ATTI DELLA - SOCIETÀ ITALIANA — SCIENZE NATURALI. Vo Eb ME-XXT, pag ANNO 1878, | Con Li ed una Carta geologica. nisi MILANO, TIPOGRAFIA BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. 1879, A rx Po Pa STE. Mido "i SL, ì > Cz aa " si Sert fora & 4 n i 4 ns "a . A ba, LI ia ti hh sè sa * pes s a. a iS ved - » Pad si n vi O ina, LTL SARI CIRO Pysc DT AMISIO\DI Cai copert 3 TI e de i nea questa. i AT di a degl gina per 3° pag esi, zia DER Bei cì de lhi Mage x ; % LÀ P 4 U Log Tag SPICIALI mani SRL do ari i . Ù e R » $ Ù l / "a HH A KA Pa È é dal i P n” 7 = eu dhe CR ne ST » “ % CE pad i Mg my n x ta sE X i bi | a < ' ; . ; ‘ Cif « Pin. CCR] gi y ù " "SIN ey hd " si na î È alga. a PARO = n i ud LAM Ù DI È. È 3 " A bs ù ,) +4 last] del ò “ i EP" - Mo e dr LI T% Ù Ù Edi 2 N n © i % : A LA Pi A 4 i ; 7 si 79) fr È bei i, Ù Ò 4 (o € j RT) ° ? : r, S4 n P, pa. v ge 3 a CIR pu de Faà Y lu P Li T } Li » di ii IT3OW QUIRI PATHS 5 po Sa DE i ì 9659 ti 1° "A ° TLT i ARI l'edatle noti) È T) y; da lr v Ù% } i ile 4‘ ‘ I, LAS 79 VAMA-29 i $ Pa: LET 46 n L RAT "Mg î ] RP è» ‘A } . . dae AI A è 14 1 » i ri } È ia Vai pid art Me ty + . La t. ATTI A SOCIETA ITALIANA SCIENZE NATURALI VOL. XXI. ANNO 1878. MILANO, TIPOGRAFIA DI GIUSEPPE BERNARDONI 1878. RATA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI. PRESIDENZA PEL 1878. Presidente. — CORNALIA prof. comm. Emizio, direttore del Museo Civico di storia naturale in Milano, via Monte Napoleone, 36. Vice-Presidente. — ViLLa cav. AntonIoj Milano, via Sala 6. SoRDELLI FERDINANDO, aggiunto al Museo Civico di sto- Segretarj ria naturale in Milano, via Monforte 7. Pini nob. rag. NAPOLEONE, via Crocifisso 6. Vice-Segretario. — SALMOIRAGHI ing. Francesco, Milano, via Sil- vio Pellico 4. - Conservatore. — FRANCESCHINI rag. FELICE. Vice-Conservatore. — CASTELFRANCO prof. PoMmPEO. Cassiere. — GARGANTINI-PIATTI GiusePPE, Milano, via Senato 14. Economo. — DELFINONI avv. GOTTARDO. Visconti Ermes march. CARLO. BELLOTTI dott. CRISTOFORO. CRIVELLI march. LUIGI, Commissione "amministrativa SOCJ EFFETTIVI al principio: dell’anno 1878. ArBANELLI rag. Fiuippo, Milano. Ares: Vincenzo, alunno nella R. Università di Napoli. ARADAS cav. ANDREA, professore di zoologia nella R. Università “di Catania. ARNABOLDI-GAZZANIGA comm. BERNARDO, Milano. ArrIGONI conte Oppo, Padova. BALESTRA sac. SERAFINO, Como. BeLLoTTI dott. CrIstororo, Milano: BeLLucci dott. GIUSEPPE, Perugia. BrrLA ETTORE, Milano. BerNnARDONI Finippo, Milano. BeRNASCONI sac. BALDASSARE, Torno (Como). BeRNASCONI ing. GiusEPPE, Caserta. BerroLonI GiusePPE, professore di Botanica nella R. Università di Bologna. Bienami ing. Emrzio, Milano. BoccaccinI prof. CorraDo, Ravenna. Borromeo conte CarLo, Milano. BortI cav. ULDERICO, Lecce (Terra d’Otranto). Borzi dott. ANTONINO, assistente alla cattedra di botanica nel R. Istituto forestale di Vallombrosa. ELENCO DEI SOCJ (EFFETTIVI »vAL PRINCIPIO DELL'ANNO 1878. 5 BrioscHI .comm. FRANCESCO, senatore del Regno e direttore :del R. Istituto Tecnico superiore di Milano. BurtI sac. ANGELO, professore nel \R. Istituto Tecnico, Milano. Buzzoni sac. Pietro, Milano (CC. SS. di Porta Romana). CaLDERINI sac. Pietro, direttore dell'Istituto Tecnico di Varallo (Val Sesia). CaLpesi Lopovico, Faenza. CANETTI dott. CarLo, Milano. CANTONI cav. GAETANO, direttore della Scuola superiore di agro- nomia, Milano. CAPELLINI comm. GIOVANNI, professore di geologia nella .R. Uni- versità di Bologna. CapRIOLI conte Tommaso, Brescia. CaseLLA dott. GrusePPE, Laglio (Como). CASTELFRANCO prof. Pompeo, Milano. CasteLLI dott. FEDERICO, Livorno. CartANEO Giacomo, Milano. CavaLLorti ing. AncELO, Milano. CERRUTI ing. GiovannI, Milano. CesatI barone VINCENZO, professore di botanica nella R. Univer- sità di Napoli. | CeTtTI ing. GIovaNnnI, Laglio (Como). CoccHI cav. Ierno, professore di.geologia al Museo di-storianatu- rale, Firenze. Cocconi prof. GEROLAMO, Bologna. CoLienon dott. NicoLa, professore di meccanica ?nel -R. Istituto Tecnico, Firenze. CoLogna avv. AcHILLE, Milano. CoLomBo dott. GIUSEPPE, assistente alla, cattedra, di.anatomia 1pa- tologica nella R. Università di Pavia. CoLucci NuccHELLI dott. PARIDE, professore di storia naturale al Liceo di Pisa. Coppi dott. prof. FRANCESCO, Modena. -CornALIA dott. cav. \Emt10y direttore: del Museo Civico di-stotia naturale, Milano. 6 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI Corvini dott. LoreNZo, professore nel R. Istituto Veterinario, Milano. Crespi-REGHIZZo sac. GIOVANNI, reggente l’Istituto in Legnano (provincia di Milano). CriveLLi march. Luici, Milano. Curioni nob. comm. Giulio, Milano. Curò ing. ANTONIO, Bergamo. D’AcHiaRrDI dott. ANTONIO, assitente di geologia al Museo di storia naturale all’ Università di Pisa. D’Ancona dott. CESARE, Firenze. De-Bosis ing. FRANCESCO, Ancona. DeLFINoNnI avv. GorttARDO, Milano. DeLLa Rocca ing. Gino, Genova. DeL Mayno march. NorBERTO, Milano. DeLPINo FEDERICO, professore di botanica nella R. Università di Genova. De-Manzoni ing. ANTONIO, direttore della Società montanistica Veneta, Agordo. De-Romita dott. VIncENZO, professore di storia naturale al Liceo di Bari. De-SAncTIS LEONE, professore di anatomia comparata alla R. Uni- versità di Roma. De-Zieno bar. cav. AcHILLE, Padova. DopERLEIN PIETRO, professore di zoologia a) R. Università di Palermo. Doria march. Giacomo, Genova. DusarpIN cav. GIOVANNI, professore di mineralogia e geologia nel- . l’Istituto Tecnico di Genova. Emery CARLO, dottore in scienze naturali, Napoli. Fanzaco dott. FrLippo, professore di storia naturale al Liceo di Messina. FERRERO OttAVIO LUIGI, professore di chimica al R. Istituto Agra- rio di Caserta. Foresti dott. Lopovico, assistente al Museo geologico dell’ Uni- versità di Bologna, AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1878. | 7 FrancescHINI rag. FeLIce, Milano. GALANTI ANTONIO, professore di agraria nel R. Istituto Tecnico, Milano, | GARBIGLIETTI cav. ANTONIO, dottor collegiato in medicina, Torino. GARDINI GALDINO, professore di storia naturale all’ Università libera di Ferrara. GARGANTINI-PraTTI GrusePPE, Milano. GAROvAGLIO cav. SANTO, professore di botanica nella R. Univer- sità di Pavia. Gasco prof. FRANCESCO, professore alla R. Università di Genova. GemeLLARO GAETANO GIORGIO, professore di geologia nella R. Uni- versità di Palermo. GentILUOMO dott. CAMILLO, direttore del Bullettino malacologico italiano, Pisa. | GriortI ALessanpRrOo, Milano. GiACcOMETTI dott. Vincenzo, Mantova. GigeLLI dott. GrusePPE, professore di botanica nella R. Univer- sità di Modena. GrovannINI dott. FiLipPo, Bologna. Gora conte CarLo, Milano. Goun ing. LEONE, Cagliari. GramiIzzi ing. Massimiano, Milano. GuaLtERIO CARLO RAFFAELE, Bagnorea (Orvieto). GuiscarDI dott. GuaLIELMO, professore di geologia nella R. Uni- versità di Napoli. Lancia FeDERICO duca di BroLo, segretario dell’Accademia di scienze e lettere di Palermo. LaAzzoNnI conte CARLO, Carrara. LawLEY RoBeRTO, Montecchio, presso Pontedera (Toscana). Lessona dott. MicHELE, professore di zoologia alla R. Università di Torino. Lezzani march. MassimiLIANo, Roma. LicoPoLi dott. GAETANO, assistente di botanica alla R. Università di Napoli. ‘Magi dott. LropoLpo, professore di anatomia comparata nella R. Università di Pavia. 8 ELENCO DEI SOCJ ‘EFFETTIVI Mas AnprEA, Travagliato (Brescia). MatinverNnI Aressio, Quinto (Vercelli). Mantovani Pro, professore di storia naturale nella R. Università di Sassari. Manzi padre MicHELANGELO, barnabita, Lodi. Marani cav. Giovanni, Moncalvo (Monferrato). MarcgHI dott. Pietro, Firenze. MarinonI nob. CAMILLO, professore all’ Istituto Tecnico di Udine. MarsiLi Luci, professore di fisica nel Liceo di Pontremoli. MARTINATI dott. Pietro PaAoLo, Verona. MaruLLo conte Giuseppe, Messina. Mask sac. FrANcESCO, arciprete a Castel d’Ario (provincia di Mantova). MazzoccHi ing, LuIcI, assistente al R. Istituto Tecnico ‘superiore di Milano. I MELLA conte CARLO ARBORIO, Vercelli. MeneGHINI GiusePPE, professore di geologia nella R. Università di Pisa. MERCALLI sac. prof. GrusePPE, Monza. MoLino-Foti Lopovico, Barcellona (Sicilia). MotLon cav. ing. FRANcESCO, Vicenza. MontANARO CARLO, all’ Intendenza di Finanza, Verona. Mora dott. AnToNIo, Bergamo. MoragLIa ing. Pretro, Milano. MorI Tommaso, professore di storia naturale ‘nella Scuola nor- male di Aquila. NEGRI avv. FRANCESCO, Casalmonferrato. NEGRI dott. cav. GAETANO, Milano. NicoLucci cav. Giustiniano, Isola presso Sora. NINNI conte ALEssanDRO PERICLE, Venezia. Nocca CARLO FRANCESCO, Pavia. Omgoni dott. GrovaNNI, professore di mineralogia alla ‘R. Univer- sità di Padova. PaApULLI conte PIETRO, istruttore pratico di chimica'nel labora- torio della Società d’Incoraggiamento d’arti e mestieri, Milano. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1878. 9 PaoLucci dott. Luci, professore di storia naturale nel R. Istituto Tecnico, Ancona. Parona dott. CorrADo, assistente al Museo di storia naturale nella R. Università di Pavia. PASssERINI GIOVANNI, professore di botanica nella R. Università di Parma. Pavesi dott. Pretro, professore di zoologia nella R. Università di Pavia. PeRrAZzi COSTANTINO, ingegnere del Corpo reale delle miniere, Torino. PranzoLa Lusi, dottor in legge, Milano. Pinr nob. rag. NaPoneonE, Milano. | Prrona dott. GiuLIO ANDREA, professore di storia naturale al Li- ceo di Udine. PrrottA dott. RomuALDO, assistente al Museo zoologico della R. Università di Pavia. PoLLi PieTRO, professore di storia naturale all'Istituto Tecnico di Milano. Pozzi AnGELO, professore di fisica al R. Istituto Tecnico di Vi- gevano. PrADA dott. Troporo, professore di storia naturale all'Istituto Tecnico di Pavia. RancHET ab. GiovaNnNI, Biandronno (Varese). RanzoLI dott. ANDREA, conservatore del Gabinetto anatomico del- l’Università di Pavia. RavioLI cav. GrusePPE EDOARDO, maggiore nel Genio militare, Alessandria. REGAZZONI dott. INNocENZO, professore nel R. Liceo di Como. RiBoLDI mons. AgostINO, vescovo di Pavia. Ricca dott. Lurei, Arona. Rocca SAPORITI march. APoLLINARE, Milano. RomaNIN dott. EMMANUELE, Padova. RosaLes CieaLini march. Luiei, Bernate (Como). Rossetti dott. Francesco, professore di fisica all’ Università di Padova. 10 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI Rossi cav. ANTONIO, ingegnere capo del Genio Civile in Como. SALMOIRAGHI ing. Francesco, Milano. SALVADORI dott. Tommaso, Torino. SANSEVERINO conte Faustino, senatore del Regno, Milano. SartorIo dott. AcHILLE, Professore di Storia Naturale nel Liceo di PistoJa. ScaraBELLI-Gommi-FLAMINI GiusEePPE, senatore del Regno, Imola, ScoLa dott. Lorenzo, Milano. ScortI dott. GIBERTO, medico municipale, Como. SeGUENZA GIUSEPPE, professore di storia naturale nel Liceo di Messina. SeLLA QUINTINO, ingegnere delle miniere, deputato al Parlamento, Roma. SiLvestrI ORAZIO, professore di chimica alla R. Università di Ca- tania. SoRDELLI FERDINANDO, aggiunto al Museo Civico di storia natu- rale di Milano. SPAGNOLINI ALESSANDRO, professore di storia naturale nella Scuola Militare di Firenze. Spezia ing. Groreto, Piè di Mulera (Domodossola). SPINELLI GIOVANNI BATTISTA, Venezia. STALIO prof. Luiei, Venezia. STEFANELLI Pietro, professore di storia naturale alla Scuola Ma- gistrale di Firenze. StopPANI ab. ANTONIO, professore di geologia nel R. Istituto di studj superiori pratici e di perfezionamento, Firenze. STROBEL PELLEGRINO, professore di storia naturale nell’ Università di Parma. TAPPARONE-CANEFRI avv. CESARE, Torino. TARAMELLI TORQUATO, professore di geologia nella R. Università di Pavia. TarGIoNI-TozzeTTI ApoLFO, professore di zoologia al Museo di sto- ria naturale di Firenze. Tassani dott. ALESSANDRO, consigliere sanitario, Como. TeRRACCIANO cav. Nricora, direttore dei Giardini Reali a Caserta. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1878. -— TRANQUILLI GIOVANNI, professore di storia naturale nel Liceo di Ascoli. Treves ing. MICHELE, Torino. TREVISAN conte VittoRE, Monza. TRINCHESE SALVATORE, professore di zoologia alla R. Università di Bologna. TuraATI conte ErcoLe, Milano. Turati nob. ERNESTO, Milano. VarIsco ACHILLE, Bergamo. VERRI ANTONIO, capitano nel Genio militare, Piacenza. Viconi nob. GruLio, Milano. Vira cav. AntonIO, Milano. Vira cav. GIovANNI BartISTA, Milano. Vira VirtorIo, Milano. VIMERCATI conte ing. Guipo, Firenze. Visconti conte ALFonso Marta, Milano. Visconti Ermes march. CARLO, Milano. Visconti Di MopRonE duca Rarmonpo, Milano. ZIMMERMANN BERNARDO, assessore di Collegio, Pietroburgo (iogaia), Zincone dott. AntoNIOo, Napoli. Zosa dott. GIOVANNI, professore di anatomia nella R. Università di Pavia. ZuccHi dott. CARLO, medico-capo dell’ Ospedale Maggiore, Milano, SOCJ CORRISPONDENTI. AscHERSON PaoLo, addetto alla direzione dell'Orto botanico, Berlino. BARRAL, direttore del giornale L’ Agriculture pratique, Parigi. BoLLe CarLo, naturalista, Leipziger Plate 13, Berlino. Boué Ami, Wieden Mittersteig Schlossel-Gasse 594, Vienna. BrusinA SPIRIDIONE, soprintendente del Dipartimento zoologico nel Museo di storia naturale in Agram (Zagrab), Croazia. DARWIN Carro, della R. S.‘e G.S., Londra. Davis GrusePpE BERNARDO, presidente della Società Antropologica di Londra. Desor EpoaARDO, professore: di geologia nella Scuola Politenica di Neuchatel. Favre ALFONSO, professore di geologia, Ginevra. Ficuier Lurai, vue Marignan 21, Parigi. FinscH dott. Orto, conservatore del Museo zoologico in Brema. GeinIiTtz Bruno, direttore del Gabinetto mineralogico di Dresda, GorpPeRT H. R., direttore dell'Orto botanico di Breslavia. Hauer Francesco, direttore \dell’I. ,R. Istituto Geologico di Vienna. HeeR OsvaLpo, professore di botanica nel Politecnico di Zurigo. JANNSENS dott. EUGENIO, medico municipale, rue du Marais 42, Bruxelles. Le PLé dott. AmeDEO, presidente della Società libera d’emula- zione, Rouen. Lory CARLO, professore di geologia alla Facoltà delle scienze a Grenoble. MERIAN, professore di geologia al Museo di storia naturale di Basilea. MoRrTILLET GABRIELE, aggiunto al Museo Nazionale di Saint-Ger- main en Laye, presso Parigi. rr _—_ _—_—————————— — FLENCO DEI SOCJ CORRISPONDENTI AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1878, 13 Netto dott. LapIsrao, direttore della Sezione botanica del Museo Nazionale di Rio-Janeiro. PrLLet Lurci, avvocato, direttore del Gabinetto mineralogico di Chambéry. Pizarro dott. GioacHINO, direttore della Sezione zoologica. del Museo Nazionale di Rio-Janeiro. PLancHon GiuLio, professore di Botanica. a. Montpellier. RarmonpI dott. ANTONIO, professore di storia naturale all’ Univer- sità di Lima (Perù). Ramsay ANDREA, presidente della Società Geologica di Londra: Museum of practical geology, Jermin Street, S. W. SENONER cav. ApoLro, bibliotecario dell’ I. R. Istituto Geologico di Vienna, Landstrasse Hauptstrasse 88. STtuDER BERNARDO, professore di geologia, Berna. ISTITUTI SCIENTIFICI. CORRISPONDENTI. al principio dell’anno 1878. ITALIA, . R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. — Milano. . Ateneo di Scienze. — Milano. . Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri. — Milano. . Società Agraria di Lombardia. — Milano. . Accademia Fisio-medio-statistica. —- Milano. . Ateneo di Brescia. . R. Accademia delle scienze. — Torino. . Accademia di agricoltura, commercio ed arti. — Verona. . R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. — Venezia. 10. Ateneo Veneto. — Venezia. o 090 x Si Ct bo VI DD le 14 bi: 12. 13. 14. 15. 16. Li. 18; 19 20. 21, 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 81. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI Accademia di agricoltura, arti e commercio. — Verona. Accademia Olimpica. — Vicenza. Società Veneto-Trentina di scienze naturali. — Padova. Associazione Agraria Friulana. — Udine. Società delle Scienze. — Modena. Società dei Naturalisti. — Modena. Accademia delle scienze. — Bologna. Accademia dei Georgofili. Società Entomologica. — Firenze. Società Toscana di scienze naturali. — Pisa. R. Comitato Geologico d’Italia. — Roma. Accademia dei Fisio-Critici. — Siena. Società di letture e conversazioni scientifiche. — Genova. Società Reale delle scienze. — Napoli. R. Istituto d’Incoragg. per le scienze naturali. — Napoli. Associazione di Naturalisti e Medici. — Napoli. Società economica del Principato Citeriore. — Salerno. Accademia Palermitana di scienze, lettere ed arti. — Palermo. Consiglio di perfezionamento. — Palermo. Commissione Reale d’agricoltura e pastorizia. — Palermo. Società d’acclimazione e agricoltura. — Palermo. Accademia Gioenia di scienze naturali. — Catania. Società d’orticoltura del litorale di Trieste. SVIZZERA. Naturforschende Gesellschaft Graubiindens. — Chur. - Institut National Génèvois. — Genève. Société de physique et d’histoire naturelle. — Genève. Société Vaudoise des sciences naturelles. — Lausanne. Société des sciences naturelles. — Neuchàtel. Naturforschende Gesellschaft. — Zirich. Naturforschende Gesellschaft. — Basel. Società Elvetica di scienze naturali. — Berna. Naturforschende Gesellschaft. — Bern. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. DI. 52. 53. DA. DD. . 56. DI. 58. 59. 60. 61. 62. 63. 64. 65. 66. 67. 63. 69. 70. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1878. "19 GERMANIA ED AUSTRIA. Naturwissenschaftliche, Gesellschaft Isis. — Dresden. Zoologische Gesellschaft. — Franckfurt am Mein. Zoologisch-mineralogisches Verein. — Regensburg. Physicalisch-medizinische Gesellschaft. — Wiirzburg. Nassauisches Verein fiir Naturkunde. — Wiesbaden. Offenbaches Verein fiir Naturkunde. — Offenbach am Mein. Botanisches Verein. — Berlin. Verein der Freunde der Naturgeschichte. — Neubrandenburg. Geologische Reichsanstalt. — Wien. Geographische Gesellschaft. — Wien. Zoologisch-botanische Gesellschaft. — Wien. Siebenburgisches Verein fiir Naturwissenschaften. — Her- mannstadt (Transilvania). Verein fiir Naturkunde. — Presburg (Ungheria). Deutsche geologische Gesellschaft. — Berlin. Physikalisch-medizinischen Gesellschaft. — Erlangen. Senkenbergische naturforschende Gesellschaft. — Frankfurt am Mein. Verein fiir Erdkunde. — Darmstadt. Naturforschende Gesellschaft. — Gorlitz. Schlesische Gesellschaft fiir vaterlindische Cultur. — Breslau. Baierische Akademie der Wissenschaften. — Munich. Preussische Akademie der Wissenschaften. — Berlin. Physikalisch-oeconomische Gesellschaft. — Kébnigshberg. Naturhistorisches Verein. — Augsburg. Deutsch-Oesterreischisches Alpen-Verein. Section “ Austria , — Wien. K. K. Hof-Mineralien-Cabinet. — Wien. Medizinisch-naturwissenschaftliche Gesellschaft. — Jena. Naturwissenschaftlich-medizinisches Verein. — Innsbruck. Verein zur Verbreitung naturwissenschaftlicher Kenntnisse. — Wien. 16 71 72. 73. 74, TO. 76. 77. 78. 19; 80. Sl. 82. 83. 84. 85. 86. 87. 88. 89. 90. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI K. ungar. geologische Anstalt. — Budapest. Antropologische Gesellschaft. — Wien. Naturwissenschaftliche Gesellschaft. — Chemnitz. SVEZIA e NORVEGIA. Kongelige Norske Universitet. — Christiania. Académie Royale Suédoise des sciences. — Stockholm, RUSSIA. Académie Impériale des sciences. — St-Petershourg. Société Impériale des Naturalistes. — Moscou. BELGIO. Académie Royale de Belgique. — Bruxelles. Société Royale de botanique de Belgique. — Ixelles-les-Bru- xelles. Société Malacologique de Belgique. — Bruxelles. Société Entomologique. — Bruxelles. FRANCIA. Institut de France. — Paris. Société d’Acclimatation. — Paris. Société Géologique de France. — Paris. Société Botanique. — Paris. Société Linnéenne du Nord de la France. — Amiens (Somme). Académie des sciences, arts et lettres. — Rouen (Seine inf.). Société des sciences naturelles. — Cherbourg (Manche). Société des sciences physiques et naturelles. — Bordeaux (Gironde). Académie des sciences, belles-lettres ed arts de Savoie. — Chambéry. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1878. 17 91. Société Florimontane. — Annecy. 92. Société d’agriculture, d’ histoire naturelle et des arts utiles de Lyon. 93. Société d’ histoire naturelle. — Toulouse. INGHILTERRA. 94. Royal Society. — London. 95. Geological Society. — London. 96. Zoological Society. — London. 97. Geological Society. — Glascow. 98. Literary and philosophical Society. — Manchester. 99. Natural History Society. — Dublin. 100. Royal physical Society. — Edimburg. AMERICA (Stati Uniti). 101. Smithsonian Institution. — Washington. 102. American Academy of arts and sciences. — Cambridge. 103. Academy of sciences. — S. Louis (Missouri). 104. Boston Society of natural history. — Boston. 105. Connecticut Academy of arts and sciences. — New-Haven (Connecticut). 106. Orleans county Society of natural sciences. — Newport. Vol. XXI 2 Seduta 27 Gennaio 1878. Presidenza del Presidente comm. prof. EmiLIio CORNALIA. Dichiarata aperta la seduta, il Presidente rammenta la per- dita dolorosa dei soci prof. FiLirPo PARLATORE a Firenze, DiiRER BerNARDO a Tremezzo e prof. FrANcESco Cavezzari a Milano, defunti dall’ ultima adunanza in poi, e che la Società contava nel suo seno fin dai primi anni della sua esistenza. Il socio Sordelli, in funzione di Segretario, legge la Nota. in- viata -dal socio prof. OmBoni: Le Marocche, antiche morene ma- scherate da frane, in cui sostiene la doppia origine, glaciale e | per frane relativamente più recenti, di quei colli bizzarri per aspetto e struttura che il viaggiatore incontra da Riva ad Arco, a nord del lago di Garda. Il socio prof. CASTELFRANCO intrattiene quindi l'adunanza so- pra le esplorazioni da lui fatte lo scorso autunno all’isola dei Cipressi, nel lago di Pusiano, mediante le quali potè assicurarsi dell’esistenza di una stazione litica; dice di non avere però rin- venuto tracce sicure di palafitte e di punte di freccie, così ca- ratteristiche: quelle, dei laghi varesini, e queste, così rogna in tutte le stazioni litiche lombarde. Passa indi a descrivere alcune tombe da lui scoperte presso Montorfano, in provincia di Como, tombe che continuano la se- rie di quelle appartenenti alla prima età del ferro, mostrando come queste si estendano evidentemente lungo tutta la linea dei colli e dei minori monti che formano il primo gradino delle SÉDUTA DEL 27 GENNAIO 1878. 19 Prealpi. — Queste notizie formano l'oggetto di una Nota che viene ammessa alla stampa nel volume in corso degli Att. Il Presidente presenta poi una Nota del socio G. CATTANEO in- titolata: Sulla produzione di microfiti nell'interno delle uova ed il socio Sordelli ne legge un sunto. In questa Nota, che è accom- pagnata da una tavola, l’autore accenna a parecchie esperienze da lui fatte per accertarsi dell'origine dei microfiti che talora si trovano nell’interno delle uova, anche da breve tempo depo- ste; e ne deduce che in molti casi devesi escludere la possibi- lità di una provenienza dall’esterno, ma hanno invece tali vege- tali, de’ più inferiori, un’ origine affatto interna e dipendente dalla metamorfosi degli stessi elementi dell'uovo. Anche questa Nota, come le precedenti, viene ammessa alle stampe e sarà inserita nel vol. XX degli Atti. È all’ordine del giorno la votazione per la nomina del Vice- Presidente, di due Segretari, del Vice-Conservatore, dell’ Economo e dell’intiero Consiglio d’ Amministrazione, in luogo dei cessanti, a termini del Regolamento, signori: Vira AntoNIO, Vice-Presidente. GARGANTINI PIATTI ingegnere GiusEPPE, Cuassiere. STOPPANI prof. ANTONIO, Segretario. FRANCESCHINI rag. FELICE, Vice-Conservatore. DELFINONI avv. GOTTARDO, Economo. e del signor SORDELLI FERDINANDO, Segretario, dimissionario. Visconti march. CARLO ERMES. \ BeLLOTTI dottor CRISTOFORO > Consiglieri d’ Amministrazione. CRIVELLI march. Lui. Il Presidente fa osservare come gli sembri più conveniente il rimandare tale votazione alla seduta di febbraio, dopo che sa- rannò votati i bilanci, avendosi così anche maggior tempo per 20. SEDUTA DEL 27 GENNAIO 1878. pensare alla più opportuna scelta delle persone. La proposta è adottata. Si procede quindi alla nomina a socio effettivo del signor Rossi cav. ANTONIO, ingegnere capo del Genio civile in Como, membro della Commissione archeologica, proposto dai soci Tas- sani, Scotti e Antonio Villa. F. SORDELLI. Seduta del 24 Febbraio 1878. Presidenza del Presidente prof. EmiLio CORNALIA. Il socio Sordelli, che funziona da Segretario, presenta un la- voro dei signori dott. CorrADpo PARONA e BATTISTA GRASSI: Sopra due rarissime mostruosità in uova di gallina e ne legge il sunto inviato dagli stessi autori. Tali mostruosità sono: un caso di ovum în ovo, di un uovo, cioè, in cui ad un tuorlo normale sta aderente per un polo un ovicino privo delle materie minerali e dei canalicoli aerei del guscio, e col tuorlo trasformato quasi per intero in adipe e coll’albume costituito pressochè tutto da muc- chi di spore, che tali si manifestarono all’ esame microscopico e colla coltivazione e spiegano il fatto ammettendo dette spore prodotte per eterogenesi. — Riferiscono quindi, gli stessi autori, altri casi di mostruosità in uova gallinacee, di cui alcuni con sem- plici grumi sanguigni fra la membrana calazifera e la vitellina, ed uno con un pulcino mostruoso assieme a scarso albume ed a un tuorlo intero con cicatricola feconda e danno la spiegazione di quest’ultimo e raro caso, ammettendo due tuorli originarii e due embrioni, di cui uno sviluppatosi precocemente, moriva forse per mancanza di nutrimento. Accompagna questa Nota una ta- vola che sarà pubblicata assieme alla Nota stessa nel volume in corso degli Att1.' Il socio PaoLucci ha inviato il sunto di un suo esteso lavoro intitolato: Sulle vociì degli uccelli. — Studii di fisiologia e di psicologia comparata. In tale lavoro l’autore, dopo di avere di- i Sono pubblicate nel vol. XX, secondo fascicolo, 90 SEDUTA DEL 24 FEBBRAIO 1878. mostrato che sinora le voci diverse ed il canto degli uccelli non vennero descritti se non imperfettamente dagli autori, e citati solo quali caratteri specifici degli uccelli stessi, fa osservare ed il- lustra con molti esempii quali sono i mezzi naturali del linguaggio, i varii meccanismi de’ suoni negli animali, che distingue in auto- foni ed eterofoni, quali suoni fondamentali siano propri agli uc- celli e fin dove possa arrivare la musica per esprimere le voci; studia in seguito le voci ed il canto emessi dagli uccelli in re- lazione alla loro intelligenza, all’età, al sesso ed all’ educazione, e ne conclude potersi tali voci ammettere quale una forma ru- dimentale di linguaggio. — Tale comunicazione viene accolta per la stampa negli Atti pel caso che la Società o l’autore stesso non credessero di dover inserire nei medesimi il lavoro per in- tiero.', — I soci presenti ricordano i varii sistemi già usati per la rappresentazione del canto degli uccelli, ed il socio SORDELLI aggiunge essersi già fatto un tentativo per figurare, mediante note musicali, il canto dei grilli e delle locuste,° ma concordano col socio Paolucci nel ritenere che tali rappresentazioni sono as- sai imperfette e furono adoperate piuttosto quali caratteri spe- cifici, che non per esprimere voci paragonabili ad un vero e pro- prio linguaggio. Il socio Sordelli annuncia in seguito avere il socio CATTANEO inviato per l’inserzione negli Att. una Nota: Intorno alla ana- tomia e fisiologia del Podostoma filigerum, Clap. e Lachmann; non essendo presente l’ autore, viene deciso che tale Nota debba essere annunciata nella prossima circolare e letta nella seduta del 31 p. v. marzo. Il Presidente presenta e distribuisce le circolari pel Congresso geologico che si terrà a Parigi nel corrente anno, durante 1’ E- sposizione. È letto ed approvato il processo verbale della seduta 27 gen- naio 1878. 4 Di tale lavoro è pubblicato un sunto abbastanza particolareggiato nel vol. XX degli Atti. 2 Allude alla Memoria di YERSIN: Sur quelques faits rélatifs è la stridulation des Orthopteres, pubblicata nel 1853. : i | SEDUTA DEL 24 FEBBRAIO 1878. Za Il Cassiere sociale, sig. G. GARGANTINI-PIATTI espone quindi lo stato finanziario della Società, giusta il bilancio consuntivo (Al- leg. A) deliberato già in seduta privata dalla Presidenza, in concorso del Consiglio d’ amministrazione. Dal medesimo risulta una spesa totale durante l’anno sociale 1877 di L. 2946 10 a fronte d’un incasso di L. 2183 10, che sommate alle esistenti al 1.° gennaio dello scorso anno, costituiscono un’attività di L. 4989 14. D’onde una rimanenza attiva alla fine di dicembre di L. 2043 04. Lo stesso Cassiere presenta in seguito le cifre del bilancio preventivo (Alleg. -B) per l’anno corrente in L. 7033 04 di atti- vità, computando col fondo di cassa dell’anno precedente, L. 3090 di presumibili entrate, a fronte di L. 5090 di spese largamente computate; per cui verificandosi anche tutte queste ultime, ri- marrebbe ancora un fondo di cassa di L. 1943 04 a disposizione dei futuri esercizii. — Entrambi i bilanci vengono approvati. Il Presidente invita quindi a deliberare intorno alle vacanze delle cariche sociali, sul quale argomento espone alcune sue idee nell'interesse della Società, che vengono bene accolte dai soci t, presenti. Si passa dunque alla votazione, in seguito alla quale i rimangono eletti i soci: 9 Vira AntoNIO, Vice-Presidente. SORDELLI FERDINANDO a Pini NAPOLEONE FRANCESCHINI FELICE, Conservatore. CastELFRANCO Pompeo, Vice-Conservatore. DELFINONI GOTTARDO, Economo. GARGANTINI-PrATTI GIUSEPPE, Cassiere. i Visconti march. CARLO ERMES I BELLOTTI CRISTOFORO Consiglieri d’ Amministrazione. CrIvELLI march. LUIGI È Viene infine nominato all’unanimità socio effettivo il signor Fanzaco dott. FiLIiPPo, professore di storia naturale nel R. Li- ceo di Messina, proposto dai soci Antonio, Giambattista e Vit- torio Villa. Segretarii. = ilo” de indtefi. ci de F. SORDELLI. 24 (Allegato 4) BILANCI Dal 41.9 GSRnee Attività Esistenti in cassa al ristretto conto 1 gennaio 1877 È, 2806 | 04° Mnteresni: i el tt e I 610223 Importo N. 13 quote arretrate, cioè: N. quota; 18/4, 0,4. «Li sable E ibid Sc Li dignita 20 — ne li, rei STO La 220 — Totale L. 260 — 260 db Importo di N. 80 quote anno corrente 1877 a L. 20 . » || 1600 i Ricavo: vendita Atti... 10 .SIMSINPONCALAASEA 0000. 408 59. (208 Ricavo rimborso copie a parte... . . .0.0. n ZI Le de0 Totale attività. . L. || 4989 14 Passivo da dedursi » || 2946 10 Rimanenza attiva a pareggio L. || 2043 | 04 STONSUNTIVO 51 Dicembre 1877. - AI legatore Sordelli . Stipendio agli inservienti . Passività AI tipografo Bernardoni per stampa Atti e circolari Al sig. Bergomi Andrea aiuto alla segreteria . Associazione all’opera Iconographie des Ophidiens x “q sa Totale delle passi >; LE Allibraio Hoepli per somministrazioni librarie e porto libri. » » Spese d’amministrazione, posta, segreteria e porto libri . » | od vità L. 20 1840 2946 | -10 —__—_—__e”- __->,} 26 (Allegato 5) BILANCIO PREVENTIV( Attività 1 | Incassa al ristretto conti 1 gennaio 1878. . . . . L. || 2043 2 | Importo di N. 112 quote arretrate a L. 20, cioè: N16 quote 18756, iL. ARTO nd: è 101808, cibano stia n 63. n. 1877... 0. # || 2220 N. 112 3 | Importo di N. 130 quote pel 1878 a L. 20. . . . . n» || 2600 4 | Importo presumibile per rimborso copie a parte . . . » | 100 5 | Ricavo presumibile per vendita Attî e Memorie . . . » 50 L. || 7033 04 i 27 R L'ANNO 1878. Passività lito Ar e; circolari. +, 00210400 21 dv oa Ba ]:2000: |. + 2 Stampa Memorie... . 0... 0... +. +. n||1000| — | Muesnipertlitoprafialu0, diro. rabbie 4, sizes 800 _ Spese d’amministrazione, posta, segreteria e riunione RIE EA DIRI oi td » 200 —_ «Aiuto alla segreteria . . . . +... 0... 200 e Ai librai Hoepli e Dumolard per associazioni diverse Wiseapinistrazioni: Lihragio . .. . ;,: . i» ra 600 _ 4 O ne n IO — 8 Pemlegatura:libri. “00. conii UL. ANO LRA 100 Losi L. | 5090 — Attività a pareggio » || 1943 | 04 L. || 7033 | 04 Ie” erranti Seduta del 31 marzo 1878. Presidenza del Vice-Presidente cav. ANTONIO VILLA. È data lettura di una Nota del socio Gracowo CattANEO: In- torno alla Anatomia e fisiologia del Podostoma filigerum Clap. e Lachm., nella quale, dopo avere riferite le osservazioni fatte su codesto essere ameboide dagli scopritori, nonchè dal prof. L. Maggi che ultimamente lo descrisse nei Fendiconti dels E. Isti- tuto Lombardo, le conferma e sostiene l'autonomia della specie stessa, contro l'opinione del prof. O. Biitschli che lo disse una mera forma dell’ Amoeba radiosa di Ehrenberg. È data parimenti lettura delle Note ittiologiche inviate dal so- cio dott. CarLo Emery. Esse riguardano forme larvali di Fiera- sfer acus, Krohnius filamentosus, Brosmius exiguus, Exocoetus exiliens e Centriscus scolopax dall'autore osservate negli acquarii della stazione zoologica di Napoli. Accompagna questa Nota una tavola rappresentante le diverse forme descritte. — Tanto la Nota del socio Emery, quanto quella inviata dal socio Cattaneo, sono ammesse alla stampa negli Att?. Il Segretario presenta in seguito un voluminoso manoscritto da parte del socio prof. FRANcESCO Coppi, intitolato: Enumera- zione paleontologica del Modenese, chiedendo che venga esaminato e domandando se la Società accetta o no la stampa del me- desimo negli Att. Il lavoro viene attentamente esaminato dai soci presenti, i quali decidono che non convenga alla Società l’assumersi una così forte spesa, poco in rapporto colle finanze sociali, principalmente ove si consideri che la presente Enu- rin aio ee ea SEDUTA DEL 31 MARZO 1878. odg merazione contiene per la massima parte il risultato di studii già altrove e più volte pubblicati, per opera di egregi paleonto- . logi, tra cui il Doderlein e lo stesso prof. Coppi. Il Segretario comunica ai soci la circolare inviata dalla So- cietà botanica e dalla Società centrale d’orticoltura di Francia, colla quale viene convocato a Parigi, in occasione dell’ Esposi- zione universale, un Congresso internazionale di botanica e di orticoltura, che avrà principio il 16 agosto del corrente anno. L’ufficio per il ricevimento delle adesioni e delle comunicazioni scientifiche è stabilito Rue de Grenelle, 84, Parigi, e n'è segre- tario il sig. E. Mer. È data infine lettura del processo verbale della seduta prece- dente 24 febbraio 1878, che viene approvato. F. SoRDELLI, Segretario. INTORNO ALLA ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL PODOSTOMA FILIGERUM CLAP. e LACHM. i NOTA di GIacoMo CATTANEO. (Seduta del 31 marzo 1878.) Tra i Protozoi, nessuna classe è forse stata meglio stabilita e meno discussa che quella dei Rizopodi (RWizopoda), la quale, proposta nel 1841 da F. Dujardin, fu accettata da quasi tutti i zoologi. Ma, al contrario, v'è una grande discordanza tra i varii autori intorno alla distinzione dei generi e delle specie di Rizo- podi; il che, in fondo, val quanto dire che le cognizioni intorno a questi Protozoi non sono troppo estese e sicure. Infatti, furono spesso creduti individui di specie diversa alcune forme rappresentanti vari stadi della vita di un medesimo in- dividuo, oppure furon descritte come forme evolutive di una me- desima specie degli organismi non aventi fra di loro nulla di co- mune. Del solo genere Amoeba furon descritte dai vari autori, come Ehrenberg, Perty, Dujardin, Auerbach, Leuckart, Cla- parède e Lachmann, Leidy, Greeff, Schmarda, ecc., poco meno che una cinquantina di specie; * ma quasi niuna vi ha, che non | sia stata contestata da taluni, o riunita con altre a comporre un’unica specie. Duyardin avvicina la sua Amoeba marina e la sua Amoeba multiloba alla Amoeba Gleichenii Bory; Pick riu- nisce l’ Amoeba princeps Ehr. con la A. verrucosa Ehr. e con la A. diffluens Ehr.; Claparède e Lachmann fanno un unico orga= 1 LeoroLpo MAGGI, Studii anatomo-fisiologici intorno alle Amibe, ed in particolare . di una innominata. — Atti Società Italiana di Scienze Naturali, vol. XIX, fasc. IV, seduta 30 luglio 1876, - | INTORNO ALLA ANATOMIA E FISIOLOGIA ECC. Se 4! nismo delle Amoeda radiosa Ehr., A. diffluens Ehr., A. actino- phora Auerb., e pure un solo organismo delle A. polypodia Sch., A. lacerata Duj., A. crassa Duj., A. brachiata Duj., A. lon- gipes Ehr., A. punctata Eich. Consimili ravvicinamenti propo- sero Archer, F. E. Schultze, Haeckel, Schmarda. Onde si può dire che la parte tassonomica dello studio delle Amebe sia un campo ancora molto confuso. E ciò, non già in causa di precipitazione o di poca diligenza negli autori, ma in causa dei continui mutamenti morfologici che ogni individuo amebico subisce durante la sua vita. Se il problema della specie è oramai diventato un gran punto d’interrogazione per coloro che studiano scientificamente pur gli animali superiori, non di- ciamo che cosa sia per chi si occupa dei più semplici Protozoi. E se l’anatomia e la fisiologia devon essere il criterio e la base dell'ordinamento tassonomico degli animali superiori, a maggior ragione lo devon essere nello studio dei Protozoi, perchè, ove mag- giormente difettano i caratteri differenziali, ed ove le trasforma- zioni individuali sono più grandi e rapide, ivi si richiede mag- gior diligenza e precisione nel seguire e notare gli uni e le al- tre. Senza un accurato e minuzioso studio anatomo-fisiologico si possono, nel campo dei Protozoi, fare delle distinzioni e dei rav- vicinamenti molto arbitrarii. Dopo quanto ho detto, resterà comprensibile la meraviglia che io provai, trovando, in un recente lavoro del chiarissimo profes- sore O. Biitschli di Carlsruhe, * identificata l’ Amoeba radiosa Er. al Podostoma filigerum Clap. e Lachm., anzi ritenuto questo come stadio di sviluppo di quella; e resterà pur comprensibile il de- siderio che provai e che pongo in atto, di rettificare e di con- fermare parecchie nozioni intorno alla anatomia e fisiologia del Podostoma filigerum, onde per caso non penetrino nel campo della scienza delle idee, sia detto col dovuto riguardo, alquanto inesatte. 1 0. BiTscHLI, Beitroge cur Kenntniss der HFlagellaten und einiger verwandten Organismen. — Zeitschr. fiir wissens. Zoologie von Siebold und Kélliker. Leipzig» 22 Januar 1878. S. 205-281. 32 G. CATTANEO, Il Biitschli, dopo aver fatto, nel suo lavoro sopracitato, un esteso studio di parecchi infusorii flagellati, aggiunge alcune sue osservazioni intorno ai rizopodi flagellati. Tra questi, dice di aver veduto un organismo di forma ameboide con lunghi flagelli, il quale non gli pare sia stato finora descritto da altri; indi si trattiene intorno ad alcune trasformazioni di una Amoeba ra- diosa Ehr.,} da lui osservata. Quest’ Ameba, secondo il Biitschli, si presentò dapprincipio mu- nita di lunghi e sottili pseudopodi radianti, e rimase per lungo tempo, sia nel corpo che nei pseudopodi, perfettamente immobile e stazionaria. Ad un tratto poi i pseudopodi si posero in movi- mento oscillatorio abbastanza attivo, il quale sembrava loro pro- prio, e non dovuto a un movimento del protoplasma del corpo dell’ Ameba, poichè la regione del protoplasma amebico, da cui si staccava il pseudopodo, rimaneva immobile, e si moveva solo la estremità del pseudopodo stesso. Poco dopo l’Ameba ritirò i suoi lunghi flagelli, e cominciò a moversi coi soliti pseudopodi sacciformi. Tutto ciò richiamò al Biitschli i caratteri dati da Cla- parède e Lachmann per il loro Podostoma filigerum,* anzi lo in- dusse a credere che il Podostoma filigerum sia uno stadio di svi- luppo dell’ Amoeba radiosa, solo con più energico moto dei pseu- dopodi. ° Questa asserzione non può completamente convincere chi abbia osservato più e più volte l’ uno e l’altro rizopodo, benchè del resto essa non sia nuova. Gli stessi Claparède e Lachmann, fin da quando scopersero e descrissero il Podostoma, dissero che esso si pre- senta talvolta sotto una forma ameboide, talchè è difficile diffe- renziarlo dalle vere Amebe, e lo Schmarda, nella seconda edi- ' 0. BuTscHLT, Loc. cit., pag. 271 e 272. — Bemerkungen iiber die Amoeda ra- diosa Ehrbg. | 2 CLAPARÈDE et LACHMANN, Etudes sur les Infusoires et les Rhizopodes. Genève; 1858-59, pag. 441, tav. XXI, fig. 4, 5 e 6. ® 0. BiTSscHLI, Loc. cit., pag. 272: « Nach diesen... Beobachtungen, michte ich mich sehr der Ansicht zuneigen, dass das sogen. Podostoma filigerum Claparède und Lachmann nur ein durch etwas energischere Geisselbewegungen der strahlenartigen Pseudopodien ausgezeichnetes Stadium der Amoeba radiosa Ebrbg. darstelle. > Pr ® Vite Me RE i POSI INTORNO ALLA ANATOMIA E FISIOLOGIA Sa zione del suo Trattato di zoologia,' riunisce sotto il nome di Mastigamoeba aspera Sch., il Dactylosphaerium vitreum H. et L., l’Amoeba ciliata Cart. e il Podostoma filigerum Clap. e Lachm. Vediamo dunque ciò che dicono, in proposito del Podostoma, quelli che per primi lo osservarono, e vediamo come si possano completare le cognizioni anatomo-fisiologiche intorno a questo or- ganismo cogli ultimi lavori fatti su di esso, e con le nostre os- servazioni. Da questo studio emergerà quanto sia giustificata l’ as- serzione che il Podostoma filigerum sia uno stadio evolutivo del- l’Amoeba radiosa. Il Podostoma filigerum, secondo Claparède e Lachmann, è un Rizopodo con protoplasma e nucleo ameboide, il quale, oltre al possedere, come le Amebe, parecchi larghi pseudopodi locomo- tori, può emetterne, da alcune espansioni speciali del suo corpo, altri lunghi e sottili, serventi alla prensione dell'alimento, e so- miglianti per la forma e per il vivace movimento oscillatorio e rotatorio, di cui sono dotati, al flagello degli Infusorii flagellati. Allorquando un granulo alimentare arriva in contatto o in vici- nanza del flagello, questo si raccorcia lentamente, trascinando seco il granulo, il quale finisce ad aprirsi un varco nell’espan- sione che portava il flagello, e ad internarsi nel corpo del Po- dostoma, mercè una escavazione a canale che si forma al mo- mento del contatto, e che poco dopo scompare. Talora invece il Podostoma ritira rapidamente il flagello, il quale allora può con- trarsi in spirale. Tali sono le cognizioni date su questo organismo dai suoi sco- pritori; cognizioni, come si vede, non molto copiose, sebbene per sè stesse interessanti. La ragione dello studio non troppo largo fatto su questo rizopodo da Claparède e Lachmann è probabil- mente la rarità con cui esso si trova, e la difficoltà di poterne osservare contemporaneamente diversi esemplari; identica for- s'anche è la ragione, per cui di questo Rizopodo non tennero più parola i zoologi, dal tempo della sua scoperta fino al 1876. Ma 1 Lupwie K. ScaMARDA, Zoologie. I. Band. Wien, 1878, pag. 230. 2*Loc. cit. Vol. XXI. 34 G. CATTANEO, in tale anno anno il professore Leopoldo Maggi, valente ed ap- passionato cultore dello studio dei Protozoi, pubblicò intorno a questo Rizopodo un rimarchevole studio, il quale allarga e mo- difica le scarse cognizioni che se ne aveano. Secondo le osservazioni del prof. Maggi, che io posso per mia esperienza confermare, i pseudopodi flagelliformi non sono sem- pre brevi e terminati a punta, ma talora lunghissimi e del me- desimo diametro dal principio alla estremità, ove trovasi anche un piccolo orificio boccale; e, ad ogni modo, sono costantemente in nu- mero di due. Ma, ciò che è particolarmente interessante per la co- noscenza della costituzione anatomica di questo Rizopodo, e special- mente importante per la questione che ci occupa, si è che il Podo- stoma è formato da tre distinte parti protoplasmatiche, cioè : 1.° un protoplasma esterno, formante un sottile velo jalino intorno al corpo dell'animale, e che potremo chiamare esoplasma; 2.° un protoplasma granuloso interno o endoplasma; 3.° un protoplasma jalino intermedio, o mesoplasma. L’endoplasma costituisce la ca- vità gastrica col nucleo e col nucleolo; il mesoplasma dà origine alla vescicola contrattile e ai pseudopodi o flagelli prensili; 1’ e- soplasma ai pseudopodi locomotori. E queste tre zone protopla- smatiche, alle quali corrispondono costantemente gli organi che abbiamo accennato, sono pur esse costanti nel Podostoma, poi- chè, anche nei primi stadii del suo sviluppo, esso le presenta bene distinte e visibili. Queste tre zone, per la loro costanza, per la loro disposizione e per gli organi a cui danno origine, hanno analogia coi foglietti blastodermici degli animali superiori (esoderma, mesoderma, endoderma), senza però che vi sia o vi possa essere alcuna vera omologia morfologica. Il Podostoma si presenta dunque come Rizopodo altamente differenziato, perchè, oltre al possedere costantemente tre distinte zone protoplasma- tiche, ha una divisione di lavoro tra i suoi pseudopodi, servendo alcuni, gli esoplasmatici, alla locomozione, ed altri, i mesoplasma- tici, alla prensione dell'alimento. 1 LropoLpo MaAGatI, Intorno ai rizopodi d’acqua dolce della Lombardia, ed in par- ticolare del Podostoma filigerum C. e L. Rendic. Istit. Lomb. Serie II, vol. IX, fasc, XIV, 6 luglio 1876. Re n e INTORNO ALLA ANATOMIA E FISIOLOGIA ECC. 35 - Lo stesso non si può dire di tutte le Amebe, che sono orga- nismi assai meno complessi del Podostoma. Presentano, è vero, qualche differenza più o meno avvertibile, tra il loro protoplasma esterno ed interno; talora anche come nell’ Amoeba verrucosa Ehr., . ha luogo la formazione d’un mesoplasma; ma le Amebe non pos- seggono mai, come il Podostoma, i tanto caratteristici pseudo- podi mesoplasmatici per la prensione dell’alimento, servendo in esse a questo scopo i moti speciali e le rientranze sacciformi del corpo. Lo stesso Biitschli poi, parlando del nuovo Rizopodo da lui scoperto, dice che esso non possedeva nemmeno una vera di- stinzione in due protoplasmi; il che concorre a far credere che la costanza della distinzione protoplasmatica nel Podostoma, con- giunta alla formazione di pseudopodi prensili mesoplasmatici, sia una particolare proprietà di questo organismo, il quale non deve quindi venir confuso con altri. E poi, almeno avesse detto il prof. Biitschli ch’egli riteneva essere l’ Amoeba radiosa Ehr., uno stadio primitivo del Podo- stoma; intorno a tale asserto si sarebbe bensì potuto notare che, secondo le nostre osservazioni, il Podostoma presenta fin dai primi suoi stadii la distinzione in eso-meso-endoplasma; ma, ad ogni modo, si sarebbe potuto credere ad una differenziazione pro- gressiva dello stadio Amoeba in Podostoma. Invece il Biitschli, dandoci il Podostoma come stadio dell’ Amoeba, ci dà un essere più complesso come forma embrionaria di un essere meno com- plesso; il che non è possibile, fuorchè nel solo caso della diffe- renziazione regressiva di un organismo parassitico. Ma 1’ Amoeba radiosa non è un organismo parassitico; e, d’altronde, anche nelle Amebe parassite, non ha luogo riduzione, come dimostra lo stesso Biitschli, © il quale trovò e descrisse un’ Ameba parassita (Amoeba Blattae), vivente negli intestini della Blatta orientalis, tutt'altro che ridotta, anzi grande e sviluppata come lA. prin- ceps Ehr. ! O. BuTSscHLI, Loc. cit., pag. 270: «... eine Differenzirung in Ecto-und Endoplasma ist nicht wahrnehmbar. % Id, loc. cit., pag. 273. 36 G. CATTANEO, Tutto insomma concorre a dimostrare che la somiglianza fra il Podostoma filigerum e 1’ Amoeba radiosa è apparente e non intrinseca, e meno che mai, poi, la seconda è derivazione del primo, dovendosi anzi considerare il Podostoma come un Rizo- podo più complesso e differenziato che 1° Amoeba. Per spiegare come il chiarissimo zoologo di Carlsruhe, tanto benemerito dello studio dei Protozoi, abbia trovato così stretta attinenza tra questi due organismi, ci permetteremo di notare ch’ egli non dice di conoscere per esperienza diretta il Podostoma, ma si riferisce solo alle cognizioni che potè attingere all’ opera di Claparède e Lachmann. Inoltre gli sono sfuggiti gli ultimi studii sul Podostoma, fatti in Italia, e pubblicati da più che un anno e mezzo nei Rendiconti dell’ Istituto Lombardo di Milano, giornale scientifico abbastanza noto e diffuso. Noi, grandi o piccoli studiosi italiani, che ci nutriamo quoti- dianamente di scienza francese, inglese e alemanna, siam di so- lito più premurosi nel cercar di rendere a ciascuna di esse il me- ritato omaggio, | CC O —___._''_— or.‘ gs 9* ì ar ra bp . NOTE ITTIOLOGICHE PEL D.° CARLO EMERY (con una tavola). Sotto questo titolo vengo oggi a pubblicare alcune pagine tratte dai numerosi appunti che ho presi nella Stazione Zoolo- gica di Napoli intorno a forme larvali di pesci. Avrei potuto riferire molte altre osservazioni ancora, ma preferisco lasciarle tuttavia inedite finchè il confronto con altri fatti possa impartir loro un maggiore interesse. Palermo, marzo 1878. I. FIERASFER ACUS. Il Mediterraneo ha due specie di Ferasfer: il Fierasfer den- tatus ch'è rarissimo e il cui modo di vivere è ignoto: il Fieras- fer acus che abita, come si sa, nel corpo delle oloturie. Ho la intenzione di pubblicare più tardi, intorno a questo pesce, un esteso lavoro, pel quale ho già raccolto molte osservazioni ed in cui ne studierò l’anatomia e la biologia. Per ora basterà con poche parole e con qualche contorno far conoscere i risultati più interessanti delle mie indagini. Ed anzitutto la quistione controversa del luogo in cui il Fie- rasfer elegge sede nel corpo dell’ oloturia. Debbo in ciò confer- mare l’osservazione del prof. Semper, che cioè il Fierasfer abita nell'albero respiratorio. È vero che generalmente lo si rinviene nella cavità del corpo: ma ciò accade perchè facilmente si lace- 38 i C. EMERY, rano le fragili pareti di quell’organo, quando l’oloturia vien mal- trattata dalla draga o da altri strumenti da pesca. Quando inve- ce, come descriverò poi, il pesce è entrato da poco in un oloturia sana o vi dimora anche da qualche giorno, senza che sia stato molestato, lo si ritrova costantemente nell'albero respiratorio. Aprendo lo stomaco dei Fierasfer, vi ho rinvenuto spesso dei crostacei, generalmente piccoli palemoni, mysîs, ecc., mai organi dell’oloturia. Per procacciarsi un siffatto alimento è necessario che il pesce esca fuori dal corpo del suo ospite, la qual cosa avviene probabilmente di notte; ma su questo punto occorre dover fare altre osservazioni che spero poter istituire nelle pros- sime vacanze estive. 5 Ho osservato ripetutamente come il Fierasfer penetra nella sua dimora vivente e 1’ ho fatto osservare ancora a molte persone nella Stazione Zoologica. Messo in una vasca d’acqua marina insieme con.un oloturia, il Fierasfer, nuotando, come è solito fare, con la coda in alto e col capo giù, si avvicina all’ano dell’ e- chinoderma e vi si ferma, aspettando che quest’apertura si di- lati per dar passaggio alla corrente respiratoria: allora spinge il muso dentro il foro, incurva la coda acuminata e, ratto fa- cendola strisciare lungo un lato del proprio corpo, in meno che non si dica, si rivolge col capo su mentre introduce nel corpo dell’ ospite la punta della coda, alla quale segue una porzione maggiore o minore della coda stessa. Qualche volta tutto il pe- sce entra in un tempo solo, velocissimamente, altra volta 1° o- perazione dura parecchi minuti, specialmente ove il pesce sia grosso e l’ oloturia molto contratta. È assai raro che il’ pesce entri col capo innanzi, senza rivolgersi. Cosa va il Fierasfer a cercare nell’ oloturia? Probabilmente null’ altro che un riparo contro i pesci più robusti che lo sbranerebbero in pochi istanti, come ho avuto agio d’ osservare parecchie volte. Ora che sappiamo in qual modo il Fierasfer penetra nelle olo- turie, resta a vedere in qual forma esso vi penetri per la prima volta, dove compia i primi stadii del suo sviluppo, quali siano le sue forme larvali. a NOTE ITTIOLOGICHE. . 39 Risso! descrive le uova del Ficrasfer e dice che vengono de- poste nei mesi estivi, raccolte in mucchi gelatinosi che galleg- giano sul mare. Cavolini figura assai bene questi cumuli che at- tribuisce erroneamente ad altri pesci. Quantunque finora io non sia riuscito ad ottenere uova dai Fierasfer, nelle vasche dell’ ac- quario, poichè quei pesci non vi sì poteano mantenere in vita lungo tempo, pure ho potuto acquistare la convinzione che i cu- muli natanti recatimi dai pescatori sono identici alle masse ge- latinose contenute nell’ ovario delle femmine, delle quali ripetono la speciale struttura. Queste uova si sviluppano assai rapidamente e al terzo giorno i pesciolini sono schiusi. Tralascio di descriverli minutamente e richiamerò soltanto l’attenzione del lettore sopra una specie di zaffo che interrompe la pinna verticale embrionale nella regione dorsale (fig. 1). Dopo 24 ore il pesciolino si è notevolmente al- lungato e lo zaffo anzidetto è divenuto alquanto sporgente. Dopo due giorni si ha lo stadio rappresentato dalla fig. 2; 1° appen- dice dorsale si è notevolmente allungata e comincia a mostrarsi pigmentata all'apice. Quest’ appendice cresce allora rapidamente e la sua estremità si modifica, dando origine ad una specie di foglia nera sospesa ad un filo; poi, alla base di questo filo, si forma una seconda foglia che si allontana ancora dal gambo dell’appendice e così via; mentre gli altri organi del pesce si sviluppano, mentre le mascelle crescono, la bocca si apre e l’oc- chio si pigmenta, l’appendice dorsale acquista ragguardevoli di- mensioni, fino a raggiungere quasi la lunghezza del pesciolino. Dopo 7-9 giorni le mie larve perirono sempre senza oltrepassare quel grado di sviluppo rappresentato nella fig. 3. Ma già possiamo ravvisare nel nostro pesciolino quella forma descritta pochi anni addietro dal Gasco ? col nome di Vexillifer Defilippii, pubblicata però precedentemente dal Kaup4 col no- me di Porobronchus linearis: debbo soggiungere intanto che la ' His. nat. des princip. product, de l'Europe mérid. III, p. 213. 2 Bullettino dell’ Associazione dei Naturalisti e Medici di Napoli 1870, pag. 59. 40 C. EMERY, figura del Kaup, tratta da un esemplare mutilato e privo delle pinne pettorali, poteva difficilmente far riconoscere la specie (il Giinther ? aveva già supposto che il Porobronchus fosse la larva del Fierasfer). Mentre le larve schiuse dalle uova hanno la coda circondata dalla pinna verticale embrionale priva affatto di raggi, la coda del Vezxillifer si prolunga in un filamento; questo è in continuità con la colonna vertebrale, la cui estremità non si è incurvata in su, come suole avvenire nello sviluppo della pinna codale dei pesci. Abbiamo una forma di coda affatto speciale che propongo di chiamare nematocerca. Il Vexillifer è forma pelagica: ci resta dunque a conoscere in qual modo esso diventi Fierasfer, per la qual cosa deve andare perduto il vessillo, scemare il numero delle vertebre, aumentare la capacità della cavità addominale, svilupparsi una pigmenta- zione che non ha. ap — Nell’ottobre del 1877 ebbi, in qualche modo, la soluzione del problema: nelle oloturie venivano presi due pesciolini lineari, privi di vessillo, trasparentissimi, con poco pigmento rosso al capo e piccole macchie nere quasi microscopiche lungo la colonna verte- brale; misuravano l’uno 205, l’altro 145 mill.: quest’ ultimo più breve, aveva il capo più sviluppato, però meno grande di quello dei più piccoli Frerasfer ch'io avessi osservati (lunghi appena 90 mill.): in entrambi la coda era come troncata alla estremità. La cavità viscerale era appena un po’ più sviluppata di quella del Vexdlifer, priva ancora di rivestimento argenteo. Evidente- mente la punta della coda si andava perdendo, mentre la parte anteriore del corpo si sviluppava. Si aveva così, quasi còlta sul fatto, la trasformazione del Vexillifer in Fierasfer. 1 Annals et Magaz. of nat. hist. 1860, pag. 272, tav. II, fig. D. ? Catalog. of Fishes, VIII, pag. 145. NOTE ITTIOLOGICHE. 41 II. KROHNIUS FILAMENTOSUS Cocco. Ancora questo pesce è una larva nematocerca. Per analogia col Vesillifer, dovremmo riconoscere nel Krohnius la larva di un pe- sce che sia privo di vera pinna codale nello stato adulto; e d’al- tronde quel che sappiamo del modo di svilupparsi della pinna codale dei pesci, la quale, come tutte le pinne verticali, sorge dalla pinna verticale embrionale, non ci permetterebbe di spiegarci in qual modo una codale potrebbe svilupparsi nel Krokhnius quando è già scomparsa quella parte, dalla quale i raggi codali dovreb- bero aver origine. - Ora, oltre il genere Fierasfer, i nostri mari albergano un solo altro genere di teleostei che sia assolutamente privo di una vera pinna codale. Questo è il zenere Macrourus. Se confrontiamo i caratteri del Krohknmius con quelli del Macrourus, troviamo talune analogie che, a mio parere, mettono quasi fuori dubbio la iden- tità di queste due forme, le quali rappresenterebbero la larva pelagica e la forma adulta di fondo di un medesimo tipo. L’esemplare ch’ebbi del Krohnius filamentosus era assai gua- sto; invece il Museo Zoologico di Napoli possiede un bellissimo esemplare, illustrato dal Costa, che ebbi pure agio di osservare. Anzitutto le pinne e specialmente le verticali offrono una certa rassomiglianza, nella loro forma, non solo, ma ancora nel nu- mero dei raggi. Così la 1° dorsale ha nel Krohnius 11 raggi, il primo e l’ultimo assai brevi, nel Macrourus coelorhynchus 9-10, nel Macrourus trachyrynchus 10-11. Le ventrali del Krohmius hanno un raggio spinoso e sette raggi molHi; nel Macrourus coelorhynchus, hanno un raggio spinoso e sei molli. Più impor= tante ancora mi sembra la esistenza di un cirro mentale, tanto nel Krohnius quanto nei Macrourus. Credo che il Krohmnius filamentosus sia la larva del Macrourus coglorhynchus. Un’ altra larva ch’ebbi nell'ottobre 1877 appar- 4 Annuario del Museo zoologico di Napoli. Anno V, tav. I, fig. 1. 42 C. EMERY, tiene probabilmente al Macrourus trachyrhynchus: questo pescio- lino, pescato a caso, con la rete di Miiller, fu trovato poi morto e malconcio nei bicchieri in cui il prodotto della pesca suol ve- nire raccolto; fu messo per alcuni minuti in una soluzione di acido picrico, per indurirlo un poco e impedire che si macerasse di più, quindi accuratamente esaminato e delineato. La fig. 5 fa tosto rilevare come il nostro pesce, lungo appena 5 mill., diffe- risca da quello figurato dal Costa,t per la forma del capo, che sporge accuminato in avanti e per la esistenza di spine al preo- percolo. Queste spine hanno riscontro nello scheletro del solo Macrourus trachyrhynchus (fig. 6) ma non sono visibili su questo pesce a cute integra. Che il pesciolino in parola possa essere una forma più giovane del Krohmus filamentosus non mi pare ammissibile, poichè, quan-. tunque più piccolo, esso mostra già contorni meglio accentuati, sporgenze scheletriche più pronunziate, insomma maggiore ana- logia con quello che ritengo dover essere la sua forma adulta. Il numero dei raggi della pinna dorsale era di soli 6, col 4° pro- lungato in un filamento; ma i primi erano tuttavia assai brevi e forse non ancora tutti sviluppati, essendo il pesce assai gio- vane. L’istesso dicasi delle ventrali che avevano solo 4 raggi, col 2° prolungato e pigmentato all’ apice. Esisteva ancora la pinna preanale embrionale. Lo stato cattivo di conservazione del- l'esemplare non permetteva di numerare i raggi delle pinne ver- ticali molli, nè vi potei dimostrare l’esistenza del cirro mentale. Non è senza interesse rilevare che le due forme anzidette di larve nematocerche, cioè il Vexillifer e il Krohnius appartengono a due tipi affini ai Gadoidi. Lo scheletro dei Gadoidi offre questa particolarità che, alla formazione della pinna codale, partecipano, non solo raggi inseriti al disotto della estremità della colonna vertebrale, ma ancora molti raggi che partond dal lato dorsale delle vertebre: inoltre l'estremità della colonna vertebrale è as- sai meno sensibilmente curvata in su che nol sia negli altri pesci. ti it NOTE ITTIOLOGICHE. 43 Non è qui il luogo di discutere se questa forma sia primitiva o pure, come mi pare più probabile, sia espressione di un ritorno a forme embrionali (dipendente forse dal modo di vivere delle forme*più antiche della famiglia). Sempre questa minore curva- tura dell’apice della colonna vertebrale, accompagnata da minore . sviluppo dei raggi inferiori, segna uno stato atrofico della pinna codale ed è una condizione favorevole al prolungamento diretto dell’urostilo in forma di filamento, ossia allo sviluppo di una coda nematocerca. III. Brosmius EXxIGUUS O. Costa. Nell’ aprile del 1877 mi venivano recati due esemplari di un pesciolino pelagico pescato presso il Posilipo. L’uno di essi, per la grandezza (39 mill.) e pel colorito argenteo col dorso bruno e con le pinne ialine, concordava perfettamente con la figura del Brosmius exiguus data del Costa 4; l’altro ne differiva per avere i fianchi screziati di macchiette brune. Concordavano ancora con le indica- zioni del Costa la stagione e il luogo della pesca. Intanto i miei pesciolini offrivano entrambi una prima dorsale identica a quella della Motella tricirrhata, però assai delicata e trasparente. Credo che, appunto per la sua delicatezza, questa pinna sia sfuggita al Costa e perciò ritengo che il Brosmius exiguus, come suppone il Canestrini® debba considerarsi quale una giovane Motella. All’istessa epoca veniva pescata una piccola Motella quasi della stessa grandezza (45 mill.) ma interamente colorata in bruno, anche nelle pinne verticali. Questo pesce era stato preso al fondo, nelle condizioni in cui soglionsi pescare le motelle. La differenza di colorazione di questi pesci era evidentemente in relazione col diverso modo di vivere, essendo gli uni pelagici, con colori chiari e pinne trasparenti, l’altro di fondo e oscuro nelle sue tinte. Egli è probabile che, ad un dato periodo del loro sviluppo, le larve pelagiche delle motelle abbandonano la superficie del mare, ove 1 Fauna del Regno di Napoli: Pesci, tav. XXXIX, fig. 1. Fauna d’ Italia: Pesci, pag. 158. 44. C. EMERY, le tinte argentee e la trasparenza delle pinne le rendono meno visibili, per raggiungere i fondi scuri, ove dovranno passare il resto della loro vita e sui quali le tinte fosche divengono a loro volta protettive. Nè la forma, nè le proporzioni del corpo o la struttura delle pinne lasciavano scorgere differenza alcuna che potesse indurmi a considerare gli esemplari pelagici come specie distinta. IV. ExOCOETUS EXSILIENS. Il 12 maggio 1877 giungeva alla Stazione zoologica una canna, lunga circa un metro, trovata galleggiante sul mare, alla quale erano attaccate moltissime uova. Queste erano opache, di colore pallido, giallo-sporco ; il loro diametro era poco meno di 2 mill.; erano fissate alla canna, mediante numerosi e sottili filamenti ela- stici aderenti alla superficie del guscio e variamente attorcigliati fra loro, in modo da formare grappoli irregolari, pendenti dal bastone. Il guscio non offriva nessuna struttura speciale. Lo svi- luppo era appena iniziato. Molte uova andarono a male, sia che fossero state maltrattate dai pescatori, sia che il movimento dell’ acqua non fosse abba- stanza vivo nelle vasche dell'acquario ove io le teneva. Il 21 maggio i primi pesciolini incominciarono a schiudere. In corri- spondenza del volume delle uova i pesciolini erano notevolmente sviluppati e di colore grigio brunastro: l’ iride provvista di strato argenteo, l’ estremità della corda dorsale, già rivolta in su, e la pinna codale già divenuta omocerca, ma di forma rotondata e riunita ancora alle altre pinne verticali per mezzo di residui della pinna embrionale. L’anale tuttavia senza raggi; eravi ancora un residuo della preanale embrionale, la quale però, dopo pochi giorni, scomparve con lo svilupparsi delle ventrali; le pettorali erano diafane, senza raggi visibili. Come ho detto appunto, le ven- trali non esistevano ancora, ma incominciarono tosto a svilup- parsi e a pigmentarsi. In quanto alla forma del pesce, rinvio il lettore alle mie figure (fig. 7 e 8). NOTE ITTIOLOGICHE. do Non potei seguire per molto tempo lo sviluppo delle larve, che il 29 maggio quattro sole ne restavano in vita e queste pure non tardavano a perire. Intanto, nel giugno seguente, mi venivano portati molti giovani Exocoetus di diversa grandezza e di diverso sviluppo di pinne. Il più piccolo di essi lungo 7 mill. (fig. 9) ras- . somigliava ancora molto ai pesciolini schiusi dalle uova descritte sopra. Quelli di 13-15 mill. avevano già tutto l’abito degli Exo- coetus adulti, con le ampie pinne caratteristiche. Ritorno ora alle uova che, come ho detto, erano attaccate alla canna galleggiante per mezzo di filamenti aderenti alla superfi- cie del guscio e irregolarmente attorcigliati fra loro. Sono questi probabilmente quei filamenti che Haeckel! descrive, come carat- teristici dell’ uovo degli scomberesoci, ch’ egli però crede situati all’ interno della membrana vitellina, mentre io li ho trovati ine vece attaccati alla superficie esterna di questa membrana. Ho figurato (fig. 10) una giovane Lelone acus lunga 10 mill,, probabilmente schiusa da poco, essendo l’addome ancor tumido per tuorlo non assorbito. Quantunque le proporzioni del corpo . siano ben diverse da quelle del giovane Exocoetus pure si rileva una certa analogia nella generale architettura, nello sviluppo delle pinne e nella pigmentazione. Il rostro è appena accennato da una prominenza della mandibola; questa, come è noto, dovrà poi allungarsi di molto e solo più tardi la mascella superiore inco- mincierà a sporgere anch'essa. La pinna preanale è qui molto svi- luppata. V. CENTRISCUS SCOLOPAX. Non sarà senza interesse far conoscer le forme giovanili del Cen- triscus nelle quali si potrà seguire lo sviluppo della forma del corpo e in ispecie quello del rostro tubolare. Queste larve sono pelagiche ed offrono un colorito argentino più o meno sparso di cellule pig- mentate nere; hanno pinne ialine. Nell’individuo più giovane (5 SÉ MiLLER's, Archiv: 1855, pag. 23-55, 46 C. EMERY, NOTE ITTIOLOGICHE. mill., fig. 11) il rostro è appena accennato; l’ urostilo è dritto; le pinne verticali tutte ancora continue, con pochi raggi accen» nati: la pinna preanale, che esiste in quasi tutte le giovani larve, non è ancora scomparsa; le ventrali non si sviluppano ancora. In un altro esemplare (10 mill., fig. 12), le pinne verticali. hanno già preso l’aspetto che serberanno nell’adulto; intanto il rostro è ancora assai breve e curvato in su; le pinne ventrali non an- cora visibili. Un terzo individuo lungo 20 mill. aveva il rostro già molto più lungo e le pinne ventrali ben distinte. Queste larve furono pescate nel 1877, SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Fig. 1. Larva del Fierasfer acus appena schiusa dell'uovo; ingrand. 32/,. “Sica: A — — _ ne dopo 48 ore 3?/,. pi: 3, — — —_ —_ dopo 7 giorni; vessillo già ben svi» luppato ; 3?/,. » 4, Giovane Fierasfer di 205 mill. trovato in una oloturia. » 5. Krohnius (larva del Macrourus trachyrhynchus ?), ingrand.; 42/,. » 6. Preopercolo del Macrourus trachyrhynchus: da uno scheletro del Museo zoologico di Palermo. 7. Larva dell’ Exocoetus easiliens appena schiusa dall’ uovo ; ingrand.; !6/,. » 8. Idem veduta dal dorso. ‘5/,. 9. Giovane Erocoetus lungo 7 mill. >» 10. Larva di Be/one acus di 10 mill. » 11. Larva giovanissima del Centriscus scolopax (5 mill.). » 12. Larva più sviluppata del medesimo pesce (10 mill.). mery— Note ittiologiche Atfi Soc. It di Sc. Nat Vol XXI, fav. 1° _oeSS lis. dall’ Autore Milano, Lit. Ronchi Seduta del 28 aprile 1878. Presidenza del Presidente prof. comm. EMILIO CORNALIA. Il Segretario SorpeLLI dà lettura d’una Comunicazione inviata dai sig. dott, Corrapo PARONA e BATTISTA GRASSI, sullo sviluppo dell’ Anchilostoma duodenale, nella quale dopo avere riferite le poche nozioni che si hanno sulla storia e sulle affinità zoologiche di cotale elminto, espongono i risultati delle loro proprie osser- vazioni. Questa Nota è accompagnata da due tavole e viene ac- colta per la pubblicazione negli Atti. Lo stesso Segretario SORDELLI riferisce intorno ad un nuovo caso di polimelia nella rana mangereccia, da lui osservato in un esemplare proveniente dal territorio bergamasco. La abnormità in questo caso consiste nella presenza di due arti anteriori sini- stri, inseriti dietro l’arto anteriore sinistro normale e sviluppati - abbastanza bene negli omeri e nelle ossa coracoidee, rimasti atro- fici invece negli avambracci e nelle zampe nelle quali non iscor- gesi traccia di digitazione. È letto ed approvato il processo verbale della seduta prece- dente 31 marzo 1878. Vengono comunicati i programmi di concorso ai premi proposti dalla R. Accademia dei Lincei. È data pure comunicazione della morte dell’ illustre algologo GIOVANNI ZANARDINI, avvenuta in Venezia il 24 decorso aprile. Infine, da parte del Comitato formatosi fra i botanici belgi, viene annunciata la festa che avrà luogo in Bruxelles, allorchè verrà inaugurato in quella città il busto dell’insigne botanico belga B. C. Du MORTIER. Il Segretario F. SORDELLI, NUOVO CASO DI POLIMELIA NELLA RANA MANGERECCIA DESCRITTO DA F. SORDELLI. (Seduta 28 aprile 1878). Credo opportuno aggiungere alle notizie in questi ultimi tempi pubblicate intorno alle rane ‘con membra seprannumerarie, da varii naturalisti e da me, la descrizione di un nuovo caso di po- limelia anteriore sinistra osservato nella rana comune od esculenta. Se per sè solo esso non può presentare altro fuorchè un oggetto di mera curiosità, esso potrà forse acquistare qualche importanza quando lo si ravvicini e lo si confronti con molti altri fatti con- simili, che permettano di comprendere con maggior chiarezza le leggi già intravvedute, regolatrici di tali, che pur sono, aberrazioni della natura, e mettano sulla via per iscoprirne altre a noi fin qui del tutto ignote. L’esemplare in questione proviene da Calcinate, provincia di Bergamo, e mi venne gentilmente concesso per l’ispezione ana- tomica, dal M. R. Sig. D. Luigi Bana, rettore del Collegio San- t Alessandro in Bergamo, nel cui Gabinetto si conservava quando ne ebbi contezza per la cortesia del sig. prof. G. B. Caironi. Per la qual cosa mi è caro poter esprimere quì la mia riconoscenza verso i nominati signori. Questa rana è di grandezza appena mediocre, poichè raggiunge a stento la media misura delle rane nostrali. Essa misura dal- NUOVO CASO DI POLIMELIA ECC. 49 l'apice del muso al sacro 56 millimetri. Conservato nell’ alcool forte, ha i tessuti in genere piuttosto induriti e contratti e la pelle qua e là raggrinzata alquanto; il suo colore avrà forse subìto del pari qualche lieve alterazione; ma pare però che il fondo fosse cenerino e non verde. È un maschio, le borse aeree présso gli angoli dell'apertura buccale, 1’ armatura delle zampe posteriori con un callo fortissimo alla base del dito più breve od interno, il rigonfiamento del pollice delle zampe anteriori lo pro- vano ad evidenza. L’anomalia in questo esemplare consiste in due monconi situati a sinistra, inseriti dietro l’arto anteriore e formanti con questo una fila laterale. / Osservati superficialmente parrebbe che questi due monconi potessero rappresentare l’avambraccio (radio ed ulna fusi assieme), di due arti anteriori, muniti ciascuno di rudimenti delle zampe ma guardando con maggiore attenzione si vede, ed il tatto con- ferma ancora di più, che detti monconi sono preceduti da altre ossa nascoste sotto i tegumenti del torace e che quindi nulla può decidersi intorno al significato delle ossa esistenti nei due arti imperfetti e soprannumerari, prima di un attento esame delle parti interne. I due monconi, visti dall’ esterno, sono alquanto disuguali fra loro: più grosso e più sviluppato anche in larghezza è l’anteriore collocato fra l’arto normale e il secondo moncone; questo che è dunque il posteriore dei due membri supplementari è più sottile e più breve. In entrambi, oltre un osso lungo, che vedremo essere un omero, havvi un prolungamento in cui si potrebbe riconoscere un avambraccio ed un piede rudimentale; ma nessun dito vi si vede, neppure imperfetto. E questo piede rudimentale, già po- chissimo riconoscibile nell’arto anteriore (anomalo) lo è ancora meno nel posteriore. Già dall’ispezione esterna avevo potuto persuadermi che men- tre gli arti anomali dovevano godere di una certa quale indipen- denza dall’arto normale, essendo ancora suscettibili di qualche piccolo spostamento, malgrado la rigidezza dei tessuti, senza che ‘ Vol. XXI, 4 50 F. SORDELLI, ne consegua di necessità un movimento corrispondente di quest’ul- timo arto; era evidente invece che gli arti in soprannumero do- vevano trovarsi in istretta relazione colla cintura toracica e for- mare con quella un sistema più o meno completo, paragonabile a quello per cui si appoggia e si articola l’altro arto. Era im- portante d’altra parte accertarsi se i due monconi anomali do- vevano ritenersi arti anteriori imperfetti, od arti posteriori, arti destri o sinistri, per avventura collocati fuori della loro sede ordinaria. Per accertarmi di tutto ciò praticai dapprima un taglio a croce nella regione scapolare sinistra, e fatte le opportune sezioni misi a nudo buona parte delle ossa; altre rilevai collo scandaglio ed ecco cosa mi fu dato di conoscere: Anzi tutto verificai che lo sviluppo notevole delle ossa sopran- numerarie racchiuse nel torace aveva influito sulla posizione della spalla normale corrispondente, ossia sinistra, la quale si trova non a caso portata alquanto più all’ innanzi della destra. Così che mentre gli arti anomali dovevano essere suscettibili di alcuni piccoli movimenti d’alto in basso (movimenti inutili in tal caso per il mancato sviluppo delle estremità) e questo si deduce dalla presenza e direzione dei relativi muscoli, essi dovevano rie- scire più di impaccio che altro al libero uso della zampa ben conformata posta loro davanti, sopratutto nell’accostarsi che fanno al corpo gli arti anteriori durante il camminare a terra e nel mettersi in atto di riposo. Circa le ossa trovai che la massima parte dei due monconi so- prannumerari è costituita in ciascuno da un omero abbastanza bene costituito (l’anteriore lungo millim. 14 ed il posteriore più breve, cioè millim. 12). I due omeri si riconoscono tali alla forma ed alla disposizione de’ loro capi articolari superiori, i quali si muovono entro corrispondenti cavità glenoidi, che sono separate e distinte, così tra loro, come da quello che serve al membro normale. Ma in luogo di due scapole, havvene una sola per en- trambi gli arti anomali. Essa è composta come le scapole nor- mali dei batraci, di due ossa, della vera scapola, cioè, e della la NUOVO CASO DI POLIMELIA ECC. DI mina accessoria (Anhangsplatte di Carus), ma di sviluppo assai disuguale fra loro. Infatti l’osso inferiore o vera scapola è non solo solido, robusto, lungo e largo circa quanto l’osso corrispon- dente della scapola normale, ma più dilatato e brevemente bi- fido colà dove presenta le due distinte cavità glenoidi e si arti- cola coi due omeri. Il sopra-scapolare è del pari unico, ma pic- colo, breve, cartilagineo e va ad aderire in alto al margine poste- riore del sopra-scapolare normale che è perfettamente sviluppato ‘ e con essa presenta una superficie esterna, continua e piana, di- stinta solo per la diversa consistenza ed ampiezza. Ma avvertii poco fa agli intimi rapporti che collegano i due monconi parassiti alla cintura toracica; infatti lo scandaglio mi aveva avvertito che i due omeri non soltanto si articolano con una scapola comune e questa colla scapola sinistra dell’autosita, ma che i monconi stessi si appoggiavano fortemente allo sterno per mezzo di ossa robuste disposte sul piano stesso della clavi- cola e delle ossa coracoidee esistenti in servizio degli arti nor- mali. Un piccolo taglio praticato nella regione corrispondente mi convinse della realtà del fatto, mostrando come alla scapola co- mune ed ai due omeri si articolino due distinte ossa coracoidee, che seguono a un dipresso sullo stesso piano il coracoideo sinistro normale e vanno ad articolarsi infine coll’iposterno. In breve la nostra anomalia consta di due arti anteriori si- nistri, inseriti dietro l’arto omologo, in guisa da presentare un notevole sviluppo delle ossa toraciche corrispondenti, avendosi una scapola quasi completamente sviluppata, unica in alto, bi- fida in basso e due ossa che per la forma e la posizione loro cor- rispondono a due ossa coracoidee bene sviluppate, uno per cia- scun membro parassita. Questo fatto mi dimostra che gli arti anomali dovevano muoversi, benchè il poco sviluppo dei muscoli dell’anteriore e quello ancor minore del posteriore, mi persua- dano della scarsa loro attività durante la vita. E difatti la ridu- zione dell’avambraccio e del piede, in entrambi, a brevi ed infor- mi moncherini, rendeva inutile qualunque esercizio per parte di 52 F, SORDELLI, un apparato motore, nella restante parte, così bene sviluppato, quale è raro assai il trovarne in anomalie cosifatte. La polimelia delle membra toraciche o melomelia è assai più rara che non la pigomelia, ossia presenza di arti soprannume- rarii posteriori. Sopra 26 casi di rane polimeliche a me noti, 6 soli si riferiscono alle membra toraciche. Tra questi io non co- nosco che un solo caso paragonabile al nostro, quello cioè de- scritto da Godefroy Lunel nel 1868, nelle Memorie della Società di fisica e di Storia naturale di Ginevra. Anche in quello al ‘ membro anteriore sinistro trovansene aggiunti due altri, ma questi sono ‘nella loro porzione libera (braccio, avambraccio e zampa), quasi altrettanto sviluppati dell’arto normale, mentre difettoso assai è lo sviluppo delle ossa toraciche (scapolari e coracoidee) e irregolare altresì la loro collocazione; la quale invece, nella rana bergamasca è regolarissima, quanto può esserlo in un’ ano- malia cosiffatta, ed aggiunge nuova ed eloquente testimonianza a favore della legge delle omologie, SULLO SVILUPPO DELL’ANCHILOSTOMA DUODENALE ANNOTAZIONI DEL — dottore PARONA CORRADO Grassi BATTISTA laureando in medicina. (Seduta del 28 aprile 1878) A chi studia questo interessantissimo animale si affacciano molte vaste regioni tuttora incognite. Nell’opera eruditissima del Leuckart (1876) * riguardo alla sto- ria dello sviluppo, è notato che nel tenue dell’ uomo insieme ad anchilostomi allo stato perfetto si trovano anche uova in via di segmentazione. “ Che cosa dappoi avvenga di queste uova, continua l’autore, non venne per anco osservato. Epperò noi ignoriamo anche il modo di importazione del parassita nell'uomo , Il Wu- cherer in Brasile ha, non diremo, approfondita, ma sbozzata ap- pena la questione. Egli avrebbe visti i primissimi stadi di sviluppo d’uova d’anchilostomi tolte dal duodeno di un cadavere e’ con- servate all’umido; avrebbe anche notato che questi stadi corri- spondono a quelli del Dochmius trigonocephalus (come già aveva supposto il Leuckart); ma di questi fatti non dà che un brevis- simo cenno, quasi di passaggio, nelle sue Memorie sulla clorosi * Die Menschlichen Parasiten. Leipzig, 1876. 54 C. PARONA E B. GRASSI, in Brasile.! Egli avrebbe cercato anche tra le feci le uova e gli anchilostomi, ma senza buon successo. Nella celebrata opera di Heller? si legge che la diagnosi vuol essere eziologica perchè nessuno finora ha sorpreso nelle feci nè l’anchilostoma, nè le sue uova. Nulla di più troviamo nell’opera di Cobbold;* nulla di più ci insegna l’opera recentissima del -Davaine.* Notiamo per ultimo che in tutte queste opere classiche fa difetto fin anco la descrizione accurata ed il disegno dell’uovo. Noi oggi possiamo ricolmare in parte queste lacune; di pre- sente siccome altre occupazioni ci distraggono ci limitiamo a pub- blicare per sommi capi le conclusioni de’nostri studi: 1.° Nell’intestino (duodeno e digiuno) si trovano costante- mente insieme agli anchilostomi allo stato perfetto le loro uova in segmentazione. Si riscontrano tutti gli stadi fino alla blastula, benchè siano ognora più abbondanti le uova tuttavia in prima ed in seconda segmentazione e manchino assai di spesso le non ancora segmentate. Non si sorprende però mai nè un embrione, nè una larva. Tutto ciò abbiamo verificato in sei casi: quattro nell’ospedale Maggiore di Milano; due alla scuola di Anatomia patologica di Pavia; in due (a Milano) abbiamo estese le nostre ricerche anche allo stomaco senza avvenirci che in uova in via di segmentazione siccome quelle dell’intestino. 2.° Le uova in stadio di segmentazione (non mai ad uno stadio oltre la blastula, secondo ci risulta da moltissime osser- vazioni) compaiono nelle feci recentemente evacuate, dove noi le riscontriamo da più di un mese numerosissime in due individui, a : 1 Gazzetta medica di Bahia, 1869. N. 65. — Deutsches Archiv f. klin. Medin. 10, s. 379, 1872. — (Non abbiamo potuto consultare la Memoria originale, ne parlano però LEUCKART (Bericht iiber die wissensch. Leistungenin der Naturgesch, der niedere Thieren. 1868-69, p. 82) ed HELLER (Ziemssen) Handbuch der specielt. Pathol. und Therap. siebenter Band, zweites Heft. — Krankeiten des chylòpdétischen Apparates, — 1. Leipzig, 1876. 2 Loc. cit. ® The Entozoa, an introd. to the study of helminth. London, 1864. Supplem. 1869. 4 Traité des entozoaires et des maladies vermin. de l'homme et des anim. domest. Paris, 2.9 edit. 1877. SULLO SVILUPPO DELL’ ANCHILOSTOMA DUODENALE. 55 scarse in un terzo da circa otto giorni. È facilissimo riconoscerle per uova di anchilostomi dalla forma ovale, dalla superficie tut- t'affatto liscia, dal guscio sottile a doppio contorno. A tutta prima potrebbe nascere confusione con quelle di oziuris; riesce però ovvia la diagnosi differenziale; e nel fatto, le uova di oziuris, benchè anch'esse ovali, hanno però, in proporzione coll’asse mi- nore, l’asse maggiore molto più lungo di quel che sia nelle uova di anchilostoma: sono inoltre fortemente appiattite da un lato ed infine nelle feci recentemente evacuate si incontrano già gli embrioni. Le uova d’ascaris in via di segmentazione, o cogli embrioni, rassomigliano alquanto alle uova di anchilostoma; ma in esse la segmentazione non si manifesta che varie settimane dopo che vennero evacuate colle feci e l'embrione non compare che dopo alcuni mesi. Prima della segmentazione sono tutt’affatto differenti. Nel vomito (di un individuo a noi sconosciuto) ebbimo un re- perto uguale a quel che nelle feci dei tre sopradetti. 3.° Queste uova con opportuni artifici si sviluppano; si forma dapprima un embrione analogo a quello del Dochmius trigonoce- phalus, non che di molti altri nematoidi: l'embrione s’allunga e si adatta all’uovo, piegandosi su sè stesso ; quando raggiunge circa tre volte la massima lunghezza dell'uovo ne trapassa il guscio; nasce così una larva, la quale per certi caratteri rassomiglia a quella del Dochmius trigonocephalus, per altri caratteri si differenzia chia- ramente. Questa larva gradatamente si allarga alquanto, si allunga molto e subisce almeno due mute (héiutung), cioè cangia la pelle almeno due volte. Poco dopo si trasforma în un’ altra larva, per alcuni caratteri ancora simili a quella del Dochmius. Questa larva subisce un’altra muta. Cosa succeda dappoi oggi non pos- siamo ancora dire. Già l'embrione si mostra capace di locomozione e non è diffi- cile di vederlo aggirarsi in vario senso dentro il guscio. Le larve fanno svariatissimi movimenti sopratutto spirali. L’acqua non li spegne, nè li rallenta. L’azione della glicerina per contrario riesce fatale già dopo pochi minuti. Più la larva si sviluppa, più i mo- 56 C. PARONA E B. GRASSI, vimenti diventano vivaci. L’acqua tiepida li aumenta, l’acqua fredda invece ed il portoggetti raffreddato li rallentano; nelle giornate fredde sono languidissimi. I liquidi così detti indifferenti sono i menstrui che meno li alterano; noi sogliamo usare acqua distillata con cloruro di sodio (0,75 °/0). Notiamo che gli embrioni non passano per la forma di Capogrosso (kaulquappe). Da queste brevissime notizie si rileva chiaramente che la storia dello sviluppo dell’anchilostoma è assai differente di quella degli altri elminti umani e rassomiglia per contrario (com’ era da pre- vedersi) a quella dell’affine Dochmius trigonocephalus. 4.° Lo sviluppo ha luogo, in vaso coperto, tanto conservando la fece pura, quanto aggiungendovi albume, commischiandovi terra, o diluendola con acqua. I migliori risultati li abbiamo conseguiti tenendo un po’ di fece in vasetto ben tappato. 5.° La temperatura ha grandissima influenza sulla celerità dello sviluppo : tenendo il vasetto in un taschino del panciotto, già otto ore dopo che la fece veniva deposta, comparivano gli embrioni nelle uova e già dopo due giorni le avevano abbandonate. In ambiente appena tiepido, per contrario, la stessa formazione degli embrioni, ritardava di tre o quattro giorni. A stadio più inoltrato (in cui si trovano di presente) quali li abbiamo sovrac- cennati, hanno l'età di circa quindici giorni. 6.° È rimarchevole che ancora dopo quindici giorni di colti- vazione, in mezzo ai vermi al secondo stadio, si incontrano non infrequenti larve al primo stadio, uova con embrione, od in seg- mentazione, tutte in apparenza normali. 7.° Vicino al secondo stadio, specialmente quando compare in muta e vivacissimo guizza nel campo del microscopio, i suoi organi sembrano appena lievissimamente segnati, tanto che ri- ‘ corda assai la Filaria sanguinis hominis. È a verificarsi se.la filaria non sia per avventura una larva di anchilostoma.’ E tanto pensiamo appoggiati sopratutto ai seguenti fatti: a, la filaria è un embrione e non se ne conosce l’animale perfetto 4 Una ipotesi alquanto somigliante venne già immaginata e poi rifiutata dal dott. P. Sonsino (Bericht, cit. pel 1873-75. Berlin, 1877, p. 13. — IImparziale N. 10, 1877). SULLO SVILUPPO DELL’ ANCHILOSTOMA DUODENALE. 57 (Leuckart, cit. Vol. 2, pag. 629. — Sonsino; cit.); d, la filaria futrovata in Brasile ed in Egitto dove è noto trovarsi frequen- tissimo l’anchilostoma; c, questo in Egitto ed in Brasile cagiona una specie di anemia. detta intertropicale; nelle stesse regioni quella l’ematuria. Nel duodeno e nel digiuno degli individui morti” da anemia tropicale si trovò muco sanguinolento ed anche sangue in grumi; sulla mucosa echimosi dell’ampiezza di una lente. £L- Iharz ha trovato, specialmente nel connettivo sottomucoso del- l'intestino, piccole cavità piene di sangue: e dentro di esse ora un maschio, ora una femmina di anchilostoma. Non è impossibile che le larve trapassino nei vasi sanguigni feriti dagli anchilostomi allo stato perfetto ed entrino in circolo. Ciò avverrebbe in casi eccezionali, come in casì eccezionali altri elminti fanno straordi- narie migrazioni, quali vennero descritte da molti. Noi pubblicheremo fra breve una particolareggiata Memoria sulla storia dello sviluppo dell’anchilostoma, e frattanto, collabo- rando con noi il dott. Ernesto Parona, continueremo le ricerche sulle feci e sui vomiti e tenteremo di stabilire qual nesso inter- ceda fra il reperto delle uova di anchilostomi e lo stato di sa- lute degli individui che le evacuano senza trascurare le pai indicazioni terapeutiche. Non vogliamo tacere che uno di noi (il Grassi) x. trangugiato una grossa pillola carica di uova d’anchilostoma in via di seg- mentazione. Sono ormai quarantacinque giorni e non si manifestò per anco sintomo alcuno riferibile alla presenza di questo paras- sita, nè si trovarono le uova nelle sue feci. Un altro individuo (che vuol serbare l’incognito) ha recentemente ingollato esso pure un po’ di fece carica di larve di anchilostomi. Da alcuni giorni abbiamo dato. a mangiare ad un cane molta fece piena di uova in segmentazione, ne mangiò avidamente, ma il giorno dopo ne eliminò ‘molte inalterate o quasi, tuttavia allo stadio di segmentazione. Dal Laborat. di Anat. Compar. Pavia 30 marzo 1878. 58 C. PARONA È B. GRASSI, Essendo stata ritardata la pubblicazione della precedente Nota, ci troviamo in grado di aggiungere altre notizie. 1.° Abbiamo trovato uova d’anchilostoma più o meno abbon- danti, ma costantemente, nelle feci di sei altri individui ; costan- temente verificammo i fatti sovrariportati. Senonchè, in tre di questi ultimi, assieme alle uova in segmentazione si presentarono larve simili a quelle che ottenemmo colla coltivazione e che ac- cennammo come larve al 1.° stadio; a differenza però di queste vi notammo traccie di organi genitali. A noi sembra che siano larve di anchilostoma, non essendo state FIscontige larve siffatte in Germania, ove manca l’anchilostoma. 2.° Colla somministrazione di un antielmintico abbiamo ot- tenuto in uno dei casi accennati l’eliminazione di 440 anchilosto- mi, in un altro di 15 anchilostomi tutti completamente sviluppati. 27 aprile 1878. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. (Tutte queste figure vennero copiate coll’ingrandimento IIl, Oc. 3, ob. Bethle). Tav. 1° Fig.® 1. Uovo non segmentato. » 2. a 6.° Vari stadi di segmentazione. » 7. a 16. Vari stadi dell’embrione. > 17. Embrione che abbandona l’uovo. » 18. Larva in 1.° stadio, che ha abbandonato l’uovo da circa due giorni. Tav. 2.8 Fig.a19.* Larva in 2.° stadio che ha abbandonato l’uovo da circa dodici giorni. s » 20.3 Larva che mostra in @ la prima traccia di organi genitali. » 21.8 Parte anteriore della larva in 1.° stadio che mostra l’apparecchio boccale. » 22.* Parte anteriore della larva in 1.° stadio, che ha abbandonato s l’uovo da circa tre giorni (in muta, Rdw/ung). » 23.8 Parte posteriore della larva in 1.° stadio che ha abbandonate l’uovo da circa tre giorni (in muta, éutung). Milano,Lit. Ronchi. Vol XXI, Zav?2? ‘arona e Grassi, Anchilost. duod. ‘Parona C. dis Day 3 Vol, XXI. Parona e Grassi, Anchilost duod. jo cn IZ ARROSTI rg pia Ge Pa AT DAG a Ba IRA PIRLA DI ANT IEI SIRIA pre TINTE e ori erronei diri rr =r1 nenti a veri nente eee apro ita ” r ii INI 2°. Parona C. dis. } Lo nen Milano, Lit Rot 9 Li TEMI STR EROI PRI TE SOS A e e) E PI TUTE I TOO ge PO MR ici ii DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI ELENCO SISTEMATICO — del dott. RomuALDO PIROTTA.. (Seduta del 26 maggio 1878.) Benchè sia mio intendimento di estendere le ricerche a tutti quegli insetti lombardi che si comprendono nell’ordine degli Ortot- teri, mando innanzi tuttavia i risultati degli studii fino ad ora. compiuti intorno ad uno dei gruppi di questo ordine assai poco naturale, ma ricco di tipi e di forme svariate. Seguendo l’opi- nione di quegli entomologi, che hanno riguardo alla metamorfosi ed alla struttura dell’apparecchio boccale anzichè alla natura e alla forma delle ali, raccolgo in quest'ordine i Tisanuri, gli Or- totteri propriamente detti, i Pseudoneurotteri, i Corrodenti ecc., conformandomi alla classificazione esposta dal Gersticker nel Handbuch der Zoologie pubblicato nel 1863 in unione a V. Carus e seguìta anche dai più recenti scrittori di zoologia siste- matica. Gli Ortotteri genuini (Ulonati del Fabricius, Ortotteri dell’ Oli- vier) formano scopo di questa prima parte del mio lavoro. Poche no- tizie si trovano negli scritti intorno alla fauna lombarda, che ri- guardino questo importante gruppo d’insetti. Primo ad occupar- sene fra noi fu Domenico Vandelli, naturalista di gran nome a’ suoi tempi, il quale intraprese un viaggio per la Brianza, il Lago di Como, la Valsassina ed altre parti dell’alto Milanese allo scopo di studiarne le produzioni naturali. I risultati de’ suoi studii sono consegnati in forma di diario in un volume manoscritto, che con- servasi nella Biblioteca universitaria di Pavia. Quantunque il 60 9 R. PIROTTA, E Vandelli desse maggior sviluppo alla parte geo-mineralogica ed alla. botanica, tuttavia alla fine del libro, in un capitolo intitolato ° Fauna mediolanensis, ci porge un catalogo abbastanza ricco ed interessante di animali, fra cui otto specie di Ortotteri genuini. Anche lo Scopoli descrive e figura quattro specie di Ortotteri lombardi, ed il chiarissimo entomologo prof. Genè non trascurò di citare la Lombardia nella sua Monografia delle. Forficole în- digene. Qualche specie indicò pure pel Bergamasco il Maironi da Ponte e più estese notizie intorno a quelle del Mantovano diede il Lanfossi. Ma il maggior contributo alla fauna degli Ortotteri lombardi venne portato da due distintissimi entomologi svizzeri, il Meyer-Diir ed il Frey-Gessner, i quali, avendo esplorato il Canton Ticino, ne riportarono larga messe di insetti e buon nu- mero di Ortotteri, di cui diedero l’elenco corredato di osserva- zioni sulla loro distribuzione verticale ed orizzontale. Le specie da loro trovate furono. recentemente riportate in un lavoro particolare sugli Ortotteri della Svizzera pubblicato dal dottor Schoch. ° | ta Alle notizie tolte dai citati autori debbonsi aggiungere quelle speciali che mi fornirono l'esame e la determinazione della colle- zione del distinto entomologo pavese, il dott. A. Maestri, le co- municazioni del sig. P. Magretti studente di ‘scienze naturali, di specie raccolte ‘nella Valtellina, sullo Stelvio e nei dintorni di Milano, e finalmente la mia raccolta fatta nelle vicinanze di Pavia. Per quanto riguarda la determinazione, ho potuto consultare oltre alle opere principali sull’argomento, anche un numero con- siderevole di Memorie speciali, Cataloghi, Elenchi, Note, dei quali ultimi mi valsi non poco per la distribuzione geografica delle specie sul suolo italiano. La maggior parte di esse li debbo alla 1 Vedasi per questo, come pure per gli altrì autori citati, la Bibliografia in calce a queste poche linee. ? Quando .io aveva. già condotto a termine il mio lavoro, il chiariss. Prof. Comm. A. Targioni-Tozzetti dava alle stampe un Catalogo di Ortotteri (genuini) d’Italia; in esso sono però molto scarse le citazioni sulla distribuzione geografica di questi insetti da noi ed insufficienti quelle speciali per la Lombardia. ai delie ali DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. 61 già ricca biblioteca del giovane Museo zoologico della Università di Pavia ed alla squisita gentilezza del mio maestro prof. Pie- tro Pavesi e dei signori Frey-Gessner, Dubrony, Cavanna, Targioni- Tozzetti, Gestro. Rendo pertanto pubbliche e vive grazie ad essi, come a tutti quelli che concorsero a far sì, che riuscisse meno incompleto il mio lavoro, al quale spero gli entomologi vorranno fare buon viso, poichè tende ad illustrare gli insetti lombardi intorno ai quali non si hanno estese e complete notizie che per i coleotteri, i lepidotteri ed i ragni. BIBLIOGRAFIA degli Ortotteri genuini di Lombardia. 1763. —VanpeLLi Domenico. Saggio d’istoria naturale del Lago di Como, della Valsassina, ecc. Padova 1763. Manoscritto originale esistente nella Biblioteca Universitaria di Pavia. 1786-88. Scopori J. A. Deliciae Faunae et Florae insubricae. Ticini. 1822. Marroni DA Ponte Giovanni. I tre regni della Natura nella i Provincia Bergamasca. Memor. Soc. ital. delle Scienze. T. XIX, p. II, p. 287. Modena, 1822. 1826. Lavnrossi Paoro. Saggio di Storia naturale dei contorni di Mantova. Giornale di Fis. Chim. Stor. Nat. di Configliac- _ chi e Brugnatelli. Dec. II.® T. IX. p. 42. 1832. Gené Giuseppe. Saggio d’una Monografia delle Forficole in- digene. Annali delle Scienze del Regno Lombardo-Veneto, T. II, p. 215. Padova 1832. 1859. Mrexyrr-Diir. Ein Blick diber die schweizerische Orthoptern- fauna. Versammlung bernischen Entomolog. Vereins. Fe- bruar 1859. 1863. Meyer-Diir. Betrachtungen auf einer entomologischen Reise wéihrend des Sommers 1863 durch das Seegebiet von Tes- sin nach dem Ober-Engadin. — Mittheilung. d. schweiz. Entomol. Gesellsch. B. I, p. 131. ” Frevy-Gesswer E. Zusammenstellung der durch Herrn Meyer- Dir im Frihling im Tessin und Anfang Sommer 1863 n 62 R. PIROTTA, Ober-Engadin beobachteten und gesammelten Hemiptern und Orthoptern. — Mittheilung. citati p. 150. 1863. Anonimo. Prodromo della Fauna Cremonese, in Cremona e la sua Provincia. Cremona, 1863. 1872. Frey-Gessner E. Orthopterologisches. I. Aus dem Tessin, — Mittheilung. citati. B. 4, n. 1. Dec. 1872. 1874. Virta A. e G. B. Caccie ed Escursioni. — Bollett. Soc. Entom. ital. Anno VI, p. 320. 1874. 1876. Scrnoca Gusrav. Die Schweizerischen Orthoptern. — Zirich, 1876. Ord. ORTHOPTERA. Fam. FORFICULIDAE Steph. Gen. Labdidura Leach. 1. L. riparia (Pall.). Forficula riparia Pallas, Reisen durch verschiedene Provinzen des Russiches Reiches, II. 727. — Forf. gigantea Fischer Fr. Orth. Europ. p. 65. tab. VI. f. 1 a-f. Hab. — Europa media e meridionale; Africa settentrionale; Asia occidentale. Italia: coste dell'Adriatico e del Mediterraneo, rive dell'Arno e del Po (Gené), Nizzardo (Risso), Liguria (Dubrony), Veneto (Martens, Contarini, Disconzi), Calabria ulteriore (A. Costa), Si- cilia (Brisout), Sardegna (Targioni). | Lombardia: Fu trovato dal Gené ed anche da me: lungo le rive del Po e del Ticino nel Cremonese (Crem. e Prov.). Gen. Forficula L. 2. F. auricularia L. Linné, Syst. natur. p. 686. 218.1. — Fischer Fr., Orth. Europ. p. 74. tab. VI. f. 11. at, Ga int DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. 63 Hab. — Tutta Europa; Asia; Africa; America. Italia: Nizzardo (Risso), Piemonte (Giorna f., Allioni), Liguria (Dubrony), Trentino (Graber), Veneto (Turra, Martens, Conta- rini, Disconzi), Toscana (Dei), Calabria (Petagna, Costa, Berto- lini), Sicilia (Brisout, Dubrony). Lombardia: Canton Ticino fino ad Airolo (Meyert-Diirr, Frey- Gessner, Schoch), alto Milanese (Vandelli), Mantovano (Lanfossi), Cremonese {(Crem. e Prov.); io la trovai molto comune nei din- torni di Pavia. | 3. F. bipunetata Fabr. Fabricius, Entom. syst. II. 2. n. 3. 4. — Forficula biguttata Fisch. Fr. Orth. Europ. p. 72. tab. VI. f. 9. a-b. Hab. — Europa centrale e meridionale. Italia: Alpi (Gené), Liguria (Gené, Dubrony), Venezia (Con- tarini). Lombardia: Airolo, Motta di dentro e per tutte le Alpi del Canton Ticino (Meyer-Diirr, Frey-Gessner, Schoch). 4. F. pubescens Gené. Gené in Serville, Hist. nat. Orthopt. p. 46. n. 17. — Fischer Fr. Orth. Europ. p. T7. tab. VI. f. 15. a-f. Ritenuta fino ad ora particolare alla Sardegna e alla Toscana: il Dubrony la trovò nella Liguria ed io nei dintorni di Pavia. 5. F. acanthopygia Gené. Gené, Saggio Monograf. Forfic. indig., p. 11. n. 8. — Fischer Fr. Orth. Europ. p. 83. tab. VI. £. 20, a-d. Hab. — Germania, Svizzera e Italia. Italia: Piemonte (Bonelli, Gené). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner, Schoch). 6. F. pedestris Bon. Bonelli in Genè, Saggio Monogr. p. 11. n. 6. — Forf. albi pennis Fisch. Fr. Orth. Europ. p. 77. tab. VI. f. 14. a-b. Hab. — Inghilterra, Francia, Germania, Svizzera, Italia e Grecia. Italia: Italia superiore, Piemonte (Bonelli, Gené), Liguria (Dubrony), Trentino (Graber). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner). 64 AL . R. PIROTTA, Gen. Copiscelis Fieb. 7. C. minor (L.). Forficula minor Linné, Syst. nat. II. 686. n. 2. — Fisch. Fr. Orth.. Europ. p. 70 tab.. VI. f. 7. a-c... Hab. — Tutta Europa; America settentr.; Isole Canarie. Italia: Vicentino (Turra), Liguria (Dubrony). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner, Schoch). Fam. .BLATTIDAE Steph. Gen. Blatta L. 8. BI. lapponica L. Linné, Syst. nat. IL. p. 688 n. 8. — Fisch. Fr. Orth. Europ. p. 105. tab, VII. f. 13, 14, 15. Hab. — Tutta Europa. Italia: Trentino (Graber), Vicentino (Turra), Toscana (Dei), Calabria, Sicilia. (Targioni). Lombardia: Dai dintorni di Lugano fino sulle Alpi del Canton Ticino (Frey-Gessner, Schoch). 9. BI germanica L. Linné, Syst. nat. II. 688.9 — Fisch. Fr. Orth. Europ. .p. 112. tab. VII. fig. 21. 21 a. Hab. — Tutta Europa. Italia: Trentino (Graber). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner). 10. BI. livida Fabr. Fabricius, Entom. System. p. 10. n. 23. — Fisch. Fr. Orth. Europ. p. 107. tab. VII. f. 16, 17, 18. Hab. — Europa centrale e meridionale. ; Italia: Liguria (Dubrony), Calabria (Targioni), Sicilia (Zeller). Lombardia: Valli e colline del Canton Ticino (Frey-Gessner, Schoch). 11. BI. vittiventris Costa A. DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. 65 A. Costa, Memor. Entomol. Ortotteri p. 31. — Fisch. Fr. Orth. europ. p. 109. Hab. —— Italia e Svizzera. Il Costa la scoperse a Cusano presso Napoli. . Lombardia: Valli e colline del Canton Ticino (Meyer-Diirr, Frey-Gessner, Schoch). Gen. Stylopyga Fieb. 12. St. orientalis (L.). Blatta orientalis Linné, Syst. nat. II. 688.7 — Periplaneta orientalis Fisch. Fr. Orth. Europ. p. 115, tab. VII. f. 22-26. Hab. — Europa settentrionale (esclusa la Lapponia) e media: più rara nella meridionale; Asia minore. Italia: Trentino (Graber), Veneto (Turra, Contarini), Nizzardo (Risso), Liguria (Dubrony), Toscana (Rossi, Dei), Sicilia (Brisout). Lombardia: Lugano (Frey-Gessner, Schoch), Mantovano (Lanfossi). X Fam. MANTIDAE Leach. Gen. Mantis L. 13. M. religiosa L. Linné, Syst. nat. II. p. 690. n. 5. — Fisch. Fr. Orth. Europ. p. 129 tab. II. f. 6. 7, tab. VIIL £. 1. a-h. Hab. — Europa meridionale e la parte temperata della me- dia; Asia occid.; Africa. Italia: Piemonte (Disderi), Trentino (Graber, Bertolini), Ve- . neto (Turra, Martens, Contarini, Disconzi), Nizzardo (Risso), Liguria (Viviani, Dubrony), Toscana (Dei), Calabria (0. G. ed A. Costa, Bertolini, collez. Maestri), Isola Lampedusa (Dubrony). Io la trovai non rara presso Stradella e Voghera nell’Oltrepò pa- vese. Lombardia: M. Brè (Meyer-Diirr), Lugano, M. S. Salvatore, M. Generoso, Mendrisio, (Frey-Gessner), Mantovano (Lanfossi), ‘#Yol. XXI 5 66 R. PIROTTA, Cremonese (Crem. e Prov.). Nel Pavese la raccolse il dott. Mae- stri, ed io la riscontrai abbastanza frequentemente a Torre d’Isola poco lungi dalla città. Osservazione. Oltre alle varietà verde ed "ahella (che forniscono un bellissimo esempio di adattazione al luogo di dimora, avendo sempre trovata la prima nei prati folti ed umidi e la seconda nei luoghi aridi e secchi, come brughiere, gerbidi ecc,), una terza ne raccolsi che differisce dal tipo per mancare dell’ occhio bianco nel mezzo della macchia nera della coscia anteriore e per avere una macchia laterale nera sub-quadrata ai lati del metatorace. Fischer Francesco nella sua grande opera sugli Ortotteri europei cita-la Mantis decolor Chp. e la M. oratoria L. come trovate dallo Zeller “in Italia superiore. , Certamente, come si può di leggieri arguire da altre citazioni, l’autore intende accennare alla Toscana ed alla Liguria, poichè al nord del Po queste due Man- tidi non furono mai riscontrate. Gen. Mmpusa Ill. 14. E. pauperata Serv. Serville, Hist. nat. orthopt. p. 145. n. 5. (exscl. syn. plur.). — Fisch. Fr. Orth. europ. p. 135. tab. VIII. £. 7. Hab. — Tutta la regione circummediterranea. Italia: Piemonte (Giorna, Ghiliani), Nizzardo (Risso), Liguria (Dubrony), Toscana (Rossi, Dei), Napoletano (Cirillo), Calabria (A. Costa, Bertolini), Sicilia (Brisout). Questa specie non fu per anco trovata in Lombardia: la cito perchè ne raccolsi un esemplare maschio allo stato di ninfa nel- l'ottobre del 1874 nei dintorni di Stradella appena al di là del Po. Un’altro affatto simile mi fu donato testè dal signor conte Vistarini che lo prese nelle sue vigne di Rocca de’ Giorgi pure nell’Oltrepò pavese. lidoicà. scsi DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. 67 Fam. PHASMIDAE Serv. Gen. Bacillus Latr. 15. B. Rossii (Fab.). Phasma Rossia Fabricius, Entom. Sysì. Suppl. p. 187. n. 4. — Bacillus Rossi Fisch. Fr. Orth. Europ. p. 139 tab. VIII. f. 9-10. Hab. — Tutta la regione circummediterranea. Italia: Veneto (Disconzi), Istria (Siebold), Nizzardo (Risso), Liguria (Dubrony), Toscana (Rossi, Charpentier, Dei), Napoletano (Cirillo), Calabria (A. Costa). Lombardia: Il prof. T. Taramelli ne raccoglieva un esem- plare maschio nelle brughiere di Torre d’Isola presso Pavia. Fam. GRYLLOTALPIDAE Burm. | Gen. GryUotalpa Latr. 16. G. vulgaris Latr. Latreille, Gen. Crust. et Insect. III. 95. — Fisch. Fr. Orth. europ. p. 157. tab. IX. f. 1 a-t. Hab. — Tutta Europa esclusa la Lapponia; Asia; Africa sett. Italia: Comunissimo pur troppo. Lo indicarono del Trentino (Graber), Veneto (Turra, Disconzi, Martens), Nizzardo (Risso), Liguria (Dubrony), Toscana (Dei), Calabria (Costa A.), ecc. Lombardia: Milanese (Vandelli), Canton Ticino (Meyer-Diirr, Frey-Gessner, Schoch), Mantovano (Lanfossi), Cremonese (Crem. e Prov.); nel Pavese lo riscontrammo dovunque il dott. Maestri ed io. Gen. Xya Ill. 17. X. variegata Ill. Illiger in Charpentier, Horae entomol. p. 84. tab. 2. fig. 2 et 5. — Fisch. Fr. Orthopt. curop. p. 154 tab. IX f, 2. a-l. - 63 R. PIROTTA, Hab. — Europa meridionale. Italia: Trentino (Graber), Veneto (Martens, Contarini, Di- sconzi), Liguria (Dubrony), Calabria (A. Costa). Lombardia: Parecchi esemplari raccolse il prof. P. Pavesi sulle sabbie del Ticino presso il suo confluente nel Po nella pri- mavera del 1876 e 78. Fam. GRILLIDAE Burm. Gen. Oecanthus Serv. 18. 0e. pellucens (Scop.). Gryllus pellucens Scopoli, Entom. carn. p. 32 — Oecanthus pel- lucens Fisch. Fr. Orth. Europ. p. 165. tab. IX f. 14. a-b. Hab. — Europa media e meridionale. Italia: Piemonte (Giorna f., Bonelli, Ghiliani), Trentino (Gra- ber), Veneto (Turra, Martens, Contarini, Disconzi), Istria (Wull- fen), Liguria (Dubrony), Toscana (Dei), Napoletano (Cirillo), Calabria (Petagna, A. Costa), Sicilia (Zeller, Brisout). Lombardia: Lombardia (Scopoli), Canton Ticino (Frey-Ges- sner, Schoch); il sig. P. Magretti lo raccolse nelle brughiere di Senago presso Milano, ed io in quelle di S. Sofia presso Pavia nell’estate decorso. Gen. GryM0us L. (pr. p.). 19. G. campestris L. Gryllus (Acheta) campestris Linné Syst. nat. I. 2. p. 695. 13, — Fischer Fr. Orth. europ. p. 173. Hab. — Tutta Europa; Asia; Africa sett. Italia: Comunissimo; lo indicano del Trentino (Graber), Ve- neto (Turra, Martens, Contarini, Angelini, Disconzi), Nizzardo (Risso), Liguria (Dubrony), Toscana@*(Dei), Calabria (Petagna, A. Costa). Lombardia: Milanese (Vandelli);, Canton Ticino (Meyer- Diirr, Frey-Gessner), Bergamasco (Da Ponte), Mantovano (Lan- a at tè @ + DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. 69 fossi), Cremonese (Crem. e Prov.); in Val Malenca (Valtellina) e nella brughiera di Senago presso Milano lo raccolse il sig. P. Magretti. È comunissimo nel Pavese. 20. G. desertus Pall. Pallas, Iter. App. n. 33. — GryU0lus melas Fisch. Fr. Orth. europ. p. 177. Hab. — Europa meridionale. Italia: Finora non fu riscontrato che sul Monte Bré nel Canton Ticino (Frey-Gessner). 21. G. domesticus L. Gryllus (Acheta) domesticus Linné, Syst. nat. I. 2. p. 694. n. 12. — Fisch. Fr. Orth.Europ. p. 180. tab. IX. f. 9. a-e. Hab. — Tutta Europa, esclusa la Lapponia ; Asia; Africa; America. Italia: Trentino (Graber), Veneto (Turra, Martens, Conta- rini, Disconzi, Angelini), Toscana (Dei); il dott. C. Parona me lo portò da Gozzano (Novara). Lombardia: Milanese (Vandelli), Canton Ticino (Frey-Ges- sner, Schoch), Bergamasco (Da Ponte), Mantovano (Lanfossi), Cremonese (Crem. e Prov.); lo raccolsi io pure nelle case co- loniche dei dintorni di Pavia. Gen. Nemobius Serv. 22. N. sylvestris (Fab.). Acheta sylvestris Fabricius, Entom. syst.II. 33. n. 18. — Gryl- lus sylvestris Fisch. Fr. Orth. Europ. p. 183. tab. IX. f. 6. a-K. Hab. — Europa media e meridionale. Italia: Trentino (Graber), Liguria (Dubrony). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner, Schoch). 23. N. heydenii (Fisch. Fr.). GryUlus Heydemi Fischer Fr. Orth. Europ. p. 185. Hab. — Svizzera ed Italia. JItalia: Liguria (Dubrony). Lombardia: Lungo le rive dei laghi e dei fiumi del Canton Ticino (Frey-Gessner, Schoch.). 70 R. PIROTTA, Fam. LOCUSTIDAE Leach. Gen. Ephippigera Serv. 24. E. vitium Serv. | Serville, Hist. natur. Orth. p. 474 n. 1. — Fisch. Fr. Orth. Europ. p. 213. tab. X. f. 2-4. | Hab. — Francia, Austria, Svizzera, Germania, Italia. Italia: Trentino (Graber), Veneto (Contarini, Disconzi), To- scana (Dei). Lombardia: Monte Generoso, Mendrisio (Frey-Gessner), Va- tese (collez. Maestri). Gen. Odontura Ramb. 25. 0. tessellata Fisch. Fr. Fischer Fr. Orth. europ. p. 227. tab. XII. f. 7. a-b. Hab. — L’unico esemplare maschio conosciuto fu trovato da . Bremi nel Canton Ticino. 26. 0. serricauda (Fabr.). Locusta serricauda Fabricius, Entom. system. IV Append. p. 455. n. 44, 45. — Odontura serricauda Fisch. Fr. Orth. Éu- rop. p. 228, tab. XII. fig. 9, 10, 11. Hah. — Europa media e meridionale. Italia: Italia (Charpentier), Piemonte (Allioni, Fabricius), Trentino (Graber). | Lombardia: Da Mendrisio a Riva nel Canton Ticino (Frey- Gessner); Val Malenca (Valtellina) luglio 1877 racc. P. Ma- gretti. 27. 0. punctatissima (Bosc.) Locusta punctatissima Bosc, in Act. Soc. hist. nat. Paris, T. I. 1792. p. I. p. 44, tab. X. f. 5. A-B. — Odont. punct. Fisch. Fr. Orth. europ. p. 232 tab. XII. f. 15. | Hab. — Europa settentrionale e media; sembra molto rara nella meridionale. DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. 71 Italia: Liguria (Dubrony). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner). 28. 0. ruficosta Fieb. Fieber in Frey-Gessner, Orthopterologisches 1. c.. p. 19 tab. I. f. 2. a-b. Hab. — Svizzera, Italia, Ungheria. Italia: Liguria (Dubrony). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner). Gen. Phaneroptera Serv. 29. Ph. liliifolia (Fabr.). Locusta lilvifolia Fabricius, Entom. syst. II. 36. 9. — Phaneropt. llvifolia Fisch Fr. Orth. curop. p. 237. Hab. —- Europa meridionale. Italia: Italia (Charpentier), Piemonte (Ghiliani), Veneto (Mar- tens, Contarini, Disconzi, Angelini), Liguria (Dubrony), Toscana (Dei), Napolitano (Zeller), Calabria (A. Costa), Sicilia (Zeller, Dejean, Brisout}, Sardegna (Genè). Lombardia: Canton Ticino (Bremi). 30. Ph. falcata (Scop.). Gryllus falcatus Scopoli, Entom. Carn. p. 108. — Phaneropt. falcata Fisch. Fr. Orth. europ. p. 238. tab. XII. f. 21, 22, 23. Hab. — Europa media e meridionale. Italia: Piemonte (Giorna f.), Trentino (Graber), Veneto (Turra, Disconzi), Liguria (Dubrony), Toscana (Rossi, Dei), Calabria (A. Costa). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner, Schoch), dintorni di Pavia (collez. Maestri e mia). 31. Ph. nana (Chp). Charpentier in litt. et collect. — Phaneroptera falcata pr. p. Fisch. Fr. Orth. europ. p. 239. Hab. — Portogallo, Svizzera, Tirol, Italia. Lombardia: Mendrisio, Monte S. Salvatore (Frey-Gessner, Schoch). 72 | R. PIROTTA, Gen. Meconema Serv. 32. M. varium (Fahr.). Locusta varia Fabricius, Entom. syst. II. p.42. n. 35. — Me- conema varium Fisch. Fr. Orth. europ. p. 240. tab. XII f. 19. 20. Hab. — Quasi tutta Europa. Italia: Toscana (Rossi). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner, Schoch). Gen. Conocephalus Thbg. 33. C. mandibularis (Chp.). Locusta mandibularis Charpentier, Horae entom. p. 106. — Conoceph. mandibularis Fisch. Fr. Orth. europ. p. 245. tab. XIV. f. 1. a-d. Hab. — Europa meridionale; Africa settentr. Italia: Trentino (Graber), Veneto (Martens, Disconzi), Istria . (Siebold), Liguria (Boie, Dubrony), Toscana (Rossi, Dei), Calabria (A. Costa). Lombardia: Mendrisio, delta dell’ Agno, Laveggio (Bremi, Frey-Gessner, Schoch); il dott. Maestri ed io lo riscontrammo abbastanza comune nei prati umidi dei dintorni di Pavia. Gen. Xiphidium Serv. 34. X. fuscum (Fabr.). Locusta fusca Fabricius, Entom. syst. IL. p. 43, n. 38. — Xiphidium fuscum Fisch. Fr., Orth. curop. p. 247. tab. XIV. f-0003) Hab. — Sparso per tutta Europa, meno comune nella meri- dionale. Italia: Trentino (Graber). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner, Schoch). tg Pe, È bia” P, % «n° DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. 73 Gen. Locusta Serv. 35. L. viridissima (L.). Gryllus(Tettigonia) viridissimus Linné, Syst. nat. I. 2. p. 698. n. 31. — Locusta viridissima Fisch. Fr., Orth. europ. p. 251. tab. XIV f. 5 a-f. Hab. — Tutta Europa esclusa la Lapponia; Africa settentr. Italia: Piemonte (Giorna f., Allioni), Trentino (Graber, Ber- tolini), Veneto (Turra, Martens, Contarini, Disconzi), Nizzardo (Risso), Liguria (Dubrony), Toscana (Dei), Calabria (Petagna, Costa A., Bertolini), Sicilia (Brisout). | Lombardia: Alto Milanese (Vandelli), Rive del Lago di Como (Villa), Lugano, Mendrisio, ecc. (Frey-Gessner, Schoch), Mantovano (Lanfossi), Cremonese (Crem. e Prov.); comune nei dintorni di Pavia (collez. Maestri e mia); il sig. P. Magretti rac- colse insieme alla forma tipica anche la varietà ad ali fulve nelle brughiere di Senago presso Milano. 36. L. cantans Fuessly. Fuessly in Verzeichn. schweiz. Insect. p. 23. tab. adjecta f. 5. a-b. — Fisch. Fr. Orth. europ. p. 253. tab. XIV. f. 6. a-d. Hab. — Europa media e meridionale. Italia: Trentino (Graber). Lombardia: Airolo (Frey-Gessner, Schoch). Gen. Pachytrachelus Fieb. 37. P. pedestris (Fabr.). Locusta pedestris Fabricius, Entom. syst. IL. p. 45, n. 44. Pterolepis pedestris Fisch. Fr., Orth. europ. p. 260. tab. XIII. f. 23, 24. Hab. — Regioni montuose dell’ Europa media e meridionale. Italia: Piemonte (Allioni, Fabricius, Biedermann?), Veneto (Angelini), Liguria (Dubrony). Lombardia: Canton Ticino, da Mendrisio ad Airolo (Frey- Gessner). | 74 R. PIROTTA, Gen. Pterolepis Ramb. 38. Pt. cinereus (Zett.). Locusta cinerea Zetterstedt, Orth. Suec. p. 70. n. 8. — Tham- notrizon cinereus Fisch. Fr., Orth. europ. p. 265. tab. XII, (08, 17: Hab. — Sparso per tutta Europa. Italia: Trentino (Graber), Istria (Brunner). Lombardia: S. Gottardo (Bremi), Canton Ticino (Frey-Ges- sner, Schoch). 39. Pt. Chabrieri (Chp.). Locusta Chabrieri Charpentier, Horae entom. p. 119. — Thamnotrizon Chabrieri Fisch. Fr., Orth. curop. p. 263. tab. XIII. f. 13. a-e. Hab. — Europa meridionale. Italia: Trieste (Charpentier). Lombardia: Mendrisio (Frey-Gessner, Schoch). 40. Pt. dorsatus (Briinn). Rhacocleis dorsata Briinner in Verhandl. k. k. zool. bot. Ges- sellsch. Wien, T. XI, p. 303, tab. 15. f. 19. Hab. — Francia meridionale: Svizzera, Italia, Tirolo, Dal- mazia. / | Italia: Trentino (Graber), Liguria (Dubrony). Lombardia: Canton Ticino merid. (Frey-Gessner, Schoch). Gen. Platycleis Fieb. 41. PI. griseus (Fab). Locusta-grisea Fabricius Entom. syst. II. p. 41, n. 3. — Pla- tycleis griseus Fisch. Fr., Orth. europ. p. 269. tab. XIII. f. 3. a-d. Hab. — Tutta Europa. Italia: Trentino (Graber), Veneto (Disconzi), Liguria (Du- brony), Napoletano (collez. Maestri), Sicilia (Zeller). Lombardia: Lug&no, Mendrisio, ecc. (Meyer-Ditrr, Frey- Gessner), Val Malenca (Valtellina), brughiere di Senago presso tilt DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. 75 Milano racc. P. Magretti); non raro a Torre d’Isola presso Pavia. 49. Pt. brevipennis (Ch.). Locusta brevipennis Charpentier, Horae entom. p. 114. — Platycleis brevipennis Fisch. Fr., Orth. europ. p. 274. tab. XIII. fig. 9. a-b. Hab. — Tutta Europa. Italia: Trentino (Graber). Lombardia: S. Gottardo (Bremi). 43. PI. brachypterus (L.). Gryllus (Tettigonia) brachyptera Linné, Faun. Suec. p. 237. n. 868. — Platycleis brachypterus Fisch. Fr., Orth. europ. p. 277. ‘ tab. XIII. f. 10. a-d. Hab. — Tutta Europa. Italia: Trentino (Graber), Toscana (Dei). Lombardia: Val Malenca (Valtellina) (racc. P. Magretti). . Gen. Decticus Serv. 44. D. verrucivorus (L.). GryUlus (Tettigonia) verrucivorus Linné, Syst. nat. I. 2. p. 698. n. 33. — Decticus verrucivorus Fisch. Fr., Orth. curop. p. 280. tab. XIII. f. 2. a-m. Hab. — Tutta Europa. Italia: Piemonte (Giorna f., Allioni), Trentino (Graber), Ve- neto (Martens, Contarini, Disconzi), Nizzardo (Risso), Liguria (Dubrony), Toscana (Dei), Calabria (Petagna, coll. Maestri). Lombardia: Lugano, Mendrisio (Frey-Gessner), Cremonese (Crem. e Prov.), dintorni di Pavia (collez. Maestri e mia). Fam. ACRIDIDAE Burm. Gen. Acrida L. Stil. 45. A. turrita (L.). GryUus (Acrida) turritus Linné in De Villers, Entom. Linn. 76 R. PIROTTA, I. p. 434, tab. IL f. 4. — Tryxalis nasutus Fisch. Fr., Orth. europ. p. 299. tab. XV. f. 1.2. Hab. — Europa meridionale; Africa settentr. Italia: Piemonte (Giorna f.), Veneto (Turra, Contarini, Mar- tens), Nizzardo (Risso), Liguria (Dubrony), Toscana (Dei), Cala- bria (0. G. ed A. Costa, Petagna), Sicilia (Brisout). Lombardia: Mantovano (Lanfossi). Esemplari delle due va- rietà verde e testacea trovansi nella collezione Maestri provenienti dai dintorni di Pavia dove la trovai comune anch'io. Gen. Arcyoptera Serv. 46. A. variegata (Sulz.). Gryllus variegatus Sulzer, Abgek. Gesch. p. 84. tab. IX. f. 4. — Stetheophyma variegatum Fisch. Fr., Orth. europ. p. 358. tab. XVI. f. 2. a-c. Hab. — Sparsa per tutta Europa. Italia: Trentino (Graber). Lombardia: Canton Ticino, da Mendrisio fino ad Airolo (Frey-Gessner, Schoch), Varese (collez. Maestri). Gen. Stenobothrus Fisch. Fr. 47. St. sibiricus (L.). Gryllus (Locusta) sibiricus Linné, Syst. nat. I. 2, p. 701. n. 51. — Gomphocerus sibiricus Fisch. Fr., Orth. curop. p. 350. tab. XVII. f. 8. 8-a. Hab. — Regioni montuose d’Europa. Italia: Piemonte (Bonelli, Serville), Trentino (Graber). Lombardia: S. Gottardo (Latreille, Frey-Gessner), Monte Stelvio (racc. P. Magretti). 48. St. rufus (L.). Gryllus (Locusta) rufus Linné Syst. nat. I. 2. p. 702. n. 56. — Gomphocerus rufus Fisch. Fr., Orth. europ. p. 348. tab. XVII. £9. 9a, | Hab. — Tutta Europa. DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. (8; Italia: Trentino (Graber), Liguria (Dubrony). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner, Schoch). 49. St. biguttulus (L.). Gryllus (Locusta) biguttulus Linné Syst. nat. I. 2. p. 702, n. 55. — Gomphocerus biguttulus Fisch. Fr.; Orth. europ. p. 342. tab. XVIII. f. 7. a-d. Hab. — Tutta Europa. Italia: Trentino (Graber), Veneto (Martens, Contarini, Di- sconzi), Liguria (Dubrony), Toscana (Dei), Calabria (A. Costa), Sicilia (De-Heyden, Zeller), Sardegna (Zeller). Lombardia: Rive dei laghi (Villa), Mendrisio, valle del Ti- cino (Meyer-Diirr, Frey-Gessner); io lo raccolsi nei luoghi aridi dei dintorni di Pavia. 50. St. lineatus (Panz). Gryllus lineatus Panzer, Fauna insect. Germ. fasc. 38. tab. 9. — Stenobotrus lineatus Fisch. Fr., Orth. europ. p. 325. tab. XVII. fi dnkb.a. Hab. — Tutta Europa. Italia: Trentino (Graber), Veneto (Disconzi). Lombardia: Val Canaria nel Canton Ticino (Bremi), Airolo, Monte Generoso (Frey-Gessner). 51. St. rufipes (Zett.). Gryllus rufipes Zetterstedt, Orth. suec. p. 90 n. 9. — a) bothrus rufipes Fisch. Fr., Orth. europ. p. 331. tab. XVI. f. 16, 16-a. Hab. — Tutta Europa. Italia; Italia superiore (Schaum), Trentino (Graber), Veneto (Charpentier) Liguria (Dubrony), Sicilia (Zeller, Brisout). Lombardia: Monte Generoso, M. Bré, M. S. Salvatore, Lu- gano, ecc., (Meyer-Diirr, Frey-Gessner). 52. St. albo-marginatus (De Geer). Acridium albo-marginatum De Geer, Mem. III. p. 480. n. 7. — Stenobothrus dorsatus Fisch. Fr., Orth. europ. p. 320. tab. XVI, £ 12. 12-a. Hah. — Tutta Europa, 78 R. PIROTTA, Italia: Trentino (Graber). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner, Schoch). 53. St. melanopterus (De Borck). | Gomphocerus mebanopterus de Borck Skand. Rétv. Insek. p. 120. n. 5. tab. 4. f. 7. — Stenobothrus melanopterus Fisch. Fr., Orth. europ. p. 340. tab. XVII. f. 4-a. Hab. — Svezia, Spagna, Francia, Svizzera, Italia, Germania, Russia. Italia: Italia superiore (Charpentier), Trentino (Graber). Lombardia: Monte Camoghé e Val Canaria nel Canton Ti- cino (Heer, Frey-Gessner). 54. St. viridulus (L.). Gryllus (Locusta) viridulus Linné, Fauna Suec. p. 238. n. 874. — Stenobothrus viridulus Fisch. Fr., Orth. curop. p. 329. tab. XVI. f. 15. 15-a. Hab. — Tutta Europa. Italia: Piemonte (Allioni), Trentino (Graber), Veneto (Con- tarini, Disconzi), Nizzardo (Risso). Lombardia: Mendrisio e monti del Canton Ticino fino alle alte Alpi(Meyer-Diirr, Frey-Gessner, Schoch), rive dei laghi lom- bardi (Villa), brughiere di Senago presso Milano (racc. P. Ma- gretti); lo rinvenni non raro nei dintorni di Pavia. 55. St. miniatus (Chp.). Gryllus miniatus Charpentier, Horace entomol. p. 155. — Ste- nobothrus miniatus Fisch. Fr., Orth. europ. p. 339. tab. XVII. f. 3. 3-a. Hab. — Regione alpina della Svizzera, Tirolo, Sassonia, Au- stria, Italia. Italia: Non fu fino ad ora indicato che della Lombardia: S. Gottardo (Bremi, Heer), Airolo e dintorni (Frey-Gessner), M. Stelvio (racc. P. Magretti nel luglio del 1877). 56. St. parallelus (Zett.). Gryllus parallelus Zetterstedt, Orth. Suec. p. 85. n. 6. — Sfe- nobothrus variabilis Fisch. Fr. Orth. curop. p. 321. tab. XVI f. 13-13 a-d. Pa DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. 79 Hab. — Europa settentrionale e media, raro nella meridio- nale. Italia: Trentino (Graber), Liguria (Dubrony). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner), Mantovano (Lan- fossi). 57. St. brachypterus (Ocsk.). Gryllus brachypterus Ocskay in Nov. Act. Acad. Nat. Cur. 1826, XIII. I. p. 409. — Chrysockraon brachypterus Fisch. Fr., Orth. europ. p. 309. tab. XVI. f. 7. 7. a-b. Hab. — Svizzera, Italia, Austria, Ungheria. Italia: È indicato d’Italia dal Fischer, del Trentino dal Graber. Lombardia: Monte Generoso presso Lugano (Frey-Gessner, Schoch). 58. St. eruciatus (Chp.). Gryllus cruciatus Chp. Horae entom. p. 137. — Stauronotus cruciatus Fisch. Fr. Orth. curop. p. 352. tab. XVII. f. 11. a-d. Hab. — Europa circummediterranea; Africa Settentrionale. Italia: Napoletano (Costa), Sicilia (Bivona, Brisout), Sardegna (Targioni). Lombardia: Monte Generoso (Frey-Gessner). 59. St. Genei (Ocsk.). Grylus Genei Ocskay Nov. Act. Acad. nat. curios. T. XVI. p. IL p. 961. — Stauronotus Genei Fisch. Fr. Orth. europ. p. 355. Hab. — Europa meridionale, Africa settentrionale. Italia: Piemonte (Ghiliani). Lombgrdia: Canton Ticino (Gené). Gen. Pelecycleis Fieb. 60. P. Giornae (Rossi). Gryllus Giornae Rossi, Fauna Etrusc. Mant. II. p. 104. — Platyphyma Giornae Fisch. Fr., Orth. europ. p. 374. tab. XVI. f. 24. 24-a. Hab. — Europa meridionale. Italia: Trentino (Graber), Istria (Siebold, Zeller), Liguria 80 R. PIROTTA, (Dubrony), Toscana (Rossi), Napoletano (Costa), Sicilia (Zeller), Sardegna (Gené). Lombardia: Canton Ticino merid. (Frey-Gessner, Schoch). Gen. Paracinema Fisch. 61. P. tricolor (Thnb.). Gryllus tricolor Thunberg dn Mém. Acad. Petersb. V. p. 245. — Paracinema bisignatum Fisch. Fr., Orth. curop. p. 313. tab. XVI, f. 5 ab. Hab. — Europa meridionale; Africa; China. Italia: Trentino (Graber), Istria (Fischer), Napoletano (Co- sta), Sardegna (Brisout). Lombardia: Comune nei dintorni di Pavia (collez. Maestri e mia) e di Senago presso Milano (racc. P. Magretti). Gen. Mecostethus Fieb. 62. M. parapleurus (Hgb.). Gryllus parapleurus Hagenbach Symb. Faun. Helv. p. 34. f. 21. — Parapleurus typus Fisch. Fr., Orth. curop. p. 364. tab. XVI. f. 1. a-db. Hab. — Europa media e meridionale. Italia: Trentino (Graber). Lombardia: Canton Ticino (Frey-Gessner, Schoch). Gen. Atolopus Fieb. 63. A. thalassinus (Fabr.). GryUlus thalassinus Fabricius, Ent. syst. II, 57. n. 43. — Epa- cromia thalassina Fisch. Fr., Orth. europ. p. 361. tab. XVII, f. 14. a-b. Hab. — Europa media e meridionale; Africa settentr. Italia: Trieste (Zeller), Veneto (Martens, Contarini, Disconzi), Toscana (Dei), Napoletano, Calabria (Costa), Sicilia (Zeller), Corsica (Rambur). ere iii pe DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. 81 Lombardia: Delta dell’Agno, Mendrisio, Monte Generoso, rive del Lago di Lugano (Frey-Gessner), Mantovano (Lanfossi), sulla strada da Pierna ad Esino (racc. P. Magretti); lo trovai non raro nei dintorni di Pavia in primavera ed estate. Osserv. Il sig. prof. Malfatti di Milano mi comunicava un esem- plare della A. angustifemur (Ghil.), specie o varietà ben distinta e conosciuta finora del Piemonte. Egli l’aveva raccolta con altri individui nei dintorni di Pavia. Gen. Caloptenus Burm. 64. C. italicus (L.). Gryllus (Locusta) italica Linné, Syst. nat. I. 2. p. 701. n. 46. p. p. — Caloptenus italicus Fisch. Fr., Orth. europ. p. 377, tab. XV. f. 25, 26. | Hab. — Tutta Europa (escluse Inghilterra, Belgio, Svezia); ‘Africa settentrionale. Italia: Piemonte (Ghiliani), Trentino (Graber), Veneto (Turra, Martens, Contarini, Disconzi, Pellegrini, De Betta, Angelini), Niz- zardo (Risso), Liguria (Dubrony), Toscana (Rossi, Passerini, Dei), Campagna romana (Anonimo), Napoletano (0. G. Costa, collez. Maestri), Calabria (0. G. ed A. Costa, Bertolini), Sicilia (Zeller, Brisoult), Lipari, Lampedusa, Caprera (Dubrony). Lombardia: Alto Milanese (Vandelli), rive del lago di Como (Villa), Canton Ticino (Frey-Gessner), Mantovano (Lanfossi), bru- ghiere di Senago presso Milano (racc. P. Magretti); il dott. Mae- stri.ed io trovammo comune presso Pavia tanto la forma tipica che la varietà ad ali di color rosso sanguigno. Gen. Podisma Latr. 65. P. frigidum (Bohm). Grylus frigidus Bohemann in Oversigt. Vetensk. Akad. For- hindl. 1846. 3. drg. n. 3. — Pezotettix frigida Fisch. Fr., Orth. europ. p. 366. tab. XV. f, 21. Vol. XXI. 6 82 R. PIROTTA. . Hab. — Norvegia, Lapponia, Svizzera, Italia, Tirolo. Italia: Piemonte (Bonelli), Sempione (Heyden), Trentino (Graber). Lombardia: S. Gottardo (Frey-Gessner). 66. P. pedestre (L.). Gryllus (Locusta) pedestris Linné, Syst. nat. I. 2. p. 703. n. 60. — Pezotettix pedestris Fisch. Fr., Orth. europ. p. 369. tab. XV fi 7018. Hab. — Tutta Europa. Italia: Veneto (Contarini), Sardegna (Rosenhauer). Lombardia: Canton Ticino (Meyer-Diirr, Frey-Gessner), St. Caterina in Valfurva (Valtellina) (racc. dott. C. Parona), ?Cre- monese (Crem. e prov.). 67. P. mendax (Fisch. Fr.) Pezotettix mendax Fisch. Fr., Orth. europ. p. 371. tab. XV. f. 23. a-b. Hab. — Italia, Tirolo, Carniola, Svizzera. Italia: Trentino (Graber), Liguria (Dubrony). Lombardia: Monte S. Salvatore, M. Generoso, Mendrisio, (Frey-Gessner). Gen. Acridium Latr. 68. A. aegyptium (L.). GryUus (Locusta) aegyptius Linné Mus. Lud. ‘Ulr. p. 138. n. 29. — Acridium tartaricum Fisch. Fr., Orth. europ. p. 388. tab. XV f.. 27. 27-a. Hab. — Europa media e meridionale; Africa settentr. Italia: Trentino (Graber, Bertolini), Veneto (Contarini, Mar- tens, Angelini, Disconzi), Toscana (Rossi, Dei), Liguria (Dubrony), Napoletano (Cirillo, O. G. Costa, collez. Maestri), Calabria (A. Costa, Bertolini), Sicilia (Brisout). Lombardia: Lugaro, M. Bré (Meyer-Diirr, Frey-Gessner), Mantovano (Lanfossi); comune nel Pavese tanto la forma tipica quanto la varietà lneola Fabr. Alcuni grossi individui vengono DEGL! ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. 83 presi nell'inverno, per cui è probabile che lo passino nascosti sotto le foglie e nei buchi delle piante e dei muri. Gen. Pachytylus Fieb. 69. P. migratorius (L.). GryMlus (Locusta) migratorius Linné, Syst. nat. I. 2. p. 700. n. 41. — Pachytylus migratorius Fisch. Fr., Orth. curop. p. 393 tab. XVIII f. 12, 12 a. Hab. — Dalla Tartaria, patria attribuita a questa specie, fa spesso migrazioni nella parte sud-est dell’ Europa. Italia: Veneto (Turra, Martens), Toscana (Dei), Napoletano (0. G. Costa), Sicilia (Brisout). Lombardia: Cito questa specie come lombarda sulla fede del Lanfossi, il quale la indica del Mantovano. Nè il dott. Mae- stri nè io l'abbiamo fino ad ora rinvenuta nel Pavese e di essa il Frey-Gessner dice pel Canton Ticino: nicht cinmal Pachytylus mi- gratorius waren auswesend, e lo Schoch per la Svizzera: Der Pachytylus migratorius fehlt der Schweiz ginelich. 70. P. cinerascens (Fab.). Gryllus cinerascens Fabricius, Entom. syst. p. 59. n. 51. — Pachytylus cinerascens Fisch. Fr., Orth. europ. p. 395. tab. XVIII. f. 13. a-e. Hab. — Tutta Europa. Italia: Piemonte (Allioni, Fabricius, Giorna f.,), Trentino (Graber), Liguria (Dubrony), Napoletano (0. G. Costa, collez. Maestri), Sicilia (Zeller). Lombardia: S. Gottardo (Bremi), Canton Ticino (Frey-Ges- sner, Schoch), brughiere di Senago presso Milano (racc. P. Ma- gretti); comune nel Pavese (collez. Maestri e mia). Gen. Oedipoda Serv. 71. 0e. stridula (L.). i | Gryllus (Locusta) stridulus Linné, Syst. nat. I. 2, p. 701. 47. 84 R. PIROTTA, — Pachytylus stridulus Fisch. Fr., Orth, europ. p. 399. tab. XVIII. (46: Hab. — Europa media e meridionale. | Italia: Italia superiore (Rosenhauer), Piemonte (Giorna f.), Trentino (Graber), Veneto (Turra, Martens, Contarini, Disconzi), Nizzardo (Risso), Toscana (Dei). Lombardia: Musocco, Lugano, (Heer), Canton Ticino (Frey- Gessner; Schoch), Menaggio (collez. Maestri), Mantovano (Lanfossi). 72. 0e. coerulescens (L.). GryUus (Locusta) coerulescens Linné, Syst. nat. I. 2. p. 700. n.44. — 0edipoda fasciata Fisch. Fr. Orth. curop. p.411. tab. XVIII. f£. 9,10, 11. Hab. — Europa meridionale e media, Africa settentrionale. Italia: Piemonte (Giorna f., Ghiliani), Veneto (Turra, Martens, Contarini, Disconzi), Trentino (Graber), Nizzardo (Risso), Liguria (Dubrony), Toscana (Dei), Apulia (Costa O. G.), Calabria (0. G. ed A. Costa), Sicilia (Zeller), Caprera, Linosa (Dubrony, Brisout). Lombardia: Lago di Como (Villa), Canton Ticino (Frey- Gessner, Schoch), Mantovano (Lanfossi). Numerosi esemplari ap- partenenti alle diverse varietà di questa specie trovammo il dot- tor Maestri ed io nelle vicinanze di Pavia. 73. 0e. coerulans (L.). Gryllus (Locusta) coerulans Linné, Syst. nat. I. 2. p. 701. n. 48. — Oedipoda coerulans Fisch. Fr., Orth. europ. p. 406. tab. XVIII. f. 6. 6-a. Hab. — Europa meridionale e la parte inferiore della cen- trale. Italia: Trentino (Graber), Veneto (Contarini, Disconzi), Li- guria (Dubrony), Toscana (Dei), Napoletano (Cirillo, O. G. Costa), Calabria (Petagna, A. Costa, Bertolini), Sicilia (Zeller, Brisout). Lombardia: S. Gottardo (Heer), Canton Ticino (Frey-Ges- sner), Lago di Como (Villa), Pavese (collez. Maestri). 74. 0e. insubrica (Scop.). Gryllus insubricus Scopoli, Delic. Faun. et Flor. Insubr. p. I. p. 64. tab. 24. f. e — Oedipoda insubrica Fisch. Fr., Orth. eu- vop. p. 402. tab: XVIII. £ 1,2, 9. DEGLI ORTOTTERI GENUINI INSUBRICI. 85 Hab. — Europa meridionale; Africa settentrionale. Italia: Piemonte (Ghiliani), Veneto (Contarini), Liguria, (Du- brony), Toscana (Dei), Napoletano (Costa O. G.), Sicilia (Zeller, Brisout), Sardegna (Brullé). Lombardia: Non raro nella Lombardia (Scopoli), Mantovano (Lanfossi), Pavese (coll. Maestri e mia). 75. 0e. nigrofasciata (De Geer). Acridium nigro-fasciatum De Geer, Mém. III p. 493. tab. 41. f. 5. — Pachytylus nigro-fasciatus Fisch. Fr. Orth. europ. p. 397° tab. XVIII. fig. 14. 14-a. Hab. — Europa media e meridionale; Africa. Italia: Piemonte (Allioni, Fabricius, Ghiliani), Trentino (Gra- ber), Liguria (Dubrony), Toscana (Rossi, Dei), Calabria (Berto- lini), Napoletano (Cirillo, O. G. Costa), Sicilia (Brisout). Lombardia: Non raro in Lombardia (Scopoli), Canton Ti- cino (Frey-Gessner, Schoch), brughiere di Senago presso Milano (racc. P. Magretti), Pavese (collez. Maestri e mia). Gen. Tettio: Chp. 76. T. subulata (L.). Grylus (Bulla) subulatus Linné, Syst. nat. I. 2, 693. n. 8. — Tettix subulata Fisch. Fr., Orth. europ. p. 421. tab. XVIII. £. 17. 18. Hab. — Tutta Europa; Africa settentr. i Italia: Trentino (Graber), Veneto (Contarini, Disconzi), Niz- zardo (Schaum, Risso), Liguria (Dubrony), Toscana (Dei), Napo- letano (0. G. Costa), Calabria (A. Costa), Sicilia (Zeller), Cor- sica (Rambur). Lombardia: Alto Milanese (Vandelli), Luganese (Frey-Ges- sner), Varese (coll. Maestri), Pavese (coll. Maestri e mia). È molto comune nell’Orto Botanico di Pavia, dove sverna nascosto sotto le foglie secche ed esce nei giorni tiepidi di gennaio e febbraio. 77. T. bipunctata (L.). Gry0lus (Bulla) bipunctatus Linné, Syst. nat. I. 2. p. 693. 86 R. PIROTTA, n. 7. — Tettix bipunctata Fisch. Fr., Orth. europ. p. 425. tab. XVIII. f. 21. a-b. Hab. — Tutta Europa insieme alla precedente. Italia: Piemonte (Giorna f.), Trentino (Graber), Veneto (Turra, Martens, Disconzi, Contarini), Nizzardo (Risso), Liguria (Dubrony), Toscana (Dei), Napoletano (0. G. Costa). Lombardia: Colico (Frey-Gessner), Canton Ticino (Meyer- Diirr, Frey-Gessner, Schoch), Bergamasco (Maironi), Pavese (col- lez. Maestri e mia). Osservazione: Nelle vicinanze di Pavia il prof. Pavesi raccolse alcuni esemplari di un Tettix che riconobbi appartenere alla Tet- tix Schrankii Fieber. Questa forma, ritenuta come specie distinta anche dal Fischer Fr., non sarebbé, secondo più recenti autori, che la larva delle 7. bipunctata (L.). LIBELLULIDI DEI DINTORNI DI PAVIA del dott. RomuALDO PIROTTA. Alcune notizie sulle Libellule od Odonati di Lombardia trovansi sparse qua e colà in opere italiane e straniere. Fra noi ne fu fatta più o meno larga menzione dal Vandelli, * dal Maironi da Ponte, ° dal Lanfossi,° dall’ Erra * e dai fratelli Villa” in lavori che fu- rono affatto dimenticati da coloro che s’ occuparono di poi delle Libellule italiane. Van der Linden, ° Toussaint Charpentier, ‘ Selys- Longchamps, ° e Meyer-Diirr ° fra gli stranieri indicarono qualche 1 VANDELLI DOMENICO, Saggio d’istoria naturale del lago di Como e della Valsas- sina ecc. Padova, 1763. Volume manoscritto conservato nella Biblioteca universitaria di Pavia. ? MAIRONI DA PONTE, 4 tre regni della natura nella provincia bergamasca in Mem. Soc. ital. delle Scienze. T. XIX. Fisica p. II. p. 287. ® PaoLOo LANFOSSI, Saggio di storia naturale dei contorni di Mantova in Giorn. di fisica, chim. e storia natur. di Configliacchi e Brugnatelli. Dec. II. T. IX. p. 42. 1826. 4 Luici ERBA, Odonatologiae brixiensis Prodromus in Atti Soc. ital. Sc. natur. 1860. p. 93. 5 VILLA G. B. e A. Notizie di escursioni entomologiche in Bollett. Soc. entom. ital. A. VI. 1874. p. 323. © P. L. VAN DER LINDEN, Monographiae Libellullinarum europaearum specimen. Bruxelles, 1825. ? TOUSSAINT DE CHARPENTIER, Horae entomologicae. Wratislaviae, 1825. — Libel- lulinae europeae descriptae et depictae. Lipsiae. 1840. 8 SeLys-LongoHaMPSs Ep., Monographie des Libellulidées d’ Europe. Paris, 1840. — SeLYS-LoNGCHANPS Ep. et HAGEN, Revue des Odonates ou Libellules d’ Europe. Bru- xelles, 1850. — SeLYs-LoNnGCHAMPS, Résumé géographique sur les Libellules de l’Italie continentale et insulaire in Mem. R. Acc. Scienze. Torino. Ser. II. V. XI. p. LXIV- LXVIII. ® MeyeR-DiùER, Betrachtungen auf einer entomologischen Reise wihrend des Soma mers 1863 diirch das Seegebiet von Tessin nach dem Oberengadin, in Mitth. d. schweiz. entom. Gesellsch., I. p. 131. 1863. — Zusammenstellung des auf meiner Reise durch Tessin und Ober Engadin (1863) beobachteten und eingesammelten Neuroptern in Mitth. cit. p. 219. 88 R. PIROTTA, specie da loro medesimi raccolte o vedute in Lombardia, o loro comunicate da entomologi lombardi. Nulla affatto però si sa intorno a questa parte dell’entomologia, per quanto riguarda la Provincia di Pavia. Lo studio di una colle- zione di Ortotteri fatta dall’egregio dottor A. Maestri contenente molti Odonati pavesi e la raccolta che da parecchi anni vado io stesso facendo nei dintorni della città, mi fornirono i materiali per redigere questa breve nota. Le specie in essa registrate, ben- chè non ci diano un quadro completo dei Libellulidi del Pavese, sono però in numero abbastanza considerevole per poter con- tribuire alla Fauna degli Ortotteri di Lombardia, della quale mi accinsi allo studio, e diedi già un saggio. * Fra esse sono degne di menzione le Libellula quadrimaculata che incontrasi da noi piuttosto comune in primavera, la bellissima varietà « della L. fulva presa un’unica volta ed il maschio della Diplax pedemontana alla quale erano state assegnate le Alpi piemon- tesi per confine meridionale. Questa nota mi fornisce altresì occasione di confermare la esistenza in Italia del Cyrthosoma ephyppigerus già indicato e poi messo in dubbio dal Selys e recen- temente ritrovato dal compianto Ghiliani, e di aggiungere una nuova specie di Libellula alla fauna italiana, poichè nella colle- zione del dott. Maestri, composta di specie esclusivamente pavesi, trovai due bellissimi esemplari (maschio e femmina) della rara Oxygastra Curtisii Selys finora non conosciuta che della Provenza, Spagna, Portogallo ed Inghilterra. Per la determinazione delle specie mi sono giovato moltissimo, delle opere sistematiche delle quali l’egregio direttore del Museo Zoologico dell’Università di Pavia ha fornita la biblioteca del Laboratorio per comodo degli studiosi, che frequentano l’Istituto da lui diretto. 1 R. PIROTTA, Ortotteri genuini insubrici in Atti Soc. ital. Sc. nat. v. XXI p. 59. LIBELLULIDI DEI DINTORNI DI PAVIA. 89 Ord. ORTHOPTERA. Sect. PSEUDONEUROPTERA Fam. LIBELLULIDAE Selys. Gen. Diplax Chp. 1. D. striolata (Chp.). Libellula striolata Charpentier, Libellul. curop. p. 78. tab. X. f. 2. Habhb. — Tutta Europa escluse la Svezia e la Lapponia; Africa settentrionale, Asia minore. Italia: Torino (Selys), Susa (Ghiliani), Italia superiore (Char- pentier), Bresciano (Erra), Canton Ticino (Meyer-Dtrr), Vicen- tino (Disconzi), Padovano (Tacchetti), Modenese (Spagnolini), Pisa (Pecchioli), Livorno (Spagnolini), Sicilia (Ghiliani, Hagen), Sar- degna (Gené, Rambur), Corsica (Rambur). È comune nei dintorni di Pavia, frequente anche in città. 2. D. vulgata (L.). Libellula vulgata Linné, Syst. nat. II. p. 901. Charpentier, Li- bell. eur. tab. XI. f. I. c Hab. — Comune in tutta l’ Europa; Turkestan. Italia: Veneto (Martens), Venezia (Contarini), Vicentino (Turra, Disconzi), Padova (Tacchetti), Mantova (Lanfossi), Mode- nese (Spagnolini). Presso Pavia la prendemmo più volte il dott. Maestri ed io. Osservazione. Tanto il Selys (Revue, p. 45) che il Brauer (Die Neuropteren Europa's p. 297)', non contano questa specie fra quelle dell'Europa meridionale e l’escludono quindi dalla fauna ' BrAUER F., Die Neuropteren Europa’ s und insbesondere Oesterreichs mit Riick- sicht auf ihre geographische Verbreitung, in Festschrift zur Feier des Fiinfund- zwanzigjihrigen Bestehens der k. k. zoologisch - botanischen Gesellschaft in Wien Wien 1876. 90 R. PIROTTA, italiana. Come vedesi però dalle citazioni, la Diplax vulgata esiste pure e non rara nell’Italia settentrionale e centrale. 3. D. Fonscolombii (Selys). Libellula Fonscolombi, De Selys Monograph. p. 49. Hab. — Europa centrale e meridionale; Asia minore, Turke- stan, Africa settentrionale. Italia: Susa (Ghliani), Bresciano (Erra), Modena, Livorno (Spagnolini), Sicilia, Sardegna (Gené), Corsica (Mentzel), Pantel- laria (Ragusa). Ne raccolsi pochi individui lungo gli stagni formati dal Ti- cino presso la città. Osservazione. Il Selys nella distribuzione geografica delle Li- bellule, assegna la D. Fonscolombii alle isole italiane e la dice mancante sul continente. 4. D. flaveola (L.). Libellula fiaveola Linnè Syst. nat. p. 901. Hab. — Tutta Europa; Siberia. Italia: Piemonte (Giorna f.), Mantovano (Lanfossi), Vicen- tino (Turra, Disconzi), Padova (Tacchetti), Venezia (Martens, Contarini), Nizzardo (isso), Modenese (Spagnolini). Comunissima nei dintorni di Pavia. Osservazione. Anche questa specie non è indicata come italiana dal Selys. 5. D. sanguinea (Miiller). Libellula sanguinea Miller, Act. Natur. Cur. t. IH. p. 122. Hah. — Europa media e meridionale; Asia minore, Algeria. Italia: Piemonte (Giorna f., Selys), Susa (Ghiliani), Lom- bardia (Selys), Bresciano (Erra), Padova (Tacchetti), Modenese (Spagnolinà). Specie piuttosto rara nei dintorni di Pavia. 6. D. depressiuscula (Selys). Libellula depressiuscula De Selys, in Revue Zoolog. 1841. Hab. — Europa media e meridionale; Siberia, Turkestan. Italia: Susa (Ghiliani), Arona sul Lago Maggiore (Selys), Bresciano (Erra), Padova (Tacchetti), Bologna (Van der Linden), Sicilia, Sardegna, (Gené). - LIBELLULIDI DEI DINTORNI DI PAVIA. 91 Non ne presi che un esemplare maschio nell’ Orto Botanico di Pavia nella seconda metà di giugno del 1874. 7. D. pedemontana (All.). Libellula pedemontana Allioni, Manip. insect. Taurin. p. 194. Hab. — Belgio, Germania, Italia, Svizzera, Tirolo, Russia; Siberia, Turkestan, Armenia. Italia: Italia superiore (Charpentier, Sel do Piemonte (Al- hioni, Giorna f., Selys, Hagen), Monte Baldo (Pollini). Di questa specie settentrionale, rarissima nella parte piana della valle del Po, che segna i confini meridionali di sua di- stribuzione geografica, trovò un unico esemplare maschio lungo il Ticino presso Pavia il sig. Enrico Maestri nell’autunno del 1877. Gen. Libellula L. 8. L. depressa (L.). Linné, Syst. nat. p. 902. Habhb. — Tutta Europa; Asia minore. Italia: Piemonte (Giorna f.), Laghi Lombardi (Vandelli), Bresciano (Erra), Mantovano (Lanfossi), Canton Ticino (Meyer- Diirr), Vicentino (Turra, Disconzi), Padova (Tacchetti), Venezia (Martens, Contarini), Nizzardo (Fisso), Modenese (Spagnolini), Ravenna (Ginanni), Roma (Selys), Calabria ulteriore (A. Costa), Sicilia, Sardegna (Selys). Comunissima dall’aprile al settembre lungo gli stagni, i fos- sati e le risaie del Pavese. 9. L. fulva (Miiller). Miiller, Acta cur. t. III. p. 122. (1767). Hab. — Tutta Europa escluse la Corsica, la Sardegna, la Spagna, la Lapponia; Asia minore. Italia: Piemonte (Giorna f.), Padovano (Tacchetti), Vicentino (Disconzi), Calabria ulteriore (A. Costa), Sicilia (Selys, Ghi- lamni). La riscontrai nel maggio e nell’autunno anche nei»giardini di | Pavia; è specie piuttosto rara. Il dott. C. Parona raccolse nel 92 R. PIROTTA, giugno del 1876 presso Pavia la bellissima varietà « del Selys | col secondo e terzo anello dell’ addome di un bel color bleu pul- verulento. 10. L. quadrimaculata (L.). Linné, Syst. nat. p. 901. Hab. — Tutta Europa; Siberia. Italia: Piemonte (Giorna f.), Canton Ticino (Meyer-Diirr), Veneto (Martens, Contarini, Turra, Disconzi, Tacchetti), Nizzardo (Fisso), Campagna Romana (Selys). Non riscontrai che poche volte questa specie nell’agro pavese, e la maggior parte degli esemplari presi, appartengono alla va- rietà praenubila New. coll’estremità delle ali tinte di bruno o di nero. Osservazione. Il Brauer assegna a questa specie una distribu- zione geografica diversa da quella del Selys, poichè la dice man- cante a tutta l'Europa meridionale esclusa la Grecia e la Dalmazia. Ma anche il Van der Linden l’aveva già indicata d’Italia e Fons- ‘colombe la trovava in Provenza. Gen. Libella Brau. 11. L. coerulescens (Fabr.). Libellula coerulescens Fabricius Entom. syst. Suppl. p. 234. Hab. — Europa escluse Sardegna, Corsica, Lapponia; Africa settentrionale. Italia: Bresciano (Erra), Padovano (Zacchetti), Vicentino (Disconzi), Modenese (Spagnolini), Pisa (Pecchioli), Livorno (Spa- gnolini), Sicilia (Ghiliani). Non è rara nei dintorni di Pavia. 12. L. brunnea (Fonsc). Libellula brunnea Fonscolombe in Ann. Soc. entom. France. | 1837-38. Hab. — Europa, escluse Inghilterra, Nord Russia, Svezia, . Lapponia, Finlandia; Asia minore, Siberia, Turkestan. Italia: Charpentier l’indica dell’Italia superiore; Bresciano LIBELLULIDI DEI DINTORNI DI PAVIA. 93 (Erra), Canton Ticino (Meyer-Diirr), Modenese, Livornese (Spa- gnolini), Sardegna, Sicilia (Gené), Corsica (Selys). Un unico esemplare £ trovai nella collezione del dott. Maestri. 13. L. cancellata (L.). | Libellula cancellata Linné Syst. nat. p. 902. — Hab. — Europa, Africa settentrionale. «Italia: Piemonte (Giorna f.), Bresciano (Erra), Padova (Tac- . chetti), Vicentino (Disconzi), Nizzardo (Risso), Sicilia (Selys), Sardegna (Gené), Isola Pantellaria (Ragusa). 14. L. albistyla (Selys). Libellula albistyla De Selys in Few. zool. 1847. Hab. — Francia, Italia, Tirolo, Ungheria, Russia; Turkestan. Italia: Selys ne trovò due esemplari nella collezione di Van- der Linden provenienti dall’ Italia; venne pure trovata nel Bre- sciano (Erra), Modenese (Spagnolini). Mescolato alla L. cancellata trovai piuttosto di rado qualche individuo appartenente a questa specie. Gen. Crocothemis Brau. 15. C. erythrea (Brullé). Libellula erythrea Brullé, Expl. Morée, IM. Ent. p. 102. pl. 32. f. 4. Hab. — Europa meridionale e Belgio; Africa settentrionale, Asia minore, Turkestan. Italia: — Bresciano (Erra), Padovano (Tacchetti), Vicentino (Disconzi), Ferrara (Selys), Modenese, Livorno (Spagnolini), Na- poli (.Selys), Sicilia, Sa rdegna, Corsica (Se4ys). Non è rara nei dintorni di Pavia. Gen. Cordutlia Leach. | 16. C. aenea (L.). Libellula aenea Linné, Faun. Suec. p. 373, n. 1466 B. . Hab. — Europa media e settentrionale esclusa la Lapponia, | Italia; Siberia, Africa settentrionale. Italia: Piemonte (Giorna f.), alto Milanese ( Vandel), Can- | | : Ì 94 R. PIROTTA, ton Ticino (Meyer-Dirr), Mantovano (Lanfossi), Veneto (Mar- tens, Contarini), Modenese (Spagnolini). Piuttosto rara nel Pavese; la prese il dott. Maestri presso Pavia, io ne raccolsi un individuo £ alla fine di maggio lungo il Ticino. Osservazione. Malgrado le citate indicazioni, alcune delle quali consegnate a lavori pubblicati da stranieri, nè il Brauer, nè il Selys indicano questa specie come italiana, anzi quest’ ultimo (Rev. des Odon. p. 75). asserisce che le Alpi formano il limite meridionale alla distribuzione geografica della C. aenea. Gen. Epitheca Chp. 17. E. metallica (V. d. L.). Libellula metallica Van der Linden, Monograph. p. 18. Hab. — Tutta Europa. Italia: Milanese (Selys), Bresciano (Erra), Canton Ticino (Meyer-Diirr), Padovano (Tacchetti), Vicentino (Disconzi), Mo- denese (Spagnolini). Incontrai qualche volta in primavera avanzata questa bellis- sima specie lungo gli stagni del Ticino. 18. E. flavomaculata (V. d. L.). Libellula flavomaculata Van der Linden Monograph. p. 19. Hab. — Maggior parte d'Europa. Italia: Milanese (Selys), Bresciano (Erra), Padovano (Tac- chetti), Pisa (Pecchioli). Nelle stesse località del Pavese colla precedente, ma più rara. Gen. Oxygastra Selys. 19. 0. curtisii (Dale). Cordulia Curtisiù Dale in London®s Magazin v. T. p. 60. 1834. | Hab. — Sud-est.della Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo, Italia. I Italia: Ho la fortuna di poter aggiungere alla Fauna deglî | Ortotteri italiani questa specie molto caratteristica e facilmente distinguibile dalle altre del gruppo delle Corduline. Nella col- LIBELLULIDI DEI DINTORNI DI PAVIA. 95 lezione del dott. Maestri trovai un individuo é ed uno £ raccolti presso Pavia che corrispondono perfettamente alle descrizioni datene dai diversi autori. Fam. AESCHNIDAE Selys. Gen. Anax Leach. 20. A. formosus (V. d. L.). Aeschna formosa Van der Linden, Monog. Libell. p. 20. Hab. — Europa, Siberia, Asia minore, Turkestan, Africa set- tentrionale. Italia: Alta Lombardia (Meyer-Dirr), Padova (Tacchetti), Vicentino (Disconzi), Modenese, Livorno (Spagnolini), Sicilia, Sardegna (Selys). Comune nei dintorni di Pavia ed anche nei giardini della città. 21. A. parthenope (Selys). Aeschna (Anax) parthenope Selys, Bullett. Acad. Bruxell. 1839. Hab. — Europa media e meridionale; Turkestan. Italia: Piemonte (Ghiliani), Modenese (Spagnolim), Napoli (Selys). Un d ed una L appartenenti a questa specie furono raccolti dal dott. Maestri presso Pavia. Gen. Cyrtosoma Selys. 22. C. ephyppigerus (Burm.). Burmeister, Handb. d. Zool. IMI Hab. — Francia meridionale, Italia, Tirolo; Asia, Africa. Italia: Piemonte (GhWiliani), Sardegna (Gené). Un esemplare certamente raccolto presso Pavia trovasi nella collezione del dott. Maestri. Il C. ephyppigerus Burm (= Anax mediterraneus Selys, A. se- negalensis Bambur) veniva scoperto per la prima volta dal Selys in Italia e ritrovato più tardi dal Ghiliani, il quale però lo ri- tenne specie avventizia. 96 R. PIROTTA, Gen. Aeschna Fabr. A 23. Ae. eyanea (Latr.). Hab. — Europa, esclusa la Grecia, la Corsica e la Lapponia. Italia: Lombardia (Selys, Erra), Vicentino (Disconzi), Mo- denese, Livornese (Spagnolini), Napoli (Pierret), Sardegna (Gené). Non rara lungo le acque stagnanti, le risaie ed i luoghi umidi del Pavese. 24. Ae. rufescens (V. d. L.). Van der Linden, Monog. Libell. p. 27. Hab. — Europa escluse la Corsica, la Spagna, la Finlandia e la Lapponia. Italia: Van der Linden, Gené, e Selys, la dicono comune in tutta Italia. La indicarono di Padova (Tacchetti), Vicentino (Di- sconzi), Modenese (Spagnolini), Napoli (Selys), Sicilia (Selys), Sardegna (Gené). È comune nei dintorni di Pavia in primavera ed in estate. Gen. Onychogomphus Selys. 25. 0. forcipatus (L.). Libellula forcipata Linné Syst. nat. p. 905. Hab. — Europa escluse Sardegna e Corsica; Asia minore, Africa settentrionale. Italia: Piemonte (Giorna f., Ghiliani), Bresciano (Erra), Bergamasco (Maironi da Ponte), Veneto (Martens, Turra, Con- tarini, Disconzi), Bologna (Van der Linden), Pisa (Pecchioli), Nizzardo (isso), Calabria ulteriore (A. Costa), Sicilia (Selys). Comune in primavera nell’agro pavese. Gen. Gomphus Leach. 26. G. vulgatissimus (L.). Libellula vulgatissima Linné Syst. nat. p. 905. Hab. — Europa media, e settentrionale fino alla Svezia, Italia superiore, Asia minore, fi S _ SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ. de della Società è di prom in ‘Italia il progresso degli adi 7 relativi alle scienze naturali. SI9 È Socj sono in numero illimitato, effettivi e corrispondenti. I Socj effettivi pagano it. L. 20 all’anno, in una sola volta, nel primo tri- mestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie: e Comunica- zioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. ©. ARA Socj corrispondenti si eleggono persone distinte nelle scienze pi le quali dimorino fuori d’Italia. — Possono diventare socj effettivi, quando si assoggettino alla tassa annua di lire venti. — Non sono invitati partico- larmente alle sedute. della Società,.ma possono assistervi e presentarvi o farvi leggere delle Memorie o delle Comunicazioni. — Ricevono gratuita- “mente gli Atti della Società. La proposizione per l’ ammissione d’ un nuovo socio FRE essere fatta e firmata da tre socj effettivi. | I Socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’anno sociale (che termina col 81 dicembre) continuano ad es- sere tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno successivo, ‘cessano di fatto di apparténere àlla' Società, salvo a questa il far valere w suoi diritti per le quote non ancora pagate. — Le Comunicazioni, presentate nelle .adunanze, possono essere stampate negli Atti o nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, secondo la loro estensione ed importanza. È La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. | Agli Atti ed alle Meinorie non si ponno unire tavole se non sono del formato degli Atti o delle Memorie stesse. Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, pur- chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone regolare ricevuta. RT, INDICE. I (Bret peli 1681; coop e e Pag. 3° Soci effettivi al principio del: anno 1878. Bia nodo [agri gio: Soci fotrispalilenia .2c iene Lio ae dr fg: Istituti scientifici corrispondenti manie PERA pet 18. n Seduta del 27 Gennaio 1878... (... dI n vi La pA8 noe Seduta del 24 Febbraio 1878/020000 elle 21. Ù Bilancio consuntivo dal 1° Gennaio al 31 Diventato 187 T Pr: Sg Bilancio preventivo per l’anno 1878 .. . . . . . , a è 36°” + Seduta, del 41: Marzo 1878/40 ue pae so A G. CartANEO, Intorno alla Anatonia € Fisiologia dal Po dostoma Filigerum Clap. e Lachm. «. . . . .0n È C. ExERY, Note ittiologiche (tav. 1.° doppia) . Seduta. del08 Aprile IBYSo OO E O TA F. SORDELLI, Nuovo caso di polimelia sal rana mange- Peccia so pl: s: Si ‘C. PARONA e B. Guisa: Sullo saba dall Anchlostoma duodenale (tav. 2.* e 3.°) . . . 0. .R. Prrorta, Degli Ortotteri genuini insubrici . . . di ; "A R. Prrotta, Libellulidi dei dintorni di Pavia... . n° DI SCIENZE NATURALI ef VELI et. VOLUME XI. FascicoLo 2. — Fogli 7-12. MILANO, | ‘OI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI. PER L'ITALIA: PER L'ESTERO: ‘ i PRESSO LA | PRESSO LA $ È | SEGRETERIA DELLA SOCIETA’ | LIBRERIA DI ULRICO HOEPLI SS i, MILANO MILANO Lo i; È | ’—1— Palazzo del Museo Civico. Galleria De-Cristoforis, e Via Mavih, 2. 59-62. Te a __— Semrempre 1878. Per la compera degli ATTI e delle MEMORIE si veda la 3° pagina di questa copertina. E a i AI PRESIDENZA PEL 1878. Presidente, CorNALIA dottor Emilio, direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, via Monte Napoleone, 36. Vice-presidente; Vira AnTONIO. Milano, via Sala, 6. SorpELLI FERDINANDO aggiunto al Museo di storia naturale Segretarj di Milano, via Monforte, 7. Pini rag. NAPOLEONE, via Crocifisso, 6. Cassiere, GARGANTINI-PIATTI GiusEPPE, Milano, via del Senato, 14. di »i da tl ca | LIBELLULIDI DEI DINTORNI DI PAVIA, 97 Italia: Piemonte (Giorna f.), alto Milanese (Vandelli), Bre- sciano (Erra), Mantovano (Lanfossi); Veneto (Martens, Tac- chetti, Disconzi), Nizzardo Laga Modenese (.Spagnolini), Bo- logna (.Selys). Comune come il precedente nel mese di giugno nei dintorni di Pavia. Un esemplare £ della collezione Maestri presenta l’ apice delle ali, sopratutto dell’inferiore sinistra e della superiore destra tinto leggermente in bruno giallastro. Gen. Cordulegaster Leach. 27. C. annulatus (Latr.). Aeschna annulata Latreille, Hist. nat. Crust. Insect. t. XII. p..6. .Habh. — Europa esclusa Lapponia, Sardegna, Corsica, Grecia, Caucaso; Asia minore, Africa settentrionale. Italia: Padova (Tacchetti), Pisa (Peccholi), Napoli (Selys), Calabria ulteriore (A. Costa), Sicilia (Selys). Specie piuttosto rara nel pavese; la raccolsi sempre in estate, Fam. AGRIONIDAE Selys. . Gen. Calopteryx Leach. 28. C. virgo (L.). Libellula virgo Linné, Syst. nat. p. 904. Hab. — Europa esclusa la Corsica; Siberia, Turkestan, Asia minore. Italia: Piemonte (Giorna f.), Lombardia ( Vandelli, Erra, Mai- roni da Ponte, Lanfossi, Selys), Veneto (Martens, Turra, Tac- chetti, Contarini, Disconzi), Modenese (Spagnolini), Ravenna (Gi- nanni), Nizzardo (Risso), Calabria ulteriore (A. Costa). Comunissima dal maggio al IS in tutto il territorio pavese. 29. C. splendens (Harris). Libellula splendens Harris Exsp. Engl. Ins. Tab: XXX. £. 1. 3. Vol. XXI. T 98 R. PIROTTA, Hah. — Europa esclusa la Corsica; Siberia, Asia minore, Tur- kestan, Africa settentrionale. | Italia: Bresciano (Erra), Padovano (Tacchetti), Vicentino (Di- sconzi), Modenese (Spagnolini), Calabria ulteriore (A. Costa), Sicilia, Sardegna (Selys). Colla precedente nelle stesse località e tempo, ma più rara. Gen. Lestes Leach. 30. L. viridis (V. d. L.). Agrion viridis Van der Linden, Monog. Libell. p. 36. Habh. — Europa centrale e meridionale; Asia minore, Africa settentrionale. Italia: Torino (Selys), Bresciano (Erra), Valtellina (Meyer- Diirr), Vicentino (Disconzi), Modenese, Livornese (Spagnolmi), Sicilia (Selys). Piuttosto comune in primavera alla Cava presso Pavia. Gen. Sympycna Chp. 31. S. fusca (V. d. L.). Agrion fusca Van der Linden, Agrion. Bonon. n. 3, f. 3. Habh. — Europa escluse Lapponia, Inghilterra, Spagna e Cor- sica; Siberia, Asia minore, Turkestan, Africa settentrionale. Italia: Torino (Selys), Bresciano (Erra), Padovano (T'ac- chetti), Vicentino (Disconzi), Modenese (Spagnolini), Bologna (Van der Linden), Livorno (Spagnolini), Pisa (Pecchioli), | Cala- bria ulteriore (A. Costa), Sicilia (Ghiliani, Zeller), Sardegna (Gent). Comune nel Pavese dal maggio alla fine d’autunno. Gen. Platycnemis Chp. 32. P. pennipes (Pall.). Libellula pennipes Pallas, Reise Russ. I. p. 729. Hah. — Europa esclusa la Lapponia; Asia minore, STAN Aaa La LIBELLULIDI DEI DINTORNI DI PAVIA. 99 Italia: Lugano (Meyer-Diirr), Bresciano (Erra), Padovano (Tacchetti), Calabria ulteriore (A. Costa), Sardegna, Corsica (Selys). Comune nelle vasche dei giardini, lungo le paludi ed i fossati dal maggio all’agosto. Gen. Agrion Fabr. 33. A. najas Hansem. Hansemann in Wiedeman’s Magaz. B. II p. cd Hab. — Quasi tutta Europa. Italia: Lombardia (Selys), Modenese, Livornese (Spagnolinà). Nel Pavese è piuttosto raro. 34. A. minium (Harris.). Harris, Exsp. Engl. Ins. tab. 29 f. 1. 2. Hab. — Tutta Europa. Italia: Lombardia (.Selys, Erra), Canton Ticino (Meyer-Diirr), Vicentino (Disconzi), Modenese (Spagnolini), Bologna (Van der Linden), Toscana (Pecchioli),, Roma (Selys), Corsica (Selys). Non è raro nelle vicinanze di Pavia ed anche nei giardini e comincia a comparire verso la fine d’aprile. 35. A. elegans (V. d. L.). Van der Linden, Agrion. Bonon. n. 6. fig. 5. Hab. — Europa escluse Lapponia, Spagna, Portogallo; Siberia, Turkestan, Asia minore. Italia: Torino (Selys), Lombardia (Selys, Erra, Meyer-Diirr), Padovano (T'acchetti), Vicentino (Disconzi), Nizzardo (isso), Mo- denese (Spagnolini), Bologna (Selys), Toscana (Selys, Spagnolini), Sardegna (Selys). Il dott. Maestri ed io ne raccogliemmo alcuni individui presso il Ticino. 36. A. puella (V. d. L.) Van der Linden, Agrion. Bonon. 1. c. Hab. — Europa, Africa settentrionale. Italia: Piemonte (Giorna f.), Lombardia (Vandelli, Lanfossi, 100 R. PIROTTA. Erra, Meyer-Dùrr, Selys), Veneto (Martens, Turra, Contarini, Tacchetti, Disconzi), Modenese (Spagnolini), Bologna (Van der Linden), Nizzardo (Fisso), Calabria ulteriore (Petagna, Costa), Sicilia (Zeller), Sardegna (Gené), Corsica (Rambur). Comune presso Pavia in estate. 37. A. Lindenii Selys. Selys Monog. p. 167. tab. 2. f. 41. Hab. — Belgio, Spagna, Francia meridionale, Italia, Tirolo, Dalmazia; Asia minore, Africa settentrionale. Italia: Bresciano (Erra), Livornese (Spagnolim), Pisa (Pec- chioli), Sicilia (Zeller, Broussais). Raro nella provincia pavese. Seduta del 26 Maggio 1878. Presidenza del Prof. Comm. E. CORNALIA. In assenza dell’autore il segretario Sordelli legge la breve introduzione del Catalogo degli Ortotteri genuini di Lombardia, inviato dal socio dott. PirotTA, ed annuncia l’invio per parte dello stesso autore di altro catalogo riferentesi ai Lidellulidi ; nei quali cataloghi è data non solo la nomenclatura delle spe- cie riconosciute fin qui in Lombardia, ma è data altresì la loro . distribuzione geografica tanto nella rimanente Italia, quanto nelle regioni straniere. Sl socio prof. MERCcALLI legge quindi una Nota: Sulle Mar- motte fossili trovate nei dintorni di Como, Nota che al pari delle precedenti è ammessa alla stampa negli Atti. — Questa lettura dà luogo a qualche osservazione, non trovando i soci presenti accettabili alcune delle conclusioni a cui è venuto l’autore: al presidente prof. CornaLiA sembra abbastanza strana l’asserzione che le Marmotte ricerchino le alte regioni delle Alpi per istar- sene al caldo. Ed il segretario SoRDELLI dice essere noto come attualmente le Marmotte non si trovino se non nelle regioni su- periori al limite della vegetazione arborea e questo si verifichi anche in vallate affatto romite, dove potrebbero benissimo scen- dere anche più basso senza tema d'essere perseguitate. Aggiunge poi che per lui la presenza degli avanzi di Marmotta nelle mo- rene ed alluvioni antiche è la più bella prova della rigidezza del clima durante l’ epoca glaciale. Il socio PoLLi divide pure le stesse idee, e rammenta che appunto nell’agosto dello scorso anno, in un’ escursione fatta col socio Sordelli ed altri amici alle sorgenti della Toce, si incontrarono le prime tane e resti delle Marmotte sopra l’alpe di Bettelmatten, all’altezza di circa 102 SEDUTA DEL 26 magcIo 1878. 1800 metri sul mare. Quanto alla giacitura delle ossa di Mar- ‘motta, il socio SorpeLLI dice che l’essersi trovati gli scheletri di numerosi individui, sopra uno spazio di pochi metri quadrati (come ammette il socio Mercalli), gli sembra appunto contrad- dire l'ipotesi di un trasporto comunque siasi e lo persuade in- vece che esse avessero colà la loro dimora e siano morte sul posto. — In vario senso parlano anche i soci prof. GALANTI e CasrELFRAN6O: il primo facendo notare il divario che passa fra la temperatura dell’aria e quella del suolo, per cui gli animali possono sfuggire gli effetti del gelo col rintanarsi sotterra; ed il secondo col richiamare per analogia l’estensione che ebbe il Renne nell’ Europa centrale, sino al piede dei Pirenei, estensione che i naturalisti ammettono contemporanea di un periodo di freddo. È letto ed approvato il Processo verbale dra seduta prece- dente 28 aprile 1878. ° Il prof. CoRNALIA espone quindi come la Paid siasi pre- occupata del desiderio più volte manifestato dai soci, che venisse ripresa, possibilmente in quest'anno, la serie delle adunanze straordinarie da tenersi fuori dell’ordinaria sede della Società; e come, attesa la buona accoglienza fatta in generale all’idea messa avanti di una riunione a Varese, egli crede giunto il mo- mento di concretare la proposta di tenere nel prossimo autunno una straordinaria riunione in detta città. Tale proposta essendo approvata all'unanimità, il presidente chiede che se ne fissi l’e- poca in modo più preciso; su di che la maggioranza è d’avviso che convenga attenersi di preferenza alla seconda metà di set- tembre e non oltrepassare in niun caso i primi giorni di ottobre. I soci danno poi incarico alla Presidenza di precisare i giorni, sia per le adunanze, sia per le escursioni, come pure di prose- guire le trattative per la scelta del socio che deve presiedere la riunione straordinaria, e di riferirne poi nella prossima seduta. Il segretario annuncia essergli pervenuta comunicazione della morte dell’illustre botanico prof. RoBERTO DE VISIANI, avvenuta a Padova 1°8 corrente maggio. dai sto i — SEDUTA DEL 26 MAGGIO 1878. 103 - Dà pure comunicazione del programma di concorso pubblicato dal R. Istituto d’incoraggiamento in Napoli. ‘Infine riferisce, che la Società dei naturalisti di Lipsia, ha chiesto il cambio degli Atti della nostra Società coi resoconti delle adunanze di quella (Sitzungsberichte der Naturforschenden Gesell- schaft). Il cambio viene accordato. | F. SORDELLI, Segr. SULLE MARMOTTE FOSSILI TROVATE NEI DINTORNI DI COMO NOTA del Prof. Sac. Giuseppe MERCALLI. (Seduta del 26 maggio 1878.) La Marmotta è un animale che ha una stazione delle più ca- ratteristiche ed insieme delle più belle ed amene: essa nei più solitari recessi delle Alpi, predilige i fianchi dei monti e le rupi che si specchiano nel terso cristallo dei ghiacciai; e si pascola liberamente delle odorose erbe alpine, che la neve ed i ghiacci le difendono dagli animali e dall'uomo. Fedele compagna dei ghiacciai la Marmotta li seguì nelle loro peregrinazioni, e nell’e- poca glaciale discese con essi ad abitare le regioni prealpine, le colline ed anche le pianure fin dove allora quelli spinsero le loro fronti gigantesche. Già da tempo infatti a Niederwangen presso Berna, in un’alluvione quaternaria, a Bois-de-Veux presso Lo- “ssanna, in una morena, ed in altre località della bassa Svizzera si trovarono reliquie fossili di Marmotte.! Si trovò pure la Mar- motta fossile ad Eppelsheim, a Mossbach, a Koestrich® e recen- temente a Reinerkogel presso Gratz,* località tutte elevate poche centinaia di metri sul livello del mare. 1 HeER, Le Monde primitif de la Suisse, p. 667. ? PictET, Traité de Paléont., p. 236. ° DE TscHUDI, Le Monde des Alpes, p. 768. 104 ATA L 0160 MERCALIE Ma meno facilmente si potè constatare l’esistenza della Mar- motta in epoche passate nelle basse regioni del versante meridio- nale delle Alpi. In Lombardia non sono conosciute che le poche ossa della caverna di Levrange descritte dal nostro illustre pre- sidente prof. Cornalia, nella II Serie della. Paléontologie Lom- barde. In Piemonte, solo nel 1871, Gastaldi fece conoscere la sco- perta di pochi resti di 5 individui di Marmotta trovati ad An- dezeno presso Chieri e di altri rinvenuti a Ferrere nell’ Asti- giano.‘ Credo quindi interessante per la paleontologia lombarda il render nota una località, nei dintorni di Como, dove recente- mente si trovarono molti resti fossili di Marmotte. Fu nel 1876 che il signor Ferdinando Sala, intelligente ed as- siduo raccoglitore di cose naturali, ebbe la fortuna di trovare pel primo molte ossa fossili di Marmotta in una cava di ghiaia e sabbia, posta a metà strada circa fra Olgiate Comasco e Lu- rate Abate, sulla destra della Lura, 14° 15" sul letto del tor- rente. Venuto a conoscenza del fatto, nella primavera scorsa mi portai sul luogo, per esaminare il terreno in cui la cava fossilifera era’ aperta, e trovai che esso è una schietta morena terrestre: giacchè ne ha la natura caotica caratteristica e di più contiene molti e bel-. lissimi ciottoli calcarilisciati estriati. Questa morena appartiene alla cerchia più esterna e più elevata dell'anfiteatro morenico del Lario, corrisponde quindi al massimo avanzamento ed alla più lunga sosta che fece il ghiacciajo nella seconda fase del periodo glaciale. Riguardo al modo col quale i fossili in discorso giacciono nel deposito, ed al loro stato di conservazione, ecco quanto osservai i0 stesso, ovvero mi venne gentilmente comunicato dal signor Fer- dinando Sala. Le ossa si trovano principalmente in una parte sabbiosa della morena, a 3” circa di profondità sotto il suolo, e vi sono in tanta abbondanza che su un’area di pochi metri quadrati si raccolsero una diecina di teste ed ossa appartenenti 1 Atti dell’ Acc. delle Sc. di Torino, 1871-72. SULLE MARMOTTE FOSSILI, ECC. 105 a forse 25 o 30 individui, in generale adulti, come si rileva dal color giallo dei loro denti incisivi, e dal volume di tutte le parti dello scheletro. Le ossa, finora raccolte, non si trovarono mai riunite nelle loro posizioni relative a formare uno scheletro in- tero od anche solo una parte importante: molte sono spezzate, ma nel maggior numero sono ben conservate, spesso anche nelle loro parti più delicate. Alcune teste contengono ancora in posto nella mascella superiore gli incisivi ed i molari; le mandibole in- feriori contengono quasi sempre i lunghi e delicati incisivi e qual- cuna tutti quattro i molari; le ossa nasali, tanto facili a staccarsi, in qualche cranio sono al loro posto. Tutte poi le ossa offrono i caratteri d’una notevole antichità, avendo perduta quasi to: talmente la loro materia organica, cosicchè, esposte all'aria, di- ventano, i cranii principalmente e gli incisivi, fragilissimi. Note- vole quindi è la differenza che passa sotto questo rapporto, fra queste ossa e quelle della Marmotta della grotta di Levrange, le quali presentano le superficie lucide e poco calcinate, mo- strando di essere assai meno antiche di quelle di Olgiate: è noto infatti che recentemente Forsyth Major trovò in quella grotta insieme alle ossa fossili, carboni ed ossa spezzate ad arte dal- l’uomo.! Dalle quali cose, esposte intorno allo stato di conservazione, al modo di giacimento ed alla natura del deposito in cui si rin= vengono le Marmotte fossili ad Olgiate, segue che non si può supporre che quegli animali vivessero e morissero proprio lì dove ora se ne trovano le ossa, nè mentre il deposito si formava, nè dopo la sua formazione: ma segue anche non potersi ammettere che quelle ossa abbiano subito un lungo trasporto in un’acqua corrente. Mi pare ‘quindi che il fatto si debba spiegare nel se- guente modo. Durante l’epoca glaciale, quando il ghiacciaio del Lario stava costruendo la massima cerchia del suo magnifico an- fiteatro, vivevano le Marmotte vicino a Como sui fianchi delle ultime montagne che costeggiano il lago ad occidente. Esse, vive o morte, capitarono a far parte della morena destra del ghiac= 1 STOPPANI, Corso di geologia, IL, p. 799. 106 G. MERCALLI, ciajo, forse franando col suolo in cui erano scavate le loro tane. Nel ghiacciajo gli scheletri si sfasciarono e le ossa furono spar- pagliate e forse trasportate a piccole distanze da uno di quei mille ruscelletti che lo percorrono in simona i sensi rimestandone spesso anche le morene. Confrontate attentamente le ossa fossili della Marmotta di OL- giate con quelle dell’Arctomys Marmotta vivente ora nelle Alpi, non ho trovato nelle parti più caratteristiche alcuna differenza importante che faccia sospettare una diversità specifica. Osservai però che tutte le ossa fossili hanno dimensioni un po’ maggiori di quelle degli individui viventi. L’omero, per esempio, organo tanto importante in un animale scavatore, è più lungo, e prin- cipalmente più grosso e robusto in tutte le sue parti relativa- mente alla lunghezza; la testa un po’ più lunga e le ossa fron- tali più larghe; la cresta parietale invece assai più corta. A que- ste differenze, che potrebbero essere affatto accidentali e senza valore, avrei dato poca o nessuna importanza, se non coincides- sero con quelle osservate da Blainville nella A. Marmotta fos- silis, di cui disegna qualche osso nella sua grande opera Swi Mammiferi, e se non vedessi che anche lA. primigemia di Kaup, alla quale Gervais * riferisce le Marmotte trovate nel di- luvium di Parigi, di Niort e di Issoire, differisce dalla vivente principalmente nelle dimensioni della testa assai larga e robusta. Vedendo che le differenze osservate nella Marmotta di Ol- giate si ripetono costantemente in molte delle Marmotte fossili quaternarie, mi pare si possa ritenere che le Marmotte che abi- tavano nell’epoca glaciale le basse regioni dei due versanti delle Alpi, sebbene appartenenti alla specie vivente, formavano però una razza diversa dell’attuale per le dimensioni e per la robu- stezza. E a me pare naturalissimo che la specie Marmotta, tro- vando.nell’epoca glaciale le migliori condizioni esterne per la propria esistenza, fosse più prospera, ricca d’individui e costi- tuita da razze speciali più robuste che le attuali. Non credo però che quelle condizioni più favoreveli all’esi- 1 PICTET, l, c. DE SULLE MARMOTTE FOSSILI, ECC. 107 stenza della Marmotta consistessero in un rigido clima: giacchè io inclino a credere con Desor, Stoppani ed altri illustri geo- logi, che il clima dell’epoca glaciale non fosse sensibilmente più freddo dell’attuale. Mi pare infatti che la Marmotta, sebbene la vediamo ora abi- tare le regioni alpine assai elevate dove lungo e freddo è l’in- verno, breve la stagione estiva, prospererebbe tuttavia anche in un clima di assai più mite temperatura, poichè osservandone atten- tamente i costumi si vede che essa non si espone al clima al- pino in cui vive, se non per godere del calore che il sole larga- mente piove anche sulle più elevate regioni delle Alpi. La Marmotta infatti non vive all'aria libera se non. nell’e- state; ed anche in questa stagione al cader del sole si ritira nelle calde sue tane, ciò che nell'autunno fa spesso appena dopo passati i calori del mezzogiorno: essa sceglie le parti delle mon- tagne più bene esposte ai raggi solari, ed ama fermarsi, ripo- sare e solazzarsi sulle rupi che questi hanno più fortemente ri- scaldate. Tutti sanno poi come d’autunno, al sopraggiungere dei primi freddi, le Marmotte si ritirino nelle loro tane dove stanno ad una temperatura di 10° a 129,5 C. per tutta la stagione inver- nale. E se questa temperatura diminuisce, se per esempio, men- tre sono in letargo, vengono esposte all’ aria, muojono di freddo Si è osservato che in schiavità la Marmotta perchè stia sana e svegliata, bisogna che tanto d’estate, come d’inverno, si trovi ad una temperatura molto elevata: se infatti si tengono delle Mar- motte in una camera a 7° od 89,7. C. esse cadono in letargo. ! Mi pare quindi provato che la ragione, per la quale la Mar- motta ha ora la sua stazione nel cuore delle Alpi, non è certo perchè ami il freddo e fugga il calore: chè anzi pare che essa prosperebbe meglio che nel clima delle Alpiin uno più uniforme nel quale gli inverni fossero un po’ più miti di quelli alpini, le stati meno cocenti di quelli della nostra pianura. Tale, io credo, fosse il clima dell’epoca glaciale. Queste considerazioni. fatte in- ! De Tscmupi, Le Monde des Alpes, p. 762. 108 OT 6 MERCATI, torno al'clima confacente alla Marmotta; sono per analogia con- fermate dalle osservazioni fatte da C. Martins su un altro ani- male eminentemente alpino, l’Arvicola nivalis o Campagnolo delle nevi. Egli osservò che questo animale sebbene viva nelle Alpi, ed in regioni assai più elevate che non la Marmotta, deve anche esso, perchè non perisca, sottrarsi alle basse temperature ritiran- dosi nelle tane; provò infatti a chiudere un Campagnolo in un recipiente che espose per una notte in cui il termometro non si si abbassò sotto — 1°; l’animale morì di freddo: invece due Cam- pagnoli vissero benissimo a Parigi al Jardin des Plantes alla stessa temperatura che una scimmia africana. Martins da queste ed altre osservazioni conclude che la ragione per la quale l'A. m- valis si è tanto moltiplicato nelle regioni delle nevi perpetue non è certo la paura del calore:' ma invece egli crede sia per- chè sui versanti ben esposti dei monti anche a 2000” e 3000” la temperatura a poca profondità sotto il suolo è maggiore che non nel piano, e quindi quegli animali scavatori mantengono calde le loro tane. | Ma non è solamente ad Olgiate che nell’anfiteatro del Lario si trovarono fossili le Marmotte. Anche a Bulgaro Grasso, pochi chilometri a sud di Olgiate, fin dal 1875 il dottor Grilloni di Appiano, nella stessa cava in cui si trovarono le conchiglie ma- rine come ‘a Cassina Rizzardi,*? raccolse alcuni cranii di Mar- motta. Non essendosi però trovato nessuna delle altre parti dello scheletro, si diede allora poca o nessuna importanza al fatto: ma ora, dopo la scoperta di Olgiate, non c’è più a dubitare che, mentre formavasi il deposito di Bulgaro, insieme alle con- chiglie marine si deponevano le spoglie delle Marmotte, non vis- sute proprio in posto, come già dissi di quelle di Olgiate, ma trasportatevi da piccole distanze dal ghiacciajo. E qui, prima di chiudere questa mia breve Nota, mi permetto un’osservazione riguardante l’ origine tanto dibattuta del deposito di Cascina 1 CHARLES MARTINS, Annales des Sc. Naturelles, 1843-47. ? MERCALLI, Osservaz. sul terreno glac. dei dintorni di Como. — Atti Soc. It. di Se. Nat. vol. XIX. SITA SULLE MARMOTTE FOSSILI, ECC. 109 Rizzardi, a cui appartiene quello di Bulgaro. L'esistenza di cranii di Marmotte anche appena discretamente conservate nel depo- sito a conchiglie marine di Bulgaro, si può facilmente spiegare nel modo di concepirne l’origine di Stoppani e Desor, da me pure divisa; ma invece mi pare una nuova difficoltà, per chi coi si- : gnori Sordelli, Favre, Riitimeyer, sostiene che quel deposito sia stato formato da un torrente, il quale dovea essere ben forte ed impetuoso per deporre un’ alluvione a ciottoli di 2, 3, 4 e più decimetri di diametro: a me pare che in un tal torrente, come del resto in un torrente qualunque, dovevano i cranii di Mar- motta esser sfracellati e fatti in mille pezzi. Seduta del 30 giugno 1878. Presidenza del Presidente Prof. Comm. E. CORNALIA. Il socio G. B. Vinca dà lettura di una Memoria intitolata: Cenni geologici sul territorio dell’ antico distretto di Oggiono, nella quale la descrizione dei terreni che si riscontrano nel di- stretto è accompagnata dall’ Elenco dei fossili sinora determinati. Alla detta Memoria va pure unito uno schizzo geologico indi- cante i terreni e le principali località citate nella Memoria. Legge quindi il socio SORDELLI: Brevi appunti alla Memoria del prof. Mercalli: sulle Marmotte fossili trovate nei dintorni di Como, coi quali dimostra che la fauna marina pliocenica del deposito di Cassina Rizzardi e la fauna glaciale a cui appar- tengono le Marmotte non sono contemporanee, e quindi verrebbe anche perciò a cadere la teoria pliocenico-glaciale. Prova inol- tre, valendosi di altri fatti presentati dalla fauna alpina, che la presenza di Marmotte in luoghi bassi, come quelli constatati nel comasco, sono valevoli indizii dell’abbassamento di temperatura avvenuto durante l’estensione dei ghiacciaj. È letto ed approvato il processo verbale della seduta prece- dente 26 maggio 1878. Il presidente comunica che a Presidente della Riunione straor-- dinaria da tenersi in Varese nel prossimo autunno, fu nominato il socio prof. LeoPoLpo Macci, il quale ha accettato. Soggiunge che la decisione della Società di riunirsi a Varese, nonchè la nomina del prof. Maggi a Presidente straordinario, furono co- municate, come di dovere, a quel Municipio, il quale gentilmente accogliendo tali notizie, promise il proprio appoggio per la mi- gliore riuscita della cosa. Il segretario Sordelli comunica, rela- tivamente a ciò, le risposte inviate dal prof. Maggi e dal Muni- cipio Varesino. Lo stesso Presidente annuncia quindi che, in base alle decisioni prese nell’ultima seduta, la Riunione avrà luogo nei TORA — - Ret dia SEDUTA DEL 30 GIUGNO 1879. PLÌ | giorni 24, 25, 26 e 27 del prossimo settembre, calcolati altri due giorni per escursioni nei dintorni, oltre quelle comprese nei giorni stessi delle adunanze. Il socio CasteLFRANCO chiede se non sarebbe il caso di far pra- tiche per ottenere la riduzione di prezzo sulle ferrovie, non tanto pel vantaggio che ne risentirebbero i socî dell'Alta Italia, quanto per favorire l’intervento dei più lontani. Alla qual richiesta il Presidente risponde col far conoscere le difficoltà altre volte incontrate in casi consimili, il nessun esito ottenuto in occasione della Riunione di Siena e quelle cui si va ora incontro sopra- tutto nello stato in cui si trova la questione ferroviaria; che tuttavia terrà calcolo della proposta fatta, per vedere se non sia possibile il soddisfare anche ad un tale desiderio. Si passa quindi alla votazione per nominare socî effettivi 1signori: DE Leone don Vincenzo, di Castiglione Messer Raimondo (Abruzzo), proposto dai socî Casella, Cornalia e Sordelli. MaereTTI PaoLOo, studente di storia naturale nella R. Univer- sità di Pavia, proposto dai socî Pavesi, Pirotta e Maggi. Grassi BartISTA, laureando in medicina presso la R. Univer- sità di Pavia, e è TenoHINI dott. LorENZO, primo settore di anatomia normale nella R. Università di Pavia. Proposti i due ultimi dai socîì Parona, Maggi e Taramelli. — I quali vengono nominati alla unanimità. Il segretario comunica la notizia della morte di J. HENRY, se- gretario e direttore della Smithsonian Institution di Washington; ‘e la nomina in sua vece del prof. SPeNnceR FULLERTON BAIRD, già segretario assistente da più anni dell’Istituzione stessa. È data parimenti notizia della Conferenza promossa dalla R. Accademia dei Georgofili di Firenze, relativa alla soppressione della tassa di macinazione dei cereali inferiori. Come pure dell’avviso di concorso emanato dalla Società dei Na- turalisti in Modena, per la migliore Memoria Sui Gallinacei e Pal- muipedi da cortile. Il premio consiste in una medaglia d’argento, e i lavori dovranno essere presentati non dopo il 5 novembre p. v. Il Segretario, F. SORDELLI, A. e G. B. VILLA. CENNI GEOLOGICI SUL TERRITORIO DELL'ANTICO DISTRETTO DI OGGIONO. (Seduta del 30 giugno 1878) Il signor ingegnere Cesare Rivafinolo di Oggiono, che sta per pubblicare dei cenni storici sull’antico distretto di Oggiono ci ha invitati a fornirgli qualche nozione geologica su questo distretto, onde noi gli abbiamo comunicato quanto segue: Esponiamo la serie dei terreni e loro fossili incominciando dai più antichi ai più moderni, riconosciuti nel distretto di Og- giono, ritenuto che per la parte geologica e geognostica sieno bastevoli i cenni da noi dati nella nostra Memoria Sulla Costi- tuzione geologica e geognostica della Brianza, 1844, e nelle Ulteriori osservazioni geognostiche della Brianza, 1857. Le ricerche e gli studî paleontologici per lo addietro tanto ne- gletti dai nostri, andarono sempre più estendendosi dopo la pubbli- cazione della nostra Memoria geologica sudd., e varj amatori vi si applicarono con fervore, principalmente il prof. D. Antonio Stop- pani, Don Giulio Curioni, prof. Balsamo Crivelli, ing. Spreafico, prof. Omboni, sacerdote Buzzoni, ing. Rivafinolo, Antonio Bertolio, ing. Tagliasacchi, ing. Pietro Negri, Nobile Pietro Clerici, Gaetano Crespi, Dott. Gaetano Negri ecc. Il presente lavoro versa specialmente sulla paleontologia; del distretto di Oggiono nella Brianza e comprende quasi tutte le formazioni della Brianza stessa, onde presenta il catalogo A. E G. B. VILLA, CENNI GEOLOGICI SULL’ANTICO DISTRETTO, ECC, 118 quasi completo della Paleontologia Briantea. A maggior illustra- zione del lavoro si aggiunge una Tavola Geologica del Distretto. I fossili poi vengono citati nei rispettivi terreni, Il Terreno del Trias nel Distretto di Oggiono è rappresentato soltanto dalla Dolomia a Megalodon (Trias superiore o Dolomia media) che altrove come ad Esino, Gorno, Dossena contiene anche altre specie di fossili, che si trovano descritti in varie Memorie del prof. Stoppani e più distesamente nella sua Paléontologie Lombarde, 1858-65. In questo Distretto la Dolomia media invece si presenta ap- pena per qualche tratto sul monte Cornicciolo sopra Carella e Pusiano; si sviluppa maggiormente in Val d’ Oro sopra Civate e sopra Valmadrera. Il professore Stoppani nella sua Rivista Geo- logica della Lombardia, 1859, dà uno spaccato del monte Baro che qui riproduciamo colla figura 2, ove vedesi figurare detta Dolomia nel nucleo del Monte stesso. In quanto a noi consta non furono trovati fossili interessanti entro il perimetro di que- sto Distretto, eccetto il Cardium triquetrum ora nominato Me- galodon Gumbelii, da noi e dal detto professore Stoppani trovato in Val Bedesco o Val di Bedero, e qualche Turritella in Val d’Oro sopra Civate. Terreno Infraliassico. — Questo si divide come segue: 1. Schisti neri un poco marnosi del Gaggio . . . . . . + .Infratias inferiore 2: LantiiHa Li pietà Ab dell’Azzarola . . ......... JInfralias medio 3. Banco Madreporico. . . È 4. Dolomia superiore a Cosihudon Infralias superiore Questo terreno si scorge in un ristrettissimo perimetro sul monte Cornicciolo sopra Pusiano estendendosi fino al Lago di Lec- co; ma dove trovasi maggiormente sviluppato è nella valle di Val- madrera tra il monte Baro e monte Ray e Corni di Canzo e precisamente nella località descritta dallo Stoppani sotto il nome di Aszarola vicino alla Santa di Civate, e sotto il monte Baro nel luogo detto il Gaggio. Dette località vennero estesamente Vol. XXI. 8 114 A. EG. B. VILLA; illustrate dallo stesso Stoppani nei seguenti suoi lavori ed in ispecial modo nella sua prima opera: Studi Geologici e Palcon- tologici sulla Lombardia, 1858; Rwista Geologica della Lombar- dia, 1859; Paléontologie Lombarde, 1860-65; Sulle condizioni degli strati ad Avicula contorta, 1861. Terreno Jurese. Dividesi, come vedesi nella fig. 3, in: 1. Calcare nero e grigio affumicato con Zoophycos, ecc. . . . . +. +. +. Lias inferiore 2. Calcare a rognoni Ai “glie 0 Saltrio 3. Calcare silicifero (Marmo rosso), con ” Ammonites, Belemnites, Encrini (Bicicola). —Lias medio 4. Calcare marnoso rosso con Ammo- mites, Belemnites, ecc... . . . + . Lias superiore 5. Calcare rosso 6a Apt DCP con ro- gnoni di silice i 6. Marmo majolica ad Aptychus e con ro- gnoni di silice Li Si estende dai monti di Chreiai e Phishinò fino a Valmadrera, dove sopra Suello presso Borima, nella località denominata £4- cicola, trovansi assai sviluppati gli strati inferiori del calcare ammonitico N. 3, nei quali noi pei primi raccogliemmo fossili magnifici, che spedimmo in gran parte al professore Meneghini a Pisa per essere studiati. Terreno Cretaceo. — Fino dal 1844 noi abbiamo pubblicata una Memoria Geologica sul Terreno Cretaceo della Brianza e nel 1857 le Ulteriori Osservazioni Geognostiche sulla. Brianza, nelle quali abbiamo diviso il detto terreno; come segue: I° GRUPPO DI ROGENO. SERIE I. — Biancone o Marmo Majolica superiore con Apty- chus Didayi. Calcare a grossi strati che si sfaldano in senso opposto, con straterelli di silice nera come li descrive il pro- fessore cav. Omboni nella sua Memoria Série des terrains sédi- mentaires de la Lombardie, Paris, 1855. CENNI GEOLOGICI SULL’ANTICO DISTRETTO DI OGGIONO. 115 SERIE I. — Calcare psammitico e strati di Calcare compatto con Reticulipore, Hyleosaurus Ville, Balsamo, e molte specie di fucoidi. II° GRUPPO DI BRENO E SIRONE. SERIE II. — Puddinghe e Milzere a Rudisti. SERIE IV. — Calcare marnoso biancastro con diversi Chondri- tes, Ammonites, Belemmnites, Catilli, Trigonie, Zoophycos, ecc. In questi ultimi tempi a Breno abbiamo trovato negli strati superiori anche dei Nummuliti frammisti ai Catilli. SERIE v. — Calcare marnoso rosso variegato intersecato con psammiti, conglomerati e calcari a nummuliti con abbondanza di Zoophycos Brianteus e Ville, Pentacrini, Belemniti, Ostree, Pettini, Cypree, Madrepore, Lime, Trochus, ecc. Si rinvennero pure diverse bivalvi che il benemerito Spreafico (troppo presto rapito ai vivi ed alla scienza) giudicò evidentemente cretacei. La sua immatura morte impedì che ne facesse un minuzioso studio, come ne aveva la ferma intenzione. SERIE VI. — Calcare marnoso grigio bianchiccio con strati psam- mitici, contenenti Zoophycos, Catilli, Belemniti, Ostree, Terebra- tule, ecc. 2 III° GRUPPO DI ROMANÒ. SERIE vii. — Calcare psammitico volgarmente Molera con strati di Puddinga, contenente Teredini, stipiti, tracce di Reticulipore, Zoophycoos, ecc.; a questi vanno aggiunti altri fossili che ulti- mamente trovammo a Capriano quali l’Endogenites erosa ed un Fusus lineolatus che trovasi figurato nella Memoria di Federico Zekeli: I Gasteropodi della formazione di Gosau nelle Alpi del nord-est. Vienna 1852. Il terreno cretaceo in questo distretto è il più esteso e la mag- gior parte di esso appartiene al I Gruppo di Rogeno, come scor- gesi dalla Carta Geologica qui unita. Si estende dal Lago di 116 A. E G. B. VILLA, Pusiano fino al monte S. Ginesio ed al Lago di Olginate. Il II° Gruppo di Sirone trovasi rappresentato per quanto a noi consta dalla sola Serie III che da Molteno passa pel monte di Sirone e va fino a Giovenzana sul monte S. Ginesio ; il IV° Gruppo noi lo abbiamo visto solo a Broncio. Puddinghe. — Vi sono delle puddinghe presso l’Adda che ci sembrano identiche a quella descritta nella nostra Memoria geo- logica della Brianza e che trovasi lungo il Lambro. Così cre- diamo che le superiori potrebbero appartenere in parte alle Alluvionali e quelle più sotto al Pliocene. Tale è appunto l’ opi- nione anche del professore Stoppani che Ie descrisse nella sua Memoria: Sui rapporti del terreno glaciale col Pliocene nei din- torni di Como. 1875. Terreno Erratico. — Con avanzi di Morene. Questo terreno all’epoca dello scioglimento dei ghiacci venne spostato e sparso in varie località dalle correnti alluvionali che sfasciarono le Morene, delle quali trovansi ancora vestigia a Gal- biate, ad Olginate e sulla strada da Oggiono a Galbiate dove l’ingegnere Rivafinolo trovò una vertebra fossile di Bos Urus. La Torba si trova per qualche piccolo tratto verso Sirone. Tempo fa era molto estesa a Bosisio, ma ora ne è quasi esau- sta la cava. Trovasi pure nella Comarcia, palude (Carecc) del Lago di Pusiano, come già indicammo nella nostra Memoria: Notizie sulle torbe della Brianza, 1864. Stazioni preistoriche se ne trovarono nella Torbiera di Bo- sisio, al Lago di Pusiano alla Comarcia ed all'Isola de’ Cipressi come fu indicato dal professore Stoppani e constatato poi dal professore Castelfranco nella sua Memoria: Stazione litica del- ? Isola dei Cipressi nel Lago di Pusiano. La stazione più antica conosciuta è quella nella Torbiera di Bosisio della quale noi parlammo pei primi, in un articolo pub- blicato nel giornale Il Fotografo il 2 agosto 1856, dando la de- scrizione e la figura di una cuspide di freccia in pietra e di un coltello-ascia in bronzo ivi trovati dal signor Landriani. . CENNI GEOLOGICI SULL’ANTICO DISTRETTO DI OGGIONO. 117 Venendo ora alla descrizione particolareggiata del Distretto di Oggiono i detti terreni ci si presentano nell’ ordine se- guente: Dolomià media a Megalodon — Trias superiore. Questo calcare magnesiaco è eccellente per costruzioni, serve anche per far calce. La Dolomia media, come si disse più sopra, altrove e massime ad Esino, ha maggior sviluppo e contiene molti fossili. In questo Distretto invece, a quanto ci consta, dette specie di fossili non . si sono trovate. Solo noi, tempo fa, rinvenimmo in Val Bedesco o Val di Bedero il vero Megalodon Gumbelti Stopp., che anche lo stesso professore Stoppani trovò presso la Chiesa di S. Mar- tino sopra Valmadrera. In fondo poi alla Val d’Oro sopra Ci- vate trovammo delle Turritelle tutt'ora indeterminate e che ci sembrano appartenere a questo strato. Questo calcare magnesiaco più o meno cinereo in questo ter- ritorio si scorge appena sul monte Cornicciolo sopra Carella e si sviluppa maggiormente al monte Ray sopra Suello e Civate, e sopra Valmadrera, come abbiamo detto più sopra (Vedi lo spac- . cato, fig. 2, dato dal prof. Stoppani che noi riproduciamo). Forma anche il nucleo del monte Baro. Dove la Dolomia a Megalodon prende maggior sviluppo è al monte Mongagli, come vedesi nella figura data dal detto professore Stoppani nella sua Paléontologie Lombarde, 3* Serie, Appendice 2°, Sur les Couches à Avicula contorta, Tav. 58, fig. 5. Ma questo monte resta per la più gran parte fuori di questo territorio. Schisti neri del Gaggio con Pinne, Terebratule, Bactryl- lium, ecc. — Infratias inferiore. Questi schisti essendo calcari sono atti a far calce. Sono vere lumachelle, contengono varii fossili, massime Pinne e secondo il professore Stoppani i principali sarebbero: 118 Pinna papyracea Stopp. » miliaria Stopp. » quadrilatera Stopp. Mytilus subdimidiatus d’Ord. n glabratus Dke. n similis d’Ord. » productus 7qm. »n Schafhàutli Stopp. »n psilonoti Quenst. Pholodomya mori Stopp. Ostrea Archiaci Stopp. Avicula arcuata d’Orb. n aviculoides Stopp. n falcata d’Ordb. » contorta Port!. » gregaria Stopp. ed altre ima lineato-punctata Stopp. Posidonomya dubia d’Orb. Pecten Zannichellii Stopp. » tubifer Munster » Breislaki 7rotti Cerithium Donatii Stopp. » Hemes d’Orb. » crassocostatum Stopp. Cardita austriaca Hauer Anatina Baldassari Stopp. » ‘pracursor Oppel n Amicii Stopp. n Passeri Stopp. n Zannonei Stopp. n arista Stopp. Chemnitzia tenuis d’ Ord. A. E G. B. VILLA, Leda elliptica d’OrD. » tenuis Stopp. n Daffneri Oppel n sublineata d’Ord. Schiavi Stopp. Turbo Picteti Stopp. Stomatia Trottii Stopp. Cyprina subrostrata d’Ord. » pure Stopp. » laticostata d’Orb. Myophoria ornata Munster n» isoscelis Stopp. © » . Rezia Stopp. » Stenonis Stopp. Lucina alpina d’Orb. » circularis Stopp. » civatensis Stopp. ed altre Cardium crenatum d’Orb. n cloacinum Quenst. » Soldanii Stopp. Isocardia rimosa Munster Nucula subobliqua d’Orb. » Bocconis Stopp. » Matani Stopp. » subcostata d’Ord. ed altre Arca impressa Munster »n Danembergi Klipst Gervillia Galeazzii Stopp. ed altre Anomia Schafhiutli Wink. » Mortilleti Stopp. ”» Talegii Stopp. n. Favrii Stopp. Plicatula Archiaci Stopp. Lingula Suessi Stopp. Bactryllium striolatum Heer » infraliassica Stopp. Leda claviformis Sow. n faba d’Orb. » Borsoni Stopp. » deplanatum Heer » undata d’Orb. »n giganteum Heer. » Zelima d’Ordb. Detti strati incominciano a mostrarsi con qualche lembo die- tro il monte Cornicciolo e si estendono nella Val d'Oro sopra Civate nella valle di Valmadrera fino verso Parè sul lago di Lecco. Al Gaggio sotto il monte Baro hanno il maggiore svi- luppo. Calcare ad Avicuia contorta con banco madreporico — Azzarola . Infralias medio Questo calcare nero e grigio fossilifero o Lumachella è eccel- lente per far calce. Pd E DL . (R [oa pr Cc a Ie rè I A pi PA CENNI GEOLOGICI SULL’ANTICO DISTRETTO DI OGGIONO. 119 Si divide in due gruppi: 1. Calcare ad Avicula contorta — Azzarola. 2. Banco madreporico. Il I° gruppo contiene varie specie di fossili descritti dal pro- fessore Stoppani. e le principali sarebbero le seguenti: Chemnitzia Quenstedti [Stopp. ed altri Natica ... Naticella tuba Grat. Neritopsis tulca Schafh. Trochus rapidus [Stopp. ed altri Solarium polygonum [d'Ard. Turbo valvata [Quenst. ed altri Dytremaria precursor [Stopp. Pleurotomaria turbo Stopp. Cerithium ... Mitra Pholadomya lagenalis [Schafh. lorica Stopp. lariana Stopp. phaseolus Stopp. margaritata Stopp. Quenstedti Stopp. rudis Stopp. munita Stopp. laticauda Stopp. tuberculosa Stopp. bacca Stopp. arca Stopp. n. navicula Stfopp. Mactra securiformis Dkr. n callosa Roem. Cyprina Lens Stopp. Corbula Azzarolae Stopp. Cardium philippianum Dkr. nuculoides Stopp. rheticum Mer. phaseolus Stopp. $ Ss $% 3% Ss % $ cucullatum Goldf. eduliforme Roem. rhynchonelloides 9 SI Sv musculosum Quenst. Cardium pentagonum Pinna Hartmanni Ziet. [.Stopp. |Mytilus subpectinatus » Regazzoni Stopp. » phaseolus [Stopp. ed altri Isocardia Azzarole Stopp. » tener Sow. » parvula Roem. Corbis depressa Roem. [d°Orb. minutissimus d’Orbd. subgibbosus d’Ord. psilonoti Quenst. arctus Stopp. rugosus Koem. n Schafhiutli Stopp. PSE: Ae e) n eequilateralis Stopp. 'Lithophagus faba Winkler Astarte striatosulcata [Stopp. Opis barnensis Stopp. n bifrons Stopp. Cardita aspera Stopp. » austriaca Hauer. munita Stopp. munita Stopp. lorica Stopp. Quenstedti Stopp. Luere Stopp. Trigonia Azzarolee Stopp. » tetragona Stopp. Myophoria inflata Émm. » liasica Stopp. Arca arcta Stopp. » pulchra Sow. cultrata Stopp. minuscula Stopp. Azzarole Stopp. imperialis Roem. i ot DE, Ni $$ $i3 %* Avicula contorta Portl. n Azzarola Stopp. » ineequiradiata Schafh. » gregaria Stopp. Avicula speciosa Mer. » Escheri Mer. n janiriformis Stopp. » pectiniformis Stopp. Lima punctata Desh. n “discus Stopp. acuta Stopp. Azzarole Stopp. subdupla Stopp. Oliva Stopp. rigida Desh. complanata Goldf. n gigantea Desh. p- sag— Dent Dei A DOSE] Gervillia inflata Schaph. » striocurva Quenst. Inoceramus acutus Stopp. » pusillus Stopp. Homomya angulata Agass.|Pecten Foipiani Stopp. Panopea margaritata [Stopp. Ceromya equilateralis [ Stopp. Leda Doris d’Orbd. Venus subinflexa KRoem. Nucula Hausmanni Roem. »n subovalis Goldf. » oppelliana Stopp. » variabilis [Sow. ed altri [Stopp. {Pinna miliaria Stopp. n falgeri Mer. » janiriformis Stopp. n avicnloides Stopp. » Massalongi Stopp. » Azzarole Stopp. n punctatus Stopp. » Winkleri Stopp. Plicatulaintusstriata Emm. n leucensis Stopp. n papyracea Stopp. » hettangiensis 7qm. Ostrea gregaria Sow. 120 A. E G. B. VILLA; Ostrea nodosa Goldf. Cidaris spinosa Agass. {Rhabdophyllia langobardi- n palmata Sow. n imperialis Stopp. [ca Stopp. n solitaria Sow. n lanceata Stopp. n Sellae Stopp. n costulata Roem. » elliptica Stopp. n Meneghini Stopp. n» ascendens Quenst. n discus Stopp. n Bartolini Stopp. » conica Stopp. n Curioni Stopp. n Defilippi Stopp. » Marshii Sow. » Cornalie Stopp. Isastroea Azzarolae Stopp. n linnites Stopp. n Omboni Stopp. n Bastiani Stopp. Spirifer Miinsteri Davids. | » Bellotti Stopp. Thamnastrea Meriani Terebratula Schafhàutli n Fumagalli Stopp. [Stopp. [Stopp. | » verticillata Stopp. » aracnides M. Edw. » gregaria Suess. n» alternata Stopp. n Escheri Stopp. n pyriformis $ss. » Azzarole Stopp. » concinna M. Edw. » grossulus,Sss.[Stopp.| » ‘caudex Stopp. n Batarree Stopp Defrancia Azzarole n spina-christi Stopp. |Pyxidophyllum Edwardsii Diastopora infraliasica —|Hypodiadema obliquo-li- [Stopp. Pentacrinus.... |[Stopp. [neata Stopp. [Endea Grandi Stopp. Diadema subangulare n gracilis Stopp. n Cupani Stopp. [Agass.| » Balsami Stopp. Cnemidium Monti Stopp. Comoseris irradians M. |Trochocyathus Cermelli n Vallisnieri Stopp. Edu. [Stopp.|Evinospongia cerea Stopp. Synastrea cristata d’Orb. Stylina Capellini Stopp. Chenendopora Marsili Actinariagranulatad’Orb.| » Savi Stopp. [Stopp. Lepiconus Bassi Stopp. » Balsami Stopp. Jerea Michieli Stopp. Cyathophyllum Cocchi |ThecosmiliaLausiniiStopp.Cupulispongia Balsami [Stopp. | » Omboni Stopp. [Stopp. Hemicidarisgracilis[.Stopp.| » Buonamici Stopp. Il II° gruppo del banco madreporico, accompagna sempre detta lumachella ed è quasi esclusivamente composto della &habdophyl- lia langobardica Stoppani con qualche altro fossile, come Terebra- tella pectunculoides d’ Orb., Gastrochena annulata d’Orb., ecc Questo strato, che trovasi, come abbiamo detto, unito a quello qui sopra descritto è sviluppato maggiormente nel luogo detto Azzarola presso la Santa di Civate, come pure in Val d'Oro e nei monti sopra Valmadrera (Luera), nonchè sui fianchi del monte Baro. Dolomia superiore a Conchodon — Infratias superiore. Calcare magnesiaco cinereo, che si adopera per costruzioni e anche per far calce. Esso accompagna lo strato a Madreporiti ed il professore Stoppani presso S. Tomaso scendendo da Val di Bedero, ne trovò uno strato magnifico ricchissimo di Conchodon. Rinviensi nei luoghi medesimi degli strati qui sopra annotati massime sul monte Baro. Calcare a rognoni di silice — Saltrio — Lias infarto Questi strati, massime gli inferiori, perchè sono privi del ro- CENNI GEOLOGICI SULL’ANTICO DISTRETTO DI OGGIONO. 121 gnoni di silice, sono eccellenti per far calce e servono benissimo per costruzioni. Alcuni strati poi prendono un'bel pulimento. L’inferiore è un calcare più o meno scuro che qualche volta si presenta anche schistoso, ed in questa condizione è atto a co- prire i tetti. Di fossili contiene Ammonites, Zoophycos, En- crini, ecc. A Saltrio, dove è sviluppatissimo, gli strati inferiori sono intersecati da strati di un calcare compatto cinerognolo, atto a ricevere un bel pulimento e contiene molti fossili. A_Mol- trasio vi si rinvengono bellissimi fossili, tra i quali possiamo ci- tare un dente di pesce fossile (Acrodus nobilis Agass.), che do- nammo al Museo Civico di Milano; questi strati contengono spe- cialmente degli Ammoniti giganteschi. In questo territorio invece non trovasi tanto sviluppato, e per quanto a noi consta non vi si trovarono fossili in abbondanza come a Saltrio ed a Moltrasio, e, per quello che rileviamo anche dalle opere dello Stoppani, furono trovati solo delle Belemmites brevirostris d’Orb., qualche Nautilo, Ammonites bisulcatus Brug., heterophylus Sow. ed altri, Lavignon rugosa d’Orb., qualche Pecten, Terebratula, Spirifer, Encrini, Pentacrini, ecc. Il superiore è un calcare cinereo grigio variato con rognoni di silice intersecato con strati fossiliferi, Anamonites, Encrini, ec., 1 quali spesse volte si rinvengono convertiti in ferro ossidato. Questo terreno si estende dai monti sopra Pusiano fino a quelli di Valmadrera e lago di Lecco, e forma la maggior parte del monte Baro. Calcare rosso ammonitico, Lias medio l’inferiore, ed il sovrapposto Léas superiore. Il Calcare rosso ammonitico è atto alle costruzioni e forse anco qualche strato per far calce. L’ inferiore più o meno silicifero, che sì trova specialmente alla Bicicola sopra Suello; riceve un bel pu- limento ed è assolutamente un bel marmo, migliore ancora di quello d’Arzo in Canton Ticino, e sarebbe buonissimo per fare ornamenti, camini, tavoli, colonne, balaustrate di chiesa, ecc. Questo calcare lo si può dividere in tre gruppi: Il I° gruppo, l’inferiore, che sarebbe il Lias medio, è un bel calcare rosso variegato ‘più o meno silicifero. Il maggior suo 122 Arxk:-Gi BoeXILLA sviluppo in questo territorio crediamo lo abbia soltanto alla Bi- cicola presso Borima sopra Suèllo, che secondo il professore Me- neghini, è una località interessantissima per la Paleontologia; questo calcare contiene denti di pesci, oltre ‘molte radici d’En- crinì e varii Ammoniti, Terebratule e Belemmiti tappezzati intere namente di cristalli di quarzo jalino. Il II° gruppo calcare argilloso rosso qualche volta variegato con molte Ammoniti, Belemniti, ecc., Zoophycos e fucoidi. Il III° gruppo quello superiore, argilloso anch’ esso, e che con- tiene arnioni di silice ed Aptychus. Questi due ultimi gruppi formerebbero colla sovrapposta Ma- Jolica il Lias superiore. 1 principali fossili di questi tre gruppi descritti dai professori Stoppani e Meneghini sarebbero i seguenti: Aptychus lamellosus Ammonites cornucopie |Ammonites Davai Sow. [Miimst. [Y. et B. | » hecticus Rein. n subleevis d’Ord. » radians Schloth. n modiolaris Lwuid. » Beaumonti Coq. n» torulosus Schloth. n Bicicolae Menegh. n depressus Voltz n Calypso d’Orb. n Ville Menegh. n undulatus Stopp. n Normanianus d’Orb.| » falciger Sow. » profundus Stopp. » Raquinianus d’Orb. | n complanatus Brug. n» latus Park. » Edoardianus d’Orb. | » discoideus Ziet. » ventilabrum Stopp. | » Jurensis Zieten n Algovianus Oppel. Belemnites elongatus » Martinsii d’Orb. » Levesquei d’Orbd. [M&GU.| » subdiscus d’Orbd. n insignis Schudl. n clavatus Blainv. n plicatilis Sow. n Beussi Hauer. n bessinus d’Orb. n serpentinus Rein. n Masseanus d’Orbd. » giganteus Schloth. » Comensis de Buch. n sternalis de Buch. hastatus Blaino. » bisulcatus Brug. n spinatus Brug. n umbilicatus n Mercati Hauer n subarmatus Young Blainv. ed altri » subradiatus Sow. » crassus Y. Bb. Nautilus inornatus d’Orb.| » Lamberti Sow. n Braunianus d’Orb. Ortoceratites indunensis » fimbriatus Sow. n striatus Rein. [Stopp.| » Erato d’Orb. » Taylori Sow. » obliquus n catenatus » eximius Hauer [Stopp. ed altri [de la Bèche | » ‘lariensis Menegh. Ammonites radians Rein.| » Tessonianus d’Orb. » Mimatensis d’Orbd. n Thouarsiensis d’Orb.| » Murchisonge Sow. » Partschi Stur. n Valdani d’Ordb. » variabilis d’Orb. » Zetes d’Orb. » bifrons Brug. n Brongniartii Sow. » Capitanei Cut. n planula Herhl. n. planula Hehl. n disputabilis Ziet. n primordialis Schloth.| » Bakerie Sow. n lineatus Schit. ‘» tatricus Pusch. n pedemontanus Mer.| » Cereris Menegh. ‘» tortuosus Sehloth. » mucronatus [d' Ord. ia n annulatus Sow. n Duncani Sow. n COzjzeki Hauer. n Desplacei d’Ord. n Humphriesianus ” heterophyllus Sow. [Sow. a Ei 4 i Pa etti SI CENNI GEOLOGICI SULL’ANTICO DISTRETTO DI OGGIONO. 123 e varie altre specie d’ Ammoniti a cui il professore Meneghini non diede ancora il nome, e che saranno descritte nella sua opera in continuazione a quella del professore Stoppani (Paléontologie Lombarde): Trochus Eupiliensis Stopp. ed altri Terebratula incisiva Stopp. Turbo hirtus Stopp. ed altri D) Ville Stfopp. Pleurotomaria Bicicola Stopp. n longicollis Stopp. Pecten solidulus Stopp. » bilabiata Ostrea costata Sow. * [Stopp. ed altri » obliquata Stopp. Terebratella . . . Rhynchonella fuscata Stopp. Aspasia Meneghini Stopp. Terebratula Bakerie Davids. Thecidea Dickensonii Moor » mutica Cat. Cidaris... » digona Sow. Apiocrinus Parkinsonii » intermedia Sow. [d°Orb. ed altri ” hemispherica Sow. Chondrites .. . Terebratula spheroidalis Sow. Zoophycos. Il calcare rosso ammonitico si estende dal monte Cornicciolo sopra Pusiano fino sopra a Suello, e ricompare sui monti di Valmadrera con qualche lembo presso Galbiate sotto il monte Baro. Ma dove è maggiormente sviluppato in tutti due i gruppi è sopra Suello. Marmo Maiolica inferiore parte del Lias superiore. Questo calcare compatto, bianco, talvolta bruniccio, attraver- sato da vene o suture, spesso dendritico, è un vero marmo, e una volta si adoperava frequentemente a far camini, lastre per mo- bili, ecc., e può servire per far calce ed anche per costruzioni. Fuori di questo Distretto in alcuni luoghi, come sul Veneto, si trovano degli strati atti a servire di pietra litografica, come aveva indicato il celebre naturalista Breislak. Contiene qualche Ammonite e qualche Belemmites bipartitus, Chondrites filiformis, Fisch.-Oost. ed altri fossili. Negli strati inferiori a rognoni di silice trovansi degli Aptychus, massime il lamellosus ed il latus. Questo strato di Majolica accompagna spesse volte quello del calcare rosso a rognoni di silice ed in alcuni luoghi passa in- sensibilmente dall’uno all’altro strato. Si trova sui monti so- pra Pusiano fino a Suello e su quelli di Valmadrera con qual- che lembo presso Galbiate. 124 A. E G. B. VILLA, Maiolica superiore, Biancone neocomiano. Con questo terreno principia la I serie cretacea del gruppo di Rogeno, come si è dimostrato qui sopra. Anche questa Maiolica serve per costruzione ed a far calce, ma come marmo è meno bella. Contiene degli Amamonites non ancora ben determinati, ed al- tri fossili come Terebratule ed Aptychus diversi da quelli che si trovano nella inferiore e tra i quali possiamo citare gli Aptychus Didayi e Saraonis, rinvenuti a Pusiano e sopra Suello. Detta Maiolica è un calcare compatto, che si trova sopra Pu- siano e continua fin e sopra Suello. Calcare marnoso neocomiano. Serie I. Questo calcare è atto a diverse costruzioni; è molto variato, più o meno marnoso e come già notammo nella nostra Memoria geologica sulla Brianza, 1844, presso Cesana e sul Monte S. Gi- nesio, nella parte settentrionale vi si trovano strati che si sfal- dano in senso inverso. È appunto sotto questi strati che si ve- dono gli stratarelli di silice nera descritti dal professore Omboni. Più sotto ancora detto calcare è meno marnoso, prende un bel sviluppo in Val Gregantino, dove è molto variato con strati co- lorati in rosso. In altri luoghi, come ad Airuno, è un vero calcare nero marnoso con strati di spato calcare. Altri strati cinerei si estendono al di là dell'Adda fino a Palazzago sul Bergamasco, dove noi abbiamo trovato l’Ammonites subfimbriatas caratteri- stico del neocomiano. In questo territorio, questo calcare scorgesi a Pusiano, Cesana, Suello, ma dove è molto sviluppato è sul monte S. Ginesio e come già dissimo in Val Gregantino e lungo l’Adda fin sotto Gal- biate. Calcare psammitico. Gruppo di Rogeno, neocomiano. Serie II°. Questo calcare psammitico fu estesamente descritto sulla più volte citata nostra Memoria Geologica, 1844, col nome di Cor- nettone e Ceppo argentino. Il Cornettone è un’ arenaria compatta, eccellente per le co- struzioni, per far spalle da camino e da finestre, gradini, ecc. i CENNI GEOLOGICI SULL’ANTICO DISTRETTO DI OGGIONO. 125 Il Ceppo argentino è una psammite un po’ friabile e può pure servire per costruzioni di muri; però, onde impedire che si sfaldi al contatto dell’aria, bisogna coprirlo con malta. In alcuni siti è molto variato, frammisto a molti strati schistosi; in certe loca- lità vi si trova anche intersecato un calcare compatto un po’ marnoso più o meno giallastro o rossastro che prende una bella pulitura, qualche volta si presenta ruiniforme e con dendriti come il calcare compatto di Toscana. Spesse volte, poi, contiene strati di spato calcare più o meno cristallizzato in grossi o pic- coli cristalli; degli strati intieri zeppi di stipiti, con qualche traccia di solfato di ferro. A_Cogoredo presso Dolzago trovansi intersecati degli strati di un calcare bianchiccio che potrebbe prendere una bella pulitura. I fossili che trovansi in questi strati sono interessantissimi e tra questi vi sono molte specie di fucoidi, cioè: Chondrites Targioni Sternb. Delesserites Escheri Fisch. Oost. ” patulus Fisch. Oost. Cylindrites arterieformis Gòpp. ” intricatus. Sternb. Sargassites Pusianensis Pomel. ” ffexilis Fisch. Oost. Zonarites alcicornis Fisch. Oost. ece n equalis Sternb. Nemertilites Menegh. » longipes Fisch. Oost. Nereiserpula Buzzoni Stopp. ” recurvus Sternb. ” quadricarinata Stfopp. ” expansus Fisch. Oost. n serpentina » difformis Sternb. [Stopp. ed altre n affinis Sternb. Reticulipora ligeriensis d’Orb. ” arbuscula Fisch. Oost. » Buzzoni Stopp. Halymenites dubius Fisck. Oost. ” Ville Stopp. Miinsteria annulata Schafh. ” quadrata Stopp. ” schneideriana Gòpp. ” Briantea Stopp. Phycosyphon incertum Fisch. Cost. Helminthoida appendiculata Heer. Delle Briozoarie, delle vestigia di Zoophycos, delie Cololites, dei corpi amorfi e 1’ Hyleosaurus Ville Balsamo. Questo gruppo è il più esteso in questo Distretto e trovasi dal lago di Pusiano ad Annone, Oggiono fin sopra Ello, e forma quasi tutto il Monte S. Ginesio a Consonno, Dozio, Val Gregan- tino, ecc. Puddinghe a Rudisti, con Mi/zere. Gruppo II° di Sirone. Se- rie III° i La conosciutissima puddinga di Sirone è ben descritta dal geo- 126 | A. E G. B. VILLA, logo Breislak nella sua Descrizione Geologica della Provincia di Milano, pagina 191; essa consta di un conglomerato di ciot- toli di roccie spettanti ad antichi sollevamenti; contiene perciò ciottoli di quarzo e di silici magnifiche, che, lavorate, possono servire per ornamento di giojelli. Esso è eccellente per far ma- cine da mulino pel grano turco. La Mizera od arenaria che vi si alterna, è atta a costruzioni e serve anche a far spalle da finestre, gradini, ecc. In essa trovansi frammisti strati di Litomarga e strati con sti- piti, come pure del vero calcare psammitico con fucoidi di diverse specie, come nel gruppo di Rogeno. In alcuni luoghi vi si rin- viene della clorite baldogea e delle piriti di ferro. Noi crediamo possedere i migliori fossili trovati in questi strati di puddinga, che, fino dal 1828, col nostro amico dottor Giu- seppe De Cristoforis abbiamo incominciato a perquisire, e tutti gli anni visitavamo, acquistando dagli scavatori e scalpellini tutto quanto avevano trovato. I principali fossili delle Puddinghe a rudisti sono alcune Chem- mitzia, delle belle Modiole, dei Trochus, delle magnifiche specie di Nerinee non ancora studiate, ed oltre queste: ” De Cristoforii Stopp. Ostrea macroptera Sow. Acteonella crassa d’Orb. Acteonella gigantea d’Orb. n leevis d’Orb. Radiolites Briantea Stopp. e quattro o cinque altre specie ancora indeterminate d° Aczeonelle. Hippurites dilatata Defr. Hippurites organisans Desm. ” canaliculata £oll. ” cornuvaccinum ” sulcata Defr. [Brown. Di quest’ultimo nella nostra raccolta avvi, crediamo, il più mostruoso esemplare che siasi trovato. Esso è di una grandezza straordinaria, e per la sua bellezza fu baciato con enfasi da De Buch di Berlino e da Lord Northampton di Londra, allor- chè visitarono le nostre collezioni. Abbiamo anche altre specie d’ Hippurites ma indeterminate, e degli esemplari col loro coper- chio ben distinto. | n atta me re i eli — da ar Ci PS ln LA Î à : CENNI GEOLOGICI SULL’ANTICO DISTRETTO DI OGGIONO. 127 Nella Milzera od Arenaria azzurognola, vennero da noi trovate dei Corbis corrugata d'Orb., Corbis Ville Stopp., Cardium Siro- nensis Stopp. Questo gruppo II° nel Distretto è OI solo dalla serie III° descritta nella nostra Memoria, Ulteriori osservazioni geognostiche sulla Brianza 1857 e si scorge da Molteno, Sirone, fino sul Monte S. Ginesio sopra Nava e Giovenzana, e mostrasi anche fino al di là dell’Adda in Bergamasca come già descrissi- mo nelle nostre Osservazioni geognostiche e geologiche, sopra al- cuni colli del Bergamasco, 1857. Dei terreni della serie IV*, ossia Calcare a Catilla e Serie V°, Calcare a Nummuliti, assai sviluppati a Breno ed a Centemero, non sappiamo se se ne siano trovate in questo territorio. Calcare psammitico. Gruppo III° di Romanò. Serie VII". È una vera Molera che serve per far spalle da finestre, gra- dini ed altro. Gli strati di puddinga volgarmente Ceppo, che vi si trovano alternati, come la Molera, servono alle costruzioni. Questo gruppo, per quanto sta a nostra cognizione, su questo territorio trovasi solo a Broncio ove esistono delle cave. A Broncio crediamo non si trovarono che degli strati a stipiti con dei Cylindrites tra cui il Cylindrites dedaleus G6pp. della creta, figurato nell’ opera I fucoidi fossili di Carl V. Fischer Ooster, Berna, 1858. A Romanò ed a Capriano, invece in questo strato medesimo si rinvengono dei pezzi di lignite con feredini oltre a delle Endogenites erosa. Vi fu trovato anche un esem- plare di Fusus lineolatus Zk. Nelle cave di questa Molera esi- stenti nella Valle di Rovagnate noi non abbiamo trovato nessun fossile. Puddinghe poligeniche terziarie ed alluvionali. Tali puddinghe che volgarmente si chiamano Ceppo passano anche allo stato di arenarie grossolane, e sono eccellenti per co- struzioni. Nella nostra già più volte citata Memoria Geologica, 1844, pag. 37, parlando di questa puddinga, che si trova abbondante ‘presso il Lambro, la descrivemmo come terziaria, coperta e con- 128 FR EB AILIR E dl tinuata talvolta dalla alluvionale, ciò. che indusse il. professore Maggi a ritenerla per alluvionale; il professore Stoppani la di- mostra pliocenica (vedi la sua Memoria, letta il 25 aprile 1875, alla Società Italiana di Scienze Naturali, sui rapporti del terreno glaciale col pliocenico nei dintorni di Como, come abbiamo detto più sopra). | Questa puddinga trovasi solo nei dintorni dell’ Adda presso il lago d’Olginate. Terreno erratico con avanzi di Morene. Questo terreno che fornisce la ghiaja ed il ciottolato, in questo territorio trovasi sparso in molti luoghi; in alcune località detti depositi, quantunque sfasciati, sono considerevoli e conservano ancora un poco la forma morenica. Si vedono, come dissimo più sopra, ad Olginate, Galbiate e sulla strada tra Oggiono e Gal- biate, dove il signor ingegn. Rivafinolo trovò una vertebra cer- vicale di Bos Urus. Le forti alluvioni prodotte dallo scioglimento dei ghiacciaj, smen- brando le morene ne sparsero il terreno erratico in più luoghi. Avvi poi a Cariolo presso Civate un deposito di tufo calcare con impronte di foglie e gusci di conchiglie di specie ancora vi- venti. Questo tufo serve per costruzioni, massime per far delle volte. Torbe. È inutile il dire qui l'utilità dei depositi di torba es- sendo notissime le sue qualità che la rendono eccellente com- bustibile. I depositi di torba principali sono quelli che tra Annone e Bo- sisio si estendono fin sotto Molteno. Ora questi strati sembrano quasi esausti. Ve ne sono dei depositi anche nelle paludi (ca- recc) del lago di Pusiano nella località detta Comarcia; presso Sirone non lungi da Raviola alcuni anni or sono si scavò qual- che poca torba, ma si desistette non trovandola conveniente (vedi la nostra Memoria citata qui sopra; Notizie sulle torbe della Brianza, 1864). Stazioni preistoriche. Le stazioni principali fin ora conosciute sono quelle delle tor» e iii CENNI GEOLOGICI SULL’ANTICO DISTRETTO DI OGGIONO. 129 biere. La stazione di Bosisio, fummo i primi a farla conoscere, fisurando sul giornale Il Fotografo 1856, una cuspide di freccia in pietra ed un coltello-ascia in bronzo trovati dal signor Lan- driani. In seguito si rinvennero molte freccie in pietra di diverse forme, coltellini ed altri oggetti, che per la massima parte an- darono dispersi. Si disse che furono trovati anche dei vasi magni- fici, ma noi non ne ebbimo nessuna traccia. Per quanto sappiamo finora non si trovò nessun nucleo, come quello che noi abbiamo avuto proveniente dal letto della Bevera al Colombaro di Breno, che abbiamo presentato in una seduta della Società Italiana di Scienze naturali 4 e nemmeno cocci, nè avanzi d’animali come nella torbiera di Rogeno che abbiamo descritti nella nostra Me- moria: Notizie sulle torbe della Brianza, 1864, e su quella: Gite Malacologiche e Geologiche nella Brianza, 1863, ove citiamo tutti i luoghi della Brianza dove furono trovati resti d’oggetti preistorici. Anche nella torba che si cava nei Careggi del lago di Pusiano, e propriamente nella località chiamata Comarcia, furono trovate varie cuspidi di freccie in pietra. Avvi anche una stazione nell’isolino del lago di Pusiano stesso, descritta prima dal professore Stoppani; poi recentemente dal professore Pompeo Castelfranco nella sua Memoria: Stazione li- tica dell'Isola dei Cipressi nel Lago di Pusiano e sepoltura di Montorfano presso Como (Lettura fatta alla Società di Scienze Naturali. Vedi in Atti, Vol. XX, fascicolo 1) nella quale dando la descrizione degli scavi da lui intrapresi in quell’isola, accenna che trovò il lato nord-est più abbondante di schegge di selci lavorate che altrove, dice “ notevolissimo il fatto che fra tante schegge e tanti pezzi lavorati, non si rinvenga nessun frammento 4 Il nueleo che noi abbiamo avuto dalla famiglia Ratti di Rogeno come rinvenuto nel letto della Bevera, è un bel ciottolo di silice piromaca, giallo all’interno e rosso cupo all’esterno, ha una forma quasi cilindrica ed è alto circa 7 centimetri. Questo ciottolo servì a fornire scheggie e coltellini ed altri strumenti, come vedesi facilmente dagli spigoli lasciati da pezzi staccati e dalle ammaccature fattevi dal percuotere con altro corpo duro, per raggiungere l’ accennato scopo del nucleo. Da questo nu- eleo vennero staccati circa otto schegge allungate e sembra fosse stato abbandonato per la non perfetta omogeneità della selce. Vol. XXI. 9 130 A.EG. B. VILLA, CENNI GEOLOGICI SULL’ANTICO DISTRETTO, ECC. nè alcun abbozzo di freccia, mentre molte freccie si sono trovate e talora si trovano ancora nelle vicine torbiere di Bosisio ,, e noi soggiungeremo, come dissimo più sopra, che nella vicinissima Comarcia sono piuttosto abbondanti. Per la mancanza delle frec- cie nell'isola dei Cipressi il professore Castelfranco argomente- rebbe (pag. 3 e 4 del suo estratto) “ che quelle popolazioni fos- sero diversissime da quelle di Varese, e da quelle delle torbiere di Bosisio e di Rogeno , ed aggiungiamo della Comarcia. In questo Distretto poi ci ricordiamo di aver visto, anni sono, confitti nel basso fondo del lago di Oggiono, vicino all’istmo di Isella, dei pali che ci sembravano di palafitte, ma che il detto professore Castelfranco, per quante ricerche fece, non potè rin- venirne le traccie. Egli però accenna in quella stessa località agli avanzi di un ponte (pag. 4). “SR ere o È See : Atti Soc.Ital: di Sc, Nat. VOLXII. Tav. 4, 00 SETA CARTA GEOLOGICA Corni 3 | Î | DELL' ANTICO DISTRETTO | 1 Ls 6 DI 5 Dolomia medina Megalodon Trias sup. AI} 4 I ò | AGE Schisti neri del Gaggio * cpr £ vi vii, | LL si Il Jr Azzarola con MUadreporito mivaliasico Do, Sh) ; 70 i dii vati Monte pg direi OZ Ari UEZS Vo tonitaSup'a lonchodon | SZ Saltrio -Ltas infertore sEEZZA e Rosso Ammonitico Jurese (== Passsssssnd Majolica inferiore === Majolica sup. neocomitano (Piancone ) ùì Zogero NN Calcare noeocomiarno Calcare psammitico ( grappoLidi fogeno) Fuddinga a rudiste \Ò ( grappo It Strone) Mi N (Cretaceo FE SIRIA o) 12 RS Ffuddinghe terziarie ed alluvionali \ Hb) NA Yd Ò (StoPPANI, Sui rapporti del terreno glaciale col pliocene nei dintorni di Como, pag. 24). E poi comesi spiega che le stesse ossa prima sfasciate e sparpagliate sì trovassero dopo riunite ancora su breve spazio? 134 APPUNTI ALLA MEM. DEL P. MERCALLI. loni che a Bulgaro le ossa di Marmotta si trovarono non solo vicine ma giacevano come entro una specie di tana. Ora è no- notorio che tali animali dimorano appunto entro tane da loro stessi scavate, a coppie durante l’estate ed in famiglie, sovente di 10 a 15 capi, durante il letargo invernale. Nulla di più natu- rale quindi che gli ossami scoperti a Bulgaro ed a Olgiate si trovassero colà giacenti nel luogo stesso dove quegli animali si rintanarono per l’ultima volta, onde passarvi l'inverno; un’ ir- ruzione di acque, una frana od altro può averveli uccisi e sepolti. Ma vi ha di più. Non devesi dimenticare che a Bulgaro Grasso gli scheletri delle Marmotte si trovarono appunto in quel de- posito che i professori Stoppani," Mercalli? e Desor® sostengono essere d’origine marina, unicamente perchè contiene conchiglie marine rotolate. Come si possa spiegare questa concomitanza colla loro teoria io non saprei davvero; perchè le Marmotte o vi giunsero morte ed allora non si capisce come potessero trovarsi così vicine le une alle altre e molto meno come potessero scavarsi delle tane; o vi si trovavano vive, e non si comprende come potessero abitare un deposito marino tuttora in formazione. ; Ma per fortuna nessuno di questi due supposti è necessario per porre in piena luce su quali basi fallaci si fondi la teoria pliocenico-glaciale. Poichè mi pare che basti per convincersene il riflettere all’età totalmente diversa delle due faune che abbiamo rappresentate a Bulgaro Grasso, a Cassina Rizzardi ed a Olgiate e che il prof. Mercalli suppone contemporanee; cioè, da una parte una fauna marina pliocenica, dall'altra la fauna glaciale cui ap- partengono le Marmotte. A Fino, a Cassina Rizzardi, a Bulgaro abbiamo una ricchissima fauna marina della quale a quest'ora; mercè gli studj di Sprea- 1 STOPPANI, Il mar glaciale ai piedi delle Alpi, ricordo del congresso geologico di Roma. Rivista Italiana, 1874. :. ® MERCALLI, Osservazioni geologiche sul terreno glaciale dei dintorni di Como. Atti della Società italiana di scienze naturali, 1876, pag. 279. * DesOR, Le paysage morainique, son origine glaciaire, ete. Neuchîtel, 1875, APPUNTI ALLA MEM. DEL P. MERCALLI. 135 fico, di D'Ancona, di K. Mayer e miei si conoscono poco meno di 200 specie, la più gran parte molluschi ed il resto vermi, po- lipaj, foraminifere, ecc. Questa fauna si compone di specie estinte e di specie viventi, nella proporzione del 56 per cento per le estinte, del 44 per cento per le viventi nel Mediterraneo od emigrate; * per cui viene a collocarsi da sè nel pliocene e più precisamente a distribuirsi in maggior copia nel piano piacentino ed in piccola parte nel piano astigiano.’ Il prof. Mayer * ha in- fatti dimostrato che la fauna di C. Rizzardi contiene specie ca- ratteristiche di entrambi questi due piani; ed appoggiato anche ad altre circostanze decisive ne dedusse che il deposito in que- stione è rimaneggiato e non primitivo. La qual conclusione col- lima coll’ osservazione fatta da me che alcune conchiglie con- tengono dell’ argilla azzurra, mentre in altre conchiglie ed in alcuni ciottoli forati da litofagi si contiene della sabbia gialla; il che accenna per lo meno a due diversi aspetti litologici del pri- mitivo deposito da cui proviene una parte del materiale. La presenza di specie viventi nella fauna marina di Cassina Rizzardi potrebbe, è vero, per avventura lasciar credere che la Marmotta, tutt'ora vivente essa pure, potesse aver esistito fra noi già durante il pliocene. Ma per premunirsi contro un simile errore basta riflettere che le faune marine e le terrestri si comportarono e si comportano ben differentemente durante le loro successive mutazioni. Gli animali marini, influenzati come 4 SORDELLI, Observations sur quelques plantes fossiles du Tessin méridional et sur les gîsements qui les renferment, à propos de la controverse glaciaire. Archi- ves des sciences physiques et naturelles. Genève, 1877. 0) 2 Non è che io sia molto tenero per codesta divisione in piani, divisione il più delle volte assai artificiale, ed artificialissima poi qualora si tratti del miocene e del pliocene. Ma siccome tale divisione è desunta da un certo numerg di località classi- che e bene studiate, mi pare possa talora tornar comodo il servirsi di tale indica- zione affatto secondaria siccome termine di confronto onde appaja a un dipresso il posto che un giacimento occupa nella durata di una fase organica. ® MayvER prof. KARL, La vérité sur la mer glaciale au pied des Alpes. Bull. de la Soc. géolog. de France, III série, tome 4, juillet 1876, pag. 199-222. Questo scritto è forse la più splendida, come la più schiacciante, confutazione dell'ipotesi dell’ esi- stenza del mare in Lombardia durante il periodo glaciale. 156 APPUNTI ALLA MEM. DEL P. MERCALLI. sono da un mezzo di molto più denso dell’aria ein cui gli estremi di temperatura sono assai poco divergenti tra loro, * passarono sempre in gran numero dall’ una all’ altra delle fasi organiche del nostro globo. Mentre gli animali e le piante terrestri, furono sempre e sono tutt'ora sensibilissimi per loro natura, a tale che ogni più leggera modificazione di clima, sia nel tempo, sia nello spazio, viene accusata nettamente da radicali cambiamenti nella composizione della fauna e della flora terrestri. Un esempio gioverà a chiarire meglio questo concetto. In Lombardia il più conosciuto deposito pliocenico è quello della Folla d’Induno che ha dato fossili animali e filliti; loca- lità che ha la sua esatta corrispondenza nelle altre di Pontegana, del Tornago,; di Nese e di Castenedolo. La fauna e la flora di tali località collocano il nostro pliocene nel piano piacentino (o astiano inferiore di Mayer). Poichè degli animali circa il 58 per cento si compone di specie estinte, men- tre il 42 per cento soltanto è formato di specie viventi tutt'ora nel nostro mare od emigrate verso le regioni torride. — Or bene, la flora terrestre di questi stessi stessissimi depositi ha, sotto tale rapporto, un ben diverso aspetto. È un argomento que- sto che mi propongo di trattare più estesamente in altra occa- sione, ma intanto posso garantire che sopra una quarantina circa di specie a me note delle nostre argille plioceniche, nemmeno una è vivente; ° bensì un certo numero è rappresentato nel mondo attuale da specie affini viventi nelle regioni tropicali. , 1 Si aggiunga che il mare essendo composto di parti tra loro comunicanti, le sin- gole specie hanno sempre la massima facilità di spostarsi per scegliere quelle che loro meglio convengono. — Il mare, i deserti, le alte catene di monti invece incep- pano il libero diffondersi delle specie terrestri. — ‘Perciò le specie marine possono sparire da un luogo, e ricomparirvi una volta cessate le cause ‘che ne le avevano distolte. î Nella mia Memoria: Descrizione di alcuni ‘avanzi vegetali delle argille plioceni- che lombarde, coll’aggiunta di un Elenco delle piante fossili sinora conosciute in Lombardia (1873), ho citate come plioceniche due specie viventi Pinus silvestris e Larix europaea, fondandomi su due esemplari malconci esistenti da molti anni, senza nome, nella collezione Stoppani ed in quella del Civico Museo, portanti su cartellini volanti la sola indicazione di località. Le mie ricerche posteriori per rinvenire il La- APPUNTI ALLA MEM. DEL P. MERCALLI. — 137 È un fatto osservato da Heer nella Svizzera e confermato dalle mie osservazioni sulle piante fossili di Lombardia, che la flora terziaria, caratterizzata nei due paesi da numerose specie a fa- cies tropicale, cessa ad un tratto come per incanto, per lasciar luogo ad un’altra flora composta di elementi diversi, la flora qua- ternaria, recante l'impronta d’un clima temperato. Heer osserva anzi che tra le due flore havvi una lacuna, un Wiatus, com’ egli lo chiama. * Lacuna che in altri paesi più lontani dalle Alpi, per esempio nella Francia e nell’Italia centrale, viene colmata da una serie di interessantissimi depositi in cui si possono osservare a bell’agio tutti i passaggi tra la flora terziaria e la quaternaria; la graduale scomparsa di tipi attualmente fatti esotici e la suc- cessiva introduzione (dal nord a quanto pare) di altri tipi pro- pri dei climi temperati, una parte dei quali ha persistito e forma tuttodì il fondo della nostra vegetazione indigena. Dietro questi riflessi, e coll’appoggio anche di osservazioni stra- tisrafiche, Heer non esita ad ammettere? tra la fine dell’ èra rice alla Folla d’ Induno od in altri giacimenti della stessa età furono vani, benchè avessi la fortuna di verificare di nuovo l’esistenza della più parte delle specie da me già deseritte. L’ esemplare che io ho creduto dover attribuire al Larice è così mal conservato (loc. cit. fig. 12) che un muovo studio fatto col sussidio di migliori saggi è assai desiderabile. Inoltre importa constatare, mediante esemplari di certa prove- venienza, che non sia avvenuto uno scambio di cartellini, tanto più che l’ argilla in cui è sepolto il fossile, non differisce all’aspetto da quella contenente pure filliti e frutti di conifere che trovasi a Leffe, e di cui ebbi alcuni saggi in comunicazione dal prof. G. Balsamo-Crivelli. Nella mia Memoria parlando del Larice, soggiungevo : « È specie propria dei de- positi recenti e secondo me caratteristica dei terreni quaternar) » (pag. 28). Infatti la constatai nella lignite di Leffe, sebbene ignoro a qual preciso livello. Relativamente al Pino silvestre, l’ esemplare da me citato proviene da S. Colom- bano, e, come il precedente, senza precisa indicazione di sua giacitura. Ora gli studj del prof. Taramelli hanno dimostrato che a S. Colombano oltre il pliocene abbiamo anche il quaternario, in istratificazione discordante fra loro. Si deduce da ciò la ne- cessità di munire sempre gli oggetti di Storia naturale, i fossili specialmente, di pre- cise nozioni sulla loro giacitura, onde non perdano ogni valore e divengano causa di errori, difficilissimi poi a sradicare. Intanto un dubbio sull’ età di quelle due conifere mi sembra giustificato e non esito a manifestarlo, ora che le mie ricerche sulla Flora fossile di Lombardia sono assai più inoltrate di quel che fossero quando pubblicai quel primo saggio, or son quasi cinque anni. 4 HrER, Le monde primitif de la Suisse, 1872, pag. 616. " ? Id., Op. cit. pag. 689. 138 APPUNTI ALLA MEM. DEL P. MERCALLI. terziaria e il principio dell’èra quaternaria una prima epoca gla- ciale, un periodo cioè di raffreddamento considerevole del clima, che fu una vera sentenza di morte per la flora terziaria, ridotta di necessità a perire od a emigrare. | Da noi le prove, dedotte dalla stratigrafia, di quest'epoca pri- mo-glaciale non furono per vero dire finora trovate, ma bisogna pur dire altresì che nessuno le ha mai seriamente cercate.!. Forse anche fin d’ allora si ebbero sui nostri versanti delle Alpi veri ghiacciaj e questi seguendo la china delle valli seminarono, già fin da quell’epoca, di morene la loro via. Ma come si potrebbero oggidi distinguere quelle morene, da quelle che i ghiacciaj stessi, scesi una seconda volta, alla fine dell’èra quaternaria, costruirono in tempi a noi più vicini e di cui ci rimangono i più considere- voli avanzi? Ma in ricambio di cotali prove ci restano le eloquenti testi- monianze offerteci dalla flora quaternaria i cui resti (associati a quelli della fauna terrestre e d’acqua dolce) sono seppelliti nei terreni lacustri di Pianico, di Leffe, della Morla e di Lugano. Un paragone fra questa flora e quella del pliocene lombardo ci fa conoscere la assoluta disparità di forme che havvi fra le piante terziarie e le quaternarie. E non si può in alcun modo concepire altrimenti la possibilità di un così profondo, radicale mutamento se non accogliendo come fatto dimostrato che un’epoca di freddo abbia chiusa l’èra terziaria e sgombrato il terreno alle nuove generazioni coll’estinzione fra noi delle antiche. Il sollevagento delle Alpi e i diversi cambiamenti avvenuti nella configurazione dei continenti, sono del resto sufficienti a spiegare un così pro- fondo cambiamento di clima. A me sembra che si possa facilmente spiegare come la prima epoca glaciale ci abbia lasciate le più considerevoli prove di sua esistenza nel totale o quasi totale cambiamento avvenuto nella 4 Le prove di una prima epoca glaciale in Lombardia saranno forse da ricercarsi neì fatti che diedero luogo alla teorica dello sbarramento, immaginata dal prof. Stop- pani, per ispiegare la formazione dei laghetti per lui glaciali (interglaciali secondo me) di Leffe, di Pianico, ecc. IT E O ‘ APPUNTI ALLA MEM. DEL P. MERCALLI. 139 fauna e nella flora terrestri, mentre la seconda epoca che chiuse l’èéra quaternaria e precedette di poco lo stato attuale di cose, non abbia se non in parte soltanto alterato il carattere della flora e della fauna, ma ci abbia poi lasciato quali documenti le poderose masse delle sue morene, precedute e seguite da impo- nenti alluvioni. Infatti si comprende come un abbassamento, sup- poniamo di 6, od 8 gradi nella temperatura media annuale, a partire da quella piuttosto elevata che si aveva durante l’ èra terziaria, ‘ possa essere stata più che sufficiente per rendere im- possibile l’esistenza di tutta quella flora tropicale che in gran parte aveva persistito fin verso la fine del periodo pliocenico; senza per questo essere atta ad accumulare sulle Alpi tanta neve quanta bastasse a condurre i ghiacciaj sin presso i limiti meri- dionali della nostra Brianza. Mentre un abbassamento anche di soli 5 o 6 gradi” effettuato a partire dalla temperatura meno elevata che dominava durante l’èra quaternaria ? doveva neces- sariamente produrre un freddo assai intenso e tale da dare, senza più, luogo agli ammirati fenomeni glaciali. Comunque siasi, noi dobbiamo ricercare qual’ era la fauna ter- restre contemporanea: 1° della fauna marina e della flora ter- 1 Heer (Le monde primitif de la Suisse pag. 591 e precedenti), calcola a 21° C la temperatura media annuale corrispondente alla Flora fossile di Sinigaglia; a 20° quella dell’alta Italia; ed a 18° quella della Svizzera (Flora di Oeningen). ? Ch. Martins ha calcolato che un abbassamento di soli 4 gradi dall’ attuale tem- peratura basterebbe per far giungere fino a Ginevra i ghiacciaj di Chamounix. Ignoro se abbia fatto conoscere anche quali siano le basi del suo calcolo, perciò non posso verificarne l’ esattezza; ma si desume dall’ enunciato che egli non intende mu- tate le attuali proporzioni dell'umidità atmosferica. ® Se per éra quaternaria sì intende tutto quello spazio di tempo trascorso tra la fine dell’ èra terziaria (e per conseguenza del pliocene superiore, livello delle sabbie gialle marine dell’Astigiano) e la fine del secondo e grande periodo glaciale, s'intende che la temperatura debba avere variato più di una volta e non di poco; ma fuvvi di certo nel mezzo della stessa era quaternaria un intervallo lunghissimo di tempo segnato da una relativa stabilità e mitezza della temperatura, favorevolissima allo sviluppo della flora e della fauna terrestre e d’acqua dolce. Da noi i giacimenti fossiliferi di Pianico e di Leffe son lì a provarlo. — La media temperatura annuale dedotta dalla pre- senza delle testuggini nella lignite di Leffe fu già calcolata da me mon inferiore ai 10° C. (SoRDELLI, Sulle tartarughe fossili di Leffe. 1872.) 140 APPUNTI ALLA MEM. DEL P. MERCALLI. restre, pliocenica, della Folla d’ Induno e di Cassina Rizzardi, ecc. 2° della seconda epoca glaciale, la più grandiosa, quella infine meno discussa e meno discutibile, e della quale tutti sono d’ac- cordo nel ritenere contemporanee le Marmotte fossili di Olgiate, di Bulgaro e d’altri siti. Ed anzitutto si vede che è impossibile il rinvenire una fauna comune a quelle due distinte età, così lontane tra loro. Infatti, la fauna terrestre, caratteristica del pliocene medio, o piano pia- centino (cui appartengono la flora e fauna della Folla, e notevol parte della fauna marina rimestata di C. Rizzardi) è quella con- traddistinta da Semmnopithecus monspessulanus, Felis Christoli, Machaerodus maritimus, Mastodon brevirostris, Rhinoceros mega- rkinus, Tapirus minor, ecc., alla quale facevano riscontro nei nostri mari Halitherium Serresi, Delphinus Cortesti, Cetotherium Cortesi, Cuvieri, ecc. La fauna terrestre del pliocene superiore, o piano Astigiano (Astien II Mayer, cui appartiene la parte meno antica della fauna marina rimaneggiata di C. Rizzardi) era ca- ratterizzata invece da Hyaena Perrieri, Rhinoceros leptorhinus, Mastodon arvernensis, Tapirus arvernensis ed altri pachider- mi.‘ Tutto sommato noi avemmo durante il periodo pliocenico, quant’ è lungo, una fauna terrestre esclusivamente formata tutta di specie estinte, con qualche genere pure estinto. — Di Mar- motte neppur l'ombra la più lontana. La fauna glaciale, invece, cui appartengono le Marmotte è for- mata tutta (salvo pochissime eccezioni) di Specie viventi ancora oggidì, ma aventi ora una distribuzione geografica diversa da quella che ebbero allora. Infatti alcune che nell’ epoca glaciale vivevano nell'Europa centrale, nelle pianure intorno alle Alpi, od appiè dei Pirenei, si ritirarono dappoi nelle regioni circum- polari; tali sono: il Ghiottone (Gulo borealis), la Volpe polare (Ca- nis lagopus), il Lemming dal collare (Myodes torquatus), il Renne 1 Vedansi le non poche opere di geologia e di {paleontologia che trattano della ‘ fauna pliocenica. Il prof. Stoppani opina che il più caratterisco animale del pliocene sia il Dinotherium giganteum Kaup. Corso di Geologia, II, pag. 559. — Ebbene, an- che i Dinoterii non hanno mai convissuto colle Marmotte. APPUNTI ALLA MEM. DEL P. MERCALLI. 141 (Cervus tarandus), VAlce (Cervus alces), il Bue muschiato (Ovibos moschatus), l'Harfang (Nyctea nivea). Altre si rifugiarono nelle alte regioni delle Alpi, come la Marmotta (Arctomys marmotta), la Lepre bianca (Lepus variabilis), lo Stambecco (Capra ibex),* il Tetraone delle nevi (Tetrao lagopus). Poche rimasero ad abi- tare le basse regioni, come l’Orso comune (Ursus arctos), il Lupo (Canis lupus) il Cervo comune ed il Capriolo (Cervus elaphus, capreolus), limitate più tardi nella loro estensione dalla guerra mossa loro dall'uomo. Fra le specie estinte si noverano princi- palissime l’ Elephas primigenius ed il Rhinoceros tichorhinus e si potrebbero annoverare anche il Bos primigenius ? ed il Bison pri- scus,® se non vivessero ancora pochi individui superstiti di que- “ ste specie glaciali. Ed alla stessa epoca glaciale è parimenti da attribuire il cavallo, # oggidì esistente nei nostri paesi solo nelle varietà domestiche. ' Comune una volta a tutta la catena alpina, lo Stambecco sarebbe a quest'ora scomparso del tutto, senza le misure proibitive prese nei tempi addietro dai varj Stati interessati alla conservazione della nobile selvaggina. Malgrado ciò esso non esiste più oggidì se non tra gli alti gioghi dipendenti dal gruppo del M. Rosa. Anche qui però esso avrebbe cessato di esistere senza la efficace protezione di cui godette sotto il regno di Vittorio Emanuele II. Le mie private informazioni farebbero ascendere a circa 3000 il numero degli Stambecchi viventi nelle reali bandite delle Valli d’ Aosta. Il prof. Riitimeyer cita lo Stambecco siccome rinvenuto fossile nella morena di Pontegana nel Canton Ticino meridionale. Ueber Pliocen und Eisperiode auf beiden Seiten der Alpen, pag. 20. 2 Bos primigenius Bojanus. È Vl Urus di G. Cesare, l’Awuerochs dei Tedeschi; Bos scoticus Fitzinger. — Viveva ancora nel medio evo nelle foreste fredde ed umide dei Vogesi, della Germania e dell'Inghilterra. Oggidì non esistono discendenti diretti di codesta specie, fuorchè in Inghilterra e nella Scozia, sotto la protezione di grandi si- gnori inglesi. Le due più importanti greggie si trovano una presso Lord Tankerville, a Chillingham-Castle, presso Berwick, sulla Tweed, contea di Northumberland; l’altra nella foresta di Cadzow, presso Hamilton, contea di Lanark, in Iscozia. 3 Bos (Bison) priscus Bojanus; Wysent dei Tedeschi, Subr o Suber dei polacchi (= Bos bison= Bison europaeus). Codesta specie, differentissima dal bue primigenio, ed affine invece al bisonte americano, non trovasi più se non nel Caucaso e nella fore- sta di Bialowicza in Lituania, ed è caccia esclusivamente riservata al sovrano. Mal- grado la protezione delle leggi, il loro numero va però sempre più diminuendo. Ka- wall dice che nel 1853, a Bialowieza, non se ne contavano se non poco più di 1500 capi. — È a torto che alcuni serittori applicano al Bisonte europeo i nomi di Urus, Auer, Auerochs, che spettano al Bue primigenio. 4 Sembra certo che il Cavallo vivesse allo stato selvaggio nell’ Europa centrale durante l’epoca glaciale e non fosse addomesticato se non più tardi dall’ uomo. Esso 142 APPUNTI ALLA MEM. DEL P. MERCALLI. Nell'intervallo fra le due faune, la pliocenica e la glaciale, si spiega in tutta la sua magnificenza la grande fauna quaternaria, o preglaciale (Renevier), o interglaciale (Heer) che dir si voglia. È quella fauna che viveva anche fra noi, a Pianico ed a Leffe all'ombra dei noci a tipo americano, degli ippocastani, dei rodo- dendri, degli aceri a tipo asiatico, frammisti cogli odierni tipi europei. Fauna e flora che poterono a lungo persistere, favorite dal raddolcimento di clima verificatosi nel frattempo, prima che una nuova recrudescenza del freddo producesse i giganteschi ef- fetti della seconda e principale invasione dei ghiacci. È certo che ulteriori studj permetteranno di farci un’ idea più precisa delle diverse fasi geologiche ed organiche attraversate dal nostro paese a partire dal pliocene medio, o piacentino, per ve- nire man mano all’astigiano, al quaternario, al glaciale, al post- glaciale, infine all’epoca attuale. I confini ed i caratteri delle diverse età, i loro passaggi, si potranno col tempo definire assai meglio di quello che non si possa fare oggidì; ma intanto non sarà lecito, mi pare, il cancellare con un tratto di penna le di- stanze di tempo, come fa il prof. Mercalli, e confondere in una, due epoche disparatissime quali sono il pliocene ed il glaciale, sopprimendo del tutto la lunga ed importante èra quaternaria o per lo meno la più notevole parte di essa, cioè l’interglaciale. Lunga se si tien calcolo dei 6000 anni che Heer' ritiene essere stati necessari soltanto per la formazione del deposito lignitico di Utznach e di Diirnten, sincrono (in gran parte almeno) col nostro di Leffe. Lunga ed importante se si tien calcolo dello svi- luppo veramente grandioso che vi ebbe una fauna tutt’ affatto speciale, oggidì scomparsa dal nostro suolo, caratterizzata da era più piccolo dei Cavalli domestici e viveva come i Tarpar o Cavalli selvaggi che abitano oggidì i freddi altipiani dell'Asia centrale. Non è dunque vero che il Cavallo sia originario di paesi caldi. I Cavalli liberi che si hanno in molti paesi dell’ antico e del nuovo Mondo sono piuttosto razze domestiche inselvatichite, anzichè razze pri- mitive selvatiche. (DUcROST e LortET, Etudes sur la station prehistorique de Solutré. — LORTET © CHANTRE, Études paléontologiques dans le bassin du Rhòne ; période qua- ternaire). 4 HEER, Les charbons feuilletés de Diirnten et d’ Utenach. Traduz. di Ch. Th. Gau- pin, negli: Archives des sciences, ete., de Genève; aoît, 1858. O APPUNTI ALLA MEM. DEL P. MERCALLI. 143 grandi carnivori, Ursus spelaeus,! Hyaena spelaca,® Felis an- tiqua,® spelaca, * ecc., e dallo sviluppo dei pachidermi, Élephas meridionalis, antiquus, Rhinoceros Merchii, Hippopotamus ma- for; ai quali si accompagnavano altre speciej alcune estinte, altre ancora viventi, come il Castoro (Castor fiber) e la Testug- gine di padule (Emys lutaria = Cistudo europaea). SII. Una volta provato che il nostro paese ebbe ad attraversare al- meno una fase contraddistinta da un abbassamento di tempe- ratura tale da permettere l'enorme sviluppo che ebbero i ghiac- ciaj alpini, è naturale il supporre che l’esistenza di Marmotte in località piuttosto basse, abbia dovuta coincidere con quella. A proposito di che conviene osservare come la connessione fra la presenza di Marmotte fossili ed i fenomeni glaciali sia ammessa anche da chi, come il prof. Mercalli, sostiene che durante l’in- vasione dei ghiacciaj alpini la temperatura non era inferiore al- l’attuale, ma fors’ anche un poco più elevata. Non è dunque una tale connessione, da tutti ammessa, che noi dobbiamo discutere; piuttosto è da vedere se le Marmotte ci possano esse stesse servire quale indizio del clima glaciale. Io credo che sì, e credo non debbano occorrere molte parole per dimostrarlo. Ma per quanto mi rifaccia a considerare le cose, non giungo se non a risultamenti opposti a quelli ottenuti dal prof. Mercalli. Per credere che durante l’epoca glaciale il clima fos- se temperato almeno quanto l’attuale, bisognerebbe supporre che le Marmotte d’allora avessero costumi ed attitudini diverse di quelle d’adesso, le quali (checchè ne dica il nostro collega) abitano le alte 4 L’Orso delle caverne sembra abbia vissuto anche durante la grande epoca gla- ciale. Però nella grotta di Laglio gli ossami di Orso si trovano sotto il detrito glaciale, 2 Jena delle caverne, affine alla vivente Hyaena striata. ® Una specie di Pantera. $ Leo spelaeus, Leone delle caverne, affine al Leone d’Africa. 144 APPUNTI ALLA MEM. DEL P. MERCALLI. regioni alpine non già per cercarvi il caldo,! ma per evitarlo. Per provare che la Marmotta predilige il clima alpino unica- mente per godere del calore, bisognerebbe prima provare che sulle Alpi la temperatura non è inferiore a quella del piano. Il dire che esse sanno approfittare del calore che trovano anche nelle elevate loro dimore non basta, anzi prova tutto il contrario, giac- chè per l’appunto non si economizza una cosa qualsiasi se non quando scarseggia. Se la Marmotta fosse la sola che avesse per costume di dimo- rare a grandi altezze, si potrebbe forse credere che si trovasse ridotta colà dall’incessante persecuzione dell’uomo, senza la quale essa abiterebbe anche in località più basse, dove non fanno di- fetto le buone esposizioni. Ma ognuno sa, che lungi dall’ essere isolata, la Marmotta non è che uno degli elementi della fauna speciale che anima le regioni elevate della massima nostra ca- tena di monti. Fauna assai limitata in confronto a quella assai più ricca vigente fra i monti e le colline minori ed alla pianu- ra, ma non meno di questa interessante a studiare. Così se può avere un’apparenza di realtà il supposto che le Marmotte, lo Stam- becco, il Camoscio debbano la loro attuale distribuzione geogra- fica soltanto all’opera dell’uomo, come si potrebbe dire lo stesso dell’Arvicola nivalis, della Fringilla nivalis, del Pyrrhocorax-al- pinus, della Lacerta vivipara, della Salamandra atra, del Triton alpinus e di altrettali vertebrati esclusivi delle alte regioni? E taccio per brevità degli insetti in gran numero, dei molluschi e di tutta quella flora specialissima e speciosissima che orna per due o tre mesi i prati alpini e se ne sta tutto il resto dell’anno sepolta e come morta sotto un’immensa coltrice di neve e di ghiaccio. Io domando, se è lecito, al prof. Mercalli, se anche tutte queste piante, tutti questi animali alpini stanno rifugiati colassù perchè perseguitati dall'uomo, 0, come egli vuole, per godere meglio del calore. — Se dunque le Marmotte discesero un dì alla pianura insieme ai ghiacciaj è certo segno che la tem- 1 « Essa non si espone alclimain cui vive se non per godere del calore che il sole largamente piove anche sulle più elevate regioni delle Alpi», MERCALLI, Sulle Mar- motte fossili, ecc. pag. 107. APPUNTI ALLA MEM. DEL P. MERCALLI. 145 peratura fu allora assai più rigida d’adesso e non soltanto eguale od appena un po’ più umida. È segno che il limite superiore della vegetazione arborea dovette scendere ben basso, se poterono vi- vere a Bulgaro e ad Olgiate animali, come le Marmotte, che hanno per costume di tenersi sempre al disopra di un cotal limite. Nello stesso genere, persino nella stessa sezione di un mede- simo genere, abbiamo specie alpine e specie di pianura; basti citare, a cagion d’esempio, la lepre bianca (Lepus variabilis) e la lepre comune (Lepus timidus) caratteristiche ciascuna di al- titudini diverse e la cui dispersione attuale non può certo sup- porsi opera dell’ uomo, benchè entrambi siano tra le specie meno risparmiate dai cacciatori. Il qual fatto potrà, per avventura, dar luogo a riflettere per qual causa esseri in apparenza d’eguale struttura siano fatti in realtà per dimorare in condizioni così di- sparate di temperatura, di pressione, di nutrimento. Per conto mio, confessando la mia ignoranza in proposito, mi limito a pren- derne atto, e mi contento di studiare le forme ammirabili, la di- mora, le abitudini ed i reciproci rapporti delle piante e degli animali abitatori delle Alpi; di ricercare altresì mediante quali meravigliosi adattamenti è reso loro possibile il vivere in condi- zioni così diverse da quelle in cui vivono tanti altri esseri in ap- parenza simili a loro e che pure non vi potrebbero assolutamente resistere. Ma qui m’arresto, e per non venir meno al proposito mio scri- vendo il titolo di queste note e per non parere ch’io voglia sfondare una porta già aperta. Giacchè se le idee qui espresse si fondano in parte sopra osservazioni mie personali, non è men vero però che tali idee, nei loro tratti generali, sono le stesse che si acquistano leggendo le opere dei migliori naturalisti, di quelli che amano più presto cercare e servire la verità, anzi che difendere delle teorie, ingegnose se vuolsi, ma a mio giudizio, troppo paradossali. Vol. XXI. 10 Seduta del 28 luglio 1878. & . Presidenza del Vice-Presidente cav. ANTONIO VILLA. Il socio VERRI espone verbalmente il sunto della Memoria da lui presentata alla Società, dal titolo: Avvenimenti nell'interno del bacino del Tevere antico, durante e dopo il periodo plio- cenico. A schiarimento del suo dire presenta inoltre uno schizzo idrografico del territorio tiberino, fra l’ Arno e l’Aniene, quale all'incirca doveva presentarsi durante il pliocene antico. Questa Memoria viene ammessa alla stampa negli Atti. Viene quindi ammesso il dott. G. MALFATTI a leggere le sue Osservazioni sopra alcuni insetti fossili dell'ambra e del copale. Il Segretario Sordelli fa quindi, a nome del socio CASTEL- FRANCO, la seguente communicazione: « Secondo la promessa fattane al compianto amico mio, Antonio Borghi, sto diligentemente esplorando i due laghi di Monate e di Varano, in cerca di abitazioni lacustri; l’egregio signor Napoleone Borghi, desideroso di ajutarmi in questi studj, che sono una con- tinuazione di quelli intrapresi, per queste regioni, dal defunto fra- tello, mi diede non solo la più generosa ospitalità nella splendida sua villa, ma volle somministrarmi ogni più utile schiarimento ed accompagnarmi persino in parecchie escursioni. Con tali mezzi e con questo stimolo non si poteva a meno di essere fortunatissimi; in- fatti mi nacque il dubbio che le tre stazioni del lago di Monate appartenessero alla più pura età del bronzo: e raccolsi in tutte e tre, parecchi importanti cimelii tanto da appoggiare în parte tali asserzioni. n E questo sembrami già un bel risultato; ma havvi di più. Il lago di Varano si era, finora, mostrato deserto di palafitte; i dili- genti paletnologi, Desor, Stoppani, Mortillet, Ranchet ed altri ne avevano invano esplorate le amene rive. Per me, il lago fu più ge- neroso e quest'oggi stesso (sabato 27) ho potuto scoprirvi una sta- zione lacustre, alquanto estesa, situata sulla sponda. orientale tra Varano e Corgeno. Da questa stazione, in poche ore, ho raccolto alcuni rozzi cocci di stoviglie, parecchi denti di animali domestici, numerose ghiande di quercia carbonizzate, varie scheggie di selce ed un coltellino, cinque 0 sei monconi di pali, ecc. ecc. Circa altri sei cumuli consimili e qualcuno con pali, non ancora ben noti, nò ss sè + o » ss. ss _S $*.. $. è$ $$ * $%° $$ è $$ IS ® SEDUTA DEL 28 LUGLIO 1878. 147 » esplorati, si offrirono alle mie indagini, a brevi distanze gli uni dagli altri, lungo la stessa sponda, e saranno oggetto di studii accurati. La palafitta accertata trovasi in un luogo denominato le Pioppette. » Con l’ajuto dell’egregio signor Napoleone Borghi, spero di poter presentare al Congresso di Varese non solo una completa relazione intorno a tali ed altre scoperte, ma ben anche pubblicare i più importanti pezzi della privata collezione lasciata dal signor Antonio, e la pianta di una delle palafitte di Monate da lui rilevata. » Ai Naturalisti riuniti al Congresso di Varese sarà forse gradita questa nuova illustrazione del ricco territorio. » * + dd è s * È letto ed approvato il processo verbale della seduta prece- dente 30 giugno 1878. Il segretario Sordelli, a nome della Presidenza, comunica il programma delle sedute e delle escursioni che si faranno in oc- casione della riunione in Varese; programma stato formulato dal Presidente straordinario prof. Maggi d’accordo colla Rappresen- tanza Municipale di quella città. Aggiunse che la Presidenza ha creduto bene di invitare a tale riunione anco le seguenti Società, che hanno eguali colla nostra lo scopo e i mezzi per raggiungerlo: La Società Veneto-Trentina di sc. nat., residente in Padova. Quella dei Naturalisti, in Modena. La Società toscana di scienze naturali, in Pisa. Quella Entomologica, sedente in Firenze. La Società antropologica, in Firenze. e che le prime due hanno risposto accettando con riconoscenza.' Dice che verranno altresì invitati gli egregi redattori del B0l- lettino di Paletnologia italiana che si pubblica a Reggio d’ Emilia. Il Vice-Presidente cav. Villa annuncia infine con parole di compianto la morte del Senatore conte FAUSTINO SANSEVERINO, che fu uno dei socj fondatori della nostra Società; nonchè la perdita del distinto entomologo, cav. VITTORE GHILIANI. Dopo di che scioglie la seduta, augurando di ritrovarci tutti al convegno di Varese. ' Dopo la seduta pervenne alla Presidenza l'adesione anche della Società Toscana di Scienze naturali. Il Segretario F. SORDELLI, PROGRAMMA DELLA VII RIUNIONE STRAORDINARIA DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI CHE SI TERRÀ NEL PROSSIMO SETTEMBRE A VARESE 24 Martedì ore 11 ant. Apertura del Congresso. Pa È »s 1 pom. Visita all'Esposizione di fiori e di frutta. spira n 2 » Visita al Museo Patrio. gie ha » 83» Costituzione delle Sezioni. 25 Mercoledì , 7 ant. Gita alla Madonna del Monte. È A; » 10 , Colazione alla Madonna del Monte. 5 5 » 12 » Ritorno a Varese. ” s 8 pom. Seduta delle Sezioni. NB. Chi volesse ascendere al Campo de’ Fiori, potrebbe partire alle 4 ant. con una guida e dare convegno alle 10 ant. alla Madonna del Monte, colla compagnia che partirà alle 7° ant. | 26 Giovedì ore 7 ant. Gita sul Lago di Varese. Partenza per Gavirate ed Oltrona (in carrozza). da si » 2 » Imbarco per l’Isolino (stazione preistorica). d È n 11,» Colazione all’Isolino. 3 3 » 12 » Imbarco per Cazzago, Bodio (stazione preistorica) e Schirana. 2 pom. Partenza dalla Schirana per Varese (in carrozza). do 5 s 8, Seduta delle Sezioni. 6 2 » Pranzo sociale all’ Albergo Europa. 27 Venerdì ,, » Chiusura del Congresso. Dalle 7 ant. alle 2 pom. visita alle Ville. 28 Sabbato , 6 ant. Partenza per la gita a Saltrio ed Arzo, visitando le cave d’arenaria di Brenno e Viggiù, e nel ritorno Besano. Colazione a Viggiù e, se sarà possibile, a S. Elia di Viggiù. 29 Domenica .,, 7 , Partenza per la gita in Valgana, parte della Val Marchirolo, della Val Travaglia e ritorno a Va- rese dalla Valcuvia. (Visita alla miniera della Vassera in Valgana (galena argentifera). — Lago di Ghirla. — Ponte Nivo (Ponte naturale). — Prato della Selva (retinite). — Grantola (formazione porfirica). — Cascata della Ferrera. — Careggio di Cuvio (palude asciugata). — Cabiaglio (dicco di melafiro). — Val di Brinzio). Colazione a Cunardo alle 11 ant. AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO DEL TEVERE ANTICO DURANTE E DOPO IL PERIODO PLIOCENICO. Nota di A. Verri, Capitano nel Genio Militare. (Seduta del 28 luglio 1878.) Nella Nota Sulla cronologia deù Vulcani tirreni e sulla idro- grafia della Val di Chiana anteriormente al periodo pliocenico ? le notizie ricevute, sulla esistenza di strati marini nell’alta valle del Tevere, costituirono un addentellato ad ulteriori investiga- zioni riguardo alle fasi delle trasformazioni idrografiche del ha- cino di quel fiume dall’ epoca pliocenica ai nostri giorni. Pel momento scrissi che il non aver ritrovati fossili d’acqua salsa nella formazione di Perugia m’aveva ritenuto dal considerarla marina, che però l'ingresso del mare nelle più interne valli del subapennino mi completava la soluzione dei problemi presentati dalla deltazione di Città della Pieve, col dimostrare la mancanza della conoide finale di alluvione terrestre dovuta alla cessazione del corso del fiume. Interessato dalle pubblicazioni premesse a 1 La copia delle letture ha impedito che anche questa Nota fosse inscritta, avanti la chiusura delle sedute, presso il R. Istituto Lombardo, come avrei desiderato affine di poter completare nel medesimo Periodico la serie dei problemi presentati dalla costituzione del Bacino del Tevere. Giunto al termine del lavoro preparatorio alla sintesi generale di ricostituzione, colgo intanto l’occasione per ringraziare quella il- lustre Accademia della benevola accoglienza incontrata nella inserzione delle Note precedenti. 2 Rendiconti del R. Istituto Lombardo. Serie II vol. XI, fasc. III 150 A. VERRI, completare gli appunti sulla storia naturale del Tevere, non ap- pena la posizione mi concesse libertà sufficiente, corsi a visitare il territorio Umbro; da quelle escursioni traggo l’argomento per la seguente lettura, nella quale narrerò le cose osservate, poi esporrò le induzioni cui m’hanno condotto, indicando, come al solito, quali modificazioni queste devano recare nelle esposizioni precedenti. Premetto che, per alcuni motivi, sino ad ora m’era astenuto dallo studiare le formazioni di quel territorio: le mie cognizioni su quei luoghi si limitavano alla valle del Nestore, alle ripe del Tevere tra Perugia e la confluenza della Paglia, visitate per scopo di ricognizione militare, ed alla strada Terni-Spoleto-Fo- ligno, percorsa nel 1867 in seguito agli avvenimenti politici di quell’anno. La scoperta della deltazione Pievese e la conoscenza della valle del Nestore, non avevano bisogno di altro documento per affermare quanto ho scritto sulle evoluzioni del bacino ti- berino; anzi, quando anche non avessi conosciuta la valle del Nestore, oppure quella gola fosse scomparsa, come è accaduto per l’ultimo tronco dell’Arno, la sola formazione di Città della Pieve sarebbe stata un punto di partenza più che sufficiente per basarvi tutte le induzioni. Una costruzione fluvio-marina di quella specie forzatamente bisogna si rileghi ad un sistema continentale solcato da un fiume, e da un grosso fiume, qualsiasi variante anche maggiore di quelle che vi ho trovate, si fosse verificata di poi nel di lui bacino. Passando a narrare quel che ho veduto, prego il lettore a volermi seguitare nella descrizione itineraria colla carta topografica, conciossiachè le circostanze m’ impongano di abbon- dare alquanto nei particolari dei luoghi. L A chiunque visiti 11 bacino dell’alto Tevere, o anche meglio lo osservi sulla carta, quantunque ignaro del linguaggio col quale parla al geologo la qualità del terreno, credo impossibile che sfugga la pronunciata concavità della porzione centrale, conca- Mg = pig PR SRO AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO, ECC. 151 vità punto dimostrata dalle leggi generali sulla sistemazione degli alvei: una vera conca, colle depressioni massime al centro, è di- fatti il territorio circostante al monte Deruta, per escire dalla quale, le acque sono costrette ad'incanalarsi nell’angusta e pro- fonda gora del Forello. Di questo singolare fatto solamente pos- sono offrire spiegazioni convincenti i fenomeni dovuti all’ azione delle interne forze del globo, per le quali, nei movimenti della crosta terrestre, le masse parziali restano in uno o in altro modo dislocate, affidando di poi la natura agli esterni agenti il còm- pito di assestare poco alla volta le sconvolte superficie. Il bacino dell’alto Tevere, o del Tevere antico, come credei chiamarlo in armonia col piano geologico nel quale fu costrutta la deltazione Pievese, si può considerare a destra e sinistra della valle del Nestore diviso in due braccia pressochè eguali, lunghe dai 70 agli 80 chilometri. Il braccio di destra si stende sopra un’unica valle da Perugia alle sorgenti; il braccio di sinistra, per avvenimenti posteriori, è rimasto biforcato in due rami: il ramo della valle umbra comprendente il bacino del Chiascio, ed il ramo della valle tiberina tra Perugia e le gole di Todi o del Forello. Come vedremo appresso, per ricomporre l'antico sistema idro- grafico, si dovrà aggiungere all’ultimo ramo eziandio parte del- l’attuale bacino della Nera. Dall’altipiano di Città della Pieve, chi si dirige per la valle del Nestore verso Perugia, vede appiè dei monti calcarei e psam- mitici la valle fiancheggiata da collinette sabbiose e ciottolose sino allo sbocco del fosso della Jerna, marnose da quel punto alle Tavernelle: la quota altimetrica delle marne è 342 metri, e sono visibili per l’altezza di circa 94 metri. Il nominato paese sta in una gola larga circa 750 metri chiusa tra le roccie compatte; su- perata quella corta gola, il terreno marnoso e sabbioso guadagna estensione: in questo allargamento si ha una giacitura ligni- tica, ed è fabbricato il villaggio di Fontignano, dove ho trovate le reliquie dell’Ippopotamus major e dell’ Elephas primigenus. Procedendo innanzi; si passa la piccola catena di S. Martino dei 152 A. VERRI, Colli, nella quale oltre alla gola di Castiglione della Valle per dove corre il Nestore, si trova anche un riempimento di marne e sabbie tra i poggi di arenarie compatte di S. Martino e di monte Petriolo. Entrati, dopo la scesa di S. Martino, nel terri- torio di Perugia, si vede questo formato da leggiere ondulazioni di terreni composti di marne ricche di concrezioni calcaree, fin- chè si giunge alla estesa formazione dei travertini dell’Ellera, e poi al colle di Perugia. Questo colle è composto da letti alluvionali, i quali a volte as- sumono un aspetto quasi caotico, molto somigliante con quello della spiaggia marina dell’altipiano Pievese, alternati da letti sabbiosi ed anche da letti di marne grigio-giallastre. Per quanto guardassi, non mi fu dato scoprirvi alcun frammento di fossili marini. La quota di Perugia segna 482 metri; però non credo che corrisponda alla elevazione massima del terreno che c°in- teressa, perchè questo sale assai più dalla parte di porta S. An- gelo. Le roccie compatte più antiche affiorano in basso ad oc- cidente presso la stazione ferroviaria alla quota di circa 300 metri, ad oriente presso la stazione di Ponte S. Giovanni, sul- l’alveo del Tevere, a Ponte Felcino ecc. alla quota minima di 190 metri. Affacciatomi al terrazzo del demolito fortilizio di Perugia,’ a guardare verso ponente, subii l'impressione di vedere come una massa staccatasi dal piano del colle Perugino e discesa al basso, dove oggi è disposta in collinette, le quali complessiva- vamente stanno ad un'altitudine di pressochè 300 metri. Partito da Perugia per la valle dell’alto Tevere, quasi da per- tutto a destra e sinistra viddi dei colli di costruzione identica a quella del colle di Perugia; su questi terreni di sabbie, marne, ciottoli, racchiusi dentro una valle costituita da calcari e da are- narie compatte, il Tevere ha incisa una seconda valle sino a città 1 Credo che quel bel monumento dell’antica arte militare italiana fosse opera del Sangallo. E bizzarra la leggenda che corre sul modo con cui fu costruito ed armato per evitare che i cittadini si avvedessero del freno che loro s’imponeva. Sulla porta del maschio stava inciso: Ad reprimendam Perusinorum audaciam. AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO, ECC. 153 7 di Castello. Da questa città in su la formazione alluvio-lacustre si limita a fiancheggiare la sola catena di destra sino poco più là di Anghiari: a sinistra sino al di là di Borgo S. Sepolcro si ha una pianura larga circa 6 chilometri costruita da più recenti al- luvioni. Nei letti alluvionali antichi di Citerna e di Anghiari ab- bondano i ciottoli serpentinosi provenienti dalla estesa forma- zione delle serpentine, le quali da Micciano vanno all’Alpe della Luna. Sopra Città di Castello nel terreno marnoso ed alluvio- nale, visibile per l'altezza di circa 160 metri ed accennante a scendere anche più profondo, si trovano molti fossili terrestri e fluviali, tra i quali delle grossissime bivalvi appena passato il ponte della città. Il signor De Stefani nella raccolta inviatagli mi segnalava una sola specie vivente, cioè la Cyclostoma elegans Miiller, da me trovata negli strati marnosi superiori; nelle sab- bie mi dice d’aver riconosciute le specie Helix sp., Unio sp., non bene determinabili per la cattiva conservazione; soggiunge che queste ultime gli accennano un terreno più antico, forse plio- cenico. Egli stesso, e contemporaneamente il signor Dante Pan- tanelli mi comunicano che in una recente raccolta avuta dallo stesso posto, colla Unio hanno trovata la Hyalina Perusina De Stef., comune in diversi luoghi dell'Umbria. È da notare che la copia massima dei depositi di ciottolame si ritrova in corrispondenza degli sbocchi dei torrenti attuali, così dagli appunti presi li vedo segnati ad Anghiari e Citerna, dove prescindendo dal corso del fiume maggiore, confluiscono la So- vara ed il Cerfone; verso Promano innanzi allo sbocco dei tor- renti Nestore, Minima, Scano; sopra Umbertide, dove a destra si ha lo sbocco del Nicone, a sinistra quello della Carpina, ecc. In quest’ultima massa, il giorno avanti a quello nel quale vi passai, fu trovato un dente, che dalle indicazioni dei lavoratori credo appartenere al genere Mastodon, tanto più che il signor Pantanelli poco fa mi scrisse che era stato trovato in altra epoca presso Umbertide un dente di Mastodon arvernensis, posse- duto dal Museo di Perugia. La direzione degli strati è general- mente pressochè orizzontale, le curve dei letti alluvionali credo 154 A. VERRI, più che ad altro siano da attribuire alle concavità degli alvei: però presso Città di Castello la stratificazione assume decisa e forte inclinazione verso oriente. Le altitudini delle masse fluvio-lacustri a partire da setten- trione m'hanno segnate le quote di metri 449 ad Anghiari, 490 a Citerna, 463 nei colli sopra Città di Castello, più di 400 in quelli sopra Umbertide, e più di 482 a Perugia. Mentre il Tevere sotto Perugia ha l’alveo incassato nelle are- narie compatte, risalendo il fiume non vi ho più potuto vedere alcun affioramento di quelle o di altre roccie più antiche, ad ec- cezione di Umbertide, dove il fiume lambe per breve tratto le rocciose pendici di monte Acuto, per cui il fatto non ha alcun significato d’importanza. La quota dell’alveo a Città di Castello è di circa 300 metri, a Ponte S. Giovanni di circa 190, ed il fiume ha la pendenza media di metri 1.66 per chilometro. Il punto più basso della catena che divide il bacino del Tevere da quello della Chiana, si trova sul passo della strada la quale da Anghiari va ad Arezzo, tra monte Auto e monte Favalto, e misura l’altitudine di 557 metri. I punti altimetrici di quella catena sono a partire dal nord, monte Comero 1207, monte Mo- dina 1160, monte Caprese 1400, monte Auto 772, monte Fa- valto 1070, alta di S. Egidio 1045, monte Acuto 924, monte Tezio 959. Lo spartiacque sino verso il Favalto divide per metà la catena, poi si ravvicina tanto alla Val di Chiana da costituire su quella parte un versante assai dirupato. Nell’Apennino si nota la singolarità che le elevazioni maggiori rappresentate da monte Nerone, monte Catria, monte della Strega, monte Carpegna sono fuori dello spartiacque tiberino, e seguono una linea più orientale, la quale accenna appartenere ad una catena antecedente collegata coi monti Cucco, della Penna, ecc. Oltre ai copiosi travertini dell’Ellera, ed ai terreni che si vuole rappresentino una estinta salsa a Cenerente, ho notato presso Perugia le acque magnesiache, sulfuree, ferruginose di S. Galgano, le sulfuree di S. Lucia, le ferruginose del Rio; una sorgente sul- furea prima di arrivare ad Umbertide verso la località di Sol- AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO, ECC. 155 fagnano; altra dopo poco passato Umbertide sotto Montalto; vi- cino a Città di Castello acque sulfuree e nitrose sulla sinistra della valle, lungo il torrente Scatorbia, e varie polle solforose e ferruginose alla destra sotto il monte Cidrone, conosciute eol nome di acqua del Buon riposo; acque solforose a Borgo S. Se- polcro, acidule-ferruginose ad Anghiari, Caprese, Pieve S. 8te- fano. Di più molti segni di attività siderolitica si vedono nei ter- reni tra Umbertide e Città di Castello, come sui colli di Anghiari, tanto che si può affermare che a partire dal luogo dell’ Ellera nelle pianure della Magione, l’attività interna manifestata dalle sorgenti minerali presenta una linea noh interrotta lungo tutta l’alta valle tiberina. Nelle adiacenze di Città di Castello si hanno due giacimenti lignitici, uno dei quali fu scavato sino a poco tempo indietro. La scoperta più importante, per la rarità, fatta in questa gita consiste in un frammento di roccia marina sotto monte Cidrone nella località di Tocerano presso la vecchia Dogana. Quel fram- mento di pochi metri di estensione e di uno a due di potenza, giace interamente isolato sugli scogli arenacei e calcarei alla ele- vazione sul livello del mare di 670 metri. Il Foresti vi riconobbe le specie: Pecten latissimus, P. dubius, P. Besseri, P. solarium, Ostrea plicatula, Echinolampus depressa, oltre a rottami di Pet- tini, di Echini indecifrabili, come pure ad alcune Cellepore e molti resti di Briozoi rotolati e malissimo conservati. Ritornato dal descritto viaggio, rivolsi i passi diretto alla valle Umbra. Riconosciuta ancora una volta in questa valle la fortis- sima pendenza del displuvio orientale, la quale misura 4: e) a somiglianza di quanto si verifica nella Valle di Chiana toscana, mi diressi ad esplorare le colline adiacenti al monte Deruta. Con mia sorpresa, perchè non combinano colle induzioni cui era stato condotto dalle analogie dei fatti osservati nella Val di Chiana, non potei constatare in quelle colline alcun segno che la strati- ficazione piegasse verso la pianura di Foligno, e che avessero 156 A. VERRI, accompagnato il movimento inclinato verso oriente, al quale aveva attribuita la seconda fase lacustre dell'Umbria, dopo il vuotamento del primo lago per l’emissario di Todi. Anzi dovei convincermi, particolarmente sul colle di Montefalco, preso di mira in modo speciale per la sua importante posizione, che gli strati vi si man- tengono pressochè orizzontali, e che niun legame passa tra la loro direzione e la costituzione della pianura sulla quale domi- «nano. La composizione di quei colli si presenta identica a quella di Perugia e della valle dell'alto Tevere, le ghiare sono di dia- metro piuttosto piccolo. Questa formazione separa il monte De- ruta dal gruppo Martano; l’altitudine massima vi è segnata dalla quota di Montefalco con 462 metri. Andando da Montefalco verso Bevagna e Foligno ho notato molte traccie di attività sideroli- tica, ed una traccia ben distinta di conduttura di sorgenti fer- ruginose in uno strato ghiaroso appena sotto Montefalco ; sulla medesima linea, più a nord, si hanno le sorgenti minerali di Cannara. Il monte Deruta di roccie calcaree e psammitiche si prolunga verso Perugia colle piccole alture di Torgiano e Brufa: al di là termina la completa chiusura crateriforme della valle Umbra un lembo di leggiera ondulazione composto di marne, sabbie e ghiaie, il quale può ritenersi appartenere alla formazione di Pe- rugia, e da quella separato per l’ incisione del Tevere, o forse si può attribuire ai capezzali delle alluvioni recenti del Chiascio. Dai romani scrittori si rileva che, naturalmente ovvero artifi- cialmente, ai tempi di Augusto doveva essere prosciugato il ter- reno tra Spoleto e Foligno, correndovi il Clitunno, limpido fiu- micello celebre nelle cerimonie religiose, perchè vi si bagnavano le vittime destinate ai sacrifici solenni, come canta Virgilio al L. II delle Georgiche: Hinc albi, Clitumne, greges et maxima taurus Victima, saepe tuo perfusi flumine sacro Romanos ad templa Deum duxere triumphos. Tuttora si ammira il leggiadro tempietto sacrato da quei po- poli al Nume tutelare delle acque. Contemporaneamente però la IE EE n, ST AI AVVENIMENTI NELL’ INTERNO DEL BACINO, ECC. 157 porzione settentrionale della valle persisteva nello stato lacustre poichè Properzio nella I." Elegia del Libro IV descrive il luogo di sua nascita: Qua nebulosa cavo rorat Mevania campos Et lacus aestivis intepet Umber acquis. In questo lago, chei Romani chiamavano lago Persio e dai mo- derni fu detto di Assisi, dalla città che vi si specchiava, sorgeva un’isola nel luogo dove oggi è costrutto il paese di Bastia. Ca- duta la civiltà romana, sembra che nei barbari tempi che le successero, per l’abbandono dell’artificiale regime delle acque, anche il territorio Spoletino ritornasse allo stato palustre. Si ha che tra il 500 ed il 600 fu prosciugato il lago Assisano, mediante il taglio artificiale operato sulle roccie psammitiche di Torgiano, proseguirono dipoi i lavori di bonifica dell’intera valle, la quale dal 1300 al 1500 fu ridotta tutta coltivabile. Fosse però perchè l’arte non aveva saputo risolvere i problemi idraulici presentati dalle direzioni dei corsi d’acqua, conciossiachè il Chiascio ed il Topino taglino la valle traversalmente e sbarrino la via ai fiumi di mezzogiorno; fosse per altri motivi, nuovamente ne peggiora- rono le condizioni, finchè nel 1828, in seguito agli studi degli ingegneri Scaccia e Folchi, fu iniziato l’ultimo sistema di boni- fiche tuttora vigente. La pianura Umbra è allineata nella direzione dell’Apennino, con una lunghezza di circa chilometri 46, e larghezza di circa chilometri 8 4/» a settentrione e 44/» a mezzogiorno. In questa pianura si ammira il fenomeno non comune nei nostri luoghi di un fiume, il quale tra Trevi e Spoleto presso Campello sgorga improvviso da sotterranee vene, ed è il nominato Clitunno, la cui portata è segnata nella statistica dell’ Umbria. con 8 metri cubi. Il sottosuolo della valle dappertutto si trota formato da al- ternanze di sabbie e di letti ghiaiosi. Percorrendo quei luoghi, tra le altre notizie raccolte, trovo che gagliarde scosse di terre- moti sovente vi hanno infierito: queste nel 466 disorganizzarono l'andamento dei fiumi Topino e Clitunno, in varie riprese hanno 158 A. VERRI, assai danneggiato i fabbricati di Foligno, rovinati quelli di Bastia e nel 1832 demolito parte del Santuario di S. Maria degli An- geli. Credo che anche ad uno di quegli avvenimenti si riferiscano le parole, le quali si leggono nel Breviario dei Francescani in ricordo del beato Corrado di Offida, dove è scritto ch’egli nel 1306 predicava nell’isola vicino Assisi ora detta Bastia, vi morì il 19 dicembre e vi fu onorificamente sepolto; però le di lui spoglie in eversione insulae furono trasportate a Perugia l’anno 1320. Nella orografica costituzione la valle Umbra presenta il ca- rattere comune che distingue il maggior numero delle nostre vallate, le quali non si offrono che come crateri chiusi, il cui scolo si effettua traverso anguste gore: carattere assolutamente opposto alle leggi della genesi delle valli per erosione, la quale stabilisce che aumentino in larghezzza quanto più si allungano verso gli sbocchi o la foce. Nè si può dire che ostacoli maggiori dovuti alla qualità delle roccie giustifichino sempre queste ano- malie colle teorie idrauliche, imperocchè la Val di Chiana, per esempio, a sud sia sbarrata dai colli di Ficulle di struttura iden- tica a quelli di Città della Pieve, Chiusi ed altri luoghi adiacenti, mentre il fiume nell’ ultimo tronco, anzichè scavarsi la via tra quei terreni di più facile erosione, si getta a sinistra e corre su alveo incassato nelle roccie compatte; la pianura di Città di Castello si ristringe presso questo luogo, quantunque a destra e sinistra seguitino a fiancheggiare il Tevere, colli sabbiosi e mar- nosi. Per legge di natura nella valle Umbra il Chiascio avrebbe dovuto proseguire il suo corso e confluire nel Tevere a nord di Brufa, come il Topino avrebbe dovuto dirigersi ad incidere i colli di Montefalco. Questi colli hanno tutti i caratteri d’ essere stati la prosecuzione degli antichi alvei di quel fiume in un tempo nel quale la sua valle si sistemava per interrimento, prima che da altri avvenimenti ne fossero separati colla larghezza della pianura Fulginate; oggi la dominano coll’ altezza di circa 230 metri. Per tentare la soluzione dei problemi presentati dai sistemi la- custri dell’ Umbria, i quali dopo la visita delle pianure di Foligno emo” AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO, ECC. 159 e delle alture adiacenti, mi si complicavano più di quanto me lo avessi immaginato, intrapresi una terza escursione diretta a ri- conoscere i terreni interposti tra il gruppo dei Martani e la ca- tena dei monti Amerini, ed ecco gli appunti che riportai. Tutta la zona compresa ad oriente dalla strada provinciale la quale da Terni va ad Acquasparta, Massa, e di là viene a riunirsi alla strada Spoleto-Bevagna, pur essa provinciale; ad occidente da una linea la quale, partita dallo sbocco della Naja, per la mac- chia di Civitella, Avigliano, Castel dell'Aquila, Sambucetole, Ca- pitone vada a Narni, è riempita da terreno marnoso e sabbioso. Questo terreno per la gola tra monte Arnata e monte Croce pe- netra sino nei dintorni di Amelia: a S. Lorenzo, vicino a quella città, neglj strati superiori è ricco di fossili terrestri e di acqua dolce, e quei strati sono coperti da una crosta di travertino. Il signor De Stefani ha riconosciuto nella raccolta le specie: Helix cinctella Draparnaud, Helix ligata Miiller, Helix profuga Schmidt, Limnaca palustris Miller, Bythinia tentaculata Linneo, Vivipara contecta Millet, Planorbis corneus Linneo, Succinea pu- tris, Linneo: specie tutte, egli mi scrive, postplioceniche ed an- che più recenti, e che tutte vivono ancora nello Spoletino. Par- ticolarità degne di menzione nella zona circoscritta, sono: 1.° Disegnata sulla carta costituisce un prolungamento del terreno lacustre che abbiamo trovato incominciare nelle collinette ad occidente di Perugia. Questo terreno forma così una lunga lista, che si estende sino al piano di Narni nel bacino della Nera con lunghezza di circa 68 chilometri e larghezza di circa 12. La lista è perfettamente parallela a quella della valle Umbra, egual- mente parallela alla zona del terreno lacustre di Val di Chiana; infine parallela alla catena apenninica ad oriente, ed all’allinea- mento dei vulcani tirreni ad occidente. 2.° Una linea di sorgenti minerali segna il VOTA della zona, dalla parte dei Martani a Derute acque acidulo-ferrugi- nose e sulfuree, a Massa Martana acque saline, acidule, sulfuree; a Giano acque salino-ferruginose, a mont’Orsolo acque acidulo- ferruginose, ad Acquasparta acque solfuree, al bivio tra la strada 160 A. VERRI, di Todi e la strada di Massa acqua acidula, a sud di S. Gemini acque epatico-ferruginose, ad Arrone acque solfuree; infine ripie- gandosi verso occidente, sotto Narni, lungo la gola della Nera si trovano le acque solfuree del Lecinetto, di Recentino, della Ca- restia e molti travertini quali indizi di attività minerale più an- tica. Non conosco se sgorghino tuttora acque minerali lungo il perimetro occidentale della zona, infuori delle acque acidulo-fer- ruginose di Todi, di quelle ferro-manganesifere di Monte Castello di quelle epatiche e ferruginose di Fratta Todina, e di quelle acidulo-ferromanganesiache di S. Vito, le quali, coi travertini del luogo, vengono in certo modo a chiudere il circuito collegandosi colle manifestazioni d’interna attività antiche e moderne di Pe- rugia: però tra Todi ed il piano di Narni, lungo il displuvio orien- tale degli Amerini ho trovata abbondanza di travertini, ho vedute le marne fortemente colorate in rosso, fino a depositare nei tor- renti polverino ferruginoso, ovvero talmente cariche di elementi calcarei da presentare a volte l'aspetto di masse di calce di- sciolta. * 3.° I terreni marnosi e sabbiosi in varii punti sono inter- rotti da nuclei ciottolosi rappresentanti di antichi alvei, come tra Todi e Monte Molino, presso Acquasparta e particolarmente a S. Gemini, dove la forte massa alluvionale sembrerebbe la conti- nuazione dell’alveo di un fiume la cui valle si prosegue al di là del piano di Narni, tra i monti di S. Pancrazio e di Macchia- lunga. 4.° Su questa zona sabbioso-marnosa sta porzione dello spar- ti-acque, il quale divide il bacino attuale dell'alto Tevere da quello dei fossi di Amelia, e da quello della Nera. 5.° Le altimetrie della zona sono poco elevate, e tendono a deprimersi quanto più si va verso oriente, ossia verso i Martani. Il punto più basso delle marne misurate sul perimetro occidentale mi dà la quota di 275 metri, però sembra che scendano a pro- ‘4 Alcune delle notizie sulle sorgenti minerali ho tratte dalla statistica dell’ Umbria, la quale contiene un interessante articolo sul soggetto, alcune dall’ Opera del Jervis I tesori sotterranei d’ Italia. Sr, PTT e Pi AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO, ECC. 161 fondità maggiore. La loro altitudine lungo il displuvio tiberino è: a Dunarobba 416 metri, a Castel Todino 394 metri, a Qua- drelli 354 metri, al bivio tra la strada di Todi e quella di Massa, il quale segna il punto più depresso del displuvio, 338 metri. Ho altresì notato che tra Castel Todino e Quadrelli le sabbie _ mostrano una decisa inclinazione verso oriente. Il riempimento fluviale interposto tra il monte Deruta ed i Martani misura da questa parte 498 metri, e forse i letti ciottolosi tra Todi e Monte Molino ne sono la continuazione. 6.° A somiglianza di quanto accade nella valle Umbra e nella Val di Chiana toscana, la linea di displuvio del gruppo Martano è molto ravvicinata al perimetro occidentale, e di più ‘ ripidissime sono le pendici dei Martani, particolarmente nelle, adiacenze di Cesi, dove addirittura formano dei dirupi a picco. Altrettanto si nota nei monti opposti a Cesi, al di là del piano di Terni. 7.° In quei luoghi si trova la celebre caduta delle Marmore, per la quale la valle del Velino è divisa da quella della Nera con un salto di 160 metri. Anche la valle del Velino fu dovuta sanare artificialmente, mediante taglio delle colline che la chiu- dono, fatto eseguire nel 273 avanti Cristo dal Censore M. Curio Dentato. 8.° La catena dei monti Amerini, la quale chiude la depres- sione lacustre è tagliata da frequenti gole, punto dimostrate dal- l’ultimo sistema idrografico, ma che indicano doversi rilegare ad altra orografia montuosa interna, oggi non più esistente. Per una di quelle gole passa il Tevere dal bacino superiore all’ inferiore, allo sbocco della Naja ha la quota di 137 metri, a Corbara di 102; per altra gola scola nel Tevere il fiume Grande, la sua profondità nell’interno a contatto del terreno lacustre è misurata dalla al- titudine di 275 metri, ed al ponte di Amelia da 203 metri; v' è | poila gola della Foce, appresso quella di monte Arnata, per la quale ho già detto che il terreno sabbioso e marnoso della zona interna è penetrato nei dintorni di Amelia: il piano di quella | " gola è alla quota di 276 metri, i fossili di S. Lorenzo si trovano Vol. XXI. 11 162 A. VERRI, alla elevazione di 348 metri; viene infine la gola della Nera, la quale al ponte di Augusto sotto Narni ha la quota di 59 metri, e di 44 circa all’escita. 9.° Passata la gola di monte Arnata, lungo la strada che da Narni va ad Amelia, a 6 chilometri circa da questa città, alla quota di 276 metri si vede il calcare in posto crivellato dai li- tofagi; i dintorni di Amelia contengono delle marne e sabbie con Cardium edule L., traverso le quali spuntano vette rocciose di calcare compatto. La elevazione delle marne a cardi è di 332 metri, il piano della roccia sottostante presso Amelia è alla quota di 301 metri, e su quella è fabbricata la città, la cui elevazione * dalla carta è data con circa 400 metri. P 10.° Da Amelia, guardando verso l’ultimo tronco della Nera si nota un gran dilavamento di terreno, ed a questo viene in mente di attribuire la mancanza del perimetro, il quale doveva chiudere lo stagno penetratovi dalla gola di monte Arnata. Si ha da quella parte sull’alveo della Nera una differenza di livello di circa 300 metri sulla lunghezza di 8 chilometri, cioè pendenza di circa il 37,50 per mille. Per scrivere anche le cose vedute fuori di quest’ angolo del bacino studiato, andando verso Orte trovai il terreno marino con Ostrea ..., Pecten varius L., Cardium edule L.; ad Orte viddi le ar- gille turchine marine alla quota di 65 metri circa, sopra queste un letto di ghiaia, sopra alcuni metri di marne giallastre sabbiose co- ronate dal blocco di tufo vulcanico su cui è costrutto quel paese; nei letti marini notai una sensibile inclinazione verso nord-ovest. Andato verso Attigliano, superata la gola di monte Pelato, il quale con i poggi calcarei del Convento, di S. Salvatore ecc. chiude Amelia come dentro un seno, tra quella gola ed un altra punta rocciosa perforata dai litofagi che affiora presso Giove, ho tro- vata alla quota di 292 metri una lunga spianata di circa 4 chi- lometri riempita da materie vulcaniche: scorie, cristalli di amfi- gene farinosi ecc., dalle quali gli abitanti estraggono la pozzo- lana. A Giove ho osservate le sabbie marine con Ostrea.... Pec- AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO, ECC. 163 ten varius alla quota di 300 metri; nella scesa tra Giove ed At- tigliano ho ritrovata una seconda spianata coperta da eguali ma- terie vulcaniche, la quale sembra distaccata dalla superiore per costituire un controforte alla massa montana lungo la valle del Tevere. Per ultimo, lungo la valle anzidetta incominciano le estese formazioni dei travertini di Orte, i quali dal ponte della ferrovia sopra la stazione di Bassano si prolungano sin vicino a Bor- ghetto. II. Compiuto 1’ altrettanto necessario, quanto ingrato lavoro di analisi anatomica, che lo scrittore è forzato premettere per sod- disfare alle giuste pretese dei cultori del ramo scientifico, colla persuasione di tediare e far chiudere il libro innanzi tempo al maggior numero dei lettori, entro alla fine in quella parte, nella quale l’intelletto ardisce rompere le tenebre dei secoli, e ricom- porne con quegli sparsi periodi la storia. Vi entro questa volta colla compiacenza pur anche di vedermi dinanzi un argomento che mi permette ampia dimostrazione di fatti già dal principio intraveduti, allorchè meditava sullo svolgimento normale dei fe- nomeni di natura, e già nel passato per due volte accennati.' Quando un sistema continentale è costituito semplicemente dalla forza erosiva delle acque correnti, l’altitudine delle vallate di assoluta necessità deve tanto maggiormente essere elevata, quanto più si avvicinano alla catena massima montana, laddove i fiumi traggono principio al loro corso. Rarissimamente però e forse giammai sulla superficie della terra si presenta una con- dizione tale, conciossiachè alla costruzione dei continenti la na- tura lavora colle forze interne ed esterne: colle prime disloga le masse, colle seconde sistema gli sconvolgimenti prodotti dalle 1 Alcune linee sulla Val di Chiana e luoghi adiacenti nella storia della Terra, pag. 31. Nota citata: Genesi delle giaciture lignitiche del Senese e della Val di Chiana, 164 A. VERRI, prime. Dove sopratutto dovrà spiegarsi l’attività creatrice eso» gena è nel riempire quelle cavità lasciate dalle porzioni rimaste depresse o squarciate, trasformare in valli asciutte quei bacini lacustri, sollevare proporzionatamente quelle valli, perchè le acque che vi si raccolgono possano fluire liberamente verso il gran serbatoio, ovvero ottenere lo stesso effetto limando le cate- ratte le quali sbarrano le depressioni lacustri. A_ lavoro finito, questo continente si troverà sistemato analogamente a quello accennato di sopra. Adesso immaginiamo che il continente, in virtù delle oscilla- zioni, le quali ci rappresentano il colossale palpito del globo ter- raqueo, lentamente discenda fino a sommergersi sotto il livello delle acque salse. Il mare anzitutto non potrà penetrare nelle valli se non poco alla volta, per cui la massa dei depositi d’in- dole marina sarà sempre meno potente quanto più si ascende il corso della valle. Siccome questa legge mi dà ragione sufficiente del perchè nel golfo Senese il terreno marino pliocenico superi d’assai in altezza quello del golfo della Chiana, per ora credo dover rinunciare a spiegare il fatto colla ipotesi della oscillazione di- scendente inclinata verso ovest, alla quale aveva ricorso nelle esposizioni precedenti. Oltre alla esposta legge, accadrà ancora che, considerata la lentezza dei movimenti oscillatorii della terra, e la potenza della sedimentazione detritica, le acque correnti contrasteranno sempre con molta efficacia l’ingresso nella valle alle marine, ed anzi per più o meno tempo, se i fiumi sono di lungo corso, potranno avere una certa prevalenza sul mare mediante le deltazioni. Conside- rato ancora che i grandi sistemi idrografici continentali sono sempre composti da più valli, le quali confluiscono in un ultimo tronco fluviale, si comprende quali vantaggi abbiano a risultarne al fiume per la difesa del proprio bacino, col far concorrere gli scoli e quindi i detriti di una estesa regione a sbarrare un solo e per lo più ristretto canale, unico adito aperto alla invasione marina. Al mare molto difficilmente allora sortirà la vittoria, finchè i suoi attacchi non possono battere che quel punto di fa- AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO, ECC. 165 cile riparo. Dai calcoli fatti, allorchè esaminava le condizioni del Tevere attuale, mi risultò che si può considerare l’intero bacino in erosione, ed una media di sei milioni circa di metri cubi di terre annualmente versate nel mare ; in ragione di area scolante verrebbero pel Tevere. antico più di due milioni: se la cifra vuol essere ridotta per causa delle diverse condizioni della superficie dei terreni offre sempre ragguardevole coefficiente nell’ pa mento degli avvenimenti che si studiano. È nondimeno assioma militare essere impossibile la resistenza assoluta di una piazza fortificata, quando questa sia abbandonata alle sole sue risorse, e le forze nemiche anzichè scemare sempre più s’ingagliardiscono. Durante un certo tempo sembrerà che il . fiume assediato faccia anzi dei guadagni sul mare, costruendosi colla deltazione delle opere avanzate sul medesimo campo nemico ; però la deltazione finisce per divenire un capezzale, il quale rende difficile il deflusso delle acque del bacino, e questo tende ad as- sumere una idrografia lacustre. È vero che somigliante fatto, ral- lentando il movimento e quindi la forza di trasporto delle acque correnti, faciliterà la deposizione delle materie sospese nell’interno del bacino, e che questa produrrà rialzamento delle valli, per riprendere con nuovo ardore la difesa del punto direttamente battuto. Ma il materiale adoperato per il riempimento interno va a scapito della costruzione della barriera di foce, e se il con- tinente non cessa di discendere, difficoltà si aggiungono a diffi- coltà per rendere meno efficaci gli sforzi dei difensori. Quanto più il terreno discende, tanto maggiore diventa il lavoro di col- mata, per l'aumento continuo della cubatura del volume da riem- pire. Senza fare un calcolo matematicamente rigoroso, dividiamo in tante piramidi il rinterro, ad ogni metro di abbassamento troveremo per ciascuna valle i volumi di detrito necessario nelle serie dei numeri 1, 6, 15, 28, 45, 66, 91,..... M(M—1) chiamato M il numero dei metri dei quali il terreno è disceso. Adunque, se al principio il materiale di sfacelo era in eccesso ai bisogni, può venire il giorno dell’equilibrio, ed appresso quello 166 A. VERRI, nel quale i trasporti sono impari al volume da riempire: a tale punto in tutte le contrade depresse ristagnano le acque, più nulla può essere portato sulla deltazione ed è forza capitolare: l’intero bacino si trasforma in seno marittimo, la lotta si cambia in combattimenti di guerriglie, nei quali ciascun torrente dalle inaccesse balze rovescia sul vittorioso invasore cumuli di rottami, per disturbargli almeno il pacifico possesso del terreno usurpato. Anche quest’ultima difesa bisogna che cada, quando non cessi il movimento discendente: allora resta inghiottito dal mare tutto il territorio, spartito in tante isole o scogliere, alla cui demolizione lavora l’urto incessante dei flutti. La catastrofe è evidentemente sollecitata qualora ampie vallate preesistano nell’interno, ed anche più se queste non avevano potuto ancora sistemarsi, e fin dal principio dell’assedio presentavano recipienti lacustri. Ho mostrato come il mare, temporeggiando, può ridurre col solo blocco allo stremo la resistenza del fiume e costringerlo alla resa: però non è quella l’unica via che gli è aperta per impadro- nirsi del di lui territorio. Come contro la violenza delle attuali armi di guerra il saggio tattico evita i micidiali e disastrosi at- tacchi frontali, e cerca girare le nemiche posizioni, così, favorito dalla oscillazione discendente, il mare può alfine trovare qualche gola traditora tra i baluardi della catena montuosa, rovesciarsi nel bacino, prendere alle spalle la chiusa della deltazione, ta- gliare la via alle legioni dei torrenti, i quali portavano al fiume soccorso di forza e di materiali, sicchè mentre questi si teneva sicuro di poter continuare nella difesa, all’improvviso si vede an- nientato il sistema idrografico creato e con tanti sforzi mante- nuto. Comunque siasi, se il fiume cede al prepotente avversario, durante la lotta s° è creato imperituro monumento per far cono- scere agli uomini la pertinace resistenza, imperciocchè senza ra- dicali modificazioni nel bacino non gli sia stato possibile reggere contro il secolare assedio. Con questi caratteri per l'appunto la natura ha scritta nello interno dell'Umbria la storia degli avvenimenti contemporanei AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO, ECC. 167 alla fase marina della val di Chiana. La costruzione dello spalto di chiusura alla foce colla grandiosa deltazione di Città della Pieve, i provvedimenti per mantenere l’ordine nell’ interno colla distribuzione delle masse di materiali portati in copia dai tor- renti, ma lasciati quà e là alla rinfusa nei luoghi di sbocco a formare tumultuarie barricate, quasi in città sommossa; la col- mata degli stagni interclusi tra quelle dighe di sbarramento, la rottura delle dighe stesse per mantenere la libera circolazione alle acque correnti e poter portar sempre materie sul punto più minacciato della foce, sono opere letteralmente scolpite nella porzione del bacino meno sconvolta dalle vicende posteriori, par- ticolarmente tra Perugia ed Anghiari. Di necessità adunque le antiche valli dovevano risultare riempite da colossali depositi misti di sabbie, marne, ghiaie, con fossili terrestri, lacustri; flu- viali; di necessità considerata l’idrografia locale, le deposizioni torrenziali tra Perugia e Città di Castello dovevano ostruire tal- mente la porzione sud di valle, che superiormente le acque del fiume, non ancora potenti abbastanza da distribuire tanta mole di materie bisognava finissero per ristagnare. Difatti, mentre al sud le formazioni sono generalmente sabbiose, nei dintorni di Città di Castello le marne sono in prevalenza, e costruiscono de- positi di più che un centinaio di metri. Se il terreno non fosse stato sconvolto da dislocamenti posteriori, un per uno vi sì po- trebbero tuttora contare i corsi d’acqua principali che lo solca- vano: quelle dislocazioni sulla sinistra hanno devastato pressochè ogni storico vestigio, e forse la sola formazione di Montefalco, colla soluzione di continuità tra le roccie del monte Deruta e dei Martani, e col riempimento alluvionale della gola ci dà un punto per ricostrurre l’antico alveo del Topino e delle acque dei monti di Spoleto. La descrizione di somiglianti avvenimenti si trova in qualche disaccordo colle conclusioni cui m’avevano condotto rispetto alla pendenza d’alveo, i letti fluviali intercalati nei depositi marini del delta. Nel sunto della Memoria Sui movimenti sismici della val di Chiana, e loro influenza nell'assetto idrografico del bacino del 168 A. VERRI, Tevere! aveva stabilito un confronto tra i ciottoli Pievesi, e quelli rotolati dall’ Adda, e ne aveva indotto che la pendenza d’alveo del Tevere doveva essere maggiore. di quella dell'Adda a monte di Cassano, la quale misura metri 1,63 per mille. Però l’anomalia tra le condizioni interne e gli effetti alla foce oggi m’è abba- stanza spiegata dalla configurazione del bacino, il quale risulta centrato rispetto l’ultimo tronco del fiume. Per tale disposizione e per la sua orografia, doveva éssere soggetto su tutta la super- ficie scolante alle medesime condizioni meteorologiche, e contem- poraneamente le piene dei varii rami dovevano confluire nelle adiacenze di Perugia, quindi forti ed improvvise crescenze nell’ul- timo tronco, il cui impeto sospingeva sulla deltazione le cataste di sfasciume accumulate presso la foce dai torrenti di Monterale. Infine è riuscito o no al mare plioceno di operare l’ ingresso nell’Umbria interna? Per quanto abbia chiesto informazioni ai paesani, e per quanto a dire la precisa parola, abbia rifrugato per lungo e per largo le formazioni, non mi è riuscito scoprirvi nè un fossile marino, nè un ciottolo perforato dai litofagi, mentre v'inciampava dovunque, appena escito da quel perimetro. Nè basta, perchè a Città di Castello tutta la massa degli ultimi ter- reni dal piano della valle alla cima di quei colli, per l'altezza di più che 160 metri, null’altro m’ha dato che fossili fluviali, palu- stri, terrestri; altrettanto devo dire della massa di Perugia, visi- bile per 300 metri, di quella interposta tra il monte Deruta ed i Martani visibile per 350 metri e delle altre. Credei risoluto il problema imbattendomi nel frammento marino di Tocerano; '‘pa- recchie coincidenze m’avevano fatto credere d’avervi trovato il caposaldo, che m’indicasse la completa sommersione delle valli subapennine, e con ciò la cessazione del corso di tutti i loro fiumi. Foresti nella stessa lettera, colla quale inviava la classifica dei fossili, mi tolse del tutto simile punto d’appoggio, scrivendo che il complesso della fauna è assolutamente miocenico, e rappresenta almeno il piano inferiore del Sarmatiano, se non il calcare di 1 Rendiconti del R. Istituto Lombardo. Serie II. vol. X. fase. XVIII. kÎ i} ”_—___—_—_—_————_—_— AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO, ECC. 169 Leitha. Cosa concludere da quel frammento così «isolato e per nulla collegato colle sedimentazioni posteriori ? Il fatto che da tutte le osservazioni risulta dimostrato è che, allorquande le acque del mare pliocenico coprirono la val di Chiana, il Tevere antico aveva un bacino già costituito, e la catena dei monti Cor- tonesi, da fondo del mare Sarmatico, era passata a formare la barriera nordica occidentale del bacino tiberino. Ciò posto la scoperta di quel frammento porterebbe allo studio di rintracciare per quali avvenimenti si costituiva il bacino del Tevere antico, ossia dopo aver compiuto lo studio delle trasformazioni contem- poranee e posteriori alla idrografia pliocenica, bisognerebbe in- cominciare nuove osservazioni, nuove meditazioni per tentare di rintracciare le rivoluzioni antecedenti, e misurare quanta parte nella escavazione delle valli interne ed esterne ebbe l’ erosione e quanta i movimenti sismici, intimamente legati forse col vul- canismo trachitico. È da notare intanto che dalla parte Adriatica la catena del- l’Apennino si spiega con pendenza abbastanza regolare, ed è solcata ovunque da valli perpendicolari alla sua direzione. Verso il Mediterraneo invece il versante è rapidissimo: dalle Alpi ma- rittime alle Apuane è come troncato da un franamento che sia disceso sotto il mare; dai monti Lucchesi a Napoli non è più sul mare che s’immergono le sue pendici, ma dirupate basano su vallate, le quali hanno direzione parallela «alla catena. Da- vanti quelle vallate più interne altre se ne schierano conservando lo stesso paralellismo: sembrerebbe che quel terreno siasi diviso in tante liste, che scivolando vi abbiano creata una serie di scaglioni. Dai livelli dei depositi pliocenici marini ho cercato di trar fuori quali di quei movimenti furono la conseguenza del sollevamento più recente: però questo studio fa intravedere una preesistente orografia con analogo aspetto, e quindi appunto una disposizione al ripetersi di eguali fenomeni, allorchè la riattivata tensione delle forze interne non incontrò la resistenza di una massa compatta, ma ebbe a dislocare frammenti parziali. Per tale motivo, particolarmente nei territori Toscani ed Umbro, il 170 A. VERRI, sollevamentò potè assumere un carattere suo proprio, direi sotto alcuni rapporti indipendente dal sollevamento dell’ Apennino, e spiccatamente riescire in certo modo convergente verso il punto centrale segnato dal cono di Radicofani. La esistenza di quel frammento sarmatico necessariamente viene eziandio a modificare i dubbi espressi alla fine della Nota prece- dente, sulla esistenza d'un mare miocenico nel subapennino medi- terraneo. Adunque se il raziocinio non esclude la sommersione completa delle valli umbre, ed anzi si presta bene a dire il perchè della assoluta mancanza della conoide finale di alluvione terrestre sulla deltazione, e del prosperarvi del banco corallino di Cladocora cae- spitosa. D’Orb. alle Fornaci di Monteleone; se neanche rifiuta la possibilità di temporanea irruzione, nulladimeno le ultime os- servazioni mi negano l’ingresso al mare plioceno dentro il ba- cino del Tevere antico, ed i quadri sbozzati degli avvenimenti contemporanei alla idrografia marina esterna, mi bastano per rendere conto delle anomalie esistenti nella formazione fluvio- marina dell’altipiano Pievese. Difatti rende ragione della mancanza di conoide l’ipotesi che, alla fine della oscillazione discendente, il fiume fosse rimasto così stremo di forze da avere di materiale poco più di quanto ne po- teva occorrere pèr provvedere ai bisogni interni delle sue valli. In favore di questa supposizione mi pare che molto parlino sul terreno le condizioni dell’ultimo tronco, ossia dell’attuale valle del Nestore, dove appunto i letti ciottolosi incominciano nella località della Jerna, e proseguono ad occidente sul delta, mentre significante è la scarsità dei depositi di grosso materiale alluvio- nale, andando da quel punto verso oriente. Nè le conclusioni teoriche sono meno stringenti. Ripresi i calcoli dietro indicati, colle note segnate sul terreno e riportate sulla carta, si vede che nel tempo nel quale si compieva la deltazione Pievese 4/6 circa della superficie scolante era passata in ricostituzione per interri- mento. Anche concesso alle materie detritiche fluitate dal Tevere AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO, ECC. 171 antico al mare un solo milione di metri cubi, e volendole sup- porre totalmente rimaste nell’interno, potevano rialzare annual- mente le valli di un millimetro, ossia di 10 centimetri per se- colo: adunque, considerato che la oscillazione discendente si tro- vava verso la fine della curva e stava per passare ad una oscil- lazione in senso opposto, si può comprendere che il fiume poteva ancora con efficacia contrastare l’ingresso al mare, nello stesso tempo che non gli avanzava un soprappiù di materie da coprire il delta, e portarlo fuori dall’azione delle onde. È da avvertire che nel riempimento bisogna calcolare tutto il grosso materiale delle conoidi dei torrenti rotolato nella valle ed ivi restato per la diminuita velocità delle acque correnti: con questo la misura dell’annuo rialzamento raggiunge cifre su- periori alle minime sopra assegnate. Circa al banco corallino di Monteleone, faccio avvertire che, nello stato attuale dei terreni, si trova a 30 metri sotto la parte più elevata del delta, la quale corrisponde allo sbocco della valle; che sta circa 4 e forse più chilometri sulla sinistra del canale principale del fiume, che negli ultimi tempi questo s’era decisa- mente voltato a sinistra a trasformare il tranquillo seno, abitato dalle lutrarie, dalle loripes, dalle tapes, in salmastra laguna ricca di cardi, cerizi e melanie. Siccome ripetute osservazioni mi obbli- gano a ritenere l’altro banco di Marciano contemporaneo alla co- struzione del delta, mi sembra che, come questopotè allora attec- chire sulla destra quando il fiume correva pel canale centrale, sia possibile che dopo, con migliori condizioni, abbiano potuto prosperare sulla sinistra i coralli di Monteleone. Esito diverso avrebbero avuto le indagini per quel che ri- guarda l’ingresso del mare nel bacino dell'Arno fino ai piani Aretini, non però per scoperte personali che mi sia stato dato di farvi, ma per quanto si possa basare le conclusioni su certe col- lezioni.! Oltre all'osso di Cetaceo che dicesi scavato presso il ! Per richiamare l’attenzione su fatti dai quali è pregiudicata la pubblica istru- zione, devo dichiarare di aver trovati dei Musei e delle Collezioni di scuole con classi- 172 A. VERRI, torrente Castro nel 1633, ho veduto nel Museo di Arezzo un esemplare di Ostrea con annotazione di essere stata raccolta presso Monte S. Savino in un botro sotto la Cornia, ed alcuni fossili, il cui cartello dice che furono trovati nel torrente Vingone, il quale taglia il piano di Arezzo; m’ è sembrato riconoscerli per i seguenti: Murex Pecchiolanus D’Anc., Murex trunculus L., Ce- rithium vulgatum Broc. Ostrea.... La quota attuale che ho se- gnata sull’alveo del Vingone è 240 metri, ossia sta 14 metri sotto il livello della pianura. PO Terminato il racconto degli avvenimenti compiutisi nel bacino del Tevere antico durante la oscillazione discendente, la quale internò il mare plioceno nel subapennino mediterraneo, dalla descrizione analitica dimostrante le attuali condizioni, ecco quali sarebbero le mie idee sulle vicende dei tempi che seguirono. Nel sollevamento, il quale portò allo asciutto i nostri fondi pliocenici, una lista di terreno distaccata dai monti di Montepulciano, Tre- quanda, Sinalunga ad occidente, dai monti Cortonesi ad oriente, dalla deltazione Pievese e dai monti di Paciano per la val di Tresa a mezzogiorno, invece di sollevarsi come le zone adiacenti, fosse per causa di vecchia soluzione di continuità, fosse per rot- tura derivante dalla forza massima applicata sotto il terreno nella contrada di Radicofani, come ho dimostrato nella Nota sui Vulcani Tirreni più volte»citata, restava depressa e costituiva il lago della Chiana Toscana, rappresentato dalle marne con Congeria subca- fiche radicalmente sbagliate: basti citare che la Fungia vivente in una di quelle raccolte sta trai fossili col nome di Fungo petrificato ; in altro luogo dovei vedere un pezzo di dreccia calcarea col nome di gneiss; in altro luogo un frammento di osso qua- lunque, grosso come un pugno, era classificato pezzo di. cranio dell'elefante gigan- tesco(?) ed il professore si affaticava a mostrarmene le suture; per non dire di er- ronee indicazioni di località, di fossili pliocenici riferiti alla creta o per lo meno al- l’eocene ecc. Ho motivi di ritenere che in questa condizione si trovino parecchie delle collezioni scolastiche dell’ Umbria; sarebbe preferibile astenersi dall’ insegnare tali cognizioni agli allievi, piuttosto che far loro apprendere simili errori. Nella stati- stica dell’Umbria, pubblicata di recente, dal prospetto geologico si sa che il calcare ammonitico di Cesi è calcare eruttivo, che le marne plioceniche di Orvieto sono creta pelasgica, che il miocene è l’ultimo dei periodi terziari, ed altre molte peregrine notizie. AVVENIMENTI NELL’ INTERNO DEL BACINO, ECC. 173 rinata Desh. La linea di rottura orientale di quella zona pel Tra- simeno prolungavasi verso Perugia, si ripiegava ad occidente del monte Deruta e dei Martani, per Cesi e la caduta delle Mar- more veniva a Narni, da là risaliva ad oriente dei monti Amerini ed Orvietani a chiudere il circuito di un’altra massa, la quale | pure si deprimeva per formare un lungo lago Umbro parallelo a quello della Chiana. Coll’avvallamento del territorio della Chiana Toscana scompariva porzione del littorale, il quale separava il bacino del Tevere dal golfo della Chiana, e nel quale doveva essere intagliato il canale dell'Arno, i frammenti della cui delta- zione, secondo le mie vedute, sarebbero rappresentati dai terreni di Montepulciano, Chianciano, Chiusi, ecc. L’avvallamento della lista Umbra, sopra circoscritta, seppelliva in parte il sistema orografico del bacino del Tevere: le traccie del sistema idrogra- fico esterno di quella porzione del recinto del bacino sarebbero rappresentate dalle gole incise nei monti Amerini, alcune oggi assai più approfondate dalla continuata erosione, e pel sistema idrografico interno resterebbe ancora il terreno fluvio-lacustre di Montefalco, e forse bene scandagliando qualche altro frammento. Ritengo tuttora dagli effetti notati che per un certo tempo il lago Umbro comunicasse per la valle del Nestore col lago della Chiana Toscana: è certo però che la comunicazione era cessata prima del vuotamento dell’ultimo lago. Il franamento violento della val di Chiana romana fece vuotare il lago della Chiana To- scana, e la presenza dell’Elephas primigenius Blum. mi fa rife- rire questo avvenimento alle epoche quaternarie, e me lo fa ri- porre in quei tempi di convulsioni vulcaniche che agitarono le contrade tirrene. Il seguito della oscillazione di quella massa, dopo vuotato il lago, mi rende sempre ragione della seconda fase lacustre nel territorio Cortonese, il cui residuo è oggi rappre- sentato dal Trasimeno.' Dirò per incidenza che questo metodo di calcolare le fasi lacustri della Val di Chiana mi fa supporre 4 Il Trasimeno non è però il risultato diretto del solo movimento della zona della val di Chiana Toscana, ma dell’intreccio di tre linee di rottura, le quali vi fanno capo dal piano di Cortona, dalla valle della Tresa, dal territorio Perugino, 174 AR A. VERRI, che il celebre cranio dell’Olmo trovato dal Cocchi abbia a venire a tempi più recenti di quel che non siasi finora immaginato, a meno che non si oppongano prove desunte da fossili caratteristici, prove che non mi è sembrato rilevare nello scritto del Major, il quale lo farebbe risalire all’epoca pliocenica. Le note esposte nella prima parte mi fanno indurre analoga oscillazione inclinata verso oriente nella massa del lago Umbro. In quelle marne ho altra volta riferito avere trovato nella valle del Nestore le reliquie dell’E. primigenius: però la data crono- logica migliore se non del suo completo vuotamento, almeno del calare di livello delle di lui acque, mi sembra sia data dai mol- luschi di San Lorenzo presso Amelia; quei molluschi portereb- bero il prosciugamento del lago Umbro a tempi molto a noi vicini, e questo è probabilissimo, quando si consideri che avvenne per lento abbassamento di soglia degli emissari mediante la lima- tura delle cateratte, come passo a dimostrare. La incisione del terreno lacustre per via del tronco del Te- vere tra Perugia e Todi ha generati i piani della Teverina, la incisione della Nera ha prodotte le pianure di Terni e di Narni. Resta a vedere per quali motivi si possa essere costituito in quella lista di terreno lacustre un triplice spartiacque, cioè verso il Tevere, verso il Fiume Grande di Amelia, e. verso la Nera. Questo fatto è abbastanza singolare, imperocchè se l’uno di quei tre emissari si fosse aperto prima dell'altro, non avrebbe man- cato di richiamare a se tutta la massa delle acque, e colla chia- mata costituire una sola valle. Malgrado la grandiosità dei movi- menti sismici verificatisi in quei luoghi, e malgrado siano più che evidenti anche delle linee di rottura trasversali, non mi persuade troppo l’immaginare la gola del Forello per la quale il Tevere esce dal bacino Umbro, e la gola di Stifone per la quale la Nera sbocca dai piani di Narni, prodotte da rottura violenta della catena perimetrica: d’altronde il canale del fiume Grande pre- senta i caratteri tutti di uno scavo già preesistente in parte nel sistema antico, come la presenza stessa della fauna salmastra di Amelia vi dimostra lo sbocco di acque dolci dei torrenti conti- AVVENIMENTI NELL’ INTERNO DEL BACINO, ECC. 175 nentali. Perciò la ipotesi migliore mi sembra l’indurre che l’ ab- bassamento di soglia contemporaneo delle tre gole, le quali tutte e tre dovevano costituire frammenti di alvei antichi, ossia inci- sioni rimasti nella catena di chiusura dopo il profondamento della . zona interna, man mano facesse abbassare il livello delle acque del lago, in modo da spartirne poi l’area proporzionalmente nei ‘ tre bacini sopra citati. Tolta alla Nera la foce nel mare plioceno sul luogo del suo at- tuale sbocco nel Tevere, dove era il canale pel quale si scari- cavano allora le acque di quella superficie continentale, che è solcata dai fiumi Velino, Tuvano e Salto? La mancanza di forti depositi alluvionali, corrispondenti alla importanza del fiume, nelle adiacenze di Orte m’aveva sempre fatto dubitare, se quel terreno potesse rappresentare la deltazione della Nera. Invece i torrenti della porzione di bacino tiberino, tra i monti di.S. Pancrazio e Gennaro, male mi rendevano ragione della formazione fluvio-ma- rina di Nazzano, Filacciano, Ponzano, Torrita, ecc. Oggi che ho dovuto riconoscere la pianura di Narni non ad altro dovuta che alla incisione del fondo lacustre Umbro, oggi che le osservazioni non mi fanno punto esitare a portare il perimetro del bacino del Tevere antico sino al monte S. Pancrazio, credo che i ter- reni di Poggio Mirteto, e degli altri luoghi nominati debbano rappresentare il delta della Nera, e che il canale di quel fiume pliocenico si debba trovare nel tratto di territorio Sabino che è compreso tra i torrenti Canera e Lariana. La Nera attuale sa- rebbe adunque un fiume costituitosi in consegnenza degli avve- nimenti, i quali accompagnarono il sollevamento ultimo del su- bapennino; come la cascata delle Marmore non altro sarebbe che uno degli effetti della depressione della zona Umbra occiden- tale tra Perugia e Narni, analogamente a quanto si verifica per la cascata dell'Aniene a Tivoli. Facilmente m’ è sembrato rendermi ragione della pianura di Città di Castello, attribuendola ad una massa parziale franata 176 A. VERRI, verso oriente e poi livellata dall’acqua, come lo indica l’inclina- zione degli strati nella porzione rimasta in posto ad occidente. Un quesito più difficile presenta il fatto del vedere il Tevere a Città di Castello incassato nel materiale alluvionale di riempi- mento, e sotto Perugia nelle roccie più antiche. Per spiegare tal fatto bisogna supporre o una minore pendenza chilometrica del- l’attuale (1.66) nel Tevere miocenico, ed allora, siccome la sup- posizione urterebbe contro le teorie idrauliche sulla costituzione degli alvei per erosione, è necessario attribuire la costituzione di quel tronco ad anteriori fratture sismiche; ovvero bisogna am- mettere che, nel sollevamento, la massa dei monti Cortonesi si sia inclinata verso il nord. Il seppellimento del piano Aretino, il quale colle sue isolette rocciose mi rappresenta ua frammento montuoso, la posizione mediana della linea di displuvio in quella porzione della catena, l'allineamento delle sorgenti minerali mi farebbero propendere, per l’ultima idea. Nel Museo di Arezzo si vede un magnifico teschio di Megaceros hibernicus trovato nel letto della Chiana sopra il ponte alla Nave. È quì necessaria una piccola sosta per precisare i motivi, dai quali, dopo la visita nei luoghi, m° è nata la convinzione di do- ver dividere in tempi differenti le due formazioni di consimile costituzione, l’una delle quali da Perugia si estende ad Anghiari, l’altra invece scende sino a Narni a rappresentarmi quello che ho chiamato il lago Umbro occidentale. Ho posta la prima con- temporanea ai depositi marini esterni, e quindi nel piano del pliocene antico, la formazione dell’ultima ho creduto riferire agli avvenimenti posteriori, ossia a quelli svoltisi nella fase del sol- levamento del subapennino. Poco e forse niun appoggio mi pre- ‘ stano in questa ripartizione i fossili ritrovati e citati nella prima parte della Nota; se pure sono esclusivi dei terreni terziari, non è per nissuno ben definito se non abbia fatto passaggio dal plio- cene inferiore al superiore. Però per quanto la testimonianza dei fossili deve tenersi tra le più sicure nello stabilire la crono- logia dei tempi geologici, e quindi la serie degli avvenimenti i eta VA AVVENIMENTI NELL’ INTERNO DEL BACINO, ECC. 177 quali cambiarono la faccia ad interi continenti, nondimeno in questo studio ritengo non piccola parte debbano rappresentare le | osservazioni stratigrafiche, e che queste possano nei casi dubbi dare ai quesiti risposta definitiva, e ciò tanto meglio quando non solo non sono in assoluto disaccordo coi criteri desunti dalla vita organica, ma di più scaturiscono quali logici corollari dai teoremi basati sulle leggi eterne, che regolano i fenomeni della natura. Quando la sommersione di un continente avviene parallela- mente al di lui piano primitivo, è innegabile che lo svolgimento degli avvenimenti interni debba corrispondere al quadro shozzato al principio di questa seconda parte; se la sommersione si veri- fica invece secondo un piano inclinato, le conclusioni poste pos- sono variare in più o in meno secondo la direzione della incli- nazione del piano, fino a venire a zero, qualora la rotazione del terreno si manifesti dalla parte dello scolo delle acque, e sempre conservi alle valli sufficiente declivio. Alcuni apprezzamenti pel passato m’avevano fatto propendere per l’ultima ipotesi, la quale oggi bisogna abbandoni, sospinto da osservazioni di maggiore momento. Dappoichè devo ritenere per certo che fu vietata al mare l'invasione del territorio Umbro, niun’ altra spiegazione mi si offre sulla mancanza dell’alluvione finale terrestre del delta, all’infuori dell’interrimento, e della conseguente progressiva di- minuzione di declivio delle valli. Le vicende che seguirono la fase marina pliocenica ci parlano d’un massimo sforzo di solle- vamento sulla località di Radicofani, e ci dicono che uno degli effetti di quel fenomeno fu l’invertimento nella pendenza della valle del Nestore, ossia dell’ ultimo tronco del sistema tiberino Da tale invertimento nacque una idrografia lacustre nelle valli Umbre, allorchè si cambiò la direzione della curva di oscillazione terrestre, sicchè i sedimenti lacustri sovrapponendosi agl’ interri- menti alluvionali ne impedirono l’abrasione, e poterono conser- varceli intatti. Coll’avvallamento delle zone meridionali, combi- nato alle difficoltà crescenti di efflusso per la valle del Nestore a motivo della contropendenza, le acque del lago Umbro abban- Vol. XXI. 12 178 A. VERRI, donarono definitivamente quell’emissario, e si versarono fuori del bacino per i più adatti canali che indietro ho enumerati. Allora fu, che potè effettuarsi il prosciugamento della valle settentrio- nale tra Perugia ed Anghiari, che in questa incominciò la ero- sione per cui fu incisa la massa di riempimento accumulatavi du- rante il periodo marino, e che la idrografia lacustre si restrinse alle contrade meridionali, dove si mantenne fino a tanto che la escavazione degli emissari potè dare completo sfogo alle acque stagnanti. Esaminata attentamente la qualità del terreno, ci con- duce alle medesime conclusioni. Difatti caratteristica delle masse che ho creduto riferire al pliocene antico è l’intrecciarsi delle parziali conoidi alluvionali rimaste di faccia allo sbocco dei sin- goli torrenti, perchè quel materiale rotolato al basso, per la di- minuita pendenza della’ valle, generalmente non poteva essere trasportato più lontano, come caratteristico è il non trovarvi quella stratificazione che avrebbe dovuto acquistare se si fosse versato in seno lacustre, quando cioè si fosse composto nel pe- riodo d’inondazione che successe alla idrografia marina. Le im- pronte stesse delle sorgenti termali, pullulate dalle fratture si- smiche durante il sollevamento, vengono a confermare la. diffe- renza delle epoche di formazione, perchè nei terreni più antichi i loro minerali incrostano di preferenza i letti ghiarosi, o alterano saltuariamente le roccie, mentre nei più recenti presentano azione più uniformemente diffusa su tutta la massa. Mosso da queste e da altre riflessioni che adesso per brevità ommetto, sono ve- nuto appunto nella convinzione che sia necessaria una divisione stratigrafica nei sedimenti di riempimento delle valli Umbre e che la massa principale di quelli giacenti tra Perugia. ed Anghiari sia da porsi nel pliocene inferiore, senza escludere per questo che qualche strato superiore possa rappresentare periodi men da noi lontani. A compiere la narrazione delle vicende del bacino del Tevere antico, resterebbe in ultimo da investigare per quali cause siasi costituita la valle Umbra. Quel territorio, per la posizione che AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO, ECC. 179 occupava, doveva trovarsi con elevazione intermedia tra le due catene, le quali lo chiudono. Nè vale spostare la difficoltà, sup- ponendovi già fin d’allora un profondo lago prepliocenico, impe- rocchè la supposizione è rifiutata dalla porzione rimasta degli alvei costrutti per interrimento dal Topino nel luogo di Monte- falco. È impossibile che le leggi dell’erosione giustifichino l’ espor- tazione di tutta quella massa, ed ho dimostrato nella. prima parte che non forma sistema connesso alla adiacente zona lacustre compresa tra i monti Martani ed Amerini. Dunque non resta altra conclusione che concepire quella lista distaccata e scesa abbasso per proprio conto. Questo avvenimento fu contemporaneo allo spostamento delle masse della Chiana e dell'Umbria o poste- riore? La grande rassomiglianza tra i particolari di quei fatti me lo farebbe supporre contemporaneo: si può dire con certezza che maggiore assai delle altre liste di terreno fu lo sprofondamento di quella, la quale oggi costituisce le pianure di Foligno e Spo- leto; per concludere che le acque del lago Umbro occidentale per il canale di Brufa, si siano distese sino ai piedi del Subasio, l'argomento più convincente è la relativa scarsità di depositi al- luvionali nel perimetro orientale della zona interna, scarsità ine- splicabile qualora non fosse esistito un abisso da colmare tra gli sbocchi dei fiumi apenninici e quella zona. Non pretendo colla esposta sintesi di dare risoluti tutti i pre- blemi che presenta il territorio del Tevere antico, nè tampoco di averne posti tutti i quesiti. Vi sarebbe da visitare ancora l’alti- piano di Gubbio, e forse qualche altro luogo. Se però non m’in- ganno, mi sembra d’aver toccati i tratti più importanti, e di avere oramai accumulati materiali sufficienti per mantenere l'impegno assunto di sbozzare una storia delle trasformazioni idrografiche del bacino del Tevere dall'epoca pliocenica alla contemporanea. Intanto, poichè l’obbiettivo di queste Note è stato di spianare la strada alla presentazione della indicata Memoria corredata dei disegni e documenti necessari, spero che anche le descritte con- siderazioni possano essere trovate in armonia colle parole, colle 180 A. VERRI, AVVENIMENTI NELL’INTERNO DEL BACINO, ECC. quali chiudeva l'articolo precedente. Nel riferire le osservazioni ho obbedito alla voce — scrivi quello che vedi — nelle dedu- zioni ho tenuta la massima del Le Verrier: — Allorchè si mette mano ad unlavoro scientifico è sempre con idea preconcetta; nè potrebbe essere altrimenti. L’uso dei materiali di cui si dispone le osservazioni che si è in caso di fare, o le esperienze che si intraprendono, indicano poi quali modificazioni si deva intro- durre nelle prime vedute. Allora il tatto scientifico consiste nel saper abbandonare quanto non era giusto, e nel lasciarsi guidare dallo studio per la via dove si può incontrare la verità. — [Il 14 luglio recatomi a fare una passeggiata nei colli Piacen- tini insieme all’egregio D." Mari professore di Scienze naturali presso l’Istituto Tecnico di Piacenza, mi sembrò notare molta somiglianza tra i fenomeni caratteristici del loro sollevamento, e quelli osservati nell’Umbria. Una linea di distacco accompagnata dalle solite manifestazioni di attività interna per via di sorgenti minerali antiche e moderne separa la formazione marina plioce- nica da un’altra formazione di acqua dolce; anche in questi ter- reni di acqua dolce copia di concrezioni calcaree come nell’ Um- bria. Una seconda linea di rottura divide i terreni lacustri più antichi dai più recenti della valle del Po, sui quali stanno le pa- lafitte e le terramare di Castione. La livellazione approssimativa- mente mi dette le elevazioni seguenti: Tabiano: — pliocene marino, metri 333 Colli di Cogolonchio: — marne d’acqua dolce, metri 230. Palafitte di Castione: — torbe lacustri, metri 66. Avverto che con ciò intendo solamente accennare la prima im- pressione riportata da rapida escursione su terreni che fino ad ora non aveva giammai avuto occasione di visitare. Atti Soc. Ital. Sc.Nat.XXI tav.5. i e. A Schizzo Idro@rafico idea E del dy TERRITORIO TIBERINO n NEL PLIOCENE ANTICO "Tia ___-- Perimetro attuale del displuvio Tirreno. AAA Traccie di antico displuvio. Sbocco attuale dell'alto Tevere e della Nera. Linee principali di rottura nei bacini adiacenti del Tevere anfico e dell'’Arno-Chiana, manifestatesi durante il sollevamento. Centri di attività dei Vulcani Tirreni quaternari. Id. dei Valcani frachitici. Lit.Ronchi,Milano. 0 O pi i OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI INSETTI FOSSILI DELL’AMBRA E DEL COPALE, DI G. MALFATTI. (Seduta dal 28 luglio 1878.) Gli insetti fossili sono in generale assai meschinamente rap- presentati nelle raccolte paleontologiche, e poche sono le opere che ne trattano con qualche estensione, non tanto per una as- soluta scarsità di essi in natura, quanto per la circoscrizione delle località dove hanno il giacimento. Le classiche specie del calcare litografico di Solenhofen non si conoscono fra noi che per qualche fac-simile in gesso, ed anche quelle di Aix (Provenza), di Oenin- gen e di Radoboj (Croazia) quantunque più comuni scarseggiano nei nostri musei. Di insetti dell’ambra vantano ricche collezioni al- cune città della Prussia,’ che traggono dalle coste del Baltico una gran quantità di quella resina fossile, ma altrove non se ne vedono per lo più che dei semplici saggi, anche perchè le applicazioni artistiche ed industriali dell’ambra ne rendono il prezzo piuttosto elevato. Ciò serve naturalmente di incentivo a molte frodi che 1 Danzica. Menge, (raccolta privata). Kénigsberg. D. Thomas, Av. Meyer, Hagen sen. (raccolte private). Kònig. Univers. Phys. oekonom. Gesell. Altre raccolte che fornirono materiali agli autori che studiarono gli insetti del- l’ambra si trovano ad: Halle. Universitit (Prof. Germar.) Zurigo. Sig. Bremi- Wolf. Losanna. Prof. Heer. Pietroburgo. Sî9g. Motschulski. Berlino e Greifswald. 182 G. MALFATTI, si fanno su vasta scala in modi diversi, secondochè si tratta solo di imitare l’ambra semplice con cui si fanno oggetti di ornamento o l’ambra insettifera ricercata dagli amatori di curiosità natu- rali. Di tali frodi però potrà facilmente garantirsi chi abbia ap- pena qualche cognizione di entomologia e più che tutto un po’ di abitudine nell’osservare. Ammesso anche che la falsificazione sia affidata a persone intelligenti, come pur troppo si verifica quasi sempre in simili casi, è certo che nessuno se non un con- sumato entomologo può prevedere i mille incidenti possibili nella vita di un insetto, e presentarcelo ad arte in tale atteggiamento che possa produrre su noi l’effetto di una completa illusione. È bensì vero che per un insetto morto nell’ambra tutte le posizioni possono essere buone, ma il difficile sta nel rinchiudere 4 o 5 individui nel medesimo pezzo, e tutto ciò in tempo brevissimo, perchè la riescita richiede come condizione essenziale una rapida solidificazione della sostanza impiegata. Per tener pronti questi 4 o 5 individui bisogna averli già presi qualche tempo prima, il che se si tratta di piccoli insetti con ali, antenne e zampe assai de- licate, non si può fare senza guastarli più o meno. Inoltre vi sono insetti con ali estremamente caduche, che non si riuscirebbe mai a collocare intatti nella resina destinata a passare per ambra ed altri ve n’ hanno che si accoppiano solo nel volo, e si disgiun- gerebbero tosto quando fossero tocchi dalla mano dell’uomo. In- somma, si vede senza che si prolunghi di troppo questa serie di esempi, come non manchino i mezzi di riconoscere se un’ambra insettifera è genuina o falsificata e ciò senza ricorrere ad alcun saggio chimico come qualcuno avrebbe potuto credere. Ma la questione può presentarsi anche sotto un altro aspetto, come nel caso che ora prendo ad illustrare, e che mi occorse studiando una raccolta esistente già da qualche anno in Museo, sotto la dominazione di “insetti fossili nell’'ambra del Mar Baltico. , Questa raccolta apparteneva prima ad un certo sig. Giuseppe Gautieri, già commissario delle miniere sotto il primo regno ita- lico, ed il comm. E. Cornalia la comperò dagli eredi, per farne OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI INSETTI FOSSILI, ECC. 183 dono a questo istituto ch’ egli dirige con tanta scienza e tanto bi ‘amore e che è giustamente apprezzato come uno dei primi in Italia. E siccome l'acquisto fu fatto previa dichiarazione e ga- ranzia degli eredi stessi, i quali presentarono a testimonianza del loro asserto una nota manoscritta trovata nelle carte del defunto, si ritenne per qualche tempo come dimostrata l’autenticità di quella raccolta, sotto il duplice aspetto della materia e della provenienza; tanto più che la data relativamente antica cui si faceva risalire la sua origine, escludeva in gran parte il sospetto di qualsiasi falsificazione. Però riconoscendo che queste semplici circostanze di fatto non escludevano punto la possibilità di un in- ganno, il prof. Cornalia pensò più tardi di utilizzare la mia pre- dilezione per gli studi entomologici, affidandomi l’incarico di trattare scientificamente la questione, del che io mi tengo som- mamente onorato, lieto se potrò con questa Nota ottemperare al suo desiderio. Anzitutto credo sia necessaria una breve descrizione della raccolta di cui si tratta, perchè essa non è nota finora che ai frequentatori del Museo Civico. Sono 90 i pezzi che la compon- gono, e questi lavorati a forma di lenti biconvesse con diametro massimo compreso fra 0,022 e 0,010. Un unico pezzo è tagliato in tavola quadrangolare di 35 millim. per lato, e pesa gr. 7,5. Gli altri pezzi pesano naturalmente assai meno, da gr. 3à12 a gr. 0,3. Il colore è giallo dorato o giallo miele; la trasparenza perfetta nella maggior parte dei pezzi, o appena turbata da in- terne screpolature o dall’agglomeramento di bolle d’aria, e in un pezzo si vede anche un nucleo interno semitrasparente di color paglierino. Fra gl’insetti rinchiusi molti sono quasi completi e mostrano an- cora i loro primitivi colori, come se fossero stati raccolti al momen- to, colle ali e colle antenne nella più completa integrità; il loro esame è generalmente assai facile per la trasparenza della materia in cui sono contenuti, sebbene la forma lenticolare che artificial- mente si è voluto dare ai pezzi sia tutt'altro che addatta ai mezzi ordinari di osservazione. Però alcuni insetti, quantunque ben con- 184 G. MALFATTI, servati, non mostrano distintamente tutte le loro parti caratte- ristiche, perchè le circostanze che accompagnarono la loro morte, li costrinsero ad assumere delle posizioni poco favorevoli a chi li esamina. L’entomologo potrà sopra un solo individuo in buon stato rintracciare i caratteri del genere e delle specie, mettendo in evidenza quelle parti che naturalmente non sono accessibili all'occhio ed esaminandole comodamente l’una dopo l’altra. Ma quì si tratta di insetti che; anche assolutamente completi, sono semplici frammenti dal punto di vista zoologico, perchè spesse volte gli organi più essenziali e caratteristici sono nascosti sotto ad altre di secondaria importanza. Perciò è assai difficile il poter caratterizzar bene generi e specie quando di ognuno non si ab- biano molti esemplari, che corrispondono alle figure prese da varii punti di vista con cui si rappresentano gli oggetti nelle opere descrittive. Per la massima parte gli insetti della raccolta sono floricoli e planticoli come quelli che erano più esposti alla pro- babilità di rimanere impigliati, ed emergono sopra tutto per ab- bondanza di specie i Ditteri, gli Imenotteri ed i Nevrotteri cor- rodenti, cioè le Termiti coi sottogeneri Eutermes e Termopsis. Fra gli Ortopteri alcune Blatte allo stato perfetto ed una larva di Grillide assai ben conservata. Gli Emitteri ad ali membranose offrono alcuni generi distinti, ed uno pure ne presenta il gruppo degli. Eterotteri geocorisi. L'ordine dei Coleotteri vi entra per una diecina di specie da riferirsi ai Carabici, Lamellicorni, Bra- chelitri, Elateridi e Ciclici, ed anche le farfalle sono rappre- sentate da quattro forme di Microlepidotteri. Non mi sono però occupato di stabilire dei rapporti numerici fra i vari gruppi del sistema, perchè evidentemente essi non avrebbero alcun valore nel caso nostro, essendo la collezione composta di pez- zi lavorati alla cui scelta probabilmente fu affatto estranea ogni ve- duta scientifica. È certo intanto che la pluralità e varietà delle spe- cie, come la contemporanea presenza di molte nel medesimo pezzo, non che gli atteggiamenti dei singoli individui e lo stato di con- servazione in cui li vediamo, si oppongono recisamente all’ipotesi di una imitazione fatta ad arte, e ciò indipendentemente da qua- OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI INSETTI FOSSILI, ECC. 185 lunque considerazione zoologica. Per dire che fra gli insetti della nostra raccolta non vi è neppure una specie identica a quelle dell’ambra, bisognerebbe aver avuto sotto mano molti materiali e molti libri, ma se anche fin d’ora ci fosse lecito una conclusione. di questo genere non ne verrebbe di conseguenza che i pezzi della nostra raccolta sieno da considerarsi come un prodotto dell’arte. Potrebbero essere fatti invece di qualche resina analoga all’am- bra, come quelle che ancora oggidì trasudano dal tronco di certi alberi nei paesi caldi, e nelle quali la presenza di insetti è un fatto molto comune. Fra queste abbiamo una sostanza abbondan- tissima in commercio e designata tecnicamente sotto il nome di copale, quantunque per la variabilità della sua composizione e dei suoi caratteri fisici non possa essere considerata come una specie chimica ben definita. Allo scopo di constatare quanto ci fosse di vero in questa ipotesi, cominciai dal procurarmi degli esemplari ben determinati tanto di ambra come di copale, per servirmene come di tipi nelle prove a cui volevo sottoporre i pezzi della nostra raccolta. Dal modo con cui questi si sarebbero comportati in confronto di quelli, avrei potuto riconoscere immediatamente la loro natura. Ma praticamente la questione non è così semplice come si po- trebbe credere da quanto leggesi in alcuni trattati di chimica, perchè i caratteri indicati cone distintivi fra l’ambra ed il copale sono sempre relativi alle diverse qualità di quest’ultimo, il quale varia di composizione a seconda della sua provenienza. E mentre tutti gli autori ammettono che le due sostanze possono rassomi- gliarsi moltissimo, nessuno accenna se la analogia abbia rapporto col loro luogo d’origine e se tutti gli esemplari di uno stesso giacimento abbiano con quelli di un altro lo stesso grado di so- miglianza. Osservo del resto che quand’anche la fisica e la chi- | mica ci potessero fornire in proposito dati più positivi, essi non sarebbero applicabili nel caso nostro, giacchè ignoriamo la pro- venienza della sostanza. che trattasi appunto di qualificare, a meno che tale provenienza si avesse a dedurre coll’aiuto di cri- teri zoologici fondati sulla conoscenza delle forme entomologiche 186 G. MALFATTI, esotiche. Non è però indispensabile adottare un simile processo, dal momento che possiamo valerci di mezzi molto più semplici, poichè dobbiamo riconoscere che se alcuni dati empirici non sono pienamente assoluti, essi bastano almeno per la gran maggioranza dei casi. E qui credo non inutile il darne un breve riassunto, co- minciando da quelli di ordine fisico, che hanno il vantaggio di poter essere posti in evidenza senza distruggere o intaccare pro- fondamente la sostanza messa alla prova; il loro numero però è assai limitato. Infatti qui non si può ad esempio far uso del peso specifico come utilmente si pratica in altri casi consimili, perchè quando l’ambra o il copale contengono degli insetti, rappresentano evi- dentemente una massa non omogenea, tanto più che al corpo degli insetti, stessi aderisce sempre una certa quantità d’aria. Molto meno possono essere considerati come caratteri distin- tivi quelli desunti dal colore e dalla trasparenza, perchè variano moltissimo tanto nell’ambra che nel copale per varie cause non tutte ben conosciute. Il Burmeister ne cita per l’ambra una abbastanza probabile nel suo classico Trattato di Entomologia, dove uno speciale capitolo è dedicato agl’insetti fossili, con in- teressanti ragguagli sopra tutto ciò che ha con essi attinenza. Egli dice di aver osservato nella collezione del Museo di Berlino che tanto il colore come la trasparenza dell’ambra sono sempre in rapporto collo stato di conservazione dei resti organici e colla giacitura dell'’ambra stessa; quella della Pomerania è di color chiaro e assai trasparente, con insetti che non presentano il me- nomo indizio di alterazione, mentre quella della Prussia orientale, più o meno bruna e quasi appannata, contiéne degli insetti il cui corpo è ricoperto di muffe. Ciò dipenderebbe secondo l’ opi- nione del Burmeister da una maggiore o minore consistenza del- l’ambra all’epoca in cui scolava sotto forma di resina, talchè gli insetti poterono esserne immediatamente rivestiti ovvero impigliati solo in parte e nel resto esposti al contatto dell’aria. In tal caso la porzione che così rimaneva scoperta doveva subire necessaria- 4 Vol. 1, pag. 634. tai i AI OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI INSETTI FOSSILI, ECC. 187 — mente un principio di decomposizione, i cui prodotti diffonden- dosi nella massa dell’ambra, vi producevano le alterazioni pre- cedentemente accennate. E aggiunge il Burmeister che la diversa consistenza dell’ambra potrebbe indicare la sua origine da varie specie di piante, il che concorda colla differenza del luogo di origine. Ma questa interpretazione parmi non si debba accettare come assoluta, perchè lo stesso pezzo presenta frequentemente una grande eterogeneità di colore e di trasparenza anche quando è scevro di insetti, come ciascuno avrà avuto occasione di osser- vare più volte; del resto, siccome nel copale si danno pure ana- loghe varietà, qualunque distinzione fra le due sostanze riesce impossibile sotto questo rapporto. All'incontro si possono avere dei risultati positivi ricorrendo all’ esplorazione del grado di durezza, pel quale le due sostanze differiscono sensibilmente talchè torna possibile il distinguere l’una dall’ altra. Tutte le varietà di copale si possono scalfire coll’ unghia tanto facilmente come si fa per la selenite, e la scal- fitura mette a nudo una superficie rugosa ed opaca coperta dal detrito della porzione intaccata. Dall’unghia invece l’ambra non riceve che delle leggerissime striscie le quali non ne alterano sen- sibilmente la trasparenza, ed anche trattata con corpi più duri si lascia solcare ma produce pochissima polvere. I pezzi della nostra raccolta si comportano precisamente come il copale. Quanto ai caratteri la cui manifestazione richiede 1’ applica- zione del fuoco essi non possono più essere considerati come di ordine fisico, trattandosi di sostanze che con questo agente si decompongono secondo la legge comune a tutti i corpi di origine organica. Volendo fare delle esperienze comparative circa gli ef- fetti del calore sull’ambra e sul copale, se ne staccano con uno strumento tagliente alcune piccole schegge, e si collocano sopra una lamina di platino esposta alla fiamma di una lampada a gaz. Assai prima che l’ambra abbia incominciato a mostrare qualche indizio di alterazione, il copale gonfia e si fonde rapidamente scor- rendo assai fluido sulla superficie metallica, poi prende fuoco esa- lando un odore analogo a quello dell’incenso e non lascia dietro 188 G. MALFATTI, a sè che una larga macchia nerastra. L’ambra all’opposto si fonde più tardi e con lentezza, senza aumentare sensibilmente di volume, e persiste per lungo tempo allo stato vischioso; infiammandosi dà luogo ad un odore aromatico sui generis. | Per ciò che riguarda la temperatura di fusione delle due so- stanze le indicazioni bibliografiche non sono abbastanza concordi e sarebbe necessario istituire alcune esperienze per risolvere la questione in modo definitivo. Secondo i più accreditati dizionar] moderni di chimica l’ambra fonderebbe alla temperatura di 290°, mentre da quanto asserisce in una recente pubblicazione il dott. Gu- stav L. Mayr (vedi Bibliografia) può sopportare senza fondersi una temperatura superiore a 360°. Quanto al copale, siccome ‘ se ne conoscono numerose varietà, deve naturalmente fondere a temperature molto diverse, che sono comprese fra i limiti di 200° e 360°, perchè in ogni caso è sempre meno fusibile dell’ambra. Quello dei pezzi componenti la collezione del Museo fonde ad una temperatura di poco inferiore ai 290°, comportandosi però sempre assai diversamente dell’ambra, sia per la fluidità molto maggiore che acquista, come per l’odore che sviluppa bruciando. Alcuni chimici indicano pure fra i mezzi di distinzione del- l’ambra dal copale l’impiego dell’olio essenziale di cajeput in cui la prima.sostanza è quasi punto solubile a differenza dell’ altra. Ma questo carattere non è comune a tutte le varietà di copale e la nostra appunto è di quelle insolubili. * Riassumendo, abbiamo una sostanza che, paragonata all’ ambra e al copale, non ha comuni colla prima fuorchè i caratteri più contrastati ed incerti, mentre per la durezza, pel grado di fusi- bilità e per l’odore che sviluppa nell’ardere presenta nel modo più evidente i caratteri del secondo. E tali analogie essendo dop- piamente eloquenti, inquantochè fu già eliminato il dubbio che si trattasse d’un prodotto dell’arte, mi credo autorizzato ad ac- cordar loro una grande importanza, non omettendo però di cer- car altri fatti che rendano ancora più fondata la nostra con- clusione. ' Rendo qui publiche grazie al Prof. Guglielmo Kéorner che mi fornì i dati ed i mezzi relativi allo studio chimico dell’ambra e del copale. OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI INSETTI FOSSILI, ECC. 189 E qui sarebbe giunto il momento di trarre qualche profitto dagli elementi zoologici contenuti nei pezzi della collezione da me studiata e principalmente di quelli i quali, essendo molto rari nell’ambra, concorrono a provare colla loro presenza che tale non può essere la materia entro a cui li vediamo piuttosto ab- bondanti. Essi sono i coleotteri lamellicorni, i lepidotteri in genere e gli apidi fra gli imenotteri; più varie specie di ogni ordine appartenenti a generi rappresentati nell’ambra, ma diverse da quelle proprie a quest’ultima, come Termes, Psocus, Blatta, Elater, Dolicopus, Antomya, Formica, ecc. Se non che le note e le tavole relative a questa parte del mio lavoro, non sono ancora ordinate quanto occorra per una lettura e per le stampe, ed io debbo provvisoriamente limitarmi ad una breve rassegna dei dati che mi sembrano più concludenti. Coleotteri lamellicorni. — Due generi di pleurostichi, da riferirsi alla famiglia dei Melolontidi. Forme analoghe al genere Rhyzo- trogus. Non hanno nulla di comune con quelli descritti dall’Heer. * Lepidotteri. — Quattro specie di eteroceri piuttosto piccole, fra cui due tineiti. Non ho potuto confrontarle a quelle descritte da Gravenhorst nell’ambra del Baltico, ma ho notato molta ana- logia fra una di esse e la Falena geometra di Bloch (Uedber In- secten in Kopal; vedi Bibliografia). Apidi. — Una sola specie ma con molti individui trovando- sene anche 2 nel medesimo pezzo. Si approssima più al genere Melipona che al genere Apis per aver gli occhi semplici quasi disposti in linea retta: le ali non si possono studiare bene in nessun esemplare, ma per quel poco che sono visibili mostrano molta analogia con quelle del genere Melipona. In quello vi sono tre cubitali poco distinte e due discoidali, qui invece una sola dell’una e dell’ altra. Le antenne sono di 12 articoli di cui il primo ha circa un terzo della lunghezza totale. Il torace è grosso, forte, l'addome piriforme. Il primo articolo dei tarsi posteriori assai sviluppato, riconoscibile a prima vista. ! Die Insektenfauna der Tertitirgebilde von Oeningen und von Radoboy. — Erste Abth. pag. 67 e seg. 190 | G. MALFATTI, Nell’ambra del Baltico non mi consta sia stato trovato altra forma di questo tipo fuorchè una Trigona® che è un sotto ge- nere delle Melipone, ma esso si riconosce all’addome triangolare corto, carenato al disotto; caratteri che evidentemente non si riscontrano nel nostro insetto. Gen. Termes e Blatta. — Gli argomenti che si possono de- durre dallo studio di questi due generi sarebbero forse stati suf- ficienti alla definizione della controversia qualora gli altri mezzi ci avessero fatto difetto, poichè l’ uno e l’altro hanno nell’ ambra moltissime specie accuratamente descritte e figurate in lavori speciali, ma nessuna di esse concorda con quelle della nostra raccolta. Per le Termiti specialmente il confronto non poteva riuscirmi più facile, avendone a mia disposizione circa trenta esemplari tutti di una medesima specie, per cui ho potuto stu- diarne con sicurezza i caratteri zoologici per le varie posizioni dell’ insetto nei singoli pezzi. Questa specie appartiene al sottogenere Eutermes, che fasiloginitià è riconoscibile per la mancanza di rami trasversi fra la prima e la seconda nervatura dell’ala, ed a cui appartiene pure il 7. anti- quus descritto da Hagen e Pictet nell’ambra del Baltico. Ma fra l’una e l’altra vi sono differenze sensibilissime, che si rilevano par- ticolarmente nella conformazione dei palpi e delle antenne, le quali ultime hanno inoltre tre articoli in più di quelle del 7°. antiquus. Molto meno vi è analogia fra le specie nostre e quelle descritte dal- l’Heer nei terreni terziar] di Oeningen e Radoboy sotto le denomi- nazioni di 7. pristinus, obscurus, croaticus, debilis e pusillus, mentre invece si trova che assomiglia molto a certi Hemerobius segnalati da Bloch nel copale, e riconosciuti dallo stesso Pictet come Termiti del sottogenere Eutermes. La sola ragione che non mi permette di pronunciarmi in modo assoluto consiste nel modo troppo imperfetto con cui quegli Hemerobius sono descritti: con tutto ciò abbiamo sufficienti indizj per stabilire un precedente, che col sussidio di altri dati potrebbe acquistare una certa im- 1 BURMEISTER, loc. cit. pag. 636. iii ceci in OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI INSETTI FOSSILI, ECC. 191 LI portanza. È utile il richiamare che il sottogenere Eutermes è stato ulteriormente diviso in due gruppi minori, secondochè la nervatura mediana dell’ ala è lontana dalla subcostale, e scorre nel mezzo dell’ala, oppure ne è vicinissima e quindi portata verso il margine esterno. Le specie dei primo gruppo, al quale appunto appartiene anche le nostra, sono tutte fossili ad eccezione di alcune poche che hanno per tipo la 7. morio dell’ isola Portorico, per cui o noi abbiamo a che fare con un copale molto antico ed anzi propriamente fossile, o se non è tale possediamo almeno qualche criterio per determinare la sua provenienza. Qui ci risovveniamo naturalmente del genere Melipona, la cui area di distribuzione è probabile che si estenda fino alle Antille; ed altre indicazioni potrebbero forse desumersi dalle varie specie del genere Blatta che io trovai differenti da quelle dell’ ambra, e che richiamano invece alcune forme esotiche figurate e descritte dal Saussure nei suoi Melanges orthopterologiques.' Ma di questo come degli altri generi non potrei convenientemente parlare senza far uso dei di- segni che per ulteriori ricerche ho eseguiti dal vero, e che mi riservo in ogni caso di pubblicare più tardi, qualora i risultati sieno tali da meritare questo onore. Ora mi preoccupa maggior- mente l’idea di raccogliere tutti i dati relativi all’ argomento, piuttosto che quella di analizzarli nei minimi loro dettagli, la qual cosa diventa anche più facile e più efficace quando le ri- cerche sono già coordinate ad uno scopo determinato. E parmi tanto più necessario di insistere nella primitiva questione concer- nente la differenza tra l’ambra ed il copale, inquantochè importa moltissimo che non si rinnovi per altri casi l’ errore, come ap- punto ho ragione di credere che sia occorso fin qui. Nella già citata Memoria del dott. Gustav Mayr sulle formiche fossili nel- l’ambra del Baltico, l’ autore dice di aver riconosciuto per co- pale un esemplare speditogli dal prof. Issel, e qualificato col nome di sicilianischer Bernstein, mentre non espone alcun dub- bio a proposito delle specie figurate dal Guérin-Meneville (vedi 1 Memoires de la Société de physique et d’histoire naturelle de Genève, Tom. XXIII, Première partie, 1873. 192 G. MALFATTI, Bibliografia) e da lui riferite all’ambra di Sicilia. Forse ivi esi- stono allo stato fossile l'una e l’altra specie di resina, e mi pare che la questione meriti di essere studiata sotto questo punto di vista. È certo che se gli insetti fossili ebbero finora una im- portanza limitatissima come criterio paleontologico, ciò dipende unicamente dalle scarse cognizioni che si hanno in proposito, ma che altrimenti essi potrebbero fornire dei preziosi dati al geologo, come qualsiasi altre classi di animali invertebrati. Ora poi che si pensa con lodevole zelo ad illustrare le meraviglie e le produzioni naturali del nostro suolo, per avere anche scien- tificamente il diritto di stare a paro colle altre nazioni, sa- rebbe grave errore il non fare qualche ricerca anche in questo ramo speciale della paleontologia, che appunto perchè inesplorato finora potrebbe riserbare agli studiosi un largo compenso alle loro fatiche. Possa questo piccolo saggio divenire il perno d’im- portanti lavori come: “ favilla che gran fiamma seconda. , APPENDICE BIBLIOGRAFICA PRINCIPALI OPERE SUGLI INSETTI FOSSILI DEL COPALE. Bloch (M. E.). Ueder Insekten in Kopal. — Beschiftign d. Berlin. naturf. Freunde. B. 2. 1776, p. 156. (mit 2. Taf.) Dalman (J. W.). Des insectes renfermés dans les resines de Copal. — Feruss Bull. se. nat. Tom. 14, 1828, p. 287 — ed anche in Trans. of. ent. soc. of London, vol. IV, 1847. _ Om Insekter inneslutne î Copal ijemte beskrifning pa nagra deribland fockommande arter. — K. Vat. Akad. Hamdlgr. Stokolm, 1825, p. 375. Hope (F. W.). Katalog der im Bernstein und Kopal eingeschlos- senen Insekten. Trans. of entomol. soc. of London, vol. I, 1836. — Descript. de quelques insectes non décrits trouvés dans la résine animé, — Guer. Magazin Zoolog. 1842, t. 12. N. 87. 3 planch. color. —— SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ. oo della: Società è di Pepe Yeroa] in Italia il progresso degli studì pr relativi alle scienze naturali. di Socj sono in numero illimitato, effettivi e corrispondenti. I Socj effettivi pagano it. L. 20 all’anno, în una sola volta, nel primo tri- ln nestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli î dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunica-. | È de e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. . A Socj corrispondenti sì eleggono persone distinte nelle scienze naturali, le tuali dimorino fuori d’ Italia. — Possono diventare socj effettivi, quando si — assoggettino alla tassa annua di lire venti. — Non sono invitati partico- larmente alle sedute della Società, ma possono assistervi e presentarvi o (farvi leggere delle Memorie o delle Comunicazioni. — Ricevono Line mente gli Atti della Società. | La proposizione per l’ ammissione d’ un nuovo socio deve essere fatta è firmata da tre socj effettivi. . I Socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima \ della fine dell’anno sociale (che termina col 81 dicembre) continuano ad es- È sere tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno successivo, cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. | . Le Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere sala negli Atti o nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, secondo la loro estensione ed importanza. | La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del formato degli Atti o delle Memorie stesse. Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, pur- chè li domandino a qualcuno dei membri della Pa rilasciandone regolare ricevuta. . Quanto ai lavori stampati negli Atti l’autore potrà far tirare un numero q ualunque di copie ai seguenti prezzi: ME Esemplari. | Resa “|a S0 | 75 | 1900 | IA di foglio (4 pagine) . . L.1 —|L. 2 —| L. 2 25| L.3 50 | Il | ‘la foglio (8 pagine) . . . BED | n 8 DO da |>, di foglio (12 pagine) . . =» 295 » 450] ». 6—| »8— I | l foglio (16 pagine) . . . MRI I | ae; INDICE. R. Pirorra, Libellulidi dei dintorni di Pavia (Continua- —_—| zione e fine). ORO Le i ati Se Seduta del 26 ] Menia 1878. NPT Tata. AA G. MERCALLI, Sulle marmotte e tr i nei d'indorsn di ambi A RE SHOES AE Seduta del 30 Giugno 1878. 1403200! P Lu A. e G. B. VinLa, Cenni geologici sul tri hr 10 ) dl an- patito tico Distretto di Oggiono a | F. SoRDELLI, Brevi appunti alla pi del Pr dd Mer- calli: Sulle Marmotte fossili trovate nei dintorni di | Como . | | Seduta del 28 Luglio 1878 ‘4 Programma della VII riunione ili odiana delli Società mood | Italiana di scienze naturali che si terrà nel prossimo (A % settembre a Varese ANGRI A. VERRI. Avvenimenti nell’ interno o, batta del nate antico durante e dopo il per riodo pliocenico i G. MaLrattI, Osservazioni sopra alcuni insetti fossili dll'aluino e del copale . III NIE ALLA Dede rl ADAM iene 1 PLSA CE © Noia ve n peli P Ò : x ; i DIN vert "i x di) \ ad LL | SOCIETÀ ITALIANA | [000 DI SCIENZE NATURALI > Li “ _ . a “= . URLARE È a, . - Le PERE î N : ww: NESTA Pi dI E x 34 lì fa 1A O LN N . CEDESI i i è Lt - sfr dLA 34 ra L'ad "n * % >; ? x n r ‘ È A si si na d x tI % L] : ì É #3 ZA L <2 è 3 LI n - ì î , A i $i i ;I 3 ci dti + 500) | imesitvie VOLUME: XI Li: \; va ara ivi Let PAS re à » 4, ) ta Vi. ua RANE à a ira DI ad JA < leo. 4” e IA PELA PrO n , eli s i Ne SIONI d ì e TESI La REGIS cè, LE È Fi IO ì Y 4 & si e . tef..£ : : x » Lea di e Dist tr : ti x DO PI d. Fascicoto:3%4°%— FogLl 13-57. [iv f (0 << © .con 16 tavole!ed ‘una Carta. geologica... 0) Dnodor 060349 uso o'oflatizs 19]--ftelgatti iui Slc SYd : 89 fa i» fil De pd at 4 MILANO, | —’ TIP. BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. PER L'ITALIA: | 0@0@’PER L'ESTERO: |. PRESSO:IA PRESSO LA «a SEGRETERIA DELLA SOCIETA'} LIBRERIA DI ULRICO HOEPLI ras att Re mt MILANO" Port»: MILANO Palazzo del Museo. Civfeo. r : Galleria De-Cristoforis, .. Via Manin, 2 © Ù pen eat? 59-02. (e l] Luaio 1879. ll da la gli ATTI e delle MEMORIE si ve Per la compera de ina. pagina di questa copert 2 Pa è A ae cr LI è iii ee dado rit ZE e ASI RM ETA I 70023 A Eng 50 pia en 100 | a | *, di foglio pagine)”. . |L1—-|Togr pr al L.8 50; Sella foglio (8 pagine) . . ..| » 150] » 8 —| » 3.50] » 5.59 È È “ SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ. "T9 P <{3]y)di foglio (12 pagine) . ©. - Scopo. della Società è di promuovete hh Italia il progresso degli stud] relativi alle scienze naturali. - ES I Socj sono in numero illimitato, effettivi e ‘corrispondenti. “Ie Sa I Socj effettivi pagano it. L. 20, all'anno, in una sola volta, nel primo tri mestre dell’anno. Sono invitati ee TA alle sedute (almeno. quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunica zioni, e rice Vvono gratuitamente, «gli Atti della, Società.. 3% Pa A Socj corrispondenti si eleggono persone! distinte, nelle scienze)nati veti 1 quali, dimorino. fuori d’Italia. — Possono ‘diventare (806) effettivi, ( Juando s assoggettino alla tassa annua di lire venti. — Non sono invitati” partico+ larmente alle sedute della Società, ma possono assistervi e presentarvi. 9 farvi leggere delle Memorie o t Acjfo | Comanicazioni.] + Ricevono REA mente gli Atti della Societa. La proposizione per l’ ammissione d’ un nuovo socio deve essere fatta @ firmata da tre socj effettivi. I Socj effettivi clie non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi primà della fine dell’anno sociale (chie termina! col 31 dicembre) continuano ad es: sere tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno successivo) cessano di fatto di appartenere alla. Società, salvo a questa. il pi valer i suoi diritti per le Quote non ancora pagate 2, | 3 Le Comunicazioni, 'presentatè nelle ‘adunianze, possono essere stampaté negli Atti o nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, seconde la loro estensione ed importanza. a L La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza, ci 5 PSR Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non “sono del formato degli Atti o delle Memorie stesse. Ri Ìl Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, ui chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone regolare ricevuta. OI TI e. 0 PBI Ù 4 È lara | A9rd fi Ì Quanto ai lavori stampati, negli Atti l'autore potrà. far tirare un numerò 18 qualunque di “pe al seguenti prezzi: ui. $ Mio! CT de Noe r Sh 41 “ua, 1] Ci } è SLA A A A À VAS Esemplari cinico ne » 225)» 450] » 6—| #82 | 1; foglio (16 pagine) . . . OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI INSETTI FOSSILI, ECC. 193. - Gistel (J.). Kerfe in Copal eingeschlossen. — Leon. und Bronn. - Jahbrb. 1833, p. 712. __ Schweigger (A. Fr.). Beobachtungen auf naturhistorichen Reisen. (Copal Insekten angeblich Bernstein). — Berlin, Reimer, 1819. 4. Bg: 127, t. 8. È a | Swagerman (E. P.) Vaarneming omtrent de Insekten welken in de Gomlal: gevonden worden. — Verandl. Genootsch. to Vlissingen, 1780. Vol. VII, p. 227, tab. 1. Troost. Description of a variety of Amber, and on a Fossil Sub- stance supposed to be the Nest of an insect discovered at Cap Sable, Magoty River, Ann Arundel, County Maryland. — Sillim. Amer. Journ, 1821, T. 3, 1, p. 8. PRINCIPALI OPERE SULL’AMBRA DEL BALTICO. Berendt. (Carl Georg.). Die Insekten in Bernstein (Ein Beitrag- zur Thiergeschichte der Vorwelt) Danzica, 1830. Ers. Heft. — Organische Reste im Bernstein.! 2 vol. Berlin, 1845 a 1856. — Mémoire pour servir à l’histoire naturelle des Blattes antidiluviennes. Ann. soc. ent. de Fr. T. V. 1836, p. 539, pl. XVI. Bock (F. R.) Naturgeschichte des Bernsteins. K6nigs., 1767. Burmeister (H.). Bernstein-Insekten der Retziusschen Sammlung in Min. Kab. zu Greifswalde (Isis, 1831, p. 2000). Germar (E. F.) Insekten in Bernstein eingeschlossen. — Dess. Ma- gaz. d. Entom. Bd. 1. Heft 1, 1823, p. ll. Gravenhorst (J. L.). Bericht weber die im Bernstein erhaltenen In- sekten der phy. bkon. Gesell. in Konigsberg. — Arbeit. der Schlesisch. Gesell. 1834, p. 92. 4 Di tutti i lavori fin qui publicati in proposito questo è ancora sempre il più. esteso ed il più importante. Non è però dovuto intieramente a Berendt, essendosi egli asso- ciati all'uopo parecchi fra i più rinomati naturalisti suoi contemperanei, ma porta il suo nome perchè fu fatto per la massima parte con materiali di una raccolta da lui posseduta, ricca di oltre 4200 esemplari. Comprende, oltre ad uno studio generale sugli insetti dell’ambra, la descrizione particolareggiata delle specie di ortotteri, emitteri (Berendt e Germar), nevrotteri (Pictet ed Hagen), atteri, aracnidi, miriapodi e crostacei ( Berendt e Koch), che si trovano fossili in quella sostanza, nonchè un . capitolo sulle piante che vivevano all’epoca della sua formazione ( Gòppert). La morte prematura di Berendt lasciò incompleta quest'opera di cui egli aveva conce- pito un piano sì vasto, cosicchè certi ordini di insetti attendono ancora addesso i loro illustratori (Coleotteri e Lepidotteri; per Ditteri ed Imenotteri veggasi più avanti). Vol. XXI. . 13 194 G. MALFATTI, Hagen (N. A.). Ueber die Neuropteren der Bernsteinfauna. — Verdhandl. d. Zool. bot. Ver. zu Wien. Bd. 4. 1854, p. 221. Hasse (I. G.). Ueder d. Urspr. der Bernstein. Riga, 1796. Hartmann (P. J.). Succini Prussici civilis et naturalis historia. Francf. 1677, c. 8 min. tab. Hope (T. W.). Observations on succinic Insects. Trans. ent. soc. Vol. 1, P. 3, 1886, p. 158. — Vol. 2, P. 1, 1837, p. 46. John (J. F.). Naturgesch. d. Succins oder Bernstein. 2 Thle. Ké6ln, 1816, 8 Hfs. Kolenati (Fr. A.). Ueber Phriganiden im Bernstein. — Abhandl. d. Kòn. Boem. Gesell. 1848, 5 Folge. T. 6, p. 15. Loew (H.). Ueder d. Bernstein und d. Bernsteinfauna. — Meseritz, 1850. 4 Mayr (G. L.). Ameîsen d. Baltischen Bernsteins. — Kònigsb., 1868, "5 taf. Menge (A.). Lebenszeichen vorweltlicher im Bernstein eingeschlos- senen Thiere. —— Danzig, 1856. x Merklin (C.). Ueder foss. Hola und Bernstein in Braunkohle aus Gishinginsk — Petersb. 1853, 8 col. Kpf. Mac Culloc. On animal preserved in Amber with remarks on the nature and origin of that substance. Quart. Journ. Science. Litt. Art. R. Ist. Vol. 16, 1824, p. 41. Pictet (F.J.). General considerations on the organic remains and în particular on the Insects which have been found in Amber. Edimb. new. phil. Journ. Vol. 41, 1846, p. 391. Presl(F. Svant.). Additamenta ad faunam protogaeam. Isis, 1823, p. 374. ‘Sendel (Nath.). Historia succinorum corpora aliena involventium. Lipsia, 1742, c. 13, tab. Serres (Mar.). Notes sur les insectes et les Aracnides fossiles... etc. An. sc. nat. 1828. T. 15, p. 98. ! È un breve saggio d’una monografia sui Ditteri fossili dell’ambra, che l’autore doveva pubblicare per incarico di C. Berendt, ma che poi non fu publicata. Trovo pure citato un lavoro dello stesso LoEW (Untersuchurig von Bernstein-Dipteren) nella Stettin. Ent. Zeit. 1850, ma non mi fu possibile consultarlo: la sua comparsa contem- poranea a quella del primo dinota però chiaramente che non vi può essere tra l’uno e l’altro una gran differenza. i i ' | OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI INSETTI FOSSILI, ECC. 195 Zaddach (G.). Ueder Bernst. und Braunkohlen d. Samlandes. — Kòénigsh. 1860, mit. 4. Kupf. _ Das Vorkommen d. Bernstein u. d. Ausdenhg. d. Ter- tiargeb. in West-preussen und Pommer. Kònigs., 1870, 4 mit. col. Kupf. PRINCIPALI OPERE SULL’AMBRA DI SICILIA. Guerin (Men.). Notes sur les Insects trouvés dans Vambre de Sicile ; Revue Zoolog. de l’année 1838. Paris, 1840. Hagen (H.). An Entomological Trip to Oxford. Entom. weekly In- tellig. 1861, p. 165. — Insecten îm Sicilianischen Bernstein im Oxforder Museum Stett. Ent. Zeit. 1862. T. 23, p. 512. "ln Da Y AA fire vota Sa ceo TIPO) i Le le u ci sor ; UE pes DI La GI Lin sfiori ne 46 ) n OG: ci 4 HI i A ng; ; 4 $ P < » mi 0 a «tt, MAGG * È RE An sulfitus È a win ti que ‘at Landa ‘atta ak pe Lo snitapdii.: tt pi È hi } sé 4 TRE RIS c 13 ao gir e ARTE ta La i | cosi ati ia SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE nei giorni 24, 25, 26 e 27 Settembre 18758. Si sono inscritti presso îl Municipio, ritirando il biglietto d'ammissione, è Signori : (*) * MaceI prof. LeoPoLDo, di Cuvio, Presidente della Riunione. Bizzozero avv. GiuLIo CesARE, di Varese, ff. di Sindaco, Pre- sidente onorario della Riunione. * CORN ALIA prof. commend. Emiio, di Milano, Presidente della Società. * SorpELLI FERDINANDO, di Milano, Segretario della Società. ApAMOLI ing. GruLIo, di Besozzo, deputato di Gavirate. BarazeTTI Francesco, di Milano. * BeLLorTI dott. CrIstoroRo, di Milano. BerconziNnI dott. Curzio, di Modena. BernasconI avv. Giov. BattISTA, di S. Ambrogio sopra Varese. Besozzi avv. nob. CESARE, di Monate. * BIGNAMI-SORMANI ing. EmiLio, di Milano. BizzozeRo avv. GIAcoMo, deputato di Varese. Bizzozero cav. prof. GruLio, di Varese. BoreHI Napo, di Varano. BorrI prof. LuIeI, di Varese. Bossi SERAFINO, di Varese. * CALDERINI prof. cav. Pietro, di Varallo-Sesia. CaLEGARI dott. MAssIiMiLIANO, di Padova. Cantoni ELvezio, di Milano. CantoNI prof. Giovanni, di Milano. (#) Sono segnati con asterisco coloro che erano già Socj prima della presente Riunione. 198 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, Cantoni prof. Paoro, di Milano. CantÙ dott. Francesco, di Varese. CarRuccio prof. Antonio, di Modena. * CASTELFRANCO prof. Pompeo, di Milano. CastIGLIONI prof. BENIAMINO, di Varese. CRESPELLANI avv. cav. ARSENIO, di Modena. Crespi GAETANO, di Milano. De-GiovannI prof. ACHILLE, di Pavia. DuBinI dott. AnceLo, di Milano. I FERRARIO dott. ErcoLE, di Gallarate. FERRETTI abate AnToNIO, di S. Ruffino (Modena). *FrancEscHINI rag. FeLIcE, di Milano, GABBA prof. Lvuisi, di Milano. GaABUZZI dott. cav. GEROLAMO, di Varese. * GALANTI prof. Antonio, di Milano. GaronI dott. TEBALDO, di Oltrona al Lago. GaRrovaGLIo dott. ALFonso, di Milano. * GIBELLI prof. GiusePPE, di Modena.. GoLer prof. cav. CamiLLo, di Pavia. * GRASSI dott. Giovanni BattISTA, di Pavia. Limipo dott. Giacomo, di Varese. MacaTTI cav. dott. FRANCESCO, di Varese. MagaTTI GIusEPPE, di Varese. MageIi PLacipo Luici, di Cuvio. Macaroni cav. GiusePPE, di Gavirate. * MaerETTI PaoLo, di Milano. * MARANI cav. Giovanni, di Milano. * MARINONI prof. CamiLLo, di Milano. MartELLI-BoLoaNINI cav. IPpoLIto, di Pistoja. * Masì sac. FRANCESCO, arciprete di Castel d’Ario (Mantova). MattIROLO dott. ORESTE, di Torino. Mazzetti abate GrusepPE, di Modena. * MazzoccHi ing. Lurei, di Milano. MazzuccHELLI VitToRIO, di Milano. * MeLLA conte CARLO ARBORIO, di Vercelli. da 4 i ELENCO DEI SIGNORI CHE VI SI INSCRISSERO, Motrina Luier, di Varese. MotinarI avv. RinaLDo, di Milano. * MonTANARO rag. cav. CARLO, di Verona. * NEGRI cav. GAETANO, di Milano. * OmBONI prof. GrovannI, di Padova. PARONA dott. CARLO FaBRIZIO, di Pavia. * PARONA dott. Corrapo, di Pavia. * Pavesi prof. Pietro, di Pavia. PeRRONCITO prof. cav. EpoARDO, di Torino. PicaGLiaA dott. Lurer, di Modena. * Pini rag. NAPOLEONE, di Milano. * PoLLI prof. Pietro, di Milano. Ponti cav. ANDREA, di Varese. Ponti EttorE, di Milano. Ponti Fiuippo, di Milano. QuaGLiA ing. GIusEPPE, di Varese. * RancHET sacerdote GiovannNI, di Biandronno. * REGAZZONI prof. cav. Innocenzo, di Como. RiGamontI Ascanio, di Castellazzo Arconate. Riva ing. Luiei, di Varese. * RosaLes marchese Luici, di Bernate (Como). RosnatI cav. CARLO, di Varese. SCIALOJA avv. VITTORIO. Li ScurI avv. Uco, di Varese. SIRONI prof. Luis, di Varese. SPERONI cav. ing. GIUSEPPE, di Varese. * TARAMELLI prof. cav. ToRQUATO, di Pavia. VERATTI CARLO, di Varese. VERATTI CESARE, di Varese. * Via cav. ANTONIO, di Milano. * Via cav. GiovaNNI BATTISTA, di Milano. TROUBETZKOY principe PIETRO, di Intra. Zanzi dott. cav. EzECHIELE, di Varese. Zanzi ing. LeoPoLpo, di Varese. ZANZI dott. Luci, di Varese. 199: 200 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, ADUNANZA GENERALE D'APERTURA. 24 Settembre 1878. Alle ore 11 il magnifico salone del palazzo Veratti, gentilmente concesso dal suo proprietario, sì presenta gremito di signore, di socj e di invitati, desiderosi d’assistere all’inaugurazione dei no- stri lavori. Prendono posto alla tavola sheatdeliziato il sig. prof. LEOPOLDO Macci, Presidente della Riunione, il sig. avv. GIULIO CESARE Bizzozero, ff. di Sindaco, Presidente onorario, ed il comm. prof. EmiLio CorNnALIA, Presidente della Società italiana di Scienze naturali. — Assume le funzioni di segretario il socio F. SoR- DELLI, segretario della Società. Il prof. L. Masi legge l’applaudito discorso: Intorno alle con- dizioni naturali del territorio varesino. Esso sarà inserito per intero nel volume degli Atti della Riunione, laonde ci basti ri- cordare per intanto i temi sviluppati dall’egregio oratore. Accennato come sarebbe stato suo desiderio vedere altri al suo posto, prende a dire dei titoli che Varese vanta alla ricono- scenza degli studiosi, e restringendosi poi a quanto si riferisce agli studi naturali, parla dell’ istituzione del Museo patrio, desti- nato ad accogliere tutto che di interessante per la storia, l’arte e le naturali produzioni, ssi va scoprendo nel circondario varesino. Lo addita come imitabile esempio di quanto si dovrebbe fare in ogni città o centro un poco importante; ricorda ad onore gli egregi cittadini che lo idearono e gli diedero vita, e passa in seguito a citare i nomi di coloro che in varii tempi e sopratutto in quest’ultimo ventennio si occuparono di illustrare la naturale istoria del circondario. Descritto brevemente l’agro varesino, dal punto di vista to- pografico e climatologico, entra in più minuti particolari, riguardo alla mineralogia ed alla geologia della regione; all’ origine di parecchie rocce, come i porfidi, le retiniti, le brecce selcifere; ai Re nn ADUNANZA GENERALE D'APERTURA. 201 | fossili d’ogni età ed alla loro giacitura. Presenta le varie carte | geologiche del circondario, in diversi tempi pubblicate; in parti- colare quella colorita da Spreafico, Negri e Stoppani, pubblicata dalla Commissione geologica svizzera, e l’altra, inedita, colorita . da Taramelli; e giusta i dati di queste, imprende a tessere la storia geologica del paese. Seguendo l’ ordine cronologico, giunge a parlare dei tempi della comparsa dell’uomo fra noi e ciò gli porge occasione a dire delle stazioni preistoriche, di cui il territorio varesino offerse e va offrendo così classici esempi. Le produzioni vegetali ed animali sono del pari da lui ricor- date. Cita un certo numero di piante o esclusive o caratteri- stiche del territorio, e dalla schietta natura passando ai successi dell’arte, sussidiata questa dalla benignità del clima, non dimen- tica le più rare specie esotiche, decoro delle numerose ville e giardini, che attorno a Varese fanno così splendida corona. Intorno ai molluschi, agli articolati, ai pesci, ai rettili, agli uccelli ed alla comparsa di qualche mammifero meno comune volge in seguito la parola dell’oratore, non senza prima avere insistito sull’ importanza dello studio dei più minuti organismi, di cui è tanto ricco il circondario, coi suoi laghetti, i suoi corsi d’acqua, le sue torbiere. Studio questo dal Maggi meritamente coltivato e cagione per esso di giusta compiacenza. — Ringrazia infine i presenti ed augura che dalla presente Riunione ne venga stimolo e vantaggio ai buoni studî. Terminato questo discorso, s'alza il ff. di Sindaco, avv. Bizzo- ZERO, e con brevi, ma acconce parole, dà il benvenuto agli ac- corsi al scientifico convegno, a nome della città e della Commis- sione eletta pel loro ricevimento. — Indi sorge il prof. CORNALIA per dire delle ragioni per cui quest'anno fu prescelta Varese a sede della Riunione ed a nome della Società da essolui presie- duta ringrazia, con felicissime frasi, il Municipio e la cittadi- nanza per la bella accoglienza fattaci nella loro simpatica e gen- tile città. — Ambo gli oratori sono vivamente applauditi. Il segretario SoRDELLI comunica che la Società veneto-trentina 202 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, di scienze naturali, residente in Padova, ha delegato a rappre- sentarla al Congresso il proprio socio avv. MASSIMILIANO CALE- GARI; e che la &. Università degli studî di Modena ha del pari delegati quali suoi rappresentanti i signori cav. ANTONIO CARRUC- cio, prof. di zoologia, cav. dott. GIusePeE GIBELLI, prof. di bota- nica, e cav. D. DomeNIco RAGONA, direttore del R. Osservatorio astronomico nella stessa R. Università. Lo stesso segretario ha infine nuovamente la-parola per rife- rire intorno ai lavori della Società ed allo stato suo attuale, — Dopo di che la seduta è levata. VISITA ALL’ ESPOSIZIONE DI FIORI E FRUTTA NEL GIARDINO VERATTI. Prima di lasciare le aule del grandioso palazzo, predisposte. qual luogo di convegno pei membri della Riunione, la Commis- sione con delicato pensiero fece dono a ciascuno di essi di una copia, elegantemente rilegata in tela, della Guida di Varese e suo territorio, dell'avv. G. C. Bizzozero. | Indi si passò alla visita dell’ Esposizione di fiori e frutta che s'inaugurava appunto allora nell’attiguo giardino Veratti. Ad onta dell’imperversare della pioggia che aveva non poco incep- pati e guasti i preparativi della festa e continuava ancora con insistenza, si potè ammirare la magnifica mostra, ricca, non tanto pel numero, quanto per la bellezza e varietà degli esem- plari esposti. Le sceltissime piante a fogliame ornamentale, di serra calda, inviate dalla casa Taccioli, dalla casa Borghi di Varano, dal principe Troubetzkoy d’Intra, dal nob. Litta Modignani, attira- vano particolarmente gli sguardi. Il principe Troubetzkoy espose in una macchia una collezione di Eucalyptus assai rimarcata da chi sa quanto egli si adoperi per propagare anche nella nostra penisola così utili piante australiane. — Fuchsie, pelargonil, ga- rofani, ed altrettali pianticelle da collezione fanno di loro bella mostra, distribuite in gruppi presso i viali del giardino. — Scelte e appetitose varietà di frutta sono esposte dai signori Maggioni di Gavirate, Bellardi di Gagliate, dalla casa Cagnola e da altri non meno meritevoli di encomio. ; Leo Pa ere ‘14% A bifnicole» he PORSETTRAN e TRN CÀ #1 x } @ siii ADUNANZA GENERALE D'APERTURA. j 203 Visita AL Museo PATRIO, Dipartitisi dal palazzo Veratti, verso 1 ora pom., i componenti la Riunione, guidati dal ff. di Sindaco e dal presidente del Con- gresso, si diressero verso il Museo Patrio, collocato nel locale delle Scuole Tecniche, in piazza Cacciatori delle Alpi. Ivi la nu- merosa comitiva veniva lietamente accolta dal sig. cav. EZECHIELE Zanzi, Presidente della Società del Museo, il quale a nome dei suoi colleghi rivolgeva ai visitatori un appropriato discorso, di- cendo delle modeste e affatto recenti origini del Museo varesino, dello scopo che si propone, e presentò l’egregio prof. Luci BoRRI, come quegli che principalmente cooperò all'ordinamento delle di- verse collezioni. Tra queste si osservano le raccolte delle rocce, dei minerali e dei fossili del Circondario, dovute per una gran parte al prof. L. Magi; quella dei vertebrati, tra cui primeggiano per nu- mero e bellezza d’esemplari gli uccelli donati dal dott. BENE- sPERANDO QuaGLIA di Bardello. Le collezioni d’archeologia prei- storica, cui contribuirono a gara parecchi generosi, tra cui l’ora citato dott. QuaGLia, l’avv. G. C. Bizzozero, l'abate GIOVANNI RancHeT, il sig. Giuseppe MagaIonI ed altri. — È naturale che i visitatori si soffermassero principalmente ad esaminare queste raccolte e ne facessero tema dei loro discorsi. — Ma non si ristette però dall’ammirare l’amore con cui in soli 7 anni da che i Varesini attuarono l’idea di raccogliere in un Museo le me- morie della loro terra, siasi potuto adunare anche un bel numero d’altri importanti cimelii, come lapidi e tombe dell’epoca ro- mana, oggetti d’arte, patrii ricordi dell’italico risorgimento, ed una biblioteca di opere illustranti il Circondario. Noi partivamo di là soddisfatti, e stringendo cordialmente la mano ai benemeriti promotori di un’istituzione cotanto patriot- tica, ripetevamo gli augurii che il nostro presidente MagGI faceva per il suo futuro incremento. 204 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, COSTITUZIONE DELLE SEZIONI. Alle ore 3 eravamo nuovamente tutti raccolti nel palazzo Ve- g ratti per procedere alla formazione delle Sezioni ed alla scelta dei Presidenti e dei Segretarii di queste. Si stabilirono quattro Sezioni: 1.° Zoologia, Anatomia comparata e Paleontologia (dei ver- tebrati); 2.° Botanica ed Agricoltura; 3.* Geologia, Mineralogia e Chimica; 4.° Paletnologia. A Presidente della 1.° Sezione viene eletto il prof. Eminio CORNALIA, il quale sceglie a Segretario il prof. Pietro PAVESI, della R. Università di Pavia. A Presidente della 2.° il prof. GruserpE GIBELLI, della R. Uni- versità di Modena, il quale sceglie a Segretario il sig. VITTORIO MazzuccHeLLI, di Milano. Nella 3.° Sezione la presidenza provvisoria è assunta dal signor cav. ANTONIO VILLA, siccome il più anziano; esso invita poi a no- minare il Presidente effettivo e riesce eletto il prof. GIOVANNI OmgonI, della R. Università di Padova; il quale affida l’incarico di Segretario al sig. dott. CarLo FABRIZIO PARONA, assistente di geologia e mineralogia nella R. Università di Pavia. A Presidente della 4.° Sezione riesce nominato il cav. IPPOLITO MARTELLI-BoLoGNINI, di Pistoja, ed a Segretario il sig. GAETANO CrEsPI di Milano. Le Sezioni di Botanica e di Geologia incominciano subito i loro lavori. — Tutte poi si danno convegno pell’indomani alle ore 3, nelle aule a ciò predisposte presso le Scuole Tecniche. Il Segretario FERD. SORDELLI. elite ii i PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 205 PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. SEZIONE DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA COMPARATE E PALEONTOLOGIA. Seduta del 25 settembre 1878. Presidente, prof. EMILIO CORNALIA. Sono presenti i signori: CORNALIA, BELLOTTI, FRANCESCHINI, PICAGLIA, GOLGI, BIZZozERO, PINI, MELLA, G. B. Grassi, DuBINI, MAGRETTI, PAvESI, MAGGI, SORDELLI. La seduta è aperta alle 3 pom. ed il Presidente dà per primo la parola al dott. G. B. Grassi, il quale legge, anche a nome de’ suoi collaboratori dott. Corrapo ed ERNESTO PARONA, l’epi- logo di un lavoro embriologico clinico sull’Anguillula intestinalis dell’uomo, che trovarono specialmente in una recentissima autopsia praticata nell’Ospedale pavese. Questo verme è nuovo per l’Italia ; non si conoscono che i pochi casi constatati in Cocincina e pub- blicati dal Bavè, se non che in Italia non produce la solita forma morbosa. Il dott. Grassi dimostra poi al microscopio un prepa- rato naturale di Anguillula e pone in giro una tavola di figure annesse alla Nota. Il prof. GoLeI fa quindi una succinta esposizione dei risultati de’ suoi studj sulla terminazione dei nervi nei tendini, ad illu- strazione di preparati microscopici, che poi presenta. Egli trova due modi di terminazioni nervose nei tendini, rappresentati da due organi diversi: un primo di forma fusata con un’estremità in rapporto coi fasci di fibre muscolari e l’altro semplice o di- viso e che va confondendosi coi fasci tendinei, e questo lo chiama organo nervoso terminale muscolo-tendineo, e crede che probabil- mente nel loro significato fisiologico siano organi del senso mu- scolare: nel secondo tipo il modo di terminazione è vario, ri- cordano le clave terminali della congiuntiva, i corpuscoli paci- 206 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, niani, ecc. e fisiologicamente sarebbero con probabilità corpi tattili. Il prof. GruLio Brzzozero mette pure sott'occhio degli inter- venuti parecchie microscopiche sezioni trasversali d’ un Ascaris lumbricoides, che fu estratto dal canal lacrimale di una ragaz- zina. Importante per la sua piccolezza (era lungo appena 37 mill.) e perchè soltanto due altri casi consimili sono registrati. negli annali della scienza dal Davaine. Egli ne fa una particolareg- giata descrizione e specialmente tratta degli organi riproduttivi. È x Quindi il prof. MAGGI presenta e descrive un bellissimo cranio | umano preistorico, trovato nella Grotta del tufo in Val Gana e appartenente al Museo patrio di Varese. Esso è degno di atten- zione per tre importanti particolarità, che sono: la sutura den- tellata anche nel punto della sagittale corrispondente all’obelion; la cresta coronale molto sviluppata; e più che tutto la grande doligocefalia, perchè il suo indice cefalico è di 66.66, più del maximum della doligocefalia secondo Welcker. Il socio N. Pini mostra non pochi molluschi nuovi italiani, che descrive nella loro forma, nei rapporti con altre specie affini e nell’habitat, quali sarebbero una Testacella, due Clausilie, ecc.; accerta infine la presenza fra noi di specie rarissime o conte- state, p. e. la Pupa doliolum, che scoperse a Torno sul lago di Como ed una Succinea eminentemente meridionale trovata a Bellano. Il Presidente CORNALIA prende in seguito la parola per leggere alcune sue notizie descrittive e dei costumi della grande Sala- mandra del Giappone, a proposito dell'esemplare che il Museo Civico di Milano ebbe in dono nel 1869 dal comm. Robecchi, con- sole italiano a Yokohama e conserva tuttora vivo. Nel Giappone dicevano avesse già allora 30 anni e misurava, 1°",20 di lun- ghezza totale; in 9 anni crebbe di 5 centim. e questa misura di 1”, 25 è la massima che si conosca per la specie. La massima certamente che essa raggiunse in Europa. Ne racconta il viaggio fortunoso d’arrivo, dice che la pose in una tinozza con poca acqua e nutrì prima con Cobitis del Giappone, poi l’abituò a cibarsi di PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. : 207 ‘ rane e pesciatelli nostrali; ricorda i suoi rapporti coll’ Homo di- luvîi testes di Oeningen e contando questa crede, con altri autori, che noi conosciamo finora tre gigantesche Salamandre riferibili al genere Cryptobranchus, cioè il primigenius fossile, 1 allegha- nensis che vive nell’occidente, il japornicus nell’oriente. Dopo di aver rammentato l’acquisto fatto dallo stesso Museo, ch'egli dirige, dei fossili dei Pampas, fra cui erano alcuni pezzi ‘di Glyptodon, aggiunge un cenno illustrativo di altri Glyptodonti comperati recentemente con generose oblazioni private; mostra tre fotografie di questo grande mammifero loricato, e ne distri- buisce copie in dono a parecchi presenti. Per ultimo il Segretario dà lettura di una Memoria del socio G. Cattaneo sullo sviluppo dell’Arcella vulgaris, ben poco cono- sciuta da questo punto di vista. Soltanto dalla Memoria di Biit- schli sapevasi che nell’Arcella s1 verifica la conjugazione o zigosi, dopo la quale produconsi germi ameboidi, non seguiti nello svi- luppo; ciò che l’autore potè invece studiare fino alla loro tras- formazione in rizopodo completo, per cui può distinguere sei stadj ontogenetici dell’Arcella. È unita alla Memoria una tavola illu- ‘ strativa, che vien posta in giro. Dopo di che, stante l’ora tarda, la seduta è levata. Il Segretario Prof. Pietro PAVESI. Seduta del 27 settembre 1878. Presidente, Prof. EMiLio CORNALIA. La seduta è aperta alle ore 9.45 ant. Sono presenti i signori: ‘:CorNALIA, PAVESI, FRANCESCHINI, PINI, CARRUCCIO, BERGONZINI, CAL- DERINI, MELLA, PICAGLIA, BELLOTTI, MATTIROLO, PARONA CORRADO, PeRrRONcITO, GoLGI, Bizzozero GIULIO, CANTONI ELVEZIO e ZANZI. Letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente, il dottor PARONA intrattiene sulle poduridi italiane. Accenna alla scarsità bibliografica, massime in Italia, su questo 208 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, argomento trascuratissimo per la difficoltà delle accolte; rife- i risce su due importanti lavori di Lubbock e di Oulianine sullo sviluppo delle poduridi ed infine dà il catalogo e la descrizione di 38 specie trovate in varie parti d'Italia e specialmente nei dintorni di Pavia. Quindi risponde al prof. Cornalia che fra le specie elencate non ve n° è alcuna nuova, ma: una varietà curiosa di una presa nelle colline di S. Colombano. Il sig. MAGRETTI è invitato a leggere la Nota sulle raccolte zoo- | logiche da lui fatte nella Sardegna meridionale. Nell’ introdu- zione nota, che, oltre alle specie di animali, di cui potè procu- rare individui al Museo dell’Università di Pavia. altre ne vide ed uccise e discorre in particolare di queste e dei loro costumi. Il catalogo ragionato comprende 27 specie di uccelli, 4 rettili, 2 batraci, 23 pesci, 17 molluschi, 28 artropodi e 8 protozoi, i quali ultimi furono già da lui illustrati in altra pubblicazione. I prof. Pavesi e CARRUCCIO ringraziano il prof. Magretti e au- gurano che, con altre gite alla sempre interessante Sardegna, voglia portare largo contributo alla conoscenza della sua fauna ed alla geografia zoologica in generale. Il Carruccio raccomanda | in ispecial modo che si occupi de’ molluschi, meno studiati di. altri gruppi d’animali; conferma le osservazioni sulla lepre di quest'isola, che fu persino ritenuta una specie distinta, e pel grande desiderio che il Magretti si occupi dell'argomento evita di fare altre osservazioni, invitandolo a vedere se sia del caso di | rettificare alcuni asserti. Il prof. Calderini ricorda, a proposito | della volpesa pancia nera, che essa si osservò anche in Val Sesia, | ed il socio Pini vuol aggiunto ai nomi di Gennari e di Issel, che | furono detti essersi già occupati un po’ di malacologia sarda, quelli del Villa e del dott. Gestro. | Lo stesso Pini continua presentando una Nota sui molluschi | terrestri e fluviali dell’epoca attuale, rinvenuti nelle vicinanze di | Milano in uno strato di argilla sabbiosa e nei tufi di Val Trompia, Val Brembana, ad Esino e nella torbiera di Rogeno in Brianza. Spera così di contribuire maggiormente allo studio appena ini- ziato della malacologia fossile italiana, che all'infuori delle illu- PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 209 strazioni del Sandberger e del De Stefani per i molluschi dei ba- cini di Leffe e di Val d’Arno è affatto sconosciuta. Il prof. CALDERINI ottiene quindi la parola per discorrere sulle interessanti varietà di colore che presenta la vipera aspis in Val Sesia, e più specialmente su di una varietà senza fascia dorsale e senza macchie di cui presenta l’esemplare, raccolto insieme a pochi altri; creduta non descritta, ne propone il nome di èmma- culata. Pensa poi che l’attuale diminuzione numerica delle vipere in regioni una volta assai infestate e che producevano molti ma- teriali ai viperari che li vendevano nelle farmacie, debbasi at- tribuire all'influenza dell’uomo, che dappertutto ha dissodato il terreno, praticato strade o sentieri, abbattute foreste alpine. Il prof. CORNALIA crede che questa influenza dell’uomo consista piuttosto nell’aver distrutto il nutrimento, edil Pini prega il pro- fessor Calderini a voler cedere quest’ esemplare al Museo Civico di Milano, uno dei più ricchi e rinomati in fatto di rettili, o quanto meno a procurargliene un esemplare alla prima occasione, desiderio che sarà soddisfatto. Il prof. CaALpERINI legge poi un breve elenco dei chirotteri finora riscontrati nella Valsesia, alcuni dei quali rari. Due comunicazioni sono quindi fatte dal prof. PeRRONCcITO. La prima su di una specie di tenia dei bovini, della quale presenta un esemplare, i preparati microscopici e i disegni delle parti. Essa differisce da quella finora riscontrata in questi animali per la lunghezza, che si mantiene fra i 60 centim. e metri 2.50, la lar- ghezza di soli 10-12 mill., la grossezza della testa, la presenza di un collo, la lunghezza degli anelli maggiore della larghezza, le sue ova cuboidi, gli embrioni a forma particolare piramidale exacanti. Il color bianco gli suggerì il nome specifico di alba. È frequente in Piemonte, nel Reggiano e altrove. A questo propo- sito risponde ad alcune domande di Cornalia e Calderini. La seconda cofhunicazione del PeRRONCITO riguarda un trema- tode maturo, rinvenuto incistidato sotto la pelle di un passero; è caratteristico per la forma globosa, ha il corpo occupato quasi tutto da tubi ovarici e da rosette, ch'egli crede testicoli in causa Vol. XXI. 14 210 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, della disposizione dei condotti escretori. Non trovando alcuna notizia bibliografica, propone di istituire per esso un genere ed una specie nuova, Coccus Selve, in omaggio del dottor Selva che gli ha inviato il pezzo infetto dai parassiti accennati. Mostra i disegni relativi. Il Segretario espone quindi il risultato delle sue nuove ricerche sui crostacei pelagici lombardi; riassume le osservazioni fatte l’anno scorso sui medesimi; accerta la presenza della fauna di alto lago anche in quello di Varese, di Monate e di Comabbio, caratterizzati dalla Daphnia galeata e hyalina, e specialmente dalla Leptodora hyalina, di cui presenta esemplari, ed infine conferma la povertà di questa fauna fra noi, in confronto di quella dei laghi della Svizzera e del settentrione d'Europa. Lo stesso prof. PAvESI continua col riferire sulle sue escursioni aracnologiche, compiute nell’ agosto e settembre di quest’ anno, nel territorio Varesotto, le quali gli diedero mezzo di redigere un catalogo ragionato e sistematico di circa 150 specie varesine, mentre prima se ne conoscevano soltanto quattro o cinque dal catalogo dei ragni di Lombardia del prof. Sordelli. Questo saggio di fauna aracnologica del Varesotto contiene anche i confronti con quella del restante di Lombardia, del Piemonte e del Canton Ticino, che lo cingono da tutte parti, per cavarne deduzioni geo- grafiche. Soggiunge di aver fatte in seconda linea anche raccolte entomologiche, che commise da ‘studiare al suo distinto assistente dott. Romualdo Pirotta, il quale mandò la sua relazione. Il sig. ZAnZI ringrazia il Segretario di essersi occupato delle produzioni naturali di questo territorio, e lo prega di far dono delle sue raccolte al Museo Patrio di Varese, ciò che il Pavesi aveva già prevenuto con un'offerta in breve avvenire di queste sue raccolte determinate fatta alla Direzione di esso. Il Segretario dà quindi comunicazione di tre lavori del dott. Pr- ROTTA. Il primo relativo alle suddette raccolte di Brtotteri, libellulidi e miriapodi del Varesotto e che sarà aumentato con più recenti ri- cerche del Pavesi. Nel secondo l’autore tratta dei libellulidi italiani, tentando di darne un quadro possibilmente completo non solo colle PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 31 opere di Selys e Charpentier consultate dai più, ma con le Me- morie dei pochi naturalisti italiani che prima o poi si occupa- rono di questo gruppo d’ortotteri, e con tutte le indicazioni sparse in altri lavori. Fa precedere un elenco cronologico e critico di questi lavori, un prospetto della distribuzione geografica nelle di- verse provincie d’Italia e in tutta la regione mediterranea, che riassume poi con parecchi interessanti corollari. L'Italia, che è la più ricca regione d’ Europa in ispecie di libellulidi, la divide in tre parti: nordica-continentale, meridionale ed insulare, con quattro specie esclusive e tre specie che condivide soltanto coll’Africa settentrionale. i Nel terzo lavoro parlasi di alcuni casi di albinismo nei ser- penti nostrali, verificati a Pavia, e precisamente del Tropidonotus tessellatus e Natrix e della Coronella austriaca. Il primo è un vero leucocroismo od albinismo perfetto, gli altri sono clorocroi- smi o semplici impallidimenti di colore. Questa notizia è impor- tantissima, in quanto sono essi forse i primi ad essere segnalati nella scienza, mentre l’albinismo negli uccelli e nei mammiferi è più frequente. Il prof. CAaRRUCCcIO osserva che egli ne verificò uno a Modena, non pubblicato, nell’Angwis fragilis, e suppone che possa avere qualche influenza la luce. Sono quindi presentati dal Segretario, a nome del prof. MaGGI, ‘cinque sue Note e Memorie. Sono: 1. una Contribuzione al catalogo dei Rizopodi d’acqua dolce della Lombardia e loro distribuzione secondo la classificazione di Hertwig e Lesser modificata da Archer; in essa l’autore aggiunge alcune forme, ad altro di lui ca- talogo già pubblicato; ammette l’Arcella viridis di Perty, specie non ammessa da Claparède e Lachmann, ed in ultimo dà l’accen- nato catalogo. 2. Un Elenco dei Rotiferi 0 Sistolidi della Val Cuvia; visi an- noverano diverse specie di rotiferi classificati secondo Ehremberg, però in ultimo disposti secondo il metodo di Leydig, il quale è molto pratico per giungere alla determinazione. 3. Sullo sbocco delle vene polmonali nella rana; nella quale 212 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, Memoria ricorda la scoperta di Swammerdam e le modificazioni introdotte da altri autori, che fanno sboccare le vene polmonali non nelle due cave, ma nell’orecchietta sinistra; e da Fritsch; se- ‘ condo il quale sboccherebbero nella parte superiore del seno venoso. Le injezioni fatte e ripetute dall'autore e dal dott. An- gelo Maestri, abilissimo in questo genere di ricerche e studî, con- fermarono la prima asserzione dello Swammerdam, verificabile anche sul vivo per causa della corrente sanguigna. Il prof. Maggi mette il circolo sanguigno in posizione, per cui il cuore della rana è totalmente venoso. 4. Nella quarta dimostra che il foro di Botallo negli uccelli a completo sviluppo, che è creduto sempre chiuso, resta invece aperto, ma senza una regola, perchè in uno stesso ordine tro- vansi specie a foro di Botallo chiuso, in altro aperto e dà quindi un quadro in cui la cosa è più facilmente dimostrata. 5. Per ultimo una Memoria sui plastiduli nei ciliati e libe- ramente viventi; l’autore dimostra che trattando, com’ egli ha fatto, un’ Oxytricha gibba con bicromato potassico, a cui aggiun- gasi durante la diffluenza del nitrato d’argento, si vedono i due nuclei colorirsi in nero e si ha la rete protoplasmatica, per cui ogni granulo è un plastidulo; considera poi plastiduli liberi i ta- chymoneri dell’Heckel, ossia le forme bacteriche. Il socio FRANcESCHINI domanda ed ottiene la parola per pro- porre che la Società Italiana di scienze naturali volontariamente concorra ad aiutare il R. Governo nelle misure precauzionali contro una possibile invasione della PhyMloxera vastatrix in Italia. A tale scopo consiglierebbe di stabilire sotto la direzione della Società un indeterminato numero di vedette antifillosseriche, cia- scuna delle quali tenga in osservazione una data zona, informi la Presidenza nello sgraziato caso che la fillossera comparisse fra noi, onde la Società reclami quegli energici provvedimenti gover- nativi che si crederanno opportuni. CoRNALIA, CARRUCCIO, e CALDERINI vogliono escludere ogni idea di concorrenza agli Agenti ministeriali, però il Carruccio ritiene che al R. Governo ed alla Stazione agraria tornerà anzi gradita PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 23 la proposta, e che quelle vedette intelligenti scemeranno un po’ la somma di lavoro alla stazione di Firenze, che ora ne è vera- mente sopraccaricata. La proposta del sig. Franceschini è appoggiata, e si decide di sottoporla all'approvazione del Congresso nella seduta di chiu- sura. FRANcESCHINI annunzia a tal proposito che sarebbero già pronti ad accettare la carica gratuita di sentinella antifillosserica per varie località italiane, esso stesso, ed i signori: prof. Maggi, dott. Bellotti, N. Pini, don Masè, prof. Taramelli, dott. Pirotta, l’on. Martelli Bolognini, prof. Calderini, prof. Perroncito, dott. Pa- rona e prof. Sordelli. La seduta è così sciolta a mezzogiorno. Il Segretario Prof, P. PAVESI. SEZIONE DI BOTANICA E AGRICOLTURA. Seduta del 24 settembre 1878. La seduta è aperta poco dopo le ore 3 pom. Sono presenti i signori: Prof. GrovANNI CANTONI, Principe Pietro TrouBETzKor, M. R. D. Francesco Masè, Dott. ERcoLE FERRARIO, Dott. OresTtE MATTIROLO, Prof. PAoLO CANTONI, Prof. Giuseppe GIBELLI, VitTtoRIO MAZZuUcC- CHELLI. Si procede alla nomina del Presidente votando per schede. — Riesce eletto il Prof. Giuseppe GIBELLI, il quale sceglie a Se- gretario il sig. VITtoRIO MAZZUCCHELLI. Il Prof. Giovanni Cantoni legge allora la sua Nota sulla me- teorologia agraria in cui, mostrando quale valore, riguardo alle conseguenze che ne può dedurre l'agricoltura, ed anche la fisio- logia vegetale, debbasi attribuire agli ordinari dati sulla tem- peratura ed umidità dell’aria, raccolti in osservatorî posti fra l’a- bitato ed elevati sul livello del suolo, propone come più pratico, più esatto e più utile l’uso delle Gabbie meteoriche e degli Al- Si, > SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, beri meteorici suscettibili d’ essere collocati in quelle regioni del suolo di cui interessa avere.i dati meteorologici, e conclude spe- rando nella presta organizzazione di una telegrafia meteorologica in servizio degli agricoltori. La lettura dell’egregio professore è corredata da alcune spiegazioni fatte a voce sul Radiometro col- lettore di Bellani e da due suoi opuscoletti che egli presenta alla Presidenza. Essi sono: Osservazioni meteoriche fatte in Varese nell'autunno 1877. -— Norme per le osservazioni di meteorologia agraria. Il principe Pietro TrouBETZKoy legge indi un suo discorso sull’Eucalyptus, in cui ricordando la proprietà di questo vege- tale di risanare i luoghi infetti dalla malaria, addita la neces- sità di una sua estesa coltivazione, che dimostra possibile in molte regioni d’ Italia, e conchiude coll’invitare gentilmente i membri presenti a visitare gli Eucalyptus della sua Villa sul Lago Mag- giore. Il Dott. ErcoLe FERRARIO rivolge al sig. principe Troubetzkoy alcune domande riguardo alle migliori specie di Eucalyptus ed ai terreni più propizii per coltivarli. Il Principe risponde che la Piperita è inferiore alle Amigdalina e Globulus, che sono le mi- gliori, e tutti i terreni servono ugualmente bene. Dopo di che la seduta è sciolta poco dopo le ore 4 8/4. Il Segretario V. MAZZUCCHELLI. Seduta del 25 settembre 1878. La seduta si apre alle ore 3 4/. pom. Sono presenti i signori: MatTIROLO Dott. OrEsTE, M. R. D. Francesco Masì, Dott. ERCOLE FERRARIO, SiroNI Prof. LurGi, Prof. PAOLO CANTONI, Principe TROU- BETZKOY, il Presidente prof. Giuseppe GiseLLI ed il Segretario V. MAZZUCHELLI. Il Segretario legge il verbale dell’ultima seduta, approvato il quale il Prof. PaoLo CANTONI comunica una sua Memoria sulla Climatologia della Valle Padana. In questa esamina parte a CO pl LI PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 215 parte i vari dati meteorologici di ciascuna delle regioni in cui divise la valle del Po. Il principe TrouBETZEOy domanda al prof. Paolo Cantoni al- cune delle medie temperature massime e minime del Ferrarese; à questo risponde il professore leggendo un brano della sua Me- moria. Dopo di che fra i signori Troubetzkoy, Ferrario, Masè, Cantoni e Gibelli si discutono alcune questioni relative alla cli- matologia della Lombardia. Il M. R. D. Masè legge quindi una sua notizia intitolata: Delle Trape del Lago di Mantova e del connubio delle Stratiotes aloides in cui dà alcune osservazioni sue sulla Trapa verbanensis De Not., ed annuncia i risultati delle nozze da lui procurate della Boputiales. Il prof. Luier SiroNnI chiede alcuni schiarimenti sulla respira- zione delle piante acquatiche a cui tispendo il Presidente pro- fessore Giuseppe Gibelli. Dopo una lettura del principe TrouBETZKOY di alcuni brani di un suo opuscolo sull’Eucalyptus, in cui espone tutti i pregi della pianta, il prof. GIBELLI, come preliminare della sua futura lettura sulla malattia dei castagni, mostra alcuni pezzi di castagni morti della malattia che sta studiando e li confronta con altri morti per parassitismo di funghi. La seduta è dopo di ciò sciolta alle ore 5 1/, pom. 1l Segretario V. MAZZUCCHELLI. Seduta del 27 settembre 1878. La seduta si apre alle ore 9 ant. Sono presenti: Il Presidente prof. GIBELLI, i signori MATTIROLO Dott. ORESTE, Dott. ErcoLE FERRARIO, Prof. L. MaGGI ed il Segretario V. MAZZUCCHELLI. Il Segretario legge il verbale della seduta precedente, appro- vato il quale il prof. LeoroLno MAGGI legge una sua Nota sulla disposizione del protoplasma anteriormente alla formazione di 216 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, micro-organismi, nella quale dà relazione di alcune' sue esperienze ed osservazioni microscopiche sulle granulazioni che si produce- vano in una miscela da lui artificialmente preparata e mante- nuta poi coll’apparecchio umidante. Alla Nota unisce il disegno delle disposizioni regolari che poco a poco assunsero quelle granulazioni. Conchiude dicendo, che la ‘ conseguenza che per ora può dedurre da queste esperienze, che promette continuare, sia che la disposizione regolare del proto- plasma, altrimenti detta stella molecolare, nella formazione del- l'organismo animale ne rappresenta uno stadio vegetale. Il Presidente prof. G. GIBELLI mostra agli adunati da parte del socio M. R. D. Fr. MAsÈ, assente, alcuni esemplari di frutti ordi- nari e di frutti con due corna abortite della Trapa natans L. per confrontarli con altri della Trapa verbanensis De Not., in appoggio a ciò che lesse alla seduta precedente. Dopo aver preso l’ elenco dei membri che desiderano essere ammessi quali soci della Società Italiana di Scienze Naturali, la seduta si scioglie alle ore 10 ant. Il Segretario V. MAZZUCCHELLI, SEZIONE DI GEOLOGIA, MINERALOGIA E CHIMICA. Seduta del 24 settembre 1878. Presidente, Prof. GIOVANNI OMBONI. Sono presenti i signori: CALDERINI, CANTÙ, CANTONI, CRESPI, MARINONI, MAGATTI, MONTA- NARO, OmBONI, PARONA C. F., PoLLi, TARAMELLI, A. VILLA e G. B. VILLA. > Il presidente prof. OmBoNI, aperta la seduta, invita i soci a presentare i lavori annunciati, dopo di che.il prof. T. Tara- MELLI presenta il Catalogo delle Roccie della Valcuvia fatto dal prof. L. Maggi, ed il Segretario legge la relazione che accompa- PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 217 gna l’elenco. In essa l’autore fa una dettagliata descrizione geo- grafica e dà un cenno sulle più importanti formazioni geologiche della regione in cui raccolse le roccie. Dice che queste si tro- vano tutte nel Museo patrio di Varese, facenti parte della rac- colta geologica ch'egli donava al suddetto Museo alla fine del 1871 e che venne aumentata negli anni successivi, estendendola a tutto il territorio varesino. Aggiunge che furono classificate secondo i metodi di Brongniart, Daubrée, D’Orbigny, Jannetaz e varii altri, ma non germanici, non avendo potuto finora istituire delle ricerche microscopiche su di loro; non trascurando però quanto dicono le opere italiane intorno alle roccie e specialmente alcune Memorie de’ predecessori, in cui qua e là si trovano delle de- scrizioni di roccie. Non facendosi da parte di alcuno dei presenti osservazioni in riguardo alla Nota del prof. Maggi, il Presidente dà la. parola al D. Parona C. F., il quale legge un riassunto di un suo lavoro, col quale si è prefisso di illustrare con osservazioni stratigrafiche e paleontologiche, il pliocene dell’ Oltrepò pavese, e più precisa- mente di quella parte delle ultime falde apenniniche comprese fra i torrenti Curone e Bardonezza, i quali rispettivamente la separano dalle provincie di Alessandria e di Piacenza. La prima parte del lavoro, che comprende le osservazioni stratigrafiche, è divisa in tre capitoli. Nel primo, dopo la descri- zione delle condizioni orografiche della regione considerata ed un accenno alle altre formazioni geologiche che affiorano nella stessa, descrive in dettaglio le condizioni stratigrafiche del ter- reno pliocenico e la sua natura litologica. Dice che i terreni che paleontologicamente si dimostrano pliocenici, si possono di- videre in due formazioni distinte: quella delle marne sabbiose, che in fascia continua costituisce le prime falde dei contrafforti apenninici adagiandosi con inclinazione sempre più risentita sul- l’altra formazione dei conglomerati calcari, spostati dalla giaci- tura orizzontale più delle marne, di guisa che talora toccano la verticale. Questi terreni non sono riferibili a due periodi diversi, poichè talvolta alternano tra loro, tal’altra si sostituiscono. Per 218 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, la fisionomia di questi depositi si può asserire che il Pliocene dell'Oltrepò pavese è rappresentato da sedimenti di spiaggia, o dirò meglio, di delta, i quali acquistano la massima estensione all’intorno della valle di Staffora. Nel secondo capitolo si propone di descrivere i confini delle formazioni in discorso. Cerca di dimostrare che la formazione gessifera, immediatamente sottoposta ai conglomerati, presentan- dosi come fenomeno generale e costante per la catena apenninica e distinguendosi per molti fatti dalle altre formazioni, cerca di dimostrare, ripeto, che essa è l’orizzonte stratigrafico più adatto a separare dal miocene le formazioni plioceniche. Di più, appog- giandosi a fatti stratigrafici e paleontologici, dichiara di atte- nersi all'opinione che considera i terreni gessiferi come spettanti al pliocene inferiore e non al miocene. Cerca quindi i terreni che nella provincia di Pavia limitano superiormente le marne di conglomerati; prova che questi non sono altro se non le argille della collina di S. Colombano al Lambro, equivalenti al. piano piacentino o astigiano ‘inferiore. Per cui resta dimostrato che le marne ed i conglomerati, trovan- dosi fra le argille gessifere inferiormente e le argille del piano piacentino di S. Colombano superiormente, appartengono al plio- cene antico o messimiano superiore di Mayer. Nel terzo capitolo fa una succinta rivista dei principali lavori risguardanti i terreni pliocenici del versante settentrionale del- l’Apennino, dalla Scrivia all’ Adriatico. Da questa rivista gli risultano fatti abbastanza numerosi e sufficientemente in ac- cordo fra loro e con quelli che si riscontrano nel pliocene della Provincia pavese, da permettere di delineare a larghi tratti le vicende che per avventura potranno essere avvenute nell’epoca pliocenica lungo l’Apennino settentrionale. Per questi stessi fatti trova conveniente di tenere pel pliocene la seguente serie di piani: il Messiniano (inferiore-medio-superiore), il Piacentino e. l’Astigiano, al quale però non riferisce certi depositi sabbiosi, privi di fossili ed a strati orizzontali, che si riscontrano, tratto tratto, lungo le halze delle colline studiate, attribuendoli invece al primo - PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 219 periodo glaciale. Per ultimo compendia tutti questi fatti in un Quadro comparativo delle formazioni phoceniche del versante set= tentrionale dell’Apennino. La seconda parte del lavoro comprende le Osservazioni paleon- tologiche, dalle quali si ottennero risultati corrispondenti a quelli dedotti coll’analisi stratigrafica. Dapprima l’autore descrive le principali località fossilifere delle marne e dei conglomerati; di- scorre dell'abbondanza minore o maggiore dei fossili, della loro disposizione più o meno naturale e dello stato di loro conserva- zione; secondariamente trae qualche considerazione dai risultati ottenuti collo studio delle faune, specialmente dalla predominanza delle specie comuni al pliocene e miocene, dalla considerevole analogia colla fauna del bacino di Vienna e precisamente con quella della formazione sarmatica, dal numero delle. specie vi- venti, minore di quello delle specie non riscontrate come tali, e quindi dalla corrispondenza dei suoi risultati con quelli ottenuti dal prof. Issel, ne’ suoi studi sulla fauna delle marne del plio- cene antico di Genova e più ancora coi risultati avuti dal pro- fessor Foresti da’ suoi calcoli sulla fauna del pliocene antico di Castrocaro. Cerca poi di dimostrare come anche paleontologica- mente si debba tenere distinto il messiniano dell'Oltrepò pavese dai depositi piacentini di S. Colombano e di Castell’ Arquato. Finalmente passa all'elenco delle 148 specie di molluschi com- ponenti la sua raccolta. In esso segue, per l’ordinamento dei ge- neri, la pregiatissima classificazione esposta dal Woodward nel suo Manuale di Malacologia; per ciascuna specie cita l’autore che dà la figura meglio corrispondente al suo esemplare, ed in seguito ricorda i più importanti lavori sulla fauna pliocenica del versante settentrionale dell’Apennino, e chiude il Catalogo con un quadro sinottico comparativo, ed il lavoro con una carta idrogra- fica e geologica del territorio studiato, delineata su quella ancora inedita del prof. Taramelli, corredandola con tre spaccati da lui rilevati. | Dopo la lettura i professori OmBonI e MARINONI domandano al- ‘cune spiegazioni sul-riferimento delle argille gessifere al Messi- 220 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, niano inferiore, ed il Parona risponde citando i fatti stratigrafici e paleontologici che lo determinarono a ritenerle plioceniche e non mioceniche, basandosi specialmente sul fatto della plioceni- cità della flora dei gessi di Stradella e sulla discordanza che si verifica tra le stesse argille ed il sottoposto miocene. Il prof. TARAMELLI poi appoggia il riferimento delle sabbie gialle all’epoca quaternaria; intese però come tali esclusivamente quelle a strati orizzontali e ad elementi quarzoso-micacei accennanti la provenienza alpina. Osserva in proposito essere state dai geologi frequentemente denominate sabbie gialle delle molasse fossilifere plioceniche e perfino mioceniche, alterate dalla ossidazione atmo- sferica; di guisa che egli, per precisare tale formazione come oriz- zonte geologico, ritiene che si debba porre molta attenzione alla sua orizzontalità ed alla sua natura litologica. Così intese, le sab- bie gialle, almeno nella valle Padana a monte di Piacenza, hanno dovunque un’origine continentale senza la menoma traccia di fossili marini o di estuario. Tanto egli afferma, anche per pre- cisare alcuni riferimenti stabiliti nella sua Memoria sul Ferretto della Brianza, della quale formazione egli mantiene il paralle- lismo colle sabbie gialle; ma appunto per tale parallelismo sa- rebbe portato ad escludere la condizione sottomarina del Ferretto stesso. Rimangono, almeno per taluni geologi, a prova di questa condizione le Ostree, che furono raccolte superiormente in questa formazione del Ferretto nei dintorni di Mombello e la Perna che si dice trovata quivi presso. Delle Ostree si potrebbe altrimenti spiegare la presenza trattandosi di specie mangereccia; della Perna poi sembrerebbe almeno prudente verificare il rinveni- mento e le condizioni di giacitura. Ad ogni modo, qualora si ac- cetti il parallelismo del Ferretto colle sabbie gialle pliostoceniche, distinte come si è detto, si avrebbe già un forte argomento di analogia per ritenere anche quest’ultimo di origine continentale. Si parlò quindi del giacimento degli ossami di mammiferi del- l’epoca glaciale (Bos priscus, Cervus megaceros, Elephas me- ridionalis, Equus Caballus) che si rinvengono nel tratto ‘fra le colline di S. Colombano e lo sprone di Stradella. Tali fossili, se- PRESZIRZA TI PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 292% condo il prof. Taramelli, rappresenterebbero un deposito di ma- teriali fluitati dalle correnti apenniniche ed addossati ad una bri- glia attualmente distrutta 0, meglio, sepolta dalle alluvioni, che esisteva appunto tra l’Apennino ed il colle lombardo. Si insiste in questo proposito sulla necessità di distinguere questa alluvione ad ossami dalla più bassa e più recente alluvione, pur essa ter- razzata, che si osserva lungo il Ticino ed il Po, potendo queste due distinte formazioni alluvionali rappresentare le due fasi suc- cessive dell’epoca quaternaria nell'alta valle padana. Non facendosi da parte dei presenti altre osservazioni su tale argomento il Presidente dichiara chiusa la seduta. Seduta del 25 settembre 1878. Sono presenti i signori: CALDERINI, CANTÙ, CASTIGLIONI, CANTONI, FERRETTI, MAGATTI, MA- RANI, MARINONI, MazzeTTI, MONTANARO, OmBONI, PARONA C. F., POLLI, TARAMELLI, A. VILLA e G. B. VILLA. Il sig. Presidente prof. G. OmBonI dichiara aperta la seduta e fa leggere il verbale della riunione precedente, che viene appro- vato senza osservazioni. Dopo di che il Segretario distribuisce a tutti i presenti la Memoria intitolata: Cenni geologici sul terri- torio dell’antico distretto di Oggiono, per gentile incarico avuto dagli autori signori fratelli A. e G. B. Villa. Quindi il prof. TARAMELLI presenta un sunto di alcune osser- vazioni stratigrafiche, stabilite nelle ultime escursioni nelle Alpi cadorine; deplorando che la stratigrafia alpina, in causa delle numerose sinonimie indotte dai vari naturalisti italiani e stra- nieri, e per la ristrettezza dei mezzi di studio ed il poco accordo in cui sì trovano 1 nostri geologi, trovisi in tali incertezze che si esigerebbe una ben più dettagliata discussione per precisare il valore di alcuni piani. Oltre a ciò è pure da riconoscersi che lo studio delle serie dei terreni alpini e specialmente prealpini, af- fatto indipendente dai rilievi che stanno facendosi per la carta geologica d’Italia, sia da piccola schiera di geologi continuato 222 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, con idee diverse e senza la speranza di una unità d’intento e di un efficace e definitivo ordinamento dei loro lavori. Ad onta di ciò egli proseguì i suoi rilievi nelle Prealpi venete coll’ intento di stabilirvi una serie che presentasse il maggior possibile accordo colla serie lombarda e precisamente con quella della regione illu- strata con rara perizia e con esemplare precisione dal compianto geologo Spreafico, del Varesotto cioè e dei dintorni di Lugano. Esposte le più salienti particolarità orografiche della provin- cia di Belluno, si pone in rilievo la precipua importanza del Val- Tone percorso dal Piave dal Ponte delle Alpi ai pressi di Feltre, come quello che determina lo schema fondamentale della strati- grafia mesozoica ed accoglie una bellissima serie di terreni cre- tacei, eocenici, miocenici e glaciali. Nè meno interessante si pre- senta una dislocazione della serie mesozoica con parziale affio- ramento dei terreni paleozoici, la quale decorre secondo un piano ad un dipresso parallelo all’accennato Vallone, dal Comelico alla Valle di Zoldo, quindi attraversa il basso Agordino e si continua nelle valli di Primiero. I terreni paleozoici che affiorano lungo questa linea presentano molta analogia con quelli che nelle valli della Drova e della Gail sostengono e comprendono gli scisti a Graptoliti, mentre differiscono completamente dalle serie carbo- nifera e permiana delle Alpi carniche. Sono la più parte argil- lo-scisti micacei, passanti a talco-scisti, talora a micascisti splen- denti, giammai a gneis nè ad altre roccie granitoidi. Compren- dono invece vaste amigdale di calcare saccaroide formanti il Peralba (2870 m.), il Konigshberg ed il Silvella, continuantisi colla zona metallifera della Valle del Degano in Carnia. Si accenna d’altronde per la prima volta all’esistenza di una grandiosa massa iperitica della potenza di circa 700 m., ed affiorante per la lun- ghezza di 7 chilometri dal Monte Croce al Passo di Sonnenstein; massa che il prof. Taramelli ritiene di origine eruttiva. Nell’Agor- dino mancano i calcari saccaroidi e.la zona scistosa assai multi- forme contiene delle grovacche micacee o talcose, presso al noto giacimento minerario di Valle Imperina. Particolare interesse presentano le formazioni mesozoiche, che © 8 AI OI OI TRE PTT ROTTE en Si SIA PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 233 . costituiscono la massima parte del distretto esaminato, le quali possono riferirsi ai seguenti piani: a) Porfidi rossi, quarzosi e verdi, oligoclasico-amfibolici, ge- neralmente ricoperti dalle puddinghe del Servino (Gròdnersand- stein). b) Arenarie micacee rosse o verdastre, giammai fossilifere, da distinguersi accuratamente dalle arenarie variegate. fossilifere. Queste formano il più sicuro confine tra i terreni paleozoici ed i triasici, ove mancano le contemporanee od appena antecedenti formazioni dei porfidi suaccennati. c) Formazione gessifera principale, con dolomie cariate, marne cineree e calcari neri, bianco-venati a Bellerophon. (Zona di Monte Croce); i gessi prevalgono nella porzione orientale della Provincia, ma non mancano nell’Agordino, specialmente nella valle di Canale. d) Arenarie variegate a Myacites fassaensis, Pecten Fusswù, Possidonomia Clarae e Naticella costata, da riferirsi al Trias medio. Passano a calcari marnosi contenenti gli stessi fossili, a calcari cloritici pure fossiliferi, e gradatamente alle pietre verdi. e) Zona dei melafiri, dei tufi augitici e delle breccie eruttive a frammenti di porfido quarzoso. Questa zona, estesissima nel- l’Agordino e nella Valle di Zoldo, contiene verso la base gli scisti ad Halobia Lommelii e le pietre verdi e più in alto due 0 tre zone di varia potenza di Calcari e di Dolomie a Gyroporella e Diplo- pora con alcuni Trachyceras, i quali però non mancano nei tufi. Località importantissime, per lo studio di questa zona, sono la sponda del lago d’AWleghe e la val di Ombretta e la regione 2 nord della Marmolada. f) Calcariì marnosi, arenarie, marne, talora gessifere, di San Cassiano, le quali chiudono le formazioni dei porfidi augitici e degli annessi tufi. Oltrechè alle località di Prelangei e Laures, che appartengono in parte al versante del Cordevole, questa zona è fossilifera al Monte Frammont di Agordo e presso alla Forcella di Gian: generalmente però prevalgono le arenarie e le marne rosse, che nel. Bellunese non presentarono sino ad ora giacimenti gessiferi. 224 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, 9) Dolomia infraraibliana ad Ammoniti globosi, Chemmitzie,.. Nerite, ecc., formante la base dei colossi dolomitici e tutta intiera la porzione dolomitica della Marmolada. h) Zona di Rabl: distintissima nel Friuli, questa zona va gradatamente perdendosi nella formazione dolomitica attraverso le montagne bellunesi, pur rimanendo distinta per una più fitta stratificazione e per alternanze di marne dolomitiche ad una de- terminata altezza dei colossi calcareo-dolomitici. Si conferma la estensione di questo piano, quale fu rilevata dal sig. Loretz col nome di Schlernplateau-Schichten. i) Dolomia a Megalodon Giimbeliù ed a Dicerocardium. 3) Calcari e Dolome a Diceras, includenti una zona cal- careo-bituminosa a Posidonomia, che si rinviene al Monte Pelsa. ) Calcarì a Crinoidi, Belemmiti e Terebratula fimbriaefor- mis di Sospirolo, Cesio, Monte Pavione e Val del Cismone. m) Zona Ammonitica, inferiormente ad Ammonites bifrons, più sopra colla fauna del Zitonico, fino agli strati con Aptgcus lamellosus e Terebratula diphya. n) Zona del biancone e della scaglia con Ammoniti dal Monte Ferrere e dei dintorni di Lamon. o) Scaglia rossa ad Echinidi ed a Fucoidi spirali. I terreni terziari si trovano nella valle del Vajoud e nel Val- lone di Belluno, estendentisi orograficamente al bacino di Alpago e si distinguono come segue: a) Scaglia rossa in strati meno potenti ed alternati con brecciole nummulitiche e colle arenarie e colle marne del Flysch. 5) Glauconie del Vallone di Belluno a Scutella subrotunda e marne cerulee a Turritella Archimedis. c) Alcuni lembi di conglomerati e di marne dell’ Alpago, spettanti probabilmente al Tortoniano. d) Conglomerati preglaciali sviluppatissimi nell’ Alpago, sui versanti del Vallone di Belluno, sotto le morene ed alle selle di San Pellegrino, della valle di Canale a Moene. Riguardo ai ferreni glaciali si conferma che, nel periodo di massima espansione, tanto il ghiacciajo del Brenta, come quello PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 225 | del Piave discesero al mare; mentre che nel periodo degli anfi- teatri morenici entrambi si arrestarono nelle rispettive vallate, formando questi le note morene che circondano il Vallone di Belluno (Sospirolo, San Gregorio, Cesio, Val del Calcino, Len- tiai, Cugnan, Alpago) ed il primo le morene del bacino di La- mon, mediante il suo confluente del Cismone. — Importantis- sima è una vasta formazione lacustre ed alluvionale, sostenuta da sbarramento morenico, colla quale fu riempiuto questo bacino di Lamon ed incisa dal Cismone in epoca posglaciale per la po- tenza di 230 m. Accettando l’idea esposta dal signor ing. Lucio Mazzoli, si spie- gherebbe, dal prof. Taramelli, la dispersione delle note frane di Vedana allo sbocco del Cordevole, supponendo che le frane del Monte Peron sien cadute e state trasportate, dal ghiacciajo di questa valle, negli ultimi secoli della sua esistenza durante la ri- tirata posglaciale. Queste frane difatti verso la loro base si sfu- mano con morene ad elementi del Cordevole di cui esse medesime impedirono la completa abrasione. In seguito il prof. C. MARINONI espone verbalmente i risultati di alcune sue Ulteriori ‘osservazioni sull’’eocene del. Friuli. Sono tre nuove località che esso indica: Rio Lavinale del Monte Plau- ris, 1 dintorni di Attimis e Noax presso Corno di Rosazzo, tutte nel Friuli orientale. Dichiara che appartengono tutte al piano eocenico e che trovano il loro più esatto riscontro nel bacino di Parigi (piano del calcaire grossier) e nel gruppo di San Giovanni Ilarione e di Roncà nel Vicentino. — A sostegno del suo as- serto dà l’elenco delle specie raccolte in ciascuna delle suindicate "località, alcune delle quali non mai prima d'ora rinvenute nei depositi ‘eocenici friulani, altre assolutamente nuove; e ‘conclu- de ricordando l'equivalenza di ognuno dei nuovi depositi con quelli già noti e come il lembo fossilifero di Noax non sia altro che una continuazione di quello che affiora a Rosazzo, Brazzano e Cormons. A proposito di questa comunicazione lo stesso prof. Ma- rinoni annunciò come abbia già in pronto i materiali per redi- gere una completa monografia della fauna eocenica del Friuli, Vol. XXI. 15 Cw FR, I OSE 226 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, essendosi prefisso a scopo di sancire coi dati paleontologici la serie stratigrafica stabilita dal prof. T. Taramelli. Per ultimo, il signor ELvezio CANTONI legge alcune sue osser- vazioni di altimetria barometrica. Dopo una breve introduzione, dice di aver usato nelle sue gite di un barometro aneroide e ne espone la bontà. Soggiunge poi di aver usato anche di un baro- metro Fortin per alpinista, in una gita alla Madonna del Monte e al Campo de’ Fiori, di cui dà le altezze da lui calcolate, e nota gl’inconvenienti di un tale istrumento nei viaggi alpini. Passa quindi ad esporre i dati ottenuti in una escursione al Monte Paglione, sopra Maccagno; presenta una tabella dei dati rilevati e discute sulla convenienza di riferirsi nei calcoli delle altezze ad una stazione fissa, di ben determinata altezza, della quale si pos- sano avere le osservazioni barometriche, fatte in diverse ore del giorno, anzichè determinare le altezze, servendosi delle sole pro- prie osservazioni, senza tener calcolo delle variazioni barometri- che avvenute nella giornata. Infine, parlando di una gita, fatta cogli studenti di scienze naturali della Università pavese, passa a dare alcune notizie sul barometro Goldschmidt, e conclude di- cendo che un barometro aneroide può solo servire per l’altime- tria, allorquando su di esso siasi fatto un lungo studio per de- terminare la curva e la formola di correzione da applicarsi se- condo le varie temperature e pressioni per argomentare la legge degli spostamenti, che la curva stessa subisce sotto forti varia- zioni di pressione. La lettura del signor Cantoni non solleva alcuna discussione ed il Presidente dichiara chiusa la seduta. Seduta del 27 settembre 1878. Sono presenti i signori: CANTU’, CASTIGLIONI, FERRETTI, MARANI, MAZZETTI, MONTANARO, OM- BONI, PARONA C. F., PoLLI, SorDELLI, TARAMELLI, G. B. VILLA. Il Presidente prof. G. Omboni, dichiara aperta la seduta e fa leggere il processo verbale della seduta precedente che viene ap- provato. lara - pe (e PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 297 Pel primo ha la parola il prof. Porti, il quale legge sulla nuova analisi dell’acqua minerale detta di San Pancrazio, in Trescore Balneario, provincia di Bergamo, eseguita per incarico dell’ ono- revole Municipio di Bergamo, in concorso col signor dott. Pan- taleone Lucchetti. Dice che il fatto ben noto della grande va- riabilità che provano le acque minerali, non solo in capo ad un certo numero d’anni, ma talvolta a brevi intervalli e perfino se- condo le stagioni, sia nei caratteri fisici, segnatamente nella tem- peratura, sia nella natura e nelle proporzioni dai principi mi- neralizzatori, al punto da apportare, temporaneamente o perma- nentemente, una completa rivoluzione in una stazione balnea- ria; questo fatto, dice, fu quello che indusse l’onorevole Mu- nicipio di Bergamo a fare eseguire una nuova analisi (la 7.*) dell’acqua minerale dell’antica e rinomata fonte. Premessi poi alcuni cenni sulle antecedenti analisi, espone le condizioni geo- logiche dei dintorni della fonte, onde indurne la probabile pro- venienza dagli strati di argilloscisti bituminosi dell’Infralias, che quivi devono esistere a piccola profondità. Espone i caratteri fisici dell’acqua, i processi analitici seguiti, i quali dimostrarono contenere essa numerose sostanze, di cui le più importanti sono: tra le basi gli alcali, la calce, la magnesia; tra gli acidi il solfidrico ed il carbonico; tra gli alogeni il cloro, l’iodio e tracce di bromo. I risultati dell’analisi quantitativa sono numerosi e molto dettagliati, e compariranno nella Memoria, presentando importanti differenze dalle analisi precedenti, specialmente in ri- guardo alla quantità di iodio, che dagli autori fu trovato nella quantità di 0€,000479 in 1000 grammi, mentre il Ruspini nel 1845 ne aveva riscontrato 05,1910 per 1000 grammi. Non sono meno importanti le osservazioni microscopiche sugli organismi che si sviluppano in questa fonte e le osservazioni circa i fanghi con tale acqua preparati. In seguito, il prof. SorpDELLI espone verbalmente il risultato di alcune sue ricerche sulla flora del pliocene di Folla d’ Induno e di Pontegana, in confronto degli analoghi depositi italiani e stra- nieri e delle poche traccie che si hagno da noi della /lora gla- 228 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, ciale. Dà l’ elenco di circa 20 specie tutte estinte, le quali, se trovano le loro analoghe, si è in lontanissime regioni dell’ Asia e dell’ America. Riferisce la flora pliocenica ad un clima sub-tropi- cale, che però doveva presentare qualche differenza con quello delle regioni di là delle Alpi. Le flore glaciali dal Sordelli con- frontate colla pliocenica, sono quelle di Calprino presso Lugano e dei tufi, e specialmente la prima, distinta da specie di monta- gna ora ritiratesi molto più in alto presso il livello dei ghiacciai. Aggiunge che la flora come la fauna di Leffe presentano un ca- rattere meno prossimo all'attuale, ma ben diverso del pliocenico. Il prof. TarAMELLI osserva che la località di Calprino, perchè invasa dal ghiacciaio in epoca degli anfiteatri morenici, non può che rappresentare una fase, se vuolsi molto antica, del periodo posglaciale, e quindi la ritiene poco idonea per precisare il clima dell’epoca glaciale. Appoggia però l’idea della profonda diffe- renza che devesi stabilire, sia in ordine stratigrafico che paleon- tologico, tra i depositi pliocenici lombardi, in generale spettanti al penultimo periodo pliocenico, e tutte le formazioni posplioce- niche e glaciali di questa regione. Il prof. SorpELLI troverebbe poi una prova indiretta della pri- sca espansione della flora alpina nella uniformità che essa pre- senta attualmente oltre una data altitudine tra regioni ora sepa- rate da flora di clima più temperato. Dopo il Sordelli la parola è data al reverendo signor FERRETTI, che legge una Memoria sulla flora miocenica a facies tropicale, di Monte Babio nella provincia di Reggio d’ Emilia. Gli avanzi vegetali sono due pezzi di tronchi di Cicadee, trovati in un tor- rente, che probabilmente appartengono ad un conglomerato con Ostree, associato all’ arenaria miocenica, secondo l’autore, di Monte Babio, presso Scandiano. Descrive la serie dei terreni at- traversati da questo torrente, precisando più convenientemente il livello geologico dei calcari di Bismantova e degli ammassi di | conglomerati e madreporici; nonchè la posizione di molasse @ fauna ora marina ed ora di estuario, pure spettanti al miocene. Quindi l’autore si estende, in base a questi dati litologici, nella rv, TT AVERI PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. — 229 ricerca delle condizioni orografiche e climatologiche di quel tempo. Dichiara di non poter riscontrare in tutte queste formazioni se non che un umico livello miocenico, comprese le argille scagliose, quivi affioranti. Il prof. TARAMELLI a questo proposito, ricorda come sia stato già notata la posizione di alcuni degli accennati piani miocenici e crede di dover precisare le successioni dei fenomeni orogenici in quella e nelle attigue porzioni dell’ Apennino, i quali fenomeni male sarebbero compresi in questa sintesi di piani proposta dal reverendo signor Ferretti. Finalmente il prof. Omboni presenta un lavoro del prof. CoPPiI FRANCESCO, intitolato: Breve descrizione del terreno di Tabiano mel Modenese. Vi si descrivono, coll’ aiuto di uno spaccato, le lo- calità della Tagliata, Fosso di Spezzano e della Cà della Grana, nelle quali rinvengonsi argille e sabbie del Pliocene inferiore, nel quale si raccolsero numerose specie del piano distinto dall’ au- tore. Sono 440 specie che si catalogano, delle quali: 170 sono caratteristiche di questo piano, 110 comuni agli altri piani plio- cenici, 36 dal Tortoniano e 127 comuni tanto al Tortoniano come al resto del Pliocene. Rapporti però che ponno anche essere de- terminati da variazioni di condizioni locali, tra le regioni con- frontate. Dopo il lavoro del prof. Coppi non presentandosene altri dai presenti, il Presidente dichiara chiusa la seduta. Il verbale di:quest’ultima riunione venne approvato nella se- duta generale di chiusura, tenuta nello stesso giorno di venerdì, 27 settembre. Il Segretario Dott. Parona CARLO FABRIZIO, 230 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, SEZIONE DI PALETNOLOGIA. Seduta del 25 settembre 1878. Presidente Cav. IppoLITO MARTELLI BOLOGNINI. Sono presenti i signori: Cav. IppoLito MartELLI BorogniNI, Nob. ALFONSO GAROVAGLIO, Sac. GrovANNI RANCHET, Ing. Giuseppe QUAGLIA, Cav. prof. INNO- cENZO REGAZZONI, Prof. PomPEO CASTELFRANCO, GAETANO CRESPI. Aperta la seduta il Presidente concede la parola al prof. Re- GAZZONI. Questi anche a nome del collega sac. RANcHET, legge una Memoria dal titolo: Le nuove scoperte preistoriche all’ Iso- lino del Lago di Varese; accompagnandola da bellissimi disegni dei principali oggetti rinvenuti in quegli scavi dal sig. Forster, e di quelli forniti dalle trincee successive, aperte dall’autore per l'occasione del Congresso. Descrive minutamente ogni cosa, di- mostrando che l’Isolino è davvero un’isola artificiale, come ne avevano già il sospetto il Desor ed il Ranchet. Il Regazzoni conchiude esprimendo il parere che le palafitte dell’Isolino ab- biano avuto principio durante l’età della pietra e lo provano, oltre agli altri fatti, le selci abbondanti ed il lavoro delle punte dei pali fatto con arnesi litici. Nell’età del bronzo la stazione ebbe il suo. massimo sviluppo, perdurando fors’anche fino agli albori dell'età del ferro. ° A questa lettura lo stesso prof. Regazzoni fa seguire alcuni cenni intorno alle recenti scoperte preistoriche fatte dal signot Napo Borghi nella torbiera della Brabbia. Il sig. GAROvaGLIO chiede di vedere i disegni degli oggetti ul- timamente scoperti dal sig. N. Borghi. Tali disegni vengono tosto presentati. Lo stesso sig. Garovaglio soggiunge che credesi in dovere di dichiarare, per debito di riconoscenza, ch’egli ebbe una gentile adesione da parte del sig. Napo Borghi per fare esplorazioni e studi sul lago di Monate. = : PARRA PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 231 Il prof. CAasteLFRANCO poi chiede la parola per domandare al prof. Regazzoni se gli sembra che i cocci rozzi siano esclusivi degli strati più inferiori, e quelli più fini dei superiori. Il prof. REGAZZONI risponde aver egli parlato solo di preva- lenza di cocci grossolani negli strati inferiori, non escludendo che i cocci di miglior fattura non si rinvengano in tutti gli strati, ma però con maggior frequenza nei superiori. Dopo alcune osservazioni e schiarimenti tra i sigg. Castelfranco, Regazzoni e Ranchet, in merito alla disposizione degli oggetti rinvenuti all’ Isolino del lago di Varese, il Presidente concede la parola al prof. CastELFRANvo, il quale legge la sua Memoria: Le stazioni lacustri dei laghi di Monate e Varese, e considera- zioni generali sulle palafitte. Descritte minuziosamente le particolarità più rimarchevoli delle già note palafitte del lago di Monate e dell’ unica da esso finora accertata sul lago di Varano (Comabbio), l’autore con- chiude che ad onta»di lievi differenze si possano le stesse ascri- vere alla medesima età ed al medesimo popolo di quelle del lago di Varese. Dimostra, col corredo di una tavola di disegni, che le anse appendiculate delle palafitte varesine, per le loro somi- glianze con quelle lunate delle terremare, sono un nuovo dato da aggiungere ad altri, che fecero ritenere esistere una stretta parentela tra i popoli di quella età sulle sponde del Po. Pre- senta poi parecchie tabelle numeriche nelle quali è indicata la quantità dei bronzi rinvenuti in ognuna delle quindici palafitte dei due laghi di Varese e di Monate, e ne viene ad argomentare che quei popoli si valessero contemporaneamente della pietra e del bronzo, fors’anco sin dall'impianto di quelle stesse palafitte; ed appoggia il suo dire di numerosi confronti con le altre pa- lafitte sparse nell'Europa centrale. Dopo questa lettura, nessuno chiedendo la parola, il Presidente dichiara chiusa la seduta. Il Segretario G, CRESPI, 232 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, Seduta del 27 settembre 1878. ; Presidente Cav. I. MARTELLI BOLOGNINI. Sono presenti i signori: Cav. I. MARTELLI BoLoGNINI, Prof. I. REGAZZONI, Ing. G. QUAGLIA, Sac. G. RANCHET, A. GARovaGLIO, Avv. A. CRESPELLANI, L. BORRI, Ing. L. ZANZI, T. GARONI, UGo Scuri, P. CASTELFRANCO, Prof. C. MA- RINONI, Prof. L. MAGGI, G. CRESPI. Dopo la lettura del processo verbale della seduta precedente, il quale viene approvato, il prof. Reeazzoni ha la parola. Co- mincia dal ricordare che la Memoria letta nella seduta prece- dente dal prof. Castelfranco ascrive le nostre stazioni lacustri all’età del bronzo e non a quella della pietra, come si fece sin ora. Confessa che dalla lettura di detta Memoria, quantunque religiosamente ascoltata, egli non potè farsi un’idea esatta dei diversi argomenti addotti e del loro valore. Crede però che il Castelfranco abbia dato un soverchio valore ai fatti parziali e secondarî, preoccupandosi meno dei generali. Ora, essendosi le due età della pietra e del bronzo succedute insensibilmente, è im- possibile segnare una linea netta di demarcazione che le divida, e quindi una distinzione fra esse è possibile soltanto mercè i loro caratteri più generali, e per così dire differenziali. Il Regazzoni pertanto, per provare la neoliticità delle stazioni lacustri varesine, crede doversi ricorrere ai caratteri generali, e quindi passando questi in rassegna, egli intende di indagare se essi si riscontrino nelle nostre palafitte. Che se gli sarà possi- bile di dimostrare che le nostre palafitte hanno i caratteri gene- rali, per universale consenso assegnati alle stazioni dell’ età della pietra, sarà dimostrata pure l’origine neolitica di quelle stazioni lacustri, e quindi confutata l’opinione del Castelfranco. Dice che un primo carattere delle stazioni neolitiche è lo Stein- berg, ossia l’ammucchiamento artificiale di pietre attorno ai pali allo scopo di sostenerli. Questi monticoli pietrosi esistono nelle PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. | 233 nostre stazioni lacustri, e se furono dispersi, ciò avvenne non per opera degli esploratori ma degli abitanti dei paeselli circostanti, i quali tolsero quelle pietre per uso edilizio. Aggiunge che lo Stoppani disse che la gran stazione di Bodio fu come una cava di pietre, dalla quale queste s’esportarono a barcate; e che il Desor riconobbe la presenza degli Steindergs nelle palafitte del lago di Varese e constatò il valore grandissimo per ascriverle all’età neolitica. Dice che fu appunto nell’estrarre pietre dalla stazione di Cazzago Brabbia, che uno dei fratelli Giorgetti riconobbe la ricchezza della medesima, ed indusse il Regazzoni a praticarvi scavi, i quali diedero soddisfacentissimi risultati. Or dunque questo primo carattere delle stazioni neoliti- che si verifica nelle palafitte lacustri varesine. In secondo luogo le stazioni neolitiche trovansi per lo più a breve distanza dalla riva ed in acque poco profonde. Questo ri- scontrasi precisamente nelle stazioni varesine, le quali sono tanto vicine alla riva, che talvolta, in tempo di magra straordinaria, i loro pali od emergono o sono in secco. I pali sottili, cilindrici, numerosi, interi tronchi non fessi o spezzati, ed addossati gli uni agli altri, sono un altro carattere distintivo delle stazioni neolitiche, e questo pure si verifica esattamente nelle palafitte varesine come si potè verificare anche nei grandi fossi scavati or ora nell'Isola Virginia. I tagli dei pali fatti con arnesi di pietra sono sempre concavi e brevi, a differenza di quelli fatti con metallici strumenti, che sono lunghi, netti, piani, a contorni regolari. Ora i pali estratti dalle nostre stazioni presentano ta- gli per lo più nelle condizioni accennate per i primi, e così pure li presentano quelli estratti dalle palafitte dell’Isolino, i quali si sottoposero all’ esame dei signori congressisti nell’ occasione delle escursioni. Dice inoltre che gli oggetti preistorici raccolti nelle nostre palafitte costituiscono un altro carattere importante. Infatti in esse abbondano i litici, scarseggiano invece i metallici. Le frecce romboidali e ad alette, che sono i due tipi dominanti, si raccol- sero a decine di migliaia le prime, ed a migliaia le seconde. Quì 234 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, il Regazzoni facendo una digressione, ricorda che il prof. Mari- noni, esimio cultore della vera scienza modesta ed onesta, am- mette esso pure il tipo delle frecce romboidali. In egual copia si trovarono i coltellini, raschiatoi, seghe, percuotitoi, brunitoi, azze serpentinose a parecchie centinaia, ed altri strumenti litici, ed innumerevoli schegge di selce piromaca. Soggiunge che a fronte di questi gli oggetti metallici scarseg- giano, e mostra come anche il Castelfranco ne noveri a stento un centinaio in tutto; e tra questi nessuna daga o pugnale, nes- sun paalstab, pochi ami, qualche cuspide di lancia, aghi crinali, spilloni, coltelli, ascie; e questi pochi oggetti metallici si rac- colsero nelle nostre stazioni lacustri nel periodo di 15 anni. Qui l’oratore cita l’ opinione dell’Angelucci, il quale, basandosi sulla scarsità di cotali oggetti, voleva escludere dalle palafitte va- resine l’età del bronzo ed ascriverle esclusivamente all’età della pietra. Il Regazzoni passa poi a discorrere dei cocci e dice che quelli raccolti nelle palafitte varesine sono pressocchè tutti gros- solani, rozzi, fabbricati con ruvido grès artificiale, cotti al sole, mal conformati, privi di anse, e queste, ove esistono, appiccicate al vaso' e raramente incorporate in esso. Fino alle recenti scoperte dell’Isolino, che formano una vera eccezione e meritano uno studio speciale, i cocci fini con qualche indizio di disegno ed un certo studio nella forma erano raris- simi. Il Regazzoni soggiunge quindi che fra le migliaia di cocci da lui estratti dalle palafitte varesine ne trovò uno solo con disegni, e questo pure lo ebbe dalla stazione esterna orien- tale dell'Isola Virginia. Ora queste condizioni dei cocci rispon- dono pienamente a quelle dei cocci di tutte le stazioni neoli- tiche finora conosciute e descritte. | L’oratore dice poi che il Castelfranco adduce a sostegno della sua opinione alcune cifre rappresentanti il peso proporzionale dei diversi oggetti da lui raccolti nelle palafitte varesine, esplo- rate una per una per un determinato periodo di tempo. Sog- giunge di non poter concedere a tali cifre un grande valore, ben sapendosi come gli oggetti siano inequabilmente sparsi nelle PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 235 palafitte, così che ora occorrano cocci in gran numero, ed ora ossa, pietre e selci, anche lavorando per lungo tempo ed in di- versi punti. Dice poi che il valore degli oggetti preistorici non si deve stabilire nè a peso nè a numero, ma deve derivare dalla natura di essi considerata sotto ogni aspetto. A questi argomenti in favore della origine neolitica delle pa- lafitte varesine, il prof. Regazzoni crede potere aggiungerne altri negativi. Dice infatti che nelle nostre palafitte non si raccolse “ancora un oggetto che desse indizio di pratiche agricole e di arte tessile, laddove nelle palafitte dell’ età del bronzo in gene- rale abbondano le prove che l'agricoltura e la tessitura erano praticate da quei preistorici. Afferma mancare ‘assolutamente nelle nostre palafitte ogni indizio di commercio con altre genti; non vi si trova nè ambra, nè gaietto, nè vetro, nè nefrite, nè giadeite od altro, ed invece le palafitte dell’età del bronzo pre- sentano spesso tali oggetti e prove di commerci anche con po- poli di lontane regioni. Circa alle anse lunate dice che man- cano nelle nostre palafitte, come pure mancano vasi di forme spe- ciali, frequenti, se non proprie, delle stazioni dell'età del bronzo. Da ultimo il prof. Regazzoni osserva che, supponendo che i po- poli primi immigrati in Italia conoscessero il bronzo, il prof. Ca- stelfranco accetta la ipotesi emessa dal prof. Conestabile nel. Congresso Preistorico internazionale tenutosi nel 1871 a Bolo- gna. Dice però che lo Stoppani è d’avviso che quei primi immi- grati non conoscessero i metalli, la cui nozione è assai meno antica, e che lo stesso Pigorini dichiarò probabilmente neolitici i popoli venuti pei primi in Italia, ammettendo altresì l’esistenza di una razza autoctona, abitante il nostro paese prima delle im- migrazioni ario-pelasgiche. In forza delle esposte considerazioni il prof. Regazzoni giudica dimostrato che nelle palafitte del lago di Varese concorrono tutti i caratteri proprî delle palafitte dell’età della pietra levigata, e quindi giudica parimenti dimostrato che esse devonsi ascrivere all’età neolitica. Ritiene conseguentemente che, nello stato at- tuale delle nostre cognizioni preistoriche, non si possa ammettere 236 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, che le dette stazioni abbiano avuto origine nell’ età del bronzo, per cui mantiene ferma la sua opinione, che è pur quella dei chiarissimi Stoppani, Desor, Mortillet, Marinoni, Ranchet ed altri, che cioè, le stazioni preistoriche del lago di Varese abbiano avuto ‘ origine nell’età neolitica, ed abbiano toccato eziandio l’età del bronzo, segnando così il vero periodo di transizione tra l’età neo- litica e quella del bronzo. Per ora dice di non poter ammettere altra ipotesi, ma che se il progresso degli studî e delle scoperte riveleranno argomenti abbastanza validi in appoggio dell’ipotesi che ascrive le dette stazioni all’età del bronzo, egli per certo non sarà nè restio nè tardo nel rendere omaggio alla verità. Il prof. CastELFRANCO ottenuta la parola, esordisce chiedendo indulgenza se dovendo rispondere così sui due piedi, non potrà aggiungere gran che di nuovo a quanto disse nella Memoria letta il giorno 25. Sembragli che il prof. Regazzoni col prendere le palafitte sviz- zere come pietre di paragone nella determinazione dell’età delle palafitte varesine, non abbia compresa la gravità e la portata della nuova teoria, e si sia aggirato in un circolo vizioso. L’oratore soggiunge che se tutte le palafitte svizzere, italiane, savoiarde, ecc., hanno la medesima origine e si riferiscono alla medesima èra d’immigrazione e cioè all’età del bronzo, i carat- teri delle palafitte svizzere non possono più invocarsi nè servire di base a determinare l’età delle nostre, venendo appunto così l’età di tutte le palafitte rimessa in questione. Tuttavia dice di voler prendere in esame alcuni dei caratteri delle palafitte sviz- zere accennati dal Regazzoni. | Quanto alla forma di Steinberg che presentano talune pala- fitte suppone, come già tentò dimostrarlo nella citata Memoria, che gli Steinbergs abbiano origine dalle condizioni particolari del fondo di certi laghi che esigono una gittata più copiosa, onde as- sicurare i pali. Così pure parlando della posizione delle palafitte rapporto alla riva e della condizione dei pali stessi ammette un progresso, ricordando ch’egli ritiene probabile che le palafitte va- resine si riferiscano alla prima apparizione del bronzo e che PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 237 molte delle stazioni svizzere vengono a toccare l’età del ferro, cioè le bel dge du bronze di certuni. Che anche nella Svizzera, ciò che finora fu ritenuto età neolitica potrebbe riferirsi invece all’alba di quella del bronzo. Prosegue dicendo che il Regazzoni per pro- vare che le palafitte varesine non furono fondate nei primordî del- l’età del bronzo, insiste sul fatto che nelle palafitte nostre non si rinvengono nè i coltelli di bronzo, nè le daghe, nè le fibule, ecc., non riflettendo, forse, che tali arnesi mancano pure nelle terre- mare dell’ Emilia dallo sviluppo dell’ età del bronzo, e che in Isvizzera si riferiscono certamente alla prima età del ferro. Dice che se mancano nel Varesotto le frecce e le seghe ed i coltelli di bronzo, sonvi invece gli analoghi arnesi di pietra, allo stesso modo che gli ami di bronzo tengono il luogo di quelli di pietra o di osso. Combatte l’asserzione del Regazzoni, che, cioè, il Ma- rinoni ammetta due tipi di freccia. Aggiunge poi che i varesini dovevano essere poverissimi, più poveri forse dei loro contempo- ranei d’oltralpe, i quali conoscevano l’agricoltura e l’arte tessile anche al tempo delle più antiche palafitte, e queste arti, come osserva benissimo il Regazzoni, mancavano invece fra noi. Riguardo ai cocci l’oratore consente che le rozze stoviglie ab- biano il predominio, ma gli basta constatare che si trovano cocci fini nello strato più inferiore dell'Isola Virginia, perchè la testi- monianza di maggiore o minore rozzezza delle stoviglie perda ogni valore cronologico. Mancano invero nelle palafitte varesine le anse lunate, ma l’ansa asciforme (che ne è l'embrione già alquanto sviluppato) ne tiene il luogo. Sembra dunque al Castelfranco che il Regazzoni non dia troppa importanza alla presenza di quella forma. Passando a discorrere del popolo delle palafitte, l’ oratore dice d’esser ben lieto che il Regazzoni sia d’accordo con lo Stoppani nel ritenerlo ario-pelasgo, e sarebbe ancora più lieto se la cosa fosse dimostrata, ma dubita grandemente che le prove ‘addotte siano tali da togliere ogni dubbio. Anche il Castelfranco cita l'autorità del Pigorini in appoggio delle sue opinioni, così come fece il Regazzoni. Dice poi che il 238 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, Regazzoni richiama gli scritti del Pigorini di otto anni prima, mentre lui s’ appoggia su quelli dell’anno in corso, letti alla R. Accademia dei Lincei ed altrove, aggiungendo che non si può negare che l'illustre Pigorini, mercè i nuovi studî, non abbia su qualche punto modificate le sue opinioni, in omaggio alla se- rietà della scienza ed alla eloquenza delle scoperte recenti. Nessuno nega poi che una razza dell’età della pietra non ab- bia preceduto in Italia il popolo delle palafitte. Le capanne di Campeggine stanno talvolta sotto le terremare. Il Castelfranco chiude il suo discorso, facendo osservare che il Regazzoni altro non fece che ripetere a voce quanto già scrisse nel suo libro L'uomo preistorico, appoggiandosi tutto alla parola dei maestri della Svizzera per determinare l’età delle palafitte, e quindi non esponendo giudizi proprî, che il Regazzoni non tenne conto nella sua risposta dei molti argomenti importanti dallo stesso Castelfranco evocati, quali, la contemporaneità dell’ uso della pietra e del bronzo, quella degli ami, delle frecce, delle tombe, ecc., quella della posizione centrale occupata in Europa dalle costruzioni su palafitte. Argomenti tutti che restano ancora intatti e da discutersi. Il prof. Castelfranco conchiude col dire di rimanere ancora del suo parere, e cioè “ nessuno dei fatti osservati nelle stazioni del Varesotto è tale da porre fuori di dubbio che quelle abita- zioni appartenessero fin dall’ origine all’età della pietra, mentre varî confronti e parecchie ragioni concordano tutte nel far na- scere il dubbio che, fin dall'impianto loro, si riferissero all’età del bronzo. , Dopo queste considerazioni del Castelfranco, il REGAZZONI, ot- tenuta la parola, risponde che riguardo ai cocci il giudizio non devesi basare unicamente su quelli recentissimi dell’ Isola Virginia, bensi su tutti quelli raccolti nelle altre sei stazioni del lago di ‘ Varese; dice che il valore delle cifre addotte dal Castelfranco, quale precipuo argomento a favore della sua tesi, è contesta- bile per varî motivi, e cita il fatto seguente. Nelle tavole del Castelfranco la stazione Ranchet o di Bardello è segnata come ue ne “ ne , PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 239 una che diede eccezionalmente qualche coccio, laddove è fatto | positivo che tanto il Regazzoni come il Ranchet ed altri rac- colsero dalla detta stazione cocci, se non in quantità ragguar- ‘devole, certo però in tal copia da non poterne dire la presenza d’essi un fatto eccezionale. Aggiunge che egli non negò mai agli abitanti delle stazioni varesine l’uso contemporaneo della pietra e del bronzo, sul finire della loro dimora sulle palafitte. Ram- menta che il Desor, il quale in sulle prime aveva giudicato del- l’età del bronzo la stazione dell’Isolino, in seguito, dietro l’esame dei cocci ivi rinvenuti, dichiara ch’essa doveva ascriversi assolu- tamente all’età della pietra levigata, ossia all’età neolitica. Ri- batte in seguito l’asserzione che il prof. Marinoni non ammetta la diversità di forma delle cuspidi di freccia, citando in suo fa- vore il passo del libro di Marinoni. |. i Il sac. RancHET chiede la parola per rispondere alle obbie- zioni del prof. Castelfranco. Comincia dallo spiegare il perchè nella Memoria, letta dal Regazzoni, non si parlò degli oggetti trovati nelle torbiere, che essendo assai scarsi, sparsi ed indeter- minati non potevano certo dar luogo a serie conclusioni. Dice di prender nota dell’asserzione di Castelfranco, il quale afferma pure esistere effettivamente gli Steinberge, i quali, disse, ele- vansi a 2 metri nella stazione di Monate. Tali Steinberge, dice il Ranchet, sono per me un carattere esclusivo dell’età della pietra. Parlando dei cocci osserva come il Castelfranco tenda a spo- stare la questione generale sulle palafitte varesine. Soggiunge che in 15 anni ch'egli osserva e sorveglia tali palafitte dichiara che non si trovarono mai se non cocci assai rozzi. Egli si crede in dovere di difendere lo Stoppani, che chiamò la stazione Desor o del Maresco, stazione di stovigliai. Dice che fece ciò non in grazia dell'abbondanza delle stoviglie rinvenutevi, ma della loro specialità a grandi frammenti ed ornamentazioni, sconosciute nelle altre palafitte. Anche quelli dell’Isolino sono nella loro maggioranza rozzi e frantumati. La consociazione dei pezzi di lavoro molto più accurato è per lui una conseguenza della lun- ghissima dimora dell’uomo nell’Isolino, ritiratovisi, secondo lui, dalle palafitte del lago. 240 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, Passa poi a discorrere del rapporto tra gli oggetti litici e quelli di bronzo trovati, e richiama i dati statistici ed il ragionamento del Castelfranco e dice esistere il fatto che contro un centinaio d’oggetti di bronzo rispondono decine di migliaia di oggetti in pietra. Richiama l’attenzione sui debolissimi e fragili coltellini in selce tanto copiosamente rinvenuti all’ Isolino, con tante asce ivi disperse e sepolte. Quale lavoro non dovevano compiere quei miserabili arnesi nelle mani dell’uomo per l’uccisione, lo scuoia- mento e la divisione delle grosse bestie ivi macellate in quantità così grande? Per lui, se il bronzo appena vi era, il primo uso doveva essere un coltello od un’arma ben più efficace del col- tellino in selce. Il Ranchet dice quindi di prender nota d’un’altra confessione del Castelfranco, cioè sulla scarsità di coltelli e di seghe e sulla mancanza di oggetti di bronzo di fino lavoro, per ornamento, e diffondesi sul fatto, mostrando infine la sua opinione, che cioè gli oggetti d’ornamento sono sempre indizio di una età più avan- zata, poichè, a suo parere, tuttii popoli primitivi applicarono an- zitutto la scoperta del metallo alla fabbricazione degli oggetti di prima necessità, quali coltelli, asce, ecc., e che l’impiego del metallo nella fabbricazione degli ornamenti non venne che dopo. Anche per la fabbricazione delle frecce litiche non può accet- tare l’opinione di Castelfranco, che si fabbricassero in presenza del bronzo, comecchè era ben più facile la fusione di piccole cu- spidi con pochissimo consumo di metallo che non servirsi di que- sto per foggiar quelle. Accenna poi a quanto disse il collega Regazzoni e di cui il Castelfranco s’affrettò di prender nota come di gran confessione, esser cioè persuaso che le palafitte varesine ebbero anche a continuare nell’età del bronzo, di cui toccarono gli albori, e non è questa, dice egli, una convinzione dell’oggi nè frutto della presente discussione, essendo ciò già stato ammesso perfettamente e dichiarato da lui da ben 15 anni in una sua Memoria, pubblicata nel giornale la Rassegna mensile della Ca- mera di Commercio di Varese fino dal maggio 1864. In essa in- fatti si diceva che le palafitte varesine appartengono incontesta- RIE RE IT I PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 241 bilmente all’epoca della pietra, quantunque sul loro declinare e quasi nel loro inanellarsi all’età del bronzo. Il CasteLFRANCO chiesta la parola, dice ch’egli non si meravi- glia di non essere d’accordo sui molti punti col Ranchet ed il Regazzoni, poichè su qualcuno gli stessi suoi oppositori non sono neppure d’accordo tra loro. Così, dice, mentre il Regazzoni ammette che qualche palo dell’Isolino possa essere stato aguz- zato col bronzo, il Ranchet non lo concede. assolutamente. Gli duole che i signori Ranchet e Regazzoni invochino troppo sovente la testimonianza del libro Sulle abitazioni lacustri, scritto dal- . l’egregio prof. Marinoni, testimonianza che può talora non avere un valore incontrastabile pel fatto che il prof. Marinoni visitò per la prima volta le palafitte 3 o 4 anni dopo scritto quel libro, e questa visita la fece in compagnia del Sordelli, del Barazzetti e dello stesso Castelfranco, guidati tutti dall’ egregio sacerdote Ranchet. Il prof. MaRrINoNI domanda la parola per ribattere alcune os- servazioni fatte dal prof. Castelfranco. Dichiara di aver, visitato le palafitte varesine per ben quattro volte prima del 1872, al- l’epoca in cui redigeva le sue relazioni state pubblicate nelle Memorie della Società Italiana di Scienze naturali, ma di poi, per ragioni d’ufficio, da più di 6 anni non potè tener dietro alle scoperte del lago di Varese, e che invitato a pronunciarsi lo fece per stabilire alcuni fatti già da esso posti in rilievo nelle sue pubblicazioni e che ora suscitarono discussioni. Dice di mante - nere l’opinione che le palafitte di Varese siano dell’epoca di transazione dell’età della pietra in quella del bronzo, e che quindi hanno tenuto dell’ una e dell’ altra età; di fondare l’ o- pinione sul numero e la natura degli oggetti di pietra, sulla struttura delle palafitte e sulla loro situazione presso le rive, nonchè sulla pochezza e qualità dei pochi bronzi, piuttosto a con- siderarsi come oggetti di lusso e di uso speciale, che come uten- sili di uso comune. E qui il Marinoni ribatte l’osservazione fatta dal Ranchet, relativamente alla deficienza diwoggetti di prima necessità in confronto di quelli d’ornamento, soggiungendo che Vol. XXI. 16 242 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, la scienza e l’esperienza insegnano che i popoli selvaggi ricer- cano gli oggetti d’ornamento prima degli arnesi da lavoro, il su- perfluo cioè prima del necessario. Viene quindi a sostenere. l’esi- stenza delle due forme tipiche di freccie di selce annunciata nella sua Memoria, basandosi sul modo di lavorìo e sulla natura stessa della selce adoperata. Per altro dichiara che il nome dato nel 1868 di tipo romboidale dovrebbe essere ora soppresso e so- stituito ad altro più adatto (ovalare), perchè in oggi per frecce romboidali intendesi tutt'altra cosa. Per ultimo insiste sul fatto che la palafitta Desor o del Maresco può a buon diritto chiamarsi stazione di stovigliai, come si espresse il prof. Stoppani nelle sue relazioni, non tanto per l’abbondanza materiale dei cocci, quanto perchè ivi, ai più rozzi sono associati frammenti d’impasto di- verso e di diversa forma; finalmente perchè ivi appare l’arte nascente e l’ornamentazione delle stoviglie con sviluppo graduale e ragionato, fatto che non s’accorda colla miscela osservata nep- pure nelle altre palafitte varesine. Il prof. CastELFRANcO chiede la parola per rispondere al pro- fessore Marinoni riguardo alle visite fatte da quest’ultimo alle palafitte del lago di Varese. Dice di non dubitare della parola del Marinoni, ma che conviene però ritenere che affermandogli allora di non aver visitato le palafitte, lo stesso volesse scherzare, e gli sembra strano che avesse fatto precedentemente, solo e per quattro volte, quelle visite, tacendole poi a tutti con tanta cura. A questo punto il Sac. RANcHET, domanda la chiusura perchè di troppo abbassata la discussione. Il Presidente dichiara chiuso l'incidente e concede la parola al Cav. CRESPELLANI, il quale dà lettura della sua Memoria sulle terremare del Modenese. Il Crespellani conchiude manifestando l'opinione che le terremare del Modenese appartengano all’ epoca del bronzo, per il predominio che vi ha in esse di oggetti di bronzo. Dice che tali terremare sono poste per la maggior parte sulle colline modenesi o nel loro altipiano e che sono stazioni terrestri e non Jgcustri. Parlando delle stoviglie, dice che si ponno dividere in due classi, che differiscono fra loro per im- diede i PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 243 pasto ceramico, forma ed ornamentazione. Trova che i bronzi delle terremare modenesi hanno un riscontro nel grande depo- sito di oggetti di bronzo trovati a Bologna nel 1877. Dimostra l’affinità che passa tra le terremare quanto alle stoviglie e quelle dei sepolcreti detti arcaici: per la quale circostanza gli sem- brerebbe che gli accumulatori delle terremare abbiano avuto parte anche nei sepolcreti di combusti che si trovano presso le terremare stesse. In appoggio agli esposti fatti presenta una Carta topografica archeologica del Modenese, nonché vari oggetti rinvenuti. Dopo la lettura di questa Memoria il prof. CASTELFRANCO chiede la parola per fare alcune osservazioni al Cav. Crespel- lani intorno alla sua comunicazione. Dice che il Crespellani affermò non esistere la palafitta in tutte le terremare, punto che gli preme chiarire, avendo egli stesso invece espresso il pa- rere che dovunque, nelle terremare, avvi traccia di palafitte. A questo intento, e coll’ aiuto di alcuni profili ch’ ei traccia sulla lavagna, il Castelfranco spiega teoricamente la formazione del mammellone, mostra il luogo del fossato, dell’argine e dei diversi ordini di pali. Nota che questi pali non si conservarono dovunque, ma che, ove il tempo e la natura del suolo li distrussero, ne ri- masero le buche sotto forma di coni capovolti riempiti dal ter- reno sovrastante. | Quì il Crespellani risponde che i pali o le buche che ne ten- gono il luogo non li osservò in tutte le terremare, e che per lo più i pali osservansi solo verso quella parte che si vuol chia- mare argine, non mai nel centro del deposito, quasi fossero parte non di una palafitta su cui stabilire un assito, ma di un sem- plice steccato di difesa. Il Castelfranco insiste sul fatto dell’esistenza di tali buche in tutta l’area del deposito, e ritiene che speciali ragioni mecca- niche possono benissimo aver reso meno evidenti le traccie dei pali al centro del mammellone che non verso l’argine. Quì il prof. Marinoni chiede la parola. Appoggia l’ opinione del Castelfranco facendo notare che al centro del mammellone 244 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, concorsero le pressioni laterali e superiori di tutto il deposito; circostanza questa che può aver distrutta ogni traccia dei pali. Dopo questa discussione il Segretario procede alla lettura di due Memorie del prof. MaGsi. La prima dal titolo: Intorno ad alcuni oggetti d’industria umana preistorica trovati nelle tombe di Malgesso presso Gavirate. La seconda dal titolo: Di alcune tombe della Valcuvia e della Val Marchirolo appartenenti alla prima età della pietra. Nella prima Memoria, l’autore, dopo aver ricordato che gli oggetti furono rinvenuti dal cav. Giuseppe Maggioni, e donati al Museo Patrio, e che secondo il sig. Castelfranco le tombe di Malgesso appartengono al 2.° periodo della prima età del ferro di Golasecca, l’autore riporta la descrizione di un vaso, già data dal sig. A. Garovaglio (Studi archeologici su la Provincia di Como 1872), e passa a descrivere un vaso cinerario e a dare il risultato dell'esame chimico di alcuni pezzetti di fibule in bronzo che in detto vaso si contenevano. Il bronzo è composto di rame e stagno con parti accidentali di zinco, ferro e piombo, per cui sembragli non essere bronzo dell’ epoca preistorica ma nemmeno dei Greci, nè degli Egizi, nè degli Etruschi, nè dei Romani. All’autore sembra momentaneamente, che sia un bronzo fra quello dell’epoca del bronzo e quella dei Romani, riferen- dosi per tale giudizio alle analisi chimiche, già fatte, di alcuni oggetti di bronzo trovati in Valcuvia. Raccomanda infine lo stu- dio chimico dei bronzi delle nostre tombe antiche; studio che potrà essere di molto giovamento alla Paleoetnologia. — Nella seconda Memoria il prof. Maggi fa la descrizione delle tombe della Valcuvia e della Valmarchirolo. Descrive pure gli oggetti che in esse si rinvennero, quali vasi di terra, ossaril, coppe-coperchio, ecc., due spade di ferro, rassomiglianti a quelle fisurate da Desor, provenienti dalla Téne in Isvizzera. Dice infine che detti oggetti si trovano tutti al Museo Patrio di Varese, sta- tigli donati dallo stesso prof. Maggi. Terminate queste due letture il Presidente dà la parola al prof. MARINONI per svolgere i concetti di una sua relazione Su bronzi preistorici sino ad ora trovati nel Friuli. ®» SORT siria i PROCESSI VERBALI DELLE SEZIONI. 245 Questi presenta ai colleghi congressisti alcuni disegni di gran- dezza naturale dei cimelii raccolti, ed espone verbalmente i se- guenti concetti: Le popolazioni che apportarono il bronzo nel Friuli, provennero dalle contrade del basso Danubio, e le reliquie di essi raccolte segnano la loro marcia per quegli stessi luoghi dove erano già stabilite le popolazioni dell’età della pietra. En- trati nel Friuli si diramarono ad occidente seguendo la via che s'accostava al mare, e cercarono raggiungere i passi verso la Carinzia ed il Bellunese, dove specialmente erano attratti dalla presenza di miniere di rame. Progredendo verso occidente toc- carono la Lombardia, passarono nella Savoia (lago di Bourget), sui laghi della Svizzera, nella Francia meridionale (Valle del Rodano), paesi tutti ricchi di avanzi dell’età del bronzo, che hanno raffronti e parentela con quelli del Friuli. Discorre detta- gliatamente di alcune delle singole forme delle raccolte reliquie, dei raffronti che se ne ponno stabilire, e delle deduzioni a inferirne. Descrive alcune particolarità del ripostiglio di Varno ascrivendolo all’età del ferro, e chiude la sua comunicazione accennando come dagli esemplari che sono in sua mano si vorrebbero fare altresì delle deduzioni sullo sviluppo dell’arte presso quei popoli primitivi. Il paalstab, dice, è l’arnese fino ad ora predominante, e un certo numero di forme diverse rinvenute, spiegherebbero il passaggio dalla primitiva ascia a cuneo semplicissima, per il col- tello-ascia, l’ascia ad alette, ecc., fino al vero celt a cartoccio usato poi nell’età del ferro e nell'Europa d'oltralpe. Questa pro- gressiva modificazione nella forma di un arnese d’uso tanto co- mune, attraverso il succedersi delle età si riscontra anche in rapporto alla sua distribuzione geografica, perchè il cuneo è più comune nei paesi danubiani, il paalstab è caratteristico delle terremare dell’alta Italia, ed il vero cel# non si trova che al nord delle Alpi. Dopo le parole del prof. Marinoni, il signor A. GAROvAGLIO dà comunicazione di un rinvenimento di frecce di selce sui fondi della finita torbiera di Bosisio ed accenna a belle cuspidi. di frecce rinvenute nella località detta Codilago, la quale accenna 246 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, a maggiori ricchezze, a carboni, ceneri. Dice di non aver potuto continuare maggiormente questo studio, di cui deve l’ iniziativa al signor dott. Oriani, per la ragione che i lavori di escavazione si chiudevano per causa dell’avanzata stagione. Soggiunge per ul- timo che nella prossima primavera inizierà diligenti ricerche e seri studì su tale argomento. Il sig. BoRrRI chiede la parola, onde proporre che la Presidenza del Congresso formuli un indirizzo di ringraziamento al cav. AN- DREA Ponti per la sua gentile accoglienza e pel modo con cui provvede alle escavazioni ed alla collezione preistorica esposta all'Isola Virginia nell'intento di riuscire utile alla scienza. Il Segretario a nome dei fratelli Villa presenta a ciascuno dei membri della sezione un lavoro degli stessi dal titolo: Cenni geo- logici sul territorio dell’antico distretto di Oggiono. Nessuno più chiedendo la parola il Presidente dichiara chiusa la seduta. Il Segretario G. CRESPI. ADUNANZA GENERALE DI CHIUSURA. 247 ADUNANZA GENERALE DI CHIUSURA. 27 Settembre 1878. Il Presidente Masci dichiara aperta la seduta alle ore 2 po- meridiane. — Siedono alla sua destra i signori avv. G. C. Bizzo- zERO, ff. di Sindaco e prof. E. CoRNALIA, Presidente della Società. Il Segretario SoRDELLI riferisce intorno alle opere ed agli opu- scoli inviati in dono alla Presidenza dai loro autori ed a nome di questa ringrazia i donatori.! Riferisce pure che il socio dottor Giserto Scotti di Como ha inviato una seconda copia della sua Flora medica della provincia di Como, e questa è destinata alla Biblioteca del Museo Patrio. E che i soc] fratelli A. e G. B. VILLA hanno pure donato alla medesima Biblioteca una copia dei loro Cenni geologici sul distretto di Oggiono. Lo stesso Segretario annuncia che il signor Napo BoreHI ha inviato alla Presidenza una Relazione intorno alla scoperta da lui fatta di una stazione preistorica nella palude Brabbia, con preghiera di inserzione negli Atti della Riunione. Essendo giunta troppo tardi, cioè dopo la chiusura delle adunanze di sezione, co- desta relazione non potè venir letta; la Presidenza tuttavia ne terrà calcolo e, dopo averla esaminata, la pubblicherà, ove lo ri- tenga opportuno, in appendice alle memorie già lette e discusse durante il Congresso. Dallo stesso Segretario viene letta una lettera del socio com- mendatore QuinTINo SELLA diretta al Presidente Cornalia, in cui spiega i motivi per cui non ha potuto suo malgrado intervenire alla Riunione e invia i suoi saluti. Altri socj ed invitati fecero pure scusare la loro assenza e sono i signori dott. IPPOLITO MA- CAGNO, direttore della stazione enologica di Palermo, il prof. ADoLFO TarGIoni-Tozzetti di Firenze, il padre FrANcESCO DENZA, il pro- fessor LuIei PIGORINI, il dottor LoreNZo CAMERANO ed il prof. FE- LICE CASORATI. 1 L'elenco di tali doni vedesi riportato più avanti. 248 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, Ha quindi la parola il prof. G. GIBELLI per una sua comuni- cazione che versa sugli studj da lui fatti intorno alla malattia dei castagni, sviluppatasi in questi ultimi anni in varie parti d’ Italia e con minaccia di sempre maggiore estensione, Questa malattia, che si ritiene comparisse già fin dal 1842 nel territorio biellese, su. quel di Graglia, e vi produsse in seguito sempre maggiori devastazioni, comparve in questi ultimi anni nel Lucchese, nel territorio di Buti nel Pisano, e venne riscon- trata anche a Pontedecimo e Voltri, nella Liguria. Dessa è ca- ratterizzata da una profonda alterazione della zona cambiale, che dalla radice, dove il male sembra da principio manifestarsi, si estende all’insù verso il tronco. Tutte le ramificazioni della ra- dice offrono nelle piante attaccate dal morbo un’intensa colora- zione nera come inchiostro, di odore nauseante, la quale invade tutto il sistema corticale, lo rende molliccio e si propaga quindi anche più o meno nella terra con cui.trovasi a contatto. I rami tutti si lasciano allora scortecciare colla massima facilità, cosic- chè nell’estirparli se ne estraggono da terra soltanto le parti le- gnose. Queste, nelle piante languenti, si rinvengono pure man mano alterate e come imbevute, nella parte più esterna, della colorazione nera, che a poco a poco sale verso il tronco e vi pro- duce, benchè meno appariscenti, le stesse alterazioni. Il legno degli alberi morti od anche semplicemente malati è meno pesante che non quello delle piante sane; ed anche i frutti prodotti durante l’invasione del male sono più scarsi, scoloriti, meno buoni e perfino capaci di produrre disturbi di ventre in chi ne usa. Il male sembra aver origine come da tanti centri, da alberi morti, cioè, attorno ai quali in seguito se ne vedono al- tri languenti che ben presto muojono, siano dessi alberi annosi o giovani pianticelle, senza riguardo alcuno ad età. Se in una buca d’onde fu tolta una pianta morta si pone un giovane e ro- busto allievo, desso è condannato irremissibilmente a perire in breve tempo. In tre anni al più una pianta, anche meglio ver- deggiante, finisce col soccombere; ma spesso dai primi sintomi elia ADUNANZA GENERALE DI CHIUSURA. 249 del male alla morte non passa fuorchè l'intervallo di pochi mesi, come se l'albero fosse stato fulminato o colpito da apoplessia. Il prof. Gibelli riferisce intorno alle ricerche da lui fatte per conoscere quale possa essere la causa di tanto malore, e giunge a dimostrare doversi escludere assolutamente l’azione di micelii fungini e quella di larve d’insetti xilofagi; descrive infatti i casi in cui rinvenne dei parassiti vegetali od animali in alberi morti e- mostra come il guasto prodotto da tali parassiti presentasse rispettivamente ben diversi caratteri, e nel modo di comportarsi della pianta durante il periodo d’invasione e, infine, nelle parti stesse dell’albero, esaminate dopo la morte. Passa in seguito a dire dei risultati ottenuti coll’ esame micro- scopico e chimico delle parti alterate dalla malattia in questione ed insiste sul fatto della costante presenza di tubercoletti sempre più manifesti sulla superficie interna del libro, laddove questo trovasi a contatto colla zona del cambio. Tubercoletti, o meglio granulazioni, piccolissimi (grossi da 50 a 200 micromillimetri), . dissolventisi in una soluzione di potassa, dando luogo ad una co- lorazione giallo-citrina del liquido. Trattate coi reagenti chimici, tali granulazioni si manifestano composte di puro tannino libero. — Un identico carattere si appalesa anche nei noci morti per ma- lattia affatto analoga a quella dei castagni, ed anzi in quelli i tubercoletti sono assai più grossi e sono visibilissimi anche ad occhio nudo. Escluso che la malattia provenga da parassitismo, diveniva ne- cessario l’indagare la natura chimica del terreno in cui cresce- vano le piante morte, posta a confronto di quella di un terreno in cui i castagni non offersero mai indizi di sofferenza; e l’in- dagare altresì la composizione delle radici e delle altre parti di piante morte di malattia, messa al paragone delle stesse parti prese da piante sane. Il prof. Gibelli dà in proposito importanti ragguagli dovuti alle analisi eseguite sotto la sua direzione dal — prof. Antonielli; fa rilevare la quantità molto maggiore di ossido di ferro riscontrato nelle radici malate, sia nel legno, sia nella corteccia, ossido il quale, in proporzione notevole; combinandosi “n 250 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, col tannino sembra in particolar modo produrre l’intensa colora- zione nerastra caratteristica. Nello stesso tempo nota la deficienza di potassa rivelata nelle stesse analisi. A questo punto il prof. Gibelli fa osservare come sarebbe forse prematuro il volere fin d’ora formulare delle conclusioni assolute ; ma prova che la malattia non potendosi neppure attribuire a cir- costanze atmosferiche sfavorevoli, in quanto che venne osservata per molti anni in condizioni assai diverse di clima, di esposizione, di umidità, ecc., non può, per conseguenza, ragionevolmente sup- porsi dipendente da altro fuorchè dal terreno. Egli insiste sul fatto dell’impoverimento di certi principii che vengono sottratti continuamente dal terreno per opera dell’uomo; il quale esporta coi frutti, col legname, perfino col tagliare l’’erba e levare le fo- glie, una quantità notevole di elementi tolti al suolo colla vege- tazione, senza nulla restituire al suolo stesso. Egli ritiene quindi come estremamente probabile che l’attuale morìa dei castagni debbasi attribuire ad un esaurimento del suolo, non abbastanza neutralizzato nei suoi effetti da una razionale coltura delle selve castanili. Soggiunge che l’ultima parola sopra questa interessante questione non è ancor detta e spera che ulteriori studî giove- ranno a gittare sovr’ essa assai maggior luce; ed intanto accenna ai provvedimenti che, a suo avviso, si dovrebbero prendere onde scongiurare per quanto è possibile l’estendersi del malanno. Dopo che l’egregio professore ebbe terminata le sua dotta e chiara dissertazione, relativa a un fatto di grande importanza per l'economia delle nostre regioni montane, ha la parola il prof. CORNALIA per proporre all'assemblea la nomina di nuovi socj, nelle persone dei signori: Parona dott. CARLO FABRIZIO, assistente nella R. Università di Pavia, proposto dai socj Taramelli, Parona Corrado e Sordelli. MaRtELLI-BoLoGnINI conte IppoLito, di Pistoja, proposto dai socj Cornalia, Bellotti e Franceschini. Cantoni ELvezio, di Pavia, proposto dai socj Pavesi, Maggi e Pim, x: »- ea ADUNANZA GENERALE DI CHIUSURA. 251 FERRARIO dott. cav. ErcoLE, Direttore della Scuola tecnica di Gallarate ed Ispettore dei monumenti e degli scavi per quel cir- | condario, proposto dai socj Gibelli, Maggi e Sordelli. MatmtIRoLo ORESTE, dottore in scienze naturali, di Torino, pro- | posto dai socj Gibdelli, Pini e Mella. MazzuccneLLI VirtoRIO, di Milano, proposto dai socj Sordelli, Pini e Polli. PicaGnia dott. Lurer, Segretario della Società dei Natmmalieti . di Modena, proposto dai socj Pavesi, Polli e Sordelli. QuagLIA ing. arch. GIUSEPPE, di bi proposto dai socj Pa- vesì, Polli e Sordelli. CRESPELLANI avv. cav. ARSENIO, R. tagiattane degli scavi e dei monumenti per la provincia di Modena, proposto dai socj Pa- vesi, Polli e Sordelli. NeerI dott. Lusi, di Milano, proposto dai socj Cornalia, Ga- . lanti e Bellotti. CarRuccIO prof. cav. ANTONIO, docente di zoologia nella R. Uni- — versità di Modena. FERRETTI sac. ANTONIO, parroco di San Ruffino (Reggio d° E- milia). MAZZETTI sac. GIUSEPPE, liblidesiana della Società dei Noi listi di Modena. — I tre ultimi proposti dalla Presidenza. La nomina viene approvata all'unanimità. Lo stesso prof. CoRNALIA riferisce che nella sezione di zoo- logia da essolui presieduta, venne presentata dal socio FRANCE- scHINI la proposta di stabilire sotto la direzione della Società Italiana di scienze naturali un numero indeterminato di vedette atte ad avvertire l’eventuale comparsa in Italia, di quel terri- bile nemico della vite che è la fillossera, onde essa Società possa così concorrere agli sforzi fatti dal Governo per evitare al nostro | paese la sciagura d’una sì temuta invasione. La proposta era firmata da parecchi, i quali si dichiaravano pronti a tenere d’ oc- chio ciascuno un dato territorio ed a riferirne alla Società. Ag- giunge che nella seduta in cui venne fatta tale proposta, fu de- ciso di sottoporla, come cosa d'interesse generale, all’approva- 252 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE. zione dei membri della Riunione, in seduta generale, e pertanto la pone ai voti così formulata dal proponente: “La Società Italiana di Scienze Naturali, desiderosa di con- tribuire al benessere agricolo-industriale del paese, ed allo scopo di aiutare il R. Governo nelle misure precauzionali contro la possibile invasione della PhyWoxera vastatriv, che pur troppo in Francia arreca danni incalcolabili e trovasi alle nostre porte SI propone: di stabilire sotto la propria direzione un indeterminato numero di vedette antifillosseriche che tengano in osservazione ciascuna una data zona ed avvisino immediatamente la presenza del ter- ribile nemico, onde questa Società possa tosto reclamare dal R. Governo quegli energici provvedimenti che saranno del caso. FELICE FRANCESCHINI. ,, È approvata all’ unanimità. Il Presidente Macer invita quindi successivamente i Segretarj delle sezioni di Zoologia, di Botanica, di Geologia e di Paletno- logia a dare lettura dei verbali delle rispettive sezioni. — Nes- suno prendendo su di essi la parola, i verbali rimangono ap- provati. Ha dopo la parola il socio prof. CALDERINI: esso saluta con riconoscenza Varese per ciò che ha fatto a pro della patria e a pro degli studj e ricordando come identici sentimenti animino gli abitanti della sua Valsesia, di cui rapidamente accenna le na- turali bellezze, esprime il voto che anche Varallo possa un giorno accogliere congregati i naturalisti italiani. Il conte MartELLI-BoLoanINI s'alza quindi a proporre un rin- graziamento al signor cav. Andrea Ponti ed alla di lui consorte signora Virginia, che sì splendida accoglienza fecero ai natura- listi accorsi a visitare le collezioni e gli scavi espressamente fatti praticare all’Isolino. Unanimi e calorosi applausi accolgono la proposta. | no” adi tal ADUNANZA GENERALE DI CHIUSURA. 253 Il prof. M. CaLegarI parla dei legami che uniscono la Società Veneto-Trentino di scienze naturali, da lui rappresentata, alla Società italiana, legami che egli gode di vedere ora farsi sempre | più stretti e cordiali e recando a questa il saluto di Trento, ne esprime le aspirazioni sue verso la patria comune. — Le parole del prof. Calegari, come quelle del prof. Calderini, sono vivamente applaudite. Il prof. CornaLIA avverte che in questa seduta dovrebbesi trattare della scelta del luogo per la prossima Riunione. — Sul quale argomento il prof. MARINONI domanda la parola per chie- dere che nel venturo anno la Riunione straordinaria si faccia a “ Udine, e soggiunge che dal Municipio di quella città è autoriz- zato a fare una proposta in questo senso. — Gli risponde il pro- fessor CORNALIA accennando come l’intervallo di un anno gli sem- bri troppo breve e come non convenga perciò fin d’ora assumere impegni; ritiene quindi sia meglio il lasciare questa scelta alla Presidenza ordinaria, la quale è più che altri in caso di valutare quando e dove possa tornare opportuno di tenere una straordi- naria Riunione. Ringrazia nondimeno il Municipio di Udine per la sua proposta che onora la nostra Società. Il ff. di Sindaco, avv. Bizzozero, s'alza e, in nome della città da lui rappresentata, ringrazia i componenti della Riunione pel loro intervento ed esprime la fiducia che da questo scientifico convegno ne verrà vantaggio agli studj in genere e in particolare a quelli relativi al territorio varesino. Gli astanti si associano applaudendo a questi sentimenti ed il Presidente MacI si fa interprete della loro riconoscenza verso il Municipio e verso i cittadini di Varese, per la cordiale ospi- talità con cui i naturalisti vennero qui accolti durante i giorni del Congresso, pronunciando le seguenti parole, colle quali ha termine la seduta: Gentili Signore e Signori! * Dalla lettura dei processi verbali, data dagli onorevoli Segretarj | delle singole sezioni, risulta ad evidenza che la nostra Società si è 254 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE. molto occupata, anche in questo bel soggiorno, di argomenti scienti- fici. Ben dunque possono augurarsi, gli amatori del progresso, della nostra istituzione, la quale colle relazioni personali e cordiali che essa, agli onorevoli convenuti, dà adito di stringere fra di loro, e fra loro ed i cortesi ospiti, cerca di avere sempre più maggiori appoggi per i proprj studj, non dimenticando mai la necessità ed il beneficio della loro popolarizzazione. Ma prima di separarci, la Società italiana di scienze naturali, per mezzo mio, ringrazia Voi, gentili signore e signori, della cordiale ospitalità che le avete data in questi suoi giorni dedicati alla scienza. Essa conserverà imperitura ricordanza della cortesia vostra, e serberà eterna gratitudine alle vostre prodigalità sì bene intrecciate coi no- stri studj, da renderli, già ameni per sè stessi, ancor più dilettevoli. È perciò che sarà sempre benemerita per voi e per noi, l'onorevole Commissione municipale di Varese, che tanto si adoperò per acco- glierci festosamente. Varese col suo territorio, e colle sue ville, in un coi suoi varesini e villeggianti, verrà sempre rammentata con entusiastica gioja dagli intervenuti alla settima riunione straordinaria della Rao italiana di scienze naturali. Ringrazio ancora una volta i miei colleghi per la benevolenza loro a mio riguardo, e sensibilissimo all’onore compartitomi, qual Presi- dente straordinario, chiudo l’ultima seduta della nostra Riunione. Il Segretario F. SORDELLI. LIBRI DONATI DAGLI AUTORI ALLA PRESIDENZA DELLA SOCIETA?. CaRRUCccIO prof. ANTONIO. — Notizie sui lavori ed incrementi del gabinetto anatomo- zoologico e catalogo metodico della nuova collezione d’ Anatomia comparata. — Mo- dena, 1878, 80. CANTONI prof. GIOVANNI. — Norme per le osservazioni di Meteorologia agraria. — Roma, 1877, 8°. -- Osservazioni meteoriche fatte in Varese nell’ autunno 1877. — Varese, 1878, 8°. CRESPELLANI ARSENIO. — Nota geologica sui terreni e sui fossili del Savignanese. Modena, 1875, 8°. - Di un sepolcreto preromano a Savignano sul Panaro. — Modena, 1874, 4°, — Del sepolcreto e degli altri monumenti antichi, scoperti presso Bazzano. — Modena, 1875, 4°, CAROTE TAVSE LIBRI DONATI DAGLI AUTORI ALLA PRESIDENZA DELLA SOCIETÀ. 255 FERRETTI ab. ANTONIO. — Le salse o vulcani di fango e le argille scagliose. — Pa- dova, 1878, 8°. —_ L’uomo, sua primitiva barbarie, progressivo incivilimento ed assoluta an- tichità, in base alla mitologia greca e latina. — Milano, 1577, 8°. GaBBA dott. LuIci e ing. OTtro TEXTOR. — Dell’ influenza dell’ acqua sulla filatura, dei bozzoli e sulla quantità e qualità della seta. — Milano, 1878, 80. GIBELLI prof. GIUSEPPE. — Di una nuova malattia dei castagni. — Torino, 8°. GIBELLI prof. GIUSEPPE e ANTONIELLI dott. GrusEPPE. — Sulla malattia dei casta- gni. — Torino, 8°. GoLeI dott. CamIiLLo. — Sulla fina struttura dei bulbi olfattorii. — Reggio-Emilia 1875, 8°, : - Intorno alla distribuzione e terminazione dei nervi nei tendini dell’ uomo e di altri vertebrati. — Milano, 1878, 8°. MaAGGI prof. LeopoLDo. — Sulla storia naturale degli esseri inferiori. Infusorii. — Milano, 1874, 80. MAZZETTI ab. GrusEePPE. — Intorno alla roccia di un grosso Ammonite che ha tutto l’aspetto di una roccia nummulitica — Modena, 1878, 8°. PAVESI prof. PiETRo. — Seconda contribuzione alla morfologia e sistematica dei Se- lachi. — Genova, 1878, 8°. PAVESI prof. Pietro e PiroTTA dott. ROMUALDO. — Brevi notizie intorno ad Arac- nidi e Miriapodi dell’ Agro Romano. — Genova, 1878, 8°. REGAZZONI prof. INNOCENZO. — L’uumo preistorico nella provincia di Como. — Mi- lano, 1878, 4°. ScoTTI dott. GIBERTO. — Flora medica della provincia di Como. — Como. 1872, 8.° Studi fatti nel Labora'orio di Storia Naturale della R. Università di Pavia, diretta dal prof. Leopoldo Maggi. — Pavia, 1875, 8.0 — Studi fatti nel Laboratorio di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università di Pavia. — Studi di Ana- tomia e Fisiologia comparata. — (1875-1877). VILLA ANTONIO e G. BATTISTA. — (enni geologici sul territorio dell’antico distretto di Oggionno. — Milano, 1878, 8°. VISITA ALLE VILLE. In questo stesso giorno varî proprietari delle ville! in Varese e nei dintorni, avevano, colla più squisita cortesia, predisposto af- 1 Erano aperte ai membri della Riunione le ville dei signori: Ponti cav. Andrea Ponti fratelli fu Antonio | in Biumo superiore Berra-Venino nob. Carolina Barbò nob. Carlo e Leopoldo Poggi Gian Paolo Sir Walter Crawen, in Casbenno Sanvito Silvestro, alla Quiete Litta-Modignani march. Gianfranco, in Varese. in Bosto 256 — SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, finchè i membri della Riunione potessero liberamente visitarle. Molti dei nostri ne approfittarono negli intervalli tra le sedute e dopo la Adunanza generale di chiusura, recandosi chi qua, chi là, a seconda delle inclinazioni proprie o guidati dagli amici; ma nessuno, cred’io, che tralasciasse di recarsi alla villa Ponti, in Biumo superiore, ad ammirarvi il bel giardino, la svariata flora che vi ha ricetto, i capi d’arte di Focosi, di Bertini, di Cremona e d’altri, nonchè la stupenda sua posizione. I proprietarî di alcuni tra i più notevoli stabilimenti! indu- striali vollero del pari usarci simile tratto di gentilezza, ordi- nando che i loro opificî fossero aperti durante i giorni del Con- gresso, a chi si presentasse munito di biglietto d’ ammissione. ! Quelli dei signori: Castelli Carlo e Giacomo — Conceria di pellami Fraschini Agostino id. Garoni Davide id. Bianchi nob. Adeodato — Filatojo di seta Porretti Angelo — Fabbrica di birra Mentasti-Belia Gioachino e figli — Ebanisti Macchi Agostino e Comp. — Fabbrica di carrozze. ez Pero a 7° ua » GITE ED ESCURSIONI. 257 GITE ED ESCURSIONI. GITA ALLA MADONNA DEL MONTE 25 Settembre 1878. Il persistere del cattivo tempo aveva trattenuto parecchi dal prender parte a questa gita, ideata onde presentare agli interve- nuti un panorama del territorio varesino. Una parte però dei membri del Congresso vi si recò egualmente e passò colassù lie- tamente la mattina. Accolti con somma cortesia dal reverendo parroco Bellasio poterono osservare le più notevoli cose: gli an- tichi affreschi, i libri corali del XIV secolo, i preziosi arazzi e quanto infine di interessante per l’arte si contiene in quella chie- setta. Visitarono altresì nel monastero l’ Osservatorio meteorolo- gico, dove le suore stesse, istruite dal benemerito padre F. Denza, attendono alle osservazioni e prestano così, tuttochè segregate dal mondo, utile servigio alla scienza. Malgrado la stagione poco favorevole e la impossibilità di at- tendere a ricerche continuate e regolari, alcuni degli intervenuti non si rimasero tuttavia dall’ approfittare dei pochi momenti loro concessi dal programma delle escursioni per fare incetta, per sè e per.gli amici, di animali e di piante, sopratutto degli ordini inferiori. L’estensore di questi appunti deve qui far menzione, tra gli altri, dei signori Pavesi, Parona Corrado, Magretti, Can- toni Elvezio, Pini e Mazzucchelli, i quali raccolsero aracnidi, in- setti, molluschi e vegetali, una parte dei quali verrà ricordata in queste stesse pagine' ed il resto formerà il tema di ulteriori studj. Siano, queste isolate e scarse notizie, come il seme dal quale germoglino rigogliosi nuovi studj sul territorio varesino, sotto ogni rapporto così degno dell'attenzione dei naturalisti. ' La determinazione degli aracnidi devesi al prof, P. PAvESI; il socio N. PINI rac- colse e determinò i molluschi e il socio V. MAZZUCCHELLI fece lo stesso per i muschi e lo epatiche, verso i quali principalmente diresse la sua attenzione. Vol. XXI. 17 x 258 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, " Ecco intanto il nome degli aracnidi catturati presso la Ma- donna del Monte: Euscorpius italicus (Herbst) Steatoda hipunctata (L.) Argiope Briinnichii (Scop.) Tegenaria parietina (Fourecr.) Epeira diademata (C1.) Textrix denticulata (Oliv.) Cyrtophora conica (Pall.) Liocranum domesticum (Wider)* Meta Merianae (Scop.) Cheiracanthium Mildei L. Koch — segmentata (CI.) . Trochosa terricola Thor. Linyphia triangularis (C1.) Phalangium cornutum L. Theridium formosum (Cl.) Liobunum limbatum L. Koch. . Alcuni che non avevano partecipato alla gita alla Madonna del Monte visitarono invece i.dintorni di Induno. In prossimità di questo villaggio il riferente raccolse un’anomalia della Linaria vulgaris col fiore a due speroni; più oltre esaminarono, lungo il sentiero che mette alla cava Medici ed ai laghetti ed indi volge a Fraschirolo, i varii terreni che ivi affiorano, il /fysch a fucoidi, le marne varicolori della creta, il rosso ammonitico con frequenti fossili del lias superiore: Ammoniti, Aptichi, Fucoidi (tra cui bene caratterizzato il Chondrites bollensis Kurr); i calcari e le dolo- mie colle quali si alimentano le fornaci di Fraschirolo. Presso la cava videro parimenti il famoso masso erratico di melafiro, descritto e figurato dal prof. Omboni. Su questo stesso masso, e nelle vicinanze di Induno e di Fraschirolo, Mazzucchelli raccolse i seguenti muschi: Brachythecium populeum BE. Fissidens bryoides Hdw. — salebrosum BE. Seligeria pusilla BE. Ehynchostegium rusciforme BE. Dicranella varia Sch. Amblystegium chrysophyllum DN. Anacalypta lanceolata BE. Cylindrothecium concinnum Sch. Tortula unguiculata Roth. — cladorhizans Sch. Hedwigia ciliata, concolor DNtrs. Anomodon viticulosus Hook. et Tayl. mentre ai lati della strada fra Varese e la Folla faceva incetta di Grimaldia barbifrons (Raddi), epatica dal soave profumo, che in primavera suole qui ricoprirsi di abbondante fruttificazione. 1 Qui e più avanti sono segnate in corsivo quelle specie, tra gli aracnidi, che sono le più rare nel Varesotto, oppure vennero trovate in quell’ unica località indicata. — Nella citazione dei muschi e delle epatiche vennero segnate 7 corsivo quelle specie soltanto rinvenute in istato di fruttificazione. FOLBGrI iaia i tai ai Mii Rn dar ta MIA. A) TORO a i ii da sl GITE ED ESCURSIONI. 259 Il socio Pini osservava in questa stessa gita, presso Varese: Limax agrestis Linn. var. albidus Moq. Tand.; ; Amalia:margi- nata Drap.; ad Induno; Hyalina cellaria (Mùll.); Pomatta® septem- spiralis (Razoum.); a Fraschirolo: questa stessa specie, la Helix ciliata Venetz., Balea perversa (Linn.), Clausilia dubia Drap.; a Biumo superiore: le Clausiliae alboguttulata Wagn. e plicatula Drap. var. superflua Meg. Alle quali vanno aggiunte ancora il Limax cinereus Lister, var. maculatus Picard, da lui osservato alla Madonna del Monte e la Limnaea truncatula (Mill.) pure da esso ritrovata popolare l’acqua della fontana di detta località. GITA SUL LAGO DI VARESE ED ALL’ISOLINO 26 Settembre 1878. Codesta gita riescì brillantissima. Già si sapeva che l'inglese sie. Foster, facendo nella scorsa primavera praticare degli scavi nell’isoletta che sorge presso la sponda meridionale del lago, aveva riconosciuto l'esattezza dell’opinione di coloro che pensa- vano essere questa costrutta artificialmente. In queste ultime set- timane i sig. ab. G. Ranchet e prof. I. Regazzoni, per incarico loro affidato dal sig. cav. Andrea Ponti avevano inoltre fatto dei pre- parativi perchè i visitatori potessero a tutto loro agio osservare la struttura della singolare stazione preistorica, col farvi eseguire nuove escavazioni e col disporre ed ordinare, il meglio che si po- tesse, nella casetta che trovasi nell’isola, gli oggetti trovati. Il cav. Ponti aveva per questa occasione fatto portare colà anche i cimeli rinvenuti nelle altre stazioni del lago, ed aveva dato le più opportune disposizioni perchè, a tutte sue spese, una volta giunti al lago di cui è proprietario, i visitatori non avessero a mancare di nulla. Tutto, insomma, era fatto per attirarvi gli stu- diosi; il cielo stesso, rasserenandosi, parve voler associarsi alla fe- sta e contribuì infatti non poco alla sua buona riescita. Una lunga fila di carrozze, provvedute dal Municipio, partiva alle ore 7 dal palazzo Veratti e conduceva gli invitati sulla via di Gavirate. Giunti al punto più elevato della strada, detto il 260 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, sasso di Gavirate, si stendeva loro davanti l’incantevole prospetto dei laghi di Varese e di Biandronno, più in là quelli di Comab- bio e di Monate, e verso occidente un tratto del lago Maggiore. Parte della comitiva si recava direttamente a Gavirate per ivi imbarcarsi; parte invece dirigevasi verso Oltrona, a nord del qual paese il sig. conte Riccardo Alemagna, di Barasso; aveva fatto scoprire delle tombe, di recente venute alla luce nel lavo- rare un suo fondo detto Ronco nuovo, e vi attendeva gli studiosi di archeologia, colmandoli di cortesie. Rozze lastre di pietra for- mavano i lati e la copertura di tali tombe, delle quali quattro contigue e senza divisione fra loro, erano, al dire degli scopritori, come fuse in una sola, diretta da sud-est a nord-ovest; l’altra attigua alla prima, ma distinta, e, come le altre, di circa mezzo metro di lato. In sole tre si trovarono vasi, e nulla nelle altre due- Dai vasi rinvenuti, sette di numero, ossia: un tondo a lab> bro rovesciato ed un altro a labbro rientrante, due anfore ansate e altri tre vasi di varia forma, di cui uno con vernice, mentre gli altri sono di terra rossa, come pure da una larga embrice che copriva una delle tombe, esse apparirebbero dell’epoca ro- mana e forse del III o IV secolo. ! e Infine, chi da Gavirate, chi da Oltrona, chi ancora dalla Schi- rana, tutti.s'imbarcarono verso l’isoletta, dove, giunti, nostra pri- ma cura fu di esaminare gli.scavi e le collezioni ivi predisposte. Intorno a tali scoperte fecero già una fedele relazione i sig. Re- gazzoni e Ranchet, letta alla sezione di Paletnologia, relazione che si troverà inserita più avanti in questo medesimo volume. Per lo che stimo inutile entrare in particolari che potrebbero parere soverchi e forse anche meno degni di attenzione, sic- come dettati da penna poco o nulla competente in siffatta ma- teria. Dirò soltanto che tutto vi vedemmo ordinato in modo che i visitatori potessero esaminare partitamente ogni cosa e farsi un sufficiente concetto della provenienza e giacitura dei mille e mille 1 Una breve notizia di tale scoperta fu pubblicata dall'ing. Giuseppe Quaglia nel n. 38 della Cronaca Varesina 27 settembre 1878. GITE ED ESCURSIONI, 261 disparati oggetti dissepolti nei varii scavi. Gli oggetti meno co- muni, rari od anche unici finora trovati, erano preservati in adatte vetrine, dove pure si vedevano i più importanti pezzi rinvenuti fra l'abbondante ossame, rifiuto della cucina di quelle antichis- «sime tribù. Su d’un’ampia tavola poi erano disposti i cocci di stoviglie di svariata fattura, i più rozzissimi, altri più fini, al- cuni con qualche intenzione d’ornamento, ovvero rimarchevoli per l'impronta ancora visibile della stuoja su cui posarono men- tre l'artefice le foggiava colla mano. Osservammo le fosse sca- vate, e sugli argini formati col materiale estratto vedemmo am- mucchiati su lunghe tavole un’ infinita quantità dei cocci i più comuni e di ossa, coll’indicazione se provenivano dagli strati più superficiali ovvero dai più profondi. Nel fondo delle fosse stesse, che alcuni uomini s’affaticavano a sgombrare dall’acqua infiltran- tesi per ogni parte, scorgemmo sporgere le testate dei pali sui quali s'ergevano un dì le primitive capanne, prima che l’uomo, accumulando macerie a macerie, innalzasse all’ asciutto il suolo della sua dimora. Una squisita colazione veniva in appresso splendidamente ser- vita dietro gli alberi che ombreggiano l’isoletta, e vi presero parte circa ottanta convitati; tra questi vedemmo anche il dott. Benesperando Quaglia, di Bardello, tra i primi che nel 1863 sco- prissero le palafitte del lago di Varese, ed ora qui venuto, mal- grado la malferma sua salute, a salutare gli amici ed a parteci pare con essi al festevole convegno. Sulla fine proruppero i brin- disi, sui quali io debbo sorvolare per non defraudare di sover- chio il posto destinato alle comunicazioni scientifiche. Ma non so dispensarmi dal citarne due: quello del nostro presidente, prof. Maggi, il quale interpretò i nostri sentimenti di riconoscenza verso il benemerito sig. cav. A. Ponti e verso la gentile e colta sua signora, e propose che ad onore di questa fosse l'isola chia- mata col nome di Virginia. E quello originalissimo del prof. Ca- legari, il quale rammentò il nesso intimo che lega la presente colle più remote trascorse età e inviava il suo saluto a quei no- stri selvaggi antenati, costruttori dell’isola, i quali, tuttochè rozzi 262 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, e barbari, pure colla loro industria primitiva, coll’osservare e domare la ribelle natura, posero le prime basi di quella civiltà di cui ora noi andiamo cotanto superbi. Passava intanto il tempo fra il gaio conversare, e la traver- sata del lago che si doveva fare nel ritorno, fino alla Schirana, si pensò di abbreviarla, pel timore che le onde mosse dal vento, da poco rinfrescatosi, potessero creare qualche pericolo. Biso- guò dunque attendere le carrozze finchè fossero arrivate a Bian- dronno, punto destinato allo sbarco. Questo breve tempo d’aspet- tazione fu subito messo a profitto col far ricerche, coronate da felice successo. Si rinvennero infatti, tra le altre, le seguenti specie di ragni: Epeira marmorea (C1.) Diaea tricuspidata (Fabr.) — cornuta (Cl.) — globosa (Fabr.) — patagiata (C1.) Xysticus kochii Thorell Singa hamata (CI.) Trochosa ruricola (De Géer) Tetragnatha extensa (L.) Dolomedes fimbriatus (C1.) Pachygnatha Clerckii (Sund.) — plantarius (CI.) Linyphia clathrata Sund. Salticus formicarius (De Géer) — triangularis (C1.) Heliophanus flavipes (Hahn) Clubiona frutetoram L. Koch Marpessa Canestrinii Ninni. Philodromus aureolus (CI) 1 soci Pini e Mella raccolsero le seguenti specie di molluschi, nelle quali si può ritenere compendiata la faunula malacologica dell’isola Virginia e del lago che la circonda: Helix strigella Drap. Limnaea peregra Miill. — hispida Linn. : Planorbis corneus:(Linn.) Vertigo pygmaea (Drap.) — complanatus (Linn.) Succinea Pfeifferi Rossm. Paludina vivipara (Linn.) — — var. mediolanensis Villa -— — var. pyramidalis Jan. Physa fontinalis (Linn.) — contecta Miller Limnaea stagnalis (Linn.) Bythinia tentaculata (Linn.) — palustris Mill. Cyclas cornea (Linn.) — auricularia (Linn.) Unio Requieni Mich. var. Villae Stab. — — var. alata Kob. — gurkensis Ziegl. L’erba, di recente tagliata, non permetteva di farsi un’ idea GITE ED ESCURSIONI. 263 della flora fanerogamica, del resto poverissima in questa stagio- ne; vi si raccolsero invece pochi muschi ed epatiche, tra i quali: Hylocomium Schreberi DNtrs. Climacium dendroides Web. Mohr. — triquetrum BE. Pylaisia polyantha BE. Brachythecium populeum BE. Leskea polycarpa Hdw. Amblystegium riparium BE. Bryum pseudotriquetrum Schw. Frullania dilatata Dmrt. Escursione A BRENNO, VIGGIÙ, SALTRIO E BESANO. 28 Settembre 1878. Partendo alle 6 del mattino per questa gita particolarmente dedicata alla geologia, facciamo una prima sosta alla Folla d’In- duno, dove da lungo tempo è attivata una cava di argilla mar- nosa, usata per laterizii, appartenente al pliocene medio, con fossili marini e filliti. Passiamo quindi per Induno ed Arcisate, percorrendo un tratto di paese tutto occupato da morene e da depositi alluvionali fino a Brenno-Useria. Ivi, affatto vicino alla strada, scendiamo a visitare la cava che, al pari di quelle di Viggiù e di baltrio, è aperta negli strati at- tribuiti al lias inferiore. A Brenno ed a Viggiù la roccia che si cava e si lavora di preferenza è un’arenaria a cemento calcareo; passante ad una vera brecciola calcarea, nota appunto col nome di pietra di Viggiù, e distinta dai cavatori in grigia, rossetta, piombina, gentile, secondo il colore e la struttura. Questa pie- tra è sottoposta a strati di un calcare grigio, cineréo e biondo, denominato cappellaccio. La cava di Brenno da noi visitata si sprofonda assai seguendo l'inclinazione degli strati e sommamente fantastico è il suo aspetto. Il movimento che vi regna e tutti quei lumicini che brillano nel buio ci richiamavano alla mente tutta quella turba di gnomi e simili esseri immaginarii di cui la nordica mitologia amava popolare le-viscere della. terra. Dalle persone dirigenti i lavori avemmo tutte le desiderate informazioni sul modo di estrazione della pietra, sulla sua lavo- 264 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, razione e sull’importanza del commercio alimentato da queste cave. Lasciata quella di Brenno, saliamo a vedere due delle cave di Viggiù. Anche lì fummo accolti con molta cortesia dai proprie- tarii signori Monti e Bianchi e vi potemmo esaminare ogni cosa a nostro agio. i Dalle cave, percorrendo per breve tratto i sentieri del monte ci troviamo tosto a Viggiù, borgata di assai lieto aspetto, dove l’arte è tradizionale e dove ci attendeva la migliore accoglienza. ‘ Ricevuti dal Sindaco, cav. Somajni, e da apposita commissione eletta per questa circostanza, visitammo la scuola di disegno, dove in bell’ ordine erano disposti lodevolissimi saggi degli al- lievi, la nascente biblioteca popolare, ricca già di 1500 volumi, gli studii di scultura dei signori Bottinelli e Buzzi-Leoni, la villa Gussoni; ovunque festeggiatissimi. Dopo un’ indispensabile refezione, ci rechiamo ad esaminare la più prossima e la più vasta, forse, fra le cave di Saltrio, dove si estraggono-marmi bianchi e cenerini, suscettibili di bel pulimento. Spettano queste rocce, come tutte quelle lavorate a Saltrio, al terreno liasico inferiore, e ne fanno fede i molti fossili che vi si rinvengono, di preferenza Nautili, Ammoniti, Pleurotomarie e Terebratule. Alcuni dei nostri poterono farne raccolta, acqui- standoli dai lavoratori. Nè codeste pendici, propagini del monte dell’ Orsa, vanno men- zionate soltanto pell’interesse geologico ch’esse presentano. Esse nutrono una copiosa flora fanerogamica, che in parte persisteva ancora, malgrado la inoltrata stagione; vedemmo Linaria nuinor, Scrophularia Hopptii, Aster amellus e parecchie altre composite, numerose ombrellifere e labiate. Tra le muscinee vennero raccolte: a Viggiù: a Saltrio: Rhynchostegium murale BE. Hypnum stellatum y. virens DNtrs. Brachythecium rutabulum BE. — Brachythecium plumosum BE. Amblystegium filicinum DNtrs. — populeum BE. Tortula unguiculata Roth. Hylocomium rugosurm BE. Dicranum undulatum BE. Tortula fallax Schrad. Gymmnocolea inflata Dmtr. E «e 9 GITE ED ESCURSIONI. 265 Il prof. Pavesi dal canto suo notava i seguenti aracnidi: A Brenno-Useria: Epeira diademata (CI.) Segestria florentina (P. Rossi) Meta segmentata (CI.) Micrommata virescens (CI.) Linyphia triangularis (CI.) Lycosa arenaria Auct. ® — pratensis Koch? Trochosa terricola Thor. Tegenaria parietina (Fourcr.) Heliophanus Kochii Simon Agalena similis Keys. Phalangium cornutum L. A Viggiù: Epeira diademata (CÌ.) Dictyna arundinacea (L.) — dioidia WIk. Tegenaria parietina (Fourcr.) Meta segmentata (Cl) Textrix denticulata (Oliv.) Tetragnata extensa (L.) Gnaphosa nocturna (L.) Linyphia triangularis (CI.) Xisticus Kochii Thor. — tenebricola Wider. Tarentula pulverulenta (CI.) — rubecula Canestr. Phylaeus chrysops (Poda) Pholcus phalangioides (Fiissl.) Chthonius Rayi LK, E Pini raccoglieva nelle stesse località alcuni molluschi, cioè: Vitrina brevis Fér. — Viggiù. Hyalina nitens Mich. var. hiulca Jan. — Viggiù — cellaria Mill. — Viggiù. Helix angigyra Ziegl. -— Brenno-Useria, Viggiù. — strigella Drap. — Brenno, Viggiù. — carthusiana Mill. — Brenno. Clausilia alboguttulata Wagn. — Brenno. Pupa frumentum Drap. — Brenno, Viggiù. — muscorum (Linn.) — Viggiù. — Ferrari Porro — Viggiù. — pagodula Des Moul. — Viggiù. Pomatias septemspiralis (Razoum.) — Brenno, Viggiù. Da Saltrio, facendo ritorno sui nostri passi, ci portiamo a Bi- suschio, per quindi recarci a Besano, passando dai terreni liasici al triasici, onde visitare un giacimento fossilifero, lontano appe- na mezz ora di strada da quest’ultimo villaggio, e situato sul versante volto a occidente della valle che si dirige a Porto Ce- 266 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, resio, sul lago di Lugano. Giacimento intorno al quale s’affati- carono i migliori nostri geologi, onde fissarne il posto nella serie dei terreni, senza che la questione si possa dire interamente ri- solta. Infatti se oramai l'accordo puossi dire stabilito riguardo alla sua attribuzione al trias superiore, non è del pari concorde l’opinione degli scrittori intorno al preciso livello cui spettano gli strati fossiliferi, ormai famosi, di questa località. Allo scopo di favorire sempre più lo studio di questa impor- tante questione, la direzione del Museo Civico di Milano nutriva da tempo l’intenzione di far proseguire a Besano le ricerche colà iniziate nel 1863 dalla Società italiana di scienze naturali, le quali avevano dato buoni risultati col mettere alla luce parecchie specie di pesci e di rettili, donati poi al Museo di Milano. Ora nell’ occasione della Riunione di Varese, il prof. Cornalia, che con tanto amore dirige questo Istituto cittadino, mandava ad ef- fetto tale divisamento ed inviava colà alcuni giorni prima il pre- paratore del Museo stesso, sig. Barazetti, che già aveva avuto parte nelle prime ricerche, affinchè gli escursionisti del Congresso potessero, visitando quei terreni, esaminare anche i fossili che si potessero scoprire nel frattempo. Nè la nostra aspettazione riesci punto delusa. Accompagnati sul luogo dal Sindaco e dal segretario comunale di Besano e vi- sitati gli scavi praticati negli scisti bituminosi, incassati nella do- lomia, * potemmo esaminare sul posto una bella serie di fossili, tra cui: varii Ittosauri della specie già riconosciuta dal prof. Cor- nalia come nuova e diversa dalle forme liasiche; numerosi pesci, tra cui frequente il genere triasico Belonorhynchus dal lungo ed acuto becco; alcuni Ammoniti ed Halobie; ed alcuni resti di co- nifere, tra i quali un magnifico ramo in frutto di Voltzia, genere essenzialmente triasico. Gli scisti in cui si trovano queste preziose reliquie sono assai bituminosi e se ne era, anni addietro, iniziato le scavo per cavarne dell’olio combustibile; ma stante il loro poco spessore (vario fra ! Haupt-dolomit, dolomia superiore triasica, o dolomia di Esino secondo Curioni, Dolomia inferiore, nella carta colorita da Spreafico e Negri. OLTRE A GITE ED ESCURSIONI. 267 un decimetro e qualche centimetro appena) e la relativa scar- sità di olii leggeri che se ne potevano ritrarre, l’ impresa venne abbandonata. Anche a Besano si trovò da spigolare in fatto di Aracnidi, es- sendovisi raccolte le seguenti specie: Euscorpius italicus (Herbst) Amaurobius ferox. Wlk. Epeira diademata (C1.) Tegenaria parietina (Fourer.) Cyrtophora conica (Pall.) Cheiracanthium Mildei LK. Meta Merianae (Scop.) Drassus lapidicola WIlk. — segmentata (CI.) Thomisus albus (Gm.) Linyphia triangularis (CI.) Liobunum limbatum L. K. Sul pendio del monte, sonovi luoghi umidi ed ombreggiati, sog- giorno prediletto di più maniere di crittogame. Mazzucchelli vi raccolse le seguenti muscinee: Riynchostegium praelongum DNtrs. Amblystegium chrysophyllum DNtrs. Hylocomium brevirostre BE. Neckera crispa Hedw. — rugosum BE. Anomodon viticulosus Hook. Tayl. Brachythecium populeum BE. Bryum pseudo-triquetrum Schw. — salebrosum BE. Fissidens bryoides Hedw. Hypnum stellatum Schrad. Pleurochaete squarrosa Lindb. — — y. virens DNtrs. I molluschi offrirono invece scarsa messe, giacchè Pini non vi trovò se non due specie: Hyalna mitens Mich., var. hiulca Jan., e la Helix angigyra Ziegl. Soddisfatti così gli occhi e la mente, rifacemmo la via per- «corsa alla mattina e ritornammo a Varese. ESCURSIONE IN VALGANNA, A CUNARDO, AL Ponte NIvo, ALLA FERRERA ED IN VAL DI BRINZIO. 29 Settembre 1878. Riunitici alle 7 ant., al consueto punto di ritrovo, presso il palazzo Veratti, partiamo per l’ultima e più lunga delle proget- tate nostre escursioni. Amena ed istruttiva quanto mai riuscì an- 268 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, che questa peregrinazione per l’importanza e la varietà delle cose e dei luoghi veduti. Come nella gita d’ieri si percorse dapprima la strada che da Biumo inferiore mette ad Induno, ma giunti a quest’ultimo vil- laggio pieghiamo a sinistra ed entriamo nella pittoresca Valgan- na. Presso la strada si scorge la sorgente detta la fontana degli ammalati, dalle supposte virtù salutari delle sue acque, presso la quale fontana notasi la grotta che si constatò essere una stazione dell’uomo preistorico. Più oltre si passa dove esisteva, or fanno pochi anni, la pittoresca grotta dei tufi, luogo ora segnato da una. larga squarciatura nella rupe, essendo la grotta con improvvido consiglio, stata distrutta per cavarne materiale d’uso edilizio. In . essa si rinvennero parimenti resti dell’uomo antico, che vedem- mo nel Museo patrio, assieme ad ossa d’animali di specie viventi, state determinate dal prof. Maggi. Si oltrepassano alcune cascate e si giunge ben presto dove la valle, stretta dapprima fra alte e bizzarre rupi, si allarga d’as- sai e ci lascia scorgere i monti circostanti in gran parte formati dal porfido quarzifero. Giunte le carrozze dove le acque della Val Vassera piegano a nord per formare la Margorabbia, la mag- gior parte della comitiva, rimontando a piedi l’accennata valle, si reca a vedere i lavori della riattivata miniera di galena argen- tifera, che dalla Vassera viene appunto denominata. Ivi era at- tesa e fatta segno delle più cortesi attenzioni per parte della Di- rezione della miniera, rappresentata dal sig. ing. Schmidt, il quale gentilmente diede ai naturalisti tutti i desiderati schiarimenti.' I filoni sono quattro, uno solo però è coltivato, ed è il filone detto di S. Carlo, il quale ha una potenza media di metri 2, 50; fu riconosciuto sopra una lunghezza di 3 chilometri, ma non è lavorato che per una lunghezza di 300 metri. Il pozzo della mi- niera si spinge alla profondità di 80 metri circa. Un metro cubo del minerale quale esce dalla miniera pesa chilogr. 2,800. Nel minerale greggio v’ha il 10 per 100 di piom- i I dati relativi alla miniera della Vassera, quì riferiti, furono raccolti e comuni- cati dal socio prof. P. Polli. STILO GITE ED ESCURSIONI. 269 bo, in quello lavato il 30 fino al 70 per 100. Il piombo d’ opera contiene in media 2 a 3 per 1000 di argento. Due sono le varietà di galena che vi si riscontrano, una a strut- tura lamellare, l’altra a grana fina 0, come si dice OOMAGILe REA, a grana d’ acciajo; questa è più ricca in argento. Accompagnano la galena i seguenti minerali: dbaritina, rossi- gna a struttura lamellare; /worina, violetta dicroica, bianca se- mitrasparente e verdiccia; pirite di ferro, che all'aria rapida- mente si solfatizza ed il solfato di ferro si cambia in idrato di ossido ferrico, il quale tinge le rocce di contatto color di rug- gine. — I filoni sono compresi nel porfido quarzifero. Intanto che alcuni esaminavano la miniera e vi raccoglievano i campioni degli indicati minerali, altri si davano a far ricerche botaniche e zoologiche. Nella stessa Val Vassera, Mazzucchelli notava e raccoglieva tra i muschi: Pogonatum aloides P. B. Campylopus polytrichoides DNtrs. Dicranum- heteromallum Hdw. Il prof. Pavesi recavasi a Ghirla, e colà montato su d’ una barca peschereccia esplorava quel laghetto e riscontrava anche in esso i rappresentanti della fauna detta pelagica, o d'alto lago, da lui già scoperta in altri laghi lombardi, intorno alla quale si può leggere una sua comunicazione alla Società. Qui nel laghetto di . Ghirla, il Pavesi pescò, a 5” ed a 10" di profondità, le seguenti specie di entomostracei: Leptodora hyalina Lillj., Daphnia hya- lina Leyd., più una terza specie, affine al genere Heterocope, ma tuttora non bene studiata. Queste due ultime in maggiore abbon- danza della prima. Riunitici di bel nuovo assieme passiamo a Cunardo, dove era predisposta una refezione. Anche lì si raccolse qualcosa. Un ma- gnifico esemplare di Epeira marmorea (CI.), coi colori tipici, ed una discreta serie di Muscinee, tra cui: Hylocomium splendens BE. Thamnium alopecurum BE. — Schreberi DNtrs. Brachythecium populeum BE. — squarrosum BE. Amblystegium commutatum DNtrs. — brevirostre BE. Plagiothecium denticulatum BE. 270 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, Cylindrothecium repens DNtrs. Seligeria pusilla BE. Encalypta streptocarpa Hdw. Pogonatum aloides Hdw. Fissidens adianthoides Hdw. Dicranum undulatum Hdw. Bryum argenteum Linn. Metzgeria furcata Raddi Tortula falla Schrad. Reboulia hemisphaerica Raddi come pure la non comune Seligeria recurvata (BE.) in frutto, raccolta dal referente sulle rupi umide ed ombreggiate appena fuori il paesello di Cunardo. I molluschi offersero pure qualche specie, e Pini potè racco- gliere in Valganna: Limax cinereo-niger Wolf, var. Da Helix nemoralis Linn. Campi Meneg. — pomatia Linn. — cinereus Lister, var. concolor Pini Cionella lubrica (Mull.) Amalia marginata (Drap.) Clausilia Strobeli Porro. — — mut. gagates (Drap.) — plicatula, var. superflua Meg. Helix ciliata Venetz Pupa Ferrarii Porro — angigyra Ziegl. — pagodula Des Moul. — obvoluta Mill. Buliminus obscurus (Miill.) — Preslii, var. nisoria Rossm. Ed a Cunardo: Helix rotundata Mull. Balea perversa (Linn.) — obvoluta Mill. Clausilia alboguttulata \Wagn. Cionella lubrica (Mull.) Buliminus obscurus (Miill.) A breve distanza da Cunardo visitiamo il ponte Nivo, spaziosa caverna naturale entro la quale si precipitano muggendo le ac- que della Margorabbia, per uscirne più lungi, a più d’un chilo- metro di distanza. Il nome di ponte Nivo (pont riv) suonerebbe appunto un’abbreviazione di ponte nativo, dalla disposizione che prendono le rupi sovrastanti alla voragine. Le acque del torrente, prima di sprofondarsi, servono a dar moto ad una cartiera, i proprietarî della quale ci offersero ogni agevolezza per poter con- templare in ogni parte quell’ imponente spettacolo. Ivi, in un punto della caverna perfettamente oscuro, il prof. Pavesi prese un pipistrello (Rhinolophus ferrum-equinum) che pendeva dalla volta. GITE ED ESCURSIONI. ST Riprese le carrozze, c’indirizziamo tosto alla Ferrera, allegro villaggio, dove scendiamo un momento per vedere le cascate che ivi fa la Margorabbia, delle quali una bellissima, e quindi, stretti dal tempo, per la val Cuvia, passiamo a Rancio, Cuvio, Cabia- glio, per entrare nella selvosa valle di Brinzio e di là far ritorno a Varese. Quest’ ultima valle, in piccola parte coltivata, il resto a castagni od a bosco, offerse qualche buona specie, e lasciò in noi gran desiderio di poterla esplorare a miglior agio. Nei brevi tratti percorsi a piedi si raccolsero i seguenti aracnidi: Epeira diademata (CI.) Steatoda bipunctata (L.) — patagiata (CI.) Coelotes atropos (WIlk.) Cyrtophora conica (Pall.) Philodromus aureolus (CI.) Meta Merianae (Scop.) Lycosa arenaria Auct. — segmentata (CI.) Tarentula pulverulenta (CI) Linyphia triangularis (CI.) Heliophanus Kochii Simon. — rubecula Canestr. Nè mancarono i molluschi, di cui qui dev'essere gran copia, favorita dall’ombra amica degli alberi e dalle anfrattuosità delle rupi. Le specie notate in questa occasione, furono: Limax agrestis Linn., var. albidus Helix nautiliformis (Porro)! Moq. Tand. — nemoralis Linn. — arborum Bouchard — pomatia Linn. Amalia marginata (Drap.) Cionella lubrica (Mill.) Helix ciliata Venetz Clausilia plicatula Drap., var. superflua Meg. — obvoluta Mill. — lineolata Held. — carthusiana Mill. Pomatias septemspiralis (Razoum.) E qui pure trovammo da spigolare in fatto di crittogame. Mazzucchelli raccolse nella valle di Brinzio le seguenti muscinee, come saggio di quanto si potrebbe rinvenire quando fosse esplo- | rata con diligenza: Ehynchostegium murale BE. Hypnum stellatum Schreb. Hylocomium splendens BE. Webera nutans Sch. ! Raccolta presso Cabiaglio, ma osservata parimenti al Ponte Nivo dal Pini colla Hyalina nitens Mich. var. hiulca Jan. 272 SETTIMA RIUNIONE STRAORDINARIA IN VARESE, Dicranodontium longirostre BE. Bartramia pomiformis, crispa Hook. Tayl. Dicranella varia Sch. Pellia epiphylla Dmt. A Brinzio, dove sostammo qualche istante, ci fu mostrato in un prato a destra, prima di entrare nel paese, un noce colossale, il più grosso forse fra quanti ne esistono da queste parti ed as- sai ben conservato. Il suo tronco appare piuttosto basso, come quello che ben presto si divide in due grossissimi rami coperti da ricca e regolare verdeggiante chioma. La sua circonferenza, presa all’altezza del petto, fu da noi misurata in metri 7, 06. Dopo ciò non ci arrestammo se non a Varese, dove, giunti sul far della sera, ci congedammo dagli amici e da questi cari luo- ghi, de’ quali conserveremo grata ricordanza per le tante prove di premurosa cortesia avute dalle autorità comunali e da ogni ceto d’ abitanti. F. SORDELLI. INTORNO ALLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO DISCORSO LETTO NELL’APERTURA SOLENNE DELLA VII RIUNIONE STRAORDINARIA DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI IN VARESE il di 24 Settembre 1878 dal Presidente straordinario Prof. LEOPOLDO MAGGI, DELL’ UNIVERSITÀ DI PAVIA. Gentili Signore e Signori, La notizia inaspettata, che il due dello scorso giugno, rice- vetti dall’ illustre naturalista Cornalia, nostro Presidente effettivo, ha confuso l’animo mio che sentesi insufficiente ad assumere la Presidenza di questa settima Riunione straordinaria, che la So- cietà italiana di scienze naturali stabilì di tenere in Varese. Tanto più che io pensava a due colleghi, ben degni dell’ onorifico uffi- cio, ai signori Cristoforo Bellotti e Gaetano Negri. Pregai quindi il degnissimo presidente Cornalia, che all’ uno e poi all’altro si dirigesse, lasciando me per terzo; tuttavia la sua accondiscendenza ebbe un risultato contrario alle mie spe- ranze, poichè all’opportunità delle persone, sottentrarono i mille riguardi, che quasi ci impedivano di soddisfare al nostro regola- mento. Onde, poichè uno di noi doveva pure accettare questo grato, ma non lieve ufficio, che passa nelle nostre riunioni da Vol. XXI. 18 re L. MAGGI, socio a socio, io cedetti alla necessità, e perciò qui mi trovo, ono- revoli colleghi, a farvi accoglienza. È vero che i nostri Congressi vantano alle Presidenze straor- dinarie Sella, Capellini, Lioy, Aradas e Campani, uomini emi- nenti nella scienza, e che voi, con pari eminenza scientifica, vi presenterete alle future Presidenze; ma questa qualità personale non è stata il motivo della mia nomina; anzi, io m’affretto a ri- cordarlo, il nostro regolamento vuole che si elegga a presidente straordinario un socio che abbia domicilio o convenienti rela- zioni nel luogo scelto per la riunione. Io non soddisfo intera- mente neanche a queste condizioni, epperò accettando ho fatto a fidanza colla benevolenza vostra verso di me, della quale con- serverò sempre gratissima memoria, e colle forze dei Varesini, ch'io più volte conobbi esser grandi. Non appena corse voce avere la nostra Società indicato il pit- toresco sito di Varese pel suo Congresso autunnale, che tosto un sincero invito ad essa veniva fatto, a nome della cittadinanza, dal foglio pubblico di questa amena città, che si può chiamare “dalle ville eleganti ,,; e poichè venne scelta la simpatica Va- rese “ che, simili a sè gli abitator produce , subito s’avvisò ai modi per degnamente ricevervi, o signori. Ed io, fatto vostro presidente, m’incontrai con una eletta schiera di coltissime per- sone, le quali ben comprendendo l’importanza della vostra riu- nione, gareggiavano nelle proposte per renderla più lieta e più solenne. Dei cortesi Varesini, verso di voi; e di voi, insigni studiosi della natura, verso di loro, io devo oggi essere infacondo ma sin- cero interprete dei reciproci sentimenti di profonda stima e d’im- peritura gratitudine; e pertanto siano ricambiate le azioni di grazie. Ora la colta Varese, saluta Voi, o luminari della scienza, e offresi pronta ai cenni vostri. Che se essa non potrà competere coll’ ospitalità offertavi da Biella, Spezia, Vicenza, Catania, Bo- logna e Siena, state tuttavia certi, onorevoli colleghi, che Va- rese non vi accoglie con minor cuore ed entusiasmo delle città > 0° % e È 3 SULLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO. 275 delle quali voi oggi le fate con più viva letizia sentire d’ essere sorella. E ben le torna quest’onore, chè se da natura venne dotata di materiali preziosi pei vostri studj, Varese non si riposò mai sopra i suoi tesori, ma volle sempre mostrarsi degna coopera- trice all’umana civiltà, e vera figlia dell’Italia, dando incre- mento alle scienze, alle lettere, alle arti belle, all'agricoltura, all'industria, al commercio, e pagando il suo tributo di sangue in tutte le patrie battaglie. Quanto avrei a dirvi, onorevoli colleghi, delle decorose condi- zioni civili di questa coraggiosa e progressiva città, e de’ suoi mandamenti di Varese, Arcisate, Macagno, Luino, Cuvio, Gavi- rate, Angera, Tradate, se lo scopo del nostro Congresso non fosse esclusivamente consacrato alle cose naturali! Ma con mia grande soddisfazione posso soggiungere d’esserne d’altra parte dispen- sato per due pubblicazioni recenti, la Guida descrittiva di Va- rese e suo territorio, dell’avv. Giulio Cesare Bizzozero, e. il Varese e suo circondario di Luigi Brambilla. Ivi si trovano diligen- temente raccolte le notizie riferentisi alla gloriosa storia di que- sto luogo, ai suoi storici costumi, alla sua valida istruzione e sem- pre pronta e larga beneficenza pubblica. Esse vi informano anco della sua amministrazione politica e camerale, della sua organiz- zazione giudiziaria, de’ suoi uffici militari, e va dicendo. Ma ciò che a me conviene rammentare, giacchè vi tocca un un po’ da vicino, si è l’istituzione del suo Museo patrio, per mezzo d’ una società d’azionisti, costituitasi nell’ ottobre del 1871, coll’intento di illustrare nei rapporti storici, scientifici ed arti- stici il territorio tradizionalmente chiamato il Varesotto, compreso l’antico Seprio, e di raccogliervi gli oggetti e gli studj che pos- sano giovare a tale illustrazione. E qui meritamente vanno lodati i signori Andrea Apostolo, . allora presidente del Tribunale di questa città, ed il varesino notajo Ezechiele Zanzi, ambidue appassionati cultori di memorie patrie. Al primo dei quali si deve il felice pensiero di aver vo- luto aggiungere una sezione storico-archeologica e di paleontolo- 276 i L. MAGGI, gia, all’ Esposizione agricolo-industriale ed orticola, tenutasi in Varese nel settembre pur del 1871; dalia cui buona riuscita, nacque al secondo l’idea della conservazione di oggetti sì pre- ziosi alla scienza ed al paese. E tanto si mossero, ed il Zanzi poi, anticipando somme ed ottenendo locali dal Municipio, tanto fece, che il concetto iniziato fu presto attuato. Benchè embrio- nale, il Museo patrio di Varese possiede già alcuni oggetti per le tre sezioni in cui è diviso, d’ Archeologia storica, cioè, di Storia naturale e di Arti e lettere. Possa, come noi caldamente augu- riamo, continuare ad ampliarsi e arricchirsi! Frattanto sia ono- rato in oggi della vostra visita. Nelle due sopra lodate pubblicazioni, si trovano anche notizie risguardanti le condizioni naturali del territorio varesino; e su queste io mi debbo fermare, perchè esse son propriamente tutte di vostra spettanza. E benchè io sia sicuro che a voi siano già conosciute, pure sento l’ obbligo di parlarvene, anche perchè, aven- done voluto fare qualche piccolo studio, mi veggo, per la parte geologica, chiamato a ritornarvi sopra; e per la biologica, ad additarvi, non fosse altro, quanto c'è da fare. Non mi dilungherò certamente come l'argomento richiederebbe, ma cercherò alla meglio di richiamare le vostre conoscenze, par- ticolarmente intorno a quei punti, che più di tutti hanno bisa- gno tuttora d'essere dal vostro sapere rischiarati. Farò emer- gere pertanto quelle condizioni naturali del territorio varesino, il cui studio ci move ad affrontare ardue e vive questioni scien- tifiche. Contribuirono alla conoscenza geologica di questo territorio, dal 1790 in poi, Pini, Fleuriau de Bellevue, Dolomieu, Gautieri, Brocchi, Beudant, Amoretti, Marzari, De Buch, Malacarne, Brei- slak, De Filippi, Zollikofer, Zepharovich, Balsamo-Crivelli, Colle- gno, Brunner, Pareto, Omboni, Studer ed Escher, Bellotti, Stop- pani, Hauer, Curioni, Cornalia, Ranchet, Quaglia, Angelucci, Ma- | rinoni, Besta, Negri, Spreafico, Sordelli, Castelfranco, Bizzozero, Taramelli, Regazzoni, e mi si perdonerà la dimenticanza; se altri, per brevità, non ho nominato. SULLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO. 277. Quanti uomini egregi e benemeriti non abbiamo qui e nazio- nali e stranieri! Ma col noverarne alcuni, ciascuno di noi si com- move di mesto desiderio, poichè non li abbiamo più cooperatori e maestri, mentre per l’età potevano essere fra noi anche oggi; e fra questi giovanissimo si estinse lo Spreafico, intento a termi- nare il suo importante lavoro geologico, nel quale era compreso il territorio ove oggi siamo adunati. Serbiamo il pietoso ricordo, ma non dimentichiamoci il debito nostro, chè anzi, soddisfacendo a questo, tributeremo omaggio alla cara e venerata loro me- | moria. Il territorio di Varese ha una superficie di 770 chilometri quadrati, e si estende da Pino a Lisanza, costeggiando .il lago Maggiore; da Lisanza ad Albizzate e Tradate, verso la pianura milanese; da Tradate a Ligurno, dividendosi dal circondario di . Como; da Ligurno a Clivio, Porto, parte del Ceresio e della Tresa, Cremenaga, Dumenza, e coi versanti italiani de’ suoi monti più alti, ma che non sorpassano i 1652” sul livello del mare, vo’ dire del Faeta, Lema, Raso, Agliè, Pola e Padiglione, raggiunge an- cora Pino, confinando colla Svizzera. Ma altri monti, la cui massima altezza va a 1250”, formano le catene del Campo dei Fiori, del Nudo, del S. Martino, del Co- lonne, della Nave, del Scerè di Bedero-Valcuvia, della Martica, del Poncione di Gana e dell’ Orsa. Vi si rinserrano la Valtravaglia, la Valcuvia, la Val della Tresa, la Val Marchirolo, la Val dell’ Olona, la Valgana e la Val di Porto, delle quali la direzione varia alquanto, quantunque in generale sia da nord a sud. E questi monti, con altri più bassi; e queste valli, con altre minori, formano quella zona montuosa che corre da ovest ad est, passando pel nord di Varese; mentre da ovest ad est, passando pel sud della stessa città, si distende una serie di ondeggianti colline, che fiancheggiano amenissime vallette, e che, come i monti, offrono piani ed altipiani. Così dalla catena mesolcina delle prealpi lombarde, si discende gradatamente pei monti e pei colli vare- sini da settentrione a mezzodi. 278 L. MAGGI, Sono monti a piano inclinato, a dosso intagliato, a cono, a campana, attondati, ed in cui stanno grotte, caverne, e dove si ammira un ponte naturale, il così detto Ponte nivo, tra Cunardo e Bedero-Valcuvia. Sono valli di spaccature, alcune a picco, profonde, che diven- tan burroni; altre a dolce pendìo, a variabile altezza, più o meno sinuose e ramificate. Verso l’ovest di Varese, vi ha il suo lago, il quale è di comba a sbarramento morenico; e poi si trovano i laghetti di Bian- dronno, di Monate e di Comabbio, collo stesso carattere orogra- fico del primo; ad est il laghetto di Arcisate, residuo di un più vasto lago morenico; al nord, in Valgana, quelli di Gana e di Ghirla, che sono di colmina; un piccolo laghetto, che va sempre più restringendosi, come quello di Gana, trovasi in val di Brin- zio, ancora di colmina; e dopo Luino, sopra il già alto Musignano ed all’origine della Val Casniera, avvi il laghetto Delio, esso pure di colmina e a più evidente sbarramento morenico. Una parte circondata interamente da acqua, ci si offre nel- l'Isola Camilla* del lago di Varese, certamente opera dell’uomo preistorico. L’Olona, che proviene dalla val di Brinzio e dalla Valgana ; il Bardello, dal lago di Varese; il Boesio, dalla Valcuvia; la Mar- gorabbia, che viene dalla Valcuvia e dalla val Rancina e corre la Valtravaglia, unendosi alla Tresa in vicinanza a Germignaga; e il Giona, dalla Val Vedasca sopra Macagno, sono i principali fiumi; i quali in placidi ruscelli scorrenti dapprima, si ingros- sano dappoi giù per le valli, formando ora piccole ed ora mae- stose cascate, come quella della Ferrera. Alle acque dolci, lim- pide, fresche, leggiere, s' aggiungono alcune minerali; la ferrugi- i Che d’ora in poi sarà detta Isola Virginia, dal nome deila gentile consorte del- l’egregio proprietario signor cav. Andrea Ponti. Questa nuova denominazione fu pro- clamata il 26 settembre p. p., dalla Società italiana di scienze naturali, nell'occasione che, durante la sua settima Riunione straordinaria in Varese, si recò a visitare quel- l'isola, già celebre stazione umana preistorica; e vi ebbe dalla famiglia Ponti un’ac- coglienza che, sia sotto il rispetto della scienza, sia sotto il rispetto dell’ ospitalità, non poteva essere più splendida e cortese. SULLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO. 279 nosa a Luino, la solforosa ad Ispra, e le ferruginose e solforose momentaneamente date dalla miniera di Vassera, durante l’ esca- vazione della galena argentifera. — L’orografia e l’idrografia si uniscono tra loro per la vita inor- ganica di questo paese, la quale vien completata da quella della sua atmosfera. L’azzurro suo cielo, coi raggi del suo splendente sole, eccita la vita vegetale, che apparisce nei folti boschi a lunghe linee, nelle annose selve, dalle diverse parvenze dei tronchi, dei rami e del fogliame, nei' fioriti prati, nei verdeggianti pascoli, nei campi dalle dorate spiche, nei variopinti orti, nei vigneti dai vermigli grappoli adombrati da verdi pampini, nelle varie piante infine che vivono sotto ed alla superficie delle acque. Le condizioni della natura inorganica e della tonttali, fan adatta l'abitazione agli animali sotterranei, cavernicoli, che stan sotto ai sassi, nei crepacci, nei muschi, tra le corteccie delle piante, che guizzan nell'acqua, che volano nell’aere, che stri- sciano o battono il terreno. Ogni cosa in quest’aria purissima rende salubre e amena la dimora all'uomo, il cui occhio soavemente si bea nell’incante- vole vista dei maestosi e frastagliati profili dei monti, che, in- sieme colle loro valli, colle acque e col chiaroscuro dei pendj e dei boschi, da cui spiccano qua e là le biancheggianti casuccie dei paeselli e le severe linee dei campanili, o le nitide ville, cangiano aspetti e colori nelle ore del giorno, nelle stagioni del- l’anno, e perfino nelle diverse condizioni dell’ atmosfera. Amenissimi prospetti si offrono inoltre allo sguardo, il quale da queste Prealpi si estende a nord-ovest alle nevose cime del Sempione e del Monte Rosa, che qual gigante si erge fra le altre Alpi succedentisi in lungo giro; a sud domina la pianura lombarda, al cui estremo orizzonte nereggiano gli Appennini. Con tale fisiografia, il territorio di Varese si offre innanzi tutto al mineralogista, se non ricco di numerose specie, pure sufficiente ‘a somministrarne parecchie metallifere e non metallifere, e utile a constatare che la galena argentifera, tra le prime, è molto 280 L. MAGGI, diffusa; e, non dimenticando i massi erratici, notare tra le se- conde anche il giargone, come avvenne al prof. Balsamo-Cri- velli. Ma esse non si presentano solamente colla loro qualità chi- mica, bensì rivestono talora forme geometriche appartenenti ai diversi sistemi cristallini; così che se avvi appassionato cristal- lografo tosto si rammenta la questione suscitata dal Grattarola l’anno scorso, “ intorno alla nessuna ragione d’esistere dei sei sistemi cristallini indipendenti, assumendo queste forme piutto- sto il valore di un abito più o meno regolare, mentre i cristalli essenzialmente sono tutti irregolari o tutt'al più appartenenti al sistema triclino, se pure tale sistema deve ancora essere man- tenuto. , dr Al litologo questa regione presenta numerose rocce semplici, composte e clastiche, le cui specie vengono aumentate da quelle importate dagli antichi ghiaccia]. Esse però al litologo domandano molti lavori, sopratutto l’a- nalisi chimica e microscopica, tanto più che questa è già stata iniziata da Voigt e Hochgesang di Gottinga coi preparati in ven- dita della retinite o pechstein di Grantola e col melafiro di Brinzio. È vero che il nostro Alfonso Cossa, professore di chi- mica al Museo industriale di Torino, mostrò con fatti di occu- parsi di quest’argomento, e fu seguìto da Striiver e Bombicci; ma ciò non basta, bisogna che altri si aggiungano a quei valo- rosi e: che entrino nei particolari descrittivi, interessandosi delle inclusioni liquide con libelle, oppure vetrose e loro bolle, dei mi- croliti tanto pellucidi o beloniti, quanto neri capilliformi o tri- chiti, ovvero formati da granulazioni. Negri e Spreafico, dopo aver accennato alla dichiarazione del Brunner intorno all’erronea denominazione di pirossenici o me- lafiri data dal De Buch a tutti i nostri porfidi oscuri, si met- tono col primo e non accettano il nome di melafiro, se non come una mera distinzione di colore delle rocce porfiriche di questo territorio, appartenenti alle aciditi di Von Cotta. Ma il microsco- pio ci fa vedere in quel di Brinzio dell’amfibolo, e questo non R\ SULLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO. 281 ome parte accessoria; mentre non lascia scorgere il quarzo, che tse vi potrebbe proprio mancare. Non è d’uopo pertanto farne è: accurato studio ? \ La torbificazione lenta, la deposizione alluvionale, la sedimen- tazione lacustre, la denudazione, la stalagmitizzazione, l’incro- stazione specialmente calcarea, e quindi la formazione tufacea, sono frequentissime; ma noi, lasciando la dolomitizzazione dei calcari di De Buch, dobbiamo ricordare il metamorfismo dei schisti micacei, l’idrotermalità dei filoni metalliferi, avendo di questi fenomeni parlato a lungo il prof. Stoppani nel suo Trat- tato di geologia, ed essendone la nostra località ricca di esempj. Una breccia selcifera, certamente di origine gaiseriana, si vede attenendosi alla base del Monte S. Clemente, a destra della via che da Caravate conduce a S. Giano. Epperò la più importante questione sollevata dallo stesso Stoppani, è quella della vulca- nicità dei porfidi, anzichè del loro plutonismo, e del nesso che con essi presenta l’arenaria che di solito li ricopre e talora li involge. In proposito i nostri porfidi e le nostre arenarie offrono materiali per discutere tale questione: alla Vassera ed a Gana i porfidi sono più granitici e quarzosi, e le arenarie più com- patte dei porfidi euritici e delle arenarie disgregate di Gran- tola, Cunardo e Mesenzana; in Valgana l'eruzione vulcanica sa- rebbe venuta dal profondo del mare, in Valtravaglia invece an- dava facendosi subaerea, in conseguenza certamente, dicono Ne- gri-e Spreafico, di un parziale sollevamento avvenuto fra i due periodi eruttivi. Dai graniti alle scorie con tutti i loro passaggi intermediarî, si va dalle rocce eruttive della prima località a quella della seconda. Tuttavia è d’uopo tener calcolo dell’alte- razione di alcuni elementi dei porfidi, successiva alla formazione della roccia, che li fa apparire spugnosi. . . Il paleontologo spera di trovare la flora carbonifera, conti- nuandosi la puddinga di Manno nella Val d’Agno luganese, verso Brenno. Vegetali fossili esistono in Valcuvia lungo la Valma- rianna, a Mombello presso Laveno, a Morosolo, Induno, sotto . Fraschirolo, in Val dell’ Olona, alla Folla d’ Induno; ma la loro [pn vr: 282 L. MAGGI, somma è assai scarsa. Tranne quelli della prima località, gli altri furono egregiamente studiati poco tempo fa dal signor Sordelli. Coi vegetali stanno i fossili animali, pei quali le sedi aumen- tano, ed insieme con queste anche le specie paleontologiche si fanno più numerose. Se ne hanno in abbondanza a Saltrio, di- scretamente a Besano, al pendio meridionale del monte Martica, non mancano alla base del Campo dei Fiori, alla cima della Madonna del Monte, a Comabbio, in Valgana ed al Sasso Meraro. Formazioni stratificate e formazioni massiccie, attraversate da filoni e vene metallifere, si combinano per foggiare l’architettura del nostro territorio, variata poi ne’ suoi particolari. Strati con direzioni diverse, zone di strati, anticlinali e sinclinali, contor- sioni, discordanze e concordanze, banchi, letti e via dicendo, dove pur è notabile che alcune rocce stratificate sono a clivag- gio romboedrico. Ammassi, molte volte con fisionomia e forma basaltica, dicchi, colate, ed anche interstratificazioni di rocce mas- siccie nelle sedimentarie. Finalmente massi, arnioni, noccioli, fram- menti, ciottoli e grani. Son queste le pagine, la cui lettera spetta al geologo, e dalla quale egli trae la storia della terra in generale» e qui da noi quella del territorio varesino, che in breve cercherò di far co- noscere. Ma avanti di incominciare mi è obbligo dichiarare che la carta, che ho l’onore di presentarvi, e che vi deve servire provviso- riamente per tener dietro alle cose che prima esporrò sui ter- reni geologici di questa località, venne delineata dal mio egre- gio amico e valentissimo prof. Taramelli, approfittando della bel- lissima carta dei signori Negri, Spreafico e Stoppani, che pure vi metto sott'occhio, fatta per commissione della Società geolo- gica svizzera, e compendiando alcune mie osservazioni sul terri- torio, ed i risultati di alcune gite recentemente fatte da me in- sieme col dotto prof. di Pavia. In questa, come vedete, si è pro- curato di porre in rilievo le principali formazioni quaternarie, le quali nella carta dei suddetti geologi, perchè collegata ad an- SULLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO. 283 tecedenti pubblicazioni su altre regioni alpine, non poterono es- sere distinte. Per quella parte poi che spetta alla storia, e che noi non possiamo, nè, nel nostro caso, dobbiamo dimenticare, ho qui riunite le carte geologiche che direttamente furono fatte per il territorio varesino, o nelle quali esso entra a complemento. Ciò premesso, ricorderò che già Brunner disse: “ Le pays situé entre les trois lacs (ed in esso sta appunto il nostro territorio), est digne du nom de paradis des naturalistes, non seulement par la beauté ravissante de sa nature, mais bien plus encore par les phénomènes géologiques remarquables qu'il renferme. , Ma il geologo vede mutarsi questo suo paradiso in un purgato- rio, quando, senza dire della sovrapposizione dei terreni, deve affrontare le spinose questioni intorno alla loro epoca. I micaschisti amfibolici passanti al gneiss, ed i pochi gneiss talora granatiferi, che costituirebbero il gruppo del gneiss-fillite di Stache, sovrapposto al central-gneiss, poichè anche quivi com- prende dei massi granitici, sono le rocce che in questo territorio costituiscono la sua formazione infima, perciò che si è potuto finora vedere e che serve di base alle altre. Essa è visibile al nord della Tresa tra Pino ed il Giona, nella Val di Dumenza, ed appena ad est di Luino, poi ai Bianchetti, a Brusimpiano, indi alle falde settentrionali del Monte Nave, a Mesenzana e Brissago. Vi succede il gruppo degli argilloschisti micacei, in alcuni punti granatiferi, che si mostrano sopra Luino, a Viconago, Mar- chirolo, Montegrino, costituiscono il centro del Monte Colonne in- Valtravaglia, affiorando poi sotto le morene al sud-est della ròcca di Caldè, non che emergendo in nuclei nella Valmolina sopra Brin- zio ed a Bedero-Valcuvia, lungo il sentiero che conduce a Mondo- nico. In questi due gruppi vi sono filoni metalliferi, tra i minerali dei quali predomina la galena argentifera. Ora Brocchi ritenne tutte queste rocce appartenenti ai terreni primitivi; Breislack, invece, al terreno di transizione; Balsamo- Crivelli, le sospettò carbohifere. Dopo la scoperta della puddinga . carbonifera di Manno, la nostra gran zona schistosa venne divisa da Negri e Spreafico in due piani: quello che inferiormente alla 284 L. MAGGI, detta puddinga si estende verso le Alpi centrali, comprende il carbonifero ed i terreni più antichi; quello che giace fra essa e le formazioni triasiche, deve appartenere in gran parte al terreno permiano. Negri poi, nella sua Geologia d’Italia, uniformandosi agli studi di Theobald, le classificò per Casannaschiefer, che io pure ho adottato ne’ miei Cenni intorno alla costituzione geolo- gica del territorio varesino. Con Taramelli però le abbiamo ri- tenute precarbonifere, stando decisamente al di sotto della sud- detta puddinga di Manno. Manca da noi il carbonifero, e sopra alla prima formazione, discordante da essa, avvene una grande costituita da conglome- rati quarzosi, arenarie quarzose con cemento steatitoso, porfidi, retinite, melafiro, tufo porfirico, conglomerato porfirico con reti- nite, ed una breccia porfirica. Per Negri e Spreafico, essa è tutta permiana, alla qual determinazione si attenne anche Stoppani. Io, seguendo un’ antica distinzione, considerai i conglomerati quar- zosi colle arenarie che a Voldomino, Grantola, Cunardo, Monte Colonne stanno sotto ai porfidi,come permiano inferiore (Rothtodt- liegende), ed i conglomerati e le arenarie che in Val di Porto, in Valgana, in Val di Brinzio, come anche a Marzio, Brusimpiano, sommità del Monte Nave e dintorni di Mesenzana stanno sopra i porfidi, come trias inferiore (Buntersandstein). Ho annesso al permiano le rocce porfiriche che si presentano in espandimenti ed in dicchi, distinguendole in due formazioni: basica l’una, ossia a felspato oligoclasio; ed acida l’altra, o dei porfidi quarziferi. La prima comprende i così detti porfidi euritici di Breislack, che si collegano con quelli di Angera e d’Arona, inoltre la retinite ed il melafiro, coi tufi, conglomerati e brecce porfiriche. La seconda tiene i porfidi indicati col nome di quarziferi, quelli di Besano e di Valgana specialmente, ove contengono in filoni la galena ar- gentifera, e che a Fabbiasco, a Cuasso al Monte, nella Valmo- lina sopra Brinzio, poggiano sugli argilloschisti micacei. Ma le rocce porfiriche da Curioni e Taramelli sono innalzate nel trias; mettendole, il primo, nel trias superiore (Keuper); il secondo, nel trias medio (Muschelkalk). SULLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO. 285 Riguardo al trias inferiore (Buntersandstein), ho creduto di poter stabilire, anche da noi, le tre sezioni germaniche : inferiore, media e superiore. La prima verrebbe rappresentata da un con- glomerato quarzoso (Vogesensandstein) della Val di Brinzio ; la seconda dall’arenaria variegata. rossastra (Hauptbundsandstein) della sponda destra e sinistra della Valgana; la terza da un’are- naria con marna e gesso, pure della Valgana, in vicinanza al Monte Cuseglio. Queste distinzioni sarebbero avvalorate dall’ es- servi un filone di galena argentifera nell’arenaria triasica di Besano, come nel trias inferiore della Germania. Non debbo però dimenticare che Curioni parlando del Bunter- sandstein lombardo ammette l’esistenza anche di un’arenaria va- riegata, fossilifera in Valtrompia, a Myacites fassaensis e Nati- cella costata Miinst., spettante al Muschelkalk inferiore, e che com- prende il servino metallifero. L’arenaria quindi di Valgana con marna e gesso (Roth) rappresenterebbe la formazione gessifera compresa nell’arenaria di Curioni; e pertanto starebbe nel Mu- schelkalk inferiore. Taramelli mi diceva, che, mettendo il trias inferiore, da me accennato, in riscontro cogli strati di Werfen del Tirolo meridionale, Agordino e Friuli, avrebbe pur da distin- guere quell’arenaria, da un’altra più profonda e variegata, as- sociata alla puddinga del Verrucano e costantemente inferiore al gessi; questa sola, che è il Roth, rappresenterebbe il trias in- feriore. Così il Ròth discende dal posto assegnatogli secondo le osservazioni di Curioni. Vaghi indizj di trias medio (Muschelkalk) furono già palesati anche da Pareto, ed io per la sua condizione stratigrafica trovai di segnarlo in Valcuvia con una formazione dolomitico-calcarea, nerastra, schistosa, all’ est di Bedero ed a sud-ovest di Cabiaglio. Questo terreno, pure indicato nella carta geologica di Negri, Spreafico e Stoppani, si aspetta quanto prima una traslocazione od una decomposizione. Viene il trias superiore (Keuper), già indicatoci da varj geologi colla petrologia delle dolomie superiori alle arenarie variegate, e da Negri e Spreafico colla dolomia a Megalodon Gumbelii (Haupt- 286 L. MAGGI, dolomite). Da uno studio ch’io feci di questo terreno al Sasso Meraro, mi risultò la presenza dei cinque membri indicati dallo Stoppani, del S. Cassiano cioè, cogli schisti bituminosi di Besano, della dolomia di S. Defendente o metallifera o strati di Hallstadt, del Raibl e arenarie variegate, degli strati di Esino e dell’ Haupt- dolomite. Ma Curioni esclude dagli strati di S. Cassiano gli schisti bitu- minosi, che per la località di Besano, dice interstratificati colla dolomia metallifera o di S. Defendente, mentre per la località di Perledo li mette superiori. Quindi la base del suo trias supe- riore, sarebbe costituita dai calcari a Trachyceras, e ciò spie- gherebbe l’esistenza dell’Ammonites Aon rinvenuto a Besano. Superiormente la serie sarebbe parallela a quella dello Stoppani. Epperò i geologi tedeschi, compreso Benecke, ammettono che la zona di Esino sia costantemente inferiore al Raibl, anzi vorreb- bero persino sostituire a questa denominazione di Esino, quella di Sasso Mattolino, dove l’inferiorità è più facilmente dimostrata: alla qual opinione Stoppani risponde colla supposizione, che la forma di Raibl si ripresenti in strette aree anche superiormente al suo livello, normalmente alla base di Esino. Con Taramelli abbiamo concluso alla necessità di trovare la Gervilia bipartita (Hornesia Joanmis-Austriae), per accertare a quale delle due dolomie si riferiscano gli strati ad Evinospongia ed a Gastrochaena, che costituiscono la più evidente formazione dolomitica superiore ai porfidi, rappresentata sulla carta geolo- gica da tre membri principali, le due dolomie, cioè, ed il piano raibeliano tra queste compreso. L’agitazione delle questioni geologiche si fa intermittente nei terreni giuresi, che si adagiano sui triasici; e nei cretacei, che stanno sui giuresi. È sull’infralias secondo Negri prima, poi secondo Negri e Sprea- fico, che si discute; mentre è accertato il lias inferiore, il cui tipo con calcari, in cui sono celebri le cave dei marmi, è a Sal- trio, presentandosi invece a Viggiù ed a Brenno, colla famosa arenaria, in cui esistono pittoresche cave. Sicuro è il lias superiore a SULLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO. 287 co’ suoi caratteristici ammoniti; non così il titonico o rosso si- liceo ad aptichi e calcare bianco detto majolica. Il neocomiano o creta inferiore a serpulti, e la creta supe- riore o calcare marnoso a fucoidi, non sono certi della loro quiete. î La bonaccia subentra coi terreni terziarj, e lasciando la zona montuosa per portarsi sui colli, troviamo l’eoceno, il mioceno ed il plioceno, dei quali anche ho parlato ne’ miei Cenni sopracitati. A guisa di un manto più o meno squarciato sulla zona mon- tuosa, ma integro ed a mille doppii dintorno ai colli terziari], sì presenta il terreno glaciale, interessantissimo per tutti i suoi particolari. Depositi glaciali sparpagliati, e quindi massi erratici; depositi glaciali accumulati, ossia morene; depositi lacustro-gla- ciali, e finalmente fluvio o alluvio-glaciali. Mi basti il dire, ch’ esso traduce la teoria glaciale in un fatto dimostrato. In oggi, sopra questi depositi, non si fanno più discussioni; tanto meno poi del genere di quelle che ebber luogo, per il masso erratico di Fra- schirolo, fra varj geologi durante il Congresso degli scienziati, tenutosi in Milano nel 1844. Noi non.abbiamo una così detta Cassina Rizzardi per poter dire come il ghiaccio abbia potuto suscitare tanto fuoco, che forse non è ancor spento; però quel ceppo o conglomerato che si vede superiormente alle argille della {Folla d’Induno, lungo la Bevera, a Gornate inferiore, ecc., non si lascia determinare così placidamente, come a tutta prima si potrebbe credere. Esso è pa- rallelo a quello dell'Adda, anzi sincronizza con quello; per la qual cosa secondo alcuni è alluvionale, secondo altri terziario, per me è glaciale, ed al prof. Taramelli rappresenta un’allu- vione preglaciale. Da questo stesso professore è poi stata diligentemente studiata la formazione del ferretto, che è superiore al ceppo, e la cui massa principale si trova a Tradate e in su verso Beregazzo, e da Castel Seprio in giù verso Cassano-Magnago. Segue al glaciale il periodo dei terrazzi, e terrazzi da noi si veggono anche in diverse valli, p. es. in quella dell’ Olona. Vi 288 L. MAGGI, ha inoltre il terreno torboso, piuttosto diffuso; i depositi antro- pozoici, alluvionali, sedimenti lacustri, detriti rocciosi, stalattiti e stalagmiti, tufi e terra vegetale. Sono ormai celebri le umane stazioni preistoriche del lago di Varese, e a renderle celebri contribuì da prima, lasciatemelo rammentare, la Società italiana di scienze naturali, che, dopo gli indizj avuti da Desor e Stoppani, votava nel 1863 una som- ma necessaria alle prime loro ricerche, ed il successo, avuto poi da Cornalia e Stoppani, fu completo. Quest’ ultimo diceva nella sua relazione alla Società, essersi ottenuto il tutto con si lieve spesa, che si può avere per un saggio di quanto si potrebbe fare, quando prevalesse anche a pro della scienza lo spirito di asso= ciazione. Stazioni umane preistoriche furono scoperte da Ranchet nel lago di Monate, ed il 26 dello scorso luglio, da Borghi e Castel- franco, anche in quello di Comabbio o di Varano o di Ternate che dir si voglia. Avanzi d’industria umana ed ossa di animali viventi coll’ uomo si contengono pure in tutte le torbiere, meno finora in quelle di Gana e Bedero-Valcuvia. Non parlo delle numerose tombe antiche, che di giorno in giorno si vanno scoprendo, legando, alcune di esse, il periodo pre- istorico con quello storico. Donde venne quest'uomo? Discese dalla Svizzera o rimontò il Ticino, oppure costeggiò le Prealpi? La risposta potrà es- ser data dopo matura discussione. Ricorderò che io dissi non essere il primo uomo di Varese l’archeolitico, ma quello della pietra levigata, che continuò col bronzo e col ferro unendosi all'uomo storico. E prima ancora scrissi, che, sincronizzando le caverne ossifere col terreno glaciale, 1’ Ursus spaeleus tro- vato da Balsamo Crivelli nel tufo delle grotte del tufo in Val- gana, era, per ciò che a me constava fin allora, l’unico rappre- sentante della fauna glaciale. Ora in questa località si rinvennero poscia, diverse ossa di animali e molte umane; ed il prof. Re- gazzoni, nel suo recente e bellissimo lavoro paleoetnologico, parla SULLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO. 289 dell’uomo archeolitico della Valgana. E quest'uomo visse con- . temporaneo o dopo gli antichi ghiacciaj? Prima o forse contem- poraneo dell’uomo lacustre o neolitico? Anche a queste domande le risposte potranno essere discusse. Ma intanto voi vedete, o Signori, quanta lunga serie di tellu- riche vicende, ci narri questo ristretto, eppur così vario, così ridente angolo delle nostre prealpi. Si può dire che esso com- pendia la storia geologica del nostro paese, tanto è completa la serie delle epoche, rappresentata da’ suoi terreni. Ora permettetemi, onorevoli colleghi, che io mi rivolga per un momento ai nostri cortesi ospiti, per tessere loro in breve la sto- ria geologica del territorio su cui vivono. Per far questo è necessario adottare alcuni modi di vedere, i quali per mia maggior agevolezza sceglierò fra quelli dei geo- logi che più s’accordano tra loro, riservando, ben si intende, a tutti i miei colleghi non meno che a me stesso, piena libertà di giudizio. Eccovi dapprima, felici abitatori del Varesotto, colle forma- zioni precarbonifere, gli enigmatici depositi di quei mari sconfi- nati, sul cui specchio ancor non era comparsa la menoma traccia degli attuali continenti, ma che pur lambivano alcune terre per sempre sommerse; sul cui fondo, quali fenomeni succedessero in- vano e con molta difficoltà sforzasi la scienza di investigare sotto alle maschere del metamorfismo da essi subìto. Quindi un primo semplicissimo schema dei futuri continenti sorride al bacio della luce. Fiumi e torrenti solcano le terre novelle sopra striscie di bianca alluvione quarzosa, e-lungo il lor decorso e sul margine delle paludi, spiegano il loro fogliame le sigillarie, i lepidodendri e le pecopteris, e si ergono colon- nari le calamiti; nè alcun canto di augelli consola quell’ umida aria, ammorbata da miasmi, popolata d’insetti. I torrenti irre- frenati investono le foreste, ne travolgono i tronchi, depositano le ghiaje sui fondi limacciosi, e fanno deserto là dove prima così lussureggiante si dispiegava la verzura. Le posteriori oscil- lazioni telluriche, molto per tempo, ripiegarono e ruppero quelle Vol, XXI. 19 290 L. MAGGI, alluvioni ridotte a puddinghe, spargendone i frammenti qua e là per le Alpi, e da noi probabilmente nei pressi di Dumenza, con certezza poi al di fuori del nostro confine, nel piano della puddinga carbonifera di Manno. In seguito, quel lontanissimo tentativo degli attuali rilievi al- pini, scompare sotto ad un mare poco profondo, ma estesissimo; epperò quel mare nasconde il demone che agita gli immani frammenti della crosta tellurica, che prepara sotto ai sedimenti marini le lave, che si rivela e si apre la via coi terremoti, che si sfoga coi vulcani. E sul fondo di quel mare, appunto nell’area del nostro territorio e degli attigui dintorni di Lugano, si apriva uno dei più importanti centri d'attività vulcanica, e dalle dila- cerate rocce paleozoiche eruppero e si espansero le colate por- firiche, accumulandosi in alcuni punti fino a 400 e più metri, tessendo un ampio mantello tuttora esteso da Angera fin sopra Lugano, che fu ricoperto e talora variegato dai prodotti di ero- sione di porfidi stessi e delle rocce circostanti. Da quell’epoca in poi, passò una lunghissima serie di periodi geologici senza che riapparisse sul livello del mare, il cui fondo pur tuttavia a più riprese oscillava, un’ isoletta od un banco od un basso fondo. Tutt’al più all’aurora del lias, le brecciuole di Viggiù ci parlano di alcune scogliere calcari, cui le onde si affrettano a demolire, mentre i viventi nel mare ne rilegarono le macerie colle loro multiformi costruzioni. Può dirsi che si giunge sino allo scorcio dell’ epoca cretacea senza che sia dato, almeno nei limiti delle attuali conoscenze, fissare un periodo di emersione appena un po’ estesa e continua. Scorso questo, non tardarono a manifestarsi i sintomi di quelle rivoluzioni terziarie, che dovevano preparare le nostre terre di- slocando il fondo di quegli antichissimi mari; ed ecco, già all’au- rora dell’ eoceno, depositi di costiera, ed ancora meglio nella prima fase del mioceno, vastissime alluvioni di ignota provenien- za, che s'addensarono potentissime, ove ora ondeggiano i colli da Varese a Como, e si andarono gradatamente perdendo nel mare, che allora ancora occupava il Piemonte, la Liguria e gran parte dell’ Appennino settentrionale. SULLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO. 291 Fu allora che, ritiratosi il mare, sulle nostre Prealpi grada- | tamente si individuarono, senza però assumere la forma attuale, le catene montuose che ne circondano; fu allora, che comparve la prima traccia della depressione che si inabissa dappresso sin oltre a 690” sotto il livello marino, ed è riempiuta dall'acqua del Verbano; fu allora, che venne stabilito un primo schema del- l’attuale orografia nelle alte montagne del nostro distretto. Ma era un mondo così diverso dal nostro, che, per quanto lo ri- schiari la luce delle geologiche scoperte, esso ci si presenta come un paesaggio ignoto visto tra i lampi di una notte burrascosa. Gradatamente però quelle valli si sprofondano, quelle catene si plasmano con varia forma a seconda della. natura delle rocce che le compone e dei fenomeni endogeni che le improntarono, il Campo dei Fiori assume il suo caratteristico profilo, i Pizzoni di Laveno torreggiano sulla valle del Verbano, le Alpi lontane bian- cheggiano di neve, ed il nostro territorio è già ridotto ad una configurazione orografica più somigliante all’ attuale sin dallo scorcio del periodo miocenico. Se non che l’irrequieta attività endogena, che preparava no- vèlle strade per sfogare la sua vita operosa lungo la nostra di- letta penisola, sprofonda ancora una volta verso mezzogiorno le Prealpi; ed ancor una volta il mare infranse le sue onde ove sal- gono al presente le prime falde calcari di Induno, di Saltrio e di Mendrisio. Una flora analoga a quella del Giappone ralle- grava quel lido, e le correnti ed i zeffiri ne disseminavano le spoglie sulle spume del mare, ove una quantità di viventi stri- sciava sul fondo melmoso, forava le costiere calcari, rimaneva sepolta sotto le torbide dei fiumi non lontani. È il periodo del plioceno della Folla d’ Induno, della Val del Faido. Ma giunge pur l’ora che il mare definitivamente abbandoni questa nostra terra, ed una serie di movimenti endogeni infatti la solleva, la sconquassa un’ultima volta, muta il corso delle valli e stabilisce l’attuale idrografia. nei monti e nei colli non morenici. Come sarebbe mai rimasto monotono il nostro suolo, come 292 L. MAGGI, riarsa la sua superficie, come aspre e scheggiate le balze dei suoi monti, come ghiajoso il piano, se qui fosse stata sospesa l’opera della natura! Con quanto danno dell’amenità dei nostri colli, dell’e- stensione e della profondità dei nostri laghi, della ubertosità dei nostri piani si sarebbe mai protratta per tutta l’epoca quaternaria l’irrefrenata azione delle correnti! Ma la natura, alla quale pare quasi che piacesse di sfoggiare in questo e negli attigui tratti prealpini tutto il prestigio delle sue mirabili evoluzioni, e vo- lesse quivi attirare per tempo la dimora dell’essere che doveva intenderla ed ammirarla, vi faceva lentamente distendere e ri- manere per epoca lunghissima gli immensi ghiacciaj del Ticino e del bacino del Ceresio. Essi preservarono dal riempimento i laghi e ne precisarono il contorno colle loro morene; essi ad- dussero al piano i più erodibili e feraci materiali alpini, semina- rono colle loro dejezioni le regioni meno elevate di poggi ondu- lati, pittoreschi, di valli serpeggianti, di laghetti morenici. Onde al prischi abitatori si presentò questo amenissimo paese che ora è ridotto a cultura, è solcato di ferrovie, è ingemmato di ville, ed è reso ancor più gajo e ridente dalle gentilissime signore, a; cui fu concesso più squisito il senso del bello, e che coronano la maravigliosa epopea della creazione naturale. Ma altri vastissimi campi di studii, presenta a voi, onorevoli colleghi, il territorio varesino, se fate attenzione a’ suoi vegetali ed animali d’acqua dolce e terrestri. Morfologicamente considerati questi organismi, quanti problemi non offrono mai essi! L'’incatenamento degli esseri organizzati attualmente viventi, con quelli che si trovano allo stato fossile, traduce la paleonto- logia nella filogenia; ed a questa si schiera parallela l’ontogenia, perchè essa dà in breve, ciò che la prima produce in un tempo molto lungo, essendo l’ontogenia, secondo Haeckel, una rapida ricapitolazione della filogenia, colle leggi dell’eredità per condi- zione. L’ ontogenia precede lo studio dell’ organismo formato, in- vitando l’anatomia ad essere, insieme con essa, la scienza delle formazioni organizzate. L’ intimo nesso dell’ontogenia coll’anato- in trt Li AA SULLE CONDIZIONI NATUEALI DEL TERRITORIO VARESINO. 293 mia è, come dice Gegenbaur, naturale e necessario, perchè il passato non può essere spiegato che col presente. Anche alla fi- siologia si raccomanda di non dimenticare la funzione morfolo- gica, essendo la forma, al dire ancora di Gegenbaur, una funzione . della materia. Così che, il trionfo a cui aspira il moderno indi- rizzo morfologico della scienza degli organismi, è di consolidare sempre più la grande teoria della discendenza degli esseri, per mezzo della quale poter abbracciare la biologia, al pari della abiologia, coll’unico concetto dell’evoluzionismo meccanico. Molti sono gli organismi inferiori che noi abbiamo, per modo che colla cognizione della struttura loro, possiamo comprendere la ragione meccanica degli stadj evolutivi dei superiori; e per es- sere in loro permanenti quelle forme, che diventano passeggere negli organismi superiori, possiamo scoprire le vere relazioni causali tra le varie forme organizzate. Anche da noi la microfitologia, per la sua abbondanza, si of- fre a tutte quelle belle ricerche, che camminano parallele colla microzoologia. Vi sono i Moneri, e tra questi la presenza (per me specialmente interessante) dei Tachymoneri e poi dei Lobo- moneri e dei Rhizomoneri, tutti esseri inferiori alla cellula, ci porta alla grande questione dell’ Eterogenia, e l’esperienza da pochi giorni tentata da Henley con quattro apparecchi Pictet, la fece ancor più vivace, avendo egli ottenuto dalla combinazione degli elementi chimici, una massa albuminoide, che, ad eccezione della infinitesimale quantità di solfo, era identica in composizione a quella dei Moneri. Se il fatto non è conclamato, la speranza è però vicina al fatto. Certo che la liquefazione dei gas così detti permanenti, ci fa presentire delle esperienze per l’autogonia, pari a quelle che già si hanno favorevoli alla plasmogonia. Permettetemi di ricordarvi, onorevoli colleghi, giacchè colla dimenticanza non vorrei unito limmeritato disprezzo, che a conoscere la possibilità dell’orga- nizzazione della sostanza organica in organismi, mirano non po- che ricerche sperimentali anche di diversi nostri Italiani, segna- tamente di Mantegazza, di Cantoni, di Balsamo-Crivelli, col quale ultimo ed anche con Cantoni, io ebbi l’onore di collaborare. 294 L. MAGGI, Fu già detto che le vicinanze di Angera vogliono essere notate per ogni maniera di crittogame; e noi in oggi ne facciamo l’e- stensione anche alla parte montuosa del nostro territorio. Diato- mee, se le volete vegetali, Desmidiee, Alghe, Funghi, Licheni, Epatiche, Felci e Muschi si trovano in grande quantità. _ Il non frequente Polyporus lucidus Fries. esiste nelle selve della Valcuvia; la Biatora Torelli, è una nuova specie di Lichene, scoperta dal professore Anzi di Como, sul porfido rosso quarzi- fero presso Gana; ove, ma sul micaschisto erratico, vive la Biato- rina chalybeia Br. Tra le felci il Blechnum spicant Roth, fu rac- colto presso Laveno. Il professore Garovaglio indicò la Weissia trichodes Hook. e la Barbula inclinata Swg., che tra i muschi frondosi dell’Italia, sono proprj solamente della nostra Valgana. Molti"e diffusi sono pure i Monocotiledoni ed i Dicotiledoni. Tra i primi: l’ Iris graminea Lin., nei prati dei monti sopra Viggiù; la EAkyncospora alba Walt., nelle paludi di Gana; la Vallisneria spiralis Lin. del lago di Varese; la Fimbristylis an- nua Rsch., Scirpus e Festuca sullido fra Angera e Laveno; Orchis ed Ophrys, quasi alla cima del Campo dei Fiori. Tra i secondi, la rarissima Radiola linoides Gmel., esiste nei luoghi arenosi presso Angera; e nelle vicinanze di Luino avvi la rara Vinca major Lin. La Lysimachia nemorum Lin., fu veduta sol- tanto nel nostro territorio, come specie botanica della provincia di Como. Il Quercus cerris Lin., nella Valcuvia; 1° Ilex aquifolium Lin., già citato dall’ Amoretti fra Cabiaglio e Brinzio; l’Eryngium campestre Lin., nei luoghi aridi, arenosi, sopra Induno; e sopra Induno spontaneo cresce il Tanacetum vulgare Lin.; la Genista pilosa Lin., nelle selve di Cuasso al monte. Sopra la Madonna del Monte, il Dorycnium herbaceum Villars, la Calamintha grandiflora Moenck.; e nei prati dell’istessa località, 1’ Imula squarrosa Lin.; mentre l’ Inula conyza De Cand., è delle colline presso Varese; e delle medesime colline, in luoghi aridi e soleg- giati, è la Linaria elatine Lin.; l Althea officinalis Lin., vive presso il lago di Varese; e nello stesso lago, la Trapa natans | Lin., la Nymphea alba Lin. SULLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO, 295° Nella flora varesina, il vostro occhio indagatore ha già scorto quella dei colli e dei monti, delle valli e dei piani, dei laghi e delle torbiere. Quantunque notissimo, non tralascierò di nomi- nare il noce di Brinzio, famoso per le sue dimensioni, per le mae- stose sue ramificazioni e per la sua prodigiosa: produttività. Se passiamo al giardinaggio, Varese e nella città e nel cir- condario ci presenta molti e varj e splendidi giardini. In essi ammirate preziose conifere: gli Abies della Georgia, della Serra Nevada e dell’ Andalusia; l’Araucaria imbricata del Chilì, il Ci- | presso ed il Cedro del Giappone; i Cedri del Libano, ed il Ce- drus Deodara dell’ Hymalaya. La Wellingtonia gigantea della Ca- lifornia. La rarissima Stferculia platanifolia della China, e della China le palme, e le palme della Nuova Olanda, e la rara Areca monostachya. Nelle serre, le magnifiche felci arboree: il Cibotium regale del Messico, il Blechnum brasiliense; e le Cicadee del Giap- pone, e le varie Liliacee, e le Aroidee, e le Orchidee; e nelle serre e sui parterre, i mille fiori, la cui vaghezza e fragranza è simbolo della gentilezza e grazia delle abitatrici e degli abita- tori di quelle incantevoli sedi. Nell’esposizione qui vicina, oltre a maravigliose frutte, trove- rete, onorevoli colleghi, tra quei saggi, anche quelli appartenenti alla floricoltura varesina. Ma la strettezza del tempo, dalla flora mi chiama alla fauna. Vivono in grande abbondanza i Protozoi, tra questi: AA Flagellati, Acinetini, Ciliati. Oltre agli antichi Foraminiferi, già ho riconosciuto un bel numero di Rizopodi attualmente viventi, tra i quali il Podostoma filigerum Clap. e Lach., che trovai nel laghetto del giardino di questa casa, in cui cortesemente volle accoglierci l’egregio suo padrone, signor Cesare Veratti, al quale noi saremo sempre ri- conoscenti. E se io non potei a lui dedicarlo, perchè non specie nuova, gli valga tuttavia il fatto nuovo del mesoplasma fra l’ec- toplasma e l’endoplasma, che riconobbi nella struttura e nello sviluppo del microscopico organismo, presentando così un’ ana- logia fra gli esseri unicellulari e pluricellulari, ossia fra i Pro- tozoi ed i Metazoi. 296 L, MAGGI, Sonvi molti Flagellati, per chi volesse occuparsi della questione della loro autonomia; e Ciliati in abbondanza, per ritornare sulla loro unicellularità. Noi abbiamo bisogno di richiamare questi studj, in cui tenne alta la bandiera lo Spallanzani, e dopo il quale non abbiamo che interpolatamente qualche sprazzo di luce. Quanto essi sian fecondi di dottrine per la biologia, basta a dimostrarlo la teoria cellulare e quella dei citodi, che prese poi nome, insieme colla prima, di teoria dei plastidi; ed adesso fa capolino la teoria pla- stidulare, giacchè il protoplasma è alla sua volta formato d’una rete di granulazioni firissime, legate fra loro da filamenti deli- catissimi. I lavori dei nostri dotti di Bologna, Ciaccio e Trin- chese, vanno in proposito di pari passo con quelli di Heitzmann, Frohmann, Biitschli, Strassburger, Hertwig, Van Beneden, Flem- ming, Balbiani, Foll ed altri ancora. Nessuno opporrà che lo stu- } dio del semplice, non valga a rischiarare quello del complesso. Condizioni che rendano possibile l’ esistenza dell’Hydra, tra i Celenterati, ci sono; benchè finora non si sia veduto l’animale. E così ne è dei Briozoi d’acqua dolce, e degli Acefali tra i Molluschi. Mentre degli antichi Celenterati, si hanno reliquie di Spugne e Coralliarj; e degli antichi Molluschi, quelle di Ace- fali, di Brachiopodi, di Gasteropodi e di Cefalopodi. Finora io non ho veduto tra i Molluschi viventi, che Gasteropodi terre- stri: Helix, Limax, Arion, Pupa, Clausilia; e Gasteropodi ac- | quatici: Planorbis, Limneus, Paludina. I pochi Echinodermi d’una volta, dovettero naturalmente ces- sare la loro dimora tra noi. Esistono diversi vermi, fra i Nematodi, Anguillule! e Rabditi; tra le Turbellarie: Planarie;? fra gli Anellidi: Clepsine,* Nephe- lis, Aulostomum,” Lumbricus,° Nais," Aeolosoma, di cui ho tro- 1 Anguillula fluviatilis Hemp. et Ehr. 2 Planaria tentaculata Gmel. + 3 Clepsina complanata Savig. 4 Nephelis vulgaris Moq. Tand. s Aulostomum gulo Moq. Tand. 6 Lumbricus comunis Hofîf. ? Nais proboscidea Mull, SULLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO. 297. vato due specie nuove: A. Italicum e A. Balsamo ; Ichthydium * e Chaetonotus," Numerosi sistolidi: Ptygura, Floscularia, Laci- nularia, Hydatina, Notommata, Diglena, Salpina, Metopidia, Mo- nostyla, Rotifer, Anuraea, Brachionus, Lepadella, Squamella. Numerosissimi Artropodi, e tra i diversi ordini dei molti insetti, non mancano le Poduridi (Degeeria platani Nic., Achorutes purpu- rescens Lubb.), il cui studio in Italia è stato incominciato e vien continuato dal dottor Corrado Parona, mio bravo assisten- te. Nidi di formiche, di cui uno della Formica fuliginosa Lat. da me trovato in tale ubicazione, da dover dichiarare che in questo suo lavoro, essa è fabbricatrice e non scavatrice. Varj Miriapodi,° oltre la comune Scolopendra coleoptrata Dum., ed il professore Balsamo Crivelli, mi diceva che probabilmente vi sono specie nuove di Litobj e di Julj. Diversi Aracnidi: Milnesium,* Macrobiotus, Tegenaria, Pholcus, Segestria, Thomisa, Epeire e Scorpioni. Fra i Crostacei: l’Astacus Auviatilis Fabr., in discreta copia, quantunque talvolta lo si trovi col suo infusorio parassita Cothurnia astaci St., vivente sulle branchie, e sulle quali vidi pure l’anellide Branchiobdella astaci Odier. Gammarus,° Asellus,° Oniscus,” Porcellio,* Armadillo,° Daphnia,!° Cypris,' Cyclops,'° sono altrettanti crostacei frequenti ad incon- trarsi. Mi pare pertanto che gl’invertebrati del territorio varesino, possano meritare il vostro studio; tanto più poi se pensate alla . compilazione della fauna degli invertebrati d’Italia, di cui si ha 4 Ichthydium podura Ehr. 2 Chaetonotus larus Ehr. ® Julus sabulosus M. T., Lithobius comunis Kock., Geophilus simplex M. T. 4 Milnesium tardigradum Schrank., Macrobiotus Hufelandii Schultze. 5 Gammarus fluviatilis Edw. e G. pulex Edw. 6 Asellus vulgaris Latr. ? Oniscus murarius Lereb. e 0. muscorum Scop. 8 Porcellio pictus Lereb. ° Armadillium vulgare Lereb. 10 Daphnia pulex De Geer. 1! Cypris punctata Jur. 13 Cyclops pictus Kock. e C. vulgaris Kock. 298 1. MAGGI, finora soltanto il desiderio, quantunque sia stato manifestato ‘sin dal 23 gennajo 1859, nel programma di studj proposto alla nostra Società dall’illustre suo presidente Cornalia. Dai pesci fossili del nostro territorio, descritti dall’ eminente ittiologo Bellotti, veniamo a quelli che attualmente vivono nei suoi fiumi e nei suoi laghi. La specie comune a queste acque è la Tinca vulgaris Cuv. I celebri vaironi (Leuciscus muticellus Bonp.), ed i persici (Perca Auviatilis Lin.) del laghetto di Ghirla, si trovano anche, i primi nel laghetto di Brinzio; i secondi in quello di Delio e nel lago di Varese. In questi due ultimi vi è la Trota (Salmo fario Lin.), che non manca nei fiumi. Noterò il Cyprinus carpio Lin. in quel di Delio e di Brinzio; l’ Aspius alborelta De Filip., di questo e del lago di Varese; e dell’ul- timo l’Esox lucius Lin., la Lota vulgaris Jen., il Leuciscus ca- vedanus Bonp., e fra gli altri lAnguilla vulgaris Cuv., la quale esiste anche nei fiumi, e già l’Amoretti riferì che nell’ ultimo gorgo della Margorabbia, al ponte Nivo, le anguille mai non salgono al lago di Ghirla. Di questi pesci, il modo di riprodu- zione è divenuto in oggi ancora un argomento di discussione per le osservazioni di Tigri e di Syrski, ammettendo quest’ ul- timo il maschio distinto dalla femmina e non l’ ermafroditismo senza però aver incontrato, in quel ch’ei reputa maschio, nè cellule spermatiche, nè spermatozoi, come vedemmo io, Balsamo Crivelli ed Ercolani. E mi pare che i laghetti di Delio, di Brinzio e di Ghirla, in cui mancano le anguille, si presterebbero per alcune esperienze relative, oltre che alla loro propagazione, anche ai loro costumi. | Si hanno poi, Batracj urodeli, che ci richiamano gli impor- tanti lavori del Rusconi. Oltre i Tritoni, abbonda la Salaman- dra maculosa Laur., ed io vidi una sola volta la Salamandra atra Laur., in Valcuvia, dove è raro il Trifon cristatus Laur. Batracj anuri: Kana esculenta Lin., E. temporaria Lin., È. ivi lis Thom., Hyla viridis Laur.; e Rospi. Dopo gli estinti Ittiosaurj, si viene ai Rettili viventi, tra i quali Ofidj innocui e velenosi, Saurj e forse Chelonj, chè non ei i \ "SULLE CONDIZIONI NATURALI DEL TERRITORIO VARESINO. 299 sono abbastanza sicuro della esistenza di questi ultimi. Dei primi vidi il Zropidonotus natrix Vagl., il Coluber viridifavus Lacep.; dei secondi la Vipera aspiîs Merr.; dei terzi, Lucr e la La- certa viridis Daud. Riguardo agli uccelli, De Filippi già disse essere comune nella palude Brabbia il Falco rufus Lin. Secondo Maestrani, il 21 lu- glio 1831, comparvero sul lago di Varese otto Pelecani (Peleca- nus onocrotalus Lin.), di cui uno venne ucciso. Su questo lago si dice presa anche la Fuligula fusca Sav., poi l’Anas tadorna Lin., l’Otis tarda Lin. Il Cursorius europaeus Lath., è stato ucciso nel Varesotto. Del resto la raccolta ornitologica del dottor Be- nesperando Quaglia, che si trova al Museo patrio di questa città, vi informerà degii uccelli del suo territorio, dei quali un cenno si trova pure nella Guida del Bizzozero. Finalmente tra i Mammiferi, di cui pochi finora si rinvennero allo stato fossile, si hanno, oltre i domestici, dei rosicanti,! delle fiere, degli insettivori° e dei chirotteri, le cui specie, da me finora vedute sono le comuni lombarde. Ricorderò che una volta viveva il lupo (Canis lupus Lin.), e che al Museo Civico di Mi- lano vi è il Felis catus ferus Lin., o gatto selvatico, stato preso . nel 1868 sui monti di Macagno. ‘Se alcuno mi interrogasse della letteratura scientifica per la Botanica e la Zoologia del territorio varesino, io dovrei rispon- dere che solamente si ponno fare delle spigolature nella lora comense del professore G. Comolli, poichè poco giova a questo scopo, quella medica dello Scotti; nelle Memorie del lichenologo Anzi e del briologo Garovaglio, tutti di Como; nelle Notizie na- turali e civili di Carlo Cattaneo; nella ora e fauna d’Italia pubblicata dal Vallardi, dove però la fauna è solo dei Vertebra- ti; ed infine in alcune Memorie delle nostre Accademie scien- tifiche. 1 Rosicanti: Mus rattus Lin., M. decumanus Lin, M. Musculus Lin., Myoaus glis Lin. e .M. avellanarius Lin., Lepus timidus Lin. ? Fiere: Meles vulgaris Desm., Vulpes vulgaris Briss. Putorius vulgaris Briss., Lutra vulgaris Bonp., Mustela foîna Lin. * Insettivori: Erinaceus europeus Lin., Talpa europea Lin., Talpa cacca Sav. 300 L. MAGGI. Perchè si pochi lavori, in confronto di quelli per la Geo- logia ? Perchè, fra gli altri motivi, io credo che tali ricerche essendo quasi sempre devolute ai professori di storia naturale, questi vengono dall’insegnamento annuale, impediti di fare le loro 0s- servazioni nei tempi opportuni, stante che è obbligata la sta- gione per le ricerche sugli esseri organizzati. Pei naturalisti gio- verebbe introdurre alcuna innovazione nei corsi, facendo lezione in giorni consecutivi, anzichè alterni, in certi mesi, a fine di la- sciarne liberi certi altri, perchè il professore possa dedicarsi a studj non interrotti, ai quali quel tempo è opportuno. È questo per me un argomento di interesse prossimo e pre- sente, e speriamo che esso venga agitato anche là dove si do- vrebbe cessare una volta di mostrare la mano stretta in pugno, alle scienze naturali; mentre ad altre discipline, larga si stende la palma, senza distinzione di destra o di sinistra. Ogni maniera di studj e di ricerche, e quelle che si fanno nel silenzio del laboratorio, e quelle che si fanno visitando, os- servando, raccogliendo sui luoghi, è necessaria per dilatare la scienza, e coi suoi acquisti illustrare la nostra Italia, sì che in faccia alle altre nazioni non sia semplicemente il del paese. E con queste speranze e augurj conchiuderò quì il mio dire, ringraziando nuovamente le gentilissime signore ed i signori che hanno voluto onorare di loro presenza l’apertura di questo no- stro famigliare congresso; plaudendo ai lavori che voi, valorosi colleghi, siete per proseguire o per imprendere; ricordando per ogni evento a tutti i benevoli ascoltatori il precetto del poeta americano nel salmo della vita: Nè il gioir, nè il soffrir sono la via E la meta fatal posta agli umani; Ma oprar sempre, ed oprar: talche si dia Novo un passo dall’oggi all'indomani. LoNnGFELLOW. LA METEOROLOGIA AGRARIA, Nota del prof. GIOVANNI CANTONE. In quest’ultimo quarto di secolo vedemmo sorgere in tutta Italia, e segnatamente nelle parti settentrionali di essa, un nu- mero ben grande di osservatorii meteorici, per l’opera conso- ciata di zelanti scienziati, di solerti Comizî, di società beneme- rite e di qualche Ministero. Non possiamo che encomiare una gara così fatta, perchè volta a prestare un servigio di gran conto sia alla pubblica economia, sia ancora alla educazione popolare. Cre- diamo però che così, com’essa venne condotta finora, se potè servire ad uno di questi scopi, poco o punto giovò per l’altro intento. Bene sta che, mercè un’ estesa rete meteorica, si potrà, in un avvenire non lontano, disvelare talune leggi che regolar de- vono anche codesti fenomeni, i quali dai padri nostri furon sem- pre giudicati capricciosi e fortuiti, tanto complessi e mutabili essi ci appaiono a prima giunta. E giustamente si pensò. Siccome per il continuo vagare de- gli astri chiamati erranti (pianeti e comete) si scoperse una legge, grazie alla quale possiamo presagire le posizioni che man mano assumeranno in dati tempi codesti astri: così ancora le continue mutazioni atmosferiche, che s’avvicendano nelle singole regioni della superficie terrestre, benchè dipendano da elementi svariati, 302 G. CANTONI, esser deggiono regolate da leggi generali, le quali, volta che fos- sero conosciute, ci potrebbero abilitare a prevedere, almeno entro brevi limiti di tempo, l’andamento de’ fenomeni meteorici in date località. Epperò il popolo potrà farsi grado a grado convinto, che ancor tutte codeste vicende, che lo toccano e lo interessano così da vicino, sono opera di leggi naturali ed invariabili. Pel pro- gresso civile del popolo nostro molto importa ch’esso si capaciti che, invece di starcene neghittosi, affidati ad una vana aspettazione di sovrannaturali interventi, conviene che tutti ci adoperiamo con ogni forma di studio e di lavoro per iscoprire e secondare, se m’ è lecito la parola, la volontà regolata ma immutabile della natura. Importa insomma che il sovrannaturalismo, eliminato già dai fe- nomeni celesti, lo sia anche dai fenomeni atmosferici. Ora, io dicevo poc'anzi, se la meteorologia, qual'è ordinata, ben può servire a questo lontano intento morale, poco o punto essa risponde a quell’altro, per noi più pressante, di giovare fin da ora all’agricoltura, all'igiene pubblica e ad altri interessi eco- nomici, col determinare talune particolari leggi empiriche, vale- voli in via di approssimazione per date località, o per date re- gioni; e ciò in attesa che si discoprano quelle leggi più generali delle vicende atmosferiche, delle quali dissi più sopra. Perciò io credo che convenga distinguere la meteorologia ge- nerale dalla focale. Per la prima non occorre una fitta rete di Osservatorii; bensì se ne richiedono di convenientemente distri- buiti sovra estensioni grandissime di suolo, e muniti di stru- menti precisi per lo studio delle grandi correnti atmosferiche, e della formazione ed andamento de’ grandi vortici chiamati ci- cloni. Per cotesti Osservatorii, che diremo di primo ordine, e che ad esempio, per l’Italia nostra potrebbero essere tutt'al più una ventina, anzi tutto interessa la determinazione delle variazioni nella pressione e temperatura dell’aria, e nella direzione ed in- tensità dei venti: epperò il barografo e l’anemografo sono per la meteorologia generale gli strumenti di maggiore importanza. Ed è verso questa meteorologia generale, che ben potrebbesi dire internazionale, che oggi vediam convergere gli studii dei Con- LA METEOROLOGIA AGRARIA. 303 gressi meteorologici, e degli Uffici meteorici centrali dei grandi Stati. Ma la più parte dei Municipî e dei Comizì, che tra noi so- stennero spese non irrilevanti per fondare Osservatorii meteorici a non molta distanza fra loro, si attendevano dalla istituzione di essi un servigio, ben più modesto, ma più direttamente proficuo pelloro paese. Ora la esposizione e la costituzione della maggior parte di questi Osservatorii non è punto appropriata per servire agli interessi locali dell'agricoltura e dell’igiene. Per questi oc- corrono ben altre forme ed esposizioni degli istrumenti meteo- rici, ed occorre poi che le stazioni meteoriche agrarie sieno molto numerose, poco costose e di facile governo. Ma anzi tutto oc- corre che esse ci diano. a dovere le escursioni diurne, o le totali azioni dei singoli elementi meteorici, e specialmente della tempe- ratura, della diafaneità e dell’umidore dell’aria, quali si veri- ficano appunto negli strati dove si svolgono le parti verdi delle piante coltivate, non che la temperatura e la igroscopicità del, suolo, dove queste immettono le loro radici. Ora le escursioni diurne della temperatura, e più quelle del- l'umidità, nel centro degli abitati, differiscono da quelle che si verificano negli aperti campi, e variano poi di molto ancora colla altezza sovra il suolo nei singoli strati d’aria. Per i prati, per la più parte de’ cereali e degli ortaggi, per la vite e per gli arbu- sti da frutto, la cui statura, di solito, non si leva più in là d’ uno a due metri sovra il suolo, la temperatura e l'umidità dell’aria che li involge, subiscono vicende notevolmente diverse da quelle che si rilevano negli strati d’aria, verso i quali prospettano le finestre meteoriche dei comuni Osservatorii, situati su alti edifici e nel mezzo di estesi caseggiati. Ed in particolare poi i valori estre- mi, che in ciascun dì si raggiungono così nella temperatura come nella umidità, differiscono di molto per le due specie di strati d’aria testè designate. A questo proposito citerò solo uno specchio, nel quale si espon- gono di confronto le temperature massime e le minime, osservate in Roma in quest'ultimi due mesi di luglio ed agosto, nella sta- 304 | G. CANTONI, zione agraria, dove il termografo sta entro una gabbia a per- siane, sita nel centro di vasta ortaglia, e nei due grandi Osser- vatorii, quello del Collegio Romano e quello del Campidoglio. Mentre le medie diurne, decadiche e mensili per queste tre sta- zioni risultano pressochè eguali, nella prima di esse le minime sono sempre minori di quelle rilevate nelle altre due, e le mas- sime sono per opposto assai maggiori: tanto che la escursione termometrica è nella stazione agraria di buon tratto superiore a quella occorsa nei due Osservatorii di primo ordine. Maggiori differenze ancora si verificano riguardo all’ umidità relativa ed al- l'umidità assoluta dell’ aria.* Oltre a ciò nella stazione agraria funzionano lo psicrometro collettore ed il radiometro del Bellani, i pregi dei quali stru- menti, massime in servigio dell’agricoltura e della fisiologia vege- tale, ponno dedursi anche dall’ unito scritterello? sulle osserva- zioni fatte qui nel giardino Veratti durante lo scorso autunno. Specialmente il radiometro collettore, rilevando la somma delle radiazioni termo-luminose del sole, che giungono sino al suolo, attraverso l’atmosfera, nell'intero corso d’ ogni giornata, ci offre la misura relativa dell’azione riducente che gli stessi raggi lu- minosi esercitano su le parti verdi dei vegetali, ci porge un dato importantissimo per le funzioni di nutrizione delle piante. Ed an- che lo psicrometro collettore, dandoci la somma della svapora- zione compiutasi in un giorno, in relazione al vario umidore ed alla varia temperatura dell’aria, ci può mostrare l’alta influenza della varia quantità d’acqua evaporata da una data pianta in un determinato numero di giorni su lo sviluppo della medesima. Pertanto io credo che un’estesa introduzione delle gabbie me- teoriche e degli alberi meteorici,’ senza gravi dispendii, potrebbe recare all’agricoltura un vantaggio ben maggiore di quello che, con notevoli sacrifici, ci arrecano i comuni Osservatorii meteorici. 4 Veggasi lo specchietto in fine di questo discorso. 2 Osservazioni meteoriche fatte in Varese nell'autunno 1877. Edite nella Cronaca Varesina, N. 32 a 36 del 1878. ® Vedi le Norme per le osservazioni di meteorologia agraria. rusicntm LA METEOROLOGIA AGRARIA. 305 Anzi la gabbia a persiane può surrogare con profitto gli stessi Osservatorii posti nelle città a servigio dell'igiene. ‘ L’albero meteorico è più appropriato per le stazioni agrarie ed in genere per lo studio della fisiologia vegetale; poichè in esso tutti gli strumenti stanno liberamente esposti alle influenze del sole e dell’aria, al modo stesso delle piante, e perchè i geoter- mometri infitti nel suolo al piede dell’albero, ed i termometri, disposti su di esso a varia altezza, ci svelano il modo di propa- garsi del calore entro il suolo, e di distribuirsi nell'aria sovra- stante. Infine l’evaporimetro Piche ed il termografo, portati dal- l'albero medesimo, funzionano meglio che nella gabbia, almeno per rispetto allo studio della vegetazione. In questi due apparecchi, cioè tanto nella gabbia quanto nel- l'albero, non ebbe posto il barometro, perciocchè questo trova più conveniente collocamento nella stessa camera di studio del- l'osservatore, dove tale stromento è meno influenzato dalle va- riazioni di temperatura, e dove può essere consultato più di fre- quente e con maggiore comodità, occorrendo solo che si conosca l'altezza del medesimo sul livello del mare. D'altronde le varia- zioni barometriche non hanno una diretta influenza sulla vegeta- zione, intervenendo solo a modificare l'andamento delle correnti aeree, e quindi indirettamente lo stato termico ed igrometrico dell’aria stessa. Invece queste variazioni ponno servire di lume a formulare qualche presagio su le imminenti variazioni del tempo con utilità evidente per gli agricoltori. Però, affinchè questi pro- ‘nostici siano un po’ concludenti, non hasta conoscere lo stato ba- rometrico del luogo, ma quello altresì che in pari tempo si ve- rifica nelle circostanti regioni ed a grandi distanze. Or questa conoscenza non può essere data che da frequenti e telegrafiche comunicazioni dello stato meteorico di molti ed assai discosti paesi. | Dobbiam perciò lodare ed incoraggiare quel proposito, che di recente fu formulato dal Comizio agrario milanese, il quale, con- fortato dagli autorevoli consigli dei professori Schiaparelli e Gaetano Cantoni, pensò di organizzare tra noi un sistema di te- Vol. XXI. 20 306 G. CANTONI, legrafia meteorologica in servigio degli agricoltori. Anzi io non posso che far voti perchè il Governo aiuti, per quanto sta in lui, una così provvida istituzione, la quale venne pur di recente co- stituita nel vicino impero austriaco per lodevole iniziativa di quei ministeri d’agricoltura e di commercio. Imperocchè, oltre al- l’immediato vantaggio, che possono trarne gli avveduti agricol- tori nel predisporre le loro operazioni campestri, possiamo atten- dercene quell’altro beneficio morale, che più sopra accennai. Vo- glio dire che mercè codesta istituzione, più presto il popolo cam- pagnuolo verrebbe a persuadersi che solo lo spirito di associazione ben inteso, e costituito su larga base potrà attenuare gli effetti di quei disastri, che troppo spesso qua e colà sono prodotti dalle vicende meteoriche. Mi piace il ripeterlo, conviene che la fiducia in una previdente consociazione mutua e veramente fratellevole dei lavoratori e dei proprietarii si sostituisca alla vana fiducia in un fantastico sovran- naturalismo. STAZIONE AGRARIA CoLLeGIio Romano CAMPIDOGLIO Decadi - - - td Massime a Escurs.® © Minime o' Massime o Escurs.® | o Minime o: Massime o. Escurs.® © I. || 14.92 | 28.07 | 14.05 || 15.09 | 28.00 | 12.°1 || 15.07 | 28.00 | 12.93 E) II. 17.2] 30.9} 13.7 | 18.7 |30.1|11.4}|18.4}|30.1{11.7 Hm.|166]|310|144]|18.5|801|11.6]18.5|30.3|11.8 I..16.9|31.4|14.5 18.5 |29.8|11.3|18.5{29.9| 11.4 II. |.17. 6 | 32. 6 | 15.0 19.9 /31.4]|11.5 |.19.7 {31 6{|11.9 II. { 16.7 | 31. 7 | 15.0][ 18.6 | 30.6 [12.0 || 18.9 | 30. 6 | 11. 7 LA METEOROLOGIA AGRARIA. DIFFERENZE. Minime Massime Escursione i e e I Ze °° e e E | \(e eee” _._—————|;T——_—_—____me » 132 a verticale, approssimativo . . . . . . A 130 Circonferenza orizzontale . . . . . ..°.. ;j 10:1580 Semicirconferenza superiore, antero-posteriore . . SRO i. a trasversale (approssi- Mativa) ti vi on 3 310 Per cui l’indice cefalico di questo cranio è di 66, 66. Quindi il cranio umano trovato nella grotta del tufo in Valgana, è eminen- temente doligocefalo, più doligocefalo del cranio umano dell’ epoca 310 L. MAGGI, del bronzo trovato in Valcuvia, * il cui indice cefalico è di 78, 11; più doligocefalo del maximum della doligocefalia secondo Welcker; ed ancora più doligocefalo dei doligocefali puri, secondo Broca, e dei doligocefali, secondo Retzius. Difatti il mazimum della do- ligocefalia di Welcker ha per indice cefalico 72, i doligocefali puri di Broca lo hanno da 75 al disotto, ed a 67 è indicato l'indice cefalico dei doligocefali di Retzius.: Tenendo calcolo delle distin- zioni craniometriche fatte da Huxley, esso appartiene ai mecisto- cefali, il. cui indice cefalico è da 75 al disotto; cosicchè anche in questa serie di cranj, quello di Valgana viene ad essere uno dei più mecistocefali, poichè la media di 8 cranj di Ottentotti e di 13 Eschimesi, data da Pruner Bey,° ha per indice cefalico 69. Avendo potuto studiare sei cranj umani rinvenuti a Casteggio (Vogherese) in tombe d’epoca romana, ottenni da loro i seguenti indici cefalici: 74,11 doligocefalo puro secondo Broca, ortocefalo secondo Welcker ed Huxley; 87,80 brachicefalo puro, tanto secondo Broca, quanto secondo Welcker ed Huxley; 76, 80 sottodoligocefalo secondo Broca, ortocefalo secondo Welcker ed Huxley; 1 Prof. LeopoLDo MAGGI, Crunio umano dell’ epoca del bronzo trovato in Valcuvia. (Memorie della Società del Museo Patrio di Varese, sezione di Storia naturale. Va- rese, 1874 con 3 tavole. — Anche: Cronaca Varesina 1874. Senza tavole). 2 V. HuxLEy, Place de Vhomme dans la nature. 1868. ® LropoLno Maggi, Sopra alcuni teschi umani trovati a Casteggio (Vogherese) in tombe d’ epoca romana. (Atti della Soc. ital. di scienze naturali. Vol. XV, fase. II. » Aprile, 1872). LEoPOLDO MaGgI, Sopra altri tre teschi umani trovati a Casteggio (Vogherese) ix tombe d'epoca romana (nota IL"). (Atti della Soc. ital. di scienze naturali. Vol. XV, fasc. III. Agosto, 1872). sd DI UN CRANIO UMANO, ECC. 311 81, 25 sottobrachicefalo secondo Broca, rappresenta il maximum della brachicefalia secondo Welcker, euricefalo secondo Huxley; 73, 14 doligocefalo puro secondo Broca, ortocefalo secondo Welcker, me- cocefalo secondo Huxley; 83, 56 sottobrachicefalo secondo Broca, brackicefalo secondo Welcker, euricefalo secondo Huxley. Pertanto, due soltanto fra loro sono doligocefali; coi quali ora confrontando quello di Valgana, esso risulta ancora superiore nella serie doligocefalica. Nel Gabinetto anatomico della R. Università di Pavia, che possiede una bella collezione craniologica, e che gentilmente l’ a- mico prof. Giovanni Zoja mise a mia disposizione, non c’è un doligocefalo di questo grado, perchè il massimo che possiede il suddetto Gabinetto offre un indice cefalico di 69, 66, ed appar- tiene ad un moro della più bella razza (V. N. 187 del Gabinetto Anatomico della R. Università di Pavia, descritto dal prof. Gio- vanni Zoja. Pavia, 1874). Nell'opera di Huxley, tradotta in francese: Place de l’homme dans la nature (1868) trovo due cranj che per il loro indice ce- falico, superano quello di Valgana; un cranio di un indigeno della Nuova Zelanda che ha un indice cefalico di 62, 9 (Huxley), ed uno d’un australiano coll’indice cefalico di 63 (Vogt). Del resto non la cede nè alla media di Pruner Bey sopra 30 cranj di negri, avente un indice cefalico di 72, maximum, come dissi della doligocefalia di Welcker; nè a quella di Thurnam so- pra 35 cranj anglosassoni ad indice cefalico di 75; nè finalmente alla media di Wright sopra 33 cranj di antichi Irlandesi, pure ad indice cefalico di 75. Non potendo più oltre estendere i confronti, per mancanza mo- 312 L. MAGGI, DI UN CRANIO UMANO, ECC. mentanea di mezzi, mi limiterò ora a dire, che il cranio umano trovato in Valgana, presenta tre particolari importanti: la sutura dentellata anche nel punto della sagittale corrispondente all’ obe- lion, che di solito non è tale; la cresta coronale, singolarmente sviluppata; e la sua grande doligocefalia. Ciò, dal lato puramente antropologico, riserbandomi di parlare in avvenire di questo cra- nio, sotto il punto di vista della paleoantropologia. i CONTRIBUZIONE AL CATALOGO . DEI RIZOPODI D’ACQUA DOLCE DELLA LOMBARDIA E LORO DISTRIBUZIONE SECONDO LA CLASSIFICAZIONE DI HERTWIG E LESSER MODIFICATA DA ARCHER DEL Soc. Pror. LeoPoLDo Maggi pi i dell’ Università di Pavia. DO «Due anni or sono, inseriva nei Rendiconti del R. Istituto Lom- bardo di Milano (Serie II, Vol. IX, fasc. XIV, 187 6), alcune mie ricerche ed osservazioni intorno ai Rizopodì d’ acqua dolce della Lombardia, ed in particolare parlava del Podostoma filigerum Clap. e Lach. Registrava in allora quattordici generi e venticin- que specie di Rizopodi, trovati nei dintorni di Pavia, Milano, Va- rese, nel laghetto di Brinzio ed in Valcuvia, notandovi in pari | tempo le diverse altezze sul livello del mare. Avendo continuato Pmiei studj intorno a questi piccoli, ma importanti esseri, posso portare a diciasette i generi, ed a trenta le specie di Rizopodi | d’acqua dolce della Lombardia finora da me veduti. . L’Hyalodiscus rubicundus Hertw.' e Less., l’Actinospherium | Eichhornii Ebr., l’ Heterophrys spinifera Hertw. e Less., 1’ He- | driocystis pellucida Hertw. e Less., e la Clatrulina elegans Cienk. sono già degli esseri, coi piedi a guisa di radici, che aumentano il mio catalogo, nel quale, per volerlo presentare secondo la clas- sificazione dei Rizopodi data da Hertwig e Lesser, tenendo pur calcolo delle modificazioni introdotte da Archer, debbo tralasciare di indicare la numerosa serie delle Amibe, non solo, ma anche la * \Coricia Dujardinii Gagl. ed il Podostoma filigerum Clap. e Lach., er ni E Se 314 L. MAGGI, senza che per ciò, essi cessino d’essere Rizopodi. Inoltre per la mia contribuzione alla morfologia delle Amfizonelle, inserita l’anno scorso nei Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Milano (Se- rie II, Vol. X, fasc. XI, 1877), vi debbo togliere l’Amphizonella flava Greeff come specie, essendo essa divenuta, secondo me, non altro che uno stadio di sviluppo, il così detto stadio lepomone- rico, di un essere cellulare, che finora non ho ancora potuto ben osservare, ma che, d'altra parte, la sua mancanza non mi per- mette di convincermi essere l’Amphizonella flava Greeff, identica alla Pseudochlamys patella Clap. e Lach., come venne detto da Hertwig e Lesser e ritenuto da Archer. Tuttavia il sopraindicato numero di trenta specie di Rizopodi nostrali vien raggiunto medesimamente coll’ Arcella viridis Perty che io vi unisco, per averla veduta nelle acque del careggio di Cuvio. Epperò su di essa mi debbo fermare un momento. Perty (Zur Kenntniss Kieinster Lebensformen der Schweiz. | Bern, 1852) a pag. 186, loc. cit., intorno alla sua nuova specie di Arcella viridis, così dice: 3 “ Schale rundlich, griin. Gr. bis 1/13'”. Sehr selten; Bern, _ 1835, 9 (corrisponde questo numero al mese, quindi settembre) — in einem Tiimpel mit Quellwasser; Lago d’Origlio und di Muz- zano bei Lugano, 8'(agosto). Schale von der Grosse, Skulptur | und im algemeinen auch der Form der Arcella vulgaris, doch meist nicht vollkommen rund, sondern an einer Seite etwas vorgezogeli | und an der andern unmerklich ausgerandet; hell-oder dunkelgriin, Kroch mittelst 4-5 krystallheller Pseudopodien und bildete Hohl- | ràume wie vorige. , Claparède e Lachmann (Etudes sur les Infusoîres et les Rhi- zopodes, Genève, 1858-59) a pag. 445 loc. cit. parlando dell’Ar- cella vulgaris Ehr. soggiungono che 1° Arcella hemispharica e l’Arcella viridis di Perty sono due varietà della medesima specie, .a calotta sprovveduta di depressioni concave; e secondo loro ne. è così delle altre due [forme nuove di Arcelle di Perty, Arcella * Okeni ed Arcella angulosa (Perty, loc. cit., pag. 186), e del- l’ Arcella dentata Ehr., pur veduta da Perty. Egli è certo, con- CONTRIBUZIONE AL CATALOGO DEI RIZOPODI, ECC. 315 tinuano Claparède e Lachmann, che tutte queste forme non sono che delle varietà d’una sola e medesima specie. I passaggi nu- merosi d’una forma all’altra sono di già una prova convincente, ma noi possiamo darne una più positiva ancora. Le Arcelle cam biano parecchie volte di guscio durante il corso della lor vita, Allorchè esse sono divenute troppo grosse per il guscio che abi- tano, se ne costruiscono un nuovo. Si vede allora l’ Arcella sor- tire quasi intieramente dal suo guscio antico e formare una gran massa di apparenza sarcodica davanti all’ apertura, nel mentre che la superficie del suo corpo segrega il nuovo guscio. Si vedo- no, in questo caso, due gusci d’Arcelle applicati 1’ uno di contro all’altro colla loro faccia ventrale, apertura contro apertura. Uno è spesso ed oscuro, l’altro è sottile; dapprima perfettamente incoloro, più tardi leggiermente giallastro. Il primo è il guscio antico, l’altro è il guscio nuovo. L’Arcella passa alternativamente da un guscio all’ altro, lasciando tuttavia sempre una parte del suo corpo nel guscio antico. Infine, allorchè la nuova abitazione prese abbastanza di consistenza, l’Arcella vi passa tutta intiera, e, nella separazione violenta che si opera in questo momento tra i due gusci, il guscio antico la maggior parte delle volte si rompe. Noi abbiamo constatato che un’Arcella della forma che Ehren- berg chiama Arcella vulgaris, si costruisce qualche volta un gu- scio nuovo d’una delle forme alle quali Perty dà i nomi-di Ar- cella angulosa, A. dentata ed A. Okeni. Non può dunque regnare alcun dubbio sull’ identità specifica di queste differenti forme. In seguito a ciò, nessuno ha più parlato nè dell’ Arcella vi- ridis, nè delle altre nuove specie di Arcelle indicate da Perty. Anche Hertwig e Lesser (Ueber Rhizopoden und denselben na- hestehende Organismen. Morphologische Studien. Archiv fir Mi- . kroskopische Anatomie von Max Schultze, Zehnter Band Supple- mentheft, Bon. 1874) ed Archer (Resumé of recent contributions to our Knowledge of Freshwater Rhizopoda. In Quart. Journ. of microsc. Sc. July, 1876. — April, 1877), ammettono una sola . specie di Arcella, VA. vulgaris Ehr. Io ritorno su quanto hanno osservato Claparède e Lachmann 316 | Li MAGGI, . intorno alla formazione del nuovo guscio, durante la quale essi non hanno mai veduta la colorazione verde, nè presentarsi que- sta poi alternativamente colla giallastra, giallo-oscura, fino alla giallo-bruna del guscio formato e divenuto vecchio dell’ Arcella vulgaris. Anch'io osservai molte Arcelle a forme diverse, ma sempre d’un medesimo colore giallastro, più o meno intenso; e non mai vidi passare il loro guscio ad un color verde. D’altra parte non vidi mai l’Arcella viridis Perty passare ad un color giallastro, che potesse far pensare a quello dell’ Arcella vulgaris Ehr. Lasciando per ora la questione della variazione del guscio senza la diversità specifica, non posso però abbandonare quella della colorazione, in quanto che facilmente si rileva che il color verde del guscio dell’ Arcella viridis Perty vien ad essere inerente alla sua morfologia, e non dovuto ad un colore momentaneo, o a delle sostanze straniere accidentalmente introdotte. Per cui io ammet- to come specie l’Arcella viridis Perty, finchè osservazioni ulte- riori non mi facciano convinto che il color verde delle Arcelle è’ anche in loro uno della serie del giallo. E se ciò si dovesse in seguito dichiarare, non scemerà mai il merito di Perty d’averci fatto conoscere una varietà di forma, che la troppo severa cri- tica di Claparède e Lachmann fece mettere in dimenticanza. Perty dice che l’ Am@eba viridis ha un guscio della grandezza, dell’ornatura, ed in generale anche della forma dell’Arcella vul- garis, epperò non è perfettamente rotondo, ma da una parte — avanza di qualche poco e dall’altra è insensibilmente dentellato, quindi lo chiama un guscio rotondetto. Io lo direi piuttosto a forma oblunga, perchè tale era quella del guscio dell’ Arcella vi- ridis da me trovata. La colorazione indicata da Perty è di un colore verde-chiaro oppure verde-oscuro, e sotto questo punto di vista cammina parallelamente alla colorazione giallastra dell’ Ar- cella vulgaris Ehr. La mia Arcella viridis aveva un bel color verde-erba. E come quella di Perty presentava pseudopodi jalini, mediante i quali stri- sciava, ma il loro numero era di otto. La osservai il 10 settembre CONTRIBUZIONE AL CATALOGO DEI RIZOPODI, ECC. 317 dell’anno scorso, ed anch’io la posso ritenere, come Perty, rara. Già dissi che stava nelle acque del careggio di Cuvio in Valcuvia. L’ Hyalodiscus rubicundus Hertw. e Less. (Loc. cit., pag. 49-54, Tav. II, fig. V, Ae B) fu trovato il 15 settembre nelle acque del laghetto di Brinzio, ed anche in alcune dei dintorni di Cuvio. L’Actinospherium Eichhornii Ehr. simile alla figura che dan- no Hertwig e Lesser (Loc. cit., Tav. V, fig. I, A), fu veduto il 30 settembre 1876, e proveniva da un po’ di acqua del lago di Como, conservata in un vaso, la quale al momento dell’ osserva- zione mandava un fortissimo odore ammoniacale, per decompo- sizione di alcune sostanze organiche che in essa Raven insieme con dei vegetali. L’ Hedriocystis pellucida Hertw. e Less. (Loc. cit., pag. 225, Tav. V, fig. 5) e la Clatrulina elegans Cienkow., simile a quella ficurata da Greeff. in Arch. fiir Mikrosk. Anatom. di Max Schultze, Bd. V, Tav. XXVI, furono trovate il 1 settembre del 1876 nelle ac- que del laghetto di Brinzio in Valcuvia, ove pure abitava l’ Hetero- phrys spinifera Hertw. e Less. (Loc. cit., pag. 215, Tav. V, fig. 3). Essendo dubbie, per Hertwig e Lesser, le affinità dell’ Hyalo- discus rubicundus cogli altri Rizopodi, lo lasciano in disparte del loro quadro sistematico. L’ Hyalodiscus rubicundus Hertw. e Less., infatti, manca di guscio e di pseudopodi; il suo corpo è discoidale piuttosto con- vesso, e differenziato in un ectosarco o ectoplasma omogeneo, ed in un endosarco o endoplasma granulare, totalmente ripieno di granuli color rosso-mattone, tra i quali si vede un nucleo e dei vacuoli (contrattili?). Esso si muove per la uniforme contrattilità della sarcode, gli elementi della quale sono in continuo moto. Questo essere mi fa pensare allo stadio cellulare po Atnlero- nella flava. I SARCODINA di Hertwig e Lesser, in cui sono compresi i gruppi altrimenti detti Monera, Amaebina, Heliozoa e Polythala- mia, vengono da loro distinti in Monothalamia ed Heliozod. I primi sono suddistinti in MONOSTOMATA ed in AMPHISTO- MATA, ed i Monostomata, alla lor volta, in LoBosa e REIZOPODA. 318 L. MAGGI, I secondi in HELIOZOA ASKELETA e SKELETOPHORA, e questi ultimi suddivisi in CHALAROTHORACA ed in DESMOTHORACA. Archer (loc. cit.) introdusse fra gli Heliozoa i CHLAMYDOPHORA, assegnandovi 1’ Astrodisculus Greeff, 1’ Astrococcus rufus Greeff, l’Heterophrys miriopoda Archer, 1° Heterophrys marina Hertw. e Less., l’Heterophrys spimifera Hertw. e Less., il Spherastrum con- globatum Greeff, ed il Chondropus viridis Greeff. Pertanto, tenendo calcolo di questa modificazione apportata da Archer alla classifica- zione di Hertwig e Lesser, i Rizopodi d’acqua dolce della Lom- bardia, finora osservati, verrebbero distribuiti nel seguente modo: I. HELIOZOA. a). Askeleta (Hertw. e Less.). (Mancanza di uno scheletro). 1. ActinoPHRys soL Ehr. 2. ActinospHERIUM EicHHorNII Ebhr. Sin. (Actinophrys sol Kollik.) b). Chlamidophora (Archer). (Mancanza di uno sche- letro, ma aventi un distinto inviluppo esterno, grandemente differenziato, molle e più o meno mobile, tanto granulare che di un’ apparenza stria- . ta, oppure evidentemente di natura totalmente omogenea). 1. HerERoPHRYs MIRIOPODA Arch. 2. HeTtEROPHRYS SPINIFERA Hertw. e Less. 3. HELIOPHRYS VARIABILIS Greeff. Sin. (Heterophrys varians Schulze). c). Skeletophora (Hertw. e Less.). (Aventi uno scheletro). a). CHALAROTHORACA (in parte, Hertwig e Lesser). (Scheletro, o, meglio, guscio composto di pezzi assai sottili). 1. AcANTHOCYSTIS FLAVA Greeff. 0). DESMOTHORACA (Hertw. e Less.). (Guscio di un sol pezzo). 1. HepRIOCYSTIS PELLUCIDA Hertw. e Less. 2. CLATRULINA ELEGANS Cienkow. II RE CONTRIBUZIONE AL CATALOGO DEI RIZOPODI, ECC. 319 II. MONOTHALAMIA. a). Monostomata Hertw. e Less. (Aventi un sol orifizio del guscio per i pseudopodi). a). LOBOSA (Hertw. e Less.). (A pseudopodi cilindrici o digitiformi, oppure a forma di larghe piastre o lamelle, oppure terminanti in una maniera conica. Sono sempre smussati all’ apice, giammai molto lun- ghi, raramente e leggermente ramificati; assai di rado alcuni granuli del protoplasma omogeneo del corpo passano entro i pseudopodi, ed in allora ciò avviene solamente in vicinanza alla loro base). A). Guscio, solamente come il prodotto di secrezione. 1. ARCELLA vuLGARIS Ehr. 2. ARCELLA VIRIDIS Perty. 3. PSEUDOCLAMYS PATELLA Clap. e Lach. B). Guscio, îincrostato con corpi stranieri. 1. DIFLUGIA ACULEATA Perty. Sin. (Echinopyxis aculeata Clap. e Lach.). » (Arcella aculeata Ehr.). 0). RHIZOPODA (Hertw. e Less.). (Aventi pseudopodi a guisa di radici). A). Guscio, solamente come il prodotto di secrezione. a). SENZA STRUTTURA. 1. Microgromia socraLis R. Hertw. Sin. (Gromia socialis Archer). b). CON STRUTTURA DELICATA. 1. EuGLYPHA SETIGERA Perty. 2. EueLyPHa TUBERCOLOSA Duj. 3. EuGLYPHA comPrEssa Carter. B). Guscio, incrostato con corpi stranieri. 1. PLEUROPERYS sPHERICA Clap. e Lach. PRIMO ELENCO DEI ROTIFERI O SISTOLIDI DELLA VALCUVIA DEL Soc. Pror. LeopoLDo MAGGI dell’ Università di Pavia. Studiando da alcuni anni i Protozoi della Valcuvia, mi fu dato di osservare, al microscopio, anche diversi Rotiferi, i quali una volta venivano uniti agli Infusorj, mentre in oggi sono ritenuti veri Metazoi, subendo il loro vitello la divisione in blastomeri, dai quali derivano le cellule, che, metamorfizzandosi, producono i tes- suti del corpo di questi microrganismi. Essi costituiscono, secondo la maggior parte degli Autori, una classe tra i Vermi. Quantunque il numero di quelli che io ho veduto non sia gran» de, pure credo non inutile presentarne un elenco, giacchè esso è il primo per la località suaccennata, e, se mal non m’appongo, può dirsi anche uno dei primi pei Rotiferi del nostro paese. Dif- fatti, senza la pretesa di voler qui fare la parte storica riferen- tesi a quest’argomento, mancandomi al presente la bibliografia necessaria, dirò, attenendomi a quelle poche notizie che ho in mente, che di sole otto specie di Sistolidi finora si è parlato in Italia, vale a dire del Rotifer vulgaris Ehr., Rotifer inflatus Duj., Brachionus urceolaris Ehr., Hydatina senta Ehr., Melicerta rin- gens Ehr., Lepadella ovalis Ehr., Lacinularia socialis Ehr., Di- glena? aurita Ehr., della qual’ ultima specie è incerto il genere. Fontana (1768 e 1781), Corti Bonaventura (1774), Spallan- PRIMO ELENCO DEI ROTIFERI O SISTOLIDI DELLA VALCUVIA. 321 zani (1776), Scopoli (1777), Beccaria (1786), Colombo (1787), trattarono del Rotifero, riconosciuto più tardi da Ehrenberg pel suo Rotifer vulgaris. Bonaventura Corti parlò anche dell’ amima- luzzo a cono o gran rotifero a cono, degli animaletti corniferi e dell’animaluccio a corona, che in seguito furono da Ehrenberg classificati i primi per Hydatina senta Ehr., i secondi per Digle- na? aurita Ehr., ed il terzo per Brachionus urceolaris Ehr. E così il Rotifero ad astuccio del Colombo, di cui egli si occupò nel 1786, quindi un anno prima del Rotifero delle grondaje, non altro che il Rotifer vulgaris Ehr., venne riconosciuto ancora dallo stesso Ehrenberg per la sua Melicerta ringens. Il prof. Balsamo Crivelli, nel 1864, aggiunse la Lacinularia socialis Ehr., la Lepadella ovalis Ehr. ed il Rotifer inflatus Duj., che trovò a Pavia insieme col Rotifer vulgaris Ehr. e col Bra- chionus urceolaris Ehr. I veri ROTIFERI o SISTOLIDI della Valcuvia, da me fi- nora registrati, non sono molti, arrivando essi a 18 specie, il cui numero potrebbe essere ancora ridotto; poichè, secondo Schmar- da, le Floscularie e le specie affini dovrebbero far parte dei BRIOZ0OJ, per avere il canale intestinale posto alla parte infe- riore del corpo. Tuttavia vidi anche l’ Ichthydium podura Ehr. ed il Chatono- tus larus Ehr., sistolidi secondo Ehrenberg, infusorj simmetrici di Dujardin, ed ora portati nell’ ordine dei Chetopodi abran- : chiati a formare la famiglia ICHTHYDIIDA, vicina all'altra della NAIDA, di cui in Valcuvia esiste pure la Nais proboscidea e gli Aeolosoma. Inoltre trovai diverse volte il Milnesium tardigradum, veduto pure da Balsamo Crivelli a Pavia, ed il Macrobiotus Hufelandii, sistolidi camminatori, non ciliati, secondo Dujardin, e costituenti la sua famiglia dei TARDIGRADA; ma ora, come ordine Tar- digrada, portati fra gli Aracnidi. Le mie ricerche nella Valcuvia intorno a questi esseri, furono fatte nei mesi di agosto, settembre ed ottobre, approfittando delle vacanze autunnali di varj anni, e per lo più erano le acque del Vol. XXI. 21 1121 SA L. MAGGI, careggio di Cuvio, che assoggettava all'esame. Epperò non tra- lasciai i muschi, ed i diversi vegetali che si trovano all’ umido, come non mancai di esaminare l’acqua del laghetto di Brinzio, che in quella sola trovai la Ptigura melicerta Ehr., la Floscula- ria ornata Ehr. e la Lacinularia socialis Ehr. non frequenti; anzi, la prima la vidi una sol volta nel 1873, a di 17 agosto, e la seconda al 27 agosto del 1876. Ma riguardo alle annotazioni che feci intorno alle singole specie, riferirò in un altro momento, essendo mia intenzione di estendere l’elenco dei Rotiferi, che già intrapresi, ad altre parti della Lombardia. Per ora mi limito a dare le 18 specie della Valcuvia ordinate secondo la classificazione di Ehrenberg. ROTATORIA. I. Ordine. Holotrocha Ehr. I Fam. PTYGURIDA. I. Gen. PTYGURA. 1. Sp. Ptygura melicerta Duj. II. Ordine. Schizotrocha Ehr. II. Fam. FLOSCULARIDA Ebr. II. Gen. FLOSCULARIA. 2. Sp. Floscularia ornata Ehr. III. Gen. LACINULARIA. 3. Sp. Lacinularia socialis Ehr. III. Fam. HYDATINIDA Ebr. IV. Gen. HyDATINA. 4. Sp. Hydatina senta Ehr. V. Gen. NOTOMMATA. 5. Sp. Notommata felis Ehr. VI. Gen. DIGLENA. 6. Sp. Diglena catellina Ehr. IV. Fam. EUCHLANIDA Ehr. VII. Gen. SALPINA. 7. Sp. Salpina bicarinata Ehr. 8. Sp. Salpina mucronata Ehr. PRIMO ELENCO DEI ROTIFERI O SISTOLIDI DELLA VALCUVIA. 323 VIII. Gen. METOPIDIA. 9. Sp. Metopidia lepadella Ehr. IX. Gen. MovnostTLA. 10. Sp. Monostyla cornuta Ehr. III. Ordine. Zygotrocha Ehr. V. Fam. PHILODINIDA Ebhr. X. Gen. RoTIFER. 11. Sp. Rotifer vulgaris Ehr. 12. Sp. Rotifer tardus Ehr. 13. Sp. Rotifer inflatus Du]. VI. Fam. BRACHIONIDA Duj. XI. Gen. ANURZA. 14. Sp. Anuraa heptodon Perty. XII. Gen. BRACHIONUS. 15. Sp. Brachionus urceolaris Duj. XIII. Gen. LEPADELLA. 16. Sp. Lepadella patella Duj. 17. Sp. Lepadella rotundata Du. Sin. (Squamella bractea Ebhr.) XIV. Gen. SQUAMELLA. 18. Sp. Squamella oblonga Ehr. Sin. (Lepadella oblonga Duj.). Le 18 Specie della Valcuvia appartengono quindi a 14 generi ed a 6 famiglie, rappresentando i 3 ordini compresi nella classe dei Sistolidi. Parlando di Rotiferi, non si può non disporli secondo il me- todo di Leydig, il quale avvia facilmente alla loro determinazione specifica; per cui, citando solamente quelli della Valcuvia, l’elen- co viene ad essere foggiat» nel seguente modo: ROTIFERI A. Ad aspetto intermedio tra quello di una clava e' di un ci. lindro. 324 L. MAGGI, I. Con piedi fermi, lunghi, anellati trasversalmente. I. Gen. FLoscuLarIA Ehr. 1. Sp. Floscularia ornata Ehr. II. Gen. LACINULARIA Ehr. 2. Sp. Lacinularia socialis Ehr. III Gen. PryaurA Ehr. 3. Sp. Ptygura melicerta Ehr. II. Con piedi lunghi, articolati, più tardi a forma di tubo retrattile. IV. Gen. RomireR Ehr. 4. Sp. Fotifer vulgaris Ehr. 5. Sp. Rotifer tardus Ehr. 6. Sp. Lotifer inflatus Duj. III. Con piedi lunghi, articolati, non retrattili. IV. Con piedi corti, e piedi a pièpinzetta lunghi. V. Con piedi corti e pièpinzette che sono di egual lun- ghezza, o alquanto più corti, o più lunghi dei piedi. V. Gen. Hypatina Ehr. 7. Sp. Hydatina senta Ehr. VI. Gen. NorommataA Ebr. 8. Sp. Notommata felis Ehr. VII. Gen. DicreNA Ebhr. 9. Sp. Diglena catellina Ehr. VI. Senza piedi. B. A corpo di aspetto sacciforme. I. Con piedi corti. II. Senza piedi. C. A corpo d’aspetto compresso. a). Compresso dall’alto al basso. 1. Con un piede. VIII. Gen. LepAaDELLA Ebr. 10. Sp. Lepadella ovalis Ehr. Sin. (Lepadella patella Duj.). IX. Gen. MonostyLa Ebhr. 11. Sp. Monostyla cornuta Ehr. "Ri "ETA, PRIMO ELENCO DEI ROTIFERI 0 SISTOLIDI DELLA VALCUVIA. 325 X. Gen. MetoPIpIia Ehr. 12. Sp. Metopidia lepadella Ehr. XI. Gen. SquameLLa Ehr. 13. Sp. Squamella bractea Ehr. Sin. (Lepadella rotundata Duj.). 14. Sp. Squamella oblonga Ehr. Sin. (Lepadella oblonga Duj.). XII. Gen. BracHionus Ebhr. 15. Sp. Brachionus urceolaris Duj. 2. Senza piede. XIII. Gen. AnurzA Ehr. 16. Sp. Anurea heptodon Perty. 5). Compresso lateralmente. XIV. Gen. SaLpina. Er. 17. Sp. Salpina bicarinata Ehr. 18. Sp. Salpina mucronata Ehr. Riguardo al genere PrrcurA, dirò che a Leydig sembra un a- nimale non sviluppato, quindi una forma incompleta; ed è per- ciò che nel suo quadro non figura. Ehrenberg stesso più tardi ritenne che il genere PryauraA fosse il giovane della Meliceria ringens. | La Diglena? aurita Ehr. di Bonaventura Corti, quantunque dubitativo il genere, troverebbe il suo posto sotto la Diglena ca- tellina Ehr.; e la Melicerta ringens Ehr. del Colombo, verrebbe dopo la Lacinularia socialis Ehr., od, ammettendo come specie la Ptygura melicerta Ehr., starebbe a questa vicina. Pertanto non si tratta che di una sola vera specie, stata os- servata al di fuori della Valcuvia, ed essendo essa la Melicerta ringens Ehr. non fa che far aggiungere un genere ed una specie alla famiglia FLOSCULARIDA Ehr. già rappresentata. I PLASTIDULI NEI CILIATI ED I PLASTIDULI LIBERAMENTE VIVENTI Nota del Soc. Pror. LEoPpoLDo MAGGI dell’ Università di Pavia. La complessità di struttura del protoplasma, in oggi ha già molti pregevoli lavori per essere appoggiata. Dopo quelli di Heitz- mann, Frohmann, Biitschli, Weitzel, Balbiani, Hertwig, Auer- bach, Foll, Klebs, Trinchese, Ciaccio, intorno alla struttura del protoplasma degli elementi anatomici, ed in particolare del nu- cleo delle cellule e dell’ovocellula degli animali, si hanno an- che quelli di:Strassburger sopra il protoplasma dei nuclei vege- tali durante la divisione cellulare; così che si è condotti ad am- mettere, che la tectologia del protoplasma sia data da una rete di granulazioni fine legate da filamenti assai delicati; ‘e queste granulazioni, essendo per sè stesse elementi formatori, vogliono essere indicati col nome di plastiduli. Ora un citode od una cel- lula, ossia un plastide, sarebbe costituito alla sua volta da pla- stiduli. Se pertanto questi plastiduli formano un bionte virtuale, ossia una cellula d’un tessuto, essi dovranno trovarsi anche nel- l’organizzazione del suo essere unicellulare corrispondente, ossia nel suo bionte parziale. i La mia piccola osservazione si riferisce ai nuclei delle Oxy- triche, che, come si sa, ciascun individuo di questi infusorj Ci- liati, ne ha due, È difficile ottenere delle reazioni, allorchè que- I PLASTIDULI NEI CILIATI, ECC. 327 sti animali unicellulari sono vivi; certi reagenti producono in loro la diffluenza e conseguentemente la decomposizione del loro protoplasma, come sarebbe, ad esempio, l’ammoniaca pure diluita. Tuttavia ho trovato che trattata un’Oxytricha col bicromato di potassa al 2 per 100, vi ha bensì la diffluenza, ma non tale da impedire, durante il fenomeno, l'aggiunta al microrganismo del nitrato d’ argento al 5 per 100, e di ottenere così delle granula- zioni tinte in nero del parenchima del corpo, ossia endoplasma detto anche endosarco; inoltre, di avere un reticulo plastidulare pure colorato in nero, nei due nuclei. Eccone il disegno all’ingrandimento di 700 d. nelle prime due figure, e maggiormente ingrandito nella figura terza, semische- matica. Fig. 3. n, nucleo = nelle fig. 1 e 2 n in grand. 700 d. » >» =nellafig.3 se- mischematica. Jig.1e 2 = i due nuclei dell’Oxytricha. f fig. 3 = nucleo dell’Oxy- tricha immensamente P ingrandito (fig. semi- schematica). p» plastiduli, tinti in nero dal nitrato d’argento. Î. filamenti. e, corpo dell’ Oxytricha in diffluenza col bicro- mato di potassa. Oxytricha gibba Clap. e Lach. Le granulazioni nere, ossia i plastiduli tinti in nero, hanno una disposizione regolare, foggiandovi la figura rombica tanto nel loro complesso, quanto nelle maglie che essi formano. Gli uni poi sono agli altri legati da filamenti sottilissimi, i quali, dalla peri- feria di ciascun plastidulo, partono in numero corrispondente a quanti sono gli altri plastiduli che lo circondano; per modo, se ben ho concepito, che ogni maglia rombica vien formata da quat- tro plastiduli riuniti tra loro da quattro filamenti sottili all’ e- sterno; di più è attraversata nell’interno da due filamenti tra loro perpendicolari. Quanto ora ho significato, nel campo degli Infusorj, ha la sua 328 i L. MAGGI, parte di novità; ed è perciò che questa via sarà ancora da me / percorsa. i Per quella libertà poi di pensare, ammessa nella scienza, mi sia permesso di dire, a contribuzione ancora della teoria plastidu- lare, quali siano gli organismi attualmente viventi, ossia i bionti attuali, che si devono ritenere per plastiduli liberamente viventi, autonomi. Heckel nella sua Generelle Morphologie (Berlino, 1866), dopo aver distinti i Moneri in Gimnomoneri e Lepomoneri, ascrive ai primi i Vibrionidi di Ehrenberg; i quali, però, nella sua Mono- grafia dei Moneri, stampata due anni dopo (1868), sono lasciati in disparte. Ora, in un suo recente lavoro sul regno dei Protisti, in cui i Moneri sono considerati come una classe, compaiono nuo- vamente i Vibrionidi, quali esseri che ne costituiscono un ordine, che egli chiama dei Tachymonera. Inoltre i caratteri per le sud- divisioni della classe sono diversi da quelli impiegati, allo stesso scopo, nella sua Monografia dei Moneri, come facilmente si ar- guisce dalle denominazioni. Infatti se prima erano distinti i IMo- neri in Gimnomoneri e Lepomoneri, ossia in moneri nudi ed in moneri a copertura, adesso ne stabilisce tre ordini: dei Lobomo- neri, cioè, dei Rhizomoneri e dei Tachymoneri, ossia moneri dai primitivi piedi lobosi o lobopodi, moneri dai primitivi piedi a ra- dice o pseudopodi, e moneri dal primitivo flagello. Sono pertanto gli organi di locomozione, che servono alla costituzione di que- sti ordini. Con ciò non è distrutta per nulla l’antica distinzione dei Mo- neri in Gimnomoneri ed in Lepomoneri, essendo in allora il ca- rattere impiegato, la mancanza o la presenza di una primitiva forma tegumentale. Io credo che non senza valore, nel campo dell’organizzazione, possa essere quest'altra distinzione dei Moneri, appoggiata alla loro qualità individuale, e cioè: Monomoneri e Cormomoneri, es- sendo i primi, degli individui dati da un sol bionte; i secondi in- vece, da diversi bionti sociali, com'è il Myxodictium sociale, il quale rappresenta il primitivo stato sociale d’un individuato or- ganismo. ai I PLASTIDULI NEI CILIATI, ECC, 329 E studiando attentamente la costituzione dei Moneri, come io ho già fatto cenno l’anno scorso, si potrebbe ancora distinguerli in Moneri a plasson unico (Monoplassici) ed in Moneri a due plasson (Diplassici), il cui plasson, cioè, è distinto in ectoplasson ed endoplasson: come sarebbe pei primi, una Protamaba primi- tiva; pei secondi una Protameba agilis od una Protameba Schult- zeana. E così dicasi di un’altra distinzione, in Moneri senza va- cuoli (p. es. Profamibe) e con vacuoli (p. es. Protomonas amyli); come anche in Moneri a vacuoli non contrattili ( Vampyrella spi- rogire), ed a vacuoli contrattili (p. es. Protomyza aurantiaca). Ma la complessità di struttura del protoplasma; porta in oggi a distinguere i Moneri anche sotto questo loro punto di vista, per modo che i Tackymoneri vengono ad essere di una struttura molto più semplice di quella dei Rhizomoneri e dei Lobomoneri; essendo, p. es., un Bacterium termo Duj. non altro che una gra- nulazione protoplasmatica liberamente vivente, e quindi un vero plastidulo allo stato libero, autonomo. È perciò che i plastiduli liberamente viventi, si trovano, secondo me, nei Vibrionidi, 0s- sia nei Tachymoneri di Heckel, i quali, per essere più semplici ancora degli altri due ordini di Moneri, io li chiamerei col nome di Protomoneri. Tanto più che nella plasmogonia, ossia nella pro- duzione di organismi da infusioni organiche, essi sono i primi a comparire. Ciò ammesso, la teoria plastidulare camminerebbe come quella dei plastidi, e sarebbe punto di partenza per l’organizzazione _ morfologica degli esseri organizzati; giacchè, come dissi, ogni plastidulo considerato come bionte virtuale d’un bionte attuale, trova nelle forme bacteriche il suo corrispondente bionte parziale. Precisamente, come un citode è bhionte virtuale, p. es., nell’o- vocellula dopo la fecondazione, quindi durante lo sviluppo d’ un metazoo o bionte attuale; ed è, come Monere libero corrispon- dente allo stadio di sviluppo,.un bionte parziale. Medesimamente una cellula dopo la comparsa del nucleo di segmentazione nel- l’ovocellula fecondata, è bionte virtuale del Metazoo o bionte attuale, che va sviluppandosi; ed ha, tra gli esseri unicellulari, 330 L. MAGGI, I PLASTIDULI NEI CILIATI, ECC. il suo corrispondente bionte parziale. Anzi in oggi una teoria per l’organizzazione degli organismi, richiede che uno stadio di sviluppo o bionte virtuale di un essere organizzato liberamente vivente o bionte attuale, abbia ‘ad avere il suo bionte parziale, ossia essere liberamente vivente, autonomo, ma corrispondente allo stadio di sviluppo del bionte attuale, ossia al bionte virtua- le; il qual ultimo alla sua volta rappresenta un essere che viveva anticamente, liberamente, autonomo, come specie, e quindi un bionte palingenetico (paleobionte, archibionte), pel quale il bionte attuale o cenogenetico (cenobionte) ha dovuto passare nella sua filogenia. | Per conseguenza, non solo gli elementi morfologici di un or- ganismo, ma anche i suoi organi morfologici (((IDORGANI-((omeor- gani (omoplasti) ed Aleorgani (alloplasti).)).))), vengono ad es- sere dei bionti virtuali. Da qui l’importanza del legame fra l'anatomia e 1 embriolo- gia od ontogenia, a costituire la vera morfologia, e dell’ eteroge- nia, che è il punto di partenza della moderna morfologia. Debbo però soggiungere che questo moderno indirizzo della scienza dell’ organizzazione, per noi, non -è poi tanto una novità, nel suo concetto generale; ma piuttosto un richiamo, con moder- na forma, dovuta agli attuali mezzi d’osservazione, di quello che tenevano le scienze naturali nella nostra nazione, quando ne’ tem- pi passati erano in fiore, trovandosi sempre insieme l’ embriolo- gia coll’anatomia e la morfologia coll’ eterogenia. INTORNO ALL’ ONTOGENESI DELL’ARCELLA VULGARIS Ehr. Ricerche Di GiAcoMO CATTANEO. (Con la Tav. 62.) L’ Arcella vulgaris Ehr., rizopodo che appartiene, secondo Hertwig e Lesser, ai Mpnothalamia lobosa, oppure secondo Haeckel, protisto da riferirsi alla famiglia delle Lepamoebae, è un organismo unicellulare, formato da un protoplasma granulo- so, contenente uno o più nuclei nucleolati ed una o più vescicole contrattili. Il numero dei nuclei e delle vescicole è tanto mag- giore, quanto più grande è l’ Arcella, e può giungere fino a do- dici o quindici; le vescicole contrattili disposte sulla periferia, i nuclei in un cerchio interno a quello delle vescicole. Questo pro- toplasma è rinchiuso in un guscio solido, di forma emisferica, assai poco flessibile, del quale si considera parte dorsale la ca- lotta sferica, e parte ventrale il disco, che al centro è forato da un pertugio circolare. Il colore di tal guscio varia gradatamente dal giallo chiaro al giallo aranciato ed al bruno, e diviene sem- pre più intenso, quanto più avanzata è 1° età dell’ Arcella; la sua superficie ha un elegantissimo aspetto reticolare, dovuto, come negli occhi composti degli insetti, alla giust’apposizione di un gran numero di faccette esagonali regolarissime. Questo rizopodo ha una molto estesa distribuzione geografica e trovasi, durante la stagione temperata e calda, nelle acque 332 G. CATTANEO, stagnanti, innicchiato per lo più, insieme ad altri Protozoi e a parecchi Nematodi e Gordiacei, entro una mucosità bruna, stesa sulle foglie della Nymphacea alba Linné. È abbastanza frequente anche nelle acque lombarde, e il professore ‘Leopoldo Maggi lo trovò nella Lanca di S. Lanfranco presso Pavia, nel Redefossi presso Milano, a Cuvio, e in altre località della Lombardia.* L’ Arcella vulgaris, insieme ad altre specie congeneri (deno- minate poi: A. aculeata, dentata, Okeni, angulosa, hemisphaeri- ca, viridis, ecc.), fu osservata e studiata, negli ultimi cinquan- t'anni, da Ehrenberg," da Claparède e Lachmann,* da Perty” e recentemente, in un esteso ed importantissimo lavoro da Hert- wig e Lesser.° Però, ad onta degli studj di tanti e sì valenti in- vestigatori, la storia naturale di questo rizopodo era, ancora pochi anni addietro, tutt'altro che completa. Si avevano nozioni esatte ed anche dettagliate intorno alla sua struttura anatomi- ca; si conoscevano, benchè non senza discussione e dissenso fra i varj autori, alcuni suoi interessanti fenomeni fisiologici; ma ben poco di sicuro si sapeva intorno alla sua riproduzione. Le poche osservazioni, del resto non decisive, che si potevano met- tere in campo, erano quelle di Hertwig e Lesser, i quali ave- 41 LeoPoLDo MAGGI, Intorno ai rizopodi d’acqua dolce della Lombardia. ece., pag. 7. Rend. Istit. Lombardo, serie II, vol. IX, fasc. 13, seduta 6 luglio 1876. ? In un mio sceritterello, intitolato: Prime ricerche sui Protozoi (Pavia, 1878), si dà conto, fra l’ altre cose, di un Corso d’ esercitazioni pratiche sull’ osservazione dei Protozoi, tenuto dal prof. Maggi, durante l’aprile e il maggio 1877, nel Laboratorio d’anatomia comparata dell’ Università pavese, come introduzione a un Corso speciale sull’ Anatomia e Fisiologia dei Plastidi, per gli studenti del secondo biennio di scienze naturali, e vi si dice ch’eran materiale delle nostre osservazioni molte acque stagnanti, raccolte in varie parti della Lombardia, e che appunto in parecchie di tali acque si rinvenne l’ Arcella vulgaris Ehr. e l’ A. aculeata Ebr. 3 EHRENBERG, Die Infusionsthierchen als vollkommene Organismen 1838. Tav. IX, fig. 5. 4 CLAPARÈDE et LAcHMANN, Z/udes sur les Infusoires et les Rhizopodes. Genève, 1858-61, tom. I, pag. 444-446. 5 Perty, Zur Kenntniss d. Kleinst, Lebensformen der Schweiz. Bern, 1852. 6 HertwIc und Lesser, Ueber Rhizopoden und denselben nahestehende Organi- smen. — Max Schultze's Archiv fiir mikroskopische Anatomie herausgegeben von v. La Valette St. George und W. Waldeyer. X Band, 1873. Supplementheft; pag. 97-99. seni dotta tt INTORNO ALL’ONTOGENESI DELL’ARCELLA VULGARIS EHR. 333 vano veduto, una sola volta, l’incistamento dell’ Arcella, e in se- guito la segmentazione, e si associavano a Claparède e Lach- mann! ed a Cohn? nell’ammettere come probabile la conju- gazione dell’ Arcella a scopo riproduttivo. In questa loro opi- nione li confermava la circostanza, ch’essi avevan visto parecchie coppie d’ arcelle in apparente conjugazione. Ma la particolarità da essi notata, che delle arcelle conjugate una aveva sempre un guscio bruno-oscuro, e l’altra un guscio giallo-chiaro, conduce a pensare che questa apparente conjugazione non debba ritenersi come una modalità di riproduzione, sibbene come un caso del fenomeno, già osservato da Claparède e Lachmann, del cangia- mento di guscio. Le arcelle infatti, durante il corso della loro vita, cangiano il guscio parecchie volte; divenute troppo grosse pel guscio che abitano, ne costruiscono uno nuovo» L’ Arcella allora esce quasi completamente dalla sua teca; e davanti all’a- pertura forma una massa d’apparenza sarcodica, la quale se- cerne il nuovo integumento. In tal caso si vedono due gusci d’ Arcella, applicati l’uno all’altro con la faccia ventrale, aper- tura contro apertura. L’uno, cioè il guscio antico, è denso ed oscuro; l’altro, cioè il nuovo, è trasparente e dapprima incolo- ro, poi, di mano in mano, va diventando giallastro. La identità delle circostanze che si presentano tanto nel fenomeno del mu- tamento di guscio, osservato da Claparède e Lachmann, quanto nella supposta conjugazione notata da Hertwig e Lesser, la coincidenza dei colori e della disposizione dei gusci dell’Arcella, ed anche una frase’ dei due ultimi autori, i quali dicono che il guscio più chiaro appariva come recentemente formato, non la- sciano dubbio che una simile apparente conjugazione non ha per seguito alcun fenomeno riproduttivo. Da ciò si ricava che fino al 1873 le nozioni intorno alla ri- 1 Loc. cit., tom. I, pag. 445. 2 Coxnn, Zeitschrift fiir wissensch. Zoologie, von Siebold und Kolliker. III Band. ® «... von den in der vermeintlichen Conjugation befindlichen Individuen, stets das Eine eine tiefbraune, das Andre eine sehr helle Schale besitze; die letzere daher als eine neugebildete betrachten werden miisse. » 334 G. CATTANEO, produzione dell’ Arcella vulgaris Ehr., erano poco sicure. Chi fece la prima osservazione attendibile su tale fenomeno fu, nel 1874, O. Biitschli.* Il Biitschli, con molte e pazienti ricerche, mise fuor di que- stione che 1° Arcella vulgaris Ehr., a somiglianza di altri rizo- podi ad essa affini, si riproduce in seguito a conjugazione o ci- gosi. Egli osservò, il 12 ottobre 1874, tre arcelle conjugate, di- sposte in modo che ognuna aveva il margine del guscio contro l'apertura d’una delle altre due; disposizione affatto diversa da quella che ha luogo nel fenomeno del mutamento di guscio. E tal conjugazione, osservata dal Biitschli, non era solo estrinseca, ma si estendeva anche al protoplasma; poichè, quando i tre ani- mali si separarono, si videro delle larghe espansioni protopla- smatiche distendersi, a guisa di ponti, tra le aperture delle ar- celle, ed indi a poco rompersi in mezzo, ed una parte seguir l’uno, l’altra l’altro animale. Il giorno successivo al distacco, una delle arcelle presentava nel suo interno una doppia serie lineare di corpi celluliformi, a contorno irregolare, il cui protoplasma non differiva da quello dell’ Arcella.® Questi corpi, dopo breve tempo di quiete, comin- ciarono a moversi con vivace moto ameboide, e strisciarono tra il protoplasma dell’Arcella e il guscio, in modo che si scompose la loro doppia fila. In seguito il protoplasma dell’Arcella si venne ritirando, di mano in mano, in una metà del guscio, mentre l’altra metà era occupata dai corpi ameboidi suddescritti, in cui cominciava a formarsi un vacuolo pulsante. L’ una dopo l’altra queste piccole amebe, che eran giunte al numero d’una decina, uscirono dall’ apertura del guscio e lentamente se ne allontana- rono. Avevan tutte alcuni brevi e larghi pseudopodi e contene- vano un vacuolo pulsante e un mnucleolo piccolissimo, sul vero significato del quale tornerò in seguito, quando esporrò le ri- ! 0. BiirscHni, Zur Kenntniss der Fortpflanzung bei Arcella vulgaris Ehrb. Max Schultze’s Archiv fiir mikroskopische Anatomie, herausgegeben von v. La Valette St. George und W. Waldeyer. XI Bd. 1874, pag. 459-467, tav. XXV. ? BiitscHLI, Loc. cit., pag. 461, fig. 2. E n. iribiatniritte. wr E - SOUP INTORNO ALL’ONTOGENESI DELL’ARCELLA VULGARIS EHR. 335 cerche da me fatte. Il Biitschli non potè seguire ulteriormente lo sviluppo di questi corpi ameboidi, che egli però ritiene sen- z'altro come germi amebiforini o corpuscoli riproduttivi dell’ Ar- cella vulgaris, generati in seguito alla conjugazione e alla seg- mentazione del protoplasma. In una delle tre arcelle conjugate, il Biitschli vide, nel giorno susseguente al distacco, due corpuscoli riproduttivi, proprio sul principio della loro formazione, e quindi in uno stadio più arre- trato che quelli osservati nella prima arcella. Giacevano essi sul margine del protoplasma generatore. Due giorni dopo, i ger- mi erano aumentati fino al numero di sette, ma si sviluppavano assai lentamente, e non presentavano, come quelli della prima arcella, il vacuolo pulsante e il moto ameboide.' Neppure in questo caso il Biitschli potè osservare il seguito dell’interessante fenomeno. L’ultima delle tre arcelle conjugate, poco dopo il distacco, morì senza alcuna produzione di corpi ameboidi. In altra occasione il Biitschli osservò molte coppie d’ arcelle conjugate, che pure produssero corpuscoli simili ai suddescritti. Alcuni avrebbero potuto ritenere tali corpuscoli, come già in altri casi, non germi, ma parassiti dell’ Arcella. Tuttavia il loro modo di formazione a spese del protoplasma, che diventa tanto più piccolo, quanto maggiore è il numero dei corpuscoli pro- dotti, e varie altre circostanze della loro esistenza, dimostrano che essi sono veri germi. Nè questo sarebbe un esempio isolato; anzi moltissimi altri casi, nei Protozoi, di conjugazione, a cui se- gue una produzione di germi, avvalorano la scoperta e l’ appre- ziazione del Biitschli. Corpuscoli riproduttori si formano, secondo Cienkowski,° nella Noctiluca muliaris, con la sola differenza, ri- spetto a quelli dell’ Arcella, che nella Noctiluca -sono zoospori ciliati, e nell’Arcella sono amebe semoventi. Alcuni foraminiferi hanno, secondo Max Schultze e Strethill Wright, un simil modo 1 BirscaLI, Loc. cit., pag. 462, fig. 4. 2 CIENKOWSKI, Ueber Noctiluca miliaris. Max Schultze's Archiv fiir mileroskopi» sche Anatomie, u. s. w. IX Bd., pag. 47. 336 G. CATTANEO, di riproduzione; e, specialmente importante, in confronto con l’Arcella, è il modo di riproduzione di un rizopodo ad essa af- fine, cioè dell’Amoeba diffluens Ehr. (ed anche di altre specie del genere Amoeba), la quale ha una conjugazione,' a cui succede l’uscita d’un grande numero di spore (polisporogonia).* Dalle osservazioni del Biitschli si può dunque concludere che la riproduzione dell’Arcella vulgaris Ehr. succede per mezzo della conjugazione o zigosi di due o tre animali, e della conseguente segmentazione protoplasmatica, che dà per prodotto parecchi piccoli germi ameboidi, i quali abbandonano il corpo materno e diventano liberi. Ma, come questi germi si sviluppino in seguito, con quali trasformazioni essi diventino, per ontogenesi, arcelle complete, questo non è stato osservato dal Biitschli, e, per quanto io sappia e mi fu affermato da un valente cultore dello studio dei Protozoi, non è stato finora osservato, o almeno detto, da alcuno. L’ontogenesi dell’ Arcella vulgaris è dunque ancora un desideratum per la scienza. Intento da qualche tempo allo studio dei Protozoi, io ebbi la fortuna di poter osservare lo sviluppo dei germi ameboidi del Biitschli, e seguirli fino alla loro trasformazione in arcelle com- plete. Spero quindi che quanto esporrò varrà in qualche modo a colmare una lacuna, che finora esisteva, nella storia naturale di questo rizopodo. Le mie ricerche furon condotte, in parte durante il giugno 1878, a Pavia, nel Laboratorio di Anatomia e Fisiologia comparata di quella Università, in parte durante il luglio dello stesso anno a Milano; e sì nel giugno che nel luglio il materiale d’ osserva- zione, cioè alcune foglie di Nymphaea alba Linné, provenienti dalla Lanca di S. Lanfranco presso Pavia, mi fu fornito dal chiarissimo professore Leopoldo Maggi, direttore del Laborato- rio suddetto. Altre foglie di Nymphaea, provenienti dai Giar- ! TATEM, On conjugation of the Amoeba. The monthly microscopical Journal. Dicembre 1871. ? LeopPoLpo MaAGGI, Sulla conjugazione o zigosi delle Amibe. — Rend. Istit: Lom= bardo, serie II, vol. IX, fasc. 12. Seduta 8 giugno ‘1876. INTORNO ALL’ONTOGENESI DELL’ARCELLA VULGARIS EHR. 337 dini pubblici di Milano e avute ‘per mezzo dell’ egregio dottor professore Giovanni Malfatti, assistente al Museo Civico, non mi offersero, nell’agosto, alcuna traccia di arcelle. Invece sulle fo- glie raccolte nella lanca di S. Lanfranco le arcelle erano in gran copia, specialmente verso la fine di giugno e il principio di luglio. In moltissime preparazioni da me fatte, io avevo sem- pre sotto il campo del microscopio un rilevante numero di ar- celle, disposte quasi in densi ammassi, e con gusci di coloré più o meno oscuro, a seconda ch’ erano giovani o adulte; e vicino o frammezzo ad esse, e in tutto il resto della preparazione, tra frammenti di alghe e granuli di clorofilla, si vedevano assai spesso molti corpi celluliformi, di varia grandezza, a contorno irregolarmente circolare. Venuto in dubbio che quei corpi po- tessero essere le arcelle in via di sviluppo, continuai per molti giorni le osservazioni, e vidi che alcuno tra i più piccoli esem- plari diveniva, col tempo, simile ad altri più grandi e complessi, “e che alcuno di questi si trasformava in un essere, il quale era senz’ altro una giovane arcella. Talchè, in parte direttamente, osservando le lente trasformazioni di un medesimo individuo, in parte indirettamente, riunendo e collegando insieme le varie forme, che si presentavano in var] stadj di sviluppo, son venuto in grado di esporre la storia ontogenetica dell’ Arcella. Come punto di partenza di questa storia ontogenetica, si pre- sentò, nelle mie osservazioni, un corpo cellulare amebiforme, in cui si distingueva nettamente un protoplasma esterno jalino e omogeneo (esoplasma), e un protoplasma interno a granulazioni di varia grandezza (endoplasma), con qualche globulo di cloro- filla, e una piccola, ma distintissima macchia a contorno scuro, che a tutta prima si poteva prendere per un nucleo, ed a cui vedremo in seguito qual significato si possa attribuire. Questa pseudo-ameba ora stava ferma, ora mandava fuori dei brevissimi e larghi pseudopodi e presentava un lento moto ameboide. Le variazioni e deformazioni del suo contorno erano però piccolis- sime. Questo, che abbiam descritto, può considerarsi come il germe autonomo dell’Arcella, già in corso di sviluppo, che fa Vol. XXI. 22 338 G. CATTANEO, seguito immediato al germe ameboide del Biitschli. Abbiamo dunque come primi stadj ontogenetici dell’ Arcella vulgaris : 1.° Un corpo ameboide a protoplasma indifferente, senza nucleo e vacuoli pulsanti, che si forma, per segmentazione, dal protoplasma dell’ Arcella, e non ancora atto a moversi, rimane nel corpo materno. Se ne ha il disegno nella fig. 1 della nostra tavola, che corrisponde alla fig. 4 della tavola del Biitschli. Queste neo-formazioni, immobili ancora, stanno aggregate a due a due o a tre a tre per volta, come si vede nella figura suddetta. 2.° Un germe ameboide, ancora contenuto nel corpo mater- no, non formante aggregati, ma disposto, insieme e relativamente a parecchi altri, a doppia serie. Possiede vacuoli pulsanti, ed una macchia distinta, che il Biitschli chiama nucleo. Dopo un certo tempo d’ immobilità, comincia a mandar fuori larghi e brevi pseudopodi e a moversi a modo d’ameba; s’ avvicina al pertugio dell’ Arcella madre, e ne esce diventando libero. Un tal germe ameboide è rappresentato dalla fig. 2 della nostra tavola, in cor- rispondenza alla fig. 2 della tavola del Biitschli. | 3.° Un germe ameboide autonomo, che vive liberamente e si sviluppa fuori del corpo della madre. Il suo protoplasma è dif- ferenziato in esoplasma ed endoplasma; 1’ endoplasma contiene un corpo d’apparenza nucleare, e varj granuli di clorofilla, che servono di nutrimento all’animale. Questo germe dell’Arcella è il punto di partenza delle nostre osservazioni, ed è VIRBRERRA dalla fig. 3 della nostra tavola. Arrivato a questo stadio di sviluppo, il germe dell’ Arcella cresce a poco a poco di diametro; il suo esoplasma comincia a presentare un caratteristico aspetto finamente striato; aumenta l’attività della nutrizione, dimostrata dal numero maggiore dei granuli di clorofilla contenuti nell’endoplasma, e, intorno a quella macchia di contorno oscuro, che a tutta prima abbiam detto po- tersi ritenere un nucleo, si forma una zona jalina più chiara, che la rinchiude da ogni parte. Da ciò si deduce che il preteso nu- cleo del germe ameboide autonomo, e quindi anche, a maggior ragione, del germe amebico di Biitschli, altro non è che un nw- INTORNO ALL’ONTOGENESI DELL’ARCELLA VULGARIS EHR. 339 cleolo, e che nello sviluppo dell’ Arcella ha luogo la formazione del nucleolo prima di quella del nucleo, come fu trovato succe- dere nello sviluppo delle gregarine, delle amebe, delle monadi, ecc. Per quanto riguarda le gregarine, il Van Beneden' ha osservato che nelle pseudo-filarie appare prima il nucleolo e in seguito il nucleo, e che le parti si sviluppano dal di dentro al di fuori. Per quanto riguarda le Amebe, il professor Maggi” ha dimostrato che nei loro germi si forma dapprima il nucleolo, il quale poi viene circondato d’ una zona trasparente, avendosi così la figura del nucleo nucleolato. Anche il cosidetto nucleo delle monadi deve, secondo il professore Maggi,” essere ritenuto come un nu- cleolo. Ora anche lo sviluppo dell’ Arcella convalida 1’ opinione, che intorno all'importanza ed efficienza del nucleolo professa il Van Beneden. Abbiamo dunque, in seguito al germe ameboide autonomo, l'embrione dell’ Arcella, il quale è una cellula a nucleo nucleola- to, ha due plasmi distinti, cioè un esoplasma a finissime striature e un endoplasma granuloso, contenente globuli di clorofilla (fio. 4). L’embrione dell’ Arcella continua ad aumentare di diametro; diventano sempre più distinte le striature dell’esoplasma e mag- giore il numero e la grandezza dei granuli di clorofilla introdotti nell’endoplasma; il nucleo nucleolato si fa più ampio e distinto, e il contorno del corpo diventa più regolare (fig. 5 e 6). I moti ameboidi van sempre più diminuendo, e l’embrione dell’ Arcella finisce a ridursi in una quasi completa immobilità. Intanto l’evoluzione rapidamente continua; il protoplasma, già differenziato in esoplasma ed endoplasma, sale ad un più alto grado di differenziazione; si forma il mesoplasma, fenomeno con- trassegnato, oltrechè dalla visibile differenza tra i plasmi, anche ' VAN BENEDEN, Recherches sur Vévolution des Grégarines. Mém. extr. du Bulletin de V Académie royale de Belgique, 1871. 2 LeoPoLDo MAGGI, Intorno alla comparsa del nucleolo nello sviluppo d’ alcuni Protozoîi. — Rend. Ist. Lombardo, 22 giugno 1876. ® LeoPoLDO MaAGGI, Loc. cit., pag. 2. 340 G. CATTANEO, dalla apparizione della vescicola contrattile (fig. 7, vc), la quale ha una posizione costante, cioè sta nel mesoplasma e protrude nell’ endoplasma. Questo fatto della formazione del mesoplasma durante lo sviluppo dell’Arcella ha un interessante riscontro in altre osservazioni di mesoplasma, fatte in taluni rizopodi affini all’ Arcella, come nell’ Amoeba verrucosa Ehr., nell’ Amoeba Lie-. berkiihnia Mag., e, più caratteristicamente, nel Podostoma filige- rum Clap. e Lach., in cui il mesoplasma, come osservò il pro- fessore Maggi' e come io potei confermare,’ si forma fin dai primi stadj di sviluppo, è più chiaramente distinguibile che in alcun altro rizopodo, e ha un’alta importanza fisiologica, gene- randosi da esso i pseudopodi prensili flagelliformi, tanto carat- teristici in questa specie di rizopodo. Con la comparsa del mesoplasma e della vescicola contrattile abbiamo dunque la giovane arcella (fig. 7), la quale è ormai di- ventata perfettamente stazionaria. La evoluzione progredisce an- cora; il diametro dello sviluppantesi rizopodo divien sempre mag- giore; s' aumenta ancora l’attività nutritiva, tantochè nell’endo- plasma si trovano, oltre i granuli di clorofilla, anche frammenti di desmidiee e qualche diatomea (fig. 8, d); e per qualche tempo non ha luogo modificazione d’importanza, se non che le stria- ture dell’esoplasma divengono sempre più decise, anzi tutto l’e- soplasma striato presenta un aspetto a doppio contorno, e si distingue nettamente dal resto dell’animale, intorno a cui forma una zona di colore giallo-chiaro, che poi diventa più intenso e s’ avvicina all’ aranciato (fig. 8, 9, 10, es). Un altro fenomeno notevole, e che contrassegna la crescente età dell’arcella svilup- pantesi, è la formazione di parecchie vescicole contrattili (fig. 10, vc), che nell’ esemplare da noi osservato ascendono a quattro, e 1 LeoPoLpo MaaaI, Intorno aî rizopodi d’acqua dolce della Lombardia, e in par- ticolare del Podostoma filigerum Clap. e Lach. — Kend. Ist. Lomb., serie II. vol. IX Seduta 6 luglio 1876. i ? GiacoMo CATTANEO, Intorno all’Anatomia e Fisiologia del Podostoma filigerum Clap. e Lach. — Atti Società Italiana di Scienze naturali, vol. XXI. Seduta 31 marzo 1878. 9 e, TA We Pe Ae : € INTORNO ALL’ONTOGENESI DELL’ARCELLA VULGARIS EHR. 341 la presenza di un vacuolo o globulo del chimo nell’endoplasma (fig. 10, 7). Altro non manca alla giovane arcella per diventare arcella completa, che la secrezione del guscio, ed esso infatti comincia ad apparire, sottilissimo ed incoloro, con le sue faccette esago- nali, e comincia a dare all’arcella quell’elegante aspetto retico- lare, che le è proprio (fig. 11). L’arcella, oramai quasi giunta al suo completo sviluppo, diventa sempre più grande; come già s’ erano formate, in contrassegno dell'avanzata evoluzione, pa- recchie vescicole contrattili, ora si formano parecchi nuclei (nel- l’esemplare da noi osservato sono in numero di due, vedi fig. 12, ). L’esoplasma, fortemente striato e intensamente colorito in giallo- rosso, assume una regolarissima figura circolare; le reticolazioni del guscio appajono sempre più evidenti; il guscio stesso, dive- nendo sempre più solido e denso, comincia a colorarsi in giallo, e nel suo lato ventrale appare distintamente il pertugio circolare (fig. 12, 7). Così siam giunti dal germe all’ arcella completa, alla quale non manca che d’acquistare un guscio più solido, di color giallo intenso, e in seguito aranciato e bruno, e di avere un maggior numero di nuclei e di vescicole contrattili, per divenire un’Arcella adulta. Ecco in tal modo brevemente tratteggiata l’ ontogenesi del- l’ Arcella vulgaris Ehr. In conclusione, dunque, per quanto ri- sulta dalle osservazioni del Biitschli (conjugazione) e dalle mie ricerche (ontogenesi), il fenomeno riproduttivo nell’ Arcella vul- garis ha luogo come segue: Due o tre individui si uniscono in conjugazione o zigosi, in seguito a cui alcuni di essi producono per segmentazione del loro protoplasma, dei germi, che poi si svilupperanno. Fin qui il Biitschli. Quanto all’ontogenesi di questi germi, io riassumo e ordino le osservazioni, che ne ho fatto, distinguendo i seguenti: Stadj di sviluppo dell’ ArceLLA vuLaarIs Ehr. 1.° StapIo. Corpuscoli riproduttivi, immobili, aggregati, indif- 342 G. CATTANEO, ferenti, senza nucleo e vacuoli pulsanti, giacenti nel corpo del- l’arcella. 2.° SrapIo. Germi a forma e moto ameboide, con vacuolo pul- sante e nucleolo, ma senza differenziazione protoplasmatica, che prima stan disposti in fila, poi strisciano nel corpo materno e ne escono. 3.° StADIO. Germe ameboide autonomo, che si move con larghi e brevi pseudopodi, a protoplasma differenziato in endoplasma ed esoplasma; l’endoplasma forma la cavità gastrica contenente granuli di clorofilla e il nucleolo; l’esoplasma forma un velo ja- lino intorno a quello. 4.° StADIO. Embrione dell’arcella, in cui i moti ameboidi si ral- lentano e poi si estinguono, con esoplasma striato e con nucleo formatosi intorno al nucleolo. 5.° STADIO. Giovane arcella, immobile, a protoplasma differen- ziato in esoplasma, mesoplasma, endoplasma, con vescicola con- trattile; e in una più avanzata evoluzione con parecchie vescicole contrattili, con globuli del chimo e con l’esoplasma formante una distinta zona gialla a striature. 6.° Stapio. Arcella completa. Stadio segnato dalla secrezione del guscio, dalla regolarità della forma e dalla comparsa del per- tugio circolare e di parecchi nuclei. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. es. Esoplasma. mes. Mesoplasma. end. Endoplasma. n'. Nueleolo. N. Nucleo. vac. Vacuolo pulsante. ve. Vescicola contrattile. Granuli di clorofilla. Diatomea. v. Vacuolo del chimo. gs. Guscio. f. Foro circolare. a ” Atti d.Soc.Ital.d.Sc.Nat.XXI, tav. 6 anco, Arcella.valgaris CS I14 , D il Lit. Ronchi iacomeo Cattarieo dus MP dad i è A e da INTORNO ALL’ONTOGENESI DELL’ARCELLA VULGARIS EHR. 343 Fig. 1. Corpi riproduttori dell’ Arcella vulgaris Ehr., immobili, indifferenti, senza nucleo e senza vacuoli (dalla fig. 4 della tavola unita alla Memoria di O. Biitschli: Zur Kenntniss der Fortpflanzung bei Arcella vulgaris Ehr.). >» 2. Germiì ameboidi (del Biitschli), con nueleolo (2') e vacuolo pulsante (vac), disposti in doppia fila entro il corpo materno (dalla fig. 2 della tavola unita alla Memoria succitata). » 3. Germe libero dell’ Arcella vulgaris Ehr, con esoplasma (es), endoplasma (end), granuli di clorofilla (9) e nucleolo (#°). >» 4. Embrione dell’ Arcella vulgaris Ehr., quasi immobile, con esoplasma striato (es), ed endoplasma (end) contenente granuli di clorofilla e nucleo nucleo- lato (n). >» 5. Embrione e. s. a un più avanzato stadio di sviluppo. » 6. Embrione c. s. a un più avanzato stadio di sviluppo. » 7. Giovane Arcella, stazionaria, con esoplasma striato (es), mesoplasma (mes). endoplasma (end), nucleo nucleolato (n) e vescicola contrattile (vc). » 8. Giovane Arcella, con esoplasma formante una zona gialla striata (es), me- soplasma (mes) contenente la vescicola contrattile (vc), ed endoplasma (end) contenente il nucleo nucleolato (n), granuli di clorofilla ed una dia- tomea (d). » 9. Giovane Arcella c. s. a un più avanzato stadio di sviluppo. » 10. Giovane Arcella, con esoplasma formante una zona aranciata a striature (es), con mesoplasma (mes) contenente quattro vescicole contrattili (vc), e con endoplasma (end) contenente un nucleo nucleolato (x), granuli di cloro- filla e un globulo o vacuolo del chimo (v). 11. Arcella completa, coperta da guscio sottile ed incoloro (gs), con esoplasma formante una zona aranciata a striature (es), mesoplasma (mes) conte- nente due vescicole contrattili (vc), ed endoplasma (end) contenente un nucleo nucleolato (n). » 12. Arcella completa, coperta da guscio alquanto denso e giallastro (9s), forato al centro (f), con esoplasma (es) perfettamente circolare, formante una zona aranciata a forti striature; mesoplasma (mes) con due vescicole con- trattili (vc), endoplasma (end) contenente globuli di clorofilla, frammenti di desmidiee e due nuclei nucleolati (%). x» NUOVA ANALISI CHIMICA DELL'ACQUA MINERALE DETTA DI S. PANCRAZIO 1N TRESCORE BALNEARIO, PROVINCIA DI BERGAMO eseguita per commissione DELL’ ONOREVOLE MUNICIPIO DI BERGAMO dal prof. Petro Potti e dal dott. PANTALEONE LuCcHETTI. (Tav. 72.) I. Ragione dell'analisi. — Cenno geologico. È un fatto ben noto che le acque, dette minerali o medicinali, . dalle sostanze che tengono in soluzione e dall’azione, che mercè di queste, dispiegano sul nostro organismo, provano col tempo, talora a brevi intervalli, secondo le stagioni ed alcune anche nel periodo di una giornata, notevoli cambiamenti non solo nella temperatura e negli altri caratteri fisici, ma ancora nella natura e nelle proporzioni dei principî mineralizzatori, talmente che per- dono qualche volta affatto le loro virtà mediche, tal’altra invece ne acquistano delle nuove e preziose. La temperatura di molte sorgenti minerali va gradatamente abbassandosi a misura, cioè, che pei loro stessi depositi si pro- .lungano i loro canali sotterranei; altre al contrario, grazie alle oscillazioni del suolo, e sopratutto ai moti sismici, che cambiano la disposizione relativa degli strati, chiudono gli antichi sbocchi, aprono alle acque nuove vie e determinano negli strati ed in di- versi sensi, soluzioni di continuità: da fredde si fanno termali e perfino bollenti, da limpidissime scaturiscono torbide, da ricche in principî minerali, per la loro mescolanza colle acque dolci e colle piovane, si diluiscono così da potersi usare allora come acque potabili, o finalmente attraversando nuovi strati, di no- NUOVA ANALISI CHIMICA DELL’ACQUA DI S. PANCRAZIO. 345 velli principî si caricano, per modo che una stazione balnearia può subire una completa rivoluzione.' | Le prove incontrastabili di questo difetto di permanenza nella composizione chimica delle acque minerali, si hanno segnata- mente nella natura dei depositi, formati a diverse epoche dalle acque stesse. Ne consegue l'utilità, diremo meglio la necessità, che dopo un certo numero di anni, si proceda ad una nuova analisi di un’ac- qua minerale, onde assicurarsi della sua composizione, delle nuove qualità acquisite, di quelle perdute, quindi del grado di sua ef- ficacia terapeutica, indagare le cause di tali cambiamenti, e se è il caso, porvi rimedio. In quest’ ottimo divisamento venne l’onorevole Municipio di Bergamo, rispetto all’antica e celebrata fonte di S. Pancrazio in Trescore Balneario, fonte che alimenta il grandioso e comodo stabilimento balneario, di ragione della città di Bergamo. Tre- score Balneario ha la fortuna di riunire ad un’amena e ridente postura e pittoreschi dintorni, clima mite e costante, aere salu- bre e non soggetto ad improvvisi squilibrî, caratteri che la costi- tuiscono in Italia una delle migliori e più frequentate stazioni balnearie. L’onorevole Municipio di Bergamo volle a noi affidato 1’ inca- rico di istituire una nuova analisi della detta sorgente, ed i re- latori per meglio corrispondere a tale atto di fiducia, non si con- 1 Perchè non si creda gratuita od almeno esagerata la nostra asserzione, sce- gliamo fra i numerosi esempî, alcuni dei più significativi. Le famose acque di Steinbad, a Toeplitz, secondo l’ illustre chimico Berzelius, conterrebbero appena tracce dei sali, che trent'anni prima le avevano fatte classificare fra le acque sa- line meglio caratterizzate. Nelle sorgenti salate di Halle, la maggior parte della calce che contenevano, è stata gradatamente sostituita dalla magnesia (Hermann) Le celebri acque di Pyrmont godrebbero della singolare proprietà di essere alca- line e gasose durante i mesi più caldi dell’anno, mentre durante l'inverno que sti sali scomparirebbero (Struve). Nè le acque di Saint Nectaire e di Vichy non of- frono più la stessa ricchezza in sostanze minerali come altra volta (Lecoq). Alcune acque solforose (e sono fra le più facilmente alterabili), non sono tali che durante l’ estate (Fontan). La famosa acqua iodurata di Saxon nel Vallese, d’ ora in ora ed anche ad intervalli più brevi, di mezz’ ora e meno, si presenta più o meno ricca in iodio, da alcuni centesimi di milligrammo fino a più centigrammi per litro (Morin). 346 P. POLLI E P. LUCCHETTI, AR: tentarono d’ una analisi chimica condotta nei modi consueti, ma vi applicarono quei due potenti mezzi d’ indagine che sono lo spettroscopio ed il microscopio, specialmente come mezzo di con- ferma e per la ricerca dei principî esistenti nell'acqua minerale in così tenui proporzioni che ai mezzi ordinarî sarebbero sfug- giti, non che per lo studio dei protorganismi che in essa vivono. Se si mettono a confronto colla nuova analisi, da noi eseguita, quelle che sulla detta fonte hanno successivamente istituite i professori G. Maironi da Ponte, Luigi Brugnatelli, l’Alemanni, il padre O. Ferrario, i farmacisti Marenesi e Ruspini, e che quì ap- piedi riportiamo,' e fatta la debita parte al processo seguìto ed al modo di combinare gli elementi riscontrati, risulterà in una ma- niera evidente la verità messa avanti, cominciando, cioè la variabi- lità di composizione delle acque minerali, anche a brevi intervalli. L’acqua minerale in discorso, la cui scoperta si fa risalire al secolo VIII, scorre sempre nascosta sotterra fino al punto di sua ! Analisi di G. MATRONI da Ponte Analisi di Luigi BRUGNATELLI (1782). (1793). In ogni libbra d’acqua: In ogni libbra d’acqua : Gas idrogeno solforoso, pollici cub. 1 '/,;3 | Gas idrogeno solforoso, poll. cub. 1 ‘/,; Carbonato di calce . . . grani 4 » acido carbonico . » '/; Aria fissa . . . . pollici cub. 1/, | Carbonato di calce. . . grani 44/, Sal «marino «si; ia grani 15 Muriato di soda . . . . >» 15 1/,9 Solfato di soda «. . .. > i Salle 1° Analisi di ALEMANNI Analisi del padre 0. FERRARIO (1813). (1840). In un chilogrammo d’acqua : In un chilogrammo d’acqua: Gas acido carbonico libero, poll. cub. 2,28 | Acido solfidrico . . . grammi 0,0650 » ». solfidrico libero » 2,05 » carbonico . . » 0,1398 dui Rilioioò une » 0,0550 Cloruro di sodio . . » 0,7143 Cloruro di sodio . . . grammi 0,8681 3 di magnesio . si 0,2714 » di magnesio . . » 0,0289 5 di caieto © —. 5 0,0851 Carbonato di ferro . . » 00058 | solfato di magnesia . È 0,1616 » di magnesia . » 0,0434 » di ‘soda 70% 3 0,1602 » di calco . . » 02459), dicalce .. . ; 0,1083 Solfato di magnesio . . —» 0,1924 | Garbonato di calce. . > 0,0889 Biligo .: e «lia a, ee > 00116 | Materia organica . . » 0,1150 ACQUE: a ro » —998,0894 Totale grammi 1,3961 1000,0000, NUOVA ANALISI CHIMICA DELL'ACQUA DI S. PANCRAZIO. 347 emergenza, situato nell'interno dello stabilimento balneario, e dove raccogliesi in un pozzo costrutto in pietrà e che mantiensi sempre chiuso con lastra di marmo. Se sconosciuti ci sono gli strati che l’acqua di S. Pancrazio attraversa e dove si mineralizza, possiamo, basandoci sull’identità di composizione chimica ch’ essa presenta con quelle di valle Imagna e di Brembilla, ritenere che con quelle abbia del pari comune anche l’ origine; quindi molto probabilmente derivi dal terreno infraliasico, costituito da argilloscisti fissili e calcari bi- tuminosi, ricchi di fossili e di solfuri (piriti) sottoposto alla do- lomia liasica che forma i monti circostanti a Trescore, mentre si presenta allo scoperto, potente e così bene caratterizzato nelle valli summenzionate, e dalla cui degradazione esse derivano. Le materie organiche (per esempio, la bituminosa) di cui abbon- dano gli strati infraliasici, ridurrebbero i solfati alcalini ed alcalini- terrosi che fanno parte della citata formazione, o che si trovano già disciolti nell'acqua circolante, in solfuri; ma una parte di questi, in presenza dell’anidride carbonica, e dei bicarbonati, si decompor- rebbe sviluppando acido solfidrico e generando un carbonato.* Analisi di G. RUSPINI Analisi di G. MARENESI (1845). (1846). In un chilogrammo d’acqua: In un chilogrammo d’acqua: Ac. carbonico libero gr. 0,1261=320-c,475 | Sesquieloruro di ferro . grammi 0,0271 Idrogeno solforato » 0,0655=55cc,,902 | Cloruro di calcio . . . » 0,0752 Cloruro di sodio . >» 0,6344 » di 80d19"< cavia p.1-0*.(58255 » di magnesio >» 0,5726 » di magnesio . . » 0,5249 Ioduro di sodio . » 0,2257 Solfato di soda. . . . » 0,0893 Bromo (allo stato di » di magnesia . . » 0,0810 bromuro) c + >» tracce » di calce aI° Pia a » 0,0767 Solfato di magnesia » 0,0629 Carbonato di ferro . . » 0,0264 pi di soda . » 0,0628 » di calce . . » 0,2110 N di calce . >» 0,0217 » di magnesia . » 0,1101 Carbonato di calce . >» 0,2201 SOG ci n » 0,0693 Ma I n.003, 00109 UT ARI LEE » 0,0091 Materia organica . >» 0,0687 Materia organica, resino- sa, solfurea . . . » 0,0301 Sostanze fisse gr. 1,8798 Perdita. . . . . . > 0,0144 Totale grammi 2,1701 ‘È probabile che la pirite di ferro abbia una parte non indifferente nella mine- ralizzazione dell’acqua, il che avverrebbe non di primo getto, ma per una serie di rea- 348 P. POLLI E P. LUCCHETTI, Dalla gentilezza del signor dottor Giovanni Comotti versatis- simo nella geologia, segnatamente della provincia bergamasca, potemmo avere le seguenti notizie sulla costituzione geologica dei dintorni di Trescore, e lo schizzo che l’accompagnano: “I a e ii E 3 B, è Dd Unitn Ca . Pd Oi LEMPES i = la) i S (ann. O di n “ue : SÉ SR iti pos 3 2% E QE ,S d Sd Ò n od DO md . 2 [a = > $i é $ £ & Si 2 (O) vo (SÌ Di È 5 Em QUA E (0), (=5 (© À O) O ;> d leo) : d * fa d È e) (oo) (do P>_NP> = > ZH > Zi Ku Re etero RE tn 9 3 I ti iu %, " cari liasici . . cari liasici . Dolomie e cal- Dolomie e cal- Intrelass es.ì n n Sd GF = pesi Sd d & & [© tei ba terreni di Trescore, compresa la dolomia di Zandobbio e di No- vale, appartengono (salvo qualche lembo di cretaceo in Val di zioni, ed ecco come: la pirite di ferro in presenza dell’aria e dell’acqua circolante, si solfatizza, ed efflorescenze vitrioliche non sono rare alla superficie dei citati argillo- scisti, il solfato di ferro per ossidazione ulteriore si cambia in limonite, e strate- relli, macchie, punti di questa sono del pari cose comunissime agli stessi argilloscisti. L’acido solforico reso libero, reagirebbe sui calcari a contatto o sul bicarbonato sciolto nell’acqua circolante, generando del gesso; questo passerebbe a solfuro, per riduzione operata dalle sostanze organiche; il solfuro di calcio in parte rimarebbe sciolto come tale, ed in parte verrebbe decomposto dall’anidride carbonica rigenerandosi bicarbo- nato di calce e sviluppando acido solfidrico. Questi fatti vengono offerti in un modo molto evidente dagli argilloscisti bituminosi triasici di Besano, dove fra gli straterelli papiracei dei suddetti scisti si osservano cristallini piccolissimi di. gesso, disposti, in generale, intorno ad un centro così da costituire come delle stellette. Due altri fatti recentemente osservati dal chiarissimo prof. Taramelli confermerebbero questo modo di vedere: 1.° il gesso cristallizzato nello sfacelo porfirico del M.e Civillina (Vicenza) per la decomposizione di una pirite in filoncelli nel detto porfido; il gesso quivi, in buona parte rimane, in parte sciogliesi nell’ acqua che, se contiene sostanze organi- che, si riduce sviluppandosi acido solfidrico. 2.° Le acque vitrioliche arsenicali di Roncegno, in Valsugana, che sono il prodotto di solfatizzazione di un ammasso di Mispickel. NUOVA ANALISI CHIMICA DELL'ACQUA DI S. PANCRAZIO. 349 Lesse e sopra Entratico) alla formazione liasica, nello sviluppo dei suoi tre membri, cioè lias superiore (sud del monte Misma), lias medio (Entratico, Val di Lesse, ecc.), lias inferiore (nord del monte Misma, dolomia di Zandobbio, la quale in prova di ciò, contiene numerosi fossili caratteristici, cioè rinconelle, tere- bratule, pecten, ecc.). Codesta dolomia, che noi chiamiamo liasi- ca, avente l’ origine da speciali sorgenti sottomarine ricche di magnesia e che nel terreno di cui parliamo appariscono disse- minate qua e là (Almenno, per esempio), subì gli effetti di un sollevamento, e con esso è stato sollevato anche il terreno in- fraliasico, che secondo l’età geologica sta immediatamente sotto all’ultimo membro del lias. In conseguenza tirando una linea da ovest ad est, troviamo l’infralias rialzato formare la valle di 5. Omobono e di Brembilla, scendere rapidamente per lasciar posto ai terreni del lias, nell’ attraversamento delle valli Brem- bana e Seriana, sollevarsi sotterraneo (in quel punto ben inteso, non più a nord, ove affiora) nella valle del Cherio a Trescore, ridiscendere sotto Grone per risollevarsi ed affiorare a Fonteno presso ll lago d’ Iseo ,,. Conchiude il lodato geologo potersi molto ragionevolmente sostenere che la scaturigine di Trescore derivi dal terreno infraliasico. II. Caratteri fisici. LI L’acqua scaturisce perfettamente limpida ed incolora e tale si è mantenuta oltre cinque mesi, chiusa ermeticamente in bottiglie, conservando tutti i suoi caratteri, circostanza preziosa dal punto di vista del trasporto dell’acqua e del suo uso a domicilio. Ab- bandonata in vaso aperto, in pochi minuti assume una tinta giallo-verdognola, poi si fa lattescente e lo diviene completa- mente in capo ad un’ora circa, deponendo solfo. Nel pozzo chiu- so, in cui si raccoglie, non va soggetta ad alterazione pei cam- biamenti atmosferici, e neppure nei giorni di pioggia dirotta, come ebbimo ad assicurarci il giorno della nostra visita alla fonte, il 29 giugno scorso. Spande un forte odore di acido solfidrico, e nei giorni in cui 350 P. POLLI E P. LUCCHETTI, minaccia la pioggia, l’ odore si avverte a 100 e più passi di di- stanza, in conseguenza della minore pressione; l’odore riesce in- tenso quando se ne introduca un volume per circa metà di ca- pacità in una bottiglia in cui venga agitata; si sviluppa allora gran copia di acido solfidrico, in bollicine, mescolato con aria ed un po’ di anidride carbonica. Possiede sapore epatico sulle prime, indi salato secondo gli uni, dolcigno od amarognolo secondo altri. " La sua temperatura fu trovata = 13°,75 C,°} segnando il ter- mometro all’ aria a nord ed all'ombra +4 18°,75' C; pressione atmosferica = 0",74, e nell’ acqua del fiume Cherio, che scorre dappresso + 19° C. Il suo peso specifico si trovò col picnometro = 1,00234 a + 22° C. III. Indagini analitiche alla fonte. 1, 2) La cartolina reattiva di tornasole, immersa nell’ acqua e lasciatala a contatto con essa per alcuni minuti arrossa, per ripigliare il suo primitivo azzurro asciugando (acido carbonico libero e dei bicarbonati); la cartolina di tornasole arrossato, im- mersa parimenti nell’ acqua, indica una reazione distintamente alcalina (sali alcalini). 8) La cartolina reattiva di acetato di piombo immersa diret- tamente nell'acqua minerale o sospesa nel collo di una bottiglia contenente detta acqua, imbrunisce dapprima e poi si fa nera (acido solfidrico libero). 4) Anche una lamina d’argento forbita, in breve nell’acqua solforosa acquista un colore giallo-bruno iridescente (idem). 5, 6) Il nitroprussiato di sodio, in soluzione acquosa, versato a goccie in una certa quantità dell’acqua minerale, offre una se- 1 1 Secondo i dottori Carrara e Comi =' 169,250. » » Giuseppe Pasta = 170,50 C. » Meli = 18,750 0, » I Maironi = 18,75° . » Ruspini = 15° C. Temper, dell'atmosfera + 27° C. NUOVA ANALISI CHIMICA DELL'ACQUA DI S. PANCRAZIO. 351 rie di tinte fugaci dal rosso all’azzurro, al violaceo, al verde (reazione che indica la presenza di un solfuro alcalino). Se si scaccia dall'acqua tutto l’acido solfidrico mediante la ebollizione ed in presenza di una corrente d’idrogeno puro e lavato, la rea- zione del nitroprussiato sodico torna a mostrarsi colla serie suc- cessiva dei colori, il che riconferma l’esistenza nell’acqua mine- rale di un solfuro alcalino. 7, 8, 9) L’acqua di calce versata in un volume presso che uguale d’acqua minerale, determina un forte intorbidamento, se vi si aggiunge altra acqua minerale, l’intorbidamento od il pre- cipitato bianco di carbonato di calcio, scompaiono (reazione del- l’acido carbonico libero e dei bicarbonati). La presenza del bicar- bonato di calcio è affermata altresì dal bel colore violaceo, che poche goccie di tintura di campeggio comunicano all'acqua mi- nerale ed all’intorbidamento e successivo precipitato che si pro- duce facendo bollire un po’ a lungo l’acqua minerale stessa. 10) Aggiunto cloruro ammonico, ammoniaca ed ossalato am- monico all'acqua minerale, si ottiene un immediato intorbida- mento bianco e successivo deposito (reazione che indica la pre- senza della calce). 11) Separato, mediante filtrazione, questo precipitato ed ag- giuntovi fosfato sodico e dell’ammoniaca, si ebbe, dopo agitazione, un sensibile precipitato bianco cristallino, di fosfato ammonico- magnesiaco, che accenna alla presenza nell’ acqua minerale di magnesta. i 12) Acidulata leggermente l’acqua con acido nitrico e poscia trattata con soluzione di nitrato di bario, si manifestò sull’i- stante un sensibile intorbidamento bianco che diè luogo in breve ad un deposito bianco, pesante: ciò dimostra evidentemente la presenza nell’acqua in discorso, dell'acido solforico allo stato di solfato. 13) Acidulata egualmente con acido nitrico l’acqua minerale e fatta bollire un po’ a lungo onde decomporre i carbonati, i solfuri e spostare l’ acido solfidrico, quindi trattato con nitrato d’argento, si ebbe un abbondante precipitato bianco caseoso di 352 P. POLLI E P. LUCCHETTI, cloruro d’argento (reazione dell’ acido cloridrico e dei clorurî); il precipitato riesce bruno se si aggiunge il reattivo all'acqua na- turale, essendo in allora costituito d’una mescolanza di cloruro, di solfuro e di carbonato argentico. 13, 15, 16) Col solfocianuro di potassio, col ferrocianuro di potassio, coll’acido gallico, si ottengono reazioni che accennano a tenuissima proporzione di ferro presente allo stato salino nel- l’acqua minerale. Le ricerche istituite sull’acqua nel laboratorio del R. Istituto Tecnico di S. Marta in Milano, e di cui per brevità se ne om- mette la descrizione, accertarono l’ esistenza dell'anidride silicica (silice), dell’ allumina (traîce), della soda, della potassa, tracce di litina, dietro le fuggevoli sì, ma abbastanza distinte linee ca- ratteristiche del litio osservate collo spettroscopio,' del bromo (tracce) e materia organica; risultati negativi diedero invece le ricerche fatte per indagare gli acidi borico, nitrico, fosforico, il fluoro, la barite, la stronziana, il manganese e l’arsenico. Riassumendo, i saggi qualitativi istituiti sopra l’ acqua mine- rale in questione ci dimostrarono, per mezzo delle note reazio». ni, l’esistenza delle seguenti sostanze: Basi. Acidi ed alogeni. Soda Acido carbonico Potassa » SOlfidrico Litina (tracce) » *salforico Calce » Silicico (anidride silicica) Magnesia Cloro Allumina (tracce) Bromo (tracce) Ossido ferroso Iodio Sostanze indifferenti. Materia organica. Aria atmosferica. i I composti di litio furono rinvenuti, d’ordinario in tenuissime proporzioni, in un grandissimo numero di acque solforose, e, limitandoci alle italiane, citeremo quella di Acqui (Bunsen), di Tabiano (Del Bue e Piroli), di Berbenno (Bertazzi), di Arta nel Friuli (Cossa), e di Bacedasco nel Piacentino (Kérner). the idia NUOVA ANALISI CHIMICA DELL'ACQUA DI S. PANCRAZIO. 353 IV. Risultati dell'analisi quantitativa. 1.° MATERIE FISSE. Si evaporano a bagno d’arena, in capsula di platino ta- rata, 250” © dell’acqua minerale, dopo di avere aggiunto gram- mi 0,5 di carbonato di sodio arroventato, si essicca il residuo in bagno d’aria a + 120° C e si pesa. Dedotto il peso del carbo- nato di sodio, quello delle materie fisse risulta di gr. 0,64725 (media di due determinazioni) e quindi di grammi 2,58900 per litro. 2.° SOSTANZA ORGANICA. — RESIDUO MINERALE. Si arroventò moderatamente il residuo ottenuto nella prece- dente operazione, sufficiente però a bruciare la materia organica e, raggiunto questo termine, si aggiunse nella capsula del car- bonato ammonico onde ripristinare i carbonati terrosi stati de- composti dal calore; si fece con blando calore volatilizzare l’ec- cesso del sale, quindi si pesò il residuo. Si trovò il peso primi- tivo ridotto a gr. 0,61204: la diminuzione in gr. 0,03521, è da attribuirsi alla sostanza organica, più lo solfo che si pre- cipita coi carbonati terrosi durante la evaporazione, ciò che fa- rebbe grammi 0,14084 per litro di sostanza organica. Ma da questa bisogna sottrarre grammi 0,0477 di solfo che si preci- pita nell’evaporazione a secco di un litro d’acqua minerale, e quindi la sostanza organica propriamente detta, si riduce a grammi 0,09314 per litro. Sottraendo dal peso del residuo sec- co, quello della sostanza organica e dello solfo precipitato, si ha il peso delle materie minerali fisse in soluzione in un litro d’acqua minerale, e precisamente grammi 2,44816. 3.° DETERMINAZIONE DELL'ACIDO SOLFIDRICO LIBERO E COMBINATO. L’acido solfidrico totale è stato determinato alla fonte me- diante il processo Dupasquier; la media di otto determinazioni (di cui la massima =10°,3 e la minima 10°25 gradi solfidome- Vol. XXI. 23 354 P. POLLI E P. LUCCHETTI, trici) risultò =10°,3 alla temperatura ambiente di 21°,25 C. per curisultano 10°,3 x< 0,994 (correzione dovuta alla tempera- tura), ossia 10°,238 alla temperatura normale, che corrisponde a gradi solfidrometrici 40°,952, equivalente a grammi 0,055389 di acido solfidrico ebgra e combinato per ogni litro d’acqua mi- nerale. A conoscere la quantità di acido solfidrico che si trovò in so- luzione nell’acqua minerale allo stato di solfuro, la cui presenza era già stata messa in evidenza colla reazione del nitroprussiato sodico, si preferì agli altri il metodo di Simmler, che consiste nello spostare da una determinata quantità d’acqua minerale, tutto l’ acido solfidrico libero per mezzo d’una corrente d’ idro- geno puro e lavato, mantenendo nel tempo stesso l’ acqua in continua ebollizione, finchè i vapori che si svolgevano dall’ap- parecchio non avevano più azione sensibile sulla cartolina di ace- tato di piombo previamente inumidita e con persistenza mante- nutavi esposta. Si passò quindi ad un saggio solfidrometrico, ri- pristinando il volume primitivo con acqua distillata; si ebbero gradi solfidometrici 3°,6. per ogni litro di acqua minerale, quindi grammi 0,004868 di acido solfidrico combinato, che sottratto dalla quantità totale, dà grammi 0,050521 di acido solfidrico li- bero per litro. Un mese dopo di essere stata chiusa ermetica mente in bottiglia, possedeva ancora lo stesso grado solfidrome- trico. 4.° DETERMINAZIONE DELL'ACIDO CARBONICO TOTALE. Anche questa determinazione è stata eseguita alla fonte, mi- surando in recipiente di vetro graduato ed a perfetta tenuta d’aria, 1000** d’acqua minerale, aggiungendovi, in legger ec- cesso, una soluzione preparata di fresco di cloruro di calcio am- moniacale; dopo tre giorni di contatto e ripetute agitazioni, si lasciò in riposo ancora perchè il precipitato si raccogliesse più completamente che possibile sul fondo del vaso; precipitato bianco, in massima parte costituito da carbonato di calcio, che si raccolse sul filtro e venne ripetutamente lavato con acqua ai ca Rei i cin PERETETE TIVA ' NUOVA ANALISI CHIMICA DELL'ACQUA DI S. PANCRAZIO. 355 distillata e bollente, mantenendolo fuori del libero contatto del- l’aria. Si trattò il precipitato sul filtro con acido cloridrico puro e diluito fino a cessazione di ogni effervescenza, ed il filtro, la- vato ad oltranza con acqua acidulata dallo stesso acido. La so- luzione, colle lavature, venne ridotta a secchezza in capsula di platino, indi leggermente arroventata; il residuo venne ripreso con acqua distillata, agidulata con acido nitrico; la soluzione venne filtrata, il filtro, lavato ripetutamente con acqua calda ed acidulata con acido nitrico, indi precipitata compiutamente con nitrato d’argento. Il precipitato venne raccolto sopra di un filtro, lavato, essiccato, fuso e pesato, ed il suo peso risultò di grammi 2,059, che corrisponde a grammi 0,31666 di acido car- bonico totale per litro, che è poco più della quantità richiesta per trasformare in bicarbonati solubili, le basi terrose non sali- ficate da acidi energici e l’ ossido ferroso contenuti nell’acqua minerale. NB. La debole proporzione dell’acido carbonico in eccesso su quello dei bicarbonati, ossia libero, si spiegherebbe ammet- tendo che in presenza di un solfuro alcalino, e l’acqua sottopo- sta all’analisi contiene del solfuro di sodio, l’acido carbonico che potrebbe trovarsi libero, lo decomporrebbe sviluppando acido solfidrico e generando un carbonato. Indi per successive doppie decomposizioni, gli elementi si ridurrebbero alla forma salina che loro abbiamo attribuita. 5.° DETERMINAZIONE DEL CLORO. Si concentrò, in presenza di acido nitrico, litri 0,500 d’acqua minerale a piccolo volume e si aggiunse soluzione di nitrato d’argento. Si ottenne un precipitato bianco caseoso (cloruro, i0- duro, bromuro d’argento) che venne raccolto su filtro, lavato, essiccato, fuso e pesato; il suo peso risultò di grammi 2,360 che corrisponde a grammi 4,720 per litro d’acqua e che dimi- nuito dell’ioduro d’argento (grammi 0,000995) trovato con ap- posita determinazione, rimangono grammi 4,719005 di cloruro d’argento, corrispondente a grammi 1,16741 di cloro in un litro d’acqua. N 356 P. POLLI E P. LUCCHETTI, 6.° DETERMINAZIONE DELL’ IODIO. Colla evaporazione a bagno di sabbia, si ridussero a secchezza litri 25 d’acqua minerale, aggiungendovi previamente grammi 1,5 di soda caustica pura. Il residuo secco (pesante grammi 67,410, dedotto il peso della soda) ridotto in polvere diligentemente, venne a più riprese trattato con alcool assoluto, lasciandovelo ogni volta a contatto per 24 ore circa” Filtrata la soluzione al- coolica, evaporata fino a secchezza, si disciolse con nuovo alcool il residuo, e condotta a secchezza anche questa seconda soluzione alcoolica, si disciolse la materia rimasta in piccola quantità d’ac- qua distillata, filtrata la soluzione, acidulata leggermente con acido cloridrico e trattata con tenue eccesso di soluzione di clo- ruro di palladio, diede un precipitato nero di ioduro palladoso, che 24 ore dopo venne raccolto su filtro tarato, lavato con una mescolanza di alcool e di etere, quindi con acqua, asciugato e pesato. Il suo peso netto risultò di grammi 0,0618 che diviso per i 25 litri d’acqua minerale dà grammi 0,000672 corrispon- denti a grammi 0,000479 di g7110;00297 E forma cloruro di potassio . . . . gr. 0,00625 PR E a O NUOVA ANALISI CHIMICA DELL'ACQUA DI S. PANCRAZIO. 361 In un litro d’acqua minerale: . » Cloruro di magnesio. Rimanenza. di cloro! «ii; atea Re riga: 0;05200 Si. combina con magnesio ‘. e eee i 0;01729 E forma cloruro di magnesio . . . . gr. 0,06929 Solfato di calcio. Anidride solforica totale . . . . . . . gr. 0,07629 Sihcormbina:ean calce: >. i n Patriot ae gd1005090 E forma solfato di calcio . . . . . gr. 0,12719 Carbonato di calcio. Residuo: di-.calce- 14 diva: Bb gr. 0,14622 Si combina con anidride carbonica . . . ,» 0,11487 E forma carbonato di calcio . . . . gr. 0,26109 Carbonato di magnesio. Rimanenza di magnesio (ridotto a magnesia) gr. 0,02882 Si combina con anidride carbonica . . . ,» 0,03017 E forma carbonato di magnesio. . . gr. 0,05899 Carbonato ferroso. Ossido ferrico totale, ridotto ad ossido ferroso gr. 0,00450 Si combina con anidride carbonica » 0,00240 E forma carbonato ferroso . . . . gr. 0,00690 COMPOSIZIONE DELL'ACQUA MINERALE, DETTA DI S. PANCRAZIO IN TRESCORE BALNEARIO. a) Sostanze aeriformi. -- In un litro d’ acqua: Anidride carbonica libero . . . gr. 0,020780=c.c.12a0°e a 09,76. È Pi dei bicarbonati ,, 0,147440 Acido solfidrico libero. .‘<.. . . .,, 0,050521=c.c. 32,611 a 0° e a 09,76, b) Materia organica . . . » 0,093140 362 P. POLLI E P. LUCCHETTI, c) Sostanze fisse. Ioduro di sodio . . . . . . gr. 0,000560 Cloruro di sodio » 1,834750 Bromure"di: sodio >. = % ‘uc tracce Monosolfuro di sodio . » 0,011174 Cloruro di potassio . » 0,006250 Clirure-di ito sla tracce Cloruro di magnesio . . . . . , 0,069290 Dolfato di calcio >. ina: anta e» 0127100 Carbonato di calcio . . . . . , 0,261090 Carbonato di magnesio cIREO #p0,098990 Carbonato ferroso . . . .. . ,0,006900 Acri sr ones tria tracce Anidride silicica (silice) . . . . , 0,011000 or. 2,387194 Anidride carbonica necessaria per trasformare i carbonati neutri in bicarbonati . . . . .,0,147440 or. 2,5384634 In un litro d’acqua residuo minerale fisso (determinazione CARCANO PR SITO ro gr. 2,4481600 Somma dei principî fissi in esso contenuti (risultati dell’analisi) ,, 2,3871940 Differenza dovuta a perdite gr. 0,0609660 V. Osservazioni microscopiche. L’acqua solforosa di S. Pancrazio abbandonata per due o tre settimane in vaso aperto, oppure in bottiglie perfettamente chiuse, ma incompletamente piene; mostra aderente alle pareti del reci- piente, non che alla sua superficie delle granulosità cristalline formanti un’esilissima pellicola. Esaminata al microscopio con un ingrandimento di 650 diametri (Hartnack, obbiettivo 8, ocu- lare 4), sì l’uno che l’altro deposito, presentano coi cristalli ot- taedrici di solfo, solubile nel solfuro di carbonio (vedi tavola 7, a) ed altri derivanti dal romboedro acuto (0), di carbonato di cal- cio, moltissimi protorganismi di specie diverse. _I protorganismi sono, o alghe unicellulari a cellule sferiche, isolate od a gruppi di due, tre, più raramente di quattro, ap- TITTI NUOVA ANALISI CHIMICA DELL'ACQUA DI S. PANCRAZIO. 363 partenenti alla tribù delle chroococcacee ed al genere chroococ- cus Naeg. (C), o sono diatomee, con prevalenza di navicule (A, a) e gaillonelle (A e -B, b) circondate e talora immerse nelle masse giallo-verdi o bruniccie di endocroma. Scarsissimi sono i cristalli di solfo regolari; generalmente hanno gli spigoli e gli angoli alte- rati, spesso offrono apparenza mammellonare e sono riuniti a gruppi e come saldati da una specie di matrice mucosa indeter- minata. Probabilmente la pellicola summenzionata e Costituita come si disse, è quella che passa da lungo tempo sotto il nome di daregina delle acque solforose e di cui il dottor A. Marcet distingue più specie (Considérations nouvelles sur la barègine ou matière organique des caux sulfurées. Paris, Delahaye, 1875). L’acqua solforosa che sopranuota al fango, nella così detta ci- sterna del fango, nell’ interno dello stabilimento balneario, offre qua e là delle chiazze iridescenti che ricordano quelle dovute ad uno straterello di materia oleosa versata sull’acqua. Esami- nata una goccia dell’acqua che offre detta apparenza col micro— scopio, presentò colle solite specie di diatomee ed altri protor- ganismi indeterminati, un numero straordinariamente grande di vivacissimi bacterì (5, c). Finalmente nella vaschetta di marmo sottoposta al robinetto da cui si spilla l’acqua che serve di bevanda, si forma, per la decomposizione delle piccole quantità d’ acqua solforosa che vi si fermano, un sedimento d’aspetto lattiginoso ed untuoso al tatto. Il microscopio rivela in esso un’alga in forma di filamenti di variabile lunghezza (4/40 4/1200°”* circa di diametro) a pareti incolori e trasparenti, diritti, flessuosi o contornati in spirale, con- tenenti qua e là granuli di endocroma, una parte del quale si vede sparso nel campo del microscopio, avviluppando granelli e cristallini di solfo precipitato. Quest’ alga (D) appartiene al gruppo delle ficocromoficee, all’ antico genere delle oscillarie di Agardh; ma sulla sua natura specifica, amiamo confessare, in difetto di speciali cognizioni, la nostra incapacità a pronunciarsi, cosa del resto che, nel caso nostro, non ha che un'importanza affatto secondaria. È dessa che imparte al suddetto deposito il 364 P. POLLI E P. LUCCHETTI, carattere della untuosità, segnatamente quando è in via di de- composizione, svuotandosi in allora i tubi filamentosi costituenti l’alga, di tutto l’endocroma e poscia suddividendosi in parti sem» pre più piccole (E). È forse quest’alga quella che costituisce la solforaria e la baregina filamentosa degli autori (?). Osserviamo che i fatti precedenti si presentarono nell’esame microscopico di un gran numero d’ acque solforose, da farli ritenere caratteri- stici. VI. I fanghi medicamentosi. Ci rimarrebbe a dire dei fanghi usati a scopo curativo nello stabilimento balneario di Trescore. Com'è noto, non è fango che lascia naturalmente l’acqua col riposo, chè questa non dà luogo a deposito sensibile, ma si prepara artificialmente colla mota raccolta colle spazzature dei fossi vicini allo stabilimento, mineralizzandola, per così dire, col lasciarla in apposito serba- toio a contatto dell’acqua per due anni. Preparato in questo modo, è una fluida poltiglia, morbida al tatto, se passata per istaccio e di colore plumbeo oscuro; questo colore si deve al sol- furo di ferro originatosi per la reazione dell’ acido solfidrico e dei solfuri alcalini sul ferro, che allo stato di idrato d’ossido, è contenuto in copia nella mota. All'aria ed al sole, per riossida- zione del solfuro, ripiglia il fango, il colore giallo-ruggine che caratterizza la mota nei fossati. Non possiamo dare del fango mineralizzato un’ analisi che ne rappresenti la media composizio- ne, almeno in via approssimativa, poichè è evidente ch’essa deve variare moltissimo con quella del fango argilloso adoperato nella sua preparazione. Secondo l’egregio dottor cavaliere Michelangelo Galli, che con molta competenza ha trattato dei fanghi di Tre- score e Zandobbio nella sua pubblicazione: I fanghi di Trescore e Zandobbio (Bergamo, 1874), per cui non abbiamo da aggiun- gere altre parole, afferma che nella composizione del fango, la parte dovuta all'acqua minerale figura per 1 sopra 100 (a noi non ci è nota però l’analisi). Egli propone di attivare l’azione terapeutica del fango, scaldafidolo a 40° R; noi, partendo da un alia. ulti dieci NUOVA ANALISI CHIMICA DELL'ACQUA DI S. PANCRAZIO. 365 altro punto di vista, consiglieremmo, per migliorare il fango, l'aggiunta alla mota dei fossati di sostanze valevoli a fissare meglio l’ acido solfidrico ed atte a reagire coi solfuri alcalini, principî mineralizzatori che, secondo noi, nell’uso curativo a cui si destinano i fanghi, tengono il primo posto; l’ aggiunta, per esempio, di ceneri nuove stacciate, o di altre sostanze alcaline a buon patto. Merita che se ne faccia l’esperimento. CONCLUSIONE. All’ acqua minerale detta di S. Pancrazio in Trescore, da cui riceve alimento lo stabilimento balneario di ragione della città di Bergamo, conviene il titolo, che già porta, d’acqua solforosa- salina-iodurata, per verità molto debolmente iodurata, perchè la proporzione di iodio da noi riscontrata è di gran lunga inferiore a quella trovata dal Ruspini. Al distinto farmacista bergamasco spetta l’ onore della scoperta dell’iodio, di tanta efficacia tera- peutica, nelle acque di Trescore e Zandobbio, nel 1845 (Annali di chimica applicata alla medicina, vol. I, serie 3.* pag. 178). Egli lo ammette allo stato di ioduro di sodio nella proporzione di grammi' 0,2257 per litro (equivalente a grammi 0,1910 di iodio) e dichiara di avere perfino isolato dei cristallini di iodio visibili ad occhio nudo. La cosa, dietro le premesse, sembrerebbe naturalissima, eppure noi siamo d’avviso che nè il processo se- guìto, nè le variazioni che l’acqua può avere subìto nel trenten- nio decorso dall’ analisi eseguita dal Ruspini, siano sufficienti a giustificare l’enorme differenza che passa, per rapporto all’ iodio, fra i suoi ed i nostri risultati, sia perchè non ve l’ha riscontrato nè il Ferrario, che aveva analizzata l’acqua di Trescore pochi anni prima, nè il Marenesi che ne istituì l’analisi un anno dopo, e che l’ avrebbero certamente rinvenuto, se esistente nell’accen- nata notevolissima proporzione, anche con reagenti di minore sensibilità di quelli usati dal Ruspini, e sì che il Ferrario, lo sia detto di passaggio, aveva una certa tendenza nell’esagerarne le proporzioni, come fu per lui il caso della rinomata acqua sal- so-iodica di Sales, nella quale, mentre egli (il Ferrario) riscon- 366 P. POLLI E P. LUCCHETTI, trava in 10,000 grammi di detta acqua, 26 grammi di iodio, il Kramer non potè averne che grammi 0,145 ed il Bizio gr. 0,288; sia ancora perchè le acque ritenute iodurate per eccellenza e di cui riportiamo un elenco, ne contengono una proporzione molto minore. Sorgenti Iodurate. Iodio in 1000 grammi. Analizzatori. Ucnedat 00 a 200408 Bizio (1860). n 0,0288 Bizio (1860). Sales (Piemonte) . . » 0,0145 Kramer (1830). » 0,0237 Pavesi (1871). Salsomaggiore . . . . » 0,0627 Gibertini (1871). Rivanazzano . . . . . » 0,0144 Pavesi (1871). Halle (Austria superiore) la più iodifera della | Gefmania” > vata, -0,0330 Kauer. S. Pancrazio in Tre- 0, 1910 Ruspini (1845). score sa » 0,000479 Polli e Lucchetti (1878). Ma un argomento, secondo noi, di molto valore sotto questo riguardo sì è, che le acque solforose di Brembilla e di valle Imagna, che, come già si è detto, posseggono la composizione chi- mica generale di quella di Trescore, e che si possono ritenere con molto fondamento, avere con quest’ultima comune anche l’o- rigine, giusta le analisi istituite da uno di noi (P. Polli, Ama- lisi chimica dell’ acqua minerale di Brembilla. Bergamo, 1876), contengono soltanto delle tracce od alcuni diecimillesimi di iodio allo stato di ioduro di sodio per litro; parimenti il Ferrario non ne fa cenno nella sua analisi dell’acqua solforosa di S. Omobono, ed il Bertazzi lo dà nell'acqua solforosa di Berbenno in Val Bru- none nella proporzione di grani 0,2127 (ioduro di sodio) sopra 100,000 grani d’acqua (grammi 0,002 in un chilogrammo). Men- tre il cloruro di sodio vi si trova in proporzione ben maggiore di quella che l’indicano le analisi precedenti, e questo è un no- tevole vantaggio per la nostr’ acqua.! ' Il Garelli ha quindi ragione e non torto, come dice lo Schivardi, di classificare l’acqua di Trescore fra le clorurate (fra le clorurate-solforose, s'intende). (Trattato teorico-pratico di Balneoterapia p. 263). Ù } | . ì NUOVA ANALISI CHIMICA DELL'ACQUA DI S. PANCRAZIO. 367 — Com’ acqua solforosa poi, fra le congeneri italiane, è delle più ricche, anzi, anche per le nostre determinazioni, viene subito dopo quella di monte Alfeo e di Tabiano, e come stazione balnearia, Trescore forma con Acqui, Porretta e Tabiano, le quattro più importanti d’ Italia (Vedi Schivardi, Guida descrittiva e medica alle acque minerali ed ai bagni d’ Italia e Trattato teorico-pra- tico di Balneoterapia). APPENDICE BIBLIOGRAFICA. Albani Bartholo- maei Zimaliae Ludovici Guidonis Bergo- ° DI RSI 5° De Balneis Transcherii op- pidi Bergomatis scripta, Joannis Baptistae ; quae extant ommia, ecc. Suardi Bergoma- tis AndreaeBaccij El- pidiani. Coreggio Gennaro Lettera sugli antichissimi da Bergamo bagni di Trescore. Quadrio Gius. Ma- Uso, utilità e storia delle ria acque minerali di Tre- score dalia: YES Maironi da Ponte Osservazione geologica, ecc., Giovanni sulle acque minerali della provincia Bergamasca . Pasta dottor Giu- Delle acque minerali del seppe Bergamasco . Maironi da Ponte, Osservazioni statistiche: del Giov. dipartimento del Serio Colli dottor Gius., Osservazioni sui bagni mi- Fermano nerali di Trescore nelle- state 1809 D. Suardi e Meli Analisi medica delle acque di Trescore e loro appli- cazioni, ecc. : Amaglio dott. Ber- Esame della derisione nardino. di Domenico Meli, dot- tore in filosofia, medicina e chirurgia, sulle acque di Trescore . Typis Comini Venturae . Bergomi, 1582 . Bergamo, 1583 Tavernin Locatelli idem Natali Borroni Venezia, 1749 Bergamo, 1782 Bergamo, 1794 Bergamo, 1803 Milano, 1809 + Milano, 1812 Sonzogni Bergamo, 1812 368 P. POLLI E P. LUCCHETTI, NUOVA ANALISI CHIMICA, ECC. (Anonimo) Risposta all’operuccia inti- i tolata: Esame (di. Ber- nardino Amagho) della dissertazione di Domeni- co Meli sulle acque di Trescore . PIRA DIRT . Lugano, 1813 Maironi da Ponte, Dizionario odeporico della Giov. provincia Bergamasca, vol. III, art. TrEScORE Mazzoleni Bergamo, 1819 Carrara dot. Luigi Bagni di Trescore e di tutte i le acque minerali del Ber- GAMBO 0 Sonzogni Bergamo,1839 Ruspini Giovanni Sull’esistenza dell’iodio nel- le acque minerali di Tre- core e Zandobbio (Annali i di Chimica applicata alla i medicina, vol. I, serie 3.*, Presso gli Edit. ; pag. 178). . . . . . degli Annali, ec. Milano, 1845 Marenesi Giuseppe Studio analitico-chimico del- VV acqua minerale della i fonte vecchia di Trescore Crescini Bergamo, 1846 Suardi sac. Giov. Trescore e suo distretto. — Memorie storiche . Cattaneo Bergamo; 1853 Ruspini Giovanni Analisi chimica dell’ acqua di Zandobbio, ed altra | di Trescore . 1 idem Bergamo, 1858 Venanzio d. Ales-\ Lettera sulla bibita delle sandro acque minerali di Tre- i De Filippi ed A-\ score, coll’analisi del chi- i maglio mico Ruspini . idem Bergamo, 1858 i Comi d. Giovanni Manuale sull’uso dell’acqua 1 minerale solfureo-salino- i iodurata di Trescore e Zandobbio, 2.* edizione riveduta . A Pagnoncelli Bergamo, 1862 | Galli d. Michelan- I fanghi di Trescore e gelo Zandobbio. — Osserva- | zioni ... .. . +. » Gaffurie Gatti Bergamo, 1874 i i , : i MIL. o 1 /AVI Up Lit Ronchi lea "gi |v “LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE FAI | ALL’ISOLINO NEL LAGO DI VARESE. % —_ Relazione dei Socii — Abate Grovanni RancueT e Prof. InwocENZO REGAZZONI. a A ‘ (Tav. 84 a 132.) » Allorchè nel 1863 il chiarissimo prof. A. Stoppani, in uno agli illustri Desor e Mortillet, iniziò le ricerche preistoriche nel paese nostro, la stazione dell’ Isolizo nel lago di Varese fu la prima che rivelò i suoi tesori agli egregi esploratori. E fin d’allora sorse il dubbio che i piuoli della palafitta rinvenuta si avanzas- sero nell'interno dell’ isola, che questa pure avesse un tempo ser- vito quale dimora all’ uomo, e che.anzi da lui fosse stata elevata, vuoi ad arte, vuoi per naturale incremento conseguente a pro- lungato deposito di detriti organici, od anche per l'una causa e per l’altra. I-quali dubbi vènnero «in seguito convalidati da fre- quenti rinvenimenti di avanzi di rozzo vasellame non che di. schegge e coltellini silicei, occorrenti ogni qualvolta il terreno dell’isola venisse smosso od escavato, anche solo per opera delle talpe; e: più ancora erano convalidati dalla posteriore scoperta di altra palafitta distesa lungo la sponda occidentale, a riscontro della prima fiancheggiante la sponda ‘orientale dell’isola. Il Desor pel primo confrontò la nostra isola a parecchie altre | sparse nei laghi della Baviera, laddove altri ne fece il raffronto coi rinomati crannoges dell’ Irlanda. Ricerche dirette a chiarire i dubbi sulla vera natura dell’isola Vol. XXI. 24 370 G. RANCHET ÉD I. REGAZZONI, non furono però mai intraprese; ed era nostro intendimento di tentarle nel corrente autunno, ben certi che l’egregio signor cav. Andrea Ponti, proprietario del lago e della amena isoletta, ce ne avrebbe graziosamente accordato licenza. Per un caso cu- rioso fummo prevenuti, ed ecco il modo. Nella scorsa primavera capitò quì il signor Walter K. Foster, membro della Società di antichità ed etnologia risiedente in Lon- dra, ed appassionato ricercatore di cose preistoriche ed archeo- logiche. Costui era edotto delle scoperte paleoetnologiche fatte nel lago di Varese, ed anzi nell’ opera di Ferdinando Keller di Zurigo, tradotta in inglese da Edoardo Lee, egli aveva rimar- cati i dubbii espressi dal traduttore in una nota riferibilmente alla costruzione artificiale dell’isola in discorso. Deferente alle opinioni del suo connazionale, il signor Foster mostrossi meno proclive ad ammettere che l'isola fosse artificiale, cosa acconsen- tita dagli studiosi italiani, e meglio che mai da noi, che avem- mo più volte opportunità di acquistarne la certezza. Dallo scontro di queste disparate opinioni nacque spontanea la ne- cessità di scavi all'uopo, epperò il signor Foster vi si accinse con mirabile ardore, validamente assecondato dalla gentile sua Signora. In varie località dell’isoletta pertanto si aprirono dei pozzi, spinti a conveniente profondità, da metri 1,40 a metri 1,80. Frutto di cotesto lavoro fu una ricca e svariata raccolta di og- getti preistorici; e mercè di essa e di altri dati preziosi rifulse la piena conferma della natura artificiale dell’isolino. Delle quali cose giudichiamo utile il render conto, tenuto calcolo dei più esatti rilievi da noi eseguiti in luogo. L’isolino del lago di Varese, detto anche Isola Camilla, giace nella parte meridionale del lago di Varese, e propriamente ad est di Biandronno, nel seno che si addentra verso la gran pa- 1 Nell'occasione della escursione del giorno 26 settembre 1878, i Membri del Con- gresso naturalistico per acclamazione diedero all’ isoletta il nome di Isola Virginia, in omaggio alla gentile Consorte dell’egregio signor cav. Ponti, il quale li ospitava splendidamente. i : "=" ott i n nei cen va SR I PI 4‘ Pi LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE ALL’ISOLINO. © 371 lude torbosa della Brabbia. La sua forma può rassomigliarsi a quella di una pera o di un cuore, in direzione da nord-est a sud-ovest. L’ estensione dell’isola misura da nord a sud metri 235 e da est ad ovest metri 100 al massimo; la superficie totale è di metri quadrati 13,000. Le sponde orientale e settentrionale prospettano il largo del lago; guardano le altre la vicina spiaggia, dalla quale sono se- parate da breve canale detto Tesinello, della larghezza massima di metri 177, minima di metri 77, e della profondità massima di metri 2,30. Questo canale è quasi tutto ingombrato da canne palustri, le quali rigogliose e folte ricingono tutto il contorno dell’isola, escluso il tratto corrispondente al moderno manufatto per l'approdo. L’ elevazione massima dell’isola sul livello ordi- nario del lago è di metri 2, 42 circa, e si verifica verso la estre- mità settentrionale, nelle adiacenze della piccola casa ivi co- strutta da tempo, e più precisamente ad una trentina di metri dalla riva settentrionale e sulla linea che congiunge la estre- mità mord dell’isola colla meridionale. Da questo punto il ter- reno discende con dolce inclinazione verso il lago, il cui fondo si abbassa lentamente tutto all’ingiro, ed in generale è coperto da fina melma marno-argillosa, fuorchè in corrispondenza alle due palafitte esterne, dove è ingombrato da ciottoli, quali mo- renici e quali gettativi ad arte, anche a’dìi nostri, singolarmente verso nord-ovest. Del resto l’isoletta è, sul Suo contorno, rive- stita da superbe piante arboree, fra le quali si apre un gra- zioso viale; nel centro è prato verdeggiante, sul quale si eleva la piccola casa già menzionata. I lavori del signor Foster cominciarono sullo scorcio di aprile del corrente anno e proseguirono per un mese circa, benchè da ultimo molestati dal tempo perverso. I pozzi aperti nell’isola allo scopo di metterne a nudo la struttura furono cinque: l’uno nella parte meridionale; un secondo verso la settentrionale; un terzo sul lato di ponente e due su quel di levante. Il pozzo meridionale venne aperto in terreno altre volte pro- digo di schegge silicee, di frammenti di stoviglie e d’ ossa, es- &W%. È Gi RANCHET ED I. REGAZZONI, sendo “a lavorato per coltivarvi fiori. L’escavo ebbe la am- ‘piezza di metri 4, 80 per 2 e la profondità di metri 1; 40, at traversando cinque stratificazioni distinte. STELE La prima rappresenta un terreno prettamente vegetale, la cui potenza oscilla da 30 a 40 centimetri. Vi si rinvennero piccoli cocci, ossa, alcuni coltellini e schegge di selce piromaca. Inoltre vi si raccolse un’azza in serpentino, spezzata (Tav. 10°, fig. 4); una moneta di bronzo colla effigie dell’imperatore romano Marco Aurelio Antonino ed una matrice per fondere cuspidi di lancia. La importanza di cotesto oggetto ne, induce a tentarne la descri- zione, valendoci altresì del disegno riportato esattamente nella Tav, 8°, fig. 2. da; Lo stampo in discorso è un’altra delle tante varietà di mine- rali serpentinosi, quindi untuoso al tatto come tutti i congeneri; ha forma rettangolare, mancante nella porzione anteriore. Mi- . sura in lunghezza centimetri 7,5, in larghezza 6, in altezza 2,9. Sui due lati più lunghi e su una delle facce, posteriore od infe- riore, la pietra è liscia e piana, mostrando però alcune leggere strie, frutto di sfregamento se non di segamento. L'altra su- perficie, anteriore o superiore, è più rimarchevole. Nel senso. del- l’asse maggiore e verso la linea mediana essa offre un .incavo a fondo ‘tondeggiante ed a foggia di cono, tal che i bordi, distanti verso una estremità centimetri 2,7, convergono. verso l’altra, ove distano soltantò centimetri 1,5. In corrispondenza alla base di questo cono corre allo ingiro un rialzo che restringe la base stessa. Il fondo della incurvatura è inclinato verso la base, ove si approfonda fino a centimetri 1,3. Partendo dalla base, ed a centimetri 2,5 da questa, si ravvisano su ambo i lati due piccoli incavi, pure a fondo tondeggiante, e rassomiglianti a due cana- letti, della larghezza uniforme di millimetri 6, e della profondità di 4 millimetri. Uno di tali solchi si allunga pel tratto di cen- > timetri 1, 6 fino alla parete esterna della pietra, sulla quale si apre; l’altro, a pochi millimetri dalla incurvatura mediana, ter- mina a fondo cieco. Da ultimo, alla distanza di centimetri.3 dalla base della infossatura centrale e da ambo i lati di questa, si » ra Y vw, ti LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE' ALL’ISOLINO. © ‘378 stacca una nuova incavazione a fondo piano con bordi incurvati in avanti e distanti millimetri 9 dal contorno delia infossatura principale. Questo altro incavo laterale, la cui profondità è di qualche millimetro, raffigura le ali di una cuspide di lancia, lad- dove la incavazione unica mediana ne rappresenta il costone 0 cono cavo di inalberatura. Non vuolsi dimenticare che la natura litologica di tale oggetto lascia supporre qualche rapporto con altri paesi forniti di minerali serpentinosi e steatitici, che man- cano affatto nei terreni circostanti ‘al lago di Varese, fuorchè nel caso di qualche raro trovante. ; Il secondo strato, alto da 20. a 30 centimetri, differisce ben poco dal primo, salvo una più intima mescolanza dell’impasto terroso nereggiante, ed una maggior copia di avanzi della indu- stria umana, fra cui parecchi minuti frammenti di stoviglie fab- bricate con argilla nerastra e piuttosto fina, a pareti sottili e ben modellate, e di una fattura in generale alquanto accurata. “Non mancano per altro i cocci più grossolani preparati col solito grès artificiale, e simili affatto a quelli che tanto predominano nelle altre stazioni lacustri circostanti. In generale però i cocci raccolti in questo strato presentano indizi di lavoro diligente e di arte già dirozzata. Alcuni, infatti, recano solcature nell’una, o nell'altra direzione, continue tutt’ attorno al vaso od interrotte e brevi, ma per lo. più disposte con un certo ordine; altri hanno impressioni, sull’ orlo o sul corpo del vaso, fatte nella pasta molle. mercè l’unghia od il polpastrello delle dita, oppure col sussidio di rozzo strumento di osso o di legno, od anche con funicelle od altro (Tav. 8°, fisure 1, 3; 4,10). Il.colore dei cocci varia dal nero carico al grigiastro ed al rossigno, e le superficie sono non di rado lucenti, sembrando per altro che tale lucentezza debbasi attribuire a levigazione per sfregamento piuttosto che a ‘vernice qualsiasi (Tav. 8°, figure 6,7). Molti cocci offrono traccia, di esposizione al fuoco. Spesseggiaàno eziandio i rialzi esterni, ora a guisa di cordoni scorrenti attorno al corpo del vaso, ora. in forma di tubercoli variamente foggiati, ma per lo più mammel- lari ed attraversati da uno, due o più canaletti, formanti veri 374 G. RANCHET ED I. REGAZZONI, tubi destinati a ricevere una cordicina (Tav. 8*, figure 8, 11, 12; Tav. 9°, figure 1, 2,3, 5). Fori circolari attraversano tal fiata le pareti dei vasi, e di preferenza verso il loro labbro (Tav. 9°, fig. 4). Degni di singolare attenzione poi giudichiamo il fondo piano di un piccolo vaso (Tav. 8°, fig. 5), portante la impronta di un tessuto di giunchi, sul quale il vaso stesso venne depositato appena plasmato, ed altro coccio con fregi lineari fatti coll’ unghia nello scopo di tracciare un disegno, difficile a determinarsi però; stante la rottura del vaso (Tav. 8°, fig. 9). Del resto le descritte condi- zioni di impasto, di forme, di lavoro e di ornamentazione si veri- ficano precisamente anche nei cocci raccolti negli altri scavi pra-. ticati all'isola Virginia, ed ecco il perchè ci dilungammo nel farne la descrizione. Da ultimo, questo medesimo strato fornì molti oggetti silicei, ed in maggior numero coltellini d’ ogni forma e dimensione, non che raschiatoi, nuclei, schegge di pietra selce, qualche brunitoio in serpentino, ed ossa e denti di dos brachyceros, di cervus ela-. phus, di sus scropha ferus e palustris, specie predominanti quì, come nelle altre stazioni lacustri e palustri della provincia di Como (Tav. 10°, figure 6, 8). Lo strato sottoposto al descritto consta di sabbie biancastre mi- ste a ghiaia ed a ciottoli, e qua e là inquinate da materie organi- che. Qui pure si raccolgono cocci di stoviglie fine, a forma graziosa e di lavoro squisito, confusi con altri in grès artificiale e gros- solani per forma e per lavoro. Gli oggetti litici sono sempre co- piosi, e fra questi fu dato di raccogliere eziandio qualche cuspide di freccia (Tav. 9°, figure 6, 7, 10, 11). Le ossa pure aumentano, e sono in generale in Fadda più grossi, tal fiata lavorate a punta od a spatola, o spezzate varia- mente, massime se cilindriche. Lo spessore di questo strato sab- bioso misura da 50 a 60 centimetri. Il quarto strato, singolarmente manifestatosi in altro dei pozzi escavati dal signor Foster, come vedremo, è una miscela intima di sostanze terrose e sabbiose con avanzi organici, fogliame, pez- zetti di legno, gusci di nocciuole, semi di cornioli e di roveriì, LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE ALL’ISOLINO. | 375 frammenti di ossa, carboni e ceneri. Le quali ultime formano qua e là piccoli depositi a parte, senza che si possa determinare se sianvi ammucchiati per mano dell’uomo, o piuttosto per azione delle onde. Non mancano gli oggetti preistorici prima indicati, e fra le ossa raccolte primeggia un bel corno di cervus elaphus fossilis, lungo centimetri 87. Ultimo si incontra uno strato rappresentante il fondo primi- tivo del lago, nel quale venne impiantata la palafitta, e sul quale in seguito sorse l’isola artificiale. Il terreno consta ove di fina sabbia, ed ove di fanghiglia marnosa e biancastra, e pre- senta qua e là straterelli di ceneri con carboni ed avanzi orga- nici cotanto copiosi, che tal fiata si confondono collo strato so- vrastante. Vi si rinvennero però parecchi frammenti di legno e carboni più grossi, non che parecchi tizzoni e fiaccole di legno resinoso, e rami e tronchi di pino, di abete, di ontano per lo più carbonizzati parzialmente e giacenti alla rinfusa, e talvolta così schiacciati da presentare una sezione elissoide, anzi che ci- lindrica. Il secondo pozzo venne aperto in località opposta al testè de- scritto, vale a dire verso la estremità settentrionale dell’isoletta, ed alla distanza di metri 19,50 dalla riva del lago. Si pervenne con esso alla profondità di metri 1,40 circa, su di un’area super- ficiale di metri quadrati 6,60. La messe degli oggetti preistorici ap- parve scarsa e di minor valore, consistendo in schegge silicee, fra cui qualche coltellino, ed in cocci insignificanti. Non per questo la escavazione manca di importanza, imperocchè sotto al primo strato vegetale apparve un ragguardevole ammasso di ciottoli grossolani, in parte granitici, in parte calcari e dolomitici, tutti di origine morenica ed ammucchiati senza ordine alcuno. Questo deposito ciottoloso, della potenza di più che mezzo metro, può essere considerato siccome una vera gettata, fatta ad arte pro- babilmente nella intenzione di elevare una diga, la quale difendesse la palafitta e la nascente isoletta dall’impeto delle onde sollevate dai venti del nord. Al di ‘sotto dei ciottoli trovansi sabbie e ghiaie analoghe alle descritte; manca però lo strato inferiore a detriti organici. STO Spe G. RANCHET ED I. REGAZZONI; Alla distanza di una trentina di metri da questo pozzo, ma verso la sponda occidentale e di fronte alla palafitta di fresco ivi discoperta, si diè mano a scavare il.terzo pozzo su di una super- ficie di metri quadrati 4,.69 e fino alla profondità di metri 1,20. Questo escavo fu pure sterile a fronte del primo, per cui venne ‘presto abbandonato, notandosi però la mancanza dello strato ciot- toloso rinvenuto nel precedente. Allora parve dovesse meglio convenire per ulteriori escava- zioni la spiaggia orientale di fronte alla vecchia ‘palafitta e'quì si concentrò l’opera del signor Foster, aprendovi due pozzi. Il primo è verso l’interno- dell’isola, giacchè dista. dalla riva del lago non meno di metri:23. L’interesse destato da siffatta escavazione fu tale da indurre ad estenderla pel tratto di metri 19,50, con una larghezza da metri 1,60 a metri 1,45 ed una pro- fondità media di metri 1,80. | I cinque strati riscontrati nel pozzo meridionale quì si pre- sentarono ancora più manifesti e distinti, con insensibile incli- nazione verso il contorno -dell’isola, o meglio verso il lato di levante della medesima. Singolarmente sviluppato poi è lo strato sabbioso con grossi: ciottoli — potenza centimetri 65 — e lo è del pari il sottostante; massime nella porzione del fosso più vi- cina al lago, ove scorgesi un vero impasto di avanzi organici con marna nerastra e viscida. Lo strato più profondo, rappre- sentante il primitivo fondo lacustre, è formato da sabbie finis- sime e quasi lavate verso la-estremità interna del fosso, e da melma marnosa verso la estremità esterna, più prossima alla riva del lago. Anche gli oggetti pafstorivie già menzionati si raccolsero a pro- fusione. Di cocci vi fu una vera dovizie, sempre verificandosi le ‘condizioni altrove indicate. Alcuni recano ornamentazioni a linee rette variamente disposte (Tav. 8%, figure 1, 3, 4): altri all’im- pasto fino ed omogeneo accoppiano forma graziosa, dimensioni ben proporzionate, pareti sottili, levigate, lucenti, fondo tal fiata tondeggiante anzi che piano (Tav. 8*, figure 6, 7). In generale predominano i vasi a dimensioni mediocri, od anche piccole. Il LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE ALL’ ISOLINO. 377 2 " ooecio più grande raccolto dal signor Foster — (Tav. 9°, fig. 4) |— appartiene ad un vaso del diametro esterno di del hiiuoiri 28,6, interno di centimetri 27. Vuolsi notare però che gli avanzi di stoviglie più fine e meglio fabbricate prevalgono d’ordinario negli strati superiori, laddove negli inferiori predominano i cocci più rozzi e più grossolani. Fu notata una certa analogia fra molti ‘cocci dell’isola Virgi- nia e quelli raccolti in copia strabocchevole nella oramai rino- mafa stazione di Rondineto, presso Como. Riconosciamo cotesta analogia, che ciascuno può riscontrare osservando i bei disegni dei cocci di Rondineto pubblicati negli ultimi fascicoli della Ri- vista archeologica della provincia di Como dagli egregi signori Barelli e Garovaglio, invidiati scopritori, non meno che dotti e solerti ‘illustratori dei cimelii di Rondineto, oggi in gran parte raccolti nel Museo archeologico comense. Ed inoltre chiamiamo l’attenzione sul frammento di vaso disegnato nella Tav. 13*, fig. 4. Esso porta una marca a circoli concentrici, la qual marca è fre- quente nei cocci di Rondineto. Eguale analogia, e forse ancor più intima, rimarcasi fra que- sti cocci dell’Isolino ed alcuni di quelli posseduti dall’ egregio signor Napo Borghi in Varano e provenienti dai laghi di Ter- nate e di Monate. Vogliamo. sperare che non mancherà una op= portuna illustrazione anche di queste preziose reliquie, sì che abbia a scomparire ‘una lacuna deplorata nelle locali notizie prei- storiche. Anche le ossa venute in luce mercè le escavazioni in discorso formano una massa ingente, nella quale figurano, oltre agli ani- mali già indicati, il cervus capreolus, e qualche specie di carni- voro, come il cane, il topo, la mustela foina. La condizione del- l’ossame raccolto è sempre quella.riscontrata nelle altre località, dovendosi notare soltanto che in qualche punto degli strati in- feriori le ossa trovansi proprio ammucchiate in buon numero, e che in generale i frammenti più voluminosi prevalgono nello strato sabbioso ‘e nel sottoposto. Fra le ossa recanti indizii di lavoro indichiamo«in singolar modo quello disegnato nella Ta- 378 G. RANCHET ED I. REGAZZONI. vola 10°, fig. 5, che è porzione del cubito destro di giovane cervo. Manca della epifisi cubitale, e nella porzione più sottile è dili- gentemente arrotondato, lisciato ed acuminato, di guisa che può servire egregiamente come punteruolo od anche come. pugnale. La sua lunghezza misura centimetri 14. Una seconda ulna de- stra di cervo è raffigurata nella Tav. 10°, fig. 7, e questa appar- tiene ad individuo più grosso, e nella porzione piana offre l’a- spetto di una spatola. Altro osso di bue trovossi coperto da vere esostosi, quali si rimarcano non di rado anche nelle ossa del- l’orso delle caverne. ; Fra gli oggetti litici predominano sempre i coltellini in selce piromaca a diversi colori, di varie dimensioni, con lama non di rado arcuata, a due o ad un sol taglio, terminati con leggiera incurvatura ottusa, e per lo più senza punta, con una faccia li- scia e piana e coll’altra avente quando. una sola costa longitu- dinale, quando due parallele o convergenti verso una delle estre- mità, od anche una sola che si biforca ad un punto qualunque; alcuni sono interi, altri molti spezzati. Assieme ai coltellini si rinvennero bellissimi nuclei, raschiatoi, percuotitoi, non che bru- nitoi e pulitoi in serpentino. Di schegge silicee vi è grandissima abbondanza ed ovunque, e rappresentano selce piromaca bruna, rossiccia, grigiastra, azzur- rina, gialleggiante o biondeggiante, tal fiata anche incrostata da bianco deposito calcare. Scarseggiano per altro le armi litiche, fra le quali però additiamo una bella cuspide di freccia a forma di foglia di pesco (Tav. 9°, fig. 11) ed un’altra del tipo triango- lare peduncolato senza alette, tipo predominante nelle stazioni palustri e nelle torbiere (Tav. 9*, fig. 10). Merita attenzione anche un frammento di sega di straordinarie dimensioni (Tav. 9°, fig. 9), non che qualche scalpello, ritoccato eziandio ad un’estre- mità per continuarne l’uso. Il legno abbondò, massime verso la parte inferiore del deposito, ove si raccolsero frammenti d’ogni maniera, per lo più portanti tracce di combustione. Un frammento di palo di pino; lungo metri 1 e del diametro di centimetri 9, rinvenuto presso al fondo LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE ALL’ISOLINO. 379 . del pozzo, ove giaceva orizzontalmente, è acuminato ad una estremità, mercè tagli irregolari e concavi, simili precisamente a quelli che il Lubbock descrive e giudica praticati con azza di | pietra. | Altro rimarchevole oggetto è un pezzo di legno di pino pec- cia, lungo centimetri 25, avente nella porzione mediana una pro- fonda incavatura praticata col fuoco e pel tratto di centime- tri 9,5. Alle due estremità risultano quindi due rialzi, a guisa di grossi tubercoli, dell’ altezza di centimetri 4,5 a 5 e della su- perficie nell’uno di centimetri 9 per 4, nell’altro di centimetri 8 per 7. La superficie di quelle teste apparve levigata, e sugli spi- goli tondeggiante (Tav. 11°, fig. 1). Cotesto oggetto, impugnato nella porzione mediana in corrispondenza all’ incavatura, doveva servire mercè i due rialzi terminali per levigare le stoviglie, ed impartir loro quella lucidezza che non di rado presentano le loro superficie omogenee. Da ultimo è cosa del massimo interesse il rinvenimento di pali infissi verticalmente nel fondo del fosso, o trincea che dir si vo- glia. Sono una trentina di tronchi di ontano e di pino, del dia- metro di 10 a 20 centimetri, con teste quali irregolarmeute piane, quali tondeggianti o coniche, e vedonsi piantati quando isolatamente, quando l’uno presso all’altro colla stessa disposi- zione generale che si rimarca nelle palafitte lacustri. Dal fondo del fosso questi piuoli elevansi più o meno; ma per lo più le loro testate sorpassano i due strati più profondi, e toccano il limite inferiore del sovrastante strato sabbioso. Inoltre essi tro- vansi a livello del pelo d’acqua del lago in condizione ordinaria ; e conseguentemente sono ad un metro circa al disopra della pa- lafitta esterna. Tra cotesti pali, e segnatamente in corrispondenza alla loro porzione superiore, giace il detrito organico già descrit- to, il quale ora li ricopre totalmente, ed ora ne lascia sporgere la testa. Il quinto fosso fu aperto più presso al lago, alla distanza, cioè, di metri 9, e nella stessa direzione del precedente, dal quale di- sta poco meno di nove metri. È lungo metri 4,80, largo 1;20, 380 G. RANCHET ED I. REGAZZONI, profondo 1,30. Gli strati superiori sono meno’ pronunciati, ben- chè constino degli stessi elementi altrove riscontrati, e conten- gono essi pure oggetti litici, ossa @ cocci, ma in minor copia. Molto manifesti allo incontro sono gli strati inferiori, ed in'par- ticolar modo quello costituito da detriti organici, giacente sul fondo lacustre formato ‘da melma marnosa e biancastra. Sul fondo di questo fosso eziandio si riscontrarono pali verticali, ma più sottili degli altri ed addossati anche ‘in numero di cinque o sei. Non vuolsi pretermettere poi che il fondo del fosso è d’ordi- nario invaso dalle acque, cosa che verificasi anche negli altri, benchè in proporzioni meno gravi. E parimenti giova rammen- tare che oltre ai pali verticali, tanto in questo, come nell’escavo antecedente, se ne rinvennero altri orizzontali, in minor. pu-o mero ed internantisi nel terreno in varia direzione. © © Questi sono i lavori eseguiti dall’egregio ed instancabile signor Foster; questi i risultati dal medesimo ottenuti. Ma quì non si arrestano le recenti scoperte all’ Isolino. Nell’ intendimento di allar- gare il campo delle osservazioni e di porgere agli studiosi quì con- venuti un più ricco corredo di fatti e di cimelii preistorici, l’esimio signor cavaliere Andrea Ponti; animato da vivo e nobile desiderio di favorire questo interessante ramo di studî, permise e dispose gentilmente che si intraprendesséro nuove escavazioni. Di queste eziandio noi veniamo ‘a render conto, sia perchè abbiamo assistito o partecipato alle medesime, sia perchè ne consideriamo i risultati come un complemento indispensabile alle presenti notizie. Le nuove escavazioni, praticate colla massima cautela; proce- dendo strato per strato, e notando i diversi oggetti rinvenuti in ciascuno, furono rivolte anzitutto ad ampliare e regolare i fossi escavati dal signor Foster, guastati dal tempo e dalle pioggie frequenti. Per esse il pozzo meridionale acquistò metri 5,30 di lunghezza, metri 2,55 di larghezza e metri 1,75 di profondità; ed ivi sì rinvennero piuoli infissi nel terreno, nelle identiche condizioni verificate altrove. Al pozzo settentrionale si diede una superficie complessiva di metri quadrati 7 e l'altezza di metri 1,55; ed il pozzo occidentale raggiunse l’area totale di metri quadrati 6,26, coll’altezza di metri 1,50. LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE ALL’ ISOLINO. 381 ic fosso grande non accrebbe di molto le sue dimensioni; venne soltanto escavato alla profondità presso che uniforme di metri 1,90. circa, corrispondente alla massima raggiunta dal signor Foster. Si misero quindi allo scoperto nuovi pali, che prolun- gano la palafitta verso l’interno dell’isola, benchè ivi diventino più radi, e quasi accénnino. a scomparire. I risultati di siffatte escavazioni furono una piena conferma dei già ottenuti. Gli strati, ove più ed ove meno appariscenti e sviluppati, si mantennero nelle condizioni descritte, e la messe preistorica si accrebbe, anche per nuovi oggetti rinvenuti. smuo- vendo la terra prima escavata. i Il quinto pozzo a levante e più prossimo al lago venne am- pliato verso l’ interno fino alla distanza di metri 2,75 dal gran pozzo e ad una lunghezza complessiva di metri 10,85, sulla lar- È } ghezza di un metro e mezzo. Alla-profondità. di metri 1,60. si‘ raggiunse il fondo lacustre melmoso e bianchiccio. I pali. spes- seggiano ovunque, e tra mezzo ad essi.si raccolse gran. copia d’ossa, di cocci e di oggetti silicei. Tra i cimelii raccolti in que- sta nuova escavazione giudichiamo degni di particolare menzione ì seguenti: | Una grossa testa di Sus. scropha ferus trovata nello strato più basso, alla profondità di oltre un metro e frammezzo ai detriti organici. ; Un’ azza quasi intera e la estremità tagliente di un’altra, in serpentino, non che una terza azza o grosso cuneo in arenaria serpentinosa, tutte provenienti dallo strato sabbiosò. Due oggetti in bronzo, raccolti nello strato immediatamente sottogiacente- alla zolla erbosa, esigono particolare descrizione. Il primo è lungo centimetri 9,5, alto 1,9 ed ha lo spessore, massimo di millimetri 5 in corrispondenza alla linea mediana. È ricurvo verso la sua parte centrale ed evidentemente spezzato all’ estre- mità. Sulla superficie esterna e lungo la linea mediana presenta un rialzo, dal quale scendono verso i bordi due piani inclinati; la superficie interna è leggermente incavata. Dire qual nome.si convenga a tale oggetto e quale ne sia stato l’uso, è impossibile, , 382 G. RANCHET ED I. REGAZZONI, ma la prima idea che s’affaccia appena lo si guardi si è che esso rappresenti un frammento di strigilum, quale si usava dai Ro- mani e specialmente dai gladiatori. Potrebbe questo oggetto essere veramente un frammento di strigilo? Forse che i conquistatori romani posero stanza nell’ amena isoletta, o la fecero teatro dei loro spettacoli? E la moneta di bronzo di Marco Aurelio Anto- nino non potrebbe essa pure avere un significato, al pari degli embrici romani che rinvengonsi nell'isola dei Cipressi nel lago di Pusiano? A queste domande risponderanno senza dubbio le ulteriori ricerche (Vedi Tav. 12°, fig. 4). L’altro oggetto di bronzo rassomiglia ad .un grosso uncino. È lungo centimetri 10 dall'una all'altra estremità, non tenuto conto della curva che presenta verso una di esse. Pel tratto di cen- timetri 6 è cilindrico, col diametro di un centimetro circa; il resto è quadrangolare con spigoli regolari e si assottiglia verso l'estremità corrispondente (Tav. 11°, fig. 6). Degne di essere accennate sembranci eziandio due fusaruole o penderuole in terra cotta, una delle quali rimarchevole per le facce, coniche ambedue. Un frammento di vaso con curva gra- ziosa, impasto uniforme ed ansa forata nella parte superiore (Tav. 12°, fig. 8), e parecchi fini cocci di vasi piccoli, lavorati con molta cura ed adorni di disegni svariati, completano la serie dei fittili più rimarchevoli raccolti in questo nuovo escavo (Tav. 13°, Ho, 28) Le ossa, oltre al teschio sopra menzionato, comprendono al- tresì alcune reliquie di piccoli rosicanti, fra cui figura il Zepus timidus, non che l’intera mascella inferiore di individuo del genere camnis. Di legni vi è dovizia in questo fosso, singolarmente nello strato a detriti organici, e sono semi-arsi o carbonizzati, od anche aguzzati or col fuoco ora con tagli irregolari ed incavati. Sul fondo del fosso si rinvennero estremità di piuoli giacenti tra- mezzo ai verticali, talfiata anche cadutivi appena si levano d’at- torno a loro le materie in cui erano sepolti. Notiamo da ultimo che nello strato sabbioso e nel coltivato erano sparsi parecchi LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE ALL’ ISOLINO. 383 ciottoli granitici o gneissoidi, talora cotanto voluminosi da po- terli dire veri massi erratici. ‘Un nuovo scavo poi venne praticato attraverso al fosso mag- giore aperto dal signor Foster, e precisamente a metri 5,80 dal- l'estremità orientale del medesimo. Questo altro fosso venne pro- lungato pel tratto di metri 11,60 verso nord, e di metri 8,20 verso mezzodì, con una larghezza variante di metri 1,50 a 2,20 ed una profondità di metri 1,85 in media. Le condizioni del terreno, la natura e la disposizione degli oggetti rinvenuti furono in generale le medesime altra volta descritte. Nei due strati superiori prevalgono i cocci in minuti frammenti, a fino impasto, con forme ed ornamentazioni diverse, cotti al fuoco, lavorati con cura e con una certa maestria, ed accompagnati da pochi oggetti litici e da scarso ossame. Nu- merosi oggetti silicei con predominio di coltellini d’ ogni forma . @ dimensione, cocci copiosi, ma in genere meno fini e di lavoro meno accurato, ed.ossa pure abbondanti caratterizzano lo strato sabbioso del pari che il sottostante. Nel quale ultimo, oltre ai detriti organici, confusi con una melma nerastra, densa e quasi viscida, si videro apparire altri pali, singolarmente numerosi nella porzione meridionale della nuova escavazione. Non pochi oggetti degni di rimarco vennero da questa forniti, per la qual cosa noi dobbiamo limitarci ai principali. Ricordiamo in primo luogo alcune cuspidi di frecce di varia forma, e di lavoro ove più, ove meno diligente, così che talvolta sono ancora nello stato di semplici abbozzi. È lo strato sabbioso quello che di preferenza le ha somministrate. Alle cuspidi cre- diamo di poter ascrivere eziandio una piccola selce giallo-rossi- gna, lunga centimetri 4,2, larga al massimo millimetri 9, acumi- nata alle due estremità, e finamente dentellata e scheggiata sul contorno (lav. 12°, fig. 11). Nella moltitudine dei coltellini distinguesi in singolar modo uno bellissimo in quarzo jalino, non che altro in quarzo affu- micato, minerali che in frammenti variamente voluminosi tro- vansi sparsi fra i nostri terreni morenici, formati dal grande EI LI 884 100) 06 RANCHET: EDI: REGAZZONI; MITA ca ghiacciaio, che dal Gottardo, pet la valle del Ticino .e del lago Maggiore, spinse fino in queste località» i suoi depositi. Il primo misura centimetri 3,1 in lunghezza e millimetri 7 in larghezza massima alla base; ha uno dei taglienti finamente seghettato. Altro coltellino in selce giallognola è rimarchevole pet essere assottigliato ed arrotondato ad una estremità in modo da risul- tarne una sottile impugnatura (Tav. 13°, fig. 3). Di raschiatoi, di seghe, di nuclei e d’altri oggetti litici si fece ricca e svariatissima raccolta; e del pari innumerevoli furono le schegge ed i ciottoli silicei, per aspetto, per volume e per colore difterentis- simi, frutto di lavoro-quelle, materia prima questi; tutti però avanzi di officine litiche. Gli strati superiori ed il sabbioso: diederovanche qualche azza serpentinosa, e ne segnaliamo. una rimarchevole per finitezza di lavoro (Tav. 11°, fig. 5). Con sirigolare:compiacenza poi additiamo una sega silicea ancora congiunta al manico di: legno mediante sostanza apparentemente bituminosa (Tav. 11°, fig. 7). Lo strumento è lungo'in totale centimetri. 10,4; la lama misura cen- timetri 6,8; la sostanza cementante:centimetri 8,3 ed il. manico legnoso, spezzato anteriormente, centimetri 8;6. La porzione: vi* sibile della lama è larga al massimo millimetri 6, terminando a zero verso l'estremità anteriore; l'altezza totale della. sega è di centimetri 3,4, di cui la lama scopérta- rappresenta sei millime- .. tri, la sostanza cementante millimetri 7, ed il legno centimetri 2,1, È la prima sega immanicata che si rinviene nelle nostre stazioni; fu raccolta nello strato profondo dei detriti organici, e rassomiglia ad altra Ra dal Desor, ma avente il manico in corno. . Devi . 1 cocci non offrirono alcun che di speciale. Non devonsi cella però i grandi frammenti di ampii vasi muniti di rialzi ‘e di or- nati sul labbro «0 sul corpo del figulo. Si rinvennero inoltre par recchi fondi piani con impronte del tessuto di giunchi.sul quale i vasi ancor freschi vennero depositati, e’ fondi di simil genere sono, a nostro avviso; fino ad ora esclusivi dell’isola in discorso. Un altro fondo presenta qualche traccia di impressione per parte di tessuto meno srossolano. Egualmente chiamano 1’ attenzione io ni E e LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE ALL’ISOLINO. 385 due frammenti in terra cotta, l’uno di corpo probabilmente sfe- roidale, l’altro di oggetto piuttosto cilindrico ed adorno di pun- teggiature disposte con un certo ordine, ed ambedue attraversati verso il centro da ampio foro circolare. Sono rosseggianti all’e- sterno e nerastri internamente; si raccolsero nella porzione su- periore dello strato sabbioso, e richiamano alla mente certi pesi da telai delle Terremare (Tav. 12°, fig. 6, 7). Le ossa sono copiose, così nello strato sabbioso come nel sottostante, e rappresentano, oltre alle specie già indicate, anche alcune specie di rosicanti e di carnivori minori, fra cui notiamo il tasso. Le condizioni di questo abbondante ossame sono sempre le medesime, e benchè talora in qualche luogo trovinsi ammucchiate in quantità ragguardevole, non hanno però mai, rispettivamente le une alle altre, un rapporto colla posizione loro nello scheletro del- l’animale. Ciò lascia supporre che quelle ossa appartengano ad ani- mali non spenti in luogo per morte naturale, bensì macellati e fatti a brani a scopo alimentare. Segnaliamo poi in particolare un teschio pressochè completo di cervus elaphus, parecchie zanne di cinghiale e di porco palustre, molti frammenti di corna di cervo, e due corna di un capriolo. Non mancano ossa lavorate quando a punta, quando a spa- tola, e talune meritano un cenno speciale. Notiamo infatti un osso lungo centimetri 15, assottigliato dall’ una estremità verso l’altra, ove termina con due piani inclinati, incontrantisi in uno spigolo che rappresenta il vero tagliente di uno scalpello (Tav.11°, fig. 8 e 9). Questo oggetto, raccolto nello strato profondo fram- mezzo a molte ossa cilindriche e spezzate, lascia nulla a desi- derare; nè questo è il solo scalpello osseo rinvenuto (Tav. 11°, fio. 3). Una laminella ossea, lunga centimetri 4,2, vedesi aguzzatag da una parte mentre dall’altra è spezzata, presentando ivi una insenatura, che sembra corrispondere ad un foro o ad una cruna (Tav. 13°, fig. 5). La vera figura di un ago poi si ravvisa in una scheggia di zanna suina, a quanto sembra, lunga centime- tri 4,2, curvata secondo la forma della zanna, acuminata fina- Vol, XXI. 25 386 G. RANCHET ED I. REGAZZONI, mente ad un capo, laddove all’opposto è munita di regolarissima cruna circolare. Anche cotesto oggetto, raccolto nello strato de- tritico, è rimarchevole per singolare finitezza di lavoro (Tav. 13°, fig. 7). \ Da ultimo non possiamo tacere la quasi assoluta mancanza di quelle ossa auricolari o labirintiche, le quali tanto abbondano nelle circostanti stazioni lacustri, e che ritiensi abbiano servito a scopo ornamentale. Fra tanta congerie di ossa diversissime qui sì rinvenne un solo di queste a cui accenniamo. Ecco i fatti relativi alle recenti scoperte di cui fu campo fe- race l’ Isolino del lago di Varese. Colla loro esposizione, esatta e dettagliata quanto fu possibile, l'intento nostro sarebbe raggiunto, essendo esso limitato a raccogliere materiali per rischiarare le pagine ancora oscure della storia più antica. Malgrado ciò, avendo i fatti di cui fummo testimonii e raccoglitori suscitato nell’a- nimo nostro alcune considerazioni, noi le esponiamo, senza pre- tendere di farle valere in modo assoluto, ben sapendo che in fatto di paleoetnologia occorre di frequente di dover sconfessare oggi quel che jeri sembrava verità incontestabile. Anzi tutto sembraci che la distribuzione dei diversi oggetti preistorici in seno al terreno da noi esplorato meriti di essere di bel nuovo ricordata. Infatti, in generale negli strati superiori, nel vegetale, cioè, e nel vegetale misto a sabbie e ciottoli, pre- valgono tra gli oggetti, relativamente scarsi, che vi si rinven- gono, i migliori prodotti dell’arte ceramica (Tav. 12°, fig. 1, 2, e Tav. 13°. fig. 1, 8), e con questi giacciono i pochi lavori in bronzo, alcune azze e cuspidi di frecce di bella fattura. Lo strato sabbioso abbonda di ossa, di selci e di cocci, e que- sti sono per lo più meno squisiti dei primi, benchè raramente. egrossolani quanto i rozzissimi che predominano nelle altre sta- zioni del lago di Varese. Lo strato sottostante al sabbioso contiene specialmente car- boni, ceneri, avanzi di vegetali e di animali; è un vero detrito organico, in una parola, dal quale svolgonsi eziandio emanazioni idrosolforate e nel quale si riscontrano ancora frammenti di sto- dacia LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE ALL’ISOLINO. 387 viglie prevalentemente grossolane per impasto e per fattura, quan- tunque non vi manchino quelli di altre piuttosto fine. Lo strato più profondo a cui si pervenne, rappresenta il fondo dell’antico lago, ed è anch'esso sparso di carboni e di avanzi or- ganici, confusi ove colla melma marnosa, biancastra o nereg- giante, ove colla fina sabbia. La quantità e la varietà grandissima dei cocci merita senza dubbio un esame serio, dettagliato e diligente, poichè i cocci sono i documenti principali dai quali si potrà dedurre la storia dell’isola. Lo stesso dicasi delle ossa, le quali additano una fauna abbastanza ricca per poter essere studiata con vantaggio. Di armi litiche vi è penuria grande, quando si considera la ric- chezza di altre delle palafitte varesine. Vi è allo incontro rag- guardevole quantità di strumenti, tra cui primeggiano i coltel- lini, e vi son pure in copia i nuclei, le schegge ed i ciottoli si- licei. Dall’ esposto fin quì appare indubitato che l’ isola fu artifi- cialmente innalzata sovra un basso fondo lacustre, per opera delle genti preistoriche e nell’epoca preistorica. Non è improba- bile che il lago in quella località presentasse un basso fondo, nel quale si piantarono i pali a sostegno delle dimore umane. I detriti d’ogni sorta caduti sul fondo lacustre per lungo pe- riodo di tempo ed i materiali spinti dalle onde in quella specie di piccolo seno, elevarono a poco a poco il fondo stesso così da seppellire i piuoli della palafitta. Allora, mercè materiali terro- si, ghiaiosi e ciottolosi, in parte importati, in parte anche cac- ciativi dalle acque, si elevò l'isolotto, a difesa del quale si ag- giunse la gettata di ciottoli riscontrata verso il lato settentrio- nale, e probabilmente estesa ad altri punti del contorno dell’ i- sola, come lasciano supporre i ciottoli ed i trovanti escavati verso l’ estremità esterna del fosso orientale. Su quest’ isola così for- mata ed elevantesi sempre maggiormente in causa di sempre nuovi detriti, si proseguì a tener stanza, cosa dimostrata dalla presenza di oggetti preistorici in tutti i diversi strati, dal fondo lacustre fino alla zolla erbosa, che ne riveste la superficie. — 388 G. RANCHET ED I. REGAZZONI, Sui due lati di levante e di ponente sorsero pure due pala- fitte, impiantate nel fondo del lago e collegate colla stazione insulare, e ciò almeno per rapporto alla orientale. Queste pa- lafitte, per la cui costruzione si portò in luogo quantità ingente di pietrame, sembranci fondate dalla gente medesima che im- piantò quella dell’isola. A credere la qual cosa siamo indotti non tanto dalla loro contiguità, per non dire continuità, quanto dall’analoga disposizione dei pali, e meglio da una certa rasso- miglianza fra i cocci della palafitta esterna orientale, la sola’ esplorata fino ad ora, e quelli degli strati inferiori dell’isola. Infatti, la descrizione di cotesti cocci s’ accosta molto a quella che i chiarissimi Stoppani e Marinoni fecero dei cocci da ben tre lustri rinvenuti nella palafitta orientale. Se s ° intraprenderà qualche esplorazione ad acque basse per magra straordinaria, si riscontreranno molto probabilmente i piuoli dell’interno del- l’ isola che danno la mano a quelli della palafitta esterna orien- tale. E parimenti siamo d’avviso che, se anche la nuova pala- fitta occidentale verrà fatta segno di accurate ricerche, potrà dare essa pure risultati eguali, non fosse altro per quel che si riferisce alla natura della messe preistorica. Riteniamo pertanto che la grande stazione preistorica dell’ Iso- lino sia stata originariamente costituita dalle due palafitte esterne e dalla interna, e che, allorquando la palafitta interna venne sepolta dai detriti, in corrispondenza ad essa copiosissimi, e l’i- sola si elevò sopra il pelo delle acque, siano state abbandonate le palafitte esterne, più incomode e meno sicure, lavorando in- vece ad innalzare maggiormente la interna, fornita di maggiori vantaggi. Questa ipotesi, per altro, dobbiamo, per ora, limitarla ad una sola delle palafitte esterne, “alla orientale, poichè del- l’altra occidentale, non ancora esplorata, non possiamo portare un giudizio. La palafitta esterna orientale conserva quindi il ca- rattere primitivo di Steinberg, riconosciuto dal Desor fino dal momento che ne fece la scoperta in uno ai chiarissimi Stoppani e Mortillet, e questa palafitta, al pari della interna, ha comune colle altre del lago di Varese la origine durante l'epoca neo- LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE ALL’ ISOLINO. 389 litica; nella quale opinione ci confermano così i manifesti e noti caratteri generali di tutte coteste stazioni preistoriche, come l’e- same diligente ed il confronto dei diversi loro prodotti, ed in singolar modo dei cocci rappresentanti nella loro gran maggio- ranza un vasellame fabbricato con materia rozza, grossolana e piena di frammenti quarzosi. A questi caratteri generali poi ne ‘aggiungiamo altri speciali, come i tagli dei pali fatti per lo più con strumenti litici, la scarsità delle migliori forme di azze ser- pentinose ed in particolare delle forate, delle quali sino ad ora se ne riscontrò una sola fra le centinaia estratte sul lago di Varese, la scarsità relativa degli oggetti metallici, e la mancanza dei migliori arnesi in bronzo — spade, orecchini, falcetti, ar- mille, braccialetti e simili — sempre caratteristici delle vere sta- zioni della età del bronzo. Inoltre opiniamo che gli abitatori dell’ isola vi protraessero la loro dimora fino alla età del bronzo. Anzi ne sembra che per lungo tempo, dopo la scoperta dei metalli, la stazione insulare sia stata dimora umana, raggiungendo in questo periodo il suo massimo sviluppo. Da prima di oggetti metallici non si rinvenne che l’amo raccolto dal prof. Stoppani nella palafitta esterna. Oggi lo stampo di cuspide di lancia, rinvenuto dal signor Foster nel pozzo meridionale, attesta solennemente la cognizione e l’uso del bronzo, cosa confermata altresì dai due nuovi arnesi testè raccolti, i quali rappresentano, e giova notarlo, oggetti d’ uso comune. Oltre a ciò i cocci col loro impasto, colla loro forma, colla loro ornamentazione, con tutto il complesso della loro fat- tura e delle loro condizioni, segnano l’epoca del bronzo, se pure alcuni non additano eziandio l’aurora dell’età del ferro. Ciò può rendere ragione della loro analogia coi cocci di Monate e di Rondineto e con altri molti spettanti ad epoca meno remota della neolitica. Nello stesso mentre i cocci più grossolani e più rozzi prevalenti negli strati inferiori, colla loro analogia con quelli predominanti nelle altre stazioni lacustri varesine, non che in generale nelle neolitiche, attestano una origine contemporanea per tutte queste diverse stazioni, origine che risale, il ripetiamo, anche per altri dati, all’età della pietra levigata. 390 G. RANCHET ED I. REGAZZONI, La dimora dell’uomo in questa grande stazione comprese, adun- que, un assai lungo periodo di tempo, e stimiamo di poterlo de- durre così dal grande lavoro da lui intrapreso per costrurre ed elevare lentamente l’isola artificiale, come dalla ingente quan- tità delle reliquie da esso lasciatevi, le quali hanno un va- lore quantitativo indubbiamente considerevole; al che aggiungasi la natura delle medesime ed in particolar modo dei cocci, i quali dai più rozzi neolitici ascendono mano mano fino ai mi- gliori fittili preistorici. Ove si consideri quanto lentamente in quelle epoche di barbarie dovesse procedere lo sviluppo della umana famiglia ed il dirozzamento delle sue industrie, è giuoco- forza concedere che per toccare estremi cotanto discosti abbiso- «gnò senza dubbio un periodo di tempo molto lungo. Se poi si confrontano i materiali preistorici raccolti nell’Iso- lino con quelli forniti dalle altre stazioni varesine, si riscontra nei primi qualche cosa di speciale, quasi di caratteristico. L’ab- bondanza dei coltellini e dei raschiatoi, la scarsità notevole di armi litiche, la copia straordinaria dei cocci e la loro natura, la quantità grande di ossa e di legni, non che la immensa congerie di carboni, di ceneri, di avanzi di cucina, in una parola, sono circostanze che fecero già capolino nella antica palafitta esterna ; | maora esse siripetono, ed'assai più manifeste, e su scala molto più vasta, in seguito alle nuove scoperte nell’interno dell’isola. Tutto ciò, non potrebbe far supporre che l’isola stessa servisse ai primi abitatori del lago di Varese specialmente come luogo di convegno per pasti ordinarii, non che per banchetti solenni? E dietro questa prima supposizione, non potrebbesi altresì congetturare che le genti preistoriche del nostro lago formassero una sola tribù, divisa in tanti gruppi, sparsi sulle differenti palafitte, ed ivi esercenti con predilezione questa o quella fra le industrie di quei tempi? La sta- zione di Bodio, a cagion d'esempio, sempre segnalata per ric- chezza di cuspidi di freccia, di giavellotto e di lancia, non che di azze, di percuotitoi, martelli, brunitoi e simili, fece già sup- porre a parecchi che ivi dimorassero famiglie dedite in particolar modo alla fabbricazione delle armi litiche. E del pari la vicina LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE ALL’ISOLINO. 391 stazione Desor, o del Maresco, per la quantità grandissima del vasellame, fu dal chiarissimo prof. Stoppani, tutt'altro che pro- clive a correr dietro a delle ipotesi, supposta una dimora di stovigliaî. Questa dell’Isolino poteva alla sua volta essere come un deposito di animali, essendone la custodia favorita dalla na- tura stessa dell’isola, nella quale quegli stessi animali venivano macellati e cotti. I coltelli ed i raschiatoi, cotanto abbondanti, dovevano appunto servire per scorticare gli animali e per pre- pararne le pelli e le carni. E che ivi si macellassero gli animali lo proverebbe anche la condizione dell’ossame che noi vi ab- biamo in gran copia raccolto. I teschii dei mammiferi ruminanti e dei suini sono tutti spezzati sulla fronte, e parimenti spezzate sono le loro mandibole nella porzione inferiore ; i teschi e le mandi- bole dei carnivori allo incontro sono per lo più intatte. Le ossa ci- lindriche grosse o mezzane sono pure aperte per il lungo o rotte obliquamente. Inoltre in luogo si rinvengono tutte le ossa del corpo animale, nessuno escluso. Nelle caverne della Liguria l’il- lustre prof. Issel verificò la mancanza ordinaria dei cranii dei grossi mammiferi, delle vertebre e dei bacini, e ne dedusse che questi animali venissero uccisi e squartati fuori del sotterraneo, nel quale non si recavano che pezzi scelti fra i migliori, per farli cuocere e mangiare. Del resto non v’ha ragione seria che vieti di concedere agli abitatori delle nostre palafitte la pratica di quella localizzazione dell’industria che i paleoetnologi francesi, ed in particolare il Broca, riscontrarono nelle stazioni della Maddalena, risalenti ad epoca di gran lunga più remota. I popoli antichi, e più ancora i medio-evali, ci diedero esempii moltissimi di siffatta localizza- zione delle industrie, sia coi quartieri delle arti, come col nome, non ancora perduto, di certe vie delle nostre stesse città. E qual- che cosa di consimile non possono aver fatto anche le genti pre- istoriche? Noi azzardiamo una ipotesi e la sottoponiamo a coloro che col debito corredo di profonda dottrina vorranno affermarla oppure relegarla fra le utopie. Del che noi non ci dorremo, ben sapendo 392 G. RANCHET ED I. REGAZZONI, che in argomenti cotanto oscuri è appunto attraverso alle ipotesi che d’ordinario si fa strada la verità. ; A questi cenni, riferibili alle scoperte fatte nell’ Isolino, ag- giungiamo con lieto animo una breve notizia delle recentissime ricerche eseguite nella palude Brabbia, per cura del signor Napo Borghi. . é In località distante dal lago di Varese quasi due chilometri ed al piede della collina morenica, che incorona ad occidente la valle della Brabbia, si scorge un piccolo rialzo, elevantesi sul fondo della circostante palude poco più di due metri e della estensione di circa 8,000 metri quadrati. Fu questo rialzo, che pel primo attrasse l’attenzione dell’intelligente suo proprietario, fiducioso di rinvenirvi indizii di antica dimora umana, e di con- statare la artificiale elevazione del monticolo. Il fatto corrispose alla aspettazione, poichè i dieci o dodici pozzi aperti in luogo diedero tosto una certa quantità di oggetti preistorici. Consistevano questi in oggetti litici di evidente lavoro umano, ma in generale aventi angoli, spigoli e contorni smussati, come se fossero stati per lungo tempo smossi dall’acqua, oppure, come suol dirsi, fluitati. Siffatta loro condizione richiama alla mente gli oggetti preistorici silicei, che si rinvengono a Pontemolle, presso Roma, nei depositi quaternarii del Tevere, non meno che le selci che si raccolgono sulle rive dell'Isola dei Cipressi nel lago di Pusiano. Erano singolarmente abbondanti i coltellini, piut- tosto mal riesciti; ai quali voglionsi aggiungere parecchi nuclei assai caratteristici, una freccia ovalare assai ben lavorata, e qual- che abbozzo di freccia. Nel medesimo luogo si rinvennero moltis- simi cocci grossolani ed in minuti frammenti, e non di rado portanti indizii di cottura al fuoco. Pochi fra essi, a differenza di quel che notammo all’Isolino, portano ornati, sempre molto semplici e primitivi, e consistenti soltanto in segni od impressioni fatte coll’ unghia, con punteruolo o col palmo della mano. Scar- seggiano anche le anse, pure grossolanissime; una sola a foro che la attraversa. A 70 centimetri dalla superficie, nella parte più elevata del cumulo, si raccolsero abbondanti depositi di carbone, IRE * RL . LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE ALL’ISOLINO. 393 e sotto a questi fina arena, viva e lavata, la quale verso la base del cumulo stesso finisce per trovarsi alla profondità di soli 15 o 20 centimetri. Ì Altre escavazioni furono intraprese alle falde e ad oriente del monticolo;, in un terreno torboso. Quivi fu più ricca la messe degli oggetti analoghi ai descritti, salvo che i litici non mostra- vansi smussati, ed i cocci ieri cotti al sole anzi che al fuoco. Meritano singolare attenzione i seguenti oggetti ivi rinvenuti: Una rozza freccia di selce cinerognola. Una cuspide di lancia, pure in selce cinerognola, assai ac- curatamente lavorata, lunga centimetri 8,5, larga centimetri 2. Altra cuspide di lancia in selce argillosa con erosioni natu- rali ed incrostata da depositi calcari. È peduncolata e lunga cen- timetri 8,5 circa, larga centimetri 2, 7. Un cono di legno di pino, lisciato diligentemente, lungo 10 centimetri, largo alla base centimetri 2,8, al vertice milli- metri 4. Probabilmente serviva per forare i vasi o le loro anse. Accenniamo inoltre.un pezzo di legno di castano, assottigliantesi verso le estremità, lungo metri 1,14, con diametro di 2 per 3 centimetri al centro e con una curva di centimetri 3 sopra la linea della corda. Riteniamo che questo pezzo di legno sia effet- tivamente un arco, e lo deduciamo, oltre che dalla forma, dalla tarlatura del legno, tarlatura sottocorticale e superficialissima, a rabeschi, quale si forma allorchè un legno dissecca colla sua corteccia, e per opera di insetti, che si insinuano fra questa e il legno sottoposto. Siffatta condizione del legno indica che esso era staggito prima che lo si riducesse ad uso d’arco, ben sapen- dosi che il legno di fresco taglio non conserva la elasticità ri- chiesta per consimili strumenti. Da ultimo notiamo l’assoluta deficienza di ossa, eccezion fatta di un unico dente molare di giovane suino, laddove abbondano invece i semi della Trapa natans o Laganna. Le ricerche proseguono, e speriamo che ad esse corrispondano risultati ancor più favorevoli, e sufficienti per poter determinare 394 G. RANCHET ED I. REGAZZONI, la natura e l’ epoca ‘di siffatta dimora preistorica, non che il. nesso che la medesima può avere colle vicine stazioni del lago di Varese. | Ed ora concludiamo col rallegrarci grandemente che le re- centi scoperte dell’Isolino, e le altre fatte nei laghi di Varano e di Monate, e nelle paludi torbose della Brabbia, abbiano te- stimoniato di bel nuovo quale immenso ed inesauribile tesoro di ricchezze preistoriche stia sepolto in siffatte località. Fortu- natamente coteste dovizie sono nelle mani di egregie persone, per sollecitudine del bene e del lustro del paese nobilmente gareg- gianti nel metterle a profitto. Per la qual cosa, nel mentre affermiamo i titoli che i hene- meriti fautori degli studii paleoetnologici hanno alla pubblica estimazione e riconoscenza, e ci lusinghiamo che il loro esempio trovi solleciti imitatori ed emuli generosi, facciam voti altresì affinchè le ricerche vengano proseguite con alacrità e con dili- genza degne del grave argomento, ed il frutto delle medesime sia raccolto con amore, e sia custodito religiosamente, ma non sot- tratto alla giusta curiosità degli studiosi. Agendo per siffatta guisa gli illustri proprietari dei nostri laghi e delle nostre torbiere eleveranno un monumento colossale, sul quale sorgerà il grande edificio della nostra storia più antica; e con esso legheranno il loro nome onorato e riverito alla posterità, la quale ammirerà sempre gli sforzi intesi a promuovere gli studii utili e serii. | Abate GIovANNI RANCHET — Prof. INNOCENZO REGAZZONI, P. S. Qualche giorno dopo che la presente Relazione era stata comunicata alla Sezione paleoetnologica del Congresso ne fu dato di rinvenire all’Isolino un altro oggetto tanto interessante da farci credere doveroso l’aggiungerne la descrizione. Tale oggetto, rappresentato nella Tav. 13°, fig. 6, è in osso, lungo centimetri 5,1, irregolarmente quadrangolare, misurando millimetri 5 per 3. Ad una estremità è assottigliato, e vicino a questa offre un in- NT: Po Te "LE NUOVE SCOPERTE PREISTORICHE ALL’ ISOLINO. 395 | grossamento irregolare con qualche solco scorrente all’ingiro. A centimetri 4,2 da tale estremità l'oggetto si piega quasi ad an- golo retto e forma una branca minore, la quale è leggermente curvilinea, e dopo breve tratto spezzata. La forma di questo osso, . evidentemente lavorato, richiama quella di un amo grossolano, la cui punta manca in conseguenza della rottura della branca minore, e sul quale vedesi ancora presso alla estremità opposta il rialzo ed il solco destinato ad assicurare il filo. In seguito, per cura del distinto giovane sig. Ettore Ponti, il quale con ardore si va applicando agli studii paleoetnologici, si passò a vagliare diligentemente la terra estratta dai diversi fossi aperti nell’ isola Virginia, e si ottennero molti oggetti sfuggiti alle prime ricerche, e fra questi accenniamo: Un dente canino di animale del genere Canis, forato verso la estremità della radice, nello scopo evidente di appenderlo come ornamento o come amuleto. Varii altri coltellini di quarzo jalino, mirabili per finitezza. Un punteruolo in osso, rimarchevole per lavoro squisitissimo. Uno scalpello serpentinoso, lavorato con somma cura. Un altro ago finissimo in dente di suino, simile al già de- scritto, benchè spezzato verso la punta. Parecchie cuspidi di frecce silicee di varia forma, ma per lo più grossolane e rozzamente scheggiate. Un numero di coltellini, parecchi dei quali notevoli per forma e per fattura assai delicata. Alcune vertebre di pesce. Faz 3, 4. Cocci di vas ‘od ormamentazioni. | _ > 2. Stampo in serpentino. di lancia, SIR 1 dl Fondo di vaso con impressioni. dii ii "a Ù % ML T6; Tee Piodoli vasi spezzati. a ) di di si sis «‘ » 8,11,12. Anso mammellari perforate.. sedi Bro * Ma 59, Coccio con disegno impresso coll’ unghia. — 3A A a LI id. con impronte fatte col dito. CRI i ; ) TAVOLA 9 4 ” RP] dia Fig. 1,2 13,5. Anse mammellari perforate. vi RADI » 4 Se Frammento d'orlo con foro e punteggiature, % ds >» 6,7. Cuspidi di frecce in selce piromaca. Mati» di SB Labbro di vaso a conca, con becchetto. ae 340 CI > si Grossa sega. in selce piromaca. ne. MAT 7 21 pas i da Pa > (AD IL, Huspidi di freccia in selce piromaca. dRlLra p D TavoLa 10°. 1,2. Nuclei silicei. | Grandezza naturale Fig. 1 EDEN » 3. Coltello in pietra selce. sé si LO rotte i bi a, Azza serpentina spezzata. ia: PRIA Rua cy aa Cubito di cervo lavorato & prniprun,, Moige ai NE >» 6,8. Frammento di teschio di Sus. scropha | e si 1. ‘RARA : ferus. i 3% PN ge Be PIO d Cubito di cervo lavorato a spatola. ——?/ » At ad ; DE cv) ‘ raccolti. ti, pe Dari a LESIVI Tutti questi ogizoti poi vennero disegnati Nel vero dal Mar Gic Ind Vannini, distinto professore di disegno nel R. Istituto tecnico OO) Ft.) volmente noto per parecchi altri lavori pregetotisdial du $ È 1 i C LAICI ANCHET e REGAZZONI Scoperte all'Isolino Atti Soc.Ital. di Sc. Nat. Vol XXI Tav. 8 Prof G. Vannini dis. dal vero. lit Ronchi Affi Soc. Ital. di Se. Nat. Vol XXI, Tav.9 RANCHET e REGAZZONI, Scoperte all’ Isolino f Ronchi li is. dal vero. Prof G. Vannini \ RANCHET e REGAZZONI, Scoperte all’Isolino Atti: Soc. Ital. di Sc. Nat, Vol XXI Tav.10? i [it Ronchi G. Vannini dis. dal vero. RANCHET e REGAZZONI, Scoperte all’Isofino Atti Soc. Ital. di Sc. Nat, Val XXI Tav 11: Lit. Ronchi MUICHET e REGAZZONI, Scoperte all’ Isolino Atfi Soc Ital. di Sc_Nat. Vol XXI Tav.12* Prof. G Vannini dis. dal vero Lit. Ronchi Viani ) LI1U . II ri CICALE AAIAAMI LAI PIA LISA NI RUI RG IL SR I DZ BICMASMERAI SCO LIE URI FT pera Lit Ronchi Prof. G. Vannini dis.dal vero. PROVA I i SA pia A “eine a 2 si " Cooci davorati ed ornati a disegni diversi. sar» »° |. Scalpello in ono it 1-50 vel Ade da: pò ; Piccola azza in serp tino. Po Lara Sr 6 © cino (?) di bronzo. n RA ARE fici pi Sega silicea con. manico di legno. ione. Abi » $, ‘ è lat n CP ig 19% » x 8, US Scalpall in 0850. pica ve ne Sa > eno Tavona 12°. Tassi igionali nea ornati a "disogal, divers — 13. Li Punteruolo. in osso. ;% A, ca e ie 4 | Oggetto i in bronzo. Luso ignoto. 5 ; i ia > no + Re] | Ansa a quattro fori. DEE RESI Rug ALZO di | Frammento di cilindro forato in terra. CIG Ri» FAST, SE AN, ’ 8. Orlo di vaso: con ansa forata în terra. sa, arri, 9, 10. Frammenti di vaso con ornati a rilievo. — > SRI, Cuspido Bilitca a duo punte. Rm a | ne pria LI 4 08" i ai " : i »:; di i 21 ea Sao of TAVOLA batt ST È > “a 4 È P 7 A K nl P, S K ad (1000; Frammenti di vaso con ornati a rilievo. Grandezza naturale © © 2... Orlo di° vaso con ornati a grafito. DE mi ir deri di Coltellino siliceo con impugnatura. 00° PALO Cora cea Dite tia d FDL ; ci prada da (9 09° ll % Toe — Frammento di vaso con ornati circolari e e PNR "MR RAI) eni, 2 7 marca (9). Risk a E e I ri È sa E Lo pi 7 se P.i Ago. in LISCA spezzato. | e i ISO Liana sia: pe yi b Si a NIE TE 3 DI ( Gi. Amo in osso, spezzato. | ; Eri fit è Ta di vis Ne DAI rali. do e DE : hego, ‘Ago i in lamina i zanna suina. iene PAIN x Mei Ego, SII i “i Li LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO 15) CONSIDERAZIONI GENERALI INTORNO ALLE PALAFITTE DI POMPEO CASTELFRANCO. Seduta del 25 settembre 1878. (Tav. 14%.) Ir LAGO DI MONATE. Il 28 aprile 1863 i signori Stoppani, Desor e Mortillet ten- tarono l'esplorazione del Lago di Monate, ma non vi rinvennero abitazioni lacustri; sembrò a quei distinti paletnologi che le pa- reti di quel lago essendo per lo più a picco, il bacino “ non po- tesse offrire piaggia opportuna per le palafitte. !,, L'inverno se- guente il pescatore Giuseppe Molinari di Bardello, detto lo Spariss, mettendo a profitto l’esperienza acquistata sul lago di Varese durante le ricerche eseguite a spese della nostra Società nell’anno 1863, e coadiuvato da certo Pietro Bianchi . pe- scatore pratico in particolar modo del lago di Monate, accertò, sotto Cadrezzate, l’esistenza di due palafitte, e ne informò tosto l’abate Ranchet. Lo Stoppani, a sua volta, nella seduta del 28 febbraio 1864 riferiva nel modo seguente le informazioni tras- messegli : “L’abate Ranchet, incaricato dalla Presidenza di proseguire nelle ricerche lacustri nei dintorni di Varese, valendosi dell’opera dello sperimentato Spariss, ci annunzia la scoperta di due sta- 1 A. STOPPANI, Prima ricerca di abitazioni lacustri, cce. Atti della Soc. it. di Sc. nat. Anno 1863, pag. 159. LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 399 zioni nel lago di Monate, l’unico che, stante la sua profondità, non siasi ghiacciato nell'inverno spirante. Amendue le stazioni si trovano sulla sponda ovest, precisamente sotto Cadrezzate, e non distano l’una dall’altra più di 200 metri. I piuoli sono, o almeno si veggono, assai radi. Ci fu spedita la testa di uno di essi, che è di betula, e conserva perfettamente la corteccia. Le stazioni, più che palafitte, appajono enormi cumuli di grossi ciot- itoli. Una, ha circa 120 metri di Jungo e 30 di largo, l’altra è molto meno della metà. La profondità dell’acqua sulle stazioni è da 2" a 2” 80. Sono notevoli per la estrema abbondanza delle stoviglie, che per l'impasto e lavoro corrispondono perfettamente a quelle del lago di Varese. V’hanno tuttavia delle rimarchevoli ‘specialità. Un fondo di vaso era colmo di sostanza terrosa, che ‘andrà analizzata. Vi abbondano pure dei carboni spenti; nulla ‘del resto, eccetto una sega, due punte di freccia e alcune scheg- igie di selce.’ ,, Ho voluto citare integralmente questa succinta relazione per- chè nella sua brevità è molto precisa e perchè quelle del Ma- tinoni ° e del Regazzoni © non sono altro che una ripetizione di ‘questa aggiuntevi alcune notizie non altrettanto esatte. ‘Oltre le due di Cadrezzate, una terza palafitta venne poi sco- ‘perta sotto Monate nel 1876. ° Intorno a queste tre stazioni lacustri non si saprebbe oggi nulla di più senza l’opera lodevolissima del compianto amico imio Antonio Borghi, opera che per parte mia non faccio altro iche continuare. I signori Borghi, proprietari dei due laghi di Monate e di Varano, facevano da molti anni diligentemente rac- ‘cogliere tutti quegli oggetti preistorici che gli scavi in torbiera ‘mettevano in luce. L’ Antonio Borghi, dotato di una coltura e nt STOPPANI, Processo verbale della Scduta del 28 febbrajo 1864, Atti della Soc. Mit. ecc., p. 29 e 81. ® C. MaRINONI, Le abitazioni lacustri e gli avanzi di umana industria în Lom= di bardia nelle Memorie della Soc. it. di Sc. nat., tomo IV., N.° 3, 1868, pag. 25 e 26. “ 4 I, REGAZZONI, L'uomo preistorico nella provincia di Como, Milano, 1878, pag. 166 o 67. _° Rivista archeologica della provincia di Como. Dicembre, 1876, p. 20. 400 P. CASTELFRANCO, di un ingegno non comuni, appassionato raccoglitore di oggetti | d’arte e d’antichità, se ne occupava più particolarmente e con- | sacrò qualche settimana a fare delle ricerche nelle palafitte del + lago di Varese, ricerche che gli fruttarono parecchi importanti cimelî. Alcuni giorni li dedicò pure alle quasi vergini palafitte poste sotto Cadrezzate, ma, desideroso anzitutto di cavarne ilo massimo profitto possibile per la scienza, non volle permettere ad alcuno di esplorarle con la cucchiaja prima che ne fosse ri- 4 levata la pianta nel modo più preciso; si occupò egli stesso di quel lavoro preliminare importantissimo. Rilevata che fu quella. | pianta, mi chiamò per esprimermi il desiderio di continuare con || me lo studio di quelle stazioni ed io accettai l'offerta con vi- | vissima riconoscenza. Dovevamo incominciare il lavoro nell’otto- © bre 1875, ma un incarico del quale il Ministero della pubblica istruzione volle onorarmi, non mi permise di recarmi a Varano. per tutto quell’autunno, ed ogni cosa venne rimandata ad altro. tempo. Altre varie ragioni distolsero più tardi ora uno, ora l’al- tro di noi dal condurre ad effetto il progettato studio, finchè, lo scorso anno, quando nessuno avrebbe potuto prevederlo, nel | fior della gioventà e dell'ingegno, un male crudele e fulminante. rapì a me l’amico affezionato, lasciando inconsolabili una madre, due fratelli, e quanti furono in grado di apprezzare le doti del cuore e della mente del povero Antonio. j Rimase a noi il suo lavoro, la pianta cioè delle stazioni di. Cadrezzate (Tav. 14°, fig. 2) ed alcuni rari e preziosi oggetti. preistorici. Lo scorso giugno il signor Napoleone Borghi, deside-. roso di onorare il fratello estinto, pregò me di completare lo. studio incominciato, ed è quindi a questo desiderio, ed anche: per mantenere la promessa da me fatta all’ Antonio, ch'io debbo, di poter oggi pubblicare, in modo alquanto particolareggiato, le palafitte del lago di Monate. i Ed ora, pagato questo tributo alla memoria del giovane leale! che tanto mi era caro, incomincio senz'altro l’annunziata de-. scrizione. STAZIONE DEL SABBIONE (Tav. 14°, fig. 2, 3, 4) — È la più | fasi resti PI a Rica o Pa AZA TO 4 si cia, bat st LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 401 | settentrionale ° e la più grande delle due palafitte situate sotto Cadrezzate.’ Dista dalla riva circa 55 metri, ed occupa un luogo del lago designato dai pescatori col. nome di Sabbione. Misura un’area approssimativa di 4000 metri quadrati, ed è lunga me- tri 98, larga metri 51. Nelle magre l’altezza dell’acqua sopra la stazione è di metri 1,60 a metri 3,40. Mentre le stazioni del lago di Varese formano un piano uniforme lievemente rialzato al disopra del fondo naturale, questa, come le altre del lago di Monate, è formata da parecchi grossi cumuli di ciottoli separati da brevi avvallamenti, e situati fra loro a distanze che variano fra due e quattro metri. Verso il largo i cumuli del margine si abbassano rapidamente ed ivi l’acqua è alquanto più alta (v. sezione trasversale sulla linea C-D della pianta Borghi, Tav. 14*, fig. 3). Dieci pali innalzano ancora le loro teste e parte del fusto (dai 15 ai 24 cent.) nel margine esterno nord-est della stazione e sembrano segnarne il confine verso il largo. Altri. radi pali si osservano al centro di qualche cumulo, ma è pro- babile debbano esservene altri numerosi nascosti sotto i sassi. In tutte le stazioni del lago di Monate il lavoro con la cuc- chiaja (draga) è oltremodo penoso e pochissimo fruttuoso, stante appunto la quantità straordinaria di quei sassi grossi che non permettono all’istromento di far presa sul fondo. Nei brevi in- tervalli tra i vari cumuli, i sassi sono scarsi e la cucchiaja può quindi adoperarsi con maggior frutto, e s'imbatte solo eccezio- nalmente nelle testate dei pali. Quegli avvallamenti non sono dunque probabilmente altro che il fondo delle vie o meglio dei canali del villaggio lacustre, mentre le capanne dovevano in- nalzarsi al disopra dei cumuli stessi. * © Una delle palafitte di Cadrezzate è detta dal Marinoni (loc. cit.) palafitta orien- tale, e suppongo l’altra sarà stata occidentale, ma un colpo d’occhio dato alla pic- cola carta unita alla presente Memoria (Tav. 142, fig. 1) o a quella pubblicata dal Marinoni (loc. cit. Tav. I, fig. 2) dimostrerà che avrebbe dovuto dire settentrionale e meridionale, 7 Si osservi che le due strade campestri segnate nella pianta Borghi vengono a metter capo al lago, proprio rimpetto alle palafitte, quasi siano nei medesimi luoghi dei sentieri di quelli antichi tempi. ? Cumuli ed intervalli analoghi si osservano nella terramara di Castione (vedi Vol, XXI. 26 402 P. CASTELFRANCO, Embrioni di cumuli consimili furono del pari osservati da al- tri anche nelle stazioni varesine prima che fossero tutte scon- volte dai numerosi ricercatori. Cito le parole dello Stoppani: “grossi ciottoli erano disposti a corona formando una specie di cumulo circolare: lo spazio cinto figurava come una specie di piazzuola fangosa, e dal cumulo sorgevano fitti i monconi. ®, Se nel lago di Monate i cumuli di ciottoli sono più potenti (hanno talvolta fino a due metri di altezza) non credo sia da attribuirsi ad altra cagione che alla diversa natura del fondo, il quale do- vette esigere una gittata più copiosa. Infatti il fondo del lago di Monate è tutto formato di sabbia fina e leggiera stesa sopra la roccia, per cui i piuoli non avrebbero potuto reggervisi in piedi da soli, e, come osserva giudiziosamente il Lubbock, par- lando dei packwerkbauten della Svizzera “era più facile innal- zare il suolo intorno ai pali che non di conficcarli nel suolo stesso. !°, Il fondo del lago di Varese invece è di sua natura molto fangoso; è quindi naturale non si dovesse ricorrervi allo stesso espediente per assicurare l’impianto delle palafitte, o per lo meno poteva bastarvi poca gittata per raggiungere il mede- simo risultato. Per tali considerazioni non credo che il diverso aspetto delle palafitte di Monate in confronto di quelle di Va- rese sia un argomento da invocare per attribuire tali stazioni ad un altro popolo o ad un’altra epoca. Per la natura del suo fondo il lago di Monate è limpidissimo, anche nel mese di luglio, mentre gli altri suoi vicini, nella me- desima stagione, sono alquanto torbidi per la quantità di orga- nismi sviluppati dall’ardore del sole e che vi si trovano in so- spensione. Converrà approfittare di tale limpidezza, visto il magro esito ottenuto con la cucchiaja, per farvi delle ricerche con la pinzetta Schwab. Due dei migliori oggetti raccolti nella palafitta del Sabbione, un coltello-ascia ed una fusaiola, furono da me ve- STROBEL e PIGORINI, Le ferremare e le palafitte del Parmense, negli Atti della Soc. it. di Sc. nat., 1864, pag. 15, fig. 2. ° A. STOPPANI, Rapporto sulle ricerche fatte a spese della Società nelle palafitte del lago di Varese, ecc. Atti della Soc. it. di Sc. nat., 1863, pag. 427. 10 J. LuBBOCK, L’ homme avant V histuire. Paris, 1867, p. 131. LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 403 duti distintamente sul fondo del lago prima di averli fra le mani. Tentai di impadronirmene tuffandomi nell'acqua a varie riprese, ma poi dovetti faticosamente ricorrere alla cucchiaja, e ci volle quasi un’ora per riuscirvi. Per cui, l’inverno prossimo, epoca in cui le acque saranno ancor più chiare, conto munirmi di una pinzetta. Anche l’opera di un palombaro, giudiziosamente ideata e generosamente promessa dall’egregio signor Napoleone Borghi, potrà dare i migliori risultati. La stazione del Sabbione, oltre i due oggetti già accennati, ha dato molti cocci di stoviglie, un brunitojo, pochissime selci, poco carbone e alcuni vegetali. Descriverò brevemente ogni cosa: ! StovieLIE. Le stoviglie sono abbondanti in confronto degli altri oggetti. Sono generalmente rozze, formate di terra mal de- purata, impastata con un tritume di quarzo, di amfibolo e di sabbia. Gli studi fatti da altri paletnologi ‘* hanno luminosa- mente provato che si frantumavano a bella posta tutti quei sas- solini per unirli all’argilla nella composizione dei vasi. A Ca- sola di Ravarano, nel Parmigiano, molti abitanti del paese, oggi ancora, sono occupati a formar vasi con una pasta così fatta. Il tritume di sassi che incorporano nell’argilla lo chiamano tarso, ed è destinato ad impedire lo sfasciamento dei vasi e ren- derli più refrattari. '* Al Sabbione, come nelle altre stazioni la- custri del Varesotto, generalmente non si cuocevano, ma si fa- cevano soltanto asciugare al sole. — La parete esterna porta bensì talvolta delle traccie di fuoco, ma il fatto che tali traccie si osservano solo all’ esterno, prova soltanto che furono lambiti dalla fiamma forse adoperandoli per la cucina. La stessa parete sì mostra quasi sempre meno scabra dell’interna; ne ricercai la cagione, ed osservai che mentre si contentavano generalmente di lisciare la parete interna con un arnese qualunque (proba- 1! NB. Tutti gli oggetti da me raccolti nelle palafitte dei laghi di Monate e di Varano sì conservano nella collezione Borghi a Varano. 12 StROBEL e PIGORINI, in GASTALDI, Nuovi cenni sugli oggetti di alta antichità trovati nelle torbiere, ecc. 1? STROBEL e PIGORINI, in GASTALDI, loc. cit. 404 P. CASTELFRANCO, bilmente una stecca di legno) o semplicemente con la mano, la esterna veniva per giunta ingubbiata con argilla più finamente lavata e scevra di tarso. '* Talvolta le stoviglie sono formate di argilla più fina e meglio ingubbiate eccezionalmente anche sulla parete interna. Qualcuno dei cocci più fini, dopo l’ingubbiatura venne ornato con vari disegni; sono per lo più linee spezzate, raddoppiate o triplicate, e ricorrenti tutto all’ingiro al disotto dell’orlo. In uno di questi (della palafitta di Pozzolo), sembra si sia tentato di rappresentare una foglia con la nervatura prin- cipale dalla quale partono altre secondarie; quest’ ultimo coccio è di fina argilla nera, accuratissimamente ingubbiato in modo che il tarso appare soltanto nell'interno. Un pezzo di ciottolo ben cotto è munito di bell’ansa appendi- culata ’° che chiamerò per distinguerla ansa asciforme; questa richiama lontanamente, se non per la forma certamente per l’ uso, le lunate delle terremare. Il Regazzoni ne figura una simile rin- venuta nella palafitta del Maresco; !° un’altra del Gaggio la pubblica il Marinoni che nel disegnarla la capovolse;! due ne illustra il Lioy, in un suo recente lavoro, come provenienti da Fimon;!* ne possiedo io pure qualcuna della palafitta di Bodio centrale, ed un’altra molto bella, donata dal Benesp. Quaglia, è depositata nel Museo di Varese. Nella stazione Demorta del Mantovano, che sembra di transizione tra le palafitte varesine e le terremare dell'Emilia, troviamo la medesima ansa!’ asso- 14 Eccezionalmente qualche coccio ha subìto una specie di cottura a fuoco aperto, e fu poi ingubbiato, per cui la parete arrossata dalla fiamma venne ricoperta dalla spalmatura. 15 Sembra che tali ciotole avessero una sola ansa, e che quell’ appendice rialzata servisse ad appoggiarvi il pollice onde meglio assicurare il vaso nel pugno di chi lo maneggiava. E tuttavia assai rimarchevole che il dito indice di una mano anche pic- cola non possa passare nell’occhio dell’ ansa, sia perchè questa si fosse deformata cuocendo, sia per le altre ragioni addotte da Strobel e Pigorini in quell’ aurea de- scrizione delle terremare già citata. ;46 TI. REGAZZONI, loc. cit., tav. IX, fig. 1. 47 C. MARINONI, loc, cit., tav. V, fig. 10. 18 Lroy, Le abitazioni lacustri. Venezia, 1876, fig. 99 e 138. 1° G., CHIERICI, Stazione Demorta nel Mantovano. Bullett. di Pal. It., Anno II, tav: > pe ti Î) È } x LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 405 °° ciata ad altre molto simili alle lunate. Non ne conosco della Svizzera, ma ritrovo quell’identico tipo nel cimitero di Pilin in Ungheria. °° Le palafitte di Monate diedero altri pezzi di anse consimili, ma nessuna così completa. La presenza dell’ansa asciforme nelle palafitte varesine, e le modificazioni che essa subisce passando dalle stazioni mantovane prima di diventare il tipo lunato, confermano la parentela del popolo delle palafitte delle due sponde del Po, e la più alta an- tichità delle nostre stazioni lacustri in confronto delle terre- mare. Altre anse più elementari e più frequenti si compongono di una prominenza allungata ed orizzontale e sporgente all’ esterno. Qualche altra è formata di due poppine appiccicate alla parete poco al disotto dell’orlo. Nel fondo di parecchi cocci grossolani osservammo quella so- stanza terrosa già accennata dal Ranchet e dallo Stoppani?! e della quale quegli egregi paletnologi promettevano l’analisi. Non so qual risultato abbia questa dato loro, ma dirò quì quanto si deduce dalle osservazioni fatte dal signor Napoleone Borghi, dal prof. Sordelli e da me. — È una specie di crostone nerastro simile al residuo che la polenta lascia in fondo al paiuolo dopo la cottura. Nei vasi di queste stazioni sembra però che si la- sciassero accumulare parecchie di tali croste senza ripulire il re- cipiente, a tal segno che la prima, quella che tocca la parete LI del coccio, è completamente simile a carbone lucente e come n mineralizzata, mentre l’ultima è soltanto di un color bruno ros- sastro. Tante croste sovrapposte raggiungono qualche volta (par- ticolarmente nella vicina stazione di Pozzolo) uno spessore di più 20 J. HAMPEL, Antiquités préhistoriques de la Hongrie, pl. XIII, fig. 23. Nel pub- blicare quest’ ansa l’ Hampel così la descrive: « Petit marteau (sic) en argilo, dont un bout est tranchant; l’autre bout est cassé; il a servi de modèle ou c’était un don votif? » Il bout tranchant non è altro che l’appendice rialzata sulla quale do- veyva appoggiarsi il pollice; l'occhio nel quale l’ Hampel ritiene che dovesse pene- trare il manico è quello per l'indice; finalmente al dout cassé doveva far seguito tutta la ciotola. 2! V, nota 2. 406 P. CASTELFRANCO, di due centimetri. E pare proprio che si trattasse di una specie di polenta, non di grano turco certamente, ma bensì di ghiande di rovere (Quercus robur). Talune mezze ghiande si vedono an- cora, molto distintamente, adagiate nel crostone. Di questa po- lenta riparlerò più innanzi discorrendo dei vegetali. FusarvoLe. Una sola. Misura il diametro di millimetri 53, e lo spessore di circa un centimetro. Porta sopra una delle faccie . alcuni lievi puntini impressi a scopo certamente ornamentale, per cui tale oggetto non si doveva ricoprire in alcun modo, ma rimaneva così nudo. OccETTI DI PIETRA. La selce è piuttosto scarsa nelle tre pala- fitte del lago di Monate e generalmente nera. ?? Una sola frec- cia. È incerto però se sia di questa palafitta piuttosto che di quella sotto Monate, poichè fu dagli scavatori rinvenuta nella barca, per essere caduta certamente dal crivello dopo un lavoro seguìto in ambe queste stazioni. Questa freccia, al pari di un’al- tra proveniente dalla stazione di Pozzolo, e delle due citate dallo Stoppani e figurate dal Marinoni,”* sono piccole, del solito tipo di Bodio, ma non sono del parere del Marinoni o del Re- gazzoni che siano grossolane °* o meno squisitamente lavorate °° di quelle del lago di Varese. °° Un bdrunitojo ha quasi la forma di un’azza litica ed è di arenaria serpentinosa verde-grigiastro chiaro. Pesa 150 grammi nello stato attuale, ma è un po’ guasto e mancante nel calcio. Si è corroso pel lungo soggiorno nell’acqua, ed è rimasta liscia la faccia che era sepolta nella sabbia; l’altra faccia, esposta 22 Tutte le qualità di selce che si rinvengono nelle palafitte del Varesotto le ho ritrovate nei monti al nord del lago di Varese, in quel triangolo formato da Cocquio, Gavirate e Varese. i 23 C. MARINONI, loc. cit., tav. V, fig. 11 e 12. he » » pag. 25. 25 I. REGAZZONI, loc. cit. pag. 67. 26 La palafitta di Bodio centrale dà certamente delle cuspidi di freccia di una per- fezione meravigliosa, ma non dobbiamo dimenticare che tali freccie perfette sono rare anche a Bodio, dove abbondano invece le meno belle e le rachitiche. Le sole quattro freccie di Monate che conosciamo, senza essere modelli di perfezione, rappresentano però un’ onesta media di bellezza non inferiore certamente a quella di Bodio. LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 407 ‘alla luce, e, fino ad un certo segno, all’ondulazione dell’acqua, si è tutta fessurata. La parte levigata lo è perfettamente senza quelle striature che si osservano in altri brunitoj. Consimili ar- nesi del lago di Varese furono pubblicati dal Marinoni ?” e dal Regazzoni °° sotto il nome di azze, quantunque non abbiano il tagliente. Sassi spaccati. Non è raro il rinvenire in queste palafitte, come in quelle di Varese, certi sassi spaccati, e qualcuno con probabili traccie di fuoco e nessuna di colpi ripetuti. Possono aver servito a far scaldare l’acqua in vasi non refrattari alla maniera dei selvaggi moderni; e può darsi pure fossero desti- nati a tenere alzati i vasi sul focolare onde non soffocare i car- boni. Abbiano servito per questo o per altri usi, è molto pro- babile si siano così spaccati per l’azione del fuoco, ma escludo fin d’ora assolutamente che siano stati adoperati a far cuocere le carni in cave buche nella terra, e questo per due eccezioni principali. La prima, che sul lago di Monate non pare si man- giasse carne, come accennerò più innanzi; la seconda, che tali sassi non si sarebbero portati sulle palafitte, mentre le carni dovevano, con questo metodo di cottura, cucinarsi in terra ferma. La prima di queste eccezioni può non aver valore quanto alle . palafitte di Varese, dove le ossa abbondano e si trovano sassi consimili, la seconda invece è valida pei due laghi. Bronzo. Coltello-ascia trovato al Sabbione nelle circostanze già indicate, a metri 2,80 al disotto del pelo d’acqua. Pesa grammi 228, lunghezza massima 122 millimetri, larghezza massima 58 millimetri, minima 25. È nuovissimo, e solo il margine del ta- gliente venne forse indurito col martello; si osservano ancora, in qualche punto, le macchie iridescenti della fusione. Non occor- rono altri particolari di descrizione, gli istromenti consimili es- sendo notissimi ai paletnologi; solo va notata la piccolezza delle sue dimensioni in confronto dei due rinvenuti nel lago di Va- 27 Loc. cit., tav. III, fig. 13. 28 Loc. cit., tav. V, fig, 4. 408 P. CASTELFRANCO, rese, ° e di quelli di Torbole bresciano, ®° del Ripostiglio lodi- giano,”! ecc. VeaETALI. Ho detto, parlando delle stoviglie, che pren dei fondi di quei vasi era coperto di un’alta crosta nerastra che un attento esame rivelò essere una specie di poltiglia formata (forse soltanto nella massima parte) di ghiande di quercia. Il bel nu- mero di cocci ricoperti da tale crosta vegetale indica che era questo uno degli alimenti principali degli abitanti del lago di Monate. Anche qualche mezza ghianda di quercia, carbonizzata ed intatta, si rinvenne pure nella palafitta vicina di Pozzolo, e delle centinaja nella palafitta Pioppette del lago di Varano come dirò a suo luogo. La tradizione ci ha tramandato che gli uo- mini primitivi non disprezzavano questo alimento.” Anche oggidì le ghiande del Quercus ballotta, nella penisola Iberica, si man- giano lessate o torrefatte come le castagne. Gli abitanti della catena atlantica ne fanno per una parte dell’anno la base prin- cipale della loro alimentazione. ** Alle Canarie, prima della con- quista, quegli isolani arrostivano grani farinacei, poi li macina- vano rozzamente; quella farina grossolana, ottenuta in tal ma- niera, si riponeva nelle pelli di capra o nelle olle, e quando veniva il bisogno la cavavano dai recipienti, l’inumidivano, l'im- pastavano, e senz’altra preparazione se ne cibavano. Può darsi che a Monate la farina di ghiande si preparasse allo stesso modo; è certo che le ghiande, prima di entrare nei vasi a formare il 29 I. REGAZZONI, loc. cit., tav. VI, fig. 3 e pag. 55. 30 Catalogo dell'Esposizione di archeologia preistorica. Brescia, 1875, p. 24. 31 P., CASTELFRANCO, Ripostiglio di oggetti di bronzo nel Lodigiano, nel Bull, di Paletn. it., Anno IV, gennajo 1878. 32 Cerere dolevasi che gli uomini s’abbassassero a tanto da cibarsi persino di ghiande.» CRESPI, Dell’oro. Milano, 1862, pag. 21 (In STROBEL e PIGORINI, Le terremare, ecc. loc. cit.. 33 « Una varietà di quercia riceve i nomi di Ischia, Ischio, Eschio, Escolo, dal latino Esculus, quasi Esca, perchè delle ghiande di essa è fama che si cibassero i primi uomini » (PALMA, Voc. di Agricoltura e Pastorizia, Vol. II, p. 2). « Pare cho nella Scozia, in Norvegia ed in Turchia servano a preparare del pane ed altri cibi diversi... Sarebbe bene che nella campagna si perdesse il pregiudizio di considerarle degne soltanto dei porci. » MANTEGAZZA, nell’ /gea, 1864, pag. 13 (In STROBEL e PIGORINI, loc. cit.). RTS ST PEER II TTT el vd e ù LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 409 crostone di cui ho fatto cenno, dovevano essere torrefatte, poichè le ho sempre trovate (anche se intatte ed isolate) allo stato di | carbonizzazione, mentre i nòccioli di corniole, rinvenuti nelle medesime circostanze, non assumono mai un tale aspetto. I nòecioli di corniole (Cornus mas) sono pure abbondantissimi nelle due palafitte del Sabbione e di Pozzolo. Mi basti dire che ben 73 ne raccolsi in un sol colpo di draga, non contando quelli sfuggiti a traverso le maglie del crivello durante la lavatura. I gusci di nocciuola (Corylus avellana) si trovano qui come nel lago di Varese, nè sembrano più rari nè più comuni che in altre stazioni. Nessun altro frutto, per cui è da ritenersi che nei villaggi lacustri nostri non si dedicassero all’agricoltura, e si contenta- vano di quanto i boschi producevano spontaneamente. Anche il fango, da me esaminato attentamente con una lente, non con- teneva alcun seme dei frutti del rovo che pur nella Svizzera, appunto nel fango, si trovano a manate. I pezzi di palo che la draga (ad onta cercassi di evitarli) andava, talora a strappare sotto la sabbia del fondo, accennavano ad un diametro medio di 15 centimetri. I barcajuoli e i pescatori che mi accompagnavano vi riconoscevano senza titubanza e costante- mente i caratteri che distinguono l’ontano (onizza). Mi dichiaro incompetente in siffatto argomento e sentirò volentieri in propo- sito il giudizio dei botanici. Il Ranchet e lo Stoppani, nella relazione riprodotta in queste prime pagine, parlano anche della betula. Molti pezzetti di un legno che sembrami resinoso sono sempre bruciati ad un capo e quasi mai all’altro. Si tratta probabil- mente degli avanzi di fac destinate ad esser tenute in mano. Il Regazzoni parlando di queste scheggie di legno le paragona con pensiero felice “ a quei cordoncini di cotone coperti di solfo che usavansi un tempo avanti l'invenzione dei fiammiferi. °*, Tali scheggie si trovano esclusivamente nel lago di Monate. In quello di Varese le faci sono fatte di un ramo più grosso, spesso come aguzzato ad un capo e bruciato all’ altro. 34 Loc. cit., p. 45, 410 è P. CASTELFRANCO, STAZIONE DI POZZOLO (Tav. 14°, fig. 2 E). La stazione di Pozzolo è situata a circa 180 metri al sud di quella del Sab- bione. Questa è di gran lunga più piccola della prima, ma pre- senta ad un dipresso gli stessi caratteri: è formata cioè essa pure di cumuli di pietre e di sabbia sparsi di radi pali. Dista dalla riva circa metri 55, misura metri 29 nella massima lunghezza e metri 16 nella massima larghezza, ed occupa un’area di metri quadrati 300 approssimativamente. Ad onta delle piccole dimen- sioni di questa palafitta, la messe vi fu più ricca che nelle altre due dello stesso lago, anche perchè la cucchiaja; particolarmente sopra il declivio del massimo cumulo, verso la riva, riusciva a far breccia con maggior facilità. Gli oggetti raccolti in questa stazione sono i seguenti: StovieLIe. Moltissimi cocci, rozzi i più, altri finissimi e taluni con ornati incisi già descritti parlando delle stoviglie del Sab- bione. I cocci con avanzi dell’accennato crostone nerastro furono qui più abbondanti e più caratteristici che altrove. OaGETTI DI PIETRA. Pochissime scheggie di selce, una freccia, ciottoli spaccati con traccie di fuoco, un brunitojo, una sgorbia e un percussore. i Le selci scheggiate, la freccia e i ciottoli spaccati sono iden- tici a quelli già descritti del Sabbione. Il brunitojo è triangolare. Pesa 111 grammi ed ha quattro delle faccie levigate e striate; le striature corrono in tutti i sensi, irregolarmente, nè possono venir confuse con quelle gla- ciali. Tre di quelle superficie sono piane, e la quarta è lieve- mente convessa. Uno degli angoli merita maggiormente il nome di punta terminandosi a forma di becco. È di pietra dura, in qualche parte verde, in altre di un giallognolo verdastro. Il Re- gazzoni ne ha pubblicato uno consimile,”’ altri delle stesse forme si conservano nel Museo Civico di Milano e nella mia privata collezione, tutti provenienti dalle palafitte del lago di Varese. Le striature che si osservano sul brunitojo di Pozzolo fanno cre- dere che servisse a levigare qualche superficie sparsa di granelli 85 Loc. cit. tav.-V, fig. 7, LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 411 renosi o sabbiosi, forse le stoviglie. L’ Evans suppone che altri lisciatoj del pari striati, possano aver servito, con sabbia: gros- solana, a lisciare altre pietre, forse le azze.?° Sgorbia o scarpello a doccia. È di selce nerastra venata di rosso. Questo magnifico pezzo ha il peso di grammi 50 ed è lungo 108 millimetri e largo 33. Il calcio è alquanto aguzzo e meno ritoccato delle altre parti; doveva incastrarsi in un ma- nico di legno. Fu adoperato, e sembra provarlo una lieve intac- catura nel tagliente che è curvo; 1 due lati sono pure taglien- tissimi ed il lavoro ne è finamente condotto a piccoli ritocchi quasi si fosse voluto usare l’istrumento anche come coltello o come sega. Credo però sia proprio una sgorbia per la forma della lama, la quale è lievemente convessa sovra una faccia e concava sull’altra, verso il taglio. L’Evans giudica che altre consimili selci rinvenute in Inghilterra fossero sgorbie,?” e l’illu- stre maestro, dopo gli accurati studi anche pratici da esso fatti sulle selci, è il giudice più competente in tale materia. Percussore. È un ciottolo rozzo che per le sue dimensioni e la sua forma si addatta bene nella mano. Porta nei due capi le traccie di ripetuti colpi. Poteva servire a rompere le nocciuole o a frangere le ghiande di quercia. Ciottoli consimili sono piut- tosto frequenti in tutte le stazioni preistoriche, a Cazzago,” a Bodio,°° al Gaggio,*° ecc., ed in ogni altra parte d’Italia e fuori. OcGETTI DI BRONZO. Una cuspide di lancia 0 di giavellotto, un’ago crinale e un amo. Cuspide di lancia o di giavellotto. È lunga 81 millimetri, larga 22; pesa grammi 12 4/s. Aveva due occhi o forellini alla base entro cui passavano i chiodelli destinati ad assicurarlo nel- l'asta. Questa al pari di tutte le altre cuspidi consimili (meno ®6 JOHN EvANS, Les dges de la pierre, etc. de la Grande Bretagne. Paris, 1878, pag. 259. 37 JOHN EVANS, loc. cit., p. 169-172 e particolarmente fig. 114. 33 I. REGAZZONI, loc. cit., tav. V, fig. 3. 39° Mia collezione. 4° Mia collezione. 412 P. CASTELFRANCO, qualche eccezione ‘') rinvenute nel lago di Varese, ‘* è rotta nel luogo dei due occhi, per cui cadde nell'acqua quando si ruppe; chè non ritengo le buttassero via espressamente; neppure oggi non gettiamo via le casseruole di rame rese inservibili; le do- vevano conservare per accomodarle o rifonderle. Una. cuspide di lancia, posseduta dal signor ingegnere Giuseppe Quaglia di Varese, guasta pure negli occhi, venne accomodata coll’ aggiun- gere altro bronzo nei due punti mancanti, e col completare gli occhi stessi. Ago crinale. Peso 7 grammi; lunghezza 89 millimetri. La te- sta è in forma d’anello a sezione lenticolare col diametro esterno di 18 millimetri, interno di 9; è di bronzo fuso, e si osservano ancora sulla costa della testa le traccie della congiunzione delle due valve della forma da fusione; il gambo è molto acuminato, più di quel che parrebbe necessario per l’uso che supponiamo.*° Al disotto della testa, il gambo, alquanto rigonfiato, è trapassato da un forellino. Aghi consimili ne conosco altri due, rinvenuti al Bourget,'* uno della terramara di Campeggine‘* e due della Svizzera;'° hanno la testa in forma di anello, ma non il forellino che non è raro però in altri tipi.‘ Amo. Pesa 22 decigrammi e non è altro che un filo rozza- mente contorto in modo da formare ad un capo un piccolo oc- chio destinato a ricevere il filo della lenza; all’altro è ricur-. vato ad uncino. Mentre al solito i bronzi trovati in lago sono semplicemente un po’ anneriti, questo è ricoperto da una. crosta di idrocarbonato di rame di colore azzurro. 4! C. MARINONI, loc. cit., tav. III, fig. 27. 52 C. MARINONI, loc. cit., tav. III, fig. 26. — I. REGAZZONI, loc. cit., tav. VI, fig. 4-6. Altre di varie collezioni. 43 A meno che non servisse a puntare qualche cosa nella capigliatura. 44 COSTA DE BEAUREGARD et A. PERRIN, Catalogue de V Exposition archéologique du départ. de la Savoie, fig. 402 e 404. 45 PELLEGRINO STROBEL, Avanzi preromani, ecc. Parma, 1863, tav. II, fig. 21. 46 F, KELLER, Pfahlbauten, secondo rapporto, tav. II. fig. 27 e 29. 47 PELLEGRINO STROBEL, Avanzi ecc., loc. cit., tav. IV, fig. 22. — CosTA DE BEAU- REGARD et A. PERRIN, loc. cit., fig. 398 e 399. — F. KELLER, settimo rapporto, tav. XXII, fig. 11 (Tomba di Auvernier). —- G. PELLEGRINI, Sepolcreto preromano di Povegliano veronese, tav. V, fig. 2 e T. LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 413 Ossa. L’unico, se pur si tratta di un osso, rinvenuto sul lago di Monate, ci è dato dalla palafitta di Pozzolo; e non è altro che un frammento biancastro e come bruciato, del peso di meno di un gramma. L'assenza, posso dir totale, di ossa e di denti dalle palafitte di questo lago è uno di quei fatti che destano il massimo stupore. Quando impresi a scavare sul lago di Monate m’aspettava a trovarvi ossa in quantità grandissima, appoggian- domi alle informazioni fornitemi dal libro del Marinoni; ‘° dopo quattro giorni di lavoro dovetti convincermi del contrario. Devo notare per verità che la prima relazione molto esatta del Ran- chet allo Stoppani, che ho citata in principio di questo mio scritto, non fa cenno di ossa,‘° mentre enumera capo per capo tutte le diverse cose rinvenute in quella esplorazione.”° Nelle palafitte del lago di Varese le ossa e i denti sono tal- mente copiosi che chiunque si è messo ad espiorarle ne ha rin- venute senza fatica delle quantità enormi. Anche la palafitta Pioppette, sul lago di Varano (della quale parlerò in appresso), in un semplice scavo di saggio ne ha fornito un certo numero. Ora, chieggo a me stesso, per qual ragione il lago di Monate, nelle tre sue stazioni, debba far eccezione? e non trovo risposta soddisfacente. Che si tratti di una casta diversa da quelle del lago di Varese, la quale non usava cibarsi di carne? — Sarò ben lieto se qualcuno dei dotti uomini che mi onorano della loro at- tenzione vorrà prendere in esame l’arduo quesito ed aprire in merito ampia discussione. VEGETALI. Sono i medesimi già osservati nella palafitta del Sabbione. Noterò qui soltanto che un certo punto di questa sta- zione era di gran lunga più ricco di mòccioli di corniole che non le altre parti della palafitta, il che fa pensare ad una provvista caduta in lago col recipiente che la conteneva. STAZIONE DELL’OCCHIO, sotto Monate. È ancora meno ‘©. Loe. cit, pag. 25. 39 V. nota 2. 5° AI Museo Civico di Milano ove si conservano tutti gli oggetti rinvenuti nei primi scavi fatti sul lago di Monate, non si trovano ossa di quelle stazioni. 414 °° P. CASTELFRANCO, estesa di quella di Pozzolo e si mostrò di gran lunga la più | povera del lago. È pur formata di cumuli di sassi. Nelle magre l’altezza dell’acqua sopra la stazione è di metri 3,10 a 4,20, per cui è la più profondamente situata di tutte le palafitte Varesine sinora conosciute. Con molti stenti la cucchiaja riuscì a conqui- starci pochissima selce nera scheggiata, dei carboni, un bel nu- mero di cocci ed anse di stoviglie, vari gusci di nocciuole ed un piccolissimo amo di bronzo. Nè ossa, nè denti. Dragando, strap- pammo pure dal fondo due o tre pezzi di palo. Le stoviglie non presentano particolarità diverse da quelle già accennate per le altre due stazioni di Cadrezzate, per cui mi limiterò a descrivere l’amo di bronzo. Questi pesa poco più di un decigramma ed è fatto accuratissimamente come gli ami mo- derni; è schiacciato, cioè, alquanto all’ estremità su cui va legato il filo, e all’altra è uncinato e dentato. È così lucido e terso che pareva d’oro, ma una goccia di acido nitrico rivelò che si trattava semplicemente di rame, o della solita lega. IL LAGO DI VARANO. Il 29 aprile 1863 il lago di Varano venne esplorato dai si- gnori Desor, Mortillet e Stoppani, e susseguentemente dall’ inca- ricato Spariss e da altri senza alcun risultato positivo.?* Ad onta dell’insuccesso delle prime ricerche, il 27 luglio di questo anno, sotto la scorta e con l’ajuto di uomini praticissimi del lago: (certi Paolo Brebbia di Comabbio e Carlo Casoli di Ternate, giudiziosamente suggeritimi dall’egregio signor Napoleone Borghi) tentai a mia volta la difficile perlustrazione. Dico difficile poichè al contrario del lago di Monate, quello di Varano è torbidissimo e, particolarmente in quella stagione, alla profondità di 50 centi- metri non è già più possibile di scorgere il fondo. E per questo, non fosse stata l'intelligenza e la lunga pratica dei bravi Brebbia e Casoli i quali avrebbero potuto, volendo, tracciarmi una carta esattissima del fondo del loro laghetto, me ne sarei tornato in- dietro anch’io senza il minimo indizio 'di palafitte. Ma non fu 5! A, STOPPANI, Prima ricerca, ecc. loc. cit., p. 159. LE STAZIONI LACUSTRI DÉI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 415 così, ed alla domanda se in qualche punto del lago vi fossero cumuli di sassi alquanto rialzati al disopra del fondo, essendomi stato risposto affermativamente, mi feci condurre nei luoghi designati. Tali cumuli sono conosciuti dai pescatori sotto il nome di maut o mott (monte, cumulo) ed ognuno ha il proprio nome. L’inverno, quando l’acqua del laghetto è meno torbida (non è però mai limpida), si distinguono senza molta fatica i sassi del fondo, ma per tutta la calda stagione, a pochi centimetri al di- sotto del pelo d’acqua non si scorge altro che bujo. I confini di ognuno di tali cumuli li dovetti quindi determinare un po’ con la memoria dei pescatori, un po’con l’aiuto di una fiocina ado- perata a mo'di sonda esploratrice. Gli spazi sassosi esplorati quel giorno e l'indomani sono in nu- mero di otto e trovansi tutti lungo la sponda orientale tra Va- rano e Corgeno. Li descriverò brevemente, uno ad uno; non ch’io creda che si tratti di otto palafitte, ma perchè le indicazioni che ne darò possano servire ad altri nelle ricerche future. 1.° Mot GoretTA. Trovasi circa a metà strada tra Varano e Corgeno in una parte del lago che dipende amministrativa mente dal comune di Varano. Occupa una superficie di circa 1200 m. q. I pescatori non vi hanno mai osservato alcuna te- stata di palo; perciò non vi dragai che poco più di una mezz’ ora senza risultato, rimandandone il lavoro di esplorazione a stagione più opportuna. 2.° Bosco CarBone I (Comune di Varano). Cumulo di sassi dell’ estensione di quasi 400 m. q. alla distanza di circa 600 m. dal Mott Goretta. Il pescatore Carlo Casoli assicura avervi visto dei pali. Dopo mezz’ ora di lavoro con la cucchiaja non riuscii ad ottenere che pochi carboni. Anche questa località andrà stu- diata meglio. 3.° Bosco CARBONE II (Comune di Corgeno) alla distanza di circa 100 m. dal precedente. Lungh. 15 m. largh. 6 m. Non sem- bra che vi siano pali. 4.° LA ForNAcE (Comune di Corgeno), a 300 metri dal pre> 416 P. CASTELFRANCO, cedente. È lunga 60 m. e larga 40, circa. Dista dalla riva quasi 130 m. I pescatori non si ricordano avervi mai visto alcun palo, tuttavia, durante quella esplorazione, adoperando la fiocina, mi venne fatto di conficcarla in una testata di palo del diametro approssimativo di 30 centim. posta sul punto più alto del ricolmo fra tre o quattro sassi. — La cucchiaja cavò una certa quantità di carboni, ma null’altro. 5.° Le Proppette (Comune di Corgeno). È questa finora l’unica palafitta veramente accertata. Dista 400 m. dal prece- dente spazio sassoso. È lunga 40 m., larga 50, con la fronte mi- nore quasi parallela alla riva. È una vera isola subacquea cer- tamente artificiale. Con la cucchiaja, dopo due ore di lavoro, acquistai la prova che questa è proprio una stazione lacustre. Mi diede infatti alcuni pezzi delle testate dei pali, un bel numero di coccì di stoviglie, parecchie scheggie di selce ed un coltellino, denti di animali, ghiande carbonizzate, guscì di nocciuole e carboni. STOVIGLIE. Sono rozze in generale, con tarso di amfibolo, quarzo ed altre pietre frantumate. PIETRE. Sono poche scheggie di selce nerastra della solita pro- venienza. Fra queste havvi un coltellino che pare abbia servito, uno dei fili portando qualche lieve intaccatura. DENTI DI ANIMALI. Sono in piccol numero; e pochissimi sono ben conservati. Le specie riconosciute sono fra le solite delle pala- fitte varesine: Bos brachyceros, Sus scropha palustris, Capra hir- cus. Sono tutti di animali giovani, il che indicherebbe. una scelta, e quindi la pastorizia. FRUTTI. I soliti gusci di nocciuole poco abbondanti, e una quan- tità molto grande di ghiande di rovere (quercus robur) sprovve- dute tutte quante della cupola e tutte carbonizzate. Alcune di quelle ghiande avevano cominciato a germinare; questa osserva- zione, aggiunta a quella che erano tutte quante sprovvedute del cupolino lascia supporre che si raccogliessero quando già erano cadute dall'albero. Si rinvennero più abbondanti in uno spazio di un metro quadrato, per cui ritengo si tratti di un. ammasso caduto in lago col recipiente che lo conteneva. LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 417 CARBONE. Piuttosto abbondante. LeenI. Alcuni pezzi di pali strappati colla cucchiaja. Sono di diametro piccolo misurando in media dai 12 ai 15 centim. ed erano alla profondità dai due ai tre metri. La testa di un palo toccata con la fiocina, è tuttora alla profondità di m. 2, 60. Per quanto la messe fatta in questa località non sia certa- mente abbondante, è pur sufficiente per indicarci che il cumulo delle Pioppette è una vera palafitta, senza però darci tanto in mano da argomentarne l’età, ma gli scavi ulteriori dell'inverno prossimo serviranno forse a chiarire questo punto. 6.° Mort pi Rivù ALLA CA pI Corseno (Comune di Cor- geno). Dista 100 metri dal precedente. Dimensioni approssimative 70 m.x30 m. Colla fiocina riuscii a toccare le testate di due pali. Nessun coccio, ma un certo numero di ghiande cardonizzate, di carboni, ed un pezzo di legno lungo un palmo aguzzato nei due capi. Dopo la palafitta delle Pioppette, il Mott di Rivù è il cumulo che si avvicina maggiormente ai caratteri delle abita- zioni lacustri. 7.° CA DI Coraeno II. Tocca quasi il precedente ed ha solo 8 o 10 metri quadrati. Mi diede soltanto pochi carboni, nè vi rico- nobbi alcun palo. 8.° Mot DI BretrI. Dista dal precedente circa 300 metri e misura 30 m. < 30 m. È situato proprio sotto Corgeno. Vi sono dei sassi anche quì e molti, ma non vi si osserva il ri- colmo come nelle altre sette località sovraccennate. Il terreno soverchiamente torboso non permette alla cucchiaja di cavare dal fondo del lago altro che rami piccoli e grossi di piante mar- cite, in tale quantità che, fin d’ora, ho già rinunziato a prati- carvi ulteriori ricerche. In tutte le località or ora descritte il lavoro è penosissimo, riuscendo impossibile far presa con la cucchiaja fra tutti quei sassi. Nella sola stazione delle Pioppette ho potuto dragare in due punti ove i sassi erano meno fitti e lasciavano posto all’istro- mento. Quando si riuscisse a fare un po'di largo, rimovendo i Vol. XXI. 27 418 P. CASTELFRANCO, sassi più grossi, sono persuaso che il lavoro diventerebbe di gran lunga più fruttuoso. Ma per far questo occorre aspettare, lo ri- peto, che l’acqua sia meno torbida e rimandare quindi ogni cosa a quest'inverno prossimo. Ed è appunto per non guastar nulla, lavorando così alla cieca, che ho voluto contentarmi di due sole giornate di esplorazione. Ma frattanto rimane acquisito che il lago di Varano aveva pure le proprie abitazioni preistoriche, con almeno un villaggio, se non parecchi. | Considerazioni generali. L’esame delle palafitte del lago di Monate e degli oggetti in esse raccolti mi conduce alla conclusione che queste stazioni sono coeve di quelle del lago di Varese. Qualche differenza nella pro- porzione numerica tra i bronzi e le selci non è tale, secondo me, da farci supporre una età diversa, essendo tutte le altre parti- colarità di tecnica e di forma delle stoviglie e degli oggetti litici e metallici identiche nei due laghi. D'altronde mi riservo di spiegare in queste stesse pagine, prima di giungere alle conclu- sioni definitive, le ragioni della più gran frequenza delle freccie nelle palafitte di Bodio e di Cazzago. L'assenza delle ossa dalle palafitte di Monate è bensì per me un fatto inesplicabile che non trova riscontri nel lago di Varese, ma che pur ritengo insuf- ficiente a servir di base ad una cronologia delle stazioni lacustri. Premesso quindi che attribuisco la medesima origine e la me- desima età a tutte le stazioni dei due laghi meglio esplorati (Va- rese e Monate), mi si conceda di prendere in esame gli oggetti tipici più spiccati rinvenuti in tutte quelle palafitte, e di porli a confronto con gli oggetti analoghi delle terremare dell’ Emilia e delle palafitte di altri paesi. Ad istituire con maggiore facilità i necessari rapporti ho cre- duto opportuno di compendiare in tre tabelle i risultati otte- nuti da altri esploratori e da me nelle varie stazioni dei laghi del Varesotto. LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 419 TABELLA I. VI FCI SOLE SII E AZINET CS TE I LO IENE ETIENNE AIR AE N ZONE SIE DENTE RIS SEREI LAGO LAGO DI VARESE DI MONATE ° - CI I ES _0C] DI PR I IA Oi DC] RSA GTA IS OSIO RTS) ET SISICCA CRA GIGI RAFA Rd ACI Sol al 1 li SI A erica 0 nce é& js E dg Cocci di stoviglie. . 5 5 5 Dub 2 4 3 Scheggie di selce. 5 14-72. f 3 Dal Freccie, abbozzi ed al- tre selci lavorate . Ala DalaZipade 2 LI 1 1 Coltellini di selce. 2 2 2 1 5 5 È 2 0 0 Altre pietre con segni di lavorazione . . 3 3 DL 0 2 0 0 0 1 1 0 Ossa e frammenti. 5 SI Le 1 Deda pg 3 0| 0 0 Denti e frammenti . 5 43 3 we ki 2 3 3 3 0 0 0 Ossa appuntite. 10 CORNO DA SR Se E sel Meo IN nere) Mai dal O 0-1: Gp. 0 Semi e frutti . 4 2 DARI I SI) 2 0 5 5 5 5 |. 32 1) RO diro on 4 9-0 pi Viti Mie Bronzi. . 2 2 2} 0 1 0 1 1 1 5) MEA | NB. Segni convenzionali: 0 Significa che non si trovò nessun oggetto di una data natura. 1 » eccezionali. » rari. 3 » frequenti. 4 » frequentissimi. 5 » sovrabbondanza spiccata e caratteristica. 420 P. CASTELFRANCO, TABELLA II. Totali 2 106 o10rq1o) 0 Ipnteg | PALA af PEA (Quosgarinia 8 > | 0ueZIO) IP g9 RETTE, O n E o et e O . (=) 1 QuoIrze . ° . ° . ® . . . . C) . . . . . . Tia << b IS 0] Ouorzerg AT (quog) — © |opucigoSezzeo PIRO ETA SEA A S | ouorzeg | È “— (soseg) | 0OSSIGN . ci (1) () ; LI . I . A . . È ) > QUOIZBIG 293 9U0 n [[9p 0 ° O ° . 0 . pedi l- co 9[g13u909 oIpog N n ri ; k x i Sè 0 re ò Luna. : GN ® QUOIZEIg (191195) (18:41:79) = ° ° ® . * qu . D . . . . DD QUOIZEIg VNNOGIIRE SI la I n . . ° 2 O ° . ° . 0 . O . . . A en a pa . 5 . SS 2 . ° . . e . . " N ° . ‘S "> ° e ° . . ° . . ° . O 0) E i] o è dea = . ve. SI) . . . = ° ® . . U eri e 27% . . ci N ©. ,2 = La) O SA EE «VS LL SOT AR SA n A ave Se Re a dà de Ò . la) e ® . EI 0 EH A 8 0 . © =! Soi Fi e ci (a IZ; AID vg ROOT A ME uo did Ss à INT) OA ds 9 eri 8 i ni bag: Pai. . 3 ° È Der s PR? 3 n) ss sie Ra oi ao) 3 o S HE PD Ho um ° © se su (OA "v em er cu Tann. Vea dla DE [=| © BI a e a a Di e — (INN - QUI Lil e (33 IAP AIMISI —— paiiORI è Sn mm QQ 8 + 30 (= MT — i = 0) a = er di wr ho k O Dona O Òi dia << 0 O SIMO PIERA MERE ME MENOTTI RIDI IEZZO: ISTRIA II TL LT RT E ARR I E SITE EAT LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 421 TaBeLLa III, -EEEE:t:ÌÒÙÌÉcTTéé.é.é.é.....ue@-.._ ————€EeEKEpl MUSEI COLLEZIONI | Designazione ERE 2-19 8 IE de s ME A degli oggetti di bronzo gs È È SE 25 se RE 25 35 3 È Tora È SERENE BERE Le o È = ta Pie li SES SEB 4 AO SI TENER TERE VE DI Pre IL È Forme da fusione. . . . e n ME et et a RI 1 QUE 3 i Mila annig i DR AI pa e a ari Cuspididilancia a-cannione. | ..| Lidi vil Re at 1 È Cuspididilancia o digiavello| 2|..|]..|]..| 1|..] 6] 6| 2 17 Boarpolli. \.i......, ; Punteruoli . È it RE Peet I Fili di bronzo (matasse) 8|.. ii MR, TO ere ET BIO 1 10 bo Aghi crinali e spilloni. . ER e 0A 22 Fibule o frammenti . 5.l.<] i 3 12 Braccialetti o frammenti . EM PSTSE EGO SPP 3 Armille di filo. , A PR O ERE AIA 2 i rat A ae een 8 È 2 Uatenollo \.-. (i. Pi ae DE 1 Oggetti indeterminati . "PRETI cui RIT 2 2 4 Totali | 26| 4| 4|{ 1) 5| 2 I 24|23|17)| 106 La tabella I serve ad indicare la frequenza di certe categorie di oggetti in confronto di certe altre, in ognuna delle stazioni perlustrate. La cifra 0 significa che non sì trovò in una data stazione alcun oggetto della natura indicata in margine; l 7 in- dica gli oggetti unici od eccezionali; il 2 gli oggetti rari; il 3 gli oggetti frequenti; il 4 quei frequentissimi; il 5 la sovrabbon- danza spiccata e caratteristica. La tabella II suddivide i bronzi (vi comprendo anche le forme da fusione) in 16 categorie. I numeri nelle finche indicano quanti bronzi di ogni specie si siano rinvenuti in ogni stazione, Nella 499 i P. CASTELFRANCO, penultima colonna sono riuniti i bronzi provenienti dalle paludi intorno ai laghi. i A meglio documentare la tabella II ne ho pure formata una III nella quale è segnato in quali musei pubblici o collezioni private si possono esaminare le 16 categorie di bronzi accennate nella stessa tabella IL Questi quadri sono certamente imperfetti, non essendo io riu- scito a vedere tutte le collezioni ove si conservano oggetti di bronzo delle stazioni varesine, ma, per quanto imperfetti, li ritengo sufficienti a darci una idea abbastanza precisa della ric- chezza relativa delle varie stazioni. La tabella I dimostra che laddove i cocci di stoviglie sono ab- bondanti, lo sono pure le ossa e i denti di animali, e che laddove mancano le ossa, come nelle palafitte di Monate, i semi e le frutta ne tengono il luogo con la medesima abbondanza relativa. Per cui dalla maggiore o la minor frequenza delle stoviglie di- pende la maggior o la minor frequenza delle ossa e delle frutta (cioè di quanto serviva alla alimentazione). Così pure, laddove abbondano le scheggie di selce abbondano pure le freccie; e, dove scarseggiano quelle, scarseggiano del pari anche queste. Osserviamo pure che le due palafitte di Bodio (Keller) e la più grande delle due di Cazzago (Ponti II) sono di gran lunga le più ricche. Quella del Maresco (Desor) viene poi. Le freccie di selce sono numerosissime a Bodio centrale, ancor numerose al Gaggio eda Cazzago grande, rare od eccezionali in tutte le altre stazioni. Si noti bene che non tutti i punti di una medesima stazione danno uguale quantità di selci; su certi spazi le scheggie man- cano affatto o sono rade, mentre invece le stoviglie, su per giù, sono ugualmente abbondanti su tutta l’area della stessa stazione Il Maresco. che è pure una stazione non delle meno ricche, scar- seggia di frecce e quindi di scheggie, mentre le stoviglie e gli avanzi animali, senza essere così abbondanti come nelle altre tre principali stazioni, sono però frequenti. °° 5? Non so perchè lo Stoppani dicesse che il Maresco (Desor) gli sembrava una vera fabbrica di terraglia (Rapporto sulle ricerche, ecc., loc. cit., pag. 431). E un fatto LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 423 È da notarsi che, mentre al Maresco la proporzione tra le stoviglie e le selci non è più quella stessa del Gaggio e di Bo- dio, si conserva però ancora la medesima tra i cocci e gli avanzi animali. Ne viene di conseguenza che gli abitanti del Maresco, mentre seguivano il medesimo metodo di vita quanto alla ali- mentazione, non si dedicassero con uguale attività come a Bodio ed al Gaggio alia fabbricazione delle freccie; per cui ritengo che gli abitanti del Maresco si contentassero di fabbricare quelle poche cuspidi che loro occorrevano pel proprio uso, mentre quelli del Gaggio e di Bodio fabbricavano anche pel commercio. Dalla maggiore o minor frequenza di delle freccie su tale o tal altro punto della palafitta si può argomentare dove fossero le capanne dei migliori artefici. I fratelli Giorgetti, i più noti e più esperti pescatori delle palafitte varesine, hanno designato col nome capriccioso di Giardino pubblico un certo luogo della pa- lafitta di Bodio, verso il largo, dove le freccie si raccolgono più abbondanti e più belle. Ed ho esperimentato anch'io la verità di questo fatto. Qualunque sia però la maggiore o la minor perfezione del la- voro delle freccie, si tratti pure di freccie finite, di abbozzi o di scarti, appartengono tutte ad un tipo unico ®* salvo qualche ac- che al Maresco le stoviglie sono di gran lunga più abbondanti degli altri oggetti ma non lo sono poi come a Bodio ed al Gaggio. Un’ ora di lavoro non interrotto, al Maresco, mi ha sempre dato in media da 1 a 2 chilogrammi di cocci, mentre nello stesso spazio di tempo, a Bodio o al Gaggio, ne ho sempre ottenuto da 5 ad 8 chi- logrammi. i 53 A, ANGELUCCI, Le palafitte del lago di Varese. Torino, 1871, pag. 18, fig. 2. C. MARINONI, loc. cit., tav. II, fig. 1-8, 13 e 14. I. REGAZZONI, loc. cit., tav. IV, fig. 11-15. % Io non classificherei tra le cuspidi di freccia le così dette cuspidi a mandorla (ANGELUCCI, Le armi di pietra donate da S. M. ece., pag. 18), a mandorlo (REGAZ- ZONI, p. 38, tav. IV, fig. 1 e 2), 04 ovalari (MARINONI, p. 21, fig. 2). Anzitutto riesce talora difficile distinguerle dagli abbozzi (REGAZZONI, confr. tav. IV, la fig. 3 e la fig. 5); d’altronde le mandorle perfette (che sono rarissime) sembrano qualche volta più accuratamente finite e ritoccate verso la base convessa (REGAZZONI, tav. IV, fig. 1), dimodochè la parte più acuminata, anzichè punta di cuspide diventerebbe il calcio di altro arnese. Il Marinoni (op. cit., pag 20 e 21) avrebbe rilevato che le cuspidi ad alette sono generalmente di selco grigio scura, e le selci ovalari invece più generalmente oliva- De 494 P. CASTELFRANCO, cidentale eccezione ’* così quelle del lago di Monate, come quelle del lago di Varese. Nelle paludi invece le freccie sono tutte di tipi variati,)” non mai abbozzi nè scarti, ma sempre cuspidi finite. Ritengo quindi che le freccie che si ‘rinvengono nelle paludi fossero perdute a caccia anche da uomini di varie altre tribù, oltre che da quelle che abitavano nelle stazioni lacustri dei due laghi. Nei laghi di Varese e di Monate gli oggetti di bronzo sono scarsissimi; dalla tabella I risulta che sono rari in cinque pala- fitte, eccezionali in altre cinque, e che finora non se ne rinven- nero nelle altre. Risulta pure che le palafitte più ricche di altri oggetti sono pure quelle nelle quali si rinviene il maggior nu- mero di bronzi, fors’ anco perchè più lungamente esplorate. | Tutto sommato quindici stazioni lacustri e tutte le paludi dei dintorni diedero in totale 106 oggetti di bronzo. Fra le sedici serie enumerate nella tabella II è indubitabile che le fibule, alcuni aghi crinali, tutte le armille, è braccialetti, le ca- tenelle e qualche altro oggetto indeterminato non vanno ascritti all’età del bronzo ma bensì alla prima età del ferro, ed anzi qual- cuno al secondo periodo di Golasecca, °° epoca in cui comincia ad apparire la scrittura. È notevole che la maggior parte di questi oggetti della prima età del ferro, indicati dagli autori come rin- venuti nelle paludi e nelle torbiere, sono ricoperti da patina verde identica a quella dei bronzi provenienti dai sepolcri di Gola- secca.” I bronzi che si cavano dallo strato umido della torba non stre 0 bionde. Duolmi di non essere del parere suo: la selce olivastra e la bionda e la grigia (più o meno scura) e Za nera e ben anco la rossa'(se i miei occhiiîlmon mi hanno ingannato) servì a foggiare indifferentemente le selcî ovalari e le freccie ad ulette. 54 Mia collezione. 55 C. MARINONI, loc. cit., tav. VI, fig. 3 è 4. I. REGAZZONI, loc. cit., tav. IV, fig. 7. Ed altri tipi nella mia collezione. 56 Si confronti la fibula pubblicata dal Regazzoni, tav. VII, fig. 2, con le analoghe da me fatte conoscere (Due periodi della prima età del ferro, ece. nel Bullett. di Pal. it. Anno II, tav. III, fig. 25 e 26) come provenienti dalle più recenti fra le tombe della necropoli di Golasecca. 57 Osserva anche il Gross nella descrizione dei bronzi della tomba di Auvernier (KeLLER, VII Rapporto, p. 3°): « Tous les objets en bronze étàient recouverts de cette belle patine verte caractéristique des bronzes recueillis dans les Tumulus >». tI Letti SRI ST n. * , e” - - LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 425 hanno mai la patina verde, e conservano il color rosso del rame come quelli provenienti dal lago. °° Avrei quindi dovuto escludere dal prospetto circa una trentina di quei bronzi, senonchè ho vo- luto lasciarveli figurare perchè altri paletnologi pigliarono argo- mento dai ritrovamenti fatti nelle paludi per dedurre che nel- l’età del bronzo l’uomo delle palafitte si estendesse particolar- mente nelle vicine torbiere. °° Ora, lo ripeto, di questi bronzi di terra ferma nessuno forse si riferisce all’età del bronzo nè al po- | polo delle palafitte, ma bensì alla civiltà dell’età susseguente, la quale, da quanto risulta dagli studii più recenti, ha una origine molto diversa. °° Il totale dei bronzi dell'età delle palafitte varesine, dietro questo ragionamento, da 106 dovrebbe quindi ridursi a meno di 70, ma ammettendo pure che nel compilare quel prospetto io non sia venuto a conoscere un certo numero di bronzi esistenti in collezioni a me ignote, sussiste sempre il fatto che i pezzi ca- ratteristici di bronzo provenienti dalle palafitte nostre arriva ap- pena al centinaio. Ora, 100 pezzi, in confronto dei 4000 rinvenuti | nelle sette stazioni del solo lago del Bourget, ®' non sono certa- mente una gran cosa, ma pure basta il fatto della loro presenza nelle nostre stazioni lacustri perchè si possa cavarne alcune utili deduzioni. °° 58 È molto probabile che quei bronzi a patina verde, anche per le loro forme di- versissime da quelle dei bronzi del lago, siano stati rinvenuti in vere tombe consimili a quelle di Golasecca. Tali tombe sarebbero state scavate nella terra vegetale sovra- | stante agli strati torbosi, ma l’averle rinvenute nell’ occasione dei lavori per cavare la torba può aver fatto dire che tali fibule provenivano dalle torbiere; non credo però che provenissero dagli strati torbosi. 59 I. REGAZZONI, loc. cit., p. 86. C. MARINONI, loc. cit., p. 47. 60° L. PIGORINI, Le abitazioni lacustri di Peschiera. Estratto dagli Atti della R., Ac- cademia dei Lincei, Anno CCLXXIV, Roma, 1877, pag. 17. P. CASTELFRANCO, Fi- bule a grandi coste e ad arco semplice, nel Bullett. di Pal. it. Anno IV, pag. 58. 61 E. CHANTRE, Age du bronze, ecc. Vol. II, p. 202. 5° Due stazioni possono essere coeve e non essere ugualmente ricche di bronzi. Le cause di tale maggiore o minor frequenza possono essere varie, quali, per esempio, la popolazione più o meno ricca, più o meno industriosa, le comunicazioni più o meno facili coi centri di produzione del metallo, ecc. Si noti inoltre che 7a massima parte dei bronzi del Bourget sono riferibili alla 1.* Età del ferro, ed altri al pieno sviluppo del- VEtà del bronzo, mentre pochissimi sono quelli da attribuirsi all'alba di quella civiltà» 426 P. CASTELFRANCO, 6 Stoppani,°° Ranchet,°* Marinoni,°° Regazzoni,°° ammettono in A sostanza che il popolo delle palafitte si fosse stabilito sui nostri | laghi quando ancora si trovava nell’età della pietra, e che solo | verso la fine della sua esistenza, e per poco tempo, venisse a co- noscere il bronzo, e le prove che ne danno è l'abbondanza degli | oggetti di pietra e la scarsità di quelli di bronzo. Vediamo anzitutto che valore abbia quest’ abbondanza degli oggetti di pietra. Frattanto i coltellini di selce (all’ eccezione del- l’Isolino, dove li troviamo frequentissimi) scarseggiano in tutte le stazioni dei due laghi meglio esplorati. Le freccie abbondano in tre sole stazioni e si trovano eccezionalmente nelle altre do- dici. Ho già cercato di dimostrare che in quelle tre stazioni vi fossero degli artefici distinti i quali sembravano avere per prin- cipale occupazione la fabbricazione ®” delle cuspidi silicee, e che ne producevano in tal numero da bastare non solo ai bisogni del | povero villaggio loro, ma ben anco da fornirne per un commercio di cambio con altre tribù. Quelle freccie di Bodio e del Gaggio sono così belle, così perfette, così ben equilibrate in tutte le loro | parti che dovevano essere desideratissime, non solo dai miseri | selvaggi di quei tempi, ma lo sarebbero state anche dai soldati etiopi dell’esercito di Zerse, i quali, nel 480 av. C., secondo narra Erodoto,°* adoperavano freccie armate di cuspidi. silicee, | mentre le nazioni indiane avevano cuspidi di ferro. La ragione dell'abbondanza delle freccie, limitata dunque a tre sole stazioni, mentre altre palafitte, poco meno ricche di sto- viglie scarseggiano di selci, non sembra già più che possa aver: gran peso per farci ritenere che da noi l’uomo edificasse le sue abitazioni lacustri durante l’età della pietra e che solo molto più tardi venisse a conoscere il bronzo, quando per tuti gli altri 63 Ai STOPPANI, Rapporto sulle ricerche, ece., loc. cit., p. 433. i 64 G, RANCHET, Le scoperte all’Isolino, nella Cronaca varesina del 18 agosto 1878, . N.° 33. 65 C. MARINONI, op. cit., pag. 52. 66 I. REGAZZONI, op. cit., pag. 47. 67 J. EVANS, op. cit., pag. 42. 68 Eroporo, Libro VII, cap. LXIX, LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 427 | caratteri le quindici stazioni dei nostri laghi risultano evidente- _ mente coeve. Sta il fatto che nessuno ha mai creduto che nell’aurora del- l’età del bronzo l’uomo abbandonasse ad un tratto l’uso delle armi e degli utensili litici, ed è comune opinione che, per un certo tempo, continuasse a valersi insieme della pietra e del metallo; per cui non dovrei forse insistere molto su questa verità piena- mente ammessa come tale dalla generalità dei paletnologi, non escluso l’egregio prof. Regazzoni.°° Senonchè ad assicurare questo punto che finora non si è mai abbastanza fatto spiccare (o del quale non s'è mai tenuto il conto necessario), e per meglio dimo- strare la contemporaneità dell'uso degli istromenti litici e dei metallici (e fors' anco fin dall’origine delle palafitte varesine), è necessario che aggiunga alcuni schiarimenti di fatto, a rischio magari di ripetere cose già note. Si osservi bene che fra i 106 oggetti di bronzo già citati non fisura alcuna cuspide di freccia; or bene, o si ammetta che giunto all’età del bronzo l’uomo abbandonasse l’uso dell'arco, e allora che istromento adoperava per colpire a distanza? o conservò quel- l’arme, ed allora mi si conceda che si valesse ancora di quelle belle cuspidi silicee, così perfette, così ben equilibrate. Altro ar- gomento che toglie valore all’abbondanza delle freccie silicee per provare l’età della pietra. Così, per esempio, è un fatto che nelle terremare, ove il mas- simo numero delle armi è in bronzo (ed è logico sia così, poichè la maggior parte di quelle stazioni appartiene, probabilmente sin dalla fondazione, al pieno sviluppo di quella civiltà), si trova ancora un certo numero di freccie silicee. Non vi mancano però (mentre difettano tra noi) cuspidi metalliche: “ Poche però, sono le cuspidi di freccia (in bronzo) ..... prevalendo ancora, sebbene rare esse pure, le cuspidi di selce., ?° E poi le freccie vanno maggiormente soggette a perdersi, e 89: toc. cit., p. 78: 7° P. STROBEL e L. PIGORINI, Le terremare e le palafitte del Parmense, loc, cit., pag. 107. 428 - P. CASTELFRANCO, dovevano quindi essere preferite le punte di pietra, che ad un operaio abile dovevano costare relativamente pochissima fatica," a quelle di metallo che nell’aurora dell'età del bronzo do- vevano essere costosissime. Per la medesima ragione anche le cuspidi di giavellotto o di lancia dovevano frequentemente fab- bricarsi con la selce; "* pure, siccome le lancie ed i giavellotti non si perdono con tanta facilità quanto le freccie, riesciva na- turalmente più utile fabbricarle col metallo; epperciò noi troviamo nelle palafitte 17 cuspidi di lancia o di giavellotto in bronzo, in confronto di un numero relativamente piccolissimo di analoghe cuspidi litiche. E queste 17 cuspidi, meno una o due, sono rotte, come vedemmo, nella parte che doveva assicurarle all'asta, per cui si perdettero accidentalmente, nè furono gettate via dal pos- sessore. La cuspide di pietra invece, guasta che fosse, o mal riu- scita durante la lavorazione, si gettava via, costando minor fa- tica il rifarne un’altra che non rimettere la prima in buono stato. La cuspide di bronzo no; la si accomodava, ‘° o la si gettava nel crogiuolo per rifonderla."* | Allo stesso modo potevano usarsi contemporaneamente le azze di pietra e quelle di bronzo, le prime per gli usi comuni, le se- conde per la guerra o le caccie pericolose; le prime dai più po- veri della tribù, le seconde dai più sperimentati guerrieri e dai capi. Ho potuto esaminare la punta di uno dei pali ultimamente scoperti nel sottosuolo dell’ Isolino dal diligentissimo signor Walter K. Foster, e risulta a parer mio che quella punta è stata formata adoperando un arnese di pietra, azza o scarpello che sia. Pos- seggo d’altra parte nella mia collezione alcuni pali delle terre- 74 J. EVANS; Op. cit., p. 25 e 41. 72 C. MARINONI, op, cit., tav. II, fig. 15 e 16 (?). I. REGAZZONI, op. cit., tav. IV, fig. 20 e 21. | 73 V. a pag. 412 la descrizione di una cuspide di lancia accomodata, appartenente al signor ingegnere Giuseppe Quaglia. 74 Che nelle palafitte varesine si fondesse il bronzo lo provano le forme da fu- sione rinvenutevi, due a Bodio (REGAZZONI, tav. VI, fig. 18-21), una all’ Isolino (RE- GAZZONI, p. 131). ARE LODI PRI TE 0 TOTTI E 9 n SITE Mr, E n FP T © i pri SPOTT i aria LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 429. mare dell'Emilia; 7" questi furono tutti indubbiamente appuntiti con arnesi metallici, ma non è da farne le meraviglie quando sì | pensi al progresso maggiore della civiltà in quelle stazioni. Questa sola ed unica punta di palo dell’Isolino "° non basta dunque a provar nulla nè pro nè contro, se si ammette l’uso contempo- raneo delle azze di pietra e di quelle di metallo, e si rifletta che il fortunato possessore di un bellissimo coltello-ascia non avrà certo voluto adoperarlo ad un lavoro così volgare come quello di | aguzzare un palo, mentre sappiamo quanto fosse il culto che gli antichi guerrieri, anche nel medio evo, avessero per le proprie armi da guerra, e come un nonnulla, nella mente loro, bastasse a disonorarle. La tabella II ci fa conoscere che ben ventiquattro ami di bronzo sono provenienti dalle palafitte ed uno solo dalle paludi, ed è ben naturale che si sia pescato con la lenza in un lago più che in un pantano. Ne viene però la conseguenza che se togliamo. dal nostro conto gli oggetti metallici rinvenuti nelle paludi, i bronzi delle palafitte si riducono a 71, e 24 di questi sono gli ami, i quali diventano così di gran lunga l’arnese più comune. S' aggiunga a questo che sinora, ch’io sappia, nessun amo di pietra o d’osso è mai uscito dal lago nè dalla palude, per quanto dili- genti siano state le ricerche di tutti gli egregi paletnologi tante volte citati; quanto ad ami di legno non mi risulta che alcun popolo ne abbia mai usati. Gli ami dovevano dunque sempre es- sere di bronzo, anzitutto perchè poco costosi a cagione del pic- colo loro volume, e, finalmente, perchè con la pietra o con l’osso riesce troppo difficile fabbricare vantaggiosi arnesi da pesca. An- che qui porrei dunque il dilemma: O prima dell’ età del bronzo 75 Di Castione e di S. Ambrogio. 76 Ebbi campo, dopo la lettura di questa Memoria, di osservare altre punte di pali ultimamente estratte dal sottosuolo dell’Isolino mercè gli scavi ivi continuati con molta premura dai signori Ranchet e Regazzoni. Quei pali, a me e ad altri dei visitatori convenuti nell’ Isolino il 26 settembre 1878, sembrarono essere stati aguz- zati taluni col fuoco e la pietra, e taluni col bronzo. Per cui le ultime scoperte ven- nero ancora a rafforzare i dubbi miei e consigliare un nuovo esame dell’ardua qui- stione, 430 P. CASTELFRANCO, non si pescava con la lenza, o al primo suo apparire sui nostri laghi l’uomo delle palafitte adoperò ami di bronzo. Le stoviglie, più o meno rozze che siano, non sono un dato sufficiente a determinare l’età precisa di una stazione. Ho ten- tato dimostrare questo asserto in altro mio lavoro.” Dirò inoltre aver osservato nelle stazioni di Monate che solo i cocci più rozzi avevan traccia di quella crosta organica accennata nella descri- zione di quelle palafitte; non mai invece ho potuto notarla nei cocci più fini; per cui sono d’avviso che stoviglie d’impasto più o meno rozzo s'adoperassero contemporaneamente, le une per: gli usi della cucina, le altre per usi meno comuni. — E con ciò si spiegherebbe anche qui la maggior abbondanza delle rozze sto- viglie in confronto delle altre. Passiamo ad un altro ordine di idee. I paletnologi svizzeri s'erano sempre affaticati invano a cer- care le tombe del popolo delle ioro palafitte. Dal canto nostro non sappiamo ancora qual fosse il modo di sepoltura del popolo delle palafitte lombarde nè delle terremare. Il 23 gennaio del 1876, dopo tante ricerche, una scoperta inaspettata è venuta, quanto alla Svizzera, a colmare in parte la lacuna. Intendo parlare della tomba di Auvernier, scoperta sul lago di Neuchatel in una vigna rimpetto alla palafitta lacustre dello stesso nome."* Or bene, quella tomba conteneva, oltre le ossa ed altri oggetti, due azze di serpentino, associate a otto oggetti di bronzo: una perla, un anello, un ago crinale, due paja di braccialetti ed un pendaglio."? La presenza di due azze di pietra in una tomba fornita di 0g- setti di bronzo non implica di necessità che quelle azze si ado- perassero contemporaneamente a questi. Anzi è rimarchevole che le azze della tomba di Auvernier sono forate ambedue verso il margine del calcio, quasi si fossero portate appese al collo per qualche superstiziosa idea, allo stesso modo che qualche monta- 77 P. CASTELFRANCO, I Merlottitt. Atti della Soc. it. di Sc. nat., Vol. XVII, fasci» colo IV. 78 F. KELLER, VII Rapporto, loc. cit., p. 36. °9 Ipem, Ivi, tav. XXII, fig. 1, 2, 6, 7,9 e 13. LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO. 431 naro dell’ Appennino porta sul petto, accanto alle medaglie be- ‘nedette, una freccia silicea che lo deve preservar dal fulmine e ‘da parecchi altri pericoli. La tomba di Auvernier non dimostra quindi menomamente l’uso delle armi di pietra nell’ età del bronzo, ‘ma è bene ricordarsi che ad Auvernier, tomba e palafitta, si ri- . feriscono, non all’aurora dell’età del bronzo, ma bensì alla prima î apparizione del ferro, il così detto Bel dge du bronze degli Sviz- . zeri francesi. Ora può darsi che durante la lunga civiltà del bronzo ‘si sia abbandonato l’uso delle azze di pietra (se non di tutti gli i arnesi litici). Ho voluto parlare della tomba di Auvernier solo per | mostrare che l’unica tomba che si possa attribuire, senza alcun dub- è bio, al popolo delle palafitte, non è però della età della pietra, e che lascia quindi ancora intatto il problema nostro. i Neppure la fauna delle palafitte varesine è quella dell'età i della pietra. Vi troviamo ®° il cane (canis familiaris o camis lu- pus), il cervo (cervus elaphus), il capriolo (cervus capreolus), la capra (capra hircus), il montone (ovis sp.), il bue (bos brachy- . ceros e forse dos domesticus), il porco (sus scropha palustris), il | cavallo (?) (Equus sp.) e il Sus scropha ferus (?). Le terremare . hanno le medesime specie, meno il castoro (per ragioni di loca- lità) e più il bos primigenius il quale però vi è scarsissimo. La fauna delle palafitte svizzere invece è molto più ricca. Nelle più antiche stazioni, come Wauwyl e Moosseedorf, (reputate sinora | dell’età litica) abbondano maggiormente molti animali selvaggi *' che non si rinvengono mai nelle nostre palafitte, mentre nelle | più recenti, come a Nidau (reputate dell'età del bronzo) predo- | minano invece i mammiferi domestici, con l’identica fauna delle stazioni varesine. Ed oramai è tempo di esaminare la questione più dall'alto. Con altre basi di studio il Bertrand, *’ il Chantre, ** il Pigo- 8° C. MARINONI, op. cit., p. 48. $i L. RirimevER, Untersuchung der Thierreste aus den Pfahlbauten der Schweiz, | p. 31 e seguenti. 2? A. BERTRAND, Archéologie celtique et gauloise. Paris, 1876, p. 33. °° E. CHANTRE, Etudes paléoethnologiques dans le bassin du Rhéne, Tomo II, pa- gina 299-301. st. tette. peg Po 432 P. CASTELFRANCO, rini,°* arrivano alle conclusioni che la civiltà dell’età del bronzo ci sia venuta dall’Oriente, e che il corso del Danubio fosse una delle vie per cui giungesse nell’ Europa centrale col mezzo less affluenti suoi principali. Il Pigorini (confrontati lungamente i rapporti tra le seni zioni delle terremare dell’ Emilia e delle palafitte di Peschiera con quelle contemporanee di altri paesi) osserva che gli oggetti di bronzo “ che sono identici nell’ Ungheria e nelle terremare, si mo- dificano e scompariscono col distendersi verso l’ovest o verso il nord, e si arrestano all’Appennino”’ , e che la zona occupata da questa civiltà dell'età del bronzo coincide con quella occu- pata dalle palafitte. Il Pigorini definisce i limiti di quella zona: “queste due maniere di costruzioni (le abitazioni lacustri e le palafitte fuori dei laghi), che in sostanza ci rappresentano un solo sistema, al sud dell'Europa le vediamo appena nell’Italia settentrionale dal Piemonte alla regione delle terremare, senza passare mai l’ Appennino. All’ovest non risulta che valichino i Pirenei, nè tocchino l’Inghilterra. Al nord-est, dopo quelle del lago di Czeszewo nel gran ducato di Posen, le troviamo sol- tanto a Bialka nel governo di Lublin, e quanto al settentrione, oltrecchè non compariscono nella Danimarca e nella Svezia, solo in tempi assai vicini a noi, salvo rare eccezioni, si presen- tano nella Germania superiore. Per contrario occupano tutta l'Europa centrale, cioè le varie provincie dell'Austria a partire dalla Carniola, la Baviera, la Svizzera e la Francia del sud-est, notando che in quest’ ultima nazione ne sono invece prive le provincie oc- cidentali, centrali e settentrionali. Sono quindi indizio di una sola ed sian famiglia che popolò il centro d’ Europa fino al Del- finato. * Tutto serata dunque concorrere alla conclusione che la ci- viltà del bronzo sia venuta nell’ Alta Italia col popolo delle pa- lafitte; quel popolo, dove le sponde dei laghi si mostravano fa- 84 L, PIGORINI, Le abitazioni lacustri di Peschiera, loc. cit., pag. 17. 85 3 » > » pag. 15. 86 xd 3 » » » pag. 15 e 16. LE STAZIONI LACUSTRI DEI LAGHI DI MONATE E DI VARANO, 433 vorevoli all'impianto di un villaggio lacustre (come da noi) pre- N | feriva il lago alla terra ferma, e dove mancavano i laghi (come nell'Emilia), vi formava dei bacini artificiali. A Borneo vediamo attualmente i Dayaks edificare le loro palafitte così sull’ acqua come in terra ferma; nulla quindi che ci debba meravigliare se, anche nei tempi preistorici, l'uomo operasse allo stesso modo. Concludo: Nessuno dei fatti osservati nelle stazioni dei laghi del Varesotto è tale da porre fuori di dubbio che quelle abitazioni appartenes- sero mell’origine all’età della pietra. Varie ragioni dibattute in queste pagine e parecchi confronti istituiti con le palafitte di altre regioni concorrono insieme a farci ritener possibile che le nostre, fin dall'impianto loro, sì ri- feriscano all’ alba dell’ età del bronzo. Non mi lusingo di essere riuscito a far condividere ad alcuno le idee mie, e mi contenterei se le ragioni addotte potessero aver fatto sorgere nella mente di alcuno solo qualche dubbio intorno alla precisa età delle interessantissime stazioni, mentre fino ad oggi era articolo di fede che risalissero all’età della pietra. Gli scavi dell’Isolino, condotti con tanta diligenza dal signor Walter K. Foster, il quale notò tutte Je più minute particolarità osservate negli strati sovrapposti alla palafitta, dovranno gettare una nuova luce sull’importante quistione, poichè, s'anco non si | trovassero oggetti di bronzo negli strati più inferiori, il solo esame dei cocci basterebbe forse a farci conoscere se si usassero contemporaneamente le stoviglie più fine e quelle più rozze, o se, per contrario, le più fine fossero esclusivamente della superficie, e le più rozze del fondo.” PomPEO CASTELFRANCO. Milano, 22 settembre 1878. 87 L'indomani di questa lettura i membri del Congresso dei Naturalisti in Varese, recatisi all’Isolino, poterono rendersi conto co’ propri occhi, del risultato degli scavi iniziati dal Foster, e posteriormente continuati sulle sue traccie dagli egregi Ranchet e Regazzoni, ed assicurarsi che î coccî più rozzi sono i più frequenti nei diversi Vol. XXI. 28 434" P. CASTELFRANCO, LE STAZIONI LACUSTRI, ECC. strati degli scavi; i cocci più fini, ornati di fregi, sono di gran lunga meno abbon- danti dei primi, ma sî rinvengono pure in tutti gli strati, nè sembrano più abbondanti in uno strato che in un altro. Or dunque, se i vasi di fino impasto sono dell'Età del bronzo, come vorrebbero i paletnologi che mi precedettero, dobbiamo ritenere che le palafitte dell’Isolino ve- nissero fondate in quella età poichè tali cocci si rinvengono anche nello strato più inferiore. Ma tali cocci si trovano sempre associati ad altri più rozzi, e quindi: I/ trovare in un terreno qualunque, rimaneggiato 0 vergine che sia, cocci di fattura molto rozza 0 molto civile, non basta per determinare Vetà a cui si riferisce la sta- zione [V. nota 77]. L’egregio signor Cristoforo Bellotti spiegava la maggior frequenza dei rozzi cocci anche dal fatto che i vasi d’uso comune assumono per lo più dimensioni maggiori che non quelli di migliore impasto, per cui uno solo di quei vasi grossolani può dare un cumulo di cocci da pareggiare in volume quello di parecchi altri vasi di più distinta fattura. SPIEGAZIONE DELLA Tavora 148, Fig. 1. Carta topografica della regione dei laghi di Monate e di Varano. © Palafitte. Fig. 22. Planimetria delle stazioni sotto Cadrezzate, secondo la pianta Antonio Borghi. ABCD. Periferia della stazione del Sabbione. E Periferia della stazione di Pozzolo. ta Testate di pali. + Ascia di bronzo rinvenuta alla profondità di 20 4/,, W Canneto. Fig. 32. Profilo della stazione del Sabbione sulla linea CD della fig. 2°. == -- Limite approssimativo tra il fondo naturale del lago e la gittata artificiale. Fig. 42. Profilo della stazione del Sabbione sulla linea AB della fig. 22. = --- Limite approssimativo tra il fondo naturale del lago e la gittata artificiale. Atti.d.Soc.Ital.d.Sc.Nat.XXI tav:14 pnbon p 0794 OET/x VIZZIO tp C1IQUIAOI q À Ai SCO è V, v, "gi (07) JÀ pDILLO,) O EVIVZILANI) Lit Ronchi INTORNO AD ALCUNI OGGETTI D'INDUSTRIA UMANA PREISTORICA TROVATI NELLE TOMBE DI MALGESSO PRESSO GAVIRATE. Nota del Soc. Prof. LeoPoLpo MacGgi dell’ Università di Pavia. Nella Cronaca varesina del 24 dicembre 1871, anno VI, N. 59, venne annunciato che a Malgesso, in un fondo del signor Cava- lier Giuseppe Maggioni, mentre si stava disponendo un vigneto, furono scoperte due tombe antiche. Si rinvennero in esse vasi, alcuni di distinta materia e fattura, contenenti i soliti avanzi di ossa ed i simbolici oggetti di bronzo. L’egregio proprietario si fece in allora premura di annunciare alla Società del Museo Patrio di Varese tale scoperta, espri- mendo la speranza di altre consimili nel progresso dell’ accen- nato lavoro agricolo, e dispose eziandio perchè gli oggetti rinve- nuti fossero consegnati al Museo, cui egli volle farne gradito dono. Non v’ha dubbio che le tombe di Malgesso appartengano alla medesima epoca di quelle di Golasecca, e fu già detto anche che esse sono della prima età del ferro. Il signor Pompeo Castel- franco ' poi, dopo aver distinti i due periodi della prima età del ‘ ferro nella necropoli di Golasecca, ascrive al secondo le tombe di Malgesso. Ma più che della loro cronologia, io voglio fare un piccolo cenno intorno ad alcuni oggetti d’ industria umana, che in esse si trovarono. ' Due periodi della prima età del ferro nella necropoli di Golasecca. Ricerche e studj del prof. PomPEO CASTELFRANCO, regio ispettore degli scavi e dei monumenti nella provincia di Milano (Bullettino di Paleoetnologia italiana. N. 5 e 6, anno II). 436 L. MAGGI, Uno dei loro vasi in terra rossastra, venne disegnato nella Tav. VI, N. 3 degli Studj archeologici sulla provincia di Como, 1872, dal signor A. Garovaglio, e da lui stesso, in quel IRGR: simo opuscolo, a pag. 78, così descritto: “Il disegno che lo gira attorno attorno ove è più larga la circonferenza, e fatto risaltare d’una specie di vernice, non è a sega, ma a linee rette, fitte, incrociate, formanti una larga fa- scia di semplicissima composizione, ma di un bell’ effetto. Altre tre righe a fascia circondano a varie altezze, e gli sono di mag- giore ornamento; talchè la forma del vaso è delle più eleganti. , Nella medesima Tav. VI, al N. 5, il signor A. Garovaglio di- segnò pure un frammento di vaso, che, ancora a pag. 78 del- l'opuscolo sopracitato, dice essere il fondo dei soliti vasi a ver- nice o terra nera lucida, in cui si riponevano ossa combuste, ceneri, fibule, armille, ecc., e che sempre, o quasi, si rinvengono nelle urne grandi o lì presso, a Golasecca, Sesto Calende, ecc. Dalle tombe di Malgesso, io ebbi da esaminare un vaso cine- rario o lacrimatojo, detto anche vasetto accessorio. Esso è leggiero, elegante, con vernice nera, simile nella forma e nelle dimensioni ad uno di quelli trovati dal Giani! nelle tombe di Golasecca, e disegnato anche da Mortillet (fig. 51, pag. 112, nel suo opuscolo: Le signe de la croix avant le Chri- stianisme. Paris, 1866. Secondo la distinzione, che il signor Pom- peo Castelfranco fa, dei vasi di questo genere, provenienti dalle tombe di Golasecca, esso appartiene a quelli della serie del se- condo periodo della prima età del ferro, aventi, cioè delle curve più graziose, ed un collo più alto e più stretto di quelli della serie del primo periodo. Questo vaso, esternamente, porta alla base una croce lucida, costituita da due fascie tra loro perpendicolari, ognuna delle quali è formata da quattro linee; a guisa della croce che si trova sotto il fondo di vasi consimili nelle tombe di Golasecca, 1 G. B. GIANI, Battaglia del Ticino tra Annibale e Scipione, ossia scoperta del campo di P. C. Scipione, delle vestigia del ponte sul Ticino, del sito della battaglia e delle tombe dei Romani e dei Galli in essa periti. Milano, 1324. INTORNO AD ALCUNI OGGETTI D’INDUSTRIA UMANA, ECC. 437 Villanova ed in molte altre, anche al di fuori del nostro paese, — e che Mortillet ritiene essere un simbolo religioso, molto diffuso | prima ancora del cristianesimo. Nel vaso vi stavano delle fibule di bronzo incomplete, dei pez- zetti di bronzo, delle ossa umane calcinate, dei pezzetti di car- bone e degli avanzi di vegetali secchi, certamente erbe aroma- . tiche. Interessandomi di conoscere la composizione del bronzo, ne feci fare l’analisi chimica tanto qualitativa che quantitativa, dal signor dottor Ippolito Macagno, che nel 1872 era assistente al Museo di Storia naturale della R. Università di Pavia. E que- sti al 17 aprile di quell’anno, mi riferiva che il bronzo ritrovato nelle tombe di Malgesso, era costituito da: Rame) helena ii %008 ESTA OI gi ARRE, ROGO SI AERÒ 3: 1: 7. Zinco e tracce di ferro . . . 1,39 FIGINO TIRI ue 0,07 Tei 0,02 100,00 Come risulta dall’ esame fatto, gli elementi di questo bronzo, sono il rame e lo stagno; figurando il zinco, il ferro ed il piom- bo, per la loro pochissima quantità, come parti accessorie, anzi, meglio, come impurità. Il bronzo quindi delle fibule di Malgesso, viene ad essere della lega della cuspide Ranchet, ossia cuspide di lancia in bronzo rinvenuta dal signor Ranchet nella palafitta centrale di Bodio alla distanza di circa 60" dalla riva del lago di Varese, e della lega anche delle fibule di bronzo appartenenti ad alcune tombe della Valcuvia; solamente differisce nella quantità dello stagno, che è in maggior proporzione. Diffatti lo stagno in lega col rame nella cuspide Ranchet, è di 11,40; nelle fibule della Val. cuvia, è di 14,90; mentre in quelle di Malgesso, risultò, come già si disse, di 19,52. Tuttavia è bene notare che nella compo- sizione chimica del bronzo, sia della cuspide Ranchet, sia delle fibule della Valcuvia, non avvi, neanche come impurità, nè dello zinco, nè del piombo, come si ottenne invece dal bronzo delle fibule di Malgesso. 438 L. MAGGI, INTORNO AD ALCUNI OGGETTI D’INDUSTRIA, ECC. Pertanto non essendo le fibule di Malgesso nè di bronzo piom- bifero, nè di bronzo zincifero, si può escludere che esso sia di quello dei Greci, degli Egizj, degli Etruschi e dei Romani; dei quali ultimi, secondo Morlot, il bronzo è dato da rame e zinco, mentre il rame è in lega col piombo nel bronzo degli altri po- poli qui sopra citati. D'altra parte però la loro lega, non è pret- tamente quella preistorica dell’epoca del bronzo. Io non so, nè conosco analisi chimiche di oggetti di bronzo delle tombe di Golasecca, come sarebbe interessante averne per il confronto, e, nel mio caso, per stabilirne le analogie e le dif- ferenze col bronzo delle tombe di Malgesso. E giacchè mi si pre- senta l’occasione, mi permetterò di fare le mie raccomandazioni a tutti quelli che si occupano di paleoarcheologia per togliere. questa lacuna, che esiste specialmente da noi, in un ramo scien- tifico, il cui studio per altri riguardi non è inferiore a quello che fanno le nazioni estere. Le numerose analisi di Fellenberg sui bronzi antichi, pubblicate nei MittheWlungen der Bernischen naturforschenden Gesellschaft (1865), ne dimostrano l’importan- za, potendosi ritrarre da loro dei criterj diagnostici. Nei diversi bronzi antichi trovati in Valcuvia, io ho già constatato che il bronzo zincifero è romano, e, da quel che mi risulta finora, a questo bronzo si giungerebbe in Valcuvia, dopo quello preisto- rico dell’epoca del bronzo. Invece quello di Malgesso, in questo momento di studio, mi si presenta come un bronzo intermediario fra i due accennati della Valcuvia; e questa sua posizione sa- “rebbe mantenuta anche dalle sue condizioni di giacitura, per le quali lo si attribuì a popoli della prima età del ferro. Ma per questa corrispondenza di dati diagnostici, necessita un maggior numero di analisi chimiche. Nessuno, io credo, metterà in dub- bio, che i molti oggetti di bronzo scoperti e che si scopriranno in Italia, studiati chimicamente, recheranno lumi all’archeologia tanto preistorica, che storica. PIE PROC DI ALCUNE TOMBE DELLA VALCUVIA | E DELLA VALMARCHIROLO APPARTENENTI ALLA PRIMA ETÀ DEL FERRO. Descrizione del Socio Prof. LeoPoLDpo MAGGI, dell’ Università di Pavia, Le osservazioni di Mortillet sulle tombe trovate in Lombardia, tra Somma, Golasecca e Sesto Calende, che tendono a porre-ana- logia fra queste e quelle di Hallstadt, dell’epoca del ferro; la contemporaneità, voluta da Pigorini, delle sepolture di Vei, di Tarquinia, di Cervetri e di Vulci, con quelle di Hallstadt e Go- lasecca; il riferimento, secondo Stoppani, Marinoni, Omboni ed altri, delle tombe di Golasecca alla prima età del ferro; i cenni del signor A. Garovaglio intorno alla necropoli di Villa Nessi in val di Vico presso Como; del sepolcreto di S. Ambrogio Olona, presso Robarello, e delle tombe di Malgesso, che egli stesso le riferisce al periodo di Golasecca, parendogli anzi di questo più antica la necropoli di Villa Nessi; da ultimo le interessanti ri- cerche di Castelfranco intorno a due periodi della prima età del ferro nella necropoli di Golasecca, e la conseguente designazione, nel primo periodo della necropoli di Villa Nessi, del sepolcreto presso Robarello e della tomba di Comabbio (ascritta dal Mari- noni all'ultimo periodo della pietra, e poi dallo stesso Marinoni = ‘ indicata come una tomba di Golasecca), e, nel secondo periodo, delle tombe di Malgesso, sono frutti di studj che fanno sempre più acquistare importanza alle descrizioni di tombe antiche. 4400 L. MAGGI, Ond’ è che non inutili saranno anche quelle che ora io vengo a dare di alcune tombe della Valcuvia e della Valmarchirolo, che ritengo appartenere alla prima età del ferro, in quanto che la qualità del loro materiale ed il modo con cui le tombe sono con esso formate, più gli oggetti in esse contenuti, sieno di terra che di metallo, le fanno identiche a quelle di Golasecca. / TOMBE DELLA VALCUVIA. | A Gemonio, a Cuvio ed a Masciago, per quel ch’io mi sappia, furono messe allo scoperto delle tombe antiche. Di quelle di Gre- monio io non ho potuto veder nulla in posto, nè finora ebbi, nè fu data una descrizione. Tralascerò di dire di quelle di Masciago, essendovi le notizie, . se ben mi ricordo, in uno degli antichi almanacchi della pro- vincia di Como. Mi occuperò invece delle tombe di Cuvio, un cenno delle quali fu già da me fatto sulla Cronaca Varesina del 1874, N. 38, in occasione della spedizione degli oggetti da esse tolti, e da me donati al Museo patrio di Varese. Una tomba formata solamente da poche pietre grossolane e lastriformi, stava quasi a fondamento di un muro della casa di un mio parente, il signor Placido Luigi Maggi farmacista, posta, si può dire, nella parte centrale del paese di Cuvio. La tomba giaceva totalmente nella sabbia, che, geologicamente considerata, fa parte dei depositi lacustro-glaciali, già da me indicati nella Valcuvia. Null’ altro che sabbia, di natura silicea, potei vedere dintorno alla tomba, sotto alla quale appariva la roccia in posto, che è un. calcare selcifero. Epperò va notato che la limitata osservazione geognostica veniva obbligata dalla condizione dell’ esistenza della casa, la quale impediva le ricerche oltre lo spazio occupato dalla tomba, messa allo scoperto solamente per alcuni riordinamenti del sito. In questa tomba eravi uno scheletro umano, di cui si vedeva benissimo, in posto, il cranio ed alcune ossa degli arti superiori, essendo stata tolta, nell’ escavazione, una pietra late- rale della tomba. Mentre si stava all’ esame di ciò, ed alla ricerca di altri oggetti, che vi si potevano contenere, il peso sovrincom- DI ALCUNE TOMBE DELLA VALCUVIA, ECC. 441 . bente alla tomba, la fece cadere, schiacciandovi anche il cranio umano. Non molto discosta da questa, nell’area della casa Bozzotti, ex-casa Litta, e precisamente in quel suo riparto che una volta era designato al medico condotto, e che ora serve per gli uffici del Comune e della Pretura, si trovarono altre tombe fatte di pietre non tagliate, e delle sepolture in una semplice buca, fatta nella sabbia terrosa di quella località, e dalle quali ebbi un cranio umano doligocefalo, che ora trovasi nella colle- zione del Museo patrio di Varese. Ma le tombe di Cuvio, da riferirsi con certezza all’ epoca del ferro, sono quelle rinvenute nella località detta la Geretta, vicina al paese di Cuvio, sulla destra del fiume Valronchino o Reno, dove al presente c’ è la casa di Pietro Sartorio; che appunto per gettare i fondamenti di questa casa, si misero a nudo diverse tombe. Esse stavano al di sotto della terra vegetale poco più di un metro; quelle che si poterono contare erano in numero di nove, e tutte costituite da lastre di pietre di gneiss (volgarmente beola) non tagliate. Alcune delle lastre erano lunghe un metro, e larghe da 40 a 50 centimetri; altre molto meno lunghe; al- cune anche decomposte, e lo stadio di decomposizione in certi punti così avanzato, da rendere la roccia friabilissima, in modo che appena tocca andava in polvere. Non tutte le lastre laterali delle tombe erano verticali, ma alcune rovesciate, come anche alcune del coperchio e del pavimento erano spostate. Per queste dislocazioni si rese difficile la conoscenza delle loro dimensioni e configurazioni, che però, in generale, non si allontanavano da quelle di una cassa mortuaria. Nell’interno loro, insieme ad un po’ di sabbia ed a molta terra, in alcuni punti nera, eranvi degli scheletri umani non completi nelle loro ossa, ma tutti aventi il teschio d’una bella conserva- zione; singolare poi quella dei denti di alcuni di loro. Per la massima parte degli scheletri, la loro posizione era supina. Insieme ad essi, da una parte, stavano dei vasi di terra cotta, senza manico; alcuni di un bel color rosso mattone, altri nerastri; 442 L. MAGGI, di varia forma, cilindrica oppure a coppa; di un’ argilla, per la maggior parte del vaso, molto micacea; benchè alcuni sembrino lavorati al torno, tuttavia all’esterno vi sono delle linee circolari, probabilmente fatte senza l’idea di un’ ornatura. Inoltre, in alcune di queste tombe, si trovarono delle spade di ferro, di cui una completa ed un’altra incompleta, ma che pre- senta le tracce di un fodero pure di ferro. I vasi che io ho potuto possedere e donare poi al Museo patrio di Varese, furono tre: due ossarî o vasi cinerarî, ed una coppa- coperchio. Dei due ossarî, uno è più piccolo dell’ altro. Il più grande dei due misura 14 centimetri d'altezza, 13 cen- timetri di larghezza diametrale, al punto più sviluppato del ventre del vaso. Il più piccolo è alto 9 centimetri, largo 10 centimetri al punto più sviluppato del ventre del vaso. La massima circonferenza ventrale del primo è di 42. centi- metri, quella del secondo è di 34 centimetri. Tutti e due però hanno la medesima forma, quella cioè di un orciuolo panciuto, ad apertura non molto larga, ed a base ri- stretta e piatta. La bocca del vaso ossario più grande ha un diametro di 88 mil- limetri, quella del vaso ossario più piccolo è di 65 millimetri. Il diametro della base del primo è di 63 millimetri, quello del secondo è di 55 millimetri. Tuttavia all'apertura del primo, fornita di un regolare orletto, fa seguito un collo alto 17 millimetri, che va allargandosi dal- l’alto al basso, e fatto da una linea rientrante ben decisa, che rappresenta la comun sezione della parte inferiore del collo col principio del ventre del vaso. Il secondo invece manca del collo, ed ha solamente alla sua bocca un orlo non molto regolare. e piuttosto svasato. Appena al di sotto della massima circonferenza ventrale del | vaso ossario più grande, vi ha un foro fatto dall’esterno all’in- | terno, non circolare, misurando un diametro di 6 millimetri, e i : la dh PANNSI A beat LE ati DI ALCUNE TOMBE DELLA VALCUVIA, EC0. SNO 1 3 l’altro 3 millimetri, epperò il primo diametro sarebbe posto ob- | bliquamente all’asse verticale del vaso. Nel primo, ossia più grande, domina il color rosso; nel secondo, ossia più piccolo, il colore dominante è il bruno. In tutti e due le pareti sono sottili. La coppa-coperchio, di un color rosso-bruno in generale, pre- senta tanto all’esterno che. all’interno, dominante in una metà 1 color rosso, e nell'altra il bruno. Essa ha un piede ed un orlo superiore, il quale è rivolto all'indietro; presenta anche un col- letto alto 8 millimetri, dal margine inferiore del quale, il vaso va restringendosi fino al suo piede. È a pareti piuttosto robuste, ed in confronto di quelle dei vasi ossarî sono molto grosse. Tanto esternamente che internamente mostra d’ essere stata lavorata al torno. È alta 95 millimetri, ed il diametro della sua apertura è di 18 centimetri e 5 millimetri; la sua massima circonferenza è data dall’orlo, appena al di sopra del suo margine inferiore che sta in contatto col collo del vaso, e misura 67 centimetri, mentre la circonferenza del collo è di 64 centimetri e 5 millimetri. La superficie esterna della coppa-coperchio, come quella dei vasi ossarî, presenta delle linee circolari. Tali sono i caratteri, pei quali i vasi delle tombe di Cuvio vengorio a rassomigliare a quelli della necropoli di Golasecca e del cimitero di Villanova, già ritenuti appartenenti all’ epoca del ferro. Delle due spade di ferro, che pure donai al Museo patrio di Varese, quella intera è della lunghezza totale di 93 centimetri, di cui 80 centimetri per la lama e 13 centimetri per l’impu- gnatura. Essa è molto piatta ed a due taglienti, senza restrin- gimento nel mezzo, e tutta di un pezzo. Confrontata colle figure che dà Desor, rassomiglia alle spade della Stazione della Tène, “in Isvizzera, che appartiene all’epoca del ferro. L’altra spada, come dissi, è incompleta; tuttavia, la parte che di essa esiste, è identica alla prima, e misura 68 centimetri di lunghezza. I teschî umani che potei poi osservare, ma che circostanze im- prevedute mi impedirono di conservare, e quindi di donare al 444 L. MAGGI, Museo patrio di Varese, erano molto doligocefali, ciò che, come dissi nella mia Relazione alla Presidenza del Museo patrio sud- detto, convaliderebbe ancora più l'analogia degli oggetti di esse tombe con quelli della Stazione della Tène. TOMBE DI VALMARCHIROLO. Secondo un manoscritto del farmacista Borri di Marchirolo, riportato in stampa dal signor Brambilla Luigi, nel vol. I, p. 207 del libro: Varese e suo circondario (Varese, 1874), si rinvennero molte ossa antiche ed uno scheletro ancora intiero, molto alto, precisamente al di sotto della casa dello stesso farmacista Borri. Tra Ardena e Brusimpiano, scrive ancora il Borri, furono tro- vate delle ossa credute di giganti, come quelle che si rinvennero sul Cremasco; e quantunque fossero di una grossezza non ordi- naria, e per ciò credute dai contadini di giganti, non eran tali però, perchè trovate racchiuse in lastre a guisa di sepolcri. Lasciando questi vaghi indizì, io riferirò sopra una tomba della Valmarchirolo, di cui già feci cenno sulla Cronaca Varesina, pure del 1874, N. 42, allorchè spediva in dono al Museo patrio di Varese alcuni oggetti, che io ebbi, provenienti da quella tomba. Essa fu scoperta nell’ottobre del 1870 dal signor avvocato Gia- como Scolari di Marchirolo, il quale, passando per la valle Luera, che giace tra la campagna di Marchirolo ed il prato Bissoni, la trovò precisamente sulla strada che da Marchirolo mette ad Ardena. Il primo indizio della tomba gli fu dato da una lastra di gneiss (beola), che stava, verticalmente posta, a fianco dell’ ac- cennata strada, e che in parte venne messa allo scoperto da una dirotta pioggia scaricatasi nella notte dal 7 all’8 maggio fin dal 1868, rovinando quella strada ed abbassandola di molto. All’occhio intelligente dello scopritore non isfuggì l’osserva- zione che quella lastra non poteva esser stata messa là dal caso, ma bensì dall’ opera dell’uomo. Infatti, levatala dal suo posto, si vide che essa formava parete laterale di una tomba, che con- teneva degli oggetti d’industria umana, Sarete dz “i DI ALCUNE TOMBE DELLA VALCUVIA, ECC. 445 Sei lastre di gneiss, ognuna di forma quadrilatera, avvicinate tra loro e non unite con cemento, costituivano la tomba, la quale anche aveva le seguenti dimensioni: circa cioè 75 centi- metri di lunghezza, 50 centimetri di larghezza, e 50 centimetri di altezza. In essa stavano due vasi di ferra cotta, di cui uno conteneva poca cenere ed alcuni pezzetti di carbone. Questi vasi, che ora si trovano al Museo patrio di Varese, sono diversi fra loro e per la forma e pel colore; sono simili per la qualità dell’ornatura esterna. Uno è il vaso ossario o cinerario, l’altro è la coppa-coperchio ; il primo è più alto del secondo. Il vaso ossario presenta un’ ansa che parte dal suo orlo e va ad inserirsi appena al di sopra della massima circonferenza ven- trale del vaso. Tale ansa rende importante questo vaso ossario, poichè Giani dice di non averne mai veduti nelle tombe di Go- lasecca, ed un solo ne trovò in quella località Mortillet (Signe de la croix avant le christianisme, pag. 111). Un frammento di vaso ad ansa fu tuttavia rinvenuto nelle tombe di S. Ambrogio Olona presso Robarello, nelle vicinanze di Varese (Garovaglio, Studi Archeologici su la Provincia di Como, 1872, pag. 81). Il vaso ossario o cinerario ha la forma di un orciuolo panciuto, con un’apertura ben proporzionata alle sue dimensioni e fornita di un piccolo orlo, e con una base che, a differenza dei vasi ossarî delle tombe di Golasecca, Sesto Calende e di quelle finora note del territorio varesino, presenta un orlo piuttosto rialzato. La base è piatta, solo avvi una piccola incavatura circolare, por- tata dal rialzo dell’orlo. Per ciò il vaso rassomiglia ad alcuno di quelli, pure ad una sola ansa, trovati nel cimitero di Villa- nova presso Bologna dal conte G. Gozzadini (Mortillet, Signe de la croix, pag. 66-67). Tuttavia Mortillet fa osservare che una tal base, presso però vasi senza ansa, esisteva già in Italia, alla fine dell’epoca della pietra, come lo mostrano le stazioni lacustri del lago di Varese. Secondo lui, essa attraversò tutte le mariere dell’epoca del bronzo e si è prolungata fino nell’ epoca del ferro (Mortillet, loc. cit., pag. 67). 446 TL. MAGGI, Il vaso ossario è di un color rosso mattone, epperò chiara- mente si vede che esternamente gli fu data una tinta nerastra, molto leggera e molto diluita. Le sue pareti non sono grosse; robusta invece è l’ansa. Internamente mostra di essere stato lavorato al torno, come quelli di Villanova. È alto 183 milli- metri; largo diametralmente, al punto più sviluppato del ventre del vaso, 13 centimetri; la sua massima circonferenza ventrale è di 41 centimetri. Il diametro dell'apertura del vaso misura 8 centimetri; la cir- conferenza del suo collo 26 centimetri; l'altezza del collo 23 millimetri; la circonferenza dell’orlo della base è di 23 centi- metri e 5 millimetri; il diametro della base, compreso l’orlo, è ‘ di 73 millimetri; senza l’orlo 52 millimetri. L’arco dell’ansa mi- sura 85 millimetri; la grossezza dell’ansa, nella sua parte me- diana, ha la circonferenza di 5 centimetri. Al presente il vaso, in un punto del suo ventre, offre una rot- tura di forma elittica, il cui massimo diametro è di 4 centimetri, il minimo di 2 centimetri. La coppa-coperchio rassomiglia a quelle di Golasecca. È alta 75 millimetri, ed il diametro della sua apertura è di 13 centi- metri; la sua massima circonferenza è di 47 centimetri. All’in- terno di un rosso-bruno, all’esterno nera; a pareti robuste e grosse; non mostra tracce di esser stata lavorata al torno, epperò fu soggetta ad una buona cottura. Laddove la vernice venne sol- levata si vede una bella terra cotta. Essa ha un piede, e l'orlo superiore, alto 24 millimetri, è ri- volto all’indentro. Tanto il vaso ossario, come la coppa-coperchio, sulla loro su- perficie esterna, presentano un’ ornatura che, come già dissi, li fa simili fra loro. Nel primo però l’ornatura incomincia un po’ al di sopra della massima circonferenza ventrale e va sino all'orlo della base; nel secondo, principia alla massima circonferenza ventrale estenden- dosi sino al piede. Tutte le altre parti dei due vasi ne sono prive. L’ornatura consiste di quadretti a rete, i quali vanno restrin- A RI | oO, ST ile e AM ‘ F. t a ui si din elio FINITE AMT e nnt pe Ye net Di DT RAI A REIT LOSE APT e CI ara nt el Aa PERU O, e his: i e SERE vi p a 5 È DI ALCUNE TOMBE DELLA VALCUVIA, ECC. 447 gendosi mano mano che si portano alla base, epperò non sono regolari neanche in questa graduazione, giacchè alcuni sono for- mati da linee incrociantesi molto avvicinate fra loro, mentre queste linee, per altri quadretti, sono allontanate fra loro. Le linee sono leggermente incise sul vaso ossario prima della sua cottura, poichè il loro colore non è di più splendente di quello che ha tutta la pasta del vaso. Quelle invece della coppa-coper- chio sono fatte dopo di aver intonacato di nero il vaso, essendo esse d’un nero brillante, come se fossero inverniciate, e si stac- cano nettamente sulla restante colorazione nerastra non splen- dente. D’un nero brillante, perfettamente liscio, è anche la su- perficie esterna dell’orlo di questa coppa. Tuttavia è da notarsi che lo spazio dei quadretti del vaso os- sario è leggermente tinto in nero, in modo da far spiccare mag- giormente la colorazione rossastra della maglia. Da ciò si può inferire che il rosso del vaso ossario, prima della cottura, venne annerito in quella sua parte che doveva essere ornata, quasi per stabilire la tinta di fondo, su cui far risaltare la rete rossastra, e questa fu ottenuta col levar via, mentre era ancora umida, la tinta nera. Il vaso ossario, per la qualità dell’ornamento esterno, rasso- miglia a quelli delle tombe di Golasecca; tuttavia ne diversifica nella pasta, in quanto che questo è a pasta rossa con ornamenti incisi in croce, quelli; con siffatti ornamenti, sono a pasta bruna; mentre la coppa-coperchio ne è affatto identica per tutte le sue qualità. Il vaso ossario tiene, in parte, a quelli delle tombe di Gola- secca e del cimitero di Villanova; non così la coppa-coperchio, che si unisce solamente a quelle delle prime tombe. È evidente che la tomba, di cui io ho parlato, viene ad avere analogia con quelle di Villanova, e, più di tutte, con quelle di Golasecca, già dichiarate, sì le une che le altre, appartenenti all’ epoca del ferro. All'epoca del ferro, pertanto, va ascritta la tomba trovata in Valmarchirolo. DI ALCUNI CASI DI ALBINISMO NEI RETTILI. Nota del dott. RomuALDO PIROTTA. Mentre sono ben noti e facili a riscontrarsi i casi di albinismo negli uccelli, meno comuni, ma abbastanza frequenti nei mam- miferi, essi appaiono assai rari nei pesci e nei batraci, rarissimi poi certamente nei rettili, poichè non è-a mia notizia che alcuno ne sia stato fino ad ora segnalato. Le ricerche da me fatte a questo riguardo nei più recenti trattati di erpetologia italiani e stranieri, e nelle speciali memorie intorno all’ albinismo negli ani- mali, riuscirono vuote d’ effetto, anzi mi confermarono la man- canza assoluta di notizie sull’argomento. Il Frauenfeld * e molto più recentemente il compianto Panceri? asseriscono che nei verte- brati a sangue freddo i casi di albinismo sono ben rari, e che non si conosce se nei rettili se ne siano mai descritti. La causa di siffatta rarità dell’albinismo nei rettili, la si volle riporre principalmente in ciò, che la sede del pigmento non è per essi, come pei vertebrati superiori, l'epidermide, bensì il derma, strato di tegumento ben differente per origine embriolo- gica e per struttura. Più frequente, per converso, è in questa classe di animali il fenomeno contrario, voglio dire il melanismo, che si verifica specialmente nelle forme localizzate nei monti. Ben di buon grado mi accingo pertanto ad illustrare con brevi parole tre casi di albinismo riscontrati nei rettili, due dei quali ho potuto esaminare nella collezione del Museo civico di Pavia, per gentile condiscendenza del direttore del medesimo, il chia- rissimo prof. Prada. Essi appartengono a tre specie comunissime dei nostri serpenti innocui: il Tropidonotus tessellatus (Laur.), i G. FRAUENFELD, Veber Farbenabweichungen bei Thieren. Verhandl. d. zool. bot. Vereins in Wien. B. III 1853. Sitzungsb. p. 39. ? P. PANCERI, Intorno all’ albinismo del Clarias anguillaris. Rend. Accad. Se. Fis. Mat. Napoli, 1873. Estr. p. 2. DI ALCUNI CASI DI ALBINISMO NEI RETTILI. 449 x il Tr. natrix (L.) e la Coronella austriaca (Laur.). Ecco una succinta descrizione di ciascuno di essi. Tropidonotus tessellatus. L’individuo da me studiato veniva raccolto il 9 agosto u. s. dal signor Riccardo Magnani al luogo detto è Cantone delle Tre miglia, poco lungi da Pavia, sulla gran strada di Milano, e dal medesimo donato al Museo zoologico dell’ Università. Ha una lunghezza di centim. 58 ed è di media grossezza. La colorazione . caratteristica dell’ animale è scomparsa in modo che riesce com- pletamente di un bianco paglierino, che passa ad una tinta di rosa pallido sui fianchi. Soltanto sull’alto della testa si veggono due macchie di color bruno pallido non uniforme, che occupano le due grandi squame superiori del capo, anzi la destra soltanto nel suo terzo interno, ed una lieve sfumatura di bruniccio tinge . le piastre addominali lungo il terzo anteriore del corpo e le pia- strine della coda. Tropidonotus natrix. È un giovane individuo lungo appena 22 centimetri. Il colore generale del suo corpo è, superiormente, d’un bianco sporco; le due grandi macchie gialle al di dietro della testa, che, come è noto, sono assai più manifeste nei giovani, si veggono distinta- mente, ma il loro colore è bianco; le due grandi macchie carat- | teristiche nere poste dietro le prime e quelle del dorso, sono ri- . dotte nelle dimensioni e di una tinta particolare bruniccia-pallida. Le ultime, cioè quelle del dorso, scompaiono poco a poco, e le laterali si fanno sempre meno percettibili col progredire verso la coda. La medesima colorazione delle macchie domina la parte inferiore dell'animale ed è soltanto in modo regolare ed elegante interrotta da macchie bianche, che corrispondono esattamente a quelle di color giallo della tinta ordinaria. Coronella austriaca. L’esemplare di Coronella o biscia rossa, preso, come il prece- Vol, XXI. 29 450 R. PIROTTA, dente, nei dintorni di Pavia, è di dimensioni molto considerevoli, misurando una lunghezza di 63 centimetri ed un diametro trasver- sale massimo di 15 millimetri. Il corpo ha tinta generale cenericcia assai pallida; le squame della sua metà posteriore presentano, ma più rare, le finissime punteggiature nericcie; sulla testa, sul collo, e per circa 5 centimetri di tronco, sono appariscenti le macchie caratteristiche dell'animale; il loro colore è però assai smunto e scompaiono affatto su tutto il resto del corpo; solo in alcuni rari luoghi si osservano delle macchioline pallide, quasi bianche, poco appariscenti, che probabilmente corrispondono alle oscure della colorazione normale. Le squame ventrali sono sco- lorate nei due terzi anteriori del tronco, picchiettate finamente di bruno nel resto, come pure le squammette codali. Non v’ ha dubbio, che tutti questi casi di cambiamento di co- lore sono forme di albimismo ; resta a vedere a quale di esse forme ognuno dei casi suindicati si riferisca. Benchè io non abbia potuto osservare il coloramento dell’ iride nel Tropidonotus tessellatus poichè creduto velenoso fu tosto messo nell’alcoole, ed io non potei esaminarlo che qualche ora più tardi, quando cioè gli umori oculari erano già affatto opa- chi; tuttavia la colorazione assolutamente bianca dell’ animale mi indurrebbe a credere d’aver a fare con un vero caso di Zew- cocroismo od albinismo perfetto, anzichè con uno di clorocroismo o impallidimento di colore, a cui apparterrebbero il Tropidonotus natrix e la Coronella. Infatti, in questo secondo caso la tinta di. fondo della colorazione ed i disegni caratteristici, restano sempre più o meno distintamente manifesti. Assolutamente poi nessuno di questi cambiamenti di colore può attribuirsi all’ essere stati gli animali presi appena dopo la muta, poichè, come è noto, questo fenomeno non influisce che pochissimo ed in un modo af- fatto relativo sulla colorazione, essendo il derma e non l’ epider- mide la sede del pigmento. Quanto alle cause del fenomeno non oso pronunciarmi, essendo DI ALCUNI CASI DI ALBINISMO NEI RETTILI. 451 affatto sconosciute quelle condizioni speciali di vita in cui si tro- varono gli animali studiati, e che debbono aver avuta tanta im- portanza nei cangiamenti di colore, e non potendo attribuirla, come fece il Panceri pel pesce da lui illustrato, alla permanenza in luoghi sotterranei e quindi alla mancanza di luce, essendo co- nosciuti i costumi diurni e all’aria libera dei nostri colubri. Limitandomi pertanto ad indicare i casi agli studiosi, credo pur tuttavia non aver fatto cosa inutile, trattandosi di un feno- meno forse per la prima volta segnalato nella scienza. RAPPORTO SU DI UN’ ESCURSIONE NELLA SARDEGNA compiuta nel dicembre 1877 dal Socio PAOLO MAGRETTI Studente in Scienze naturali. Non per apportare novità nel campo scientifico, ma per ac- quisto di nuove e molto utili cognizioni e per esercizio di deter- minazione, mi proposi lo studio di alcune specie d’animali rac- colti od uccisi in una gita fatta, il dicembre scorso, in compagnia di mio padre, alla bella e sempre interessante isola di Sardegna. E però se, come prima e breve escursione in paese lontano non mi fu dato di far copiosa raccolta, pur mi soddisfece 1’ ap- provazione e l’incoraggiamento degli egregi professori e diret- tori dei Musei dell’ Università di Pavia e specialmente dell’ esimio prof. P. Pavesi, perchè nel suo Laboratorio di Zoologia ebbi pro- digalità d’insegnamenti e di libri per raggiungere lo scopo. Ma, oltre alle specie delle quali più avanti dò l’elenco, perchè ne procurai diversi individui al Museo Universitario, qui faccio menzione d’altre diverse delle quali non potei portare esemplari per l'impossibilità in cui mi trovavo talora d’una pronta pre- parazione o di mezzi di conservazione e di ricerca. 452 . P. MAGRETTI, Fra i mammiferi citerò il Daino (Dama platyceros) volgar- mente colà chiamato: Su Cabriolu, mentre seppi che il vero capriolo non alberga in Sardegna. Di questi graziosi ruminanti vidi quattro individui inseguiti dai cani mastini in una caccia grossa che fecimo sui monti di Villurbana e Siamanna, coperti da folte macchie di lentischi e corbezzoli, nelle quali s’ appiatta assai sovente anche il cinghiale, che però allora non si potè mettere in piedi. Poi la Volpe a pancia nera (Vulpes melanogastra), in sardo: Margiani, molto comune nei succitati luoghi; la lepre (Lepus medi- terraneus) in sardo: Lepori, che v'è abbastanza comune e che notai d’una grossezza di circa un terzo meno di quelle del continente ; il Coniglio (Lepus cuniculus), in sardo: Cunillu, assai abbondante nelle estese e sterili pianure dei dintorni di Cagliari e d’Oristano e sui dolci pendii delle circostanti colline, come pure nelle vaste lingue di terra estendentisi in mare, ove si vedono, ad ogni cespu- glio, i fori dei loro covili. — | Fra gli uccelli, negli stagni di Cagliari e di Oristano, abbon- dano straordinariamente le Folaghe (Fulica atra), in sardo: Sa Fuliga, che vi si vedono in branchi cotali da offrire all’occhio l’imagine di larghe isole nere; ed a loro commisti stanno anche stormi d’altre numerose specie acquatiche, delle quali potemmo ucciderne diverse che sono citate più avanti. Le Beccaccine (Gallinago scolopacinus), in sardo: Beccaccinu reali, sono pure assai comuni nelle vaste paludi circostanti agli stagni; e con esse molto frequenti le Quaglie (Coturnix comunis), in sardo: Quallia, che trovansi in qualsiasi località anche la meno propizia per farne presa. Lungo la spiaggia del mare, o fra i bassi cespugli di ver- deggianti colline, in luoghi anche sassosi, trovammo abbondanti le Beccaccie (Scolopax rusticola), in sardo: Beccaccia, alle quali si fa buona caccia. | D’altri generi d’uccelli veduti, posso indicare branchi nume- rosissimi di Sforni (Sturnus vulgaris), in sardo: Sturru pintu; ma, fra gli uccisi, non potei scoprire lo Storno nero, in sardo: Sturru nieddu, esclusivo della Sardegna. I c sal Miei “ali ” RAPPORTO SU DI UN’ ESCURSIONE NELLA SARDEGNA. 453 Fra le gole dei monti circostanti a Villurbana, vidi un giorno stormi innumerevoli di Colombi, in sardo: Colomba aresti, che sono di passo nella stagione autunnale; rammento inoltre che, percorrendo i lunghi e sterili tratti di pianura nelle vicinanze d’Oristano, ci si alzarono davanti parecchie volte le Galline pra- taiole (Otis tetrax), in sardo: Pedraxiu, ma sempre fuori di tiro, cosicchè non potei portarne alcun esemplare. Più fiate adocchiai l’Avoltoio (Vultur fulvus), in sardo: Ben- traxiu murru, alquanto difficile d’avvicinare col fucile; me ne fu procurato uno più tardi dal signor Meloni, ucciso nelle vicinanze di Cagliari e che donai al Museo Zoologico dell’ Università. In numero considerevole sono i Corvi, in sardo: Crobu nieddu; numerosissime le A/odole, in sardo: Calandria; come pure as- sai abbondanti i Famelli, in sardo: Passarella; i Cardellini, in sardo: Cardanera; gli Zigoli, in sardo: Orgiati; ed altri generi di passeri. Di rettili non potei far grande raccolta, perchè ne vidi po- chissimi stante l'avvicinarsi della fredda stagione. Riportai però un Colubro ed alcune Luscengole, due delle quali tenni vive molto tempo dopo, nutrendole con insetti e lombrici. E di ba- traci presi qualche specie di rana e di rospo. Acquistai i pesci, più ‘avanti citati, da pescatori di Cagliari e d’ Oristano, del pari che alcuni dei molluschi come i Cefa- lopodi e Lamellibranchi; invece i Gasteropodi terrestri ed ac- quatici li raccolsi io stesso nei campi o lungo le rive degli sta- gni o alla spiaggia del mare. In fatto d’artropodi raccolsi quanti individui mi capitarono sott'occhio; di echinodermi lo Strongilocentrotus lividus Acass. var.; e non ho finalmente mancato di trasportar a Pavia saggi di acque di stagno e di mare per lo studio degli esseri infe- riori, che determinai nel Laboratorio di Anatomia e Fisiologia comparate, diretto dal chiarissimo prof, L. Maggi, e notai nel mio opuscolo del dicembre scorso: Alcune osservazioni sugli esseri inferiori d’acqua dolce e marina, fatte nell’anno 1877. Mi lusingo che questa piccola ed incompleta relazione sia per 454 | P. MAGRETTI, essere accolta come un primo tentativo di lavori che mi per- metteranno di far seguire più accurate ricerche nel bel campo scientifico in cui mi trovo iniziato; e termino col volgere sen- titi ringraziamenti ai signori professori Pavesi e Maggi, nonchè ai rispettivi assistenti dottori Pirotta e Parona per le offertemi determinazioni di varie specie di animali, dei quali essi fanno speciale studio. UCCELLI. 1. Pandion haliaetos (Linn.), Falco pescatore (Sard. Achili de pisci, Abila marina). Individuo adulto, ucciso sullo stagno di Cagliari, ove ne pidi altri aggirarsi nelle vicinanze delle peschiere, ed uno tra questi dopo un colpo di fucile mi. fuggì lasciando cadere un grosso pesce di cui aveva già divorata la testa. È assai difficile avvici- narlo, bisogna tirargli a palla ad una distanza considerevole. 2. Astur palumbarius (Linn.), Astore (Stori columbinu). Individuo maschio adulto, ucciso verso la fine di dicembre lungo gli scogli di mare .nelle vicinanze di Cagliari; fu l’unico veduto. Il prof. Salvadori ve lo dice piuttosto comune, il Cara di passaggio soltanto d’autunno. È piuttosto raro sul continente italiano; lo si adoperava, come il Falco peregrinus, nelle caccie medioevali. 3. Accipiter nisus (Linn.), Sparviere (Feridori, Astorittu fe- — ridori). | Individuo femmina giovane, unico visto ed ucciso nei campi dei dintorni di Cagliari. 4, Circus aeruginosus (Linw.), Falco di palude (Stori de suor Astore marinu). Ucciso lungo lo stagno di Cagliari, dove ne vidi parecchi altri aggirarsi sopra gli innumerevoli stormi di uccelli acquatici, dei quali fanno preda. Appartiene alla varietà indicata dal Savi (Ornit. tosc. I, p. 61). 5. Pyrophthalma melanocephala (Gm.), Occhiorosso od Oc- chiocotto (Conca de moru). r di voi gt Bi > | ve. IR n pà LL) RAPPORTO SU DI UN’ ESCURSIONE NELLA SARDEGNA. 455 Individuo maschio, unico che vidi ed uccisi fra una siepe di Cactus ad Elmas nelle vicinanze di Cagliari; lo conservai nel- l’alcool sin che fu imbalsamato. 6. Cisticola schenicola (BP.), Beccamoschino (Pizi-pizi, Topi de mata). Individuo maschio, ucciso fra i giunchi in luogo paludoso delle vicinanze d’Oristano; l’osservai abbastanza comune, ma non potei portarne altri esemplari per la difficoltà d’ ucciderli, tenendosi essi quasi sempre nascosti fra le alte erbe. 7. Melanocorypha calandra (Linn.), Calandra (Calandrioni). Ne portai alcuni individui, uccisi negli ultimi giorni di caccia presso Oristano, dove per la prima volta mi fu dato vederne un numerosissimo branco. 8. Miliaria europaea (Linn.), Strillozzo (Orgiali de denti). Individuo ucciso nei dintorni di Cagliari; qui, come in altre località, nei campi coltivati o vicino a paludi lo vidi comu- nissimo. 9. Perdix petrosa (LATH.), Pernice di Sardegna (Perdixi). Individuo maschio, ucciso nei dintorni di Villurbana circondario di Oristano; v'è abbondantissima, sì che ne fecimo sempre buona caccia. Frequenta i campi coltivati a frumento od a fave, circon- dati da alte siepi di Cactus, e le colline a dolce pendio; s’appiatta fra i verdi cespugli, non si trova però mai fra i dirupi di più ele- vati monti. Si pùò facilmente avvicinare e prende un volo rapido ed orizzontale dopo essersi alquanto innalzata. 10. Vanellus cristatus (Mer. et WoLF), Pavoncella (Lepori de argiola). Individuo maschio, ucciso nelle vicinanze d’Oristano. Vedonsi le pavoncelle in molti e numerosissimi branchi nei luoghi umidi, od anche fra i buoi e le pecore pascolanti; a differenza che da noi, si lasciano facilmente avvicinare. 11. Egretta garzetta (Linn.), Garzetta (Garza bianca). Individuo giovane in abito d’inverno, ucciso sulle rive dello stagno di Cagliari; ne vidi pur qualche altro assieme alle Ardee (Ardea alba) ma non li potei avvicinare. 456 P, MAGRETTI, 12. Phoenicopterus roseus (PaLt.), Fericottero (Mangoni o Zente rubia). | Ne portai otto individui, fra maschi, femmine, giovani ed adulti, alcuni uccisi sullo stagno di Sassu nelle vicinanze d’Oristano, altri sullo stagno di Cagliari; nei quali lioghi li vidi schierati in molte e lunghe file nei bassi fondi o, facendo in aria lunga riga col collo e le gambe dirette orizzontalmente, passare talora sulla città di Ca- gliari quando alla mattina si trasportavano da uno in altro stagno. Veduti da lungi mentre stanno nell’acqua, offrono allo sguardo un aspetto meraviglioso, colle loro livree bianco-rosse, ed in tal numero da sembrare compatti pelottoni di soldati. Sono assai sospettosi, ed. appena si woglia avvicinarli, anche quando si è ancora lungi, si vedono raggrupparsi, avvisati dal rauco grido delle loro sentinelle avanzate, e poscia alzarsi abbastanza velo- cemente nell'aria. I cacciatori del luogo, li attendono di notte stando immersi nell’acqua e spesso ne fanno buone prede. 13. Recurvirostra avocetta (Linn.), Avocetta (Paisanu, Fi- lippa). Individuo giovane, ucciso nelle paludi circostanti allo stagno di Cagliari; ne vidi qualche altro volare quando si trasportano dallo stagno nelle vicine paludi. 14. Pelidna alpina (Linn.) = Pelidna cinclus (Salvadori, Ucc. Sard.); Tringa variabilis (Cara, Ornit. Sard.). Piovanello pancia nera (Beccaccinu brenti nieddu). | Individuo giovane in abito d’inverno, ucciso vicino allo stagno di Cagliari, ove su di piccole isolette ne vidi piccoli branchi. 15. Actodromas minuta (Lzisn.), Gambeccio (Beccaccineddu). 16. Totanus calidris (Linn.), Pettegola (Zurruliu peis ar- rubius). Due individui adulti in abito d’inverno, uccisi lungo le rive degli stagni d’Oristano. Qui, come anche nelle vicinanze di Ca- gliari, vedonsi in grande quantità ed a piccoli branchi, assai diffi- cili d’avvicinare, e volando emettono lunghe e prolungate grida. 17. Aegialites cantianus (LATH.), Fratino (Zurrulìu conca de molenti). | RAPPORTO SU DI UN’ESCURSIONE NELLA SARDEGNA. 457 Parecchi individui, fra i quali un giovane maschio e due fem- mine adulte, uccisi lungo gli stagni di Cagliari e d’ Oristano, dove sono frequentissimi. Volano rapidamente ed a piccoli branchi alla superficie dell’acqua, pascolano alla spiaggia del mare o lungo le rive degli stagni e si lasciano assai facilmente avvi- cinare. 18. Gallinula chloropus (Linn.), GaMlinella d’acqua (Padda d’aba, Cabonisca de acqua). Individuo giovane, ucciso vicino a Santa Giusta nei dintorni d’Oristano. Nel medesimo canneto poco prima avevamo veduto un Pollo Sultano (Porphyrio veterum), che però ci sfuggì. 19. Podiceps nigricollis (Briss.), Svasso piccolo (Cazzolu, Gangorra). Individuo giovane, come sono per la massima parte quelli che frequentano in branchi numerosissimi gli stagni delle vici- nanze d’ Oristano nella stagione invernale. 20. Podiceps minor (LATH.), T'uffetto (Accabussoni). Individuo giovane, ucciso sugli stagni d’ Oristano, dov'è comu- nissimo come la specie precedente. A questa ed alla più grossa (P. cristatus, LATE.) vien fatta una continua caccia pel ricavo delle pelli che vengon messe in commercio ad alto prezzo. 21. Sterna cantiaca (Gm.), Beccapescì (Caitta biccu nieddu). Individuo maschio, ucciso nelle vicinanze d’Oristano ; là ne vidi gran numero svolazzare a qualche altezza sugli stagni e sul mare piombando di quando in quando nell’acqua a far preda di piccoli pesci. 22. Chroocephalus ridibundus (Lixnn.), Gabbiano comune (Cau marinu). Individuo adulto in abito d’inverno, ucciso nelle vicinanze di Cagliari; ne vidi gran numero nuotare sulle onde del mare, e talora posarsi in luoghi paludosi. 23. Gelastes Genei (Breme), = Larus fenuirostris (Cara — Ornit. Sard.); Larus gelastes (Salvadori, Ucc. Sard.). Gabbiano roseo (Cau colori de rosa). Unico individuo portato da Cagliari, dove mi sembra abbastanza 458 P. MAGRETTI, raro; è notevole per la persistenza d’un bel color rosa carnicino sul petto, sull’addome e sulla parte superiore del collo, colore che sostituisce il bianco, come figurò il Bonaparte. 24. Mareca penelope (Linn.) Fischione (Busciu). Individuo maschio adulto, ucciso sullo stagno di Cagliari; vi è assai comune. 25. Branta rufina (PaLt.), Fistion turco (Piberoni). Individuo maschio adulto, ucciso sullo stagno di Cagliari; quivi è piuttosto comune, mentre è quasi raro sul continente. Questo esemplare è notevole per avere le penne degli spallacci, le re- miganti secondarie, le primarie inferiori, ed i fianchi di un bel color rosa; il Savi (Ormit. tosc. INI, 137) le dice di color bianca- stro, ed Salvadori (Ucc. Sard.) non cita tale particolarità. 26. Fulix ferina (Linn.), Moriglione (Cobarossu). Individuo maschio adulto, ucciso sullo stagno di Cagliari; vi è comunissimo. 27. Mergus serrator (Linn.), Smergo minore (Scoccalettu, Strallera, Cucumarzola). Individuo femmina, che fu l’unico ucciso sullo stagno di Ca- gliari. RETTILI. 28.(') Phyllodactylus europaeus (GENE) Synopsis rept. Sard. indigenorum in Mem. della R. Accad. delle Sc. di Torino, serie II", vol. I.°, pag. 263. FiMlodattilo europeo (Pistilloni IRHERRÀ Oristano. 29. (*) Podarcis muralis (WAGLER). a) Var. lincata, = Lacerta podarcis var. Genei (Cara, Monogr. della Lucertola com. in Sardegna). GeNÉ: loc. cit., pag. 265. (Tiliguerta). Villurbana, dintorni d’ Orciano 5) Var. campestris (De-BettA). GENÉ: loc. cit., pag. 265. Cagliari. 30. (°) Gongylus ocellatus (WacLER), Gongilo occetlato (Tili- gugu, Tilingoni, Sazzaluga). GENE: loc. cit., pag. 280. i RAPPORTO SU DI UN’ESCURSIONE NELLA SARDEGNA. 459 Ne trovai parecchi individui nascosti, in istato di torpore, sotto . le pietre nelle colline di Villurbana presso Oristano. 31. (‘) Zamenis viridiflavus (LacxP.), Colubro verde-giallo (Co- luru puzzonargiu). GENÉ: loc. cit. pag. 274. Villurbana, dintorni d’Oristano. , BATRACI. 32. (') Hyla arborea (Linn.), Raganella arborea (Arrana birdi). Gent: loc. cit. pag. 277. Cagliari. 33. (*) Bufo viridis (LAURENTI), Rospo verde o smeraldino (Rana pintada). GeNÉ: loc. cit. pag. 280. Cagliari. PESCI. 34. (') Trigla corax (BP.), Capone gallinella (Trigla boladora, Rundini de mari). Individuo giovane d’Oristano. 35. (°) Labrus turdus (BL.), Labro tordo (Arrocali). Piuttosto raro, Oristano. 36. (°) Labrus festivus (Riss.), Labro festivo (Arrocali de sco- lio). Comunissimo ad Oristano. 37.(*) Labrus mixtus (Linn.), Labro pavone = L. trimaculatus — (Linn.), £ var. 3 di Giinther. Poco frequente ad Oristano. 38. (*) Crenilabrus Roissali (Riss.), Crernilabro macchiato (Ar- . rocali). Comunissimo a Cagliari. 39. (°) Sargus Salviani (Cuv. VaL.), Sargo del Salviani (Sarigu). — Non frequente ad Oristano. 40.(") Mugil auratus (Riss.), Muggine orifrangio (Lissu). Fre- quentissimo negli stagni d’Oristano. 41. (°) Gobius capito (Cuv. Var.), Ghiozzo testone (Maccioni conca manna). Assai frequente a Cagliari. 42. (°) Gobius niger (Linn.), Ghiozzo nero (Maccioni nieddu). Comunissimo ad Oristano e Cagliari. 43. ('°) Gobius paganellus (Linn.), Griozzo paganello (Mac- cioni). Assai frequente a Cagliari. 460 P. MAGRETTI, 44. (!') Gobius elongatus (CAnESTR.), Ghiozzo allungato (Mac- cioni). Stagno di Cagliari. 45. ('*) Gobius minutus (PENN.), Ghiozzo minuto (Maccioni). Stagno di Cagliari. 46. (**) Blennius basiliscus (Cuv. Van.), Bavosa basilisco (Piscialetta). Piuttosto raro a Cagliari. Ne portai quattro esemplari, conser- vati in alcool, i quali presentano grande differenza nel colore e nella disposizione delle fascie trasversali nere orlate di bianco. 47. (‘*) Blennius palmicornis (Cuv. VaL.), Bavosa palmi- corne (Piscialetta). Comunissimo a Cagliari. Nell’esemplare portato riscontrai tutti i caratteri di questa specie, tranne i due canini della mascella superiore, che credo molto rudimentali. 48. ('°) Alosa vulgaris (Vat.), Alosa (Sabaga). È l’Alosa (lomb. Agone) che dal mare passa nei nostri fiumi e laghi al tempo della riproduzione. Assai frequente ad Oristano. 49. ('°) Engraulis encrasicholus (Linn.), Sardella comune. Oristano. | 50. ('’) Lebias calaritana (Bpr.), Lebîia cagliaritana (Conca de mallu). Comunissima negli stagni di Cagliari. 51.('*) Atherina hepsetus (Linn.), Latterino sardaro (Segreti). Comunissimo ad Oristano. 52. ('°) Atherina mochon (Cuv. Van.), Latterino comune (Segreti). Comunissimo nello stagno di Cagliari. 53. (°°) Solea vulgaris (Cuv.), Sogliola volgare (Palaja). Comunissimo a Cagliari. 54. (°!) Arnoglossus laterna (Br.), Suacia cianchetta. I caratteri organici di questo esemplare corrispondono esat- tamente con tutti quelli della specie tipica (Vedi Canestrini, Gun- ther, Bonaparte), ma vuolsi notare, al lato sinistro, un color castagno oscuro, che sostituirebbe il carnicino delle descrizioni. 55. (°°) Anguilla acutirostris (YarR.), Anguilla (Anguidda). tao ue © È: | RAPPORTO SU DI UN’ESCURSIONE NELLA SARDEGNA. 461 Comunissima nello stagno di Cagliari. 56. (°°) Syphonostomus typhlae (Linn.), Sifonostoma tifle — (Agu burdu). Stagno di Cagliari. MOLLUSCHI. | 57.(') Octopus vulgaris (Law.), Cagliari. 58. (°) Loligo vulgaris (Law.), Oristano. | 59. (5) Aplysia depilans (Lixx.), Cagliari. 60. (‘) Murex saxatilis (Linv.), Cagliari. È 61. (*) Patella radiata (Lax.), Oristano. 62. (°) Helix naticoides (Drap.) = ZH. calar itana. Assai co- « mune presso gli stagni ‘e lungo le rive. Cagliari ed Oristano. 63. () H. vermiculata (Mutt.), Cagliari. 64. (*) H. aspersa (Mutt.), Cagliari. 65. (°) H. hospitans (BoneLn1), Cagliari. 66. ('°) H. apicina (Lawm.), Cagliari. 67.(')H. rugosalis (ZiecLer), Cagliari. 68. (‘*) H. pisana (Mutt.), Cagliari. 69. (‘°) H. paucispira? Oristano. 7 70. ('*) Cyclostoma elegans (Drap.), Cagliari. «71. ('’) Bulimus decollatus (Brue.). Assai comune nei campi È dei dintorni d’Oristano e Villurbana, ove trovai sempre conchi- | glie vuote e d’animale adulto. 72. ('°) Tapes decussata (Linn.), Cagliari. | 73.(') Cardium edule (Livn.), Cagliari. INSETTI. 74. (') Pamphagus marmoratus (Burm.). Parecchi esemplari da Cagliari. 75. (°) Isotoma aquatilis (MùLL.). Nei fossatelli e piccoli sta- gni fiancheggianti le strade dei dintorni d’Oristano. 76. (°) Isotoma arborea (Bourt.). Ivi. 77. (*) Orchesella cinceta (Linn.). Ivi. 462 i P. MAGRETTI, 78. (°) Lixus ferrugatus (OLiv.) = L. cribricollis. Cagliari. 79. (°) Chrysomela Banksii (FaBR.), Cagliari. 80. (") Blaps gages (FaBr.), Cagliari. 81. (°) Copris hispanus (Lixn.), Cagliari ed Oristano. 82. (°) Ateuchus laticollis (FABR.), Oristano. 83. ('°) Geotrupes hemisphaericus (OLiv.), Cagliari ed Ori- stano. 84. ('') Necrophorus fossor (ERIcHS.), Oristano. 85. (‘?) Ocypus olens (Mutt.), Cagliari ed Oristano. 86. ('°) Cymatopterus fuscus (Linn.), Oristano. 87. (‘‘) Assida Genei (Sot.), Oristano. 88. ('°) Agabus abbreviatus (FABR.), Oristano. 89. ('°) Carabus morbillosus (Sot.), var. Servillei. Molti esem- plari da Cagliari. 90. ('’) Percus Oberleitreri (Dis.), Cagliari ed Oristano. 91. (!*) Tentyria rotundata (BruLLé). Due esemplari da Ca- gliari ed Oristano. 92. (‘°) Acis spinosa (Linn.). Quattro esemplari da Cagliari. 93. (?°) Pymelia Payraudii (Soc.), Cagliari. 94. (*!) Bubas bison (Linn.), Oristano. 95. (°°) Pyrrhocoris apterus (Linn.), Oristano. ARACNIDI. 96. (') Dysdera crocota (C. L. KocH), Oristano. MIRIAPODI. 97. (') Scolopendra dalmatica (Kocn). Alcuni esemplari dai dintorni d’Oristano e Cagliari. 98. (*) Julus flavipes (Koc&). Varii esemplari da Cagliari. CROSTACEI. 99. (') Carcinus moenas (LracH). Comunissimo fra la sabbia ed il fango lungo le rive degli stagni di Cagliari. RAPPORTO SU DI UN’ ESCURSIONE NELLA SARDEGNA. 463. 100. (*) Palaemon squilla (Fagr.). Assai comune nello stagno di Cagliari. «101. (*) Scyllarus sculptus (Laax. ), Cagliari. PROTOZOARII. 102. (') Amoeba polypodia (F. E. ScuuLze). Osservata abba- « stanza abbondante nelle acque di stagno e di mare portate da Cagliari e da Oristano. Per questa e le specie ut vedi la | citata memoria: Alcune osservazioni ecc. | 103. (*) Amoeba radiosa (Dus.). 104. (°) Monas lens (Dur.). 105. (*) Sphaerophrya pusilla (CLAP. et LAcH.). 106. (°) Acineta compressa (CLAP. et LACH.). 107. (°) Pleuronema chrysalis (PERTY). 108. (‘) Euplotes Iongipes (CLar. et LAc4n.). 109. (°) Cyelidium glaucoma (EnR.). li o 6 i È SNA DELLA TERMINAZIONE DEI NERVI NEI TENDINI E DI UN NUOVO APPARATO NERVOSO TERMINALE MUSCOLO-TENDINEO. Nota del Prof. Cav. CamiLLo GoLsi. Io intendo di fare, più che altro, una dimostrazione di pre- parati relativi ad alcuni recenti miei trovati intorno alle termi- nazioni nervose nei tendini; però, alla dimostrazione, parmi utile far precedere una succinta esposizione dei risultati dei miei studî sull'argomento, alcuni dei quali vennero da me compiuti testè in questi giorni. Due affatto diversi modi di terminazione delle fibre nervose, . vennero da me trovati nei tendini. a) L'uno è rappresentato da particolari corpi assolutamente caratteristici per aspetto, forma, struttura e modo di connessione colle fibre nervose, corpi che trovano un riscontro in nessuno dei conosciuti organi nervosi terminali dell'organismo nostro; la cui significazione, pertanto, molto probabilmente trovasi in ar- monia colla funzione che tendini e muscoli insieme devono com- piere. A questi, a motivo dei rapporti che essi hanno coi mu- scoli e coi tendini, io credo debbasi applicare il nome di organi nervosi terminali muscolo-tendinei. 5) L’altroè ancora rappresentato da corpi che parimenti hanno una propria spiccata fisionomia; ma che insieme, almeno sotto alcuni rapporti, trovano un riscontro in altri conosciuti corpi nervosi terminali dell'organismo nostro, coi quali, in relazione coll’anatomica corrispondenza, probabilmente hanno anche ana- logia di funzione. Noto fin d’ ora che alludo alle così dette clave terminali della congiuntiva. Di quanto questi due tipi di apparati terminali sono fra loro diversi per forma, struttura e rapporti colle fibre nervose, di altrettanto essi caratteristicamente l’uno dall’altro diversificano per la sede; i primi sempre si trovano negli strati profondi delle SULLA TERMINAZIONE DEI NERVI NEI TENDINI. 465 origini dei tendini, nel punto di passaggio del muscolo nel ten- dine, quindi sempre in relazione coi fasci muscolari; i secondi, invece, sempre si trovano negli strati superficiali dei tendini o delle espansioni tefidinee. Primo tipo od organi nervosi terminali muscolo-tendinei. — Hanno generalmente forma fusata, e delle loro estremità l’una è sempre in rapporto coi fasci di fibre muscolari, del cui sarco- lemma il loro stroma fibrillare appare in diretta continuazione; l’altra estremità, talora semplice, più frequentemente divisa in due, segue l'andamento dei fasci tendinei, andando gradatamente a confondersi con esso. Il loro diametro oscilla entro limiti piut- tosto larghi, da 70-80 w in larghezza e 300-400 in lunghezza, a 100-120 w in larghezza, e oltre 800 in lunghezza. Caratteristico è il modo con cui essi trovansi in rapporto colle fibre nervose. Il caso più frequente è che una sola sia la fibra destinata a ‘ ciascuno; però accade abbastanza di frequente che dieno accesso a due o tre, e ben anco a quattro fibre midollate. L’ entrata può verificarsi tanto da una delle estremità, costantemente quella che «va a confondersi coi fasci tendinei, quanto da lato, e precisa- mente da un punto della porzione più grossa della forma fusata. Qualunque sia il numero delle fibre entranti, nel portarsi verso | la parte centrale del corpo, esse continuano a suddividersi dico- È tomicamente; ciascuna fibra di secondo o terzo ordine si dirige | poi verso la periferia. Tuttociò può essere rilevato coi più sem- plici mezzi d’osservazione; l'ulteriore e finale ‘modo di compor- | tarsi delle singole fibre, può solo essere scoperto colla reazione . del cloruro d’oro. Ecco quanto coll’ aiuto di quest'altro metodo cl è dato di rilevare: Trasformatesi le fibre midollate in fibre pallide, queste dando . luogo ad alcune fra loro divergenti suddivisioni, continuano il loro tragitto verso la periferia dei corpi, dove giunte, mediante | più fine e frequenti suddivisioni a brevissimi intervalli, riescono | costituire numerosi circoscritti intrecci reticolari disposti pa- rallelamente alla superficie. Vol. XXI. 30 466 C. GOLGI, Siffatti circoscritti intrecci reticolari a piccolo ingrandimento, hanno apparenza di altrettanti fiocchetti. A questo punto trovo conveniente di rilevare come, le ora de- scritte terminazioni entro i corpi fusati, offrano la più grande analogia e quasi identità con quelle da me trovate, distribuite a gruppi, ma libere da involucro lungo i tronchi nervosi, nei ten- dini della lucertola. Quanto alla distribuzione di questi apparati nervosi terminali, sono portato ad ammettere ch’ essi esistono, se non in tutti, nella grande maggioranza dei tendini. Il fatto, che relativamente alla topografica distribuzione di questi organi, parmi meriti in modo più speciale essere rimar- cato, è la loro esistenza, tanto nei tendini superficiali, quanto nei profondi; riguardo ai singoli muscoli, non meno nelle radici o lamine tendinee superficiali che nelle interne. Nel coniglio trovo sempre i corpi in numero più considerevole nei tendini delle estremità posteriori ed in quelli di alcuni mu- scoletti della doccia vertebrale. Nel topo, nel cane, nel gatto, fatta eccezione d’una maggiore difficoltà a trovare i corpi, ho fatto identiche osservazioni. Negli uccelli, invece, questi organi nervosi terminali si trovano in maggior numero nei tendini dei muscoli delle ali. | Secondo tipo. — Hanno generalmente forma globosa od ovale, la loro grandezza parimenti oscilla entro confini piuttosto larghi; parecchi, e dei più piccoli, vennero da me trovati del diametro di 40-50 v in larghezza e 70-80 in lunghezza; alcuni fra i più grandi misurarono 100-130 pin larghezza e 300-350 in lunghezza. Devonsi considerare tre parti: l'involucro, il contenuto e la fibra o le fibre nervose entranti. L’involucro è composto d’una serie di finissimi strati concen- tricamente disposti, con nuclei ovali interposti. Il contenuto ap- pare sotto forma di una massa gialliccia finamente granulosa. Nella gran maggioranza de’ casi una sola è la fibra, che attra- versando il rivestimento va a mettersi in rapporto col contenuto granuloso; ma non si ponno dire eccezionali i corpi che danno E OTTA SULLA TERMINAZIONE DEI NERVI NEI TENDINI. 467 accesso a due od anche a tre fibre. Nel modo di comportarsi di queste, notansi numerose differenze; il caso più frequente è che la fibra entrante vada a confondersi in modo indeterminato, ap- pena attraversato l’involucro, colla sostanza granulosa. In qualche caso ho verificata la formazione di un’ansa. Caso' più frequente del precedente, è quello di vedere la fibra nervosa dare luogo entro la sostanza granulosa ad una serie, talora assai compli- cata, di anse in direzioni diverse e di diversa forma, in guisa di dare origine nell’insieme a vari gomitoli, che molto davvicino ricordano quelli delle’ clave terminali della congiuntiva, quali sono disegnati da Krause, Axel Rey e da Ciaccio. Circa la disposizione di questi corpi, mi limiterò a notare come di frequente parecchi di essi veggansi situati a breve di- stanza l’uno dall'altro, od in gruppi. Un vicino fascetto ner- voso, suddividendosi, provvede ciascun corpo di una fibrilla. In- torno alla probabile significazione dei due diversi tipi di organi nervosi terminali da me trovati e descritti, riguardo al primo, quello affatto caratteristico ‘pei tendini, se prendo in considera- zione e la distribuzione dei corpi, che indifferentemente ha luogo tanto nelle radici tendinee superficiali, quanto nelle profonde, se considero di più la speciale loro situazione nella zona di pas- saggio del muscolo nel tendine, anzi la loro diretta continuazione col sarcolemma delle fibre muscolari primitive, se finalmente anche prendo in considerazione la forma speciale, tipica, di ter- | minazione delle singole fibrille, a me sembra di potere con suf- ficiente fondamento ammettere che i medesimi organi abbiano | una funzione armonizzante con quella dei muscoli, e precisamente che essi possano essere organi di una speciale sensibilità mu- scolare, od i misuratori della tensione dei muscoli. Forse lo sperimento fisiologico potrà fornire, in proposito, qual- che nuovo dato di giudizio. Quanto al secondo tipo di apparati nervosi terminali, la loro | situazione più superficiale e la stessa loro analogia con altri or- « gani terminali di nota funzione, mi sembrano abbastanza vale- voli argomenti per far ammettere che essi siano corpi tattili. SULLO SBOCCO DELLE VENE POLMONALI DELLA RANA. Nota preventiva del Socio Prof. LropoLno Maggi della R. Università di Pavia. Il primo che si sia occupato seriamente dell’apparecchio cir- colatorio della Rana è lo Swammerdam,* nel 1738; giacchè Mal- pighi,° nel 1687, disse solamente che nei polmoni della rana esiste una rete mirabile, senza però determinare se essa fosse vascolare, nervosa o parenchimatosa. L’autore della Biblia nature,’ parlando del circolo sanguigno nella rana adulta, dimostra nel cuore un’orecchietta, descrive le aorte, le loro divisioni e le loro anastomosi, due vene cave anteriori, la vena cava posteriore, la vena addominale, le vene ascellari, le vene polmonali, ed infine le vene renali. Questi vasi, al dire di Gruby,i ci sono fatti conoscere da Swammerdam così completamente, come si fa nei lavori classici odierni; solamente le vene polmonali sono descritte imperfettamente. Fu su quest’ultima proposizione del Gruby, che io mi son fer- mato; e per giudicarla intrapresi degli studj, dei quali ora non presento che preventivamente una Nota, riserbandomi la pubbli- cazione della Memoria, allorchè essi, secondo il mio modo di ve- dere, saranno ultimati. 1 SWAMMERDAM, Biblia nature. 1738, ‘ ® MALPIGHI, Opera omnia figuris elegantissimis ces incisis. De pulmonibus; Epi- stola ad Borellium, pag. 134. 1687. 3 SWAMMERDAM, Biblia nature, pag. 830. Tractatus de sanguinis circuitu in rana adulta. " 4 GruBY, Recherches anatomiques sur le système veineux de la Grenowille (Annal. des Sc. nat. 1842, tom. 17, pag. 209). SULLO SBOCCO DELLE VENE POLMONALI DELLA RANA. 469 Il Swammerdam * indica nella rana due vene polmonali, le quali poi vanno a sboccare da ciascun lato, nelle vene cave di- scendenti. Nelle Lezioni di Anatomia comparata di Cuvier,? rac- colte e pubblicate da Duvernoy (1805), non si parla delle vene polmonali di questo batracio. Negli Elementi di fisiologia e notomia comparativa del Jacopi (Pavia, 1811), in proposito è detto, che le due vene cave ante- riori riconducono il sangue al cuore proveniente anche dai pol- moni. Nelle Lezioni di Anatomia comparata di Cuvier,° raccolte e pubblicate con aggiunte da Duméril (Bruxelles, 1840), si legge che nei batracj allo stato perfetto, le vene polmonali si rendono, separatamente dalle vene del corpo, nell’orecchietta sinistra; epperò la miscela del sangue ha luogo immediatamente nel ven- tricolo unico di questi rettili. Il Gruby * nelle sue ricerche anatomiche sul sistema venoso della rana, presentato all’ Accademia di Scienze di Parigi, 18 novembre 1841, dice che le vene polmonali tirano la loro ori- gine dai vasi capillari venosi posti alla superficie interna o mu- cosà dei polmoni. Là esse si riuniscono in parecchie branche che percorrono i bordi liberi dei tramezzi delle cellule polmo- nali, ove esse sono costantemente coperte d’una rete vascolare. Le branche venose si avvicinano a poco a poco le une alle altre verso la radice dei polmoni, e, anastomizzandosi, esse formano per ciascun polmone un sol tronco venoso, che è posto tra la superficie anteriore dell'esofago e la superficie posteriore della vena cava ascendente; i due -tronchi venosi posti in una sola guaìna, percorrono così insieme la distanza di 2 millimetri, fino a che essi arrivano all’orecchietta sinistra del cuore, ove si ter- minano con due aperture, che sono separate l’una dall’altra soltanto da un sottilissimo tramezzo. Queste due vene, entrano ! SWAMMERDAWM, Loc. cit. ® CuviER, Legons d’anatomie comparée, etc. 1805, Paris, » Id. Id. Bruxelles, 1840. 4 GruBy, Loc. cit. 470 L. MAGGI, bruscamente nella sostanza muscolare del cuore; dà-i muscoli del cuore formano uno sfintere dintorno alla loro imboccatura, ed è in conseguenza di questa disposizione che il corso del san- gue nei polmoni può essere regolato secondo il bisogno dell’ e- conomia animale. In seguito a questa sua descrizione, Gruby mette ‘in nota quella di Swammerdam, citandone la pagina (833), la tavola (49), la figura (4) e le lettere (0, c); e che io ho qui sopra ri- portato. | . Secondo Siebold e Stannius,! le vene polmonali delle rane si sebiaino sempre nell’orecchietta sinistra, dopo di essersi riunite in un sol tronco. Î Invece nelle Lezioni sulla fisiologia e V anatomia comparata. dell’uomo e degli amimali, di Milne-Edwards,* si trova, riguardo alle vene polmonali della rana, che esse formano sopra ciascun polmone un tronco assai grosso, si avvicinano tra loro e si avan- zano sotto la vena cava posteriore per andare a sboccare vici» nissime l’una all’altra nell’ orecchietta del cuore. i D. G. Fritsch ® dà un disegno del cuore della rana veduto posteriormente e superiormente, in cui le vene polmonali sono fisurate, verso la loro fine, avvicinate tra loro ed unite al mo- mento del loro sbocco, che si fa, tra le due cave superiori, nel seno venoso, il quale è posto dietro alle due orecchiette, e le precede anche nell’entrata del sangue. Nello scritto di Fritsch, accompagnato dalla tavola in cui avvi il suindicato disegno; non ho potuto rintracciare che esso si occupi in particolare di queste vene. Su queste diverse descrizioni sono modellate in genere quelle che si possono ricavàre, intorno alle vene polmonali della rana, dai trattati di anatomia e fisiologia comparata antichi e moderni. ' SIEBOLD e STANNIUS, Anatomie comparée, traduit de l’allemand par SER et Lacordaire. Encyclopédie-Roret. Paris, 1850. Tom. II, pag. 245. , 3 MILNE-EDWARDS H., Lecons sur la physiologie et Vanat. comp. de l'homme et des anim. Paris (ancora in corso di stampa). 3 D. G. FrItsca, Zur vergleichenden Anatomie der Amphibien Herzen., Miller’s Archiv fiir Anat. Phys., etc, 1869, pag. 654. SULLO SBOCCO DELLE VENE POLMONALI DELLA RANA. 471 Se in Meckel ed in Wagner, che io non potei consultare, vi fos- sero altre diversità risguardanti quest’ argomento, credo che sa- rebbero state riportate da Siebold e Stannius, per non dire di altri; nè altro di notevole io trovai finora in Delle Chiaje, in Carus, in Straus-Durkheim, in Owen, in Leydig, in Chauveau, in Huxley, in Gegenbaur, in Van Beneden, in Nuhn, nè nel Com- pendio delle lezioni di anatomia comparata di Panceri, fatto da De Sanctis e Luccarelli, nè nelle Note di anatomia comparata raccolte dalle lezioni del prof. Panceri da Antonio Della Valle. Anche una discreta quantità di Memorie, tanto dei succitati autori, quanto di altri, tra i quali Rusconi, Hyrtl, Davy, Bri- cke e via dicendo, giacchè quando stamperò la mia Memoria ne darò la bibliografia consultata e da consultarsi, fin dove mi sarà possibile di impadronirmi; anche, ripeto, una quantità di Me- morie non mi aumentò il numero delle notizie intorno allo sbocco delle vene polmonali della rana, che, d’altra parte, le già sopra annunciate mi sembrano sufficienti per far ritenere importante l'argomento di cui sto occupandomi. Mi parve che l’injezione dalla parte del ventricolo del cuore della rana, fosse la via migliore per chiarire la questione dello sbocco delle sue- vene polmonali; poichè fosse esso nelle orec- chiette, o fosse nel seno venoso, non poteva impedire al liquido injettato di passarvi ed entrare nelle vene polmonali, mancando queste di valvole. Nel caso invece dello sbocco di queste vene secondo Swam- merdam, si poteva dubitare della riuscita dell’injezione, potendo esso essere al di là della valvola, che si trova in ognuna delle vene cave discendenti, al davanti di quel loro punto in cui con- fluiscono, secondo Gruby, le vene sottoclavicòlare, giugulare ester- na ed innominata, la qual ultima è composta dalla vena giugu- lare interna e dalla vena sottoscapolare; valvola, il di cui ufficio, si sa, è di impedire la circolazione del sangue nella direzione dal centro verso la periferia. Ora sia con injezione a colla colorata, quindi a caldo; sia con injezione d’albume colorato, oppure mediante liquidi colorati, 472 L. MAGGI, quindi a freddo, non vidi mai sbocco di vene polmonali nè nelle orecchiette, nè nel seno venoso; mentre tutte le parti del cuore, e le arterie che da esso si staccano, e le vene che ad esso ar- rivano, si erano sempre egregiamente injettate, qualunque fosse la sostanza d’injezione. Siccome poi venivano riempite anche le vene cave fin là dove esiste la loro valvola, senza dar prima in- dizio di sbocco di vene polmonali, così s’ accrebbe il mio dubbio sopraenunciato, il quale finora, da parte mia, non ho potuto ri-. solvere. Sapendo che il signor dott. cav. Angelo Maestri di Pavia si era occupato del cuore e vasi maggiori della rana, allo scopo di foggiarli in grande colla cera, delle cui preparazioni egli è abi- lissimo e distintissimo, gli comunicai quanto sopra ho detto. Tanto più mi premeva di sentire in proposito il dottor A. Maestri, il quale, oltre ad essere acuto e diligente osservatore, ha avuta la relazione con Rusconi e Panizza, che anche dell’apparecchio cir- colatorio della rana fecero diverse injezioni. Il dott. A. Maestri gentilmente mi rispondeva, e con prepara- zioni alla mano, che lo sbocco delle vene polmonali non si fa in nessuna parte del cuore della rana; mentre, accuratamente inda- gando, aveva trovato di confermare lo sbocco delle vene polmo- nali nelle vene. cave, come già indicò Swammerdam. È facile ora arguire all’ importanza di questo fatto anatomico per la circolazione sanguigna della rana e per la morfologia del- l'apparecchio circolatorio dei vertebrati. Difatti il sangue che ritorna dai polmoni, quindi sangue ar- terioso, non penetra, come è detto da molti fisiologi, nell’ orec- chietta sinistra, ma bensì nelle vene cave; per cui prima di ar- rivare al cuore, il sangue arterioso dei polmoni è già mescolato col sangue venoso che ritorna dall'insieme dell'organismo, il quale poi non va a sboccare nell’ orecchietta destra, come gene- ralmente si dice, ma mette foce nel seno venoso che precede l’orecchietta, divisa internamente da un setto incompleto, il qua- le si trova, longitudinalmente posto, al davanti dell’ apertura del seno venoso, per cui può dirigere la corrente sanguigna; prove- SULLO SBOCCO DELLE VENE POLMONALI DELLA RANA. 473 niente dal seno venoso, nella parte destra dell’ orecchietta, e la- sciarla passare poi, perchè incompleta, nella parte sinistra, da dove vien spinta nell’ unico ventricolo, nel quale si diceva che avveniva la miscela del sangue arterioso col venoso. Bisogna dunque modificare anche l’espressione che nei batracj adulti vi sia una grande ed una piccola circolazione, in ciascuna delle quali il sangue, partito dal cuore, ritorna a quest’ organo prima di introdursi nel circolo complementare; e dire piuttosto che nei batracj adulti vi ha una grande circolazione ed una se- mipiccola circolazione, facendo passaggio dalla semplice circola- zione dei pesci alla doppia circolazione incompleta dei rettili. Nell’apparecchio circolatorio della rana pertanto, vi sono due parti solamente in cui il sangue è prettamente arterioso, le vene polmonali ed i capillari cutanei provenienti dalla così detta vena cutanea magna, che è un grosso tronco, fornito dall’ arteria pol- monale, che si distribuisce alla cute nella regione scapolare e dorsale. Il sangue fatto arterioso in questi vasi capillari sotto- cutanei, si mescola al sangue venoso che dalle parti profonde dell'organismo ritorna al cuore; così che il sangue arterioso dei polmoni va a mescolarsi con quello delle vene cave, che è già per sè stesso un sangue misto. Il cuore dunque riceve un san- gue venoso, che ha subìto due volte la miscela coll’arterioso. Per la correlazione dell’apparecchio circolatorio col respira- torio ne consegue che, nella rana, due sono i punti in cui av- viene l’ematosi, polmone cioè e cute dorso-scapolare, ciò che per altro si sapeva, essendo anche state fatte delle esperienze intorno alla respirazione cutanea della rana, tra le quali figu- rano quelle di Milne-Edwards. Dirò da ultimo, che il fatto dello sbocco delle vene' polmonali della rana, nelle sue vene cave, viene a porre una maggior gra- duata transizione nell’organizzazione dell’apparecchio circolato- rio delle due classi di vertebrati anallantoidei, pesci cioè, e ba- tracj. Fu già detto esistere delle rassomiglianze nella disposi- zione del sistema vascolare tra il pesce sia allo stato d’embrione, sia allo stato adulto, ed il girino della rana. Il cuore del pesce 474 LU. MAGGI, SULLO SBOCCO DELLE VENE POLMONALI DELLA RANA. è sempre prettamente venoso, vale a dire esso non riceve che sangue venoso; e così è del cuore del girino della rana. Nella rana adulta poi, il cuore pur trovandosi ancora sulla corrente venosa del pesce, riceve tuttavia sangue misto. Bisogna fare un passo avanti per avere la miscela del sangue nel cuore, e giun- gere ai rettili; tra i quali il coccodrillo, per es., alla sua volta ci va già preparando la distinzione dei due cuori arterioso e ve- noso, che troviamo nettamente distinti negli uccelli e nei mam- miferi. SULL’APERTURA DEL FORO DEL BOTALLO NEL CUORE DI UCCELLI A COMPLETO SVILUPPO. Comunicazione preventiva del Socio Prof. LEoPoLDO MAGGI della R. Università di Pavia. Interrogato dall'amico prof. Giovanni Zoja, intorno al modo di comportarsi del foro del Botallo nel cuore di uccelli a com- pleto sviluppo, se cioè esso fosse pervio od impervio; io risposi colle cognizioni che aveva avute dalla maggioranza degli Autori di trattati di Anatomia e fisiologia comparata, i quali ammettono che questo foro è impervio. Diffatti per citarne alcuni dei principali, tra quelli che ne parlano, Siebold e Stannius' dicono che il foro ovale negli uccelli è completamente chiuso da un tramezzo sottile, intiipaniata ma d’un tessuto denso. Owen? dà il disegno del cuore di un uccello, Dromaius Nove Hollandie, che è un casoario, nel quale indica anche la fossa 1 SIEBOLD e STANNIUS: Nouveau Manuel d’ Anatomie comparée, traduit de l’alle- mand par Spring e Lacordaiîre. Paris, 1850, Vol. II, pag. 337. ? R, OwEN: On the Anatomy of Vertebrates. London, 1866, vol. II, pag. 186. SULL’APERTURA DEL FORO DEL BOTALLO, ECC. 475 ovale (fossa ovalis), soggiungendo poi che essa è una profonda depressione situata dietro la posteriore valvola semilunare, la quale mostra pressapoco la stessa relazione della fossa coll’amnulus ovalis nel cuore umano. Il setto (septum) membranoso che chiude il foro ovale, è completo e forte, ma sottile e semi-trasparente. Tuttavia io volli tosto accertarmene con delle mie proprie osservazioni, dalle quali mi risultò che il foro del Botallo pure nel cuore di uccelli a completo sviluppo, può trovarsi pervio, come nel cuore di alcuni mammiferi e dell’uomo. Anzi per averlo trovato aperto in alcuni trampolieri, palmipedi, gallinacei, rapaci e passeri, vale a dire in quasi tutti gli ordini degli uccelli, potrei già dire, che, contrariamente a quanto fu asserito, questo foro, in generale, è in loro pervio; e che probabilmente i suaccennati autori si sono limitati a poche specie di uccelli, e, per quest’argo- mento, allo studio del cuore di un corritore, ed anch'io dapprima in un corritore, fhea americana, l’ho trovato impervio. Ciò prova che l’analogia, e sia detto qui incidentalmente, serve fino ad un certo punto, cioè fino a che non si abbia la cognizione diretta del fatto. Ma continuando le mie ricerche intorno al foro del Botallo nel cuore completamente sviluppato in diversi uccelli appartenenti ad un medesimo ordine, l’ho pure trovato impervio in alcune loro specie, mentre in altre era pervio. Così, fra i Trampolieri o gralle, è pervio nel Numemus pheopus, nel Phaenicopterus anti- quorum; invece è impervio nella Grus cinerea. Inoltre anche nel Gallus domesticus © ossia gallina, era pervio; non così in un cappone (Gallus domesticus eviratus). Se quindi, questo piccol numero di fatti osservati, da una parte dimostra che anche negli uccelli vi sono’ delle variazioni come negli altri vertebrati superiori, intorno al modo di comportarsi del loro foro del Botallo; dall’altra, non permette di poter già tirare delle conclusioni generali. Epperò per quanto sia piccolo il numero di questi fatti, essi fanno evidentemente importante l’argomento ch’io sto studiando, di cui spero dar presto un’altra comunica- zione, parendomi che il sistema delle comunicazioni, mano mano che avrò raccolto fatti, sia il migliore per trattarlo; giacchè si 476 L. MAGGI, SULL’APERTURA DEL FORO DEL BOTALLO, ECC. vede che in esso deve entrare anche la parte statistica, per la quale il numero delle osservazioni dev’ essere molto grande. Ond’è che per ora presento il seguente piccolo prospetto: Foro del Botallo nel cuore di uccelli a completo sviluppo, GRALLE 0 TRAMPOLIERI. * Foro pervio Foro impervio. Numenius pheopus. Grus cinerea. Phanicopterus antiquorum. PALMIPEDI. Foro pervio. Foro impervio. Podiceps cristatusi 0 000 cure dele ariete GALLINACEI. Foro pervio. _ Foro impervio Gallus domesticus Q (gallina) Cappone. Meleagris gallopavo d- (Gallus domesticus eviratus). PASSERI. Foro pervio. Foro impervio. Melanocorypha calandra Lin. \/.||_@|_|\||}G Gi... ebivào RAPACI. Foro pervio. Foro impervio. Halisatus calbigilla. ib; (L orstpnitofaa Riese 9 Vultur fulvus. . CoRRITORI. Foro pervio. Foro impervio. venier Rhea americana. dins Caiano PESI TA uva Sea » ve serra» È rune Ein ina — DERE TAR RT SULL’ UTILITÀ DEGLI EUCALYPTUS. Relazione del-Principe Pietro TROUBETZKOY, letta alla Sezione di Botanica. (24 Settembre 1878.) Onorevoli Signori, La scienza ha per fine il miglioramento non solo morale, ma anche fisico dell’umana famiglia; credo perciò opportuno’ di sot- . toporre al savio criterio dei cultori delle scienze naturali le esperienze e gli studî da me fatti per rendere salubri non solo, ma fruttifere, le plaghe che oggi sono infestate da miasmi palu- dosi, e restituire quindi alla coltivazione e convertire in nuove fonti di ricchezza i terreni dai quali ora si fugge, perchè ci si respira la morte. Sebbene straniero per nascita, da quindici anni considero ed amo l’Italia come la mia seconda patria, e da dieci anni mi : adopero con ogni sforzo a introdurre e propagare la coltivazione . dell’Eucalipto, come pianta risanatrice delle regioni nelle quali regna la malaria, pianta che da molti anni fermò l’attenzione di tutti coloro che si interessano al risanamento di territorî insa- lubri, pianta la quale a noi venne dall'Australia, e certamente nota a voi tutti, cosicchè credo inutile di qui farne la storia. Ebbi già l’onore di trattare questo argomento sul principio di questo mese ai Congressi d’igiene e di botanica di Parigi, e ne ebbi la più lusinghiera approvazione. Campo delle mie esperienze fu la mia villa sul lago Maggiore, dove il clima dolce e tempe- rato riesce adatto alla produzione e coltivazione di ogni sorta di vegetali, ed in particolar modo dell’ Eucalyptus. La prerogativa di quest’ albero di risanare luoghi insalubri, il rapido suo cre- 478 P. TROUBETZKOY, scere ad albero gigantesco, lo rese accetto in Francia dapprima dietro la Relazione del signor Ramel, che lo aveva introdotto in Algeria, poi in Corsica. Il dott. Bekerand, incaricato di una in- chiesta officiale, ha potuto accertare i felicissimi risultati otte- nuti in Algeria colla piantagione dell’Eucalyptus, e ne ha stesa la relazione in un opuscolo intitolato: L’ Eucalyptus au point de vue de l’hygiène en Algerie. Un giornale inglese, il Medical Times, in un articolo consa- crato all’ Eucalyptus, dice che quest’ albero ha la singolare pro- prietà di assorbire l’ umidità del terreno dieci volte maggiore del proprio peso, e che, piantato in un terreno paludoso, in. breve lo prosciuga. Secondo il dott. Gimbert, sono gli alberi dell’ Eucalyptus dei veri apparecchi depurativi, che assorbono i carburi idrogenati del’ suolo, restituendoli all'atmosfera in vapori balsamici ed ossi- genati. x Le piantagioni più considerevoli sono state fatte in Algeria, contandonsi omai circa 15,000,000 alberi d’ Eucalyptus in di- verse località. In Europa, grazie all'iniziativa del dott. Regolo Carlotti, di cui la scienza deplora la perdita recente, è la Corsica che ne conta il maggior numero, calcolandosene al presente circa 300,000 alberi, che fra quattro anni s' aumenteranno a 600,000. Il medesimo dott. Carlotti constatò i risultati prodigiosi di questo - albero, sotto il rapporto del risanamento. Si sono organizzate, in Francia, società, affine di estendere la coltura dell’ Eucalyptus nei terreni paludosi, ed il ministro di Agricoltura e Commercio di quella Repubblica mi diceva, pochi giorni sono, che si è formata or ora una Compagnia per fare in Algeria una piantagione di Eucalyptus della estensione di 6000 ettari, e che il governo le fornirà valida sovvenzione. Ora, onorevoli signori, il clima d’Italia si presta per eccel- lenza alla coltivazione dell’ Eucalyptus, ed è.grande ventura; perchè in Italia abbondano terreni incolti, a cagione della insa- labrità del clima, quali sono: l’Agro romano, le paludi Pontine, le Maremme, che occupano grandissima estensione dell’Italia cen- ni BIZ NE IL pEr)» 11 SULL’ UTILITÀ DEGLI EUCALYPTUS. 479 4 trale e meridionale, il territorio del basso Po, che una società È tortonese sta ora restituendo alla coltivazione; plaghe tutte che, a cagione dei miasmi, impedivano sempre i lavori nella calda stagione, micidiale a chi deve sostenerne il peso. Nè io esagero. Eccovi un estratto di ciò che lesse il senatore . Salvagnoli 1’ 11 maggio 1876, sulla bonificazione dell'Agro romano e sulla mortalità dal 1° gennajo al 31 dicembre 1875. Morti negli spedali, di febbre perniciosa, N. 250, il che vuol . dire, che tenuto conto della statistica media regolare delle Ma- | remme, la città di Roma avrebbe contato almeno 752 ammalati i di febbri miasmatiche in sei mesi. Nel 1874 ne morirono 314, . cifra che farebbe calcolare a 907 gli afflitti dalle febbri perni- | ciose, le quali non la perdonano nè ad impiegati, nè a monsi- - | gnori, nè a ministri, tanto che è proverbiale l’inabitabilità di Roma, capitale d’Italia, nella stagione estiva; e ne è prova, che anche coloro i quali non sono colpiti dalle febbri, ma da altre malattie, per risanare sono costretti a fuggire da quelle regioni ed a venire a bere le salubri aure dei nostri laghi. Lo stesso . Presidente del Consiglio italiano è appunto fra noi per ristabilire | la stanca salute che in Roma deperiva. Si facevano recentemente, in Senato, discussioni intorno alle provvidenze da prendersi per la bonificazione dell'Agro romano, e, sulla proposta del senatore conte Torelli, fu preso in consi- derazione il vantaggio che potrebbe ottenersi dalla piantagione dell’Eucalyptus, ed io spero che il ministero attuale, presieduto dal patriota Cairoli, al quale ebbi l’onore di parlare più volte dei prodigiosi effetti prodotti dalla coltivazione di quest’albero . su larga scala, e che seppe comprendermi, vorrà, nella prossima | sessione parlamentare, proporre una legge che incoraggi e pro- dei. Pe 4 paghi una tale coltivazione, perchè trattasi del pubblico bene, della salute e della vigoria di un rispettabile numero di persone, le quali crescerebbero ben più robuste ed atte a sostenere le fatiche dei campi e delle armi, che non siano quelle torme in- — numerevoli, che partono dalle Maremme, ingiallite, flosce, feb- bricitanti, per ridursi nei loro casolari a sciupare i miseri gua- 480 P. TROUBETZKOY, dagni ottenuti a spese della salute e della vita. Ecco ciò che si legge in proposito nel giornale L’Italie di Roma del 14 corrente: “ D’après la nouvelle loi des bonifications ce n’est pas à des syndacats, mais à l’État que sera dévolue l’euvre de la bonifi- cation des 300,000 hectares de terrains marécageux qui ‘se trouvent en Italie; les travaux seraient exécutés au moyen de dépenses graduelles, qui dépasseront, prévoit-on, un total de 100 millions. “ Cette disposition de la loi est basée sur les deux considé- rations suivantes: “ 1. Les travaux ayant pour but la salubrité et l’hygiène publiques, comme aussi la productivité des terrains, sont des tra- vaux d’intérét sénéral. “ 2. L’augmentation de la valeur des terrains bonifiés ne cor- respond pas toujours à l’importance des dépenses faites pour leur bonification; ainsi la bonification de la Maremme toscane a né- cessité une dépense totale de 20,000,000; or la valeur des ter- rains évaluée auparavant 700,000 francs, n’est guère supérieure aujourd’hui a trois millions. , Reputo gran fortuna per me il poter rivolgere le mie parole ai membri onorevoli di questo Consesso, per interessarli a stu- diare una tale questione, e mi dirigo in modo speciale a coloro che abitano quelle provincie d’Italia, nelle quali la temperatura non discende sotto i — 9° C. Vi sono, a quanto si dice, più di sessantasei specie di Euca- Iyptus, quaranta delle quali furono da me, con felice esito, col- tivate, e di trentacinque ne esposi le piante a Parigi, e presen- temente qui a Varese. Dietro le mie esperienze di ben dieci anni posso raccomandare, come la più igienica, la specie Globulus, che resiste a — 7°, e l’Amygdalina, che resiste sino a — 9° ed anche più. Anzi l’Amygdalina possiede in più alto grado le qua- lità comuni agli Eucalyptus, cresce assai meglio nei luoghi umidi, ma si sviluppa pure nei luoghi aridi, a meraviglia. Analisi chi- miche fatte dietro indicazioni date dal prof. Miller, direttore del Giardino Botanico di Melbourne nell’Australia hanno constatato | SULLL’ UTILITÀ DEGLI EUCALYPTUS. 481. che l’Amygdalina contiene olio essenziale quattro volte più che il Globulus. Far boschi di Eucalyptus vuol dire bonificare, vuol dire colo» nizzare luoghi deserti per malaria ed improduttivi; è perciò de- siderabile che un regolamento, una legge parlamentare provveda _ a diffondere la coltivazione di questa pianta meravigliosa che “ prosciuga è terreni, diffonde nell’ atmosfera un aroma speciale, modificando totalmente il clima; offre una medicina gratuita agli abitanti dei luoghi paludosi, e cresce in breve tempo in grandiosi fusti, , come il prof. Spatuzzi scriveva al Pungolo di Napoli dal Congresso d’igiene di Parigi. In otto anni può fornire travi di un legno durissimo, traver- sine per le strade ferrate, pali per fili telegrafici ed altri usi moltissimi. In pari tempo, mentre |’ Eucalyptus fornisce ottimo legname e risana l’aria, non impedisce la coltivazione, tantochè il capitale che può impiegarsi in una piantagione, in dieci anni può rendere, senza esagerazione, il quintuplo. A giustificazione di quanto ho esposto, onorevoli Signori, vorrei che alcuno dei rispettabili Congregati venisse a visitare la mia - villa sul lago Maggiore, per ammirare gli alberi di alto fusto che ho potuto ottenere, dopo soli otto anni che ne gettai la semente. Vol. XXI. 31 DELLE TRAPE DEL LAGO DI MANTOVA E DEL CONNUBIO DELLE STRATIOTES ALOIDES L. Relazione del Socio D. Francesco Mask Arciprete di Castel d’Ario nel Mantovano. Onorevoli Colleghi, Voi sapete, o signori, che l’illustre prof. De Notaris, il cui nome sarà sempre di gloria e di onore all'Italia, ed ahi, troppo presto rapito alle scienze, agli ammiratori, agli amici, in una delle sue escursioni scientifiche sul lago Maggiore, raccoglieva, or fa qualche anno, una Trapa, e scorgendo in essa caratteri di- versi dalla descritta linneana Trapa natans, elevandola, più che a forma o varietà, a vera specie, la intitolava, dal luogo di rac- colta, Trapa verbanensis, De Notaris. Mantova è detta la città dei trigoli, chè tale è il nome attri- buito dai Mantovani ai frutti della Trapa natans, altrimenti | chiamati anche castagne acquatiche. Non appena il De Notaris fece conoscere la sua scoperta, va- rii botanici si rivolsero, e non invano, per lettera a me perchè mandassi loro frutti di questa bella Onagrariea. Ma quei frutti io doveva provvedermeli da quei raccoglitori, che nel febbrajo e nel marzo ne fanno un magro commercio, vendendoli, lessati e sgusciati, tre al centesimo, per cibo ai ra- “gazzi e alla povera gente. Presentatomi adunque ad uno di questi commercianti di tri- goli, gli dimandai se ne avesse di crudi per tentarne la semina- gione nelle fosse delle risaje in Castel D’Ario. gg > DELLE TRAPE DEL LAGO DI MANTOVA, ECC. 483, Alla mia domanda ei mi risponde con tutta serietà: “ Vuole dei trigoli maschi, o dei trigoli femmine? ,, Qui succede un dia- logo ed eccolo: “ Spiegatevi un po’ meglio galantuomo. Che cosa intendete per maschi, e che per femmine? ,, “I maschi sono i più arditi, i più robusti, i più belli, quelli cioè che hanno o tre, o quattro corni. Le femmine sono quelle che più semplici, più modeste, più umili ne hanno soltanto due. ,, A tale spiegazione mi sovvenne tosto il pensiero che potes- sero essere due piante distinte, mentre prima aveva sempre cre- duto che gli uni e gli altri provenissero da una sol pianta, col- l’abortimento di uno, o due corni. La quale credenza, confesso che mi fa poco onore, perchè dinota che nella copiosa mia rac- colta di esemplari non ci misi quella vera attenzione, indispen- sabile al diligente osservatore. Della mia trascuranza n’ ebbi la | pena, ma non ne porto lamento, perchè la ferita mi venne da tale campione. Intanto fatta buona provvista dei ricercati frutti ne spedii a diversi amici, fra i quali all’ora defunto prof. comm. De Visiani, al prof. cav. Gibelli, ed al prof. Saccardo, ma ne trattenni an- che per me, onde coltivarne la pianta e studiarla a maggiore comodità. Non conosco le risultanze avute dagli altri, ma in quanto a | me potei accertarmi essere due piante affatto distinte. Di fatti in quella pianta che vi dà le frutta a due corni non ve ne tro- vate mai nè a quattro, nè a tre; e in quella che vi dà le frutta a quattro corni, ossia nella vera nafans linneana, non ve ne trovate alcuno a due, e se pur ve ne trovate a tre corni, vi scor- gete anche patente l’abortimento del quarto. Se non che una sola volta mi occorse di trovare, in una 7rapa mnatans lin- neana, frammezzo ai frutti a quattro corni, uno a due corna, ma coi segnali palesi dell’abortimento degli altri due, ed anzi essendo questo caso assai strano, lo rendo ostensibile, e lo sot- topongo al vostro giudizio. Ora, quantunque a me sembri che l’unico cargire impor- 484 F. MASÈ, DELLE TRAPE DEL LAGO DI MANTOVA, ECC. tante, che distingua queste due Trape dei laghi mantovani, sia | quello delle due o delle quattro corna, pure essendo tale carat- | tere assai rilevante, io mi unisco al De Notaris, e credo che egli — avesse ragione nel farne una specie separata per quella da lui raccolta sul lago Maggiore, pronto a sacrificare la mia opinione a chi con più torti ragioni mi provi il contrario. Ora poi mi è debito, o signori, dirvi qualche cosa intorno al- l’atto di unione, ossia al connubio da me tentato delle due piante di Stratiotes aloides Linn., e cioè delle piante maschili delle Valli Ostigliesi e del Tartaro, colle piante femminili del Lago di Mantova, eseguito nel giorno 7 marzo 1877, come è de- scritto nella mia Relazione inserita negli Att di questa nostra Società di scienze naturali, al vol. XX, fasc. 1°. Da questo connubio, che pure ho eseguito in doppio col tra- sporto delle maschili ostigliesi alle femminili mantovane e vice- versa, io sperava poterne in seguito ottenere i frutti, ma fino ad ora ho ciò sperato invano. E non per questo ne ho perduta la fiducia, perocchè l’esito favorevole potrebbe essere lento, e verifi- carsi in ‘seguito, mentre mi sembra che le piante abbiano attec- chito, quantunque non siano ancora venute in cerca di nozze a galleggiar sull’acqua. Intanto io metto a cognizione di ciò questa illustre assemblea, perchè se mai venga giorno, in cui qualche botanico scopra la Stratiotes aloides a fiori maschili nei laghi di Mantova, o a fiori femminili nelle Valli del Tartaro, nelle | Ostigliesi, o Veronesi, si sappia adesso per allora, che la co- Î storo comparsa in tali località non sarebbe casuale, ma bensì procurata dall’umile sottoscritto D. Francesco MaAsÌ, Arciprete di Castel d’ Ario nel Mantovano. Castel d’ Ario, 20 settembre 1878. MARINONI. Bronzi preistorici del Friuli. SE | (ES 4 S | S i KS) | x | 9 È gonl 4 È | Y Ss i Pri | \ D] 5 È 4 < 7 ZE IS N | j ÙÀ x È AS (7 Cung: tot. Mill. 200 nel Bosco Scaloli (Fou di goto) 15%. lung. tot Mill. 279, “Ggrn a Belgrado di Varmo Ss org tot Miti. 200 IZ (28, %3 gr. n SN È & d Belgrado di Varmo ssa ? = Cividale 2 aBelgrado di Varmo aBelgrado di Vargno a l'ividale | G N.B. Sc midivre segnale sono tutte im nril'Omeri. . "Lit. Ronchi Marinoni disdalva BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI, Rota Nota del Dott. Prof. CAMILLO MARINONI. (V. Tav. 158.) Trascuro tutte quelle reliquie dell’arte bronzaria antica che pervennero in mie mani, o potei esaminare nelle raccolte pub- bliche o private, che si riferiscono ai tempi del dominio romano e dappoi: gli scavi di Aquileja, di Cividale, di Zuglio e qualche accidentale ritrovamento in diverse località del territorio del ‘ Friuli, hanno già a quest'ora fornito materia per studii che sa- rebbero interessantissimi. — Limito le mie osservazioni a quei P Biempi in cui all’uso delle armi di pietra si sostituiva man mano L, quello di arnesi di bronzo; e mi propongo di illustrare alcuni i cimelii che, a mio modo di vedere, debbono attribuirsi a quella Gs remotissima età e al periodo che immediatamente le tenne dietro, | cioè ai tempi anteriori alla influenza civilizzatrice delle colonie | romane quivi stabilite. Finora in proposito nonsi possono consultare che gli appunti det- tati dai signori Coronini," Kandler,° Biilow ?. e Czòrnig,* recente- | mente riepilogati dal prof. Pigorini” in un breve scritto, i quali si | ' CoRONINI F. = Articolo inserito negli Atté e Memorie della Società agraria di Go- | rizia per l’anno 1867. Suppl. 5, pag. 22 a 24. «2 GATTI e KANDLER. = Articolo inserito negli Atti e Memorie della Società agraria | dî Gorizia dell’anno 1868, Appendice al N. 2, pag. 1 a 3. ® BilLow. = Nel Corrispondenzbl. des Gesammtvereins, Jahrg. 1868 n.8; e.nei Jahr- biicher und Jahresbericht des Vereins fiir Mecklemburgisches Geschichte und Al- terthumsk. Tomo XXXIV, pag. 236. ‘ CzognIG F. — Das Land Gòùrz und Gradisca. Parte II°, capo 8, pag. 141 a 144. 5 PicoRINI L. — Fonderia di S. Pietro presso Gorizia ;} nel Bullettino di Paletno- logia italiana, anno 3.°, 1877, giugno, con una tavola. — PicgoRINI L. = Articolo inserito nel Bu/lettino dell'Istituto di Corrispond. archeol., anno 1877, pag. 89 e 90. — Pigorini L. = Compte-Rendu de la 8° session, Buda-Pest 1876, du Congrès inter-. | national d’ anthropologie et d’archéologie préhistoriques. Buda-Pest 1877, I vol. a pagine 270 e pag. 402. sini -”- Mu e dA} 486 C. MARINONI, riferiscono alle antichità dissotterrate nel 1867 presso S. Pietro di Gorizia e ritenute della piena età del ferro: — altri scritti io non conosco; nè tutte codeste pubblicazioni, se pur riuscirono a rac- coglier notizie, valsero ad impedire il disperdimento dei materiali illustrati.! Nel Friuli specialmente, terra situata all’ estremo confine orientale dell’Italia, aperta alle immigrazioni e prima stanza dei nuovi popoli calati dalle Alpi, gli studii di antropologia preistorica hanno necessità di copiosi materiali; e ben valeva la pena di qualche sagrificio onde impedire il disperdimento della suppellettile preziosa che già l’azzardo ne aveva posto fra mano. Ma oramai è conosciuto l’interesse tutto locale che presenta que- sto paese negli studii comparativi delle prische età dell’uomo: — le indagini si fanno secondo uno scopo determinato, per cui giova sperare che ogni annello che ne congiunge alla catena dei tempi trasvolati, sia per essere raccolto, studiato e valutato secondo la sua importanza. Ed appunto anche queste pagine contengono notizie illustra- tive intorno ad alcuni resti di arnesi, per arte riferibili ai tempi remotissimi preromani, pervenuti in mia mano ed ora depositati nel Museo Udinese; nonchè di altri che potei esaminare nel Mu- seo patrio di Cividale, o di cui ebbi contezza per cortesia di privati raccoglitori, ma che tutti ritengo non mai prima d’ora fatti conoscere. — Sono i primi bronzi preistorici trovati nel Friuli a ponente dell’Isonzo, la cui provenienza sia ben nota; ma, è d’uopo il dirlo, il loro rinvenimento fu quasi sempre for- tuito, e la loro giacitura sporadica non permette ancora di col- legare tali scoperte con nesso scientifico le une alle altre. — Pur tuttavia mi pare ne risultino almeno due fatti salienti: quello della loro distribuzione, che potrebbe dar l’ indirizzo alle ricerche future, ed il predominio fra tali reliquie di una forma determinata, quella del palstaab, di cui riscontrai tipi svariati forse più che negli altri depositi di antichità preromane noti in Italia. i Delle reliquie tratte dal ripostiglio di S. Pietro di Gorizia, un pa/staad ben con- servato ed altri oggetti sono all’i. r. Museo di Vienna; alcune si conservano al Museo di Gorizia e in collezioni private; altre ancora poi nel Museo comunale di Trieste. — “n Per quel poco che è rimasto in paese valgano le indagini fatte per questa illu- strazione, i % ica di i i boo PE er git ate e OLA Lal ui” BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 487 Per quanto riguarda la distribuzione topografica dei luoghi, ac- cennerò sommariamente che si possono distinguere in due gruppi: le scoperte fatte nella regione pedemontana e nella pianura, .e quelle della regione alpestre. Fra le prime noto le località di Ci- vidale e suoi dintorni, di Castel-Porpetto presso Palmanova, di Bel- grado di Varmo sulla sinistra del Tagliamento e di Cavasso Nuovo presso Maniago-grande, allo sbocco del torrente Meduna nella pianura. Presso a poco sono gli stessi punti del territorio dove si incontrano anche gli avanzi dell’ età neolitica, e sono al- lineati sulla strada probabile che avranno seguito le famiglie im- migranti, venendo dall’Illirico, per raggiungere il passo del T'a- gliamento, o spingersi verso il mare. — Nella regione montana il Canal di S. Pietro, l’imbocco del Canal di Gorto ed il Canal di Socchieve, cioè la valle del Tagliamento e quelle in essa con- fluenti che hanno passi alla Carinzia ed al Bellunese. L’ unito specchio valga per ora a registrare senza commenti codeste loca- lità e la qualità dei cimelii finora trovati in ciascuna; cioè a confermare quei fatti che già dissi risaltare più spiccati dal. l’esame dei bronzi preistorici friulani; ARMI UTENSILI ORNAM me_o_o_—_ywm_m_—Y——i —— rr een _—-.rr_a||. rex N î ei 8 ei ,8 1a +2 mea De! 2 LOCALITÀ =" 8] 3 [Fo] 3 |a 828) 2 28/28] £|22| a (SÒ s [#5] 2 Din S° 2) IS Sla ]|s n Rai; 2 è Ei - Ponte S. Quirino (Cividale). | ..|..{.. 1 £ | Cividale? e dintorni . 4 == £-E\ Premariacco (Cividale) . . I 7 =2 | Castel-Porpetto (Palmanova). 4 l'enteall, Dopo | gpl -£ Z| Belgrado di Varmo (Codroipo)| + |..| 1 ila Ao I l ES i? a Cavasso Nuovo (Maniago) . | 1 E ie = = ( Imponzo (Tolmezzo) . . .|.- 1 e] EE Esemon di Sotto (Ampezzo). |. - 1 = =|\ Giaveada (Ampezzo). . . | 1 Totale | 4]—| 1] 1|13| s|1| al 1 NB. Da questo prospetto sono state escluse alcune località da cui si ebbero indizii pubbii o di troppo poca importanza. 438 C. MARINONI, Come punto di partenza in queste ricerche prescelgo, accet- tando gli apprezzamenti già noti, i bronzi della fonderia di San Pietro presso Gorizia. La loro scoperta fu oltremodo importante per le condizioni di giacitura ben definite ivi riscontrate nei due grandi vasi di argilla fittile in cui stava rinchiuso tutto quel pic- colo tesoro, e perchè fu svelata chiaramente la natura del ri- postiglio, tanto dagli oggetti lavorati, quanto dalla presenza di lingotti di bronzo. Per la loro storia illustrativa, rimando alle Memorie originali intorno ad essi già pubblicate; nondimeno farò rilevare che il loro esame ed i giudizii che su di essi furono pro- nunciati, mi hanno convinto che possono giustamente parago- narsi coi nuovi cimelii raccolti. Hanno tutti una certa impronta caratteristica che li collega, come se tutti avessero appartenuto a gente in possesso di una medesima industria od arte, quan- tunque per i tempi diversi più o meno avanzata. Nello studio del ripostiglio di Varmo, che ha qualche analogia con quello di S. Pietro"di Gorizia, di cui dirò più innanzi, sta il fondamento di codesta opinione; nè gli altri rinvenimenti la disdicono, ben- chè ad essi si debba attribuire un valore affatto relativo per il carattere sporadico della loro giacitura. Quindi, allo scopo di dare un più facile sviluppo a questo concetto, anche nella descrizione dei singoli oggetti mantengo il loro naturale raggruppamento, I diversi scavi stati fatti nei dintorni di Cividale, l’antico Forum Julii, dove facilmente un colpo di zappa trae in luce anticaglie romane e medioevali, ivi associate alla rinfusa nel terreno su- perficiale, fornirono fino ad ora sei palstaab: quello di Ponte 5. Quirino, quello di Premariacco, e quattro di provenienza non bene accertata, ma per altro assai interessanti per la loro forma e per la materia. | La forma più comune è quella del palstaad di Ponte S. Quirino. Tre chilometri circa a nord-est di Cividale, appena oltrepas- sata la confluenza del torrente Aborna nel Natisone, sorgono i casali di S. Quirino presso il ponte costrutto in servizio della strada nazionale. Siamo nel thalweg della valle dove il terreno BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 489 alluvionale sciolto sovrasta ad un conglomerato probabilmente di origine glaciale, e sul triangolo di terra compreso fra i due corsi d’acqua, attraverso il quale sorgeva un antico vallo ro- mano, ora quasi interamente demolito. Alcuni anni or sono, all’epoca dei lavori per la strada, un tale Castellani, mentre presso la spalla di detto ponte stava distruggendo la porzione del vallo che metteva ad un suo campo, rinvenne fra la terra a mezzo metro di profondità il palstaab (fig. 1) ed alcune ferra- glie interamente ròse dalla ruggine: l’arnese fu poi ceduto al signor Andrea Miani di S. Pietro al Natisone, che ebbe la cor- tesia di comunicarmelo, e presso al quale ancora si trova. È conservatissimo, di bronzo, tutto rivestito di grossa patina verde, . fuorchè al tagliente, dove fu affilato alla mola probabilmente per riconoscerne la materia, ed appartiene a quel tipo di forma che è proprio delle terremare attribuite ai primi tempi dell’epoca del ferro. La lama trapezoidale, di lunghezza ben proporzionata .al largo tagliente un po’ricurvo, che nasce ed è rinforzata da alette corte, non molto sporgenti limitate intorno alla testa in forma di cartoccio conico per l’immanicatura, infine lo spessore . di ogni parte ed il peso rilevante, ne fanno un’arme robusta e potente. Affatto simili, sebbene più grossolane e con qualche lieve mo- dificazione di forma, sono due altre ascie di bronzo, l’una intera e perfetta, l’ altra spezzata a metà del fendente, che si conser- vano nel Museo di Cividale:' sono sfornite di notizie esatte sulla loro originaria provenienza, ma probabilmente furono trovate in qualcuno dei molti scavi stati fatti nei dintorni di Cividale stesso per rintracciare avanzi di antiche costruzioni. «Questi tre pa/staab hanno di comune la forma sempre robusta qualunque siano le loro dimensioni; e di essi si potrebbe dire, come osservò il dott. Pigorini per quelli di S. Pietro a Gorizia, che sì scostano alquanto dal tipo primitivo caratteristico dell’età del | 1 Debbo alla gentilezza del m. r. canonico Jacopo Tomadini, attuale direttore del | R. Museo di antichità in Cividale, l’aver potuto esaminare codeste e le altre reliquie colà raccolte. 490 C. MARINONI, bronzo, e richiamano invece quello che dominava in Italia du- rante la prima età del ferro. Infatti sono paragonabili un per uno con quello di S. Quirico di Valdagno, o coll’altro dei monti di Solagna esistenti nel Museo di Vicenza ed illustrati dal signor Lioy;*! poi con quello di Scandiano ? fra gli avanzi preromani dell’ Emilia, infine con pochi altri stati rinvenuti a Narni, nelle necropoli più recenti del Lazio, di Villanova ® e nei sepolcreti etruschi, ‘* mentre fuori d’ Italia ne sono stati raccolti in Savoja ° e nella palafitta di Moeringen nel lago di Bienne in Svizzera. ° Caratteri ed aspetto affatto analoghi sono posseduti dal p al- staab, di dimensioni assai più piccole, pur conservato nel Museo di Cividale e proveniente dagli scavi di Premariacco (fig. 2). Di esso trovai citazione e figura anche in un vecchio catalogo di quel Museo; ” e pare che sia stato raccolto in mezzo a ruderi di antiche mura romane. Più che per la forma sarebbe invece in- teressante per la natura della lega onde è fabbricato, che ad un esame assai grossolano quale l’ho potuto tentare, mi parve dovesse contenere proporzioni «eccedenti di rame e una quantità non trascurabile di ferro. — Accennerò infine come sia somma- mente liscio, arrotondato sugli spigoli, mozzato al tagliente e lo- goro per lungo uso. 1 Lioy P. = Le abitazioni lacustri di Fimon. Venezia, 1876; nelle Mem. del R. Istit. di Sc., lett. ed arti, vol. XIX, pag. 43, tav. XV, fig. 170 e 171. ? StROBEL P. = Avanzi preromani raccolti nelle terremare e palafitte dell’ Emilia, Parma, 1863; pag. 10, tav. IV, fig. 38. i 3 GOZZADINI G. = La mnecropole de Villanova, ecc. Bologna, 1870, pag. 56. 4 DE Rossi M. S. = La paleéoethnologie dans l° Italie centrale 3 nel Compte rendu du Congrès international d’anthropologie et d’archéologie préhistoriques, 5€ session à Bologne 1871; p. 445, tab. II. 5 Museo di Annecy. 6 KeLLER F. = Pfahlbauten; V Bericht, Ziirich 1863, Taf. XIV, fig. 17 und 18 Seit. 176. 7 Vedi il vol. IV della Iconografia, ecc. del Museo eseguita sotto la direzione del m. r. sig. canonico Michele della Torre Valsassina. A tav. VI, sotto la dicitura « Villa di Premariacco .... oltre il fiume Natisone, nelle terre del sig. dott. Pontoni, al numero di mappa 880, dal 23 marzo al 13 aprile 1822...» insieme alla pianta di certe costruzioni romane è disegnato anche il palstaad (fig. 7) colla seguente leggenda esplicativa: Arma da taglio di metallo corinto detto veoTIS, giusta il Museo Arrigoni, ! BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 491 Il prof. A. Wolf, distinto cultore delle scienze archeologiche, con tratto di squisita gentilezza, mi comunicava non a guari a scopo di studio e di illustrazione, un’altra ascia ad alette di forma non comune. Codesto arnese faceva parte di una massa di anticaglie di vecchio bronzo state rintracciate nei dintorni di Cividale in epoche diverse, e che il fonditore sig. Poli di Udine aveva acquistate per destinare al maglio: la provenienza se non è autenticata da testimonianze irrefragabili è però corroborata da molti indizii di probabilità, fra cui quello del potersi annove- ‘rare altri consimili avanzi dell’ umana industria dissotterrati dal suolo di quell’antichissima dimora. Il bronzo è di color giallo dorato; manca la patina antica, giacchè si tentò lucidarlo sfre- gandolo con sabbia; ed oltre che per la sua forma è rimarche- vole sovra ogni altro per l’accurato lavoro di affilatura con cui fa ridotto a compimento il tagliente della sua lama (fig. 3). È rotto alla testa, probabilmente per staccarlo dal pezzo di fusione; è scabro e striato nell’incavo verticale, ha liscia invece la super- ficie del fendente; e le alette che fiancheggiano parallele tutta la parte superiore dell’ arnese (mill. 68 di lunghezza) non sono nè molto dilatate, nè ravvicinate in modo da formare un vero cartoccio come nelle altre forme di palstaab, ma appena ripie- gate tanto da trattenere il manico. Le alette cessano a metà circa dell’arnese e danno origine a due sporgenze laterali assai pronunciate, come bottoni fatti per arrestare il colpo o per trat- tenere il pugno, dalle quali poi nascono i fianchi ricurvi della lama, che si allarga assai con tagliente, arcuato quasi come nei veri coltelli-ascie. — Come palstaab, una siffatta forma è per me affatto nuova; e mi pare si stacchi da tutti i tipi noti, ep- però sarei propenso a ritenerlo una forma di passaggio tra il vero coltello-ascia ed il palstaab che diventò poi di uso più comune. La forma del fendente a mezzaluna e le alette appena ripie- gate, dritte, parallele, fanno nascere piuttosto l’idea di un ar- nese da impugnare a mano, che non da immanicare e usare come ascia; nel qual caso si dovrebbe tener calcolo anche del peso che è punto considerevole (grammi 197 ‘/2). I due bottoni laterali poi 492 C. MARINONI, avrebbero servito ad impedire lo scorrere innanzi della mano nel maneggio dell’ utensile. Sarebbe, adunque, questo, un altro di quegli esempi in cui l'artefice, pur sempre conservando le forme primitive degli arnesi che fabbricava, le veniva man mano adat- tando ai nuovi bisogni e perfezionando, curandosi perfino della linea pura ed elegante del contorno, fatto che stabilisce un vero progresso nell'arte dei tempi del bronzo. Il Museo di Cividale possiede ancora un altro esemplare di siffatti utensili, pure di non accertata provenienza ma indubbia- mente stato raccolto nel territorio contiguo alla città, il quale ai caratteri comuni dei palstaab dell'età del bronzo, altri ne riunisce che accennano ad un vero perfezionamento dell’arnese stesso. Breve il canale delle alette, queste assai sviluppate e. raccolte nella porzione superiore; lunghissima la lama, a bordi decisi che vanno man mano scostandosi; il tagliente netto, poco esteso ed accuratamente affilato (fig. 4): — vicino alla testa poi ad uno dei lati è fornito di un anello per dar passaggio al legaccio che avrà servito ad assicurarlo più fortemente al manico, oppure per sospenderlo nell'abitazione o alla cintura. Tale tipo non è nuovo, ma già riconosciuto e classificato fra gli utensili più ca- ratteristici dell’ età del bronzo dagli illustratori delle palafitte svizzere, ' che ne figurarono di forme diversissime rappresentanti una serie di graduati passaggi dall’ ascia ad alette fino al vero celt a bossolo ordinario. È piuttosto comune nell’ Europa set- tentrionale, nella Germania del nord almeno, ed in Danimarca; * appare anche in Francia ed in Ungheria;° e di trovati fra le Alpi si posseggono quello del Museo Ferdinandéo di Innsbruck proveniente dalle vicinanze di Taufers nel Tirolo cisalpino, e quello di sconosciuta provenienza che si conserva nel Museo cit- tadino di Trento (Strobel). i Desor E. = Les palafittes du lac de Neuchatel, fig. 35. L’ esemplare figurato è della palafitta di Bevaix. 2 MADSEN = Antiquités préhistoriques du Danemark: Age du bronze, tab. XXII, fig. 15, 16. 3 HILDEBRAND H. = Sur les rapports existants entre l’dge du bronze de la-Hongrie et Vage du bronze Scandinave ; nel Compte-rendu du Congrès international d’anthrop. gt d’archéol. préhist.; 7° session è Stockholm 1874; tome I, pag. 939 e seg. br 2 Hi BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 493 Allo scopo poi di fornire tutti quei maggiori ragguagli che possono servire a stabilire confronti colle forme di altre località, riferisco qui anche le dimensioni di ciascuno dei palstaab de- scritti : Ùu Palstaab |Palstaah | Palstaab| Palstaah| Palstaab| Palstaab di Ponte di di di Pre- di di S.Quirino|Cividale?|Cividale?|mariaeco|Cividale?|Cividale? (fig. 1) | (intero) | (rotto) | (fig. 2) | (fig. 3) | (fig. 4) Millimetri | Millimetri | Millimetri | MiMimetri | Millimetri Millimetri Lunghezza totale. . . . 200 182 _ 125 132 219 » del solo fendente. 126 96 — 62 . 68 154 » delcartoccio di im- , manicamento . 74 86 68 63 70 65 Larghezza della testa . . 50 52 43 34 30 37 » all’origine del fen- gente 1"... 42 55 43 37 40 44 » al tagliente (corda dell'arco)... . 75 87 — 57 60. 70 Spessore all’origine del fen- dente se At. 10 10 7 6 8 7 Peso . . . . . .. .| Gr. 672| Gr. 657] Gr. —| Gr. 270 [Gr.197!/,| Gr. 473 Questi bronzi antichi stati rinvenuti nel territorio cividalese, potrebbero avere un interesse tutto speciale se la loro giacitura fosse stata per tutti osservata e constatata: entrando in questo ordine di considerazioni nasce spontanea la quistione se il pal- staab di Ponte S. Quirino rinvenuto in un vallo romano, abbia qualche rapporto col vallo stesso, e se sussistono relazioni fra le antiche costruzioni di Premariacco e l’ arnese di bronzo lì presso rinvenuto. — Nulla si sa sulla giacitura degli altri cimelii, ep- però manca ogni criterio per fondare un giudizio anche relativo: io per altro sono propenso a credere una tale associazione pu- ramente accidentale, nè sarebbe nuovo il caso della presenza di reliquie preromane in mezzo a ruderi di monumenti di epoca storica. Dalla collezione di oggetti antichi stata riunita dai signori conti Frangipane, con quanto veniva disotterrato nel lavoro dei 494 C. MARINONI, campi fra Castel-Porpetto e Gonars nel basso Friuli, ed ora passata in proprietà del Museo Udinese, potei scegliere alcune reliquie che sicuramente si devono attribuire ai lontanissimi tempi dell’età del bronzo, o almeno alla 1° età del ferro. È però gran- demente a deplorarsi che sia stata perduta ogni notizia intorno alle condizioni del loro ritrovamento e al nome preciso della località, circostanza che non permette di apprezzare tutto il va- lore di tale scoperta. Tali bronzi sono 8, cioè: un coltello-ascia, 4 palstaab, 1 scal- pello a cartoccio e 2 punte di lancia, tutti ricoperti da una grossa patina antica di color verde, quasi sempre intatta, quan- tunque più o meno ossidata. Una però delle lance è involta da patina bruna: insisto su questo fatto per dedurne che non tutte quelle reliquie dovevano trovarsi associate, potendo esso dipendere, piuttosto che dalla diversità dei materiali della lega, dalle condizioni diverse del terreno in cui i bronzi stettero sepolti. Il coltello-ascia (fig. 5) è fra gli altri il più caratteristico. È un arnese stato lungamente usato, perchè ha guasta l’incavatura lunare della testa, ed il suo tagliente disegna una linea meno arcuata di quella tipica che si riscontra negli esemplari intatti e nuovi: inoltre è leggermente depresso e pianeggiante in mezzo alle alette, che decorrono appena rilevate dalla testa fino al fendente dove scompajono schiacciate sotto le impressioni di ripetuti colpi di martello. Questa osservazione fu già fatta dal signor P. Ca- stelfranco su alcuni coltelli-ascie del Lodigiano * che mi servirono di confronto con questo dell’ estremo lembo orientale d’Italia; e‘ credo che dovrebbe essere sempre estesa anche agli altri consi- mili arnesi conosciuti e particolarmente ai palstaab, nei quali le molte differenti forme potrebbero essere derivate in alcuni casi dal riattamento dell’utensile, anzichè dalla diversità di tipo. — Al- tri confronti si possono stabilire coi coltelli-ascie di Scandiano nel Reggiano, di Castione figurato dallo Strobel?® e posseduto dal I CASTELFRANCO P. = Ripostiglio di oggetti di bronzo nel Lodigiano; nel Bull. di Paletn. italiana, anno IV, gennajo, 1878. 2 STROBEL P. = Op. cit., pag. 5, tav. III, fig. 14. — Vedi anche GASTALDI B. = Nuovi Cenni ecc., tav. IV, fig. 7. BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 495 i Museo di Torino, di Vienne nel dipartimento dell’Isere! in Fran- cia e del lago di Ueberlinger® in Svizzera, nonchè di parecchie altre località che si riferiscono all’età del bronzo.® Tre dei palstaab appartengono ad un sol tipo, quello più co- = mune nelle terremare italiane dell'età del bronzo; però differi- EA ci det i A), bei a scono fra di loro per peso e per dimensioni. L’esemplare figu- rato (fig. 6) è affatto nuovo, intatto, granuloso alla superficie come se fosse ricoperto da una patina sabbiosa giallo-verdastra, cogli orecchioni poco rilevati, il tagliente appena arcuato, la te- sta libera e incavata da leggera depressione lunare senza uncini, e gli spigoli netti, decisi, robusti. Degli altri due esemplari, uno è intero ma molto logoro, l’altro non rappresenta che il terzo in- feriore, cioè il fendente, essendo spezzato all’origine delle alette. Tutti e tre però si possono confrontare esattamente colle figure di alcuni palstaab del Museo vicentino date dal Lioy, o con quello di Campeggine illustrato dallo Strobel.* — Il quarto palstaab, invece, andrebbe collocato dappresso a quelli del Lazio, di Ci- vidale e di Gorizia per la sua forma riferibile al tipo di Moe- ringen; ma consta di una lamina di metallo dello spessore mas- simo di tre millimetri, ròsa e guasta (essendo alterata in parec- chi punti persino la patina ridotta a un pulviscolo azzurro ci- nericcio), che ad un esame superficiale mi parve essere rame quasi puro. La sottigliezza di tutte le parti dell’arnese, e certe bavosità agli orli potrebbero far supporre che sia stato lavorato a martello, o almeno riattato più volte, come attesterebbe anche l'eccessivo accorciamento del fendente. Il taglio fu di recente 1 CHANTRE E. — L’dge du bronze et la première dige du fer en France ; nel Compte rendu du Congrès international d’anthrop. et d’archéol. préhist., Te session è Stockholm 1874, pag. 418, fig. 15. — Vedi anche CHANTRE E. = Album de l’ige du bronze, tab. III. fig. 3. ? KeLLER F = Pfahlbauten: VI Bericht, Zirich 1864, taf. IX, fig. 36. ® In Italia si conoscono anche quello della torbietra di Trana in Piemonte (GA- STALDI B. = Iconografia, ece., tav. VIII, fig. 15) e quello scavato nel 1876 dalla palafitta Keller alla Stazione di Bodio nel lago di Varese. (ReGAZZONI I. = L’ uomo preistorico nella provincia di Como. Milano, 1878, pag. 55, tav. VI, fig. 3); ma que- sti sarebbero nuovi ed intatti, per cui conservanti la forma tipica primitiva. * STROBEL P. = Op. cit.; pag. 5, tav. III, fig. 13. 496 C. MARINONI, rinnovato alla mola; ma importa notare invece che lo spigolo la- terale della lama porta un certo numero di intaccature che non sono nè recenti, nè casuali e di cui ora non saprei dar ragione. Ecco le dimensioni dei palstaab e del coltello-ascia, a comple- mento della loro descrizione: Coltello-|Palstaab| Palstaab| Palstaab| Palstaab logoro del tipo Moe- (fig. 3) | (fig.6) | logoro — ringen Millimetri | Millimetri | Millimetri | Millimetri | Millimetri ascia nuovo | usato e | rotto Lunghezza totale. . . . . . + 110 180 156 -- 130 » del solo fendente. . . . _ 85 70 _ 70 Larghezza della testa . . . . . 20 28 25 — 36 » all’origine del fendente . . —_ 30 30 _ db » al tagliente (corda dell’arco) 45 52 46 —_ 62 Spessore all’origine del fendente . 10 10 10 _ 3 Posò 0 è ee è 0 a e | AT 174 | Gr All | GEZ01 |) Es ARIETE Associato agli arnesi descritti, di cui conserva tutti i carat- teri di antichità, stava uno scalpello di bronzo di quelli che si appellano sgorbie. È un cilindro leggermente conico, lungo mill. 123, cavo fino alla profondità di mill. 80. La sua sezione più grande è circolare e conformata a cordone rilevato col dia- metro interno di mill. 15 e di mill. 20 all’esterno; l’altra estre- mità, conservando sempre l'andamento conico, negli ultimi 30 millimetri di sua lunghezza è scanalata da una larga docciatura che finisce in un arco tagliente di 10 millimetri (fig. 7). L’affi- latura fatta a mola che oggi vi si scorge è recente; il suo peso è grammi 93 1/2. — Durante l’età del bronzo non erano ignoti gli scalpelli, dacchè ne furono rinvenuti nelle palafitte del lago di Ueberlinger in Svizzera (KeLLER, PfalMlbauten, VI Bericht, tab. IX, fig. 38); ma il loro tagliente era dritto. L'unica figura a me nota di un arnese assai somigliante a questo di Castel- Porpetto, è quella data dal dott. Aspelin di uno scalpello a bossolo con docciatura, proveniente dall’Altai:* — opino quindi che debba 1 ASPELIN J. R. = Sur l’age du bronze altaico-ournalien ; nel Compte-rendu du Congrès international d’anthropol. et d’archéol. préhistor.; 7° session è Stockholm 1874, pag. 573, fig. 40. R BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 497 | ritenersi per un vero niatpaiio e che possa avere un asia È Mifeecezionale. H La fig. 8 riproduce la donna di una punta di lendità di cui ne ebbi due esemplari identici fra loro in tutto, fuorchè nella qualità della patina, verde come negli altri oggetti nell’ esem- | plare disegnato, bruna e ossidata nell’ altro. Noto addirittura per | maggior chiarezza le dimensioni dell’arme per ciascuno dei due esemplari, avvertendo, come puossi rilevare anche dalla figura, che sono del tipo a cartoccio, col doppio foro laterale per il chio- . detto che serviva ad assicurare l’innastamento: d | Esemplare Altro esemplare i (fig. 8) non figurato a patina verde | a patina bruna ‘Lunghezza totale. . . . . ... +. + | Millim. 163 Millim. 153 » dbliasiamztz:v:*0) 00 Oiogscto:n | »" 95 » 102 i dla eragloczuit ieri rt cala » 68 » 51 » del cavo. interno.. . . . . ... » 70 » 80 Larghezza massima della lama. . . . . . » 27 » 32 Diametro interno del cartoccio alla base . . » 18 » 18 Altezza del foro di innastamento dalla base . » 35 PONE 38 ME AED E SUE POTE VT A Ii Grammi 85 «Il cannuolo s’interna anche nella lama, che perciò riesce at- traversata nel senso della sua lunghezza da un rilievo conico che le da robustezza, ai cui lati poi va degradando e allargandosi il lembo tagliente, diviso in due distinti piani che descrivono un | contorno flessuoso. Nella illustrazione che il Keller fece degli | avanzi di umana industria tratti dal lago di Ueberlinger son ci- i tate alcune cuspidi di lancia di questo tipo; ma più chiara ed "i evidente è la rassomiglianza con quelle trovate nel lago di Bour- 4 get’ e riferite alla bella età del bronzo di quelle palafitte. Mancando notizie positive sul modo di giacitura di cotali 0g- — getti nel suolo, riesce impossibile fondare congetture sulla na- PAS ! CHANTRE E. = Op. cit.; nel «Gone ronda du Congrès international d’anthrop et d’archéol. préhist.; 7° session è Stockholm 1874, pag. 419. Vol. XXI. 32 498 . 0, MARINONI, tura della scoperta; nondimeno mi pare che il loro studio possa condurre ad affermare indubbiamente l’esistenza dell’uomo del- l’età del bronzo anche nel Basso Friuli, fatto che non può esser dubbio se vi lasciò le sue armi e gli utensili della sua Peigiconn Di un interesse assai più grande per l'archeologia preistorica è la scoperta di un ripostiglio di bronzo trovato nella pianura presso il Tagliamento, forse nel sito di un antico suo alveo, della quale credo opportuno di dare una _succinta relazione. — Sul finire dell’anno 1876 (nel dicembre), eseguendosi certi lavori per sradicare una vecchia piantagione di viti in un campo detto Braida di S. Gottardo di proprietà del nob. dott. Carlo Zorzi di Trieste, podere situato nel territorio di Belgrado, verso Gra- discutta, frazione del Comune di Varmo, in distretto di Codroipo, fu rinvenuto ad una certa profondità non ben precisata (all’in- circa di ‘due metri) uri vero deposito di oggetti di bronzo. In diverse circostanze potei raccogliere una-decina circa di quelle reliquie vetuste; ma pare che la quantità delle anticaglie ivi sep- pellite fosse molto più grande di quel che ora è posseduto e de- positato al Museo di Udine, essendochè i testimoni e gli autori stessi della scoperta concordemente attestavano e mi descrivevano oggetti di forme distinte, sommanti in complesso al peso di oltre 50 chilogrammi di bronzo, che da quelli ignoranti villici furono occultamente sottratti al proprietario e per vilissimo prezzo ven- duti ad un battirame di S. Vito al Tagliamento. Fu un caso for- tunato se il signor L. Zambaldi, farmacista di Casarsa, racco- glitore di oggetti artistici ed archeologici, potè salvare ben 7 di quei pezzi, che poi cedette al prof. G. Marinelli, il quale li ac- quistò per conto del Museo di Udine: più tardi poi anche il si- gnor conte Giovanni di Varmo riuscì a rintracciare qualche al- tro frammento di quel tesoro archeologico dilapidato. 1 Ebbi le notizie risguardanti la località dal signor A. Grazzolo, rappresentante dello stesso signor Zorzi. — L'indicazione mi servì poi a verificare sopra luogo, © la località precisa sarebbe a 4 metri dal muro occidentale {della cascina dei conti Rotta. BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 499 . . È inutile che io rammenti qui l’importanza storica della loca- lità di Belgrado nei tempi medioevali e romani'; le reliquie cui | accennosiriferiscono a tempi ancor più remoti, epperò sarà piut- . tosto il caso di riflettere sul fatto che in alcune delle località —circonvicine furono rinvenuti avanzi dell’èra neolitica. — Per quel che si può concludere dalle indicazioni raccolte, stavano i bronzi tutti insieme sepolti in un suolo molto antico; e lo strato inerte trovato intatto sotto il terreno coltivato superficiale può î attestare l'incolumità di quel nascondiglio, svelato soltanto dalla | circostanza dei lavori nuovi ed alquanto profondi. Quindi io credo che nel caso attuale non possano esser tirate in campo, a met- terlo in dubbio, le condizioni di luogo, la poca profondità, l’ esser presso le sponde di un fiume, o in vicinanza a luogo abitato, cir- costanze che potrebbero far supporre dei rimaneggiamenti del suolo; inquantochè anche le alluvioni del fiume che soggiaciono direttamente allo strato inerte, nel cui lembo inferiore furono scoperte le reliquie, si presentano regolarmente disposte come un fiume le abbandona, e già rese quasi concrete per debole ce- mentazione. Tali condizioni di giacitura notate dagli scavatori, io stesso verificai anche nelle località circostanti e sui fianchi dei campi all’intorno rialzati, essendo quella zona di paese frasta- gliata da canali e da strade. — Gli oggetti di bronzo, come dissi, giacevano nella terra, ma senza riparo alcuno, ammonticchiati alla rinfusa insieme a qualche ciottolo e ai frammenti di un vaso figulinario; e come questo fu malmenato e distrutto dall’ ingorda avidità dei contadini, quelli furono dispersi e non ne rimase al- tra traccia fuorchè la memoria. Prima ancora di descrivere i pochi cimelii salvati, riferirò l’im- pressione lasciata dalla loro scoperta nella mente di quei conta- dini, poichè essa ne porge il destro a congetturare con qualche i La località indicata è sita sulla sinistra del fiume Tagliamento: fu nel medio evo e in tempi posteriori feudo dei conti Savorgnano, e di quest’ epoca si conservano me- morie moltissime, poichè quivi era il passo del fiume. — Molti nomi geografici ed altri indizii accennano anche a memorie probabilmente romane; e in alcune carte x geografiche è quivi segnata appunto una strada romana. 500 C, MARINONI, fondamento quale ne sia la porzione andata perduta sotto il ma- glio del battirame. — Ricordano i testimoni oculari come vi si contenesse una lama di spada, ma corta e dritta, colla costa rilevata nel mezzo fino alla punta e rotta presso l'impugnatura; parecchie scuri quali simili a semplici cunei da spaccar legna, altre di forma un po’ diversa molto allungata; numerosi fram- menti del bordo ricurvo di un gran piatto (orlis de plats) sot- tili e distesi in lamina da un lato, ma con grosso cordone rile- vato dalla parte convessa della curva; infine alcuni ammassi in- formi, assai pesanti, affatto simili alle scorie di rifiuto delle no- stre fucine. — Lo splendore della lega che traspariva di sotto alla patina di idrocarbonato di rame, eccitò la curiosità degli operai e li indusse a portarne un primo saggio a fondere nella fucina del fabbro di Varmo; e l'indomani della scoperta tutto quello che non sfuggi alla bramosìa dell’inatteso guadagno, prese la via del maglio. Io non esito a prestar fede a codesta narra- zione per la sua consonanza con altre fonti a cui attinsi, e per- chè trova conferma negli oggetti stessi pervenuti in mie mani: — mi par di ravvisare la lama di un’antica spada di quelle che corrono sotto il nome di spade galliche, e un’impugnatura iso- lata si trova appunto nelle reliquie da me studiate; le scuri o cunei son rappresentati fra i resti tratti da quel ripostiglio che ora -si conservano al Museo Udinese; e gli orli di piatti sono un'espressione molto pittoresca che non va presa nel senso let- terale, ma invece in quello di porzioni di falci infrante, di cui una punta ne rimane tuttora. Gli altri sono massi informi di bronzo da colatura, pezzi staccati dagli arnesi gittati nelle forme, o rifiuti di fucina, come quello che è pressochè tutto di ferro. — Ma basta di ciò: eccomi alla descrizione degli oggetti capitati in mia mano per vie diverse, ed ora formanti parte delle colle- zioni del Museo patrio di Udine. Sono: 1.° Un palstaab di bronzo (fig. 9) perfettamente conservato, di quelli a margini quasi paralleli, con alette corte ma larghe e se- micircolari, occupanti la porzione mediana e protendentisi verso la testa dell’arnese. La parte superiore è fornita di due punte ri- BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 501 csì, che con ti curva si vanno allargando verso il taglio i quasi semicircolare, affilato e tagliente. L’esemplare studiato è . fra i più grandi che si conoscono, avendo per dimensioni Lunghezza totale . . +0. i è. è +» è, mill. 200 » del''-solo;fendente.ettietra es ii 92 » del cannuolo di immanicamento. . >» 60 » della parte superiore sporgente. . >» 48 Larghezza della testa. . . +... +, > 35 >» dell'origine dellalama. . . . . > 31 Spessore della lama all'origine . . . . .. >» 15 Massima larghezza del filo tagliente . . . . > 59 Pesa grammi 652 '/g. Ridotto levigato nella porzione inferiore, restano ancora tutto il ruvido e le scabrezze caratteristiche dei lavori di semplice fu- sione nel corpo dell’ascia, nella docciatura fra le alette e al capo. La superficie è in parecchi punti ammaccata dalle tracce della lima e dello scalpello con cui si tentò di assaggiare il metallo, che vi appare di un color dorato rossiccio, splendente fra il verde cupo della patina antica conservatissima. — Due al-. tri frammenti di consimili utensili, cioè una porzione di fendente presso il taglio e la testa superiore a semplice incavatura lunare di un altro, confermano appuntino la natura della lega metallica e le particolarità di forma su riferite: questi mi furono molto tempo dopo procurati dal signor conte G. B. di Varmo e pro- vengono dallo stesso trovamento. Il palstaab descritto è di quelli che, nella classificazione pro- posta nella Révue archéologique, sono designati sotto il nome di hache ailerons et sommet en croissant, tipo caratteristico del- l'epoca del bronzo, al quale appartiene anche buon numero di quelli trovati finora in Italia. Possiede intieramente la forma e le proporzioni di quelli di Campeggine® e di Castellazzo ® nelle ter- È JE 1 Dictionnaire archéologique des Gaules. Vol. 1, tav. XXV, fig. 20. 2 StROBEL P. = Op. cit., pag. 5, tav. III, fig. 13. — GASTALDI B. = Nuovî cenni ecc., tav. IV, fig. 1. ? STROBEL P. = Op. cit., pag. 10, tav. IV, fig. 40. 502 C. MARINONI, remare dell’ Emilia dove, come afferma lo stesso signor Strobel, tal forma non è rara sebbene non comune; in Lombardia furono già illustrati quelli simili rinvenuti nelle torbiere di Bosisio! e di Comabbio," nonchè quello di Castel d’ Ario in provincia di Mantova;* e finalmente lo stesso arnese fu tratto anche dalla pa- lafitta di Peschiera. Senza protrarre più oltre le indagini, ricor- derò come ora debbasi aggiungere a questa lunga lista anche. un altro citato in questa nota e stato rinvenuto a Esemon di sotto, nel distretto di Ampezzo in Carnia, il che può servire ad atte- stare sempre più che da noi codesta era una foyma tipica che si manteneva costante. Una tale conclusione acquista un inte- resse tutto speciale quando si consideri la estensione geografica in cui è sparsa la forma tipica del palstaab in quistione; poichè. la riscontriamo perfetta e comune nella valle del Danubio, più rara e alquanto modificata nella Francia (fonderia di Larnaud nel Giura,°) e nella Svizzera” dove è prova manifesta della im-' portazione dell’industria del bronzo dall'Italia in quei paesi, per poi perderla affatto procedendo verso le contrade più settentrio- nali dell’ Europa. 2.° Due piccole scuri (fig. 10) di un bronzo ricchissimo di rame, pesanti l'una gr. 95, l’altra gr. 81, a forma quasi ret- tangolare, appiattite, a margini parallelli, senza orecchioni, e solo ' VILLA ANT. e G. B. = Armi antiche trovate nella torba di Bosisio, in-fol. Mi- ‘ lano, 1856, fig. 1. — Vedi anche MARINONI C. = Le abitazioni lacustri e gli avanzi di umana industria in Lombardia. Milano 1868, pag. 31, tav. VII, fig. 7. — Re- cazzoni I. = L'uomo preistorico nella provincia di Como. Milano 1878, pag. 94, tav. VI, fig. 1. 2 MARINONI C.—= Nuovi avanzi preistorici in Lombardia ; 2% relazione. Milano 1871, ‘ pag. 8, tav. I, fig. 6. 3 GIACOMETTI V. = Relazione intorno ad alcune scoperte paleoetnologiche ultima- mente fatte nelle adiacenze di Mantova, pag. 62. 4 SACKEN, = Der Pfahlbauten in Garda-See, pag. 17, fig. 1. 5 HAMPEL. = Antiquités préhistorignes de la Hongrie; tab. IX, fig. 28. 6 CHANTRE E. = Op. cit.; nel Compte-rendu du Congrès international d’anthropo- logie et d’archéologie préhistorique, 7° session è Stockholm 1874, tome I, pag. 417, fig. 10. — Vedi anche Dictionnaire archéologique des Gaules. Vol. 1, tab. XXV fig. 20. 7 DEsoR E. = Op. cit.; pag. 37 e 39. — DEsoR. = Die Pfahlbauten des Neuen- burger Sees. Trad, tedesca di F. Mayer, pag. 57, fig. 35, BRONZI ‘PREISTORICI DEL FRIULI. 503 Ù allargate rapidamente verso l'estremità inferiore per formare il E | tagliente. Le misure prese sui due esemplari fanno rilevare che la testa è alquanto più larga e più grossa; ma quivi sono ap- punto spezzate, portano impressioni di colpi e quindi non si può giudicare definitivamente della loro forma ed uso. — La loro | piccolezza però (lunghezza mill. 77, per mill. 27 di larghezza e mill. 6 di spessore medio nella prima, e di mill. 69 di lun- ghezza per mill. 20 di larghezza con uno spessore massimo al 0 capo di mill. 10 nell’altra) ed il loro rapido decrescere mi fanno bo pensare fossero piuttosto dei cune; che non delle piccole scuri, __ inquantochè il poco peso ed il filo assai ottuso non si addatte- — rebbero allo scopo di arme. Fors'anche saranno state vere ac- cette, ma che infrante possono essere state riutilizzate a modo di cuneo; e l’impronte di colpi ripetuti sulla faccia di frattura della testa ingrossata, ormai quasi velate dalla patina antica, | conservatissima anche in quel punto e chimicamente alterata e | ridotta.in polvere bianchiccia come su tutto il resto dell’ arnese, mi pare potrebbero servire ad avvalorare codesto modo di ve- dere. — Considerando per resti di accette cotali reliquie, per la . loro rozzezza, vanno paragonate colla scure di bronzo rinvenuta | nello strato superiore della palafitta di Fimon presso Vicenza! È o con altre trovate a Narni, e all'Isola d’Elba, le più semplici | @ primitive conosciute fra quelle d’Italia; ma la loro forma e le dimensioni richiamano più facilmente agli analoghi strumenti di «| rame posseduti dal Museo di antichità di Dublino provenienti da scavi dell'Irlanda, nonchè a quelli dell'Ungheria,” i quali rappresentano un’ èra speciale di civilizzazione che in quei paesi pare abbia preceduto la vera età del bronzo. Ciò mi indusse . altresì a ricercare la loro composizione chimica, che riferirò più innanzi; ma se il risultato di questa fu negativo e apparve la . lega, resta almeno provata una volta di più la importazione presso di noi delle forme già in uso nella gran valle danubiana. 3 ! Lioy P. = Op. cit.; pag. 43, tav. XV, fig. 164, 165, 166. ni 2? PuLszxy (De) Fr. = L’age du cuivre en Hongrie; nel Compte-rendu du Congrès ‘international d’ anthropologie et d’ archéologie préhistorique, 8° session, Buda-Pest 1876; tom. 1, pag. 220, tab. I, fig. 2. 504 C. MARINONI, 3° Di armi pervenne in mia mano anche la impugnatura di una spada di bronzo quasi completa (fig. 11). Essa è prisma- tica, a sezione esagonale, allungata, adorna, sulle due facce più ampie, di alcune grosse linee in rilievo, che convergendo verso il mezzo formano tre angoli a lati paralleli. L’impugnatura sui suoi spigoli e sui rilievi presenta ancora tutto il fare rozzo del primo getto di fusione; nell’interno poi è cava, e ciò si può benissimo scorgere alla parte superiore dove il bottone termi- nale è nettamente spezzato ed in parte esportato; mentre dal- l’altro capo, dove per la rottura si vede la cavità interna fino ad una profondità almeno di 4 centimetri, sta infisso un altro pezzo di bronzo, pure di forma prismatica e rettangolare, che ritengo fosse la vetta o coda del gladio. In apparenza essa vi è insaldata con un mastice messovi ad arte, ma che mi parve essere o con- tenere del solfato di rame prodottosi probabilmente nelle spe- ciali condizioni di giacitura in cui gli oggetti furono conservati per lunghissimo tempo. Le dimensioni misurate sull’originale danno una lunghezza di mill. 84, una larghezza media sulla se- zione di mill. 34 ed una grossezza di mill. 19, misure che sono appunto calcolabili per una mano non certamente più poderosa dell’ordinario. Tale impugnatura sul cui vero scopo stetti a lungo dubbioso, trova la sua ragione di sussistere in quel ripostiglio, dac- chè par certo che una lama di spada, rotta all’elsa, si trovasse pure in quella porzione del tesoro che andò perduta sotto il maglio. Nè mi pare azzardoso riferire ad epoca così lontana una tal arme, pensando alle belle spade che ornano le collezioni preisto- riche dei più rinomati musei di antichità, e non rare neppure in Italia; ma anche perchè con opportuni esempii tolti da utensili diversi (celt, scalpelli, ecc.) si potrebbero confermare il sistema già in uso di immanicatura ed il motivo dell’ornamentazione. Citerò a proposito soltanto il martello della palafitta del lago di Neuchàtel conservato nella collezione del colonnello Schwab che fu illustrato dal Desor,! un celt ungherese a cartoccio figurato dall’ Hampel * 1 Desor E.= Die Pfahlbauten des Neuenburger Sees, tvad. di F. Mayer. Frankfurt am Mein, 1866, pag. 64, fig. 47. ? HAMPEL, = Op. cit.; pl. 15, BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 505 . che probabilmente è il medesimo riportato dal signor Hans Hil- debrand nella sua Memoria presentata al Congresso interna- zionale di Stockholm, sui rapporti che esistono fra le età del bronzo in Ungheria e in Scandinavia; * e finalmente altri due celt citati dal signor Aspelin nell’istessa occasione e provenienti dall’ Altai-ournaliano. ® Cotali raffronti provano all'evidenza che l motivo di ornamentazione, semplicissima per sè, che appare sulla impugnatura di Varmo, lo si incontra anche su altri avanzi dell'industria del bronzo rinvenuti in paesi che sono da quell’arte istessa strettamente legati al nostro. 4.° La estrema punta acuminata di una falce. Indubbiamente ‘il frammento a me pervenuto è porzione di un siffatto utensile ; ma assai difficile sarebbe il volersi figurare l’istromento rico- strutto, perchè anche all’epoca del bronzo tale arnese non con- servò sempre un unico tipo di forma. Il fatto dell’avermi i con- tadini, assistenti alla scoperta, ripetutamente parlato di orli di piatti, ma senza fondo, e l'assoluta mancanza nel ripostiglio di resti di lamine metalliche che li potessero in qualche modo rappresentare, mi suggerirono l’idea che si trattasse invece di frammenti di falciuole; nella quale induzione converrebbero ap- punto i caratteri del dorso tondeggiante e rinforzato da un cor- done in rilievo, del margine tagliente ottenuto per martellamento, del quale siiscorgono ancora evidentissime le impressioni dei colpi, e infine della disposizione della lama non pianeggiante, ma in- vece incurvata come nelle falci usate anche oggidì. Del resto ne sono state raccolte in ogni parte d’ Europa, e da noi precisa- mente a Peschiera? nella palafitta, nelle terremare del Man- tovano, del Bresciano e dell’ Emilia, * nelle torbiere e nelle ne- ' HILDEBRAND H. = Op. cit. in Compte-rendu du Congrès intern. ece., 7° session à Stockholm 1874, tomo I, pag. 542, fig. 6. 2 ASPELIN J. R. — Op. cit. in Compte-rendu du Congrès intern. ecc., Te session è Stockholm 1874, tomo I, pag. 568, fig. 15, la. | ® SACKEN. = Op. cit.; pag. 23, fig. 13. 4 GastALDI B. = Nuovi cenni, op. cit., tav. IV, fig. 17 e 18. — Vedi anche KEL- LER. = Pfahlbauten, 5 Bericht, tav. II, fig. 667; — e STROBEL P. = Avanzi ecc, op. cit., tav. II, fig. 6 e 7. 506 i C. MARINONI, di cropoli, insomma in pressochè tutti quei depositi di avanzi di umana industria dell’Italia settentrionale che soglionsi distin- guere col nome molto largo di preromani. Il non poter‘stabilire la forma specifica di essa e se appartenga a quel tipo che è pro- prio delle terremare emiliane della bassa Austria, della Croazia e dell'Ungheria ! è quistione di grave momento;- ma non per questo risulta men provata la sua esistenza insieme alle altre reliquie dell'età del bronzo nel tesoro di Varmo. | 4, 5.° La maggior porzione di una fibula, pure di bronzo, stata recentemente ricuperata dal signor conte G. B. Varmo (fig. 12), che è forse il soggetto più interessante fra tutti questi cimelii perchè getta un vivo raggio di luce sull’età del ripostiglio. È da ascriversi ad uno di quei tipi che il dott. Hildebrand classifica. per italiani, ma non si assomiglia però a nessuna delle tre tratte dagli scavi della palafitta di Peschiera. Il suo corpo è massiccio nel mezzo, a sezione pentagonale, incurvato ad arco ed adorno di qualche intacco e rilievo. Si assottiglia alle due estremità, ed uno de’ suoi capi è cambiato in un grosso filo ravvolto su sè stesso in tre giri di spirale, e quindi ripiegato al di sotto in modo in- gegnoso per riuscire a protendersi nuovamente isolato e dritto nell’ago. L'altro capo invece, dove sarebbe stato l’ardiglione, è spezzato; ma si potrebbe completarlo su altre fibule consimili trovate in paese, nella fonderia di S. Pietro di Gorizia, ° nel Vi- centino, © nel Bellunese, a Golasecca e nel Comasco, * ad Hall- statt e nelle necropoli del Bolognese. Il riccio a doppia spirale che si svolge in ago e l’ornamentazione a coste sono caratteri che distinguono le fibule della prima età del ferro; e a quei tempi senza dubbio deve essa riferirsi, tanto più che la analogia dei raffronti appare nei cimelii delle necropoli di quella età. 1 HAMmPEL. = Op. cit., tav. XVII, fig. 46. ? PicorINnI L. — Fonderia di S. Pietro di Gorizia, fig. 8. — Vedi anche Cz6R- NIG (von) K. = Op. cit., pag. 142. ,‘®.Lrox:P..—.Op..cit.,.; pag:044;fig. 173. 4 Leicat M. = Avanzi preistorici del Bellunese; fig. 2. 5 Rivista archeologica della provincia di Como, fasc. Ie II, tav. VII. — Vedi anche CASTELFRANCO P. = Fibule a grandi coste e ad arco semplice; nel Bull. di Paletn. ital., n. 3 e 4, 1878, pag. 98, BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 507* «Unaltro oggetto, fra quelli provenienti dal ripostiglio di Varmo (se non wi fu confusione o mistificazione dopo lo scoprimento) che merita menzione, è un tubo leggermente conico, a sezione elittica in alto e più tondeggiante x verso la base di maggior diametro, che è conformata a guisa di labbro ri- gonfio, a cui fan seguito una gola ed un cordone rilevato, ornamento abba- — stanza elegante che produce appunto la maggior dilatazione della parte che | si può ritener per basale. Sul cilindro cavo è tracciato pure in rilievo, ma un po’ rozzamente, un altro ornato di cordoni paralleli e incurvati. Il labbro n superiore è spezzato, e così come è quel bronzo farebbe pensare ad un bos- | solo per incassarvi l'asta di una lancia; non intendo affatto di pronunciare | su di esso giudizio alcuno, perchè ha Y aspetto di arnese relativamente più recente, chi sa per quale ignota circostanza mescolato alle reliquie preziose del ripostiglio di Varmo. i «6.° Alcune piccole masse di bronzo informe, che propendo a | a considerare per avanzi di fusione, o per materiale preparato a . tale scopo. In quel medesimo suolo furono raccolti anche due o — tre noduli di scoria ferruginosa. isa i Per veroi pochioggetti descritti, ele notizie vagheintorno a quanto . andò perduto, non sono sufficienti per fornire una idea chiara e _ completa dell'origine e dello scopo di quel ripostiglio; nondimeno la forma decisamente preistorica dei più importanti e l’essere essi tutti di bronzo, persuadono ad attribuire quegli utensili a tempi in cui l’uso della lega fosse assai comune, o per lo meno a quello | in cui le popolazioni lavoratrici dei metalli non avevano ancora smesso di usare gli strumenti di bronzo più facili a procacciarsi. Intendo cioè di riferirli al periodo di transizione fra l’età del bronzo e la prima età del ferro, o tutt'al più ai primordii di questa. La forma ed il modo di lavorazione del palstaab con- | servatissimo, dei cunei grossolani e della impugnatura di spada, che mi fu possibile di confrontare con buon numero di analoghe reliquie provenienti da depositi e da monumenti ben conosciuti, attestano senz’ altro la industria dell’età del bronzo; ma tale conclusione potrebbe essere invalidata da una circostanza assai rilevante, la presenza del ferro nella composizione della lega. L’analisi chimica di alcuni dei bronzi di Varmo, stata eseguita nel laboratorio della R. Stazione agraria di Udine dal profes- sore G. Nallino, diede i risultati qui trascritti: 503 C. MARINONI, Palstaab (fig. 9)] Ascia-Cuneo | Frammento Fibula e Bossolo (fig. 10) informe di uso incerto _ di colatura CECO TRE A 89, 488 94, 581 93, 646 i ear 10, 230 4, 975 5, 321 O e 0, 282 0, 444 1, 033 Totale | 100, 000 100, 000 100, 000 che ora presento senza commenti, riservando un tale studio a quando si conosceranno molte analisi e sarà possibile paragonare anche sotto questo punto di vista le reliquie di stazioni umane di differenti località. Ciò nondimeno deve esser preso in consi- derazione il fatto che il ferro esiste nella lega dei bronzi di Varmo, mentre, per quanto mi è noto, non ve ne ha traccia in quelli preistorici della età classica (palstaab di Esemon in Carnia, di Bosisio in Lombardia, * ecc.). Resta poi sempre la fibula della forma di quelle della prima età del ferro che convalida la data del ripostiglio in modo definitivo, anche col fatto della compo- sizione della lega metallica onde è fabbricata, la quale si avvi- cina assai a quella di alcune fibule della necropoli di Golasecca in Lombardia, usate da popolazioni degli ultimi tempi dell’ età del bronzo o piuttosto della prima età del ferro. ° Nella pianura friulana mi resta ancora da annoverare una re- liquia interessantissima, una cuspide di lancia, già posseduta dal I Regazzoni I. = L’uomo preistorico nella provincia di Como. Milano 1878, pag. 94. 2 CASTELFRANCO P. = Sur la nécropole de Golasecca; nel Compte-rendu du Congrès international d’anthrop. et d’archéol. préhist., 72 session, à Stockholm 1874, tome I, pag. 388. — L’analisi fu eseguita nel laboratorio chimico della Società di Incoraggia- mento di Milano e diede il seguente risultato: Rame. . . . 86,10 Stagno. +... 12,90 Eerfo> = - au SE ———__ 100,00 BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 509 | prof. Businelli e dallo stesso poi donata al Museo Civico di Mo- dena, dove ora si trova (cat. n. 296). Fu rinvenuta prima del- — l’anno 1870 (l'epoca non è precisata), insieme ad altri oggetti . di bronzo eda pochi resti di alcuni cranii umani, rimovendo l’al- luvione ammucchiata dal torrente Meduna sulla riva destra, | presso la fornace da mattoni dei contadini Maraldo, non lontano . da Cavasso Nuovo nel distretto di Maniago. Non conoscendo tale | oggetto se non per un cattivo disegno comunicatomi dal profes- — sore G. Marinelli, mi rivolsi al dott. Carlo Boni direttore del | Museo di Modena, dal quale gentilmente mi furono comunicati il disegno della lancia (fig. 13) e le notizie che trascrivo.! La lancia è di bronzo, ricoperta da una bella patina verde quasi incontaminata. Rotta in punta la sua lama è rinforzata da un costone mediano su ambe le facce, degradante verso i bordi che . disegnano il contorno di una foglia di ulivo alquanto allungata: le sezioni normali di questa lama rappresentano per conseguenza tante sezioni romboidi. Alla base invece è munita di un vero cartoccio, conico, vuoto, il cui maggior diametro misura mill. 30, «e quello al punto ove si stacca la lama mill. 18: — il suo cavo | poi si interna per centim. 10 4/2, cioè fino a un terzo circa della lama, e presso al bordo inferiore stanno due fori perfettamente | a riscontro per dar passaggio ai chiodetti di innastamento. Le — dimensioni che si ponno rilevare sono le seguenti: | Lunghezza totale (figura ristaurata) . . . .. +. Mill 220 » della:dsmartiiontizhunta doit » 149 » del'esrtacriosisplato. «e... e e “e Li 004 > Ti Larghezza maggiore della lama (alla sezione). . . » 30 Peso gr. 179. L'aspetto generale ravvicina quest’ arme agli altri numerosi esempi citati nelle relazioni di scoperte paletnologiche; tuttavia Sì distingue per le dimensioni piccole, per la forma della lama a se- zione rombica e non cava internamente, e ancor più per la singola- rità del suo cartoccio percorso da cordoni poco rilevati e ritorti in una spirale che serve di non disadatto ornamento. Volendo poi 1 Colgo l’opportunità per rendere le più vive grazie al sig. dott. cav. Carlo Boni per l'interessamento suo nel soddisfare alle mie ricerche, ‘510 | €. MARINONI, osservare tutto finamente si potrebbe aggiungere che la torsione fu operata a viva forza, dopo estratto la cuspide dalla forma, ‘ sicchè perfino l’asse ne fu spostato ed incurvato. Ciò dinota, è vero, una certa maestrìa dell’artefice e un certo gusto già svi- luppato; ma per questo fatto solo io non credo si possa sepa- rare tale lancia dall’altre trovate in Carnia, nè attribuirla ad epoca diversa, poichè uno è il modo di loro fabbricazione, me- diante il processo della fusione diretta senza ulteriore lavorìo. La lama infatti non porta traccia alcuna di quei fregi che com- binati di linee semplici erano già usate nell'Italia superiore per abbellire le armi durante la prima età del ferro. Gli altri oggetti di bronzo ed i resti di ossa umane pr gia- cevano nelle ghiaie di quell’alluvione, associati alla lancia de- scritta, furono quelli venduti e questi dispersi dai contadini; nè dopo tanto tempo fu possibile di raccapezzarne le tracce. Anche nella regione alpestre non mancarono gli indizii della età del bronzo che, sebbene fino ad ora poco numerosi, due:pal- staab e una lancia, sono però importantissimi per l’ ubicazione dei luoghi dove furono rinvenuti. Provengono dalle vallate co- municanti coi passi alla Carinzia e al Bellunese, collegano le re- gioni confinanti e preludiano alle scoperte future. Uno dei palstaab è assai guasto: non ne resta che la testa dalla quale furono staccate le due punte ritorte, e la porzione me- diana dove è la docciatura formata dalle alette rivoltate; — poco sotto di queste è spezzata là dove il fendente comincia ad allar- garsi. Dalle note del dott. G. Gortani, assiduo ricercatore delle antichità carniche, si rileva come sia stato trovato nell'autunno del- l’anno 1874 in Esemon di sotto, frazione del Comune di Ene- monzo, distretto di Ampezzo, mentre si scavava una cisterna nella corte di una casa di contadini, la prima a mano destra entrando nel villaggio. La cisterna scavata sopra una china formata dalle frane di un colle vicino, ha ora*la profondità di metri 450; ma, gli scavatori rinvennero l’ascia arrivando collo scavo un po’ oltre tre metri, dove eransi osservate tracce di carboni e raccolta an- BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 511 | che una moneta di bronzo (?) indecifrabile. Nè sopra nè sotto — nessun’altro indizio. Tale palstaab, oggi conservato nel Museo Udinese, in onta ai guasti subìti ricorda il tipo primitivo ca- | ratteristico dei tempi del bronzo, in cui le alette raccorciate sono . collocate verso la sommità o tutt’ al più a 4/3 circa della lunghezza dell’arnese, ed il fendente si protende senza allargarsi, termi- i ‘mando con un taglio leggermente lunato e convesso: — riproduce . adunque la forma di quello rinvenuto nel ripostiglio di Varmo. . La sua composizione chimica fu riconosciuta dal prof. G. Nallino nel laboratorio della R. Stazione agraria di Udine e risultò di RAnòd n.0 rit t, 89,467 SUBRHO «è, è ee 995990 INDORORI?t 2° IT 04 VO0ST 100,000 — L’altro palstaab fu rinvenuto casualmente nell'autunno 1874 da un villico scavando il terreno appiè del Monte S. Floriano, nel Comune di Imponzo, distretto di Tolmezzo, cioè sulla sinistra della valle fra Tolmezzo ed Arta (Canal di S. Pietro). Mancano le no- tizie sulle condizioni del suo giacimento: — ora è in possesso del signor dott. G. Gortani di Arta che lo acquistò nell’anno succes- sivo; ma prima soffrì non poche avarie perchè si tentò di lùci- darlo sfregandolo coll’arena, che ne rovinò la superficie con mi- di. gliaia di sfregi: — nella forma rimase però inalterato. Quest’ascia (fig. 14) è di bronzo a contorni regolarissimi, assai robusta e | differisce da quelle di forma tipica soltanto pel lungo cartoccio | conico più largo in alto verso la testa, formato dalla due alette che sono ampie, semicircolari e rivoltate su sè stesse fin quasi a toccarsi. La testa è massiccia e col suo prolungamento attra- versa in tutta la sua lunghezza il bossolo formato dalle alette, ingrossandosi man mano fino a raggiungere lo spessore di 1 cen- timetro là, dove uscendo fuori dal cannuolo di immanicamento si fa piatta e si dilata in largo fendente. Così i 2/5 superiori dell’ar- nese sono foggiati in una {specie di cartoccio conico del diametro maggiore di mill. 33, e largo soltanto mill. 25 al punto ove inco- 512 C. MARINONI, mincia la lama, separato in due metà dalla radice della lama stessa, che forma poi la testa dell’accetta. Il fendente incomincia largo mill. 25 e diverge rapidamente i suoi bordi fino a mill. 66 che si misurano alla corda dell’ arco formato dal filo tagliente; l’ascia poi è lunga in tutto mill. 157. Aggiungo che esaminata attenta- mente appare essere di primo getto, senza ritoccature, meno al margine tagliente dove si assottiglia tutto d’un tratto. Questa circostanza si verifica osservandone il profilo, e pare effetto dello sfregamento operato contro qualche corpo duro, allo scopo di ottenere il filo che è ancora intero e continuo sebbene reso un po’ attondato dall'uso. La ritengo poi di semplice getto perchè in qualche punto appaiono delle lacerazioni nella materia, do- vute alle bolle gazzose scoppiate durante il raffreddamento della lega nel suo stampo in causa di imperfetta fusione: è facile ri- conoscere l'origine di tali impressioni alla loro forma, ai margini ed al fondo rivestito dalla patina verde antica che vi è perfetta- mente conservata come sulle alette e nei punti più riparati della docciatura. L'aspetto robusto dell’utensile, la larga lama a bordi divergenti e quasi rettilinei, nonchè la conformazione del cartoccio quasi interamente chiuso, preludiano alla forma più comune nei palstaab usati durante l’epoca del ferro, che si in- contra sovente nelle palafitte svizzere * e in tutta l’ Europa al di là delle Alpi, ma che sembra esistesse già presso di noi colla civiltà del bronzo. Sono di questo tipo infatti quello già da me illustrato con figura, e stato trovato in terreno uliginoso a Lon- ghena presso Bagnolo nella provincia di Brescia, altri due rac- colti in Val Sabbia, alcuni probabilmente di quelli di Peschiera” e altri delle terremare dell’ Emilia. La loro esatta comparazione rende incontestabile testimonianza della non assoluta uniformità di tipo nei diversi oggetti usati in una medesima epoca e nello Stesso paese. ? Le figure date dal Keller di alcuni palstaab di ferro della palafitta di Marino (KeLLER. = Pfahlbauten, ecc.; VI Bericht, tav. XII, fig. 8, 9, 10) riproducono esattamente la forma del palstaab di Carnia. ? MaRINONI C. = Nuovi materiali d paleoetnologia lombarda ; negli Atti della So- cietà ital. di sc. nat., vol. XV, fasc, III, agosto 1872, tav, I, fig. 8. 1 SACKEN, = Op. cit., pag. 17. BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 513 _ di Giaveada (Civiada della carta di St. magg. aust.), presso il . bosco Bernone nel territorio di Forni di sotto (distretto di Am- pezzo). Attualmente essa è in possesso del signor ing. Valentino Marioni dal quale gentilmente ne ebbi notizie e disegni per mezzo del prof. Marinelli. È una lancia (fig. 15) di quelle a can- none, di bronzo, della forma più perfetta a foglia d’ulivo; ma affatto semplice e senza fregi, come tuttora si può verificare, quantunque l'ossidazione abbia prodotti non lievi guasti nella bella patina verde lucente che la riveste e nella massa metallica | stessa in pareechi punti ròsa e lacerata. Per tutta la sua lun- | ghezza è attraversata da un cavo conico a sezione quasi circo- . lare, del diametro maggiore di mill. 28, che alla base si prolunga oltre la lama e finisce in forma di un bossolo, dove sono le nic- . chie per i chiodetti, che posti trasversalmente la fermavano al- . l'asta di legno. Eccone le dimensioni: Lunghezza totale i... . .i » » + Mill. 280 » II MIT ONCE BRIO TE PRADA RETE OA » 230 ; » Wi bossolo ipluto”.: 0... 1. e » 60 Larghezza massima della lama . . . . . a STI «Tale arnese è da assegnarsi alla vera epoca del bronzo per la sua forma semplice, propria delle lance di tal’ epoca state rin- ‘ venute in altre località già note del versante meridionale delle Alpi. Infatti si può mettere in confronto la lancia di Giaveada colle due rinvenute nella palafitta di Peschiera,’ e forse anche con quelle di Vadena nel Tirolo meridionale. La rassomiglianza è ancor maggiore con quelle delle terremare di Bargone, di Salso? e di Casaroldo® in territorio di Parma, nonchè collo stampo da fusione tratto dagli scavi nella terramara di Casinalbo presso Modena, stato illustrato dal signor Carlo Boni;* — del resto 1 SACKEN. = Op. cit., pag. 19, fig. 3. ® SrRoBEL P. = Op. cit., pag. 5, tav. II, fisc. 40. ® STROBEL. = Op. cit., pag. 410, tav. IV, fig. 37. ‘4 Boni CARLO. = Doppia forma da fusioni di Casînalbo; nel Bull. di Paletnoî, ital., anno 1, pag. 35, tav. II, fig. 8. Vol. XXI, 33 D14 C. MARINONI, lance analoghe non sono rare specialmente nelle stazioni pre- istoriche meno remote della gran valle padana. — Fuori d’I- talia poi lo stesso tipo fu constatato nella stazione lacustre del lago di Bourget in Savoja (E. Vacher in fotografie), e nella pa- lafitta dell’età del bronzo del lago di Ueberlinger in Svizzera, di cui l’ esemplare figurato dal Keller,! salvo le dimensioni maggiori. nella nostra, è forse quello con cui la analogia di forma è più evidente; — ma pare piuttosto ancora maggiormente diffuso nelle contrade orientali dell’ Europa, cioè nell’ Ungheria? e fino nel- l’Altai* in depositi di reliquie umane attribuite a quel periodo di incivilimento. Le indagini paletnologiche praticate in Friuli, misero finora in luce qualche reliquia sporadica e le tracce non ben sicure di una palafitta attribuita all’ epoca neolitica, quindi i cimelii dei primi tempi dell’epoca del ferro rinvenuti a S. Pietro di Gori- zia e per ultimo il piccol numero di utensili di bronzo che sono illustrati nel presente lavoro; ma pur troppo le scoperte essendo state quasi sempre avventizie, mancano di un vero carattere che tutte le colleghi fra loro e a quelle delle contrade limitrofe. Sa- rebbe pertanto presumere troppo il mettere innanzi congetture o trarre deduzioni colla pretesa di chiarire i problemi proposti dalla scienza, nondimeno, da confronti accurati essendo risultati alcuni fatti che mi pajono ben sicuri, gioverà accennarli. E prima di tutto che, anche pel Friuli esistette senza dubbio l’età del bronzo, la quale è attestata dalle reliquie di un'indu- stria umana primitiva che usava di tal materia per fabbricarsi ‘1 KeLLER F. — Pfallbauten; VI Bericht, pag. 289, tav. IX, fig. 32, 33, 34. HAMPEL. = Op. cit, tab. IX, fig. 3, 5 e 11. ® ASPELIN. = Op. cit.; nel Compte-rendu de la 7e session du Congrès interna- tional d’anthr. et d’archéol. préhist., pag. 571, fig. 32. 4 TARAMELLI T. = Di alcuni oggetti dell’epoca neolitica rinvenuti in Friuli; ne- gli Annali scientifici del R. Istituto tecnico di Udine, anno VII 1873, pag. 41 a 70, con una tavola. BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 515 gli utensili di prima necessità: cotali resti furono rinvenuti in | parecchi punti del territorio, tanto nella regione montuosa, quanto i nella parte piana, che dovevano essere già prima abitate. Infatti È sopra una carta mnemonica delle località preistoriche del Friuli," si rileva a colpo d’occhio la coincidenza delle stazioni neolitiche coi ritrovamenti dei resti della civiltà del bronzo e di quella dei tempi posteriori, particolarmente nella porzione piana e meri- dionale venendo dall’ Illirico in cerca del passo del Tagliamento (Cividale, Cormons, Castel-Porpetto, Belgrado di Varmo), o verso il mare (Aquileja). Tale industria ne fu importata dalle contrade del Basso Da- nubio dove si rinvengono gli stessi tipi di quegli oggetti che fu- rono trovati presso di noi; però qui giunta si modificò e perfe- zionò alquanto per l'influenza dei vicini popoli delle terremare prima di procedere verso occidente, passando in Lombardia ed oltr’alpe nella Svizzera ed in Gallia. Il palstaad, per esempio, arnese caratteristico della età del bronzo, apparso in Friuli nella sua forma tipica (Esemon e Belgrado di Varmo) dalle alette . larghe e troncate, colla testa bicorne e col fendente assai allun- gato, identico a quello che contraddistingue i monumenti di que- sto periodo tanto nelle altre parti dell’Italia settentrionale, quanto nella bassa Ungheria e nelle contrade orientali dell’ Europa, qui assume le forme più svariate che un tal tipo può permettere, «non mai però alcuna di quelle che pajono riservate all’ Europa | settentrionale (Montelius) dove il bronzo fu importato da una | razza diversa. E qui a proposito della accennata varietà di forme viene in _ campo un’altra osservazione da registrare: posti a fianco l’un dell'altro i diversi palstaab friulani, dal loro confronto traspare il processo seguìto nel perfezionamento della loro fabbricazione, per cui sarei indotto a non ritenere più per valida la distinzione dei palstaab secondo parecchie forme tipiche primitive, come nella classificazione proposta nella Revue archéologique; ma invece ad ammettere un graduale addattamento di un solo tipo ai bisogni 4 MARINONI C., inedita. i 516 C. MARINONI, nuovi, ai mezzi disponibili dell’artefice ed anche allo sviluppo del suo ingegno, che a poco a poco modificò la forma primitiva. Mi pare che si debba dare molto maggior peso alla circostanza che il succedersi delle diverse forme dei palstaab è in relazione coi progressi dell’industria del bronzo ed anche, come mi parve di scorgere, coll’avanzarsi di questa da oriente verso occidente ; per cui secondo il mio modo di vedere, il loro tipo primitivo sa- rebbe nei cuneî dell’Oural e la forma perfezionata nel celt della Gallia. Propongo di considerare questo fatto che mi parve di leggere a chiare note sui bronzi friulani da me studiati. — I cune? semplicissimi di Belgrado di Varmo (fig. 10) fatti con bronzo ric- chissimo di rame e analoghi a quelli della bassa Ungheria, per essere meglio maneggiati vennero adattati con un lieve ripiega- mento all’interno degli spigoli longitudinali; vediamo quindi na- scere il coltello-ascia di Castel Porpetto (fig. 5) e di Cividale (fig. 3) caratterisco dell’epoca del bronzo. Per aggiungervi un ma- nico, onde usarlo come scure, bastò ingrandire le alette affinchè rinserrassero la immanicatura, ed ecco i primi palstaab colle alette a mezzo del corpo dell’arnese, il fendente robusto e libero, libera la testa e foggiata da leggera depressione lunare, come nella plu- ralità dei palstaab di Castel-Porpetto (fig. 6). Nella bella età del bronzo il semplice incavo lunare si cambia in un’armatura bi- corne adatta a rinforzare l’allacciatura del manico, come a Ese- mon e a Belgrado (fig. 9), costituendo il tipo delle Rackhes è ailerons et sommet en croissant tanto comune nei depositi di avanzi di umana industria della valle padana. Ma i popoli terre- maricoli usarono probabilmente del palstaab, oltrechè come arme, anche come utensile per dissodare la terra: nel nuovo strumento il punto di maggior sforzo era nell’immanicatura; ep- però le alette furono ristrette verso la testa dell’arnese, ma al- largate e sviluppate (palstaab dei dintorni di Cividale, fig. 1, 2 e 4) fino a toccarsi in modo da formare, un vero bossolo (pal- staab di Monte S. Floriano fig. 14) e finalmente comparve anche l’anello per assicurare l’arnese al manico mediante un. legaccio (fig. 4). Codeste ultime forme sono quelle che vanno classificate col BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 517 tipo di Moeringen attribuito alla età del ferro in Savoja, in Sviz- | zera e nel bacino del Rodano e che non difetta neppure nelle no- stre terremare; il bronzo poi dei palstaad citati presentò all’a- — nalisi chimica non dubbie tracce di ferro. — Ed ora per arri- vare al vero celt è breve il passo: sopprimere la radice del fen- ‘dente che divideva il bossolo di immanicatura e ridurre il car- toccio ad un cavo conico, processo che era già praticato per le lancie e negli scalpelli della bella età del bronzo e nella prima età del ferro (fig. 8, 13 e 15). Io interpreto questo esempio come un’altra prova del progresso che ebbe da noi l'industria bron- zaria, tanto per rapporto alla forma artistica, quanto per quello della materia usata; le palafitte di Peschiera e le terremare sparse nella valle del Po sono le località dove devesi ricercare il tipo artistico più spiccato degli arnesi di bronzo nostrali; il corso del Basso Danubio, quello dove si dovrà rinvangarne il tipo primi- tivo, e oltralpe nelle palafitte della Svizzera, in Germania, in Savoja, nel bacino del Rodano, il punto di arrivo della nuova industria perfezionata. La mescolanza poi di bronzi di diversa materia e di diverso lavoro che si verifica anche per le stazioni friulane, non è argo- mento che osti al procedere graduato di tale industria nel senso indicato, perchè è naturale che a guisa di modelli venissero im- portati oggetti di più perfetto lavoro in quelle contrade dove l'industria cominciava appena ad essere esercitata, o non aveva i mezzi per raggiungere un pieno sviluppo. — Anche lo stesso signor Chantre riconobbe nella Valle del Rodano oggetti tipici, . perfettamente identici a quelli d’Italia, mescolati con quelli gros- solani di industria indigena '; e molte scoperte italiane ripetono il fatto in rapporto alle contrade più orientali d’ Europa. Per cui mi pare giusto l’ammettere che il punto di partenza della ci- vilizzazione del bronzo è unico e che certe forme hanno persi- stito, sebbene coll’ espandersi si siano considerevolmente modi- ficate. ! CHANTRE E. — L’dge du bronze dans le bassin du Rhone; nel Compte-rendu du Congrès internat. d’anthrop. et d’archéol. préhist.; 5e session è Bologne 1871, p. 352. 518 C. MARINONI, Le reliquie giudicate della vera età del bronzo, mescolate a quelle che per la forma e per la presenza del ferro nella lega vanno attribuite al successivo periodo, dimostrano sempre più l’insensibile passaggio dall’ una all’altra età. — Ma se si mo- vesse la quistione, se tali oggetti sono di fattura indigena, o se vennero importati da altre contrade, bisogna dichiarare che la risposta a un tal quesito non può essere peranco pronunciata, poichè, se da una parte moltissime scoperte hanno provato che una popolazione alla quale era già nota l’arte di lavorare i me- talli, prese stanza nel Friuli venendo dalle contrade della bassa Ungheria, e che come è presumibile avrà poi mantenute relazioni colla madre patria, dall’ altra dovrassi tener conto della vicinanza di una contrada metallifera, l’ Agordino, e della natura delle sue miniere (calcopirite). Nello stato attuale delle scoperte paletno- logiche ai piedi delle nostre Alpi non si può nè rifiutare, nè tutta ben calcolare l’importanza di questo fatto; soltanto le ulteriori . | ricerche, e principalmente quelle che ancora saranno fatte nel vi- cino territorio bellunese, potranno gettar luce in una quistione che oggi è permesso solo di adombrare, in base al ritrovamento di avanzi di umana industria in quelle valli alpine che dal Friuli mettono nel Bellunese e in Carinzia. Infine le scoperte di cimelii caratteristici della età del ferro, come la fibula di Varmo e i palstaab di Cividale del tipo di Moeringen, dimostrerebbero ancora che quella civiltà, che era già sviluppata presso i vicini popoli delle terremare, andò gradata- mente infiltrandosi nelle famiglie che in Friuli si mantenevano isolate nei loro naturali recessi; e che propriamente anche un’ arte indigena esistette da noi, ma soltanto più tardi, rappresentata dalla fonderia di S. Pietro di Gorizia, che fu dal Pigorini giudi- cata della fase di transizione fra i due primi periodi dell’ età del ferro in Italia.' » Queste mie convinzioni trovano appoggio nelle opinioni già messe fuori da chi è più addentro di me in siffatte quistioni; io procurai intanto di arrivare alla determinazione sicura dei ci- ! PicorInI L. = La fonderia di S. Pietro di Gorizia, op. cit., pag. 11, + pi Lf —melii trovati presso di noi mediante uno scrupoloso confronto con BRONZI PREISTORICI DEL FRIULI. 519 altre analoghe reliquie già note. Ora sarebbe importantissimo che nuove scoperte confermassero anche colle condizioni di giacitura le fatte induzioni, e un altro raggio di luce viva si rifletterà sulle popolazioni preistoriche del nostro paese. ° Udine, aprile 1878. î APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO del Prof. T. TARAMELLI. (Letti nell’Adunanza della Sezione di geologia del Congresso di Varese il 26 settembre 1878) . La vasta provincia di Belluno, della quale, per incarico della onorevole Deputazione Provinciale sto rilevando la carta geolo- gica, va indubbiamente annoverata tra le regioni italiane, alle quali traggono con particolare predilezione i geologi forestieri, porgendone ogni qual tratto alcuni ragguagli stratigrafici e pa- leontologici e per compenso complicando con lontani riferimenti e con denominazioni non sempre esatte la nomenclatura, così spa- ventevolmente confusa, della geologia alpina. Di quei signori e dei loro lavori io nutro la stima più profonda ed arrivo a dire che sotto qualche aspetto vorrei essere nei loro panni; ma non posso a meno di scorgere in questo fatto una prova di più di una ben triste verità, che è mio debito porre in rilievo, come spetta, a chi può farlo, il porvi efficace rimedio. E la verità, o colleghi carissimi, si è che la schiera dei geologi in Italia si è ormai così. miseramente stremata, in specie per gli studi alpini, e che quei pochi che ci lavorano, sono così discordi di idee e scarsi di mezzi, e che le raccolte paleontologiche alpine sono così sparse, così # 520 T, TARAMELLI, difficili ad esaminarsi, così male determinate in gran parte, che lo studio della stratigrafia alpina, insomma, è così trascurato presso di noi da rimanere troppo largo campo a coloro, che nelle esigenze dei loro studi sentono proprio il bisogno di OCENpArRI delle cose nostre. Vero è che trattandosi di forestieri, è tale la fiducia che si ha in loro, da sembrare che taluni in Italia cre- ‘dano che spetti ad essi di fare la carta geologica del nostro paese, e non si è mancato di acquistare i loro lavori, di incoraggiarli con sussidî, di seguirli in via generale nelle demarcazioni dei terreni e di lasciar loro la compiacenza di fare le prime ricerche in quelle regioni italiane che vanno riferite alle Alpi, quantun- que assai ne distino topograficamente. In quanto a me, nei rilievi che ho fatto delle io di Udine e di Treviso e in questo che vado continuando della pro- vincia bellunese, ho procurato di formarmi una serie di terreni, che potesse gradatamente estendersi attraverso le nostre prealpi col minor possibile imbarazzo di sinonimi, con pochi ma sicuri caratteri litologici e paleontologici, con sicuri confini, desunti da fenomeni geologici d’indole generale. Una serie da porre sott’oc- chio ai miei allievi, quando ho la fortuna di condurne qualcuno sui monti; da riconoscersi per sommi capi in cadauna vallata prin- cipale; da rappresentare non un vocabolario, ma una storia. Per alcun tempo, pur troppo per breve tempo, ebbi a compa- gno in questo lavoro l’egregio geologo, che ha illustrato il Can- ton Ticino e questi dintorni di Varese con una delle migliori carte, che siano sino ad ora comparse per le regioni alpine. Se fosse vissuto, ci saremmo diviso il lavoro e movendo dal Verbano e dall’Isonzo, avremmo appianate le differenze tra i nostri modi di vedere, avremmo raccolto in una sola opera la grande messe di lavori, così frequentemente e così a torto trascurati, del nostro comune maestro e di altri geologi lombardi e veneti; avremmo tratto il massimo partito possibile dalle preziose osservazioni dell’egregio geologo, che in questi giorni ci venne irreparabilmente rapito; si sarebbe affrontata insieme la grande impresa di una sintesi dei lavori geologici risguardanti le nostre prealpi; e giunti alla. si stallo i a PI er È È; î 6. n : APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 521 misteriosa voragine del Garda, avremmo procurato di sciogliere . gli ultimi dubbi e di raccogliere in una sintesi coraggiosa la stra- tigrafia mesozoica e cenozoica di questa assai importante regione. Ma pur troppo lui colse prematura la morte e per me doloro- sissime circostanze impedirono di continuare sollecitamente il mio cammino; e solo da poco tempo mi sono riposto in via, e procedo a brevi tratti. Talora debbo altresì soffermarmi per volgere gli occhi giù per l’Apennino, ove la storia delle Alpi si completa o per tendere gli orecchi al frastuono della geologia paleontologica, che si avanza oltre le Alpi con un tale movimento che certa- mente, se la va di ‘questo passo, non la si potrà tra brevi anni non che seguire alla lontana, nemmeno comprendere. Ma per non uscir troppo dal seminato, mi limiterò a deplo- rare due altre circostanze, e sono: che questa sintesi degli studi stratigrafici prealpini non sia stata fatta (e ne son note le ra- gioni) da un geologo, al cui confronto sono ben poca cosa il po- vero mio ingegno ed i miei scarsi mezzi e la mia breve esperienza. Egli, se ne avesse avuta opportunità, avrebbe ben saputo inco- minciare il lavoro della carta geologica d’Italia dal suo princi- pio naturale, cioè dalle Alpi mesozoiche. La geologia delle isole, la si sarebbe fatta dopo e non sarebbe stato male; ed allo studio delle Alpi calabresi si sarebbero accinti dei geologi che conosce- vano le Alpi; e della geologia abbastanza nota dell’Italia cen- trale è di quella molto più studiata della Toscana, meglio si sa- rebbero raccolti i risultati, in armonia colla geologia alpina ed a quest'ora si avrebbe almeno una carta geologica d’insieme del nostro Regno. In secondo luogo lamento che questi studi di stratigrafia pre- alpina, si sieno lasciati ad una ristrettissima compagnia di vo- lontari; mentre il lavoro di rilievo definitivo del nostro Regno sì incominciò nelle regioni le più enigmatiche, ove le ricerche di cronologia geologica era impossibile che non riuscissero a’ quel risultato, che è noto e che doveva prevedersi. Che que- sta compagnia di volontari si sia trovata per molti anni sprov- veduta di raccolte, con pochi mezzi, con musei in continuo tras- 522 i a T. TARAMELLI. loco, con tutti gli impegni dell’insegnante e per giunta col più deplorevole disaccordo in talune questioni più o meno impor- - tanti, le son cose che meritano di non essere sempre taciute. Ed io le accenno anche per giustificare questo mio comparirvi avanti, dopo una lunga escursione alpina, con una memorietta umile, senza tanti nomi, con pochissime determinazioni sicure e con un mondo di dubbi; con poco più che una serie di terreni. I bacini idrografici del Piave e del suo maggior confluente il Cordevole, costituiscono per la massima parte la Provincia di Belluno; anzi nell’attuale posizione dei confini del Regno, questa Provincia non si estende a monte quanto sono vasti quei ba- cini; rimanendone esclusa tutta la bellissima vallata del Boite, da Ampezzo a Camporosso e l’interessante valle di Livinallongo, sul cui versante di tramontana si raccolgono per la massima parte. i fossili di S. Cassiano. Anche la porzione feltrina della provincia stessa, che dovrebbe comprendere tutta la valle del Cismone, è monca al suo mezzo dallo inspiegabile confine del Ponteto; ri- manendo sotto il principato di Trento le valli di Primiero e di S. Bovo. Se fosse completa, questa provincia bellunese presen- terebbe una superficie elissoidale coll’asse diretto secondo la pre- valente direzione delle Alpi Cadorine e precisamente secondo l’asse di un importantissimo vallone di sinclinale, che accoglie le acque del Piave, dell’Ardo, del Cordevole, del Mis, del Cavorame e di altri molti minori confluenti, per convogliarle nella chiusa di Quero. Della storia geologica di questo vallone trattai in altri miei scritti; ora non accenno che alla sua importanza come al- lineamento direttivo nello studio stratigrafico della intera pro- vincia e perchè esso accoglie un’ampia formazione terziaria, che si chiude cogli strati del Miocene medio. Dello studio della sua: stratigrafia ebbe dall’ Istituto geologico viennese recentemente l’incarico il signor Hornes e venne a risultati molto conformi a quelli da me ottenuti e pubblicati in parte otto anni fa nel gior- nale La provincia di Belluno. A monte dell’accennato vallone, sino allo spartiacque del bacino adriatico, si sviluppano a preferenza i terreni mesozoici; i paleo». de soia APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 523 zoici non comparendo senonchè in due affioramenti, pur essi alli- ‘ neati ad un dipresso da nord-est a sud-ovest, l’uno nel Comelico, dove origina il Piave e l’altro nell’ Agordino, da Valle al confine con Primiero. L’alto bacino del Cismone è pure sculto nei ter- reni paleozoici, compreso il masso granitico del Cimadasta, di cui l’epoca di formazione costituisce tuttora un arduo problema, siccome quella dei graniti del Verbano, rispetto alle prossime rocce porfiriche. L’affioramento dell’Agordino è interessante an- che per l'ammasso minerario, che esso contiene; quantunque la | condizione di questa industria sia assai triste per la natura del minerale residuo nel giacimento. Prendendo le. mosse da questi terreni paleozoici o dirò me- glio protozoici, siamo ben lontani dal trovarvi la varietà di piani e la ricchezza di fossili, per cui vanno rinomate le Alpi Carniche. Invece non vi affiorano che due formazioni: quella dei calcari saccaroidi, esclusiva al Comelico, e quella degli scisti quarzo-micacei ed argillo-nicacei, che accompagnano i calcari e che nell’Agordino si sviluppano colle più interessanti sfumature litologiche. Presso le amigdale di calcare saccaroide del Come- lico, di cui la più colossale costituisce il monte di Peralba (2870), prevalgono i micascisti, finamente fogliettati e splendentissimi; | ma è pur duopo notare come quivi presso esista una vasta for- mazione iperitica, che nessuno per quanto io sappia ha indicato sino ad ora e che forma, con un contorno irregolarmente elittico, una zona dal Col Quaternè sino alle radici occidentali del M. Kò- nigsberg, attraverso la Val Digone. La roccia, che vi predo- mina, presenta qualche analogia colle iperiti di Comeglians, nel Friuli, quivi pure associate a calcari ed a calcoscisti saccaroidi. Le si aggiungono, come per le ofioliti apenniniche, dei conglome- rati probabilmente eruttivi, degli scisti intensamente colorati, delle grovacche talcose o cloritiche, analoghe assai a quelle delle vicinanze di Paluzza e di Timau in Carnia, degli argilloscisti in- fine che si piglierebbero per il tipo della formazione di Casanna, deplorevolmente estesa sino all’esagerazione dai geologi, ed ora sfasciantesi con non meno deplorevole precipitazione. Non facendo 524 T, TARAMELLI, per ora questioni di epoca per questa formazione iperitica, mi limito ad esprimere il mio parere, che essa rappresenti una vera e propria roccia emersoria, con tutte quelle sfumature colle rocce aggregate, che si presentano già molto problematiche nella serie dei terreni mezozoici e che naturalmente devono essere di gran lunga più numerose e più graduate, trattandosi di un fascio di strati e di formazioni indubbiamente metamorfosate. Mi sembra che per queste zone iperitiche e variolitiche sia necessario lo am- mettere una originaria emissione di un magma eruttivo, quanto è necessario lo ammettere un originario sedimento, assai proba- bilmente di origine animale, per le prossime masse calcari. Che ci sia stata un’azione metamorfica su tutta questa zona di terreni precarboniferi, lo prova la natura dei calcari saccaroidi e la fre- quenza in questi e nello scisto, e meglio al contatto di questo scisto col calcare, i numerosi giacimenti minerari, siccome quelli di Avonza, di Sissanis, di Val Visdende, di S. Pietro di Comelico ed il più colossale di Valle Imperina, presso Agordo. Ma da que- sta azione mineralizzante ad una modificazione, capace di ingene- rare una così immane formazione cristallina a tipo pirossenico nel cuore di una formazione a prevalenza alluminosa o calcare, parmi che occorra un tale salto da non potersi tentare senonchè nella sfera delle ipotesi da gabinetto. Sulla lunghezza di quasi cinque chilometri la massa iperitica raggiunge al Colle Quaternà la potenza di almeno 700 metri; chissà quanto e come si spro- fonda nella massa assai contorta degli scisti, che la comprendono; potrebbe aver avuti in origine dei rapporti di parallelismo colle analoghe del Friuli e con altre arcosi e grovacche dell’Agordino. Ora vorremo noi negare a questa formazione cristallina il signi- ficato, che concediamo ai porfidi quarzosi od augitici dei piani meno antichi; i quali porfidli presentano pur tante sfumature colle arenarie e colle marne e coi tufi con essi alternati? Circa alla posizione stratigrafica della zona scistosa del Co- melico, contenente le dette iperiti ed i calcari saccaroidi, rispetto alla zona puramente schistosa dell’Agordino, non potrei esprimere un sicuro convincimento; poichè ogni continuità di affioramento APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. . 525 è tolta dal vasto lembo di terreni mezozoici, che forma le mon- tagne del Cadore, dello Zoldiano e dei dintorni di Cortina. Ac- cettando la serie del signor Stache, la quale è quanto di più ve- rosimile, che siasi in questi ultimi anni pubblicato in rapporto ai terreni precarboniferi di quella porzione delle Alpi, la zona agordina verrebbe riferita al gruppo delle quarzo-filliti, il quale segue immediatamente al gruppo dei gneiss centrali e dei gneiss- filliti; mentre l’affioramento dell’alto Comelico apparterrebbe al gruppo del Kalk-thon-Phyllit, sempre precarbonifero ma più recente delle filliti quarzose. Anzi, i talcoscisti così abbondanti nella zona di Agordo e formanti precisamente la teca all’ am- masso metallifero, potrebbero far sospettare la esistenza inter- mediaria del gruppo delle filliti talcose, il quale appunto viene dall’egregio geologo collocato tra le due zone accennate. Ma questa successione sarebbe più teorica che reale, inquantochè nella formazione scistosa di entrambi gli affioramenti si riscon- trano le stessissime forme litologiche prevalenti; vogliansi con- siderare come tali sia gli argilloscisti sia i quarzoscisti. Un fatto solo è realmente ammissibile: che cioè, nell’alto Comelico i cal- cari saccaroidi sono superiori alla zona scistosa, comprendente la accennata mossa iperitica e che nell’Agordino non vi è alcuno rappresentante di quei calcari saccaroidi; mentre vi sono gro- vacche ed arcosi simili alle rocce, che accompagnano al Col Qua- ternè la formazione iperitica. Per la qual cosa, se si può am- mettere in via generale essere le rocce precarbonifere affioranti nell’Agordino più antiche di quelle del Comelico, conviene ag- giungere che in quest’ultima regione, appena sotto il piano dei calcari saccaroidi, stanno scisti e rocce cristalloidi, che trovano stretta analogia e spesso esatta continuazione nell’affioramento agordino. Le due regioni associate costituiscono una serie che si completa assai bene, in armonia colla successione riscontrata nel rimanente della regione protozoica delle Alpi; ma non ‘ponno così nettamente separarsi da riferirle come fa il signor Stache a due gruppi differenti e non attigui. ! G. SracHE. Die paldiozoischen Gebiete der Ostalpen. Jahrbuch der K. K. geolog. Reichsanstalt 24 1874; 11 Heft. 526 Lt > T, TARAMELLI, Giovi però notare che l’egregio geologo viennese, almeno quando scriveva la Memoria accennata, non aveva ancora visitato le due regioni in discorso; e d’altra parte che il contorcersi, l’arrovesciarsi, l'alternarsi di queste formazioni è così complicato, da porre vera- mente alla disperazione chiunque voglia vederci un po’ chiaro, solo in base a criteri petrografici e stratigrafici. Chè di fossili per quanto io sappia non se ne rinvennero, tranne un gran masso con Spirigera che mi fu consegnato dall’oste di S. Stefano senza precisa indicazione di provenienza; ed era di una roccia, che nelle montagne precarbonifere dei dintorni io ho sino ad ora indarno ricercata. , In un lavoro più dettagliato sulla stratigrafia paleozoica delle Alpi venete, nel quale conto di esporre le mie idee sul valore delle innovazioni introdotte dai geologi austriaci nella serie di questi terreni, potrò meglio sviluppare l’ argomento. Per ora accetto, anzi sostengo fortemente, l’idea della relativa antichità di questa zona scistosa in entrambi gli affioramenti bellunesi, in confronto degli altri terreni, che in antecedenti pubblicazioni ho descritto sotto i terreni triasici delle Alpi Carniche. Ma non è certamente per tali formazioni che nello stato della stratigrafia alpina, spe- cialmente del versante italiano, può tornare interessante la espo- sizione e la discussione della serie dei terreni bellunesi. Quanto io desidero che fermi a preferenza la vostra attenzione riguarda la serie mesozoica, la quale colà misura almeno quattro chilometri di potenza, con tale sviluppo di affioramento e con così chiari caratteri nei suoi vari piani da fare di quella provincia una regione tipica, poco meno delle più celebri valli lombarde. E lo desidero tanto più vivamente inquantochè mi vado sempre più persuadendo che molte differenze di piani, moltiplicate dalla più deplorevole sinonimia e mantenute per il già lamentato disac- cordo degli studiosi guardate da vicino, si mostrano nella loro nullità o picciolezza e sono sempre subordinate ad alcuni ge- nerali concetti, che stringono in un sol corpo la zona prealpina meridionale. Mi vorrete infatti concedere, o egregi colleghi, che. trattandosi di formazioni marine la più parte, anzi oceaniche, | APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 527 pepate di formazioni eruttive, le quali dovevano abbracciare un’area abbastanza ampia, si può ben a ragione coltivare la spe- ranza che una serie di terreni mesozoici, studiata per esempio lungo il Piave ed i suoi confluenti, non si riduca in ultima ana- lisi molto diversa da un’altra serie isocrona, studiata in Val Trom- pia, oppure nei pressi di Lugano e di Varese. È bensì vero che per indurre in me tale convincimento, val- sero le analogie stratigrafiche e litologiche piuttosto che la co- munanza delle faune; ma non è men vero che queste già si rico- nobbero molto accantonate, e sopratutto dobbiamo ammettere il fatto che ai geologi italiani mancò sino ad ora la opportunità di un esatto confronto dei nostri fossili prealpini, triasici e giuresi. e che costretti a formarsi ciascuno la propria serie, oppure 4 riferirsi a cronologie desunte altrove, hanno poi dato molto valore a delle suddivisioni locali ed a questioni, che ne hanno fatto perdere di vista l’obiettivo di una unificazione dei piani meso- zoici prealpini. Ogni innovazione venutaci d’oltr’alpe, era e do- veva essere accolta con un certo riserbo, per la ragione che $pesso riposava sopra riferimenti e sopra criteri per noi meno im- portanti. D'altronde ogni questione a proposito del valore cro- nologico dei terreni, che venivano gradatamente illustrati, si im- pegnava tra persone, che a preferenza aveano studiato soltanto una regione più o meno ristretta; oppure si arrestava davanti alla convinzione di aver veduto abbastanza; e così, parte per non credere agli altri, parte per non essere creduti, si venne ad una confusione di piani triasici, giuresi e cretacei, così in- tralciata e così sconfortante da spaventare qualunque allievo di buona volontà, che si accingesse a far qualche nuovo studio in questa così bella contrada. Pigliamo, ad esempio, per la Lombardia la serie del signor Curioni e confrontiamola anche soltanto con quella dallo Stoppani fissata nell’ opera sulla Paleontologia lom- barda e nelle ultime sue pubblicazioni stratigrafiche, oppure con la bellissima carta dei signori Spreafico, Negri e Stoppani, e ci troviamo, anche solo nei confini del Trias, di fronte ai più im- portanti divari di opinioni in riguardo alle formazioni eruttive, al Trias medio, al piano di Besano e di Perledo. 928 T. TARAMELLI, Senza essere molto tenero per delle sintesi premature che ponno tornare più dannose che utili, e perciò schivando di entrare in so- verchi dettagli, nelle scorse vacanze mi trovai nella condizione di avere maturata la serie dei terreni desunta sulle Alpi Carniche e di aver appena compiuta una rapida rivista della geologia lom- barda, in occasione di un incarico avuto dalla Società dei Na- turalisti Svizzeri di stendere la descrizione dell’accennata carta del Canton Ticino e delle regioni finitime. Mi trovai così nella opportunità di condurre il rilievo della carta.geologica del Bel- lunese in vista di una più o meno lontana unificazione dei ter- reni prealpini. Inoltre, per orizzontarmi negli ulteriori lavori nella porzione meridionale della provincia stessa e nelle attigue ‘provincie venete (se avrò la fortuna di poterli condurre a ter- mine) ho seguìto i terreni giuresi-liasici dal lago di Garda al Friuli, colla scorta anche degli ultimi lavori dei signori Benecke, Bittner e Wacek; e se non posso dichiararmi molto contento di di tutti i risultati ottenuti, debbo però concedermi la persua- sione di avere allargato vantaggiosamente le mie idee e d’es- sermi accostato di un passo alla tanto vagheggiata unificazione della serie prealpina. Ecco per i terreni triasici quali sarebbero i piani, che mi con- sta sino ad ora esistere nel Bellunese. Formazioni triasiche. — Otto anni or sono io proponeva di addottare nello studio delle nostre formazioni triasiche una sem- plice divisione di terreni inferiori e superiori; ed ora posso an- cor meglio precisare il mio concetto. Reputerei conveniente di assegnare come carattere degli inferiori la prevalenza dei depo- siti litorali ed aggregati e lo imponente sviluppo delle forma- zioni vulcaniche, espanse generalmente sotto al mare, ma talora anche eruttate alla libera atmosfera. Queste formazioni vulcaniche appartengono a due serie di emer- sioni: la prima con prevalenza di rocce feldspatico-quarzose, nel periodo più antico dell’epoca triasica; la seconda, con prevalenza, non però assoluta, di rocce augitiche, nell’epoca del Muschelkalk sino al periodo del S. Cassiano. Tra queste due serie di eruzioni # vi © APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. DR. . vulcaniche, e sul finire della seconda, vaste formazioni gessifere i accusano le rispettive epoche di emanazione e di attività peri- metrica. Il trias superiore al contrario è caratterizzato dalla % | prevalenza dei terreni calcareo-dolomitici, distinti in due piani, | che a volta si eguagliano in potenza, a volta si sviluppano assai ° disugualmente, quasi l’uno a spese dell’altro e che movendo verso ME; [ il Trentino si uniscono in un solo complesso, per la scomparsa graduale del piano divisorio. E questo piano è noto a tutti es- | sere l’orizzonte ad Hornesia Johannis-Austriae (Gervillia bipar- tita Mer.), colle formazioni di Raibl e di Dogna, di Forni di sotto, di Forcella forada e degli Schlern-plateau-Schichten del signor Lo- retz; colla dolomia a Megalodon e Dicerocardium di sopra, e colle scontinue e più o meno ampie formazioni delle dolomie a Gyropo- — relle e ad Ammoniti globosi, che stanno di sotto. Entrambe queste due formazioni dolomitiche, coronate spesso od in vario modo combinate con lembi di altri calcari e dolo- mie liasiche e giuresi, costituiscono i colossi così detti dolomi- tici, i quali rendono ben a ragione famosa per incomparabili panorami quella zona di montagne, che decorre dallo Schlern | sino al Trigleu. Nel Bellunese tali montagne, con rocce calcareo- . dolomitiche in parte triasiche ma in gran parte liasiche e giu- bi resi, presentano, come è noto, la maggiore grandiosità delle | masse ed il più mirabile frastaglio nei loro dettagli. Al con- | fine nord-ovest della Provincia, si estolle regina la Marmolada (3366”), la cui salita può essere fatta da un ragazzo, purchè | non gli tocchi il tempo indiavolato, che mi ci colse sino alla sua ‘| vetta in uno degli ultimi giorni del passato agosto. Ed è singo- lare che questa massima altitudine delle montagne dolomitiche è toccata esclusivamente dalla dolomia infraraibliana e fortuna- tamente a poche centinaja di metri dalla cima, al rifugio re- centemente scavato nella roccia e nelle morene del bellissimo ghiacciajo, che giù scende sino a 2270", ho raccolto alcune helle specie di chemnizie, di piccole natiche e di ammoniti glo- bosi, che non ho ancora determinato. Per calcolare la potenza reale di questa formazione dolomitica, non dovremo però pigliare Vol. XXI. 34 530 T. TARAMELLI, l'altitudine della Marmolada, nemmeno calcolata dalla valle di Fedaja (2098”), estremo punto di affioramento dei tufi augitici; ma dobbiamo por mente alla ragguardevole inclinazione, che quivi presentano i banchi dolomitici e calcari; per cui è molto se quivi la formazione infraraibliana raggiunga mezzo migliajo di metri di potenza. Esaminando anche gli altri gruppi dolomitici, ove le due dolomie sono associate e per di più si aggiungono anche dei calcari e delle dolomie liasiche e forse anche giuresi, mi pare di poter assegnare uno spessore complessivo di duemila metri a tutte le rocce che stanno tra il rosso ammonitico veneto, ad Ammonites ptychoicus ed a Terebratula diphya e gli strati di S. Cassiano; a tutte le roccie, cioè, le quali entrano a comporre le montagne così poco propriamente chiamate dolomitiche. Come ben vedete, con questi limiti così ampî vi è un bel da fare a svolgere il bandolo dei confini superiori del Trias; ma di ciò più tardi. Ora limitiamoci ai terreni triasici inferiori, che stanno sopra le rocce sicuramente paleozoiche o protozoiche e sotto alla dolomia infraraibliana, o metallifera. Questi terreni sono quanto si può dire vari da piano a piano; ma uniformi nelle loro varietà su cadaun livello. Chiamando cogli stessi nomi le cose stesse e tra i vari nomi scegliendo quelli, che ci sono più famigliari e che comparirono nelle memorie e nelle opere dei nostri maestri ancor prima che il loro valore fosse alterato dai riferimenti stabiliti dai geologi forestieri, io troverei di fissarvi, con qualche analogia a quanto fece il signor Moriseri cinque gruppi distinti, che sono: 1. La zona dei porfidi quarzosi od augitici, coi conglo- merati del servino e colle arenarie micacee non fossilifere, sot- tostanti alla principale zona gessifera; 2. La zona gessifera principale, colle dolomie cariate, colle marne cineree e coi calcari marnosi neri a foraminifere ; 3. Le arenarie, i calcari marnosi 0 micacei o cloritici, a Naticella costata. ' H. LoRetz, Tirol-Venetianische Granzgebiet der Gegend von Ampezzo. Zeitschr. d. deutsch. geolog. Gesellschaft. Jahrg. 1874. APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 531 ‘4. Le pietre verdi,i tufi augitici, gli scisti ad Ha/obia e le ti colate di porfidi augitici. ‘5. I tufi augitici fossiliferi, le zone calcareo-dolomitiche a _ Gyroporella ed a spongiari, i tufi marnosi di S. Cassiano e le marne iridate, al limite superiore delle formazioni vulcaniche o — di aggregati vulcanici. I porfidi quarzosi del Tirolo meridionale si spingono per troppo * piccolo spazio nel confine del Bellunese e furono da me troppo | poco visitati per esser abilitato :a pronunciare un nuovo giudizio sulla loro epoca, la quale secondo il Richthofen è lasciata tra il . paleozoico edil Trias inferiore e secondo il signor Suess è riferita . senz'altro al Permiano. D'altronde non vorrei in questo giudizio essere influenzato dal convincimento, che mi sono formato, dietro anche il parere del sig. Curioni della triasicità dei porfidi, anche quarzosi, del Canton Ticino e dei dintorni di Varese. Sottopongo | però ai miei egregi colleghi alcune considerazioni, che mi fanno PI molto dubitare della posizione cronologica, assegnata a questa for- «mazione eruttiva e che mi tenterebbero a ritenere triasico tutto . il complesso vulcanico, che si ammanta sotto le arenarie del ser- vino o che ne sbuca qua e colà, anche entro i confini del Bellu- «nese. Anzitutto osservo che nel più importante lembo bellunese . della formazione porfirica quarzifera, il quale dalla famosa valle | di Fassa per la sella di S. Pellegrino si avanza nella valle del Biois sino a Falcade; là dove possiamo vedere come nei Monzoni 1 porfidi amfibolici attraversare ed alternarsi coi porfidi quar- | zosi, troviamo che entrambe queste formazioni eruttive sono per | così dire compenetrate colle arenarie del servino (od arenaria di Val Gardena) e coi conglomerati così detti del Verrucano. La più | chiara concordanza riunisce le colate eruttive delle due qualità di porfidi colle rocce sedimentari, e quelle a queste fanno passag- gio; di guisa che molte volte male si distingue ove cessi il por- fido ed incominci la roccia aggregata. E così nei limitati ma molto importanti giacimenti porfirici di Vallalta, di Gosaldo e di Fras- senè, già distinti accuratamente dal Fuchs al margine oppure nel cuore dell’accennato affioramento protozoico dell’ Agordino, le 532 T. TARAMFLII], arenarie e le puddinghe del servino fanno tale passaggio al por- fido, e questo è così brecciato oppure coî cristalli così arroton- dati che si è tentati a ritenere quegli espandimenti di un tri- tume eruttivo (come quelli, a cagion d’esempio, che eruttarono nei tempi andati le salse dell’ Appennino) anzichè una vera roccia lavica, cristallina. La presenza del gesso e del cinabro, commisto. ad altri solfuri, nelle miniere di Vallalta sarebbe una conferma di questa maniera di vedere. Nè meno interessanti sono i passaggi dalle arenarie porfiroidi ai porfidi nel Comelico superiore, presso Danta, dove anzi la for- mazione porfirica è rappresentata soltanto da frammenti, com- presi nelle arenarie, quali residui di erose colate. E la eruzione e la erosione di tali colate porfiriche devono essere avvenute dopo incominciato il deposito della formazione del servino; per la ra- gione che questo alla sua base è esclusivamente formata di scisti micacei variegati, spesso talcosi, e di conglomerato ad elementi quarzosi, argillomicacei e non mai porfirici. Quivi evidentemente non si potrebbero i porfidi quarzosi ritenere permiani se non a patto di considerare come tali anche gli strati del servino e la sorprendente formazione gessifera, colla dolomia cariata e coi cal- cari marnosi, neri, a foraminiferi. Il quale riferimento non credo ancora molto accettato. Anzi, tutti i geologi che si occuparono della regione (meno il signor Loretz, che comprende il gesso nel suo Roth) si accordarono nel riferire le arenarie al piano infimo e la formazione gessifera al piano mediano del Trias. Vero è che il signor Stache nella sua carta d’insieme segna un lembo di terreni paleozoici superiori (Jtingere Grauwacken und Perm-ge- steine. Carbon. Rothliegend. Zechstein) ad un dipresso in corri- spondenza dell'alto Comelico; ma nella descrizione cercai indarno una ragione di questo riferimento. La fauna d’altronde di questi calcari a foraminifere, alternati coi gessi e colle dolomie cariate, per quanto si conosce dietro i poco conservati fossili, raccolti da | me e da altri al Monte Croce, al R. Diebba, nella Val Rossa di Auronzo e nelle valli di Paluzza e di Comeglians in Carnia, sem- bra piuttosto triasica che paleozoica; ed il signor Giimbel in fato, eta APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 933 roccia analoga presso Toblach potè determinare la Gyroporella fenuiforata e in un campione di Valle di Cadore la Gyroporella monilifera. Secondo il signor Hornes sarebbero quivi stati rinve- | nuti, nei calcari bituminosi scuri, il Bellorophon pellegrinus Lbe, — lo Spirifer alatus, il Nautilus fugax ecc. e si parallelizzerebbe | il deposito con quelli di Cavalese, di Enneberg e di Val Gardena, con probabile riferimento al permiano. Ma nè i fossili da me raccolti si BEGAIARODO a sicura determinazione, nè la serie del servino e dei gessi è quivi in alcun modo distinta dagli analoghi terreni triasici inferiori delle finitime regioni, perchè io possa ora persuadermi dell’epoca paleozoica di codesti sedimenti. Mi sembrano i porfidi quarzosi od amfibolici del Tirolo meri- dionale, dell’ Agordino e dal Comelico assai strettamente con- giunti colle rocce triasiche inferiori; nella guisa stessa che le pie- tre verdi ed i tufi del Trias mediano sono collegati coi porfidi augitici. Mi pare che quelle rappresentino assai bene l’ aprirsi dei primi cicli vulcanici mesozoici, ad eruzioni subaeree o di mare poco profondo, dopo un periodo continentale, accusato dalla ge- nerale discordanza tra la serie paleozoica alpina e la mesozoica. Potrebbe darsi che questa attività endogena fossesi appunto iniziata durante il permiano. Ma in questo caso mi si affaccia il dilemma, o di ritener permiane tutte le rocce, che nel Bellunese ‘e nel Friuli stanno sotto alle arenarie screziate a Maticella co- stata; oppure di riferir al Trias inferiore tutti quei porfidi, quar- ziferi ed amfibolici, e tutte quelle arenarie e puddinghe e filladi micacee, le quali sostengono la principale formazione gessifera, sottoposta ovunque alle dette arenarie screziate. La posizione stratigrafica del piano in discorso non può essere più nota di quanto la è attualmente; la soluzione di questo dilemma, che mi pare abbastanza importante, varrà a precisare la cronologia di un orizzonte così evidente, così anticamente conosciuto eppure così contrastato e così spesso frainteso; epperò io ve ne faccio parola, sottoponendolo alle vostre sagge considerazioni. Circa alla zona gessifera, ne parlai a lungo in antecedenti miei ' Verhandlungen K. K. geolog. Reichsanstalt. 1876, n. 2. D34 T. TARAMELLI, scritti e devo soltanto aggiungere che procede dal Friuli verso il Tirolo con una continuità, che non trova riscontro se non che nell’allinearsi delle gessaje apenniniche; sempre distinta dalle marne cineree, dai calcari dolomitici, farinosi, spugnosi, buche- rellati e dai calcari neri, marnosi, bituminosi, biancovenati. Non rinvenni però il solfo nativo, che esiste in Carnia in più luoghi; nè quello spessore così straordinario di gesso e di marne cineree, che si osserva specialmente nello spartiacque tra i torrenti But e Chiarsò, i quali confluiscono sopra Tolmezzo. Tuttavia il bacino di Pieve di Cadore, specialmente presso a Lozzo e la sella di Monte Croce sino al paese di Padola, presentano amigdali abbastanza sviluppate e mirabilmente contorte. Nell’ampio bacino di Agordo, a ridosso del servino che ammanta a tramontana lo affioramento degli scisti protozoici, trovansi bensì le rocce che general- mente accompagnano il gesso; ma questo minerale per quanto mi consta, fa difetto. Ricompare invece colla fisonomia dei depo- siti carnici nella bella valle di Canale, in una larga ed estesa zona, che da Falcade si continua per la Vallada fino sopra Cen- cenighe, verso S. Tommaso; e quivi affiora secondo l’asse di una assai stretta anticlinale, che va a perdersi alle radici del Pelmo e che forma uno dei tratti stratigrafici più caratteristici e meno co- nosciuti di quella bellissima contrada. E notisi che questo asse è parallelo all’affioramento protozoico delle vicinanze di Agordo, come pure alla direzione del vallone bellunese; mentre taglia a perpendicolo quella porzione della valle del Cordevole, la quale potrebbe esser considerata come traccia di antica frattura, allar- gata dalla erosione nei periodi cenozoici.. Circa al terzo membro della sezione inferiore del Trias, cioè alla arenaria a Naticella costata, Posidonomya Clarae, Myacites fassaensis, Ceratites cassianus, ecc. debbo affermare la sua indi- pendenza dall’accennato piano arenaceo del servino per tutto il tratto esaminato ed appoggiare nuovamente il suo riferimento al | Trias medio, qualora si intenda di conservare ancora questa sud- divisione pel Trias alpino. Interessantissimi sono a questo proposito i dintorni di Agordo e APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 535 di Cencenighe; perchè in più siti vi si scorge come queste are- | narie facciano graduato passaggio ai tufi augitici ed alle pietre verdi, per mezzo di calcari micacei e cloritici, contenenti i fossili stessi che le arenarie. Alcuni banchi calcari marnosi, rossastri o bruni di Cencenighe sono letteralmente coperti di tali fossili ed i più belli esemplari di Naticella, identici a quelli somministrati dalle arenarie rosse, micacee di Valle Pesarina in Carnia, si trovano nella valle di Canale, in un calcare marnoso bigio ver- dastro, che non osservato in posto si potrebbe scambiare colle analoghe rocce dei due successivi piani triasici, litorali, del S. Cas- | siano e del Raibl. Identica roccia, con identici fossili però viene lavorata per calce idraulica presso Malborghetto e nella valle della Gailizza passa gradatamente alle brecce policrome, inferiori ai porfidi di Kaltwasser; dimostrando anche in questa località il nesso indissolubile, che stringe le rocce arenarie o marno-cal- cari in discorso coi terreni tufacei e porfirici, anteriori al piano di S. Cassiano. Non osservai sino ad ora, quantunque ne trovai indicati gli esempi nell'opera del signor Fuchs, alcun dicco, o . filone, od interstrato porfirico in tali rocce; eppure esse devono | esser state trapanate dai melafiri e dalle felsiti porfiriche, erut- tate dopo la loro deposizione. Ma a questo riguardo ripeterò la considerazione, che esposi in un lavoro testè pubblicato sulle rocce ofiolitiche dell’ Apennino, circa alla difficoltà estrema di rintracciare e di ricostruire tali dicchi, o filoni e gli interstrati in un complesso di banchi così contorti e così infranti. In pre- senza di qualsivoglia spaccato, appena un poco vasto, anche solo per la percezione delle curve stratigrafiche, si esige la più seria attenzione e sempre rimane qualche cosa di incompreso. Il signor Fuchs, in quale con raro ingegno esplorò e descrisse quelle interessanti regioni or sono sette lustri, non ommise di porre in evidenza tali bizzarrie di stratificazione, porgendone begli esempi, desunti presso Pieve Livinallungo e presso Caprile ed io potrei aggiungerne di molti se non fosse affatto inutile di- mostrare quanto sieno e debbano essere tormentate delle forma- zioni ad elementi eterogenei, sottoposte alla pressione di parecchi 936 T. TARAMELLI, chilometri di rocce mesozoichée, e poscia a più riprese sollevate, infrante e spostate. Quantunque manchino, o meglio non siano ancora ricostituiti sicuramente, questi filoni e questi dicchi di rocce eruttive, i quali possano rappresentare le vie di eruzione; tuttavia nessuno vorrà al presente seriamente impugnare l’origine vulcanica di tali mela- firi o porfidi augitici, noti da lungo tempo e sufficientemente de- scritti dai signori Fuchs e Loretz, nonchè indicati nelle carte di questi autori e del signor Hauer. Tanto meno poi si potranno di- sconoscere i legami, che stringono questi melafiri con dei con- glomerati eruttivi, a pasta cristallina, augitica ed a frammenti felsitici ed anche di porfido quarzoso; oppure con dei tufi più o meno grossolani, che passano ad argille verdi-brune ed alle no- tissime pietre verdi, le quali sono l’ideale delle fanghiglie erut- tive. Come pure è certo che va fatta una distinzione, sulle tracce del signor Loretz, tra prodotti vulcanici aggregati, che si ponno ritenere direttamente eruttati, e quelli, molto analoghi in appa- renza ma a cemento arenaceo, senza zeoliti e spesso fossiliferi, i quali si trovano commisti ai tufi ed alle rocce cristalline spe- cialmente nelle immediate vicinanze di Alleghe e verso il M. Framont, a nord-est di Agordo. Fra gli uni e gli altri, o per dir meglio tra i primi banchi fossiliferi, che compaiono in questo ripetuto alternarsi di prodotti vulcanici e di detrito vulcanico, vanno notati gli scisti ad Halobia Lommelii, i quali affiorano ripetutamente lungo entrambi i versanti della valle del Corde- vole, a monte di Alleghe, sino alle sue origini presso. Araba. Ne trovai una località assai ricca movendo da Chers ai prati dei Pralongei, ove è noto trovarsi i più bassi piani fossiliferi del gruppo di S. Cassiano; ed indico questa località come opportu- nissima per dimostrare come gli strati ad Halobia sieno, almeno: quivi e nelle vicinanze, inferiori ai tufi augitici ed alle marne a cidariti ed ai calcari marnosi fossiliferi del notissimo quanto problematico livello, che piglia il nome dal prossimo villaggio tirolese. Mal si potrebbe indicare il centro od i centri di espandimento APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 537 successivo dei melafiri e dei tufi eruttivi dell’alto Agordino, della valle di Zoldo e del Comelico superiore; essendochè, sottosopra, la zona di tali rocce si presenta ovunque con identici caratteri e con non diversa potenza. Però mi sembra che le colate sieno più potenti e più ravvicinate in due regioni non molto discoste, che forse ponno rappresentare un solo centro di eruzione; cioè, l’ uno nel bacino della valle di Gares, la quale confluisce da mezzodì nella valle di Canale e l’altro nello spartiacque tra la valle del Pellina, che conduce ai piedi della Marmolata e la valle di Li- vinallungo. A questa seconda regione ed alla poco discosta valle di Ombrettola, che si sprofonda a mezzogiorno del colosso do- lomitico, sono sino al presente ristretti i giacimenti degli anal- cimi, delle heulanditi e delle stilbiti, che gareggiano in bellezza con quelle di valle di Fassa. Nella valle di Gares abbiamo in compenso maggiore varietà di rocce cristalline e sono assai fre- quenti i conglomerati eruttivi, a pasta oligoclasica ed a grossi frammenti di porfidi ortosici, quarziferi, felsitici. Per la comodità di studio e per essere una regione già esplorata e descritta minu- tamente dai signori Fuchs e Loretz e con molto brio e non minore verità dal mio illustre maestro nel suo aureo Bel Paese, va ri- cordata la sponda orientale del lago di Alleghe; lungo la quale, movendo dal ponte di Calloneghe, si osserva a nord ed a sud una interessante ripetizione di strati, poichè quivi va a battere l’asse della importante anteclinale, che ho disopra accennata at- traverso la Vallada di Canale e la vallicola di S. Tommaso. È quivi appunto che fu la prima volta avvertita, per poi esser rilevata in tutta questa regione, l’ alternanza di due o tre grosse zone calcareo-dolomitiche colla formazione dei tufi e dei mela- firi del trias medio carnico e bellunese. Sono banchi, che misu- rano talora lo spessore di oltre 70”, come nella valle Pellina, ove il torrente e la strada si innabissano nella meravigliosa chiusa dei Saraî, oppure nella non meno mirabile ma meno conosciuta località dell’ Acqua tona di Sappada. Altrove invece hanno lo . spessore di 15 a 20", come lungo le vallicole, che sboccano sulla destra dell’ Ausiei presso Auronzo, alle falde del gruppo dolomi- 538 T, TARAMELLI, tico delle Marmarole. Ora prevale il tipo calcareo e la roccia è un impasto di Gyroporelle, di spongiari, con qualche crinoide e qualche natica o terebratula; ora piglia il sopravvento la forma dolomitica, farinosa, subsaccaroide e le reliquie organiche si sfu- mano gradatamente, e tra le dolomie compajono non infrequenti dei rognoni metalliferi, come si osserva nel versante destro della valle Pellina e meglio ancora appena a nord di Caprile, ove fu- rono fatti escavi in un filone di blenda e di galena, con bellis- sima cerussite. Anche il giacimento calaminario di Piandabarco, presso Auronzo, esiste in uno di cotali interstrati calcareo-dolo- mitici della formazione tufacea; mentre il principale giacimento ca- laminario dell’ Argentiera, che si trova più a ponente sulla sponda opposta e più vicino al letto dell’Augiei, sembra annidato nel calcare dolomitico infraraibliano, che è superiore a tutti gli espan- dimenti endogeni del trias. A proposito di tali banchi dolomitici o calcari, se è dato ammirare bene spesso la straordinaria ab- bondanza di petrefatti che essi rinserrano, è pur troppo altret- tanto difficile farne raccolta e più ancora il determinarli. Per il qual fatto non saprei decidermi a ripartirli nei varî livelli, in cui il signor Loretz (al quale pur dobbiamo i più interessanti ragguagli sopra una porzione del trias bellunese) suddivide il suo Alpiner Muschelkall; ma sembrami che si tratti sempre dei piani superiori, immediatamente sottoposti al livello di S. Cassiano. Anzi secondo il signor Loretz medesimo, tali banchi dolomitici colle stesse gyroporelle sarebbero da considerarsi come i rappresentanti dei tufi di questo livello e si riuniscono coi St. Cassian-artige Schichten. Io trovo però anche troppo problematica la estensione della isolatissima fauna e della assai locale forma litologica di 5. Cassiano, per raggruppare intorno ad essa anche un’aureola di sfumature; e proporrei di ritenere, almeno stratigraficamente, che il trias medio degli autori e la porzione inferiore del trias, secondo il concetto che ho enunciato, si protragga sino alla base della dolomia infraraibliana, la quale, partendo dagli strati a Naticella costata, è il primo orizzonte abbastanza esteso, quan- tunque esso pure non continuo, che possa assumersi con van- taggio della stratigrafia prealpina. APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 539 È noto infatti come se noi, appena di qualche chilometro ab- — handoniamo lo spartiaque tra le valli di Badia e del Cordevole, ove si raccolsero i materiali della ricchissima fauna di S. Cas-. . siano, ed esaminiamo gli strati calcareo-marnosi od arenacei, che | ricoprono la formazione dei melafiri e dei tufi augitici, eruttivi eda; n prima e poi sedimentari, è molto se troviamo qualche radiolo delle grosse cidariti e qualche bivalve del tipo badiotico. Tosto il livello si fa litologico, e per conseguenza mal sicuro; perchè di tali calcari marnosi e di tali arenarie ne abbiamo di identiche, nonchè nel trias, nella serie eocenica e miocenica delle nostre prealpi. Ond’è che se noi siamo costretti a cercare un livello li- tologico, per la circostanza di fatto dell’accantonamento della fauna badiotica, tanto per avere un limite tra il trias medio ed il supe- ‘riore, gioverà certamente scegliere la forma litologica più di- stinta e che sia coordinata colle manifestazioni endogene, che ca- ratterizzano l'apertura dell’ èra cenozoica e sufficientemente estesa per supplire alla meglio alla mancanza di un piano paleontolo- | gico, che a questo livello si è indarno tentato di stabilire. Or bene, per la Carnia, e pel Cadore, e per l’ Agordino mi sembra di poter assicurare la costanza a questo livello di una zona di marne iridate, intensamente colorate in rosso, in verde od in az- zurrognolo, gessifere nella valle del Tagliamento, alla sella della Mauria ed alle falde del Monte Popera in Comelico, ed altrove sempre distinta dal colorito delle sue rocce, le quali differiscono da quelle del servino per minore compattezza e per essere assai meno micacee e meno quarzose. In Lombardia se ne avrebbe un esattissimo rappresentante nelle marne iridate, che si alternano coi porfidi bruni nella discesa di Cunardo a Grantola ed un equi- valente, io credo, nelle arenarie rosse di Aquate presso Lecco. In Friuli io credo che appartengano a questo livello anche i gessi di Resia e di Moggio e le arenarie rosse di Muina e di Vinadia. Nel Bellunese, e specialmente nell’ Agordino, questo livello è di una continuità vantaggiosissima, specialmente se si ha cura di rilevare le scarse tracce, che di esso si appalesano sotto lo sfa- celo delle soprastanti rocce dolomitiche, 940 T. TARAMELLI, Non escludo la possibilità che questo livello si sfumi in taluni siti col raibliano; stantechè non è assoluta ]a continuità della do- lomia infraraibliana. Ma ove questa formazione esiste, le marne iridate le sono subordinate o si alternano co’ suoi banchi più profondi. Almeno nel rilievo fatto ultimamente dell’alto Agordino questa relazione mi è parsa di una costanza meritevole di seria attenzione e la presento a voi qui convenuti onde l’abbiate pre- sente nelle ricerche sopra altre porzioni delle nostre prealpi. Ritengo pertanto che appartenga allo stesso piano basilare del trias superiore, o se vuolsi di chiusura del trias porfidico, l'orizzonte carbonifero, altre volte riferito al piano raibliano, coi giacimenti friulani di Lauco, Raveo, Cludinico e Forni di Sotto e con quelli bellunesi della Grigna di Auronzo, di Cibiana, di Selva, di Staulanza, di Dont e del Sagron; località tutte, meno Cludinico, ove i depositi di combustibile furono riconosciuti così esigui ed il minerale fu trovato così piritoso e così pesante da doversi abbandonare la speranza di profittevole coltivazione. Fui di avviso che questi depositi di combustibili rappresentassero la zona degli scisti ittiolitici d Raibl, per aver rinvenuta le Myopho- rie raibliane e la Hornesia nel calcare marnoso, che ricopre le arenarie ed i calcari ad antracite di Raveo, di Lauco e di Clu- dinico; ma di tale determinazione mi sorse qualche dubbio dopo esaminati i distretti di Auronzo, di Pieve di Cadore e di Agordo, dove tale orizzonte antracitifero ricompare con caratteri litologici quasi identici che nella Carnia ed appartiene ad un livello indub- biamente sottostante alla dolomia inferiore. Nè questo dubbio scompare di fronte alle specie raibliane nel soprastante calcare marnoso; poichè è nota la comunanza di forme che esiste tra il piano raibliano e quello di S. Cassiano, appena che ci scostiamo da questo punto di massimo sviluppo di una fauna localizzata, a tipo affatto singolare. Tantochè prevalse l’idea che entrambi questi livelli possano fondersi in alcune località e che le frappo- ste dolomie metallifere, a fauna analoga a quelle di Hallstatt e di Lenna, possano quindi attenuarsi e mancare, oppur assumere un aspetto calcareo marnoso, come sarebbe il caso a Cludinico ed a Lauco, età Si Pe” - l'eta APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 541: . Con questo nuovo modo di vedere, il calcare già interpretato | come infraraibliano dei monti Tinizza, Veltri e Cretis nel canale di Socchieve, nonchè i lembi di calcari dolomitici del M. Arvenis, Cucco e Terzadia, con Trachyceras cuccense e Taramellii, e con Na- tica Terzadica, gemmata e cuccensis Mojs. rappresenterebbero la superiore delle accennate zone calcaree dolomitiche, le quali si frappongono alla formazione dei tufi sedimentari e dei melafiri. Appena fuori dei confini del Friuli, questa zona compare eviden- tissima nel versante settentrionale del M. Siara, appena a sud di Cima-Sappada, attraversa il Piave alla chiusa dell’ Acqua tona, accostandosi, anzi fondendosi colla dolomia inferiore ; indi si svolge tutto attorno al bacino di Auronzo, appena sopra le arenarie a Myacites e attraversa tutto l'alto Bellunese, talora unica e stret- ta rasente alla dolomia inferiore, come nella valle di Otten, op- | pure sfasciata in due o più zone calcareo-dolomitiche come nei pressi di Caprile ed a nord-est di Agordo. In una parola, se si accetta questo nuovo riferimento (il quale non altera punto le relazioni stratigrafiche altre volte assegnate a tali depositi da altri geologi o da me medesimo, anzi fa ragione di quanto ave- vano di vero le prime determinazioni dei signori Meneghini e Stur circa il deposito in questione) si avrebbe per quella vasta porzione del Veneto un livello geologico in esatto raffronto con quello del signor Curioni distinto col nome di Piano a Tracki- ceri! e posto alla base del trias superiore. Secondo il mio con- cetto di una divisione dei terreni triasici prealpini in base alla cessazione dei fenomeni endogeni ed allo incominciamento della generale sommersione, la quale riconduceva le condizioni di forma- zioni delle grandi masse dolomitiche, io propenderei a mantenere questo piano dei calcari a trachiceri e le sopraposte arenarie an- tracitifere nella divisione inferiore. Ma è questa una differenza di ben poco momento. Quanto mi importa di affermare si è che almeno nel Bellunese e probabilissimamente nella Carnia, la zona antracitifera è inferiore alla dolomia metallifera e si associa e si parallelizza colle marne di S. Cassiano e colle marne iridate, che 1 G. CuRIONI, Geologia applicata delle provincie lombarde. Vol. I, pag. 166. 542 T. TARAMELLI, sostengono la dolomia metallifera, oppure si alternano per pic- cola potenza coi banchi inferiori di questa formazione. Venendo ora alla dolomia metallifera o dolomia inferiore con- viene dimostrare che ad onta di queste alternanze de’ suoi ban- chi più profondi colle indicate marne iridate (come è il caso no- tissimo al Sett Sass di S. Cassiano) ad onta del suo attenuarsi 0 cessare in alcun sito, sì da permettere una anastomosi tra i due livelli marnosi o calcarei marnosi del S. Cassiano e del Raibl, tuttavia questa dolomia metallifera merita di costituire un li- vello geologico e nella regione esaminata presenta realmente una continuità ed una potenza considerevoli. Per dimostrare questo assunto converrebbe poter accompagnare per tutta la regione il piano raibliano, in guisa da isolare sotto di esso e sopra i tufi e le marne iridate del piano precedente- mente fissato, la formazione in discorso. Questa, così limitata, evidentemente corrisponderebbe ancora alla dolomia dello Schlern, alle dolomie ed ai calcari di Hallstatt e probabilmente a tutta od a parte della dolomia di Esino. Ma ridotto ai suoi varî con- fini, il piano raibliano si mostra come un sottile interstrato are- naceo-marnoso: tra le dolomie; si svolge talora per vette e per montagne inaccessibili ; si sfuma per marne dolomitiche sullo spes- sore di quei colossi cotanto ammirati e così difficili ad esser stu- diati; si perde spesso di vista per moltissimi tratti, e non credo siano a pigliarsi con troppa leggerezza nè la sua mancanza, nè le sue possibili equivalenze. Anzi dichiaro che due autunni di ricerche, quantunque abbia avuto il sussidio delle indicazioni del signor Lo- retz, il quale indica questo livello in tutto l’area della sua carta, non mi hanno lasciato a questo riguardo che dei dubbi e delle in- certezze. Poichè da un lato non posso accettare tutta la loro esten- sione, nè l’associamento di tutte le marne variegate all’ orizzonte dal signor Loretz distinto col nome di Schlern-plateau-Schichten, nè la indicazione di questo livello per tutta l’ampia zona segnata dall’ egregio geologo tra le due valli di Cortina e dell’ Auziei, ove rinvengonsi tufi ed arenarie molto più probabilmente riferibili al piano di S. Cassiano; e dall’altro lato manco ancora di una località APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 543 bellunese che mi rappresenti le condizioni stratigrafiche di Dogna, di Valdi Moggio e di Raibl. Gli unici fossili, che ho rinvenuto anni | sono alla Forcella-forada, attendono ancora indarno qualche ag- giunta e sono quegli stessi che trovansi a Cludinico, appena so- pra il deposito antracitifero; epperò provengono da uno strato, al quale si estende l’accennato dubbio, ancora insoluto. Del ri- manente tanto il signor Loretz che io, non trovammo che nuclei di piccoli Megalodon o qualche crinoide o sezione di radiolo di echinide. Almeno per mio conto mi veggo ridotto a riferire al piano raibliano soltanto quella zona dolomitica marnosa, a fitta stratificazione, la quale si osserva presso alla vetta dei più orien- tali colossi dolomitici, quali il Popera, il Patern-Kofel, le Cime di Lavaredo e sul versante sud-est del Monte Pelmo. Osservai di tali strati marno-dolomitici anche sul versante occidentale del M. Antelao, salendo da S. Vito alla Forcella piccola lungo il sentiero che conduce alla Forcella grande; e rimarcai come quivi, al pari che in parecchie località della Carnia, la dolomia che ri- posa sui tufi augitici sia framezzata di tali banchi più erodibili, assai contorti e poco estesi. Di guisa che oltre all’accènnata ana- . stomosi dei due piani, il S. Cassiano ed il raibliano, per difetto della dolomia metallifera, dobbiamo altresì ammettere una scom- posizione della massa di quest’ultima per un reticolato di rocce marno-calcaree od arenacee. Già complicata per sè stessa, non è a dire quanto dovette questa massa eterogenea rendersi in- tralciata per le contorsioni e le fratture causate dal solleva- mento, anzi dai molti spostamenti subìti dai terreni mesozoici. Mancandomi la possibilità di una esatta indicazione del decorso sicuro ed indiscutibile del terreno raibliano, a limite tra la dolomia metallifera e Ia dolomia principale debbo prudentemente rassegnar- mi ad indicare per ora la esistenza di alcune grosse masse dolomi- tiche, le quali, sieno o meno metallifere, si pongono alla base del trias superiore perchè direttamente superiori al piano dei tufi. E tra queste masse primeggia la già accennata della Marmolada, la quale formava un’amplissima volta, che fu poi incisa dalle valli di Fedaja e di Ombrettola; sì da mettere a nudo e da intaccare 544 T. TARAMELLI, per considerevole profondità anche le sottostanti formazioni tu- facee. Ancora entro i confini del Bellunese, altre masse dolomi- tiche con tutta probabilità spettanti a questo piano più profondo sono i monti Piana, Campedello, Campoduro, Croda d’ Agnello, Cima de’ Bagni, Najarnola e Rosiana, già indicati dal signor Lo- retz; ed a mio avviso, la porzione più profonda del Sorapiss, della Marmarjola e dell’ Antelao, nel suo versante occidentale, sopra. S. Vito. Nell’ Agordino orientale e nel Zoldiano, la massa dolo- mitica, sopraincombente alla sempre distinta zona delle marne iridate e delle arenarie soprastanti ai tufi, presenta addirittura i banchi a Megalodon finamente stratificati, presso alla sua base e perciò ritengo che quivi sia realmente una regione, in cui la dolomia inferiore è assottigliata e mancante. In complesso, convinto che in ultima analisi questa distinzione della dolomia inferiore dalla dolomia principale, non era di molto interesse nello scopo del mio studio in quella provincia, pur tenendo calcolo dei fatti da me osservati e delle indicazioni e delle determinazioni del signor Loretz, volli piuttosto lasciar riunite queste due for- mazioni nella carta, che ora vi presento, anzichè distinguerle a caso con induzioni più o meno inesatte. Non debbo però tacere di alcune differenze che mi sembrano esistere di fatto tra le due divisioni delle dolomie triasiche, così interessanti, non foss’altro per il carattere orografico, che desse impartono a quelle regioni. E queste differenze sono: che la porzione inferiore è caratterizzata da piccole e numerose chemni- zie, da ammoniti globosi, da qualche spongiario e dalle giropo- relle; che vi si trovano frequenti gli arnioni limonitici, i quali se diffusi e disciolti impartono alle pareti di quei colossi la tinta rosea assai calda, tanto simpatica agli alpinisti; che vi mancano assolutamente i grossi Megalodon ed i Dicerocardium, sviluppa- tissimi e comunissimi nei piani superiori; che la stratificazione della dolomia inferiore è più irregolare e spesso indistinta, men- tre la dolomia a Megalodon è regolarmente stratificata e si cliva anche secondo piani generalmente perpendicolari al piano dei | suoi strati; che finalmente in generale nei piani più bassi, se- — O APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 545 condo gli studî dei-signori Déòlter e R. Hornes, prevalgono le vere dolomie contenendo 17-20 di magnesia; mentre gli strati a Megalodon sono talora piuttosto calcari che vere dolomie. Vedremo però come delle roccie distintamente magnesiache compajano nel Bellunese e nella valle del Brenta a livelli molto più recenti, e come per conseguenza convenga andar molto a rilento nell’ac- cettare anche la teoria ultimamente esposta sull’origine e sul — metamorfismo subìto da queste formazioni. Sulle montagne dolomitiche del Tirolo meridionale e del Ve- neto sta per uscire un’opera dei signori Dolter e Mojsisovic, nella quale non so se verrà mantenuta l’idea dell’origine di tali roccie per formazioni coralline; la quale idea fu dapprima presentata dal signor Richthofen a proposito delle dolomie dello Schlern, quindi sostenuta dai detti geologi e dal signor Hòrnes in base spe- cialmente alla forma di masse amigdaloidi di quelle di esse dolo- mie che meglio meritano questo nome. Esse sembrerebbero quindi corrispondere a degli isolotti corallini, sepolti in una formazione normalmente litorale. Nelcaso che questa teoria si ripresentasse, sembrami le si potrebbero opporre delle assai serie objezioni, trattandosi di una formazione, la quale ad onta degli accennati interstrati nella porzione inferiore è così estesa, così potente, così unita, così scarsa di coralli, così uniforme, in una parola così oceanica. Non una breccia, che accusi il flagellare delle onde sulle scogliere madreporiche, non una rappresentanza anche con- fusa dei punti d’appoggio delle immaginate isole madreporiche. Ma per centinaja di metri di potenza e per centinaja di chilo- metri di estensione, calcari e dolomie, regolarmente alternate, e rappresentanti a mio avviso l’ideale dei depositi di mare pro- fondo. Formazioni infraliasiche e liasiche. — Lo studio degli equi- . valenti dei nostri strati ad Avicula contorta e delle due forma- zioni che a loro succedono cronologicamente, della dolomia su- periore e degli strati di Saltrio, fu lo scopo precipuo delle mie escursioni nella regione ‘calcare delle Alpi venete; e se posso dire di non aver omesso fatiche e continua attenzione, non posso del Vol. XXI. 35 946 T., TARAMELLI, pari rallegrarmi, specialmente prima dello studio definitivo del raccolto materiale, di risultati molto sicuri nè molto abbondanti. Imperocchè in tutte le regioni perimetriche all’affioramento delle dolomie triasiche e nei lembi liasico-giuresi, rimasti a coronare i colossi di quella dolomia, ho potuto fissare una assai semplice serie di terreni e raccogliere pochissimi fossili. Partendo dalla valle di Sappada lungo il Piave e quindi at- traverso iconfluenti di questo sino al fiume Cismone, le montagne dolomitiche, anche a ridosso della zona degli scisti protozoici del- l’ Agordino e del Comelico sono per così dire sostenute e coronate da frammenti di sinclinali di strati molto regolari e molto potenti di calcari bianchi giallastri e di dolomie farinose, quindi nuovamente di calcari grigi od oolitici, della complessiva potenza di tre a quat- trocento metri. Nella dolomia subcristallina, giallognola o can- dida, trovai frequenti dei Diceras e dei grossi Pecten. Rinvenni persino dolomitici alcuni strati presso Sospirolo con Terebratula fimbriaeformis, specie che il signor Benecke riterrebbe caratteri- stica dell’ oolite inferiore ma che in seguito venne dallo Zittel ri- ferita alla 7. Renieri Cat. e ritenuta assolutamente liasica. Le analisi chimiche stabilite dall’egregio mio amico, il cav. Andrea Secco di Bassano, sopra campioni raccolti a brevissima distanza dal piano ammonitico ad Amm. hybonotus e Terebratula diphya mi hanno assicurato che non si tratta soltanto di un’apparenza do- lomitica, ma di una roccia, che contiene al pari delle più normali dolomie triasiche presso al 20 °/o di magnesia. Queste masse cal- careo-dolomitiche a volta sono coronate tuttora dai calcari giuresi sino al biancone o poco meno, come si osserva nella zona calcare più esterna e specialmente nel bel gruppo di Campotorondo e del Monte Agnelasse; oppure sono troncate bruscamente, credo per erosione, appena sopra la dolomia a Diceras come all'Alto di Pelsa ed ai monti di S. Lucano; quivi guadagnando una altitudine di 2500 metri. Ritengo assolutamente identici gli strati, che con tanta regolarità salgono dalle valli di Otten a costituire la parte supe- riore dell’Antelao e ritengo che di tale formazione calcareo-dolo- mitica, liasica od infraliasica, se ne rinverrà traccie anche sui monti are ro o piè, APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 547 —_ Pelmoe Cristallo, dei quali non ho ancor fatta la salita. È certo poi che nella porzione del bacino del F. Boite, che sta fuori del confine attuale, cioè nelle montagne le quali accolgono le prime origini di questa corrente, esiste un ampio lembo liasico giurese, che si continua sino al Neocomiano e che fu assai ben descritto dal signor Loretz, come facente corona ai colossi dolomitici del Rothwand e della croda d’ Ancona; ed è noto quanta estensione abbia accordato il Richthofen alle formazioni liasiche e giuresi in questa regione. Dove la serie è continua, la zona dolomitica è costantemente inferiore alle molto ripetute alternanze di calcari oolitici e di cal- cari a crinoidi, le quali mi sembrano caratterizzare il giura in- feriore; come è assolutamente inferiore ad ogni strato ammoni- tico, compresi quelli, che per contenere talune specie del nostro rosso ammonitico di Lombardia, potrebbero esser riferite al Lias superiore. Questo si osserva chiaramente tanto nelle vicinanze di Belluno, entro la valle dell’ Ardo, come nella porzione inferiore dello Zoldiano, quanto nei dintorni di Longarone e di Erto. Qua e là, entro i banchi superiori della così detta dolomia del Dachstein, nel Friuli e nel Bellunese si vede affiorare un impor- tante orizzonte di piroscisti, di cui ho più volte discorso nei miei scritti; ma in questo non rinvenni mai dei petrefatti. Non posso quindi affermare che equivalga ad un altro piano bitumi- noso, che ho esplorato in questo autunno, dietro alcune indica- zioni dell’ onorevole signor cav. Antonio De-Manzoni, precisamente alle casere di Pelsa, che sono di proprietà di questo egregio gen- tiluomo. Questo piano delle casere di Pelsa è interessantissimo per i numerosi fossili, che esso contiene, in ispecie ammoniti e piccole bivalvi, le quali richiamano quelle pur troppo assai dif- ficili a determinarsi degli scisti neri infraliasici di Lombardia. Al presente non lo conosco che in questa unica località; ove lo strato fossilifero è sicuramente inferiore alla dolomia a Diceras e superiore alla dolomia triasica a Megalodon, la quale con enorme potenza affiora nel versante occidentale del monte Pelsa, sopra Listolade. Da un confronto superficiale mi sembrò scorgere molta 948 T. TARAMELLI, analogia tra questi fossili di Monte Pelsa e quelli descritti dal signor Rolle di Waldhiser Hohe presso Tubinga, al confine tra il Keuper ed il Lias.' A differenza della regione prettamente dolomitica, questa dei calcari e della dolomia del Lias e dell’oolite inferiore, si di- stingue per una maggiore regolarità della stratificazione, per formare quando è poco inclinata degli altipiani, ad orografia molto somigliante a quella delle regioni cretacee delle Alpi Giulie me- ridionali, a gore strette, a doline, a solchi regolari e profondi; sicchè quegli altipiani o quei morbidi pendii assumono l’ aspetto di tavole di marmo estesissime, corrose dal tempo. Ma dove queste stesse rocce furono fortemente spostate, come ai monti Peron e di Vedana allo sbocco del Cordevole, di guisa che si formarono delle fratture normali al piano della stratificazione e molto ob- blique all’orizzonte, quivi successe nel principio dell’epoca posgla- ciale un grandioso sfasciamento e si staccarono frane e scoscen- dimenti, al cui trasporto non può negarsi che abbiano contri- buito anche i ghiacciaj nell’ ultima fase di loro ritirata. ? Sino a definitivo studio della fauna ammonitica di Erto e Casso ad Ammomites bifrons, A. Mercati, A. Nilsoni, A. crassus, A. Des- placei, ecc. rimane pure incerto il limite superiore di questa 4 F. ROLLE, Ueber einige an der Grenze von Keuper und Lias in Schwaben auf- tretende Versteinerungen. Site. mathem. naturw. Classe der K. Akad.der Wissensch. B. XXVI. 1858. PI ? Il signor cav. Lucio Mazzuoli, già direttore delle miniere di Agordo, scrisse in proposito a queste frane una interessante Memoria, dimostrando che sono da conside- rarsi depositi glaciali o meglio frane trasportate per breve tratto dal ghiacciajo mentre era prossimo alla sua scomparsa dalla valle del Cordevole. Ho visitato le note frane col detto signore e mi sono persuaso che negli strati inferiori lo sfasciume calcare è commisto alla morena con elementi dell’ alto Agordino e che questi si trovano anche sino ad una certa altezza sui cumuli conici, nei quali la macerie vastissima fu modellata dalla erosione. Non si tratterebbe quindi di vere morene frontali, come vorrebbe il si- gnor Hornes; perchè il ghiacciaio di una valle, sculta in così diverse rocce, non si po- teva edificare delle morene quasi assolutamente calcari e perchè quei cumuli hanno tut- t’altro che l’aspetto di morene, sibbene di residui di una frana. La spiegazione potreb be a mio avviso estendersi anche a qualche altra molto disputata località delle nostre pre- alpi. Nel Bellunese ho raccolto parecchi esempi di frane calcari meno spettacolose ma disperse da ghiacciajo in modo analogo. APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 549 zona di dolomie e calcari liasici. Per ora ne ho constatata la presenza, con qualche dettaglio, che mi era prima ignorato. Formazioni giuresi. — Nel Bellunese e nel Feltrino i calcari a crinoidi, gli strati a RAynchonella e la zona ammonitica del titonico, non presentano alcuna differenza dalla successione de- scritta pei Sette Comuni dal signor Wacek e pel Veronese dai signori Benecke e Bittner. Il punto nero, che rimane a deci- frarsi non solo a me ma a chiunque vorrà approfondire gli studi di questi terreni al di fuori della regione esaminata dal signor Benecke, si è la estensione da accordarsi al piano ad Amm. Murchisonae delle ooliti di S. Vigilio, ove il geologo tedesco ebbe la rara ventura di raccogliere tanta abbondanza di fossili. Nella regione giurese della provincia di Belluno, sopra le dolo- mie a Diceras, le quali come dissi si spingono sino al piano a . Terebratula Remieri, osservai la zona ammonitica di Erto e Casso e delle falde settentrionali del Serva; indi i calcari oolitici o selciosi, con banchi zeppi di crinoidi, con qualche piccola Rhyn- conella (bilobata?); poscia. un calcare grigio o roseo; del pari selcifero, con assai frequenti Belemnites; sopra questo immedia- tamente il piano ammonitico a Terebratula diphya, colla fauna di Cesio, di Longarone, e di Campotorondo; e finalmente il Biancone, coll’interessantissimo piano ammonitico del Monfe- nera e dei dintorni di Lamon, nella valle del Cismone. A po- nente della valle del Cordevole, ho perduto di vista il piano ammonitico più profondo e per converso ho osservato che il se- condo, il titonico, pigliava sempre maggiore sviluppo. Il piano del Monfenera cessa verso oriente nei pressi di Valdobbiadene e verso occidente non lo ritrovai nemmeno sopra Bassano; nè credo che ricompaja nell’altipiano di Asiago. I due primi se pur sono di- stinti non sono molto lontani e sono, almeno stratigraficamente, piuttosto attigui che succedentisi; di guisa che almeno ora mi ri- mane la prevenzione che si tratti piuttosto di faune contemporanee e diversamente accantonate secondo le varie profondità marine, anzichè di due livelli tanto lontani quanto sarebbero l’oolite in- feriore ed il Kimmeridgiano. A tale prevenzione contribuisce non 550 T. TARAMELLI, poco il fatto che in Lombardia la zona ammonitica, che fu ri- ferita al Lias superiore, è immediatamente sottostante al rosso ad Aptichi, il quale ad Entratico contiene la Terebratula diphya o per lo meno una forma molto affine a questa specie; e ad Induno diede la Terebratula triquetra Park., della quale specie il signor Benecke raccolse 40 esemplari nel Diphyakalk dei din- torni di Roveredo. Nè so capacitarmi, così a priori, come tante suddivisioni di piani possano stabilirsi in una zona, che ha real- mente una assai tenue potenza tra il biancone e le dolomie liasiche; mentre poi queste, ed i calcari oolitici, che le accompa- gnano potentissimi, ed i calcari selciosi ed a crinoidi e proba- bilmente anche il suaccennato piano bituminosi di Monte Pelsa, vanno condensati nella divisione del Lias inferiore. Vero è che anche il nostro terreno di Saltrio e di Moltrasio misura non in- differente spessore, specialmente nelle montagne tra i due rami del Lario. Evidentemente qui parlo di mie prevenzioni, di dubbi che mi propongo di dilucidare, ben lontano dal voler dare ad essi un valore superiore a quanto ponno avere. Se mi permetto di ester- narli si è perchè sono convinto che anche nella scienza talvolta il progresso stia nel ricorrere sulle idee dimenticate e che si ottenga stabilmente solo col guardare in faccia e da più lati le idee nuove. E questa nuova cronologia della formazione liasico- giurese-delle prealpi nostre sembra che non meriti ancora di esser accettata ad occhi chiusi. Per ora, accettando temporaneamente la serie proposta dallo Zittel e mantenuta nella recente opera del signor Lepsius sul Tirolo occidentale, noi vediamo questa esattamente rappresentata nel Bellunese. Infatti, le dolomie ed i calcari grigi a Terebratula Renieri di M. Pizzocco, M. Serva e dei monti dell’Alpago rappresentano il lias a facies di Noriglio. I calcari oolitici di M. Peron e M. Alto, le rocce brecciate ad A. bifrons di Erto, dello Zoldiano e della Valle dell’Ardo, rap- presentano il lias superiore a facies lombardo. I calcari oolitici del M. Pavione e di Campotorondo corrispondono all’oolite infe- riore (piano di S. Vigilio), mentre l’oolite media è rappresentata Mm n v t 1 n APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DÌ BELLUNO. 5510 nella seconda località dal piano ad A. Humfresianus. Sviluppa- tissimo poi il Titonico, si espande a tutte le zone giuresi del . basso Agordino, coi suoi più distinti caratteri, ricchissimo di fos- sili in parecchie località e specialmente a Campotorondo e presso Cesio; e solamente verso sud-est, nell’Alpago, quantunque il Ca- tullo citi di colà la Terebratula diphya, tale piano sembra man- «care od assumere altre forme litologiche, per sfumarsi colla for- mazione calcare del M. Cavallo, probabilmente isocrona ma a tipo corallino. Non saprei trovare i rappresentanti dei calcari gialli a Rhynchonella bilobata; ma è noto che anche nel Veneto occidentale questo piano è ridotto discontinuo e sembra mancare affatto nei monti dei Sette Comuni. Il piano delle filliti, e delle grandi bivalvi, manca del pari nel Bellunese e certamente non può ad esso corrispondere quello dei piroscisti del Friuli e di Lon- garone, poichè questo è molto profondo nelle masse delle dolo- mie ed appartiene probabilmente alla formazione infraliasica. Formazioni cretacee. — Nel rilievo iniziato non toccai la porzione cretacea del Bellunese ; epperò non posso che richiamare quanto è noto in proposito; come, cioè, sia appunto in questa regione e precisamente sulla catena, che divide il vallone di Belluno dalle colline trevigiane, che avviene la sfumatura della formazione cal- care turoniana, a rudiste, colla scaglia rossa a grossi echinidi ed a inocerami, mediante un calcare selcioso-grigio, senza fos- sili, che normalmente inferiore alla scaglia stessa e superiore al piano titonico si accompagna abbastanza continuo dal Ponte delle Alpi alla chiusa di Quero ed all'altra gora del Cismone sopra Fonzaso. Lungo la valle del Cismone pur esso poi si perde nella uniformità della formazione scagliosa. Sarà un bel problema darisolvere lo stabilire i vari piani nelle masse di questi calcari marnosi, iridati, finamente stratificati, che si adagiano concordanti sul piano a Terebratula diphya, prima colla forma del biancone, poscia con quella della scaglia rossa pre- valentemente calcare, quindi con rocce scistose, ossidate, identiche a quelle, che nella valle di Claut e nel Friuli orientale si alter- nano coi banchi nummulitici. Nelle escursioni dello scorso autun- 552 | T. TARAMELLI, no non ho potuto rilevare alcuna prova di discordanza. sicura nella serie degli strati dal giura all’eocene; mentre mantengo la convinzione che uno studio più dettagliato debba dimostrare come per le regioni carniche e giulie, una emersione o per lo meno uno spostamento tra la creta e l’eocene. Di fossili della scaglia, che si scava così attivamente presso Feltre ed alla Secca di 5. Croce, non si rinvengono che grossi Conoclypus? schiacciati, qualche raro inoceramo e quelle fucoidi spirali, che si trovano anche nelle rocce eoceniche tra Salò e Desenzano. Nella cava presso Feltre furono rinvenuti anche dei denti di squalo, che sono posseduti dal signor conte Avogadro, a Bivai di S. Giustina. Dai dintorni di Longarone e di Erto non ebbi nemmeno una trac- cia di fossili nella scaglia rossa; gli strati calcareo variegati, che stanno sotto alla marna e che si scavano a Castellavazzo sono piuttosto giuresi che cretacei e somministrarono altri bellissimi inocerami e dei denti di Ptycodus e di altri pesci. Lungo la sa- lita dal ponte del Cismone a Lamon, osservai e raccolsi degli ‘ Aptichi, dei gasteropodi e degli Scaphytes in strati della scaglia. Ma è tutto materiale da studiarsi e non abbondano certamente 1 materiali di confronto. Si può presumere pertanto che lo stu- dio di questi materiali delle zone cretacee bellunesi tornerà a conferma di quanto fu già da anni scritto sulla fauna e sull’e- poca di analoghe formazioni della Trevigiana é del rimanente delle prealpi venete dell’ egregio signor B. de Zigno. Lo studio di queste formazioni sarà l'obbiettivo della futura campagna autunnale; al presente, a proposito dei terreni cretacei bellunesi, debbo limitarmi ai suesposti semplicissimi cenni. Formazioni terziarie. — Il signor Hornes ha recentemente confermato il riferimento all’eocene degli strati più profondi, che riempiono il vallone bellunese sotto le note glauconie e sopra la scaglia rossa; come pure il riferimento di questa glauconia agli strati di Schio, che io ho proposto otto anni or sono. In queste vacanze esaminai solo di volo la serie terziaria penetrando nella valle dell’ Ardo e rinvenni delle arenarie a piccole num- muliti, precisamente negli strati più profondi di quella fitta al- > : i La i 1 i 3 ci il È i ) | rh =. j a E / (Pelli pei di in APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 553 è ternanza di arenarie e di scisti argillo-plumbei, che hanno tanta somiglianza cogli strati del Y/lycsh alpino e del Liguriano apenninico. Le arenarie glauconiose sono sempre discordanti dalla sottoposta serie eocenica, molto più spostata, contorta e nelle sue mosse stratigrafiche associata colla serie mesozoica, | giurese e cretacea. La mancanza del terreno nummulitico, quale è caratterizzato nel Friuli, è anche una prova di tale discor- danza, il valore della quale mi sembra sia sfuggito al signor Hornes; mentre io lo credo assai rilevante, perchè in perfetta armonia con tanti altri fatti, i quali dimostrano come almeno a levante del Brenta probabilmente per tutta la regione pre- alpina carnica e giulia, fuvvi un periodo di emersione tra l’ eo- “ cene ed il miocene. Di più questa discordanza è in relazione coll’altro fatto ancor più generale, che cioè il sollevamento ef- ficiente, non dirò la orografia, ma lo schema della altimetria rispettiva delle varie masse montuose sulle Alpi, data dallo scorcio dell’ eocene. Devo anche aggiungere a quanto scrive il signor Hòrnes, che nell’Alpago, sopra le marne a T'urritella stanno dei lembi di conglo- merato calcare, marino, analogo a quello che ricopre le marne stesse nei dintorni di Bassano. Talilembi mi sembrano un residuo di rocce . dal periodo fortoriano, darante il quale è assai probabile che il mare occupasse ancora la depressione del vallone bellunese, di cui ap- — puntol’ Alpago è una continuazione; in quella guisa che era som- | merso l’anfiteatro friulano sino ad un livello presso a poco uguale ‘a quello di Lamosano e di Chiès, ove rinvenni appunto tali lembi in una escursione quivi fatta coll’ egregio amico dott. cav. Andrea . Pirona, nella sinistra contingenza del terremoto del 1873. Di for- mazioni sarmatiche e plioceniche, marine, neppur l’ ombra in tutto . il Bellunese. Di alluvioni cementate, spostate od ancor in posto ma sicuramente preglaciali, di tufi, di frane cementate ed arro- tondate dai ghiacciai, ‘sono numerosissimi gli esempi, specialmente nel Vallone bellunese e nei bacini di Agordo, di Canale, di Pieve di Ca- dore, di Auronzo e più che altrove presso Padola, in Comelico. Altro |. bellissimo esempio di un’alluvione preglaciale, corrispondente ad un 554 T. TARAMELLI, sistema di Thalboden molto elevato sull’ attuale, si nota a S. Mar- tino di Erto; e dalla sua elevazione, di oltre 300 metri, sull’attual | corso del Vajont si può misurare l’effetto della erosione nell’ ul- tima fase dell’epoca continentale, attraversata da quella regione. Nè è d’uopo che qui nuovamente richiami la importanza di tali fe- nomeni continentali, anteriori all’epoca glaciale; essendo questo un argomento, che ho trattato fin troppo diffusamente in altri miei scritti; eppure non ancora abbastanza ne discorsi per poter | convincere chi era mio desiderio vi ponesse mente, della neces- sità di analizzare senza preconcetti il sran problema della emer- | sione definitiva delle falde alpine prima di continuare una molto dannosa polemica sulla realtà del mare, glaciale al piede delle Alpi. Certamente quanto vale pel Bellunese e pel Veneto non vale precisamente per le prealpi lombarde e pel Piemonte, per la regione cioè interessata nei movimenti dell’ Apennino; ma riscontrate le differenze, queste si devono accuratamente preci- sare e potrebbe anche darsi che si riducessero a molto minori proporzioni di quanto ci sembrava a tutta prima; e ciò non è improbabile, trattandosi di regioni non molto lontane. Formazioni glaciali e posglaciali. — Rimango nell’ opinione che durante il massimo sviluppo glaciale, entrambi i ghiacciaj del Brenta e del Piave, collegati col sistema dei ghiacciai princi- pali per parecchie anastomosi, dimostrate anche dalla natura dei massi erratici, scendessero al mare. Ritengo probabilissimo che | le morene dell’altipiano di Asiago, descritte dall’ egregio collega prof. Omboni, appartengano appunto a questo periodo di mas- sima espansione. Allo stesso periodo appartengono certamente i massì più elevati del Cansiglio, dei monti lungo le chiuse del Brenta e del Cismone, del M. Armarola, a sud-ovest di Agordo, del Cesen e del Monfenera, presso Feltre; nonchè quelli disse- minati sul versante meridionale dei colli di Serravalle e di Ce- | neda. L’ altitudine massima di questi erratici, misurata sul ver- ‘sante settentrionale del M. Pavione, a nord di Aune, è di 850" sul letto della più prossima corrente; più frequente è l’altitu- dine di 700 metri. I terrazzi morenici invece, così continui e così APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 555 me ravigliosi nel vallone bellunese, si mantengono da S. Grego- rio alle rovine di Vedana a 350 metri sul Piave. Presso a poco alla stessa altezza sulla sponda sinistra del vallone stesso si os- | servano altre morene sopra la Vena d’oro, sopra Trichiana ed sud di Mel: Entro la vallata del Cordevole, del Boite e del- l’Anziei se ne osservano di conservatissime e ricorderò quelle di Voltago e Frassenè di Agordo, quelle della Vallada di Canale, di Selva e Pescul, di Forno di Zoldo, di Auronzo, di Sappada, di Valle di Cadore e di Cibiana. Questa importante differenza di spessore nelle masse glaciali nei due periodi o nelle due fasi del periodo glaciale, doveva na- "turalmente essere accompagnata da una ragguardevole differenza nella posizione delle fronti. Ond’è che al presente io dubito assai «che nemmeno il ghiacciajo principale del Piave, nella seconda ‘fase, uscisse al piano; oltre la sella di Fadalto ed a sud della stretta di Quero. Ed inclinerei a spiegare la mancanza di una al- luvione terrazzata in corrispondenza di questa corrente, colla considerazione: che le sue due conoidi alluvionali aventi i ri- ‘spettivi apici a Montebelluna ed a Nervesa, ai due estremi del Montello, piuttosto che contemporanee ed entrambe dell’ epoca | posglaciale, possano ritenersi, l’una della seconda fase glaciale | e.precisamente quella ora abbandonata di Montebelluna, e l’al- tra, solcata recentemente dal Piave, di epoca posglaciale epperò È non terrazzata. Allo sbocco della vallata del Brenta, presso Bassano, esiste una potentissima alluvione a grossi massi arrotondati di materiali i alpini ed è incisa questa da profondi terrazzi. Per lo che non è a dubitarsi che nella seconda fase glaciale la fronte del ghiac- | ciajo non si fosse già ritirata da quei paraggi, che sono d’altronde ad una altitudine troppo piccola e mancano di ogni traccia di f i depositi morenici. La stessa alluvione, ma meno potente e meno È i quivi possiamo sorprendere la fronte glaciale nella fase degli an- o sono a circa 400 metri sul fondo della valle, la quale è facile. cora sbarazzata la via nella chiusa a valle, che forse non era ancora. 556 T. TARAMELLI, PR O See cino di Lamon e di Sorriva, dove per fortuna ci attende un me- raviglioso sistema di morene e di formazioni lacustri ed alluvio- nali di arrestamento morenico. ATO. Il bacino di Lamon può definirsi come l’effetto d’un’ amplissima erosione nelle formazioni della scaglia e del titonico. Esso .è at- traversato dal torrente Cismone, che a tramontana ed a mezzo- giorno taglia le gambe di una sinclinale degli strati giuresi più profondi. I torrenti Ausore e Zinaiga convergono nel Cismone | presso il limite inferiore del bacino, segnandone quasi il perime- | tro meridionale ed entrambi rasentano ed incidono di continuo | dei vastissimi lembi morenici, addossati sulle falde settentrionali | dei monti Avena, Col di Frassini e Col Martel. Queste morene ì | | | ì | Se - comprendere come si rinserri all'incontro dei calcari giuresi (cal- care cavernoso) che formano la briglia scendente dal M. Avena. Sopra Faller, Aune e Servo come verso Aricca e S. Donà, sui due versanti del bacino, le morene sono talora conservatissime. Però ad un livello di 250 a 300 metri sul Cismone il carattere morenico degli accumulamenti di materiale alpino passa grada- tamente al carattere alluvionale; grossi blocchi arrotondati stan disseminati in letti di ciottoli più minuti e si alternano con fina belletta. Alcuni strati sono cementati ma per lo più disciolti e _ tutti orizzontali o meglio formanti una regolare conoide, che si | deprime dallo sbocco della valle nel bacino di erosione, presso il 1 Sasso Falarese, sino alla chiusa terminale attraverso la briglia | del M. Avena. Evidentemente le morene più elevate, intorno al perimetro del bacino e specialmente sui suoi versanti meridionali, rappresentano l’arretramento dell’importante ghiacciajo del Ci- smone nel periodo degli anfiteatri morenici. La conoide, in parte di rimestamento morenico per lo sfacelo delle morene formate più a monte, ed in parte prettamente alluvionale, data dai primi tempi dell’epoca posglaciale; quando il Cismone non si era an-. Sin PIMS OI ODE LN A mA ian così profondamente incisa od era tutta ingombra di morene. Quello che sorprende si è lo spessore di questa formazione alluvionale So APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. —557 in taluni punti. Misurata ad esempio da Lamon al letto del Ci- | smone sotto al ponte della Serra, raggiunge 235 metri e per oltre 300 metri l'alluvione e la scaglia sono incise dal torrente Mo- | lino. La erosione poi avvenne col più regolare terrazzamento, che in alcuni punti è rappresentato persino da sette gradini, come sotto Sorriva. Credo che a spiegare tanta potenza di alluvione | posglaciale occorra por mente anche alla estrema erodibilità dei versanti del bacino, le cui rocce formano ragguardevole porzione del materiale trasportato. Riguardo poi alla quantità dell’inci- ‘sione, è dessa un fenomeno necessariamente collegato collo stabi- | lirsi della pendenza della corrente in una valle assai lunga, della quale il bacino di Lamon già rappresenta la porzione alpestre; di attivissima erosione. È una quantità affatto locale, dovuta ad “una particolare conformazione orografica e che non può dare al- cun criterio cronologico. Essa equivale ad incisioni molto meno profonde, praticate in più ampi bacini, come in quella del Piave lungo il tratto da Capodiponte a Cornuda ed in quella del- l’Astico sotto Arsiero. Si potrebbe pensare che nella sua porzione più profonda que- sta potentissima massa alluvionale del bacino di Lamon fosse . preglaciale o meglio contemporanea al lento espandersi del ri- spettivo ghiacciajo; e questo mi sembra assai probabile. Quanto . sembrami di dover escludere assolutamente, si è che questa allu- | /vione sia pliocenica, siccome i lembi di conglomerato che si os- servano qua e là per le valli principali e nei colli trevigiani; poichè questa alluvione pliocenica è molto più tenacemente ce- mentata, è spostata ed infranta e quel che più importa, si coor- dina con un sistema idrografico, che non è esattamente l’at- tuale. Per esempio, le alluvioni del pliocene inferiore di Asolo e di Montebelluna hanno abbondanti materiali granitici e porfi- rici, i quali rappresentano un’antica confluenza della valle del Cismone nel bacino del Piave, o dirò meglio del Cordevole; sono in strati fortemente inclinati e formano un terreno evidente- mente spostato, con una determinata direzione molto prossima a quella delle rocce mioceniche di quella contrada. Invece le 558 T, TARAMELLI, alluvioni quaternarie, preglaciali o posglaciali, cementate o meno, sono in banchi regolari, tutt'al più parzialmente franati per ero- | sione; essi corrispondono alla idrografia attuale, completata ove occorre cogli effetti del trasporto erratico; costituiscono pianori regolarissimi e non formano giammai un sistema di rilievi, coor- _ dinati colla struttura stratigrafica delle regioni, in cui si osser- . vano. Esse alluvioni sono insomma provvedute di quel carattere | complesso ed indefinibile di attualità, che le fa distinguere da tuttele formazioni anteriori agli ultimi decisivi mutamenti oroidro- grafici; mutamenti che io non ritengo che siano stati così lenti e _ così quieti come propenderebbe a crederlo la pluralità dei geo- logi. Non vorrei, egregi colleghi, comparire ai vostri occhi come retrogrado anche per questo mio sospetto; ma più ci penso e | più mi persuado che devono esser state molto risolute le pulsa- | zioni, che misurarono la vita secolare a questo nostro pianeta. A chiudere questo informe abbozzo dovrei dirvi alcunchè dello stato attuale delle vedrette e dei ghiaccia], se pur si ponno chia- mar tali quelli della Marmolada, del Civetta e dell’ Antelao; ma. ho comunicato le mie osservazioni in proposito al mio illustre maestro, il quale appunto sta occupandosi dello studio delle ul- i time vicende dei ghiacciaj alpini. In quanto alle condizioni stra- tigrafiche, certamente assai interessanti, non credo molto utile { nè divertente il parlarne senza l’ajuto di tavole e di profili; ol- 4 trechè non tutte ponno esser note prima del completo rilievo | di una regione alpestre, ricca di una lunga serie di formazioni e | che per la sua stessa orografia si accusa come il teatro di pro- fondissimi ‘disturbi stratigrafici. Basterebbe un profilo delle for-. mazioni liasico-giuresi della valle di Zoldo o dei dintorni di. Erto, di Claut e di Longarone per mostrarvi, se ve ne fosse ne-! cessità, come furono tormentate e di quanto furono abrase que-. ste masse di terreni mesozoici e terziari; senza parlare delle con-. torsioni e dell’abrasioni subìte in epoca antichissima dalla serie. i | paleozoica e. protozoica. a Le discordanze più evidenti sono appunto tra il protozoico ed. il trias inferiore e tra l’eocene ed il miocene; ma chissà quante. APPUNTI GEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI BELLUNO. 559 grafici e stratigrafici a preferenza che per i paleontologici; per- chè rappresenta una lunga serie di gruppi montuosi, con forma- | quella bella regione, la quale, se è desiderabile sia esplorata dai . nostri alpinisti almeno quanto lo è dagli alpinisti forestieri, non è meno da far voti che sia nota ai geologi italiani quanto lo è ai | geologi d'oltralpe. COLLEMBOLA. Ì Saggio di un Catalogo delle Poduridi italiane, del socio Dott. CorraDpo PARONA. Ten continuate e non infruttuose mi pongono in grado | di potere aggiungere parola a quanto dissi altrove * sull’inte- ressantissimo gruppo di Insetti Tisanuri (nel senso lato), che è quello delle Poduridi. Il materiale zoologico lo dovetti, posso | ben dire, procurarlo da me solo e ciò lo dico onde scusarmi della | Sua scarsità, i Tutti conoscono, come altra volta già accennai, che una dif- | ficoltà la quale giustifica, fino ad un certo punto, l’oblìo in cui fu lasciato questo gruppo di animali è la loro estrema piccolezza, | agilità in taluni grandissima ed i luoghi reconditi, o poco vi- ‘sitati nei quali sogliono vivere. Queste circostanze fanno sì che ‘le Poduridi non vengono ricercate da chi, con grande solerzia __ ® Vedi Bibliografia (PARONA dottor CorRADO. Delle Poduridi, ecc.). 560 C. PARONA, va pur raccogliendo altri artropodi e non pochi non le conoscono — o solo imperfettamente; quindi da me, nei pochi momenti di li- bertà, con brevi escursioni, riescii a mettere assieme quanto ora presento a questa nostra Società. Sarei scortese però se tacessi che qualche poco l’ebbi da altri, che qui son lieto di ringraziare pubblicamente; sono: il signor Magretti Paolo, studente di scienze naturali, che me ne recò dalla Sardegna, e mio fratello Carlo Fabricio, assistente di mi- neralogia e geologia, che ne fece raccolta in qualche sua gita geologica. Per questo studio scarseggia, a vero dire, anche il materiale scientifico. Infatti, ad onta di diligenti indagini fatte in questi ; anni, l’elenco bibliografico che riporto, sebbene si possa dire completo, è piuttosto breve. Nei lavori italiani, eccetto la ci- tazione di tre o quattro specie di Poduridi fra le più comuni, e poste quasi in aggiunta ai cataloghi d’entomologia * non ho potuto ritrovare che un breve scritto sull’argomento; però non | poco interessante. | È del signor Grovanni Siva (Memorie di alcuni naturali fe- nomeni. Pavia, 1770) e dedicato al conte CARLO DE FIRMIAN. Parla di una Podura apparsa sui colli di S. Colombano (Lo- digiano) sulla neve, per tre inverni successivi. Minutamente de- } scrive, non senza grande meraviglia “di piccolissime macchie ne- riccie che a guisa di punte alla vista gli si offrivano , ed accortosi | essere invece minutissimi e vivacissimi insetti, subito si fece stu-. pore come essi “in quel freddo elemento ne potessero vantare - l'origine; tanto più in riflettendo che nel nostro clima veggiamo talora scorrere le intere invernate, senza mai nevicare ,, e come. potessero vivere quando la neve erasi disciolta. Osservò, a questo proposito, che essi insetti, trasportati dall'acqua del disgelo ve- nivano radunati “nelle acque scorrenti pe’ solchi delle campa-. 1 DIsconzIi, Entomologia vicentina. Padova 1866. (È uno dei più copiosi e diligenti cataloghi). A pag. 232 cita le sole seguenti specie: Podura arborea, — Podura viridis, — Achorutes aquaticus, — Lipura fimetaria, — Smynthurus fuscus, — Desoria nivalis. COLLEMBOLA. 561 gne in tal quantità, che le rendevan annerite, ma in questo caso si trovavano altresì affatto privi di vita. ,, Non trovando tali in- setti che nella “stagione nevosa , spiega la loro comparsa nel seguente modo: “ Venni adunque ad avvertire, che questi vermi incominciano a farsi vedere, allorchè spirando arie siroccali, e caricatasi l’atmo- sfera di foltissima nebbia, ne stillava semigelata minutissima pioggia, alla quale sovente i contadini esposti per travaglio della campagna, nel medesimo tempo che divenivano i loro abiti molli, li discoprivan anche carichi di questi insetti. Un tale fatto, ab- bastanza provato, unitamente alle accennate osservazioni, fatte particolarmente su’ tetti, mi fece concludere che in questo paese erano avventizî e non originarî. Si può aggiungere ancora il ri- flesso sull’indole loro assai connaturale all’umido e al fresco, ma come potrebbono durarla su queste colline di San Colombano, dove io ho fatte le mie esperienze, nelle più aride stati, in cui qui non resta goccia di umore, e in cui ho veduto mancare per dei mesi le stesse rugiade, disseccar affatto le erbe, e perire anche delle piante più adulte? E poi, negli inverni privi di neve, dove mai qui hanno il loro refuggio? Anzi, nelle stesse invernate ne- vose, se non ricadon le nebbie sopra descritte, non è sperabile la loro comparsa. ,, Pensa quindi, come più innanzi dice, che “ forse le loro ova, o essi medesimi, portati da’ venti insieme co’ densi umidi vapori dai monti nevosi, o dai boschi più folti, a noi ne provengono , e che intendeva “ d’invitare il vivacissimo signor abbate SpAL- LANZANI a ricercarne l’origine e la propagazione ; egli ha un ta- lento ed una abilità singolare in queste scoperte. , Infine ne dà la descrizione, e colla scorta dello SWAMMERDAM, di GoeDART, di ReAUMUR, di DE GEER, di LINNEO e di GEOFFROY, le ritiene Podure, ma non la P. aquatica, perchè esse “ liquefatta la neve periscono nelle acque medesime ove, per esperienze tentate, non possono aver lunga vita. , Volli discendere a questi particolari avendo, a parer mio, molto interesse; dapprima perchè l’autore ci dà qualche cenno biologico Vol. XXI. 36 562 | .C. (PARONA; di tali esseri sì poco noti; poi perchè accenna alla comparsa di si- mili insetti in gran quantità anche fra noi e perchè infine su questo caso si possono fare alcune notevoli considerazioni. Se infatti si confronta la figura, sebben grossolana, che il Silva pose in fine del suo scritto, con quella della Podura aqua- tica dei recenti autori, tosto si scorge essere affatto diversa, as- somigliandole solo pel colorito, mentre invece si osserva che pei caratteri più salienti si avvicina maggiormente alla Degeeria nivalis ; come la forma della testa, la lunghezza e la forma delle antenne, delle zampe e dell’appendice caudale; tranne però nel colorito, che in questa è giallo grigiastro, mentre in quella del SILva è nero. Si dovrebbe quindi piuttosto ritenerla quest’ ul- tima e non la Podura aquatica. Di più, io pure penso doversi considerare la sua comparsa sulla neve come accidentale, perchè sebbene il SiLva la ritrovasse sui colli di San Colombano per tre inverni consecutivi, io, all’incontro (a Pavia), quantunque ne fa- cessi frequentissime indagini, anche colle condizioni atmosferiche accennate dal SILva, e sulla neve, e sui tronchi d’alberi, e sulle acque negli scorsi inverni, giammai fui fortunato di ritrovarla, nè in società, come vorrebbero De GEER, FABRICIUS e BoISDUVAL, nè solitaria, come sempre la ritrovò NicoLeT. La rinvenni invece più tardi, ma in condizioni di luogo e di tempo diversissime, come vedremo a suo luogo. Fuori d’Italia la bibliografia è ben più ricca, essendo più nu- merosi i raccoglitori e gli studiosi di questi insetti. In Inghilterra, ed in Germania massimamente troviamo varî autori che se ne occuparono e se ne occupano con molta lode. Certamente non voglio, nè posso qui dire, neppure in succinto, dei più interessanti di tali lavori stranieri; invece riunirò il più completamente possibile, le indicazioni di quanto fu scritto sui Tisanuri; riferendo ancora quella parte che già ebbi a segnalare in altro mio lavoro. Grer Cart (DE). Osservation ofver Smà Insecter, som kunna happa è hògdeh; in K. Vet. Acad. Handlgr., 1740 (2 Upl.), pag. 265. COLLEMBOLA. 563 Gerr Cart (DE). Observationes de parvulis Insectis, agili saltu corpuscula sua in altum levantibus, quibus Podurae nomen est; in Acta Soc. Upsal., 1740, | pag. 48-67. Grer Carr (pe). Experimenta et observat. de parvulis Insectis (Poduris). Stockholm, 1741, 4, cum tab. Gere Cart (DE). Beschreibung eines Insekts Podura fusca, globosa, nitida, an- tennis longis, articulis plurimis. (1. Taf.); in Abhandign. d. Schwed. Akad., Bd. 5., 1743, pag. 239-245. Linnarus. Fauna Suecica ; 2.* ed., 1761. Grorrroy. Hist. des Insectes qui se trouvent aux environs de- Paris, 1762. 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In questo libro troviamo dapprima una copiosa e completa parte d’introduzione, che tratta della bibliografia; in secondo luogo fa un esame delle classificazioni adottate dagli autori an- tecedenti; in terzo luogo dà interessanti ragguagli di questo gruppo in riguardo all'evoluzione degli insetti, considerando la Campodea come il vivente rappresentante del tipo primitivo, dal quale quindi sono derivati tutti gli insetti; in quarto luogo ci porge una descrizione sistematica ed una revisione delle specie conosciute, non ommettendo numerosissime osservazioni proprie. Infine vi aggiunge un saggio sulla struttura delle scaglie dei Ti- sanuri, concordando le proprie osservazioni con quelle di I. BECK e R. Brcx. Di importanza non minore, sotto un altro punto di vista, è lo studio di ULJANIN, Sullo sviluppo delle Poduridi; importante perchè, lo studio dello sviluppo dei gruppi intermediari, ci viene spesso ad indicare il posto che tali gruppi dovrebbero occupare in una classificazione genetica. | Brevemente quindi ne trascrivo le conclusioni : 1.° Le uova appena deposte di due sp. di Degeeria, l’ Achorutes tuberculatus (Anoura muscorum) e l’ Anurophorus fimetarius (Li- pura fimetaria) constano d’una membrana esterna (chorion) con- tenente un vitello incoloro, nel quale non si potè constatare la vescicola germinativa, nè la membrana vitellina, nè il micropilo. 2.° Dopo qualche tempo dalla deposizione comincia il fra- zionamento, il quale è completo e regolare. Compitosi questo, l’uovo risulta da tante segmentazioni disposte in due strati; l’uno interno, centrale; l’altro periferico a quello e che alla sua volta è circondato da uno strato di cellule blastodermiche. 3.° Formato il blastoderma, il contenuto dell’ uovo si contrae. Le cellule blastodermiche moltiplicandosi rapidamente si sovrap- pongono in vari strati. La superficie dello strato blastodermico divien sempre più ineguale, e tale superficie ingrandita per le 568 C. PARONA, ineguaglianze segrega una membrana cuticulare (cuticola blasto- dermica) che scorgesi, attraverso il corion, molto pieghettata per adattarsi alle ineguaglianze del blastoderma. In alcune specie la cuticula va provveduta di appendici piuttosto numerose e di forme svariate, che più tardi’ serviranno a lacerare il corion. 4.° Compiutasi la formazione della cuticola blastodermica, le ineguaglianze del blastoderma scompaiono, e questo lo si vede inspessirsi in due punti opposti (testa e parte caudale dell’ em- brione). Questi due rigonfiamenti si riuniscono e limitano una fossetta, al cui fondo formasi il secondo foglietto embrionale. A questo punto il corion si fende, dopodichè l’ embrione è rico- perto dalla cuticola blastodermica, sotto la quale si distingue una membrana embrionale unita in un punto coll’embrione. 5.° Dopo la comparsa del secondo foglietto nel fondo della suddetta fossetta, vedesi formare, a spese delle cellule del fo- glietto embrionale esterno; un rialzo intorno alla fossetta mede- sima. Questo rialzo, il cui accrescimento è rapido, si trasforma nel così detto organo sferico (Embrione degli Amfipodi e di qual- che altro crostaceo inferiore — MicropyUWlenapparat). La super- ficie dell’ embrione, come anche l'interno dell'organo sferico; se- gregano una membrana embrionale, che si stacca in totalità dalle cellule donde ebbe origine, eccetto che nell'interno dell’ organo sferico. 6.° Il retto si forma per l’invaginazione del foglietto esterno; lo stesso avviene, molto probabilmente, per l’ esofago. La parte mediana del canale alimentare, a quanto sembra, origina da un ammasso di cellule del secondo foglietto. 7. Le antenne provengono dalle placche cefaliche laterali. Gli organi della bocca si formano in tre parti, di cui una man- dibolare e due mascellari. Si formano le tre paia di estremità to- raciche, e le due paia d’estremità addominali, delle quali 1’ ante- riore si trasforma nell’organo enigmatico dell'addome, posto al margine anteriore del segmento addominale; la posteriore nella forca, o coda (Springgabel) dell'insetto adulto. | 8.° Durante la formazione delle estremità si vede comparirà Bd Ln COLLEMBOLA. DES. | in molta vicinanza ed all’indietro dell’organo sferico una dupli- catura trasversale che disgiunge le parti cefalica e caudale. Com- | piutasi questa duplicatura la parte cefalica si allontana poco a poco dalla parte caudale. L’embrione, che avea fin allora le estre- mità rivolte verso la periferia dell'uovo, muta grado grado la | posizione in un’altra diametralmente opposta, rotando nelle mem- brane embrionali e blastodermiche. sulla sua parte ventrale. Quando avviene la sortita dall’ uovo, la prima membrana a rompersi è l’embrionale. «—’—‘9.° Alcuno dei Tisanuri (Lepismatidi) differenzia essenzial- mente dal modo di sviluppo delle Poduridi. Queste differenze con- | sistono principalmente in ciò — che l’ embrione resta colle estre- mità sue rivolte alla periferia dell'uovo fino alla sua sortita; — i che l’embrione è munito d’un apparecchio provvisorio per la ‘rottura delle membrane embrionali; — ed infine che 1’ organo sferico ha una posizione differentissima da quella che ha nelle Poduridi. I fatti citati provano che i Tisanuri per il loro modo di svilup- | po si ravvicinano molto più ad alcuni Artropodi inferiori (quali'i Crostacei ed i Miriapodi), che non agli Insetti. Nel loro sviluppo ‘i Tisanuri hanno molta somiglianza coi Crostacei inferiori, nei ‘quali, come nei Tisanuri, il vitello subisce un frazionamento com- ipleto; il blastoderma segrega una cuticola blastodermica ed in- fine in essi il primo organo a formarsi nell'uovo è l’organo sferico. Per le osservazioni di MerzwIKorr sullo sviluppo dei Mi- t lapodi si conosce che essi differiscono dalle Poduridi: 1.° per .l’assenza, nella maggioranza dei Miriapodi, della cuticula blasto- «dermica (non fu osservata che nelle ova dei Julus); 2.° per 1’ as- isenza dell’organo sferico trovato negli embrioni di tutti i Tisa- nuri finora osservati. 13 i Il posto nella serie zoologica di questo gruppo fu grande- ‘| mente e spesso mutato. Considerando alcuni caratteri, piuttosto che certi altri, dai 1a . . . . . . . . . . . ‘vari autori, i Tisanuri furono trasportati dai Crostacei ai Miria- 570 C. PARONA, podi, agli Aracnidi, agli Insetti, e fra questi ora vennero ascritti | all’ordine degli Atteri, ora ad altri ordini degli Insetti, ai Neu-, rotteri, agli Ortotteri, e perfino se ne formò un ordine speciale. | Linneo collocò i generi Lepisma e Podura dopo i Ditteri, fra gli Atteri, nel qual ordine ascriveva anche le Termiti, i Pidoc- chi, le Pulci, gli Acari, ecc. FagrIcIus li riunì ai Simistata, gruppo d’insetti che corri- sponderebbe ai Neurotteri d’oggi giorno; ciò che venne ei altresì da BLAINVILLE. | LATREILLE, che nel 1796 istituì l’ordine dei Tisanuri, li pose nella classe degli Insetti, non tacendo che quantunque abbiano grande affinità cogli Ortotteri, per certi caratteri si avvicinano. ai Miriapodi ed agli Aracnidi. | LAMARK li assegnava agli Aracnidi, distinguendoli col nome. di Aracnidi antenne-tracheali. i BuRMEISTER ne fece una sezione degli Ortotteri. î Da BourLeT e da Lucas furono posti fra gli Insetti Atteri ; da GERVAIS pure negli Atteri; da GERSTAECKER di nuovo fra gli. Ortotteri; da NicoLeT negli Atteri esapodi; da LuBBocK sareb-. bero ritenuti come un gruppo separato e molto più affine agli | Insetti, che ai Crostacei ed agli Aracnidi. i Vedemmo che anche secondo ULJANIN i Tisanuri si ravvicine- v, rebbero molto di più agli Artropodi inferiori, che non agli In-. setti. | Ultimamente da CLaus (Traité de Zoologie; trad. p. Moquin- | Tandon, pag. 563, 1877) li vediamo posti ancora fra gli Ortot-.. teri, mentre lo ScamaRDA (Zoologie; aufl., II B., s. 114, 1878) ne. fa ancora un ordine speciale fra gli Insetti (il 2.° degli Ameta-! boli omomorfi) fra.gli Emitteri e gli Ortotteri. Infine GEGENBAUR. (Grundriss d. Vergleich. Anat.,) 1878 serbò l’ordine degli Af#- teri (Collembola e Thysanura) alla base della classe degli In- setti (Hexapoda). I . Chiaramente da questo si vede di quanta utilità debbano es« sere gli studî di ULJANIN sullo sviluppo di questi artropodi; essi | studî, una volta completati e comparati cogli altri che si fecero, COLLEMBOLA. 571 e si fanno sullo sviluppo dei gruppi vicini, daranno la via sicura per trovare il vero posto nella serie degli animali per tali esseri. È: | Modificazioni rimarchevoli furono dai vari autori portate al- tresì alla classificazione dei Tisanuri ed alla istituzione e distri- ‘buzione delle loro varie famiglie e dei loro diversi generi. Troppo lungo sarebbe il voler ricordare tutti questi diversi cambiamenti; riporterò solo le classificazioni di BouRLET, di NI- pr di ila e di CLAUS, quali più accreditate, o più re- centi . BourLer limitasi alla classificazione delle PODURIDI. Antenne.lunghe, di tre ar- I ticoli, dicui l’ultimo molto Coperte di scaglie. { più lungo degli altri . . 1° Genere, Macrotoma. I Antenne corte, di quattro articoli. . . . . . . 2° Genere,Lepidocyrtus. Antenne di media lunghezza, va- rianti da due a cinque articoli, ineguali . . . 3.° Genere, 4Atheocerus. Antennecorte, co- stantemente di Con quattro articoli ao pressochè eguali. 4.° Genere, Podura. Antenne cortissi- me di quattro ar- ticoli; organo del salto attaccato sotto il ventre e non alla sua e- stremità . . . 5.° Genere, Hypogastrura Nessun organo pel salto . 6.° Genere, Adicranus. TERRI — PENTIRSI === - = de E s [= ‘SNI i -NnY7uAwuIs do D 2) £ *eIlosoqoI1O È © ks ‘eruooSad emi L=; emi = (-S ‘snI990WI0I, a li o = ‘snI o -19poydAn < È uo © > * ‘elIoso( Sa =) [SF emi 3 ‘"eanpod o [= CS) S' S a ‘SNI ° Ss -o4domuy ER RR = =) SI (cb) ep ve?) 12) e Sa Ve) "5 ‘SOMIOUOY *o]B199e] oddni3 19d IQ®90 Tos *O[BI9IVI oddniS I10d 1990 0930 *0[B199C] oddn13 10d 1990 0739S *O[B19])e] oddni3 10d Tq900 0730 *o[B19FE] oddn13 10d 1]990 97J9g ‘o[B197] oddni1i3 10d IQ990 0330 ‘ontq -2IICA 01001 -nu Ul 1]990 *0[2199) -g] oddni3 red 1q9 -90 0INZEND *UOpI “UOPpI “MopI *WOpI ‘MOPpI ‘MOpI "LIO BITS -euI 17798 -U] ‘9][99s8 “81. U0() *TIO}eI]O -ons 197908 -U] ‘9I[998 -8u1 2ZUOg *a[039s OI “Je ezzoqgun] ur ejensn ol -orteggui ozzod e euIssijsun] eorpuoddy *8YV][OOIZARIIY ‘euissiqs un] oeorpuoddy *0[070s eIIop oFun] nId 0I -ortggui ozzed e oeorpuoddy "0107 -9s O][®p 07109 nid ororIezur ozzed e‘07uow -Jos omIgquu -ad JI 09908 EJS -od eorpuoddy *9[BIZUOA 07 -uomiSos OI) =muodrzue,Jqe eyiiosur ‘801 =ISsHMI09 09]es 10d eo1puoddy ‘ogges [od eoIp -uodde ezuog *I[ooTz = I 108 Ip 07311 -03 è 0uad97uy ‘ea -QISUI ISQIA 097 “]e]es1oo e od -89 [op oqsun] uId ‘oogae 7 IP QUU9Uy ‘od100 J9p egg -un] nid ‘pen3 -QUI I[O0I]IE 7 IP 9uu9zay ‘od109 Jop 043 -un] cuow1 “if -enAN 1[09IZ.18 7} IP 9UU9Zuy ‘V)597 eIIop 94IUN] uid “oonae } IP QUU9FUY ‘27597 e[[°p 94SUn] cuew ‘10017 1® 7 Ip suu9zuy ouwuOS e euueguy — 0369uewiFes uo 050q0]3 od1og "GORI -07 [Op Q10119? -UB @IIUI9IS -3,IIB 2qIIOSUI O BIT BIOL "00 810] [9p 2101197 Ue CHUUIO1ZSO I[OP oHosip IE 7 -1I9SUI 0 B}gU -@UI]OUI VISOT ‘ognio e I]od ‘oso1[13898 UOU ego os -o[ad ossads nid odioo ‘TQruowrdos 8 *IS0] =079S 9 LIBI tod ‘oso1]à -gos 0d100 ‘quomies g *ITESIOASCIZ OOUIL ezuos ‘osojod ogpow -‘ossord -moo uou odioo ‘puewidos g *I]ooIeqny uo9 0 I[esIeAsgI) IMO[os uoo fosood osse1dwoo odi09 ‘17uowades 6 IqenZeur odi00 [ep Tue Fog o7equowiFos | OOTIPUITTO 0d109 OIO] @IJ iqensn od109 [op 1}uowdog TUUILV ITOdVSH do di 3 i TS *SIITUOeHI ° ° ° . . ° ° . D ° . DI . . ° . O ° . . ° . . . . 07]8s [od ouegio uo9 Hi “eutuIsiderEa + 000.00. e... « > « — oA0Ig ‘| @prusidoT ‘8 “eg @ sewasidargo > > >} >... + ++ + > - elepneo cotpuodde ezuog ogres [od oueSIo unsseN HI HD (cè) . S | z «sl zZ Di (<= a *8139[09IN . . . ° O . . . . . . . . . . . . . D € «_ QI], z > E E 3 “ona dn n an = E, ‘eapodurer . Re . . ° . . . . . ° “pr @ . . . ° . ITepneo TuewatCIg enq p p 10) (4 ta ‘xXAdegr D . . . . o . . . . . . . . . . e. e ° è . . . . . . . . . . . . moprbhdnr «T ‘mei (cò) =: i SOG *L07 Tp: è elle e n emla "i @guumoofio, e Ue - *.- < < < * * Qpunuy *9 ei i R= meandri o * ve... * e[oqrpueu: ud e9000g * * * “ ogres [od oweZio unssoN © * @prendtT ‘q Weg HQ "°F i la. ‘"eIinpod . . . . . . . . . . . . . . . e . . . . . . . . erqgan VOS gun « « È s *SOGnaIOUOY » . . . . . . . . DC . . . . . . . . . . . . . . si . olgsun onp u09 Ipold DPIUMPOT 17 DUBH [e D sn STIGUDOT pai Sit Ì Ipeururoppe 13 uowrdog — owwenbs ezuog = è °° ‘smqaZiooppdarp «> > > 0 08109 TL e S £ o 0H0s 0Is00seu ouewI o ud odeg “qroomam g 0 >» “i: II9S . ejIqrsia odeg *toIfduros euto7 pag = S gs *D* *ERk 7 © “e 1000 «0. <«US SH[Op.. o[vu Ù bin ec) di 3 *eryoagi -% * % o * * * Iq990 UON / -10119} 07uewIFOG S mu. owuwenbs *0gqes bp E 8g ‘eruojo[duro,g, © * * * torduos quowsdos ci] uo9 [od ar un =] *I[BSI9A ur egeddufras uu se > ‘SODINUIOVITI, ‘IMUBouetI 1990 *1I}8[ ) 81} o11)S ® ou o[curmopp® 07 = ivi? Mi Bi S (©) ‘sn1900W0], * ‘oddn1i8 unos è -[oue ITeutt1IO) | -u9zue el[op o[gu -uouidos O0ZI97 i=n -219 UL 1990 quewSes enq |] -101197) 07u0w1To op ootpuoddy (n° | tan . IT L . . S I p Ip [EI - *eI[[9s9 DIO . . . . . . . . è 7a . . . . . . . . . . . I]091Z.I® 198 e Quu97zu ] 3 ‘SnIinyqzu us . . Li, . . AA. . . . . . . IIC, . . . . urne . . . . . . . più . . . . . ampranypuiwg “E “Uu8.{ otto e ‘eUIOZI AIA ne: : ì 8g pe 574 C. PARONA, Darò termine colla classificazione che adottò CLAUS nel suo Tratt. di Zoologia, riducendola, per maggior chiarezza, in piccolo specchio; | ORTOTTERI, Sott’ ordine 1,9 3 THISANURA. 1.* Famiglia 2.» Famiglia 3.* Famiglia Campodidee. Poduridee. Lepismidee. | | Generi 1° Sotto-famiglia 2.* Sotto-famiglia Generi | Japix, SMYNTHURINZ. Popurina. Lepisma, Campodea. Generi Generi Machilis, Smynturus, Podura, Achorutes. Papirius. Orchesella, Tomocerus, Degeeria, Lepidocyrtus, Desoria, | Lipura, Anoura. Le specie di Tisanuri conosciute al tempo di Linneo e di De- GEER erano pochissime, ora invece, quantunque moltissime regioni dell’ Europa stessa siano tuttora inesplorate per riguardo a questi animali, tuttavia da LuBBOCK nella sua citata Monografia, pag. 25, se ne trovano già registrate 176 specie, così distribuite: Macnilis . L'EURO Nicoletia Lo... g(Pepismili. > 46 Cadipodoa: -#Y9. .-3 2 mayitburus. ET. SE Dioyrtonia .- i. Seu d Orchesella. #2 00% al NaN20 Merceria (5A Ci deotoma nta. 000: Burn... Ri e eg 1) Poduridi> E B3I Arhorutes . ‘. 0. fs 8649 dB noceruS.... | MOR d Giphoderas::.. (0. 0018 Amuropaari8z. .. . 5 ADORA 0, 5, i, 8 176 COLLEMBOLA. — 575 Seguendo la classificazione dataci da LuBBock darò ora il Ca- talogo! delle specie di Poduridi (Collembola) che finora mi fu possibile raccogliere. | A questo punto sento vivo desiderio di fare appello agli ento- mologi ed agli altri zoologi italiani onde abbiano a ricercare nelle iverse regioni d’Italia questi interessanti animaletti, e ne fac- ciano loro studio, od almeno ne facciano invio a me, del che ne ò loro gratissimo; potendo in tal modo dar maggior valore e verità al titolo che posi in fronte al mio lavoro. Fan. SMYNTHURIDX, Lubbock. Corpo globoso. Antenne a quattro articoli, di cui l’ultimo lungo, anellato. Appendice del salto composta di un pezzo ba- sale e di due setole terminali. Trachee ben sviluppate. Smynthurus, Latreille. Antenne a quattro articoli: nessun tubercolo dorsale. SMYNTHURUS Fuscus, De Geer. . Podura globosa fusca, Lisn. Faun. Suec. Lr — Decrer. Kongl. Svensk. Vet. Ac. 1743. | La Podure brune ronde, Deceer. Gesch. d. Ins. _ brune enfumée, Grorrrov. Ins. Env. Paris. Podura atra, Lisx. Syst. Nat. _ — Scaranz. Enum. Ins. Austr. aa 1 — Fasricius. Ent. Syst. wii signata ” ” ” — atra, Mixer. Zool. Dan. Prod. Smynthurus fuscus, LarREILLE. Gen. Crust. et Ins. -- signatus , »” » b) ] — — Lac. Boisd. Faun. Ent. Env. Paris. x F fi UScCus » —» » » » ” 3 ater ” ” ” » ” » —! Im questo catalogo credo indispensabile il dare la descrizione delle singole spe- ie, perchè, come più volte dissi, essendo da noi uno studio trascurato mancano ezian- 576 C. PARONA, Smynthurus fuscus, BurmersteR. Handb. d. Ent. — ater, TempLeton. Trans. Ent. Soc. Vol. I. — signatus, Lucas. Hist. Nat. Anim. Art. ng” f USCUs » ” » » 0» = aver ” ”» ”» » ”» — signata, Guerin. Iconogr. R. An. T. I, fig. 4. —_ fuscus, BourLer. Mem. Soc. Roy. Lille, 1839. — e “ Ò ni ni Dovaiy 1842. — signatus, NicoLer, Mem. Soc. Helv. 1842., _ _ GeRrvaIs. Suit. à Buff. Aptères. e ater » ” » » — Buski, Lussocx. Trans. Linn. Soc. Vol. XXIII. _ signatus, Porata. Of. af k. Vet. Akad. Forhandlingar, 1869. fuscus, Disconzi. Entom. Vic., pag. 232.. i Corpo globuloso. Addome rigonfio alla sua estremità con un angolo rientrante da ciascun lato. Di un bruno oscuro, coperto da peli fini, serrati, tendenti al grigio e talvolta un po’ al ver- dastro. Testa di un bruno meno oscuro, pochissimo vellutata. «Macchie oculari nere, aventi ciascuna al lato interno due tuber- coli elissoidi, biancastri e disposti longitudinalmente. Antenne molto pelose, grigie all’estremità, fulve alla base e lunghe quasi quanto il corpo. Zampe egualmente fulve e vellutate. Coda bian- castra, sopratutto all’estremità. Macchie irregolari sui lati del- l'addome ed una linea trasversale di punti fulvi, o talora gialla- stri sul torace. In questa specie il torace sembra separato dall’addome d’una linea abbastanza visibile, avente la forma d’un triangolo, la cui sommità, diretta verso l’addome, sarebbe tronca. Lunghezza 1-2 mill. Trovasi sulle piante e sui legni tarlati, nei luoghi umidi; vive | solitario. Inghilterra, Svizzera, Italia. Disconzi lo cita del Vicentino; io non 1’ ho peranco potuto trovare. Figure: NicoLeT (Mém. Soc. Helv.), tav. 9°, fig. 7. GuERIN-M.(Iconogr.), tav. 1°, Ins., fig.4(Dict. pitt., ecc.), | tav. 588, fig. 6. Che dir È COLLEMBOLA. 977 SMYNTHURUS NIGER, Lubbock. Smynthurus niger, Lussocx. Trans. Linn. Soc., 1867, —_ —_ » Monograph of the Collemb., pag. 111. Nero-bleu; piedi, segmento terminale dell’appendice pel salto ed una porzione frontale tra gli angoli interni di ciascun oc- chio sono più chiari. Peli brevi, bianchi e dal più al meno in serie lungitudinale. Lungh. 1 ‘/s mill. Trovato da LuBBocx (Inghilterra) sotto i legnami, non comune, solitario dall'agosto al settembre ; io lo rinvenni sotto a verdure marcescenti; Pavia * nel settembre. Figure: LuBBOCK (Monogr.), tav. 6°. È (Trans.), tav. 1°, fig. 11. Fam. PAPIRIIDK, Lubbock. Corpo globoso; antenne a quattro articoli, segmento terminale breve, con peli. Appendice del salto composta d’una porzione ba- sale e da due ramificazioni. PapIRIUS Fuscus, Lubbock. Podura fusca, non mitens, Grorrrov. Ins. Env. Paris. Smynthurus fuscus, Lucas. Hist. Nat. Anim. Art. _ — Gervass. y » Ins. Aptères. — — Nicorer. Mem. Soc. Helv., 1842. Papirius cursor, Luszocx. Trans. Linn. Soc., 1862. — fuscus è Monogr. of the Collembola, ece., pag. 120. Corpo ovale, quasi sferico, variante dal rosso tegola al bruno carico al disopra; più chiaro al disotto; vellutato su tutta la sua superficie; alla parte anteriore tre piccoli solchi trasversi pa- i L'indicazione Pavia sempre adoperata indica la città non solo, ma anche le cam» pagne e comunità circostanti. Vol. XXI. 37 578 C. PARONA, ragonabili ai solchi del torace. Testa liscia; occhi neri;i tre primi segmenti delle antenne rossastri, l’ultimo grigio pallido; zampe rosse, semi-trasparenti, ad articolazioni nere. Lunghezza da ‘/» ad 1 cent. Si trova sulle terre umide, nei giardini, sotto le foglie marcie in autunno. Lo rinvenni anche in estate. Comune in. Francia, Inghilterra, Svizzera, Italia (Pavia). I Figure: NicoLet, Mém. Soc. Helv., tav. 9°, fig. 10. Parona, Delle Poduridi, ecc., tav. 2°, fig. 9. LuBBock, Monogr. the Collembola, tav. 8°. PAPIRIUS ORNATUS, Nicolet. Smynthurus viridis, TemeLeton. Trans. Ent. Soc. Vol. I, 1834. . — * ornatus, Nicorer. Mem. Soc. Helv., 1842. | ha Coulomi, » ” ” ” ”» — — Gervars. Mist. Ins. Aptères. Vol. III Papirius Saundersti, Lussocx. Trans. Linn. Soc., 1862. Smynthurus ornatus, Porata. Of. af k. Vetensk-Akad. Forhand., 1869. Papirius ornatus, Lussocx. Monogr. of the Collembola, pag. 123. Corpo ovoide, poco vellutato, d’un bruno rossastro più fulvo verso l’estremità posteriore e coperto di macchie irregolari gial- lastre e brune: Testa e zampe giallo pallide. Chiazze oculari nere. Antenne lunghe quanto il corpo, ripiegate a gomito all’e- stremità del secondo articolo, il quale è lunghissimo; i primi tre articoli giallo-rossastri, bruno o grigio scuro l’ultimo; coda bianca colle setole più sottili che nel P. fuscus e pezzo basilare meno lungo. Al disotto del corpo è giallo-bruno, tendente al grigio con qualche macchia giallo-pallido. Lunghezza 1 */s mill. Sotto le foglie marcie, i muschi, le pietre. Inghilterra, Svizzera, Italia (Pavia). Figure: NIcoLET, cit., tav. 9*, fig. 11 (Smynth. ornatus). LuBBocKk (Monogr. cit.), tav. 9°. COLLEMBOLA. i 579 Fam: DEGEERIADX, Lubbock. Corpo cilindrico; appendice del quinto segmento addominale sviluppato in un apparecchio pel salto, che consta d’una porzione basale e di due diramazioni. Orchesella, Templeton. Corpo cilindrico, spesso fusiforme, molto vellutato e peloso, come lo è la testa; segmenti del corpo ineguali, in numero di otto; il sesto eguaglia in lunghezza i due precedenti presi insieme; il primo del torace più lungo che i seguenti; il primo dell’ad- dome ordinariamente cortissimo. Testa spesso globosa. Antenne a gomito al secondo articolo, più gracili all’estremità, quasi lun- ghe quanto il corpo e composte di sei articoli di ineguale lun- ghezza, il primo sempre cortissimo; i quattro primi articoli poi hanno peli lunghi, forti, diritti; gli altri appena vellutati. Sei oc- chi in ciascuna macchia e disposti su una linea curva. Zampe lunghe, gracili, vellutate e pelose, come le antenne, ma in tutta la loro lunghezza. Coda egualmente lunga. Quasi tutti insetti agilissimi sia camminando, sia saltando. ORCHESELLA CINCTA, Linn. La podure porte-anneau, Grorrr. Ins. Env. Paris. Podura cincta, Linn. Faun. Suec. _ _ » Sys. Nat. URBE n n ‘n | —_ — — Fagricius. Ent. Syst. — cincta i Kong. Dansk. Vid. Sels. Skr., 1783. —_ — Latrerce. Gen. Crust. et Insect. — — — Boss. et Lac. Fauna Ins. Env. Paris. Orchesella cincta, Tempr. Trans. Ent. Soc. Vol. I va filicornis ” ” ” ” ” Podura cingula » Di 9 FIRE ;; Choreutes cingulatus, Burm. Hand. d. Entom. Orchesella cincta 5 A do 580 C. PARONA, i Heterotoma pulchricornis, BourLer. Mém. Soc. R. Lille, 1839. — musci » 7) » «1? == vaga ” i ” » » a septemguttata î sua ”» BL quadripunctata v ” ” ” — cincta E, ) » ” » = livida D) ” b}) ” Podura variegata, Guer. u. Perch. Gen. d. Ins. Orchesella sylvatica, NicoLer. Mem. Soc. Helv., 1842. diodi fi Astuosa » ” ” ” ” "TRE dif asciata » » ” » ” pri umifasciata » ” ”» ” ” Ztheocerus pulchricornis, BourLer. Mem. Soc. R. Douai, 1842. — cinctus 3 n 5 i Orchesella filicornis, Lucas. Hist. Nat. Crust. Ar. et Myr. sti cincta » ” ” ” ” » — © succinta, Guerin. Ex. des Planch.l Icon. du Regne An. de Cuvier. —_ — Lucas. His. Nat. d. Crust. Ar. et Myr. Podura cincta A È, fi 5, ; È — vaga » ”» » » b}) b,) “Tal cingula » n » n ” n Orchesella filicornis, GervaIs. Hist. Ins. Aptères. di cincta ” ” b}) b}) _ melanoceph. ,, U A » _ fastuosa d, 5 n si —_ umifasciata , Di 2A 4 _ bifasciata fi x po ni —- succinta $ Li ; 5 Heterotoma livida È i a B — pulchricorn. , 1 DE ù Fossi MUSCi » » ” b}) nr vaga » ”» » » ni septemgutt. ,, È Sì » dn quadripunc. ” » b}) ” —_ cincta MN L, $ ” Orchesella filicornis, Nicorer. Mem. Soc. Ent. France, 1847. —_ fastuosa ” ” ” ” » ”» dae cincta » D) ” ”» » D) — melanocephi , ì Po » ”» ”» — unifasciata s ” ”» ” » ”» sono sylvatica » D) ” ” ”» » — dif asciata ” ” ” ” » » COLLEMBOLA. 981 | Orchesella septemgutt, Nicorer. Mém. Soc. Ent. France, 1847. fr quadripune. ni TA MAO ” ” —_ rufescens . ò n _ fastuosa, PoraTA. Ofr. af k. Rien pai Forhand., 1869. _ cincta, Lussocx. Monogr. of the Collembola, ecc., pag. 129. Questa bella specie varia molto nei colori ed essa venne cone seguentemente descritta dai varii autori sotto nomi diversi. Il terzo segmento addominale ed il terzo anello delle antenne sono neri; la metà posteriore del secondo anello addominale, due macchie sul margine posteriore del quarto segmento addominale sono bianchi; i due segmenti addominali sono bruni. Il restante del corpo è picchiettato. Si possono trovare del resto esemplari di ogni colore fra il ros- siccio bruno, o chiaro ed il nero cupo. Negli esemplari neri la fascia oscura sul terzo segmento ad- dominale cessa di essere spiccata e quella pallida del secondo anello addominale risalta pel contrasto. Tali esemplari costitui- scono la Podura vaga di Linneo e degli autori posteriori. Negli esemplari pallidi la fascia nera sul terzo segmento addominale è il carattere saliente, e questi individui sono quelli che costi- tuiscono la Podura cineta di LINNEO. Questo ultimo nome. specifico a Lubhock, come pure a me, sembra il migliore di tutti quelli che furono dati a questa specie, perchè in ogni caso l’una o l’altra delle fascie trasversali addo- minali è la caratteristica di questa specie. Lunghezza 3, 4 mill, , Norvegia, Svezia, Inghilterra, Svizzera, MICA Italia (Sar- degna). Figure: NicoLeT, (Mém. Soc. Helv.), tav. :9.* Bourne, (Mém. Douai), fig. 8. GueRrIN M. (Iconogr.), tav. 1°, fig. 4 (Diction. pitt. d. hist. nat.), tav. 588, fis. 3 LuBBOCK, (Monograpà, ecc.), tav. 12°, 13%, 14°. Parona, (Delle Poduridi, ecc.), tav. 2°, fig. 8. 582 C. PARONA, Parecchi esemplari furono portati dalla Sardegna e gentilmente a me donati dal signor PaoLo MaerEttI. Essi furono da lui rac- colti nel dicembre 1877, ad Oristano. Appartengono tutti alla varietà pallida e hanno marcatissima la fascia trasversale sul terzo segmento. O s Tomocerus, Nicolet. Corpo cilindrico, scaglioso e peloso, diviso in otto segmenti ineguali; i primi più lunghi, arrotondati alla parte anteriore; il quinto più lungo dei tre precedenti insieme misurati. Testa glo- bosa; antenne filiformi, lunghe quanto il corpo, o poco più, lun- ghissimo il terzo articolo, più corto il quarto. Occhi sui mar- gini presso le antenne in numero di sette per ciascun lato. Zampe lunghe e gracili. Coda assai lunga colle setole articolate alla sommità. Addome terminato da due piego uncini posti superior- mente all’ano. Agilissimi. TomocERUS PLUMBEUS, Linn. Podura teres plumbea, Linn. Fauna Suec. 2 La Podura grise commune, Grorrr. Ins. Env. Paris. Ho, violette ” ” ” ” Poaura corpore tereti nigroceruleo plumbeo, De Grrr. Ges. d. Ins. — plumbea, Lisn. Syst. Nat. — — Scarancx. Ent. Ins. Austr. —_ — Fasricius. Ent. Syst. —_ —_ O. Fauna Groenl. — — MiiLLer. Zool. Dan. Prodr. - _ LarRrerLe. Gen. Crust. et Ins. _ _ Bois. et Lac. Faun. Ent. Env. Paris. - TempLEeron, Trans. Ent. Soc. Vol. I. — gigas, O. Fasr. Kong. Danske. Vid. Sels. Skr., 1874. Choreutes plumbeus, Burm. Hand. d. Entom. Macrotoma plumbea, BourLer. Mém. Soc. Roy. Lille, 1839. # — 3 » >» Douai, 1842. Podura plumbea, Lucas. Hi Nat. des Crust. Ar. et Myr. Macrotoma plumbea, Gervars. Hist. Ins. Aptères. - minor, Lussocx. Trans. Linn. Soc., 1862. _ plumbea, Porata. Of. af k. Vetensk. Akad. Forh. 1869. Tomocerus plumbeus, Lussocx. Monogr. of the Coll., ecc. pag. 188. COLLEMBOLA. 583 Molto somigliante alla 7°. longicornis sebben più piccola. An- tenne più corte del corpo; questo è di color piombo intenso. Il segmento anteriore ha delle macchie chiare, ovali, allungate. Il primo segmento addominale è più breve dei due, coi quali è unito. Parte basilare dell’ appendice pel salto con nove spine nere. LuBBocK riscontrò questa specie fra la segatura di legno, an- che durante i tempi più freddi; io la ritrovai in gennajo nelle cantine, sotto legni molto umidi e coperti da muffe. Varia nella grandezza fino a 5-6 mill. Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pavia). Figure: LuBBock (IMonograph, ecc.), tav. 19°. non 7°. plumbeus di NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 7°, fig. 8. BourLet (MMém. Soc. Douaî), fig. 1, 2, 3, 4. N (Mem. Soc. Lille), fig. 5. GuerIN-M. (Dict. pitt., ecc.), tav. 588, fig. 1. TOMOCERUS NIGER. .Bourlet. Macrotoma nigra, BourLer, Mém. Soc. Roy. Lille, 1839. se ferruginosa ,, ” ua ” n Tomocerus celer, NicoLer. Mém. Soc. Helv., 1842. Macrotoma celer, GervaIs. Ins. Aptères., Vol. II. ar: nigra ”» ”» ”» » » sd ferrugm. ,, ”» ”» » n 7° lepida , ” ”» » n» Tomocerus celer, Nicorer. Mém. Soc. Ent. France, 1847. “pi lepida ” ” 6}, » ” ” —_ niger, Lussocx. Monogr. the Collembola, 1873. _ celer, Parona. Delle Poduridi, ecc., 1875. Di un color grigio piombo; antenne non più lunghe del corpo; quinto segmento del corpo mai più lungo dei due precedenti presi insieme. La base delle antenne della coda e le coscie sono gialle pallide e con scaglie argentee. Due macchie allungate ed oblique sul primo segmento del torace; il sesto segmento è co- nico. Lunghezza 2 mill. Trovasi sotto le pietre nelle località umide. 584 C. PARONA, Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pavia, Miradolo, agosto). Figure: NicoLer (Mém. Soc. Helv.), cit., tav. 7°, fig. 9 (T°. celer). GERVAIS, (Ins. Apt.), tav. 50°, fig. 7. PARONA, (1. cit.), tav. 2°, fig. 7 (7. celer). Templetonia, Lubbock. Corpo lungo, cilindrico, provvisto di grossi peli, simili a quelli della Degeeria e dell’'Orchesella ed anche con squamme. Otto segmenti, subeguali. Capo diritto, o quasi. Antenne più lunghe del corpo a cinque articoli, di cui il segmento basale breve, i tre seguenti subeguali; l’apicale anellato. Piedi biungulati. Parte ba- sale dell’appendice pel salto lunga quanto le due setole termi- nali. Questo genere fu proposto da LuBBocK nel 1862, per la Po- dura mitida, Templ. TEMPLETONIA CRYSTALLINA, Muller. Podura crystallina, MiLter. Zool. Dan. Prodr. — mitida, Teme. Trans. Ent. Soc., Vol. I — — Burw. Hand. d. Entom. Heterotoma crystallina, BourLer. Mém. Soc. Roy. Lille, 1839. Degeeria margaritacea, Nic. Mém. Soc. Helvet., 1842. theocerus crystallinus, BourLer. Mém. Soc. Roy. Douai, 1842. Podura nitida, Lucas. Hist. Nat. Crust. Ar. et Myr. Heterotoma crystallina, Gervats. Ist. Nat. Aptères. Vol. III. Degeeria margaritacea , ANTE 5 Orchesella crystallina, Nicorer. Ann. Soc. Ent. France, 1847. Degeeria margaritacea , NI n Isotoma nitida * Ò ippico n È Templetonia crystallina, Lussock. Monogr. of the Collembola. D) Pri. D,) Di un bel bianco madreperlaceo lievemente cinerino e traspa- rente, tanto sopra che sotto il corpo. Questo colore è prodotto da sottili scaglie argentee iridescenti. Masse oculari brune, spesso una linea longitudinale bruna sul dorso; ma esso non è dovuta che alla materia fecale, contenuta nel tubo intestinale. COLLEMBOLA. 585. Sesto segmento del corpo della lunghezza dei due precedenti, presi insieme. Ultimo articolo delle antenne striato trasversal- ‘mente da sembrar quasi suddiviso. Scaglie punteggiate. Peli bian- chi. Priva di scaglie questa specie è d’un bianco opaco coperto da punti irregolarmente disseminati di un bianco rossiccio chia- rissimo. La si trova quasi sempre in questo secondo aspetto. Lunghezza 1-2 mill. Sotto le foglie cadute sul suolo; nelle terre umide e sopratutto sotto le foglie a mezzo marcite dei citriuoli, meloni e cocomeri; abbastanza comune verso l’autunno; solitaria, agilissima. Io pure la riscontrai sotto i resti di cocomeri, ecc.; in luglio; solitaria. \ Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 8*, fig. 9. LuBBocK (Monogr., ecc.), tav. 20°. Seira, Lubbock. Corpo squammoso. Antenne a quattro articoli, dei quali il segmento terminale non anellato. Occhi sopra un campo oscuro. Torace non sporgente al di sopra del capo; segmenti addominali ineguali. SEIRA DOMESTICA, Nicolet. Degeeria domestica, Nicorer. Mem. Soc. Helv., 1842. — -- — Am. Soc. Ent. France, 1847. Seira o Lussocx. Monogr. of the Collembola, pag. 144. Antenne filiformi, setacee, quasi lunghe quanto il corpo, bian- che; come pure è tale il disotto del corpo, le zampe e la coda. Il disopra del corpo è scaglioso, d’un bianco lucentissimo con quattro fasce trasversali e molte macchie d’un grigio scuro, al- quanto rossastre. Testa bianca; occhi neri; peli grigi e lunghi. Sesto segmento lungo quanto i quattro precedenti insieme misurati. Lunghezza 1 '/»-3 mill. Vive nelle case; rara e solitaria. Svizzera, Inghilterra, Italia (Pavia). Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 8°, fig. 11. 586. °C. PARONA, SEIRA PLATANI, Nicolet. Degeeria platani, Nicorer. Mém. Soc. Helv. 1842. Podura argentea tinta, Bourrer. Mém. Soc. Roy. Douai, 1842. Degeeria platani, Gervars. Hist. Ins. Aptères. v. II. — — Nicorer. Am. Soc. Ent. France, 1847. _ — —Lussocx. Trans. Linn. Soc. Vol. XXI. — — Parona. Delle Poduridi, ecc., pag. 26. Seira platani, Lussocg. Monograph of the Collemb. Corpo scaglioso a riflesso metallico. Peli neri, testa e primo segmento toracico di un giallo-aranciato piuttosto oscuro e con- tornato anteriormente di nero; primo segmento addominale an- ch’esso giallo, ma più pallido, i due seguenti neri e separati d’una linea trasversale finissima dello stesso giallo. Il quarto segmento, pure giallo-aranciato pallido, porta una larga macchia irregolare nera nel suo centro ed una linea trasversale dello stesso colore al suo margine posteriore. Ano e margine posteriore dell’antipe- nultimo segmento egualmente neri. Antenne, zampe, disotto del corpo e coda di un giallo pallidissimo ; le prime un po’ più oscure ed anellate di nero all’estremità delle coscie posteriori. Lunghezza circa 2 mill. Trovasi sotto la corteccia dei Platani ed io la riscontrai (giugno, agosto) anche sotto la corteccia di altri grossi vegetali; in tutto l'estate comunissima. Inghilterra, Svizzera, Francia, Italia (Pavia, Varese). Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 8°, fig. 4. SEIRA PRUNI, Nicolet. Degeeria pruni, Nicorer. Mém. Soc. Helv., 1842. _ — Gervars. Hist. Ins. Aptèr. Vol. IL — — Nicocer. Amm. Soc. Ent. France, 1847. Seira pruni, Luszocx. Monogr. of the Collembola, 1873. La stessa forma della precedente, dalla quale differisce per il suo colore. Corpo scaglioso, a riflesso plumbeo, variato di bruno, nero e bianco, più oscuro all’estremità posteriore e sui lati, col COLLEMBOLA. 587 primo segmento toracico d’un giallo aranciato meno scuro di quello della S. platani. Testa dello stesso color giallo; occhi e bocca neri. Antenne grigie colla base degli articoli giallo pallidissimo. Di- sotto del corpo, zampe e coda della stessa tinta; le zampe hanno le articolazioni e le estremità grigie. Peli neri. Lunghezza 1 4/5-2 mill. Piuttosto comune sotto le corteccie dei Cerasi e dei Pruni, non- chè d’altri alberi da frutti, siccome io riscontrai. Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pavia). Figure: NICOLET, cit., tav. 8°, fig. 5. SEIRA ELONGATA, Nicolet. Degeeria elongata, Nicorer. Mem. Soc. Helv., 1842. — — Gervars. Hist. Ins. Aptères. Vol. III. — — NicoLer. Ann. Soc. Ent. France, 1847. = — Parona. Delle Poduridi, ecc., 1875. Seira elongata, Luszocx. Monogr. of the Collembola. Corpo scaglioso, vellutato, allungato, fusiforme anteriormente, ristretto e cilindrico posteriormente, è grigio plumbeo. Sesto seg- mento lungo quanto i quattro precedenti presi insieme. Testa, antenne, zampe, coda, ultimo segmento e disotto del corpo di un grigio giallastro sporco. Scaglie punteggiate. Coda lunga. Occhi neri. Lunghezza 2 mill. Abita nelle case, nelle fessure dei vecchi mobili e delle fine- stre abbandonate, nella polvere degli appartamenti negletti. Al- quanto comune; solitaria. Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pavia, maggio, giugno). Figure: NicoLet (IMém. Soc. Helv.), tav. 8°, fig. 6. PARONA, cit., tav. 2°, fig. 7. SEIRA ERUDITA, Nicolet. Degeeria erudita, Nicorer. Mém. Soc. Helv. — — Gervars. Hist. Ins. Aptères. Vol. III. _ — Nicorer. Ann. Soc. Ent. France, 1847. _ — Parona. Delle Poduridi, ecc. Seira erudita, Lussocx. Monogr. of the Collembola. 588 C. PARONA, Molto somigliante alla Seira elongata, dalla quale differisce per il sesto segmento del corpo che non è più lungo dei tre seg- menti che lo precedono e per la testa che è più larga e meno allungata anteriormente. Corpo scaglioso a riflesso argentino macchiato di bruno su un fondo bianco sporco, o lievemente tinto di rosso-bruno. Testa dello stesso colore con una macchia bruna in forma di regolo nel mezzo. Occhi neri. Antenne, zampe, coda e disotto del corpo molto più chiari che il disopra e senza macchie. Peli grigi. Lunghezza 2 mill. Frequentemente si rinviene nelle biblioteche, sui vecchi libri e vecchie carte, nelle guardarobe, ecc.; se ne sta solitaria. Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pavia, giugno). Figure: NICOLET, cit., tav. 8°, fig. 7. Beckia, Lubbock. . Corpo scaglioso, antenne a quattro articoli. Occhi mancanti. Torace non sporgente sopra il capo. Segmenti addominali ine- guali. | BecKIA ALBINOS, Nicolet. Cyphodeirus albinos, NicoLer. Mem. Soc. Helv., 1842. Lepidocyrtus — Grrvars. Hist. Ins. Apt. Vol. II Cyphodeirus —.NicoLer. Ann. Soc. Ent. France, 1847. Lepidocyrtus — Lussocg. Trans. Linn. Soc., 1867. Cyphodeirus ‘— Parona. Delle Poduridi, ecc., 1875. Beckia — Lussocx. Monogr. of the Collembola. Oblungo, intieramente bianco; primo e terzo articolo delle an- tenne corti ed a coni capovolti; il secondo ed il quarto molto più grandi ed oblunghi. Corpo pata vellutato e brillantissimo. Lunghezza 1 mill. circa. Lo si riscontra nei tronchi tarlati ed al piede dei vecchi al- beri, in società numerosa, o sotto i muschi nei boschi, solitario. Comunissimo nell’autunno e sul principio dell'inverno. Inghilterra, Svizzera, Italia (Pavia, maggio). Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 7°, fig. 7. LuBBOCK, (Monogr., ecc.), tav. 24°. COLLEMBOLA. 589 Lepidocyrtus, Bourlet. Corpo cilindrico coperto di squamme; segmenti ineguali; to- | race sporgente più o meno sopra il capo. Otto occhi in ciascun | gruppo. Antenne a quattro articoli, più brevi del corpo. Piedi biungulati. Appendice caudale lunga. LEPIDOCYRTUS CURVICOLLIS, Bourlet. Lepidocyrtus curvicollis, BourLer. Mém. Soc. R. Lalle, 1839. n ni ” ” & Douai, 1842. Cyphodeirus capucinus, Nicorer. ©, A Helv., 1842. Lepidocyrtus curvicollis, Gervars. Hist. Ins. Apt. Vol. III pe capucinus » » » » ” » Cyphodeirus capucinus, Nicorer. Ann. Soc. Ent. France. 1847. — — Parona. Delle Poduridi, ecc. Lepidocyrtus curvicollis, Lussocx. Monogr. of the Collemb., ecc. Intieramente d’un giallo aranciato, salvo le antenne, di cui i due primi articoli sono di un giallo più chiaro ed i due ultimi di un grigio piuttosto oscuro. Corpo cilindrico, lucente, poco vel- lutato a peli cortissimi. Primo segmento allungatissimo anterior- mente, triangolare, scavato al disotto e ricoprente la testa in modo da non lasciarne visibile che il. bordo anteriore quando lo si guardi pel disopra. Secondo anello del doppio più lungo del seguente. Il sesto più lungo dei tre precedenti misurati in- sieme e ricoperto sui lati da un prolungamento angolare del quinto. Occhi neri. Setole della coda bianche e finamente striate trasversalmente. L’insetto offre inoltre un leggier riflesso metallico. Lunghezza circa 2 mill. — Lo si trova sulla terra nei giardini, rarissimo, solitario, se- condo Nicolet; Bourlet gli assegna anche come abitato i legni fracidi, il disotto delle pietre, in ogni stagione, eccetto 1’ in- verno. Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pavia-Miradolo, agosto). 590. C. PARONA, Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 7°, fig. 1. LUBBOCK, cit., tav. 25°. BourLet (Mém. Soc. Douad), fig. 5, 6. - GERVAIS, cit., tav. 51%, fig. 6. LEePIDOCYRTUS LIGNORUM, Fabricius. Podura lignorum, Fasr. Ent. Syst. T. II, pag. 67. — —, Larr. Gen. Crust. et Ins. _ — — Borsp. et Lacorp. Faun. Env. Paris. T. I, pag. 114. Choreutes. —. Burmrrster. Hand. der Entom. Cyphodeirus— NicoLer. Mém. Soc. Helv. 1842. Lepidocyrtus argentatus, BourLer. Mém. Soc. R. Douai. — lignorum, Gervars. Hist. Ins. Aptères. Vol. II. Podura — Lucas, Hist. Nat. Crust. Arach. et Myr. Cyphodeirus — Nicorer. Ann. Soc. Ent. France, 1847. De Arg entatus ” ” ” ” ” » Lepidocyrtus — Lussocx. Trans. Linn. Soc., 1862. Cyphodeirus lignorum, Parona. Delle Poduridi, ecc. Lepidocyrtus — Lussocx. Monograph of the Collembola. Somigliante al L. gibbulus per la forma; un poco più stretto. Testa, parte anteriore del torace, zampe, primo articolo delle antenne e disotto del corpo bianco giallastro pallidissimo; il re- stante del corpo grigio piombo. Occhi, bocca ed i tre ultimi ar- ticoli delle antenne nere; l’appendice pel salto bianca. Lunghezza 1-1 4/: mill. Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pavia, giugno). Nelle foreste, sotto i vecchi tronchi e sotto le pietre, comu- nissimo per tutto l’estate. Lo ritrovai in società sul gambo dei funghi. Figure: LuBBock, (Monogr. cit.), tav. 26°. LEPIDOCYRTUS GIBBULUS, Nicolet. Cyphodeirus gibbulus, Nicorer. Mem. Soc. Helv., 1842. Lepidocyrtus rivularis, BourLet , =» £ Dowuai,, - gibbulus, GervaIs. Hist. Ins. Aptères. Vol. III Isotoma pulex (2) ”» » 0» n ” COLLEMBOLA. 591 . Cyphodeirus gibbulus, Nicoer. Ann. Soc. Ent. Aptères, Fai pulex DARNE 1 ” ”» D) _ gibbulus, PARONA. Delle Poduridi, ecc. Lepidocyrtus —Lussocr. Monogr. of the Collembola. Somigliante al L. curvicollis pel colore, ma più corto e pro- porzionalmente più largo. Primo articolo delle antenne giallo, i seguenti grigio fulvo, lievemente violaceo. Primo segmento del corpo molto convesso, poco prolungato in avanti e ciliato al bordo anteriore. Secondo segmento un poco più lungo del se- guente. Bordo inferiore del sesto segmento rossastro. Setole della . coda corte e bianche. Pezzo basilare dello stesso colore del corpo. Occhi neri. Corpo lucente molto vellutato. Lunghezza 1 mill. . Trovasi sotto i muschi, sulle piante acquatiche, nei giardini; in estate ed autunno; piuttosto raro. Inghilterra, Svizzera, Italia (Pavia). Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 7°, fig. 2. GERVAIS, cit. tay. 50° (Isotoma pulex). PARONA, cit. tav. 2°, fig. 5. LuBBock (Monogr), tav. 27°. h (Trans., 1868), tav. 2°, fig. 22. LEPIDOCYRTUS AGILIS, Nicolet. Cyphodeirus agilis, Nicorer. Mém. Soc. Helv., 1842. Lepidocyrtus — Gervars. Hist. Ins. Aptères. Vol. III Cyphodeirus —NicoLet. Ann. Soc. Ent. France, 1847. — — Parona. Delle Poduridi, ecc. Lepidocyrtus agilis, Lussocx. Monogr. of the Collembola, ecc. Di un bruno metallico oscuro quasi nero ed uniforme, quando l’insetto va coperto delle scaglie; d’un bruno chiaro punteg- giato di bruno, quasi nero nel mezzo del corpo e quattro mac- chie allungate e triangolari al bordo anteriore del secondo seg- | mento, quando è privo delle scaglie. I due primi articoli delle antenne, le zampe e la coda sono di un giallo pallido. Il corpo 592 C. PARONA, è coperto da peli neri; infine gli occhi ed i. due ultimi articoli | delle antenne sono neri. Lunghezza circa 1 mill. Abbastanza comune sotto i muschi nelle foreste. Svizzera, Francia, Italia (Pavia, giugno). Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 7*, fig. 5. LEPIDOCYRTUS PUSILLUS, Linn. Podura pusilla, Linn. Syst. Nat., II, 1014. — — Fasricius. Ent. Syst., IL, pag. 67. -. — 0. Fagricius. Faun. Groenl. — — Larreitce. Gen. Crust. et Ins., pag. 77. _ — © Borsp. et Lac. Faun. Ent. em. Paris. Cyphodeirus pusillus, NicoLer. Mém. Soc. Helv., 1842. Podura — Lucas. Hist. Nat. Crust. Arach. et Myr., pag. 565. i gg pusillus, Gervars. Hist. Ins. Aptères. = Poratz. Of. af k. Vetensk. Akad. Forh. 1859. nia — —Lussocx. Monogr. of the Collembola, ecc. Corpo cilindrico di un color bronzo-cupo, iridescente. Antenne quasi granulose, piuttosto grosse e di un grigio scuro. Occhi neri, orlati di giallo anteriormente. Corpo peloso; primo segmento poco prolungato e ciliato al bordo anteriore; il sesto lungo quanto i tre che lo precedono, presi insieme. Zampe e coda di un bianco . sporco, o giallastro. Testa e corpo coperti di scaglie piccolissi- me; le antenne, le zampe e la coda ne sono prive. Lunghezza 1 mill. Comunissimo nei giardini sulla sabbia dei viali, sui legni, sui tronchi d’alberi; solitario. Groenlandia, Svezia, Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pa- via, Miradolo, giugno). Figure; NicoLert (Mém. Soc. Helv.), tav. 7°, fig. 3. Degeeria, Nicolet. Corpo fusiforme, diviso in otto segmenti ineguali, coperto di scaglie. Testa alquanto inclinata; antenne filiformi, più lunghe COLLEMBOLA. 593 della testa e corsaletto insieme misurati ; otto occhi da ciascun lato. Zampe lunghe e gracili; coda egualmente lunga, col pezzo basilare che misura la metà della lunghezza totale dell’organo. DEGEERIA NIVALIS, Nicolet. Podura nivalis, Linn. Faun. Suec. La Podure jaune è amneaux noires, GrorrRrov. Ins. env. Paris, Podura nivalis, Linn. Syst. Nat. i — — Scaranx. Ent. Ins. Austriae. — — Fasricius. Ent. Syst. _ — Miircer. Zool. Dan. Prodr. —_ —. Borsp. et Lac. Faun. Ent. env. Paris. — —. ;Burwmersrer, Hand. der Ent. — annulata, Fazr. Ent. Syst. _ — LarrerLe. Gen. Crust. et Insect. _ — Borsp. et Lac. Faun. env. Paris. Choreutes nivalis, Burm. Hand. der Entom. Isotoma —. BourLer. Mém. Soc. R. Lille. 1839. — cursitans. , ” ss010. dla Degeeria nivalis, NicoLer. Mém. Soc. Helv. 1842. Podura nivalis, BourLer. Mém. Soc. R. Douai. 1842. DE: cursitans » » DATI ” ” — mivalis, Lucas. Hist. Nat. Crust. Arach. et Myr. Degeeria nivalis, Gervars. Hist. Ins. Aptères. T. IIL Isotoma cursitans ù ni n E Degeeria nivalis, NicoLer. Ann. Soc. Ent. France. 1847. _ _- Lussocx. Trans. Linn. Soc. Vol. XXIII. _ —_ o Monogr. of the Collembola, ecc. —_ _ Porata. Of. af k. Vetensk. Akad. Forh. 1869. Testa e corpo di un grigio giallastro; quest’ultimo oblun- go, con una fascia trasversale nera al bordo posteriore di cia- scun segmento ‘ed una linea egualmente trasversale di mac- chie irregolari e dello stesso colore quasi nel mezzo del sesto. Una piccola macchia nera in forma di Ancora sulla testa. Occhi neri. I due primi articoli delle antenne sono gialli, i due ultimi | grigio scuri. Sesto segmento del corpo lungo quanto i tre pre- | cedenti presi insieme. Zampe gialle; coda al tutto bianca. Lunghezza 1 4/:-2 mill. Vol. XXI. 38 594 C. PARONA, Sotto i muschi, sulla neve e talora, ma raramente, sulle ac- que stagnanti; comune. Secondo NicoLet, DE-GEER, FABRICIUS e BorspuvAaL, questa Podura vivrebbe in numerose società sulla neve e sui tronchi degli alberi. Svezia, Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pavia, Vicen- tino). Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 8°, fig. 1. LuBBocK (Monogr. cit.), tav. 31°. NicoLeT descrisse due varietà: p: Degeeria nivalis montana, giallo-verdastra, colla base della coda giallo-pallida. Fascie nere meno pronunciate. Due punti neri all’estremità dell'addome. Peli bianchi. Lunghezza 1-2 mill. Nelle foreste del Giura. Degeeria nivalis interrupta, somiglia alla tipica, solo le fa- scie trasversali nere sono interrotte nel mezzo del dorso da una fascia longitudinale gialla. Antenne giallastre, anellate di nero, Lunghezza 1-2 mill. Nelle foreste. LuBBocK (Monogr. of the Collembola, ecc., p. 159), descrive pure delle varietà nei suoi esemplari. Egli dice: “I miei esemplari, tuttavia, mentre corrispondono colla descrizione di NICOLET, riferita più sopra, nella generale distribuzione dei colori, differiscono però in qualche punto. Il corpo al sesto segmento addominale era largo quanto lo era al primo; la macchia oscura sul capo era talvolta mancante; la linea trasversale oscura sul primo e secondo segmento addominale era sovente incompleta nel centro e lo stesso per la zona anteriore del quarto; il quinto oscuro all’in- dietro; le antenne erano grigie, e, finalmente, la metà, anteriore del capo aveva un orlo oscuro. Le appendici pel salto arriva- vano appena al tubo ventrale. ,, Io ne trovai un’ altra varietà elegantissima. Intieramente di un giallo paglierino. Il capo presenta inoltre una macchia arcuata bruna quasi nera congiungente gli occhi, che sono neri; le antenne sono gialliccie, lievemente violacee, mas- sime agli ultimi articoli; questi sono anche anellati di bruno scuro alla loro estremità superiore. Il corpo manca delle fascie nere i corpo. Al sesto segmento le due fascie la- . terali si rivolgono verso la parte mediana | terminando a punta, senza che quella di . lato opposto. Due fascie trasversali nere l’una COLLEMBOLA. 595 trasversali, ma invece vi sono due fascie nerastre sui fianchi di ciascun anello e che nel loro assieme for- mano due linee longitudinali all’ asse del un lato vadi a toccare quella dell’ altra del curva sul margine superiore$ l’altra, più o meno ondulata, su quello inferiore trovansi sullo stesso sesto segmento. Una macchia nera nel cui centro vi è un punto del co- lore generale giallo paglierino, s’ osserva all’ estremità dorsale dell’ addome. Zampe giallo-pallide colle articolazioni anellate di bruno. Coda pure giallo-pallida. Lunghezza 1 '/s-2 mill. Questa varietà la riscontrai frequentissi- ma sulle rive sabbiose del Ticino e del Po; nel mese di luglio. DEGEERIA ANNULATA, Fabricus. | Podura arborea grisea, De GeèR. Ges. des Ins. wi annulata, Fasr. Ent. Syst. ps nivalis, LarremLe. Gen. Orust. et Ins. _ - amnulata, Borsp. et Lac. Faun. Ent. env. Paris. Podura nigro-maculata, Teme. Trans. Ent. Soc. Vol. I. — minuta, Burwmeister. Hand. d. Entom. Isotoma fusiformis, BourLet. Mém. Soc. R. Lalle. 1839. Podura cursitans è L » » Douai. 1842. — annulata ” ” ” ” » ” — migro-maculata, Lucas. Hist. Nat. Crust. Arach. et Myr. — annulata ” PRE NO ” » Isotoma fusiformis, Gervars. Hist. Nat. Aptères. Vol. III Degeeria -. Nicorer. Ann. Soc. Ent. France, 1847. — _ HerxLors. Mém. de la Soc. Ent. de Pays-Bas. 1858. 596. C. PARONA, © Corpo fusiforme, giallo-verdiccio pallido, o del colore dei sassi. Capo rotondo con una fascia nera anteriormente, racchiudente gli occhi. I margini posteriori del secondo, quarto e quinto segmento con una macchia nera, più o meno triangolare su cia- cun lato della linea mediana; il margine posteriore del quinto segmento nero; la metà posteriore del sesto segmento con una macchia nera, la quale è larga e più o meno divisa al davanti; la metà, posteriore del settimo segmento nera; il segmento po- steriore bruno; lungo i lati sonvi macchie nere, espanse e tal- volta in una quasi continua fascia. In altri esemplari le macchie sul secondo e quarto segmento sono appena visibili. La parte anteriore del corpo è più pallida, la parte posteriore è più gialla ed i disegni di un bianco. più carico. Le antenne, in realtà, sono a cinque articoli; ma l'articolo basale è molto piccolo. L'articolo apicale non è distintamente anellato. Le mandibole hanno quattro o cinque denti. Il tarso è provveduto di due unghie, come usualmente. L’unghia larga ha due denti sulla parte inferiore. La piccola unghia è inerme. Lunghezza 3 mill. Sotto i frantumi di legno tutto l’anno. Svezia, Inghilterra, Irlanda, Francia, Italia (Pavia). Io la ritrovai sotto le foglie marcie nei mesi di marzo e di giugno. DEGEERIA DISJUNOTA, Nicolet. Degeeria disjuncta, Nicorer. Mém. Soc. Helv. 1852. — — Gervars. Host. Ins. Aptères. Vol. III _ — Lussocx. Monograph of the Collembola, ecc. Di un giallo sporco, grigiastro, col disotto del corpo, le zam- pe, la coda e le antenne molto più pallide; queste ultime anel- late con tinta alquanto più oscura. Occhi neri. Tre fascie lun- gitudinali di macchie triangolari e nere sul dorso; esse fascie si stendono dalla parte anteriore del torace al bordo posteriore del terzo segmento addominale; questo poi marginato di nero po- hi COLLEMBOLA. : 597 Le steriormente; alcune macchie nere, il cui numero e disposizione variano, sul sesto segmento. Peli neri. Lunghezza 1 4/. a 2 mill. Nelle foreste, sotto i muschi piuttosto comune; solitaria. Io la rinvenni sotto la corteccia dei platani. Francia, Svizzera, Italia (Pavia). Figure: NICOLET, cit. tav. 8°, fig. 2. DeGEERIA coRTICALIS, Nicolet. | Degeeria corticalis, NicoLer. Mém. Soc. Helv. 1842. du; _ _ GervaIs. Hist. Ins. Aptères. ì È — Porama. Of af k. Vetensk. Akad. Forh. 1869. _ — Lussocx. Monogr. of the Collembola. 1873. È Bianco sporco al disopra ed al disotto; corpo poco fusiforme, | quasi cilindrico. Testa grossa, un po’ più larga del corpo. Occhi neri. Antenne bianche. anellate di grigio scuro.! I due primi segmenti del corpo marginati di nero tutto all’ intorno; i due se- guenti solo sui lati. Una larga fascia nera irregolare e trasver- sale sul quinto segmento ed una simile sul sesto; queste due fa- scie si ripetono al disotto del corpo. Zampe e coda bianche. Salta di raro, cammina con grande velocità. i Lunghezzal'/. a2 mill. | Sotto la corteccia delle quercie morte. La rinvenni (ottobre) nei dintorni di Pavia, sotto la corteccia dei Platani. Figure: NICOLET, cit. tav. 82, fig. 3. DeGEERIA MUSCcORUM, Nicolet. Degeeria muscorum, Nicorer. Mém. Soc. Helv. 1842. _ - GervaIs. Hist. Ins. Aptères. — — Parona. Delle Poduridi, ecc. —_ — Lussocx. Monogr. of the Collembola, ecc. | Antenne filiformi, setacee, lunghe quasi come il corpo e d’un bruno giallastro chiaro, anellate di giallo alle articolazioni. Corpo 1 Frequentissime osservai le anomalie negli articoli delle antenne in questa Podura. 598 C. PARONA, stretto, allungato, fusiforme, giallo al disopra ed al disotto, con due fascie longitudinali di un bruno rossastro, macchiato di bruno scuro sul dorso; queste fascie più ravvicinate, riunite anterior- mente e senza macchie brune sul sesto segmento. Una macchia nera all’ estremo del settimo segmento e due altre poste tra- sversalmente all’estremità posteriore del sesto ; quest’ ultimo lungo quanto i quattro antecedenti presi insieme. Occhi neri. Zampe gialle ad articolazioni brune. Pezzo basilare della coda giallo chiaro. Setole bianche. Peli biancastri. Lunghezza 1-2 mill. Sotto i muschi in autunno, piuttosto frequente, solitario. La rinvenni a Pavia in settembre. Sopra i grappoli d’uva molto ma- tura la si riscontra frequentemente. Figure: NicoLeT, cit. tav. 8°, fig. 10. Isotoma, Bourlet. Corpo cilindrico; segmenti subeguali; sette occhi per ciascun gruppo; antenne a quattro articoli, più brevi del corpo; non squamme e grossi peli; piedi biungulati; appendice caudale lunga. ISOTOMA ARBOREA, Bourlet. Podura campestris nigra, De Geèr. Acta Soc. Upsal. 1840. — arborea nigra y Ges. d. Insect. Vol. III. — _ — Linn. Fauna Suec. _ _ — ScHRANK. Enum. Ins. Austriae. _ — — MiiLLer. Zool. Dan. Prodr. _ — — Fasricrus. Ent. Syst. — — — LarrerLLe. Gen. Crust. et Ins. —_ —_ _ Burxmeister. Hand. d. Entom. _ — —_ Borsp. e Liacorp. Faune env. Paris. — fuliginosa, TemeLeron. Trans. Ent. Soc. Vol. I Isotoma arborea, BourLer. Mém. Soc. R. Lille. 1839. ,— rubricauda, BourLer. Mém. Soc. R. Douai. 1842. Desoria cylindrica, Nicover. Mém. Soc. Helv. 1842. — pallida — ebriosa b}) »” ta) ” » sein tt. STE asta di } RO a dre COLLEMBOLA. 599 Podura arborea, BourLer. Mém. Soc. R. Douai. 1842. _ — Lucas. Hist. Nat. Crust., Arach. et Myr. — fuliginosa,« ,, ” ” ”» ” dg Desoria ebriosa, GervaIs. Hist. Ins. Aptères. Vol. III — cylindrica , Lipidi. ”» » n Podura arborea, Disconzi. Ent. Vicent. Isotoma cylindrica, Porata. Of. af k. Vetensk. Akad. Forh. 1869. Isotoma arborea, Lussocx. Monogr. of the Collembola, ecc. DE GEER ne aveva data la seguente descrizione: “ Podura ob- lunga nigra, antennis quadrinodiis; pedibus furcàque pallide fu-. scis. , Nera; zampe ed organo pel salto pallidi; occhi neri; antenne appena più lunghe del capo, cogli articoli pressochè uguali fra loro in lunghezza; tutto il corpo comprese le zampe e le antenne rivestito di corti peli; 1’ organo del salto è breve e non arriva al tubo ventrale. Le ova sono rotonde e gialle, tendenti al rosso porpora. Allorchè sono appena sortite dall’ovo le giovani Podure hanno un color rossiccio. Secondo LuBBocx la Desoria ebriosa di NicoLeT è fondata su un pallido esemplare di Zsotoma arborea, il quale aveva da poco tempo deposto le uova. Egli si incontrò di frequente con individui corrispondenti alla descrizione di quell’autore e riscontrò che il colore dell'addome era dovuto alle uova gialle contenute in esso. Dopo che queste erano state deposte, i segmenti posteriori pre- sero la stessa tinta degli altri. Negli esemplari oscuri la pelle essendo pressochè opaca le uova non influiscono sul colore. Trovasi nei mesi d’inverno sulla terra nei giardini,. ai piedi degli alberi. Lunghezza 1 #/», 2, 3 mill. Svezia, Inghilterra, Francia, Italia (Pavia, Oristano, Vicentino). Viene citata anche dal Marroni da Ponte, I tre regni della natura nella Provincia bergamasca, nelle Mem. Soc. Ital. sciene. Tom. XIX, 1825, pag. 333 (Podura arborea) e la trovai pure registrata: AnonIMo, Cremona e la sua provincia. Cremona, 1863, pag. 121 (Podura arborea). Figure: NICOLET, cit. tav. 6* fig. 3. 600. C. PARONA, ) Isoroma vIRIDIS, Bourlet. Podura viridis, MiLver. Zool. Dan. Prodr. Isotoma È—"— BourLer. Meém. Soc. R. Lille. 1839, — coerulea 5 x sistanit a Desoria virescens, NicoLer. Mem. Soc. Helv. 1842. SR pallida b}) » » Podura viridis, BourLet. Mém. Soc. R. Dida 1842. Heterotoma clorata; Gervars. Hist. Nat. Aptères. Vol. IIL Desoria pallida A da ” ” n n — virescens È b ” ” » n Isotoma viridis ” » » ” » ”» — coerulea n ”» ” n n n — Desmarestii È È ” ” ” — vtrescens, Nicorer. Ann. Soc. Ent. France. 1847. — pallida ” D) D) D) Podura viridis, Disconzi. Entom. Vicent. Pag. 932, Isotoma viridis, Lussocx. Monogr. of the Collembola, ecc. Il corpo è verde; occhi neri, aggruppati; disotto del corpo pallido; organo pel salto bianco; meso e metatorace quasi uguali in grandezza; addome allargato al terzo segmento; corpo coperto. da peli brevi. Nei giardini sulla terra umida. Lunghezza 1-2 mill. Inghilterra, Danimarca, Svizzera. Francia, Italia (Disconzi la cita nel Vicentino e 1’ Anonimo la cita nel Cremonese (Podura viridis). Figure: BourLet (Mém. Soc. Lille), fig. 4. NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 5°, fig. 3 e 11. GERVAIS, cit. tav. 50°. Isorowa AQUATILIS, Miller. Isotoma aquatilis, MiirLer. Zool. Dari. Prodr. — trifasciata, Bourrer. Ann. Soc. R. Lille. 1839. — bifasciata » ” » » ” ”» Podura trifasciata oo D » » Douai. 1842. — bifasciata > , » » » ” » COLLEMBOLA. 601 . Desoria riparia, Nicorer, Mém. Soc. Helv. 1842. fi -- Gervars. Hist. Ins. Apt. Vol. III. " Iotoma bifasciata , n cpna af — trifasciata , gr. prio n — riparia, Nicorer. Ann. Soc. Ent. France. 1847. — bifasciata ,, » ”» ” D) — lineata, Lussocx. Trans. “Edati Soc. 1862. — riparia, Porata. Of. af k. Vetensk. Akad. Forh. 1869. — aquatilis, Lussoce. Monogr. of the Collembola, ecc. Testa pressochè globosa. Corpo subovale, od oblungo, coperto da peli finissimi, nonchè da altri più lunghi. Antenne, zampe, . coda e disotto del corpo grigio giallastro pallido; disopra del corpo e testa grigio, tendente lievemente al verde olivo. Tale colore, molto carico sui fianchi, diminuisce d’ intensità in vici- nanza al dorso, sulla linea mediana del quale vi è una ‘larga fa- scia, che si restringe verso l’ estremità e va a ricongiungersi sulla testa con una macchia nera in forma di lunula, posta fra gli occhi e sormontata da un punto dello stesso colore. Una li- nea stretta, irregolare, bruna o nera occupa ciascun lato di que- sta fascia. Occhi neri. Lunghezza 2-3 mill. Vive in società, sotto le pietre, talora sulle acque Prata tte Svezia, Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pavia [PARONA], Oristano [signor MAGRETTI]). Figure: NicoLeT (Mém. Soc. Helv.), tav. 6°, fig. 6. LuBBocK (Monogr. cit.), tav. 37°. ISOTOMA SALTANS, Agassiz. Desoria saltans, NicoLer. Bibl. Univ. Genève. Tom. 32. 1841. — glacialis, Nicorer. Mém. Soc. Helv. 1842. _ -— GervaIs. Hist. Ins. Aptères. Vol. IL Isotoma — Nicorer. Ann. Soc. Ent. France. 1847. — saltans, Lussocx. Monogr. of the Collembola. 1873. Tutta di un nero cupo, molto vellutata. Peli corti e bianchi. Collo molto distinto, un poco rigonfio. Torace cilindrico. Addome 602 C. PARONA, lievemente fusiforme. Terzo articolo delle antenne un poco ovale. Setole della coda arcuate maggiormente che nelle specie affini. Fu portata dai ghiacciaj alpini da Desor e data ad AGAssIz. E colà abbondantissima vive in società grandissime; e si spinge nelle fessure del ghiaccio anche a rilevanti profondità. Non è raro. di vedere alcuni tratti della superficie del ghiacciajo coperti da codeste Podure (Pulci del ghiacciajo). Io ne raccolsi gran copia sul ghiacciajo del Forno (1800 m. e più) (S. Caterina in Valtellina); sotto le pietre che si affondano sulla superficie del ghiaccio. È presumibile del resto che la si debba trovare anche sugli altri nostri ghiacciaj. G. CAVANNA, (An- nuario scient. indust., anno 15° 1878) dice d’averla trovata (agosto) in gran numero sulle nevi del Monte Amaro (Majella a 2700 m. Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 5°, fig. 10. — Bibl. Umv. Genève, tom. 32, pag. 32, 1841. IsoToMA TIGRINA, Nicolet. Desoria tigrina, NicoLer. Mém. Soc. Helv. 1842. _ — Gervars. Hist. Ins. Aptères. Vol. II. è» _ — Nicoter. Amn. Soc. Ent. France. 1847. _ — Parona. Delle Poduridi, ecc. Isotoma tigrina, Lussocx. Monogr. of the Collembola, ecc. Corpo cilindrico; fianchi di un grigio biancastro pallidissimo ; testa più oscura. Occhi neri. Dorso. punteggiato di nero; una linea lungitudinale grigia nel mezzo del dorso. Lunghezza 1-2 mill. Di trova sulla terra; solitaria; piuttosto rara. AG la rivede gono una varietà del D. virescens. Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pavia, ottobre). Figure: NicoLert (Mém. Soc. Helv.), tav. 5°, fig. 11. IsoTOMA CINEREA, Nicolet. Desoria cinerea, Nicorer. Mém. Soc. Helv. 1842. — —- GervaIs. Hist. Ins. Aptères. Vol. III — — NicoLer. Ann. Soc. Ent. France. 1847. Isotoma — —’Luszoca. Monogr. of the Collembola, ecc. - i ì ] COLLEMBOLA. 603 Piccolissima. Testa e corpo di un cenere bluastro, punteggiati di nero al disopra; più pallido al disotto; con due linee lungitu- dinali di macchie oblunghe e pallide sul dorso; antenne bianca- stre, anellate di nero alle articolazioni. Occhi neri. Primo seg- mento addominale piuttosto corto; zampe bianche; pezzo basilare e coda dello stesso colore del corpo; setole terminali bianche e trasparenti; coda cortissima, comparandola con quella delle altre specie. Insetto poco agile. Lunghezza 1-1 4/s mill. Frequente sotto le corteccie dei vecchi alberi; vive in società. Francia, ‘Svizzera, Italia (Pavia). Figure: NicoLet (Mem. Soc. Helv.), tav. 6°, fig. 9. IsoroMa ANNULATA, Nicolet.. Desoria annulata, Nicorer. Mém. Soc. Helv. 1842. -- -_ GervaIs. Hist. Ins. Aptères. Vol. IL Isotoma — Nicoret. Ann. Soc. Ent. France. 1847. _ — Lussocx. Monogr. of the Collembola, ecc. Bruno-livido pallido, anellato di bruno scuro, o nero. Corpo molto vellutato. Occhi neri. Qualche macchia bruna sulla testa e sul corpo. Setole della coda bianche. Lunghezza 3 mill. Trovasi nei giardini sulla terra e sotto le pietre; molto co- mune; vive solitario. Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 6°, fig. 5. IsoromA FUSCA, Nicolet. Desoria fusca, Nicorer. Mém. Soc. Helv. 1842. —_ — Gervars. Hist. Ins. Aptères. Vol. III . Isotoma — Nicorer. Ann. Soc. Ent. France. 1847. Desoria fusca, Parona. Delle Poduridi, ecc. Isotoma — Luszock. Monogr. of the Collembola, ecc. Piccolissima. Testa, antenne, zampe e coda di un giallo scuro tendente al bruno. Corpo rosso, molto vellutato e senza macchie. 604 C. PARONA, Occhi e peli neri. Vi si scorge il tubo digerente, quando è nu- trita, per una fascia dorsale, più oscura. Se ne osserva una va- rietà a testa e corpo giallo superiormente, biancastro inferior- mente; occhi ed una macchia nel mezzo della testa nera; an- tenne grigie. Trovasi sulle acque stagnanti. Lunghezza 1-2 mill. Sotto i muschi nelle foreste; piuttosto rara. Francia, Svizzera, Italia (Pavia). Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 6*, fig. 7. PARONA, cit., tav. 2°, fig. 4. Fam. PODURIDE, Lubbock. f Corpo cilindrico. L’appendice del quarto segmento addominale. sviluppato in organo pel salto. Achorutes, Templeton. Corpo cilindrico; segmenti subeguali. Occhi otto su ciascun lato. Antenne composte di quattro articoli; piedi biungulati; non scaglie e grossi peli. Appendice pel salto breve. AcHORUTES sIMILATUS, Nicolet. Podura similata, NrcoLet. Mém. Soc. Helv. 1842. Hypogastrura fuscoviridis, BourLer. Mém. Soc. Douai. 1842. Achorutes similatus, GervaIs. Hist. Ins. Aptères. Vol. IIL Podura similata, Parona. Delle Poduridi, ecc. Achorutes similatus, Lussock. Monogr. of the Collembola, ecc. Intieramente grigio-piombo non metallico; più chiaro al di- sotto, con alcune linee lungitudinali gialle, pochissimo apparenti sul dorso. Due piccole macchie della stessa tinta sul collo. Occhi d’un nero appannato. Coda chiara. Lunghezza 1-2 mill. La si riscontra più di sovente sulle acque stagnanti nell’estate, RR COLLEMBOLA. 605 e sulle terre umide sul finir dell’autunno e nell’inverno. Comune. Io la riscontrai nell’aprile in gran numero sui tronchi di Bigno- — nîa, vicino al suolo, assieme alla Lipura corticina. Francia, Svizzera, Italia (Pavia). Figure: Nicoret (Mém. Soc. Helv.), tav. 5°, fig. 3. PARONA, cit. tav. 2°, fig. 2. ACHORUTES CYANOCEPHALUS, Nicolet. Podura cyanocephala, Nicorer. Mém. Soc. Helv. 1842. Achorutes cyanocephalus, Gervars. Hist. Ins. Aptères. Hypogastrura agaricina, BourLet. Mém. Soc. R. Douaî. 1842. Achorutes cyanocephalus, NicoLet. Ann. Soc. Ent. France. 1847. Podura cyanocephala, Parona. Delle Poduridi, ecc. Achorutes cyanocephalus, Luszocx. Monogr. of the Collembola, ecc. Piccola, allungata, fusiforme; corpo di un bianco pallido, pun- teggiato e macchiato di grigio. Testa ed antenne di un bleu chiaro; la prima offre talora delle piccole macchie di un leggier bruno. Occhi neri. Questa Podura è alquanto trasparente e poco agile. Lunghezza 1 mill. Vive nelle cave nell'interno in società; sui funghi agarici nel- l’autunno. Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pavia). Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 5°, fig. 8. AcHorRUTES ARMATUS, Nicolet. Podura armata, Nicorer. Mém. Soc. Helv. 1842. Achorutes armatus, Gervars. Hist. Ins. Aptères. Vol. III. — — Nicorer. Ann. Soc. Ent. France. 1847. _ - LueBocx. Trans. Linn. Soc. 1867. Podura armata, Porataz. Of. af k. Vetensk. Akad. Forh.1869. Achorutes armatus, Lussocx. Monogr. of the Collembola, ecc. 1873.‘ Grigio verdastro sul capo e sul dorso; disotto del corpo, an- tenne e zampe grigio pallido. Una macchia triangolare bruno- 606 C. PARONA, oscura fra gli occhi e qualche altra macchia dello stesso colore sul resto della testa. Occhi neri. Due linee longitudinali e paral- lele di macchie pressochè triangolari ed egualmente brune sul dorso. Peli grigi. Appendice pel salto cortissima. Due uncini ri- curvi in alto all’estremità dell'addome al dissopra dell’ano. Lunghezza 1 4/s mill. Sulle acque stagnanti; non molto comune. Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Pavia). Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 5°, fig. 6. LuBBock (Monograph.). tav. 40°. ACHORUTES PURPURESCENS, Lubbock. Achorutes purpurescens, Lussocx. Trans. Linn. Soc. 1867. e tai TuLLsere. Skand. Podur. CS _ LusBocx. Monogr. of the Collembola, ecc. Di color porpora bruno; nella parte inferiore del corpo un po’ più pallido; occhi non posti in un campo oscuro; corpo co- perto da brevi, radi e bianchi peli; due uncini unguiculati alle estremità posteriori del corpo. Dapprima LuBBocK inclinava ri- ferire questa specie all’Achorutes armatus di NicoLET, ma essa ne differisce pel colore del corpo e per la mancanza delle mac- chie brune sul dorso. Inoltre le antenne sono brevi e composte di quattro articoli, le loro articolazioni sono alquanto oblique, i due articoli termi- nali foggiati a modo di clava. Le mandibole hanno rispettiva- mente quattro, o cinque denti. La pelle è granulosa, coperta da rari, brevi e bianchi peli. L’unghia larga delle zampe porta un unico uncino alla parte inferiore, la piccola ha una forma al- quanto peculiare e termina in un filamento. L’appendice caudale è semplice ed a due articolazioni. Sul concime e sotto i rami degli alberi; tutto l’anno. Lunghezza 2 4/s mill. Svezia, Inghilterra, Italia (Varese, Pavia). Figure: LuBBOcK (IMMonogr.), tav. 41°. % (Trans., 1867), tav. 2°, fig. 24. COLLEMBOLA. 607 Podura, Auct. Corpo cilindrico; segmenti subeguali. Occhi in numero di otto | per ciascun lato. Antenne brevi a quattro articoli. Piede con una sola unghia. Non scaglie e grossi peli. Appendice caudale breve. PODURA AQUATICA, Linn. Podura aquatica nigra, De Grèr. Acta Soc. R. Sc. Upsal. 1740. — _ — Linn. Fauna Suec. La Podure noire aquatique, Grorrroy. Ins. env. Paris. Podura aquatica nigra, De GréRr. Ges. des Ins. 23 — — Ln. Syst. nat. -d ne — — ScmRranx. Ent. Ins. Austriae. Ò PIA —- — Fagricrus. Ent. Syst. DI Lee — MiLLer. Zool. Dan. Prodr. Di i — 0. Fasrrcrus. Fauna Groenl. — Larrerte. Gen. Crust. et Insect. naz i — Borsp. et Lacorn. Faune env. Paris. i a — Ross P. Fauna etrusca. Vol. II, pag. 7. Achorutes — — Burmeisrer. Hand. d. Entom. © Hypogastrura aquatica, BourLer. Mém. Soc. R. Lille. 1839. _ Sa n sir. ca Power 1942, Podura aquatica, NicoLer. Mém. Soc. Helv.. > _ Lucas. Hist. Nat. Anim. Art. — _ Marroni. I tre regni, ecc. 1825. ORI — Awonimo. Cremona, ecc. 1863. Achorutes aquaticus, Gervars. Hist. Ins. Aptères. Vol. III Podura aquatica, NicoLert. Ann. Soc. Ent. France. 1847. Achorutes aquaticus, Disconzi. Ent. Vicent. 1868. Podura aquatica, PARonA. Delle Poduridi, ecc. -- — Lu8socx. Trans. Linn. Soc. 1867. + —_ Ò Monogr. of the Collembola, ecc. Corpo leggiermente fusiforme, di un nero bluastro molto oscu- ro, colle antenne e zampe rossastre, o talora di un bruno cupo. Placche oculari convesse, poste ciascuna in ‘un’ infossatura pro- nunciata. Vertice saliente con tre punti disposti a triangolo. Corpo striato trasversalmente sul dorso e longitudinalmente sui 608 C. PARONA; fianchi. Coda a base assai stretta, a setole molto arcuate ed estendentisi nel riposo, poco in là dalle zampe intermedie. Lunghezza 1 #/s-2 mill. Sulle acque stagnanti comunissima: vive in società. Io la ri- scontrai in gran numero sulle acque delle nostre risaje. Groenlandia; tutta Europa. Figure: BourLet (Mém. Soc. Douai), fig. 12. NicoLer (Mém. Soc. Helv.), tav. 5°, fig. 4. GERVAIS, cit. tav. 50°, fig. 4. LUBBOCK, cit. tav. 42°. PARONA, cit. tav. 2°, fig. 3. Fam. LIPURIDE, Lubbock. Corpo cilindrico; segmenti ineguali; nessun apparecchio pel salto; bocca con mandibole. Lipura, Burmeister. Antenne brevi a quattro articoli; mandibole e mascelle; seg- menti dell'addome subeguali. LIPURA CORTICINA, Bourlet. Podura terrestris nivea, BourLer. Mém. Soc. R. Douai. 1842. Anurophorus laricis, Nicorer. Mém. Soc. Helv. 1842. Lipura laricis, GervaIs. Hist. Ins. Aptères. — corticina , È A 5 Anurophorus laricis, Nicorer. Ann. Soc. Ent. France. 1847. Lipura corticina, Lussoor. Trans. Linn. Soc. Vol. XXIN. Anurophorus laricis, TuLLsERe. Skand. Podur. -_ — Parona. Delle Poduridi, ecc. Lipura corticina, Lussocx. Monogr. of the Collembola, ecc. Nera, o bruna lucente, tinta di verdastro; più pallida al di- sotto; segmenti alquanto rilevati con due infossamenti trasver- sali al margine anteriore di ciascun anello; antenne più chiare del corpo; occhi neri in numero di sei ed in forma di lunula; zampe fulve; solco ventrale largo e profondo; nessun uncino al- l’estremità dell'addome. LL COLLEMBOLA. 609 Lunghezza 1 ‘/: mill. Vive sotto la corteccia del Larix europaea ed anche sotto quella dei pomi; io la rinvenni, come dissi, sul tronco di Bignonia col- l'Achorutes similatus. Svezia, Francia, Svizzera, Italia (Pavia). Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 5°, fig. 3. LuBBocK (Monogr.), tav. 45°. PARONA, cit., tav. 2°, fig. 2. LIPURA FIMETARIA, Lubbock. Podura fimetaria, Linn. Syst. Nat. “i — Scaranx. Ent. Ins. Austriae. _ _ Fagricius. Ent. Syst. _ _ MiiLLer. Zool. Dan. Prodr. Podura fimetaria, Larremne. Gen. Crust. et Insect. Lipura — BurmerstER. Hand. d. Ent. Podura . — Lucas. Hist. Nat. Anim. Art. Anurophorus fimetarius, Nicorer. Ann. Soc. Ent. France. 1847. Lipura fimetaria, Lussocx. Trans. Linn. Soc. 1867. Anurophorus fimetarius, Porata. Of. af k. Vetensk. Akad. Forh. 1869. Lipura fimetaria, Lussocx. Monogr. of the Collembola, ecc. Di un bianco-avorio splendente. Secondo e terzo articolo delle antenne tronchi obliquamente. Occhi bianchi in numero di ven- t otto, di cui quattordici posti in due file su una linea curva . e trasversale, occupano i due lati della testa all’indietro delle antenne. Corpo liscio, appena vellutato; stigme visibili a pic- colo ingrandimento. Labbro superiore molto intagliato. Zampe corte. Posto della coda segnato d’una piccola placca semi-circo- . lare inetta al salto. Solco ventrale quasi nullo. Due uncini ri- . volti all'insù all’estremità dell’ addome. Lunghezza 2-3 mill. Sulla terra grassa, nei giardini, sotto i vasi di fiori, sul fieno e su tutte le sostanze in decomposizione. Comunissima. Svezia, Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia (Disconzi la cita . del Vicentino, io la rinvenni frequentissima a Pavia). Vol. XXI. 39 610 C. PARONA, Figure: BourLET, (Mem. Douai), fig. 8. LuBBock (Monogr.), tav. 46°. (Trans., 1867), tav. 2°, fig. 27. 2 Fam. ANURIDYE, Lubbock. Antenne a quattro articoli conici. Non mandibole nè mascelle. Segmenti addominali subeguali. AnouRA MuscorUM, Lubbock. Achorutes muscorum, Tempr. Ent. Trans. Soc. Vol. I —- O Burmerster. Hand. d. Entom. _ _ Lucas. Hist. Nat. Crust. Arach. et Myr. _ tuberculatus, Nicorer. Mém. Soc. Helv. 1842. _ — GreRrvaIs. Hist. Ins. Aptères. Anoura tubercolata, NicoLer. Ann. Soc. Ent. France. 1847. _ -_ muscorum, Lussocx. Trans. Linn. Soc. Vol. XXIII. — — TuLLsera. Skand. Podur. Achorutes tuberculatus, Porata. Of. af Vetensk. Akad. Forh. 1869. = Tui Parona. Delle Poduridi, ecc. Anoura muscorum, Lussocx. Monogr. of the Collembola, ecc. Grigio terreo al disopra, più chiaro ed un poco giallastro al disotto. Corpo leggermente fusiforme alla parte posteriore. Primo segmento toracico, metà più corto dei due seguenti; gli addomi- nali d’egual lunghezza. Due solchi lungo il dorso ed un altro a ciascun lato del corpo. Testa triangolare; spazî oculari ovali, di color fulvo; occhi appena visibili. Zampe cortissime e quindi cam- mina lentamente. Lunghezza 2 mill. circa. Trovasi sotto le foglie in putrefazione, sotto i muschi, sotto le pietre e sotto le corteccie dei vecchi alberi. Svezia, Inghilterra, Irlanda, Francia, Svizzera, Italia (Pavia, Miradolo). Figure: NicoLet (Mém. Soc. Helv.), tav. 5°, fig. 1. GERVAIS, cit., tav. 50°. PARONA, cit., tav. 2°, fig. 1. LuBBocK (Monogr.), tav. 48°. COLLEMBOLA, i COL ELENCO DELLE SPECIE DESCRITTE. n Ca i I ro, 0 pagine = niger Si a i ie (VILLA E A IA RE a nen. AZ Si a it o PR e DA i dii de O Ri DLE RT ste Korn Ca 970 ocra par es 3 at BA - Paci SEPRIO 0 lele ice Dig I eg GRATTA I» MER RICRONIA: CIYSRRIONA E E e 0 DD eni domenica antiaereo a er vorilia; in Pat 85 E i e ue ll Ar 86 MEDE RI TINO ERE US AR 0. PEOO SM AE N TI e ENO, SRI O AU TTI negli rh area di aste in BS7 0 DEE RR RR I POET; (0. MIEI ET EEUS CUTVIGOLIO LL n e I GIG 16. — eo ALENIA e LL, l'i BOO FT. ss I Ae Or ST SEE RIETI — Co60. MOT BOO 18. _ n onba:-totit ni DOTTI QUAI 30.01 10051001 135 BOL 19. _ iO LIT A AAA de Bo e ot Daabie pprerdà 4 GL O E I O DI A RO, CIO 21. SR AS n e PT rt 22. eni disgunetayint 0) dl MURI. di fentaltà: 000 apt 96 23. I PU AE e GARA ll reni da a Sal ph. Liga dle beata] PIRRO 19: 1 24. SORA SCONTRI A SLA LIZ NZIRISTI eo E e OTO SE TO DIL I E TAM 300 26. Maniglie. L. prote iezaae Nor atto. Stig» e000 27. EER AAT e DE e e AS LE Ue o A 28. PEPE ETA STI, Sii ire n NL LEN RR Ue Lao 29. age nina oe 3/9 DIN o STUDI Res, DI, Fei Vis CUZ 30, DIRE RIME ila pe hot tt pan 6 "AT 7002 31. ne io e Li LL Runie LA, Ae Leti 609 32. PERA EE DT PI ri gr R609 fn nbonotesisimsilatusi bano) ibra, CHO A IpELIvo 3'60£ 34. —_ fganocaphalais » fi. (ins citò sro ssaRg osienrt dat L00 35. — MEA Mr ron eni ri 8 005 36. — pe erede ei SATO Pea. Pro forati» saud06 i ioira a guaticoli ufo, urti II LIA ILIDISO go, OO (LIV 15007 MR ORA convinto ch ads g.187008 39. RENALE, DREI 0 La VT t608 anni rado ttt) CT Ln asta e, IR (000 O 00 I D) Ot Ha 00 Ma Pavia, settembre 1878. NUOVE SPECIE O FORME POCO NOTE DI MOLLUSCHI. Contribuzione alla fauna malacologica d'Italia del Socio NAPOLEONE PINI. Nella communicazione da me fatta a questa Società nella se- duta del 10 ottobre 1876, rapporto ad in allora recenti scoperte malacologiche, che aumentavano la fauna lombarda di due spe- cie di molluschi,” la cui esistenza in questo territorio era tut- tora ignorata, esternai la lusinga che con nuove, diligenti ed estese esplorazioni, la fauna di Lombardia potesse di nuovo es- sere arricchita. Nè male mi apposi, chè i fatti coronarono l’aspet- tativa più che non osassi sperare. | Replicate diligenti esplorazioni, praticate durante questi ul- timi due anni in località nuove, od anche già antecedentemente esplorate, mi posero in grado di aggiungere alla fauna delle no- stre provincie, nuove specie di molluschi non solo, ma di con- statare eziandio in modo assoluto l’esistenza di altre, la cui pre- senza nel nostro paese era stata solo, od accennata erroneamente da stranieri e riportata da qualche nostro autore; od accennata dubitativamente da alcuni sulla fede altrui, senza poter fare cenno di località certa di ritrovamento. Potevasi dire per alcune di esse che fossero come l’araba fenice. 1 Atti della Società Italiana. Vol. XIX, fase. I, pag. 499 (1877). 3 Vertigo Moulinsiana Dupuy, e Pomatias Canestrinii Adami. NUOVE SPECIE 0 FORME POCO NOTE DI MOLLUSCHI. 613 Il risultato degli studii fatti sopra grande quantità di esem- plari di molluschi, raccolti a migliaja in nuove località ed anche in alcune già esplorate, se da un lato è lusinghiero per la copia delle specie rinvenute, fra le quali non poche tuttora scono- sciute che portano un notevole incremento alla nostra fauna, dal- l’altra è increscioso considerando quanto forse noi siamo ancora discosti dal conoscerla intieramente, visto come anche in loca- lità più e più volte esplorate si possano rinvenire specie dap- prima inosservate, sfuggite alle più diligenti ricerche, sia perchè localizzate in piccolo tratto di terreno sul quale non siasi posto piede casualmente dapprima, sia perchè mutate forse le epoche di ricerca o le condizioni climatologiche, alcune di esse non po- terono mai essere osservate e rinvenute nelle condizioni diffe- renti in cui ebbero luogo le anteriori esplorazioni. Ciò non ostante non è senza soddisfazione che posso anno- verare oggidì oltre alcune nuove forme di conchiglie italiane, al- tresì buon numero di varietà sfuggite alla diligenza di chi mi precedette nello studio di questa classe d’ animali, che sebbene non ancora abbastanza noti nei loro costumi e nella influenza che possono arrecare sull'equilibrio della natura, pure non sono privi nella vita animale di un certo interesse. È parimenti con. compiacenza che rifletto, che mercè le mie fortunate osservazioni sarà messa in sodo l’esistenza di date spe- cie in località precisate, e quindi meglio conosciuta la disper- sione geografica ed orografica delle stesse nel nostro paese; per cui Se ne potranno dedurre successivamente nuovi ed importanti corollarii, studiando la nostra fauna in confronto di quella di altre regioni. Descriverò dapprima quelle specie che sembrandomi scono- sciute dovetti denominare nuovamente, facendovi seguire quelle altre varietà di forma di specie già note, che la diversità di dimora ha modificato sul nostro suolo; enumerando per ultimo quelle che non offrendo per sè stesse variazioni dal tipo, vanno ciò non ostante ad arrichire la fauna italiana. 614 N. PINI, Testacella Stabilei Pini. Testa parva, ovalis-elongata, supra fulva, subconvexa, irregu- lariter concentrice striata; intus subconcava, laevigata, inferius albo-lutea, superius albo-porcellanea; columella laevi, alba, pel- lucida, subplana, tenuiter ac regulariter arcuata, antrorsum de- flexa; apice recto, elongato, exiguo, laevigato, albidulo; mar- gine dextero laeviter incrassato, a columellari parum disjuncto, externe convexo ut oppositum est convexum. Anfractus 1 t/2el@ro leriter crescente. Long. 5.® Lat. 2." Alt. 1.9 Habitat in Friuli prope Utinum. Conchiglia piccola, di forma ovale allungata quasi ovoidea, celeremente crescente, ristretta nel senso della larghezza, di color fulvo, leggermente convessa al di sopra, irregolarmente solcata da rugosità arcuate concentriche; internamente concava, di colore gialliccio nella parte inferiore, e bianco porcellaneo nella superiore per il tratto dell’ impressione muscolare. Columella ristretta, bianca, pellucida, leggermente arcuata, quasi piana all’esterno, che si ripiega internamente nella parte superiore ed inserisce sulla parete del margine destro od esterno a circa un millimetro dall’apice. Inferiormente raggiunge il cen- tro del margine basale in modo che calando una perpendico- lare dal centro dell’apice a quella del margine basale. dell’a- pertura, la conchiglia viene divisa in due parti Dressngh eguali longitudinalmente. Il margine destro è internamente alquanto incrassato, e de- scrive una convessità corrispondente alla concavità dell’opposto, formando per tal modo assieme un’ apertura ovoidea coll’ asse maggiore in basso. Spira composta di un giro e mezzo, apice quasi diritto, sot- tile, bianco levigato inferiormente, alquanto allungato. Misura 5.” di lunghezza per 2.° di maggior larghezza, ed è alta 1." Vive ad Udine, nel Friuli, ove la rinvenni nel gennajo 1873, sotto grosse pietre lungo una muraglia che cinge il castello. è) ) { i ] L] ly baeri è TA d LI } i È Pelle FP NUOVE SPECIE O FORME POCO NOTE DI MOLLUSCHI. 615 Animale limaciforme di color giallo-zolfino vivace, legger- mente aranciato, cosperso superiormente di macchiuzze irrego- lari e punteggiature bruno rossiccie; col margine esterno del piede di color giallo vivace. Il colorito del corpo è più carico e diafano nella metà anteriore o cervicale, e più pallido ed opaco in quella posteriore o caudale. Il piede è diviso longitudi- dinalmente in tre zone di cui la mediana è bianchiccia e diafana, le laterali color giallo vivace, ed opache. Tentacoli in numero di quattro, i superiori allungati, cilin- drici, decrescenti in diametro verso l’estremità superiore od ocu- lifera, di colore cinerognolo pallido, semi-diafani; gli inferiori assai più sottili e corti, un terzo circa dei primi, di tinta an- cora più pallida nella parte superiore, bianchicci nella inferiore o cervicale, e diafani. Gli occhi sono globulosi, lucentissimi, color cinerino intenso e sono situati all’estremità superiore dei grandi tentacoli. Il corpo è longitudinalmente attraversato da due leggerissimi solchi che partendo dall’apice della conchiglia percorrono pres- sochè quattro quinti della lunghezza dell’ animale, descrivendo uno spazio mediano o dorsale, e due laterali o lombari. Da que- sti solchi longitudinali ne partono altri ai lati che si dirigono verso il piede. Un altro solco percorre longitudinalmente verso il piede tutto il corpo dell'animale, dando luogo al margine del piede che ha circa mezzo millimetro di larghezza. Il dorso, come i lombi, sono intieramente solcati d’una quan- tità di leggerissimi altri piccoli solchi che incontrandosi fra loro in ogni senso, costituiscono degli interstizi una specie di gra- nulazione irregolare e piuttosto grossolana. Questi interstizii di- minuiscono di volume ed aumentano di numero verso il capo ove assumono una forma più uniforme e regolare originando tanti piccoli poligoni. L'organo della generazione è situato al lato si- nistro inferiore del capo, mentre quello della respirazione è collocato posteriormente alquanto a destra dell’animale. L’animale geme un umore denso, incoloro, assai vischioso, quasi cristallino; la secrezione di questo umore pare soggetta 616 N. PINI, alla volontà dell’animale, poichè, allorchè è tranquillo e cam- mina, esso è assai scarso, o nullo; mentre, allorchè viene stuz- zicato, la secrezione si fa copiosa a guisa di goccioline di ru- giada in modo che attrae la terra e le materie che lo circondano. Allorchè si dispone al moto, dallo stato di maggiore contrazione va lentamente allungandosi, e come i congeneri sporge dapprima i tentoni inferiori, poscia quelli superiori. La conchiglia è situata in posizione alquanto obliqua sulla parte posteriore o caudale del dorso, coll’asse columellare ri- volto verso il piede dell’animale, ed il margine inferiore della conchiglia verso il dorso; libera per una terza parte anterior- mente ed aderente per gli altri due terzi posteriori. L’unica specie colla quale mostra qualche affinità nella con- chiglia è la 7. Pecchioli Bourguignat, dalla quale si distingue per minore statura, maggior ristrettezza dell’ultimo mezzo giro di spira e depressione del margine columellare, minore convessità e sporgenza del margine destro superiormente all’ inserzione della, columella. Oltre a ciò la Testacella Stabilei ha le strie d’accresci- mento assai più marcate ed irregolari che non la 7. Pecchioli, il margine destro dell’apertura ingrossato leggermente all’interno, non che il colorito più pallido. i Del rinvenimento di questa specie ebbi già a dare comunica- zione a questa Società nella seduta del 26 gennajo 1873.' Nes- suno fino a quel giorno aveva potuto confermare l’esistenza di questo genere di molluschi nelle provincie Lombardo-Veneto, e nessuno dei nostri autori ebbe a comprenderlo nei loro lavori malacologici come vivente in questa zona, se ‘si eccettuano i fra- telli Villa che, nel loro Catalogo sinonimico delle specie e varietà di molluschi della Lombardia," annoverarono la 7. Pecchioli Bourg., come esistente in questa regione, sulla fede però del- l’autore stesso che nella Revue et magasin de zoologie pure et ap- pliquée, serie II, vol. XII, che fu pubblicata a Parigi nel 1861, accennava essere stata rinvenuta questa specie nel Veneto e 1 Atti della Società Italiana. Vol. XVI, pag. 21, 22 (1873). 2 Bollettino malacologico italiano. Vol. IV, pag. 83-95. Pisa, 1871. \ NUOVE SPECIE 0 FORME POCO NOTE DI MOLLUSCHI. 617 Lombardia, senza però dire da chi ed in quale località; ma spe- cialmente nei dintorni di Bologna, Pisa, Firenze, Settignano, Roma, Palermo, ecc. Tale asserzione del signor Bourguignat non ebbe conferma dai fatti che negli esemplari da me rinvenuti ad Udine; è quindi a ritenersi l’esistenza del genere Testacella come assodata soltanto per le provincie venete, rimanendo tuttora a constatarla anche pelle lombarde, ove fino ad oggidì, se vi esiste, sfuggì alle ri- cerche le più diligenti di indefessi malacologi. Clausilia tenuistriata Pini. (Iphigenia Gray.) Testa vix rimata, subventroso-fusiformis, confertissime undu- lato-striata, fusco-rufescente, tenuiter albo strigillata, epidermide interdum decidua; spira regulariter crescente, apice acutiusculo nitido. Anfractus 10-11 convexiusculi, ultimus antice tumidus, sub- tiliter striato-costulatus, basi laeviter gibbosus; apertura subcir- cularis, intus fuscula; lamella supera valida, marginalis, cum la- mella spiralis continua; infera conspicua, parum immersa, antice saepus biramosa, retrorsum reflexa; subcolumellaris sat emersa, crassa, lamellam inferam attingente; plica palatalis distincta oblique ascendente; lunella valida, a plica columellari distincta, a palatali usque ad spiralem producta. Spatium interlamellare rarius laeve, interdum 1-2, saepius 3-4 pliculatum. Peristoma continuum, solutum, tenuiter incrassatum, porcella- neum, reflexiusculum. Long. 12 4/.*", Diam. 3 1/,"". Habitat in monte Amiata, Etruriae. _ Conchiglia appena perforata, leggermente ventrosa, fusiforme, È ornata di minutissime striature ondulate, color bruno-rossiccio, alquanto macchiuzzata in bianco, epidermide caduca: spira cre- scente regolarmente, apice acuto, levigato; giri di spira da 10 . ad 11 piuttosto convessi, l’ultimo rigonfio in avanti, sottilmente costulato, leggermente gibboso alla base; apertura quasi circo- 618 N. PINI, lare, internamente bruna; lamella superiore sviluppata, che raggiunge il margine, unita alla lamella spirale; lamella infe- riore pronunciata, alquanto immersa, spesso bifida nella parte anteriore risvolta all’ indietro; plica columellare abbastanza spor- gente, robusta, che .si congiunge colla lamella inferiore; plica palatale ben marcata obliquamente ascendente; lunella svilup- pata, che non tocca la plica columellare, che dalla plica pala- tale si estende fino alla lamella spirale. Spazio interlamellare ra- ramente liscio, alle volte munito di una a due pliche, spesso da tre a quattro. Peristoma continuo, fuso, leggermente ingrossato, porcellaneo, alquanto risvolto. Questa specie si approssima alla Densestriata Ziegler; differi- sce però dalla stessa per minore statura, maggiore gonfiezza, minor numero di giri di spira, e maggior convessità degli anfratti che crescono più rapidamente. Il suo tessuto è meno consistente, le striature leggermente più ondulate, e sull’ultimo giro diven- gono più rade e pronunciate, mentre nella specie di Ziegler si mantengono pressochè invariate fino alla base della spira. L°a- pertura in questa nuova specie è meno fosca ed il collo palatale assal meno pronunciato. Non può essere confusa colla Claus. Amiatae Martens, della quale è più che doppia in statura e di forma assai meno conica; ha maggior numero di giri di spira, la plica subcolumellare as- sal più sporgente, e lo spazio interlamellare munito di maggior numero di pieghette. Diversifica poi dalla Claus. Mellae Stabile di Martens,* per sta- tura assai maggiore, minore lucentezza e striatura più fina, per maggiore globosità e numero di giri della spira, per la plica columellare più emersa e sviluppata, per quella spirale più al- lungata, per la plica palatale assai robusta, mentre negli esem- plari di Claus. Mellae dell’Amiata manca affatto o vi è appena. rudimentale. 1 BONELLI, Catalogo dei molluschi raccolti neù dintorni di Siena, negli Atti della Società Italiana di Scienze Naturali. Vol. XV, anno 1872. NUOVE SPECIE 0 FORME POCO NOTE DI MOLLUSCHI. 619 Clausilia Furvana Pini. Iphigenia (Gray.) Testa parva, rimata, ventroso-fusiformis, regulariter et flexuose striato-subcostulata, fusco-brunnea, epidermide saepius albidulo maculata; spira sensim attenuata, apice acutiuscula, laevigata ; anfractus 9 convexiusculi, ultimus basi breviter cristatus, latere parum impressum; apertura obliqua, pyriformi-ovalis, basi cana- liculata, lamella supera tenuis, marginalis; infera valida, laeviter immersa, antice bifurcata, introrsum duplicata vel ramosa; lu- nella conspicua, usque ad lamellam spiralem producta; plica pa- i latalis valida, tenuiter arcuata; subcolumellaris immersa; fauce intus fusca, exterius albo-callosa; spatium interlamellare laeve ‘uniplicatum, lamella spiralis ultra lunellam producta. Sinulum rotundatum; peristoma continuum, albidulum parum reflexum. Long. 9 4/2", Diam. 2 3/4. Habitat in valle Furva super montes Sobretta et Zebrù, pro- | vincia Sondrii. Conchiglia piccola, coll’apertura ombelicale assai ristretta, fusiforme, rigonfia nella parte inferiore, regolarmente sparsa di | strie flessuose leggermente costulate, color bruno-fosco, sovente macchiata in bianco. Spira sensibilmente decrescente nei primi giri, coll’apice levigato, quasi acuto. Nove giri costituiscono la spira, dei quali l’ultimo è lievemente crestato alla base ed al- quanto depresso al lato esterno. Apertura obliqua all’asse della conchiglia, di forma periforme- ovale con una scanellatura interna alla base. La lamella supe- riore è sottile e sporgente fino al margine del peristoma, l’infe- riore è robusta, piuttosto immersa, biforcata nella parte anteriore e ramosa all’interno. La lunella è distinta e si protrae fino alla \lamella spirale. La plica palatale assai robusta è leggermente arcuata, quella subcolumellare profonda. La bocca fosca all’in- | terno, è bianca e callosa al margine, e la lamella spirale sorpassa Sega I RR Pad 4 620 N. PINI, ha la lunella. Lo spazio interlamellare è semplice, o talora munito . d’una plica. Il margine esterno dell’apertura è bianco, continuo ed un poco risvolto. Lunghezza totale della conchiglia millime- tri 9 4/2, diametro maggiore millimetri 2 3/4. Vive in luoghi freschi ed ombreggiati fra i cespugli e sotto le pietre. È rara in val Furva sopra il monte Sobretta e più rara nella valle del Zebrù ad una elevazione fra i 1800 ed i 2000 metri. Limnaea frigida (var. nivalis) Pini. (Limnaea gemina mihi, olim in schedis.) (Gulnaria Leach.) Testa ovata, ventricosa, subimperforata, exilis, minute obsole- teque substriata, brevispira, pellucida, corneo-fulva; apertura ampla, oblique ovata, superius subacuta, inferius rotundata, pe- ristomate simplice, continuo, acuto; margine basali recto, colu- mellari tenuiter reflexo, umbilico pervio; anfractibus 3 celerrime crescentibus, a sutura parum impressa separatis; apice saepe de- cidua. Diam. maj. 6-7"", minor 4 1/4-5 4/2", Alt. 10-11 1/92. Habitat Branziis in lacubus geminis, valle Brembana, provincia Bergomensis. Conchiglia ovata, ventricosa appena perforata, sottile, fragile, minutamente e lievemente striata, pellucida, colore corneo-gial- | liccio. Apertura grande, obliquamente ovata quasi angolosa su- periormente verso il margine esterno, arrotondata inferiormente. Peristoma semplice, acuto, continuo ; margine basale diritto, quello columellare alquanto ripiegato verso l’ombellico che è quasi per- fettamente chiuso. Tre giri di spira crescenti rapidissimamente divisi da sutura piuttosto profonda. L’apice della conchiglia è d’ordinario staccato e mancante. Misura da sei a sette millimetri di maggior diametro per 4 4/4 5 4/» di minore, ed è lunga da 10 ad 11 '/4 millimetri. Vive nelle acque fredde dei laghi gemelli ai Branzi, in valle Bremba- na, a circa 1600 metri. Questa specie venne comunicata già a diversi miei corrispondenti sotto la denominazione di L. gemina. NUOVE SPECIE 0 FORME POCO NOTE DI MOLLUSCHI. 621 Limnaea frigidà (var. glacialis) Pini. (Gulnaria Leach.) Differt a varietate nivali, testa minore, magis ovata, striis 5) usve obsoletis, epidermate viridescenti saepe decidua; apertura ‘elongatiuscula, inferius ovalis-subrotundata, margine columellari ‘expansiusculo. Diam. maj. 5-5 4/s®®, Minor 4-4 4/4, Alt. 8-99°°. Habitat in lacu albo et lacu nigro, vallis Gaviae, provincia è È A a Differisce dalla varietà nivalis per minore statura, per forma più ovoidea, per le strie meno pronunciate, per l'epidermide ver- ‘dognola, spesso caduca, forse per l’azione del sole sull’ acqua fredda in cui vive. L’apertura di questa varietà è alquanto più allungata ed inferiormente ovale, quasi rotonda; il margine co- lumellare un poco più dilatato. Misura da 5 a 5 4/4" di maggior diametro per 4 a 4 4/4" di minore ed è lunga da 8 a 9”. Vive nel lago bianco e nel lago nero in Val Gavia, provincia di Sondrio, a 2000 metri. Helix carthusiana Mull. (var. arvensis Pini). (Fruticicola Held.) Testa umbilicata, subglobosa, minute striatula, subpellucida, O ‘corneo-rosea; spira parum elata, sensim crescente, anfractus 5- ‘convexiusculi, ultimus non inflatus, rubellus, zonulam albidulam ‘(ferente, antice subdeflexus; apertura lunari-rotundata, intus laeve ‘fusco labiata, peristoma acutum, margine basali subrecto, colu- ‘mellari tenuissimè reflexum umbilicum non tegente. Animal om- ‘nino niger. Diam. maj. 7 4/»®® Minor. 5 2/5" Alt. 49°. i i Habitat in agribus vervactis ad Belgiojosum provincia Papiae. NE i. Conchiglia piccola, globosetta, leggermente striata, semidiafana ì | \color corneo-roseo, spira poco dilatata crescente regolarmente, formata da cinque giri piuttosto convessi, l’ultimo non rigonfio, 622 N. PINI, risvolto all’innanzi, rossiccio, con una zona bianchiccia sul terzo superiore. Apertura lunare rotondata con un cercine interno fo- sco-rossiccio; peristoma acuto, margine basale quasi diritto, il columellare leggermente risvolto verso l’ombilico che però non ricopre. È una forma interessante, intermedia alla Helix carthusiana Mull., var. minima di Rossmissler e la H. hispida di Linneo, che parmi opportuno tenere distinta. Differisce dalla prima per minore statura e maggiore globosità, per l’ombilico più aperto, per l'apertura più arrotondata, per la superficie alquanto più striata, per il tessuto fragile e la colorazione rossiccia dell’epi- dermide, segnatamente sopra l’ultimo giro. Dalla hispida si distingue per maggior globosità di forma e consistenza di tessuto, ‘per l’apertura umbilicale più ristretta, per la mancanza di peli, per il colorito più pallido e meno opaco, per il peristoma meno risvolto, per il cercine interno, e per la spira che si svolge più celeremente la quale è formata da mezzo giro di meno. L'animale di questa forma è nero intenso, col piede cinero- gnolo; ha quattro tentacoli dello stesso colore, di cui i superiori conici, gli inferiori cilindrici alquanto più pallidi e semidiafani. La massa viscerale è parimenti nericcia ad eccezione del fegato che è di color rossiccio-ocraceo. Vive nei campi coltivati presso Belgiojoso e benchè localizzata si raccoglie in abbondanza in primavera sugli steli disseccati, .sulle siepi e sugli alberi. Succinea pleurolacha Letourneux (var. Baudoniana Pini.). Differt a typo, testa minore, fragili, spira minus elongata, co- lore pallido. Habitat in nemoribus Belgiojosii provincia Papiae. Differisce dal tipo per minor statura della conchiglia la quale è più fragile, di colorito più pallido, e per la spira meno allun- a i NUOVE SPECIE 0 FORME POCO NOTE DI MOLLUSCHI. 623 gata. Oltre a ciò differisce per alcuni caratteri dell’animale, giu- sta l’esame fattone dal chiarissimo dottor Augusto Baudon a cui ebbi ad inviarne diversi esemplari viventi. Credo di meglio non potere esprimere tali diversità che trascrivendo le sue parole: “L’animal est plus grisàtre que celui du type, les points noirs sont mieux marqués et plus nombreux avec plus de saillie. Les tentacules superieurs ont plus de longueur. Le type a une taille plus considerable. ,, Dedico quindi al dotto autore della Monographie des suc- cinées frangaises, pubblicata nel giornale di conchiliologia di- retto dal dottor Crosse a Parigi, questa nuova forma che chiamo Baudoniana esistendo già una Succinea Baudonii del dottor Drouet. Questa nuova forma vive nei boschi che fiancheggiano il fiume . Po a Belgiojoso, provincia di Pavia, ove questa famiglia ha nu- merosissimi rappresentanti. Clausilia plicatula Drap. (var. plicatulina Pini). (Pirostoma West.) Differt a typo; testa dimidii minore, graciliore; confertissime laeviter flexuose striolata, corneo-fusca; anfractus modo 10-11, spatium interlamellare minus pliculatum, lamella infera magis immersa, fauce callosa. Long. 8-9" lata 2-2 4/s!®. Habitat in valle Trumpia et valle Sabbia provincia Brixiae. Differisce dal tipo per assai minore statura, quasi la metà; per minor numero di giri di spira, da 10 a 11; per la super- ficie fittamente e leggermente striata da costoline ondulate; per | lo spazio interlamellare munito di minor numero di pieghette e la lamella inferiore più profonda, e per il callo palatale legger- mente obliquo dall’esterno verso l’interno. Misura da 8 a 9 millimetri di lunghezza per 2 a 2 */s di mag- gior diametro. Rinviensi in valle Trompia a Collio, Bovegno e Gardone ed in . valle Sabbia ad Ono e Vestone, sul tronco dei salici e dei pioppi vetusti. 624 | N. PINI, Buliminus quadridens Mall. (var. prolicus Pini). (Chondrula Beck.) Differt a typo; statura multo majore, spira lente crescente, an- fractibus 10-11, ultimus ‘/4 modo longitudinis subequante; peristo- mate incrassato, dentibus validioribus, colore pallido. Long. 14°?" RA Habitat Castelarquato, provincia Placentiae. È questa una bella varietà della specie che si distingue per assai maggiore statura e robustezza di tessuto, per la spira che cresce più lentamente, per maggior numero di giri, che nella spe- cie sono da 7 ad 8, ed in questa varietà si compone da 10 ad 11, - l’ultimo dei quali corrisponde a circa un quarto della lunghezza totale, mentre nella specie corrisponde ad una terza parte sol- tanto. I denti sono assai robusti e sviluppati, ed il colore della conchiglia è più pallido di quello del tipo. Misura 14 millimetri di lunghezza per 4 di larghezza. Trovasi abbondante a Castell’Ar- quato sul colle ove è situato il paese, nei campi e negli orti sotto le pietre. Clausilia rugosa Drap. (var. Pini Westerlund*). (Claus. rugosa Drap., var. Amtatensis Pini, in schedis.) (Iphigenia Gray.) Testa gracili-fusiformis, fusca, tenuissime regulariter striata, strigillata, anfr. 10, ultimus distantius costulatus, apertura ovali- pyriformis, clausilium superne intus rotundatum, extus in lobum validum triangulare forte reflexum, apice rectangulatum, finitum, long. 7 4/.”® diam. 2°" (Ital. sup. mons Amiata). E questa una forma abbastanza diversa dal tipo che si distin- gue per minore statura, gracilità di tessuto, colorito rossiccio-fu- ! Monographia Clausiliarum in regione palacoartica viventium. Lundae, 1878, © pag. 136. PRIORI LE RENE, NUOVE SPECIE O FORME POCO NOTE DI MOLLUSCHI. 625 sco, leggerezza e regolarità della striatura, minor numero di giri di spira crescenti regolarmente, l’ultimo dei quali ha le co- stoline più discoste fra loro. L’apertura è ovale piriforme e l’in- terno è colorito in giallo-fosco. Il clausilio è superiormente ro- tondato all’interno, e fortemente riflesso in robusto lobo all’ e- sterno, l’apice rettangolato intero. Misura 7 */» millimetri di lun- ghezza, per 2 millimetri di diametro. | Raccolsi questa specie nel 1872 a Castel del Piano nell’Amiata col dottor Silvio Bonelli di Siena, il quale nel Catalogo dei mol- luschi raccolti nei dintorni di Siena negli Atti della sesta riu- mione della Società Italiana di Scienze naturali la pubblicò sotto la denominazione di Clausilia crenulata Risso (Claus. Isseli Villa var. minor), pag. 243. Questa specie vive in diverse località della Toscana, ma vi subisce leggiere modificazioni; così a Pieve Fo- sciana è alquanto più .corta e rigonfia; a Vallombrosa assume un tessuto più robusto ed un colorito più intenso, quasi nero, mantenendo una forma più abbreviata e rigonfia; in Valle del Serchio si presenta con tessuto abbastanza robusto, ma con stria- ture poco pronunciate; alla Verna, nell’ Apennino toscano, la si osserva ancora leggermente rigonfia più del tipo e colla striatura alquanto più allargata e d’un tessuto ancor robusto. Clausilia fusca De Betta (var. mutata Westerlund *). (Clausiliastra Pfeiff.) Testa rufo-cornea, tenue regulariter striata; peristoma non continuum; callus palatalis tenuissimus, rufescens; plica infera una, longa, obliqua; subcolumellaris infra lamellam inferam sub- occulta; anfr. 10; long. 13, diam. 2 #/:"” (Udine). Cum Claus. commutata saepe confunditur. È questa una forma intermedia alla Clausilia fusca De Betta ed alla commutata Rossmissler. Si distingue dalla prima pel colorito più pallido, per statura alquanto minore e per uno o due 1 Loco citato, pag. 12. Vol. XXI. I 40 626 N, PINI, giri di spira di meno, per striatura più regolare, per il peristoma discontinuo, pel callo palatale poco pronunciato di color rossic- cio, e per la plica columellare quasi nascosta dalla plica infe- riore. , Differisce dalla commutata Rossm., per tessuto più leggero e colorito più pallido e lucente, pei giri di spira leggermente più convessi, pel callo palatale assai meno pronunciato e di colore rossiccio, per minore ventricosità di forma, e per la plica colu- mellare meno emersa. Di questa nuova forma raccolsi abbondanti esemplari nel gen- najo 1873 nella piazza d’armi di Udine sopra i muri che circon- dano il castello, e venne da me communicata a molti corrispon- denti sotto la denominazione di Clausilia commutata Rossm. x Succinea pleurolacha Letour. Debbo la determinazione di questa specie al chiarissimo dottor Baudon. È una specie elegante di forma, che non venne finora citata da alcun autore italiano, la cui esistenza in Lombardia sembra strana, poichè fin’ora non venne rinvenuta questa specie che in Sicilia e nell’ Algeria, al dire di Bourguignat e dello stesso signor Baudon, paesi assai più meridionali del nostro. La rinvenni abbastanza abbondante nelle vicinanze di Bellano sul lago di Como, sopra le roccie stillanti. Succinea breviusculta Baudon.! Elegantissima forma, del tipo della Succinea elongata Drap., intermedia alla S. arenaria Bouch. ed alla S. humilis Drouet, che al pari della precedente appartiene alla fauna della zona meridionale, e di cui nessuno fra gli autori italiani fece cenno fin'ora. Rinviensi piuttosto rara sui muschi che tappezzano le roc- cie lungo la strada lacuale da Bellano a Dervio. ' BauDoN, Supplement à la monographie des Succinées frangaises dans le Journal de Conchyliologie, dirigé par H. Crosse, Paris, octobre 1877. PI. XI, fig. 2. | NTSC NUOVE SPECIE 0 FORME POCO NOTE DI MOLLUSCHI. 627 Succinea Pfeifferi Rossm. (var. brevispirata Baudon). È una forma alquanto più accorciata nella quale la spira si svolge più rapidamente ed è formata da mezzo giro di meno. Ha una statura modesta siccome la var. mediolanensis Villa. Vive sulle cannuccie che circondano il laghetto di Alserio (Phragmites communis), ove in autunno si raccoglie abbondantemente. Pupa doliolum Brug. L'esistenza di questa specie in Lombardia, rimasta fin quì dub- biosa, trova una conferma nel rinvenimento da me fatto di ab- bondanti esemplari lungo una stradicciuola campestre che costeg- gia quella che da Torno, sul lago di Como, mette a Molina. La dispersione di questa specie è assai limitata non conoscendosi fin’ora altra località, all’infuori della succitata, che quella delle rive del Lario, vagamente citate senza indicazione di località precisata, e delle valli dell’ Oglio e del Mella, nelle località indicate dallo Spinelli nel Catalogo dei Molluschi terrestri e fluviali della Pro- vincia bresciana. Verona, 1856; non che quella di Induno presso Varese, accennata dal chiarissimo professore Pellegrino Strobel nel Essai d’une distribution orogéographique des Mollusques ter- restres dans la Lombardie, pag. 24.' Io però non posso ommettere di dichiarare che in quest’ultima località, nè nei dintorni, non vennemi dato rinvenirne pur un esemplare, per quanto diligenti ricerche v’ abbia fatte più volte in differenti stagioni dell’anno per più anni consecutivi. Vive, nella località da me indicata, in famiglie, associata alla P. Ferrarii ed alla P. Pagodula, sui muschi, sulle rupi calcari e sotto le pietre. La sua stazione è assai circoscritta, limitandosi a circa mezzo chilometro quadrato, non avendo potuto rinvenire più un esemplare nè più avanti, nè più in alto, nè in basso del luogo ove dimora. ! Estratto dalle Memorie dell’ Accademia di scienze di Torino, serie II, tomo XVIII. 628. N. PINI, NUOVE SPECIE 0 FORME POCO NOTE DI MOLLUSCHI. RIASSUNTO DELLE FORME DESCRITTE. NUOVE SPECIE. Testacella Stabilei. Clausilia tenuistriata. da furvana. Limnaea frigida var. nivalis. 3 5 var. glacialis. FORME 0 VARIETÀ NUOVE. Helix carthusiana Mull., var. arvensis. Succinea pleurolacha Letour., var. Baudoniana. Clausilia plicatula Drap., var. plicatulina. Buliminus quadridens Mull., var. prolizus. SPECIE E VARIETÀ POCO CONOSCIUTE. Clausilia rugosa Drap., var. Pini Westerl. » fusca De Betta, var. mutata Westerl. Succinea breviuscula Baudon. i Pfeifferi, var. brevispirata Baudon. Pupa doliolum Brug. INTORNO AGLI ORTOTTERI ED. AI MIRIAPODI DEL VARESOTTO. Nota del Dott. RomuaLDO PIROTTA. Il chiarissimo prof. Pietro Pavesi percorrendo nei mesi di ago- sto e settembre del corrente anno per ogni dove il territorio va- resino allo scopo di raccogliere materiali, onde illustrarne la fauna aracnologica e quella d’alto lago, non volle trascurare gli Ortot- teri ed i Miriapodi, che gentilmente mi offerse per studio. E le ricerche dell’ egregio mio maestro, benchè si siano limitate ad una sola stagione dell’anno, tornarono tuttavia molto proficue, poichè mi fornirono i mezzi di redigere il seguente elenco, ab- bastanza ricco per numero di specie ed interessante per la ra- rità di alcune delle medesime. Infatti delle specie raccolte non poche sono nuove per la fauna lombarda, quali ad esempio, Pte- rolepis apterus (Fabr.), Pt. fallax (Fisch. Fr.), Platycleis bicolor (Philippi), Arcyoptera grossa (L.), Stenobothrus declivus (Brisout) e la maggior parte dei Miriapodi; parecchie vengono anche per ‘la prima volta aggiunte all’entomologia italiana e sono: Ptero- lepis fallax (Fisch. Fr.), Platycleis bicolor (Philippi), Glomeris porphyrea Koch, GI. undulata Koch, GI. conspersa Koch, GI. qua- drifasciata Koch, Julus rutilans Koch. Il Catalogo è disposto secondo le più recenti classificazioni, e ciascuna specie è corredata dell’ indicazione della località vare- sina in cui fu trovata e dell’ habitat relativo alla Lombardia, al Piemonte ed al Canton Ticino, le tre regioni che limitano il Varesotto. Il numero complessivo delle specie somma a 92, ri- partite, come è esposto nel seguente Prospetto: 630 R. PIROTTA, PROSPETTO DEGLI ORDINI, FAMIGLIE E GENERI. Class. TINSECTA ».-...:00 | 52 Ordo ORTHOPTERA . . . . . 52 Sect. Fam. . Lasipura Leach. . . LOCUSTIDAE Leach. . ErHyrPpPicERA Serv. Orthoptera genuina . . 31 FORFICULIDAE Steph. . Forricura L. CopisceLis Fieb. . MANTIDAE Leach . . Mantis L. . GRYLLIDAE Her . OgrcantHUS Serv. . Nremogius Serv. a Opontura Ramb. . PHaANEROPTERA Serv. . ConocerHaLus Thhg. PreroLePis Ramb. PLarycLeis Fieb. . 4 1 2 1 1 1 3 Life tifio- ty | eg e DA RNA se | 1 1 1 2 1 lì 2 3 Decricus Serv. 1 JSRCRIDIDAEr Bart ida 12 . ArcyopreRA Serv. 2 Srenosorarus Fisch. Fr. 3 AroLopus Fieb. 4a. | CaLoprenus Burm. . . . . 1 Orpipopa Serv. 2 3 Tertix Chp. . Orthoptera dui ibipica 21 . LIBELLULIDAE Selys. . . 8 n fi al I A e e Class. Ordo Fam. Gen. Fam. Gen. Fam. Gen. . LiseLLA Brau. . . AESCHNIDAK Selys. . Anax Leach. . AGRIONIDAE Selys. . CaLopreryx Leach. CrocorHzeMIs Brau. Arscuna Fab. CorpuLegasteR Leach. . Lestrs Leach. . Sympycna Charp. . Acrion Fabr. Dolo MYRIOPODA.. . 40 CHILOGNATHA Latr. . . 24 GLOMERIDAEK Leach. . PHEDOHNNAH N 8 GLomeris Latr. . . . 8 POLYDESMIDAKJ.E. Gori 6 Craspeposoma Leach. 2 CHorpeuma Koch. . 1 Porypesmus Latr. . Lt JULIDAE Leach. pr. p. . 10 JuLus Li.pr) pista o A50900 Ordo CHILOPODA Latr. . Fam. . Scuricera Lamk. at ; SCOLOPENDRIDAE Newp. 1 . Cryprops Leach. n SEE . LITHOBIIDAE Newp. . . 10 16 SCHIZOTARSIA Brandt. . 1 1 . LirBosius Leach. . . . . 10 . GEOPHILIDAK Leach. .. 4 . GropHILus Leach. . . . . 4 INTORNO AGLI ORTOTTERI, ECC. 631 INSECTA. I. ORTHOPTERA. A. Orthoptera genuina. Fam. FORFICULIDAE Steph. Gen. LABIDURA Leach. 1. L. riparia (Pall.). Reise nach versch. Prov. Russ. Reich., II, 727. — Pirotta, Ortott. gen. Insubrici, n. 1. Ha. Lombardia. Loc. vares. Clivio. Gen. ForrFicuLA L. 2. F. auricularia Linné, Syst. nat., p. 686, n. 218, 1. — Pi- rotta; 10.) 1-2 HaB. Pidgito. Canton Ticino, o Loc. vares. Cazzone, Valgana, Clivio, Cuasso al Piano, Viconago, Val Travaglia, Germignaga, Biandronno. 3. F. pubescens Gené in Serville, Hist. matur. Orth., p. 46. — Pirotta, l. c., n. 4. Has. Lombardia. Loc. vares. Madonna del Monte, M. Campo dei Fiori, Isolino (Isola Virginia). Gen. CoprisceLIs Fiebh. 4. C. minor (Linné), Syst. nat., II, 686, n. 2 (sub. Forficula). — Pirotta, l. c., n. 7. Has. Canton Ticino. Loc. vares. Valganna, Val di Porto Ceresio. 632 sd R, PIROTTA, Fam. MANTIDAE Leach. Gen. MANTIS L. 5. M. religiosa Linné, Syst. nat., II, p. 690, n. 5. — Pirot- ta; dc; n. dia HaB. Piemonte, Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Dintorni di Varese, Castello di Cuasso, dove è molto comune. Fam. GRYLLIDAE Burm. Gen. OrcANTHUS Serv. 6. Oee. pellucens (Scopoli), Entom. Carn., p. 32 (sub. Gryl- lus). — Pirotta, l. c., n. 18. Has. Piemonte, Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Besano, Castello di Cuasso. Gen. GryLLUS L. (pr. p.). 7. Gr. campestris Linné, Syst. nat., I, 2, pag. 695, n. 13. — Pirotta: 1 0. O19. Has. Piemonte, Lombardia, Canton Ticino. | Loc. vares. Valganna, M.° S. Elia di Viggiù, Borgnana. Gen. NemoBIUS Serv: 8. N. sylvestris (Fabricius), Entom. syst., Il, 33, n, 18 (sub. Acheta). — Pirotta, l. c., n. 22. HaB. Canton Ticino. Loc. vares. Monte Campo dei Fiori (1227" s. m.). ce dthcnsti Mi _. È, Se ’ 10. 11. INTORNO AGLI ORTOTTERI, ECC. 633 Fam. LOCUSTIDAE Leach. Gen. EPHIPPIGERA Serv. . E. vitium Serville, Hist. nat. Orth., pag. 474. + Pirotta, EI, 24. Has. Canton Ticino. Loc. vares. Varese, Viggiù, Clivio. Gen. OpontuRA Ramb. O. serricauda (Fabricius), Entom. Syst., IV, ‘Append., p. 445, n. 44 e 45 (sub. Locusta). — Pirotta, 1. c., n. 26. Has. Piemonte, Canton Ticino, Lombardia. Loc. vares. Monte Poncione di Saltrio. | 0. punctatissima (Bosc.), in Acf. Soc. hist. nat. Paris, t, I, p. 44, tab. X, f. 5 A. B (sub. Locusta). — Pirotta, I. c. DZ. Ha. Canton Ticino. Loc. vares. Valganna. Gen. PHANEROPTERA Serv. 12. Ph. falcata (Scopoli), Entom. Carn.. p. 108 (sub. GryMlus). — Pirotta, l. c., n, 30. Has. Piemonte, Lombardia, Canton Ticino. “Loc. vares. Arcisate, Besano, Castello di Cuasso. Gen. ConocePHaLus Thbg. 13. C. mandibularis (Charpentier), Horae entom., p. 106 (sub. Locusta). — Pirotta, 1. c., n. 33. Has. Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Clivio, Saltrio, Valganna, Castello di Cuasso, Rodero, Angera, rive del lago di Biandronno e Bardello. Osservazione. Comunissima ovunque. Degli esemplari raccolti 634 14. 15. 16. Ti, 18. R. PIROTTA, dal prof. Pavesi due soltanto, quelli dei dintorni di Cuas- so, appartengono alla varietà bruna; tutti gli altri sono verdi. Pare che in questa specie le femmine sieno molto più comuni dei maschi, poichè dei molti individui esami- nati nessuno era di sesso maschile. Gen. PrEROLEPIS Fieb. Pt. apterus (Fabricius), Entom. Syst., II, p. 45, n: 43 (sub. Locusta). HaB. Piemonte. Loc. vares. Monte S. Elia di Viggiù. Osservazione. Nuovo per la Lombardia; le località italiane di questa specie fino ad ora conosciute sono il Piemonte ed il Trentino. Pt. fallax (Fischer Franz), Orth. Europ., p. 265, tab. XIII, f. 15, 15a (sub. Thamnotryzon). Loc. vares. Monte Campo dei Fiori. Osservazione. Specie nuova per la Lombardia e per la fauna italiana. Abita la Francia meridionale, la Svizzera e l’ Un- gheria. Gen. PLatYcLEIS Fieb. PI. griseus (Fabricius), Entom. Syst., II, p. 41, n. 3. — Pirotta, l. c., nr41. Has. Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Monte Poncione di Saltrio, Valganna. PI. montanus (Kollar), Beitràge, ecc., III, p. 79, n. 10 (sub. Locusta). Loc. vares. Saltrio, Valtravaglia. Osservazione. Specie-nuova per la fauna italiana, riscontrata finora in Germania. PI. bicolor (Philippi), Orth. derol., p. 24, n. 9, tab. 1, f. 5 (sub. Locusta). Loc. vares. Due esemplari £ furono raccolti sul monte Campo dei Fiori. INTORNO AGLI ORTOTTERI, ECC. 635 Osservazione. Non fu peranco indicata come io italiana; mula SIOFOnO media. 204 Gen. DectIcuS Serv. 19. D. verrucivorus (Linné), Syst. nat., I. 2, p. 698 (sub. Gryl- DI lus). — Pirotta, l. c., n. 44. Has. Piemonte, Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Monte Campo dei Fiori. Fam. ACRIDIDAE Burm. Gen. ArcropTERA Serv. 20. A. variegata (Sulzer), Abgek. \Gesch., p. 84, tab. 9, f. 4 (sub. Gryllus). — Pirotta, 1. c., n. 46. HaB. Canton Ticino. Loc. vares. Varese, Val di Brinzio, monte Campo dei Fiori. Osservazione. L'individuo 9 raccolto sul Campo dei Fiori appartiene alla varietà colle ali molto corte. i | 21. A. grossa attinge Syst. nat., I, 2, p. 702, n. 58 (sub. Lo- custa). Loc. vares. Valganna, rive del lago di Biandronno. Osservazione. Specie nuova per la Lombardia; finora la sola località italiana data per questa specie è il Vicentino, dove la raccolse il Disconzi (Entom. Vicent., p. 104). Gen. STENoBOTERUS Fisch. Fr. | 22. St. declivus (Brisout), Ann. Soc. ent. Fr., 1848, p. 420 (sub. Acridium). Loc. vares. Monte Poncione di Saltrio. Osservazione. Nuovo per la entomologia lombarda. 23. St. rufus (Linné), Syst. nat., I, 2, p. 702, n. 56 (sub. Lo- ii pini custa). — Pirotta, l. c., n. 48. 636 R. PIROTTA, Ha8. Canton Ticino. Loc. vares. Valganna. : 24. St. rufipes (Zetterstedt), Orth. Suec., p. 90, n. 9 (ul Gr | lus). — Pirotta, l. c., n. 51. Has. Canton Ticino. Loc. vares. Valganna. Gen. AroLopus Fieb. 25. A. thalassinus (Fabricius), Entom. Syst., II, 57, n. 43 (sub. Gryllus). — Pirotta, l. c., n. 63. Has. Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Brenno. Gen. CaLoPTENUS Burm. 26. C. italicus (Linné), Syst. nat., I, 2, p. 701, n. 46, p. p. (sub. GryMlus). — Pirotta, 1. c., n. 64. Has. Piemonte, Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Varese (racc. E. Cantoni), Gaggiolo presso Ligurno. Gen. OepIPODA Serv. 27. Oe. stridula (Linnè), Syst. nat., I, 2, p. 701, n. 47 (sub. GryUus). — Pirotta, l, c., n. 71. Has. Piemonte, Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Monte Campo dei Fiori. 28. Oe. coerulescens (Linné), Syst. nat., I, 2, p. 700, n. 44 (sub. GryWlus). — Pirotta, l. c., n. 72. Ha. Piemonte, Lombardia, ua Ticino, Loc. vares. Valganna, Clivio, Besano, monte S, Maffeo, monte S. Elia di Viggiù, Cuasso al Monte, Valtravaglia, Borgnana, Laveno, Ispra, Madonna del Monte. LR INTORNO AGLI ORTOTTERI, ECC. 637 Gen. Tertix Chp. 129. T. subulata (Linné), Syst. nat., I, 2, p. 693, n. 8 (sub. Gryl- lus). — Pirotta, l. c., n. 76. HaB. Lombardia, Canton Ticino. — Loc. vares. Varese, Maccagno. 130. T. bipunctata (Linné), Syst. nat., I, 2, p. 693, n. 7 (sub. ' Gryllus). — Pirotta, l. c., n. 77. Has. Piemonte, Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Val di Brinzio, Maccagno. 31. T. Schrankii Fieber, Entom. Monogr., p. 130, 134, n. 5. tab. X, f. 17-19 (sub. Tetria). Has. Lombardia. Loc. vares. Valtravaglia. Osservazione. Più recenti studii, a quanto ne afferma lo Schoch, farebbero ritenere questa specie una forma lar- vale della 7. bipunctata (L.). B. Orthoptera pseudoneuroptera. Fam. LIBELLULIDAE Selys. Gen. Diprax Chp. 1. D. striolata (Charpentier). Libdell. europ., p. 78, tab. X, f. 2 (sub. Libellula). Has. Piemonte, Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Varese, Lagozzo di Arcisate, Castello di Cuasso. Osservazione. I tre individui Y raccolti presso Varese dal dot- tor A. Maestri presentano dei caratteri di colorazione, che si staccano alquanto da quelli dati nelle descrizioni della specie e che credo meritino d’essere notati. Le tem- pie offrono soltanto due macchie nerastre ben marcate, e l'addome, a tinta di fondo olivastra chiara, ha il dorso del 638 R. (PIROTTA). Uno 1.° e 2.° anello e porzione talora del 3.° colorati in bruno | scuro. Similmente tinti sono al dorso i segmenti 7.°, 8.9, 9.°, 10.°; ed in un esemplare, in cui anche il 6.° è in parte. O. il tratto nero laterale si osserva pure sul secondo segmento addominale. 2. D. vulgata (Linné), Syst. nat., II, p. 201 (sub. Libellula). Has. Lombardia. Loc. vares. Lagozzo di Arcisate, Val Tresa. Osservazione. Un individuo £ assai adulto presenta, come | dice il Charpentier, il dorso dei primi tre anelli colorato in rosso ed una macchia lineare nera sugli ultimi due. 3. D. Fonscolombii (Selys), Monogr. p. 49 (sub. Libellula). Has. Lombardia, Piemonte. Loc. vares. Laghetto d’ Arcisate, Brenno. 4, D. sanguinea (Miiller), in Act. Nat. Cur., IMI, p. 122 (sub. Libellula). HaB. Piemonte, Lombardia. Loc. vares. Porto Ceresio. | 5. D. depressiuscula (Selys), in Rev. 2ool., 1841 (sub. Li- . bellula). | Ha. Piemonte, Lombardia. Loc. vares. Gavirate, Lago di Monate, Angera. Gen. LiBseLLA Brau. 6. L. coerulescens (Fabricius), Entom. syst. Suppl., p. 234 (sub. Libellula). ; Has. Lombardia. Loc. vares. Castello di Cuasso. 7. L. brunnea (Fonscolombe), Ann. Soc. ent. Fran., 1837-38 (sub. Libellula). Has. Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Arcisate, pineta del conte Cicognayi I I INTORNO AGLI ORTOTTERI, ECC. 639. Gen. CrocorHEMIs Brau. 8. Cr. erythrea (Brullé). Expl. Morée, III, Ent., p. 102, pl. 32, f. 4 (sub. Libellula). Has. Lombardia. Loc. vares. Lago di Biandronno, Angera. Fam. AESCHNIDAE Selys. Gen. ANAX Leach. 9. A. formosus (Van der Linden), Monogr. Libell., p. 20 (sub. Aeschna). Has. Lombardia. Loc. vares. Varese, alla villa Ponti (racc. dott. A. Maestri). 10. A. parthenope (Selys), Bull. Acad. Brux., 1839 (sub. Aeschna). HaB. Piemonte, Lombardia. Loc. vares. Varese, alla villa Ponti, Lagozzo di Arcisate. Gen. AescHNa Fabr. HIl. A. cyanea Miiller, Act. Curios., t. III, p. 122. Ha. Lombardia. Loc. vares. Varese (racc. E. Cantoni), Porto Ceresio. 12. A. mixta Latreille, Hist. nat. Crust., Ins., t. XIII, p. 7, n. 4. Has. Lombardia. Loc. vares. Laghetto di Arcisate, Cuasso al Piano, Lago di Biandronno. Gen. CorDULECASTER Leach. 13. €. annulatus (Latreille), Hist. nat. Crust. Insect., t. XIII, p. 6 (sub. Aeschna). Has. Lombardia. Loc. vares. Laghetto di Arcisate, sentiero da Borgnana a Porto Ceresio. 640 R. PIROTTA, Fam. AGRIONIDAE Selys. i d Gen. CALOPTERYX Leach. 14. C. splendens (Harris), Exsp. Engl. Ins., t. XXX, £. 1-3 (sub. Libellula). Has. Lombardia. Loc. vares. Val Tresa, tra Ponte Tresa e la Battella. 15. C. virgo (Linné), Syst. nat., p. 904 (sub. Libellula). Has. Piemonte, Lombardia. Loc. vares. Clivio, tra Cuasso al Piano ed il Castello di Cuasso, Valtravaglia da Germignaga a Cassano. | Osservazione. Gli individui raccolti a Clivio ed a Cuasso appar- tengono tutti a quella varietà ad ali completamente tinte di bleu, che servì al Brullé per costituire la specie Agrion festiva. È la prima volta che questa varietà, ritenuta af- | fatto meridionale, viene trovata in una località preva- lentemente ricca di specie settentrionali. Gen. Lestes Leach. 16. L. viridis (Van der Linden), Monogr. Libell., p. 36. (sub. Agrion). | Ha. Piemonte, Lombardia. Loc. vares. Porto Ceresio. Gen. SrmpycNna Charp. 17. S. fusca (Van der Linden), Agrion. Bon. n. 3, f. 3 (sub. Agrion). Has. Piemonte, Lombardia. Loc. vares. Cazzone, Saltrio, Clivio, monte ‘S. Maffeo, | Arcisate, Brenno, Besano, Cuasso al ‘Piano, Val di Brin- zio, Laveno, Angera, Comabbio, Gavirate. 13. 19. 20. 21, INTORNO AGLI ORTOTTERI, ECC. 641 Osservazione. È la specie più comune di tutti gli Agrionidi; s'incontra talora in quantità innumerevole, come accadde di vedere al prof. Pavesi nelle Pinete del conte Cicogna, presso Arcisate. Gen. AerIon Fabr. A. pumilio Charpentier, Libell. europ., p. 154, tab. XXXIX. Has. Lombardia. Loc. vares. Lagozzo di Arcisate. A. elegans Van der Linden Agrion. Bonon., n. 6, f. 5. Has. Piemonte, Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Arcisate, Valganna, Isolino. A. cyathigerum Charpentier, Libell. europ., p. 163, tab. XLII, POS Has. Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Maccagno, Laveno, Angera. A. Lindenii Selys, Monogr., p. 167, tab. 2, f. 41. Has. Lombardia. Loc. vares. Porto Ceresio, Ispra, Gavirate. MYRIOPODA. Ord. CHILOGNATA Latr. Fam. GLOMERIDAE Leach. Gen. GLomerIs Latr. . GI. porphyrea Koch, Syst. d. Myriap., p. 88. Loc. vares. Brenno, Poncione di Saltrio, monte dell’ Orsa, Val di Porto Ceresio. | Osservazione. Specie nuova per la Lombardia e per l’Ita- lia; il Koch la indica della Germania meridionale e del- l’ Istria. . Gl. marmorata Brandt, Prodrom., p. 34, n. 4. 29 642 8. R. PIROTTA, Has. Lombardia. Loc. vares. Angera. Osservazione. Finora non fu per anco riscontrata in altre parti d’Italia ed è stata dimenticata, anche dai monografi del gruppo, l’indicazione datane dal Balsamo Crivelli fino dal 1857. . G1, undulata Koch, Deufschi. Orust. Myriap. und Arachn. Heft 40, n. 8. Loc. vares. Madonna del Monte. Osservazione. Nuova per la Lombardia e per l’Italia. — Abita la Germania meridionale. . GI. conspersa Koch, Syst. d. Myriap., p. 89. Loc. vares. Madonna del Monte, Angera. Osservazione. Nuova per la Lombardia e per l’Italia; fu trovata nel mezzodì della Germania. . G1. hexastica Brandt, Prodrom., p. 36, n. 10. Ha. Lombardia. 1 Loc. vares. Cave di schisti bituminosi nelle alture di Be-- sano. . Gl. cuadripunetata Brandt, Prodrom., p. 35, n. 9. Has. Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Val di Brinzio, Madonna del Monte. . GI. quadrifasciata Koch, Syst. d. Myriap., p. 91. Loc. vares. Saltrio. Osservazione. Nuova per la Lombardia e per l’Italia. Se- condo il Fanzago questa specie e la GI. quadripunctata Koch, sarebbero una sola cosa e sinonimi entrambi della GI. guttata Risso. Già il Fedrizzi faceva rilevare le dif- ferenze tra la GI. quadripunctata e la guttata. Non tro- vando nel Fanzago le ragioni della fusione in una sola delle due specie del Koch e possedendo io un unico esem- plare riferibile alla quadrifasciata, credo, fino a prova con- traria, di dover mantenere l’autonomia delle due specie. Gl. maculata Koch, Syst. d. Myriap., p. 94. Has. Lombardia. Loc. vares. Angera. INTORNO AGLI ORTOTTERI, ECC. 643 Fam. FOLYDESMIDAE J. E. Gray. Gen. CrasPeDposoMa Leach. 9. Cr. Rawlinsii Leach, Trans. Linn. Soc. London, Vol. XI. p. 380. Loc. vares. Val di Brinzio. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. 10. Cr. levicanum Fedrizzi, Chord. ital., p. 12. Loc. vares. Angera. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. Gen. CaorpeuMmA Koch. 11. Ch. sylvestre Koch, Syst. d. Myriap., p. 124. Loc. vares. Valganna, Valcuvia. + Osservazione. Nuovo per la Lombardia. Gen. PoLypesMmus Latr. 12. P. complanatus (De Geer), Mém. Insect., t. VII, p. 586, | pl. 36, f. 23 (sub. Julus). Ha. Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Viggiù. 13. P. edentulus Koch, Syst. d. Myriap., p. 134. Loc. vares. Brenno. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. 14. P. pilidens Koch, Syst. d. Myriap., p. 136. Loc. vares. Madonna del Monte. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. Fam. JULIDAE Leach pr. p. Gen. JuLus Linné pr. p. 15. J. foetidus Koch, Deutschl. Myriap. Crust, etc. Heft. 22, n. 5. Has. Lombardia. 644 R. PIROTTA, 16. Ela Lo. 21; 22. 23. 24. Loc. vares. Clivio. J. ferreus Koch, Die Myriap., II, p. 107, taf. CXVI, f. 229. Loc. vares. Valganna. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. J. punetatus Leach, Trans. Linn. Soc. London, t. XI, p. 379. Has. Lombardia. Loc. vares. Madonna del Monte, Castello di Cuasso, An- gera. J. fuscipes Koch, Syst. d. Myriap., p. 110. Loc. vares. Madonna del Monte. Osservazione. Nuovo per la Lombardia; fu indicato di Trie- ste dal Koch e della Campagna Romana da me. . J. rutilans Koch, Syst. d. Myriap., p. III. Loc. vares. Monte S. Elia di Viggiù. Osservazione. Nuovo per la Lombardia e per l’ Italia; è co- nosciuto della Germania. . J. sabulosus Linné, Sysf. naf., I, II, p. 1065, n. 5. Has. Lombardia, Canton Ticino. . Loc. vares. Val di Porto Ceresio, Valganna, Valtrava- glia, Luino, Laveno, Gemonio, Besozzo, Isolino. J. parallelus Koch, Syst. d. Myriap.; p. 113. Has. Lombardia. Loc. vares. Clivio, Saltrio, Monte dell’Orsa. J. terrestris Linné, Syst. nat., I, II, p. 1065, n. 3. Has. Lombardia, Canton Ticino. i Loc. vares. Monte Campo dei Fiori. J. piceus Risso, Hist. nat. Europ. merid., t. V, p. 150, n. 5. Has. Lombardia. Loc. vares. Clivio, Valtravaglia. J. serpentinus Koch, Die Myriap., II, p. 106, tab. CXVI, 1. 228. Loc. vares. Valcuvia. Osservazione. Nuovo per la Lombardia; il Fanzago lo rac- colse nel Padovano, il Fedrizzi nel Trentino. INTORNO AGLI ORTOTTERI, ECC. 645 Ord. CHILOPODA Latr. Fam. SCHIZOTARSIA Brandt. Gen. Scuticera Lamk. 25. Se. coleoptrata (Fabricius), Spec. Insect., t. I, p. 531 (sub. Scolopendra). Has. Lombardia. Loc. vares. Monte S. Elia di Viggiù. Fam. SCOLOPENDRIDAE Newp. Gen. CryPToPs Leach. 26. C. Savignii Leach, Zoolog. Miscell., t. III, p. 42. Has. Lombardia. Loc. vares. Arcisate. Fam. LITHOBIIDAE Newp. Gen. LitHoBIus Leach. 27. L. grossipes C. L. Koch, Syst. d. Myriap., p. 146. Loc. vares. Viggiù. | Osservazione. Nuovo per la Lombardia. 28. L. terreus Fedrizzi, Litob. ital., p. 22. Loc. vares. Malnate. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. 29. L. forficatus (Linné), Syst. nat., I, II, p. 1062 (sub. Scolo- pendra). Has. Lombardia, Canton Ticino. Loc. vares. Saltrio, Valganna, Isolino. 30. L. impressus C. Koch in WAGNER, Reise im Regensch. Al- gier., B. III, p. 224, tab. XI. QI E IA SA _ | 646 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. R. PIROTTA, Loc. vares. Monte Campo dei Fiori. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. L. Targionii Fanzago, Chilop. ital., p. 21. Loc. vares. Monte Campo dei Fiori. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. L. inaequidens Fedrizzi, Litob. ital., p. 33. Loc. vares. Monte Campo dei Fiori. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. L. macilentus L. Koch, Die Myriap.-Gattung Lithobius, p. 63. Loc. vares. Valganna. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. L. eximius Meinert, Myriap. Mus. Haun., II. Lithob. în Naturh. Tidss., 3, R. 8, p. 333. Loc. vares. Germignaga. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. L. communis Koch, Deutschl. Crust. Myr. u. Arachn., H. 40, t. 24. Loc. vares. Monte Campo dei Fiori. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. L. lapidicola Meinert, l. c., p. 328. Loc. vares. Biandronno. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. Fam. GEOPHILIDAE Leach. Gen. GroPHILUS Leach. G. linearis C. Koch, Deutsch. Crust. Myriap. u. Arachn., HeBicfo | Loc. vares. Isolino. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. G. flavus (De Geer), Mém. Ins., t. VII, p. 561 (sub. Sco- lopendra). i Loc. vares. Monte Campo dei Fiori. A È È INTORNO AGLI ORTOTTERI, ECC. 647 Osservazione. Nuovo per la Lombardia. | 39. G. ferrugineus C. Koch, Deutschl. Crust. Myr. u. Arachn., | H. 3,t.2. È: Has. Canton Ticino. Loc. vares. Monte Campo dei Fiori. 40. G. laevipes Koch, Syst. d. Myriap., p. 169 (sub. Himan- tharium). Loc. vares. Clivio. Osservazione. Nuovo per la Lombardia. CONTRIBUZIONI ALLA GEOLOGIA DEL FRIULI. COMUNICAZIONE del Dott. Prof. CAMILLO MARINONI. II. ULTERIORI OSSERVAZIONI SULL’ EOCENE FRIULANO. Nello scorso anno; pubblicando negli Atti del R. Istituto Ve- neto di Scienze una breve Nota sull’eocene del Friuli,” feci rile- vare una nuova località fossilifera nel monte Plauris, le specie di animali ivi rinvenute ed il livello a cui si doveva riferire. — A quelle prime indagini altre ne feci seguire sempre allo scopo di definir meglio la formazione accennata, nonchè di raccogliere i materiali per la illustrazione della fauna eocenica friulana; ed ebbi la fortuna di rintracciare alcune località tuttora inesplorate | 4 MARINONI C., Di un lembo eocenico nelle falde settentrionali del Monte Plauris. O Venezia, 1877. 648 C. MARINONI, le quali, nei loro tratti più caratteristici, confermano pienamente le precedenti deduzioni ed il parallelismo dell’ eocene medio del Friuli con quello di altre contrade italiane e straniere già illu- strate. — Nel lavoro cui attendo di una monografia completa di questa fauna, che possa servire di raffronto e di complemento / allo studio litologico e stratigrafico già pubblicato dal profes: sore T. Taramelli,' ‘troveranno posto alcune considerazioni pa- leontologiche sulla fauna stessa; questa nota ha per iscopo di stabilire soltanto il fatto dei nuovi rinvenimenti e di produrre l'elenco delle specie fossili raccolte e determinate. Nell'autunno 1877 ero nuovamente sul M. Plauris. Ricercai un’altra volta e con qualche frutto le località di Rio Lavaria e di Rio Cideis; quindi esplorai quel tratto di monte che è com- preso fra il corso del Rio Compers e quello del Rio Sarai, alle spalle del villaggio di Resiutta, dove il prof. Pirona aveva segna- lato un affioramento nummulitico. Si incontra il deposito fossili- fero a settentrione delle case di Col-lungo, a quasi 750 metri sul livello del mare (bar. aner.) da dove discende nell’angusto val- lone del Rio Lavinale, confluente del Rio Compers. La sua forma petrografica è quella di una marna calcarea bruna, zeppa di nummuliti, attraversata da venature di marna piombina e da interstratificazioni di calcare bianco a struttura ora fibrosa ed ora lamellare: qua e là poi affiorano pure dei massi di brecciola nummulitica in stato di sfasciume. L’area occupata da questo lembo eocenico è assai limitata; lo spessore suo è presso a poco di 40 metri come quello del Rio Lavaria, ma sotto forma di frana scende nel ristretto vallone fin quasi a 500 metri sul livello del mare; e la stratificazione è inclinata di forse 40° verso nord nord-ovest, ed in perfetta discordanza cogli strati sottostanti di dolomia a Megalodon. Per quante indagini abbia fatte non per- venni a scoprirvi alcuna traccia della puddinga quarzosa rosea impastata di Nummulites spira Roissy, tanto caratteristica del- l’eocene medio friulano e che pure aveva riscontrata più a nord- 4 TARAMELLI T., Catalogo ragionato delle rocce del Friuli; nelle Memorie della R. Accademia dei Lincei. Anno CCLXXIV, (1876-1877). Roma, 1877. CONTRIBUZIONI ALLA GEOLOGIA DEL FRIULI. 649 ovest nelle marne piombine del Rio Lavaria; — invece mi apparve \ caratteristico l'aspetto arenaceo marnoso. . Già in vicinanza delle case di Col-lungo, sul ciglione del monte il terreno è formato da un detrito di piccole Nummuliti papiracee affatto sciolte, a cui sono mescolati frantumi semicalcinati di 3 o 4 | Specie di Gasteropodi e di Radiarii. — Invece sul fianco del bur- — rone, nel cuore del deposito, i fossili si estraggono principalmente dai letti marnosi di color plumbeo, ma sono come rammolliti, per cui non si possono togliere interi se non con somma difficoltà. Molti sono altresì frantumati, ed anzi accennerò ad un fatto che mi pare di una certa importanza: raccolsi parecchi esemplari di una grande Nummulite a forma molto espansa (Numm. exponens Sow.), spezzati per le ineguali pressioni subìte in seno al depo- | sito e poscia i frammenti riuniti da vene spatiche. A mio avviso questo fatto non può essere staccato dall’ altro delle interstratifi- cazioni di calcare fibroso insinuate fra le marne stesse; nonchè da quello del rilevantissimo spessore delle conchiglie di una specie di Ostrea, non per anco determinata, che si rinviene appunto ed esclusivamente in tali marne. Ecco l’elenco delle specie fossili raccolte in questa nuova lo- calità di Rio Lavinale a Col-lungo, che sommano a 21: Serpula spirule®a, Lamk., Var. minor. — Nelle marne piom- bine, con esemplari adulti. Raccolsi questa specie anche al Rio Lavaria e al Rio Cideis nel Monte Plauris; poi si rinviene anche a Buttrio e ad Ottelio nei colli del Friuli orientale. i Fusus sp. ind. Nelle marne piombine; il solo nucleo interno. Se ne trovano di identici anche al Rio Cideis. Cerithium sp. — Nelle brecciole nummulitiche (Pirona 1876). Keilostoma sp. (prope X. minor, Desh.). — Nel detrito mar- noso sul ciglione più alto, alla superficie. Turritella imbricataria Lamk. — Dentalium n. sp. (per la quale si propone di il nome D. heza- gonum nob. —). — Nel detrito marnoso superficiale, sul ciglione più alto. 650 C. MARINONI, Cardium sp. — Nelle brecciole nummulitiche (Pirona 1876). Plicatula sp. — Sulle nummuliti, nelle marne piombine. Pecten sp. ind. (frammenti) — Nel detrito marnoso superfi- ciale del ciglione. Pecten sp. ind. (frammenti). — Id. Altri frammenti sfila specie identica raccolsi nel deposito marnoso del ‘R. Cideis. Ostrea sp. — Nelle marne piombine. E la stessa specie dal guscio poderoso che si trova nelle marne piombine al Rio Lavaria. Cidaris itala Laube, (radioli). — Nel detrito marnoso super- ficiale sul ciglione più elevato. Raccolsi altri radioli di questa stessa specie al Rio Cideis, ma erano già noti nei depositi di Ottelio, Brazzano e Russitz. Conocrinus Thorentii, d’Arch., (articoli separati). — Nel de- trito marnoso superficiale sull’alto del ciglione. | La specie era già stata rinvenuta dal prof. Taramelli nel deposito di But- trio e Ottelio. Trochocyatus equicostatus V. Schaur. — Nelle marne piom- bine. È specie comune nei colli eocenici del Friuli orientale, e fu già da me rin- venuta anche al Rio Cideis. Cyclozeris Perezii J. Haime. — Nelle marne piombine. Orbitoides dispansa Mich. — Nel detrito marnoso superfi- ciale sul ciglione più elevato. i Tale specie fu raccolta anche a Buttrio, e a Rosazzo nel Friuli orientale dal prof. Taramelli. Nummulites perforata d’Orb. — (Pirona 1876) nel detrito superficiale. L’identica specie fu pure da me raccolta al Lavaria, al Rio Cideis e a Col Secondo nel Monte Plauris, a Ottelio e a Rosazzo nel Friuli orientale. Nummulites planulata Lmk. — Nel detrito superficiale mar- noso sul ciglione più alto. Si trova anche a Ottelio di Buttrio. CONTRIBUZIONI ALLA GEOLOGIA DEL FRIULI. 651 _Nummulites exponens Sow. Varietà assai depressa e ampia. — Ne raccolsi numerosissimi esemplari ad ogni livello del deposito, ; d è su alcune di queste nummuliti che stanno appiccicate le È Plicatule. — Nummulites Lucasana Défr. — Nel detrito superficiale. Specie comune anche al Rio Lavaria, al Rio Cideis, e ad Ottelio di Buttrio. Nummulites mammillata d'Arch. — Nel detrito superficiale. TORI Pra} aio Queste specie, almeno quelle definitivamente classificate, ap- | partengono dunque quasi tutte alla fauna dell’eocene medio che si rinviene nelle più classiche località di Nizza, del Vicentino, . del Veronese e nei depositi del Friuli orientale; e parecchie an- cora furono già da me notate per le località vicine di Rio Lava- ria e di Rio Cideis. Riguardo alla loro distribuzione farò osser- «| vare che mentre alcune sono rarissime, come per esempio la Ser- i pula spirulea Lmk., altre invece abbondano, quali la Numm. exponens Sow. che raccolsi a centinaja; e che le marne piombine e la brecciola calcareo-marnosa in sfasciume sono contrassegnate «anche da tipi organici distinti. Le prime contengono di prefe- . renza la Nummulites exponens Sow., i corallarii, la Serpula spi- rulea Lmk. e le grosse Ostrea; — nel detrito della brecciola invece si trovano la Nummulites planulata Lmk., l’Orbitoides di- spansa Mich., il Cidaris itala Laube, il Conocrinus (Bourguet- ticrinus) Thorenti d’Arch.; cioè i rappresentanti delle faune di due piani distinti dell’ eocene medio. D'altra parte ho già fatto notare come la brecciola nummulitica in via di sfasciamento appaja sull’alto ciglione, e affiori sotto le marne piombine; e che queste, tenuto calcolo della inclinazione degli strati e del modo di loro sollevamento, che qua e là ac- | cenna perfino a qualche lieve contorsione, siano da ritenersi per i superiori; infine che manca affatto la puddinga quarzosa. — È Queste condizioni stratigrafiche e paleontologiche mi indurreb- n a riferire la sottostante brecciola al piano dei conglome- î Loi PLAY” _ VIDE ap. rati nummulitici di Buttrio, e a considerare le marne plumbee del /lysch come un insensibile passaggio al piano immediatamente » i . î 652 C. MARINONI, superiore di Rosazzo, qui non chiaramente rappresentato, ma in- vece molto facilmente riconoscibile alle località di Rio Lavaria e di Rio Cideis, per l'abbondanza dei corallarii fra i fossili, e per | la puddinga quarzosa rosea con Numm. spira Roissy che ne è | caratteristica. Il deposito di Rio Lavinale a Col-lungo, sul versante setten- trionale del monte Plauris, appartiene dunque all’eocene medio; e sebbene isolato e così potentemente rialzato, non è che un altro dei lembi, ancora rispettati dalla erosione, di un’unica formazione arenaceo- marnosa che cingeva tutto all’ intorno il. monte gigantesco, e di cui non si scorgono ora che pochissimi avanzi assai limitati. Nella località di Attimis, fra i colli a levante del torrente Torre, nei cui dintorni sono assai ben sviluppate le brecciole calcaree dell’ eocene inferiore, si nota una alternanza di queste con strati ora di arenaria con Retepora sp. e Nemertilites Strozziù Menegh., ed ora di marne, le quali contengono pure dei fossili di specie caratteristiche dell’eocene medio. Ebbi dal dott. Na- scimbene Giordani, ed io stesso quivi raccolsi in una breve escur- sione, alcuni esemplari di petrefatti, che sono: Fusus Noe, Lmk. Natica crassatina, Ad. Brongn. Cerithium giganteum, Lmk.? — È una porzione compren- dente 3 soli degli anfratti medii: spogliata assolutamente del guscio, se ne conservò il solo nucleo interno; e misura così com’ è ben 30 centimetri di lunghezza. Turritella imbricataria Lmk. Cyphosoma cribrum Agazz. Echinolampas affinis Desm. Echinolampas sp. ind. Tutte queste specie, ma quelle degli echinidi ancor più . delle altre, affermano l’equivalenza di quelle marne cogli strati nummulitici a Serpula spirulea Lmk. di Ottelio di Buttrio. È CONTRIBUZIONI ALLA GEOLOGIA DEL FRIULI. 653 Cal a L’ultima e più importante località che mi resta da annove- rare è quella del monticello di Noax presso Corno di Rosazzo, all'estremo lembo orientale della provincia. I colli che gli fan ‘corona furono già il campo di molte ricerche e di accurati studii «del prof. T. Taramelli; ma la nuova località non forni fino ad ‘ora che gli assai interessanti materiali della collezione dell’in- gegnere Giovanni Cabassi (in luogo), quelli non meno pregevoli posseduti dal dott. Gortani in Arta (Carnia), nè gli uni nè gli altri peranco studiati; e finalmente quelli da me raccolti, sog- ‘getto di queste osservazioni e appartenenti al Gabinetto di Storia naturale del R. Istituto tecnico di Udine. Il deposito è in tutto quello stesso che fu già descritto dal prof. Torquato Taramelli* costituente geologicamente le colline da Buttrio a Cormons: cioè un calcare marnoso di color oscuro, facilmente sgretolabile dopo una lunga esposizione agli agenti ‘atmosferici, e delle marne in completo sfacelo, alternantisi senza apparente distacco, che hanno una generale inclinazione verso nord-est. Abbandonando la strada appena oltrepassato il ponte sul torrente Corno, nel declivio dei colli affiorano bentosto, sulla sinistra di chi cammina verso Noax, alcuni banchi di arenaria, che sono gli strati più profondi, giacenti nell’ andamento generale della formazione. Sopra questi appoggiano gli strati marnosi a frattura scagliosa, dapprima scarsi di reliquie organiche, quindi sommamente fossiliferi, in. cui predominano le spoglie dei Molluschi gasteropodi; ma vi si incontrano anche gli Echinidi, la Alveolina oblonga d’Orb., la Nummulites spira de Roissy e la Serpula spi- rulea Lmk., nonchè molte specie di corallarii: — è però degno di ‘osservazione che questi ultimi sono abbondanti soltanto nella parte più elevata del deposito. Tutta la formazione poi è solle- vata, talchè di sotto alle marne fanno capo qua e là le testate rotte dei banchi di lumachelle calcaree nummulitiche in esse se- polti, 1 TARAMELLI T., Sopra alcuni echinidi cretacei e terziarii del Priuli ; negli Atti del R. Istituto veneto di scienze, serie III, vol. XIV, pag. 9. Ip. 1D., Sulla formazione eocenica del Friuli; negli Atti della Accademia di Udine, anno 1870. i 654 C. MARINONI, Le specie dei fossili ho determinate con tutta cura, mediante. confronti con esemplari delle località vicine di Buttrio, Cormons, | e Rosazzo, e rimontando, sempre che mi fu possibile, alle de- scrizioni e alle figure originali dei singoli autori nelle opere clas- | siche di Deshayes, di Ad. Brongniart, di Bronn, Reuss, Fuchs e D’ Achiardi; alcune per altro sono affatto nuove, o per la prima volta rinvenute nell’eocene friulano, per cui danno al deposito di Noax un carattere marcatissimo di individualità. — Il giaci- mento considerato nel suo complesso, non è che una continua- zione del piano di Rosazzo dell’eocene medio, e trova i più esatti raffronti paleontologici col calcaire grossier del Bacino di Parigi, nelle argille di Barton in Inghilterra, e meglio ancora nei de- positi tufacei di S. Giovanni Ilarione e di Roncà nel Vicentino; parallelismo che fu già riscontrato tanto dal Taramelli quanto dal d’Achiardi nello studio stratigrafico e paleontologico del banco - madreporico di Rosazzo e di Cormons. Per altro, facendo uno studio dettagliato delle faune che prevalgono nei singoli strati, e dei rapporti che questi strati hanno fra di loro, sebbene l’a- spetto litologico si mantenga sempre lo stesso, crederei di dover distinguere almeno due formazioni: superiormente la continua- zione del banco madreporico di Cormons e Rosazzo, vero equi- valente del S.Giovanni Ilarione nei depositi vicentini, il quale si adagierebbe su una potente massa di marne di qualche centi- najo di metri di potenza, in cui mescolati ai coralli appajono e predominano alcuni dei fossili caratteristici del piano di Buttrio | appena inferiore, ed equivalente all’ orizzonte vicentino di Monte Postale. — In mezzo poi alla pluralità delle specie eoceniche se | ne incontrano altresì parecchie affatto oligoceniche, di quelle del Bacino di Vienna e dei colli di Torino. È dunque nell'intento di dare un’esatta idea del deposito, col rilevare una tale asso- ciazione e far notare le specie di fossili più interessanti, che riferisco qui con alcune osservazioni, ! l'elenco dei fossili da me raccolti nelle marne di Noax: ' Sono contrassegnate con asterisco (*) quelle specie che non sono ancora state rinvenute nei depositi eocenici friulani, e per queste sole sono anche fornite le cita- ARP rie è » Sy dA CONTRIBUZIONI ALLA GEOLOGIA DEL FRIULI. 655. Serpula spirulea Lmk. — Var. minor. = rara. ) *Strombus (Rimella) Bartonensis Sow. = rara (Woopwarp, Man. conch., pag. 222, pl. 4, fig. 2; ediz. francese). Rostellaria fissurella Lmk. = comune, in esemplari assai ben conservati. *Murex crispus Lmk. = (DesHAYESs, Descript. des Coq. foss. des environs de Paris; Tom. 2, pag. 589, tab. 81, fig. 7 a 12). Un esemplare un po’ rotto, ma in cui l’ornamentazione del guscio assai ben conservata non lascia dubbio sulla determina- ‘zione della specie. *Triton argutum Sow. = un solo esemplare. Ha molta ana- logia col 7. nodulosum Bors., col 7. nodiferum Lmk.j ma si” ‘avvicina anche al ‘7. appenninicum Sassi ed al T. viperinum Lmk., tutte specie di terreni più recenti. Conoscendo pertanto la variabilità di forme pronunciatissima in questa specie, con- frontai il fossile di Noax anche cogli esemplari della collezione paleontologica del Museo di Milano, dove trovai la più grande analogia con un esemplare tipo della specie indicata, dell’ eocene d'Inghilterra, proveniente dalla collezione De Cristoforis e Jan. L’etichetta originale dell’esemplare di Milano porta il seguente ri- ferimento: Catalogus fasc. 2, gen. 55, sp. 16; però debbo far noto che il fasc. 2.° del Catalogus Conchylia fossilia, ecc. della colle- zione De Cristoforis e Jan, non fu mai pubblicato. Non mi fu possibile di consultare la frase originaria di Sowerby, e non trovai citata tal specie neppure nel Bronn Index paleontologicus, per cui riportandola in questo elenco mi riferisco in tutto e per tutto all’esemplare del Museo milanese. *Voluta Besanconii Beyence. zioni delle opere consultate per stabilirne la identità. Indubbiamente però alcune specie sono del tutto nuove, per cui ne stabilii i caratteri più salienti, come li potei rilevare dagli esemplari studiati, non sempre in uno stato di conservazione perfetta. Non avendo ancora potuto consultare alcune illustrazioni di fossili eocenici di recente pubblicazione, ho pensato di riservare le frasi caratteristiche definitive e le figure illustrative, già presentate alla sezione di geologia della VII Riunione della Società italiana di scienze naturali in Varese (settembre 1878), per uno studio ulteriore; epperò saranno comprese soltanto nella Monografia dei fossili eocenici del Friuli cui attendo. 656 C. MARINONI, Fusus Noe Lmk. * — crispus Bors. = (Borson, Saggi oritt. piemont. nelle j Mem. Acad. di Torino, Tomo XXVI, pag. 317; e anche nell’HéR- NES, Die fossilen Mollusken des tertiéir- Beckens von Wien. î Vol. I, pag. 291, tav. 32, fig. 3.) — Sarebbe una specie miocenica. —. *Cassis sp. (prope O. striata Sow.!! = gli esemplari da me | studiati erano tutti o guasti nella regione boccale o deformati | per compressione; per cui non mi riuscì di stabilire se non con | approssimazione la identità specifica. Ancillaria buccinoides Lmk. *Conus deperditus Brug. (non Brocchi). = (DesHaAYes, De- | script. des coq. fossil. des environs de Paris. Tom. 2, pag. 745, — tab. 98, fig. 1 e 2). *Pleurotoma clavicularis Lmk.? = esemplari guasti. *Cyprea amygdalum Brocchi? = il solo nucleo interno. *Ovula sella-turcica, nob. (nuova specie) = Si avvicina alla O. tuberculosa Duclos figurata nell'opera del Deshayes, di Retheuil e di Cuise La-Mothe nel bacino di Parigi; ma ne differisce asso- — lutamente per la forma delle gibbosità che si innalzano sul suo | dorso trasversalmente, una all’avanti, l’altra verso la parte poste- riore, a modo di colline allungate, irregolari, assai rilevate e separate fra di loro precisamente da una depressione a sella. E un fossile di gigantesche proporzioni, e potei studiarne i ca- ratteri sopra 4 esemplari, uno dei quali completo. — La con- chiglia è grossa, ventricosa, pesante, ricoperta da gusci di Ostrea e da Plicatula aderenti; non è perfettamente simmetrica, spezzata e un po’ contorta forse per la pressione degli strati in cui fu rin- chiusa, e colla forma di una vera sella turchesca. L’esemplare completo (coll. Cabassi) da me studiato misu- È rava: lunghezza dalla apertura ant. alla post. . ©. mill. 155 larghezza in corrispondenza al tubercolo post. ;, 106 n » » ant. » 88 La parte boccale è squarciata in tutta la sua lunghezza da una apertura sinuosa e canaliculata, il cui bordo esterno è solcato | CONTRIBUZIONI ALLA GEOLOGIA DEL FRIULI. | 657 da denti numerosi e fitti, e le labbra decorrono molto ravvici- nate, solo che alle due estremità anteriore e posteriore sono un po’ divaricate e rivolte all'insù, contornanti la terminazione del- l'apertura boccale stessa. Per quante indagini abbia fatte coi mezzi a me disponi- bili, non riuscii a stabilire la identità degli esemplari di Noax con alcuna delle specie conosciute; epperò propongo una nuova specie colla seguente frase caratteristica: O. testa magna, irregulare, ventricosa, oblonga, convexa, mar- ginibus involutis; — apertura longitudinalis sinuosa, angustata, ad extremitates effusa; margine externo dentato; — concavitate ad basim ampla, profunda....... Natica maxima Taramelli (non N. maxima, Grat.). *—. hybrida Lmk. = esemplare assai guasto. — perusta Ad. Brong. — intermedia Desh. — ponderosa Desh. * — abscondita Desh. — (DesHayYEs, Anim. sans vertebr., Tomo 3 pag. 68, pl. 70, fig. 21 a 23). — acuta Desh. — — Spherica Desh. *Chemnitzia lactea Lmk. Cerithium vicetinum Bay. — Questa specie in tutti i de- positi eocenici friulani è sempre rappresentata da numerosi esem- plari, che a Noax sono conservatissimi e spesso si ponno racco- gliere in mezzo alle marne, ancora ritti, nella posizione naturale in cui furono abbandonati sul fondo marino. Il prof. Taramelli nei suoi scritti ammetteva il C. cornucopia Lmk., e vi riferiva gli esemplari di Russitz e Brazzano che oggi si possono identificare con quelli di Noax. Sulla scorta dei di lui studii io pure aveva dapprima accettata la specie C. cornucopie Lmk.; — i nuovi esemplari conservatissimi mi fanno invece riportare alla specie C. vicetinum Bay. anche tutti gli esemplari trovati nelle altre località eoceniche del Friuli orientale. Vol. XXI. 42 658 C. MARINONI, *Cerithium Castellini Ad. Brongn. = (Ap. BRONGNIART, Ter- rains trappéens du Vicentin; pag. 63, tab. 3, fig. 20). — funato-granulatum Taramelli. — calcaratum Ad. Brong. = (BRONGNIART, Terr. trapp. du Vicentin; pag. 69, tab. 3, fig. 15). Cerithium submarginatum d’Orb. * — sp. ind., del tipo del C. vulgatum, in esemplari numerosi ma sempre assai guasti. Turritella imbricataria Lmk. Vermetus lumbricalis Taramelli. *Nerita Cumani nobis (nuova specie) — Due esemplari che si rassomigliano alquanto alla N. gigantea Bell. e Mich. — Sono in- completi nella regione boccale; ma però visibili le callosità del ‘ labbro interno, le tracce di un canale presso la base della colu- mella e 5 denti del labbro. Il guscio esterno è solcato da deli- catissime strie di accrescimento equidistanti fra loro ed egual- mente profonde se viste alla lente; si notano però due linee più marcate che decorrono segnando un lieve solco sull'ultimo an- fratto. Sembra inoltre che il guscio potesse essere colorato a zone. Proporrei per la nuova specie la seguente frase caratte- ristica : N. globosa heliciformis; — testa crassa; anfractibus 4 celeriter crescentibus, prioribus tribus minimis, via distinguendis, ultimo maximo illos obvolvente, tenuissime transversim striato; spira brevi, plana, apertura dilatata, labro crassiusculo, dentato... Neritina Schmideliana Chemn. Trochus coronatus Taramelli. — Nuova specie fondata dal Taramelli su un esemplare di Rosazzo e finora inedita. Uno scru- poloso confronto avendo accertata l'identità della specie con un esemplare trovato nelle marne nummulitiche di Noax assai meglio conservato, ne stabilisco qui la frase caratteristica: | Tr. conicus, basi plana; — testa anfractibus 7, planis, subimbricatis, granulatis atque trasversim striatis; columella obli- qua; ultimo anfracto angulato; apertura?.... Si avvicina al 77. CONTRIBUZIONI ALLA GEOLOGIA DEL FRIULI. 659 mitratus Desh., ma ne differisce per la ornamentazione granulare. *Delphinula calcar Lmk. = (DesHaves, Descript. des foss. des envir. de Paris; Tom. II, pag. 203, tab. 23, fig. 11 e 12). — scobina Brongn. *Dentalium substriatum Desh. = (DesHAyEs, Monograph. du genre Dentale. Par. II, pag. 366, tav. 18, fig. 1 e 2). * — hexagonum, nobis (nuova specie). = Conchiglia a sezione esagonale in cui gli spigoli rappresentano le 6 coste principali più rilevate, che poi comprendono fra loro uno spazio leggermente convesso solcato da 7 strie più sottili che si esten- dono per tutta la lunghezza del tubo. Altri individui di questa specie medesima ho rinvenuto nel detrito marnoso eocenico di Rio Lavinale. La frase caratteristica di questa specie che si pro- pone, sarebbe: D. testa tubiforme, leviter arcuata, ad extremitatem posticam sensim attenuata; pervîa utrisque extremitatibus; — sectione hexa- gona, apertura orbiculari; costis longitudinalibus prominentibus 6, inter costas longitudinaliter tenuissime striata ..... *Chama lamellosa Lmk. Ostrea cyatula Lmk. Pecten sp. ind. — Sp. ind. Cardita sp. ind. Cidaris itala Laube = radioli isolati. — suburalis d’Arch. = radioli. Conoclypus conoideus Lmk. = frammenti del guscio. Trochocyatus equicostatus Reuss. - Smilotrochus incurvus d’Ach. Placosmilia elliptica d’Ach. Circophyllia truncata M. Edw. et Haime. Leptaxis (Turbinolia) multisinuosa Mich. _ bilobata d’Ach. Leptophyllia Catulliana d’Ach. Rabdophyllia granulosa d’Ach. 660 C. MARINONI, Plocophyllia? forojuliensis d’Ach. Pachygira Savii d’Ach. Colpophyllia flexuosa d’Ach. Favia sp. (prope F. Meneguzzi d’Ach.), ma impossibile a de- terminarsi con sicurezza per il cattivo suo stato di conservazione. Phyllocenia irradians M. Edw. et Haime. Heliastrea alpina d’Ach. Stylophora pulcherrima d’Ach. Stylocenia taurinensis M. Edw. et Haime. Astrocenia subreticulata d’Ach. Cycloseris Perezii J. Haime. — ephippiata d’Ach. Polytremacis Bellardi J. Haime. Nummulites spira de Roissy. — granulosa d'Arch. — levigata Lmk. — striata Lmk. Orbitoides sp. ind. Operculina canalifera d’Arch. Alveolina oblonga d’Orb. = comunissima nelle marne degli strati inferiori. in numero copiosissimo La fauna fossile di Noax ora a me nota, comprende adunque di aellilt.. 0 ou «nego: ] Gasteropodi . . . —», 37 dicui 19 nuove per i Wrigli Acefali . è 5 Echinidi o 3 Corallatfine 104%: ALGOHIOLEL #29 Rizopodi Ù 7 in totale specie 73; ma è indubitabile che nuovi studii aumenteranno tali cifre, rela- tive soltanto alle scarse indagini da me fatte. Per la stessa ragio- ne non deve far impressione se le nuove specie appajono tutte fra i gasteropodi: cosa naturale, perchè questa classe dei molluschi CONTRIBUZIONI ALLA GEOLOGIA DEL FRIULI. 661 non era ancora stata studiata con dettaglio come lo furono gli echinidi dal prof. Taramelli! ed i coralli dal D’Achiardi ? alle cui pubblicazioni mi sono riferito perchè redatte per buona parte sui materiali stessi che costituiscono la collezione dei fossili del Gabinetto di storia naturale del R. Istituto tecnico di Udine. — Scarsi per vero sono gli Acefali, nè il piccol numero di nuclei indeterminabili che ho potuto raccogliere bastano a controbi- lanciare la copia esuberante dei gasteropodi e dei coralli. Siccome poi queste due forme animali prevalgono in strati di- stinti (i molluschi nei piani più profondi, cogli echinidi, le Al- veoline e certe specie di Nummuliti; ed i zoofiti nei piani supe- riori con qualche Cerithium ed altre specie di Nummuliti), con graduato rimutarsi dell’una nell’altra fauna, pur conservandosi la stessa forma litologica marnosa, io penso doversi attribuire que- sto fatto a condizioni locali di profondità di quel mare. Un sol- levamento eocenico sarebbe stata la causa che ai depositi carat- terizzati della fauna che accompagna la Serpula spirulea si sia sostituito un banco madreporico ricco di svariatissime forme co- ralline, frammezzo alle quali durarono tuttavia alcune delle spe- cie ivi già prima stabilite. Udine, agosto 1878. 1 TARAMELLI T., op. cit. 2 D’ACHIARDI A., Coralli eocenici del Friuli. Pisa, 1875, con tavole. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE E PALEONTOLOGICHE DEL Dott. CARLO FABRIZIO PARONA. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE. È I. Delimitazione della regione dove si sviluppa il Pliocene. La regione collinesca della provincia pavese, che è oggetto de’ miei studii, ha per confini naturali: ad ovest il torrente Curone, ad est il torrente Bardonezza, i quali, scorrendo quasi nella mede- sima direzione sud-nord, la separano rispettivamente dalle pro- vincie d’ Alessandria e di Piacenza: a sud la valle del torrente Ardivesta, che, seguendo una direzione da est ad ovest, sbocca pressochè perpendicolarmente nella valle della Staffora: a nord la Via Emilia, aperta nelle estreme pendici delle colline e per gran tratto parallela alla direzione delle formazioni plioceniche. I terreni che compongono questa regione costituiscono quella se- rie di colli che da Pavia si vedono d’un tratto elevarsi dalla va- sta pianura padana a formare i primi contrafforti della catena apenninica, che chiude vagamente a mezzogiorno l’ orizzonte lom- bardo. ' Queste osservazioni stratigrafiche e paleontologiche furono fatte dietro eccitamento e sotto la guida del prof. Taramelli e presentate come tesi alla Commissione per gli esami di laurea nell'estate dell’anno 1878. — L'autore nel presentarle alla stampa è lieto di esprimere la propria riconoscenza all’amatissimo maestro per la sollecitu- dine e per l’amore con cui lo iniziò in quella scienza che professa con tanto plauso. vedi N° “Sc Ma ———_—————r—_———__ n" IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 663 Condizioni orografiche e geologiche.' Le numerose valli dell’ 01- trepò pavese ‘sono percorse da torrenti, di cui i principali, oltre a quelli già sopra accennati, sono la Staffora, il Rile, la Coppa, grosso torrente formato dalla confluenza di altri tre, detti la Schizzola, la Ghiaja di Borgoratto e la Ghiaja Coppa, e quindi lo Scuropasso e l’ Aversa. Ciascuno di essi sboccando nella pianura tocca una di quelle grosse borgate, che si incontrano appunto ai piedi dei colli e lungo la Via Emilia, quali Retorbido, Casteggio, Broni, Stradella. Tutti seguono una direzione da sud a nord, finchè scorrono frammezzo ai colli, ma raggiunto il piano volgono ad est e con- fluiscono nel Po, formando quell’angolo acuto che si chiama go- mito d’inflessione. Questo fatto è una testimonianza evidente delle vicende subite dal Po nell'epoca posglaciale e quaternaria: ci ri- corda quell'epoca in cui esso, 0, per meglio dire, le acque pro- venienti dalle Alpi e scorrenti da ovest ad est, si allargavano tanto da influenzare sui torrènti apenninici persino al loro sbocco dalle vallate. Di più ci rappresenta, insieme all’altro fatto del terraz- zamento, il graduale impoverirsi delle masse d’acqua del Po, per diminuzione di contributi, sino a ridursi all'attuale portata. Tra i fatti geologici, che si potrebbero citare come causa dei suaccennati bacini idrografici, non crederei di poter ricorrere, per spiegare quelle dirette a nord, perpendicolarmente quindi alla di- rezione del miocene e del pliocene, a spaccature, le quali come è noto, lasciano a testimonianza della loro formazione gravi di- sturbi stratigrafici, quali non si riscontrano nella nostra regione. Infatti se ci facciamo ad esaminare la stratigrafia dei colli che circondano la valle della Staffora, per citare un esempio valevole per tutti, non la troviamo per nulla spostata, anzi si potrebbe quasi dire che gli strati di una parte si continuano alla stessa altezza dall'altra, inquantochè l’altitudine che raggiungono le ! La carta idrografica, che correda questo lavoro, è la riduzione a 50000 di quella topografica dello Stato maggiore italiano: quella geologica venne stesa adottando la serie dei terreni stabilita dal prof. cav. T. Taramelli per la sua carta geologica della Provincia di Pavia, presentata alla Esposizione didattica pavese (1877). 664 C. F. PARONA, formazioni variano di pochi metri nei colli che sono di fronte da ciascun lato della valle. 7 La necessità d’ escludere l’origine per spaccatura suggeri- sce quella per erosione, fenomeno anche questo subordinato al modo col quale sarà avvenuto il sollevamento dei terreni suba- pennini, il quale, per quanto regolare vogliasi ritenere, non sarà mai da credersi tale, per cui si debba escludere la formazione di sinclinali, nelle quali si saranno raccolte le acque di scolo dei rilievi prodotti dalle anticlinali. Pel lavorìo di tali acque; con- tinuato per lunghissime epoche geologiche, si saranno adunque scavati i bacini attuali. Oltre a queste vi hanno altre valli con direzione perfettamente . perpendicolare, o quasi, a quella delle prime. Due sono quelle del torrente Ghiaja Coppa e del Rio Ghiaja di Borgoratto, che confluiscono formando il Coppa, una terza è quella del Torrente Ardivesta. La linea curva segnata dalle due prime devesi attri- buire, a preferenza di ogni altra causa, alla natura dei terreni. Infatti questi torrenti, per buon tratto dalla loro origine, seguono la direzione generale sud-nord, poi, incontrando un ostacolo al loro corso nella formazione calcarea di Montalto, piegano ad ovest nella formazione marnosa, nella quale tornò loro agevole lo sca- varsi un vasto letto. La valle dell’ Ardivesta invece presenta ca- ratteri, per cui le si può attribuire un’ origine per spaccatura, apertasi in linea pressochè retta nelle rocce mioceniche, per causa di fratture parallele all’asse di sollevamento subito dai terreni di quest'epoca. i Le valli, di cui abbiamo ora tentato di indagare l’ origine, sono per lo più molto ampie a cagione della poca resistenza che i ter- reni dei primi colli, costituiti in generale da elementi incoerenti, oppongono ai corsi d’acqua, i quali al rapido squagliarsi delle nevi, od in seguito ad abbondanti pioggie precipitano improvvi- samente e con velocità straordinaria. L'ampiezza di tali valli rag- giunge e sorpassa talora il chilometro, come si verifica princi- palmente in diversi punti della valle della Staffora. Ma la so- verchia estensione che assumono i letti dei torrenti a danno della | IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 665. coltivazione, trova un certo compenso nel fatto che presentano un facile piano, dove si poterono aprire quelle comode strade, che staccandosi dalla Via Emilia, dirigonsi con dolce pendìo verso il crinale dell’ Apennino. | Come succede comunemente di tutti gli scoli degli Apennini, anche i nostri in certe stagioni dell’anno sono privi di acqua. La Staffora stessa, la quale nelle stagioni delle pioggie ben si merita il nome di fiume per la portata delle sue acque, nei mesi asciutti ne contiene una quantità che appena basta a far muo- vere qualche ruota da molino e che prima di raggiungere lo sbocco della valle nella pianura si disperde fra le ghiaje. Questo fatto è una naturale conseguenza della natura prevalen- temente argillosa del suolo, su cui l’acqua scorre senza poterlo ‘penetrare a mantenere durature quelle fonti, la cui mancanza rende tanto disagevole il viaggiare su questi contrafforti, quanto per lo contrario lo favorisce l'abbondanza di esse nel vero Apennino ligure, concessa dalla diversa natura delle rocce. Dalle valli salendo sui monti, vi si riscontrano non pochi fatti, dei quali non credo inutile dare una breve descrizione, ed affinchè questa riesca più chiara radunerò artificialmente i colli in tre zone, basandomi sulla differente loro altitudine. Partendo da mez- zogiorno vediamo elevarsi dalla valle dell’ Ardivesta una prima serie di eminenze, la quale le scorre parallela per un tratto, poi sì piega in parte a nord, dirigendosi verso il colle di Montalto pavese e in parte va a costituire, continuando la stessa direzione, quell’argine che fa mutar direzione al torrente Tidone. Queste eminenze raggiungono le maggiori altezze che si riscon- trano nella regione che descriviamo, varianti dai 400 ai 600 me- tri e si presentano costituite da roccie di varia natura. Nel primo tratto abbiamo i monti di S. Ambrogio (529), di Rocca Susella, di Fortunago (564), di Costa de’ Galeazzi (616") formati alla base dalle marne cineree del miocene e nel corpo dai conglome- rati pliocenici. Dalla Costa de’ Galeazzi, per volgere verso Mon- talto, si piega a tramontana e si passa sulla Costa Pelata; epi- teto derivatole appunto dalla natura ingrata del terreno, dove 666 C. F. PARONA, attecchisce scarsa vegetazione. Questo dosso tocca l’altezza di 648 ed è formato quasi per intiero dalle argille scagliose del- l’eocene superiore. Ad est della Costa Pelata abbiamo il gruppo dei Monti di Canevino (449%), costituiti da arenarie e calcari marnosi a fucoidi, sedimenti marini del periodo Aquitaniano, de- posti a mantello delle argille scagliose e delle serpentine, le quali affiorano in altro punto della regione che vado descrivendo, cioè nella valle del Curone, sopra il paesello di Zebedassi. Tutte le rocce già enumerate, quelle stesse che attualmente, insieme alle rocce mioceniche, cui presto accennerò, forniscono ai torrenti i materiali delle loro alluvioni, sono pur quelle che nell’ epoca pliocenica venivano erose dai torrenti, discendenti dai monti superiori, da cui traevano quei pochi ciottoli di roccie emersorie (serpentini e gabbri) e quella ingente quantità di materiali sedi- mentari, calcarei specialmente, con cui innalzavano i vastissimi thalweg ed i delta, di cui troveremo imponenti avanzi nella fascia pliocenica. A questa più alta zona ne succede una seconda, nella quale i colli sono disposti irregolarmente, seguendo la varia struttura geologica del suolo. La forma predominante è quella offertaci dal colle di Montalto Pavese, la cui ossatura è data inferiormente dalle marne cineree e da arenarie che costituiscono il fondo delle valli e per intero i minori rilievi e superiormente da calcari marnosi e da arenarie. Tutte queste sono rocce mioceniche corrispondenti le prime ai periodi Serravalliano e Langhiano, le seconde al Torto- niano, sovrapposte in ordine stratigrafico alle arenarie con ele- menti ofiolitici e diasprigni e con ligniti, che si vedono affiorare sotto il paese di Canevino ed a Pozzol del Groppo (553"). Questa diversità litologica rompe la monotonia data al paesaggio dalla predominante formazione marnosa, specialmente per virtù delle rocce calcared*arenacee, che formano di solito il culmine di quei colli, sfasciandosi in un terriccio sufficientemente fertile. Da ciò ne deriva che la parte bassa delle valli è formata da festoni, a spigolo piuttosto acuto, di marne cineree bene spesso spoglie di vegetazione, mentre la parte coronale degli spartiacqua presenta IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 667 una struttura più accidentata e resa ridente da coltivazione mol- tiforme. A questa serie di colli possiamo ascrivere il monte che si innalza ad ovest di Staghiglione (238), quello già accennato di Montalto Pavese (467%), di Pietra de’ Giorgi (311"), di Ci- cognola (295"), della Castana (320%) e così via. Discendendo alla più bassa zona si entra nelle formazioni del pliocene, orlate, per così esprimermi, a sud dalla formazione delle marne gessifere, che dà un suolo arido, a vegetazione natural- mente meschina, le cui maggiori ricchezze sono le numerose cave di Gesso. Questo minerale presentasi sotto i due stati di gesso sac- caroide, usato come materiale di costruzione e di ornamentazione, scavato attivamente a Codevilla nel letto del torrente Luria ed a Montescano in val dell’Aversa, e di gesso cristallino, che si cuoce, traendone il gesso da presa, specialmente ad Oliva-Gessi. Anche in questa zona delle marne gessifere si verifica il fatto sovraccennato dei colli coronati da terreni diversi da quelli che ne costituiscono la base. Infatti troviamo la Madonna del Monte (496), il Monte Telegrafo (458"-), il Colle di Sant’ Antonino, di Mondondone (464%), di Torre del Monte (383), il Monte Cesa- rino (424"), Calvignano (316%), Mornico ed altri, i quali, mar- nosi nella loro massa principale, sono coronati da conglomerati pliocenici. Il luogo dove meglio che in qualunque altro si può vedere il grande sviluppo che assume la formazione gessifera è la val- letta del torrente Riale, precisamente ad ovest di Oliva-Gessi. La massa gessosa costituisce quivi il versante della collina che da Gessi discende al letto del torrente, in cui fra gli strati sgor- gano parecchie abbondanti polle d’acqua solfurea, annunciata an- che a notevole distanza dall’ odore distintissimo di acido solfidrico. La collina che ne forma il versante opposto è anch’ essa costituita quasi totalmente da banchi di gesso, nei quali è aperta una lunga caverna, che attraversa tutta la collina.' ! Questa caverna presenta tre aperture: la prima, vicina al fondo della valle e quasi sbarrata da un gran masso franato, apre l’adito all’interno; al suo principio ha un’al- tezza di cinque metri all'incirca ed una larghezza di poco difterente; ma poi va mano ‘668 ©. F. PARONA, Le ultime falde apenniniche, formate da colline alla loro volta | costituite da terreni del terziario superiore, formano singolare con- _ trasto collo squallore della regione marnoso-gessifera, perchè pre- sentano un aspetto ridente e un'abbondante vegetazione special- mente di vigneti, i quali prosperano nel mantello di terreno ve- getale feracissimo. . * LES Per farci un’idea chiara della natura dei terreni accennati per ultimo, portiamoci là dove il piano comincia a farsi più acciden- tato ed interniamoci in qualcuna di quelle vallette scavate dai torrenti, i quali colle loro opere degradatrici ci prepararono i più evidenti ed istruttivi spaccati. Una delle più opportune a questo scopo è certo la valle del torrente Limbione, che ha le sue ‘ori- sini al monte Brizzone e scorre ad est di Volpedo e di Casalno- cetto. Risalendo dal piano vogherese (spaccato 1°) si attraversano le alluvioni recenti, che isolano i lembi a piattaforma del 2° periodo glaciale, rispettate dal terrazzamento successivo. Queste, cambiate alla superficie in un buon terreno vegetale, sono costituite da ar- gille molto fine e biancastre, che in taluni punti acquistano le pro- prietà opportune per dare dell'ottima creta da mattoni, come si verifica nella Val del Coppa, dove si trovano rinomate fornaci. mano restringendosi per modo da rendere quasi impossibile il progredirvi. È da no- tare che gli strati che ne formano la vòlta e le pareti, non dimostrano spostamenti di sorta. A mezza collina si incontra un secondo buco inaccessibile ed al termine del versante opposto la terza apertura. Da quanto si osserva all’intorno di quest’ ultima mi pare si possa arguire l'origine di questa galleria naturale, senza ricorrere a salti o dislocazioni,,che non si potrebbero sostenere con prove di fatto. Da Calvignano e fra le colline di Pegazzera e del Fontanone, apresi una vallicola la quale, precisa- mente dopo il buco della Camerà (così è chiamata la caverna in discorso) è sbarrata da un altro colle; sul fondo di essa scorre un torrentello, che attraversando la ca- verna sbocca poi nel Riale. Ora io suppongo che questa galleria sia un effetto della | erosione del medesimo torrente, il quale non avendo potuto aprirsi una via attraverso l’ostacolo poc'anzi accennato, trovò più facile strada per qualche crepatura, prodot- tasi necessariamente col sollevarsi di strati di diversa resistenza ed allargatasi di poi, mediante un diuturno lavorìo d’erosione, fino a trasformarsi nella caverna descritta (Li o : _9 IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 669 Esse nel loro andamento stratigrafico non presentano alcun di- sturbo, per cui si possa dire che furono smosse anche di poco dalla posizione in cui furono deposte. A Casalnocetto il terreno cambia natura e sotto alle alluvioni glaciali si vedono affiorare le marne sabbiose plioceniche, giacenti in posizione discordante colle prime, sotto le quali i loro strati si ‘nascondono. Poco più in alto cessano del tutto le alluvioni ed il terreno superficiale è dato dalle stesse marne giallastre, solo tratto tratto coperte da piccoli banchi di pura sabbia, che vedremo poi essere avanzi dei depositi del primo periodo glaciale. Le marne sabbiose assumono alla superficie per ossidazione un ‘colore giallo-rossastro «intenso e, litologicamente considerate, sono ‘pressochè del tutto calcaree, come lo sono le rocce apenniniche «dal cui sfacelo esse provengono. In taluni siti predominano le ‘sabbie, che altrove si fanno più marnose sino a cambiarsi in vera «imarna, in altri non di rado si incontrano degli strati poco estesi di argille azzurre, le quali però sono collegate alle marne per modo da non poterle ascrivere ad altra formazione. La stratigrafia non è uniforme o, dirò meglio, non è costante, imperocchè ap- ‘pena sotto le alluvioni la postura delle marne è poco lontana ‘dalla orizzontale, ma poi, mano mano ci accostiamo al monte Brizzone, si fanno sempre più inclinate sino quasi a justaporsi agli strati di conglomerati che si avvicinano alla verticale. Col mutare della disposizione stratigrafica, si muta alquanto anche la loro natura litologica, giacchè le fine marne si fanno sempre più grossolane ed avvolgono maggior numero di ciottoli coll’ approssimarsi alla formazione loro sottoposta. Laddove il torrente mette a nudo coll’erosione la roccia in posto, si riscontrano dei fossili, discretamente abbondanti, spe- cialmente in due località, poste vicino alla Cascinella, che deseri- verò parlando della Fauna, della quale quivi si ràccolse buona parte dei materiali. | La formazione delle marne sabbiose cessa poco sopra alla già ‘citata Cascinella e precisamente di poco più in alto del punto dove confluiscono il torrente Brizzone ed il Limbione. Da que- 670 C, F. PARONA, sto punto volgendo ad est e salendo nel letto del Brizzone en- triamo in mezzo ad una potentissima serie di strati a conglome- rati, che s’ innalzano verticalmente a formare il monte Brizzone (432”-), il più alto dei colli pliocenici del territorio di Volpedo. Anche in questa formazione prevalgono gli elementi calcarei, associati a ciottoli di diaspro, di gabbro e di serpentino, però non molto frequenti. I materiali sono piuttosto sciolti, di guisa che è continuo il franare in quei luoghi dove non sono tenuti in sesto dalla vegetazione. L’alternanza che vi si osserva di strati a grossi elementi, sino a ridursi a fina sabbia, è una prova per ritenerli sedimenti alluvionali deposti alla foce di un corso d’ac- qua, che nelle sue varie fasi abbandonava materiali grossolani o minuti. Fra i ciottoli non ne ho riscontrati di improntati; moltissimi invece di quelli rivestiti da valve di ostree, che si potrebbero rac- cogliere a centinaja e molti di quelli forati da litofaghe, delle quali però quivi non mi fu dato di trovare avanzi determinabili. Nel complesso i materiali sono non poco alterati e colorati intensa- mente in rossastro da ossido di ferro. A sud del monte Brizzone affiorano le marne cineree, nelle quali non si riscontrano banchi del noto solfato e ad esse succedono discordanti le formazioni mioceniche ed eoceniche. La serie delle roccie ora descritta non comprende tutte le di- verse forme litologiche che costituiscono il pliocene di questi colli. Essa si presenta più completa (Spaccato 2°) salendo il letto del torrente Luria, che scorre dai monti Telegrafo e Garlazzolo verso Codevilla. Anche quivi le marne sabbiose succedono alle alluvioni sin dalle estreme pendici: esse non si presentano diverse da quelle descritte, solamente vi si osservano più numerosi certi grumi bian- chi, che in quantità si raccolgono dovunque nel mantello di que- ste marne, tanto alla superficie che nell'interno: Sono essi con- crezioni di carbonato di calce, con proporzione piuttosto insolita di fosfato di calce, bianche ed informi, le quali, per la loro non molto grande dimensione e pel modo con cui si trovano dissemi- nate, suggeriscono l’idea che non sieno altro se non la sostanza calcarea di organismi deformata da qualche azione chimica. d IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 671 Procedendo nella medesima direzione, giunti al punto dove il Luria erode le falde della collina di Garlazzolo di sotto, si veri- fica la seguente successione di terreni. Sotto alle marne, prima a comparire è una formazione da 6 a 7 metri di una arenaria marnosa a strati compatti, alternati con altri ad elementi più sciolti. Presenta essa un colore bianco-ce- ruleo ed è priva, per quanto mi fu dato osservare, di fossili ani- mali, mentre contiene certi corpi, che hanno l’apparenza di ve- getali, la cui sostanza organica sia stata sostituita dall’ arenaria stessa, ingiallita ed indurita dall’ossido di ferro. Essa giace in stratificazione concordante coi conglomerati, di potenza a un dipresso uguale, immediatamente sottoposti, i quali hanno un’inclinazione molto minore di quelli del monte Brizzone. Sono anch’ essi costituiti dal solito calcare, da qualche raro pezzo di serpentino e dal quarzo nelle sue varietà; presentano però di particolare il fatto che gli strati alternano con altri, che sem- brano limitati a piccole lenti, di pochi centimetri di potenza, for- mati di quella stessa arenaria poco sopra descritta e di più sono distinti anche perchè in certi punti si mostrano cementati, per cui gli strati così costituiti sporgono dagli altri meno resistenti all’azione degradatrice. Un fatto simile lo osservai anche nella collina che sovrasta a Retorbido, dove dalle marne sporge un gran masso di conglome- rato pure cementato e contenente fossili (Pecten, Venus, Ceri- thium, ecc.). | È ! I conglomerati posano sull’argilla gessifera, che presentasi con un colore bluastro molto carico, a straterelli sottili e privi di fos- sili che coprono i banchi di gesso. Passando in mezzo a questi il letto del torrente si restringe d’assai sino a diventare una pic- cola chiusa, le cui pareti presentano i più bizzarri effetti della forza erosiva dell’acqua. Gli strati, dello spessore di 70 a 80 cen- timetri, sono di varia tenacità ed hanno un’inclinazione di poco discordante con quelli dei conglomerati. Quivi non sono rari i grossi cristalli a ferro di lancia, ma prevale il gesso subsaccaroide, che, | come già dissi, viene estratto. Dagli strati superiori scola un’ ab- 672 C. F. PARONA, bondante sorgente d’acqua acidulata dall’acido solfidrico e nelle vicinanze si osserva un’altra sorgente che si crede ferruginosa. Gli strati inferiori passano ad un’argilla bituminosa gessifera, che segna il passaggio dalle marne cineree molto sviluppate, le quali alla loro volta si addossano alle rocce mioceniche. |. Tale disposizione stratigrafica ne’ suoi tratti più generali si po- trebbe chiamare tipica pel nostro pliocene; tuttavia in taluni siti si notano alcune differenze molto interessanti. A questo propo- sito degni di considerazione sono i dintorni di Casteggio, dove i conglomerati, inclinati di quanto vedemmo a Codevilla, si svilup- pano tanto da costituire buona parte del monte Cesarino, dal quale si accompagnano discendendo giù nella valle del Rile sino alla cascina Tronconero. Quivi costituiscono un’ alternanza di strati sabbiosi ed a ciottoli, distinta per una minore alterazione degli elementi, per l'abbondanza de’ ciottoli diasprigni variamente co- lorati e di quelli forati dalle litofaghe, delle quali il prof. Bal- samo Crivelli! raccolse frammenti, che riferì alla Petricola lamel- losa, Lamk., alla Gastrochaena dubia ed alla G. gigantea. A destra di questo affioramento, che si nasconde sotto le so- lite marne, si estendono le grandiose gessaje della Camerà e di Oliva-Gessi, le quali, inclinate come a Codevilla, non si mostrano coperte dai conglomerati, ma bensì dalle marne rossastre. (Spac- cato III) | Questo fatto è prezioso per decidere la questione, se cioè le due formazioni a conglomerati ed a marne sieno da ritenersi come co- stituenti un solo o due piani distinti. Esso ci prova che laddove, per una accidentalità della spiaggia, non si potevano deporre dei conglomerati, allo stesso piano si formavano strati di una roccia identica a quella, che ricopre dovunque i conglomerati. Insisto su questa osservazione perchè, secondo il mio modo di vedere, quan- tunque isolata, pure serve a convincermi maggiormente, che le marne superiori sono coi conglomerati in così stretti rapporti, per cui non si possono assolutamente distinguere in due periodi, 1 Notizie naturali e chimico-agronomiche sulla Provincia di Pavia. 1864, pag. 32. Dì IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 673 senza incontrare ostacoli‘ nei rapporti stratigrafici e, come ve- dremo in seguito, di Fauna. Un'altra interessante particolarità si può studiare alla casa California, sita a pochi passi da Casteggio, ove sotto ad una pila di strati ghiajosi e sabbiosi, appartenenti, come dimostrerò poi, al 1° periodo glaciale, si scorgono delle testate di strati inclinati a nord. Questi sono costituiti da una sorte di arenaria calcarea, molto fossilifera e formante non un tutto continuo, ma invece una associazione di grumi giganteschi, rappresentanti le più biz- zarre forme stalattitiche, botrioidali, concrezionate, tufacee e così via. A rendere più singolare ancora questa roccia, concorrono certe scagliette di gesso, le quali ci assicurano che essa è legata alla formazione gessifera, per guisa che quivi rappresenterebbe i conglomerati che altrove immediatamente a quella si sovrappon- gono. Tale supposizione è avvalorata dalla osservazione prece- dente e da quella fatta nei campi a nord di Mairano, dove nello scavare una buca si toccarono i gessi sotto alle marne a 5 o 6 metri di profondità. Le forme bizzarre offerte da quest’arenaria ed il gesso conte- nutovi mi suggerirebbero l’idea di un sedimento deposto sotto l’in- fluenza di qualche sorgente incrostante; ma la presenza di una gran quantità di avanzi animali, non trasportati, ma in istato di perfetta conservazione, i quali non avrebbero certamente potuto vivere in tale elemento, mi fa rifiutare tale ipotesi. Piuttosto le scagliette di gesso ed i limpidissimi cristalli di selenite, che riempiono le cavità di taluni fossili, potrebbero rappresentarci l’effetto di fenomeni endogeni sviluppatisi posteriormente alla sua deposizione, o meglio l’effetto di acque filtranti, provenienti dai vicini depositi gessiferi, pregne del solfato, che deponendosi avrebbe servito da cemento all’arenaria. Quest’ ultima supposizione mi sembra la più accettabile anche perchè una analoga arenaria ce- mentata si sviluppa alla Castana (Broni) immediatamente a ri- dosso dei gessi. Questo è un fatto importante e in base ad esso sì deve attribuire alla formazione della California un’estensione ed un'importanza non limitata. Vol. XXI. 43 67th. C. F. PARONA, — La presenza poi di abbondanti avanzi di grossi tronchi di le- gno completamente petrificati m’induce a credere che durante tale trasformazione si sieno determinati certi movimenti moleco- lari di attrazione attorno agli organismi in decomposizione per cui si poterono formare quelle bizzarre concrezioni, che in.certi casi evidentissimamente incrostano i vegetali. Ai tre spaccati, che unisco a schiarimento di quanto ho detto sopra, vorrei unirne un quarto pel territorio di Broni e Stradella, ma certi dubbii che ancora rimangono da risolvere mi consigliano a sospendere. Posso però dire fin d’ora che anche qui il terzia- rio superiore mantiene pressochè la medesima fisonomia, offrendo di particolare la posizione degli strati a conglomerati, rovesciata piuttosto che verticale e la quasi totale mancanza delle marne; mancanza però apparente soltanto, essendo esse coperte dalle de- jezioni del Po, che scorre poco lungi. * i cei Da tutti questi particolari e dalla carta geologica possiamo formarci il concetto di quanto doveva succedere su quest’ area su- bapennina al principio del pliocene marino. Qui non si riscon- trano che sedimenti di spiaggia, o dirò meglio di delta, che ac- quistano la massima estensione all’intorno della valle della Staf- fora, estensione la quale diminuisce quanto più ci allontaniamo da quella. | . Associando questo fatto all’altro, che le marne sabbiose co- prono solo la parte più bassa dei conglomerati, possiamo argo- mentare, che successivamente al sommergersi della formazione dei gessi, un potente corso d’acqua, che avrà percorso presso a poco la valle della Staffora, avrà abbandonati i materiali trasportati molto avanti sugli stessi banchi gessiferi. In seguito continuando il graduale abbassamento si sarà ritirato corrispondentemente dalla zona dei gessi su quella delle marne cineree, il punto dove le acque fluviali perdevano il potere di trasportare i materiali più grossi, mentre nella fascia, che passava mano mano a ‘maggiori profondità, si deponevano contemporaneamente le sabbie marnose. » IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 679 II. © La formazione gessifera è limite fra il miocene e il pliocene. Alla descrizione dettagliata del terreno dell’Oltrepò pavese rite- nuto pliocenico è necessario far seguire quella dei confini, in cui si presume doversi ritenere limitato. Cominciamo dal descriverne gli inferiori. Riconoscendo nel pliocene un’ epoca ben distinta dalla mioce- nica, sembra molto naturale ritenere come punto di partenza, per stabilire la separazione fra quelle due epoche, la formazione ges- sifera. Questa formazione se non è un fenomeno tale da servire di confine preciso, indiscutibile, fra i due periodi, e da togliere quei legami, per cui da ogni epoca si ha un passaggio più o meno graduato ad un’altra, si presenta tuttavia come fenomeno così generale e costante, per la catena apenninica, da persuadere es- sere esso l'orizzonte più sicuro, fra gli altri del terziario medio e superiore, e però più adatto ad esserne il separatore. Questa fisonomia spiccata gli proviene dalla natura degli elementi che concorrono a costituirla, quali sopratutto il gesso e lo zolfo, le sorgenti solfuree e petroleifere, le ligniti e i ben conservati fos- sili vegetali; fatti tutti che accennano l’esistenza ai piedi di tutto _l’Apennino, di una zona di stagni e di paludi, che rappresente- rebbero le attuali maremme in quell'epoca così lontana, prece- dente all’ abbassamento, sul quale poterono depositarsi sopra gli altri sedimenti pliocenici. Nella Provincia pavese la formazione delle argille gessifere ac- quista un altro carattere differenziale nel fatto, che in essa ebbe termine quel fenomeno pel quale era impedita ogni manifesta- zione di vita animale anche in terreni d’ origine anteriore, quali le marne azzurrognole mioceniche. Il prof. Taramelli' attribuisce questo fatto a qualche manifestazione di quei fenomeni endogeni 1 Osservazioni stratigrafiche sulla Provincia dì Pavia. 1877. Rend. Ist. Lomb. 676 | C. F. PARONA, pei quali si erano molto prima generate le serpentine e le ar- gille scagliose e che per ultimo concorsero a produrre le nume- rose amigdali di gesso, le quali rappresenterebbero l’ultima fase di una vulcanicità periferica; essendo confortato lo stesso autore ad escludere la genesi dello zolfo dalla decomposizione del sol- fato di .calce, dalla osservazione diverse volte fatta di zolfo nativo ‘nei grandiosi e nitidi cristalli di selenite. Per tutte queste particolarità sembra dunque veramente ap- prezzabile il valore attribuito a codesta formazione di limite fra i due periodi medio e superiore del Terziario. Rimane ora a de- cidere se le argille gessifere siano da collegarsi al miocene od al pliocene. Per risolvere il dubbio non mi pare da accogliere l'opinione di quelli che le riferiscono al miocene,' in quanto che i dati che of- fre e la stratigrafia e la paleontologia mi confortano a ritenere il contrario. Per riguardo alla stratigrafia basterà accennare le relazioni che passano fra il miocene e la zona gessifera nella località clas- sica di Sant’ Agata nel Tortonese. Chi partendo da Serravalle si dirige verso Tortona, attraversando quella serie di colli che vanno man mano degradando alla pianura, cammina sulle roccie del miocene medio sino a Stazzano, dove si imbatte nella formazione del miocene superiore a strati concordanti con quelli del medio, sollevati quasi alla verticale e costituiti da conglomerati con Aw- cillarie e con altre caratteristiche specie mioceniche. Codesta for- mazione continua, irregolarmente stratificata, sino a Sant’ Agata, dove è costituita da quelle argille universalmente note per la loro ricchezza di fossili. Quivi gli strati presentansi meno sollevati, con un’inclinazione a sud e sopportano, a stratificazione perfet- tamente discordante, le argille coi gessi, che coronano il colle di Sant’ Agata e che più in basso formano il sottosuolo del plio- cene inferiore, il quale loro si sovrappone quasi parallelamente. 1 SEGUENZA, Brevissimi cenni intorno le formazioni terziarie della Provincia di Reggio Calabria. Messina, 1877. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 677 Questa disposizione così evidente a Sant’ Agata non si deve rite- nere un fatto accidentale, ma bensì generale, imperocchè anche nel nostro Oltrepò si riscontrano ancora le stesse argille gessi- fere, pressochè concordanti col pliocene, coprire le testate ku strati miocenici inclinati a sud. Per riguardo alla prova paleontologica si hanno due dati: uno è la Fauna marina pliocenica, che il Mayer ' riscontrò nel Messiniano - inferiore del Tortonese a marne multiformi di poca potenza e ap- pena indicate sotto è gessi; l’altro è la Flora dei gessi di Mon- tescano (Stradella), nella quale il prof. Sordelli non riscontra specie diverse da quelle trovate nei depositi pliocenici di Val di Chiana.* Questi fatti convincenti credo basteranno, senza insistere più oltre, a provare l'opportunità di assegnare al pliocene la for- mazione gessifera. * x Xx La formazione delle argille di S. Colombano Lodigiano è limite stratigrafico superiore del pliocene dell’ Oltrepò Pavese. Per sciogliere la questione dei confini superiori, devesi premettere che il terreno descritto risultò, dalle osservazioni paleontologiche, ap- partenere al Messiniano superiore, per cui devesi indagare dove trovasi il corrispondente pliocene più recente. Non potendosi cre- dere che quei banchi di sabbia (del 1° periodo glaciale), che si incontrano lungo le falde delle nostre colline, seguano immedia- tamente in ordine stratigrafico ai terreni da essi coperti, sia per la evidente discordanza fra gli strati, sia perchè troppo distinti litologicamente, bisogna rivolgere altrove le ricerche. Senza ab- bandonare la formazione pliocenica della nostra Provincia, tro- viamo quanto cerchiamo alla collina od altipiano, come meglio si vorrebbe chiamarlo, di S. Colombano, legato, come è noto, ai colli oltrepadani pei mezzi di un sepolto sistema di rilievi, coperti dalle 1 Studii geologici sulla Liguria centrale. R. Comitato Geolog. Boll. 11, 12. 1877. 2 Il Museo geologico della Università di Pavia possiede una bella raccolta di ve- getali fossili di questa e di altre località dell’ Oltrepò Pavese, che fu ‘oggetto di stu- dio al prof. F. Sordelli. 678 C. F. PARONA, potenti alluvioni padane, dei quali è ultima traccia il Sasso di Portalbera, scoglio di calcare marnoso a nuclei di bivalvi som- merso nel Po, da cui però affiora lungo le sponde, come riscon- trò l’anno scorso il prof. Taramelli.' Nella parte meridionale dun- que di detto colle e verso l’ est, affiorano le argille plioceniche, quivi circondate ed a nord coperte dalle sabbie gialle del Gla- . ciale. Questa formazione comprende alla base un’ estesissimo banco madreporico dovuto, secondo lo Stoppani, alla Cladocora granu- lata Goldf. che si sfuma in banchi minori nelle sovrapposte ar- gille bleu, potenti talora oltre i venti metri. I risultati degli studii fatti da F. De Filippi e dallo Stoppani sulla fauna ricchis- sima di molluschi, specialmente nel calcare madreporico, ci danno modo a ritenere il pliocene di S. Colombano equivalente del Piano Piacentino. Gli strati ond’è composto sono leggermente inclinati a nord-est, e questo spostamento così poco rilevante delle argille, che non credo discordanti molto col subapennino pavese, mi pare spiega- bile col ritenerlo effetto della minore forza sollevante che agì in questo punto, in conformità della spinta più vigorosa subìta dai sedimenti pliocenici situati più a sud e quindi in maggior pros- simità dell'asse di sollevamento. Questi ultimi sedimenti, siccome costituivano la spiaggia del mare pliocenico, come ci permette di pensare la natura dei loro materiali, saranno emersi molto tempo prima che non quelli di S. Colombano, i cui banchi corallini ed i finissimi depositi argillosi accennano ad una profondità marina sufficiente, perchè vi si potessero deporre durante lo scorcio del pliocene prima di sollevarsi dalle onde marine, nel tempo in cui gli accennati depositi litorali passavano dallo stato di lido a quello di costa di quel mare, che bagnava il nostro suolo poco prima dell’ epoca glaciale. I depositi adunque di S. Colombano sarebbero l’unico lembo manifesto nella provincia di Pavia del piano Piacentino, espor- tato nel resto dall'erosione padana, o coperto dal potente man- tello delle alluvioni. || °° 1 Osservazioni stratigrafiche sulla Provincia di Pavia. 1877. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 679 * Lal I banchi di sabbie alle falde delle colline appartengono al gla- ciale. Riscontrato a S. Colombano il vero limite stratigrafico su- periore del pliocene subapennino, passiamo a considerare quei banchi di sabbie sopra citati che ne costituiscono il limite appa- rente. Si è già accennato che si ritengono glaciali, ed invero non mancano fatti su cui fondare questa opinione, quantunque nella storia geologica del tramontare del terziario nell’ Apennino non si trovi registrato un mutamento stratigrafico e forse nemmeno paleontologico tanto spiccato o generale di rompere quei passaggi così graduati, per cui dal pliocene si accede al glaciale. Che ciò sia conforme al vero valgono a provarlo le differenze che si ri- scontrano tuttora tra i diversi geologi italiani, quando si fanno & stabilire l’epoca in cui si deposero o le sabbie gialle, o certi al- : tri depositi alluvionali, lignitici e lacustri, in cui si scoprirono i resti dei più grossi mammiferi. Nel caso mio però il parallelismo con altra formazione, di cui si conosce oramai perfettamente la storia, mi ajutò a scegliere fra opinioni così disparate una che, se non m’inganno, è la meglio corrispondente ai fatti da me os- servati; quella cioè enunciata dallo Stoppani! ed accettata anche dal mio maestro, prof. Taramelli,° per la quale si ritengono come rappresentanti del terreno glaciale le così dette sabbie gialle di S. Colombano e dell’ Astigiano, dove assumono il massimo svi- luppo. | Ciò premesso, vediamo le relazioni che passano tra le sabbie di S. Colombano e quelle dell’Oltrepò pavese. Le prime sono quarzoso-micacee, ocracee con numerosi ciottoli porfirici; man- cano assolutamente di fossili ed abbondano di grossi blocchi di roccie alpine. Per questi caratteri si può esser certi che quivi rappresentano un'alluvione alpina disseminata sul fondo di un 1 Corso di geologia. II Volume. 1873. 2 Alcune osservazioni sul Ferretto della Brianza. Atti Soc. it. se. nat. Vol. XIX, fasc. II. 680 C..F. PARONA, estuario; il che è dimostrato anche dalla seguente osservazione. Quantunque le argille passino con una certa gradazione alle sabbie in discorso, perchè si fanno man mano sabbiose e perchè presentano delle scontinuità ‘in cui sì annidano dei letti di ghiaja accennanti ad erosioni e dejezioni per acque scorrenti sull’asciutta sabbia, tuttavia si verifica fra le due formazioni una certa discor- danza stratigrafica; ciò che prova, sempre secondo le vedute.del. prof. Taramelli, che le prime furono sollevate di quanto bastava a far passare la valle padana dalle condizioni di un mare libero e popolato di banchi di coralli, a quello di un estuario. In questo, fra gli altri materiali, venivano portati i grossi blocchi di roccie alpine sopra citati, che si presentano sotto tali condizioni da non lasciar dubitare che essi non furono rotolati da correnti, ma trasportati, sia per mezzo dei ghiacciai fin qui espansi, sia, quando non si voglia attribuire a questi tanto svi- — luppo, mediante il disgelo dei massi galleggianti. Osservazioni non molto diverse si ponno fare anche in quei depositi sabbiosi e ghiajosi, che si incontrano tratto tratto per- correndo la via Emilia e qualche altra delle strade minori aperte nelle falde dei colli. I più importanti di tali giacimenti sono quelli stessi che si vedono a Casteggio, a Stradella e sotto il cimitero di Zenevredo, in cui sono aperte delle cave di sabbia. Tutti presentano una fisionomia analoga e la loro struttura si può studiare molto fa- cilmente a Casteggio, da uno spaccato, dell’altezza d’una ventina di metri, prodotto da una cava ancora in attività, presso il sito già ricordato della California, nel quale gli strati scorrono. oriz- zontali. L'intero giacimento mi sembra costituito da quattro stra- tificazioni di diversa apparenza; quella posta più in alto è uno strato di qualche metro di argilla giallastra, che si stende come mantello su tutte le colline di Casteggio, ed è quello stesso nel quale si rinvennero denti di Ursus spelacus ed un cranio di Rhinoceros incisivus dal signor cavalier Giulietti, quando si aprì la strada per Montalto. Il seguente strato è più piccolo, consta di marna bluastra, sabbiosa; il terzo di sabbia calcare con pic- ti I TO si peo dl I | : IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. . 681 coli granelli di serpentino ed il quarto di un’ alternanza di stra- terelli di sabbia e ghiaja. Alla base di questa pila di strati, nella quale è ancor dubbio se vi sieno fossili marini, affiora quel banco già descritto d’arenaria calcare gessifera. Nelle zone di pura sabbia le sezioni degli strati sembrano — formati da un intreccio di elissoidi, che non sono altro che. i tagli.verticali di straterelli deposti discordanti fra loro per l’a- zione delle onde, come succede sempre nei bassi fondi. Nella descritta alternanza di sabbia, ghiaja e marna credo di non errare ravvisandovi una parte dello stesso estuario in cui vedemmo deporsi le sabbie gialle di San Colombano. I ma- teriali di cui constano hanno apparenza ben diversa da quella presentata dai sedimenti pliocenici sottoposti: questi sono di con- glomerati a grossi elementi o di argille, tutti alterati per l’in- fluenza dei fenomeni meteorici; quelli invece, alterati solamente nella parte a contatto coll’atmosfera, ci rappresentano evidente- mente i materiali di un estuario dove le acque in continuo mo- vimento non lasciano depositare se non corpi di un certo peso, quali ghiaja ed arena, trasportando invece verso l’alto mare gli elementi più sottili destinati a costituire le finissime argille. E questa mia idea non credo si possa impugnare col fatto che quivi gli elementi sono apenninici mentre a S. Colombano sono alpini; primieramente perchè non è improbabile che quei fenomeni, per cui si depositavano materiali alpini quivi, non avessero sufficiente potere per portarli più oltre e raggiungere il lido apenninico; in secondo luogo, perche è naturale che questo lido dovesse costi- tuirsi con elementi delle sovrastanti montagne. Del resto le os- servazioni fatte finora sui depositi sabbiosi dell’apennino non fu- rono tante, nè di tal sorta da far escludere assolutamente la | possibilità di rinvenirvi qualche masso, piccolo o grosso, di roccia alpina, quivi deposto da massi galleggianti spinti a sciogliersi sulle spiaggie di questa regione. Un altro fatto che toglie ogni dubbio sulla determinazione data a codesti depositi sabbiosi è quella notevolissima discordanza, già accennata, che si verifica fra essi ed il pliocene. Quest’ ultimo forma una fascia continua, 682 C. F. PARONA, dove più, dove meno, sempre inclinata verso la pianura sotto cui si nasconde; i primi invece non sono che lembi isolati, disposti orizzontalmente. Per tutti questi fatti credo dunque necessario allinearli coi depositi glaciali, che raggiungono il massimo sviluppo a S. Co- lombano, ma che però, come si deduce della carta geologica tut- . tora inedita del professore Taramelli, si vedono affiorare qua e là, come capistabili, dalle alluvioni terrazzate del secondo pe- riodo glaciale, le quali furono prodotte da materiali di natura ben differente, provenienti dallo sfacelo morenico, oppure diret- tamente dai coni di dejezione delle valli. Tali alluvioni, nella parte che presumibilmente posa sulle sabbie sopra descritte, presentansi formate da finissimi depositi palustri, con abbondante torba e argille smettiche, costituenti il piano areneano del Pare- to, in cui si scoprirono gli abbondanti ossami fossili d’ Arena Po e di altre località, quali il Cervus euryceros, il Bos priscus ed altri. È La fisonomia con cui si presenta questa zona è molto oppor- tuna per rappresentarci il terreno a bassi fondi, o stagni mel- mosi, quale si sarà formato nell’estuario del primo periodo gla- ciale, cambiatosi pel progressivo sollevamento e pei potenti de- positi alluvionali in una spiaggia, emersa dal mare, dalla influenza del quale però non ancora del tutto sottratta. A questo periodo mi pare si potrebbe riferire anche l’argilla giallastra già de- scritta, che corona la formazione sabbiosa di Casteggio, in cui furono scoperti il cranio ed i denti fossili sunnominati. Dalla zona torbosa si passa grado a grado a sabbie ed a ghiaje che formano depositi assai potenti e profondamente terrazzati (25 m.), come si può verificare nella valle e lungo la sponda sinistra del Ticino. Colle considerazioni ed osservazioni sopradette mi sembra di avere sufficientemente giustificato il mio modo di vedere in ri- guardo ai limiti, dentro i quali crederei mantenere il terreno pliocenico dell’ Oltrepò pavese. eee ta ESE DA Ca 1 i me © ne el. Loy, pe fa be ati i IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 683 III. Per poter determinare, con qualche cognizione di causa, a quale zona pliocenica appartenesse quella più volte accennata ‘del territorio vogherese, era necessario che instituissi dei con- fronti, almeno colle formazioni plioceniche dell’Apennino. Ciò non era difficile ottenere mediante i numerosi lavori pubblicatisi, in Italia e fuori, intorno al terziario superiore, e specialmente me- diante quelli che trattano in singolar modo del versante setten- trionale dell’Apennino, dalla Scrivia all’Adriatico. Infatti trovai descritti in tali Memorie fatti abbastanza numerosi e sufficien- temente in accordo fra loro e con quelli che si riscontrano nel pliocene della provincia nostra; sicchè mi sembrò di aver rac- colto dati sufficienti a delineare a larghi tratti le vicende, che per avventura potranno essere accadute nell’ epoca pliocenica lungo l’Apennino settentrionale. Credo però utile richiamare prima, in breve, alla mente del lettore i fatti e le conclusioni cui giunsero i diversi autori nelle loro principali Memorie. Prime, nell’ordine cronologico, sonvi le osservazioni geologiche del professore Sismonda,t il quale considera il terziario supe- riore marino ° (subapennino) del Piemonte, come giacente in istrati orizzontali e talora inclinati in una direzione che, secondo le sue vedute, coincide colla via percorsa dal sollevamento delle Alpi orientali. Lo-*riconosce formato superiormente da sabbie, a strati più o meno potenti, in certi punti cambiate in vera arenaria, o rimpiazzata da un calcare impuro, pieno zeppo degli stessi fos- sili marini soliti a rinvenirsi nella sabbia, ed altrove alternate ! A. SISMONDA, Osservazioni geologiche sui terreni delle formazioni terziaria € cretacea in Piemonte. Memoria dell’Accademia di Torino, 1842. 2 Vedasi anche la carta geologica, dello stesso autore, della Savoja, Piemonte e . Liguria, 1866. 684 C. F. PARONA, con ciottoli nei quali sono raffigurate le roccie de’ monti preesi- i stenti al periodo subapennino di cui ne sono le rovine. Inferior- | mente trova l’ argilla plastica, di color bigio scuro, con abbon- dante gesso in forma di sterminate elissoidi irregolari, dispo- ste le une in seguito alle altre e con ligniti in piccolissima quantità. Riguardo ai fossili attribuisce al terreno subapennino un gran numero di fossili mancanti al mioceno, aggiungendo che non sono molte le specie comuni e che al suo confronto è ricchissimo di specie tuttora in vita nel Mediterraneo. Tra le località, delle quali l’autore discorre in particolar modo, vi è la | valle del Curone, dove riscontra che la fascia pliocenica entra e s’avanza fin oltre Volpedo, il cui sottosuolo è costituito d’argilla azzurra avvolgente moltissimi Strombi (italicus ?). Continua poi a dire che essa segue addossata alle colline mioceniche fino nel Pia- centino, non dimenticando di accennare ai fossili vegetali che si rinvengono in un’ argilla bruna cinerina che alterna coi gessi allo sbocco della valle dell’Aversa. i Il Pareto,! nei suoi studii sui terreni terziari dell’ Apennino settentrionale, unisce alla pliocenica la gran zona delle marne tor- toniane, indotto a ciò dalle sue osservazioni stratigrafiche e dai calcoli fatti sui dati offertigli dalla paleontologia, quella special- mente illustrata nel Catalogo di E. Sismonda. Con esse forma il piano tortoniano, al quale ascrive la formazione piacentina, come | semplice suddivisione superiore. Sarebbe inutile che io mi fermassi a ragionare sulla questione, se si debba o no escludere dal ter- ziario superiore la formazione delle suddette. marne, giacchè fu già risolta contrariamente a quanto credeva il Pareto. Partendo- quindi dalla zona dei gessi, che si sviluppa ordinariamente sopra queste marne e queste molasse, trovo detto dall’autore che que- sta è ricoperta da marne e in molti luoghi da potentisssimi ban- ® March. L. PARETO, Note sur les subdivisions que Von pourrait établir dans les terrains tertiaires de V Apennin septentrional. — Bull. de la Société geol. de France, serie seconda, tom. XXII. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 685 i chi di ciottoli rotolati e di sabbie giallastre, nei quali alternano ‘strati a conchiglie marine e di acqua dolce, accompagnati da | piccoli banchi di lignite. Sopra tale deposito in diversi luoghi, i nel Tortonese, Piacentino, Monferrato, nelle valli bolognesi e in ‘masse assai considerevoli sotto Castrocaro non lungi da Forlì, affiora un calcare grossolano ricchissimo di Pecten e della Te- \rebratula ampulla. Nell'insieme degli strati che costituiscono il suo periodo tortoniano, il Pareto scorge un terreno che in parte ‘fu deposto in un mare profondo e che finì, per causa del solle- vamento graduale e successivo del fondo del mare, a formare una . ‘Spiaggia ciottolosa, sulla quale si spandeva qualche corrente d’ac- qua. dolce che vi depositava delle Melanopsis, delle Neritine, ecc. L'accennato banco calcare a Pecten costituirebbe il limite su- \periore del piano tortoniano coperto dal piano astiano. Que- st’ ultimo è rappresentato da una formazione sviluppatissima nella i parte più bassa della valle del Tanaro, costituendovi le colline che l’attorniano, formata d’una serie di strati marnosi e sab- biosi con prevalenza di questi ultimi, i quali hanno i loro equi- valenti, secondo l’autore, nelle sabbie grigiastre e nelle sabbie ‘gialle conchifere di Volpedo. Sarebbe questa l’ultima sedimen- Milioni marina che si depositò nel golfo allora occupante la valle del Po e del Tanaro. Essenzialmente marina, essa presenta ‘una fauna molto analoga alla attuale, contenendo tuttavia buon ‘numero di specie estinte e di specie ora viventi in mari diversi dal \ Mediterraneo e dell’Adriatico, prevalentemente in mari più caldi. Sopra all’ Astiano il Pareto distingue la zona Villafranchiana, formazione, in parte d’acqua dolce, che forma delle sorta di ter- razzi un po inclinati, che si possono seguire lungo tutto il piede dell’ Apennino. Il Mayer‘ nel recentissimo studio sulla Liguria centrale, distin- | gue tre diversi piani nel suo Messiniano, L’inferiore (strati a Cerithium o di Billowitz) dimostra poca ! €. MAYER, Studit geologici sulla Liguria centrale. R. Comitato geologico d’ Ita- lia, Bull. 11, 12, 1877. i | | | 686 C. F. PARONA, potenza e spesso è appena indicato o riconoscibile sotto i gessi, non raggiungendo più di venti metri circa. Di natura assai varia è formato, ora da marne sabbiose giallo rossastre, da puddinghe con o senza nullipore, e da marne azzurre intercalate (Stazzano), ora d’una molassa a fini elementi e di colore biancastro (Castel- rocchero-Nizza), ora di marne azzurre a foraminiferi e di marne bituminose nerastre (S. Marzano). Questo primo sottopiano, più .—. facile a riconoscere per la sua posizione stratigrafica, spesse volte ben definita, si distingue per la sua fauna marina plioce- nica, alla quale si uniscono alcune specie mioceniche e parecchi | tipi particolari. I Cerithium ed in singolar modo le due specie | caratteristiche C. pictum e C. rubiginosum, non si trovano che nell’ est (S. Agata-Stazzano). Nell’ovest non si riscontrarono fi- . nora che conchiglie comuni Venus multilamella, Pecten cristatus, Turritella communis, T. subangulata, ecc. (Castelgaro, Castiglio- | le), salvo al sud di Nizza-Monferrato, ove la sua fauna si fa no- tare per numerosi e grossi foraminiferi e per piccole bivalvi di tipi poco comuni. 3 Nel Messiniano medio si sviluppa la formazione gessosa a masse continue o sporadiche, alle quali si aggiungono calcari do- lomitici grigi, marne listate, argille sabbiose o calcari giallastri ed in alcuni punti marne azzurre (Stazzano-Alice) intercalate, colla fauna pliocenica ordinaria. L’autore non rinvenne in mezzo | a questa miscellanea nè zolfo, nè Congerie, nè Adacna, ma vi. incontrò, a Maasca presso Nizza, alle base del gesso, le specie | fluviatili degli strati a Congeria di Bollena, per cui il livello di questi strati è dovunque indicato qui come presso Livorno e nel dipartimento di Valchiusa. 1 Il sottopiano superiore, che chiama strati di Eppelsheim o: strati di Matera è costituito talora da cento metri di ciottoli rotolati, con interposizione di sabbie e marne giallastre e talvolta È - da banchi di ligniti poco estesi (Serravalle-Tortonese), o ridotto ad uno spessore variabile, ma non al di là di venti metri a cin- "quanta, di marne sabbiose, giallastre, omogenee (est di Serra- valle, dintorni di Acqui); talora anche è formato di sabbie ed | IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 687 i argille alternanti in piccoli letti spesso ondulati (Nizza e Mon- | ferrato). A mantello di questi strati ritiene il piano Astiano (Rouville), ì che si suddivide al piede settentrionale dell’ Apennino ligure in | due serie ben distinte e nettamente separate: le marne tipiche i azzurre del pliocene inferiore e le sabbie gialle che loro succe- i. dono. All’autore finora non fu dato riscontrare dal lato di Tor- tona, ne dal lato di Asti le marne azzurre intermedie del Pia- centino, caratterizzate dall’abbondanza di conchiglie bivalvi e i da certi gasteropodi. Crede quindi che vi sia qui una piccola i lacuna, proveniente dal ritiro del mare sul finire dell’ Astiano | superiore. | La regione classica del Piacentino e del Parmigiano è il pro- . fessore G. Cocconi' che ce la descrive. Esso rileva che il plio- i cene è la formazione più estesa, se non esclusiva, distinta per grande quantità di conchiglie fossili. Crede che per esso si po- . trebbero quasi ammettere le divisioni dei terreni che il Mayer . ha tracciato nel suo Z'ableau synceronistique des terrains superieurs e che il piano Messimiano costituisca una formazione interme- dia fra il miocene ed il pliocene, comprendente diversi depositi di fossili marini, di acque salmastre e di acque dolci. Soggiunge altresì che quasi tutta questa formazione corrisponde al piano zancleano del Seguenza, rappresentato dalle marne mio-plioce- miche dei contorni di Messina. Dei tre piani, in cui il Mayer di- vide la serie Messiniana, pone l inferiore, corrispondente alle marne a Ceriziù di Stazzano e di S. Agata, nel miocene supe- ‘riore, mentre gli altri due, il medio o strati a Congerie, in cui è sviluppata la formazione gessifera ed il superiore, o strati di Eppelsheim, nei terreni decisamente pliocenici, per il loro limi- tato sviluppo in quelle provincie e perchè le faune speciali di - 1 Cocconi G., Enumerazione sistematica dei molluschi miocenici e pliocenici delle provincia di Parma e Piacenza. — Mem. Accad. Scienze. Serie III, tom, III, Bologna, 1873. 688 C. F. PARONA, si essi non gli appariscono così chiaramente da tenerle distinte da | quelli della serie astiana, ad essi sovrapposta nell’ordine strati- | grafico. Riconosce facile il seguire in quei colli la stratificazione della serie astiana che distingue nei tre seguenti piani. Zona superiore di Val d’Andona, caratterizzata dalle sabbie gialle, corrispondenti a quelle sviluppatissime nell’Astigiano; in moltissime località esse coronano le marne cerulee plioceniche in strati di maggiore o minore potenza. Zona media, di Castell’ Ar- quato a marne cerulee di grande potenza, formanti la base della maggior parte dei colli del Parmigiano e del Piacentino. Zona inferiore degli strati di Tabiano, litologicamente non dissimili da quelli di Castell’ Arquato, ma caratterizzati da fossili speciali, onde ebbero il nome di marne a Ficula undata, le quali si as- sociano nel Parmigiano a puddinghe e ligniti. ! Il pliocene del Parmigiano si continua nel Modenese e nel Reg- giano dove fu studiato dal professore Doderlein,' che lo ritiéne composto di tutte quelle serie di strati e di depositi compresi fra l’ultimo banco di terreno quaternario lacustre e ciottoloso e le marne gessifere del terreno miocenico, e più giustamente, come egli dice, di tutti gli strati e sedimenti che sì vennero de- ponendo in una gran parte dell’ Europa fra il sollevamento delle Alpi occidentali (nord-nord-est, sud-sud-ovest) e marittime (ovest- nord-ovest, est-sud-est) ed il successivo sollevamento delle Alpi principali. Lo riconosce nelle due provincie per la sua giacitura e posizione stratigrafica evidentemente intermedia fra i sedi- menti del terreno miocenico e del quaternario e per la specialità della sua fauna, in massima parte marina ed assai più affine a quella dei mari attuali, che non a quella dei terreni terziarii medii ed inferiori. Egli divide il pliocene in tre zone: prima zona superiore, 0 Astiano, delle sabbie gialle, (marine) sciolte od agglutinate, con ' P. DODERLEIN, Note illustrative della Carta geologica del Modenese e del Reg- È giano, 1870. = Carta geologica delle provincie di Modena e Reggio. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 689 . calcari argillosi concrezionati e con conglomerati e puddin- | ghe grossolane conchiglifere ed argille. Non considera le sabbie | gialle come un semplice deposito che andavasi formando sulle | spiaggie plioceniche; ritiene invece che esse formavansi allora i come formansi attualmente, dove il mare subisce continui mo- | vimenti e vicino alle foci dei grandi fiumi; le argille invece lad- i dove vi è tranquillità, nei seni, nelle lagune, nei porti e nelle grandi profondità dei mari chiusi, ricchi di sostanza in sospen- | sione. Nota che la popolazione conchiologica normale di questi È depositi è formata in genere di gasteropodi zoofagi. ; La zona media, o Piacentino, o delle marne turchine, più 0 i meno calcarifere, alternanti con grossi banchi lenticolari di va- | rietà sabbiose, calcaree, silicee, contenenti alle volte alquanti | granuli di serpentina, le quali varietà presentano maggiore te- li nacità e resistenza all’azione delle intemperie atmosferiche. Vi si | rinvengono massi isolati di calcare alberese fluitati, arnioni di calcare siliceo, semi-cristallino, globuli ed arnioni di piriti mar- ziali a struttura radiata. Riguardo alla fauna numerosissima, sonvi i le spoglie di molluschi gasteropodi ed acefali, con un generale n e notevole predominio dei primi sui secondi. «Zona inferiore 0 Tabianese, o delle marne turchine ‘inferiori; divisione basata principalmente sulla costante posizione inferiore e profonda di alcuni strati delle marne turchine e su una spe- ciale caratteristica associazione di conchiglie e di radiali fossili. Il fossile caratteristico è la Ficula undata. A questa zona pare si debba aggregare una puddinga o conglomerato calcareo-ferru- ginoso che interpolatamente concorre a costituire l’estremo lembo inferiore del terreno pliocenico. Dopo il Doderlein si occupò della geologia di questo tratto dell’Apennino il professore P. Mantovani,* secondo il quale, allo strato di argille scagliose e molassa oscura del miocene superiore 41 MANTOVANI Pio. Delle argille scagliose e di alcuni Ammoniti dell’ Apennino del- V Emilia. — Atti Soc. ital. di scienze naturali, vol. XVIII. Vol. XXI. 44 690 C. F. PARONA, si sovrappongono le marne turchine plioceniche, con una potenza di tre a quattrocento metri, indi le sabbie gialle, e finalmente una grande massa di ghiaje ocracee prive di determinata strati- ficazione, le quali coprono tutto il versante nord, ossia la china volta al piano delle Quattro Castella, che sono le ultime colline, cui tosto succede la pianura del Po, ancor leggermente ondulata a qualche miglio dal monte. Dichiara che tali sedimenti pliocenici, tranne le ghiaje ocra- cee, che sono sovrapposte senza alcun indizio di stratificazione, non si scostano molto dalla generale inclinazione, che segue una linea nord-nord-est; fatto questo sfuggito alla osservazione del professore Doderlein, il quale dice invece essere quivi i terreni pliocenici orizzontali o ben poco discosti da tal positura. Aggiunge ancora l’autore che in talune località (Quattro Castella, Torrente Riazzone) dovette essere sollevata anche una parte dei terreni quaternaril. Dal Reggiano passando nel Bolognese troviamo il pliocene de- scritto in tutti i suoi particolari dai professori Capellini e Fo- resti. Quest'ultimo * nella sua seconda Memoria sui fossili delle col- line di quel territorio, nella quale riassume anche i fatti esposti nella prima (1868), osserva che varie sono le roccie che pren- dono parte alla formazione del pliocene, ma che a due forme litologiche principalmente si riducono quelle che contengono in certa quantità avanzi organici fossili e cioè le sabbie gialle e le argille turchine. In ciascuno di questi due tipi di roccie riscon- tra due diverse formazioni costituenti il pliocene vero superiore ed inferiore. A formare quest’ ultimo, corrispondente al Messi- niano superiore di Mayer, concorrono le sabbie gialle compatte o in strati di vere molasse, alternanti con strati più decisa- mente marnosi, che trovansi nella zona di colline piu alte, dove t L. FORESTI, Catalogo dei molluschi fossili pliocenici delle colline bolognesi. — Mem. Acc. Scienze, Bologna, 1874. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 691 id si riscontra ancora dell'argilla turchina, più chiara di quella del i pliocene superiore, mescolata a sabbia, assumendo il carattere di vera marna, la quale rappresenterebbe la zona più profonda del pliocene inferiore, sia per le osservazioni stratigrafiche, come per quelle malacologiche. Le sabbie marnose giallastre preval- gono e rappresenterebbero, secondo l’autore, la porzione littorale dell’ antico mare pliocenico, e costituirebbero un deposito con- temporaneo delle più profonde argille turchine, le quali stareb- bero a rappresentare il piano Piacentino del Pareto; piano che dal Bolognese passando nel Modenese si estende al Parmigiano ed alla provincia di Parma. Il pliocene superiore, equivalente all’ Astiano (Rouville) sa- rebbe rappresentato dalle sabbie gialle le quali vestono i fianchi ‘. e il culmine delle ultime colline, che sfumano alla pianura, poco agglutinate e che si mantengono sempre collo stesso aspetto più o meno friabile. Contemporaneo a questo deposito littorale è l’altro, di alto fondo, delle argille turchine, d’una tinta turchi- niccia intensa ed in generale composta di sola argilla. Alle os- servazioni stratigrafiche il professore Foresti fa seguire conside- razioni e confronti interessantissimi intorno alla malacologia fossile di questi due piani, da cui risulta chiaramente come più recenti siano i depositi che riferisce al pliocene superiore e come deb- bansi gli altri considerare di un’epoca anteriore. Lo stesso signor dottor Foresti," in un’altra Memoria sul plio- cene antico di Castrocaro, ci pone sott'occhio la formazione ter- ziaria delle colline Forlivesi. La descrive come costituita da un potentissimo strato, sollevato verso l’asse dell’Apennino, di un calcare grossolano, giallastro, sostenente il paesello di Castro- caro, composto in gran parte di frammenti di animali marini, im- pastati da cemento calcareo. L’apparente sottile stratificazione di questa roccia è data specialmente dalla qualità diversa di ma- 1 L. FORESTI, Cenni geologici e paleontologici sul pliocene antico di Castrocaro. — Mem. Acc, Scienze. Serie III, tomo VI. Bologna, 1876, 692 C. F. PARONA, teriale di cui l’intera massa si compone, ed infatti ben si scorge a î come in alcuni punti siano gusci di Pecten, che formano uno straterello di cinque a dieci centimetri di grossezza, oppure di ostree, di lithothammie, di nullipore, che nello spessore della grande massa calcare più e più volte si ripetono. Lungo il rio che conduce alla località, detta dei Cozzi, dove si trovano i pozzi delle acque sulso-jodiche, questo calcare offre in istato di eccellente conservazione un complesso talmente numeroso e va- riato di gusci di molluschi marini e di briozoi da caratterizzarne l’età ed il modo di formazione. Al calcare grossolano a briozoi sovrastano delle argille mar- nose bianco-turchiniccie, molto incoerenti, che contengono un insieme di fossili ben distinto da quello del calcare inferiore, e che potenti verso il piano si vanno assottigliando e si estinguono su per la china. Lo strato di calcare grossolano a Briozoi pog- gia inferiormente, con discordanza ben manifesta, sopra strati d’argilla grigio-scura mista a un poco di sabbia piuttosto com- patta, tutta quanta rigata, senza fossili percettibili. Questi strati sono sparsi di granuli di gesso e carichi di solfuro di ferro, come si osserva pel frequente rinvenimento di cristalli di pirite, per la maggior parte alterati; attraverso queste argille sgorgano le acque salso-jodiche. Dalle osservazioni malacologiche risulta manifesto all’autore che il calcare marnoso a Briozoi è un deposito di spiaggia in preda al moto ondoso del mare o di qualche corrente, mentre le ar- gille marnose rappresentano sedimenti formatisi un poco più lon- tano dalla spiaggia in un fondo non molto alto ed ‘a mare tran- quillo. Dagli studii comparativi fatti sulla fauna di queste due formazioni crede poter stabilire, che, mentre ambidue spettano al pliocene antico, le argille marnose bianco turchinicce spettano alla zona superiore di questa formazione (Astiano o pliocene in parte), corrispondente alle sabbie gialle ed argille turchine su- periori del Bolognese e di altre località; il calcare grossolano in- vece forma la porzione superiore della zona inferiore (Messiniano superiore), corrispondente nel Bolognese alle sabbie marnose gial- ii di |’ PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. ‘ 693 | lastre conglutinate, nonchè alle argille più o meno marnose a quelle associate. La geologia terziaria del Bolognese e del Forlivese, come già $ dissi, la troviamo fatta anche dal professore Capellini,' nella sua Memoria sui terreni terziarii d’una parte del versante settentrio- . nale dell’Apennino, che egli divide in cinque piani. Oligocene; Miocene vero, secondo Mayer, comprendente il miocene inferiore o Elveziano e Langhiano e il miocene superiore o Tortoniano; i Strati mio-pliocenici o Messiniano di Mayer (compresi in tre i zone: Messiniano inferiore o Sarmatiano, Messiniano medio o | strati a congeria (pliocene o miocene secondo i diversi autori); i Messiniano superiore, pliocene o Zancleano in parte). Astiano o | pliocene in parte e Sahariano. Non considerando la prima divisione e il Sahariano troviamo . che l’autore distingue col Messiniano inferiore una zona di ar- « gille pseudo-scagliose con gesso, piriti, denti di pesci incrostati Ì di rame, di marne a Cerithium lignitarum e ligniti, di calcari a Lucina pomum, di tripoli e marne talvolta silicee con resti di pesci, filliti, ecc., complesso di depositi che si attribuirebbe a mare profondo. Sopra ad essi si sviluppa la formazione del Mes- siniano medio, a marne con concrezioni di limonite, cristalli di gesso, ordinariamente con fossili d’acqua dolce. Il professor Ca- pellini dai suoi studii avrebbe dedotto che i gessi, sovente in- tercalati colle marne messiniane, ne fanno parte a tal segno che il loro sviluppo e la loro potenza sono inversamente proporzio- nali allo sviluppo delle marne stesse, delle quali, a suo parere, i i gessi non sono che una dipendenza e, ritenendo i gessi nel i complesso degli strati a Comgerie, li ascriverebbe precisamente al Messiniano medio. Aggiunge in seguito che dopo quel periodo, Î notevoli movimenti di abbassamento ricondussero quasi dovun- i quetale profondità d’acqua salsa, che di bel nuovo si depositarono dl “sla Giù li 1 G. CAPELLINI, Sui terreni terziarii di una parte del versante settentrionale del- . V Apennino. — Mem. Acc. Scienze. Serie III, tomo VI, Bologna, 1876. » DA) è Ni 694 C. F. PARONA, marne poco diverse da quelle Tortoniane e Sarmatiane (Messi- niano inferiore), che avevano preceduto la formazione dei gessi. Ove non si costituirono amigdale gessose e senza interruzione si continuarono i depositi marini, le marne servono a collegare di- rettamente le molasse mioceniche coi a marini riferibili alla zona superiore del pliocene. Alla seguente zona della stessa divisione s ascrive dunque delle marne biancastre a foraminiferi, identiche alle marne vaticane, marne con ligniti, sabbie marnose compatte e conglomerati or- dinarii e con ciottoli improntati. Le sabbie ed i conglomerati si alternano e rappresentano depositi littorali, le marne invece de- positi di mare più profondo e forse in parte una zona sub-marina per età poco diversa dalla littorale accennata. Nell’Astiano, o quarta zona, secondo le vedute del professore Capellini, si distinguono tre orizzonti, l’ inferiore e più potente risultante di marne azzurre con Ficula undata e Xenophora te- stigera, ecc., il medio formato da marne azzurre sabbiose con ga- steropodi e cetacei, il superiore (Astiano o pliocene superiore) costituito da sabbie gialle marine. LI La fisonomia che il pliocene presenta dalla Scrivia a Forlì è poco dissimile da quella che, secondo il recente lavoro del pro- fessore Issel," sembra offri il versante ligure. Quivi la forma- zione risulta principalmente di marne, di argille, di limo, cui si associano talvolta sabbia e conglomerati. Le marne nella loro parte superiore in taluni luoghi si fanno sabbiose e cosparse di ciottoli (Genova-Savona), in altri (Albenga) invece passano su- periormente alle sabbie gialle e si convertono nella porzione più superficiale in un conglomerato conchiglifero. I caratteri presen- tati dai sedimenti accennano ad una formazione littorale; a que- sto riguardo però il professore Issel dice che ciò non esclude che le marne di Genova costituiscano un deposito d’ alto fondo. 1 A, Issen, Appunti paleontologici. — I fossili delle marne di Genova, 1877. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 695 * * * La rivista di tutte queste descrizioni basta per dare un’idea dello sviluppo dei terreni pliocenici nelle regioni subapennine considerate. Ora mi si permetta di esprimere il modo con cui interpreterei e crederei di associare molti dei fatti in quelle ap- punto rilevati. Sul finire dell’epoca miocenica grandi fenomeni sismici scon- volsero ancora una volta le potenti formazioni terziarie, che ora formano la catena apenninica, ed allora molto probabilmente si formò la grande spaccatura, che presso a poco corrisponde al- l’asse della valle padana. La inclinazione che prese la serie mio- cenica nel nostro Apennino per questo sollevamento è perfetta- mente opposta a quella che mostra la pliocenica; vale a dire essa è piegata a sud-est, mentre la direzione è anche per essa da nord-est a sud-ovest. Per qualche tempo pare che il movimento ascensionale sia continuato, giacchè le formazioni di quest'epoca offrono prova d’una idrografia particolare, indipendente dall’at- tuale e che accenna ad un certo periodo continentale. Questo fu l’ ultimo fenomeno veramente grandioso del quale fu teatro l’Apennino; poichè dopo di esso si riscontrano soltanto le vestigia di continue oscillazioni, le quali non impedirono che tutte le formazioni plioceniche si depositassero concordanti nei loro piani stratigrafici. Primo effetto di questi movimenti in senso discendente fu la formazione delle argille gessifere, le quali, con- tenendo le amigdali di gesso, colla loro stessa fisonomia di de- positi di maremma, sono opportune per rappresentarci un lido che passa lentamente sotto il dominio del mare. Continuando l'abbassamento, le acque marine si allargarono in queste aree, sulle quali vennero mano mano deponendosi quei sedimenti di marne, conglomerati, sabbie, ecc., che si sostituiscono od alter- nano fra loro, costituendo, in un colle accennate argille gessi- fere, quell’ insieme di stratificazioni, cui applicossi il nome di Messiniano (medio e superiore) al quale si devono riferire le for- mazioni plioceniche dell’ Oltrepò Pavese. 696 C. F. PARONA, | | Dai rapporti che passano fra questi ultimi terreni (marne, î conglomerati, sabbie), quantunque diversi, si può arguire che sieno contemporanei. Infatti comune è la loro fauna e la natura | degli elementi, più o meno sminuzzati, di guisa che le marne e le argille rappresenterebbero quei fini depositi che si formavano nei seni profondi e tranquilli, i conglomerati e le. sabbie, i tri- buti che i torrenti ed i fiumi, nelle varie fasi dalle piene alle | magre, portavano sui delta o negli estuarii. Insieme a questi elementi detritici non di rado i corsi d’acqua avranno travolto delle zattere di tronchi d’alberi divelti dalle foreste plioceniche, le quali, giunte al mare, ne avranno lentamente toccato il fondo su cui completare la loro carbonizzazione e mutarsi in quei pic- coli depositi lignitici, che talora si scoprono nei sedimenti plio- cenici. Mer Era naturale che sui delta che così si innalzavano dovessero formarsi delle lagune, dei bacini lacustri di acqua dolce o salma- stra, quali si producono anche attualmente per la prevalenza ora | dell’ una ora dell’ altra delle forze che concorrono a rendere | così varia la superficie dei delta. In questi ristretti bacini vis- sero appunto quei molluschi (Melanopsis, Neritine), che trovano il loro più propizio ambiente in tali acque; qui ancora crebbero i | vegetali palustri che fossilizzati bene spesso vi si rinvengono. Accurate ricerche istituite sui materiali litologici e sugli avanzi | fossili della fauna e della flora di questi sedimenti credo forni- ì rebbero numerosi argomenti e sicuri con cui rendere facile uno | studio monografico sulla idrografia pliocenica, il quale porte- rebbe senza dubbio non poca luce sulla geologia. continentale dell’ultimo periodo terziario. Superiore in ordine stratigrafico al. Messiniano sono i sedi- menti formatisi nelle maggiori profondità raggiunte dal mare î pliocenico lungo l’Apennino. Essi costituiscono il classico terreno chiamato Piacentino, il quale, secondo il Mayer non ancora ri- ì scontrato nel Tortonese, incomincia ad affiorare nella provincia pavese a S. Colombano, si sviluppa a Castell’ Arquato nel Pia= centino, continua ben manifesto nel Parmigiano, Modenese e Reg- IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 697 i gianoe va adassociarsi nel Bolognese alla zona sottostante. A dichiarare di mare profondo il Piacentino concorre non solo l’ar- e. . na gilla di cui è principalmente composto, ma ancora la sua fauna, la quale ci offre specie di mare piuttosto alto e caratteristici fra tutti i banchi di coralli così sviluppati a S. Colombano. La potenza poi raggiunta dai depositi di questo periodo accennano ad un tempo abbastanza lungo di sospensione nei movimenti oscil- latorii. Tutti i terreni, invece, che si adagiano sul Piacentino con un angolo di inclinazione poco diverso, dimostrano per la natura loro un sollevamento graduato e continuo. Questi costituiscono quella serie non ancora definitivamente determinata, detta Astia- na. Essa è un complesso sabbioso marnoso alla base, che grado grado cambiasi nelle caratteristiche sabbie gialle. Questi sedi- menti così sviluppati nel Bolognese vanno mano mano decrescendo in potenza quanto più si avvicinano all’ Apennino pavese, dove questa formazione si unifica con quella delle argille di S. Co- lombano, la cui parte superiore, più sabbiosa, potrebbe essere loro contemporanea; poi prende una fisonomia caratteristica ed un grande sviluppo nel Tortonese e nell’Astigiano, da cui appunto ebbe il nome. Questa serie di strati sollevati ci rappresentano gli ultimi co- nati di quei fenomeni tellurici, che dovevano alla fine esporre alla libera atmosfera gli attuali continenti. Gli alti fondi e tran- quilli del mare Piacentino avranno lentamente risposto al mo- vimento ed in ultimo si saranno cambiate in libera spiaggia a mare sottile, sottoposto alla influenza dei venti e di quegli altri agenti che danno vita al mare, il quale pel continuo agitarsi avrà fatto la cernita dei materiali, non abbandonando che le arene e le sabbie, fra quei detriti che i torrenti avranno tribu- tato, tenendo in sospensione e trasportando in alto mare le par- ticelle finissime. Le sabbie gialle di cui si tenne ora parola non sono però da confondersi colle sabbie gialle del primo periodo glaciale, delle quali in addietro si parlò a lungo. Fra di esse v’ ha differenza 698 C. F. PARONA, non solo d’ età, giacchè la fauna pliocenica delle prime ci ri- manda ad un’ epoca più antica di quella in cui si deposero le È seconde, le quali offrono talora le vestigia di influenze glaciali; ma ancora di origine essendo le une marine, riccamente fossili- fere ed a stratigrafia spostata, concordante coi sottoposti: piani pliocenici, mentre le altre sono evidentamente alluvioni fluviali o d’estuario, totalmente o quasi prive di fossili ed in posizione pressocchè orizzontale. Colle formazioni dell’ Astiano si chiude la serie delle sedimentazioni del pliocene classico. Le distinzioni che si vollero stabilire in esso basano princi- palmente sulla stratigrafia e sulla litologia, piuttosto che sulla diversità della fauna. Infatti, durante quest’epoca, sulla plaga da noi considerata, predominarono generalmente, in quasi tutti i periodi, quei molluschi che soglionsi rinvenire nei depositi for- mati a non grande profondità, quali sono i Gasteropodi e i La- mellibranchi. Nel Piacentino, è vero, troviamo dei coralli ed al- tri generi, i quali accennano ad una profondità maggiore, di quella in cui si sogliono vivere i molluschi suaccennati, ma tale però da potersi ancora considerare appartenente alla littorale. Nella specie tuttavia si osserva un graduale avvicinarsi alla fauna attuale, cosicchè dal principio del terziario superiore alla fine va mano mano diminuendo il numero di quelle specie che finora non furono riscontrate viventi nei nostri mari attuali e di quelle che più non vivono nelle acque europee, essendosi ritirate nei mari tropicali. Credo opportuno far seguire un quadro comparativo delle for- mazioni plioceniche che ammantano le falde settentrionali del- I’ Apennino, dal quale spero le relazioni ed il succedersi delle formazioni appariranno con chiarezza sufficiente. *tioniodns QurIRWI OTTeIS eIqqes ‘1998399 IP _19S9I UO QIINZZE OsoTqqes QUIE]I “199 -8399 IP I]S0I UO 0S0Iqqes QuIgI etle muessed oulgoIny 91]ISIy 699 l'—mr____—__—————_m_—Ò«..._-.- *‘ajuopaoasd ourid Jou osaIdwion) *1)equo1dwIt 1]07p0T9 09 9 INIBUIPIO T7e19UIO] SUO") ‘22.4970% -2879,7 9 2]UOLIIOWNT UO 9SSE]OUI ‘oneduoo aesourmei otqqeg ‘0uzb -29824dUwY 2 QL0d27)nU è FIROTEn ‘2uo09buo7709) CH pe niusi] u09 QuIBHÒ ‘a00/2uumi0OS a 1podod -93d U09 2181 0 01JSCOUCIQ QUIET *2970p enboe.p opuoweriem pio ITISso] ‘0Ss0$ IP IT[eqsiIo ‘TIE]OwI TO]9S ‘OQlUOWII] Ip TUOIZAI9UOI ® QUIET “Tiqsnjed 0 1I7S0119) Q7vuertd Tp oquoIsduit UO9 9YE]EIIQFUT ASSET -0U1 @ QUIBWI ‘DPNVILSSDII 8029 -27 U09 219}ITos-0s0ssa$ *ZeurIo IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 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AS0UTWIM]I ATTISIY pe mues -sed‘osounmamrqfo]ousoI -INZze QUIgUI 9 Q]]ISIV QSO0AUI ‘ouTItWI ‘aTpers oIq -Qes 0 QJINZZ® QUIE] divo, ed o ‘te: a oe. 0 co *QTIQRIIBA eJossads ‘o9rusi] 1p TY9 -Ueg ‘o1Jse[[RiS QUIBwI o elqqes ip eQuorzisod -Iogut uo9 ‘ezuozod Tp 11})O0UL 07099 IP BIO]EY Tesowo]suoo è oleryy *@IIBUIpI1io eoTuU -2901]d eune,j ‘odInzze QUIC]) ‘013SE[[eiS ‘o0ae9 -1eo-esorgqus oTrS1y ‘0y [OTP®NW -2ISI] QUICK ‘19119 119 “]e”n ‘esossos ‘ZE ULIO *‘ezuood e90q ‘90I]d “IVI eune.] ‘UTUDIIQ QUIEY ‘tjuowto]o TUY è osseTON *QYE]E919pUT et ou | 9T0II -Tey ‘040d277nN ezuos | 79FUI o uoo oysurppnd ‘949S -2ITRIS oso1qqes QUIEH 0s0U0710] p_aj0/U2901]/d Juolzewdo) a]jap 04g4eduoa QYUAYNÒ OUtIISY RGUERIARI OUVIUISSOR IUUIA OSSERVAZIONI PALEONTOLOGICHE. Quanto ho detto finora servì a definire stratigraficamente la zona del nostro terreno pliocenico; ma per quanto mi sembrino persuasivi gli argomenti addotti in proposito, ad essi tuttavia non si pre- sterebbe forse piena fede, qualora non venissero avvalorati dalle ricerche paleontologiche. Dagli studii istituiti a questo scopo ebbi la compiacenza d’ottenere risultati corrispondenti in tutto a quelli dedotti coll’analisi stratigrafica. I principali depositi fossiliferi finora scoperti sono pochi in nu- mero e non troppo ricchi, nè estesi. Nella zona dei conglomerati se ne riscontrano due in cui i fossili sono piuttosto abbondanti: uno' affiora ad est del monte Brizzone (sud-est di Volpedo), formandone le pendici, lungo la sponda sinistra del torrente Brizzone, che confluisce più sotto col Limbione. Quivi, come ho già detto, la roccia è data da un'alternanza di conglome- rati grossolani e di sabbie più o meno fine ed argillose, e gli strati che ne derivano sono sollevati alla verticale e quasi al- cun poco rovesciati. La minore erodibilità dei banchi a con- glomerati fa sì che in taluni siti questi sporgano, lasciando tra loro un vano corrispondente agli strati sabbiosi, nei quali colano le acque. In questi strati si può studiare la struttura di tali sedimenti; la disposizione più o meno naturale in cui si tro- vano i fossili, rispettivamente allo spostamento del mezzo da cui sono conservati; lo stato di conservazione delle conchiglie, per- fette, erose o in frammenti; e si può formar un’idea della vita che dovevano condurre i molluschi in quei delta, dove bene spesso erano sorpresi da potenti dejezioni, dalle quali venivano sepolti e conservati in posto, oppure trasportati altrove e mal ridotti. Però se vogliamo renderci ragione di alcuni banchi di conchiglie tutte d’una sola specie, dobbiamo ritenere che una tale instabi- lità di fondo non si verificasse dovunque, ma che invece in ta- IL PLIOCENE DELL’ OLTREPÒ PAVESE. 701 È toni punti qualche accidentalità del fondo permettesse a certe | specie sociali di accumularsi una generazione sulle spoglie della | trapassata. Precisamente al monte Brizzone, in un punto dove \ il deposito si fa sabbioso, s’ innalza parallelo agli strati un | banco di Pectunculus insubricus, quella specie stessa che costi- stuisce un’ identica colonia affiorante, per la compattezza mag- i giore, dal suolo a Croce Cabanone a sud-ovest di Godiasco tra il Rio Cagnarello e la valletta sboccante a monte Alfeo. L'altra importante località fossilifera dei conglomerati la si trova salendo dalla borgata di Codevilla lungo il letto del tor- i rente Brignolo e piegando poi nel suo ramo di destra. —. In esso, poco prima di arrivare al banco di gesso, che quivi pure affiora, si incontrano sotto il monte Marsellino quegli stessi | strati di conglomerati, che, dipartendosi dalla sommità di Mon- i dondone e dai colli circostanti, vengono quivi a nascondersi sotto i i sedimenti superiori con un forte angolo di inclinazione. La i raccolta di fossili, che vi si può fare, non corrisponde certo al- l'abbondanza del deposito, e ciò in causa della disposizione delle ripe del Rio, scendenti verticali, per modo che difficilmente s’ar- riva a staccare i fossili affioranti degli strati superiori, e grazie ‘ancora all’incoerenza della roccia, dalla quale è continuo lo stac- carsi dei ciottoli, cke rotolano al fondo non certo ad incoraggia- mento dei raccoglitori. I conglomerati anche altrove si presentano fossiliferi, come alla | località detta Fonte di Recoaro presso Broni, in cui sì rinven- gono delle Ostree; a Tronconero, poco lungi dal colle di Pegaz- i zera, dove raccolsi qualche Anomia, delle piccole Ostree e dei | frammenti di Litofagi, e presso Torrazza-Coste al sito detto i gli Orridi nel versante d’Est del Monte Morsellino. Ai conglomerati vedemmo doversi ascrivere quell’ arenaria, che si estende molto probabilmente da Casteggio (California) a Broni. Alle sue singolarità litologiche, che la rendono così distin- i ta, sono da aggiungersi le paleontologiche. In essa i resti dei i molluschi accennano ad una vita più abbondante e più vigorosa, per cui gli esseri raggiunsero un grado di sviluppo, quale non si 702 Cit PARONA MAO |) osserva in quelli degli altri depositi. Questo fatto è spiegabile | coll’abbondanza dei sali, che dovevano essere disciolti nelle acque | melmose in cui si formò tale deposito, coll’abbondanza dei vege- | tali, come alimenti dei molluschi fitofagi, i quali alla loro volta fornivano una abbondante preda ai zoofagi. È degno di nota anche la singolare abbondanza del Solen vagina e dell’ Ensis Rollei, che nella loro posizione naturale si osservano associati agli altri molluschi. Ad onta dell'abbondanza dei fossili, sono pochi quelli Wa si possono estrarre in istato determinabile, per la notevole compat- tezza dell’arenaria; quando però per avventura spaccandosi la roccia si stacca la conchiglia intatta, essa si presenta con un grado di conservazione sorprendente, sicchè talune, come la Mac- tra stultorum, sembrano conchiglie raccolte sulle spiaggie dei no- stri mari.’ Passiamo ora al piano superiore delle marne sabbiose. Qui i fossili sono più abbondanti e sparsi in diverse località, delle quali le più importanti sono la Cascinella di Volpedo, la cassina Bot- tirolo di Mairano e la cassina Mirandola, posta sotto la collina di Pegazzera. Il maggior numero di fossili si raccolse alla Cascinella di Vol- pedo. Questa frazione giace sulla collina che sovrasta al torrente Limbione che ad est isola il monte Brizzone. Le località fossili- fere sono due: una si trova immediatamente sotto alla Cascinella, dove il torrentello erodendo le sponde mette a nudo gli strati costituiti da marne sabbiose piuttosto fine e da banchi argillosi, ' Per questa ragione mi sarebbe riuscito assai difficile il raccogliere un discreto materiale pel mio Catalogo, senza l’ajuto del signor avvocato cavalier C. Giulietti, il quale, con gentilezza ben nota a tutti i cultori delle cose naturali delle nostre col- line, donò a questo Museo geologico una raccolta di conchiglie che egli raccolse alla Casa California. Ed io son ben lieto che qui mi si presenti l'occasione di rendere sentiti | ringraziamenti all’ egregio avvocato per le molte gentilezze che egli ebbe la bontà i | di usarmi, Con questi sentimenti mi torna gradito rivolgermi anche ai professori T. Taramelli ed A. Sartorio per la loro cooperazione all’ aumento della mia raccolta, ed all'amico mio carissimo Luigi Oliva, per mezzo del quale potei avere molti fossili delle località di Volpedo. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 703 | che si vedono adagiarsi sui conglomerati del monte Brizzone e i mano mano farsi più orizzontali discendendo alla pianura. Il se- : condo deposito lo troviamo in un altissimo burrone, che dal mar- gine della via, che conduce dal più volte ripetuto monte a Ri- vanazzano, si sprofonda con pareti verticali sino al letto del tor- rente Brizzone quasi di fronte al giacimento suddescritto. La roccia quivi è pura marna sabbiosa ed in essa tratto tratto si vedono disposti straterelli di bianchi fossili, che fanno risalto sull’uniforme colore giallastro della marna. In ambedue questi siti sono conservatissime anche le specie più fragili e vi hanno un certo predominio le bivalvi e singolarmente le piccole Ostree, | i piccoli Pecten opercularis e le Anomie. Alla cassina Bottirolo, invece, i fossili si trovano alla superficie del terreno, specialmente quando, nell'autunno, viene dissodato dall’aratro e meglio ancora alla primavera allorchè, per le nuove piantagioni delle viti, si scavano dei fossati raggiungendo il suolo vergine, in cui si incontrano appunto dei veri banchi di conchiglie, che dai contadini, con epiteto singolarissimo, sono dette orecchie di pesce. Tale condizione di cose si riscontra in tutto quel tratto di colline che si allarga dalla cassina Bottirolo a Pegazzera ed alla frazione Mirandola. Fra i fossili abbondano i piccoli gasteropodi e scarseggiano le bivalvi; di più si nota in generale uno sviluppo piuttosto meschino nella conchiglia, che però si presenta in buon stato di conservazione, e il predominio sugli altri molluschi del- l'Arca diluvi, i cui resti si incontrano ad ogni passo. * * * Prima di passare alla enumerazione delle specie mi si per- metta di fare qualche considerazione sui risultati offertimi dagli uniti specchietti tratti dal quadro comparativo che chiude il Ca- talogo. In tali risultati e confronti trovo diversi fatti che mi confor- tano nell’opinione espressa a riguardo del piano a cui ritengo debba riferirsi il pliocene dell’Oltrepò pavese, e sono: 704°, i C. F. PARONA, i 1.° La predominanza delle specie comuni al pliocene ed al — miocene e la considerevole analogia colla fauna del Bacino di | Vienna, precisamente colla formazione sarmatica (sarmatiche Stufe), che ricopre la formazione detta Mediterranea e che com- prende il calcare del Leitha.' 2.° Il numero delle specie viventi minore di quello delle specie non conosciute come tali. Infatti ne abbiamo 65 delle prime ed 83 delle seconde, le quali, calcolate per cento, danno 43 per le viventi e 56 per le altre. Questi risultati acquistano poi mag- gior valore quando si considera la loro analogia con quelli ot- tenuti dal professor Issel, nei suoi studii sulla fauna delle marne del pliocene antico genovese, in cui trovò il 30 per cento di specie tuttora viventi e la perfetta corrispondenza col numero delle viventi (43 °/0), che risultò al dottor Foresti dai suoi cal- coli sulla fauna della formazione di Castrocaro, che, se ho ben compreso, si distende sull’orizzonte gessifero come si verifica pei nostri depositi. Se nel mio prospetto sul pliocene non avessi distinto anche il piano Piacentino, non mi occorrerebbe spendere ulteriori parole per provare che i conglomerati e le marne sabbiose dell’ Apen- nino pavese spettano al Messiniano superiore. Ma avendo stimato necessario il distinguerlo sono ora in obbligo di prevenire l’ob- biezione, che per avventura mi si potrebbe fare, se cioè, tutto quanto io ascrivo al Messimiano superiore, non spetti invece al Piacentino. Per verità chi considera lo specchietto di confronto tra la fauna pavese e quella del Piacentino e Parmigiano deve restar colpito della poca analogia della prima con quella degli strati di Tabiano e della molta che corre invece con quella di Castell’ Arquato. Questa diversa relazione trova la sua spiegazione nel fatto che il numero delle specie raccolte nel piano di Ta- biano è poco rilevante in confronto a quello stragrande dei fos- sili del Piacentino, e però qual meraviglia se in una raccolta così numerosa si trovano rappresentate molte specie d’ una piccola raccolta di un piano diverso, ma della stessa epoca? 1 HAUER, Geologie der Oesterr=Ungar. Monarchie, pag. 665, 1875. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 705 i Misi potrebbe opporre che in simil modo si giungerebbe a | spiegare anche l’analogia colla fauna del Bacino di Vienna; ma | io rispondo che questo fatto acquista un valore ben diverso, per- . chè la proporzione, oltre essere maggiore, è anche stabilita con una fauna di uno dei piani più bassi di un’epoca precedente. A | questo proposito è proprio da lamentare che il professore Cocconi ‘non abbia corredato il suo lavoro con quadri, su cui il lettore avrebbe potuto fare delle comparazioni ed avere un’idea chiara del complesso della fauna, in un modo più facile e più sicuro di quello che s’ottenga consultando le singole descrizioni. A quegli che vorrebbe poi dividere le marne sabbiose dal Mes- siniano per ascriverle al Piacentino, ripeterei i fatti stratigrafici già accennati, che mi persuadono del contrario; di più farei os- servare come le piccole diversità, fra le faune delle due forma- zioni pavesi, non è carattere distintivo sufficiente, ma piuttosto da attribuirsi alla diversa natura dei sedimenti marnosi deposti in un mare un po diverso da quello in cui lo furono i conglo- merati. Richiamerei inoltre l’attenzione sullo specchietto, dove sono rappresentate le relazioni fra la fauna di ciascuna formazione con quella del Piacentino e Parmigiano, in cui si vede che i rapporti non variano in modo sensibile passando dai conglome- rati alle marne, il che concorre a provare che si tratta di un piano solo e non di due. Nelle marne sabbiose poi s’osserva una proporzione lievemente maggiore di specie viventi, il che io credo si deve attribuire al lento e misurato modificarsi della fauna durante il tempo in cui si formarono quei depositi, i quali segnano il naturale passag- gio dal pliocene inferiore al piano piacentino. Una prova più caratteristica ancora per escludere l'associazione al Piacentino, i è la differenza che si riscontra tra la fauna dell’Oltrepò e quella di $. Colombano, * nella quale troviamo la Cladocora granulosa 4 Nel Museo. geologico dell’ Università Ticinese si conserva una ricca ed interes- sante raccolta di fossili pliocenici dei colli di S. Colombano, che fu studiata dal dott. Sartorio Achille. ° Vol. XXI. 45 706 C. F. PARONA, Goldf., Arca Noae L. e A., barbata L., il Turbo rugosus Li, il Clanculus corallinus Gmel., la Fissurella italica Defr., il Pecten — varius L., la Nucula nucleus L., Leda fragilis Chemn., Cardium aculeatum L., C. papillosum Poli, C. edule L., Saricava arctica L., il Capulus ungaricus L.. la Terebratula ampulla Lamk., il Mytilus gallo-provincialis Lmk., ed altre specie, delle quali non si riscon- trano vestigia nel depositi fossiliferi dove io rinvenni i materiali della mia raccolta, sebbene la natura dei sedimenti, in taluni siti specialmente, non sia poi così diversa da rendere impossibile la vita alle suaccennate specie. * * * Premesse queste non inutili considerazioni vengo all’ elenco delle specie. In esso ho seguito, per l’ordinamento dei generi, la pregiatissima classificazione esposta dal Woodward nel suo Manual of the Mollusca: per ciascuna specie ho citato l’autore che dà la figura meglio corrispondente al mio esemplare ed in seguito ho ricordato i più importanti lavori sulla fauna del. ver- sante settentrionale dello Apennino, in cui è rappresentata la stessa specie. Sebbene al mio scopo bastasse l’avere semplice- mente la determinazione sicura delle specie, pure non trascurai di notare le varietà e le differenze rimarcate negli individui. Non stimai necessario il dire per ciascuna specie la frequenza o rarità, perchè osservazione di poco momento,. dipendente in gran parte dalle più o meno minute e numerose ricerche del raccoglitore e non suscettibile quindi di seri confronti; non trascurai tuttavia di citare le specie predominanti. Per ultimo faccio seguire un quadro comparativo, nella com- pilazione del quale presi a modello quello stesso che correda le preziose Memorie sui molluschi pliocenici bolognesi del chiaris- simo dottor L. Foresti, il quale acquistò un altro titolo alla mia riconoscenza perchè fu con me liberale del suo competente ‘giudizio sopra un certo numero di fossili, che io non era in grado di determinare per mancanza di materiali di confronto e di alcune opere malacologiche. x IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE, 707 GASTEROPODI LAMELLIBRANCHI % 56 face Pere rei aa n | ss 150 specie di molluschi, delle quali: 36 58 56 sono esclusive ai comuni alle due esclusive alle marne conglomerati formazioni “ut | | 9% AA4 quindi sono quelle che si quelle delle marne riscontrano nei conglomerati 3 sabbiose Sopra 450 specie fossili 84 sono di quelle non ancora riscontrate viventi (56 %0) — 66 sono viventi (44 9/0) — in queste ultime vi hanno: 58 34 25 specie del Mediterraneo dell’ Atlantico dei mari Britannici 6 dei mari del Nord dei mari tropicali Nelle 66 specie viventi si potrebbe stabilire anche quest’altra distinzione: Nelle viventi del Mediterraneo si distinguono poi: 20 16 15 esclusive proprie comuni al del Mediterraneo del Mediterraneo Mediterraneo-Atlantico e dell’ Atlantico e mari Britannici 3 comuni al Mediterraneo-Atlantico, mari Britannici e del Nord 9 A A comuni comune comune al Mediterraneo, al Mediterraneo-Atlantico, al Mediterraneo-Atlantico, mari mari e Mar Rosso Britannici e del Nord Britannici e Mar Rosso Nelle % specie dei conglomerati, 39 sono le viventi (44 0/), 55 le spente (59 9%) Nelle 4114 delle marne sabbiose, 52 sono viventi (45 %/), 62 le SO n et do a e (54 9/0) Relazioni fra la Fauna dell’ Oltrepò Pavese ed altre Faune IG GGNIOE, (gle 0A | oltre a 302 specie esclusive del pliocene e 10? esclusive del miocene, ve ne sono 446 comuni col miocene, delle quali: 89 7A 52 DIA sono rappresentate nei terreni nel miocene in quelle del nel Bacino di Vienna miocenici del Piemonte del Modenese Parm.° e Piac.° 3 59 4 esclusive dei mari Britannici viventi nel Mediterraneo esclusive dei mari tropicali Relazioni col pliocene del Piacentino e del Parmigiano. Le 4150 specie del Pliocene Pavese hanno: 55 MIL 99 rappresentanti negli strati di Tabiano nel Piano Piacentino nell’ Astiano Le 9% specie dei conglomerati ne hanno poi alla loro volta: 2 65 60 negli Strati dî Tabiano nel Piano Piacentino nell’ Astiano e le 114 specie delle marne sabbiose ne hanno: 4 9 82 negli Strati dî Tabiano nel Piacentino nell’ Astiano hLm@@@ccGGlililiiiiiice in trent LIE cir BERT artt 708 VOLPI PARONA MONT n MOLLUSCHI GA STEROPODI. DEIR STROMBUS Linné. LL RATA doratitue Defr. Hornes, Die Foss. Moll. des Tert. Beck. von Wien. Tom. II, pag. 187, | tav. 17, fig. 1. i Foresti, Catologo dei molluschi fossili pliocenici delle colline bolognesi. — Memor. dell’Accad. delle scienze di Bologna, 1868. di Cocconi, Enumerazione sistematica dei molluschi miocenici e pliocenici dere È provincie .di Parma e di Piacenza. — Mem. dell’ Accad. delle scienze di | Bologna. Serie III, tom; III, 1873. & (9 Specie non conosciuta vivente, affine allo Str. bubonius Lamk., vivente nell’ Oceano Indiano. iSiecoGaltti TAg ct io 00 î Trovasi fossile nei conglomerati di Codevilla al torrente Bri: ; gnolo ed in quelli degli orridì di Torrazza-Coste; nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella, dove trovansi individui di | tutte le età, e di Mairano, alla cascina Bottirolo. Genere MUREX Linné. 2. Murex brandaris Linn. MicneLoTTI, Monografia del genere Murex, pag. 14, tav. III, fig. 8. i D’ Ancona, Malacologia pliocenica italiana. — Mem. del Comitato geologico 1 d’Italia, 1871, fasc. I, pag. 19, tav. 2. fig. 1, 2, 7 (pseudo- renano | Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 12. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 25. i 4 Foresti, Cenni geologici e paleontologici sul pliocene antico di Castrocaro | 1876. — Mem. Acc. scien. Bologna, serie III, tom.:.VI, pag. 11. Questa specie vive nel Mediterraneo, nell'Atlantico e sulle co- | ste dell’Africa occidentale sino al Senegal. Trovasi fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone, | degli orridi di Torrazza-Coste e di Casteggio, nell’arenaria com- | patta con scagliette di gesso della California. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 709 R Mure 1) 8. Murex truncatulus Foresti. Foresm, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 13, tav. 1, fig. 12. D'Ancona, Malacologia pliocenica italiana, fasc. I, pag. 34, tav. 5, fig. 5 (a-d). BeLrarpi, I molluschi dei terreni terziari del Piemonte. — Mem. R. Acc. .__ di Torino, serie II, tom. XXVII, pag. 121. : Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 32. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Codevilla, al torrente Brignolo e di | Volpedo, al monte Brizzone. Si conservano individui giovani ed \ adulti. 4. Murex spinicosta Bronn. Horwnes, Die Foss. Moll. des Tert. Beck. von Wien. Tom. III, pag. 259, tav. 26, fig. 6,8. D’Ancona, Malacol. plioc. italiana, fasc. I, pag. 18, tav. 12, fig. 5 (a-b). BeLLarpI, I molluschi dei terr. terz. del Piemonte, pag. 74, N. 1. ‘Foresti; Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 15. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 25. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella. 5. Murex multicostatus Pecch. Prccniori, Descriz. d’alcuni nuovi fossili delle argille subapennine toscane. — Atti della Soc. ital. di Scienze naturali, vol. VI, fasc. IV, pag. 501, tav. 5, fig. 28, 29. i D’ Ancona, Malac. plioc. ital., fasc. I, pag. 36, tav. 4. fig. 7 (a-b), tav. 7, fig. 1 (a-b). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 33. BeLLARDI, I moll. dei terr. terz. del Piemonte, pag. 114. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 58. ot Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 12. i. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Pegazzera, alla cassina Mi- i randola. a a ui Di, 710 C. F. PARONA, Un unico esemplare conservatissimo, corrisponde assai bene alla forma figurata dal D'Ancona, alla tav. 7°, fig. 1, la quale, secondo il Bellardi, rappresenterebbe una specie diversa, per la fîi- | gura quasi circolare della bocca, per il canale chiuso e per la dif- ferente natura degli ornamenti superficiali, da quella descritta e fisurata dal Pecchioli. Secondo il mio modo di vedere non cre-. derei opportuno di farne una specie distinta, non vedendo, nei caratteri differenziali stabiliti dal Bellardi, argomenti sufficienti; propenderei piuttosto a farne una varietà ben caratterizzata. 6. Murex polymorphus Brocc. Broccn, Conchiologia fossile subapennina, tom, II, pag. 206, tav. 8, fig. 4. | D'Ancona, Malacol. plioc. italiana, fasc. I, pag. 48, tav. 7, fig. 7,9. BeLLarDI, MoWluschi dei terr. terz. del Piemonte, pag. 136. Foresti, Moll. phoc., Bolognesi, 1868, pag. 20. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 36. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone. L’ e- | semplare quivi trovato corrisponde alla varietà A, stabilita dal | Bellardi sui caratteri: Anfractus ultimus ventricosior — Varices i numerosiores: trovasi anche nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella. | 7. Murex Dertonensis May. BeLLARDI, Moll. dei terr. terz. del Piemonte, pag. 137, tav. VII, fig. 12 | (a-b). Secuenza, Studi stratigr. sulla formazione pliocenica dell’ Italia meridio- nale. — Bollettino, Comitato geologico, N. 11, 12, pag. 340, 1875. Questa specie, non conosciuta vivente, fu trovata nel miocene | superiore a Stazzano, di Sant’ Agata nel Tortonese, e nel pliocene | di Altavilla di Sicilia; nell’Oltrepò pavese fu raccolto nei com-. glomerati di Codevilla, al torrente Brignolo. | IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 711 8. Murex conglobatus Mich. Brocca, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 178 (M. pomum). MricarrortI, Monograf. del genere Murex, pag. 16. tav. IV, fig. 7. D'Ancona, Malacol. plioc. italiana, fasc. I, pag. 335, tav. 4, fig. 1, tav. 5, fig. 1. BeLLArDI, I molluschi dei terr. terz. del Piemonte, pag. 119. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 31, tav. I, fig, 1. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Codevilla, al torrente Brignolo. Gli esemplari quivi rinvenuti sembrano corrispondere assai agli individui descritti dal Michelotti, per le dimensioni, per la for- ma rigonfia, coda breve, molto contorta e ripiegata all’indietro, ombelico larghissimo e molto profondo, imbutiforme. Trovasi an- che nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone, e degli or- ridi di Torrazza-Coste. Genere RANELLA Lamarck. 9. Ranella marginata Mart. Broccni, Conch. foss. subapenn., tom. II, pag. 109, tav. IV, fig. 13 (Buc- cinum marginatum Mart.). Hornes, Die Foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 214, tav. 21. fig. 7, 11 Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 25. D’ Ancona; Malacol. plioc. italiana, fasc. II, pag. 58, tav. 8, fig. 3 (a-b) e 4 (a-b) (E. laevigata). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 74. BeLrarpI, I moll. dei terr. terz. del Piemonte, pag. 273. Secondo Matheron ed altri questa specie vive ancora sulla co- sta africana dell’ Atlantico (Hornes); da altri è ritenuta estinta. Fossile nei conglomerati degli orridi di Torrazza-Coste e di Co- devilla, al torrente Brignolo. Alcuni degli esemplari quivi trovati corrispondono alla varietà A del Bellardi, caratterizzata da una testa più ventricosa e più breve, da una spira brevissima, da man- 712 GHFi' PARONAZA sot. 004, 0 canza di nodi negli adulti, ecc.; trovasi anche nelle marne sab-. biose di Volpedo alla Cascinella. L’esemplare quivi rinvenuto cor- | risponde assai bene alla fig. 17 della tav. IV del Brocchi, che ci rappresenta un individuo giovane, alla quale riferendosi, il Bronn i stabilì una specie nuova sotto il nome di R. Brocchi. Genere FASCIOLARIA Lamarck. 10. Fasciolaria fimbriata Brocc. Brocca, Conchiol. foss. subapenn. tom. IL pag. 211, tav. 8, fig. 8. (Murex — fimbriatus). Horxnes, Die Foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 299, | tav. 33. fig. 5, 7. D'Ancona, Malac. plioc. italiana, fase. II, fig. 8 (a-b), tav. 11. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 27. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 92. n Questa specie non è conosciuta vivente. PR al Fossile, trovasi nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Casci- | nella. Gli esemplari corrispondono perfettamente alle figure del- | l’ Hérnes, poco a quelle del Brocchi; questo fatto fu osservato già — dal dottor Foresti. Genere CANCELLARIA. Lamarck. 11. Cancellaria varicosa Brocc. Brocca, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 84, tav. 3, fig. 8 (Vo- | luta). i i BeLLarDI, Descript. des Cancell. foss. des terr. tert. du Piemont, pag. 251, — tav. 3, fig. 5, 6. Mem. Acc. di Torino, tom. III, ser. 2. j Horwes, Die Foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tav. 34, fig. 6 (a-b), | tom. III i Foresti, Moll. phoc., Bolognesi, 1868, pag. 28. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 166. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Volpedo, alla Cascinella e di Co- devilla, al torrente Brignolo. » IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. ViT3 12. Cancellaria uniangulata Desh. BeLLarDI, Descript. des Cancell. foss. des terr. tert. du Piemont, pag. 17, tav. II, fig. 19, 20. Horwnes, Die Foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III pag. 306, tav. 34, fig. 2. D’ Ancona, Malacol. plioc. ital., pag. 217, tav. 13,|fig. 2, 3. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 28. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 169. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Mairano, alla cassina Bottirolo. 13. Cancellaria cancellata Linn. BeLLARDI, Descript. des Cancell. foss. des terr. tert. du Piemont, pag. 27, tav. III, fis. 5, 6, 13, 14, 17, 20. D'Ancona, Malac. plioc. italiana, pag. 233, tav. II, fig. 13 (a-b), 14 (a-b). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, pag. 29, 1868. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 165. Questa specie vive sulla costa africana del Mediterraneo e dell'Atlantico, dall’Algeria alla Guinea. Fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone, di Co- devilla al torrente Brignolo e degli orridi di Torrazza-Coste. Gli esemplari rinvenuti finora sono di individui giovani. 14. Cancellaria Bonellii Bell. BerLArDI, Descript. des Cancell. foss. des terr. Tert. du Piemont, pag. 24, tav. III, fig. 3, 4. Horwes, Die Foss moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 315, tav. 34, fig. 19. D'Ancona, Malacol. plioc. italiana, fasc., IL, pag. 231, tav. 13, fig. 4 (a-b). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, pag. 30, 1868. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 165. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 16. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati del Torr. Brignolo presso Codevilla e 714 C. F. PARONA, nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo e della C. Bot- | tirolo di Mairano. Gli esemplari si avvicinano nell’aspetto alla | varietà Dertonensis, figurata dal Bellardi, perchè nella parte su- periore degli anfratti sono piuttosto rotondeggianti; noto però i che questa particolarità non è tale da associarla alla C. serrata. | 15. Cancellaria hirta Brocc. Brocca, Conch. foss. subapenn., tom. II, pag. 215, tav. 4, fig. 1 (a-b) (Vo- luta). BeLLarDI, Descript. des Cancell. foss. des terr. tert. du Piemont, pag. 19, i tav. II, fig. 1, 2 (nodulosa). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 29 (nodulosa). D'Ancona, Malac. plioc. italiana, fasc. II, pag. 221, tav. 12, fig. 10 (a-b-c). — Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 167. Specie vivente nei mari delle Indie. Fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone; esem- plari somiglianti alla varietà major-del Bellardi, e di Codevilla, al torrente Brignolo. 16. Cancellaria Brocchii Crosse. Brocca, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 80, tav. III, fig. 12 (Vo- | luta piscatoria). BerLarDI, Descript. des Cancell. foss. des terr. tert. du Piemont, pag. 19, tav. II, fig. 9, 10, 11, 12, 18, 14 (nodulosa, non Lamk.). “D'Ancona, Malac. plioc. italiana, pag. 222, tav. 13, fig. 16, 17, fase. IL Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 168. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella. La conchiglia che conservo è di individuo giovane; noto però che in essa non riscontro la differenza che il D'Ancona trova fra gli individui adulti ed i giovani, che cioè la porzione superiore de- gli anfratti invece di essere piana sia declive. IL PLIOCENE DELL’ OLTREPÒ PAVESE. 715 Genere EUTHRIA Gray. 17. Euthria cornea Linn. Hosnes, Die Foss. Moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III tav. 31, fig. (a-b), pag. 280 (Fusus corneus). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 34 (Fusus lignarius). D’Ancona, Malac. plioc. italiana, fasc. II, pag. 137, tav. 14, fig. 13 (a-b), 14 (a-b) (Fusus lignarius). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 42 (Fusus corneus) BerrarpI, Moll. dei terr. terz. del Piemonte, pag. 220. Vive nel Mediterraneo e nell’Atlantico. Fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone e nel- l’arenaria compatta con scagliette di gesso della California di Casteggio. 18. Euthria Puschii Andr. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 282, tav. 31, fig. 6 (a-b) (Fusus). BeLLarDI, MoMluschi dei terr. terziari del Piemonte, pag. 226. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Codevilla, al torrente Brignolo. L’ unico esemplare corrisponde assai ai disegni dell’ Hòrnes. Genere FUSUS Lamarck. 19. Fusus rostratus Oliv. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 208, tav. 8, fig. 1. BerrarpI e MicaeLoTTI, Saggio orittologico, pag. 12, tav. 1, fig. 15 (Fusus cinctus). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, III Band. tav. 32, fig. 1. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, pag. 32, 1868. D'Ancona, Malacol. plioc. italiana, fasc. IL, pag. 126 tav. 14, fig. 1 (a-0), tav. 15, fig. 6, 7, 8 (a-b) (Fusus cinctus). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 44. BeLLarDI, Moll. dei terr. terz. del Piemonte, pag. 159. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 17. 716 | C. F. PARONA, Vivente nel Mediterraneo e nell’ Atlantico alle Canarie. Fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone. Un esemplare quivi trovato corrisponde perfettamente al F. cinctus, figurato dal D'Ancona, che io ritengo una varietà del F. rostra- tus, piuttosto che una specie distinta. Genere METULA Adams. 20. Metula mitraeformis Brocc. Brocca, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 945, tav. 8, fig. 20, (Murex). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 288, tav. 31, fig. 7 (Fusus). FORESTI, Moll. phoc., Bolognesi, 1868, pag. 34 (Fusus). D’ Ancona, Malac. plioc. italiana, fasc. II, pag. 254, tav. 14, fig. 12 (Pusus). Cocconi, Moll. mioc. plioc., Parma e Piacenza, pag. 43 (Fusus). BeLLarDI, Moll. dei terr. terz. del Piemonte, pag. 193. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella e di Pegazzera alla cassina Mirandola. Genere TEREBRA Lamarck. 21. Terebra fuscata Brocc. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 198, tav. II, fig, 15, 18, 26. Foresti, MoWluschi foss. plioc., Bolognesi, pag. 37. Cocconi, Moll. mioc. plioc., Parma e Piacenza, pag. 129. Vivente al Senegal e nell'Oceano Indiano. Fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone (ab- bondantissima), di Codevilla, al torrente Brignolo, e in quelli de- gli orridi di Torrazza-Coste. Nelle marne sabbiose trovasi alla Cascinella di Volpedo. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. © 717 22. Terebra Basterotii Nyst. Horwes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 132, tav. 11, fig. 27, 28. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, pag. 38, 1868. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 131. Specie non conosciuta vivente, prossima alla 7. duplicata Lamk. | i Fossile nei conglomerati di Codevilla, al torrente Brignolo e di Volpedo alla Cascinella; gli esemplari di quest’ultima località sono piuttosto piccoli ed alcuni presentano distintissime le strie trasversali. | Nelle marne sabbiose trovasi alla Cascinella di Volpedo. 23. Terebra acuminata Borson. Horxes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien,tom. III, pag. 130, tav. 11. fig. 22, 24. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 38. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 131. Specie non conosciuta vivente, affine alla 7. corrugata Lamk. dei mari tropicali. | Fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone. 24. Terebra pertusa Bast. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 132, tav. 11. fig. 19, 20, 21. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 38. Cocconi, Moll. mioc. e phoc., Parma e Piacenza, pag. 131. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone e nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella. 25. Terebra subflammea D’Orbigny D’OrsienY, Prod. de Paléont. stratigr., vol. III, pag. 117, N. 234. 718 C. F. PARONA, Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone. Classificai questa specie per confronto con esemplari, di pro- prietà del Museo geologico della Università di Pavia, del pliocene di Torsero, classificati dal chiarissimo Michelotti. Genere NASSA Lamarck, 26. Nassa clathrata Born. Born, Test. Museor. Caes. Vindob., pag. 261, tav. 9, fig. 17, 18 (Buc- cinum). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 89. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 76. Specie non conosciuta vivente. | Fossile abbondantissimo nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone e di Codevilla al torrente Brignolo; trovasi anche nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella. 27. Nassa musiva Brocec. Broccani, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 118, tav. 5, fig. 1 (Buc- cinum). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 43. Cocconi, Moll. mioc. plioc., Parma e Piacenza, pag. 78. Specie vivente nei mari Britannici, secondo il Foresti. Fossile nei conglomerati degli orridi di Torrazza-Coste e nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella; tre esemplari ben conservati. | 28. Nassa serraticosta Bronn. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 146, tav. 12. | fig. 15 (Buccinum). ForestI, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 44. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 81. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 20. Specie non conosciuta vivente. pi. ALS A di a Pea Li ei i | IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 719 Fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone e nel- l’arenaria compatta con gesso in laminette della California di Casteggio. di raccoglie anche nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella e di Pegazzera alla cassina Mirandola. 29. Nassa turbinella Brocc. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 653, tav. 15, fig. 17 (Buc- cinum). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 150. tav. 12. fig. 17 (Buccinum turbinellus). ForestI, Moll. plioc., Bolognesi, pag. 44, 1868. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 81. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 20. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle Marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella e di Pegazzera, alla cassina Mirandola. 30. Nassa semistriata Brocc. Brocca, Conchiol. foss. subapenn., pag. 485, tom. II, tav. 15, fig. 15 (Buccinum). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 114, tav. 12. fig. 9, 10 (Buccinum). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 44. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 21. Foresti, Sul phocene antico di Castrocaro, pag. 83. Vive nel Mediterraneo, dove sembra vicina alla sua totale scomparsa (Cocconi), e nell’ Atlantico lungo le coste della Fran- cia meridionale, della Spagna, Portogallo e dell’Africa setten- trionale. Fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone e di Codevilla, al torrente Brignolo; trovasi anche nelle marne sab- biose di Volpedo, alla Cascinella, di Mairano, alla cassina Bot- tirolo e di Pegazzera, alla cassina Mirandola. Fra i moltissimi esemplari di varie dimensioni ve ne sono molti che corrispondono perfettamente alla varietà turrita, de- scritta e figurata dal Foresti. 720. ef C. F. PARONA, \Oo© 31. Nassa turrita Bors. Borson, Saggio di orittol. Piemont. — Mem. Acc. Se. di Torino, tom. XXV i (1820), pag. 218, N. 16. MicaeLotTI, Descript. des foss. mioc. de VIt. sept., tav. 12, fig. 10. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 46. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 89. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella. 32. Nassa obliquata Brocc. Brocca, Conchiol. foss. subapenn., pag. 118, tom. II, tav. 4, fig. 16 (Buc- cinum). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 46. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. ST. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone e degli orridi di Torrazza-Coste. 33. Nassa prismatica Brocc. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 115, tav. 5, fig. 7 (Buc- | cinum).: ; Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 146, tav. 12, fig. 13, 14 (Buccinum). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 42. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 78 (N. limata Chemn.). Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 19. # Vive nel Mediterraneo ed alle Canarie. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella e di Pegazzera alla cassina Mirandola. Gli esemplari sono piccoli. 34. Nassa incrassata Miller. MiiLrer, Zool. Danicae prodr., N. 2946-1770 (Tritonium incrassatum). Broccai, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 117, tav. 5, fig. 8 (Buc- i cinum asperulum). IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 721 È MicaeLormti, Descript. des foss. mioc. de VItal. septentr., pag. 213, t. XII, i fio. 4(Nassa granularis). Hornes, Die foss. mol. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 148, tav. 12, fig. 16 (a-b) (Buccinum încrassatumì). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 43, (IV. asperula). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 80 (N. Ascanias Brug.). Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 20. Vive nel Mediterraneo e nell'Oceano Atlantico. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella, in piccoli esemplari, e di Mairano, alla cassina Bottirolo. 85. Nassa Rosthorni Partsch. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 140, tav. 12, fig. 4,5. Non fu riscontrata vivente. Fossile nell’arenaria compatta con scagliette di gesso della Ca- lifornia di Casteggio e nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella. Nel determinare queste specie mi nacque il dubbio che la si dovesse ascrivere alla Nassa ventricosa Gratel., ma confrontati i miei esemplari con altri, dell’accennata specie, trovati nel miocene superiore di Stazzano, riscontrai in questi una forma più ven- tricosa e meno allungata, fatto che notò anche l’Hòrnes, per cui credo di poter ascrivere con sicurezza gli esemplari della Casci- nella e della California alla N. Rosthorni. Noto come in uno de- gli esemplari dell’ultima località accennata si osservino limpidis- simi cristalli di selenite riempiere completamente la cavità. 36. Nassa cacellense Pereira. Fossile nell’ arenaria compatta della California di Casteggio. Determinai questa specie per confronto con esemplari di pro- prietà del museo geologico della Università Ticinese, provenienti dal miocene superiore di Stazzano e dal pliocene d’Asti e classifi- cati col nome succitato dal Michelotti. Vol. XXI. 46 722 (0 SF. PARONA, 37. Nassa labella Bonelli. A Fossile nei conglomerati di Codevilla, al torrente. Brignolo. Classificai l’unico esemplare per confronto con altri che si con- _ servano nel museo Pavese, trovati nel miocene superiore di Staz- zano e determinati col nome di N. labella dal Michelotti. + Genere PHOS Monfort. 38. Phos polygonum Brocchi. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 123; tav. 5, fig. 10 (Buc- CINUM). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 160, tav. 12, fig. 14, 15 (Buccinum). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 35 (Buccinum). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 75 (Buccinum). Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella. Due | soli esemplari, ben conservati. Genere CYCLONASSA Swainson. 39. Cyclonassa neritea Linn. Born, Test. Mus. Caes. Vindob., tav. 10, fiv. 3, 4 (Buccinum). BroccHi, Conchiol. foss. subapenn., pag. 111, tom. II (Buccinum). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 47 (Nassa neritaea). » » » 1874, » 79 (Cyclope neriteus). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 90 (Ciclops meriteus). | | Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 22. Vive nell’ Atlantico e. nel Mediterraneo. | Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella. Con- servo un unico esemplare ben conservato, con tracce di colora- zione; lo classificai colle figure del Born, ma posso, ripetere col Brocchi, che in esse non vi è disegnata la profonda slabbratura della columella, quale osservasi nel mio individuo fossile. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 723 Genere RINGICULA Deshayes. 40. Ringicula buccinea Renier (Voluta). Brocca, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 93, tav. 4, fig. 9 (Voluta). Horwes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 86, tav. 9, fio. 3, 4. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 48. Cocconi, Moll. mioc. e plioce., Parma e Piacenza, pag. 133 (E. buccinata). Foresti, Sul pliocene antico ai Castrocaro, pag. 22. . Vive nel Mediterraneo e nell’Atlantico dalle coste della Spa- gna alle Canarie. Fossile nell’arenaria compatta con scagliette di gesso della California di Casteggio e nelle marne sabbiose di Pegazzera alla cassina Mirandola e di Volpedo alla Cascinella. Alcuni esemplari presentano un principio di costicine trasversali più o meno ap- parenti, per cui si potrebbero distinguere, col Foresti, come va- rietà cincta, che lo stesso autore dice però poco apprezzabile. Genere PURPURA Adams. 41. Purpura tessellata Mngh. PeccHioLi, Descrizione di alcuni nuovi fossili delle argille subapenn. to- scane. — Atti della Soc. ital. di Sc. natur., vol. VI, fasc. IV, tav. 5, fig. 10, 11, pag. 511. SorpeLLI, Nuove osservazioni sulla fauna fossile di cassina Rizzardi, pag. 26. — Atti Soc. Ital. Sc. nat., vol. XVIII, fasc. IV. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Mairano, alla cassina Bottirolo un sol esemplare colle macchie ben distinte. Genere CASSIS Lamarck. 42. Cassis saburon Brug. Horxnes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 177, tav. 15, fig. 2,3,4,5, 6, 7. 724 VD C+ FL PARONA, O Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 51. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma è Piacenza; pag. ForestI, Sul Dianne antico di ii pag. 23. i DÒ: Vive nel Mediterraneo e nell'Atlantico dallo coste della Fran-| | cia meridionale al Senegal. Fossile nei conglomerati degli orridi di Torrazza-Coste € e nelle 1 | marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella. Fra i numerosi esemplari distinguerei. anch'io col Cocconi i È seguenti tipi: a) Laevis evaricosa Bronn; questo non presenta strie, tranne sull’orlo degli anfratti; corrisponde alle fig. 2, 3, tav. 15 del- l’Hornes. Sonvi esemplari di diverse dimensioni. 0) Laevis varicosa Bronn; distinto per una sporgenza longi-. i tudinale, più o meno rilevante, che divide l’ultimo anfratto in j due metà disuguali e chiamato varice. Esemplari di diversa gran- ; dezza. c) Striata evaricosa Bronn; di questo tipo sonvi esemplari di È piccola e grande dimensione corrispondenti alle fig. 4, 7 (a, d), — tav. 15 dell’Hornes e talora ancora più completamente striati. d) Striata varicosa Cocc., corrispondente alla Striata eva- [ ricosa, coll’aggiunta della varice. Genere DOLIUM Lamarck. 43. Dolium denticulatum Desh. Horwnes, Die foss. moll.. des. Tert. Beck. von Wien, tom. II. pag. 164, tav. 15, fig. 1 (a-b). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 52. « Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 113. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone. 4 ht IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 725. Genere COLUMBELLA Lamarck. 44. Columbella nassoides Bell. BeLLarDI, Monograf. delle Columb. foss. del Piemonte — Mem. della R. Ac- cad. delle Scienze di Torino, serie II, X, pag. 16, tav. I, fig. 13. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 122, tav. 11, fig. 9, Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 52. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 107. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 24. Specie non conosciuta vivente. Fossile abbondante nelle marne sabbiose di Pegazzera, alla cas- . sina Mirandola. 45. Columbella thiara Brocc. Broccm, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 217, tav. 8, fig. 6 (Murex). BerLArDI, Monogr. delle Columb. foss. del Piemonte, pag. 19, tav. I fig. 17. e” ._Horxrs, Die foss. moll. des Tert. Beck.von Wien, tom. III, pag. 667, tav. 51, A fig. 2. ._Foresm, Moll. plioc., Bolognesi, 1868; pag. 55. ; Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 106. i Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 24. I Specie non conosciuta vivente. .Fossile nei conglomerati di Codevilla, al torrente Brignolo, in " quelli degli orridi di Torrazza-Coste e nelle marne sabbiose di i Mairano, alla cassina Bottirolo. I 46. Columbella semicaudata Bon. BeLLaBpI, Monograf. delle Columbelle foss. del Piemonte, pag. 8, tav. I, fig. 3. Horwes, Die foss. mol. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 117, tav. 11, fig. 10. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 53. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 108. e eo a er EI € = Re e Sar c] 726 C. F. PARONA, Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Pegazzera, alla cassina Miran- | dola. Un sol esemplare. Genere ANCILLARIA Lamarck. 47. Ancillaria glandiformis Lamk. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 57, tav. 6, Ho, 7,9. Cocconi, IMoll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 92. Specie forse vivente nei mari tropicali. Fossile nei conglomerati di Broni alla fonte Recoaro. Genere CONUS Linné. 48. Conus ventricosus Bronn. Horwes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 32, tav. IMI, NEGRI 6, not Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 54. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 151. Questa specie è il tipo fossile corrispondente al Conus medi- terraneus, vivente, colle sue numerose varietà, nel mare Mediter- raneo e nell’ Atlantico dal Portogallo alle Canarie. | Fossile nei conglomerati di Codevilla, al torrente Brignolo e in quelli degli orridi di Torrazza-Coste; nelle. marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella e di Mairano alla cassina Bottirolo. Devo notare che gli esemplari presentano modificazioni, molto graduate però, per cui passano a forme somigliantissime al Conus Pyrula del Brocchi; anzi uno di essi presenta striscie serpeggianti di giallo-rossastro, delle quali fa parola anche il Brocchi a riguardo della sua specie accennata (Brocchi, tom. II, pag. 56, tav. 2, fig. 8). 49. Conus striatulus Brocc. Broccni, Conchviol. foss. subapenn., tom. II, pag. 63, tav. 8, fig. 4. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 55. IL PLIOCÉNE DELL'OLTREPÒ PAVESE. agi, | Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma € Piacenza, pag. 154. bilie Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 25. Specie non conosciuta vivente. ‘Fossile nei conglomerati di Volpedo al. monte Brizzone e nelle marne sabbiose di Pegazzera alla cassina Mirandola. 50. Conus antidiluvianus Brug. Brocca, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. .60, tav. 2, fig. 11. Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 39, tav. 5, fio. 2 Wil, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 154. Cocconi, Moll. mioc. e plioc.; Parma e Piacenza, pag. 154. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 24. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Pegazzera alla cassina Miran- dola. Genere PLEUROTOMA. Lamarck. 51. Pleurotoma turricula Brocc. Brocca, Conchiol. foss. subapenn., vol. II, pag. 230, tav. 9, fig. 20 (Murex), pag. 228, tav 9, fig. 14 (Murex contiguus). BeLLarDI, Monograf. delle Pleurotome fossili del Piemonte. — Mem. della R. Accad. di Torino, ser. II, IX, pag. 45, tav. II, fig. 18. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wie tom. III, pag. 350, tav. 38, fig. 11. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 57. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 52. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 25. Hornes ritiene che questa specie viva nei mari britannici. Weinkauff la considera come varietà della PI. crispata Jan, vi- vente nel Mediterraneo. Cocconi e Foresti non la citano fra le Viventi. Fossile nei conglomerati di Codevilla, al torrente Brignolo. La conchiglia quivi trovata corrisponde alla figura del Murex con- 728 C. F. PARONA, tiguus disegnata dal Brocchi e quindi corrisponde alla varietà A del Bellardi. Trovasi anche nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella e di Pegazzera alla cassina Mirandola. 52. Pleurotoma dimidiata Brocc. Broccn, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 226, tav. 7, fig. 18 (Murex). BeLLarDI, Monogr. delle Pleurotome foss. del Piemonte, pag. 57. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 360, tav. 39, fig. 2, 3. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 57. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 54. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 25. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Codevilla al torrente Brignolo, e nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella e di Pegazzera alla cassina Mirandola. 53. Pleurotoma rotata Brocc. Broccani, Conchiol. foss. subapenn., vol. II, pag. 229, tav. 9, fig. 11. BeLLARDI, Monogr. delle Pleurot. foss. del Piemonte, pag. 50. Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 354, tav. 38. fio. 18. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 59. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 53. ForestI, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 25. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Codevilla al torrente Brignolo e nelle marne sabbiose di Mairano alla cassina Bottirolo e di Pe- gazzera alla cassina Mirandola. 54. Pleurotoma ramosa Bast. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 231, tav. IX. fig. 12, (Mu- rex reticulatus). Basterot, Mém. géol. sur les Envir. de Bordeaux, pag. 67, tav. III, fig. 15. E, Ri A Ni %& ; 4 Ì * IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 729 e BELLARDI, Monograf. delle Pleurot. foss. del Piemonte, pag. 22. tav. I, Mi fio. 3,4,6,7. | —Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 335, tav. 36, i fig. 10, 14. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 48. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Volpedo, al monte Brizzone. Un esemplare corrisponde perfettamente alla varietà D figurata dal Bellardi (Op. cit., tav. I, fig. 4), la quale si distingue dalla spe- cie tipica per una forma molto meno allungata e più rigonfia nel mezzo. Testa ventricosa, îrregulariter costulata-reticulata ; spira i breviori; carina papillosa; papillis confertis, obliquis. , 55. Pleurotoma trochlearis Hòrn. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 363, tav. 39, fio. 14, 15. x Non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Mairano, alla cassina Botti- . rolo. 56. Pleurotoma Sotterii Michel. MicHreLoTTI, Descript. des foss. mioc. de VItal. septentr., pag. 302. BeLLARDI, Monograf. delle Pleurot. foss. del Piemonte, pag. 556, var. A (P. rustica). Hornrs, Die foss. moll. des Teri. Beck. von Wien, tom. III pag. 338, tav. 36, fig. 16. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 49. Vive nei mari tropicali (Hòrnes). Fossile nei conglomerati degli orridi di Torrazza-Coste e nelle marne sabbiose di Mairano, alla cassina Bottirolo. Genere DOLICHOTOMA Bellardi. 57. Dolichotoma cataphracta Brocc. Brocc®i, Conchiol. foss. subapenn.; tom. II, pag. 221, tav. 8, fig. 16, (Murex). i CORPI OR RAR RA Ù Niari as Ni 1 N "730 C. F. PARONA, BeLLARDI, Monograf. delle Pleurot. foss. del Piemonte, tav. I, fig. 14 (Pleu- rotoma). Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien. tom. III pag. 333, tav. 36, fig. 5, 9 (Pleurotoma). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 56 (Pleurotoma). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 48 (Pleurotoma). Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 28. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone e nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella e di Pegazzera alla cassina Mirandola. Gli esemplari sono numerosi e di varie. di- mensioni; la fisonomia non è costante, ma varia da individuo ad individuo per gradazione, in modo da non poter distinguere una . varietà sicura. Genere DRILLIA Gray. 58. Drillia Allioni Bellardi. BeLLARDI, Monogr. delle Pleurot. foss. del Piemonte, pag. 607, tav. IV, fig. 9 (Pleurot. brevirostrum). Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 371, tav. 39, fig. 19 (Pleur. obeliscus). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 58 (Pleur. brevirostrum). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 58 (Pleur. breviro- strum). Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 27. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Codevilla al ‘torrente Brignolo. Gli esemplari quivi trovati corrispondono meglio alla figura del Bellardi, che non a quella del Hòrnes; assomigliano poi perfetta- mente ad esemplari, trovati a Cornare nel pliocene e determinati dal Michelotti, sotto il nome di Drillia brevirostrum. Trovasi anche nei conglomerati. degli orridi di Torrazza-Coste e nelle marne sabbiose di Pegazzera alla cassina Mirandola. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 731 Genere MANGELIA Leach. 59. Mangelia strombillus Duj. Dusarpin, Mém. s. I. Couch. du Sol en Tour. — Mém. geol., tom. II, pag. 290, tav. XX, fig. 15 (Pleurotoma). Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III pag. 279, tav. 40, fig. 2 (a-b) (Pleurotoma). Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Pegazzera alla cassina Miran- dola. Questa specie fu determinata anche per confronti con esemplari del pliocene inferiore di Torsero, classificati dal Miche- lotti. Genere RAPHITOMA Bell. 60. Raphitoma harpula Brocc. i Broccat, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 213, tav. 8, fig. 12° È (Murex). BeLLarRDi e MicaeLoTTI, Saggio di orittol. dei Gasteropodi foss. del Pie- | monte. — Mem. dell’Acc. delle Scienze di Torino, ser. 2, tom. III, 1841, | tav. I, fig. 8. Horxes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 376, tav. 40, fig. 12 (Pleurotoma). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 61 (Mangelia). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 67. ‘ Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 29. Specie non conosciuta tra le viventi. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella. Genere MITRA Lamarck. 61. Mitra fusiformis Broct. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 99 ( Voluta). BeLLARDI, Monograf. delle Mitre fossili del Piemonte, pag. 5, tav. I, fig. 6, 7,8, 9, 10 — Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino, serie 2, tom. XI, 1851. 732 | reo AGP PARONA VED HornEs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 98, tav. 10, fio. 4,.b,:6, 7. ForesTI, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 66. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 94. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 30. Non conosciuta fra le viventi. Fossile nei conglomerati di Codevilla al torrente Brignolo. 62. Mitra recticosta Bell. BeLLARDI, Monograf. delle mitre fossili del Piemonte, pag. 22, tav. 2. fio. 19. HornEs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 106, tav. 10, fig. 31. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 69. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 101. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 31. Specie non conosciuta tra le viventi. Fossile nelle marne sabbiose di Mairano, alla cassina Botti- rolo. Genere ERATO Risso. 63. Erato laevis Donovan (Voluta). Broccni Conchiol. foss. subapenn., vol. II, pag. 95, tav. 4, fig. 10 ( Voluta cipraeola). Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 79, tav. 8 fig. 16. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 71. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 105. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 32. Vive nel Mediterraneo, nell’Adriatico e nell’ Atlantico dalle co- ste dell'Islanda al Portogallo. Fossile nelle marne sabbiose di Pegazzera alla cassina Mi= randola. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 733 Genere NATICA Lamarck. 64. Natica millepunctata. Lamk. Hornes, Die foss, moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III pag. 518, tav. 47, hp, 1, 2. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 71. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 116. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 32. Vive nel Mediterraneo e nell’Atlantico dall’ Inghilterra alle Canarie. Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone, in numerossimi esemplari e di tutte le dimensioni, in quelli di Co- devilla al torrente Brignolo e nell’arenaria compatta della Ca- lifornia di Casteggio, dove insieme ad esemplari di media gros- sezza, se ne raccolse uno che sorpassa le dimensioni delle forme rappresentate da Hornes colle fig. 1-16. Trovasi anche nelle marne sabbiose di Mairano alla cassina Bottirolo. 65. Natica helicina Brocc. RIEN AT" Broccmi, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 67, tav. 1, fig. 10 (Ne- rita). Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, pag. 525, tom. III, tav. 47, fio. 6, 7. Foresti, Moll. plioc.; Bolognesi, 1868, pag. 73. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 118. ForestI, Sul plocene antico di Castrocaro, pag. 32. Vive nel Mediterraneo e nei mari britannici. Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone, di Codevilla al torrente Brignolo, degli orrîdi di Torrazza-Coste e nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cassinella e di Pegazzera alla cassina Mirandola. 734 ‘Ca FI PARONA; 0 Genere NEVERITA Risso. 66. Neverita Josephinia Risso. Risso, Hist. natur. des envir. de Nice e des Alpes maritt., vol. IV, pag. 149, fig. 43. Hornes, Die foss. moll. de Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 523, tav. 47; fig. 4, 5 (Natica). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, pag. 73 (Natica ONWa M. d. Serr.). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 117 (Natica). Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 32. Vive nel Mediterraneo e nell’ Adriatico. Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone, di Codevilla al torrente Brignolo, nell’arenaria compatta della Ca- lifornia di Casteggio, in quelli degli orridi di Torrazza-Coste e nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella. La maggior parte degli esemplari corrisponde alla varietà che il Cocconi di- stingue col caratteri: spira depressa umbilico partim tantummodo obserrato. Genere EULIMA Risso. Sottogenere Niso Risso. 67. Niso eburnea Risso. Risso, Hist. natur. des environs de Nice et des Alpes marîtt., vol. IV, pag. 219, fig. 98. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 549, tav. 49, fig. 10 (a-d). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 78. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 141. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 33. Specie non conosciuta fra le viventi. Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone e nelle % 7 IL PLIOCENE DELL’OLTREPÒ PAVESE. 735° marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella e di Pegazzera alla cassina Mirandola. Due degli esemplari sono.grandi una mezza volta di più di quelli figurati dall’ Hòrnes. Genere CERITHIUM Bruguière. 68. Cerithium crenatum Brocec. . Brocom, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 288, tav. X, fig..2 (Murex). | Hòrxrs, Die Foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 408, tav. 42, i fio, 13, 14. «Foresti, Moll. phoc., Bolognesi, 1868, pag. 78. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 177. Specie non conosciuta fra le viventi. | Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone, di Co- i devilla al torrente Brignolo; in quelli degli orridî di Torrazza- i Coste; nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella e di Pe- | gazzera alla cassina Mirandola. Dovunque si raccolgono numerosi esemplari. 69. Cerithium vulgatum Brug. Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 386, tav. 41, fig. 1, 2,3, 4 ForestI, Moll. mioc., Bolognesi, 1868, pag. 79. Cocconi, Moll. mioc. e phoc., Parma e Piacenza, pag. 173. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 34. Vive nel Mediterraneo e nell’ Atlantico dalle coste della Fran- cia al Senegal. Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone, in quelli degli orridi di Torrazza-Coste, e nell’arenaria compatta della California di Casteggio, dove si raccolsero due individui ri- feribili alla varietà minima Weink. Si raccoglie anche nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella con una forma molto vicina alla tipica. 736 | C. F. PARONA, 70. Cerithium varicosum Brocc. BroccHi, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 327, tav. X, fig. 3(Murex). Cocconi, Moll mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 176. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 34. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella, dove raccolsi un unico esemplare somigliantissimo alla figura del Brocchi. 71. Cerithium scabrum Olivi. OLIvi, Zoologia adriatica, pag. 153 (Murex). Broccni, Conchiol. foss. subapenn., vol. II, pag. 246, tav. 9, fig. 17 (Murex). Horwrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 410, tav. 42, fig. 16, 17. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 79. » Sul plioc. antico di Castrocaro, pag. 34 (Cerithiolum reticulatum Da Costa). Comune nel Mediterraneo, vive anche nell’ Atlantico dalla Nor- vegia alle Azzorre. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella e di Mairano alla cassina Bottirolo. Genere CHENOPUS Philippi. 72. Chenopus pespelicani Linné. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 232, tav. 1X, fig. 16 (Mu- rex gracilis). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 194, tav. 18, fio. 2, 3, 4. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 80. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 155. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 34. Vive comunissimo nel Mediterraneo e nell’ Atlantico dalle co- ste della Norvegia a quelle di Spagna; si trova anche nei mari britannici. ) È | | IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 737 Fossile nei conglomerati di Codevilla al torrente Brignolo e nelle marne sabbiose di Pegazzera alla cassina Mirandola, di Mairano alla cassina Bottirolo e di Volpedo alla Cassinella; in queste due ultime località si rinvennero anche esemplari giova- nissimi, privi delle dilatazioni del labbro destro e corrispondenti alla figura di Murex gracilis dataci dal Brocchi. Genere TURRITELLA Lamarck, 73. Turritella subangulata Broce. BroccHi, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 158, tav. 6, fig. 16 (Turbo subangulatus). BroccHi, Opera citata, tom. II, pag. 151, tav. 6, fig. 10 (Turbo acutan- gulus). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. vonWien, tom. IMI, pag. 428, tav. 43, fig. 5,6, 7. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 81. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 192. Foresti, Sul pliocene antico di Castocaro, pag. 35. Vive lungo le coste della Tunisia. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella e di Mairano alla cassina Bottirolo; gli esemplari di queste località sono piccoli e piuttostochè alla forma tipica devonsi riferire alla varietà acutangula Brocc. Trovasi anche a Pegazzera, alla cassina Mirandola e quivi si trovano esemplari di varia grandezza della forma tipica e della suaccennata varietà. 74, Turritella communis Risso. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 147, tav. 6, fig. 8 (Turbo terebra). | Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 82. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 193. Vive nel Mediterraneo, nell'Atlantico e nei mari britannici. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella e di Vol. XXI. 47 738 Erra (GR PARONA Mairano, alla cassina Bottirolo; in questi due luoghi si rinven- nero piccoli esemplari; si raccoglie anche alla cassina Mirandola di Pegazzera. | 75. Turritella tricarinata Brocc. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 159, tav. 6, fig. 21 (Turbo tricarinatus). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 82. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 194. Foresti, Su! plioc. antico di Castrocaro, pag. 36. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella; pie- coli esemplari. 76. Turritella Riepeli Partsch. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 421, tav. 43, fig. 2. Cocconi, Moll. mioc. e plioc. Parma e Piacenza, pag. 189. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Codevilla al torrente Brignolo. L’unico esemplare, quantunque di dimensioni più piccole, corri- sponde benissimo, per le tre carine che cingono gli anfratti e per le striature che si osservano tra queste, alle figure offerteci da Hornes e ad esemplari, di proprietà del Museo geologico della Università di Pavia, provenienti dal Bacino di Vienna (Gainfarhn.). Genere VERMETUS Adanson. 77. Vermetus intortus Lamk. . HornEs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag: 184, tv; 46, fio. 16. Foresti, Moll: plioc., Bolognesi, 1868, pag. 82. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 196. Foresti, Sul pliocene ‘antico di Castrocaro, pag. 36. È ì i | IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 739 Vive lungo le coste del Mediterraneo. Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone e nelle «marne sabbiose di Mairano alla cassina Bottirolo e di Pegazzera alla cassina Mirandola. 78. Vermetus arenarius Linn. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. vonWien, tom, III, pag. 483, tav. 46, fig. 15. Foresti Moll. plioe., Bolognesi, 1868, pag. 82. (V. gigas). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 195 (V. gigas). Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro. Vivente nel Mediterraneo. Fossile nei conglomerati di Montalto pavese. Genere SILIQUARIA Brugnière. 79. Siliquaria anguina Linn. HORNES, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, tav. 46, fig. 18, pag. 487. . Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 197. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 36. Vive nel Mediterraneo. Fossile nelle marne sabbiose di Mairano, alla cassina Bottirolo. Genere SCALARIA Lamarck. 80. Scalaria communis Lamk. PriLippi, Enumerat. molluscor. Sicil., vol. I, pag. 167, tav. 10, fig. 3. Vol. II, pag. 144. è Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 84. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 121. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 36. Vive nel Mediterraneo, nell'Oceano Atlantico e nei mari bri- tannici. Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone. 740 (OL FS PARONA) UU 81. Scalaria pulchella Bivon. Bivona, Nuov. gener. e nuov. spec. di moll., pag. 21, tav. 3, fig. 1. Painippi, Enumerat. moll. Sicil., vol. I, pag. 168, tav. X, fig. 1. Vol. II, pag. 145. Cocconi, Moll. mioc. e i Parma e VOI Di 124, Vive nel Mediterraneo. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo alla Cascinella. Genere SOLARIUM Lamarck. 82. Solarium discus Philip. ? Pririppi, Enumer. moll. Sicil., vol. II, pag. 225, tav. 28, fig. 12. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 75. Vive nel Mediterraneo. Il cattivo stato di conservazione non DReggi la sicura deter- minazione di un esemplare rinvenuto nell’arenaria compatta ges- sifera della California di Casteggio; esso ha però più somiglianza colla specie del Philippi che non con qualunque altra.. Genere XENOPHORUS Fischer von Waldheim. 83. Xenophorus crispus KòOnig. PWippi, Enumerat. moll. Sicit., vol. I, tav. 10, fig. 26 (Phorus crispus) Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 89 (Phorus crispus); 1874, pag. 82, (Xenophora crispa). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 198 (Xenophora crispa). Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 37. Vive nel Mediterraneo. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 741 Genere RISSOA EFreminville. 84. Rissoa Lachesis Bast. BasreRroT, Mém. géol. sur les envir. de Bordeaux, pag. 27, tav. I, fig. 4 (Turbo L.). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 572, tav. 48, fio. 16, 17. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose di Volpedo, alla Cascinella. Genere PHASIANELLA Lamarck. 85. Phasianella pulla Linn. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 91. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 214 (Tricolia pulla). Vive nel Mediterraneo, nell’ Atlantico e nei mari britannici. Fossile nell’arenaria compatta gessifera della California di Casteggio e nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Questa specie fu determinata per confronti con esemplari del pliocene di Villavernia, classificati dal Michelotti. Genere TROCHUS Linné. 86. Trochus patulus ;Broce. Brocca, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 137; tav. 5, fig. 19. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 458, tav. 45, fig. 14. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 91. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 221. Specie non conosciuta tra le viventi. Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone, nel- l’arenaria compatta della California di Casteggio e nelle marne sabbiose della cassina Bottirolo di Mairano. 742 C. F. PARONA, Sottogenere ZIZIPHINUS Leach. 87. Ziziphinus sp. Il cattivo stato di conservazione non permette di determinare la specie a cui appartiene un esemplare trovato nell’ arenaria compatta gessifera della California di Casteggio. Genere CALYPTRAEA Lamarck. 88. Calyptraea Chinensis Linn. Broccai, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 16, tav. I, fig. 2 (Patella muricata). Hornes, Die foss. moll. der Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 632, tav. 50, fio. 17, 18. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 93. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 199. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 40. Vive nel Mediterraneo, nell'Atlantico e nei mari britannici. Fossile nei conglomerati di Volpedo al monte Brizzone; esem- plari di piccole dimensioni. Genere ADEORBIS Searles Wood. 89. Adeorbis Woodi Hornes. BeLLarDìi e MicaerortI, Sagg. oritt. terr. terz. Piem. — Mem. dell’ Acc. R. di Torino, tom. III, ser. 2, pag. 161, tav. 8; fig. 13, 14 (Delphinula callifera). Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 440, tav. 44, fig. 4 (d). | Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. L’u- nico esemplare corrisponde assai alle figure dell’ Hornes ed è delle dimensioni della fig. 4 (d). IL PLIOCENE. DELL’ OLTREPÒ PAVESE. 743 Genere DENTALIUM, Linné. 90. Dentalium sexangulum Linn. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 25, tav. 15, fig. 25. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 94. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo; nelle marne sabbiose della cassina Bottirolo di Mairano e della cas- sina Mirandola di Pegazzera; gli esemplari sono piccoli e corri- spondono molto alla figura citata del Brocchi. 91. Dentalium inaequale Bronn. MicaeLotTI, Descript. des foss. des terr. mioc. de V It. sept., tav. 5, fig. 19. — Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 239. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Que- sta specie venne determinata per confronti con esemplari del miocene superiore di S. Agata e del pliocene di Torsero, classifi- cati dal Michelotti. 92. Dentalium sexangulare Lamark. Desmaves, Amat. et Monogr. du genr. Dentale. — Mém. de la Soc. d’ Hist. natur. de Paris, tom. II, pag. 350, tav. 17, fig. 4, 5, 6. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 287. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo e di Montalto; nelle marne sabbiose della cassina Bottirolo di Mai- rano e della cassina Mirandola di Pegazzera. 93. Dentalium dentalis Linn. DesHAvrs, Anatom. et Monogr. du genr. Dent., pag. 353. tav. 16, fig. 9,10. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 240. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 40. i GA p* TRA 744 C, F. PARONA, Vivente nel Mediterraneo. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo e della cassina Bottirolo di Mairano. La massima parte degli esem- plari sono da ascriversi alla varietà B del Deshayes, distinta per : texta duodecim ad sexdecim costata. Genere ACTAEON Montfort. 94. Actaeon tornatilis Linn. (Voluta). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. III, pag. 508, tav. 46, fig. 24. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1868, pag. 97. Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 40. » Vive nel Mediterraneo, nei mari britannici e nell’ Oceano At- lantico. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. LAMELLIBRANCHI. Genere OSTREA. Linné. 95. Ostrea cochlear Poli. Poi, Testacea utriusque Siciliae, II, pag. 179, tav. 28, fig. 18. Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 435, tav. 168, fig. 1, 3 (a-b). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 350. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 47. — Mem. dell’Acc. d. scienze dell’ Ist. dì Bologna, serie III, tom. IV, fasc. 3. » iSul pliocene antico di Castrocaro, pag. 48. Vive nel Mediterraneo e nei mari britannici. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo,.e degli orridi di Torrazza-Coste. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 745 96. Ostrea cucullata Born; Born, Testacea mus. Caesarei vindobon., pag. 114, tav. 6, fig. 11 e 12. Foresm, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 47. / Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo. 97. Ostrea Gingensis Schloth. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. Il, pag. 452, ; tav. 76 e 77, fig. 1, 2. Tav. 78, fig. 1 (a-b). Tav. 79, fig. 1,2. Tav. 80, fio. 1 (a-d). | Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 356. Specie affine alla vivente 0. Jugens dei mari della Nuova Ze- landa. Fossile nell’arenaria compatta della California di Casteggio. 98. Ostrea crassissima Lamk. Hornes, Die foss. moll. des Teri. Beck. von Wien, tom. Il, pag. 455, tav. 81, 82, fig. 1, 2. Tav. 83, fig. 1; 2. Tav. 84. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 357. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Calvignano e nell’arenaria com- patta della California di Casteggio. 99. Ostrea Boblayi Desh. DesHayrs, Exped. scient. de Morée, pag. 122, tav. 8, fig. 6, 7. Hornes, Die foss. moll. des Teri. Beck. von Wien, II, pag. 443, tav. 70, fig. 1, 4. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 355. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 46. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Corvino. L’unico esemplare quivi raccolto è assai ben conservato e ‘corrisponde perfettamente alla descrizione ed alle figure dateci dall'opera dell’Hornes. 746 pria OB PARONA; VvOtÌ 100. Ostrea subarata May. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, page 350, tav. IX, fig. 10, 11. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati di Montalto. Di questa specie on distinta possiedo parecchie valve inferiori, che corrispondono as- sai bene alle figure; alla ‘descrizione ed alle proporzioni, dateci dal Cocconi, per quelle del Museo di Parma, raccolte nel mio- cene superiore di Vigoleno. | 101. Ostrea lamellosa Brocc. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 382. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 444, tav..71,:;fig.;1, 4. Tav. 72, fig. 1, 2. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 355. Foresti, Moll. mioc., Bolognesi, 1874, pag. 46. » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 49. e Vive nel Mediterraneo. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo, del torrente Brignolo di Codevilla, di Tronconero sopra Casteggio, del colle Guidotti di Canneto, nell’arenaria compatta della. Califor- nia di Casteggio e nelle marne sabbiose della Cascinella di Vol- pedo e della cassina Bottirolo di Mairano. Numerosissimi esemplari di quest’ Ostrea si riscontrano rive- stenti i ciottoli o liberi, specialmente nel conglomerato del monte Brizzone, tanto in esemplari completi, come a valve separate, sparsi od associati in banchi, come avviene per le specie sociali. Le due valve variano molto nelle dimensioni, nella forma ed or- namentazione, tanto da lasciarmi dubbioso sull’ascrivere qualche esemplare ad altra specie, come all’Ostrea Italica May., Lamarcki May., Digitalina Dub. Ma il convincimento che il distinguere una forma da un’altra quando non vi siano caratteri veramente sin- golari e costanti sia contrario alla verità ed al vero concetto IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. TANI di specie, mi distolse dal invi hs numerosi esemplari in ispecie diverse. È Le valve superiori di alcuni tatti si casetta con tal . fisonomia da assomigliare perfettamente all’ Ostrea corrugata fi- | gurata dal Brocchi (Op. cit., tom. II, pag.'508, tav. 16, fig. 15), | il quale ci offre anche una descrizione che non si potrebbe dare più esatta per le valve superiori in discorso. Ora, associando questa | corrispondenza di caratteri col fatto che pochi conchiologi citano | questa specie, mi sembra ne risulti la insussistenza della specie . del Brocchi. Sono spinto a dir questo anche per una contraddi- . zione in cui mi sembra caduto lo stesso autore, perchè mentre i nella descrizione dice di non aver mai trovato, della sua Ostrea . corrugata; chela valva inferiore, nella tav. 16 figura la stessa colla impressione muscolare sulla parte destra, il che, mi pare, costi- tuisce un carattere per la valva superiore. Per tali considerazioni è da ritenersi che l’Ostrea lamellosa . Brocc., sia associata nei nostri, depositi fossiliferi con forme di | passaggio all’O. digitalina Dub. (Hornes, Die Foss., ecc., tom. II, pag. 447, tav. 73, fig. 1-9), all’O. Italica May. (Cocconi, Op. cit., pag. 352, tav. IX, fig. 12, 13, 14) e all’O. Lamarcki May. (Cocconi, Op. cit., pag. 352, tav. XI, fig. 3, 4, 5). Queste forme di passaggio furono riconosciute anche dal chiarissimo paleonto- logo professore Foresti. Genere ANOMIA Linné. 102. Anomia ephippium Linn. Poi, Testac. utrius. Sicil., vol. II, pag. 186, tav. 30, fig. 9, 10. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 346. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 47. » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 49. Vive nel Mediterraneo, nei mari britannici e nei mari del Nord America. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo. Due 748: VASI | 00 PN TPARONA 0 VIOLI valve si ‘avvicinano molto all’'Amnomia radiata, figurata dal Broc-, chi alla tav. 10. Trovasi anche nelle marne sabbiose della Ca- scinella di Volpedo. i 103. Anomia striata Linn. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., vol. II, pag. 265, tav. 10, fig. 13. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck.von Wien, tom. II, pag. 465, tav. 85, fig. 8, 11. Dane Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 349. Forest, Moll. plioc,, Bolognesi, 1874, pag. 48. » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 49. Vive nei mari britannici (Wood.). Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Genere PECTEN O. F. Muller. 104. Pecten flabelliformis Broce. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tor. II, pag. 400 (Ostrea). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 339 (Janira). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 49. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo e del monte Bruciato di Canneto, e nelle marne sabbiose della Ca- scinella di Volpedo e della cassina Bottirolo di Mairano. 105. Pecten Reussi Horn. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 407, tav. 67, fig. 1 (a-d). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 50. Specie non riscontrata fra le viventi. Attribuisco con sicurezza a questa specie un frammento, tro- vato nell’ arenaria compatta della California di Casteggio, per la forma delle sue coste longitudinali, per le strie interposte e IL PLIOCENE DELL’ OLTREPÒ PAVESE. 749 ; per le punteggiature che si osservano, coll’ ajuto della lente, | fra gli interstizii‘di ‘tali strie, in concordanza colla frase e colla | figura dell’ Hornes. 106. Pecten opercularis Linn. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., vol. II, pag. 396, tav. 14, fig. 10 (Ostrea plebeja). Woopn, Monogr. of the Crag moll., vol. II, pag. 35, tav. 6, fig. 2. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 335. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 51. » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 49. Vive nel Mediterraneo, nei mari britannici e nell’ Oceano At- lantico. Fossile nei conglomerati‘ del torrente Brignolo di Codevilla, nell’ arenaria compatta. della California di Casteggio e nelle marne sabbiose della cassina Bottirolo di Mairano e della Cas- sinella di Volpedo. Sono numerosissimi gli esemplari piccoli, fra i quali molti corrispondono alla figura del Brocchi, altri invece ne differiscono alquanto per le coste longitudinali più rotondeg- gianti. 107. Pecten dubius Brocec. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 395, tav. 16, fig. 16. (Ostrea). Woon, Monogr. of the Crag moll., vol. II, pag. 38, tav. 4, fig. 3. Tav. 6, fig. 3. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 3386 (P. scabrellus). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 52. » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 50. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati del torrente Brignolo di Codevilla e nelle marne sabbiose della cassina Mirandola di Pegazzera. 750 SITA 0T0/0F, PARONA, 4 : à ! 108. Pecten polymorphus Broce. Broccui, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 509, tav. 16, fig. 17. Woop, Monogr. of the Crag. moll., vol. II, part. 3, Appendix, 1856, tav. 31, fig. 20. Cocconi, Moll. mioc. e LIA Parma e Piacenza, pag. 336. Vive nel Mediterraneo. Fossile nelle marne sabbiose della Cassinella di Velpedo: Ri- ferisco gli esemplari alla varietà B Bronn. (Cocconi): radws 12-14, alternis minoribus, corrispondente alla figura citata del Brocchi. Genere VOLA Klein. 109. Vola Jacobea Linn. (Ostrea). Pori, Testac. utriusque Sicîl., vol. II, tav. 27, fig. 1, 2. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 338. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 50 (Pecten Jacobeus). » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 50. Vive nel Mediterraneo e nell’Atlantico. Fossile nei conglomerati del torrente Brignolo di Codevilla e nelle marne sabbiose della Cassinella di Volpedo. Genere SPONDYLUS Linn. 110. Spondylus crassicosta Lamk. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 429, tav. oliae T(a 6; 64). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 345. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 52. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati degli orridi di Torrazza-Coste. Con- servo solamente una porzione di valva, sulla quale gli spazi fra le coste maggiori sono meno armati e meno rugosi di quelli de- gli esemplari figurati dal Hòrnes. IL PLIOCENE DELL’ OLTREPÒ PAVESE. 751 Genere PINNA Linné. 111. Pinna tetragona Broce. ? Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom, II, pag. 411. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom, II, pag. 374, tav. 5, Der 19. ‘ Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 319. Specie non riscontrata vivente. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Po- chi frammenti che, confrontati colle figure dell’Hòrnes e con un esemplare di Val di Chiana, sembrano doversi ascrivere a questa specie. Genere ARCA Linné. 112. Arca mytiloides Brocc. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 280, tav. 11, fig, le Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 323. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 36. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Que- sta specie la vidi ancora nei conglomerati del torrente Brignolo a Codevilla, senza poterla però raccogliere. 113. Arca lactea Linn. BroccHni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 281, tav. 11, fig. 6 (A. no- dulosa). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. vonWien, tom. II, pag. 336, tav. 44, fig. 6 (a-e). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag: 325. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 35, » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 47. 7152 C. F. PARONA, Vive nel Mediterraneo, nell’ Atlantico dalle coste della Gran Brettagna al Senegal e nel Mar Rosso. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo e della cassina Mirandola di Pegazzera. 114. Arca diluvii Lamarck. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 279 (Arca antiquata): Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 333, tav. 44. fig. 3, 4 (a-e). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 323. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 34. » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 47. Vive nel Mediterraneo, nell’ Atlantico (isola di Madera) e se- — condo il Philippi anche nel Mar Rosso. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo. Ab- bondante; gli esemplari variano nella forma, cosicchè taluni sono più rigonfii, altri più allungati della forma tipica, altri ancora presentano l’area legamentare molto larga, Gli individui giovani ritraggono la fisonomia degli adulti e però non sono da riferirsi alla A. dydima del Brocchi. Trovasi nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo, della cassina Bottirolo di Mairano, della cassina Mirandola di Pegazzera. In queste due ultime località è questa la specie predominante; oltre alla forma tipica vi si rac- colgono poi anche in numero maggiore individui offrenti un ca- rattere particolare, per cui facilmente si distinguono; essi, cioè, non presentano quello spazio intercostale così evidente nella forma comune, ma solo una semplice linea di divisione. Il numero de- gli esemplari che presentano invariabile simile carattere, fa sì che non lo si possa ritenere un fatto accidentale, per cui è da ritenere che codesta forma sia una varietà ben distinta. Genere PECTUNCULUS Lamarck. 115. Pectunculus insubricus Brocc. BRroccHI, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 297, tav. II, fig. 10 (Arca insubrica). dee ina IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 753 DI Cocconi, Moll. mioc. plioc., Parma e Piacenza, pag. 327 (P. înflatus). | Foresti, Moll. plioe.; Bolognesi, 1874, pag. 36. » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 47. Vive nel Mediterraneo e nell’ Atlantico sulle coste della Spagna. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo e del torrente Brignolo di Codevilla, nell’arenaria compatta della Ca- lifornia di Casteggio e nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Questa specie, abbondante dovunque, predomina al monte Brizzone, dove forma quasi da sola uno strato, dai 40 ai . 50 centimetri di potenza, in posizione quasi verticale. Gli esem- plari sono discretamente conservati e un poco arrossati da ossido di ferro; in altre località taluni individui conservano anche i colori, sempre poi gli esemplari maggiori sono accompagnati da piccoli, corrispondenti alla specie A. nummaria del Brocchi (pag. 287, tav. XI, fig. 8, Op. cit.). 116. Pectunculus glycimeris Linn. (Arca). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 316, tav. 40, fig. 12. — Tav. 41, fig. 1,10 (P. pilosus). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piecenza, pag. 326. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 36. » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 48. Vive nei mari britannici, nel Mediterraneo e nell’ Atlantico. Fossile nei conglomerati del torrente Brignolo di Codevilla e del monte Brizzone di Volpedo. Genere LIMOPSIS Sassi. 117. Limopsis aurita Brocc. Broccni, Conchiol. foss. subapendì., tom. II, pag. 289, tav. 11, fig. 9 (Arca). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 238 (Trigonocoelia a.). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 37. » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 48. Vive nei mari britannici. Fossile nelle marne sabbiose della cassina Bottirolo di Mairano e della cassina Mirandola di Pegazzera. Questa specie è frequente e gli esemplari sono ben sviluppati e variano alquanto nella forma; alcuni sono rotondeggianti, altri più allungati. Vol. XXL 48 754 LUMIA OLI ORA RONA, 118. Limopsis Aradasii Testa (Pectunculus). MayrR, Catal. syst. et descr. des foss. des terr. tert. qui se trouv. au Mus. Fedér. de Zurich, III. Cah. moll., 1858, pag. 121, N. 166 (Trigonocoelia Sempert). . Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 329 (Trigon. Semperi). Non conosciuta tra le viventi. Fossile nelle marne sabbiose della cassina Mirandola di Pe- gazzera. I due esemplari raccolti corrispondono ad altri del plio- cene di Torsero, determinati col nome di L. Aradasit dal Mi- chelotti; le dimensioni sono un po’minori. Genere NUCULA Lamarck. 119. Nucula placentina Lamark. PurLippi, Enumer. moll. Sicil., vol. I, pag. 65. Vol. IL, pag. 46, tav. V, fig. 7. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 330. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 38. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Genere LEDA Schumacher. 120. Leda pella Linné (Arca). Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 284, tav. 11, fig. 5 (Arca). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 305, tav. 38, fig. 7 (a-e). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 332. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 39. Po Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 48. Vive nei mari britannici e nel Mediterraneo. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Genere CHAMA Linné. 121. Chama dissimilis Bronn. PuiLippi, Enum. mol. Sicil., vol. I, pag. 69. Vol. II pag. 50, tav. 5 fig. 15. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 34. | RE I TI SEI Br; — Specie non conosciuta vivente. IL PLIOCENE DELL’ OLTREPÒ PAVESE. 755 . Fossile nelle marne sabbiose della cassina Mirandola di Pe- gazzera. | 122. Chama gryphoides Linn. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 210, tav. 31, fig. 1 (a-0). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 307. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 33. fa Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 46. Vive nel Mediterraneo. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Genere CARDIUM Linné. 123. Cardium hians Brocc. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 316, tav. 13, fig. 6. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 295. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 30. di Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 46. Vive nel Mediterraneo sulle coste dell’ Algeria. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo e nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Non ho citato la fi- gura dell’ Hornes perchè i numerosi frammenti che conservo non presentano la costicina longitudinale fra le coste maggiori, quale si osserva nelle figure che quell’autore dà dei suoi esemplari, che il Mayer proporrebbe di chiamare col nome di C. Danubia- num, come rilevo dal lavoro del Cocconi. 124. Cardium echinatum Linn. Pori, Test. utriusg. Sicil., vol. I, pag. 59, tav. 17. fig. 7, 8. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 298. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 31. Pi Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 46. Vive nel Mediterraneo, nell'Oceano Atlantico e nei mari bri- tannici. Fossile nell’ arenaria compatta della California di Casteggio e lata RR “Sale | dt ie RI Dì 756 "7 SERIA CARRO EIA NARO ! nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Conservo valve e frammenti di individui giovani ed adulti, somigliantissimi a conchiglie della specie vivente che si conservano nel Museo 200- logico della R. Università di Pavia. 125. Cardium multicostatum Brocc. BroccHi, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 313, tav. 13, fig. 2. Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. Or pag. 179, tav. 30. fio. 7. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 302. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 33. Specie non conosciuta vivente. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. 126. Cardium ciliare Gmel. Poi, Test. utriusg. Stcil., vol. II, tav. 16, fig. 20. Woop, General conchology, tav. 49, fig. 3, 4. Cocconi, Moll. mioc. e phoc., Parma e Piacenza, pag. 297. Vive nel Mediterraneo. Fossile nei conglomerati del torrente Brignolo di Codevilla, nell’arenaria della California di Casteggio e nelle marne sab- biose della cassina Mirandola di Pegazzera. Determinai questa specie anche per confronti con esemplari della raccolta di conchiglie di specie viventi del Museo zoologico della R. Università di Pavia. Genere LUCINA Lamarck. 127. Lucina anceps Michelotti. Fossile nelle marne sabbiose della cassina Mirandola di Pegaz- zera. Anche questa specie fu determinata per confronti con esem- plari di Cornaré (Astigiano, pliocene inferiore), classificati. con tal nome dal Michelotti. 128. Lucina borealis Linn. BroccHi, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 368, tav. 14, fig. 6_( Venus circimnata). IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. i SEA Die foss. Moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 229, tav. 33, | fig. 4 (ae). | Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 309. Foresti, Mo. plive., Bolognesi, 1874, pag. 28. n Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 45. Vive nel Mediterraneo, nell'Atlantico e nei mari britannici, del Nord-America e della Scandinavia. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. L’e- semplare corrisponde esattamente alle figure del Brocchi, anche nelle dimensioni, piccole in confronto a quelle degli individui fi- gurati dall’Hérnes, il che concorda con quanto dicono il Cocconi ed il Foresti in riguardo ai loro esemplari. Genere CARDITA Bruguière. 129. Cardita intermedia Broce. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 380, tav. 12, fig. 15 (Chama). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 312. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 28. 3 Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 45. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo ed alla cascinella di Volpedo nelle marne sabbiose. Fra-i numerosi esemplari di ogni dimensione distinguo, oltre alla forma tipica, anche la varietà distinta dal Cocconi colla frase: “transverse abbreviata et tumidior. , 130. Cardita Partschi Goldf. GoLpruss, Petrefacta Germaniae, tom. II, pag. 188, tav. 133, fig. 16. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 270. SorDELLI, Fauna fossile marina di cassina Rizzardi, 1876, pag. 36. — Atti della Società Italiana di Scienze naturali, vol. XVIII, fasc. IV. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo e nelle marne sabbiose della cassina Mirandola di Pegazzera. Questa spe- cie è ben distinta dalla C. intermedia per il maggior numero 758 C. F. PARONA, delle coste, per la maggior inclinazione dell’umbone; guardata poi sì esternamente che internamente mostra una forma roton- deggiante, per cui differisce moltissimo dalla suaccennata specie non solo, ma anche dalla sua varietà più breve e più rigonfia. Gli esemplari da me raccolti sono più piccoli di quelli figurati da Hòrnes, corrispondono però perfettamente ad altri prove- nienti dal bacino di Vienna e che si conservano nel Museo geolo- gico della R. Università di Pavia. Genere VENUS Linné. 131. Venus islandicoides Lamarek. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 370, tav. 14, fig. 5 var. (V. Islandica non Linn.). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 121, tav. 13, fig. 2 (a-e). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag, 279. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 10. Specie non conosciuta vivente. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo e nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. 132. Venus plicata Gmelin. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 132, tav. 15, fig. 4, 6. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 281. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 8. Vive al Senegal e nell'Oceano indiano. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo e nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Si rinvengono esem- plari piccolissimi ed altri adulti; in taluni il numero delle pie- ghe è più numeroso che in altri. 133. Venus crenulata Risso. Broccui, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 506, tav. 16, fir.8 (V. dy- sera, var. Testa suborbiculari). Risso, Hist. naturelle, etc., de Nice et des Alpes marittimes, tom. IV, pag. 358, N. 981. 7 IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 759 Vive nel Mediterraneo (Risso). Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo e della cassina Mirandola di Pegazzera. Raccolsi parecchi esemplari di questa specie, somigliantissimi e per le forme e per le dimen- sioni alle figure citate del Brocchi. 134. Venus ovata Penn. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 358, tav. 14, fig. 3 (V. ra- diata.). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 139, tav. 15, fig. 12 (a-d). a Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 282. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 22. » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag 44. Vive nel Mediterraneo, nell’ Atlantico, nei mari britannici e della Scandinavia. . Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. 135. Venus gallina Linn. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 353, fig. 13 (7. semilis). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 281 (V. senilis). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 22 (V. senilis). » Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 43. Vive nel Mediterraneo. Fossile nell’arenaria compatta della California di Casteggio. Gli esemplari di questa specie quivi sono abbondantissimi e di tutte le dimensioni; il maggior numero però corrisponde perfet- tamente nella forma e nella grandezza ad altri della raccolta di molluschi viventi del Museo zoologico della Università pavese, ed è perciò che io ho creduto bene ritenere il nome della specie vivente anzichè quello della fossile. Trovasi anche nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo, dove si raccolsero esem- plari piccoli e riferibili alle figure del Brocchi; li classificai an- che per confronti con altri di Torsero (pliocene superiore) de- terminati dal Michelotti. 760 C. F. PARONA, Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, tav. 13, fig. 12 (Venus). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 284. I i Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 44. Vive nel Mediterraneo. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. 136. Venus scalaris Bronn. Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 137, tav. 15, fig. 10. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 282. È affine alla vivente V. fasciata Don. del Mediterraneo e del- l'Atlantico. Fossile nelle marne sabbiose della cassina Mirandola di Pe- gazzera. Genere CYTHEREA Lamarck. 137. Cytherea pedemontana Agass. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 151, tav. 17, fig. 114, tav. 18, fig. 1, 4. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 283. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 23, Specie non conosciuta vivente. Fossile nell’arenaria della California di Casteggio e nei com- glomerati del monte Brizzone di Volpedo e degli orridi di Tor- razza-Coste. Uno degli esemplari trovati in quest’ ultime località si distingue per l'enorme spessore e per le dimensioni molto maggiori di quelle offerte dagli esemplari figurati da Hornes. 138. Cytherea multilamella Lamk. Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. vonWien, tom. II, pag. 130, tav. 15, fig. 2,3 (Venus m.). ‘Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 284. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 21 (Venus m.). Vive nel Mediterraneo. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo e nelle ETA A TE VIS ui IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 761 H | marne sabbiose della Cascinella di Volpedo e della cassina Mi- randola di Pegazzera; abbondantissima nelle. due prime località. 139. Cytherea rudis Poli. Poni, Testac. ustriusg. Sicil., vol. II, pag. 94, tav. 20, fig. 15, 16 (Venus non Duj.). Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, tav. 13, fig. 12 (Venus). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 284. Foresti, Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 44. Vive nel Mediterraneo. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. LI Genere MACTRA Linné. 140. Mactra subtruncata Da Costa (Trigonella). Broccm, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 348, tav. 13, fig. 7 (Mac- tra triangula Rén.). HornEs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 66, tav. 7, fig. 11 (a-d) (M. triangula Rén.). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 265 (Hemimactra trian- | gula Rén.). ForestI, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 19 (M. triangula Rén.). % Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 43. Vive nell'Oceano Atlantico e nel Mediterraneo. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo, nel- l’arenaria compatta della California di Casteggio e nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Fra gli esemplari ve n’ ha qualcuno che si discosta dal tipo comune per una forma più triangolare e più rigonfia. 141. Mactra stultorum Linn. Purrippi, Enumerat. moll. Sicil. vol. I, tav. 3, fig. 2. Woop, A monogr. of the Crag. moll., vol. II, part. 3, tav. 23, fig. 3. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 264. Vivente nel Mediterraneo. | Fossile nell’arenaria compatta della California di Casteggio. Determinai questa specie, piuttosto abbondante, per confronto con individui della stessa specie vivente, che si conservano nel 762 | 0, FL PARONA, Museo di zoologia della Università di Pavia, coi quali trovai A fetta corrispondenza. Genere TELLINA Linné. 142. Tellina compressa Broce. Broccni, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 823, tav. 12, fig. 9. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 88. tav. 8, fig. 10. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 271. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 15. Pi Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 43. Vive nel Mediterraneo. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. De- gli esemplari raccolti posso ripetere quanto il dottore Foresti dice di quelli del pliocene bolognese; presentano una forma interme- dia fra le figure date dal Brocchi e quelle dell’ Hornes; non mo- strano esternamente quell’angolo così risentito quale si vede nei disegni del conchiologo italiano, e nello stesso tempo hanno una forma un poco più allungata delle figure dell’ Hornes. Le strie oblique sono evidenti. 143. Tellina donacina Linn. BroccHi, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 321, tav. 12, fig. 5 (7. sub- carinata). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 86, tav. 8, fio. 9. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 272. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 17. 5 Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 42. Vive nel Mediterraneo, nell'Atlantico, nei mari britannici e del Nord. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. 144. Tellina pulchella Lamarck. Born, Test. Mus. Caes Vindob., tav. 2, fig. 10 (7. rostrata). PoLi, Test. utriusg. Sici., vol. I, tav. 15, fig. 8 Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 273. Foresti, Sul plocene antico di Castrocaro, pag. 42. IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 763 Vive nel Mediterraneo. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. 145. Tellina planata Linn. Pori, Test. utriusq. Sicil,;.vol. I, pag. 31, tav. 14, fig. 1, 3. BroccHi, Conchiol. foss. subapenn., vol. II, pag. 318 (7. complanata). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 84, tav. 8, fig. 7. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 270. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 15. Vive nel Mediterraneo e nell'Oceano Atlantico. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo. Genere SYNDOSMIA Recluz. 146. Syndosmya alba Wood. Brocca, Conchiol. foss. subapenn., tom. II, pag. 343, tav. 12, fig. 8 (Tel- lina pellucida). Hornrs, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 77, tav. 8, fig. 4 (S. apelina). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 276 (apelina). Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 18. ò Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 43 (Abra alba). Vive nel Mediterraneo, nell'Atlantico e nei mari britannici. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Genere SOLEN Linné. 147. Solen vagina Linn. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 12, tav. I, fig. 10, 11, Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 254. Vive nel Mediterraneo. Fossile nell’arenaria compatta della California di Casteggio e 7640 | I .C. F. PARONA, nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Quivi si osser- vano belli esemplari, ma così fragili, che non si ponno racco- gliere. Genere ENSIS Schum. 148. Ensis Rollei Horn. Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. vonWien, tom. II, pag. 312, tav. 39, fig. 2,3. “on Moll. mioc. e plive., Parma e Piacenza, pag. 255. Vive nei mari britannici. Fossile nell’arenaria compatta della California di Casteggio. Genere CORBULA Brugnière. 149. Corbula gibba Olivi. Broccai, Conchiol. foss. subapenn., vol. II, pag. 327 (Tellina). Hornes, Die foss. moll. des Tert. Beck. von Wien, tom. II, pag. 34, tav. 3, fig. 7. Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 259. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 13. n Sul pliocene antico di Castrocaro, pag. 42. Vive nel Mediterraneo, nei mari britannici e della Scandinavia. Fossile nei conglomerati del monte Brizzone di Volpedo e nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo e della cassina Mi- randola di Pegazzera. Varietà. Nei numerosissimi esemplari, trovati alla Cascinella ed al monte Brizzone, oltre alla C. gibba tipica, ve ne sono altri, in maggior numero, che si distinguono da questa per una forma molto più compressa e più allungata trasversalmente, per le strie trasversali molto meno arcuate, per una carena laterale ben di- stinta in alcuni e per uno spessore della conchiglia: più sottile in molti; il dente però è uguale a quello della forma tipica. Nel dubbio che si trattasse di un’altra specie instituti confronti colla, C. Deshayesi E. Sism., carinata Duj., revoluta Brocc., mediterranea Costa, ma non trovai i caratteri necessarii per ascriverla a nessuna IL PLIOCENE DELL'OLTREPÒ PAVESE. 0 7650 di queste. Confrontando però gli individui in questione colle corbule di una raccolta pliocenica del Museo geologico della Università Ticinese, classificata dal signor Michelotti, trovai due esemplari di Stazzano somigliantissimi ai miei e recanti il nome di C. laevis Duj. Tuttavia non mi tenni autorizzato a distinguerli dalla C. gibba, poichè per verità da essa si differenziano pei caratteri bastevoli solo a separarli come varietà (laevis), tanto più che in nessuno dei quattro ultimi sovracitati autori trovai citato la C. Zaevis Duj. Per escludere ogni dubbio dirò anche che di tale varietà conservo esemplari giovani ed adulti, valve separate e individui completi, come ne conservo anche in tali stati della forma tipica; questo dico per togliere la supposizione che io sia tratto in errore dalla diversità di sviluppo o per aver scambiato la valve superiori colle inferiori. Genere PANOPAEA Ménard de la Groye. 150. Panopaea glycimeris Born. Born, Mus. Caes. Vindob., vol. I, pag. 20, tav. 1, fig. 8 (Mya). ‘Pairippi, Enumerat. moll. Sicil., vol.-I, pag. 7, tav. 2, fig. 2 (P. Aldo- vrandi), fix. 2 (P. Faujasti). i Woon, Monogr. of the Crag moll., vol. II, pag. 283, tav. 27, fig. 1 (P. Fau- Jasù). Cocconi, Moll. mioc. e plioc., Parma e Piacenza, pag. 256. Foresti, Moll. plioc., Bolognesi, 1874, pag. 14. Vive nel Mediterraneo. Fossile nelle marne sabbiose della Cascinella di Volpedo. Fram- menti ben determinabili. Terminerò questa rassegna notando che nell’arenaria compatta della California di Casteggio si rinvengono pezzi di legno fossi lizzati forati dalle Teredini, di cui però non rimangono vestigia determinabili e che nelle sabbie marnose della cassina Mirandola trovai dei resti di Serpula pure indeterminabili. Pavia. — Dal Gabinetto di Geologia della R. Università. Numero progressivo MNHHHHKiHKHKWHWHHHWH © © OL DS Ot VM SO DONI Sì Uta Mi ND ar MININNN DO vN dI VI DO MIN N Om O QODA VI dI dI VI Dì Ot I 37 AE GENERE E SPECIE Gasteropodiì Strombus coronatus Derr. Murex brandaris Linn. truncatulus ForEsTI . spinicosta Bronn. . . multicostatus Peccan. . » Ppolymorphus Broce. . Dertonensis May. . . conglobatus MicÒet. . Ranella marginata Marr. Fasciolaria fimbriata Brocc.. Cancellaria varicosa Brocc. cancellata Linn. . Bonellii BeLn. s hirta Broco. i Brocchii Crosse . Euthrià cornea Linn. * Puschil ANDR. . Fusus rostratus OLIvi . Metula mitraeformis Brocc. . Terebra fuscata Brocc. Basteroti Nysr. acuminata Borson. . pertusa Basr. . subflammea D’OrB. Nassa clathrata Born. . musiva Brocc. serraticosta Bronn. turbinella Brocc. i semistriata Brocc. . . turrita Borson. . obliquata Brocc. prismatica Brocc. . incrassata MiLLER . Rosthorni PaRrTSscH. cacellense PeEREIRA . » labella Bowen. ” %” tv) uniangulata Desx. C. F. PARONA, QUADRO SINO!" Oltrepò Pavese ERO G D = 1 Il Il Il Il sua RSS, "gg | uri I Il 1 e Il Te Il 1 IUNTOT 1 E I lg1 Il NA Il l 1 id RECANO! l up: Il LI Di n «QTA Il l l Il Il e Il Il Il an 1 Il Il 1 1 1 Di Pa VUOI Il l RAIORA A Il oa SUOR aiar Il l Il ; Il S. Colombano Piacentino-Astiano — î dI Pin Piacentino 2 e 5 m Parmigiano = E ® e |(Se| F a 382 & ala |a & luni e | Il Il 1 Il Il Il Il ia TL SPERTA 1 i 1 sue E NE Il ga il 1 1 Pa sf Il Il MESE 1 l ea l LELSADETÌ 1 1 ESA Il 1 DPPA ES RARI PIRRO. SETT l Il 1 RR Il Il L'ATTO Il bh, AVI N Il i Il LÀ 1 Il AMAT 1 (AZ 1 Il 1 1 sl e 1 Il Pali pig Il LA Il Il Il 1 SUITE Il Il Il 1 1 Il Il l 1 Il Il l 1 tina 1 al 1 1 Il Pa l 1 Il Il soda l l . ij J Dlinsana infarinra | ____ bd a DS -— een =rnan — nona recon [\o) = s rs USI . D S (.S ali .2 3 I: È sus È .E | Sd è» 423 nl eri 8 .2 Ue Ss D = 2 l=| ® S Fi “ira EI S =! TÈ Ò D dl (2) pi ‘E S_$ È a) 3 È > = n Coni Unni Unni Coni ° —————12Z<;c<_—_——_124kzkzkdÀà4àddtàdà.2.A2aàm_m—rrrrr r———11———————————————————>— = »@»&y6&ÈyÈy»y>yFwte(w«w«(|._1.. Ei P lo0] © TIVI TI ue Lo gf a et EI Po RR TL N la IRE o A Me LEONE RE: I e, ai fi FIFA RION RAT IR RON e I n i tende Ne relativi Moe Ata, er cairo Po PN Vee OTT. o; roc des. b ° e LIE REA STRA I RE E ate O 40 «d & Ra 5 roruuenag uit | de e Cale ee e ca Me = 5 IIa] - £ conuenv | CARI E SARRI & “n i az i prccienicniia siii ia rito Da RAI ESSO PRI SIRO) TRE IS ego ge a È e Ralen: I RE LT asta >) 5 09UgCII9VIPO]N . . . 9 . . set Lg e ii 3 Lprige ei [de Gc MO n 9) di See PLOT e . . . . . . . (3, Se: Joe WIN (ei LIRE — . . . . . 5 P CUUATIA IP cune "I pu i 9 a uu È mr lm aS BI H ; —————— n —P-_@ CI © ne pra rivincita Se inni iiriarn i nno nei o. 4 E = sog = sug er 43 = Qs0U9po]ji LU eri en mn Mii ae Len E cit Era Se a FIA a SLA IR E O O a SR a AA DIE [to | ougISITI nai Pete sen ie EG MT vi SIE ata SIE A SEUI TE EER 0 A LS ARTESINTET, È eo < Pdei QPOMIPOBORI Tp a figa et e LR MOLE Dr tate e AT È cao Esse e sea ; y manzzia vusss) | Slilie= DIR L= e Ie oe LI E r O | vicuep vinti ATE a e SI RR n pi) Ò D | PeR PRESSE one dl RO ® . . . . . ® x ciali o Ji sone ot UdIy Cilniiant 1 Una end gli e dt SA re © "€ i SONO 768 . : Ra CI 5 i a GENERE E SPECIE | 5 7 s = ae = porta 88 | Phos polygonum Broce. : i 39 | Cyclonassa neritaea Linn. . E 40 | Ringicula buccinea ReNIER .. VEeal, 41 | Purpura tessellata Mnaa.. -. i 492 | Cassis saburon Brusa. 43 { Dolium denticulatum Desa... 44 | Columbella nassoides Brett. -. 45 i thiara Brocc. 46 3 semicaudata Bon. 47 | Ancillaria glandiformis Lamr. . 48 | Conus ventricosus Bronx. i 49 » Striatulus Brocc. 50 » antidiluvianus Bru. -. c: 51 | Pleurotoma turricula Brocc. i 52 » . dimidiata Brocc. 53 fi rotata Brocc. 54 n ramosa Bas. 55 È trochlearis Horn. 56 si Sotterii MicHet. 57 | Dolichotoma cataphracta Brocc. r 58 | Drillia Allioni Ben... . . ; 59 | Mangelia strombillus Duy. -. 60 | Raphitoma harpula Brocc. 61 | Mitra fusiformis Brocc. 1 62 » recticosta Ber. 63 { Erato laevis Donov. 64 | Natica millepunctata Lam. . 65 » helicina Brocc. 66 { Neverita Josephinia Risso dai 67 | Niso eburnea Risso ; 68 { Cerithium crenatum Broce. . 69 È vulgatum -Brue. 70 5 varicosum Brocc. 71 b scabrum OLrvi 72 | Chenopus pespelicani Linn. . 73 | Turritella subangulata Brocc. . 74 sì communis Risso.-. 79 » —tricarinata Brocc. 76 ; Riepeli PaRtscn. . QUADRO SINON Oltrepò Pavese Conglomerati 1 ni E Ù! baie 1 Il Il Il Pesche Lpil Il ne ESpol Ft QUELLE Il Il Lt} Il 1 So TA: bio sE IRE Il LÀ Il IL Il 1 Il 1» ri Il Il Il Ma 2b 1-1 Ria ih Il Il ATTI Pel ERICE Map S. Colombano Piacentino-Astiano rata paria rosi | siamo sabbiose . . - . . . Cd pd . Rae Cerda (© 0001 TR. PARONA; ® . : fd pda . . peri . o» au . C] ° f LEI 6 Piacentino Parmigiano Fedi talpa pi pio A . . » . pedi Kee Fond » : . parte Led . Re lo | Strati di Tabiano uditi È > ” : e. * . . trati di Castel- l’Arquato DI î ù . . S fd i i _ deal i ; . . à HW Nn Ku" : ° 5 Li . bd pd du . È - alii ee O Ù vi 5 sc . È * 3 È ° 1a uu WWWWrWrErH-HWHW'!' n ta n — 4 . . . | Modeneso e dai bt end "pens fed e Sabbie gialle AI . ù. .. [ner] . ni nigi rada % e - x CARTA GEOLOGICA DELL’OLTREPO PAVESE Affi d. Soc.Ital a Sc. Nat. VoLXXI Tav.15.bis. YUYT 77 CE, é sCArcone razara. EG Rasei (352) M. S.Ambrogio 52%m) Canevino , Fozzol del Gro, ; (466) 795 (449) PD: Cis Torr Limbione MBrizzone (439) O varo Codevilla (155 mi) Torrluria Me Telegrafo (456) 7 Ri Lagon California Montugone Montalto (380) Rocca dé Giorgi orte Curone Cascinella ; È E TorrRile___ Ferr.di Casteggio rip; TAL Para È pato _ pù > h Dy = [ n —- "Si E »_ (88) (106) 2. E = rana e a RR — == AAA == NG nor ==>—-277) progr > en > no. 70 SEE ANNO m.07 C.F Parona 5-5.E AVESE, * s OL DELL’ OI + ; at a. RARA TI VO [4 ae \ Pe Lee i ARTI na ue © da PA AL II SERI À } aa 7 Seat RE RE - ARS RZ E n A 3 » ‘© s Ò ‘a v 8 ® h bo) % Ò e uew idv). (Rd i pini E 5 ae © capi e Ma DE POE 3 Rie > ———_________îr_TTtd addretet2](t#++—-+ += *#*=* +} }+ = - = }= =} }à}à à+«+— —_"—+=*a== "====}" bi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A IIUUEIILIQ LIE] | i _ uri peri ° . . . . . . . . . . . . . PI . « . . . . . . . . . . . . . . . . . . (>) & OE O e E OO o E = IN = coup | iu 11 IMRE rita ——_ mk Gmiiuisii.éééwéwwwwsesséninitntti È EIA SI IERI EIA IE DAI ARI I RIE NDS ID TI EIA ELIA TIE LAI rar rr ______x uva 10 owoea | ri De: ETA ARMATA TA eni Caen ila 5 i È auowota | pnt ai e ai 1a SEN i eni Hd e di Hr _ Hd ur s > PORRE 4 et e cn! mr _mt_————iià‘_+aktittllw-::: /-X-- +2 ” n° . . LI . a n . cri 5 osouapojy ar per dr Ce re ic agri AMNOPA cora ren en n ta i i Hdi i Cna) 4 _ rm or € rr rr rr —r—_r——————_+_—_—-+t--- *'-rr*°l’”- oue18 Tu -IBq 9 OUTZUOOCIT Ipaezzia vujsst) pretore 49 Numero progressivo C. F. PARONA, O: A D.R'O SINO Piacentino e Parmigiano Oltrepò Pavese | Modenese GENERE E SPECIE S. Colombano Piacentino-Astiano Strati di Castel- Marne sabbiose l’Arquato | Pliocene inferiore | —|l Pi n ire TE ae | Sabbie gialle Vermetus intortus Lamx. . s arenarius Linn. Siliquaria anguina Linn. . Scalaria communis Lam. È pulchella Brvon. Solarium discus Puiup.? . Xenophorus crispus KoOwxre. Rissoa Lachesis Basr. . Phasianella pulla Linn. Trochus patulus Brocc. Ziziphinus SP. i Calyptraea chinensis Linx, Adeorbis Woodi Horn. Dentalium sexangulum Linn. È inaequale Bronn. . hi sexangulare Lamx. » dentalis Linn. Actaeon tornatilis Linn. . ia | Conglomerati nega re Strati di Tabiano LE: ! Pliocene è MIO a fd ui (e ne ie in] CINI La di i . . . . fd [e] . fed pena pnl pin pn Lamellibranchi Ostrea cochlear Poti. cucullata Born. Gingensis ScHLOTT. » Crassissima Lam. . subarata May. . Boblayi Desx. lamellosa Brocc. Anomia ephippium Linn. striata Linn. ; Pecten flabelliformis Br. . Reussi Horn. opercularis Linn. . » dubius Brocc. » —polymorphus Bronn.. Vola Jacobea Linn. i Spondylus crassicosta LAwmx. Pinna tetragona Brocc.? Arca mytiloides Brocco. ” ” pid LD lr er fi pn pd nd pedi rel deus . . par Yu . . [er (Sl) fendi pui . ld i [n] (e . ————m6—————m6kmm@@@-soCmra@«L‘mII adi mey: SRI . . . . . . . . . . . PT] . . . . . . . . . . . ped nd find ld pe pl (e rn] 771 Osservazioni 7a ° new uv | LISI I e 5] E DI ee e era Cee e e e e, I gen 7 n gr i (i e RT II E ° > & Ve" VELINE Ue e sa e È | puemawen] (ini l0i- CRAS È © © EVE SENIO ST PORRE TI SD = DLE GA ero I GEE RA O «ca CITE EEEuEEEEAZZa i) - «ka (tin | Wi.-ÈWmieeioieei ener iS (n . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . AS i 3 P CARROO dA RIE Lena e le: ° ia E AA . . . a PA pet Aertees de CT a . . . dea . . LI SIE «a spec > ra < siuowrd | CRE Dee TTI E Se n, i OO IL uu < E = SCE = ic ENEA Pea E a "E ia, OueISTU Lee e an TANT ° 4 serva enna REA a ee e E "" < EDITTO OTO e On E n di sti iN si IE li ERANO ere rd i, + : ira so Fa TRINO SERA, 5 0 UAOUOY) | QIOLIOJUT QUANTA bt: To SILE »] Ca ope GP he 0 È La] a ti è è Wo, m x, dl RD a v È Ma TS TV PI e | _esouIgw OI LEGATA | \ Na ni (luni sir hi i TO Se 772 C. F. PARONA, QUADRO SINOTI Oltrepò Piacentino î i È Pavese z casata 3 c i i: pal 2 GENERE E SPECIE o {58 8/4 Sq = gna iz) ©) Fal : | 5/25] £|Ss| = 8 | È E s|{@5| a sE to — RI | Si @ |w Ixapa 118] Arca lactea Linn. i Il Il 1 l 1 1 Il MAR diluegi Diani e 5 VILLE FISSE 115] Pectunculus insubricus ‘Broce. >; | 1:|;1 flop. Ade | 116 5 glycimeris Linn. al bi 117| Limopsis aurita Brocc. .. . .{1|1|1 lL:bIERAESE 118 4 Aradasii Testa. Leti è Li ORO 119] Nucula placentina Lamr. Lebgd di de RA Il l | 120] Leda pella Linn. Pas Lf PAPI 122] Chama dissimilis Bronn. . 1 SR E E 123 » gryphoides Linn. . l ER Re e 1 1 124] Cardium hians Brocc. MNENSO LI l sele e i 125 » echinatum Lin. . .|1|1 i CALA ‘19 126 5 multicostatum Brocc. 1 BRR | RA RAV 127 preare Gg o Dati LL 1 E 128] Lucina anceps Mic®ELOoTTI ui MR I 1291 , . borealis Lixn.. MEER I i 120| Cardita intermedia Brocc. l l RR A i 131 3" “Partsehu'*Gorpk, l l ET 131| Venus islandicoides Lamx. l 1 1 Il Il << S00I 132f , plicata Gwrtin. n e e E I 188 » crenulata Risso. LR MR . «| 134 s* ovata: Pea ono 0 l l 1. Ind e pallio Lane 1003 PEERIA i MR 1361 , scalaris Bronn. . Fil Cagli Se È = > x (ss) A Sì nei ,8 "e Ù .Q . d 4 e SÒ Su di d ) par È È [1 3 Sì n le) 5 eri è 6 dd =? Rò O "a 7 U2 È d Re A SO 4 3 S le) S par DO D >) i (7) (dro) o ud u©) $ a dI SE rada na 4 ia no 63 e ssa, E & E 5 (>) Zi ds a o BS Pi i vi vi lni Uni _ ri Cani . ru ______@mm__— _uo __o____u__mm__mttovyY__uoe__“eae——_——_—m = mne "e reo - TA ba: SA AO oO e ate 3 Piero, DI I) Te 1I3]V anda dea “E (| nd i a, eun gal) CA A E q 2 È ia Pi ‘a sonIeNN RN | paio Cette ara ra 2 3 A ce = =: 0 PERE E TE cà ara 4 Ra hi % (®) Ei couesonpoN | i i i È $ > di urge PA - a e . z 4 RE TIÀA È ptt lt pei CS i rl Ri las 3 $ CI O . . . . . . . . . . . . fia > ik St EI EI ESA par LO La a H TÀ io] ‘ a RA e ARE TE TORO 3 2 H E SRAOUISIT ren ei alli . ni . . a . . . . Pri . . . oa 0 . VAI . 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Non poche specie di quelle da me studiate ignoravasi che si rinvenissero fossili nel nostro territorio, nè furono da alcuno fin ora pubblicate; non reputo quindi del tutto inutile il radunare qui tutto il ma- teriale fin’ ora conosciuto come primo passo allo studio della nostra fauna fossile delle conchiglie terrestri e fluviali. Il deposito di lignite a Leffe in valle Gandino, offrì già campo di studio a sommi naturalisti, e le conchiglie che giacciono, per la maggior parte nello strato di argilla bianca sovrappostavi, fu- rono già studiate e dal Brocchi, e da Fridolin Sandberger, il ri- sultato dei cui studî trovasi nell’ opera Ueber Pliocen und Eispe- riode auf beiden Seiten der Alpen, pubblicata a Basilea nel 1876 da L. Riitimeyer. Il nostro socio, recentemente perduto, comm. D. Giulio Curioni, fino dal 1844, nel resoconto sullo stato geo- logico della Lombardia inserito nelle Notizie naturali e civili sulla Lombardia, a pag. 77, annoverava già quattro specie di conchi- glie fossili esistenti nella cava di lignite a Leffe, che, secondo Brocchi, erano le seguenti: CONTRIBUZIONI ALLA FAUNA FOSSILE, ECC. 775 Paludina vivipara (Helix) Linn. Limnaea stagnalis (Helix) Linn. Planorbis complanatus (Helix) Linn. Cyclas cornea (Tellina) Linn. Ritimeyer nel precitato lavoro a pag. 42 dà il seguente elenco di specie: Planorbis albus Mueller (var. magna). Limnaea lagotis Schrank (vulgaris Rossm.). Bythinia tentaculata Linn. * Cyclas cornea Linn. A queste specie che sommano a sette io posso aggiungervi, da me raccolte, le seguenti: Valvata piscinalis Mull. Valvata planorbis Drap. Nella breccia di Gandino, chiamata in luogo il Crespone, il signor Ritimeyer nell’ opera citata a pag. 43 annovera esistenti fossili, Helix fruticum Mull. Clausilia sp.? che secondo l’autore potrebbe appartenere alla Ventricosa Drap. per quanto permise l’esame dell’esemplare osservato, ma che io credo possa appartenere ad una forma rigonfia della proteiforme Claus. Itala Mart. var. alboguttulata Wagner, che vive anche og- gidì in abbondanza in quella valle; non vivendo in Lombardia la specie a cui venne riferito l’esemplare rinvenuto. Le torbiere, antichi avanzi dei nostri laghi, che scomparvero man mano pel diuturno affluirvi di materie che le circostanti correnti deposero sul loro letto; o che per sollevamento del . suolo, od alluvioni irrompenti furono ricolmi; offrono pure buon numero di specie fossili rimaste sepolte per secoli, che l’industria ci pose in grado di studiare colla estrazione della torba come combustibile. La torbiera della Polada, nel territorio di Desenzano, scavata 776 N. PINI, per cura del signor dott. Giovanni Rambotti, offre ben dieci specie di conchiglie che fisurarono nell’agosto del 1875 .a Brescia nella esposizione di Archeologia preistorica e Belle Arti della pro- vincia, nella bene ordinata raccolta di oggetti paletnologici, espo- sta dal predetto signore e sono le seguenti: Helix lucorum Mill. » fruticum Mill. Limnaea stagnalis Linn. » palustris Drap. Paludina contecta Millet. È » vivipara Linn. Planorbis corneus Linn. » complanatus Linn. Bythinia tentaculata Linn. Valvata piscinalis Mill. Quella di Maggiolino, frazione di Rogeno nella Brianza, esplo- rata dai benemeriti fratelli Antonio e Gio. Batt. Villa, offre del pari una faunula non dispregevole di molluschi fossili, e debbo alla compiacenza dei medesimi la comunicazione di alcuni pezzi di torba conchiglifera, che mi diedero le seguenti specie che som- mano a ben quattordici, numero abbastanza ragguardevole per la fauna di piccolo tratto di terreno : Zua lubrica Miill. mut. minor. Limnaea stagnalis Linn. var. subulata West. » peregra Drap. » vulgaris Kister. » auricularia Drap. Bythinia tentaculata Linn. var. striata, mihi. Valvata. alpestris Shuttl. var.?! Planorbis complanatus Linn. » » var. submarginatus Jan. _ * Schivo di presentare agli studiosi nuovi; nomi ho determinato come alpestris var? questa specie perchè la più prossima, benchè non vi corrisponda esattamente, Nessuna delle specie di Val/vata viventi si approssima più della citata a questi esem- plari che offrono una spira crescente più lentamente, i giri più convessi e sovrapposti l’uno all’altro, mezzo giro di più e maggiore elevazione, quindi una forma più pi- ramidata che non la a/pestris Shuttlew. È forse una forma estinta. | CONTRIBUZIONI ALLA FAUNA FOSSILE, ECC. 777 Planorbis albus Mill. da leucostoma Millet. Cyclas cornea Linn. » » var. globosa Meg. Pisidium casertanum Poli. Fra Cucciago e Camerlata, nella costruzione del nuovo tronco di ferrovia Como-Lugano , nella palude della Guzza, venne rin- «venuto uno strato di argilla terrosa di colore oscuro che con- "tiene buona quantità di conchiglie fossili. Raccoltane una por- — zione da uno degli ingegneri addetti ai lavori e comunicata al civico Museo di Milano, mi venne gentilmente data a studiare dall’ aggiunto alla Direzione del medesimo. signor Ferdinando Sordelli a cui rendo le più sentite grazie. Vi rinvenni le seguenti specie: Succinea Pfeifferi Shuttl. var.? Valvata alpestris Shuttl. var.? Cyelas cornea Linn. Pisidium pulchellum Jenis. Presso la cascina San Fedele a San Michele alle quattro vie, Riparto VII di Milano, si è attivato un cavo di ghiaia nell’ al- luvione che ricopre buona parte del territorio milanese. Alla profondità di più che tre metri dal piano delle circostanti cam- pagne, il nobile signor Vittorio dei conti Turati, zelante cultore della paleontologia, con occhio perspicace osservò uno strato di argilla sabbiosa color gialliccio, dello spessore da 60 centimetri ad un metro a norma che il medesimo si insinua obliquamente sotto l’alluvione sovrappostavi. I Osservatore diligentissimo, non tardò ad accorgersi che in questa zona argillifera erano giacenti numerose conchiglie, che con opportuno metodo di lavatura potè ottenere da buona quan- tità di quell’argilla. Tali conchiglie avute in comunicazione dalla gentile cortesia del precitato signore per la determinazione, ap- partengono tutte a specie ancora viventi nel nostro territorio e sono le seguenti: 778 | N. PINI, © Limax agrestis Mull. (le sole limacelle) ed altre specie indeter- minabili. Vitrina brevis Drap. Hyalina Draparnaudi Beck. » cellaria Mill. » sp.? (pullus) affine alla hydatina Rossm. Conulus fulvus Drap. Helix pulchella Drap. » » var. costata Mill. » pygmaea Drap. » carthusiana Mull. » unifasciata Poiret. » profuga Ad. Schmidt. Buliminus tridens Mill. Pupa muscorum Linn. Vertigo pygmaea Drap. Cionella lubrica Mull, Coecilianella acicula Mull. Succinea oblonga Drap. Un fatto singolare a rimarcarsi è, come in un sedimento pro- dotto dalle acque non si rinvenga specie alcuna aquatica, ma siano bensì tutte specie terrestri. In terreni più recenti, nelle concrezioni tufacee, rinvenni pure alcune specie di conchiglie fossili. Ad Esino, osservai e raccolsi: Helix. pomatia Linn, » angigyra Ziegl. Pupa pagodula Des Moul. In valle Seriana, nella provincia di Bergamo, lungo la strada che mette a Serina nelle concrezioni calcari trovai fossili, Hyalina cellaria Mill. var. Villae Mortill. Helix tigrina Jan. Pomatias septemspirale Razoum. » Porroi Strobel, In valle Trompia, nella provincia di Brescia, nelle incrostazioni calcari presso Gardone, raccolsi allo stato fossile in parte cal- carizzate, Ì; CONTRIBUZIONI ALLA FAUNA FOSSILE, ECO. 779 — Zomnites gemonensis Fer. Helix colubrina Jan. Pomatias Villae Spinelli. Riassumendo quindi le osservazioni fatte fin qui, abbiamo rap- presentato allo stato fossile ben 19 generi in 53 specie e varietà di forme. Di queste, 12 generi in 30 forme sono terrestri, e 7 ge- neri in 22 forme, acquatiche. Ripetute esplorazioni in altre località nuove, e più diligenti osservazioni in quelle già visitate, potranno aumentare sensibil- - mente il numero delle specie fossili nel nostro territorio per giungere man mano alla conoscenza della nostra fauna. ALCUNE OSSERVAZIONI ALTIMETRICHE SULLE PREALPI LOMBARDE Nota di ELvEZIO CANTONI Studente del II.° Corso di Scienze Naturali. Non è mio intendimento di trattare dell’altimetria barome- trica, considerata teoreticamente o empiricamente, che si voglia (cosa per altro molto discosta da miei studii e troppo alta per il mio sapere), ma solo di riferire su taluni fatti, che mi emer- sero, considerando varie mie osservazioni altimetriche, eseguite in alcune escursioni montane, e specialmente in una fatta lo scorso anno al monte Paglione, monte posto al di sopra di Mac- cagno, a sud del meridiano di Locarno, presso il lago Maggiore. Notando poi quanto in oggi torni utile al naturalista, sia esso zoologo, botanico 0 principalmente geologo, di determinare, ap- prossimativamente almeno, l’altezza, a cui gli venne fatto d’incon- trare o un animale o un vegetale od una roccia, credetti oppor- tuno, presentandomisi la favorevole occasione di un Congresso di 780 | È. CANTONI,® Naturalisti, di accennare a quei metodi facili, e il meglio possi- bile esatti, che si possono seguire in tali determinazioni alti- metriche. Noterò intanto che il barometro, di cui mi servii, è un pic- colo aneroide ossia barometro metallico di Vidi, modello inglese, ottimo esemplare, non soggetto ad alterazione alcuna per la tem- peratura e la di cui graduazione venne due o tre volte verificata, per correggerne le alterazioni nel coefficiente di elasticità, cosa assal importante, dal dott. Guido Grassi, il quale molto si occupò di questi istromenti e dell’ altimetria barometrica, come appare da’ suoi eruditi scritti in proposito. Ebbi campo anche di usare un barometro Fortin per alpinisti, in una gita, che feci pure. l’anno scorso, alla Madonna del Monte e al Campo de’ Fiori, per le quali località potei stabilire un’altezza rispettiva di metri 862 e 1247 sul livello del mare, ritenendo però l’altezza di Varese (da me determinata col confronto fra le medie di un trimestre di osservazioni barometriche fatte a Pavia ed a Varese) di me- tri 385,7 e non di metri 398, come dà l’Oriani,' colla quale al- tezza trovo di avvicinarmi meglio ai dati dell'Atlante Dufour (m. 385) e del livello ferroviario (m. 382). Il barometro Fortin, però, per quanto più esatto lo si voglia ritenere di un aneroide, presenta, a petto di questo, un assai incomodo trasporto, ed una non infrequente causa d’errore nelle bollicine d’aria, che vi si immettono per le scosse, cui, pur contro ogni volere, spesso lo sl sottopone. Nella anzidetta gita al monte Paglione, che compii nei giorni 20, 21, 22, 23 e 24 del mese di agosto 1877, curai lungo il viaggio di osservare barometro e termometro in ogni località importante per la quale passavo, ed anzi, ripassando ad ore diverse per la stessa località, non tralasciai di ripetere l'osservazione, per modo di aver campo ad un confronto. Do qui appunto in un quadro le osservazioni da me stabilite, facendole seguire dai risultati altimetrici ottenuti coi calcoli. i G. C. Brzzozero, Varese ed il suo territorio. ALCUNE OSSERVAZIONI ALTIMETRICHE, ECC. 7810 mm mm 4.55 a.| 724.7| 230.51 732.3] 210.9] + 902.7 (476m.4] + 902,7 [476,4 20 Robarello Rasa <<... .| 5:25 | 20.0 220) 323] 22.9/+ I4.4| 529.8| + 56.4| 532.5 || | Brinzio... ..|65 | 24.0] 241.8) 324] 22.6 + 136.4] 521.8] — 42.0| 520.5 (| | Gabiaglio . . . .|6.50 | 26.7| 22.5] 32.5) 23.1] + .69.0| 454.7|— 67.31 453.2 | Cuvio (chiesa). . .|7.33 | 38.7] 24.3] 32.6] 23.7|— 72.8| 312.9| — 4142.6| 340.6 Boffalora . . . .|9.5 40.6) 26.0] 33.3] 25.4| — 86.9] 298.8] — 22.5| 288.1 Chiesa Sant’ Anna . | 9.25 35.7] 26.4] 33.4| 25.8 27.5 | 358.2 + 58.3| 346.4 Duno . . . . . .|9.50 | 49.8] 25.7| 33.4/ 26.8| + 164.6 | 550.3] + 4191.9| 538.3 } Monte San Martino . | 11.55 |674.4| 24.0) 33.2| 28.8| + 736.7 |1422.4| + 570.7 |1109.0 A Monte San Martino . | 4.30 p.| 73.6| 23.5] 32.5] 28.8| + 738.6 /1124.3] — 40.3 |1098.7 Duno... .. .|3.25 |747.3] 26.8] 34.8) 28.0 + 476.5] 562.2|— 544.7 | 554.0. Chiesa Sant’ Anna . | 3.55 | 33.4] 27.6| 34.7| 27.0] — 16.8| 368.9 — 192.1| 361.9 24 | Cuvio (a valle) . .|3.45a.| 37.4| 25.2] 30.2] 22.5] — 85.4| 300.3] — 51.4| 340.5 Arcumeggia. . . .|5.0 |746.4| 22,5] 30.3] 22.7 + 170.4| 556.4| + 255.7 | 566.2 Monte Nudo. . . .|7.35 |660.3| 20.6] 30.4] 23.4] + 878.4 |1264.4] + 703.0 |1269,2 Monte Nudo. . . .|8.45 | 60.5) 22.0) 30.5] 23.8 + 879.5 |1265.2] + 2.6 |1274.8 Aga. . ... . .|9.35 |719.7| 26.0] 30.4] 27.0| + 430.0 | 515.8| — 750.0 | 521.8 : Casal Zuigno . . .|10.40 | 34.7] 27.9 30.2] 27.5] — 54.4| 331.3] — 481.0] 340.8 Cuvio (a valle). . . |12.45 p.| 37.2] 27.3) 29.8] 28.4| — 89.2] 296.5] — 30.4| 340.7 | Canturia di Rancio . | 4.20 | 37.7] 28.7] 29.8| 28.4] — 95.6| 290.4] — 5.9] 304.8 Gassano . . . . .|440 | 36.5| 28,7] 29.7 28.6/ — 82.7) 303.0/ + 44.3| 349.4 Luino (chiesa). . . | 4.5 42.5 28.0) 29.0| 27.0] — 162.0| 223.7/ + 71.8| 247.3 | Veddo. . . . . .|7.30 | 33.7] 24.0] 29.4] 23.5) — 54.8| 330.9] + 104.7] 352.0 22 | Garabbiolo . . . .|6.0 a.l 43.2) 22.0] 29.5] 22.0] +4 196.7 | 582.4| + 246.5] 598.5 | Gadero -. . . . .|6.30 | 14.2] 24.5] 29.5) 22.3| + 220.0] 605.7] + 24.3| 622.8 | Graglio +... .| 7.10 |688.3| 22,3) 29.6] 22.7 + 506.4| 8921] + 283.7] 906.5 Monte Paglione . . |141.0 34.4] 22.9] 29.0] 28.4] +4263.9 |1649.6| + 749.4 |1655.9 Monte Paglione . .|11.40 | 34.3] 19.4| 28.9) 28.6 +4257.0|14642.7| + 1.3|41657.2 Lago Delio. . . .|2.40p.| 82.4] 24.0] 28.6] 27.6] + 578.8 | 964.5 — 670.8| 986.4 Garabbiolo . . ..|440 |7441.5| 25.2) 27.0| 26.0| + 189.9] 575.6| — 369.2| 617.2 23 | Garabbiolo . . . .|7.0 a.l 414.9] 21.3] 27.8] 20.6 + 4190.8| 576.5|— 49| 642.3 | 1 Maccagno Superiore . | 8.40 40.4| 23.2) 28.4] 241.0] + 145.2) 240.5] — 340.6 | 271.7 Maccagno Inferiore . | 8.55 52.8) 24.4] 28.5] 21.5] — 169.0| 216.7| — 28.7| 243.0 Luino (lago) . . .|4.55 p.| 43.9| 24.2] 28.4| 22.3] — 185.8 | 199.9) — 42.8| 230.2 DI | 24|Montegrino. . . .|6.50a.| 47.8) 16.5) 28.0] 18.0 + 420.4| 505.8| + 306.3 | 536.5 E Montegrino. . . .|7.0 17.8] 47.0] 28.4) 19.0| + 421.6 | 507.3 0.0| 536.5 | Monte Nave (Bederon) | 8.45 |680.7| 18.4| 28.3] 21.5) + 580.0 | 965.7| + 454.1 | 990.6 San Paolo . . . .|1140 | 92.3) 22.5] 28.8] 26.5) + 449.4| 835.4| — 445.9] 844.7 Marchirolo . . . . |12.45p.|716.7| 26.2] 28.8| 27.5) + 147.5] 533.2) — 302.5| 542.2 O Ghirla. . . . . .|4.25 | 23.2 27.0) 28.8 28.0| + 68.4| 453.8] — 794] 462.8 "PET TTI IM GIGIRARRIA GAI, 0 22.4) 23.4) 28.7] 29.0| + 76.3| 462,0] + 9.6| 4724 |a Fontana Ammalati . | 3.50 27.5) 22.4) 28.7| 29.0] + 44.4| 400.4| — 6414| 441.3 782 E. CANTONI, Nella colonna A ho segnato l’ altezza barometrica da me osser- vata in ciascuna località, e nella B la temperatura atmosferica in gradi centesimali della località stessa all’ora dell’osservazione ; nelle C e D notai le presumibili pressione atmosferica e tempe- ratura a Varese nelle ore corrispondenti a quelle delle mie osser- vazioni nelle varie località, deducendole però dalle osservazioni, che in quei giorni, nelle ore stabilite, si facevano a Varese e alla Madonna del Monte, e che qui sotto, in due appositi tabellini, credo giovevole di ripetere: i OSSERVAZIONI DI VARESE — Agosto 1877. BAROMETRO TEMPERATURA S-S-.TT__ te T—__mzea —_T'T_——T_"——t__smu= ——_ Ila 3 p TAR 7a Ila 3 p 7p 21 30.4 30.0 29.1 29.0 23 A 28 .0 28 .8 23 .7 22 29.6 29.0 28.5 27.7 22 .7 28 4 27. 4 23 27,8 28.7 28.4 27.9 20 .6 21.9 22 .8 17.9 4 20 | 732mnm.5. | 733mm4 | 734mm 9 | 794mm.5 | 2392 280.7 299.0 259.0 2 28.1 28.8 28.7 28.6 18,9 26 .2 29. OSSERVAZIONI DELLA MADONNA DEL MONTE — Agosto 1877. Ls BAROMETRO TERMOMETRO î —_-_ _ —_———_t___u 7 FT——_{i__ TT Y_ —————rm1e—. rs & 9a. | 3 p. | 9 pi 9a 3 p 9 p 20 | 6961um4 695mm.5 695mm.0 240,2 219.6 230,4 2A 9.6 93.9 92.3 25 .2 24.0 23 +1 22 92.7 91.6 %U.4 25 4 25 .3 23 .3 23 82, 94.9 90.8 20 .2 20 .8 18.5 2 90.7, 04.7 9.2 24 .0 PA 16, è 21.3 Nella £ scrissi le altezze in metri delle diverse località sopra (+) o sotto (—) Varese, altezze che calcolai col mezzo delle ta- ALCUNE OSSERVAZIONI ALTIMETRICHE, ECC. 783 | vole del dott. Guido Grassi.! In 7° sono indicate le altezze sul . livello del mare di ogni località, ottenuta coll’aggiungere o to- gliere da m. 385,7, altezza di Varese, i numeri segnati nella co- lonna E, a seconda che portano il segno + o —. Nella colonna G poi calcolai l'altezza di ciascuna località, abbandonando le pres- sioni presumibili della colonna C, e usando solo delle pressioni se- gnate nella colonna 4, e determinando successivamente colle tavole di quanti metri una località sia sopra (4) o sotto (—) della precedente. E nella H finalmente scrissi le altezze sul livello del mare di ciascuna località valendomi dei numeri segnati nella co- lonna G, sommando cioè o sottraendo dall’ altezza sul livello ma- rino di una località, secondo sta scritto nella colonna 7, il nu- mero che trovasi marcato nella finca G per la località susseguente a norma che porti il segno + o—. I dati numerici delle due ultime colonne li aggiunsi per mostrare come sempre torni utile il riferirsi ad una stazione fissa, di ben determinata altezza, nella quale si facciano a determinati inter- valli delle osservazioni barometriche, anzichè usare delle sole pro- prie osservazioni, tolte nei varii luoghi, per poi calcolare le al- tezze, senza tener conto delle variazioni barometriche avvenute nella giornata, e tanto più quando si debbano continuare per varii giorni le osservazioni. Se io parto da un determinato luogo e salgo la vetta di un monte, quasi certamente nel tempo impie- gato nella salita sarà avvenuta una variazione barometrica; ora, se vi sarà nel luogo di partenza una persona incaricata di 0s- servare tratto tratto un barometro, potrò sapere la variazione avvenuta nel frattempo e quindi stabilire la giusta pressione at- mosferica del luogo di partenza al momento in cui io osservavo il barometro sul monte, ed avere così la esatta differenza in mil- limetri fra le due località, il luogo di partenza e la cima, diffe- renza che dovrò moltiplicare per il valor medio dell’altezza in metri per un millimetro di pressione, corrispondente alle due coppie di valori della pressione e della temperatura nelle due 1 Dott. Guinpo GRASSI, Sulla altimetria barometrica, Roma, 1876. 784. | Ri. CANTONII 1AXS4O A) diverse località. Ma se al contrario non avrò mezzo alcuno per conoscere la pressione del luogo di partenza, nell’ ora in cui. giungerò sulla vetta del monte, egli è evidente che, qualora nel tempo decorso nell’ ascesa sia avvenuta una variazione barome- trica, questa farà sì che la differenza in millimetri fra le due. località sarà maggiore o minore, a seconda che la pressione sarà diminuita od accresciuta, e quindi fosse pure tale variazione di un sol millimetro, essa mi porterà una differenza nell’altezza del monte sulla località di partenza di più di 10 metri. Questa quindi sarebbe una delle cause per cui preferirei il primo metodo, cioè del riferimento ad una stazione fissa d’ osser- vazione, anzichè alle determinazioni successive, ben s’ intende però. qualora la detta stazione non venga a distare eccessivamente dal luogo d’osservazione, perchè allora la variazione barometrica, che può avvenire alla stazione stessa, potrebbe essere diversissima da quella avvenuta nella località d’osservazione. D'altra parte poi è ben evidente che l’errore in metri, che si viene a com- mettere in una data località dovrà ripetersi per tutte le località successive, causa il metodo delle somme e sottrazioni succedentisi. Basteranno qui due esempii, che voglio togliere dalla mia tavola. Nel giorno 20, in cui si ebbe una sentita variazione barometrica, fra le 7,35 ant. ele 9,5 ant. a Varese st ebbe una presumibile variazione barometrica di 0,7 mill. essendosi il barometro portato da 732,6 a 733,3; ora è naturale che anche a Cuvio, paese rela- tivamente vicino a Varese, avvenisse una tale variazione, per cui, mentre io era a Boffalora alle 9,55, alla chiesa di Cuvio il baro- metro avrebbe dovuto segnare 739,4 circa e non 738,7, come io avevo osservato alle 7,35, per modo che la differenza tra le due osservazioni barometriche sarebbe stata minore, e quindi minore la differenza di livello fra le due località, e precisamente di circa 8 metri, come appunto io ottenni riferendomi a Varese per ‘cal- colare le colonne £ ed 7. Infatti mentre il calcolo nella colonna G mi dà fra Cuvio e Boffalora una differenza di metri 22,5, la differenza fra m. 312,9 e 298,8 della colonna F è di soli m. 14,1. Nel giorno 24 invece, in cui la variazione barometrica fu mi- ALCUNE OSSERVAZIONI ALTIMETRICHE, ECC. 785 di livello secondo la colonna G di .302,5 metri, la differenza fra 835,1 e 533,2 nella colonna 7 è di un numero quasi identico al precedente, cioè di 301,9. D'altra parte, nella colonna 7, è chiaro che la differenza di 8 metri segnati in più fra Cuvio e Boffalora | sì sarà trasmessa a tuttii successivi dati della colonna stessa. Sgr” altra escursione, di cui mi piace ancora parlare, non per altro, che per trattare di una sorta di barometso aneroide, da | poco venuta in uso, si è quella fatta in quest'anno nel mese di- aprile col chiariss. prof. Taramelli, mio maestro, in unione agli . studenti di Scienze naturali della R. Università di Pavia. Il baro- . metro in discorso è quello di Goldschmid. Non credo opportuno di esporre le differenze di costruzione fra l’aneroide comune e questo, supponendole note a tutti coloro che si occupano, pur i personalmente, di altimetria; solo accennerò come lo strumento . Goldschmid, benchè presenti il vantaggio di una più approssimata ‘misura dell'indicazione barometrica, pur tuttavia richiede mag- | giori diligenze nell’uso, e può facilmente guastarsi, se per caso. i non si avverte, quando lo si porta in salita, di sollevare preven- | tivamente ed in bastevole misura la punta annessa al disco gi- revole. È ormai noto, per le recenti dimostrazioni del Grassi, che i i barometri aneroidi, compresi quelli di Naudet, di Casella, di Goldschmid, quali più, quali meno, subiscono. sensibili sposta- | menti ogni volta che sono soggetti a notevoli salti di pressione, | sia per forti perturbazioni barometriche, sia perchè vengono por- tati a differenti altezze, e che in seguito non si riconducono, che lentamente assai, alla primitiva loro indicazione col rinnovarsi di ‘una data pressione. Questa imperfezione è pochissimo sentita nel- W l’aneroide da me usato nelle suindicate osservazioni, mentre lo ‘è molto, in generale, negli aneroidi Goldschmid. A prova di È questo asserto citerò il seguente fatto. Mentre il mio aneroide si mantenne sempre in quasi pieno accordo colla propria curva VW di correzione per varii mesi, in cui si comprendono anche;i giorni, | spesi nella gita geologica, un barometro Goldschmid, piccolo mo- | i dello, che avevo portato meco per confronto, subì un sentito spo- | Vol, XXI. 50 e ta 786 E. CANTONI,. stamento. Il solito aneroide prima della partenza presentava una correzione media di — 1””,2, dedotta dalle osservazioni fatte per È nove giorni consecutivi nel marzo, e ritornato a Pavia dopo il viaggio dava una media di — 1””,4, secondo le risultanze di altri nove giorni di osservazioni, non differendo così dalla prima me- dia che di +-0,2. Circa lo spostamento poi subìto dall’ istro- mento stesso in rispetto alla propria curva, noterò come prima della partenza fosse di + 1”*,1, mentre dopo non fu che di + 0"®,9, mostrando quindi un relativo avvantaggiamento. L’aneroide Goldschmid invece, mentre nelle stesse osservazioni di marzo se- gnava 6°" 1 in più, di quello che avrebbe dovuto segnare corretto colla relativa tavola del costruttore, in seguito al viaggio dava a’ Pavia una media di 9,3 in più, differendo così di + 3,2 dalla prima media. A miglior chiarezza di quanto ora dissi credo non inutile di dare il seguente tabellino, in cui 7» indica il barometro mercurio ridotto a 0°, C segna il mio aneroide, G il Goldschmid, ambedue corretti: G G corretto | corretto Media delle osservazioni prima della partenza | 743mm,9|745mm,0|750mm.0| + 4.1] 4 6.4 Media delle osservazioni dopo il ritorno . . | 749,4 | 750mm,3 | 7582m.7| 4 0.9 | + 93 Ritenuto per ciò le indicazioni del mio aneroide paragonabili alle indicazioni di un barometro a mercurio mercè le debite cor- rezioni, vedrassi nella seguente tavola, ove ancora C e G hanno lo stesso significato che nella tavola precedente, quanto il baro- metro Goldschmid, che meco pure portava nella gita geologica dell'aprile scorso, differisse, e come in modo vario, da un’ esatta indicazione : i REI AIA A 6 LE 49 24 22 6.30 6.40 7.0 7.45 8.40 8.50 41.45 p. 30 5.35 5.30 a. 7.0 4.35 p. 2.35 5.20 a. 9.0 2.45 p. 6.0 7.0 8.48 a. 42.40 p. 3.0 5.45 a. 9.45 3.43 \LCUNE OSSERVAZIONI AL LOCALITÀ Bariano RA Milano . n ; 3 ; s 3 Cucciago 5 4 ; E Cantù Gauos, : 5 . : a | Intimiano Altipiano d’ Intimiano . Lago di Monte Orfano . Monte Orfano comasco. Albese . : È È ° . Albese, sella per la Valle Tavernerio . Monte Gay, verso Ovest Torre Turati . Erba Purtpacioni 1% . ; : Lago di Pusiano Lecco (alto) . Acquate . 7 : È - . Mandello Sella da Lierna ad Esino Esino (chiesa) Perledo . Varenna (chiesa) Menaggio (lago) Porlezza . Lugano . : " : è Lugano +. Bisuschio ; : ‘ 9 } Varese . È A : a 4 3 ia gel: TIMETRICHE, EC G corretto . | 7561m,0 49.7 36.5 30.9 34.0 25,8 21.0 27. 13.7 26.3 dh 650.8 68,7 733.4 34.0. 40.7 4,8 38.9 48,2 680.3 86.9 725.4 4A,9 40,0 34.9 34.5 34.9 29.5 26.7 (0) corretto 750mm.() 44.6 32.3 26.0 25, 21.9 18.6 22.0 09.7 21.4 410.6 644,9 62.6 724,8 27.9 34,2 39.7 34.3 42,3 675.9 82.6 748.7 34,6 33.6 27,2 27.6 29.4 2A 20.4 3.9. 788 E. CANTONI, ALCUNE OSSERVAZIONI ALTIMETRICHE, ECO. Avendo poi di tutte queste località determinate le altezze sati ; livello del mare, trovai i seguenti numeri: Cucciago m. 273,2 Lago di Pusiano — m. 294,1 Cantù » 355,9 Lecco (alto) n - 226,0 Intimiano » 396,7 Acquate i 207,0 Altipiano d’Intimiano - ,, : 435,0 Mandello itai 2. 1208,8. Lago di Monte Orfano .,, 398,1 Sella da Lierna ad Esino ,,. 995,4 Monte Orfano comasco , 542,3 Esino (chiesa) i 48575 Albese » 407,1 Perledo os 441,2 Albese, Sella per Valle Varenna (chiesa) LO Tavernerio » 534,9 Menaggio (lago) Ji 213,2 Monte Gay, verso ovest ,, 1348,3 Porlezza » 286,2 Torre Turati » 11104 Lugano IGIIA 4° 1280;8 Erba » 853,8 Bisuschio gi 300,5 Conchiuderò il mio lavoro dicendo che un barometro aneroide non può prestare un sicuro dato per l’altimetria se non si è fatto prima su di esso un lungo studio per determinare la curva o la formola della correzione da applicarglisi secondo le varie temperature e pressioni, e per argomentare la legge dagli spo- stamenti, che questa curva subisce sotto forti variazioni di pres- sione; mancando un tale studio si è certi di incorrere in errori molto rilevanti. | Varese, settembre 1879. E SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO pel Socio Dott. Pietro PAVESI PROF. ORDINARIO DI ZOOLOGIA NELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Seduta del 27 Settembre 1878) Onorevoli Colleghi, Come ad altro dei nostri simpatici Congressi, quello di Vicenza di dieci anni fa, vengo ad intrattenervi di aracnidi; ma ora vi | presento un lavoro ristretto a più modeste proporzioni, che ri- i guarda soltanto il bellissimo paese in cui siamo riuniti, comu- ‘ nemente chiamato il “ Varesotto ,. Il nostro egregio Segretario generale, Sordelli, che ha dato tempo | fa il più esteso catalogo dei ragni di Lombardia, * non accennò che per quattro o cinque specie a località varesine, e vi erano | queste ancora oggidì le sole conosciute. Non appena quindi fu decisa la sede del Congresso del 1878, per riempiere in qual- che modo tale sentita lacuna e per contracambiare con una | parziale illustrazione del territorio alla gentilezza di Varese che ci accoglie, mi sono proposto ed ho compiuto nell’ agosto e set- ‘| tembre una serie di gite aracnologiche, toccando i punti più im- i portanti e disparati del Varesotto, dalle ultime ubertose ondula- | zioni verso la pianura padana alla cima de’ monti di spaziosa, in- cantevole vista, dalle rive dei laghi, che 1’ ingemmano, al fondo delle tortuose vallate. Il mio quartiere era però molto eccentrico, cioè a Ligornetto sul territorio elvetico confinante ; onde cominciai col fare ripetute | escursioni nel distretto più vicino ed orientale di Arcisate. Poi ebbi bisogno d’internarmi maggiormente, e camminai di seguito 1 Sui ragni lombardi (Atti Soc. ital. sc. nat., XI. 1868, p. 459). TIO SE P. PAVESÌ, i lati d'un grande irregolare quadrilatero naturale. Da Induno, — per la romantica Val Gana e la Val Marchirolo calai a Ponte | Tresa; con angolo quasi retto seguii la sinistra della Val Tresa, su quella strada che diventa poi sentiero alpestre faticosissimo, feci capo a Luino e, dopo una punta ai due Maccagno, ritornai per ri- salire da Germignaga l’inferiore Margorabbia o Val Travaglia fino a Cassano; che, lasciato alle spalle, mi diresse nell’ ampia Val Cuvia, giungendo a Laveno; di qui, rifacendo la destra del Boe- sio, passai per Cittiglio e Gavirate a Varese. In altra escursione traghettai laghetti, valicai monti per toccare Angera dalla parte di Biandronno, Monate, Comabbio, Lentate e Taîno; e retrocessi dall'antica Stazzona e dalla sua pittoresca ròcca per Ispra e Besozzo. Le ultime gite furono riserbate al Campo de’ Fiori, che giganteggia sopra la Madonna del Monte a tutto il terri- torio varesino, quasi disteso a manto dal suo vertice; alla Val di Brinzio, che ho poi esplorata da altra parte con alcuni di voi; finalmente alla preistorica isoletta del lago di Varese, conosciuta dai più col nome di Isolino e jeri ribattezzata Virginia. — Le specie di aracnidi del Varesotto, che noto nel seguente elenco sistematico, sommano a 150, appartenenti a 5 ordini, 19 fami- glie, 75 generi. Questo numero è abbastanza rilevante se si calcola che tali aracnidi furono presi per la maggior parte da me solo, in meno di due mesi d’una stagione, percorrendo di fretta più di 250 chilometri e senza salire molte montagne, che dovevano | dare di certo un notevole contributo, specialmente di licosidi, | drassidi ed opilioni; appena quelli di Cuvio ed alcuni di Varese ricevetti dal nostro Presidente straordinario prof. Leopoldo Maggi, dal dott. Corrado Parona e dallo studente Elvezio Cantoni, ai quali rendo vive e pubbliche azioni di grazia, ed aggiunsi per gli | altri pochi sopra detti le località varesine indicate dal collega Sordelli. Io non vi offro questo lavoro colla puerile pretesa che sia com-- Îl pleto; è un saggio, che potrebbe diventare molto meno imperfetto, | quando si facessero più pacate e lunghe ricerche in diverse sta- | gioni ed in nuove località. Esso è però sufficiente per dare un’ i- é SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. 791 P dea della fauna aracnologica di quest’ angolo della Lombardia e | serve ad arrichire la stessa fauna lombarda delle seguenti specie, . finora trovate soltanto nel Varesotto: Epeira dalmatica 2, Singa pygmaea, Zilla Stroemii, Linyphia thoracica, L. tenebricola, Erigone cucullata, Theridium vimacula- tum, Amaurobius jugorum, Clubiona frutetorum, Drassus scutu- latus, Prosthesima pedestris, Gnaphosa bicolor, G. nocturna, G. exornata, Dysdera laevigata, D. Pavesù, Lycosa bifasciata, Tro- chosa ruricola, Heliophanus Kochi, H. rufithorax, Marpessa nite- lina, Attus pubescens, A. terrestris, Phalangium Canestrinii, Ph. luridum, Liobunum Doriae, Nemastoma quadricorne, Chthonius KRayi, Gamasus crassipes, Trombidium fuliginosum, Rhyncholo- phus cardinalis, Eh. trimaculatus, Actineda cornigera. Anzi 1° He- liophanus rufithorax e la Prosthesima pedestris sono nuove per- sino per l’Italia continentale. L'habitat, che ho indicato per ciascuna, si limita alle regioni circondanti il Varesotto, sulle basi dei cataloghi di Sordelli, Ca- nestrini, Fanzago e di altre mie pubblicazioni, al fine di mostrare quali sono i rapporti che esso mantiene col restante della Lom- bardia, col Canton Ticino e col Piemonte, anche da questo punto di vista. Avverto infine che i nomi specifici dati dal Sordelli nella memoria sui Ragni lombardi sono sempre riferiti per utile raffronto e per revisione sinonimica; quando non cito che il nu- mero corrispondente alla specie in detto lavoro è indizio che egli l’ha annoverata con lo stesso nome di cui mi sono servito. Io spero che gli studiosi di aracnologia, e coloro che qui s’ inte- ressano di cose patrie, vorranno fare buon viso a questo nuovo mio lavoro; il che mi riuscirà di vera soddisfazione, quantunque sia già pago di aver così occupate le vacanze autunnali in belle escursioni e ne’ miei prediletti studii. E mi compiaccio di annun- ciarvi che quelle hanno potuto fruttare, per mezzo del mio distinto Assistente e caro amico dott. Romualdo Pirotta, anche un’ inte- ressante Nota sugli ortotteri, libellulidi e miriapodi del Varesotto, cui volsi nello stesso tempo, ma in via secondaria, la mia atten- zione, sapendoli tra gli artropodi trascuratissimi quì ed ovunque. 792 >» AnvyPHAENA Sund. » CLusiona Latr. >» CrariracantaIum C. L. K. 5 >» Paruroritaus 0. L. K. ». Micaria Westr. . » Drassus Walck.. » Prosrursima L. Koch . GwapuHosa Latr. Fam. DYSDERIDAK . Gen. SecestRIA ‘Latr. . » Zicca CL. Koch ; Mera C. L. Koch TetragenaTHA Latr. . THERIDIDAE . PAacHayGNATHA Sund. Eprsinus Walck. . Linypnia Latr. Ericone Sav. Aud.. PayLLonertHzIs Thor. Tuaeriniom Walck. . SteatoDA Sund.-. Lmraypnantes Thor. AsagenAa Sund. . SCYTODIDAE . . Paorcus Walck. . Srermoprnora Hentz. Scrropes Latr. .AGALENIDAK . . Dicrrna Sund. TrranoecA Thor. . AmavuroBIus C. L. Koch CorLores Blackw. TecenaRrIA Latr. . Hanna C. L. Koch Acarena Walck. TexrrIix Sund. .DRASSIDAK . Lrocranum L. Koch Dyspera Latr. DO (ri Ha pa DIO Ha HH N EHI Ji VINI NIN pa VI peli ND UWONONHHNOEHFEAaAENNNNPEAaEH Fam. Gen. » Ord. Fam. Gen. Ord. Fam. Gen. Fam. Gen. Fam. Gen. » Drakà Thosi g io Xysricus C..L. K... . LYCOSIDAK . ». Auronia O. .L. K. Lycosa Latr. . TarenTtULA Sund. Trocnosa C. L. K. . DoLomepes Latr. . Ocrare Sav. Aud. . OXYOPIDAK . . Oxvopes Latr. . ATTIDAE. . Sanricus Latr. EprsLLMmuMm Hentz ; Heuropganus C. L. K. . Marpessa C. L. K. . Euoparys C. L. K. PuarrAeus Thor. Amrus Walck.. . OPILIONES . . PHALANGIDAE A . AcantHoLoPpHUus C. L. K. . PaAiLanGIOM L. . | Liosunum C. L. K. ‘. AstroBunus Thor. NEMASTOMIDAE . Nemasroma C. L. K. TrocuLus Latr. PSEUDOSCORPIONES . CHERNETIDAK. Carzonius C. L. K. ACARI . . be GAMASIDAE Gamasus Latr. . TROMBIDIDAE . TromsIipium Latr.. . RHYN CHOLOPHIDAE RayncnoLopnus Dug. ActinepA 0. L. Koch PPS ENO pasto ano eee o ‘P. PAVESI; QUADRO DEGLI ORDINI, FAMIGLIE E GENERI FINORA RACCOLTI E DETERMINATI. Clas. ARACHNOIDEA. sp. 150 Gen. Harpacres Templ. . sp. ‘ Ord. SCORPIONES . . ... 1 Fam.FILISTATIDAEK. Fam. PANDINIDAE 1 Gen. Fitisrara Latr. . Gen. Euscorpius Thor. 1 Fam.HETEROPODIDAE. Ord. ARANEAE . 132 Gen. Mricromwmara Latr. Fam. EPEIRIDAE . 26 Fam. THOMISIDAE. 1 Gen. Argiore Sav. Aud, . 1 Gen. Arranes Thor. a » Eprisa Walck. 15 » Pauropromus Walck. . » CrrropHora Sim. » Monarses Thor. . » Singa C. L. Koch » Taomisus Walck. » Cercipia Thor. » Misumena Latr. . (er hu DO CI dp OT i NO IN DE UH HN HW SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. —‘798 ELENCO SISTEMATICO DELLE SPECIE. 1. Euscorpius italicus (Herbst) 1800. Naturges. ungefliig. Mednis:4;-p. 70, tav. 3, fig. 1. Loc. vares. — Arcisate, Besano, Clivio, Madonna del Monte, Cittiglio, Ispra, Ròcca d’Angera. Da Ispra l’ebbe anche il pro- fessore L. Maggi. Hab. Lombardia?, Canton Ticino ?. Nota. — Esemplari con 6 (giovanissimo) a 9 fossette ocelli- formi nel palmo della mano, 12-13 nel braccio e 8-10 denti ai pettini; quello di Besano è tipico, quello di Cittiglio rappresenta la varietà indicata dal Fanzago (Scorp. ital., p. 6) e figurata dal Koch (Arachn. fig. 243). 2. Argiope Brilnnichii (Scop.) 1772. Ann. hist. nat. V, p. 125. (Nephila transalpina C. L. Koch; N. fasciata Sordll., sp. 89). Loc. vares. — Viggiù, Saltrio, Clivio, Induno, Castello di Cuasso, Val Gana, Val Marchirolo, Ponte Tresa, Madonna del Monte, Gavirate, Laveno, Cittiglio, Cuvio, Val Cuvia, Val Tresa, Maccagno inferiore. A Cuvio la raccolsero i prof. Maggi e Cor- rado Parona; dalla Madonna del Monte l’ottenne anche il pro- fessore Sordelli (Fagni lomb., p. 472 [14]). Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 3. Epeira diademata (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 25, pl. 1, tab. 4 (E. diadema Sordll., sp. 82). Loc. vares. — Dappertutto comune; la presi fin sulla cima del monte Campo de’ Fiori. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 4. E. angulata (Clerck), 1757. Sv. SpindI., p. 22. pl. 1, tab. 1 (E. pinetorum C. L. Koch var., E. cruciata Sordll., sp. 87). Loc. vares. — Porto Ceresio, Ponte Tresa. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 5. E. circe, Sav. Aud. 1827. Descr. de VEgypte, ed. 2.*; XXII, p. 338, Aracn. tav. II, fig. 9 (E. Schreibersii Hahn e Koch). Loc. vares. — Clivio, Marchirolo. 16 7: (REIT P. PAVESI, Hab. — Liaiaita, Canton Ticino, Piemonte. |” 6. E. spinivulva, L. Duf. 1835. Descr. et fig. d'une nouv. esp. | d’Épeire in Ann. sc. nat., 2.° serie, Zool. III. (Sordll., sp. 85). Loc. vares. — Cuvio (racc. Maggi e Parona). Hab. — Lombardia. Nota. — Giudicata sinonima della precedente anche dal Thorell (Rec. crit. p.14, Rem. on Synon., p. 7), vuolsi ora decisamente una specie a parte dal Simon (Arachn. de France, I, p. 61). 7. E. marmorea (Clerck) 1757. Sv. Spindi., p. 29, pl. 1, tab. 2 Araneus marmoreus; p. 34, pl. 1, tab. 8 A. pyramidatus (E. scalaris Sordll., sp. 78 + E. marmorea Sordll., sp. 84). Loc. vares. — Var. marmorea: Isolino, Biandronno, Cuvio, Cu- | nardo, Luino. Var. pyramidata o scalaris aut.: M. Campo dei Fiori, Ponte Tresa, Val Tresa, Val Travaglia, Luino. A Cuvio la raccolse il prof. Maggi. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 8. E. quadrata (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 27, pi I, tab. 3 (SordIl., sp. 83). Loc. vares. — Cuasso al piano, M. Campo de’ Fiori a 1220. s. m. var. rosso-bruna, Val Gana. Had. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 9. E. umbratica (Clerck) 1757. Sv. Spindi., p. 31, pl. 1, tab. 7 (SordIl., sp. 77). Loc. vares. — Ponte Tresa. Hab. -- Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. | 10. E. cornuta (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p.39, pl. 1 tab. 11 (E. arundinacea C. L. K.; E. apoclysa Sordll., sp. 79). Loc. vares. — Isolino, rive del lago di Biandronno. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. i 11. E. patagiata (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 38, pl. 1, tab. 10 (E. dumetorum Hahn; E patagiata Sordll., sp. 80). è Loc. vares. — Varese, Isolino, Biandronno, Ispra, Laveno, Val di Brirtzio, Val Travaglia. A Varese me iz raccolse il sig. Elve- zio Cantoni. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. e SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. 795 12. E dalmatica, Dolesch. 1852. Syst. Verzeichn. Oesterr. Spinn. in Sitzungsb. K. Akad. Wissensch. IX, p. 648. Loc. vares. — Castello di Cuasso. Hab. — Canton Ticino; Lago Maggiore (Thor). Specie nuova per la Lombardia? 13. E. dioidia, Walck. 1802. Fn. paris. II, p. 200 (Zilla al- bimacula C. L. Koch; Zilla dicidia Sordll., sp. 69). Loc. vares. — Viggiù, Arcisate, Val Gana, Val Marchirolo, Val Travaglia. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 14. E. cucurbitina (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 44, pl. 2, tab. 4 (Sordll., sp. 74). Loc. vares. — Cuvio (racc. Maggi). Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 15. E. acalypha, Walck. 1802. Fn. paris. II, p. 199 (E. ge- nistae Hahn; Zilla acalypha Sordll., sp. 68). Loc. vares. — Saltrio, Clivio. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 16. E. adianta, Walck. 1802. Fn. paris. II, p. 199 (Miranda pictilis C. L. Koch; SordlIl., sp. 75). Loc. vares. — Saltrio, Val Gana. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 17. E. ceropegia, Walck. 1802. Fn. paris. II, p. 199 (SordlI., È sp.73). : Loc. vares. — Val Gana, Val Travaglia. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 18. Cyrtophora conica (Pallas) 1772. Spicdl. zool., I, 9 di 48, tavola I, fig. 16 (Singa conica Sordll., sp. 72). Loc. vares. — Varese, Induno, Arcisate, Bisuschio, Besano, Viggiù, Val Gana, Viconago, Val Tresa, Madonna del Monte, Val di Brinzio, Maccagno Superiore. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 19. Singa hamata (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 51, pl. 3, tab. 4. (S. tubulosa Sordll., sp. 70). Loc. vares. — Clivio, Isolino, Laveno, Val Travaglia, Germi- È 1 gnaga. REZZA 796 P. PAVESI, Hab. Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 20. S. Herii, Hahn 1831. Die Arachn., I p. 8, tav. II, fg. ii (S. nigrifrons C. L. Koch; Sordll., sp. 71?) Loc. vares. — Val Travaglia. Hab. — Lombardia, Piemonte. 21. S. py&maea (Sund.) 1830. Sv. Spindl., in V. A. H. 1829, p. 121 ad part. £ (S. trifasciata e S. anthracina C. L. Koch). Loc. vares. — Clivio. Hab. — Canton Ticino. Specie nuova per la tonali 22. Cercidia prominens (Westr.) 1851. Fortekn. p. 35 du bella Blkw., Atea spinosa OAl.). Loc. vares. — Val Travaglia, Germignaga. Hab. — Lombardia. 23. Zillax-notata (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p.. 46, pl. 2, tab. 5 (Z. callophylla Sordll., sp. 67). Loc. vares. — Varese, Ispra, Angera, Ponte Tresa, Cuvio, Luino, Maccagno inferiore. A Varese racc. E. Cantoni, a Cuvio prof. Maggi. Hab. — Lombardia, Canton Ticino? Piemonte? 24. Z. Stroemii, Thor. 1870. On Europ. Spid. ip. 235; Rem. Synon. I, p. 34. Loc. vares. — Laveno, Ponte Tresa. Hab. — Canton Ticino. Specie nuova per la Lombardia. 25. Meta Merianae (Scop.) 1763. Entom. Carmiol.,. p. 395 (Sordll., sp. 65). Loc. vares. — Varese, Arcisate, Besano, Clivio, Val Gana, Vi- conago, Madonna del Monte, Val di Brinzio, Val Cuvia, Germi- gnaga. A Varese racc. E. Cantoni. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 26. M. segmentata (Clerck) 1757. Sv. Spindl. p. 45, pl. 2, tab. 6 (Zilla reticulata C. L. Koch; Zilla inclinata Sordll., sp. 66). Loc. vares. — Dappertutto, fin sul monte Campo de’ Fiori; a Varese racc. E. Cantoni. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 27. Tetragnatha extensa (Linné) 1758. Syst. nat. ed. 10.° I, p. 621 (SordIl., sp. 90). SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. 797 Loc. vares. — Varese, Arcisate, Val di Porto Ceresio, Viggiù, Clivio, Cazzone, Isolino, Biandronno, Gavirate, Laveno, Val Gana, Ponte Tresa, Val Cuvia, Val Travaglia, Germignaga, Luino. A Varese racc. E. Cantoni, in Val Cuvia prof. Maggi. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 28. Pachygnatha Clerckii, Sund. 1823. Spec. acad. Aran. suec. exibens, p. 16 (P. Listeri C. L. Koch; P. mazxillosa Sordll., sp. 59). Loc. vares. — Isolino, Germignaga. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 29. P. De Géerii, Sund. 1830. Sv. SpindI., p. 211 (Theridium vernale Hahn, P. Clercki C. L. Koch). Loc. vares. — Gavirate, Laveno, Val Tresa, Luino. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 30. P. Listeri, Sund. 1830. Sv. Spindl. beskr. in V. A. H. 1829, p. 210 (P. De Geéerii, C. L. Koch). Loc. vares. — Arcisate, Germignaga. Hab. Lombardia. 31. Episinus truncatus, Walck. 1809, in Latreille Gen. Crust. Ins. IV, p. 371 (Sordll., sp. 136). Loc. vares. — Val Travaglia. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 32. Linyphia clathrata, Sund. 1830. Sv. Spindl. in V. A. H. 1829, p. 218 (L. multiguttata C. L. Koch). Loc. vares. -— Isolino del lago di Varese. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 33. L. triangularis (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 71, pl. 3, tab. 2, fig. 1 (L. montana Sordll., sp. 61). Loc. vares. — Dappertutto, fin sul monte Campo de’ Fiori, al- l’Isolino di Varese ecc.; a Cuvio la raccolse il prof. Maggi. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 34. L. frutetorum, C. L. Koch 1834, in Herr. Schaeff. Deut- schl. Ins., 127, 19, 20 (SordIl., sp. 63). Loc. vares. — Saltrio, Biandronno, Rocca d’ Angera. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 798 P. PAVESI, 35. L. pusilla, Sund. 1830. Sv. Spindl. in V. A. H. 1829, p. 214 (L. pratensis Koch e Wid., L. fuliginea Blkw.; L. pra- tensis Sordll., sp. 64). Loc. vares. — Brenno-Useria, Val Gana. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 36. L. thoracica, Wider 1834, in Reuss Zool. Misc. Arachn. Mus. Senkenb. I, p. 254, tav. XVII, fig. 10. Loc. vares. —. Luino. Hab. — Canton Ticino. Specie nuova per la Lombardia: 37. L. tenebricola, Wider 1834, in Reuss Zool. Misc. Arachn. Mus. Senkenb., I, p. 260, tav. XVII, fis. 2 (L. terricola O. L. Koch part.). Loc. vares. — Viggiù, Madonna del Monte, Besozzo. i Hab. — Canton Ticino, Piemonte. Specie nuova per la Lom- bardia. 38. L. rubecula, Canestr. 1868. Nuovi aracn. ital. in Ann. Soc. nat. Modena, II p. 200; Cat. sist. aran. ital. in Arch. Zool. serie 2.°, II, tav. III, fig. 10. Loc. vares. — Viggiù, Clivio, Val di Brinzio. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 39. Erigone cuceullata, C. L. Koch 1836. Die Aran III, p. 45, tav. LXXXIX, fig. 200-201. Loc. vares. — Val Gana. Hab. — Canton Ticino. Specie nuova per la Lombardia. 40. Phyllonethis lineata (Clerck) 1757. Sv. Spindi., p. 60, pl. 3, tab. 10 (Theridium redimitum Sordll., sp. 41). Loc. vares. — Saltrio, Clivio, Val Gana, Viconago, Val Cuvia, Val Travaglia. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 41. Theridium sisyphium (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 54, pl. 3, tab. 5 (TReridion nervosum Sordll., sp. 44). : Loc. vares. — Varese. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 42. Th. denticulatum, Walck. 1802. Fn. paris., II, p. 208 (Sordll., sp. 47). SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. 799 2. r i i 2 Loc. vares. — Ponte Tresa, Germignaga. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 43. Th. formosum (Clerck) 1757. Sv. SpindI., p. 56, pl. 3, tab. 6. (TA. lunatum C. L. Koch, Th. sisyphum Sordll., sp. 42). Loc. vares. — Malnate, Clivio, Bisuschio, Arcisate, Madonna del Monte, Val Gana, Marchirolo, Val Tresa, Maccagno inferiore. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 44, Th. riparium, Blackw. 1834. Research. in Zool., p. 354 (Th. saxatile C. L. Koch). Loc. vares. — Varese, Val Gana, Marchirolo. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. % 45. T. bimaculatum (Linné) 1767. Syst. nat. ed. 12.° I, 2, p. 1033 (7%. dorsiger Hahn, Th. carolinum Wlk.). Loc. vares. — Val Gana (€ var. senza fascia dorsale). Hab. — Canton Ticino. Specie nuova per la Lombardia. 46. Steatoda bipunctata (Linné) 1758. Syst. nat. ed. 10.°, I, p. 620 (Phrurolithus ornatus C. L. Koch, Theridion quadripune- tatum Sordll., sp. 50). Loc. vares. — Saltrio, Clivio, Madonna del Monte, Val di Brinzio, Marchirolo, Val Tresa. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 47. $S. triangulosa (Walck.) 1802. Fn. paris. II, p. 207 (T%. venustissimum C. L. Koch, T”. triangulifer Sordll., sp. 49). Loc. vares. — Arcisate, Maccagno inferiore. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 48. Lithyphantes Paykullianus (Walck.) 1806-8. Hist. nut. 4, 4 (Phrurolithus hamatus, lunatus, erythrocephalus C. L. Koch; Latrodectus martius Sordll., sp. 54). Loc. vares. — Saltrio, Marchirolo, Cuvio. In quest’ultima lo- calità racc. prof. Maggi. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 49. Asagena phalerata (Panz.) 1801. Faun. Ins. Germ., 78. 21 (A. serratipes aut.; Sordll., sp. 40). Loc. vares. — Val Marchirolo. Hab. — Lombardia, Piemonte. 800 P. PAVESI, 50. Pholcus phalangioides (Fuessl.) 1775. Vere. Scie Ins., p. 61 (Ph. nemastomoides C. L. Koch; Sordll., sp. 31). Loc. vares. — Ligurno, Gaggiolo, Clivio, Viggiù, Cuasso, Bor- gnana, Ponte Tresa, Viconago, Val Tresa, Germignaga, Cuvio, Gemonio, Laveno, Angera. A Cuvio racc. Maggi Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 51. Ph. opilionoides (Schr.) 1783. Enum. ensect. Austr. p. 530. Loc, vares. — Saltrio, Val di Porto Ceresio, Val Gana, Val Marchirolo, Val Travaglia, Maccagno inferiore, Rocca d’{Angera. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 52. Spermophora senoculata (Dug.) 1836. Observ. sur Tes Aran. in Ann. sc. nat. 5.* serie, VI, p. 160 (£achus quadrima- culatus Sordll., sp. 30). Loc. vares. — Cuvio (racc. prof. Maggi). Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 53. Seytodes thoracica (Latr.) 1804. Tabl. méth. Ins. in Nouv. Dict. Hist. nat. XXIV, p. 134 (S. thoracicus Sordll., sp. 29). Loc. vares. — Marchirolo, Cuvio. In quest’ultima località racc. prof. Maggi. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 54. Dictyna arundinacea (Linné) 1758. Syst. nat. ed. 10,0; p. 620 (D. benigna Sordll., sp. 51). Loc. vares. — Viggiù, Biandronno. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 55. Titanoeca tristis, L. Koch 1872. Ueb. Spinn. gatt. Tita- noeca, in Apterol. aus d. frank. Jura, p. 43 (Abhandl. nat. Ges. Niirnberg). Loc. vares. — Val Gana, Val Travaglia. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 56. Amaurobius fenestralis (Stroem) 1768. Beskriv. ov Norske Ins., p. 462, tav. XVI, fig. XXIII (A. atrox Sordll., sp. 28). Loc. vares. — Val Gana (alle gallerie presso la Fontana degli ammalati), Viconago. Bab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. La A ef CA cè III Bri SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. —801 È | ..57. A. ferox (Walck.) 1830. Pn. frang., p. 150, tav. 7, fig. 7 . (Sordil., sp. 26). Loc. vares. — Induno, Besano, Gemonio, Val Cuvia, Vico- nago, Maccagno inferiore. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 58. A. jugorum L. Koch 1868. Arachn. Gatt. Amaur. Cyb, Coel., p. 24, fig. XI. . Loc. vares. — Viggiù. Hab. — Canton Ticino. Specie nuova per la Lombardia. 59. A. claustrarius, Hahn 1831. Die Arachn. I, p. 114, tavola XXX, fig. 86; X, p. 114, tav. CCCLV, fig. 830. Loc. vares. — Viggiù. Hab. — Lombardia, Piemonte. 60. Coelotes atropos (Walck.) 1830. Fn. frane. Arachn., p. 170 (C. terrestris Sordll., sp. 25). Loc. vares. — Val Tresa, Val di Brinzio, Val Cuvia, Val Tra» vaglia. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. | 61. Tegenaria parietina (Fourcr.) 1785. Entom. paris. (T. | Guyonii Walck., T. intricata C. L. Koch; 7. domestica Sordll., L sp 33). | Loc. vares. — Quasi dappertutto; a Varese racc. E. Cantoni, fi aCuvioil prof. Maggi. | Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. i 62. T. silvestris, L. Koch 1872. Beitr. Arachn. fn. Tirols in | Zeitschr. Ferdinand., p. 288 (7. agrestis Sordll., sp. 35). Loc. vares. — Malnate, Ligurno, Clivio, Saltrio, Val Gana, Val Tresa, Laveno. È Hab. — Lombardia ?, Canton Ticino. (I 63. Hahnia elegans (Blackw.) 1841. Zhe diff. in the numb. ; of eyes in Trans. Linn. Soc. XVIII, p. 619 (H. pratensis Sordll., sp. 39). | Loc. vares. — Val Tresa (secondo Sordelli, Ragni lomb., p. Mi 469[11)): 1A Hab. Lombardia, Canton Ticino. È: Vol. XXI. 51 802. | P. PAVESI, 64. H. “eil, C..L. Koch 1841. Die Arachm. VIII, P. 61 (ad part. 2), tav. CCLXX, fig. 638. Loc. vares. — Maccagno inferiore. Hab. — Lombardia. Nota. — L’ Hahnia pusilla C. L. Koch è tuttora una specie d’intricata e non risolta sinonimia; l'esemplare varesino £ ad. certo non è l’H. pusilla Simon (Arachn. de France II, p. 142), ma l’ H. pratensis Simon ad part. $ (ibid. p. 133) e risponde precisamente alla figura di Koch sopracitata. 65. Agalena labyrinthica (Clerck) 1757. So. Spindl., p.-d9; pl. 2, tab. 8. (SordIl., sp. 37). Loc. vares. — Ligurno, Gemonio, Val Cuvia. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 66. A. similis, Keys. 1863. Beschr. neuer Spinn. in Veni de: B. Ges. Wien, XIII, p. 374, tav. X, fig. 2-3. i Loc. vares. — Varese, Cazzone, Ligurno, Clivio, Brenno-Useria, Bisuschio, Ponte Tresa, Maccagno superiore, Val Travaglia, Val Cuvia, Biandronno, Ispra, Ròcca d’ Angera. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 67. Textrix denticulata (Oliv.) 1789. Encyel. méth., IV, p. 213 (7. lycosina Sordll., sp. 38). i Loc. vares. — Monte S. Elia, Viggiù, Clivio, Val di Porto Ce- resio, Cuasso al Piano, Val Gana, Marchirolo, Viconago, Luino, Val Travaglia, Val Cuvia, Cittiglio, Madonna del Monte. Di Luino la cita anche il Sordelli (Ragni lombd., p. 469 [11]). Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 68. Liocranum domesticum (Wider) 1834. in Reuss, Zool. Misc. Arachn. Mus. Senkenb., I, p. 208, tav. XIV, fig. 9 (Te- genaria notata Sordll., sp. 36). Loc. vares. — Madonna del Monte. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 1 Nel Canton Ticino, secondo Simon (Arachn. de France, IV, 1878, p. 292 e nota 1) vive anche il L. rutilans (Thor.), che non figura nel mio Catalogo sistem. Ragni Canton Ticino (Ann. Mus. civ. Genova, IV, 1873). Il chiar. aracnologo di Parigi dice che l’ho « omise », ma come mai si può parlare di ommissione per una specie che fu SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. 803 |. 69. Anyphaena accentuata (Walck.) 1802. Fn. paris., II, p. 226 (Clubiona punctata Hahn; Sordll., sp. 19). Loc. vares. — Varese (racc. E. Cantoni). |. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 70. Clubiona frutetorum, L. Koch. 1867. Drass., VII, p. 344, tav. XIV, fig. 224-26. Loc. vares. — Isolino del lago di Varese, Clivio, Gana, Cuvio. In quest’ ultima località racc. prof. Maggi. Hab. — Canton Ticino. Specie nuova per la Lombardia. 71. Chiracanthium italicum, Canestr. Pavs. 1869. Aran. ital. in Atti Soc. ital. sc. nat. XI, p. 851 (114); Catal. sist. Aran. ital. Arch. Zool. serie 2.*, vol. II, tav. IV, fig. 3 (Cheiracanthium nUu- trix SordIl., sp. 22). descritta nel 1875 dal prof. Thorell e ridescritta sotto altro nome nel 1876 dal dott. L. Koch, cioè due 0 tre anni più tardi della pubblicazione del mio lavoro ? D'altronde, prima d’oggi, chi doveva immaginarsi che nelle raccolte del Simon esistesse un esem- plare di L. rutilans proveniente dal Canton Ticino? Farei torto al buon senso del lettore imparziale se mi dilungassi in discolpe. — A riguardo di detta Nota del Si- mon, in cui dichiara che un’altra specie (Euoplrys acripes E. S.) vive nel Canton Ticino sebbene non catalogata da me e, basandosi su di ciò, giudica il mio Ca- talogo « moins incomplet qu’il en est en réalité » devo aggiungere queste doman- de: Da quando in qua un catalogo d’animali d’un paese qualunque può dirsi com- pleto ? Ho io avuta la pretesa di scrivere un lavoro completo? Se tutti i lavori co- rografici fossero tali, in breve tempo ci rimarrebbe ben poco a fare nella sistema- tica e la geografia zoologica non sarebbe più un ramo di scienza ancora in fasce. Egli però non doveva dimenticare quanto io scrissi esplicitamente, che cioè i materiali per quel Catalogo furono raccolti « da me solo » prima del 1871, quando appena comin- ciavo gli studj aracnologici: che più assiduo e numerose ricerche avrebbero porta « occasione di renderlo ricco almeno d’ una metà in più delle specie inseritte», anzi lo chiudeva con un elenco di un’ottantina di specie « possibili a rinvenirsi in appresso » perchè viventi nei paesi che circondano il Canton Ticino (vedi pag. 5, 205, 207, 211): e doveva ricordarsi per ultimo che egli medesimo nella stessa opera, per non dire di un Giurì e di illustri aracnologici d’ Europa; aveva giudicato in modo ben più favorevole quel mio Catalogo. È questa volta così appassionato il Simon, onde difendersi alla meglio da alcuni miei appunti, che si lascia sfuggire dalla penna quell’inopportuna frase che io gli avevo «envoyé mes Attides et beaucoup d’autres araignées du Tessin à déterminer pour en faire le catalogue»; ciò che è vero solo in quanto si trattava di specie dubbie o di impossibile determinazione per me, che era allora in ristrettezze bibliografiche e credo di aver soddisfatto abbastanza il cuique suum citando la sua autorità ogni volta facesse d’uopo nella prefazione o nei paragrafi delle specie in particolare (vedi pag. 14, 189, 190 ecc.). 804 P. PAVESI, Loc. vares. — Varese (racc. E. Cantoni), Cuvio (racc. prof. Maggi); Monte Campo de’ Fiori. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. Nota. — Simon (Arachn. de France, IV. 1878, p. 247) lo mette in sinonimia col C'. nutrit aut. e gli dà il nome restau-. rato di Ch. punctorium Villers 1789, fondandosi però su di una figura che non decide la questione specifica e su di una frase troppo breve, mentre nello stesso volume (p. 52, nota 2) critica con queste ragioni e non accetta altre restaurazioni del Thorell. Il Ch. italicum non è soltanto una forma meridionale del nutrix, o punctorium se vuolsi, di maggiore grossezza, a mandibole più grandi e articoli dei palpi più gracili, ma presenta notevoli diffe- | renze nei processi della tibia e del tarso dei palpi, che indussero Canestrini ed io a separarlo specificamente; quindi con Koch e Thorell lo mantengo distinto. Prendendo la femina del Campo de’ Fiori, già chiusa nel suo bozzolo colle uova; ne ricevetti una morsicatura sotto l’ ùnghia del dito medio così acuta che ne portai dolore cocente per più d’ un giorno, limitato tuttavia alla parte offesa; anche un’altra volta nei dintorni di Lugano ne fui aspramente morsicato e posso dire che è l’unica specie nostrale di ragni che m’abbia prodotto grave dolore in tanti anni di pratica, senza però che avvenissero in me quei fenomeni morbosi subìti dal dott. A. Forel (Une araignée venimeuse dans le Canton de Vaud, in Bull. Soc. vaud. sc. nat. XIV. 1875, p. 31) riferiti anche dal Simon (l. cit., p. 248-49). 72. Ch. Mildei, L. Koch 1864. Die europ. Arachn. Gatt. Chei- rac. p. 8; Drass., V, p. 253, tav. X, fig. 161-163 (SordIl., sp. 24). Loc. vares. — Varese (racc. E. Cantoni); Arcisate, Besano, Clivio, Madonna del Monte, Gemonio; Cuvio (racc. prof. Maggi). Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. . 73. Phrurolithus festivus, C. L. Koch 1835, in Herr. Schaeff. Deutschl. Ins., 129, 15; Arachn. VI, p. 110, tav. CCVII, fig. 5911-12. Loc. vares. — Monte Campo de’ Fiori, Laveno, Val Travaglia, Val Marchirolo, Bregano, Rocca d’ Angera. «i SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. —805 _ Hab. — Lombardia. 74. Micaria fulgens (Walck.) 1802. Fw. paris., II, p. 292 (Drassus relucens Hahn, Macaria fastuosa Koch; Sordll., sp. 8). Loc. vares. — Val di Porto Ceresio, Rocca d’ Angera. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 75. Drassus lapidicola (Walck.) 1802. Fn. paris., II, p. 222 (D. lapidicolis SordIl., sp. 14). Loc. vares. — Besano, Monte S. Elia di Viggiù, Poncione di Saltrio, Val Gana, Monte Campo de’ Fiori, Rocca d’ Angera. Hab. —- Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 76. D. scutulatus, L. Koch 1866. Arachn. fam. Drass., II, p. 93, tav. IV, fig. 61-62 (D. sericeus C. L. Koch). Loc. vares. — Clivio. Hab. Canton Ticino, Piemonte. Specie nuova per la Lombardia. 77. Prosthesima Petiverii (Scop.) 1763. Entom. carn. p. 398 (Melanophora subterranea Sordll., sp. 11). Loc. vares. — Poncione di Saltrio, Val Gana, Val Cuvia. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. Nota. — Simon (Arachn. de France, IV, p. 52 nota) non ac- cetta il nome di Petiverii ristorato da Thorell. Cfr. infra. 78. P. pedestris (C. L. Koch) 1837. Ueders. Arachn. syst. I, p. 17; Die Arachn. VI, p. 82, tav. CC, fig. 489. Loc. vares. — Val di Brinzio. Hab. — Nuova per l’Italia (e quindi anche per la Lombardia); è indicata nei cataloghi dei ragni italiani perchè vive in Dal- È mazia, come in molte altre parti d'Europa e in Siria. | 79. Gnaphosa bicolor (Hahn) 1831. Die Arachm., I, p. 123, | tav. XXXVI, fig. 94 (Pythonissa tricolor C. L. Koch). | i Loc. vares. — Monte dell’ Orsa. | Hab. — Canton Ticino. Nuova per la Lombardia. f° so. G. nocturna (Linné) 1758. Syst. mat. ed. 10.*, I, p. 621 (Pythonissa maculata C. L. Koch). Loc. vares. — Viggiù, Val Gana (vicino alla casa delle miniere di Vassera). Hab. — Canton Ticino, Piemonte. Nuova per la Lombardia. 806 | —— P. PAVESI, 81. G. exornata, C. L. Koch 1839. Die Arachn., VI, pi 63. tav. CXCVI, fig. 476-77. Loc. vares. — Val Gana. Hab. — Canton Ticino, Piemonte. Nuova per la Lada 82. Segestria senoculata (Linné) 1758. Syst. nat. ed. 10.°, I, p. 622 (Sordll., sp. 4). Loc. vares. — Cazzone, Gaggiolo, Castello di Cuasso, Ponte Tresa, Val Gana, Val Cuvia, Germignaga, Luino, Massena su- periore, Gemonio, Laveno. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 83. S. florentina (P. Rossi) 1790. Fn. Etrusca, II p. 133, tav. IX, fig. 3 (Sordll., sp. 3). Loc. vares. — Varese (racc. E. Cantoni); Malnain) Brenno- Useria; Cuvio (racc. prof. Maggi). | Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 84. Dysdera crocota, C. L. Koch 1839. Die Arachn., V, p. 81, tav. CLXVI, fig. 392-94 (D. crocea Sordll., sp. 5). Loc. vares. — Biandronno, Ispra, Laveno, Maccagno superiore. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 85. D. laevigata, Thor. 1873. Rem. on synon., p. 562 (D. Scheucheeri Pavs.). Loc. vares. — Cittiglio, Rocca d’ Angera. Hab. — Canton Ticino. Nuova per la Lombardia. . Nota. — Avendo una sola femina giovane a mia disposizione, io descrissi questa specie come nuova due anni più tardi di Thorell in Note araneologiche III. Catalogo generale dei ragni della Svizzera (Atti Soc. ital. sc. nat. XVIII, p. 274) ed il nome da me impostole fu pure ammesso dal compianto prof. Lebert (Die Spinnen der Schweiz, 1877, p. 204). Ora mi son persuaso dell’identità della D. Scheuchzeri mihi colla D. laevigata Thor.; quella mia deseri- zione è però sempre vantaggiosa, perchè in essa tenni conto an- che del maschio, sconosciuto all’ illustre aracnologo svedese. 86. D. Pavesii, Thor. 1873. Rem. on Synon., p. 564. Loc. vares. — Viggiù. Hab. — Canton Ticino. Nuova per la Lombardia. SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. —807 87. Harpactes Hombergii (Scop.) 1763. Entom. carn.; p. 403 (Sordll., sp. 7; Dysdera tessellata Canestr. e Pavs.). Loc. vares. — Luino (secondo Sordelli, Ragni Lombardi p. 467 [9]). Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. Nota. — Sordelli le mette a fianco il sinonimo Dysdera par- vula Duf., ma questa è-specie diversa (Cfr. Thorell, Rem. on synon., p. 154, 561). 88. Filistata nana, Simon 1868. Sur quelg. Aran. du midi de la France, p. 7, in Rev. et Mag. Zool. 2.* serie XX. Loc. vares. — Clivio, Biandronno. Hab. Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 89. Micrommata virescens (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 138, pl. 6, tab. 4 (Sparassus smaragdulus Sordll., sp. 132). Loc. vares. — Brenno-Useria, Viggiù, Val Cuvia, Val Trava- glia, Maccagno inferiore. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 90. Artanes margaritatus (Clerck) 1757. Sv. SpimdI., p. 130, pl. 6, tab. 3. Loc. vares. — Varese. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 91. Philodromus aureolus (Clerck) 1757. Sv. Spindi., p. 133, pl. 6, tab. 9 (SordIl., sp. 137). Loc. vares. — Val Gana, Val di Brinzio, Isolino del lago di i. Varese. | Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. È 92. Monaeses piger (Walck.) 1802. Fn. paris. (Xysticus cu- | i neolus Sordll., sp. 143). Î Loc. vares. — Arcisate (pineta del conte Cicogna), Val Mar- | È chirolo. i Hab. — Lombardia, Canton Ticino. | 93. Thomisus albus (Gmel.) in Linné Syst. nat. ed. 13.°, I, | - V, p. 2961(7%. diadema Sordll., sp. 144; Th. onustus auct., Th. T abbreviatus Walck.). Loc. vares. — Besano. Una 9 var. somigliante alla fig. 282 di 808 P. PAVESI, Koch, ma con fascie rosee anche su femore, patella e tibia I e II pajo di zampe. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 94. Misumena vatia (Clerck) 1757. Sv. Spindi., p. 128, pl. 6, tab. 5 (Thomisus citreus Sordll., sp. 145; Th. cucurbitinus Sordll., sp. 146). Loc. vares. — Varese (racc. E. Cantoni); Clivio; Cuasso al Monte, Val Tresa. Tutti gli esemplari appartengono alla var. Thomisus pratensis Hahn Die Arachn., fig. 33. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 95. Diaea tricuspidata (Fabr.) 1775. Syst. entom., p. 433 (Thomisus delicatulus Sordll., sp. 147 4 Tà. capparinus Sordll., sp. 148). Loc. vares. — Isolino di Varese, Laveno. Tutti gli esemplari appartengono al Thomisus capparinus C. L. Koch Arachn. fi- gura 994. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 96. D. globosa (Fabr.) 1775. Syst. entom., p. 432 (Thomisus rotundatus Sordll., sp. 149). Loc. vares. — Isolino di Varese, Viconago, Cuvio. In quest’ ul- tima località la raccolse il prof. Maggi. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 97. Xysticus Kochii, Thor. 1870. On Europ. Spid., p. 185; Rem. on Synon., p. 241 (X. viaticus Sordll., sp. 140; X. crista- tus Walck. e auct. ad part.). Loc. vares. — Isolino di Varese, Viggiù, Cuasso al piano, Val Gana, Viconago, Val Tresa, Val Cuvia. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 98. X. eristatus (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 136, pl. 6, tab. 6 (X. lateralis Sordll., sp. 141 saltem ad part.). Loc. vares. — Clivio, Val Marchirolo, Viconago, Maccagno su- periore, Gavirate. Hab. — Lombardia. | Nota. — (Gli esemplari varesini da me raccolti sono femine giovani, riferibili alla fig. 1006 Koch Arachn. dello X. audax, | ‘’SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. —809 da non confondersi con lo X. audax Koch fig. 1007-08 = X. pini Hahn. 99. X. bifasciatus, C. L. Koch 1837. Uebers. Ari Syst. I, p. 26; Die Arachm. IV, p. 59 (ad part. 2), tav. CXXV, fi- gure 287-288 (X. Zanio C. L. Koch ad part. a, fig.1011). ° Loc. vares. — Clivio. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. Specie rara. 100. Aulonia albimana, Walck. 1805. Zabl. d. Aran., p. 14, È fig. 19. | Loc. vares. — Val di Porto Ceresio. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. W 101. Lycosa lugubris Walck. 1802. Fw. paris., II, p. 239 È (Z. silvicultrix + L. alacris C. L. Koch). Loc. vares. — Monte S. Elia di Viggiù, Clivio. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 102. L. hortensis Thor. 1872. Rem. on Synon., p. 299, 301, 1302 (LZ. saccata Sordl]., sp. 107). — Loc. vares. — Aucito, Brenno-Useria, Val di Brinzio ; Cuvio | (racc. prof. Maggi); Val Travaglia, Luino. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 103. L. monticola (Clerck) 1757. Su. Spindl., p. 91, pl. 4, tab. 5 (Sordll., sp. 108). Loc. vares. — Arcisate, Val Gana. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. | 104. L. bifasciata, C. L. Koch 1834, in Herr. Schaeff., Deut- V schl. Ins., 125, 17, 18; Die Arachn., XV, pag. 34, tav. DXIII | fig. 1439-40. (A Loc. vares. — Val Gana. I. Hab. — Canton Ticino. Specie nuova per la Lombardia. | 105. I. nigra, C. L. Koch 1834, in Herr. Schaeff., Deufschi. fi /ns., 122, 13, 14; Arachn. XV, p. 13, tav. DVIII, fig. 1423-24 (Sordll., sp. 105). . Loc. vares. — Clivio, Porto Val Travaglia (secondo Sordelli, | Ragni lomb., p. 473 [15]). Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 810 Sr P. PAVESI,. 106. L. amentata (Clerck) 1757. Sv. Spindi., p. 96, pl. 4, | tab. 8 ad part. (L. saccata Hahn; Leimonia paludicola Sordll., — sp. 104). i Loc. vares. — Careggio di Cuvio (race. prof. Maggi); Palu- daccio di Gana. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Pista 107. Tarentula radiata (Latr.) 1817, in Nowuv. Dict. hist. | nat., 2.° ed., XVIII, p. 292 (Lycosa captans Walck.; L. famelica | C. L. Koch). | Loc. vares. — Val Tresa, Val Travaglia. Esemplari delle yva- rietà a ventre testaceo e a ventre nero. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 108. T. andrenivora (Walck.) 1825. Fn. franc. Arachn., p. 23, tav. 3, fig. 2, 3 (Lycosa [Tar.] inquilina C. L. Koch). Loc. vares. — Val Gana. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. i 109. T. pulverulenta (Clerck) 1757. Sv. SpindI., p. 93, pl. 4; tab. 6.(L. Tar. cuheata C. L. Koch; L. gasteinensis C. L. Koch; | Tarantula graminicola Sordll., sp. 101). i Loc. vares. — Viggiù, Poncione di Saltrio, Val di Porto Ce- | resio, Val Marchirolo, M. Campo de’ Fiori, Val di Brinzio. | Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. i 110. T. cuneata (Clerck) 1757. Sv. Spwmdl., p. 99, pl. 4, | tab. 11 (Lycosa clavipes C. L. Koch; Tarantula aio Sordll., sp. 102). | Loc. vares. — Luino (secondo Sordelli, Ragni lomb., p. 473 [15]). | Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 111. Trochosa terricola Thor. 1872. Rem. on Synon. p. 339 | (T. trabalis C. L. Koch; T. agretyca SordIl., sp. 98). i Loc. vares. — Madonna del Monte, Ligurno, Brenno-Useria, Clivio, Val di Porto Ceresio, Val Tresa, Val Cuvia, Val Trava- | glia, Laveno, Rocca d’ Angera. Dalle rive del lago Maggiore, tra | Luino e Porto Val Travaglia, 1’ ebbe anche il Sordelli n .| lomb., p. 473 [15]). | Habi — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. si SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. 811 |- 112. T. ruricola(De Géer) 1778. Mém., VII, p. 282, tav. 11, | fig. 13-14, tav. 17, fig. 1, 2 ad part. | _ Loc. vares. — Isolino di Varese. . Hab. — Piemonte. Specie nuova per la Lombardia. 113. T. perita (Latr.), 1798. Descr. nouv. esp. Araign., in Bull. | Soc. Philom. I, p. 170 (7. picta aut.; Arctosa allodroma Sordll., sp. 97). Loc. vares. — Porto Val Travaglia Lindka Sordelli, Lagni lomb., p. 473 [15]). Hab. — Lombardia, Canton Ticino, ana 114. Dolomedes fimbriatus (Clerck) 1757. Sv. SpindiI., p. 106, pl. 5, tab. 9 (SordIl., sp. 96). | Loc. vares. — Paludaccio di Gana, Isolino di Varese. T = Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 115. D. plantarius (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 105, pl. 5, tab. 8. Loc. vares. — Isolino di Varese. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 116. Vcyale mirabilis (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 108, pl. 5, tab. 10. Loc. vares. — Arcisate, Cuasso, Val Gana. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. È 117. Oxyopes transalpinus (Walck.) 1806-08. Hast. nat. Aran. fas. 4, tav. 8 (Sphasus italicus Walck., S. gentilis C. L. Koch). «Loc. vares. — Clivio. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 118. Salticus formicarius (De Géer) 1778. Mém. pour servir à VU hist. Ins., VII; p. 293, tav. 18, fig. 1-5 (SordIl., sp. 129). Loc. vares. — Isolino di Varese. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 119. Epiblemum scenicum (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 117, pl. 5, tab. 13 (ad part). (Calliethera scenica + C. histrionica Sordll., sp. 113-114): . Loc. vares. — Varese (racc. E. Cantoni); Poncione di Saltrio, Clivio, Val Travaglia, Biandronno, Rocca d’Angera. VV A READ Pet e RI e pl :% v adi Di TOA 79) 812 P. PAVESI, Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. Nota. — L’ esemplare dei monti di Saltrio, preso a circa 1000": s. m., appartiene alla var. histrionica. | 120. Heliophanus cupreus (Walck.) 1802. Faune paris., II, p. 245 (Sordll., sp. 127). Loc. vares. — Val Gana, Val Tresa, Val frsvadiliai Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 121. H. flavipes (Hahn) 1831. Die Arachn., I, p. 66, tav. XVII, fig. 50 (Sordll., sp. 128). Loc. vares. — Varese (racc. E. Cantoni); Isolino, Arcisate, Clivio, Val Gana, Val Marchirolo, Val Tresa, Val Cuvia, Val Tra- vaglia, Maccagno. | Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 122. H. Cambridgei, Simon 1869. Monogr. Attid. europ., p. 695 (229), tav. 7 (III), fig. 12; évis. Attid., p. 349 (127); Arachn. de France III 1876, p. 163, tav. X, fig. 12 (H. tribu- losus Sim., non cognatus Sim.). Loc. vares. — Clivio. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 123. H. Kochii Simon 1869. Monogr. Attid., p. 699 (233), tav. 7 (III) fig. 13; Reévis. Att., p. 350 (128); Arachn. de France III, p. 156, tav. X, fig. 15, 16 (4. cognatus E. Simon). Loc. vares. — Brenno-Useria, Monte S. Elia di Viggiù, Besano, Cuasso al Monte, Val Gana, Val di Brinzio, Maccagno inferiore, Biandronno, Cittiglio. Hab. — Canton Ticino. Specie nuova per la Lombardia. 124. H. rufithorax Simon 1869. Monogr. Att., p. 693 (227); Révis. Att., p: 349 (127); Arachn. de France IMI, p. 162, tav. X, fig19; Loc. vares. — Clivio. Hab. — Specie nuova per la Lombardia, anzi per tutta l’Italia continentale. Simon l’indicò di Corsica ed io la segnalai del- l’isola Gorgona. 125. Marpessa muscosa (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p: 116, pl. 5, tab. 12 (Dendryphantes tardigradus Sordll., sp. 124). SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. 813 Loc. vares. — Cuvio (racc. prof. Maggi). Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. ‘126. M. nitelina (Simon) 1869. Monogr. Attid. europ., p. 33 WD (23), tav.IJ, fig. 8; Révis. Attid., p. 140 (16). | Loc. vares. — Isolino del lago di Varese. Hab. — Canton Ticino. Specie nuova per la Lombardia. Nota. — Vedi la nota nel mio Cat. Ragni Cant. Ticino, p. 193. Qualunque siano i sinonimi di questa specie, l'esemplare varesino è identico alla descrizione della Marpissa Nardoi Ninni in Ca- nestrini e Pavesi Aran. ital., p. 868 (131). Simon nel 1871 (Révis. _ L cit.) dichiara che, dietro esame del tipo M. Nardoi, ne ha ri- conosciuta l'identità coll’ Attus nifelinus; ma nel 1876 (Arachmn. de France, III, p. 41) riferisce la M. Nardo al Dendryphantes nidicolens Walck. A quale delle due asserzioni dobbiamo prestare maggior fede? Parmi alla prima. Osservo altresì che il D. ni- telinus è ora da lui citato in calce (Arachn. de France, III, p. 45, nota 1) come specie estranea alla fauna francese, contraddicen- dosi in quanto asseriva cinque anni prima di averlo preso comu- nemente in Corsica, mentre nella di lui opera più recente le specie corse figurano sempre come francesi. 127. Euophrys finitima Simon 1869. Monogr. Attid. europ., p. 591 (125). Loc. vares. — Arcisate, Clivio. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 128. Philaeus chrysops (Poda) 1761. Ins. Mus. Graec., p. 193 (Philia sanguinolenta Sordll., sp. 111; Dendr yphantes leucomelas C. L. Koch). Loc. vares. — Varese (racc. E. Cantoni); Viggiù, Poncione di Saltrio, Cuasso al Monte, Val Gana, Val Marchirolo, Val Cuvia, Val Travaglia. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 129. Attus falcatus (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 125, pl. 5, tab. 19 (Zuophrys falcata Sordll., sp. 116; Salticus Blancardii Hahn). Loc. vares. — Arcisate, Cuasso al piano, Val Gana, Val Mar- chirolo, Val Tresa, Val Travaglia. 814 i P. PAVESI, Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 130. A. pubescens (Fabr.) 1775. Syst. entom., p. 438. — Loc. vares. — Maccagno inferiore. Hab. — Canton Ticino, Piemonte. Specie nuova per la Lom- bardia. 131. A. floricola (C. L. Koch) 1837. Ueders. Arachn. Syst.,1, p. 34; Die Arachn., XIV, p. 39, tab. OCCCLXXMII, fig. 1301 (Euophrys foricola Sordi. , Sp. 117). Loc. vares. — Clivio. Hab. — Lombardia. 132. A. erraticus, Walck. 1825. Fn. frane. Arachn., p. 46 (Euophrys tigrina Sordll., sp. 118). i Loc. vares. — Arcisate, Laveno. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 133. A, terrestris, Simon 1871. Révis. Attid., p. 209 (85). Loc. vares. — Val Tresa. Hab. — Canton Ticino. Specie nuova per la Lombardia. 134. Acantholophus granulatus, Canestr. 1872. Nuove sp. di opilion. in Ann. Soc. nat. Mod. VI, p. 5; vrccgia ital. in Ann. Mus. Civ. Genova, II, p. 30. Loc. vares. — Besano, Viggiù, Val di Brinzio, Isolino di Teolo. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 135. Phalangium cornutum, Linné 1767. Syst. nat.; ed. 12.° I, II, p. 1028. Loc. vares. — Quasi dappertutto, fin sul monte Lib dei Fiori; a Varese me lo raccolse E. Cantoni, a Cuvio C. Parona. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 136. Ph. Canestrinii, Thor. 1876. Opal. curop. asiat. in nd Mus. civ. Genova VIII, p. 485 (36) (P%. parietinum Canestr. non Koch). Loc. vares. — Malnate, Ponte Tresa, Val Travaglia. Hab. — Specie nuova per la Lombardia. 137. Ph, luridum (C. L. Koch) 1848. Die Arachn., VI, p. 50, tav. DLV, fig. 1534. Loc. vares. — Gavirate. \l tI il il 3 di DI | n ‘8 vi 4 Î | p TTI sl e i - — = nen N n SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. 815 RE È ab: — Specie nuova per la Lombardia. | 138. Ph. saxatile (C. L. Koch) 1839. Uebers. Arachn. syst. II p. 32; Die Arachn. XVI, p. 21, tav. DXLVII, fig. 1517-18. . Loc. vares. — Varese (racc. E. Culitetai Hab. — Lombardia, Piemonte. 139. Liobunum limbatum, L. Koch 1861. Bemerk. Arachn. fam. Opîl., p. 140 (L. hemisphaericum Canestr. non Herbst). Loc. vares. — Saltrio, Poncione di Saltrio, alture di Besano, Madonna del Monte, Val Marchirolo, Val Tresa. . Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. 140. L. Doriae, Canestr. 1872. Nuove sp. opilion., pi 6; Opîl. È ital., p. 16, tav. II, fig. 2. Loc. vares. — Cuasso al Piano, Val Gana. Hab. — Specie nuova. per la Lombardia. 141. Astrobunus Pavesii (Canestr.) 1872. Nuove sp. Opil. p. 5; Opilion. ital., p. 21, tav. III, fig. 3. Loc. vares. — Monte Campo de’ Fiori sopra 1000" s. m. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. 142. A. laevipes (Canestr.) 1872. Nuove sp. Opîilion. p. 5; Opilion. ital., p. 22, tav. III, fig. 2. Loc. vares. — Isolino di Varese. Hab. — Lombardia, Canton Ticino. Nota. — Ai lati dell'addome tra il 3° e 5° segmento una i grande macchia bruno-nera non indicata dall’ autore. «143. Nemastoma quadricorne, L. Koch 1861. Bemerk. Arachn. i fam. Opil. in Corr. Blatt Z. M. Vereins Regensb. XV, p. 142 | (N. aurosum Canestr. non Koch). Loc. vares. — Monte Campo de’ Fiori a 1000” « Hab.— Canton Ticino, Piemonte. Specie nuova per la Lom- bardia. «Nota. — L’appunto che ho fatto (Aracn. di Grecia in Ann. | Mus. civ. Genova XI. 1878, p. 366 [32] nota 1) al prof. Cane- | strini di aver dimenticato il N. aurosum nell’ Enum. gen. degli . Opilion. ital. è insussistente, perchè m’accorsi più tardi che id l’ egregio collega di Padova aveva già altrove (Chern, e Opil. di 816 P. PAVESI, Calabria, p. 6) dichiarata erronea la sua determinazione di N. 1 aurosum e che gli esemplari così chiamati erano invece di qua- | dricorne. L’aurosum resta dunque finora esclusivo alla Grecia. 144. Trogulus squalidus, C. L. Koch 1839. Die Arachn. V, p. 143, tav. CLXXVIII, fig. 426. Loc. vares. — Val Gana, presso la chiesuola di S. Gelmo in | un unico esemplare. Hab. — Lombardia, Canton Ticino, Piemonte. Nota.-— Nell’esemplare varesino i femori I sono taglienti appena fino alla metà, mentre in altro di Esino, raccolto dal mio amico rag. N. Pini, lo sono un po’ più innanzi, ed in un terzo, che io presi al Castello di Unterwalden sopra Bellinzona, sono taglienti fino all’apice, come nel tipo specifico. 145. Chthonius Rayi, L. Koch 1873. Uedbers. Darst. europ. Chernet., p. 48. Loc. vares. — Arcisate, Viggiù, Clivio, Gavirate, Laveno, Val Cuvia, Luino, Maccagno, Rocca d’Angera. Hab. e Nota. — Specie nuova per la Lombardia. Fra ia centinajo di chernetidi, che raccolsi in provincia di Pavia, non | trovai un esemplare di questa specie, la quale è la più comune | di tutte in Italia. | 146. Gamasus crassipes (Linné) 1746. Fn. suec., n. 1969. Loc. vares. — Madonna del Monte sotto le pietre fra le qui- | squiglie. Hab. Specie nuova per la Lombardia. Nota. — Gli esemplari varesini da me raccolti sono feminei e convengono particolarmente col G. testudinarius J. F. Herm., anzi meglio coll’ agilis C. L. Koch, dichiarati sinonimi del crassipes. 147. Trombidium fuliginosum, J. F. Hermann 1804. Mém. | aptérol., p. 23, tav. I, fig. 3. | | Loc. vares. — Val di Porto Ceresio, Isolino di Varese, Rocca “d’Angera. Hab. — Specie nuova per la Lombardia. i 148. Rhyncholophus cardinalis (Pall.) 1772. Spicil. zool., I, || fas. 9, p. 44. | —’SAGGIO DI UNA FAUNA ARACNOLOGICA DEL VARESOTTO. 817 A , vares. — Clivio, Val Gana, Val di Brinzio. ia . Specie nuova per la Lombardia. Bo 2149. R. trimaculatus (J. F. Herm.) 1804, Mem. aptér., # 27, tav. I, fig. 6. . Loc. vares. — Isolino di Varese. SES — Piemonte. Specie nuova per la Lombardia. Nota. — Il dorso dell’acaro, negli esemplari varesini, invece di essere rosso-sanguigno, è di color bruno-violaceo. «150. Actineda cornigera (J. F. Herm.) 1804. Mém. aptér., E p..98, tav..II, fig.9. Loc. vares. — Clivio, Val Gana, Maccagno. . Hab. — Specie nuova per la Lombardia. È SULLA | DISPOSIZIONE REGOLARE DEL PROTOPLASMA ANTERIORMENTE ALLA FORMAZIONE DI MICRORGANISMI. NOTA SPERIMENTALE del Prof. LropoLpo Macar, dell’ Università di Pavia. (Colla Tavola 16.) Durante la formazione dei primi nuclei di segmentazione del- l’ovo-cellula animale le granulazioni protoplasmatiche prendono una disposizione regolare, a guisa di tanti raggi, che da Auerbach venne indicata col nome di figure cariolitiche, ed alle quali corri- sponde quella stessa disposizione regolare del protoplasma del- l’evo-cellula, tanto anteriormente che posteriormente alla sua fecondazione, che nei lavori embriologici di Biitschli, Hertwig, Van Beneden, Flemming e diversi altri, vien chiamata stella moleco- . lare, e da Foll detta aster. Per le ricerche poi di Strassburger i Vol. XXI. 52 818 | —L. MAGGI, intorno alla formazione libera delle cellule vegetali, si può dire che una tale disposizione del protoplasma, nella generazione di cellule embrionali, sia da ritenersi per un fatto generale e co- stante. Io ho voluto studiare questo fenomeno al di fuori del bionte virtuale, proprio d’un bionte attuale, vale a dire, ho voluto stu- diare questo fenomeno al di fuori dello stadio di sviluppo (bionte virtuale), in cui esso si presenta, proprio d’un essere attualmente e liberamente vivente (bionte attuale). Per ciò ricorsi a corpi organici, i quali, uniti fra loro, po- tessero bensì dare un protoplasma od un corpo protoplasmatico, per la combinazione dei loro elementi chimici; ma che, per sè stessi, non fossero già dei corpi quaternarj oppure protoplasmi di plastidi. Con ciò ho eliminato il bionte virtuale nella produ- zione del microrganismo, non essendovi, nella miscela organica da me composta, nessun germe visibile organizzato, avendo ciò constatato col microscopio. Ecco ora la mia esperienza: Presi dell’ acido fosforico, glicerina, acido oleico ed olio d’ u- live; l’acido fosforico e l'acido oleico in proporzioni eguali tra loro, ma superiori a quelle degli altri due corpi. Fatta con loro una miscela, vi aggiunsi, in gran quantità, dell’ acqua legger- mente ammoniacata. Quest’ acqua in volume sorpassava quello della miscela. In seguito a ciò ottenni una soluzione bianco-lat- tiginosa, che esaminata al microscopio era ripiena di forme mieliniche. Feci poscia un’apposita preparazione microscopica con una piccola porzione di questa soluzione, mettendola quindi tra i due vetri, il porta-oggetti, cioè, ed il copra-oggetti; ed aggiun- tavi ancora un po’ di ammoniaca ed acqua, facendo penetrare queste sostanze tra i due vetri, posi tale preparazione nell’ ap- parecchio umidante, dopo di averla esaminata al microscopio per accertarmi. della mancanza di germi visibili. Essa infatti presentava un liquido opalescente, delle goccie oleose e delle forme mieliniche. Tenendo dietro al suo andamento, ebbi a notare i seguenti SULLA DISPOSIZIONE REGOLARE DEL PROTOPLASMA, ECC. 819. — fenomeni, registrati nel diario che qui trascrivo, dal quale risulta anche il mese in cui fu fatta l’esperienza, cioè il giugno, e per conseguenza la temperatura di circa 27 centigradi. Il giorno dopo (8 giugno) dalla fatta preparazione, mantenuta nelle condizioni umidanti, trovai, ad eccezione di alcune. goccie oleose, che erano scomparse le forme mieliniche, e che il tutto si era ridotto a granulazioni di diverso volume. Quattro giorni dopo (12 giugno) vi erano ancora delle granu- lazioni come quelle dell’ 8 giugno, ma tutte dotate di un movi- mento, frammezzo alle immobili goccie oleose. Inoltre alcune delle sranulazioni, un po’ più grandi, avevano acquistata una forma ovale, mostrando in genere l’aspetto di spora. Al quinto giorno (13 giugno) il movimento delle granulazioni cessò, ed esse presero frammezzo a delle goccie oleose (vedi fig. unita N. 1), una disposizione regolare (vedi fig. qui unita N. 2), che venne assunta poi tanto dalle piccole granulazioni, quanto da quelle di un volume maggiore. È questa la disposizione regolare, che quantunque di forma dendritica, nel fatto morfologico però, ossia nel fatto di sua for- mazione, io credo corrispondente alle forme cariolitiche di Auer- bach o stelle molecolari della maggior parte degli embriologi; in quanto che, conseguentemente ad essa ebbi formazione di micelj e poscia delle spore. Difatti i micelj comparvero il giorno dopo (14 giugno) e andarono sempre aumentando di numero sino al 20 dello stesso mese, mostrando verso la periferia della prepa- razione delle forme di Aspergillus. In questo caso ho potuto osservare che i micelj si formano dalla fusione dei globuli o granuli protoplasmatici, disposti in lunghe serie lineari, a guisa della formazione del Vibrio bacillus Duj. dai granuli vitellini del tuorlo d’ovo, che nell’ ovo-cellula sono i suoi granuli protoplasmatici. Oltre a ciò ho trovato importante di notare, come in alcuni punti della preparazione eranvi delle chiazze occupate da varie linee granulari, ossia granulazioni disposte in serie lineari, rasso- miglianti al Sphaerotilus natans Rabenh., ognuna delle quali in 820 | L. MAGGI, seguito dava luogo ad un micelio mediante la fusione delle loro granulazioni. Ed anche questa disposizione del protoplasma, mor- fologicamente considerata, è regolare come la prima. Benchè, con questi risultati, io avessi raggiunto lo scopo pre- fissomi, pure volli continuare ad osservare il modo ulteriore di comportarsi della preparazione, mantenendola sempre nell’appa- recchio umidante. Venti giorni dopo (10 luglio), si è formato un micelio arti- colato (vedi fig. qui unita N. 3, 4, 5) ad articoli oblonghi ed a doppio contorno, aventi poi dei macrospori pure a doppio con- torno e granulati nell'interno ; il tutto rassomigliante all’ Urocy- stis intestinalis, che Hallier indicò come la crittogama del Cho- lera morbus. Sei giorni dopo (16 luglio), eravi anche la formazione del Botriosporium diffusum Cor. Se dovessi legare tra loro queste forme per modo che 1’ Uro- cystis intestinalis Hall. verrebbe ad essere uno stadio di sviluppo del Botriosporium diffusum Cor., penserei in allora che 10 Sphe- rotilus natans Rabenh., sarebbe il bionte parziale del bionte virtuale, foggiato a forma cariolitica od a stella molecolare, e che questo stadio di sviluppo, in un animale, rappresenterebbe un vegetale, pel quale filogenicamente esso dovette passare. Non credo che mi si vorrà fare l’osservazione, che, secondo questo modo di vedere, tutti gli animali sarebbero o avrebbero dovuto passare per il bionte Spherotilus, poichè qui si tratta di feno- meni biologici, il cui studio incomincia propriamente adesso. Ba- sterebbe, se si volesse trarne una conseguenza, il dire che le forme cariolitiche, le stelle molecolari, o meglio in un modo più generale, la disposizione regolare del protoplasma nella forma- zione di organismi animali, rappresenta nella loro ontogenia uno stadio vegetale; ed in quella di organismi vegetali, indica pure nella loro ontogenia uno stadio vegetale, ma un vegetale inferiore. Così, nel caso suindicato, lo stadio vegetale del SpAherotwWus, ossia il suo bionte virtuale, sarebbe dato dalle granulazioni protopla- smatiche plastiduli, i quali troverebbero, nelle forme bacteriche, Lù pa n Di È È e ì e Su o lai - Al IA Tn , n° o ma (Ac; fe to Li A ” a. f È PACI IE ; e ea È veri lai - ha > — fi CN x a” Capa i 2; PA © i lai © Ro n “n ” so P, = Ma er e N pi “ata € A IBE È. - e c aa rà (5 ; DI ll Renanto en 3 APE n) > " n° r pu n -_P La La E e Li n Krt. Ronchi ve fe nane agnananenno on? __ arasnannan® Magg L des. è | —‘’‘’‘’SULLA DISPOSIZIONE REGOLARE DEL PROTOPLASMA, FCC. 821 2a | gli esseri liberamente viventi, formanti il bionte parziale del — Spherotilus natans considerato come bionte attuale. Ma lasciando queste considerazioni che potrebbero essere giu- dicate troppo premature, dirò da ultimo che la disposizione re- golare del protoplasma anteriormente alla formazione di micro- organismi la osservai anche durante la coltivazione, in apparecchio umidante, delle granulazioni protoplasmatiche sporiformi, trovate da Parona e Grassi * in un ovicino contenuto in un ovo di gal- lina, le quali diedero luogo alla formazione del Leptomitus. Anche in altre coltivazioni di sostanze albuminoidi, mi fu dato di verificare questo fatto morfologico, il quale fa parte della serie di quelli appartenenti alla Plasmogonia; tuttavia, per la sua importanza, ritornerò quanto prima su questo argomento, continuando le mie esperienze. SPIEGAZIONE DEI NUMERI DELLA FIGURA VEDUTA COLL’ INGRANDIMENTO DI 700 d. (Micros. Hartnack). N. 1, Goccie oleose. N. 2. Disposizione regolare delle granulazioni protoplasmatiche in serie lineari, e de- crescenti in volume dalla base all’apice. Sono forme dendritiche, ma mor- fologicamente corrispondenti alle carzolitiche di Auerbach, alle stelle mole- colari dei moderni embriologi, in quanto che dopo la formazione dei micelj quindi dopo la loro scomparsa, si formano le spore, che corrispondono ai nuclei. N. 3, 4, 5. Forme ontogenetiche graduate dell’ Urocystis intestinalis Hall. 1 PARONA e GRASSI, Sovra alcune mostruosità di uova di gallina. Atti della So- cietà Italiana di Se. Nat., vol, XX. fasc. II. pag. 106-107. Milano, 1878. SULLA SCOPERTA DI UNA STAZIONE PREISTORICA NELLA PALUDE BRABBIA. RELAZIONE del Signor NAPOLEONE BoRragi alla Presidenza del Museo Patrio in Varese. * Varese, 23 settembre 1878. Onorevole sig. cav. dott. EzecHIELE ZANZI, Presidente del Museo Patrio, È VARESE. “ Ella sa che nella palude Brabbia, per quanto studiata e benchè indizii non mancassero, non si è mai potuto scoprire la esistenza di stazione alcuna, come non se ne trovarono su quel di Cazzago nei terreni circostanti alle torbiere, dove, pure, l’ ac- certavano i molti oggetti rinvenuti. » Or bene: questa fortuna era riserbata a me, e dico avver- titamente fortuna, per escludere ogni idea di merito mio, doven- dosi la scoperta più al caso che alla scienza, alla quale pur troppo sono profano. s Nella mia torbiera, a località detta Palude Lia, dal so- * La presente Relazione estratta, con poche varianti, dal Supplemento della Cro- naca varesina, 24 settembre 1878, pervenne alla Presidenza della Riunione in Varese dopo. la chiusura delle sedute di Sezione, per cui non potè venir letta e discussa. Nondimeno s’è creduto opportuno di qui accoglierla a complemento delle notizie date in proposito dai soci signori Ranchet e Regazzoni, in appendice alla loro Relazione sulle scoperte fatte all’Isolino, colle quali scoperte strettamente si collega quella an- nunciata dall’egregio sig. Borghi. Li A E RI SULLA SCOPERTA DI UNA STAZIONE PREISTORICA, ECC. 823 prannome del contadino che ivi abita, ad ottanta metri circa dalla falda del colle, scorgesi un rialzo di terreno, formato da una serie di cumuli di terra, il più alto dei quali, che trovasi nel mezzo, si eleva sopra i terreni circostanti: ad oriente di metri 2,20; a mezzodì di metri 1,30; a nord di metri 1,25; e ad occi- dente, ossia verso il colle, di metri 0,70. L’intiero rialzo di terra il quale leggermente declina da tutti i lati, ha una superficie all'incirca di metri quadrati 8000, e cioè, la stazione superiore od occidentale è di metri quadrati 6200, e quella verso la palude, ossia orientale, di metri 1800. » Onde la disposizione di questi cumuli e la loro elevazione, possano da Lei più facilmente essere compresi, Le mando un piccolo rilievo, coi relativi spaccati. » La formazione di questo terreno ed il trovarsi il medesimo in località affatto piana, non ponno a meno di dare nell’ occhio, tanto che io, più di una volta, pensai che questo rialzo potesse essere artificiale ed una specie di isolotto, in parte costrutto dagli antichi abitatori. » Il mio supposto non era infondato, giacchè, messomi all’opera, or sono pochi giorni, e fatto praticare diversi scavi in vari punti di questi cumuli, in ognuno di essi rinvenni oggetti in discreta quantità, tanto da dire accertata in quella località l’esistenza di una o più stazioni. » Dico una o più stazioni, giacchè avvi una marcata divisione fra la prominenza ad occidente e l’altra della palude. Il M. R. don Giovanni Ranchet, instancabile nelle ricerche preistoriche e sentinella sempre vigile quanto intelligente di tali scoperte nel nostro paese, non mancò di recarsi subito sul luogo ed anch'egli ebbe a constatare la suddetta marcata divisione, tanto che espresse il dubbio, che fossero due e non una sola stazione, come io @ tutta prima avevo creduto. E qui, io devo e credo opportuno ac- cennare le altre opinioni espresse dal sullodato signor Ranchet, circa queste abitazioni, e cioè che le medesime fossero anteriori a quelle dell’Isolino, deducendo ciò dalla rozzezza dei cocci rin- venuti e dalla mancanza di varii oggetti scoperti altrove che di- 824 | ui N. BORGHI, notano una maggiore civiltà. Inoltre, il signor Ranchet suppone che questa stazione sia stata non troppo lungamente abitata, anzi forse abbandonata, per la sua posizione, che allora più che mai, deve essere stata insalubre. Queste ipotesi però potrebbero modificarsi colla continuazione delle escavazioni, e già alla prima, a mio credere, contraddirebbe un po’ il fatto d’ aver io trovato un certo numero di cocci nella stazione che chiamerò superiore, i quali ritengo veramente cotti, 1’ azione del fuoco apparendo evidente. Nella stazione palustre, però, non rinvenni che cocci essiccati al sole. s Molti oggetti nella nuova stazione ebbi già la fortuna. di rinvenire: i coltellini di selce, tenuto conto anche dei frammenti, ammontano già al bel numero di trecento e più; di cocci (sgra- ziatamente però son quasi tutti ridotti a piccoli pezzi, e ciò in causa del terreno alquanto compatto e che rende difficile la escava- zione), ne conto già cinquecento e più, ed in questi scarseggiano quelli di fina lavorazione. Abbondanti i nuclei di selce, da dove si veggono ben distintamente spiccati i coltellini e le freccie, ed abbondantissimi gli scheggiati. Riguardo a questi, è rimarche- vole che lo scheggiato trovato alla superficie del suolo è arro- tondato agli spigoli, mentre che quello che si escava ha angoli assai taglienti, tanto che le spaccature sembrano recentissime. In quantità trovasi il carbone, molti sono i legni aguzzati e bru- ciati, molte le fiaccole, trovai qualche legno lavorato, le nostre castagne lacustri (vulgo lagann) e buona copia di nocciuole; qualche ghianda di quercia, un solo dente molare di sus scropha palustris giovanissimo. E qui noto che la natura del terreno, punto atta alla conservazione delle ossa, è forse la cagione della quasi assoluta mancanza di queste. » Trovai pure due pezzi di frecciette, alcuni abbozzi e due ma- gnifiche cuspidi, sempre in selce, una delle quali a cuore (di tali cuspidi Le mando un contorno); inoltre, un cono di legno di bella lavoratura, e fra gli altri, il più interessante perchè forse primo esemplare in' questi dintorni rinvenuto, un arco che tanto io che il sig. Ranchet giudicammo di legno di castano; questo ‘SULLA SCOPERTA DI UNA STAZIONE PREISTORICA, ECC. 825 misura metri 1,14, i cui assi (sezione quasi elittica) nel mezzo sono di metri 0,03 per metri 0,02, e la incurvatura è di metri 0,03. Esso ha le estremità foggiate a punte, evidentemente acu- minate con utensili di pietra e lisciato a sfregamento, ed è ri- marchevole l’esser lievemente tarlato, il che proverebbe il lungo uso. Anche le due belle cuspidi e l’ arco furono scoperte nella parte più orientale della stazione. » Vedrà che quanto rinvenni in solo tre o quattro giorni di lavoro nella nuova stazione, tenuto calcolo delle difficoltà che si incontrano nella escavazione, non è poco, e sì che il più del tempo fu da me consumato in assaggi, onde studiare la forma- zione del terreno dell’isolotto; nè, parmi, fu tempo sprecato, poi- chè mi diè mezzo a persuadermi che le emergenze del terreno in origine erano naturali, rialzate dappoi dall’opera dell’uomo, o dalle sovrapposizioni inevitabili dove esistono abitazioni umane. » Quanto io sia lieto di questa nuova scoperta pel paese nostro Ella lo può immaginare, giacchè ben sa come desiderassi trovare qualche stazione palustre, per offrire materia a studio di con- fronto colle palafitte del lago. » Scrissi a furia, e me lo perdoni, perchè desidero che queste notizie possano giungerle in tempo da renderle note nel giorno dell'apertura del Congresso dei naturalisti che, domani per la prima volta, onorerà Varese e forse potrà destare qualche inte- ressamento negli egregi ed autorevoli uomini della scienza l’an- nuncio della scoperta di questa prima stazione palustre. - » Le stringo la mano e m’abbia devotissimo “ NAPOLEONE BORGHI. ,, SCOPERTA DI UNA FAUNA E DI UNA FLORA MIOCENICA A FACIES TROPICALE IN MONTEBABBIO (Provincia di Reggio Emilia) per ANTONIO FERRETTI, Prevosto di S. Ruffino. Vi presento, o signori, due fossili che io credo del massimo | interesse per la geologia italiana. Furono da me trovati nelle ghiare del torrente Tresinaro, presso all’ arenaria di Montebab- bio che è la continuazione di quella di Castellarano. Lo studio di quest’arenaria menzionata dallo Spallanzani, dal Brocchi, e recentemente dallo Stòhr e dal Doderlein coi fossili che contiene del tutto sconosciuti alla paleontologia ed alla fito- logia forma il soggetto della presente Memoria. | L’arenaria di Montebabbio sorge quasi gigante dai sottoposti terreni a circa tre chilometri da Scandiano, quasi in faccia alla valle padana. Misura in altezza apparente da ben duecento metri. Ha una larghezza in varii punti di un buon chilometro. È for- temente corrosa dagli agenti atmosferici. I suoi rii per lo più scorrono in un letto scavato a grandi profondità, che qualche volta misurano sin quaranta metri a pareti verticali. Dalla parte di est-sud di Montebabbio una tale arenaria pro- lungasi sino ai confini occidentali della parrocchiale di Cadirog- gio. Colà perdesi evidentemente sotto le argille azzurre plioceni- che. Ricomparisce di nuovo a Castellarano, sulla riva sinistra del fiume Secchia, e porta su sè stessa il castello omonimo. Per- desi sotto le ghiare del fiume per ricomparire di nuovo a S. Mi- inistero rit isa TL ITA 97 PAPI aiar A nie ii e AR ii i i ii rta SCOPERTA DI UNA FAUNA E DI UNA FLORA MIOCENICA, ECC. 827 chele dei Mocchietti, sulla riva destra nel Modenese. Dalla parte di ovest-nord, dopochè fu sepolta sotto le ghiare del torrente Tresinaro e del rio delle viole, ricomparisce a S. Romano, e quasi alle origini del torrente Fazzano, nella parrocchiale di Re- gnano. Sepolta di nuovo ricomparisce cogli identici caratteri a Paullo reggiano, e precisamente nella rampa così detta di Mi- lano, per cui con poche interruzioni va da S. Michele dei Moc- chietti nel Modenese sino a Paullo reggiano, descrivendo una linea longitudinale di ben venti chilometri, non retta ma a zig-zag, forse parallela all’asse dell’ Apennino, con una larghezza media di circa un chilometro, e con uno spessore medio dai 100 ai 150 metri. È cementata da un succo calcareo-siliceo, quando più, quando meno tenace. Qualche volta però lo è da ferro disciolto, e de- posto allo stato di perossido in seno alle acque, che vi forma un ottimo cemento, e dà alla massa una tinta ferruginosa, e la trasforma in caranto. È bizzarrissima e sorprendente la sua stratificazione. Quantunque la forma spiccatissima sia l’ondulato- ria, e quale conviensi ad una formazione litorale, pure ti pre- senta mille gradi d’ inclinazione. A Castellarano è inclinata di 30° circa verso est, mentre a Montebabbio è inclinata di circa 20° verso nord-ovest. Inoltre non è un’arenaria comune; cioè un aggregato di granuli quarzosi con mica a cemento calcareo o siliceo; ma è un’ arenaria sui generis, cioè un aggregato di ciot- toletti cristallini, di quarzite, gneiss, graniti, micaschisti, schisti amfibolici, porfidi, serpentini, calcari, ecc., a cemento siliceo- calcareo con molte calcinelle. Impasta talvolta ciottoli di note- vole spessore, da costituire in varii luoghi un vero conglomerato poligenico, una gonfolite. Un ciottolo di granito porfiroide di quest’arenaria, che stava nel torrente Fazzano, aveva il diame- tro di quasi un metro. A _Montebabbio se ne trovano dei massi che hanno un diametro dai cinquanta ai sessanta centimetri. La gonfolite però non compone mai da sola rilievi d’ entità. Si li- mita sempre a qualche punto ristrettissimo, e a pochi metri di spessore. Si scambia mille volte coll’arenaria; le si sostituisce di 828 A. FERRETTI, continuo, e non v’ ha arenaria quasi senza ciottolo di notevole È spessore, come non v’ ha ciottolo, per quanto grossissimo, che non sia impastato entro una finissima arenaria. Non mancano | però anche a Montebabbio le molasse marnose incoerenti, e ad elementi impalpabili. Ma sono piccolissima cosa relativamente al resto della formazione. Come pure non mancano i ciottoli | serpentinosi in vicinanza all’arenaria. Stanno a Montebabbio ed a S. Valentino a sud e a nord di quella. «i Studiando i terreni in vicinanza di Montebabbio e Castella- — 9 rano non può non vedersi che in questa mia parrocchia, ove. hanno incominciamento i primi rilievi subapennini, questi con- stano quasi letteralmente di cumuli di sassi discoidali, a cui sono 1 attaccate. ostriche, anomie, ecc.; di dune di sabbie, intercalate - con banchi di argille fossilifere, costituenti un vero litorale ma- rino. Sono caratteristiche di questa formazione le ostriche e le: .| anomie di quasi tutte le specie, la scolaria pseudoscalaris (Be torulosa (B.), l ovula birostris (Lk.), il cardium hians (B.), la | cassidaria echinophora (R.), ecc., con molti strobili di conifere A e pezzi di lignite. Andando da nord verso sud, cioè internandosi — nel subapennino, scompajono i cumuli dei sassi e le dune delle sabbie, e continuano i banchi delle argille con poche e rade con- i chiglie, ma identiche sempre a quelle del litorale. Solo in vici — nanza delle argille scagliose interstratificate evidentemente colle n I calcarie a fucoidi sviluppatissime in questa mia parrocchia, le ar- | gille azzurrognole cambiano fisonomia. Si convertono insensibil- | mente in una sabbia finissima ed impalpabile biancastra conte- | nente pezzettini di quarzo, di granito, di porfido, di serpentino; ecc., — con molta mica, che producesi sino a toccare le suddette ar- . gille scagliose, ed a coprirle in buona parte qual pesante man- | tello. È maravigliosa la copia di crostacei, pesci e conchiglie d’acque salmastri che stanno in codesta formazione, la quale ha — per caratteristiche le melamie, le columbelle, le pirule e copia ] | immensa di foraminiferi. Fatti pochi passi sulle argille scagliose, — di nuovo si incontrano le argille azzurrognole, che dopo d'aver | coperto buona parte eziandio di quelle a sud, produconsi non ins 2 CO SCOPERTA DI UNA FAUNA E DI UNA FLORA MIOCENICA, ECC. 829 terrotte sino a toccare e a coprire buona parte dell’arenaria in discorso. Le argille azzurrognole a contatto coll’arenaria sono caratterizzate da un banco potentissimo dell’Ostrea cochlear (Poli) e da bellissimi denti di Oxirina, Oxyrhina Desorii (Lawley) ed Oxyrhina Agassizi (Lawley). Egli è di colà che continuando sempre a coprire in parte l’ arenaria, produconsi verso sud-est per Cadiroggio sino a S. Valentino, sino a Castellarano, con uno sviluppo in queste tre ultime parrocchie veramente imponente. Nelle argille di S. Valentino stanno come caratteristiche le grandi pleurotome, i giganteschi coni, i triton, i murici, gl’inniti, le arche e le pinne di dimensioni straordinarie. In vicinanza alla chiesa di S. Valentino, ed al paese di Castellarano, cioè ad est e a ovest, le argille azzurrognole di nuovo insensibilmente con- vertonsi in una sabbia finissima ed impalpabile, biancastra iden- tica perfettamente a quella di S. Ruffino, la quale alla sua volta tocca e copre buona parte dell’arenaria di Montebabbio e Ca- stellarano colà ricomparsa. La sabbia di Castellarano è carat- terizzata dalle melanie, conchiglie d’acque salmastri; quella di S. Valentino dalle merite, conchiglie d’acque dolci. Ciò che ho qui esposto in succinto verrà da me ampiamente descritto, al- lorchè tratterò del pliocene distesamente, e delle faune che lo accompagnano nelle due provincie di Reggio e Modena. Basta ora notare che l’arenaria di Montebabbio e Castellarano è co- perta immediatamente a nord e ad est dalle argille azzurrognole, & a sud dalle sabbie biancastre d’acque salmastri e dolci, e cioè quasi da ogni parte dal pretto pliocene, che riempie i bacini la- sciati dal sollevamento delle argille scagliose interstratificate coi calcari a fucoidi e delle arenarie in discorso. È in mezzo a una tale arenaria che non solo stanno traccie di lignite, come vogliono lo Stéhr ed il Doderlein, ma veri ban- chi di un tale combustibile. Uno può vedersi nella parrocchiale di Cadiroggio nel rio Rocca, che dopo di aver lavate le argille azzurre plioceniche di S. Valentino corre fortemente incassato nell’arenaria per metter foce finalmente nel Secchia di contro a Sassuolo. Affiora primieramente a sud di quella parrocchia, quasi 830 A. FERRETTI. di contro alla chiesa, ove è messo a nudo dalle erosioni acquee. È inclinato fortemente ad ovest, e diretto approssimativamente da nord a sud. Non può misurarsi tutto il suo spessore, perchè emerge dal rio soltanto con una parte del lembo superiore ed approfondasi dall’altra parte in ragione dello spessore sotto l’a- renaria. La parte emersa misura in larghezza quasi un metro, ed ha uno spessore di ben dieci centimetri. È stratificato ; tra strato e strato, talvolta, v° ha uno straterello di sabbia ora pa- piraceo, ora di qualche centimetro. Gli strati inferiori evidente- mente sono di qualità migliore. Affiora di nuovo lungo il rio che mette nel rio Rocca a poca distanza dal primo affioramento, e viene da nord a sud di mezzo all’arenaria, mostrandosi in sei o sette luoghi, sempre al medesimo livello, con uno spessore ri- levantissimo. Lungo questo rio si può seguir detto banco nella sua lunghezza di più di un chilometro. Inoltre è in mezzo a una tale arenaria che sta una ricca flora di piante lignarie. Tali piante, altre sono convertite in pretto carbonato di calce, altre silicizzate, altre eziandio agatizzate. Una soluzione di perossido di ferro o manganese le ha comuni- cato per lo più una bellissima tinta. nera. Non sono soltanto piccolissimi pezzi, ma alcune volte vi assumono proporzioni straor- dinarie. Non è raro scorgervi dei tronchi d’ albero interi. Per mancanza di tempo non ho potuto istituire ancora accurati con- fronti, e studiare tali essenze, da giungere ad una rigorosa de- terminazione. È in mezzo a queste essenze che stavano le due, le quali oggi ho l’onore di presentarvi, o signori. Voi ben ve- dete che qui trattasi della parte superiore di due tronchi di Cicadacea, pianta rarissima, e poco conosciuta sinora allo stato fossile nella nostra Italia. Finalmente, quantunque lo Spallanzani, il Brocchi e recente- mente lo Stòhr ed il Doderlein, abbiano detto con tutta asseve- ranza, l’arenaria di Montebabbio e Castellarano essere affatto priva di fossili marini, io pel primo ho potuto constatarvi una grossissima bivalva, della quale tenni parola, anni sono, nel- l’ Annuario della Società Veneto-Trentina di Scienze naturali. Gi SCOPERTA DI UNA FAUNA E DI UNA FLORA MIOCENICA, Ecc. 831 Questa bivalva sta in molte parti della formazione in discorso, ma principalmente nella sponda sinistra del rio, il quale nasce in . Montebabbio a ovest-nord della casa Gambarelli, e dividendo la proprietà di questi signori dalla comunale scorre da ovest-nord a est-sud fortemente incassato nell’arenaria per metter foce nel rio Rocca, ove ha incominciamento la grande formazione delle marne gialle ed azzurre plioceniche. Chiamai allora una tale bi- valva col Lamark wulsella. Ma esaminata per bene, e fatti i do- vuti confronti, ho trovato che non è altro che l’Ostrea crassis- | sima, l’Ostrea gingensis dell’ Hòrnes comunissima nel bacino di Vienna. Più di quaranta individui veramente giganti di una tal bivalva rendono bella la mia collezione. Uno misura in lunghezza millimetri 250, in larghezza millimetri 170, ed in grossezza mil- limetri 60. Hanno il privilegio di esser sole in una tale forma- zione. Non un tritume, non una scheggia di altra conchiglia marina o terrestre. Con quelle sta inoltre un potentissimo banco di coralli dei generi astrocenia e philocenia ed una specie di echinide. Un altro fossile rarissimo ho pur rinvenuto nell’ arena- ria di Montebabbio che godo descrivervi, o signori, colle parole del Major: “il suo fossile affidatomi per lo studio appartiene a qualche genere estinto, vicino delle foche, come sarebbe lo Squal- lodon, ed abbiamo la certezza che or si tratta di un fossile ra- rissimo, probabilmente unico finora in Italia. , (Lett. 20 dicembre 1872). Non essendomi stato più restituito dal chiarissimo zoolo- go, non posso dare ulteriori schiarimenti. Ecco il catalogo dei fossili sinora raccolti a Montebabbio: 1. Ostrea crassissima (Bruguières). 2. Ostrea gingensis (Schlotheim). 3. Ostrea digitalina (Dubois). 4. Ostrea Boblayi (Hòrnes). 5. Ostrea trigona (nobis). 1 Specie vicina alle precedenti; ma che ne differisce per avere la fossa del car- dine poco profonda, triangolare, e spalleggiata da due risalti pur triangolari, rivolti verso i lati ad angolo marcatissimo colla fossa; per cui danno alla conchiglia la for- ma di un trigono. 832 A. FERRETTI, 6. Ostrea quadrangularis (nobis). 7. Culcita globosa (nobis). 8. Astrocenia specie. 9. Philocenia specie. 10. Cycadacea specie. 11. Squallodon specie. 12. Ossa di mammiferi. Da questa lista di fossili ciascun vede che non trattasi più, come vorrebbe lo Stéhr, di formazione a Montebabbio e Castel- larano entro l’acqua dolce; ma sibbene di formazione marem- mana, ove a quando a quando prevalevano le acque dolci, e vi portavano dai continenti i tronchi degli alberi, i vegetali ter- restri; a quando a quando prevalevano le acque marine, i lim- pidi mari, e vi avevan vita e vi prosperavano rigogliosi i coralli, vi strisciavano gli echinidi, vi carolavano le foche, vi abitavano attaccate alle spiaggie rocciose le gigantesche ostriche. | Cercando ora qualche formazione sincrona alla nostra, io non la saprei meglio vedere che nelle marne e molasse della Sviz- zera, a cui lo Stoppani trovò rispondere le marne con conchi- glie marine che si scoprono alla base dei conglomerati, precisa- mente tra Como e monte Olimpino, ed il conglomerato comense che forma le colline di Baradello, di monte Olimpino, Pedrinate, Monmorello, e accenna a distendersi sopra una zona non inter- rotta verso ovest, riunendosi alle arenarie di Malnate e Bizzo- zero. I ciottoli serpentinosi in vicinanza dell’arenaria a Monte- babbio e S. Valentino segnerebbero, come in Isvizzera il lido, l’arenaria mista al conglomerato, la spiaggia avanzata che s’in- sinua in mare, la molassa marnosa, il fondo marino. Che le due formazioni corrispondino perfettamente, apparisce dal vedersi che i componenti sono gli stessi, quarziti, graniti porfiroidi, gneiss, micaschisti, schisti amfibolici, serpentini, calcari, ecc.; che sì 1 Specie vicina alle precedenti; ma che ne differisce per avere il cardine (consi- stente in una fossa rettangolare profondissima, spalleggiata da due risalti pur quasi rettangolari) tagliato a sbieco e quasi fuori di posto. E collocato al termine di un lato, ad angolo quasi retto col lato contiguo, da dare alla conchiglia la forma di-un quadrangolo. a x red SCOPERTA DI UNA FAUNA E DI UNA FLORA MIOCENICA, Ecc. 833 l’arenaria di Montebabbio che la molassa svizzera per la copia straordinaria di lignite e vegetali terrestri, e pei fossili marini indicano a volte a volte acque dolci, a volte a volte acque sal- mastre e marine, cioè una vera formazione maremmana; che come in Isvizzera a contatto della molassa marina stanno depo- siti d’acqua dolce, di cui sono celebri quelli di Oeningen, così detti dall’abbazia di questo nome, che si trova sulla destra del lago di Costanza, al confine tra la Svizzera ed il gran ducato di Baden; così a contatto della molassa marina di Montebab- bio e Castellarano stanno i depositi d’ acque salmastri e dolci caratterizzati dalle melanie e dalle neriti, corrispondenti alla formazione d° Oeningen, che omai per comune consenso dei geo- logi, lungi dall’appartenere al miocene, viene ascritta al plio» cene. A compiere la perfetta uguaglianza tra la formazione di Mon- tebabbio e Castellarano e quella della Svizzera concorrono inol- tre i sassi improntati nell’una e nell’altra, che denotano all’e- videnza i sollevamenti per mezzo delle oscillazioni terrestri. Siccome la formazione di Montebabbio e Castellarano, come di- cemmo, contiene ciottoli calcarei, è maraviglioso vedere come i ciottoli di quarzo abbiano reagito su quelli più molli, e più compressibili, e vi abbiano lasciato l’impronta. Il fenomeno poi si verifica a grande scala sulle conchiglie e sui coralli. I ciottoli quarzosi compressi contro le bivalvi, ed i polipai dei coralli sonsi internati perfettamente in loro. Da prima ne hanno spo- stato lo strato superficiale, come vien fatto manifesto da una spe- cie di orlo o labbro che la materia ossea trovasi di avere intorno al ciottolo; poscia sonosi inoltrati, lasciando nell’osso una protu- beranza tutto all’intorno. Alcune bivalvi e polipai sono incro- stati di ciottoletti quarzosi, incastonati in loro a guisa delle pietruzze d’un mosaico, lasciando ciascuno la sua impressione molto bene accusata e profonda quando ne sia staccato. A com- piere la perfetta uguaglianza tra la formazione di Montebabbio e Castellarano e quella della Svizzera, concorrono finalmente le ossa di mammiferi nell’una e nell’altra. Vol. XXI. 1069 834 A. FERRETTI, Per cui io credo non si vadi molto lontano dal vero a dire che come potenti fiumane giù scendendo dai versanti settentrio» nali del gruppo già formato delle alpi e prealpi piemontesi e lombarde e seco portando il detrito che nella marcia vorticosa strappavano a quei colossali dirupi, allargando in direzione ap- prossimativa, da sud-ovest a nord-est, i loro delta nel golfo della Svizzera occupata dal mare; così altre potenti fiumane giù scen- dendo dai versanti meridionali, e seco portando egual detrito allargavano i loro delta da una parte nel golfo di Genova, e dall'altra nell’ Adriatico che occupava ancora il Piemonte, com- prendendo nei suoi dominii i colli di Torino; e di là spingen- dosi a est, verso la Lombardia, per Malnate e Bizzozero giun- gevano sino a Como, a Badia ed al Montorfano bresciano, e ad est-sud per le valli della Bormida e della Scrivia giungevano sino a Paullo e Montebabbio nel Reggiano, sino a S. Michele dei Mocchietti nel Modenese. Sta però un’ obbiezione contro il nostro modo di vedere. È stato l’amico Scarabelli che me l’ha posta sotto gli occhi. Se l’arenaria in discorso viene dalle alpi e prealpi del Piemonte e della Lombardia, come hanno potuto giungere sino a Monte- babbio e Castellarano i grossissimi massi di granito, sapendosi per regola, che le fiumane lungo il cammino stritolano i massi grossi ed anche grossissimi, per cui se a monte conducono di quelli, a valle non trasportano che minute ghiare, sabbie e. fi- nalmente impalpabile fango? Che quei massi siano stati roto- lati è fatto palese dagli spigoli sempre smussati e arrotonda- ti. Che abbiano poi dalle alpi e prealpi piemontesi e lombarde potuto venire trasportati sino a Montebabbio e Castellarano può dedursi per più ragioni. Primieramente codesti massi grossissimi nell’arenaria sono di una rarità eccezionale. In secondo luogo dobbiamo pensare alla grande pendenza che stava allora tra le alpi e l’Italia settentrionale e centrale per mancanza dei rilievi subapennini. Finalmente le immense sabbie finissime, prodotte certo dal disfacimento dei graniti di cul sono composti i monti di Vallestra, di Sestola, del Cimone, di Fiesole, del Casentino, ecc., là SCOPERTA DI UNA FAUNA E DI UNA FLORA MIOCENICA, ECC. 835 confermano le nostre vedute; cioè che a Montebabbio le fiumane conducevano un detrito un po’ grossolano, mentre a qualche di- stanza conducevano sabbie e fanghi finissimi. Anche il Po attual- mente conduce dal Monviso sin presso a Piacenza ciottoli, tra quali qualcheduno di notevole spessore. Veniamo ora a fissare l’epoca di formazione della nostra are- naria. Il Doderlein nella sua carta geologica della provincia di Reggio-Emilia senza più l’ascrisse al miocene superiore, dicendola molassa superiore. Lo Stéhr per crederla una formazione entro l’acqua dolce lasciò indeciso a qual piano del miocene si dovesse ascrivere. La mancanza però di fossili metteva i due autori nella condizione di farla a indovinare. Siccome io sono d’opinione, per ragioni che qui sarebbe troppo lungo annoverare, che il miocene nelle due provincie di Reggio e Modena non ammetta diversità di periodi, epoche diverse; ma tutto si riduca ad un solo periodo, ad una sola epoca; e che le differenze che vi hanno tra membro e membro della formazio- ne, attestate dall’impasto litologico diverso, e dalla diversità dei fossili, ascriver debbasi alla maggiore o minore profondità, alla costituzione litorale o d’alto mare del mare miocenico; insomma a mere accidentalità indispensabili ad una formazione marina; quindi al miocene in genere io ritengo appartenere la formazione di cui è parola. La perfetta corrispondenza di lei come ve- demmo colla formazione svizzera non lascia dubitarne. Difatti stando alle opere di Heer, che ci prestano i migliori documenti per riconoscere la successione dei piani componenti la classica formazione svizzera, vediamo ascritta la formazione maremmana all’aquitaniano del Mayer, che questo autore oggi riguarda come il primo piano del neogene dell’ Hoòrnes, cioè miocenica. S’aggiunga che il bacino di Vienna è eminentemente miocenico; e le diverse forme litologiche, più che alle diverse epoche, rispondono alle condizioni diverse del fondo di uno stesso mare. Solo più re- centi delle formazioni marine sono da ritenersi i depositi d’acqua salmastra e dolce, che si venivano formando mano mano che il mare si colmava, o si prosciugava per effetto del sollevamento. 836, | A, FERRETTI, Ora è nell’arenaria di Montebabbio e Castellarano che abbon- dano strabocchevolmente l’Ostrea crassissima e 1° Ostrea gingensis, tanto comuni in quel bacino; ed è pure a Montebabbio e Ca- stellarano che abbiamo i depositi d’acque salmastre e dolci più recenti, che coprono immediatamente il conglomerato e la mo- lassa qual pesante mantello, caratterizzati come vedemmo dalle melamie e dalle nerite. Ma come sta coi due fossili che oggi ho avuto l’onore di pre- sentarvi, o signori? Tutti sanno che le Cicadee fossili apparten- gono alla creta, e nessuna fu trovata sin’ ora, che io mi sappia, in terreni terziarî in qualsivoglia parte del nostro globo, tanto nel nuovo che nell’ antico continente. Quindi le vostre, o non provengono da Montebabbio, o Montebabbio ascriver devesi non già al miocene, ma sibbene ad epoca più antica. Se si potesse prestar fede al signor Pio Mantovani che asserisce d’aver trovato gli ammoniti nel calcare a fucoidi interstratificato colle argille scagliose al monte del Vangelo nella mia parrocchia, sarebbe tosto deciso che sì il calcare a fucoidi, sì l’arenaria di Monte- babbio e Castellarano appartenessero alla creta. Ma io che sono sul luogo, e che ho rimuginato codesti terreni palmo per pal- mo, zolla per zolla, cento e mille volte, non ho mai avuto la sorte del signor Pio Mantovani di imbattermi contro ad un mi- nimo frammento di ammonite. Ho trovato nel calcare a fucoidi delle foladi, pholas rugosa (B.), delle vertebre di Oxirina, delle gorgonie, degli anellidi, dei rettili, e copia immensa di fucoidi; ma non ammoniti. Non solo non ho trovato questi a Montebab- bio e Castellarano, ma nemmeno in tutto il subapennino ed apen- nino settentrionale di Modena e Reggio. Vallestra, Pantano, Car- pineti, Montegazzo, Pietradura, Bismantova, Sologno, Cinque- cerre, Montese, S. Anna Pelago, che sono località eminentemente fossilifere non contengono traccia di ammoniti. Anzi dirò di più: levigata la roccia tanto celebrata e controversa di Bismantova, per attestato pure dello Scarabelli apparisce non esser altro che un impasto di frammenti di briozoi e madrepore, con. piccolis- simi nummuliti di specie quasi microscopiche, per cui è egua- Pi. } A q te, pa ta SCOPERTA DI UNA FAUNA E DI UNA FLORA MIOCENICA, ECC. 837 lissima litologicamente a quella della repubblica di S. Marino, del Sasso di Simone, della Vernia, ecc., ed appartiene al piano inferiore del miocene, e rappresenta da noi l’Acquitaniano o il Bormidiano, e non regge la distinzione fatta dal Doderlein del calcare di Bismantova dai conglomerati nummulitici. Che i due fossili poi in discorso, provengano esclusivamente da Montebabbio, e non da altra località, chiaro apparisce dal vedersi che tutti i terreni, lunghesso il Tresinaro, contengono solo qualche tronco di legno alcun poco carbonizzato, come le argille scagliose, il calcare cristallino di Pantano, ecc.; ma non contengono mai vegetali convertiti in carbonato calcare, siliciz- zati, agatizzati; è solo Montebabbio che ne contiene copia straor- dinaria, il che può vedersi ascendendo i rii fortemente incassati nelle sue arenarie in tempi di grosse piene, ad esempio, gli af- fluenti in Riazzone che bagna questa mia parrocchia. I coralli medesimi che stanno copiosissimi a Montebabbio non lascian dub- bio che anche le Cicadee non appartengano alla medesima for- mazione per alludere gli uni e le altre ad un identico clima. Arroge che le Cicadee non sono i soli fossili dell’arenaria in di- scorso, ed il rimanente della fauna e della flora, accenna evi- dentemente a formazione miocenica, e non mai cretacea. Nel dubbio finalmente che i due fossili non provengano da Mon- tebabbio, ma sibbene da altra località bagnata dal Tresinaro, osservo, che tutti i terreni bagnati dal Tresinaro, dalla sua ori- gine in Fellina a Scandiano, ove incomincia a scorrere in un letto perfettamente costituito da sponde artificiali, e non riceve più tributo di materiali grossolani da alcun affluente, si riducono a tre o quattro; argille scagliose interstratificate colle calcari a fucoidi, arenaria di Montebabbio e Castellarano, molassa di Val- lestra, giastra o calcare cristallino di Pantano, Carpineti, e Mon- tegazzo. Or bene, il mireaster latus (Agassiz) o pericosmus luxus (Doderl.), comunissimo a Vallestra, Pantano, Carpineti e Mon- tegazzo non lascia dubitare che tutte queste formazioni non ne costituiscano geologicamente una sola. La culcita globosa (no- bis) comunissima a Montebabbio, a Pantano, a Carpineti, a 838 À. FERRETTI, Montegazzo, e aggiungo anche a Montese nel Modenese, appalesa che tutte queste formazioni devono raccogliersi esse pure in una sola. Finalmente i resti di Oxirina, comuni alle calcari a fu- coidi e a tutte le località summentovate, ti dicono che tutte son membri di un’ identica formazione. La fauna poi di tutte queste località brillantissima è eminentemente miocenica, come vedrassi allorquando verrà fatta da me di pubblica ragione, il che spero. sarà prestissimo. Per cui sia che i fossili in discorso proven- ghino dall’arenaria di Montebabbio e Castellarano, sia dai cal- cari a fucoidi, sia dalla molassa di Vallestra, sia dal calcare cri- stallino di Pantano, Carpineti, Montegazzo, appartengono sempre al miocene, e non mai alla creta. | Nè si faccian le meraviglie per ciò. Quanti fossili non vi sono che sino ai nostri giorni si credettero di una sola età, anzi di un periodo di una sola età, ma che dietro accurate ricerche fu- rono trovati far parte di altre età, di altri periodi di tempi, per cui sparisce e vien meno tuttodì quella esclusività che si voleva attribuire a certi fossili, e quel mutarsi repentino e brusco delle faune e delle flore. Ma non potrebbe essere che i due tronchi di Cicadea in di- scorso appartenessero alla creta dell’alpi piemontesi e lombarde, e che fossero stati fluitati di là insieme alle materie cristalline che compongono i rilievi di Montebabbio e Castellarano? Oltrechè questo supposto porterebbe che le nostre Cicadee nell’epoca della creta, fossero state còlte tra via dai magma cristallini, allorchè questi in forma di lave fuori sgorgavano dalle bocche crateriche dei vulcani, e giù rotolavano per le sottoposte pendici, lasciando su quelle manifeste traccie di loro incandescenza; faccio riflettere che i due fossili in discorso non appalesano la ben che minima corrosione, il ben che minimo arrotondamento degli spigoli; in una parola il ben che minimo indizio di essere stati fluitati dalle acque, come ciò mostrano evidentemente i massi dei graniti. È dunque certo che le nostre Cicadee hanno vissuto prospere e rigogliose nei pressi di Montebabbio e Castellarano durante il miocene, unitamente a moltissime essenze lignarie, forse a cedri, | ; i SCOPERTA DI UNA FAUNA È DI UNA FLORA MIOCENICA, ECC. 839 a palme, che ombreggiavano i lidi di quei sterminati mari. Onde. la flora italiana miocenica viene arricchita di due, e forse di molte essenze che sino ad ora furono credute esclusivamente della creta. Studiando il signor Heer la flora scoperta presso Kome, nel golfo di Homenach in Groenlandia, ha trovato che componesi in massima parte di conifere, di cicadee e di felci. Facendosi poi ad osservare ove vivano e prosperino attualmente tali piante ha potuto conoscere che vivono e prosperano soltanto nell'Africa meridionale, nell’ India, nel sud America e nell’ Australia. Con- clude quindi che un clima caldo, un clima almeno sub-tropicale regnò in Groenlandia, in paesi cioè, in cui le terre sono in oggi sino al mare avvolte in un mantello di eterno ghiaccio. Per la scoperta dei due fossili in discorso, a cui può aggiungersi la co- pia immensa dei coralli e forse dei cedri e delle palme, possiamo dunque anche noi, appoggiati agli studi del signor Heer, con- chiudere che a Montebabbio nell’ epoca miocenica regnava un clima caldo, un clima a facies tropicale. Questa scoperta è fe- conda di molte altre. Sapendosi che la climatologia è legata alle accidentalità telluriche, e che quanto più un paese è uniforme, ivi la climatologia è costante e regolare; ed all’inverso che quanto più è accidentato e frazionato, ivi la climatologia è va- ria ed irregolare; quindi possiamo arguire che i terreni di questa nostra porzione d’ Italia, non erano così accidentati nell’ epoca miocenica, come li troviamo oggi, e che perciò in seguito a quel- l’epoca dovettero subire una parziale rivoluzione. E siccome non poteva esistere un clima a facies tropicale a Montebabbio atte- stato da una flora tropicale, senza alterare tutta la climatologia del globo, così dovevano essere meno accidentate le terre tutte quante del nostro pianeta, e per conseguenza tutte dovettero su- bire in seguito una generale rivoluzione. Onde i nostri continenti non sono i continenti del miocene. Sono l’opera di sollevamenti posteriori. ? Un clima a facies tropicale a Montebabbio fa inoltre supporre che poche fossero le terre emerse in quell’epoca, e moltissimi ed 840 A. FERRETTI, SCOPERTA DI UNA FAUNA E DI UNA FLORA, ECC. estesissimi i mari, sempre per la gran ragione che la tempera- tura è più regolare e costante sulla superficie uniforme delle acque, di quello che sulla superficie quanto più quanto meno, sem- pre però accidentata dei continenti. Il che vien confermato dai limiti della flora miocenica italiana settentrionale, centrale, che forse tutta riducesi alla flora dell’arenaria in discorso, essendo stato pur trovato dal Mayer che anche la formazione di Cadi- bona, che ha dato sì ricco tributo alla paleofitologia, consta di Nagelfluh e di marne che si assomigliano perfettamente all’an- tica molassa svizzera. S’ aggiunga inoltre che le alture princi- pali mioceniche del subapennino hanno i fianchi, e sin anco gli omeri coperti da depositi pliocenici, per cui in quest’epoca erano in buona parte sommerse. Quindi tanto più lo dovevano essere nel miocene a meno di non ammettere ne’ continenti che furono, un’altalena, un su e giù, un saliscendi continuo, quanto co- modo al geologo, altrettanto destituito d’ogni verosimiglianza. Fu- rono quelle poche cime che a guisa di tanti isolotti o scogli sporgendo dall’onde in qua ed in là lungo la linea del subapennino, poterono col tempo vestirsi di conifere e di Cicadee; le quali poscia travolte dall’acque torrenziali, o ingojate dal mare colle terre su cui lussureggiavano, vennero sepolte nei bacini o seni di mare in prossimità alle terre, ove si mescolarono colle ostri- che, colle foche, cogli echinidi, e cogli innumerevoli coralli, for- mando uno di quei tarti depositi poligenici litorali, sì comuni eziandio pur oggi alle spiagge dei nostri mari. LE TERREMARE DEL MODENESE. MEMORIA DEL Cav. avv. ARSENIO CRESPELLANI. (Modena 1.° settembre 1878.) I monumenti che oggigiorno destano maggior interesse negli archeologi sono certamente le terremare, che, formando una specialità monumentale delle provincie emiliane, * meritavano e meritano di essere attentamente studiate dai terrieri, tenendo . calcolo esatto di ciò che presentano tanto in analogia cogli al- —_ rs tri monumenti dell’ Emilia, quanto nelle differenze con essi; e fu per questo che sino dal 1856, come dilettante di studî archeolo- gici, mi dedicai all’esplorazione delle terremare modenesi, spin- tovi anche dalla lettura di quello che ne dissero, nei loro scritti, il mio prozio don Domenico nel 1807 ed il mio avolo dottor ur rca e Me Arcangelo nel 1822;° raccogliendone la serie dei fatti che verrò brevemente esponendo. î Le terremare sono una specialità della nostra Emilia: nessun’altra fra le pro- vincie italiane ha dato, che io mi sappia, consimili monumenti; poichè non si possono confondere le modenesi con quelle dei laghi. ? CRESPELLANI Don DOMENICO, che aveva preso il pseudonimo di Crispo Ciriaco, in un suo manoscritto dell’anno 1807, parlando delle antichità scoperte a Savignano, tratta delle terremare o marne di Sant’ Anastasio e di Castiglione, da poco scoperte i e sfruttate per concimare i prati. Ne riparlava poi nel 1825 nelle Dissertazioni: Castel Feroniano, inserite alla pag. 27, della Nuova collezione di opuscoli scientifici, edita in Bologna: e Sulla città Sabiniana a pag. 163. CRESPELLANI dottor ARCAN- GELO, tratta esso pure delle terremare o marne nel suo opuscoletto Sulle marne nostrane, edito in Modena nel 1822, 842 A. CRESPELLANI, POSTURA DELLE TERREMARE. Sedici sono le terremare, che il popolo modenese ha chiamato e tuttora chiama marne,' scoperte per ora nell’ antico agro mo- denese ristretto fra i torrenti Samoggia e Secchia, e che per il | loro giacimento topografico possono così ripartirsi: nove sull’alta collina a metri 130 in media dal livello del mare e sono: Baz- | zano, Sant’ Anastasio, Castiglione di Marano, Trinità, Cà dei | Monesi, Monte Barello, S. Pietro in Isola, Gaiano e S. Marco; cin- que sull’altipiano dei colli, superiormente alla via Emilia, deno- i minate: Gorzano, Formigine, Montale, Casinalbo e San Lorenzo; | due, inferiormente alla medesima, coi nomi di Sant'Ambrogio e ; Redù. La maggiore altezza fra le modenesi l’abbiamo a Gaiano che | elevasi a metri 150 dal livello del mare, e la minore a Redù che Ì è a metri 30 dal livello stesso.? Le prime, e sono in maggior numero, coprono cocuzzoli di collinette; quelle dell’altipiano dei colli, o nel piano InISRRrSE mente alla via Emilia, elevansi per quattro o cinque metri a. foggia di monticelli dalla superficie odierna dei campi o sono È in luoghi alti ed asciutti; e tutte indistintamente si adagiano | sopra terreni post-pliocenici; il che fa conoscere come gli au- tori delle terremare preferirono i luoghi salubri ed arieggiati ai _ malsani e palustri della bassa pianura, che in allora figurava com- | pletamente spopolata.* ! Tale denominazione di marne è sempre stata data e si dà tuttora dal popolo Mo- | denese alle ferremare, vocabolo nato col Congresso di materie preistoriche che si tenne in Bologna nel 1871, e furono così dette dal popolo per la loro proprietà fer- È tilizzante che le rende analoghe alle marne in senso geologico. i 2 Avrei desiderato poter dare con esattezza l'indicazione precisa del livello di cia- | ‘seuna terramara, ma mi mancano ancora gli studî di alcune dell’ altipiano e del colle; tuttavia ho creduto sufficiente, per darne un’idea, l’indicare le due estremità, cioè la maggiore e la minore altezza dal livello del mare. Lg ® Inferiormente a Nonartola e nella vera pianura circumpadana, tranne il rialzo della strada antica Colicaria, vi scarseggiano persino i ruderi di epoca romana; il che fa conoscere che soltanto molto tardi i terreni cireumpadani furono adatti ad es-. sere abitati. Veggasi il LOMBARDINI, Della condizione idraulica della pianura Sub- Apennina. LE TERRKMARE DEL MODENESE. 843 Ora passando a parlare partitamente di ciascuna terramara, "dirò che quella: | Di Bazzano, copriva la sommità della collina sulla quale stanno la chiesa parrocchiale colla canonica, e sebbene danneg- | giata da siffatte costruzioni e non restasse del cumulo che 1’ ul- timo strato dello spessore dai 50 ai 70 centimetri, tuttavia ne- gli scavi che vi furono praticati nel 1874 in occasione di riforme nell’interno della canonica, si levarono circa 40 metri cubi di terriccio marnoso, dal quale si raccolsero stoviglie ed oggetti ‘in copia tale, da potersi stabilire con certezza, che i materiali ‘componenti quest’ammasso marnoso non differiscono dagli altri ;° e dai copiosi frantumi di legno, sembra che avesse la palafitta, sebbene posta sulla cima del colle. Fra gli oggetti figurano: un fondo di vaso rozzo del diametro di cent. 27 col segno della croce nell’interno a cordoni rilevati, ed un bellissimo martello di corno di cervo. Nel 1873 fu scoperto, a poca distanza dai resti di questa terramara, il pozzo costrutto con mattoni sagomati a segmento di cerchio, contenente una preziosa SEDIREniao rituale colle sigle arcaiche.” Di Sant’ Anastasio, in Savignano sul Panaro, formava il cocuzzolo, di un diametro di metri 104 e per lo spessore in me- dia di metri 3,’ del colle così denominato, perchè sul cumulo ! Bazzano, grosso paese della provincia di Bologna, sul colle; capo-luogo di Man- damento ed oggigiorno in confine al Modenese a cui apparteneva prima del Lodo di papa Bonifazio VIII, che nel 1299 scostò dalla Samoggia i confini del territorio di Modena. — Bazzano, anticamente Buxo e Busseto. — TrraBoscHI, Diz. Top. ? Resta ancora buona parte di terriccio sotto la sagrestia e nel piazzaletto presso alla torre della chiesa parrocchiale. 3 Il pozzo aveva la croce formata da due travi che tenevano fermo un coperchio di legno: sotto trovaronsi una misura lineare e vasi in legno, un centinaio di vasi in terra cotta ed undici di bronzo, lavorati stupendamente. Vedi il mio opuscolo: Del sepolcreto e degli altri monumenti antichi scoperti presso Bazzano. Modena, 1875. 4 Savignano sul Panaro, comune del Modenese, in destra del torrente Panaro, con- fina a levante col comune di Bazzano bolognese. AMATI, Dizionario corografico d'’ Italia. 5 Per errore di stampa nell’opuscolo Marne Mod., fu dato a questo cumolo il dia» metro di metri 164. 844 A. CRESPELLANI, sorgeva la chiesa di S. Anastasio col cimitero di prima epoca cristiana che aveva tumuli con embrici a capanna, monete del basso-impero e scheletri sepolti nello strato di terreno comune dello spessore di uno ai due metri, che ricopriva la sommità della terramara.! Ai piedi dell'ammasso marnoso estendesi il sepolcreto di com- busti, in relazione a quelli di Villanova, di Bologna degli scavi Arnoaldi e Benacci, di Bazzano, di Golasecca e di altri scoperti nella Lombardia, e che per usare un solo vocabolo chiamerò prero- i mani.’ Fu in questo sepolcreto che trovaronsi, presso a quattro tombe rivestite del ciottolato a secco, il deposito di 96 paalstab od accette in bronzo, deposte in piena terra, affatto nuove per l'ottima loro conservazione e l’una sovrapposta all’altra da for- mare un rettangolo, alto centimetri 18, lungo centimetri 34 e largo 18;° e nell’anno 1875 l’orlo di un vaso colla marca \MI1I11, colla particolarità che il grande deposito di oggetti in bronzo, sco- | perto a Bologna nel piazzale di san Francesco nel 1877, non solo contiene esemplari di paalstab od accette simili alle savi- gnanesi, ma alcuni ve ne sono marcati colla stessa prima espres- | sione numerica dell’orlo di vaso, mettendo così il sepolcreto di | Savignano e gli altri congeneri in pigna relazione coi monu- | menti arcaici di Bologna.* | Di Castiglione di Marano, sulla riva destra del Panaro. * Tutte le terremare modenesi presentano questa caratteristica di essere state co- 8 perte alla superficie ed ai fianchi di uno strato di terreno per opera dell’uomo, che può fissarsi in media dello spessore di un metro per la superficie non così per quello — dei fianchi che varia molto, essendovene alcune che all’esterno sembrano rotonde o ì grandi semisfere, ma nell'interno sono invece rettangolari. | 2 Questo è il vocabolo con che in generale dai dotti archeologi sono indicati i se- 4 polcreti del periodo di Villanova, ecc. ® Ne ho corrette le misure, calcolate inesattamente nell’ altro mio lavoro: Strada L| Claudia alle radici dei colli mod., ecc. i 4 Avv. BORTOLOTTI, Spicilegio epigrafico Modenese, pag. 121, num. 186. — E questa © espressione numerica è pur ripetuta nei vasi di Villanova (Ch. GOZZADINI, La Nécro- poli de Villanova, pag. 52); e sulla Cista trovata nel 1817 alla Traversa di Bazzano | a chilometri 10 da Savignano (Ch. prof. ScHIASSI, Sopra una Cista mistica, pag. 7). è 5 Castiglione di Marano, frazione di Savignano sul Panaro, di fronte all’antico ca- | stello di Marano. AMATI, Dizionario corografico d’ Italia. — TrrABoscHI, Diz. Top. | Mod., tomo II, pag. 15. f° I "N ] e ; Î "i LE TERREMARE DEL MODENESE. 845 Ha forma di rettangolo della lunghezza di metri 114, larghezza 64, | spessore 3, in media. Si adagia sullo strato delle ghiaie Ffmia | ne, che in quella località forma la superficie coltiva dei campi; | è ricca di oggetti in osso ed in bronzo, e di Liza ultimo si rac- colsero due spade.’ Della Trinità, sulle colline di Campiglio:? copriva la cima di un colle ed aveva forma rettangolare, della lunghezza di me- | tri 97, larghezza 74, spessore 2 in media. L’ attorniano ruderi di epoca romana.” Di Cà dei Monesi, sulle colline di Castelvetro: differisce dalle altre perchè deposta entro tre fosse, distanti le due prime metri 32 l’una dall'altra, aventi forma quadrata di metri 3 e centimetri 40 per lato, profonde metri 1,50 e coperte alla bocca con un selciato di ciottoli a secco levati dal vicino torrente Guerro; la terza aveva forma rettangolare, della lunghezza di metri 18, larghezza 10, spessore 3, ed era distante metri 160 dalle altre due. In queste fosse non si rinvennero traccie di palafitte. Di Monte-Barello, sui colli di Castelvetro come la prece- dente:° copriva il cocuzzolo del monticello per un diametro di metri 145 e per lo spessore di metri 2 e centimetri 59. Aveva di particolare una serie di pozzetti, ricolmi di terriccio marno- so, disposti in doppia fila e coperti nel fondo ed alla bocca di sassi disposti intenzionalmente. Vi si rinvennero anche due sche- letri umani: uno aveva intorno al capo una specie di aureola, formata da fusaiuole inframmezzate da gusci di helix pratensis ; 2 1 CAVEDONI prof. C., Indicatore Mod., anno II, pag. 13. ? Frazione del Comune di Vignola nelle colline in sinistra del Panaro: questa lo- calità è detta anche Castelletto. 3 CRESPELLANI, Marne modenesi, pag. 12. 4 Castelvetro. Vedi TrRABOscHI, Diz. Top. Mod., pag. 186, del tom. I. — AMATI, Dizionario corografico d’Italia. 5 Castelvetro ha il territorio gremito di ruderi antichi, poichè oltre alle due terre- mare di Cà dei Monesi e di monte Barello ha il sepolereto preromano alla Galassina, altri sepoleri misti ai romani alla Gnana, estese e ricche rovine di fabbricati a Rola, a Colecchio, ad Ariano ed in altri luoghi che fanno corona al castello medio-evale. Vedi Carta archeologica del Modenese del Crespellani. 846 A. CRESPELLANI, l’altro l'aveva di prette fusaiuole. Lungo gli scheletri una quan ni tità di ganasce di pecora. Vicino a codesto ammasso marnoso vi sono avanzi di pra di combusti, misti ad altri di epoca romana, e copiose rovine di fabbricati romani.* Di San Marco, a chilometri due dal paese di Sassuolo, presso Ponte Nuovo. Ha forma rettangolare e giace a metà costa della collina che costeggia la strada provinciale. Presso ad essa vi sono traccie di tombe di combusti di epoca preromana. Le suddescritte terremare sono sulla linea di un'antichissima strada di cui ignorasi il nome nei periodi etrusco e gallico, e che nel periodo romano fu probabilmente detta Claudia. Essa partendo da Bologna costeggiava le colline bolognesi, modenesi, reggiane, perciò lungo alla medesima vi sono i sepolcreti preroma- ni di Bologna, di Crespellano, di Bazzano,® di Savignano,* di Ca- stelvetro,° ecc., e chi sa quant’altri ancora nascosti, non curati, distrutti per lo passato, i quali unitamente alle terremare e alle. rovine di fabbricati, indicano i luoghi lungo la linea suddetta, ove anche nel periodo romano sorsero vichi o borgate, come può vedersi pel tratto modenese nell’unita Carta archeologica.’ Le altre due poste sull’ alta collina sono a destra del tor- rente Tiepido; la prima a San Pietro in Isola, vicina alla Chiesa parrocchiale, a ridosso della collina, senza traccie di pala- fitta e prossima alle rovine di esteso fabbricato di epoca romana con pozzo costrutto in mattoni a segmento di cerchio;° la se- 1 CRESPELLANI, Opuscolo Marne modenesi, ecc. pag. II-12. 2 GozzapINI, Di alcuni sepolcri della Necropoli felsinea. — Intorno al alcuni se- | poleri scuvati nell’ Arsenale militare di Bologna. — Intorno agli ‘scavi archeologici | fatti dal signor A. Arnoaldi Veli. Bologna, 1877. — CRESPELLANI, Del sepolcreto e degli altri monumenti antichi scoperti presso Bazzano. 3 CRESPELLANI, Di un sepolcreto pre-romano a Savignano sul Panaro. 4 Ch. mons. CAvEDONI, Annal. Ist. Corr., 1842, pag. 67-82. — CRESPELLANI, gior- | nale, Il Panaro, 23 maggio 1874. 5 La Carta archeologica dimostrativa si ommette per viste economiche della Società. % 6 E a desiderarsi che venga esplorato quanto prima coll’ altro della terramara di _ Redù per accertarsi se contengono le stoviglie rituali come quelli delle terremare di — SA Rn o SITI TEOR SEE bo LE TERREMARE DEL MODENESE, BAT “conda a Gaiano, sul pendio del monte, che occupa fra le mode- nesi, come ho detto, il luogo di maggior altezza dal livello del mare; ha forma rettangolare, non presenta resti di palafitta ed ha nelle vicinanze reliquie del periodo romano. Per le terremare poste nell’altipiano della collina superior- mente alla via Emilia e per quelle del piano inferiormente alla | medesima dirò brevemente che quelle di: Gorzano, in sinistra del Tiepido, elevasi dal suolo odierno | dei campi per metri cinque a forma di monticello rettangolare . della lunghezza di metri 100, larghezza 70 e spessore in media . di metri 3, adagiandosi sullo strato delle ghiaie diluviane che è più alto dei terreni. Essa è coperta alla sommità di uno strato . formato dalle rovine del distrutto castello medio-evale, dal ci- | mitero cristiano," da avanzi di epoca romana, e nei fianchi da o un rivestimento artificiale di terreno comune, levato dalla vicina ; campagna, od argine che voglia chiamarsi, che s’addossa all’acervo | marnoso. Specialità sono le fusaiuole d’ ambra ed il pozzo col rivesti- | mento a mattoni semi-circolari.” i Formigine, a due chilometri sud-ovest del paese, nella pos- | sessione detta Cappuccina. Di questa non rimane che la fossa, incavata nel terreno, che mostrasi di forma rettangolare e di di- | mensioni assai più ristrette di quella di Gorzano. Dai pochi cocci i ed oggetti che ho potuto raccogliervi non differiva certamente È dagli altri cumuli marnosi del Modenese, che rivelano un sistema | costante nella loro conformazione e nei materiali che li com- | pongono. | Bazzano, Sant'Ambrogio e Gorzano. CRESPELLANI, I pozzi delle Terremare modenesi. | Vedi Gazzetta Ufficiale del Eegno, N. 27, pag. 1481; e Giornale il Panaro, 30 aprile i 1679. Î * Parecchie delle terremare modenesi hanno sul cumulo chiese parrocchiali anti- i chissime e cimiteri cristiani, e sono: Bazzano, Sant Anastasio, Castiglione, Gorzano, i Montale e Casinalbo. | 8 Di questa terramara il prof. FRANcESCO CoPPI ne ha pubblicata un’ esatta Mo- | nografia ed Iconografia, divisa in tre parti, stampata in Modena negli anni 1871 1 1872, 1874, con 82 tavole. 848 A. CRESPELLANI, | Montale, posto a destra del torrente Grizaga, con sopra | chiesa, canonica ed altri fabbricati parrocchiali. Fu visitata, nel 1871, dagli illustri scienziati intervenuti a Bologna pel Congresso — di scienze preistoriche, e nel 1877 ne è stato intrapreso uno | scavo regolare dall'onorevole Municipio di Modena.' Aperta la trincea, tagliando verticalmente il lato settentrio- | nale della terramara, si rinvennero: uno strato di terriccio mar- | noso dello spessore di centimetri 40 che coprendo il sotto-suolo inoltrasi sotto l’argine; sopra a questo strato sorge l’argine, o |. rivestimento che voglia chiamarsi, dello spessore alla base di metri 16, che innalzandosi irregolarmente raggiunge lo strato | superiore che copre tutta la sommità della terramara. Questo | strato superiore della potenza in media di un metro, contiene i avanzi rom ani e scheletri umani; quello dei fianchi od argine, | mostra traccie di lavoro intrapreso in più volte. L’ammasso mar- | noso interno si adagia sopra lo strato superficiale odierno dei È campi ed è al livello della loro superficie, se non è più alto. Ha _ una palafitta che partendo dall’argine mostra estendersi verso il | centro del cumulo, alta 50 centimetri dal sotto-suolo, di modo | che la maggior parte del cumulo trovasi sulla testa dei pali | omogeneo, non rimaneggiato per successive costruzioni, per lo | spessore di metri 2 ed 80 centimetri. Da questa apertura sem- | bra che il vero cumulo marnoso avesse la forma rettangolare, | come quello di Gorzano ed altri, ridotto poi a forma di disco i dai rivestimenti fattivi per opera dell’uomo levando il terreno | dai vicini campi.” j Specialità di questa terramara si è quella di aver dato due | fusaiuole d’ambra nel 1871 ed un granello da fibula nel 1877.° & ' Anche nel 1871, in occasione dell’escursione degli scienziati a questa terramara, fu- _ rono fatti diversi assaggi che fruttarono buona messe d’oggetti raccolti nel Museo civico. _ 2 Non è ancora stato eseguito il rilievo topografico della terramara, ma vedesi anche | a colpo d’occhio che il sottosuolo su cui dessa basa, è più alto dei campi attigui che vennero appunto ribassati levando il terreno necessario a rivestire il cumulo marnoso. È 3 Specialità che ha comune con quella di Gorzano che ha somministrato due fu- saiuole d’ambra (Vedi Monografia, ecc., di Gorzano del prof. CoPPI, pag. 84), ed al- È tre si potrebbero trovare nei diversi cumuli modenesi, ove:gli scavi fossero eseguiti — con diligenza. LE TERREMARE DEL MODENESE. 849 A cento metri circa da questo monticello vi sono traccie di sepolcri preromani, dei quali nel 1875 fu esplorato un pozzo col rivestimento a ciottoli a secco, come quelli della Certosa di Bo- logna, che, frugato per lo passato, non offerse che pochi fram- menti del cinerario e di altri vasetti componenti la suppellettile funeraria, e nel 1876 altre tombe scoperse il torrente Grizaga corrodendo la sponda sinistra. Casinalbo, a chilometri 7 da Modena, formava un rialzo dello spessore in media di metri 3, a foggia di mammellone sul quale stanno ancora la chiesa parrocchiale col vecchio cimi- tero ed altri fabbricati. Fu in gran parte levata negli anni : 1872 e 1873, fornendo buon numero di oggetti raccolti nel Mu- «seo civico di Modena, ed in allora non si videro traccie di pa- i lafitta. «__ Gazzade o San Lorenzo, luogo del Comune di Castel- nuovo Rangone; ha forma rettangolare ed un massimo spessore di metri 1,80, causato dall’essere stata probabilmente spianata al suolo la parte superiore del cumulo per agevolare la coltiva- zione dei campi. Fra gli oggetti che vi raccolsi nel 1877, figura un bellissimo pugnale tutto in bronzo, ottimamente conservato, col manico terminato a foggia di fau. Lunghezza totale centimetri 15, lama a due tagli con costola longitudinale nel mezzo. È nuovo per le terremare modenesi. sant’ Ambrogio, prossimo alla via Emilia, a 6 chilometri da Modena; così denominata perchè vicina al ponte di Sant'Am- brogio sul Panaro. Essa è continuamente travolta dalla corrente del Panaro e non si scava che nel tempo della massima magra delle acque nel letto del torrente, perciò nulla può dirsi di certo sulla forma, spessore ecc.; gli scavatori però dicono che è deposta in fosse rafforzate da pali. | Questo cumulo ha speciale caratteristica di contenere una quantità straordinaria di frammenti di legno e di semi di vege- tali, a preferenza degli altri tutti del Modenese, che in generale ne scarseggiano; e questa particolarità credo si debba probabil- Vol. XXI 54 850 A. CRESPELLANI, | { i mente ascrivere alle ug subìte dal cumulo per trovarsi È alle porte di Modena romana.’ de Da ultimo quella di Redù, detta Salimbeni dal cognome degli attuali proprietarî, è posta a chilometri 4 dal paese di Nonantola.® Presenta in media uno spessore di un metro, l’esten- sione di circa mezzo ettare, e non è coperta dal solito strato di terriccio comune levato dalle vicine campagne; specialità que- ste che ritengo derivino dall’abbassamento subìto, nei secoli scorsi, dalla parte superiore del cumulo, adeguato al suolo per adattare il terreno ai bisogni rurali, come fecesi per quello della vicina località, detta Rastellino, negli anni 1872 e 1873. Questa terramara trovasi, come ho detto, alla minor altezza del livello del mare, e fisserebbe per ora il limite dell’abitato nella pianura modenese nel periodo del bronzo, poichè nel re- stante piano sino al fiume Po, e così per una linea a volo d’uc- cello di 38 chilometri, non ho notizia che siansi scoperte ter-. remare. A sedici pertanto si riducono, per ora, le terremare scoperte nell’antico agro modenese e tutte dell’epoca del bronzo, poichè con esse non devono confondersi, come si è fatto in alcuni dei primi lavori sulle terremare modenesi, i terricci fertilizzanti delle località dei (razzoli a Magreta, di Cittanova e di Nonantola, de- rivanti da sepolcreti e da rovine di fabbricati d’epoca romana e medio-evale che ne differiscono totalmente, raccogliendosi in essi mattoni, embrici, monete e frammenti di vasi dei periodi ro- mani e medio-evali. 1 Modena romana estendevasi al levante ed ai meriggio della città moderna, ed il chiarissimo Cavedoni opinava giungesse sino alla così detta Fossalta (Fossa-alta) pros- — ; sima al suddetto cumulo marnoso. Vedi TIRABOSCHI, Dizionario Top. Mod. ? Nonantola trovasi a nove chilometri da Modena; e la possessione detta la Puglia ove è la terramara (di proprietà dei signori conti Salimbeni), a quattro chilometri da Nonantola in sinistra della strada che conduce a Redù. Ho creduto poi utile l’in- dicare che le terremare sono attorniate e spesso coperte da reliquie di epoche di- verse perchè non si credesse fossero monumenti isolati e totalmente indipendenti. LE TERREMARE DEL MODENESE. 851 MATERIALI COMPONENTI I CUMULI MARNOSI. I materiali componenti i cumuli marnosi sono: terra, cenere, carbone, stoviglie frammentate, oggetti in bronzo e in osso, ossa di bruti, gusci di molluschi e ciottoli. Stoviglie. — Le stoviglie delle terremare sono fabbricate a mano, cotte a forno aperto, e moltissime hanno sofferto un fuoco così intenso da rimanerne vetrificate, sformate, e leggere in modo da galleggiare poste sull’acqua. Formano due ben distinte clas- si:' una rozza, fina l’altra, che differiscono fra loro per impa- sto ceramico, per forme, per ornati e per colore. . La classe rozza ha stoviglie di un impasto ceramico impuro, gremito di granelli di calcare e di quarzo, pareti di spessore ir- regolare, dal centimetro di grossezza al mezzo centimetro in me- dia, ed in complesso di uno stile robusto, negletto e grossolano. Le forme predominanti sono quelle delle nostre pentole co- muni o di cono tronco rovesciato colla base in alto, orli molto espansi e fondi piatti. Gli ornati sono per lo più sporgenti, cioè a mezzo rilievo, formati con cordoncini aggirantisi in mille guise o con tubercoli disposti bizzarramente. Il loro colore s’attiene al rossiccio ed al bigio, ed hanno la caratteristica speciale che, spezzandole, mostrano tre zone, scura l’interna e rossiccie le due esterne; appunto come quelle dei sepolcreti di Villanova, Bolo- gna, Bazzano, Savignano, Golasecca, ecc. A questa classe appartiene la svariata e numerosa serie dei vasi piccolissimi che trovano riscontro soltanto nella suppellet- tile funeraria, chè invano si cercherebbe per loro un posto ne- gli usi domestici. La classe fina ha impasto ceramico omogeneo, depurato dalle materie più grosse ed eterogenee, pareti sottili e tirate a puli- mento tanto nell'interno quanto nell’esterno. Le forme predomi- i Le stoviglie delle terremare potrebbero dividersi in tre classi, come scrissi nel- l’opuscolo Marne mod., ecc.; tuttavia mi sono limitato a due soltanto, come quelle che colpiscono direttamente chiunque visiti una Collezione di terremare, 852 A. CRESPELLANI, nanti sono Quelle della ciotola a fondo ombellicato o a forma di — ‘cono tronco rovesciato ed a fondo piano. Gli ornati sono comune- mente a graffito tanto all’interno quanto all’esterno del vaso, ed È hanno la caratteristica speciale delle anse a corna! e semi-lunate, | i di un bel colore nero, talvolta lucido. La particolarità di trovarsi costantemente in tutte le terre- mare le due suddette classi di stoviglie ben distinte cogli stessi ornati, forme, colori ed. impasti ceramici, danno alle medesime un'impronta rituale. Bronzi. — Moltissimi dei bronzi delle diverse terremare sono. rappresentati nel grande deposito della fonderia di Bologna, sco- perta nel piazzale di san Francesco nel 1877, che trovati uniti. a quelli delle necropoli preromane dell'Emilia, mostrano come siano cose nostre ed appartengano alla stessa epoca, rannodando così. i rapporti che esistono fra le marne o terremare ed i sepolcreti arcaici emiliani. Le rotelle di bronzo a più raggi, col mozzo allungato, simile nella forma a quella figurata nella tav. 10, n. 147, unita all’ opuscolo: Marne modenesi, ecc.; gli ornati ed i dischi formati da più giri di filo di bronzo, fig. 4, della tav. IMI della Monografia di Gorzano, trovano corrispondenza in quelli della raccolta Nardoni e del Museo capitolino in Roma, provenienti. dagli scavi dell’ Esquilino; gli spilloni da fibula, gli aghi crinali e tant’altri oggetti trovano raffronto nel sunnominato ripostiglio | di Bologna. i Oggetti in osso. — Sono comunissime le spatole, le fusniuolé i e gli spilloni; rari i pettini, le rotelle, le ascie, le freccie ed i punteruoli, per lo più in corno di cervo. 1 Anse a corna o semi lunate, sono state trovate negli scavi di Roma all’ Esquili- no; e la loro presenza in detto luogo è stata attribuita al commercio esistente fra i popoli Emiliani e quello dei Sette colli. (Vedi il dotto lavoro del chiarissimo signore MICHELE STEFANO De-RossI, Copioso deposito di oggetti arcaici, ecc. Roma, 1878, pag. 16 e seguenti.) Aggiungerò che altri oggetti degli scavi di Roma fanno testimo- nianza del suddetto commercio e sono le rotelle in bronzo, i paalstad, la suppellettile funeraria del Museo Capitolino e della bella ed interessante raccolta dell’illustrissimo signor Leone Nardoni, che visitai lo scorso anno durante il mio soggiorno in Roma. 2 Ing. ZANNONI, Bullettino di Paletnologia, anno terzo, gennaio 1877. — £iposti- glio di bronzo dell’età di Villanova in Bologna. — Ch. conte GOZZADINI, Note sur une cachette de fondeur ou fonderie è Bologne, 1877. E TERREMARE DEL MODENESE. 855 Ossa di bruti. — Comunissime in tutte le terremare sono le ossa di bue, pecora, capra e maiale. Piuttosto rare quelle di cane e di cavallo. Rarissime poi quelle di asino, di gatto, di vo- latili, specialmente gallinacei, e di pesci. Gusci di molluschi. — Le valve degli Unio pictorum, non fos- sili, trovansi indistintamente in tutte le terremare del Modenese, dalla cima al fondo dei cumuli, e le valve di fossili di varie spe- cie di molluschi, perforate da sfregamento, sono piuttosto rare. Ciottoli. — Ciottoli appianati, detti macine; macinelli; coti da affilare coltelli; moltissime quarziti in ciottoli. Armi di pietra. — Cuspidi di lancia e coltelli (rarissimi); ascie in giadite ed in serpentino verde.’ APPENDICE. A complemento delle notizie sui periodi preistorici nel Mode- nese, aggiungerò una sommaria indicazione dei luoghi che hanno offerto avanzi dell'industria litica, e sono: Bellaria, posta a destra del torrente Samoggia in prossi- mità del paese di Bazzano, che in un’estesa spianata sulla cima d’un colle ha somministrato larga messe di freccie, di coltellini, di selci romboidali, di nuclei e di scaglie, rifiuti dell’industria, sparsi sul suolo senza traccie di abitato e dei pasti dell’uomo.’ Castelvetro e Fiorano, sulle colline modenesi, che in più luoghi ed alla superficie dei campi hanno dato freccie e coltelli, i quali per essere stati raccolti in più volte ed a non brevi di- stanze fra loro, possono assegnarsi alla categoria degli oggetti sparsi.‘ Sassuolo, nella collina detta Pescale, a destra del torrente 1 Tutte però molto rare. 2 À. CRESPELLANI, Annuario della Società dei naturalisti di Modena, anno VIII, fascicolo I, con una tavola. — CASINI Toxmaso, Bullettino di Paleontologia italiana, anno III, luglio 1877. ® A, CRESPELLANI, Gazzetta di Modena, 1875, N. 343, — Atti e Memorie della I. Dep. dell’Emilia, vol. III, nuova serie, 1878. 854 A. CRESPELLANI, LE TERREMARE DEL MODENESE. Secchia, che oltre ai coltellini, alle selci romboidali ed alle frec- cie, mostra ancora sul suolo frammenti di stoviglie ed ossa di bruti, avanzi dei pasti umani.' Spilamberto, sull’altipiano delle colline castelvetresi, che ha fornito freccie sparse qua e là pei campi, da dimostrare ser- vissero per la caccia. Formigine, che nella villa dell’ illustrissimo signor conte Luigi Gandini,” ha offerto una fossa contenente resti dell’indu- stria litica misti a cocci di stoviglie e ad ossa di bruti; freccie e coltelli, e due bellissime ascie di pietra verde cospersa di granati, del tipo delle affaniti dioritiche, sparse alla superficie del suolo,° di modo che anche il Modenese mostrasi abitato dall’uomo du- rante il periodo della pietra. 4 Prof. CANESTRINI, Annuario citato, 1867, pag. 189. ? Cav. CARLO BonI, Annuario dei Naturalisti citato, anno VI, pag. 228. — CRE- SPELLANI, Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia patria dell’ Emilia, nuova serie, vol. III, 1878, con tavola illustrativa. ° Siffatte pietre o roccie delle Ascie, trovansi nelle Alpi occidentali. INTORNO ALL’ANGUILLULA INTESTINALIS PARASSITA DELL’ UOMO. NOTE ZOOLOGICHE E MEDICHE* dei Dottori Grassi B. e PaRrONA C. in Pavia. Nell’esame microscopico di feci umane ci siamo avvenuti in embrioni vivi e già usciti dall’uovo, simili a quelli d’anchilo- stoma; a differenza di essi però mostravano chiarissima traccia dell'organo genitale. Dopo di aver constatato che si trovavano già nelle feci tuttavia calde, basandoci sulle circostanze che essi non vennero riscontrati mai in Germania là dove manca pure l’anchilostoma, e che li incontrammo sempre assieme ad uova d’anchilostoma, siamo venuti nell'opinione che a questi potes- sero appartenere. Tale nostra opinione però non ci lasciava tranquilli; se si tenea vera, lo sviluppo dell’anchilostoma duodenale veniva a dilungarsi da quello del trigonocephalus esaminato dal Leuckart: lo che ci portava ancora a dubitare delle osservazioni dell’egregio Leuckart; il quale, come l’esperienza ci ha insegnato, è tanto acuto quanto scrupoloso osservatore. Epperò esitavamo; e crebbe l’esitanza quando, moltiplicando le osservazioni, incontrammo parecchi casi di feci che, certo certius, offrivano soltanto embrioni, del resto numerosissimi: e crebbe * Un esteso lavoro su tale argomento venne dagli Autori pubblicato nel vol. III dell'Archivio per le scienze mediche, con 1 tavola. 856 GRASSI B. E PARONA C.; - ancora poichè ci venne dato fissare di sicura scienza che, quando — erano associate, le uova di anchilostoma, tra le sue uova e gli | embrioni mancava sempre l’anello, cioè mancavano le uova con | embrioni, chè tutte erano soltanto in segmentazione o in rari casi — non per anco segmentate. | | Nè venne a farci ricredere la coltivazione degli embrioni dac- chè, invece di convertirsi in larve di anchilostoma si allungarono soltanto, perdettero ogni traccia d’organo genitale, l’esofago si 9 estese fino a metà della lunghezza dell'animale e più oltre non | andarono. ; | Ne porgemmo ad un cane: dopo due mesi l’animale venne sacrificato sull'altare della scienza, ma fu un sacrificio ad essa inutile. Tentammo ripetutamente gli antelmintici, ma pur troppo i nostri tentativi non riuscirono che vani tormenti per i poveri pazienti. Si gareggiava: la natura a celare gelosa il proprio segreto; — noi per istrapparglielo. Il problema, davvero, meritava una soluzione. Contavamo meglio di 15 individui le cui feci fornivano perennemente embrioni, ed in alcune erano tanto numerosi che in un campo di microscopio H. coll’obbiettivo 4 e coll’oculare 2 se ne distinguevano chia- rissimamente 405; a tale che alcuni individui fornivano quotidia- namente forse 2 milioni di embrioni. Dubitammo un istante che essi fossero nell'acqua potabile. Ma numerose ricerche sulle bevande, estese dappoi sui cibi e sui farmaci diedero risultamenti negativi. È però vero che a Ca della Terra, in vicinanza di Pavia si beve non di rado un’acqua che passa sovra feci, nelle quali formicolano gli embrioni da noi stu- diati e che traversa fanghiglia dove sono embrioni ad essi del tutto eguali. Questo fatto però che valeva eccezionalmente per Ca della Terra e che vale per spiegare l'origine degli embrioni, ammesso che i loro genitori siano per esempio vermi analoghi agli altri nematodi umani: questo fatto, dico, non poteva valere per malati da mesi e mesi degenti all'ospedale stantechè qui } } ; È, ; p INTORNO ALL’ ANGUILLULA INTESTINALIS, ECC. 857 l’acqua non è immonda di embrioni o di uova e non tutti i ma- lati ne sono infetti. Tacciamo cent’altre ipotesi e veniamo alla conclusione. Era con le autopsie che speravamo di illuminare l’oscurissima notte: è all’ egregio Mazzucchelli, professore di chirurgia, che dobbiamo l'occasione di aver eseguite autopsie, una delle quali ci portò la soluzione del problema il 17 del corrente mese. Ecco precisamente il reperto nostro nell'intestino: Due anchilostomi femmine ed un maschio ed uova in quantità proporzionale, appena in segmentazione, giusta quanto verifi- cammo le cento volte. In tutto l’intestino a migliaia i quistio- natissimi embrioni; la quantità loro e la discontinuità di sviluppo colle uova d’anchilostoma dimostravano evidentemente che ad esso non appartenevano. Nel tenue, uova non d’anchilostoma ma di altro verme, a noi ignote, più o meno sviluppate; alcune già con embrioni del tutto simili agli altri già nati. E per ultimo numerosissime femmine completamente svilup- pate lunghe 2 millimetri e mezzo: che ci ricordarono tosto le anguillule dei dottori Normand e Bavay. E confrontando arri- vammo a stabilire positivamente che s’avea davanti 1’ anguillula intestinalis e le sue uova e, questa non sembra proprio più una ipotesi, gli embrioni dell’angwuillula intestinalis. Anche in Italia adunque si riscontra quest’elminto che non era stato ancora trovato fuorchè in sei individui provenienti dalla Cocinchina e che è noto soltanto per pochissimi cenni scritti da Bavay l’anno scorso. - Nella nostra Memoria si trovano alcuni nuovi particolari ana: tomici dell'animale e la descrizione accurata delle uova e degli embrioni di varie età. ' Siccome Bavay è inclinato ad accordar importanza all’anguil= lula nel cagionare la diarrea endemica della Cocinchina così è certamente molto interessante l’indagare quale sia il suo valore medico in Italia. Consultando le storie dei nostri malati abbiamo 1 Le seguenti osservazioni mediche vennero fatte colla collaborazione del dottor PARONA ERNESTO, assistente di Clinica Medica, s° tere ene 858 GRASSI B. E PARONA C., INTORNO ALL'ANGUILLULA INTESTINALIS. conchiuso che quest’animale in Italia non produce una forma morbosa decisamente simile alla diarrea cocinchinese. È però a credere che questi piccoli esseri, genitori numerosi ed embrioni favolosamente numerosi come li incontrammo, non se ne stiano. indifferenti per l’uomo che li nutrica: ed alcune delle storie no- stre appoggiano forse l’idea. Finora le cure antelmentiche intraprese da noi come quelle di Normand e di Bavay giacciono senza buoni risultamenti. | Presentiamo le figure di tutte le forme da noi analizzate e per chi lo desidera possiamo fare dei preparati che illustrano il caso. CATALOGO DELLE ROCCE DELLA VALCUVIA FATTO dal Socio prof. LeopoLnvo MaGGI della R. Università di Pavia. La Valcuvia è una delle più ampie e più ubertose valli del j territorio varesino, e sta tra la Valtravaglia, la Valmarchirolo la Valgana, e, per mezzo della catena del monte Campo de’ Fiori, è divisa dal bacino del lago di Varese. Sboccano in essa, tra Cas- sano e Ferrera, la Valtravaglia; tra Masciago e Rancio, la Val- marchirolo; a Bedero, un ramo laterale della Valgana. Alla sua volta la Valcuvia sbocca verso il lago Maggiore, dalla parte di Laveno, tra Caravate e Cittiglio. Nella mia Relazione intorno al terreno erratico della Valcuvia, fatta a questa Società nel 1866 (Atti della Società Italiana di scienze naturali, vol. IX, Milano, 1866), ho dato un’idea topo- grafica di questa valle; ora aggiungererò alcune indicazioni di lo- calità citate nel catalogo delle rocce che presento. Partendo dal monte Valgrande, al di sopra del paese di Orino, CATALOGO DELLE ROCCE DELLA VALCUVIA. 859 sì veggono delle frane (volg. squaràa) le quali si sono formate nella grandiosa morena che ivi esiste. In quella località vi sono due vallette, una è chiamata Cavernaga, l’altra Albiolo. Esse incominciano al così detto Piano delle noci, e vengon giù sino ad Orino. La Saroda è una specie di sperone del monte Val- grande che sta tra Orino e la Rocca d’Orino. Nel monte Val- grande, dopo la Saroda, portandosi quindi verso il monte Bo- scero, si incontra dapprima la valletta del Meriggio (volg. val del merisch), poi quella dei Signori (volg. val di Sciori), e la val- letta detta Valgrande. Azzio è un paese sul monte Valgrande, ma al di sotto di Orino; e così Comaccio, che sta molto al di sotto di Azzio. Il Gaggio di Azzio è una collinetta al di sotto del paese di Azzio, ed al di là di Comaccio, e che basa sul letto della valle Careggio di Cuvio. Da questa collinetta andando verso Gemonio, si incontra la così detta Gimonasca a destra . della strada; mentre a sinistra, un po’ prima di arrivare al paese, vi è la valletta Primarona. Comaccio è una frazione di Cuvio, che si trova sopra una collinetta, divisa da quella del Gaggio d’ Az- zio, per mezzo del fiume Bulgherone; questo dal monte Valgran- de discende, raccogliendo le acque di Orino, e si versa in Ca- reggio nel fiume Boesio. Tra Orino e Comaccio, lungo il fiume Bulgherone, si trova la cascina del Molinazzo; e lungo lo stes- so fiume, ma al di sotto di Comaccio, vi è il Molino del Dolza. La cascina Pora è pure sul monte Valgrande, e la si incontra a sinistra della strada andando da Comaccio a Cabiaglio. La valletta detta FKonchina, nel cui letto scorre il fiume del mede- simo nome od anche chiamato Reno, divide il monte Valgrande, e, in alto, anche il monte Boscero dai monticelli, uniti fra loro, e detti del Fa: e del Fajal, sul qual ultimo sta il paese di Cuvio. Sopra Cuvio, sulla sponda destra della Valronchina, vi è il Gag- gio di Cuvio, sulla sponda sinistra invece, ma dirimpetto al paese di Cuvio, vi è la così detta Fontana dell’ Ufficio. Tra Cu- vio e Comaccio, a destra della strada, se ne incontra un’ altra selciata, clfe conduce in Careggio, ed è denominata Riazzolo. Dalla Fontana dell’ Ufficio di Cuvio, andando a Riazzolo, si ha, a de- 860 Î. MAGGI, fi stra della stradicciuola, la piccola chiesa di S. Rocco. Vira, è una delle prime parti del Careggio, che si incontra venendo — da Cuvio. Broveda, è una località all’origine della Valronchina, | tra il monte Boscero ed il Fajal, e per essa vi passa la strada che tanto da Cuvio e Comaccio, quanto da Azzio e da Orino, — va a Cabiaglio. Là, a sinistra della strada, vi è una cava di calcare per calce; a destra vi è pure un’altra cava per calce, | ma di dolomia, in vicinanza alla quale vi son le fornaci, di cui una è a fuoco continuo. Dopo Broveda, la strada si continua at- traverso il così detto Careggio di Cabiaglio, ampia prateria; ed a destra ‘dirimpetto al paese di Cabiaglio, incomincia la collinetta Felina, la quale sta alla base del monte Boscero e principio del‘ monte Campo de’ Fiori. i Nel monte Boscero vi sono le seguenti vallette, Cigada, Bis- sone, della Volta, e parte della val Cavarella, la quale proviene dal monte Campo de’ Fiori. In quest’ultimo vi è inoltre la valletta detta di Paullo. Nel monte Tre croci, si trovano quest’ altre val- lette, cioè dei Corvi, del Buco e dei Cavalli. Alla base della Mar- tichetta, dopo la Martica, sta Brinzio, e lì dintorno la Valbel- lona, la Valmolina, e la Cattarabbia. Dirimpetto a Brinzio, ma alla base del monte Tre croci, vi è la così detta Valle dei Ferre, dove una volta eranvi le antiche miniere di ferro. Tra Brinzio e la Valle dei Ferrèe, vi è il laghetto di Brinzio, che raccoglie le acque provenienti dalle vallette del monte Tre croci, e che dà origine al fiume Rancina, il quale scendendo giù per la Catta- rabbia, al di sotto di Brinzio, riceve le acque che vengono dalle vallette Cavarella e Paullo ed altre del monte Campo dei Fiori, e corre la Valrancina, che sta tra Cabiaglio e Brinzio ed il Sasso Meraro, sboccando a Rancio. La val di Brinzio,.incomincia dopo il paese di Brinzio, è percorsa dalla strada che mena a Varese, e sta tra la Martichetta, la Martica, il monte della Rasa, ed il monte Tre croci, fin sotto a quello della Madonna del Monte, terminando vicino a Fogliaro. In essa, dopo la così detta Costa rossa della strada postale, vi è la sorgente del fiume” Olona, ed a sinistra di questa si trova una cava di dolomia per la calce, con alla base la fornace. CATALOGO DELLE ROCCE DELLA VALCUVIA. 861 Se da Brinzio si va a Rancio, passando pel Sasso Meraro, che termina la Martichetta, si può, prima di incominciare la gran discesa, deviare a destra, per prendere la strada che conduce a Bedero- Valcuvia, che è posto sul monte Scerè. Questo monte divide in parte la Valgana dalla Valcuvia, ed è diviso dalla Martichetta da una piccola valle percorsa dalla strada che va da Bedero a Gana, a destra della quale, in vicinanza al primo paese, si trova una fornace di mattoni e tegole la cui argilla è dovuta ad un deposito lacustro-glaciale; e più in là vi sono dei fondi detti Pavà, perchè paludosi e torbosi, avanzi di un piccolo laghetto morenico. Da Bedero-Valcuvia, una bellissima strada per Cunardo, fa passare dapprima alla così detta Motta a’Ovrè, e poi all’ origine del Ponte Nivo (Ponte nativo o ponte naturale), ove avvi una fabbrica di carta. L'acqua che passa sotto a questo ‘ponte, viene dal laghetto di Ghirla in Valgana, che alla sua volta riceve la Margorahbia, che nasce in quella valle; e giù si porta a formare la magnifica cascata della Ferrera, il cui paese è confine tra la Val- cuvia e la Valtravaglia. Masciago si trova tra la Ferrera, in basso, e Bedero-Valcuvia, in alto. L’acqua della cascata della Ferrera, va ad unirsi a quella del fiume Rancina, che sotto Rancio riceve la Margorabbia, la quale nasce in Valcuvia tra la Camonica di Cuvio e S. M. di Cuveglio; ed il fiume così ingrossato, sotto il nome semplicemente di Margorabbia, percorre la Valtravaglia per unirsi alla Tresa, quasi sotto il ponte di Germignaga, e gettarsi tosto nel lago Maggiore. Cassano sta quasi dirimpetto a Ferrera, al di là della Margorabbia, ed è altro paese di confine della Valcuvia colla Valtravaglia. Tra Cassano e Rancio, vi è un monticello, su cui trovasi una chiesuola, detta di S. Giuseppe di Cassano. Sovrasta a Cassano il monte S. Martino, che viene ad unirsi a quello di Vergobbio, monte Nudo, Pizzoni di Laveno, Sasso del Ferro 0 Ferro di Cavallo, i quali dividono la Valcuvia dalla Val di Porto sullago Maggiore, una delle tre valli della Valtravaglia. Da Cas- sano, la strada, che entra in Valcuvia, passa per Cantevria, ove avvi una fornace di mattoni e tegole, ed in faccia ad essa, sotto 862 L. MAGGI, Cavona, un’altra, le cui argille sono l’avanzo di un deposito la- custro-glaciale. Continuando la via, prima di arrivare a Cuve- glio, si presenta a sinistra una stradicciuola, che conduce a © S. Maria di Cuveglio, posta sopra un piccolo colle, alla cui base vi era una stazione lacustre preistorica, ed ora vi esiste del terreno torboso. 9 A Cuveglio, una strada conduce a Duno, che gli sta molto in alto; e sopra Duno, vi sono le così dette Alpi di Duno (volg. Biss), . poste su di una grandiosa morena. Tra il monte S. Martino ed il — monte di Vergobbio, vi è la Valle di S. Anna, detta anche del Got- tardo, dal fiume che vi scorre. Tra il monte di Vergobbio ed il — monte Nudo, avvi la Valle della Marianna, percorsa dal fiume che |. ha lo stesso nome. Sulla sponda sinistra di questa valle, molto in 3 alto, è sito il paesello di Arcumeggia, dal quale sì va a S. An- tonio, che è una chiesuola posta sulla parte alta del monte Nudo, ma prospiciente il lago Maggiore. Casalzuigno, si trova quasi alla — base del monte Nudo in Valcuvia, sulla sponda destra della Val- marianna, sopra il quale vi sono le grandi frane della Marianna, | dovute a morene sfasciantisi. Più in là Casale, poi Brenta, col suo colle detto la Breciora di Brenta, e finalmente Cittiglio, alla | base dei Pizzoni di Laveno. Brenta, la Gimonasca, il Gaggio di Azzio, il colle di Comaccio, quello di Cuvio, la Canonica di Cuvio. f o S. Lorenzo, Vergobbio, Casal-zuigno, e Casale, stanno intorno — al Careggio di Cuvio, in mezzo al quale vi passa il fiume Boesio, che nasce al davanti della Canonica, e precisamente dopo la Bof- falora; riceve a sinistra, le acque, di cui ho già detto, provenienti dal monte Boscero e Valgrande, ed a destra quelle della Val di S. Anna, o fiume Gottardo, e le discendenti dal monte di Ver- gobbio, Nudo e Pizzoni di Laveno gettandosi sotto Laveno nel lago — Maggiore. Caravate fa parte della Valcuvia, esso sta alla base del monte S. Clemente, posto al davanti di Gemonio, Brenta e Cittiglio, si direbbe proprio allo sbocco naturale della Valcuvia. Ciò premesso, le rocce raccolte in Valcuvia, e qui avanti elen- cate, si trovano tutte al Museo Patrio di Varese, facenti parte | della mia raccolta geologica, che gli donai alla fine del 1871, e — CATALOGO DELLE ROCCE DELLA VALCUVIA. 863 che venne aumentata negli anni successivi, estendendola a tutto il territorio varesino. Tali rocce furono classificate secondo i me- todi di Brongniart, Daubrée, D’Orbigny, Jannetaz, e vari altri, ma non germanici, non avendo potuto finora istituire delle ri- cerche microscopiche su di loro. Non trascurando quanto dicono le opere italiane intorno alle rocce, e specialmente alcune Me- morie de’ nostri predecessori, in cui quà e là si trovano delle descrizioni di rocce, mi sono servito per la nomenclatura delle seguenti tre opere: A. DAUBRÉE: Classification adoptée pour la collection des roches du Muséum d’ histoire naturelle de Paris. Paris, 1867. CH. D’ORBIGNY: Description des roches composant l’écorce ter- restre et des terrains cristallins constituant le sol primtif ete. Ouvrage redigé d’après la classification, les manuscrits inédites et les legons publiques de F. P. L. A. Cordier. Paris, 1868. . E. JANNETAZ: Les roches, Guide pratique. Paris, 1874. Per maggior chiarezza poi, le ho distinte in: Rocce in posto, ed in Rocce importate da antichi ghiaccia;. A. ROCCIE IN POSTO. 1. Combustibili. 1. Torba muscosa giallastra (1.° strato alto 1 metro), S. Maria di Cuveglio. — 2. Id. bruna (2.° strato alto 50 centm.), loc. cit. — 3. Id. bruna (3.° strato alto da 2 a 3 metri), loc. cit. — 4. Id. sabbiosa (strato profondo), loc. cit. — 5. Id. bruna (1.° strato alto 50 centm.), Vira (Careggio di Cuvio). — 6. Id. con sabbia quarzosa micacea (strato alto 20 cent., interposto alla torba), loc. cit. — 7. Id. sabbiosa (strato superficiale al di sotto dello strato sabbioso), loc. cit. — 8. Id. id. bruna (strato pro- . fondo, alto 1 metro al disotto dello strato sabbioso), loc. cit. — 9. Lignite solida compatta (Jayet) nel calcare selcifero, sotto 5. Rocco di Cuvio. — 10. Terra torbosa (strato superficiale alla torba), Careggio di Cabiaglio. — 11. Idem giallo-bruna (strato 864 L. MAGGI, dii superficiale), Pavù (Bedero). — 12. Id. bruna (strato profondo), È loc. cit, — 13. Legno nella torba, loc. cit. MI 2. Roece metalliche. 1. Pirite triglifa (nel conglomerato quarzifero), Val Bellona (Brinzio). — 2. Id. bianca, entro il porfido quarzifero; sponda destra del torrente Valmolina (Brinzio). — 3. Id. dianca, che passa per decomp. al solfato di ferro; Cattarabbia (Brinzio). — 4. Ferro oligisto, nel porfido della Valle dei Ferrée (antiche cave di ferro), Brinzio. — 5. Id. idrato, nel porfido, per decomp. del ferro oligisto (antiche cave di ferro), Valle dei Ferrée (Brinzio). — 6. Rame piritoso, nel quarzo in filoni entro il porfido quarzifero; torrente Valmolina (Brinzio). — 7. Id. piritoso, nel quarzo in filoni; Cattarabbia (Brinzio). — 8. Id. piritoso, con calcite in romboedri, nel quarzo in filoni; loc. cit. — 9. Galena argentifera, nel porfido quarzifero; letto e sponde del torrente Valmolina (Brinzio). — 10. Stibina, con pirite di ferro nel porfido quarzi- fero; Val Bellona (Brinzio). — 11. Pimnite, Pirite triglifa e solfuro di rame, nel porfido quarzifero; loc. cit. 3. Rocce terrose. Allume, all’ ingresso dell’antica miniera del Buco del peccato; 3 Valmolina (Brinzio). | e 4. Rocce alcalino-terrose. 1. Calcare compatto detto Majolica, monte S. Clemente. — 2. Id. id., Monte di Vergobbio. — 3. Id. id., monte Fajal. — 4. Id. id., Rancio. — 5. Id. id. Sasso Meraro. — 6. Id. ro- seo, monte Fajal. — 7. Id. bianco rosso con vene spatiche, loc. cit. — 8. Id. compatto, Broveda. — 9. Id. compatto con nuclei di selce, monte Fajal. — 10. Id. silicifero, monte di Vergobbio, ATA CATALOGO DELLE ROCCE DELLA VALCUVIA. 865 — 11. Id. id. con calcedonia, monte Fajal. — 12. Id. silicifero, Gimonasca. — 13. Id. id. grigio, monte Fajal. — 14. Id. id. gri- gio nerastro con vene spatiche, Cuveglio. — 15. Id. id. grigio oscuro, monte Saroda. — 16. Id. id. id., Ronco di Brogino. — 17. Id. id. id., monte di Vergobbiò. — 18. Calcare grigio oscuro con vene spatiche, Cuveglio. — 19. Id. id., sotto Orino. — 20. Id., con selce e vene spatiche, Vergobbio. — 21. Id. con selce piro- maca nera, cascina Pora. — 22. Id. con selce piromaca, Sasso Meraro. — 23. Id. oolitico, monte Fajal. — 24. Id. id., Broveda. — 25. Calcare con ooliti, S. Anna. — 26. Id. brecciato, Sasso Meraro. — 27. Id. marnoso, loc. cit. — 28. Id. marnoso rosso con selce piromaca, M.* S. Clemente. — 29. Zd. argilloso rosso, loc. cit. — 30. Id. con schisto bituminoso e vene spatiche, Sasso Meraro. -— 31. Id. id. loc. cit. — 32. Id. schistoso con tracce di bitume, Cuveglio. — 33. Id. schistoso nerastro con lignite, loc. cit. — 34. Id. schistoso bituminoso, Cavona. — 35. Id. id. id. con vene spatiche, loc. cit. — 36. Id. id. con nuclei di selce, loc cit. — 37. Id. id. bituminoso, M." Fajal. — 38. Id. id. id., M.!° di Ver- gobbio. — 39. Id. id. con tracce di bitume, Sasso Meraro. — 40. Tufo calcare, al di sopra di Cantevria. — 41. Id. id., Co- maccio (al Molinazzo) lungo il fiume Bulgherone. — 42. Id. id., Val Ronchina, Gaggio di Cuvio. — 43. Id. îd. în formazione, . Gaggio di Cuvio. — 44. Id. ?d. id. (varietà), loc. cit. — 45. Id. id. id. id., loc cit. — 46. Id. id. id., sul calcare nero con selce, loc. cit. — 47. Dolomia con vene spatiche, M." Fajal. — 48. Do- lomia, cascina Pora. — 49. Id., sopra la fontana dell’ Ufficio di Cuvio. — 50. Zd., Cabiaglio. — 51. /d., Broveda. — 52. Id. (Cava di Calce), collinetta Felina. — 53. Id. con ossido di ferro (id.), loc. cit. — 54. Id., (id. Panosetti), loc. cit. — 55. Id. brec- ciata, (id. id. id.); loc. cit. — 56. Id. 4d., (id. id. id.); loc. cit. — 57. Dolomia, M.' S. Martino (vicino a Cantevria). — 58. Id. con vene spatiche, Cuveglio. — 59. Id., Bedero per Cunardo. — 60. Id. brecciata, Motta d’Ovrè (Bedero). — 61. Dolomia, Ponte nativo (Cunardo). — 62. Jd., Sbocco del Ponte nativo (Ferrera). — 63. Id., Ferrera, — 64. Id., Sasso Meraro, — 65. Id. con geodi Vol. XXI. 55 866. TREIA AE): REGA, di calcite romboedrica, loc. cit. — 66. Dolomia, în vicinanza al- l’arenaria variegata; loc cit. — 67. Dolomia superiore all’are- naria variegata ; loc. cit. — 68. Id. inferiore all’arenaria varie- gata; loc. cit. — 69. Id. compatta con geodi di calcite, loc. citi — 70. Dolomia, loc. cit. (partè superiore). — 71. Id. con vene spatiche, loc. cit. (id. id... — 72. Dolomia superiore ai schisti va- riegati, loc. cit. -— 73. Dolomia, che poggia sul porfido quarzi- fero ; loc. cit. — 74. Dolomia, in decomposizione; cascina Pora. 5. Rocce silicee. 1. Arenaria calcarifera con fucoidi, Cerro. — 2. Id. id. «d., M.!* di Vergobbio. — 3. Id. +4. id., sponde della Valmarianna. — 4. Id. id. 1d., vicino al ponte del fiume Valmarianna. — 5. Id. id. id., Gimonasca. — 6. Id. èd. ‘d., monte S. Clemente. — 7. Arenaria variegata micacea, Valmarianna. — 8. Id. id. èd., M. S. Clemente. — 9. Arenaria variegata, Sasso Meraro. — 10. Id. id., loc. cit. — 11. Quarzo in filoni, nel porfido quarzi- fero; Brinzio. — 12. Id., nello schisto micaceo; Valmolina (Brin- zio). — 13. Selce piromaca nera, nell’arenaria variegata micacea; Valmarianna. — 14. Id. id. rossa, nell’argilla rossa del calcare majolica; M." S. Clemente. — 15. Id. id. verde, nel carcare mar- noso del calcare majolica; loc. cit. — 16. Id. id. bionda, in ho- duli nel calcare majolica; loc. cit: — 17. Selce cariata, nel calcare majolica; loc. cit. — 18. Selce piromaca bionda, ricoperta dalla. Palmella cruenta; Riazzolo (Cuvio). — 19. Grès calcareo, nei de- positi lacustro-glaciali; Gaggio d’Azzio. — 20. Id. id., insieme alla marna ed all’argilla del calcare della formazione di Saltrio; Broveda. — 21. Psammite, Valle di Brinzio. — 22. Puddinga anagenite, addossata-al calcare majolica; M.* S. Clemente. — 23. Breccia selcifera, M. S. Clemente. — 24. Id. id., con selce in de- comp.; loc. cit. — 25. Grès variegato, con vene spatiche; Motta d'Ovrè (Bedero). — 26.-Id. id., id. id.; Sasso Meraro. — 27. Id. id., id. id.j loc. cit. — 28. Id. id., id. id., e marna rossa; loc. cit. — 29. Zd. id., con marna variegata; loc. cit. — 30. Id. » 3 Bekerand >» Berthérand >» AVI > 2 tortonese » torinese ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO OD IN CAMBIO ALLA BIBLIOTECA SOCIALE NEL 1878 PUBBLICAZIONI PERIODICHE DI SOCIETÀ ED ACCADEMIE SCIENTIFICHE. Italia. Annuario dell’ Accademia delle Scienze in Torino. Torino, 1877, 8.°, Anno I. ; Atti della R. Accademia delle Scienze în Torino. Vol. XIII, disp. 1-8. Torino, 1877-78, 8.0 Bollettino dell’Osservatorio della R. Università di Torino. Anno XII, 1877. TORE, 1878, 4.0 Bullettino meteorologico dell’ Osservatorio del R. Collegio Carlo Alberto in Monca- lieri. Vol. XII, N. 1-12; Vol. XIII, N. 1-5. Torino, 1877-78, 8.° Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche în Genova. Anno I, fa- scicolo XI-XII; Anno II, fasc. I-IX. Genova, 1877-78, 8.0 Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di scienze e lettere. Serie II, Vol. X, Fa- scicoli XIX-XX; Vol. XI, Fase. I-XIX. Milano, 1877-78, 8.0 Memorie del Reale Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XIV (V della serie. III) Fasc. I. Milano, 1878, 4.0 Atti dell’Accademia Fisio-medico-statistica di Milano. Anno XXXIII dalla fonda» zione, 1877; Anno XXXIV, 1878. Milano, 8.0 Bullettino dell’ Agricoltura. Anno XII, N. 1-52. Milano, 1878, 4.0 Atti dell’ Ateneo di scienze, lettere ed arti di Bergamo. Anno III. Bergamo, 1878, 8.0 Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Tomo III, Serie V, di- spensa X; tomo IV, dispensa I-X. Venezia, 1876-78, 8.° Atti dell'Ateneo Veneto. Serie III, Vol. I, Anno accademico, 1877-78, puntata I-IV. Venezia, 1878, 8.0 Memorie dell’ Accademia d’ Agricoltura, Arti e Commercio di Verona. Vol. LV (XII della serie II), Fasc. I-II. Verona, 1877, 8.0 Atti dell’ Accademia Olimpica di Vicenza. II Serie, Vol. VIII, 1 semestre; Vol. XII. Vicenza, 1877-78, 8.0 Atti della Società Veneto-Trentina di scienze naturali, residente in Padova. Vol. V, Fasc. II, Padova, 1878, 8,0 MET e TT 3 LIBRI IN DONO, ECC. 901 | —Bullettino della Associazione Agraria Friulana. Nuova serie, Vol. V, N. 12; Serie III, Vol. I, N. 1-26. Udine, 1877-78, 8.0 Amico (L’) dei campi. Anno XIII, N. 12; Anno XIV, N. 1-12. Trieste, 1877-78, 8.0 . Annuario della Società dei Naturalisti in Modena. Serie II, Anno XI, Fasc. III-IV; Anno XII, Fasc. I-III. Modena, 1877-78, 8.0 + Rendiconto delle Sessioni dell’ Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna. Anno accademico 1877-78. Bologna, 1878-78, 8.0 Memorie dell’Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna. Serie III, Tomo VIII, Fasc. III-IV; Tomo IX, Fasc. I-III. Bologna, 1877, 4.0 Atti della Società Toscana di scienze naturali. Vol. III, Fase. I-II. Rendiconti delle adunanze: 18 novembre 1877, 13 gennajo 1878, 10 marzo, 5 maggio, 7 luglio, 10 ottobre 1878. Pisa, 1877-78, 8.0 Bullettino della Società Entomologica italiana. Anno IX, trimestre IV; Anno X, tri- mestre I-III. Processi verbali delle adunanze: 2 dicembre 1877, 3 marzo 1878. Fi- renze, 1877-78, 8.° Atti della R. Accademia dei Lincei. Anno CCLXXV, Serie III; Transunti, Vol. II Fasc. I-VI. Roma, 1878, 4.° Bollettino del R. Comitato Geologico d’ Italia. 1877, Bollett. N. 11-12; 1878, Bollett. N. 1-10. Roma. Rendiconti della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli. Anno XVI, fasc, 12; Anno XVII, fase. 1-7. Napoli, 1877-78, 4. Atti del Reale Istituto d’incoraggiamento alle scienze naturali, economiche e tecno» logiche di Napoli. 2. Serie, tomo XIV, parte II; Relazione pel 1877. Napoli, 1877, in-4. Il Picentino. Anno XX, fasc. 10-12; Anno XXI, fase. 1-9. Salerno, 1877-78, 8.° Annali della Stazione agraria di Caserta. Anno VI, 1877, n. 6. Caserta, 1878, 8.° Giornale di scienze naturali ed economiche. Anno 1876-77, vol. XII. Palermo, 1877, in-4. Giornale ed Atti della Società di Acclimazione e Agricoltura in Sicilia. Palermo, 1877-78, 8°. Vol. XVII, n. 9-10; vol. XVIII, n. 1-9. Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali in Catania. Serie 3. Tomi XI-XII. Catania, 1877, 40. Francia. Bulletin mensuel de la Société d’ Acclimatation. Paris, 1877-78, 8°. 3 Série. Tom. IV, n. 12. Tome V, n. 1-10. Bulletin de la Société botanique de France. Paris, 1877-78, 8°. Tome 24, 1877 : Compte rendu des séances 2-3. Revue bibliographique C-E. Session mycologique è Paris, oc- tobre 1877. Session extraordinarie en Corse, 1877. Tome 25, 1878. Revue biblio- graphique A. Bulletin mensuel de la Société Linnéenne du nord de la France. Amiens, 1877-78 80 Tome 1II, n. 64-75. Mémoires de la Société Linnéenne du nord de la France. Amiens, 1877, 8° T. IX. Compte-rendu de la Société nationale des sciences naturelles de Cherbourg. Cher- bourg, 1877, 8°. Séance extraordinaire du 30 dicembre 1876. ' 902 LIBRI IN DONO, ECC. Mémoires de la Societé nationale académique de Cherbourg. Cherbourg, 1875. Mémoires de la Société nationale des sciences naturelles de Cherbourg. Paris, 1876- 77, 8°. Tome XX, (2 série, tome X). Annales de la Société d’ Agriculture, histoire naturelle et Arts utiles de Lyon. Trony 1877, 8°. 4e Série, tome 9, 1876. Mémoires de la Société des sciences physiques et naturelles de Bordeaux. Paris, 1878, 8°. 2e Série, Tome II, 2e et 3. cahier. Bulletin de la Société d’histoire naturelle du Toulouse. Toulouse, 1877, 8°. XI vo- lume, 1 et 2 fascic. Revue Savoisienne. Annecy, 1877-78, 4°. Année 18, n. 12; Année 19, n. 1-11. Belgio. Bulletin de la Société Royale de botanique de Belgique. Bruxelles, 1878, 8°. Tome XVI. Société entomologique de Belgique. Bruxelles, 1877-78. Compte-rendu; 1I Série, numé- ros 4-57. Annales de la Société entomologique de Belgique. Bruxelles, 1877-78, 80. Tome 20, fasc. III. Tome 21, fase. I-II. Procès verbaua des séances de la Société malacologique de Belgique. Bruxelles, 1877, 8°. Tome VI (pag. III CX). i Annales de la Société malacologique de Belgique. Bruxelles, 1878, 8°. Année, 1874. Tome IX, II fasc. Année 1876. Tome XI. Inghilterra. Proceedings of the Royal Society of London. London, 8°. Vol. XXV, n. 175-173; vol. XXVI, n. 179-183. Philosophical Transactions of the Royal Society of London. London, 1877, 4°. Vol. 166, part. II; vol. 167, part. I. Proceedings of the scientific meetings of the Zoological Society of London. London, 8°. 1869, part. II, and III; 1877. Part. III-IV; 1878, part. I-III. Transactions of the Zoological Society of London. London, 1877-78, 4°. — Vol. X, parts. 3-9. Palaeontographical Society. London, 1878, 4.0 Volume XXXII. Proceedings of the natural history Society of Glasgow. Glasgow, 1877, 8.0 Vol. III part. II. Transactions of the geological Society of Glasgow. Glasgow, 1877, 8.0 Vol. V, part. II. Svizzera. Bulletin de V’Insiitut national genèvois. Genève, 1877, 8.0 Tome XXII. Mémoires de la Société de Physique et d’histoire naturelle de Genève. Genève, 1878, 4.0 Tome XXV, partie II; Tome XXVI, partie I È ; di + iran e A o ol 39 | Si LIBRI IN DONO, ECC. 903 è ® Bulletin de la Société vaudoise des sciences naturelles. Lausanne, 1878, 8.° 2° Série, Vol. XIV, n. 75; Vol. XV, n. 79-80. . Verhandlungen 6 Naturforschenden Gesellschaft in Basel. Basel, 1878, £0. 6 Th. 3 und 4 Heft. Vierteljahrschrift der Naturforschenden Gesellschaft in Ziirich. Zirich, 1876-77, 8.0 XXI, Jahres, 1-4, Heft. XXII. Jahres, 1-4 Heft. Germania. Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft. Berlin, 1877, 8° XXIX, Band, 40, Heft. — Schriften der physikalisch-oekonomischen Gesellschaft zu KUnigsberg. Kinigsberg, 1876, 4°, Jahrg. 17. Abth. 1-2. Jahrg. 18, 1878, Abth. 1. Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschichte in Mecklenburg. Neubranden- burg, 1878, 8°, Jahrg. 31. Sitzungsberichte der naturwissenschaftlichen Gesellschaft Isis in Dresden. Dresden, 1878, 8°. Jahrg. 1877, Juli bis december. Notizblatt des Vereins fiir Erdkunde und verwandte Wissenschaften zu Darmstadt und des mittelrheinischen geologischen Vereins. Darmstadt, 1877, 8°, III Folge, XVI Heft. 15ex und 16 Bericht èber die Thitigkeit des Offenbacher Vereins fiir Naturkunde in den Vereinsjahren, vom 10 Mai 1873 bis 9 Mai 1875. 17e" und 18er Bericht vom 9 Mai 1875 bis 13 Mai 1877. Offenbach a;M. 8°. Jahres-Berichte des naturwissenschaftlichen Vereins in Elberfeld, nebst wissenschaft- lichen Beilagen. Elberfeld, 1878, 8°. Heft. V. d56er Jahres-Bericht der Schlesischen Gesellschaft fiir vaterlindische Cultur. 'Bre- slau, 1878, 80. Jenaische Zeitschrift fiir Naturwissenschaft. Jena, 1877, 8°, Band XI, Heft. 4; Band XII, 1878, Heft. 1-4. Verhandlungen der physikal..medicinischen Gesellschaft in Wirzburg. Wirzburg, 1877, 8°, Neue Folge, Band XI, Heft. 3-4, Band XII, Heft. 1-4. Jahrbiicher des nassauischen Vereins fiir Naturkunde. Wiesbaden, 1876-77, 8° Jahrg. XXIX und XXX, Sitzungsberichte der Naturforschenden Gesellschaft zu Leipzig. Leipzig, 1877, 8°, n. 2-10, Bericht iber die Senkenbergische naturforschende Gesellschaft. Frankfurt a/M, 1878, 8°, 1877-78. Stitzungsberichte der mathematisch-physikalische Classe der K. Bayer. Akademie der Wissenschaften. Miinchen, 1877, 8°, 1877, Heft. II-III; 1878, Heft. I-III. Abhandiungen der mathematisch-physikalische Classe der K. Bayer. Akademie der Wissenschaften. Minchen, 1878, 4°, Bd. XIII, Abth. I. Correspondenz-Blatt des zoologisch-mineralogischen Vereins in Regensburg. Regen- sburg, 1877, 8°, Jahrg. 31. 904. LIBRI IN DONO, ECC. RL VE Austria-Ungheria. Verhandlungen der K. K. zoologisch-botanischen par ii in Wien. Wien, 1878, 8°, XXVII Band. Schriften des Vereins zur Verbreitung naturwissenschaftlicher Kenntnisse in Wien. ‘Wien, 1878, 8°, XVIII Band. i Mittheilungen der anthropologischen Gesellschaft in Wien. Wien, 1877, 8°, Bd. VIL, Bi (195 Bd, NIII, 1878, n...l4; | Jahrbuch der K. K. geologischen Reichsanstalt. Wien, 1877-78, 8°, Bd. XXVII, n. 3-4, Bd. XXVIII, n. 1-2. Verhandlungen der K. K. geologischen Fogzioro Wien, 1877, 8°, n. 11-18. 1878, i n. 1-10. Abhandlungen der K. K. geologischen Reichsanstalt. Wien, 1877, 4°, Bd. VII. Hoft: 4; Bd. VIII, Heft. 2. Mittheilungen der Kais. und Kinigl. Geographischen Gesellschaft in Wien. più 1876, 8°, XIX, Band, (IX der neuen Folge). Berichte des naturwissenschaftlich-medizinischen Vereins in Innsbruck. Innsbruck, 1877, 8°, VII, Jahrg. 1876, Heft. 1-3. Verhandlungen und Mittheilungen des Siebenbiirgischen Vereins fiir Naturwissen= schaften in Hermannstadt. Hermannstadt, 1878, 8°, XXVIII Jahrg. i "D Mittheilungen aus dem Jahrbuche der K. ungarischen geologischen Anstalt. Buda- AI pest, 1878, 8°, Band V, Heft, 2. i Russia. Bulletin de V Académie impériale des sciences de St. Pétersbourg. Pétersbourg, 1877, 49, Tome XXIV, n. 4; Tome XXV, n. 1-2. Mémoires de V Académie impériale des sciences de St. Pétersbourg. St. Pétersbourg, 1877, 4°, VII Série, Tome XXIV, n. 4-11; Tome XXV, n. 1-4. Bulletin de la Société impériale des naturalistes de Moscou. Moscou, 1877-78, 8°. Année 1877, n. 3; Année 1878, n. 1. Nouveaux mémoires de la Société impériale des naturalistes de Moscou. Moscou, 1874, 4°, Tome XIII, livrais. IV. Acta Horti Petropolitani. Petropolis, 1877, 8°. Tom. V, fase. I. Stati Uniti. Proceedings of the american Society of Arts and sciences. Boston, 1877, 80. New Series, vol. V. whole Series, vol. XIII, part. I-II. Proceedings of the Boston Society of natural History. Boston, 1877, 8°, Vol. XI, Part. I-II. Memoires of the Boston Society of natural History. Boston, 1878, 4°, Vol. II, part. IV, number VI. LIBRI IN DONO, ECC. 905 The Transactions of the Academy. of science of St. Louis. S. Louis, 1878, 8°, Vol. III, n. 4. — Transactions ‘of the Connecticut Academy of Arts and sciences. New Haven, 1877, 8°, Vol. III, part. II, Vol. IV, part. I. Annual Report of the Board of Regents of the Smithsoniam Institution, for 1876. Washington, 1877, 8°. Ninth Annual Report of the U. S. Geological and Ng ali sn Survey of the Terri- tories, 1875. Washington, 1877, 8°. Messico. Boletin del Ministerio de Fomento de la Republica Mexicana. Mexico, 1878, 4°, To- mo II, n. 36-93, Tomo III, n. 1-59. Revista meteorologica mensual (Publicacion del Ministerio de Fomento de la Repu- blica mexicana). Mexico, 1878, 4°, 1878, Enero-Mayo. Mexican Contributions to the Bulletin of international meteorological observations. Mexico, 1878, 8°. March-May, 1878. Nuova Galles del Sud. Journal and Proceedings of the Royal Society of New South Wales, 1876. Sydney, 1877, 8°, Vol. X. Annual Report of the departement of Mines. New South Wales, for the year 1876. Sydney, 1877, 4°. ZOOLOGIA. VERTEBRATI,. GAsco FrANcESCO. Intorno alla Balena presa in Taranto nel febbraiv 1877 (Sunto dell'autore). Napoli, 1878, 4°. — — Intorno alla Balena presa in Taranto nel febbraio 1877. Napoli, 1878, 4°. GoLci CAMILLO. — Sulla fina struttura dei bulbi olfattori. Reggio d’Emilia, an- no 1875, 8°. — — Intorno alla distribuzione e terminazione dei nervi nei tendini dell'uomo e di altri vertebrati. Milano, 1878, 8°. Ninni A. P. — Materiali per la Fauna Veneta, 1. Chiroptera. Venezia, 1878, 8°. PavesI PieTRO. — Sulla prima e recentissima comparsa in Lombardia del Becca- fico di Provenza. Milano, 1877, 80, — — Monotremi. Milano, 1878, in-fol. 8°. — — Seconda contribuzione alla morfologia e sistematica dei Selachi. Genova, 1878, 80. ReGALIA E. Contributo allo studio dei Chirotteri Italiani. Firenze, 1878, 8°. RiccARDI PAoLO. Intorno ad una rara anomalia dell'osso malare nell’ uomo. Mode- na, 1878, 8. 906 | LIBRI IN DONO, ECO. IL I RiccarDI PaoLo. — Stud? intorno ad alcune anomalie dell’osso malare nell'uomo. Modena, anno 1878, 80. — — Nota intorno ad alcune anomalie riscontrate nella regione palatina del cranio — umano. Modena, 1878, 8°. — — Intorno ad un caso di dente soprannumerario nell’uomo. Modena, 1878, 80. — — Studî intorno ad alcune anomalie del sistema dentario nell’ uomo. Modena, 1878, 80. — — Contribuzione allo studio delle Anomalie del sistema dentario nell’ uomo. Mo- dena. Trois ENRICO FiLippo. — Ricerche zootomiche e istologiche sul Luvarus imperialis. Venezia, 1877, 40. ARTICOLATI. BRUNNER 0. von WATTENWYL. — Monographie der Phaneropteriden. Wien, 1878, 89. DE BERTOLINI STEFANO. -- Catalogo sinonimico e topografico dei Coleotteri d’ Italia. Supplemento, 80. » Giotto ULIVI P. — La nuova teoria di riproduzione. Firenze, 1878, 8°. PaAvesI Pietro. — Nuovi risultati aracnologici delle crociere del « Violante. » Ge- nova, 1878, 8°, — — Intorno all’esistenza della Fauna Pelagica o d’ alto lago anche in Italia. Let- tera al Dott. G. Cavanna. Firenze, 1877, 8°. PAvESI P. e PiROTTA R. — Brevi notizie intorno ad Aracnidi e Miriapodi dell’ Agro Romano. Genova, 1878, d°. PiroTtTA R. — I Miriapodi del « Violante.» Genova, 1878, 8°. PLATEAU FELIX. — Recherches sur la structure de lVappareil digestif et sur les phénomènes de la digestion chez les Araneides dipneumones. Bruxelles, 1877, 8°. — — Note additionnelle au mémoire sur les phénomènes de la digestion chez les in- sectes. Bruxelles, 1877, 80. StaLIO LuIGI. — Catalogo metodico e descrittivo dei Crostacei Podottalmi ed Edriot- talmi dell’ Adriatico. Venezia, 1877, 8°. PLATEAU FELIX. — Communication préliminaire sur les mouvements et l’innervation — p i de Vorgane de la circulation chez les animaux articulés. Bruxelles, 1878, 8°. VERMI ED INFUSORII. MacgdgI LeoPoLDo. — Sulla storia naturale degli esseri inferiori. Milano, 1874, 8°. Pavesi P. — Osservazioni critiche alla memoria di Battista Grassi e dei dottori Corrado ed Ernesto Parona « Intorno all’'Anchilostoma duodenale. » Milano, an- no 1878, 8°. BOTANICA. BARCENA MARIANO. — Descripcion de una nueva planta mexicana. (Gaudichaudia Enrico-Martinezii). Mexico, 1878, 8°. % Ù | a vi a 1 LIBRI IN DONO, ECC. 907 GieeLLI GIUSEPPE. — Di una nuova malattia dei castagni. Torino, 1878, 8°, — — Sulla malattia dei castagni. Torino, 1878, 8°. PirotTA R. — Saggio d’una monografia del genere « Sporormia. » Pisa, 1878, 89. PALEONTOLOGIA. BorTI ULDERIGO. — Sopra una nuova specie di « Myliobates. » Pisa, 1878, 89. Brusina S. Fragmenta Vindobonensia. Paris, 1877, 8°. (Estrait du Journal de Con- chyliologie, 3. Série, Tome XVII, n. 4). LesquerEUXx Leo. — Contributions to the Fossil Flora of the Western Territories. Part. II. The Tertiary Flora. Washington, 1878, 4°. MAZZzETTI G. — Intorno alla roccia di un grosso Ammonite che ha tutto V aspetto di una roccia nummulitica. 1878, un foglio in-8°. PALETNOLOGIA. BoBAN EuckEnE. — Comptoir d’Archéologie préhistorique (Catalogue des Collections). Paris, 1878. 8°. CRESPELLANI ARSENIO. — Di un sepolcreto preromano a Savignano sul Panaro. Modena, 1874, 4°. — — Del sepolcreto e degli altri monumenti antichi scoperti presso Bazzano. Mo: dena, 1875, 40. Exposition Universelle de 1878. — L’ Exposition des sciences anthropologiques (Ex= trait de la Revue: Matériaua pour Vhistoire primitive de l’homme). Toulouse, an- née 1878, 8°. FERRETTI ab. ANTONIO. — L’uomo, sua primitiva barbarie, progressivo incivili- mento ed assoluta antichità in base alla mitologia greca e latina. Milano, anno 1877, 8°. MAZZETTI ab. GIUSEPPE. — Riflessioni intorno agli oggetti preistorici, alla trasfor- mazione delle specie e all'origine ed antichità dell’uomo, Modena, 1873, 8°. RANCHET GIOVANNI, — Le scoperte all’Isolino. (nella Cronaca Varesina del 30 giugno 1877. REGAZZONI INNOCENZO. — L'uomo preistorico nella provincia di Como. Milano, anno 1878, 40. GEOLOGIA. CRESPELLANI ARSENIO. — Nota geologica sui terreni e sui fossili del Savignanese. Modena, 1875, 8°. FAvRE ALPH. — Note sur les terrains glaciaires et post-glaciaires du révers méri- dional des Alpes dans le Canton du Tessin et en Lombardie. 1876, 8°. FERRETTI ab. ANTONIO. — Le Salse o Vulcani di fango, e le argille scagliose. Pa- dova, 1878, 8°. 908 LIBRI IN DONO, ECC. GimBitL C. W. — Die Geognostiche Durchforschung Bayerns. Miinchen, 1877, 8°. OmBONI GIOVANNI. — Gita alle Marocche fatta dai naturalisti riuniti ad Arco nel. settembre 1874. Arco, 1875, 8°, — — Le Marocche, antiche morene mascherate da frane. Padova, 1878, 8°. ViLLAa ANTONIO e Giov BATT. — Cenni geologici sul territorio dell’ antico distretto di Oggiono. Milano, 1878, 8°. MINERALOGIA. D'ACHIARDI ANTONIO. — Sull'origine dell’acido borico e dei borati. Pisa, 1878, 8°. FISICA E CHIMICA. BiicaneR Lupwig ANDREAS. — Ueber die Beziehungen der Chemie zur Rechtspflege. Miinchen, 1875, 40. CANTONI GIOVANNI. — Norme per le osservazioni di meteorologia agraria. see anno 1877, 80. — — Osservazioni meteoriche fatte in Varese nell’autunno 1877. Varese, 1878, 8°. GaBBA LuIGI e TExToR OTTO. — Dell’influenza dell’acqua sulla filatura dei bozzoli e sulla quantità e qualità della seta. Milano, 1878, 8°. . DI VARIO ARGOMENTO. danwijzingen Voor=Bezoekers van de Tentoonstelling van Linnaeana, in Nederland Aanwezig. Amsterdam, 1878, 80, CANTONI GIOVANNI. Scritti vari di Ambrogio Fusinieri. Vicenza, 1877, 80. CaRrRUCCIO A. — Notizie sui lavori ed incrementi del Gabinetto anatomo-zoologico e Catalogo metodico della nuova collezione d’anatomia comparata. Modena, 1878, 8°. Gasco FRANCESCO. — Commemorazione di Paolo Panceri. Napoli, 1878, 40, Linnaeana, în Nederland Aanwezig. Amsterdam, 1878, 80, Minucci TomASo. — Relazione letta nel’adunanza della R. Accademia dei Georgo- fili del 80 maggio 1878. Firenze, 1878, 8°. Openingsplechtigheid van de Tentounstelling. Amsterdam, 1878, 8°. MorsoLIN BERNARDO. — Giangiorgio Trissino, o monografia di un letterato nel se- colo XV1. Vicenza, 1878, 8°. MINISTERO DEI LAVORI PuBBLICI. — Cenni monografici sui singoli servizi. Roma, 1878, 8°, in-folio. I. Relazione generale. II. Strade ordinarie (Nazionali e Provinciali sussidiate). III. Strade ordinarie (Provinciali e Comunali). IV. Strade Ferrate. V. Fiumi. VI. Navigazione interna. ;i Giandomenico Nardo. Ver 7 > Herdenking van den Sterfdag van dota Lira Amsterdam, 1878, 8°, N N CHARLES, _ The Progress and Resources of New South Wales. Sydney. TONI ApoLro. Notizie aaa inserite nel « sua Corresp. Blatt 1877 ». 8°. lì fatti nel Laboratorio di, Storia Naturale della R. Università di Pavia. Pavia, i ns Da siologia comparate della R. Uialientii di Pavia. Pavia, 1876, 8°. di fatti nel Laboratorio di Anatomia e Fisiologia comparate della R. Usi verehià li Pavia nell’anno 1877. Pavia, 1878, 80. A FRATELLI. — Elenco cronologico di lavori scientifici. Milano, 1877, 8°. ni PT eta Ara $, RI TE SE 5 Led ha ù a INDICE. Presidenza. pel:1878..... e. atater ani Aia ‘Soci effettivi al principio Galbani 1878 Soci corrispondenti idem . é Istituti scientifici corrispondenti idem Seduta del 27 Gennaio 1878. Seduta del 24 Febbraio 1878 . 3 : Bilancio consuntivo dal 1° Gennaio al 31 RR 1877 Bilancio preventivo per l’anno 1878 Seduta del 31 Marzo 1878 . Nena ie 1 G. CATTANEO, Intorno alla anatomia e fisiologia del Podostoma filigerum Clap. e Lachm. C. Emery, Note ittiologiche (tav. 1.8 doppia) | Seduta del 28 Aprile 1878 PR” F. SorpeLci, Nuovo caso di polimelia nella rana mangereccia. C. Parona e B. Grassi, Sullo sviluppo dell’ Anchilostoma duo- denale (tav. 2.* e 3.2) R. Pirorta, Degli Ortotteri genuini insubrici . — Libellulidi dei dintorni di Pavia . Seduta del 26 Maggio 1878 . G. MercaALLI, Sulle marmotte fossili trovate nei dintorni di Como . : Seduta del 30 cigno 1878. 5 Ri CAINE ug A. e G. B. Viuia, Cenni geologici sil territorio dell’antico Distretto di Oggiono . VARE po: i F. SorpeuLi, Brevi appunti alla memoria del Prof, Mercalli: Sulle marmotte fossili trovate nei dintorni di Como . Seduta del 28 Luglio 1878 . Do RR n TA I Programma della VII riunione straordinaria della Società ita- liana di scienze naturali che si terrà nel prossimo set- tembre in Varese . È SP lan? La ‘ i 4, ai - w È . VU : LG : INDICE. A. Verri, Avvenimenti nell interno del bacino del Tevere antico durante e dopo il periodo pliocenico . . . 1 Eag G. MarrattI, Osservazioni sopra alcuni insetti fossili dell am- bra e del copale Settima Riunione straordinaria in Varese nei giorni 24, 25, 26 e 27 Settembre 1878 . Adunanza generale d’ apertura 24 Settembre 1878 . Processi Verbali delle Sezioni : Adunanza generale di chiusura 27 Satire 1878 2 Gite ed escursioni QUIRRA MOTI L. Magi, Intorno alle condizioni naturali del territorio varesino G. Cantoni, La Meteorologia agraria. DOSI IN RE STE L. Magari, Di un cranio umano trovato nella grotta del tufo in Valgana . . . Si 7 — Contribuzione al Culstago dei Ricopodi dita dolce della Lombardia e loro distribuzione secondo la classificazione di Hertwig e Lesser modificata da Archer — Primo elenco dei Rotiferi o Sistolidi della Valcuvia — I Plastiduli nei ciliati ed i Plastiduli liberamente viventi . G. CartANEO, Intorno all’ ontogenesi dell’ Arcella vulgaris Er. P. Ponti e P. Luccaetti, Nuova analisi chimica dell’ acqua minerale detta di S. Pancrazio in Trescore Balneario, provincia di Bergamo. .G. Rancuet e I. REGAZZONI, Le nuove scoperte preistoriche al- VIsolino nel lago di Varese DO III Id VAI P. CastELFRANCO, Le stazioni lacustri deî laghi di Monate e di Varano e considerazioni generali intorno alle palafitte. L. Maggi, Intorno ad alcuni oggetti d’industria umana prei- storica trovati nelle tombe di Malgesso presso Gavirate . — Di alcune tombe della Valcuvia e della Valmarchirolo ap- partenenti alla prima età del ferro . R. Pirorta, Di alcuni casi di albinismo nei rettili P. MacRETTI, Rapporto su di un’ escursione nella Sardegna . C. GoLei, Della terminazione dei nervi nei tendini e di un nuovo apparato nervoso terminale muscolo-tendineo . 911 149 181 197 200 205 247 257 273 301 308 313 320 326 331 344 369 398 439 439 448 451 464 eni INDICE. ASSO: A ” Macon, Siillo sbocco delle vene Zola della rana. dn Pag. fi — Sull apertura del foro del Botallo nel cuore di uccelli a completo sviluppo n SE dr VAI P. TrousetzEoy, Sul? utilità degli ‘"Eneatyplas. 3: RIDI È. F. Masì, Delle trape del lago di Mantova e del connubio delle SRO prata alotde8 Lu 004 e n | C. Marinoni, Bronzi preistorici del Friuli . ./././.0. T. TarameLLi, Appunti geologici sulla Provincia di Belluno a MAE C. Parona, Collembola, saggio di un Catalogo delle Poduridi i mie ealione i dai in RO N. Pini, Nuove specie 0 forme poco note di molluschi "0 Se di R. PrrottA, Intorno agli ortotteri ed ai miriapodi del Varesotto C. Marinoni, Conzribuzioni alla geologia del Friuli . RT sa C. F. Parona, Il pliocene dell’ Oltrepò pavese . . ite, i. . n 66 da; N. Pini, Contribuzione alla fauna fossile postpliocenica della è N: mite LOMBARDIA gt AI a ii Fa 1 E. Cantoni, Alcune osservazioni altimetriche sulle io lom- hi $i | (00: 47 RIAPRONO O PORRE SISI RARA RE E AN e P. Pavesi, Saggio di una fauna aracnologica del Varesotto Di L. Magai, Sulla disposizione regolare del protoplasma. ante % riormente alla formazione di microrganismi . . . . i N. BoreHI, Sulla scoperta di una stazione preistorica nella fica ipalude-Brobbtd:

. a wo suora del 0007 TORE RA IR I CI din Pda; : ) kS Ù Vf ‘x Settembre 1878 alia j n è . C) . E) ° 9 hh .DI7 af. i 1 pih ra3 \dunamz® cenérale d’ apertura 23 Settembre 1878, 1 ua SI 200. peessi Verbali delle BERIO Din e ‘n 205 panza generale di vhiusura 27° Settembre ‘1878> La n 247 P gsotrsioni . © #9 4 a Zi di ARRE La ta dg dia 2 257 vi _ cer "La ig agraria. bi toi ca DO QUORE » ‘301 4 | to er Macar Di %n ’cranio umano trovato nella grotta del tifo LO), | di Valgana a DI#8S0 bi SER DE RO ia 308 A È Contribuzione al Catalogo ‘dei Pizopodi d’acqua dolce ro c sera 1a | Lombardia e loro distribuzione secondo la classificazione on, "di Herhwig e e° Lésser modificata da Archer (3 RARO Pu t, » 313 (I "Primò' elenco dei Rotiferi” o Sistolidi della Valcuvia april ” ‘820 i: CE Pla stiduli nei ‘ciliati ‘cd è Plastiduli liberamente viventi » ‘926 E erre TO Er N da Carraneo, Intorno all’ ontogenesi dell’Arcella vulgaris Eh. n 331 V:: . Pottt è P. "Tucorenti, Nuova ‘analisi chimica dell’acqua si È se © minerale detta di S. Pancrazio in ‘Trescore Balneario, i LU | provincia di Bergamo. . ra DEE Dasngo9 2 dunaan 784 va. Rasomer*e P. Reeazzone, Le nuove scoper te preistoriche ale © di Ba VIsolino itel lago di Varese RR o IN n -d60 fp CasteLirinco, Le stazioni lacustri dei laghi di ‘Monàtè © ai ei TB " Varano:e considerazioni generali intorno-alle palafitte . ia ‘998 F 6%. Mavor Intorno ad alcuni ‘oggetti d’industria umana prete! sm sil SME ‘storica trovati nelle tombe di Malgesso presso Gavirate 0% 435 va Di- alcune tombe della Valcuvia e della Valmaroktrolo: sia Ea partenenti ‘alla prima badeferrdi ine i d m 439 OR. Pirorta,‘ Di alcuni casò di albinismo nei rettili. . +0. n 448 O, MAGRETTY, Rapporto *su» disun? escursione nella COTI . n 451 "0. GoLer, Della terminazione dei nervi nei tendini e di un | ‘nuovo apparato nervoso terminale muscolo-tendineo. . +. n 464 (Segue l’InpIice in VJ,* pagina). Sul Ln del a: dell Putatio nel cuore di uccelli obmapizio eaftuppo rg ORA P. e Sull utilità degl pesos Sa È: LAS RADI AE SEU Stratiotos aloidos x POR eo eta fi da C. MARINONI, Bronei preistorici del Friuli. ca ar . IT. TARAMELLI, Appunti geologici sulla From di B. ‘C. Parona, Collembola, saggio di un Catalogo delle 0) ù italiane. 0 00 Ò . eee VER CORO RNC T tt N. Pini, dan specie 0 ogni 09) note di molluschi. 100. Micia “Contribuzioni alla giaro del Friuli + . Lr C. F. Pancse su Hu dell Aa papooe Ha . bs la da > Lombardia C) ® . cè fa C) I] e. ©. "9 T di Li n n Cf ui si LA ni t DA Ri “donde CN NGI MO I È TER. uao . . vd. E e a) È viormente alla. ADONE di microrganismi . | N. BorenI, Sulla scoperta «di una stazione pro nella | i palude Brabbia ni e LIES, AIR a I AR co è. °° ni; “°.. @ facies tropicale în Montebabbio . PER t A. CrespeLLANI, Le terremare del Modenese ii N AN B. Grassi e C. Parona, Intorno all’Anguillula intestinalia fit range dell'uomo ina iipi nei cera e Pa Se L. F. di nani, 6 STR Ra ME Ri | ‘Elenca dei libri pervenuti in dono ‘od in cambio alla Biblio. teca sociale nol:1878.. 0. ela Lal ere engrale cervetP 8 Indice. e 0 0 000 0 0.00.60 0.» ri DI ICI naN 7 (an) ui A Fi \ VO NALI OI Of ; nia | BIS DARA Ugo PRAGA. IERI IVO MESRT RETTA VA SRI CRILE PS in, CONE AE N) » Prezzo del presente volume: Per 1.80 | Per gli estranei alla Società . 2%