Dn DLC ini IS Sa SÒ U | I DELLA | EP 5. DI SCIENZE NATURALI & DS 5 i È d SÒ "VOLUME X. CÀ SE 2 ANNO 1867 | <@ con 5 Tavole litografiche DL MILANO = o COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI DI GIO. ; Îu { 8 6 Sd I ca ot hd: ar i I WULLLa i n mà per, SB Mis: pap è TANZI SOCI EFFETTIVI al principio dell’anno 1863. AuBaneLLI rag. FiLipro, capo-sezione presso il ministero dell’In- terno, Firenze. ALessanpRI sac. AntoNIO, Bergamo. Anpreossi Enrico, Bergamo. Arrigoni conte Oppo, Padova. AxeRrio Giucio, ingegnere del Corpo Reale delle Miniere, Milano. Baponi Giuseppe, Milano. | Barsamo-Criverci nob. Giuseppe, prof. di zoologia presso la Rhe- gia Università di Pavia. BarpettTA AnseLmo, Mantova. Bazzi Cesare, professore di matematica, Faenza. Beccari Opoarpo, assistente alla cattedra di botanica nella Regia Università di Pisa. Beeciato dottor Francesco SerENDO, presidente della Accademia Olimpica di Vicenza. BeLLorti ALessanpro, direttore degli studj nello Stabilimento Bo- sisio, Monza. BeLLottI Cristororo, Milano. BeuLucci Giuseppe, naturalista addetto all'Osservatorio Astrono- mico di Perugia. BeLTRAMINI FRANCESCO, assistente alla cattedra di botanica all’ U- niversità di Padova. BernarpI cav. Francesco, direttore del Museo dei Fisio-eritici , Siena. Bernasconi sacerdote BaLpassare, Laglio (Como). BerARpI dottor CoLomso, Ancona. 26 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI BertÈ dottor Eugenio, Parma. BertoLi sacerdote Giovanni, canonico, Chiari (Brescia). BertoLoni Giuserre, professore di botanica nella R. Università di Bologna. Bertoni Evcenio, Pavia. Brancai Vincenzo, direttore delle scuole elementari, Ancona. Bianconi Giuseppe, professore nella Regia Università di Bologna. Biccni Cesare, direttore dell'Orto botanico di Lucca. Bicnami ing. Emitio, Milano. Bocani dott. Innocente, Milano. BoLuini AnceLo, Milano. Bomsicci Luci, professore di mineralogia nella Regia Università di Bologna. Borromeo conte Caro, Milano. Bossi Gio. BattISsTA, ingegnere, Milano. Borti cav. ULpeRICO, sotto-prefetto, Biella. Brioscni comm. Francesco, Senatore del Regno e Direttore del R. Istituto Tecnico superiore di Milano. Burri sac. AnceLo, prof. nel R. Istituto Tecnico, Milano. Buzzoni sac. Pietro, Brenna (Como). Cagiati AcHÙitte, farmacista, Milano. CaLpesi Lopovico, Faenza. CaLLecari MassimiLiano, prof. di storia naturale nel liceo Mura- tori, Modena. Canetti dottor Carco, Milano. Cantoni Gaetano, professore di agronomia nella pigna di appli- cazione per gli ingegneri, Torino. CapeLLINI Giovanni, professore di geologia nella R. Università di Bologna. CaprIoLI conte Tommaso, Brescia. CanveL Troporo, professore di botanica medica all'Istituto di sini superiori, Firenze. Casati nob. CamicLo, Milano. CaseLLa dottor Giuseppe, Laglio (Como). CastagnoLa marchese BaLpassane, Spezia. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1867. 27 CastacnoLi ing. ALessanpro, Ancona. CasteLLi dottor FepERIcO, Livorno. CastigLioni Giosuè, professore di storia naturale, Como. Castracane-BeLmonTE-Cima conte ALessanpro, Rimini. Cavacna-SanciuLiani conte Antonio, Milano. CavaLceri padre Giovanni, barnabita, Monza. CavezzaLi dottor Francesco, Milano. Cerruti Giovanni, Milano. Cesati barone Vincenzo, Vercelli. CLerIci nob. Pierro, Alzate (Como). Coccui dottor Icinio, professore di geologia al Museo di storia naturale, Firenze. Corienon dottor NicoLa, prolessore di meccanica nel Regio Istituto Tecnico, Firenze. ComortI dottor Giovanni, segretario municipale, Bergamo. Consori Gaetano, Palazzolo (Brescia). Cornaggia march. Giovanni, Como. Cornatia dott. Emizio, direttore del Museo Civico di storia na- turale, Milano. Corvini dottor Lorenzo, prof. nel R. Istituto Veterinario, Milano. Cossa dottor ALFonso, direttore dell'Istituto Tecnico, Udine. Costa Acmie, Napoli. Craveri FepeRICO, professore di chimica, Brà. CriveLLi march. Luici, Milano. Curioni Giovanni, Milano. Curioni nob. GiuLio, Milano. Curò Antonio, Bergamo. Corti avv. Pier Amgrogcio, Milano. D'Accuiarpi dott. Antonio, ajuto di geologia al Museo di storia naturale dell’Università di Pisa. D'Ancona dott. Cesare, assistente di geologia nel Museo di storia naturale di Firenze. D'Arco conte Luici, Mantova. De BenepETTI conte ALessanpro, Sarzana. De Bosis ing. Francesco, Ancona. 28 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI De Fiuippi Fiipro, Senatore del Regno, prof. di zoologia. nella R. Università di Torino. | De LA vatLe José Antonio visconte di Premio Real, viceconsole di Spagna a Malta. ; DeLrinoni avv. Gortarpo, Milano. DeLLa Rosa Prati march. Guipo, Parma. DeL Marmo march. Norserto, Milano. Der Pozzo pi MomseLLo Enrico, professore di mineralogia e geo- logia nell'università di Perugia. De-Meis Camo, prof. di storia della Medicina nella R. Uni- versità di Bologna. De Veccni nob. Biagio, Milano. Di Neero don Giacomo, canonico, Spezia. DoLci Gian FrAncesco, direttore d’ uno stabilimento privato d° i- struzione, Milano. Doria march. Giacomo, Genova. Doria march. Marcetto, Genova. Dussrpin Giovanni, prof. di mineralogia e geologia nell’ Istituto Tecnico di Genova. 1 Durer BernarDo, Villa Sommariva presso Tremezzo (Lago di Como). Farrmain Epwarp S. Jonn, Firenze. Ferrario ing. Emiio, Milano. i Ferrero Ortavio Lurci, preside dell'Istituto Tecnico di Bergamo, Ferrini RinaLpo, professore di fisica nel Regio Istituto Tecnico, Milano. FiORENZI ing. Francesco, Osimo. Foresti dott. Lopovico, assistente al Museo Geologico nell’ Uni- versità di Bologna. Fossati Vincenzo, chimico farmacista, Spezia. FrancescHinI rag. FeLice, Milano. Francesconi comm. Francesco, rettore del collegio della fagioli, Perugia. FumacaLLi CarLo, Milano. Fomacatti ing. SteFANO, Milano. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1867. 29 Garanti Antonio, professore di agraria nel Regio Istituto Tecnico, Milano. GaLLi padre Bernarpo, barnabita, Lodi. Garavaccia rag. Antonio, Milano. Garavagnia ing. Maurizio, Milano. GarBIGLIETTI cav. Antonio, dottor colleggiato in medicina, Torino. Garpini GaLpino, professore di storia naturale nell'Università di Ferrara. GARGANTINI-PIATTI Cuba Milano. GarovagLio Santo, professore ‘dl botanica nella R. Università di Pavia. GastAaLDI BartoLomeo, segretario della scuola degli ingegneri in. Torino. GazzineLLI Agostino, professore di chimica, Lecco. GemeLLARO Gaetano Giorgio, professore di geologia nella R. Uni- versità di Palermo. GentiLLI Amepro, ing. delle strade ferrate, Vena (Austria). GuiorTi ALessAnpro, Milano. GiseLLi dottor Giuseppe, assistente alla cattedra di botanica nella. R. Università di Pavia. GieLiori EngiGo, dottore in scienze naturali nell'Istituto Leardi, Casale. Giorpano Felice, ispettore delle miniere, Torino. Giusti Giuseppe, Milano. Gouin Leone, ingegnere, Cagliari. Gracis dottor Pierro, Sandigliano (Biella). Gramzzi ing. Massimiano, Borgo San Donnino. Gras Augusto, segretario della Regia Accademia delle scienze di Torino. GuaLterio march. CarLo RArraeLe, Orvieto. Guiscarpi dott. GueLieLMo , prof. di Geologia nella R. Università di Napoli. IsseL Arturo, Genova. Keen ALserTO, Milano. KLEGIAcH Bracio, segretario di finanza, Zara (Dalmazia). 50 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI Kramer cav. Epoarpo, Milano. Lancia FepERrIcO duca di Broto, segretario dell’Accademia di scienze e lettere di Palermo. (o Maurizio, Vicenza. Lawcevy Roserto, Montecchio presso Pontedera (Toscana). Liov Paoro, Vicenza. Lomarpini ing. ELia, emerito direttore delle pubbliche costruzioni. .di Lombardia, Senatore del regno, Milano. Macci dott. LeopoLpo, assistente alla cattedra di zoologia e ana- tomia comparata nella R. Università di Pavia. Mameri ing. Antonio, Milano. Macni Grirri Francesco, professore di storia naturale nel R. li- ceo di Cremona. Matratti BartoLomeo, prof. di storia antica all'Accademia scien- tifico-letteraria di Milano. Marinverni ALessio, Oldenico (Vercelli). Manzi padre MicreLanceLo, barnabita, Lodi. Marani Giovanni, segretario alla direzione del debito pubblico, Torino. MarcÒÙi Pierro, dissettore zoologico del Museo di storia naturale di Firenze. Marcucci EmiLio, dottore in scienze naturali, Firenze. Marinoni nob. CamiLto, dott. in scienze naturali, Milano. Marsiti Luici, prof. di fisica nel Liceo di Pontremoli. MartinaTI Pietro PaoLo, dottore in legge, Verona. MasseroTTI dott. Vincenzo, prof. di storia naturale, Milano. MeLLa CarLo Antonio, Vercelli. MenecHINI Giuseppe, professore di geologia nella R. Università di Pisa. Moctia professore Luici, Biella. Morten: Riccarpo, ing. delle miniere e reggente la Regia fab- brica dei Tabacchi in Lecce (Terra d'Otranto). Monpotro conte SeBastiano, Milano. | MovxtanARO CarLo, commissario del Catasto, Varallo (Novara). MoxTEFINALE GABRIELE, medico, Portovenere. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1867, 51 MoragLIA ingegnere Pietro, Milano. Mussi dottor Giuseppe, Milano. Negri ing. Pietro, Milano. Nocca Carro Francesco, Pavia. Ocnt EuseBio, professore di fisiologia nella R. Università di Pavia. OnBoni dott. Giovanni, prof. di storia naturale, Milano. Orsenico Pietro, parroco di Careno (Lago di Como). Orsi conte GeRoLAMO, Ancona. Orsini prof. Antonio, senatore del Regno, Ascoli. Osimo dottor Marco, Padova. PADULLI conte Pierro, istruttore pratico di chimica nel labo- ratorio della Società di Incoraggiamento d'arti e mestieri, Milano. PagLIA sacerdote Enrico, già professore nel Seminario di Man- tova, Codogno. PanceRI Paoto, professore di anatomia comparata nella R. Uni- versità di Napoli. ParLatoRE Fitippo, professore di botanica al Museo di storia na- turale, Firenze. Passerini Giovanni, professore di botanica nella Regia Università - di Parma. Paves: AnceLO, professore di chimica nella Regia Università di Pavia. 1 Pavesi Pierro, professore di storia naturale a Lugano. PeccHioLI VittoRIo, Firenze. Pepicino dottor Nicora ANTONIO, professore di botanica alla Regia Università di Napoli. PeRrazzi Costantino, ingegnere del corpo reale delle miniere, Torino. Perez professore ApoLro, Genova. ‘ Pranzora Luicr, dottor in legge, Milano. PicciòLi dott. FERDINANDO, Ispettore del R. Museo di storia natu- rale Firenze. PiccioLi Francesco, farmacista, Milano. Pirona dottor Giunio AnvrEA, prof. di storia naturale, Udine. dB ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI Pizzini ingegnere Giovanni, Milano. PoLu Pietro, assistente alla cattedra’ di chimica tecmnatbiriati al Regio Istituto Tecnico di Milano. PontrEMoLI professore Espra, Vercelli. Pozzi Anceto, assistente alla cattedra di storia naturale e fisica al R. Istituto Tecnico, Milano. Prapa dottor Troporo, prof. di Storia naturale all'Istituto Te- ‘cnico di Pavia. Puini CanLo, Firenze. Ramorino professore Giovanni, Buenos-Ayres (Rep. Argentina). Rancuer abate Giovanni, Biandronno (Varese). Rasponi conte Pierro, Ravenna. RavioLi ing. Giuseppe EboaRDO, capitano del Genio militare, Crailita: RiccHiarnpi SEBASTIANO, professore di anatomia comparata nella Regia Università di Bologna. Ricca dottor GiusePpE, professore d’agronomia nel Regio Istituto Tecnico di Forlì. | Riva sac. Antonio (del fu RopoLro), Lugano. Riva PaLazzi Giovanni, Milano. Rocca Saporiti marchese ApoLtimare, Milano. Ronpani CamiLLo, professore d' agraria nell'Istituto d'Agronomia in Parma. RoseLLINI FERDINANDO, Casale. Rossi GueLieLmo, Milano. Rostan Epoarpo, medico, San Germano di Pinerolo. Rovasenpa Lurci, Torino. SaLimBENI conte Leonarpo, Nonantola (Modena). SALVADORI dottor Tommaso, Porto San Giorgio (Marche). SALVINI Giovanni BatTISTA, ingegnere architetto, Spezia. SANSEVERINO conte Faustino, Senatore del regno, Milano. Savi Pierro, prof. di botanica nella R. Università di Pisa. Savosa ingegnere Giovanni, Milano. SCARABELLI-Gommi-FLAmiN3 Giuseppe, Senatore del regno, pnt ScHier professore Maurizio, Firenze. ScoraA dottor Lorenzo, Milano. ÀL PRINCIPIO DELL'ANNO 4867. 553 SeLLa QuintINO, ingegnere delle miniere, deputato al Panjanenio; Firenze. Secuenza Giuseppe, professore di storia: naturale mel Licco di ‘ Messina. Silvestri Orazio, professore di sini Catania. - Simi Ewiio, dottore in scienze naturali, Serravezza. i SorpeLLI FeRpINANDO, assistente al Museo Civico di storia natu- rale di Milano. Spacnocini ALessanpro, professore di storia naturale nel Collegio militare di Napoli. SPEZIA ing AnToNIO, Torino. SPINELLI Giovanni BaTTISTA, Venezia. SPREAFICO ing. Emicio, Milano. StaBiLe sac. Giuseppe, Milano. STEFANELLI Pietro, professore di storia naturale alla scuola ma- gistrale di Firenze. : StopPANI sac. Antonio , professore di geologia nel Regio Istituto Tecnico Superiore, Milano. | StopPANI sac. CarLo, professore a Carrara. Stoppani FERDINANDO, Lecco. StroBEL PeLLeGRINO, professore di storia naturale nell'Università di Buenos-Ayres. Strozzi marchese Carro, Firenze. i STUDIATI CesaARE, professore di fisiologia nella Regia Università di Pisa. TaccuerTi CARLO, impiegato presso la direzione del demanio, Novara. TacLIasAccHI ingegnere Saverio, Milano. Tanari comm. Luici, Senatore del regno, Firenze. TAPPARONE-CANEFRI avv. Cesare, Spezia. TARAMELLI Torquato, professore di storia naturale nel Regio ;Isti- tuto Tecnico, Udine. Targioni-Tozzetti ApoLro, professore di zoologia al Museo-di storia naturale di Firenze. Tassani dottor ALESSANDRO, consigliere sanitario, Como. 3 54 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1867. TestA ingegnere AnpreA, Milano. TerTAMANZI ingegnere Amanzio, Milano. TineLti nobile Carro, Milano. Tonaro Acosrino, professore di botanica nella Regia Università di Palermo. TranquiLLi Giovanni, professore di storia naturale nel Liceo di Ascoli. TrINcHESI SALVATORE, professore di storia naturale all’Università di Genova. Trompeo dottor BernaRDpINO, Torino. Turati conte ErcoLe, Milano. Turati nobile Ernesto, Milano. UzieLLi Gustavo, dottore in matematica, Livorno. UzieLLi VitTORIO, Livorno. Varisco Antonio, professore nell'Istituto Tecnico di Bergamo, Vita Antonio, Milano. Vitta Giovanni BATTISTA, Como. Visconti Ermes marchese Caro, Milano. Visconti pi Moprone duca Rammonpo, Milano. ZimveRMANN BernARDO, assessore di Collegio, Pietroburgo (Russia). Zosa dottor Giovanni, prof. di Anatomia nella R. Università di Pavia. Zuccui dottor CarLo, vice-presidente del consiglio sanitario a Bergamo. 35 SOCI CORRISPONDENTI Ascuenson Paoto, addetto alla direzione dell'Orto botanico, Berlino. Auseraca, segretario della Società Imperiale dei naturalisti di Mosca. Barrac, direttore del giornale l’Agriculture pratique, Parigi. Bore Carto, naturalista, Leipziger Platz 13, Berlino. da Bouì Amico, Wieden Mittersteig, Schloessel-Gasse 594, Vienna. Desor Epoarvo, professore di geologia nella scuola Politecnica di Neuchàtel. Favre Atronso, professore di geologia, Ginevra. Ficuier Luci, rue Marginan 21, Parigi. Geinitz Bruno, direttore del gabinetto mineralogico di Dresda. Goeppert, direttore dell'Orto botanico di Breslavia. Gurrin-Menévirce, rue Bonaparte 3, Parigi. Haipincer GuotieLmo, direttore dell'I. R. Istituto geologico di Vienna. Hauer Francesco, consigliere dell’I. R. Istituto geologico di Vienna. Heer Osvatpo, professore di botanica nel Politecnico di Zurigo. Jannsens dottor Eucenio, medico municipale, rue du Marais 42, Bruxelles. Le How Esrico, professore di geologia a Bruxelles, rue de Com- merce 4l. Lory Carto, professore di geologia nella facoltà delle scienze a Grenoble. LveLr Carto, Herley Street 55, Londra. Meninan, professore di geologia al Museo di storia naturale di Ba- silea. Micuaup Anprea Luici Gaspare, di Sainte-Foix-les-Lyons (Rhòne) Francia. 36 ELENCO DEI SOCJ CORRISPONDENTI AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1867. Murcnison sir Roperico, direttore del Musco di geologia pratica, Jermin Stree, Londra. Picret F. J., professore di zoologia ed anatomia comparata del- l'Accademia di Ginevra. Pitter Luici, avvocato e direttore del gabinetto mineralogieo di Chambery. PLancnon Giuro, professore di botanica a Monpellieri. Rausay Anprea, presidente della società geologica di Londra, Mu- seum of pratical geology, Jermin Street, S.. W. Senoner cav. Apotro , bibliotecario dell'I. R. Istituto geologico di Vienna, Ungargasse 24. SommervitLe Mania, nata Fairfax, Spezia. Sruper Bernarpo, professore di geologia, Berna. Vacuer, abate, professore nel Seminario di Chambery. Watrensnausen barone Sartorivs, Gottinga. Seduta del 27 gennajo 1867. È aperta la seduta colla lettura della Introduzione de- gli Stud} sulle cocciniglie del socio prof. Targioni-Toz- zetti, che saranno stampati nelle Memorie. Il vice-segretario Marinoni dà lettura d'una parte nuovamente arrivata del Viaggio dal Passo del Planchon nelle Ande meridionali a S. Rafael, del socio Strobel, che sarà pubblicata negli Att. Il socio Bellotti Cristoforo presenta il Metodo facile, sicuro ed esperimentato proposto dal signor Giulio Monti per l’incubazione e nascita dei cartoni giapponesi senza il pericoloso intervento del fuoco e delle fiammelle, se- guito da un nuovo Modo d’imboscare è bigatti presto e bene (1). Il primo di questi metodi è fondato sull’uso di parecchie bottiglie piene d’ acqua calda, collocate in una cassa contenente 1 cartoni, e da cambiarsi di tanto in tanto; e il secondo consiste nel preparare 1 boschi in inverno, fissando i soliti ramoscelli in un- certo numero (1) Il foglio, che contiene questi Metodi e una tavola rappresentante i re- lativi apparati, si può comperare in Milano presso la Tipografia e Libreria Tamburini (Via S. Raffaele), e la ggii gico del Pio Istituto del Patr onato (Via Quadronno, 42). 38 SEDUTA DEL 27 GENNAIO 1867. di striscie di legno, in modo di fare altrettanti doschettè da conservarsi fino all'estate, e da porsi prontamente in opera al momento opportuno. Lo stesso socio Bellotti verbalmente espone alcune sue idee sulle proposte del signor Monti, e conchiude col lo- dare e raccomandare il metodo per il bosco da bigatti, ma col dichiararsi contrario a quello per l’ incubazione e nascita dei cartoni giapponesi, perchè non abbastanza economico, e perchè richiede l’opera continua d’un sor- vegliante. Egli stesso, il presidente Cornalia e il socio Bollini soggiungono poi che si potranno ottenere parecchj vantaggi dal metodo Monti relativo al bosco pei bigatti, e. particolarmente si avranno più facilmente pronti in tempo opportuno i boschi, si otterrà un minor numero di doppioni, ecc. . Il presidente, Cornalia presenta il seguente Programma di concorso pubblicato dalla Reale Accademia Virgiliana di scienze, lettere ed arti di Mantova: « L’ Accademico onorario sig. Conte Giovanni Arrivabene, senatore del Regno, cavaliere e grancroce di parecchj ordini e socio di molte illu- stri Accademie, ha voluto dare nuovo argomento del molto suo amore alla terra natale assegnando un premio di ital. lire mille per quella Memoria, che indicherà i mezzi pratici di migliorare le condizioni igieniche della città di Mantova. di »» L’infausta condizione del clima provenendo sopra tutto dall’ alter- nato elevarsi ed abbassarsi delle acque dei laghi di mezzo ed inferiore, le Memorie dovranno proporre mezzi, tanto scientifici quanto economici, a togliere tale inconveniente, con riguardo alle condizioni speciali strategi- che della città. Esse verranno trasmesse anonime ‘entro il 1867 alla Pre- fettura di questa R. Accademia, con in fronte un motto, il quale dovrà essere ripetuto esternamente in una scheda suggellata e contenente il nome dell’ autore. | » La sola scheda col motto della Memoria giudicata degna di premio verrà aperta per la pubblicazione del nome dell’ autore .ed il conferi-, SEDUTA DEL 27 GENNAIO 41867. 39 mento del premio ; la Memoria premiata rimarrà presso l'Accademia, le altre verranno restituite dietro richiesta dei rispettivi autori. , Mantova, 34 dicembre 1866. Il R. Prefetto COCASTELLI Il R. Segretario ARIODANTE CODOGNI. Il vice-segretario Marinoni legge la seguente MNecro- logia di Maurizio Zumaglini, già membro effettivo della Società, inviata alla presidenza dal socio Vincenzo Cesati. » La Gazzetta Biellese del 16 novembre 1865, recava il seguente an- nunzio : »» Una nobile intelligenza si è spenta nella città di Biella. Il ceto medico e la scienza hanno fatto una grave perdita. Il dott. cav. Maurizio Zumaglini alle ore 7 e mezza pomeridiane del 414% corrente finiva i suoi giorni dopo lunga e penosissima malattia. Su quella tomba aperta forse innanzi tempo, piangono amaramente la moglie, i figli, i parenti, gli amici. Una mesta lagrima vi depongono tutti coloro che nutrono nel cuore un rispettoso affetto per la divina favilla dell’ ingegno e della scienza. » A questo nobile appello non possono mancare coloro i quali, non molti mesi addietro, nella solenne adunanza di chiusura del Congresso ‘tenutosi appunto in Biella dai naturalisti italiani, avevanlo acclamato Membro della nostra Società, dopo aver ammirate le molteplici cognizioni che lo illustravano come medico, come botanico , le umanitarie tendenze che dai suoi scritti allora presentati spiravano, non altrimenti che da ‘molte precedenti sue elaborazioni nel campo della medicina pratica. — Conoscendo i limiti imposti dalla modesta mole dei nostri Atti accade- ‘mici, mi limiterò oggi a tracciare per sommi capi la benemerenza dello Zumaglini, più specialmente perciò che concerne alla botanica, essendo io troppo profano nei misteri della scienza medica per arrischiarmi a di- scorrere della molta sua opera come discepolo di Asclepiade. - » Maurizio Zumaglini nasceva in Brenna, piccola terra del Biellese ‘territorio, alli 22 settembre 1804. — Sino dalla prima gioventù rivelando indole studiosissima ottenne uno dei posti fondati presso la R. Università hO SEDUTA DEL 27 Gennaio 1867. ‘è pisana dal biellese Del-Pozzo a pro de’ suoi compaesani: vi compiè con molto plauso tutti i corsi, ed assoggettatosi alla conferma della laurea presso l’ Università di Torino vinse splendidamente ‘la. prova. Lo, studio della botanica aveva sempre avuto per lui grandi attrattive, e non aven- done mai smesso l’uso, con tutto ardore che gli era congenito s° applicò all’ amabile scienza, allorchè per alquanto tempo abbandonava 1° esercizio della medicina. — Concepì il nobile pensiero di ristorare da fondo la Flora pedemontana, oltremodo ricchissima di svariate forme, non a torto argomentando dall’ epoca lontana che 1° opera dell’ illustre Allion, a quei tempi veramente insigne e lodevolissima; abbisognasse di rifusione; facendo tesoro di quanto dopo di lui Balbi , Bellardi, Re, Berteri, Ruoli con. altri non pochi, e le sue proprie scoperte avevano aggiunto al novero già con- siderevole delle piante pedemontane spontanee. Se non che l’opera rimase incompleta per 1° immatura morte del nostro Collega ; ed è vera jattura, imperocché essendosi egli discostato dall’ ordinamento seguito finora dai Lioneani', la mancanza, delle cure posteriores , che appunto aveva con- dotto al fine 0 quasi, rende difficile 1’ uso del libro nel quale si desiderano anche le più recenti scoperte d° altri botanici, delle quali religiosamente teneva calcolo in quegli ultimi stud). » Nè solo ci resta questa memoria della sua vita passata col asia ‘operosità d’ una febbrile smania di sapere. Oltre la: Flora pedemontana, sive species plantarum phanerogamarum in Pedemonti ct Liguria na- scentium, di cui pubblicò due soli volumi, il primo in Torino, nel 4849, ed il secondo in Biella nel:1860, lasciò pure altre memorie di minor ri- lievo attinenti alla botanica, cioè: Della malattia attuale dell'uva. Memoria I, Biella. A massa 1851. Memoria II, Torino. Pomba, 1853. Sul Trifoliumochroleucum,esua coltivazione. Biella, Amosso, 1862. Sopra V origine degli alberi fruttiferi. Biella. Ardizzoni, 1858: Altri suoi scritti sono di tenore igienico e gli valsero la bella fama in medicina, sono : De Tympanitide, et.qua ratione idem inedendum sit. Bugellue, 1828. Historia hidrotoraci, qua de Atiologia generatim. spectat. Tau- rini, 1881. Istoria medica della. Verbena officinale. ‘Torino, 1834. Guarigione dell’ Epilessia, volgarmente Malcaduco, Mal, di S. Gia ‘panni. Biella, 1863... i an steli SEDUTA DEL 27 GENNAIO 1807. 41 Saggio di una topografia medica del Circondario di Biella. . Biella. Amosso, 1863. Della pellagra e sue cause, colla proposta di un nuoro e certo rimedio per guarirla radicalmente. Torino, 1865. » La morte venne il 1% novembre 1865 a troncare in Verrone una vita tutto di studio, tutta dedicata alla scienza per potere, medico e bo- tanico, conciliar questa alla medicina a sollievo dell’ umanità. » Sono presentate dalla Presidenza ed approvate dalla Società le seguenti tabelle relative alla Amministrazione sociale pel 1866, ed-al Preventivo pel 1867: Cate IA SPESSE IE MIO BILANCI Dal 1.° Gennajo 18 ———————__———_________—_r_r__T_—_—_—_—_——_—_—_r_—_—_—_—_—_——_—_—_—_————_—_—_——_—_——_—_———-_-—-———" Attività 1 | Rimanenza in Cassa al 1° gennajo 1866 . . . . .... > L. 620 2 | Quote 1866-@sBito 0. init LL I 3 | Quote arretrate, 1863, 1864 e 1865, esatte |. . . ... +. + «n | 1120 4 | Rimborso di copie a parte di Memorie stampate per conto dei sin- Goli-Auntpris: puri sen A a e I 678 5 | Vendita di Atti e Memorie a Soci ed estranei . . . .. +. » 120 6 | Interessi del fondo sociale impiegato. . . .. +. +. + n | 22 € {Associazioni ‘alle Memorte: iii ona 779 8 | Cambio di pezzi da venti lire in biglietti di banca . . . . . +.» 42 L. | 6761 NSUNTIVO 54 Dicembre 1866. Passività Stampa degli Atti e delle Memorie, comprese le copie a parte per conto degli Autori, compreso un debito di L. 2300 rimasto MAREBG il en ER a a RE DR | Lib se LEE MR 90 | — Oggetti di cancelleria e legatura di libri... ... +... »| 147] 70 Spese postali e porto di libri . +. +. +... . +... . + »| 428 | 61 ME ERIC IIGha: uit sic ROL e 54 | 59 Compera di libri (JAN, Zconographie des Ophidiens) . +... . » 60! — Mispendj:degli-inservienti ca cole Leisure sai polini i aaa tc 280 | 20 L. | 6329 | 65 Maggiore attività, a pareggio » | 431 | 66 L. | 6761 | 31 Tr PP —”—}], - È " 4 BILANCIO PREVENTIA\ i Attività | 1 | Rimanenza in Cassa al 1.° gennajo 1867, come dal Bilancio consun- fee “i’Mpvpreeedentie, si di 431 6 Did N, 200. Quote 1867 da risquotersi |... i 0 enti 2 n | 5800 | — 8 | Quote arretrate da riscuotersi : AA MII 33 » 1865 » 660 114 » 1866 n 2280 . ) cdi ici I 18220 | è 4 | Rimborso di copie a parte di Memorie stampate per conti dei sin- goli Autori: Avrei L39519, O Pel 1867 n 300.— . . . è...» u'4 Nendila di Atte-Memorie". 0. è + + ea, a 6 | Interesse del capitale sociale. ././. Ln Pi Aeeciazioni alle -Afemorie D.Leg R L'ANNO 1867. Passività Stampa degli Att: e delle Memorie, comprese le copie a parte delle Mononio: per conto degli Autori 3-5, a La | :9000 4 Residuo debito verso il tipografo Bernardoni. . . . .... >» |1600| — Circolari per fio I II RE RO A o Oggetti di cancelleria e legatura di libri... . .°...0. +.» agi eppaesiestalio. porto delibuomo ii urrsrtioprnedaalò. gas 500 | — Riscaldamento della sala delle sedute . . . ....... » 20 | — Ricerche scientifiche e compera. di BIDFE,. di it RS 000 | — e civici e o ZO L. | 8220 | — Maggiore attività, a pareggio » 2667 | 44 L. |10887 | 44 —__, iron? 46 SEDUTA DEL 27 GENNAIO 1867. Sono fatte le seguenti nomine : Segretario, prof. OMBONI GIOVANNI, rieletto ; Vicesegretario, MARINONI CAMILLO; Viceconservatore, SORDELLI FERDINANDO, rieletto. Consiglio d’amministrazione: 'TAGLIASACCHI inge- gnere SAVERIO; GARAVAGLIA ANTONIO, rieletto; VISCONTI Ermes marchese Caro, rieletto. Economo, DELFINONI avvocato GOTTARDO. Cassiere, GARGANTINI-PIATTI GIUSEPPE. È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. Il socio Maimeri propone che la Presidenza della So- cietà scriva al sindaco di Caprino Veronese per avere no- tizie sui fatti, ritenuti fenomeni vulcanici, avvenuti in va- rie parti del monte Baldo, non essendo sufficienti quelle pubblicate nei giornali. La sua proposta è accettata. Sono nominati Soc] effettivi i signori: Guipi cav. Lusi di Pesaro, proposto dai Soc] Cor- nalia, Marinoni e Stoppani. NegrI GAETANO, Milano (Corso Porta Romana, 16), proposto dai Soc} Omboni, Cornalia e Gargantini. Il Segretario G. OMBONI. Seduta del 24 febbrajo 1867. È aperta la seduta colla lettura fatta dal socio Arrigoni della prima parte di una sua Memoria intitolata: Cenni | biografici sui primitivi ornitologi. È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. Il presidente Cornalia comunica la seguente lettera del socio Lioy, in risposta ad una della Presidenza. Vicenza, 20 febbrajo 1867. « Egregio Signore ed Amico t»] Ò ta) hs » Mi affretto a comunicarvi che, dietro mia proposta, jeri il Consiglio Comunale deliberava a unanimità di voti di invitare la Società Italiana di scienze naturali a tenere qui in Vicenza il suo prossimo congresso. Il senatore Lodovico Pasini ne accetta la presidenza. 1 Municipj di Schio e Bassano apparecchieranno anch’ essi le più festose accoglienze. Ora sta in voi, appena ricevuto l’ invito ufficiale, di far sì che le brame dei Vi- centini siano appagate, e vi ricordo che mezzo obbligo ce lo avete, perchè ne’ precedenti Congressi ci promettevamo sempre di riunirci a Vicenza, appena liberata dallo straniero. Io non insisto, sicuro che voi calorosa- mente appoggerete il voto dei Vicentini. I naturalisti italiani hanno quasi un obbligo di coscienza di venire a dare un saluto a questa terra sì in- teressante per la scienza, e appena liberata dallo straniero. » Aspetto una riga che mi rassicuri della vostra adesione. » Vostro affezionaliss. » Paotro Liov. »: 48 SEDUTA DEL 24 rebpraso 1867. Si decide che quando sarà venuto l'invito ufficiale del Municipio, la Presidenza lo comunicherà alla Società, af- finchè si possano prendere le determinazioni relative. Intanto il presidente Cornalia presenta il seguente Programma pel Congresso paleoeinologico da tenersi a Parigi nel 1867, osservando che, nel determinare l’epoca per la riunione straordinaria a Vicenza, sarà bene tener conto di quella fissata per questo Congresso paleoetno- logico. - CONGRES INTERNATIONAL D'ANTHROPOLOGIE ET D'ARCHÉOLOGIE PREHISTORIQUES DEUXIÈME SESSION. DU CONGRÈS PALEOETHNOLOGIQUE qui s'ouvrira a Paris le 17 aoùt 1867 REGLEMENT GENERAL DU CONGRÈS INTERNATIONAL D'ANTIROPOLOGIE & D'ARCHEOLOGIE PREMISTORIQUES ARTICLE PREMIER. Un Congrès international et -annuel d’Anthropologie ct d’Archéologie préhistoriques, faisant suite aux réunions qui ont eu lieu en 41863, è la Spezia, et en 1866, à Neuchatel, est définitivement constitud. ART. II. Le Congrès ne pourra avoir lieu deux fois de suite dans Je mème pays. ; ART, III. | ‘Font partie du Congrès ‘ct ont droit à toutes ses publications les per- sonnes qui en ont fait la demande et ont acquitté la cotisationannuelle. | ART. 1V. | ; A la fin de chaque session, le Congrès désigne le lieu où se tiendra la session suivante ; il choisit en outre, parmi les savants résidant dans Ie pays -désigné: 4.° le Président de la session future ; 2.° plusicurs autres SEDUTA DEL 24 FEBBR4J0 1867. 49 savants chargés de constituer, sous la direction du Président, un Comité d’ organisation. Art. v. Le Comité d’organisation peut s’adjoindre, suivant ses besoins, d’autres savants nationaux. Il demande en outre le concours des savants étrangers, qui lui paraissent pouvoir recueillir le plus grand nombre d’adhésions en faveur du Congrès. Ceux-ci prennent le titre de Membres correspondants du Comité. ART. VI. Le Comité fixe l’époque de la session, le nombre des séances, le taux de la cotisation; il envoie les lettres de convocation, recucille et concentre les adhésions et délivre les cartes des membres. Il se charge de tous les soins matériels qui concernent l’installation du Congrés et la tenue de ses séances. ART. VIE. Il prépare, publie et distribue, plusieurs mois à avance, Ie programme des séances; il peut fixecr un certain nombre de questions; mais il devra toujours réserver une partie des séances pour toutes autres questions non comprises dans le programme, proposées par un menibre du Congrès et approuvées par le Conseil. ART. VIII. Le Bureau du Comité remplit les fonctions de Bureau provisoire dans la premiére séance de la session. Le membres du Bureau deéfinitif sont nommés dans cette première séance, à la majorité relative, à l’exception du président, qui est élu depuis l'année précédente, ct du trésorier, déjà institué par Je Comité d’organisation. ART. IX, Le Bureau se compose: 1.° d’un président ; 2.° de six vice-présidents, dont deux au moins doivent étre résidents; 3.° d’un secrétaire général ; 4.° de quatre secrétaires; 5.° d’un trésorier. ART. X. Le Conseil se compose: 41.° des membres du Burcan definitif; 2.° de six membres nommés au scerutin de liste. Font en outre, de droit, partie du Conseil: 1.° les quatre membres fondateurs du Congrès de la Spezia; 2.° tous les anciens présidents, qui conservent le titre de présidents ho- noraires. — Les membres du Comité d’organisation, qui ne rentreraient pas dans l’une des catégories précédentes, assistent aux scances du Con- seil avec voix consultative. IL 50 SEDUTA DEL 24 FEBBRAJO 1867, ART. XI, Toutes les demandes de communication survenues pendant la session et toutes les réclamations sont soumises au Conseil, qui statue définitive- ment. Le Conseil est en outre chargé de proposer au vote du Congrés, conformement à Fartiele IV: 4.° la désignation du lieu .où se tiendra la session suivante ; 2.° la nomination du président et des membres du Co- mité d’organisation du futur Congrès. ART. XII. Dans sa seconde séance, le Congrés nomme, sur la proposition du Con- seil, une Commission de publication, dont le seerétaire général est prési- dent de droit, et dont le trésorier fait également partie. Cette Commission, entièrement composte de membres nationaux, sera en outre chargée d’apurer les comptes. ART. XIII S'il y a un reliquat, il sera reporté à l’actif de la session suivante. ART. XIV. Les objets offerts nu Congrès pendant la session et toutes les pièces de la correspondance, sont acquis au pays où la session a lieu. Leur desti- nation est déterminée par le Conscil. ART. XV. Le Comité de chaque session établit un réglement particulier concer- nant toutes les dispositions, sur lesquelles il m’est pas statué dans le pré- sent réglement général. ART. XVI. Toute proposition tendant à modifier le réglement général devra étre signée de dix membres au moins, déposée sur le bureau pendant le cou- rant de la session, ct soumise à l’examen du Conseil. Celui-ci, après en avoir délibéré, prépare un rapport qui est inséré, ainsi que la proposition, dans les publications du Congrès, et qui est mis aux voix sans discussion, par cui ou par non, dans la première séance de la session suivante. TOI EI da COMITÈ D’'ORGANISATION POUR LA SESSION DE 1867 PRESIDENT M. Epovarp LartET, président sortant de la Société géologique de France, rue Lacépède, 15, Paris. TRÉSORIER ld ’ M. Epovaro Cocvowr, trésorier de la Société géologique de France, rue de Madame, 26, Paris. SECRETAIRE M. GagrieL pe MortiLLET, directeur des Matcriaux pour l’histoire de l'homme, lun des quatre fondateurs du Congrès, rue de Vaugirard, 35, Paris. MEMBRE HONORAIRE M. Bovcner pe CrivecoruR De Pertues, président de la Société d’ému- lation, Abbeville (Somme.) PROGRAMME La deuxième session du Congrès international d’anthropologie et d’ar- chéologie préhistoriques s'ouvrira, à Paris, le samedi 17 aoùt 1867. Toute personne, s’intéressant au progrès des sciences, peut en faire partie en acquittant la cotisation, qui est fixée pour cette année à 10 francs. Le recu du trésorier donne droit à la carte de membre du Congrès et à toutes les publications. Les correspondants du Comité et tous ceux, qui ont à eceur le développement des études, dont s’occupe le Congrés, sont invités à recueillir de nombreuses adhésions. BZ SEDUTA DEL 24 respnaso 1867. Les adhérentes sont priés de fair parvenir, le plus tòt possible, le mon- tant de leur cotisation au trésorier du Congrès, M. E. Collomb, rue de Madame, 26, en indiquant avec soin leurs : TSE Nom cet Prenoms, Qualités, Demeure. Ces details sont indispensables pour dresser la liste des membres, et préparer les cartes. Les cartes et le programme detaillé du Congrès seront distribués da 40 au 16 aoùt, de dix heures à 5 heures, chez le secrétaire, M. G. de Mor- tillet, rue de Vaugirard, 35, è l’angle de la rue de Madame, Paris. Le Congrès durera du 17 au 30 aoùt. D’aprés l'article vu du. réglement général, le Comité d’organisation a posé six questions, qui seront mises à l’ordre du jour aux dates suivantes; Dimanche 48. I. Dans quelles conditions géologiques, au milieu de quelle faune et de quelle flore a-t-on constaté, dans les différentes contrées du globe, les traces les plus anciennes de Pexistence de l’homme ? Quels sont les changements, qui ont pu s’opérer, depuis lors, dans la distribution des terres et des mers ? r Mardi 20. H. L’habitation dans les cavernes a-t-elle été générale ? Est-elle le fait d’une seule et méme race, et se rapporte-t-elle à une seule et méme époque ? I Dans Je cas contraire, comment peut-on la subdiviser et quels sont les earactères essentiels de chaque subdivision ? Jeudi 292. III. Les monuments mégalithiques sont-ils dus à une population qui aurait occupé successivement différents pays ? Dans ce cas, quelle a été la marche de cette population? Quels_ont été scs progrés successifs dans les arts et dans l’industrie ? Enfin, quels rapports ont pu exister entre cette population et les habi- tations lacustres, dont l’industrie est analogue ? SEDUTA DEL 24 FEBBRAIO 1867. 33 Samedi 24. IV. L’apparition du bronze dans l’Occident est-elle le produit de l’in- dustrie indigèéne, le résultat d’une conquéte violente ou le fait de nou- velles relations commerciales ? Lundi 28. V. Quels sont, dans les différents pays de l'Europe, les principaux ca- ractéres de la première époque du fer ? Cette époque y est-elle antérieure aux temps historiques ? Mereredì 28. VI. Quelles sont les notions acquises sur les caractères anatomiques de homme dans les temps préhistoriques, depuis les époques les plus re- culées jusqu’à l’apparition du fer? Peut-on constater la succession, surtout dans l’Europe occidentale, de plusieurs races, et caractériser ces races? Les autres séances seront laissées libres pour les questions proposées par les divers membres. Chacune de ces questions dues à l’initiative individuelle sera, autant que possible, rapprochéc de la question du Comité avec laquelle elle a le plus de rapport. Les membres qui voudraient faire des communications sont invités à en aviser le secrétaire avant lc 10 aoùt , afin qu'on puisse distribuer le programme général et Pordre du jour des séances en méme temps que les cartes. Tous tes membres, qui auraient des ebjets pouvant éclairer une question, sont instamment priés de communiquer sinon l’original, au moins des moulages ct des dessins. Cette recommandation, surtout, est faite pour ce qui concerne les débris humains. È nominato socio effettivo il signor IncHINnA padre FiLipPo, professore nel collegio di Carcare (Liguria), proposto dai socj Issel, Trinchese e Franceschini. Il Segretario G. OMBONIL GITA DAL PASSO DEL PLANCHON, NELLE ANDE MERIDIONALI, A SAN RAFAELE, NELLA PAMPA DEL SUD ESEGUITA NEL FEBBRAJO 1866 RELAZIONE PRELIMINARE DEL prof. STROBEL Continuazione (1). CAPO III. Dall’ Agua caliente a San Rafael. 20 Febbraio. Il sonno fu leggero, sì che eravamo già desti verso le due del mattino. Riacceso il fuoco, o meglio, avvivata di nuovo la morente vampa, al suo chiarore, e con tulto comodo, ci prepa- rammo alla partenza. Questa mane essa non venne ritardata pel solito inconveniente di dover correre in cerca degli animali ; poichè il tentativo che essi fecero jeri sera di sbandarsi, indusse il mulat- tiere a legarli alla base dei tronchi degli arbusti in giro, ben per- suadendosi , che in questa pianura, per così dire, senza limiti, egli avrebbe dovuto correre a piedi qualche /egua prima di raggiun- gerli, qualora durante la notte si fossero da noi allontanati; e ciò nel caso tuttavia favorevole, che si potessero ancora scorgere dal luogo della dormida. Prima dell'alba, intorno alle quattro e mezza, ci po- nemmo in marcia. Partimmo così di buon mattino, perchè la tappa d'oggi dovea essere assai lunga, e poi, perchè, come venni a sapere (4) Vedi Atei, vol. IX pag. 342. STROBEL, GITA DAL PASSO DEL PLANCHON, ECC. Bb in appresso, nessun di noi conosceva la via che conduce a San Ra- fael, nè meno Fulano,.... e distavamo tuttora due buone giornate da questo forte. — Da prima, per una decina di minuti, e con rombo a N., scendemmo per una leggera china ad un piano, o forse un avvallamento, coperto di sabbia e ghiaja, che pog- giano sopra un banco di fina terra, ora biancastra, ed ora giallo- gnola, la quale non mi sembra essere, se non trassoite disaggre- gata , 0 meglio, non ancora cementata. Dopo un buon quarto d’ ora venimmo ad una serie di colline o coste parallele, dirette da po- nente a levante, e sempre più alte, quanto più poste a settentrione; sì che ponno considerarsi piuttosto quali scalini di un solo colle. l ciottoli ed i frammenti di roccia, che giaciono alla superficie sono superiormente coperti da un intonaco bianco calcareo; e pietre di tal modo singolare imbiancate, s'incontrano in quasi tutto il tratto di questa Pampa dall’Agua caliente infino a San Rafael. Attraver- sati quei colli ed avvallamenti in direzione normale , cioè a N. dopo un’ ora arrivammo alla discesa ad ampia valle. A_N. E. e S. essa è cinta da colline e monticelli , verso O. d’ onde essa scende, ma a discreta distanza, vedesi la Scalinata delle Preande e delle Ande, come jeri, prima dell’Agua caliente; a S. E. apresi 1° angusto sbocco della valle verso la Pampa; però non potei scorgere alcun in- dizio di torrente o di ruscello che la attraversasse. Mentre che i suoi bastioni sono costituiti da trachite porfirica, a comporre la quale concorrono pezzi di felspato e cristalli di amfibola nera, il fondo è coperto di finissima sabbia, entro la quale vedevansi di tratto in tratto, le impronte de’ piedi di Guanaco e di Struzzo Nandù; del primo incontrammo benanco le ossa di un piede. In un’ ora e mezza, calammo nella valle, la attraversammo, in senso a N. E., e salimmo pel sabbioso e leggermente inclinato sperone occidentale del monti- cello che ad oriente ne forma il bastione ; indi lo varcammo la ove si congiunge colle falde di altro monte, postogli a N. O., e tra le loro cime, scendemmo , dopo un quarto d’ora, in una valletta. Da questo passo, 0 piccolo altipiano, se così piaccia chiamarlo, del pari coperto da alto strato di sabbia, si dominano meglio ancora di prima i monti occidentali, e dietro ad essi le cime della. Cordillera, Fra gli 56. | STROBEL, scarsi arbusti che vi campano, ravvisai la Jarilla de la Sierra (4), cespuglio dalla corteccia nerastra, dai rami alterni e dalle foglie pen- nate, resinose, di un bel verde intenso, che imparai a conoscere per la prima volta nella gita per le valli della Sierra di Mendoza. . A settentrione della valletta nella quale calammo, e che si dirige ,. per mezz'ora, a N. E., s'alza l'isolato pino del Cerro Buitre 0 de los: buitres, ossia monte degli avoltoi, apparentemente costituito della stessa roccia, che compone i fianchi ed il fondo della valletta, ed è un porfido trachitico composto di cristalli bianchi ed. abbondanti di feldspato vitreo entro una massa grigia violacea. Scendendo la valle gli segue un conglomerato, contenente frantumi di pietre voluminosi, ed ove quella, sboccando, va a confondersi colle ondulazioni della (4) Quattro sono gli arbusti, che nella provincia di Mendoza si denominano Jarillas, tutti più o meno resinosi. Per distinguerli poi tra di loro, si aggiunge a quel nome generico un qualificativo specifico per cadauno, chiamandoli rispettivamente J. hRembra o femmina, J. crespa o crispa, J. de la sierra o del monte, e J. macho (pron. macio) o maschia. Le prime due specie spettano al medesimo genere botanico (Baccharis Burm. e. c. I. pag. 222); le loro piccole foglie sono obsagittate, a lobi lanceolati; nella 4J. hembra questi sono liberi pei tre quarti superiori, nella J. crespa invece suno uniti. al picciuolo per una lunghezza eguale, presentando per tal modo assai bene i contornì di un cristallo gemino di gesso, così delto a ferro di lancia, la di cui punta continue- rebbe nel picciuolo, ed il di cui asse verrebbe formato dalla parte estrema di questo. Le foglie della Jarilla de la sierra sono alternipennate, composte da 14 a 13 foglioline allungate. Essa appartiene alla stessa famiglia delle altre due (delle Terebintacee. M. De Moussy, l. c. I. pag. 448), la quarta specie, la J. macho, è invece una Mimosa, e forse Ia M. balsamica Molina, pianta vulneraria, che sembra operare per virtù balsa- mica ed antiputrida. Il balsamo che seceffne emette un odore aggradevole che si sente a discreta distanza (Murillo, 1. e. pag. 596). — Nella mia gioventù, per non dire in- fanzia, quando, col fucile da caccia alla bandoliera, percorrendo le vergini selve di annosi aghifogli, decrescente riechezza delle nostre Alpi, mi smarriva nel folto del bosco, osservava da quale parte del tronco di que’ giganteschi alberi pendevan più lunghe le fine e grigie barbe del lichene de’ pini, Usnea barbata, e tosto mì orizzon- tava, poichè da quella parte è nord. Anco il Gaucho della Pampa trovò la sua bussola vegetale, e precisamente nelle tre prime Jarillas. I loro rami sono alternato-pennatli, 0, come suol dirsi comunemente, formano tra loro uniti delle palme, come quelli della Thuja (Tamarindo, nelle provincie. di Mendoza e San Luis) o del Cipresso, ed il piano delle medesime si dirige sempre da nord a sud. La Jarilla de la sierra presenta più: distintamente delle altre questa disposizione de’ rami, e le sue foglie essendo composte, si vede, come anco le facce del lembo delle foglioline si dirigano sempre da nord a sud. Ne segue, che le punte tutte de’ ramoscelli della metà settentrionale del ramo co- | mune e del tronco guardano a nord, e quelle degli opposti a, sud. GITA DAL PASSO DEL PLANCNON, ECC. 37 Pampa, il terreno sabbioso è coperto dai mentovati frammenti e ciol- toli intonacati di calcare. Il suolo vi appare meno secco che nella valle precedente ; e tale lo è in fatti, essendochè, poco lungi dal Cerro de los Buitres, al piede di un masso, incontrammo un serba- tojo d’acqua od un fonte sotterraneo, a mezzo metro circa di profon- dità. Il lettore può immaginarsi con quale sorpresa e gioja acco- gliemmo questa scoperta, e con quanta voluttà spegnemmo la sete coll'acqua cavata a stento da ‘quella stretta buca. A. tale. differente condizione di umidità della valletta a fronte della valle antecedente, corrisponde, come è naturale, una flora diversa e meno povera che, in questa; ed in effetto vi ricompajono la Cortadera e 1’ Alpataco, veduti jeri, ela Jarilla de la Sierra vi cresce più abbondante. Varii uccelli di rapina, duitres, che di certo aveano i lor nidi nella nuda rupe del Cerro, s'aggiravano stridendo intorno a'suoi scogli, e pro- babilmente da quelli uccelli venne denominato questo monte. Scesi per la valle e lasciato il Cerro alla nostra diritta, eccoci di nuovo in uno dei piani, che fanno parte del più basso dei due men- zionati scaglioni della base delle Ande, quella che va a degradare nella Gran Pampa, e che, come il superiore, partecipando della na- tura di questa, si deve, al pari di quello, chiamare Pampa elevata, Non è perfettamente piano, ma più o meno ondulato, poichè le forze che nelle Ande produssero le emersioni e gli avvallamenti, estesero la loro azione, sebben morente, insino a questa contrada. La traver- sata di tale piccola pampa, in direzione. a N., N., E., durò circa tre ore e mezza, L'orizzonte che di buon mattino, al levarsi del sole, erasi an- nuvolato, si rasserenò; dippoi ci raggiunse il consueto vento, che sol- levando nubi di polve, mi costrinse, come per |’ addietro, a difen- dere gli occhi cogli anteojos para el polvo ; ossia. occhiali contro la polvere, i quali constano di vetri oscuri, circondati da finissima reti- cella metallica, pure nerastra; arnese, direi, indispensabile non solo nelle Ande, nella Pampa e nel campo, ma benanco in Buenos-Aires stessa; almeno per chi ama conservare la vista, ed evitare le cure interessate e dolorose degli oculisti. Tanto è ciò vero, che persino il Gaucho, cui per certo non si può muovere accusa di mollezza, fa uso di occhiali simili, sebben più semplici, ne’ quali alla reticella è sosti- 88 STROBEL , tuita una pelle sottile, che si adatta ai contorni dell’occhio. Per buona sorte, poco dopo la ricomparsa del vento, qualche nube, di tanto in tanto, si elevava sopra l’orizzonte, e velando l’astro diurno, pietosa ci difendeva dai cocenti suoi raggi. Fatto circa metà del cam- mino, ossia dopo un’ora e mezza, cominciò a spuntare a N. E. la co- nica cima di un monte, sì come nell’oceano appare la punta dell’ al- bero maestro di una nave, che veleggia sotto l'orizzonte. Fulano me lo additò. pel Cerro di San Rafael; il dì seguente seppi che porta il nome di Cerro del Diamante. Il suo apparire fu da noi salutato con: trasporto, sì come dal nocchiero si festeggia la vista di un faro o di un capo, che lo guidi al desiderato porto; oramai per quest’ oggi, po- tevamo proseguire di buon animo. Verso le undici ore sostammo. — Sin qui la vegetazione di questa pampa elevata è quella già descritta: delle pampas cespugliose, ma radi e bassi vi crescono gli arboscelli.. Attorno ad essi svolazzava in larghi giri e ronzando, qualche puzzo- lente Matacabellos (1), grande e sottile imenottero nero, colle ali ros- sastre. Mirando a terra, vedeva una quantità di solchi superficiali, diretti per ogni verso, simili a ruotaje, e per tali li presi.a prima giunta e con gradita sorpresi. Ma scorgendo che non eran appajati, bentosto mi convinsi, che altra dovea essere la causa della loro for- mazione. Tenendo dietro ad una di queste striscie, giunsi ad un ele- vato formicajo, e vidi poi correre affaccendate formiche per quelle stradicciuole da esse appianate. Accennai diggià la straordinaria ab- bondanza di questi imenotteri nelle contrade argentine; i guasti che arrecano alle provigioni di ogni sorta, ed i danni che producono agli alberi ed agli orti, sopra tutto, sono tali, che nessun Argentino cer-. tamente dividerebbe la simpatia che per esse dimostra il signor Le- spés (2). Mentre sono comunissime le formiche, paiono invece assai rari le Zermiti. Nel viaggio attraverso la Repubblica Argentina non (4) Non so perchè porti questo nome di Ammazza cavalli, mentre uccide le Migali, e nulla ha a che fare cogli equini. È la maggiore delle vespe Sphecoide@ della Repu- blica, e parente della Pepsis heros Fabr. (Burm. I. c. 1. pag. 487). (2) « Meno un piccolo numero di specie, le quali vivono nelle mostre case, e ci sono; piuttosto incomode che nocive, le formiche sono degne di tutta la nostra simpatia. » Lespes. Les Fourmis; conferenza inserita nella Revue des cours scientifiques, 1866. Nu- mero 46. i GITA DAL PASSO DEL PLANCHON, ECC. b9 ne incontrai che poche nella Pampa nella provincia di San Louis, tra las Cabras ed il Desaguadero: vivono in nidi sotterranei; Burmei- ster le osservò nella campagna di Mendoza. Qualche rara, nera Cu- caracha (pron. Cucaracia) o coleottero, della specie Eucranium ara- chnoides Dejan, caratteristica delle Pampas, e specialmente della occidentale, con incedere compassato trasportando sopra le zampe an- teriori sollevate, materie in decomposizione, mi rammemorava le ore passate al lido di Venezia, nell’osservare con diletto le erculee fati- che di uno scarafaggio lamellicornide analogo, l' Ateuchus semipune- tatus Fabr., simile al famoso scarabeo degli Egizii; il quale, deposte le uova nel limo, ne forma pallottola, e rinculando la spinge coi piedi posteriori sino al luogo opportuno per nasconderla sotto terra. Anco uno scheletro di Guanaco ci fu dato di vedere in questo tratto dell’ odierno cammino. — Poco dopo scorta la cima del Cerro del Diamante, vedemmo pure sorgere, verso N., le punte di altre emi- nenze isolate, che ci parvero colline; ma non essendo riusciti a ve- dere anco il piano su cui poggiavano, non potemmo. calcolare 1’ al- tezza loro, nè la distanza, nè decidere quindi se fossero colli o monti. Ad 0. e a N. O mostravansi tuttora le creste della Cordillera. — Molto prima di mezzogiorno ci ponemmo di nuovo in marcia. 1 cespugli si presentano, qua e là, più spessi, formando macchie o radi boschetti (montes), fra cui potei scorgere ancora varie Jarillas de la Sierra, Ai piedi degli arboscelli scavarono le loro tane i Quirquinchos (pron. chirchincios) od Armadilli della specie Dasypus minutus Darwin. Ne incontrammo vari sulla via , li cacciammo, e ne prendemmo più di mezza dozzina. Il modo di dare loro la caccia è assai semplice, pro- saico e direi vile. Il tutto si riduce ad impedire che possano giun- gere alla tana. Inseguiti fuggono frettolosamente si, ma poco lesti, le piccole loro gambe non essendo architettate per la corsa; di più si dirigono sempre in linee rette, perchè la costruzione della corazza non permette loro di volgere il corpo con prestezza; per tutto ciò si arriva a prenderli senza molta fatica. Raggiunto un individuo, lo si ferma imponendogli un piede e premendolo con esso contro terra ; indi, presolo per la coda con luna mano, l’altra colla costa d’un col- tello, gli vibra il colpo mortale sul cranio; sventratolo dippoi e pas- 60 STROBEL; satogli un filo per la nuca, lo si appende al recado od alla sella (4). — L'uomo che si trova in luogo deserto, aguzza mirabilmente sensi e cervello, per poter spiare la minima cosa, che vi indichi l’esistenza, quandanco passaggera d’ altro uomo, e scortala, l animo suo si sol- leva: l’uomo è per natura socievole. Se poi una tale traccia può se- gnare la via a lui, che vi si aggira smarrito o malsicuro del cammino, raddoppiansi gli sforzi per iscoprirla, e la gioja, quando scorta. Con quanta attenzione non si rintracciano e seguono le pedate sue e quelle del suo compagno, il cavallo od il mulo! si osserva tosto se sono fresche oppure già quasi cancellate ; se di uno, di pochi o di molti; per dove sono dirette, se ve ne sono che ritornano, se scom- pajono; se quelle dell’uomo furono impresse nella arena da piede calzato o da nudo, di quale grandezza, di qual forma; e quelle degli animali, se furono lasciate da piedi ferrati o no. Non sfugge all'occhio per tal modo affinato il pezzetto di una bottiglia rotta, non un pajo di ramoscelli di un cespuglio tra loro intrecciati, non i piccoli fioc- chetti di lana, che gli animali di soma , sfregando contro gli arbusti stracciarono dal loro carico e rimasero appesi alle spine. Tali furono i benvenuti segnali, che per nostra tranquillità ci indicarono trovarci noi, fin qui, sul retto sentiero. Dopo due ore di ulteriore cammino con rombo a N. N. E., arri- vammo al luogo; dove, per una sorta di valletta breve e proporzio- natamente larga, dall’ultimo gradino pampeano, si scende nella Gran Pampa. I fianchi della testata stessa dello scaglione formano le sponde di questa specie di gran solco. ll panorama, che quivi si spiegò din- nanzi a noi, non differiva molto da quello che ci si presentò ca- (4) MoLina, I. c. pag. 252, parlando dei Quirquinchos od Armadilli o Dasypus del Chili in generale, dice che alcuni si conglobano entro la loro corazza, quando sono sorpresi dai cacciatori, ed altri, giunti a certa distanza, scavano prontamente un buca in terra, e vi si aggrappano coi piedi anteriori così tenacemente, che sarebbe inutile ‘ogni sforzo per istaccarneli. Nulla di ciò osservai che facessero i Quirquinchos, nè qui, né mei dintorni di San Carlos, ove pure ne cacciai. Perciò non fa mestieri porre una brace di fuoco sulla loro corazza, perchè si stendano e ritornino all’ ordinaria figura; mè fa bisogno ricorrere all’ espediente, che Molina chiama ritrovato turco, quello cioè. di conficcare loro nel deretano la punta di una bacchetta, per costringerli a staccarsi «dal buco cd arrendersi. GITA DAL PASSO DEL PLANCHON, ECG, 61 lando all’Agua caliente; però era meno uniforme. A N. 0. e N., e lontani, i colli od ultimi speroni delle Ande, dirette da N. E. a S. 0; a N. ed in continuazione a questi, le barrancas o sponde a picco del Rio Diamante, e dietro ad esse, quelle di altro torrente, forse del- l’Arroyo hondo (pron. arrogio ondo) o ruscello profondo ; a N. E. il Cerro del Diamante, ora visibile in tutta I’ altezza sua, ed al suo fianco, verso levante, però isolati, altri due monticelli simili, quali suoi satelliti, sopra i quali si andavano addensando neri nuvoloni di tem- porale; infine ad E., le ultime diramazioni settentrionali della catena del Cerro Nevado, il quale ei mostrava tuttora da S. S. E., il capo elevato sopra i circostanti suoi compagni. — Il nitrito improvviso di un Guanaco mi tolse dalla contemplazione di questo quadro; girai gli occhi verso la regione d’onde partiva il suono, ma non vi potei | scorgere l’ autore, essendosi il medesimo fuggito probabilmente giù pel ripido pendio, che a levante, formando il margine dell’altipiano, scende nella Pampa. — Mutata la direzione da N. N. E. in N. E. caval- cammo direttamente sul Cerro del Diamante. Quasi tutto questo tratto di Pampa, dalla discesa insino all’or nominato monte, è sottominato da così dette Zizcachas (pron. Z'iscacia), le quali poco sotto la superficie del suolo vi costruirono gallerie o /izcacheras. L’ attraversare una pianura simile, se è assai faticoso per le bestie, riesce penosissimo per chi le cavalca; poichè quasi ad ogni passo la cavalcatura sfon- dando la volta di una o due di cotali tane, si sprofonda in essa per più decimetri, ora con uno, ora con un altro, ed ora con due piedi alla volta; per cui il cavaliere riceve ad ogni istante delle brusche scosse alle reni. Onde diminuirci questo martirio, e sollevare benanco i cavalli alla soverchia fatica, scendemmo di quando in quando dal cavallo, e camminammo per tratto a piedi, senza sprofondare quasi mai nelle Z'izcacheras, e ciò per difetto di peso. In tali incontri non tralasciava di fissare i sguardi a terra, in cerca di insetti; e le mie indagini non rimasero del tutto vane, poichè potei raccogliere alcuni esemplari di Coleotteri Melasomidi, quali la ZEpipedonota ebenina Dej. var. erythropus e la MNyctelia latissima Blanch. var. maxima. In onta alla infinita quantità di tane di Vizcacha , non potei scoprire alcuno di questi rosicanti; e non sarebbe da farsene stupore, se essi 62 * STROBEL, fossero vere Z'izcachas (Lagostomus trichodactylus Darwin), poichè queste non escono dai loro nascondigli, fuorchè all'imbrunire. Ma dubito che il minatore in discorso appartenga a tale specie, poichè le sue gallerie, e sopra tutto le entrate alle medesime, differiscono, e per diametro e per forma, da quelle della /izcachas. che potei esaminare in abbondanza nella Pampa, dalla Canada (pron. Cagnada) de San Louis sino quasi a Rosario (pron. Rossario). Invece degli ac- cennati scavatori , che dovevamo aspettarci di incontrare, sorpren- demmo qualche Quirquincho, sebbene questa parte della Pampa sia quasi affatto spoglia di cespugli; ed i pochissimi che vi riescono a vegetare qua e là, siano miseri e nani. Il suolo, costituito di sabbia e ciottolini di differenti roccie, non produce che scarse e bruciate Graminee, ossia il solito pascolo. Avevamo fatto circa quattro ore di malagevole cammino nella Pampa, per cui ci arrestammo. Le cinque pomeridiane erano di già passate e gli animali per incuria dell’arciero, il quale avrebbe potuto abbe- verarli senza gran fatica all’ Agua caliente, ma non lo fece , non aveano più toccato un sorso di acqua, da ventiquattro ore in poi, ossia dal Rio Atuel a questo punto, ed avevano oggi camminato oltre do- dici ore quasi di seguito: vedevansi adunque stanchi e spossati. Alla nostra destra, in certa distanza, pascolavano alcuni cavalli, a sinistra, verso N. scorgevasi un sentiero assai battuto ne dedussero i Gua- sos, che in poca lontananza, seguendo il sentiero, dovea trovarsi od un serbatojo od una corrente d’acqua, e precisamente, secondo i no- stri calcoli, vi dovea scorrere il Rio Diamante. Quindi invece di pro- seguire la via, in direzione a N. È., fino alla base meridionale del Cerro del Diamante, come avevamo divisato , decidemmo di volgere tosto a N., per poter arrivare innanzi notte a poter dissetare le po- vere bestie. Se in luogo degli animali equini, avessimo avuto de camellini, certo che non saremmo stati obbligali a questa deviazione dalla rotta prestabilita, e per tal modo costretti ad allungare la via. Già varii acconsigliarono l’acclimazione dei Dromedario, con poetica verità chiamato Ja nave del deserto. e che potrebbe divenire senza dubbio, anche il vascello della Pampa; ma sinora nessuno si mise a tale opera vantaggiosa, quantunque non sc le possa opporre alcun GITA DAL PASSO DEL PLANCHON, ECt, 65 serio ostacolo. —- Con malincuore mi adattai alla dura necessità, mi riposi a cavallo, ed eseguito il per fianco sinistro, seguii il sentiero che conduce al Rio. Dietro venia Fulano, cacciando davanti a sè il mulo colla carica; il mulattiere ci avea preceduti per esplorare il terreno, e scegliere il luogo opportuno per la dormida, o meglio, pel pascolo degli animali. — Alla nostra sinistra, verso N. O., alzavasi una bassa costa, che facea forse parte della sponda più antica del detto torrente. Dopo un’ora, la lasciammo di fianco, e per una china sabbiosa seendemmo ad uno scaglione, indi per altro pendio simile ad una seconda terrazza, ed in fine per un’altra ertissima sponda, calammo nel letto del Rio Diamante, ove giungemmo verso le sette, mentre già si facea oscuro. Questa sponda o darranca si compone di strati di sabbia, ghiaja e ciottoli, talora voluminosi, tra i quali sono frequenti quelli di un bel Granito roseo, che si trova in posto nelle Preande del mezzodì della provincia di Mendoza, cui appartiene questa contrada. Appena le assetate bestie udirono il rumore del torrente , prima ancora di vederlo, raccolsero tutte le loro forze, e mentre prima a stento ed a forza di speronate si avanzavano, ora si posero da sè al galoppo e difilate si avviarono alla corrente, e si dissetarono in essa, Voltici poi ad oriente, scendemmo per pochi passi lungo la riva destra sino al luogo, che l’arriero ci avea destinato per giaciglio nel letto del Rio, prendendo più in considerazione il vantaggio degli animali, che vi trovarono di che pascersi, che la comodità di noi po- veri bipedi. Non un blocco che valesse a ripararci dal vento, non un pezzo di terra piana su cui distendere il poncho ; non vi si vedeva in giro che ghiaja e ciottoli, e frammezzo a questi fortunatamente, della Chilquilla. Rassegnato mi distesi ove una macchia più alta e folta di . questa erba poteva in parte trattenere il soffio importuno. Le cor- renti dell’aria sono per certo incomode e malsane, ma altra corrente, e tremenda, mi incuteva timore: quella del Rio Diamante. Ricor- dando le inattese e terribili inondazioni del Taro, del Serio, del Ta- gliamento e di alti torrenti dell’Alta Italia, temeva che quel Rio cre- scesse repentinamente per pioggie diluviali, che in questa stagione cadono, di quando in quando anche nelle Ande, e gonfiano istanta- neamente i ruscelli ed i torrenti, come vidi accadere nella gita da 6% STROBEL, Uspsallata alla Cumbre di egual nome. Avea dunque paura, che una simile crescente ci sorprendesse, mentre dormivamo, e ci annegasse... Ma in fine la stanchezza ed il sonno vinsero pure questa tema, e mi addormentai. 21 Febbrajo. Ale cinque del mattino eravamo proati per la par- tenza. La nebbia mi impediva di discernere bene i dintorni; ciò non ostante mi parve di distinguere, a ponente, nel letto del Rio Dia- mante, alcuni avanzi di muraglie di sasso. Mi sembrò. pure, che la barranca o sponda sinistra e settentrionale del torrente, tagliata a picco, e, a stima d'occhio, alta un centinajo di metri, fosse trachi- tica, forse di tufo trachitico, a letti o strati, in apparenza, orizzontal- mente disposti sopra l’alveo del Rio, ma più probabilmente invece, diretti nel senso del suo corso, ed immersi da S. a N. Per riprendere il cammino jeri abbandonato, dovemmo rifare una parte dell’ultimo tralto di strada, cioè salire per la darranca destra e meridionale, per la quale eravamo calati, e di cui ho già indicato Ja natura geogno- stica, l'origine netlunica, per trasporto, e la disposizione a terrazze. Non solamente qui, al Rio del Diamante, ebbi campo di osservare una tale conformazione delle rive de’ torrenti di queste contrade, ma ben anco, tra le altre località, nella Sierra de Mendoza, lungo il Rio di ugual nome. Se dalla Cueva de los Manantiales si scende per la valle di- retta a S. O., si giunge dopo cinque ore circa di cammino, al punto in cui, le acque del Manantial de la Pirca, ossia della sorgente del ricinto (di mura a secco), a poca distanza dalle loro scaturigini, si gettano nel detto torrente. Quivi la valle del Rio de Mendoza si al- larga alquanto, ed il torrente, che viene da N. O. vi va ad urtare contro la base del monte porfirico orientale, piegando indi a mezzodì. In questo tratto della riva sinistra del Rio, veggonsi i suoi ‘trasporti sovrapposti a terrazze o scaglioni, la terrazza inferiore s'alza di circa due metri sopra il letto attuale, e la superiore si eleva di sette e più. metri sopra la prima. Lo stesso accadde sulla destra sponda del Rio del Diamante: venendo questo da ponente, batte contro le falde oc- cidentali del Cerro del Diamante, che lo obbligano a piegare verso N. E., dopo avere deposto ai loro piedi i materiali che trasporta, ed ivi formato del pari due terrazze. Per farsi un’ idea approssimativa GITA DAL PASSO DEL pLAncHor, ECC. Gb della altezza della erta darranca, per la quale, dal torrente, si ascende a zig-zag alla terrazza inferiore, basti il dire che all'uopo impiegammo più di un quarto d’ ora. | Giunti ad essa, piegammo a S. E., ed in mezz'ora, saliti obliqua - mente alla pampa, vi prendemmo rombo ad É., che seguimmo per un’ora. Per tal modo avevamo girato, a discreta distanza, intorno al lato occidentale del nominato Cerro; ed ora, mutando la direzione in E., N. E., continuammo il cammino nel senso della maggiore sua dia- gonale, da O. S. O. ad E. N. E, ossia del lato meridionale della sua base, cui ci ayvicinammo alcun poco più di prima. — Scomparsa la nebbia, potei esaminare la forma del Monte del Diamante. La base sua offre una sezione orizzontale allungata, il maggior diametro della quale, come accennai or ora, si dirige approssimativamente da O. ad E. La conica sua vetta non ergesi dal centro, bensì dalla metà oc- cidentale; per cui il fianco del monte, da questo lato, è più scosceso che dall’ altro, degradando nella pianura solamente per un gradino, che è quello costituito dalla base, in forma di piedestallo. Invece dal fianco opposto od orientale, dalla cima si scende a un primo, e poi ad un secondo gradino, che corrisponde all’ unico del lato occi- dentale, da cui si cala infine nella pianura. Non solo la forma. del monte indica la sua origine vulcanica, ma la provano ben anco le sabbie ed i piccoli frantumi di colore quasi esclusivamente nero, basaltici, che coprono il terreno in giro, per un'ora e più di rag- gio. Dei due monticelli vulcanici, secondarii del Cerro del Diamante, veduti pure sino da jeri, l'uno si inalza a S. E., ed alla distanza circa di tre quarti di ora da quel Cerro; l’altro invece si eleva a levante del medesimo, e le sue falde quasi si congiungono colla base di questo. Il primo si presenta più piramidale acuminato che ottuso, l’altro all'incontro, per la forma di cono troncato, e per essere cir- condato alla radice da uno scaglione o piedestallo, rassomiglia di più al monte principale. — Fatta un’ ora di strada con rombo ad E. N° E., passammo trammezzo al Cerro del Diamante ed il monticello me- ridionale, indi, avendo a N. ed alla nostra sinistra 1’ altro monticello proseguimmo per tre quarti d'ora nella stessa direzione. — La ve- getazione del tratto di pampa sin quì percorso, è quella stessa che Vol. IX. 5 66 Là osservai jeri dopo mezzogiorno : rado ed arso pascolo di basse gra- minacee con scarsissimi e nani cespugli. STROBEL, Le nubi, che jeri avevamo visto condensarsi sopra i descritti mon- ticelli, pur troppo durante la notte, eransi scaricate su di essi e pel piano circostante, quasi sino al Cerro principale, nella direzione a ponente, ed a molta maggiore distanza, verso levante, rovesciando tor- renti di pioggia (1). Questi lavarono il terreno per una estensione considerevole, cancellando ogni traccia di pedate e di sentiero, e formando nella chiara sabbia del sotto suolo, probabilmente trachitica, solchi e canali, che erano tuttora più o meno riempiti di acqua me- teorica. Il filo di Arianna era tagliato; ci eravamo, come suol dirsi qui molto a proposito, empampado, ossia impampati. A settentrione, incassato tra erte sponde, scorreva invisibile il Rio Diamante; ad oriente una catena di montagne dalle tinte chiare e dalle vette ta- gliate a guglia (forse trachitiche) si dirigeva sino alla meridionale sua riva, mentre dalla regione opposta veniva ad incontrarvela un gruppo di monti minori. Era adunque chiaro che per giungere a San Rafael, bisognava attraversare delle montagne. lo, fidando nelle indicazioni della piccola carta del Chili di Kiepert, e di altra, sebbene inesatta, della Republica Argentina (senza indicazione di autore), che portava meco, instava perchè si seguitasse nel rombo sin qui adottato ad E. N. E.. il quale ci avrebbe guidati alla predetta catena di montagne, ed attraverso alla medesima a San Rafael. Ma i due Guasos erano restii ad internarvisi, per tema di smarrirsi in quelle ignote ed accidentate contrade. Si pose adunque il mulattiere in cerca di un sentiero, o di pedate che potessero condurci a qualche eventuale abitato, galoppando dapprima, per brevissimo tratto, ad oriente, senza scoprire tracce, volgendo quinci in linea curva a N. e N. N. O.; mentre noi due, Fu-. lano ed io, cavalcavamo adagio, adagio, verso N. Finalmente, dopo (4) « Di rado il cielo velasi di nubi; la pioggia ed î temporali sono quasi scono= sciuti; la Cordillera tutto assorbe. Non è che a lunghissimi intervalli, che si vede scatenarsi una tempesta su questa pianura (di Cuyo, ossia delle provincie di Mendoza, San Luis e San Iuan); in allora è assai violenta ed accompagnata da grossa grandine e da enorme rovescio di pioggia. » M. De Moussy op. cit. I, pag. 389, GITA DAL PASSO DEL PLANCHON , ECC. 67 un'ora di ricerca, riuscì egli a scoprire un sentiero, che riconduceva al Rio Diamante. L’arriero, datoci il segnale, che fu compreso da Fulano, proseguì la esplorazione; e noi continuammo il cammino verso il punto da lui per tal modo indicatoci, descrivendo pure una curva da N. a N. N. O., e poi a N. O., e girando per tal guisa at- torno alla base orientale e parte della settentrionale del monticello vulcanico poco fa descritto, posto a levante e quasi a continuazione del Cerro del Diamante. Il sentiero attraversa un piano quasi privo di vegetazione, come prima, coperto parimenti da sabbie e frammenti neri vulcanici, i quali, quanto più proseguivamo verso N., si presen- tavano tanto maggiori, finchè, piegato avendo a N. O., ed avvicinatici alla base del monticello, quivi trovammo in posto la roccia madre. ‘Mentre cavalcavamo tra questi frantumi e blocchi di basalto, potei, a motivo della tinta negra del sasso, scorgere sin da cavallo, come sopra una di quelle pietre poggiasse un Coleottero lamellicornide , graziosamente tigrato di nero e di bianco verdognolo, la Gymnetis albosparsa Blanch. (1), l’unico esemplare della sana delle Ceto- niade che raccogliessi nel mio viaggio. Poco dopo questa felice scoperta entomologica, avendo fatto fpiù di un’ora di strada dal luogo ove era cessato il retto sentiero, arri- vammo alla discesa nel letto del Rio Diamante. Da principio con rombo generale ad O. N. O., e giù per una ripida quebrada, o val- letta angusta, si cala tra massi di nera rocca basaltica, sferoidali, spezzati, ammonticchiati, sconvolti, simili a quelli del monticello a S. (1) BLaNcHARD nell'opera di Alcide D’Orbigny. Voyaye dans l’Amerique méri- dional ; Paris, 1837 al 1843, tav. XII. fig. 4., pag. 193 n. 399. D’Orbigny ia rinvenne alle Saline di San Blas, sui confini della Repubblica Argentina colla Patagonia, tra il Rio Colorado ed il Rio Negro; per modo che la diffusione geografica conosciuta di tale specie si estenderebbe dal 34.° al 44° di latitudine meridionale, e dal 64.° al 72.° di longitudine occidentale dal meridiano di Parigi. Ove però fosse certo che essa non è se non una varietà della Gymnelis tigrina Gory e Perch., G. Touchardii Blanch. 1. c. fig. 2, n.° 597, i confini dalla specie si allargherebbero verso N., al:30.° di latitudine, e verso E. al 56.° di longitudine, poichè questa Gymnetis vive in Entrerios e nella Banda orien- tal. — Posteriormente (1866) il prof. BurMEISTER descrisse la G. albosparsa come specie nuova, sotto il nome di G. Strobeli in un articolo intitolato. Coleopteros lamellicornes melitofilos de las provincias Argentinas, inserito nella Revista farmaceutica di Buenos- Avres, tomo IV, pag. 576 e 577. 68 STROBEL, del Hoyo colorado ; sicchè ti sembra dovere essi rotolare abbasso, ogni qual volta li preme l’ugna. del cavallo, e. colla loro caduta trascinare seco nel precipizio cavallo e cavaliere. Ma, sia che. quei blocchi basino. più fermamente di quanto appare, sia che le. caval- cature, avvezze a tali sentieri, sapessero porre i loro piedi a dovere, non un sasso si mosse. Giunti al fine di questo dantesco burrone, continuammo a scendere a zig-zag tra due collinette-di tufo trachitico compatto, perfettamente bianco ed abbagliante, come quello di Mont d'Or in Francia. Il cammino piega indi a N. O., lungo le orientali falde della collinetta occidentale, ed arriva infine, volgendo a N. E. e poi a N., al letto del torrente, che guadammo senza difficoltà, dopo mezz'ora circa di discesa Alla quebrada basaltica, per la quale ca- lammo, segue verso O. la trachitica dbarranca destra del Rio, alta ed a picco. Da questa, a ponente delle nominate collinette,. si avanza verso N. ed il torrente, una collina biancastra, la di cui cima consta di un gruppo allungato di trachitiche colonne, alte e sottili; dal Jato opposto del Rio, nella parte superiore della sua sponda sinistra, loro corrisponde una trachite con struttura meno distintamente colonnare, La vista di quei non comuni prismi di trachite mì rappattumò. un poco colla mala sorte, che volle farmi smarrire in questi inospiti pa- raggi. Dall’esposto, ma meglio ancora dallo schizzo (1) unito qui contro, sebbene per la fretta ch'ebbi nel tracciarlo, sia riuscito poco preciso ed artisticamente alquanto meschino, appare: 1.° come la base dell'ultimo tratto di Pampa da noi percorso, (4) Tanto in questa, come nelle gite precedenti per le Ande, sentii dolorosamente la mancanza di un fotografo o di una macchina fotografica, per mezzo della quale potere in pochi istanti ritrarre vedute e panorami, se non con finezza di esecuzione, di certo con esattezza, ciò che più importa al viaggiatore scientifico. In Mendoza hanno stanza due fotografi, ma nessuno eseguì mai una fotografia degli interessanti contorni di quella disgraziata città, quasi interamente distrutta dal terremoto, or sono cinque anni (marzo 4864). Animati da me a dedicarvisi, mi risposero essere occupatissimi nel fare ritratti, operazione abbastanza lucrosa, cui non vorrebbero né potrebbero rinunciare, nè meno temporariamente, senza grave loro pregiudizio, essendo certi, che vi sagrifi- cherebbero tempo e fatiche, rimettendovi per soprappiù anco le spese. Ecco! perché è tanto difficile potersi procurare delle fotografie di paesaggi delle Repubbliche Sud-Ame- ricane, meno quelle dei contorni delle principali città. GITA DAL PASSO DEL PLANCHON, ECC. 69 e forse anco del precedente, sino PRIATPABUA is consti di roccia trachitica; 2.° Come questa sia stata posteriormente attraversata dalle emer- sioni basaltiche, le quali formarono il Cerro del Diamante ed i due monticelli vulcanici, suoi accessorii. Est ge 2 Neri ] 4) o / Dj E, TG, Ò Ò £ À 4 i — bb 9 __3 Trachite e tufo trachitico E=3 Terreno di trasporto WZAZZA Basalte A. Pampa. B. Cerro del Diamante. C. Monticello vulcanico meridionale. Di: » » orientale, E. Barranca. F. Trachite colonnare. G. Rio del Diamante. H. Agua de los Castanos. I. Sentiero. 70 P. STROBEL.,. Fra le rupi esposte al caldo settentrione, per le quali eravamo di- scesi, radicavano i grossi Quiscos o Cactus columnaris (Ceres), che già aveano attirata la mia attenzione nella gita per la Sierra di Men- doza, ove crescono più o meno abondanti in tutte le località delle valli, similmente esposte; la strana loro forma fu succintamente descritta dal prof. Burmeister (1). Guadato il Rio, vedemmo a pochi passi di distanza ed a ponente un rancho, al quale ci avviammo difilati. Finalmente, dopo più di due giorni, potemmo mirare di nuovo visi umani che non fossero i nostri, ed udire altre voci d’ uomo. Fu la prima famiglia argentina che trovammo, composta, per quanto potei vedere, di due donne e più uomini. Ci dissero, che il giusto sentiero per San Rafael, si tro- vava nella direzione ad E. N. E. del Cerro del Diamante, quella ap- punto che indicai ai compagni, ma che essi non aveano voluto seguire, volgendosi invece a N. che però vi potevamo arrivare anche lungo questa sponda del torrente. Non bramando, nemmeno io, di rifare il cammino, decidemmo di tentare la sorte, tanto più che un giovanotto si era offerto ad istradarci. Veramente noi desideravamo avere una guida, ma nessuno accettò, scusandosi col dire, che in questi giorni erano troppo occupati; ed io non poteva, ne voleva fermarmi qui alcune giornate ad aspettare. Il rancho porta il nome di Aqua de los Castanos (pron. castagnos), od acqua de’ castagni; però non potei scorgere ne’ suoi dintorni, alcuno di cotali alberi. Invece vi si col- tiva il maîs; e cresce rigogliosa la Cortadera alla riva del torrente, e succoso pascolo alle falde della barranca, pel quale errava buon numero di yeguas o cavalle. Qui venni a sapere che il maggiore dei tre monti vulcanici meridionali si chiama Cerro del Diamante, e non già Cerro di San Rafael, come mi aveva dato ad intendere Fulano. Ascesa, in un quarto d’ora, la ripidissima darranca trachitica, set- tentrionale, che forma la sponda sinistra del Rio, ci trovammo di bel . (4) Opera citata, I, pag. 246. Le colonne maggiori, che vidi di tale Cereus, misura- vano circa due metri di altezza, ed il loro diametro, dalla punta di una spina a quella della opposta, arrivava presso a poco a tre decimetri. ì GITA DAL PASSO DEL PLANCHON, ECC. Vi! nuovo verso la Pampa, non però estesa come prima, sì bene circo- scritta, in giro, da vicini colli, meno dalla regione meridionale, d’onde venivamo. Îl giovanotto, che sin qui ci aveva accompagnati a piedi, cosa molta strana in un gaucho, che non suole mover passo, fuorchè a cavallo, indicò all’arriero alcuni segnali, e gli diede alcune istru- zioni, onde non sviare dal cammino; indi, ricevuto il prezzo, del ser- vigio resoci, si accomiatò, facendo ritorno alla sua mandra. Noi pro- seguimmo per quattro ore, con rombo generale ad E. N. E., traver- sando tre pianure, successivamente l’una alcun poco più elevata del- l’altra, chiuse tutte da colline a N. 0. Le due prime, più piccole, si estendono , verso S., sino al Rio del Diamante, di cui formano la sponda sinistra, tagliata a picco; sicchè da questa regione vedesi il Cerro del Diamante, coi due satelliti vulcanici, elevarsi sopra la de- scritta barranca destra del torrente, della quale pure è visibile il lembo superiore. Sono questi due piani tra loro divisi da una colli- netta che parte dagli accennati colli settentrionali, e si dirige a S. E., ove degrada al Rio. Il suo fianco occidentale è più alto del- l’ orientale, precisamente perchè il primo piano od occidentale è più basso del secondo, che gli segue verso levante. Da questo si passa al terzo e più ampio piano, ascendendo per la testata del gradino, che l’ultimo forma, degradando nel secondo. Quello, l’ultimo, è limitato da collinette anco verso mezzodì, si che vi chiudono perfettamente l’oriz- zonte; però dopo tre quarti circa del suo diametro, da 0. S. O. ad E. N. E, esse, abbassandosi alquanto, permettono che si veda di nuovo il lembo superiore della dbarranca destra o meridionale del Rio, Tre quarti d'ora bastarono per traversare ciascuna delle due prime pia- nure, ci vollero invece due ore, per arrivare al termine orientale della terza. — In mezz’ ora passammo la collina che separa i due primi piani; e siccome nel punto del varco, anzi che costituire un solo dorso forma un gruppo di mammelloni, che poi vanno abbassandosi verso il torrente, così vi passa attraverso in linea serpeggiante. Consta di arenaria, poco coerente, cementata da calcare argilloso, simile a quella dell’Agua caliente, ma di colore vinato , più grosso- lana, ed a cemento molto più calcareo di questa. Su tale roccia poco consistente crescono radi cespugli, fra i quali vidi scomparire una 72 P. STROBEL, ceppia i lievres (Dolichotis patagonica Wagn.) o lepri della pampal(4). La vegetazione dei tre altipiani è quella delle pampas cespugliose, già descritte; la Jarilla de la Sierra non vi manca neppure. Alle radici di tali arbusti, qua e là, si scavarono la tana alcuni Quirquinchos. Nello stesso punto del terzo allipiano, da cui sì puo scorgere la barranca destra del Rio del Diamante, vedonsi del pari elevarsi, a levante, le cime di tre isolati monticelli. Mezz’ora dopo quel punto, toccammo ad un gruppo intricato di nude colline , costituito da Stea- schisto, poco talcoso, più bianco che verdognolo , ferruginoso , quasi filladico, contenente potenti letti di quarzo comune bianchissimo ; i quali talora affiorano, formando la superficie del dorso della collina; alcuna volta invece, sono i frantumati letti di steascisto che vi ap- pajono a giorno. — Qui incominciò di nuovo il labirinto: varii eranò i sentieri, che, irradiando, guidavano alle differenti regioni, e Voriz- zonte era assai ristretto, per le eminenze, sebbene poco ‘alte, che da ogni parte ci circondavano, Secondo le indicazioni avute, parve al mulattiere di dover scegliere il sentiero a levante, diretto precisa- mente verso gli indicati tre monticelli. Salimmo sull’altipiano sor- montato da due di loro, e passammo tramezzo ad essi. Quello a N., che avevamo alla nostra sinistra, è schistoso, invece l’oppostogli a S. è costituito di roccia basaltica, i di cui frantumi veggonsi sparsi pel ter- reno, ancora per un buon quarto d’ora di distanza dal monticello , verso oriente. La superficie dell’ altipiano, schistosa , presenta delle concavità, in cui raccolgonsi le acque piovane; perciò si mantiene abbastanza umida, ed è ricoperto da verde tappeto erboso , il qualè offriva buon nutrimento ad alquante cavalle, che vi pascolavano. -— Avevamo cavalcato, attraverso le colline ed i monticelli, per circa due ore, nella accennata direzione generale a levante, allorchè giungemmo ad una cespugliosa valle, diretta a N.; per cui voltici da prima un (4) Presso il botanico signor LevBotp, in Santiago, osservai vari individui viventi di questo Subungulato, nonchè altri della Vizeacha o coniglio della pampa. Quanto ‘non differiscono nell’ indole queste due specie di rosicanti ! Il lievre, come già annotò il Burmeister (1. c. ll. pag. 422), è docile e dimaturale dolce , sì che lo si può facilmente addomesticare; la vizcacha invece è fiera, slizzosa e morde rabbiosamente; è quindi intifattabile. GITA DAL PASSO DEL PLANCHON, ECC. 75 poco ad E. S. E. per discendere nel suo fondo, piegammo indi noi pure verso quella regione. Cessò ogni traccia di sentiero. Il mulat- tiere dovette incominciare, come questa ‘mane, la esplorazione della località; I’ ora era già tarda, quasi le sei di sera, ed avendo noi quindi premura di incontrare innanzi notte il cammino, che secondo quanto ci era stato detto, dovea condurci ancora in giornata a San Rafael, ci ponemmo tutti tre separatamente in cerca del medesimo. Ma fu invano. Mentre Varriero galoppava avanti verso la imboccatura di questa valle senza ruscello, e Fulano, cacciando a stento dinanzi a se lo stanco mulo colla carica, calava pel suo fondo ; seguiva io la franata costa, che la limita verso levante. Era coperta da frammenti più o meno grandi di roccia, che mi parve schistosa come prima, tra i quali di tratto in tratto scorgeva bensì delle pedate di equini e le seguiva ; ma ben tosto scomparivano. Non potei dunque riuscire ad ascendere sulla sua sommità, per estendere da essa il nostro oriz- zonte , e vedere, come sperava, fosse pure da lungi, il desiderato forte, che mi immaginava fabbricato in mezzo ad ampia pianura. Im- bruniva sempre più e più, finchè non potendo oramai l’uno discer- nere l'altro, fummo costretti a darci di tanto in tanto, la voce, onde non allontanarci e smarrirci. Infine si fe’ notte; per buona sorte ap- parve la luna, la quale, stando per entrare nella prima sua fase, illu- minava già, sebbene con debole luce, i tetri e nudi dintorni. — Il mulattiere essendosi persuaso, che per ora era impossibile rintrac- ciare il sentiero per San Rafael, si pose con ansia a ricercare per ogni dove dell’acqua per gli assetati e sfiniti animali, ed un oppor- tuno luogò di riposo per noi. Ricordandosi egli delle cavalle che ave- vamo visto al pascolo, e conchiudendo, pel noto ragionamento, che poco lungi da là dovea trovarsi un serbatojo d’acqua, si diresse verso quella regione , che è quanto dire, retrocedemirio ‘verso ponente. In effetto, corso breve tratto , potè scorgere col favore della luna, una pozzanghera, ci chiamò a quel lato, e ci condusse alla medesima. Era il loco un vero plateau od altipiano, il quale costituiva la vetta di un colle, più alto dei circostanti, sì che tutti li dominava. Però dal suo centro, od anche della. riva orientale della pozzanghera, situata un poco ad occidente dal centro, nulla potei vedere oltre i margini del- 74 P, STROBEL, l’altipiano, fuorchè il cielo ele cime degli accennati monticelli meri- dionali. Questa elevazione sua non riusciva punto favorevele a noi, giacchè era perciò battuto maggiormente dal freddo vento, il quale non inciampandovi in ostacolo di sorta, vi trovava libero campo alla sua furia. Non una grossa pietra, non un arbusto, non un cespuglio; un piano raso, coperto dal detrito della roccia schistosa già descritta, fra i quali cresceva a mala pena qualche scarsissima graminacea ed altre erbette, che non polerono prestare fuorchè un misero pascolo alle nostre bestie. — Dall’esposto appare come, per l’accaduto, fossi costretto a rompere il filo del mio diario, non essendomi più stato possibile di seguire nelle osservazioni, e di continuare a prenderne nota, dopo la discesa nella malagurata valle. Non avendo quindi po- tuto stabilire la posizione del luogo, ove ci arrestammo, ne seguì, che venne anco a mancarmi il punto di partenza per le osservazioni successive, il cui valore, rispetto all’esattezza geografica diminuisce, per conseguenza, non di poco. Ciò mi indispettiva ora che mi trovava già quasi alla meta della gita; mi rineresceva pure il tempo e la fa- tica spesi inutilmente, ed il ritardo sofferto. Mi tormentava del pari il dubbio, che forse nemmeno entro domani saremmo arrivati a San Rafael. La provvigione da bocca era ridotta a pochi pezzi di pane biscotto. Ne mangiai alcuni, tremante dal freddo, chè, come or ora esposi, non eravi un ramoscello da accendere per riscaldarsi, nè ave- vamo fatto scorta di fascine, fermi nella speranza di giungere a sera all’abitato. Steso indi il poncho .a terra; mi feci alla meglio riparo contro il vento, colla valigia, col busto, colla sella, e coperto il corpo già inlirizzito con quanti oggetti di vestiario potei avere alla mano, mi coricai lasso ed abbattuto. I guasos si ravvolsero nel poncho e nelle coperte del loro recado (41), e distesi sul nudo terreno si abbando- narono al sudato riposo. (4) Il recado sorta di sella del medio evo, consta di tre parti distinte, ciascuna, alla sua volta, composta di varii pezzi, più o meno numerosi , secondo il costume speciale d’ogni paese, e particolare d’ogni individuo. I pezzi di stoffa, che si pongono imme- diatamente sopra la pelle della cavalcatura, ed arrivano talvolta al numero di sei, l'uno all’altro sovrapposti, portano il nome di sudaderos perchè si inzuppano dal su- dore della bestia, oppure di debajeros, dalla loro posizione sotto (debajo) le altre part. GITA DAL PASSO DEI, PLANCHON, ECC. 75 22 Febbrajo. Alle cinque e un quarto di mattina ci ponemmo in cammino, o per dire meglio, in traccia del medesimo. Riprendemmo, per un tratto , la direzione della strada di jeri a notte, cioè verso levante. Giunto ad una quebrada, inclinata approssimativamente da S. a N,, sostai, insieme al mulo colla carica, ed i guasos si diedero ad . esplorare i dintorni, per rombi diversi. Dopo mezz'ora circa di aspet- tativa, ritornarono entrambi uniti, e mi invitarono a seguirli. Ca- lammo nella quebdbrada , e poi, in direzione a N. E., salimmo un colle e. scendemmo in altra valletta, e poi in una terza, tutte tre. comprese tra colline di roccia schistosa. In onta al cammino fatto , il nostro orizzonte, anzi che. estendersi, pareva che si restringesse sempre mag- giormente entro i limiti di quelle piccole valli; solo verso N. E., of- frivasi al nostro sguardo un campo più vasto, poichè verso quella re- gione i colli si abbassano nella Pampa. Però in questa non vedevamo scorrere alcun torrente; adunque non poteva trovarvisi San Rafael, che sapevamo essere fabbricato sulla riva sinistra del Rio del Dia- mante. Tutte le carte geografiche pubblicate, che conosco (1), lo in- dicano posto in:una pianura più o meno ampia; invece, meno ad oriente, questo forte 0 questa colonia militare, se così piaccia chia- marlo., è tutto all’ingiro ed a poca distanza circondato da collinette, del recado. Sopra di essi si stende Ja carona, o pezza di pelle lavorata, della forma delle nostre gualdrappe; indi ponesi, generalmente, il basto, ossia due cilindri di pelle imbottiti, plù o meno grossi e lunghi, che si applicano cadauno ad uno dei lati, lungo la spina dorsale, a fine di impedire losfregamento contro le apofisi spinose delle vertebre , e sì Jega il tutto con una larga cincha (pron. sincia) o cinghia. Infine se- guono:altre pezze di stoffa soffice , sino a sei esse pure, denominate pellones (pron- pegliones), perchè talora sono , tutte od in. parte, pelliccie o le imitano; una sopra- cinghia, meno larga della cinghia, od una cordicella , le ferma sopra Je altre parti del recado. — Le staffe del gaucho, quando ne usa, sono di legno, come quelle del huaso chileno , ma di forma ben diversa di queste; sono cioe simili alle nostre staffe di metallo , mentre le chilesi rassomigliano più alle turche, e non danno pas- saggio alla punta del piede. Si ferma la, staffa al recado per mezzo di una corda, a sezione trasversale quasi quadrata, composta di sottilissime striscie di cuojo, elegante- mente intrecciate: corda di robustezza e durata staordinaria. (4) In una carta di parte delle repubbliche del Plata e del Chili, anni sono abbozzata ad acquerello da un Argentino, la quale, dopo la gita, fu gentilmente posta a mia disposizione, San Rafael viene indicato giustamente siccome fabbricato al piede di es- tese colline. 76 P. STROBEL, dietro alle quali si ‘alzano alcuni monticelli, da S. ad O. e N. O., è se- gue ad O. e N. O. 1a Cordillera, Perciò la speranza che, basato sui‘ dati delle carte, nutriva di potere, anche senza conoscere il sentiero, in- camminarmi in linea retta a San Rafael, una volta calato nella pampa, dovette dileguarsi, sino da jeri presso il Cerro del Diamante. Le dif- ficoltà anzi andavano, come già vedemmo, e vanno sempre più cre- scendo, poichè vennero a mancare i lunghi corsi d’acqua e le vallate da potersi seguire (1), e le colline vanno uguagliandosi in altezza, per cui varcatane una, invece di vedersi nel supposto e bramato piano, trovasi dinanzi a sè un altro colle; e così via. — L’arriero si perdette d'animo, e voleva retrocedere all’Agua de' los «castanos. Ma io feci insistenza. Erano circa le otto antimeridiane: stabili che si continuasse ‘ad’ esplorare ed a cavalcare ‘nel rombo generale @ N. E. sino a mezzogiorno; ove; per quell'ora, non fossimo riusciti. a scorgere San Rafaele; mi arrenderei, rassegnandomi a. rifare ‘il cam- mino sino al punto indicato; ed a fermarmi colà, finchè gli animali; oramai stanchi per olto giorni non interrotti di marcia, riposando, si ponessero in grado di portarci in una giornata al detto forte, guidati da ‘uno de' gauchos di quel rancho. Il mulattiere in fine; accettò la proposta, e proseguimmo. Traversato con direzione a levante, anco la terza valle, inclinata a N. E., salimmo su per la collina scoscesa e franata di micaschisto, che la limita a S. E. Giunti ad una data altezza, ci fermammo, e Fulano ascese sulla rupe più alta della acuta e frastagliata cresta, dalla quale finalmente, con giubilo mode- rato, come richiede il carattere dei Sud-Americani, potè distinguere da lontano, verso E. S. E., presso un torrente, delle alamedas o. pian- tagioni di pioppi, le quali accennavano ad un esteso gruppo di vicine abitazioni indiscernibili, che in queste deserte contrade, non poteva essere. fuorchè San Rafael... nè già un toldo di Indiani, che non coltivano cotali alberi. Al fausto ‘annunzio salii io pure sulla cima, ove ebbi una prova della acutezza della vista de’ huasos ; poichè,-men-” tre Fulano ad occhi nudi potè scorgere la fila dei pioppi, io appena, (4) Già dal poco che dissi delle sponde del Rio, Diamante, appare che lungo le mes, desime e pel letto di questo non si può scendere sino a San Rafael. GITA DAL PASSO DEL PLANCHON, ECC. 77 vi riusciva col cannocchiale da teatro. Ma non ci bastava avere visto quel. paese, ci premeva di arrivarvi nella. giornata, ciò che non era impresa tanto facile, poichè bisognava attraversare varie serie di colli, le quali, in senso. presso a. poco da S. 0. a N. E., successiva- mente si interponevano tra noie la detta borgata; però , a nostra tranquillità, avevamo ora la certezza di potervi giungere fra. non molto. Dopo le nove del mattino imprendemmo il varco delle colline, e, per. una quebrada franata ed assai ripida, seguendo un. sentiero a mala pena tracciato nella roccia pericolosa, calammo in una valle , alquanto larga, e diretta a N. E., come la precedente. Scesi al pie’ del colle, scoprimmo dell’acqua in una piccola cavità della rupe, ma tanto poca (circa due bicchieri), che non si avrebbe potuto cavarnela nemmeno col bicchierino di pelle, senza intorbidarla affatto. Ma ricorsi alla dombilla (pron. bombiglia), ossia. cannuccia di metallo, che alla estremità chiusa e rigonfia, è bucherellata, e serve ad assorbire. il mateo the paraguayo (4); per mezzo della quale ci dissetammo, suc- chiando lentamente tutta l’acqua , senza punto muovere un granello od una pagliuzza del suo fondo. — Era intenzione mia di traversare questa quarta valle nella diagonale da ponente a levante, dirigendoci verso la testata della basaltica collina, che ne forma il bastione a S. E., testata che muore nella pampa; di svoltare indi intorno ad essa verso S., ed incamminarci a San Rafael. Ma l’arriero. che avea veduto questo forte ad E. S. E. del passo, dal quale eravamo scesi, e che in quello stesso rombo scorgeva un abbassamento nella contrapposta col- lina basaltica, da esso lui supposto un portezuelo., ossia un varco, volle assolutamente, contro il mio parere, avviarsi a. questo , nella ‘speranza di risparmiare per tal modo un mezz'ora od un’ora di cam- (4) Consiglio l’uso della bombilla a tutti coloro, che, soffrendo mal di denti, vogliono ciò non ostante prendere bevande, o gelate o molto calde: conviene dessa del pari a quelli che desiderano bere senza insudiciare i lunghi peli de’loro mustacchi; ed in fine la propongo a chi brama sorbire voluttuosamente a centellini qualsiasi gustoso ]Jiquido. 78 P. STROBEL, mino, ma lasciando il certo per l’incerto (1). Trascorremmo la vallé e salimmo il colle, ma nessuna traccia di sentiero guidava per la sua cresta, e giù per l’erto fianco meridionale; per cui, dopo di avere gettata un'ora, dovemmo calare obliquamente pel fianco ‘settentrio- nale, dirigendosi con rombo a N. E. verso la testata , che io voleva raggiungere in via retta. Intorno a mezzodì toccatone l'estremo, ci trovammo nella pianura, la quale attraversammo in direzione a S. E. Da principio è pampa nuda, poi si fa cespugliosa ; anzi gli arboscelli vi si riuniscono in radi boschetti. Trascorse due ore circa di cammino arrivammo ad un gruppo di colline, più basse delle antecedenti, le quali si estendono sino a mezz'ora di distanza da San Rafael. Si stenta a discernere la con- fusa loro distribuzione e direzione; mi parve però di poterne distin- guere tre serie, dirette approssimalivamente, come te prime, da S. O. a N. E., le quali dan luogo alla formazione di due vallette irregolari, nella stagione piovosa, percorse da due ruscelli (2). Dalla prima serie si cala nella prima valle, dalla seconda nella seconda valletta, e dalla terza nel piano di San Rafael. In due ore e mezza, ed in direzione media ad E. S. E., le varcammo, alla ventura da principio, poi, di- retti, per un breve tratto da un vecchio gaucho, piccolo e secco, che trovammo per caso in un rancho, nascosto entro un burrone tra la prima e la seconda serie di colline. Si incamminava egli pure alla nominata colonia militare, e portava ‘seco ‘la scorta’ di charque. (4) Al principio della relazione indicai alcuni difetti degli arrieros, ma tacqui: di uno, molto dannoso al viaggiatore scientifico, per la tema che avea di. generalizzare di tal guisa, ciò che non è se non di pochi. Ma ora, che per le assicurazioni di figli del paese sono certo, che cotal difetto è generale nei mulattieri e contadini di queste con- trade, ne farò qui cenno. Essi, o non rispondono alle tue domande, che non hanno relazione col loro mestiere, oppure se ti rispondono, lo fanno a malincuore e con poche parole tronche, mentre ciarlano discretamente tra di loro. Quante volte dovetti ripetere una domanda, e dirigerla a più di uno consecutivamente, allo scepo di ottenere al fine una risposta | È diffidenza, è paura di palesare la propria ignoranza? Probabilmente è l’ una e l’altra. (2) I pochissimi fili e piccoli serbatoi d’ acqua, che incontrammo per questi colli, non sono d’acqua potabile, poichè di sapore salato, amaro, disgustoso. GITA DAL PASSO DEL PLANCHON, ECC. 79 (pron. ciarche) o carne seccata all’aria, attaccata dietro il recado. Avea premura, per cui ben presto, galoppando, ci lasciò indietro. Nelle inter- minabili strade rette, che nella pianura padana conducono da uno ad altro paese, appena fuori del primo, ti pare di toccare il secondo ; invece, a grande tua noja e vedendolo sempre dinanzi a te, devi cam- minare delle ore, prima di arrivarci. Una disgustosa sensazione’ si- mile provai nel trapassare quelle colline. Giunto sul dorso della prima costa, San Rafael si presentava alla mia vista come se non distasse che una mezz’ ora, ed i colli interposti sembravano costituire una boscosa ondulata pianura. Ma, mentre scendeva pel leggero declive , mi vedeva alzarsi poco a poco altra collina, la quale in breve mi na- scose la desiderata meta. E così mi succedette una seconda ed una terza volta. Finalmente, calati anco della terza serie di colli, in mez- z’ora, verso le cinque pomeridiane, e dopo undici ore di faticoso cam- mino, attraversato un piano incolto, ci trovammo stanchi, ma giojosi, alla bocacalle (pron. bocacaglie) ossia imboccatura della prima contrada, di San Rafael. Le sue case di terra non si distinguono da lungi, pre- cisamente come accadde a noi questa mane; invece si discernono meno difficilmente i lunghi filari di pioppi, che abbelliscono questo borgo, al pari di Curicò e delle altre città del Chilì, e di Cuyo, già provincia chilese (1). Le prime serie, di bassi colli, consta di varie arenarie. Un poco prima dell’accennato rancho, segue ad esse un porfido feldspatico, il primo che incontrassi dal Planchon in qua, e che mi fe’ risovvenire la gita al San Carlone di Arona, al Lago Maggiore: poichè questa statua colossale di bronzo, rappresentante Carlo Borromeo arcivescovo di Milano, più rinomata per la mole sua che per la bellezza delle forme, si eleva appunto sopra una rocca di porfido quarzifero di uguale tinta. Essa varia dal colore giallo carnicino chiaro allo scar- latto ed al rosso di mattone oscuro. Il porfido feldspatico in discorso, entro una pasta compatta di tale colorito, contiene piccoli. cristalli traslucidi incolori o del colore di fumo; però talora mancano, sì che (4) Ossia delle attuali provincie di Mendoza, San Luis € San Juan, che sino al 1776 dipendevano dalla Capitania generale del Chili. 80 P. STROBEL, non scorgesi che una massa omogenea, Il saggio da me raccolto ras- somiglia perfettameute al pezzo di porfido felspatico di £/fdalen nella Svezia, che forma parte della collezione geognostico della Università di Buenos Ayres, raccolta destinata alla istruzione degli studenti di scienze esalte (1). Quà e colà sopra le rocche di tale porfido veggonsi sparsi frammenti più o meno grandi di lava perastra, a superficie lu. cente, come se fosse fusa. Vi si scorge inoltre. qualche pezzo di una bella breccia, composta di piccoli frantumi di lava spugnosa, nerastra, bruno-verdegnola, cinerina, cementata da calcare bianco, a struttura terrosa concrezionala , siccome travertino, Infine, l’ ultima serie di colline, più basse di quelle della prima, e quindi anche della seconda serie, viene costituita da brecce e puddinghe a grossi elementi, co- perte da fina sabbia. Feci già allusione alle condizoni botaniche di questi colli; sono. coperti da boschetti di arbusti più o meno alti. Fra essi rividi il Chanar (pron. ciagnar) della pampa settentrionale, dalla corteccia liscia e verde, e dai rami grossi e spinosi (2), i quali maltrattarono il mio equipaggio, assai più di quanti arboscelli lo punsero ne'giorni addietro (3). Altre due leguminose attrassero in particolare la. mia. (4) Con decreto del governo provinciale di Buenos-Ayres, del 16 giugno 1865, fu sta- bilito presso la Università di quella proviucia un Dipartimento , cioè una facoltà, di scienze esatte, ossia di matematica, allo scopo, di formare ingegneri e professori di ma- tematiche: e si nominarono tre professori italiani per impiantare lo stabilimento e co- prire le cattedre di matematiche pure ed applicate e di storia naturale. Si ha già mo- tivo di sperare bene di questa istituzione, nuova nella Repubblica. (2) Lucuma spinosa MoLina, Compendio: de la historia de reino de Chile, Madrid, 4788, I. pag. 203. — Geoffroya spinosa M. De Moussy, opera citata I. pag. 403. — Gourliea decorticans GilL. Hoox., Burmeister opera citata I. pag. 222. — Eccellente ne è il frutto ovale e dolcigno, e durissimo il legno, ma alquanto torto. (3) Per poter traversare senza pregiudizio degli abiti e della propria pelle cotali bo: schetti spinosi, il viaggiatore farà cucire sopra i pantaloni una pelle sottile ma robusta, sino all'altezza delle ginocchia; ove non preferisca portare i guardamontes, di cui già parlai in. una nota: del Capo II. Inoltre farà egli bene di portare nel {irador o cinta di pelle, simile alle nostre pel denaro, un revolver cd un buon coltello, per farsi ris- pettare da’ quadrupedi e bimani, e poter tagliare la carne, il legno, le corde e quanto può occorrere in tali viaggi. Per ripararsi dal sole, e non esporre ai capricci del vento il cappello di Panama. con cui difenderà la testa, lo farà coprire, a mo’ degli Inglesi nelle Indie, e de’ Francesi in Algeria, con un pezzo di stoffa bianca, da potersi levare, GITA DAL PASSO DEL PLANCHON, ECC. 81 attenzione il m2aZ de 0jo 0 mataojo (1), cespuglio senza spine, ornato da bei fiori, a cinque petali sub-eguali e gialli, e con dieci stami ed il pistillo lunghissimi e di un bel carmino intenso — ed il Refortono (pron. retortogno) così chiamato, perchè i pochi legumi gialli e lunghi che si sviluppano dal suo ovario, si torcono in spira serrata (2). e che penda giù sino alle spalle e si abbottoni davanti sottoil mento. Degli indispen- sabili anteojos para el polvo feci altrove menzione. In questi paesi non si usa porre alle selle ed ai basti, ne sottocoda, né pettorale, di modo che ii tengono a posto ed in equilibrio solamente le cinghie e le corde, che stringono la pancia dell’ animale, Que» sta, naturalmente, sì restringe pel digiuno, e quelle si rilasciano pel calore, pel mo- vimento della bestia e per gli urti che la carica riceve contro gli arbusti e le rupi. Si è quindi bene spesso obbligati a scendere da cavallo, per accomodare la sella o ri- comporre il carico, onde non correre il pericolo di cadere a terra, o dì vedersi l’equi- paggio fatto a pezzi dalla mula, che spaventata per la sua caduta, se ne fugge, tra- scihandoselo dietro penzoloni da un fianco, se pure, per la perdita dell’ equilibrio, non avvenga che essa cada nel precipizio, in una col cavaliere o coll’ equipaggio. Quando si scompone la carica si arrestano il mulattiere od il suo ajutante od entrambi in- volgono col poncho o con una coperta qualunque, la testa del somiere, e ristabiliscono l’ equilibrio. Ben diversa è la struttura, la composizione e la forma dell’ aparejo 0 basto chilese e del cuyano; quello è più semplice e piaga forse meno l’animale; que- sto è assai complicato e voluminoso, e guasta meno il carico: ne darò la descrizione e la figura in altra memoria. L’operazione di caricare è abbastanza lunga, come av- visai al Capo II., conviene dunque mettere da parte quanto occorre durante la gior- Nata, per averlo alla mano al bisogno, ed a ciò servono appunto ottimamente le già descritte alforjas. (1) Poinciana Gillesii Hook., BURMEISTER, opera citata I. pag. 222; porta quel nome di mal d’ occhio od ammazza occhio, perchè credesi che il polline de’ suoi fiori, pene- trando negli occhi, danneggi la vista. (2) Prosopis strombulifera Benth., MuriLLo, memoria citata pag. 597.Isuoi legumi hanno proprietà astringenti, per cui sì masticano per allenire il dolor di dente e di gengiva. Nel viaggio dell’ Atlantico alle Ande, ne raccolsi due varietà, ove non siano due specie differenti, Le foglie, composte, alternato-pennate; sono molte maggiori e più lunghe nell’una, essendo più graudi -le foglioline che le compongono e disposte a maggiori distanze ; invece nell’ altra varietà, essendo queste serrate e più piccole, la foglia da esse composta è minore della metà ; le stesse differenze nelle proporzioni 0s- servai nelle spine, ascellari ed appajate; pel contrario non potei scoprire alcuna diver sità nel frutto. Verso sud, a San Rafael, e San Carlos, questo cespuglio offre l'altezza di due a quattro o cinque decimetri ; verso nord, come a Mendoza, a San Luis, al Sa- ladillo (pron. Saladiglio), nella provincia di Cordova, raggiunge invece l’altezza di un metro e più. Cresce in terreno sabbioso ed arso ; e ne raccolsi, come appare dall’ an. zidetto, entro il 32.° e 35.° di latitudine australe, ed il 64.° e 72.° di longitudine oc- cidentale dal meridiano di Parigi. Cresce anche nel Chili, secondo il citato Murillo. Vol. IX. 6 82 P, STROBEL, Non solamente la Jarilla hembra, e più lussureggiante di prima, fa- ceva parte della boscaglia sino a San Rafael, ma benanco la Ja- rilla della Sierra, sebbene meno comune. Tra questi arboscelli si ergeva, nelle esposizioni a N., il già nominato Cereus colonnare, però alquanto scarso; apparivano invece sempre più comuni le Opuntia dai fiori gialli, ed i Cactus piccoli, dal caule, per forma si- mile al frutto di un pino (Strobilo) o ad un tubero. Alle specie di Coleotteri raccolte nella pampa, dal Cerro de los Buitres a quello del Diamante, cioè alla Vyctelia latissima Blanch. (4), alla Epipedonota ebenina Dejan, ed al Eucranium arachnoîdes Dej. (2), si aggiunsero altri abitatori de’ terreni sabbiosi, fra i quali una spe- cie di Trox, rinvenuto anche a San Carlos, forse nuova , dal to- race bruno cenerino e dalle elitri bianche (quando intatte), adorne da puntiin rilievo neri, di varia forma ed estensione. Nell’avvicinarci, al paese, incominciammo ad udire le grida dei garruli Zoros o pap- pagalli sedentarii (3), i quali già principiavano ad avviarsi schia- mazzando ai loro quartieri notturni. In San Rafael non incontri un albergo, non una locanda, nè manco una bettola; accettai quindi la ospitalità di un gentile privato. Mi ac- comiatai da Fulano, cui feci il promesso, ed anche meritato, regalo, e da Don Santo Quiroga, che ebbe la sfacciataggine di chiedermi più del prezzo convenuto, col pretesto che avevamo impiegato un giorno di più dei calcolati, per arrivare al destino; ma io, naturalmente, lo mandai in pace. Giunto al termine della relazione del viaggio, vorrei e dovrei rias- (1) BLancHaRp nella citata opera di D’ Orbigny, pag. 196, n.° 614, tav. XIII, fig. 9. Fu raccolta da D’Orbigny alle dune di San Blas de los Patagones, a 44 ® di latitudine meridionale. (2) BURMEISTER, Die Afeuchiden ohne Fusskrallen, pag. 59 n.° 4., tav. I. A. fig. 4 e 2., inserita nella Berliner entomologischen Zeitschrift, A864. — Raccolsi inoltre questa specie a San Carlos (coll’E dentifrons BI.), Estrella (cogli E. furciferum Mur. ed E. bîi- lobum Bur.) e Totoral, ossia nella provincia di Mendoza, San Luis e Cordova, dal 65.° al 72.° 40‘ di longitudine occidentale, dal meridiano di Parigi, e dai 32.° 40‘ ai 34.9 50’ di latitudine australe. (3) Psittacus cyanalysios; Molina, opera citata, pag. 216, Conurus patagonus Vieillot, Burmeister, op. cit. Il pag. 444. GITA DAL P4SSO DEL PLANCHON, ECC. 85 sumere in breve sintesi le osservazioni di storia naturale, e segnata- mente le geognostiche, per stabilire in proposito de’ confronti col versante opposto o chilese delle Ande. Ritengo però più opportuno di riserbarmi il compimento di tale lavoro per una non lontana publi- cazione, in cui narrerò il seguito della gita, cioè da San Rafael a San Carlos, eseguita in una così detta mensageria o diligenza, ossia in un carro coperto, a due ruote, come usasi in Buenos-Ayres per trasportare ghiaccio, birra, gazosa ed altre bevande o commestibili, sorta di veicolo, che descriverò più minutamente in quella seconda relazione (4). ; lo, più di ogni altro, riconosco i difetti della presente memoria, e ne sono dolente. Fra non molti anni, il vapore condurrà in poche ore il naturalista, mollemente steso in. spazioso vagone, attraverso la pampa, al piede delle Ande; comode diligenze lo trasporteranno sulla cresta della Cordillera ed oltre la medesima; puliti alberghi gli som- ministreranno almeno i più necessarii conforti, e da quei quartieri egli potrà a piacimento intraprendere brevi escursioni scientifiche nei dintorni ed esplorarli nei dettagli. A quel naturalista riescirà facile di certo una severa critica del mio articolo, non ricordando però egli, che chi lo scrisse, percorse il cammino a cavallo, passo a passo si, ma senza potersi quasi mai arrestare durante il giorno, nè ‘sviare menomamente dal sentiero, dormendo sulla nuda terra ed allo sco- (4) A quest'ora, l’impresario Pochi, genovese, avrà diggià sostituita a tale galera una vettura, che alla solidità necessaria per poter trascorrere al galoppo una cespu- gliosa pampa senza traccia di cammino, unisca la elasticità occorrente per garantire Ja merce umana, dal capo al sedere, da dolorosi colpi e contracolpi. Mentre eseguiva la mia gita, si pubblicava nell’Anuario de Correos de la Republica Arjentina la rela- zione dell’ingegnere A. Perez, sullo studio da lui fatto per tracciare un cammino car- rozzabile attraverso le Ande , e precisamente, passando vicino al Planchon, e pereor- rendo varie delle valli da me seguite. Publicherò in seguito la parte di questo docu- mento di sette pagine in 8.°, che ha rapporto col presente lavoro, al fine che risultino le concordanze e le differenze loro. Venni a conoscerlo dopo avere già tracciato la carta oro-idrografica ; però prima ancora di avere terminata la relazione della gita. Ciò non ostante volli ignorarlo affatto, non dovendo quella essere che la esposizione genuina dei fatti che io stesso osservai, e dei dati da me stesso raccolti, come dissi in sul principio. 84 P. STROBEL, perto , soffrendo la sete (1), accontentandosi, al bisogno, di un tozzo di pane, regalandosi appena di quando in quando un sorso di acqua- vita o di cognac diluito nell’acqua, e rimettendovi parte della salute. Però, tal sia pure del mio lavoro! Quando il grosso di una colonna, con bandiera spiegata, a suon di tromba ed a tamburo battente, entra per l'ampia breccia aperta nel bastione nemico, qual de’ soldati pensa mai al pioniere che scavò la trincea, accese la mina, ed aprì la brec- cia?... Lo stesso accadrà di me; ma poco monta. Faticai e stentai per mia soddisfazione e vado fiero di essere riuscito ad effettuare questo sogno della mia infanzia coi soli mezzi guadagnatimi col sudore della mia fronte, ai quali ora la benigna sorte volle, sebbene troppo tardi, aggiungere altre risorse. Non implorata sovvenzione di governi, non mendicato appoggio di mecenati, solo l’ajuto benevolo di amici della scienza e di chi la coltiva, valse a pormi in grado di attraversare due volte l’ America meridionale, dall’ Atlantico al Pacifico. Quindi non rinuncia di opinioni, non velo sopra fatti, non dedica di adula- zione; no, nulla di simile in questa relazione. Solo un ringraziamento cordiale agli amici d’ambo i mondi la chiuda. (1) Né il minore degli incomodi fu per me il mancare di aqua per lavarmi, ed il dovere quindi viaggiare giorni intieri colle mani e la faccia sporche, sudate e coperte da una patina della fina polvere, che il vento soffia costantemente addosso in quelle sabbiose contrade. SCATOPHAGINA ITALICA COLLECTA DISTINCTE ET IN ORDINEM DISPOSITE A prof. CAMILLO RONDANI DIPTEROL. ITAL. PRODROMI Pars VII, Fase. I. DIPTERORUM STIRPS XVII. SCATOPHAGINA Andn. Stirpis charact: Oculi utriusque sexus in fronte distantes. Antenne triarticulatee; articulo radicali aliquando non vel vix di- stinguendo; secundo eliamsi longiusculo numquam longiore tertio; isto ssepius deflexo. - Arista in dorso articuli tertii antennarum oriens, articulo basali semper brevissimo, sequente aliquando paulo longiusculo. Proboscis brevis, crassa, membranosa, inferne ad apicem plus vel . minus distincte labiata. Palpi non aut parum ultra epistomium porrecti, saepius subelavati, compressi, vel subfusiformes, aliquando in spathulam satis dilatati. Epistomium vibrissis praeditum, duabus saltem distincetis validioribus. 86 C. RONDANI, Alarum venz longitudinales septem, preeter spurias axillares: quin- que anteriores costalem attingentes; duse prima ad apicem satis divergentes; secunda non setulosa; quinta extrinsecus non ma- nifeste cubitata, nec sursum incurvata. Calyptra parva, squamee inferze a superis omnino tecte, Abdominis segmenta 8-6, latiuscula, praeter apicalia parum obser- vanda. i Pedes plus vel minus setosi; tibiis proesertim anticis et posticis se- tula erecta sub-apicali extrinsecus semper preeditis. (Nor4) Stirpis bujus, in plagis minus borealibus, species pauce vivunt; hic tamen posui etiam genera nonnulla speciebus instructa nondum in Italia captis, ut melius nostra comparatione cognoscantur, et quia facilius nonnullae huc usque non lecte apud nos, in posterum inveniend®. SCATOPHAGINARUM GENERA METHODO ANALITICA DISTINCTA. A. Oculi subrotundati vel sub-ovati non horizontales. B. Antenna articulo tertio elongato vel ovato, raro subdisciforme, et tune arista prope radicem non versus medium articuli sita. C. Palpîi in spathulam valde compressam dilatati, D. Zena longitudinalis quinta alarum satis producta ultra apicem tertioe. - Femora non neque maris valde incrassata. Gen. I. SpazipHora Andn. (*). Sp. Typ. Cordylura Hydromysina all. DD. Zena longitudinalis tertia, contra apicem quinta costalem at- ‘ tingens. - /'emora preesertim postica maris crassissima. (*) Hoc signo notata genera quorum species nondum in Italia capta. SCATOPHAGINA ITALICA. 87 Gen. II. StoEGERIA Andn. (*) Sp. Typ. Cordylura Kuntzei Zett. CC. Palpi etiamsi paulo compressi et latiusculi, in spathulam non valde dilatati, seepius subclavati vel subfusiformes. E. Ariste articulus penultimus distincte longiusculus, et cum tertio plus vel minus cubitatus. I F. Arista subnuda vel puberula tantum - Zidi@ intus non longe villose. G. Facies non inclinata, ore reflexo - Oculî ovati - Abdomen maris subtus incurvatum. Gen. III. Mropina Desv. Sp. Typ. Musca Myopina Fall. (Myop. reflexa Dese.) GG. Facies inclinata, ore non reflexo. - Oculi rotundati - 4bdomen non neque in mare subtus incurvatum. Gen, IV. GonatHERUS findn. (*) Sp. Typ. Scatomyza Planiceps all. ® FF. Arista distincte pilosa - Tibi@ intus, preesertim in mare longe villos®. Gen. Y. Cnemopocon lindn. (*) Sp. Typ. Cordylura Apicalis Mgn. EE. Ariste articulus secundus non distincte longiusculus, nec cum terlio cubitatus. H. Scutellum setis duabus tantum sub-apicalibus praditum. J. Palpî seta longa apicali instructi, ab aliis satis distincta. 88 C. RONDANI, Gen. YI, CorprLura Mygn. Sp. Typ. Cord: Albipes Mgn. JJ. Palpi seta satis longiore et distinctiore apicali non instructi. K. Femora antica spinis validis, in duplici serie dispositis sublus armata. °L. Arista pilosa. - Tibie quatuor posteriores setigerae. Gen, VII. NorELLIA Desv. Sp. Typ. Cordylura striata Mgn. LL. Arista subnuda - Tibie posteriores setis destitutee. Gen. VIII. AcnantHOLENA findn. Sp. Typ. Ach: Maculipennis Andn. KK. Zemora antica etiamsi inferne setigera, spinis validis biseriatim. disposilis non armata. Gen. IX. CLEIGASTRA Macq. Sp. Typ. Cordylura Nigrita all. HH. Scutellu® setis quatuor vel sex instructum. M. Costa alarum spinulis non distincte serrata. N. Scutellum quadrisetosum. O. Zena septima longitudinalis marginem posticum alarum non at- tingens. - Pedes cum femoribus etiam inferne subnudi. Gen. X. Grunomera Andn. (*) $ Sp. Typ. Cordylura Tarsea all. 00. Zena septima longitudinalis alarum marginem posticum attin- gens. - Pedes saltem ad femora plus minusve setigeri. SCATOPHAGINA ITALICA. 89 Gen AI. TricnopaLpus findn. Sp. Typ. Cordylura Fraterna Fall. NN. Scutellum setis sex instructum, quorum due minores. P. Arista distincte, pilosa. - Gen. XII. ScatopHAGA Mogu. Sp. Typ. Musca Stercoraria Lin. PP. Arista nuda vel subnuda. Gen. AITI. ScaTINA Desy. Sp. Typ. Scatophaga Squalida Macq. MM. Costa alarum spinulis distincte serrata. Q. Scutellum setis sex instructum - Antenne longiusculze, deflexz. Gen. XIV. FucELLIA Deso. Sp. Typ. Scatophaga Fucorum Fall. 00. Scutellum setis quatuor preditum - Antenne breves, erecte. Gen. AV. HeLomyza Fall. n ; Sp. Typ. Hel. Rufa Fall, | BB. Antenne articulo tertio lenticulari vel sub-disciforme - Arista versus medium non ad radicem articuli inserta. R. Costa alarum distincte spinulosa, Gen. XVI. LERIA Deso. Sp. Typ. Musca serrata Lin. RR. Costa alarum spinulis distinetioribus non serrata. 90 C. RONDANI, S. Epistomium si paulo porrectum buccula distineta non concomi- talum. T. facies et frons satis angustae - Abdomen maris lineare et pilis hirtum - Zena secunda longitudinalis valde elongata, fere con- tra transversam exteriorem. Gen. XVII. Tuta Deso. Sp. Typ. Th. Diversa n. TT. Facies et frons latitudine ordinaria - Abdomen maris nec satis exile nec pilis hirtum - Alarum vena secunda longitudinalis non aut vix producta ultra transversam interiorem. Gen. AVIII. HereroMmyzA Fall. Sp. Typ. Helomyza Flavipes Zett. SS. Epistomium satis porrectum, et buccula distineta concomitatum, U. Arista distinete pubescens - Pedes pilosi sed non setosi. Gen. XIX. PraicopRomia Stnhm. Sp. Typ. Colopa fucorum 77 alhb. UU. Arista nuda. - Pedes pilosi et setosi. Gen. XX. CoeLopa Mgn. (*) Sp. Typ. Cel. Frigida Fall. AA. Oculi oblongi, subhoryzontales. Gen. XAT. Oryoma Mgn. (*) Sp. Typ. Or. Luctuosa Mgn. SCATOPHAGINA ITALICA, 91 Gen. I. SpAzipHORA fndn. Cordylura Fall. Mgn. Zett. Cleigastra p: M/acg. Hydromyza p. Schin (non Fall.) Characteres Generici Palpi in spathulam subpapyraceam valde dilatati, proesertim in mare; margine setuloso, sed apici seta distineta majori destituti. Arista subnuda, articulo secundo non manifeste longiusculo, ad ba- ‘sim articuli inserta. ‘enne breviuscule , articulo ultimo ad apicem extrinsecus sub- acuminato. Alce vena secunda longitudinali, costalem attingente satis ultra trans- versam interiorem: tertia distinete breviore quinta; septima mar- gini postico producta: quarta et quinta ad apicem manifeste diver- gentibus. Scutellum setis quatuor instructum. Femora inferne non setigera, quatuor anterioribus crassis, posticis minus pracedentium: metatarsi pedum posticorum non compressi. Genitalia maris parum incrassata, et lobis validis non instructa. Sp. Typ. S. Hydromyzina Fall. Mgn. Macq. Zett. Rndn. Fallenii Schin. (Hydromyza). v. Descript. Zetterst. V. p. 2037. Specimina Coll. mer a Dania missa a Clar. Staeger. Nondum capta in Italia. 92 C, RONDANI, Gen. II. STORGERIA Andn. (1856.) Cordylura Mall. Mgn. Zett. Cleigastra p. Macq. Hydromyza p. Schin. (non Fall.) Char, Gen. Palpi in spathulam satis compressam dilatati. Antenne breviusculae, articulo tertio ad apicem extrinsecus acuminato. Arista subnuda, articulo secundo non distincte longiusculo. Alarum vena secunda longitudinalis costalem attingens contra trans- versam interiorem: tertia longa ut quinta: septima margini postico producta: quarta et quinta magis convergentes quam .divergentes exlrinsecus. Scutellum quadrisetosum. Femora subtus non setosa, posteriora saltem maris valde incrassata, anticis minus sequentium. Metatarsi pedum posticorum in utroque sexu compressi. Genitalia maris haud satis incrassata, et lobis validis destituta. Sp. Typ. St. Kuntzei Zett. Steg. Rndn. v. Descript. Zetterst. Cordylure N. 17. Genus Clar. Stoegerio dicatum a quo exemplaria speciei Danica ac- cepi, nondum in Italia inventa. Gen. III. Miopina Desv. Macq. Endn. Schin. Coenosia p. Mgn. V. — Cordylura p. VII. Anthomyza Zett. (J. Lap.) — Aricia (D. Scand.) Musca Fall. — Corthophila p. Macq. Char, Gen. Palpi in spathulam non dilatati. SCATOPHAGINA ITALICA. 95 Antenne elongate, articulo tertio Jatiusculo, triplo et ultra longiore precedentibus conjunctim. Arista nuda, articulo secundo manifeste Iongiusculo, et cum tertio subcubitato. Facies non inclinata, ore reflexo, vibrissis circiter quatuor ad unum- quodque latus epistomii. Scutellum quatuor setis preeditum. Alarum vena secunda longitudinalis costalem attingens contra trans- versam interiorem. Abdomen maris subtus valde incurvatum. Pedes femoribus superne et inferne pilosis non setosis; metatarsis posticis in mare incurvis et paulo depressis. Sp. Italica unica M. Reflexa Deso. Macq. Rndn. Schin. Myopina Fall. Mgn. Zett. Frontalis 9 Macg. (Chortophila.) v. Descript. Zett. Aricia N. 113, cui adde: Arista paulo longe a basi articuli inserta. - Alarum vena transversa exterior recta, et longior distantia a margine postico. Non rara prope acquas in planitie parmensi. In Insubria quoque lecta a Prof, Erra et Com. d’Arco. (Nora) Musca riparia Fall. huic generi adscripta a Doct. Schiner Coenosiis pertinet, in quibus calyptrorum squame inferae superis longiores. Gen. IV. GonaTHERUS £ndr. Cordylura Fall. Zett. Cleigastra p. Schin. Char. Gen, Facies paulo inclinata, ore non reflexo - /rons paulo porrecta - Epistomium setis mistacinis 5-4 ad unumquadque latus. ” 94 C. RONDANI, Palpi paulo compressi, seta nulla sat distintiore apicali. Antenne elongatae, articulo tertio latiusculo ‘et saltem. trilongiore precedente - Arista subnuda, articulo secundo distincte longiusculo sub-incurvo, et cum tertio geniculato. Scutellum quatuor setosum. Alarum vena septima longitudinalis margini posteriori producta. Pedes femoribus inferne non nisi parce et subliliter setosis, nec longe pilosis: tibiis intus non villosis. Genitalia maris lobis validiusculis concomitata. Sp. Typ. G. Planiceps Fall. Lett. Ti findn. PL Friesii Zett. 9 — Schin. PL v. Descriptiones Zett. Cordylurarum N. 50 et BI. Utriusque sexus exemplaria collectionis mex antennarum basim plus minusva rufescentes praebent, de qua nota silent auctores, tamen aliis characteribus sp. iste referenda. Huc usque apud nos non lecta; specimina ejusdem possideo germa- nica a CI. De Roser missa. Gen. Y. Cnemopocon Andn. Cordylura Fall. /7dm. Mgn. Zett. Cleigastra p. Macg. Schin. Char. Gen. Palpi subeylindrici, setulosi, sed apici seta nulla sat majore.- Macies non inclinata. Antenne elongate, articulo tertio quadruplo circiter longiore pra- cedente - Arista distincte pilosa, seu plumosula, articulo secundo manifeste longiusculo et cum tertio geniculato. Scutellum setis quatuor praditum. Alarum vena septima longitudinalis margini postico producta. Pedes praesertim maris, femoribus inferne, et tibiis intus pilis et se- tulis longis villosis. | SCATOPHAGINA ITALICI. 95 Genitalia maris lobis validiusculis concomitata. Sp. Typica. Cn. Apicalis Wdm. Fall. Mgn. Macq. Zett. Rindn. Schin. v. Descript. Meigenii et Zetterstedtii. Huc usque in Italia non inventa. Specimina collectionis mer Danica a Clar, Staeger missa. Gen. VI. CorpyLura Fall. Latr. Mgn. Macq. Zett. Walk. Rndn. Schin. Misina Desv. — Phrosia Desv. fndn. Ocyptera p. Fab. — Musca Lin. Char. Gen. Antenne breves articulo tertio parum longiore procedente - Arista distinete pilosa vel sub-plumata, articulo secundo non longiusculo Palpi etiamsi paulo compressi, in spathulam non satis dilatati, et apici seta longiore et validiore muniti. Scutellum selis duabus tantum instructum. Alce costa non spinulosa: vena secunda longitudinali non elongata usque contra transversam interiorem ; seplima margini postico producta. * Pedes proesertim in tibiis setosi, femoribus anticis setigeris vel pilo- sis sed non biserialim spinosis. Abdomen maris apice incrassato et lobis validis inferne preditum. Species Observate. A. Palpi nigri vel nigricantes. - B. Tibia omnes nigricantes. Sp. 1. C. Ciliata Mgn. BB. Zibie omnes saltem late testacea. 96 C. RONDANI, C. Zene longitudinales quarta et quinta ad apicem parallele non paulo divergentes. D. Tarsi puntis nigricantibus signati. - 7ibie postice maris intus crebre sed non longe villos®e. Sp. 2. Pubera Lin. DD. Zarsî punctis nigricantibus non signati - Tibie postice etiam maris intus non villose. Sp. 3. Impudica Andn. CC. Zena longitudinales quarta et quinta extrinsecus manifeste di- vergentes. Sp. 4. Pudica Mgn. AA. Palpi lutei vel rufescentes. E. Thorax cum pleuris totus niger. F. Zrons parlim, et Arista rufescentes. Li Sp. 3. Albilabris Fab. FF. Frons tota nigra. - Arista nigricans. Sp. 6. Nigriseta Andn. EE. Thorax saltem ad pleuras luteus vel testaceus. G. Antenne ad apicem nigre. Sp. 7. Fuscitibia ndn. GG. Antenne tota pallide lutex. Sp. 8. Albipes Zall. SCATOPHAGINA ITALICA. 97 Observ. et Synon, Sp. 1. Ciliata Mgn. Macq. Zett. Schin. v. Descript. Zetterstedtit V. p. 1999. Exemplar unicum speciei possideo in Germania lectum a De Roser. In Italia nondum species inventa. Sp. 2. C. Pubera L. Fab. Fall. Mgn. Macq. Wlk. Zett. Schin. Picipes v? Mgn. Macq. Dejeanii v? Des. Macq. v. Descript. Zett. V. p. 1993. Gallize, Germania, Anglize, Scandinavia, ete. incola; inde facilius in Italia boreali legenda, tamen hic et nunc exemplar unicum possi- deo in Gallia lectum a Macquartio. Sp. 3. G. Impudica w. Habitu similis Pudice Mgn. at paulo major et diversa , precipue , venis longitudinalibus alarum quarta et quinta extrinsecus non . manifeste divergentibus. Proxima etiam Pubere Lin., sed statim distinguenda tarsis non fusco-punctatis in foemina , nec nigro-pun- ctatis in mare, et istius tibiis posticis intus non manifeste villosis. Ab utraque vero difert nostra, colore frontis toto nigro vel nigricante, non apici plus vel minus lutescente. Creteri characteres circiter ut in duabus hic indicatis, scilicet. - .4n- tenne, Palpi et Femora nigra - Tibie cum tarsis paulo fuscioribus testacez. | Femora maris inferne longe villosa. - Tidie posticse intus non ciliate, sed tales sunt antica et intermedia. Palpi non raro intus paulo rufescunt. Non rara ad acquas palustres in agri parmensis planitie propepa- dana'ab Aprile ad Junium. Vol. X. 7 98 C. RONDANI, Sp. 4. C. Pudica Mgn. Macq. Zett. Schin. V. Descript. Zetterst. V. p. 1998 Confer observationes meas in descriplione preecedentis sp. Unicum exemplar germanicum possideo a Clar. De Roser missum — Italia non lecta. Sp. 5. C. Albilabris Zabr. Mgn. Macq. Zett. Schin. Scirpi Desv. v. Descript. Zetterst. V. p. 2002; cui adde: Femora antica in medietate basali setis quatuor distinctioribus in- ferne armata: postica, prosserlim in mare, setis pariter quatuor inferne instructa, sub-2que distantibus. Frons magis vel minus late rufescens. Pedes postici femoribus luteis eliam apice, et tibiis plus vel minus infuscatis sed non nigricantibus. Nondum capta in Italia. - Exemplaria nostra gallica a Clar, Macquartio missa. Sp. 6. C. Nigriseta Mihi. Mas similis mari preecedentis sed nolis diversis distinguendus, scilicet - Arista nigricante non rufescente: - Fronte tota nigra non antice rufescente - Femorum anticorum seta inferze sat exiliores; posti- corum due tantum, una sub-apicali, secunda minore sub-interme- dia - Color femorum posticorum apice late nigricans, tibiarum 2equali - Alarum vena transversa exterior valde proxima interiori magis quam apici quinte longitudinalis. Mares tantum raro legi mense Junio in planitie parmensi, et unum misit Clar. Spinola in Pedemontio captum. Sp. 7. C. Fuscitibia Mihi. Foemina similis fem: A/bipedis Fabr., saltem colore pleurarum te- SCATOPHAGIN® ITALICA. 99 staceo, sed cum eadem non confundenda, preserlim - Anfennis apici distincte nigris non totis pallide Iuteis, et tibiis posticis totis cum apice femorum plus minusve infuscatis. Colore antennarum proxima videtur /'uscipedî Zett., sed certe diver- sa, femoribus in medio non infuscatis, nec anticis eorum subtus inermibus, sed setis aliquibus longis ad basim instructis, pleurisque luteis non schistaceis. Foeminas tantum raro inveni mense Augusto in planitie parmensi, et exemplar sexus ejusdem obtinui a Prof. Piccioli prope+Florentiam lectum. Sp. 8. Albipes Fall. Mgn. Macq. Zett. Walk. Rndn. Schin. Filipes. Desv. — Bilineata v. Mgn. v. Descript. Zetlerst. V. p. 2004. Rara tempore aeslivo in agro parmensi ad acquas collinas. Gen. VII. NoreLLiA Desv. Rndn. Schin. Cordylura Fall. Mgn. Macq. Zett. Walk. — Musca Pnz. Char. Gen. Caput retro oculos non manifeste elongatum. Palpîi in spathulam non distincte dilatati. Antenne non elongate, articulo tertio duplo circiter longiore pre- cedente - Arista pilosa, articulis primis brevibus. Os seta unica mistacina ad unumquodque latus. Ale costa non spinulosa: vena secunda longitudinali satis ante trans- versam interiorem costalem attingente. - Scutellum bisetosum. Femora antica et tibie proprie duplici serie spinarum validarum intus armata: femora posteriora ad apicem non biserialtim spinu- losa, sed setis paucis tantum instructa. Tibie omnes, quamvis parce, tamen setigere. Genitalia maris incrassata, et lamellata. 100 C. RONDANI, Species Observate. A. Femora superne vitta nigra longitudinali signata. Sp. 1. Striolata Mgn. AA. Femora vel tota testacea, vel paulo tantum infuscata ad apicem. B. Arista nigra. - Caput postice non nigromaculatum. Sp. 2. Spinimana Full. BB. Arista lutescens - Caput postice nigro bimaculatum. C. Spine interiores et exteriores pedum anticorum omnes nigra et valide. Sp. 3. Roserii findn. CC. Spina interiores pedum anticorum lutescentes et graciliores , exterioribus nigris et validiusculis. Sp. 4. Bertéi Andn. Observ. et Synon. Sp. A. N. Striolata Mgn. Schin. Striata IMacq. findn. (non Mgn.) v. Diagn. Meigenti V. 235, cui adde: Caput postice nigricans sed non bimaculatum. Pedum anticorum spine omnes nigra et circiter ut exteriores etiam interiores valide, Maris pedes intus distincte villosi , femorum posteriorum apiee, seta aliqua subtus predito. Raro uterque sexus lectus prius a Doct. Bertéo, et post a me ipso, in Apennino parmensi. SCATOPHAGIN/E ITALICA, 401 Sp. 2. N. Spinimana Full. Mgn. Macq. Schin. Pseudonarcissi Desv. — Semiflava Pnz. v. Descript. Zettersid. V. p. 2007, cui adde: Caput postice ut alibi testaceum, non nigricans, nec nigro-maculatum. Femora postica et intermedia magis vel minus infuscata ad apicem. Raro lecta in alpibus Insubrie a Fratr. Villa. Sp. 5. N. Roserii Andn. — Mas. Long. Mill. 9. Magnitudine similis mari striolate sed ab hac et ab aliis diversa. Antennis cum arista distincte pilosa, lutex. Capite retro oculos nigro bimaculato. Thorace testaceo, dorso et metathorace nigricantibus. Pedibus totis cum tarsis testaceis, intus longe villosisj; anticorum spinis interioribus et exterioribus sub-aeque validis et nigris; fe- moribus posterioribus seta vix ulla apicali subtus preeditis, tibiisque propriis sat parce setulosis. Alarum vena quarta longitudinalis non recta sed paulo magis distans a quinta ante apicem quam in apice - Colore dilute lutescente in costa fusciore: apice non neque parum infuscato. Specimen germanicum possideo a CI. De Roser missum nomine di-. stinctum. - Alavicauda Mgn., sed ab hac difert. - T'horace testa- ceo fere toto. - 4rista lutescente non nigricante et non breviter pilosula sed pilis longiusculis preedita, preter alias notas in dia- gnosi nostra allatas, de quibus silet Meigenius. Sp. 4. N. Bertéi Andn. -— Foemin. Long. Mill, 5. A congeneribus facillime distinguenda pedum anticorum spinis, qua- rum series interiores tam in femoribus, quam in tibiis, colore pal- lide lutescente non nigro, et magnitudine minori diversissime sunt. Proterea, antenne cum arista breviter pilosa, lutescentes - Caput retro oculos nigro bimaculatum - Thorax testaceus, dorso et vittis 102 C. RONDANI, lateralibus nigricantibus. - Abdomen Jluteum incisuris nigro linea- tis - Pedes postici in parte apicali paulo setosi, toti cum tarsis lutei - Ale venis longitudinalibus quarta et quinta extrinsecus subparallelis, transversa exteriore ab interiori et ab apice quinte longitudinalis fere aequidistans, etc., elc., istam ab aliis speciebus congeneribus sejungunt. Foeminam tantum observavi a Doct. Bertéo in Apennino parmensi captam, Gen. VIII. ACHANTHOLENA Andn. Norellia p. Schin. Char. Gen. Caput retro oculos elongatum. Palpi in spathulam non dilatati. Antenne mediocres, articulo tertio duplo et ultra longiore prece- dente - Arista nuda, articulis duobus primis brevissimis. Epistomium setis duabus tantum vibrissinis proeditum. Scutellum setis duabus instructum. Ale venis longitudinalibus quarta et quinta extrinsecus parallelis; costa non spinulosa. Femora antica serie duplici setarum validarum subtus armata, exte- rioribus magis elongatis: quatuor posteriora in parte apicali, bise- rialim subtus spinulosa. | Tibie antica serie tantum exteriori spinarum instructe; posteriores i nude, vix setula aliqua apicali observanda. Genitalia maris incrassata et lobata. Sp. Italica Unica. Sp. 4. A. Maculipennis Andn. Spinipes? Schin. (non Mgn.) Nisi eadem proxima videtur /orellie spinipedi Schinerii exclus, sin. SCATOPHAGINA ITALICA. 103 Meigenii, cujus species sic nuncupata - ZRoracem cinereum non fere totum testaceum; Zrontem cinerascentem vitta flavida, non totam flavescentem puncto ocellari nigro: Capztis partem occipita- lem cineream, non luteam nigro bimaculatam; et Aristam flavi- dam non nigram prebet. Nostre arista lutea ut Antenna - Caput flavescens puncto ocellari nigro, et maculis duabus latis retro oculos nigricantibus. Thorax testaceus, metathorace sub scutellum nigricante; et fasciis duabus longitudinalibus ad latera dorsi, atris, latis, postice bifidis, ramulis exterioribus ad radicem alarum sistentibus, interioribus in scutellum flavicantem productis, cujus latera sic nigra. Abdominis dorsum nigro-nitidum, apice, genitalibus, et ventre rufo- flavis. Ale sublimpide, venis transversis anguste, et longitudinalibus tertia, quarta , et quinta ad apicem late fusco limbatis, sic ut aliquando fuscedo maculam latam unicam constituat. Pedes toti cum tarsis testacei, et preter spinulas femorum nigras, subnudi. Mares raro legi, et semel foeminam in collibus agri parmensis, Junio et Julio, Gen. IX. CLercastRA Macq. Rndn. Schin. Cordylura Fall. Mgn. Zett. Char. Gen. Palpi non in spathulam dilatati. Antenne breviuscule, deflex®e; arista nuda vel subnuda, articulis primis brevissimis. Ipostomium setis marginatum prater vibrissas ordinarias 2-4 in epi- stomio insertas. Pedes antici femoribus inferne et tibiis setigeris, sed spinis validis intus non armati: postici femoribus subtus, et tibiis sparsim quam- vis parce setosis, non crebre pilosi. 104. C. RONDANI, Alarum costa nonspinulosa:.vena. longitudinalis septima. Naloni postico producta. Scutellum bisetosum. | Organa copulatoria maris incrassata, et lobis mediocribus concomitata, Species Observalze. A. Pelpi pallidi. Sp. 4. Flavipes Fall. (non Mgn.) AA. Palpî nigricantes. Sp. 2. Nigrita /all. Observy. et Synon. Sp. A. C. Flavipes Fall. Zett.. Schin. (non Mgn. nec Macq.) v. Descript. Zettersi. V. p. 2057. In specimine a me observato, Costa Alarum preesertim circa apicem paulo fuscescens. | Coxe antica testace®, posteriores. nigricantes; femora testacea, et tibie paulo fuscescentes. i | C. Flavipes Meigenii, antennis in medio rufis, foeemina videtur Pun- ctipedis. — V. Gen. Trichopalpus Rndn. Sp. nondum capta in Italia, exemplar colleclionis mex foemineum, | in Germania captum a Clar. De Roser, Sp. 2. C. Nigrita Fall. Mgn. Macq. Lett. Rndn. Vi nn Zetterst. V. p. 2050. Hanna omnia cum coxis nigricantia; tibia cum /arsîs lutescentes, istis fuscioribus. SCATOPHAGIN® ITALICE. 105 Alarum vena transversa exterior longa ut distantia ab apice sexta longitudinalis. Raro foeminas legi, primo vere in planitie agri parmensis. Gen. X. GimnomeRA Andn. Cordylura Fall. Mgn. Zett. Char. Gen. Antenne breves, deflex2e - Arista nuda. Ipostomium setis non marginatum - Epistomium vix seta aliqua mi- stacina preditum. Palpi subeylindrici, non distincte compressi. | Pedes omnes et toti nudi, etiam femoribus inferne non setigeris, vix setula aliqua sat parva ad genicula ct tibias. Scutellum. quadrisetosum. Alarum costa non spinulosa: vena longitudinalis septima a margine postico distans. Genitalia maris incrassata, sed lobis validis non instructa. Species Typica - G. Tarsea all. Observ. et Synon. Sp. 4. G. Tarsea Fall. Mgn. Zett. v. Descript. Zetterst. V. p. 2078. Tota lutescens, tarsis obscuris, et puncto ocellari nigro. Apud nos non lecta: specimina coll. mex a Clar. Stoeger missa, et unum mas a Clar, Macquartio, illa in Dania, istud in Gallia boreali lecta. 4106 C. RONDANI, | Gen. XI. TricopALpus Andn. Cordylura Fall. Mgn. Zett. Cleigastra Macq. Schin. p. — Nupharia p. Deso. Hydromyza Schîn. p. (non all.) Char. Gen. Atrtenne longiuscule, articulo tertio triplo circiter longiore prece- dente, apice extrinsecus sub-acuminate. Arista subnuda - Scutellum quatuor setosum. Palpi modice compressi, seta apicali non valida sed ab aliis sat par- vis distinclissima. Os setis mistacinis pluribus, et inferne etiam setigerum. Alarum costa non spinulosa; vena septima longitudinalis margini posteriori producta. Pedes femoribus plus vel minus setosis vel setulosis, saltem partim, nec nudis, nec crebre pilosis; tibiis sparsim setulosis. Genitalia maris incrassata et lobis longiusculis preedita. Species Observate. A. Pedes fere toti Lutei. Sp. 1. Punctipes Mgn. AA. Pedes femoribus saltem late nigricantibus. Sp. 2. Fraterna Fall. SCATOPHAGINA ITALICA, 107 Observ. et Synon. Sp. A. T. Punctipes Mgn. Macq. Zett. Schin. Flavipes (Foem.) Mgn. Macq. (non Fall.) v. Descript. Zett. V. p. 2046. Coxe antica lutee, quatuor sequentes nigricante grisea - edes omnes lutescentes excepto tantum apice femorum anticorum nigro. Foeminam tantum italicam in Pedemontio captam a Prof, Genéo ob- servavi. Alia specimina tamen possideo Danica, Germanica et Gal- lica, a Stoegerio, De Roser et Macquartio missa. Sp. 2. T. Fraterna Mgn. Zett. Rndn. Schin. v. Descript. Zetterst. V. p. 2038. Species huc usque non inventa in Italia, exemplaria mea danica, a Clar. Stoeger missa. Gen. XII. ScatopnAGA Mgn. Latr, Macq. Walk. Rndn. Schin. Scatomyza Zall. Zett. — Musca L. Fab. Pnz. Rossi. Charact. Gen. Antenne flex®, elongatae, articulo tertio triplo vel quadruplo se- quente - Arista pilosa vel plumosula. Palpi non dilatati, parum compressi, setulosi. Os setis mistacinis pluribus ad unumquodque latus epistomii, inferne setis destitutum sed pilosum. Scutellum setis sex proeditum. Ale costa non spinulosa; vena septima longitudinali margini poste- riori producta. 408 C. RONDANI, Femora omnia saltem maris inferne crebre pilosa, setulis longis et exilibus pilis permixtis, sed setis validiusculis destituta - Tibie distincte setigere. Genitalia maris parum inerassata, et non lobata. Sp. Italica. A. Antenne nigra. Sp. 1. Stercoraria Lin. AA. Antenne fulvae vel testacea. . Femora nulla nigricante-vittata. C. Zena longitudinales quarta et quinta ad apicem manifeste con- vergentes. we) Sp. 2. Scybalaria Lin. CC. Zene longitudinales quarta et quinta ad apicem non distincete convergentes, D. Scutellum totum, vel fere totum testaceum, basi saepe maculis duabus. fuscis. AT PR CREO i cla Sp. 3. Lutaria Fabr. DD. Scutellum totum vel fere totum fuscogriseum, apice vel limbo tantum rufescente. Sp. 4. Inquinata Mgn. BB. Femora duo vel quatuor superne nigro vel fusco-vittata. E. Zemora duo antica superne nigro-vittata, non intermedia ; postica serie ordinaria setarum superne instructa. SCATOPHAGINZ ITALICA. 109 Sp. 8. Maculipes Zett. » Sè . . . . . . EE. Femora antica et intermedia nigrovittata; postica serie supera setarum destituta, saltem in mare. ‘Sp. 6. Ta2eniopa Andn. Observat. et Synon. Sp. J. S. Stercoraria Zin. et Auct. omnes Merdaria v. Auct. Characteres nullos observavi sic stabiles ut distinetio specierum sferco- rarie et merdarice confirmata sit. Non color pilorum et tomenti a fulvo ad griseum gradatim vertens in mare, et diversus etiam in foeminis quamvis pallidior : non magnitudo sat variabilis: non pi- ctura pedum constans in exemplaribus innumeris, valent ad distin- ctionem specierum, et unico pertinere confirmatur observatione copularum frequentium, in quibus foeminis omnino @®qualibus ma- res diversissimi conjuncti. Species ideo Fabricii , nisi mihi ignota et Italie non incola, cum Linneana conjungenda. Color pedum a Meigenio tamquam fulvus indicatus, muta in fulvo-to- mentosus. In tota Italia vulgatissima. Sp. 2. S. Scybalaria Zin. et Auct. omnes v. Descript. Zett. V. p. 1960. Character precipuus distinctionis in venis longitudinalibus 4 et 8 ob- servandus, versus apicem distincte convergentibus. Specimen unicum Alpinum, a Clar. De Cristofori Mediolanensi olim obtinui. 110 C. RONDANI, Sp. 3. S. Lutaria Fab. Mgn. Macq. Zett. WIk. Schin. Suillia v. Full. Zett. Analis v. Mgrl. Mgn. Schin. v. Descriptiones Zett. et Meig. Antenne aliquando apice infuscato. Scutellum fere totum vel late testaceum, sepe basis tantum 1: Tina fusco-maculatis, raro totum testaceum, aliquando basi tota non late fuscescente. Metathorax sepius fuscus, non frequenter in juvenilibus luteus fusco- bivittatus, rarius totus luteus. Frontis vitta rufa, aliquando paulo fusca. Thorax pleuris testaceis, nunc unicoloribus, nunc fusco-maculatis. Abdomen sepe rufum, lineis nigricantibus ad suturas segmentorum in utroque sexu, sed non raro fnsci tinctum, aliquando etiam late ad basim praeserlim in masculis. Varietatibus pluribus sic distinctis facile erat species diversas/consti- tuere. Vulgaris in agro parmensi preesertim collino et montuoso, et in aliis Italie plagis etiam lecta borealibus et meridionalibus. Sp. 4. S. Inquinata Mgn. Zett. Schin. v. Descript. Zett. V. p. 1963, cui adde: Antenne aliquando fusca, praesertim in foemina. Abdomen pariter infuscatum non raro ad basim, apice plus vel mi- nus late rufum. Scutellum semper griseo-fuscum, tamen limbo apicali frequenter ru- fescente: Pleura grisee, vel fusce ut methatorax : quae note istum a specie precedente sejungunt, a sequentibus vero femori- bus haud nigro-vittatis ista diversa. Non frequens in agro parmensi a martio ad octobrm. ca De im TA Durham irrita i n SCATOPHAGINE ITALICA, {1 Sp. 3. Maculipes Zetl. v. Descript. ejusd: Auct. V. p. 1964. Thorace griseo-fusco cum pleuris et scutello toto aut fere toto, pre- cedenti similis, sed distincta. Abdomine utriusque sexus nigricante, apice tantum plus vel minus testaceo. Ab omnibus vero supra indicatis diversa, femoribus anticis semper et distincte nigro-vittatis superne. Frequens in toto agro parmensi, tempore preesertim verno ed autum- nali. Lecta etiam in Insubria ab Erra, et in Etruria a Piccioli. Sp. 6. S. Taeniopa Miki. Mas, habitu et statura similis mari praecedentis, et facile cum eodem confundendus, tamen sat diversus, preesertim : 1.° Femoribus quatuor anterioribus, non duobus tantum anticis ni- gro-vittatis superne. 2.° Femoribus posticis, superne setis ordinariis seriatim dispositis nullis, sed pilosis tantum, vix setula ulla sub-apicali instructis: in foemina tamen setulosis sed parcius. 3.° Coxis quatuor posterioribus, macula nigra ante basim signatis. Preterea color pleurarum magis fulvescens quam griseus: antenne apice paulo infuscato, etc. Sat raro exemplaria utriusque sexus in collibus agri parmensis legi. Gen. XIII. ScatINA. Desv. Rndn. Scatophaga Zatr. Mgn. Macq. Schin. Scatomyza Fall. Zett. Char. Gen, Antenna mediocres articulo ultimo fere trilongiore secundo. — 4rt- 1192 C. RONDANI, sta nuda vel subnuda, articulis primis brevibus. — Scutellum sex setosum. Epistomium selis mistacinis pluribus, ore inferne setulis vel pilis mar- ginato. , Ale costa non spinulosa; vena longitudinali septima marginem pos- teriorem attingente. Pedes in maribus pilosissimi, femoribus inferne villosis sed. non se- _ligeris. Genitalia maris parum incrassata et non lobata. Species Italicee. A. Palpi lutei vel pallidi. B. Femora saltem quatuor posteriora testacea. Sp. 1. Squalida Mgn. BB. Femora omnia saltem partim nigricantia. C. Os inferne sub vibrissas setulosum non pilosum tantum. — Ze- mora postica extrinsecus serie setarum. supera destitata in. mare. Sp. 2. Littorea all. CC. Os inferne post vibrissas pilosum non setulosum. — Femora pos- tica serie setarum supera etiam in mare extrinsecus munita, Sp. 3. Fluvialis Mihi. AA. Palpi nigricantes saltem late extrinsecus. : Sp. 4. Fontanalis Miki. SUATOPHAGINE ITALICA. 1153 Observat. Synon. Sp. A. S. Squalida Mgn. Macq. Leti. Schin. Fuscinervis Zett. (In Lap.) — Incisa Macgq. Andn. v. Descr. Zett. (Dip. Sc.) V. p. 1972. In qua notatur, femora antica vitta supera nigricante signata esse , quod exemplaribus nostris convenit, sed in diagnosi Meigenii nota ista oblita fuit, inde non certum est an de specie identica agatur, et forte Sc. Incise Macquartii Sp. squalida Zetters: referenda, di- versa a Meigeniana. Exemplaria nostra marginem oris post vibrissas setis dislinctis non ciliatum preebent. Rara in collibus et planitie agri parmensis. Exemplar quoque obtinui etruscum a Pr. Piccioli, et Pedemontanum a Genèo. Sp. 2. S. Littorea Fall. Mgn. Zett. Schin. v. Descript. Zelterst. V. p. 1975, cui adde: Oris latera retro mistaces ordinarios setulis marginata. — emora postica maris serie supera setarum extrinsecus destituta, quibus foeemina preedita est. Exemplaria collectionis mese danica vel gallica a Clar. Stoegerio et Macquartio missa, uno tantum foemineo excepto, olim a Com. Con- tarini ad littora Adriatici capto, Sp. 5. S. Fluvialis Mihi. Similis S. Ziltoree a qua vero facile dignoscenda, marginem oris ob- servando retro vibrissas quatuor et quatuor, pilosum sed non seto- sum, et maris femora postica setis seriatim dispositis in margine su- pero estrinsecus munita. Preterea corpus sat minus pilosum, magis grisescens, thoracis dorso fusco-quadrivittato. Vol. X. 8 114 C. RONDANI, Facies et gene albe, — Frons antice lutescens, postice grisea, orbitis albidis. — alpi lutescentes. — Antenne tote cum arista nigre. Coxce ut femora nigricantes grisei adsperse. — Tibiis cum apice fe- morum, et trochanteribus, tarsisque luteis. Alze sub limpida, venis non fusco-limbatis. Rara in planitie parmensi Aprile et Majo ad aquas fluviales et pa- lustres. Sp. 4. S. Fontanalis Miki. A congeneribus facile distinguenda palpis nigricantibus, et pedum co- lore toto fusco livido tarsisque nigricantibus: preterea corpus to- tum grisescens; antennis nigris; facie et orbitis albidis; fronte fa- sca paulo antice lutescente; thoracis dorso fusco trivittato: calyp- tris albis; halteribus luteis. Latera oris inferne setis aliquibus longiusculis praedila, Femora setulosa. — Ale limpide, venis non fusco-limbatis, ete. — Pedes in juvenilibus paulo picei. Feminas aliquas tantum legi mense Octobre ad aquas collinas. Gen. XIV. FuceLLIa. Desv. Schin. Halitea Curtis Halyd. — Scatina p. Aindn. Scatomiza Fall. Zett. — Scatophaga Mgn. Macq. Char. Gen. Palpi non distincte compressi nec dilatati. Antenne longiuscule deflex®e; Arista nuda vel subnuda. — Scutel- lum sex setosum. Os vibrissis pluribus, et inferne setulosum. Alce costa spinulis parvis sed distinctis preedicta, una majore contra apicem venz longitudinalis prime. Femora etiam inferne plus minusve setigera. Tibice setulosee preter setus apicales, PIO SCATOPHAGIN® ITALICA. 115: Sp. Observate A. Palpi et pedes tolti nigricantes. Sp. 1. Fucorum all. AA. Palpi intus rufescentes apice nigricante. — Tibie plus vel mi- nus late rufescentes. Sp. 2. Arenaria Desv. Ubserv. et Synon. Sp. 4. F. Fucorum Fall. Mgn. Macq. Zett. Schin. v. Descript. Zetterst. V. p. 1982. Non capta hic et hunc apud nos: exemplaria coll. mex in Dania lecta a Clar. Stoeger. Sp. 2. F. Arenaria Desv. (ann. Soc. Ent.) Fucorum. v. Fall. — Marina Macq. Marittima Curt. Halid. Antenna nigre. — Palpi extrinsecus nigricantes basi lutescente. — Caput luride lutescens : fronte fusco-rufa, rufescentia antice dilu- tiore. Thorax, scutellum et abdomen nigricantia, istius segmenta linea pal- lida cincta ad marginem posteriorem. Ale spinulis costalibus brevibus subtus flexis, spinula costali distin- ctiori erecta contra apicem vene prime longitudinalis; istarum se- cunda non producta ultra transversam interiorem ; quarta et quinta paralleliter decurrentibus : transversa exteriore recta. Calyptra albicantia. — ZZalteres lutci. 116 C. RONDANI, Pedes femoribus nigricantibus, tibiis rufescentibus: preesertim in foe- minis, tarsis nigris. Prope Neapolim lecta a Prof. A. Costa. Gen. XV. HeLomrza Fall. Mgn. Macq. Zett. Walk. Rndn. Schin. Suillia et Leria p. Desv. i Char. Gen. Antenne breves erecte, articulo ultimo vel ovato, vel oblongo apice rotundato, vel raro subdisciformi et tunc arista ad basim, non ver- sus medium articuli tertii inserta. Arista pilosa vel pilosula raro pubescens tantum. Epistomium vibrissis duobus tantum, raro quatuor preeditum. — Scw- tellum quadrisetosum. Ale costa spinulosa, vena transversa interiore apici opposita secun- dre longitudinalis. Tibie seta unica exteriori preedita: preter apicales. Specize Italica. A. Alarum venze transversae manifeste fusco-limbate. B. /'ene longitudinales tres versus apicem distinete fusco-maculatae vel fusco-limbate. C. Femora antica et dorsum abdominis late e distincte nigricantia. Sp. 4. Agaricina Mihi. CC. Femora antica et dorsum abdominîs non distincte nec late nigri- cantia. D. Arista brevissime pilosula vel subnuda. E. Arista subnuda. — Zibrîss@ quatuor. Sp. 2. Ustulata Mgn. EE. Arista pilosula. — Zibrisse dux. DD. . Tibia ad apicem non manifeste infuscate. . Vena quinta ante transversam interiorem puncto fusco supra nu- GG. . Tarsiî apice nigricantes. . Vence longitudinales tres in apice alarum maculas discretas fu- ni JJ. K. KK. HH. FF. . Femora intermedia ad basim spinis validis inferne armata, pre- SCATOPHAGIN® ITALICA. 117 Sp. 5 Similis Mgn. Arista pilis longis vestita. merum notata. Sp. 4. Bistrigata Mgn. Vena quinta puncto fusco supranumerum nullo. scas prebentes. Sp. 5. Flava Mgn. Venarum fuscedo apicalis vel sub apicalis maculam unicam la- tam constituens. Macule fusce in unica confusa, ante apicem hyalinum sistentes. Sp. 6. Rufa Mgn. (non Zall.) Macule fusce in apice alarum non hyalino conjunete ct con- fuse. Sp. 7. Praeusta Mgn. Tarsi toti eliam apice rufescentes, etiam si articuli ultimi paulo obscuriores. Sp. 8. Affinis Mgn. Tibie ad apicem plus vel minus sed manifeste infuscata. ter apicales. . Spine femorum intermediorum crebre, plurime, breves. +48 i > Co RONDANIy Sp. 9. Maxima Schin. MM. Spine infere femorum intermediarum ad basim, d. 6. validiores in serie disposile. Sp. 10. Tuberiperda Mini. LL. Femora intermedia inferne pilosa vel setigera, sed ad basim spinis validiusculis non armata. Sp. At. Fungorum Desv. BB. Z7ence longitudinales in apice alarum non fusco-maculate, nec . distincte nec late fusco-limbatr. | N. Tibie ad apicem infuscate. — Arista longe pilosa. Sp. 12. Agnata Miht. NN. 7'ibie ad apicem non infuscatae. — Arista breviter pilosa. O. Antenne articulo ultimo sub-ovato. Sp. 15. Nemorum Mgn. 00. Antenne articulo tertio subcirculari. Sp. 44, Pilimana Miki. AA. Alarum vena transversaria haud fusco-limbatae. P. Antenne testace® vel fulvo. O. Tursi toti etiam apice fulvescentes. Sp. 15. Flavitarsis Miki. 00. Tarsì apice nigricante. Sp. 16. Pallida Zall. PP. Antenne nigre, vel nigricantes. Sp. 17. Atricornis Mgn. SCATOPHAGINAE ITALICA, 119 Obser. el Synon. Sp. A. H. Agaricina Mihi. — Long. Mill. 6-7. Fusco-ferruginea : #ronte flavo-fulva; facie albidinitente. — Anten- ne fulvescentes; arista brevissime pilosula. — Os vibrissis duabus. T'horacis dorsum vitta obscuriore intermedia notatum. Abdominis pars supera plus vel minus late et distinete nigricans, apice fusco-ferrugineo et saepe etiam latera ferruginosa. Ale paulo fusco-lutescentes, venis transversis, et tribus longitudina- libus ad apicem, distincte fusco-limbatis vel fusco-maculatis. — Halteres albi. Pedes ferruginei, femoribus anticis, in medio late infuscatis vel nigri- cantibus ; posterioribus aliquando paulo infuscatis ; tarsis ad apicem nigricantibus. Frequens in locis umbrosis, proesertim tempore autumnali, et sepius in collibus agri parmensis; frequentior propa agaricos vel boletos in quibus forte ejus larve vivunt. Foetidissima. Sp. 2. H. Ustulata Mgn. Macq. (Blephariptera) Zett. Schin. Leriis proxima charactere arisfe subnude, sed melius ZZelomyzis ad- scribenda articulo tertio elongato non disciformi, et insertione ari- ste ad basim non versus medium articuli orientis. A congeneribus staltim dignoscenda, non solum arista subnuda , sed etiam ore vibrissis quatuor non duabus instructo, etiam in foemina, et palpis apice infuscato. Rarissimo lecta in agri parmensis collibus tempore autumnali. Sp. 3. H. Similis Mgn. ZII Schin. Tigrina Mgn. ZI (non Fall.) Macq. Zett. Communis Deso. (Suillia). Proxima Z/ave, sed arista breviter pilosa. - Zena longitadinalis quinta « ad apicem vix fusco-limbata, non ut in duabus precedentibus ve- 120 ( C. RONDANI, nis macula fusca distlineta observanda; et colore corporis minus pal- lido distinguenda. Frequenter a me lecta a Majo et Septembrem in collibus et montuo- sis Apenninis et Alpinis. | Sp. 4. H. Bistrigata Mgn. Macq. Rufa, facie albicante, p/euriîs albidi nitentibus. Antenne fusco-rufe, articulo tertio ovato-elongato. Arista pilis mediocribus sub-plumata. Frons rufo-testacea, vita intermedia gemina, et puncto ocellari ni- gricantibus. Ala vix fuscescentes, venis transversis et apice trium longitudina- lium 3-4-5 fusco-limbatis: callo ad radicem tertie, litura ad api- cem prime, et puncto in quinta ante transversam interiorem fuscis. Pedes pallide testacei, tarsis vix apici paulo obscurioribus. Abdominis dorsum nigricans. Foeminam unicam observavi collectionis D. Mussino forte in Liguria captam, et marem corsicanum a Clar. Spinola missum. Sp. 5. H. Flava Mgn. Macq. Walk. Comunis p. Desv. Cum H. Simili Meig. facile confundenda, nisi arista observatur, pilis longioribus in flava vestita; sed etiam diversa, vena quinta alarum ad apicem, ut quarta et terltia, macula fusca distincta, non tantum fusco limbata. Preterea color pallidior, et saltem apud nos ava sat rarior Sp. si- mili. Specimen unicum possideo ignote originis, sed facilius pedemon- tanum, _ Sp. 6. Rufa Mgn. (non Fall. nec Zett.) Macq. Walk. Rndn. Apicalis Schin. Hel Rufa Fallenii non retinenda quia speciebus variis instructa (Flava, SCATOPHAGINA ITALICA. 4121 ‘ Proeusta, Tigrina), et icone Panzerii ab eodem citato neque generi Helomyza referendo: inde manet Rufa Meigenii, quae a congene- ribus sat distineta et a Macquartio aliisque jam acceptata. Hel fufa Zetterstedtii a Rob. Desvoidy prius nomine Fungorum nun- cupata, inter synonima, istius locanda. V. Sp. 41. Meigeniana species in Italia frequens. Legitur in agro parmensi pre- sertim collino mensibus Septembre et Octobre. Inventa etiam in Etruria a Piccioli, in Insubria ab Erra et ad Neapolim a Costa A. Sp. 7. H. Proeusta Mgn. Zett. Schin. v. Descript. Zetterst. VI. 2443. Macula fuscae venarum in apice ala confusa fasciam unicam consti- tuentes etc. Marem unicum possideo in montuosis Insubriz inventum. Sp. 8. Affinis Mgn. Macq. Schin. (non Zett.) Hilaris Zett. Rufa, arista longe pilosa. Ala venis transversis distincte, et longitudinalibus 3-4-5 ad apicem dilute fusco-limbatis. A bdomen incisuris nigricantibus. Pedes toli testacei etiam apici tarsorum, etc. Frequenter legitur praesertim in collibus ditionis parmensis, tempore autumnali. Sp. 9. Maxima Schin. - Long. Mill. 10, Rufa, arista nigro-pilosa. - T'horax vitta longitudinali, supera, inter- media, obscura. Ale fuscescentes, venis transversis et trium longitudinalium apice fusco-limbatis: quarta et quinta extrinsecus convergentibus ; trans- versa exteriore obliqua et arcuata. Pedes quatuor anteriores, tibiis et tarsis extrinsecus nigro-villosis ; femoribus intermediis inferne ad basim spinulis numerosissimis et 122 C. RONDANI, crebris, nullis longis, armatis; posticis apici et tibiis propriis ver- sus basim fusco-anulatis; tarsis apice nigricantibus. Unicum marem in locis Alpinis Insubrie lectum possideo. Sp. 10. H. Tuberiperda Mihi - Long. Mill. 8-9. Colore et habitu similis praecedenti, sed minor et diversa, precipue, femorum intermediorum basi spinis longis et validis 5-6, cum mi- Boribus, armata, non spinulis tantum numerosissimis, brevibus, et crebris, - Zena transversa exteriore minus obliqua, et minus in- curva, etc. Color corporis et alarum pallidior. In tuberis cibariis, apud nos, ejus larva vivit, et majo 3 exemplaria ejusdem domi orta possideo: et ejusdem specimen Etruscum a Prof. Piecioli obtinui. l’oemina pedes non villosi, ut femora non ad basim spinosa, ete. Sp. Gigantea Mgu. seu Tuberivora Desv. Qua in Gallia et in Ger- mania devorat tuberos cibarios a nostra diversa, et hic et nunc non lecta in plagis diversis Italicis, Sp.44.H. Fungorum 2Desv. (Suillia). Rufa Zett. Fall. p. (non Mgn. nec Macq.) v. Descr. H. Rufe in Op. Zetterst. ZI, p. 2441. Nota precipua distinctionis a pluribus congeneribus sita est in apice tibiarum distincte infuscato, proesertim in pedibus anticis et posticis : et difert a speciebus duabus preecedentibus, absentia ad basim fe- morum intermediorum seriei setarum validarum, et peniculi spinu- lis brevibus et crebris instructi. | A sequente etiam diversa, abdominis incisuris nigro-lineatis, et venis tribus longitudinalibus distincte ad apicem fusco-limbatis etc. Legitur frequenter a Junio ad Octobrem in agro parmensi, et in Pe- demontio inventa ab Eq. Garbiglietti; et in Etruria a Prof. Piccioli. SCATOPHAGIN® ITALICA. 125 Sp. 12. Agnata Mihi. Affinis Zett. (non Mgn. nec Aliorum.) Similis Sp. Affini Meigenii, sed distinguenda incisuris abdominis non nigro-lineatis, et venis tribus longitudinalibus alarum non distincte fusco-limbatis. Notis hisce difert etiam a praecedente, Preterea co- lorem tibiarum, qua ad apicem sunt infuscate , species sequen- tes non preebent, et ab illis vel istis quoque dignoscenda , venis . quarta et quinta ad apicem distinete convergentibus, ete. Marem tantum .inveni in collibus agri parmensis, tempore autumnali. Sp. 15. H. Nemorum Mgn. Zett. Descript. Zetterst. 7 I, p. 2429. Vence longitudinales ad apicem alarum, aliquando anguste et dilute fu- sco-limbatz. Sp. Simili Meigenii proxima videlur, sed distincta non solum fusce- dine venarum nulla vel subnulla sed etiam incisuris segmentorum abdominis linea nigricante manifesta, et arista etiam brevius pilosa. Non frequens in collibus ditionis parmensis, tempore autumnali. Sp. 14. H. Pilimana JIMiki. - Long. Mill. 3. Mas lutescens, facîe albo-flavescente ; fronte flava, puncto ocellari ni- ‘ gricante, vertice superne et retro oculos fusco-maculato. Antenne ut frons flavo-fulva, articulo tertio subcirculari, sed arista pubescente ad radicem articuli, non medium versus oriente. Alce dilute lutescentes, venis transversis distinctissime fusco-limbatis; costa breviter ciliata. Pedes fulvescentes, pilosi. et selosi, tarsis apice nigricantibus: anticis superne pilis longis et exilibus ciliatis ; femoribus anticis crassiori- bus, superne paulo infuscatis. A bdomen saltem superne nigricans, apice et genitalibus fulvis. - Ha/- teres albi. Unicum marem in collibus subapenninis agri parmensis legi, tempore autumnali, 124 C. RONDANI, Sp. 415. H. Flavitarsis Mihi. - Long. Mill. 3. Mas rafescens, facie albicante; fronte flavida. Antenne fulve ; aristu pubescente ad basim articuli tertii subcircu- lari inserta. Alce dilutissime sub-flavescentes, immaculate ; costa parce et exiliter setulosa. Abdominis segmenta intermedia basi obscure fusca. Pedes pilosi et setalosi, omnino flavescentes etiam apice tarsorum, quamvis isti, setulis brevissimis hirtuli. - Halteres pallide Iutei.. Semel marem mense novembre inveni in colle ditionis parmensis. Sp. 16 H. Pallida all. Mgn. Macq. Zett. Walk. Schin. v. Descript. Zetterst. ZI, p. 2434. Species cum varietatibus notis, sat rara in montuosis parmensibus. Specimina aliqua tantum lecta fuerunt in Apennino a Doct. Bartéo et a me, et duo in montibus agri Brixiensis inventa fuerunt a Nob. Tacchetti. Sp. 17. H. Atricornis Mgn. Zett. Schin. v. Descript. Zetterst. YI, p. 24537. Species rarissima apud nos; specimina duo tantum ejusdem legi tem- pore autumnali in collibus. Gen. XVI. LeriA. Desv. Rndn. Schin. : Helomyza. Fall. Mgn. Zett. i Blephariptera Macq. - Musca Lin. De G. Rossi. | Char. Gen. Antenne breves, erecte, articulo tertio lenticulari. SCATOPHAGINA ITALICA. 12b Arista nuda, versus medium articuli tertii inserta , aut saltem a ra- dice ejusdem remota. Epistomium non satis porrectum, nec buccula instructum; vibrissis saltem duabus validioribus preeditum, et aliquando pluribus. Scutellum quadrisetosum. - Ale costa spinulosa. Abdomen non lineare et exile, nec pilis longiusculis hirtum. Tibie seta unica sub-apicali extrinsecus preeditae, praeter apicales. Species Italice. È A. Alarum vena transversa interior extra apicem sita secunda lon- gitudinalis, non contra nec ante. Sp. 4. Fenestralis Fall. AA. Alarum vena transversa interior, apici secundae longitudinalis perfecte opposita nisi ante sita. B. Epistomium preter vibrissas duas majores, setis aliquibus supe- rius predilum. C. Femora ut tibie rufa vel fusco-rufescentia. Sp. 2. Serrata Lin. CC. Femora nigricantia. - Tibie rufe. Sp. 3. Bracata Mihi. BB. Epistomium supra vibrissas duas majores non setigerum. D. Alarum costa spinulis validis serrata. E. Zena longitudinalis tertia paralleliter decurrens secunde, et a quarta sat remota. Femora postica maris, intus spinulis validis in medio destituta. Sp. 4. Coesia Mgn. EE. Zena longitudinalis tertia, a radice ad apicem secunda mani- feste divergens, et non sat remota a quarta, 126 C. RONDANI, Femora postica maris; intus fasciculo sub intermedio’ spinula- rum armala. | Sp. 8. Chetomera Mihi. DD. Alarum costa breviter vel brevissime spinulosa. F. Tarsi apice nigricante. - Scutellum plus minusve testaceum. Sp. 6. Leeta Mgn. FF. Tarsi toti etiam apice rufi. - Scutellum omnino fusco-nigricans. ss Sp. 7. Puerula Mihi. Observat. et Synon. Sp. 1. L. Fenestralis /all. Mgn. Macq. Schin. Lett. v. Descr. Zetterst. YI, p. 2460, cui adde : Vena secunda longitudinalis costalem attingens sat ante non contra transversam interiorem. Antennarum articulus tertius nunc fuscus, nunc ferrugineus. Non frequens in agro parmensis: lectus primo vere in urbe et ruri. | Stop Sp. 2. L. Serrata Lin. Fall. Zett. Rndn. Schin, | Latrinarum De G. - Nigricornis Mgn. | Domestica Desv. Macq. v. Descrip. Zetterst. ZI, p. 2450. Abdomen ad basim non raro plus vel minus infuscatum, et etiam fe- mora antica leviter obscuriora aliquando observantur. Sp. Serrata Walkerii alise pertinet. | Linneana vulgaris in tota Italia, in domibus, ad fenestras et seepius in latrinis habitat. SCATOPHAGINZ ITALICA. 127 Sp. 5. Bracata Mihi. Antennis nigris, basi fusco-rufis; fronte extrinsecus plus vel minus rufescente ; epistomio supra vibrissas duas majores setuloso, simi- lis serrate Lin. et geniculata Meig., sed statura minore, et pre- cipue abdominis et femorum colore nigro ab iisdem et ab aliis di- versa. | A Modesta Meig. cui proxima videtar, difert coxis, summo apice fe- morum, tibiis, et basi tarsorum praesertim intermediorum, rufescen- libus. Palpi rufi. - Facies luteo-rufescens. - Malteres albi. - Ale immacu- late, costa modice setulosa, etc. Non rara in Italia boreali et media. - Parma legitur primo vere. - In Pedemontio et Insubria inventa a Genéo et Com. D'Arco. Sp. 4. L. Cesia Magn. Macq.? Schin. Epistomium vibrissis duabus validis instruetum sed superius non se- tulosum. — Antenne fusco-rufee. Frons antice rufescens; occipite et macula ocellari nigricantibus. Thorax fuscus, grisei adspersus, scufelZlo concolore, vix et non sem- per summo apice lutescente. Ala sublimpidae, vel dilutissime fuscescentes, areola venis duabus primis interposita fusco lutescente ; costa spinulis validiusculis ser- rata: vena tertia longitudinali paralleliter decurrente a basi ad apicem secund®, et ibi sat remota a quarta. Abdomen basi nigricans et grisescens, ad apicem magis vel minus late rufum. Pedes testaceo-fulvi, tarsorum apice, et femoribus anticis panlo ob- scurioribus. Rara tempore autumnali in collibus agri parmensis. Sp. 3. L, Chetomera Mihî. - Long. Mill. 4-5. Antenne rufe. - Frons fulva. - Facies es gena lateo-albicantes. - 128 C. RONDANI, Epistomium vibrissis duabus validis preeditum. - Z'°ertex macula ocellari et duabus intermediis cum occipite nigricantibus. Thorax griseo sublutescens. - Scutellum prasertim ad apicem rufe- scens, sub translucidum. Abdomen nigricans apice testaceo. Alce sublimpidae, vitta subcostali fusco-lutea, costa spinulis validiu- sculis serrata: vena tertia longitudinali a basi ad apicem secundae divergente, et ibi non sat distante a quarta. Pedes toti testacei etiam apici tarsorum; femoribus posticis, in ma- sculo, versus medium fasciculo spinularum nigrarum intus armatis. Raro lectus uterque sexus primo vere et autumno in collibus ditionis parmensis. Marem quoque obtinui in agro Tridentino captum a Doct. De Bartolini. Sp. 6. L. Leta Mgn. Zett. v. Descrip. Zetterst. VI, p. 2452. Antenna fusco-lutescentes vel picer. Vene transverse alarum aliquando levissime fusco-limbatee. Femora antica extrinsecus, et tarsi ad apicem paulo obscura. Frequens primo-vere et tempore autumnali in planitie et collibus agri parmensis. = A Prof. Strobel in Tyrolis Italici plaghis et a Nob. Tacchetti in Insubria montuosa lecta. Sp. 7. L. Puerula Mihi. - Long. Mill. 2-5. Maris, Antenne latiusculae, nigricantes, preesertim articulo terlio ex- trinsecus. - Frons rufa, orbitis albidis, vertice et occipite fuscis. Peristomium sub vibrissas ordinarias setis marginatum. Gene albicante sericer. Thorax cum scutello toto fusco-cinerascens. Abdomen rufescens irregulariter fusco-maculatum. Alce sub-limpida, costa brevissime setulosa. Pedes testacei, femoribus anticis in medio infuscatis, tarsis totis etiam SCATOPHAGINAE ITALICA, 129 ‘apice ut pedes omnes testaceis nigris, quamvis setulis brevissimis, ut tibie et femora inferne hirtulis. Marem unicum legi tempore autumnali in planitie prope Parmam. Gen. XVII. TueLipa Desv. Schin. Heteromyza Fall. Zett. Char. Gen. Maris Facie set Frons satis anguste. - Epistomium non reflexum, nec porrectum, buccula indistincta. Antenne articulo ultimo sub disciformi, arista nuda. Ale costa non spinulosa, vena secunda longitudinali valde producta, fere contra transversam exteriorem. - ScuteZlum quadrisetosum. Abdomen angustum, elongatum, pilis longiusculis hirtum, genitalibus subtus flexis. Pedes subnudi. Species Observate, Sp. 41. Diversa Mihi. Oculata Schin.? (non Fall. et excluso Syn. Zinecaris Desv.) (Mas) Antenna nigra. - Facies fulvescens. - Frons rufa, orbitis paulo griseis, vertice fusco. - Scutellum totum nigricans. Alce vitta subcostali fusco lutea. - /edes testacei femoribus anticis extrinsecus et posticis inferne fusco-nigricantibus. Non referenda Heter, Oculate Fall., quia in mare nostro oculi si in fronte parum distantes tamen postice non valde. proximi, non sub- contigui, et colore scutelli non luteo sed nigricante. Non sequalis Zineari et Yespertillione®e Desv., alis vitta fusca sub costali signatis, et femoribus anticis et posticis partim fusco nigri- cantibus, non illis totis limpidis, nec istis totis rufis. Vol. X. 9 150 C. RONDANI, Preterea abdomen fusco-rufum , pilis nigris hirtum , sed segmentis apicalibus nudis et pallidioribus, etc. Unicum exemplar possideo, antennis incompletis, olim a Clar. De- Cristofori missum, in Insubria, forte alpina, captum. Gen. VIII. HeteRomyza Fall. Mgn. Zett. Zett. Wik. Rndn. Schin. Char. Gen. Antenne breves, erecta articulo ultimo Ienticulari, arista nuda, ver- sus medium non ad basim articuli inserta. ‘aci ro: itudine ordinaria. - Epistomium vibrissis saltem Facies et Frons latitudine ordinaria. - £Epistomium vibrissis salt uabus validiusculis instructam ulo sed non satis porrectum duabus validiuscul structum, paulo sed satis porrectum, nec buccula preeditum. Ala costa non manifeste setigera: vena secunda longitudinali parum producta ultra transversam interiorem. - Scutellum quadrisetosum. Abdomen non exile, nec pilis hirtum. Tibice seta unica erecta sub-apicali extrinsecus preeditàe, preeter spi- nulas terminales. Species Italice. A. Arista articulis primis indistinetis, tertio basi non incrassato. - Tarsi maris non dilatati. Sp. A. Flavipes Zett, AA. Ariste articulus penultimus paulo elongatus, tertius basi brevi- ter sed satis crassus. - Tarsi antici maris dilatato-depressi. Sp. 2. Tarsalis /Z7ahlb. _ SCATOPHAGIN/E ITALICA. 134 Ubserv. et Synon. Sp. 1. H. Flavipes Zett. Schin. v. Descript. Zetterst. ZI, p. 2465. Ale costa paulo fusca, macula intermedia inter venas duas longitu- dinales primam et secundam, callo ad originem vena tertize, et limbo transversarum fuscis. Tarsi antici nigricantes, metatarso luteo; posteriores lutei apice fusco. Rara in collibus agri parmensis tempore autumnali. Sp. 2. H. Tarsalis /7ahlb. Zett. V. Descript. Zetterst. loco citato, cui adde: Maris, pedes antici striga supera in femoribus, et tibiis tarsisque to- tis nigricantibus ; istis distinete dilatato depressis et sat longioribus tibiis propriis: quatuor posteriores toti testacei etiam apice tar- sorum. Alce costa non fusca, coterum ut in flavipede. Semel marem inveni in colle ditionis parmensis. Gen. XIX. Parcopromra Sthnm. Schin. Coelopa Zett. Halid. Rndn. Malacomyia /alid. (1838, Ann. Nat, Hist.) Char. Gen. Antenne breves, articulo tertio rotundato, arista distinete sed_bre- viter pilosula. - Facie excavata. - Buccula parva adest. Epistomium porrectum setis parvis instructum. Oculi paulo ovati et obliqui sed non horizontales. Ale venis quinque costalem sejunctim attingentibus: costa non spi- nulosa: vena septima margini postico producta. 152 C. RONDANI, Scutellum quadrisetosum. Pedes pilosi sed non setosi ; seta exili erecta sub-apicali tibiarum ex- trinsecus preediti. Species Observate. A. Tharax etiam ad humera , et scutellum etiam apice grisea vel griseo-fusca. Sp. 1. Sceyomyzina /alid. AA. Torax humeris, et scutellum apice rufescentia. Sp. 2. Meridionalis Mihi. Sp. 1. P. Hydromyzina Halid, 1852. (Entom. Mag.) Fucorum Whib. Zett. 1847. Schin. v. Descript. Zettertis. YI, p. 2474. Specimen anglicum a Clar. Haliday missum, possideo, cujus chara- cteres omnino conveniunt cum diagnosi auct. sup. cit. - Nondum in Italia capta. Sp. 2. P. Meridionalis Mihî. Magnitudine et habitu similis Scyomyzine Halid. sed diversa, preci- pue: Zhorace non toto fusco-griseo, et partim pleuris antice, te- staceis. Scutello pariter apice lutescente non toto fusco; et Capite omnino ru- fescente, puncto ocellari nigro. Abdomen maris nostri fulvescens non lividum , vix lateribus ad ba- sim fusco-vittatis, non in medio obscurum: Antenne articulo ter- SCATOPHAGIN& ITALICA, 155 tio ferrugineo non nigro: Tibie intermedia intus crebre et longe villose. Abdomen foemina pariter fulvam, incisuris distinete nigricantibus : Antenne articulis primis rufis, ultimo fusco subnigricante. Utriusque sexus, pedes fulvescentes, tibiis anticis apice fusco; tarso- rum articulis primis basi fulvis apici obscurioribus , ultimo nigro. Specimen utriusque sexus ad littora Melitse capta a Doct. Schembri possideo. Gen. XX. CeLopa Mgn. Fall. Macq. Zett. Stim. WIk. Rindn. Schin. Copromyza Fab. Char. Gen. Antenne breves articulo tertio rotundato; arista nuda, versus me- dium, non ad radicem articuli inserta. Epistomium porrectum; duccula distineta, et setis mistacinis pluribus validiusculis praeditum: facie excavata, Oculi sub rotundati, inde non horizontales. Alarum vene quinque costali produete ; costa non spinulosa: vena seplima marginem poslicum attingens. - Scutellum setis quatuor instructum. Pedes setosi et pilosi; tibiis seta erecta sub-apicali, etiamsi sat exili, extrinsecus distincta. Species Typica. Sp. A. C. Frigida Fabdr.? Fall. Mgn. Macq. Zett. Sthn. Rndn. Schin. v. Descript. Zetterst. ZL, p. 2472. Sp. Frigida Haliday et Walker ab hac diversa juxta Observ. Stenha- mari, et nomine ZAximia ab codem nuncapata. 154- G. RONDANI, Frigida vera in Italia non lecta hue usque, sed forte legenda, quia a Macquartio lecta in Gallia, cujus originis Clar. auct. exemplar mihi transmisit, omnino simile exemplaribus danicis a Clar. Steeger ac- ceptis. Gen. XXI. Orvona Mgn. Macq. Zett. Walk. Rndn. Schin. Psalidomya Dmre. Charact. Gener. Antenne breves, distantes, sub margine frontis inserte, articulo ul- timo sub-ovato; arista nuda, ab origine articuli paulo remota. Epistomium reclinatum , setis mistacinis lateralibus, parvis, inferne munitum. Oculi ovati, horizontales, vel fere. Ale costa non ciliata; venis longitudinalibus quinque. costali protiu- Clis; septima marginem posticum non attingente, - Scutellum qua- drisetosum. Pedes setigeri, preesertim in femoribus et tibiis posticis. Spec. Typica. J. O. Luctuosa Mgn. Macq. Zett. WIk. Rndn. Schin. v. Descript. Zetterst. ZI, p. 2570. Nondum in Italia capta: exemplar collectionis mez danicum a Clar. Steeger missum. GENERUM ET SPECIERUM Achantholena Ardr. — Maculipennis £ndn. Cleigastra Macq. — Flavipes Fall. — Nigrita Fall. Cnemopogon £ndn. — Apicalis Wdm. Colopa Mgn. — Frigida /all. Cordylura Fall. — Albilabris Fadr. — Albipes Fall. — Ciliata Mgn. — Fuscitibia £2ndn. — Impudica £ndn. — Nigriseta Andn. — Pubera Liîn. — Pudica Mgn. Fucellia Leso. — Arenaria Desv. — Fucorum Fall. Gymnomera Enda. — Tarsea Fall. Gonatherus lndn. — Planiceps Fall. Helomyza Fall. — Agaricina Andn. — Affinis Mgn. — Agnata Andn. — Atricornis Mgn. — Bistrigata Myn. — Flava Mgn. — Flavitarsis &ndn. — Fungorum Desv. — Maxima Schin. — Nemorum Mgn. — Pallida Fall. — Pilimana Anda. — Prausta M/gn. —- Rufa Mgn. — Similis Mgn. — Tuberiperda Andn. _— Ustulata Mgn. Heteromyza Fall. INDEX pag. 102 n 103 94 133 95 114 105 93 116 130 | — Filavipes Zett. — Tarsalis Wh15. Leria Desv. — Bracata Andn. — Casia Mgn. — Chetomera Aadn. — Fenestralis Fall. — Leta Mgn. — Puerula Andn. — Serrata Lin. Myopina Desv. — Reflexa Desv. Norellia Desv. — Bertéi Andn. — Roserii &rdn. -— Spinimana Fall. — Striolata Mgn. Orygma Mgn. — Luctuosa Mqn. Phycodromya Stimr. -— Meridionalis 4#ndn. — Hydromyzina Halid. Scatina Desv. — Fontanalis Andn. — Fluvialis fndn. — Littorea Fall. — Squalida Mgn. Scatophaga Mgn. — Inquinata Mqn. — Lutaria Fadr. — Maculipes Zett. — Scybalaria Lin. — Stercoraria Lin. — Tr@2niopa Andn. Spaziphora £#ndn. — Hydromyzina Fall. Stegeria Andn. — Kuntzei Zett. Thelida Desv. — Diversa Rndn. Trichopalpus &ndn. — Fraternus Fall. — Punctipes Mgn, pag. 124 niii-:192 n 99 ” 134 n 131 » 111 n 107 ” 91 ” 92 n 129 n 106 LA STORIA DELL ORNITOLOGIA © PER 0DDO ARRIGONI CAPO I. A taluno sembrerà strano invero, che io, fisso di tesservi Ja storia dell’ornitologia, incominci a trattarne da epoche tanto remote. I mo- derni hanno a vezzo non insucidare la mano nella dotta polvere del- l’antichità; ebbene sarò per loro il naturalista che stende una nojosa pagina d’ archeologia. Opposto affatto al parere di coloro che non ammettono il graduato progredimento, per me la scienza è una fede, è un complesso di verità, che insieme si appuntellano, si sostengono : è una catena che ogni dì più s’inanella. L’ edificio, il monumento del progresso non giganteggia, fattura dell’oggi; tutte, sì tutte le gene razioni, che si successero, affaticate da ignota pressione vi recarono la loro pietra per fondarlo, per ergerlo. Discepolo di questa idea, reco ai grandi che impresero ad aprirci il varco nell’intentalo sen- tiero, il mio debito di gratitudine; benemeriti della scienza, essi ci legarono colle loro opere il dovere di rammentarli; io non so esi- mermi dal compierlo, e facendovi retrocedere ventidue secoli vi con- duco meco ai tempi di Aristotile. ArisTOTILE. Nella Grecia da trecento e cinquant'anni prima dell’ era volgare fioriva Aristotile di Stagira. Versatissimo in tutto, di tutto così diffu- samente trattò, da sembrare quasi impossibile, che nella breve gior- nata di una vita umana potesse dar termine a tanto. Come filosofo LA STORIA DELL ORNITOLOGIA. 157 non è mio assunto ragionarne; vi dirò solo colle parole di un sommo tedesco (1) che il suo pensiero ha penetrato tutte le sfere delle co- scienze umane, e ch’ egli fu per molti secoli di seguito l’unico fon- damento di tutto lo sviluppo dell’intelligenza. Ma tanto i contempo- ranei che la posterità non furono giusti di premio al naturalista. Il Greco, figlio di una magica terra, dove, o riposi lo sguardo nell’ame- nità dei poggi, o lo spazii nell’ampiezza del mare, sotto la curva di un cielo ridente, trova sempre nuove ispirazioni alla poesia, natu- ralmente rifugge dai severi vincoli dell’ analisi. Perciò nessuno fra i suoi conterranei, per quanto abbiamo contezza, seguì Aristotile nello studio della storia naturale, assoggettandosi ai confini del metodo ; e i suoi lavori di questo genere dovettero giacere obbliati, tanto più che erano stesi in uno stile conciso ed arido. Proseguendo nel mio assunto, vedremo la varia sorte che corsero nei tempi posteriori, in- vestigandone, per quanto sapremo, le cause; per ora ritorniamo al- l’autore, a quell’opera immortale che è la Storia degli Animali. — Valendosi del dono di un’attenta osservazione, egli primo vi crea il concetto dell’anatomia comparata. Poi questi esseri li assoggetta al- l'esame il più diligente; ogni parte singolarmente ne analizza, per capacitarsi quale sia la funzione ch’ essa adempie nell’ ordine dell’in- sieme, e quest’insieme con accuratezza lo studia, ne interroga il modo di vivere e di riprodursi; perchè la natura, così forzata dall’ incal- zante lavoro del genio,. manifesti tutto il segreto congegno dell’ esi- stenza, e il compito che a ciascuna parte ha la Provvidenza assegnato nell’ opera armonica della creazione. Ma il pensiero dell’ uomo non ha limite fisso, l'idea è feconda d’° i- dea: l’indefesso investigatore dalla conformazione interna ed esterna degli individui e dai loro costumi riconosce il costante concorso di eguali rapporti, che costituiscono l'affinità fra taluni, e marcano nel tempo stesso la totale segregazione da altri; una nuova scoperta è fatta: si caratterizzano le classi, si pianta il cardine sul quale si ag- | girano tutte le classificazioni. Qui taluno potrà darmi la taccia di me- todista, non lo sono; ma stimo folle del pari chi crede la natura pre- (1) MeGet, Suemmtliche Werke. T. XIV, pag: 416. 158 O. ARRIGONI, ordinata a sistema, come chi opina che si possa coll’umana intelli- genza comprenderla senza seguire un sistema. Dell’ avviso di un il- lustre italiano, mi attalenta figurarmi il creato un’ immensa rete, le cui maglie hanno contatto ed intreccio da tutte parti fra loro; e pure in’ è duopo slacciarne i nodi, disfarli uno ad uno, per conoscerne la tessitura. Aristotile stesso era penetrato di questa verità, e me n° è garante il modo ch'ei tenne costantemente nel suo lavoro, la compa: razione. Dal generale scendendo al particolare, meritano menzione -il Capo HI, del Libro VIII, ove parla del cibo, costituendolo uno dei caratteri per le divisioni, donde i carnivori, i frugivori, gli onnivori ed altri; e le dettagliate descrizioni racchiuse dal Capo VII al XXXVI del Libro IX. Le memorie sulle penne, sul volo, sulle abitudini, sulle nidificazioni, sulle uova, sparse qua e là, fanno prova di un’ analisi la più accurata, primo pregio d’un naturalista. Lungi da me l’idea che gli studj del filosofo greco debbano essere il manuale del zoologo odierno; una giusta ammirazione non mi fa travedere cotanto; .io non m' ebbi altro scopo nell’accennarne i molti pregi, che far cono- scere quali immensi vantaggi ne scaturirono alla scienza; che. cer- care che tutli convengano con me averci Aristotile fatta la via, steso un piano facile da seguire. Nelle epoche passate si deviò; ma oggi sembra che avvedutisi del fallo si rinsavisca, e si rivenga. alla sor- gente, per cercarvi quella limpidezza, che nella corrente dei tempi è stata tanto intorbidata. — Talora scorrendo a caso quelle opere, che circolano dapertutto, mera speculazione libraria; voglio dire alcuni trattati enciclopedici, ai quali si affida la vergine intelligenza dei no- stri giovani nella folle speranza che ricevano una coltura su tutto, quando invece non ne ridonda che una confusione generale, mi av- venne di leggervi malmenata la fama dello Stagirita. Facile compito ergersi censore delle opere altrai, quant'è difficile imitarle. Il critico coscenzioso deve rifarsi all’ epoca dell’autore che analizza, studiarne i costumi, immedesimarsi nelle abitudini di quei tempi, respirarne perfino l’aria stessa. Scrittorelli sapientucci, che non sapendo creare nulla del proprio, mordono continuamente le fatiche degli altri, sten- dono lunghi articoli frutto non della riflessione ma calcolo del de- naro; questi scrittorelli considerano Aristotile del secolo decimonono. LA STORIA DELL'ORNITOLOGIA, 4159 E infatti solo a chi vive nella luce del progresso, colla facilità delle comunicazioni, coi pronti spedienti per impadronirsi di ciò che desi- dera, coi mezzi sicuri per conservarlo, col continuo scambio d° idee, con musei quasi in ogni borgata, con mille opere da consultare, si può rinfacciare l’ asserzione non giusta di alcune abitudini degli animali, le nozioni non esatte sulle specie, la ripetizione di favolose credenze tradizionali in quei giorni, e qualche altra ben. piccola macchia in tanta vastità di dottrina. Ma il vano cicaleccio non trova eco; e voi tutti, che giustamente retribuiste d’ encomio D’ Alembert e Diderot, essi che incarnando un ardito concepimento fecero uno e concorde il lavoro dei grandi viventi e trapassati, compendiando nell’ Enciclope- dia tutte le creazioni e tulle le scoperte; ammirerete con me Aristo- tile, quest'uomo più unico che meraviglioso, che nelle molte e sva- riate sue opere tutto l’ambito della scienza umana abbraccia coll’ in- dividualità d’ un ingegno prepotente. Piimio, Nel difetto di opere speciali sulla natura, o perchè nessuno. dopo Aristotile, siasene occupato con un vero metodo scientifico, o perchè la vicenda dei tempi ce le abbia fatalmente involate, c'è forza tra- scorrere quattro secoli di silenzio pei nostri studj, e dalla Grecia re- carci a Roma, per trovarvi il secondo dei naturalisti dell’ antichità, Cajo Plinio il Vecchio. Uno sguardo ai numerosi e diversi suoi lavori, a una vita indefessamente divisa fra i doveri del magistrato, e le fa- tiche del guerriero; fra le lucubrazioni del filosofo e gli studj del letterato, fra l’amena coltura dei viaggi e lo spinoso arringo dell’ o- ratore, e nell’ammirazione di tanta operosità saremo quasi trascinati nel dubbio seonfortante, che successivamente decrescano le forze fisi- che e morali dell’umanità. Alcuno nel discorrere questi monumenti, le- gatici dal sapere degli antichi, che a studiare basta appena la vita, si dà a crederli meglio che l’opera di uno solo, il succoso riassunto di dotte produzioni che smarrirono, o almeno le fatiche di molti con- temporanei, sotto il nome di un grande compendiate; ma a combat- tere qnest'opinione, che la vergogna troppo facilmente persuade, basta la lettera di Cajo Plinio Cecilio a Tacito, che è ad un tempo 140 O. ARRIGONI, la succinta biografia e 1’ esatta enumerazione dei lavori incredibili di suo zio, ll più prezioso di essi, l’unico che ci rimane, è la Storia Naturale in trentasette libri; dove con un’ erudizione sorprendente, infinita, variata quasi come la stessa natura, sono trattate pressochè tutte le scienze e le arti. Ma nel ricchissimo manuale della lingua del Lazio, nell’ inesausta miniera di peregrine e svariate cognizioni nella vivacità di uno stile fantastico, nell’ arditezza inaspettata d’im- maginosi pensieri, se è colpito di maraviglia il lettore profano della scienza, non egualmente avviene al naturalista, che oppresso dalle numerose favole cerca invano quell’ analisi, che paziente s’interna nei più reconditi recessi, con ordine e accurata perseveranza li. in- daga, e coscienziosa reca alla luce del giorno frutto di sudati, dili- gentissimi studj-la verità. Storico non fedele, osservatore non filosofo, Plinio ha ideato un progetto troppo vasto, perchè uomo lo potesse compiere; e inesalto nelle descrizioni, nella nomenclatura confuso ed incerto, ommessi i caratteri di classificazione, o se accennati che non spiccano nè stabili nè essenziali, pecca di credulità, di superstizione di panteismo. Nei settantacinque capi del Libro X, egli si occupa de- gli augelli; e qui la vita secolare della fenice, la nascita degli ossi- fragi, le metamorfosi del cuculo e d'altri uccelli, il passaggio del Mar di Ponto, insomma un continuato succedersi di favolosi racconti, non una storia. Dove lascia spaziare l'immaginazione, poeta, dettò superbe descrizioni come nel Capo XXI sul gallo, nel Capo XXXII sui nidi, e sopratutto nel Capo XXXVIII sui mezzi di locomozione. Nella giusta severità della critica esaminate Plinio, naturalisti, non vi rinverrete, come sopra accennava, nè osservazione nè coscienza j filosofi, vi troverete tessuta l’inieressantissima storia del progresso della specie umana, tutti meraviglieremo con Buffon dell’ opera di quest'uomo inspirato che sembra abbia misurata la natura, e trovatala ancora troppo piccola per l’ estensione del suo ingegno. La grandezza romana dilegua, il Cristianesimo oppresso assidua- mente mina i fondamenti del vecchio culto degli idoli, e lo scrolla; innumerevoli orde di stranieri, varii di nome, eguali di barbarie, franta ogni diga, inondano l’ Europa; e i popoli nel turbamento della LA STORIA DELL’ ORNITOLOGIA. 4&1 fede, nell’incertezza della minacciata esistenza, stanchi subiscono un necessario sonno di torpore. Così ci è forza scorrere un lungo periodo, che colle sue fiere burrasche non solo non ha concesso che sorgano nuovi studj, ma impedito il progresso degli incominciati, ma travolto preziose memorie degli antichi. Lo storico, che segue il sentiero corso dalle generazioni che ci precedettero, improvvisamente arrestato in- nanzi quest'immense lacune, è colpito da meraviglia e d’avvilimento; ma il filosofo scorge il genio dell’ uomo, incatenato dalla forza degli eventi, dibattersi; questa fiamma, che il cielo ci ha immedesimata coll’esistenza, per tanto tempo non spenta compressa, mandar tratto tratto scintille; una face italiana abbagliare il mondo (l’ Alighieri il poeta dell'immortalità! ); e antivede il secolo di Colombo, di Leonardo da Vinci, di Guttemberg, quando le numerosè scoperte tutto sconvol- gono, riereano, per così dire, il creato, Circa quest’ epoca esuberante di vita noi pure ricominciamo lo studio storico della nostra scienza con Belon e Gesner. BeLon Pierro (1518-1564). Se la memoria di un uomo maggiormente si raccomanda quando alle gloriose sue azioni siasi fatta compagna indivisibile la sventura, a Pietro Belon non sarà mai per mancare una somma rinomanza. Nato nel Maine circa il 1518, da poveri e oscuri parenti lottò fino dalla prima sua età coll’ indigenza. Ma i grandi che indovinano nello sguardo dell’ irrequieto fanciullo balenare l'ingegno gli si fanno me- cenati ed egli usa dei potenti loro mezzi solo per dedicarsi indefesso allo studio. Quell’ardente smania d’ imparare, che in lui fu una se- conda natura, lo spinse a perigliarsi in tempi mal sicuri in viaggi lun- ghi e disastrosi per la Germania. A Thionville lo arrestarono, riscat- tato, non gli venne meno i! coraggio o la lena. Riviaggiò l’Alemagna, scorse Italia, Grecia, Turchia, Egitto, Palestina, Asia Minore, e ovun- que osservando e raccogliendo dapertutto tornò nel 1550 a Parigi a pubblicarvi le innumerevoli e svariate sue cognizioni, a coordinare i tesori ragunati nei differenti pellegrinaggi. Qui mi cade in acconcio fermare l’attenzione sopra un curioso contrapposto. Versò la somma occorrente pel suo riscatto un ignoto signore solo perchè lo seppe 142 O. ARRIGONI, conterraneo del poeta illustre Ronsard; ora gli si contende ostinata- mente dai suoi colleghi e compatrioti l'ammissione nella facoltà di medicina in Parigi. Sempre questa legge straziante, il pane della sven- tura imbandito sul desco dal fratello! Nel 1364, attraversando il bosco di Boulogne, reduce da altri viaggi, fu morto per mano d’un assassino a quarantacinque anni. Ma |’ invidia non ha serbato rispetto nemmeno alle sue ceneri disgraziate. Si calunniò e la calunnia fu con tanta in- sidia tessuta che anche uomini grandi e creduti le tennero fede e inconsapevoli l’accreditarono. Lo si disse servitore di Gillio, suo com- pagno di viaggio, furatore de’suoi manoscritti, dopo la morte di quel- l’ erudito pubblicati — a rubar fama — col proprio nome; tardi sì ma finalmente gli fu resa giustizia, e la Francia va a ragione superba d’aver dato i natali a Belon uno fra coloro che maggiormente la il- lustrarono nel risorgimento delle scienze. D'un’ attività infaticabile, di una vastissima erudizione, antiquario e geografo, agricoltore e na- turalista, commentò e tradusse opere degli antichi, dei paesi visitati, descrisse popoli, costumanze, monumenti; lasciò sull’ agricoltura un trattato, e fu primo a suggerire l’idea dei giardini pubblici pel colti- vamento d’alberi esotici, dettò sui pesci e sugli animali in generale. Ma il lavoro che più d'ogni altro gli sopravive, secondo anche l’ av- viso dei più illustri zoologi, è la Storia della natura degli augelli, colle loro descrizioni e ritratti al naturale scritta in sette libri (1). Com- preso delle verità che ha palesato Aristotile ne seguì il sistema col- l’istituire anatomiche comparazioni (2), vi intravidde il bisogno di un metodo per meglio comprendere, per ritenere più agevolmente questo numero straordinario di esseri dei quali si occupa 1’ ornitologia. Ed ecco il grande che afferra un'idea, intimamente convinto sì tormenta per mandarla ad effetto, ora con attenta meditazione la studia, ora con fantastico sbalzo la tenta, incapace a persuadersi che se alla sco- perta di un vero spesso è chiamato uno soltanto, quasi sempre la sua attuazione perfetta è riservata al lavoro lento e paziente di molti (1) Parigi 1555, in fol. (2) Vedi Libro 1, e specialmente Cap. XII. (Comparazione dello scheletro d’un ua. cello con quello d’ un uomo.) LA STORIA DELL'ORNITOLOGIA, 143 uomini insieme. Bisogna dividere, smembrare quest’ immensa materia per ordinarla, e Belon riconobbe la necessità di una classificazione, ma non seppe eseguirla felicemente. Per questo egli aggruppa gli uccelli secondo i luoghi che frequentano, o il nutrimento che predi- liggono, talora per conformità di abitudini, tal altra per somiglianza di forma, sempre perplesso in diverso sistema, mai ferino, mai sicuro in alcuno. Fu tra quei fortunati ai quali la Provvidenza ha concesso aprire questo arcano volume della natura, e per facilità e robustezza di stile, per osservazione diligentemente minuziosa, per esattezza di racconto (che se spesso è troppo breve, spicca però per quella franca lealtà che sottomette lo straordinario ad esame, che accenna l’inve- rosimile dubbiando) la sua opera ornitologica oggi ancora volentieri si legge come utile, attraente, curiosissima. Essa va corredata di figure intagliate in legno, ingegnoso ritrovato che avvantaggia d’assai i la- vori dei moderni su quelli degli antichi, facilitando coll’ esposizione al senso il comprendimento dello intelletto; ma sfortunatamente sono cosi male eseguite da non dare il più delle volte nemeno l'idea di ciò che dovrebbero rappresentare, Gesver Corrapo (1316 - 1563). Contemporaneo a Belon è lo svizzero Gesner figlio di un’ignota fa- miglia che doveano illustrare le sue geste e quelle de’ suoi nepoti — martiri o eroi sui campi di battaglia di quel libero paese — sortì i natali a Zurigo nel 4816. La fortuna gli arrise dalla culla alla tomba. Protetto e soccorso visitò varie città della Svizzera e della Francia e fermò dimora in alcune per coltivarsi. Fu uno di quegli uomini stra- ordinarj non nati alla specialità, che travagliati dal bisogno di appren- dere, affliti per dir così da una continua sete cercano estinguerla ad ogni fonte si pari loro dinanzi, ed è perciò che noi lo vediamo avvi- cendare i suoi studj sulle lettere e sulle scienze ; il precettore di lin- gua greca a Losanna trasformarsi in dottore di medicina a Basilea ; se oggi pubblica un catalogo di botanica in quattro lingue, domani dare alla luce brani di letteratura o di filosofia ; e stendere la famosa Biblioteca Universale e finalmente il grandioso lavoro della Storia LU O. ARRIGONI, Naturale. La parte più considerevole di quest ultima è indubbiamente quella che abbraccia il regno animale, della quale il III volume stam- pato a Zurigo ha per tema gli uccelli. Vi segue 1° ordine d' alfabeto premettendo il nome latino, cui fa succedere quelli di moltissime altre lingue. Questo metodo curioso di disposizione ingenera disordine rac- costando specie del tutto per naturale disuguaglianza lontane e vice- versa, come l’ applicazione di tante appellazioni, che se antiche non ponno riuscire che ambigue, se moderne equivoche, quando ne è grande la varietà anche nella medesima lingua, anzi nello stesso paese, è sfoggio di una dottrina che in verità tocca al prodigio, ma qui più che superflua, dannosa. À nozioni utili sulle malattie, sugli usi, sui nulrimenti aggiunge particolarità inutili sulle ispirazioni che fornirono ai poeti, vane citazioni dei passi degli autori, ch'egli adduce per qua- lunque ragione ne abbiamo molto o poco parlato, arricchisce la sua opera di tavole generalmente scorrette. Se non si può negargli co- scienza, bisogna del pari confessare che non ha reso alla zoologia i servizj che prestò alla botanica, pose le fila di un immenso ordito, la» sciando ai posteri il pensiero della tessitura, Beneviso, colmato di onori, la morte lo colse non ancora compito il decimo lustro di età, e fu degno suggello di una vita attivissima spesa pel bene altrui. Avea combattuto accanitamente la pestilenza che afflisse la sua patria, pre- standovi la sua scienza e la sua persona; ma in capo a due anni ne rimase affelto egli stesso. Accortosene volle essere trasportato nel suo studio e là nell’assettare i suoi libri soccombette. Corrado Gesner è vantato il Plinio della Germania — a buon dritto! Entrambi oltre- passarono la sfera dell’ umana capacità nell’ideare il progetto; en- trambi sviarono nell’ esecuzione. (Continua.) Seduta del 31 marzo 1867. La seduta è aperta colla presentazione del tre lavori seguenti : RonDANI. — Scatophagine italice, collecta, distinete et în ordinem dispostta. STROBEL. — Gita dal passo del Planchon, nelle Ande meridionali, a S. Rafaele, nella Pampa del Sud (Con- tinuazione e fine). Vira ANTONIO. — Éiflessioni sugli Insetti e nuove osservazioni sur medesimi durante l'eclisse del 6 cor- rente marzo. Questi tre lavori saranno stampati e pubblicati negli Atti. Il Presidente presenta poi la seguente lettera, a lui di- retta dal socio prof. Bianconi di Bologna. « Preg. Collega ed Amico » Una nuova illustrazione delle Terme porrettane sta per uscire alla luce. Poste nell’ alto Apennino bolognese, queste acque hanno goduto di un'antica celebrità. Il libro che vi annunzio comprenderà un cenno sto- rico, la geologia, la mineralogia, la zoologia, la botanica ed. una parte Vol, X. 10 146 SEDUTA DEL Si MANZO. chimica, ed una medica. Le quattro prime parti sono di già impresse, ma la loro pubblicazione tarderà ancora alcuni mesi, attendendosi l’ intero volume. Un esemplare vi sarà trasmesso per la nostra Società subitoché sarà pubblicato. » La parte geologica essendo stata a me affidata, mi ha fornito oeca- sione di rilevare alcuni fatti, che, per quanto mi sembra, hanno un inte- resse più che locale; perchè essi si riferiscono a certe questioni generali sulla geologia dell’Apennino. ]l ritardo inevitabile, che il libro deve su- bire, m’induce a comunicarvi qualche punto principale delle mie ricerche. « Tre formazioni bene distinte si riconoscono nell’Apennino di Por- retta, in seno al quale scaturiscono le acque termali:4.° Rocce ofiolitiche ; 2.° Calcare compatto (Alberese) e marne eoceniche; 3.° Macigno. Alle quali conviene aggiugnere le Rocce metamorfiche e geyseriane. » Tanto le due prime, quanto le Rocce metamorfiche offrono que? ca- ratteri propri ed identici che si osservano in tali rocce nel resto dell’ A- pennino; la formazione eocenica tuttavia vi è sollevata e profondamente spezzata dai Serpentini. Vi è là, come ha detto assai bene il sig. Mortillet, un lerrain extrémement tourmente. Le conseguenze del sollevamento tanto meccaniche che metamorfiche, che hanno sofferto Ie rocce coceniche, sono innumerevoli; le più importanti sono descritte nell’opera che vi annuncio, ma non posso al presente neanche indicarvele. » Il macigno, che è assai sviluppato nel territorio di Porretta, è stato giudicato da alcuni geologi come antico, e come posto inferiormente al terreno dell’Alberese, o terreno eocenico. It march. Pareto, che ha portata un’attenzione tutta particolare ai macigni di molte parti dell'Apennino, dice che questo macigno, che esso chiama Macigno apenninico, è distin- tissimo da quello che si trova a Vergato, a Paderno, ecc., il quale è miocenico. Egli aveva conosciuto che quest’ultimo è soprapposto alle ar- gille scagliose (che cesso riguarda giustamente come terreno cocenico): e giudicava invece quel primo, quello cioè di Porretta, inferiore alle argille medesime. Veniva di là la distinzione fra li due macigni. È una distin- zione tutta stratigrafica, perchè non si è ancora potuto trarre alcun ap- poggio dai fossili. — Questo macigno più antico, il Macigno apenninico, come egli lo chiama, avrebbe una grande estensione nell’Apennino cen- trale; egli lo cita, oltreechè a Porretta e sul vertice dell’Apennino verso la Toscana, ancora nell’alto Modenese a Montecucolo, al Cimone, ecc. » Secondo l’ opinione del march. Pareto il macigno apenninico sarebbe dunque inferiore al terreno dell’alberese o delle argille scagliose , vale a SEDUTA DEL 3Î MANZO. 147 dire, sarebbe ricoperto dal terreno eocenico. Il macigno di Porretta, che al basso attraversa il Reno, somiglia ad una Dyka, che abbia perforato e trapassato co’ suoi banchi quasi verticali il terreno cocenico. In ‘causa di queste apparenze ingannevoli, si è facilmente indotti a giudicare che il macigno, già primitivamente inferiore alle argille eoceniche, sia stato spinto fuori attraverso le argille medesime. Di là la sua supposta antichità. Ma, allorquando si va ad esaminare questo medesimo macigno sull’alto della montagna di Granaglione e delle altre vicine, si vede ovunque il ma- cigno sovrapposto al terreno eocenico, benchè esso sia molto sollevato, Quest’ ordine di sovrapposizione resta evidente sopratutto a Piaggia-bella, ai Codozzi, ecc. Allora non si può più dubitare che il macigno sia stato deposto sul terreno eocenico, e sollevato insieme con esso. » Affine di meglio conoscere le differenze indicate dal march. Pareto fra li due terreni di macigno, io lo esaminato ancora nell’alto Apennino modenese le località di Paullo, Montecucolo, Gajato, Cimone, ecc. Io ho veduto che la parte inferiore di tutte queste montagne è sempre di ter- reno eocenico (Alberese con fucoidi, e marne in frammenti fra le argille seagliose) sul quale sono adagiati, più o meno sollevati, gli strati del ma- cigno. Una tale subordinazione dei due terreni è assai chiara in tutta la valle della Scoltenna, torrente che scorre alla base di tutti que’ monti. » Nell’ opera che io vi annunzio, io sono tornato nuovamente sull’ uni- cità dell’ orizzonte geognostico, al quale appartiene il terreno delle argille scagliose: unicità confermata parimenti per le osservazioni del marchese Pareto. » ll macigno di Porretta, come pure quello dell’ alto Apennino modc- nese, è dunque soprapposto al terreno dell’Alberese od cocenico. Questo fatto è ora bene accertato. La questione tuttavia del macigno di Porretta si riferisce ancora al macigno detto Lfpenninico. È ovunque un macigno della stessa età, tanto il macigno di Porretta, come quello. del sommo Apennino, e quello di Vergato, di Lojano e di Paderno, cce.: è sempre del periodo miocenico. Formazione cstesissima che ricuopre la formazione eocenica, la quale costituisce la base ed il fondo di questa parte dell’ A- pennino. » De’ frammenti di Alberese, e di argille scagliose con alcune fucoidi sono racchiusi entro gli strati del macigno. Prova ulteriore che questo è più moderno che il terreno eocenico. » Quanto qui è detto intorno al macigno miocenico non esclude già che non vi sia in questa parte di Apennino il macigno cocenico. Vi è que- 148 SEDUTA DEL SA MARZO. sto ancora; ma assai bene caratterizzato e distinto per una struttura tutta particolare, c perchè esso è perpetuamente associato al calcare compatto ed alle marne eoceniche. » Vogliate comunicare alla nostra Società queste poche osservazioni, ehe avranno il loro sviluppo nell’ opera indicata, ed aggradite li sensi della mia stima. »» Bologna, 26 marzo 1867. >» Vostro aff. collega » G. Giuseppe BrancONI. > Si dà poscia lettura della seguente lettera della Giunta Municipale di Vicenza, relativa alla riunione straordina- ria della Società, da tenersi nel prossimo autunno in quella città. « N.° 5467. » Alla Onorevole Presidenza » della Società Italiana di Scienze Naturali in Milano. » Non appena, dopo le angosciose peripezie della liberazione dallo stra niero, e le febbrili commozioni dei primi giorni della libertà, rientrava negli agitati animi di questa cittadinanza quella calma che rinnovella le predilette abitudini della vita sociale, sorgeva in Vicenza un desiderio, che da chi conosca le condizioni fisiche della Provincia, cui la città è capoluogo , potrà ben di leggieri comprendersi. » Vicenza, sedente nel grembo ad un territorio che, per singolare uber- tosità di suolo, per svariatissima meltiplieità di prodotti, per felicissime eombinazioni topografiche, meritossi il nome di Giardino della Venezia ; posta quasi a’ piedi di quella immensa miniera di naturali meraviglie e riechezze che sono le Alpi, c pittorescamente circondata da amene quanto preziose diramazioni alpine, dovea certamente sin dagli inizj della sua novella vita rivolgere un pensiero a quella illustre Società Ilaliana di Scienze Naturali, che degli ambiti Congressi de’ suoi membri — istitu- zione tanto benemerita della scienza e del sociale progresso — ebbe già ad onorare alcune delle italiane città. » Da quel pensiero al desiderio, alla speranza di conseguire un così td SEDUTA DEL DÀ MARZO. 149 splendido onore era ben facile il passo; tanto più considerando le liete accoglienze onde soglionsi maggiormente festeggiare i nuovi venuti in fa- miglia, accoglienze da ripromettersi quindi sotto un tal titolo ad una provincia del Veneto. » Di tale intimo sentimento dei Vicentini facevasi interprete presso questa Municipale. Rappresentanza il cav. Paolo Lioy, nome caro alle Seienze naturali; nè il voto dall’ egregio naturalista espresso d’invitare la Società Italiana di scienze a tenere in Vicenza c Provincia il sue Congresso del prossimo Settembre poteva venire ad orecchie più deside- roso d’ accoglierlo con tutto fervore. » Incaricatasi perciò tosto dalla Giunta una Commissione a riferire sul- P argomento da sottoporsi all’approvazione del Comunale Consiglio, pro- ponevasi dalla medesima, che nel rivolgere l'invito alla spettabile Società di Scienze venisse significato il desiderio, che a Presidente Straordinario del Congresso fosse eletto 1’ esimio geologo nostro concittadino, Commen- datore Lodovico Pasini, Vice-Presidente del Senato, al quale, siccome ad espertissimo conoscitore del territorio vicentino, si affidasse l’ incarico di dirigere le escursioni scientifiche del Congresso nella provincia. »» Unanimamente accolte dal Comunale Consiglio, a straordinaria ses- sione convocato, le proposte municipali; si fa la scrivente Giunta un ben lieto onore di indirizzare, in nome della città per essa rappresentata, a codesta onorevole Presidenza della Società Italiana di Scienze Naturali l'invito di scegliere la previacia di Vicenza a luogo di riunione del pros- simo Congresso del settembre. » Nella speranza di favorevole risposta protestano i sottoscritti all’.in- clita Società di Scienze i vivi sentimenti della loro altissima stima. » Vicenza, Dal Palazzo di Città, 1.° marzo 1867. « La Giunta Municipale » (Seguono le firme.) L’'Adunanza incarica la Presidenza di rispondere a que- sta lettera e fare le altre pratiche, che crederà opportune per attuare la progettata Riunione straordinaria (!). (4) La Presidenza ha risposto alla Giunta Municipale di Vicenza colla lettera seguente. « All’Onorevole Giunta Municipale della città di Vicenza. v Nulla poteva giungere di più gradito alla Società Italiana «di. Scienze naturali: 150 SEDUTA DEL 3Î MARZO. ° Il socio Bollini propone che la Presidenza sia incaricata di scrivere una biografia del socio Filippo De-Filippi; e il Presidente risponde che a suo tempo potrà comuni- care alla Società una biografia; che scriverà per incarico speciale del R. Istituto lombardo di scienze e lettere. Invitato dal Presidente a riprendere le osservazioni sul libro del professore Cantoni, il professore Galanti, dopo avere richiamate le osservazioni da esso fatte in proposito nell'adunanza, esce nelle seguenti argomentazioni. Par- tendo dal principio giustissimo che a parità di pianta e condizioni chimiche nel terreno, gli effetti vegetativi va- riano a norma delle condizioni di temperatura e di umi- dità dell’aria e della terra, arroge il fatto dal Cantoni ri- del gentilissimo foglio, con cui codesta Onorevole Giunta la invitava a portar nella città di Vicenza la sede della sua prossima Riunione Straordinaria. » Il cortese invito suonava perfettamente d’accordo coi voti tante volte espressi assai prima che spuntasse sulla Venezia l’ aurora della liberazione, colle cordiali pro- messe, coi patti fin d’ allora scambiati tra i Soci di tutte le provincie italiane libere o schiave, cui la tirannide straniera non impedì di abbracciarsi nei geniali congressi di Biella e della Spezia. La riunione dei Naturalisti Italiani sul veneto suolo sarebbe il primo saluto della scienza alla libertà. » Il trasporto, col quale la Società Italiana di Scienze naturali doveva perciò acco- gliere l'invito, così spontaneo, così cordiale, mossole dall’Onorevole Rappresentanza di una fra le più illustri città della Venezia, della forte e generosa Vicenza, veniva ac- cresciuto dall’idea che difficilmente si potrebbe immaginare una località, Ja quale offra una maggiore e nemmeno una pari opportunità ad un congresso di naturalisti. Se l’ ubertosità del suolo, gli svariati prodotti e quanto vi ha di ameno e di pittoresco meritarono a Vicenza il nome di Giardino della Venezia, le minerarie ricchezze, la serie dei terreni così completa, chè tutta quasi vi sì legge la storia del globo, le me- raviglie dei vulcani spenti, lo splendore delle flore e delle faune, 1’ esuberanza delle imponenti reliquie degli antichi mondi, fanno di Vicenza, certo assai meglio: che di altre regioni, già segnalate collo stesso nome dall’ entusiasmo dei scienziati, il para- diso del geologo. ? » Ma ogni piacere ideato, soverchia la certezza di quella buona accoglienza che, in una città come Vicenza, cambia un congresso di scienziati in un convegno di amici adunati ad un medesimo utile e glorioso scopo. — La spontaneità dell’invito mostra quanto codesta onorevole cittadinanza abbia compresa e apprezzata la modesta ma efficace missione, a compire la quale la Societa Italiana di Scienze naturali intese colla istituzione delle annuali riunioni straordinarie fuori della sua ordinaria resì- - SEDUTA DEL 3Î MARZO.. LDI ferito, che i fenomeni vegetativi lasciano maggior spazio di tempo fra il levare del sole ed il loro incominciare che non fra il tramonto e il loro cessare, sembra al professore Galanti che senza andare in cerca di nuove teorie, il fatto potesse spiegarsi ricorrendo all'idea della maggiore refrangibilità dei raggi essenzialmente chimici della luce, i quali, rispetto ai calorifici e ai luminosi pro- priamente detti, sono gli ultimi a scomparire la sera dal- l'orizzonte, come sono gli ultimi a ricomparirvi nella mattina. In quanto poi al fatto, pure importantissimo, delle re- lazioni che il professore Cantoni ha verificato, fra le temperature a diverse altezze, e a diverse profondità della denza: conoscere l’ Italia e popolarizzarvi la scienza, sostituendo a’clamorosi congressi, che spesso soffocano la modesta parola dello scienziato, gli amichevoli convegni che la incoraggiano; alle distrazioni dei grandi centri la tranquillità dei centri minori, ove la mente si raccoglie a preferenza sulle meraviglie della natura; alle pompose dimo- strazioni, Jo scambio fratellevole degli affetti e delle idee. — Lieti così nell’ intento del bene, ci stringeremo le destre e parleremo delle passate sofferenze, per sentire più viva la gioja presente, nè ultimo vantaggio sarà questo per l’Italia che agli scien- ziati italiani sia libero finalmente di studiare una parte d’Italia.così feconda di natu- rali ricchezze che già ha assicurata tanta parte della gloria scientifica italiana e le prepara tanta messe di novelli allori. » Nella prossima seduta ordinaria fa Società sarà invitata a nominare il Presidente per la Riunione straordinaria a Vicenza pel 1867; ma fin d’ora la Presidenza della Società non dubita di assicurare codesta Onorevole Giunta che il desiderio espresso in proposito di questa nomina non può essere che il voto di tutti i Soci. — il nome di Vicenza, nella mente del naturalista, si associa spontaneo .al nome di Lodovico Pasini, » Al Presidente eletto spetta, come dal Regolamento, di cui si unisce copia, il fis- sare l’epoca della riunione. » Rinnovando a nome della Società Italiana di Scienze naturali i più vivi ringra- ziamenti, i sottoscritti pregano l’Onorevole Giunta a gradire |’ attestato della loro al- tissima stima. » Milano, li 8 aprile 4867. » Il Presidente » E. CORNALIA » I Segretarj - » A. Stoppani — G. OuBONI. » 4152 SEDUTA DEL 35 MARZO. superficie del suolo, e segnatamente di quello che di giorno, in basso, la temperatura è assai maggiore, ma poco prima del tramonto, durante la notte e poco dopo l'alba è minore, era stato già invocato dai meteorologisti e segnatamente da Arago ad istigazione di Laplace, per spiegare i fenomeni della luna rossa, alla Commissione del Bureau des longitudes, che ignorava le cause vere di questo volgare e curioso fenomeno, al punto da non sa- pere che rispondere a Luigi X, che all’improvviso V'in- terrogava in proposito. Il professore Galanti nel rico- noscere ingegnosissima la figura tracciata dal Cantoni, per indicare graficamente l'andamento della temperatura atmosferica e del suolo durante l’ epoca della vegetazione; dubita delle precise correlazioni fra il parallelismo ed il divergere delle due curve, e la formazione o meno della cellulosa, piuttosto che dell’amido e dello zucchero nelle piante. Questi fatti reconditi della vita vegetativa, os- serva il preopinante, dipendono da cause così complesse, ed'il lavoro del Cantoni lo prova sempre meglio, che il ridurlo a regole geometriche sarà ingegnoso ed anche utile alla memoria, ma non sarà sempre vero, come non sarà possibile il ridurre ad un giuoco esclusivamente chimico la formazione degli alcaloidi operata dalle piante con quei succhi medesimi, coi quali formano i più igienici ed utili alimenti per gli erbivori: mentre non si sa an- cora spiegare perchè all'apparato pianta piuttosto che all'apparato anîmale, debba essere devoluta la preordina- zione primo-prima delle sostanze proteiche respiratorie ed idrogenate. E qui il professore Galanti si diffonde nell’applicare alla spiegazione teoretica di alcuni fatti della vita vegetabile le idee di un libro tedesco sulla correlazione delle forze fisiche e chimiche della natura. sEDUTA DEL 54 MARZO. 155 Senza seguire il preopinante in così vasto ed asirùuso ter- reno, ci limiteremo a dire, che secondo lui, la decompo- sizione diurna dell'acido carbonico è fra le altre cose una preparazione di dinamismo fisiologico, 11 quale, svolto così sotto l'influenza della luce solare, si attua durante la notte in altrettanto lavorio plastico di digestione, di assimila- zione, o in una sola parola d’incrementazione vegetativa. Laonde, quello che il Cantoni chiama nelle piante sonno, sarebbe per il Galanti la vera fase dello svolgimento de- gli organi vegetabili: ciò che starebbe in rapporto del fatto di quell’ invigorimento fisiologico, a cui il riposo dà luogo negli animali di specie superiore non solo, ma in quelli altresì delle specie inferiori, che sì assidera- no, e delle piante medesime, mentre quelle e questi sì ras- somigliano, secondo il preopinante, nell’ evoluzione feno- menale dei periodi di riposo vegetativo, che han luogo nella notte e nel verno. A questo coordinamento di feno- meni sarebbe, per diverse ragioni, bensì relativa la fi- gura testè citata del Cantoni, e quello ch’ egli osserva in tutte le cause eccezionali che provocano il regresso ed il progresso degli umori, non che la morte reale od ap- ‘parente delle piante. Nei quali fenomeni intervenendo sem- pre l’attività o l’inerzia dell’azione solare, causa precipua per il Galanti del fisiologico dinamismo a cui appellavamo di sopra, nell'ipotesi Galanti s'intenderebbe, egualmente che nelle ipotesi del Cantoni, come la nebbia di giugno succhia il grano, come il colzat e la pera vernina matu-, rino dopo essere staccate dal suolo e dall'albero; e lo stesso fenomeno del Brusone del riso, altro non sarebbe che un esaltamento od un eccesso di quel fisiologico dinamismo, al quale non potendo in proporzione rispondere il lavoro plastico che ne è conseguenza, la pianta si seccherebbe. | 134 SEDUTA DEL 5 MARZÒ. L'idea del resto di questo principalissimo imperio della parte chimica sulle vegetative funzioni della luce, la quale così palesemente si traduce sulla carta fotografica, non era sfuggita agli antichi filosofi, dapoichè lo stesso Dante ci lasciò scritto: Guarda il raggio del Sol che si fa vino, Misto all’ umor, che dalla vite cola. Sulle relazioni, che il Cantoni trovare vorrebbe fra 1 fatti da esso sì dottamente enunciati e la conferma che esso vuole vedere a quanto già pubblicò dal 1853 al 1860 al paragrafi 25, 31 e 32 dei suoi Nuovi principii di fi- stologia vegetabile, il preopinante non entra affatto, af- fermando mancargli per ora i materiali occorrenti ad un lavoro sì ingente, che uscirebbe dall’indole di queste no- stre famigliari adunanze, e che venne già, se non comple- tamente, certo onestamente discusso nelle pubblicazioni a ciò relative degli onorevoli soci Omboni e Bertini di Siena. Sono nominati soci effettivi i signori: Denza FrANcESco, padre barnabita, direttore dell’Osservatorio Meteorologico del Reale Collegio Carlo Alberto in Moncalieri, proposto dai soci Omboni, Mari- «noni e Craveri. Hatipay EnrIco ALEssANnDRO a Lucca, proposto dai soci Rondani, Passerini e Ferdinando Piccioli. È nominato socio corrispondente il signor: De MORTILLET GABRIELE, direttore dei Matériaux pour servir à l’ histoire de l’ homme, etc. Paris, rue de Vaugirard, 35. RIFLESSIONI SUGLI INSETTI E NUOVE OSSERVAZIONI SUI MEDESIMI DURANTE L’ECLISSE DEL 6 MARZO 1867 MEMORIA di ANTONIO VILLA (Seduta del 30 marzo.) Le leggi della natura non ponno essere interpretate con sicurezza che risalendo a larghe ipotesi, dopo di avere esaurite le più pazienti ricerche sugli speciali fenomeni ch’ essa presenta all'occhio esperi- mentato e vigilante dell’ osservatore. Le nozioni dedotte da una sem- plice osservazione possono talvolta ingannarci; per esse però si ponno intravedere alcune leggi; ma le leggi sospettate dietro 1’ osservazione non acquistano certezza , se non quando sieno state confermate per contrapposizione di artifizj sperimentali. Sicuro di questa verità, e coll’occasione dell’ eclisse solare che doveva accadere il giorno 8 marzo per la durata di ben più che tre ore, io mi preparava a ripetere le mie osservazioni ed esperimenti su alcuni insetti durante il periodo dell’ eclisse. stesso, in aggiunta a quelli istituiti per gli eclissi del 1842, 1847 e 1860. (Le relazioni allora du me fatte furono lette, la prima al Congresso degli Scien- ziati italiani in Padova, l’altra alla già Accademia Fisio-medico-stati- stica, ora Ateneo di Milano, e l’ultima a questa Società Italiana di Scienze naturali.) Persuaso che qualunque osservazione benchè isolata, quando sia eseguita coscienziosamente, è di gran vantaggio alla scienza, poten- (8510) ANITA, dosi considerare come una pietra di più che si apporta alla costru zione del grande edificio che deve compiersi allorchè i materiali sa- ranno sufficienti, ho fatto invito a diversi entomologi et entomofili, onde mi volessero coadjuvare con loro osservazioni e sperimenti, e segnatamente al miei amici Pini, Taccani, Giusti, Osculati, Turati, Stabile, Galeazzi e Sordelli, quasi tutti miei allievi. La stagione ancora invernale non essendo, come nel luglio 4842 e 1860, addatta a presentare come campo d'osservazione le praterie ed i luoghi coltivi fuori della città, chè ben pochi insetti si vedono vagare al presente nelle belle giornate soleggiate, dovetti necessa- riamente attenermi al metodo da me addottato nell’ eclisse della mattina del 9 ottobre 1847, radunando cioè alcune specie d’ insetti alcuni giorni prima del fenomeno, ed osservandoli rinchiusi in reci- pienti di vetro, nei quali vi fosse la comunicazione coll’aria esterna. Mio scopo principale era di procurarmi un Procrustes corzaceus , per ripetere l'esperimento eseguito dal mio amico Don Giuseppe Stabile nell’eclisse del 1847, e provare sempre più quanto io aveva esposto sui costumi del medesimo, varianti a seconda delle mutate condizioni del paese ove abita, facendosi in un luogo animale not- turno, diurno altrove. To già indicai nella mia memoria Degli insetti carnivori adoperati a distruggere le specie dannose all’ agricoltura , e nelle relative aggiunte, come nel settentrione, nell’ occidente e nel centro della Francia quest’ insetto, secondo l’asserzione del signor Boisgiraud, incontrasi girovago nelle ore diurne dentro le valli fresche ed ombreggiate, mentre nel mezzodì di quella stessa contrada, mu- tati i costumi, si fa animale affatto notturno; così pure, dentro i più brevi confini della nostra Brianza, io ebbi a trovarlo diurno al nord tra le colline, e poco in giù, nei piani di Desio, intanato nei sotter- ranei e sotto le pietre, fuggente la luce del giorno; sicchè ne dedussi la conseguenza, che mentre nell’ alta Francia ed al piede dei monti ‘comaschi il Procrustes coriaceus tornerà opportuno a combattere le specie che presentano abitudini diurne, altrove non potrà convenire ‘se non contro gli insetti, le lumache, i limaci ed i vermi, devastatori motturni dei giardini, degli orti e dei campi. Per quante indagini però io abbia fatte, non mi fu possibile questa RIFLESSIONI SUGLI INSETTI, ECC, 187 volta trovare un Procrustes onde ripetere |’ esperimento , che rivela una legge tanto feconda di conseguenze nel campo sperimentale, Rinvenni invece un altro carabico di mediocre grandezza, che ha qualche rapporto col medesimo, cioè lo Sphodrus planus, insetto cu- rioso, carnivoro per eccellenza, ma che sappiamo potere anche vivere due anni conservato in un bicchiere, senza cadere nel sonno letargico invernale, secondo De Kouchakévitsch, e senz’ altro nutrimento che della Phillodromia germanica e qualche goccia d’ acqua. lo lo col- locai in una scatola di mediocre grandezza, con coperto di vetro, con- tenente in un angolo terra umida, in altro ritagli di carta, ed in altro foglie secche, e gli posi per nutrimento acini d'uva, frammenti di datteri, degli Oniîscus vivi, ed una B/aps morta di recente, conscio che nella Russia quest’ insetto ha per costume trovarsi nelle quisquillie militari, e dare la caccia alle larve della £/aps. Una Zlaps viva la posi separatamente. Vari Onîscus li collocai con terra umida in grande recipiente di vetro, di cui metà restava sempre ombroso. Diverse specie di ragni, collocati isolati, onde non si divorassero l’un l’altro, cioè Amaurobius ferox, Pholcus rivulatus, Theridion triangulifer ed Epeira umbratica. Scelsi per le osservazioni un luogo aerato, elevato, superiormente al tetto di mia casa, e per avere dati di confronto le istituii alcuni giorni prima, Nei giorni 2, 5, 4, 3 tutti gli insetti presi ad esperimento alle ore otto e mezza erano desti, ed al sole erano tutti vispi. Degli Oniscus alcuni salirono sulla carta all’ ombra, altri stettero nella terra umida. I ragni al sole salivano sul coperto ombroso, e lo Sphodrus si aggi- rava nei ritagli di carta, indi si nascondeva sotto le foglie. Nel giorno 3 però, ch'era nuvoloso, tutti si destarono più tardi, erano più tran- quilli, ma a toccarli vagavano per qualche tempo. Un bruco di lepi- dottero notturno, che stava sempre ascoso nella terra, sortendo sol- tanto per nutrirsi, si portò sotto le foglie. nè più si mosse di Jà. I ragni li osservai sempre immobili, e toccati vagavano per alcun tempo. Nel giorno 6 nevicava, ed il cielo coperto impediva di vedere | e 438 A. VILLA, clisse. lo volli continuare però istessamente le mie osservazioni, per- suaso che, sebbene non visibile il fenomeno dell’ occultazione del sole, se vi ha qualche influenza per l’intercettazione del sole fatta dalla luna, od invece per la somma delle attrazioni dei due globi sulla stessa linea, gli insetti debbono risentirla, giacchè dalle mie osservazioni antece- denti per eclissi, temporali, uragani, ecc., io aveva notato come gli insetti abbiano Ja facoltà di risentire in modo speciale l'impressione della siccità, dell’ umidità, dello stato elettrico dell’ atmosfera , e ciò per mezzo delle loro antenne, costituite per lo più ad anelli, a foglie, a dischi, a piastre, a lamine, ecc., come una pila elettrica. Già il grande Cuvier ammetteva che le antenne degli insetti sieno destinate a qual- che genere di sensazione di cui noi non abbiamo alcuna idea, ‘ma che si possa riferire allo stato dell’ atmosfera. lo ho già esternato in altri miei scritti come oltre quest’ uso ritengo possano servire a diversi altri sensi complessivamente, appunto come l’ organo dell’ odorato nel- l'elefante gli serve di braccio e di mano, come la lingua dei cama- leonti e dei formichieri serve loro d'organo di prensione; quindi esse le ponno servire anche come organo di olfatto, di udito, di tatto, e fors'anche di gusto. i I miei insetti adunque alle ore 8,50, epoca in cui doveva inco- minciare l’ eclisse, quantunque giornata rigida erano tutti desti, e va- gavano con lento moto. Poco dopo un movimento insolito nelle an- tenne si appalesava , ed alle ore 10 tutti erano immoti ed irrigiditi , ma più di tutti gli Onîscus, che anche scossi non si movevano, e lo Sphodrus, che sembrava perfino morto, ed era immobile anche a toc- carlo, nella stessa maniera che si comportò il Procrustes del)profes- sor Stabile nell’ eclisse 1847. Le diverse specie di ragni si compor- tarono tulte ugualmente fra loro, sempre immoti, e scossi vagavano per qualche tempo. Anche il mio amico Sordelli, che da più mesi tiene nella propria stanza molti ragni viventi in appositi vetri, non ha osservato in essi alcun segno di eccezione. Tale stato di cose se- guitò per tutto il tempo che doveva durare l’ eclisse (sin alle 14,40), e dopo lo Sphodrus a poco a poco si ridestò, incominciando i primi movimenti delle antenne. Gli altri insetti non diedero segno di risve- gliarsi che dopo mezzogiorno, ed allora lo Sphodrus era ‘appiattito RIFLESSIONI SUGLI INSETTI, ECC. 4159 pauroso sotto le foglie, agitando le antenne, e restò in questo stato tutto il giorno. Tre ore dopo tutti erano desti, ma quieti, ad eccezione di un ragno, il Pholcus rivulatus. Lo stato irrigidito de’ miei insetti all’ epoca media dell’ eclisse io credeva quasi si dovesse attribuirlo al forte freddo che regnava in quel momento, ma il ridestarsi dello Sphodrus e poi degli altri in- setti dopo I’ eclisse, mentre pur continuava un venticello fresco, mi persuase che piuttosto unicamente al fenomeno si dovesse un tanto cambiamento. In ogni modo, se anche m° ingannassi, è un fatto regi- strato, che avrebbe bisogno di verificazione. Il giorno dopo (7 marzo), mattina nuvolosa, fredda e piovigginosa. Alle otto e mezza tutti gli insetti erano quieti, ed esposti vagavano pei recipienti, e più di tutti lo Sphodrus. Alle ore dieci erano im- mobili, ma desti, e si movevano tosto appena toccarli, eccetto gli Ont- scus, che trovai quasi irrigiditi, e lo Sphodrus che stava succhiando un acino d'uva. Al mezzogiorno erano pure tutti immobili, ma desti, mentre soffiava un freddo venticello; lo Sphodrus se ne stava na- scosto sotto le foglie, e così tutto il giorno. Nel giorno 8, ch’ era piovigginoso, si comportarono ugualmente, e lo Sphodrus era più vispo. Non vedendo mai a ricomparire il bruco notturno di lepidottero, che da alcuni mesi io teneva nella mia stanza, e rodeva le foglie di notte, lo cercai, e lo trovai ancora sotto le foglie ad incrisalidarsi. Stupii, e feci le seguenti riflessioni : quella giornata di sole del giorno 2 alla quale lo esposi, non sarebbe ella stata la decisione della sua metamorfosi ? Forse se non fosse stato esposto al sole, avrebbe continuato a vivere nello stato di bruco per alcune altre settimane ? L'influenza della temperatura nelle metamorfosi degli in- setti è già riconosciuta da tutti i naturalisti, ed il mio amico profes- sore don Mariano de la Paz Graells, di Madrid, ne ha trattato in pro- posito in una sua Memoria, inserita negli Atti dell’ Accademia di Scienze naturali di Barcellona del 1844. In essa parla, come gl’in- selti sieno sensibili ai cambiamenti atmosferici. Ritornando pertanto al nostro assunto, non conosco altre osserva- zioni fatte in questa occasione, se non quelle de’ miei ottimi amici Taccani e Pini, i quali, annuendo a’ miei inviti, rivolsero le loro in- 160 A. VILLA, dagini su varie specie d’insetti, raccolti i giorni prima. Il signor Tac- cani aveva Coccinelle, Ptinus, Catops, Pecilus, Calathus, Callidium sangquineum, ecc., ed al momento dell’eclisse li trovò tutti quieti, ad eccezione di un ragno (Segestria senoculata), che si accinse a divo- rare due brachelitri o stafilinidi. Toccati gli insetti immoti,, cerca- vano nascondersi, non presentando traccia di letargo: negli emiltteri però vi rimarcò maggior tranquillità del solito. Il signor Pini poi ha istituite minutissime osservazioni sopra molte specie d’insetti (2yr- rhus concolor, Melbe fracticornis, Chrysomela Rossia, Valgus he- mipterus, Coccinelle, Calathus, Pederus, ragni, ecc.), e mi ha for- nito una bella e dettagliata relazione di tutte le accidentalità avve- nute ad ogni mezz'ora, accompagnata dalle relative osservazioni termometriche e barometriche, ma che troppo lungo sarebbe di qui riportare. Esse conducono però alle medesime conclusioni che le mie attuali e quelle degli eclissi antecedenti , lo risvegliarsi cioè per tempo di alcune specie, la protrazione del sonno in altre, l’ irrequie- tezza e la straordinaria affezione in alcune, in altre il timore, il sonno, il torpore, il letargo, ecc. Egli pure, il signor Pini, ha trovato come morto un Caluthus, che per caso provò a toccare, e rimarcò il periodo pauroso delle Coccinelle, anche allo stato libero naturale, giacchè prima dell’ eclisse vagavano indifferenti sui muri del giardino. I risultati di queste osservazioni non furono al certo così marcati come nell’ eclisse totale del 1842, e per la stagione ancora jemale, e per le circostanze tutte sfavorevoli della giornata, e per la poca varietà delle specie avute ad esperimento, giacchè ogni specie ha i propri costumi, e non bisogna credere che tutte le specie d’una fa- miglia d’insetti abbiano un egual metodo di vita, mentre moltissime sono le eccezioni che si presentano. Lo Zabrus gibbus, per esempio, fra i carabici, e quindi locato assieme ai carnivori, lo troviamo, per fede del Corti e del Gené, tra gli insetti nocivi, come distruttore delle piante del frumento. Il Zudius germanus tra i sternoxi, che nessuno poteva sospettare differente di costume dalle altre specie della fami- glia (essendo essi insetti florali, e le cui larve vivono nei vegetali), lo troviamo indicato come insetto carnivoro, ciò che nessuno crederebbe, se non fosse attestato da tre celebri entomologi, Motschulsky, Mèné- SL SIA RIFLESSIONI SUGLI INSETTI, ECC. 161 triés e Sievers, i quali lo viddero cibare l’ abdome di una grande Epeira ancora vivente. Mentre tutti i lepidotteri amano più o meno la stagione calda per svilupparsi e compiere il voto principalissimo della natura, una piccola tortrice, Micana sparsana , giusta le osser- vazioni di Pasteur, Rosenberger e Ménétriés, fa comparsa in grande quantità in Curlandia il 28 ottobre 1837, dopo tre giorni di una fitta nevicata, alla temperatura di 7 gradi R. sotto zero. L’Apalus bima- culatus, estivo abitatore della Svezia e Norvegia , appare talvolta da noi, e solo allo sciogliersi delle nevi. I Cedrii, nell’Italia meridionale e nella Spagna, richieggono per svilupparsi lunghe pioggie autunnali, e il solo maschio compare alla luce e si mostra volitando, mentre la femmina sta sempre nascosta aspettando il fedele compagno. Il Ser- ropalpus barbatus ed altri insetti distruttori di legni non vanno in giro che di notte, e così fa pure una gran parte dei carnivori. Di tutti i fatti si deve tenere esatto conto, ancorchè al momento non si sappia darne la spiegazione: essi potranno servire in seguito. Ma il notare e raccoglier fatti per semplice compiacenza di possederne una raccolta è puerile passatempo; lo supporre che si possano cercare le leggi della natura per mera curiosità è supporre un assurdo mo- rale; il raccogliere pazientemente i fatti, compararli, specularne intelligentemente le leggi per arricchirsi di nuove e migliori forze, ciò solo giustifica i sacrificj spontaneamente incontrati da chi si pone in questi studj, e dà loro diritto alla pubblica stima e grati- tudine. Gl’insetti offrono un campo vastissimo d’osservazioni sui loro co- stumi, per la conoscenza delle specie dannose e di quelle utili da contrapporre per la distruzione delle prime. Se poi servono vera- mente a sperimentare lo stato dell'atmosfera, ponno presagire anche i tempi procellosi; e così troviamo registrato tra le note di meteoro- logia entomologica inserite negli Etudes entomologiques del celeber- rimo entomologo russo Victor Motschulsky, luogotenente colonnello dello stato maggiore (mio ottimo e carissimo vecchio amico), la com- parsa in abbondanza del Zenebrio molitor come segno sicuro di piog- gia, ed io pure già indicai nella prefazione del Catalogo dei coleopteri della Lombardia, pubblicato nel 1844 assieme a mio fratello per l’ oc- Vol. X. 414 162 A. VILLA, RIFLESSIONI SUGLI INSETTI, ECC. casione del Congresso degli Scienziati italiani in Milano (1), come con- tribuisca sugli insetti lo stato elettrico del momento, avendo noi 0s- servato in tempi procellosi, fra lo scompiglio della natura , alcune specie d’insetti colpite da mestizia e terrore, altre quasi ebbre e tri- pudianti; alcune rifugiarsi nélle loro latebre, altre uscirne a far preda delle specie timorose; alcune scuotersi dal torpore e vagare per l’aere, altre darsi all’ amore. - Ma tutte queste osservazioni, che pur tante abbiamo da diversi en> tomologi, sono ancora poco al bisogno per la spiegazione dei feno- meni della natura. Esse sono ancora imperfette, staccate, disordinate 5 se si fossero possedute notizie ordinate e complete anche solo intorno a pochissime specie d’insetti, le più sparse in Europa, le più comuni e triviali, quanto l’ entomologia non avrebbe potuto contribuire alla determinazione delle linee isotermiche, di cui l’Hmboldt s’adoperò a chiarire }’ altissima importanza! Quanto avrebbe contribuito al gran- dioso progetto del celeberrimo artronomo Quetelet di Bruxelles, di- retto a tracciare i circoli d’ evoluzione percorsi separatamente da cia- scuno dei fenomeni fisici od organici, per indi coordinarli dietro i loro rapporti! Quest’ insigne sapiente, nella sua memoria Znstructions pour l'observations des phénomènes périodiques, ha dato una nota d’ insetti de’ più comuni in ogni ordine, dei quali sarebbe d’uopo osservare in ogni paese la primiera comparsa annuale. Nell’ altro di lui opuscolo, Phénomene périodiques, parla pure dell’ importanza degli insetti; onde , se personaggi di tanta dottrina riconobbero quanto valore ab- biano gl’insetti nell’ economia animale, non sono al certo da trascurarsi le loro osservazioni. lo approfitto di questa circostanza per rendere pubblici ringraziamenti al sullodato insigne astronomo per aver vo- luto favorire me pure di questi ed altri di lui lavori tanto interessanti. Non sapendo se altri abbiano istituite delle osservazioni di questo genere, ho creduto non del tutto inutile il riferire quel poco che. si è potuto raccogliere in proposito; così almeno avrò risposto all’ap- pello fatto agli entomologisti nel Bollettino di gennajo della Corri- spondenza scientifica della signora Caterina Scarpellini di Roma. (1) Notizie nalurali e civili su la Lombardia, Milano, 1844. Seduta del 28 aprile 18697. Sul principio della seduta il vice-segretario Marinoni dà lettura d’una comunicazione del socio Strobel, Sui pa- raderos preistorici in Patagonia. Il segretario Omboni legge poi una comunicazione del socio Diirer, intitolata: Cenni idrologici, specialmente sulle variazioni annue e mensili del livello di diversi laghi e fiumi, e su quella alterazione straordinaria di livello (seiche) avvenuta sul lago di Como negli anni 1344 e 1860. Lo stesso segretario lesse pure un suo Sunto d’una re- cente opera del signor Gouin , intitolata: Motice sur /es mines de l’ile de Sardaigne, e mandata in dono alla So- cietà dall'autore. Questi tre lavori saranno pubblicati negli Atti. Il Presidente Cornalia presenta alcune fotografie rap- presentanti cranj umani, trovati dal socio Strobel nei paraderos della Patagonia: disegni che saranno pubbli- cati in una tavola da unirsi alla comunicazione succitata del socio Strobel. Il socio professore Galanti prendendo motivo dalla pre- cedente lettura si fece a domandare ai coadunati se possa ammettersi coll’ ingegnere Raffaele Pareto che sulle sponde dei laghi alpini della Lombardia dominano gior- nalmente due venti periodici, uno meridionale, che inco- mincia prima di mezzogiorno e termina alla sera, e l’altro settentrionale che incomincia alla sera e termina alla mattina: capaci di produrre certe variazioni giornaliere 16% SEDUTA DEL 28 APRILE. di livello. In tal caso, soggiungeva il preopinante, diver- rebbe forse possibile l'applicazione di una macchina im- maginata dal signor Vincenzo Fusina, e destinata ad elevare le acque di essi laghi per mezzo di due pompe aspiranti, le quali verrebbero messe in movimento da una botte galleggiante e continuamente mossa d’alto in basso dall’onde del lago stesso; botte che a tal’ uopo viene op- portunamente connessa ad un doppio braccio di leva che diviene il motore dei due corpi di tromba agenti alterna- tivamente. Entrando in più minuti dettagli di descrizione del detto congegno, ed ammessa coi due ingegneri la possibilità di trar profitto da questa forza naturale quasi gratuita, soggiungeva il Galanti che le onde suddette, quantunque variabili nell’altezza, quando fossero costanti per alcune ore del giorno nel loro moto di ascesa e discesa, potreb- bero rappresentarci un mezzo prezioso per dissetare quelle piante che nei mesi più urenti, pur specchiandosi sulla sponda del Lago, sono nondimeno destinate ad ap- passire e, se erbacee, anche a morire di siccità. Un tal mezzo, secondo il preopinante, quantunque si possa con- siderare come uno dei più deboli sussidii per elevare l’acqua, stante la poca altezza a cui l'onda lacustre può innalzare il galleggiante, pure dovrebbe. essere presa in considerazione dai possessori di quelle zone di ter- reni le quali, sebbene limitate, potrebbero con un tal mezzo irrigarli. I soci Stoppani, Cornalia, Omboni ed altri rispondono di non aver mai avuto conoscenza di tale fenomeno, anzi credere che non possa aver luogo su tale scala e con tanta regolarità, da poterne essere tratta una simile applicazione, sebbene comodissima ed opportuna- mente rilevata dal preopinante: rimane un desiderio dei SEDUTA DEL 28 APRILE. 165 due ingegneri, dappoichè non è un fatto lacustre bene constatato. È data lettura del seguente brano di una lettera del socio Rostan: « Non sarebbe il caso di fare adesso il catalogo della Biblioteca, ed in seguito darne un supplemento ogni anno? Alia fine del volume degli Atti sarebbe già una pena di meno per cercare le opere, di cui si abbisogna, piuttosto che di passare più di 50 indicazioni diverse negli Atti, oppure non poterle trovare per non avere la intiera raccolta degli Atti, ciò che ora è impossibile, visto 1’ esaurimento dei volumi I e II. « Le spedisco per sunto la ripartizione dei membri della nostra Società per le singole città d’Italia ed i paesi d’Europa. Numero dei socj effettivi 324. Ancona 4 Imola 4 Palermo 3 Arezzo 1 Lecco 2 Pergola 4 Ascoli 3 Livorno 4 Pinerolo 4 Bassano 2 Lodi 3 Ponte S. Giorgio 4 Bergamo 7 Lucca 1 Pontedera i Bologna 6 Lucera 1 Pontremoli 2 Biella 2 Lugano 1 Porto Venere 4 Brà 4 Mantova 3 Rimini 4 Brescia 6 Malta 1 Sarzana 2 Cagliari 4 Messina 4 Serravezza 4 . Careno 4 Milano 4129 Siena 4 . Carrara Re Modena 2 Spezia 6 | Casale 4 Monza A Torino 15 Catania 2 Napoli ò Udine 2 Codogno 1 Novara 1 Varallo 4 Como 10 Orvieto 1 Varese 4 Crema 2 Padova 4 Venezia 2 Faenza 3 Parma 2 Vercelli I Firenze... 45 Pavia 13 Verona 4 Forlì 4 Perugia 4 Vicenza gi Genova 9 Pisa I AI? estero : Buenos-Aires I, Parigi I, Pietroburgo 41. 166 SEDUTA DEL 28 APRILE. Fra le diverse parti d’Italia : Piemonte 47 Sicilia e Malta 7 Lombardo-Veneto | 196 Sardegna 1 Etruria e Marche 55 Fuori d’Italia 3 Napoli e Romagne 15 Totale 324. Soc) corrispondenti numero 29. Annover 4 Prussia 3 Austria 4 Russia I Belgio 1 Sassonia 1 Francia 8 Spagna 0 Inghilterra 4 Svizzera 6 » Sarebbe interessante a veder non solamente la ripartizione dei Membri della Società per le diverse città d’Italia, ma pur anche sotto il punto di vista degli studii ai quali ogni Membro suole applicarsi: così, per esem- pio, vi saranno tanti botanici, zoologi , paleontologi, ecc., e per ciò oc- correbbe aver d’ ognuno la dichiarazione. Indi si potrebbero formare dei Comitati parziali, e poi degli scambj di materiali raccolti, e aumento di specimini, senza aumento di spese: ognuno nel suo paese raccoglierebbe per sè e per i socj delle altre parti d’ Italia. » Spero poter far così per le specie di piante del Piemonte, delle quali posseggo un certo numero di esemplari. » Questa lettura dà origine a una breve discussione, la quale finisce coll’incaricare la Presidenza della pubbli- cazione di un Catalogo della Biblioteca nel suo stato at- tuale, e della successiva pubblicazione di supplementi an- nuali a detto catalogo; e col dichiarare inattuabile per ora il progetto della distribuzione dei Soci in varie sezioni. È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. È chiusa la seduta col nominare socio effettivo il si- gnor: NicoLucci dott. cav. GiusTINIANO, di Isola presso Sora (Napoletano), proposto dai soc} Garbiglietti, Trom- peo e Cornalia. G. OMBONI, PARADEROS PREISTORICI IN PATAGONIA CON TAVOLA LETTERA DEL SOCIO PELLEGRINO STROBEL ALLA SOCIETA’ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI (Seduta del 28 aprile 1867). Patagones, 19 febbraio 1867. . Arrivato l’ 44 corrente in questa antica colonia spagnola, ebbi la bella sorte di scoprire, il 18 successivo , gli avanzi di un paradero ossia di una stazione preistorica degli indiani Zehuelches (pron. Teuelces) 0 Patagoni. Abboccatomi, il giorno dopo, coll’egregio si- gnor Giorgio Claraz, il quale da tempo abita e percorre queste con- trade, ed eseguì pericolosi viaggi scientifici nell’interno, accompa- gnato dagli stessi Indiani, ebbi da lui molte ed importanti comunica- zioni in proposito di queste accumulazioni di oggetti vetusti di una razza nomade. Ma avendo egli, in colloborazione col signor Heusser, illu- strata la copia di monumenti rinvenuti, e riunite le relative osserva- zioni in una memoria che non tarderà molto ad essere pubblicata in Isvizzera, sua patria; mi faccio un dovere di ignorare quelle notizie: sino alla comparsa di tale lavoro, e quindi, sia in questo primo an-. nunzio, sia nella dettagliata relazione, che mi riserbo di presentare in argomento, al prossimo mio ritorno in Italia, mi limiterò ad e- sporre solamente quanto io stesso osservai, e ad enumerare e descri- vere unicamente gli oggetti da me raccolti. . In seguito a detta scoperta incontrai altri minori cumuli, se pure con tale nome si possono indicare letti superficiali contenenti gli ac- 168 P. STROBEL, cennati residui; ed il prelodato signor Claraz ebbe la rara bontà di condurmi ad uno, che nasconde eziandio scheletri della razza che li depose. La stazione da me primieramente rinvenuta, e della quale voglio dare una idea in succinto, trovasi circa quattro miglia al S. E. dal pueblo di Patagones, o £l Carmen, sulla barranca o costa, elevata quivi pochi metri sopra la sinistra sponda o settentrionale. Essa con- sta di strati di arenaria e di calcare, spettanti alla formazione 4er- ziaria patagoniana di d’ Orbigny, coperti da sottile letto di arena mescolata a ciottoli generalmente assai piccoli, sopratutto di diverse varietà di quarzo, nonchè di porfido, di diorite, di basalte, di lava, di pomice. In questo deposito mobile e rimaneggiato dal vento, al par di una duna, si è appunto dove rinvengonsi gli indicati avanzi. A quanto mi parve, stendesi per circa un buon quarto di miglio lun- go la riva formandone il lembo, si allarga per una trentina di me- tri verso l’interno, e tocca, qua e là, mezzo metro di potenza. Spe- cialmente dopo un tempo secco e ventoso non è difficile la scoperta di queste stazioni, che furono solo temporariamente, ma interpolata- mente abitate (Claraz), e ricca riesce la messe di oggetti, poichè il vento scegliendo secondo la gravità, trasporta la sabbia e lascia in posto le anticaglie, siccome troppo pesanti. Alla vista della prima scheg- gia di quarzo sostai sorpreso e colmo di gioja, immaginandomi tosto che ai miei piedi doveva giacere una miniera di resti del lavoro del- l’uomo di Patagonia, nell’ epoca preistorica, poichè sapeva da Dar- win (/aturwissenschaftliche Reisen, 1 parte, pag. 122), che in que- ste contrade s’ incontrano abbondanti le punte di freccia di selce, non usate dagli attuali indigeni, ma solo dai selvaggi della vicina Terra del Fuoco. Mi misi immediatamente alla ricerca loro: alle molte scheggie seguirono le bdolas o pietra da fionda, i cocci, i rimasugli | del pasto, le frecce. Ecco la lista degli oggetti ivi raccolte in poche ore: Avanzi del pasto. Ossa bruciate, ossia cilindriche spaccate pel lungo con tracce di PARADEROS PREISTORICI IN PATAGONIA. 169 tagli; ossa di Guanaco (Auchenia Guanaco) e di T'ucutuco (Cteno- mys brasilensis), pezzetti di armatura degli Armadilli Peludo (Dasy- pus villosus) e Pichy (D. minutus), di gusci di uova d’ Agestruz (Rhea americana); conchiglie di tre specie di Z'oluta, di Unio, mol- luschi che tuttora si mangiano dai Patagoni, ed anche da taluni degli abitanti europei ed africani del paese. Stoviglie. Cocci di vasi piuttosto piccoli, di pasta fina, cenerina o rossastra, poco lucenti, in parte coperti da una incrostazione bianca calcare, con ornati di linee e punti incavati, simili a quelli de’ cocci raccolti in- torno a Buenos-Ayres, e dei quali mandai i disegni al sig. De Mortil- let, pel suo giornale Materiaux pour l’ histoire de l'homme. Istrumenti. Pietre da fionda, di arenaria, porfido, diorite e selce, delle due forme figurate nella mia memoria: Avanzi preromani, ecc., tav. III, fig. 12, e IV fig. 25. Ciottoli per polverizzare il sale (secondo Claraz). Arnesi di uso incerto. Conchiglie della maggiore Z’oluta, per cavare acqua (secondo Claraz). Armi. Piccolissime punte di freccia di agata, di forma triangolare iso- scele, simili ad una di ossidiana degli antichi Araucani, che si con- serva nel Museo pubblico di Santiago nel Chili. | Altre maggiori di selce, della forma figurata nei citati Avanzi alla tav. VII, n. 30. Nuclei e scheggie abbondanti, scarti e rimasugli della lavorazione di dette armi. 1470 P. STROBEL, Oggetti di ornamento (secondo .Claraz). Conchiglie di Oliva, Vassa, Chilina. Vidi il secondo e piccolo deposito sulla sponda destra del fiume salendo alcun poco dal primo: per la coltura del terreno fu rimaneg- giato, ed offre quindi pochissimi avanzi e poco interesse. La terza zona di cumuli preistorici, cui mi condusse il sig. Claraz, trovasi di fronte alla parte vecchia e principale di Patagones, che è la settentrionale, sulla darranca sinistra del Rio; e la parte meridio- nale di questo pueblo è costrutto in parte sul terreno stesso di dette stazioni, formate da piccole eminenze (forse artificiali) simili ad ar- gini di terra che si prolungano verso il S. e lungo la sponda destra del fiume si intersecano, ricordandomi le prominenze mammellonari delle nostre terremare. Quella’ di tali stazioni, che a quanto pare, servi anco di cimitero, dista quattro miglia circa dal paese, e rin- viensi presso una esfancîa o casa campestre, impropriamente deno- minata il Molino. Nella gita a questo deposito oltre varii fra gli 0g- getti raccolti prima, incontrammo: Avanzi del pasto. Dente incisivo di una Nutria (Myopotamus coypus). Conchiglie di Pecten e di Z'enus. Istrumenti. La metà di nn mortaio di pietra, un pestello, di arenaria (4), una macina e sottomacina, pure di arenaria; un pezzo di diorite porfi- roide con incavi, per appoggiarvi i ciottoli, mentre si riducono a pietre da fionda (secondo. Claraz). Armi. Punte di grandi frecce, di diaspro, simili ad altre raccolte nel Chili e conservate nel nominato Museo. (41) Essendo cilindrico, si usava anco per tritolare sostanze, facendolo scorrere ste una sottomacina od altro sasso piano. PARADEROS PREISTORICI IN PATAGONIA, 474 Due crani brachicefali, uno d’uomo e l’altro da donna, da quan- to pare. Sembra che la età degli avanzi preistorici in discorso non sia molto remota, ed eguale a quella degli oggetti di pietra degli antichi In- diani della Pampa, da me raccolti l’anno scorso nella provincia di San Luis, di cui vennero consegnati i disegni e la descrizione al si- gnor De-Mortillet per la inserzione nel citato suo giornale. E ritengo tale opinione, sebbene fra gli oggetti di San Luis, sianvi arnesi ed armi levigate, mentre di queste ultime non se ne conoscono, al dire di Claraz, fra i monumenti antichi di Patagonia. Esso sono invece co- muni nel Chilì e sopratutto nel Brasile; e parmi, quindi, che di là siasi esteso il loro uso sino nel centro della Repubblica Argentina. Paraderos, antichi come il descritto, si incontrano, secondo Claraz, in tutta la vasta provincia di Buenos-Ayres, specialmente verso il S. e lungo la costa dell’ Atlantico, sicchè si potrebbero considerare come la continuazione, in condizioni alquanto mutate, dei Kjoekkenmoed- dinger delle coste del Brasile. Nell’ interno della Patagonia, partico- larmente lungo i fiumi, trovansi paraderos quasi ad ogni lequa, o quattro miglia di distanza l’uno dall’ altro, CENNI IDROLOGICI. SPECIALMENTE SULLA VARIAZIONE ANNUA E MENSILE DEL LIVELLO DI « DIVERSI LAGHI E FIUMI, E SU QUELL’ALTERAZIONE DI LIVELLO STRAORDI- NARIA (seiche) AVVENUTA SUL LAGO DI COMO NEGLI ANNI 1844 e 1860. COMUNICAZIONE del socio BERNARDO DURER. con due tavole. (Seduta. del 28 aprile 1867.) « Fra tutti gli elementi, il migliore è l’acqua » diceva il più grande poeta lirico dei tempi antichi. Se noi vogliamo prestar fede all’età attribuitasi ai libri sacri noti sotto il nome di Zend Avesta, sono più di quattro mila anni che fu raccomandata ai Gerberi la ir- rigazione come opera sacra. Il Nilo fu elevato nei tempi remoti alla dignità degli Dei, precisamente per il benefico influsso apportato dalla sua naturale irrigazione nel basso Egitto. Gli acquedotti dei Romani sono da annoverarsi fra le più rimarchevoli opere d° architettura an- tica. Il Naviglio Grande e il Canale Muzza testificano in modo stu- pendo che anche da noi da quasi sette secoli si riconosceva l’ impor- tanza dell’ acqua per l'agricoltura, la qual’ importanza continuamente spinse a intraprendere altri lavori per estendere l'irrigazione e per migliorare il sistema irrigatorio. Omettendo qui l’enumerazione di tante altre qualità che ha l’ac- qua, e che con ragione le hanno fruttato il nome di miglior elemento, vogliamo limitarci all’ esposizione di alcuni fatti desunti da osserva- zioni idrometriche , raccomandando nello stesso tempo il sullodato elemento all’attenzione di tutti, specialmente per le osservazioni delle CENNI IDROLOGICI, ECC. 175 altezze dell’acqua nei laghi e fiumi durante l’ anno , onde raccogliere dati desideratissimi, tanto per l'idraulico, quante per il meteorologo. ‘Anche l’acqua sotterranea nelle città e nei luoghi abitati meriterebbe di essere osservata, in quanto che essa varia di livello nel suolo. Vi sono dei distinti medici, che attribuirono grande influenza a questa variazione di livello dell’ acqua nel suolo, sulla frequenza di certe ma- lattie: cholera, tifo, ecc. Il grande utile derivante dal ben sistemato regime irrigatorio di Lom- bardia ha molto contribuito a studiare sempre meglio i fenomeni che ci presenta la circolazione dell’acqua nei fiumi. Valendomi dei dati esposti negli scritti dell’illustre Lombardini (1), presento a paragone alcuni risultati avuti da altre osservazioni idrometriche, fatte più re- centemente od in altre località. i I fiumi, che ricevono la loro acqua da pianure o da montagne poco elevate, crescono di solito nei primi mesi primaverili alla massima altezza, in conseguenza della liquefazione delle nevi e della minor entità dell’ evaporazione; nell’ estate diminuisce poi la quantità d’ ac- qua in tali fiumi, così che raggiunge nell’ autunno la minima portata. L'andamento nel livello dell’Elba, rappresentato sulla annessa Tavola II, ci conferma questa regola. Invece fiumi o laghi, che si alimentano dalla pioggia o da neve ca- duta sui versanti e sulle cime di alte montagne, hanno il loro mag- giore deflusso nei mesi d'estate, e la massima magra nei primi mesi dell’anno: cosa che ci viene confermata colla citata tavola riferita al- l’Adda lacuale, ed al Reno presso Basilea. In detta tavola ho voluto dimostrare le medie delle altezze d’acqua, le medie delle massime e le medie delle minime, come pure le estreme assolute per ogni mese durante i quattordici anni dal 1850 al 1863. Ne rileviamo anche l’influenza prodotta dalla predominante quantità di pioggia, che cade sul versante meridionale delle Alpi in autunno. L’ altezza media delle massime e delle minime avviene nei mesi se- guenti e nelle misure qui presso indicate. (4) Stato idrografico di Lombardia. Milano, 18%4..- Essai sur Vhydrologie du Nil. Paris et Milan 41865. - Sulla natura dei laghi, Milano, 1866; ecc. 474 B. DIlRER, Massima Minima m m Nilo Ottobre 6,410 Giugno 0,530 (al Delta) Senna Febbrajo .. Agosto (Parigi) Elba Aprile 0,530 Ottobre — 0,920 (Dresda) Danubio Giugno 3,213 Febbrajo 4,323 (Passau) Reno Giugno 2,627 Gennajo 4,108 (Basilea) Po Maggio — 2,028 Gennajo — 5,780 (Pontelag.°) Lago di Como Giugno — 4,441 Marzo — 0,170 (Tremezzo) » Maggiore Giugno 4,900 Febbrajo .0,297 (Sesto Calende) » di Garda Luglio 1,139 Febbrajo 0,886 (Desenzano)... » diGinevra Agosto 4,887. Marzo 0,575 (Ginevra) » diCostanza Luglio * 4,647 Febbrajo 0,084 (Friedrichsh) La tavola I contiene il prospetto sull’ andamento delle altezze di acqua del lago di Como, del Reno e dell’ Elba per ogni anno, dal 1880 al 1865. La media altezza annuale delle acque era superiore o inferiore alla media di 414 anni. Lario Reno Elba ‘ #8 ki A8°”/53 48°°%,5 48° d'8 isa 1897/sa Sup.4 volte 2 Sup. d volte 4 Sup. 6 volte 4 Inf. 3» 5 Inf. 2 » 6 Inf. 1° » 6 E risultano dal 1850 al 1865 per il lago di Como: 230% giorni con livello sopra la media 2808. » ” di sotto.» E per VElba: 1944 giorni con livello sopra la media 94169 » ” di sotto ” Per il lago di Como ho determinato i numeri dei giorni, ai quali corrisponde la soprascritta altezza idrometrica, come dalla seguente tabella, che si riferisce alle osservazioni fatte dal 41880 al 1863. 17% CENNI IDROLOGICI, ECC. Per mille | 50,1 | 74,3 | 133,8] 110,7] 78,0 | 102,3] 96,8 | 90,2 | 749 | 54,6 | 44,2 | 41,8 | 176 | 156| 84 29 | 0,8 | 40 da — 0,42|-- 0,50 —0,20| 0,00 | 0,20 | 0,40 | 0,60 | 0,80 | 4,00 | 4,20 | 1,40 | 4,60 | 1,80 | 2,20 | 2,25 | 250 | 278 | 5,00 a — 0,50|—0,20|—0,00| 0,20 | 0,40 | 0,60 | 0,80 | 1,00 | 4,20 | 1,40 | 1,60 | 4,80 | 2,00 | 2,25 | 2,50 | 2,75 | 5,00 | 3,56 Gennajo n 82 | 240 74 16 411 4 Febbrajo 73 | 115) 4155 52 p) Marzo 148 | 107 94 60 23 2 Aprile 28| 64/67) 41] 40) 79) 44 2 2 7 Maggio iol'o4| dat sil del 641 esi o7f s14 49 6 8 4 Giugno 29} s5| 70) #0 63) ss) 413) 26} 20] “20 1 5 Luglio 51 80 68 56 55 71 30 417 6 Agosto 2| 102 91] 79] sof 24] 36) 20 8 Settembre ol 158) 82) 501 524 22 42/19 mi 45 4 5 Ottobre 46° 19° 10480 o ao 1 Rada Novembre 58 426 99 59 45 24 9 8 7 6 4 Dicembre 106 161 85 37 20 27 | Somma 256 | seo 684 sel zo9| sosì sos 461) 383 o79| 226) ci4| 90) 80) 54 15 4 176 B, DURER, Dal 1888 al 1863 la quantità di pioggia caduta sul lago di Como è sopra la media negli anni 1860, 1862 e 1863; cos pure la media delle altezze d’acqua lacuale è superiore alla media sejennale nei me- desimi tre anni 1860, 1862 e 1863. Parlando del versante settentrionale delle Alpi, troviamo che nel- l’anno 1860 si ebbe una quantità di pioggia maggiore della media; negli altri cinque anni invece rimase inferiore la quantità di pioggia, cioè sempre sotto la media. Identico andamento si riscontra nelle al- tezze idrometriche sul Reno, presso Basilea. Nei settennj dal 1828 al 1835 (escluso il 4831), dal 1850 al 1856 e dal 1856 al 1863 ci risultano le medie altezze idrometriche come segue: Lario Reno Elba 18%, ? 4,765 — 0,048 18°°/s5 0,650 1,953 — 0,121 418°7/;3 0,508 1,600 — 0,705 Da questo confronto si potrà concludere che le altezze medie del- l’Elba si sono diminuite in grado piuttosto forte, per variazione che ha subito il letto od il corso di detto fiume, e per la diminuzione dei boschi nella Boemia (1). Aggiungo poche parole sul fenomeno che si osserva qualche volta sui laghi, noto sotto il nome di seîche in Isvizzera, parola forestiera (greca?) che significa scossa, e che nel nostro caso vuol dire squili- brio ondulatorio della superficie lacuale , una specie di flusso e ri- flusso. lì 27 febbrajo 1860, a brevi intervalli di due e mezzo a quattro minuti, l’acqua del lago di Como si alzò e si abbassò ; il tempo era tranquillo fino verso sera: allora si sollevò un vento violento, che in Isvizzera aveva arrecato molto danno, e che si presentò fra le ore due (4) Le pietre arenarie di Pirna e i graniti e porfiri dell’ alta Elba si trasportano fino ad Amburgo ecc. sull’Elba stessa. Per cui nel tempo antiferroviario il proverbio: «Quando ì Boemi devastano i loro boschi, aumenta il prezzo dei sassi da fabbrica ad Amburgo. » CENNI IDROLOGICI, ECC. 177 e le tre pomeridiane qual sud-ovest sul lago di Neuchàtel, e qui sul Lario cominciò fra le cinque e le sei di sera qual vento nordico. Le oscilla- zioni del livello del lago a Como raggiunsero il massimo di 0,263; qui in Tremezzina non è stata osservata oscillazione maggiore di 0,"30. Diminuendosi nei seguenti giorni tale oscillazione, essa cessò del tutto il 4.° marzo. Era mia opinione allora che la causa di tale oscillazione] fosse il rapido cambiamento della pressione atmosferica, quantunque quella spiegazione fosse detta a dismisura vaga da un corrispondente del nostro giornale provinciale, il quale è un ingegnere. Dalle mie osservazioni barometriche contemporaneamente fatte ho potuto calcolare che la pressione atmosferica sulla superficie del Lario dalle ore dieci sera 26 febbrajo alle ore diciotto mattina 27 febbrajo, cioè nell’intervallo di otto ore, si era diminuita di oltre 147 milioni di quintali (1). È certo che questa diminuzione della pressione atmo- sferica non si effettuò nello stesso momento su tutta la superficie del lago, ed è probabilissimo che la forma e posizione delle montagne circostanti , ed il fatto che il Jago presso Como non ha emissario, ci prestino dei mezzi accettabili per la suesposta spiegazione, senza il bi- sogno di chiamare a tal uopo in soccorso delle ipotesi fondate sulla screpolatura o debolezza della crosta terrestre, su canali o laghi sot- terranei, sul disgelo rapido dei ghiacciaj, ecc. Esaminando i registri delle osservazioni idrometriche fatte a Como, ho trovato che sono avvenuti altri simili fenomeni nelle acque del Lario, cioè dal 25 febbrajo al 2 marzo, e dal 12 al 419 marzo del- l’anno 41844, ed allora la massima oscillazione del lago fu di 0,28. In mancanza di dati meteorologici raccolti qui sul lago, ho consul- tato le osservazioni barometriche fatte in quel tempo a Milano dal professore abate Capelli, e da questo gentilmente comunicatemi; ed (4) Barometro ridotto a 0° temper., e allo zero dell’idrometro: mm 26 febbrajo 40h 7484: 27 febbrajo 48h 740.4. Superficie del Jago a — 0,30% —= 435,255000 metri quadrati. Peso specifico del mercurio = 413,598. * dell’aria = 0,0041293. Vol. X. 12 178 B. DUlteh, CENNI IMROLOGICI, ECC. lio trovato confermato in queste ciò ‘che ho detto di sopra, cioè verifi; carsi una variazione ‘rapida nella pressione ‘atmosferica anche in quel tempo, cioè dal 25 al 27 febbrajo 1844, un abbassamento :del .ba- rometro di circa 21M, ed un altro forte abbassamento dal 44 al 12 marzo 1844 di a4ymm, Un vento forte accompagnò o immediatamente venne in seguito alle seiches, la temperatura andò soggetta a variazioni straordinarie, il fohn ‘infuriò sulle Alpi, il lago trovossi a 30 0 più centimetri sotto zero} tutti questi fatti sono comuni ai fenomeni, detti seiches, osser- vati sul lago di Como negli anni 1844 e 1860. BIBLIOGRAFIA MINIERE: DELLA SARDEGNA Sunto dell’opera dell’ingegnere Gouin intitolata: IVotice sur les mines de l’ile de Sardaigne pour l’explication de la collection des mi- nérais envoyes d l’Exposition universelle de Paris pour 1867. Ca- gliari 1867. I (Seduta del 28 aprile 4867) i Fenicj, i Cartaginesi e i Romani hanno tratto molto partito dalla Sardegna e dalle sue miniere. i Pisani hanno fatto ancora qualche cosa per quest'isola, ma gli Spagnuoli, con una dominazione di. 400 sth l’hanno impoverita, e resa deserta e improduttiva. In Sardegna regnano per cinque: mesi all'anno, dalla fine: di giu- gno a quello di ottobre, le febbri, che cacciano dal paese.i lavo- ratori stranieri e fanno sospendere la maggior. parte dei Javori. ;‘,;; Quando la Sardegna venne in. potere dei re di. Piemonte, .il go- «verno coltivava, si può dire, le sole miniere di Monteponi. Or sono 70: 0d 80 anni le cedette ad una società, ma con tali condizioni, che la coltivazione non potè farsi molto ‘attiva; soltanto. dopo .il 1839, per 7 introduzione di una nuova legge mineraria (per la quale ai pro- prietarj del suolo fu riconosciuto un diritto quasi illusorio sul.sotte 180 G. OMBONI, suolo), rmaustria mineraria cominciò a divenire molto attiva, e crebbe di molto il numero delle concessioni, così che l’Autore crede che, par- ticolarmente nel distretto d’Iglesias, non vi siano ora che pochi metri quadrati disponibili per nuove concessioni. L'Autore pensa dunque che sarà un bene, non solo per la Sardegna ma anche per tutto il conti- nente italiano e la Sicilia, il conservare e l’applicare a tutto il Re- gno la legge, che considera il governo proprietario del sotto suolo. L’acqua è in alcuni distretti metalliferi scarsa, e negli altri manca affatto, così che non può essere adoperata a muovere le macchine; però questa scarsezza d’acqua fa si che le miniere sieno completa- mente asciutte o poco bagnate. A lavorare le miniere e i minerali estratti sono impiegati anzi tutto i Sardi, poi molti operaj provenienti dalle valli bergamasche e piemontesi, e da alcune altre parti del continente italiano. Che che se ne pensi sul continente, la sicurezza pubblica è migliore in Sardegna che in qualunque altra parte del Regno. Non fu mai derubato, per esempio, alcuno di quei cavallanti, clie percorrono luoghi selvaggi e inabitati per portare grosse somme (fino a 30 e 40 mila lire in una volta) dalla città alle miniere; e le vendette per- sonali relative agli affari minerarj si trovano ben poche, quando si considera quante possono essere le loro cause. Pei lavori si adoperano carboni indigeni e carboni provenienti dalla Francia. Delle ligniti di Gonnesa, benchè buone, non si fa uso, se non in pochissima quantità, perchè troppo scarsa ne è l’estrazione. Le miniere sono distribuite nei cinque distretti di Iglesias, Cagliari, Sarrabus, Lula e Nurra; e i minerali loro sono rispettivamente im- barcati a Carloforte, a Cagliari e Maddalena, alla foce del Flumen- doso, ad Orosei, a Porto Conti, per l’ esportazione. Lo sviluppo delle miniere e dei loro lavori non potrà crescere se non quando saranno aperte molte vie convenienti di comunicazioni, e particolarmente «molte strade comunali, e quando saranno ben regolate le imposte. Tuttavia, conclude l’Autore, la sola difficoltà seria per la buona riu- scita delle coltivazioni è il clima, e tutte le altre potranno essere vinte coi capitali e colla perseveranza; e ogni giorno si vedono cre- scere in numero le società minerarie e i lavori di produzione. MINIERE DELLA SARDEGNA , ECC. 181 Il distretto d’ Iglesias fu particolarmente coltivato dai minatori fin dai tempi più antichi, così che ora è tutto crivellato di pozzi, spesso distanti soltanto 3 0 4 metri l’uno dall’altro, così stretti, che appena si può entrare in essi, ma profondi spesso 100 metri, taluni fino a 180 metri, e comunicanti fra loro per mezzo di vaste escavazioni. Soltanto sotto il dominio dei Pisani si cominciò a scavare alcune gal- lerie. La produzione del minerale di piombo fu di 417 tonnellate nel 1846 6,637 » ) 1858 13,228 » ” 1860 28,229 » 9 1865-66 LI E da pochi anni si è cominciato a coltivare le miniere di ferro, blenda e calamina, La sola miniera di ferro di S. Leone, che ha dato, nel 1865-1866, 415,810 tonnellate di minerale, potrà in avvenire darne 50,000 ali’ anno. Le miniere di blenda di Sarrabus e della Nurra danno già parecchie migliaja di tonnellate all'anno; e quella di Malfidano potrà dare annualmente 10 a 20,000 tonnellate di ca- lamina. Nel 1866 esistevano 18 miniere di piombo (12 in attività e 6 coi lavori sospesi), 3 concessioni per miniere di ferro (2 in attività e 3 coi lavori sospesi), 4 concessione per miniere di rame, 2 per la li- gnite; c'erano poi 14 miniere in via di concessione, e 213 permessi di ricerche, fra i quali si contavano 172 permessi per miniere di ga- lena (56 nel circondario di Cagliari, 88 in quello di Iglesias, 22 in quello di Lannusei, ecc.), 15 di ferro, 8 di blenda, 8 di rame, 4 di antimonio, 1 di manganese, ecc. — Delle 12 miniere di piombo in attività, 40 erano tutte nel circondario d’ Iglesias, a Monteponi, Montevecchio, Ingortusu, Geuramari, Masua, Nebida, Monte Cerbus, Monte Oi, Monte Oniseddu, e Monte Udda; le altre due erano nel circondario di Nuoro, ad Argenteria e Sos Enattos. 182 Monteponi . Montevecchio Ingortusu Gosurra "G. OMBON, diede; nel 4863 quintali metrici S; Giovanni di: Gonnesa Masua Nebida Monte Uda, Cani Acquaresa (Enna, Murtas) . 25 A Li 2) 29 29 39 52,859 Le altre miniere diedero quantità minori di queste. Laveria di Gonnéesa diede nel 1865 quintali metrici Ida. di Fontanamare Scorie antiche di Brugna, esportate 23 bè) 33 “Totale :della produzione di minerali di piombo 100 Chil. di min. di » s »» Montevecchio » s» » Ingortusu ” ” » Gosurra 5 » s S. Gio. di Gonnesa ” be) ” Masua 99 »” ” Nebida ” D) » Monte Uda PA ”» » Laveria di Gonnesa e}) 33 . Nel 1868- 66 la fonderia di Domusnovas ha dato quint. metr, Monteponi contengono da ‘Quella. di Fiuminimaggiori Quella di Masua . » Laveria di Fontanamare 23 23 -. 46,000 23,098 20,000 ‘26,000 55,306 21,886 5,950 2,960 12,880 s 2,044 5 58,000 4 262,393 Piombo Argento Chilogr. . Grammi » 60 a 80 27 70 B5 63 9.760 20004 80 29 69 a 78. 2a 26 55 a B7 UO a 47 55 a 49 1002 120 o Pe RO NT 62 dd: \ 33 a 45 410000 8,502 di piombo 4,058. 9,054...) » 22 ‘ NI 1,09 Ù e quelle di Villacidro e Buonaria hanno cessato di lavorare prima MINIERE DELLA SARDEGNA, ECC. . 185 del 1865; però quella di Buonaria ‘potrà forse riprendere con guada- gno i suoi lavori, perchè ben collocata e ben disposta. ‘ Le prime due lavorano le scorie antiche, quella di Masua i mine - rali poveri di piombo. . Quando le diverse società, che possiedono miniere di carbonato di piombo, sapranno mettersi d’accordo, per istituire delle fonderie co- muni e vicine alle miniere, potranno. trarre molto partito da queste , lavorando il carbonato che ne estrarranno. La Sardegna ha pure dato nel 1863: Quintali metrici 138,100 di ferro (S. Leone), » 62,865. di blenda pura o con galena, » 18,000. di lignite (Gonnesa) i, ”» 1,398,628 di sale marino (Cagliari e Carloforte). Negli anni scorsi ha pure dato un poco d’antimonio (Suergiu di Villasalto), di rame (Talentino e Barisonis), e di manganese (Bosa d’Oristano), ma i lavori di queste miniere furono sospesi. La produzione di sale marino era stata di 518,964 quintali nel. 1850 652,585 ua nel. 18585 4,545,978 s nel. 1860. + Si fabbrica nelle saline di Cagliari anche una piccola quantità di sale di potassa (33,000 q. m.), ma si potrebbero fabbricare anche altri prodotti chimici, con un certo guadagno. I | Finalmente la Sardegna possiede molte sorgenti minerali e termali, «dalle quali si potrebbe trarre molto profitto; per ora non se ne. ser- vono che i paesani e minatori, specialmente per g guarire dalle loro febbri; a ciò servono particolarmente quelle calde di Sardara e quelle ferruginose di Capoterra presso le miniere di San Leone. — L’ Au- ‘tore ne dà un catalogo, che ne comprende trenta, le più importanti. Presso alcune di esse esistono gli avanzi di grandi stabilimenti ‘antichi. Le miniere della Sardegna sono scavate nel terreno siluri io, ; che «consta di scisti e > di calcari. f ‘ P__Rk 184 6. OMBONI, Il distretto di Iglesias conta; dei filoni p. d., di galena argentifera, diretti E. O., negli scisti; delle dicche quarzose dirette N. S. negli stessi scisti; dei banchi e filoni a contatto nei calcari, con calamina carbonato di piombo argentifero, diretti N. S. ll distretto di Sarrabus ha pochi filoni di galena diretti E. 0., ma molti filoni E. O., con blenda, galena e piriti. Il distretto di Nuoro ha filoni di galena e filoni di blenda, con varie direzioni, negli scisti. Quello della Nurra ha una sola miniera di blenda e galena molto argentifera. E quello di Cagliari o S. Andrea ha dei filoni nel granito. L’Autore distingue nelle miniere di piombo della Sardegna: 1.° dei filoni p. d., di galena, o di blenda con galena ed altri mi- nerali, negli scisti e nei calcari; 2.° dei filoni di contatto, fra gli scisti e i calcari di galena (di- retti E. 0.) o di carbonato di piombo e calamina (diretti N, S.); 3.° dei filoni-strati, fra gli strati calcarei; 4.° dei giacimenti irregolari nei calcari. L’Autore descrive minutamente tutti i filoni dei varj distretti, i la- vori fatti in essi, le operazioni eseguite sui minerali estratti da essi, ecc.; descrizione, che non si può riassumere in poche parole. Nè estrarrò quindi soltanto alcuni dati. Sul filone di Montevecchio, nel distretto di Iglesias, sono le mi- niere di Montevecchio, Ingortusu e Gennamari. Esso ha una lun- ghezza di almeno 10 chilometri, ed è forse il più bel filone d’Eu- ropa. È diretto E. 0,, quarzoso , con uno spessore talora di 2% a 30 metri, con molte vene metallifere, che ora corrono parallele ed ora si riuniscono e si intrecciano. Talune di esse giungono qua e là allo spessore di 5 o 4 metri (a Montevecchio), ma l’hanno di solito di 0. 80. La galena è accompagnata da blenda, piriti varie, carbo- nato di ferro e argilla. Sul prolungamento del filone di Montevecchio trovansi i filoni di galena con quarzo e fluorina di Flumini Maggiore. A Monte Zippiri la galena è accompagnata dalla baritina. Il distretto di Sarrabus ha dei filoni con poca galena, ma con MINIERE DELLA SARDEGNA, ECC. 185 argento nativo nella fluorina e nelle altre materie componenti i filoni. I filoni di contatto predominano intorno ad Iglesias. Di galena pura sono quelli di S. Giovanni, ove esistono particolarmente i grandis- simi lavori antichi, romani e pisani. Di carbonato di piombo e cala- mina sono quelli del Salto di Gessa (Masua, Nebida, ecc.), in cui quei due minerali si presentano sotto tntti gli aspetti (scoriaceo, terroso, cristallino, ecc), con dell’idrato di ferro ed altri minerali. I calcari siluriani contengono anche dei filoni-strati di galena in- torno a Iglesias. A Monteponi soltanto se ne coltivano 83; con mi- niere profonde sino a 300 metri, divise da gallerie in 8 piani so- vrapposti uno all’altro. La galena è qua e là rimpiazzata da idrato di ferro. Quella estratta è lavorata alla fonderia di Domusnovas. Le miniere a cielo scoperto di Malfidano nel Salto di Gessa danno calamina e carbonato di piombo , d’un filone di contatto, in grande quantità. I filoni di blenda e galena sono veri filoni p. d. negli scisti silurici, e si trovano particolarmente a Rosas (Iglesias) ed Argentiera (Nurra) nel distretto di Sarrabus. Una società, dopo molti anni d’una perseveranza straordinaria, ha potuto giuugere a collivare convenientemente le miniere di ferro di S. Leone. In molti e molti altri luoghi della Sardegna esistono in suffi- ciente copia il ferro oligisto e il ferro ossidulato, ma sempre in tali circostanze, da non poter essere lavorato presso le miniere, e da co- stare troppo il suo trasporto alla riva del mare per l’ esportazione. A San Leone il minerale sembra formare dei filoni di contatto fra gli scisti silurici, contenenti del quarzo, dei granati, ecc.; e per por- tarlo fino al mare si è costruita un apposita ferrovia fino alla Mad- dalena (sul golfo di Cagliari). Si è pure collocato un telegrafo elet- rico; e si pensa che in avvenire la produzione di queste miniere andrà sempre crescendo. Non si conosce alcun filone di rame degno di essere lavorato. La stibina è frequente negli scisti silurici, ma non in sufficiente quantità per un serio lavoro. ll manganese si trova nei tufi vulcanici, nelle loro fessure od al 186 G. OMBONI, MINIERE, DELLA SARDEGNA, ECC. loro contatto. coi calcari terziarj., A Bosa non si trovò conveniente continuare i lavori. are «Le miniere di lignite di Gonnesa non potranno essere lavorate molto e con utile, se non quando esisterà una buona strada litorale ; ed al loro lavoro continuo si oppone il clima paludoso dei dintorni. . In conclusione il lavoro di tutte le miniere della Sardegna andrà sempre crescendo, specialmente quando si potranno aumentare in nu- mero e migliorare le vie di comunicazione, e sufficienti capitali sì ap- plicheranno alla costruzione di sufficienti e convenienti lavori prepa- paratorj e di impianto. Milano, 24 aprile 1867. G. Ongoni, sez Seduta del 26 maggio 1867. Il Presidente apre la seduta annunciando come essendo per circostanze imprevedute mancati tutti e due i segre- tar), assenti da Milano, il vicesegretario Marinoni ne farà le veci. — Si limita quindi alla presentazione della co- municazione del socio Craveri, Osservazioni meteorolo- giche fatte in Brà nel 1866, perchè tutta di tabelle. — Questa nota sarà stampata al Att. Il vicesegretario 1 Marinoni dà lettura di una breve nota del:socio Seguenza, Sul cretuceo medio dell’ Italia meri- dionale, che sarà pure inserita negli Atte. Quindi: il presidente Cornalia presenta alla Società una grossa Memoria del sig. cav. ing. Francesco Molon inti- tolata Considerazioni sulla flora terziaria delle Prealpi Venete nei suoi rapporti colla Hora vivente. — Il socio Marinoni incaricato dall’ autore di questa presentazione espone così in brevi cenni le più importanti deduzioni che si possono trarre dal libro del signor Molon, tanto per darne un'idea a chi s’ interessa di tali studj anche prima che, possa essere pubblicata: I 188 SEDUTA DEL 26 MAGGIO 1867, LI « Questo lavoro è preceduto da una bella introduzione in cui è dimostrata la necessità di coadiuvare la paleontologia colla paleofito- logia per la riprova della geologia stratigrafica, al qual scopo ten- dono queste due scienze con mutuo soccorso percorrendo strade pa- rallele; e anzi lo studio dei vegetali fossili appare più ragionato nelle indagini della climatologia passata, per la loro natura di mag- giore fissità; in quantochè le piante fisse ad un posto non si adagiano alle troppo sensibili variazioni del clima; ma o si modificano o soc- combono. Per questo il prof. Heer coi suoi studii sulla Alora Spiz- zera ci condusse sino a dedurre per analogia la temperatura del clima delle epoche passate; del che un’altra prova sarebbe la com- parsa di una flora già a tipo glaciale sulla fine dell’ epoca plio- cenica. » Passa quindi ad emettere alcune sue osservazioni sull’ originaria formazione delle specie. — Ammette con Lyell l’ apparizione e la scomparsa lenta e graduata dei vegetabili e non simultanea secondo le formazioni geologiche; e come le trasformazioni sieno più facili negli animali che nei vegetali, nei vegetali terrestri che negli acqua- tici. — Discorre della variabilità delle specie; prova che le varietà si mantengono salvo circostanze speciali, in cui uno sforzo di rea- zione opponendosi alle cause esterne viene a dare la vittoria alle forme che sono le più forti, ad originare le razze. — Il periodo di esistenza sotto una forma specifica essendo molto più lungo di quello impiegato dalle varietà nella loro vaga elaborazione, una vita più lunga l’avremo per le famiglie che si spingono attraverso le diverse epoche, mentre le specie si possono già cambiare per mutamento di geografia fisica. — Provvidamente però le prime specie dovettero essere dotate di una maggiore attitudine alla variabilità, e quindi i primi rappresentanti nelle epoche paleozoiche possedere forse una attitudine pari a quella di un genere, di una famiglia in quantochè allora le divisioni erano a grandi tratti, corrispondente quindi al principio di geografia botanica che l’ area della specie è in propor- zione diretta colla semplicità dell’ organizzazione. — Questo fatto risulta dagli studii che danno un numero sempre decrescente di specie, di generi, di tribù, ece., mano mano che si discende nella SEDUTA DEI. 26 maggio 1867. 189 serie dei terreni fino a ridursi a poche specie di crittogame vasco- lari e di monocotiledoni gimnosperme. » Infine cerca a sua guida gli studii di Massalongo e di altri illu- stratori della flora veneta per basare su questi i suoi studii speciali sulle varie famiglie dei vegetali. » Prima però di cominciare lo studio sulle condizioni della vege- tazione all’epoca terziaria fa precedere una rivista stratigrafica a ben delineare i limiti del terziario nelle prealpi venete. — Le flore nel vicentino trovansi seppellite nei varii gruppi dei terreni terziarii; ed anzi cominciano sulla fine del cretaceo, principio dell’ eocene, fino a comprendere un po’ del pliocene. — Il paese doveva essere una regione di bassi fondi marini derivati dall’ Adriatico in mezzo alle cui acque salmastre le correnti di terra venivano a deporre il loro limo ed i loro sedimenti, e i vulcani eocenici tutto sconvolge- vano e riempivano coi loro depositi di ceneri e lave. — L’ alternarsi di questi sconvolgimenti con periodi di pace determinò quello che noi troviamo oggidì; cioè strati di fossili di filliti alternati a banchi di peperite, brecciuole basaltiche, tufi e gres, ecc. Il clima doveva essere littorale, insulare, e noi troviamo oggi uniti agli avanzi della flora terrestre tradotta dalle riviere e ai letti di lignite con avanzi di coccodrilli, i depositi vegetali di una natura un po’ diversa, che accenna a una flora di regioni calde, umide, littorali. — Ragionando quindi sui dati paleontologici distingue varii depositi che si riuni- scono nelle varie epoche terziarie, dal terreno Daniano d’Orb. al Miocene sup. di Lyell, e paragonando i depositi del Vicentino coi più celebri depositi terziarii di Europa ne deduce un ragionato qua- dro sincronico che appoggiato ai dati sicuri di terreni di località ben conosciute, viene a precisare il posto da darsi nella serie stratigra- fica ai terreni a filliti del Vicentino. » Quindi, accettato il quadro della flora fossile che Massalongo dà nel suo Syllabus per le famiglie terziarie del Vicentino e del Vero- nese, dà un prospetto del numero delle specie per ciascuna famiglia nelle diverse località e viene quindi a ragionare sulle condizioni della vegetazione all’ epoca terziaria nelle prealpi venete, classe per classe, famiglia per famiglia. — Parla delle Crittogame che dovevano essere 190 SEDUTA DEL 26 MAGGIO 1867; regine in un paese di‘bassi fondi marini; con i cui depositi ‘si alter: nano quelli di filliti deposti nei ‘sedimenti e sconvolti dalle eruzioni; — Le Alghe poi dovevano essere cosmopolite. — Parla quindi delle varie famiglie di Monocotiledoni e di Dicotiledoni, della loro indole, della loro natura, le confronta colla loro stazione: attuale , e per via di ragionate deduzioni viene ad ideare un tipo di clima; per questa parte d’ Italia, che doveva essere molto conforme a quello attuale di Calcutta, dell’Avana e di altra regione similmente situata. (St ‘» Infine riepilogando le proprie osservazioni coi dati offerti da altri autori, prova Ja comunanza di certe specie in certe località, — Lo sviluppo crescente per talune famiglie, per altre invece in ordine decrescente. — La preferenza in una data località di una tal classe di piante come delle crittogame a Bolca, e delle faneragame a Chia- vone e Salcedo, che non di altre; delle monocatiledoni ‘ancora. à Bolca, in confronto di Salcedo, ecc. offrendo ‘ognora: dei quadri si- nottici, per la miglior comparazione di questi dati. — Per ultimo viene al confronto coll’ epoca attuale da cui dedurrebbe: la flora fossile essere stata relativamente molto più variata della vivente, perchè le specie si ripartivano sopra un: più gran numero di tipiy che all’epoca terziaria nelle nostre regioni allignavano piante: che ora vivono in tutte le parti del mondo ed a Bolca in ispecial modo ‘ana vita vegetale da Nuova Olanda, da Indie orientali; che di tutte queste famiglie venute da epoche più antiche e vissute nelivi> centino a Bolca specialmente, alcune crebbero e restarono rappre- sentate a Oeningen, in numero minore si riscontrarono nei depositi posteriori di Sinigaglia. Alcune infine passarono al pliocene: e per ultimo poche vivono tuttora nelle loro attuali stazioni. + Questo fatto il signor Molon lo assume a riprova dell’epoca glaciale giacché appunto queste famiglie rimaste, hanno i loro centri congraliei là dove i gelidi ghiaccia] non ‘arrivarono. » Di quì le diversità e i mutamenti delle flore, risultanti anche per 1’ assoluto cambiamento di geografia fisica prodotto dal | solleva- ‘mento delle Alpi e del Caucaso da una parte, dell'Appennino ‘e forse anche del Sahara a mezzodì. Per ultimo ‘si.move da sè alcune obbie- zioni rispondendo alle quali parla ancora della flora che. ammantawa SEDUTA DeL 26 macGiO 41867. 19% fa terra intorno all'uomo preistorico la quale sembra assolutamente tina flora piuttosto boreale; ma che riportandosi alla vegetazione glaciale preludia in certo qual modo alla flora attuale indigena del nostro suolo. » Questa comunicazione verrà pubblicata dalla Società, per intero, nei suoi Atti. o nelle sue. Memorie. In seguito il presidente Cornalia dà lettura di un breve scritto del socio Omboni, Sulle recenti teorie relative alle correnti atmosferiche; e presenta una bibliografia dello stesso socio di un lavoro recente di Zirkel: A proposito della composizione e struttura microscopica delle lave recenti di Nea-Kameni. Questi due lavori saranno inse- riti negli Attz. : Per ultimo, dietro invito del presidente, il socio Ferrero di Bergamo, dà lettura di una sua nota inviata alla So- cietà: Sulle gallette macchiate. Questo lavoro sarà pub- blicato negli At, e stante la sua importanza, specialmente nel momenti attuali in cui ferve l'educazione dei bachi e sl'è prossimi al raccolto, la Società decise di portare a pubblica cognizione i risultati e le deduzioni del signor Ferrero, per mezzo di qualche giornale allo scopo di dare delle tracce a nuove indagini, e spingere a continue os- servazioni i nostri coltivatori. Terminata la lettura il presidente Cornalia prende la parola per approvare le osservazioni del socio Ferrero; ed. aggiunge: che il sistema di imboscamento deve avere una grande influenza, fatto che è provato dai risultati ottenuti dalla Società milanese per gli allevamenti pre- coci, in cui per l’imboscamento piuttosto al largo non avvenne alcun caso di bozzolo macchiato; e che il liquido 192 SEDUTA DEL 26 maggio 1867. secreto del baco è l’avanzo del liquido digerente il quale è diffatti per l’ordinario alcalino; ma quando il bruco è maturo, per l'aggiunta delle secrezioni uriche dovrebbe essersi neutralizzato, per cui essere impossibilitata per questo la macchiatura del bozzolo; la quale quando av- viene, sarebbe causata da un sopravanzo di alcalinità nel liquido secreto dall’animale nello svuotarsi, forse per una anticipazione di funzioni. Il socio Bollini dice di avere esso pure fatte tali osser- vazioni ed aver ottenuto per risultato che quelle crisalidi che diedero farfalle sane davano un liquido affatto neutro; mentre le altre un liquido evidentemente alcalino. Corna- lia riprende la parola per domandare al sig. Ferrero come usava per dividere i bachi macchianti e non macchianti; e questi che provava tutte le goccie di liquido espulse dai bruchi mediante la carta reattiva di curcuma, e separava tutti quelli le cui goccie davano reazione; e aggiunge che dalle gallette macchiate uscivano magnifiche farfalle, per cui sarebbe suo avviso che la semente si traesse da que- ste gallette, giacchè il fatto della macchiatura non è che un effetto di causa estrinseca; e sostiene che si debbano togliere i pregiudizit a questo proposito poichè le gallette non si macchiano da sè, e in causa dell’ mdividuo che rinserrano, ma sono macchiate da altri individui; alla qual asserzione Cornalia oppone il fatto narrato da alcuni fila- tori, ma però non ancor ben constatato, di gallette macchia- tesi dopo consegnate e mentre aspettavano di passare alla dipannatura, al qual fatto il signor Ferrero dice di non poter prestare molta fede. Anche il marchese Cornaggia convalida le osservazioni del signor Ferrero; perchè vide una partita di bachi de- rivati da gallette macchiate in tenimento di Rovellasca; SEDUTA DEL 26 Maccio 1867, 193 e raccomanda al signor Ferrero di tentare esso pure in via di esperimento il metodo d’imboscamento che si usa nel Feltrino e nel Trentino col frassiner; cioè di ritirare i bachi maturi dai graticci e buttarli sui frassiner coperti di frastagli di carta o di levigatura del legno. Che tale metodo egli stesso provò su una piccola partita, persuaso che la macchiatura non poteva derivare che per la secre- zione del liquido che costituisce lo svuotamento dei bachi, ponendoli sul frassiner, e trovò la macchia sviluppata, il che conferma le osservazioni del signor Ferrero e accetta il metodo di esame chimico. -- Il socio Bollini aggiunge di aver esso pure fatta una simile esperienza ma col me- todo d’imboscamento proposto dal sacerdote Giulio Monti, e propone che si tenga il bosco inelinato perchè così i ba- chi salendo e svuotandosi sporcheranno meno facilmente quelli saliti prima e già chiusi nel bozzolo. Il signor Ferrero a questo punto muove un’ altra que- stione, ed è di sapere se fisiologicamente i bachi mac- chiati siano ammalati in confronto degli altri, giacchè per l'esame da lui fatto gli risulterebbe l'opposto; e questo è confermato dall'opinione del presidente Cornalia. Il marchese Cornaggia domanda ancora se la macchia porti gran danno ai bozzoli, e tutti concordano nel dichia- rare come sia buona per far semente, e vogliono che le conclusioni del signor Ferrero sieno riportate sui giornali, al che il signor Ferrero stesso annuisce rimettendosi in tutto al presidente Cornalia. Il socio Galanti poi aggiunge come anticamente le così dette fal/oppe dessero un seme non inferiore a quello dei più scelti bozzoli riportandosi ad una sua opinione già emessa e riferita anche dal si- gnor Capra di Salò. Il socio Cornaggia riprende la parola perchè si aggiunga al pubblico resoconto di questa seduta Vol. X. 13 194 SEDUTA DEL 26 maccio 1867. che anche 1 bozzoli macchiati sono buoni perchè si può togliere loro la macchiatura; ma il signor Ferrero ag- giunge come questo sia impraticabile cogli attuali lavo- rer; in quantochè bisognerebbe trattare i bozzoli mac- chiati cogli acidi, rovinando così gli strumenti che ora si impiegano, che sarebbe quindi prima necessario cambiar genere agli utensili; e il signor Galanti fa osservare come divenga inutile lo smacchiare le galette perchè questi boz- zoli rigettati dai filatori potrebbero essere utilizzati per trarne seme, diminuendo così d’assai la perdita prodotta da questo inconveniente. Il presidente Cornalia però os- serva al signor Galanti di non generalizzare troppo, per- “chè la macchia è un carattere puramente esterno, e la crisalide potrebbe essere ammalata. A questo punto sorge una nuova contestazione. Il signor Galanti dice che può essere lo stesso baco che si mac- chia; e tutti protestano perchè ciò non può essere, meno il caso in cui fossero 1 bozzoli per avventura schiacciati. Il socio Galanti però replica che lo spruzzo può avvenire prima che il baco si rinserri, ed il socio Bollini fa notare che allora si macchierà quella specie di bava che resta tessuta come prima trama. Il marchese Cornaggia però pare confermi l'opinione del Galanti, in quantochè propone al signor Ferrero di imboscare anche ad uno ad uno i bachi che le macchie verranno poi; ma questi risponde. di poter ammettere il fatto per i bachi giapponesi, perchè più svelti sicchè salgono al bosco senza avere prima il tempo di svuotarsi; per cui in questo caso potremo avere bensì la galletta macchiata ma nei soli strati esterni, in quantochè fisiologicamente il bruco non può tessersi il bozzolo senza prima essersi svuotato, e che questo asserto è provato dal fatto che le donne scopando i bozzoli nelle SE de SEDUTA DEL 26 maggio 1867. 195 bacinelle per la trattura del filo serico trovano spesso gli strati più interni del bozzolo puliti quand’anche i bozzoli siano macchiati. Inoltre il signor Ferrero aggiunge: 1.° non ammettere che il baco faccia il suo bozzolo prima di essersi svuo- tato; 2.° che vi siano bozzoli macchiati per causa intrin- seca; che se sta il fatto che ve ne siano, non può essere che per eccezione, imperocchè il baco non comincia a tessere il bozzolo se prima non siasi svuotato; che tut- t alpiù potrà tessere 4 o 5 fili di trama e poi vuotarsi; ma che anche in questo caso il bozzolo vero non è mace- chiato. Il signor Galanti ripete il fatto che il baco giapponese può comportarsi diversamente e questo per la sua svel- tezza di contro al baco ordinario, e che può spruzzare il bozzolo della sua secrezione dopo esservisi rinserrato; il baco nostrale lo può fare tutt’ alpiù dopo le prime trame; e viene a stabilire questa proporzione: La velocità del baco ordinario sta Alla velocità del baco giapponese, come Le prime trame di un bozzolo stanno AI terzo degli strati del bozzolo stesso; il che darebbe la macchiatura del bozzolo essere in ra- gione del baco giapponese. Il signor Ferrero risponde ritenere egli la macchiatura piuttosto per una casualità, e del resto aver potuto osser- vare esservi sia pei semi giapponesi che nostrali, bachi macchianti e non macchianti, macchiati e no. Il presidente Cornalia chiude la discussione a questo proposito, dicendo che è quistione ancora di osservazione ; 496 SEDUTA DEL 26 MAGGIO 1867. che subito si darà tutta la pubblicità ai fatti riferiti dal signor: Ferrero, per istigare maggiormente all’ osserva- zione nell'occasione del prossimo raccolto, e che per la prossima seduta della Società si farà ogni possibile di avere ragranellati i nuovi fatti e le nuove osservazioni. In seguito il Presidente annuncia come avendo il com- mendatore Lodovico Pasini, domandato di far parte della Società, nulla più osterrebbe, qualora fosse nominato socio effettivo, a che potesse essere anche proclamato Presidente della Riunione Straordinaria che si terrà nel prossimo au- tunno a Vicenza. — Il comm. Lodovico Pasini, senatore del Regno, dietro proposta dei soci Cornalia, A. Stop- pani ed Omboni, è nominato socio ‘effettivo, e in seguito acclamato Presidente della Riunione Straordinaria del- l’anno 1867. Si passa quindi alla lettura del processo verbale della seduta antecedente che è approvato; ed infine sono nomi- ‘nati soci effettivi i signori: De-Zicno barone cav. AcHILLE, di Padova, membro dell'Istituto Veneto, ecc., ecc., proposto dai soci Arrigoni conte Oddo, Alessandri sac. Antonio e Stoppani Antonio. MoLon ing. FRANcESco, di Vicenza, proposto dai soci Antonio Stoppani, Marinoni e Spreafico. ARcoNATI-VIscoNTI marchese GIANMARTINO, di Milano, proposto dai soci Meneghini, Stoppani Antonio e mar- chese Ermes- Visconti. PREDARI ing. FABIO, di Palanzo (Lago di Como), pro- posto dai soci Stoppani Antonio, Gargantini-Piatti e Ber- nasconi. Il Vice-Segretario C. MARINONI. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE IN BRA NEL 1866 PREGEDUTE DA UN BREVE SUNTO SULL’ENOLOGIA DEL NOSTRO TERRITORIO del Socio F. CRAVERI (Seduta del 26 maggio 1867) Invitato dall’ egregio professore nel R. Collegio di Moncalieri, il P. Denza, m'associai di buon grado alle sue brame, quelle cioè di contribuire colla rimessione delle nostre osservazioni meteorologiche alla formazione d’ un rendiconto mensile, nel quale devono apparire i risultati di varie stazioni meteorologiche sparse nel nostro territo- rio subalpino. | Le annue pubblicazioni nostre, dovevano per questo fatto, perdere molto del loro interesse, e rimasi in forse se dovessi o no tralasciarle; ma parte per abitudine, e parte perchè penso che buon numero de’ miei conoscenti non vedendo probabilmente l’interessante 2ul- lettino meteorologico del P. Denza, avrebbero diritto a chiedermi conto del mio silenzio, ho deciso di continuare a far di pubblica ra- gione, come per lo passato, il mio resoconto annuo. Vi aggiugnerò poche parole sull’ industria enologa locale, interessandomi questa in modo speciale, persuaso come io sono che il nostro territorio po- trebbe produrre dei vini assai migliori, se per poco si volessero scuo- tere le antiche abitudini. 198, F. CRAVERI, Stampai nel rendiconto del 1864 alcuni assaggi alcolici dei nostri vini, e promisi che avrei seguito ogni anno questo lavoro. Nella primavera dell’anno scorso riepilogavo i termini medii di quattro anni di osservazioni sulle quantità dd’ alcole, apparendo dai risultati un aumento progressivo, e citavo l’anno 1868 come uno dei migliori per la ottima qualità delle uve raccolte, le quali scevre nella generalità dalla esecrabile malattia, produssero ovunque ottimi vini, chie da molti anni non gustavamo. Si è propensi a sperare ; e la scomparsa dell’ oidio nel 1863 fece batter le mani a più d’ un enologo, considerando terminata la prova di questo flagello, e promettendosi un’ èra migliore. Ma presto svani l'illusione e nel 1866 giunta la stagione nella quale soglionsi mani- festare i primi germi del morbo, ne vidimo con grande rincrescimento altra volta i nostri vigneti infestati. La malattia non infierì, come in altre epoche, per cui il raccolto fu se non abbondante, almeno mediocre nella sua quantità; ma cionul- lameno le uve furono di molto inferiori, paragonate a quelle matu- rate nell’anno anteriore. Non è a dubitarsi che la bontà dei raccolti agricoli, nella loro generalità dipenda dalle circostanze meteorologiche. Ma non è poi cosa facile lo stabilire con esattezza, quali fra le molteplici circo- stanze climatologiche siano quelle che principalmente favoriscano un dato raccolto. È però innegabile che le circostanze favorevoli al- l'incremento e propagazione del fango detto oidio, sono per questo solo fatto nocive alla vite. Come sopra accennai nel 1865 la malattia delle uve pareva quasi scomparsa, e ciò non solamente nel nostro territorio Braidese, ma in tutto il Piemonte, Lombardia, Svizzera, Francia, mentre nel 1866 si ebbe una nuova visita da questo crudele nemico, Lo alternare di questo flagello a sì piccola distanza, spinge la cu- riosità a voler investigarne la causa nelle vicende atmosferiche, met- tendo in confronto ciò che successe nel corso di questi due anni. Potendo fors’anche influire il clima dei mesi d'inverno sulla salute delle viti nella susseguente stagione, a questo scopo trascriverò qui le circostanze meteoriche che ebbero luogo nel nostro paese, com- era: ee TE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE. 199 prese nel lasso di tempo dal dicembre 1864 al 15 settembre 1866. Non continuerò notare ciò che successe dopo la metà di settembre, epoca della vendemmia nei vigneti Braidesi, cessando per conse- guenza l'utilità di ulteriori indagini. Nel dividere l’anno in quattro stagioni, compresi nell’ inverno il mese di dicembre e lo terminai con febbrajo, perchè infatti l’in- verno nostro deve comprendersi tra dicembre, gennajo e febbrajo ; la primavera tra marzo, aprile e maggio, come l’estate è tra giugno, luglio ed agosto. 200 F. CRAVERI, Termini medii meteorologici estratti dalle giornaliere osservazioni fati Temperatura minima Temperatura massima Umidità relativa 1864 1865 1366 1864 1865 1866 1864 1865 DE Dicembre | — 1.02 | — 0.54 | —1.66 8. 28 d. 59 7.62 65 84 Gennajo. | — 8.18 | — 2.41 | — 0.75 1.16 1.42 6.87 65 33 Febbrajo { — 3.34 | — 3.51 | —4.66 8.410 6.34 9.84 72 59 __—T—_—< {1 -——_ | ____________— ———_—_—_—|[xr _——r — ——— —— —— ______ I _ 67 58 Marzo . . 59 61 Aprile. . 38 4h | Maggio 48 49 48 5I 1 Giugno . 50 45 1 Luglio 9 Agosto i d Settembre A prima quindicina srt Mii ° i e OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE. 2014 de investigare le cause che possono influire nei raccolti vinicoli. I I qua proveniente Neve. Giorni di sole , pioggia e neve Sua altezza 1865 1866 1864 1865 1866 1864 1865 1866 ] Coccole co s€È@È|nn n TREIA Cent. Cent. Cent. Cent. Cent. 16.30 2.28 4 —_ —_ 27 43 20 0.40 0.25 18 — 2 2h 49 16 0.85 1.75 100 — 19 47 418 13 47.55 4.28 122.0 — 21 68 52 49 5.92 40.31 — 42 — 45 48 14 0.50 412.47 — — = 24 12 20 3. 32 5. 68 — — ca 419 42 5 il iiiczìna | _rrrr——_É —— — +-+ ___—_——_——————6€ dna 202 F. CRAVERI, Temperatura. L’ inverno del 64 fu eccezionale pel freddo. Quello del 6% molto più mite, e quello del 66 eccezionale per la benigna temperatura. Le primavere e le estati dei tre anni, posti in confronto non presen- tano gran che di notevole. Si trova poi una differenza tra la prima quindicina del mese di settembre 6% a quella del 66. Quest’ ultima fu molto più fredda che quella del 65. E tal differenza è maggiore nelle ore solari che nelle notti. Umidità, acqua e sole. In complesso 1’ anno 68 fu un anno secco, paragonato a’ suoi due laterali; il 66 fu maggiormente umido del 64. È cosa singolare, nel 66 cadde minor quantità di acqua che non negli altri due, so- pratutto nel 64. Il sole fu prodigo in tal anno, mediocremente si la- sciò vedere nel 65, e si mostrò avaro nel 66. Conclusione. lo son di parere che sottoposto l’antecedente quadro meteorico al- l'esame di un perito enologo, il quale ignorasse i risultati dei raccolti viniferi dei tre anni, sarebbe posto in imbarazzo per decidere quale dei tre abbia dovuto essere loro più favorevole. Forse questa mia opinione sarà erronea, ed altri di me più capaci potrà coi dati ante- cedenti fissare le differenze favorevoli e nocive pei raccolti delle uve. lo vorrei che ciò fosse, e mi considererei ampiamente ricompensato d'aver compilato questo tenue lavoro statistico. Nel mio rendiconto del 1865 registrai i risultati degli assaggi al- colici ottenuti nei quattro anni antecedenti; ora riproduco questa li- sta, aggiugnendo il risultato del 66, che ci riportò verso quelle an- nate in cui i nostri vini si alterarono molto nei mesi di calore estivo. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE, 205 Assaggi alcolici praticati sui vini Braidesi. Termini medii degli anni. Numero Alcol degli assaggi, | corrispondenti OSSERVAZIONI | DIARI ad altrettanti | vigneti E I) CO Sa i 1862 14.94 5 Le quantità di alcole corrispon- dono allo spirito a 22 gradi di 1863 16. 33 2i Cartier e non all’alcole assoluto. || Altrove già spiegai il motivo di 1864 16. 40 39 questa preferenza. 1863 17. 86 48 1866 16, 20 47 Molte persone discorrendo dei vini, emettono 1’ opinione che que- sto prodotto sia un dono compartitoci dalla natura, nel quale regna una misteriosa composizione, e non vogliono nemmeno credere che la massa più cospicua di ciò che noi chiamiamo vino, è formata da semplice acqua, un’acqua eguale a tutte le acque. A costoro (ed è il numero maggiore dei nostri popolani) non mi dirigo col presente scritto, e bramo invece intrattenermi colle persone che conoscono bensì che il vino è un prodotto artefatto, per ottenere il quale s’im- piegano i materiali elaborati dalla natura, ma non vogliono poi con- venire che sia permesso impiegare certe cautele, introdurre certe modificazioni nella fabbricazione, tendenti a migliorare le qualità del liquido, e sopratutto farlo capace di resistere qualche anno ai calori estivi senza alterarsi. 204 F, CRAVERI, La ragione favorita di queste persone si riduce al ritornello « io voglio che il mio vino sia naturale; » ed il più delle volte questi tali bevono nell’ estate il loro vino acido, torbido, purchè sia naturale! Per lo più si esagera sul numero dei materiali che entrando nella composizione del vino, danno a questo liquido le proprietà più im- portanti, fra le quali la sua inalterabilità. È verissimo che aprendo un libro qualunque che tratti d’ enologia, vi troviamo un’intermina- bile lista di sostanze componenti i vari vini, e separate le une dalle altre coi processi chimici nelle analisi che si fanno di questi liquidi in generale. Senza ricercare il vero merito di queste analisi, e l’anto- rità che esse rappresentano, io credo che per ora non val la pena di preoccuparci cotanto dei materiali che entrano in seconda o terza li- nea, e prego il lettore a rivolgere meco tutta la sua attenzione sul primo, sul reale, sull’ incontrastabile elemento che preserva il vino dall’alterazione; gli dà una gran parte dei caratteri che in esso ricer- chiamo, e con facilità possiamo determinare la sua proporzione nel liquore fermentato. Questo elemento importante è l'alcool, ovvero lo spirito, sostanza chimicamente eguale in tutti i vini, e con odore e sapore differente, perchè nella separazione per distillazione, lo spirito porta con sè l'aroma peculiare del vino di cui faceva parte. È ovvio il dire che l’alcol non esiste nell’uva matura, questa contiene bensì nel suo acino una forte dose di zucchero, materiale indispensabile alla formazione dell’ alcol. Sottomettendo i liquidi zuc- cherati all’ operazione della fermentazione, noi possiamo guidare, fa- vorire e sospendere detta formazione dello spirito, ma non mai rim- piazzarla con altri processi (1). Lo zucchero contenuto nell’uva è chimicamente identico a quello che trovasi in tantissimi frutti giunti al loro periodo di maturità, e se per fare del vino s’impiega esclusivamente dell'uva, si è perchè l'uva, oltre allo zucchero come dicemmo, contiene varie altre s0- stanze che comunicano al liquido spremuto e fermentato, il sapore, odore, colore proprio, quello che collettivamente non s' incontrerebbe (4) Forse non è lontana l'epoca che si potrà dire altrimenti, ma per ora questi miì- racoli della scienza non escono dal limitare del suo tempio. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE, 205 nei succhi di altri frutti. Ma se non è possibile il rimpiazzare l’ uva per fare proprio del vino, è poi facile il togliere od aggiugnere al- cuno dei principj che possono eccedere-o mancare nel mosto d’ uva, col quale si vuol fare il vino, ed invece di biasimare coloro che scientemente fanno tali aggiunte o sottrazioni, io lodo il loro operare, sempre però che queste manipolazioni siano fondate sulle esperienze utili per migliorare il prodotto, e non fatte a casaccio. Occupandomi dei vini Braidesi potei convincermi d’una triste ve- rità, ed è che i nostri vini ordinarj non si conservano. (Eseludo quei vini speciali, preparati in piccola quantità). Il tempo che può trascorrere prima che i vini si alterino non si può fissare in un modo assoluto; ma generalmente si considerano conservabili quei vini che si possono bere in tutta la loro bontà, almeno dopo due o tre anni, e non conservabdili quelli che si alterano nel breve spazio di otto o dieci mesi dopo la loro fabbricazione. I vini Braidesi devono collocarsi in quest ultima categoria, ciò che li esclude dal considerarli quali prodotti d’ esportazione in lontani paesi, e nemmeno quali prodotti veramente commerciali fra noi, perchè è sempre nojosa quella merce che presenta instabilità nella sua natura, ed obbliga il proprietario allo smallimento, quando l'epoca non è propizia per ricavarne il maggior guadagno possibile. Penetrato da queste verità incominciai da qualche anno a studiare l’arte vinifera del mio paese, e questo mio studio va lentamente pro- gredendo. L’arte enologa d’un territorio, comprende un vasto campo nel quale ben poco avanza colui che trovasi solo al lavoro. Se si ri- flette che nel corso d’un anno si devono fare tutte quelle esperienze ed osservazioni adattate ad ogni epoca, e che nonsi possono control- lare sino all'anno venturo, è facile capire come un solo individuo debba impiegare più anni, e debba limitare i suoi studi a pochi rami dell’ arte, non potendo intraprendere nel medesimo tempo tutte le esperienze che si presentano fattibili. Queste difficoltà io le provai praticamente, ed è perciò che mi ri- volgo ai miei concittadini, persuaso saranno meco indulgenti, anzi vorranno continuarmi il loro ajuto, non fosse altro morale, il quale fin’ ora incontrai presso tutti coloro che meco parlarono dell’arte di migliorare i vini Braidesi, 206 G. CRAVERI, Dal fin qui detto il lettore si sarà accorto che io senza entrare per ora in questioni enologhe-chimiche, stabilisco che dalla maggiore o minore quantità d’ alcol contenuta nei vini, dipende la loro conser- vazione. Dal quadro sulla ricchezza alcolica vediamo che il termine me- dio maggiore degli anni 62, 65,e 64, fu il 16,40 per cento. Siccome questa cifra rappresenta il termine medio di 39 assaggi di diverse qualità, e non essendosi certamente in quell’anno, come mai succede, alterati tutti i vini, si potrebbe essere incerti sul titolo minimo ne- cessario per la conservazione. A maggiore schiarimento dirò che il vino di nostra casa raccolto nella regione Chioselli, diede in quel- l’anno un titolo di 16,33, cioè un po’ superiore della media generale, ed il nostro vino, giunta l'epoca dell’estate, incominciò a prendere un colore sospettoso, s' intorbidò alquanto, e potemmo però continuarne l’uso; ma era patente che poco gli mancava per diventare una be- vanda disgustevole. Fra i 39 assaggi eseguiti in quell’anno nove solamènte oltrepassarono il titolo del nostro, dimodochè si può essere certi che la maggior parte dei vini in quell’ anno si alterarono nella nostra ciltà. Nell’anno 65, così felice pella bontà del suo raccolto, la. media generale del titolo alcolico montò a 17,86 e fra 48 assaggi che praticai, ben pochi mi diedero la minima di 16,53. Il raccolto adun- que di questo anno non solamente potè conservarsi più di 12 mesi, dopo la sua fabbricazione, ma deve essere suscettibile di conservarsi qualche anno senza deperire, la qual cosa proverò colla piccola quan- tità di vino prodotto dalle stesse uve della regione Chioselli, col. ti- tolo alcoolico 18,76 che conservo per tale esperimento, Riassumendo l’ esposto, pare evidente ehe : 4.° Il nostro territorio produce generalmente dei vini non atti alla conservazione oltre 12 mesi dall’ epoca della loro fabbricazione. 2.° Il titolo presumibile necessario affinchè questi vini si con- servino, pare sia il 48 per 400 almeno; e questa cifra l’ arrischio senza rendermi garante della sua esattezza, ciò che proverò di me- glio colle ulteriori ricerche che spero di continuare. Stabilite le basi precedenti continuerò narrando ciò che feci per migliorare il vino di casa nostra. | OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE. 20% ]l primo quesito che s’ affaccia alla mente dello scrutatore, si è quello di conoscere le qualità delle uve, cioè le varietà più atte a produrre un vino buono, e l’epoca più favorevole del loro raccolto. Ho sempre sentito biasimare il sistema adottato dei nostri vecchi, i quali pare siansi fatto uno studio di promiscuare molte qualità di ceppi differenti in un medesimo podere o vigneto, quasi che da tal miscela dovesse ogni anno sortire un prodotto mediocre tanto in quantità che in bontà. Accorti di questo difetto, le nuove piantagioni si eseguiscono per lo più separando le varietà in filari, ovvero si pianta tutto il podere con una sola qualità, come per esempio tutta Barbera, Freisa, etc. Desiderando rendermi conto quali delle molteplici varietà produ- cano maggior quantità di zucchero, e quali maturino prima; mi de- cisi intraprendere gli assaggi, i quali praticai nel seguente modo. Appena le uve dei Chioselli incominciarono a divenire buone a mangiarsi, scelsi tutte le varietà dei ceppi esistenti nel vigneto, ed il più possibile vicini gli uni agli altri, onde le circostanze di espo- sizione e di terreno non presentassero grande differenza. Segnai ogni ceppo col suo nome datomi dal vignajuolo (del quale non garantisco nè l'ortografia, nè gli sbagli di nomenclatura) tagliai pochi acini dei migliori che trovai, e accuratamente separate le qualità li portai nel laboratorio, ove li sottoposi all’assaggio chimico atto a determinare la quantità di zucchero contenuto in ogni qualità di uva. Dodici furono le varietà d’ uva scelte a questa prova, la quale ri- petei cinque volte dall’ 11 settembre al 28 dello stesso mese, curando sempre, il meglio possibile, di prendere gli acini da assaggiare i più maturi, e quanto potei anche sempre dai medesimi grappoli, Ecco il quadro dei risultati. 208 F. CRAVERI, Progresso nella maturazione di dodici varietà di uve _———————Ò _-—--— oo —"eoe ]!——_—__Y+W+t-t‘' —"’vo o_r a ci DATE 3 o È GE) S ci | 7 = È 3 2 Zi ©) (e) Ge) D ° chi (è = ca Z A si pe contanti RPS SI ODI RIE I AIR TRE 00È e ce Settembre per cento Zucchero! <. 411.20 44.00 17.60 18.40 15.60 Il Colore del mosto . . 4.00 5.00 6. 00 4.00 | 5.90 Zucchero . . . + 43.80 15.40 17.00 417.40 16. 40 414 Colore del mosto . . 4.00 5.00 6.00 4.00 5.00 \ Zucchero. . . . - 17.00 16.20 20. 86 47.00 21.32 49 | Colore del mosto . . 4.00 5.00 6.00 4.00 5.00 ri Zucchero 0. <<... 17.00 417.60 19.20 20. 00 21.30 72084 Î Colore del mosto . . 4.00 5.00 6.00 4.00 5.00 28 Zuecheroagtà sn at 417.40 15.00 19.20 22.30 419.50 Nota. — Confrontando il colore del mosto, al momento di essere spremuti, credei Ji carico; quest’ ultimo ha sì poco colore, che pare proveniente da uva bianca. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE, 209 a regione Chioselli nell’anno 1866. | Croetlo Galetto Pelaverga Bione Lambrusca - 15.00 16.00 47.00 49.20 44.40 | Term. med. zucchero per cento 46. 06 16.00 16.70 19.20 19.40 15.40 44.00 15. 00 16.00 17.40 12.60 | Term. med. zucchero per cento 15, 24 Term. med. zucchero per cento 17. 85 18.00 17.00 19.20 419,20 16.45 | Term. med. zucchero per cento 48. 68 6.00 3.00 3.00 4.00 3.00 | 16.00 15. 00 17.60 18.00 15.20 | Term. med. zucchero per cento 47. 90 sei qualità. Il n.° 6 lo apposi al mosto più earico di colore, ed il n.° 1 al meno * Vol. X. 44 F. CRAVERI, Riepiloghi del quadro anteriore. I più alti titoli di zucchero trovati nelle varie qualità delle uve zucchero per cento di mosto Nebbiolo. elio nità, = 22.30 DOISELO E a N SA ES N = 24.392 Barbera A TT ATA.) 8.20.86 % ji Malvasia 0. Lt e a 20180 Urania ii a e i ero it Bione e e et TORRE cal A pag Agere RA a ei ga tp UEGELO: alati PRESSO TRI i 8108 Adone dii tt ab = 47.60 Costiole . = 47.40 EI Un ae pi = 47.00 Eambrusca LIE A 0 LR = 46. 50 Intensità dei colori dei mosti. Barbera = 6 Eroetto...;. julia Tadone g h Dolcetto . . -—. ST Malvasia ‘/0. !.. Nebbiolo . . . . n/a 1 Rn >» e e e- L= & Costiole Galetto . POIIVErRa”ne ee =" # Lambrusca.i....;i | UIPOELA de) IR BID I a e eo OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE. 2411 Si nota da questo quadro che l’aumento di zucchero progredì sino al giorno 24, ma all'indomani avendo incominciato la pioggia, che durò tre giorni, non si poterono raccogliere le uve, ed il 28, quando praticai l’ultimo assaggio, la quantità dello zucchero aveva diminuito del 0,78 per cento. Questa diminuzione saccarina si potrebbe attribuire all’ influenza dell’acqua piovana la quale, assorbita, rende gli acini visibilmente gonfi, e deve perciò trovarsi negli assaggi eseguiti sempre sulle stesse quantità, maggior dose di acqua che di zucchero; ma io sospetto che un’altra causa influisca possentemente a questa diminuzione del prin- cipio zuccherino, ed è la trasformazione clie deve operarsi dello zue-» chero in mannite, dopo un certo periodo di maturazione, che sarebbe utilissimo poter fissare. La mannite è una sostanza che trovasi in grande quantità nella manna d’ onde il suo nome di mannite. La sua composizione chimica è poco differente da quella dello zucchero che esiste nell’ uva, malgrado ciò il suo sapore è molto meno dolce, e non produce dell’ alcol se si cerca di farla fermentare. Questa trasformazione dello zucchero nelle nostre uve, non è per anco stata da me provata con nessun esperimento, e sarebbe per- ciò ozioso il volere entrare in maggiori raziocinj} chimici sul partico- lare. Mi si permetta però che fin d'ora appoggi questa mia supposi- zione sul fatto ben cognito a tutti, che in generale le frutte, ‘allor- quando si lasciano attaccate alla pianta dopo la loro maturazione, invece di acquistare nelle loro proprietà, diminuiscono. Basti il ri- cordare che le pere, le pesche, le albercocca, e persino le fragole ed i lamponi, quando non cadono al suolo, e si raccolgono dopo un lasso di tempo più o meno lungo, non banno più quel sapore delicato, quei succhi dolci, aromatici, che possedevano se si fossero spiccati al mo- mento della loro perfetta maturazione ; anzi molte fra le varietà ci- tate , è conveniente separarle dalla pianta qualche tempo prima che arrivino alla perfetta loro bontà, la quale acquistano conservate nei serbatoj per ciò adatti. È conosciuto da tutti che le uve staccate dalla vite, e disposte in sottili strati sui telari o sui pavimenti, riparate dalle intemperie, € lasciate lunghi mesi ad appassire, producono poi un mosto molto più 212 F. CRAVERI, zuccherato, ed un vino assai più carico di alcol che non quello che si sarebbe ottenuto spremendo la stessa uva appena raccolta. i In questo caso si deve attribuire l'aumento dello. zucchero ‘all’ e- vaporazione dell’acqua, per cui diminuendo la quantità del liquido, il mosto riesce più concentrato, ad un dipresso ciò che si otterrebbe se sì facesse evaporare col fuoco, pratica condannevole ma che in certi paesi è tuttora usitata. «Questo processo d’appassimento, di cui la pratica confermò la bontà sarebbe errore confonderlo con quello che consisterebbe in lasciare i grappoli permanenti sui ceppi, onde appassendosi produ- cessero poi il medesimo risultato ; l’ uva continuando la sua vita ve- getativa, oltre. alla. perdita dell’acqua; perderebbe pure il suo zuc- chero, il quale si trasformerebbe in sostanze non più fermentabili epperciò inutili. Da questa osservazione emerge la necessità di stabilire. con una certa precisione il momento opportuno per la vendemmia; cosa diffi- cile, non potendosi questo momento fissare a dovere, perchè i nostri vigneti sono situati in diverse posizioni, e producono diverse qualità di uve che non tutte maturano nel medesimo momento, quindi è an- tichissimo l’uso invalso di dar. tosto mano alla vendemmia, quando alcuni cominciano ad eseguirla nei prossimi poderi. Tutte queste ca- gioni rendono come impossibile lo stabilire con precisione il momento del raccolto. lo mi associo però volontieri al parere dei nostri enologi pratici che preferiscono anticiparlo anzichè protrarlo, e condanno poi quelli. che vorrebbero lasciare. le uve. lunghissimo tempo attaccate alla vite, se non temessero le pioggie autunnali, o la depredazione dei ladri, che non si fanno scrupolo di portar via per conto proprio, ciò che trovano nei nostri vigneti, dopo i giorni della vendemmia generale. In fin dei conti sia per una od altra causa, le nostre uve nel mo- mento della. vendemmia, raramente hanno la quantità di zucchero necessario per produrre un vino conservabile. «Tre sono i mezzi conosciuti «che si possono impiegare per rime- diare a questo inconveniente. ll primo lo cito per escluderlo, ed è.il far bollire una parte del mosto. Il secondo è di far appassire le uve; TROIA A OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE, 245 metodo che dà huon risultato, ma troppo costoso per la mano d’opera, e per il locale che esige, e per tanti altri piccoli inconvenienti, i quali non osai incontrare. Rimane l'ultimo, e questo è quello più generalmente da noi usitato, e che io pure adottai, come in appresso minutamente spiegherò, cioè l'aggiunta dello zucchero che manca al mosto, onde renderlo capace di produrre un vino buono. Invece di continuare il soggetto che tratto, tenendomi sulle gene- ralità, credo meglio descrivere un’ operazione vinifera , in piccola scala, da me diretta , ed in questa descrizione comprendo i risultati di due anni di prova, ciò che serve qual controllo, e dà maggior peso alle mie parole. Appena tagliate le uve nella regione Chioselli senza scegliere ven- gono gettate in due tinozze e condotte nella casa situata nella. città. Tre uomini sono tosto occupati nella pigiatura , cioè uno di essi cal- pesta i grappoli, ed il mosto esce dalle tinozze e cade nel mastello a misura che si forma, giacchè a tale scopo s'ebbe cura di dare alle linozze una sufficiente inclinazione. Due uomini trasportano questo liquido nel tino. La tinaia trovasi sotto il livello del cortile a modo di cantina, mu- nita di finestre capaci, per cui circola Varia, e penetra buona luce. Terminata la pigiatura i graspi vengono tutti riuniti al mosto. Il tino possiede un coperchio, che per economia feci costruire di tavole comuni di pioppo, e formato di quattro pezzi, onde poterlo collocare nella cavità conica del tino. Quivi s’ introduce in modo che rimanga alla profondità di 3 centimetri dali ’orlo superiore, e questo vuoto poscia si colma con terra comune, la quale oltre ‘ad ottu- rare le fessure del coperchio, serve ancora a comprimere e tenere in sesto i pezzi sottili e leggeri delle tavole. Il diametro di questo co- perchio è di metri t. 20, e costò L. 6. Tale sistema d’otturazione riesce soddisfacente, perchè lo scopo si è di trattenere sulla superficie dei graspi l'atmosfera del gas acido carbonico , il quale essendo per sua natura assai pesante. docilmente obbedisce alla pressione del coperchio, che lo separa dell’aria atmo- sferica , e rimane tranquillo nel sito, servendo di benefico. impedi- mento all’azione dell’ ossigeno: atmosferico sui graspi caldi , e pro+ pensi ad acidificarsi. 214 F. CRAVERI, Non è a temersi che un esagerato svolgimento di acido carbonico durante la. fermentazione tumultuosa possa alzare il coperchio, € meno poi fare scoppiare il tino, come taluno suppose. lo so per espe- rienza che i gas della fermentazione trovano sufficiente sfogo alla loro uscita, dalle molteplici fessure che sempre esistono attorno al- l’orifizio del tino, ed al coperchio, per cui non è nemmeno neces- sario lasciare verun foro, nè mettere il tubo coll’ estremità tuffata nell’acqua come suolsi praticare. Ciò che indubitamente farebbe alzare il coperchio , sarebbero le stesse uve, se il tino fosse troppo pieno, e non si fosse calcolato che durante la fermentazione si sollevano, per cui è necessario lasciare sempre uno spazio vuoto tra Ja superficie dei graspi ed il coperchio. Terminata l'operazione della pigiatura, prima di mettere in sito il coperchio, fo agitare con un mestatojo il mosto coi graspi, e prendo un assaggio del liquido, onde ricercare la quantità di zucchero che contiene. Questo assaggio chimico non lo descrivo perchè ci sarebbe su- perfluo per chi conosce questa scienza, e non sarei inteso da chi ne è digiuno. Il tempo necessario per fare l’ assaggio è di circa 410 minuti, e visto che il mosto contiene soltanto il 16. 50 p. 0)0 di zucchero, quando io so per esperienza che deve contenerne almeno il 18, m'af- fretto a far pesare quella quantità di zucchero che manca; e messo in una pentola di rame con 23 litri di mosto all’ incirca, scaldo a debol fuoco, finchè lo zucchero sia tutto disciolto, e così caldo getto il liquido nel tino, avendo cura di ben mestare durante un quarto d’ ora. La qualità dello zucchero non influisce nella riescita; la scelta di- pende dalla convenienza nel prezzo. Quello bianco costa maggior- mente, ma si può diminuirne la dose, il rovescio succede colle infime qualità: io mi attengo adunque alle qualità mediocri. Non è possibile se non si fa l'assaggio di fissare la quantità esatta di zucchero, che si deve mischiare al mosto per portarlo a quel grado che l’esperienza indicò indispensabile per la buona riescita del vino, ma credo nun allontanarmi gran che del vero supponendo che nelle Si OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE. 245 annate mediocri, le nostre uve non scelte , abbisognano: d’ un chilo- gramma di zucchero per ogni 50 litri di mosto, la qual proporzione implica la spesa d’ un franco all'incirca per.ogni brenta di vino, il quale riescirà migliore al gusto, e di buona conservazione. Adattato il coperchio, come già descrissi, s’ aspettano i primi segni della fermentazione che non tardano a manifestarsi. Avendo da parecchi anni udite le discussioni sul tempo che deb- besi lasciare il liquido nel tino prima di spillare, mi dedicai a fare delle ricerche pratiche ; e senza entrare nei dettagli del mio operato, dirò: che il momento che io considero migliore si è allorquando nel liquido non aumenta più la dose di alcol, ciò che io provo con fre- quenti assaggi praticati su 30 grammi di liquido che estraggo dal forellino del tino, collocato a 20 centimetri dal fondo. Questi assaggi alcolici si fanno in 20 minuti di tempo; non sono di difficile esecu- zione quando si possiede l'apparato distillatorio adattato. Oltre agli assaggi ripetuti a più intervalli durante la fermentazione, ho pure cercato se fosse possibile riconoscere dalla temperatura l’an- damento dell’operazione. Non posseggo che pochi anni d’esperienza, epperciò non oso assicurare il lettore di molta certezza su questo soggetto, tuttavia potendo essergli utile, qui trascrivo le mie osser- vazioni. 246 Quadro dimostrativo dell’ andamento. della fermentazione DA 2 ein ORTA [ic tria i pig HH oi718 ARA 7 E Settembre 99 30 7. m. | 47. 60 » 9. p. 18.40 Ottobre ep: 7. m. | 47.:90 ba 12. 18. 20 . 9. p. | 48.40 2 Te IBLAO » 12. 18. 20 v 9. p. 18. 00 3 7. m. | 48. 00 . 12. 18. 20 . 9 pil 48040 4 7. m. | 48. 00 » 12. 18. 10 ; 9. p. | 418.00 d 9. m. | 417. 90 | , 12. 18. 00 O bi 9. p. | 47.80 | 6 vom lar 70 o ”» 0. m. | 47.80 F. CRAVERI 4 nel 1866. 2 2 ss CP A Sihoo] gli S S| E 49, 47 20. 00 DEA 21. 00 923. 24 230/25 24. 4h 24. 00 25. 13 24.80 25. 81 25. 00 25. 98 25. 50 26. 35 25. 75 26. 4 26. 00 26. 48 26. 00 26. 35 26. 00 26. 21 26. 00 26. 03 26. 00 25. 87 25. 75 25 AI DIA, DO 25. 00 25. 00 25. 00 24. 66 24.25 24, 24 24. 00 dv © OSSERVAZIONI. | | | Alcol a 22 gradi per 100 La giornata del 29 s'impiegò nel pigia- re Je uve. 47. 46 Trovando che l’al: col non aumenta e la | temper. diminuisce, alle ore 44 del gior- 18. 40 no 6 feci spillare. n __—_—r—r—t — tr —i_711u@q OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE. 917 .v Onde eseguire queste esperienze con tutte le cautele volute, intro- dussi un termometro sensibilissimo nel fianco del tino, alla metà circa dell’altezza del mosto. Questo termometro collocato così orizzontal- mente ‘esce abbastanza dal tino per potervi leggere le indicazioni, le quali osservo tre volte al giorno, comparando colla temperatura ambiente della tinaia. Calcolando che non sarebbe utile nella pratica questo metodo, per essere troppo fragile l’ istromento così collocato, e costoso l’ acquisto dei termometri ad esperienze , volli provare se spillando un po’ di mosto dal forellino, e ricevendolo in un recipiente, entro il quale tro- visi un termometro ordinario, non potrebbesi con questi dati, sebbene non esattissimi, avere tuttavia una guida pel progresso della fermen- tazione; e dal quadro precedente si nota che al quinto giorno della fermentazione i gradi termometrici cominciarono a diminuire, e giunti alli gradi 24 all'incirca, cioè dopo la diminuzione di due dalla temperatura massima a cui sali il termometro, non si formò più del- l’alcole poichè la formazione di quest’ultimo è necessariamente ac- compagnata da svolgimento di calore. Questo metodo indicativo, basato sulla temperatura del mosto in fermentazione, lo credo utile nella pratica, perchè senza disturbo veruno offre una buona guida per sapere quando si debba spillare. lo non fo caso che il vino sia ancora caldo , che sia torbido ; io spillo appena so che l’aumento dell’alcol ha cessato. Conservazione delle botti. La buona conservazione delle botti è un soggetto che presenta ampia materia alla discussione, ed io volendo essere breve, seguirò col notare quel che meglio trovai nella pratica mia, cioè nel limitato cerchio di colui che prepara il vino in piccola quantità e desidera averlo sempre eguale in bontà, almeno per quanto gli sia permesso , ajutandosi con tutte le cure possibili. Quanto alla nettezza, io vorrei che le botti si potessero fare di ve- tro, di terra verniciata, vorrei poter lavare questi grandi recipienti come si lavano scrupolosamente le bottiglie, prima di metterle ad- 218 F. CRAVERI, dentro il vino. lo calcolo pochissimo sull’eccellente odore d’una botte, e preferirei ancora, non potendo averle di vetro, poterle almeno rin- novare ogni qualvolta me ne occorre. Ma costretto come tutti a ser- virmi delle botti usate, e certe volte anche corrotte, perchè tali si possono considerare quando il loro odore è fetido , mi occupai del modo di togliere tale fetidità, e conservare incolumi le botti buone. Ho inteso molte persone che proscrivono l’acqua dal contatto delle botti, e cotestoro si limitano a superficiali Javature, fatte con vino d’ inferiore qualità, o non lavano punto, trovando che il residuo la- sciato nella botta da una buona qualità di vino, sia quasi un mezzo, per migliorare il vino nuovo che in essa s’introduca. Senza negare recisamente quest’ultimo caso che alle volte potrà verificarsi, son per altro convinto dall'esperienza che la lavatura d’ una botte con acqua non nuoce per nulla al vino, perciò io non risparmio mai l’acqua, e lavo quanto posso tutte le botti, sia appena vuote, chè in tal’ mo- mento più facilmente l’acqua esporta le feci, sia quando debbo riem- pirle di vino. È sempre prudente sciacquarle onde viemmeglio esportare quei cor- puscoli microscopici che mai scarseggiano nelle botti; vera vegeta- zione crittogama, dalla quale ha sempre origine il guastarsi del vino. Dovetti occuparmi di togliere da una botte della capacità di 3 brente un inveterato odore d’asciutto. Presi 3 chilogrammi di acido solforico del commercio, il quale costò L 1, 80. Lo mescolai con tre litri di acqua, ed il miscuglio caldo, quasi bollente, lo gettai nella botte, chiusi ed agitai a dovere. Per due giorni si ripetè il movi- mento giratorio della botte, poi tolto il liquido, si lavò con acqua sino a tanto che sparì assolutamente qualunque traccia di acido. Questa botte perdette compiutamente il suo odore d’asciutto. Ogni qualvolta vuoto una botte, toigo ad essa le ultime goccie di vino, quindi introduco, per ogni brenta di capacità, 10 grammi di sol- fito di calce in soluzione satura. Questo liquido , io lo preparo nel mio laboratorio, ma si potrebbe trovare presso i farmacisti, i quali, se ne avessero smercio, lo preparerebbero in grande quantità, ed il suo prezzo sarebbe. anodico. ll solfito di calce poco a poco scomponen- dosi, conserva nella botte nn'atmosfera solforosa, la quale impedisee La E e n” E E e OT OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE, 219 la propagazione delle crittogame, e questa sua benefica influenza dura all’incirca tre mesi, passato il qual tempo è necessario rinnovare la dose del solfito. Quando si deve adoperare una botte che contenga il liquido preser- vativo si lava a due o tre riprese con acqua, cioè sino a tanto che spariscono le traccie del solfito. Ogni qual volta metto il vino in una botte, segno la pratica della solforazione. Ho notato che questa operazione semplicissima, può, se male eseguita, divenire fatale pel vino che si vuol conservare. Ecco come io opero: prendo dello zolfo comune e lo liquefò a lento ca- lore in un piatto di terra. Introduco nel zolfo liquido delle fettuccie di tela larghe 2 '/a a 3 centimetri, le quali coperte dallo zolfo e raf- freddate, le taglio lunghe 18 centimetri. Se si bruciassero queste fettuccie sospese nella botte, senza altra precauzione, le goccie di zolfo che cadrebbero nel fondo, durante la combustione, sarebbero bastanti per formare dell’acido solfidrico, l’o- dore fetido del quale trovasi nei vini provenienti dalle uve state sol- forate. Onde evitare questo inconveniente io mi servo di un fil di ferro a cui sospendo uno scodellino di latta più piccolo che il cocchiume delle botti. Ad un uncino che porta lo stesso fil di ferro attacco la fet- tuccia intrisa nello zolfo, e questa rimane sospesa in modo che nel bruciare, le gocciole di zolfo che sempre cadono, siano ricevute dallo scodellino. Se la botte fu da qualche tempo chiusa, poche ore prima di fare la solforazione è necessario aprirla sopra e sotto, per ristabilire la corrente d’aria, senza di ciò il zolfo non arderebbe. Mancando questa precauzione si può rimediare qualche istante prima, introducendo ar- tificialmente dell’aria nella botte mediante un soffietto. il Laani operi dallo spillo inferiore, mentre è aperto il cocchiume. Per una botte della capacità di tre brente s’abbruciano ordinaria- mente due fettuecie; quando il gas acido solforoso empie tutta la ca- vità , la combustione cessa, e la botte è preparata per ricevere il vino. Spillato il vino dal tino, lo verso in una sola botte, lavata e sol- forata a dovere. Sul coechiume colloco un pannolino, poi un’assicella, 220 F. CRAVERI, ed un peso che comprimendo serva da otturatore. Si va giornalmente colmando la botte collo stesso vino, che si ebbe cura di mettere. a parte, conservandolo in grandi fiaschi chiusi. La colmatura può pro- lungarsi anche durante 23 giorni. finalmente si chiude con ‘un buon turacciolo, e si lascia in riposo. ‘ Trascorsi due mesi, visitando il vino, ]o trovai affatto limpido, ma con aroma scadente paragonato con quello del 1865. Ricordandomi un'precetto che non avevo mai praticato volli provarlo; il quale con- siste nel rimescolare il vino agitandolo. Scelsi un bastone che aprii in quattro ad una estremità ; introdussi il capo spaccato nel cocchiume della botte, dalla quale estrassi preventivamente pochi litri di li- quido, ed agitai durante un quarto d’ora. Lasciai in riposo due giorni; passati i quali il vino era limpido; ricolmai. Agli otto giorni m’accorsi che aveva aequistato in bontà ; ripetei Ja mestatura , e la ripetei an- cora due altri otto giorni; vale dire che nello spazio di 16 giorni ri- mescolai tre volte il vino, e la sua bontà aumentò al grado che pa- reva altra qualità, allorchè si confrontarono gli assaggi conservati scientemente. | Taluno potrebbe temere che così agitato il vino rimanga. tor- bido; od anche scapiti nelle sue qualità. Facciano codesti la prova come feci io, e si troveranno talmente soddisfatti che continueranno ogni anno tale operazione, altrettanto semplice quanto utile. Il vino è un liquido che possiede germi vegetativi. Il tempo e e le condizioni atmosferiche operano sul vino in modi variatissimi, e dipendenti da innumerevoli circostanze; ma alcume fra di esse sono comuni a tulti i vini, epperciò conosciute ai tempi remoti. Fra queste deve annoverarsi la separazione di certi principj, per cui, dato un vino limpidissimo al momento della spillatura, formerà un deposito dopo qualche mese di riposo. Taluni pretendono che questo deposito sia utile per la conserva- zione del vino; altri negano che gli sia nocivo; altri finalmente cre- dono che il miglior partito sia di separare questo deposito quando è abbondante. Si sa ancora che in certe epoche dell’anno i vini-giovani risen- tono un movimento apparente nella loro. massa; s’ intorbidano svol- OSSERVAZIONI METFOROLOGICHE. 2914 gono dei gas, e spesse volte si alterano profondamente. Onde evitare ogni pericolo è prudente, anzi io direi indispensabile di mutar il vino. Le epoche più propizie sono ai due equinozj ed al solistizio d’estate, Coloro che nell’anno consumano tutto il loro raccolto di vino, ba- sterà che facciano una sola muta nella primavera, cioè nello spirare di marzo. i | Hlo provato che. questa operazione non indebolisce per nulla il ‘vino, anche agendo allo scoperto, cioè spillando nel mastello , per farlo passare in altra botte solforata e disposta per riceverlo. Se si volesse operare la chiarificazione, il momento della muta sa- rebbe opportuno; ma pel vino ordinario io la considero superflua, la praticherei se dovessi conservarlo parecchi anni, e ciò farei prima di metterlo nelle bottiglie. Questo scritto già troppo lungo forse, convincerà i miei concitta- dini della buona volontà che ho di cooperare all’ utilità comune, e spero che continuando le esperienze e raccogliendo .i molti dati che mi mancano , di potere negli anni successivi, ampliare e perfezio- nare, ciò che ora in abbozzo presento a miei lettori, invocando la loro clemenza per le mende che vi troveranno, delle quali sarei for- tunato se volessero correggermi. Bra, il 16 aprile 1867, FepeRIco CrAvERI. 2929 FP. CRAVERI ; | Termini medii delle Osservazioni meteorologiche fatte in Bra alle ore 4! MESI Gennajo . Febbrajo Marzo ... Aprile GO Maggio . Giugno . Luglio. . Agosto. . Settembre Ottobre . Novembre Dicembre nni elevato metri 284. 3; utt fi TERMOMETRO PLUVIOMETROJPSICROMETE del BAROMETRO | Altezza Massima Minima Barometro T. medio dell: T. medio. T. medio | T. medio | T. medio 3 di d’ogni mese|d’ogni mese|d®ogni mese] d’ogni mese Neve Acqua d’ogni mes a sa | mM d i Centigradi | Centigradi | Centigradi |. Millimetri Centim. | Centim. 6.875 — 0. 750 7.4AA4 742.403 2.0 0.250 9. 839 — 1.657 8. 964 736.103 — 4.750 412.760 +1, 950 40. 594 735.493 19.0 10.340 20. 530 5. 700 14.520 738. 582 n 42.470 15, 630 8.744 15.801 737.734 — 5. 680 28.948 14.793 21.077 740. 203 gra 1.500 "30.200 | 16.350 | 24.886 | 742.364 a 0. 250 29. 749 17. 935 22.915 739. 420 «sd 4.340 23. 844 42.740 19. 857 738. 680 ca) 6. 560 44. 262 6. 203 44. 062 742.577 —- 2.340 8.437 0 440 10, 537 738. 749 nai 41.070 7.532 — 3.032 8. 766 742. 206 = 0. 200 417.506 6. 344 13. 465 739. 547 T. medio | T. medio | T. medio T. medio Totale dell’anno | dell’anno | dell’anno f dell’ anno OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE, 225 ttino, durante l’anno 1866 all’ Osservatorio della casa Craveri ello del mare. ni VENTI E LORO DIREZIONE NEL SOFFIARE E? 2 SÒ I numeri indicano i centimetri cubici di miglio gettati 3 È QD pari dall’ iiemionietro' Ad ogni centimetro cubo s = le corrispondono 400 giri all’incirca del molinello N. N. E. E. SUE S. S. 0. O. {| N. 0. iò —. + 280 30] — 250 2600 43 —. | 0.980 560 10 40 pix — de 14 | 2360 110 130 200 100 45 1555 | 4860 20 | 1350 300 590 580 | 4240 | 540 1620 | 1070 63 520 420 | 2290 | 2780 335 65 375 22 | 4440 250 430 760 345 40 | 245 26 125 445 395 350 550 | 500 | 320 145 | 3250 1825 | — 930 260} —. sa 2493 7 4110 700 730 505 | — A int 7 cda ani — AA = Die mul 4 — DE da ii dai Re, ds 16 — — — se 2 _ si 165 224 F. CRAVERI, OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE. |» Termini medii dei variîi anni. ef Si è, e e e e e e | —_—— | -——._- -__ T. M. |17.130| 6.930/15.009f 738.688 -- | 72.72) 68.947] 231] D 5 UR TERMOMETRO ‘ PLUVIOMETRO| 7 i ANNI {___________{BAROMETRO [PSICROMETRO n 2 5 5 | £ 2) E 2 Neve |. S 3 È. asi pic So) ss Let [=] = a) 3 < 5 C ia Cent. | Cent. | Cent. Millimetri Cent. | Cent. 1862 | — | 8.i6o|15.826] 737.909 — 60.50| 97.841] 264 1863 | — |7.223|16.079] 739.666 58.058 |i05.11| 70.585] 275 1864 |17.980| 6.283|14.737f 737.827 59.509 |128.00| 86.293f 246 1865 [18.005] 6.670|14.941f 738.523 55.605 | 49.00] 46.906] 209 1866 [17.506] 6.314/13.465].. 739.517 47.830. | 21.00| 43.120]. 165 x T ] : SUL CAETACHO. MEDIO: DELL'ITALIA. NERIDIOVALA LETTERA del prof. GIUSEPPE SEGUENZA ALLA — SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI Onorevoli Colleghi, Nello scorso anno (1) richiamai la vostra attenzione sopra taluni fossili importantissimi, assai ben conservati e profusamente sparsi nell’ estrema regione meridionale delle Calabrie, e dal loro esame accurato faceavi conoscere come quei residui, per la maggior parte malacologici, ben ci annunciavano che in quelle contrade esiste un membro del cretaceo medio, dell’orizzonte Cenomaniano di D’ Orbi- gny, identicissimo a quello che il Coquand scopriva in Africa nella provincia di Costantina e denominava Rotomagiano, e che recente- mente si riconosceva alle Madonie, pegli studii del prof. Meneghini su talune ostree raccolte in quelle contrade (2). ol Sin da quell’ epoca mi son prefisso di visitare le Calabrie a fine di esaminare il Rotomagiano nei suoi caratteri stratigrafici e litologici, e sopratutto per determinare se le altre formazioni cretacee fossero rappresentate in quelle contrade, per vedere su quali strati giace un tal terreno, ed a quali sottostà; ma intanto avveniva che in sul finire dello scorso anno percorrendo il territorio di Barcellona (Provincia (4) Seduta del 30 luglio 1865. age (2) Vedi: Atti della ‘Società Italiana di Scienze naturali. Vol. VÎ, fasc. IV. Vol. X. LB 226 G. SEGUENZA, di Messina) per Jo studio delle formazioni secondarie, mi sono imbat- tuto in taluni strati argillosi calcarei e marnosi, i quali in talune con- trade speciali racchiudono quei fossili medesimi che mi ebbi dalle Calabrie (4). La scoperta del Rotomagiano nella provincia di Messina mi ha messo in grande attività, di maniera che, ho raddoppiato le ricerche, ho accresciuto il numero ordinario delle corse pei nostri monti, e già recentemente mi riusciva di osservare un lembo di tale terreno sul versamento orientale dei monti Peloritani, in mezzo a vastissima for- mazione di gneis, e propriamente al piano di Casso sopra Pezzolo; mi sono assicurato ancora che un altro lembo isolato giace nelle colline che dominano Sampiero; e quindi visitando nel febbrajo scorso le contrade calabresi ho già acquistato buona dose dei materiali de- siderati a fine di compiere la storia geologica del crelaceo medio del- l’Italia meridionale. Ma pria di mandare alla luce un lavoro compiuto su tale argomento, bisognano ulteriori ricerche; e mentre lavoro per ultimarle, eredo utile intrattenervi alquanto discorrendovi brevemente dei caratteri geognostici più rilevanti che distinguono il cretaceo medio in Sicilia e nelle Calabrie. Un fatto rimarchevolissimo e che colpisce a prima giunta il geo- logo osservatore, è quello della esalta corrispondenza dei caratteri geognostici dei varii lembi del cretaceo medio, che s'incontrano nelle diverse contrade dell’ Italia meridionale. Infatti si può indifferentemente descrivere quello delle Calabrie, ovvero una porzione qualunque dei lembi sparsi nella provincia di Messina, e si avrà già fatto la storia compiuta dei caratteri tutti coi quali tale terreno si appalesa nelle provincie meridionali d’Italia ; se non chè la paleontologia studiando le diverse località avvantaggia, perchè arrichisce sempre più i suoi cataloghi di taluni fossili speciali, che in ogni contrada si mescolano ai più, che sono comuni ai diversi luoghi. (4) Vedi: Breve nota intorno al Cretaceo della Provincia di Messina. Barcellona, ne}- V'Eco del Longano. Anno I, N. 3, e Poche parole sulla formazione crelacea dei terri- toriù di Barcellona e di Castroreale, nell’Eco del Longano. N. 43. LOCAL SUL CRETACEO MEDIO DELL'ITALIA MERIDIONALE, RT Gli strati del cretaceo medio in tutte le enumerate contrade con- slano adunque di argille variamente colorate in rosso, in verde, in bruno ed in grigio, alle quali s'interpongono straterelli marnosi e calcarei di varia consistenza, colorito e struttura ; alcuni degli strati marnosi sono doviziosamente ripieni di fossili, tra i quali predominano abbondantemente le ostriche. Un tale insieme di strati alternanti argillosi, calcarei e marnosi, poggia direttamente sulle rocce cristalline. (calcario cristallino, cal- schisto, fillade, micaschisto, gneis, granito, pegmalite, ecc.) nelle con- trade della. provincia di Messina; ma in Calabria si trova costante- mente alla sua base un calcare Dbrecciato ad entrochi, che rappre- senta probabilmente uno dei membri del giurassico, e che. alla sua volta giace sulle rocce azoiche. Alle Madonie invece il cretaceo medio riposa sul calcario coralliano (4). Le rocce immediatamente sovrastanti al nostro crelaceo. sono da- pertutto dei calcari a briozoarii; ma i fossili intimamente riuniti alla roccia riescono difficilmente determinabili. Ciononosiante sembrami che un tale strato debba costituire uno dei membri del cretaceo su»: periore, e sono sicuro che gli studj ulteriori ci condurranno alla sua precisa determinazione cronologica. D'ordinario a questa formazione succede un grès massiccio abbon- dante di cemento calcare, e molto resistente; ma a Rudì v.ha uno strato di calcare nummulitico con alveoline ed orbitoliti dell’ epoca eocenica. A tali formazioni succedono potentissimi ammassi di puddinga e di. grès, che insieme agli strati argillosi e molassici soprastanti rappre- sentano varj orizzonti del mioceno, e su queste rocce. sovente pog- giano il plioceno ed il quaternario. La denudazione poi ha avuto di certo grande parte, ed in varie epoche, nella conformazione e distribuzione attuale di tutti questi sedimenti, i quali si vedono più spesso in piecoli lembi variamente estesi e corrosi, sovente irregolarmente sparsi, di maniera che in un (1) H. Coquanp, Sur la formation crétacee de Sicile, nel Bull. de la Société geolog. septembre 1866. — G. G. GemeLLARO, Naticid@ e Nerilida@ del terreno giurassico del nord di Sicilia, Introduzione. i 228 G. SEGUENZA , luogo mancano gli strati più recenti distrutti dalla denudazione, in altri sono le rocce più antiche che fanno difetto, ed in altri mancano le intermedie; in qualunque posizione poi le argille del cretaceo me- dio si vedono orribilmente sconvolte, talmente che riesce difficile se- guirne la stratigrafia. Una cosiffatta irregolarità di stratificazione ripete la sua origine dal rammollimento che altra volta subirono le argille per azione delle acque, e che quindi cedendo variamente all’ enorme peso dei calcari e dei grès soprastanti, hanno sconvolto i loro strati, ed hanno pro- dotto Ja frattura di tali rocce in pezzi irregolari e di vario volume, che oggi vedonsi sparsi senza ordine sul suolo argilloso. Se vorremmo poi dire della distribuzione geografica del cretaceo medio nell’ Italia meridionale, certamente non potremmo dare che’ ragguagli pur troppo incompiuti, mancandoci ancora molte conoscenze all4uopo necessarie: ci contenteremo quindi di accennare i luoghi dove noi l’abbiamo osservato. Nelle Calabrie, percorrendo tutta quella porzione di suolo che giace a mezzogiorno di Reggio, s'incontrano le argille ed i calcari del cretaceo nella valle di Vrica e nelle. col- line circostanti sino al capo di Bova (Territorio di Bova); ma i fossili vi sono rari, essendo esclusivamente racchiusi in uno straterello mar- noso, spesso appena due decimetri. Quindi ricompariscono dopo il giurassico e i terreni azoici di Capo di Bova, continuandosi fino a Torre-varata ; e poi dopo lunga estensione di terreni. cristallini e: terziarii, dalla valle di Galati si estendono senza interruzione sino al, capo Bruzzano, divenendo oltremodo fossilifere presso la contrada S. Giorgio sotto Brancaleone, dove Je ostriche di varie specie, svelte. dalla roccia per l’azione disgregante degli agenti meteorici, ricuo- prono il suolo in grande abbondanza e per non breve estensione. Nella provincia di Messina le argille cretacee si osservano nel ter- ritorio di Barcellona: esse costituiscono le collinette a lieve inclina-, zione che dalla valle di Santa Lucia si estendono sino alla. valle di. Mazzarrà, e probabilmente un tal terreno va assai oltre. Un piccolo, lembo si osserva sulle colline che stanno a ridosso di Sampiero, ed un altro ben limitato giace sopra vasta formazione di gneis presso Pezzolo. Nella valle di Lando a sud-est di Barcellona i fossili del cre-, SUL CRETACEO MEDIO DELL’ ITALIA MERIDIONALE. 229 taceo non sono rari; ma presso Pezzolo solamente si osserva qualche Ostrea e qualche interno modello di altra bivalve. In sul principio dello scorso anno il prof. Coquand veniva in Si- cilia a studiare il Rotomagiano delle Madonie, e lo riconosceva a Scillato ed a Piombino tra Caltavutoro e Polizzi, in quei luoghi in- somma da dove il prof. Meneghini si ebbe le Ostriche deseritte in una nota inserita nei nostri Atti (1). Ma oltre della compiuta somiglianza che si scorge nei caratteri che distinguono tutti i lembi, del cretaceo medio d’Italia, è rimarchevole, anzi importantissima la relazione paleontologica che ravvicina ed unifica la fauna della nostra formazione, con quella del Rotomagiano della provincia di Costantina; relazione che io vi annunciava e vi dimostrava nella mia memoria paleontologica, che vi fu letta nella seduta del 50 luglio 1865, che portava per titolo: Sulle importanti relazioni paleontologiche di talune rocce cretacee della Calabria con alcuni terreni di Sicilia e dell’ Africa settentrionale, scoperte e con- siderazioni del Socio G. Seguenza, e che venne quindi pubblicata nel secondo volume delle Memorie della nostra Società. Una tale re- lazione tra il nostro cretaceo e l’africano fu poscia riconosciuta ed annunciata dal Coquand alla Società geologica di Francia, nella riu- nione del 9 aprile 1866. Oggi avendo comparato le Ostriche del cretaceo italiano con quelle dell’ Africa settentrionale, che mi furono gentilmente favorite dal- I’ egregio prof. Coquand, non posso trascurare di rammentarvi la so- miglianza oltremodo rimarchevole delle due faune; somiglianza com- piutissima sotto tutti i rapporti; non solamente identità assoluta nelle forme specifiche e nella loro ornamentazione, ma benanco nel colorito nero-brunodelle conchiglie, e nei caratteri della roccia che le racchiude. La somiglianza specifica delle due faune, vi sarà agevole scoprirla, o Signori, dando un’occhiata al quadro che segue, nel quale ho enu- merato i fossili raccolti nel Rotomagiano d’ Italia, indicando i luoghi dove ciascuna specie è stata rinvenuta, sia nella nostra penisola, sia fuori di essa: (ti Studii paleontologici sulle ostriche crelacce di Sicilia, negli Alti della Società Ita- liana di Scienze Naturali del 1864. i FOSSILI ROTOMAGIANI D'ITALIA ne id n Î SICILIA CALABRIA | AFRICA | CONTRADE EUROPEE i Hr ec iniranlsop ace i S; se = Co | | = |g|Sie|5| 5 | cs D x ©) x — . | (n) Du = [a = < GALGANO FE ABBI "00 DPL | Ammonites Rothomagensis Lamk x x x |Francia, tnghil- | terra. Turrilites Scheuchzerianus Bose. | ..|-. x x. |Francia. Rostellaria Dutrugei Coq.. ...|..|.. x x acta Pidonts Cogo 4 VA ERIO, x DE »., : Moevusi Cog.. . ». : . NOTE EE I peli pe ul Venus Cleopatra Cogq. . . . . ari gta, x x ex f Dutruget Gog. 0 x cata al engine e x x af; tMousse iUog: li oiti. it SAI LIRE E x Astarte Gabe Coq.... .. .. SA cl du e a |A Cuprma tra pezoidatS Gt Set PEPE AIA ZAAZ x Crassatella Baudeti Coq.. . .. . "CARI DIO MII ETTI COREA 0" x ” CORSE SEI TI n ie IE Arca. Delettrei. Cog. . «1. a pa dial ai, pai i x » tevesthensis Coq. . . . . . + SOTA CIRO i CINI) O x v'Efiparalola! Cogito gio visa diurni. x x Cardium regulare Coq. . .... cena sile x Ù n ari a dai x x n auressense Coq. IR. Moi x x v punicum Coq. .. .... SMI di ce x x : Avicula gravida Cogq. e. 00. + fi x x » CICLO 27 ROMITA VAR GRIN VaR TIRA af x x Pecten Desvauxj: Cog. . .. |... ia RI LPP DI (ti, 1958 Janira; tricostata Cog. .... . .. . denota se x x Plicatula auressensis Cog.. . . . = bd x DE » Fonrnelit Cogo his. Uppa x] x Ostrea:conica D' Orb.... ire x |Francia, Spagna, Germania. » Delettrei :(Log: = L.14 ; x x » » V. exogyriformis x pel » o Mr psetreoidea i'll ala. è a x » Overwegei Coq. . . . -. “Sha ii pe De it il È x ” np Miregstalaliia. agio ag i EL 151 e x ” mio SCADiai, + ni è ARA = ne » è; Viestevigata si dirti ui x » sii cretioniatan vpi aci Sia RE x » auressensis Coq. ....|x<|{X<|x|{x|x x » sevplian Gagea Line di desc suli x » nabellata 40 UFO, tes 5 | Ae SS Sarai E x |Francia, Spagna, Germania, Siria. . Baylei Gueranger ....| x< | x Pra ik < x \FTADPIRE » Mesmieti Gaogi. ie DT ST te UO x Epiaster Coquandì Seg. . . .. . BEI ORLO x SLA » ee LO A e iL): riti re pid x Hemiaster Batnensis Coq. .... | ><... x x Magnosia Desorj Coq. ...... x x (4) (1) Da questo quadro sono stati esclusi i pochi fossili non ancora esattamente deter- minati, e quelle specie che sono nuove nella scienza, perchè non ancora deseritte. + G. SEGUENZA, SUL CRETACEO MEDIO DELL'ITALIA MERIDIONALE. 231 Le indicazioni nel precedente specchio enumerate stringono sem- pre meglio la grande relazione precedentemente stabilita tra il cre- taceo medio dell’Italia meridionale e quello d’ Africa, e mi conducono alle seguenti conchiusioni : 1.° Che tutti i lembi del cretaceo medio sparsi nelle varie con- trade dell’ Italia meridionale, somigliano tra loro compiutamente per tutti i caratteri geognostici, e quindi si raggruppano naturalissima- mente in un’unica formazione, che se vedesi attualmente interrotta, ciò trae sua origine da cagioni posteriori e certo indipendenti da quelle della sua formazione. 2.° Pei caratteri paleontologici il nostro cretaceo medio è identi- cissimo a quello dell’ Africa; infatti quasi tutti i fossili raccolti in Ita- lia erano stati precedentemente descritti da Coquand, perchè da lui rinvenuti nella provincia di Costantina (1). 3.° Dalla somiglianza predetta si dee conchiudere che tale ter- reno in Italia ed in Africa si depositava in mari in cui si riunivano le medesime condizioni fisico-chimiche, che perciò davano origine a depositi somigliantissimi, mentre alimentavano i medesimi organismi. Ora tanta e sì compiuta somiglianza nelle condizioni fisiche e biolo- giche non potea meglio avverarsi se non per la continuità del mare in cui quelle rocce si costituivano. Quindi a mio giudizio nell’ epoca del cretaceo medio un mare si estendeva dall’ Italia all’ Africa 4.° Le interruzioni estesissime che separano le varie porzioni del Rotomagiano nelle provincie meridionali d’Italia, in minima parte dipendenti dalla sovrapposizione di rocce più recenti; a mio giudizio traggono loro origine in gran parte dal complesso fenomeno della de- nudazione, clie a varie riprese ha prodotto la distruzione di rocce di- versissime. i Messina, 20 aprile 1867. (1) Vedi: H. Coquanp, Geéologie et Paléonlologie de la. Prov. de Constant., nelle Me- moires de la Soc. d'Émul. de la Provence, NOTA. — Alle specie enumerate nel quadro bisogna aggiungere |’ Ammonites Man- telli Sow., e la Trigonia distans Coquand., che sono state raccolte recentemente a S. Giorgio presso Brancaleone, I .» LE DUE RECENTI TEORIE — SULLE CORRENTI ATMOSFERICHE del socio GIOVANNI OMBONI (Seduta del 26 maggio 1867) . Le correnti atmosferiche hanno certamente una grande influenza sui fenomeni geologici attuali, e devono averne avuto una, e grande, anche su quelli antichi; perciò anch’ io, come qualunque altro’ stu- dioso di geologia, ho dovuto occuparmene, per farmene una idea chiara e scevra di dubbj ed incertezze. Ho perciò studiato anch'io, come gli altri geologi, i libri dell'americano Maury, e in essi ho tro- vato una gran copia di fatti, e la teoria nota a tutti; ma questa teoria non mi soddisfece pienamente, anzi posso dire che non mi piacque punto per certe sue parti, che mi parvero contrarie a principj eda fatti appartenenti alla Fisica ed alla Meccanica. Intendo parlare prin- cipalmente degli encrociamenti delle correnti aeree, ammessi. da Maury in corrispondefiza alle così dette zone delle calme equatoriali e tropicali. Fu dunque con molta sorpresa e meraviglia che trovai quella teoria completamente adottata ed ampiamente sviluppata, come una teo- ria perfetta ed incensurabile, in un libro di geologia recente e assai stimato (1). E fu con piacere che vidi pubblicato nella Aévue des (1) StopPANI, Note ad un corso di geologia. G. OMBONI, SULLE CORRENTI ATMOSFERICHE. 235 deux Mondes del 15 febbrajo 41867 un articolo del distinto fisico Ja- min Sui venti e sulla pioggia, e seppi venuto alla luce il libro di. Marié-Davy Sui movimenti dell’ atmosfera e dei mari (1), perchè sperai di trovare in questi due recenti lavori trattata e discussa con- venientemente la teoria del Maury, e di potermi con ciò definitiva- mente decidere ad ‘adottare o rifiutare questa teoria. Ma anche la lettura di quei lavori non mi contentò , perchè nè l'uno nè l’altro autore citò la teoria di Maury , nè per lodarla, nè. per criticarla, ed ambedue espongono invece un’altra teoria più semplice, e ch'è an- cora quella già esposta in molti altri libri, e la espongono succinta- mente, senza curarsi di tentare con essa la spiegazione dei fatti, che Maury aveva citati come basi e prove della sua teoria. Così mi trovai fra due teorie diverse, l'una più complessa , soste- nuta dal suo autore con molti fatti, ma tuttavia con alcune parti se- condo me deboli e inammissibili, e l'altra più semplice, e che mi parve completamente ammissibile, se alcuni fatti citati da Maury non le sembrassero contrarj. Allora feci delle ricerche sulla realtà dei fatti citati da Maury, tentai di spiegarli anche colla teoria più semplice, e interrogai varie persone competenti nelle questioni di Meteorologia, per averne degli schiari- menti; giunsi così a persuadermi che la teoria di Maury dev’ essere abbandonata, e deve invece essere ammessa quella più semplice, già adottata in molti libri di Fisica e di Meteorologia. .I fatti citati dal Maury come favorevoli alla sua teoria, ho trovato di poterli dividere in due serie, cioè in quelli ben provati e quelli inesatti o almeno dubbj, e perciò da non doversi prendere in seria considerazione. Passiamoli brevemente in rassegna, cominciando con quelli ben comprovati e certi. (4) Il libro di Marié-Davy è, a giudizio delle persone competenti, un ottimo libro di Meteorologia, benchè elementare, ed è ornato di tavole relative alle linee isotermiche, alle correnti marine, alle correnti atmosferiche, agli uragani, al fondo del mare, alla pro- gressione delle tempeste in Europa secondo le osservazioni dello stesso autore, ecc. Alcune dli queste tavole sono preferibili, pel disegno e per la chiarezza, a quelle dello stesso Maury; e talune di quelle relative alle tempeste trovansi riportate, con alcuni dise- gni relalivi alle correnti atmosferiche; nell’ ultima edizione della Fisica di Boutan ‘€ d’Almeida, 254 G. OMBONI, 1.° Zona delle calme equatoriali. — Lungo 1’ equatore, ma non in esatta coincidenza con esso, esiste la così detta zona delle calme equatoriali, che è piuttosto una zona di nubi, di tempeste e di pioggie abbondanti ; e questa zona cambia di posto col succedersi delle stagioni, così che nell'Atlantico è appress’ a poco sull’ equatore nel febbrajo e nel marzo, mia è tutta nell'emisfero boreale dall’agosto e settembre, come si vede nella tavola IX dell’ opera di Marié-Davy. Questi sono fatti ben comprovati, e sui quali non è possibile alcun dubbio. 2.° Alisei inferiori. — Sopra i mari, che stanno fra la zona or ora citata e il tropico del Cancro, regnano in tutto l’anno i venti ali- sei di nord-est, e su quelli fra la stessa zona e il tropico del Capri- corno regnano i venti aliseî del sud-est. Questo è un fatto ben noto da molti anni ed ammesso da tutti; ma la citata tavola IX del Marié- Davy mostra che fra l’Africa e l'America, i venti alisei detti di nord- est sono realmente venti di nord fra la Spagna e l’Africa (cioè sof- fiano verso il sud), e diventano venti di est (soffiando verso ovest) in vicinanza dell'America; e che i venti alisei detti di sud-est sembrano partire da un centro presso l’Africa, per soffiare lungo l’Africa stessa verso il nord, e giungere contro l’ America quasi come venti d° est. 5.° Alisei superiori. — A Teneriffa, fino ad una certa altezza, regna per parecchj mesi l’ aliseo normale di nord-est, ma in questi stessi mesi, più in alto, intorno alla sommità del Picco, soffia un vento re- golare di sud ovest; negli altri mesi questo vento di sud-ovest discende a poco a poco, e per qualche tempo soffia anche al livello del mare. Alla sommità del Monna-Roa fu osservato un vento costante di sud- ovest, mentre al livello del mare soffiava l’ aliseo di nord-est. Le ceneri d’ un vulcano dell’isola San Vincenzo, giunte a grandi al- tezze, furono portate fino alle isole Barbados (verso 1’ est), quantun- que nelle regioni inferiori dell'atmosfera regnasse il solito vento aliseo di nord-est; e questo trasporto non si può spiegare, se non coll’am- mettere nell’alto dell’atmosfera un vento d’ovest. Un altro fatto ana- logo fu osservato alla Giamaica. Questi fatti, ammessi da tutti, mostrano che nell’ alto dell’ atmo- sfera della zona torrida, sopra gli alisei ordinarj od inferiorif devono soffiare dei venti in direzione contraria a quella degli stessi alisei End dra. Cisa 0 _- i SULLE CORRENTI ATMOSFERICHE. 235 inferiori. Questi venti superiori furono chiamati contro-alisei da Maury, ed alîiseî superiori da altri. 4.° Polveri provenienti dal nord dell’ America meridio- nale, cadute al Capo Verde, a Genova, ecc. — AI Capo Verde, a Genova, a Lione, nel Tirolo, ecc. caddero dall’ atmosfera delle pol- veri, le quali, esaminate col microscopio, furono trovate composte di scheletri o gusci d’ animaletti microscopici, eguali a quelli che si trovano nelle sabbie delle pianure dell'America meridionale, al nord dell’ equatore. Ciò che non si può spiegare, se non col supporre che un vento aliseo superiore , il quale abbia origine alla superficie di quelle pianure sabbiose , attraversi l'Atlantico, scorrendo verso nord- est nell’alto dell'atmosfera , ed abbia fine al Capo Verde e sul sud- ovest dell'Europa, discendendovi presso la superficie della Terra ; poi- ché esso solo può prendere quelle sabbie di gusci microscopici nelle pianure dell’ America, portarle seco verso 1’ Europa , e deporle nei luoghi or ora citati. 5.° Zone delle calme tropicali. —- In corrispondenza del tro- pico del Cancro, là dove sembra che discendano verso la superficie della Terra gli alisei superiori, esiste una zona parallela approssima- tivamente all’ equatore, e nella quale regnano delle lunghe calme, ben note ai naviganti. - Un'altra zona consimile esiste nell’ emisfero australe, in corrispon- denza del tropico del Capricorno. Per ispiegare l’esistenza di queste due zone di calme tropicali, basta supporre che l’aria degli alisei superiori discenda verso la superficie della Terra lungo quelle zone, e che con ciò produca piuttosto delle correnti verticali che delle correnti orizzontali, di modo che presso la superficie della Terra non si manifesti aleun vento orizzontale , e alla mancanza di siffatti venti orizzontali sia dovuta l’ esistenza delle calme. Spiegazione dei fatti fin qui esposti. — Per ispiegare i fatti fin qui esposti, e che sono ammessi da tutti, perchè ben comprovati , basterebbe la più semplice teoria dei venti alisei, già esposta in tutti i libri di Fisica e Meteorologia, e che in poche parole si può riassumere così: — Presso 1’ equatore , là dove 1’ azione calorifera (IR 236 G, OMBONI, del sole è più forte, 1’ aria si scalda più che altrove, si dilata. per ciò più che nelle altre parti dell’ atmosfera, si fa più leggiera e si innalza verso la parte più alta dell'atmosfera, producendo una corrente ascendente; —- ad occupare il posto lasciato dall’aria salita in alto, corre verso l’equatore l’aria che sta presso la superficie della Terra, fra i due tropici: quella proveniente dall’ emisfero nord, perciò diretta verso il sud, si manifesta a noi, in conseguenza del moto diurno della Terra, come una corrente di nord-est (aliseî in- feriori di nord-est), e quella proveniente dall’emisfero sud produce, per lo stesso moto diurno della Terra, gli alisei inferiori di sud- est. — Intanto l’aria più calda, giunta nella parte alta dell’ atmosfera, si distende orizzontalmente , si divide in due parti, e forma due cor- renti orizzontali superiori, 1’ una diretta verso il nord e, pel moto diurno della Terra, verso nord-est (alisei superiori di sud-ovest), l’altra diretta verso .il sud, e pel moto della Terra verso il sud-est (alisei superiori di nord-ovest), per andare ad occupare gli spazj ri- masti vuoti colla produzione degli alisei inferiori, discendendo alla su- perficie della Terra presso ai due tropici. — Così in ciascun emisfero esistono sempre due correnti regolari orizzontali, l'una inferiore (al2- sei inferiori) dal tropico all’ equatore, l’altra superiore (aliseî. supe- rioriî) dall’ equatore al tropico, e due correnti verticali, l'una ascen- dente e corrispondente alla zona delle calme equatoriali, 1° altra discendente e corrispondente alla zona delle calme tropicali. E così l’aliseo superiore, che ha origine come corrente ascendente nelle pia- nure dell’America meridionale, al di qua dell’ equatore, può, dirigen- dosi verso nord-est e ridiscendendo al Capo Verde e sopra l’Africa e l'Europa al di qua del tropico del Cancro, deporvi la polvere raccolta in quelle pianure americane. Maoltre ai fatti fin qui accennati, Maury ne ha ammesso come veri e ben comprovati alcuni altri; e per essi ha creduto necessario di s0- stituire la sua teoria delle correnti atmosferiche a quella semplicissima or ora esposta, ideata già da più di un secolo da Halley e Hadley. 6.° Venti delle zone temperate. — Nell’ emisfero boreale, fra la zona delle calme del tropico del Cancro e il polo nord, dominano, secondo Maury , dei venti di sud-ovest, diretti verso il polo nord; e SULLE CORRENTI ATMOSFERICHE. DIL perciò quell’ autore suppone che quei venti non siano altro che gli alisei superiori di sud-ovest della zona torrida settentrionale, discesi presso la superficie della Terra, e così diventati venti inferiori di sud- ovest. Ma tutti gli altri autori non ammettono punto quel predominio di venti di sud-ovest, ed ammettono in loro vece in quella zona l’esistenza di molte correnti contrarie, quali dirette verso il polo, e quali verso I’ equatore, e molti venti con altre direzioni, prodotti coll’ incontro di quelle grandi correnti; ed ammettono che tutti questi venti, per cir- costanze speciali, cambiano spesso di posto , così che ciascun paese ha ora il vento di nord-est, ora quello di sud-ovest, ed ora qualche la- tro vento con altra direzione. Di più , fu osservato che in certi paesi soffia più frequentemente il vento del nord-est, ed in altri quello di nord-ovest; e nella tavola VI del Marié-Davy si vede che nell’Atlan- tico dominano i venti di sud-ovest, mentre sull’Europa prevalgono in- vece quelli di nord e nord-est. È in tutti i libri di Meteorologia è detto che il limite fra quelle due correnti principali, equatoriale e po- lare, cambia di continuo di posto, così che in un dato paese ora regna l’una ed ora l’altra, producendo grandi variazioni nella umidità del- l'atmosfera, nella produzione delle nubi, ecc. Anzi in quello del Ma- rié-Davy, col mezzo dei dati provenienti da tutta 1° Europa e raccolti dall’ Osservatorio di Parigi, si dimostra che sull’ Europa regnano ogni giorno tali venti, che sembrano prodotti da successivi passaggi di molti cicloni con un diametro spesso eguale alla Jarghezza di tutta la zona temperata europea; e che questi cicloni europei, come quelli dell’Atlantico, benchè siano più grandi e con moto di rotazione meno rapido, devono essere prodotti dal vicendevole incontrarsi e urtarsi delle correnti dirette in senso contrario, le une verso il polo, le altre verso l’ equatore. Non si può dunque credere con Maury che tutta la corrente dei venti alisei superiori, giunta al tropico del Cancro, discenda verso la Terra, e poi progredisca verso il polo nord, formando una corrente continua o quasi continua verso il polo su tutta la superficie dell'emisfero bo- reale, da quel tropico fino al polo. A questo conclusione si può giungere anche con un altro ragiona- mento, relativo all’incrociamento di due correnti, che, secondo Maury, dovrebbe aver luogo al tropico del Cancro. * 258 G. OMRONI. Mentre i venti di sud-ovest dominanti nella zona temperata boreale dovrebbero, secondo Maury, essere prodotti dalla continuazione degli alisei superiori di sud-ovest discesi presso la superficie della Terra, i.venti alisei inferiori di nord-est dovrebbero, secondo lo stesso au- tore, essere prodotti da una corrente proveniente dal polo nord, ri- masta superiore nella zona temperata boreale, e diventata inferiore al sud del tropico del Cancro ; e quindi, sempre secondo Maury, do- vrebbero incontrarsi e attraversarsi a vicenda, conservando regolar- mente i loro rispettivi moti, una corrente discendente proveniente dal- l’equatore ed una corrente discendente proveniente dal polo. — Or bene, non si può credere a quell'incontro e a quell’ attraversarsi delle due correnti senza andare contro tutto ciò che si sa del modo di comportarsi delle correnti liquide ed aeriformi. Tutte le volte che in un liquido, per esempio nell’ acqua, si producono delle correnti, queste possono correre l’ una lungo l’altra in senso opposto, possono urtarsi e produrre dei moti rotator), e possono suddividersi, e le loro ramificazioni possono comportarsi come le correnti primitive; e tutte le volte che due correnti si incontrano ad angolo, una di esse si ab- bassa e l’altra si innalza tanto quanto basta perchè |’ una possa pas- sare sopra l’altra; ma non succede mai che 1’ una passi attraverso all’ altra, mischiandosi per poco le loro molecole, e continuando poi tutte nei loro proprj movimenti, in modo da riprodurre le due. cor- renti colle loro rispettive velocità e direzioni; e d’ altra parte, da nessuna osservazione e da nessuna esperienza è provato che le cor- renti d’aria si comportino, incontrandosi, diversamente da quelle dei liquidi; e quindi quegli incontri e quel vicendevole attraversarsi delle correnti atmosferiche, voluti dal Maury, non sono punto ammis- sibili. | Finalmente si consideri che, se la Terra fosse un cilindro coi poli alle sue due estremità, uno strato d’aria potrebbe benissimo partire dall'equatore e giungere fino ai poli conservandosi sempre regolare e colle stesse dimensioni, e poi ritornare, sempre regolare e senza cambiare di dimensioni, all’equatore. Ma la Terra è una sfera e non un cilindro; perciò i meridiani non sono fra loro paralleli, ma si in- ‘contrano tutti al polo nord ed al polo sud, e gli spazj compresi fra SULLE CORRENTI ATMOSFERICHE, 2359 due meridiani e una frazione dell’equatore sono altrettanti triangoli; e quindi lo strato aereo dei venti di sud-ovest, supposto dal Maury, non potrebbe avvicinarsi molto ai poli senza diminuire sempre più di larghezza ed aumentare sempre più in altezza; così che intorno al polo nord, se la teoria di Maury fosse vera, si dovrebbe avere una altissima accumulazione d’aria circolante, prodotta dallo strato d’aria inferiore proveniente dal tropico e da quello superiore di ri- torno verso il tropico. Ma questa accumulazione di aria, enormemente alta, intorno al polo e sulla zona glaciale boreale, se realmente esi- ‘stesse, si manifesterebbe con una pressione atmosferica straordina- riamente forte, e con altri fenomeni particolari, che realmente non furono mai osservati. E dunque non si può ammettere col Maury che tutta l’aria proveniente dall’ equatore come corrente superiore giunga, formando uno strato continuo e regolare, fino al polo nord, per ritor- nare poi da quel punto all'equatore, formando ancora uno strato re- golare e continuo; e per conseguenza non si può ammettere l’inero- ciamento di questi due strati regolari nella regione delle calme del tropico del Cancro. Quello che ho detto fin qui per l'emisfero boreale, può essere ap- plicato anche a quello australe; e quindi non può essere ammesso neppure l'incrociamento di correnti immaginato da Maury in corri- spondenza del tropico del Capricorno. 7.° Pioggie più abbondanti sull’ emisfero boreale che sull’ australe. — Ora veniamo all’ultimo fra i più importanti ar- gomenti messi in campo da Maury per sostenere la sua teoria. Secondo Keith Johnston, la quantità della pioggia, che cade an- nualmente sull’emisfero boreale è maggiore di quella che cade sul- l'emisfero australe, quantunque l'estensione dei mari sia maggiore in questo emisfero che nel primo; e dunque l’ emisfero australe produce più vapori che quello boreale, ma i vapori prodotti da un emisfero passano per mezzo dei venti sull’ altro emisfero per condensarvisi in pioggia; e così l’ emisfero boreale, ricevendo i più abbondanti va- pori dell’ emisfero australe, ha le pioggie più copiose. Così ragiona il Maury; e conchiude che i venti di sud-est dell’ emisfero australe passano l’ equatore per formare quelli di sud-ovest dell'emisfero ho- 240 G. UMBONI, reale, e quelli di nord-est di quest’ ultimo emisfero passano egual: mente l’ equatore per dirigersi verso il polo sud. Dalla quale con- clusione risulta poi che nell'atmosfera ha luogo una circolazione ge- nerale, per la quale una molecola qualunque d’ aria va dapprima da un polo all’ altro, poi da questo secondo polo ritorna al primo, poi riprende il moto verso il secondo, e così via; e risulta pure che in corrispondenza della così detta zona delle calme equatoriali devono incontrarsi e attraversarsi a vicenda due ‘correnti atmosferiche, cioè quella degli alisei inferiori di nord-est, che passano nell’emisfero sud per diventarvi alisei superiori, e quella degli alisei inferiori di sud-est, che passano nell’ emisfero nord, per diventarvi alisei superiori. Infatti, se il fatto fosse vero, e non potesse essere spiegato se non nel modo proposto da Maury, i vapori dei mari tropicali australi do- vrebbero essere raccolti dagli alisei inferiori di sud-est, questi do- vrebbero poi passare nell’ emisfero boreale incontrandovi gli alisei di nord-est e passando sovr’ essi, per ridiscendere poi al di là del tro- pico del Cancro e lasciar cadere nella zona temperata i vapori con- densati in acqua; e un cammino analogo, ma verso il sud, dovrebbe percorrere la corrente degli alisei di nord-est. Ma ciò che più sopra ho detto dell’ incontrarsi e incrociarsi delle correnti può, già da solo, mettere in dubbio e la realtà stessa del fatto delle pioggie più abbondanti in un emisfero che nell’ altro, e la spiegazione proposta per esso dal Maury; ed ancora più grande diventa il dubbio quando si considerano i movimenti, di cui devono essere animati le correnti degli alisei vicino all’ equatore. Secondo Maury la corrente di sud-est, giunta nella zona delle calme equatoriali, dovrebbe diventare ascendente e poi subito ripiegarsi verso nord- est, in conseguenza del moto loro proprio verso nord e di quello diurno della terra verso l'est. Ma in realtà, secondo la tavola IX di Maury, i venti alisei di sud-est giungono in gran parte come venti di est-sud-est ed anche di est all'equatore ; essi devono dunque, nel- l’innalzarsi, progredire alquanto verso l’ ovest, ossia formare una cor- rente ascendente inclinata verso l’ovest, e, giunti nell’alto dell’ at- mosfera, non devono avere alcuna tendenza a passare nell’ altro emi- sfero; così che, se non fosse vero il fatto delle pioggie ‘ora in qui- SULLE CORRENTI ATMOSFERICHE, 241 stione, a nessuno verrebbe in mente di supporre il passaggio di tutta l'aria da un emisfero all’altro. Sarebbe danque interessante il cercare se realmente siano le piog- gie più abbondanti sopra un emisfero che sull'altro; ed io ho fatto perciò parecchie ricerche, ma senza alcun risultato decisivo, perchè troppo poche sono le stazioni meteorologiche esistenti nella zona tem- perata australe, e le loro osservazioni indicano quantità di pioggie orà minori ed ora maggiori di quella media per la zona temperata ‘bo- reale. Devo dunque conchiudere, come Dove nel 1887 e Muhry nel 1860 (1), che non si hanno ancora sufficienti dati per decidere se piova più sopra un emisfero o sopra l’altro ; ma nello stesso tempo devo far osservare, collo stesso Muhry, or ora citato, che, secondo tutte Te osservazioni, piove meno sull’alto mare che su quello vicino alle terre, sulle isole e sui continenti, e quindi, se realmente cadesse minore quan= tità di pioggia sulla zona temperata australe che su quella boreale, ciò sarebbe da attribuirsi al predominio del mare nella zona temperata australe, ed a quello della terra ferma nella zona temperata borea- le, piuttosto che ad un trasporto dei vapori acquei dall'emisfero au- strale all’emisfero boreale. La quistione del passaggio delle correnti aeree da un emisfero al- l’ altro può essere trattata anche sotto un altro aspetto, cioè sotto quello della miscela dell’aria proveniente dal sud con quella proveniente dal nord, in quella zona, che è detta delle calme equatoriali, ma è ricca di nubi, di uragani e di tempeste. Si può infatti ammettere benissimo che quelle due correnti aeree, incontrandosi in quella zona, e produ- cendo quelle tempeste accompagnate da vortici e trombe, finiscano col mescolarsi e formare una sola corrente d’aria ascendente obli- quamente verso |’ ovest, meno ricca di‘vapori che l’aria proveniente dal sud, ma più ricca di quella venuta dal nord; e che questa’ cor: rente, sollevandosi e perciò raffreddandosi, lasci cadere in pioggia una gran parte de’ suoi vapori, e poi, giunta nell’ alto dell’ atmosfera, di- videndosi nelle due correnti orizzontali degli alisei superiori, mandi Li (1) Dove, Klimatologische Beitrige, 4837.— Muanry, nella Memoria sulla distribuzione della pioggia sulla Terra, nelle Geographische Mittheilungen di Petermann,:del 1860. . Vol. X. 16 242, G. OMBONI, sui due emisferi due correnti d’ aria egualmente cariche di vapori; ma queste, per essere i due emisferi inegualmente ricchi di terre e di mari, vi lascino cadere ineguali quantità di pioggia. Conclusione.. — Da ciò che ho detto fin qui conchiudo che alla teoria di Maury è da preferirsi quella già esposta in molti libri di Meteorologia, ammessa e spiegata con opportuni disegni da Marié- Davy, e adottata, insieme con questi disegni, nella recentissima edi- zione della /sica di Boutan e d’Almeida: teoria che può essere rias- sunta nel modo seguente: — L’aria degli alisei inferiori va da ambe- due gli emisferi verso la zona delle calme equatoriali, e là si innalza in una corrente ascendente ed obliqua verso l’ ovest; — giunta nell’ alto dell'atmosfera si divide in due correnti orizzontali, 1’ una diretta dap- prima verso nord e poi verso nord-est, l’altra diretta dapprima verso sud e poi verso sud-est; — ciascuna di queste correnti superiori, giunta sul tropico del suo emisfero, si abbassa verso la Terra, e in gran parte si ripiega verso l’equatore, per produrre gli alisei inferiori, ma il ri- manente continua il suo moto verso il polo, suddividendosi in parec- chie correnti (le così dette corrrenti equatoriali dei trattati recenti di Meteorologia), che rasentano la superficie della Terra, ed una delle quali regna sull’Atlantico fra l'Europa e l'America ; — queste correnti, giunte a una certa distanza dal polo, quali più presto e quali più tardi, si ripiegano orizzontalmente, a destra od a sinistra, verso l’equatore, rasentando sempre la superficie della Terra, e formando dapprima dei venti con varie direzioni, e poi le così dette correnti polari, che finiscono col riunirsi alla corrente generale degli alisei inferiori, ed una delle quali domina sull’ Europa; — finalmente le ineguaglianze della Terra, le correnti marine e molte altre cause vengono a rendere irregolari e ad alterare queste correnti parziali, derivate da quelle ge- nerali degli alisei superiori, ed a produrre tutti quei venti variabili e con «diverse direzioni, che hanno luogo in tutte due le zone temperate, In questa conclusione fui confermato da ciò che mi hanno risposto due persone competentissime in fatto di Meteorologia, interrogate da me direttamente, sui miei dubbj relativi alla teoria di Maury. Infatti una di esse mi scrisse le linee seguenti: « Oggi certe teorie di Maury passano per essere azzardate, e frutto più spesso di immaginazione SULLE CORRENTI ATMOSFERICHE, TES- che di rigorose deduzioni. Le idee di Jamin sono molto giuste, e.l'es-. posizione popolare non guasta la loro esattezza. » E l’altra mi: disse- egualmente il Maury aver troppo lavorato d’ immaginazione nell’ideare. la sua teoria delle correnti atmosferiche; e soggiunse che il Maury sembra avere inventata quella teoria per adottare e sviluppare come idee scientifiche fondamentali certe frasi poetiche della Bibbia sulla circolazione dell’atmosfera, più che per dare una buona spiegazione dei fatti positivi da lui raccolti. Milano, 1.° maggio 4867. BIBLIOGRAFIA Zurker. Composizione e struttura microscopica delle lave recentis- sime di Nea-Kameni presso Santorino, (Neues Jahrbuch, ecc., di Leonhard e Geinitz, 1866.) È ben noto ai geologi che molti vulcani hanno rigettato cristalli ‘isolati di pirosseno e d’ altri minerali; è pure ben noto che molte lave contengono cristalli di minerali infusibili, o almeno molto meno fusibili che la pasta delle stesse lave; ed è pure noto che questi ed altri cristalli sparsi nelle lave presentano indizj di triturazione e di arrotondamento, che non si possono spiegare se non coll’ ammettere che le lave, al momento di sgorgare dai vulcani (e forsanche molto tempo prima) abbiano contenuto quei cristalli già formati e solidi, e poi, col muoversi delle lave stesse , i cristalli, sfregandosi |’ uno contro l’altro, si siano corrosi e arrotondati. Da questi fatti e dall’ avere osservato che le lave escono dai vul- cani ben di rado allo stato completamente liquido, ma sono quasi sempre più o meno pastose, come il vetro rammollito da un forte calore, o come i più densi sciroppi di zuccaro , molti geologi hanno dedotto che le lave constano di solito, quando escono dai vulcani, di una pasta fatta liquida o più o meno molle e scorrevole, in conseguenza d'una fusione quasi completa e di una quantità più o meno grande di cristalli solidi sparsi in questa pasta, in modo di renderla più densa e meno scorrevole. — Tale opinione sembra veramente giusta quando si esamina qualunque lava; poichè, là dove è retta da poco tempo e G. OMBONI, BIBLIOGRAFIA. Q4d non ha subito alcuna alterazione o decomposizione, presenta sempre una struttura vitrea e l’apparenza di un vetro impuro, simile a quella delle scorie dei forni metallurgici, e in questa massa sono sparsi i cristalli e le innumerevoli bolle che una volta erano occupate dal va- pore acqueo o da altri corpi aeriformi. Ma alcuni geologi si spingono più avanti. Il nostro collega Stop- pani, per esempio, nelle sue Vote ad un corso di geologia (vol. |, pag. 280) dice che lo Scrope fin dal 1825 ammise che nella mag- gior parte dei casi lu lava sgorga dal vulcano già granulata, 0 com- posta di cristalli più o meno perfetti, avviluppati in una pasta di grani più fini, e che la sua fluidità non consiste che în una mo- bilità delle molecole solide, dovuta alla presenza di un fluido, che ne riempie gli interstizi. — Fin qui non vi è nulla a ridire: questo fluido può benissimo essere quella pasta liquida e molto molle, che diventa una specie di vetro col raffreddarsi e consolidarsi. Ma il signor Stoppani soggiunge subito: — « Ciò che abbiamo detto circa |’ e- norme abbondanza e la quasi esclusività del vapore acqueo nelle eruzioni vulcaniche, non lascia luogo a dubitare che il fluido riî- chiesto non sia lo stesso vapore acqueo. > Dunque, secondo Stoppani , una lava in atto d’uscire da un vul- cano non sarebbe altro che un impasto di vapore acqueo e di cri- talli e grani solidi, ossia sarebbe un vero fango, caldissimo. Ma, se realmente la cosa fosse così, quel fango, raffreddandosi e perdendo il vapore acqueo, dovrebbe disciogliersi in sabbia incoerente, e non po- trebbe mai conservarsi così solido, e colla struttura d’un vetro bolloso, come veramente si vede in tutte le lave. — Questa considerazione, che mi si presentò al pensiero nel leggere il periodo citato, mi ‘ha impedito allora, e mi impedisce ancora di accettare quell'idea dello Stoppani; così che credo ancora che una lava sia, come ho già detto, una pasta vitrea, sparsa di cristalli e di bolle piene di vapore ‘acqueo. Ed a confermarmi in questo modo di vedere è venuta poi la breve memoria del signor Zirkel, sulla composizione e struttura mi- croscopica delle luve recentissime di Nea-Kameni, Il signor Zirkel di Lemberg, avendo ricevuto per mezzo del signor Néggerath parecchj esemplari di lave della-recente eruzione di San- 246 , 6, 0MBONI, torino, ne ha distaccato delle laminette trasparenti o molto traslucide; per assoggettarle ad un esame microscopico. | Alcune lave di Giorgio I sono compatte, con aspetto resinoide, bruno-nerastre. traenti un poco al verde, con frattura concoide; la loro pasta, che ad occhio nudo e colla lente sembra omogenea, con- tiene cristalli di felspato lunghi fino a 5 millimetri ed ‘\emitropici. Sembrano resiniti trachitieche, ma non ne hanno la composizione, perchè col calore non hanno subito perdite molto sensibili. — Le altre hanno pure una pasta bruno-nera, con aspetto resinoide ed’ap- ‘parenza omogenea, ma questa: pasta è sparsa ora di bolle grandi come piselli, ed ora di bollicine, che nella superficie di rottura sem- ‘brano punture d’ ago; esse contengono poi dei cristalli vitrei di fel- spato non più lunghi di 3 millimetri, e dei granellini di olivina. Le lave di 4froessa e di Mikra-Kameniî sono simili a quelle di “Giorgio I. Le laminette sottili, esaminate al microscopio con un debole in- «grandimento, mostrano, oltre ai cristalli di felspato già visibili ad oe- chio nudo, anche molti altri cristalli simili, più piccoli, sparsi in una pasta, che coll’ingrandimento di 400 diametri, sembra ancora quasi. omogenea, ma a 200 si riconosce semicristallina, ed a 300 si vede .formata.di una pasta vitrea sparsa di aghi cristallini disposti in ogni direzione. Con ingrandimenti ancora più forti (fino a 750 diametri) ;si.yedono questi aghi più grandi, ma la pasta vitrea rimane sempre omogenea. Insieme cogli aghi cristallini si vedono sparse pel vetro molti punti neri, non trasparenti e con aspetto metallico, così che sembrano di ferro magnetico, sostanza trovata in queste stesse lave, ‘col mezzo di analisi chimiche, dal signor Hauer. La pasta vitrea fondamentale è tinta leggermente in cenerognolo ‘od in bruno. Gli aghi cristallini sono prismatici, colle estremità talora troncate a cuneo obliquo; e talune sono così sottili da sembrare pez- «Zettini. di cappelli coll’ingrandimento di 750 diametri. Le loro estre- ‘mità sono però spesso irregolari, Una laminetta ha' presentato questi aghi aggruppati appress’ a poco come quelli. della così detta porcel- «lana. di Réaumur; e questi aghi sono talora più numerosi in certe - parti che in altre della stessa laminetta. BIBLIOGRAFIA. 247 . Alcune lave, oltre a questi aghi sottilissimi e quasi incolori. ne contengono altri più coloriti ,, abbondanti specialmente nei tramezzi fra le bolle: ma questi tramezzi hanno la stessa struttura vitrea e con aghi che le altre parti. I cristalli di felspato (Sanidina) sparsi nella pasta con apparenza omogenea ad occhio nudo si vedono assai trasparenti quando le la- minette, che li contengono, sono osservate al microscopio; presentano contorni ben definiti, rettilinei; non si vedono a struttura lamellare, come i cristalli d’altre lave e d’allr’e rocce; e contengono nell’ in- terno loro due specie di corpi estranei, cioè: 1.° degli aghi cristallini un po’ più grandi di quelli sparsi nella pasta vitrea; 2.° dei noduli della solita pasta vitrea e sparsa di aghi cristallini, che circonda i cristalli. Questi noduli sono spesso ovali, ma possono presentare an- che altre forme; nel solidificarsi hanno subito una lieve contrazione, dalla quale è risultato, quasi in ciascun nodulo, uno spazietto vuoto, circolare o di altra forma. Alcuni nuclei però contengono, invece. di. questo unico spazietto vuoto, un gran numero di porî, che al micro-. scopio sembrano punti neri. Siffatti nuclei somigliano molto a quelle bollicine piene di fluido, che si vedono col microscopio in. molte rocce, ma in essi non si può vedere muoversi alcuna goccia di li, quido, e l’aspetto loro è differente da quello di queste bollicine, ‘ed essi possono contenere due o più spazietti vuoti, mentre le bollicine non possono contenere che una sola goccia. di liquido. Finalmente molti cristalli di felspato sembrano corrosi nell'interno, e perciò con. una cavità interna, che comunica, per mezzo di un canale, colla massa vitrea circostante , così che una parte di questa ha potuto entrare a: riempirla, formando delle ramificazioni o vene vitree nei cristalli. Da tutti questi fatti 1° Autore deduce che « i cristalli di felspato sono ben distinti dalla massa vitrea, ma quest’ultima era ancora com-: pletamente plastica quando i cristalli di felspato erano in formazione, La struttura microscopica di questi cristalli, continua l'Autore ,:con i noduli e le ramificazioni vitree e cogli stessi cristalli aghiformi; che si trovano nella pasta vitrea circostante, è completamente contrarià alla opinione di parecchi naturalisti, che siffalte rocce semivitree si siano formate con materiali cristallini solidi preesistenti ;..e che. î cri- 248 G. OMBONI, stalli di felspato siano i resti dei cristalli primitivi, già formati prima della fusione della massa vitrea. Secondo questa opinione non si sa= prebbe come spiegare in qual modo siano rimasti chiusi nei cristalli i noduli di vetro, e le vene di vetro abbiano potuto penetrare negli stessi cristalli; e di più non si saprebbe spiegare come abbiano po- tuto conservarsi così perfetti gli angoli e le facce dei cristalli mi- croscopici, come ora realmente si presentano. » :'L’ Autore non ha mai veduto nei cristalli felspatici delle lave di Nea-Kameni alcun vacuo con liquido; invece ha veduto qua (evlà molti piccoli pori rotondi, che sono ora palesemente vuoti e furono assai verosimilmente pieni di gas. I granelli di ferro magnetico sono sparsi qua e là, e non si vedono se non col microscopio; i più grandi hanno un diametro di un de- cimo di millimetro, e i più piccoli sembrano punti neri, del diametro d’un millesimo di millimetro , anche coll’ingrandimento di 780 dia- metri. Non se ne vede alcuno nei cristalli di felspato. Questi granelli sono senza dubbio ben distinti e sparsi nella massa vitrea, « quan: tunque, osserva qui l’Autore, non si conosca finora alcun caso, in cui l’arte chimica sia giunta ad ottenere con una massa fusa una miscela di silicati e di ferro magnetico. » | ‘Insieme coi cristalli di felspato e coi granelli di ferro magnetico si vedono anche dei granelli verdognoli, trasparenti , vitrei, talora mi- croscopici, con forme del sistema cristallino rombico, e i quali senza dubbio sono di olivina. Questi esistono anche nelle lave con aspetto compatto, che non ne mostrano punto ad occhio nudo; sono ben di- stinti dalla pasta vitrea fondamentale; e, come i cristalli di felspato, contengono spesso dei nuclei vitrei e degli aghi cristallini. Pare dunque che anche questi cristalli, come quello di felspato , si siano solidificati dopo la formazione della pasta vitrea, per racchiudere in sè stessi quei nuclei, | Non si videro tracce di quarzo, di augite, di orniblenda nelle lave di Nea-Kameni; e perciò queste non possono essere collocate , come fu proposto da qualche altro Autore, fra le Andesiti augitiche quar= zifere. E le analisi fatte di queste rocce non danno alcun modo di scoprire la natura mineralogica dei cristalli aghiformi microscopici , G. OMBONI, BIBLIOGRAFIA. 249 che però sembrano felspatici. Queste ‘analisi , fatte da C. di Hauer, danno : a RL | AR a 67,35 AMO, E TI ’» 18,72 Ossido-ossidulo di ferro . . » 4,94 » 2,75 Ossidulo, di ferro ty i ER »4 3399 » 4,28 Ea e ito ironia d,40 ” 3,99 Me 0,96 » 1,16 a ed a » 3,04 a e i ” 3,04 ica er 0,36 » 0,54 Queste lave esaminate da Zirkel hanno un aspetto resinoide, e constano di una pasta vitrea molto abbondante , nella quale , prima della sua solidificazione, si sono formati dei grossi cristalli di felspato, e poi, durante la solidificazione, si sono formati i cristalli aghiformi microscopici. Ma tutte le altre lave, sempre più o meno porose, con- stano di cristalli cementati da una pasta vitrea molto meno abbon- dante che in questa, ma pur sempre visibile ad occhio nudo; non è dunque illogico il credere che siano uscite dai vulcani allo stato di pasta vitrea liquida o pastosa, contenente una quantità più o meno grande di cristalli già formati, e tanto più densa quanto più ricca di questi cristalli già solidi, ma poi, durante il raffreddamento , altri cristalli si siano formati nella loro pasta, e alla fine questa pure si si sia solidificata, formando il cemento vitreo. E quindi non mi pare punto ammissibile quell'idea espressa dal signor Stoppani, del vapore acqueo considerato come veicolo fluido dei cristalli solidi componenti da soli le lave al momento della uscita delle lave stesse dai vulcani. Milano, 41 maggio 1867. G. Onsosi. LA GALLETTA MACCHIATA NOTA di O. L. FERRERO (Seduta del 26 maggio 1867.) Nei bachi giapponesi introdotti da qualche anno in Italia per la propria produzione setifera, la varietà a bozzolo verde è general- mente più apprezzata, sia perchè ordinariamente è annuale, sia per- chè conserva più lungamente, anche dopo riprodotta, il proprio colore ed il carattere della originaria provenienza. Siffatte apprezza- zioni e prerogative della galletta verde dal primo periodo della loro introduzione al dì d’oggi, hanno incominciato a perdere. del loro valore, dappoichè si è manifestato in questa varietà di galletta un altro malanno commerciale, la macchia cioè, a cui va soggetta alla epoca della produzione; macchia che mentre ne diminuisce il valore commerciale, diminuisce il ricavato in seta. Or son tre anni, edotto di tale fatto e delle discrepanze di prezzi a cui andavano soggetti i produttori nel collocare la galletta verde macchiata, presi ad esaminare l’ origine di tale fenomeno. Visitai perciò diverse bacherie nei dintorni di Bergamo e riscontrai quasi 0. L. FERRERO, LA GALLETTA MACCHIATA 284 dappertutto della galletta macchiata; queste macchie però prevale. vano: 1.° dove i bachi erano stati allevati troppo stipati in rapporto allo spazio; 2.° dove il bosco apprestato ai bachi per filarvi il bozzolo era troppo addensato; 3.° dove le celle o interstizj esistenti fra un piano e l’altro delle tavole avevano una disposizione troppo verticale; condizione sfavorevole ad evitare che la caduta delle feci dei bachi superiori, non abbia ad imbrattare e i bachi e le gallette inferiori, massime le liquide, delle quali generalmente il baco prima d' inco- minciare a filare il proprio bozzolo, si purga. Persuasomi che la macchia sulla galletta è causa estrinseca alle gallette macchiate, mi proposi alcune osservazioni che riservai al- l’anno susseguente, e che qui trascrivo. Nel 1865 feci educare in casa alcune piccole. partite di bachi. coll’ uso delle migliori norme, All’epoca della così detta maturità dei bachi disposi un’imboscatura atta a preservare dalle macchie, e un’altra senza alcuna precauzione di sorta: dove i rami sporgenti ad arco, facevano si che gli escrementi dei bachi nen potessero cadere sopra altra galletta, fu assai minore quella macchiata; la macchiata invece fu molta, dove la disposizione dei rami non evitava quest’inconveniente e dove la galletta trovavasi esposta alle azioni degli escrementi degli altri bachi. Osservai un gran numero di bachi sovra tutte e due le citate in- ramalure, osservai sovratutto il liquido fecale che i bachi sogliono deporre prima di filare il bozzolo: questo liquido riconobbi neutro nella maggior parte dei bachi, in alcuni alcalino. Accertatomi del fatto cospersi col liquido suddetto alcune gallette immuni da. mae- chia, ed ottenni macchie identiche affatto alle altre delle gallette macchiate, già naturalmente fissate sull’ inramatura del telaio. Nel 1866 ripresi le mie osservazioni con altre direzioni, e venni nelle conclusioni seguenti: 1.° che la galletta macchiata si può dimi- nuire con appropriata inramatura procurando l'isolamento del baco (a questo proposito gioverebbe moltissimo l’inramatura cellulare del sistema Delprino). Quest’ isolamento | ottenni alla meglio servendomi di cartocci, nastri della levigatura dei legnami; 2.° che i bachi mac- chianti la galletta non sono sani come gli altri, e che la diversa rea- zione prodotta dalle materie escrementizie sulla seta, proviene appunto 2852 O. L. FERRERO, dall’ essere o no alcalino il liquido che il baco perde prima di filare il bozzolo. Messi diffatti in osservazione parecchi bachi, il cui liquido mi dava caratteri d’ alcalinità alla carta tinta colla curcuma, carta di cui mi servivo per termine di paragone onde determinare la natura della macchia; la maggior parte di questi bachi compì il proprio bozzolo; questi bozzoli non avevano nulla di particolare, nè presen- tavano macchie di sorta. Misi in disparte dodici gallette provenienti da questi bachi macchianti per osservare come si comportassero in seguito, e ne misi altri dodici pure provenienti da bachi non mac- chianti, ma macchiate. Fu grande la mia sorpresa osservando come le gallette macchiate si sfarfallarono tutte, mentre di quelle prodotte da bachi macchianti due appena sfarfallarono; pochi giorni dopo tagliai le gallette e vi trovai in cinque di esse le farfalle soffocate, in altre cinque la crisalide morta. Queste osservazioni mi farebbero sospettare che il baco il quale prima di filare il bozzolo perde il liquido macchiante, sia in istato di particolare anormalità: anormalità che non gli impedisce di svolgere la propria seta, ma che più tardi gli impedisce di compiere le fasi ulteriori della sua vita. Queste prime osservazioni non mi danno ancora il diritto di dire: le gallette le quali non sfarfallano sono quelle i cui bachi hanno per- duto un liquido alcalino particolare il quale macchia la galletta; ma io spero, e queste cose scrivo perchè alcuno si associ a queste mie osservazioni, facilissime e semplici, dalle quali se ne ricaverà qual- che utile dato allorchè il fatto sarà meglio chiarito. Un'idea però mi è subito balenata alla mente ed è questa: le far- falle prima di forare il bozzolo intaccano la seta con un liquido par- ticolare alcalino esso pure, ed è mercè questa azione che la seta si disagrega; e che la farfalla può uscire; nel punto perforato la gal- letta diventa macchiata di giallo, e la macchia è identica a quelle prodotte. dai bachi sulle gallette nell’ascendere al bosco; tale mac- chia viene altresi prodotta ogni volta che la galletta viene schiacciata per un qualche accidente quando la larva è ancor viva; V analogia della macchia, dell’ alcalinità del liquido, i’ impedimeuto alla far- LA GALLETTA MACCHIATA 253 falla dei bachi macchianti ad uscire dal bozzolo e la loro suscettiva soffocazione, non potrebbero condurci ad argomentare che tale soffo- cazione dipenda dalla mancanza dell’ ovvio umore alcalino? Non ho cognizioni sufficienti sulla fisiologia del baco e sull’indole interna delle modificazioni le quali devono succedere negli insetti destinati a mutar così radicalmente nella loro struttura organica ad ogni metamorfosi; quindi abbandono il difficile argomento ai periti nella materia, per far cenno di osservazioni d’ altro genere. Per soddisfare alle richieste di alcuni filanti e particolarmente a quelle dell’ egregio presidente della Camera di Commercio di Ber- gamo il cav. dott. Ercole Piccinelli, diressi nel 1868 alcuni esperi- menti intesi a togliere la macchia e facilitare la trattura della. seta dalle gallette macchiate. Con ebollizione prolungata nell'acqua, con soluzioni dilungate di acidi cloridico, solforico e azotico, a 40 gradi di temperatura, io riusciva a togliere le macchie alle gallette; ma queste operazioni difficili a conciliarsi cogli attuali sistemi della trat- tura della seta, avevano pur anche l’ inconveniente di deformare molto il bozzolo. Risultato più efficace mi diedero le soluzioni di acido solforoso, di acido ossalico, o di ossalato di potassa. Quest’ ul- timo parvemi poter consigliare di preferenza perchè meno attivo sulle bacinelle, la cui corrosione era immancabile trattando la gal- letta con acidi quantunque dilungati. Siffatti esperimenti quantunque poco concludenti, non furono af- fatto infruttuosi, perchè dall’esame delle reazioni ottenute col liquido escrementizio dei bachi sani e quelle ottenute dal liquido escremen- tizio macchiante dei bachi malati, e quelle ottenute dalle materie rea- genti impiegate per togliere la macchia, fui condotto ad indagare qual era la natura chimica della materia. Presi quindi alcune gallette verdi macchiate, le sottoposi a rea- zioni di liquidi deossidanti ed ottenni la risoluzione della macchia. Ne presi alcune altre non macchiate e toccalele con. soluzioni alca- line, ottenni macchie identiche a quelle prodotte dal baco. Eguale macchia mi diede. pure l’urato d’ ammoniaca. Assoggettai alla mac- chiatura artificiale gallette bianche e gialle, ma la macchia prodotta nelle bianche era lievissima, nelle gialle appena indicata. Questi 254 O. L. FERRERO, risultati m’invogliarono a ricercare la causa di questa differente rea- zione degli alcali sulla materia colorante della sostanza setifera, ma- teria che nelle gallette verdi scompare colla semplice ebollizione, che è più persistente nelle gialle, ma che non è quasi apprezzabile nelle bianche. Col risultato delle accennate reazioni, non mi rimaneva più alcun dubbio che la materia sensibile alle reazioni non avesse ad ‘essere del-ferro al minimum di ossidazione, il quale trovasi trattenuto in uno stato speciale di combinazione con qualche principio aggluti- nante o cereo organico, il quale le impedisce l’ulteriore ossidazione : che quest'ossido esportabile dall’ azione prolungata dell’acqua calda, non lo è colla sola acqua fredda; che quest’ ossido è sensibilissimo all’azione degli alcali i quali lo separano dalla propria combinazione; che in tale stato di separazione può sopraossidarsi e quindi presen- tare il fenomeno della macchia sulle gallette; che le difficoltà nella trattura della seta dalla galletta macchiata, proviene da due cause; la prima dipendente dalla maggior durata di tempo necessario al- acqua onde disagregare l’incrostazione prodottasi sui fili della seta, sia per l’azione del liquido citato sull’ ossido di ferro, che del resi- duo abbandonato dal liquido macchiante stesso ‘colla sua evapora- zione; la seconda causa proviene da un indebolimento avvenuto nella materia setifera del filo per l’effetto della reazione alcalina produt- trice della macchia, indebolimento di cui la trattrice di seta deve tener conto nello svolgere la seta dai bozzoli. Per constatare in via differenziale la presenza del ferro, sottoposi bozzoli bianchi, gialli e verdi a particolari reazioni; da queste mi constò che i bozzoli bianchi danno appena traccie di ferro, che i gialli ne danno abbondante indizio, che nei verdi la quantità è rile- vante: per questi esperimenti mi giovai di acido azotico purissimo dilungato, feci bollire in quello per alcuni minuti le gallette, evapo- rai il liquido filtrato a secco, ripresi collo stesso acido il residuo, e nella soluzione ebbi segnalata la presenza del ferro colle reazioni ottenute dalla potassa caustica, dall’acido gallico, dal cianuro ferrido di potassio. Questi esperimenti erano necessari per non confondere gli effetti LA GALLETTA MACCHIATA 255 macchianti portati dalla deposizione del liquido escrementizio del baco sulla seta, con quelli provenienti dalla reazione prodotta dal liquido setifero sulla medesima. Dall’assieme delle suesposte cose traggo i corollari seguenti: 4.° Che le macchie sulle gallette verdi vengono prodotte da altro baco e non da quello rinchiuso nella galletta. 2.° Che nei bachi sani i liquidi escrementizj espulsi prima di filare la galletta, sono affatto neutri. 5.° Che vi sono bachi i cui liquidi escrementizj sono alcalini e quindi macchianti, ma che questi bachi non sono in istato normale. 4.° Che la colorazione della galletta dipende dalla quantità relativa del ferro e grado di ossidazione che la seta esporta e ritiene nel- l’abbandonare i liquidi dell'originario serbatoio setifero del baco. Se questi miei esperimenti e i corollari che io ne trassi saranno constatati, sì potrà in avvenire influire sulla conservazione delle va- rietà nella galletta, somministrando al gelso quella quantità di ferro, la quale al Giappone dove si conservano le varietà ha ad essere co- stante, mentre da noi rapidamente degenerano. Bergamo, maggio 1867. Seduta del 30 giugno 1867. Essendo assenti 1 segretarj ordinarj della Società, il vicesegretario Marinoni è incaricato della redazione del processo verbale. Il presidente apre la seduta presentando il ma nasa della seconda parte della memoria del socio . Antonio D'Achiardi: Su: Corallarj fossili del terreno nummuli- tico dell’ Alpi Venete. Essendo questo manoscritto la continuazione della Memoria N. 4 del Volume II, delle Memorie della Società, sarà stampato in quella pubblica- zione; però non così subito essendo piuttosto voluminoso e corredato da 8 tavole in litografia. Ad ogni modo for- merà parte del Volume IV. In seguito, avendo il signor Federico Delpino, inviato alla nostra Società una sua bibliografia sul libro di Hil- debrand: Die Geschlechter- Verteilung bei den Pfanzen und das (resetz der vermiedenen und unvortheilhasten stetigen Selbstbefruchtung (La distribuzione dei sessi nelle piante e la legge che osta alla perennità della feconda- zione consanguinea), corredata da sue note ed osserva- zioni critiche; il presidente Cornalia ne dà lettura. Quan- tunque il signor Delpino non faccia parte della nostra SEDUTA DEL 30 Giteno 41867. 257 Società, stante l'interesse dell'argomento, questo primo articolo della sua nota bibliografica verrà stampato negli Atti. Questa lettura dà campo al socio Galanti di ac- cennare ad alcune sue osservazioni, relative alla fecon- dazione del grano turco che vengono a conferma di quello cui accenna il signor Delpino nel suo scritto. — Ulti- mate queste osservazioni, il socio Sordelli dà lettura di una breve comunicazione inviata dal socio corrispondente dott. Paolo Ascherson di Berlino, intitolata: i/lessioni intorno ad alcune piante della flora italiana, divisa in due capitoli: Il 1.° sopra alcune Najadacee italiane ; il 2.° sopra una forma singolare di Resedacee della Sarde- gna. — Questo lavoro che illustra la flora del nostro paese verrà inserito negli Att. Il vicepresidente Antonio Villa è poi incaricato di leg- gere alcune considerazioni del socio prof. Giuseppe Bian- coni: Intorno al giacimento delle Fuciti nel calcare eo- cenico, e sulla origine del calcare stesso, che saranno stampate negli Atti. . Per ultimo il presilente Cornalia annunciando una im- portante memoria dei signori E. R. Claparède, professore di anatomia comparata all’Accademia di Ginevra, e dott. Paolo Panceri, professore di anatomia comparata alla Re- gia Università di Napoli: Sopra un Alciopide parassito della Gydippe densa Forsk., dà lettura del seguente breve sunto: « La nota dei professori Claparède e Panceri chiama l’ attenzione dei naturalisti sopra fatti importanti: 1.° rispetto alla storia degli Anellidi della famiglia delle Alciopi, il cui sviluppo e metamorfosi erano sino ad ora sconosciuti; 2.° rispetto alla storia del parassitismo in generale. | » Panceri e Claparède, quasi contemporaneamente, osservarono Vol. X. 17 258 SEDUTA DEL 30 GIUGNO 1867. nelle Cydippe densa Forsk, che suole apparire nelle acque di Napoli nel febbrajo e nel marzo, larve di anellidi nello stomaco e nei tubi del sistema gastrovascolare. Le larve dello stomaco erano le più svilup- pate, lo erano meno quelle dei tubi periferici minori, e tali che ave- vano solo tre paja di piedi e di più ciglia alla superficie addominale ed alla parte estrema del corpo. » Tali larve per lo sviluppo e la forma degli occhi e per gli altri caratteri sono da attribuirsi ad un Alcìcpi e forse ad un nuovo genere di questa famiglia. Gli autori ripetendo le osservazioni arrivarono a tracciare i principali fatti relativi alla metamorfosi ed ancora alla formazione dell’occhio, imperocchè sembra loro che le Alciopi, se pur tutte sono parassite temporanee di qualche animale pelagico, proveggano con questo modo ed in questo tempo alla formazione dell'occhio, compiuta la quale abbandonino l’ ospite. » Se le Alciopi studiate dagli autori arrivino allo stato di larve per migrazione attiva nel sistema gastrovascolare della Cydippe densa, è ignoto; il fatto però delle ciglia che ben presto si perdono dalle larve più giovani, come non suole avvenire delle larve degli altri Anellidi, farebbe meglio credere ad una trasmigrazione attiva. Lo stesso fatto della pronta perdita delle ciglia costituisce il carattere parassitico di queste larve. » Si è detto il fatto essere importante rispetto alla storia del pa- rassitismo în genere poichè, mentre pure si conoscono anellidi ecto- parassiti, è questo il primo caso di endoparassitismo in animali di questa classe. » Dopo gli studj degli autori, avendo il signor Bucholz di Greisswald dietro indicazione del prof. Panceri studiate delle larve contenute nella stessa specie di Cydippe, trovò desse appartenere ad un ge- nere diverso da quello osservato e descritto da Claparède e Panceri, la qual cosa accresce valore al sospetto già annunciato, dover le Al- ciopi tutte esser parassite allo stato di larva, fino a che l’ occhio e i piedi raggiungano la completa formazione. » A questa nota che va corredata d'una tavola litografata fu assegnato il N. 4 del Volume III delle Memorte. Br pel SEDUTA DEL 30 GIUGNO 1867. 239 Terminata la lettura delle comunicazioni, il Presidente invita il prof. Galanti a prendere la parola sulle scoperte del signor Pasteur che attualmente tanto eccitarono la pubblica curiosità e il pubblico interesse. Il signor Ga- lanti prega la Presidenza a rimettere ad altra volta una tale discussione, e questa accondiscende al di lui desiderio. Il presidente Cornalia però, approfitta di questa occa- sione per protestare contro le scoperte del signor Pasteur, inquantochè non fece che ridire ciò che in Italia esso stesso proclamò già da qualche anno, e che da più che quattro anni è messo in pratica da taluni dei nostri più oculati coltivatori di bachi; il che dà a stupire come il nostro Governo abbia inviato all’estero una commissione incaricata di studiare la scoperta del signor Pasteur, e sia ignaro di quanto si è giù detto e proclamato in ltalia, e di quanto si sia fatto e si tenti ancora di fare per pro- movere l'indagine preventiva nel seme del bruco serico. È aperta quindi la discussione sull’ epoca della Riu- nione Straordinaria da tenersi in Vicenza, e sulla nomina del Presidente di essa riunione, avendo il comm. Lodo- vico Pasini replicatamente rifiutato tale incarico in causa della sua cagionevole salute. La Presidenza quindi aprendo questa discussione fa notare come per riguardo al tempo si debba tener conto del Congresso Paleo-etnologico inter- nazionale di Parigi che si terrà sul finire d’agosto, ed a cui probabilmente interverranno molti del componenti la Società; del Congresso della Società Elvetica di scienze naturali che è fissato pure per la fine d'agosto, non che di tutti quegli altri congressi di scienze affini che si so- gliono tenere durante l’ autunno; e come per non impe- dire ai soci di recarsi ai varj congressi, per la nostra Riunione Straordinaria non sia disponibile che la prima 260: SEDUTA DEL 30 Giugno 1867, quindicina di settembre. — La Presidenza quindi crede non inopportuno di proporre a Presidente straordinario il socio cav. Paolo Lioy di Vicenza, e di fissare la riunione pei giorni 9, 10, 11 e 12 di settembre, destinando i primi tre giorni alle sedute, il quarto alle escursioni. — I s0c] approvano per acclamazione le proposte della Presidenza. Si dà quindi lettura della Circolare del Prefetto della provincia di Milano, che annuncia il Congresso interna- zionale di statistica che si terrà in Firenze il 29 settembre prossimo venturo, e che in nome di S. E. il Ministro di Agricoltura e Commercio, invita ad intervenirvi tutti quelli che vi avessero interesse. — Dietro la proposta d’alcuni dei socj presenti, la presidenza s’ incarica di scegliere a suo tempo, nel grembo della Società, una rappresentanza da inviare al Congresso internazionale di statistica. E letto ed approvato il processo verbale della seduta antecedente, T'erminatane la lettura il socio Bollini do-: manda la parola per aggiungere alcuni schiarimenti a proposito delle osservazioni del signor Ferrero sulle ga- lette macchiate. — Il signor Bollini racconta come reca- tosì a visitare una partita di bachi del signor Bonzanini che questi esaltava per la loro bellezza, assaggiò mediante la cartolina reattiva di curcuma, le goccie che quei. bruchi emettevano nello svuotarsi; e che avendovi riscon-. trata la reazione alcalina, ne pronosticò male. — Difatti dopo pochi giorni seppe la infelice riuscita di quella par- tita di bachi. Aggiunge infine come ancora non cono- scesse il risultato di un’ esperienza in grande tentata a questo scopo in un suo tenimento. — Che dunque questa sarebbe una nuova prova della concomitanza della ma- lattia, colla alcalinità del liquido escrementizio, nei ha- chi da seta. SEDUTA DEL 30 GIUGNO 4867, 261 Finita questa relazione incidente all'approvazione del processo verbale di maggio; sono nominati soc] effettivi i signori; ArnaBoLpI BERNARDINO, di Milano, proposto dai socj Stoppani Antonio, Casella e Bernasconi sac. Baldassare. BeRrwasconI sac. GiusepPE, parroco di Palanzo (Lago di Como), proposto dagli stessi soc]. Ceti ing. GiovanNI, di Laglio (Lago di Como), pro- posto dagli stessi soc]. DerL'Era dott. Epvonpo, di Milano, proposto dai soc] Marinoni, Gargantini-Piatti e Sordelli. Lezzani cav. Massimiiano, di Roma, proposto dai Socj fratelli Antonio e Giovanni Battista Villa e France- schini. Saccarpo dott. Pier’ ANDREA, assistente alla cattedra di botanica nella R. Università di Padova, proposto dai soc] Gibelli, Omboni e Marinoni. Mariani ing. MAaRcELLO, professore alla Scuola tecnica di Como, proposto dai socj Antonio Stoppani, Casella e Bernasconi sac. Baldassare. SoLERA dott. Luigi, assistente alla cattedra di Fisio- logia sperimentale presso la RK. Università di Pavia, pro- posto dai socj Galanti, Gargantini-Piatti e Marinoni. La seduta è chiusa, dietro proposta del socio Bollini, con un'espressione di ringraziamento a quei soc] che più si adoperano per l'incremento della Società. Il Vice-Segretario, C, MARINONI. RIFLESSIONI INTORNO AD ALCUNE PIANTR DELLA FLORA ITALIANA DEL SOCIO CORRISPONDENTE DOTT. PAOLO ASCHERSON I, Sopra alcune Najadacee italiane, Svolgendo una flora od un catalogo speciale dei vegetabili di qua- lunque paese, troveremo generalmente per le piante acquatiche e per le glumacee, indicato un numero di luoghi speciali di molto più piccolo che per le altre fanerogame: disparità le cui ragioni sono facili a spiegarsi. La più gran parte degli amatori della nostra scienza trascura quelle piante per lo più poco appariscenti, che (almeno le acquatili e specialmente le poche fanerogame bagnate dalle onde ma- rine) sono difficili a procurarsi, e più difficili a studiarsi per la picco- lezza ed il basso grado d’ evoluzione delle loro parti florali. Sebbene l'Italia possa gloriarsi d’aver dato i natali ad un Micheli e ad un Cavo- lini, di cui l'uno illustrò per primo tanti generi di glumacee e di piante d’acqua dolce, l’ altro quelle del mare; ed ambedue questi egregi uomini abbiano trovato successori degni del loro merito : l’os- servazione già enunziata regge anche riguardo alla flora italiana » nella quale le crittogame sono esplorate in questo momento da un numero d°’ osservatori altrettanto, anzi più grande, che i gruppi in questione. Mi pare dunque cosa non affatto inutile l’aggiungere poche P. ASCHERSON, RIFLESSIONI INTORNO AD ALCUNE PIANTE, ECC. 265 stazioni finora non avvertite di Najadacee, gruppo studiato da me al- cun tempo fa con particolare predilezione, e di cui trovai, per lo più negli erbarj di Germania alcune specie di località almeno non indicate nell’egregia opera del Parlatore, che raccolse con tanta perspicacia e tanta diligenza ogni più piccola notizia dai numerosi libri e dagli atti di tante accademie e società scientifiche, che trattano la storia naturale d’Italia, e che di più vi aggiunse piante ancora inedite dai ricchissimi musei del paese. Tanto più sarei lieto se potessi contribuire qualche poco alla conoscenza della distribuzione speciale di questo gruppo al- trettanto attraente per la particolarità della sua struttura florale, che per la propagazione di taluna delle sue specie estesa sopra una gran parte del globo. Ailthenia setacea Petit. (Parlat. fl. ital. II 648), Lago di Salpi in Puglia” (Rabenhorst 1848 !) Questa pianta singolare è molto vicina a qualche specie della Nuova Olanda, che forse un giorno potrebbe essere compresa nello stesso quadro generico, cioè la Zannichellia Preissii Lehm. (PI. Preissianz II, p. 3) e la Z. cylindrocarpa Kérnicke (Walp. Ann. VE, p. 3), tipo del genere inedito //exatheca del mio egregio amico Son- der di Hamburg. La Z. cylindrocarpa differisce dal carattere d’ 4/- thenia unicamente pei fiori maschi triandri, che rappresentano forse il tipo compiuto d’ A/thenia. La Z. Preissiù non pare essere cono- sciuta che fruttifera; essa è certamente congenere della Z. cylindro- carpa. ll genere epilaena Drum. (Hook. Journ. of bot. and Kewgard. misc. VII, p. 87) che non viddi finora, mi pare molto vicino a quelle specie. In ogni caso, questa concordanza d’un tipo mediterraneo con alcune specie di Nuova Olanda è un fatto tanto più rimarchevole, perchè si avvera ancora in un altro genere di Najadacee, cioè nella Posidonia, di cui l'una specie abita il Mediterraneo e l’altra (P. au- stralis Hook. fil.) i mari che bagnano la costa australe della Nuova Olanda e quelle della Tasmania. Ruppia drepanensis Tineo (Parl. 1. c. 654). Presso Bari in Puglia (Rabenhorst, 1848!) 264 P. ASCHERSON, R. rostellata Koch (Parl. 1. c. 632). Sardegna: Riomannu adire Piscinas (Circond. d’Iglesias) giugno, 1863! Cymoducea aequorea Kònig (Phucagrostis major Wild. sp. pl. Iv. 649. Parlat. 1, c. p. 660). Alle coste di Liguria (De Notaris, nell’erb. Cesati! — Zostera? D. N. Rep. fl. ligust. p. 384), p. e. nel porto di Savona (Cesati 18641), Alla costa dell'isola d'Elba (Marencci 18671). Alle coste settentrionali di Sardegna, vicino alla torre d'Abba corrente (all’est di Porto-Torres) (Schweinfurtl 18881). Questa pianta non è avvertita dal Parlatore come dell’ Adriatico, dov’ essa si trova, come sospetto, dappertutto nei siti a lei favorevoli, cioè bassi fondi di fango e di sabbia fangosa. Almeno nel 1867 l'ho veduto alle coste orientali di quel bacino a Monfalcone, Trieste, Pola, Spalatro, Stagno, Gravosa, e alle bocche di Cattaro; quanto ai lidi italiani, non posso riferirmi ad una osservazione recente; nondimeno la sua presenza si ricava dalle illustrazioni di quegli oculatissimi ed accuralissimi naturalisti del secolo scorso, cioè del Ginanni (1) {Ope- re I, tab. XXX, fig. 66), che ne diede una fisura delle più caratte- ristiche col nome d’4//ga dalle foglie anguste, e del Micheli, la cui illustrazione delle piante marine (opera postuma pubblicata non pri- ma del 1826 dal Targioni-Tozzetti col titolo: Cafalogus vegetubilium marinorum musei sut), ne reca (tab. 2, fig 1) una indubitabile figura col nome d’.//yoidastrum (2) (1 e., p. 85); rammentando la sua pre» senza presso Venezia, Ancona, Malta e Livorno. Fra gli osservatori più recenti primo Y ha riscoperta nell’ Adriatico il distinto zoologo e concittadino mio dottor E. v. Martens, che riportò nell'anno 1863 dal porto di Trieste, al suo ritorno sul suolo d'Europa, dopo un viaggio di tre anni al Giappone ed all'arcipelago dell’ Indie orientali, una foglia di questa pianta marina creduta finora rara, ma (41) L’ottimo mio amico prof. Accurti di Trieste mi ha favorito dell’avviso di questa interessantissima figura rammentata da nessun altro autore più recente. (2) Il Targioni Tozzetti chiamò (I. c., p. 90) questa specie Zoslera serrulala, met- tendo in non cale la sua identità colla Phucagrostis major del Cavolini, come del pari aggiunse il sinonimo di Taenidium alla nomenclatura della Zostera oceanica L., salu- tata già prima dei nomi generici di Canlinia, Posidonia e Kernera. U Bertoloni (FL. ital., X. 5) confonde sotto il titolo di Zoustera serrulata colla pianta del Targioni la diversissima Zostera marina L., come vpportunamente accennò il Parlatore (I. c., 658). Len. RIFLESSIONI INTORNO AD ALCUNE PIANTE, ECC. 268 probabilmente piuttosto comune nel bacino mediterraneo, dov’ essa si trova dall'Egitto (Alessandria. Ehrenberg, 1823!) fino allo stretto di Gibilterra (Tangeri. Conte di Raben nell’Hb. Sonder!); anzi sin nell'Atlantico alle spiagge delle isole Canarie (Cymodocea 77ebbiana: A. Suss. in Webb. Phytogr. des iles Canar. HI 301 e C. Priauxiana Webb. I. c. 302, dietro saggi originali che deggio all’ egregia cor- tesia del cav. Parlatore), e più in là sino alla coste della Senegambia (Joal, Perrottet 1829 in Hb. Lenormanid!}. Benchè non voglia disco» noscere la gravità delle ragioni proposte dalla più gran parte degli autori italiani in favore del nome generico di PWucagrostis, non posso adottare questo nome, vedendo che il Cavolini ha di proposito messa in non cale la formazione di nomi conformi alle leggi botaniche pei «generi da lui stesso illustrati con tanta acutezza nella sua classica Memoria /hucagrostilum Theophrasti avt015, e che chiamò Phuca- grostis major e Phucagrostis minor (nomi certamente di valore ge- nerico, non specifico, come si ricava dalle parole precise del Cavo= lini, osservatore tale che certamente non volle congiungere nello stesso genere una Cymndocea ed una Zostera). Il Kénig dunque non ebbe torto dichiarando (Annals of dotany Il, p. 98, 1805, ver. giu- gno) il genere Phuca]rostis major siccome privo di nome botanico legittimo. In verità sarebbe stato preferibile di conservare il nome Phucagrostis per quello, a guisa dello scherzo mitologico colla ninfa Cymodoce, come fece già opportunamente il Willdenow (I. c.); ma per disgrazia la priorità della nomenclatnra del Kònig mi sembra appena dubbia come ho esposto pienamente nel Giornale botanico Linnaea XXXV. (Neue Folge, I, 182). Mi pare dunque che lo Spren- gel, 1 Endlicher ed il Kunth abbiano preferito, con ogni ragione, il nome di Cymodocea. Del resto la Zostera nodosa descritta dal Parlatore (1. c., 658) non è altra cosa che la Cymodocea aequorea, riguardo alla descrizione e ad un disegno dei saggi del museo di Firenze (raccolti dal Tineo), che deggio alla cortesia dell’ egregio dott. Marcucci. La pianta del Gussone, descritta collo stesso nome nella 2. sic. synops. (II, 365) e nella Alora inarimensis (p. 314) mi pare senza dubbio la Z. nana Roth ; riguardo alla descrizione dell’autore e ad un saggio nell’erba- rio dell'ottimo mio amico Bolle, denotato così nella presenza del Gus- sone, : 266 P. ASCHERSON, L’egregio prof. Pasquale mi ha dato preziose informazioni ‘sopra i saggi esistenti negli erbarj del Gussone sotto quel titolo. L’ illustre autore della flora sicula non possedevane un saggio originario ; la Zostera nodosa manca nella collezione sicula, mentre nell’ erbario generale si trova una specie raccolta dal compianto Gasparrini, che senza dubbio appartiene alla Z. nana. Nella Zinnaea (I. c., p. 138) ho citato inopportunamente saggi di Cymodocea raccolti dal bar. v. Hochstetter presso Napoli e determinato dal Gussone, come Zostera nodosa, in un momento d’ inavvertenza, come sono persuaso adesso ...Quandoque bonus dormitat Homerus. La Zostera nodosa Ucria, fondata soltanto sopra la tavola 194 del Pamphyton siculum del Cupani, con una frase specifica che si adatta quasi ad ognuna specie del gruppo con altrettanta ragione, mi rimane. oscura fin che non mi abbia procurato un calco di questa figura, che pare una rarità bibliografica delle più grandi; riguardo all’ acutezza del Gussone, che senza dubbio ne fece il paragone, mentre il Par- latore si riferisce alla fede del Gussone, sospetto ch’essa sia il nomen princeps della Zostera nana Roth. Quanto alla Cymodocea aequorea descritta dal Kunth (Enum. III, 418); ho già dimostrato nell’adunanza degli Amici Naturalisti di Berlino (gennajo 1867) come essa sia, in tutto, altra cosa dalla pianta del Cayo- lini, esposta egregiamente nel recente lavoro del signor Bornet d’An- tibes (Ann. des sc. nat. V série, t. I. Bot., p. 8); e piuttosto una specie particolare all'Oceano Indiano ed al Mar Rosso, che chiamai Cymo- docea isoétifolia. Essa è distintissima dalla C. aequorea pelle foglie subolate, carnose, in guisa di giunco o d’ Isoétes, rammentanti i fillodi inferiori del Potamogeton natans L. piuttosto che le foglie di qualunque altra Zosteracea, e l’inflorescenza a cima fornita di molti fiori e priva di foglie florali frondose, al posto delle quali si trovano brattee pic- cole in forma di barchetta. Ho formato per questa specie una sezione distinta del genere riformato di Cymodocea, che chiamo Phycoschoe- nus, mentre alla prima, distinta col nome del Cavolini e del Will- denow corretto già dal Targioni-Tozzetti in Phycagrostis, appartiene, oltre la C. aequorea, la C. ciliata (Forsk.) Ehrb. (Zostera Forsk, Tha- lassia Kénig), i cui fiori femminei scoperti dall’ Ehrenberg e dall’ Hem- RIFLESSIONI INTORNO AD ALCUNE PIANTE, ECC. 267 prich rassomigliano sifattamente a quelli della ©. aequorea, che la identità del genere, anzi della sezione cui riferirla, non può essere dubbia. Questa specie è pure propria all’ Oceano Indiano e sembra volgare nel Mar Rosso. Del resto il genere Thalassia Sol., Kén. (1. c. p. 96) riformato e limitato alla specie originaria 7. testudinum Kénig (la 7. stipulacea Kén., dalla quale la 7. bullata Kth. non è distinta, si riferisce al genere Zalophila) non mi pare appartenere alle /Vajadacee, ma piut- tosto alle Zdrocaridacee, come ho esposto nella accennata adunanza scientifiea; pure ho sospettato la sua identità col genere Schizotheca Ehrb. del Mar Rosso e dell'Oceano Indiano (descritto dal conte H. di Solms-Laubach nell’ opera dello Schweinfurth Beitrag zur Flora dithiopiens p. 194 e 246 (1867). Najas tenuifolia R. Br.(IV. graminea Del. Caulinia alaganensis Poll. Parl., 1. e. 665). Conobbi una stazione di questa pianticella rarissima in Europa, più comune nell’India orientale e nell’ Egitto, d’un modo assai singolare. Il pregiato mio amico R. v. Uechtritz di Breslavia mostravami nel- l’ occasione del mio soggiorno in quella città nell’ agosto 1866, una pianta acquatica totalmente raggrinzata, ch'egli aveva osservata fram- mezzo le radici di saggi di riso coltivato nel Friuli, vicino al piccolo paese di Strasoldo (presso Palmanuova), raccolti da certo signor Hil- lardt nell’anno 1856, Questa pianta mi rammentava subito la /Vajas alaganensis, che pos- siedo in saggi bellissimi di cui l’ottimo amico Cesati mi aveva favo- rito dal sito di Balzola tra Vercelli e Casale; ed il confronto fattone dopo il mio ritorno a Berlino, giustificò pienamente il sospetto da me concepito circa la loro identità specifica. Questa stazione (che ho indicata già nel Giornale Botanico Austriaco 1866, p. 331) s'aggiunge dunque per l’Italia a quella di Mantova, che lascia tuttora vivo il desiderio di migliore conferma, perochè il Par- latore avrebbe ricevuta la /ajas minor dal Barbieri col nome di Najas alaganensis. L'identità delle /ajas alaganensis Poll. e graminea Del., sospet- tata da quasi tutli gli autori che discorrono di quelle pianticelle, è 268 P. ASCHERSON, un fatto adesso certissimo. I saggi originali del Pollini che viddi nel- l’erbario del compianto Treviranus, sono in ogni punto rassomiglianti a taluni della /V. graminea, raccolti dallo Schweinfurth in Egitto, nei fossi della ferrovia vicino al Cairo (1). La priorità del nome delileano non mi è ancora provata decisiva- mente, poichè veggo che la pianta del Pollini fu pubblicata certa- mente nel 1814, mentre la Memoria del Delle, sebbene stampata nel 1813, forse non venne in luce che alcuni anni più tardi. Informa- zioni bibliografiche esatte sopra tal punto sono ancora a desiderarsi, Del resto questa controversia di priorità è d'una importanza secon- « daria, dopo che l'illustre mio maestro A. Braun in un recente la- voro (2), ebbe mostrato che la nostra pianta non differisce come specie dalla Najas fenuifolia R. Br. (Prodr. f. Nov. Holland. p. 343. 1810, nome preferibile riguardo alla sua indubitabile priorità, AI postutto mi pare molto verosimile che la nostra pianticella non sia veramente indigena della pianura lombarda, e ciò valga pure di alcune altre specie delle pianure italiane di propagazione o di affi- nità da ricercarsi puramente fra i tipi tropicali, come il Cyperus difformis, \e Fi nbris'ylis squarrosa, Cioniana (che secondo il signor Bockeler di Varel, il quale lavora presentemente ad una monografia delle Ciperacee non sarebbe distinta dalla tropicale A. Rispidula Kth.) e certamente la /. adoentitia Ces., V'Ammanta verticillata (3) forse anche la Suffrenia filiformis e VIsòetes Malinverniana, che si trovano tutte in siti rivoltati dalla mano dell’uomo, in regioni, dove il riso si coltiva tuttora o fu coltivato inaddietro. Sospetto dunque coll’egregio amico Caruel e con altri distinti scienziati, come il G. v. Martens nell’ egregia sua opera « Italien » Il, p. 41, che quelle piante aquatiche e palustri siano introdotte col riso. (4) Questo prezioso erbario venne per legato del possessore alla Società dei Natu- ralisti delle Provincie Renane e di Westfalia, residente a Bonn. (2) Revision of the genus Najas ‘of Linnaeus. Seemann’s Journal of Botany II (41844) p. 278. (3) Cr. CARUEL, in questi Atti IX, p. 446 a 456, ia RIFLESSIONI INTORNO AD ALCUNE PIANTE, ECC. 269 II, Sopra una forma singolare di Resedacee di Sardegna (1 Luteola tinctoria Webb. Var.? AUSTRALIS WEBB. Reseda Luteola è. australis J. Mull. Arg. monogr. Resed. p. 207. Forma dimerocarpa Aschs. 'L. tinctoriae forma vulgari humilior, minus stricta, plerumque a basi ramosissima. Folia in siccis et apricis margine valde undulata, in humidis et umbrosis explanata, laete viridia. lacemi graciles, demum cernui. Peltala candida, superius inaequaliter ad 13-fidum , laciniis denticulatis, ad lobos 3-3 majores plerumque vix referendis, florescentiae initio stamina superans. Petala lateralia 3-4-partita , inferius tripartitum, interdum lucinula accessoria minore auctum. Carpella quam in L. tinctoria vulgari distinetius medio constricta, longius et mayis acute cuspidata, fere semper bina, alterum axia racemi, alterum bracleam spectans; semina quam în forma vulgari paullo minora. Incontrai questa forma, singolare nell’ ordine delle Resedacee pel numero binario dei carpelli ‘2, coll’amico mio dottor Reinhardt nella Sardegna meridionale presso la miniera d’Ingurtosu, fra le scorie quivi accumulate in grandissima quantità da tempi antichi; indi più sparsa, lungo il ruscello Rio Pizzinurri, al di sopra della miniera, nel [®) mese di giugno 1863. L'egregio signor G. Heim, direttore della detta miniera, mi ha favorito nel 1864 i semi di questa pianta, che col- tivata nel R. Orto botanico di Berlino, rassowigliava alla spontanea in ogni caraltere. (1) Traduzione d’un articolo dell’appendice al catalogo dei semi raccolti nel R. Orto botanico di Berlino, finora inedita. (2) L’illustre A. Braun, che studiò le Resedacee con particolare predilezione, non provò che una sola volla questa disposizione dei carpelli in un esemplare coltivato della R. lutea nell’Orto botanico di Carlsruhe, * 270 P. ASCHERSON, Il numero binario dei carpelli, sebbene carattere inaspettato e sin- golare, secondo l’opinione del chiarissimo dottor J. Miller Arg., mo- nografo perspicacissimo di questo gruppo, non possiede valore specifico; inoltre esso non è sempre stabile, osservandosi che la pianta coltivata presentava nel fiore più basso del racemo primario un gineceo di legittima conformazione trimerica. Ma non posso senza gravissimo scrupolo associarmi al distintissimo botanico anzidetto nel considerare la Reseda australis Webb., colla quale la pianta sarda conviene nel resto de’ suoi caratteri (ed alla quale la f. Gussoniî Boiss. R. lu- teola E. Gussonii Mill. Arg. 1. c., forse dovrebbe essere riunita), come varietà della detta Reseda luteola L. La pianta in discorso ci pareva tanto diversa della volgare £. lufeola, da noi osservata più volte in Germania, pel portamento meno rigido, pei racemi più gracili forniti di fiori bianchi che, a colpo d’occhio, abbiamo creduto d’aver trovata una specie ben distinta, ancor prima d’ avere osservato il numero binario del gineceo, del quale non mi accorsi se non quando intra- presi l’analisi anatomica del fiore. Quanto al margine ondeggiato delle foglie, indicato come carattere distintivo per la £eseda crispata Lk. ed altre forme vicine, mi per- suasi in seguito ad una osservazione apprestatami dal caso, ch’ esso sia di nessun valore e facilmente mutabile per 1’ influenza dell’ombra e dell'umidità. Avendo già indicato che le piante trovate nelle scorie secche erano fornite di foglie molto ondeggiate, mentre quelle della pianta raccolta lungo il ruscello erano quasi piane, viddi la variazione di quel carattere su rami diversi d’ una stessa pianta, che coltivata nel R. Orto botanico in un sito solatio, mostrava le foglie ondeg- giate, e tenuta dappoi in osservazione pello spazio d’un mese in una stanza del &. Museo di botanica la cui finestra guardava al nord ed inoltre ombreggiata da grandissimi castagni d’India, spiegò alcuni rami forniti di foglie interamente piane. Ho chiamata la pianta in questione Luteola tinctoria, considerando il genere Luteola Tourn. coll’illustre A. Braun distintissimo dalle altre specie di £'eseda per la disposizione singolare dei sepali e quella dei carpelli contraria alla disposizione normale delle Aesede vere. Dei quattro sepali della Zuteola, due spettano avanti, contrapposti (!) alla (4) Cr, CARUEL. 1 generi delle ciperoidee europee, p. ?. + i | i i RIFLESSIONI INTORNO AD ALCUNE PIANTE, ECC. 2714 brattea, e due addietro, contrapposti all’asse del racemo, disposizione 9 i) 9 molto rara che rammenta quella degli stessi organi nel genere P/an- tago. Quanto ai tre carpelli normali, due sono posti addietro ed uno avanti, mentre nelle specie trimerocarpiche di Reseda si trova il caso contrario. * SULILCOLLDÀ LA DISERIBLZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE E LA LEGGE CHE OSTA ALLA PERENNITÀ DELLA FECONDAZIONE CONSANGUINEA. (DIE GESCHLECHTER-VERTHEILUNG BEI DEN PFLANZEN UND DAS GESETZ DER VERMIEDENEN UND UNVORTHEILHAFTEN STETIGEN SELBSTBEFRUCHTUNG) Lipsia, coi tipi di Gugl. Engelman, 1867. del prof. FEDERICO HILDEBRAND NOTE CRITICHE del sig. FEDERICO DELPINO (Sedute di giugno e luglio 1867.) I. L’Autore comincia con alcune notizie storiche sulla scoperta dei sessi nelle piante, intravveduti dapprima nelle piante dioiche e mo- noiche, poscia constalati anche nelle piante a fiori ermafroditi. Éi nota come in questi fiori ermafroditi la circostanza di trovarsi in brevissimo spazio le parti femminili attorniate dalle maschili, con- dusse Linneo, Kéo!reuter ed altri a credere che gli stami periferici fossero i veri mariti dei pistilli centrali. Cr. Corr. Sprengel, per altro, nel 1793 mostrò la erroneità di una cosifatta credenza, e constalò presso una grande quantità di piante a fiori ermafroditi che la fioritura, o meglio la maturazione delle antere, non è isocrona con quella degli stimmi, ma o la precede o la segue. Da ciò è facile dedurre che non può aver luogo la fecondazione se non av- viene mediante la trasposizione del polline da un fiore giovine agli stimmi di un fiore vecchio o viceversa. E in fatti, Sprengel vide e F. DELPINO, SULL'OPERA! LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE, Ecc. 273 descrisse per che modo il vento presso poche piante, e gli insetti presso un maggior numero y operino il trasferimento dei granuli pollinici da un fiore all’ altro. A-Sprengel dunque spetta il vanto di aver trovato la legge della dicogamia (nozze separate in due), ma non vide tutta la estensione e generalità della legge medesima; con- ciossiacchè egli dalle dicogame distinse sotto il nome di omogame una quantità di piante a fiori bisessuali, ove egli osservò assai bene il giuoco che vi fanno gli insetti; ma lo credette unicamente pre- disposto allo scopo di trasferire, entro il fiore medesimo, il polline dagli stami agli stimmi. Hildebrand nota a questo proposito che non sempre la impolve- razione degli stimmi col polline tolto all’antere dello stesso fiore (Selbstbestàubung), ha per effetto la fecondazione (4). Knight; e più specialmente Herbert ( Amaryllidee, Londra, 1837), avverti- rono per i primi la maggior fertilità succedente alle fecondazioni eterocline. Ma Carlo Darwin è stato veramente quegli che ha espresso la generalità della legge, dicendo che the natur tell us in the most emphatic manner thai she abhorrs perpetual selffertilisation, e che no hermaphrodite fertilises itself for a perpetuity of generations. Hildeprand mette queste espressive parole per epigrafe al suo la- voro, togliendole alla celebrata opera: On te origin of species by mean of natural selection. Londra, 1859. L'Autore imprende dapprima a considerare le piante dicline, cioè le monoiche e le dioiche, e nota come il fatto stesso del diclinismo mette in evidenza la necessità della dicogamia. La trasposizione del polline succede per via degl’ insetti, ed eziandio per via del vento (2), (1) Hildebrand a ragione distingue la impollinazione (mi si passi il neologismo) dalla fecondazione. E nota che tanto !'' una quanto 1’ altra possono aver luogo o per it polline dello stesso fiore (Selbstbestaubung, Selbslbefruchtung), o per il polline di altri fiori (Fremdbestaubung, Fremdbefruchtung). Non potendosi cotali parole tradurre nella lingua nostra con equipollenti vocaboli, pensiamo di sostituirvi ‘i termini d’ îm- pollinazione omoclina ed eteroclina e di fecondazione pure omoclina: ed eteroctina. (2) Auch durch den Wind. Il chiaro Autore sembra per le piante dicline proclive a credere più numerose le specie che sono fecondate dagl’ insetti di quelle che lo sono dal vento. Quanto a noi, ci parrebbe potersi stabilire il principio che le piante dicline sono essenzialmente anemofile (Conifere, Cicadee, Amentacee, Urticacce), e Ie piante monocline invece essenzialmente entomofile. Si contano per altro non poche eccezioni; Vol. X, 18 274 r. DELPINO, Quando i pronubi sono gl'insetti, il polline è molle ed attaccaticetio; quando invece l'intermediario è il vento, il polline è secco. e pol- veroso. Come si vede sono circostanze antipode; luna esclude 1 at tra; nè può darsi pianta che sia fecondabile line per il vento o per gl'insetti. | L’Autore distingue tre categorie di piante dicline. Altre hanno fiori maschili diversissimi nella forma dai fiori femminili, come nei generi Cannabis, Juglans, Quercus, Corylus, Castanea; altre; per l'opposto, hanno così nei fiori maschili che nei fiori femminili parti analoghe ed analogamente disposte, 1’ unica differenza consistendo che nel centro agli uni vedesi un corpo androceale, e agli altri un corrispondente corpo gineceale come, per esempio, nei generi Sa- gittaria, Curcubîta, Begonia, Salix. Alla terza categoria apparten- gono le dicline, presso cui i fiori, così maschi che femminei, pos- seggono anirumibi le sorta d’organi sessuali, colla sola differenza che nei fiori maschi gli organi femminili, e nei fiori femminei gli organi maschili trovansi ridotti in uno stato più o meno atrofizzato e rudimentario. Come un bellissimo esempio di ciò l'Autore cita e figura i fiori del Alamnus cathartica, ma anche nel Laurus nobilis, nel Sassafras, nel Rhus Toxicodendron, veggonsi nei fiori maschili i rudimenti dei pistilli, e nei fiori femminei i rudimenti degli stami(4). Qui l'Autore tocca del transito morfologico che si può seguire passo a passo dalle piante dicline alle monocline. Negl' individui e così tra le dicline si notano le Cucurbitacee, parecchie Euforbiacec, |Vintiero genere Salix ecc., che sono fecondate mediante gl’ insetti, e per contro tra le monocline han- novi per esempio i generi Rumex nelle Poligonacee, Polteriwim (esclusi gl’ individai di- elini giacché la pianta è poligama) nelle Rosacee, le Gramince a fiori bissessuali, tutte {quante fecondate per il vento. L’ ispezione della conformazione esterna degli stami e degli stili basta a fornire un più che sufficiente criterio per distinguere le piante ane- mofile dalle entomofile, Nelle anemofile infatti gli stami sviluppatissimi, imitanti quando una spazzola cilindrica ( Cannabis, Humulus, Plantago ), quando un. pettine (Cellîs, Morus e molte Graminee), quando infine un pennello od un pappo (Urlica, Pa- rietaria, Rumex, Poterium e non poche Graminee), posseggono una facies cosi uniforme e sui generis che si distinguono a primo colpo d’ occhio. Le antere poi elevate su îunghi filamenti, mobilissime, specificamente leggerissime sottu molto volume, ad ogni muovere d’ aura possegono un tremolto loro proprio che giammai sì riscontra nelle antere delle piante entomofile. (4) Questa distinzione delle dicline in tre classi è naturalissima, e rivela la pro- SULL'OPERA: LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE, EGC. 275 maschi della Myrica Gale e della Cannabis sativa si trovano qual- che-:rara volta fiori femminili, e viceversa fiori maschili negl’ indivi- dui femminei della stessa. Cannabis e della Mercurialis annua. Pa- rimente nella pannoechia maschile della Zea Mays si trovò qualche fiore femmineo, e nella pannocchia femminile si osservò già lo svi- Inppo di qualche fiore maschile. Nel Zicinus comunis, presso cui i fiori inferiori sono maschi e i fiori superiori sono femminei, non in- frequentemente .i fiori mediani sono ermafroditi, Ma tutti questi casi non sono che anomalie; laddove la 23.° Classe del sistema linneano cioè la Poligamia prova per regola stabile il transito del diclinismo al monoclinismo. Nel /’eratrum album, 7. ni- grum, Ptelea trifoliata, Aesculus hippocastanum, ecc., si danno solo due specie di fiori, cioè gli ermafroditi e i maschili; nel TAymus vulgaris, Th. Serpyllum, nella Parietaria diffusa e Par. officinalis si danno soltanto fiori ermafroditi e fiori femminili; nel Araxinus excelsior e nella Saponaria ocymoides si danno fiori maschi, fiori femminei e fiori ermafroditi; ma il primo è trioico e la seconda è monoica (1). fonda razionalità del principio informatore degli esseri, e può essere tradotta nella seguente formola, consonante colla dottrina delle cause finali. A. PIANTE UNISESSUALI PER DICLINISMO INGENITO. 1.° Entomofile. È necessario che i fiori maschili e femminei posseggano parti analoghe ed analogamente disposte, vale a dire abbiano la stessa apparenza; altri- menti gl’insetti seguirebbero o soltanto i fiori maschi o soltanto i fiori femminei, e ne rimarrebbe compromessa la fecondazione. Sagittaria, Cucurbita, Begonia, Salix. 2.° Anemofile. Il vento non fa distinzione tra fiore e fiore. Perciò non è neces- sario che abbiavi analogia di parti, e quindi non è meraviglia, se infatti ogni analo- gia suole cessare. Cannabis, Quercus. B. PIANTE UNISESSUALI PER DICLINISMO DERIVATO 0 PER ABORTO. 3.0 Tendenza alla separazione dei due principj, maschile e femminile, già ap- prossimati nel fiore di un antenato monoclino (secondo il sistema Darwiniano). Iham-, nus cathartica, Laurus (probabilmente derivato dal Berberis), ecc. (1) Questo poligamismo; secondo la. nostra maniera di vedere, può essere effetto di progressione o di retrogradazione. Indica progressione quando si manifesta in una pianta appartenente a una famiglia d’ordinario diclina, quando. insomma annunzia (ransito con elevazione dal diclinismo al monoclinismo (Parietaria, Celtis, Ficus ecc.), 276 F. DELPINO, Nota poi l'autore che tra le specie dicline appartenenti a generì ordinariamente monoclini alcune vestono il diclinismo abruptamente; cioè senza traccia di organi rudimentarj maschili nei fiori femminei, o di organi rudimentarj femminili nei fiori. maschi (per esempio il Rumex acetosa e il Rumex acetosella), altre per contrario presentano i rudimenti suddetti (per esempio la Lychnis diurna e la. Lychnis vespertina). Congettura l’Autore che per quei generi ove le specie si appalesano ora dicline ora monocline , cotale oscillazione indichi nom e viceversa è segno di regresso e degradazione quando si manifesta in una pianta affine a. famiglie monocline,; giacché scorgesi in questo caso un abbassamento dal monoclinismo al diclinismo (Fraxinus, Veratrum, Ceratonia, Thymus, Poterium, Lychnis dioica ecc.). Aggiungiamo che secondo noi havvi progresso, ovunque all’ azione pronuba del vento si sostituisee quella degl”insetti, e retrogradazione invece ovunque all’azione degl’ insetti si surroga |’ azione del vento. Così. nelle Poligonacee, famiglia essenzial mente anemofila, l’entomofilo Polygonum segna elevazione nella scala della perfezione organica, mentrecchè nella famiglia delle Rosacee, essenzialmente entomofila, il genere Poterium segna indubitatamente degradazione e regresso. Queste proposizioni sembre- ranno a molti strane ed inaccettabili; per noi pajono al di sopra di ogni. eccezione, e ci accingiamo a dimostrarlo. Grandi segni di perfezione sono senza dubbio economia. di materia, di tempo e aumento di prodotto godibile. È singolare nella natura questa coincidenza coi precetti fondamentali della scienza economica sociale. Ora posti a fronte fiori diclini anemofili e fiori monoclini entomofili, i secondi hanno un grande vantaggio sui primi in quanto che presentano un enorme risparmio: nella produzione pollinica. V°ha di più; conciossiachè nessuna particella di polline va perduta. Infatti quella che sopravanza alla fecondazione è accuratamente raccolta dagl’insetti pollinilegi. Havvi poi produzione di miele, restando così assicurata la esi- stenza a numerose tribù d’ insetti. Posti a fronte poi fiori diclini entomofili (p. es. Bryonia) e fiori monoclini ento- mofili, questi ultimi mostrano anche qui preminenza e perfezione. Infatti gl’ insetti mei monoclini eseguono in breve tempo e in breve spazio una duplice operazione; cioè #.° fecondano gli stimmi col polline dei fiori precedentemente visitati; 2.° raccolgono il polline del fiore che visitano. Invece nei diclini ciò non è fattibile, e perchè possano essere fecondati si esige grande spreco di materia, di tempo e di moto. Quanto poi spetta al poligamismo del Thymus. Serpyllum, noi dobbiamo osservare che a Firenze, nei cui dintorni è frequentissimo, non si sviluppa precisamente come in Germania ci vien riferito dal chiaro autore. I suoi fiori presentano tutti i gradi imaginabili di polimorfismo poligamico, anzichè il preciso tipo dimorfo proprio della Germania. Alcuni individui presentano un perfetto ed equilibrato sviluppo d’entrambi gli organi sessuali. Altri hanno stami sviluppatissimi e robusti mentre gli stili pre- sentano tutte le gradazioni d’ atrofia, fino a che talvolta scompajono affatto. Altri vi- ceversa hanno stimmi sviluppatissimi, mentre gli stami si scorgono più o meno atroliz- agti; ma sempre però visibili. In ogni caso il Serpillo mostra di tendere al triecisme. SULL’OPERÀ: LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE , ECC. 277 essere decorso molto tempo dalla comparsa della specie tipica ossia dello stipite da cui discesero. Per quei generi o famiglie invece ove - in tutte le specie il diclinismo (Conifere, Cupulifere, Cucurbitacee, ecc.) oppure il monoclinismo (Crucifere, Solanacee ecc.), si serbano co- stanti, congettura che questa fissità significhi un lungo ordine di ge- nerazioni durante il quale tutti i caratteri divergenti scaturiti dalla pianta stipite siansi potuti evolvere, fissare, cementare (1). Subito dopo l'Autore si propone l’ardaa questione, quale dei due caratteri naturali sia il più antico, se il diclinismo oppure il monoclinismo. Egli inclina a credere che il monoclinismo sia più antico (2). (4) Questo modo di vedere consuona col sistema della variabilità della speciè giu- sta la interpretazione ‘casualistica e materialistica datane dal Darwin. Ma noi che adot- tammo il sistema medesimo, corretto però dalla dottrina delle cause finali, noi che siamo fermamente persuasi che la funzione o meglio îl pensiero funzionale crea ?V or- gano .e non l'organo la funzione facilmente spieghiamo l’interessante fenomeno accen- nato dal chiaro Autore. La famiglia delle Poligonacee, a giudicare dalla indole e dal tipo, è assai antica e primitiva. Come in tutti ì tipi primitivi le funzioni e gli organi vestono un grado notevole di semplicità. Gosì abbiamo il Rumea Acetosa ed \Acetosella che sono diclini ed anemofili; abbiamo gli altri Rumex che sono monoclini sebben tuttora anemofili; infine come suprema evoluzione della famiglia abbiamo i Polygo- num che sono monoclini ed entomofili. Ora nel transito dei Rumex diclini ai Rumex monoclini siccome intercede una vera invenzione funzionale, ascendente, progressiva (il monoclinismo), chiaro apparisce che i Rumex diclini ossia gli avi per niun caso possono avere rudimenti di una orgnizzazione che comparve molto tempo dopo nei monoclini nipoti. Il rovescio si dee dire della Lychnis dioîca (diurna e vespertina), la quale discendendo dalle Silenee ossia da piante essenzialmente monocline, deve neces- sariamente portare i segni rudimentarj del monoclinismo atavico. Insomma nei citati Rumex abbiamo un caso di ascendenza progressiva, e nella Lychnis un caso di discen- denza con evidente degradazione. (2) Intorno a ciò dissentiamo dal chiaro Autore. Ecco le ragioni che ci persuadono della contraria tesi. Il fatto stesso della sessualità suppone in genere due individui di- stinti e perciò diclinismo. Inoltre noi gia dicemmo in precedente nota (a p. 275) che il mo- noclinismo, come quello che scioglie nn triplice problema, cioè economia di materia, di tempo, dl lavoro con aumento di prodotto godibile, segna un grado elevato di pro- gresso e di sviluppo. Infine notiamo che nei vegetali primordiali, cioè nelle Alghe, Caracee, Protonomee (Muschi, Epatiche), Proembrionate (Felci, Calamarie, Licopodiacee, Rizocarpee), Lepidocarpee (Conifere, Cicadee, Gnetacee ecc.) il diclinismo è un fenomeno costante. Soltanto nelle Antocarpee (Fanerogame angiosperme) ha principio e sviluppo il monoclinismo. Anzi è da avvertire che nelle Antocarpee infime e primordiali, vale a dire nelle Betulinee (tanto affini alle Lepidocarpee) e nelle altre Amentacee, come ‘anco nelle Urticacee, Euforbiacee, il diclinismo predomina sul monoclinismo o total» mente 0 almeno parzialmente. 278 F. DELPINO , Constatata la dicogamia nelle piante dicline, 1° Autore rivolge la sua attenzione alle monocline ch’ci divide in due grandi sezioni vale a dire in dicogame (nello stretto senso adoperato dallo Sprengel), e in non dicogame (1). Mentre in quest’ultime gli stami e gli stimmi ma- turano contemporaneamente, nelle prime, cioè nelle dicogame;la evo- luzione degli organi maschili non è isocrona con quella degli organi femminili, Questa mancanza d’isocronismo è una scoperta che costi- tuisce il grande merito di C. C. Sprengel; merito tanto più grande, a giudicio almeno di quanti professano la dottrina delle cause finali, in quanto che Sprengel venne passo a passo condotto verso la sco- perta da speculazioni d’indole teleologica, come candidamente espone e dimostra nella stupenda introduzione alla sua opera -— das ent- deckte Geheimniss der Natur im Bau und in der Befruchtung der Blumen — Berlino, 1795 (p. 2-46). Quest'opera malgrado il suo merito venne pressochè dimenticata dai contemporanei e dai posteri, e se taluni ebbero velleità di citare il suo nome e i principj da lui sostenuti, ciò fecero tacciandolo per lo più di osservatore fantastico e poco esatto. Henschel per verità mise in campo molte osservazioni analoghe a quelle fatte da Spren- gel; notò egli pure la difficoltà per alcuni fiori evidentissima della impollinazione monoclina; ma invece di riconoscere in tal fenomeno la legge della dicogamia, cedendo a una speciale sua fissazione, se (41) C. C. Sprengel chiamò dicogame le piante presso cui trovò che Je antere si svolgevano avanti o dopo degli stimmi (Epilobium, Parnassia, Nigella, Euphorbia ecc.), ed omogame le restanti ove gli stami e gli stimmi maturano contemporaneamente (Leguminose, Crucifere ecc.). Veramente egli non mancò per moltissime delle sue omo- game di segnalare la indispensabilità dell’ intervento degl’ insetti ; ma suppose che quest’ intervento ad altro scopo non fosse direfto salvo che a trasferire in uno stesso fiore il polline dalle antere agli stimmi. Sprengel insomma non intravvide come ezian- dio per queste piante la dicogamia, se non è necessaria, è per lo meno eventuale. i Gli è perciò che il chiaro prof. di Bonn forse meno felicemente adottò questa no- menclatura sprengeliana, e la divisione fin qui da lui proposta pare a noi che meglio sarebbesi formulata come segue : dicline Piante dicogame dicogamia necessaria monocline dicogamia eventuale. SULL'OPERA ! LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE) ECC. 279 ne, fece un'arma per impugnare la realtà dei sessi nei vegetali. L. C. Treviranus nel suo scritto Die Zehre vom Geschlecht der Pflan- zen in Bezug auf die neuesten Angriffe, e nella sua Physiologie der Gewdchse, t. Il, p. 380 e seg., inserse contro Henschel, ma invece di combatterlo colla tesi sprengeliana della dicogamia, negò ogn’ im- pollinazione eteroclina, e sostenne che le piante si fecondino sempre monoclinicamente, locchè è un errore. Gaertner fece poco caso della dicogamia, e Schultz-Schultzenstein (Die Foripflanzung und Ernéh- rung der Pflanzen, 1828, p. 212) vivamente aggredisce Sprengel, negando i fenomeni dicogamici i più accertati (1). Il solo Darwin in questi ultimi anni (Origin of spectes) rimise in onore e per meglio dire disseppeli la dottrina della dicogamia, portandola ad ulteriori svi- luppi e conseguenze. Intiere famiglie addimostrano questa mancanza d’isocronismo nella evoluzione degli organi genitali, ad esempio le Ombrellifere, le Cam- panulacee, le Lobeliacee, la maggior parte delle Composte e delle Malvacee; così pure.molli generi isolati. (4) È veramente uno spettacolo doloroso quello di assistere a queste lotte. det- l'errore contro la verità, massime quando la lotta è iniziata da un postero, il quale, invece di profittare dei veri disvelatigli dall’ antenato, pazzamente intende a negarli. È una severa lezione questa per la superba umana ragione. Mikan (Eine von Dott. Gussone auf europaischen Boden enideckie Stapelia, 4834), a p. 587-588 del vol. 47.° p. II degli Atti dell’ Accademia Leopoldina, si scaglia virulentamente contro C. C. Sprengel, a proposito della fecondazione delle Viole. Così Roberto Caspary (De mecta- ris, Elverfeldae, 4848) deprezia i trovati dello Sprengel, in maniera però non offensiva. Forse Barwin medesimo, il quale da Sprengel ha evidentemente desunto il principio della fecondazione reciproca, non gli rende quella misura di lode che gli è dovuta. Infatti nella sua opera — On the various. contrivances by which british and foreign Orchids are ferlilised by insects (Londra 4862), così si esprime: « L’ @pera singolare di quest’ autore (Sprengel) portante il bizzarro titolo Il segreto della nalura scoperto spesso è giudicata come cosa di poco conto. Egli era senza dubbio un entusiasta, ed ha realmente spinto troppo lontano alcune sue idee. "Tuttavia pelle: osservazioni mie proprie mi sono persuaso che la sua opera contiene tesori di verità, E già Rob. Brown, dinanzi al cui giudizio s’ inchinano (tutti i botanici, ha esternato davanti a molti la grande stima ch’ ei faceva di detta opera, ed ha rimarcato che solo quelli possono spargerla di ridicolo, è quali non troppo s’ intendono della maleria.» — Questo passo è notevole, giacchè da un lato traspare Ja studiata parcità della lode data dal Darwin, dall’ altro rifulge Ja equità della sentenza profferita dal Brown, da quel genio supe- riore a qualungue sentimento d’ invidia. 2830 | F. DELPINO, Secondochè gli organi maschili si sviluppano prima dei femminili, o viceversa i femminili prima dei maschili, Hildebrand distingue due categorie di piante dicogame, cioè le protandre e le protogine, che noi chiameremo proterandre e proterogine (4). Fra le dicogame proterandre l’Autore descrive e figura i bellissimi esempi del Geranium pratense e della Zopezia coronata. Cita poi qui anchei generi Epilobium, Pelargonium, Malva, Clarckia, Impatiens, alcune Genziane, le Ombrellifere, la maggior parte delle Composte, le Campanulacee, le Lobeliacee, ecc. (2). (4) Questa distinzione deriva da C. C. Sprenget secondo il fatto, non secondo la parola; perocchè Sprengel denominò mannlich-weibliche (androgine) le protandre e weiblich-mannliche (ginandre) le protogine. L'innovazione del chiaro Autore ci pare utile ed opportuna, in quanto che i terminî androgino e ginandro hanno ricevuto in filologia un significato affatto differente, ormai consacrato dall’ uso. Ma non possiamo esimerci dall’ osservare che i termini protandro e protogino significano primo maschio e primo femmineo, quando invece dovrebbero significare anteriore maschio e anteriore femmineo. Quindi nui proponiamo la elevazione del prefisso dal grado positivo al comparativo; proponiamo cioè i vocaboli proterandro e proterogino. (2) Notevoli esempi di dicogamia proterandra trovammo noi essere la Gloxinia tubifltora, la Gesneria mollis nonchè la Balsamina hortensis (veggasi il nostro opuscolo testè uscito alla luce — Sugli apparecchi della fecondazione nelle piante antocarpee — Firenze, 1867, tipogr. Galileiana). Infatti presso tali piante gli stimmi non vengono evoluti se non quando Il’ androceo è totalmente marcito, disseccato (Gloxinia, Gesne- ria) od avulso (Balsamina). Pochi giorni sono notammo altro insigne esempio nel Cen- tranthus ruber, su cui spenderemo qui qualche parola, preslandoci argomento d’impor- tanti riflessioni. Gli organi sessuali nel Centranthus si trovano ridotti a minimi ter- mini, cioè alla unità. Mavvi una sola antera e un solo stimma. A priori si debbe già arguire quanta perfezione d’ apparecchio sia richiesta per compensare questi minimi termini. E infatti è ammirabile la delicata fabbrica del tubo corollino acconciamente calearato e mellifero, nonchè la predisposizione delle inflorescenze a cime fornitissime, terminali, visibili da lungi perché colorate in rosso. Lo stame sporge parecchi milli- metri fuori del tubo corollino, in tempo che lo stimma ancora non emerge. Quando l’antera ha compiuto la sua breve vita, lo stame decade e perisce, ma ecco the gra- datamente lo stilo ‘emerge, si eleva, e raggiunge ‘la precisa altezza dianzi occupata dall’ antera. Esaminando un’inflorescenza di Centranthus, sì vede nei fiorellini alter- nativamente emesso con pari ragione di altezza e di apparenza ora lo stame, ora lo stimma, ma giammai |’ uno e l’altro contemporaneamente. Questa pianta torna così a una bellissima conferma della gran legge dell’ economia e della parsimonia, che è tanto diffusa in Natura. Logicamente se ne inferisce che un più grande risparmio di materiali e di organi omologhi corrisponde a tanto maggior perfezione nell’organismo. Veggansi le Zingiberacee, le Cannacee, le Orchidee. Il tipo da cui discesero comportava SULL'OPERA: LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE, ECC, 281 Fra le dicogame proterogine il nostro Autore descrive e figura il bello esempio della Luzula pilosa, e quel più bello ancora della /a- rietaria diffusa, In quest'ultima pianta lo stimma. penicilliforme. (la pianta è anemofila) non. ha una vita lunga: presto si disarticola e cade. Ora le antere si sviluppano dopo una tale disarticolazione, co- siechè la dicogamia non può essere più luminosamente dimostrata (4). 6 antere: una sola per altro essendo stata quella sviluppatasi, vi subentrò un inge- gnosissimo e stupendo apparato pella dicogamia. Ciò fornisce un valido criterio per misurare la scala della perfezione organica. Così sopra i generi Valeriana e Fedia cc- celle il Centranthus, le Orchidee sovrastano alle Musacee, le Personate tetrandre. alle pentandre Solanacee, le Salvie diandre alle Labiate tetrandre, le Crucifere e Fuma- riacee esandre ai poliandri loro avoli (genere Chelidonium ed affini). Le Onagrarie hanno tipicamente otto stami e quattro stili. Ma havvi un genere, la Zopezia, che ha un solo stame ed un solo stimma. Or bene se nelle Onagrarie octandre l'apparato di- cogamîfito (studiato da Sprengel negli Epilobium) non manca di essero ingegnoso, l’ap- parato analogo della Lopezia (studiato ed egregiamente figurato dal chiaro autore a pagina 22, 23 dell’opera che analizziamo e a pagina 75 della Botanische Zeitung per l’anno 4866) è ingegnoso in superlativo grado, associandovisi la disposizione di un elalerium. (1) Le piante dicogame proterogine noi pensiamo doversi dividere in duc classi. Nella prima classe vogliono essere collocate quelle presso le quali la trasposizione del polline dai fiori vecchi ai fiori giovani è una necessità (ad es. i generi. Parictaria, Luzula e dubitativamente i generi Plantago e Coriaria a fiori ermafroditi). Nella se- conda classe vogliono essere collocate quelle ove la trasposizione di cui si parla, an- zichè addimostrarsi necessaria è una eventualità pura e semplice. Ci spieghiamo. È un fenomeno abbastanza noto quello che sottraendo gli stimmi all’ azione pol- linica, se ne prolunga straordinariamente la durata. Henschel, crediamo, è stato il primo che ha direttamente esperimentato ciò nel genere Mercurialis, ove trovò che gli stimmi, se premuniti dall’ accesso del polline, non solo persistono lungo tempo, ma si espandono ed allungano vie maggiormente, quasi come se, con artificio di procrasti- nare e di allargare il talamo, si lusinghino di aumentare la probabilità delle desi- derate nozze. Un altro fenomeno generale si è che applicato il polline agli stimmi non tarda a succedere la mortificazione dei medesimi. Questi due fenomeni si spiegano agevolmente colla riflessione d’indole biologica che, cioè, quando un organo ha adem- piuto alla sua funzione, non ha più ragione di esistere e deperisce perciò prontamente, ma perdura invece oltre gli ordinarii limiti se artificialmente o naturalmente viene impedito lo adempimento della funzione, (Henschel a questo riguardo era incorso nella stramba idea che il polline lunge dal conferire alla. generazione fosse una sostanza perniciosa e mortificante.) Ora risulta dalle nosire osservazioni che negli Orobanche e negli Alopecurus, gli stimmi, tuttavia precedendo la evoluzione delle antere, durano tutto il tempo in cui vivono le antere medesime, e sovente perdurano anco quando le antere sono deperite. 282 i F. DELPINO, — Ameglio assicurare la dicogamia nei fiori proterandri sovente hanno luogo acconcie mutazioni di posto così per parte delle antere che degli stimmi. Kélreuter, C. C. Sprengel, Medikus, Henschel, Gàrtner ‘ed altri, notarono ravvicinamento degli stami verso i pistilli nella fiuta graveolens, nello Myoscyamus aureus, nella Fritillaria per- sica, nel Polygonum orientale, nella Scrophularia, Saxifraga tri- dactylites, Parnassia palustris, Geranium, ecc., e viceversa ravvici- namento degli stili alle antere nei fiori di Migella sativa, Sida ame- ricana, Passiflora, Hibiscus ecc,, ma fra tutti gli autori citati C. C. Sprengel è stato il solo che ha rettamente interpretato lo scopo di cosifatti movimenti, rivelando sagacemente per che modo gli stessi cooperano alla dicogamia (4). Se ben si considera, gli ultimi fiori delle proterandre debbono es- sere sterili: infatti allorquando sviluppano gli stimmi, più nop esi- stono i fiori giovanili che sono quelli che forniscono il polline. Ciò vuol essere inteso con discrezione; vuole essere cioè applicato non già ad un semplice individuo, ma al complesso degl’ individui fioriti nell’annata entro il raggio percorribile dagl’insetti pronubi. Nondi- meno Sprengel per certe piante, ad esempio pella Saxifraga granu- lata, ha riscontrato che un tal fenomeno di sterilità dei fiori ultimi è normale anche nei singoli individui. Viceversa, i primi fiori di una specie proterogina debbono essere Come si vede qui la trasposizione del polline dai fiori vecchi agli stimmi dci fiori gio vani è una mera eventualità, potendo anche darsi il caso contrario. Dunque secondo noi dovrebbe essere osservata la seguente classificazione : proterandrae Planta brachybiostyla — Parielaria proterogyne macrobiostyle — Orobanche, Alopecurus. (1) Leggasi quanto Sprengel dice dell’assorgimento degli stami sopra gli stimmi nella Parnassia palustris, e dell’abbassamento degli stimmi verso le antere nella: Ni- gella arvensis e nella Passiflora coerulea. Si avrà occasione di ammirare ad ‘un tempo le maravigliosità di cosifatti apparecchi, 1’ acutezza dell’osservatore, nonchè l’attraente candore dello scrittore. E dire che Sprengel ebbe voce di osservatore, fantastico e poco esatto ? SULL'OPERA: LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE, ECC. 285 sterili. Questo fenomeno Sprengel lo ha riscontrato nella Scrophu- laria nodosa e in varie Euphorbie (1). Quivi Hildebrand fondandosi sull'aborto dei suaccennati primi ed ultimi fiori c sul funzionale diclinismo delle monocline proterandre e proterogine, tenta di approssimarle ed assimilarle alle dicline effet- tive, e sembra, a quanto è lecito desumere dal contesto, inchinevole a considerare queste ultime, come piante discendenti e derivate dalle monocline (2). Sesue un cenno delle esperienze di Gartner su varie specie di Lobelia (Bastarderzeugung im Pflanzenreich, p. 64), di quelle di Her- bert sovra le specie di Zephyranthes ed Hippeastrum (Amaryllidea p. 355), di Bosse su varie specie di Passiflora, dalle quali si desume che presso parecchie specie di piante la impolverazione degli stimmi col polline di specie vicine è susseguita da maggior fertilità che non la impolverazione col polline proprio. Poscia l'Autore riferisce il singolare apparecchio dicogamico del- l’Aristolochia Clematitis (3). È nota la forma tubuloso-ventricosa (1) Biologicamente parlando Sprengel ha ragione di appellare dicogamo ginandro (proterogino) il genere Euphorbia, conciossiacchè 1’ infiorescenza ha qui vestito l'aspetto ec la forma di un singolo fiore. Morfologicamente parlando però l’Euphorbia essendo diclina non può chiamarsi nè proterandra né proterogina. Ora l’avvertito fenomeno di una infiorescenza che biologicamente è un fiore mentre non lo è morfologicamente, per noi è la millesima prova che il concetto biologico supera e travolge sempre il concetto mor- fologico. Ad ogni pie’ sospinto gli esseri viventi, convenevolmente interpellati, ci procla- mano che LA FORMA È MUTEVOLE E TRANSITORIA; L'IDEA SOLA È PERMANENTE ED ETERNA. (2) Sebbene le considerazioni dal chiarissimo Autore svolte su quest’oggello siano ingegnosissime, noi non potremmo seguirlo atteso il diverso nostro punto di vista (v. note a pag. 275, 276, 277, 278). Noi facciamo una capitale distinzione tra diclini- smo primitivo, e diclinismo secondario. Ora quando una monoclina tende al diclinismo, questo diclinismo non può essere che secondario. E invero le piante prese ad esame dal chiariss. Autore offrono fenomeni di diclinismo secondario. (3) Da Fabricius (Spec. insect. t. Il p. 4412, e Phil. entomologica p. 177), da Spren- gel (op. citata) nell’ Aristolochia Clematitis, nulla sapendo 1° uno dell’ altro, così pure da noi nell’ Aristolochia rotunda (op. citata), si notò 1° intervento di. piccoli ditteri per la fecondazione di queste piante: ma ad Hildebrand è dovuto il pregio di avere data la retta e completa spiegazione di quest’ intervento e di avere. ricondotto alla dicoga- mia ciò che a noi sembrava patente caso di omogamia (Vedasi Hildebrand,. Ueber die Befruchtung der Aristolochia Clematilis und anderer Aristolochia — Arlen. Pringsheim s Jahrbucher, Band V.). Secondo Fabricius l’ insetto pronubo sarebbe la Tipula pennicornis. 284 F. DELPINO , del perigonio di questa. pianta. Nella parte ventricosa è loggiato un brevissimo ginostemio con sei stami. Gli stimmi si svolgono assai prima. della maturazione del polline. Alcuni piccoli moscherini s’insi- nuano per l’angusto tubo perigoniale, il quale mediante certi peli convergenti verso l'interno del fiore, loro permette l’entrata ma non l’ uscita. Gl’insetti percorrendo su. e giù. quell’ angusto carcere (la; cavità ventricosa del perigonio) non possono mancare di deporre sugli stimmi il polline tolto ai fiori antecedentemente visitati,. Avvenuta così la fecondazione, le antere si aprono, e contemporaneamente con mira- bile ‘coincidenza, i peli del perigonio si disfanno e scompajono, gl’in- setti benefici sono resi alla libertà e carichi di polline volano ad al- tri fiori, ove si ripetono le medesime cose. L'Autore dopo avere parlato delle fanerogame dicline e di quelle tra le monocline presso cui i due sessi si sviluppano uno dopo l’altro passa a discorrere di quelle monocline ove lo sviluppo e la matura- zione dei due sessi ha luogo contemporaneamente. Ei le chiama non dicogame (1). Fra queste distingue le piante che presentano fenomeni d’etero- stilia. Questo nome acconciamente da lui trovato e proposto corri- sponde al dimorfismo e trimorfismo di C. Darwin. Presso le piante dimorfe, si constata nei fiori un fenomeno singo- larissimo ; gl’individui provenienti da un unico tipo specifico si scin- dono in due forme; alcuni presentano fiori che hanno lunghi stili e (1) Per vero l’appeliazione ci pare meno felice. La dicogamia ha pur luogo in que- ste piante: soltanto che invece di essere necessaria, qui si appalesa eventuale. D’ al- tronde ‘0 c’inganniamo a partito o è assai difficile il determinare il vero punto della maturazione degli stimmi. I quali potrebbe essere che. in apparenza e. morfologica- mente pajano maturi, quando în realtà tali ancora non siano per qualche causa ‘0 disposizione fisiologica interna, recondita e impercettibile. Potrebbe essere quindi che molte se non tutte Je piante dal chiarissimo ‘Autore appellate non dicogame, siano vere proterandre o proterogine. E specialmente alberghiamo questo dubbio a riguardo delle leguminose, di ‘molte labiate, personate, ece, 10 SULL'OPERA! LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE, ECC, 985 brevi stami (forma langgrifflige - longistila); altri all'opposto hanno lunghi stami e brevi stili (forma kurzgrif/lige - brevistila). Questo fe- momeno era già stato constatato molti anni sono da parecchi botanici nelle Primule ed in altri generi, ma C. Darwin fu il primo che ne conobbe tutta la importanza, pubblicando nel volume 6° del Journal of the proceedings of the Linn. Soc. (A.4862), una relazione On the two forms or dimorplic condition in the species of Primula and on their remarcable sexual condition. In seguito lo stesso Darwin (On the existence of two forms, etc. of the genus Linum, nel Journal sovra- citato, vol. 79, A. 1865), John Scott (Observations on the functions and structure of the reproductice organs in the Primulacea , nel periodico medesimo, vol. 8°, A. 1864), Hildebrand (Zxperimente ueber Dimorphismus von Linum perenne und Primula sinensis, nella Botan. Zeit., 1864, ed ZAxpertmente zur Dichogamie und zum Dimorphismus, nella Bot. Zeit., 1863) studiarono lo stesso fenomeno sovra parecchie altre piante. Chiama Darwin nozze omomorfe quelle ove s’incrociano tra loro individui della medesima forma, ed eteromorfe quelle ove I incrocia- imento succede tra individui dell’una e dell’altra forma. Ciò posto, è chiaro che presso le piante dimorfe possono aver luogo sei diverse sorta d’impollinazioni, cioè: 4.° La monoclina brevistila, quando in un fiore della forma bre- vistila si trasporta il polline dalle antere ai sotto giacenti stimmi; 2.° La monoclina longistila, quando in un fiore della forma lon- gistila si trasporta il polline dalle antere ai soprastanti stimmi;. 5.° La diclina omomorfa brevistila., quando si trasporta il pol- line di un individuo agli stimmi d’un altro, ambidue brevistili ; 4.° La diclina omomorfa longistila, quando si trasporta il pol- line da un individuo agli stimmi d’un altro, ambidue longistili ; 3.° La eteromorfa brevistila, quando si trasporta il polline da un individuo a fiori longistili agli stimmi di un individuo a fiori bre- vistili; 6.° La eteromorfa longistila, quando si trasporta il polline da un individuo a fiori brevistili agli stimmi di un individuo a fiori longistili. 286 F. DELPINO, Ora è singolare che alle succitate sorta d’impollinazione. non tien dietro lo stesso grado di fecondità. Le impollinazioni monocline sono quasi sempre sterili, spesso. Jo sono anco le omomorfe, sia longistile. che brevistile; normalmente feconde dimostransi invece sempre le due impollinazioni. eteromorfe longistile e brevistile. Nel Zinum perenne osservò Darwin costantemente seguite. da fe- condità le impollinazioni eteromorfe e raramente ottenne semi. nelle omomorfe. Hildebrand riscontrò assoluta sterilità per questa. pianta nelle impollinazioni monocline. Nella /ulmonaria officinalis, ove Hildebrand trovò un altro bello esempio di dimorfismo, assolutamente sterili si dimostrarono. così le impollinazioni monocline che le dicline omomorfe. Le esperienze fatte sulla impollinazione monoclina del Zinum pe- renne e della Pulmonaria officinalis, forniscono una prova di. più di que! singolare fenomeno per cui tante volte il polline di un dato fiore è inerte affatto sugli stimmi del fiore medesimo. Così nei fiori, di Li- num perenne della forma longistila, gli stinmi, prima ancora, del- l’antesi, sono già impolverati del polline proprio; ma.ciò non ha il menomo seguilo di fecondità. È singolare poi che, mentre nel Zinum perenne il polline d’ en- trambe le forme ha eguale grossezza, nella Pulmonaria officinalis invece il polline della forma brevistila. è più grosso di quello della forma longistila. Lo stesso identico fenomeno si constata nelle Pri- inule dimorfe. Ilildebrand ne trae la.conseguenza palesarsi in queste piante una più decisa tendenza od approssimazione al diclinismo (4). Esperimentò poi nella Primula sinensis tutte le sorta d’impollina- (1) A noi questo fenomeno parrebbe suscettibile di un'altra naturalissima spie- gazione. Siccome il polline della forma longistilta è predestinato a fecondare gli stimmi della forma brevistila non deve far meraviglia che sia più piccolo, giacchè minori materiali gli occorrono per alimentare i tubi pollinici che hanno a percorrere strada più breve, mentreechè l’opposto avrebbe razionalmente luogo pel polline più grosso della forma brevistila, il quale sarebbe così proporzionato ai lunghi. stili della forma longistila, per i quali è predestinato. ‘VA SULL'OPERA LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI E DELLE PIANTE, ECC. 287 zioni, e trovò che pochissimi semi maturi succedono alle impollina- zioni monocline, alquanti più alle dicline omomorfe, e moltissimi in- vece alle eteromorfe. John Scott, a cui dobbiamo studi estesissimi sulla fecondazione nel genere Primula, per 36 specie dimorfe ne trovò sei che non pre- sentano fenomeni di dimorfismo, e ove le antere sono approssimate allo stimma per modo che rendesi inevitabile la impollinazione mo- noclina. Queste nozze omocline veggonsi costantemente feconde nella Primula mollis, mentre per aver semi fecondi nella Primula ver- ticillata occorre trasposizione di polline da un individuo all’altro. Altre piante dimorfe sono segnalate in questi ultimi anni da pa- reechi botanici, e così da Scott la Mottonia palustris, da Weddel le specie del genere Cinchona, da C. Darwin alcune specie di Aitehella, Plantago (1), il Rhannus lanceolata, V Amsinkia spectabilis, la Mertensia alpina, da Asa Gray le specie di Zeucosmia e di Drymo- spermum, da Hildebrand la Ienyanthes trifoliata, il Polygonum fa- gopymum, ecc. Osservò poi il nostro autore nei suoi studj sulla Primula sinensis che i semi prodotti da fecondazione omomorfa sviluppano in grande maggioranza individui longistili o brevistili, secondo che longistila 0 brevistila era la forma da cui discesero, | semi invece prodotti dalle due fecondazioni eteromorfe sviluppavano una presso a poco eguale propor- zione di piante longistile e brevistile. Questo coincide con ciò che osservasi in natura per le primule che crescono nei nostri boschi, ove scorgesi equilibrata la proporzione d’entrambe le forme. Più singolari ancora sono i fenomeni del trimorfismo. Vaucher (ist. phys. des plantes d’ Eur.,1841, 11), Wirtgen (Veber Lythrum Salicaria und dessen formen, Verh. des nat. Ver. fùr Rheinl. und Westph., V, 1848) fecero parola di questo fenomeno, ma Carlo Darwin fu il pri- mo che seppe apprezzare la sua vera significazione fisiologica (On the sexual relation of the three forms of Lythrum salicaria, Journ. of the Linn. soc., VIII, 4864). (1) Nella Plantago lanceolala io notai alcuni fenomeni, i quali meglio che a di- morfismo mi sembrano indicare tendenza a poligamia e diclinismo. Mi mancò il tempo per fare all’uopo precise indagini. 288 F. DELPINO, Eguale fenomeno per molte specie di Oxalis, venne osservato, studiato e benissimo descritto dal chiarissimo Autore (Veber den tri- morphismus in der Gattung Oxalis, Monatsber. der Berliner Akad., 1866, pag. 252 e seggi). Nelle piante trimorfe le antere (scisse costantemente in due ver- ticilli d’ineguale altezza) e gli stimmi si dispongono in tre piani pa- ralleli equidistanti. In una forma (fongistila) il primo e il secondo piano sono costituiti ciascuno da un verticillo di antere, il terzo piano da un verticillo di stimmi. Nell’altra forma (mediostila) il primo piano è costituito da un ver- ticillo di antere, il secondo da un verticillo di stimmi e il terzo da un verticillo di antere. | Nella terza forma (brevistila) il primo piano è costituito dal ver- ticillo degli stimmi, il secondo ed il terzo da un verticillo ‘di antere ciascuno. Possono così aver luogo ben 24 diverse sorta d’impollinaziorfi (1), a ciascuna delle quali suol corrispondere un diverso grado di fecon- dità, con risultamenti affatto consentanei a quelli desunti dalle piante dimorfe. Sterili si mostrano le impollinazioni monocline, sterili o quasi le impollinazioni dicline omomorfe , e feconde invece le impollinazioni eteromorfe, con gradi di fecondità però assai diversi. La fertilità maggiore ha luogo quando gli stimmi della forma me- diostila sono fecondati col polline della forma longistila tolto al più alto verticillo anterale, oppure col polline della forma brevistila tolto al più basso verticillo anterale. Si potrebbe dire che questo fe- nomeno viene a conferma del noto proverbio in medio stat virtus; e nell’uno e nell'altro caso infatti così gli stimmi fecondati che le antere fecondatrici si trovano nel piano medio. Una fertilità media ha luogo quando gli stimmi della forma longistila, o quelli della forma brevistila vengono fecondati dal polline ‘delle antere che presso le rimanenti forme si trovano nello stesso piano. ‘ (4) Vedi il prospetto alla pagina seguente. 289 LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE, ECC. SULL’ OPERA ‘0ueid 0° ougid 0° oueid 0° oueid 0°} ougid 0°£ onteid 0°4 outid 0° oueId 0°} OugIA 0°£ | | | —_ __— eo] t]jap euiljod [09 tepuooa] EenistAgIq [Ip o19)U® a][e 0)]0) epmisiSuo[ [PP 9197Ue a[[e 0)[0) e ]lisiA9IG CuIO]} e[[op ouIljod [09 1)epuoo9] e]risorpawa ]op 9291U? a[[e 0)[0) e]usiSuo] [Op oJ9UEe e[[e 0)[0) E [TISTADIT ) | CuLIO] èITop Quij[jod {09 11epuov9] [SsISuo] 19p 210]uè ajje 07/0) e[nsorpow } cuni do | [9p 919 alje 01107 aui[]jod ]0o mepuoo9] e[nsiAaoIg DT & | TOP 9491UE A]je 0710) ouI]]od [09 Mepuooo] eInsorpawi Doe n: | {op 0J97U? a]l® 0)[0) auif[od [09 epuoos] e[lIsiSuo] DIREI n° ! [op aso,ue o][e 0710) QuITjod 109 1}epuo99] EISIA9Iq outid 9° ) oueid g°5 | IPP 9301Ut oITe 07101 QUITTOd 109 MEpuooe] e|ijsorpawi outid 0°8 oteeid cp j IPP 2101Ue elie 01101 autod 100 Nepuos9) ènsiduo] AINOIZVNITTIOdNI «A ODILLONIS OLLIASOYd CuLIo] è][Pp IUIwTIS "eJIOWO19])9 CUI]IP 2UI10] è][9p TUIWT]S *B]IOWIOWIO LUI] CuULIOJ e][ap 1WUW1)S *BUI[I9OUOUI \ \ I{1od wr] QUOIZECUI 19 Vol. X. 290 F. DELPINO, Una fertilità infima ha luogo nei restanti casi, ove cioè gli stimmi di un dato piano (primo, secondo o terzo) sono fecondati col polline di antere giacenti in piano differente. Questo singolare fenomeno per cui nelle piante dimorfe e trimorfe veggonsi gli stimmi essere predestinati ad essere fecondati esclusi- vamente dalle antere giacenti ad eguale altezza sembra a. prima vi- sta una cosa fortuita, ed è invece una disposizione razionalissima. Si riferisce indubitabilmente allo scopo di conseguire la maggior fe- condità mediante l’intervento degli insetti, i quali, con eguali movi- menti e diportamenti visitando i fiori delle piante eterostile, confri- cano uniformemente la stessa regione del loro corpo colla stessa regione florale; cosicchè , se trasportano polline da un fiore ad un altro, resta quasi assicurato che lo tolgono dalle antere di un dato piano per applicarlo agli stimmi del piano omologo. Per Hildebrand questi fenomeni d’ eterostilia indicherebbero ten- denza e transizione dal monoclinismo al diclinismo (4). (4) In ogni caso sarebbe diclinismo derivato. Noi non sapremmo dividere questa opi- nione. Anzi l’eterostilia di-trimorfica cì parrebbe una vera esagerazione di monoclinismo, vale a dire tutto ciò che si può immaginare più distante dal diclinismo. Indieherebbe la eterostilia maggior complicazione ed elevazione nella scala della perfezione biolo- gica; per il che si avrebbero i seguenti scalini di perfezione: 4.° diclinismo NA 0 È } primitivi; 2.° poligamismo omomorfo (Rosa); 3.° monoclinismo | dimorfo (Primula); trimorfo (Oxalis); e i seguenti scalini di degradazione : | trimorfo; 4.° monoclinismo : dimorfo; omomorfo ; 2.° poligamismo derivato (Serpillo); 3.° diclinismo derivato (Lychnis dioica). Qui devesi ripetere che l’entomofilia come mezzo di conjugio, segna nelle piante una maggior perfezione biologica che non l’anemofilia. Anzi nella entomofilia medesima si devono distinguere quattro gradi di perfezione. Il primo ed infimo grado si ha nel Ficus carica Linn. È noto come questo albero sia poligamo, e come nei fiori del ca- SULL'OPERA: LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE, ECC. 291 Passando poi a discorrere delle rimanenti piante non eterostile , distingue dapprima quelle nei cui fiori la dicogamia ha luogo, non perchè gli organi maschili maturino prima o dopo degli organi fem- minili, ma perchè i medesimi mutano di posto in modo che ove prima si scorgevano gli stami succedono poi gli stimmi. Chiama queste piante dicogame per movimento (Lewegungsdichogamen) (1). Cita a questo proposito e figura lo sviluppo florale dell’ 4noda hastata (una malvacea), ove nel primo stadio si erigono gli stami della colonna monadelfica ; poi, deflorate le antere, esinaniscono a poco a poco. Gli stili allora gradatamente si elevano per modo che i rispet- prifico (individuo maschile) l’ovario a vece di maturare un ovolo vegetale maturi un ovolo animale, ossia nulrisca colla propria sostanza un piccolo insetto il Chaleis Psenes che poi rompendo la buccia ovariana vola carico di polline ai fiori femminei e nce feconda gli stimmi. Sospetto che qualche cosa di analogo succeda nella Welwitschia. Non per caso la sua inflorescenza è tinta in color rosso vivace. Il secondu grado si trova nei fiori anettarj fornitissimi di stami e di polline (Paeo- nia, Papaver, Glaucium, Helianthemum, ecc.), ove le api operaje e diverse apiarie a Stomaco e ventre peloso (Gastrilegidi), come sarebbero le Osmie, le Megachili, ecc., uni- camente accorrono per fare raccolta di polline. Il terzo grado è segnato da quei fiori pure anettarj, la cui esca è del pari costi- tuita da polline soltanto, ma presso i quali è segnale di maggior perfezione il minor numero degli stami e alcuni speciali adattamenti. Cito il genere Verbascum, la Tra- descantia virginica e forsanco il genere Anagallis. I fisiologi hanno molto bene osser- vato i peli degli stami nella Tradescantia nonchè il fenomeno della circolazione del contenutovi succo, ma nessuno, per quel che io mi sappia, ha divinato il mirabilissimo scopo biologico dei peli medesimi. Nè io vi sarei riuscito se non avessi presenziato il modo con cui un’apiaria (non potei ben distinguere se una Megachile od un’ Osmia) si aggrappa al ciuffo costituito dai sei pelosi stami, e scugotendoli e mani polandoli con mirabile rapidità, presso a puco come si scuote il fogliame secco dei pagliericci, in un attimo raccoglie il polline e promuove le nozze promiscue. Il quarto e superior grado è segnato dai fiori nettariferi. Quivi 1’ esca è di solito doppia; consiste cioè in polline e miele. Premesse Je quali cose e se è vero che le piante eterostile del nostro Autore, ossia le dimorfe o trimorfe di C. Darwin, segnano un elevato grado di perfezione biologica egli @ chiaro potersi a priori arguire che le medesime debbono essere piante entomofile ed avere fiori nettariferi. E infalti così è per le Oxalis, per i Lytrum, per le Primule, per i Linum, pel Polygonum Fagopyrum, per la Pulmonaria, ecc. Ragione di più che mi fa credere che î fenomeni eterostilici osservati nelle Plantago (piante essenzialmente anemofile), siano riducibili a poligamia e non a dimorfismo come vorrebbe Darwin. (41) Questa successione nel tempo e nello spazio degli stami agli stimmi, ci farebbe credere che sia un fenomeno collegato colla non isocrona maturazione degli organi me- desimj; per cui non propenderemmo ad ammettere la qui proposta divisione. Veggansi anche le cose esposte nella nota 41 a pag. 284. 292 FP. DELPINO, tivi stimmi vengono ad occupare precisamente lo spazio dianzi oc- cupato dalle antere. Cita ancora come un fenomeno di dicogamismo per movimento la torsione dei filamenti nelle crucifere: torsione per cui le antere dap- prima introrse e sovrapposte agli stimmi, giunto il momento della deiscenza, si rimuovono da essi e diventano estrorse, appalesando così una decisa antipatia per le nozze consanguinee. « Dopo ciò l’Autore prende a considerare le piante a sessi isocroni, isostile o monomorfe, e presso le quali non si verifica il fenomeno della dicogamia per movimento. Le divide in due classi secondochè l’ajuto degli insetti mostrasi necessario o non necessario perchè si effettui la impollinazione. Quelle presso cui l’ ajuto degl’insetti è indispensabile divide in due categorie, in tati piante cioè ove la impollinazione diclina per ragion della organizzazione loro è una necessità ed in tali ove è una eventualità soltanto, per non essere del tutto esclusa la possibilità della impollinazione omoclina. Della prima categoria cita le Orchidee, e la Z'iola tricolor; della seconda cita le Asclepiadee ed altre piante. | Quanto alle Orchidee è a bastanza noto il bellissimo lavoro pub- blicato da C. Darwin (On the contrivances by which british and. fo- reign Orchids are fertilised by insects, Londra, 1862), ma a C. C. Sprengel spetta il pregio di avere per il primo notato i mirabili adat- tamenti che per la fecondazione mediante gl’insetti, presentano le Orchidee. Estremamente vari nei loro dettagli si dimostrano gli appa- recchi in discorso presso i diversi generi orchidacei; in generale però si riducono a questi punti: che il polline è raccolto in masse; che ogni massa ha una caudicola la quale mercè un piede glutinifero si impianta solidamente sul capo o sul dorso degl’insetti visitatori; che la superficie stimmatica trasuda un certo umore, il quale possiede la proprietà di sciogliere con ineredibile prontezza il glutine che tien collegate Ie massule polliniche. Nelle Ofridee, per esempio, non si può toccare coi pollinarj, per quanto lievissimamente, la superficie stim- matica, senza che qualche massula pollinica vi resti attaccata. i John Scott (On the individual sterility and cross-iumnpregnation of SULL'OPERA LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE. ECC. 295 cerlain species of Oncidium. Journ. of the proceed. of the linn. Soc., VIII, 1864), ha fatto interessanti sperienze sovra alcune specie di Oncidium. Nell’O. microchilum il polline è inattivo sugli stimmi del proprio fiore, mentre non lo è sugli stimmi di altri individui della stessa specie, ed anco di altre specie, per esempio, di O. ornitho- rhynchum e O. divaricatum cupreum. Così pure il pistillo dell’ O. microchilum, su cui mostrasi inerte il polline del proprio fiore, è fecondato, oltrecchè dal polline di altri individui della propria spe- cie, dal polline eziandio di specie diverse, per esempio dal polline dell'O. divaricatum cupreum. Tanta avversione mpstra la natura per le nozze consanguinee, che sovente preferisce il polline di altre specie al polline omoclino. Singolare è l'apparecchio per la dicogamia nella /iola tricolor notato, descritto e figurato dal chiaro Autore nell'opera che analiz- ziamo. Lo stimma ha la forma di un recipiente globoso con un’aper- tura a valvola. Il polline cade per sè dalle deiscenti antere, e si rac- coglie in uno spazio canalicolare che sta dinanzi alla entrata del tu- bo o sperone mellifero. Entrando la proboscide d’un’apiaria nel tubo medesimo asporta polline, il quale poi è raccolto dalla cavità stim- matica del fiore che sarà subito dopo visitato. La valvola è così di- sposta che si apre quando la proboscide entra (e quindi nella cavità stimmatica entra polline tolto a fiori precedentemente visitati), e si chiude quando la proboscide esce (e quindi nella cavità medesima non può entrare polline del proprio fiore). Introducendo a più ripre- se nel tubo mellifero ed estraendo un ago, si può con pari risultato imitare l’azione degli insetti. La asclepiadee poi sono tra tutte le piante quelle ove meglio appare la necessità dello intervento degli insetti per la impollinazione. L’Au- tore fece in proposito una serie di osservazioni sulla Asclepias Cornuti, e notò come le api con movimento uniforme delle loro zampe estrag- gono e successivamente mettono a posto le masse polliniche (1). (4) Nulla di più meraviglioso esiste in natura degli adattamenti pella fecondazione delle Asclepiadee. Per chi volesse averne una più estesa cognizione ‘additiamo i se- guenti scritti: C. €. SerengEL, Das entdecklte Geheimmiss, ecc. 1793, pag. 139-149 (delle. due ope- 294 F. DELPINO, Fa menzione qui l'Autore d’altre piante ove Vajuto degl’ insetti ap- palesasi, come nelle aselepiadee, indispensabile per la impollinazione (diclina per lo più ma talvolta anco monoclina). Tali sono le specie dei genere /ris, Pedicularis, Passiflora (1), Heliotropium, Cro- cus, ecc., tali le piante a fiori penduli ove le antere sopravanzano gli stimmi, e le piante a fiori eretti ove gli stimmi sopravanzano le antere. In questi due casi la legge di gravitazione osta alla impolli- nazione, e quindi è necessario l'intervento degli insetti. razioni necessarie peg la fecondazione in queste piante non vide che la prima sol- tanto); F. DeLPINO, Relazione sull’apparecchio della fecondazione nelle asclepiadee, Estratto dalla Gazzetta Medica di Torino del 20 novembre 1865, pag. 372 e seguenti (sono notate per più generì di asclepiadee entrambe le operazioni preliminari alla fecondazione); F. HiLpEBRAND, Veber die Befruchtung der Asclepias Cornuti, Bot. Zeit. 1866, p. 376 (contiene ragguagli sull’intervento delle api e dei bombi nella fecondazione di tal pianta); F. DeLpino, Sugli apparecchi della fecondazione melle antocarpee, Firenze, 1867, pag. 6-45 (contiene dettagliate informazioni sulla fecondazione nei generi Asclepias, Gomphocarpus, Hoya, Centrostemma, Stapelia, Ceropegia, Vincetoricum, Arauja, Ste- phanotis e Periploca). 1 (1) Memorabile è l'apparecchio dell’ Iris stato egregiamente descritto da C.C. Spren- gel nella opera citata. Noi osservammo come i bombi, specialmente 1’ italico e il ter- restre e le xilocope s’insinuino curiosamente in uno dei tre viadutti formati ciascuno del ravvicinamento di uno stilo petaloide e dell’ opposto petalo. Lo stimma è margi- ginato da una ligula o sdoppiamente lineare della lamina dello stilo. Questa ligula, inclinata in avanti, riceve ed erade il polline dal dorso dell’entrante insetto, cioè il polline altrui, ma non può,ricevere ed eradere il polline dal dorso del retrogre- diente insetto, ossia il polline proprio. Così fatti viadutti, che nell’ Iris sono tre per ogni fiore, simulano, biologicamente ma non morfologicamente il viadutto formato dal fiore dell’Acanthus ove s’ insinuano con pari ragione e risultato i bombi mede- simi. Diversifica però l’Acanthus quanto alla struttura e disposizione dello stimma. Il quale, non petaloide ma cilindrico e. semplicissimo, è immaturo e diritto nel primo stadio (esplosione delle antere), per il che non può ricevere polline dal dorso dell’entrante ìnsetto, ma sì ricurva acconciamente nel secondo stadio (maturazione stim- matica), e allora l’insetto non può entrare nel viadutto senza confricare il dorso pol- linigero colla punta stimmatica. Quanto alla fecondazione del genere Pedicularis veggasi una nota d°’Hildebrand nella Bot. Zeit., 1866, pag. 73. Quanto ai Crocus, noi osservammo nella specie biflorus come le api si diportino per fecondario, manipolando colle zampe posteriori le antere e gli stimmi. Quanto alla fecondazione nella Passiflora, può vedersi il nostro lavoro sugli apparecchi fecondativi nelle antocarpee, ove completammo le veracissime osser- vazioni e congetture dello Sprengel. SULL’OPERA: LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE, ECC. 295 Cita poi l'Autore la Zitis vinifera, le specie di Chenopodium (4), la Fritillaria imperialis, la Convallaria majalis., ove, attesa Ja po- sizione degli organi sessuali può aver luogo la impollinazione col proprio polline, ma ove non è menomamente esclusa l’azione degli insetti, e quindi la eventualità delle nozze promiscue, Hannovi poi altre piante, presso le quali, in conseguenza del rav- vicinamento anzi della contiguità delle antere cogli stimmi, è inevi- tabile la impollinazione monoclina, ma questo fenomeno non deve essere consideralo come una eccezione alla legge darwiniana; giac- chè non resta menomamente escluso l'intervento degl’insetti e con ciò Ia eventualità della dicogamia. Nelle lobeliacee e composte il polline esploso dalle antere introrse e riunite in un tubo singenesiaco è spinto fuori a poco a poco dallo stimma, che in detto tubo allun- gandosi e crescendo, fa l’uffizio d’ uno stantuffo (2). Ora, malgrado questo contatto, non può aver luogo la impollinazione monoclina, giac- chè queste piante sono eminentemente proterandre, e gli stimmi non si sviluppano che parecchi giorni dopo la evacuazione di tutto il pol - line del tubo singenesiaco. (Veggasi la nota concernente il Siphocam- pylus bicolor pubblicata da Hildebrand nella Bot. Zeît., 1866, p. 77.) Decisamente proterandre sono pure le campanulacee, ove, secondo (1) Gli stimmi del Chenopodium foggiati a spazzola cilindrica ci persuadono essere un tal genere costituito da piante anemofile e non entomofile (v. la nota 2 a pag. 273). (2) In parecchie lobeliacee noi osservammo che spingendo un oggetto analogo al corpo d’un piccolo imenottero verso il fundo del tubo mellifero, la guaina staminale si contrae e sì abbrevia, lo stimma (nel primo stadio) agisce come uno stanfuffo, ed il polline esce fuori in forma di globuli. È singolare questa coincidenza coi fenomeni che noi osser- vammo nel Lotus corniculatus, ove il polline esce dal poro terminale della carena in forma di piccoli vermicelli. La funzione però dello stantuffo nel Lotus non è compiuta dallo stimma come nelle lobeliacee, bensì dalla estremità dei filamenti i quali si rigon- fiano congruamente a clava, seguita che sia la esplosione del polline dalle loggie delle antere. Nelle composte, massime nelle carduacee, il polline deve escir fuori analogamente, cioè per una istantanea. contrazione e abbreviazione della guaina staminale sotto 10 stimolo della proboscide di certe apiarie (varii Halictus, Megachile , ecc.). Ferdinando Cohn (Jahres-Bericht der Schles. Gesellsch. fiir vaterlina. Kultur, 1860, pag. 66-67), descrisse convenevolmente il fenomeno della irritabilità di questa vagina staminale, ed egli pure, considerandolo setto aspetto teleologico, lo ritiene uno spediente per fa dicogamia. 296 F. DELPINO, le antiche osservazioni di C. C. Sprengel, le antere si aprono di buo- na ora e depositano tutto il loro polline nella colonna dello stilo. Gli insetti visitatori possono così effettuare Ja dicogamia, sebbene per avventura la impollinazione monoclina non sia eslusa. Le fumariacee poi fornirono al chiarissimo Autore il soggetto di interessanti osservazioni ed esperienze. Presso tutte havvi a quanto pare, perfetto isocronismo nella maturazione delle antere. e degli stimmi, e presso tutte la impollinazione monoclina è necessaria e inevitabile. Non ostante, nella Corydalis cava trovò Hildebrand: 4.° Che i fiori abbandonati alla naturale loro impollinazione mo- noclina sono costantemente sterili ; 2.° Che i postilli fecondati artifizialmente col polline tolto a fiori diversi ma appartenenti allo stesso individuo, maturavano po- chi semi; 5.° Che fertilissimi invece si addimostrano i pistilli fecondati artifizialmente col polline di altri individui. Del resto il fiore delle fumariacee è un patente apparato dicogamico, visitato frequente- mente da insetti apiarii, secondo le osservazioni d’Hildebrand ‘e le nostre. Nel genere fumaria invece la impollinazione monoclina, fenomeno presso questa pianta inevitabilissimo, è susseguita da fecondità per- fetta. Ma anche qui non è del tutto esclusa Ja possibilità della tra- sposizione pollinica mediante gli insetti. Parimente le specie del genere Canna, sottratte artifizialmente dall’appulso degli insetti maturano costantemente semi, senza però essere esclusa per queste piante la eventualità della dicogamia me- diante gli insetti (1). Cosi pure nella Salpîa hirsuta, nel Linum usitatissimum, nella Draba verna, nella Brassica Rapa, nella Oralis micrantha e sensi- tiva, nella Cephalanthera grandiflora, nella Ophrys apifera (2) e (4) Anzi presentano mirabile disposizione dicogamica, e le api sono ‘avidissime del. miele di queste piante. V. il nostro scritto sugli apparecchi fecondativi nelle antocarpee. (2) Il signor Luigi Ricca, alacre botanico, nostro intimo amico, ci scrive dalla ri- viera occidentale ligure una lettera. contenente alcune interessanti osservazioni sulla fecondazione nelle orchidee. Egli potè constatare la frequentissima occorrenza della fecondazione monoclina. presso SULL'OPERA: LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE, ECC. 297 in non poche altre piante venne da Hildebrand, Darwin ed altri autori constatata fertile la fecondazione monoclina, ma nel medesimo tempo non è menomamente esclusa la possibilità della fecondazione diclina mediante gl’ insetti. Nelle fecondazioni monocline talvolta il frutto si sviluppa perfet- tamente, ma il seme o l'embrione fanno totale difetto. Questa matu- razione pericarpica, che verrebbe dal nostro Gallesio appellata ma- la Ophrys apifera: contingenza memorabilissima in quanto che in questa ofride la natura, tuttavia non negandole l’indubitabile apparato dicagamico delle masse polli- niche, e della caudicola terminante in un piede viscoso, le concesse di più la facoltà della fecondazione monoclina, forse per sopperire al bisogno nei casi di mancanza di insetti pronubi : favore tutto particolare giacchè venne a quanto consta diniegato alle altre ofridee, ivi comprese le rimanenti specie del genere Ophrys. Noi qui dobbiamo aggiungere che nei giardini botanici si ha un ragguardevolissimo numero di esempi, ove la fecondazione monoclina o almeno la monoica (incrociamento tra fiori appartenenti allo stesso individuo) si addimostra fertile. Infatti non poche piante delle quali si coltiva un solo individuo, maturano frutti non ostante la evidente defi- cienza delle nozze promiscue. Ben è vero che questo numero è abbondantemente con- trobilanciato da quello ove si ha l’esempio opposto di niuna fruttificazione, probabil- mente per causa d’impossibilitata dicogamia. Invero un grandissimo numero di piante che sì sogliono propagare per gemme e non per semi, le quali perciò per una data città anzi per una data regione verisimilmente appartengono ad un individuo unico più o meno vastamente propagato, sono costantemente sterili. Cito la Periploca graeca, la Hoya carnosa, la Stephanotis floribunda, la Forsythia, la Dielytra, ecc. Forse non per altra ragione si addimostrano sterili le coltivazioni dell’ Arundo Donax, dalla canna da zucchero, dalla Bromelia Ananas, ecc. Giacché abbiamo avuto occasione di citare le osservazioni sulle orchidee fatte dal nostro amico, non sarà inopportuno di qui riferire avere egli notato come la Serapias longipetala (genere di cui Darwin non parla affatto nella sua celebrata opera sulla fecondazione delle Orchidee) venga fecondata da un’apiaria, la quale, a forza di affig- gersi al capo una sterminata quantità di masse polliniche, finisce. per morire impa- niata nel seno dell’ultimo fiore di Serapias da essa visitato. Nella Gymnadenia conopsea, la quale è normalmente fecondata dalla proboscide delle farfalle come si desume dalla disposizione del fiore, specialmente dalla forma esilissima e ricurva del calcare nettarogeno, e come risulta dalle dirette osservazioni del figlio di GC. Darwin che sorprese parecchi lepidotteri notturni, cioè la Plusia chrysites, la Plusia gamma, l’ Anaitis plagiata e Ja Triphaena pronuba, tutte aventi alla probo- scide appiccicate da 3 a 6 masse polliniche, Ricca. notò un numero grande di formi- coline agglutinarsi le masse polliniche lungo l'addome, quindi penetrare nel tubo mellifero e ivi morire per non poter più voltarsi e retrocedere attesa 1’ angustia del tubo medesimo. Posto che queste formicoline riescano così in via accessoria a fecondar e la Gymmadenia, tale fecondazione evidentemente non potrebbe essere che monoclina, 298 F. DELPINO, turazione pomologica, venne osservata dall’ Hildebrand negli aranci coltivati nelle serre della Germania, presso i quali l’unica possi- bile fecondazione, cioè la monoclina vedesi produrre tale fenome- no (1). Infine Hildebrand discorre dei fiori, ove realmente non. può aver luogo altra fecondazione se non che la monoclina. E noto che in molte famiglie di piante (acantacee, campanulacee, balsaminee, ossalidee, leguminose, malpighiacee, ecc.) dannosi alcune specie, gl’ individui delle quali producono due sorta di fiori. Gli uni sono normali: si aprono normalmente e obbediscono alla legge della dicogamia. Gli altri invece più piccoli colla corolla più o meno atro- fizzata, non si schiudono punto, e non ostante ha luogo perfetta evo- luzione delle antere e degli stimmi, perfetta emissione di tubuli pol- linici e perfetta fecondità. Ugo Mohl (einige Beobachtungen iiber dimorphe Blithen) illustrò queste fenomenalità nella Bot. Zeit., 1863, p. 509 e segg. Ei vorrebbe derivarne conclusioni contro la legge della dicogamia; ma indarno, perchè questi fiori chiusi non sono gli unici prodotti. Così fatto fenomeno si può agevolmente osservare in talune specie di Oxalis e Ziola (specialmente nella Oxalis aceto- sella e nella Z°iola odorata), non meno che nel Lamium amplexi- (4) L’eccellente uva a grossi acini, exsucci e nutrientissimi che a Costantinopoli si esita in grande quantità sotto il nome di uva di Smirne, osservammo noi essere costan- temente priva di semi. Forse questo fenomeno è dovuto alla casuale propagazione di tal varietà d’uva per gemme e margotte. Noi non senza grande. espettazione segnaliamo quesvordine di fenomeni all’attenzione degli agronomi, i quali dallo serupoloso studio della dottrina della dicogamia, potranno per avventura ricavarne insperate applicazioni al benessere della Società, rinvenendo metodi infallibili per avere frutti privi di seme. Non devono essi perdere di vista che per tutti quei frutti, i quali sono comestibili in ragione dello svituppo carnoso e polposo quando del pericarpio, quando del ricettaco- lo, la produzione dei semi nuoce per due motivi, in primo luogo perchè l'inutile svi» luppo seminale è a tutto pregiudizio dello sviluppo della parte polposa edule, e in se- condo luogo perchè appunto le sostanze chimicamente più importanti e benefiche per l’organismo di chi se ne ciba, cioè i fosfati di potassa e di calce, vanno infallantemente a concentrarsi nei semi, e sono perciò irremissibilmente sprecate. Ecco come la scienza pura, oggidi massime in Italia, con deplorabile pregiudizio de- preziata da troppe persone, anche colte, può essere quando men si pensa scaturigine di nuovi e impreveduti risultati, valevoli ad accrescere la produzione e ta ricchezza pubblica. SULL'OPERA: LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE, EGC, 299. caule. | fiori primaticci di Oxalis e di Z'iola sono normali, e non è che in progresso della stagione calda che si sviluppa l'altra fiori- tura eteromorfa. Nel Lamium amplexicaule questi fiori inaperti si sviluppano e prima e dopo della normale fioritura, nella primave- ra cioè e nell’autunno (4). Fenomeni parimenti di necessaria fecondazione monoclina sono of- ferti da quei fiori di franunculus aquatilis, Alisma natans, Illecebruna verticillatum, Subularia aquatica, i quali per circostanza di sover- chia inondazione del sito nativo si sono sviluppati sotto acqua. (1) Sotto il nome di anficarpia,, ipogeismo o geocarpia sono stati segnalati consi- mili fenomeni di fioritura dimorfica nella Vicia amphicarpa, nel Lathyrus amphicarpus, nella Scrophularia arguta, nel Trifolium subterraneum, nell’Arachis hypogea. La Vicia amphicarpa (veggasi una bella nota di Fabre letta nella radunanza della Società botanica di Francia del 13 luglio 1855) sviluppa germinando un breve asse pri» mario, che da nascita a due sorta di assi secondarj, gli uni epigei sviluppanti una fioritura normale, gli altri ipogei, brevissimi, clorotici, sviluppanti fiori perfettamente fecondi, ma con petali rudimentarj e scolorati. Secondo noi per avere la chiave di questi fenomeni, bisogna ricorrere alle spiega- zioni teleologiche. Questa fioritura chiusa, accessoria, secondaria, subordinata alla normale, è per noi un ripiego ingegnosamente trovato dalla natura, per assicurare la posterità di una data specie, in previsione di condizioni esterne, di basse temperature o di altre cause climateriche le quali in qualche annata potrebbero compromettere, anzi annullare i prodotti della fecondazione normale. Nelle viole anficarpiche, specialmente nella V. mirabilis, spessissimo i fiori normali sono sterili. Ma bisogna notare che le viole sono per lo più piante use a fiorire sotto temperature e in località assai fredde; quando per conseguenza gl’imenotteri pronubi non sogliono essere ancora desti dal loro letargo. Non potendo perciò aver luogo la dicogamia, è naturale che finchè durano queste condizioni di tempo e di luogo, i fiori normali restino sterili; ma irì tal caso ]Ja natura soccorrerebbe collo spediente di una fioritura succedanea anficarpica. Rammento il Mikan {V. nota 4 a p. 279) che dileggia acerbamente C. G. Sprengel, objet- tandogli con piglio di trionfo, come per lo appunto quei fiori della Viola odorata che presentano il preteso apparecchio-dicogamico da lui delineato , siano affatto sterili mentre fertili si addimostrano i semiatrofizzati fiori geocarpici. Mikan ha grave torto. Nei paesi ove la primavera è fredda sia pure sterile la fioritura normale nella Viola, e subentri invece la feconda fioritura geocarpica. Noi possiamo as- serire che sotto più mite cielo le cose passano ben diversamente. Noi osservammo a Chiavari (Liguria) mancare nella Viola odorata il fenomeno dell’anficarpia in che sovente c’imbattemmo a Torino, e i fiori normali invece fruttificare abbondantemente. Questa osservazione, che annulla la objezione del Mikan contro Sprengel, verrebbe inoltre a conferma della esplicazione teleologica che diemmo per quest'ordine di fenomeni, 300 F. DELPINO, Presso tai fiori si forma entrosla custodia degli organi perigoniali una bollicina d’aria, ed è in questa microscopica atmosfera che ha luogo la impollinazione e la fecondazione. Ma neanche ciò può essere addotto ad infirmazione della gran legge dicogamica, perocchè presso le piante in discorso la fioritura suole più spesso aver luogo fuor d'acqua, ripigliando così le condizioni normali. Per ultimo un esempio di fecondazione necessariamente mono- clina o almeno monoica ci è presentato dalla Oryza clandestina Al. Braun (Zeersia oryzoides). Duval-Jouve è stato, crediamo, il primo a segnalare sopra tale graminacea due sorta di pannocchie; le une terminali, esserte e sterili; le altre ascellari, ermeticamente chiuse dalla guaina fogliare e fertili. Ciò pare tanto più strano, in quanto che così gli stami come i pistilli sono nelle pannocchie sterili meglio evoluti che nelle fertili (1). Volendo riepilogare sinotticamente i diversi fenomeni che offrono le piante sotto l’aspetto della distribuzione dei sessi, della impollina- zione e della concezione, si ha il prospetto che segue. f (1) Le considerazioni teleologiche interpretano benissimo questo fenomeno che a prima vista sembra una eloquentissima contraddizione alla legge dicogamica. La Leer- sia oryzoides è una pianta pervenuta a noi col riso dalle Indie, e senza dubbio è do- vuto alla più bassa temperatura del nostro clima se sterili si addimostrano le inflo- rescenze esserte. Ma la natura avrebbe trovato il ripiego d’infiorescenze secondarie fertili sotto il riparo della guaina fogliare. Così il citato fenomeno, lungi dall’ infirmare la legge della dicogamia, significhe- rebbe semplicemente che la Leersia non è pianta dei nostri climi. 501 (omworna,diun wmmunT) “opqissodun erueSo»ig — ‘aJIowip azua9s010]Uu] ‘ISNIQO HIOTÎ \ \ (*1u1sst70)28n unu?) ‘ssod ‘S001g ‘14193 qpuenbre (0aDvI simphiuog) ‘ss0v9u elwesoog ‘o[r19)s ew (200010987) ‘erquqoadwi ew “esnjosoe uoU (299/240) esn[oso (D)0ISDY DPOUP) (sisuauIs minna) 019] 0904 (s170u19/So DIUWUOWNT) 21119S *(0nzn7) 0uI8019)01g “iIUUIIS 1]759p odop (1un1un.t09) dIpues9o1g “unus 11Sap eugid SULL OPERA ! LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE, ECC, "QRHASUI ‘[PoUOWI “2eu:]jodw] *tWWI1S 1800 01181U090 UT 019]UV OUO.I90Sì ISS9S 19p * ® ®* BUTJOONMOUI 2U0IZCUI[]OdKWI] ‘I)OWIUTI = oddnjias Î ITenssos SI, (©) ELI, 5/7 ; IT1IS (e -0sI HOIKf a ci = At so © Bri ooruesoop o0doos o] Jdad 0]s0d Ip nueiquigo ne (#2) pos=) =85 89 E S (c°) CUI ‘o]iGissoÙ EJIOOTOLI SUOIZEUIHOdwI] — 1]11S 01979 LICIA {TU9IO] @40]UY — Vilessonau CIUIESCII — OUOIOOSI UOU TSS9S top oddnjias OLLAdSOUd ; *(seQvuunI ) eLIesso0nu erueS0Ng — 1UI]ITp LIOTA IUI[IOUOWL LION 302 F. DELPINO , Dal complesso dei fenomeni esposti nelle antecedenti pagine, Hil- debrand trae le conclusioni seguenti che ci sembra opportuno di let- teralmente tradurre. ° 41.° La maggior parte dei fiori presenta organi conformati in modo da impedire la impollinazione monoclina, e da favorire invece la diclina. 2.° Gli agenti di questa impollinazione diclina sono nel maggior numero dei casi gl’insetti. 5.° Impedita la impollinazione monoclina, resta altresì necessa- riamente impedita la fecondazione monoclina. 4.° Nei casi ove la impollinazione monoclina è possibile e in quelli ove anzi è inevitabile, non è per questo esclusa la possibilità della impollinazione e fecondazione diclina. | 5.° Anche qui gli agenti pronubi sono gl’insetti, e trasportano il polline da un fiore all’altro. 6.° Non esiste verisimilmente nessuna fanerogama, la quale ap- palesi, in tutti quanti i suoi fiori, assoluta impossibilità per la im- pollinazione diclina e ‘assoluta necessità di una perenne impollina- zione monoclina. Quindi non esiste nessuna fanerogama che disdica in modo assoluto la legge della dicogamia. 7.° L'esperienza ha provato che vi sono piante presso le quali la impollinazione monoclina, sia che si effettui naturalmente od ar- tifizialmente, è seguita da sterilità o almeno da produzione di uno scarso numero di semi buoni. i 8.° Dai casi ove la impollinazione e fecondazione monoclina è as- solutamente impossibile, ai casi ove è possibile e ai casi ove è inevita- bile, vi passa una scala graduata; ma in questi ultimi casi non è giam- mai esclusa la possibilità della impollinazione e fecondazione diclina. 9.° La forma della distribuzione sessuale e dell’apparecchio fe- condativo non corrisponde sempre coll’affinità morfologica dei fiori. Presso parecchie famiglie Te specie componenti offrono disposizioni sessuali affatto simili: presso altre famiglie invece, e perfino presso certi generi, le specie diversificano assai sotto questo riguardo l’una dall’altra. Da ciò si vede che le disposizioni sessuali non vanno di pari passo colla evoluzione morfologica degli organi. SULL'OPERA: LA DISTRIBUZIONE DEI SESSI NELLE PIANTE, ECC. 503 Seguono alcune pagine intese a dimostrare come la legge della dicogamia abbia anche il suo imperio nelle crittogame. Noi non se- guiremo l’autore in questo capitolo, contentandoci di notare come le crittogame, per essere, salvo poche eccezioni, unisessuali per di- clinismo primitivo, devono presentare necessariamente fenomeni di dicogamia. Colla presente Relazione noi, che da qualche anno ci occupiamo di cotali studj, crediamo di aver fatta cosa utile sia per diffondere la cognizione di un ordine di fatti interessantissimi, poco noti o negati tuttora da parecchi autori, sia per far conoscere agli Italiani un’ ope- ra commendevole sotto tutti i rapporti, ma principalmente pel cu- mulo delle osservazioni nuove, e per la precisa esposizione e valu- tazione dei fatti medesimi, Aggiunta. Nella nota 2 a p. 280, discorrendo dell’apparecchio dicogamico dei fiori di Centranthus ruber , dissi che gli stami si mostrano evoluti in ‘tempo che gli stili non sono ancora emersi dal tubo corollino, e si mostrano deperiti quando gli stimmi maturi gradatamente si eleva- rono fino al loro posto. Ciò è vero per il maggior numero degli in- dividui, ma non per tutti. Trovai infatti, proseguendo le osservazioni, individui a stili sviluppatissimi e antere semiatrofizzate, individui a stami lunghi e stili poco pronunziati, e finalmente individui a stami e stili offrenti tutte le imaginabili gradazioni di sviluppo reciproco. In- somma il Centranthus ruber svelerebbe una decisa tendenza alla po- ligamia. Moltissimi sono gli insetti pronubi di questa pianta. Notai fra i le- pidotteri le Pieris e fra gli imenotteri parecchie megachili e anto- fore di piccola statura, la Coelyoxis conica, le apî, ecc. Firenze, giugno 1867. INTORNO AL GIACIMENTO DELLE FUGITI NEL CALCARE EOCENICO E SULLA ORIGINE DEL CALCARE STESSO CONSIDERAZIONI » del prof. &. G. BIANCONI Chiunque abbia qualche notizia della Geologia dell’Apennino non ignora che assai frequentemente alcune rocce, e specialmente quelle del calcare compatto e del calcare marnoso, racchiudono impronte 0 vestigia di piante marine della famiglia dei uchi. La volgare pietra da calce è d’ordinario segnata nel suo interno dalle ramificazioni nerastre, che sone appunto prodotte da quelle piante, le quali rima- sero imprigionate entro alla pietra nell'atto ch’ essa consolidavasi. Questa roccia fucitica non è per certo appannaggio speciale del- l’Apennino. Innumerevoli punti della superficie terrestre ne offrono, ed appartenente a diverse età. Le nostre rocce sono eoceniche. È similissime alle nostre sono fra l'altre que’ calcari e quelle marne tanto diffuse nel bacino di Vienna, de’ quali tale è la rassomiglianza colle apenniniche, che saggi delle due località scambierebbersi al- l'occhio più esercitato. Gli avanzi, o le vestigia di corpi organici entro alle rocce: hanno sempre una grande importanza nelle ricerche geologiche; ma questi vegetabili ora fossili, e che vissero un tempo sul fondo stesso del mare nel quale si formò pure lo strato calcare, hanno una impor- tanza ancor maggiore, e riverberano uno speciale interesse sulla origine della roccia medesima che le contiene. Del resto per un altro G. G. BIANCONI, INTORNO AL GIACIMENTO DELLE FUCITI , ECC. 308 capo ancora sono pregevoli: e cioè, perchè, salvo poche eccezioni, sono quasi i soli fossili che appo noi si rinvengono nella formazione eocenica. La pasta del calcare che racchiude le Fuciti è di una omogeneità e purezza notevolissime. Ma le Fuciti stesse non si trovano in ogni parte della pietra: esse mancano nella più gran parte dello spessore dello strato; cominciano a mostrarsi soltanto quando si venga ap- prossimando presso 1’ una delle due facce dello strato. Esse non sono nè accumulate nè sparse irregolarmente per entro la pasta; ma ten- gono un posto determinato, cioè presso l’una delle facce dello strato, e presso una soltanto. In un banco calcare che abbia 40 o 30 cen- timetri di grossezza non vi ha che una zona al più di 4 o 8 centi- metri, nella quale sta distribuita l'umile selva dei Fuchi fossili. Questo singolar modo di giacimento non può , come è patente, non tenere stretti rapporti e conseguenze, colla genesi delle rocce che li contengono. Tornava quindi opportuno giovarsi ancora di que- sto argomento per chiarire maggiormente le osservazioni intorno alle rocce eoceniche esposte nella Nota inserita nel Bullettino della Società geologica di Francia (Sur une période de la Mer éocéne, T. XXIII, 1866, pag. 618). Affine però di servire alla brevità neces- saria, accennai allora a luogo a luogo anche delle Fucoidij; ma ser- bai il trattarne ad altro momento. Ora, ripigliando brevemente il soggetto, la connessione delle cose là dette, con quelle che sono qui per dire, mi obbliga di richiamare succintamente alcune idee espo- ste già in quella Nota. Ove la formazione eocenica si mostra, nell’Apennino, ancora al- quanto ordinata, consta di una alternanza di strati perfettamente paralleli di varie sorta di rocce. Si distinguono fra l’altre le seguenti: 1.° Calcare compatto. Questi strati hanno una grossezza fra 6 e 50 centimetri; il calcare è resistente, di pasta fina ed unita, ed a frattura concoidale uniforme, Non si scorge nel loro interno alcun indizio di stratificazione, nè alcun corpo straniero, fuorchè le Fu- coidi, quali la /. Targioni, F. intricatus, F. equalis e qualche Caulerpite. 2.° Calcare marnoso. Benchè misto a piccola quantità di argilla Vol. X. 20 » 306 G. 6. BIANCONI, : questo calcare è parimenti molto solido; la potenza de’ suoi strati varia da 2°" a 0",50. Ha frattura raramente concoidale; e si vede sovente dividersi e cadere in frammenti poliedrici. Contiene Fuciti; e quanto a composizione mineralogica passa al seguente. 3.° Marna calcare. Meno cemento calcare, più argilla e quarzo arenaceo fanno questa roccia meno solida e meno omogenea. La sua struttura è quasi sempre frammentaria: e i frammenti sono in parte «angolosi, in parte rotondati. La facilità alla divisione frammentaria aumenta col crescere della preponderanza dei materiali argillosi e sabbiosi. / 4.° Macigno. Îl cemento calcare ed il quarzo arenoso sono in proporzioni assai varie nel macigno. Trovasene a grari stretti, ed a pasta assai unita e resistente: altri a pasta estremamente friabile, con grani di sabbia quasi sciolti. Un carattere però generale di que- sta roccia è la fissilità, la quale sovente dà alla pietra l'aspetto di un insieme di straterelli più o meno sottili, e talora fogliacei, quando poco numerosi e quando numerosissimi quasi all’ infinito. Alcuni hanno fogli piani e perfettamente stesi; ma più di sovente sono on- dulati o rugosi, offrendo così le impronte delle ondulazioni dell’acqua in seno alle quali essi sono stati deposti. 5.° Infine argille e strati a struttura terrosa. Talvolta un’ar- gilla fina forma degli strati sottili, divisibili in frammenti schiacciati ognor più piccoli; talvolta sono mescolanze di argille e di sabbie in tutte le proporzioni, ordinariamente a tessitura terrosa e. friabile. Ponno considerarsi come gli ultimi termini delle marne e dei macigni a’ quali mancasse il cemento calcare. Non è a dire se fra queste cinque qualità di terreni sianvi transi- zioni. Esse sono innumerevoli. 1 pochi elementi fondamentali cioè, il calcare, il quarzo arenaceo , l'argilla e poco altro, giuocano, può dirsi, tutte le possibili combinazioni, per modo che si hanno rocce intermedie di tutte sorta fra i cinque tipi or enumerati. La serie poi di sovrapposizione che risulta dal loro insieme è una successione di innumerevoli strati alterni, solidi e terrosi. Perfettamente paralleli fra loro, gli strati i più sottili, di pochi centimetri di spessore, cone quelli che hanno oltre a due metri, si seguono colle medesime di- * INTORNO AL GIACIMENTO DELLE FUCITI, ECC. 307 mensioni a grandissime distanze; il numero, la natura, il posto degli strati, quale si osserva in un punto, tale è pure in ogni altro di quell’orizzonte stratigrafico. 1 banchi calcari così notevoli per le loro Fucoidi, quelli di marne e di macigni, sì cospicui per la loro possanza, rendono ogni inganno impossibile. Tutto infine dimostra che la stra- lificazione è avvenuta sopra un’assai grande estensione; e del pari che la orizzontalità primitiva della medesima è fuori di ogni conte- stazione. | La quale orizzontalità della formazione eocenica credo che attual- mente non s”incontri più nel nostro Apennino. Sollevata essa violen- temente dai serpentini si offre variamente inclinata, e più spesso frantumata. Ad onta di tutto ciò il parallelismo degli strati e la oriz- zontalità primitiva, sono due punti posti in evidenza dai fatti riferiti. Oltre al punto di vista orittologico che è stato sin qui considerato, un altro merita di essere preso in esame relativamente alle rocce eoceniche predette. Può considerarsi che due sorta di elementi con- corsero a produrre quegli strati; cioè, clementi detritici ed elementi chimici. Il quarzo arenaceo, l'argilla, la mica appartengono ai primi; la calce sia essa pura in istrati, ovvero sia come cemento appartiene ai secondi. Hannosi dunque degli strati prodotti per via di soluzione, vale a dire, i calcari; altri se ne hanno prodotti per via meccanica, e sono gli strati di struttura terrosa e friabile, gli argillosi e sab- biosi. Ma fra li due vi ha la qualità più numerosa, quella cioè di natura mista; tali sono li macigni e le marne. Tutti però sono il prodotto di una sola e stessa causa, vale a dire, di un mare vasto e profondo: le variate condizioni del quale producevano le innumere- voli variazioni di questi suoi sedimenti. Egli è infatti assai chiaro, mi sembra, che i diversi strati compo- nenti questa formazione eocenica sono una conseguenza delle condi- zioni variate del mare eocenico. Cerchiamo ora di chiarire meglio questo concetto. Molti di questi strati sono sedimenti di materiali pervenuti al mare, i quali non potevano per lungo tempo reggersi sospesi nell’acqua. La sabbia ad esempio, o la fanghiglia, dopo es- sere stata dibattuta per qualche tempo nelle acque agitate della su- perficie del mare, debbe infine col successivo suo discendere, per- 308 G. G. BIANCONI, venire alla regione delle acque tranquille che trovansi nelle profon- dità. Colà giunti que’ materiali precipitano necessariamente al fondo in causa della gravità che loro è propria, e per quanto lo consenta la densità dell’acqua nelle grandi profondità. Che , del resto, l’acqua profonda di quel mare eocenieco sia stata ordinariamente calma, si conosce per quelle stratificazioni sumemorate tanto estese, benchè sian talora sottili e piane ; e sopralutto è ciò dimostrato dalla strattura pa- piracea di alcuni macigni in particolare. 1 movimenti di quel fluido che sembrano aver lasciate impronte sopra qualcuno di que’ sedi- menti, si riducono alle ondulazioni, molto leggere per verità, che veggonsi impresse sopra alcune delle rocce stesse. È per certo se forti perturbazioni avessero avuto luogo, troverebbersi ove delle ac- cumulazioni, ed altrove delle abrasioni negli strati arenosi o mobili. Lo che non si trova giammai. Dopo tali considerazioni diremo dunque che gli strati di sabbia attestano che sabbia era stata addotta al bacino del mare, e che è andata infine a posare sul suo fondo. Gli strati argillosi provano del pari che materie argillose già vaganti per l’acqua marina sonosi deposte al suo fondo. E così di seguito. Io penso che non si possa porre in dubbio che uno strato ondulato di sabbia non sia la prova che della sabbia che era sospesa nell’ acqua in movimento si depose sotto le condizioni delle ondulazioni della. medesima. Considerati sotto questo aspetto gli strati sarebbero tradizioni o memorie dello stato del mare entro al quale essi furon prodotti; tradizioni limitate però alla limpidità, ed alla tranquillità o agitazione dell’ acqua. Sono questi due elementi, e sopratutto il primo la limpidità, che si ponno prendere in considerazione a proposito della vita dei Fuchi. Non ha bisogno di dimostrazione che queste pianticelle non possono trovarsi gran fatto bene, nè possono continuare a vivere allorquando il fondo del mare s’innalza continuamente per causa di successivi insabbiamenti, ovvero pel deporvisi di strati di belletta. Per contrario essi avranno potuto bene svilupparsi e propagarsi allorquando, avendo cessato quelle deposizioni meccaniche periodiche, l’acqua riprendeva la propria limpidità e la calma. In una parola: durante il tempo che i Fuchi crescevano, l’acqua dovette restare chiara e trasparente. INTORNO AL GIACIMENTO DELLE FUCITI , ECC. 309 Le supposizioni che noi qui facciamo intorno al mare ceocenico, sono quelle stesse che ogni botanico farebbe intorno al fondo dei mari odierni. È impossibile supporre che una vegetazione di Fuchi, o in generale di Phycee prosperi in un fondo su cui si accumulino sabbie o fango. È chiaro che nati i Fuchi hanno bisogno che il suolo subacqueo che li sostiene rimanga qual’è; lo che equivale a dire: conviene che l’acqua non lasci depositarsi corpi stranieri che lo vengano elevando; occorre quindi che essa non sia intorbidata, ma bensì pura e limpida. L'acqua è pei Fuchi ciò ehe l’atmosfera è per le piante terrestri. Se i venti portano un carico di sabbia sulla vegetazione erbacea, questa rimane oppressa e sepolta: ma essa vive e prospera per quanto è a contatto e nuota, per così dire, nell’aria libera e pura. Una deposizione al fondo del mare di calcare puro, dimostra pa- rimente alla sua volta che le acque già erano spoglie di sabbia e di argilla, vale a dire, che l’acqua era pura d'ogni elemento mecca- nico. Ebbene, egli è allora che i Fuchi nacquero e si svilupparono in un’ acqua limpida e tranquilla. È un periodo di sospensione d’ogni sorta di deposizione per quanto dura la vita dei Fuchi. In progresso poi per cause, che qui non cerco, la deposizione del calcare sopra- viene in seno di un mare sempre puro e limpido. Allora la piccola vegetazione rimasta inviluppata entro quel deposito cessa di propa- garsi e di vivere. Îl depositarsi poi del calcare va a continuare uni- formemente sintantochè sopraggiunge una nuova introduzione di ele- menti meccanici. Infatti basta considerare un banco di quaranta o cinquanta centimetri di calcare: veruna variazione è nella sua pasta; niuna intromissione localizzata di materie straniere lascia supporre alcuna variazione nel liquido. Ma i sedimenti calcari cessano, allor- quando sopraviene una variazione; e strati di altra natura subentrano allora a prodursi. i Se queste considerazioni sono bene fondate si può sin d’ora ar- gomentare che i Fuchi si trovano impiantati sulla superficie dell’ ul- limo strato di natura meccanica o mista, che si era formato al fondo del mare, che essi espansero la loro fronda nell'acqua pura e tran- quilla, e che restarono imprigionati entro alla pasta calcare che pre- 340 G. G. BIANCONM, cipitò loro sopra per la spessezza di 10, 20 a 50 centimetri, E perciò occupando essi entro lo strato da tre a quattro centimetri si trovano in quel lato dello strato che era la sua parte inferiore; e tutto il restante dello spessore dello strato calcare sarebbe privo delle im- pronte di Fucoidi. La pasta infatti dello strato sia esso calcare o marna, è la più omogenea, la più uniforme e la più spoglia d'ogni corpo estraneo che dire si possa. . Se per tali riflessioni può argomentarsi che le Fucoidi giacciano raccolte alla parte inferiore di ciascuno strato, io credo poi che un ragionamento inverso non potesse egualmente sostenersi, che cioè le Fucoidi si trovino collocate presso la faccia superiore dello strato. E questa considerazione è riferibile, come si comprende, a que’ casi ne’ quali come presso di noi la formazione eocenica è profondamente sconcertata e spezzata, talchè non si abbia certezza della giacitura naturale degli strati; ma ove la si vedesse ancora assettata sulla originaria sua orizzontalità il fatto parlerebbe da sè. Dissi che non potrebbesi sostenere il contrario cioè, che le Fucoidi si trovino col- locate presso la faccia superiore dello strato. Non si saprebbe infatti spiegare , mi sembra, 1 apparizione dei Fuchi e la loro vegetazione nel mare eocenico agli ultimi momenti del deporsi degli strati calcari, allorchè essi sono prossimi al lor fine, ed allorquando va a comin- ciare un altro periodo: un periodo cioè, di turbamento, d’ insabbia- mento o di fangosità delle acque del mare. Molte delle idee qui accennate chiederebbero maggiore sviluppo affine di meglio chiarire l'origine degli strati sottomarini o talassici; ed alcune furono, in parte almeno, discusse nella Nota citata del Bull. Soc. Géol. Là vennero esposte quelle congetture alle quali conduce la considerazione dello stato attuale delle condizioni alle quali si trova soggetto il fondo dei mari, sotto la doppia influenza e del tributo che al mare proviene di materiali meccanici addottivi dalle correnti che lavarono la terra emersa, e del vario stato di tranquillità e di condizione chimica delle proprie acque. Qui tuttavia a migliore intelligenza dell’argomento richiamerò quanto segue: V’ hanno tre fatti sui quali non può probabilmente cadere alcun dubbio. 1.° Uno strato sabbioso formato al fondo del mare è il pro- INTORNO AL GIACIMENTO DELLE FUCITI., ECC. DIA dotto delle sabbie arrecate al mare; 2.° uno strato di materie terrose o argillose è il deposito del limo arrecato al mare; 3.° gli strati che compongono la serie eocenica sono di tre sorta: quelli di origine detritica; quelli di origine chimica (calcari); e quelli di origine mista (macigni e marne). Esaminando i rapporti che passano fra’ vari strati nel loro ordine relativo di giacitura si vede che fra due strati di calcare (posti in generale a più o meno di distanza fra loro) s’interpongono altri di marne, di macigno e terrosi in vario numero. La struttura di questi è assai varia: alcuni sono grumosi o sciolti, poveri cioè di cemento, altri più o meno solidi, legati cioè da un cemento. Ristringen- domi agli ultimi risultati delia osservazione è manifesta in questi strati una varia maniera di aggregazione: imperocchè mentre alcuni sono a sottilissimi depositi piani ed uguali come fogli di carta, altri invece sono a piccole masse e grumosi. E quanto i primi mostrano un depositarsi lento, ordinato e tranquillo, tanto gli altri lo dimo- strano più o meno subitaneo e tumultuario, Ciò poi che merita spe- ciale attenzione si è, che una distinzione o taglio netto separa la de- posizione tranquilla da quella che sopraviene tumultuaria. Il più di sovente quest'ordine di successiva stratificazione va a por termine in uno strato calcare. È allora che si presenta la vege- tazione dei Fuchi. Questi piccoli vegetabili si sviluppano su quegli strati che offrono al maximum i caratteri di tranquillità dell’acqua; come il calcare che li involge attesta la purezza dell’acqua medesima. Nella profondità dei mari due cause lavorano allo formarsi dei se- dimenti ; l'una meccanica, l’altra chimica. Entrambe agiscono o se- paratamente, od insieme unite. Gli effetti meccanici sono il trasporto al mare dei detriti tolti alle coste, «ed alla superficie emersa della terra: il trasporto per le correnti sottomarine; e in ultimo la depo- sizione loro per la gravità loro propria. Gli effetti chimici sono lo stato di soluzione del calcare nelle acque marine, la cementazione che esso fa delle materie detritiche, e la precipitazione sua allo stato di calcare compatto. La storia dell’origine degli strati sedimentari marini non può es- sere trattata qui per esteso: mi limiterò dunque a toccare della se- 342 G. G. BIANCONI, dimentazione -del calcare, perchè troppo connessa colla questione principale relativa al giacimento delle Fucoidi. Pochissima quantità di carbonato calcare suol figurare nelle ana- lisi delle acque marine. lo potrei bene dispensarmi dal cercare se in qualche parte di quelle acque e sotto certe condizioni vi abbia, 0 nò, della sostanza calcare. Anche senza questo io comprendo perfetta- mente che. quelle acque ne contengono. Perocchè bisogna pur con- «venire che vi era della calce nelle acque dell’epoca eocenica, della cretacea, della giurese, ecc. quando formaronsi quegli strati calcari; ve n'ha oggigiorno come in ogni tempo, perchè gli animali marini a guscio calcare ed a polipai ne traggono continuamente per le loro costruzioni. Aggiungiamo che ve ne è stata ancora ogni volta che si è formato un macigno, od una marna calcare, perocchè è la calce che costituisce il cemento di quelle rocce. Se dunque ve n° ha, in quale stato si trova essa? Nella oscurità che ancora regna su questo punto sia permessa qualche congettura. La superficie emersa della terra dà la sua contribuzione di calce al mare. È una contribuzione giornaliera e costante che essa vi som- ministra coi propri detritus. È quella calce che strappata alle coste, o alla terra lavata dalle pioggie va a gettarsi nell'Oceano. Se si con- sidera la parte che il calcare tiene nella costituzione delle rocce emerse si comprende che una gran parte dei materiali detritici che vengono addotti al mare giornalmente , è costituita dalla calce. La poca resistenza che essa oppone alla triturazione operata dal rotola- mento dei blocchi, e dei ciottoli trascinati dalle acque per le. pen- dici dei continenti permette che sia ridotto ben tosto allo stato di arena e di polvere. E nel mentre che il quarzo resiste e conserva la sua grana di sabbia, la calce si stritola e si polverizza. Arrivata al mare essa si abbandona all’onda marina ordinariamente in molecole tenuissime. Queste molecole sono tuttavia piccoli corpi sospesi mec- canicamente nell’ acqua,i quali dovrebbero, quandochesia, depositarsi al fondo insieme cogli altri sedimenti dettritici. Ma una volta entrata in mare la calce sembra per certo. modo che venga a scomparire. Precipitano al fondo pel loro peso le ‘arene INTORNO AL GIAGIMENTO DELLE FUCITI ,) ECC. 345 quarzose ed il limo argilloso; ma Ja calce sembra essere in gran parte trattenuta indietro e decomposta. Ricomparisce poi più tardi allorquando precipita a formare quegli strati appunto di calcare com- patto di quaranta a cinquanta centimetri di spessore, scevri da altre materie detritiche. Sembra adunque che il mare eseguisca una spe- cie di vagliatura, una separazione cioè dei vari elementi, Esso depone prima li detriti arenacei e fangosi; e più tardi la calce. È una di- ‘slinzione marcatissima che si vede rappresentata nei tagli della for- mazione eocenica. Alcune esperienze riferite nel Zullettino della Societa geologica (1. c.) dimostrano che il mare può effettivamente operare una sepa- razione rimarchevole dei materiali detritici che esso riceve, Le so- stanze ridotte ad uno stato di molecole assai fine, soggiornano pro- babilmente lungo tempo sospese nelle acque. La densità propria dell’acqua del mare può verosimilmente sostenere per gran tratto una nube delle molecole più fine in una specie di equilibrio perma- nente. Queste molecole possono formare una vasta zona sottomarina , una specie di atmosfera nebulosa a distanza dal fondo, mentrechè l’acqua che si trova fra questa zona ed il fondo può ancora godere di una limpidità, e permettere la vegetazione dei /ucus. Le sostanze che più verosimilmente restano sospese per equi- labrio permanente sono la calce pulverulenta e l'argilla. E queste sono gli elementi dei calcari puri, dei calcari marnosi e delle marne calcari; vale a dire, le tre rocce compatte delle stratificazioni eoceniche. Le osservazioni del signor Bischoff provano che l'acqua del mare ad una data profondità contiene più gaz acido carbonico che l’acqua | delle superficie. Per le cose or dette una grande parte della calce tradotta dai fiumi: al mare non va al fondo. Essa per la sua tenuità è trattenuta in sospensione prolungata nelle acque più o meno pro- fonde, Là essa si trova in presenza dell’acido carbonico: e può per conseguenza esser disciolta passando allo stato di bicarbonato. Que- sto fenomeno avviene probabilmente sotto l'influenza di un altro agente, vale a dire, la pressione pelagica. Noi abbiamo adunque tre condizioni proprie alla formazione ed alla conservazione del bicarbo- SÎ4 «6. C. BIANCOM, nato di calce. Voglio dire la calce pulverulenta in sospensione, un eccesso di acido carbonico ce la pressione. Il passaggio qui supposto della calce dallo stato solido a quello di soluzione e di bicarbonato si compirebbe nella zona subacquea nella quale si ha l'equilibrio permanente delle particelle minime della calce stessa. Compita che sia la soluzione non si conosce ancora, che io sappia, quanto tempo essa possa persistere, nè per quali eause essa vada a cessare, per far luogo alla precipitazione del sedimento calcare. Da quanto però si osserva avvenire sulla superficie emersa della terra potrebbe credersi che lo stato di soluzione perdurasse tanto quanto dura la pressione. — La precipitazione del calcare sarebbe allora motivata da un cangiamento nello stato di pressione che regna al fondo del mare. — i Non mi diffonderò qui a cercare quali cause possano produrre un disequilibrio di questa pressione. Ma qualunque essa si fosse che va- lesse a rompere l'uniformità di pressione di 200 e più atmosfere dominante verosimilmente nelle profondità, essa porterebbe delle variazioni che potrebbero forse determinare il precipitarsi del cal- care medesimo al fondo del mare. Tale precipitazione poi avverrebbe in forma di deposito lamellare o niviforme; ed a così supporre siamo autorizzati dalle cognizioni, benchè ‘ancora scarse pur troppo, che abbiamo intorno ai sedimenti odierni di alto mare, tratti alla luce dallo scandaglio di Brooke, i-quali ont la pureté de la neige que vient de tomber Maury, pag. 367); ed a quelli pure tratti dal Daymann e dal Berryman. In seguito delle loro esplorazioni questi due autori dicono: du calcaire presque pur, ayant l’apparence de la craie se dépose encore maintenant sur de vastes étendues dans le fond de l’Ocean atlantique. Altrove i saggi edotti dal mare sono gremiti di avanzi di animalculi marini; ma i calcari eocenici nostri sono della prima categoria, perchè non hanno offerto sinora alla ispezione verun corpo organico. Si noti qui qual corollario, che non si saprebbe supporre che un calcare avente un’aggregazione molecolare, ed una purezza quale è propria del calcare cocenico sia il prodotto di un sedimento detritico. INTORNO AL GIACIMENTO DELLE FUCITI, ECC. 365 ‘ « Tutto conduce a pensare che essa è veramente una precipitazione chimica. » Omettendo parecchie altre riflessioni già altrove esposte, relative all’origine del calcare in rapporto colla vita delle Fucili, due ne re- stano a toccare di volo. La pasta che compone quegli strati fucitiferi è notevolissima come si è detto per la sua omogeneità in ogni senso. Egualmente puro, 0 un poco, ma uniformemente argillifero in tutti i suoi punti, questo calcare è ovunque egualmente compatto. Giammai vi ba alcun indizio di intrusione di altri elementi, giammai la più piccola differenza da un punto all’altro. Questa singolare omogeneità della pasta calcare, della quale abbiamo più volte toccato, ristringe il campo delle ipo- tesi sulla sua origine. Essa importa una conseguenza già notata su- periormente, ma sulla quale è opportuno tornare di nuovo. /Vulla era nell'acqua, durante il periodo della deposizione del calcare, fuorchè la calce; nulla di sabbia , nulla di belletta. E tale stato di purezza dell’acqua marina doveva essere in un determinato rapporto colla potenza degli strati medesimi, i quali, come si è detto, variano da dieci a cinquanta centimetri. « Un periodo di acqua pura è dunque rappresentato da ciascuno strato di calcare compatto. » L'altra osservazione si è che nella serie di strati della formazione eocenica si vede dominare un carattere generale, cioè la stratificazione portata al più alto grado, e sino alla fissilità. Una sola eccezione vi ha, ed è la negazione assoluta di tale struttura nei calcari, siano essi puri o marnosi. Tutto qui è compatto: e la frattura offre quelle facce concoidi sommamente caratteristiche che sono proprie di una pasta ovunque omogenea ed uniforme. Giammai vi è indizio di stratificazione nell'interno della pasta calcare qualunque sia lo spessore dello strato. Dal che può concludersi che se uno strato, per esempio, di cin- quanta centimetri fosse stato formato al fondo del mare mediante deposizioni reiterate, le separazioni o la distinzione delle deposizioni apparirebbero necessariamente. Per contrario queste considerazioni conducono a credere che la precipitazione del calcare sia stata subi- tanea, o almeno compita in un assai breve lasso di tempo. 3Ì$0 G. G. BIANCONI j INTORNO AL GIACIMENTO DELLE FUCITI , ECC. Allora spiegansi agevolmente le tre qualità più salienti della pasta calcare cioè, la omogeneità, la purezza e la frattura concoidale. Raccogliendo or qui le poche cose toccate in questa nota, richia- miamo alla memoria che le Fucoidi si trovano impastate entro allo strato calcare presso una delle sue facce di stratificazione. Que? ve- getabili, i Fuchi, non vissero entro lo strato calcare medesimo. Essi vissero prima: perocchè quando sopravenne la sedimentazione cal- care che li avvolse, essi eran già sviluppati e forse adulti. Essi hanno vissuto dunque sulla faccia dello strato immediatamente inferiore al calcare. Là i Fuchi sono nati, là sono cresciuti; ed egli è patente che durante il tempo pel quale continuarono quelle funzioni vitali non si formava verun sedimento nè di sabbia, nè di calcare, ecc. Qualsiasi precipitazione avrebbe sepolta quella piccola vegetazione. Infatti il primo deposito che è sopraggiunto l’ ha impastata entro di sè. L'acqua debbe restare chiara e trasparente durante tutta la vita dei Fuchi, nel mentre stesso che la calce allo stato di bicarbonato o altro, era disciolta nell'acqua stessa. Egli è un periodo più o meno prolungato, nel quale avevan luogo due fenomeni: 4.° la vegetazione dei Fuchi; 2.° l’accumulazione della calce in istato di soluzione. Pe- riodo di tranquillità del mare e di purezza delle sue acque; il quale cessava allorquando una causa qualunque veniva a produrre la pre- cipitazione del calcare ed il seppellimento dei Fuchi. Seduta del 28 luglio 1867. Il vice-segretario Marinoni è incaricato della redazione del processo verbale. È presentata la seconda parte delle Note Critiche del signor Federico Delpino sull'opera di Hildebrand: La distribuzione dei sessi nelle ‘piante, ecc., ecc. che sarà stampata negli Att. In seguito il presidente Cornalia presenta il manoscritto del socio prof. Ottavio Ferrero: Brevi cenni sulle raccolte locali ad uso dei Gabinetti e Scuola industriale e pro- fessionale della Provincia di Bergamo, inviate all’E- sposizione di Parigî del 1867. — Questa importante re- lazione statistica dei prodotti inorganici naturali della provincia di Bergamo, riesce sommamente importante, ed interessa sia il naturalista che il chimico, inquantochè, la squisitezza delle analisi vi è abbondantemente usata a testimoniare i componenti delle terre, delle acque, ecc. Questo lavoro di più è particolarmente interessante, in- quantochè in un apposito capitolo tratta dei combustibili fossili bergamaschi di cui gli esemplari inviati all’ esposi- zione mondiale di Parigi dal sig. Ferrero, furono premiati con una menzione onorevole. — L'apprezzamento dato 318 SEDUTA DeL 28 Luctio 1867 colà a questo prodotto nostrale, è un titolo all'importanza di questo lavoro, che è una raccolta dei risultati di ana- lisi chimiche fatte sui saggi inviati all'esposizione, ad illustrazione di una provincia d’Italia. Questa lavoro sarà stampato negli At. Per ultimo viene presentata una memoria dei signori prof. Santo Garovaglio e prof. Giuseppe Gibelli intito- lata: De quibusdam Lichenum Angiocarpeorum Generi bus a Systematicis nuper proposttis corredata da due tavole. — A questo lavoro che sarà pubblicato nelle Me- morie, venne assegnato il n.° 3 del III volume. Finita la presentazione delle memorie, il presidente an- nuncia come in base alle decisioni prese nella seduta del 30 giugno p. p. relativamente alla Riunione straordinaria ed al suo Presidente, sia stato scritto in proposito al Mu- nicipio di Vicenza nei seguenti termini per annunciargli come la Società avesse, in sostituzione del comm. Pasini eletto a suo presidente il cav. Paolo Lioy: « All’Onorevole Giunta Municipale di Vicenza. » La Presidenza della Società Zialiana di Scienze Naturali, visto che il comm. Lodovico Pasini persistette, nonostante le continue preghiere a lui fatte, nel rifiutare l’incarico di Presidente della Riunione straordinaria da tenersi in Vicenza, al qual incarico lo avevano chiamato i suoi concitta- dini per mezzo della loro onorevole rappresentanza, e lo avevano accla- mato i suoi colleghi naturalisti, che in lui ammiravano le doti di uno fra i più distinti scienziati, fu costretta a rivolgere le sue viste sopra altra persona. » Nè andò guari che nel grembo di questa illustre cittadinanza vicen- tina, trovò un altro chiarissimo naturalista, degno di succedere al nome di Lodovico Pasini. La Società nella sua seduta del 30 giugno , dietro mozione della Presidenza ordinaria, ha acclamato ad unanimità di voti a proprio presidente straordinario per la riunione a Vicenza, il cavaliere Paolo Lioy. sebuTA DEL 28 Lucio 1867 3519 » Ben fortunata la Società di aver fra suoi socì un così distinto natu - ralista, c di potersi radunare sotto la sua presidenza in mezzo ai simpa- tici cittadini di Vicenza, gode di poterne trasmettere ufficiale avviso a codesto onorevole Municipio, acché sia interprete dei voti dei soci tutti per questi chiari e illustri cittadini della forte Vicenza. » La riunione straordinaria fu decisa per i giorni 9, 10, 411 e 42 del prossimo venturo settembre. » La presidenza ordinaria chiamasi altamente fortunata di potersi ras- segnare colla massima considerazione »» Il Presidente » CORNALIA » Il Segretario 33 STOPPANI. » Al che il municipio di Vicenza rispose accettando la nomina del cav. Paolo Lioy, approvando l'epoca stabilita per la Riunione, e facendo voti perchè le condizioni sani- tarie del paese non abbiano a disturbarla. In seguito a siffatta comunicazione venne quindi dira- mata ai soci effettivi e corrispondenti, alle Accademie e Società scientifiche d’Italia ed ai più distinti naturalisti Italiani e stranieri la seguente circolare: « Onorevole Signore » Ho l'onore di invitarla alla Riunione straordinaria della Società Ita- liana di Scienze Naturali che avrà luogo in Vicenza i giorni 9, 40, 41 ec 42 del prossimo settembre. Ella vorrà compiacersi di farmi giungere ‘ prima del 10 agosto la sua adesione, annunziandomi in pari tempo a quale sezione intenda appartenere, e indicandomi il soggetto delle Memo- rie che vorrà comunicare alla Società. » Qualora, come spero, V. S. aderisca all'invito, la vigilia della riu- nione, troverà al Palazzo Municipale di Vicenza un incaricato della Pre- sidenza che Ie consegnerà il programma delle sedute e delle escursioni, 320 sepuTtA DEL 28 LucLIio 1867 nonchè il biglietto d’ alloggio gratuito che questo Municipio mette a di- sposizione degli invitati. » Vicenza, 10 luglio 1867. » Il Presidente della Riunione straordinaria « PaoLo Liovr. » ‘Essendo pervenuto alla Società l’invito al Congresso internazionale di Statistica anche dalla Commissione reale, la Presidenza incaricò i soci Galanti, Albanelli e T'argioni- Tozzetti di rappresentare la Società a quel congresso che avrà luogo a Firenze il 29 settembre p. v. Infine il Presidente annuncia la morte del socio Mol- teni ing. Riccardo, reggente la R. fabbrica dei Tabacchi in Lecce (Terra d’Otranto), e non essendovi altro a trat- tare è letto ed approvato il processo verbale della seduta antecedente, ed è nominato socio effettivo il signor Pozzi dott. Giuseppe di Milano, proposto dai soci Bol- lini, Cornalia e Carlo Hermes-Visconti. Per ultimo viene deciso che non si terrà la seduta or- dinaria d'agosto. Il Vice-Segretario C. MARINONI. ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO BREVI CENNI SULLE RACCOLTE LOCALI AD USO DEI GABINETTI E SCUOLA INBUSTRIALE E PROFESSIONALE DELLA PROVINCIA (1). All ilbustr. signor Presidente della Società di scienze naturali di Milano. Sollecitati dalle autorità governative e focali, non che dalle scola- stiche, abbiamo divisato di far concorrere anche il nostro Istituto alla pubblica mostra mondiale di Parigi. Attesa però la brevità del tempo concesso e il breve periodo scorso da che l’Istituto è impiantato, le cose da noi raccolte ed esposte non potranno avere gran merito in una esposizione così importante. Riferendosi però alla natura degli oggetti, al carattere speciale della località ove furono raccolti, e più specialmente all’ obbiettivo di tali raccolte, crediamo possano essere sotto questo rapporto di qualche utilità, se non fosse altro sotto quello degli studi geognostici provinciali, e del valore dei materiali che la natura somministra all’ industria. Animati noi sottoscritti dal desiderio di localizzare possibilmente i nostri studi, intrapresimo sino dal 1863 lo studio e la raccolta delle (4) I materiali componenti Je suddette raccolte furono inviati all’ Esposizione di Parigi onde concorrere in base alle avute sollecitazioni a far conoscere l avviamento dato a quella parte di studi tecnici, che ha rapporti coi prodotti naturali e industriali della Provincia. Vol. X 21 322 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO roccie e dei fossili nella Provincia. Mancheressimo a noi stessi se nella prima circostanza in cui si espongono i saggi citati a Parigi, non inviassimo alla Società di scienze naturali di Milano, alla quale abbiamo l'onore di essere ascritti, un catalogo degli oggetti esposti con alcuni brevi cenni intorno ai medesimi. L'Istituto tecnico indu- striale di Bergamo d’altronde non potrebbe trovare un'istituzione più adatta della citata Società a cui comunicare i propri lavori, appunto perchè per essere i propri studi in massima rivolti ai materiali della Provincia, hanno quasi una attinenza cogli altri che nelle diverse lo- calità lombarde dai diversi suoi dotti e solerti membri si compirono, sia per l'avanzamento della scienza, che per il benefico incremento delle industrie nazionali. Attesa poi l’ indole dell'Istituto, il carattere e lo scopo a cui de- vono tendere i propri insegnamenti; nelle raccolte esposte si è vo- luto far conoscere con quale indirizzo e metodo si dia opera agli studi sui materiali della Provincia e come i gabinetti degli Istituti tecnici possano rendersi giovevoli all’avanzamento dell’agricoltura, delle arti e delle industrie. Negli oggetti inviati all'Esposizione, l’Istituto di Bergamo ha com- preso due generi di raccolte, una geologica e stratigrafica, Ia quale figurerà nella classe 40; l’altra econmomico-industriale che figurerà nelle classi 89 e 90 (1). Il Preside cav. prof. L. Orravio Ferrero Prof. dott. Antonio Varisco. Nello sviluppo materiale della Nazione pochi sono i rami di scienza i quali abbiano a portare un sì grande giovamento al progresso in- dustriale e civile, all'igiene, alle arti, all’agricoltura ed all'economia industriale in generale, quanto gli studi chimici e naturali. Una la- cuna però, al cui riempimento dovrebbero convergere maggior nu- mero di sforzi, rimane tuttora aperta ed è quella dell’investigazione sulle nostre materie prime. (1) All’Esposizione e nel catalogo ufficiale la collezione geologica fu ascritta alla classe 12; quella industriale alla classe 40, ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 325 improntata come*è attualmente la scienza chimica sulle basi degli studi fatti sopra materiali esteri, non può la sua applicazione corri- spondere alla nostra industriale economia in quella misura che il progresso richiede; i prodotti di prima produzione esteri quantunque congeneri ai nostri, i dati generici o speciali desunti dall’ esame 0 studio naturale delle specie, mentre possono servire di base ai nostri studi, non sempre presentano convenienza a identiche applicazioni cui volessimo tentare con materiali nazionali. A convincere di questa verità non occorrono molti esempi, i fatti sono abbastanza eloquenti per dimostrarla; mentre la scienza chimica, teorica e positiva non ha d’uopo d’incorrere in distinzioni tanto sot- tili per applicare i propri principii, e la sua dottrina volgarizzata nelle diverse lingue conviene all’universalità dei popoli; la pratica applicazione va inconiro a discrepanze e ad inconvenienti nella scelta delle specie naturali, alle cui influenze sempre falliscono i risultati pratici, qualora non si tenga conto di un'infinità di caratteri sotlilis- simi, inerenti alla specie o alla varietà naturale. La chimica applicata ha una missione molto importante a compiere rispetto allo sviluppo industriale e professionale locale. Il clima, le acque, il suolo, i materiali da questo prodotti, quelli lavorati dall’ in- dustria, hanno nei caratteri locali linee di rapporto immensamente apprezzabili e di una grandissima influenza. La medicina e l’agraria, rami di scibile i più antichi fra di noi, l'hanno evidentemente dimostrato e lo vanno dimostrando tuttora: se la dottrina è per esse un mezzo di direzione applicabile all'universo, il luogo è altresì per esse la base della pratica. Nè 1’ una nè l’ altra di queste due sorgenti di bene fisico e materiale, potrebbero appli- carsi senza conoscenze speciali di luogo, di circostanze e di soggetto, Or bene, mentre la statistica, dizionario degli studi e delle osser- vazioni, aggiunge ogni giorno ne’ propri elenchi alla serie di dati e di fatti conosciuti, nuove identità ma non affatto simili, e da queste ne deduce le progressive differenze; mentre le esposizioni dei pro- dotti dell’opera della umana attività, tanto internazionali quanto na- zionali, distrettuali o provinciali, ci presentano gruppi di produzioni me quali spiccano bensi molti oggetti appartenenti a categorie spe- 324 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO ciali ma aventi in complesso caratteri, proprietà, e valori tanto diver- si, da eccitare per ciascuno un’ apprezzazione tutt’ affatto particolare, il genere, la specie scompaiono per dar luogo alla varietà speciale, | alla varietà locale: E perchè questo? Perchè ogni materia prima ha, per così dire, attitudini speciali ai differenti usi ed applicazioni pra- tiche. Perchè mon dovremo investigare le origini nell’ ordine il più sem- plice dei fatti? nella natura fisica costituente della materia ? nel suo stato di aggregazione naturale e di relazione? di chimica disposi- zione? Ritengo clie questo sia il vero obbiettivo a cui in massima deve tendere l'indagine di questa scienza, prima ancora di applicare, studiare le materie locali. di Di questa verità io mi son persuaso ogni qual volta all’ annunzio di un trovato o nuova applicazione tentai sperimentare. In simili casi ho verificato, che se l'esperimento non era coronato da corrispon- dente risultato, questa mancanza era sempre da attribuirsi, non già al procedimento sintetico, ma all’imperfetta conoscenza delle materie o delle circostanze messe in gioco. Le analogie soddisfano ai sensi, ma non sempre alle circostanze. L'agricoltura pratica nella quale più facilmente si tentano innova- zioni ai sistemi, è la prima maestra di disinganni e di ammaestra- menti; questo vastissimo teima per la scienza chimica applicata, mette in chiara evidenza l’importanza dell’analisi chimica. a chi vuole ra- zionalmente applicare con efficacia di risultati, reazioni o reagenti sovra il terreno. Quasi tutte le operazioni meccaniche fatte al suolo per la coltura, gli emendamenti, le irrigazioni, Ie comunicazioni, trovano conveniente direzione nell’ analisi e nei saggi chimici: lascio in disparte la rota- zione agraria, al cui ordinamento ha tanta importanza la conoscenza dell’ intima costituzione dei vegetali, le loro fasi vitali, Ja matura dei prodotti, quelle del suolo e delle vicende a cui è soggetta pendente il periodo della rotazione. Se di tanto sussidio è lo studio applicato della chimica all’ agri- coltura, ramo d’industria nel quale l’uomo non compie rispettiva- mente che una parte affatto parziale dell’opera, per essere quella più. ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 525 importante affidata all’ organismo a alla natura vivente delle piante; quale non ha ad essere l'efficacia e l'utilità di questo studio sull’uni- versalità dei materiali, i quali concorrono a nutrire l’uomo e gli animali, a vestire, a costruire, ad ornare, a far.tulto quello che ha nome arte o industria! La chimica nel nuovo progressivo ordinamento tecnico degli studi, avrà essa ad essere un semplice insegnamento filosofico 0 spettacoloso sulla origine, composizione, rivoluzione e trasformazione della forma. materiale delle cose, o non piuttosto un indice esatto per dirigere operazioni pratiche? | À che giovano nel campo utilitario le istituzioni tecniche, se i loro insegnamenti si limitano all’ esposizione arida delle scienze, al pro- gresso delle medesime, se non ricevono un’applicazione possibilmente, adatta ai bisogni locali, alle materie prime, al coefficiente di conve- nienza nelle applicazioni locali? Ì risultati che nell'interesse dell’insegnamento tecnico si ottengono in una data località, quando non si applichi alle materie e al luogo, si possono paragonare a quelli che un artista può ottenere, quando per disegnarvi un quadro vi faccia concorrere tutto il proprio genio, le facoltà di una fervida immaginazione, uno squisito uso di sensi, ma che operi nelle tenebre. Persuaso di questa verità, ma anzitutto del gran vantaggio che il progresso, ed il miglioramento economico e materiale ne verrebbero a conseguire, fin dal 1857 proponevo in un congresso agrario a Vo- ghera, il concorso della chimica applicata: suggeriva in allora che. ogni insegnante di chimica fosse obbligato a dare annualmente almeno dieci saggi locali, sopra materie d'interesse agricolo, industriale, 0 dell’ igiene, e riferire sovra questi saggi al Governo. Certamente che în pochi anni si sarebbero potuti registrare in una generale statistica ì dati più importanti per ulteriori studi ed applicazioni locali. Questa idea rimasta inattuata allora, avrebbe adesso. mezzo facile. d’attuazione e con più probabilità di successo, dacchè in ogni capo- luogo di provincia, quasi, s’istituirono cattedre di chimica. Sulle basi di questo principio nel periodo di brevi anni, scomparirebbero le anomalie di trattati e di lezioni dettate, nelle quali il discorso sulla 526 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO materia, obbliga il lettore, il professore o 1’ alunno a trasportarsi fuori di patria per osservare la forma, la struttura, la composizione delle materie che spesso ha fra i piedi o a pochi passi di distanza, e vi giacciono incomprese. Che la sistemazione normale delle nostre industrie ci obblighi a ricorrere presso gli stranieri, onde spingere l’ avanzamento. delle medesime al livello più alto che essi tengono, è verità, ma egli non È men vero che quanto alle materie prime, il seguire una stessa base, uno stesso sistema, sarebbe fallacia, sarebbe ingratitudine e verso il suolo e verso la natura. L'Italia ha troppa luce nel suo cielo, perchè non abbia a trovare nella sua natura vivente e in quella spenta e conservata nelle viscere del suo suolo, quanto le occorre ai propri bisogni economici e indu- striali: non invano anche per lei avranno lavorato i secoli che furono. Nell’ interesse dell'economia nazionale, urge che 1’ estrazione e la coltivazione delle materie prime, la loro lavorazione e le applicazioni industriali, abbiano ad occupare le numerose braccia o ? intelligente operosità delle proprie popolazioni. Sulle basi degli studi e dell’indole industriale estera, noi potremo rapidamente trasformare l’attività nostra sociale, se applicheremo lo studio al materiale delle cose nostre. . La materia e il campo dell’ attività universale, si direbbe che la ricchezza delle nazioni stia in ragione diretta dell’estensione del pos- sesso materiale delle cose: ma nel fatto sta ; che la vera ricchezza è la somma delle conoscenze acquistate sulle cose. Seguendo questi principii, ho avviato alcuni studi con tale indi- rizzo. Alcuni ebbero un obbiettivo particolare di opportunità sempli- cemente statistica, altri di applicazione, altri di semplici indagini; detti studi essendo stati più specialmente rivolti al luogo di Bergamo e provincia, e siccome illustrativi di materiali del luogo e formanti per la massima parte la collezione esistente nell’Istituto tecnico, ho creduto far cosa utile col riunirli nel presente indice illustrativo dei materiali inviati all'Esposizione mondiale di Parigi, onde non vadano perduti e possano giovare. ISTITUTO TECNICO DI RERGAMO 327 Osservo che per la parte geografica e per le ricerche fisiche dei materiali, ebbi la cooperazione attiva del socio chiarissimo collega professore Antonio Varisco, in unione al quale compii pure una langa serie di escursioni nella Provincia, mentre egli attendeva alla forma- zione del gabinetto di storia naturale dell’Istituto. Il citato professore in unione ad altro distinto cultore di geologia e socio pure della Società di scienze naturali, il dottor Giacomo Comotti, completerà le descrizione degli oggetti inviati alla Esposi- zione di Parigi, illustrando l’ elenco dei fossili raccolti nella Pro- vincia. A. STUDJ SUE CALCARI PER LE CALCI E CEMENTI IDRAULICI. Calcari impiegati nella fabbricazione delle calci idrauliche e cementi della Provincia e luoghi vicini. Gli studi sui calcari compiuti nei quattro anni decorsi, hanno un carattere di attualità nelle nuove industrie italiane e specialmente in quelle locali; trascrivo quindi quanto serivemmo or fa due anni io e il mio rispettabilissimo collega professore Antonio Varisco in propo- sito; scritti che furono pubblicati sopra vari giornali, e da noi inviati alla Rivista Economica, — Giornale d’ Agricoltura, Industria e Com- mercio —. Allorche scrissimo tali cenni, non si aveva che incominciata una prima serie di studi, i quali furono in seguito proseguiti e tuttora proseguonsi per il bene materiale di questa industria. l dati economici relativi all'industria stessa sono ommessi, perchè ciascuna delle società stesse li avrà fatti conoscere nell’attuale Espo- sizione mondiale di Parigi; essì saranno indicati nella statistica go- vernativa regionale delle industrie minerarie “ed estrattive, dove questi hanno maggior diritto ad essere collocati, perchè formino un titolo di apprezzamento. 528 ISTITUTO TECNICO” DI BERGAMO 51 marzo 1865. Sopra una nuova industria italiana. « Ogni volta che gli uomini associano il proprio genio, ? attività ed i capitali, creano nuove industrie e nuove risorse. Due anni fa l’Italia era debitrice all’ estero di un prodotto di grande importanza economica per le costruzioni, voglio dire del cemento idraulico; que- sl'importanza, crescendo colle applicazioni, destò quel giusto allarme che rivelano le cifre, allorchè si vedono importanti capitali annuî in- viati all’ estero per una materia prima o in un primo prodotto del- l’arte industriale. » Alcuni tentativi per rinvenire calcari atti a produrre colla loro cottura dei cementi idraulici si erano già esperimentati negli anni scorsi. Gli esperimenti però non vi corrisposero pienamente. Non così successe in Lombardia, ove attualmente si utilizzano calcari per pro- durre ogni quantità di calce possa essere richiesta dalle arti e dalle costruzioni. » Se le diverse calci però meritano considerazione per gli usi a cui sono applicate, una ben maggiore e più importante ne hanno le idrauliche ed i cementi, come quelli che con un processo diretto vengono attualmente preparati e posti in commercio nelle provincie di Brescia, Como e Bergamo. i » La particolarità delle calci idrauliche e dei cementi non spic- cherebbe gran fatto ove servissero soltanto alle costruzioni comuni; ma il fatto delle applicazioni loro più sorprendenti è quello di potere col tempo sopperire in parte all'impiego dei mattoni e delle pietre da taglio. , ._» L'officina di Palazzolo, sito di una importantissima fabbricazione di calce idraulica, prepara colla.calce pietre artificiali per ogni uso, veri monoliti, adoperandovi la ghiaja comune, delle pietre spaccate e calce e acqua, pietre artificiali di una tale solidità che uno sforzo spacca a preferenza i sassi stessi che non la materia che li riunisce. » I cementi fabbricati ad Albino, a Pradalanga, a Scanzo, a Co- menduno ed in alcuni altri paesi del Bergamasco, ove si stabilirono - sa ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 329 nei due ultimi anni dei grandiosi forni continui, hanno delle parti- colarità tutt’affatto speciali, e di tale composizione che le società pro- duttrici di cemento sono in condizione di somministrare cementi di ogni gradazione per l’arte del costruitore. » La facilità di costruire oggetti di capacità, oggetti d’ornato, tubi, canali, vasi di qualunque dimensione e forma; di poter impiegare per il loro pronto consolidamento anche materiali minuti nell’impa- sto, come le sabbie e le ghiaie dei torrenti, fa sì che il cemento può essere applicato in qualunque località. Queste particolarità dei ce- menti, sono di un grande sussidio al costruttore allorchè trattasi di conseguire una rapida presa, mentre è limitato il tempo per costruire, o per essere troppo breve la scadenza degli appalti o per essere avanzata la stagione. » La convenienza di sostituire il cemento in alcune opere di co- struzione non è suggerita soltanto dalle particolarità della natura della materia, ma altresì dal prezzo di costo: a Bergamo costa L. 5,30 al quintale, a Torino L. 3, e se trattasi di quantità di riguardo, io credo che nelle provincie settentrionali d’Italia si possa quasi ovun- que ottenere il prezzo suddetto. » L'agricoltura Ja quale ha ancora tra noi tanto imperfetti i me- todi di far valere la propria economia, non tarderà ad usufruire le particolarità dei cementi. Senza pretendere di dare suggerimenti agli ingegneri costruttori, ma di farlo soltanto nell'interesse degli agri- coltori, mi proverò ad enumerare alcuni impieghi utili del cemento per la medesima. » Incominciando dalle case rurali, vi sarebbe convenienza d’im- piegare il cemento almeno sino all’altezza di un metro dal suolo onde impedire la rapida distruzione dei muri e delle intonacature per l’ a- zione dell'umidità, che i sali della calce comune determinano sempre a salire, mentre col cemento non si avrebbero più muri umidi. Anche il pavimento delle case coloniche, dove non è possibile fare delle cantine, potrebbe essere fatto con cemento. Nelle cantine poi diventa indispensabile, per aversi maggiore solidità e maggiore igiene. (3 Nella campagna, la stalla dopo la casa è il sito più importante : l’ alito del bestiame strugge qualunque intonacatura dei muri, spe- » 550 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO cialmente dove per la strettezza delle stalle, o per la necessità del - l’ingrassamento degli animali non si può stabilire sufficiente ventila- zione; col cemento mentre si conservano i muri s’impedisce anche l’infiltrazione dell'umidità esterna, causa il più delle volte di malattie assai serie nel bestiame. » Col cemento si potrà correggere un grave pregiudizio dei con- tadini, di lasciare cioè che il pavimento del giaciglio sia piuttosto un vero feltro, che non un fondo inclinato atto a ricevere i liquidi escrementizi, base fondamentale per ottenersi buoni concimi. Poco cemento e sabbia ben disposti sul fondo del giaciglio aumenterà del 25 al 30 p. @I0 la quantità utile del concime nella stalla. » Le stesse mangiatoie potranno essere fatte con cemento, special- mente presso quegli agricoltori che ingrassano con erbaggi il be- stiame, oppure quelli che già introdussero 1’ utile principio dell’ ali- mentazione del bestiame coi tuberi spappolati assieme a paglia o fieno.. Non tutte Ie località presentano le pietre da taglio a buon mercato ;‘ il legno di quercia e di abete d’altronde è troppo rinca- rito perchè possa ancora adoperarsi nelle opere ed attrezzi più co- muni dell’agricoltura. » In ogni tenuta agricola si troverà convenienza di preparare un’area dell’aia stessa ricoperta da cemento; essa sarebbe confacente per essiccarvi i tegumi, asciugare i tuberi in autunno, i cereali, mettere le uve a maturare, ecc. Recipienti per abbeverare il bestiame, cisterne, conche per filande, per vasche di giardini, conche per con- cimi, per i pozzi neri: vasi da bagno, per fare il bucato, ove si ha una piccola caldaia a vapore, sono convenientissimi fatti col cemento; vasi che in poche ore si possono costruire e sul sito stesso, econo- micamente. » Dove poi il cemento è destinato ad un grande avvenire si è nei canali d'irrigazione. Quanta non è l’acqua che si disperde per infil- trazione dei fondi e dei lati del canale? dappertutto ove il terreno è mobile, l’infiltrazione laterale si diffonde a parecchi metri con danno degli utenti; ove poi il fondo dei canali è sabbioso, come quasi ge- neralmente nelle campagne irrigue, più che canale di trasporto per LI le acque il canale è un feltro. Non parlo dei terreni ghiaiosi e di ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 331 trasporto, ove benchè l’acqua scorra con una discreta velocità, se ne perdono quantità rilevanti per l’infiltrazione. Come potrà d’ al- tronde chiamarsi canale d’ acqua quello che perde costantemente l’acqua che deve tradurre da un sito all’ altro? Se noi calcolassimo esattamente la quantità di acqua perduta per infiltrazione nei canali, io son persuaso che un quarto circa va perduta. Basterà 1’ inventa- riare in ogni comune i fondi che s'irrigano con acqua propria e quelli che s’irrigano con acque non proprie; meno male quando viene usufruita; ma il più spesso quest’ acqua cade in bassi fondi, e per vie basse si allontana dai fondi di coloro che soggiacquero a tante spese per ottenerla. Al di d’ oggi l’irrigazione è il fondamento economico più importante dell’ agricoltura settentrionale italiana ; dove non vi è irrigazione, l’ avanzamento agricolo è molto lento e quasi nullo. Le terre irrigue permettono di produrre foraggi, colti- vare ed educare bestiame, produrre latticini e tutta la sequela dei perfezionamenti attendibili in agricoltura. Per conseguire questi van- taggi è necessaria un’ applicazione calcolata ed intelligente, ed è soltanto col merito di queste che potremo bastare alle esigenze del nostro avanzamento sociale. Riserbandomi di ritornare sull’ argo- mento mi compiaccio di comunicare alcuni dati sopra i cementi ci- tati, desunti da un lavoro al quale mi dedicai in unione al mio ottimo amico e collega professore Antonio Varisco, collaboratore di questo giornale e del quale comunicheremo gli ulteriori risultati. » CENNI GEOGNOSTICI ED ANALITICI. Sopra alcuni calcari della provincia di Bergamo Che attualmente si convertono in cementi, dei prof. FERRERO e VARISCO. 2 Il comune di Scanzo è situato alle falde d’una collinetta detta la Bastia. Questa sta all’ apice d’un triangolo i cui due lati prolun- gandosi in una serie di colline si dirigono 1’ uno all’ est e l’altro al nord, e finiscono col poggiare al Costone del Gavarno, il quale è un controforte del monte Misma. H monte Misma che elevasi a metri 1400 352 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO sul livello del mare, presenta la vetta più culminante del sruppo dei monti che segnano il limite. alle parti montuose della provincia di Bergamo verso la pianura. » Questo gruppo appartiene ad un’ epoca di formazione che dai geologi è chiamata secondaria. Il Misma poi co’ suoi calcari rossi e bigi ammonitiferi, ricchi di aptici, belemniti e terebratule, e le sue falde e i suoi primi contraforti, colle argille ricche. di pentacrini e di pettini, colle arenarie di diversa grana, le più fine delle quali somministrano le pietre cotiì per l’ affilatura dei ferri da taglio, si mostrano chiaramente come appartenenti al periodo iureseoolitico. Mentre le colline che stanno a ridosso dei contraforti del Misma ac- cennano ai periodi cretacei. Fino ad ora non fu dato di scoprire fos- sili in queste ultime giaciture, offerenti solo all’ osservazione. alcune stratificazioni calcari argillose, delle marne, della creta bianca e fer- ruginosa e dei calcari litografici (1). Tutti questi materiali che potreb- bero essere utilizzati, finora non lo furono direttamente; poiché la sola creta e le marne disaggregate e scomposte dagli agenti atmosfe- rici servirono e concorrono anche in giornata, a preparare un terreno adatto alla coltivazione della vite, la quale vi alligna e prospera im- rabilmente, e produce vini molto rinomati per la forza ed il sapo» re, fra quali primeggia il moscato di Scanzo. » Non è nostro intendimento lo estenderci d’avvantaggio sulla. na- tura dei sullodati terreni, nè ricordare tutte le particolarità geologi- che; bastino i pochi cenni ora menzionati per dare un'idea generica della litologia di essi. Devesi però più specialmente fissare l’attenzione sopra un materiale già nominato, il quale sembra destinato a dar vita ad un’ industria, che oltre all’ essere profittevolissima agli intra- prenditori, sarà di lustro alla località dove ebbe impianto, ed eman- ciperà la nostra provincia e buona parte d’Italia da un tributo straniero: accennare vuolsi ai calcari argillosi. E per limitarci alla località primamente citata, e che fu base dei nostri studi, accenne- remo come la collina detta la Bastia e più particolarmente il mam- (4) Di questi calcari si è anche occupato l’Istituto d’incoraggiamento di Milano. V. il rapporto del signor comm, Curioni 22 giugno 1865, ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 56) mellone che domina il comune di Scanzo, offre all’ osservatore nei suoi fianchi, verso ovest, manifeste stratificazioni di una roccia sedi- mentaria, la cui natura essendo stata conosciuta di calcare argilloso, se ne esperimentò la calcinazione dal signor dottor Picinelli Giuseppe, in un forno continuo di saggio, da lui appositamente costrutto, e se ne ottenne della eccellente calce idraulica. Questo fatto avendo invo- gliato parecchi speculatori, si formò una società per la fabbricazione dei cementi idraulici, la quale in giornata ha di molto avvantaggiato, ed estese le sue operazioni con manifesto utile. Non è nostra inten- zione il darne i ragguagli industriali come quelli a cui solo com- pete la parte scientifica dell’ argomento; per cui diremo solo come dietro incarico esaminati ed analizzati a più riprese i calcari suddetti, questi ci fornirono dati certi della loro bontà per la fabbricazione non solo della calce idraulica nelle sue varie gradazioni, ma ancora dal primo grado di cemento idraulico fino al massimo che si conosca, seguendo però alcune norme che verranno in seguito accennate. » Per soddisfare alle esigenze scientifiche premetteremo alcune osservazioni, le quali benchè di una importanza secondaria, saranno di non lieve soccorso alla pratica ed agli interessi industriali. » L’ossatura interna della collinetta può asserirsi dell’identica na- tura che si mostra all’esterno, poichè esaminata in tutti i fianchi sco- perti, offrì dovunque gli identicigstrati calcari argillosi. » La potenza di questa roccia dal piano del suolo contiguo fino alla sommità del mammellone è di circa metri 450, 1 estensione si potrebbe rilevare alla perimeiria del mammellone, ma più verso le- vante i fianchi della collina essendo coltivati in parte a vigneto, quella ne viene limitata alle porzioni di mezzogiorno e ponente, dove la coltivazione è nulla, e ne è scarsa anche la vegetazione boschiva, Questa estensione può valutarsi di metri 300 circa. » La inclinazione degli strati quasi orizzontale, in prima si fa mano mano obliqua, fino a che gli strati raggiungono la posizione verticale, segnando così l asse di sollevamento; poscia ritorna obliqua e gli strati, passano mano mano fino alla primitiva posizione orizzontale, Lo spessore degli strati varia da tre (3) fino a cinquanta (50) centi- metri, Ma ciò che è degno di rimarco si è che la natura di questi GI dol ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO non è sempre identica; già la si può apprezzare anche ad oechio: 1.° dal diverso colore, cioè ora di un bianco sporco più o meno ca- rico, fino a rassomigliare a quello del latte e caffè, ora di un cine- riccio chiaro, ora più scuro e variato; 2.° Dalla struttura, la quale ora è compatta, ora lamellare o meglio schistoide; 3.° Dalla frattura la quale ora è granulare, ora terrosa, ora concoide; 4.° Dell’aspetto ora liscio e levigato simigliante al marmo, ora scabro e ruvido e d’apparenza petrosa. o » Da tutti questi caratteri, ai quali si può aggiungere la manife- stazione di un odore più o meno argilloso, che si risveglia negli stessi strati una volta che venga insolfata l’ alitazione sulla superficie di essi; da tutti questi caratteri fisici, dico, da uno che siasi esercitato nelle analisi dei calcari argillosi ed abbia riconosciuta la concomi- tanza e la correlazione di essi colla composizione loro, si possono con tutta certezza darivare indizii anzi dati positivi sulla valutazione della presenza dei componenti, ed approssimativamente anche della gradazione dei principii stessi. » À ciò meglio dimostrare, valga l’ esposizione dei fatti seguenti: premesso come nei diversi strati noi abbiamo tutte le gradazioni dei due componenti che servono a dare la calce ed il cemento idraulico ; cioè del carbonato di calce e dell'argilla o silicato d’allumina e che fin d’ora si possono precisare congfrazioni esprimenti la quantità d’ argilla, ossia del componente che dà un primo processo chimico ottiensi (soluzione nell’ acido cloridico di un decagramma di calcare argilloso), vale a dire dal' 15 p. 070 al 23 p. 079 dal 25 p. 070 al 35 p. 0/0, dal 35 p. 0/0 al 60 p. 070, cominciasi dall’osservare come giovandosi anche di tutti questi calcari argillosi, caleinandoli contem- poraneamente insieme, si avrebbe la media del 355 1/2 p. 070 d' ar- gilla, la presenza della quale è più che sufficiente per avere un’ ot- tima calce idraulica. » Edotto il lettore di questo fatto, e richiamata la sua attenzione sui caratteri fisici retro indicati, possiamo accertarlo come quegli strati che si offrono coi colori gialliccio sporco più o meno carico, con struttura compatta, ed a frattura concoidale a superficie levigata simigliante a marmo, si qualificano come contenenti dal 13 al 28 p. 070 Lei ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 559 d’ argilla, quindi apprezzabili per una discreta calce idraulica. Che quelli che mostrano le medesime gradazioni di colori, la struttura pure compatta e la frattura meno concoindale, e l'aspetto petroso e la superficie scabra, accennano ad una presenza d’ argilla che sta dai 28 ai 33 p. 070, quantità che si richiede per avere non solo un’ottima calce idraulica, ma anche un primo grado di cemento idraulico, se si esperiscono calcari di questa specie colle crescenti gradazioni d’argilla, ed avvicinantesi al 33 p. 070. » Che finalmente ricordando sempre i medesimi colori ma con striscie più o meno cariche, quegli strati che offrono una struttura schistosa, alquanto untosi al tatto e d'una apparenza terrosa, e teneri da permettere di essere rigati anche dall’ unghia, e che per di più coll’ alitazione (della quale si fece cenno più sopra) sviluppano ma- nifestamente ed in alto grado l’ odore specifico argilloso; possiamo dire che questi contenevano dal 33 p. 070 al 60 p. 079 d’argilla, ed assicurare che dalla calcinazione perfetta di essi, qualora cioè risulti scevra dall’intervento di materia estranea, si avrà un ottimo e vero cemento idraulico. » Venendo ora a discorrere delle operazioni analitiche, dove mag- giormente si usufruttò l’ opera nostra per la valutazione dei compo- nenti che concerrono a formare i calcari argillosi, tralasciando di esporre tutte Je prime analisi chimiche esperite sopra diversi cam- pioni che servirono a formare un primo concetto sulla natura dei strati che fu nei dati suesposti compendiato, c’ intratteremo solo so- pra quattro campioni ultimamente speditici dalla Società anonima per la fabbricazione del cemento di Scanzo. » Questi campioni rappresentano la media di tutti gli strati dei “quali si compone la giacitura, per cui dai risultati analitici che ne deriveranno se ne potrà formare un giudizio su tutta la roccia. » | saggi eseguiti sovra una quantità di strati del calcare che viene usufruito nella produzione delle calci idrauliche e dei cementi, ci persuadono che la novella industria ha davanti a sè un ricco av- venire, c sono più che sufficienti a far conoscere l'attitudine ad una regolare conversione in cementi, mediante la cottura, i dati che si 356 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO citano sopra ì quattro campioni di cui si. descrissero altresì i carat- teri (1). » Per l’importanza poi di questa industria siccome stiamo compi- lando uno studio più esteso e più particolareggiato a istigazione della già citata società di Scanzo, non appena avremo a quella comunicati i dati e le norme che ella mette a profitto onde migliorare la pro- pria industria, ne procureremo la stampa in questo stesso giornale, » Bergamo, 5 marzo 1865. (4) La scienza, particolarmente dopo gli importanti lavori di Vicat, attribuisce alla quantità di argilla che passa allo stato di combinazione colla calce, sia allo stato di alluminato che di silicato, la.pronta idraulicità dei cementi e quindi la loro attitudine ad indurirsi, specialmente allorché si opera colle dovute esigenze dell’ arte. Di questo c’ intratterremo in altro articolo. ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 597 TAVOLA dei saggi chimici sulla composizione dei caleari della Società Bergamasca per la fabbricazione del cemento e calci idrauliche, NB. I saggi sono collocati secondo l’ordine della loro ricchezza relativa in argille. — Sopra mille parti. e | 8 © dv "gd [ioni Q O gi lavi mu uu 9 Q sù = 29 le) o,8 OS = 5 | È © SR DI ° | t3) DMC > D (o) S a SS da Om o £ "SD cu = SUO ARCA sr O "RS - lo) E Sia = n 3 do S 2 ai | DO dI OA Vus = » Compressa. .» 39 ” 20 02 » di Spinone densa . .» 60 ” 12 6 vo» » ordinaria . » 61 » 30 00 La diversità del potere calorifico ottenuto dalle suddette torbe non proviene tanto da cause intrinseche quanto dalle estrinseche. Il si- stema d’escavazione, la poca cura adoperata nella separazione dei diversi strati, il cattivo sistema di essiccazione e di conservazione, la quasi mancanza di arte speciale per renderle cominerciali, for- mano il complesso caratteristico della diversità di composizione e di potere calorifico delle torbe esaminate. La torba leggiera degli strati superiori di Torbiate non presenta che un ammasso di licopodi; è leggierissima; non lascia all’incene- rimento che il 7 per °/o. La torba ordinaria di ‘Torbiate ha una struttura affatto diversa della prima, perdette coll’essiccazione a + 100 il 17 °/; lasciò all’ incenerimento il 17 °/o. La torba compressa di Torbiate perdette coll’essiccazione a + 100 il 9,50 °;; lasciò all’incenerimento il 27 °/. La torba d’Iseo comune perdette a -+ 100 il 12,50 °/;; lasciò al- l’incenerimento il 7 °/. La torba d’Iseo compressa perdette a + 100 il 9,50 %; lasciò al- l’incenerimento il 39 °o. La torba di Spinone compatta perdette a + 100 il 9 °,; lasciò all’ incenerimento il 50 °/, (4) doppio dell’accennaio, in questa torbiera si rinvengono freccie dell’età preistorica, una ne possiede il nostro Gabinetto. La torbiera d’fseo ha uwn’estensione di 350 ettari, Ja potenza della torba è di 2 a 4 metri, la quantità non inferiore a 10,000,000 di quintali. (1) La torba di Spinone si estrae da soli due anni. Occorrono scandagli per deter- minare l’estensione di tale torbiera, la quale non deve essere così ristretta come ap- pare, essendo il terreno laltistante quasi tulto coperto dai conì di dejezione dei monti circostanti, il cui avvallamento si spinse fino alle sponde stesse del lago. La superficie dli torba scoperta è di circa 6 ettari. Lo strato di torba varia fra i 30 ai 75 centim. 350 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO Da questi dali emerge chiaramente come il grado, d’ essiccazione abbia una grande importanza relativamente al valore delle torbe, ma si chiarisce altresì che le torbe state compresse senza una previa preparazione invece di aumentare di valore |’ hanno scemato , e che tale operazione ha giovato a sommare nelle medesime la quantità delle ceneri, diminuendo gradatamente il loro potere combustibile e calorifico. .A preferenza adunque di comprimere semplicemente le torbe per diminuirne il loro volume, senza previa preparazione val meglio metterle in commercio quali si estraggono, perchè la terra che viene ad essere compressa assieme, non può essere che di ostacolo ad una efficace combustione, e causa di diminuzione nel loro valore. III Ligniti. Due banchi di lignite conosconsi nella Provincia, quello di Leffe c quello di Cerete inferiore. Per l’estensione, prezzi di scavo, ecc. citerò un brano, a pag. 182, della relazione già citata. La concessione Botta produce annui quint. 31,730 del valore di L. 19,672 ”» ” Biraghi » ” ». 3,000» n.» n 18,000 È però a notarsi che attesi i metodi d’estrazione adoperati per la lignite, e perchè l'estrazione dal banco stesso deve farsi a mezzo di tagli con accette affilate; una parte notevole si tritura ed era una perdita negli anni addietro; un’altra parte notevole cioè quella su- periore o tramediante i diversi strati è alquanto più povera e fterrosa e viene quindi scartata: avvi quindi una perdita notevole nel com- bustibile estratto. La parte minuta migliore trova attualmente impiego nei forni con- tinui di calce esistenti da pochi anni nella valle Seriana, non così lo scarto che viene abbandonato assieme ai materiali di scavo che è necessario muovere per giungere a scoprire i diversi strati. Operai dei saggi sopra le due qualità di lignite, quella commer. ciale e quella di scarto, i risultati ottenuti sono i seguenti : ITSITUTO TECNICO DI BERGAMO Sb Lignite commerciale appena estratta acqua in 9/, 50, dopo 6 mesi 25 ” minuta di scarto ”» ” 50 ” 20 100 di lignite commerciale essiccata a + 100 ha sviluppato un potere caloritico eguale & — Li... a E 100 di lignite di scarto essiccata a + 100 ha sino un potere calorifico eguale a. . + SPORTS, 1 SR La torba commerciale lascia il 20 per °/ di ceneri. » » di scarto ” 26 n ” Da questi dati emerge chiaramente come possa, benchè di minor valore, adoperarsi convenientemente anche lo scarto, attesa la poca differenza di ricchezza in carbone. La concessione Biraghi opera da circa due anni l’ escavazione allo scoperto, escavazione forse più costosa, atteso il gran materiale che deve muovere, ma in realtà più produttiva, perchè può escavare tutta la materia; metodo che le permette di utilizzare gli enormi pilastri di lignite che per operare le antecedenti estrazioni col si- stema dei pozzi e delle gallerie dovette lasciare. La lignite di Leffe è intieramente consumata nella Provincia, per i generatori e macchine a vapore delle filature di seta e cotone ed al calorifero del condizionamento delle sete, ai forni a calce e in altre industrie minori. Recentemente il cav. Gregorini ne ha intrapreso l’uso nel suo generatore, sistema Siemens a Castro, ove trasforma il ferraccio in ferro ed acciaio; è sottinteso che egli ne assicura 1’ es- siccazione maggiore possibile; e in tale condizione la lignite equivale alla migliore torba lombarda. | La lignite di Cerete, da alcuni denominata torba, quantunque per molti dati fisici e geognostici abbia assai rassomiglianza ed analogia colla lignite di Leffe, fu esperimentata in questi ultimi anni a Castro dal predetto valente industriale cav. Gregorini; la prima quantità escavata varia assai di ricchezza e potere combustibile. I saggi operati diedero un potere calorifico eguale a 2761, es- siccata a # 100 dopo sei mesi di naturale essiccazione ‘perdette Y14,50 per °. Lasciò il 39 per °/o di ceneri. È possibile che la lignite che trovasi nel letto del fiume Porlezza a Cerete basso non sia che l’affioramento d'un vasto banco di lignite 3652 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO che riempirebbe gran parte della bassa valle, tra Pianico e la valle Seriana. La natura dei depositi diluviali e di trasporto che coprono il fondo della valle, la disposizione della valle stessa, le sorgenti ed i livelli diversi ne’ quali trovansi acque stagnanti, come nelle vicinanze di Clusone, fanno supporre una tale stratificazione o banco di combu- stibile. Quanto alla composizione fisica del combustibile, un esame attento sui materiali di cui si compone, delle specie naturali di legni, con- duce ad apprezzarlo come deposito lignitifero a preferenza che. tor- bifero. Sebbene la quantità di cenere abbandonata dall’ esemplare esami- nato sia alquanto negativa per le proprietà di questo materiale come combustibile; non per questo devesi inferirne per un giudizio asso- luto sulla sua natura e composizione, ma piuttosto perchè non es- sendovi escavazione attivata allorchè fu raccolta sul sito, non si potè farne opportuna scelta. L’unico punto diffatti ove compare la lignite di Cereta è il letto stesso del Porlezza, nel sito dove una diga attraversa il fiume per condurre una derivazione d'acqua ad una cartiera, e dove le acque stesse quando crescono saltando dalla diga fanno gorgo e mettono a nudo il combustibile. Questo strato o banco di combustibile avrebbe adunque il suo lab- bro sporgente sotto il letto stesso del Porlezza a 200 metri circa dalla cartiera di Cerete Basso. IV. Schisti bituminosi. Lo sviluppo imponente che assume in alcune valli bergamasche il terreno liasico ed infraliasico, le masse enormi di terreno oolitico bituminoso, la notevole presenza di petrolio entro le cavità di alcuni calcari, le numerose geodi impregnate di nero bitume che s’incon- trano in alcune dolomiti a struttura saccaroide d’ ogni varietà di co- lore dal bianco al nero antracifero spinsero ognora la mia curiosità a rintracciare se un qualche strato schistoso potesse somministrare ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 35b53 materia ad estrazione industriale di oli bituminosi o di applicarli come combustibili. Quantunque molti esami siansi fatti, sinora non risulta che fra gli esemplari raccolti ve n’abbia alcuno dotato delle accennate proprietà. Nelle località però di Brontino, Comune di Villa d’Almè, a pochi chilometri dalla città di Bergamo, v’ha uno strato di schisto della potenza di circa 33 centimetri, il quale produsse 0,714 calorie preso all’esterno e 0,724 preso all'interno, diversità che proviene dall’ es- sere la pirite che contiene più o meno ossidata e solfatizzata, e quindi esportata dall’acqua. Quantunque questo schisto alla distilla— zione somministri oli diversi e gaz illuminanti, la sua ricchezza è troppo tenue perchè possa convenire industrialmente alla distillazione, e quanto meno applicato come combustibile. Siccome però il suddetto schisto contiene delle piriti, può essere convenientemente convertito in ceneri piritose per impiegarlo come emendamento o concime nell’ agricoltura. Tavola del combustibile contenuto in alcuni schisti e calcari : Saggi eseguiti ‘col metodo di Eivot. Schisto di Brontino combustibile... .-. in % 10215 =». a Sant'Omobono, torrente Pettola ”» 2,58 se anervigo doing fini e, ’ 2,50 » fra Nembro e Selvino . . . . >» 2,35 ERANO ia 9» 2,47 ene Ani i prio. ”» 2,07 #snal.Ponte.di. Sedrina gii yi lo - 2,94 Calcare di Scanzo calcinato per cemento . v 2,90 » di Comenduno calcinato a Desen- zanovper cemento... ”» 3,50 » di Pilzone calcinato a Palazzo per CAICe 1GFAUliCa. i nni #0 ”» 3,50 (1) (1) E degna di apprezzamento una deduzione che io credo di poter trarre dal con- corso 0 meno di quantità determinata di materia organica o bituminosa' nei calcari, Vol. X 23 Sb ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO D. SAGGI DI MINERALI. Limitatissimi furono fino ad ora i saggi operati sopra minerali Jo- cali nel laboratorio dell’Istituto. Esistono d’altronde lavori interessan- tissimi pubblicati prima d’ora sui minerali di ferro della Provincia, ne- gli Atti dell’Istituto Lombardo e citati nella relazione Giordano Sul l'industria del ferro in Italia, Torino, 1864, e specialmente quelli eseguili dal Nestore dei geologi lombardi, il comm. Giulio Curioni. 1 saggi operati si riferiscono a ricerche intese a dar un valore in- dustriale a materiali tuttora negletti, per applicare i medesimi o alla metallurgia o alla produzione di prodotti chimici. ll N. 67 è una calcopirite di Valsassina, miniera di Cobbio, mi fu sporta dal signor Raimann di Bergamo. Il rame ottenuto dallo Schlik del minerale suddetto fu di 32.17 per %. Il N. 68 è una blanda proveniente da Gorno-Valseriana, Bergamo; esistono colà antiche escavazioni da tempo abbandonate. Il campione che ebbi dal dottor Giacomo Comotti di Bergamo, contiene il 43 per ‘/, di zinco metallico. ll N. 69 è una pirotina nichelifera. Proviene da Sanico-Valsassina, mi fu data da Raimann. Contiene il 2, 58 per °/, di nichelio. ll N. 70 è una pirotina nichelifera inviatami dal professore Picci di Brescia, suppongo provenga dal Tirolo; di questo minerale mi fu chiesta l’analisi elementare, la quale è la seguente: In °/ di minerale. Zolfo . . 39.47 Perrg ‘0 Da. 05 Rame . . 041.60 Nichelio . 02.60 Siltco >, "UO OO 100, 00 Trattandosi di calcari destinati a preparare calci o. cementi, non vi è dubbio che, a pari proprietà di composizione calcare, i calcari bituminosi sono i più economici per l’ industria delle calci. Il 2 e 3 per °/, di materia organica che può rendersi utile nella cottura delle calci rappresenta il 2 al 3 in meno del combustibile. occorrente. Quindi una vera economia nel combustibile, economia non indifferente nei forni con- tinui dove la produzione annua di calci è immensa, e può costituire un risparmio non indifferente, sommando assieme la quantità reale prodotta. ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 355 Il No 7A è una pirite di ferro delle miniere di Taegiolo-Valsassina; mi fu consegnata dal citato Raimann, al quale io avevo espresso il desiderio di poter trovare un filoné di pirite per l'industria chimica, la suddetta contiene 41.70 per °/ di zolfo. E. SAGGI DI TERRE ARABILI. I 15 campioni di terre, sovra i quali operai dei saggi per l’Istituto, e che figurano nella collezione inviata all'Esposizione di Parigi, non avrebbero alcuna ragione nè di figurare in tale esposizione, nè in un elenco di studi fatti sovra materiali della Provincia, allorchè l'oggetto esposto e le indicazioni date sul tenore di alcuni principii contenuti nelle medesime, dovesse avere una riferenza unica i al mate- riale esposto. Questi campioni di terre furono invece richiesti ai ‘membri del comizio agrario locale, onde sostenere coll’ appoggio dei campioni delle terre medesime una discussione sugli emendamenti e sull’ op- portunità di applicare emendamenti ai terreni. stessi. Essendo incontestabilmente provato che la cognizione chimica dei principali elementi i quali concorrono alla formazione di un terreno, è il metodo più razionale e più economico per conseguire i dati ri- chiesti onde apprezzare la relativa attitudine dei terreni; che mentre per attendere a risultati pratici ci vogliono parecchi anni di colti- vazione in un fondo e parecchie rotazioni stabilite e ‘notate ‘dili- gentemente, mentre dovrebbero arrischiarsi molti raccolti e far il calcolo anche colle anormalità delle annate rurali, onde conseguire col mezzo di esatta registrazione e conteggio l’attività di un suolo e il tornaconto di alcune coltivazioni; V analisi chimica ‘è la miglior guida economica alla pratica intelligente agricola, non ho esitato a far argomento delle pubbliche discussioni tenute dal comizio; le.terre: stesse offertimi dai membri stessi; di farne apposito studio onde con- sigliare in ragione della composizione dei terreni stessi ‘quelle addi- 566 ISTITUTO TECNICO ‘DI BERGAMO zioni e natura di materiali di cui abbisognassero, onde sopperire allò sviluppo dei prodotti che le convenienze agricole consigliano di ri- cavare dal suolo. Desiderando quindi che a questa parte di studio sia dato il solo si- gnificato dell’indirizzo pratico a cui dovrebbero attendere i nostri stu- di tecnici, per ogni loro parte di applicazione speciale e non già come uno studio a cui io volessi attendere sulla composizione generale delle terre, farò seguire il sunto della relazione stessa da me fatta al co- mizio quale fu stampata dal Comizio Agrario nella Gazzetta di Ber- gamo, nei numeri 28, 49 e 34 dell’anno 1866. Tavola delle terre esaminate e della prevalenza dei materiali in esse contenuti. N..72. Cortenuova - Conte Passi - Campo fudrigalia - suolo — calcare in °/ 7,02. La parte rimanente è costituita da tre quinti di si- lice. e due di argille. - Prevale la silice. N. 75. Cortenuova - Conte Passi - Campo fudrigalia - sotto suolo — cal- care in °/ 4,50,nel rimanente un quinto è silice e quattro quinti argilla. - Prevale l’argilla. N..74. Redona-Marenzi- Terra vergine di collina — calcare in o £ 2,40, il rimanente e quasi tutto argilla. N. 75. Cisano - Cavaliere Rosa - Terra da lavoro - calcare in °/; 7,89, nel rimanente la metà è silice, il resto argilla. N. 76. Capietaglio - Cavaliere Rosa-- Terra vergine - calcare in9/, 5, nel rimanente la metà è sabbia silicea, il resto argilla. N. 77. Cortenuova- Conte Passi - Campo pratali - suolo, calcare in °/, 3, nel residuo silice un terzo, la rimanenza è argilla, la quale prevale. | ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 35D7 N. 78. Cortenuova - Conte Passi - Campo pratali - sotto suolo — cal- care in °/, 3,50, un terzo del residuo è silice, due terzi ar- gilla Ia quale prevale. i N. 79. Cortenuova - Conte Passi - Campo galvagna - suolo - calcare in 7, nel rimanente prevale l'argilla. N. 80. Cortenuova - Conte Passi - Campo Galvagna - sotto suolo - calcare in °, 4,50, un quarto del residuo è siliceo, tre quarti argilla che vi prevale. N. 81. Zedona - Marenzi - Terra da lavoro - suolo - calcare in °/, 2,80, il rimanente è argilla. N. 82. Redona - Manenzi - Terra vergine di colline alte - calcare in “lo 3,70, il rimanente è argilla ocracea. N. 85. Telgate - Marenzi — Terra arabile N. 1 - calcare in 9), 6,50, nel residuo un terzo è sabbia silicea, due terzi argilla. N. 84. Telgate - Marenzi — Terra arabile N. 2 - calcare in: 9; 7, nel residuo un terzo è sabbia minutissima. In quasi tutte queste terre fu consigliata la. marnatura, non. solo per supplire alla deficienza di calcare in esse contenuto, ma princi- palmente per sostituire le annue consumazioni che le coltivazioni. vi sottraggono. i : Siccome poi non è il solo calcare che conviene aggiungere ai ter- reni argillosi e silicei per emendarli, ma altresì la magnesia, materia la quale assieme al calcare costituisce molta parte delle ceneri delle piante, e di cui i terreni esaminati provarono deficienza , si. cercò di far emergere come colle marnature raggiungesi il triplice scopo. di portare al campo e il calcare e la magnesia necessaria alla. continua- zione dei ricolti; più quell’ eccedenza di calcare al quale devesi in gran parte attribuire il meccanismo: fisico-chimico delle sostituzioni 358 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO le quali avvengono nella terra, mercè cui essa acquista il potere di alimentare convenientemente le piante. PROCESSO VERBALE Della Conferenza Pubblica del Consorzio Regionale Agrario di Ber- gamo tenuta il 18 febbraio 1366 nella Scuola di Chimica dell’'I- stituto Tecnico. « Il signor Presidente invita il socio signor prof, Ferrero; preside dell’ Istituto Tecnico, ad esporre quelle osservazioni sugli emenda- menti del terreno, che egli per gentile esibizione si è ‘offerto ‘dare in base a campioni di terre, che parecchi soci a tale scopo gli hanno inviato. » ll prof. Ferrero pertanto, cominciando la sua ordinata esposizione, divide gli emendamenti in naturali, artificiali e materiali negletti. » Ai naturali, dice egli, appartengono: 1°. le marne; 2.° il fango dei fossi e delle paludi o stagni; 3.° le sabbie; 4.° le acquevirri- gatorie. » Agli artificiali: 1.° le ceneri piritose o degli scisti; 2.° la calce comune; 5.° la terra abbrucciata, o debbio. » Ai materiali negletti appartengono: 1.° le ceneri lisciviate 5 :2.° le ceneri di torba; 3.° quelle di lignite; 4.° quelle di-huille:/o cok; 5.° la calce del gaz; 6.° i calcinacci; 7.° la polvere delle strade. * » Presenta poscia una serie di marne che la provincia offre in molte località, e fra queste una di Pianico, tre di Leffe, tre di Chiu- duno, due di Scanzo, una di Caprino, una di Cellana, di di Valbuona, una del Monte S. Vigilio. » Queste 14 marne, segue l'esponente, hanno caratteri diversi, proprietà e composizione molto varia. Contengono dal, 23. al: 85: per 100 di carbonati di calce e magnesia, ossia non meno'del 2 e !/a per 100 di magnesia. Devesi nelle marne tenere a calcolo anche: della ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 559 magnesia, come materiale concorrente alla costituzione delle piante e dei semi. Sonvi autori che non ne tengono un conto sufficiente ; ma l’ erroneità di tale dimenticanza è provata dall’ analisi chimica che le trova nelle loro ceneri; in quelle del frumento il 12 per 100, il 5 nelle paglie, il 10 nel segale, il 2 nella paglia secca, il 16 nella melica ed il 6 negli steli. » La magnesia contenuta nelle marne, entra facilmente fra i ma- teriali attivi del suolo, attesa la facilità ‘colla quale il solfato di calce, contenuto nel suolo o nelle acque, la rende solubile. Tale fatto può comprovarsi facendo passare acqua comune priva di magnesia, € contenente solfato di calce attraverso a terra marnata, attesochè tosto si rivela la presenza di solfato di magnesia nell’acqua, la quale in seguito diventa alta alla nutrizione. » Soggiunge il prof. Ferrero i depositi di marne vicini a Bergamo essere immensi, quindi convenire esperimentarle, nella fiducia di potere con esse immensamente migliorare le produzioni. :» Fra le marne offerte dai membri del comizio agrario, se ne no- tano due presentate dal signor Medolago e provenienti da. Valbona. La prima contiene il 3. 66 di magnesia e 38.54 per 100 di carbo- nato di calce. La seconda il 2.83 di magnesia e 54,17 per 4100 di carbonato di calce. Un’ altra offerta dal cav. Rosa, proveniente da Cellana, contiene il 82 per 100 di carbonato di calce. » Sono di qualità eccellente quelle di Tagliuno avute dal. conte Brembati, quelle dei colli di Scanzo e del monte, S.. Vigilio ,, perchè contengono oltre il 30 e più per 100 di carbonato di calce, circa il 10 per 4100 di carbonato di magnesia. » Tanto le prime che le seconde sono applicabili; devonsi però preferire quelle che, oltre alla composizione, presentano una struttura a-grano più fino, e sono più polverulente e friabili, Il colore è cosa secondaria. » Fra le marne presentate poi, giudica senza paragone. migliori quelle di Pianico e di Leffe. La natura raccolse in queste. località, occupate anticamente da laghi, delle marne aventi 1’ 80 per 100. di carbonati; più residui vegetali ed animali. Eccita quindi gli agricol- tori nostri ad esperimentarle. 1 grandi depositi citati doveano ;un 360 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO giorno dar luogo ad una grande esportazione per bonificare i terreni argillosi della pianura, e particolarmente quelli sottoposti all’ irriga- zione. » È d’avviso, che l'escavazione della lignite avrà, dopo ‘esperimenti appositi ben condotti, a trovar una concorrenza in quelle che si fa- ranno nell'intento di utilizzare quei grandi depositi di marne, che ricoprono detta lignite, e ne dimezza gli strati, e ne forma la base. <- » La marnatura nei paesi dove fu applicata ha duplicata e tripli- cata la produzione; è uno dei inigliori e più essenziali emendamenti da introdursi, particolarmente in siva località le quali possono procurarselo con facilità. » Le quantità di marne adoperate sono varie tra i 100 ai 450 et- tolitri per ogni ettare, ossia circa 10 quintali ogni pertica. Questo emendamento può rinnovarsi ogni tre o cinque anni a seconda dei terreni. » Per ben applicare e conoscere la convenienza di tale applica- zione, il prof. Ferrero produce circa 15 campioni di terre inviate preventivamente ed analizzate; fra le quali due dal cav. Rosa, sei dal conte Passi, due dal signor Marenzi, due dal signor ingegnere Monzini di Redona. Ad eccezione di due campioni, in tutti gli altri vi è assoluta deficienza di rapporto fra le diverse materie’ che li compongono. Predomina in alcuni 1° argilla, in altri la silice e 1 ar- gilla, ma vi è mancanza assoluta di sali magnesiaci e calcari. In tutte queste terre la quantità della calce e della magnesia non giunge al 8 per 100; in una metà circa resta al disotto. » Dopo di che l’esponente definisce la teoria dell’applicazione delle marne e la convenienza assoluta per tutti i terreni argillosi, e argillo- silicei. » Conchiude in seguito alle marne, che i saggi eseguiti non lo furono che al solo scopo di suggerire -gli emendamenti ovvii; aver quindi trascurato i maggiori studi di dettaglio sugli altri materiali componenti. » Parla in seguito del fango delle paludi e degli stagni, e dà le ragioni dell'utilità dell'impiego, raccomandando però di non impie- garlo prima che non sia stato almeno un anno all’azione dell’aria; ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 304 onde evitare li inconvenienti a cui si va incontro, adoperandolo troppo fresco. | » Riguardo alle sabbie, considerate come emendamento, quantun- que sembri paradossale proposizione, espone come non sempre. nè i terreni, nè le sabbie hanno identiche composizioni; potersi quindi come le marne applicare: le silicee cioè nei terreni calcari, o. le calcari nei terreni argillosi. Dove poi per la vicinanza de’ monti pos- sonsi avere sabbie feldspatiche, oppure siliceo-magnesiache,.conve- nire utilizzarne l'applicazione. Le sabbie sono tutte solubili, ora per il concorso del terreno, ora per l’ azione dei concimi. In tutti i casi le sabbie sono dotate di due proprietà distinte. per. emendare, cioè, chimicamente e meccanicamente il suolo. Fra le sabbie ne cita due aventi al certo proprietà speciali, la prima fornita in abbondanza dalle dolomite di Zandobbio, lo spolverino. Tale materia è un misto di sabbia silicea , di carbonati di magnesia e calce. Un’ altra sabbia più commendevole della precedente, perchè feldspatica, ossia assai ricca di potassa silicata, presentasi in alcune località speciali come detritus di una roccia emersoria, che trovasi. all’ imboccatura della Valle di Gandino, e attraversante la predetta; spunta a Casale in Vall’Alta e al piano di Gaverina in Valle Cavallina. » Pone al quarto ordine degli emendamenti naturali l’acqua di ir- rigazioni. Crede doversi ammettere come un principio economico particolare il modo di comportarsi delle acque nell’ irrigazione. Sino ad ora si tenne calcolo dello acque per i loro effetti, ma non sotto questo punto di vista. Egli accenna come in media il metro quadrato di terreno irrigato, venga a ricevere 100 litri d’acqua per ogni irri- gazione. L'analisi dell’acqua comune rivela V uno al {tre per mille di materie: saline, che vi si contengono. Un ettaro riceverà mille metri cubi d’acqua per ogni irrigazione, una pertica 166 metri cubi. L'acqua adunque porta al suolo e vi lascia reagire da 66 a 200.chi- logrammi di materie saline per ogni irrigazione, Siccome poi le. ir- rigazioni, in un anno sommano a dieci circa, la pertica di terreno, ha in suo contatto 660 a 1000 chilogrammi di sali in questo turno, e l’ettaro da 10/a 30 tonnellate, Qual meraviglia adunque se l’irri- gazione opera sì grandi miracoli? qual meraviglia se le marcite danno produzione così straordinaria? 362 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO » L'acqua, conchiude, è un emendamento per sè stessa, indipen- dentemente dalle altre azioni, che esercita sul terreno. La natara dell’acqua, l'origine, la natura del terreno hanno influenza grandis- sima sui propri effetti. Queste proprietà sono note anche agli agri- coltori. » La fognatura ha gettato molta luce sull’ azione dell’acqua nel- l’irrigazione. Boussingoult fu il primo a far conoscere la proprietà del suolo di rattenere alcuni principii dell’acqua; e quella ben mag- giore, che hanfio le radici di attrarre a sè i medesimi; la fognatura, ripete: ha fatto conoscere, che l’ acqua delle fogne differisce dall’ a- equa che scorre sul suolo; i sali dell’ acqua si modificano lungo il proprio corso, tanto più quando esse servono. a molte irrigazioni successive. » Parte dei benefizii della fognatura è da attribuirsi «alla libera uscita dei materiali, che in troppa quantità l’acqua delle irrigazioni vi condurrebbe. » Dopo questa lunga esposizione, il Referente si propone; di. con- cretare le idee e le norme da lui esposte in una successiva, Con- ferenza. — » Invitato il Comizio a proporre gli oggetti per la prossima riu- nione, resta fissata la | » Continuazione dell'argomento sugli emendamenti al terreno: » Si aggiunge per proposta dello stesso signor prof. Ferrero una discussione » Sull’economia della coltivazione del grano turco. » ‘Fra gli emendamenti per il terreno che. l’ arte potrebbe. conve- nientemente preparare ed impiegare sopra vasta scala nella provincia, primeggiano: 1.° le ceneri piritose; 2.° le calci comuni; 5.° la terra abbrucciata. » Con singolare compiacenza dimostra la possibilità di trovare, a poca distanza dalla città di Bergamo, grandi quantità «di materiali atti ad essere trasformati in ceneri piritose. Comincia dall’accennare come in Francia, in Olanda, nel Belgio ed in altri paesi, facciasi da remo- tissimo tempo uso delle ceneri pirifose come emendamento in. molte ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 51035) località. L’ inceneramento si produce naturalmente sopra alcune ma- terie per spontanea combustione dello zolfo esistente allo stato di pirite in certi depositi particolari. Questi fenomeni manifestansi più particolarmente dove le piriti si trovano associate, o disseminate en- tro materiali argillosi compenetrati da sostanze bituminose, oppure ricche di carbonio. Talvolta l’inceneramento ha luogo per vera ac- censione della materia, talvolta è un semplice sfasciamento di alcuni scisti per lenta combustione avvenuta nello zolfo. ‘ Il risultato è la conversione col tempo dello zolfo in acido polti rico, e quindi la produzione di solfato di ferro, di allumina, di calce, di magnesia ed anche di solfati alcalini. Tutti questi materiali danno alle ceneri scistose il ‘carattere di un emendamento molto efficace potendo la quantità del solfato di ferro elevarsi dall’uno al sette per cento. l terreni scistosi predominano nelle valli vicino a Bergamo, ed in alcune località, come ad Entratico, alla Selva, in Valle Brembilla a Caprino, a S. Omobono, in tutta la Valle Imagna, a Zogno, a Brun- tino, ecc. Trovansene ‘strati, i quali sono ricchissimi di piriti e di conveniente trattamento per tale uso. Per adoperarli non è necessario di far altro: che ammonticchiarne determinate quantità e coadiuvare la loro combustione con alquanto combustibile a un dipresso come si fa per cuocere il gesso. » La maggior parte di questi scisti neri, attesa la materia orga- nica, che contengono, la quale sale talvolta dal 2 al 15 per cento e per. la pirite di ferro, facilmente si accendono ed ardono ‘appena ri- scaldate. Esposta in seguito la materia all’ aria in sito coperto, tosto lievitano e si sfasciano per la chimica: reazione, la materia dapprima inerte; diventa in seguito estremamente attiva. Queste ceneri, chiamate altresì ceneri vetrioliche, ceneri nere, ceneri rosse, ceneri di Piccar- dia, ecc. si adoperano in una quantità corrispondente ad uno, a due ettolitri per ogni pertica) 15 a 30 per ogni ettare, Si mescolano alle terre, ai concimi, ecc., si spargono sui prati, sui trifogli particolar- mente, dove occorre eccitare la vegetazione. Essi ridonano ‘rapida- mente'il bel verde ai foraggi e particolarmente ai trifogli, perchè è caratteristico dei sali di ferro di agire come eccitanti. Le erbe e. le piante rinvigorite da questa prima azione, assumono tosto un maggior 364 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO dominio sul suolo spiegandosi una più attiva vegetazione. L’ analisi: chimica ha dato a parecchi ed in molte analisi fino al 2 per cento di azoto. Boussingoult, Bidard, Moride, Robierre, Pierre, Schwarz, ecc. » La quantità di queste ceneri destinata all’ agricoltura, in. altri paesi è enorme. Ignora l’ Esponente se nelle provincie settentrionali di Italia siasi fino ad ora ricorso alle medesime. Le montagne lom- barde sono provvedute a dovizia di scisti, e puossi coi medesimi sop- peditare, non solo la fertilità dei luoghi vicini, ma altresì dar origine ad una preparazione in gran'scala, da esportare nelle pianure e in quelle località dove mancano materiali concimanti ed emendanti di tanta efficacia. Spetta agli agricoltori bergamaschi di tentarne dei saggi esperimentativi ai quali volontieri comunicherà norme direttive, sia per la preparazione, che per l’applicazione. /n Francia oltre. al- l’impiego di questi scisti come ceneri piritose, ricavansi annualmente dalle medesime molti milioni di chilogrammi di solfato di ferro e di allume. » Dopo le ceneri piritose vengono le calci: essendo Ie medesime di un uso assai esteso e frequente a Bergamo, non è mestieri addi- tarne l’importanza. Atteso però alle diverse origini da cui derivano, ed ai metodi diversi con cui s' impiegano sul terreno, crede di dover mettere alcuni pareri in merito. » La calce ora è necessario agisca e come caustico e come scio- gliente, ora soltanto come emendante e come concimante. » Nei terreni argillosi e resi inattivi per ripetute coltivazioni, la calce è il più conveniente disaggregante e sciogliente, che si possa adoperare. Il terreno argilloso conliene silice e silicati in abbondanza. Senza degli alcali il solo acido carbonico non sarebbe capace di rendere solubili questi principii, sia per la tenue sua quantità, sia perchè la lenta azione non reagisce in rapporto ai bisogni dell’ agri- coltura. La calce in questo caso attiva la soluzione dei silicati e .di- saggrega i feldspati mettendo a nudo i sali alcalini del terreno, e rendendo la silice assimilabile. Per usufruire quelle proprietà, con- viene spanderla tosto spenta e nei mesi caldi sul terreno, frammi- schiandola colle arature. Bisogna in tal caso evitare il contatto della medesima col concime, onde non. perderne. il beneficio, 0 quanto meno ritardarne l’applicazione. ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 565 » La calce che si vuol applicare assieme ai concimi, deve essere meno caustica ed assai idrata, a meno che non si tratti di mescolarla a materie poco azotate, come le materie legnose, i tritumi vegetali, le grosse erbe, avanzi di torba, ecc., mescolati a molta terra; mescolare la calce al concime di stalla o altro simile, è la stessa cosa che con- gedare l’ ammoniaca. Il miglior consiglio per chi voglia far composti adoperando la calce si è quello di imitare gli Inglesi ed i Sassoni, i quali vi aggiungono del sale marino: in tal caso le perdite sono minori e si aggiunge pure un nuovo principio attivo e poco costoso al con- cio. Fra calce e calce, l’agricoltore dovrebbe sciegliere le magnesia- che, perchè più lungamente attive. La calce può spandersi sui prati umidi o muschiosi con molta efficacia, purchè ciò facciasi in autunno: i muschi si distruggono, e il prato si riforma con poco dispendio. La calce oltre all’azione caustica sui muschi, neutralizza anche |’ effetto della soverchia acidità del terreno. Questi effetti sono poi molto più significanti nei terreni torbosi, ove non v'ha altro rimedio tranne che il caustico o il fuoco onde reslituirli alla fertilità. La calce per saturare il soverchio acidume, oppure il fuoco per abbrucciarvi la sostanza che lo produce, cioè la torba o la materia organica che è disseminata nel terreno umido in quantità soverchia. Le provincie lombarde e la bergamasca in particolare sono nelle migliori oppor- tunità di applicare e di consumare grandi quantità di calce, atteso il suo limitato prezzo da L. 1 a 2 al più per ogni quintale, mentre in altre provincie deve pagarsi da L. 5 a 4. L’ applicazione della calce deve farsi ogni triennio o ogni novennio, nel primo caso se ne im- piegano 3 a 4 ettolitri, nel secondo 10 a 42 ogni pertica. Il terzo emendamento artificiale è il dedbio, ossia la terra ab- brustolita o torrefatta. Nelle località dove il concime è scarso, dove il terreno per successive coltivazioni o per difetto di rotazione ra- zionale agraria, viene ad isterilirsi, i campi, i prati sono ancora su- scettibili di mediocri prodotti, ma se trattasi di biade esse si allettano per mancanza di silice, se di foraggi oltre all’ allettamento, difettano dei principii nutritivi corrispondenti ai ricolti che si ottengono. » Il debbio sopperisce alla deficienza di concimi non solo, ma per la proprietà che acquistano le terre arrostite, diventa un richiamo dj concime nel prato e nel campo. 306 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO » In alcune località del Piemonte, ove questa pratica è ‘assai dif- fusa, un terzo ed anche la metà dei prati è concimata quasi esclusi vamente con terra debbiata, a cui raramente. aggiungesi poca; quan tità di tritumi o cascami vegetali..L’ azione del debbio è talmente eccitante, che i foraggi acquistano proprietà assai più nutritive e diventano più atti all’ingrassamento degli animali. È anzi necessario usarne con parsimonia, perchè il soverchio uso di questo .emenda- mento, acerescendo la secrezione di principii nutritivi nelle (erbe, è talvolta causa di malattie infiammatorie al bestiame che se ne ciba. » L'efficacia della terra debbiata deve attribuirsi a più principii, ma più particolarmente alla disaggregazione molecolare dell? argilla operatasi coll’arrostimento, all’azione della porosità che in essa si. ri- sveglia, e poi perchè con questa operazione si rende il ferro esistente nella terra più attivo, sopra ossidandolo. Chiunque esamini un cumulo di terra debbiata dopo alcuni giorni, specialmente quando vi è ca- duta sopra un po'di pioggia, vedrà coperte di piccole cristallizzazioni la maggior parte delle piccole cavità che i frantumi presentano. Esse; sono dovute alla fissazione di quei principii dell’ aria che sono atti a promuovere nuove salificazioni nella terra; la nitrificazione. partico+ larmente. Un metro cubo a due di terra debbiata sono sufficienti per una pertica di terreno; la spesa si riduce a pochi chilogrammi di legna e un po’ di manualenza. 3 Emendamenti ottenibili dai materiali negletti: ceneri lisciviate.;. ceneri di torba, ceneri di lignite, ceneri di huille, calce del gaz, cal, cinacci, polveri delle strade. D » Le ceneri adoperate per il bucato costituiscono un emendamento eccellente. Nella provincia si raccolgono egli è vero con «cura; non sempre però si adoperano con conveniente criterio. Queste ceneri. contengono ancora in cento parti il 2 al 3 di materiali solubili, il 2% al:40 di materie organiche, il 3 al 9 di fosfati, 141 al 4 di magnesiay il 10 al 20 di ossidi di ferro e di allamina; il.25 al 40 di silice) fosfati e la silice sono i materiali particolarmente attivi; l’allumina e. l’ossido di ferro sono potenti agenti meccanici nel suolo. Pèr' usu- fruire però di queste proprietà è necessario spargere le ceneri citate ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 567 in stato di completa essiccazione ed in polvere. Le quantità convenienti sono di 2 a 4 quintali sui prati, di 6 a 8 sui campi per ogni pertica ossia quindicesima parte dell’ ettaro. » Le ceneri di torba contengono 12 a 30 per cento di argilla, 2 a 15 di solfato di calce, 8 a 410 di ossido e solfato di ferro, 41 a 3 di magnesia, 6 a 25 di calce, 2 di azoto, ecc. » In Lombardia è assai diffusa la consumazione di questo combu- slibile, ma le ceneri vengono generalmente abbandonate come mate- rie d'ingombro, e se ne paga il trasporto per riempiere qualche fossa o scarpa di strada. Esperimenti dell’’esponente confermano l'efficacia delle medesime e sopra i foraggi e nei terreni arativi. La combu- stione produce importanti cambiamenti nelle materie fisse o frammi- schiate alla torba, oltre 1’ argilla che si calcina coll’ abbrucciamento si producono effetti chimici sul solfuro di ferro e sui carbonati di magnesia e calce. Queste ceneri quindi allo stato recente sono cau- stiche, ma lasciate all’ aria al coperto per alcuni mesi, il. concorso dell’aria trasforma la calce in carbonato e solfato, così pure il ferro, I’ argilla assorbe azoto e diventano efficaci. Impiegandone da, sei a nove quintali per ogni pertica si ottiene un ottimo emendamento molto attivo. » La lignite che il paese di Leffe somministra a questa provincia nella quantità di circa cento mila quintali annui, lascia circa un quinto di ceneri, 2000 tonnellate. La composizione di queste ceneri è quasi eguale a quella della torba, v' ha però maggior abbondanza di ferro allo stato di solfuro e notevoli traccie di fosfati atteso i cada- veri di animali che contiene. Tutta questa massa di ceneri è abban- donata come inutile. » Appena estratte dai forni sono estremamente caustiche, conten- tengono il 2. 30 circa per cento di materie solubili nell’acqua, ab- bandonate all’aria e al coperto dopo breve periodo le materie solubili accrescono, se ne trova il 3,50 al 6 per cento. Esse constano di sol- fato di calce, di magnesia e di ferro, ecc., non devono credersi di minor efficacia di quelle di torba. Si fa. eccitamento perchè se ne impieghi da 5 a 40 quintali sopra i foraggi e da 10 a 15 nei terreni arativi, specialmente nei calcari, per ogni pertica, Due mila pertiche 368 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO di terreno annualmente possono essere emendate e concimate in parte con questo residuo stimato inutile, » Le ceneri di Huille, quantunque meno frequenti, ma perchè ge- neralmente abbandonate e alle scarpe o ai fossi aperti lungo le strade ferrate, devono essere altresì considerate dall’agricoltore. Queste ce- neri contengono argilla 60, allumina 8, calce 6, magnesia 8, manga nese 2, solfato ed ossido di ferro 16 e azoto 2. Esperimenti assai diffusi provarono che queste ceneri agiscono come le marne argillose, specialmente nei terreni calcari; ma siccome oltre all’argilla calcinata ed alle altre terre, queste ceneri contengono ferro ossidato e solfato, si possono ritenere come eccitanti ed ottimi reagenti sul ‘suolo. In Francia, nel Belgio, s’ adoperano nelle proporzioni di 3 a 4 ettolitri per ogni pertica. » La calce del gaz può considerarsi come un vero emendamento, ma sono necessarie alcune precauzioni nell’applicarla. Quando questa calce viene estratta dai depuratori del gaz, essa contiene dell’acqua, dei principii volatili, del godrone, dell’ ammoniaca, ma più partico- larmente del solfuro di calcio. La sua azione è fatale alle erbe, alle radici, ed ai semi applicata recentemente, se però la si abbandona durante quattro o sei settimane e in lieve strato, all’azione dell’aria e al coperto, succedono importanti modificazioni. Quasi tutto il sol- furo di calcio trasformasi in solfato, il quale spiega in seguito una grande attività tanto sui trifogli e prati, quanto sugli arativi. Sic- come poi contiene ancora oli volatili, questi hanno energica azione sulle larve degli animali esistenti nel terreno di cui menano strage. La quantità da adoperarsi è di 4 a 8 quintali per ogni pertica. » i calcinacci sono forse i materiali più attivi ché possansi ammi- nistrare come emendamenti al terreno, e fa stupore come anche a Bergamo devono servire a chiudere buche e vecchie basse strade. Nei fabbricati noi impieghiamo sassi o mattoni ‘che’ cementiamo con calce, acqua e sabbia; in questa cementazione succede un vero fe- nomeno chimico, nel quale la calce intacca i materiali i più ribelli ad altre reazioni. Col tempo la materia cementata non ha più nessuno dei caratteri dei componenti, e se vi concorre un’ azione meccanica che riduca questi calcinacci in polvere, particolarmente il gelo, ven- ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 369 gono messi a nudo potenti ed eccitanti materiali utili, sia per i ve- getali che per le terre. » Tutta la potassa delle calci, quella dei feldespati, delle roccie o dei mattoni è trasformata in silicati solubili; 1’ allumina stessa tanto inerte, in alluminato di calce. Questi materiali sono ovvii alla nitri- ficazione, e perciò noi troviamo nell’uso dei calcinacci una vera fab- brica di concime nell’emendamento stesso. Cito il fatto di un Comune, i) cui Sindaco, faceva spandere sulle vie più carreggiate del paese, vecchi materiali di costruzioni disfatte per oitenere economicamente questi materiali in una polvere che certamente è dotata di grande efficacia. In quelle località, le quali hanno tanta forza idraulica per- duta, troverebbesi convenienza di ridurre in polvere questi materiali per l'agricoltura. Si può ritenere che un chilogramma di mattone cotto ed in polvere, può portare in un anno tanto azoto al fondo quanto un’ eguale quantità di concime, e per di più una materia sciolta, ossia poco coerente atta a disaggregare il suolo. » In ultimo vengono le polveri delle strade. Anche questo mate- riale è generalmente destinato a chiudere fosse o a rialzare bassi ter- reni. Allo stato di malta o fango è certamente inerte. sparso invece allo stato polverulento e secco sopra i trifogli, i prati, oppure me- scolato alla terra è di grande efficacia ed ottimo emendante. Fra i terreni ne abbiamo dei selciosi e dei calcari. Le ghiaie sparse. sulle strade, a volta sono calcari, a volta selciose; i rotabili compiono una quasi perfetta polverizzazione di tali materie, gli animali vi depongono escrementi ed urine. L'azione meccanica e la atmosferica continue , mescolano e trasformano questa sostanza. Sarà un emendamento di poco conto; ma se noi osserviamo come i successivi ricolti ottenuti con ripetute identiche concimazioni vanno diminuendo di produzione ogni giorno, e ciò perchè prevalgono nel terreno elementi. inerti, questa polvere non potrà a meno di produrre un effetto emendante; massime quando si fa convenire quella proveniente da sassi calcari nei terreni argillosi e quella dei sassi silicei nei terreni calcarei. Nei terreni argillosi sovratutto è comendevole questo emendamento, perchè per la sua natura opera anche un’attiva disaggregazione. » Nel compiere questa rapida rassegna di emendamenti più o meno Vol. X ZI; 370 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO altivi, ma al certo utili, ho procurato di indirizzare 1’ attenzione del Comizio in particolar modo sopra quelle materie che potrebbero con- correre economicamente a migliorare la produzione locale e di dare in conciso le ragioni principali del loro modo di azione. ” | G. STUDI SULLE ACQUE POTABILE. « All’esimio signor Ferrero illustre Preside dell’ Istituto Tecnico » Bergamo : » Bergamo, li 3 giugno 1865. : Non posso meglio rispondere ai savi intendimenti e richieste del signor Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio al proposito del grado di potabilità delle acque esistenti in questo Comune, che affidandoli alle di Lei indagini chimiche. Delle analisi di cui viva- mente la interesso, e per la quale già successero verbali intelligenze in ispecialità sulle spese occorribili, queste verranno ad essa Lei rimborsate nel modo e come saranno per risultare. » L’opera che la S. V. Illustrissima sig. Preside si assume. con tanta generosità e disinteresse è tale, e di tanta portata, da essere sicura che pari ne sarà il vantaggio che ne ritrarrà il paese in linea igienica. » Voglia Illustrissimo signor Preside accettare i sensi della mia più sentita gratitudine ed ossequio » Il Sindaco » G. B. CAMOZZI » ACQUE DELLA CITTÀ DI BERGAMO. AL Municipio di Bergamo Bergamo , 18 agosto 1865. Corrispondendo all’affilamento datomi da V. S. Ill. il 3 giugno corrente riguardo ad alcuni studi intorno alle acque impiegate neF Y alimentazione della città di Bergamo per giudicare della loro po- ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 571 tabilità, avendone ultimato un primo studio ho l’onore di riferirle quanto infra. Le acque adoperate come potabili nella città di Bergamo hanno quattro diverse origini, e si possono dividere perciò in quattro serie: 4.° Acque nascenti condolte col mezzo di acquedotti in appositi serbatoi; 2.° acque scorrenti nelle roggie; 3.° acque. dei» pozzi; 4.° acque di cisterna. È L’acqua di cisterna essendo limitata ad alcune località private, e quindi poca essendo la sua entità, e constatata d'altronde la pota- bilità della stessa, allorchè non concorrono altri elementi infiltranti nei serbatoi, non fu oggetto di studio. Sulle altre tre serie d’acqua si fecero diversi saggi e studi; il ri- sultato dei quali forma l'oggetto d’ apposite tavole comparative che sì uniscono al presente rapporto. A soddisfazione delle tavole suddette si premette, che due generi di dati si vollero far emergere onde giudicare della loro potabilità relativa. Dati fisici e dati chimici: importanti i primi perchè intui- tivi, per così dire, e di un’apprezzazione generale; sono importan- tissimi i secondi, perchè più positivi e materiali. Ì corollari che si possono dedurre dai dati chimici giovano a stabilire la realtà e lo stato fittizio dei fisici, ed hanno perciò ragione di concorrere con essi per far emergere deduzioni positive. Stando diffatti ai soli caratteri della limpidità e della freschezza delle acque, essi militerebbero in modo assoluto, come in realtà pri- meggiano nelle acque delle sorgenti, acquedotti a serbatoi; in modo relativo starebbero in secondo grado le acque dei pozzi, e sarebbero ultime le acque delle roggie; mentre i caratteri chimici fanno emer- gere le acque delle roggie sopra le une e sopra le altre, per essere meno saline e meno pesanti, e più facilmente purificabili. Così pure sarebbe erroneo il solo criterio della quantità relativa di materie saline contenute nelle acque delle roggie relativamente a quella di alcune fonti e serbatoi della città alta, mentre quantunque sia mi- nore la quantità di sali contenuta nelle acque delle roggie, milita ciò nonpertanto la potabilità delle fonti e dei serbatoi, le quali hanno meno di tre decigrammi per litro di materia salina ed una tempera-. tura relativamente minore alle precedenti. 372 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO Ordinando le tre serie di acque esaminate secondo la quantità di materia salina contenuta entro un litro di acqua, si avrebbero i se- guenti risultati: Acque sorgenti, Acqua aqua di pozzo Ai Ù acquedotti e serbatoi delle roggie ‘4 Locale del Demanio . 0,241] 4 Fontedel Read Albino 0,186 | 1 Acqua del Serio Al- 5 Casa d' Industria . . 0,415 3 Valle del Pozzo .. .0,194| 2 Roggia del Serio al 4 Casa deî Sordo-Muti 0,551} 4 fonte Tavernella . . 0,255 Mercato bovino . . Qise 5 Locale di S. Marta . 0,595] 5 Mercato del Pesce. . 0,266f 5 Roggia Broseta . . . 0, 145 6 Casa di Ricovero . . 0,607] 6 Mercate delle Scarpe 0,267 4 Roggia Serio alLauro 0,153 7 Ospedale Maggiore . 0,651f 7 Fonte dei due Usci . 0,281f 5 Roggia Borgo Palazzo 0,153 8 Albergo di S. Marta. 0,69 { 8 Fonte di Colle Aperto 0,287 | 9 Palazzo Serassì ... 0,742f 9 Piazza del Lino .. . 0,504 10 Casa Arioli ...... 0,315} 10 Fonte dei Gozzi . .. 0,554 11 Scuole Nuove. .... 4,000 {11 Fonte del Cavato .. 0,490 12 Fonte S. Sebastiano. 0,517 13 Fonte del Vagine . . 0,545 14 Fontana Brolo .... 0,613 2 Pozzo di S. Virgilio . 0,280] 2 Fonte Balanzine . . . 0,191 Dino: 0,124 15 Fonte dell'Antro .. . 0,811 Ì Stando alla tolleranza normale delle qualità di materie fisse che deve contenere un’acqua per essere potabile, essa non dovrebbe ec- cedere i due decigrammi per ogni litro, per cui sarebbero a giudi- carsi poco potabili le acque esistenti nell'alta città di Bergamo, che sono ritenute le migliori, e sarebbero senza paragone migliori quelle delle roggie, le quali indistintamente contengono meno di due deci- grammi di materia salina, la quale benchè si accusi quasi normal- mente a misura che l’acqua da Albino discende a Bergamo, non ostante non viene ad eccedere la quantità suddetta. Fra le acque delle sorgenti esaminate, fatta eccezione di quella così detta del Re, ad Albino, di cui si parlerà più sotto, una metà ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 375 avrebbe gradi sufficienti di potabilità, altra metà ne difetterebbe. L’acquedotto di Castagnetta porta la miglior acqua; e dall’ esame dei materiali contenenti, osservasi che essi progrediscono quasi nor- malmente in aumento sino ai serbatoi dell’alta città, cioè al numero nove del quadro relativo dove malgrado vi sia aumento nel materiale salino, quest'aumento però non è ancora eccessivo, e non giunge alla quantità contenente in quelle comprese fra il num. 40 al 45. Nelle acque dei pozzi sono maggiori i dati negativi, e mentre nelle sorgenti esaminate nove sopra quindici possono considerarsi buone, in quelle dei pozzi sono assolutamente sopracariche di sali. Per procedere con un certo criterio nell’esame delle acque sud- dette mi valsi delle indicazioni di alcuni fra i principali sanitari lo- cali, fra i quali il dott. cav. Palazzini, il dott. Zucchi, Maironi, Galli ed Adelasio, i quali alternativamente in unione al dott, Comotti, il dott. prof. Varisco cooperarono alle indicazioni ed all'esame locale dei caratteri fisici e generico-chimichi delle acque medesime: ciò valse non solo a favorire lo studio, ma anche a far conoscere come sia nelle premure di questi illustri cittadini la cooperazione al mi- glioramento nel benessere locale. Nei lavori analitici e di laboratorio, ebbe molta parte l’ intelligente e solerte opera del chimico farmacista Martinelli Pietro mio assistente. Per lo studio quindi delle acque che mediante particolari acque- dotti sono introdotte nella città, oltre all’ esame delle sorgenti si percorsero frazionalmente alcuni punti; in questi luoghi si istituirono esperienze ed esami acciò stabilirvi dei corollari positivi, e si fecero i seguenti rilievi. 1.° Che l’acquedotto non ha dappertutto la stessa capacità d’aria, ciò che vale moltissimo a far variare la sedimentazione del calcare; come è stato dato di osservare nei diversi punti in cui si può aver accesso dagli usci dell'acquedotto nel volume dell’ incrostazione. 2.° Che l'acquedotto non esclude sufficientemente le acque pio- vane e la contiguità del suolo, per cui oltre alle materie saline ven- gono talvolta trascinate materie terrose ed organiche lungo il mede- simo. ed anche nei serbatoi. | 3. Che la quantità d’acque somministrate dalle diverse fonti , 374 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO non si sommano al loro ingresso nella città, perchè nel sito più vi- cino alle mura in cui fu fatto l'esame, non si verificò quell’aumento il quale significhi una perfetta raccolta delle medesime. 4.° Che dei tre grandi serbatoi entrostanti alla città esaminati, il solo che soddisfi alle esigenze igieniche volute per 1’ aerazione dell’acqua è quello del Mercato del Pesce; che è necessario perciò di stabilire un apposito accesso d’aria sob altri due, onde in mag- gior copia e più celeramente si rinnovi. I provvedimenti richiesti dalle osservazioni suddette sono di poca entità riguardo all’utilità loro, ed è perciò che si è creduto bene di farli emergere. Quanto alle altre fonti per le quali sarebbe ‘desiderabile si conte- nesse minor quantità di materie saline, se per alcune ciò è facile ottenere mediante isolamento maggiore e più frequente espurgo delle materie sedimentate, non è così per le altre, le cui acque sono in- quinate dai materiali che hanno origine dalle abitazioni, le cui sor- ‘genti dovrebbero assolutamente essere isolate da questo connubio, ma che richiederebbero forse ingenti opere e spese. Le acque poi di S. Sebastiano, del Vagine, di Fontana Brolo e dell’Antro per essere troppo calcari non convengono all'economia per bere, e quanto meno per lavare i panni, sotto il rapporto della in- gente quantità di sapone che rendono inerte, formandone con quello un composto insolubile ed inattivo, per cui diventa maggiore l’im- piego del sapone. Se lusinghiero sotto il rapporto igienico ed ‘economico presentasi l'antico acquedotto, il quale reca l’acqua alla città per alimentare i principali suoi serbatoi, non è così delle acque dei pozzi. Si premette che, onde aver dei dati comparativi sulla composizione e sulla potabilità delle acque dei pozzi, la scelta per gli esami ana- litici fu fatta su diversi punti della città ‘come ‘dallo stato indicativo rilevasi. Ad eccezione del Pozzo di S. Vigilio e di quello del Locale del Demanio, tutti gli altri contengono quantità eccessive di sali e nella maggior parte di esse queste quantità salgono a più di mezzo gramma per ogni litro. Le condizioni topografiche della città piana e le condizioni geolo- ISTITUTO. TECNICO DI BERGAMO 575 giche del terreno implicano necessariamente una abbondanza di sali eccessiva nelle acque, abbondanza che d’altronde rilevasi in quasi tutti i pozzi, e che diede impulso anche in molte altre città a tri- vellare appositamente dei pozzi profondi onde derivare acque più pure per l’ alimentazione dei pozzi, oppure a stabilire appositi acque- dotti di acque migliori da fonti o da canali contenenti acque più pure e meno cariche di sali calcari. ; Nè in miglior condizione trovansi le acque delle roggie , le quali se per l’ora e le circostanze in cui furono sottoposte all’ esame die- dero all'analisi una minor quantità di residuo, ciò non toglie che abbia ad essere molto variabile la loro composizione, perchè esposte agli usi generali per il servizio igienico della città, poco promettono di essere igieniche esse stesse, volendole adoperare nel loro stato naturale, sia perchè soggette ad intorbidarsi, sia perchè la maggior parte dei pozzi neri e delle acque degli stabilimenti industriali, si- tuati lungo le roggie stesse, vengono ad immischiarvisi. Tenendo a calcolo che la bassa città ha una popolazione molto maggiore della città alta e non ha acqua che propriamente possa chiamarsi potabile, emerge la necessità di provvedervi. Tre sarebbero i mezzi di provvedervi: 4.° Col trivellare dei pozzi sino a quella profondità che ne emergesse acqua sufficientemente pura e leggera, ed in quantità sufficiente per la popolazione dei diversi centri. 2.° Col stabilirvi dei filtri con dei serbatoi a scolo continuo onde filtrare l’acqua delle roggie. 3.° Stabilendo un nuovo acquedotto, onde far arrivare al sito più conveniente acque potabili in quantità sufficiente ai bisogni della consumazione. Nell’esaminare le diverse acque della città, e quelle che in quella scorrono, venne anche il pensiero di spingere lo studio comparativo delle acque del Serio fra Bergamo ed Albino. La diversa quantità di malerie saline, diffatti che contiene quest’acqua presa al principio della roggia ad Albino e nei diversi punti della città di Bergamo, farebbe dare la preferenza ad un canale acquedotto speciale per uso di acqua potabile da Albino a Bergamo, l’acqua ad Albino non contiene che pochissimo sale calcare, e sarebbe una delle migliori sotto ogni rapporto, meno le circostanze eventuali d’intorbidamento. 576 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO Oltre al vantaggio di essere eminentemente potabile, si potrebbero pure usufruire le differenze di livello per erigere delle fontane pub- bliche. Qualora poi non facesse ostacolo la spesa, un’altra origine d’acqua migliore sotto più rapporti di tutte. perchè una vera sor- gente e perchè in eccellenti condizioni di luogo e di natura, si è la fonte così detta Fonte del Re, ad Albino. Limpida aereata e leggera, con una massa di sedici litri ogni secondo, darebbe acqua ad una popolazione doppia di quella di Bergamo, ciò che vuol dire che una metà sola di quella, sarebbe sufficiente per gli usi di tutta la popo- lazione, con grande vantaggio della pubblica igiene, e particolarmente della classe povera, in cui parte del malessere sanitario suol deri- vare dell’uso di acque meno salubri. Dopo le suestese generalità e proposte in merito al miglioramento delle acque di Bergamo riguardo alla loro potabilità, devo aggiun- gere alcune spiegazioni intorno alle cifre esprimenti le quantità di materie contenute nelle acque, come dagli annessi quadri analitici. La brevità del tempo e le molte occupazioni mi impedirono di assog- gettare ad un completo saggio quantitativo le acque che sono descrit- te nelle suaccennate tavole, per cui, piuttosto che saggi, dovrebbero chiamarsi criteri quelli ottenuti; ad ogni modo per avere dei termini valutabili nell’apprezzare i diversi sali, si espressero le loro quantità con numeri, i quali non sono numeri ponderati, ma solo di rapporto a norma delle indicazioni caratteristiche rilevate dall’ azione. dei reagenti. I numeri esprimenti 10 di solfati, di carbonati, di bicarbonati, ece. sono termini di paragone e non hanno rapporto a quantità. ll numero 10 rappresenta un massimo negativo alla potabilità dell’acqua; i nu- meri minori stabiliscono il grado proporzionale. Nell’ ultima finca sono indicate le materie prevalenti. Le materie ed i sali ricercati sono quelli la cui presenza influisce maggiormente a togliere la potabilità alle acque (1). (4) Le predette quantità proporzionali ottenute dei saggi volumetrici praticati, ed arbitrariamente notate colla sola scorta dell’intuizione, furono in seguito esattamente calcolate sulla registrazione tenuta nel libro d’analisi e formano l’ oggetto di apposito << PIO dI ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 3977 Eccole quanto Illust. sig. Sindaco ho l’onore di riferirle in proposito alle acque. . Perdoni se mi avventurai anche a delle proposte forse inattuabili, ma a ciò fare mi persuase la poco buona. condizione in cui trovasi questa illustre città sotto il rapporto di uno dei principali elementi, l’acqua, e per l'ardente desiderio che avrei di cooperare a migliorarne le condizioni. Firmato : Prof. L. OrttAvIO FERRERO. quadro. A far scomparire l’anomalia di queste quantità arbitrarie segnate in allora per lo stringere del tempo che mi chiamava altrove, ho attualmente diviso il prospetto analitico in due parti, nella prima .si comprende l’analisi fisica, nella seconda l’ana- lisi chimica. ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO PARTE PRIMA DEL PROSPETTO Studio sulle acque potabili del comune di Bergamo. — Pozzi. bre LKR STIGTI (cb) È RESIDUO Sì) LUOGO = NATURA | ORA DATA | TEMPB- | TEMPE-| = GRADO di 1000 ° in cui si n AERA. È ida della | incui fu della RATURA | RATURA I di zione | grammi Zi l sorgente | osservata | osservazione | esterna | dell'acqua limpidità JfFPozzota.S. Vigilio cu... IaPozzo: #18, 10 p. 16 giugno | 14 ll Limpidità Aerata | 0,230 “Ri Scuole Tecniche»... ... » 8 ant. RI 26 15,50 10 » » 1,001 3 | Albergo di S. Marta . . . » 8, 15 ant. | 27 » 15,90 9 » » 0, 691 4 { Locale di S. Marta . . . . » 8 ant. 1 luglio 14 ll » » 0, 593 5 | Locale del Demanio. . . . » & lbtert. gl =» 14 7 » » 0,241 6 | Ospedale Maggiore . . . . » 8 ant. 8» 15,50 I, (0 » » 0, 651 7% Casa-di Ricovero ©‘. . . . » 8,30 ant. dc» 15325 7 » » 0, 607 8 di 0 Inaustriane ire Sa » 8 ant. 4 » 16,50 10, 75 Opalina » 0,455. 9 db" SSOnassi = LS » 8,30 ant. 7. IIS 18 10 Quasi limpida » 0, 742 10 » Arioli, Porto Cologno . » 8 ant. Di» Pili 50: 0:@ Limpida » 0,813 11 > sSondo-Mutk: 3". » 9 ant. Di» 21 12 » » 0; b5l 379 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO RIOLLUCAIO 0001 !P ONCISTU « « SI | 05° «gg "deo « « « SLOT (er «>. @8-| «UlOd:./; « « « LE cé «i 3 | "wuod g | or0qequos « « 06 ‘SEI:L0S IS Spa | edi « « « VI uo « I | ‘wod, x « « OT al 0g osnr FI | "Id 0869 « « eprdun] L| 0g°g| ©%sose, | ‘wodg ) « euredo | 06‘ Cra « ,3| ‘IUe6 £ « « 0) 98 Ai TARSIA orjsn] 98 | ‘d CIT « « eprdontza #01 S1=|SEGLSLI « 18 | ‘wod g « « BPIQIOT, SI 6I « T&| ‘wod., % « epidwr] | GL'ET 8I «Ta "di 069 « « epidw] ou I OI 90SO4 PP 02019] 177 QUNT 19 ezzerg REL: “> 039Uy 0 . . . Ù QUISRA Goponbate ‘oody 2109 " OUIQ[y ‘eISOY 27uOg ° * © 0][0Ig eUgZuoOJ "te SC IZZO) Mpa e "OULIISEQOR "IP « * * ‘0Q2AR) [OP.QIUOM * Josm anp Top q7uedaog ° * * OZZ04 |P II BA lire E CHRIMAAST Sa TESE: ORSI SUI JUBISO enbog 1 eneasa nj MO UI OD-0 71 *Togequos o Iqpoponbor ‘quog — *oweSIog ID ounutoo [op IIqupod oubov etms 0Ipn3s OLLIASOUd THA VIII UL'UVd SI | ito de DDOHTNAIA pr QUIPIioO,P_0I1QUINN ee ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 380 PARTE PRIMA DEL PROSPETTO > Studio sulle acque potabili del comune di Bergamo scorrenti nelle roggie e nei fiumi. È ®. È JD: ASTI FEES SECI 5 RESIDUO ic) LUOGO ci NATURA | ORA DATA | TEMPB- | TEMPE- GRADO di 1000 ° in cui fu AERA- = AREE ; i = alii Vaoli della | in cui fu della RATURA | RATURA di zione | grammi di sorgente | estratta | osservazione | esterna | dell’acqua limpidità 1 | Roggia Serio, Merc. dei bovini {Scorrente | 9 ant. 8 luglio 27,25 | 17,75 | Torbida 2 » al Lauro... » 9,15 ant.| 8° » 21,20 17,25 » 3; Roggia ‘Broseta iso ris;inda » 10,80 ant:i 10: > 44-27 18 » 4 » . Borgo Palazzo. . . » 10,55 ant.{ 10°.» ‘| 27 19 ca» Di Serio an Albino a nsgdi i » 9 ant. le» 25 17 » 6-4 Fiume Brembo —...-, . » 6 pom. 7 agosto —_ —_ » hag PR ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 981 SECONDO QUADRO. — ANALISI CHIMICA Acque potabili della città di Bergamo. Determinazione della quantità e del genere di materie solide esistenti in un litro delle infrascritte acque. fn 5. nes pri [=] $ a = vi = \ ) 5 ta: SS = ® © 9 S PROVENIENZA DELL'ACQUA < SRO E = E Bus SO Si 5 6a) GG S z = i DS 4 | Fiume Serio — Albino . . . . . |Traccie |0,0372/0, 0852/0, 0016] Galcare |0, 1240 9 » Brembo — Almenno. . . . |Traccie | — —_ — |» 0, 1950 3 | Roggia Serio al Mercato dei bovini . | 0,0120 (0,0272/0, 0816/0, 0102 » 0, 1360 4 » Serioal Lauro . . . . . | 0,0169 [0,0459/0,07780, 0155 » 0, 1530 5 v Broseta . . . . ... +. |0,0143 |0,0386]0, 0868/0, 0045] |» 0, 1450 6 » Borgo Palazzo. . . . . . |0,0123 {0,0572/0, 079300, 0042 » 0, 1530 7 | Pozzo delle Scuole Tecniche . . . |0,0400 {0,5908(0,56141)0, 0082! Calcare e {1, 0010 Magnesia 8 v dell’Albergo di S. Marta . . 0, 0300 |0, 2730/0, 3870/0, 0010 o 0, 6910 9 » nel locale di S. Marta . . . |{0,0400 |0,3390/0, 211000, 0050 n 0, 5930 10 » nellocale del Demanio . . . |0,0230 {0,1000/0, 1160/0, 0041 o 0, 2410 11 » dell'Ospedale Maggiore . . . |0,0120 |0,2980/0,5370/0, 0040)» 0, 6510) 42 n della Pia Casa di Ricovero. . {0O, 0148 |0,2750|0, 3160/0, 0020 > 0, 6070 45 o della Pia Casa d’Industria. . {0,0012 (0, 2550|0, 1830|0, 0120 n 0, 4570 14 » dicasa Serassi-Pignolo . . . |0,1000 [0,3100/0,353000, 0020 a 0, 7420 45 » di casa Arioli — Porta Cologno |0,1420 |0, 4670|0, 2030/0, 0030| Calcare 0, 8450 16 » della casa dei Sordo-muti . . {|0,0050 [0, 2320/0, 2800/0, 0090) Calcare e |0, 5510 - Magnesia 17 » dell’Ufficio Telegrafico . . . a —_ _ — » 0, 5900 18 | Sorgente dei Due Usci — Acquedotto. |0,0009 |0,1686|0,1194/0, 0008| Calcare |0,2817 19 | Fonte del Cavato — Acquedotto . . |0,0156 |0,1985|0, 2489/0, 0270 » 0, 4900 20 | » di S. Sebastiano — Acquedotto |0,0100 |0,1900/0, 3130/0, 0040| Calcare e [0,5170 Magnesia 23! » dei Gozzi — Acquedotto. . . |0,0440 {0, 0980/0, 2041/0, 0010] Magnesia |0,3501 22 | Fontana Brolo . . . . .... |0,0009 |0,20700, 40300, 0021 » 0, 6130 25 | Fonte Regia, Albino . . . . . . |0,0020 |0,0640/0,1280/0, 0000] Calcare |0,1860 24 » di Colle Aperto — Acquedotto. |0,0025 |0, 0800/0, 2400|0, 0014 SiEnre e |0, 2876 agnesia 25 » del Vagine — Acquedotto . . |0,0262 |0, 2172/0, 2956/0. 0040] Magnesia |0, 5450 26 » dell’Antro — Acquedotto . . |0,0748 |0,4035/0,3000/0, 0308] Calcare e |0, 8110 Magnesia 27 | Piazza del Lino — Serbatojo . . . |0,0088 |0,1876/0,1064/0, 0012] Calcare |0, 3040 28 | Mercato del Pesce — Serbatoio . . |0,0022 |0,1840/0,0790/0,0008| Calcare e |0, 2660 Magnesia 29} » delleScarpe — Serbatoio . |0,0035 |0,1860|0, 077010, 00061 | » |, 2670 50 | Acquedotto dì S. Agostino . . . , _ _ _ —_ _ 0, 4850 582 ISTIMUTO TECNICO DI BERGAMO Ordine numerico ed elenco dei residui ottenuti da un litro delle sottodescritte acque inviate all’ Esposizione di Parigi del 1867. 1. Fiume Serio, Albino. 2. » Brembo, Almenno. 5. Roggia Serio, Mercato dei bovini. ti » al Lauro. Dite o Broseta. 6 » Serio, Borgo Palazzo. 7. Pozzo delle Scuole Tecniche. 8.» all’Albergo di S. Marta. > 9.» nel locale di S, Marta, Casa delle Sussistenze Militari.. » 40.» nel locale del Demanio. 3 41. » dell’Ospitale Maggiore. » 12. » della Pia Casa di Ricovero. » 135.» della Pia Casa d’ Industria. » 44, » di casa Serassi. » 45. » di casa Arioli, Porta Cologno. ® » 16. » della casa dei Sordo-Muti. » 47. » dell’Ufficio Telegrafico. » 18, Sorgente dei Due Usci. Acquedotto. » 49. Fonte del Cavato. Acquedotto. (Invece si è sostituita quella del Serbatoio della caserma di S. Agostino.) ss 920. Fonte di S. Sebastiano. Acquedotto. » 21. » dei Gozzi. Acquedotto. » 292. Fontana Brolo. » 25. Fonte Regia. Albino. » 24. » di Colle Aperto. Acquedotto. » 23. » del Vagine. Acquedotto. » 26. » dell’Antro. Acquedotto. » 27. Piazza del Lino. Serbatoio. » 928. » del Pesce. Serbatoio. » 29. » delle Scarpe. Serbatoio, » 30. S. Agostino. Acquedotto. ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 385 Essendosi smarriti alcuni dei residui sui quali si erano fatti gli studi delle acque nel 1865, ne furono sostituiti altri sui quali si com- pletarono ulteriori studi, come quello del fiume Brembo e quello della caserma di S. Agostino. Incrostazioni nell’ Acquedotto e nei Serbatoi. Avendo raccolto in alcuni punti dell’acquedotto di Castagneta, il quale alimenta la città alta di Bergamo di acqua potabile, come pure in alcuni serbatoi della città stessa, i materiali incrostanti ed i de- positi abbandonati dall'acqua, ho potuto convincermi dell’ influenza ‘che ha il corso dell’acqua, quantunque riparata dall’ acquedotto sulla “natura fisico chimica dell’acqua stessa. Gli esemplari uniti alle acque “sono cinque e rappresentano: # Sa I N. 31. Zncrostazione alla fonte del Cavato. — Spessore centimetri sei, massa compatta, vero alabastro cristallizzato con aspetto lucente, di colore pagliarino ocraceo. . ll N. 32. Zncrostazione alla Fonte dei Due Usci.— Massa cristallina e terra stratificata di cinque centimetri di spessore, colore terroso ocraceo. Il N. 33. Zncrostazioni sopra un pezzo di mattone. — Fontana di casa Baglioni, materia cristallina terrosa stratificata, della potenza di cinque millimetri, prodotto di un anno di sedi- mentazione, color terroso. ll N. 54. Deposito al Sifone di Porta S. Alessandro. — Materia terrosa, sciolta e quasi senza coerenza. Il N. 55. Deposito incrostante del serbatoio della via Corsarola @ forma dendritica. — Colore giallo sporco terroso di 6 mil- limetri di spessore, ne tapezza tutto il serbatoio. 584 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO H. STUDI SULLE MARNE. Marne nella Provincia di Bergamo. — Saggi e Nozioni. si Il,.primo campione di marne che mi fu dato esaminare fu Soria all’ Istituto nell’anno 1865 dal conte Antonio Brembati, esso prove- niva delle proprietà del suddetto signore, situate nel territorio di Chiuduno. Detta marna era già stata l’ oggetto di esame chimico per parte del professore di agricoltura Angelo Mona. Nelle escursioni fatte nella Provincia ho avuto occasione di osservare abbondanti de- positi di marne identiche a quelle di Chiuduno, e su quasi tutte le colline della bergamasca, particolarmente quelle coltivate a vili e prospicienti la pianura, non escluso lo stesso colle sul quale adagiasi la città di Bergamo. Quantunque per la natura calcare dei terreni vicini alle colline di Bergamo, e per l’indole tradizionale dell'agricoltura, salvo poche eccezioni, si faccia raro ricorso alla marnatura, atteso l'entità dei depositi di marne sopraccennate, e' quelle di altri assai più impor- tanti esistenti in alcuni seni delle valli, ho creduto farne un primo studio sopra alcuni esemplari, e riferirne con opportune argomenta- zioni in due sedute distinte tenute dal Comizio Agrario regionale di Bergamo. 1 campioni di marne esaminati, parte procuratimi da proprietari coltivatori e parte raccolti sul sito, di cui nel quadro analitico si dà la relativa composizione, sono quindici. 385 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO *WwopI (01) — ‘oruowreanemino neuoqreo a eiqqus ‘elniBiy (6) — ‘Qua weAlEe][nUnI INeuUIuLIA]Op cUoInNJ Ieuoqreo a eiqqes ‘euSIy (£) *QquewueA ejnumo ojruluII9}Ap 0UoIDJ EIqQQes ©] a eljiS1e 97 (8) — ‘o1URtUtA NE] DUO 1euI19}Ap 0UoINJ HeuogIeo I (7) OOTUOQIRI OPIOY | COTOITIS Oproy | oIseUSet Ip | Oro[go tp opIisso (8) (9) 00 ‘0 | 00 °0I 00 "0 | 00 ‘OT 000 | 00 ‘I (c) enboy | eIqgeo L30 00 ‘97 00 ‘88 00 ‘7g 00 ‘07 00‘°87 06‘ 06° VI 8 06° eubay 89 ‘00 00 ‘co 00 ‘0 00 ‘0 QIDORIT CIOPIANA C)OPI:ANA 0119] 1p OqUuOqueo 9 opisso ‘Q1UOWCA MEIN UNO 2JUuUIw.I9)ap OUoInj tiques a e[nSIy (g) (OT) 00 ‘OL IL'T0 #8 ‘80 (6) 00 ‘89 £8‘%0 LI 6 99 ‘60 VE ‘86 (2) 00 ‘OL 00 ‘0I 00 ‘68 00 ‘OI 00 ‘0g 00 ‘OT 00 ‘03 €80 LI ‘46 Tè ‘80 L3°86 c6 ‘40 T6 ‘86 = “OO Tp * e ‘0401180 « «#7 a VHRRIDAI « * © * * @I0119dns agot Ip so de È R} R &À&} ‘wopl (£) * * * * LN fosugog IP euIEN | cg {LSOKSH ANUVHN HTIHCA I9DVS IXA VIOAVI 25 Vol. X. 386 ISTITUTO TECNICO. DI BERGAMO Le marne accennate nel quadro hanno diversa giacitura ed origine. I N. 85, 86, 91, 92, 93, 98 e 96 appartengono alle colline, e sono stratificate ora fra le arenarie e le gonfoliti, ora fra i cal- cari argillosi. I Ni 98 e 99 appartengono ai calcari juresi e più propriamente in- contransi come detriti di dolomiti juresi di apparenza saccaroide. ll N. 94 ai calcari argillosi triasici. Il N. 97 ai calcari e schisti infraliasici. I N 87, 88, 89 e 90 appartengono invece a formazioni particolari di alluvione antica e di conseguente deposizione lacustre. La natura è la più grande dispensiera ai terreni coltivati delle an- zidette marne; fino ad ora è limitatissimo l’uso diretto. Escavazione, esportazione, commercio delle marne citate non se ne fa. I depositi sono estesissimi, l’ estrazione facilissima in molti siti, il trasporto assai agevole, essendo i depositi in alto e vicini per lo più alle strade, ed essendo particolarmente al basso il massimo bisogno di marnare, di emendare il terreno. Marne argillose di Chiuduno del conte Brembati. I tre campioni di marne di Chiuduno, N. 91, 92 e 93, provengono da tre diversi strati presi, uno alla maggior altezza della collina circa 300 metri, l’altro a 450 e l’ultimo alla base della collina. In questo colle l’arenaria, il calcare litografico, la gonfolite com- prendono alternativamente strati. abbastanza potenti, 13 cent, a 90, di marne ora compatte, ora sciolte e polverulente. Il conte Brembati le adopera da parecchi anni ne’ suoi poderi, e con qualche vantaggio anche ai piedi delle viti, che in tale località danno un vino de’ più stimati nella Provincia. ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 587 I caratteri delle marne suddette sono i seguenti: colore bianco sporco, assai friabili, in parte polverulente, e parte a grumi o noc- cioli amorfi. Marne argillose di Scanzo, N. 85 e 86. Il colle di Scanzo nella parte esposta a mezzogiorno contiene a diverse altezze parecchi strati di marne più o meno friabili e più o meno colorate. Volendole esaminare accuratamente se ne potrebbero riscontrare quattro o cinque varietà a caratteri e composizione varia. ll N. 4 e 2 della Tavola delle marne rappresentano la composizione in calcare di due campioni di quelle marne. quello del N. 2, circa 80 centimetri, e il LI Lo strato più potente è meno potente quello del N. 1, da 30 a 40 centimetri. Ambidue trovansi all'altezza di circa 80 metri dall’abitato di Scanzo , e precisamente in quella parte del colle di Scanzo ove le viti producono il balsamico vino di moscato di detto nome, alla cui particolarità forse le predette marne non ultime contribuiscono. La marna N. 4 è bianchissima, cavernosa, friabile, e dà abbon- danti grumi col sfasciarsi, i quali hanno poca aderenza; la parte sfasciata e polverulenta è dolce al tatto, sopra 94 parti di carbonato che contiene in cento parti, contiene pure magnesia. La marna N. 2 è più compatta, proviene da un calcare argilloso stratificato, il quale all'aria si fende e si riduce facilmente in pol- vere, ha colore cinerino chiaro, è meno dolce al tatto, ma squaglian- dosi cade intieramente in polvere nella quale è. facile ravvisare la presenza dell’ argilla, contiene in 100 parti 61 di I CaFDonzto fra cui carbonato di magnesia. La coltura della vite nei campiccioli fumoWde diapii il colle di Scanzo, mette di continuo a contributo queste marne, le quali vi cadono di necessità ora per l’azione delle pioggie e dello sgelo, ora per i dissodamenti occorrenti a mantenere i gradini su cui poggia la citata coltivazione. Nessuna esportazione o impiego diretto di marna mi fu dato riconoscere in tale località. | 388 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO Marne argillose di Valbona del conte Medolago, N. 95 e 96. Le marne di Valbona esaminate da me, ai numeri 9 e 10 del qua- dro delle marne, provengono dalle colline di quelle località, a due chilometri circa da Bergamo, da strati alternantisi fra il calcare ar- gilloso e le arenarie; gli strati di marne si succedono a diverse altez- ze ed hanno uno spessore variabile fra 28 a 75 centimetri. La consistenza di queste marne è maggiore di quelle di Chiuduno di colore più deciso, bianco sporco volgente al giallastro, l’ impasto è più omogeneo, e benchè meno sciolte non presentano nel frantu- marsi la struttura grumosa delle precitate, lì N. 95, sopra 62 parti di carbonati, contiene 3, 66 di carbonato di magnesia. Il N. 96, sopra B4 parti di carbonati, contiene 2,83 di carbonato di magnesia. Non vi è alcun dubbio che queste marne adoperate da persone esperte, possano rendere grande vantaggio alle coltivazioni vieine, e specialmente a rinvigorire le viti oltremodo bersagliate, ora dalla crittogama, la quale da tanti anni danneggia questa pianta, ora dalle grandini assai frequenti in tali località. È a sperare che gli esperi- menti tentati dal conte Medolago troveranno imitatori; ripeto però che è necessario applicare le marne con molta cautela e con cogni- zioni sufficienti sugli effetti di questi emendamenti, sull’ opportunità e luogo del loro impiego. Esse sono del resto una preziosa ricchezza naturale, attesa la loro composizione fisico-chimica. Marne cretacee del bacino di Leffe, N. 87, 838 e 89. Allorquando or sono tre anni circa, osservai per la prima volta l’escavazione fatta allo scoperto della lignite di Leffe, fui meravigliato della quantità di marne, che ora ricopre ora, sottostà ai diversi strati ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 389 di lignite; il deposito di marne nella escavazione Biraghi, e precisa- mente a mezzogiorno del fabbricato, nel quale sta una macchina fissa a vapore per asciugare il basso fondo d’escavazione dalle acque, può avere complessivamente da due a due metri e mezzo di potenza; alle diverse altezze presentasi ora giallastra, ora bianco sporca, ora ap- pena tinta leggermente in giallognolo, di struttura compatta, è fria- bilissima, è leggiera, assai dolce al tatto. Asciugata, è molto leggiera e quindi di facilissimo trasporto; le marne esaminate non contengono fossili nè materie organiche, uno strato di conchiglie d’acqua dolce sta però sotto agli strati di marne. Tre campioni furono esportati e sottoposti ad esame. Il N. 87, quella superiore, sopra -95, 50 per °/ di carbonati, contiene 2,52 di carbonato di magnesia. Il N. 88, la mediana, sopra 96,86 per °/, di carbonati, contiene 2,98 di carbonato di magnesia. Il N. 89, la inferiore, sopra 96,48 di carbonati, contiene 3,24 di carbonato di magnesia. La diversità di composizione non è grande, ma però sufficiente per un apprezzamento. La natura di queste marne, la costituzione fisica, l'omogeneità e la composizione, formano un complesso di titoli eccellenti, perchè me- ritino d’essere applicate. È a notarsi che attesa l’indole ora data al- l’ estrazione della lignite , tutta questa enorme massa di marne deve essere trasportata a braccia d’ uomo ad un centinajo circa di metri, come materia d'ingombro; l'estrazione quindi sarebbe, per così dire, gratuita. Ho fatto eccitamenti per l’impiego di queste marne, ma non ne conosco il risultato, quello che è certo si è, ed io lo reputo fer- mamente, che se le pianure lombarde le avessero in posto, tali marne potrebbero avere un valore superiore a quello della lignite che colà si scava. Il bacino di Leffe ha un’ estensione di qualche chilometro quadrato, LI la marna quindi colà esistente è immensa. 590 ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO Marna ‘cretacea di Pianico, N. 90. A Pianico, altipiano il quale domina la valle Cavallina, e da una stretta gola il lago d'Iseo, esiste un grandissimo deposito di marna cretacea. Osservando il deposito suddetto e la sua estensione, quan- tunque sia attraversato e tagliato longitudinalmente dal ‘Tinazzo ,. torrente, che scavò il suo letto nel terreno erratico, il quale forma la pianura di Pianico per versare le sue acque nel lago d’Iseo, vicino a Castro, appare abbia ad internarsi fin sotto il paese stesso di Pianico,. La potenza di questo strato di marna in certi siti, misura da quattro 4 a sei metri, ora è giallastra, ora bianca, è stratificata e contiene una quantità imponente di foglie di facilissima determinazione. Non è molto vi si trovò lo scheletro di un rinoceronte, i di cui resti po- temmo osservare presso il signor Picozzi a Sovere. La materia di questa marna è così sottile che al tatto sembra fa- rina; se ne fa da parecchi anni qualche escavazione per le fabbriche di terraglie tenute dai Fratelli Picozzi a Sovere ed a Palosco, e come marna non è conosciuta; eppure la marna di Pianico ha un bell’ av- venire, tanto più quando i proprietari, tentati dal bisogno di miglio- rare la produzione, incominceranno seriamente a preoccuparsi della proprietà fondiaria, facendovi concorrere quel corredo di cognizioni e di principi direttivi di cui tanto ha bisogno la nostra agricoltura. Il N. 90, marna di Pianico, contiene 98,30 per °/ di carbonati, de’ quali 3,33 di magnesia, questa come quella di Leffe è d’o- rigine pliostocenica. Marna argillosa di Cellana, N. 94. La marna di Cellana differisce assai dalle precedenti, 1’ esemplare esaminato che forma il N. 42 del quadro Marne, proviene dalla col- lina, la quale sta fra Caprino e Cellana a destra della via ferrata che da Bergamo va a Lecco. Il colore di questa marna è verde sporco, compatta nell'interno , e LG SIIT 2 E Sa ai Re ii ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 394 si sfascia sotto l’ azione degli agenti atmosferici, le colline di queste vallate sono quasi intieramente formate da queste marne, di colore e natura assai variabile, per cui prendono il nome di marne iridate. Non vi è alcun dubbio che la fertilità di questa valle e la. produ- zione dei vigneti che ivi prosperano, non abbia a riferirsi in parte massima alla diffusione naturale di queste marne, le quali per essere situate in alto, vengono per così dire naturalmente ad emendare i terreni sottostanti, formati in massima parte da alluvioni antiche; questa marna è affatto trascurata, benchè contenga il 52 per °/ di calcare, e i terreni silico-argillosi abbondino nelle vicinanze. Marne dolomitiche di Zandobbio e della Selva. I campioni N. 98 e 99 rappresentano due delle molte varietà di marne che incontransi nelle vicinanze di Trescorre a Zandobbio e alla Selva. Le roccie dolomitiche dalle quali provengono e si staccano queste con apparenza di finissima sabbia, sono durissime e somministrano, ove sono meno fragili, pietre da taglio e di costruzione, dove invece le stesse roccie hanno una tessitura maggiormente cristallina, si frantu- mano sotto l’ azione degli agenti atmosferici, e danno origine alle marne citate. La marna N. 98, nei paesi citati ed in Bergamo stessa, è conosciuta col nome di spolverino e serve a lucidare il rame ed altri oggetti metallici, attesa la sua particolare struttura e lo stato di divisione meccanica. È abbondantissima a Zandobbio e ne siti limitrofi, ma non è adoperata come marna, contiene 96 per ° di carbonati, di cui un terzo di magnesia; un campione bianchissimo diede all’ analisi il se- guente risultato: Acido carbonico . . . . 0427 Ossido di calcio . . . .. 0354 Ossido di magnesio . . . 0171 e 008 392. ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO La marna della Selva del campione N. 99 è di color azzurrognolo, assai più dolce al tatto della precedente, proviene dal deperimento di una dolomite argillosa, di apparenza cloritica. È assai meno abbon- dante, ma non tralascia di essere in quantità assai notevole, come al Quadro essa contiene 70 per cento di carbonato calcare magnesiaco, ed il 30 per cento di argilla. Lo stato di divisione di queste due marne, la vicinanza alla pia- nura e la facilità di trasporto, ne suggerirà certamente l’uso nei campi argillosi e argillo-selciosi, ne’ quali oltre il calcare, l'elemento magnesiaco ha tanta proprietà modificante e sostituente ai principj che i continui raccolti esportano dai terreni, e non sempre vengono con appropriate concimazioni restituiti. Studio dei materiali industriali. Elenco degli oggetti esposti. N. 4. Calcare di Vall’Alta, 9 (4). cai ”» Scanzo, A. ss» 3. DÒ ” E. sh. » » R. » B. » » H. » 6. ” » ‘i PRAY ETA Vall’Alta, C. vB Scanzo, 5. IEP » ” 0. » 410. ” » 4. » Al. 0) » P. » 12. ” ” M. (4) I numeri e le lettere collocati a destra dei nomi sono convenzionali per icam- pioni consegnati all’analisi. BB a el ea — seeneii ST ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 15. Calcare di Scanzo, N. 1. ii; si » 45. » Vall’Alta, 2. » 16. ” D) D: INI (7 ” ” È » 18. » ” F. » 49. ” 9 da » 20. 29 o. O. 0.24. _» ” Cava del Bastone. e » Ponte del Lujo. nd... Scanzo. Nuove estrazioni. » 24. D » ” ”» 2d. ” 9 » » 26, ” » ” SU, Albino, £. » 28. 2: D) E. » 29. » ” H. » 50.» Carrara. » 34. » Piccinelli. Wiesoiia s nd, ”» » » SU. » » » SD. » 2 #6.» Pilzone adoperato a Palazzolo. VIA » I ” » 38. >» 2 » 39. Argilla bruna di Leffe. » 140, ” bigia » » 4A. » giallastra del Petosino. » 492. 99 rossa » » 45. =» bigia di Pontida. » 44, =» rossastra di Banica. n 45. » bigia î 46. » del Tornago, N. 1. ET. ” ” » %. 48.. » © bigia del Petosino. DI I ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 49. Carbone di legno, quercia ordinaria. 50. D) » decorticata, dI. 9 di castagno. 52. » di pecchia. 55. Carbonino delle strade ferrate. ZA D) » 85. Torba leggera di Torbiate. 36. » ordinaria » BD7. » compressa 2 58. =» ordinaria d'Iseo. b9. » compressa’ » 60. =» densa di Spinone. 64. s leggera ”» 62. Lignite di Leffe. 65. ” D) scarto. 64, » di Cereto basso. 6%. Schisto bituminoso di Bruntino, strati interni. 66. ” 9 » esterni. 67. Calcopirite di Valsassina. 68. Blenda di Gorno. 69. Pirotina nichilifera di Sonico. 70. 2 Picci. 74. Pirite di ferro di Taegiolo. 72. Terra arabile di Cortenova, Campo Fudrigalia. 73. Sottosuolo » » 74. Terra vergine di Redona. 75. » da lavoro di Cisano. 76. » vergine di Capietaglio. 77. Suolo arabile di Cortenova. Campo pratali. 78. Sotto suolo » ” 79. Suolo arabile » Campo Galvagna. 80. Sotto suolo ”» ss 84. Terra arabile di Redona. Collina. 82. » vergine DI) 83.» arabile di Telegate. Ta e A et = & ie erro si | ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO 395 . 84, Sotto suolo arabile di Telgate 85. Marna di Scanzo, N. 4. 86. 87. 88. 89; 90. Gi, 92. 95. 94. 9Ì. 96. Sla 98. 99. bei 93 Mo I di Leffe superiore. 29 33 mediana. inferiore. di Pianico. di Chiuduno, A. b. E. di Cellana. di Valbona, 4. di Sellino. b. di Zandobbio. della Selva. Elenco delle acque analizzate. 2) . Acqua del fiume Serio, Albino. Brembo, Almenno. della roggia Serio, al Mercato dei bovini. >” b2) 2) » al Lauro. Broseta. Serio, Borgo Palazzo. del Pozzo delle Scuole Tecniche. dell’Albergo di S. Marta. delle Sussistenze Militari in S. Marta. della casa del Demanio. dell’Ospitale Maggiore. della Pia Casa di Ricovero. della Pia Casa d’ Industria. del Palazzo Serassi. della casa Arioli, a Porta Cologno. della casa Sordo-Mauti. dell'Ufficio Telegrafico. ISTITUTO TECNICO DI BERGAMO . 48. Acqua dell'Acquedotto, alla Sorgente dei Due Usci, 19.» del Serbatojo della Caserma di S. Agostino. 20. » dell’Acquedotto, a S. Sebastiano. Qi» ”» alla Fonte dei Gozzi. 22. =» di Fontana Brolo. 23. =» della Fonte del Re, Albino. 24, = dell’Acquedotto di Colle Aperto. > 28.» >» del Vagine. Sio o: ON LINIR » all’Antro. » 27.» del Serbatojo, Piazza del Lino. » 98.000 » del Mercato del Pesce. AGIO 11 MARI A del Mercato delle Scarpe. 30. » dell’Acquedotto, presso S. Agostino. 54. Incrostazioni alla Bocca del Cavato. 32.» ” dei Due Usci, 6 RR) » di casa Ballioni. 34. Deposito al Sifone di Porta S. Alessandro. 35. =» incrostante al Serbatojo in Corsarola. Seduta del 24 novembre 1867. Li È aperta la seduta colla lettura fatta dal presidente Cornalia di una sua Nota: Su alcuni casi d'albinismo negli uccelli, nella quale l'Autore fa particolarmente os- servare che in certi casi di albinismo parziale mancano soltanto il colore azzurro e quello nero, così che risultano bianche le parti normalmente azzurre o nere, e gialle quelle naturalmente verdi. L’autore esprime poi il desi- derio che si raccolgano fatti numerosi per chiarire le cause e le condizioni dell’albinismo. Il socio G. B. Villa fa osservare che le conchiglie sono spesso albine nei luoghi asciutti, coi colori normali nei luoghi umidi. Il vicesegretario Marinoni legge uno scritto del socio Caruel Sulle cagioni, per le quali i fiori di alcune piante si aprono di sera. Questo scritto sarà pubblicato negli Att. Compiuta la lettura della Memoria del professore Ca- ruel, il socio professore Galanti, aggiunge alcune sue idee, sfuggite all’Autore, e che costituiscono come il com- plemento della suddetta Memoria. — Parlando primiera- mente delle così dette linee isantetiche, le quali esprimono 398 SEDUTA DEL 24 nNovempre 1867. la coincidenza di epoca nella fioritura delle varie piante, cita a tal proposito le osservazioni fatte dalla Società di Breslau, per impulso di Goeppert, per tutta la Slesia. Parla inoltre delle calorfe, ossia di quella somma di gradi di calore di cui ciascuna pianta abbisogna onde sortire dal letargo jemale e destarsi alla bella stagione per percorrere ciascuna quel ciclo vegetativo che le è speciale, e per compiere il quale ha inesorabilmente bisogno di tale ca- loria, che, con termine più scientifico, fu chiamata coeffi- ciente di vegetazione. Così, mentre il melgone riceve per maturare ben 4000 gradi di calor totale (diurno e not- turno), la patata ne vuole 2000 o 3000 secondo la varietà, e due 2600 a 2680 ne cerca la vite, secondo le specie di uve bianche o nere, bastando invece al frumento, anco autunnale, 1600. Questi fatti, già riferiti dal Gasparin, dal Boussingault, poi dal Babilet e dal Quételet, e più modernamente ridotti a vero valore scientifico, colla lucidità che gli è propria, dal nostro Malaguti, vengono in oggi ammessi anco dai pratici agricoltori. Essi verrebbero , secondo l’ opinione del preopinante, a ribadire a capello alcune delle leggi appena invocate in barlume dal dotto nostro consocio nella sua bella memoria, che vedrà luce negli Attà. Laonde il Galanti vorrebbe che quello, che non completamente fu fatto a questo proposito per molte delle piante agricole, venisse esteso alla grande famiglia dei più insigni vege- tabili che costituiscono le flore locali. Il che gioverebbe, secondo lui, non solo a confermare ed estendere questa lesge importante di metereologia agricola, ma a dare al- tresì alla Geografia botanica, diremo quasi un carattere più positivo, mettendola in rapporto coi dati meteorolo- gici a ciascuna plaza spettanti. SIM I n SEDUTA DeL 24 novenpre 41867. 599 Il Presidente legge la seguente lettera ad esso indiriz- zata, del socio Paglia: « Il chiarissimo dott. Paolo Ascherson, socio corrispondente della no- stra Società, ‘nella sua recente comunicazione intorno ad alcune piante della flora italiana (A40ti della Società di scienze nat., Vol. X, pag. 262), dopo di avere nel primo capitolo Sopra alcune Naiadacee italiane, no- tata l’importanza del pubblicare le località finora non avvertite di queste piante, fa noto essersi trovata la Naias tenuifolia R. Br. (Naias graminea Del: Caulinia alagnensis Poll. Parl. 4. cap. 655. C. intermedia. Balb. et Nocca Ficin. IH. 163) nel Friuli presso Palmanova, a Strasoldo, tra le radici di saggi di riso ivi coltivato. « (Questa stazione, continua a dire, s' aggiunge dunque per l’Italia a » quella di Mantova, che lascia tuttora il desiderio di miglior conferma; » perocché il Parlatore avrebbe ricevuta la Naias minor dal Barbieri col » nome di MNatas alagnensis. » » Permetta l’illustre botanico Berlinese, che si domandi perché alla sola località mantovana debba aggiugnersi la stazione friulana della Na- lade in discorso, e non insieme a quella di Balzola tra Vercelli e Casale, donde gliela comunicava il Cesati; ed a quella di Alagna nel Novarese, dove la trovò il Pollini abbondantissima nei fossi delle risaie? » A conferma poi della verità di fatto, trovarsi la MNaias alagnensis Poll. nel Mantovano, quando non basti la testimonianza di Bertoloni, che assicura avere ricevuta tal pianticella ex paludibus Mantuanis a Bar- bierio (Flor. ital. Vol. X, 297); e la diligenza del Barbieri, il quale, seb- bene cieco, non può avere che per semplice errore spedita al Parlatore la IV. minor, invece dell’alagnensis, che effettivamente ebbe trovata nei laghi di Mantova, soggiugnerò averla di recente ritrovata l’arciprete Masè nella Molinella, presso Castel d’ Ario mantovano. » Con ciò spero soddisfatto il desiderio del chiarissimo nostro corri- spondente, al quale V. S. vorrà compiacersi di dare cemunicazione di questa mia, inviandogli a documento dell’esposto i due piccoli esemplari di aias minor e di Naias alagnensis qui uniti. 3 Mantova, 12 settembre 1867. 2 Il socio » Prof. Enrico PAGLIA. » 400 sepuTA DeL 24 novempre 1867. Il socio Bettoni legge un suo lavoro Sulla influenza della pressione atmosferica su alcuni pesci d'acqua dolce; lavoro, che sarà pubblicato negli Atte. Lo stesso socio presenta il termometro, con cui ha fatto le sue osservazioni, costrutto in modo da conservare, anche nel momento di osservare il numero dei gradi, una certa quantità dell’acqua, di cui si vuol misurare la temperatura. Il Presidente presenta un opuscolo del socio De Bosis, intitolato: Gabinetto di storia naturale e Osservatorio meteorologico di Ancona; e dà lettura della lettera con cui l'Autore ha accompagnato il suo opuscolo. La Società incarica la Presidenza dei dovuti ringrazia- menti al signor De Bosis. Il Presidente legge la seguente lettera del Municipio di Vicenza, colla quale quel Municipio, per misura sani- taria, ha rimandato all'anno 1868 la Riunione straordi- naria della Società in quella città, che era fissata per quest'anno 1867. « Illustriss. Signor Cavaliere! > Per quanto mi sia doloroso il veder riportata ad altro anno la tanto vagheggiata riunione dei Dotti Scienziati Naturalisti, io non posso infor- marmi che alle saggie e previdenti di Lei apprensioni, e con Lei conve- nire che il Congresso, di fronte alle affliggenti condizioni sanitarie di varie provincie d’Italia, potrebbe tornar inopportuno ed azzardato. » Diffatti, quale afflizione per Vicenza se il concorso degli scienziati, giustamente allarmati, fosse riuscito poco splendido e numeroso! Quale responsabilità d’altra parte per noi tutti, se col solo timore di una sven- tura avessimo avuto a registrare la nostra imprevidenza? » Per quanto dolorosa, ripeto, mi sia la di Lei proposta, io non posso che associarmivi decisamente. sepura bEL 24 novensre 1867. 401 » Troppo obbliganti poi e immeritate mi tornano le cortesi di Lei pa- role in riguardo al bisogno e al desiderio mio, affinchè l’ accoglienza avesse potuto riuscire splendida e qual si conviene a sì illustre Consesso; ma in questa dilazione mi conforta l’idea che altri meglio di me sapranno l’anno venturo attuare quelle addatte dimostrazioni, che si addicono alla colta e gentile Vicenza, e che nella mia pochezza si avrebbero limitato alla sin- cera sì, ma alla sola intenzione. » Accolga, o Signore, i sentimenti di una profonda osservanza, coi quali ho l’ onore di segnarmi » Vicenza, 16 agosto 41867. » Di Lei devot. servo » Gaetano CostTAnTINI /f. di Sindaco. » Il Presidente legge il seguente Programma, mandato dal signor Pierviviano Zecchini, relativo ad un libro, nel quale lo stesso signor Zecchini vorrebbe ripubblicare, ma compendiate, le idee geologiche di Lazzaro Moro. PROGRAMMA DI UN LIBRO DI GEOLOGIA, « Una gloria italiana è Anton Lazzaro Moro, e nonostante il volume, in cui pubblicò il suo sistema geologico, pochissimi lo conoscono, perchè sì raro che non trovasi in alcun negozio librario, trovasi solo in qualche regia biblioteca a servigio del pubblico, e più facilmente in taluna delle bennate famiglie del Friuli, sua patria; quindi oggidìi, eccetto qualche naturalista, nessuno lesse la sua opera de’ Crostacei: e se della sua teoria de’ sollevamenti, che fu la pietra angolare per 1’ edificio della scienza geo- logica, tutti gli scienziati ne parlano, gli è non per conoscenza diretta, ma per tradizione, come i racconti de’ vecchi. » Ristampare il libro del Moro, ch’ è in quarto grande di 450 pagine, sarebbe opera in parte superflua, per la ragione ch’ egli, trattenendosi a lungo nel confutare qua e là vieti errori dottrinali, ora quasi dimenticati, Vol. X, 26 409 seputa DEL 24 novempre 1867. non ci offre materia di alcun interesse quando discorre di essi; l'opposto di quello, che sarà accaduto al suo tempo; al che è d’arrogersi la forma, con cui vestì i suoi concetti, la quale, se splendida per dovizia d’imagini e brio e calore d’ esposizione, è per noi (mi si scusi il paragone) come gli abiti de’ nostri nonni, ricchi di graziosi ornamenti, ma di taglio diverso di quelli d’oggi giorno. Però m'è paruto più proprio fare un diligente compendio dell’opera di quel sommo naturalista, illustrandola; ove me- glio occorra, con qualche esame di confronto, riferibile agli studj de’ geo- logi posteriori a lui, e, in particolare, de’ moderni. Il che feci pure rispetto alla sua Dissertazione dell’origine de’ Crostacei, e alla sua teoria sulla salsedine dell’acqua marina: luna pubblicata nella Rivista contempo- ranea, l’altra nel Politecnico ;s i quali esercizj scientifici, poichè vennero accolti da quelle celebri effemeridi, credo non siano stati mal graditi dai loro lettori. » Questo nuovo lavoro, che intendo dare alla luce, comparirà in un bel formato di 300 pagine circa; ma, per l'edizione di simili libri, sarebbe ottima cosa, che qualche volta si facesse anche fra noi quello ch'è comune negli Stati Uniti d’America, ove, quando credesi che un’opera scientifiea valga all’ utile generale e all’ onore della nazione, non foss’ altro per aver rinfamato uno de’ suoi maggiori colla pubblicazione de’ suoi scritti, ben ‘presto concorrono degli associati, che si assumono tale negozio, caso che difficilmente si potesse fare senza il loro concorso, come s° è veduto del- l’opera di Storia Naturale di Agassiz, che, per istamparla, si raccolsero niente meno che cinquecentomila lire per azionisti, de’ quali la minima parte erano scienziati, e i più, invece, negozianti, banchieri, statisti. Però confido, solo per ammirazione al Moro e per amore alla scienza, che massime i naturalisti italiani faranno buon viso a questo programma, di- versamente mi sarebbe vano lo sperare di avermi con efficacia adoperato all’onore del grand’ uomo (così lo chiama il Lioy in una lettera, che, non è molto, mi scrisse), e a quello de’ suoi stud]. » PIERVIVIANO Zeccnini, Il segretario Stoppani presenta una lettera del socio Molon, sopra alcune inesattezze occorse nel processo ver- bale della seduta del 26 maggio scorso, e nella quale let- cre Apre RT Pe e, ira SEDUTA DEL 24 novemsRe 1867. 4053 tera il detto socio domanda che siano pubblicati i brani seguenti di un suo opuscolo (4). « Confrontando i fossili caratteristici della formazione eocenica dei ba- cini di Londra, di Parigi, di Fontainebleau, di Soissons, di Aix in Pro- venza, di Bracklesham-Bay, ecc., siccome dalle opere di Lyell, di d’ Orbi- gny, di Brongniart, di Bronn, di Saporta, di Matheron, parmi poter dedurre per l’identità della specie gli orizzonti geognostici da Bolca fino a Torre- selle, Monteviale, ecc. di una serie successiva di terreni in corrispondenza ai fossili caratteristici. Dal confronto dei fitoliti e delle fossili conchiglie mi risulta infatti che il calcare di Bolca a Nummulites lenticularis colla pesciaja e flora del Postale, insieme agli strati dalle frutta gigantesche, ap- parterrebbero alle argille di Alumbay, e forse alle argille di Londra, tro- vandovisi comuni alcune specie di Proteacee, Araliacee e Moree, per modo che si farebbero corrispondere all’ eoceno inferiore. » Confrontati indi circa quaranta specie di fossili di S. Gio. ]llarione, Gechelina di Malo, Sangoniai e Gnata (piano inferiore), avrei trovato che per due terzi si derhhuro i fossili caratteristici del Soassonnese superiore ed inferiore, ec per l’altro terzo al così detto calcaire grossier dei Francesi (parigino). Difatti fra i nostri fossili vi hanno i generi Terebellum, Mar- ginella, Cassis, Morio, Halix, Melania, che compariscono per la prima volta col Soassonnese, mentre si hanno i.generi Trochocyathus e Typhis, che nascono e muojono nel solo parigino, in cui appariscono per la prima volta i generi Cancer, Laganum, Madrepora, che si rinvengono nelle stesse e suddette nostre località, le quali perciò si farebbero corrispondere all’eoceno medio. Finalmente, passando alle assise superiori dei Grumi di Castelgomberto, S. Trinità di Montecchio Maggiore, Sangonini, Gnata (piano superiore), Torreselle, Monteviale e Colli Berici, si avrebbero i fos- sili caratteristici del Grés di Fontainebleau e degli strati di Hempstcad dell’ {sola di Wight, giacchè il Cerithivm margaritaceum, ed il C. pli- catum, i denti del Carcharodon heterodon ne segnalano la loro contem- poraneità, mentre i pesci fossili di Salcedo e Monteviale nei generi Coltus, Smerdis, sarebbero caratteristici appunto al faluniano inferiore di d’Orbi- gny, corrispondente all’eoceno superiore di Lyell. Gli scudi di Trionyx (1) Catalogo dei corollarj fossili del dott. D’Acnianpr. — Cenno critico del dott. Motron. Vicenza, 1867. ; i 404 SEDUTA PpeEL 2" sovemnsre 1867. trovati a Monteviale caratterizzano infatti, secondo Lyell, Ia serie eocenica superiore di Bembridge, per cui le assise delle suddette località corrispon- derebbero all’eoceno superiore. La prima flora di Chiavon-Salcedo si rife- rirebbe per Ie molte specie comuni ed analoghe a quella di Aix di Pro- venza; laonde io crederei appartenesse al cominciamento ‘dell’eoceno superiore, mentre il piano superiore di Torreselle e Monteviale chiude- rebbe il periodo segnalandone Ja fine. La formazione miocenica infatti si mostra soltanto al comparire del genere Scutella, che, secondo lo stesso d’Orbigny in essa solo per la prima volta comparve e si spense. I calcari a Scutella si trovano a Lonedo, Castello di Schio, S. Urbano, Creazzo, Al- tavilla, Monteviale (piano superiore), Monte dei Frati di Marostica, da Marsan a Valrovina, S. Eusebio, e quindi solo in tali località si avrebbe il mioceno in questa nostra provincia. » E qui giova osservare che il ysenere Operculina, secondo d’Orbigny, si sarebbe spento dopo il mioceno, ec che appunto nel calcare a Scutella io stesso rinvenni precisamente da Marsan a Valrovina una specie di oper- culina, che starebbe fra 1'Op. complanata d’Orb. e 10. Boîssy, per modo che tanto più si avrebbe la prova del mio asserto ritenendo però sempre la classificazione di Lyell. »: Il Presidente Cornalia legge la seguente lettera del so- cio Strobel sulla Società di Unione e Benevolenza fondata a Buenos-Ayres dalla Colonia Italiana, e sul desiderio di quella Società di avere in dono per la sua biblioteca le pubblicazioni della nostra Società e i libri elementari di Storia Naturale pubblicati dai naturalisti italiani. « Signor Presidente >» Nella colonia italiana più importante, quella di Bwuenos-Ayres, alcuni anni sono, sorse una Società di Unione e Benevolenza, composta, per ‘la massima parte, di opera), la quale va sempre più prosperando. Fra gli scopi lodevoli della medesima certo non: il meno commendevole si è quello di promuovere e favorire l'istruzione della classe operaja. A tale uopo essa, ajutata nel filantropico intento anche da connazionali nella madrepatria, riuscì a riunire una quantità di libri sufficiente per comporre 27 REREA SEDUTA DEL 2% NOVEMBRE 1867. 408 con essi un nuelco di biblioteca popolare, che venne già posta ad uso dei Socj, ma nella quale scarseggiano assai le opere di scienze naturali. Oltre alla biblioteca, quella società aprì, al principio di quest’ anno, una scuola elementare ed altra serale, gratuite pei Soc] e figli loro, le prime scuole italiane di tale indole in Buenos-Ayres; — e dietro informazioni recente- mente avute, esse progrediscono per bene. » II $2 del regolamento della nostra Società stabilisce che scopo di essa è: « di promuovere in Italia il progresso degli studj relativi alle scienze naturali. » Non mi sembra però che le parole di questo para- grafo debbansi interpretare nel senso più ristretto, ma che appartenenti all’ Italia siano anche da considerarsi le sue colonie; e ritengo quindi che fine della nostra società debba essere pure quello, più esteso e generoso, di contribuire alla diffusione di tali dottrine fra i nostri lontani fratelli.... specialmente poi, quando, come nel caso concreto, l’ajuto, che si chiede alla medesima ed ai Socj, non cagionerebbe che una tenuissima spesa, mentre, d’altra parte, riuscirebbe molto efficace. » E pertanto mi permetto di proporre, per di Lei mezzo, alla Società: » 4.9 Di inviare alla Società Italiana di Unione. e. Benevolenza in Buenos-Ayres, per la sua biblioteca, una copia degli Atti, valendosi a ciò dello stesso mezzo, di cui già si serve per mandare l esemplare dei me- desimi alla Società Paleontologica nella stessa città; » 2.° Di invitare i Soc], i quali han pubblicato (o pubblicheranno) libri elementari o scritti popolari di scienze naturali, nel senso più. va- sto della parola, a volere far dono di un esemplare di essi alla predetta Società Italiana in Buenos-Ayres, inviandolo, per la trasmissione alla me- desima, a questa Presidenza; » 3.° Di fare istanza presso i Socj; i quali non hanno dato alle stampe di cotali libri o scritti, perchè vogliano offrire quelli pubblicati da altri, che, per avventura, possedessere duplicati, — o generosamente farne acquisto al detto scopo; nel quale proposito si fa osservare, che per 1’ in- dole stessa di que? libri, c dell'uso che se ne deve fare, non sarà difetto, se mai per caso si venisse a raccogliere un’ opera in duplo @ triplo esem- plare, o se questo fosse già usato. » 4.° Che la Presidenza voglia riunire presso di sè i libri, che le sa- ranne diretti al fine indicato. Ove la medesima non potesse assumersi anco la cura di spedirli al loro destino, dichiaro di essere disposto a pren- dermi questo impegno, rilasciando in tale caso regolare ricevuta delle opere a me consegnate, e procurandomi poi dalla presidenza della Società 406 sebuTA DEL 24 novenpre 1867, di: Unione e Benevolenza una distinta delle medesime, colla indicazione dei rispettivi donatori, e per, norma loro. » Lo scopo della proposta essendo insieme scientifica e patriottica, e la fatica e la spesa, che occorrono per raggiungerlo., essendo minime, come dissi e di leggieri si comprende, non dubito punto che la Società, che Italiana si intitola, non vorrà aderirvi; e la prego quindi, signor Presi- dente, a voler dar lettura di questo progetto nella prossima seduta ordi- naria, sottoponendolo indi alla votazione. | » Parma, 19 novembre 1867. » Il socio » P. STROBEL. » Si decide di pubblicare questa lettera perchè venga a conoscenza degli autori di libri elementari di scienze natu- rali, e di mandare al signor socio Strobel alcuni volumi degli Atti, non che quei libri elementari, che i loro autori vorranno far pervenire alla Presidenza per la destina- zione accennata. Sono nominati Soc] effettivi i signori: DeLPINo FepERICO di Firenze, impiegato al Ministero delle Finanze, proposto da Marcucci, Caruel e Caldesi; Lessona MicHELE professore di geologia ‘all Università di Torino, proposto da Cornalia, Omboni e Salvadori. È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente (28 luglio 1867). Il Presidente annuncia la morte del socio dottor Eu- gENIO BerTÈ di Parma. G. OMBONI. RICERCHE SULLA CAGIONE PER CUI T FIORI DI ALCUNE PIANTE ST APRONO DI SERA DI TEODORO CARUEL La più parte delle piante sogliono aprire i loro fiori al mattino. Alcune però li schiudono più tardi in giornata, o di sera, È un fatto notissimo, e da lungo tempo; su cui anzi Linneo, come tutti sanno, volle appoggiarsi per costruire il suo così detto Orologio di Flora. Pur tuttavia le condizioni del fenomeno, e la sua cagione, sono rimaste avvolte da molta oscurità; cosicchè anche il signor Sachs, nel suo recentissimo Manuale di Fisiologia sperimentale delle piante, ha dovuto dire che al presente poco o nulla conoscesi intorno a questo argomento (1). Noi andiamo debitori a Pir. de Candolle delle prime ricerche sul fenomeno dello schiudersi dei fiori vespertini (2). Egli esperimentò in specie sul Gelsomino di notte (Mirabilis Jalapa), che nel clima di Parigi fiorisce di state fra le sei e le sette pomeridiane. Ne col- locò delle piante in un luogo rischiarato di notte tempo con lumi, (1) Sachs, Handbuch der Experimental-Physiologie der Pflanzen, 1865, pag. 496. (2) DE CanpoLLE, Experiences relatives dà Vinfluence de la lumière sur quelques ve- getaux (Memotres presentés a VInstitut par divers savants, tom. I, pag. 337-43); € Physiol. vegetale, tom. II, pag. 485-87. 408 T. CARUEL, e tenuto oscuro durante il giorno; vide che la loro fioritura era dapprima molto irregolare, poi desse prendevano l’ abitudine del nuovo stato di cose, e già il secondo giorno aprivano i loro fiori di mattino, alla fine del giorno artificiale che loro veniva fatto. Da ciò Candolle rettamente dedusse avere la luce un’azione evidente sulla fioritura. E siccome in altri suoi esperimenti su piante che fioriscono a ore determinate, egli aveva veduto i fiori aprirsi nelle medesime ore sotto l’acqua, e all’aria, in una serra calda, e all'aperto, egli opinò nulla essere l’ azione dell’ atmosfera e della temperatura ri- guardo al fenomeno. Però avendo egli assoggettato e i Gelsomini di notte e altre piante, sia ad una luce artificiale continua, sia alla to- tale oscurità, e veduto alcune specie fiorire all’ora consueta, altre in modo affatto irregolare, egli dovè convenire che per quanto la luce sembrasse solo agente esterno ad operare sul fenomeno, pure l’azione sua dovesse essere sottomessa a leggi complicate. Meyen (i) rifece gli esperimenti di Candolle, e ne confermò il risultato, essere cioè evidente l’azione della luce sullo schiudersi dei fiori vespertini, dubbio il suo modo di agire. Anche Dutrochet (2) si occupò molto dell’ argomento, però sotto un altro punto di vista. Desideroso di ricondurne la spiegazione alle sue predilette teorie, egli immaginò l'ipotesi dell’esistenza nei fiori in discorso di un tes- suto cellulare suscettibile di curvarsi all'infuori per effetto dell’ en- dosmosi, insieme con un tessuto vascolare ugualmente suscettibile di curvarsi, ma in senso opposto, per ossigenazione; e all’ azione preponderante, ora dell'una causa ora dell’altra, egli riferì I’ aprire e il chiudersi dei fiori. Com’ era previdibile, non hanno trovato fa- vore presso i botanici le idee di Dutrochet, per quanto appoggiate a qualche esperimento, perchè in primo luogo egli non dimostrò la esistenza reale di quelle proprietà nei mentovati tessuti, e in secondo luogo non riuscì a porre in chiaro le relazioni fra le supposte cause e gli effetti osservati nel fenomeno dell’apertura dei fiori vespertini. (4) Meyen, Neues System der PfianzenePhysiologie, tom. III, pag. 495-97. (2) DutrocHET, Du reéveil et du sommeil des plantes (Annales des sciences naturel- es, Bolanique, 2° série, tom. VI, pag. 177-84). Ul PERCHÈ 1 FIORI DI ALCUNE PIANTE SI APRONO DI SERA. 409 La fisiologia vegetale ha dovuto per ciò rimanersene alle prime indicazioni fornite da Candolle sessant'anni fa, per quanto insuffi- cienti fossero. Imperocchè restava sempre a sapersi se l’azione indu- bitata della luce fosse diretta, semplice, esclusiva, o sì vero come già l'illustre botanico ginevrino egli stesso accennava, e altri, così Adriano de Jussieu (1), più esplicitamente dubitavano, fosse dessa un’azione complicata, e in quali elementi si dovesse risolvere. lo mi sono occupato in questa estate della soluzione del problema, e credo esservi giunto. Fui invogliato ad occuparmene dall’ avere ritrovato fra le mie carte gli appunti sopra una serie di osservazioni fatte fin dall'anno 1849, sulla fioritura precisamente del Gelsomino di notte. Io abitava in quel tempo una casa posta nei suburbi di Firenze, con giardinetto. Senz’ altro scopo che di accertarmi delle variazioni giornaliere della fioritura di quella pianta, nel maggio di quell’anno ne seminai qualche poco nel giardinetto a pie’ di un muro volto a ponente, il quale perciò riceveva il sole nelle ore po- meridiane. Principiati i fiori, ne appuntai giorno per giorno l’ ora della fioritura dal 27 luglio alla fine di ottobre, notando pariménte lo stato del cielo nell’ ora indicata, come sta segnato il tutto nello annesso prospetto. Non essendomi provveduto di strumenti per isti- tuire altre più esatte osservazioni meteorologiche, ho supplito alla meglio a tale mancanza col corredare il mio prospetto, volendolo ora pubblicare, di un estratto delle osservazioni termometriche e igrometriche fatte presso a poco contemporaneamente nella Specola del Museo fiorentino, posta a una distanza di poco più di un chilo- metro in linea retta dal giardino dove io osservava. Noterò a di più ch'io inaffiava abbondantemente le mie piante, perchè l’alidore non avesse a disturbarne le funzioni; e che ad indizio della fioritura io aveva prescelto il momento in cui gli stami e lo stilo del primo fiore si erano completamente raddrizzati — sono avvolti nella boccia — anzichè un grado qualunque di espansione del perigonio, più diffi- cile a precisare. Ecco pertanto il prospetto delle osservazioni da me falle : (4) Ang, pe Jussiru, Bolanique, 184%, pag. 492-94. h40 T. CARUEL, Fioritura del Gelsomino di notte osservata nel 1849. Estratto delle Osservazioni meteorologiche fatte alla Specola di Firenze Variazioni giornaliere della fioritura Stato del cielo all’ora indicata Giorni Ore Termom.® R. [grometro] RR RA LE TIZI lA AAA ZE ESSI PIATT ATIORE AT RAZZA Luglio Ore 3 | Ore 6 [Ore 3/0re 6 27 4. 30 Sole Vento 229,4|21°,g| 68 | 70 928 | Li dota i gi 24,0 |23,1|45 | 56 29 5. 45 (0 più tardi) Sole 26,5 | 26,4 | 48 | 42 30 ga ep PIRLO A TUIR 24, 222,6 |.58.| 62 34 hi, 40 Sole Vento 23,8 22,8 | 62 | 65 Agosto I 1 Ab Nuvolo Vento 24,61 22,9 | 58 | 66 a 4. 30 7 Sole 23,8|23,41|44 | 46 3 5 45 Sole Vento 24,8 |23,5 | 40 | 49 4 5. 15 Sole Vento 24,7 |23,0 | 50 | 57 i) 4, 55 Nuvolo Vento 26,0 | 23,3 | 65.| 70 6 5. 40 Sole (Pioggia al mattino) f 22,0 | 22,6 | 70 | 69 7 5. 05 Sole 23,8 |23,0 | 54 | 50 8 Di ‘doc Sole 24.1|24,3 | 46 | 44 9 5. 39 Sole 25,5 |24,9|50 | 50 10 .5. 00 Sole 25,0| 24,5. | DI | 52 44 5. 00 Sole 25, 0 | 25,0] 53 | 52 12 5. 20 Sole 25, 3:11.25, 0: {00103 13 dò. 30 Sole 26,7|25,2| 45 | 48 14 Più tardì delle 5 Sole 26,8|25,7|48 | 54 15 Beat Sole 26,225, 6 | 50 | 53 50 | 60 16 Prima delle 5. 40 Sole 27,426,0 a e no Da E SE PERCHÈ I FIORI DI ALCUNE PIANTE SÎ APRONO DI SERA. 444 lin PARISE SSN IAA: IDINT R Estratto delle Osservazioni meteorologiche fatte alla Specola di Firenze Variazioni giornaliere della fioritura Stato del cielo all’ ora indicata Giorni Ore Termom.° R. |[grometro Agosto Ore 3 | Ore 6 {Ore 3/0re 6 17 5. 00 Sole (Nuv. al matt.) Vento {249,5 |23°,5| 62 | 66 18 4. 50 Sole 25,2|24,0 | 56 | 56 49‘! 4. 410 Nuv. (Burrasca al 4) {417,3 {17,6 | 90 | 83 20 . 14,0:|13,0| 80} 85 21 4. 40 Nuvolo con Sole 17,3 |16,6 | 65 | 53 99 ho 400° Sole con qualche Nuvolo | 19, 3 { 19, 2 | 48 | 48 23 Verso le 5 Sole Vento 20, 8 {419,4 | 50 | 55 24 5. 20 Nuv. {S. poco prima) Vento f 24,41 [19,2 | 55 | 70 25 ML MAr i 214,0 |19,7|55| 70 26 4, 40? Pioggia (Nuvolo innanzi) { 48,4 |17,8 | 70 | 76 io 4. 50 Sole con qualche Nuvolo f 24,0 { 20,7 | 50 | 52 28 Verso le ‘5 Sole 21,6 120,5 | 55 | 58 29 5. 30 Nuvolo Vento 92,3 | 19,5 | 53 | 60 30 4h. 50 Sole Vento 291,9| 21,4 | 57 | 62 34 Dopo le 5 Sole 29,2 |241,3 | 54 | 63 Setlem.® ai 5. 20 Sole 29,4} 22,3 | 50 | 53 2 | 5. 20. Nuv. con qualche po’ di Sole] 22, 8 | 21,7 | 58 | 68 3 5. 30 Sole 23,3 { 23, 2.| 55 | 65 4 5. 30 Nuvolo (Sole innanzi) | 23,4 {22,4 | 58 | 66 5) 5. 00 Nuvolo (Burrasca innanzi) { 21, 4 | 17,8 | 77 | 85 6 TESS 2004 Nuvolo 22,8 | 20,8 | 68 | 75 7 5. 45 ? Nuvolo 293,41 | 24,5 | 68 | 80 Bis 5. 15 Sole (N. e V. poco prima) [ 23, 0 | 24, 4 | 677773 | 442 T. CARUEL, Estratto delle Osservazioni meteorologiche fatte alla Specola di Firenze Variazioni giornaliere della fioritura Stato del cielo all’ora indicata Giorni Ore Termom.° R. |Igrometro Seltem.® Ore 3 | Ore 6 [Ore 3/0re 6 9 5. 00? Nuvolo e Sole 20°,3|199,5| 65 | 74 10 5. 45 2 Sole Vento 21,8 20,2 | 58 | 63 14 5. 00 Nuv, (Pioggia al mattino) | 20, 4 | 20, 0 | 80 | 87 12 4h, 50 Pioggia 48,0|414,2|85 | 92 13 4. 40 Sole (Piogg. innanzi) Vento] 17,0 | 15,2 | 73 | 79 14 Prima delle 4. 45 Sole 19,8|47,8| 624 73 45. |Verso le 5.30 (o più tardi, Sole 20,3 | 19,3 | 45 | 55 46 Verso le 6 Sole 20,5 {19,7 | 44 | 53 17 5. 30 Sole 19,9|19,0| 50 | 58 18 3. 00 Sole e Nuvolo 20, 2 19,0| 65 | 68 19 Più tardi delle 5. 30 Sole 15,9 | 15,7 | 53 | 64 20 8. 20 Cielo sereno 17,2417,0 | 58 | 63 21 j 18,6 |16,8 | 48 | 62 292 5. 45 Nuvolo Vento 18,1 45,9 | 58 | 66 23 4. 20 ? Nuvolo Vento 16,0 | 44,3 70 75 24 Verso le 3 Sole 16,6 |15,0| 67 | 70 25 18,2 |15,6| 69 | 86 26 SR8 01 Nuvolo e Sole 419,6 | 19,4 | 67 | 80 27 5. 00 Nuvolo (prima Sole) {22,0 |19,2|560| 72 28 Fra le 5 e le 6 Sole 47,0}45,7| 67 | 77 29 5. 15? Sole 19,3 | 18,8 | 62} 70 30 Più tardi delle 6.45 Nuvole 18,4]47,5 76 | 80 Ottobre A 5. 30 Sole 20,5|48,5/63 711 IR ani 2338 PERCHE I FIORI DI ALCUNE PIANTE SI APRONO DI SERA. 44153 II AIZIIA PI AREE SIINO E IERI POI AZ TSI PE IDOLI ED SIERRA RI PIZZALE MAIO > Estratto delle Osservazioni Wapiazioni.& senatore } meteorologiche fatte alla Qelia:Roriura Stato del cielo Specola di Firenze all’ ora indicata Termom.°® R. |[grometro Ore 3 | Ore 6 [Ore 3/0re | 2 Verso le 5, 45 Sole 20°,0|417°,9]| 68 | 70 3 Fra Je 5 e le 6 Sole 418,9/47,0| 70) 70 se 6. 20 Nuvolo 47,41|416,2 | 80 5 o Sie Sole 19,6 |417,6 | 63 6 5. 10 Sole 418,9 |417,2 | 65 7 6. 45 Pioggia forte 417,4 |45,7 | 84 8 Lita Sole 17,0/46,0| 90 9 SAR Sole 16,9 |15,0| 66 10 RISI Sole 16,7 |416,0| 66 MI AU Pioggia forte 15,3 |14,0 | 88 42 SR da Pioggia 12,0/412,4]| 92 43 Nessuna fioritura Nuvolo Vento 415,2 |43,8 | 65 14 Verso le 8.9? ? | Pioggia 13,4 119,71 93 15 6. 30 Nuvolo 418,2 /46,4| 85 416 5. 50 Ciel. ser. (Nuv. innanzi) {48,0 | 46,8 | 71 47 Verso le 6 Pioggia 15,8 |414,0 | 86 18 Dr GARE Ciel sereno 17,4 (416,0 | 65 49 9. 00 Ciel sereno 16,41 |14,3 | 60 20 | Nessuna fioritura (4) Ciel sereno 14,1|42,8 | 66 21 id. . Nuvolo 45,0 /413,9 { 70 22 Prima delle 9 Giel ser. (con qualche N.) f 16,9 | 15,0 | 70 23 id. Ciel sereno 16,3 |45,4 | 68 (1) Alle 9.30 nessun fiore si era aperto; appena qualche boccia vi si disponeva. Così pure il dì 24. Da alcuni indizj io fui disposto a credere che la fioritura si faceva la mattina assai per tempo. Checchè ne sia, da quell’epoca essa si fece così imperfetta, , che abbandonai di osservarla, 444 T. CAKUEL, Avendo persato adunque di riprendere quest’ anno l’ esame del problema relativo allo schiudersi dei fiori del Gelsomino di notte, ne feci seminare di primavera in sei vasi compagni; e a fioritura già inoltrata, cioè a mezzo luglio, principiai le nuove osservazioni e gli esperimenti. Due vasi furono collocati in una situazione simile a quella delle piante osservate nel 1849, vale a dire a pie’ di un muro volto a ponente, dove avevano il sole nelle ore pomeridiane, con qualche alternanza di ombra per esservi alcuni alberi posti di fronte; essi dovevano servire di termine di confronto con gli altri quattro vasi, destinati più specialmente agli esperimenti, e perciò questi li chiamerò i vasi normali. Tutti e sei furono regolarmente inaffiati, e in modo eguale. | La prima questione che mi si affacciava nel dar mano all’investi- gazione del problema, era di sapere se l’azione della luce sullo schiudersi dei fiori era diretta o indiretta. Di leggieri mi convinsi dover essere indiretta, ripensando a quell’ esperimento di Candolle in cui egli vide la fioritura del Gelsomino di notte farsi irregolare, e vero, ma pure seguitare solto l’azione continua, ossia uguale, della luce, come nella continuata oscurità; e considerando a di più che nella serie delle osservazioni da me fatte nel 1849, io non poteva scorgere alcun indizio di regressione nelle ore della fioritura, la quale stesse in rapporto con la diminuita lunghezza dei giorni e la con- seguente diminuzione della luce alla stessa ora della sera (1). Pur tuttavia, a migliore conferma della mia opinione, volli vedere se a condizioni eguali di luce, essendo mutata qualchedun'altra, accadesse o no variazione nella fioritura. Posi un giorno, di mattina, una cam- pana di vetro sopra ‘parte delle piante di uno dei vasi normali ; ben presto il vapore d’acqua uscito dalle piante appannò il vetro della campana, ma poco dopo raccoltosi in grosse goccie scolando in giù, ritornò il vetro alla primiera limpidezza ; venuto il sole, riscaldò for- temente l’aria umida rinchiusa nella campana; e la conseguenza si fu che nè quella sera, nè nella notte, nè poi si apri alcuna delle boccie che avrebbero dovuto fiorire quella sera, le quali invece al (4) Questa mia osservazione sta in diretta opposizione a quella di Draparnaud rife- , Tita da Candolle, il quale vide il Gelsomino di notte fiorire più presto d’autunno che d’ estate, PERCHÈ I FIORI DI ALCUNE PIANTE SI APRONO DI SERA. 44 b mattino seguente si atteggiarono alla posizione della sfioritura senza essersi punto aperte. Temendo che per la soverchia insolazione su- bita da quelle piante, la quale invero fu tanta da bruciarne alcune foglie, fossero state troppo disturbate le naturali loro condizioni di vita, volli nei giorni seguenti ripetere l’esperimento, mettendo le piante sperimentate (che furono diverse da quelle adoperate prima) in luogo ombreggiato. Questa volta non furono mutate altro che le condizioni igroscopiche dell’aria rinchiusa entro la campana, poichè la temperatura vi si mantenne eguale a quella dell'ambiente esterno: la luce era la stessa, e per essere la campana posata leggermente sulla terra del vaso vi si rinnuovava l’aria da certi spiragli a suffi- cienza per i bisogni della respirazione; eppure le piante ivi rinchiuse fiorirono costantemente più tardi di quelle di un altro vaso posto per confronto a canto al primo, ma all’aria libera, essendovi un divario fra luna e l’altra fioritura di un’ora a due e anche più. Così rimasi confermato nell’ opinione, essere indiretta l’ azione della luce sullo schiudersi dei fiori. Aggiungerò che dagli esperimenti indicati mi parve poco più sostenibile l’idea di Candolle, non avere |’ umidità e il caldo influenza sul fenomeno. Ciò posto, io doveva esaminare quali sono gli effetti della luce sulla vegetazione, i quali potessero a lor volta esser capaci d’ influire sullo schiudersi dei fiori. Come tutti sanno, sono due i fenomeni prin- cipalissimi della vita vegetale che stanno in relazione con la luce: la respirazione detta clorofilliana, e l’ evaporazione acquosa, ossia traspi- razione. | Riguardo alla respirazione clorofilliana, era difficile concepire da una parte quali rapporti potessero passare fra questo fenomeno, la cui sede è nelle parti verdi della pianta, e l’azione sua tutta chimica e lenta, e dall’altra parte lo schiudersi a bastanza rapido di un perigonio non verde ma colorito, fenomeno più essenzialmente fisico di espansione o se sì vuole curvatura di una membrana, con raddrizzamento di corpi sottili quali sono gli stami e lo stilo. Già Candolle aveva veduto i fiori aprirsi all’oscurità continuata, in assenza perciò dell’azione re- spiratoria. Una esperienza mi dimostrò maggiormente non essere la respirazione cagione dello schiudersi dei fiori. Collocai un vaso in 446 T, CARUEL, una sottoscala semibuia, dove poca luce veniva da un finestrino posto in alto; e ve lo tenni una seltimana. Le funzioni respiratorie della pianta furono grandemente indebolite, come potei rilevare dal colo- rimento delle nuove foglie. che vennero fuori impallidite e gialle anzichè verdi. Ciò nonostante, nelle tre prime sere i fiori si aprirono precisamente nell’istesso momento di quelli di altre piante poste al- l’aperto, e all’ombra. Nelle sere susseguenti la fioritura si fece più ritardata, e infine stentata e irregolare. « Restava dunque la traspirazione come causa possibile della fiori- tura. E veramente qui sì, anche a privrî, potevasi stabilire un legame fra l’ entità degli effetti della traspirazione e la rapidità dello schiu- dersi de’ fiori, fra la turgescenza dei tessuti prodotta da una diminu- zione della traspirazione, e l’ espansione della membrana perigoniale effettuata nella fioritura, Io mi fermai perciò al concetto che dalla tra- spirazione dovesse dipendere il fenomeno soggetto delle mie ricerche. L’ esame istologico delle foglie del Gelsomino di notte mi confortò nel mio presupposto, col mostrarmi una disposizione di parti grande- mente adatta a favorire la traspirazione, e a dare in tutti i modi a questa funzione una parte assai importante nella vita. della. pianta. Le foglie infatti constano di un parenchina molto rado, ovunque lacu- noso, ricoperto da una epidermide sottile di un solo strato di cellule, nella quale stanno in ambedue le pagine gran numero di stomi, Ora ritiensi comunemente che le variazioni cui va soggetta la traspirazione in una medesima pianta, dipendano sopratutto da tre cause principali, la luce, la temperatura e l'umidità dell'ambiente; cosicchè la traspirazione diminuisce con l'aumento dell’ umidità, au- menta invece con l'aumento della luce e del calore nell'atmosfera. Se dunque era giusto il mio concetto, doversi cioè ricercare la causa della fioritura vespertina del Gelsomino di notte nella traspirazione, e precisamente in una diminuzione di traspirazione la quale inducesse una i turgescenza di tessuti e. conseguentemente l’ espansione. della. mem- | brana perigoniale, doveva la fioritura stessa stare, rispetto agli agenti atmosferici, in rapporti tali, da essere anticipata coeteris paribus dalla diminuzione della luce e del calore e dall’ aumento dell’ umidità, per cui diminuisce la traspirazione, posticipata invece dalle cause inverse ‘© PERCHÈ 1 FIORI DI ALCUNE PIANTE SI APRONO DI SERA. 417 per cui la traspirazione aumenta. Su queste basi mi posi ad esperi- mentare. 4.° Luce. — Tenendo fermi i soliti due vasi normali nella po- sizione solatia, come di sopra ho detto, collocai altri due a pochissimi passi di distanza dietro l’angolo del medesimo muro, dalla parte esposta a tramontana, dove, meno che di prima maltina, se ne stavano tutto il giorno all'ombra, riparati dai raggi solari, in godimento per altro di molta luce per essere quello un luogo alto e scoperto in cima ad una collina. Le condizioni igrometriche dei quattro vasi erano necessariamente le stesse per la somma vicinanza dei due luo- ghi, le differenze di temperatura nelle ore di sera poco notevoli, e talvolta nulle (nei giorni coperti), e tali da non tenerne di conto, perchè si sa che una certa azione calorica non si può mai sceverare da quella della luce. Il risultato si fu che costantemente le piante tenute all'ombra anticiparono nella fioritura su quelle esposte alla luce diretta del sole, come appare dal seguente prospetto: Variazioni della fioritura in relazione con la luce. Ore della fioritura Termometro R. Giorni all’ombra a solatio all'ombra Luglio 24 6. 0 6.40 24° » 26 6. 0 Tai 25 — 24 n. 27 dB. 30 7 PRI, | QU4 — 25 » 28 5.45 6.45 21 » 29 dB. 0 5.30 292 Agosto 1 4. 45 d.09 24 — 23 ” 3 4.45 6. 0 417 — 418 ” 4 4. 4d 6.40 21 — 22 » 5) 4,45 6.40 VI — 20 » 7 4.40 6. B 21 » 8 4.30 7:10 22 — 25 » 41 6. 0 6. 50 Qb—- 24 ”» 412 | 6. 0 6.40 2d 15 | 6. 0 Ti 25 — 26 » iu I Bb. 40 6.40 25 MERE LI 418 T. CARUEL, 2. Temperatura. -— Riguardo a questo agente, la sua ‘influenza’ sulla fioritura del Gelsomino di notte è risultata per me troppo pa- lese dalla semplice osservazione, perchè io abbia riputato necessario metterla maggiormente in chiaro con esperienze. Le variazioni gior- naliere della fioritura dipendono ‘per lo più direttamente da quelle della temperatura, essendo pari le altre condizioni atmosferiche, în modo tale che i fiori si aprono più tardi quando la temperatura s' in- nalza, più presto invece quando si abbassa. Ciò viene dimostrato dal seguente quadro di osservazioni, fatte sulle piante dei vasi normali in una serie di giorni sereni : Variazioni giornaliere della fioritura in relazione con la temperatura. Giorni Ore Luglio 18 6.45 39 49 6.55 » 20 6.30 DO) 292 7.45 : 3 253 6.50 7 ” 26 PAGINE QU } AO Agi: 25 D) 28 6.45 21 » dI 6. 50 292 | Agosto 4 pios0 23 ” 4 6.40 D9 ” lb) 6.40 20 ” 7 6. D 21 ” 8 e Pn 1) 25 ” 9 6.40 99, DO 44 6.50 QU » 15 0 26 D, 1 6.40 25 i Sopra 18 osservazioni, 12, ossia i %/3, stanno a comprovare la imia asserzione, mentre le altre che costituiscono le eccezioni mi pare che-vadano soltanto a dimostrare mon essere la temperatura PERCHE 1 FIORI DI ALCUNE PIANTE SI APRONO DI SERA. 149 causa unica delle variazioni della fioritura, ma concomitante altre cause, come potrebbe essere lo stato igrometrico dell’ atmosfera. Però dall’ insieme delle mie osservazioni io sono rimasto convintissimo dell’indicata azione della temperatura. Si vede ancora dal quadro che l’ora della fioritura non sembra proporzionata al grado di caldo; ma a giudicare pienamente di ciò converrebbe adoperare un altro me- todo di valutazione della temperatura, il quale desse la somma di calorico ricevuta dalla pianta nelle ore precedenti la fioritura, invece del semplice accertamento del grado termometrico al momento della fioritura stessa. 3.° Umidità. — L'umidità dell’atmosfera riveste duplice forma, secondochè l’acqua vi si trovi allo stato liquido, o di vapore acqueo. Volli esperimentare in primo luogo l’azione dell’acqua liquida. Si sa che il contatto dell’acqua liquida con le parti esterne e in spe- cie con le foglie delle piante ha per effetto di mantenerle in uno stato di turgescenza; sia che l’acqua semplicemente impedisca la traspirazione facendo da corpo otturante sugli stomi, come general- mente si crede; sia che veramente venga assorbita dalle foglie, come risulterebbe dalle esperienze antiche di Bonnet, verificate in questi ultimi anni dal valente fisiologo francese sig. Duchartre (1): ciò che per lo scopo delle mie ricerche monta lo stesso. Esperimentai sopra le piante di un vaso collocato a canto a quelli normali, col metodo semplicissimo di farvi cadere sopra a più riprese nelle ore pomeri- diane una pioggia artificiale per mezzo di un inaffiatolo a spillo; avendo cura ad un tempo di somministrare uguale dose di acqua agli altri vasi, ma senza che questa bagnasse le foglie delle Joro piante. L'esperimento ripetuto in due giorni consecutivi, il 31 luglio e il 1.° agosto, diede precisamente lo stesso risultato, vale ‘a dire'i fiori delle piante bagnate si schiusero mezz’ ora prima degli altri. Riguardo all’ azione del vapore d’acqua, ho già'ricordato piti sopra i resultati degli esperimenti fatti sopra piante rinchiuse ‘entro cam- pane di vetro, dove in un ambiente carico ‘di ‘vapore esse ‘postici- (1) DUCHARTRE, Experiences sur alia pi eau par les feuilles au contact. (Bul- letin de Va ‘Soc. bot. de France, tom. HI, pag. 224.) 420 T. CARUEL, parono costantemente la loro fioritura, e in modo notevole. Questo risultato era precisamente l’opposto di quello cui mi aspettavo; € per dire il vero ne rimasi sconfortato non poco, mentre per esso io mi ritrovavo riposto nelle maggiori incertezze, in quel punto in cui ve- devo tutti gli altri miei esperimenti collimare così bene a una mede- sima soluzione del problema, quale me l’era augurata. Non pertanto, ripensandoci bene, mi venne il dubbio che forse l’inaspettata conse- guenza verificatasi, potesse dipendere da un’azione locale dell’ umi- dità atmosferica sul perigonio dei fiori, tale da controbilanciare per qualche tempo l’effetto generale della diminuita traspirazione. Presto sottoposi il mio dubbio a sindacato, operando nel modo seguente. Presi un tubo di vetro rigonfio ad una estremità — uno di questi usuali scartocci da lumi a petrolio — e sostenendolo in modo adatto obliquamente sopra due piedi, introdussi nella sua parte rigonfiata l'estremità di un rametto con due boccie alte ad aprirsi la sera di quel giorno, otturai la bocca corrispondente del tubo con un sughero diviso in due e forato nel mezzo, e poi chiusi anche l’altra. bocca dopo avere introdotto nella parte ristretta del tubo una spugna inzup- pata d’acqua. Questa svaporando costituì ben presto un’ atmosfera umida attorno al rametto, mentre il resto della pianta se ne stava in un'aria asciutta. Venuta la sera, vidi la conferma del mio sospetto, poichè i fiori racchiusi entro il tubo sbocciarono circa mezz’ ora più tardi degli altri. lo aveva sperimentato sopra un vaso posto all'ombra ; ciò nonostante, siccome mi ero accorto di un aumento sensibile di temperatura entro il tubo di vetro — era giornata calda, il 40 di agosto — l’indomani volli ripetere la prova sopra un vaso portato in una stanza fresca, dove non si verificò l’accennata diversità di temperatura fra l’ambiente esterno e quello del recipiente, e il ri- sultato fu sostanzialmente lo stesso. Da tutte le osservazioni ed esperienze fin qui addotte, sembrami che risulti provata a sufficienza la verità del concetto ch'io mi formai intorno al fenomeno della fioritura vespertina del Gelsomino di notte, quando ne riferii la cagione alla diminuita traspirazione della pianta verso sera. Se adesso, con questo concetto nella mente, si ripasse- ranno le osservazioni da me fatte nel 1849, c riportate in principio PERCHÈ I FIORI DI ALCUNE PIANTE SI APRONO DI SERA. 421 di questo scritto, vi si troverà una comprova sempre maggiore della mia idea, osservando che in quasi tutti i casi si potrà avere la spie- gazione delle variazioni giornaliere della fioritura , coll’ accagionare il sereno, il caldo e l'umidità del suo ritardo, e le cause contrarie della sua anticipazione, valutando sempre ogni agente per la sua parte separata di azione, quando che aiutata quando che contrariata dagli altri agenti. Si osserverà che passati i primi di ottobre la fiori- tura si è fatta irregolarissima, per l'andamento della stagione dive- nuto contrario alla vegetazione normale della pianta. È da riferirsi alla medesima cagione che nel Gelsomino di notte la fioritura delle altre piante vespertine o notturne? lo non potrei asserire nulla in proposito, in mancanza di osservazioni dirette. Se ciò fosse, e la teoria si potesse generalizzare, ne verrebbe la conse- guenza che i fiori i quali si aprono a determinate ore del giorno, ripeterebbero sostanzialmente la loro fioritura dalle medesime cause per cui altri fiori, perciò detti mefeorici, si aprono o si chiudono in relazione con i cambiamenti atmosferici, onde l’ Orologio di Flora ver- rebbe a confondersi con il suo così detto Igrometro. INFLUSSO DELLA PRESSIONE BAROMETRICA SOPRA ALCUNI PESCI D’ACQUA DOLCE i STUDI di EBUGENIO BETTONI i Si Questi recipienti. ..,.. furono chiamati acquari, e. Ja loro scoperta segnò un progresso grandissimo negli studj zoologici <..... M. Lessona (4). Experienlia praecedit, Ratio sequitur. C. tari (2), . non s"ha diritto ad una gencralizzazione unica e grandiosa, finchè con la scala dell’ analisi ia si sono riunite molte sintesi secondarie. P. MANTEGAZZA (5). I. AI generale andamento delle vicende meteoriche, diverse per le varie regioni, corrispondono le particolari fisonomie delle flore e delle faune; ed alle particolari oscillazioni di queste vicende, cor- rispondono molti fenomeni nel mondo degli esseri vivi, fenomeni di cui taluni non isfuggono ad una quasi casuale osservazione, mentre altri richiedono particolari e pazienti indagini. Sull’effetto delle perturbazioni di qualche rilievo si posseggono un certo numero di cognizioni; ed oserei assicurare, senza tema di andar errato, che il maggior numero di esse, sia posseduto dal volgo, quantunque tavolta svisato dalla superstizione e dal pregiudizio (4). (4) M. Lessona. Gli acquarii, Torino, 1862. (2) C. LinnE. Materia medica, ecc. 1749. (3) P. ManTEGAZZA. Lettere mediche sull’ America meridionale. Milano, 4858. (4) Chi non ebbe occasione di verificare la giustezza delle previsioni o delle osser- vazioni dei cacciatori e dei pescatori? Del resto chi vuole conoscere molti pronostici atmosferici, usati dal volgo lombardo, consulti, a pagina 176 e seg., quel prezioso Al- manacco del Nipote del Vesta- Verde dell’anno 1850. E. RETTONI, INFLUSSO DELLA PRESSIONE BAROMETRICA » FCC, 4253 Nella schiera però degli studiosi della natura, ne troviamo alcuni che ci diedero su questo argomento importanti notizie. Alcuni ad esempio, studiarono o i vegetali o gli animali (4) durante gli ecclissi; altri indicarono Je ragioni di.certi sviamenti nelle emigrazioni degli uccelli; e Motschulsky ci apprese quali specie d’ insetti precedano colla loro comparsa le procelle. Quetelet consigliò parecchie volte di prendere questi animalucci in accurata. considerazione nei loro rapporti meteorici (2). Serres (3) accorda ana speciale importanza.alla temperatura); sia nel determinare le periodiche. che le irregolari e li- mitate emigrazioni di molti animali. Questo insigne scrittore concede qualche importanza anche alla pressione barometrica, in. riguardo specialmente alla stazione dei pesci. Egli riconobbe vero negli uc- celli.e nei pesci l’ istinto divinatore delle vicende atmosferiche, e, per iscendere ad un particolare, rammenterò che colla sua. antore- vole parola. conferma l'opinione dei pescatori, che cioè certe azioni della Tinca indichino el’ avvicinarsi del temporale ed il ristabilirsi del bel tempo. W. Edwards (4) potè riunire nel. 1824 in un sol corpo di dottrina il frutto delle sue ricerche sperimentali sull’ influenza degli agenti fisici sulla vita. H libro che ne risultò è il più profondo di questo genere che io conosca; esso fa scopo delle sue ricerche i vertebrati, fra cui l’uomo, it quale infatti non si. sottrae, per quanto sembri accadere il contrario, all’influsso atmosferico. Quante volte la nostra (#) fo non conosco che varj opuscoletti:dei signori Villa di cui due inseriti negli Atti della Società Italiana di scienze naturali, ed alcune notizie botaniche inserite dal prof. Agnello nell’ opuscolo di G. Cacciatore: Sui fenomeni osservati in occasione del- — Vecclisse del 6 marzo 1867 (Palermo, 1867). In esso si trascrivono succintamente alcune osservazioni fatte il 18 luglio 1860 da Jose Pizcueta, prof. di botanica nell’ Università di Valenza. (2) Nei Results of meteorological observations mad under the direction of the United States patent Office and the Smithsonian Institution, ecc., si trova una lista della prima comparsa di molti animali e del primo sbocciare delle frondi e dei fiori di moltissimi vegetali. Se il desiderio di Quetelet venisse ad effettuarsi, avremmo delle osservazioni ehe, unite a queste, verrebbero a completarsi a vicenda. (3) MarceL pes Sernrs. Des causes des emigrations des diverses animaux et parli- culierement des viseaux et des poissons. Paris, 18453. (4) XW. F. Epwanps. De l'inftuence des agens physiques sur la vie. Paris, 1824. 424 E. BETTONI, speciale attività, I assalirci improvviso di una invincibile indolenza , non trovano la loro ragione di essere nel vario modo di gravitare dell’aria sui bacinetti dei barometri! — È noto come alcuni fra i più solerti operai del pensiero, fossero soliti crearsi all’ intorno artificialmente quelle condizioni di temperatura, di umidità, ecc., che loro maggiormente giovavano a renderli attivi e vogliosi al lavoro. Non è dunque a stupirsi se un distinto ingegno cercò, pre- venendo forse il suo tempo, di analizzare l’azione della luce, del- l'umidità, e del calore sulle varie operazioni intellettuali dell’ uomo civile (1). Le alterate condizioni atmosferiche furono, sino dall’ antichità, riconosciute come causa di malattie (2). Non ci deve però recar me- raviglia come, nel mentre versiamo tuttora in una quasi completa ignoranza sugli effetti fisiologici delle vicende meteoriche, ci siano all'opposto noti assai meglio i patologici. Questo paradosso deriva da ciò, che cagione di malattia sono soltanto le più rilevanti fra tali perturbazioni, più facili eziandio a riconoscersi. Il lavori però di cui provasi maggiore mancanza sono quelli che prendono in ispeciale riguardo le piccole oscillazioni quotidiane, e che dovrebbero altresì essere corredati dall’irrevocabile linguaggio delle cifre. In due campi opposti, e con scopi e modi diversi qui da noi, riempirono in parte la grande lacuna i recenti studj di G. Can- toni e di C. Lombroso (3). lo pure vengo a portare il mio pugno di sabbia entro la grande voragine, il riempimento della quale è tutta opera dell’ avvenire. Scopo delle mie osservazioni furono i pesci; e tra loro poche specie nostrali, che vivono in acque basse, e che studiai più specialmente in rapporto alla pressione atmosferica. (1) QueteLET. Sur l'homme et le developpement des ses facultés, ou éssai de physique sociale. Paris, 1836. Vedi anche Vita e luce del distintissimo Moleschott. (2) Accennerò soltanto come prova dell’antichità degli studj climatologici in medicina il libro di Ippocrate: De aere, aquis et locis. (3) II primo pubblicò un Saggio di meteorologia applicata alla botanica ed all’ agri- coltura (Vol. IX, Atti Soc. Ital. di scienze nat. 1866); ed il secondo, facendo scopo de’suoi studj gli alienati, nel 1867 vinse il premio proposto dal R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. INFLUSSO DELLA PRESSIONE BAROMETRICA, ECC. 42% Ora facciamo un po’ di conoscenza colle specie sulle quali istituii le mie ricerche; in seguito esamineremo le condizioni in cui le mantenni. . Sono digressioni utili e necessarie. Gli animali impiegati furono: Alburnus alborella De Filip. Alborella. Scardinius erythropthalmus L. Scardola. Tinca vulgaris L. Tinca. Cyprinopsis auratus L. Ciprino dorato. Cobitis toenia L. Ghisela. Tutte queste specie, eccetto il Ciprino dorato che comperai, furono pescate da me, le Ghisele in un fossato sabbioso, le Scardole, le Al- borelle e le Tinche in piccoli pantani, costeggianti l’ argine destro del Ticino, ed in una lanca dello stesso fiume. Nelle lanche e nei bacini testè nominati le Scardole e le Alborelle si trovano assai nu- merose: sì le une che le altre amano vagare verso il fondo o a mez- 2'acqua, talora alla superficie; ma preferiscono i luoghi bassi ai profondi. I branchi dell’ Alborella sono generalmente più stipati di quelli della Scardola, che talora si isola dalle proprie compagne per passare nelle falangi dell'altra specie. Le Tinche prediligono la fan- ghiglia, e lentissime nel loro incedere, stanno più di frequente sul fondo o fra l’erbe. Collocai tutti questi animali in un acquario (1) in cui Alborelle, Scardole e Ciprini dorati si riunirono in un branco talora ingrossato dalle Tinche, che più spesso però s’internarono fra le erbe acqua- tiche: le Ghisele serpeggiarono sul fondo fornito di minuta ghiaja. Di tratto in tratto ammanii per loro nutrimento dei lombrichi e più raramente dei fiocchi di alghe. Dai pochi dati suesposti si rileva di leggieri come nell’acquario si {rovassero riunite delle specie, che presentano tre modi di vivere (1) Mi trovo in dovere di ringraziare pubblicamente la famiglia Marangoni, presso cui trovasi l’acquario, per le numerose ed esalte osservazioni che gentilmente istitni a mio vantaggio, 426 E. BETTONI , spiccatamente diversi; per il che sotto l'impressione delle medesime cause dovevano presentare pure fenomeni diversi. S'egli è vero che gli animali racchiusi in un acquario si trovano in condizioni che avvici- nano di molto le naturali; nel caso mio però io doveva procurare che tali condizioni fossero rigorosamente mantenute, Per. ciò appunto feci dei confronti termometrici tra l’ambiente natio degli animali e quello che loro apprestai ad arte, e mi valsi a tale scopo delle osser- vazioni sulla temperatura del Ticino, raccolte dai dottori Frisiani e P. Cantoni, osservazioni che si protrassero dal luglio a tutto dicem- bre 1866 (1). In quest’ anno mi recai io stesso al Ticino usando dello stesso termometro che veniva adoperato dai summentovati osserva- tori, e di cui per gentile condiscendenza del prof. Cantoni, mi valgo a determinare la temperatura anche dell’acquario., la quale durante l’ estate del corrente anno in media differì di circa due gradi,in più da quella del Ticino rilevata verso la sponda sinistra, presso. al vec- chio e famoso ponte coperto (2). Questa differenza è piccola per sè, ma si annulla co pei qualora si consideri che la temperatura dell’acqua dei pantani, delle lanche e d’altri stagni era sempre superiore di due, tre o più gradi da quella della corrente del Ticino. Nei giorni freddi, nebbiosi 0 piovosi dell'autunno la differenza accade in senso contrario. La capacità dell’ acquario dall'ottobre 1866 all’aprile 1867 era di litri 70; ampliato in seguito, ora ne può capire ollre.a 100;.ma in realtà non ne conliene che 83 -mantenendovisi 1!’ acqua. al livello di 29 centimetri. al I vegetali che vi feci attecchire non erano soverchi, ma più. che sufficienti a mantenere l’ ossigenazione dell’acqua ed a mondarla' dai prodotti ammoniacali; in una parola a produrvi il necessario equi- librio. Nell’ ottobre dello scorso anno l'acquario rimase per qualche lei esposto ad ovest, sotto di un porticato terreno e collocato sopra una (1) È un peccato che le osservazioni idrometriche fatte per Pavia dai RR. Pontieri non siano corredate dalle termometriche. (2) Alcune volte però la temperatura dell’ acquario e del Ticino erano identiche 0 pressochè tali, INFLUSSO DELLA PRESSIONE BAROMETRICA, ECG. 427 panchetta in mezzo a fiori; più tardi venne trasportato nel vano di una finestra volta al sud, ed.appartenente ad una, stanza che nel verno fu convenientemente riscaldata (1). Nel maggio di quest’ anno l’ acquario ampliato si trasportò sotto altro posto volto a mezzodi, e con tendaggi si regolava «assai bene la luce ed il calore che venivano a colpirlo. Il. Già premisi che studiai 1’ effetto della pressione atmosferica sui pesci di cui sopra tenni parola; e certo sembrerà .a taluno. che io abbia limitato di troppo le mie ricerche, Faccio però notare che nelle mie osservazioni non mi valsi di artificj esperimentali, con cui deli- beratamente verificare, esagerandoli, gli influssi dell’uno piuttostochè dell’ altro dei varj fenomeni meteorici; ma che questo rapporto mi venne svelato dalla stessa natura. Del resto, non è dessa la pressione atmosferica il principale fenomeno meteorico, che, pei suoi rapporti cogli altri, forma il punto di congiunzione di una linea rientrante in sè e formata da tutti gli agenti atmosferici? La temperatura dell’ ambiente sugli animali a sangue caldo, pro- duce effetti propri e rilevabili direttamente all’ infuori dell’ effetto della pressione. Infatti la prima di queste due cause opera in ragione inversa sull’attività respiratoria, ed in ragione diretta sulla traspira- zione cutanea; raggiungendo con questa alternativa lo scopo di man- tenere sempre nel corpo lo stesso grado di calore. Nei pesci in cui la traspirazione cutanea non ha luogo, gli effetti vengono ad essere molto menomati (2). Non voglio però con questo venire al paradosso, che i pesci possano sopportare indifferentemente ogni temperatura, e neppure che di questa non ne risentano completamente gli ef- (4) L'esperienza mi suggerì di protrarre a stagione più avanzata il ricoveramento in casa dell’acquario, il quale l’ anno scorso ebbe luogo il 40 ottobre, in cui la tempe- ratura minima dell’ aria era di 6°, 8, quantunque quest’ anno, allo stesso giorno, si avesse una minima di 29,4, e ciò per non privarlo troppo presto del beneficio di libera aria e di abbondante luce. (2) La secrezione della mucosità che lubrifica l'epidermide dei pesci terrebbe, in questi, luogo della traspirazione cutanea, 0 ne sarebbe una modificazione? 428 E. BETTONI, fetti: sarebbe questo un urtare coll’esperienza in uno al buon senso. Le cognizioni sulla distribuzione geografica e topografica dei pesci, osterebbero al mio asserto, al pari delle emigrazioni e delle immigra- zioni di alcune specie in cui la temperatura è il movente diretto o indiretto, Infine farò osservare come io non mi sia dimenticato del fatto che accade anche in alcune nostre specie nostrali, le quali non si possono pigliare quando la temperatura si abbassa oltre un certo limite perchè si sprofondano nel fango o nella sabbia (1). L’indiffe- renza fisiologica dei pesci per la temperatura, ch’ io avvertii, non esce dai limiti delle variazioni diurne. Conosco che mi sarebbe stato più proficuo nelle mie osservazioni il poter disporre di un buon barometro da collocarsi a fianco del- l'acquario; chè così avrei potuto offrire dei dati assoluti: ma siccome le circostanze me lo impedirono, così accontentiamoci dei relativi. I dati barometrici mi vennero forniti dai bullettini che si pubblicano dall’ Osservatorio della È. Università (2). Nel determinare i rapporti tra il modus vivendi dei pesci sum- mentovati, colla pressione barometrica, trovai doversi notare: 4.° Il posto da essi occupato nell'acquario; 2.° Se vi si tenevano sparsi o aggruppati; 3,° Il grado di vivacità dei loro movimenti (3). Il branco vagante costituito dai Ciprini dorati, dalle Scardole e dalle Alborelle pel suo genere di vita e per Ja sua sensibilità più palese, entra come termine principale e più preciso nella tabella delle osservazioni. Non ho peranco potuto formarmi una ben chiara idea delle cause minori che obbligano le Tinche a lasciare il loro verdeggiante na- scondiglio onde unirsi al branco vagante. Però mi sembra che esse (4) Vedi in proposito il libro di Serres, citato più sopra, a pag. 410. (2) Pavia: Latitudine 45°41; longitudine 3° 20; altezza dell’Osservatorio, metri 97. 8 sopra il Jivello del mare. — Media pressione barometrica per la primavera 753. 80; per Pestate 754.25; per l’ autunno 750.74; per l'inverno 756. 28. (3) Il grado di vivacità dei movimenti si appalesa per il rallentarsi o l’accelerarsi del moto megli opercoli branchiali, che trascina seco un rallentamento od una accelerazione anche nel moto delle pinne, specialmente pettorali. Infine per una fisonomia particolare che as- sumono i movimneti dei pesei e che si colpisce soltanto dietro la diretta osservazione. INFLUSSO DELLA PRESSIONE BAROMETRICA, ECC, 429 ciò facciano di preferenza quando gli altri pesci siano per lo meno in movimento. Secondo che la pressione è discendente o minima, ascendente 4 massima, si hanno diversi numeri riassuntivi dello stato di quiete o meno dei pesci. Infatti siccome appare dall’ispezione dello specchio delle osservazioni qui unite, e che sommano a 305, si hanno: nella pressione discendente 31 casi di quiete, 33 di movimento, 43 di agitazione; nella pressione minima si hanno 24 casi di quiete, 25 di movimento, 42 di agitazione; nella pressione ascendente invece la quiete è rappresentata da 23 casi, il movimento da 22, l’ agitazione da 11; infine nella pressione massima si hanno 37 casi di quiete, 9 di movimento, 8 di agitazione. Laonde se ne trae la conclusione che: I pesci sono più spesso agitati quando il barometro discende che quando è stazionario, e che ancor meno di frequente l’agitazione ha luogo quando il barometro s’ innalza. .4 pressione stazionaria l’agi- tazione è maggiore quando cade una minima, che quando cade una massima. Il vento forte, oltre all’impressionare i pesci coi disturbi di pres- sione, li commove anche meccanicamente per l’increspare dell’onde, per lo scuotersi dei vegetali in parte sommesri, ecc., e nell'acquario questi fenomeni sono rappresentati dalle vibrazioni sentite da esso e dal suo sostegno. Col perdurare del vento tutti questi fenomeni rie- scono inavvertiti dai pesci, perchè finiscono coll’assuefarvisi. Quando j pesci sono tranquilli si trovano per lo più al fondo, man mano cre- sce l’agitazione salgono sempre più in alto. Questa regola soffre talora di qualche eccezione, ma sempre accade che quando l' agita- zione è al suo maximuni i pesci si trovino alla superficie. Durante i temporali o poco prima tutti i pesci del mio acquario, indistintamente, si portano alla superficie dell’acqua. Quelli del branco vagante, e con essi le Tinche , stanno allora più di continuo alla su- perficie o orizzontalmente o verticalmente; mentre le Ghisele ritor- nano ogni momento al fondo ove non possono trattenersi. Osservai che anche i girini delle Rane fanno simili ascese è discese, ma ad intervalli ancor più avvicinati, 450 E. BETTONI, Una pressione troppo considerevolmente e rapidamente abbassata può far morire i pesci, come venne riconosciuto in natura da Car- bonnier (1). Le commozioni dell’ organismo, di cui tenni parola, quantunque abbiano un’ apparenza di sola esagerata ‘motilità, e vestano perciò il carattere di un’unica azione riflessa, sono tuttavia la risultante di tutte le impressioni ricevute dai varj sistemi organici. che compon- gono l’ essere vivo. Bisogna escludere l’idea ch’ esse partano da una impressione localizzata ai soli sistemi nervoso e circolatorio, come si può inferire da una grossolana analisi degli effetti risentiti da’ noi stessi ed osservati nei vertebrati superiori, altrimenti si commette- rebbero due errori ad un tempo, l’ uno di fisica generale, l’ altro di fisica animale. Chi incorresse in quest’ ultimo avrebbe sconosciuto il mutuo legame degli organi, avrebbe subito la mala influenza della necessità didattica di tracciare delle divisioni, di cui talune illogiche, nello studiare analiticamente la vita. La sintesi dei fatti finora osservati non ha diritto ad una generaliz- zazione grandiosa, ma essa non si farà lungamente attendere, se, come spero, io stesso ed altri potremo ripetere le osservazioni su altre specie che vivono in circostanze diverse. Lascio luogo alle cifre ed alla grafica rappresentazione dei fatti osser- vati, onde gli svelati rapporti possano più facilmente giungere all’occhio. Pavia, 16 novembre 1867. Le tabelle che seguono e che danno la grafica rappresentazione dei fatti osservati, le curve barometriche ed il quadro della temperatura dell’acqua contenuta nell'acquario , si limitano ai soli mesi in cui si poterono instituire osservazioni più precise, complete. o numerose. (1) CargonniER. Etudes sur le causes de la mortatité des poissons d’eaua douce. (Bulletin de la Societe d’Acclimation. 2° Serie, Tom. Ill, 1866.) — Questo piscicultore asserisce che la diminuzione considerevole della pressione, dilatando abnormalmente gli organi dei pesci, obbliga le specie che stanno al fondo a salire ‘alla superficie; € ciò in virtù della loro specifica leggerezza, e costringe le specie della superficie a guadagnare maggiore pro-., fondità, per aggiungere alla pressione atmosferica insufficiente, quella della colonna d’a- equa superiore. — In questo giusto reperto sta la spiegazione dei fenomeni da me osser- vati. Carbonnier ha indicato un effetto estremo, io tentai di svelare i fatti intermedi. Se SI i dd int, Me i ito 3 INFLUSSO DELLA PRESSIONE BAROMETRICA ) ECC, Tabella distributiva dei varj gradi di vivacità nei Pesci in rapporto colla pressione. COLA AI II IITITIII III IIIi Pressione f Pressione Pressione { Pressione | Pressione f Pressione {discendente ascendente 8 N discendentef minima {ascendente | massima e minima | e massima È D riunite riunite = = D -8 «È -@ -d - È gar) 35: = [ere pa 212 NR e ae na =|s|Sf=a|\s|sl=|s/sl=|s|s|=|s|3|{=|8|S{ £ : Annoj Mese = LE eee e sie badge /Sdalo SISIEISTa | SE slelal2|/5|[#f£|e|w[J£|s|a[|£|/s|{@JK£|S|a P|z!<[|a]j=3|[i< Cambiata Vacqua Py. pioggia. INFLUSSO DELLA PRESSIONE BAROMETRICA , ECC, 455 APPENDICE Ittiofagismo d’una lumaca. Rinuncio di buon grado ad esporre quelle scene che si verificano negli acquarj, in cui i protagonisti sono gli animali che già stu- diammo, ed altri ben noti di cui non feci menzione; ma non posso passare sotto silenzio il fatto da me osservato, che la Limnea auri- cularia, mangiò bene spesso dei pesciatelli giovanissimi, che rinchiusi in un piccolo acquario, onde sottrarli alla voracità d'altri nemici. Proxrinus laevis Selys-Longh. Nelle mie piccole pesche, osservai un curioso fenomeno intorno alla pigmentazione del Fregarolo. Egli è noto come questo animaietto rivesta i margini della bocca e tutte le parti inferiori del corpo di un lussureggiante aranciato volgente al rosso minio. Ora questa maniera di pigmentazione cessa quasi all’improvviso, quando il benessere dell’individuo venga mi- nimamente sturbato. Qualche cosa di analogo a questo fenomeno succede nel trasporto delle Scardole, che, prese colla pinna caudale fortemente colorata, perde poi tale tinta pel sofferto disagio. T'utta- via il colore non iscompare in essa rapidamente nè per intero quan- d’anche il digiuno ed il freddo, la pongano in condizioni sfavore- volissime e distruggano in essa qualunque erotica tendenza. Nel Fregarolo invece appena tolto dall’acqua si vede il colore scom- parire sott'occhio, senza passare per alcuna gradazione. Questo fatto interessante mi fece molta meraviglia, e mi riempì di desiderio di conoscerne la ragione, per il che nella prossima pri- mavera intraprenderò lo studio dell’ organizzazione dello animaletto in cui si opera l’annunciato fenomeno. Palaemon patustris Martens. Già la Società Italiana di Scienze Naturali venne intrattenuta, sul conto di questo piccolo ed elegante crostaceo (!). Allora però con una (4) Vedi Atti della Societa italiana di scienze naturali, Vol. VI. 4864, Sui crostacei di forme marine viventi nelle acque dolci e specialmente del Palaemon palustris di MARTENS. Lettera di T. Taramelli al professor Balsamo Crivelli. Vol. X 28 43% E. BETTONI, INFLUSSO DELLA PRESSIONE BAROMETRICA , ECC. breve nota lo si faceva conoscere per riguardo alle sole forme. Ora richiamo un po’ della vostra attenzione per tracciarvi in pochi tratti qualche particolarità de’ suoi costumi. Egli è certo che la sua recente comparsa nelle acque che circondano Pavia, ebbe occasione da una piena di Po, in questi ultimi anni vi si è moltiplicato assai. Certe acque che entrano nei bassissimi canali scavati ad arte fra i saliceti, lo ricettano a miriadi in primavera, ma ivi esso trova presto la morte; perchè quelle acque prive di vegetazione e di luce, imputridiscono distruggendo ogni vestigio di vita, all’ infuori dei multiformi in- fusorii. Nondimeno in altre acque che îo possono ricettare di continuo, lo si rinviene copiosissimo, dal principio alla fine d’ autunno ed in principio di primavera. Più tardi si trova meno numeroso, ma all’op- posto più sparso in molti fossati e bacini palustri, intorno alle rive fra l’erbe acquatiche o nei fuscelli sommersi. Allora si pescano fem- mine gravide di uova, ciò che non accade in principio di primavera ed in autunno. Da questi fatti io ne inferirei che all’epoca degli amo- ri, il Palemone si sparga irradiando in molte acque ed indicando così una specie di monogamria. Passato quel tempo ritorna gregario. Nel verno, pertanto, ove abitano questi animaletti? Di certa os- servazione non lo so; ma il trovarli numerosi ed aggregati al prin- cipio di marzo, mi farebbe supporre che anche d’inverno essi man- tengano simile abitudine. Non mi mancherà probabilmente 1’ oppor- tunità di verificare questa mia opinione. Nell’acquario, io non ve lo potei mai mantenere a lungo, perchè i pesci più grossi lo divorano. Frattanto posso assicurare che iso- landolo dai suoi nemici, farebbe buona prova negli acquarj, che ab- bellirebbe assai, fornendo pure all’osservazione nuovi fatti onde con- statare anche in questo piccolo animaletto le influenze atmosferiche. Se il Palaemon lacustris è vittima dei pesci, alla sua volta si fa earnefice delle Cyclas, dei Pisidium e delle piccole Limne@e, e dei Lombrici di cui si pasce ghiottamente. Ho potuto convincermi che non può tollerare lunghi digiuni. Seduta del 29 dicembre 1867. Il Presidente apre la seduta presentando un lavoro del prof. Camillo Rondani: Diptera italica non vel minus cognita, ecc. in aggiunta a quelli che furono già pubbli- cati dalla Società. — Questo lavoro sarà stampato negli Atti. î In seguito viene letta la seguente nota del socio pro? fessore G. Seguenza, Su di una scure di peo pulita rinvenuta presso Messina: « Nel grande movimento scientifico odierno che, in brevissimo tempo, ha fatto progredire tanto la storia geologica dell’umaniîtà, disotterrando dovunque preziosissimi avanzi dell’ umana primitiva industria, non v’ha quasi luogo in Europa che non abbia fornito il suo contingente di armi, di ossami, di utensili e di strumenti, di avanzi d’ogni genere per con- tribuire al progresso della Paleoetnologia. La Sicilia stessa non è restata indietro all’appello della scienza, e da varii suoi angoli ha fornito mate- riali pregevolissimi e molto HA che fanno supporre in essa un’ abi- tazione molto anteriore ai tempi sin dove rimonta la storia. » Ciononostante nel territorio messinese non si era rinvenuto sinora verun residuo industriale di così antica data. » Non ha guari un contadino veniva ad offrirmi una scure di pietra pulita rinvenuta presso la città, a pochi chilometri di distanza ; profittando di tale occasione ho creduto utile di mettere anch'io una pietra al grande 456 SEDUTA DEL 29 picempre 1867. edificio palevetnologico innalzato dalla geologia moderna, descrivendo nella presente nota quest’ unico oggetto, il primo che abbia offerto il mio suolo nativo. » L’arma di pietra della quale io voglio discorrere appartiene alla ca- tegoria di quegli oggetti antistorici che si sono riferiti all’ epoca della pie- tra pulita; la forma è d’ una scure di quelle di cui se ne sono rinvenute molte in varie parti d’Europa, come quelle rappresentate dal sig. Lubboch, fig. 71 (41), e dal sig. Le Hon pag. 424 (2), coi lati obliqui e ben arroton- dati, alquanto curvi e un po’ disuguali, Convergenti verso |’ estremità su- periore, che sembra abbia dovuto essere originariamente più acuta, ma che oggi si mostra consumata dall’uso. Il margine inferiore quasi retto presenta uno spigolo tagliente e maestrevolmente lavorato, ma nella sua estensione si osservano delle rotture, prodotte forse dall’ usare dello stru- mento, o da qualche urto; la superficie è ben levigata, ma presenta talune leggiere asprezze sopra una sola faccia in vicinanza del taglio. » La roccia della quale è formata la scure è una sienite granitoide micacifera, la quale presenta un colorito grigio-brunastro, che in alcune parti è misto di rossiccio. » Tale roccia, per quanto mi sappia, non esiste in Sicilia; nella provincia gli Messina qualche volta occorre d’incontrare dei ciottoli sienitici nel *tonglomerato miocenico, ma questi hanno tutt’ altro aspetto della roccia di cui la scure è COSE s infatti sono di una grana disuguale e _grosso- lana; il feldspato che d’ ordinario predomina è compiutamente opaco di - color rosso; la mica vi manca del tutto. La nostra arme invece è d° una grana assai fina, abbonda di mica, il feldspato ed il quarzo vi sono di color bianchiccio in taluni punti, o leggermente rossiccio in altri. » Messina, 2 dicembre 1867. » (G. SEGUENZA. » 11 socio dottor Gaetano Negri è quindi invitato dal Presidente a leggere la sua Memoria intitolata: Osser- vazioni geologiche sui dintorni di Varese, la quale verrà inserita negli Att. (41) L’ homme avant l’ histoire, pag. 69. (2) L’ homme fossile en Europe, son industrie, ses meurs, ses queres d'art. SEDUTA pEL 29 Dpicempre 1867. 457 Il segretario prof. Stoppani fa ad essa memoria le se- guenti osservazioni: — Le marne rosse che si trovano dietro la Madonna del Monte furono dapprima dal com- pianto prof. De-Filippi ascritte al rosso ammonitico, per la sola somiglianza della roccia. — Dal momento che le calcaree della Madonna del Monte si riconobbero infralia- siche, questa determinazione non poteva più reggere. La somiglianza di quelle marne rosse colle roccie del Keu- per, nonchè la somiglianza degli schisti bituminosi sotto- posti cogli schisti di Besano, persuasero lo Stoppani a stabilirne 11 parallelismo con queste formazioni. Anche questa determinazione non può più reggere dal momento che le sottoposte dolomie hanno tutti i caratteri che le identificano col grande gruppo della dolomia a Megalo- don Gumbelii, superiore al Keuper, ossia al Gruppo di Gorno e Dossena. — Lo Stoppani però insiste ancora nello ascrivere al trias quelle marne e quelle formazioni, basandosi sulla certezza del livello e sulla irregolarità di sviluppo delle marne variegate che nelle Alpi alternano colle calcaree della stessa epoca, mentre nel resto dell’Eu- ropa costituiscono, quasi da sole, salvo in Germania, tutto il trias superiore. Aggiunge altre osservazioni sulla serie stratigrafica dei dintorni di Varese, e insiste singolarmente nel ricondurre entro i giusti limiti l’idea che i terreni stratificati formi- no quasi un rivestimento alla grande emersione del por- fido quarzifero, come falsamente si pretendeva dai seguaci della scuola di De-Buch. — L’emersione dei porfidi non altera per nulla l'andamento lineare del sollevamento, che tira dritto da nord-ovest a sud-est, come nelle altre parti di Lombardia. — Si appella in proposito a recenti osservazioni da Imi fatte sui Inoghi, e che si riserva di 458 SEDUTA DEL 29 picemprE 41867. pubblicare più tardi, dalle quali gli risulta, tra le altre cose, che la serie dei terreni stratificati si ripete anche nel cuore della formazione porfirica nelle vicinanze di Tresa, dove sarebbe totalmente esclusa da un solleva. mento inteso nel senso di De-Buch. Finita la discussione per le osservazioni mosse dal se- gretario prof. Stoppani, il Presidente concede la parola al. socio ing. Antonio Maimeri, che presenta alcune con- chiglie fossili marine, tutte bivalvi, da lui estratte nel decorso estate da un grande masso di pietra calcare are- nosa non molto compatta (vulgo mattone), esistente nel territorio di Cavriana ad est di Castiglione delle Stiviere, poco lungi da Solferino, in Lombardia. Il macigno che ne contiene in buon dato è quasi tutto sepolto nella morena che lo circonda. La superficie sco- perta, ossia visibile, fu rinvenuta di metri 4 nel senso dell'asse maggiore, e di metri 2.50 nel senso dell’ asse minore. Se le apparenti caratteristiche del suolo nelle suaccen- nate località non lo indicassero una continua morena, quel macigno, anzichè un masso erratico; si direbbe una roccia ivi sporgente, ma nell'interno del suolo comuni- cante con altre roccie lontane, come sarebbero quelle di Sermione a sud-ovest del Benaco, con quelle di s. Vigilio e di altre località più elevate sulla sponda orientale del lago di Garda. Il prof. Stoppani opina che tale trovante non sia altro che un masso erratico proveniente dai depositi marnosi miocenici che esistono presso Torbole, dove in tali marne sono attivate delle cave, trovandosi esso per l'appunto sulla vera morena frontale proveniente direttamente da Riva pel ghiacciaio del lago di Garda. sEDUTA DEL 29 picempre 1867. 439 Terminate le letture il Presidente presenta il Catalogo della Biblioteca sociale domandandone l’ autorizzazione per la stampa, che sarà fatta in un fascicolo separato nel formato degli Atti. Ogni anno verrà poi pubblicata un'appendice per le nuove aggiunte. — Annuncia quindi i nomi di quei membri della Presidenza che per lo Sta- tuto debbono uscir di carica, 1 quali verranno annun- ciati pure nella lettera d’invito alla seduta di gennaio. È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente (24 novembre 1867). Per ultimo si annunzia come la Société Linnéenne du Nord de la France, da poco tempo istituitasi, abbia in- viato i suoi Atti, e come la Società ne abbia accettato 1l cambio. Non essendovi altro a trattare la seduta è sciolta. Il vice-segretario C. MARINONI. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE NEI DINTORNI DI VARESE del socio dott. GAETANO NEGRI SEDUTA DEL 29 DICEMBRE 1867 (Vedi Tavola IV.) La costituzione geologica della Lombardia è stata in questi ultimi tempi diligentemente studiata nelle valli centrali e orientali; ma, per quanto io sappia, l’attenzione dei geologi non è stata rivolta con eguale premura alla investigazione della estremità occidentale; così che mentre la matassa arruffata dei terreni infraliasici e triasici è stata svolta dal lago di Como a quello di Garda, pei dintorni di Va- rese e del Lago Maggiore dobbiamo appagarci di descrizioni anteriori alle ullime scoperte, o di alcuni brevi cenni troppo sommarj ed in- completi. — Scopo appunto delle mie osservazioni, limitate, del re- sto, agli immediati dintorni di Varese, fu la ricerca dei terreni di questa parte di Lombardia, altre volte geologicamente tanto studiata, sperando di ritrovare in essi la serie e le distinzioni stratigrafiche altrove scoperte e precisate. — Se da un punto qualsiasi aperto di questa città, p. e., dal piazzale della Stazione, volgiamo lo sguardo al nord, ci vediamo davanti tre gruppi di montagne perfettamente distinti. A sinistra il gruppo della Madonna del Monte e del Campo dei Fiori, a destra il gruppo di Induno e Arcisate, nel mezzo i monti della Rasa. Fra questi ultimi e il primo si apre la valle di Brincio dove ha origine l’Olona, e fra essi e il secondo la Valgana dove na- sce un confluente dell’Olona stessa, a cui si unisce poco dopo lo | «©. NEGRI, OSSERVAZIONI GEOLOGICHE NEI DINTORNI DI VARESE. 4 4 sbocco dalla valle. — I monti del primo gruppo si inclinano con dolce pendio a sud-ovest e presentano a nord-est nna muraglia oltremodo precipite e in alcuni punti assolutamente verticale ; il monte d’In- duno invece si inclina dolcemente a sud-est, ed è assai dirupato sul versante nord-ovest; finalmente il monte della Rasa ascende con lieve pendio da sud a nord, dove si appoggia sul monte Martica tutto composto di porfidi quarziferi. Nelle mie ricerche partii dal concetto che i terreni più recenti si doveano trovare sul piano a lieve pendio, mentre i terreni più antichi mi doveano essere svelati dai versanti a picco, lungo i quali avrei scoperte le loro testate. Questi terreni più antichi maggiormente mi interessavano come quelli appunto che ancora erano ignoti mentre la serie dal cretaceo al liasico si trova già descritta e seguita anche in queste regioni. Cominciamo dal gruppo della Madonna del Monte. Prima di tutto devo notare che le basi delle montagne sono dovunque coperte da un enorme detrito glaciale, così che assai difficile riesce lo scoprire la roccia sottoposta; però possiamo ammettere come dato positivo che il primo terreno sollevato alle falde dei monti e perfettamente concordante coi terreni sottoposti, è il calcare marnoso a fucoidi. Vi- sibile e facilissimo a riconoscere a Induno, a Olona, a Bregazzana, costituisce Ja sponda settentrionale del lago di Varese e a Morosolo si mostra ricchissimo di fucoidi. — Ma la grandiosa morena che si al- lunga da Gavirate a Velate, copre a grande altezza il fianco del monte e impedisce, almeno nella parte più vicina a Varese, di osser- vare il succedersi dei terreni. Però a Gavirate si svela, superior- mente alla strada per Laveno, la vera majolica che si appoggia sul rosso ammonitico, e arrampicandomi alla Madonna del Monte per il letto del torrente che scende a Velate, potei scorgere traccie di un calcare rosso da ascriversi indubbiamente al rosso ammonitico. Suce- cede quindi un enorme ammasso di calcari grigiastri, non fossiliferi che, per la loro posizione stratigrafica, vennero già ascritti al lias inferiore; questi si spingono fin presso la cima e costituiscono, pos- siam dire, tutto il dorso della imponente montagna. — Sottoposta a tale formazione deve trovarsi, se la serie stratigrafica è rigorosamente mantenuta, ta dolomia infraliasica. Infatti la cresta del monte è for- h49 G. NEGRI, mata da calcari dolonitici che porsero al professor Stoppani un Conchodon infraliasicus. lo non riescii a rinvenirvi traccia di grandi bivalvi, ma scopersi alcuni polipaj (Zepiconus Bassi), i quali indiche- rebbero appunto su quella sommità la presenza dell’ infralias. — Questi polipaj si trovano sotto la vetta del Monte Tre Croci, lungo la stradicciuola che conduce al Campo dei Fiori; se si segue quella via discendendo verso la Madonna del Monte si arriva a uno svolto dove si osserva un piccolo ammasso di scisti sottilissimi, nerastri, marnosi. — Ritorneremo su tale formazione; ora avanziamo passando sovra calcari biancastri, dolomitici, talvolta a fine stratificazione, fin- chè ci troviamo sull'orlo della gran muraglia che discende più o meno precipite fino alla strada da Fogliaro alla Rasa. Secondo fe mie idee preconcette su questo versante dovea vedere le testate dei ter- rgni più antichi, Infatti discendendo si è per qualche tempo circon- dati da calcari dolomitici non fossiliferi, ma a due terzi circa d’ al- tezza dal piano della valle, si incontra una dolomia ora biancastra e farinosa, ora gialliecia e cristallina, e in essa si scorgono sezioni di piccoli cilindri, senza dubbio tubetti di Gastrochene. Più si discende e più cresce la frequenza di tali avanzi organici, finchè giunti alla base del monte si può dire che in alcuni punti la roccia è letteral- mente composta di Gastrochene. — Altri fossili mi fu dato vedere e raccogliere ma scarsissimi. Alla base della Madonna del Monte un nucleo di ammonite simile affatto ai nuclei disegnati nelle tavole delle Pietrificazioni di Esino, e alcune poche sezioni di piccoli am- moniti, più alcuni pezzi isolati di un calcare con minutissimi fossili, e di quando in quando traccie di encrini e di spongiari. Finalmente alla base del Monte Tre Croci un ammasso di dolomia ora bianca ora rosata sparsa di molte cavità riempite di cristalli, nella quale si 0s- servano impronte di gasteropodi. Parmi dunque fuor d’ ogni dubbio che qui abbiamo la gran for- mazione della. dolomia media sostenuta dalle dolomie e dai calcari di Esino, coperti questi ultimi in gran parte dal detrito glaciale. Tale formazione costituirebbe il nucleo della montagna e sul suo dorso si adagerebbero, lungo il versante sud-ovest, i terreni più recenti dal- linfralias al cretaceo. È ancora questa formazione triasica ‘che co- OSSERVAZIONI GEOLOGICHE NEI DINTORNI DI VARESE, 145 sliluisce quella specie di contrafforte che si distacca dal corpo della montagna e si spinge presso alla Rasa, fino a lambire la strada. — Esso pure presenta in piccolo la configurazione orografica del monte di cui è appendice; si inclina a sud-ovest e discende a picco a nord- est. -—— Se poi, seguendo il sentiero che sul fianco della Madonna del Monte corre parallelo alla via da Fogliaro, ci avviamo nella direzione appunto di questo villaggio, vediamo la formazione cangiar di aspetto e assumere l'apparenza mineralogica dei terreni liasici, quella, cioè, di calcari bigi sparsi di macchie verdastre. E così deve essere, poi- chè avanzando sul sentiero si cangia di direzione, si passa, cioè, dal versante orientale al versante meridionale ; non si cammina dunque più sulle testate ma bensì sul piano degli strati, ossia nel campo delle formazioni superiori. — Ora ritorniamo presso la vetta e do- mandiamoci che rappresenti quel piccolo tratto di terreni scistosi nerastri che vi abbiamo osservato. —— Il professore Stoppani nella sua Rivista e nei suoi Studj li identificava cogli scisti di Perledo e Besano, vale a dire li poneva alla base del Keuper, e mi pare con- corresse a confermarlo in questa idea l'aver trovato un Cardium triqueter nei terreni a loro superiori. Ma dopo che egli seppe distin- guere due generi diversi nelle grandi bivalvi e li dispose a due li- velli differenti e riconobbe che il Cardium del. Monte Tre Croci apparteneva al livello superiore, quella ragione cade da sè stessa. Or mì sembra si ponno stabilire al di sopra e al di sotto di questi scisti due orizzonti certissimi. Superiormente una zona infraliasica con Conchodon e madrepore, inferiormente una zona d’Haupt dolomite con Gastrochene. Pertanto il campo in cui può oscillare 1° altezza straligrafica di quel terreno è oltremodo ristretto e cadrebbe nell’in- fralias. Che fossero gli scisti neri della formazione dell’ Azzarola ? Non mi parrebbe eccessiva avventatezza il rispondere affermativa- meute. — Un'altra quistione a risolvere è quella della significazione dei calcari marnosi rossi e cinerognoli che si osservano dietro la vetta della Madonna del Monte. Il loro aspetto litologico indurreblte a classificarli come keuperiani, ma le ragioni che mi hanno indotto a rialzare il livello degli scisti neri, mi pare valgano anche per queste marne le quali sovrastano, anch'esse, a tatta l'enorme massa dolomi- h4H G. NEGRI, tica che scende fino alla valle e che vedemmo riboccante di Gastro- chene. Non ponno adunque rappresentare un terreno che deve essere sottoposto a tale formazione. A che dunque dobbiamo attribuire la loro presenza? A una modificazione parziale della formazione dolomi- tiea? A un fortuito rinnovamento delle condizioni che aveano già prodotta la sedimentazione marnosa nei mari keuperiani? Alla esi- stenza sulla montagna di un terreno più recente che scomparve, solo lasciando qua e là qualche lembo ? Non saprei decidere per ora, ma in tutti i modi ciò che mi sembra assolutamente provato si è che quel terreno è superiore alla formazione della dolomia media. Passiamo ora al gruppo di Induno. — La serie dei terreni che si scaglionano lungo la base della montagna si appalesa chiaramente sul celebre sentiero che conduce da Induno alla cava di Frascarolo, ma il trovarne la corrispondenza sul versante che guarda la Valgana mi apparve cosa oltremodo malagevole. Ho cercato di seguire i ter- reni lungo tre linee. La prima fu appunto il sentiero di Induno. Qui abbiamo inclinati a sud-est, prima il calcare marnoso a fucoidi su cui è fabbricato il villaggio, indi un ammasso finamente stratificato di marne rossastre e cinerognole, in cui trovasi a fatica qualche trac- cia di fucoidi, poi un calcare rosso-smorto con rari ammoniti a cui succede un ammasso assai rilevante di un calcare rosso vivo ri- boccante di quei fossili: questo si cangia a poco a poco in un’ al- tra formazione calcarea di un rosso vinoso che si appoggia sui cal- cari affumicati con macchie cloritiche del lias inferiore; questi in breve assumono un aspetto chiaramente dolomitico e sotto tal forma alimentano le fornaci di Frascarolo. Il secondo spaccato lo presi dalla cascina Broglio, alle prime fornaci di Frascarolo. Se seguiamo il sentiero che da quel cascinale conduce alla salita di Induno cam- miniamo su di un calcare compatto grigiastro con impronte di fu- coidi. Giunti sulla strada. non ci è più dato vedere la roccia nuda, ma se ci aggiriamo nel giardino di Frascarolo scorgiamo qua e là spuntare un calcare rosso, indizio certo della formazione su cui è costrutta la villa, indi progredendo lungo la strada ci troviamo, pas- sate le fornaci, davanti a un ammasso di dolomia bianca non fossili- fera. — Finalmente prendendo a seguire la Valgana vediamo il solito 4 è 4 ; 4 } | OSSERVAZIONI GEOLOGICIIE NEI DINTORNI DI VARESE, 4bd calcare marnoso a fucoidi che poi si cangia in un calcare grigiastro più compatto ancora con fucoidi. Ma se prima di giungere alla Fon- tana degli Ammalati si ascende sulla strada nuova troviamo alla no- stra destra il letto dirupato di un torrentello che precipita da Fra- scarolo. Inoltrandosi in quel piccolo dirupo, pochi passi dopo di aver lasciato Ja strada, si incontra un calcare grigio sporco ricchissimo di aptichi e con qualche ammonite: di questi ultimi raccolsi un esem- plare di grandi dimensioni. — Progredendo quindi sulla strada nuova si vede succedere una enorme formazione di calcari cinerini, gialla- stri, verdognoli in cui non mi riescì di trovare la più piccola im- pronta di resti organici. Tutto sommato concludo che alle falde di questo monte abbiamo: 41.° il solito calcare marnoso a fucoidi ; 2.° una formazione probabilmente cretacea che pur contiene fucoidi, ma con minore abbondanza; la quale talvolta, come a Induno, si pre- senta sotto la forma di marne variegate, tal’ altra sotto quella di cal- cari grigiastri; 3.° una grande formazione ammonitica oltremodo com- plessa e assai difficile a scindere. Infatti mentre a Induno fra i terreni esclusivamente a fucoidi e il lias inferiore abbiamo un potente ammasso di calcari rossi, in Valgana non si frappone fra quelle due formazioni che un calcare bigio con aptichi, e per ritrovare il vero rosso am- monitico in posto, dobbiamo arrampicarci sin presso Frascarolo; 4.° a questa formazione assai complicata, che probabilmente rappre- senta il lias superiore e medio, succedono i calcari e le dolomie del lias inferiore, e questi formano quasi tutto il pendio del monte lungo il versante sud-est. — Il sentiero che lo costeggia a mezza altezza taglia appunto il piano di tale terreno, e scende nella valletta d’Ar- cisate la quale offrirebbe forse eccellente campo alle ricerche se non fosse ingombrata da una enorme morena insinuata che si in- nalza assai sui fianchi della valle. — Il miglior modo di esaminare i terreni sottoposti è quello di seguire sul versante opposto la strada antica da Frascarolo alla Valgana. Passate le prime fornaci si incon- tra, come già dicemmo, un grande ammasso di dolomia bianca com- patta !a quale alterna, lungo tutta la strada, con calcari giallastri finamente stratificati e che hanno subito fortissimi contorcimenti in modo da offrire nel loro aspettò una continua. serie di ondulazioni. 446 G. NEGRI, Ma a un terzo circa della discesa si scopre una dolomia riboccante di Gastrochene, sicuro indizio che entriamo nelle regioni del Trias e quindi pienamente concordante con quanto osservammo. nel gruppo occidentale. A questa dolomia triasiea succede primieramente una massa di arenarie grigiastre, indi un’altra di arenarie rosse alta- mente quarzose che ci accompagnano sino al fondo della valle. La posizione stratigrafica di questa formazione m’ induce ad ‘ascriverla al Keuper, e così avremo anche su questo monte una serie rigo- rosa di terreni dal cretaceo al triasico. Qui non posso -a meno di osservare che mi sembra assolatamente impossibile il riunire queste arenarie alle marne della Madonna del Monte, poichè esse sono chia- ramente inferiori a quella formazione appunto, alla quale sovrastano le seconde. Veniamo al terzo gruppo, i monti della Rasa. — La miglior via a seguire per osservarne i terreni è di salire da Robarello direttamente sul dorso del monte, percorrendolo in tutta la sua lunghezza ,; così camminando sul piano degli strati inclinati a sud finchè si toccano i portidi del monte Martica. — Sotto i molini di Robarello, nel letto. dell’ Olona si hanno i calcari grigiastri compatti che io unisco e sot- topongo alla vera formazione a fucoidi. Infatti un poco più a destra sulla strada che sale a Bregazzana questa formazione si presenta con tutti i suoi caratteri. Appena attraversato il letto del fiume le roccie scompajono sotto il detrito, e allorquando ricominciano a spuntare ci troviamo già nel campo delle dolomie. Passata la cascina Tagliata, e tenendo sempre verso la cresta della lunga montagna, ci imbattiamo in una formazione ricchissima di Gastrochene e di encrini la quale si può dire costituisce tutto il monte. Sul suo versante occidentale, superiormente alla Rasa, ho scoperto un vero banco corallino ; e notisi che di tali coralli rinvenni la traccia anche a un livello assai più alto, presso la sommità. — Continuando direttamente verso nord sempre sul piano degli strati, si vede che la dolomia diventa più compatta, cristallina e più non presenta traccie organiche, finchè a lei succe- dono delle arenarie primierameute grigiastre, indi variegate, brune, altamente scistose, poi così quarzose che in alcuni punti i massi non sono che agglomeramento di ‘grani di quarzo: queste alla lor volta OSSERVAZIONI GEOLOGICHE NEI DINTONNI DI VARESE. 417 sonò sostenute dai veri porfidi quarziferi. — A dire il vero l'aspetto litologico di quella formazione arenacea mi sembra concordi con quanto dagli autori è descritto come Buntersandstein, ma la sua po- sizione stratigrafica mi sembra così chiara e precisa che io inclino a classificarla nel Keuper, tanto più se rifletto che il contatto colle eruzioni porfidiche avrà certamente influito ad alterare la sua primi- tiva fisionomia mineralogica. Se dopo aver abbozzato la serie dei terreni di questi tre gruppi di montagne tanto vicini e così fra loro intimamente collegati, cerco di formarmi un concetto generale della loro costituzione geologica e del modo con cui si è formato quel rilievo, mi pare possa concludere che in queste regioni esiste ed è visibile almeno ne’ suoi tratti prin- cipali la serie stratigrafica osservata nelle altre parti di Lombardia dalla Creta al Keuper, ma mentre la dolomia media vi è sviluppatis- sima, e, son persuaso porgerà agli estinati ricercatori tutti i suoi fossili caratteristici, i terreni dell’ infralias hanno una importanza assai minore, e ravvolti e compenetrati come sono (forse per effetto dei vicini sollevamenti granitici) nella gran massa dolomitica che si frappone fra i calcari di Saltrio e le arenarie quarzose hanno perduta, direi quasi, la loro fisionomia individuale e forse sarà sempre estre- mamente difficile il poterli riconoscere e determinare con la deside- rata esattezza. Osservo poi che tutti quei monti guardano colle testate dei loro terreni a un punto centrale. Îl monte Tre Croci a nord-est, il monte di Induno a nord-ovest. il monte della Rasa a nord; ora precisamente in quel punto in cui coincidono le tre linee, bavvi 1’ ammasso porfi- dico del monte Martica. Non è dunque razionale l’ ammettere che in quel punto si esercitò la spinta maggiore di quella forza che ha sol- levate le circostanti montagne? Ma v'ha di più. Io vedo che tanto il monte Tre Croci come il monte d’Induno, portano sul loro versante a dolce pendio i terreni delle formazioni liasiche e infraliasiche , i quali si innalzano fino a costituirne la cresta, mentre invece nel gruppo della Rasa, tutto il monte è formato del terreno triasico che si solleva gradatamente fino a toccare le arenarie e i porfidi, così che se dei terreni più antichi, nei due gruppi laterali, non veggo 4hh3 G. NEGII, OSSERVAZIONI GEOLOGICHE NEI DINTORNI DI VARESE, che le testate degli strati, qui invece cammino sul piano inclinafo di essi. Quindi per osservarli scendo alla base nei monti laterali, salgo verso la vetta nel monte centrale. — Riflettendo a tutto ciò parmi possa attribuire la configurazione di quel rilievo allo spezzamento di quella grande anticlinale le cui pareli toccano da una parte il lago di Varese, dall’ altra il fondo della valle d’ Induno, ma di cui fu squar- ciata la volta che non resse alla spinta eccessiva. Tale spezzatura fece sì che i terreni più recenti rimasero sul pendio e sulle vette dèi due monti laterali che ne risultaronof mentre i più antichi costi- tuirono il fondo dell’ anticlinale spezzata. Questo venne a sua volta smosso e sollevato con le roccie cristalline su cui si appoggiava, dando così origine al monte centrale che separa la Valgana dalla valle di Brincio. — Non mi sembra che tale idea, per quanto arri- schiata, sia in disaccordo coi dati stratigrafici che mi fu dato racco- gliere, ed io credo che è appunto col seguire e con lo studiare i rapporti che esistono fra le masse calcari di queste regioni e i solle- vamenti granitici che fanno corona al lago di Lugano, che potremo formarci un esatto concetto sulla origine della loro attuale orografia. SOPRA DUE CASI DI ALBINISMO NEGLI UCCELLI NOTA del socio prof. EMILIO CORNALIA Le aberrazioni di colore che offrono talvolta gli animali sor- presero in tutti i tempi, non solo la mente degli osservatori, ma gli occhi e l'immaginazione del volgo. — Lo scorgere in una me- desima specie degl’individui che offrono colori differenti da tutti gl’altri, alterandosi così dei caratteri che furono assunti a distinzione delle specie stesse, fece dare importanza al fenomeno e produsse ricerche per la sua spiegazione. La stabilità colla quale il fenomeno «talora si produce, dimostrò che desso era degno di attenzione e di ® studio. — Limitate queste differenze entro certi gradi non furono così presto avvertite, come lo furono invece nei casi in cui il colore o si fa così debole che l'individuo diventa bianco, o si fa così in- tenso che desso diventa nero, e si ebbero argomenti di particolari osservazioni per parte degli studiosi. Nell’un caso il fenomeno fu detto a/bdinismo, nell’altro melanismo; ed è specialmente del primo che intendo dir qualche parola provo- cato da alcune osservazione fatte in proposito. Creduto esso dapprima solamente come una modificazione costante di una o più razze d’uomini, si osservò poi potersi produrre anche in Vol. X 29 450 E. CORNALIA, un modo affatto accidentale e verificarsi nelle classi più disparate d'animali. — Per non discorrere che di quanto osservai io, dirò che nelle note da me prese nelle visite ai principali Musei d’ Europa po- tei registrare animali in tutte le classi, non escluse molte fra gl’in- vertebrati in cui trovai individui albini, nei quali cioè il colore dimi- nuendo assai s' avvicinava più o meno al bianco. Negl*invertebrati tanto l’a/dbinismo che il melanismo furono notati, e il nostro Vice- Presidente ebbe opportunità di citarne più casi nelle varie sue pub- blicazioni intorno ai molluschi ed agli insetti. Alcune specie cosmopolite di conchiglie sono spesse affette da al- binismo negli individui viventi su dati terreni come, per esempio, sui terreni vulcanici dell'Alvernia; due individui albini di Drepano- stoma nautiliformis furono citati dal Villa, trovati a Lugano e lungo l'Olona. — Negli insetti sono rarissimi; la mosca bianca è come l’'a- raba fenice; fra i coleotteri aleune Crisomeline ed alcuni 4fidifa- gi lo presentarono. Nei lepidotteri è meno infrequente il melani- smo. Tra i vertebrati per altro, e specialmente fra gli uccelli. ed i mammiferi, il fenomeno è più perfetto e presenta singolari: mo- dificazioni, come verrò dicendo, le quali rendono più difficile |’ as- sunto di darne una spiegazione. Nella domesticità l’ a/binismo talvolta si propaga per generazioni e si formano delle razze più o meno durature: nei cavalli, nei por- cellini d'India, nei sorci si ponno avere varj esempj di ciò, e in questi witimi piccoli mammiferi il candore è perfetto ed invade tutte le parti esterne del corpo per una assoluta mancanza del pigmento prodotto dal reticolo malpighiano. La quale mancanza di reticolo: sir verifica in tutti i tessuti, di analoga struttura e funzione, come sa- rebbe il pigmento nero che più non tapezza internamente l’ occhio. Quindi si vede in questi individui albini l’ occhio rosso e sensibi- lissimo alla luce. Questo si osserva anche in alcuni uomini albini fotofobi per ciò, ed anche in alcuni cani, ne’ quali anche nel caso d’un albinismo parziale, se una macehia bianca, per. esempio, cir- conda l’occhio, questo talvolta manca di pigmento dietro l’ iride, e nel fondo dell’occhio. n dia Ma più spesso l’albinismo è accidentale; cioè trovansi individui SOPRA DUE CASI DI ALBINISMO NEGLI UCCELLI, 451 albini che derivano da genitori che presentavano la colorazione nor- male della loro specie. Nè fa eccezione l’uomo nella cui specie fre- quentemente produconsi individui bianchi da genitori neriy e che diedero alla luce altra prole nera. Molti autori citano di questi casi cui si può prestare la intera fede, e che qui parmi inutile di riferire, L’albinismo può essere di tre sorta, completo, come già indicai, incompleto e imperfetto. Ammetto questa semplice divisione perchè parmi la più adatta, sebbene altre più complesse ne siano state proposte. Tra queste quella che espose il signor G. Frauenfeld (1), in cui dando la storia di oltre venti specie di animali (quattro di inanimiferi, le altre di uccelli) li distingue in leucocrostici (leucocroismo), in clorocrestici (cloroeroismo), in geraiocrostici (geraiocroismo: colorazione secondo l’età) allocrostici (allocroismo; varietà di colore diverse del bianco) e climatocrostici (climatoeroismo, varietà provenienti da clima). Questa pubblicazione in epoca più vicina promosse un’altra comu- nicazione del signor Pelzen (2) in cui si tratta solo delle anormalità di colore presso gli uccelli. In questo accurato lavoro l’ onorevole autore adotta pressapoco la classificazione del signor Frauenfeld semplificandola ed ammettendo tanto pel l’albinismo che pel mela- nismo il completo o quasi completo (33 specie per l’albinismo e 45 pel melanismo), il parziale (36 casi per l’albinismo e 2 pel milanismo) e l’imperfetto (clorocroismo di Frauenfeld) di cui 45 specie per 1’al- binismo e 6 pel melanismo. Aggiunge l’eritrismo o la mutazione in rossastro dei colori normali e quattro casi di femmine divenute per la colorazione simili al maschio. Da questo brevissimo sunto voi potete scorgere l’importanza della comunicazione fatta del signor Pelzen, nella quale per altro non si rileva punto il fatto che fa argomento speciale di questa mia nota, nè mirasi a dare spiegazione di questo fenomeno. L’albinismo completo sebbene non manchi anche nei vertebrati a sangue freddo è assai più comune nei mammiferi e negli uccelli. (4) FravenreLd, Ueber Farbenabweichungen bei Thieren Verhandlungen des Zoole- gisch-botanischen Vereins. Vol. HI, 1853, pag. 6. (2) A. V. PeLzen, Ueber farbenabanderungen bei Vogelm. Ibid. Vol, XV, 41865, pag. 914 482 E. CORNALIA, Fra i mammiferi oltre quelli che ho già indicato si ponno citare Ja talpa, il pipistrello comune, i toporagni, la faina, la lontra, la puz- zola, il procione, il castoro, le antilopi, il cervo e persino l'elefante. Ognun sa quanto siano celebri in Oriente, al Perù ed a Siam questi individui bianchi di elefanti, serviti ed alloggiati con magnificenza e così stimati che quei re indiani mettono fra i loro titoli d’onore 1’es- ser possessore dell'elefante bianco. , L’albinismo nei casi succitati oltre essere completo è costante per tutta Ja vita dell'animale, ciò che indico per escludere quei casi nei quali l’animale veste una bianca divisa solo in alcuni mesi dell’anno, per lo più nei mesi del freddo, ed in cui il mutamento è tanto più perfetto quanto la rigidità del clima è maggiore. Nella stagione estiva poi l’animale riprende i suoi normali colori. Questo è il caso dell’armel- lino, di alcune volpi, di alcuni scojattoli, tanto più candidi quanto più abitano nelle regioni estreme del Canadà, della Lapponia o della Siberia (4). La classe degli uccelli offre moltissimi esempj di albinismo per- fetto. Non solo le specie europee ma anche le esotiche, sia de’ paesi freddi che dei paesi caldi, presentano spesso individui albini. A tacer delle specie citate da alcuni autori, di cui circa 2% sono nominate dal Geoffroy e circa 40 dai signori Frauenfeld e Pelzen, accennerò come il signor conte Ercole Turati nella sua ricchissima raccolta. ornitologica conserva oltre 143 individui che presentano una o l’altra varietà d’albinismo, e fra questi più d’una ventina sono d’un albinismo perfetto appartenenti a quasi tutti gli ordini della classe, Nel Civico Museo un bellissimo esemplare di Chelidon urbdica preso a Meda e dono dal signor Cambieri, un altro di Passer. montanus, preso a Somma e dono del march. Ermes-Visconti, presentano il.can- dore più perfetto, e dimostrano come i colori più intensi, quanto quelli del dorso del balestruccio, possono tramutarsi nel bianco il. più perfetto. Qualsiasi colore di cui sia adorna una specie, non escluse le me- baci (4) Il Museo di Milano possiede un individuo di Mustela herminea presa d’inverno nei monti di Bergamo. La pelliccia si compone di pila peli bianchi, ma tuttora misti a peli di color fulvo, o fulvo chiari. SOPRA DUE CASI DI ALBINISMO NEGLI UCCELLI. 453 talliche può essere tramutato in bianco di che un esempio cita il Geoffroy nel Colibrì topaze (Mellisuga pella); ed io ne posso citare altro esempio posseduto dal Museo nella Mellisuga hirundinacea della quale specie un candido individuo, spedì in dono al Museo il profes- sore Raimondi, dal Perù. Altra qualità d’ albinismo è l’albinismo parziale che, come il no- me suo indica, presentasi solo .in ‘alcune parti, che sono divenute bianche, mentrele altre parti presentano i colori normali dalle specie. Anche di questi ci hanno esempj nella specie umana di negri, indivi- dui, cioè offrenti qua e là delle macchie bianche sul corpo, oppure tutto un arto bianco in cui ponno comparire anche delle macchie nere, Fra i mammiferi non domestici si nota pure questa specie di albi- nismo, come si vide in una nottola (Z'espertilio barbastellus) tutta bianca e solo bruno-nera nella membrana interfemorale ; nello Sciurus Hudsonicus sparso di macchie bianche, e via via. Dagli autori per altro s' aggiunge che le macchie bianche non presentano simmetria, al che io potrei contraddire all’ appoggio d’un esemplare di Passer cisalpinus in cui solo le ali presentano macchie bianche disposte se non in tutto simmetricamente almeno per molta parte. E in vero in questo individuo le due prime remiganti sono di colore normale, la terza e la quarta d'ambo i lati sono bianche, dopo queste, altre di» ventano brune d’ambo i lati, finchè d’ambo i lati le ultime sei remi- ganti secondarie sono bianche. Due penne delle rettrici (3 e 4) pure presentano una macchia bianca, ma ciò solo al lato destro. Imperfetto dicesi invece l’albinismo, quando il colore bianco non è puro e la parte affetta conserva ancora un po’ del colore normale che dovrebbe avere. Per lo più è il bruno chiaro, è il grigio, è il rossastro che dominano in questo caso, € come ognuno comprende l’albinismo imperfetto si può innestare sul parziale, avendosi solo delle .parti affette di una diminuzione di colore. Una modalità particolare dell’albinismo parziale è quello che ha relazione ai colori stessi che sono dal bianco sostituiti. Riguardo a ciò si osserva che alcuni colori veggonsi più di raro che altri sosti- tuiti dal bianco come, per esempio, colori metallici; così che raro è il caso degli uccelli mosca splendidi. per lo più dei colori i più vi- * 4B4 F. CORNALIA , vaci del riflesso dei metalli, i quali si presentino albini, come è il caso che citai più sopra dell’esemplare posseduto dal Museo. Raro è pure che bianco diventi il nero intenso, onde il proverbio della ra- rità del merlo bianco. — Sono per lo più, i colori ordinarj, il grigio, il bruno, ecc. che veggonsi cedere il posto al bianco negli individui albini. E spesso ancora il bianco non è perfetto, è un bianco sporco che vi si sostituisce, come l’individuo di Hirundo rustica pur del Museo, che presentasi d’un bianco sporco ed in cui più sporca e leggermente rugginosa mantiensi la macchia che gli individui normali presentano d’un castano acceso, come il Savi lo chiama. E pur leggermente rug- ginosa si mantiene la fronte mostrando come le parti dotate d’uno stesso colore siano affette talora da una stessa modificazione nella stessa intensità. Questa correlazione delle parti omocolori è certamente mirabile; del qual fatto è singolare esempio un individuo che vi pongo sott’oc- chio della Cinciarella o Parus Coeruleus stato preso questa primavera a Rognano presso Binasco e donato al Museo dal nobile dott. Ambrogio Uboldi. E so che altri individui furono nella stessa stagione presi fra noi, e affetti dall’egual specie di albinismo il quale per certo merita d’es- sere descritto. Di questa speciale varietà di mutazione di alcuni co- lori non è tenuta parola dai diversi autori. Ad ognuno è noto l’elegante abito della Cinciarella in cui il bian- co, il nero, il giallo, il ceruleo, il verdognolo si disputano le diverse parti del corpo. Già il becco e i piedi mostransi nel nostro individuo d’un cinerino più chiaro che negli individui normali. dei La fascia della fronte e del vertice e i lati del capo sono bianchi come nel tipo normale, e gialla è rimasta pure tutta la parte inferiore del corpo, il petto, l'addome, i fianchi che nelle solite cinciarelle sono gialli. Ecco dunque due colori che anche nell’individuo ‘albino rimasero come esser dovevano. Tutte le penne azzurre del vertice invece, il nero azzurrognolo della gola e del gozzo, la striscia nera cerulea che oltrepassa l’oc- * J | | i | SOPRA DUE Casi DI ALBINISMO NEGLI UCCELLI, 455 chio e s' estende sulla nuca calando ai lati del collo per unirsi a quella del gozzo, delle scapolari, la macchia azzurra del mezzo del- l’addome, l'azzurro nerastro delle ali, l'azzurro delle grandi copri- trici, delle remiganti e delle timoniere non che il nero dello stesso delle penne della coda, tutti questi colori si presentano d'un bianco purissimo, colle stesse qualità di struttura e proporzioni di lunghez- za. È dunque’ il pigmento corrispondente al nero, all’azzurro che. fa deficenza onde tutte le parti presentanti questo colore divennero perfettamente bianche. Il verde giallastro del dorso invece si muto in giallo a provare che è il color azzurro che fa difetto in questo albinismo e che quindi i colori composti da esso, si tramutano nell’altro colore che misto all’az- zurro li forma. Il nostro vago uccelletto quindi è diventato bianco col ventre e col dorso giallo. Questo orrore al nero ed all’ azzurro si spinge anche nelle parti di quelle penne che avendo pure una porzione di un colore che è rimasto immutato, presentano in altri punti il colore che si vede mo- dificato. Così negli individui normali il giallo del petto e dei lati del corpo è formato da penne che hanno gialle tutte le estremità loro, ma che per la metà loro basale sono d’un cenerino intenso. Queste penne rimaste gialle nella loro parte apicale, per cui dissi rimasto nell’ individuo albino giallo il ventre ed i fianchi, queste penne ripeto divennero bianche nella loro parte presso al tubo; sicchè questo giallo riesce più vivo avendo per sottotinta il bianco. Anche lo scapo delle timoniere di nero si fece candido. Come ognuno di voi vede pochi casi ponno essere più a proposito citati per mostrare che nell’ albinismo parziale, il fenomeno affetta solo alcuni colori e quindi solo le parti che di questi sono dotate; e il colore manca talvolta ‘anche nei colori composti in cui esso entra, sicchè essi sdoppiati, le parti presentano solo-il colore rimasto. Il signor Pelzen descrive ‘una Cinciarella mutata ne’ suoi colori (loc. cit. pag. 919); ma il suo individuo presentava il capo, il dorso, le copritrici delle ali, le punte di queste e delle penne della coda rosso-giallo-brunastre. Aveva a che fare quindi con un caso affatto differente con quello da me descritto. 456 E. CORNALIA 4 Potrei citarvi un analogo esempio in un albinismo imperfetto os_ servato in un Zasser cisalpinus Temm. donato al Museo dal sig. Ma- rinoni, e nel quale si vede una stretta relazione fra le diverse tinte e le modificazioni che queste offrono, nel mentre che come nel presente in tutte queste si ammira la più perfetta simmetria non RARE molti nell’ albinismo parziale. Le parti nere della gola, del gozzo e della porzione ‘media del petto presentansi brune avendo le penne che fanno il margine infe- riormente a questa macchia un orlo non bianco ma bianco sudicio; chè il bianco sporco è qui sostituito in tutte le penne che -negl’ in- dividui a colore normale sono bianche; così i lati del collo sono pure d’un bianco sudicio con velatura di bruno ‘oscuro, la.qual tinta occupa del pari tutto il ventre. | fianchi cinericci qui sono pure dî un bruno chiaro. | Tutte le penne di bel colore castano del pileo, tanto caratteristico in questa specie, distinguendola dalla passera d'oltralpe; sono di un bianco sporco specialmente nella parte terminale; mentre poco dopo una fascia di color castano ricorda il colore che dovrebbero.avere. Le penne poi della schiena che sono castane nel Jato esterno,; e nere all’interno, bigie poi alla base, hanno nel nostro albino perduto il nero, per cui si fanno bianco-sporche alla base e nel lato interno, rimanendo brune all’ esterno, SA Le: piccole copritrici castagno; vivaci, si son fatte invece d’un bruno chiaro, e le grandi e medie copritrici che dovrebbero essere nere con un margine di color nocciola, hanno conservato questo che si e fatto più vivace, mentre il nero centrale è diventato bianco, per cui queste penne, che nel normale sono seure con orlo chiaro, qui son chiare con orlo oscuro, il che dà un aspetto singolare alla parte dor- sale dell'animale. 0 utero Lo stesso dicasi:delle remiganti dinomnate. pur di un hall sudigio finamente orlate di nocciola, e le timoniere diventate biancastre fina- mente orlate di bruno, all’opposto del normale.. Anche in quest’esemplare adunque è.un colore in mezzo. a tutti gli altri che è principalmente affetto «da pino: ed è appunto il colore più intenso della livrea. 1 SOPRA DUE CASI DI ALBINISMO NEGLI UCCELLI, 457 Quale mai è la causa di queste strane mutazioni e delle leggi che le regolano, perchè leggi vi sono anche in queste anormalità rese evidenti dai due esempi che ora ho citati? Solo lo studio delle penne nel loro stato di formazione potrà spiegare questa singolari appa- renza, studio di cui per altro si presenta così raro l’ occasione, che torna malagevole }’ istituirsi. Sulle cause dell'albinismo poco o nulla si conosce ancora: furono emesse delle opinioni che certo non spiegano tutti i casi che ci sono osservati. La vecchiaja dell’ individuo talvolta è causa di albinismo. Il Ciprinus auratus dei nostri acquarj si fa bianco invecchiando; si citano casi di vecchi sorci diventati biancastri. Un merlo di 13 anni, un pettirosso, un usignuolo, uno zigolo della neve, pure invecchiati, mostrarono questo fenomeno al signor Frauenfeld. Talvolta è la debo- lezza dell'individuo prodotta da particolari cagioni. Si sa, per esem- pio, che se ad un passero si levano le penne più volte appena ricac- ciate, le ultime spuntano scolorate e quasi bianche. Ad onta di ciò i casi di albinismo accidentale non dipendente da razza e non provo- cato ad arte, in individui isolati rimangono ancora senza spiega- zione. Forse che queste cornee appendici, quali sono le penne, che spuntate una volta noi riteniamo prive di vita, forse forse ne hanno tuttora? Forse in questo fenomeno vi ha qualche cosa d’analogo al- l’incanutimento istantaneo, di cui si conoscono alcuni esempi acca- duti nell'uomo? O forse meglio sono cause esterne agenti sulla so- stanza colorante delle penne? La scienza fa progressi, e che ci sia qualche cosa di vero in quest’ultima supposizione, questi progressi appunto ce lo fanno travedere. Ormai è certo, dopo le ossetvazioni di Verreaux, di Bogdanow e di Fatio, che alcuni cambiamenti di colore che subiscono gli uccelli nor- malmente in alcune epoche dell’anno o della loro vita non sono do- vuti punto ad una muta reale delle penne, ossia ad una sostituzione di nuove penne diversamente colorate, ma sono dovute a particolari processi sia di corrosione delle penne stesse, sia ad uno spandimento particolare della materia colorante già deposta dalle penne per par- ticolari agenti, la luce, il calore, l’umidità e il grasso di cui le penne sono rivestite a diverse epoche e in diversa copia. 458 E. CORNALIA, ll signor Fatio di Ginevra die’ un Tavoro prezioso sopra quest’ar- gomento (4), il quale potrebbe servire a sparger qualche luce sul tenebroso argomento. Il grasso di cui le penne sono rivestite pene- tira nel loro interno per la natura porosa della materia esilissima e cornea di cui sono formate le barbe e le barboline. E questo grasso favorito da molte circostanze scioglie il colore il quale diversamente disponendosi, dà alle piume un aspetto ben diverso. Non potrebbe questo grasso nel mentre che agisce fisicamente sul pigmento colo- rato delle penne agirvi ancora chimicamente? E non potrebbe ‘esso agire in diverso modo sulla materia dei differenti colori? Nel easo della Cinciarella (Parus coeruleus) che ho descritto, in cui il verde fu scomposto, e il suo azzurro distrutto in modo che non rimase che la sostanza gialla non potrebbe aver avuto luogo per l’azione dona sostanza penetrata nella penna? 2 5 Ecco un argomento ben degno di studio per gli ornitologi che con esperienze e con osservazioni, potrebbe essere ampiamente illustrato. lo non ho punto di mira di dare una vera spiegazione del feno- meno, ma le osservazioni che in proposito si potrebbero istituire, sono certo, darebbero qualche positivo risultato. Queste osservazioni per altro piuttosto che sulle spoglie secche delle raccolte debbonsi fare sugli individui vivi o appena morti, onde potersene ripromettere qualche frutto. Non essendo stato io in grado di farne (e l'occasione si presenta di rado) ho creduto di dirigere la vostra attenzione su ciò, onorevoli colleghi, allo scopo che voi pure, se il destro vi si presentasse, possiate colle vostre osservazioni concorrere ad si tare la soluzione dell’ancora non sciolto problema. (4) Vicror Fatto, Des diverses modifications dans les formes et la coloralion des plumes. Estratto dalle Memoires de la Soc. de Phys. et d’Hist. Nat. de Genève. (Ge- néve 41866, in 4%, con 2 tavole. i INDICE Regolamento della Società . . . . da tp Regolamento speciale per le Riunioni nina Presidenza per l’anno 1867. . . CER SS Socj effettivi al principio dell’anno 1867 Bei cGrrispondenti:--. <.<. - <;—-. . Soluia del-27 gonnajo 4867 . Lu, Bilancio consuntivo del 1866 e preventivo pel 1867 Seduta del 24 febbrajo 1867... ... . + di Staoser, Gila dal passo del Planchon, nelle Ande meri- . dionali, a San Rafaele, nella Pampa del sud (Continua- mune ne) re dd Roxpani, Sca/ophagina italica ; a, Arriconi, La Storia dell Ornitologia. Capo I Se Seduta del 31 marzo 1867 Vira Antonio, Riflessioni sugli inselti e nuove osservazioni — sui medesimi durante l’eclisse del marzo 1867 Seduta del 28 aprile 4867. . . . nic a Srroser, Paraderos preistorici în Falusuni io una tavola). Diner, Cenni idrologici specialmente sulla variazione an- nua e mensile del livello di diversi laghi e fiumi, e sul- l'alterazione di livello straordinario (seiche) avvenuta sul lago di Como negli anni 1844 e 1860 (con due tavole). Ousoni, Miniere della Sardegna. Sunto dell’opera di Gouin. 136 145 15% 165 167 172 179 460 INDICE Seduta del 26 maggio 1867. . . +. Pag. Craveri, Osservazioni meteorologiche fatte è in Brà nel 1866 precedute da un breve sunto sull’enologia del territorio brailese . . . Secuenza, Sul cune iui) dell’Italia nente ; Onsoni, Ze due recenti teorie sulle correnti atmosferiche — Sull’opera di Zirkel: Composizione e struttura. delle laverdi Nea-Kemens: . . . o, Femrero, Za galetta macchiata . . ... .°.. 0.4 Seduta del 30 giugno 1867 . . . . Ascuerson, friflessioni intorno ad alcune ninute della for italica Detpino, Sull'orsa di HilMobrand: La distribuzione “dn sessi nelle piante (Continuazione e fine) . . . Bianconi, Intorno al giacimento delle fuciti nel calcare eocenico, e sulla origine del calcare stesso . . . . . Seduta del 28-dapglò 1867... ———. cc. : Ferrero e Varisco, Zstituto Tecnico di Bergamo. Brevi cenni sulle raccolte locali ad uso dei gabinetti e scuola industriale e professionale della provincia . . . Seduta del 24 novembre 1867 . . . ; Carver, Ricerche sulla cagione per cui i fio sori di alcune piante si aprono di sera . S.S? o Berroni, Znflusso della pressione iardiuinini sopra alcuni pesci d’acqua dolce (con una tavola) . . . . Seduta del 29 dicembre 1867 Necri, Osservazioni geologiche nei dintorni di Vi arese ei una #avola)- i 0 re Dn Cornaria, Sopra due casi di albinismo negli acogili MA » 93 99 » 187 197 225 231 QU 280 286 262 275 304 S17 324 397 407 422 438 440 449 robel= Paraderos preistorici m Patagonia Atti della Soc*Ital*di Sc. Nat. Vo.X Tav Zetfa del. I RonchiLit. Leschw di antichi Indiani Latagon x e do lorna — I° Ue ovo SS Mti della SocèItal® di Sce Nati VolL\ Tav.Il. idrologiei cece. Diirer, (enni Elba (a Dresda) 9 o Reno (presso Basilea M > > < > x 2 TOS IN DEI DI è = I > È > è > % > N 7 > > ? o {-] & 2 Fri Ì Llba (a Dresda.) Atti della Soc Ital* di Se?Nati Vol.X Tav. Il. == Diîrer. Cenni -idrologici ece. Dicembre | "Novembre | Ottobre Settembre! | Agosto | S IS NI Gingno Maggio Aprile Marzo Vebbrazo Genna;o Varone i EECSLETESO Dicembre] d sio Aivembi d È Cd: Ottobre | > À Settembre Pio N «Agosto È Luglio. N Ra S 3 S| Aprile e n Marzo . Ù ì ?5 S| /ebbrazo DE n DS ) i >® S Gennajo S< ai o SR | 82 9 o 2 © Si Si © 74, 50 n © vw + n ° ai < o (CORDE ONE RA NT RARDOND ERBE FERIE PERE c ira ie 8 _— | Media ital. Senato] X 2 Attidella Soc [D) (35) (cb) d o Cloni fo ua m E Cao] (ae) {<5) [=] ASI «i (9a) (%e) _ fi [aci cd zi w ai (1°) N E (cb) =) crei (= cr == 3 I _ = (=) Lao Milano, UP. Berton RE") SE Ra ba. A Mente: Rit ù patto ML Le Ati della Soc® ital. di Sc® nat. VoLX, Tav, 5 .- Monte Tre Groci . SO Da Inluno alla strada antica della Valgana Valletta dla Frascarolo alla cava agora ov A A a DI) ) ene Lago di Varese Valle di Brincio 1_ calcare marnoso a tueotdi > Calcari grigiastro Shocco della Valjana — Lato sinistro . 1 _ mafolica à 2- mame variegate 70sso ammnonttico : 5 — formazione ammonitica - calcari del tras infertore = 3'- rOsso- pallida — calcari dolonne e scisti dell'infialias SZ 3° rosso viva dolonta con gastrochene { REVO È hi 3° rosso_ vmosu -— formazione d'Estno Foltma Olona 4 calcari del las interiore — lemeno glactale Annctkto (villaggio) 4) _ calcare marnoso « hicowdi — calcari e dotoniie dell'infialias 1_ calcare nuonoso a lucordi 2 calcare grigiastro 5 _ calcare con aplichi e ammontti $ 4—= calcari qiullastri, hip, verdagnoti 4 ” ; ; e o 4 a ARE È Discesa dalle Fornaci di Frascarolo del lias inferiore te > alla Valgana M° Martica Monte della Rasa calcari grigiastro CHONE dolomia con gastrochene, encrmi e coralli -— dolomia ; ‘ 55 cà PR doloniia non fossilifera — calcari linamente strutiticati ienidaio variegate guarsgse — dolonia con qustrochene È on CAO , $ I ch 7 o portici quarzifori — wenant quarziste bigie è rosse fi by VE È © alt rimaste SO pin E 2A RÉRAS \ RAR Prezzo del presente volume 10 Der ife e LA. Li ACRI We Per gli estranei alla Società » 20. — RAI (SY I e G Ca DS; DAR € EIANVAVIRESBIAE A DA; VEL CALIF ACAD OF SCIENCES LIBRARY 3 1853 10007 5683