la condizione generale del moto dell’etere esterno e dovrà perciò diminuire mentre si co- municherà un nuovo movimento ondulatorio nell’etere in aggiunta a quello che vi preesisteva. Pertanto, mentre il corpo si raffredderà, diminuirà la somma delle forze vive dei suoi moti molecolari in mi- sura proporzionata al lavoro del moto eccitato e propagato al di fuori. Viceversa il moto ondulatorio dell’etere che costituisce un dato sistema di raggi termici si indebolisce o si estingue all’incontrare la superficie di uno di quei corpi che diciamo dotati di potere ‘assor- bente ; in pari tempo cresce l’intensità e la somma delle forze vive dei moti dei suoi gruppi molecolari, in corrispondenza alla diminu- zione di forze vive che sarà occorsa nell’ etere ed il corpo si scalda. Ora se l'essere più o meno alta la temperatura di un corpo di- pende dall’ essere più o meno intensi i suoi moti molecolari, è ma- nifesto che, anche indipendentemente dall'azione dell’ etere, essa dovrà elevarsi in conseguenza di qualunque fenomeno che valga ad imprimere un accelerazione al moto vibratorio delle molecole, e che quando la temperatura si abbassi, la diminuzione che si verificherà nella somma delle forze vive dei suoi moti molecolari invece di cor- rispondere ad un aumento di forze vive nell’ etere, potrà, almeno in parte, convertirsi in lavoro meccanico esterno, o adoperarsi nella produzione di un altro fenomeno. Si intende così come la percossa, la compressione, l'attrito possono causare uno sviluppo di calore, come invece nel distendere .un solido lo si raffreddi. La perdita di forze vive che abbiamo veduto risultare dall’ urto di due corpi ane- lastici o d’imperfetta elasticità, quella dipendente dall’ attrito nel- l'esercizio di una macchina corrispondono ad un incremento dell’ in- tensità dei moti termici molecolari, mentre al lavoro di rimuovere le DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 9565 particelle di un solido contrariamente alla coesione ed alla pressione atmosferica, nel caso della distensione, risponde un rallentamento dei ripetuti moti molecolari. Quella perdita di forze vive nei primi casi, è la creazione del lavoro in quest’ ultimo non sono dunque che apparenti, e si riducono nella proposta teoria a semplici communica- zioni e trasformazioni di movimenti. Vediamo un’altra conseguenza dell'ipotesi fatta. Ammesso che i gruppi molecolari di un corpo solido e liquido si trovino sempre in condizione di moto rotatorio intorno ai rispettivi centri di massa, come pensano alcuni, o questi centri in moto oscillatorio, come vo- gliono altri, alla maggiore o minore velocità di un tal moto, corri- sponderà lo sviluppo di una maggiore o minore forza centrifuga che tenderà ad allontanare le molecole giranti dai rispettivi centri e tra di loro, in opposizione all’effetto della coesione che tende ad avvici- narle ed alle forze di orientazione, quando ne sia il caso, che ten- dono a conservare i gruppi molecolari in determinate giaciture gli uni rispetto agli altri. Ne risulta quindi che la distanza media tra le molecole e l'ampiezza dei loro movimenti saranno in ogni caso tali per cui si compensino a vicenda l’effetto della forza centrifuga e quelli opposti delle forze di coesione e di orientazione. Perciò cre- scendo la forza centrifuga all’ elevarsi della temperatura, il volume del corpo crescerà in generale, aumentandosi insieme le medie di- stanze delle molecole e l'ampiezza delle loro vibrazioni, mentre il volume in generale verrà impiccolito all’abbassarsi della tempera- tura, perchè, per la corrispondente diminuzione della forza centri- fuga, questa non varrà più a mantenere le particelle alle attuali di- stanze e non potrà controbilanciare l’azione delle forze antagoniste se non diminuendosi opportunamente i raggi di curvatura delle tra- jettorie descritte dalle molecole. Ho detto che il volume dovrà in generale ingrandirsi quando il corpo si scaldi e diminuire quando si raffreddi; non però sempre, perchè può darsi, come avviene diffatti in molti casi che per 1’ eser- eizio delle forze di orientazione si modifichi la struttura interna del corpo ossia il modo di aggruppamento molecolare, mentre se ne va- ria la temperatura, e allora il cambiamento di volume dipendente 256 R. FERRINI, da questo effetto potrà essere inverso da quello che deriverebbe dalla diminuzione della forza centrifuga e tale da mascherarlo od anche da superarlo. Così è noto che spaccando un cilindretto di ar- gilla, dopo averlo portato ad una temperatura elevata, ed esaminan- done la frattura, vi si trova grandemente modificata la struttura in- terna. Parimenti nei cristalli che non appartengono al sistema cu- bico, l’ineguaglianza della dilatazione nelle differenti. direzioni di- pende da una modificazione della interna struttura, che viene atte- stata se non altro dalla modificazione delle proprietà ottiche del cri- stallo. Così, come si è già detto nella prima parte, l’acqua si dilata nello scendere da + 4C ‘a:0C, per lo smovimento interiore delle particelle che cominciano ad aggrupparsi in quelle maniere partico- lari che convengono all’acqua solida. 5.° Che il movimento vibratorio di un corpo possa disgiungerne le molecole, lo prova, tra gli altri, il fenomeno constatato dal sig. Saint- Ange che le vibrazioni longitudinali eccitate in una verga di vetro quando siano abbastanza energiche ne determinano la rottura, divi- dendosi la verga in una moltitudine di piccoli anelli: la modifica- zione della struttura dei getti d’acqua studiata da Savart e gli altri fenomeni che accompagnano la produzione di un suono, attestano smuovimenti molecolari prodotti dalle oscillazioni. E del resto non si ammette generalmente che le molecole dei corpi solidi e dei liquidi siano mantenute nelle rispettive posizioni, perchè si equilibrano su ciascuna di loro le azioni di due forze contrarie: l'attrazione molecolare cioè ed una tendenza antagonista a questa che suol denominarsi forza ripulsiva, crescente nella medesima so- stanza al crescere della temperatura e che anche nell'ipotesi della materialità del calore si considera come un modo di. manifestarsi di questo agente? Ebbene secondo la nuova teoria, la forza ripulsiva, non è altro che la tendenza centrifuga che deve risultare nei gruppi molecolari dalla maggiore o minor. forza viva dei loro movimenti, ro- tatorii od oscillatorii; e come abbiamo veduto tanto nei solidi come nei liquidi le distanze medie molecolari devono per una data tempe- ratura riescir tali a. cui si compensino sopra ciascuna molecola gli effetti opposti della coesione e della forza centrifuga; ma nello stato DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 257 solido ì movimenti termici molecolari, hanno luogo intorno a centri determinati la cui giacitura relativa rimane invariata, almeno finchè non cambino le condizioni interne di equilibrio, ed è perciò che i solidi hanno una forma propria e resistono ad un'azione tendente a modificarla; mentre nello stato liquido l equilibrio interiore non esige la stabilità relativa dei centri intorno cui oscillano i gruppi molecolari, e pur sussistendo le medesime relazioni tra le forze ope- ranti su di loro, questi ponno, senza separarsi, scorrere liberamente gli uni sugli altri; la figura dei corpo può così modificarsi con tutta facilità, senza che ne varii il volume, e ciò anche indipendentemente dall’ effetto della pressione esterna. È questo fatto della mobilità od im- | mobilità relativa dei gruppi molecolari che. caratterizza specialmente la distinzione tra lo stato liquido ed il solido. — Passiamo allo stato gasoso che merita un esame speciale. 4.° L’espansibilità che è caratteristica di questo stato fisico, .si suol pure riguardare da tutti, anche nell'ipotesi della materialità del calore, come un effetto della tendenza ripulsiva. prodotta da questo agente tra le molecole del corpo: ed è noto che la. tensione, per. cui essa si manifesta, può variare tanto se si cambia la pressione eser- citata sul gas, quanto se si cambia la sua temperatura; seguendo in ciò, se non rigorosamente, con più o meno di approssimazione, la celebre legge di Boyle o di Mariotte nel primo caso e le non meno, ce. lebri leggi di Volta, comunemente dette di Gay-Lussac, nel secondo. Rappresentando con d il coefficiente della dilatazione cubica dell’aria a volume costante che è 0, 00367 o circa “» la tensione di un;gas di cui si porti la temperatura da quella del consueto zero termome- trico (scala centesimale) ad un’altra qualunque £, inferiore 0. supe- riore alla prima, si calcola coll’ equazione /, = £5.(1 4 dt), dove 7, Fo esprimono le tensioni del gas relative alle temperature £° e 0°. Ritenendo che tal’equazione sussista per qualunque valore di .£, e ponendo ft = — 273°, si ottiene /, = o, Perciò la temperatura — 2753 °C, si suol riguardare come lo zero assoluto delle. tempera - ture, cioè come esprimente quella condizione di cose a cui annul- landosi qualunque manifestazione del calore in un corpo, qualora fosse possibile il ridurvelo, si dovrebbe considerarlo come affatto privo di calore, 47 258 R. FERRINI , Immaginiamo chie un gas si possa ridurre a questa temperatura dello zero assoluto e che vi sussista tuîtora la forma gasosa, il cui carattere allora non consisterà in'altro che nella mancanza o nell’ e- strema debolezza dell’azione attrattiva delle molecole, talchè il corpo si potrà considerare come un ammasso incoerente ed indifferente di molecole, incapaci o quasi incapaci di un’azione sensibile le une sulle altre. Se ad un cosiffatto sistema verrà, per intervento dell’e- ‘tere od altrimenti, comunicata una certa quantità di forze vive, cioè se comincierà a manifestarvisi una temperatura, le molecole sem- plici o composte del gas a cui di volta in volta arriverà quell’im- pulso, invece di oscillare o ruotare intorno a centri determinati, come avrebbero fatto nel caso di un corpo solido o liquido, man-. cando qui l’effetto della coesione o d’un’azione centripeta atta ad opporsi alla tendenza centrifuga, o vincendo quasi subito il leggie- rissimo effetto di tal sorta che vi potrebbe esistere, dovranno allon- tanarsi indefinitamente dai detti centri, movendosi in linee rette e con una velocità dipendente dalla quantità di forza viva ricevuta, ossia dalla temperatura del gas. Se ora riteniamo che le molecole gasose, e così pure le superficie dei corpi solidi e liquidi negli urti che potranno avvenire tra le prime o contro le seconde, si compor- tino quali corpi perfettamente elastici, ne conchiuderemo che quel moto una volta impresso alla massa gasosa dovrà persistervi indefini- tivamente e nelle medesime condizioni finchè non venga modificata per intervento di un’ azione opportuna la forza viva delle molecole. Figuriamoci una cassa a pareti perfettamente elastiche che sia chiusa da ogni parte e che contenga un certo numero di palle pure perfettamente elastiche ed eguali, le quali non occupino che una piccola parte della sua capacità; agitata la cassa per modo che quelle palle vengano poste tulte in movimento, e supposta mancante ogni resistenza al moto delle palle, questo dovrà continuare indefinita- mente anche cessando di scuotere la cassa e tenendola ferma, per- chè gli urti che avranno luogo delle palle tra loro e contro le pareti modificheranno le trajettorie delle prime c talvolta anche la. velo- cità, senza però mai estinguerla; diffatti negli urti diretti verrà cam- biata soltanto la direzione, mentre Je percosse oblique, daranno luogo DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE . 259 anche a variazioni di velocità, ed indurranno nelle palle dei moti rotatorii sopra sè stesse, ma la somma totale delle. forze vive delle sfere in moto rimarrà inalterata, e se il numero di queste sarà grande, e se quindi lo sarà molto più la capacità della cassa, potremo sem- pre supporre che mentre si verifica un'alterazione di velocità, o di altra condizione del moto in una parte, se ne produca una contraria in altra parte, e così le condizioni complessive del moto si potranno ritenere le stesse, come se quelle alterazioni non fossero avvenute. In modo somigliante le molecole del gas scontrandosi a vicenda o venendo rimbalzate contro le superficie dei corpi solidi e liquidi, subiranno dei cambiamenti non solo di direzione ma anche di velo- cità, saranno indotte a ruotare sopra sè stesse; si ecciteranno movi- menti vibratorii delle molecole intere 0 dei loro elementi e potranno anche modificarsi a vicenda le trajettorie e le condizioni di moto di due molecole che passino ad una distanza abbastanza piccola 1’ una dall'altra per risentirne una influenza attrattiva reciproca, la quale inefficace ad arrestarne il moto, potrà sempre valere a produrvi una modificazione più o meno sentita; infine la trajettoria di una mole- cola sarà modificata anche dall’ incontro di una superficie solida che per quanto sia levigata sarà sempre da ritenersi eccessivamente ine- guale attesa la piccolezza delle molecole. Però, malgrado queste com- plicazioni, anche la ricorrenza dei cambiamenti discorsi assumerà un certo carattere di regolarità; alcuni di tali cambiamenti modifi- cheranno le condizioni del moto in un senso, altri in senso contrario e tenderà a stabilirsi un determinato rapporto tra i moti di trasla- zione ed i moti vibratori delle molecole, rapporto che dipenderà dalla natura chimica del gas e dalle condizioni di temperatura e di pressione a cui si troverà soggetto. Raggiunto che abbia il gas una tal condizione stazionaria nei suoi movimenti, si potrà far astrazione dalle perturbazioni e considerare le molecole come moventisi con- temporaneamente con eguali velocità in linea retta secondo tutte le direzioni immaginabili. Tanto meglio poi potremo fare astrazione dalle suddescritte pertur- bazioni, quanto meno saranno frequenti e quanto minori saranno la loro influeuza e la loro durata. Perchè però si possano assolutamente 260 H. FERRINI, trascurare, o perchè lo stato gasoso si possa dire perfetto, si richie- dono alcune condizioni e sono: 1.° che lo spazio occupato dalle mo- lecole sia minimo in confronto del volume totale della massa gasosa; 2.° che la durata degli urti sia tra le molecole, sia contro la super- ficie dei corpi sia minima a petto dell'intervallo che passa tra due urti consecutivi; e 3.° che vi riesca insensibile l'attrazione moleco- lare, per il che sarà necessario che la distanza media delle molecole “sia assai grande, e che il tempo durante il quale due molecole si troveranno abbastanza vicine da potere influenzarsi a vicenda, sia trascurabile in paragone del tempo durante il quale non eserciteranno tra loro effetto sensibile. Consideriamo ora la superficie libera di un liquido, e supponiamo dapprima che lo spazio sovraincumbente sia vuoto e limitato. Le mo- lecole esistenti in quella superficie si troveranno nella stessa condi- zione di moto rotatorio od oscillatorio, delle molecole che compon- gono la massa sottoposta; ma laddove una di queste, nel seguire il suo moto termico non può slontanarsi dalle molecole più prossime, senza contemporaneamente farsì più vicina ad altre, e rimane così sempre sotto il dominio dell'attrazione molecolare, una delle prime invece può benissimo dilungarsi di tanto dalle circostanti da. uscire dalla loro sfera di attività, senza andare incontro ad altre la cui at- trazione valga a rattenerla. Se combiniamo questa osservazione col fatto avvertito da Young e da Mossotti del rapido diminuire della densità, e però anche della coerenza dell’ ultimo strato di un liquido avente uno spessore eguale al raggio di attività molecolare e termi- nante alla superficie libera, non avremo difficoltà a concepire come, potendo la tendenza centrifuga spingere le molecole superficiali fuori dalla massa liquida, ed essendo ivi contrastata da una coerenza. più debole. che nelle parti più interne, abbiano continuamente a spic- carsi delle molecole dalla ’superficie del liquido, ossia debba pro- . dursi il fenomeno della svaporazione. E le molecole così separate dalla massa e uscite dalla sfera di attività molecolare, non più. co- strette a vibrare o rotare intorno a centri determinati, si moveranno in linea retta in modo affatto analogo a quello che tengono le mole- cole di un gas; e le condizioni del loro moto saranno similmente DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 261 modificate dagli urti reciproci, dall’ influenza attrattiva quando pas- sino abbastanza davvicino V una all'altra e dall'incontro della super- ficie di un corpo solido o di quella stessa del liquido d’onde vennero spiccate. Ma quest’ultima vuol essere considerata come una parete dotata di una proprietà affatto particolare, quella cioè di attirare e riunire alla restante massa liquida le molecole già distaccate che verranno ad incontrarla. Pertanto mentre la detta superficie emetterà di continuo delle molecole nello spazio superiore, altre molecole verranno a condensarvisi , e in copia di mano in mano crescente a misura che crescerà l'emissione; epperò tra questi due fatti opposti uno dei quali tende ad accrescere la quantità di liquido passata alla forma espansibile, e l’allro a diminuirla, non tarderà a stabilirsi l’ equilibrio; quando dopo un certo tempo il numero delle molecole che si riuniranno alla massa liquida sarà eguale a quello delle altre che ne verranno contemporaneamente staccate; la quantità di vapore nello spazio sovrastante al liquido avrà raggiunto un massimo valore che non potrà sorpassare: Quello spazio sarà saturo di vapore. Il nu- mero delle molecole che simultaneamente verranno. scagliate fuori dal liquido, e la velocità dei moti rettilinei che verranno loro im- pressi, saranno tanto maggiori quanto più efficace sarà la tendenza centrifuga, ossia quanto più alta sarà la temperatura, supposta co- mune, del liquido e dello spazio sovrastante; epperò le condizioni dell’ equilibrio varieranno al variare della temperatura, e quanto più questa sarà elevata tanto maggiore sarà la quantità di vapore richie- sta a saturare lo spazio superiore al liquido. Se si suppone che le parete solide che limitano lo spazio in discorso non esercitino nessuna azione attrattiva sul vapore, le molecole di questo non faranno che rimbalzare quando le incontrino; ma se posseggono, come sarà il caso più generale, una simile azione, condenseranno sopra di sè il vapore, e in breve si copriranno di un velo liquido; quelle pareti si comporteranno allora come la superficie del liquido; ad ogni istante se ne spiccheranno delle molecole, mentre altre incontrandole ne saranno attirate o trattenale. Se la temperatura delle dette pareti sarà mantenuta più bassa di quella del liquido evaporante, allora il velo liquido onde si copri 262 R. FERRINI ranno emelterà un numero di molecole minore di quelle che andranno in pari tempo a condensarvisi, ed in tal caso la condizione dell’ equi- librio tra le quantità di liquido tramutato in vapore e del vapore condensato e riconvertito in liquido saranno tali da corrispondere non alla temperatura della massa liquida, ma a quella delle pareti, o meglio del velo liquido onde saranno coperte. Finora si è supposto vuoto lo spazio limitato sovraincumbente al liquido. Se vi fosse invece contenuto un gas, la presenza di questo non potrebbe alterare che in modo insignificante il fenomeno; le sue molecole non occupando che una minima parte di quello spazio non ponno influire che ben poco nelle condizioni dell’ equilibrio che tende a stabilirvisi tra l'emissione e la condensazione del vapore. L’evaporazione può avvenire in modo somigliante anche alla su- perficie di un solido, ma non vi è necessaria perchè non ha qui luogo come nei liquidi la ricordata rarefazione dello strato superficiale , il quale è anzi molte volte più denso delle parti più interne, perchè la coesione è ordinariamente molto più gagliarda che nei liquidi e per- chè a mantenere in posto i gruppi molecolari, concorrono per lo più efficacemente le forze di erientazione. 8.° Certo che le nuove idee sulla natura dei gas, di cui si è dato un cenno, non sono complete e presentano molto di ipotetico; biso- gna però convenire che meritano di essere studiate seriamente e che mentre rendono ragione dell’ espansibilità caratteristica dei gas sono anche molto più in armonia cogli altri loro caratteri, specialmente coll’ estrema loro mobilità, che non quelle secondo cui si considerano i gas come sistemi di molecole disgiunte da intervalli tali da ammul- larne le reciproche azioni attrattive e mantenute in equilibrio dalla mutua ripulsione. Ove si consideri con quanta facilità si provochino degli smovimenti in una massa gasosa, e quanto vi siano frequenti per non dire continue le occasioni al moto, si ha pena a riguardare i gas come ammassi di molecole ferme, come corpi di cui il moto non sia una condizione attuale e persistente. Ed è bello il vedere, come cercherò di mostrare sulle traccie delle memorie di Joule, Kroenig e Clausius, che le leggi di Mariotte e di Volta, non che quelle relative alle pressioni dei gas, e in generale le loro proprietà derivano da queste ipotesi quali conseguenze matematiche. DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 205 6.° Figuriamoci che in un gas perfetto venga introdotta e libera- mente sospesa una sotlil lamina elastica; le molecole che nel loro movimento la colpiranno, tenderanno a rimoverla, in direzione nor- male alla faccia urtata : il risultato di cotali spinte sopra una delle superficie della lamina è ciò che si suol chiamare pressione esercitata dal gas contro quella superficie. Ciò posto, potremo assumere a mi- sura di questa pressione la forza da applicarsi alla lamina per man- tenerla ferma contro gli impulsi che Ja superficie considerata riceve dalle molecole del gas. Questa forza, come insegna la meccanica, deve poter imprimere nell’urto a ciascuna molecola gasosa che in- contri Ja lamina una velocità doppia e contraria di quella compo- nente della sua velocità che è diretta normalmente alla faccia urtata. ‘7.° Facciamo per ora astrazione dalla gravità del gas e consideriamo due piani paralelli indefiniti MV e PQ (fig. 4.°) comunque orientati e mantenuti immobili nella massa gasosa ; nel primo di questi riteniamo individuata una porzione 42 di area s e chiusa da una linea di qual- sivoglia forma. Se ci figuriamo la superficie cilindrica retta avente per direttrice la linea 45 e compresa tra i due piani paralleli, è chiaro che in un istante qualunque essa comprenderà tutte quelle molecole gasose che movendosi in direzione perpendicolare ai due piani, verranno ad incontrare la superficie 42. Similmente la su- perficie cilindrica avente la medesima direttrice, pure compresa tra i due piani, ma le cui generatrici faranno con una perpendicolare ai piani un determinato angolo w, conterrà ad un istante qualunque tutte le molecole gasose che, movendosi in direzione parallela alle dette generatrici andranno a percuotere la superficie 4 2. Chiamiamo 2 la distanza CC' dei due piani, v la velocità comune delle mole- cole, m la massa di una molecola ed n il numero delle molecole che ad un qualunque istante si troveranno comprese nel cilindro 1 BB'A4* e che sarà pur quello delle molecole contenute nell’altro cilindro ABB"A" per l'equivalenza dei due ciliudri e per 1 uniforme di- stribuzione delle molecole delgas. Una delle molecole che si muo- vono parallelamente a CC', rimbalzando alternativamente contro i due piani paralleli, percorrerà in un’umità di tempo lo spazio v, ep- però incontrerà in questo tempo la superficie 42, tante volte quante 264 R. FERRINI, volte il doppio 22 della distanza dei piani è contenuta in v ossia un k v numero di volte ” ll numero delle molecole che verranno ad ur- li tare le superficie 42 nell’ unità di tempo, incontrandola in direzione CI nv . : LIPARI è normale, sarà dunque gr Per cui la somma delle quantità di moto i ) x i cigno nv corrispondenti a questi urti sarà espressa dal prodolto m 3 0, Z ossia da 2° 5°, 22 Passando adesso ad una delle molecole che si muovono parallela- mente a CC", si può conchiudere in modo analogo, che il numero delle volte che dessa incontrerà il piano A in una unità di tempo ù v sara espresso dal rapporto 3 CO! l’altro dei due piani, riflettendosi contro di loro deve sempre per- giacchè nel passare dall’uno al- 9 D i Z CI correre uno spazio eguale a CC". Ed essendo CC = —— è ne deri- COSO , va che la superficie 42 verrà incontrata in una unità di tempo da VCOSO n molecole che vi arriveranno ;in direzione parallela a CC". Z Ora, immaginando scomposta la velocità v di ciascuna di tali mole- cole, in due altre, dirette luna perpendicolarmente e l’altra paral- lelamente al piano MV, la prima di queste che sarà espressa da vcoso , sarà sola efficace nell’urto, mentre l’altra componente di grandezza osenm, nè influira nell’ urto, nè sarà modificata da questo. Pertanto la somma delle quantità di moto corrispondente agli urti che avverranno nell’unità di tempo, contro la superficie 45 e'in dire- zione parallela a CC'' sarà espressa dal prodotto 7 Do Xx. vCOsa) de Lo ossia — v° C08°0. 2% Facendo variare opportunamente si avranno le analoghe quantità di moto corrispondenti al complesso degli urtici revuti dalla superfi- cie 4 nell’unità di tempo in tutte le altre direzioni possibili. Av- vertendo ora come in tutte le espressioni di cotali quantità di moto, "= DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 265 (o) sì trovi il fattore comune è facile intendere che, indicando 2zi5 con X la somma dei valori dî cos°® corrispondenti a tutte le possi- bili orientazioni dei cilindri analoghi ad 4824", somma che sarà al certo indipendente da m, n, è, z, la somma totale delle quan- tità di moto corrispondenti al complesso degli urti ricevuti in tutte le direzioni possibili dalla, superficie 42 nell’ unità di tempo sarà espressa da mnv? pUTTer Pertanto la forza necessaria a mantenere ferma la superficie 42 contro questi urti, cioè ad imprimere a ciascuna molecola che l’in- contri nell'unità di tempo una velocità doppia della sua velocità componente perpendicolare ad 45, dovrà essere tale da communicare alla stessa superficie nell’unità di tempo, una quantità di moto dop- pia della somma assegnata; quindi la misura della pressione soste- nuta dalla superficie 42, sarà munv? 7 . K . vd e la pressione esercitata dal gas sopra una unità superficiale sarà 9 mnv K SZ Notiamo che il prodotto sz esprime il volume di uno dei cilindri ABB'A', ABBA", e che perciò il rapporto tra la massa n delle molecole gasose in esso contenute ed il suo volume non è altro che la densità del gas. Dunque, non cambiando la velocità v ossia non cambiando la temperatura del gas, la pressione da esso esercitata sull’unità di superficie è proporzionale alla sua densità. Questa è la notissima legge di Mariotte. Cambiando v senza che cambi il volume sz, la pressione in di- scorso risulta proporzionale ad nmo* cioè alla somma delle forze vive corrispondenti ai movimenti rettilinei onde si suppongono animate le molecole gasose, o in altre parole alla temperatura del gas, contata a partire dallo zero assoluto. Ecco la legge di Gay-Lussac. 8° Se non si verificano pienamente le condizioni dello stato ga- 266 R. FERRINI, soso perfetto, ammesse nel numero precedente, vale a dire se la durata e l’ influenza delle perturbazioni prodotte dall’ incontro delle molecole e dall’ attrazione reciproca quando passino ad una distanza abbastanza piccola l'una dall'altra, pur restando piccolissime, non riescono però assolutamente trascurabili, allora il numero degli urti di una molecola contro la superficie 45 non sarà più quello che venne assegnato ritenendo che ella si movesse senza impedimenti in linea retta alternativamente da un piano all’altro. In tal caso i fatti ragionamenti e le conseguenze dedotte non saranno applicabili a ri- gore ma solo con una approssimazione che sarà tanto maggiore quanto meno sensibili riesciranno la durata e l’influenza delle dette per- turbazioni. Quindi è che Ie leggi di Mariotte e di Gay-Lussac non si verifi- cano a rigore per nessun gas, ma si ponno ritenere tanto più esatte per un dalo gas quanto più esso si accosta al tipo del gas perfetto. È poi chiaro che quanto più si avvicineranno tra loro le molecole mediante una pressione, o si scemerà col raffreddamento la loro forza viva, tanto meno sarà probabile che riescano trascurabili le pertur- bazioni dei loro moti rettilinei; quindi è che le maggiori derogazioni alle ripetute leggi si hanno quando per effetto della pressione e del raffreddamento un gas è prossimo alla liquefazione, mentre anche i vapori, quando siano lontani dalle condizioni della condensazione, si attengono a quelle leggi almeno con una certa approssimazione. 9.° Teniamo ora calcolo anche del peso del gas. Supponiamo perciò che i due piani paralleli MV, PQ considerati nel numo 7.° siano orizzontali. Una molecola che si diparta da un punto qualunque € del piano MM nella direzione CC” colla velocità 0, se non incon- trasse l’altro piano parallelo, salirebbe con moto uniformemente ral- vCOSO) lentalo per un tempo , alla fine del quale, estinguendosi la sua velocità, avrebbe tocco il punto culminante della sua corsa; allora comincierebbe a discendere con moto uniformemente accelerato, e LYCOS dopo un secondo tempo pure espresso da incontrerebbe di nuovo il piano MV, con una velocità veos» eguale alla iniziale, Consegue ’ DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 267 da ciò che il numero delle volte che la molecola immaginata incon- trerebbe in tal caso il piano MV in una unità di tempo sarebbe espresso da 52 .- In tal caso dunque, alla totalità degli urti della 080) molecola individuata contro il piano MY che avrebbero luogo nel- l’unità di tempo, corrisponderà una quantità di moto espressa dal 9 2vcoso pendente da v e da è, ciò che significa che gli urti di tutte le mo- lecole contro il piano sono eguali qualunque ne sia la direzione e la velocità; quest’ urto essendo d’ altronde proporzionale al peso mg di una molecola, ne consegue che nel caso considerato la pressione esercitata dal gas pesante sopra un piano orizzontale è indipendente dalla temperatura del gas e proporzionale al suo peso. - Tutto questo finchè o manchi il piano ?Q, o la sua distanza dal- l’altro sia tale che esso non abbia ad arrestare la molecola conside- rata prima della fine del suo moto ascensionale: in altre parole, v?c05%0) à mm i due prodotto m Xx ecoso X ossia da ne Questo prodotto è indi- finchè z non sarà minore di v2508%» Agg punto C' nella direzione CC" e colla velocità 9 incontrerà il piano PQ vcosw —, /e°costo —2gz dopo un tempo / s 9 Riflettendosi contro questo piano, .urterà di nuovo il piano MV dopo Veniamo al caso che z sia < . Allora la molecola partita dal e colla velocità NI v°costo— 2g. veosw —, /v?c0sk — 2gz un altro tempo eguale a , ma colla velocità 9 ecos, Ciascuno dei due piani sarà incontrato dalla molecola un nu- . 9 . . . hI mero di volte espresso da val. Falsa ciascuna unila 2 (veosw = v?cos» — 292) di tempo e le quantità di moto corrispondenti ai complessi degli urti ricevuti dai piani MN e /Q saranno date rispettivamente dai prodotti g.MvU cosw qm. NI v°*eosto — 297 9 2 (vcoso — | p°cost —29z) 2(vcoso — /1%c08%» — 29) 268 R. FERRINI, ibi «MI 3 PERO TO È la cui differenza è —-. Pertanto la differenza delle pressioni eserci- dial tate da un gas pesante contro due. piari orizzontali è proporzionale al peso del gas compreso tra di loro. La pressione sull’ unità super- ficiale cresce dunque da uno strato orizzontale ad un altro sottoposto: di una quantità corrispondente al peso della colonna gasosa avente per base quell’unità superficiale e per altezza la distanza tra i due piani. Da questa proposizione discendono immediatamente le leggi delle pressioni dei gas pesanti, il principio di Archimede per i corpi im- mersi nei gas, non che i moti convettivi che devono prodursi in una massa gasosa che poggi sopra una superficie inegualmente calda. 10.° Non è però a dissimularsi come si siano mosse diverse obbie- zioni alla nuova teoria dei gas di cui si è qui tentato di riprodurre un abozzo. Fu detto che supponendo le molecole gasose dotate di moto progressivo rettilineo ed uniforme, due gas posti in presenza l'uno dell’altro dovrebbero mescersi quasi istantaneamente. A ciò rispose il signor Clausius facendo osservare come in realtà debba riuscire molto breve il cammino rettilineo medio di una molecola , venendo essa dopo non lungo tratto ad abbattersi in altre, quindi deviata dalla prima direzione od anche respinta indietro. Una delle principali difficoltà sollevate contro la teoria in discorso dal sig. Joch- mann è la seguente: Se la temperatura del gas dipende dalla velo- cità dei moti rettilinei delle sue molecole, come ponno sussistere disuguaglianze di temperatura in uma stessa massa gasosa, come non si rende tosto uniforme la velocità delle varie molecole? Se in una fila di palle elastiche si dà un impulso alla prima, quella spinta sì propaga successivamente alle altre benchè non si spostino in modo sensibile: perchè non avverrebbe lo stesso nelle molecole del gas? Il signor Clausius risponde pure a questa obbiezione mostrando come il caso della trasmissione del moto tra le molecole del gas sia ben altri- menti complesso di quello della propagazione di un urto in una serie di sfere elastiche, non potendosi fare astrazione dai moti irregolari delle molecole spinte in tutte le direzioni dagli urti cui vanno incontro. immaginando poi uno strato gasoso compreso tra due pareti solide DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 269 orizzontadi , la superiore delle quali si trovi ad una temperatura più alta della sottoposta, studiò col calcolo la conduttività del gas, vale a dire cercò di determinare la quantità di forza viva che nell’unità di tempo traversa una falda gasosa infinitamente sottile, tenendo conto dei moti che ponno aver luogo in tutte le direzioni e della brevità degli spazii che le molecole percorrono senza subire degli urti. | risultati a cui giunse sono i seguenti: 1.° La conduttività di un gas è incomparabilmente minore di quella di un metallo: per l’a- ria prossima a 0°C, la conduttività risultò circa 1400 volte minore di quella del piombo. 2.° La condnttività cresce al crescere della temperatura del gas. 3.° È indipendente dalla pressione. %.° Infine è maggiore per i gas specificamente più leggieri che per gli altri, quindi notevolmente più forte nell’idrogeno che in qualunque al- iro gas. 11.° In appoggio alla nuova teoria del calore, torna la conclusione a cui ci ha condotti l'esame dei fenomeni esposti nella prima parte, cioè che il calore possa convertirsi in lavoro meccanico o reciproca- mente questo in calore, mentre la stessa conclusione ne riceve a con- ferma una spiegazione plausibile : diffatti la possibilità di tali tras- formazioni, si riduce in sostanza a quella della comunicazione del moto tra le particelle dell’etere e le particelle ponderabili dei corpi, e della trasformazione di una maniera di movimento in un’ altra. Qua- lunque possano essere del resto la natura del calore, e quella della proprietà che denominiamo temperatura di un corpo, il calore si può sempre considerare come una semplice forza motrice, o come una quan- tità di forze vive ricevuta o ceduta da un corpo, edi corpi come organi meccanici, su cui operi, in opposizione di date resistenze la detta forza motrice; con ciò la spiegazione dei fenomeni termici si riduce in gran parte alla semplicità ed alla certezza di quella dei fenomeni meccanici. | Ora se si considera il calore come una somma di forze vive comu- nicata ad-un corpo, o perduta da questo, bisogna pure ammettere che l’ effetto meccanico ottenibile da una data quantità di calore sarà sempre lo stesso ed indipendente dalle particolari qualità del corpo dove si esercita la sua azione, a quella guisa che su tutti i corpi è 270 n. FERRINI, la stessa l’azione della gravità. E siffatta conseguenza la troveremo sancita dai fatti che or piglieremo in esame ma in modo più parti- colare e preciso dagli esperimenti che saranno descritti nella Parte Terza, diretti appunto alla misura del lavoro dinamico ottenibile da una caloria, lavoro che venne denominato equivalente meccanico del — calore. . Reciprocamente poi la quantità di calore che si potrà sviluppare . colla distruzione di una determinata quantità di lavoro sarà pur sem- pre la stessa ed eguale a quella che si sarebbe dovuto consumare per compiere il medesimo lavoro. Diffatti è sempre la medesima somma di forze vive che si presenta ora come forza viva meccanica, ora come forza viva dei moti mole- colari, cioè come calore sensibile. 12.0 Gli effetti operati da una data quantità di calore nel variare il volume od anche lo stato fisico di un corpo solido 0 liquido si ponno ridurre in generale ai seguenti: ne innalza la temperatura; ne rimove e disgrega le molecole l’ una dall’altra, modificandone spesso la relativa distribuzione e rendendole più o meno svincolate tra di loro, nel che deve superare le azioni opposte delle forze attrattive e di orientazione, ed infine quando si verifichi un incremento di volume e questo non avvenga nel vuoto, produce la dilatazione del corpo contro l’effetto di una pressione esteriore. Pertanto, in generale, la somma delle forze vive corrispondenti alla quantità di calore assor- bita da un corpo, si convertirà parte in aumento di intensità dei moti termici dei gruppi molecolari, parte nel lavoro di slontanare e di sciogliere le molecole, e parte in quello di rimuovere i punti di applicazione della pressione esteriore in direzione opposta alla sua.. Di questi due lavori chiameremo d’ora innanzi per brevità lavoro interno il primo, lavoro esterno il secondo. Ciascuno degli esposti effetti sarà tanto minore quanto maggiore sarà la somma degli altri, o reciprocamente tanto maggiore quanto più piccola riescirà questa somma; potranno anche in certi casi man- care uno od anche due degli effetti discorsi e consumarsi tutto il ca- lore nella produzione degli altri o dell’ altro. Così accade che se per mezzo di pressioni opportunamente distri- DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 271 buite alla sua superficie si impedisce il distendersi di un corpo men- tre lo si riscalda, la sua temperatura risulta più elevata di quella che prenderebbe lasciandolo dilatare, perchè, mancando il lavoro esterno, la quantità di calore che vi corrisponde si converte tutta in lavoro interno ed in aumento di temperatura, od anche tutta in quest’ ul- timo effetto quando non avvengano intestini smovimenti delle mo- lecole. Se poi il corpo si dilata superando una data resistenza, o com- piendo un effetto meccanico qualsivoglia, in corrispondenza al mag- gior lavoro esteriore, risulteranno diminuiti gli altri due effetti, e la sua temperatura, per una stessa quantità di calore, sarà minore di quella che avrebbe raggiunto senza eseguire quel lavoro, e tanto mi- nore quanto sarà maggiore la resistenza superata. Così quando un solido è scaldato fino alla temperatura della fusìo- ne, un liquido fino a quella a cui bolle sotto una data pressione, la temperatura dell’ uno o dell’altro non varia durante il cambiamento di stato, e tutto il calore assorbito si consuma nella produzione dei lavori interno ed esterno. i Il lavoro esterno che ha manifestamente per misura il prodotto della pressione sostenuta dalla superficie del corpo per l’ aumento del suc volume è in generale trascurabile, a petto del lavoro interno, nei corpi solidi e liquidi di cui è piccolissima la dilatazione almeno finchè si tratti di riscaldamenti moderati e della pressione atmosfe- rica. È invece per lo più considerabile nei cambiamenti di stato fi- sico, massime nella vaporizzazione. Passando poi a considerare un gas perfetto, è chiaro che il calore assorbito da questo dovrà convertirsi parte in aumento di forza viva molecolare, cioè in aumento della velocità dei moti progressivi delle sue molecole e parte nel lavoro’ esterno che corrisponde alla dilata- zione effettuata, sia contro la pressione esteriore, sia rimovendo una data resistenza; ma vi mancherà quello che si è chiamato lavoro interno perchè non si esercita tra le sue molecole attrazione sensibile. Segue da ciò che, qualora venisse impedito il lavoro esterno, ne ri- sulterebbe nel gas, per una stessa quantità di calore ricevuta, una temperatura proporzionatamente maggiore; che viceversa il gas do- 92792 N. FERRINI, vrebbe raffreddarsi qualora, senza ricevere calore dal di fuori, esc- guisse un lavoro meccanico esterno; e che infine se il gas aumentasse di volume, senza assorbire nè cedere calore e senza eseguire nessun lavoro, la sua temperatura non ne verrebbe alterata. Supponiamo ine fatti che due vasi l’uno contenente un gas perfetto, e l’altro vuoto siano separati da una parete, e che ad un tratto venga tolta una por- zione di questa; le molecole che nel loro moto sarebbero venute ad incontrarla, traverseranno l'apertura e passeranno nell’ altro reci- piente dove, riflettendosi contro la sua superficie, si spanderanno in tutti i sensi, cosicchè ben tosto si renderà uniforme la pressione nei due vasi, ma non sarà perciò variata la velocità delle molecole ossia la temperatura del gas. Che se il gas nel distendersi dovesse invece superare una resistenza, per esempio sospingere uno stantuffo, allora perderebbe tanto di forza viva quanta ne comunicherebbe allo stan- tuffo, dunque si raffredderebbe; se infine si. comprimesse un gas contenuto in un cilindro cavo, cacciandovi repentinamente uno.stan- tuffo, le molecole gasose. incontrandolo, ne riceverebbero dall’ urto una velocità maggiore di quella che possedevano, cioè il gas si scal- derebbe. | | Su queste conseguenze ritorneremo icon. maggior sviluppo mella Parte Terza: accontentiamoci di notare per ora che se lo stato gasoso non è perfetto, esse non riesciranno rigorosamente vere e che vi sarà nella dilatazione del gas un lavoro interno, benchè assai piccolo,.com- misurato alla resistenza prodotta dalla, debolissima attrazione che si esercita tra le sue molecole. pile 15.° L'importanza anzi la necessità di tener conto del; lavoro in- terno nella estimazione degli effetti prodotti da una data quantità di calore assorbita da un. corpo, anche quando si impediscano per opera di pressioni esterne le variazioni del volume, si fa specialmente ma- nifesta in quei casi dove è rilevante l'esercizio delle forze di orien- tazione. Troviamo allora molti esempi. di corpi che.si. contraggono assorbendo calore, come si è già detto dell’ argilla e dell’acqua. tra 0° e 4° e come fanno p. e. il ghiaccio, il bismuto e la ghisa nel fondersi. Il lavoro esterno è in questi casi negativo, cioè non consi- ste in una produzione ma in una restituzione di lavoro, perchè il DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 275 movimento dei punti di applicazione della pressione si compie non in direzione opposta, ma nella sua medesima direzione. Si può por- tare dell’acqua da una temperatura inferiore a 4° ad un’altra supe- riore a questa e tale, che il volume del liquido sotto la stessa pres- sione riesca il medesimo di prima. In tal caso al passaggio della temperatura iniziale a quella della massima densità e da questa alla temperatura finale corrispondono due lavori esterni eguali e di segno contrario perchè il liquido tanto si contrae nel primo, quanto si di- lata nel secondo. La somma dei due lavori è dunque nulla. Se però non si avesse riguardo che al lavoro esteriore ne conseguirebbe 1’ as- surdo di un consumo di forze vive cui potrebbe corrispondere tanto la produzione quanto la distruzione di un lavoro, 0 ehe potrebbe restar privo di effetto. Opponendosi al lavoro interno, o cercando invece di produrlo per mezzo di una pressione esteriore, si ponno ottenere da questa effetti somiglianti a quelli di un'aggiunta o d'una sottrazione di calore. Così con una gagliarda pressione si riesce a modificare la tempera- tura di fusione di un solido, rendendola più elevata dell’ ordinaria, se il liquido prodotto.dalla fusione è meno denso del solido, come venne constatato per la stearina, la paraffina, lo spermaceti, la cera ed il solfo, abbassandola nel caso contrario come Thomson verificò per il ghiaccio. La pressione opera nel primo caso come una sottra- zione di calore perchè si oppone alla disgiunzione delle molecole, e le mantiene sotto l’ esercizio delle forze attrattive reciproche e del- l’orientazione quali convengono alla forma solida, e nel secondo come un aumento di calore perchè costringe le molecole del ghiaccio ad avvicinarsi ed impedisce che le forze di orientazione le conservino nelle reciproche giaciture convenienti alla forma solida. 44.° Un'altra conseguenza importante che discende dai posti prin- cipii, si è che quando si operi in un corpo una trasformazione, p. e. una variazione di volume o di stato fisico, la quantità di calore che il corpo avrà in essa ricevuta o ceduta non dipenderà unicamente dalle sue condizioni fisiche iniziali e finali, ma ben anco da quelle degli stadii intermedii per cui sarà passato, e degli effetti mec- canici che se ne saranno ottenuti vale a dire. dalla somma dei lavori 18 274 R. FERRINI 4 interni ed esterni che avrà intanto compiuti. Se per es. una massa di gas presa ad una data temperatura e sotto una data pressione verrà portata ad un’altra temperatura e ad un’altra pressione, la quantità di calore che le si sarà dovuto communicare o che essa avrà abban- donata nella trasformazione, sarà stata differente secondo la legge particolare con cui avrà variato la pressione dall’ uno all’ altro dei medesimi valori estremi. 48.° A conferma delle precedenti conclusioni, tornano la propor- zionalità avvertita da Person tra le calorie di fusione dei metalli ed i rispettivi coefficienti di elasticità, non che le seguenti interessanti osservazioni tratte da una recente memoria del chiarissimo signor professore Cantoni sulle relazioni tra alcune proprietà termiche ed altre proprietà fisiche dei corpi. Se si rappresentano con c il calore specifico di un solido 0 di un liquido con d il suo peso specifico, e con è il suo coefficiente di dila- tazione cubica, che nel caso del liquido intenderemo essere la dilata- zione assoluta, la quantità di calore occorrente a variare di un grado la temperatura e insieme della frazione è la grandezza dell’ unità di volume di quel corpo, sarà espressa dal prodotto cd: pertanto il nu- mero delle calorie richieste a variare di una decimillesima parte la detta unità di volume, o delle calorie di dilatazione, come le chiama il professore Cantoni, sarà 0,0001 da Se stà quanto venne premesso , le calorie di dilatazione dovranno risultare tanto maggiori quanto più forti saranno le resistenze interne al crescere della velocità e dell’ampiezza dei moti vibratorii delle molecole. Dovranno quindi risultare maggiori in quei solidi dove la compattezza, Ja durezza, la tenacità, la refrattarietà, | elasticità in- dichino più gagliarda la coesione che negli altri, od in quelli a strut- tura cristallina dove il lavoro di modificare Vl aggruppamentoEmole- colare compensi il minor sforzo di vincere una coesione relativamente più debole. E nei liquidi saranno maggiori per quelli di cui attestino più efficace la coesione l'essere più densi, meno volatili, meno com- pressibili, o il possedere un più elevato coefficiente di capillarità, (espresso dal prodotto della densità del liquido per la misura della DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 275 sua elevazione in un cannello di dato diametro) o dove il carattere della viscosità accusi un distinto esercizio delle forze di orientazione. Ora se per c.d e è si prendono i valori più attendibili ottenuti dalle più accurate misure istituite sui principali solidi e liquidi si trova che il prdotto cd. LALA ie Ò 1.° è maggiore per quei solidi, metallici e non metallici, le cui proprietà _ manifestino una coesione più possente che negli altri; 2.° che per i metalli a struttura non cristallina, e dove questa struttura non sia troppo pronunciata, esso riesce proporzionale al coefficiente di elasticità del metallo cioè al peso distraente richiesto ad allungare di una decimillesima parte una verga del metallo avente la sezione di un millimetro quadrato; 3.° per i corpi a struttura cristallina, massime in quelli dove è più diseguale la dilatabilità nelle differenti direzioni, a pari grado di coerenza quel prodotto è maggiore che per un altro solido e struttura uniforme ; 4,0 per i liquidi è in generale assai minore che per i solidi, e va- ria pure da un liquido all’altro in relazione al suo grado di coerenza od alla sua viscosità; 5.° tanto nei solidi che nei liquidi le calorie di dilatazione dimi- nuiscono al crescere della temperatura e però allo svigorirsi delle forze attrattive. 16.° Indichiamo con lla lungezza di una verga metallica espressa in metri, con s l’aria della sua sezione retta espressa in millimetri quadrati, con d la densità, con c il calore specifico, con è il coef- ficiente di dilatazione cubica e con e il coefficiente di elasticità del del metallo. Per scaldare la verga di 1°C si dovrebbe somministrarle 0,004 I.s.d.c, calorie, producendovi così una variazione di lunghezza ò È ‘ . D espressa da —: se dunque alla verga non verrà somministrata che 3 una caloria, la variazione della sua temperatura sarà espressa 1000 i 1000 è da — e l'allungamento corrispondente a questa da -——. — Ls.d.c d.8.d. € 276 R. FERRINI , Supponiamo ora che i capi della verga si appoggino contro due su- perficie piane perpendicolari alla sua direzione ed inamovibili, le quali ne impediranno l'allungamento. Se la verga avrà una sezione sufficiente per non piegarsi nè schiacciarsi reagendo contro quegli ostacoli, eserciterà su di loro una pressione che avrà per misura il carico di cui tenendola verticale si dovrebbe gravare la sua estremità superiore per accorciarla di quella stessa frazione di cui la caloria ‘assorbita tende ad allungarla. Ora un carico di e chilogrammi per ciascun millimetro quadrato di sezione, accorcierebbe la, verga di una decimillesima parte della sua lunghezza; perciò, essendo s la 1000 è sezione, e To l’accorciamento da prodursi, la pressione eserci- tata dalla verga contro gli ostacoli immaginati, sarà espressa da ò. @ 10000000 E Ma si è detto al N.° 3 del paragrafo precedente che il rapporto 0.0001. c d Ò : e risulta sensibilmente lo stesso per tutli i metalli a i - : a . 0,0004.d. e struttura non cristallina, e siccome si ha per media ——_- == pi così la pressione in discorso sarà espressa da 1000 mod 0 3x1,37 prossimamente da 245 kilog. Ora questo sforzo essendo indipendente tanto dalla natura del metallo, che dalle dimensioni della verga, pur. chè sian tali, che essa non abbia a curvarsi, nè a lasciarsi compri- mere, ne deriva che la pressione o la trazione che può esercitare una stessa quantità di calore assorbita o ceduta da un pezzo di me- tallo a struttura non cristallina, mentre si dilata o si contrae, è sem- pre la stessa qualunque sia il pezzo che serve di strumento all’azione del calore. 17.° Similmente per gli acidi solforico e nitrico, per il tereben- tino, per gli alcooli etilico e metilico, e per gli eteri acetico ed etilico, risulta il numero delle calorie di dilatazione inversamente proporzionale al coefficiente della compressibilità del liquido cioè alla diminuzione di volume che vi sarebbe causata dall’ aumento di Ra pia 33 a - = ie rn ted cicci DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE DT un’ atmosfera nella pressione sostenuta dalla sua superficie. Si può dunque dire che una stessa quantità di calore spiega in eguali vo- lumi dei differenti liquidi citati una medesima attitudine a reagire contro le pressioni superficiali che si oppongono alla loro dilatazione. 18.° Se si paragonano tra loro il modo con cui si determina la ve- locità comune v che prenderebbero in conseguenza dell’ urto diretto e prima della reazione elastica due corpi di massa m.m', animati rispettivamente dalle velocità v, v, ed il modo con cui si suol calco- lare la temperatura comune 6 a eui si ridurranno un corpo di cui la massa sia mm, il calore specifico c e la temperatura t, ed un liquido dove lo si immerga, del quale siano la massa 2, il calore specifico c' e la temperatura f', non si può a meno di rimanere col- piti dall’analogia che corre tra l'uno e l'altro; analogia che si man- tiene anche nella forma e nel significato meccanico delle espressioni che danno i valori di w. e di 0, astrazione fatta dalle inevitabili per- dite di forza nel primo caso per le comunicazioni del moto all’ aria o ad altri corpi circostanti e di calore nel secondo per irradiazione e per contatto di altri corpi. Infatti come per trovare w si ammette che le quantità di moto che si scambiano tra loro i due corpi nell'atto dell’ urto siano eguali, così per trovare 0 si ammette che le quantità di calore scambiate tra il liquido ed il corpo immersovi siano parimenti eguali, ed i va- lori di « e di 0 si trovano espressi dalle formole affatto somiglianti: fai muv+tm'v Apc mt m' me+m' c' Ma più ancora dell’ analogia della forma, è rimarchevole quella del significato meccanico di queste due espressioni in base ai principii della teoria dinamica del calore. È diffatti secondo il concetto che in questa si applica alla temperatura, i simboli #, 4,9, possono riguar- darsi come esprimenti quantità analoghe a quelle che nell’altra sono rappresentate da v, v',u, colla differenza che mentre v,v',u, indi- cano velocità di traslazione, le £,',0 si riferiscono alla velocità di vibrazione termica dei gruppi molecolari, e come da una parte la massa di un corpo accenna alla sua attitudine di richiedere 1’ impulso di uma parlicolare forza motrice per riceverne una determinata ac- 278 R. FERRINI, celerazione, così il prodotto me dall'altra esprime la sua attitudine di richiedere una particolare quantità di calore perchè la intensità dei suoi moti termici molecolari venga cresciuta in misura corrispon- dente all’ innalzamento di un grado nella temperatura. La ragione poi della specifica attitudine per cui i varii corpi, od uno stesso corpo in condizioni fisiche differenti, esigono a parità di massa differenti quantità di calore per esserne scaldati di 1°, e si di- ‘Jatano diversamente in corrispondenza a questo aumento di tempera- tura, stà manifestamente nella diversità dei lavori interni di dilata- zione ossia del complesso delle resistenze opposte dalle forze di aggregazione che si esercitano tra le molecole al crescere della ve- locità dei loro moti termici, in corrispondenza alle quali resistenze dovrà pure riuscire differente il discostamento delle molecole a cui ritornerà a stabilirsi Il’ equilibrio tra loro e la forza centrifuga, per uno stesso aumento di temperatura. Indicando pertanto con 7,7 i i volumi, con d,d'i pesi specifici, e con 3, i coefficienti di dila- tazione, e con C,C' le calorie di dilatazione del corpo e del liquido in cui viene immerso, si hanno , meald,.m'=/"d'.'C—0,0001 sa C'=0,0001 di dalle quali mce=10,000 CV è, m'e'=40,000 C' V'd'. ] prodotti #2, c 22'c' esprimono dunque anche le quantità di calore commisurate ai lavori interni di dilatazione compiuti o distrutti in un corpo e nell’altro dipendentemente dalla variazione di 1° nella. tem- peratura. Tenendosi conto di questi lavori interni, si può dire che gli scambi di calore che avvengono tra due corpi a contatto, seguono le leggi degli scambii di moto per urto diretto tra due corpi elastici. 19.° Anche nei gas si nota una relazione tra le calorie di dilata- zione sotto pressione costante, ed i deboli indizii di coesione che in alcuni di loro si riscontrano. Le dette calorie risultano diffatti al- quanto maggiori per l’acido carbonico, per il protossido di azoto e per l'acido solforoso, che per l’idrogeno, l’aria e l’ossido di car- bonio: e appunto in quei tre primi gas tanto la compressibilità cre- scente al crescere della pressione, deviando così dalla legge di DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 279 Boyle, quanto it fatto di liquefarsi quando vengano opportunamente compressi o raffreddati, mostra tra le loro molecole una tendenza ad avvicinarsi analoga alla coesione, mentre degli altri tre e principal- mente dell'idrogeno (la cui compressibilità diminuisce aumentando la pressione) non essendovi indizio di siffatta tendenza, sia perchè seguono con maggior esattezza le leggi di Mariotte e di Gay-Lussae, sia perchè resistono ad enormi pressioni ed ai maggiori raffredda- menti, che si sappian produrre, senza liquefarsi, si può dire che sono di quelli che più si accostano a presentare i caratteri dello stato gasoeso perfetto. La piccola differenza che si trova tra le calorie di dilatazione dei primi tre gas e quelle dei secondi, discende quindi dal lavoro interno di superare quel comunque debolissimo effetto di coesione che si ravvisa nei primi e che manca negli altri. E per ve- dere quanto sia poca tale coesione anche in confronto di quella del liquido meno coerente, l'etere etilico, basti il dire che le calorie di dilatazione di quei fre gas arrivano appena ad una duemillesima parte di quelle dell’ etere. 20.° Per fondere un corpo solido bisogna cominciare a seatdarlo fino alla temperatura della fusione, poi comunicargli quella quantità di calore, che, senza mutarne la temperatura, vi operi il cambia- mento dello stato fisico. Allo scopo di partire da condizioni possibil- mente identiche pei varii corpi, li supporremo presi tutti alla tem- peratura di — 273° C, cioè a quella dello zero assoluto e chiame- remo calorie di fusibilità di un dato solido quelle richieste a scaldare l’unità di volume del medesimo dalla detta temperatura a quella della fusione, e calorie di fusione quelle occorrenti a Hquefare la stessa unità di volume già portata al punto di fusione. La somma di questi due numeri di calorie dovrà corrispondere alla somma delle resistenze da vincersi prima per portare le molecole del solido a quelle condizioni di distanze e di giaciture reciproche a cui stia per determinarsi la fluidificazione, poi nel consumarla, svincolando tra di loro le molecole, oltre al produrre una sensibile diminuzione della coerenza del eorpo e per lo più anche un considerevole aumento del suo volume. E le calorie totali di fasione cioè la somma delle calo- rie di fusibilità e di fusione si riscontrano appunto per i varii solidi 230 R. FERRINI, commisurate alla somma algebrica dei lavori interni corrispondenti agli effetti delle forze aggregative molecolari e di orientazione, e del lavoro esterno dipendente dall’espansione del volume contro la pres- sione atmosferica, , 21.° Sono importanti, a proposito dalla liquefazione dei solidi, i fatti notati da Person circa la loro dissoluzione in un liquido. Quando si liquefaccia un solido per via umida, cioè per mezzo di un solven- ‘ te, e la dissoluzione non sia accompagnata da combinazioni chimiche, si manifesta nel liquido un notevole raffreddamento. Anche a lique- fare un solido per questa via si richiede dunque una certa quantità di calore. Or bene, Person constatò che le calorie di soluzione di un dato solido, cioè quelle che vengono assorbite nel disciogliersi di un’ unità di peso del medesimo in un dato liquido, sono maggiori di quelle vichieste alla fusione ‘ignea dello stesso peso del solido (pre- viamente scaldato fino al punto di fusione) e che ne riescono poi tanto maggiori quanto maggiore è la quantità relativa del solvente e quanto più bassa la sua temperatura. E diffatti in questo caso oltre al lavoro di slegare le molecole e di siontanarle in quella misura e in quel modo che rispondono alla liquefazione, oltre al superare gli effetti delle forze aggregalive e di orientazione abbiamo a tener cal- colo anche del Javoro di disseminare Je particelle solide entro la massa liquida, lavoro che riescirà tanto maggiore per la stessa quan- tità di solido, quanto maggiore sarà la somma delle lunghezze delle irajettorie da descriversi dalle singole sue particelle cioè quanto maggiore sarà il volume del liquido, e quanto maggiore sarà la re- sistenza che questo opporrà al lasciarsi dividere e spostare dal moto di quelle particelle, resistenza che andrà crescendo al crescere della sua densità, epperò all’ abbassarsi della temperatura. È dunque af- fatto piana ed ovvia la conseguenza, che verificandosi nel caso della dissoluzione una somma di lavori superiore a quella dei lavori che si compiono nella fnsione, si esiga nella prima, per una stessa massa solida, una quantità di calore maggiore che nella seconda. Se non che nell’atto della dissoluzione si verifica talvolta uma contrazione cioè un aumento di densità del liquido maggiore di quello che do- vrebbe corrispondere alla quantità del solido discioltovi; molte volte DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 281 poi hanno luogo delle combinazioni chimiche, e in questi casi in- sieme all’ assorbimento di calore dovuto alla dissoluzione, si ha lo sviluppo di calore dovuto alla contrazione od alla combinazione, il quale può o diminuire soltanto il raffreddamento prodotto dalla dis- soluzione, o mascherarlo od anche superarlo, risultandone allora elevata la temperatura del liquido. 292.° Ed anche nel fenomeno della vaporizzazione si riscontra com- misurato al lavoro interno il numero delle calorie necessarie a pro- durlo. Se si suppone presa l’unità di volume di un liquido qualan- que alla temperatura 0.°C e si indicano con G; le calorie di scalda- mento, cioè quelle richieste a portarla da 0.° Ca quella temperatura ©° a cui il liquido entra in ebollizione in corrispondenza ad una data pressione sostenuta dalla sua superficie, e con C, le calorie di vapo- rizzazione, cioè quelle che verranno assorbite nel produrre il cam- biamento dello stato fisico, senza alterazione della temperatura, la somma Cs + €, rappresenterà la quantità di calore necessaria a va- porizzare sotto una data pressione l’unità di volume di un liquido preso a 0,° C. Alla quantità di calore espressa da C; corrisponde il lavoro interno di ridurre le particelle liquide in quelle condizioni a cui sia per prorompere l’ ebollizione sotto la data pressione, ed alla quantità di calore C, corrispondono il lavoro interno di disgregare le molecole del liquido vincendo la ‘coesione che tutt'ora si esercita fra di loro alla temperatura dell’ ebollizione ( coesione messa in chiaro dagli esperimenti di Donny e di Dufour) per modo che le dette molecole non solo riescano indipendenti tra loro, ma presentino quella tendenza a slontanarsi reciprocamente che è caratteristica dello stato espansibile; più il lagoro esterno dell’ incremento del volume, che ha luogo nel cambiamento di stato, contro la pressione esteriore. Ora quest’ ultimo lavoro è espresso dal prodotto 7 2, dove P rap- presenta la pressione esercitata alla superficie del liquido, e Z7 il volume del vapore in confronto di quello del liquido che lo ha pro- dotto, cioè il rapporto tra la densità del liquido alla temperatura di ebollizione e quella del vapore saturo alla medesima temperatura, Indicando con £ l’equivalente meccanico del calore, cioè la mi- sura del lavoro nel quale si può convertire quella somma di forze 282 R. FERRINI, vive che denominasi una caloria, e che vedremo ascendere a circa 428 kilogrammetri, è chiaro che la quantità di calore che verrà consumata nella produzione del detto lavoro esterno sarà espresso P'iV ] S e 4‘ | il . bl . . . da ie a Che perciò le calorie impiegate a produrre il disgrega- mento molecolare del liquido già scaldato fino al punto di ebollizio- PV ne, saranno date dalla formula x = ©, — mia I risultati che si ottengono sostituendo in questa formola i valori più attendibili che si posseggano di C, e di 77 per i principali liquidi, ritenuto essere per tutti la pressione ? quella di un atmosfera, eon- ducono alle seguenti conclusioni: Le calorie di disgregamento molecolare espresse da x sono per ciascun liquido molto maggiori di quelle corrispondenti al lavoro esterno, che chiameremo calorie di espansione: il rapporto tra le prime e le seconde di queste calorie è presso a poco costante da un liquido all’altro comunque differenti tra di loro per densità, visco- sità, e temperatura di ebollizione sotto la pressione atmosferica, e per media il numero delle calorie di disgregamento riesce eguale ad undici volte quello delle calorie di espansione; soltanto per l’ iodio, il rapporto in discorso è molto minore che per gli altri liquidì e non arriva che a metà circa del valor medio anzidetto. Tanto le calorie di disgregamento che quelle di espansione si trovano commisurate alla coesione residua del liquido alla temperatura dell’ ebollizione: e questa coesione residua è poi tanto grande, che in generale, per una data sostanza, le calorie di disgregamento superano di molto quelle richieste a fondere l’unità di volume della stessa, quando sia solida, onde si può dire che in generale la diminuzione» di coesione che una sostanza subisce nel passare dallo stato liquido all’ espansibile è molto maggiore di quella che si verifica nella medesima quando passi dallo stato solido al liquido. 23.° Qualunque sia il fenomeno che si consideri in un corpo, e comunque esso venga prodotto, tutte le volte che vi corrisponderà un indebolimento delle forze molecolari, vi sarà una determinata quantità di calore che si tramuterà nella somma dei lavori interno ed DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 9853 esterno cui esso darà luogo; e questo calore potrà essere sommini- strato o da altri corpi od anche da quello stesso su cui si opera il fenomeno ed allora dovrà abbassarsi in corrispondenza la sua tem- peratura. Se invece al fenomeno prodotto nel corpo corrisponderà un incremento della coerenza, avrà luogo uno sviluppo di calore sensibile commisurato alla somma dei lavori negativi interno ed esterno. Viceversa ogni qualvolta un fenomeno sia accompagnato da uno svolgimento di calore si potrà dire che da quel fenomeno è derivato un incremento nella coerenza del corpo in cui si è compiuto, e che invece la coerenza ne viene indebolita, quando il fenomeno sia se- guito da un assorbimento di calore. Tale è la conclusione importante che il professore Cantoni deduce dai suoi bei riscontri tra le pro- prietà fisiche dei corpi e l’azione del calore operante su di essi. Ed è a notarsi come dalle stesse relazioni derivavano anzi delle gravi difficoltà alla teoria dinamica del calore, finchè il calore specifico e i così detti calori latenti di fusione e di vaporizzazione venivano rife- riti all'unità di peso delle varie sostanze. Infatti pareva risultarne che a vincere la coesione di un corpo si richiedesse una quantità di calore tanto più piccola quanto più gagliarda fosse quella coesione: e p. e. il calore specifico si mostrava minore nei solidi, più com- patti, più tenaci, più refrattarii, che negli altri, e risultava maggiore per la medesima sostanza, nello stato liquido che nello stato solido. Ma tutte queste difficoltà disparvero, ed i detti raffronti tra le pro- prietà termiche ed i caratteri fisici dei corpi divennero, come si è veduto, nuovi argomenti in favore della teoria dinamica del calore, colla semplice e felice idea di riferire sì il calore specifico che le calorie di dilatazione, di fusione, di vaporizzazione non all’ unità ponderale, ma all’ unità di volume. 24.° Al principio enunciato nel paragrafo precedente si mostra pure subordinato il fatto dello sviluppo di calore che ha luogo nelle combinazioni chimiche e dell’ assorbimento di calore che accompa- gna le scomposizioni. Diffatti ogniqualvolta il fenomeno chimico non sia complicato da effetti fisici che possano influire sulla temperatura, oppure quando si posseggano dati sufficienti per scevrare l’ azione 284 R. FERRINI, termica del primo da quella dei secondi, risulta dalle molte ed ac- curate ricerche di Dulong, Andrews, Woods, e segnatamente di Favre e Silbermann: £.° che una combinazione chimica è sempre accompagnata da sviluppo di calore; 2.° che in una scomposizione si verifica sempre un assorbimento di calore, eguale in quantità al calore che emetterebbero nel combinarsi gli elementi che vengono separati e 3.° che le quantità di calore prodotte nella combinazione o distrutte nella scomposizione sono tanto maggiori quanto maggiore è l'affinità degli elementi o la.stabilità del composto. La quantità di calore distrutta in una scomposizione corrisponde al lavoro positivo di disgiungere gli elementi del composto contrariamente all’ affinità chi- mica .che opera su di loro, e quello promosso da una combinazione corrisponde al lavoro negativo degli elementi che si uniscono obbe- dendo alla reciproca affinità. 23.° Nelle pile idroelettriche le azioni chimiche promuovono insie- me alla corrente voltaica una quantità di calore, la quale si riparti- sce nelle varie parti del circuito complessivo, costituito dalla pila stessa e dal conduttore o dalla serie dei conduttori interpolari, per modo da riuscire in ciascuna di loro proporzionale al quadrato. del- l'intensità della corrente ed alla resistenza offerta dalla parte del circuito che si considera. Ora la quantità totale di calore svolta nell’ unità di tempo nell’intero circuito formato dalla pila e dal filo metallico interpolare è sempre eguale alla somma algebrica delle quantità di calore corrispondenti alle combinazioni ed alle scomposi- zioni chimiche che in pari tempo si verificano in seno alla pila, ed è indipendente dalla quantità e dalla resistenza delle singole parti del circuito. Tale importante. principio venne dimostrato da Favre col mezzo del calorimetro a mercurio da lui già adoperato in con- corso di Silbermann nella misura delle quantità di calore prodotte dalle combinazioni chimiche. Quel calorimetro consiste in un enorme termometro a mercurio il cui serbatojo sferico presenta due cavità d'un volume abbastanza considerevole per contenervi la sorgente del calore da misurarsi; si sono prese le più minute precauzioni onde impedire il disperdimento di questo calore; infine le divisioni del cannello fermometrico esprimono addirittura in calorie la quan- DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 285 tità di calore ricevuta dal mercurio dell’apparecchio. Introdotta in una delle cavità un piccolo elemento voltaico costituito da due la- mine una di zinco e l’altra di platino immerse nell’acqua acidulata e riunite esteriormente al liquido da un filo di rame corto e grosso di cui si poteva ritenere nulla Ja resistenza, trovò per media di molti esperimenti concordi che la quantità di calore sviluppato dalla dissoluzione di un equivalente o di 33 grammi di zinco nell’ acido solforico diluito, era tale da scaldare di un grado centesimale 181537 grammi d’acqua, od altrimenti era espressa da calorie 18,137. Sostituendo poi al filo di rame come circuito interpolare un filo di platino lungo e sottile, questo si scaldava sensibilmente, e tanto più, quanto maggiore era la resistenza presentata alla corrente, mentre diminuiva in corrispondenza |’ indicazione del calorimetro il quale non misurava allora più che il calore sviluppato nell’ elemento e nel piccolo tratto di filo contenuto nella sua cavità: ripiegando poi il filo per modo da introdurlo nell’altra cavità, cioè facendo in modo che I apparecchio ricevesse il calore totale promosso insieme nell’ ele- mento e nel filo di platino, la media di risultati poco differenti die- de, per lo stesso numero di grammi di zinco disciolti, 18,124 calo- rie, numero ben poco discosto dal precedente, e da quello di calorie 18,144 ottenuto nelle anteriori ricerche di Favre e di Silbermann come misura del calore svolto nella formazione di un equivalente di solfato zincico senza trasmissione di elettricità. Variando I’ esperienza in molte maniere sia col modificare il cir- cuito, sia col cambiare la natura dell’ elemento voltaico si trovò sempre che il calore promosso nell’ elemento, e quello sviluppato nel circuito interpolare in un dato tempo erano complementari tra loro e che la loro somma corrispondeva alla somma algebrica delle quan- tità di calore prodotte od assorbite nei differenti fenomeni chimici che in quel tempo si erano compiuti nell’ elemento, ben inteso sem- pre che la corrente voltaica non venisse contemporaneamente ado- perata nella produzione di altri fenomeni o di un lavoro meccanico. 26.° Nel caso che la corrente eserciti un’ azione qualsivoglia mec- canica, chimica o fisica provocando p. e. correnti di induzione, magnetizzando un pezzo di ferro dolce, la quantità di calore pro- 286 R. FERRINI, mossa in un dato tempo nel circuito totale non sarà più quella che corrisponde al complesso delle sole azioni chimiche, che in quel tempo si saranno compiute nella pila, ma dovrà risultare equivalente alla somma algebrica dei lavori che intanto si saranno verificati al- l’ esterno come nell’interno della pila. ! Consideriamo in particolare il caso che la corrente sia adoperata in un’azione elettrolitica; allora l'introduzione del voltametro dovrà diminuire la quantità di calore sviluppata nell’intero circuito per due ragioni; prima, perchè l’ incremento di resistenza che deriva al circuito dalla debole conduttività del liquido rallenterà l’ azione chi- mica nella pila e indebolirà l'intensità della corrente; secondo, per- chè il fenomeno chimico che si produce nell’ apparecchio di scom- posizione richiede come s'è visto, un assorbimento di calore. La quantità di calore promossa in un dato tempo corrisponderà in questo caso alla differenza tra Ie somme dei lavori delle azioni chimiche che si effettueranno in quel tempo nella pila e nel voltametro. Ora Ja diminuzione della quantità di calore promossa nell'intero circuito importa un indebolimento commisurato dell’ intensità della corrente, il quale non può dipendere che o da un aumento di resistenza o da una diminuzione della forza elettromotrice, o da una combinazione di queste due cause. Ma poichè l’indebolimento dell'intensità supera, come si è notato, quello che risponderebbe all’ incremento della re- sistenza, è maggiore p. e. di quello che risulterebbe dal sostituire al liquido un conduttore metallico di eguale resistenza, così bisogna conchiudere che si è svigorita la forza elettromotrice; ma la somma delle azioni chimiche nella pila non ha variato, dunque la diminu- zione della forza elettromotrice non può risultare che dall’ esercizio di una forza elettromotrice contraria, la quale non può dipendere, mancando qualunque altra causa, che dal fenomeno chimico contra- rio che si compie nell’ apparecchio di scomposizione. Veniamo per- tanto a conchiudere che l’elettrolisi deve promuovere nel circuito una corrente diretta in senso opposto alla corrente principale della pila. Questa corrente si suol constatare, come è noto, introducendo nel circuito un reometro ed un commutatore; interrompendo ad un dato istante la comunicazione colla pila, e chiudendo il circuito, Vago DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 287 del galvanometro devia in senso contrario dal precedente accusando per tal modo la corrente promossa dal voltametro. Ecco dunque il fenomeno della polarizzazione degli elettrodi discendere come natu- rale conseguenza dalla teoria dinamica del calore applicata ai feno- weni chimici. E si noti che quando il liquido elettrolizzato, per la dissoluzione di uno degli elettrodi, si rigenera a misura che si scom- pone, allora la somma delle azioni chimiche nel voltametro è nulla e manca in conseguenza la corrente secondaria che ne dipende, ossia il fenomeno della polarizzazione degli elettrodi. 27.° Fermiamoci ancora un momento sul fenomeno dell’ elettrolisi, considerando in particolare il caso della scomposizione dell’ acqua. È un fatto, a primo aspetto singolare, che un solo elemento di Wol- laston o di Daniell è inefficace a scompor l’acqua nel voltametro, per quanto si cerchi di crescerne la conduttività coll’ aggiungerle quella dose di acido che più si stima conveniente, mentre basta al- l’effetto un solo elemento di Grove o di Bunsen. Questo fatto si spiega benissimo, ricordando la legge, che per ciascun equivalente di acqua scomposta nel voltametro deve corrispondere la dissoluzione di un equivalente di zinco in ciascun elemento della pila. Ma la scomposizione di un equivalente d’acqua promuove nel cir- cuito una corrente diretta oppostamente a quella della pila, ed è chiaro che questa corrente secondaria non potrà mai superare la corrente principale, perchè altrimenti, il lavoro resistente sarebbe più grande del lavoro motore, ciò che è assurdo, Ora l’ intensità di ciascuna delle due correnti, la principale e la secondaria, essendo proporzionale alla quantità di calore corrispondente alla somma delle azioni chimiche da cui è promossa, ne consegue che a scomporre l’acqua del voltametro potrà bastare un elemento voltaico, solo quando il numero delle calorie che vi saranno sviluppate durante la dissoluzione di un equivalente o di 33 grammi di zinco, sarà mag- giore del numero delle calorie assorbite nella scomposizione di un equivalente o di 9 grammi d’acqua, 0, ciò che torna lo stesso, delle calorie sviluppate nella combustione di un equivalente o di 4 gramma di idrogeno, Se pertanto ricorderemo che la scomposizione di un equivalente d’acqua esige 54,462 calorie, e che le calorie 288 R. FERRINI, svolte nella formazione di un equivalente di solfato zincico in cia- scuno degli elementi di Wollaston, di Daniell e di Grove. sono espresse ordinatamente dai numeri 18,144; 23,031 e 46,031, basta confrontare ciascuno di questi tre numeri col precedente per capire come un solo elemento alla Wollaston od alla Daniell non sarà suf- ficiente a promuovere l'elettrolisi dell’acqua e come invece potrà bastarvi un elemento di Grove. Questa semplice e ingegnosa spiega- zione è dovuta al signor Favre. 28.° La quantità Q di calore promossa nell’ unità di tempo nell’in- tero circuito di un elettromotore, è data dalla equazione Q=a. R. /?, dove a è un coefficiente numerico ed £ ed / rappresentano la resi- stenza complessiva del circuito e l'intensità della corrente, D’ al- tronde indicando con £ quell’ altro coefficiente numerico. che si denomina forza elettromotrice. la legge di Ohm dà: È ie quindi E? . x ® Q=a. R Di quì si vede come per mezzo di determinazioni calo- rimetriche, almeno quando non intervenga l’azione perturbatrice di un gas che si svolga alla superficie di un metallo sia nella pila, sia nel circuito, si possano assegnare i rapporti tra le forze elettromo- trici corrispondenti alle varie maniere di pile. Dalla stessa relazione tra Q ed £ discende una bella spiegazione data dal signor Giulio Regnauld dell'efficacia dello zinco amalgamato nel crescere la- forza elettromotrice di un elemento voltaico in confronto dello zinco ordi- nario. Osservò egli che ciò significava, in virtù della citata relazione tra Q ed £, che lo zinco amalgamato doveva sviluppare più calore dello zinco ordinario nel combinarsi coll’ ossigeno 0 con un acido, e che perciò la sua separazione dal mercurio doveva produrre riscal- damento, e viceversa nel fenomeno opposto della formazione del- l’amalgama doveva avvenire un raffreddamento. All’ opposto, siccome si indebolisce la corrente sostituendo al cadmio puro, il cadmio amalgamato, ne dedusse che nell’ amalgamarsi del cadmio doveva svolgersi del calore. Entrambe queste previsioni furono confermate dall’ esperienza. Si spiega poi il differente effetto termico dell’ amal- gamazione dei due metalli, osservando che avendo entrambi assai DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 289 prossimamente un’ eguale affinità per il mercurio, la loro combina- zione con questo deve produrre quantità di calore ben poco dif- ferenti; ma siccome nell’amalgamarsi entrambi si liquefanno, così l’effetto termico risultante sarà la differenza tra la quantità di calore promossa dall’azione chimica e quella assorbita nella liquefazione : ora le calorie di liquefazione dello zinco essendo circa il doppio di quelle del cadmio, si comprende come nell’amalgamarsi del primo possa succedere un raffreddamento, e in quello del secondo un ri- scaldamento. i 29.° Come si vede la teoria dinamica del calore importa una re- visione delle varie parti della fisica, o per meglio dire ne ‘completa le dimostrazioni, ne rettifica ipotesi e teorie troppo facilmente ac- cettate, fornisce soluzioni di quistioni non ancor definite e sempre con una felicità ed una semplicità che parlano altamente in suo fa- vore, come anche in favore del grande principio della correlazione delle forze naturali con cui è intimamente collegata. Ned è meno feconda di utili ammaestramenti, di inaspettate soluzioni, di nuove vedute, alle altre scienze naturali. Gli sperimenti di Hirn, e di Bé- clard hanno dimostrato come il calore animale promosso dalle azioni chimiche, che hanno luogo nei fenomeni della respirazione e della nutrizione, diminuisca quando il corpo sia in movimento od esegui- sca un lavoro, in confronto di quando rimanga in quiete; come la contrazione muscolare, che è accompagnata da un assorbimento di ossigeno sviluppi una quantità di calore più considerevole quando la si produca senza effetto esteriore, che non quando la si produca sollevando un carico. Ma il discorrere delle applicazioni della teoria dinamica del calore alla fisiologia animale e vegetale, ed alla teoria cosmogomica di Laplace, ci trarrebbe troppo a lungo fuori dei limiti imposti a questo lavoro; per cui passeremo invece a descrivere e discutere gli sperimenti diretti alla misura dell’ equivalente mecca- nico del calore. Vol, VI, 19 PARTE TERZA MISURA DELL'EQUIVALENTE DINAMICO DEL CALORE $ 1. Fenomeni che porno servire alla determinazione dell’ equivalente mecca- nico del calore — 2. Gravissima difficoltà che sembra rendere impossibile la soluzione del problema di assegnare l'equivalente dinamico del calore. — 3. Semplice ed ingegnoso metodo di Carnot per evitarla. — 4. Sperimenti dell'ingegnere Hirn sopra macchine a vapore. — 5. Sperimento di Joule sull’ espansione dell’aria non accompagnata dalla produzione di un lavoro meccanico. — 6. Altri sperimenti di Thomson e di Joule sullo stesso argo- mento. — 7. Espansione dell’aria, accompagnata dalla produzione di un lavoro meccanico. — 8. Misura dell’equivalente dinamico del calore dedotta dal paragone tra i calori specifici di un gas a volume costante ed a pres- sione costante. — 9. Lavoro interno di dilatazione nei gas. — 10. Speri- menti di Joule sullo sviluppo di calore per attrito nei liquidi e tra corpi solidi. — li. Sperimenti di Hirn sugli attriti tra superfici metalliche spal- mate di materie untuose. — 12. Sperimenti di Favre sugli attriti. — 13. Spe- rimenti di Thomson e Joule sugli effetti termici prodotti della compressione di un liquido. — 14. Sperimentidi Joule sullo sviluppo di calore nel circuito di una corrente indotta. Sperimenti di Le Roux e di Matteucci. — 15. Spe- rimenti di Quintus Icilius sul riscaldamento di un filo metallico percorso da una corrente voltiana. — 16. Sperimenti di Favre sulla trasformazione di calore in lavoro in un motore elettromagnetico. — 17. Confronto delle mi- sure dell’equivalente dinamico del calore dedotte dai risultati degli speri- menti ricordati. — 18. Principii che si ponno stabilire, come conclusione. 1.° Alla determinazione dell’ equivalente dinamico del calore può servire in generale l’ esame di un fenomeno qualsivoglia nel quale R. FERRINI , DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 291 avvenga una trasformazione di calore in lavoro dinamico, 0 viceversa di lavoro in calore, purchè si sappiano assegnare con esattezza le misure delle quantità di calore e di lavoro che si convertono 1’ una nell’ altra ; infatti si è già osservato come l’effetto meccanico di una data quantità di calore o l’effetto termico corrispondente alla distru- zione di una data quantità di lavoro, debba essere indipendente dal corpo dove si produce. Se dunque prendendo in considerazione feno- meni ‘svarialissimi, troveremo che tutti condacono ad uno stesso nu- mero «come ‘misura del rapporto tra un certo numero di chilogram- metri di ‘lavoro ed il numero delle calorie ‘che si sonò spese per ottenerlo, o tra il numero del chilogrammetri di lavoro consumati nello sviluppo di un determinato numero di calorie, ‘avremo insieme una valida dimostrazione di falto a nuova ‘conferma della teoria mee- canica del calore e la cognizione di un elemento della massima im- portanza tanto ai progressi della scienza qnanto alle appena industriali. | Osserviamo poi che in generale i corpi più acconci alle sperienze dirette a scoprire l’ equivalente dinamico del: calore saranno quelli che nella trasformazione ‘prodotta, sia mediante una forza esterna, sia ‘mediante un aumento od una diminuzione della temperatura, non stibiscono ‘alterazione nè nella loro composizione ‘chimica; nè nel modo dell’aggruppamento molecolare e dove gli elementi necessarii al calcolo dell’equivalente in discorso si possono desumere con Na: che e facili correzioni dai dati esperimentali. si Tali condizioni sono per lo più abbastanza soddisfatte ‘nei ‘corpi gasosi, e nei liquidi, massime in quelli, dove la fluidità è più per- fetta e dove non si notano ‘effetti sensibili della forza di ‘orientazione. 31° Ma volendosi dedurre in generale la determinazione dell’’equi- valente in discorso dalle condizioni di un fenomeno ‘compiuto in ‘un corpo qualesivoglia, si incontra una grave difficoltà, a primo aspetto invincibile. ‘In fatti se rappresentiamo con C il numero delle calorie che si svolgono o che scompajono in una data trasformazione di in corpo, con Z; ed ZL, i lavori interno ed esterno che si compiono in detta trasformazione, corrispondenti il primo ai cambiamento nella posi- 292 R. FERRINI, zione relativa dei gruppi molecolari contro gli effetti delle forze at- trattive e di orientazione, il secondo ad un effetto meccanico prodotto, ed all'espansione del volume contro una data pressione o resistenza esteriore, e con £ l'equivalente meccanico del calore, sarà evidente- mente E= aa Ora la quantità di calore indicata con C, si può, se non sempre, almeno in moltissimi casi, assegnare con tutta -Ja precisione desiderabile approffittando dei dati somministrati dalle più recenti indagini di abilissimi ed accurati sperimentatori, e no- minatamente di Regnault; e così con sufficiente approssimazione si può misurare il lavoro esterno Z, ; ma come valutare il lavoro in- terno £; 2 Bisognerebbe avere a tal’uopo sicure ed esatte nozioni, sull’intima costituzione dei corpi, sulle leggi delle azioni molecolari, nozioni che nello stato attuale della scienza si è ancora lontani dal possedere. I] riscontri ricordati nella parte seconda, tra gli effetti del calore ed i caratteri fisici dei corpi, ci hanno dimostrato, spendersi una rilevante quantità di calore nel lavoro interno corrispondente ad una determinata trasformazione, e questa quantità di calore es- sere in generale commisurata al grado di coesione del corpo indicato dal complesso delle sue proprietà. Ma quelle osservazioni importanti come argomenti in favore della teoria dinamica del calore, come punti di partenza di interessanti ricerche sulla fisica molecolare, non possono, almeno per ora, darci una misura esatta del lavoro interno in quistione, specialmente in quei casi dove intervenga l’ esercizio delle forze di orientazione. Se, per esempio, si pensasse di assumere come equivalente meccanico della quantità di calore richiesta ad in- nalzare di 41.° C la temperatura dell’ unità di volume di un solido, il lavoro della trazione, che esercitata in modo uniforme alla sua su- perficie, vi produce l'aumento di volume espresso dal coefficiente della dilatazione cubica, calcolando questa trazione in base al coef- ficiente di elasticità del solido, si incorrerebbe facilmente in errore. Infatti è chiaro che della quantità di calore assorbita dal corpo si trascurerebbe quella parte, che cessando di esistere come forza viva meccanica, si converte in aumento di forza viva molecolare ossia in aumento della temperatura; oltre a ciò l’effetto meccanico della tra- DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 295 zione supposta, può risultare non identico al lavoro interno della dilatazione perchè l'incremento del volume si compie nei due casi in condizioni differenti; nel primo non varia e nel secondo varia la temperatura ed è probabile che, almeno nei corpi a struttura cristal- lina, la modificazione nella distribuzione relativa delle molecole e quindi il lavoro interno non risulti eguale in ambo i casi (a). 5.° Ma se una tale difficoltà non si può nella maggior parte dei casi vincere direttamente, la si può però spesso cansare, operando nel semplice ed ingegnoso modo seguente, dovuto a Sady Carnot. Supponiamo che si riscaldi un corpo e che, mentre si dilata, gli si faccia eseguire un determinato lavoro meccanico, p. e. quello di sollevare un dato carico ad una data altezza, oltre al lavoro esterno della espansione del volume contro la pressione atmosferica. Tenuto conto preciso della quantità di calore che verrà intanto ricevuta dal corpo, col detrarre da quella che gli viene somministrata le perdite inevitabili per comunicazione ad altri corpi delle quali si può tener calcolo, e cercando di impedire o di compensare le altre perdite che difficilmente si potrebbero valutare; se si moltiplicherà il numero Q di calorie esprimente la detta quantità di calore per l'equivalente meccanico £ del calore, il prodotto dovrà eguagliare la somma del lavoro interno di dilatazione che indicheremo con A e del lavoro esterno che chiameremo Z, comprendendo in questo tanto l’ effetto di superare la pressione atmosferica quanto l’altro che si è fatto ap- positamente eseguire dal corpo. Si avrà così 1’ equazione: (1) EQ=L+X. Rimovendo in seguito la sorgente di calore lasciamo che il corpo si raffreddi e che ritorni alle circostanze iniziali della trasformazione, cioè allo stesso volume ed alla stessa temperatura a cui venne preso, ma senza che intanto venga distrutto il lavoro meccanico compiuto nella prima fase dell’ esperimento. Misurando colle debite precauzioni e colla maggior esattezza possibile il numero q di calorie che il corpo emetterà mentre si raffredda, è chiaro che il prodotto £q do- vrà eguagliare la somma dei lavori negativi X ed /, corrispondenti (a, VerpgT, Exposé de la théorie mécanique de la Chaleur*, Paris 1863. YU R. FERRINI , il primo al ritorno delle singole molecole nelle posizioni iniziali. ed il secondo alla diminuzione del volume sotto la pressione atmosferica. Si avrà dunque Essendo L=/, sarà anche Q=g, per cui sottraendo la (2) dalla (4) si ottiene la SIL E(Q_-q)=L—1 quindi PIL OA A DI Il numeratore Z — l non è altro che il lavoro. meccanico che si è fatto eseguire dal corpo nel dilatarsi, epperò tanto esso che. gli altri elementi Q e q che entrano nell’espressione di £ si ponno tutti de- terminare con misure dirette, e suscettibili di molta precisione.: Nel ‘caso particolare di uno di quei corpi che si contraggono nello scaldarsi e si dilatano nel raffreddarsi, possiamo ritenere che il corpo dapprima riceva. un dato numero Q di calorie, contraendosi senza eseguire nessun lavoro esterno oltre a quello { che si. verificherà nella diminuzione del volume sotto Ja pressione atmosferica, e chie sarà evidentemente negativo; avremo allora EQ=AX—-l. Facendo poi che si dilati raffreddandosi ed eseguendo insieme un determinato lavoro meccanico, ed indicando con q la quantità di calore che intanto emetterà il corpo, e con Z la somma dei lavori esterni che ne accompagneranno la dilatazione, e che sarà posiliva ; se il corpo ripiglierà esattamente le condizioni iniziali avremo: Eq=:A— L. In entrambe le equazioni A rappresenta il lavoro interno di dila- tazione posîtigo nella prima e negativo ‘nella seconda, dove si finge che le molecole riprendano le reciproche giaciture iniziali; in ambe le equazioni X deve essere maggiore tanto di Z. che di l perchè le differenze X— Z, X--l: devono esprimere. nell’ una una. distru- zione, nell'altra uno sviluppo di forze vive: osservando infine che per essere ZL > / sarà g=> Q, avremo £ (q— Q)=Z— I, quindi * a i E= : q- Q è DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 295 4.° Come esempio di una bella applicazione del metodo ora espo- sto, citerò gli esperimenti eseguiti sopra macchine a vapore dal si- gnor Hirn, ingegnere civile di Colmar. | risultati di questi interes- santissimi studii fatti sopra grandi motori della forza di 100 a 200 cavalli, quali sono adoperati nella industria, si presentano degni di molta confidenza sia perchè le dimensioni degli apparecchi permet- tendo di operare sopra considerevoli quantità di calore e di lavoro, rendono meno sensibile l'influenza degli errori che si ponno com- mettere nel valutarle, sia perchè, per la durata e per il numero delle prove, tendono a compensarsi le inevitabili perturbazioni ac- cidentali che sogliono agire ora in un senso, ora nell'altro. Consideriamo, per fermare le idee. una motrice ad espansione, munita di condensatore, e giunta al suo periodo di attività normale Durante una corsa completa dell’embolo i diversi organi della mac- china compiono ciascuno il rispettivo moto periodico, restituendosi alle posizioni iniziali al fine della corsa, ed anche l'agente motore che è l’acqua, subendo due trasformazioni contrarie ritorna alle pri- mitive condizioni. Difatti una certa quantità d’acqua a bassa temperatura tolta al condensatore dalla tromba alimentare, passa nella caldaja dove si tramuta in vapore saturo ad una temperatura superiore a 100°, men- tre un egual peso di questo vapore, traversando il cilindro, entra nel condensatore e vi si condensa in acqua alla stessa temperatura di quella che ne venne sottratta. Ora, ripigliando le singole parti della macchina, non che |’ istesso agente motore le medesime condizioni ad intervalli corrispondenti ciascuno ad una intiera corsa dello stantuffo, potremo dire che la somma algebrica dei lavori compiuti in ciascuno dei detti intervalli deve essere nulla. Ma questa somma si compone manifestamente del lavoro utile della macchina, di quello assorbito dalle diverse resi- stenze passive che vi si producono al moto, e dei lavori interno ed esterno che accompagnano la duplice trasformazione dell’ acqua nel vaporizzarsi e nel ritornare liquida. Se ora notiamo come nella se- conda fase di questa trasformazione si produca, col moto impresso allo stantuffo, quello di tutta la macchina, mentre un tale effetto 296 R. FERRINI, manca nella prima, ne conchiuderemo che mentre i lavori interni delle due fasi si compensano, non avviene così dei lavori esterni e che perciò il vapore, traversando il cilindro, non trasporterà al con- densatore tutto il calore che l'acqua da cui proviene ha ricevuto nella caldaja; ma che ve ne perderà una porzione e che questa avrà per suo equivalente meccanico il lavoro motore corrispondente all insie- me del lavoro utile e di quello assorbito dalle resistenze passive della macchina. Tale è il principio che si trattava di verificare negli espe- rimenti di Hirn per dedurne poi dal confronto della quantità di ca- lore che sarebbe scomparsa dal vapore nel cilindro, col Javoro totale che intanto si sarebbe compiuto nella macchina, la misura dell’ equi- valente dinamico del calore. Gli apparecchi adoperati furono una macchina di Watt ad un ci- lindro, ed una di Wolff a due cilindri; il vapore in alcune prove era saturo, in altre era soprascaldato fino a circa 240° C e si procurava sempre che non avesse a trascinare seco nel cilindro una sensibile quantità di gocciole d’acqua. Misurata la quantità di vapore consumata dalla macchina in un dato numero di colpi di stantuffo, il numero delle calorie abbandonate da questo nel cilindro dovrà corrispondere alla differenza tra il numero di quelle che contiene nell’entrarvi, e il numero di quelle che versa nel condensatore. Ora, le calorie con- tenute in un dato peso di vapore di cui si conoscano la temperatura e la pressione, si calcolano agevolmente col dato di Régnault, che un chilogrammo di vapore saturo a #° contiene 606,5 +- 0,305 £.calo- rie e che questo numero s1 deve accrescere di 0,476 (t# —t) calo- rie, se il vapore vien poi soprascaldato fino alla temperatura (' 5 sot- traendone quindi © calorie in corrispondenza alla temperatura © che ha l’acqua nel condensatore, il risultato esprimerà le calorie ricevute da un chilogrammo d’acqua a 9 nel ridursi in vapore saturo a #°, 0 surriscaldato a t'°. D'altra parte le calorie che il vapore uscendo dal cilindro apporta in un dato tempo nel condensatore si calcolano con pari facilità quando si conoscono il peso p dell’acqua che vi si è. dovuto injettare in quel tempo per mantenervi la temperatura co- stante ©, malgrado l’afflusso del vapore, e la temperatura ©' di quest’acqua. Questo numero di calorie è manifestamente espresso da p(0—- 0) DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 297 Resta a misurarsi la somma dei lavori corrispettiva alla quantità di calore distrutta nel corpo di tromba. Non era conveniente di ad- dattare a tal’ uopo alla macchina un freno dinamometrico perchè in tal modo non si sarebbe ottenuta che la misura del lavoro utile, e si sarebbe dovuto calcolare a parte quello assorbito dalle varie resi- stenze passive, ciò che è impossibile farsi con esattezza. Si preferì dunque di munire il cilindro di un indicatore di Watt previamente graduato in confronto di un manometro a mercurio, e di calcolare il lavoro totale in base alle misure della pressione sullo stantuffo nei successivi punti della corsa. I risultati degli esperimenti di Hirn furono pienamente conformi alle previsioni ed ai principii della teoria dinamica del calore; la quantità di calore distrutta si trovò proporzionale a quella del lavoro eseguito, e il rapporto tra l’una e l’altra fu per media di 413. chi- logrammetri di lavoro per ciascuna caloria (a). 5.° Ma se il metodo esposto permette di calcolare l’ equivalente meccanico del calore senza occuparsi del lavoro interno che ha luogo in una data trasformazione di un corpo, aggiungiamo ora che vi sono dei casi nei quali il lavoro interno è trascurabile od è nullo da sè medesimo. Diffatti si è mostrato più indietro come il lavoro interno debba essere nullo in un gas perfetto e come perciò, lasciandone aumentare il volume senza che l’ espansione sia accompagnata da lavoro esterno, la sua temperatura debba rimanere invariata. Una conseguenza così importante sembra a primo aspetto in con- traddizione con alcuni degli esperimenti più noti, e più facili a ve- rificarsi; intendo parlare del raffreddamento che un delicato termo- metro metallico accusa nell’ aria contenuta sotto la campana della macchina pneumatica, di mano in mano che essa venga rarefatta; del raffreddamento di un getto di aria che esca da un vaso dov’ era fortemente compressa, per cui si condensa l’umidità di quell’aria € si copre di rugiada una bolla di vetro sottile presentata al getto. Ma tanto in un caso che nell’ altro non si può dire che l’ espansione del- (a) VERDET, Exposé de la théorie mécanique de la Chaleur, Paris 1863. 298 R. FERRINI , l’aria avvenga senza produzione di lavoro meccanico esterno, per- chè in ambo i casi Varia non può uscire sia dal -corpo di tromba della macchina pneumatica, sia dal vaso dove si trova compressa, se non vincendo almeno la resistenza della pressione atmosferica. ‘A constatare, indipendentemente da qualunque ipotesi, la man- canza di lavoro interno nell'aria, l'illustre fisico inglese Joule, ri- corse al seguente esperimento: Prese due robusti vasi metallici di egual capacità, fra cui poteva all’uopo stabilire una comunicazione od intercettarla : tolta la comu- nicazione, compresse nell’uno dell’aria sino a farle acquistare una tensione di 22 atmosfere, nell’altro fece il vuoto con una eccellente macchina pneumatica. Disposti i due vasi entro uno stesso calorime- tro da acqua, aperse la comunicazione tra loro; l’aria si precipitò nel vaso vuoto, e seguitò a passarvi finchè si ridusse alla tensione uniforme di 11 atmosfere, non avendo a superare in ciò che l’ insi- gnificante resistenza di quella pochissima quantità d’aria che anche un'ottima macchina pneumatica non riesce ad espellere. | più squi- siti termometri immersi nell’acqua del calorimetro, che veniva in- tanto rimescolata, per renderne uniforme la temperatura, non accu- sarono il più leggiero indizio nè di riscaldamento nè di raffreddamento. Ecco dunque mancare in questo sperimento qualunque effetto termico, mentre l’aria si espande senza dar luogo a nessun lavoro esteriore, perchè non la da vincere nessuna resistenza. L’ esperimento ripetuto e variato da Régnault, condusse sempre al medesimo risultato. Ma esaminiamolo più dettagliatamente per trarne tutti gli insegnamenti di cui è fecondo. Se i due vasi sono collocati in due calorimetri separati, dall’ istante in cuì si apre la comunicazione tra loro fino a quello a. cui la ten- sione si riduce equabile nell’ uno e nell'altro, si nota un raffredda- mento dell’acqua che circonda il vaso dove si era compressa l'aria, ed un riscaldamento nell’acqua dell'altro calorimetro; se le masse d’acqua e le altre condizioni sono identiche da una parte e, dall’ al- tra, le variazioni contrarie di temperatura che si verificano nei ca- lorimetri sono eguali; in caso diverso non lo sono ma risultano però sempre eguali le quantità di calore corrispondenti a quelle variazioni DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 299 di temperatura. Ne consegue così, che allorquando i due vasi sono introdotti in un medesimo calorimetro, il non verificarvisi nessuna mo- dificazione della temperatura non dipende già dalla mancanza di ogni effetto termico, ma dal compensarvisi gli effetti opposti di raffredda- mento intorno ad uno dei vasi, e di riscaldamento intorno- all’ altro. Ora in corrispondenza di tali effetti, è necessario cho abbiano luogo da una parte una produzione, dall'altra un consumo di lavoro, dal che appare che la conclusione dedotta dallo sperimento, come fu descritto nella prima sua forma, fosse precipitata, e che il non ri- sultarvi variata la temperatura dall’aria dipendesse non già da una mancanza di lavoro, ma dal compensarsi di due effetti meccanici eguali e contrarii. E tale è appunto il caso: si compiono effettiva- mente nei due vasi due lavori, positivo da una parte, negativo dal- l’altra, eguali o pressochè eguali tra loro. Isoliamo in fatti col pen- siero una porzione dell’aria nel vaso dove questa è compressa; essa tende ad espandersi, ma l’ espansione è impedita dalla pressione del- l’aria circostante: dal momento in cui si stabilisce la comunicazione coll’ altro recipiente, diminuendo gradatamente tale pressione, 1’ espan- sione ha luogo ma contro l’effetto della pressione residua, ma spo- stando i punti d’applicazione di tale pressione finchè ritornino ad equilibrarsi. la pressione dell’aria circostante e la. forza. espansiva della porzione d’aria considerata. Pertanto il passaggio dell’aria nel vaso vuoto e la sua rarefazione dalla tensione di. 22. atmosfere a quella di 11 è accompagnata da un lavoro meccanico dipendente dalla resistenza che in ciò,deve superare ciascuna porzione dell’aria, ossia dal contrasto che si fanno a vicenda le singole porzioni, in causa della loro espansibilità. Il raffreddamento che si nota nel calo- rimetro dov’ è immerso il recipiente dell’aria compressa, rappresenta appunto la quantità di calore consumata nella produzione di questo lavoro. Passiamo all’altro vaso: quì Varia di mano in mano che vi arriva si condensa, e crescendo a poco a poco la, pressione, il volume di una porzione della massa d’aria che vi è contenuta seguita a re- stringersi. Da questa parte dunque. si compie un lavoro in senso contrario al precedente, un lavoro negatico perchè lo spostamento dei punti di applicazione avviene nella direzione della resistenza cioò 300 R. FERRINI , della pressione sostenuta da un’individuata porzione dell’aria conte- nutavi. A cosifatto lavoro negativo corrisponde lo svolgimento di ca- lore nell'acqua che circonda il recipiente; e 1’ essere questo eguale all’assorbimento di calore osservato nell’altro calorimetro significa che il lavoro negativo che ha luogo da questa parte eguaglia quello positivo che si produce dall’ altra. Se però un esame più minuto dell’ esperimento di Joule ci con- duce ad ammettere due lavori meccanici contrarii nei due recipienti, guardiamoci bene dal considerarli come analoghi a quelli che ven- nero indietro denominati lavori interni di dilatuzione e che consi- stevano nel vincere le azioni attrattive molecolari. Diffatti non ab- biamo avuto a considerare nessuna di tali azioni nello stabilire l’esistenza di quei lavori, e il risultato sperimentale le esclude formalmente; e, per verità, se il lavoro positivo che accompagna l'espansione dell’aria .nel ridursi dalla tensione di 22 atmosfere a quella di 14, si riscontra eguale al lavoro negativo che accade nella condensazione d’un egual quantità d’aria che dalla tensione zero o quasi zero, venga compressa fino ad 11 atmosfere, ciò vuol dire che le variazioni prodotte nella forza espansiva dell’aria da quelle della pressione e della temperatura seguono esattamente le leggi di Ma- riotte e di Gay-Lussac, cioè che tra le molecole del gas non si eser- cita nessun effetto analogo a quello della coesione. 6.° Ma alla piena validità della conseguenza dedotta dallo speri- mento di Joule, si può muovere ancora una gravissima objezione. Nella disposizione di cose adottate dall’insigne fisico di Manchester, le possibili variazioni di temperatura dell’aria che si espande sono accusate per mezzo di termometri immersi nel calorimetro ad acqua; ora se osserviamo che il calore specifico dell’acqua è circa quintu- plo di quello dell’aria, e che la massa dell’acqua sarà senza dubbio molto maggiore di quella dell’aria, è manifesto che la variazione di temperatura dell’acqua corrispondente ad una leggiera variazione di quella dell'aria può riuscire tanto piccola da sfuggire affatto ‘all’ os- servazione. Se per esempio la massa dell’acqua fosse anche solo dieci volte quella dell’aria, crescendo o calando di un decimo di grado la temperatura di questa, quella dell’acqua non varierebbe DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 504 che una cinquecentesima parte di grado, quantità impossibile a ri- conoscersi. È la objezione acquista anche maggior forza dal fatto che l’aria appunto su cui si è esperimentato non segue a rigore, nelle variazioni della tensione, le leggi di Boyle e di Gay-Lussac. Era dunque necessario ricorrere ad un altro apparecchio dove le variazioni di temperatura dell’aria si potessero misurare direttamen- te, o almeno con molta maggior precisione. A tale intento Thomson propose di comporre un apparecchio sul principio seguente. Immaginiamo due lunghi tubi ad elice congiunti insieme e comunicanti tra loro per uno strettissimo orificio, nel primo dei quali mediante una tromba premente si spinga una forte corrente gazosa che per l’altro si sfoghi nell'atmosfera. La pressione del gas nel traversare l’orificio passando da un tubo all’altro varierà rapi- damente e dopo un certo tempo si potrà riguardare come costante nei due tubi di quà e di là di due determinate sezioni una da un lato e l’altra dall’ altro dell’ orificio. Rappresentiamo con £82' l’asse comune, supposto rettificato, dei due tubi, con O il luogo dell’ orificio, e con A e A' quelli delle sezioni esternamente alle quali la pressione si può ritenere costante da una parte e dall’ altra: chiamiamo p la pres- sione nel tubo a sinistra di 4, e p' quella del tubo a destra di 4', e supponiamo individuate due porzioni 45,4'5' nei due tubi che ad un istante qualunque contengano entrambe una massa gasosa 7 eguale a quella che intanto esiste tra 4 ed 4’. Dopo un certo tempo che non occorre di assegnare, la massa gasosa 27m che ad un dato istante era compresa tra 8 ed 4' si troverà contenuta tra 4 e B'. ll Javoro esterno corrispondente a questo movimento è espresso da p'A'B' — pAB. Ora, se il gas si attiene alla legge di Mariotte, tale lavoro è nullo, perchè in tal caso i volumi dei cilindri 45,4'2' di egual base epperò anche le loro altezze sono inversamente propor- zionali alle pressioni p°p', contenendo entrambi la stessa massa di gas. Se il gas non si attiene alla legge di Mariotte, il lavoro in di- 302 R. FERRINI, scorso non sarà zero. Nel caso di un gas perfetto dunque la tempe- ratura del gas deve essere IN stessa nelle sezioni 2 e B' ed ester- namente a queste perchè ai due lavori meccanici eguali e'.contrarii pA4B, p'A'B' corrisponderanno in eguali masse gasose variazioni di temperatura pure eguali e contrarie. Viceversa se il lavoro’ esterno sarà accompagnato da un lavoro interno, se lo stato gasoso non sarà perfetto allora la temperatura del gas nei due tubi non sarà la stessa ‘e la differenza delle due temperature sarà commisurata al lavoro interno. Le temperature del gas da una parte e dall’ altra delle se- zioni B,5' si ponno misurare direttamente sia con squisiti termome- tri a mercurio, sia con apparati termoelettrici. In base a questo principio i signori Thomson e Joule, dopo avere assaggiate varie disposizioni di cose, si attennero infine, come alla più opportuna, alla seguente. Due serpentini di rame affatto simili del diametro interno di circa 8°! e lunghi da 10 ad 11" erano sospesi ciascuno in un vaso d’acqua fredda del diametro di 1,20 ‘é comu- nicavano tra loro per mezzo di un tubo di egual diametro, da cui all'uopo per mezzo di un orificio laterale munito di rubinetto si po- teva lasciar effluire, in tutto od in parte, la corrente gasosa. La cor- rente era prodotta da una tromba ad effetto semplice mossa da una macchina 2 vapore che spingeva continuamente il gas, soggetto al- l'esperimento; in uno dei serpentini; all’ estremità libera dell'altro serpentino vi era un diaframma poroso formato da un cilindro cavo di bosso, la cui superficie interna offriva un bordo anulare destinato ad appoggiarvi un disco sottile di ottone traversato da numerosi fori; su questo si poneva o del cotone o della seta od altra materia com- pressibile, e poi un altro disco simile al precedente trattenuto da un secondo bordo annulare mediante un altro cilindro cavo di' bosso che si avvitava sul primo. Il turacciolo poroso applicato allo sbocco del secondo serpentino costituiva così un cilindro alto 68 ®®, largo 37% 8 e veniva protetto dal contatto dell’acqua, dove quello era immerso, da una cassa di stagno piena di cotone onde impedire le perdite di calore per conduttività. Così il gas prima di sboccare nel- l'atmosfera doveva traversare la sostanza compressa tra i due dischi, e ne usciva in condizione costante ad una pressione molto inferiore DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 505 della interna, consumandosi nell’ attrito tutta Ja velocità dovuta al- l'espansione. Fatte alcune prove preliminari onde conoscere e com- pensare o tener conto delle influenze perturbatrici, quando le cose erano avviate colla massima regolarità% si notavano, ad intervalli di due minuti e mezzo ciascuno, la tensione del gas prima dell’efflusso, segnata da un apposito manometro, e le temperature tanto del ba- gno che del getto gasoso effluente dal serpentino. Da molti esperi- menti fatti con questo apparecchio variando il gas, il peso e la qualità della sostanza molle del diaframma poroso, la pressione in- terna e la temperatura del bagno, si ebbero i seguenti risultati: 1.° Nel caso dell’aria, si notò che 1 espansione è accompagnata da un raffreddamento indipendente dalla temperatura del bagno ma pro- porzionale alla differenza tra la pressione interna e l'esterna e per media nel rapporto di 0.°,22C per ciascuna atmosfera di pressione. 2.° Nell’acido carbonico misto ad un po’ d’aria il rapporto del raffreddamento alla pressione si mostrò molto maggiore; risultando di 19,151 C per atmosfera; inoltre il raffreddamento si trovò sensi- bilmente influenzato dalla temperatura del bagno. 3.° Nell’idrogeno il raffreddamento a pari condizioni non fu che a di quello osservato nell’aria. In generale dunque vi è nella rarefazione di un gas un Javoro in- terno di dilatazione, ma l’effetto ne è minimo e quasi insensibile nell’idrogene, il gas che più si avvicina @ presentare le ‘condizioni di gas perfetto; è ancora debolissimo ma però più sentito nell'aria, si fa maggiore nell’ acido carbonico, e così pure negli altri gas che seguono con minor approssimazione le leggi di Boyle e di Gay-Lus- sac e tanto maggiore quanto ininore è questa approssimazione. 4.° Variando infine la temperatura del bagno dove erano immersi i serpentini tra 5° e 98° C, il raffreddamento causato dal passaggio del gas traverso il turacciolo poroso risultò sensibilmente in ragione inversa del quadrato della sua temperatura assoluta ; così, alla tempe- ratura 0° C ossia alla temparatura assoluta 273° C il raffreddamento del gas fu circa il doppio di quello osservato alla temperatura di 100° C, ossia alla temperatura assoluta di 373°, restando gli stessi i limiti tra cui ne variava la pressione. 3504 R. FERRÎNI, Infine il raffreddamento osservato nelle miscele gasose, assoggettate allo stesso sperimento, si trovò minore di quello che avrebbe dovuto aspettarsi ove i gas, dopo essersi mescolati, avessero conservati intatti i caratteri fisici che possedevano quando erano isolati, 7.° Trascurando nel caso dell’aria il lavoro interno di dilatazione, che è abbastanza piccolo per influire sull’esattezza dei risultati assai meno di quello che possono influirvi l'incertezza delle misure e dei dati fisici, Joule ottenne una determinazione dell’ equivalente mecca- nico del calore col modificare l'apparecchio del suo primo esperi- mento per modo che l'espansione dell’aria nel raddoppiare di vo- lume venisse accompagnata dalla produzione di un lavoro meccanico. Gli bastò per questo di sopprimere il recipiente in cui faceva il vuoto e di fare che il gas dal vaso dove si trovava compresso passasse in una provetta piena di acqua capovolta sulla vasca idropneumatica , od effluisse sotto la campana di un gasometro. Allora l’aria nel di- latarsi riempiendo la provetta doveva cacciarne l’ acqua, superando la resistenza della pressione atmosferica, e doveva pure vincere que- sta resistenza nel sollevare la campana del gasometro in cui effluiva. Al lavoro meccanico eseguito doveva corrispondere una diminuzione di temperatura dell’aria, e difatti i termometri immersi nel calori- metro che circondava il recipiente dell’ aria compressa accusarono questa volta un distinto raffreddamento che in molte prove riuscì proporzionale al lavoro «eseguito. Misurando la quantità di calore e di lavoro dinamico che si trasformavano una nell’ altra in qnesti spe- rimenti, il loro rapporto si trovò in media di 444 chilogrammetri di lavoro per ciascuna caloria distrutta. 8.° Il numero ora trovato è un po’ troppo forte, ciò che dipende dal non potersi apprezzare in modo abbastanza preciso le variazioni di temperatura dell’aria e dall’ essere queste certamente un po’ mag- giori di quelle accusate dai termometri immersi nell’ acqua circostante. Diffatti, contro l'esattezza di questo risultato si potrebbe muovere la stessa objezione della poca sensibilità del calorimetro nel segnare le variazioni di temperatura dell’aria che si è espressa contro la con- seguenza derivante dal primo esperimento di Joule. Possiamo però assegnare una nuova e più precisa misura dell’ equivalente senza DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 305 farla dipendere da ulteriori sperimenti ed appoggiandoci ai dati fisici che per l’abilità e l'accuratezza con cui vennero determinati sono tra i più degni di confidenza. Si è già avvertito come la differenza tra i calori specifici di un gas a pressione costante ed a volume costante, ossia dei numeri delle calorie richieste a scaldare da 0.° ad 1°C Vunità di peso del gas, permettendogli di dilatarsi sotto la pressione iniziale in un caso, ed impedendone l’ espansione nell’ altro, dipendesse dal lavoro esterno dell'aumento di volume del gas contro la pressione esteriore che ha luogo nel primo caso e manca invece nel secondo. ‘Trattandosi di uno dei gas dove riesce trascurabile il lavoro interno di dilatazione, ed essendo eguale il riscaldamento prodotto ‘nella stessa massa gasosa da quelle due quantità di calore, è forza conchiuderne che la diffe- renza tra i due calori specifici in discorso ha per equivalente mec- canico il lavoro della dilatazione del gas scaldato di 1°C e mantenuto sotto la pressione iniziale. Se pertanto indicheremo con 7 il volume dell’ unità di peso di uno di quei gas ad una qualunque temperatura £ e sotto una pres- sione p, con c. il coefficiente di dilatazione dell’aria, con C eci ca- lori specifici del gas a pressione costante ed a volume costante, il prodotto della differenza C —c per l'equivalente meccanico £ del calore dovrà eguagliare il lavoro espresso dal prodotto dell’incre- mento di volume del gas per la pressione esteriore. Osservando ora che a 0.°C e sotto la pressione p il volume del gas sarà Prep — . i 1% avremo l’ equazione Indicando con 7, il volume del gas a 0.° e sotto la pressione qual- o siasi po, per la legge di Mariotte sarà p Tp V.;, percui piera C—c Ammettendo nel caso dell’aria le misure ottenute da Regnault per il volume dell’unità di peso a 0.°C e sotto la pressione normale, per il suo coefficiente di dilatazione e per il suo calore specifico a pressione Vol. VI 20 306 R. FERRINI, costante, ed il numero desunto dalla migliore determinazione della velocità del suono, negli esperimenti di Moll e Van Beck, ad espri- merne il calore specifico a volume costante, risulta £= 426. L’ idro- gene, l'ossigeno e l'azoto danno £=425. L'acido carbonico ed al- tri gas diedero valori di £' alquanto differenti, ciò che proviene in parte dal lavoro interno che in essi non è intieramente trascurabile e in parte dall’incertezza sui loro calori specifici a pressione costante. 9.° Possiamo ritenere che il numero 42% ci esprima con molta esattezza l’ equivalente dinamico del calore, perchè dedotto dalla con- siderazione del lavoro della dilatazione dei gas che più si accostano al tipo del gas perfetto e in base ai dati fisici tra i più sicuri. Ora partendo da questo numero si ponna valutare con una certa approssimazione i rapporti tra i lavori interni ed esterni di dilata- zione per i gas su cui sperimentarono Thomson e Joule. Infatti es- sendo risultato da quelle prove che l'espansione del gas è in gene- rale accompagnata da un raffreddamento proporzionale alla differenza delle pressioni p,p' del gas prima e dopo di aver traversato il dia- framma poroso, indicando con m il numero dei gradi di cui si ab- bassa la temperatura di un dato gas, quando Panzidetta differenza di pressione sia di una atmosfera, e con P la pressione normale, la quantità di calore che emetterà l’ unità di peso del gas mentre si ra- refa passando dalla tensione p alla tensione p', sarà espressa da pipi p 9 dove c rappresenta il calore specifico del gas a volume costante. Questa quantità di calore avrà per suo equivalente meccanico il la- voro iuterno, che diremo /, da cui sarà accompagnata la dilatazione del gas nel ridursi dell’ unità di peso del medesimo da un certo vo- lume v corrispondente alla pressione iniziale p all’altro volume v' che corrisponde alla pressione p', più il lavoro esterno che si verificherà nella stessa dilatazione, per l’inesattezza della legge di Mariotte, e cm che sarà espresso da p'v' — pv. Cosicchè indicando al solito con £ |. l’ equivalente dinamico del calore, sussisterà 1’ equazione: sin ap pi LÒ, Ec m # =I+p'v— pv. | Il DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 307 Ma dagli esperimenti di Regnault sulla legge di Mariotte, risulta che ‘v—pv la compressibilità del gas misurata dal rapporto Aa è propor- 8 zionale alla differenza delle pressioni p, p', per il che, rappresentando con f un coefficiente numerico che è 0,00082 per l'aria, 0,0064 per l’acido carbonico e — 0,00043 per l’idrogene si ha [td / , Sr Sini Lara Quindi Pop (ec formola che dà in generale il valore di /Z in funzione di quantità note o determinabili. I Nel caso particolare che sia p = / e p poco differente da P, si può ritenere pv= Pv, indicando con v, il volume. a 0,° dell’unità di peso del gas sotto la pressione normale; ed allora il prodotto po(p—-p) P sufficiente approssimazione il lavoro esterno Z che si verifica nel dilatarsi del gas a 0.° riducendosi sotto la pressione normale da una pressione p poco superiore a questa. In tal caso dunque si ha f che in tale ipotesi si riduce a v, (P — P) esprime con I Ecm pani Sostituendo nel secondo membro ad Z,c,m, ?,v, ed f, i rispettivi a Zu nr dati numerici ne risulta che il rapporto Tè per l’aria 0,0024 o : pw , 1 circa , per l’acido carbonico 0,013 0 prossimamente 77. Nel caso 477 dell'idrogeno / riesce insensibile a confronto di £. 40.° Passiamo ad altre misure dell’ equivalente meccanico del ca- lore. Si è detto nella Prima Parte come nell’attrito, nella percossa, si verifichino insieme produzione di calore e distruzione di lavoro; quando dunque si potessero misurare con precisione le quantità di lavoro e di calore che si trasformano l’ una nell’ altra in questi feno- meni, se ne dedurrebbe tosto la misura dell’ equivalente dinamico del calore. I dali, per esempio, dei riferiti sperimenti di Rumford sulla foratura dei cannoni, potrebbero somministrarci il valore dî £, se, 308 N. FERRINI, . come dichiarò lo stesso Rumford, non si fosse trascurato in quelle ricerche il calore accumulato nella cassa di legno che racchiudeva l'apparecchio e quello che si sperdeva durante l’ esperienza. Appunto sullo svolgimento di calore causato dall’attrito si fondano le ricerche che veniamo ad esporre. Il signor Joule studiò l’effetto termico corrispondente all’ attrito nei corpi liquidi per mezzo dell’ apparecchio seguente. (fig. 2.°) Un piccolo albero di ottone Q00' munito di sedici palette (p) dello stesso metallo è collocato in un calorimetro cilindrico (7), contenente un determinato peso d’acqua, o di mercurio, nella direzione dell’asse del vase; alcune alette orizzontali fermate alla parete interna lasciano un agio sufficiente al moto delle palette e l’albero sporgendo supe- riormente dal coperchio del calorimetro termina ad un manubrio (17). A porre l’albero in rotazione servono due cordicelle (C), (C') avvolte per molti giri sopra un cilindro 22” infilzato sull’albero, e che stac- candosi da questo dopo un breve tratto orizzontale passano ciascuna sulla gola di una carrucola (7°),(7') ai cui assi (4),(4') sono avvolte in senso opposto le fumicelle (/°), (f°’) che sostengono all’ estremità una massa di piombo (Q). Per diminuire possibilmente le resistenze al moto al di fuori del calorimetro, gli assi delle carrucole posano so- pra tribometri analoghi a quello della carrucola d'una macchina d’ Atwood. Parallelamente alle linee di discesa dei pesi Q stanno due regoli verticali divisi in centimetri che permettono di misurare l’ al- tezza da cuî essi partono. Si comincia uno sperimento girando la manovella (/) per modo di far salire le due masse di piombo sino ad una determinata altezza sul pavimento della camera che si procurava fosse la medesima per entrambe. Lasciandole poi cadere, coll’ abbandonare la manovella, l'albero veniva posto in rotazione ed il liquido contenuto nel calori- metro si scaldava in proporzione della resistenza offerta al moto delle palette. ll lavoro motore da cui vien prodotta la rotazione dell’ albero si calcola facilmente quando si conoscano la grandezza dei pesi (Q) e l'altezza da cui sono discesi; e la quantità di calore promossa nel liquido si determina pure con facilità dietro l’ innalzamento di tem- peratura osservato nel liquido di cui sono noti il peso ed il calore DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 3509 specifico, tenendo conto del riscaldamento dei varii pezzi del calori- metro e in generale introducendo tutte le correzioni necessarie a rappresentare l'influenza delle cause di errore che non si ponno eli- minare nè compensare. Prima però di paragonare a questa quantità di calore il lavoro motore corrispondente alla caduta delle masse d piombo, bisognava diminuirlo della parte assorbita dalla rigidezzai delle funicelle, dagli attriti e dalle altre resistenze che si verificavano fuori del calorimetro, cioè indipendentemente dal liquido. A questo fine, rimosso il vase (7°), si assestava il cilindro £2£' previamente staccato dall’ albero a palette, sopra un’asse verticale intorno a cui poteva ruotare. Le due cordicelle, sempre passando sulla gola della rispettiva carrucola, si avvolgevano sul cilindro per modo che al di- scendere di una delle due masse (Q), l’altra avesse a salire, come accade delle due masse della macchina d’ Atwood. Allora per via di tentativi si cercava il peso p da aggiungersi alla prima di quelle due masse. per rendere uniforme il suo moto di discesa. Il prodotto di questo peso per l'altezza percorsa da ciascuna delle masse negli spe- rimenti precedenti rappresentava il consumo di lavoro dovuto alle resistenze esterne al calorimetro. Ripetuta venti volte la prova, il rapporto tra il lavoro distrutto ed il calore promosso nel liquido ri- sultò a Joule per media di 430 chilogrammetri coll’acqua, e di 432 chilogrammetri col mercurio per ciascuna caloria. Il signor Joule adoperò il medesimo apparecchio a sperimentare anche sull’attrito nei solidi; gli bastò per questo di sostituire all’ al- bero a palette un’asse a cni era fermata uua ruota di ghisa la quale mentre girava coll’ albero si manteneva premuta contro un’altra ruota di ghisa che restava ferma. Del resto il moto dell’albero si produceva nell’ istessa maniera e il processo della prova era affatto analogo all’ ora descritto; per media di molti risultati, ottenne £=432 chilogrammetri. . Questi numeri sono assai probabilmente un po’ troppo forti come avvertiva lo stesso Joule, perchè nel caso dell'attrito tra i due pezzi di ferraccio si era notata una leggiera abrasione superficiale ed il lavoro motore doveva diminuirsi in conseguenza di quella sua parte che si era consumata nello staccare le particelle metalliche vincendo 3540 ‘ R. FERRINI, la considerevole coesione del metallo, epperò di una quantità non trascurabile, quantunque la raschiatura ottenuta fosse poca per modo da non potersene rilevare il peso. Anche negli sperimenti fatti col- l’acqua, che egli considerava come quelli. che dovevano avergli forniti i risultati più attendibili, tanto a motivo del maggior numero delle prove quanto per la notevole capacità del calorimetro adope- rato, riteneva Joule che il valore di £ che ne derivava doveva es- sere un po’ superiore al vero, in causa di un legger suono che non si poteva evitare nell’ agitazione del liquido e nella produzione del quale doveva spendersi una piccola parte del lavoro motore. 41.° Anche il signor Hirn eseguì degli esperimenti sugli attriti allo scopo di studiare 1’ effetto delle sostanze grasse od oleose onde si sogliono spalmare le superficie di attrito negli organi meccanici. Si valse egli perciò di una disposizione di cose che presenta molta analogia col freno dinamometrico (fig. 3): 7° è un tamburo cavo di ferraccio, cilindrico e levigato all’ esterno cui per mezzo di un ap- posito congegno si può imprimere un moto rotatorio più o meno ce- lere sul proprio asse; £ è un cuscinetto di bronzo polito aggiustato sul tamburro di cui abbraccia la. metà superiore della superficie : in una cavità del cuscinetto si colloca la bolla di un termometro. Una leva ZL' di quercia si appoggia ai labbri del cuscinetto mediante i due supporti m' avvitati su questi: due appendici /,l' unite ad angolo retto ai capi della leva sostengono per mezzo di uncini l’ una un piatto da bilancia caricato di una massa di piombo M, l’altra un’altra massa di piombo M sospesa ad una asticina orizzontale il cui prolungamento incontrerebbe l’asse del tamburo: tali disposizioni mirano ad ottenere la stabilità nell’ equilibrio della leva, abbassan- done opportunamente il centro di gravità. Con un apposito indice, che le è unito ad angolo retto, si può riconoscere se la direzione della leva sia o non sia orizzontale, e la finestra /V che essa traversa non le permette che di deviare ben poco dalla direzione orizzontale. Si spalma d’ olio, di grasso o d’altra sostanza lubrificante la super- ficie di contatto del cuscinetto col tamburo, poi si mette in rotazione il tamburo. Una corrente d’acqua ‘a temperatura nota è spinta di continuo nella sua cavità uscendo dalla quale vien raccolta in un DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE SAL serbatojo dove se ne misurano facilmente il volume e la temperatura. Si può così calcolare la quantità di calore sviluppata dall’ attrito; quanto al lavoro lo si determina come col freno di Prony, dal peso da aggiungersi alla massa I per mantenere la leva in equilibrio mentre il tamburo gira con una data velocità, Il risultato di tali spe- rimenti fù che la quantità di calore sviluppata dall’ attrito mediato, tutte le volte che non occorrano alterazioni nelle superficie metalli- che nè nella sostanza interposta è unicamente e direttamente pro- porzionale al lavoro dell’attrito. Il rapporto tra quella quantità di calore espressa in calorie, e il lavoro dell’attrito in chilogrammetri fù presso a poco 0,0027 qualunque fossero la. velocità e la tempera- tura dei corpi rotanti e la sostanza grassa. L’attrito insomma svolgeva in ogni caso tante calorie quante volte il lavoro necessario a solle> vare di un metro 370 chilogrammi era contenuto in quello dall’ at- trito misurato coll’apparecchio. Tali sono le conclusioni del signor Hirn, dagli esperimenti del quale il valore di £ risultò compreso.tra 360 e 450 chilogrammetri (1). Ma i valori di £ deviarono poi considerevolmente dai riferiti in quelle prove dove si notarono alterazioni delle superficie di metallo o della sostanza frapposta, o quando facendo funzionare l’ apparec- chio a secco, senza interposizione di sostanza lubrificante, Ie super- ficié si consumavano quà e là. In tali casi il rapporto tra il calore svolto ed il lavoro assorbito divenne molto maggiore di 0,0027, ciò che dipendeva manifestamente dal lavoro consumato dalle azioni molecolari. 12.° Molto più importanti teoricamente, per la precisione degli apparecchi, e per l’ uniformità dei risultati, sono gli sperimenti sul- l'attrito nell’ acciajo eseguiti dal signor Favre con un metodo analogo a quello di Joule. Il lavoro motore che anche questa volta si produ- ceva colla caduta di un peso, veniva distrutto da un freno di inge- gnosa struttura contenuto in un calorimetro a mercurio. La quantità di calore svolta che in ciascuna prova non era mai inferiore a 300 calorie diminuiva l'influenza degli errori che si potevano commet- (4) LapouLare. Essai sur l’equivalent mecanique de la Chaleur, Paris, 41858. 312 R. PERRINI, tere nel valutarla. Tenendo conto di tutte le circostanze che in que- sti generi di ricerche tendono a far stimare al di sotto del vero la quantità di calore promossa, e cercando di evitarle, per media dei risultati di molte prove assai concordanti tra loro, si ebbe: chm. E= 413, 2. 13.° Una specie di riprova del valore di £ determinato nelle prece- denti sperienze è fornita dai risultati delle ricerche del signor Joule sull’ innalzamento di temperatura prodotto in un liquido da una re- pentina compressione. Le prove di Règnault non avevano dato luogo, a riscaldamento apprezzabile con un subitaneo aumento di 10 atmo- sfere di pressione, ed il signor Thomson aveva calcolato che la va- riazione © temperatura prodotta da una pressione di, chilogrammi, per decimetro quadrato, in un liquido a {° gradi centesimali di cui fossero D la densità, C il calor specifico riferito al chilogramma, d il coefficiente di dilatazione a ‘°, ed £ l’ equivalente meccanico del calore espresso in decimi di chilogrammetro, doveva essere gio Pò(273°+-1°) iirbero bdo Diico È questa formola dedotta dalla teoria dinamica del' calore, che il signor Joule si propose di verificare nel modo che segue. Il liquido che era acqua od olio di balena, si versava in un recipiente cilin- drico di rame alto tre decimetri e del diametro di un decimetro in comunicazione alla parte superiore con un cilindro cavo e calibro del diametro interno di 35, nm. 3 Parte di questo e la capacità del vase erano occupati dal liquido, sulla cui superficie libera era applicato un stantuffo scorrevole nel cilindro e che si poteva caricare di pesi facendogli esercitare così una determinata pressione, variabile secondo il caso. L'aumento di temperatura che vi corrispondeva, come che piccolissimo, si misu- rava direttamente mediante una coppia termoelettrica ferro-rame, la cui saldatura era a mezzo del liquido: i due metalli isolati da fo- deri di guttapercha uscivano da due aperture: laterali del vase e si mettevano in relazione con un reometro a circuito breve ed a siste- ma astatico La sensibilità del galvanometro veniva cresciuta da una DELLA TEORIA DINAMICA DEI. CALORE 5435 calamita opportunamente collocata per diminuirvi I’ influenza della terra, e le possibili perturbazioni delle correnti aeree venivano eli- minate col fare il vuoto sotto la campana dello strumento: le dimen- sioni poi della graduazione di questo erano tali che permettevano di misurare una deviazione di 2’ la quale, secondo la resistenza del cir- t < 1 Dente È cuito,. corrispondeva ora ad 39 ora ad "05 di grado centesimale, come si era constatato dietro accurati confronti con uno squisito termometro a mercurio. Innanzi cominciare gli sperimenti il signor Joule si preoc- cupò di antivedere le possibili influenze perturbatrici per eliminarle 0 per tenerne conto. Poteva darsi che sotto l’effetto della pressione si di- latasse il recipiente e che tale dilatazione fosse accompagnata da un leg- giero raffreddamento: gli bisognava quindi di sincerarsi, se, quando ciò si verificasse, ne potessero derivare degli errori nella misura del- l’effetto termico della compressione del liquido. Espose perciò il vaso ad una sorgente di calore piuttosto viva e riconobbe che, essendo questo pieno d’acqua, passava più di un minuto prima che l’ effetto del riscaldamento si facesse sentire alla coppia termoelettrica: sic- come l’ago del reometro, deviato sotto l’ effetto della compressione del liquido, si riduceva in equilibrio dopo 40 minuti secondi, e le osser- vazioni si facevano appunto dopo tale intervallo, così non era più il caso di preoccuparsi di un'influenza che quando pure si fosse eser- citata non sarebbe stata sensibile se non dopo questo tempo. Quando il vaso era pieno d'olio di balena si dovevano lasciar passare invece tre minuti primi innanzi di osservare il galvanometro ; perchè in causa della viscosità del liquido non occorreva meno di questo tempo alla perfetta comunicazione dell’incremento di temperatura prodotto dalla pressione. Anche in tal caso però non era da temersi l’ influenza raffreddatrice in discorso. Si poteva sospettare in secondo luogo che la pressione sul liquido avesse a modificare il potere termoelettrico della coppia ferro-rame restando quindi falsate le misure degli effett termiei domandati. Per. verificare se ed in quanto un tale sospetto potesse corrispondere alla realtà, il signor Joule scaldò le saldature esterne all’apparecchio producendo così una corrente termoelettrica piuttosto forte: ridotto in seguito a zero l'ago del galvanometro me- SAU R. FERRINI, diante una calamita, esercitò collo stantuffo una pressione sul li- quido; allora, se Ja pressione avesse modificato il potere termoelettrico della coppia interna, ne sarebbe stata variata l’intensità della cor- rente primitivamente prodotta, e tale variazione aggiungendosi al- l’effetto del riscaldameuto del liquido compresso si sarebbe manife- stato in una sensibile discordanza tra i risultati di uno sperimento fatto in questa maniera e quelli d’uno sperimento ordinario. Ora non essendosi riscontrata tale differenza nei risultati, ne conseguiva che non era da temersi neppure l’ azione della seconda influenza pertur- batrice sospettata. In fine siccome in causa dell’ attrito nel cilindro cavo non si poteva calcolare con esattezza la pressione in base al carico applicato sullo stantuffo, così si fecero le opportune correzioni munendo l’ apparec- chio di un manometro ad aria compressa. Ecco i risultati di alcune di queste prove: COLL’ACQUA Innalzam. di temper. Temp. del liquido |Pressione per decim. .| _-— mn — ses Differenza calcolato dato dall’ oss. 19,20 C 2618%,6 0°,0071 0°,0083 0°,0012 5 DI) 0,0027 0,0044 0,0017 11,09 » 0,0197 0,0214 0,0017 18,76 ” 0,03517 0,0315 0,0002 30° » 0,0563 0,0B4% 0,0019 44,40 » 0,0476 0,0450 0,0016 COLL’OLIO DI BALENA 16° C 849%, 4 0°,0886 0,0792 0,009% 47,29 1616,8 0,1788 0,1686 0,0072 16,27 2618,6 0,2837 0,2633 0,0204 Come si vede, l'accordo tra i risultati avuti dalla formola e quelli LI dati dagli esperimenti è abbastanza soddisfacente, dal che risulta, DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 315 come s'è notato in principio, una riprova del valore attribuito ad £. È poi notevole come le differenze tra i numeri dati dal calcolo e quelli forniti dall’osservazione siano più rilevanti per l’olio dove è più sensibile il lavoro interno, attesa la maggiore viscosità e come tanto dalla formola quanto dagli sperimenti risulti minimo l’effetto della compressione sull’acqua verso i 8°C, cioè presso la temperatura della sua massima densità, quando deve esservi massimo il lavoro interno delle molecole in causa dei cambiamenti nel modo della loro distribuzione. 14.° Veniamo per ultimo alle misure dell’ equivalente dinamico del calore dedotte dagli effetti termici delle correnti elettriche. Figuriamoci che rimpetto ai poli di un elettro-magnele fissa si tro- vino quelli di un’altra elettro-magnete più piccola a circuito chiuso, la quale mediante un opportuno congegno si possa far ruotare in- torno ad un asse passante per i punti di mezzo delle rette, aventi i termini nei poli di ciascuna calamita. Finchè si tiene aperto il cir- cuito dell’ elettro-magnete ferma, che supporremo in relazione con una pila voltaica, il movimento dell’altra si mantiene con poca fatica non avendo a superare in ciò che le resistenze passive del cengegno adoperato a produrlo. Ma non appena si chiuda quel circuito si prova una subitanea e sentita difficoltà a continuare la rotazione, difficoltà che dipende dalla corrente promossa intorno alla magnete mobile per la induzione dell’altra, e dalle reazioni che si da tra le correnti. ‘ Intanto nel circuito dell’elettro-magnete ‘in movimento si sviluppa una quantità di calore, che, come dimostrarono Clausius e Joule, è proporzionale al quadrato dell’intensità della corrente magneto-elettrica che lo percorre. Il maggior dispendio di lavoro meccanico che si esige a continuare la rotazione colla celerità di prima rappresenta dunque il lavoro ne- cessario a promuovere, in causa del movimento la corrente magneto- elettrica, l’intensità della quale, come si sa, è proporzionale alla velocità della rotazione, ed ha per suo corrispettivo la quantità di calore sviluppato da questa. Tale è il principio di una serie di sperimenti istituiti dal sig. Joule, 316 R, FERRINI, con un apparecchio dove appunto rimpetto ai poli di una grossa elettro-magnete ferma, se ne faceva girare un’altra più piccola per mezzo della caduta di peso affidato ad un capo di una funicella, che dopo essere passata sulla gola d'una carrucola fissa si avvolgeva in- torno all’ asse di rotazione della magnete mobile. Determinato per tentativi il peso motore occorrente ad imprimere alla. magnete gire- vole una velocità presso a poco costante di 600 giri al minuto sotto l'influenza dell’altra, si potè calcolare il lavoro motore necessario a mantenerne la rotazione colla stessa rapidità per un quarto d'ora. Deducendone poi la parte di lavoro che veniva intanto assorbito nelle varie resistenze passive del congegno indipendentemente dagli effetti delle correnti, il residuo doveva essere l’ equivalente mecca- nico del calore promosso in egual tempo nel circuito della magnete mobile. Per misurare questo calore l’elettro-magnete veniva intro- dotto durante l'esperimento in un tubo di vetro pieno d’acqua di cui sì notavano la temperatura al principio e al fine della prova. Per media dei risultati di otto sperienze, il signor Joule ottenne E=-489,8 ch.m. numero abbastanza prossimo ai precedenti, se si rifletta alla complicazione del fenomeno ed alle molteplici cause di errore che vi si incontrano. Il signor Le Roux eseguì pure degli spe- rimenti analoghi con un motore magneto-elettrico , costituito da due ruote di bronzo fermate sopra uno stesso albero di ferro e portanti alla circonferenza ciascuna sedici elettro-magneti; ognuna delle due ruote girava tra due serie circolari di calamite sostenute da traverse di legno; queste serie contenevano entrambe otto robusti fasci ma- gnetici a ferro di cavallo, così disposti che le elettro-magneti di una ruota potevano trovarsi simultaneamente tutte rimpetto a uno dei poli di queste calamite, Fatta muovere uniformemente la macchina, te- nendo intanto aperto il circuito, si misurava con una manovella dinamo-metrica od altrimenti la somma dei lavori passivi corrispon- dente alla velocità di quel moto; tali lavori passivi consistevano nel- l'attrito dei varii organi, e nel lavoro consumato nel promuovere certe correnti di induzioni nelle calamite, nelle masse di ferro dolce e nelle viere che rattenevano il filo dei rocchetti delle elettro-magneti. Ottenuta questa misura, si chiudeva il circuito nel quale si era in- DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 3417 trodotto un filo di platino di nota resistenza piegato ad elice ed im- merso in un calorimetro ad acqua. Conoscendosi il rapporto tra la resistenza di questo filo e quella dell’intero circuito, dalle indica- zioni calorimetriche si poteva facilmente calcolare, secondo la legge di Joule, la quantità di calore svolta in tàtto il circuito. Paragonan- dola al consumo del lavoro meccanico, doveva risultarne |’ equiva- lente meccanico del calore. La media dei risultati avuti dal sig. Le Roux fu di 458 chilogrammetri, numero assai prossimo al precedente di Joule: anche di questo si può dire con sicurezza che è troppo forte perchè in queste prove una parte degli effetti sfugge senza che se ne possa tener calcolo. Tali sono il calore svolto nei punti dove si interrompe il circuito, le modificazioni molecolari permanenti che la corrente determina in certe porzioni dei conduttori , e infine le indu- zioni esercitate sopra corpi circostanti. Parimenti il sig. Matteucci servendosi di un motore elettro-magnetico e misurando il lavoro equivalente al calore svolto dalle correnti in- dotte ottenne per media dei suoi esperimenti E=438,0m 96, 45.° JI sig. Quintus Icilius eseguì parecchie serie di sperimenti allo scopo di desumere l'equivalente dinamico del calore dal riscalda- mento di un circuito percorso da una corrente idro-elettrica. Il cir- cuito conteneva, oltre la pila, un reostato per correggere le piccole variazioni di intensità della corrente , un galvanometro di Weber, ed un calorimetro consistente in un vase di rame sottile generalmente pieno d’acqua, qualche volta invece d’ alcool o di terebenteno posto nell'interno di un vase più grande circondato di acqua a temperatura costante. ll calorimetro conteneva un filo di oro o di platino la cui resistenza si era diligentemente paragonata a quella dei fili campioni studiati da Weber nel suo lavoro sulla misura delle resistenze. In ciascuna prova si cominciava a determinare la posizione di equilibrio dell'ago del reometro con sette osservazioni fatte ad intervalli corri- spondenti ciascuno alla durata di una oscillazione: poi si faceva pas- sare la corrente sostituendo al filo del calorimetro un filo di egual resistenza, e aprendo o chiudendo il circuito ad istanti opportuni si riduceva prontamente l’ago a fermarsi nella sua posizione di equili- 3418 R. FERRINI, brio. Dopo queste operazioni preparatorie, che non duravano più di due minuti primi, mediante un commutatore si introduceva nel cir- cuito il filo del calorimetro, e si osservava il termometro di due in due minuti per un’ora: in ciascuno di questi intervalli, di due minuti primi, si osservava il galvanometro ad ogni dodici minuti secondi ed alla fine di un minuto primo si faceva agire il reostato, quando fosse il caso. Da queste osservazioni si avevano gli elementi necessarii a ‘ calcolare il calore sviluppato e l'intensità della corrente. Si tenne conto della variazione di conduttività prodotta nei-fili da quella della temperatura, che si cercò di determinare con sperimenti preliminari, ma s’incontrò un’altra causa di errore nell’ aumento della loro resi- stenza derivante dall'essere stali soggettati più volte all’azione calo- rifica della corrente, aumento che in alcuni casi si trovò arrivare persino ad 2 del valore iniziale; per tener conto anche di questa causa di errore si ritenne che la resistenza del filo fosse la media tra l’i- niziale e la finale; si vede però quanto sia incerta questa correzione. La media dei risultati ottenuti dal sig. Quintus Icilius diede £=400 chm., numero abbastanza prossimo a quello di 42%, da noi giudicato come il più probabile, se si rifletta alle molte misure delicate e indipen- denti l'una dall’ altra che esigè questo metodo di sperimenti. 16.° Il sig. Favre introdusse in una delle cavità del suo calorime- tro, di cui si è parlato al $ 23 della Parte Seconda, una piccola macchina elettro-magnelica che produceva un lavoro meccanico sol- levando un peso esternamente al calorimetro quando la si metteva in relazione colla pila contenuta nell’altra cavità. Come era facile a prevedersi il calore accusato dallo strumento, mentre si produceva quel lavoro, risultò minore di quello che si è veduto corrispondere al consumo di un equivalente di zinco quando la corrente non produ- ceva effetto esteriore e la differenza tra i numeri delle calorie pro- mosse nell'intero circuito in un caso e nell’ altro riuscì in varie proye proporzionale al lavoro eseguito. Il rapporto tra questo lavoro e quella differenza non era dunque altro che l’ equivalente meccanico del ca- lore; ed è a notarsi come negli indicati esperimenti non vi era nem- meno da tener conto degli attriti tra gli organi del motore elettro- magnetico che erano contenuti nella cavità del calorimetro. perchè DELLA TEORIA puro DEL CALORE 349 quegli attriti sviluppavano necessariamente una quantità di calore commisurata alla quantità di lavoro motore che assorbivano. Ciò del resto fu confermato: sperimentalmente dal fatto che la quantità di calore indicata dal calorimetro risultava la medesima tanto se la macchina elettro-magnetica restava in riposo, quanto se la si poneva in moto senza farle sollevare il peso e non avendo quindi che a supe- rare gli attriti. ll signor Favre cttenne per media dei suoi esperimenti | E=443 chm. 17.° Raccogliamo in un quadro i valori dell’ equivalente meccanico del calore ottenuti nei diversi sperimenti che vennero fin qui ricordati. Nome dello I Fenomeno da cui si è dedotta la misura Valore di gie cd in chilo- Sperimentatore dell'equivalente dinamico del calore grammmetri 1 Hirn Lavoro delle macchine a vapore . . ......... 413 2 Joule Lavoro meccanico prodotto nella dilataz. dell’aria. [441 3 Calcol. se- per l’idroge- condo i dati no, l’ossige- Sn Paragone dei calori specifici a pressio- RM 4 Calcol. se- 5 .|ne costante e volume costante condo i dati per l’aria |426 di Moll e Wan-Bek \ 5 Joule Attritondi lispnidità sura eri iva O . . |430, 432 Bi;c.id, 11 6a A eprpiisolidità a) ct db Li 432 7 Hirn » negli organi meccanici, spalmati di materie LITE (1/3' CORBIN OISEGIPRU ECT) PIEAONE PONI TRO fra |360 e 430 8 Favre Attrito:fra pezzi.di acciajo; vi Mgiicii baia de 413 9 Joule Calore svolto dalle correnti indotte Me eve: 4 do de 10 Le Roux | » » in una macchina magneto-elettrica . . | 458 11 Matteucci | » » in un motore elettro-magnetico . . . . | 438,96 12 Quintus ” » in filo metallico percorso da una cor- Icilius Pentez: oe, VII. FRODI POI E a 400 13 Favre Diminuzione del calore promosso in un circuito in corrispondenza alla produzione di un lavoro mec- canico 79) © 0 YI of volle dip cali URINE Sidi Te RIE a "o è» 443 320 R. FERMINI, Tra i differenti valori di £ registrati in questa tabella quello che si presenta degno di maggior confidenza è certamente il numero 4285, perchè dedotto dalle proprietà fisiche dei gas che più si avvicinano a presentare le condizioni dello stato gasoso perfetto e in base a dati fra i più attendibili che presenti la fisica. Gli altri valori, come si è venuto notando di mano in mano che si sponevano gli esperimenti che servirono a trovarli, sono senza dubbio alcuni troppo grandi, al- tri troppo piccoli per l’ imperfezione delle misure, per le perdite di calore o di lavoro di cui non si potè tener calcolo, od infine per la complicazione del fenomeno e la moltiplicità degli elementi da de- terminarsi, indipendenti tra di loro. È però degno di rimarco come le differenze in più od in meno presentate da questi valori in con- fronto del numero 428, siano sempre comprese nei limiti degli er- rori di osservazione comportati dagli sperimenti particolari con cui vennero assegnati. Si può anche notare come questi valori oscillino intorno al numero 423 cosicchè la media di quei risultati che è 426,67 ne differisce ben poco. Se poi vi aggiungiamo un altro valore di £ fra i più attendibili, cioè quello di 420 chilogrammetri avuto dal si- gnor Bosscha colla misura del calore sviluppato nell’intiero circuito di un elettro-motore alla Daniell, la media diviene 426,3 quindi ancora più prossima al numero 425. Tale concordanza di risultati ottenuti dalla considerazione dei fenomeni più diversi, è una irrecu- sabile dimostrazione di fatto del principio della teoria dinamica del calore che l’effetto meccanico corrispondente al consumo di una ca-. loria, od il dispendio di lavoro necessario allo sviluppo di una calo- ria, è sempre il medesimo ed indipendente tanto dalla natura del corpo quanto dal genere della trasformazione che esso riceve, e ciò anche quando la conversione del lavoro in calore non sia diretta ma per esempio il lavoro si converta in elèttricità, e questa poi sviluppi calore nel circuito. percorso. 18.° Da tutto quanto siamo fin qui venuti esponendo potremo dunque dedurre le conclusioni che seguono: 1.° Se un lavoro meccanico è adoperato a produrre unicamente calore, senz'altro effetto, la quantità di calore sviluppata sarà sempre in proporzione del dispendio di lavoro e precisamente nella misura SEA . È . » . di 753 di caloria per ciascun chilogrammetro di lavoro. DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE ID 92.° Se un lavoro meccanico è prodotto da cause puramente termi- che, il lavoro ottenuto sarà sempre in ragione del calore consumato e propriamente nella misura di 4258 chilogrammetri per ciascuna caloria. i 5.° Qualunque sia il fenomeno che si consideri in un corpo nel quale si verifichi una trasformazione o di calore in lavoro mecca- nico, 0 di lavoro in calore, la quantità di calore che sarà uno degli elementi di tale trasformazione si potrà sempre riguardare come una somma di forze vive atta a produrre un lavoro meccanico, nella mi- sura di 425 chilogrammetri per caloria. 4.° Così, un innalzamento di temperatura che si verifichi in un corpo, si potrà ritenere che consista in un dispendio di forza mo- trice esterna al corpo, comunque sia stato prodotto, cioè sia me- diante una comunicazione di calore sia mediante un’azione mecca- nica. Reciprocamente un abbassamento di temperatura si potrà ri- guardare come una perdita di forza viva nel corpo che la subisce in corrispondenza alla quale o si dovrà compiere un commisurato lavoro meccanico esterno od interno od il corpo dovrà comunicare ai circo- stanti le calorie che abbandona. Nora atta Parte Terza. Ho fissato a 425 chilogrammetri l’ equivalente dinamico del calore partendo da un complesso di determinazioni che conducevano a ri- sultati ben poco differenti da questo numero. L'utilità e la diligenza degli sperimentatori, la varietà dei processi e dei fenomeni presi in considerazione, le minute cautele per escludere o per correggere l'influenza delle cause di errore, e soprattutto il mirabile accordo dei risultati ottenuti in così diverse maniere. mi parvero costituire un fondamento abbastanza sicuro per addottare quel numero che del resto è ammesso, solo con qualche leggiera differenza, dai più di- stinti matemalici e fisici. i Non mi sembra però permesso di passare sotto silenzio, come al. cuni cerchino di ridurre a molto meno il valore dell’ equivalente. in Vol, VI. 21 pad fi. FERMISI, discorso. Tra costoro emerge il chiarissimo signor Laboulaye, tanto benemerito delle scienze applicate all'industria, il quale pretende di limitarlo a 140 chilogrammetri. L'importanza di attenuare la specie di scandalo che deriva da cotale divergenza e che forma ormai quasi l’unico atgomento di chi, per amore d'inerzia, si rifiuta di studiare e di discutere i principii della leofia dinamica del calore, mi rende ardito a raccogliere .in questa nota, alcune brevi riflessioni sull’ opu- scolo del lodato signor Laboulave intitolato: Essai sur l equivalent meécanique de la chaleur, edito a Parigi nel 1858, e dal quale rico- nosco d'altronde ben volontieri di aver avuto utili notizie ed am- maestramenti, Le determinazioni dell’ equivalente dinamico del calore a cui 1'e- gregio autore sembra attribuire maggiore importanza sono due: 1’ u- na dedotta da un suo metodo di calcolare l’effetto dinamico del ca- lore che scalda di 1°C un chilogramma d’aria, a pressione costante; l’altro si fonda sopra alcuni suoi esperimenti sullo schiacciamento di un pezzo di piombo di una forma particolare. Cominciando dalla prima. la quantità di calore che si suol deno- minare calore specifico dell’ aria a pressione costante, produce come è noto, un doppio effetto in un chilogramma d’aria; cioè, 1’ innalza- mento di un grado nella temperatura e Y incremento del volume espresso dal prodotto del volume iniziale per il coefficiente di dila- tazione. Îl lavoro meccanico corrispondente al secondo di questi ef- fetti, si suol calcolare moltiplicando l’ incremento del volume per la pressione atmosferica, e così fa anche il signor Laboulaye, sebbene dichiari in una nota, che questo prodotto esprime un lavoro supe- riore all'effettivo, perchè consumandosi durante la dilatazione parte del calore ricevuto dall’ aria in lavoro esterno, quando |’ aumento del volume avrà raggiunto la grandezza espressa dal prodotto del suo va- lore iniziale per il coefficiente della dilatazione, l’ innalzamento di tem- peratura dovrà in realtà essere minore di «n» grado, e la pressione infe- riore alla iniziale. Se si accetlasse questo modo di vedere, si potrebbe domandare quale sia il valore dell’ espressione: calore specifico a pres- sione costante, Volendole attribuire un significato preciso, parmi non possa essere altro che quello di indicare la quantità di calore che scalda DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE DIS di 1°C un chilogramma d’aria mentre ne distende il volume nella misura espressa dal coefficiente di dilatazione, contro la pressione esterna supposta invariata. Immaginando dell’aria chiusa in un reci- piente a pareti estensibili, ed obbedienti senza resistenza all'impulso della forza elastica dell’aria sì interna che esterna, si può farsi una idea abbastanza chiara del concetto della dilatazione a pressione co- stante; infatti la condizione d’ equilibrio delle pareti esige che a cia- scun istante la pressione interna e l’esterna sopra un punto qualun- que di esse siano eguali tra loro; se però scaldando l’aria interna se ne cresce la tensione, la parete cederà tosto e permetterà a quell’a- ria di espandersi e di tanto che ritorni a stabilirsi l’ eguaglianza tra le due pressioni interna ed esterna. Se la pressione esterna si suppone costante, il calore somministrato all’aria interna a misura che si di- lata deve a ciascun istante innalzarne la temperatura, e ridurne la ten- sione eguale alla pressione esterna, malgrado che per l'incremento del volume essa tenda a diminuire: così anche quando l'aumento del volume sarà quello espresso dal suo prodotto per il coefficiente di dilatazione, la forza elastica dell’aria interna sarà sempre tale da equilibrare la pressione esteriore e l'innalzamento di temperatura prodottovi sarà di 1°C. Se vi fosse un istante in cui la pressione in- terna fosse inferiore all’ esterna, la parete sarebbe spinta all’ inden- tro, e il volume dell’aria interna si restringerebbe finchè si ristabi- lisse l'equilibrio di pressicne. Che se si vuol considerare una massa d’aria isolata, e supporre, come pare che faccia il signor Laboulaye, che essa non riceva ca- lore a misura che si dilata, ma che le venga somministrato da prin- cipio e in una volta sola la quantità di calore che si definisce calore specifico a pressione costante, perchè il significato di questa espres- sione consuoni con quello delle parole che la compongono, mi pare che essa debba indicare una tal quantità di calore per cui quando la temperatura sarà cresciuta di 1°C, il volume debba essere aumentato nel rapporto espresso dal coefficiente di dilatazione risultando ancora sotto la pressione iniziale. Pertanto rappresentando con un'ascissa 48 (fig. 4) il prodotto del volume di un chilogramma d’aria, a 0° e sotto la pressione normale, per il coefficiente di dilatazione a pressione co- 324 R. FERRINI , stante e coll’ordinata 4C perpendicolare ad 45 la pressione di un’atmosfera , l’area del rettangolo 45C2 esprimerà il lavoro esterno o di dilatazione di quella massa d’aria scaldata di 1° a pressione costante. Veniamo alla misura del lavoro corrispondente all’ effetto del ri- scaldamento dell’aria. Si può ritenere dietro i migliori dati sperimen- tali, dice il signor Laboulave, che lasciando espandere liberamente l’aria, la sua temperatura diminuisca di 1° quando il volume è cre- sciuto di un centesimo del suo valore primitivo. Se dunque si pren- derà BF tale da rappresentare una centesima parte del volume di un chilogramma d’aria a 1° e sotto la pressione normale, ed !'Q egnale a co di 4D e poi si descriverà l'arco di iperbole equila- tera DO, Varca DOX esprimerà il lavoro commisurato alla diminu- zione di un grado della temperatura dell’aria. Perchè, aggiunge l’autore nella nota già citata, l’area 5ADA rappresenta il lavoro necessario a sopprimere la pressione atmosferica, producendo il raf. freddamento di 4°, e da quest'area bisogna levare Valtra 8/02 che rappresenta il lavoro dell’elasticità del gas equilibrante a ciascun istante parle della pressione atmosferica, giusta la legge di Ma- riotte. Qui è dove non so convenire col signor Laboulaye e dove ‘cadono specialmente le mie objezioni. Comincio ad osservare che non è l’a- ria che si raffredda che nel dilatarsi sopprima, come si esprime l’au- tore, la pressione atmosferica, ma che anzi la sua espansione non può prodursi, se non viene, indipendentemente da essa, tolta o di- minuita questa pressione. Aggiungo poi che il lavoro meccanico che avrà luogo in tale espansione sarà, come qualunque altro, misurato dalla somma dei prodotti dei successivi e continui incrementi del vo- lume per le pressioni che vi corrispondono, mentre l'area DOK rappresenterebbe invece la somma dei prodotti dei detti incrementi di volume per le corrispondenti perdite di pressione. Se si trattasse di misurare il lavoro che ha luogo nella dilatazione di un gas mentre la sua pressione decresce da 82 ad O/' senza che intanto ne varii la temperatura, tutti, compreso lo stesso signor La- boulaye, piglierebbero a misura di questo lavoro area BDO; è DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 325 la maniera, per esempio, con cui si suole da tutti calcolare il lavoro del vapore nel cilindro di una macchina a vapore per quella por- zione di corsa che vi compie per espansione. Niuno prenderebbe per misura di tale lavoro l’area DOA. Il non variare in tal caso la temperatura dell’aria o del vapore che si espande, non vuol già dire che a produrre questo effetto non occorra un dispendio di calore: gli sperimenti di Hirn, riferiti nello stesso opuscolo , dimostrano il contrario. Ma nel nostro caso la temperatura dell’aria considerata diminuisce; ebbene, ciò significa che, a rigore, il lavoro della dilatazione sarà un po’ più piccolo di quello espresso dall’area 8/02, non però di molto. Diffatti quando il volume dell’aria sarà cresciuto di a e la sua temperatura sarà diminuita di 1°, la pressione finale calcolata secondo le leggi di Mariotte e di Gay-Lussac, invece di essere + o circa 0,990 della iniziale, sarà 0,986 di questa, epperò invece di essere rappre- sentata dalla ordinata: "0 lo sarà da un’altra /47 di ben poco più corta. In modo analogo le ordinate intermedie condotte dai succes- sivi punti della £/ saranno iutte un po’ minori di quelle terminate alla curva 20, ed il luogo geometrico dei loro estremi superiori sarà una linea di natura differente dalla DO. — Nel caso che si lasci espandere dell’aria senza somministrarle calore essa si raf- fredda e il lavoro della sua. dilatazione è più piccolo di quello che avrebbe luogo mantenendone costante la temperatura; ma ciò di- pende dal calore che è d’uopo somministrarle di continuo per im- pedirne il raffreddamento, cosicchè il di più di lavoro che vi cor- risponde in confronto dell’allro caso, è dovuto al calore ricevuto dal di fuori. Essendo CM la linea che segna l'andamento della pressione. nel caso che l’aria si dilati senza che intanto riceva calore, la differenza tra il lavoro della sua espansione in questo caso in confronto di quello che ha luogo quando il volume cresce nella stessa misura, ma assor- bendo calore dai corpi circostanti per modo che la temperatura non varii, sarà dunque espressa dall’area del triangolo mistilineo 204f epperò assai piccola se si avverta alla ricordata differenza delle or- dinate estreme 20 ed DM. 326 R. FERRINI »: Detto 77 il volume di un chilogramma d’aria a 0°C e sotto la pressione normale, a il coefficiente di dilatazione dell’aria a pres- sione costante, P la pressione di un’ atmosfera per metro quadrato, la somma dei lavori rappresentati dalle aree 4B8CD, B£EOC, è 101 PVa + PI (414 a) x< 2,3026 log. 0° Soslituendovi l’espressione più semplice 101 PVa + PI x 2,3026 log. ao: questa si accosterà certamente di moltissimo alla somma dei lavori espressi dalle aree 45CD, BFMD ; giacchè ommettendo, come si è fatto, nella seconda parte della espressione, il fattore 1 + @, 1’ or- dinata estrema viene ad acquistare esattamente la grandezza EM, e l’unica differenza della realtà che vi rimanga sta nel considerare la linea 2 come un arco di iperbole equilatera. Ora essendo 7=0,7753 di metro cubo, P=10333 chilogrammi, a=0,00367, il prodotto PY (a + 2,3026 log. 1,01) risulta eguale a 108,78 chilogramme- tri. Tale sarà dunque |’ espressione del lavoro commisurato a quella quantità di calore che si denomina calore specifico dell’aria a pres- sione costante e che è di calorie 0,2374. Pertanto il quoziente Dari darà un’ espressione dell’ equivalente meccanico del calore; fatta la divisione si ha £—=458,25 chilogrammetri, numero più forte di quello da me addottato , ciò che dipende dall’essere probabiimente inesatto l’ incremento di un cenlestmo nel volume che si è supposto corrispondere all’abbassamento di un grado nella temperatura del- l’aria. Venendo ora alla seconda maniera di determinare 1 equivalente meccanico del calore di cui si è fatto cenno in principio, questa consiste nel misurare il riscaldamento prodotto in un pezzo di piombo di una figura particolare percosso con un battipalo per modo di pro- durvi una deformazione sensibile. Il pezzo di piombo è contenuto in un calorimetro ad acqua e su di esso stanno prima una lastra di ferro, poi un pezzo di legno, destinato a ricevere direttamente il colpo, per non spezzare i termometri del calorimetro. Senza entrare in nessuna discussione in merito al grado di esattezza che si può ri- tenere che presentino i risultati di questi sperimenti sia in causa della DELLA TEORIA DINAMICA “DEL CALORE 7 rozzezza dell'apparecchio lamentata dallo stesso autore, come per la poca sensibilità del calorimetro che lo costrinse a speciali artifici per averne delle indicazioni, come anche perchè non appare dal calcolo fatto alla pagina 86 dell’opuscolo in quistione che si sia tenuto conto degli effetti termici e meccanici nel pezzo di legno che soste- neva direttamente l’urto del battipalo, rifereudomi a quanto si è detto ai N. 12 e 13 della Parte Seconda ed al N. 2 della Parte Terza, dirò semplicemente che nell’attuale scarsezza di cognizioni sulla struttura interna dei corpi, c quindi sull’entità dei lavori interni che accompagnano sia un effetto meccanico sia quello di un riscaldamento, sarà per lo meno lecito di dubitare che « lo schiacciamento del » piombo fuso (la cui densità rimane costante) svolgendo calore, » questo sia eguale in quantità a quello che sarebbe svolto nel raf- » freddamento dopo un risealdamento che avesse prodotto un effetto » meccanico pari a quello dello schiaeciamento, che avesse superata » la coesione delle molecole separate dall’urto, che le avesse ri- » dotte ad uno stato molecolare identico. » Ciò tanto più che nel caso del riscaldamento non ha luogo che uno slontanamento delle mole cole, mentre sotto la percossa del battipalo il pezzo veniva deformato, e l’autore non considerava alti a sviluppare calore che i colpi pro- ducenti nel piombo una deformazione permanente e visibile, e nel calcolare il lavoro del battipalo ne detraeva la parte corrispondente alla maggior caduta da cuî il pezzo non risultava deformato ritenendo che questa non sviluppasse calore, trasmettendosi la percossa intera- mente al suolo. Ora, siccome nel caso del riscaldamento la densità del piombo diminuisce e le sue molecole si allontanano fra loro in modo uniforme, mentre invece sotto l’urto Ia sua densità rimane co- stante e la deformazione prodotta alla sola parte superiore del pezzo vi indica senza dubbio superato il limite di elasticità, così parmi che i due fenomeni presentino condizioni troppo differenti per poter dire ehe vi corrispondano lavori meccanici eguali. In ogni caso mancando dati positivi per calcolare il lavoro interno prodotto sia dalla percossa sia dalla dilatazione per il calore, come si è notato al N. 2 della Parte Terza, non si può stabilire una relazione tra il lavoro del bal: tipalo ed il calore sviluppato per lo schiacciamento. 35928 R. FERRINI, Una consimile osservazione si applica al valore dell’ equivalente meccanico del calore, calcolato colla formola Ai DP. (3) = C.E d (pag. 44 dell’opuscolo), dove 2 esprime la dilatazione cubica di nn solido, / il peso che vi produce un allungamento permanente, d il suo peso specifico, e C il suo calore specifico. Anche qui si ammette che il lavoro interno di dilatazione sia pari a quello di un'azione meccanica esterna producente un’eguale dilatazione; di più, non si tien conto dell’innalzamento della temperatura cioè di quella somma di forze vive che cessando di manifestarsi come forza viva meccanica si palesa come calore sensibile, E una prova che nella equazione. ri- cordata non sono considerati tutti gli elementi necessarii è fornita dalla rilevante differenza tra i valori di £ dedotti da essa e regi- strati nella tabella a pag. 45. Mentre il valore di £ fornito coi dati relativi al piombo è 109, quello ottenuto coi dati relativi al zinco è 207 o quasi il doppio; a fronte di tali differenze bisogna conchiu- dere o che i dali sperimentali sono troppo incerti, o che l'equazione stabilita è inesatta. L'una o l’altra conseguenza inferma del pari il valore di £*che si cerca di assegnare. La ragione dell’ essere il nu- mero trovato per il zinco assai superiore a quello avuto dal piombo sta, a mio credere, nella struttura cristallina del primo di questi metalli che deve importare un lavoro interno di dilatazione più con-. siderevole che nel secondo, — È d’altronde se l'equazione citata sus- sistesse, dovrebbe esprimere una proprietà generale conveniente non ai soli metalli, ma anche agli altri corpi solidi, tolto il caso che ven- gano scomposli dal calore, e che è escluso giustamente dall’ autore; giacchè quell’equazione non sarebbe che Ì’ espressione algebrica del modo di comportarsi delle azioni molecolari corrispondenti alla forma. solida. — Ebbene, prendendo i dati che si hanno, a cagion d’esempio, per il vetro comune a base di soda, e che sono: 2 = 7165,D2= = 0,0025384, d—= 2,45 e C=0,19768 si ottiene dalla stessa equa-. zione E=81,555 chilogrammetri, risultato che mette in evidenza la sua inesaltezza. DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 329 Infine ricorderò come a sostegno della sua opinione il signor La- boulaye si riferisca alle misure dell’ equivalente dinamico del calore dedotte dall'ing. Hirn da’ suoi sperimenti sulle macchine a vapore, e da cui £ appare compreso tra 128 e 209 chilogrammetri. Ma avendo lo stesso signor Hirn in una recente pubblicazione, ricono- sciuto erroneo il principio di quelle deduzioni, mi dispenso ben vo- lontieri, dall’ entrare in discussione su questo proposito. Senza la pretesa di avere con questi brevi e semplici riflessi esau- rita a fondo la questione, nè composta una confutazione dell’ opu- scolo del signor Laboulaye parmi però che questi bastino almeno a rivocare in dubbio i suoi risultati, c quindi a poter accettare con maggior confidenza il numero da me addolttato. Osservazione. — ll giornale 1° /nstitut del 24 febbrajo 1864 dà notizia di nuovi sperimenti eseguiti dai signori Tresca e Laboulaye per assegnare l'equivalente meccanico del calore: i risultati da loro ottenuti ne farebbero ascendere il valore a 450 chilogrammetri, ciò che distrugge affatto lo scopo dell’opuscolo su cui caddero le osser- vazioni contenute nella Nota precedente. Nondimeno, giudicai opportuno di conservare la Nota per chi co- noscesse l’ opuscolo, e nulla sapesse di queste recenti sperienze. Sono ben lieto del resto di vedere che l’egregio autore siasi ricreduto e di poter addurre anche la sua testimonianza a maggior conferma dei mici argomenti. PARTE QUARTA APPLICAZIONE ALLE MACCHINE TERMODINAMICHE 8 1. Macchine termodinamiche. — 2. Maniere di adoperare il calore come forza motrice. — 3. Necessità che la sostanza adoperata come strumento all’azione del calore, non sia esposta, mentre funziona, a perdite di calore per contatto o per irradiazione. — 4. Paragone dei varii corpi che si ponno adoperare in una macchina termodinamica sotto l'aspetto della loro attitu- dine specifica a convertire in lavoro esterno una parte più o meno grande del calore ricevuto. — 5. Altre condizioni importantissime cui deve sod- disfare il corpo da adoperarsi in una macchina termodinamica. — 6. Mae- chine a ciclo compiuto. Esempii. — 7. Condizione di perfetta reversibilità, — 8. In qualunque macchina termodinamica che funzioni a perfetta reversi- bilità, a parità di temperatura sì della sorgente di calore che del refrigerante, di una stessa quantità di calore sottratta alla sorgente, ne passa sempre la stessa frazione al refrigerante. — 9. Funzioni e vantaggi del condensa- tore nelle motrici a vapore. Limite pratico della condensazione. — 10. De- scrizione ed ufficio del rigeneratore del calore nelle macchine ad aria calda. — 11. Misura del lavoro esterno che ha luogo nell’espansione continua di una massa gasosa di cui non cambii la temperatura. — 12. Rapporto tra il consumo utile ed il consumo effettivo di calore in una macchina a ciclo compiuto dedotto dalla considerazione del ciclo di una macchina di Ericsson. — 13. Conferma del risultato avuto nel numero precedente ottenuto col prendere in esame il ciclo di una macchina di Stirling. — 14. Vantaggi e difetti delle macchine ad aria calda. — 15. Perfezionamenti successivi delle macchine a vapore. Macchine ad espansione. — 16. Macchine a vapori combinati. — 17. Macchine a vapore surriscaldato. — 18. Motori a gas di Lenoir, di Barsanti e di Hugon. — 19. Motori elettromagnetici. 4.° Si dicono macchine termodinamiche quelle dove il calore fun- ziona come forza motrice e dove quindi si ottiene un determinato R. FERRINI , DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 59Ì effetto meccanîco col dispendio di una certa quantità di calore. Il criterio della convenienza relativa di una macchina sarà manifesta- mente somministrato dal paragone tra il consumo del calore ed il lavoro utile che essa fornisce, e la discussione dei mezzi di rendere possibilmente minore il detto consumo, a parità di effetto utile, indicherà i perfezionamenti di cui essa è suscettibile e segnerà la via più acconcia a raggiungerli, trattenendo gli sforzi degli inven- tori dal forviare in inutili tentativi. 2.° Si riducono a duc le maniere conosciute di adoperare il calore come forza motrice. La prima consiste nel servirsi di un corpo di cui si modificano le condizioni fisiche, variandone la temperatura. Questo corpo vien posto alternativamente a'contatto ora con una sorgente di calore ed ora con un corpo freddo, che chiameremo il refrigerante, il quale può essere, ed è in molti casi l'atmosfera; le cose si dlispongono in modo che il corpo nel dilatarsi mentre viene scaldato, o nel restituirsi alle condizioni fisiche iniziali, quando si raffredda, abbia a superare una data resistenza rimovendone i punti di applicazione. Il movimento così prodotto, opportunamente trasfor- mato secondo il caso, si utilizza a raggiungere l’ effetto meccanico che si ha di mira. L'altra maniera-si fonda sull’ uso intermediario della elettricità, Riservandoci a far in ultimo qualche parola dei motori termodinamici di questa seconda specie, fermeremo particolarmente la nostra alten- zione sugli altri, dove il movimento è prodotto mediante le alterna- tive variazioni di volume di un corpo, perchè questi presentano un interesse industriale di gran lunga maggiore. 3.° Qualunque sia la sostanza adoperata come strumento alla forza motrice del calore, è chiaro che per cavarne il massimo effetto uti- le, si dovrà anzitutto procurare che durante la sua azione essa non si trovi nè a contatto di corpi a temperatura più bassa della sua, nè esposta ad irradiare calere; altrimenti il calore che così cede- rebbe sarebbe tutto a scapito dell’effetto meccanico che è destinata a produrre. Nelle macchine a vapore, per conservare le pareti del cilindro ad una temperatura non più bassa di quella del vapore, si circonda qual. 332 R. FERRINI, che volta il cilindro di un inviluppo, riempiendo di vapore l' inter- vallo tra questo ed il cilindro; altre volte si limita ad avvolgere. il cilindro di materie poco conduttrici del calore, accontentandosi del riscaldamento prodotto per la liquefazione della piccola quantità di vapore che si condensa a contatto delle sue pareti. Nelle macchine ad aria calda, il cilindro, per una simile ragione, è direttamente esposto ali’ azione del fornello, ciò che per altro ha l'inconveniente di deteriorarlo ben presto : si potrebbe invece, come suggerì l'ingegnere Lissignol, circondario pure di un inviluppo ana- logo a quello del cilindro delle macchine a vapore, mantenendo con- tinuamente pieno di aria calda l'intervallo tra l’inviluppo ed il ci- lindro. ; 4.° Veniamo adesso ad occuparci un po’ in dettaglio della sostanza da adoperarsi come strumento all’azione del calore. Qualunque ne sia la natura, la dobbiamo considerare semplicemente come un or- gano meccanico, e, secondo i principii che si sono stabiliti, potremo dire che si esigerà sempre la stessa quantità di calore a produrre un determinato lavoro utile. Ma questo lavoro non si può ottenere se non variando. la tempera- tura, il volume e in generale le condizioni fisiche di quella sostanza: effetti tulti che importano sempre un commisurato dispendio di calore. Perciò, se indicheremo con Z; il lavoro interno di dilatazione della sostanza adoperata, comprendendovi anche l’ effetto dell’ innalzamento della temperatura, e con Z, il lavoro motore che se ne otterrà in un dato tempo, il consumo effettivo di calore in questo tempo, sarà espresso in generale dal quoziente Li + Lm E 9 dove £ rappresenta al solito l'equivalente dinamico del calore. Que- sto risultato ci avverte che non tutte le sostanze presentano un egual grado di convenienza, ma che, in generale, il lavoro utile ritraibile da una di esse, per una data quantità di calore, sarà tanto più pic- colo quanto più vi sarà considerevole il lavoro interno di dilatazione. Attesa l'energia delle forze molecolari il lavoro interno riesce as- sai rilevante nei corpi solidi e liquidi: la piccolezza della loro dila- ld DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE d09d tabilità non permette d’altronde che piccoli smovimenti della resi- stenza; perciò in generale queste specie di corpi non vengono ado- perate nelle macchine termodinamiche. In alcuni casi particolari però, dove non si ha bisogno di smuovere una resistenza con grande velo- cità, ma di esercitare invece gagliardi effetti di pressione o di tra- zione, si ricorre vantaggiosamente all’uso di spranghe di metallo. La coniatura di medaglie prodotta appunto con tal mezzo da Beu- dant ed il modo ingegnoso, descritto in tutti i trattati di fisica, con cui l'ingegnere Molard raddrizzò le muraglie opposte d'una sala a terreno del Conservatorio d’ Arti e Mestieri di Parigi le quali s° erano inclinate all'infuori, ne sono splendido esempio. In generale, i corpi che vengono adoperati come intermediarii al- l’azione del calore sono gas o vapori; la proprietà che hanno di raffreddarsi quando si espandono superando una resistenza, cioè di convertire naturalmente in lavoro meccanico porzione del calore sensibile che contengono, insieme all’ altra dalla grande loro dilata- bilità, sono i titoli principali per cui vengono preferiti agli altri corpi ed esclusivamente adoperati. Tra queste due classi di corpi poi, i gas, dal punto di vista donde abbiamo preso a considerarli, si mostrano molto più vantaggiosi dei vapori; difatti oltrechè il lavoro interno nei primi è minore che nei secondi, questi non si hanno direttamente ma bisogna produrli dai liquidi. A ciò è duopo scaldare il liguido sino alla temperatura della vaporizzazione; indi somministrargli il calore che si consuma nel cambiamento dello stato fisico e che in gran parte vien speso nel disgregare le molecole liquide, epperò inutilmente per l’effetto a cui è destinata Ja macchina. La sola parte del calore ricevuta dal liquido che riesce utilizzabile come forza motrice in una macchina termodi- namica è quella impiegata a produrre l'espansione del volume che ha luogo nella vaporizzazione contro l'effetto della pressione esterna, Appunto in relazione a ciò, si chiama potere dinamico di un vapore il prodotto della pressione corrispondente alla temperatura #° della vaporizzazione, per il volume relativo del vapore, cioè per il rap- porto tra la densità del liquido e quella del vapore riferite entrambe a quelle dell’acqua a 4°C e ritenuto tanto il liquido che il vapore ST 5I È. FERRINI, alla temperatura £.° Rappresentando quiadi con C, le calorie richie- ste a scaldare un chilogramma di un liquido dallo zero termometrico alla temperatura £.° della sua vaporizzazione sotto una determinata pressione P e con ©, quelle assorbite nella sua vaporizzazione, la spesa totale di calore necessaria a produrre un chilogramma di va- pore saturo a {° sarà espressa dalla somma C, + €, ; mentre, in- dicando con 7 il volume relativo del vapore, la parte di questa somma che si potrà adoperare come forza motrice sarà espressa dal Cs + Co fetto utile che si potrà ritrarre da una caloria impiegata a trasfor- mare il liquido considerato in vapore saturo sotto la pressione ?. PIV. PISIGARE ai rapporto E Il rapporto esprimerà dunque il massimo ef- Ritenendo che la pressione P sia quella di un’ atmosfera e, valendosi dei dati somministrati dalle ricerche di Regnault, di Favre e di Sil- bermann, si può calcolare facilmente il lavoro utile di una caloria impiegata a vaporizzare un determinato liquido sotto quella pressione. Si ottengono allora i risultati seguenti (1): Liquido Lav, utile | Liquido Lav. utile Acido solforoso ch. m. 37,12 | Etere acetico ch. m. 416,60 Etere etilico » 52,28 | Alcool amilico » 48,94 Alcool metilico —» 30,16 | Terebenteno » 146,60 Mercurio » 29,25 | Jodio » 30,81 Acqua n 27,57 | Solfo » 44,91 Alcool etilico 7.1 28,26 Basta paragonare questi numeri con quello di 423 chilogrammetri che potrebbe fornire una caloria qualora venisse tutta e direttamente trasformata in lavoro utile per vedere quanto sia piccola la parte del calore consumato che si può utilizzare nel movimento di una mac- china col mezzo dei vapori. Se la pressione a cui si produce il vapore è superiore a quello di un'atmosfera, l’effetto utile del calore impiegato a produrlo si fa un 1) Gantoni. Memoria citata. DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE DIb po maggiore e cresce al crescere della pressione, però assai lenta- mente. 5.° Pertanto, non avendo riguardo che all’ attitudine di trasformare in Javoro motore una quantità più o meno grande del calore ricevuto, si può dire che a paragone di tutti gli altri corpi i gas son di gran lunga i più convenienti. Essendovi trascurabile il lavoro interno di dilatazione, basta somministrar loro il calore necessario ad elevarne la temperatura al grado richiesto e questo calore si può im seguito convertire interamente in effetto utile, facendo che il gas, espan- dendosi nel rimuovere una data resistenza, riprenda esattamente le condizioni iniziali di temperatura e di pressione. Se non che nello scegliere la sostanza da adoperarsi in una mac- china termodinamica, importa di tener conto di altre circostanze, il concorso delle quali può scemare di molto od anche annullare il van- laggio offerto da una sostanza a fronte di un’altra per la possibilità di trasformare in lavoro utile una maggior parte del calore consumato, Le più importanti di tali circostanze sono quelle che riflettono il co- sto e le proprietà chimiche della sostanza da scegliersi. Deve essere questa, in primo luogo, assai diffusa in natura ed ottenibile sempre con pochissima spesa; non deve, in secondo luogo, esercitare un’ a- zione chimica considerevole sui corpi con cui verrà posta a con- tatto, almeno entro i limiti di temperatura tra cui la si farà funzio- nare; altrimenti, il suo prezzo d’ acquisto, se non è soddisfatta la prima condizione ed il dispendio importato dal rapido deteriorarsi delle parti della macchina destinate a contenerla, se non è adem- piuta la seconda, potranno rendere illusoria l’ economia presumibile per la sua proprietà di utilizzare una gran parte del calore assorbito. Un argomento di fatto dell'importanza che giustamente si attribui- sce alle esposte condizioni, è questo che i corpi pressochè esclusi- vamente adoperati nell'industria si riducono al vapor acqueo ed al- l’aria. Il primo poi è usato sopra una scala senza paragone più vasta dell'altro sebbene l’aria si trovi dovunque e in condizioni sensibil- mente costanti, ciò che non può sempre dirsi dell’acqua, appunto in causa dell’ energica azione ossidante esercitata dall'aria a tempe- ratura elevata sulle superficie metalliche con cui si trova a contatto, 536 R. FERRINI, 6.° Del resto l’importanza che può avere la differente attitudine delle diverse sostanze di trasformare in lavoro motore una porzione più o meno rilevante del calore assorbito, è meno reale di quello che parrebbe a primo aspetto o si puo a festa di molto in pratica, come stiamo per dire. Allorchè il corpo adoperato come intermediario all’azione del ca- lore, dopo essere stato scaldato, si raffredda e ritorna alle condizioni fisiche primitive, la variazione della temperatura ed il lavoro interno di dilatazione si compiono in senso inverso ma nella stessa misura di prima. Alla fine della trasformazione, le molecole sono ritornate alle rispettive posizioni iniziali, la velocità dei moti termici molecolari è ancora la stessa di prima per cui, risultando allora nulla la varia- zione della somma delle forze vive corrispondente a questi effetti, deve pure essere nulla la somma algebrica delle quantità di calore corrispeltive; in altre parole, il corpo nel raffreddarsi. restituisce tutto il calore che nella prima fase della trasformazione era stato assor- bito dall’innalzamento della temperatura e dal lavoro interiore. Ciò posto, dimostreremo quanto prima che il rapporto tra il con- sumo utile di calore ed il consumo effettivo riesce affatto indipen- dente dalla qualità e dal modo di comportarsi della sostanza adope- rata, semprechè siano adempiute le seguenti condizioni: 1.° che la temperatura della sorgente e del refrigerante e quindi i limiti tra cui oscillerà la temperatura della sostanza impiegata siano sempre le stes- se; 2.° ehe dessa non sia posta durante la sua azione a contatto di corpi a temperatura diversa della sua; 3.° che in capo a ciascun pe- riodo riprenda esattamente, entro Ja macchina, le condizioni fisiche primitive. Se l’ultima condizione è soddisfatta si dice che la sostanza ha subito un ciclo compiuto di trasformazioni. Un esempio di un cicto completo lo abbiamo nelle macchine a vapore a condensazione giunte al periodo di attività normale, dove, come si è notato nella Parte Terza parlando degli esperimenti di Hirn, a ciascun colpo di stantuffo vien tolta al condensatore una certa quantità d’acqua e vi si liquefa del vapore restituendovi la stessa quantità d’acqua alla inedesima temperatura. Si può figurarsi che sia sempre la stessa massa di vapore che circoli nella macchina DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE SII dal refrigerante alla caldaja sotto forma liquida per mezzo della tromba alimentare, e dalla caldaja al refrigerante sotto forma gasosa passando per il cilindro, e difatti, parlando astrattamente, non v' è nessuna necessità di cambiare quella massa di vapore più che non ve ne sia di mutare un ingranaggio od altro organo trasmettitore a ciascun periodo del movimento di una macchina. Per mezzo di que- sto vapore, a ciacun colpo di stantuffo, una determinata quantità di calore passa dalla sorgente al condensatore, ed una parte si converte in lavoro. Prendiamo un altro esempio. Una macchina calorica e ad aria calda costrutta secondo il sistema del capitano svedese Ericsson si compone in sostanza di una o di più coppie di cilindri collocati a due a due l'uno verticalmente sotto l’altro per modo che i loro assi coincidano: il cilindro inferiore di ciascuna coppia che si chiama il cilindro motore ha una sezione maggiore, per lo più circa una volta e mezza, di quella dell'altro che vien detto il cilindro alimentare. In ciascun cilindro si trova uno stantuffo che può ricevere un moto verticale alternativo e i due stantuffi sono invariabilmente collegati tra loro, cosicchè salgono e scendono insieme. Al discendere dei due stantuffi, per una valvola situata nell’ embolo superiore ed aprentesi all’insu, il cilindro alimentare si riempie di aria esterna; quando gli stantuffi salgono, quella valvola si chiude e se ne apre un’altra, che prima rimaneva chiusa, per cui il cilindro alimentare mediante un apposito condotto communica con un serbatoio posto inferiormente al cilindro motore. L’aria ch'era entrata nel cilindro alimentare, compressa al salire dello stantuffo, viene spinta nel serbatojo; di qui passa al cilindro motore traversando un apparecchio denominato rigeneratore del calore, che si descriverà più innanzi, dal quale viene fortemente e rapidamente scaldata senza che ne varii in modo sen- sibile la pressione. La fiamma ed i prodotti della combustione di un fornello avvolgono il cilindro motore, dove entrando l’aria calda dalla parte inferiore e continuando a scaldarsi produce la salita dei due stantuffi; a un dato punto della loro corsa viene intercettata la comunicazione del cilindro col serbatoio, ufficio principale del quale e di mantenere più che sia fattibile costante la pressione dell’ aria Vol... VI. 22 338 R. FERRINI, durante la sua immissione nel cilindro. Il resto della corsa si compie per l'espansione dell’aria entrata nel cilindro, ed al termine di essa, quell’aria sfuggendo dal cilindro è costretta a traversare in senso inverso il rigeneratore a cui cede gran parte del calore che le era rimasto. intanto il cilindro alimentare si riempie di muovo d’aria fredda mentre i due stantuffi ridiscendono e si ripetono poi da capo gli stessi movimenti di prima. Ìl movimento alternativo impresso ai due stantuffi si può trasformare e rivolgere ad uno scopo determinato come quello prodotto nello stantuffo di una macchina a vapore. Anche qui, almeno astrattamente, non vi è necessità di mutare l’aria adoperata a ciascun colpo di stantuffo, e si può supporre che sia sempre la stessa massa d’aria la quale circoli dal serbatoio dov’ è compressa al cilindro, scaldandosi nel traversare il rigeneratore; poi, sollevato lo stantuffo, riflnisca dal cilindro al serbatoio, raffreddandosi nel traversare inversamente il rigeneratore; allora si potrebbe dire che il ciclo delle trasformazioni subite da quell’aria consiste nell’ es- sere prima scaldata a pressione costante mentre viene introdotta nel cilindro, poi lasciata espandere senza raffreddarsi mentre seguita a sollevare lo stantuffo dopo che ne è intercettato l’ afflusso nel cilin- dro; quindi raffreddata a pressione costante nel rigeneratore e in fine ridotta colla compressione alle condizioni iniziali rientrando nel serbatoio. In simil guisa considerando una macchina calorica secondo il si- stema di È. Stirling si può dire che il periodo delle trasformazioni che vi riceve l’aria è il seguente: essa viene prima scaldata a vo- lume costante, poi dilatata a temperatura costante, ricondotta alla primitiva temperatura sotto il nuovo volume e in fine ridotta per compressione al volume iniziale senza cambiamento di temperatura. 7.° In generale dunque in una macchina termodinamica a ciclo completo, a ciascun periodo della sua azione verrà sottratta alla sor- gente una certa quantità di calore una parte della quale si consuma nella produzione di un lavoro meccanico ed il resto sarà ceduto al refrigerante dalla sostanza adoperata, quando questa, al compiersi. di una determinata serie di trasformazioni, riprenderà le condizioni? fisi- che iniziali. Ora, se una qualunque delle operazioni del cielo si com- DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 539 piesse nella stessa misura ma in senso contrario di prima è chiaro che fornirebbe un risultato eguale ed opposto a quello prodotto nel modo consueto, e che perciò rovesciando il modo di funzionare della mac- china, cioè ripetendo successivamente le operazioni del ciclo nell’or- dine inverso ed in senso opposto, il risultato che si dovrà ottenere alla fine di un periodo sarà pure eguale e contrario a quello che se ne ha coll’ordinario andamento della macchina. Tale risultato non sarà dunque altro che il trasporto alla sorgente di una quantità di calore eguale a quella che prima ne veniva sottratta; quantità che sarà in parte fornita dal refrigerante ed in parte sviluppata col dispendio di un lavoro meccanico eguale a quello che prima veniva compiuto. Non faccia maraviglia la conclusione che dal refrigerante in tal caso debba passare calore alla sorgente, perchè il trasporto di calo- re, come appare dal discorso fatto, si opera mediante la sostanza interposta e coll’impiego di un lavoro meccanico, il quale vi può sempre produrre tali modificazioni molecolari da renderla momenta- neamente più calda della sorgente e quindi atta a cederle calore. Ben altrimenti starebbe la cosa se si trattasse di una cessione di ca- lore fatta da un corpo freddo a un corpo caldo senza nessun dispea- dio di lavoro, perchè si potrebbe allora riguardare come evidente l'impossibilità di un tale fenomeno. La conclusione a cui ci ha condotti l'ipotesi deli’ inversione del- l'ordine del ciclo, si suol esprimere dicendo che le macchine termo- dinamiche a ciclo completo sono dotate di perfetta reversibilità. 8.° Ciò posto, veniamo a dimostrare la proposizione avanzata al N. 6, provando come la quantità di calore, che durante un periodo passa dalla sorgente al refrigerante in una macchina a ciclo compiuto, debba essere indipendente dalla sostanza adoperata come strumento all’azione dei calore, purchè le temperature della sorgente e del refrigerante siano le siesse. Supponiamo se è possibile, che due sostanze differenti Sed S' in una macchina dotata di perfetta reciprocità ed a pari temperatura tanto della sorgente che del refrigerante diano iuogo a due differenti quantità di lavoro Z ed £' per una stessa quantità Q di calore tolta alla sorgente, perchè cedono al refrigerante differenti quantità di SUO R. FERRINI. calore. Ritenuto che sia Z > //'; immaginiamo che si faccia funzio- nare per la prima la sostanza S; quando la sorgente avrà sommini- strato la quantità Q di calore si sarà ottenuto un lavoro esterno Z ed il refrigerante avrà ricevuto una quantità di calore espresso da L S H9 WILL RI seal; Q— DI essendo £ al solito l'equivalente dinamico del calore. Fingiamo che ora si surroghi la £' colla sostanza «£.' e che si ro- vesci il modo di funzionare della macchina; quando la sorgente avrà ricevuto la quantità Q di calore si sarà speso a questo effetto un J ) . ‘ . . ‘ . L . lavoro Z’ col quale si sarà sviluppata la quantità di calore E ed il / . . nl L x . e resto di quel calore, cioè Q —-—sarà stato fornito dal refrigerante. La sorgente avrà così riacquistato il calore ceduto; ma il refrige- rante, che durante l’azione della sostanza S' aveva ricevuto la quan- ARA SEDE FIA lità di calore Q— grana perduta, durante |’ azione dell’ altra, la : ri ARA LO quantità di calore Q — E evidentemente maggiore della precedente. Così, il risultato finale sarebbe il trasporto dal refrigerante alla sor- . . ‘ . . L-L' Li gente di una quantità di calore espressa dalla differenza Ter e ciù 2] senza alcun dispendio di lavoro meccanico. Ma tale conseguenza si può riguardare come assurda, dunque si può dire che malgrado la diversità delle sostanze S ed S.' dovrà essere L= Z' e che perciò in una machina termodinamica a ciclo completo, qualunque sia la ‘sostanza adoperata, fra gli stessi limiti di temperatura della sorgente e del refrigerante, di una stessa quantità di calore fornita dalla sor- gente, ne verrà sempre convertita la stessa frazione in lavoro mec- canico ed il resto ceduto al refrigerante. 9.° L’ordine delle idee sviluppate ci porta adesso a discorrere degli apparecchi diretti a compiere il ciclo delle trasformazioni nelle mac- chine a vapore e ad aria calda e ad indagare se o no raggiungano pienamente lo scopo. Il primo di tali apparecchi, detto il condensa- tore consiste, come è notissimo, in un vaso dove passa il vapore dopo aver agito nel cilindro, Un continuo zampillo d’acqua fredda serve DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE Sol a liquefarlo, e acqua calda che si ottiene dalla condensazione, per mezzo della tromba alimentare, viene poi versata nella caldaja. Si raggiungono così due vantaggi ! uno di diminuire di molto la pres- sione nociva sullo stantuffo in confronto di quando il vapore si sfoghi direttamente dal cilindro nell’ atmosfera, e l’altro di utilizzare le ca- lorie di vaporizzazione contenute nel vapore e restituite nella lique- fazione, a scaldare l'acqua fredda injettata la quale insieme a quella. proveniente dalla condensazione, viene poi adoperata ad alimentare la caldaja. Se non vi fossero perdite di calore per disperdimento di vapore, per irradiazione o per contatto sia del vapore sia dell’ acqua calda con corpi a temperatura più bassa il consumo di calore corrispon- dente al cambiamento dl stato fisico dell’acqua non si avrebbe che una volta sola, cioè quando al sospendere l’azione della macchina questo calore andrebbe disperso, mentre nel periodo della sua azione normale, sarebbe contemporaneamente assorbito da una parte e re- stituito dall’ altra, e basterebbe che allora il focolare somministrasse ad ogni colpo di stantuffo la quantità di calore commisurata alla somma dei lavori che intanto si compiono nella macchina. È però evidente che in realtà il perfetto compenso tra il calore consumato dalla vaporizzazione nella caldaja e quello riprodotto nel condensatore non sarà mai possibile, e che d'altronde il movimento sì della tromba alimentare, che dell’ altra che infetta l’acqua fredda necessaria alla condensazione rappresenteranno una somma di lavori esterni che sarà tutta a diminuzione dell’ effetto utile della macchina. Il condensatore dunque non restituirà mai interamente il calore con- sumato sia nel cambiamento dello stato fisico dell’ acqua sia nei lavori interni di dilatazione: e ciò, prima, per le inevitabili perdite di calo- re; e poi perchè, anche prescindendo da queste, il calore versato nel condensatore da un dato peso di vapore non si potrà mai dirlo eguale a quello richiesto a scaldare e vaporizzare un egual peso d’acqua, tra gli stessi limiti di temperatura, a motivo del dispendio di lavoro necessario alla sua condensazione, dispendio di lavoro che rappresenta un commisurato consumo di calore. Quanto maggiore sarà la tensione del vapore e però più elevata la sua tempera- 549 R. FERRINI, tura tanto più considerevole dovrà essere il lavoro sì della tromba alimentare per rifornire d’acqua la caldaja che della tromba d’im- missione d’acqua fredda nel condensatore per mantenervi una tem- peratura abbastanza bassa; altrimenti colla tensione del vapore nel condensatore crescerebbe la pressione nociva contro l embolo. È si noti che questa pressione nociva cresce pur anco se si abbassi di molto la temperatura del condensatore spingendovi una conveniente “quantità di acqua fredda, per lo svolgersi dell’ aria contenuta in que- sta, la quale in alcuni casi arriva persino ad ‘/, del suo volume. Pertanto, assorbendo la condensazione una parte dell’ effetto utile della macchina, tanto più rilevante quanto più alta è la pressione del vapore, il vantaggio che essa presenta, mentre è considerabile per le basse pressioni si va facendo sempre più piccolo al crescere della ‘pressione, e ciò è tanto vero che in pratica il condensatore non viene in generale applicato ad una motrice dove il vapore debba funzionare ad una tensione superiore alle 3 atmosfere. 10.° Venendo ora alle maechine ad aria calda dove si solleva uno stantuffo per l'espansione di una certa quantità d’aria previamente scaldata ad alta temperatura, tutto il calore che si è dovuto som- ministrare a quest'aria potrebbe teoricamente tramutarsi in lavoro motore spingendone ad un grado sufficiente la dilatazione. Ma un. complesso di circostanze di fatto, agevole ad immaginarsi, sopra tutto la necessità di conservare al gas una tensione sufficiente a renderne agevole lo sfogo nell’atmosfera dopo d’ aver agito sullo stantuffo, od a farlo rifluire in un serbatojo, rende impossibile la completa utiliz- zazione di quel calore, e si è costretti di lasciar sfuggire Varia dal cilindro ad una temperatura ancora considerevole: il calore traspor- fato via da quest’aria rappresenta quindi una perdita riflessibile di forza motrice. Hl problema di togliere od almeno di rendere molto minore questa perdita fu risolto in una maniera elegantissima col- l'invenzione di un apparecchio fondato sulle proprietà delle tele me- talliche studiate da Davy. Supponiamo che trasversalmente al condotto per cui si sfoga nell’atmosfera Varia calda all’ uscire dal cilindro, si trovi un pacco di tele metalliche strettamente serrate tra loro e di un conveniente spessore, il quale ne occupi tutta la luce. L'aria che DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 545 supporremo sboccare dal cilindro a 7°.° attraversandone i successivi strati, vi cederà una porzione del suo calore e ne eleverà la_tem- peratura al dissopra della iniziale £° fino all'ultimo che rimarrà a questa temperatura se la grossezza del pacco sarà sufficiente. Poniamo ora che il medesimo condotto debba essere percorso in direzione opposta dall'aria esterna a £.° per accedere al serbatoio dove sarà raccolta prima di passare nel cilindro. Mentre lo stantuffo discende, una quantità d’aria eguale a quella ora uscita sarà chiamata nel serbatojo e dovendo traversare in senso inverso quel pacco di tele, ne riceverà calore in misura crescente dagli strati successivi, per cui entrerà nel serbatojo ad una tempe- ratura t’° maggiore di /.° sebbene minore di 70 Il fornello non dovrà quindi fornirle che la quantità di calore ne- cessaria per portarla a 7°.° Compiuta un altra corsa di stantuffo, una nuova quantità d’aria sarà espulsa dalla macchina e trapassando il pacco dove le temperature dei varii strati, meno l’ultimo, saranno rimaste superiori a £.° li scalderà ancora un po'di più, cosicchè la nuova quantità d’aria chiamata dall’ esterno al discendere dello stan- tuffo, arriverà questa volta nel serbalojo ad una temperatura £./?° maggiore di £'° e richiederà quindi una minore quantità di calore per essere portata a 7°° Così le temperature delle successive tele che compongono il pacco andranno crescendo a ciascun nuovo colpo di stantuffo e Varia che affluirà al serbatojo vi arriverà a tempe- ratura sempre più alta, richiedendo dal focolare una quantità di calore di mano in mano più piccola per essere scaldata a 7°° Dopo un certo numero di colpi di stantuffo, la quantità di calore rice- vuta dall’aria esterna nel traversare le tele di metallo. dovrebbe eguagliare quella che vi è ceduta dall'aria espulsa, ed allora non vi sarebbe più nessuna perdita di calore se si potesse impedire |’ ab- bassamento di temperatura del pacco per irradiazione e per altre cause. Però, se la frazione della quantità di calore abbandonata dall’ aria uscita che il fornello dovrà somministrare a quella che entra nella macchina, a rigore non può mai ridursi a zero, la si può sempre rendere assai piccola e la pratica ha costatato che può ridursi a meno di ‘/5o delia detta quantità. SU R. FERRINI, Tale apparecchio refrigerante immaginato da Stirling ha ricevuto il nome di rigeneratore del calore e si trova applicato tanto nelle macchine ad aria calda secondo il sistema di Stirling, che in quelle sul sistema di Ericsson. Si potrebbe adoperare all’uopo un corpo poroso quale si fosse, per es.: delle bacchette di vetro fortemente serrate insieme, ma a motivo della maggiore conduttività si preferi- sce comporlo di fitte tele metalliche compresse una contro l'altra quantunque siano prontamente deteriorate dall’ azione ossidante del- l’aria calda. Alla maggior efficacia del rigeneratore è necessario che le correnti d’aria effluenti ed affluenti lo incontrino in direzione nor- male alle sue faccie; i metalli più convenienti a comporlo sono quelli meno ossidabili ed insieme migliori conduttori del calore, per es.: il rame e l’ottone; i fili componenti le tele devono essere assai fini, e Ie maglie assai serrate. È mirabile la prontezza con cui l’aria si scalda o si raffredda nel traversare questo apparecchio non rice- vendone che una lievissima diminuzione di pressione. In una mac- china del sistema di Ericsson descritta dal signor ingegnere Lissignol, il rigeneratore era costituito da un pacco, dello spessore di 0,"20 for- mato di una tela di fili di ferro del diametro di 1." ripiegata so- pra sè stessa per modo da presentare 120 fogli sovrapposti l'uno al- l’altro ciascuno delle dimensioni 1,60 per 0.240, La tela contava circa quattrocento fori per decimetro quadrato e i fori dei varii fo- gli non si corrispondevano, Il peso del rigeneratore era di 52 chilo- grammi. Il signor Lissignol attesta il fatto del quasi istantaneo raf- freddamento dell’aria uscente dal cilindro fra 300.° e 400.°C. che nel traversare il rigeneratore si riduceva a circa 100.°C, temperatura alla quale veniva abbandonata, e così pure quello del riscaldamento quasi istantaneo dell’aria esterna nel traversare in senso opposto lo stesso apparecchio. 11.° Supponiamo ora che in luogo di cambiare la sostanza adope- rata come veicolo del calore in una macchina a ciclo compiuto, vi si facciano variare le temperature della sorgente e del refrigerante e cerchiamo quale influenza potranno esercitare queste variazioni sul rapporto tra la quantità di calore effettivamente perduta dalla sorgente a ciascun periodo e quella commisurata al lavoro-motore che DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 545 se ne ottiene. Prenderemo perciò in esame una qualanque delle mac- chine caloriche, per es.: quella di Ericsson e considerando le fasi del suo ciclo particolare cercheremo di stabilire una relazione tra il rapporto in discorso e le temperature della sorgente e del refri- gerante. Questa relazione ci darà la legge dell'influenza doman- data, ed esprimerà insieme un valore di quel rapporto in corrispon- denza a due temperature individuate, non solo per questa ma an- che per un’altra macchina termodinamica quale si sia purchè a cielo compiuto. Ma a questa ricerca , gioverà premettere, come lemma, la deter- minazione del lavoro esterno che accompagna l'espansione di una massa gasosa la quale si dilati in modo continuo da un volume © ad un volume o’ senza cambiare di temperatura, e mentre quindi si ve- rifica una continua e corrispettiva diminuzione di pressione esterna, secondo la legge di Mariotte. l'ormiamo una progressione geometrica crescente, i cui termini estremi siano v e 9‘; indicando con 2 la ra- gione arbitraria di tal progressione , i suoi termini successivi saranno 2 x cr4. 1 (a) OPTIO ARIA RELATORE] DE Denominando p e p' le pressioni iniziale e finale del gas considerato, ed ammessa come esatta la legge di Mariotte, i valori della pressione corrispettivi a quelli del volume espressi dai termini della progres- sione (a) costituiranno pure una progressione geometrica, ma decre- scente i di cui termini saranno per ordine. Palo i Pi lari ZI RE RI IA Zeri ] cat) Rappresentiamo ora con 4, la, l3.... ly ....ilavori esterni che hanno luogo nelle successive dilatazioni dal gas mentre il suo volume passa ordinatamente dall’ una all’ altra delle grandezze espresse dai termini consecativi della (a), e con Z il lavoro esterno totale che ac- compagnerà la sua espansicne dal volume v al volume v', sarà mani- festamente: L=Uh+hn+...+le+.+ ha indicando con n il numero dei termini della (a). Considerando uno quale si voglia tra i lavori /,, la, (3, ecc., per esempio, il lavoro L, è chiaro che esso sarà senza dubbio minore di quello che risulte- 546 R. FERRINI , rebbe supponendo che mentre il volume cresce da vz* a pz7*i la pressione rimanesse costante ed eguale a I e che sarà invece mag- giore del lavoro che avrebbe luogo se, durante lo stesso incremento del volume, la pressione fosse pure costante ma eguale a ei Ora, se la pressione fosse costante , il lavoro esterno sarebbe misurato dal prodotto della pressione per l'incremento del volume. Potremo dun- que stabilire le ineguaglianze: p lo<(vzr+H1 — vz®) a ly> (vztH1 — vzr) È zXr4A od anche 1 lg p.v. “ 9 I limiti tra cui risulta compreso /, sono indipendenti da x, ciò che significa evidentemente che i lavori che si sono espressi con l l) lz...... sono tutte eguali tra di loro e che quindi Z=n /, . Sarà dunque: L po 00. — p (£ log. 2 n) p ( * zlog z 9 Mi. Queste disuguaglianze dovendo verificarsi qualunque sia z., purchè ed n=l1+ : . : 4 maggiore dell’ unità, poniamo z=1 dig ed osservando che "rr log.20:log:z3—4 e che similmente DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 547 potremo scriverle nel seguente modo 1 v' 4 4 v' LI Mi piego I L> pv — +92 —;-al ly 0) log.(1+-) | 1 +y log.(1-+ %) | Supponendo che y cresca indefinitamente, con che z diminuirà pure i VITTO indefinitamente, restando però sempre > 41, i termini SA 4 Y ( geranno entrambi verso lo zero, mentre i’ espressione (1 sala andrà convergendo verso il numero e base dei logaritmi iperbolici (Vedi i Ra, Bèrtrand, Trattato di algebra elementare ) e perciò log (1 A con- vergerà verso log. e (Vedi lo stesso trattato). Osservando ora che aly 1 AI LE no Prelude fe log. (147) = log. (tek 7) log (1-+,,) e che dei due termini del secondo membro, al crescere di y, il primo converge verso log. 4 che è zero ed il secondo verso log e, neficonchiuderemo che le due espressioni tra cui è compreso il va- lore di ZL facendo crescere indefinitamente y, vanno convergendo entrambe verso il limite comune, was. rv. log. — | Ì Ie Ma per quanto sia grande il valore attribuibile ad y, il valore di £ dovrà essere compreso tra quelle due espressioni e si accosterà poi tanto più sì all’una che all’altra di loro, quanto più grande sarà yy; il che esige che sia pv. v' (4) L= log. — log. e. (o) Si ha così l’espressione del lavoro domandato in funzione dei volumi iniziale e finale del gas e della pressione iniziale. Si può averne fa- cilmente un’altra in funzione del volume iniziale e delle pressioni LIO iniziale e finale osservando che per la legge di Mariotte, -=, per A cui sarà anche 548 R. FERRIN, 12.° Rammentiamo il cielo particolare delle trasformazioni che su- bisce l’aria in una macchina calorica secondo il sistema di Eriesson. Siano ©, P,o Ly per ordine il volume, la pressione e la tempe- ratura dell’aria nel serbatojo; e C il prodotto della sua massa per il suo calore specifico a pressione costante. Si può distinguere il cielo in queste quattro fasi. 1.° L’aria viene scaldata a pressione costante nel traversare il ri- generatore e nell’affluire al cilindro motore fino ad una temperatura #13 intanto il suo volume crescerà e diverrà vi. In quest’ operazione l’aria avrà ricevuto dalla sorgente la quantità di calore C (£f1— bo) e si sarà prodotto un lavoro esterno espresso da p, (P1 — 0g). 2.° L’aria si espande, restando alla temperatura tf, nel far com- piere il resto della corsa allo stantuffo, e convertendo così in lavoro meccanico il calore che seguita a ricevere dal cilindro; intanto il suo volume crescerà ancora fino ad una grandezza che indicheremo con v. e la sua tensione andrà diminuendo e si ridurrà a p,. Indicando con q la quantità di calore che la sorgente avrà in quest’ operazione somministrato all’ aria, il lavoro corrispondezte sarà espresso da Po D1 Jog. ® (6 14 formola (2). log. € Pi 3.° Nel traversaré di nuovo il rigeneratore, l’aria si raffredda an- cora fino alla temperatura iniziale £, restando alla pressione p1, Il vo- lume v, andrà intanto diminuendo fino a ridursi ad un valore che in- dicheremo con 03, ed in questa operazione l’aria restituirà alla sor- gente la quantità di calore C (#1 —,) mentre si verificherà un la- voro esterno negativo espresso dal prodotto pi (va — 03). 4.° Da ultimo l’aria restando a {, vien compressa, per rifluire nei serbatojo, fino a riacquistare il volume iniziale sotto la pressione ini- ziale. Quest’ ultima operazione esige un dispendio di lavoro espresso da Po Vo log. e log. n (S 11, formola (2)), e sviluppa una quantità g' di calore che non viene restituita alla sorgente, epperò va perduta per la mac- china. La somma algebrica dei lavori che hanno luogo nelle conse- culive fasi della trasformazione è dunque (6) Do ì Nea, log. —£ log. lv Vo) 04 Pi ? Po (Livo) — Pi (Va— 3) + DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 349 ed osservando che, per la legge di Mariotte, saranno Pa Va =D Vi Pa V3="Po Vo; quella somma si può ridurre a Po (Vi =%a) sali Po log. e Di D'altra parte la somma algebrica delle quantità di calore, corris- pettive per ordine a questi lavori, è O) + UL) dg ossia q — g/, quantità positiva perchè il lavoro negativo della quarta fase essendo manifestamente minore di quello positivo che ha luogo nella seconda, la quantità di calore sviluppata dal primo sarà di certo minore di quella consumata nel secondo. Ma come si è notato, la quantità g' di calore sviluppata nell’ ultima operazione non viene resa alla sorgente ed è perduta quanto all’ ef- fetto di imprimere moto alla macchina e così alla fine del ciclo tro- viamo che la sorgente ba fornito una quantità di calore q, della quale non si è spesa utilmente che la parte qg — q'. ll rapporto tra il consumo utile di calore ed il consumo effettivo è dunque espresso 1 q oi q . DI . . . . . da ——. Ora le quantità di calore essendo proporzionali ai lavori q meccanici corrispettivi, avremo Po (01 —.8a) lo Po. Po Vi Po Ei ART fa È : OG — i log. € i Pi log. e ni Di 3 da cui È nat Mel AL nto * aulin iva Indicando con #7 il volume dell’aria considerata a 0° e sotto la pres- sione p, € con a il noto coefficiente di dilatazione dell’aria saranno = Vla) VE VIA), quindi ROC ai ICI ina q 1+at, risultato che mostra come il rapporto tra il consumo utile di calore ed il consumo effettivo, a pari temperatura della sorgente, sia pro- 350 R. FERRIN, porzionale alla differenza dei limiti tra cui si farà variare la lempe- ratura dell’aria. 13.° Come si è premesso, l'equazione (3) esprimerà il rapporto tra il consumo ulile ed il consumo effettivo di calore anche per tutte le altre macchine termo-dinamiche a ciclo compiuto pur che funzionino tra gli stessi estremi £, e £ di temperatura. Per averne una riprova, consideriamo il ciclo d'una macchina calorica del sistema di Stirling. Possiamo pure distinguervi quattro fasi. 1.° L’aria viene scaldata a volume costante; allora la sua pres- sione cresce da po a pi ed a questo effetto, cui non corrisponde nes- sun lavoro esteriore, è duopo somministrarle la quantità di calore c (tr —£,), indicando con c il prodotto della sua massa per il suo calore specifico a volume costante. 2.° La si lascia dilatare mantenendola alla temperatura £;; la pres- sione decresce intanto in corrispondenza all'aumentare del volume fino ad una determinata grandezza 0,. Denominiamo q la quantità di calore che }' aria riceve in questa fase dalla sorgente, consumandola nella produzione del lavoro esterno che I’ accompagna, e che si può ; I An D esprimere col prodotto : R toy. > (Vedi $ 11, formola (4)). 0g. o 5.° La si raffredda ancora fino a £ senza variarne il volume; con ciò la pressione seguita a diminuire fino ad un certo limite. În que- sta fase non ha luogo nessun lavoro esteriore e viene restituita la quantità di calore c (ly — £)). 4.° In fine si comprime l’aria facendo che non ne varii la tempe- ratura, e ritornandola alle condizioni iniziali di temperatura e di pressione. A questo scopo bisogna impiegare un lavoro che si può piso D Lig esprimere col prodotto sail log. =, mentre si svilupperà una quan- 0g. € v o tità di calore g1<9 non utilizzabile nel movimento della macchina. il consumo totale di calore è dunque ancora q+c (tr — &) — c (fit) ossia g, mentre la parte che si converte in lavoro motore èeq_g'. Pi o fl lavoro corrispondente alla quantità q è i Vi ivi log. — e quello corri- 0g. € UV, DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE SBI (PiPo) log. rar log. € Vo spondente alla quantità g —g! è v, per cui: dedicata dI Ma, per le leggi di Gay-Lussac, indicando con la pressione del gas a d° e sotto il volume v,, si hanno pis Pil at) vet SP Feat), dunque, come prima: pesa ti a(ti—-1,) giace A4.° L'espressione trovata del rapporto tra la quantità di calore che si trasforma in lavoro motore, c quella che viene comunicata dalla sorgente al gas od al vapore in una macchina termodinamica, sup- pone che il ciclo delle trasformazioni vi sia perfetto, cioè che il gas od il vapore alla fine di ciascun periodo ritorni esattamente alle condi- zioni fisiche iniziali. Ora ciò non verificandosi pienamente nelle mac- chine ad aria calda ed ancor meno in quelle a vapore, come lo si è SE si rappresen- terà non il valore reale del rapporto in questione, ma il limite mas già fatto notare, ne consegue che l’espressione simo che esso potrà toccare, ed al quale poi si accosterà tanto più, quanto più il ciclo delle operazioni della macchina si avvicinerà ad essere complelo. Ad ogni modo, quella espressione ci insegna, che a trarre il mag- gior partito possibile da una data quantità di calore in una macchina termodinamica, converrà crescere più che si possa la differenza tra le temperature della sorgente e del refrigerante. Perciò, a parità delle altre condizioni gioverebbe far cadere la scelta della sostanza da adoperarsi come strumento all’azione del calore, sopra una di quelle che permettano di estendere maggiormente la distanza tra le temperature anzidette. Anche sotto questo punto di vista l’uso dei gas risulta preferibile a quello dei vapori, almeno finchè questi si introducono nel cilindro allo stato di saturazione. Difatti, non si po- 352 R. FERRINI , trebbe portare la temperatura di una caldaja a vapore, molto al di là di 150° o 160° C. enza far acquistare al vapore un’ enorme ten- sione che domanderebbe una straordinaria saldezza delle sue pareti, laddove occorre un aumento di temperatura non minore di 270° €. per elevare di un’ atmosfera la forza elastica di un gas. Ma sgrazia- tamente l’energica azione ossidante che l’aria a temperatura elevata esercita sui metalli, fa sì che il suo impiego incontri poco favore nella pratica, e quando le si volesse sostituire un altro gas, che anche alle alte temperature non avesse un’azione sensibile sui metalli, quale sarebbe per es. l’ azoto, sorgerebbe una gravissima difficoltà nel suo costo, e nel doverlo preparare in considerevoli quantità. 15.° Risultando quindi limitato quasi esclusivamente al vapore d’acqua la sostanza che si preferisce di adoperare nelle macchine termodinamiche, gli sforzi degli inventori si rivolsero naturalmente a prefezionare le macchine a vapore, cercando di diminuire quanto più si potesse il dispendio di combustibile necessario alla produzione di un determinato effetto utile. Oltre i miglioramenti diretti a diminuire la somma delle resistenze passive della macchina, ad impedire i di- sperdimenti di calore, ad utilizzare nel riscaldamento dell’acqua e del vapore una maggior quantità del calore sviluppato dalla combustione nel fornello, miglioramenti affatto estranei al nostro argomento, è chiaro che non vi sarà altra via di rendere più proficue le macchine a vapore che quella di cercare di estendere al possibile i limiti estremi tra cui si farà variare la temperatura del vapore. È tale appunto si può dire che sia stato lo spirito delle principali invenzioni dirette a questo scopo. Dopo l’introduzione del condensatore, il perfezionamento di mag- gior rilievo fu senza dubbio quello di applicare alle macchine a va- pore il principio della espansione. Invece di immettere vapore nel ci- lindro per tutta la corsa dello stantuffo, se ne sospende l'afflusso a un dato punto di questa, cosicchè il resto della corsa, si compie per l’ espandersi del vapore introdotto; questo intanto si raffredda, con- vertendo così in lavoro parte del suo calore sensibile, e tanto più si raffredda, quanto maggiore è la frazione di corsa effettuata du- rante l'espansione. Le macchine di Woolf e di Cornovaglia. devono DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 355 principalmente il loro pregio alla grande espansione che vi si per- mette al vapore. Però, variando la tensione del vapore nel cilindro, ne conseguono delle ineguaglianze nella velocità dell’embolo, Ie quali si fanno tanto più sentite quanto maggiore è la parte della corsa compiuta per espansione, e producono un aumento corrispondente nella somma delle resistenze interne-della macchina. Così anche il vantaggio of- ferto dali’ espansione incontra un limite, e in pratica la frazione di i } SE È 69 corsa compiuta durante l'espansione non si spinge mai oltre i i della corsa intiera. 16.° Sempre all'intento di abbassare più che si possa il limite in- fimo di temperatura a cui funziona la macchina, e colla mira di evi- tare gli inconvenienti prodotti col diminuire eccessivamente la tem- peratura del condensatore, o collo spingere Vl espansione oltre un certo grado, il sig. Régnault propose di limitare alquanto 1° espan- sione del vapore d’acqua, e di utilizzare il calore sviluppato nella sua condensazione a vaporizzare ad alta pressione un liquido molto più volatile, per es., l'etere, il cloroformio, o il solfuro di carbonio, facendo poi agire in un secondo cilindro il vapore di questo liquido. Le macchine costrutte secondo questo principio si dicono a vapori combinati. In quella costrutta dal sig. Dutrembley, il condensatore perfetta- mente chiuso dove sbocca il vapor acqueo all’uscire dal cilindro con- tiene una moltitudine di tubi piatti che attraversandone il fondo pe- scano in un recipiente pieno di etere. Questo liquido che arriva nei tubi fino ad una certa altezza, vi è continuamente vaporizzato dal calore emesso nella condensazione del vapor d’acqua che vi è fatto serpeggiare all’intorno. L’ acqua distillata, proveniente dalla liquefa- zione del vapore, vien tolta di mano in mano dal condensatore, per mezzo di una tromba ad aria che vi mantiene il vuoto, e rimandata nella caldaja. Dai detti tubi il vapore di etere passa in un secondo cilindro analogo a quello dove funziona il vapore acqueo, ma di mag- giori dimensioni e vi solleva, espandendosi, uno stantuffo , il quale agisce pure sull’albero della macchina, e così il lavoro ottenuto col- Vol. VI. 23 Sb4 R. FERRINI, l'espansione del vapore di etere si aggiunge a quello fornito dal va. pore di acqua. Dal cilindro motore, il vapor d’etere passa in un si- stema di tubi simile al precedente dove vien condensato per mezzo di una continua corrente d'acqua fredda che circola intorno ad essi, Una tromba premente fa rifluire l'etere liquefatto nel serbatojo annesso al condensatore del vapor d’acqua, e Vacqua che ha servito alla sua condensazione si adopera pure ad alimentare la caldaja, utilizzando così in parte anche il calore restituito in questa operazione. La perfezione delle commessure toglie il pericolo di incendio che potrebbe far prevedere la grande infiammabilità dell’etere; e del resto surrogandolo col cloroformio, il cui vapore non è accensibile, svanisce ogni timore solto questo riguardo. In queste macchine adunque il vapor d’acqua serve a due scopi, l'uno di agire sullo stantuffo come nelle ordinarie motrici a vapore, l’altro di servire come seconda sorgente di calore, producendo colla vaporizzazione dell’ altro liquido una novella forza ‘motrice non infe- riore alla propria. Raddoppiando così 1’ effetto utile, si può dire che vien ridotta a metà la spesa del combustibile, a parità di lavoro. Il secondo liquido da adoperarsi in una macchina a vapori com- binati deve soddisfare ad alcune condizioni: 1.° 1l suo punto di ebol- lizione sotto la pressione normale non deve essere superiore a 729 C. e quanto più questo sarà basso, tanto più riescirà conveniente. 2.° Non deve scomporsi al di sotto di 110°, nè contenere acidi che possano corrodere i metalli con cui verrà posto a contatto. 3.° Non deve dar luogo a miscele esplosive. 4.° Deve costare meno ‘che sia possibile , sebbene circolando nella macchina quasi sempre lo stesso liquido che vi si è versato in principio, quest’ultima condizione sia relativamente meno influente che negli altri casi. Stando ad una relazione dell’ ing. Montet, sopra una macchina a vapori combinati d’acqua e di etere, del sistema del sig. Dutrembley, l'economia del combustibile che vi si raggiunge è diffatti assai consi- derevole., ed arriverebbe al 70 per 100 del dispendio assorbito dalla stessa macchina quando il solo vapor d’acqua vi funzionasse in entrambi i cilindri. 17.° Infine nelle macchine dette a vapore surriscaldato , costrutte DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 41:35) dal sig. Siemens, il vapore prima di entrare nel cilindro , attraversa un rigeneratore composto di tele metalliche infocate, come quello delle macchine ad aria. Il vapore che sbocca dalla caldaja a densità di saturazione , trapassando quell’apparecchio , ne viene fortemente scaldato, senza che ne cresca eccessivamente la tensione; tornando a surrisealdarlo dopo che ha agito nel eilindro, lo si adopera di nuovo a muovervi lo stantuffo; basta per questo che il rigeneratore gli re- stituisca la quantità di calore che si è utilizzata colla sua espansione nel cilindro, e che la caldaja somministri di volta in volta la sola quantità di vapore che è necessaria a riparare le perdite inevitabili. Così in queste macchine al vantaggio di estendere di molto i limiti di temperatura del vapore si accoppia quello di una disposizione di cose che permette una grande economia di combustibile. Non possedendo il vapore surriscaldato un’azione chimica sui me- talli paragonabile a quella dell’aria, si può dire che le macchine a vapore soprascaldato promettono di far conseguire quasi gli stessi van- taggi di quelli ad aria calda, evitandone in gran parte gli inconve- nienti. Non è però a tacersi, come aspetiino ancora di essere perfe- zionate, soprattutto allo scopo di impedire le rilevanti perdite di ca- lore che vi hanno luogo per contatto e per irradiazione, le quali cre- scono rapidamente al crescere della temperatura, e di ovviare al pronto deteriorarsi delie parii metalliche esposte all’azione del fuoco. 18.° La poca parte del calore svolto dalla combustione che anche i migliori fornelli permettono di utilizzare, le spese di costruzione e lo spazio considerevole occupato dall’ apparecchio di riscaldamento e e dalla caldaja, la lunghezza del tempo necessario a scaldare e vapo- rizzare l’acqua prima di far agire la macchina, e infine la perdita delle calorie consumate nel cambiamento di stato fisico dell’acqua, la quale si verifica, almeno quando si sospenda l’azione della macchina, gli inconvenienti che presenta d’altronde l’uso dell’aria calda, hanno indotto alcuni a cercare degli altri mezzi di utilizzare più completa- mente, se fosse possibile, la forza motrice del calore, e. in relazione a ciò hanno fermata fa loro attenzione sui poderosi effetti meccanici delle esplosioni. Per non tessere la storia dei progetti di convertire in lavoro mee- Losmideiaerlo | 556 R. FERRINI è carico, ora la forza che si sviluppa nell’esplosione della polvere pi- rica, ora quella che si ottiene coll’accensione di miscele gasose de- tonanti, diremo tosto come quest’ultimo concetto si trovi realizzato in due apparecchi che si denominano motori a gas, l'uno immaginato dal sig. Lenoir, e l’altro dai signori Barsanti e Matteucci. In ciascuno di essi la miscela esplosiva è costituita d’aria e di gas illuminante fatta in debite proporzioni, e l'accensione ne è prodotta per mezzo di scintille elettriche tratte da un rocchetto di Ruhmkorff. Nel motore del sig. Lenoir la miscela gasosa, mediante una valvola di distribuzione, viene immessa ora presso un fondo, ora presso l’altro di un cilindro analogo a quello di una motrice a vapore a doppio ef- fetto per muovervi in modo simile uno stantuffo. Per mezzo di un commutatore si fa scoccare la scintilla a quell’ e- stremità del cilindro dove è introdotta la miscela e presso cui si trova lo stantuffo: l’espansione che accompagna l'accensione del gas caccia lo stantuffo all’altro capo del cilindro, mentre per un’apposita valvola si sfoga il gas che si trovava dall’altra parte di esso. Sul terminare della corsa, la miscela viene invece introdotta presso l’altro fondo, e facendovela esplodere si ricaccia indietro lo stantuffo, mentre sfugge nell’aria il gas che lo aveva sospinto nella prima direzione, Si cal- cola a circa sei atmosfere la pressione effettiva con cui 1° embolo viene così alternativamente sospinto da un fondo all’altro del cilindro. Il moto alternativo impresso all’embolo, si trasforma poi in un altro qualunque, come nelle macchine a vapore, Siccome poi il cilindro si scalda fortemente per l'alta temperatura prodotta dalle esplosioni, così lo si circonda di un inviluppo, facendo circolare di continuo dell’acqua fredda nell'intervallo che vi è tra questo ed il cilindro. Mentre si raffredda per tal modo il cilindro, si oltiene una corrente d’acqua calda che può servire ad usi molteplici, Due sono i principali appunti che si fanno al motore Lenoir; l’uno riguarda la spesa complessiva comprendente il consumo del gas e delle pile, la quale è superiore a quella che occorre a parità di lavoro e di tempo in una ‘macchina a vapore; 1’ altro riguarda la violenza dell’urto impresso allo stantuffo nell’atto dell'esplosione, che pare dover limitare l'applicazione del motore ad apparecchi di poca forza, non DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE SU potendosi altrimenti spingere lo stantuffo sino al termine della corsa senza l’immessione di forti cariche, e quindi senza crescere di molto quella viotenza; poi l’ irregolarità del moto dipendente dalla variabile intensità degli impulsi, Ora questi difetti non esistono nell’altro motore a gas. In un ci- lindro verticale si trovano quasi a contatto fra di loro due stantuffi i quali ponno muoversi in versi contrarii, cioè il superiore verso l'alto, l’altro all’ingiù. La corsa del primo è più estesa di quella del se- condo, ed è affatto libera, mentre questo, il cui ufficio principale è di aspirare la miscela gasosa , è sempre collegato coll’ asse motore. Nella camera angusta chiusa tra la parete interna del cilindro e le basi affacciate degli stantuffi, si introduce la miscela detonante per mezzo di una valvola a cassette munita di due canali, Vuno in com- municazione col gasometro, l’altro coll’atmosfera. Tolta la comunica- zione coll’ esterno la scintilla elettrica accende fa miscela, e i due stantuffi, cedendo all’impulsione , si allontanano senza scosse fino al termine della corsa rispettiva. L’embolo superiore, salendo, va ad impegnarsi, per un congegno semplicissimo, colla resistenza; i prodotli della combustione vengono espulsi dal cilindro mediante una seconda valvola a cassetto il cui moto è determinato dalla discesa dell’ altro stantuffo. Dell’ acqua fredda che circola esternamente al cilindro, come nel motore Lenoir, manda degli sprazzi anche nello spazio in- grandito che rimane tra gli stantuffi allontanati, e per la condensa- zione dei vapori che ne consegue vi si produce una forte rarefazione. La pressione atmosferica, che qui è la vera forza motrice, fa riabbas- sare lo stantuffo superiore, mentre l’altro ritorna pure alla posizione iniziale. Così l’ esplosione del gas non serve che a produrre uno spazio vuoto tra gli stantuffi rendendo per tal modo operativa la pressione atmosferica, e siccome questa agisce con intensità costante, così non si producono gli urti e le irregolarità del moto che si sono rimpro- verate al sistema Lenoir. Questa disposizione di cose presenta anche un vantaggio economico in confronto del motore Lenoir, riducendo di metà il consumo del gas infiammabile, a parità di potenza mec- canica. 558 R. FERRINI, Invece di adoperare il gas illuminante, e ciò vale anche per il si- stema Lenoir, si può preparare una miscela esplosiva molto più eco- nomica, cogli olii essenziali, sviluppati nella distillazione di catrami e di schisti bituminosi, od anche collo stesso gas illuminante, ma ot- tenuto con molto minor spesa; perchè, non avendo a preoccuparsi della sua facoltà rischiarante, si può semplificare di molto il processo delle sua depurazione. AI vantaggio economico che può presentare il motore a gas dei si- gnori Barsanti e Matteucci, ed ai suoi pregi, in confronto di quello del sig. Lenoir, si aggiunga la facilità di applicarlo in qualunque la- boratorio od officina, persino nelle miniere, senza timore di incendio o di scoppio, senza l’ incomodo del fumo e di un forte calore, non che la semplicità del suo modo di funzionare, e la prontezza con cui si può attivarne e cessarne l’azione. Tali sono i titoli principali per cui questo motore venne lodato e raccomandato all’ indastria da una Commissione incaricata dal R. Istitato Lombardo di scienze, lettere ed arti, di riferire sul suo valore, e composta degli egregi professori signori Codazza, Hayech e Magrini. L’annee scientifique et industrielle del sig. liguier, testè pubbli- cata, fa menzione di un motore a gas del sig. Hugon, il cui principio è analogo a quello. del motore Barsanti. L'esplosione della miscela tonante serve a cacciare l’acqua contenuta in un recipiente, forman- dovi così uno spazio vuoto il quale vien posto, per un'apposita val- vola, in relazione era con un fondo, ora coll’ altro di un cilindro in cui si trova uno stantuffo; la pressione atmosferica operando sull’altra faccia dello stantuffo vi imprime il solito moto alternativo rettilineo. 19.° Veniamo per ultimo ai motori elettromagnetici. Per mezzo di uno stato variabile di magnetizzazione prodotto in alcune. elettroma- gneti, e delle azioni attrattive o repulsive che, secondo il caso, si esercitano o tra queste ed altre elettromagneti, oppure sopra delle calamite permanenti, od anche semplicemente sopra pezzi di ferro dolce, si ottiene in alcune di queste macchine, la produzione di un moto rotatorio continuo, in altre quella di un movimento alternativo. | Dispensandoci dall’entrare nella descrizione delle principali forme che hanno ricevuto i motori elettromagnetici sì d’una specie che del- DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE 3559 l’altre, perchè la si trova in qualunque trattato di fisica elementare, possiamo dire che anche in queste macchine il lavoro è prodotto me- diante una determinata quantità di azioni chimiche che si compiono in una pila; come nelle macchine a vapore o ad aria calda lo si ot- liene per le azioni chimiche da cui risulta la combustione del carbone nel fornello. Secondo la maggiore o minor quantità delle azioni chi- miche nella pila o secondo la maggiore o minor quantità di zinco che vi è disciolto in un dato tempo, si promuove nel circuito una cor- rente di maggiore o minor intensità; in corrispondenza a questa in- tensità si sviluppa nell’intero circuito una determinata quantità di ca- lore, la quale si distribuisce nelle varie sue parti a norma della ri- spettiva loro resistenza. Quando la corrente percorre le eliche di una macchina elettromagnetica, facendola funzionare, diminuisce, come si è veduto risultare dagli sperimenti del sig. Favre, la quantità di calore contenuta nell’intero circuito, e la diminuzione è proporzio- nale alla somma dei lavori meccanici compiuti nella macchina : in altre parole, la quantità di calore scomparsa si converte in questa somma di lavori. Ora il diminuire la quantità di calore esistente nel circuito, per la legge di Joule, equivale al diminuire l'intensità della corrente, ciò che del resto è confermato dalla osservazione diretta. Introducendo infatti nel circuito una bussola galvanometrica ed un commutatore per cui, restando sempre chiuso il circuito, sì possa introdurvi od escluderne il motore elettromagnetico, appena questo venga posto in azione, l'ago galvanometrico accusa tosto una diminuzione di inten- sità, commisurata alla somma dei lavori che vi si producono. Ma una diminuzione dell’intensità della corrente non può risultare che o da un aumento nella resistenza complessiva del circuito, o dall’ eccitarsi di una forza elettromotrice opposta a quella della pila o da una com- binazione di questi effetti; introducendo nel circuito, in luogo del motore, un filo di resistenza pari alla somma di quella delle sue eli- che, si constata facilmente che la diminuzione di intensità che si ve- rifica durante l’azione del motore, è molto più grande di quella che può derivare dall'aumento di resistenza che la sna introduzione nel eircuito apporta alla resistenza complessiva di questo, Bisogna dunque 360. R. FERRINI, conchiudere che il movimento della macchina elettromagnetica svi- luppa nel circuito una corrente contraria a quella della pila, la quale, come è noto, ha ricevuto il nome di corrente indotta. La in- tensità di questa corrente, come dimostra l’esperienza, risulta pro- porzionale alla velocità degli spostamenti che producono l’induzione; così, accelerando sempre più il movimento della macchina si dimi- nuirà sempre più l'intensità della corrente promossa dalla pila, ral- tentando in misura corrispondente le azioni chimiche che in questa hanno luogo. Ma, rallentando l’azione chimica nella pila, diminuirà la quantità di calore sviluppata nel circuito totale, e cambierà anche il rapporto con quella sua parte che si converte in lavoro dinamieo; il lavoro meccanico fornito dal motore in un dato tempo dipenderà dun- que dalla velocità dei suoi movimenti, e varierà al variare di questa. Ciò posto, possiamo proporci di determinare quale velocità converrà far acquistare al motore perchè il lavoro compiuto in un dato tempo sia massimo. Denominiamo / l’intensità della corrente promossa dalla pila e percorrente l’intero circuito nel quale sia compreso il motore elettromagnetico tenuto in riposo, ed è l'intensità a cui vien ridotta la corrente, quando il movimento del motore raggiunga una certa ve- locità. Le quantità di calore Q e q sviluppate nel circuito in un caso e nell'altro, devono, per la legge di Joule, essere proporzionali al quadrato dell’intensità della corrente, per cui si potranno porre: Q=a E,q=at?, indicando con a una costante opportuna; ma nel secondo caso, oltre il calore contenuto nel circuito, vi è una quantità di calore che rappresenteremo con a x, la quale si converte in lavoro meccanico. Ammettendo ora che i lavori totali £Q, £(q+@x) rap- presentanti gli equivalenti meccanici delle azioni chimiche che si compiono nella pila in un caso e nell’altro, siano proporzionali alle quantità di zinco che vi si sciolgono nell’unità di tempo in una volta e nell’altra, epperò alle intensità delle correnti che vi corrispon- dono, avremo Ea I°; Ea(iz+x)=I:i, 0 , più semplicemente (4) Kiihtoa=zAots DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE, 364 da cui aa -li+tr—=-0. Sciogliendo questa equazione rispetto ad #, si ha: 14 J4* ? CRA N cia i dalla quale appare che x non potrà mai essere maggiore di dA che . nur . % . 4‘ I ° il valore di è corrispondente a questo massimo valore di x sarà %° Si avrà dunque il maggior effetto utile possibile da un motore elettro- magnetico, quando la sua velocità sarà tale da ridurre V intensità della corrente a meta del valore che le corrisponde quando il motore è în riposo. In generale, il rapporto della quantità di lavoro utilizzata a quella equivalente alla somma algebrica delle azioni chimiche della pila, LI quando l'intensità della corrente è ridotta ad è sarà espresso dalla LI XL . . x . . frazione => e siccome la proporzione (1) può scriversi: + è zia I al Si e così, sarà pure : T-i:x=I:i2+-x, dalla quale: % nai de î Quando sia i — dj risulta —— = A vale a dire quando l’in- 2 i +x 2 tensità primitiva della corrente, per il movimento della macchina, è ridotta a metà, si converte in lavoro utile metà dello quantità di ca- lore sviluppata dalle azioni chimiche che si compiono nella pila. Secondo il sig. Joule, la quantità di calore svolta nell’ intero cir- cuito di una pila alla Daniell, quando vi si è disciolto un grano di zinco, ha per: equivalente dinamico 82 chilogrammetri, e perciò il massimo lavoro utile che si potrà ottenere da un motore elettroma- 382 R. FERRINI, DELLA TEORIA DINAMICA DEL CALORE gnelico mosso da una pila alla Daniell per ciascun grano di zinco consumato nella pila sarà di 26 chilogrammetri. Ora da sperimenti diretti fatti dai signori Joule e Scoresby sopra una macchina a rotazione continua, questo lavoro risultò per media di 22 chilogrammetri per ciascun grano di zinco disciolto, dal che segue che il massimo lavoro effettivo che può fornire il motore elet- tromagnetico è circa otto decimi del lavoro teorico. Gli stessi fisici ‘banno calcolato che la combustione ‘di un grano di carbon fossile produce una quantità di calore che ha per equivalente meccanico 448% chilogrammetri, ed ammettendo che solo un decimo di questo calore venga ordinariamente trasformato in lavoro utile in una mo- trice a vapore, il lavoro ottenuto da quella combustione sarebbe di circa 44 chilogrammetri, ossia doppio di quello fornito dal motore elettromagnetico colla dissoluzione di un grano di zinco. Siccome poi, a parità di peso, il prezzo dello zinco è circa 14 volte quello del carbon fossile, così da questi computi risulterebbe che un dato la- voro meccanico prodotto con un motore elettromagnetico importa una spesa eguale a ventotto volte quella richiesta ad ottenerlo con una motrice a vapore. Dal lato economico, le macchine termodinamiche di questa specie stanno dunque molto al disotto delle motrici a vapore; se a questa circostanza si aggiunge l’altra dell'enorme peso di questi apparecchi, arrivando a circa 800 chilogrammi il peso di un motore della forza di un solo cavallo vapore, si concepisce facilmente perchè il loro uso non si sia esteso nelle industrie. Però attesa la somma regolarità dei loro movimenti , la facilità di attivarne e di sospenderne sull’ istante l’azione, la possibilità di eser- citarne l’azione a considerevoli distanze, e la grandissima velocità che si può averne con piccola forza, il loro impiego può essere pre- zioso per alcuni intenti particolari, per es, nella costruzione degli strumenti di precisione, al qual uso sono adoperate in grande a Pa- rigi dal celebre costruttore sig. Froment. ih = 1 rà la TI SUI CROSTACEI DI FORME MARINE VIVENTI NELLE ACQUE DOLCI E SPECIALMENTE SUL PALZAMON PALUSTRIS DI MARTENS LETTERA DEL signor TORQUATO TARAMELLI AL socio pror. G. BALSAMO CRIVELLI (Seduta del 24 aprile 1864) Chiarissimo signor Professore Incombenzato da Vossignoria di esaminare alcuni esemplari d’un cro- staceo provenienti dal Benaco ed altri dal Parmigiano, volli adempiere in parte un suo volo, esponendo” guanto fu pubblicato relativamente ai crostacei a forme marine riscontrati nelle acque dolci, ed in se- guito ciò che mi venne fatto di osservare nello studio di essi esem- plari. Avendoli determinati come appartenenti ad una delle specie illustrate da Martens, delineai i caratteri esterni più importanti, non lroppo esatti nella pubblicazione di questo autore, e ne riportai la descrizione specifica, esponendo alcune idee sull’ordine zoologico di alcuni generi affini. Ecco le poche cose: che posso in tale argomento riferirle. Fra i crostacei a forme marine, che si riscontrarono nelle acque dolci d° Europa, compare primo /’ //ippolyte Desmarestit descritto del signor Millet, segretario generale della Società d’agricoltura, scienze ed arti ad Angers ( Annales des sciences naturelles. Serie |. __T. 25, p. 480 1832, Tavola F. B.) Questo Salicocco fu »riscontrato nelle acque della Majenna, della Sarte. della Loira, del Thonet e del 36 T. TARAMELLI, Layon. | caratteri citati dall’autore sono: « Rostro diritto, compresso, come lanceolato, sagliente superiormente ed inferiomente (25, 30 denti sopra; 7, 8 sotto), che sorpassa le scaglie delle antenne esterne, le quali sono più lunghe del corpo; i filamenti delle antenne intermedie metà meno lunghe che le antenne esterne; corpo trasparente, jalino, lungo da 42 a 15 linee. » La descrizione e la bella figuretta che lo rappresenta non lasciano dubbio alcuno che esso debba esser riferito «al genere Zippolyte stabilito da Desmarest (pag. 126). Egli è ben vero, che già dal 1814 Raffinesque ne’ suoi Précis des déecouvertes semiologiques (Palermo 1844, P. 22) cita un piccolo cro- staceo macruro, che forse potrebbe essere riferito alla stessa famiglia ed allo stesso genere, cui appartiene quello di Millet, ma la descri- zione e le breve diagnosi non permettono di bene determinparlo. Egli lo chiama Simmetus fluviatilis, e dice trovarsi nei ruscelli della Sicilia. Milne Edwards nella sua Zfistoîre naturelle des crustacés (suites a Buffon, Parigi 1837. Tome Il. p. 273), cita questo piccolo crostaceo, mantenendone la classificazione e la descrizione dello scopritore. Nel 1842, Joly, professore di zoologia alla facoltà di scienze a Tolosa, presentò all’ Accademia di Scienze a Parigi i suoi studi sopra i co- stumi e le metamorfosi dello stesso animale, lavoro commendevolis- simo specialmente per la storia dello sviluppo e per le osservazioni generali sulle metamorfosi dei crostacei decapodi. Considerando egli che i salicocchi, sino allora conosciuti d’acqua dolce, appartenevano algenere Caridina, e appoggiandosi sulla conformazione del primo pajo delle zampe toraciche col dito a forma di cucchiajo, riferì 1’ /Zippolyte Desmaretsi al genere Caridina, mantenendone però il nome specifico. (Milne Edwards, Op. citata, Tom Il. Salicocchi Alfeani). Altri salicocchi però delle tribù dei Palemonidi e dei Peneani vennero scoperti in appresso nelle acque dolci; e la forma del rostro molto sviluppato e compresso della pretesa Caridina la fa riferire indubbiamente alla tribù dei Palemonidi, e precisamente al genere /ippolyte. La forma della mano del primo pajo'di zampe toraciche avrebbe bensì, alcuna rassomiglianza col carattere del genere Caridina, ma la forma -delle lamine laterali della coda, composta di due articoli e con una spina esterna, carattere da Milne Edwards assegnato alle tribù dei Pale- — tu _lr—rrr_t—t—r——_———_——_—_—-omue:-_—=_— CROSTACEI MARINI VIVENTI NELLE ACQUE DOLCI 36d monidi, il numero delle zampe addominali e più di tutto la forma compressa del rostro, riferiscono certamente il crostaceo in discorso al genere della tribù a cui Millet l'aveva assegnato. Imperòcchè egli è certo, che il carattere del rostro è certamente più importante e costante della forma delle zampe anteriori, che noi vediamo variare persino da destra a sinistra nello stesso individuo, e della forma delle zampe addominali, che variano in una specie medesima da maschio a femmina. La rassomiglianza stessa, riscontrata dal signor Joly tra la sua Caridina ed il genere Lysmes vicino agli /Zippolyte ed ai Palemon, sembrami possa convalidare la giustezza delle determinazioni di Millet. Milne Edwards, nel presentare la memoria di Joly all’Accademia di scienze in Parigi nel 1845 (Comiptes réndus de séances de l’ Acadé- mie des sciences, T. XXV. 1843, . semestre), attribuite le dovute lodi all'autore per le sue accurate osservazioni, nulla dice della di- sposizione zoologica, per lo che temo troppo sia arrischiato il mio giudizio. Però, se fu errore quello del signor Joly, esso fu somma- mente facile, avvegnachè, osservando attentamente il genere Caridina da Milne Edwards posto nella tribù degli Alfeani, sembrami che, pei caratteri del rostro e delle antenne esterne, anzichè stabilire il pas- saggio tra i Pontonite le Anthie, possa costituire il punto di contatto delle tribù degli Alfeani con quella dei Palemonidi, e forse essere collocato in quest’ultima. Nessun crostaceo della famiglia dei Salicocchi fu indicato dal si- gnor Milne Edwards come abitante delle acque dolci d’Italia, e, fra quelli da lui menzionati, la maggior parte appartengono alla tribù dei Palemonidi. Oltre all’/Zippolyte Desmarestiî sono citati i seguenti: Palemon longirostris (Locustelle Latreille) trovato allo sbocco della Garonna; ?. longirostre (longirostre Loy. Croustacea of the United States. Vol. V. p. 248); /. vulgaris (Op. cit. p. 249); P. Zorceps del Rio Janeiro; e /. Jamaicensis, osservato'da Soanne e Para alla Giammaica ed a Cuba (lammaron de acqua dolce). Nella tribù degli Alfeani non avrebbe citata che la Caridina longirostris trovata nel fiume Macte presso Oran da M. Rowx; nessuno delle tribù dei Cran- gonidi, e tra i Peneani osservaronsi la Sicyonia carinata al Rio » Janeiro; il Peneus setifrons allo sbocco dei fiumi della Florida ! 4- getes indicus alle foci del Gange. 366 T. TARAMELLI, Venendo ora ai crostacei di forme marine che furono. rjscontrati nelle acque dolci d’Italia, a mia saputa chi da ultimo ne parlò fu il signor Martens, in una sua memoria inserita nel Troschel Archiv (Veber cinige Fische und Crustaceen, 1857). Vi cita così la Telphusa fluviatilis e due specie nuove, cioè Spheroma fossarum ed il Palwe- mon lacustris. Parlando della Z'e/phusa, accenna egli a suoi caratteri ed ai costumi, ‘ma gli esemplari, che si potè procurare, sono del lago d'Albano. Però questa specie fu riscontrata anche al lago di Garda, ed anzi di là appunto provennero gli esemplari che esistono in questo Museo. Lo Spheroma fossarum fu rinvenuto al Foro Appio, ed è figurato alla tavola X, f. 10-12. Credo opportuno di compendiarne la descri- zione datane dall’ autore, Corpo discretamente inarcato, rotolantesi a palla, segmenti del torace pressa poco d’una stessa larghezza. Occhi ovali grossi, neri,’ in un’incavatura all’orlo posteriore del capo; antenne generalmente incurvate sotto il medesimo. Le antenne del pajo anteriore posano sopra tre articolazioni basilari, delle quali le due prime sono corte ed ingrossate, e la terza, alquanto più lunga e sottile, è cilindrica e consta di nove articolazioni diminuenti in grossezza, per farsi acumi- nate all'estremità. Le antenne del secondo pajo, lunghe circa una volta e mezza le precedenti contano quattro articolazioni, di cui le prime due sono appena lunghe quanto larghe, la terza due volte lunga che larga, e la quarta molto lunga, composta di diciassette subarticolazioni. I sette segmenti del torace terminano quasi in un dente ottuso; il settimo, che è più sottile al suo mezzo, mostrasi piegato dall’ avanti all'indietro. La parte addominale mostra lateralmente quattro solchi obliqui; e l ullimo segmento, lungo come i segmenti del torace, è ravvolto a palla, ed offre il suo orlo posteriore leggermente arcuato. Tutti i segmenti, compresa la testa, sono forniti di bitorzoli conici, uguali, disposti quasi in linee trasversali, e che si fanno quasi rudi- mentali sull’addome. L'ultimo segmento mostra due rigonfiamenti, che s’estendono longitudinalmente dall’orlo anteriore sino alla metà del segmento stesso. ì due fiocchi caudali dall'una e dall’ altra parte sono quasi sempre CROSTACEI MARINI VIVENTI NELLE ACQUE DOLCI 567 lamelliformi, non mai dentellati, e piegano fortemente all’esterno; di essi l’inferiore è leggermente mobile e privo di granulazioni. Il colore di tutto l’animale è simile a quello della Zygia oceanica, alquanto più grigio oscuro alla parte superiore, e screziato di nero alla metà del dorso; inferiormente è di un gialliccio sporco. Lungo 7 millimetri, largo 4 millimetri. Lo Spheroma comune all’ Adriatico e nel Mediterraneo è il serra- tum Fabr?, dal quale distinguesi la specie di Martens perla coda to- talmente orlata e bitorzoluta, pel diverso coloramento, per esser quasi la metà più piccolo. Una specie molto affine al fossarum fu pure riscontrata dallo stesso autore molto numeroso nel porto di Amster- dam, ma non ne dà nè la completa descrizione, nè il nome. Questa specie, per la proporzione degli ornamenti e per la statura, distinguesi dalle altre congenerì citate da Milne Edwards (op. cit. VI). L'altra specie citata dal signor Martens come abitante le acque dolci della nostra penisola è il Palemon lacustris. À questa specie appunto debbo riferire gli esemplari provenienti dal Modenese e gli individui riscontrati nei contorni di Pavia, che Vossignoria mi favorì tanto gentilmente. Dapprima sembrommi riscontrarvi i caratteri del- I’ Zfippolyte Desmaresti, ma le antenne interne con due soli filetti, il rostro molto dentato all’orlo superiore, la forma delle mascelle e delle prime due paja di zampe toraciche, nonchè i pariicolari del- l’ anello caudale indicarono essi appartenere al genere /a/@mon, della stessa tribù dei Palemonidi. Per determinarne la specie io non poteva a meno di volgermi alla di lei somma bontà ed erudizione, che mai non mi mancò quante volte io ebbi a ricorrere a Lei per schiarimenti ed indicazioni; e la determinai appunto dietro le succi- tate memorie, che Ella si compiacque d’indicarmi. lo ho delineato in una tavola la forme delle antenne, del rostro, degli occhi, delle zampe e della coda, e sembra che perfettamente corrispondano alla descri- zione data da Martens e che qui riporto. Il rostro è debolmente rivolto all'insù, e mostra all’orlo supe- riore 6 o 7 denli, non compresa la parie anteriore, che termina semplicemente aguzzata; solamente due o tre all’orlo inferiore. La lunghezza è tripla dell’altezza, il rigonfiamento laterale molto pro- 368 T. TARAMELLI , nunciato e sorpassante nella maggior parte dei casi il peduncolo delle antenne interne; la sua lunghezza è quasi un quinto della totale lun- ghezza dell’animale dalla punta del rostro sino alla coda. Le antenne interne o superiori mostrano il primo anello con, una spina onde proteggere gli occhi (carattere del genere), e portano tre filamenti terminali, di cui il più piccolo è il medio, che è sorpas- sato dagli altri di circa tre quarti; questi poi attingono solo due terzi ‘della lunghezza del seguente pajo d’ antenne. Le antenne posteriori ed inferiori hanno una corta parte basilare, ed il loro filetto, molto articolato, raggiunge quasi la lunghezza di tutto il carpo; la loro appendice laminare mostra l'orlo esterno ar- rotondato senza peli, e l’orlo interno è fornito di un depte lungo quanto i peli che numerosi lo contornano; la sua lunghezza è uguale all’anello basilare delle antenne superiori. il torace nel suo terzo anteriore mostrasi carenato per una conli- nuazione del rostro, ed il suo profilo è rigonfio anteriormente e come alla metà posteriore. i pie-mascelle esterni terminano con un arto a forma di lan- cetta, munito di peli. Il primo pajo di zampe è piccolo, esile, e termina con un ario a forma di forbice, i cui orli interni rettilinei si saldano alla base e sono coperti di piccole ciocche di peli. ll secondo pajo di zampe è più lungo, arrivando sino alla cima dellargo filamento delle antenne superiori, e termina con una cesoja molto svelta e sot- tile; il corpo è semplice o non molto articolato (come negli 4ippo- lyte). 1 seguenti due paja di zampe sono di lunghezza media tra il primo ed il secondo, e terminano con una semplice unghia; il quarto pajo poi giunge sino al limite anteriore delle lamine delle antenne esterne. I segmenti addominali formano un dorso tondeggiante, sono lisci, e dal primo al terzo portano lateralmente due dischi, che coprono le uova. Îl settimo anello, o la porzione mediana della coda, è alquanto più lungo del sesto, ma meno lungo delle lamine laterali, e termina con tre denti, a cui si frappongono alcuni peli più lunghi e trasparenti. Le due lamine dell'una e dall’ altra parte sono ovali, ciliate all’ orlo interno e posteriore, ed offrono al bordo esterno un dente, a cui cor- risponde sulla superficie della Jamina una colonnetta saliente, obliqua. CROSTACEI MARINI VIVENTI NELLE ACQUE DOI.CI 369 La totale lunghezza è di circa 38 millimetri. Tutto l’animale in vita è trasparente, i filetti delle antenne rossigni, e punteggiati di nero ai segmenti addominali. Nel 48553 Belon descrisse abbastanza chiaramente questo crostaceo, e lo denomina Squilla fluviatilis (De aquatilibus, p. 359), e dai Ro- mani chiamasi gambarelle. Però, non figurato, cadde quasi totalmente in dimenticanza. Ripetendo le osservazioni di Martens, delineai i particolari da lui figurati, e Vaggiunsi la figura degli organi masticatori presi colla ca- mera lucida all’ingrandimento di circa 25 diametri. Come poi vedesi, anche la forma del primo e del quarto pajo di mascelle conservasi costante nelle varie specie di Pa/emon che io ebbi l'occasione di esaminare, mentre si modificano diversamente le submascelle inter- medie, restando però sempre membranose e fornite di peli. Da una specie all’altra variano pure in lunghezza ed in grossezza i piè-ma- scelle, che nel Pal@emon lacustris sono più piccole che nelle specie affini Palemon serratum e Palemon Squilla; variano pure la lin- guetta ed il labbro superiore, conservando però sempre la loro posi- zione relativa cogli organi vicini (1). Volgono già tre anni che Vossignoria, permettendomi di frequentare lo stabilimento da Lei diretto, e somministrandomi libri e strumenti allo studio degli animali inferiori, mi procacciò i mezzi più efficaci di istruzione, e tenta inspirarmi all'amore della scienza, cui Elia onora; e certo alle tante sue premure non corrisponderanno le poche linee che or le dirigo; spero però che almeno la volontà non mi sarà giammai per mancare nella carriera, che io mi scelsi. Colla più alta stima e riconoscenza mi professo di lei Discepolo TORQUATO TARAMEILI Studente del III. corso di Storia Naturale presso la R. Università di Pavia (4) In questa primavera il Palemon lacustris fu riscontrato copioso nelle Paludi presso Pavia, mentre prima non era stato riscontrato che una sol volta, ciò che fu rimarcato anche dai pescatori. Vol. VI. QU Pla, —- _ ni - IS, SPIEGAZIONE DELLA TavoLa, Fig. 4. Rostro ingranditi colla lente Lie Dì 4h. . Lamina di un’antenna inferiore ni o 2 Occhio semplice. Cornea a 300 diametri. Antenna interna o superiore. o esterna. Una di queste antenne. . Penultimo ed ultimo anello ad- dominale o caudale, . Zampa destra del 1.° pajo. . Zampa destra del 2.° pajo. Fig. 10. Terminazione del 3.° 4.0 e. 5. pajo di zampe toraciche. 2. Al. Organi masticatori osservati col- la lente di Bruck. — da. lab- bro anteriore; Db. primo pajo di mascelle; ec. primo pajo di submascelle; d. linguetta ; e. secondo pajo di submascel- le; f. secondo pajo di mascel- le; g. Pièmascella sinistro. Seduta del 29 maggio 1864. Il segretario Omboni legge una breve nota del sig. Paolo Lioy Su una straordinaria invasione di Ditteri della fa- miglia degli Empiti. Sarà pubblicata negli Atti. A proposito di questa nota il socio prof. Galanti ram. menta che il freddo invernale distrugge gli insetti che vi sono esposti; per cui 1 lavori invernali profondi e 1 lavori estivi frequenti vengono considerati come uno dei mezzi più efficaci a distruggere gl'insetti nocivi. Il presidente Cornalia presenta una Memoria postuma del signor Zollikofer Sulle teorie geologiche e cosmogoni- che; e la Società, sentito un favorevole rapporto verbale fatto in proposito dal segretario Stoppani, ne decide la pubblicazione nei suoi Atti. Il socio Galanti, a compimento della sua lettera pre- sentata nell’ ultima seduta, relativa alla coltura del gelso delle Filippine, aggiunge verbalmente le seguenti notizie e considerazioni: « Le talee del gelso delle Filippine debbono tagliarsi in gennajo a misura di 0.30, scartando la punta di ogni vermena come troppo tenera e floscia per- chè poco formata e sempre erbacea. Queste talee riunite in fascetti di 25 l'uno, sì sotterrano nella arena schietta coprendole poi con pattume o concime grosso. Nel marzo successivo, divise in tanti piccoli frammenti per quante sono le gemme, bro IT SEDUTA DEL 29 maggio 1864 373 sì seminino queste in terra sciolta fresca e grassa e che possa adacquarsi in estate; la quale sia stata vangata e concimata soprainverno acciò si costringa alquanto la massa terrosa e colminsi i vani lasciati dalle piote nella vanga- tura e ancora perchè il concime che occorre amministrare alla ragione di 18 cariche per ettaro sia bene digerito dal suolo all’epoca della seminazione di quest’ occhi, » Indipendentemente da questo metodo, che è il solo che possa rendere este- samente attuabile il metodo Bellotti, si trovano nel ge!so delle Filippine pregi preciari: » 1.° Produce abbondantemente e fa pochissime more. » 2.° Muove prestissimo sul principio della primavera e può anco rimuovere nella fine dell'inverno, per cui singolarmente si presta alle educazioni precoci e tardive non che pei provini, pei quali dovrebbe preferirsi al comune, bastando a preservarlo dal freddo ed a farlo muovere prima dell’epoca ordinaria una spagliara artificiale formata di stuoje inclinate verso il boschetto de’ gelsi di cui io medesimo descrissi la costruzione. n 3.9 Tale e tanta è Ja facilità di sua moltiplicazione che non solo in prima- vera ma al cominciar dell'estate e da febbrajo fino ad agosto si possono fare talee, e non solo colle gemme ma anco coi semplici pezzi di ramo compresi fra nodo e nodo, giacchè si svolgono in rami le stesse leuticelle visibilissime, di cui è cosperso la superficie de’ suoi virgulti più lussureggianti; ciò che lo raccomanda sempre più per far praterie di gelso, le quali riescono solo pos- sibili col moro in questione, niun altra varietà o specie a ciò prestandosi, e forse neppure il Lhon, che infine non è che un suo derivato ma più di lui vi- cino all’origine che hanno comune nel Morus morettiana al quale il filippino può ritornare opportunamente moltiplicato per seme. » 4.° Non soffrendo affatto la sfrondatura può brucarsi in qualunque stagione ciò che può servir a risparmiare gli altri mori ai quali le sfrondature fuor di tempo riescono sì dannose sotto tutti i rapporti; laonde può sostenersi che il moro delle Filippine come forma la base e il pernio del metodo Bellotti di far semente sana, forma la base e il pernio dei provini e delle raccolte autunnali e dei trevoltini per chi credesse di coltivare anco questa razza. » 5.° È il solo moro che può render possibile un vivajo senza un semenzajo e metter un agricoltore che trovasse un fondo privo affatto di gelsi, caso ben raro in Lombardia ma non altrove, nella condizione di aver una massa rile- vante di foglia il secondo anno della condotta del fondo stesso, come è occorso a me stesso a Corfù ove nel fondo che io dirigeva non preesistevono gelsi già fatti per cui senza il filippino avrei dovuto aspettare almeno 8 anni a far dei bachi, mentre potei al terzo anno col mezzo delle siepi e dei boschetti di Mul- ticaule montare una bigattiera che servirono e diressero i convittori di quel- l’Istituto Agrario con ottimo risultato. 374 SEDUTA DEL 26 MaccIO 1864 » 6.° La seta chesi ottiene dalla foglia di Filippine è altrettanto buona e forse migliore ma certamente più gentile e più fina comparativamente per la stessa razza di quella ottenuta con qualsiasi specie, mentre sulle 4 qualità di gelsi messe a confronto dall’analisi per rilevarne il tornaconto si può sta- bilire che: »» La foglia arancina produce seta nella proporzione di . n La morettiana la produce di n La salvatica di . VDSRT pale, ra ni ine Se Ago e i Ro IVI x La filippina, di .\u...L. ee Sn » Dall’ esposizione di questi fatti deco e in ERE CREIOÀ dovrebbe colti- varsi molto di più di questa sorte di moro, » DI a È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. Si ammettono come nuovi soc) effettivi 1 signori: CaseLLA dott. Giuseppe di Laglio (lago di Como), proposto dai socj Cornalia, Stoppani e Spreafico Emilio. BERNASCONI sac. BALDASSARE, coadjutore a Laglio (lago di Como), proposto dai socj Stoppani, Orsenigo e Grar- gantini, Lrioy PaoLo di Vicenza, proposto dai socj Antonio e G. B. Villa e Franceschini. Bianconi GiusepPE di Bettona ( Umbria), compilatore del Giornale scientifico-letterario-agricolo di Perugia, proposto dai socj Galanti, Cornalia e Omboni. LIBRI arrivati in dono alla Società nei mesi di marzo, aprile e maggio 41864. Nel trecentesimo natalizio di Galileo in Pisa. 18 febbrajo 1864. Pisa, 1864, Lettere di Galileo, Note, ecc. Elenco delle università cd accademie. scientifiche nazionali ed. estere che presero parte al IIT° centenario natalizio di Galileo Galilei, celebrato in Pisa il 18 febbrajo A864. — Questo e il precedente opuscolo sono accompagnati da una medaglia commemorativa in bronzo. Atti del decimo congresso degli scienziati italiani. Siena, 1864. Perazzi, Intorno ai giacimenti cupriferi contenuti nei monti. serpen- tinosi dell'Italia Centrale. Torino, 1864. Dalle Mem. della R.Accad. delle scienze in Torino. Serie Hl, Vol. XXII. StroseL, Palafitia di Parma. Nel num. 63.(418 marzo 1864) della Gazzetta di Parma. — Abitazioni palustri dell'età del ‘bronzo in Parma. Nella Ri- vista Parmense. Anno I, Num. 7 (3 aprile 1864). Gareicuetti, Sopra due memorie paleo-etnologiche del D" G. Nico- lucci. Rapporto dell’ accademia R. di Medicina, Torino, 1864. De-Bosis, ZL’ inverno 1863-64. Osservazioni meteorologiche, ecc. An- cona, 1864. — Osservazioni meteorologiche nell'ottobre 1863. Ancona, 186%. 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Serie V, tomo HI, fase. 2.° Atti dell’ I. R. Istituto Veneto, ecc. Tomo VIII, disp. 10. — Tomo IX, disp. 1,2 3. Memorie dell’ I. R. Istituto Veneto, ecc. Vol. XI, Parte II Rendiconti del R. Istituto Lombardo, ecc. Classe di scienze mat. e nat. Vol. |, fasc. 1, 2e 3. L’ agricoltura, 1864. Num. 4, 38,6, 7,8e9. Corrispondenza scientifica in Roma. Vol. VII, 1864. Num. 4,3,6 0 7. Bullettino dell’ Associaz. agraria friulana. Anno IX, num. 5, 7, 8, 96140. Il Picentino. Anno VII, fasc. 4, 8,6, 7,89. Bullettino dell’ Associazione nazionale italiana di mutuo soccorso degli scienziati. Disp. 7 e 8. Borrer, Giornale d’ Agricoltura, ecc. Anno |, num. 4,5, 8,9 e 10. Rendiconto dell’ Accademia Reale delle scienze fisiche, ecc. di INa- poli. Anno III, fase. 2, 3 e 4. L'Ortolano. Giornale popolare d’ orticoltura pubblicato dalla So- cietà fiorense cd ortense del Litorale. Anno V, numeri 41 a 12. Trieste, 1863. La Sericoltura. Anno I, numeri 7 a 12. I Giardini. Anno X, num. 7, 8 e 9. 378 SEDUTA DEL 29 maccio 186% Cantoni, Annali d’ agricoltura, 4864. Num. 8, 6,7, 8, 9% e 10, Il Politecnico. Numeri 92, 93 94, 95 e 96. Atti della Società di acclimazione, eve. in. Sicilia. Tomo HI, nu- meri 11 c 12. — Tomo IV, num. 4.0 2. Giornale della Commissione d'agricoltura, ecc. perla Sicilia. Se- rie IV, vol. I, fase. B. Atti del R. Istituto d' incoraggiamento alle scienze naturali in Na- poli. Tomo XII. Napoli, t864. Bulletin de la Soc. Imp. d’acclimatation. Serie IL, tome I, num. 1, DS OC Revue Savoisienne. 1864. Num. 3, 4 e 8. Mémoires de la Société de physique et d’ histoire net. de Genèce. Tome XVII, Prem. partie. Genève, 1863, Flora. 4864. Num. 1. Regensburg. Wiener Entomologische Monatschrift. Band VII, num. 10, 11, e12. — Band VII, num. 1. Verhandlungen des siebenb. Vereins fiir Naturwiss. zu Hermann- stadi. Jahrg. XIV, num. 1,2,5,4,B e 6. Leonnaro und Genirz, Mewes Jahrbuch fiir Mineral. Jahrg., 1863, Heft. VII — Jabrg., 1864. Heft. II, Vierter Bericht des Offenbacher Vereins fiir Naturkunde von 44 mai 1862, bis zum 17 mai 1863. Mittheilungen der. k. k geograph. Gesellschaft. VI, Jahrg., 1862. Jahrbuch der k. k. geolog. Reichsanstalt. 1863. Num. 3 e 4. Revista agronomica , ecc. Lisboa. Serie HI, Tomo 1, num. 13 e 44, Bulletin de la Soc. Imp. des natural. de Moscou. 1863. Num. 2 e 5. Verhandlungen der k. k. zool. botanischen Gesellschaft in Wien. Jahrgang, 1863. Band. XIII. Bullettino nautico e geografico. Vol. WI, num. 1. Maggio 1864. Procedings of the Natural History Society of Dublin for the Session. 1862-63. Volume IV, Part. 1. Dublin, 4864. Bulletin de la Société des sciences naturelles de Neuchdtel. Tome VI, Second cahier. 1863. Atti della R. Accademia deì Fisiocritici di Siena, Serie II, vol. Il, fasc. I, Siena, 1864. i LIBRI comperati a spese della Società in seguito a speciali determinazioni prese negli anni scorsi. Jan, Zconographie générale des Ophidiens. 3. et 4.° tive. Paris, avril 1864. Hermann von Meyer, Zalaeontographica. VII Band, V Lieferung, IX Band, IV und V Lief, — X Band, V und VI Lief. — XI Band, J, I, II, IV und V Lief. — XII Band, I Lief, — Supplement Band, Il und HI Lief, SOPRA UNA STRAORDINARIA INVASIONE 8 DITTERI DELLA FAMIGLIA DEGLI EMPITI DEL SOCIO PAOLO LIOY (Seduta 29 maggio 1864) Erano gli ultimi giorni di marzo del corrente anno; la vegeta- zione ancora assopita; in Vancimugli, villa del Vicentino, lungo le rive dei fossati e degli stagni non iscorgevansi che pochi fiorellini di Bellis perennis e di Cardamine pratensis. 1 ramoscelli dei salici (S. viminalis, Linn.) cominciavano a mettere gemme ; recisi alla cep- paja coltivansi lungo le risaje, usandosi nell’ autunno le vermene per legar i covoni di riso. Fu su codeste siepi che io mi imbattei nella insolita invasione di sciami innumerevoli d’insetti appartenenti all’or- dine dei Ditteri, tribù dei Tanistomidi, famiglia degli Empiti, genere Empis. La specie io considero come non ancora descritta dagli autori, e vorrei chiamarla Empis salicina. Ha filiforme la tromba, assottigliata all’ estremità, più lunga della testa. Questa piccola; le antenne col terzo articolo grosso, conico. To- race grande, gibboso. Addome sottile, allongato, a punta, terminato nei maschi da due uncinetti. Peli cenerognoli sulla testa e sul torace; nerastri sull’addome che è però quasi glabro. È affine all’ Empis lavida, Linn., ma ne differisce per la statura più piccola, per il co- INVASIONE DI DITTERI . 581 lore più fosco, nerastro, per i piedi neri, per le ali meno traspa- renti e più grandi, con una linea oscura alla metà della nervatura del margine superiore. Singolarissime le abitudini di questa specie di £mpis, proprie del resto anche ad altre sue congeneri. Per una estensione di circa un miglio tutti i ramoscelli dei salici erano popolati da un brulichio di codesti Empiti, che lentamente e gravemente, come sogliono altri Ditteri, quali i Chironomi, aggira- vansi tra le gemme. Al par dei Culicidi e dei Tabanidi, gli Empiti maschi restano paghi di nutrimento vegetale; le. femmine invece, sanguinarie e rapaci, inseguono piccoli Tipularidi e Muscidi, e, gher- mitili tra i loro piedi, vanno a posarsi a preferenza sovra i ramo- scelli disseccati dei salici, ed ivi colla lunga proboscide ne suggono gli umori. Appena una di quesie femmine si è chetata colla sua preda, il maschio le è sopra e seco si accoppia. In milioni di coppie non fu possibile scoprire una sola femmina, che, mentre tranquillamente attendeva all’ opera della generazione, non fosse anche intenta a pa- scersi della sua vittima ;: era del pari impossibile incontrare una sola femmina colla sua preda tra le branche, che già non fosse appajata. Invano ho cercato nei dintorni i piccoli Tipularidi e i Muscidi che ser- vono di bottino a quelle femmine ingorde; può avvenire che la cac- cia sia eseguita il mattino per tempo o sull’imbrunire, istanti del giorno in cui quei piccolissimi Ditteri amano raccogliersi a turbe per l’aria, rimanendo nelle ore in cui la luce è più viva appiattati sotto le foglie; o può coglierli il nemico nel momento stesso in cui sgusciano dalle crisalidi profuse in quei luoghi palustri, specialmente quelle dei Tipularidi Culiciformiti. lo mi sono immantinente dato a perscerutare la causa della straor- dinaria moltiplicazione di un insetto, che, in tanti anni che io esploro quei luoghi entomologicamente, non mi era mai accaduto di in- contrare. Le invasioni degli insetti possono derivare da immigrazioni come succede pegli Ortotteri, e qualche volta pei Coleotteri, come nar- rasi avvenisse nel 1860 a Buenos Ayres dell’/apalus cupripennis, e sul Vesuvio, durante l’ultima eruzione, di grande folla di Coccinelle ; 382 P. "LIOF; ma ordinariamente le invasioni dipendono da particolari circostanze, le quali permettono e favoriscono la riproduzione di insetti, che nelle condizioni più comuni non possono se non in piccolissimo numero compiere fe loro metamorfosi; ed appartengono a questa categoria le invasioni di Efimere, di Lepidotteri, e di altra maniera, insetti spesso devastatori; nonchè, a mio avviso, la sfoggiata comparsa che io osservai degli Empiti. A tentare di spiegarla, io doveva adunque indagarne le relazioni cogli influssi meteorologici e cogli altri organismi. Riguardo ai primi ognuno conosce quanto aspra e crudele fosse la scorsa vernata, di nevi e ghiacci lungamente apportatrice, e di freddo spinto a tal grado che per qualche giorno i vecchi ne hanno ricordanza, ma così ostinatamente prolungato è fama che a memoria di momo non ci fosse il secondo. Ora io ho sempre osservato che a torto l’a- gricoltura dopo un rigoroso inverno spera di andare la prossima sta- gione salvo da scempio di insetti; parecchie volte, per uno sconcerto delle avviluppatissime armonie della natura, avviene invece il contra- rio. Ho veduto a rigidissimi inverni seguire invasioni di Coleotteri e Lepidotteri, specialmente di quelli che la ria stagione passano sot- terra allo stato di crisalide, ovvero sotto terra hanno uso di seppel- lire le ova. Può darsi che la generazione abbia sofferto dall’ acer- bità del gelo, pure una circostanza propizia può renderla fertile più che negli anni in cui temperato è l'inverno, imperocchè negli anni più miti le benefiche schiere degli insetti carnivori, e special- mente gli Ichneumonidi, crescono prosperamente a limitare la con- correnza di altre specie, mentre nei freddissimi inverni le specie, che le ova o le crisalidi lasciano male riparate sulle corteccia degli arbori, nelle ascelle dei rami, negli steli delle piante, colpite a morte, deperiscono. Ecco adunque come stagioni ostinatamente fredde, rom- pendo l'equilibrio tra gli insetti nemici, possono favorire la propa- gazione di alcuni. Tutto ciò, se pongasi mente al precocissimo sviluppo degli Empiti, può aver influito assai poco. Facea d’uopo risalire ad un’epoca an- teriore al verno, e vedere in quali condizioni si fossero trovate, la scorsa estate e l'autunno, le larve acquatiche di quei Ditteri. Fortu- INVASIONE DI DITTERI 385 nafamente alcune ricerche, che il passato anno io avea fatto alla bella stagione per formarmi un piccolo acquario, mi corsero alla memoria, prestandomi qualche anello che io credo valga ad intrecciare la sto- ria del trionfo degli Empiti. Le acque stagnanti e i rigagnoli delle circostanti risaje mostransi ordinariamente ricche di larve di Idrofili (4/7. piceus, Lin.), di Ditisci (D. marginalis, Linn.), di parecchi Neurotteri Libelluliti e Agrioniti (Libellule di più specie; Calopteryx cirgo, Leach., Agrion puella, Fab.), e di Friganee (2. plumosa , grandis ; reticulata). Que- ste ultime erano ancora frequenti nello scorso anno, già meno fre- quenti che negli altri anni erano gli Agrioniti e specialmente le Li- belluliti; ma notevolissima era la straordinaria rarità dei Ditisci e degli Idrofili fino allora comunissimi. Conviene immaginarsi la vita della specie come il corso di un fiu- me. fistretto nel suo alveo, egli occupa poco spazio; ma, se riesce a rompere o a sorpassare l’argine, allaga vaste contrade. Così la spe- cie avrebbe virtù di espandersi illimitatamente; un ceppo di papa- veri o una femmina di lepidotteri basterebbero coi loro pronipoli a innondare la terra. Ma vi sono gli argini; vi sono le circostanze atmo- sferiche e vi sono le specie emule, rivali o nemiche. Viene a sce- mare o a mancare una di queste barriere? È come un argine che si rompe; la specie invade luoghi dove prima appena riusciva a per- peluarsi. Queste considerazioni, rinchiudendo il segreto di parecchj fatti paleontologici, come, per esempio, delle colonie di specie, indeboli- scono assai il valore eronologico che si attribuisce a certi avanzi fos- sili, mostrando possibile la contemporaneità di specie a torto credute scaglionate; ma nel caso che forma argomento di questa nota ento- mologica, giovano a spiegare laffollata apparizione degli Empiti. È nolo quanto voraci carnivore siano le larve acquatiche dei Coleotteri e dei Neurotteri summentovati ; alcuni, abitando le acque anche adulti, e specialmente i Ditisci, rappresentano in quel piccolo mondo mostri insazievoli. Ecco adunque che la generazione degli Empiti dell’anno 18653 rinvenne circostanze al tutto speciali e fauste alla sua propa- gazione. Fortuna simile deve essere toccata all’ infinità delle altre 384 P. LIOY , ova e larve acquatiche di Culicidi e di Tipularidi, ed io oso predire, che nel volgente anno, più che all’ordinario, vi sarà molestia in quei dintorni di codesti Ditteri, alcuni dei quali trovarono però motivo di danno dalla rarità dei carnivori acquatici, e sono i piccoli Tipularidi e i Muscidi messi a morte dalle femmine degli Empiti. Vedasi com- plicata rete di armonia! L’anno venturo, il 1863, potrà esserci ra- rità di quei piccoli Tipularidi e Muscidi per colpa della rarità dei ‘Ditisci e degli Idrofili del 1863, e la rarità di quegli inseltini che servono di cibo agli Empiti potrà produrre in questi, per la diffalca di cibo, una diminuzione nel 1866, se già non dovrà prima accadere per altre cause misteriose. Ecco adunque che la diminuzione di specie carnivore, invece di avere giovato a tutte le altre specie, due anni dopo fa risentire un’ in- fluenza nociva su alcune. Fino qui il problema non è sciolto che a metà. Fino qui si può arguire che la strabocchevole copia di Empiti del 1864 sia rampol- lata dalla sterilità dei Ditisci e degli Idrofili nel 1862 o dalla loro diminuzione nel 1863. Ma per quale cagione avvenne quella sterilità o quel decrescimento ? Difficile raccappezzarsi tra i molti e intricatissimi gradini che sarebbe necessario ascendere per chiarire la questione. Influenza palese del regno vegetabile, nessuna; in quegli stagni le solite fa- nerogame, le solite crittogame ; niuna specie introdotta o immigrata, che potesse aver esercitato l'influsso che il Mancenillo vuolsi eserciti sull'uomo. Lungo le rive le consuete mente, salicarie, carici, tife, giunchi, galeghe , iridi, placide tappe al volo delle libellule ; nelle acque i consueti miriofilli, potamogetoni, ranunculi, ninfee, lemne. Influenza palese del regno animale, nessuna; imperciocchè di augelli palustri da qualche anno, piuttosto che abbondanza, carestia; nei pesci nulla di nuovo, se togli crescente scarsezza; nei molluschi ap- parente diminuzione nelle Anodonte e nei Limnei. Potrebbero avere influito le stagioni estive. da qualche anno aride ce caldissime, nonchè i lavori di fognatura, che resero meno palustri quei terreni; ma l’esame dei pochissimi Ditisei e Idrofili che 1° e- state del 1863 ho potuto raccogliere in luoghi dove prima non tuf- INVASIONE DI DITTERI I85 favasi giù la rete entomologica senza pescarne a dovizia, mi indusse a congetturare che anche in quegli insetti infierisca una malattia, come quella che in parecchj laghi e peschiere del Veneto e della Lombardia pone in isbaraglio l’esistenza del gambero comune (Cancer astachus, Linn.), risparmiando le altre due specie sorelle che con esso vivono in qualche luogo (C. pulex, C. squilla). E veramente Ditisci e Idrofili erano non già, come sogliono, agili e vispi, bensì calosci, tardi, arrembati; i primi appena appena schizzavano quel bigio li- quore, che emettono sentendosi ghernire. Il morbo potrebbe aver sua origine nella propagazione di altri es- seri microscopici, o vuoi piante o vuoi animali, Ci ha un alga, |’ A- chlya prolifera Nees d’Es., che, trovando favorevoli circostanze pro- lifica sulle squamme dei pesci, disertandoli colla stessa violenza con cui la Botrylis Bassiana devasta i bombici della seta, o gli oidii la vite, a Gratz nel 1842 spopolò di pesci gli stagni. Degli Entozoi è inutile aggiungere verbo, conciossiacchè la più piccola fessura, per cui potessero sprigionarsi dagli argini cui confrontavamo testè i li- miti opposti alla soverchia diffusione delle specie, recherebbe distru- zione in augelli acquatici, pesci, molluschi, crostacei, insetti. lo mi propongo il corrente anno di studiare la vera cagione della diminuzione delle due specie di Coleotteri, che forse, insieme ad altre circostanze, permise la straordinaria diffusione degli Empiti, Sono ben lontano dalla fiducia di poter dare nel segno, conoscendo quante intricate siano le catene di cause ed effetti che in simili vi- cende organiche sono poste in azione, ma ritengo utili somiglianti ricerche, come quelle che, ripetute ed estese, possono giovare non solo alla profonda nozione della fauna e della flora contemporanea, ma anche di quelle delle antiche età della terra. Per me io credo che, come si è ormai bandita dalla geologia la teoria dei cataclismi, sia non lontano il tempo che dovranno modificarsi le idee intorno alla successione cronologica degli avanzi fossili, e, pensando alle immi- grazioni, alle invasioni, alle diminuzioni e alle estinzioni di specie, cagionate sia da vicissitudini meteorologiche sia da mutevoli rapporti delle specie fra loro, si dovrà essere molto più guardinghi prima di decidere se certe specie siano o non siano coeve, Vol. VI. 25 Seduta del 26 giugno 1864. Il socio G. B. Villa presenta e legge una sua Nota sulle torbe della Brianza. Il socio Sanseverino osserva che il suo avo materno conte Annibale Sanseverino fu uno dei primi a propugnare l’uso della torba come combustibile per le filande ed altri opificj, ma senza che gli si desse ascolto. Si presenta una nota del socio Lioy Su una malattia della Mosca domestica. Il presidente Cornalia, senza voler mettere in dubbio la novità della specie descritta dal signor Lioy come pa- rassita della mosca, osserva che varj autori hanno già trattato delle muffe che vivono sulla mosca comune, e fra 1 più recenti trovasi il Lebert, che pubblicò la memoria in- titolata Uedber die Pilzkrankheit der Fliegen, ecc. (1857. Zurigo). L'argomento vi è trattato ampiamente, e sono descritte molte nuove specie osservate dall’ autore. Il socio Sordelli osserva pure che una malattia delle mosche fu descritta e rappresentata con disegni dal si- gnor Cohn, nel vol. XV degli Atti dell’Accademia dei curiosi della Natura di Breslavia. SEDUTA DEL 26 ciugno 1864 387 Si presenta una nota del signor Mina-Palumbo Sugli amori de’ rettili. Si presenta una memoria del socio Meneghini intitolata Studj paleontologici sulle ostriche cretacee di Sicilia. Si presenta pure una nota del socio Mortillet Sulla geo- logia dei dintorni di Roma. Il socio Sanseverino presenta una memoria del sig. Sa- limbeni sulla generazione spontanea, e ne propone l’autore come socio effettivo. Il vice-presidente Antonio Villa presenta il Programma della Società nazionale di miniere in Lombardia (Val Rossiga di Crandola ed altre miniere di Valsàssina); e ag- giunge alcuni dati sui filoni che devono essere lavorati da questa Società. Siccome la unione della Società Elvetica di scienze natu- rali avrà luogo in quest'anno a Zurigo nei giorni 22-24 ago- sto, ed altre riunioni scientifiche avranno luogo a Brescia dal 22 al 28 agosto, a Pavia dal 1.° all'I1 settembre, così la Presidenza propone che si scelgano i giorni 29, 30€ 31 agosto e 1.° settembre, per la Riunione straordinaria della Società a Biella. Questa proposta è accettata, e sarà comunicata al Presidente speciale per quella riunione, il socio Sella. Seduta del 31 luglio 1864. È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. Il segretario Omboni presenta e legge una lettera ine- dita del prof. Belli Su/le maree delle rocce liquide sotto- stanti alla crosta solida terrestre. Lo stesso segretario presenta pure una memoria del so- cio Pecchioli intitolata Descrizione di alcuni nuovi fossili delle argille subappennine toscane. Si annuncia che il Presidente per la riunione straordi- naria a Biella ha fissato per quella riunione i giorni 3, 4,5 e 6 settembre. Il socio G. B. Villa presenta alcuni oggetti moderni di ferro, trovati nella torbiera di Casletto. Si ammettono come nuovi socj i signori: Curti avv. Pier AmBrogIo, di Milano (via di Bre- ra, 11), proposto dai socj fratelli Villa e dal socio Cabiati. SALIMBENI conte LEONARDO, deputato al Parlamento, proposto dai soc} Sanseverino, Cornalia e Omboni. Simi Emitio, di Serravezza, dottore in scienze naturali, proposto dai socj Cocchi, D’ Ancona e Caruel. SEDUTA DEL 354 LugLIO 1864 589 Si incaricano i signori Bollini e Osculati di rappresen- tare la Società al Congresso Agrario, che avrà luogo a Pavia nel prossimo settembre. Per la riunione straordinaria a Biella fu mandata ai socj effettivi e corrispondenti, alle Accademie e Società scientifiche d’Italia, ed ai più distinti naturalisti italiani la seguente circolare, con un sunto dei Regolamenti. Signore Ho l’onore di invitare la S.3 V.8 Chiar.® a prender parte alla Aiunione Straordinaria della Società italiana di scienze naturali, che avrà His! în Biella, nei giorni 3, 4, 5 e 6 settembre. Ove alla S.* V.8 piaccia di accettare questo invito, Le sarei tenuto a voler- mene dare avviso prima del 15 agosto, onde, d'accordo col Municipio, si pos- sano dare le occorrenti disposizioni per gli plficat L’ ordinamento delle sedute generali e delle sezioni si farà più agevole quando chi intende fare qualche lettura me ne faccia sapere il titolo. La S.* V.è troverà nel palazzo municipale di Biella il registro di iscrizione, il biglietto di ammissione e le occorrenti indicazioni. Confido che la S.* V.* vorrà onorare la Riunione della sua presenza. Biella, 10 luglio 1864. Il Presidente della Riunione Straordinaria QuiNTINO SELLA. LIBRI arrivati in dono alla Società. nei mesi di giugno e luglio 1864. Garsicuierti, Di alcuni recenti scritti dei due naturalisti napolitani professori Oranzio e Achille Costa. Torino, 1864. Dawson, Aîr-breathers of the Coal-Period. A descriptive account of the remains of land animals found in the coal formation. Mon- treal, 1863. | Scara, Compendio delle costruzioni rurali più usitate. Pubblicato dalla Associazione agraria friulana, Udine, 1864. Sauimpeni, Sulla eterogenia. Modena, 1865. Picorini, Palafitta del Pavullo dî Modena. Lettera al prof. Son. Nella Gazzetta di Parma, 1864. Num. 135. Cocci, Notizie archeologiche. Nel Giornale Za Nazione, 1864. Nu- mero 148 e 463.0 mo Bianconi, ZL uomo-scimmia. Bologna, 1864. Silvestri, Analisi chimica di un prodotto minerale di un vulcano spento della Toscana. Catania, 1864. — Sulla illustrazione delle opere del padre Ambrogio Soldani e della fauna microscopica fossile del terreno pliocenico italiano. Dagli Atti del X Congresso degli scienziati Italiani in Siena. — Analisi chimica di due nuove acque minerali di Montecatini in Toscana. Napoli, 1863. Scuarnauti, Die Geologie in ihrem Verhdltuisse zu den dibrigen Na- turawissenschaften. Munchen, 1843. Rora, Schilderung der Naturverhaltnisse in Std-Abyssinien. Muùn- chen, 18B41. Pruner, Die Vebderbleibsel der altigyptischen Menschenrace. Min- chen, 1864. Viuta, Le Cantaridi. Zantepescai, Lettera intorno alla forze che sollecitano le molecole, ecc. Padova, 1865, SEDUTA DEL 31 LUGLIO 1864 391 Barsamo Cuiverui, Storia naturale e coltivazione dell’Ape. Milano, 18684. Mexecnini, Denterx Minsteri. Specie di pesce fossile delle argille su- bappennine, ecc. Pisa, 1864. Carorate, Sulla Statistica dell’ Istruzione tecnica. Napoli, 1864. Rendiconto dell’Accademia delle scienze fisiche, ecc. di Napoli. Anno III, fasc. dB e 6. Rendiconti del R. Istituto Lombardo, ecc. Classe di scienze matema- tiche e naturali. Vol. I, fase. IV. Atti dell'Ateneo Veneto. Serie Il. Vol. I. Puntata prima e seconda. Atti della R. Accademia dei georgofili. Nuova serie. Vol. X. Par sa 4. Vol. XI. Dispensa 4.3 Biillettino della Associazione agraria friulana. Anno IX. 1864. Nu- mero 14, 12 e 413, L’ Agricoltura. 1864, Num. 40, 11 e 12. I Giardini. Anno X. Num. 10,41 e 12. Aprile, maggio e giugno 1868. Il Picentino. Anno VII. fasc.i 10, 41, 12 e 13. Borrer, Giornale d’ Agricoltura, Anno I. Num. 11, 42 e 143. Corrispondenza scientifica in Roma. Vol. VII Num. 6,7 e 9. Rendiconto delle sessioni dell’Accademia delle scienze di Bologna. Anno 1863-64. Memorie dell’Accademia delle scienze di Bologna. Serie II. Tomo III. Fast) 3.° Rivista delle scienze mediche. Anno I. Num. 4 a 12, Torino 1864. Canestrini, Archivio per la zoologia, l'anatomia e la fisiologia. Vol. 1. Genova. 1861. Vol. Il. Genova 1862 e Modena 18653. Vol. Il. Fa- scicolo 1.° Modena 186%. Canroni, Annali d' Agricoltura. Anno IV. Num. 11, 12, 13 e 44, L’Ortolano. Anno VI. Num. 4. e 2. Atti dell'I. R. Istituto Veneto, ecc. Serie HI. Tomo IX. Dispensa 4.°, Bi, Gion * Bulletin de la Société imperiale d’acclimation. 2.° Serie, Tome I. 1864. Num. 3. Bulletin de l'Institut national genevois. Num. 20 e 24. Bulletin de la Societe imperiale des nalur. de Moscow. 1863. Num. & Revue Savoisienne. 1864. Num. 6 e 7. I 592 SEDUTA DL 31 LuoLIO 1864 Verhandlungen der Schweizerischen Naturforschenden Gesellschaft bei ihner Versammlung zu Samaden. 1863. Chur. 1864. Mittheilungen der naturforschenden Gesellschaft in Bern aus dem Jahre 1863. Num. 331 a 552. Schriften der k. physik. ceconom. Gesellschaft zu Konigsberg. 1863- Abth, 4.° und 2° Revista agronomica, florestal, ecc. 3.° Serie. Tomo I. Num. 15 a 48, 21 e 22. Memoires de l’ Institut national genevois. Tome IX, années 1862-63- Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. IX. Fa- scicolo 8.° ed ultimo. Atti della Societa scientifica e letteraria di Faenza. Faenza, 1864. Memorie dell’Accademia d’agricoltura, commercio ed arti di Ve- rona. Vol. XLI e XLII. Atti della Societa d’acclimazione di Sicilia, 1864. pag. 65 a 144. Viener Entom Monatschrift. 1864. Num. 41 a 6. Abhandlungen der Math. phys. Classe der k. bayerische Akademie der Wissenschaften, Mimehen, Band. VII und IX. 1857 a 1863. Verhandlungen des dsterreich. Alpen-Vereines. Erstes Heft. Wien. 1864. Abhandlungen der Schlesischen Gesellschaft fiir vaterlandische, Cul- tur. — Naturwiss. 1862. Heft. II. Vierzigster Jahres-Bericht der Schlesishen Gesellschaft fiir vat. Cultur. Breslau, 1863. Leoxuaro und Genits, Neues Jahrbuch. 1864. Drittes Heft. Jahrbuch der k. k. geol. Reichsanstalt. 1864. Num. 4. Correspondenz-Blatt der zool. min. Vereines in Regensburg. XIV, XV und XVI Jahrgang. 1860 a 1862. Abhandlungen des zool. min. Vereins in Regensburg. VIII. Heft, 1860. Jahresbericht der Naturforschenden Gesellschaft Graubiindens. Neue Folge. IX. Jahrgang. 1862-1863. Chur. 1864. Flora. Regensburg. 1864. Num. 41 a 8. E num. 10. Stitzungs-berichte der k. bayer. Akademie der Wissenschaften. 1864, 41862, 1863 e 1864. Num. 4. e 2. del 1.° semestre, Revista agronomica, ecc. Lisboa, 1864. Num. 24-24. SULLE TORBE DELLA BRIANZA NOTIZIE peL socio Gr. B. VILLA (Seduta del 26 giugno 1864) L’escavazione della torba al giorno d’oggi è divenuta presso di noi in uso dappertutto, specialmente a motivo della scarsezza di legna e carbone, ai quali può essa sostituirsi con vantaggio, mentre il loro incarimento va giornalmente aumentando. Essa può dirsi quasi l’ unico combustibile, che possa risarcirci in qualche modo della mancanza di carbon fossile, di cui natura non volle prodigarci sua dovizia. Non tutte le torbe però sono della eguale bontà. Molte contengono sab- bia, terra, argilla, mentre altre sono ricche di bitume. Varie di queste torbe si comprende essersi depositate nel fondo di un lago più o meno basso e verso il lido; contengono avanzi di antichi oggetti domestici e di palafitte, che antichi popoli abitanti le nostre regioni hanno piantate nel fondo dei laghi stessi, onde costruirvi sopra le loro abitazioni, forse perchè le nostre terre, a quell’epoca, dove- vano essere tutte coperte da boschi, popolati da animali selvatici. Egli è appunto perciò che in alcune torbe si rinvengono i pilotaggi non solo, ma anche rottami di stoviglie rusticissime, pietre lavorate a foggia di frecce, di picche, ecc., ossa pur esse lavorate, legni, ecc. Nel duplice intento adunque di prender notizie e geologiche ed archeologiche intorno a queste torbe, specialmente allo scopo di ot- tenere maggiori lumi per gli studj sulle abitazioni lacustri degli 394 G. B. VILLA, antichi popoli (studj che si fanno ora da diversi dotti, non che da varie Società scientifiche, non esclusa la nostra, che sì splendidi ri- sultati ebbe per le indagini fatte dal segretario abate Stoppani) ho visitato recentemente diversi scavi di torbe nella nostra Brianza. Nella frazione di Maggiolino (territorio di Rogeno) venne praticato da poco tempo uno scavo di torba di proprietà dei signori Antonio sacerdote Giuseppe ed Ambrogio Ratti: essa è bituminosa, della “profondità di metri 3.63, e sembra di buona qualità. Lo strato supe- riore in alcune parti è misto ad argilla bianca, la quale, contenendo essa pure bitume, abbruccia con bella fiamma. Tanto l’argilla quanto la torba devono gran parte del loro bitume a sostanze animali, con- tenendo grande quantità di gusci di molluschi. Lo strato che con- tiene questi molluschi è separato dagli altri e distintissimo. Per primo incontrasi quasi a fior di terra una torba nera dello spessore di me- tri 4. 75, indi lo strato d’argilla zeppa di conchiglie, alto 40 centi- metri, e sotto di questo un altro strato assai bituminoso di metri 4.30. Le specie a cui si riferiscono le conchiglie sono presso che le stesse viventi oggidì in quei dintorni; la Z'alcata piscinalis però è quella che vi abbonda straordinariamente. Esse sono: Z'alpata piscinalis, Lymneus Stagnalis, Planorbis albus, Paludina impura, vivipara cd inflata Villa, Cyclas cornea e lacustris. In due diverse località, dove giace questa torba, furono trovati dei piloni, che sembrano di pino, confitti perpendicolarmente entro terra, poco più d’ un metro al dissotto della superficie. Essi terminano non già a punta acuta, bensì cuneiforme, ossia a modo di scalpello. Mi fu detto essersi ivi trovati un osso ed un pezzo di legno lavorati, come pure alcuni sassi lisciati, ma questi oggetti andarono dispersi. Si rivennero anche diversi pezzi di stoviglie, un pezzetto di selce la- vorata, un pezzo di dente ed un osso frontale di un ruminante, alla profondità di un metro e più, e recentemente, varie ossa di un grosso cervo, strobili di pini diversi, noeciòle, e qualche legno che sembra di Taxus baccata, i quali oggetti furono a noi donati dal signor Carlo iratti di Rogeno. Nella stesso territorio, al così detto Pascolo di Rogeno, avvi un’al- tra torba, che in parte è di proprietà della Parroechiale, la quale è SULLE TORBE DELLA BRIANZA 395 più leggera di quella di Maggiolino, essendo il terreno ancora pa- ludoso; finora se ne scavò in pochissima quantità, ec nulla fu trovato in essa che possa interessare il geologo e l’ archeologo. Si stanno poi scandagliando in diversi punti tutti i bassi fondi del territorio di Rogeno e suoi dintorni, e tutti, quale più, quale meno, presentano indizj di torba. Anche nel Comune di Casletto si rinvenne torba vicino al rigagnolo Monaca nei possessi dei fratelli Isacco: essa è un poco leggiera, ed in alcuni siti schistosa. Neppure in questa finora si trovarono oggetti meritevoli di attenzione. A Sirone, vicino alla Raviola, nell’affondare una sorgente nell’ ar- gilla, furono trovati degli indizj di torba, ma non sembra tanto uti- lizzabile perchè molto terrosa e di poca estensione. Anche in questa nulla rinvenni di particolare. Nei prati del signor Pestagalli e nei boschi vicino a Garbagnate Rota sî fecero recentemente degli scavi di torba. Per quanto abbia esaminato attentamente, non vi rinvenni neppure un pezzo di legno, nè ho potuto sapere se altre persone vi abbiano veduto qualche cosa. Nella grande torbiera di Bosisio, della quale abbiamo parlato altre volte (1), trovai un’altra piccola freccia in selce, sui bordi della torbiera stessa e alla profondità di tre o quattro metri. Alla profondità poi di due metri osservai dei rami di nocciolo con frutti ben conser- vati, essi pure sul lembo orientale della torbiera. Mi venne indicato che sul margine occidentale, a circa due metri di profondità, si trovò molta paglia carbonizzata e del carbone, il che lasciava presumere che in tal luogo vi fosse un focolare. Uno degli scavatori mi disse di aver trovato, circa un metro sotto nella torba, una falce di ferro, della forma delle attuali, ed anch’essa sui margini, giacchè nel mezzo della torbiera non si trovò mai nulla, ad eccezione di qualche tronco (4) Sulla costituzione geologica e geognostica della Brianza, ecc. Nello Speltatore Industriale N. 41 e 2. 1844. Armi antiche trovate nella torba di Bosisio. Nel giornale il Fotografo N. 31 del- l’ agosto 1856. Gite malacologiche e geologiche nella Brianza e nei dintorni di Lecco, ecc. Relazione letta nella seduta 30 novembre 1862 della Società Italiana di scienze naturali dal vice Presidente Antonio Villa e pubblicata negli Atti della Società stessa. Vol. IV e nel Giornale dell’ Ingegnere Architetto ed Agronomo, anno XI, 1863. 396 G. B. VILLA, SULLE TORBE DELLA BRIANZA d’albero: i quali tronchi però sono frequenti ai lembi, ma sì nel mezzo come ai lembi stessi della torbiera si rinvengono quasi sempre alla superficie ed assai raramente affondati di qualche metro. Appartenente pure al territorio di Bosisio, sebbene alle rive del lago di Pusiano, avvi il luogo detto Comarcia, ove sonovi pure scavi di torba. Io l’ho visitato, anche in compagnia del nostro socio Mortil- let, ma nulla d’interessante abbiamo potuto rinvenire, benchè ci si assicuri essere state colà trovate molte frecce di selce ed oggetti di pietra, alcuni de’ quali sono in possesso della Famiglia Cesati di Bo- sisio, ed altri erano nella casa del Parroco di Bosisio ora defunto, e sono passati quindi ad un di lui fratello residente in Valmadrera, Il prof. abate Stoppani, vicino all’Isola dei Cipressi nello stesso bacino del lago, ha trovato indizj di palafitte, come ebbe ad indicare. nella seduta 31 maggio dell’anno scorso di questa Società istessa. Anche la torba di Rovagnate nulla presenta di singolare per l'archeologo: furonvi osservate delle vestigia di Arundo e diversi erbaggi: questa torba talvolta è compatta, rossiccia, e contiene conchi- glie lacustri. Di essa ha parlato il prof. Innocenzo Malacarne, in una sua Memoria intorno ad una nuova specie di torba (Milano 1851), ove la indica non solo come ottimo combustibile ed atto alla preparazione del gaz illuminante e del catrame, ma ben anco servibile come le- gname d’uso ebanistico, allorchè sia disseccata lentamente all’ om- bra, e resa compatta nel modo conveniente. A Renate, vicino a Bruscò, si scavava torba nei fondi di casa An- noni. Il fattore signor Antonio Gorla mi assicurò che vennero abban- donati i lavori perchè non vi si trovava la convenienza, e ciò a cagione di non aver potuto fare uno scolo per l’acqua che continua- mente vi scaturisce. Indizj di torba trovansi pure nella Valle di Vicino sopra Asso, presso i laghi di Segrino e d’Alserio, già indicati dall’ Amoretti nel suo Ragionamento sulle torbiere del Dipartimento d’ Olona e limi- trofi (Milano 1807). Del modo di usarne ne ha parlato diffusamente il prof. Ermenegildo Pini fino del 1785 in un’opera intitolata: Della maniera di preparare la torba e di usarla, ecc. SOPRA UNA MALATTIA CHE ATTACCA LA MOSCA DOMESTICA E SULLA CAUSA CHE LA PRODUCE noTA ENtomoLOGIca DeL socio PAOLO LIOY (Seduta del 26 giugno 1864) La diffusione del molesto insetto che è la Mosca domestica è mi- nacciata da un morbo che già in vaste proporzioni la attacca. Chi collo sguardo segua il volo dell’incomodo esapode, e attenda ch’ ei posi sui vetri delle finestre, osserva che vi resta impaniato, si contorce, si dibbate, non potendo scapecchiare le sue zampine prigioniere, sinoacchè o dalla fatica o dal digiuno tramortisce. Al primo imbat- termi nel singolare spettacolo, dubitai un istante che la malaventura del nojoso insetto accadesse dall'intralciarsi esso fra cespuglietti in- visibili di Mucedinee, chespecialmente nei di piovosi di autunno ger- mogliano sui vetri; ma l'ulteriore esame, facendomi vedere che io non apponevami al vero, chiarì manifestamente trattarsi di un morbo di natura vegetabile, come ormai si va discoprendo essere dei miasmi e di parecchie affezioni cutanee. Esaminate colla lente le zampette captive, scoprii vicino al penul- limo tarso una pallottola a forma di goccia giallastra, nereggiante verso la estremità esterna. L'indagine microscopica, nella quale ebbi a compagni i miei amici dott. Reggiato e dott. Molon, rivelò essere quel corpicciuolo estraneo un cespuglio di piccolissimi Funghi stipati insieme a mazzetto, quasi cilindrici e assottigliati verso la cima, la quale reca uno sporangio quasi rotondo con due a quattro spore più fosche. Facile è porgere un’idea di codesti fascetti col paragone, 398 P. LIOY, SOPRA UNA MALATTIA DELLA MOSCA DOMESTICA imperciocchè a capello rassomiglino ad adelfie di stami sormontati dalle antere, ovvero ai muschi della nuova Zunaria hygrometrica - (se fossero afilli) coi lunghi filamenti spesso ravvolti a spira e sor- montati dalle urne. Che i Funghi nutrissero di più maniere insetti è notissimo; oltre Ditteri Tipularidi fungicoliti, noveransi 32 specie di Coleotteri viventi su Funghi di più sorta; 6 specie di Coleotteri viventi sui Licoperdi; una sulle Fuligini; 8 Ditteri sui Tuberi; 7 Coleotteri e 3 Ditteri sugli Agarici; 28 Coleotteri, 1 Lepidottero, 2 Ditteri, sei Boleti, 12 Coleotteri, 9 Lepidotteri, 20 Ditteri sui Polypori; 2 Co- leotteri sugli Hypodris; 1 Dittero sugli fiydnum. Ma era meno cono- sciuto che questi vegetabili i quali formano un quinto del regno delle piante, essendone stale già descritte presso a 20,000 specie, fossero anche per altri insetti cagione di morte. La Spheria concentrica che è culla di un Coleottero, il Diphyllus lumatus Fab. ‘appartiene ad un genere che volontieri usurpa dimora sugli invogli esterni degli insetti; la S. entomorhiza e la S. militaris abitano sui bruchi, in alcuni Imenotteri (Vespe) o Ortotteri (Acridi); la S. Roberstii svilup- pasi esclusivamente dietro il capo di una farfalla della Nuova Zelan- da; la Zsaria truncata non vegeta che sui bruchi delle sfingi, 1’ Z. crassa sulle Crisalidi, e 1° Z. Sphyngum sulle Sfingi adulte. In quanto alle mosche e alle vespe vegetanti esse non sono che, cadaveri di insetti esotici, su cui crebbero ciocche di Clavarie; ma le dica infestano anche le Vespe viventi. lo credo che la malattia che colpisce la Mosca domestica non sia stata mai descritta. Le specie e i generi affini alla Mosca domestica, che con essa bazzicano per le nostre case, sembrano immuni dalla epizoozia (la parola è adattata); solo la Musca (Caliphora) vomitoria, guardata con lente gagliarda , scorgesi in parecchj individui invasa da una folla di parassiti microzoi, che, esaminati col microscopio, mi parvero appartenere al genere A4carus. lo attendo il giudizio di un distinto micologo, cui furono comunicati alcuni esemplari del fungo microscopico, per rendere noto a questa nostra Società se esso appartenga a specie già descritta, o debba considerarsi come specie novella. DEGLI AMORI DE’ RETTILI OSSERVAZIONI DEL DOTTOR FRANCESCO MINA-PALUMBO (Seduta del 26 giugno 1864) Gli amori de’ serpenti non sembrano aver mai avuto a spettatore alcuno di quegli uomini, che per coltura di ingegno avrebbero potuto, o per ispecia- lità di studi avrebbero dovuto descriverli, e recarli a pubblica cognizione. GENE. Quel che si conosce degli amori de’ rettili si limita a quanto scrisse il prof. Gené sugli amori de’ serpenti (1), nè io credo di narrare delle novità da richiamare maggiormente l’attenzione. È mio divisa- mento, per dar corso agli studj di erpetologia Siciliana, di riprodurre qui riuniti i pochi fatti, che sin’ ora conosconsi. Tutti gli animali nell’ epoca fissata dalla natura sentono lo stimolo della riproduzione, e sono animati da un ardore più o meno vivo secondo la loro organizzazione e sensibilità. Compion taluni pacifica- mente questa grande funzione; altri fan precedere delle lotte erotiche tra i maschj, ed il vincitore gode de’ favori della femina; altri quasi stupidamente si uniscono colla femina che incontrano, e l’abbandonano con indifferenza : io ho mostrato quanto taluni insetti sono espressivi ne loro amori, a differenza di altri animali di una organizzazione più elevata (2). Vediamo anco degli uccelli, che nell’ epoca degli, amori (1) GenE, Degli amori di alcuni serpenti nostrali — nell’Antologia Ital. vol. IV, fasc. 3. — Biblioteca italiana, vol. LXXVII. pag. 61. (2) Mina-PaLumpo, Sugli amori degli insetti — nella Favilla. * 400 ’ F. MINA-PALUMBO , vestono l’abito di nozze, le loro penne si ornano di vivaci e splen- denti colori, e col loro canto armonioso, e co’ loro flessibili gorgheggi invitano le femine a corrispondere a’ loro caldi desiderj. I rettili non sono sordi a questo stimolo possente dell’amore. Ed ecco come sul proposito si esprime il Sonnini (1): | rettili, sebbene hanno un sangue freddo, e ciascun senso è più o meno ottuso, e l’ insensi- bilità è rimarchevole, pure si accendono di un sorprendente ardore nella epoca della riproduzione; i fuochi dell'amore vengono ad ani- mare od accendere degli esseri, ai quali sembra straniera ogni vi- vacità di sentimenti. Dei gridi, espressioni del desiderio, succedono al silenzio abituale, e poi unisconsi più o meno lungamente, sinchè si estingue la fiamma del piacere. Le tartarughe marine, sebbene pesanti ne’ loro movimenti, e di forme grossolane, entrano in amore una o due volte all'anno; la loro congiunzione è monogamica irregolare. La Chelonia midas, che vive attorno delle isole Gallopagos situate nel mare del Sud, si accoppia nel mare; i due sessi restano uniti per nove giorni nuotando insieme; e se per accidente la femina muore, il maschio la tiene sempre stretta senza abbandonarla. Questa specie per andare a deporre le uova percorre duecento leghe, e trova il luogo adatto nelle coste occi- dentali dell’America; dove le spiagge sono larghe, arenose e solitarie, ivi con una grande circospezione si accerta se vi sono suoi nemici, manda un forte fischio per destare qualche suo nemico inavvertito , e poi scende nell’arena, scava una buca profonda da diciotto a venti piedi, vi stratifica da due a trecento uova, e poi ripiana l’arena per non lasciar traccia del suo deposito, affilando la cura dello schiu- dimento ai soli elementi naturali. Indi accoppiansi nuovamente, e partoriscono altre due volte. Perciò questa specie in un sol anno può deporre sino a mille uova. Questa abbondante prolificazione è arrestata da potenti mezzi di distruzione, e, se la natura non vi avesse apposto un argine, talune specie di rettili avrebbero invaso la superficie della terra, o il seno dell’acque; e sebbene nelle terre fangose e calde dell’ America Me- (4) SONNINI, Discours preliminaire a Buffon. DEGLI AMORI DE’ RETTILI 401 ridionale pullulino con ispaventevole fecondità molti rettili di smi- surata grandezza, favoriti dal suolo basso mezzo inondato, sotto l’om- bra di vergini foreste, e sotto l’azione di un clima caldo umido; pure colà trovansi numerose falangi di quadrupedi, di uccelli e di altri rettili, che lor fanno continua ed ostinata guerra. Degli amori de’ saurj poco si conosce. lo ho osservato la Podarcis muralis Wagl. delle Madonie, nella quale, dopo mutata la pelle ne’ ridenti giorni di primavera, i colori divengono più vivaci, e spesso i maschj mostrano il ventre di un color rosso-mattone, e allora cominciano a sentire gli stimoli dell'amore. Ìl maschio si. mette in agguato esplorando i movimenti della femina, e quando vede il mo- mento opportuno, la sorprende, e cerca di trattenerla colla bocca e coi piedi anteriori; ma spesso succede che la femina sfugge: allora il maschio deluso ritorna ad occultarsi, ed esamina se ricomparisce la femina, che non tarda a mostrarsi; allora con passi lenti e cauti camminano con aria di affettata indifferenza, e quando il maschio è prossimo, prende la femina tenendola colle zampe, e colla bocca af- ferandola al lato del collo, o sotto l’ascella; succede una breve lotta, ma finalmente la femina cede ai caldi desiderj del maschio, si calma, ed il maschio curvando il suo corpo a semicerchio si ac- coppia tenendola sempre colla bocca; se accade un allarme, cammi- nano uniti insieme, ma se temono l'avvicinarsi di un nemico, si se- parano per ritornare ad unirsi replicate volte. Sono stato testimonio di queste brevi lotte, e di queste unioni per circa due ore, e sempre ritornavano ad unirsi col medesimo trasporto, e coll’ ardore slesso. Il Coccodrillo nelle inospitali contrade vive in società: si vedono truppe numerose di duecento, come asserisce Latreille., e nell’ Ame» rica secondo Chateaubriand si riuniscono nelle foci de’ grandi fiumi in numero maggiore. Fiero di carattere, vorace oltremodo, robusto nelle forme, pure i suoi amori sembrano tranquilli. e senza lotta. Il maschio nell’ epoca della riproduzione fa sentire uno spaven- tevole ruggito, siegue la femina, e quando è animata di ugual desi- derio, si rivolta sul dosso per contentare l’ardente insistenza del suo compagno; indi restano uniti finchè la femina va a deporre le uova Vol. VI. 26 402 F. MINA-PALUMBO, nell'arena: e spesso si vede il maschio in compagnia, che si addor- menta sull’arena, sotto la sferza de’ cocenti raggi del sole. Nel primo parto la femina depone circa ventiquattro uova, secondo de Laborde, e poi ritorna ad accoppiarsi ed a partorire altre due volte, e secondo Linneo in un anno può partorire sino a cento uova. I maschj dell’ A/ligator Lucius, abitatori del Nord-America, del fiume Musquito nella Florida, e della Luigiana, nelle notti calme e tranquille vengono a combattimento, e per quarti d’ora si odono ri- suonare i colpi temuti delle loro code nell'acqua ed il simultaneo ruggito simile a quello dei tori; indi succede una calma per ritornare alla lotta, che probabilmente si termina col trionfo del vincitore, che separasi da’ compagni unitamente alla femina: questa poi depone da cinquanta a sessanta uova a strati separati da foglie nell'arena, li sorveglia, e poi difende i piccini dall'attacco de’ nemici. I maschj dell’Iguana comune, /guana tuberculata, vivono a bran- chi nell’isola Isabella, sono assai selvatici nel tempo degli amori, non abbandonano la femina, assaliscono qualunque animale loro si av- vicina, senza eccettuare l’uomo, mostrando la ira interna col fiam- meggiare degli occhi e col gonfiare il sacco della gola. Le femine, fiduciose della custodia de’ maschj, si portano sulla sponda per de- porre le uova, di cui i selvaggi dell’ America tropicale vanno in cerca 3 e se vedono qualche loro nemico, si fermano, si gonfiano per darsi un aspetto imponente. Questa specie vive ancora nelle Indie Orien- tali, nel Brasile, nella Giammaica, nelle isole Bahama, ove sonvi delle isolette chiamate Cayos dagli Spagnuoli. Passiamo ora agli Ofidiani, Il Gené nella Memoria superiormente ci- tata riferisce il passo di Aristotile (1), il quale, parlando dell’accoppia- mento de’ serpenti, asserisce, che si avvicinano così strettamente l’uno all’altro da sembrare un sol serpe con due teste. Rammenta indi i detti di Plinio: Coeunt amplexu adeo circonvoluta sibi ipsa, ut una existimari biceps possit (2). Nelle annotazioni a questo passo trovo Aristotiles totidem verbis lib. Y circonvolutae ita serpentes funium (1) Storia degli animali, lib. V, cap. IV. (2) Histor. Naturalis, lib. X, cap, LXII. DEGLI AMORI DE RETTILI 403 simul intortorum speciem exibent apud Charassium lib. de experi- mentis circa viperam. Queste due autorità mostrano, che i serpenti possono unirsi a due, maschio e femina, come tutti gli altri animali: ciò certo avviene, perchè i nostri agricoltori hanno spesso osservato nelle calde ore del meriggio tali unioni, e, se per poco un uomo li disturba, si avventano, sebbene il loro morso sia innocente. In Plinio stesso (1) io ho trovato un altro passo, che molto inte- ressa sull’argomento in parola: Praeterea est ovorum genus in magna Galliorum fama. Omissus Graecis. Anques innumeri aestate convo- luti, salivis faucium corporumque spumis artifici complexu glome- rantur, anguium appellatur. Gli autori della Enciclopedia popo- lare (2) ban preso equivoco nel credere questi agglomeramenti essere di serpenti nello stato di torpore invernale come fanno le vipere; ciò è un errore, perchè Plinio chiaramente esprime aestate convoluti. Sembrami al contrario molto più esatta la spiegazione data da Ar- duino nelle interpretazioni date al passo sopracennato Scimus ho- dieque serpentes generis diversi ac prope innumeras in locum unum convolare ab Idibus Iulii ad Idus Agustus in Delphinatu, Sabau. diaque conficio ad montem La Yochelle spumaque locum opplere , quae horrorem incutiat spectantibus. Vide Nic. Chorier lib. 2. Hist. Delph. p. 91. Questa nota è sufficientemente chiara per mostrare, che i serpenti dal mese di luglio ad agosto si uniscono in grandissima quantità da inorridire: quindi Plinio, Chorier ed Arduino conoscevano molto prima questo fatto, di quando il prof. Genè diede la spiegazioue di questo importante fenomeno. I signori Dumeril e Bibron (3), citati dal Genè, in questo modo esprimonsi: Z'instinct et la necessité imperieuse que la nature a imposte d tous le animaux de chercher à conserver, d propager leur race, porte le mdle (dei serpenti) d faire tous les efforts pour se rap- procher de la femme, et celle-ci d aller d sa rencontre. Queste idee (4) Idem, lib. XXIX, cap. III (2) Encicl. popol., vol. XII, pag. 578 (3) Erpetologie generale, tom. VI, p. 4189. hO F. MINA-PALUMBO, nulla ci dicouo di particolare, anzi ravvicinano i serpenti al modo di propagazione di tutti i vertebrati. Il volgo nostro conosce una tradizione, che vi erano, ed ancor vi sono de’ ciurmadori, che portano un serpente chiamato #sparu, che colla immaginazione ne alterano la fisonomia, descrivendolo con co- rona, qual Re de’ serpenti. Essi scavano una buca nella terra, vi met- tono del fuoco, e poi riporigono il serpente dentro una bottiglia. Ri- “scaldata nelle ore meridiane, manda un sibilo, e da tutti i lati si vedono accorrere de’, serpenti in tal quantità da far rabbrividire. È probabile, per quel che andremo ad esporre, che questi ciarlatani abbiano strappato il segreto alla natura, e questo preteso re de’ ser- penti sia una femina che gli serve di zimbello a chiamare tutti i ma- schj della contrada. Questa nostra tradizione non è senza fondamento, perchè leggiamo in Plinio (1): Atque ut Magorum solertia occultandis fraudibus sagax, certa luna capiendum censent, tamquam congruere operationem humani silgarbitrii; e questi probabilmente adoperavano una femina. All’anzidetto è d’uopo aggiungere quanto gli agricoltori ed i pa- stori, usi a girovagare nelle campagne, riferiscono di veder tuttodì ciò che diede la spinta allo Genè di osservare il fatto, e che nelle Madonie dicono di avere osservato nella contrada detta del Milicio, luogo adjacente nelle Madonie questa riunione di serpenti appartenenti al Zamenis viridiflavus Wogl. var. Carbonarius Bonap., tutti agglo- merati e brulicanti da recare spavento: un semplice grido li fece fuggir tulti. Si è pure osservato sulle Madonie, in vicinanza delle cartiere, una simile riunione di serpenti si dice di varj colori, che eran tutti dentro una macchia, e la facevano agitare in tutti i sensi, come se fosse mossa da un forte vento, che da sotto la scoteva; tali serpenti erano avviticchiati ai fusti, agli sterpi, ai ramoscelli, e talvolta tutte le teste sporgevano nella superficie della macchia in. modo da richiamare l’antica favola della testa di Medusa. lo non ho osservato tali fatti e riproduco 1’ osservazione di Genél (4) Hist. Naturalis, lib. XXIX, c. HH. DEGLI AMORI DE RETTILI 405 Nel 1819, verso la metà di aprile, nelle ore meridiane, osservò per la prima volta, a pie’ di un vecchio ceppo di albero, circa due cento individui del Coluber austriacus, che si accavallavano, e sì attorci- gliavano in modo da non potersi immaginare e da spaventare l’ osser- vatore per le teste irte, e per le lingue vibranti senza mordersi, senza sibilare, senza gelosia, o rabbia, ma era una vera lotta pacifica ed amorosa. Dopo un continuo rimescolarsi, sembrava che tutti in uno istante sentissero il bisogno del riposo, si scioglievano e scostanvansi gli uni dagli altri, si distendevano ciascuno a suo piacere in linea retta, sollevando tutti verticalmente il capo, e la parte anteriore del corpo in modo da formare col resto del corpo un angolo quasi retto, e rimanevano rigidi ed estatici per alcuni minuti; l'aspetto di queste bestiole era ben curioso. Indi tutti si riscotevano ad un tempo, tornavano ad accavallarsi come prima, e poi tornavano a riposare, e così per replicate volte: finalmente, tocchi come da improvviso spavento, e mutato brusca- mente pensiero, si separavano e disperdevansi pel bosco r@tando sol- tanto alcuni individui nel cavo della ceppaja, che rimanevano quasi sempre colla testa dritta, ed immobile sin verso sera. L’indomani verso le nove, essendo l’aria notabilmente riscaldata, ed il sole ardente, quattro serpenti affacciaronsi nella grotticina con grande dardeggiare di lingue, verso le dieci e mezza da tutte le parti si vedevano giungere con moto animato, e talvolta bizzarramente convulso, senza timore, ed andavan difilati nella grotticina; tutti vi s’internavano, e ricominciavano l’ordinario rimescolamento ; alle un- dici ogni arrivo finiva, e seguivano quei lunghi avvolgimenti ed i brevi riposi. Per sette giorni consecutivi si ripeterono con puntualità tali congressi, e per otto anni continui lo Genè ad osservare tali riu- nioni nell’epoca medesima, nel luogo prefisso, e nelle ore stesse, senza mai abbandonare quel campo, ad onta del mutamento di fisiche con- dizioni, e di altri disturbi. Tutti gli individui che riunivansi eran costantemente tutti maschj, ma quelli che erano nella grotticina eran pochi maschj, ed una fe- mina, e quando questa veniva uccisa, quelle riunioni non avevan più luogo. 406 FO MINA-PALUMBO, Da questi fatti si deduee che i serpenti si congregano in numero grandissimo per l’opera della generazione, e durano nella foga per molti giorni di seguito: le femine non ricercano i maschj, ma li attendono nel proprio domicilio, e siccome son sedentarie, non l'ab- bandonano che per istraordinarj e gravi disturbi, ed è per tal ra- gione che le anzidette congreghe per molti anni di seguito ripetonsi nel medesimo locale. Un'altra deduzione è quella che il numero de’ maschj nelle specie italiane, almeno nella maggior parte, è maggiore di quello delle fe- mine. Finalmente che gli amori de’ serpenti si cominciano e si compiono in assoluto silenzio; in opposizione a quanto taluni asseriscono che i serpenti si chiamino con un fischio particolare. Queste osservazioni si sono fatte pel Coluber Austriacus per tredici anni, e forse continuaronsi negli anni consecutivi pel Coluber atro- virens, pel Coluber Riccioli, e probabilmente per la Vatrix viperina, e forse anfibra per la vipera. Son di parere che quando i maschj sono pochi, queste riunioni non si verificano, perchè ho veduto sulle Madonie due individui adulti del Calopeltis flavescens Bonap. nel mese di luglio nelle ore meridiane, che erano altorcigliati fra loro, sdrajati per terra colle teste all'ugual livello, colle lingue dardeggianti, e che facevano de’ movimenti volut- tuosi senza mordersi e senza temere la presenza dell’uomo, anzi sembravano molto preoccupati, e restavano per molto tempo nella medesima posizione, e fu d’uopo di una minaccia per farli dividere. Ho pure osservato la varietà Carbonarius del Zamenis viridiflavus Wagl., che è il serpente più comune della contrada Nebrodense, es- sere uniti a due, ma più agili, più appassionati ne’ loro movimenti, più irritabili; se un uomo li minaccia, si avventano, si gonfiano, sof- fiano con forza ed anche mordono ; ordinariamente la femina non accompagna il maschio. Da questi fatti si può dedurre, che quando i maschj nella contrada sono pochi, non succedono gli erotici combattimenti, ma soltanto l’u- nione di due individui. Delle altre specie di serpenti nulla si conosce, gli erpetologi si DEGLI AMORI DE' RETTILI 407 sono limitati a dire che, svegliati dal letargo invernale, mutano una o due volte di pelle, poi si accoppiano per pochissimo tempo, non fornendo la storia indizio alcuno di una lunga propensione e socie- volezza tra loro. I Batracj sono fra tutti i rettili quelli che più istintivamente e senza vivacità e senza espressione si danno al compimento della più impor- “tante azione della generazione. L’unione del rospo ne è una evidente prova. Il maschio si unisce alla femina per molti giorni di seguito. Questa unione ha dell’affetto, e dell’ostinatezza : difficilmente possono separarsi ; le pazienti esperienze dello Spallanzani fatte sul proposito, e le crudeli mutilazioni, che taluni han fatto per convincersene, ne fanno testimonianza. Ma sebbene questa grande unione a primo aspetto sem- bri la conseguenza di un grande trasporto, pure tutto è istintivo: il maschio ben presto abbandona la femina, e la loro prole è affidata alle cure della natura, e non pensano affatto a difenderla, e proteggerla. Bene si esprimeva il Sonnini al proposito di questa unione: è/s n’'eprouvent que le groussier emportement des jowissances....., ils n’eprouvent aucun des charmes de la sensibilité; ils ne connaîssent la douceur de l’attachement. Nel tempo degli amori quasi tutte le specie che appartengono alle famiglie fanina e Bufonina fan sentire il loro gracidare cominciando dal flebile e monotono gracidare della Myla wviridis, dal continuato frastuono notturno della Runa esculenta L. al rauco grido del Lufo vulgaris Lin. ed al muggito simigliante a quello del toro della Rana mugiens che abita all’ovest degli Stati Uniti. La maggior parte nell’epoca dell’accoppiamento si avvicinano alle acque de’ paduli e de’ ruscelli, sebbene ordinariamente vivano ne’ luoghi aridi o umidi; ma la natura ha ciò disposto per deporre le uova in quello elemento dove i girini per la loro particolare con- formazione devono passare il primo periodo di vita. Come eccezione la Pipa dorsigera del Suriman schiude le uova dentro le cellule del dorso, dove le depone il maschio dopo averle fecondate. Il signor Rusconi ha scritto sugli amori delle Salamandre, ma le sue interessanti osservazioni sono state istituite sulla Salamandra exigua Laur. e Salamandra platycanda Daub. principalmente, ed 408 F. MINA-PALUMBO , han riguardo allo sviluppo del girino dall’ uovo sino all’ animale per- fetto. Poco si conosce delle altre specie, soltanto si ha che il Triton cristalus Lin. veste l’abito di amore, ha una cresta molto dentellata, che comincia dalla cervice, e sul dorso interrotta, e poi si prolunga sulla coda, i cui colori sono più vivaci; compita la generazione, i colori divengono pallidi, si cambia la pelle, svanisce la cresta della coda, e rimane soltanto quella del dorso. Altri tritoni nell'epoca degli amori hanno il bordo inferiore o su- periore della coda bordato di rosso, o blù, o di violetto, che poi perdono. Conchiudiamo, che gli amori de’ rettili sono ben differenti da quei degli altri animali; vediam difatti le tartarughe marine darsi a questo alto imperioso della natura con istupidità, e per deporre le loro uova percorrono sino a trecento leghe, onde trovar de’ paraggi solitari e favorevoli a schiudere la loro prole. combattimenti, che diconsi suc- cedere tra i maschj dalle tartarughe di terra per posseder la femina, sono cose favolose o accidentali. Gli amori de’ Saurj si compiono con quietitudine e tranquillità: maschj e femine si uniscono per più giorni consecutivi. Nella maggior parte degli Ofidiani precede una lotta erotica pa- cifica e senza gelosia tra i maschj, e pochi soltanto han l’onore di godere i favori della femina, che, sedentaria, l’attende nella sua tana. Tal foga amorosa si prolunga per più giorni di seguito, ed ogni anno nel medesimo luogo. Nè Batracj si vede un ostinato attaccamento tra i due sessi, ma senza gelosia o affetto, perchè si son veduti due rospi sopra una fe- mina, ciò che non disturba la fecondazione, compiendosi questa esternamente. Gli studj degli amori de rettili sono ancora nella culla ; i pochi fatti riuniti sono sufficienti a darcene un'idea; ma è d’uopo continuare le osservazioni sopra altra specie, onde render completa la storia di questi vertebrati, descrivendo tutti gli atti che precedono la genera- zione, mentre sappiamo, che, scorsa l’epoca della foga, nessun affetto esiste tra maschio e femina, e questi nessuna cura prendono della loro progenie, e forse neppur la conoscono. Questa noncuranza delle uova e dei figli spiega a sufficienza DEGLI AMORI DE’ RETTILI 409 perchè i rettili sono più prolifici de mammiferi e degli uccelli, ma meno de’pesci, perchè appena nati, non difesi e senza protezione, tro- vano molti nemici che loro muovon guerra, e pochi sopravvivono: ne è una bella ed evidente prova la tartaruga di mare, la quale in tre parti depone circa mille uova, ed appena cento sopravvivono sfug- gendo le insidie de’ loro nemici. Le rane poi depongono un numero incalcolabile di uova, al punto, che taluni ruscelli, le cui acque scor- rono placidamente, offrono il fondo degli stagni tappezzate a nero per la straordinaria quantità de’ girini, che vi passano il loro primo pe- riodo di vita. Castelbuono, marzo 1864. STUDI PALEONTOLOGICI SULLE OSTRICHE CRETACEE DI SICILIA DEL PROF. cav. lm. MENEGHINI. (Seduta del 26 giugno 1864) La esatta definizione delle specie nel genere Ostrea è da tutti i paleontologhi riconosciuta come difficilissima e nello stesso tempo molto importante per la distinzione dei piani geologici. Al doppio titolo della difficoltà e della importanza può quindi essere giustificata ‘Ja pubblicazione di questi studii, la ristretta loro specialità e la im- perfezione dei risultamenti ai quali conducono, rispetto alla intralciatis - sima sinonimia. La località poi, da cui provengono i materiali che ne formano argomento, inspira tanto interesse a tutti i geologi Italiani, che può sperarsi valga a far gradire anche un mal riuscito tentativo. I numerosi e ben conservati esemplari, ch’ ebbi la ventura di po- tere studiare, furono raccolti nell’ ex-feudo Cava, in quello di San Giovanello presso Scillato ed a Piombino fra Caltavuturo e Polizzi, sulla chinata settentrionale delle Madonie, in una marna argillosa molto indurata, sovrapposta alla calcaria ippuritica. Devo essa for- tuna all’ onorevole signor Enrico Peragno barone di Mandralisca, Deputato di Cefalu al Parlamento, il quale affidavami una bella col- lezione di fossili siciliani da determinare. Molti fra questi provengono dalla famosa calcaria di Palermo o delle Madonie, della quale ha già trattato paleontologicamente nei suoi dotti lavori il chiarissimo prof. Gaetano Giorgio Gemellaro, che anche recentemente ne pubblicava G. MENEGHINI, SULLE OSTRICHE CRETACER DI SICILIA 444 la monografia del genere Ztieria, e si propone poi d’illustrarla com- pletamente colla descrizione delle molte Nerinee, delle Rudiste e degli altri fossili, distinguendovi, come appunto da quelli affidatimi dal barone di Mandralisca chiaramente risultava, due piani diversi. Sono ben lieto di poter, in esso argomento, quanto altri mai bello ed at- traente, associare i miei studii a quelli dell’illustre professore di Palermo. I fossili dei piani inferiori terziarii sono pure per la mas- sima parte delle specie già descritte dallo stesso paleontologo. Sono però, fra essi, e principalmente in un piano chiaramente sovrapposto al nummulitico, nella valle d’Isnello, alcuni interessanti Corallarii, quasi tutti delle specie stesse che si trovano o nei terreni terziarii inferiori delle Alpi Venete, ove furono descritte e figurate dal prof. cav. T. Catullo, o nel miocene inferiore di Piemonte, delle cui ric- chezze paleontologiche dobbiamo la conoscenza all’ avv. G. Michel- lotti. È sperabile che il prof. G. Seguenza, il quale ha già tanto dot- tamente trattato dei Corallarii neogenici di una parte della Sicilia, estenda i suoi studii a» quelli di tutta l'isola ed anche ai più antichi, e si presenterà allora opportuna occasione di associarvi il frutto delle nostre osservazioni su quelli dell’Italia settentrionale. Ma, nè il piano dal quale provengono queste ostriche, nè l'argomento che le ri- guarda fu, che noi sappiamo, ancora intrapreso a trattare da alcuno degli illustri paleontologhi siciliani, e crediamo quindi poterlo fare senza essere tacciati d’invadere il campo altrui. Dallo stesso giacimento, oltre alle ostriche, il barone di Mandra- lisca non ci arrecava che un solo fossile; ma di facile e certa deter- minazione: il Pecten (Janira) quadricostatus, Sow. (d’Orb. Pal. fr. Ter. crét. III, pag. 644, pl. 447, fig. 1-7.) E la presenza di essa specie della creta bianca o superiore è in accordo con quella di al- cune delle ostriche da noi determinate: Ostrea (ZExogyra) cornu- arsetis Goldf., O. (£.) plicata Lk. (1). Altre invece apparterrebbero, (4) Anche lO. (E.) plicata Lk. sarebbe in associazione alle specie: O. columba, carinata, biauriculata, propria della creta inferiore e particolarmente del piano Ca- rentoniano, secondo il Coquand (Bull. de la Soc. Geol. de France XIV, pag. 745), mentre 1’ O.(E.) conica apparterebbe all’inferiore dei piani di essa creta inferiore cioè il Rotomangiano. 442 G. MENEGHINI, secondo gli autori, alla creta inferiore o cloritica, ossia al piano Ce- nomaniano del d’Orbigny: O.(£.) conica Sow. sp., O. scyphax Coq. Sono in realtà separatamente rappresentati i due piani stratigrafici nelle citate località, o vi si trovano promiscuamente nello stesso piano le specie che altrove giaciono in piani stratigraficamente e cronologica- mente distinti? Spetta ai geologi Siciliani il decidere essa questione , come le altre molte delle quali la, classica e privilegiata loro terra ‘può dar la soluzione. È certamente non andrà molto che saranno tutti ben conosciuti i tesori minerarii e paleontologici ed i meravigliosi fenomeni geologici di quella parte principalissima d’ Italia, parimenti feconda d’elelti e possenti ingegni. @strea (Exogyra) cormu-arietis Goldf. Tav. IV, figo 4 a, b,c. Riferisco a questa specie due esemplari, il maggiore dei quali è figurato in tre diverse posizioni nell’annessa tavola (fig..1 a, b, e). Esso ha oltre dieci centimetri e mezzo di lunghezza, sei e mezzo di larghezza e cinque di spessore. La'sua forma risulta quindi notevol- mente allungata, costituendo la ripiegatura dell’uncino buona parte della lunghezza stessa. La valva sinistra od inferiore è pressochè uniformemente convessa, senza decisa carena, e dal suo uncino molto contorto ed eserto irradiano circa dieci pieghe costiformi nodulose ed ondulate, divise da solchi piani, molto più larghi delle coste stesse. Taluna si biforca, ma irregolarmente, mentre talaltra devia, unendosi alla vicina e risultandone molto ineguale la distribuzione. Un solco più largo e profondo degli altri percorre longitudinalmente il mezzo della valva. Esse coste svaniscono più o meno completa- mente prima di arrivare alla metà della lunghezza, ma, mentre sul rimanente della valva gradatamente si assottigliano e si appianano, sul lato anale invece esse terminano bruscamente, rendendovisi molto più evidenti che altrove le strie concentriche e le linee di successivo accrescimento. L’area di attacco è limitata a piccola parte dell’ un- cino. La valva destra o superiore è irregolarmente incavata, non;ha indizio alcuno di coste, ed è notevole per l’ accrescimento lamellare che la rende tutta concentricamente e profondamente striata. SULLE OSTRICHE CRETACEE DI SICILIA ELI L’esemplare minore ha poco più di sette centimetri di lunghezza e se ne può solo approssimativamente calcolare a cinque la larghez- za, togliendo una frattura del lato anale di prenderne esatta misura ; lo spessore è di circa quattro. Le proporzioni son quindi poco diverse da quelle dell'individuo maggiore, ma la forma della valva sinistra è notevolmente diversa, essendo essa decisamente carenata, col lato anale sensibilmente appianato. Le coste pure presentano, insieme ad una generale somiglianza a quelle dell’altro esemplare, una qualche differenza: hanno maggiore regolarità nella distribuzione e sono più sottili, apparendo quindi più rilevate e separate da solchi più larghi; anteriormente a quella che percorre la ottusa carena, se ne anno- verano 47, provenute da interposizione e da biforcazione delle irra- dianti dall’uncino, con successiva obliquità sempre maggiore dal- lavanti all’ indietro, rispetto alla costa carenale; posteriormente invece a questa, le coste sono uniformemente divergenti, pari- menti originate e da interposizione e da biforcazione, ma non se ne annoverano distintamente che 7, essendo la parte più vicina all’ un- cino mascherata da ampia callosità di attacco, sulla quale irregolar- mente si estende una parte della valva formando, quasi direbbesi, un principio di orecchietta. Esse coste arrivano fin presso al margine palleale, sono attraversate da forti strie concentriche ed, oltre alle nodulosità ed alle ondulazioni, presentano anche, in rispondenza ai diversi piani successivi di accrescimento, distinti rilievi embriciati a margini liberi e quasi spinescenti. La valva destra è perfettamente eguale a quella dell’ individuo maggiore. Abbiamo inscritto in testa a questo articolo il solo nome di Ostrea (Exogyra) cornu-arietis Goldf. e senza sinonimi, perchè in argo- mento così difficile crediamo più prudente l’ addurre le nostre osser- vazioni e l'esame critico della sinonimia anzichè osare di proporla come definitivamente stabilita. È realmente alla Chama cornu-Arietis Nils. ( Petref. suec. 1827, p. 28, tav. 8, fig. 4 A-B) che noi avevamo creduto dapprima poter riferire i nostri esemplari, a ciò condotti dalla frase di quell’ autore riportata dal Goldfuss, nonchè dalla frase, dalla breve descrizione e da quella specialmente delle due figure del Goldfuss stesso che rap- 414 G. MENEGHINI, presenta la faccia interna della valva sinistra. (Petref. germ. 1l, p. 36, tav. LXXXVII, fig. 2 a, b). Ma il Coquand ci avverte che a torto il Goldfuss riferì alla specie di Westfalia, col suddetto nome descritta e figurata, la specie omonima di Svezia descritta dal Nilson, la quale è, egli dice, incontestabilmente la Gryphaea auricularis di Brongniart; ed egli descrive e figura come appartenenti alla specie di Goldfuss (non Nils.) due esemplari della provincia di Constantina, adulto l’uno, giovane F altro, nel primo solamente dei quali sono appena indicate in prossimità all’ uncino le coste, ma notando, così in questa come nelle specie affini, sommamente variabile quel carat- tere. (Descript. geolog. de la prov. de Constantina, Mem. de la Soc. Géol. de France 2.° ser. vol. V, pag. 144, pl. V, fig. 1-4). Egli adduce inoltre, come sinonimo, la Zxogyra contorta d'Arch. (For- mat. crét. du sud-owest de la France, Mém. de la Soc. Géol. de France A. ser. vol. Il, pag. 185, pl. XI, fig. 42 a, b.) la cui de- scrizione in fatti corrisponde esattamente ai nostri esemplari, e molto più dell’ esemplare adulto di Constantina, che per le proporzioni e per la quasi totale mancanza di coste sembra allontanarsene. @strea (Exogyra) tunedann n. sp. Tav. IV, fig. 2a, b, ci O.(E.) testa arcuata cvali, valva dextera subsemilunari opercu- liformi converxiuscula subcarinata, carina obtusissima posteriori, externe dense plicata, latere palleali rotundato; valva sinistra gib- boso-convexa, obtuse carinata, superficie concentrice laxe lamelloso- rugosa, umbone involuto, adhaerente. Lungh. 35 millim.; largh. 25; spessore 17. Conchiglia arcuata, il cui margine presenta nell’esemplare figurato qualche angolosità, ma evidentemente dovuta a frattura, rilevandosi invece dalla curva delle strie lamellari della valva destra che doveva essere tondeggiante anche la estremità palleale inferiore. Essa valva destra ha nel mezzo notevole convessità, che non è a confondersi con la carena, la quale è pochissimo evidente ed infelicemente rappresen- tata nella figura. Essa è limitata alla prossimità dell’ uncino e quindi SULLE CSTRICHE CRETACEE DI SICILIA HIS affatto posteriore, perchè allontanandosi da quello, con curva meno convessa che non sia il margine anteriore, va sollecitamente a per- dersi inferiormente, prima di cominciare a ricurvarsi posteriormente. Nella piccola porzione posteriore della superficie della valva, così limitata da essa carena, le lamelle concentriche si susseguono con distanza successivamente e regolarmente maggiore, in tutta la rima- nente superficie esse sono più fitte ed irregolari, e, specialmente nella parte inferiore posteriore, confluiscono spesso fra loro con gran- dissima irregolarità. La valva sinistra è fortemente convessa e divisa in due parti quasi eguali, l'anteriore rotondata con uniforme con- vessità, la posteriore invece od anale irregolarmente scavata, ma con sensibile rilievo quasi labiale sotto all’ uncino, fortemente involuto ed aderente, sul quale più decisa e quasi angolosa si continua la carena. La superficie non offre alcun indizio di coste raggianti, e la levigatezza non n'è interrotta che da irregolari strie e pieghe con- centriche di accrescimento. La fossetta cardinale (in una valva sinistra parzialmente isolata) va rapidamente a perdersi sotto all’uncino, cd è posteriormente limi- tata da un rilievo acuto, dietro al quale il margine anale, che leg- germente si eleva in forma di ala, presenta numerose e bene scolpite denticolazioni trasversali. Altri esemplari minori conservano gli stessi caratteri e le stesse proporzioni, mentre taluno invece, con lunghezza anche maggiore del figurato, offre minore larghezza (20 millimetri) e spessore (pur 20) proporzionatamente maggiore. È con molta titubanza che proponiamo questa specie come nuova, e la figuriamo appunto accanto della O.(£.) cornu-arietis, perchè non escludiamo il dubbio che la scoperta di altre forme intermedie non imponga poi di riunirvela come varietà o come semplice stato giovanile. Mancandoci tali termini di confronto, la indichiamo come forma specifica intermedia fra quella e 1’ O. (£.) auricularis Brongn., ma certamente è alla prima che maggiormente si avvicina, ed esso ravvicinamento è giustificato pure dalla descrizione e dalla fignra che dà il Coquand (I. c. fig. 3, 4) dello stato giovanile dell’ O. (£) cornu- artetis di Constantina, rimanendo ad unica distinzione della nostra 416 G. MENEGHINI , specie l'adesione dell’uncino della valva sinistra e la piccola carena della valva destra, oltre alla forma generale più arcuata ed obliqua. Ostrea (Exogyra) plicata Lamk. sp. Numerosi e ben conservati esemplari, tutti certamente apparte- nenti alla medesima specie perchè gli uni agli altri collegati da gra- . duati passaggi, fino ad assumere forme esteriori notevolmente diverse, ma pur concordanti negli essenziali caratteri, ci sembrano incontra- stabilmente dover portare l’indicato nome, e poter quindi offerire op- portunità ad uno studio comparativo colle specie affini. Il maggiore di essi esemplari ha precisamente la forma e le di- mensioni della fig. 5 d del Goldfuss ( Petref. Il, pag. 37, tav. LXVII). Ma, oltre alla valva sinistra in essa figura rappresentata, ha pure la valva destra, la cui superficie esteriore è molto minore dell’ apertura presentata da quella, rimanendo in tulto il lato anteriore un’ampia zona, che dall’uncino va successivamente allargandosi nella regione palleale, fino ad avere 2 centimetri di larghezza, tutta formata dagli affioramenti delle successive lamine di accrescimento. La superficie esterna è concava ed ornata di coste irraggianti, nodulose, preva- lentemente ricurvate all'indietro, poche e brevissime di esse diri- gendosi all’innanzi. Îl margine suo posteriore combacia con quello dell’opposta valva; l'anteriore invece trovasi sensibilmente elevato, ed il piano formato, come si disse, dalle testate dalle lamine suc- cessivamente apposte nell’accrescimento alla superficie interna in- clina rapidamente verso il margine anteriore della conchiglia, con ondulazioni approssimativamente rispondenti al prolungamento delle coste. Parecchi altri esemplari presentano la medesima forma, con di- mensioni di poco minori e con differenze più o meno notevoli nel numero o nella proporzionata grossezza ed irregolarità delle coste. Alcuni fra questi meritano menzione, perchè, essendone più o meno completamente staccata per frattura la valva destra, vi rimase il modello pietroso interno a dimostrare la cavità occupata dalle parti molli dell’animale limitata alla sola estensione della superficie esterna SULLE OSTIUCHE CRETACEE DI SICILIA 447. di essa valva destra, rimanendo esclusivamente occupata dallo spes- sore ivi conseguito da essa tutta la zona anteriore. Altri esemplari si possono paragonare per la forma e presso a poco per le dimensioni alla figura 5 e f del Goldfuss, nella quale è rap- presentata la sola valva destra. La valva sinistra presenta in essi,. oltrechè le consuete variazioni nel numero e nella grossezza delle: coste, anche una variabile disposizione della carena. In alcuni essa; è pronuncialissima, benchè sempre molto ottusa, ed affatto indipen- dente dalla direzione dalle grosse coste, che l' attraversano obliqua- mente. In altri invece la carena è molto meno elevata, più mediana e più subordinata alla distribuzione delle coste, che da essa diver-. gono così anteriormente come posteriormente, con somiglianza gran- dissima alla fig. 6 a, dal Goldfuss (I. c. pag. 38) descritta col nome di £. flabellata, dal Deshayes (Lamk. Anim. s. vert. 2.° éd. VII, . pag. 205.) riguardata come varietà della G. plicata e dal d’ Orbigny pure riunita alla G. plicata di Lamarck nella sua O. flabella ( Pa- leont. Franc. Ter. Crét. II, pag. 747.) od O. flabellata (ibid. pl. 478). La valva destra poi in tali esemplari presenta la cavità della sua fac- cia esterna più o meno e talvolta pochissimo profonda, e molto va-. riabile pure la sporgenza dello spigolo nel quale essa faccia si unisce all’ampia zona anteriore, sempre evidentemente formata dalle sole testate delle lamelle di successivo accrescimento, la quale risulta così anche pochissimo obliqua. Le coste vi hanno la consueta distribuzione, ma talvolta è bene conservata la parte nucleare dell’uncino, ornata di regolarissime strie oblique, con obliquità inversa a quella rappre- sentata dal d’Orbigny nella sua O. /labellata giovane (pl. 475, fig. 4), alla quale viene e dal Bronn (/nd. paleont. pag. 486) e dal d’ Orbigny riferita la G. /arpa del Goldfuss (1. c. pag. 38, fig. 7) più comple- tamente descritta dal Deshayes (1. c. pag. 209). Un bel esemplare benissimo conservato è per la forma generale e per le dimensioni paragonabile alla figura data dal d’ Orbigny dell’ O. flabellata (1. c. pl. 478, fig. 1,2,3), ma con notevolissima diversità così nella valva sinistra come nella destra. La prima manca affatto dell’ ampio attacco in quella figura rappresentato, al pari che in quella del Goldfuss (1, c. fig. 6 bd). Come in tutti gli altri esemplari, così Vol. VI. 27 448 G MENEGHINI, in questo, l’area di attacco è piccolissima e limitata all’uncino, ser- bando talvolta l’impronta della parte embrionale della valva destra su- periormente paragonata alla G. Z/arpa. Essa è altamente carenata, ha coste molto più numerose e regolari, subordinate nella distribuzione loro all’ andamento della carena. La valva destra è quale in tutti gli altri esemplari precedentemente descritti e quindi grandemente di- versa da quella dell'O. flabellata, ove la zona lamellare anteriore è ‘angustissima,, ed il centro offre un’area comparalivamente elevata e liscia. Altri esemplari, così dell'una come dell'altra delle descritte fore, presentano notevole irregolarità di coste, ridotte talvolta a piccolis- simo numero ed a proporzionata grossezza, come fossero riunite in fasci che solo incompletamente si risolvano negli elementi loro, ri- manendo ampii e profondi solchi fra l’uno e l’altro dei fasci stessi. Mancano finalmente. quasi per intero, rimanendone soltanto oscuri indizii in. prossimità alP uncino, ed essendone quindi priva nel rima- nente la valva sinistra, come del pari la destra, ch’ essa pure però ne serba indizio nelle ondulazioni del suo margine anteriore, alle quali corrispondono anche quelle di tutte le successive lamelle di accrescimento. Appartiene a questa ultima forma l’unico esemplare d’ isolata valva sinistra, nel quale possiamo solo incompletamente rilevare taluni dei caratteri interni. La fossetta legamentare segue il contorno dell’ un- cino, ed inferiormente ad essa sorge all'indietro un forte rilievo, separato dal margine anale (come nella fig. 5 6 di Goldfuss, ovè però la forma generale della conchiglia è molto diversa), e su di esso: sorio scolpité numerose denticolazioni trasversali. Rispondente- mente: ad esse vedonsi in alcuni degli esemplari superiormente de- scritti consimili denticolazioni trasversali sul margine superiore del contorto uncino della valva destra. Il margine anteriore della valva sinistra (solo ben conservato) è pure tutto ornato di denticolazioni trasversali, che partono dal margine della impronta palleale. La im- pronta muscolare è troppo oscura per poterla esattamente definire. Risulta. da questa descrizione e dai fatti confronti che la mostra specie è certamente la stessa descritta dal Goldfuss col nome di £, SULLE OSTRICHE CRETACEE DI SICILIA 4H49 plicata e da lui rappresentata nelle figure 8 c, d, e, f. Il Deshayes (I. e.) avverte: « M. Goldfuss rapporte à son £. plicata deux coquilles qui nous paraissent trés différentes du tvpe specifique de Lamarck .... M. Goldfuss, à còté de cette £. plicate dans la quelle il confond deux espèces, établit une £. fladellata pour une variété de la pli- cata...» Una delle forme escluse è certamente la fig. 3 a, riferita dal d’Orbigny alla £. spinosa di Mathéron e perciò da lui chiamata O. Mathéroniana (1. ec. pag. 737, pl. 485), ch'è la £. pyrenaica di Leymerie (Mem. de la Soc. Géol de France 2. ser. IV, pag. 194, pl. X, fig. 4-6.) e quindi, secondo le osservazioni di Coquand (ibid. V, pag. 145), la G. auricularis di Brongniart (Descript. géol. des envir. de Paris, pl. N, fig. 9, 1825.), alla quale deve restare esso nome specifico, perchè quello anteriore di Ostracites auricularis di Wah- lenberg (IV. Act. R. Soc. scient. Upsal. VII, pag. 88, 1821.) deve, per diritto di anteriorità, cedere all’altro di Chama haliotidea Sow. (1813). Riguardo all’altra forma da escludersi, il Deshayes alludeva certamente alla flgura d 6, perciò da lui omessa nella citazione ; e gli esemplari superiormente descritti come più o meno completamente privi di coste c’inspirano ragionevoli dubbii su quella esclusione. Finalmente deve notarsi, riguardo alla £. flabellata di Goldfuss, ch'egli ne descrisse e figurò solamente due valve sinistre, ed una delle due figure corrisponde per ia forma e per l'ampiezza dell’area di attacco alla specie descritta e figurata dal d’ Orbigny sotto a quel nome, ma l’altro invece ci sembra piuttosto spettare qual semplice varietà alla plicata, come lo aveva già notato il Deshayes. La sino- nimia sarebbe quindi, a nostro parere, la seguente: Ostrea ( Exogyra) plicata Gryphaea plicata Lk. Exogyra plicata Gldf. quoad fig. d c, d, e, f. Ostrea (Erogyra) auricularis Gryphaea auricularis Brngn. Exogyra plicata Gidf. quoad fig. d a. Exogyra spinosa Math. Ostrea Matheroniana d' Orb. FErogyra pyrenaica Leym. 420 G. MENEGHINI, Ostrea ( Exogyra) flabellata Exogyra flabellata Gdf. quoad fig. 6 d. Ostrea flabella d’ Orb. Ostrea fiabellata d’ Orb. Rimanendo dubbie, ma con probabilità riferibili alla prima, così la fig. 5 6 della £. plicata come la fig. 6 a della £. flabellata del Gold- fuss. | Le tre specie sono certamente molto affini fra loro e si può dire che costituiscano una serie, nella quale la O. plicata occupi un po- sto intermedio fra la O. auricularis , ove la obliquità dell’ accresci- mento della valva destra raggiunge l’ estremo termine, e la O fladel- lata, ove essa obliquità è comparativamente molto piccola. L'am- piezza e la ristrettezza dell’area di attacco, anzichè esprimere un carattere specifico, potrebbe rappresentare una condizione individuale associata con nesso causale alle altre differenze che l’accompagnano, forse anche trasmissibile per eredità, in date condizioni locali, di generazione in generazione. Nella difficoltà di assegnare i veri limiti delle specie, ed apprezzando d'altra parte la importanza delle distin- zioni paleontologiche. sosteniamo che 1 O. plicata, appunto come intermedia fra le altre due, o deve esserne specificamente distinta , o deve riunirle in una sola. Ostrea (Exogyra) comica Sow. sp. s Riferiamo a questa specie un unico esemplare della forma e gran- dezza della figura data dal Goldfuss della £. subcarinata del Munster (Gold. Petref. Germ. Il, pag. 37, tav. LXXXVII, fig. 4), ch'è ri- guardata qual sinonimo della O. conica. (d’Orb. Paléont. Frane. Terr. crét. III, pag. 726.) Esso è ornato di sottili e poco rilevate coste irraggianti sulla parte anteriore e sulla media della valva sinistra, nei cui ampii spazii interposti le strie concentriche si curvano in convessità volte all’ uncino, e nella porzione vicina ad esso si con- vertono in vere vitte rilevate, che rammentano quelle delle figure 3-8 della tavola 478 del d'Orbigny. L’uncino è troncato dall’area di at- tacco. La valva destra è precisamente quale è rappresentata nella tavola 4179 del citato autore. SULLE OSTRICHE CRETACEE DI SICILIA 421 @strea seyphax Coq. Esemplare di un quarto maggiore di quello figurato dal Coquand ( Descript. géolog. de la prov. de Constantina. Men. de la Soc. Géol. de France 2.° ser. V, pag. 143, pl. IV, fig. 1, 2.), fatalmente mancante dell’ uncino della valva sinistra e di porzione dell’ala po- steriore, risultandone incompleto il margine anale. Solo approssima- tivamente si possono quindi rilevare le dimensioni: 16 centimetri di lunghezza, 14 di larghezza e 7 di spessore. Esso esemplare corri- sponde per altro in tutti gli essenziali caratteri alla citata figura ed alla scientifica descrizione che l’ accompagna, per cui basterà quì notare le poche differenze. Le coste sono meno numerose e conse- guentemente più grosse, non biforcandosi alcune che due volte, ed altre una soltanto, per cui giungono al contorno nel numero di sole venti. Esse sono inoltre più decisamente angolose e formano al con- torno, colla alternanza nelle due valve, angoli molto sporgenti e fra loro grandemente allontanati per le molte lamelle di accrescimento, come nell’ O. dilupiana. Una valva destra isolata. della stessa forima ma di minori dimen- sioni (95 millimetri di lunghezza e circa 6 centimetri di larghezza), ha ben conservata la fossetta legamentare, Essa è diritta, poco pro- fonda e fortemente inclinata all’ avanti: ba circa un centimetro di larghezza inferiormente e va lentamente restringendosi all'alto; le strie trasversali, paralelle al suo margine inferiore convesso e spor- gente, si continuano con quelle rette ed oblique delle aree laterali, che concorrono a formare un talone comparativamente molto allun- gato. In altra incompleta valva destra, parimenti isolata, oltre la fos- setta legamentare ancor più larga ed egualmente inclinata all’avanti, l'ampio talone presenta invece notevolissimo allargamento ed ancor maggiore obliquità. Vedesi pure benissimo conservata la impronta muscolare, molto posteriore, trigona, leggermente escavata, il cui lato rettilineo anteriore-inferiore ha quasi 2 centimetri di lunghezza e l’anterior-superiore uno, colle strie paralelle all’arcuato lato po- steriore. Corrisponde essa valva a quella sinistra figurata da Goldfuss 422 G, MENEGRINI, come appartenente all’O. diluviana (tab. LXXV, fig. 1. f.) e per la forma generale e per il talone e per la fossetta legamentare, non che per la posizione e la grandezza della impronta muscolare, ma non per la configurazione di essa. Lo stesso può dirsi della piccola valva sinistra figurata dal d’Orbigny della stessa O. di/uciana (pl. 480, fig. 4). Anche per la configurazione della impronta muscolare, come per ogni altro particolare, corrisponde poi alla figura della valva destra di essa specie data dal Reuss. (Die /'erstein. der Bohmisch. Kreideform. Taf. XXX, fig. 17.) Altri esemplari minori e della stessa forma presentano notevoli differenze nella relativa convessità delle due valve. Un esemplare molto ben conservato merita speciale menzione. Ha la solita forma trapezia, ma più raccorciata: 10 centimetri di lun- ghezza, ch’è la diagonale lunga dal cardine all'angolo opposto; 75 millimetri di larghezza dal margine buecale al posteriore, che gli è paralello; oltre 8 centimetri dal margine anale all’ anteriore pur ad esso quasi paralello, e 355 millimetri di massimo spessore. La orec- chietta anteriore non è tanto sporgente come nella citata figura, ma più prolungata e nettamente distinta. La valva sinistra gibbosa e quasi carenata; la destra uniformemente convessa e meno elevata: ambedue ornate di coste raggianti ripetutamente dicotome e talvolta tricotome, molto più numerose e minute di quello che negli esem- plari precedenti. Sono circa 35 nella valva sinistra, ed altrettante nella destra, appajandosi esse al margine in denti acuti. L’area di adesione della valva sinistra è limitatissima e longitudinalmente obliqua all’uncino. Le strie concentriche e le rughe interposte sono eviden- lissime e quasi regolari su tutta la superficie di ambedue le valve, come pure le più decise linee di accrescimento rispondenti alle bi- forcazioni delle coste, clie, specialmente nell’ala posteriore della valva sinistra e qua e là in altre parti, si elevano in produzioni spiniformi, convergendovi con forti flessuosità le strie altrove rego- larmente concentriche. Finalmente possiamo paragonare alle figure 3 e 4 della citata ta- vola det Coquand un piccolo esemplare, di forma irregolare per la «grande espansione dell’ala posteriore; colla valva destra più convessa SULLE OSTRICHE CRETACEE DI S:;CILIA 425 della sinistra, con coste consimili a quelle delle forme precedenti e della menzionata figura, e cogli uncini, come in quella contorti. Il quale ultimo carattere è dal d’Orbigny avvertito come molto note- vole nei giovani individui dell’ O, diluviana. Le differenze notate dal dotto autore della specie, fra questa e I O. Santonensis d’ Orb., sussistono evidentissime anche per i nostri esemplari, ad onta delle notevoli variazioni individuali ch’ essi pre- sentano. Ma esse variazioni e inducono nel sospetto che non si possa con altrettanta asseveranza separare specificamente questa forma dall’O. dilusiana, quale l'ha definita e circoscritta il d’ Orbigny (Paleont. Frane. Terr. cret. Ul, pag. 728, pl. 480.), riducendosi la più essenziale differenza alla ristrettezza dell’attacco ed alla conse- guente costanza e regolarità di forme. @strea sp. ind. Conchiglia subovata obliqua inequivalve, di circa 65 millimetri di lunghezza, 45 di larghezza e 30 di spessore. La valva destra, con- vessa in vicinanza all’ uncino ch’è volto all’ indietro, si escava nella parte media e si eleva nuovamente presso alla regione palleale. Essa è ornata di pieghe concentriche, distanti, elevate, acute, molto ir- regolari e flessuose, che sommano a 10. La valva sinistra, molto convessa, oscuramente ed ottusamente carenata, escavata nella re- gione anale e sporgente .col margine sotto all’uncino della destra, si prolunga pochissimo all'indietro in un angusto e breve uncino, sulla faccia esterna del quale è lmitatissima l’area di attacco. Poche e lontane lamine concentriche ne ornano lutta la superficie, spor- gendo cen angolosità rispondentisi, che accennano la oscura presenza di coste irraggianti. Può paragonarsi alla forma descritta e figurata dal d’Orbigny come varietà angnsta dell'O. Coulonii ( Paleont. Frang. Terr. crét. HI, pag. 699, pl. 467, fig. 1-5), dalla quale peraltro eminentemente «differisce per la piccolezza dell’ uneino della valva sinistra, Non avendone che un solo esemplare sufficientemente conservato, non osiamo instituire una nuova specie. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA CON NOTE ED OSSERVAZIONI DEL SOCIO TOMMASO SALVADORI —__——————° r (Continuazione e fine, vedi pag. 4193 ) 124. Acanthis carduelis, K. et BI. Fringilla carduelis, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 117). Carduelis elegans, Steph. (Bp., Z'aun. ital.). Fringilla carduelis, L. (Cara, Orn. surd , sp. CXXV). Cardanera, C. M. Cardellina, C. S. Cardellino. Comunissimo in ogni stagione. 125. Chrysomitris spinus , Boje. Fringilla spinus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 120). Chrysomitris spinus, Boje (Bp., Faun. ital.). Fringilla spinus, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXXIV). Canariu de monti, C. M. Lucarino. Durante i primi quattro mesi del 1863 non ho veduto alcun luca- rino. Nel Museo esistono due individui di questa specie che il Cara (op. cît., pag. 88) afferma essere di annuale passaggio in autunno ed in primavera. T. SALVADORI, CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 4925 126. Dryospiza serinus, K. et BI. Fringilla serinus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 1532). Serinus meridionalis, B. (Faun. ital., pag. 37). | Fringilla serinus, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXX). Canariu de Monti, C. M. Canariu areste, C. S. Verzellino. Ne ho trovati anche nei mesi invernali, ma assai più ne giungono in primavera. Un altra specie annoverata dal Cara tra le sarde è la Fringilla citrinella, L. (op. cit, sp. CXXIII). Però io dubito che, co- piando quegli autori (e Temminck tra essi), che asseriscono questo uccello comune e nidificante nell’ Italia meridionale, abbia creduto appartenere a questa specie qualche individuo della Zringilla seri- nus, L. In quella vece è certo che in Italia si trova la Z. citrinella solo nelle regioni più settentrionali, e nella stagione invernale (1), che io in Sardegna non ne ho incontrato neppure un individuo, e che nel museo di Cagliari non ve ne ha alcuno; ed. è perciò che io fino a prove migliori non pongo in nota questa specie. 127. Coccothraustes vulgaris, Briss. Fringilla coccothraustes, Temm. (Savi, Orn. tosc., v. VII, p. 139). Coccothraustes vulgaris, Briss. (Bp., Zaun. ital.) fl. coccothraustes, Temm. (Cara, Orn. sard , sp. CXV). Pizzugrossu, C. M Picugroxu, Re d’alipinti, C. S. . Frosone. Dall’autunno a primavera si trovano i frosoni in Sardegna, ed abi- tano i grandi boschi nell'interno dei monti; nel febbrajo ne ho ve- duti in quelli di Oridda. (4) Vedi: Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 123. — Bonaparte, Fauna italica, Intro- duzione. — Durazzo, Uccelli liguri, specie 180, pag. 55. — Monti, Ornitologia co- mense, pag. 27. 426 T, SALVADORI, 128. Loxia curvirostra , L. L. curvirostra, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, p. 147). — (Bp. Zaun. ttal.). — (Cara, Orn. sard., sp. CXIV). Biccutrottu, C. M. Bicus tortu, C. S. Crociere, 0 becco în croce. Accidentalmente si mostra in inverno (Cara, op. cit., pag. 78). Due individui si conservano nel Museo. STURNIDA, 129. Sturnus vulgaris, L. S. vulgaris, L. (Savi, Orn. tosc., vol. 1, pag. 193). — (Bp, Faun. îtal.). — (Cara, Orn. sard., sp. XLIV). Sturru pintu, C. M. Sturru pichettadu, G.S. Storno. Il Cara (op. cit., pag. 31) afferma questa specie essere comunis- sima, ed aggiange che gli storni «arrivano ai primi di agosto in gran numero, e partono in primavera, » dalle quali parole sembre- rebbe che essi restino in Sardegna solo durando l'inverno, mentre io penso che alcuni vi nidifichino pur anco, avendone visti alcuni giovanissimi conservati nel Museo di Cagliari. Jo debbo motare che mei quattro mesi dal gennajo all’aprile, io nen ho incontrato ‘nessun individuo di questa specie, e più mi ha sorpreso di non'averne in- contrato alcun branco di passaggio durante il marzo e l'aprile, come avviene sul continente. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 427 4130. Sturnus unicolor, Marm. S. unicolor, Marm. (Savi, Orn. tosc., vol. ], pag. 197). — (Bp., Zaun. îtal., tav. 33). — (Cara, Orn. sard., sp. XLV). Sturru nieddu, G. M. Sturru neru, C. S. Storno nero. Bonaparte dopo aver ammesso questa specie e nella Fauna ita- lica e nel Conspectus avium europoearum (1850) nella Revue zoolo- gique (1857, pag. 55), espresse il dubbio che questa specie non sia che una razza o varietà locale. Ecco le sue parole : « Sturnus unicolor, la Marm. du midi de l'Europe a plumes lon- gues, effilées, pointues, et non tachetées, peut-il ètre considéré comme espèce à meilleur droit que la race septentrionale des îles de Feroè, a plumes du cou larges, tronquées et très-tachetées de blanc? » lo non conosco la specie o razza settentrionale; ma, avendo ve- duto ed ucciso molti individui dello Sturnus wnicolor, non posso dubitare che esso costituisca una buona specie piuttosto che una varietà locale dello Sturnus vulgaris, mentre notevolissime sono le differenze sia per le forme e per i colori come per le abitudini. Maschio adulto in primavera. Becco giallo zolfino, vivace, con la base celeste e non scura, come viene asserito comunemeute. Le penne della testa, del collo e del corpo sono lunghe, sottili ed appuntate, di color nero cangiante in violetto ed in verdone; le remiganti secondarie presentano un mar- gine molto largo con tali riflessi che sembrano come vellutate ; re- miganti primarie e timoniere nere con eguali riflessi. Piedi castagno- rossastri, unghie nerastre. Iride bruno-nera. La femmina adulta în primavera si riconosce non difficilmente per non avere lc piume così lunghe, sottili ed affilate come il ma- schio, per il colorito nero un poco opaco, e con riflessi molto mene splendenti. 4928 T. SALVADORI, In inverno gli adulti presentano un nero meno splendente e con poca differenza nei due sessi. Îl becco giallastro-bruno. Taluni indi- vidui in inverno, sì maschi che femmine, offrono le parti inferiori con piccole macchioline biancastre all’ apice delle penne, in specie del ventre, e questi sono individui non perfettamente adulti, forse giovani dopo la prima muta. 1 giovani, all’uscir dal nido, sono di colore scuro-cenerino cupo, ed in tale abito somigliano moltissimo i giovani dello Sturnus vulgaris. Non ho mai veduto lo storno nero nei luoghi elevati, ma sempre nelle pianure, ove se ne incontrano grandi branchi spesso misti coi corvi, e vanno pascolando nei prati umidi in cerca d’insetti, man- dando un pigolio querulo e confuso, molto simile a quello dello storno comune. Nella sera vanno sui tetti delle case dei villaggi, o di qualche casa isolata nella campagna per passarvi la notte riparati sotto i tegoli od entro i fori. AI mattino, posati sul comignolo delle case, o su qualche albero vicino, fanno udire un fischio pieno e sonoro, ma monotono. Nidificano sui tetti, negli edifizj abbandonati o nell’interno delle grotte, ove talora si stabiliscono ; così ne ho veduti in gran numero nella Grotta dei Colombi al Capo S. Elia presso Cagliari insieme alla Columba livia ed alla 7. rupestris. Le uova sono di color verde, molto somiglianti a quelle dello storno comune. Se noi ora consideriamo le differenze tra lo S. vulgaris e lo S. unicolor ne troveremo nel becco, nella ptilosi e nelle abitudini, e tali che sono sufficientissime a renderle ambedue specie buone e distinte, sebbene anche recentemente il Blasius consideri il secondo come varietà locale del primo, mentre poi accetta come specie di- stinta il Passer salicicolus! Due pesi e due misure! Il becco nell’unicolor è sempre più breve (due millimetri circa), meno depresso, più alto alla base e leggermente curvato in basso , mentre nello S. vulgaris è più lungo, più depresso, meno alto alla base, e quasi affatto diritto. Il becco, in ambedue giallo-zolfino du- rante la primavera, non ha mai nel vulgaris la base della mandibola inferiore del bel color celeste chiaro come si vede nell’unicolor. Riguardo alla ptilosi nell’unicolor le penne del collo e del petto CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 429 specialmente sono lunghissime (fino a 0,040) e strette (0,002), men- tre nel vulgaris in primavera sono per metà più corte, ed il doppio più larghe. Rispetto al colorito, mentre nell’unicolor prevale il nero ai riflessi verdoni e violetto, nel vulgaris invece questi riflessi pre- valgono per modo che le penne possono dirsi verdi o violette. Per le abitudini il vulgaris è migratorio, e l’unicolor stazionario, e trovandosi colle differenze sopranotate ambedue le specie nella stessa località (almeno in alcune epoche dell’anno) non mi sembra ragionevole di dire l’unicolor una razza locale del vulgaris; mentre poi giammai, per quello che io so, si sono trovati individui con gradazioni tali per le quali non si sapesse a quali delle due specie attribuirli, e neppure io so che fossero giammai trovati ibridi, che derivassero da individui delle due specie insieme congiunti. 134. Pastor roseus, Temm. Acridotheres roseus. Ranz (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 198). — (Bp., Faun. ital., tav. 32). — (Cara, Orn. sard., sp. XLVI). Storno marino. Due individui esistono nel Museo di Cagliari, ma la loro com- parsa è affatto accidentale. ORIOLIDA. 132. Oriolus galhula , L. O. galbula, L. (Savi, Orn. tosc., vol. 1, pag. 190). — (Bp., Faun. ital.) — (Cara,.Orn. sard., sp. XLII). Canariu selvaticu, C. M. Canariu areste, CS. Rigogolo. Nell'aprile ne ho visti nel bosco di Nizza presso Capoterra. Non sembrano però molto numerosi. 450 T. SALVADORI, CORVIDA. 133. Nucifraga caryocatactes, Br. N. caryocatactes, Br. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 133). — (Bp., /aun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. XL. . Nocciolaja. Una sola volta d'inverno è stato preso un individuo di questa spe- cie nelle montagne d’Arizzu, e la sua venuta sembra accidentale. 134. Fregilus graculus, Cuv. Pyrrhocorax graculus, Temm. (Savi, Orn. tosc , vol. I, pag. 120). Fregilus graculus, Cuv. (Bp., f'aun. ital.) Pyrrhocorax graculus, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. XLI). Gracchio. Questa specie fu trovata stazionaria al Gennargentu dal generale Alberto La Marmora, ed a me fu detto trovarsi pure comunemente nelle montagne presso Jersu. Nel Museo di Cagliari ve n’ha qualche individuo. 135. Corvus corax, L. C. corax, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag 112). — (Bp., Faun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. XXXIV). Crobu nieddu, C. M. Corbu e corvu, C. S. Corvo imperiale. Ho trovato comunissima questa specie non solo nei luoghi mon- tuosi, ma anche in pianura, e ne ho uccisi persino su degli ulivi entro il villaggio di Domus Novas, ove venivano a dormire ed a divorare le olive. Il Cara (op. cît., pag. 24) vorrebbe che questo corvo, arrivando al principiar dell’inverno, emigrasse in primavera: io però ho veduto essere comunissimo anche al terminare di aprile, per cui piuttosto eredo che sia stazionario, e che vada a por nido più in su nei monti, CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 451 136. Corvus frugilegus,. L. C. frugilegus, Li (Savi, Orn. tosc., vol. 1, pag. 117). — (Bp., faun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. XXXVII). Crobu, C. M. Corroga niedda, C. S. Corvo nero. Comunissimo, ma al dire del Cara (op. cit., pag. 2%), solo du- rante l'inverno. + 437. Corvus corone, L. C. corone, L. (Savi, Orn. sard., vol. I, pag. 414). — Lath., (Bp, Zaun. ital.). — L. (Cara, Orn. sard., sp. XXXV). Cornacchia nera. Sebbene io non abbia potuto vedere nelle pianure submarine le torme degl’individui di questa specie, come il Cara asserisce (op. cît., pag. 24), e sebbene nel Museo di Cagliari non ve ne sia alcun indi- viduo, pure io noto questa specie sembrandomi troppo difficile a credere ch’ egli siasi ingannato intorno ad una specie che afferma comunissima. 438. Corvus eornix, L. :C. cornix, L. (Savi, Orn. tosc., vol. 1, pag. #45). — (Bp., Faun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. XXXVI). Corroga braxia, C. M. Corroga barza, Corronca, G. S. Cornacchia, Mulacchia. Stazionaria e comunissima. 452 T. SALVADORI, 139. Corvus monedula, L. C. monedula, L. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 121). — (Bp., Faun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. XXXVIII). Corroga, C. M. ° Taccula, C S. Taccola o Monacchia. . x . LI . . . . Comune in molte località. Talora abitano roccie altissime, altre volte*edifizj diruti. 140. Garrulus glandarius , Br. Corvus glandarius, L. (Savi, Orn. tosc., vol. l, pag. 122). Garrulus glandarius, Br. (Bp., Faun. ital.). — L. (Cara, Orn. sard., sp. XXXIX). Piga, C. M.; C. S. Ghiandaja. Comunissima. COLUMBIDA. 444. Columba palumbus, L. C. palumbus, L. (Savi, Orn. tose., vol. II, pag. 154). — (Bp., Fuun. ital.) — (Cara, Orn. sard., sp. CXLII). Tidoni, C. M. (Da Titus, palombo, antico vocabolo latino). Tudone, GC. S. Colombaccio o palombo. Stazionario e comunissimo. Abita nei grandi boschi di elci, e ne ho veduli tanto in quelli presso Domus Novas che presso Seui. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 435 142. Columba livia, Briss. C. livia, Briss. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 160). — (Bp., Faun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. CXLIV). Columbu aresti, G. M. Columbu areste, C. S. Colombella a groppone bianco. Questa colomba è stazionaria; nel giorno si sparge per i campi e per le colline rocciose; ne ho viste sulla collina di s. Avendrace, all’Isolotto, presso Elmas e presso Domus Novas; passano la notte nelle grotte e moltissime abitano nella grotta dei Colombi al Capo S. Elia e nella grotta d’Oridda. Gl’individui di questa specie uccisi da me si distinguevano perfettamente dalla specie seguente per il groppone bianco candido, per le fascie a traverso le ali e per il becco scuro nero. 413. Columba enas, L. C. cenas, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 158). — (Bp., Faun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. CXLIII). Succella, GC. M. Tudone, C. S. Colombella. Vuole il Cara (op. cit., pag. 104) che arrivi in autunno e riparta in primavera. Durante l'inverno ho osservato costantemente che vive insieme colla specie antecedente, e m’è anche avvenuto di uccidere ad un colpo individui di ambedue le specie. 444. Peristera turtur, Boje. Columba turtur, L. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 163). Turtur auritus, Ray (Bp., Faun. ital.). Columba turtur, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXLV). Turturi, C. M.; Turture, C. S. Tortora. Giunge in aprile e parte in settembre. Vol. VI. 28 451 T. SALVADORI, PERDICIDA. 145. Perdix petrosa, Lath. P. petrosa, Lath. (Savi, Orn. tosc , vol. HH, pag. 190). — (Bp., Faun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. CXLVI). Perdixi, C. M. | Perdighe, e Perdèa, C. S. Pernice turchesca 0 di Barberia. Questa specie è presentemente rara nei contorni di Cagliari , forse perchè sterminata dai cacciatori, ma a non molte miglia di, distanza diviene abbondantissima contrariamente a ciò che dice nella /aune ornithologique de la «S'icile il Malherbe, il quale vorrebbe questa specie così rara in Sardegna come in Sicilia. Per quello che io ho osservato, assai male a proposito è stalo dato a questa specie il nome di petrosa, giacchè essa ama assai più le colline basse ed il piano di quello che il monte, chè anzi nei monti aspri e dirupali non s'incontra giammai; invece nelle colline, ove sono delle terre coltivate a grano, contornate da spazj maggiori di suolo coperto con cisti, asfodeli e cespugli di pruno ed altre piante suffruticose è certo di trovarne. Per questo suo costume di tenersi piuttosto in pianura facile è 1’ ucciderla, giacchè al levarsi s' innalza alquanto, e quindi spiega il suo rumoroso volo quasi oriz- zontale. La sua carne non è così saporita come. quella .delle. altre pernici, ma è alquanto arida e filamentosa. Non è d’ indole molto selvatica onde riesce facilissimo :l’ addomesticarla. Il suo grido, di richiamo è molto singolare, e si può tradurre, sebbene malamente , colla parola cd? ripetuto varie volte, ma tardamente, e coll’ î molto prolungato. Nella prima metà di febbrajo ho trovato: già i maschi e le fem- mine appajate. Questa è la sola pernice da me incontrata in Sarde- gna. Però non posso tacere di aver inteso narrare di un’ altra per- nice più grossa che s’incontrerebbe piuttosto raramente presso il capo settentrionale, e mi è stato assicurato che il Conte di Parigi, in una CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 435d escursione fatta in Sardegna, ne polesse avere alcune, e le facesse preparare per la loro singolarità. Queste cose io tengo non da per- sone della scienza, ma da un dilettante di caccia. Siccome poi io vengo assicurato che nella vicina Corsica si trovi la Perdix saxatilis, così io non sarei lontano dal credere che questa specie si trovi pur anco nella parte settentrionale della Sardegna. 446. Ortygion coturnix, K. et BI. Perdix coturnix, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 199). Coturnix comuniîs, Bonn. (Bp. Faun. ital.) Perdix coturnix, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. GXLVII). Quallia, o eircuri, GC. M. Trespotres, C. S. Quaglia. Anche in inverno trovansi in Sardegna molte quaglie, e più vi giungono in aprile. GALLINULIDA. 147. Ortygometra crex, Gr. Rallus crex, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 374). Ortygometra crex, Steph. (Bp., Faun. ital.). Gallinulacrex, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. CCI). Su rei de îs quallias, C. M. Re de Trespotres, C. S. Re di quaghe. ll Cara (op. cit, pag. 188) vorrebbe che fosse stazionario; io nes- suno ne lio trovato in inverno, e penso che se altuni vi restano in questa stagione, più se ne'trovino al tempo del passo, andando a nidificare più al settentrione. 256 T. SALVADORI , 148. Ortygometra porzana, Steph. Rallus porzana, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 376). Porzana maruetta, Gr. (Bp., Faun. ital.). Gallinula porzana, Latb. (Cara, Orn. sard., sp. CCII) Puddixedda de acqua, GC. M. Puddighina de aba, C. S. Foltolino. Comunissimo în primavera; non so se aleunîi vi restino a-nidificare come mi sembra probabile. 449. Ortygometra”minuta, Gr. Rallus pusîllus, Pall. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 379). Porzana minuta, Bp. (Bp., Fuun. ital.). Gallinula pusilla, Bechst. (Cara, Orn. sard., sp. CCI). Puddixedda de acqua, C. M. Puddighina de aba, C. S. Schiribilla. Passa in primavera. 150. Ortygometra pygmea , Gr. Rallus Baillonii, Vieill. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 380). Porzana pygmea, Bp. (Bp., Faun. ital.). Gallinula Baillonii, Vieill. (Cara, Orn. sard., sp. CCIV). Puddiredda de acqua, C. M. | Puddighina de aba, C. S. Schiribilla grigiata. Passa in primavera, ma è piuttosto rara. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 437 154. Rallus aquatieus, L. R. aquaticus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 374). — (Bp., Faun. ital.) — (Cara, Orn. sard., sp. CC). Sturru de acqua, C. M. Puddighinu de aba, o de mata, C. S. Porciglione o Gallinella. Comunissime e stazionario. 152. Gallinula ehloropus, Latb. Rallus chloropus, Savi (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 382). Gallinula chloropus, Lath. (Bp., Faun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. CCV). Caboniscu de acqua, C. M. Pudda d’aba, o giaddina d’eba, C. S, Sciabica, Gallinella. E stazionaria, e molte volte, durante l'inverno, ne ho vedute tra cannelle ed i giunchi presso gli stagni ed i fiumi. no [9°] 453. Fulica atra, L. P. atra, L. (Savi, Orn. tosc., vol. III, pag. b). — (Bp., Faun. ital.) — (Cara, Orn. sard., sp. CCVII). Puliga, C. M.; C. S. Folaga. Branchi innumerevoli di folaghe coprono gli stagni presso Cagliari ove se ne fa caccia sterminata colle reti tese sott'acqua. Talune vi restano anche nell’estate, e vi pongono nido, ma la maggior parte emigrano in primavera e ritornano in autunno per svernarvi. 458 T. SALVADORI , 4154. Fulica cristata, Gmel. F. cristata, Gmel. (Bp., Faun. ital.). Folaga crestuta. Questa specie non è notata nell’Ornitologia sarda del Cara, e sebbene egli avesse osservato (op. cit., pag. 164) che fra le fo- laghe, che restano a nidificare in Sardegna se ne prendono alcune, che portano una piccola carnosità sopra la placca frontale, pure non aveva saputo apprezzare il valore di questo carattere. Sembra che questa specie non sia molto rara in Sardegna, giacchè è ben conosciuta dai pescatori dello stagno, e tanto da essi che dal Cara sono stato assicurato che vi giunge in primavera, e vi pone il nido, ed in alcuni anni in gran numero. Due individui sono nel Museo. 455. Porphyrio veterum, Auct. P. hyacinthinus, Temm. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 369). P. antiquorum, Bp. (Bp., Faun. îtal., tav. 44). i P. hyacinthinus, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. CCVI). Puddoni, C. M. Pollo sultano. In alcuni anni esso è comunissimo, in altri è raro; così dal gen- najo all’aprile 1863, per quante ricerche io abbia fatto, non ho potuto avere nessun pollo sultano. Nel dicembre due individui erano stati offerti in vendita al Museo di Cagliari, ed un altro fu ucciso nel gennajo presso Elmas. lo voleva determinare con certezza se esso sia migratorio o sta- zionario; le opinioni sono divise intorno a questo argomento. Secondo il Cara (op. cit., pag. 161) esso sarebbe di passaggio in autunno ! Però, siccome più al nord della Sardegna non v'è luogo regolar- mente frequentato da esso, e soltanto accidentalmente se ne incontra qualche individuo, perciò quell’ asserzione del Cara non mi sem- CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SABDEGNA 439 brava credibile; e siccome è desso un uccello proprio delle regioni meridionali quali il mezzogiorno della Sicilia, e la parte settentrio- nale dell’Affrica, così io pensava che in primavera esso giungesse in Sardegna, e che alcuni vi fossero stazionari come in Sicilia. Nel quale giudizio mi confermarono gli abitatori di Elmas e di Flumini (località frequentate dai polli sultani) i quali mi assicurarono che in aprile se ne trovano più che in altri tempi; mi aggiungevano i pescatori che sulle rive dello stagno tra le canne ed i giunchi non rade volte ne trovano le uova, e che essi sanno riconoscere i Pud- doni al canto molto somigliante a quello della Gallinula chloropus, sebbene assai più forte. Quindi io credo che non vi sia più dubbio, che se alcuni individui restano in Sardegna durante V inverno, molti più vi giungono in primavera e ne ripartono in autunno, e quindi questa specie deve ritenersi tra le nidificanti, OTIDIDA. 4156. Otis tetrax, L. O. tetrax, L. (Savi, Orn. tosc., vol. IT, pag. 219). — (Bp., £aun. ital.). — (Cara, Orn sard., sp. CXLIX). Fagianu, o Pidraxiu, C..M. Giaddina de campu, o Pudda campina, CS. Gallina pratajola. Un bellissimo maschio adulto, una femmina ed un pulcino si con- servano nel Museo di Cagliari. Ecco la descrizione di quest’ultimo : Parte superiore o dorsale del corpo color caffé e latte, parte infe- riore di un bianco sporco; dall’ occhio partono due linee di un nero profondo, e passando sul dorso giungono alla base della coda; dai fianchi partono altre due linee che vanno a perdersi nella coda; altre due dall’angolo del becco si dirigono verso la nuca, ed altre due minori dalla regione sopraorbitale convergono alla base del becco; una gran. macchia pure nera oceupa angolo anteriore dell’ ala. Le penne della coda hanno lo stelo nero. 440 T. SALVADORI, Lunghezza totale 0,14. Un branco di otto o dieci individui incontrai tra Domus Novas e Siliqua; ma non mi fu possibile ucciderne alcuno. Si trovavano in una campagna arida e sassosa e sembravano molto sospettosi. Sono comunissimi presso Oristano. CHARADRIIDA. 197. Oedienemus crepitans, Temm. Oe. crepitans, (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 228). —- (Bp., Zaun. ital.) — (Cara, Orn. sard., sp. CL). Pudda media, C. M. Pudda areste, Ciurlìu, Ziriolu, G. S. Occhione, Corridore. E comune e stazionario. lo ne ho visti molti andare a branco tra lo stagno di Quartu e di Molendargius. 158. Vanellus cristatus, Meyer. V. cristatus, Meyer (Savi, Orn. tosc., vol. IT, pag. 256). — Br. (Bp., Faun. ital.) — Meyer (Cara, Orn. sard., sp. CLX). Lepuri de argiola, C. M. (lepre di aja!) Gavi-gavi, pipiaghena, cor în cucuru (corno in testa), C. S. Pavoncella, Fifa. Durante l'inverno è comunissima in tutte le praterie umide ove spesso si trova pascolando insieme a grandi branchi di stornelli neri, Il Cara (op. cit., pag. 122) afferma che è stazionaria e vi nidifica ; però non v’ha dubbio ch’egli siasi ingannato, giacchè in quella vece parte in primavera per le regioni settentrionali e ritorna in autunno. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 4A 159. Squatarola helvetiea , Savi. S. helvetica, Savi (Savi, Orn. tosc., vol. ll, pag. 253). — (Bp., Faun. ital.). Vanellus melanogaster, Bechst (Cara, Orn. sard., sp. CLIX). Curruliu brenti niedda, C. M. Pivieressa. Molti individui si conservano nel Museo, ed alcuni in. perfetta livrea di primavera, onde parrebbe non fosse rara. In quest’ anno (1863) non ho potuto vederne alcun individuo. 160. Charadrius pluvialis, L. C. pluvialis, L. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 2335). Pluvialis apricarius, Bp. (Faun. ital.). Charadrius pluvialis, L. (Cara, Orn. sard., sp. CLIV). Culingioni de terra, C. M. Culurzone de terra, C. S. Piviere. Giungono in autunno; però non vi devono essere molto abbon- danti, almeno al Capo meridionale, giacchè io non ve ne ho incon- trato alcuno durante i primi quattro mesi del 1863. 161. Eudromas morinellus, Boje. Charadrius morinellus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 239). Eudromias morinellus, Boje (Bp., Faun. ital.). Charadrius morinellus, L. (Cara, Orn. sard., sp. CLV). Zurruliu conca de molenti (testa d’asino, ossia stupido?) C. M. Piviere tortolino. Non so con certezza se questa specie si trovi in Sardegna, giac- chè io non l’ho veduta vivente, nè esiste nella collezione del Museo; 442 T. SALVADORI, però il Cara nota essere di passo regolare giungendo in autunno e partendo in primavera (op. cit., pag. 118). 162. Acegialites hiaticula, Boje. Charadrius hiaticula, L. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 241). — (Bp., Faun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. CLVI). Zurruliu peis grogus, C. M. Ziriolu, C. S. Corriere grosso. Comune, e, secondo il Cara, pure nidificante (op. cit., pag. 149.) 4163. Aegialites fluviatilis , Bechst. Charadrius curonicus, Gm. (Savi, Orn. tose., vol. Il, pag. 244). — (Bp., Faun. ital.). Ch. minor, Meyer (Cara, Orn. sard., sp. CLVII). Zurliotteddu, C. M. Ziriolu pitiu, C. S. Corriere piccolo. Stazionario. 164. Aegialites cantianus, (Lath.). Charadrius cantianus, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. II, pag. 242). — (Bp.. Zaun, ital.) — (Cara, Orn. sard., sp. CLVIII). Zurruliu conca de molenti, C. M. Ziriolu, C.:S. Fratino. E comunissimo e stazionario. Frequenta le spiagge correndo’ ra- pidissimamente. , TC‘ Se, Ne gs, e It TT ‘te ——_ —— wr ——_—— ————__rrrrrretlclL*t—tptT _ otte .ceeb = CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 445 GLAREOLIDA. 165. Glarcola pratincola, Lin. G. pratincolu, Savi (Savi, Orn. tosc., vol. I, pag. 244). — Leach. (Bp., Faun. ital.). G. torquata, Meyer (Cara, Orn. sard , sp. CXLVIII). Perdixi de mari, C. M. Perdighe marina, C. S. Pernice di mare. Tre individui si conservano nel Museo di Cagliari; sembra che il suo passo non sia costante ad ogni anno. HAMATOPODIDA. 166. Strepsilas Interpres, Ill. S. interpres, Leach. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, p. 260). — I. (Bp., Faun. ital.). S. collaris, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. CLXI). Volta pietre. Qualcuno se ne vede in primavera. 167. Hematopus ostralegus, L. H. ostralegus, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 229. — (Bp.. Faun. îtal.). — (Cara, Orn. sard., sp. CLIII). Beccaccia de mari, C. M. Beccaccia di mare. Questa specie io non ho veduto vivente. Quattro individui si con- servano nel Museo, ed il Cara (op. cîit., pag. 116) assicura che, seb- bene in scarso numero, se ne incontrano in ogni stagione, 4h T. SALVADORI, RECURVIROSTRIDA, 168. Recurvirostra avocetta, L. R. avocetta, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 366). — (Bp., Faun. îtal.). — (Cara, Orn. sard., sp. CLXXV). Paisanu, C. M. Filippa, C. S. Monachina. Quattro individui sono nel Museo di Cagliari, e so che non rara- mente dall’autunno a primavera se ne incontrano sulle rive degli stagni di Cagliari e di Oristano. 169. Hypsibates himantopus,. Ntsch. Himantopus melanopterus, Meyer (Savi, Orn. tosc., v. Il, p. 352). H. candidus, Bonn. (Bp., Faun. ital.). H. melanopterus, Meyer (Cara, Orn. sard., sp. CLII). Zurruliu peis longus, C. M. Cavalier d’Italia. ll Cara (op. cit., pag. 118) vorrebbe che venisse in autunno per svernarvi e ripartisse al principiare d’ estate. lo non ho potuto in- contrarlo vivente. Tre individui ne ho osservati nel Museo. SCOLOPAGIDA. 170. Limosa egocephala, Bp. L. melanura, Leisl. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 301). L. cegocephala, Bp. (Bp., Faun. ital.) L. melanura, Leisl. (Cara, Orn. sard., sp. CXCIV). Beccaccia de îs cannas, C. M. (Cara). Pittima reale. A giudicare dal numero grande d’individui che esistono nel Museo di Cagliari, questa specie deve essere molto comune. fo non ho po- CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 445 luto verificare se dal settembre a primavera restino in Sardegna a svernarvi, poichè non ho potuto incontrarne alcun individuo vivente. Due individui di questa specie nell’imperfetta livrea di nozze sono tra quelli del Museo, e portavano il nome di Limosa rufa, e senza dubbio debbono aver servito al Cara per annoverare questa specie tra le sarde (cp. cît., sp. CLII). 474. Totanus glottis, Bechst. T. glottis, Bechst. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 268). Glottis chloropus, Nils. (Bp., faun. ital.). Totanus glottis, Bechst. (Cara, Orn. sard., sp. CXCIII). Zurrulìu biccu grussu, C. M. Pantana. Si trova in Sardegna durante l’antunno e l’inverno, ma non è molto comune. 172. Totanus stagnatilis, Bechst. T. stagnatilis, Bechst. (Savi, Orn. tose., vol. IT, pag. 275). — (Bp., Faan. ital.). — (Cara, Orn. sard:, sp. CLXXXIX). Zurruliu peis longus, C. M. Piro-piro gambe lunghe. Per fatto mio nulla io so di questa specie, giacchè nessun indi- viduo si conserva nel Museo di Cagliari, ed io non ne ho incontrato alcuno durante le mie escursioni. Quindi se io la noto in questo catalogo, lo faccio riferendomi al Cara, che (op. cît., pagina 148) dice a riguardo di questo uccello: comunissimo fra noi e vi nidi- fica; parte principiando l’estate. lo però non posso lasciare di notare come se vi nidificasse resterebbe difficile a concepirsi come partisse principiando l’ estate, e quindi io penso che in ciò sia avvenuto er- rore, e che se realmente si trova in Sardegna ciò avvenga in pri- mavera, e seguiti il suo viaggio verso il nord a porvi il nido. 446 T. SALVADORI , 173. Totanus fuscus, Leisl. T. fuscus, Leisl. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 264). — (Bp., Faun. îtal.). — (Cara, Orn. sard., sp. CLXXXVII). Zurrulìu peîs arrubius, GC. M. Chiòchîò. Piuttosto comune durante l’ inverno. 174. Totanus calidris, Bechst. T. calidris, Bechst. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 274). — (Bp., Faun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. CLXXXVIII). Zurrulìu peis arrubius, C. M. Pettegola. Comunissima dal settembre al maggio. 175. Totanus glareola, Temm. T. glareola, Temm. (Savi, Orn. tosc, vol. H, pag. 277). — (Bp., Faun. îtal.). — (Cara, Orn. sard., sp. CXCI). Zurruliu peis birdis, C. M. Piro-Piro boschereccio. Passa in primavera ed autunno, È egli certo che vi nidifichi? (Cara, Op. cit., pag. 149). 176. Totanus ochropus, Tcinm. T. ochropus, Temm. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 283). — (Bp., Zuun. îtal.). — (Cara, Orn. sard,, sp. CXC). Zurrulu, C. M. Piro-piro cul bianco. Nell'inverno ho varie volte incontrato qualche solitario individuo di questa specie, e penso che come nel resto d’Italia, così pure CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SAKDEGNA 47 in Sardegna sia stazionario, mentre il Cara (op. cit., pag. 149) vor- rebbe che passasse in primavera ed in autunno. 177. Actites hypoleucus, Boje. Totanus hypoleucos, Temm. (Savi, Orn. tosc, vol. II, pag. 278). Actitis hypoleucus, Boje (Bp., Yaun. ital.). Totanus hypoleucos, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. CXCII). Zurruliotteddu, C. M. Piro piro piccolo. Durante l’inverno non ho veduto questo uccello in Sardegna, e credo che invece dell’inverno, come afferma il Cara (op. cit., p. 149), vi passi l’estate, come pure avviene nell'Italia continentale. 478. Philomachus pugnax, (Lin.). Totanus pugnax, Nils. (Savi, Orn. tosc., vol. ll, pag. 263). Machetes pugnax, Cuv. (Bp., Haun. ital.). Gambetta. La gambetta, secondo il Cara (op. cit., pag. 145), manca in Sar- degna, e nel Museo di Cagliari non esiste alcun individuo di questa specie; però sapendo io come essa si trovi per tutta Europa e nel- l’Affrica, e come sia comunissima durante il marzo e l’aprile nella vicina Italia e nella vicinissima Sicilia, era grandemente meravigliato di questa mancanza, di cui non sapevo rendermi conto, quando nei primi giorni d'aprile, in una giornata burrascosa, essendo nell’ in- terno dell’isola presso Mandas, ne incontrai un piccolo branco di- retto dal sud verso il nord. Questa fu l’ unica volta che io ne vidi, e credo che sebbene in Sardegna non siano così comuni come al- trove, pure tutti gli anni vi passino in qualche numero. 479. Tringa canutus, L. T. cinerea, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 295). T. canutus, L. (Bp., Fawn. ital.). T. cinerea, L. (Cara, Ord. sard., sp. CLXAXXVI). Beccacinu o Zurruliu, C. M.? Piovanello maggiore. Due individui di questa specie sono nel Museo di Cagliari, l’ uno in abito d'inverno e l’altro in abito di nozze; io non ne ho incon- 448 T. SALVADORI, trato alcun individuo, e penso che sia più raro che non farebbe supporre il Cara che (op. cit., pag. 145) dice giungere in autunno, partire in maggio, e frequentare le rive del mare. 180. Pelidna maritima, Bp. Tringa maritima, Brunn. (Savi, Orn. tosc., vol. IT, pag. 292). Pelidna maritima, Brunn. (Bp, Faun. ital.). Tringa maritima, Brunn. (Cara, Orn. sard., sp. CLXXXIV). ‘ Beccacinu niedduzzu, C. M. Piovanello violetto. Anche quest'altro nordico piovanello il Cara (op. cît., pag. 144) afferma di avere più volte ucciso presso il Capo S. Elia; però nessun individuo se ne conserva nel Museo di Cagliari, ed io dubito ch'egli l’abbia erroneamente scambiato con qualche altro. 184. Pelidna subarquata, Cuv. Tringa subarquata, Temm. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 284). Pelidna subarquata, Cuv. (Bp., Faun. ital.). Tringa subarquata, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. CLXXXI). Beccacinu arrubiastru, C. M. Piovanello pancia rossa. Durante l’inverno frequenta le rive del mare e degli stagni. 182. Pelidna cinclus, Cuv. Tringa alpina, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 282). Pelidna cinclus, Cuv. (Bp., Faun. ital.). Tringa variabilis, Meyer (Cara, Orn. sard., sp. CLXXXII). Beccacinu brenti niedda, C. M. Piovanello pancia nera. Comunissimo nell’inverno sugli stagni e nelle saline presso Cagliari. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 449 183. Pelidna minuta, Cuv. Tringa minuta, Leisl. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 289). Pelidna minuta, Steph. (Bp., Faun. ital.). Tringa minuta, Leisl. (Cara, Orn. sard., sp. CLXXXV). Beccacineddu, C. M. Gambecchio. Comunissimo durante l'inverno; si trova in branchetti di quindici o venti individui lungo i margini delle saline. Non so se vi resti anche l’estate, ma io non lo credo. 184. Pelidna Temminckii, Cuv. Tringa Temminckîi, Leisler (Savi, Orn. tosc., vol. Il, p. 287). Pelidna Temmincki, Cav. (Bp., Faun. ital.). Piovanello nano. Un individuo proveniente dalla Sardegna esiste nel Museo di Torino. 485. Calidris arenaria, Ill. C. arenaria, MI. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 249). — (Bp., Faun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. CLI). Zurruliotteddu. C. M. Ziriolu, C. S. Calidra. ll Cara la vorrebbe comune e nidificante! lo non ho potuto ve- derne altro individuo che quello esistente nel Museo, sebbene può essere avvenuto che passasse inosservata (se pur l'ho incontrata nelle mie escursioni) confusa colle varie specie di Piovanelli. Vol. VI. 29 450 T. SALVADORI, 186. Limicola pygmea, Koch. Tringa pygmea, Savi (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 291). Limicola pygmea, Koch. (Bp., Faun. ital.). Tringa platyrhyncha, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. CLXXXIII) Gambecchio frullino. ‘ Sebbene il Cara (op. cit., pag. 144) l’annoveri tra le specie sarde dicendo che è di passaggio qualche volta în primavera, e, confes- sandola rara, le dia il nome sardo volgare di beccacinu differenti! io dubito che essa sia stata giammai trovata in Sardegna; e ciò io penso, sapendo come sia propria del nord e non delle parti meri- dionali d’Europa, e perchè nessun individuo si conserva nel Museo di Cagliari. 187. Telmatias gallinula, Boje. Scolopax gallinula, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 317). Gallinago gallinula, Bp. (Bp., Faun. îtal.). Scolopax gallinula, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXCIX). Beccacinu, GC. M. Frullino. Si trova negli stessi tempi delle specie seguenti, ma è meno co- pioso. 188. Telmatias gallinago, Boje. Scolopax gallinago, L. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 312). Gallinago scolopacinus, Bp. (Bp., Faun. ital.). Scolopax gallinago, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXCVIII). Beccacinu reali, G. M. Beccacinu, C. S. Beccaccino reale. Maggiore n'è il numero nei tempi dell’ emigrazione, ma moltis- simi pure ne ho trovati durante tutto l’inverno nei luoghi impaluda- ti. Non ho potuto verificare se tra gl’individui di questa specie vadano confusi quelli del 7. Brelmii, se pure è questa una buona specie. CATALOGO DEGLI UCCELLI DI SARDEGNA 454 189. Telmatias major, Boje. Scolopax major, L. (Savi, Orn. tose., vol. Il, pag. 309). Gallinago major, Bp. (Bp., Faun. ital.). Scolopax major, L. (Cara, Orn. sard., sp. CXCVII). Beccacinu imperiale, G. M. Beccacinu, C. S. Croccolone. Il Cara (op. cit., pag. 154) nota soltanto il passo alla metà di set- tembre, e forse ha trascurato di osservare il passo di primavera in aprile e maggio; ed è ciò da notare siccome in Italia rarissimamente si vede qualche individuo in settembre, mentre è piuttosto comune nel passo di primavera. 190. Scolopax rusticola, L. Rusticola vulgaris, Vieill. (Savi, Orn. tosc., vol. il, pag. 304). Scolopax rusticola, L. (Bp., Faun. ital.). — (Cara, Orn. sard., sp. CXCVI). Beccaccia, GC. M. Cabone de murdegu, pudda de mudeju (gallina del cisto, amando nascondersi sotto questa pianta) C. S. Comunissima dal novembre all’aprile e non dal settembre al prin- cipiare d'estate | (Cara, op. cit., pag. 153). 494. Numenius arquata, Lath. N. arquata, Lath. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 320). N. arcuata, Lath. (Bp.., Fun. ital.). N. arquatus, Lath. (Cara, Orn. sard., sp. CLXXVIII). Curruliu imperiali, C. M. - Chiurlo maggiore. Nell'inverno è comune in Sardegna. ll Cara (op. cit., pag. 440) vuole ancora che vi resti a nidificare; però siccome sul continente 152 T. SALVADORI, questa specie si spinge molto al nord per nidificare, io penso ch’ egli siasi ingannato. Nel Museo non vi sono nè le uova nè i pulcini. 192. Numenius tenuirostris, Vieill. N. tenuîrostris, Vieill. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 324). — (Bp., Faun. iîtal., tav. 42). — (Cara, Orn. sard., sp. CLXXX). Curruliottu, C. M. Ciurlottello. Questa specie e la seguente giungono in autunno € ripartono in primavera. 493. Numenius pheopus, Lath. IV. pheopus (Savi, Orn. tose., vol. Il, pag. 322). — (Bp., Zaun. îtal.). — (Cara, Orn. sard., sp. CLXXIX). Curruliu, C. M. Chiurlo piccolo. IBIDA. 194. Plegadis falcinellus, Kaup. Ibis falcinellus, Temm. (Savi, Orn. tosc., vol. Il, pag. 327). I. falcinellus, Vieill (Bp., Faun. ital.). I. falcinellus, Temm. (Cara, Orn. sard., sp. CLXXVII). Tadanu, G. M. Mignattajo, o Ciurlotto marino. Vorrebbe il Cara (op. cif., pag. 139) che il mignatajo, giungendo in Sardegna in autunno, vi restasse l’inverno per ripartirne in pri- mavera. lo non ne ho incontrato alcun individuo durante questo tempo , neppure nelle località ch’ egli asserisce più frequentate dal mignattajo. Molti individui esistono nel Museo, e taluni con mac- chie bianche allungate, disposte in tre o quattro serie parallele ed orizzontali nella parte anteriore del collo. Questi ultimi sono giovani dell’anno, | n e e. n, ... ui ira Sarvavori. Catalogo degli uccelli dî Sardegna (contin.) Pacwia. Sulla morena laterale destra dell’antico ghiac- ciajo dell’ Adige lungo la sponda occidentale del lagoidi Garda,s: e ue gute MOSTO Ascuerson. Sopra una specie di invaire nuova per la flora maliana: “; -'0. rial Ferrini. Saggio di esposizione elementare della teoria dinamica del calore . . . ... . Tanamenui. Sui crostacei di forme marine viventi nl acque dolci, e Agra sul Paleemon lacustris di Martens . Seduta del 29 maggio 1864 Libri arrivati in dono nel marzo, aprile e maggio Liov. Sopra una straordinaria invasione di ditteri della famiglia degli Empiti . Seduta del 26 giugno 1864. Seduta del 31 luglio 1864 . pa E NARA Libri arrivati in dono nei mesi di giugno e ei Vinra. Sulle torbe della Brianza . SAVIO Lior. Sopra una malattia che attacca Da mosca do- mestica Mina-Pauwgo. dui amori de’ Rettili. as Menecuini. Studj paleontologici sulle ostriche cretacee della Sicilia. : SaLvapori. Catalogo degli uo di chaigo iaia e Peccniori. Descrizione di alcuni nuovi fossili delle argille subappenine toscane . De-Morniuer. Géologie des environs de Rune . ” dò 33 o SPA 169 181 187 195 229 258 Q4i 5105) 372 375 380 386 388 390 393 397 399 440 424 498 5350 INDICE Beru. Sulle maree delle rocce liquide sotto la crosta terrestre. Brani di una lettera inedita. Zovuxorer. Esposizione dei differenti sistemi geologici. Memoria postuma i Seduta del 27 novembre 1868 Seduta del 26 dicembre 1864. | Libri arrivati in dono nei mesi di agosto, ‘svttetibre e ottobre 1864 . ; i Libri arrivati in dono nel mese di dicamio 1864 574 3359 54 bb 558 d62 dB66 MENEGHINI 0striche cretacee di Sicilia. & PECCHIOLI - Nuovi Fossili delle argille subappennine i Atti della Società Ital: di Scienze natuvali, Vol: VI, Tav:V lirenze, Lit Ballagra deliri 'aglia.Morena destra ecc. Atti della Socital.di scienze nat. Vol. VI. Tav. VI. 5 $ } ( NALIT TTT A Mt y ) pi MI) \ 3” J/ 7 ) ca a VA ; } È o un? sg) Gi d Morena laterale destra dell'antico shiacciajo dell Adige lungo la sponda occidentale del lago di Garda Atti della Soc. ital. di scienze nat. Vol. VI, Tav. VII. «|! ci CS . Teoria dinamica del calore. =] LINEA BL. = remore not d Los 5 ) x iù PP i SUO LI SANTA de (PERE Ni La] IL'AIVSAUO SALI IT] 3 1853, 10007