4 ATTI LAI O RATOI | SCIENZE NATURALI. - “VOLUME XXIV/ xv Anno 1881/1872. dt; Con 5 tavole. MILANO, TIPOGRAFIA BERNARDONI DI C. REBESOHINI PO | 1881-88 1A RENO ai # DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI VOLUME XXIV. FascicoLo 1° — Fogli 1-5. MILANO, TIP. BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. PER L’ITALIA: | PER L'ESTERO: PRESSO LA PRESSO LA SEGRETERIA DELLA SOCIETA’ LIBRERIA DI ULRICO HOEPLI MILANO MILANO Palazzo del Museo Civico. | Galleria De-Cristoforis, Via Mavin, 2. 59-62. Acosto 1881. I | o nnt [o] ©) (d) > vi n Di l'in. fG O i Li] È (cd) pa (t)) ©) V Bacsj Ei Ei < eni O) () °) (a) si ® Lu S (e) (È) (o) i = (0) Da Toi [=] e pa) dd Si ® Qui (©) (è ) [a] 43 4) ® Lao, 0! sm ©) Ss Ss (e)) (o) Qi = I ‘ Cassiere, GARGANTINI-P1ATTI Giuseppe, Milano, via del Presidente, CORNALIA dottor EMILIO, Heose del Museo C; iv ” Naturale di Milano, via Monte Napoleone, 36. SE Vice-presidente, ViLLa ANTONIO. Milano; via Sala, 66 SorpeLLI FERDINANDO aggiunto al Museo Civi Segretarj naturale di Milano, via Monforte, 7. Pini rag. NAPOLEONE, via Crocifisso, 6. ATTI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI California Academy of Sciences Presented by Società Italiana di Sci enze Naturali, Milano. February de 1006, MILANO, TIPOGRAFIA BERNARDONI DI C. REBESCHINI E ©. 1881. .t88r OVMz.A SS MOMO. 0) DIECI IR SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI. a PRESIDENZA PEL 1881. Presidente. — CORNALIA prof, comm. Emo, direttore del Museo Civico di storia naturale in Milano, via Monte Napoleone, 36. Vice-Presidente. Via cav. AntoNIO, Milano, via Sala, 6. SorpELLI FERDINANDO, aggiunto al Museo Civico di storia naturale in Milano, via Monforte, 77. Pini nob. rag. NAPOLEONE, via Crocifisso, 6. Conservatore. — FRANCESCHINI rag. FELICE. Cassiere. — GARGANTINI-PrATTI Giuseppe, Milano, via Senato, 14. Economo. — DELFINONI avv. GOTTARDO. Segretarj "3900 Visconti ERMES march. CARLO. Commissione 04: a BeELLOTTI dott. CRISTOFORO. amministrativa CriveLLI march. LUIGI. SOCJ EFFETTIVI al principio dell’anno 1881. ALUBANELLI rag. FiLippo, Milano. Aresi Vincenzo, alunno nella R. Università di Napoli. ARNABOLDI-CAZZANIGA comm. BeRNARDO, Milano. ArriGoNnI conte Oppo, Padova. BeLLoTTI dott. CrIstororo, Milano. BeRLA ETTORE, Milano. BettoNI dott. EuGENIO, Brescia. Bienami ing. EmiLio, Milano. Boccaccini prof. Corrapo, Ravenna. Borromeo conte Carro, Milano. Botti cav. UipeRICO, Lecce (Terra d'Otranto). BrioscHI comm. FRANCESCO, senatore del Regno e direttore del R. Istituto Tecnico superiore di Milano. ButtI sac. ANGELO, professore nel R. Istituto Tecnico, Milano. Buzzoni sac. Pierro, Milano (CO. SS. di Porta Romana). CALDERINI sac. Pietro, direttore dell’ Istituto Tecnico di Varallo (Val Sesia). CANETTI dott. Carro, Milano. CantoNI cav. GAETANO, direttore della Scuola Superiore di agri- coltura, Milano. ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1881. 5 . Cantoni Ervezio, Pavia, CAPRIOLI conte Tommaso, Brescia. CarRtcciIo prof. cav. Antoxio, della IR. Università di Modena. CasteLFRANCO prof. Pompeo, Milano. CattANEO dott. Giacomo, Milano. CavaLLottI ing. AnceLo, Milano. CeRRUTI ing. GiovanxI, Milano. Cesati barone Vincenzo, professore di Elia nella R. Univer- sità di Napoli. Certi ing. GiovANnnI, Laglio (Como). Cocconi prof. GeRoLAMO, Bologna. CoLienon dott. NicoLa, professore di meccanica nel R. Istituto Tecnico, Firenze. | CoLocna. avv. AcHiLLE, Milano. Cocomso dott. GIUSEPPE, assistente alla cattedra di anatomia pa- tologica nella R. Università di Pavia. CoLoni sac. GAETANO, prof. di Scienze Naturali a Crema. CoRNALIA prof. comm. Emitio, direttore del Museo Civico di storia naturale, Milano. Corvini dott. Lorenzo, professore nel R. Istituto Veterinario, Milano. CRESPELLANI cav. ArsENIO, Modena. CrIiveLLI march. LuIei, Milano. Curò ing. AntoNIo, Bergamo. De-Bosis ing. FrancESco, Ancona. DELFINONI avv. GoTtARDO, Milano. DeLLA Rocca ing. Gino, Genova. DeL Mayrno march. Norserto, Milano. Doria march. Gracomo, Genova. DE LEonE dott. Vincenzo, Castiglione Messer Raimondo (Abruzzo). EmeRY dott. CARLO, professore di zoologia nella R. Università di Bologna. Fanzago dott. Finippo, professore di storia naturale nella R. Uni- versità di Sassari. FERRARIO dott. cav. ErcoLE, Gallarate. LI, ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI, . FERRERO OTTAVIO LuIaI, ini < di chimica al R. Istituto Agra- rio di Caserta. FERRETTI sac. ANTONIO, parroco di S. Ruffino (Scandiano). FRANCESCHINI rag. FELICE, Milano. GALANTI ANTONIO, professore di agraria nel R. Istituto Tecnico, Milano. GARBIGLIETTI cav. ANTONIO, dottore collegiato in medicina, Torino. ‘GARGANTINI-PrATTI Giuseppe, Milano. GarovagLIo cav. SANTO, professore di botanica nella R. Univer- sità di Pavia. Gasco prof. Francesco, professore nella R. Università di Genova. GervasonI dott. TuLLio, Bergamo. GIACOMETTI dott. Vincenzo, Mantova. GigeLLI dott. GiusePPE, professore di botanica nella R. Univer- sità di Bologna. Gourn ing. LEoxE, Cagliari. Grassi dott. BatTISTA, Messina, Istituto Zool. e Zoot. Kleinenberg. Gramizzi ing. Massimiziano, Milano. GuaLTERIO CARLO RAFFAELE, Bagnorea (Orvieto). GuiscarDI dott. GueLieLMO, professore di geologia nella R. Uni- versità di Napoli. LaAwLEey RoBeRTO, Montecchio, presso Pontedera (Toscana). Lezzani march. MassiMiLIANO, Roma. Magi dott. Leoporpo, professore di anatomia comparata nella R. Università di Pavia. MaGRETTI dott. PaoLo, Milano. MALFATTI dott. GIiovanNI, Milano. MatLINvERNI ALEssIo, Quinto (Vercelli). Mantovani Pro, professore di storia naturale nel R. Istituto Tec- nico di Reggio di Calabria. Manzi prof. MicHELANGELO, Lodi. Marani cav. Giovanni, Moncalvo (Monferrato). Marca dott. Pierro, Firenze. Marsi LuraI, professore di fisica nel Liceo di Foti MarTELLI-BoLognNINI conte IpPoLito, Pisto]a. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1881. 7 Mask sac. FRANcESCO, arciprete a Castel d’Ario (provincia di Mantova). MartIRoLO dott. OrESTE, Torino. MazzoccrHI ing. LuiGI, assistente al R. Istituto Tecnico superiore di Milano. MazzuccHeLLI VittoRIO, Milano. Mazzetti sac. Gruseprpe, Modena. MELLA conte CARLO ARBORIO, Vercelli. MENEGHINI GIUSEPPE, professore di geologia nella R. Università di Pisa. MERCALLI sac. prof. GirusePPE, Monza. MoLon cav. ing. FRANCESCO, Vicenza. MontANARO Carto, all’ Intendenza di Finanza, Verona. Mora dott. Antonio, Bergamo. NEGRI dott. cav. GartANO, Milano. NEGRI dott. Lui, Milano. NicoLucci cav. GrustINnIANno, Isola presso Sora. Ninni conte ALessanpRO PeRICLE, Venezia. Nocca CarLo Francesco, Pavia. Norsa GiusepPE, Milano. OmBonI dott. GiovannI, professore di mineralogia alla R. Univer- sità di Padova. PapuLLI conte Pietro, istruttore pratico di chimica nel labora- torio della Società d’Incoraggiamento d’arti e mestieri, Milano. PaoLucci dott. Lurar, professore di storia naturale nel R. Istituto Tecnico, Ancona. PARONA dott. CorRADO, professore di zoologia e Attila; compa- rata nella R. Università di Cagliari. PARONA dott. CARLO FABRIZIO, assistente di geologia nella R. Uni- versità di Pavia. PassERINI GIOVANNI, professore di botanica nella R. Università di Parma. Pavest dott. Pietro, professore di zoologia nella R. Università di Pavia. PeruGIA dott. ALBERTO, direttore onorario del Museo sibi di Trieste. & ‘ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI, PranzoLa Lurci, dottor in legge, Milano. PicagLia dott. Lurei, Modena. Pini nob. rag. NAPOLEONE, Milano. Pirona dott. Giutio ANDREA, professore di storia naturale al Li- ceo di Udine. PiRottA dott. RomuaLDO, professore di botanica, direttore dell’orto della R. Università di Modena. PoLLi PreTRO, professore di storia naturale all’ Istituto Tecnico di Milano. Prapa dott. Troporo, professore di storia naturale all Istituto Tecnico di Pavia. QuaAGLIA ing. GiusEPPE, Varese. ReBEscHINI CriIstIANO, Milano. REGAZZONI dott. Innocenzo, professore nel R. Liceo di Como. RiBoLp! mons. Agostino, vescovo di Pavia. Ricca dott. Luici. Arona. Rocca SAPORITI march. APOLLINARE, Milano. RosaLes CreaLini march. Lurci, Bernate (Como). Rossi cav. ANTONIO, ingegnere capo del Genio civile, Como. SALMOIRAGHI ing. Francesco, Milano. SARTORIO dott, ACHILLE, professore di storia naturale nel R. Li- ceo di Pistoja. | SCARABELLI-Gommi-FLAMINI GiusePPE, senatore del Regno, Imola. ScoLa dott. Lorenzo, Milano. SELLA comm. QuINTINO, ingegnere delle miniere, devutato al Par- lamento, Roma. SORDELLI FERDINANDO, aggiunto al Museo Civico di storia. natu- rale di Milano. SPINELLI GIiovaNNI BattISsTA, Venezia. StoPPANI ab. ANTONIO, professore di geologia nel R. Istituto di Studî superiori pratici e di perfezionamento, Firenze. STROBEL PELLEGRINO, professore di mineralogia nell’ Università di Parma. TaraMeLLI Torquato, professore di geologia nella R. Università di Pavia. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1881. 9 “Tareroni-TozzettI ApoLro, professore di zoologia al Museo di sto. ria naturale di Firenze. TassanI dott. ALESSANDRO, consigliere sanitario, Como. TeRRACccIANO cav. NicoLa, direttore dei Giardini Reali a Caserta. Tommasi dott. AnnisaLe, Mantova. TRANQUILLI GIOVANNI, professore di storia naturale nel Liceo di Ascoli. TREVISAN conte Virtore, Milano. TuratI conte ErcoLe, Milano. Turati nob. Ernesto, Milano. Turati nob. GIANFRANCO, Milano. VALLE dott. AxtoNIo, assistente presso il Civico Museo di storia naturale di Trieste. VerRrI AnToNIO, capitano nel Genio militare, Terni. Visoni nob. Giurio, Milano. ViLLa cav. Antonio, Milano. VicLa cav. Giovanni BartISTA, Milano. Visa Virtorio, Milano. ViscontI conte ALronso MARIA, Milano. Visconti Ermes march. CarLo, Milano. Visconti Di Moprone duca RaAnonpo, Milano. ZuccHi dott. CARLO, medico-capo dell'Ospedale Maggiore in Milano. SOCJ CORRISPONDENTI. . AscHERSON Paoto, addetto alla direzione dell'Orto botanico, Berlino. BARRAL, direttore del giornale L’Agriculture pratique, Parigi. BoLLE Caro, naturalista, Leipziger Plate, 13, Berlino. Bouvk Ami, Wieden Mittersteig Schlossel-Gasse 594, Vienna. BrusinA SPIRIDIONE, soprintendente del Dipartimento zoologico nel Museo di storia naturale in Agram (Zagrab), Croazia. DaRrwIN Carro, della R. S. e G. S., Londra. Davis GiusePPE BERNARDO, presidente della Società antropologica di Londra. 10 SOCÌ CORRISPONDENTI. Desor EpoARDO, professore di geologia nella Scuola Politecnica di Neuchatel. FavrE ALFONSO, professore di geologia, Ginevra. Ficurer Luici, rue Marignan 21, Parigi. FinscH dott. Otto, conservatore del Museo zoologico di Brema. GeINITZ Bruno, direttore del Gabinetto mineralogico di Dresda. GoePPERT H. R., direttore dell'Orto botanico di Breslavia. HAuER FRANCESCO, direttore dell’ I. R. Istituto Geologico di Vienna. Herr OsvaLpo, professore di botanica nel Politecnico di Zurigo. JannsENS dott. EuGENIO, medico municipale, rue du Marais 42, Bruxelles. Le PLÉ dott. AmepEO, presidente della Società libera d’emula- zione, Rouen. Lory CarLo, professore di geologia alla Facoltà delle scienze a Grenoble. MERIAN, professore di geologia al Museo di storia naturale di Basilea. MortinLet GABRIELE, aggiunto al Museo Nazionale di Saint-Ger- main en Laye, presso Parigi. Nerto dott. LapisLao, direttore della Sezione botanica del Mu- seo Nazionale di Rio Janeiro. PiLLet Luici, avvocato, direttore del Gabinetto mineralogico di Chambéry. Pizarro dott. Gioachino, direttore della Sezione zoologica del Museo Nazionale di Rio Janeiro. PLancHON GIuLIo, professore di botanica a Montpellier. RaimonpI dott. AntoNIO, professore di storia naturale all’ Univer- sità di Lima (Perù). RaMmsaY ANDREA, presidente della Società Geologica di Londra; Museum of practical geology, Jermin Street, S. W. SEeNONER cav. ApoLro, bibliotecario dell’I. R. Istituto Geologico . di Vienna, Landstrasse Hauptstrasse 88. STUDER BERNARDO, professore di geologia, Berna. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI al principio dell’anno 1881. ° ITALIA. R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. — Milano. . Ateneo di scienze. — Milano. Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri. — Milano. 85 . Società Agraria di Lombardia. — Milano: | . Accademia Fisio-Medico-Statistica. — Milano. . Ateneo di Brescia. R. Accademia delle scienze. — Torino. . Accademia di agricoltura, commercio ed arti. — Verona. . R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. — Venezia. . Ateneo Veneto. — Venezia. . Accademia di agricoltura, arti e commercio. — Verona. . Accademia Olimpica. — Vicenza. . Società Veneto-Trentina di scienze naturali. — Padova. . Associazione Agraria Friulana. — Udine. .-Società delle Scienze. — Modena. . Società dei Naturalisti. — Modena. . Accademia delle scienze. — Bologna. . Accademia dei Georgofili. . Società Entomologica. — Firenze. . Società toscana di scienze naturali. — Pisa. . R. Comitato Geologico d’Italia. — Roma. . Accademia dei Fisio-Critici. — Siena. . Società di letture e conversazioni scientifiche. — Genova. . Società Reale delle scienze. — Napoli. | . R. Istituto d’Incoragg. per le scienze naturali. — Napoli. . Associazione dei Naturalisti e Medici. — Napoli. . Società economica del Principato Citeriore. — Salerno. 12 28. 29. 30. Sl. 32. 33. 34. 35. 36. ST. 38. 9 (9) 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. Dl. 52. 53. D4. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI, Accademia palermitana di scienze, lettere ed arti. — Palermo. Consiglio di perfezionamento. — Palermo. Commissione Reale d’ agricoltura e pastorizia. — Palermo. Società d’acclimazione e agricoltura. — Palermo. Accademia Gioenia di scienze naturali. — Catania. Società d’orticoltura del litorale di Trieste. SVIZZERA. Naturforschende Gesellschaft Graubiindens. — Chur. Institut National Genèvois. — Genève. Société de physique et d’ histoire naturelle. — Genève. Société Vaudoise de sciences naturelles. — Lausanne. Société des sciences naturelles. — NeuchAtel. . Naturforschende Gesellschaft. — Ziirich. Naturforschende Gesellschaft. — Basel. Società Elvetica di scienze naturali. — Berna. Naturforschende Gesellschaft. — Bern. GERMANIA ED AUSTRIA. Naturwissenschaftliche Gesellschaft Isis. — Dresden. Zoologische Gesellschaft. — Frankfurt am Mein. Zoologisch-mineralogisches Verein. — Regensburg. Physikalisch-medizinische Gesellschaft. — Wiirzburg. Nassauisches Verein fiir Naturkunde. — Wiesbaden. Offenbaches Verein fiir Naturkunde. — Offenbach am Mein. Botanisches Verein. — Berlin. Verein der Freunde der Naturgeschichte. — Neubrandenburg. Geologische Reichsanstalt. — Wien. Geographische Gesellschaft. — Wien. Zoologisch-botanische Gesellschaft. — Wien. Siebenburgisches Verein fiir Naturwissenschaften. — Her- mannstadt (Transilvania). AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1881. 13 . Verein fiir Naturkunde. — Presburg (Ungheria). . Deutsche geologische Gesellschaft. — Berlin. . Physikalisch-medizinischen Gesellschaft. — Erlangen. . Senkenbergische naturforschende Gesellschaft. — Frankfurt am Mein. . Verein fiir Erdkunde. — Darmstdt. . Naturforschende Gesellschaft. — Gorlitz. . Schlesische Gesellschaft fiir vaterlindische Cultur. — Breslau. . Bayerische Akademie der Wissenschaften. — Miinchen. . Preussische Akademie der Wissenschaften. — Berlin. . Physikalisch-oeconomische Gesellschaft. — Konigsherg. 65. Natùrhistorisches Verein. — Augsburg. 66. Deutsch-Oesterreischisches Alpen-Verein, Section “ Austria , — Wien. 67. K. K. Hof-Mineralien-Cabinet. — Wien. 68. Medizinisch-naturwissenschaftliche Gesellschaft. Jena. 69. Naturwissenschaftlich-medizinisches Verein. — Innsbruck. 70. Verein zur Verbreitung naturwissenschaftlicher Kenntnisse. — Wien. 71. K. ungar. geologische Anstalt. — Budapest. 72. Antropologische Gesellschaft. — Wien. 73. Naturwissenschaftliche Gesellschaft. — Chemnitz. SVEZIA E NORVEGIA. 74. Kongelige Norske Universitet. — Christiania. 75. To, ta 19. Académie Royale Suédoise des sciences. — Stockholm, RUSSIA. Académie Impériale des sciences. — St-Pétershourg. Société Impériale des Naturalistes. — Moscou. Societas pro fauna et flora fennica. — Helsingfors, 14 19% 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. LE 88. 89. 90. 91. 92. 93. 94. 95. 95. 97. 98. 99. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI, BELGIO E PAESI BASSI. Académie Royale de Belgique. — Bruxelles. Société Royale de botanique de Belgique. — Ixelles - les- Bruxelle. Société Malacologique de Belgique. — Bruxelles, Société Entomologique. — Bruxelles. Musée Teiler. — Harlem. FRANCIA. Institut de France. — Paris. Société d’Acclimatation. — Paris. Société Géologique de France. — Paris, Société Botanique. — Paris. Société Linnéenne du Nord de la France. — Amiens (Somme). Académie des sciences, arts et lettres. — Rouen (Seine inf.). Société des sciences naturelles. — Cherbourg (Manche). Société des sciences physiques et naturelles. — Bordeaux. (Gironde). Académie des sciences, belles-lettres et arts de Roo — Chambéry. Société Florimontane. — Annecy. Société d’agriculture, d’ histoire naturelle et des arts utiles de Lyon. Société d’histoire naturelle. — Toulouse. INGHILTERRA. Royal Society. — London. Geological Society. — London. Zoological Society. — London. Geological Society. — Glascow. 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1881. 15 Literary and philosophical Society. — Manchester. Natural History Society. — Dublin. Royal physical Society. — Edinburgh. AMERICA (Stati Uniti). Smithsonian Institution. — Washington. American Academy of arts and sciences. — Cambridge. Academy of sciences. — S. Louis (Missouri). Boston Society of natural history. — Boston. Connecticut Academy of arts and sciences. — New-Haven (Connecticut). Orleans county Society of natural sciences. — Newport. Seduta del 30 gennaio 1881. Presidenza del Presidente prof. comm, E. CORNALIA, Il Segretario Sordelli legge la nota presentata dal socio pro- fessore ANT. STOPPANI intitolata: l Era neozoica in Italia.* Essa è il riepilogo del volume, recante l’ egual titolo, da poco pubbli- cato dal medesimo autore, il quale, premesso che negli Atti della nostra Società furono inseriti varî lavori pro e contro l'ipotesi da lui sostenuta, della contemporaneità del mare pliocenico colla invasione dei ghiacciaj nel nostro paese, ritiene conveniente far conoscere ai soci per sommi capi gli argomenti da lui addotti e sviluppati nel libro a sostegno della sua tesi. Terminata la lettura il presidente prof. CoRNALIA ed il socio MAZZUCCHELLI fanno osservare esser molto più verosimile che un clima più umido, dovendo essere necessariamente anche più caldo, deve favorire piuttosto la produzione della pioggia, anzichè quella della neve. Nel che consentono anche gli altri soci presenti ed il segretario SORDELLI fa notare di avere già altrove riferito il fatto, che gli pare significante, del piccolissimo sviluppo dei ghiac- ciai sul versante sud delle Alpi ove l’aria è più umida e le deje- zioni acquee di gran lunga maggiori che non sul pendìo opposto, dove con un clima più secco, ma più freddo, si ha il massimo attuale sviluppo dei ghiacciai. Non vorrebbe poi il socio Castelfranco che la Memoria del prof. Stoppani venisse accolta negli Atti per essere già stampata 4 Trovasi inserita nel vol. XXIII, 1880, p. 297. SEDUTA DEL 30 GENNAIO 1881. 19! altrove. La presidenza tuttavia e la maggioranza dei soci pre- senti si dimostra favorevole alla pubblicazione di tale lavoro, e pei motivi addotti dall’ autore di esso, e per la piccola sua mole. È ammesso tuttavia che questo non abbia a costituire un pre- cedente e che si abbia di regola ad osservare la disposizione del nostro statuto, la quale esclude, dalla pubblicazione, le memorie già stampate. Il Presidente comunica indi le lettere di adesione e di ringra- ziamento dei soci nominati nell’ultima seduta, dott. Alberto Pe- rugia, di Trieste e prof. sac. Gaetano Coloni di Crema. Il socio dott. Malfatti comunica in seguito ch'egli intende pro- porre quale socio il prof. cav. Cesare Campacci, il quale ha ma- nifestato il desiderio d’essere aggregato alla nostra Società. Ed il prof. Castelfranco annuncia una sua breve comunicazione su alcune armi di pietra trovate in territorio di Mozzanica, provin- cia di Bergamo. — Dei quali argomenti il Presidente prende atto e ne rimanda la trattazione alla prossima seduta. F. SORDELLI Segretario. f I Vol. XXIV. i 2 Seduta del 27 febbraio 1881. Presidenza del Presidente comm. prof. CORNALIA. Il Presidente invita il socio Castelfranco a dare lettura delle sue Note paletnologiche intorno alla Provincia di Bergamo. Il signor Castelfranco dichiara che per causa di malattia non potè dar forma ancora al suo lavoro di cui tiene le sole anno- tazioni che quindi sì limiterà a fare qualche cenno verbalmente, riservandosi di presentare in breve le Note ordinate. Presenta diversi oggetti stati recentemente rinvenuti nella Provincia di Bergamo a Mozzanica dai signori fratelli Camozzi in un terreno torboso; ed opina che la località ove furono trovati questi og- gotti fosse una piccola stazione preistorica, stante che oltre a diversi altri oggetti si rinvennero molte freccie di selce. Quelli provenienti da Mozzanica sono quattro ascie di diverse forme e dimensioni, in serpentino verde, un pezzo di quarzite con diverse superficie levigate che pare dovesse servire da macina- toio, una freccia in selce di finito lavoro, e due rozzi cocci di stoviglie. Presenta pure un altro oggetto di materia calcare arenosa che proviene da Camisana in Provincia di Cremona. Tale oggetto viene riferito ad un’azza perforata ed è rimarchevole per la bontà del lavoro e la forma ingrossata a cuneo. Il Presidente osserva che e per la natura, e per la forma, non lascia supporre che questo arnese fosse destinato a spaccar legna al pari delle ascie di serpentino, di che pare convenire anche il signor Castelfranco. SEDUTA DEL 27 FEBBRAJO 1881. 19 Il Presidente invita quindi il segretario Pini a dare lettura della nota presentata alla Società dal prof. Lucchetti sopra una causa probabile dei terremoti. Terminata la lettura, siccome la teoria svolta dall'autore si fonda sopra leggi fisico-meccaniche, attribuendo la causa dei terremoti allo scoppio di bolle gazose che si formerebbero a non grande profondità del suolo caver- noso, producendo a norma del maggiore sviluppo di queste celle, piuttosto orizzontale, che verticale, le scosse ondulatorie nel primo caso, e sussultorie nel secondo; così il Presidente prega il socio prof. Polli a consegnare la Memoria ad un professore di fisica onde sentire il suo parere in proposito di tale teoria che pare abbastanza azzardata, prima di ammetterne la pubblicazione ne- gli Atta. Il segretario Pini legge poscia il verbale della seduta antece- dente che viene approvato non avendo osservazioni in proposito nessuno dei soci presenti. Si passa quindi alla votazione per la nomina a socio effettivo del signor cav. CAmpPACCI dott. CESARE, professore di Storia Na- turale al Liceo Parini, che viene ammesso ad unanimità di voti. Non essendovi altro a trattare il Presidente scioglie la seduta. N. PINI Segretario. I TERREMOTI DELL’ISOLA D'ISCHIA. Nota del Prof. GiuserrE MERCALLI _1. Terremoti preistorici. L'isola d’Ischia è quasi interamente formata dall’ Epomeo — cono vulcanico di 790 metri di altezza — circondato da molti piccoli colli, che sono o correnti di lava da lui stesso eruttate, o crateri avventizî, sorti sui suoi fianchi od alla sua base. La maggior parte dell’ Epomeo è di origine sottomarina, e le sue prime eruzioni avvennero sullo scorcio dell’epoca pliocenica, od all’aurora dell’epoca quaternaria sul fondo di un mare pro- fondo più che un mezzo chilometro. Imperocchè una marna con fossili marini quaternarî ricopre in varî punti il dorso del monte sino a 465 metri circa di altezza; ed un mare, tuttora profondo qualche centinaio di metri, lo circonda da ogni parte. Quelle prime eruzioni dovettero essere straordinariamente violenti, per costruire un cono vulcanico a sì grande profondità; epperò certamente fu- rono precedute ed accompagnate da non meno violenti terremoti. Il sollevamento dell’Epomeo accadde in epoca posterziaria, ma preistorica. Non so, che alcuno abbia studiato le proprietà tec- toniche dei depositi anteriori ad esso, onde poter argomentare, se sia stato o no accompagnato da convulsioni. Solo è certo, che avvenne in due riprese. Poichè a 40 metri circa sul livello del mare — sul monte Imperatore e presso Lacco — si trovano brec- cie e ghiaie trachitiche con conchiglie marine identiche affatto a quelle ancora attualmente viventi nel vicino mare. Evidente- mente prima vi fu un sollevamento di 400 metri circa; e fu, a mio credere, alquanto rapido; poichè non si osservano nè de- positi littorali, nè terrazzamento, che accennino a soste od a grande lentezza. Poi seguì una lunga sospensione nel movimento ascensionale, durante la quale si formarono i depositi littorali I TERREMOTI DELL'ISOLA D'ISCHIA. 21 fossiliferi di monte Imperatore e di Lacco. Finalmente un pic- colo sollevamento — corrispondente per valore e fors’ anche pel tempo, in cui avvenne, a quello di Monte Dolce e della Starza nei Campi Flegrei — portò l’isola al suo attuale livello. Secondo gli studî di Fuchs, si deve ritenere, che i monti Lo Toppo, Trippiti, Imperatore si sono formati nell’epoca soprama- rina, ma antistorica. In tal caso è certo, che le grandi eruzioni laterali, per cui sorsero questi monti, devono essere state prece- dute ed accompagnate da violentissimi terremoti; probabilmente contemporanei a quelli che nell'epoca dei terrazzi, chiamata dal Ponzi alluviale, scossero potentemente il suolo italiano per causa delle eruzioni vulcaniche del Lazio. 2. Terremoti storici. Nei tempi storici diminuì alquanto, ma non si spense, l’attività vulcanico-sismica dell’ Epomeo. Questo facilmente risulterà dal seguente quadro sinottico-cronologico di tutte le eruzioni ed i terremoti ischiani, che trovai registrati dagli storici.? Vi aggiun- gerò il confronto dei fenomeni endogeni italiani concomitanti, essendo ben noto quanto siano utili per la Sismologia questi studî comparativi. E registrerò anche la posizione della luna, rispetto al sole ed alla terra, all’epoca del fenomeno; per vedere se i ter- remoti d’Ischia sieno o meno favorevoli alla teoria di Perrey e di Falb, secondo la quale deve verificarsi la preponderanza dei terremoti in corrispondenza alle sizigie, ossia al plenilunio ed al novilunio. 1 PonZI, I terremoti delle epoche subappennine, nel Bull. del R. Comit. Geol. it., 1880, p. 175-183. ? Per compilare questo quadro ho consultato le seguenti opere: Fucas, Monografia dell’isola d’Ischia, per le eruzioni, eccettuata quella del 1302. — MuRATORI, Rer. ital. Script. — DONATI ed un Anonimo nella Bib. Univer. del 1828 e 1831. — A. PeRrREY, Mém. sur les Trembl. de Terre en Italie e Notes sur les Trembl. de Terre, 1843-1872. — CaAPOCOI, Catalogo dei terremoti accaduti nella parte continentale del Regno di Napoli, negli Atti del R. Istituto d’Incoragg. di Napoli, 1861-63. — SECCHI, Bull. Meteorologico, ecc. Anno 1863. — M. S. DE Rossi, Bullett. del Vulcanismo it. Anni 1874-1880. G. MERCALLI, 22 *"B3IAIZ}® 0710} UL 0}JOUT IS OIANSOA JI OUIOIS OSSAISI ION *euSemoyg ur pa @qeo:iseg UI I}0Ww91IOZ 1191350] #urId 010 0Y90q *0133eN Ur eN1AnYe 10134vw1 Ip osez tun ordiourid è ‘ofeu -U9)) Ul 07uRWIB}I009 UN 0qqo ‘EuEr]oquio1]s gIIAT]}}® ejIua Ul 219 ego ‘orAnso A [I ‘eIZUOgq o[os: e][ou 0)0w19119) 09107 ‘TT oltidy ‘,78I ‘5I-I18I I9p 0u79 QuoIZnIA ,] BUIWIIOY OjIIdy U] ‘ouoIzniIo UI OIANSA/ ‘’01QquIopzog PI IB IT .IIVP TUIOQUIP © OZzuasLg è 1I}OW91I9YZ T}107 Ip ol1es ZIS8I ION ‘ajetnb ur orAnsoA © gu} ‘Mom ® pa 09I1YgIIPy 0J[Of) IT 07}NY ULI “Joy è 0}0We1I97 Opueid Z0gL ION *©1[©)] UI 1}OWOIIGYZ IPueIS ‘6771 ‘09omb ur oransoA 0 CUT ‘euetuigd ouorznIg ‘61 *8U3H Il QUOIZNIE po gI[IoIig UI 07 0wIEIIAT, ‘£6£ “eU7H II oeuorznio ‘cI5 *BIJIOIG UL 070MOIIAT, ‘917 VITYII A ILUVA HUL'IV NI INTOOONH INHNONHI POSE RI AUD 18 “d.-I ‘etudy 11 “da "I ‘Nos 07 “dA "I i YNOT *e[or9oIw1 ESE) ® 0JI0} VSSC0S “FI OftIqqOd ‘881 *B[OIDOITIESEA) V 0S01)S®S “Ip 0}omezIaT, ‘que GOT ‘7 ofe1qgod ‘8Z81 'H'S-O'N QUOIZEIIP ‘0310; eSS00g *IT opudy ‘,Z81I ‘o10qop VSSO0S ‘oIquierzoz IP EJOWI E] OSIOA ‘ZISI *QUoIZ “no po owetIe], ‘ofe1qqog-ofeunos ‘70gI ‘0300191197, ‘OIl8NT ‘8ZZI È e ‘605-P87 s ‘ ‘191-88I "BIQQup Quorznig “O "P 18-61 "TueITOSI 119 QIBISIMO 0997 O]9 QUOIZNIFT “0 ‘A@ Z08-00F “IUEesnoRIIg I 01VIT «TIMO 0007 O7O ‘OUOIZAAT *) AB (),} IT OSIOA ‘eIgIZIUO pe o]odod o3saonb 03tq -qo ego ‘euorznar. *toIqtI] 1[30p odo) 1y VIHOSI,A VTOSI TITAN ILONHTIII YU UNOIZAYAH ‘IU@IUOSI TOIIO7S I37OW90II9] 0 TUOIZNIO aITOP ODILLONIS OYaAvno | 23 I TERREMOTI DELL'ISOLA D'ISCHIA. —__kk1A.E—_r_o_—__rr0_—_—rrr—’_————l-|——»x»<—w-rrrr?2z?? esi *I}UEzIIOO TOO TUOTIOUOF I IueA® nid cIrIozII 1}0WRII9Y THsonb 10g ‘oransoA [è o]oqop nid è odop “qodey ® errqrsuos nid e ewad TquastI IS 073019119) ]T ‘OIjSN"T 1g [I 07 USA B}IO00 un eq ‘eueI[oq -U101}S E}IAINY® UI ‘OIANSOA I] ‘9U990zUSA ® 0)0w91I97 ‘G7 OIFNT ‘088I *OUIOANT ® 09S09Y 7-1 9 0119 “NT 1g ‘OIZETT ]9U BIOOU® (E IR FI [ep fepioseo ® 6 II feHuquq po oIzert] ou ew1sstItadTO] ossoos ‘01-9 ‘egomb ur euzg po oransen ‘OIZBI] ]9U 11019TO] 0SS008 ‘G7-pZ 9 07-61 ‘ESNG IP [BA UI 0710} ESSOOS ‘035087 6I ‘198T 9190730,I ® 998T oIquieoIp JI 817 OsodiI oAQIqQ un VU 0IANSOA II ‘090mb ur eugg ‘Heden è cug o8edoid 18 07019119) II ‘01396 ur eNnANIE UI ISIO}30UI è 2IOUIWIOO VUIH 'T ‘IPOY ® OS013SESIP 070w19119Y ‘ojridy 77 *eqeoIiseg UI 0[0qOp ,I II 'OUBIOUEI] ‘osso e ‘(ozzniqy) I[oseo ® essoos 91 II *(etzuog ‘S1) 0ua90guo/) è cug 03edord IS 070W191197 [I ‘090Imb ur 2 euJHz/]T ‘0UISSEOGZUONI ® 0I01[2U101T 0ss00s 87 IB SI [BP ‘eqRoIiseg UI 010130] 0ss00s 7 II ‘ eZUOSO) ® ossoos ‘07 "ETU[go UI B19 09 ‘OIANSO A ]B ossoos oIBUUA») 97 9 OT ‘898I *euUleg ® 1710} assoos ‘ouSnIY GI ‘euoIznie epugis eun eIouImI09 03508yY )z ]Jou ‘eqgomb ur euzg ‘09emb ur oranso/ ‘oejommb UI 80} po cIANSOA ‘TION ® OS01)SESIPp 030101197 ‘jp 03S08Y ‘IG8I | *‘egermb ur eum *inedi] è 101ISSTH310] OZIENI 0% 9 0UegA[OdeN [ou 1)0we1197 17107 ‘ofeIqqo.T TZ ® 07 ‘019 «NT [9U g71AI33® Ip oporied oAonu un eIourmiof) ‘ogeinb ur oranseA ‘03508 tp ru1013 rurgmm Fou 07ueme1999 o]ooord un eq ojomb uI ‘nuad Dun] *d "7 ‘naonu vUun} BIIPUL "N “Tg OZIEH SI “d "I ‘IQq0.I 8 “N "I OHSNI 18 “d "T OHSNT 8I “d "I 03808Y PI “d "I 0193 en I “d "IT OZICHI 6I “N "T ‘IQQ0d € “I "I cun I ‘d "I 03803Y II “d "I OZIEN , “A "IT *8[0ID9 II ESe) ® e[Oqop essoog ‘09900 ‘8I-,I OZIEN ‘1881 *E[OIDDIMIESEA) ® OpI0J Essoog ‘07100 ZI ® ‘9I-GI OZIEN 1881 "8191 -Fe] essoog ‘opou ‘ZI ® ‘“L-9 OZIENI ‘1881 ‘09087 ® E[OIDOIMIESE() ® OSOI)SESIP 070we1Ie], ‘mod e ‘] © ‘ OZIEN “‘ISSI *21ISSIY -10} eun ‘oss00s OIIBA ‘87-77 OSTUNI ‘0881 ‘ojometIa], ‘que 0g ‘I è ‘CI ONMSUT ‘GL8I *e[0199101 “tse) e cuuep otgopenb o 017u89 ‘07107 0jomeTIe], "wuod gg ‘ZI ® ‘CI 03S03y ‘198I *\8[10}[NSSNS 81013 -Fe] essoog ‘mod 0g ‘9 ® ‘67 ®ITIdY ‘898I *0}0WI0IIOI, ‘77 OZIEN ‘E98I ‘13107 07101 ossoog ‘eggou 0g ‘ZI ‘0g ofcuuep ‘£98T ‘93107 070W09TIO], “, 0uSNID ‘gS8I ‘13103 ossoog “wod 097 ‘7 è ‘FI 09503Y ‘T98I ‘8 0IISST)107 essoog “8los Ip #10 un pe ‘9 OZIENI ‘IPSI 24 G. MERCALLI, Gli storici, non avendoci lasciato se non scarsissime ed incerte notizie degli incendî ischiani, menzionati nel Quadro, non parlano di terremoti; ma, trattandosi di eruzioni eccentriche ed accadute dopo lunghi riposi, è conforme alla dinamica dei vulcani il supporre sieno state precedute ed accompagnate da violentissimi terremoti. Così, infatti, accadde nelle eruzioni vesuviane del 79 e del 1631; nell’ eruzione del Monte Nuovo del 1538, in quella della Solfa- tara nel 1198; ed in generale nelle eruzioni laterali etnee, le quali spesso non solo sono precedute, ma anche accompagnate e se- guite da violenti terremoti. Si possono citare come esempî le eru- zioni del 1537, 1566, 1579, 1603, 1614, 1633, 1669, 1682, 1702, 1727, 1732,;.:1735, 1780, 1809, 1865, 1874, 1879. Anche riguardo all’ultima eruzione ischiana del 1302 Scacchi, J. Roth ed altri, riferendone la storia, avvertono che nessuno degli antichi autori parla di terremoti. Ma, se si riflette che non ce ne lasciarono se non grossolani, brevi ed imperfettissimi rac- conti, si vede che da questo loro silenzio si può soltanto inferire, che i terremoti abbiano solo immediatamente preceduto o seguito l'eruzione; sicchè dagli storici vennero con questa confusi e con- siderati come un solo fenomeno.! Del resto in questo mio modo di vedere conviene il Bonito, il quale così parla dell'eruzione in discorso: “ Quest’incendio d’I- 1 Le notizie che si hanno di questa eruzione sono tanto scarse ed imperfette, che si dubita perfino dell’anno in cui è accaduta. Il Bonito, Scacchi, Roth, Fuchs e la maggior parte degli autori la riferiscono al 1301; ma io ritengo più verosimile ripor- tarla al 1302, come fa il Perrey. Imperocchè a questo anno vien riferita nella Historia Ecclesiastica di Tolomeo Lucense, (MURATORI, Fer. Ital. Scriptores T. XI, pag. 1221), il quale si trovava Priore del Convento di S. Maria Novella, precisamente negli anni 1301 e 1302; ed anche dal Villani (Historie Fiorentine, VIII, 53), che scrisse la sua Storia pochi anni dopo l'avvenimento. — Quanto alla data mensile di questa eruzione, Tolomeo Lucense dice che avvenne in febbraio ; e nella Cronaca Cavense (Mu- RATORI, op. cit., VII. p. 931) si trova « In hoc anno (1301) mense Januarii die Jovis decimoctavo ejusdem mensis in sero, in noctis tenebris arenam plurimam pluit Domi- nus super terram et in eadem nocte ante auroram usque ad diem pluit cinerem mixtum cum sulphure in aliquibus partibus in maxima quantitate. Et eodem die Jovis insula Isolae (Isclae?) ardere coepit ita quod homines habitantes in ipsa insula abinde re- cesserint. » Erroneamente il Perrey riferisce questo avvenimento ad un isola di Zsola situata nel Golfo di Policastro; perchè non esiste un’isola di tal nome in questo golfo I TERREMOTI DELL'ISOLA D'ISCHIA. 25 schia succeduto nell’anno 1301 fu eccitato da un terribilissimo . terremoto, che pose a terra molti edificî. ,, Ed avvalora il suo dire colle parole seguenti di Msg. Reggio vescovo di Vico Equense : “negli anni del Signore 1301, regnando in Napoli Carlo II, suc- cesse nell'isola d’Ischia un altro incendio, per lo quale furono soffocate e morte dalle fiamme e dal fumo molte centinaia di per- sone, e per l’orribile terremoto caddero a terra nobili edificî, e s’abbruciò in detta isola una villa e più di due miglia di paese. , (citato dal Capocci). Anche nei lunghi intervalli trascorsi tra le varie eruzioni ricor- date non c'è memoria di nessun forte terremoto ischiano. Solo trovo che in una Cronaca di Riccardo da S. Germano, pubblicata la prima volta dal Muratori, ' all'anno 1228, è scritto: “ Eodem mense Julii mons Isclae subversus est, ed operuit in Casalibus sub eo degentes fere septingentos homines inter viros et mulie- res. , Perrey traduce questo passo nel seguente modo: “ Juillet. Chute du mont Isola, dans le pays de Casale. Près de 700 per- sonnes périrent. , Non so perchè il Perrey abbia cambiato Isclae in Isolae. Di più, non conosco che esista un monte Isola presso Casale; e dopo tutto, mi pare grammaticalmente troppo libera la traduzione del Perrey. Io quindi preferisco ritenere, col Capocci, che il cronista parli di una grande catastrofe avvenuta all’ Epo- meo d’Isehia per causa di un violento terremoto. Anche trai terremoti ischiani moderni solo di pochi ho potuto raccogliere notizie più particolareggiate di quelle già riferite nel Quadro. Veramente disastroso fu quello del 2 febbraio 1828. Cominciò alle 10,5 antim., in quattro minuti si succedettero tre scosse vio- lentissime accompagnate da forti rumori, simili a grandi scariche di artiglieria. Le scosse pareva venissero dall’ Epomeo, e furono più violenti verso l’interiore dell’isola tra Casamicciola, Fango e Casaminello, dove molte abitazioni rovinarono, e perirono 30 persone. Anche a Lacco vi furono fessure nei muri, ma non cad- 1 Rer. ital. Script. VII, p. 1006. 26 G. MERCALLI, dero case. È notevole però, che i rumori, accompagnanti il terre- moto, si udirono molto più forti presso la marina di Casamic-_ ciola, Lacco e Forio, che non verso l'interno dell’isola, dove le scosse furono più violente. Nessun fenomeno particolare prece- dette il terremoto, solo verso la metà di gennaio si era visto il barometro innalzarsi fino ad un livello, al quale da sei anni non era mai arrivato. Le scosse si limitarono all'isola d’ Ischia; però furono precedute di poche ore da quelle più leggiere di Romagna e della Basilicata citate nel Quadro. La ripetizione del terremoto verso la fine di giugno è raccon- | tata dal Donati, il quale attesta, che fu accompagnata da esplo- sioni di materie gazose, che cagionarono molti danni nel paese. Lo stesso autore nota, che in quei giorni il barometro ed il ter- mometro montarono e si abbassarono in una maniera assai straor- dinaria. Lyell, che visitò Casamicciola nell'ottobre 1829, asserisce d’a- vervi trovato tutte le case ancora prive di tetto, e d’aver visto tra questo paese e Forio alcuni massi di tufo, caduti dall’ Epo- meo. Di più afferma che dopo il terremoto si trovò accresciuta la temperatura della sorgente termale di Rita, situata presso il centro del movimento. * Anche il terremoto del 6 marzo 1841 pare abbia avuto per centro Casamicciola, dove vi furono varî edifici lesionati. La scossa avvenne ad un’ora di sera, e si ripetè più lieve dopo 6 minuti senza recare nuovi danni. Tra i varî terremoti accaduti nell’isola d’Ischia nei primi mesi del 1863, quello del 22 marzo è notato senza nessun particolare nel Catalogo di Perrey;? gli altri due vennero descritti nel se- guente modo dal signor Chevalley de Rivaz, allora medico di Casamicciola, nel Bull. Met. del Padre Secchi. “Il terremoto del 30 gennaio avvenne a 12,30 circa pom.,° e i LyeLL, Principes de Géol., II pag. 121. 2 Questa scossa dev’esser stata di poca importanza; perchè non è riferita dal De Rivaz. 3 Perrey, citando Boué, dice che la scossa è avvenuta a 1 ora di sera. I TERREMOTI DELL'ISOLA D'ISCHIA. PA consistè in una scossa fortissima, ondulatoria, diretta (pare) da Est a Ovest, e che durò due secondi. Caddero varì muri a secco nelle campagne, e franò qualche roccia, principalmente presso Monticeto, tra Casamicciola e Forio, dove i fianchi dell’Epomeo sono quasi perpendicolari. La scossa si sentì a Casamicciola, Ischia, Barano, Testaccio, Fontana, Forio e Lacco, ed anche nell’isola Ventotene. Dalle fumarole di Monticeto, appena prima della scossa, il vapore esciva più abbondante dell’ ordinario, ac- compagnato da un rumore insolito, e la sua emissione era in- terrotta di tanto in tanto. Nel momento del terremoto aumentò ancora maggiormente l’uscita dei vapori, come accade nei tubi dei batelli a vapore, quando questi si fermano. .» La scossa del 29 aprile pare sia stata avvertita solo presso Casamicciola; fu sussultoria, leggiera, accompagnata da un cupo rumore, e da maggiore attività nelle fumarole di Monticeto; si ripetè un’ora e mezza dopo senza arrecare danni. , Del terremoto, accaduto il 13 luglio 1875 il P. Bertelli pub- blicò notizie interessanti, che qui riporto testualmente: “ A Ca- samicciola ad 1,30 ant. forte detonazione prolungata come di tuono o di cannone (circostanza, che ivi ordinariamente precede 1 terremoti quando accadono, come affermano persone pratiche del luogo), ed appresso forte terremoto ondulatorio a vibrazioni assai rapide, dirette principalmente dalla montagna maggiore d’I- schia alla solfatara di Napoli; ma anche trasversalmente a que- sta direzione. Quindi seguì un piccolo rialzo di suolo, al quale succedette un rapido e forte abbassamento, in modo da sembrare alle persone, come se il terreno si sprofondasse; dopo di che tutto tornò in calma. Questo terremoto, il quale pare non si esten- desse che a pochi comuni posti circolarmente intorno alla mon- tagna, durò circa 3”, ma però mise molto spavento agli abitanti, che fuggirono dalle case, senza ‘che queste soffrissero danni o suo- nassero campanelli. Molti forestieri, che erano ivi ai bagni, ab- bandonarono l’isola. Durante il fenomeno alcuni dicono d’aver 28 G. MERCALLI, veduto uno splendore fosforescente. * Il cielo era sereno e l’aria tranquilla.? , Intorno al terremoto del luglio dello scorso anno 1880 il signor Coppa, sindaco di Forio, comunicò al prof. Palmieri i seguenti particolari. “Dai primi del luglio nella contrada Panza, villaggio a mezzo- giorno dell’isola, i pozzi di acque potabili sono disseccati, le ac- que termo-minerali di Sorgete, che fluiscono in riva al mare, sono divenute fresche, le fumarole, che sono moltissime, non si vedono fumicare affatto, il livello del mare è stato ed è molto al disotto del normale. In Forio, che dista dal predetto villaggio un 2 miglia, i pozzi sono nello stato normale, solamente le acque potabili sono divenute prima, in questi giorni di scosse, più calde dell’ordinario e talvolta torbide. Il mare solo in qualche giorno si ritira più dell’ordinario. Si marca con meraviglia di tutti, che le fumarole da un pezzo non danno più fumo. La tempera- tura delle acque minerali sembra maggiore dell’ ordinario, seb- bene fluiscano più scarse. » Si sono avvertite le seguenti scosse: » Giorno 24 alle 4 ant. ed alle 7 pom. » Giorno 25, alle 3, 3,45, 4,35 (scosse fortissime), alle 5, alle 9,15 ed alle 11 ant. » Giorno 26, una scossa alle 10 pom. » Giorno 27, una all’1,30 e poi alle 4,30 ant. » Giorno 28 solo qualche scossa dubbia. » Di queste scosse solo quella del 25 alle 4,35 fu fortissima e durò 10 secondi; le altre sono state più brevi, e da molti non avvertite. » Le scosse non furono avvertite contemporaneamente a Panza ed a Forio; ma nella prima località un quarto o mezz'ora avanti che nella seconda. Lo scotimento talvolta è stato più forte in un punto e talvolta in un altro, spesso un rione fortemente agi- tato da una scossa, lo è stato lievemente in un’altra e viceversa. 4 Ossia aurorale. 2 Bull. del Vule. ital. 1875, p. 75. I TERREMOTI DELL'ISOLA D'ISCHIA. 29 s La scossa fortissima del giorno 25 venne sentita nell’ isole Ponzie. In Ventotene una chiesa fu gravemente lesionata. , Finalmente riguardo ai terremoti, che afflissero Ischia nel cor- rente mese, ecco le notizie, che potei raccogliere dai giornali quo- tidiani. Il giorno 4 marzo ad un’ora e 5 minuti pom. si sentì in Casamicciola una forte scossa. Temendo che avesse a rinnovarsi molti escirono all’ aperto. Loro fortunati! Dopo qualche minuto una scossa assai più violenta, durata 7 secondi, fece rovinare quasi tutte le case della parte superiore di Casamicciola. La scossa fu prima sussultoria, poi ondulatoria ed anche vorticosa. Ecco come descrive il momento del terremoto un giovine, tratto ancor vivo di sotto le macerie: “ un rumore, come un colpo di cannone, mi fa saltare in piedi, poi come due folate di vento mi sbatac- chiano tra l’armadio e la tavola.! La casa s’abbatte, il tetto si distacca; io istintivamente mi accosto all’armadio piegandomi sulle ginocchia, un forte colpo sulla testa e non ricordo altro. , Si sono aperte nelle vie voragini profonde, alcune della lar- ghezza di 50 o 60 c. m. Nelle case ancora in piedi si vedevano lesioni per cui poteva passare liberamente un uomo. Il terremoto si fece sentire, sebbene assai meno intensamente, anche a Lacco, Forio, Barano, Marassano. Nel primo paese ro- vinarono molte case e furonvi vittime umane. Si noti che Barano si trova dalla parte opposta dell’ Epomeo in posizione quasi sim- metrica a Casamicciola rispetto a questo. Il centro però del ter- remoto furono evidentemente i dintorni di Casamicciola. Nelle acque termo-minerali, che sgorgano tra Casamicciola e il mare dapprincipio si osservò un abbassamento di livello, ma poi in breve si sono rialzate, e pare non abbiano subìto alcun cambia- mento nella loro costituzione. In Casamicciola rovinarono per la scossa del 4 più o meno completamente 249 case. Ci furono 121 morti e 140 feriti. Si cal- cola ad oltre 900 mila lire il danno prodotto dalla sola distru- zione degli edificî. i Ecco l’effetto della scossa ondulatoria fortissima. 30. G. MERCALLI, La notte tra il 6 e il 7, alle 12.5 una nuova scossa leggiera venne sentita principalmente nella contrada Purgatorio (Casa- micciola) ed a Lacco; ed un altra, pure lieve, a mezzodì del 7. Nella notte dal 15 al 16 poco dopo le ore 12 avvenne a Ca- samicciola una terza scossa breve, ma forte, risentita a Lacco ed a Serrafontana, che si trova a sud dell’Epomeo in posizione quasi opposta a Lacco. Un rombo sotterraneo precedette di pochi mi- nuti la scossa. Ne patirono molto anche le case della parte in- feriore di Casamicciola, presso la marina, che erano state le più rispettate nella catastrofe del 4. Anche nella notte del 17 si avvertì un’altra lieve scossa a Casamicciola. Tutte queste scosse si limitarono all’isola d’ Ischia; però tanto la scossa del 4 come quelle del 15-17 furono immediatamente precedute e susseguite da un gran numero di movimenti sismici sulla penisola. Il giorno 2 marzo, alle ore 9.55 pom. si sentì una scossa leggiera a Cosenza, ed una più forte a Castrovillari, poi una leggiera scossa ondulatoria fu sentita alle 5.38 pom. ad Ornavasso (Val d’Ossola). Il giorno 3 verso le 4 di mattina si avvertirono scosse ondu- latorie e sussultorie quasi contemporaneamente in molti luoghi della Svizzera centrale ed occidentale, e dell’Italia dal piede meridionale del Monte Rosa fino a Vercelli ed a Monza. La notte 8-9 fuvvi una leggiera scossa a Resina ed il giorno 10 a 4.50 pom. una a Roma, ondulatoria in direzione est-ovest. Verso la metà del mese, quando a Casamicciola si ripetè il terremoto, anche su tutta la penisola si verificò un massimo sismico. Il giorno 11 ed il 12 si sentirono forti e numerose scosse a Foligno, poi tra il 14 ed il 15 quattro fortissime a Rieti. La mattina del 16 si avvertì una leggiera scossa ondulatoria OSO- ENE a Moncalieri, il 17 verso le quattro ant. una all’Ospizio di Oropa (Biella); la sera del 17 a Sora; e la notte del 17-18 a 2 ore ancora a Moncalieri. La sera del 18 alle 6.15 si ripetè una scossa, simile a quella del 3, a Riva Valdobbia, e la mattina del 19 un’altra scossa leggiera all’Ospizio di Oropa. I TERREMOTI DELL'ISOLA D'ISCHIA. 31 3. Natura dei terremoti ischiani. A questa rassegna dei terremoti ischiani aggiungerò alcune brevi considerazioni; allo scopo di indagare la natura dei ter- remoti stessi, ed i loro rapporti col focolare vulcanico dell’Epo- meo, al cui piede sono avvenuti. L’Epomeo da quasi 580 anni non ebbe più eruzioni. Ma que- sto lungo periodo di riposo non ci autorizza a porlo tra i vul- cani spenti; perchè esso presentò altre volte intermittenze an- che maggiori. Miglior indizio per sperare che non abbia presto ad erompere in nuovi incendî vulcanici è la natura delle sue emana- zioni, le quali non constano se non di acido carbonico, mentre in passato contenevano anche gli acidi dello zolfo, com’ è attestato dalle incrostazioni di questo corpo, osservate in vicinanza di alcuni degli attuali fumaioli a puro vapor acqueo. Per il riguardo chi- mico quindi si può ritenere, che l’attività vulcanica d’Ischia sia minore di quella dei vicini Campi Flegrei. * Allarmante invece è il risveglio dell’attività sismica nel secolo attuale. Poichè, come si vede nel Quadro, dal 1302 al 1812 non trovai registrato nessun terremoto. E sebbene possa essere che di alcune leggiere scosse non si sia tenuto nota; è certo che vio- lenti e disastrose non ne avvennero. Invece dopo il 1812 con- tiamo già in Ischia più di 15 terremoti, due dei quali disastrosi e varî altri molto forti. I terremoti d’Ischia sono evidentemente da classificarsi tra i terremoti vulcanici propriamente detti*® per le seguenti ragioni: 1 Forse però li supera per il calore. Imperocchè in essa sono molto numerose le fumarole e più ancora lo sorgenti termo-minerali di quasi 100° C. di temperatura. In molti luoghi poi, appena sotto il suolo il termometro segna un’alta temperatura (87,5 C. per es., alla marina dei Maronti). ? Intendo non solo non indipendenti totalmente dai focolari vulcanici (come sono i terremoti prodotti da accidentali scoscendimenti sotterranei), e neppure solo indiret- tamente influenzati da questi — come sono i terremoti perimetrici (Stoppani) 0 peri- ferici (Suess) — ma invece legati immediatamente al focolare dell’ Epomeo, come lo sono a quello dell’Etna i terremoti che agitano i suoi fianchi, ordinariamente a poca lontananza dalle eruzioni. 5). _ G. MERCALLI, 1.° Avvennero sul fianco od alla base di un vulcano (l’Epo- meo), che si deve considerare come attivo od almeno non per- fettamente spento. 2.° Sono distribuiti su tante rette irraggianti dell’asse nor- male o principale dell’Epomeo; e spesso trovammo nelle descri- zioni riferite, che le scosse od i rumori, che le accompagnavano, parvero provenire da esso. Molte volte le scosse si sentirono con- temporaneamente in punti situati simmetricamente su due fianchi opposti dell’Epomeo. Finalmente in uno stesso terremoto le scosse furono, in generale, più forti verso il centro dell’isola, presso l’asse dell’ Epomeo; più deboli lungi da questo, verso la marina. Per esempio, i due terremoti del 1828 e del 1881 agirono su una stessa linea determinata dall’asse dell’ Epomeo, dalla parte alta di Casamicciola e da Lacco; e l’intensità delle scosse andò de- crescendo dalle parti superiori alle parti inferiori di detta linea, che rappresenta una generatrice del cono dell’Epomeo. 3.° Furono più frequenti, e più violenti nella parte setten- trionale dell’isola, nella quale si sfogarono anche tutte le eru- zioni storiche. In particolare poi Casamicciola si trova a poca distanza dalla spaccatura del 470 av. C., da cui sgorgò la tra- chite di Marecocco e Zale, e da quella del 400-452 av. C.,! su cui si formò il cratere di Monte Rotaro. Il trovarsi questo infelice paese sopra una porzione dell’ Epomeo, circondata da varie e recenti fratture sotterranee, può forse spiegarci, perchè esso sia stato colpito più fortemente delle altre parti dell’isola dai moderni terremoti; e fa pur troppo temere, che tale sorte sventurata lo attenda anche in avvenire. 4.° Tre terremoti ischiani (quelli del 1827, del gennaio 1863 e del luglio 1880) si irradiarono dal fianco nord-occidentale del- l’Epomeo fino alle isole Ponzie.° Qualcha volta, come nel 1867 e 1 FucgSs, Op. cit. A me pare, che l’esistenza di queste fratture sia anche rivelata dalla maggiore abbondanza di sorgenti termo-minerali e di altre manifestazioni en- dogene in questa parte dell’ isola. 2 Questa frequente coincidenza dei terremoti di Ischia e dell’isole Ponzie sarà essa casuale? Non è probabile che dipenda dall’esistenza d’una frattura sotterranea diretta da E. S. E. ad O. N. O., sulla quale sarebbero distribuiti gli assi eruttivi principali dell’isola d’Ischia e delle isole Ponzie? I TERREMOTI DELL'ISOLA D'ISCHIA. 33 nello scorso luglio 1880, le scosse dall’ Epomeo irradiarono verso Napoli ed il Vesuvio. Invece pare che anche i più violenti terre- moti napoletani non si sieno risentiti, almeno fortemente, in Ischia. Tali furono, per esempio, quelli del 1570, 1594, 1665, 1688, 1694, 1857. Solo nel terremoto di Melfi del 1851 la scossa si propagò anche all'isola d'Ischia. Mi pare adunque si possa stabilire che, in generale, V_Epomeo non riceve i terremoti da altri radianti, ma è esso stesso centro e radiante sismico dei terremoti ischiani; ed anche di taluni terremoti di altre regioni, come le Ponzie ed il Napoletano. 5.° Uno dei terremoti ischiani (quello del giugno 1828) fu accompagnato da esplosioni di gaz; nell’occasione degli altri in generale si osservarono molto notevoli mutamenti (permanenti o momentanei) nelle fumarole e nelle sorgenti termo-minerali. Il che indica, che tanto questi fenomeni, come i terremoti dipendono da una stessa causa; la quale quindi non può essere se non l’at- tività fisico-chimica del focolare eruttivo dell’Epomeo, non per- fettamente spento. 6.° Ambedue i massimi terremoti del 1828 e 1881 furono fortissimi e disastrosi e nello stesso tempo si fecero sentire sopra un’area molto limitata. Questo non accade nei terremoti perime- trici, i quali ordinariamente hanno una sfera di azione più o meno proporzionale alla intensità del fenomeno. Invece disastrosi e nello stesso tempo molto circoscritti sono spesse volte i terremoti vul- canici propriamente detti. Cito, come molto somiglianti per questo rapporto ai due grandi terremoti ischiani, i recenti terremoti etnei del 18-19 luglio 1865 e del 7-8 gennaio 1875. Nel primo venne completamente distrutto il villaggio di Fondo di Macchia, mentre patì assai poco il paese di Macchia, situato a poco più di un chilometro di distanza, ed a Catania non venne neppure avvertito. Il secondo fu rovinoso ad Aci Reale e non risentito a Catania, a pochi chilometri di lontananza. È noto però che alcuni (tra cui l’illustre prof. Palmieri, in una lettera pubblicata nei giornali di Napoli del 7 marzo) non ritengono il recente terremoto ischiano di origine vulcanica; ma Vol. XXIV. 3 TA ye 34 G. MERCALLI, invece causato da sprofondamenti sotterranei accidentali deter- minati dalla forza erosiva delle acque termo-minerali. Adducono quali argomenti, che il terremoto interessò un’area molto ri- stretta, e che non venne risentito dal sismografo vesuviano. Ma, quanto alla prima ragione, ho di già osservato, che l’avere un’area ristretta non è proprio soltanto dei terremoti di scoscen- dimento, ma anche dei terremoti vulcanici propriamente detti. Ora aggiungo, che anche gli altri più forti terremoti d’ Ischia (quelli del 1828, del 1841, del 1875, ecc.), furono ristretti ad alcuni punti dell’isola. E tuttavia per le considerazioni fatte sono da ritenersi di origine vulcanica. Parlando poi dell’attuale terremoto, esso è tanto rassomigliante a quello del 1828,* che sarebbe affatto irragionevole attribuirli a cagioni del tutto diffe- renti. Orbene, se si dovesse ritenere come causa di queste ca- tastrofi l’erosioni sotterranee delle acque termo-minerali, si po- trebbe domandare, perchè durante i 500 e più anni, corsi tra il 1302 ed il 1812, non riescirono le acque a determinare nessun terremoto; ed invece dopo quest’epoca ne avrebbero causati varì e tanto disastrosi a sì brevi intervalli ? Quanto poi al secondo argomento, osservo, che dal non essere stato avvertito il terremoto dal sismografo vesuviano non pare si possa concludere niente sulla sua natura; imperocchè varie volte accadde, che anche durante scosse accadute in Napoli, il sismo- grafo del Vesuvio sia rimasto tranquillo. Questo, per esempio, si osservò il 12 marzo ed il 6 dicembre 1874, come pure il 3 ago- sto 1876. Del resto l’essersi risentito il terremoto in punti lontani, come sono Casamicciola, Lacco, Forio, Barano, Serrafontana (la scossa del 15-16) è gia un fatto inesplicabile nell’ipotesi di un terre- moto prodotto da un locale scoscendimento sotterraneo. ! Ambedue: 1.° furono disastrosi e ristretti ad una piccola area; 2.° ebbero per cen- tro Casamicciola e si propagarono su una stessa linea verso Lacco; 3.° furono prece- duti, pochi mesi prima, da due terremoti pure molto rassomiglianti tra di loro, quello dell’11 aprile 1827 e del 24-23 luglio 1880; 4.° ambedue finalmente presentarono la scossa maggiore nei primi giorni del mese, e si ripeterono, meno forti, verso la metà del mese in coincidenza colle Sîzigie. I TERREMOTI DELL'ISOLA D'ISCHIA. 35 Solo, a mio credere, si può ammettere che le escavazioni sot- terranee causate dalle acque termo-minerali, ed anche quelle im- prudentemente praticate dagli abitanti di Casamicciola al di sotto del loro paese, onde estrarre la marna per le fabbriche di tegoli, mattoni e stoviglie, abbiano concorso, come cause accidentali, a rendere più terribile la catastrofe in Casamicciola. Già lo storico anonimo del terremoto del 1828 (nella Biblioth. Universelle) av- vertiva quanto potessero riescire pericolose le escavazioni fatte sotterra senza nessuna regola in un paese tanto soggetto ai terremoti. Non ultimo argomento a favore della natura vulcanica dei ter- remoti d’Ischia, è la probabile influenza esercitata sopra di essi dalla attrazione luni-solare. Come si vede nel Quadro compara- tivo riferito, sopra 17 casi per 13, il giorno del terremoto dista © meno di 3 giorni dal plenilunio o dal novilunio, e taluna volta c’è o coincidenza o quasi immediata successione. Ed a questo proposito è particolarmente rimarchevole la distribuzione dei ter- remoti del corrente mese tanto di Ischia come di tutta la peni- sola. Nell’ ultimo di febbraio ci fu il novilunio, il 2, 3, 4 si suc- cedettero i terremoti dalla Svizzera fino a Cosenza, ed il Vesuvio si rianimò alquanto. Tra il 4 e 1’11 corre un periodo di quiete relativa; solo qualche scossa assai debole in Ischia ed altrove. Il giorno 15 abbiamo il plenilunio, ed in coincidenza i movimenti sismici forti si ripetono in tutta la penisola. Non ostante tali fatti non si creda ch’io voglia considerare l’attrazione luni-solare, nè come unica nè come principale causa dei terremoti e delle eruzioni; imperocchè egli è certo che moltissimi terremoti avven- gono anche quando la luna è nelle quadrature, ossia in condi- zioni assai sfavorevoli per esercitare la sua influenza attrattiva sulla terra. Mi pare tuttavia che le coincidenze ora accennate non possano essere del tutto casuali; e che però nei terremoti d’Ischia l’attrazione luni-solare abbia agito almeno come causa secondaria; forse come causa prossima determinante il fenomeno sismico già preparato dalle forze vulcaniche ancora attive sotto l’ Epomeo. 36 G. MERCALLI, Finalmente se riflettiamo che il Quadro comparativo sopra ri- ferito e la storia dei terremoti ischiani ci mostrarono, che essi non sono fenomeni isolati; ma spesso si trovano evidentemente in rapporto cogli altri avvenimenti sismo-vulcanici della penisola; sarà facile vedere in ciò un altro argomento, per non riferirli ad una cagione affatto locale e casuale, quale sarebbe uno sco- scendimento sotterraneo. E giacchè ho toccato dei confronti fatti nel Quadro, giova avvertire, che da essi risulta, che i rapporti esistenti tra i feno- meni sismo-vulcanici dell’ Epomeo e quelli degli altri focolari at- tivi vulcanici italiani consistono in ciò che qualche volta, ma solo raramente, si verifica tra di loro perfetta coincidenza, ordina- riamente invece più 0 meno vicina successione. La quale conclu- sione verrà meglio compresa e confermata paragonandola con quelle, a cui si giunge collo studio comparativo delle materie emesse dall’ Epomeo e dagli altri vulcani italiani. La composizione chimico-mineralogica di tutte le lave ischiane è grandemente diversa da quella delle rocce eruttate contempo- raneamente dal vicino Vesuvio-Somma. Basti dire, che tutte le lave moderne del Vesuvio e quasi tutte le antiche del Somma sono basalti leucitici, contenenti sempre dal 30 al 40°/, di leu- cite e raramente qualche piccola quantità di feldspato sanidino; invece le lave d’Ischia sono tutte trachiti sanidimiche prive af- fatto di leucite, e formate forse il 50 °/, interamente di sanidino. Ne segue, che anche la loro composizione chimica complessiva è molto diversa. Le prime contengono 49,74 °/, di silice in media, le seconde 61,48 °/,. Quanto alle basi, differiscono maggiormente negli ossidi di ferro e nella calce; complessivamente le prime ne contengono 20 °/ in media, le seconde 7,36 °/0.! Tanta diversità tra i prodotti del Vesuvio-Somma e dell’Epo- meo mostra chiaramente, che non esiste una diretta comunica- i Queste medie sono calcolate sui risultati di 32 analisi eseguite da Fuchs e da altri autori per le lave del Vesuvio ‘e di 12 analisi eseguite da Fuchs e von Rath per quelle di Ischia. — RATH (Geogn. Mineralog. Frag. aus Italien, I Th.) crede aver trovato traccia di leucite nella lava dell’Arso; ma Fuchs non ve ne rinvenne. I TERREMOTI DELL'ISOLA D'ISCHIA. 37 «zione di materia tra i due focolari vulcanici. E ad un simile ri- sultato si verrebbe anche confrontando le lave ischiane con quelle di Roccamonfina, del Vulture, dell’ Etna, delle isole Eolie ed in genere di tutti i vulcani italiani, eccettuate quelle dei Campi Fle- grei, colle quali solamente le prime hanno notevole rassomiglianza. Come si conciliano questi due fatti, apparentemente contrad- dittorì — la indipendenza del focolare dell’Epomeo dagli altri fo- colari vulcanici, anche più vicini, e le numerose relazioni esistenti tra le loro manifestazioni? — Mi pare che a tale questione si trovi una soddisfacente soluzione, supponendo (come già feci in altro mio scritto ragionando dell’isola Vulcano '), che tra #0 focolare vul- canico dell’ Epomeo e gli altri focolari vulcanici italiani non vi sia una diretta e libera comunicazione di materia; ma neppure una totale indipendenza; invece passino tra essi quei rapporti dinamici e termici, che naturalmente conseguono dalla comune dipendenza da uno stesso sistema di fratture di sollevamento. In ogni modo in mezzo all’oscurità ed al mistero, che regna an- cora in questa parte della fisica terrestre, a me pare dimostrato (anche dalle cose dette nella presente nota) almeno questo, che una vera teoria vulcanologica : 1.° non può ammettere, che i magma lavici sotterranei si trasportino liberamente da uno ad un altro focolare sismico-vulcanico; 2.° deve dar ragione della singolaris- sima distribuzione dei fenomeni sismo-vulcanici nello spazio e nel tempo, ossia del loro evidente concatenamento topografico e cro- nologico.* Monza, 27 marzo 1881. i G. MeRcALLI, Contribuzione alla Geologia delle îsole Lipari, negli Atti Soc. it. di Sc. Nat. 1879. ? Mentro questa mia Nota era già in mano dello stampatore i giornali mi porta- rono la notizia, che un’altra scossa leggiera venne sentita a Casamicciola alle 6.35 ant. del giorno 27 marzo. Si noti che nel 30 di detto mese cade il novilunio. — Il P. Denza poi fece sapere, che la notte del 28 al 29 a 12.30 fu sentita a Demonte in Val di Stura una scossa ondulatoria da est'ad ovest, e della durata di 5 secondi; e che una leggiera scossa ondulatoria si avvertì alle 9.10 pom. alla Spezia. SULLA CAUSA DEI TERREMOTI. Nota del D PANTALEONE LUCCHETTI comunicata nell’ adunanza del 27 febbraio 1881. Le scosse di terremoto di intensità abbastanza notevole che si verificarono nelle ore pomeridiane del giorno 24 dello scorso feb- brajo, nonchè durante la notte ed il mattino successivi, con cen- tro a Bologna ed un diametro da Firenze a Verona, ebbero per effetto di ricordarmi anche troppo come di questo strano ed im- ponente fenomeno non solo non se ne possegga una spiegazione accertata, ma neppure ne sia data una teoria che meriti vera- mente di essere detta molto verosimile.' Questo riflesso ebbe la sua conseguenza naturale: quella di invogliarmi a trovare una spiegazione che, almeno a mio parere, non lasciasse tutto da de- siderare, e mi riuscì di formulare la seguente. Nell’interno del globo, a profondità, del resto, relativamente non rilevanti, sieno, come pure si ammette, sorgenti di gas o di vapori° — questi gas o vapori, verranno a raccogliersi in inter- i Trovo massima l’opportunità di far rilevare la data di questo mio lavoro. ? Questa, certamente, non è più una semplice supposizione, infatti: « lo sviluppo del gas acido carbonico e dei carburi di idrogene provenienti dalla carbonizzazione è talvolta sì abbondante da dar luogo a vere sorgenti di gas.» CREDNER, Traité de geologie et paléontologie, traduzione di Monniez, ediz. Savy, 1878, pag. 253; e più in- nanzi « la quantità di acido carbonico che risulta dalla carbonizzazione delle masse vegetali è grandissima, » Ed anche il Fuchs (Volcans et tremblements de terre, edi- zione francese della biblioteca internazionale) dopo avere perfettamente ammesso, come il Credner, l’ingente quantità di gas che si sviluppano durante i fenomeni di carbo- nizzazione, aggiunge (pag. 155). « I terreni antichi non contengono, è vero, sostanze organiche, ma ne contengono di minerali capaci di essere trasformati in gas per rea- zione chimica. » SULLA CAUSA DEI TERREMOTI. 39 stizî o cavità della crosta terrestre! — ed arriverà un momento che fra quella sorgente di sostanze aeriformi e la superficie ter- restre si troverà come una enorme spuma di materiali solidi di- visi da vaste concamerazioni ripiene di sostanze aeriformi. Ora queste diverse concamerazioni saranno pervie verso punti diversi della regione attiva e, quindi, sia per la diversa inten- sità di reazione gasogena nei diversi punti, sia per la quantità diversa di massa attiva che si scarica per questi diversi punti, ne seguirà, col tempo, che una concamerazione, o bolla, potrà raggiungere una tensione molto maggiore di una sua vicina e di tanto che ad un dato momento quella scoppierà dal lato di questa per scaricarvisi “; al momento dello scoppio poi la prima bolla entrerà in pulsazione e si avrà la scossa sussultoria *; indi, per l’identica ragione che l’ organetto idraulico retrocede quando se ne lascia fluire l’acqua, quella stessa bolla tenderà a spo- starsi in direzione opposta alla scarica, e l’altra bolla a sua volta, darà la reazione e, nella somma, ne verrà la scossa ondutatoria che generalmente accompagna e succede alla sussultoria. 1 Per coonestare questa particolarità valga il ricordare che i signori Angelot e Naumann nella loro teoria di potenti fluttuazioni nell’ interno della terra, come causa dei terremoti, ammettono pure grandi quantità di gas e di vapori che si sviluppano nell'interno del globo e che sî raccolgono în punti determinati. ? La tensione diversa nell’interno delle diverse bolle può anche seguire dal fatto che alcune bolle sono, o più abbondantemente delle altre, irrorate dalle acque sot- terranee, nel qual caso la tensione vi deve scemare per le grandi quantità di gas che vengono disciolti dalle acque; come ne abbiamo appoggio nel fatto che: (Fucns, opera citata, pag. 253) « quasi tutte le sorgenti di acqua portano nell’ atmosfera gas che attingono nell'interno del suolo. » ® Anche quest’asserzione possiamo illustrarla colle seguenti parola che togliamo al Fuchs (pag. 147). « Quando gas, o vapori, si trovano rinchiusi ad un’alta pressione in un tubo chiuso, alla lampada, le pareti di questo tubo resistono tranquillamente fino a che iltubo rimane chiuso; mentre spesso scoppia al momento stesso che si apre. Il tubo ha resistito all’interna pressione, ma il momento che la resistenza, pel fatto del- l'apertura cessa in un punto, si produce un grande disquilibrio di tensione; di fatti in vicinanza all'apertura il gas non ha più che la tensione atmosferica, mentre a poca distanza ha ancora la tensione primitiva. Si forma adunque una corrente nel gas, cor- rente che si propaga per ondulazioni e che rompe il tubo. Quando la pressione è troppo debole per rompere il tubo, questo manifesta una scossa vibratoria analoga alle scosse di terremoto, » 40 P. LUCCHETTI, Le bolle poi che si trovano dattorno a quella scoppiata ven- gono, perciò solo, a trovarsi aumentata la probabilità di scoppio; cioè: per la reazione venuta a mancare, tenderanno a farsi strada in quella, e c'è tutta la probabilità che dopo qualche tempo rie- scano alla lor volta a scaricarvisi, e si hanno così le diverse scosse, che, dopo una prima, quasi sempre si succedono ad intervalli di alcune ore (come anche avvenne nel caso attuale in cui si ebbe una prima scossa alle ore 54/, di sera del giorno 24 — una se- conda alle ore 2 '/, della notte successiva, ed una terza alle ore 74/4 del successivo mattino, oltre ad alcune altre intermedie di intensità molto minore. Con questo modo di vedere si spiegherebbe anche il fatto che si verifica talvolta, dell’indipendenza cioè delle scosse sussultoria ed ondulatoria; poichè se le due bolle sono sovrapposte, l’ effetto della pulsazione e della reciproca reazione, accadendo nella stessa direzione, si sommeranno e non si avrà che la scossa sussultorta. Se invece sono laterali, e quella scoppiante è allungatissima in senso verticale, allora la pulsazione riuscirà insensibile, mancherà quindi la scossa sussultoria e non si avrà che l’ondulatoria. Questo mio modo di vedere ha inoltre il vantaggio di assegnare una causa locale ad un fenomeno d’indole locale qual’è il ter- remoto, e di stabilire la sua indipendenza sia dalle circostanze esterne, sia dalle manifestazioni vulcaniche — che del resto spiega benissimo quando si verifichino; di fatti la teoria data dal Fuchs sulla causa dei terremoti vulcanici rispetto al mio concetto non ne diventa che una delle più strette modalità. ! Passando per un momento a discutere l’indole del fatto che io vorrei intravedere, quando cioè si mettano in evidenza le conse- suenze, per la superficie terrestre, di due bolle, una a forte, l’altra a minor tensione, che passano all'equilibrio, ne consegue subito il riflesso che gli innalzamenti di livello non potranno darsi che in via eccezionale, poichè il fatto dello scoppio della bolla nell'altra sta a dimostrare l’insufficienza della sua tensione a de- À Vi K. FUOHnS, lì 0. pag: 144-149, SULLA CAUSA DEI TERREMOTI. 41 terminare un sollevamento, mentre sarà facilissimo che allo scoppio — debba succedere un abbassamento, per l’ appoggio che in modo istantaneo viene a mancare alla parte del suolo che sovrincombe alla bolla. Or bene i fatti rispondono perfettamente alla conseguenza lo- gica della mia ipotesi, e siccome la enumerazione particolareg- | giata dei singoli casi sarebbe per una nota, cosa soverchiamente lunga, così mi accontenterò di riassumerli colle precise parole del Fuchs (pag. 140). “ Da quando si sono osservati scientificamente 1 terremoti per trarne la conseguenza dei loro fenomeni e con- seguenze, n0n si è mai potuto osservare, in migliaia di terremoti, neppure un caso di sollevamento. » (Mi preme di osservare che è lo stesso Fuchs che sottolinea la frase). Ed a pag. 141. “ La cosa è ben diversa pei cambiamenti di livello che si riferiscono ad abbassamenti subitanei prodotti dai terremoti , e ne constata il fatto quasi in ogni caso particolare di terremoto storico. Vediamo se il mio modo di vedere combina cogli altri fenomeni che chiamerei secondarî, ma che possono accompagnare un ter- remoto, quali. sono: il rombo precursore — la diminuzione, 0 l'aumento delle acque nelle fontane o nei pozzi, * nonchè lo sta- bilirsi di zampilli d’acqua — una certa coincidenza dei terremoti colle pioggie prolungate, o colla stagione dello squagliamento delle nevi — la profondità, relativamente, poco notevole, che sempre accade di dover ammettere come centro di un terremoto ? — ed, in fine, la successione delle scosse. 1.° Quanto al rombo precursore, col mio modo di vedere es- î FucHs, pag. 127 « Spesso, in coincidenza coi terremoti, si notano cambiamenti nelle sorgenti: questi cambiamenti sono dei più svariati ed opposti, în qualehe punto sì impoveriscono od anche sì esauriscono affatto — mentre în altro divengono più co- piose, od anche si formano nuove sorgenti in punti da prima aridi. » ? CREDNER, l. c. pag. 159 « Il risultato più notevole che siasi avuto fin'ora dallo studio dei terremoti è che il Zoro punto di partenza (il loro centro) trovasi relativa mente a poca profondità. » Infatti Seeback ammise alle profondità di due miglia geografiche il centro del terremoto di Germania (1872) — e Mallet ammise ad un mi. glio e mezzo il centro di quello di Napoli (1857). Lasacche avrebbe, trovato che il centro del terremoto di Reldue non trovavasi che alla profondità delle più antiche formazioni sedimentarie. 42 P. LUCCHETTI, sendo in gioco una violentissima corrente di gas che si scaricano, niente di più facile di trovarne la spiegazione e la natura, spe- cialmente quando si abbia riguardo al suo modo di manifestarsi, variabile dal sibilo, al brontolio, al tuono, ' modalità che si col- legano tanto bene con scariche di gas a diverse tensioni. 2.° Il fenomeno a tutta prima quasi paradossale che in un dato terremoto le sorgenti di alcuni punti impoveriscano, mentre altre in altri punti ne hanno incremento, riceve col mio concetto la più facile spiegazione — anzi, il fenomeno può esserne la più necessaria conseguenza: — due concamerazioni a diversa tensione si mettono in equilibrio, ne verrà che le acque che sono in rap- porto colla bolla a maggior tensione saranno assorbite, quelle che sono in rapporto coll’altra bolla saranno respinte, ed il doppio fenomeno potrà spingersi fino al punto di un totale esau- rimento da una parte, e di nuove scaturigini dall’ altra ed anche addirittura colla formazione di zampilli d’acqua, quali si sono notati fino a centinaia in un piccolo spazio, con getto a 20 e 25 metri di altezza.® Mi rimarrebbe ad accennare alla probabilità che le acque sotterranee sieno veramente nella sfera d’ azione di queste raccolte di gas, ma anche di questo nulla di più sicuro, sia perchè queste bolle sono a profondità non maggiori di 2 mi- glia geografiche, come ebbi a riportare, sia perchè (ed anche que- sto ebbi già a riportarlo in postilla) è ammesso “ che le acque di quasi tutte le sorgenti versano normalmente nell’ atmosfera dei gas che attingono nell’interno della crosta terrestre. , 3.° Due bolle poco o punto in disequilibrio di tensione e quindi con poca probabilità di scoppio, l'una, o per minore pro- fondità, o per una circostanza qualsiasi delle tante che è facile immaginare, sia più permeabile all'acqua che non l’altra, ne verrà che ai periodi delle forti piogge, od alla stagione dello squa- gliamento delle nevi, la tensione di quest’ultima potrà di molto essere diminuita pel fatto che una gran quantità di gas verrà i V. Fucxs, |. e., pag. 127. ? Vedansi le descrizioni del terrémoto degli Abruzzi e gli altri della valle del Mississipì e di S. Francisco in California. bella SULLA CAUSA DEI TERREMOTI. 43 disciolta ed esportata dalla circolazione sotterranea delle acque che vi si viene a rendere più copiosa ed attiva; per questo solo fatto accentuandosi sempre più il disequilibrio di tensione delle due bolle, ne consegue immediatameute una probabilità di scoppio — nulla adunque di più facile che le scosse di terremoto sieno in un certo qual rapporto cogli accennati periodi climaterici. | 4.° Con questo mio modo di vedere e per quel che dissi più innanzi, la causa del terremoto si troverebbe ad una profondità, relativamente, poco notevole, e, più precisamente, ad un livello non inferiore dei più antichi terreni geologici, gli è adunque per- fetto l’accordo colle risultanze dei computi fatti in base alle os- servazioni dirette, risultanze che sono appunto riassunte dal Fuchs con questa precisa frase: “ ‘il centro di un terremoto non si è mai trovato ad una profondità maggiore di 2 miglia geografiche, del livello cioè dei terreni sedimentarî più antichi. , 5.° Il fatto poi della successione delle scosse in un dato ter- remoto è, come si vide, uno dei meglio spiegati dalla mia inter- pretazione, mentre rimane uno dei più compromettenti, per ogni altra teoria che sia stata esposta fin’ ora. Il Fuchs tenderebbe ad ammettere come multiforme la causa dei terremoti, e fa subito una marcata distinzione fra la causa dei terremoti vulcanici e quella dei non vulcanici; la prima si collegherebbe abbastanza bene col mio modo di vedere ; la seconda sarebbe data dai vuoti che si formerebbero nell'interno della crosta terrestre sia per l'esportazione di roccie solubili fatta dalla circolazione sotterranea delle acque, sia per la diminuzione di volume delle masse vegetali durante il processo di carbonizza- zione; interpretazioni, queste, che ammetterei volentieri riguardo alla causa dei lenti abbassamenti di livello che si verificano in alcune regioni (Scandinavia, Danimarca, ecc.), ma che non credo possa essere accolta rispetto ai terremoti. — Difatti l'indole gra- duata e lenta della causa mal risponderebbe ai ‘caratteri di vio- lenza di un terremoto; ma quando pure si volesse rinunciare a questa obiezione, se ne dovrebbero muovere due altre ben più gravi, e cioè: che la scossa dovrebbe essere unica, ed un terre- 44 P. LUCCHETTI, moto dovrebbe sempre essere accompagnato da un abbassamento di livello. a Il Fuchs le prevede entrambe queste obiezioni e risponde alla prima ammettendo che il terreno soprastante ai materiali che vengono esportati, o carbonizzati, da prima faccia da volta, e che ceda poi a un tratto, e che l'abbassamento avvenga per “ sac- cades ,; dichiaro che pur volendogli menar buona la prima parte dell’ asserzione, la seconda riesce inaccettabile ; come mai una volta può rovinare, discendendo fino ad un certo punto, in cui trova tanto appoggio da spegnervi l'enorme forza viva acquistata e da arrestarvisi, per dover poi riprendere la discesa qualche ora, e talvolta qualche minuto appena più tardi? — come mai questo giuoco per sè tanto inconcepibile può ripetersi 5-6-10 volte quasi ad ogni terremoto? Anche la spiegazione data dal Fuchs pei casi, che pur si danno, di ferremoti non accompagnati da abbassamenti di livello, non mi pare la più felice. Egli dice: * “ il terreno da prima fa da volta, poi della volta precipita una porzione inferiore, mentre la superiore, e quindi la regione sovrastante, rimane in posto. Già mi par poca la probabilità che di una volta non crollino che gli strati inferiori, ma anche minor grado di probabilità mi pare che ab- biano gli strati superiori di rimanere in posto non tanto pel mancato appoggio, quanto per le scosse fortissime che ricevono al momento che gli strati inferiori giungono ai diversi punti di sosta della loro corsa “ saccadée. , Obiettai alla teoria altrui, e misi in evidenza per la mia il suf- fragio dei fatti — non spingerò però l’ audacia fino a concludere colla Sommerville ©: “ essere qualcosa più di un’ipotesi quella che collima con tutti i fenomeni con cui ha attinenza. ,» Bologna, 2 marzo 1881. L. c., pag. 156, i 2 SOMMERVILLE, On the physical sciences, pag. 37, ove, anzi, la chiama addirit- tura una leggo (law). SOPRA ALCUNE SPECIE RARE DI UCCELLI I NELLE MARCHE. Nota del Socio Prof. Luicr PAOLUCCI (Seduta 29 maggio 1881.) Nelle collezioni ornitologiche del R. Istituto tecnico di Ancona, ultimamente arricchite coi numerosi saggi raccolti dal cavaliere V. Bianchi, si trovano le seguenti specie di uccelli marchigiani, che credo meritevoli di nota speciale, o per la rarità loro in Ita- lia o per qualche nuovo fatto relativo al loro soggiorno nella pro- vincia di Ancona. | Le specie che qui ricordo possono dividersi in accidentali e sedentarie, secondo che apparvero una sola volta, ovvero sono fra noi indigene, o vi nidificano, o vi svernano. I. = SPECIE ACCIDENTALI. 1. Plectrophanes nivalis. Mey. et WoLr. Tasc. Deuts., p. 56 (Emberiza mivalis, L.). Diagn. Mas. giov. — Remiganti secondarie bianche alla base, le altre brune con sottile margine bianchiccio. Parti superiori bruno-ceciate con macchie nerastre, bene distinte nel dorso. Re- gione delle orecchie, cervice, lati del petto sfumati di ruginoso. Mas. adulto. — Remiganti secondarie con una macchia nera più o meno sfumata all’apice, nel resto candide come le cuopri- trici corrispondenti. Parti superiori miste di ceciato e di nero. 46 L. PAOLUCCI, Parti superiori della testa e del collo lionate. Parti inferiori can- dide sfumate di lionato ai lati del petto e nei fianchi (mihi). Registro la comparsa di questa rara specie nelle Marche, so- pra 4 individui, di cui uno venne preso vicino alle mura di An- cona durante il rigoroso inverno del 1879, e 3 furono da me uccisi accanto alla spiaggia di Falconara nella prima quindicina. — di dicembre del 1880. | Ne trovai uno strupo di circa 50, i quali mostravansi fiducio- sissimi, tutti intenti alla ricerca dello scarso cibo fra le ghiaie marine. Emettevano delle voci di richiamo, deboli, brevi, e scop- piettanti, simili a quelle che fanno sentire gli strillozzi. 2. Emberiza caesia. CRETZSCHM. in Riipp. Atlas Vòg. p. 17, tab. 10, fig. 6. Diagn. mas. — Dorso rossiccio con strie nerastre; testa e una larga fascia nel gozzo cenerini. Gola, mustacchi, penne ciliari e parti inferiori fulvo-ruginose (T. Salvadori. Ornit. Ital. Milano, Vall., 1872). Di questa specie propria della Siria, dell’ Egitto e della Gre- cia, vidi un maschio nel maggio del 1873, preso nelle vicinanze di Ancona insieme ai comuni ortulani, e che va aggiunto agli al- tri 4 individui catturati in Italia, di cui 2 in Liguria (Durazzo) e 2 in Sicilia (Malherbe, Doderlein). 3. Cygnus olor. Vieill. N. D. IX, p. 37. (Anas olor. Gm. Cy- gnus gibbus. Bechs). Diagn. adul. — Becco rosso con l’unghia, i margini e la base nera, come pure le redini e la fronte. Sulla fronte una protube- ranza carnosa nera. Tutte le piume bianche; piedi nero-rossastri (T. Salvad. l. c.). Un bell’esemplare di questa specie osservata finora in Pie- monte, in Lombardia, nel Veneto, nel Nizzardo, in Liguria, in Toscana e nel Romano, fu preso verso il Porto di Recanati nel- l'inverno del 1869. Erano tre individui che sorpresi dalla bur- rasca e ivi spinti probabilmente dai mari orientali d’ Europa, re- starono varî giorni nuotando accanto alla riva. 4. Colymbus arcticus. Linn. S. N. t. p. 221. (Eudites arci cus. Illig.). SOPRA ALCUNE SPECIE RARE DI UCCELLI, ECC. 47 Diag. Giov. Parti superiori di color bruno-cenerognolo senza macchie, volgente al cenerino-bruno sul pileo e sulla cervice. Parti inferiori bianche (Salvad. 1. c.). Parte del becco soprappo- sta alle narici spianata; mascella superiore leggermente curva in basso (P. Savi. Ornit. Tosc. III, p. 28). Accerto il punto italiano e forse europeo più meridionale di questa specie abitatrice della Russia settentrionale (Brehm), dei «mari artici e dei laghi svizzeri (Temminck), ricordando due indi- vidui giovani catturati presso Ancona alla foce dell’ Esino, uno nel 1860, l’altro nel 1878, il quale parmi degno di maggior at- tenzione perchè vestito in parte della livrea adulta, rappresen- tata da alcune macchie bianche quadrate nel dorso. 5. Pelecanus onocrotalus. Linn. S. N. I., p. 915 (Pelec. phi- lippensis. L., juv.) Diagn. Tutte le piume color bianco-roseo, tranne il vessillo interno delle remiganti primarie e secondarie che è grigio-nera- stro e le piume del gozzo giallognole-sudicie. Piedi e sacco della gola carnicino-giallicci (Salvad. I. c.). Verso la fine d’estate del 1866, ne capitò un branco di pa- recchi individui presso il M. Conero e due fra essi furono uc- cisi. Restarono alcuni giorni, ora salendo la costa, ora ripigliando il mare. 6. Phalacrocorax graculus. Leacn. Cat. Mamm. and. Birds Brit. Mus., p. 34 (Phalacr. cristatus. Dum. in SAvI. Pelecanus graculus. L. Carbo Desmarestii. Pavr. Carbo leucogaster. CARA.). Diagn. giov. dopo la prima muta. Becco piuttosto lungo e sot- tile; coda mediocre di 12 timoniere (Salvad. l. c.). Parti supe- riori di color nero-verdone, colle scapolari e quasi tutte le cuo- pritrici delle ali orlate di nero; alcune cuopritrici esterne bruno- rossigne, bianchiccie all’apice. Pileo senza ciuffo. Parti inferiori bruno-nerastre variegate di bianco, di rossigno e di verdone. Redini gialle, piedi giallicci sfumati di nero lungo il dito esterno e nel bordo della membrana interdigitale. (mihi). L'individuo che qui registro fu ucciso presso il littorale adria- tico nell’inverno del 1877. DAGrO: : 48 L. PAOLUCCI, È rimasta incerta fino ad oggi l’esistenza di questa specie nel- l’Italia continentale, essendo stazionaria soltanto in Corsica e in Sardegna, d’onde pare siasi spinto talvolta in Liguria (Du- razzo) e in Toscana (Savi). L’esemplare delle nostre collezioni è in qualunque modo il primo, che io sappia, catturato nell’Adria- tico, ove più probabilmente sarà stato spinto dalle burrasche del Mediterraneo. II. — SPECIE SEDENTARIE. 7. Anthus cervinus. K. et BL. Wirbelt., p. 48 (Motacilla cervina. PALL. Anthus rufogularis. BREBM.). Diagn. — Parti superiori cinereo-olivastre con grandi mac- chie nere anche sul groppone. Sopracciglio, parte anteriore del collo e parte superiore del petto color fulvo-vivo ; il resto delle parti inferiori ceciato con macchie longitudinali nere ai lati del petto e sui fianchi (Salvad. 1. c.). Quasi tutti gli anni ho trovato qualche esemplare di questa specie nel mercato di Ancona, frammista al comunissimo Anth. pratensis Bechst. e catturato con questo accanto alle spiaggie in aprile durante l’epoca del passo. Anni fa ne uccisi pure uno che osservai somigliantissimo alle pispole nel volo e nel canto. Ritengo dunque questa specie non molto rara fra noi, ove forse può giungere con facilità deviando dalla sua strada con- sueta di Dalmazia. Constato intanto pel primo la sua esistenza nelle Marche. 8. Pyrophthalma melanocephala. Bp. Uce. Eur., p. 37 (Mo- tacilla melanocephala. GuL. Sylvia melanocephala. LatE. Sylvia ruscicola. VIEILL.). i Diagn. — Superiormente cenerino-nero (mas.), o cenerino- rossiccio (fem.). Pileo nero (mas.) o del colore del dorso (fem.). Gola bianca. Coda lunga, graduata, bianca esternamente (Savi. Ornit. Tosc. I, p. 267). Sebbene il prof. Salvadori abbia incontrato questa specie ra- rissime volte nelle Marche, pure tutti gli annì essa sverna nei SOPRA ALCUNE SPECIE RARE DI UCCELLI, ECC. 49 colli littorali che si estendono da Ancona al M. Conero. In tutti gli inverni non molto rigorosi possono osservarsene dal dicembre al febbraio con molta facilità lungo la strada sulle siepi e fra le boscaglie, ove continuamente s’agitano di ramo in ramo, fa- cendo spesso sentire il loro monotono stek stek steretek. 9. Petronia stulta. Kaup. in Salvad. Ornit. Ital., p. 148 (Fringilla Petronia. Linn. Fringilla stulta. Gu.). Diagn. Mas. adult. Parti superiori grigie variegate di bruno- nero e di bianchiccio. Timoniere con una macchia bianca all’e- stremità. Una macchia giallo-citrina nel mezzo del petto (Salvad. Lie.) Giovani uscità dal nido. — Somigliano agli adulti, ma sono più bianchicci nella fascia sopracciliare, nella gola e nel petto ove manca la macchia gialla, e sfumati di olivastro nelle parti su- periori (mihi). Sebbene questa specie si trovi in ogni parte della penisola, tutti gli ornitologi italiani si sono fin qui accordati nel ritenerla stazionaria solo in Sicilia e in Sardegna (Salvad.). Posso da varî anni facilmente osservare che essa nidifica nelle vicinanze di Ancona, ove in ogni stagione può vedersi presso le mura della città verso Est e in maggiore quantità nella fortezza abbando- nata del Trave. Nidifica come esattamente riferisce Brehm (IMWustrirte Thier- leb.) nelle buche e nelle crepaccie delle vecchie mura, e il nido somiglia a quello dei passeri. In agosto e in settembre si tro- vano i nidiaci colla livrea che ho descritta. Predilige dunque i siti aridi e rocciosi ai boschi, e molto meno in questi nidifica, come molti asseriscono. In autunno e in inverno si riuniscono in strupi, sempre accorti e vigilanti, per cui riesce assai difficile avvicinarli. 10. Passerina melanocephala. Viriri. N. D. XXV, p. 28 (Emberiza melanocephala. Scop. Euspiga melanocephala. BPr.). Diagn. Mas. adul. — Pileo e lati della testa neri; dorso e groppone rugginoso. Parti inferiori di un bel giallo. Fem. Parti superiori grigio-rossigne con strie nerastre ; il grop- Vol. XXIV. 4 50 L. PAOLUCCI, SOPRA ALCUNE SPECIE, ECC. pone tinto di rossigno e di giallo. Parti inferiori bianchiccie; sotto-coda giallo (Salvad. 1. c.). | Pat Nel luglio 1877 ebbi con mia grande sorpresa una nidiata. con quattro piccoli di questa specie, trovati presso Ancona verso Est, nelle colline littorali; e un’altra con cinque piccoli nell’a- gosto dell’anno stesso. Guidato da tale scoperta, ho potuto fare le seguenti osserva- zioni su questa rara specie, da nessuno osservata fin qui nidifi- cante in Italia. Dal 1877 ad oggi, quasi tutti gli anni mi è riuscito vederne qualche individuo, posato sulle canne o sui nudi rami degli al- beri, o nei cespugli ove fabbrica il nido (che non mi fu dato di esaminare) nascondendolo, come mi disse chi lo trovò, a poca di- stanza dal suolo. A differenza delle altre Emberize teme poco l’appressarsi del- l’uomo, sebbene prediliga i siti selvaggi e solitarì. Non ne ho mai visti prima di maggio e dopo la fine di luglio. Ho potuto facilmente allevare i piccini, che sono cresciuti do- cilissimi e molto intelligenti. Due fra essi ancora viventi appre- sero facilmente il verso del fringuello e dell’ortulano dati loro a maestri. Il canto che fanno sentire naturalmente è breve e mo- notono, e si allontana da quello di tutte le altre Emberize. Non sembra dunque accertato che presi giovani, difficilmente soprav- vivano alla emigrazione autunnale. Confermo così la Passer. melanocephala fra le specie estive italiane. Le condizioni topografiche di Ancona facilitano la sua venuta dalla Dalmazia ove, come si sa, è uccello comune. " tool lb ) Seduta del 27 marzo 1881. Presidenza del Presidente comm. prof. E. CORNALIA. Aperta la seduta, il Presidente presenta il manoscritto inviato dal socio dott. ELvezio CANTONI, intitolato: Miriapodi di Lom- bardia, e il Segretario ne legge la introduzione. Esso è un elenco ragionato delle specie finora constatate nella regione, parecchie delle quali lo sono per la prima volta in questo lavoro. In com- plesso sono 75 le specie noverate dall'A. per le quali sono indi- cate la provenienza, i sinonimi più importanti e la distribuzione geografica in Italia e fuori. Tre specie figurano altresì come nuove per l’Italia e sono Julus luridus C. Koch, Polydesmus moniliaris C. Koch, Geophilus similis Newp. Intorno a questo lavoro, il segretario SORDELLI osserva che non vi sì trova annoverato il Pollyxenus lagurus, tipo distintis- simo ed isolato fra i nostri miriapodi, sulla cui determinazio- ne si tiene per conseguenza sicuro. Aggiunge di averlo più volte incontrato nei dintorni di Milano ed in particolare lo vide fre- quente sotto la corteccia dei platani del Vialone della R. Villa di Monza. La specie del resto è già registrata per altre regioni d’Italia ed in particolare pel Veneto dall’illustre Contarini. Il socio prof. MERCcALLI legge quindi intorno ai terremoti del- l’isola d’ Ischia, tessendone cronologicamente la storia dai più antichi tempi sino ai nostri giorni; ne descrive i fenomeni com- parandoli a quelli delle vicine regioni vulcaniche e mostra come per l’Ischia l’attività vulcanica sia in decremento, mentre allar- t ndenza del foco P aranaa ere fra questo © italiani quei “rapporti che conseguono o dalla PP artener stesso sistema di fratture di solleva vamento, senza che vi loro una libera e e , comunicaz zione di materia. nicazione, "Riza come Coi dite citi rie: alla stampa negli Atti. > ESRI È letto ed approvato il processo verbale della sedute feb- braio 1881. i ” Si passa per ultimo alla votazione per la nomina DLE tivi dei signori: si in ScanpER Levi barone comm. ApoLFO, di Firenze, pr pro) Ss dal | soci Antonio e G. B. Villa, e Sordelli. ari pa I Besta dott. RiccarDo, professore di Storia naturale Rik. Ta ASI di Ivrea, proposto dai soci Cattaneo, Taramelli e C. F. Pat; Sono entrambi ammessi all’unanimità. LA i basa SSR È s. Mi “ol ' K F. SORDELLI —_ _{_ | PR Pi | Segretario. | Seduta del 29 maggio 1881. / Presidenza del Presidente comm. prof. E. CoRNALIA. Il Segretario Sordelli dà lettura di una nota inviata dal socio prof. Lusi PaoLucci, Sopra alcune specie rare di uccelli nelle Marche, nella quale è fatto cenno della comparsa accidentale di sei specie, e della abituale dimora di altre quattro, nelle Mar- che, in particolare presso Ancona, e non prima indicate dagli ornitologi per quella regione. Indi il socio dott. MALFATTI legge ed in parte riassume ver- balmente il contenuto d’una sua Nota sugli insetti fossili. ita- liani finora conosciuti, enumerandoli secondo l’età del deposito in cui giacquero. Avverte come solo coll’ eocene di M. Bolca co- minci la serie di tali insetti, non essendosene sino al presente trovati, in Italia, di terreni più antichi. Accenna inoltre alla loro frequenza nel terziario superiore e nei più recenti depositi, nonchè alla difficoltà che spesso incontra la loro determinazione ed il controllo delle specie già pubblicate, per l’ insufficienza dei dati che intorno ai medesimi si posseggono. Terminata la lettura il Segretario Pini rammenta a tale pro- posito come in una gita fatta con alcuni amici alla cava di li- gnite di Leffe, in Val Gandino, gli avvenisse di raccogliere nella marna lacustre, interposta al combustibile, delle ali di Donacie, la cui presenza colà non fu per anco resa nota da alcuno; e promette al socio Malfatti di comunicargli i relativi esemplari. 54 SEDUTA DEL 29 MAGGIO 1881. È letto ed approvato il processo verbale della precedente tor- nata 29 marzo 1881. } Da ultimo il Segretario Sordelli annuncia che il socio Cas- siere trovasi impedito dall’ assistere alla seduta ed a nome di questi dà comunicazione delle risultanze dei bilanci, già discussi e stabiliti nella adunanza tenuta dalla Presidenza, in concorso. dei membri della Commissione amministrativa, il 28 corrente maggio. — Appare dal conto consuntivo (allegato A) dell’anno 1880 una totale entrata di L. 3695 65, ed una passività di L. 3695 59, delle quali L. 969 73 per il debito che la Società aveva verso il Cassiere; per cui risulta una rimanenza attiva di centesimi 6. — Nel preventivo (allegato 2) pel corrente anno si è calcolata un’ attività di L. 4420 06, ed una spesa di L. 2820; per cui verificandosi le esposte previsioni si avrebbe a fin d’anno un avanzo attivo di L. 1600 06. — Messi ai voti, entrambi i bilanci vengono approvati senza osservazioni. F. SORDELLI Segretario. ae St fe io sio SIR eu: 0 grana 77 die GA tdi © et e ante a LA Ò GATA TANT eo ERI et; } rta Fà DA raudunsttt 106 le bh io di 3), To mi, » a A = $a4 LI #£ 4g pei È; 1%. 3% = AL Seaivisia Blieto | At at H fi: Wiboh ue var Ept IO RO sit V> Le \ 4 TI 4 Li "i È mR, shit * [d a ! ‘ $ | sd d È. i si 4 A, I, si td ta LOS rs) Sa b i Ì » n si LA L, 56 È (Allegato A) BILANG Dal 1.° Genni Attività. 1 | Importo di N. 140 quote ad ital. L. 20 cadauna, cioè: N. 1 quota del 1877 pari aL. 20423 SO LL 187808, 0 LE saga, i SRTR79 Se I 7 106% 4, sa 1880.) 30° 300. SL N. 140 quote. Totale L. 2800 — |l 2800. TN 2| Ricavo vendita Atti e rimborso per copie a parte L. 665 | 3 | Dalla Segreteria per vendita Atti e libri diversi , 228 | 4 | Utile per cambio di N. 2 pezzi da 20 franchi . , 1| Totale attività. . . L. || 3695 | Passivo da dedursi . , || 3695 |: Rimanenza attiva. . L. || 0000 È Passività. | Alla Tipografia Rebeschini e C. per stampa | Atti e Circolari . | Al Litografo Ronchi. | A Mantovani per N. 7 incisioni in legno | Al Librajo Hoepli per somministrazioni li- brarie e porto libri . | Spese d’ Am- ( Postali . . . L. 109 53 ministra- < Porto libri. . , 18 95 zione Segr. e Canc. . , 72 98 | A Sordelli per rimborso porto libri da Calcutta . A Bergomi Andrea ajuto alla i A Sordelli Antonio per legatura di libri. | Stipendio agli inservienti . . . . . - O Passività al ristretto conti 1879 . . . | Totale delle Passività . Mandati 40 41 27 42 43 32 29.28. 30. 39 24, 29,29. 90, 94.33, 34, 36° 97,38 ” » "| ) eg / L. 3695 | 59 57 46 40 _6597-- Wi 58 (Allegato B) Attività. In cassa al ristretto conti 1 Gennajo 1881 . Importo di N. 55 quote arretrate a L. 20, cioè: N *6 quote:<[878% CRETA DR TASTI EOLO SSR RI Si OZ 1 ESA eten +1 Totale L. 1100 Importo di N. 142 quote pel 1881 ad ital. L. 20 Ricavo presumibile per rimborso copie a parte, e vendita Atti BILANCIO PREVENT 59 :R L'ANNO 41881. fe Passività. | Stampa Atti, Memorie e Circolari. . .. .. ... L. || 1800 | — fipionenemebitoamatia e... Leal, 150 | — Spese d’ Amministrazione, Posta, Segreteria . . , 200 | — Ai Librai Hoepli e Dumolard per associazioni di- verse e somministrazioni librarie... ._. . » 300 | — ljutocalla Segreteria. (00 «0/00 #10012710 008 (BI 150) — i... a... 30 | — TITO RR SER RE eo 190 | — L. | 2820 | — Attività presunta L. | 1600 | 06 L. || 4420 | 06 T_T" Seduta del 31 luglio 1881. Presidenza del Presidente comm. prof. E. CORNALIA. Nell’aprire la seduta, il Presidente annuncia con parole di vivo rammarico la recentissima perdita del nostro socio conte Ercole Turati, tanto benemerito delle scienze naturali, ed in particolare dell’ Ornitologia. Ne ricorda l’animo mite e generoso, i doni più volte fatti al Civico Museo in un col di lui fratello Ernesto, e la splendida collezione di uccelli da lui formata con assidue cure e ingenti spese. Il Segretario Sordelli, in assenza dell’autore, legge parte delle Note faunistiche sulla Val di Staffora, inviate dal signor FELICE MAZZA, studente di medicina nell’ Università di Pavia. In esse l’ Autore dà un cenno sommario della topografia locale ed indica i pochi lavori zoologici finora pubblicati e più o meno toccanti il territorio da lui percorso e studiato. Segue indi il catalogo delle specie che sommano a 20 mammiferi, 121 uccelli, 16 ret- tili e batracj, 6 pesci; a ciascuna specie dei quali aggiunge, quando n’è il caso, osservazioni sue proprie sui costumi, sul grado di frequenza, ecc. Chiude l’ elenco una lista dei nomi ver- nacoli, coi corrispondenti italiani e sistematici. Lo stesso Segretario legge in seguito la breve nota Sul? al- binismo dei mammiferi, colla quale il socio corrispondente DE MORTILLET aggiunge alcune sue osservazioni a quanto ebbe a trattare sullo stesso argomento il socio dott. Elvezio Cantoni. La nota de Mortillet si riferisce all’albinismo parziale e totale SEDUTA DEL 31 LUGLIO 1881. 61 nella talpa, nel tasso, nello scoiattolo, nei topi e nella specie umana. Il socio SorpELLI dà poi un Cenno sul giacimento a filliti sco- perto dal dott. Francesco Beltramini de’Casati nelle vicinanze di Bassano Veneto, dimostrando come i dati paleontologici fi- nora raccolti in esso giacimento e nel terreno che lo precede cronologicamente, lascino luogo a ritenere che si tratti di un lembo pliocenico marino, paragonabile a quelli che si osservano ai piedi delle Prealpi piemontesi e lombarde. Viene letto ed approvato il processo verbale della precedente tornata 29 maggio 1881. Si passa per ultimo alla votazione a scrutinio segreto sull’am- missione a socî effettivi, dei signori: Mazza FeLice, di Varzi, studente di medicina nella R. Uni- versità di Pavia, proposto dai soci Pavesi, Sordelli ed Elvezio Cantoni. NicoLis EngIco, di Verona, proposto dai soci Taramelli, Sor- delli e C. F. Parona. Vengono entrambi nominati all’ unanimità. Letto, seduta stante, il presente verbale, viene approvato. F. SORDELLI Segretario. NOTE FAUNISTICHE tha SULLA VALLE DI STAFFORA (VERTEERATI) del Socio FeLICE MAZZA StupENTE DEL II Corso pi MepiciNnA E CHirurGIA NELLA R. UniveRSITÀ DI PAVIA. La valle di Staffora appartiene alla provincia di Pavia, co- mincia in prossimità del villaggio Casal Staffora, finisce a Ri- vanazzano presso Voghera. È limitata da due catene di monti a severe selve di castagni, faggi e quercie, e da colline gessose, marnose e calcari, con svariatissima e piuttosto abbondante ve- getazione di foraggi, viti e frutta. La bagna il torrente Staffora, le cui sorgenti si trovano nel versante sud-est del M. Chiappo, e concorrono a formarlo anche alcuni rigagnoli, che scendono dal lato nord-ovest del M. Lesima; esso percorre senza una sen- sibile deviazione fino presso al villaggio di Fego, mantenendosi in una gola stretta, ripida e frastagliata; da Fego, ripiegandosi verso nord, va quasi diritto fino alla frazione Carro, dove, con un cambiamento piuttosto brusco, piega ancora verso nord-ovest dirigendosi a Varzi, e con andamento non molto variato va a mettere foce nel Po presso Cervesina, dopo aver percorso un tratto di 54 chilometri. Tocca nel suo corso i paesi di Bagna- ria, Godiasco, Rivanazzano e passa poco discosto da Voghera. Riceve parecchi affluenti fra cui i più cospicui sono, a destra, la Montagnola, l’ Aronchio, il Reganzo, i due Reponti, la Laz- NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. 63 zuola, la Crenna, l’Ardivestra, il Rile; a sinistra la Lella, la Semola, e forma qua e là non pochi gorghi, ove s’arresta l’ac- qua anche durante le secche estive. La fauna della valle di Staffora è assai ricca, come si può im- maginare, ma al pari di quella del resto della regione oltrepa- dana pavese fu pochissimo studiata, sebbene molti naturalisti siansi occupati da gran tempo della fauna della provincia e sia stato sempre loro replicato voto che venisse esplorata più minu- tamente per completarne così quel saggio, che fu inserito nelle Notizie naturali e chimico-agronomiche sulla provincia di Pavia ed al quale collaborarono i chiarissimi professori Balsamo-Cri- velli, Prada e Pavesi, nonchè il nobile cav. Giuseppe Brambilla. Anche parecchie memorie posteriori del Prada e del Pavesi ri- guardano esclusivamente l’agro pavese cispadano. Le notizie fau- nistiche sull’ Oltrepò si riducono alle poche sporadiche dateci dall’illustre prof. Genè sugli insetti, alla memoria del chiariss. prof. Strobel: Sui molluschi viventi del lembo orientale del Pie- monte dalla Toce alla Trebbia, a quella dell'abate Stabile inti- tolata: Mollusques terrestres vivants du Piemont, e finalmente ad una noticina, Intorno al Bufo viridis, pubblicata dal dottor Carlo Fabrizio Parona. Tenendo dimora a Varzi, ed avendo già da parecchi anni fatte ricerche, e raccolte produzioni naturali della valle di Staf- fora, fui incaricato dall’egregio professore cav. Pavesi di sten- dere un catalogo ragionato delle specie di animali selvatici, di cui conservo molti esemplari nel mio incipiente gabinetto pri- vato, per la massima parte determinati nel Laboratorio zoolo- gico da lui diretto. Comincio ad occuparmi nella presente nota, dei vertebrati, colla speranza di poter più tardi aggiungere al- tri capitoli sul rimanente degli animali della valle di Staffora, come contribuzione ad una fauna della regione collinesca e mon- tagnosa della provincia di Pavia. Nel redigere questo catalogo mi sono attenuto alla nomen- clatura scientifica usata nell'opera Fauna d’Italia, edita dal Vallardi, anche per poter stabilire confronti colle faune delle 64 F. MAZZA, pianure cispadane e specialmente colla recente Avifauna della provincia di Pavia del benemerito prof. Prada, che si è servito. della stessa nomenclatura. Feci seguire la sinonimia volgare, 0s- sia il nome dialetto varzese e vogherese e quando occorra qual- che annotazione. Voglia il lettore condonarmi la pochezza di questo primo lavoro, come spero che i miei conterranei gradiranno l’ offerta di una illustrazione del loro paese. CLASSE I. MAMMIFERI. Ord. CHIROTTERI. 1. Plecotus auritus, LINN. at sgouraten (Varzi), Rat suratèn (Voghera). Lo vidi nelle cantine e solo il presi qualche volta a Voghera, dove è più comune che a Varzi. 2. Vespertilio murinus, Linn. fat sgouraten (Varzi). Lo vidi nei castelli di Oramala e di Nuvione; una sol volta lo presi ed è difficile ad osservarsi. 3. Rhinolophus ferrum-equinum, ScHREB. (R. bihastatus, Geoff.). Lo vidi e presi parecchie volte nelle cantine a Varzi e specialmente a Voghera. Vi sono altri chirotteri, che, per mancanza d’esemplari alla mano, non potei bene determinare. Ord. INSETTIVORI. 4. Erinaceus europaeus, Linn. Kisspoursè (Varzi). S'incon- tra spesso nei luoghi umidi sotto i cespugli. I contadini nostri fanno una distinzione fra il A:isspoursè, come chiamano essi il riccio tipico, e il isscan, ma non v'è tra loro differenza spe- cifica di sorta. 5. Talpa europaea, Linn. Topa (Varzi). Molto comune spe- cialmente nei prati. NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. 65 Le talpe sogliono essere prese ai lacci e sono pagate con una discreta taglia dai proprietarî dei terreni, superiore certamente al danno da esse arrecato. 6. Crocidura aranea, Linn. È piuttosto rara nel territorio di Varzi e dintorni, più comune sul vogherese. Ord. CARNIVORI. 7. Meles taxus, ScaREB. Tass (Varzi). Sui monti se ne pren- dono, ma raramente; in altri tempi era più comune. 8. Mustela foina, Linn. Foien (Varzi), Fughen (Voghera). Co- mune nel territorio vogherese, a Varzi è più rara. 9. Putorius vulgaris, Linn. Bellura, berula (Voghera) Belra (Varzi). Comunissimo sui nostri colli e monti, fa strage di mol- tissimi uccelli. 10. Canis lupus, Linn. Luv (Varzi). Parecchi anni sono nel rigido inverno, come mi fu detto, fu ucciso un lupo presso Mon- teforte a mezz’ ora da Varzi. Quantunque non compreso nel Sag- gio di fauna pavese, si vedeva un tempo qualche volta in pro- vincia, e prendesi tutt'ora quantunque di rado sui monti d’Ot- tone. 11. Vulpes vulgaris, Linn. Voulp (Varzi). Comunissima e se- dentaria. Fa grande strage di lepri, galline ed altri uccelli. Si usa darle da noi la caccia in inverno, ed allora prendesi al laccio, oppure si avvelena colla stricnina. Ne vidi in dicembre dell’anno scorso una semimelanica sul dorso e spesso si presenta della varietà melanogaster. Ord. ROoSICANTI. 12. Sciurus vulgaris, Linn. Surnia (Varzi). Molto comune nei boschi. Vi sono le due varietà, l’una di color castano, ed è quella che s'incontra sui castagni, l’altra grigia, che predilige le quercie. 13. Myoxus glis, Linn. È più raro della specie precedente, Vol. XXIV. 5 66 F. MAZZA, vedesi anch’esso in discreta quantità sopra i faggi dei nostri monti. ced i 14. M. avellanarius, Linn. Rat campagneu (Varzi); rat rouss, rat nisouren (Voghera). Questo grazioso rosicante è molto co- mune in tutto il territorio vogherese e nel varzese. Fa il nido fra le siepi. 15. Mus decumanus, PaLL, Rat da toumbèn (Voghera), rat da scianga (Varzi). È più comune sul territorio vogherese che sul varzese. 16. M. rattus, Linn. Rat da granè (Voghera), rat di tecc (Varzi). Comune sul vogherese e sul varzese, ove arreca non pochi danni. 17. M. musculus, Linn. Rat (Varzi). Comunissimo, sedentario. 18. M. sylvaticus, Linn. S'incontra nelle campagne ed an- che sui fienili. 19. Arvicola amphibius, Linn. Rarissimo, lo vidi vicino a Varzi nella roggia di un mulino. 20. Lepus timidus, Linn. Levar (Varzi), Legura (Voghera). Sedentaria, comunissima. Quella che abita gli alti monti è più piccola di quella che sta ai colli. CLASSE II UCCELLI. Ord. RAPACI 21. Aquila naevia, BrIss. Aqua. Quantunque osservata sol- tanto allo sbocco della valle, la cito qui perchè se ne presero vicino a Voghera alcune anche nel novembre 1880; una di esse fu uccisa dal mio amico Luigi Morosetti, un’ altra fu imbalsa- mata dal preparatore del Museo zoologico sig. Oreste Maestri in mia presenza. Sui monti di Varzi dicesi nidificare un’aquila, che chiamasi con nome dialetto Avion; non posso indicarne con precisione la specie per non averla mai potuta esaminare, du- bito però che sia la medesima maevia. NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. 67 22. Buteo vulgaris, Linn. Si vede qualche volta a Varzi e più facilmente a Voghera, ma sempre in inverno. 23. Milvus niger, Briss. Nibbi (Varzi). Non molto comune sui monti. Ne fu preso uno l’autunno di quest'anno e mi fu donato; così pure ne ebbi altro ancor giovane, preso nel nido a due ore da Varzi. 24. Accipiter nisus, Linn. Falchett (Varzi). Comunissimo in settembre. Non potei mai accertarmi se abbia nidificato sui no- stri monti. .25. Falco tinnunculus, Linn. Falchett (Varzi). Vedesi rara- mente in Varzi, ma nidifica ed abbonda piuttosto a Sagliano Crenna e ad Oramala, dove fabbrica il nido sul vicino castello. 26. Strix flammea, Linn. Dama (Voghera). Raramente ve- desi a Varzi e sui monti vicini, una sola volta mi venne fatto di poterla osservare. Più frequentemente si trova a Voghera, dove ne trovai spesso il nido. 27. Athene noctua, Bore. Mourì (Varzi), Sueta (Voghera). Comune abitatrice dei nostri colli, nidifica sotto le tegole dei tetti delle abitazioni rurali e nei cimiteri. 28. Bubo maximus, Linn. Dugà (Varzi). Non è tanto co- mune, però sui nostri monti se ne prendono tutti gli anni e ni- difica sulla roccia di Sagliano Crenna; ne furono presi due an- che nel febbraio del 1880. 29. Ephialtes scops, Linn. Ciod (Varzi). Vedesi frequente- . mente nei boschi in settembre; è comunissimo. Nidifica e ne trovai parecchie volte il nido. È comune anche a Voghera. Ord. PICARIE. 30. Gecinus viridis, Bore. Picheuss, picousson (Varzi). Co- munissimo sui nostri colli e monti, dove nidifica. 31. Picus maior, Linn. Picheuss neighaer e bianc (Varzi). Come il precedente è frequente ad osservarsi. 32. P. minor, Linn. Piccoussèn. Ne presi molti nel mese di ottobre quasi tutti gli anni, ma non potei mai trovarne il nido. L’osservai anche in estate. stri. colli e tnonti A mese @ Ra) e na ino a venni una volta un cuculo ancor giovane nel nido posto fra i ramoscelli d’ un ginepro. isa 35. Coracias garrula, Linn. Rarissima. Ne fu presa 1 ina: cascina Casarone sopra Voghera dal signor Luigi Moros la conserva imbalsamata, si ala parecchi sui ridete monti lungo i rigagnoli; dr mese | settembre discendono e vengono ad abitare lungo la Staffora — vicino a Varzi; nidificano a Casal Staffora. da 37. Upupa epops, Linn. Bubbòla (Varzi). Comune sui nostri monti da aprile a settembre, sta per lo più nei boschi di ca- stagni e vi nidifica. 38. Caprimulgus europaeus, L. Buccassa (Varzi). Comincia. a vedersi sui nostri monti in primavera, riparte in autunno ; è comune e nidifica fra le pietre. 39. Cypselus melba, Linn. Roundòn d’riva (Varzi). Non è raro sui nostri monti, vi si vede tutti gli anni e vi nidifica. Vidi una coppia di tali uccelli che aveva il nido in una spaccatura duna roccia vicino a Sagliano Crenna. % 40. C. apus, Linn. Roundòrn (Varzi). Comunissimo da aprile ad agosto. Nidifica sulle torri di Varzi e sui campanili. Spesso mi accadde di vedere rondoni persino alla fine di settembre, e sempre sugli alti monti. Ord. PASSERES. 41. Chelidon urbica, Bore. Rivareu (Voghera); Cà biane, Gardanen (Varzi). Arriva in primavera, depone il nido nelle anfrattuosità delle roccie di Sagliano Crenna e di Valverde. Ni- difica anche a Varzi, ma in molto minor numero. | I NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. 69 42. Hirundo rustica, Linn. Roundanena. Comunissima da marzo ad ottobre, però vidi tre rondini anche alla fine del mese di novembre 1880, quando già era nevicato sui nostri monti. 43. Cotyle rupestris, Bor. Ne uccisi una a Sagliano Crenna nel 1878. Fu veduta anche quest’ anno a Carro; del resto è meno rara ad Ottone. Non figura nelle Avifaune di Brambilla e di Prada, quindi la cito per la prima volta della provincia di Pavia. 44. €. riparia, Bore. Gardanen (Varzi). È più rara dell’ ur- bica, colla quale spesso si vede insieme. Non potei mai trovarne il nido, ma uccisi giovani individui, credo quindi che nidifichi anche sui monti. 45. Muscicapa atricapilla, Linn. Beccamori (Varzi). Vicino a Varzi qualcheduna l'ho vista nidificare. 46. Lanius excubitor, Linn. Fougardron (Varzi). Piuttosto raro sui monti, sui colli è più comune, in maggior quantità ve- desi sul territorio di Rivanazzano. Quantunque il Prada dica che non sembra nidificare, io ne trovai il nido. Ne uccisi uno a Pie- tra. Gavina nell’ ottobre 1880. 47. L. minor, GmeL. Fougardra (Varzi). Arriva sui nostri monti nel mese di maggio e si trattiene fino a settembre. Nidifica però più facilmente sui colli. Nei prati di Varzi spesso ne trovai il nido. 48. L. auriculatus, MuLL. Fougardron d’ la tèsta roussa (Varzi). È meno comune del precedente. L’osservai molte volte nelle vigne, dove vidi il nido fra i filari o sui gelsi. 49. L. collurio, Linn. Fougardra (Varzi), Sgasaneura (Vo- ghera). Arriva sui nostri monti alla fine d’aprile, ha le abitu- dini del precedente. 50. Regulus cristatus, Linn. Fiouransèn (Varzi). Comunis- simo da ottobre a marzo ed allora più non si vedono in bran- chi, ma in coppie separate. D'estate, anche sugli alti monti della valle di Staffora, non ne potei mai vedere. 51. R. ignicapillus, BreaM. Molto più raro del precedente. Ne ho presi due soltanto a Casanova presso Varzi. 70 F. MAZZA, 52. Acredula rosea, StarpE. Mounaghena d'la couva longa (Varzi), Gaiofa (Voghera). Comunissima sui nostri monti e vi nidifica. Una sola volta ne trovai il nido sopra un mirto in un giardino. Questo nido era di forma elissoide, chiuso nella parte superiore, con un foro laterale, nella parte esterna tutto tessuto di muschi in modo tale da sembrare piuttosto una corteccia ‘ d’albero che un nido, e certamente non lo avrei scoperto, se non avessi rasentato il mirto così da costringere la femmina a fuggire dal nido, il che mi fece accorto di quello che Fn e che era realmente. 53. Parus coeruleus, Linn. Mounaghena (Varzi). Molto! co- mune sui nostri monti dove nidifica. Ha gli stessi costumi della cingallegra. 54. P. maior, Linn. Tèsta neigra (Varzi), Parasseula (Vo- ghera). Comunissima tanto nei boschi quanto nei prati. 55. P. ater, Linn. Raramente l’osservai sui nostri monti, ed era d’autunno già avanzato. 56. P. palustris, Linn. Più comune del precedente, l’ho sem- pre veduto però dal mese d’ottobre fino a marzo. 57. Sitta caesia MerER et WoLF. Piccoussen (Varzi). Cat: nissimo abitatore dei nostri boschi di castagni dove nidifica; tro- vasi pure nei boschi di quercie. A Voghera è molto più raro. 58. Tichodroma muraria, Linn. Fu uccisa parecchie volte nella valle di Staffora, io ne presi due negli inverni successivi 1874 e 1875. È ritenuto accidentale. per la fauna pavese dal prof. Prada; da noi non lo sembra. 59. Certhia familiaris, Linn. Rampighen (Varzi) Comunis- simo sedentario dei nostri colli e monti ove nidifica; più volte lo presi. 60. Troglodytes parvulus, KocH. Re da Cice (Varzi), Cent- rubb (Voghera). Comune a Varzi e nelle adiacenze da ottobre a marzo. Sui monti alti della Valle di Staffora abita pure anche d’estate. Nel luglio 1880 ne trovai il nido colle uova sopra un ginepro sul M. Boglelio. 61. Cinclus aquaticus, Savi. Merael acquareu (Varzi). E co- NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. 71 | Li mune vicino a Varzi nel mese d’ottobre lungo la Staffora. D’ e- | state si porta sui monti, più raramente nella stessa stagione lungo il torrente Reganzo. Una sola volta potei trovarne il nido. Ne | conservai vivo per alcuni giorni un esemplare. 62. Turdus merula, Linn. Merael (Varzi). Comune sui nostri colli e monti da marzo a novembre, però molti restano tutto l’anno. Nidifica molto per tempo, io ne trovai dei nidi sul finir del mese di marzo. Sono ben noti i casi d’albinismo in questa specie ed io pure vidi una volta un merlo completamente bianco sul mercato di Voghera, parecchie volte altri screziati di bianco. 63. Turdus torquatus, Linn. Tourdèra moura (Varzi). Vedesi sui monti d’inverno insieme cogli altri tordi, ma non è tanto comune. L’osservai parecchie volte anche sul mercato di Varzi. 64. T. viscivorus, Linn. Tourdèra (Varzi), Dresla (Voghera). È comunissima abitatrice dei nostri monti, dove nidifica, anzi è la prima a deporre le uova, perchè trovai piccoli già vestiti di piume sul finir di marzo. 65. T. musicus, Linn. Tourdren da luva (Varzi). Giunge sui nostri colli e monti in grande quantità nel mese d’ottobre, si mette a pascolare nelle vigne e facilmente allora si lascia ucci- dere. Alcuni dei nostri montanari fabbricatori di carbone ne allevano i piccoli, e come mi fu detto li portano a vendere sul bergamasco. 66. T. iliacus, Linn. Turdren dal snevar (Varzi). Giunge sui monti in numerosi stormi nel mese di novembre; vi si ferma specialmente negli inverni nevosi. 67. T. pilaris, Linn. Turdèra ad Sardegna (Varzi). Arriva insieme coll’iliacus in grande quantità. Si ferma tutto l’inverno sul nostri monti, e viene preso ai trabocchetti (chiamati col nome vernacolo di Ciapp). Non so se vi nidifichi. 68. Monticola cyana, Linn. Mi fu assicurato che alcuna sia stata presa sui nostri alti monti e vi abbia nidificato, ma non mi occorse finora di vederla. Sarebbe nuova per l’avifauna pavese, giacchè non l’annovera il prof. Prada. 72 F. MAZZA, 69. M. saxatilis, Boir. Passra soulitaria, merael ad riva, me- rael sicilian (Varzi). Comincia a vedersi sui monti alla fine d’a- prile, nidifica nei luoghi rocciosi, specialmente vicino al Penice e a Rosara presso Varzi, dove trovai anche il nido, così come ad Oramala e a Nuvione. Alla fine d’agosto e in principio di set-. tembre si prende anche al vischio. Chiamasi volgarmente passra soulitaria per la somiglianza di struttura che ha colla specie precedente, benchè ne differisca pel colore delle piume. È an- ch’essa per la prima volta indicata della provincia di Pavia. 70. Saxicola oenanthe, Becasr. Cà bdianch da terra (Varzi). Arriva sui nostri monti in maggio e vi nidifica fra le pietre; sì prende al vischio in grande quantità. 71. Pratincola rubetra, Linw. Arriva nell’aprile, ma in iscarso numero, non so però se nidifichi sui monti, perchè in estate nol vidi mai, in settembre ed ottobre invece qualche volta. 72. P. rubicola, Linn. Pountareu (Varzi). Vedesi sui nostri colli e monti da aprile ad ottobre. Nidifica lungo gli argini delle fosse, pochissime volte ne trovai il nido. 73. Accentor modularis, Linn. Matella (Varzi). Comune nei territorî vogherese e varzese da ottobre a marzo. È probabile che noi abbiamo anche l’ A. alpinus, ma non posso assicurarlo. 74. Ruticilla phoenicura, Linn. Couva roussa (Varzi). Ar- riva sui nostri monti nel mese d’aprile, e vi nidifica. I suoi nidi trovansi molto frequentemente nel territorio d’Oramala, Rosara, Nuvione, qualche volta presso a quelli della Monticola sazatilis. 75. R. tithys, Scor. Couva roussa mòura (Varzi). È più raro del precedente, arriva in aprile, nidifica sui nostri monti e pre- cisamente nelle stesse località. Lo presi molte volte col vischio. Vidi il Codirosso spazzacamino qualche volta anche in inverno, per esempio in quello del 1879. 76. Erythacus rubecola, Linn. Pett rouss (Varzi). Arriva nel mese d’ottobre sui colli e monti, vi si ferma fino all’aprile, però io ne ho preso uno nel 1878 ai tre di settembre; ne vidi un al- tro nel luglio 1880 vicino al paese di Cegni, ciò che mi fa cre- dere che esso vi nidifichi. NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. T9 77. Philomela luscinia, Linn. Roussgneu (Varzi). Arriva in aprile, parte al principio di ottobre, dopo aver nidificato sui no- stri monti. 78. Sylvia atricapilla, Linn. Capnegar (Voghera). Si comin- cia a vedere nel mese di marzo sui colli e monti, e la nidifica più volentieri. A Varzi è raro, più comune invece a Voghera. 79. S. orphea, Texm. Becca mouri (Varzi). Se ne vedono al- cune in luglio ed in agosto. Una sol volta ne trovai il nido. 80. S. curruea, LATH. Raramente trovasi nei nostri monti, l’ho veduta però nel mese d’aprile e d’agosto. Nidifica. 81. S. cinerea, LATE. Farfougn (Voghera). È comune più sui colli che sui monti, sta ordinariamente nelle siepi che circondano i campi, molte volte ne trovai il nido. 82. Phyllopneuste sylvicola, Brrnm. Arriva sui nostri monti in aprile. 83. Ph. trochilus, Linn. Ciouvì (Varzi). Giunge in aprile, e mi persuasi che nidifica sui nostri monti, perchè ne vidi i piccoli. 84. Ph. rufa, Briss. Buscarinèn (Varzi). Si vede nelle vici- nanze di Varzi nell’ottobre, lo vidi sui monti della valle di Staf- fora nei mesi di luglio ed agosto. 85. Hypolais polyglotta, VreiLr. Ourtlanen (Varzi). Molto comune; spesse volte ne trovai il nido. È più frequente nel ter- ritorio vogherese che sul varzese; sugli alti monti è ancor più raro. 86. Motacilla alba, Linn. Bouvalena (Varzi). Comunissima, sedentaria della valle di Staffora; sta più volentieri ai colli che al monti. 87. M. boarula, Linn. Bouvalena giana (Varzi). Compare a Varzi nel mese d’ottobre. In estate vive sui monti, io la vidi più volte lungo i torrenti che scendono dai monti, e lungo i riga- gnoli sassosi. Non ne potei mai trovare il nido. 88. Budytes flavus, Cuv. Bouvalena da prà (Voghera). Non la vidi mai sugli alti monti, molte volte invece presso Rivanaz- zano e nei prati del territorio di Voghera. 89. Anthus arboreus, Becast. Sira (Varzi). Passa sui nostri 74 F. MAZZA, monti in aprile e più non si vede fino a settembre e ottobre, nei quali mesi se ne prendono parecchi col vischio. Tuttavia n’ho visto uno sui monti nel mese di luglio dello scorso anno. 90. A. pratensis, BecHst. Scira, Pispoula (Varzi). Giunge in ottobre sui nostri colli e monti, in inverno scompare; ne ho veduto anche in luglio sul Boglelio. 91. A. spinoletta, BP. Raro, lo osservai soltanto nei i inverni lungo la Staffora, specialmente nell’ ultimo scorso. _ 92. A. campestris, Becust. Ne vidi parecchi individui l’estate del 1880 nel territorio di S. Cristina. Il prof. Prada lo dà come specie accidentale della provincia di Pavia. 93. Alauda arvensis, Linn. Lodula (Varzi). Vedesi in otto- bre sui nostri colli e monti, alcune restano tutto l’anno e nidi- ficano. A Varzi non se ne vedono tante, sono molto più comuni a S. Cristina. 94. A. arborea, Linn. Catia (Varzi). Vedesi in aprile, ni- difica da noi sul terreno fra i ginepri. 95. Galerida cristata, Bore. Lodoula capussena. Se ne trova sempre specialmente in ottobre ed in inverno. Soltanto nel 1878 ebbi occasione di ucciderne. 96. Emberiza citrinella, Linn. Raramente incontrasi d° e- state sui nostri monti e colli, solo si vede in inverno e allora se ne prendono molte. 97. E. cirlus, Linn. Scial (Varzi). Molto più comune della specie precedente, quantunque il prof. Prada la creda rara. Sui monti nidifica; infatti vidi giovani individui di questa specie che facilmente presi. 98. E. hortulana, Linn. Ourtlàn (Varzi). Arriva in maggio sui nostri colli e monti e vi nidifica. Nei campi seminati di grano spesso al tempo della incubatura vedesi il maschio sopra qual- che palo o ramo secco di qualche pianta cantando una mono- tona canzone. 99. E. schoeniclus, Linn. Rara. Arriva in ottobre; ne ho presi due che stavano pascolando in un campo con fringuelli e fanelli. 100. Passer montanus, Briss. Passaren campagneu (Varzi), NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. d0 passaren montagneu (Voghera). Comune, sedentario in tutto il territorio oltrepadano. Nidifica nei fori degli alberi e sebbene | raramente sulle torri, tuttavia non s’allontana di troppo dalle abitazioni e mai mi venne dato di trovarne il nido sui monti più alti. 101. P. italiae, GeRB. et DeeL. Passaren (Varzi), Passaron (Voghera). Comune, sedentario. Vidi un individuo maschio com- pletamente bianco, che aveva il nido in un foro di un muro; un solo de’ suoi piccoli portava le ali e la coda bianca. 102. Petronia stulta, Gx. Non rara e nidifica; nel mese d’ot- tobre passa a metà montagna. 103. Coccothraustes vulgaris, Vierr. Frisòn (Varzi). Pochi individui vedonsi sul territorio varzese e sempre di passo; sul vogherese ne trovai il nido una sola volta. 104. Fringilla coelebs, Linn. Fringuel (Voghera), Frangoul (Varzi). Molti fringuelli sono stazionarî sui nostri monti e colli, ma all’ottobre ne arrivano altri in grande quantità. 105. F. montifringilla, Linn. Fringuel d’montagna (Varzi). Ar- riva sul territorio di Varzi nel mese d’ottobre, lo si vede insieme cogli altri fringuelli, non ne ho mai trovati in estate. 106. Ligurinus chloris, KocH. Verdòn (Varzi). Alcuni sono sedentarî sui colli, raramente nidificano sugli alti monti. 107. Chrysomitris spinus, Bore. Lugarén (Varzi). Arriva in ottobre, ma non in grande quantità, raramente si vede sul ter- ritorio varzese. Osservai lucarini nel luglio del 1880 sul M. Bo- glelio. 108. Carduelis elegans, StePH. Ravarén (Voghera), Sganzièn (Varzi). Nidifica per lo più sui gelsi, sulle acacie e sulle piante conifere dei giardini. In ottobre ne passano numerosi branchi; alcuni individui ne restano sui colli anche d’inverno. 109. Cannabina linota, GmueL. Fanett (Varzi). Se ne vedono molti in settembre sul territorio varzese, specialmente lungo i torrenti Reponti inferiore e superiore; nidificano sui ginepri. Più comuni ancora sono sugli alti monti. Molti ne vidi nel luglio dell’anno scorso al di sopra di Bosmenzo. 76 F. MAZZA, 110. Serinus hortulanus, Kocg. Compare in ottobre, ma non è molto comune. 111. Pyrrhula rubicilla, PaLL. Meno raro del precedente, ma si vede sempre d’inverno. Nel luglio del 1880 lo vidi sui faggi e sui pini del Boglelio. 112. Loxia curvirostra, Linn. Rarissimamente lo vidi sui monti. Ne fu preso uno alla Villa Calvenzana presso VOBRERA dieci anni sono. 113. Sturnus vulgaris, Linn. Stourdan (Varzi), Stouran (Vo- ghera). Giunge sui colli al finir di febbraio, nidifica sui campa: nili e sulle torri di Varzi; dopo la nidiata più non si vede fino ad ottobre. Sul territorio vogherese è molto più comune. 114. Oriolus galbula, Linn. Sgarbé (Varzi). Arriva sui monti in maggio, nidifica sulle giovani quercie, sulle noci; lascia i monti alla fine di settembre. 115. Corvus corax, Linn. Crov d’ Noè (Varzi). Mi fu assicu- rato che venne preso qualche volta sui monti verso la valle del Curone al Piano del lago e pare nidifichi fra le roccie. Sarebbe nuovo per l’avifauna pavese, giacchè non fu notato nei cataloghi del Brambilla e del Prada. 116. €. frugilegus, Linn. Crov (Varzi). Se ne vedono molti d’inverno lungo la Staffora, qualche volta l’osservai in luglio ed agosto. 117. C. cornix, Linn. Crov dertén (Varzi). Giunge in ottobre e sta per lo più lungo la Staffora. L’estate del 1880 ne vedeva tutti i giorni una coppia scendere alla Staffora, e verso la metà d’agosto il numero era aumentato a cinque. 118. Pica caudata, Linn. Berta d'la couva longa Vai Più frequente nel territorio di Voghera, Godiasco, Cecima, diventa rara verso il paese di Bagnaria, a Varzi l'ho veduta qualche volta, sugli alti monti mai. 119. Garrulus glandarius, VieinL. Berta, Guzzana (Varzi). Parecchie sono sedentarie nei monti e nidificano, altre di passo dal mese di settembre alla fine d’ottobre; allora si uccidono più facilmente, essendo intorpidite pel troppo cibo, che consiste du- rante questo mese per la maggior parte di ghiande. NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. 77 III REN pe © 7° : si dea Lp‘ J Ord. CoLomMBE. 120. Columba palumbus, Linn. Favass, Cromb (Varzi). Ar- riva sui nostri monti in marzo, vi si ferma fino all’ottobre, ni- dificando sui castagni e sui faggi. Numerosi branchi di passo giun- gono nell’ ottobre. 121. €. oenas, Linn. Turbareu (Voghera). Rara sui monti, ma vi capita quasi tutti gli anni. È molto più comune sul territorio vogherese, dove ne vidi numerosissimi branchi. 122. C. livia, Linn. Sul territorio varzese non l’ho mai veduta, invece la trovai a Valdinizza insieme con altri piccioni, che ni- dificano sul campanile di quella chiesa. 123. Turtur auritus, G. R. Gray. Turdra (Varzi). Molto co- mune, arriva sul finir d’aprile, nidifica sui monti sopra le giovani quercie o sui cespugli di more. Molte volte ne trovai il nido. Ord. GALLINACEI. 124. Perdix rubra, Briss. Pernisa guastesa (Varzi). Comune, sedentaria nei monti, vi nidifica. Mi sembra che alcune siano di passo, perchè alla metà di settembre ed in ottobre se ne trova in maggior numero. 125. P. saxatilis, Mey. et WoLrr. Pernisa guastesa (Varzi). Raramente la vidi nei dintorni di Varzi, l’osservai qualche volta su quel mercato. Un cacciatore mi disse però che a Zerba, paese non molto lontano da Ottone, è più comune. 126. Starna perdix, Linn. Pernisa noustrana (Varzi). È molto comune in tutta la valle della Staffora, nidifica fra i ginepri. Sui monti alti è più rara, e sembra più abile volatrice. 127. Coturnix communis, Bonn. Quaia (Varzi). Arriva sui colli al finir d'aprile. Nel territorio varzese è piuttosto rara, più comune è invece in quello di S. Cristina e Pietra Gavina. 78 ' F. MAZZA, Ord. TRAMPOLIERI. 128. Oedicnemus erepitans, Liny. Farlisck (Voghera), Qurlà (Varzi). Qualche volta lo vidi lungo la Staffora e sempre in estate. È più comune nel tratto di Staffora che passa sul territorio vo- gherese. Ivi mi fu detto nidificare. 129. Vanellus cristatus, Linn. Assai raramente l’ osservai sui nostri colli, mi ricordo però d’averne vedute molte l’aprile del 1871 nei prati di Rivanazzano insieme con pivieri dorati. A Varzi qualcuna vien sempre presa nei rigidi inverni. | 130. Charadrius pluvialis, Linn. L’ho veduto ed ucciso una volta sola nel territorio di Rivanazzano; alcuni cacciatori mi dis- sero che non è tanto raro nelle campagne del vogherese. 131. Aegialites hiaticula, Linn. Pesca martin (Varzi). Molte volte lo vidi lungo la Staffora, dove non è raro da marzo alla metà d’ agosto. 132. Scolopax rusticola, Linn. Becassa (Varzi). Arriva ai primi di novembre, ma quasi sempre in poco numero d’individui. Vedesi però per tutti i monti specialmente vicino ai piccoli sta- gni formati da ruscelli. Sul M. Bartull è più comune che altrove, come a Zavatarello. 133. Gallinago scolopacinus, BP. Becassin (Varzi). Pochi individui si vedono tutti gli anni nei piccoli stagni sotto Varzi. 134. Rallus aquaticus, Linn. Qualche individuo viene preso sui colli. Ne uccisi uno nell’aprile dell’anno 1878 presso Cecima. 135. Crex pratensis, Brcnsr. Re da quai (Varzi) È molto raro sui colli ed una sola volta lo presi, ma a Voghera. 136. Fulica atra, Linn. Folaga (Varzi). Quasi tutti gli in- verni ne vengono uccisi o presi vivi alcuni individui sui monti. 137. Botaurus stellaris, Linn. Rarissimo e non si trova che nei rigidi inverni. NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. 79 Ord. PALMIPEDI. 138. Anser segetum, Linn. Oca savaiga. Nell'inverno 1874 vicino a Varzi se ne vide un numeroso branco; del resto è ac- cidentale nella valle di Staffora. 139. Mareca penelope, Linn. Anga savaiga (Varzi). Si vede quasi tutti gli inverni lungo la Staffora e sui monti, ove trovansi sorgenti d’acqua: per esempio a Pietra Gavina si prendono an- che vive ai lacci. 140. Querquedula crecca, Linn. Anga savaiga. Vedesi d’ in- verno come la specie precedente negli stessi luoghi, ed è un po’ più comune. 141. Mergus merganser, L. Ne fu preso uno vicino a Varzi sotto ai Cappuccini l’anno scorso (1880). CLASSE III RETTILI. Ord. SAURII. 142. Podarcis muralis, Cuv. Luserta (Varzi). Se ne vedono di tre varietà, cioè, oltre la comune grigia, quelle dette dagli autori rubriventris e campestris. 143. Lacerta viridis, Linn. Agheu (Varzi). È molto più co- mune sul territorio di Voghera che di Varzi; ne posseggo due varietà, mento-coerulea e concolor. Dubito però che la varietà mento-coerulea: non sia altro che la concolor in abito di nozze, imperocchè nell’aprile mai non potei prenderla nè vederla; nel giugno poi lho sempre presa. Osservai ancora che nel luglio il ceruleo è più intenso. 144. Anguss fragilis, Linn. Ourbiseu, Sghiareu (Voghera). S'in- . contra spesso nei prati presso Voghera; a Varzi è molto più raro. n cantati nei sichi di Varzi, ma non è tanto È anche a Voghera. 146. Natrix torquata, Linn. "a da dis 1 troppo: comune; però la vidi e presi anale o volta | alla: : Lella. | erd7o N, tessellata, Linn. La Lone a Card Ep: 3 SRO calità lungo la Staffora. RR dia 148. Vipera aspis, Linn. Vipra (Varzi). Asseriscono 1 “00 d’averla ‘veduta sui monti alti, come il Lesima e il Brallo, 1 luoghi umidi e sassosi ; infatti alcune persone ne furono morsica ati finora sfuggì alle mie reiterate ricerche. La vr 3 SI CLASSE IV. fe mo BATRACI. Ord. ANURI. 149. Hyla viridis, Linn. Babi d’ San Giovan (Varzi). È ab- bastanza rara sui monti ed a Varzi, ma discendendo verso Vo- ghera diventa sempre più comune. 150. Bufo vulgaris, Linn. Più frequente dell’Hyla, si ved nei. prati e nei boschi di castagni vicino a Varzi. Nel mese d'ARDaA è più comune. 151. B. viridis, Linn. Babi (Varzi). Anche questo rospo è co- mune, e vedesi nei boschi in ogni stagione, tranne d’inverno. Con- fermo le osservazioni del dottor Parona sulla varietà della Staf- fora e sull’epoca degli amori, che avvengono dalla metà di marzo alla metà d’aprile e certe volte fino alla fine di questo mese. 152. Bombinator igneus, Linn. L’ho veduto una sola volta da Dei — SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA sooigti. ); È gino della Società è di promuovere in Italia TO progresso. degli studî Ù relativi alle scienze naturali. RR o al Socj sono in numero illimitato, effettivi e corrispondenti. bi sE Socj effettivi pagano it. L. 20 all’anno, în una sola volta, nel primo tri- P nestre dell’ anno. Sono invitati particolarmente alle sedute. (almeno. quelli di imoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunica- j zioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. È. 9 Socj corrispondenti si eleggono persone distinte nello scienze lata le | ‘quali dimorino fuori d’ Italia. — Possono diventare soc] effettivi, quando si assoggettino alla tassa annua di lire venti. — Non sono invitati partico- . larmente alle sedute della Società, ma possono assistervi e presentarvi o i farvi leggere. delle Memorie o delle Comunicazioni. — Ricevono gratuita- So. gli Atti della Società. È La proposizione per l’ ammissione CH un nuovo socio deve essere fatta e È TEA da tre socj effettivi. E. I Socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad es- | sere tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno successivo, cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far poro i suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stampate negli Atti o nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, secondo la loro estensione ed importanza. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del | formato degli Atti o delle Memorie stesse. _ Tuttii Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, pur- | chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone . regolare ricevuta. «Quanto ai lavori stampati negli Atti l’autore potrà far tirare un numero ° qualunque di copie ai seguenti prezzi: leda laine.) —- Esemplari. I “sso ao. 38 | 400. ijy di foglio (4 pagine) . . |L.125|L.225]| L. 2 50|L. 4— 1a foglio (8 pagine) . . . » 175] » 3 50| » 4— |» 5 50 I |, di foglio (12 pagine) . . » 250] » 5 — | » 6 75]|» 9 | 1 foglio (16 pagine) . . . | » 2751» 5501 -8—|» 10 — INDICE Presidenza pel 1881. . . . MR Soci effettivi al principio dell’anno 1881. Soci corrispondenti . 3 Istituti scientifici corrispondenti . Seduta del 30 Gennaio 1881. Seduta del 27 Febbraio 1881. G. MercaLLI, I terremoti dell’ Isola d Ischia. P. LuccHETTI, Sulla causa dei terremoti . È L. PaAoLuccI, Sopra alcune specie rare di uccelli ct Marche . RO A Seduta del 27 Marzo 1881 Pe Seduta del 29 Maggio 1881 . Bilancio consuntivo dell’anno 1880. Bilancio preventivo per l’anno 1881... . . 0% Seduta del 31 luglio 1881. ; F. Mazza, Note faunistiche sulla dati di Staffora. ar ATTI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI VOLUME XXIV. Ce U FascicoLo 2-3 — Foti 6-14. Con 4 Tavole. MILANO, TIP. BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. PER L'ITALIA: | PER L'ESTERO: PRESSO LA PRESSO LA SEGRETERIA DELLA SOCIETA’ | LIBRERIA DI ULRICO HOEPLI MILANO MILANO Palazzo del Museo Civico. Galleria De-Cristoforis, Via Mavin, 2. 59-62. FEBBRAIO 1882. L < : Per la compera degli ATTI e delle MEMORIE si veda la 3° pagina di questa copertina. PRESIDENZA PEL 1881. Presidente, CorNnALIA dottor EmiLio, direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, via Monte Napoleone, 36. Vice-presidente, Vira ANTONIO. Milano, via Sala, 6. SorDELLI FERDINANDO aggiunto al Museo Civico di storia -Segretarj naturale di Milano, via Monforte, 7. | Pini rag. NAPOLEONE, via Crocifisso, 6. ‘Cassiere, GARGANTINI-PratTI Giuseppe, Milano, via del Senato, 14. î de dei NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. 81 | assai tempo nei boschi di Varzi, ma non sono più riuscito a ri- — trovarne per quante ricerche vi avessi fatto. Sarebbe specie nuova | per la provincia, mancando al catalogo del prof. Prada. 153. Rana esculenta, Linn. Raina (Varzi), Rainla (Voghera). | Diventa sempre più rara man mano che dal piano si sale al monte. A Voghera, per esempio, è molto più comune che a Varzi, dove però la trovai parecchie volte. | 154. R. temporaria, Linn. Bissacann (Varzi). È molto più comune sui nostri monti che la precedente, ed è anche più abile saltatrice, La presi parecchie volte anche nei prati di Varzi. Ord. URODELI. 155. Triton cristatus, Linn. Tarantella (Varzi). La presi qualche volta a Varzi, ma è più comune nella parte inferiore della Staffora verso Voghera. 156. T. punctatus, Linn. Ne presi alcuni esemplari in una sor- gente presso il torrente Lazzuola, insieme col cristatus. 157. Salamandra maculosa, Linn. Più comune, ma soltanto sui monti, per esempio a Casalstaffora, a Negruzzo. CLASSE V. PESCI. Ord. DENDROTTERI. 158. Barbus caninus, BP. Pess-barbar (Varzi). Comunissimo specialmente nella parte della Staffora fra Bagnaria e Carro, di- venta poi più raro discendendo fino a Voghera. Lo si prende col- l'amo in maggio e giugno, ma dopo si raccoglie più facilmente prosciugando le roggie dei mulini. Manca nell’elenco del profes- sore Prada, però questo chiarissimo professore ne acquistò un esemplare sul mercato di Pavia, che conservasi nel Museo civico; Vol. XXIV. 6 82 F. MAZZA, è quello cui accennò parecchie volte l’illustre prof. Pavesi, che lo annoverò poi definitivamente fra i pesci della provincia pa- vese nel catalogo dell’ Esposizione di Berlino del 1880 (p. 143, n. 10). 159. Alburnus alborella, De Fix. L’ho raccolta a Carro e vicino a Varzi sotto ai Cappuccini insieme colla specie seguente. 160. Telestes muticellus, BP. Struggia (Varzi). Frequente da febbraio ad ottobre, s’ incontra più facilmente da Rivanazzano a Carro. In tempo di fregola è comune a Varzi, ed allora si prende anche coll’amo, in altre stagioni col coccolo e col mezzo del- l’asciutta. 161. Cobitis taenia, Linn. Sgiangasace. Rarissima nella Staf- fora, la presi soltanto due volte. Ord. APLOTTERI. 162. Gobius fluviatilis, BP. Pess-bott. Insieme col precedente, ma di preferenza nei fossi dei prati. 163. Cottus gobio, Linn. Pess-bott. (Varzi). Piuttosto comune alla foce del Lella nella Staffora. Ord. DERMOTTERI. 164. Anguilla vulgaris, Linn. Anguila (Varzi). Negli anni scorsi si pescava non di rado a Carro nell’acqua di quel mulino; ora è quasi scomparsa. Nell'estate 1880 ne furono prese due pres- so Capo di Selva. NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. 83 Per comodità dei lettori compaesani credo utile aggiungere un elenco nominale in dialetto varzese, e talvolta anche vogherese, dei vertebrati della Valle di Staffora colle traduzioni nei cor- rispondenti nomi italiani e scientifici. VERTEBRATI DELLA VALLE DI STAFFORA NOME DIALETTO Agheu POSTI Amguilai cin so > Anga savaiga (Varzi) . Ania (Vogh.) . . maia. . Babi d’ $. Giovan (Varzi). Babi . Becca mouri ea Beccassa . Beccassèn . . Bellura, berula (Voghera); bel- ra:(Varzi) . . Berta d’la couva longa (Vogh. ) Berta . Bissa da acqua (Varzi). Bissa . . sit Bissacann (V arzi). Bisson (Varzi). Bouvalena , Bouvalena giana (Varzi) Bouvalena da prà (Voghera). Bubbola . . . va Bucassa (Varzi)... ... Buscarinen . |, Cap negaer (Vogh.). Croy d’ Nouè (Varzi) . Crov (Varzi) o Crov berten Coucou NOME ITALIANO Ramarro . . Anguilla . Germano reale . Fischione . Alzavola . e Smergo maggiore . Aquila anatraia. Raganella arborea, Ila Rospo comune . R. smeraldino . Bigia grossa . Aliuzza nera. Beccaccia . Beccaccino reale Donnola Gazza . Ghiandaia. ; Biscia dal collare . Natrice tessellata . Rana rossa E Colubro verde e giallo Ballerina . : Ballerina gialla. . Cutrettola gialla Upupa . . E Succiacapre . . + Luì piccolo . Capinera . Corvo imperiale. Gorvouusii. .i.. Cornacchia Cuccolo NOME SCIENTIFICO Lacerta viridis. Anguilla vulgaris. Anas boschas Mareca penelope. Querquedula crecca. Mergus merganser. Aquila naevia. Hyla viridis. Bufo vulgaris. B. viridis. Sylvia orphea. Muscicapa atricapilla Scolopax rusticola. Gallinagoscolopacina Putorius vulgaris Pica caudata. Graculus glandarius. Natrix torquata. N. tessellata. Rana temporaria. Coluber viridiflavus. Motacilla alba. M. boarula. Budytes flavus. Upupa epops. Caprimulgus paeus. Phyllopneuste rufa. euro- Sylvia atricapilla. Corvus corax. C. frugilegus. C. cornix. Cuculus canorus, be PL LIRIERTT NE” bi geo a roussa | , (Varzi) sul Couva roussa moura (Varzi) . n Ciod sid fra dr Te 16 Ciouvì a Cù bianch da terra È Assiolo... /. 0 Luì pIAttE, x Cul bianco abbrunato. PFARE Dama (Voghera). . . . Barbagianni . Dresla (Voghera) . Î Tordela . Mean) iv... Gufo reale Falchett (Varzi) Sparviere . Gheppio Farfugn (Voghera) . Sterpazzola . Fanell, fanett (Varzi) Fanello. . . Farlisck, (Voghera) . . . Occhione . Pavaest Varzi) |, ME 3 ae Regolo SE FioutanasBi: - Fiorrancino first PL ROTTE Folaga . Fouien (Varzi) Faina . Averla maggiore ii cenerina + | Fougardron (Varzi) . Fougardra (Varzi) A "piccola, Fougardron d’la testa roussa (Varzi) A. capirossa . Frangoùl (Varzi). PESI Fringuello Frangoùl mountàn (Varzi) Peppola Frison. . Spe Frosone Fughen (Voghera, ) Faina . Guzzana . Ghiandaja. Lodola . Ballate veri illa È inn 1 Lodula capussena (Varzi) . Cappellaccia . Lugaren (Varzi)... .- + Lucarino . Lucertola delle ‘mura: glie SINMUN = + i A Luserta (Varzi) . Luv (Varzi). Matella (Varzi) Merael (Varzi). Merlo . : Merael acquareu (V arzi) . Merlo acquaiolo. CAN Merael acquareu verd (Varzi) Uccello Santa Maria, Martin pescatore Passera scopajola . Merael sicilian. ; ° * % Codirossone . Merael:ad.riva.. iu... . vi ini ° gioia sa | dol Fulci n Mustela Poidati dà Lanius csc ORE L. minot. cal L. collurio. | L. auriculatus.. d Fringilla coelebs. | F. montifringilla. Coccothraustes vulg Mustela foina. : Graculus glondarius. Alsuda alrengigi it A. arborea. pira it Galerida cristata. Chrysomitris spine. Podarcis. senti Lupus vulgaris. Accentor modularis. Turdus merula. Cinclus die 4°) <> Alcedo ispida. rag) Monticola saxatilis. — | NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. ——_——_——————_——___————_m=mamtecmr momo REIE > SVI NOME DIALETTO Milò (Vogh.) Mounaghena d’la couva ‘longa Mourì (Varzi) . ale Nibbi . Uca savaiga (Varzi). Ourtlan (Varzi) . . Ourtlanèn (Voghera) Parasseula (Vogh.) . Passaren (Varzi) . Passaren campagneu ( Varzi) . Passaren mountagneu (Vogh ) Passra soulitaria (Varzi) Pernisa guastesa (Varzi) Pesca marten (Varzi) Pess bott (Varzi). Pess barbar (Varzi) . Pett rouss (Varzi) Picheuss, piccousson (Varzi) . Picheuss neighaer e bianch Picoussen (Varzi). — Quaia. Rampighen (Varzi) . Raina (Varzi) . Ratt campagneu (Varzi) da cà. . i . da granè (Voghera). . da tecc (Varzi) . . da toumben . da scianga . . sgouratèn (Varzi . . suraten (Voghera) Rata voul (Voghera) Ravaren (Voghera) . Rè da cicc (Varzi) . Risspoursè (Varzi) Risscan Rivareu (Voghera) . Roundanena a (Voghiera). HEI HETHE . . . rea NOME ITALIANO Colubro verde e giallo Codibugnolo . Civetta. Nibbio . Oca granajola Ortolano . : Beccafico canapino. Cinciallegra . Passera. Passera mattugia . Codirossone . Pernice comune. Coturnice . Seatanfia È Gobione Barbo canino Pettirosso . Piechio verde P. rosso maggiore . P. piccolo. | “ £ P. muratore . Quaglia. Rampichino . Ranat3ar. Moscardino, Ndegiolino Topo casalino Ratto comune o nero, Sorcio delle chiaviche. Rinolofo uniastato . Vespertilione murino . Cardellino . Scricciolo . Riccio . Balestruccio . È Orecchione comune sd Rondine . . . » . . . rs————'"n/}— 85 NOME SCIENTIFICO Coluber viridiflavus. Acredula rosea. Athene noctua. Milvus niger. Anser segetum. Emberiza hortulana. Hypolais poliglotta. Parus major. . | Passer Italiae. P. montanus. Monticola saxatilis. Perdix rubra. P. saxatilis. Aegialites hiaticula. Cottus gobio. Gobio fiuviatilis. Barbus caninus. Erythacus, rubecula. Gecinus viridis. Picus maior. P. minor. Sitta caesia. Coturnix communis. Certhia familiaris. Rana esculenta. Myoxus avellanarius. Mus musculus. Mus rattus. M. decumanus. Plecotus auritus. Rhinolophus ferrum equinum. Vespertilio murinus. Carduelis elegans. Troglod. parvulus. Erinaceus europaeus Chelidon urbica. Hirundo rustica. 86 F. MAZZA, NOTE FAUNISTICHE SULLA VALLE DI STAFFORA. NOME DIALETTO Roundon (Voghera) . Roundon d’ riva (Varzi) Roussgneu (Varzi) Sganzièn (Varzi) . Sgarbè (Varzi). : Sgasaneura (Voghera) . Sgiangasace (Varzi). Sira (Varzi) Stortacoll È Stouraen (Voghera) . Stourdaen (Varzi) . Struggia (Varzi). Surnia (Varzi). Tarantella . Tasstet Testa neigra (Varzi). Topa «i. "Tanrbarei (Voghera) . Tourdèra (Varzi). Tourdèra moura (Varzi) . T. ad Sardegna (Varzi) Tourdra (V arzi) . Tourdren dal sneivaer (Varzi) T. da l’ uva. Verdon Vipra. Voulp. . | Torcicollo. NOME ITALIANO Rondone . . . . R. alpino . Rusignolo . Cardellino. Rigogolo . Averla piccola . Cobite fluviale . Pispolone . Pispolo Storno . Vallone” ."L Scoiattolo . Tasso 4 Cinciallegra . Talpa] Colombella Tordela Merlo col petto bianco, Tordela garzina. Tortora Tordo sassello Tordo . Verdone"... Vipera comune . Volpe . Salamandra aquatica . Tritone punteggiato . Salamandra terrestre . NOME SCIENTIFICO Cypselus apus. C. melba. Philomela luscinia. Carduelis elegans. Oriolus galbula. Lanius collurio. Cobitis taenia. Anthus arboreus. A. pratensis. Iynx torquilla. Sturnus vulgaris. Telestes muticellus. Sciurus vulgaris. Triton cristatus. T. punctatus. Salamandra maculosa Meles taxus. Parus maior. Talpa europaea. Columba oenas. Turdus viscivorus. T. torquatus. T. pilaris. Turtur auritus. Turdus iliacus. T. musicus. Ligurinus chloris. Vipera aspis. Vulpes vulgaris. Dal Laboratorio di Zoologia della R. Università di Pavia, 1 luglio 1881. NOTE SUR L’ALBINISME DES MAMMIFÈRES. par G. De MORTILLET. (Séance du 31 juillet 1881.) Je viens de recevoir quatre cahiers des Atti. Le plus récent contient un fort intéressant Elenco generale dei mammiferi sog- getti ad albinismo de notre collègue M. Elvezio Cantoni. Per- mettez-moi quelques observations sur cet important sujet déjà abordé avec tant de succès, au moins pour ce qui concerne les oiseaux, par notre savant Président E. Cornalia. Dans un Rapport sur le Musée d’histoire naturelle d’ Annecy, dont j'ai donné un exemplaire à notre Société, séance du 28 fevrier 1859, alors que, par ordre supérieur, elle ne pouvait prendre que le titre de Società geologica residente in Maulano : dans ce rapport, dis-je, sur 35 espèces de mammifères savoisiens réunies au Musée j'ai cité trois cas d’albinisme. Une taupe (Talpa europaea) des environs d’Annecy, jaunàtre. Albinisme général mais incomplet comme intensité. Un blaireau (Meles tacus), des Ollières, près d’Annecy. En- tiorement blanc. Un écureuil (Sciurus vulgaris), de Brison en Faucigny, haute Savoie. Roux mais à queue toute blanche. Nous avons là des exemples des trois modes d’albinisme. Le blaireau, albinisme absolu; la taupe, albinisme général mais in- complet; l’écureuil, albinisme partiel. Dans son Elenco, M. Cantoni ne cite pas l'homme. C'est un oubli. L’albinisme est assez fréquent chez l’homme. Il se mani- feste mème à des degrés fort divers. On montre dans nos foi- - res des albinos frangais d’un blanc parfait, aux yeux rouges. 88 G. DE MORTILLET, NOTE SUR L’ALBINISME, ECC. Entre Annecy et Albé, en Savoie, j'ai observé une famille dont trois enfants étaient des albinos incomplets, au mème degré que la taupe citée. Cette famille montre que l’albinisme dans ses divers degrés peut se grouper sur un point déterminé et mème se reproduire réguliérement. En effet les rats (Mus rattus) et les souris (Mus musculus) entièrement blancs forment des familles nombreuses et parfois méme des groupes, sans mélanges, dans certaines mai- sons, dans certains quartiers. J'ai habité à Paris, rue de Vau- girard, un appartement où les souris abondaient. Mais au lieu d’ètre gris foncé, elles étaient toutes d’un gris très clair, blan- chàtre. C’était un albinisme incomplet qui se transmettait régu- lièrement par génération. Il s’était formé là plus qu’une famille, une véritable race de souris ayant toutes, au mème degré, un albinisme incomplet. Dans les environs de Genève, à coté du rat ordinaire (Ius rattus) on trouve le rat à ventre blanc (Mus leucogaster) espèce qui se rencontre encore bien plus fréquemment en Italie. Le lew- cogaster n’est-il pas tout simplemment un albinisme partiel du rattus qui s'est maintenu d’une manière régulière et permanente, formant ainsi une race particulitre à laquelle F. J. Pictet a donné le nom de Mus leucogaster? En étudiant l’albinisme è& ce point de vue on pourrait expliquer bien des faits de sélection et de transformisme. BIBLIOGRAFIA F DEGLI INSETTI FOSSILI ITALIANI FINORA CONOSCIUTI del Socio Dott. GiovaNnNI MALFATTI. Le impronte che gli animali articolati appartenenti alla classe degli insetti lasciarono sulle rocce del nostro paese nelle passate epoche geologiche sono meno rare di quanto generalmente sì crede; ma ora per lo scarso numero delle specie rappresentate da quelle impronte, ora per il cattivo stato di conservazione delle medesime, i paleontologi italiani e stranieri che ebbero occasione di esaminarle non ne fecero in generale gran conto; tutt'al più si limitarono ad indicarne la presenza e la maggiore o minore abbondanza in questa o quella località, senza descri- - verle nè figurarle, o dandone solo descrizioni e figure molto in- complete, e spesso più o meno inesatte. Gli studiosi che desiderano conoscere la bibliografia relativa a questo ramo della paleontologia italiana non devono pertanto attendersi da me una lunga lista di lavori speciali; anzi, sic- come questa riescirebbe assai breve, mi credo autorizzato a sop- primerla affatto, supplendovi col redigere una succinta ma pos- sibilmente completa rassegna di tutti gli insetti fossili italiani finora studiati, o per lo meno conosciuti, e coll’indicare per ciascuno di essi le opere dove ne è fatta parola. Siccome d’altronde alla maggior parte di questi insetti non sì è ancora potuto assegnare un posto determinato nella clas- | sificazione naturale (perchè il più delle volte mancano total- mente in essi, oppure sono più o meno guaste e mutilate, quelle 90 G. MALFATTI, esili appendici dalla cui varia forma e struttura l’entomologo trae i migliori caratteri per la distinzione degli ordini, delle famiglie, dei generi e delie specie), e i dati più positivi da noi posseduti sul loro conto sono quelli che si riferiscono alla na- tura litologica e geologica delle rocce in cui furono rinvenuti, onde la rassegna che intendo farne risulti in qualche modo or- dinata, li dividerò in altrettanti gruppi quanti sono ine i loro diversi giacimenti. Questi giacimenti si trovano compresi tutti nei terreni di meno remota formazione, vale a dire in quelli dell’epoca quadernaria e dell’epoca terziaria, e si possono cronologicamente ordinare come segue: Epoca quadernaria. . Tufo calcare di Grone (Val Cavallina). . Marne sovrastanti alla lignite (o torba) di Leffe (Val Gandino). . Travertini di Gavorrano (Maremme Toscane). . Alabastri della Valnerina, fra Terni e la cascata delle Marmore. Ha 00 N = Epoca terziaria. . Marne e gessi della formazione gessosa-solfifera. . Tripoli dei Monti Livornesi e di altre località. Ambra inclusa in molasse marine e d’acqua dolce (Sicilia). . Marne di Salcedo e del Chiavon (Vicentino). . Marne a filliti ed ittioliti del Monte Bolca (Vicentino). o 0 L09 Non tutte però le rocce i cui nomi figurano in questa. lista sono egualmente ricche in insetti fossili; — quelle che ne con- tengono il maggior numero sono: le marne ed i gessi della for- mazione gessosa, il tripoli, l'’ambra, le marne di Salcedo, del Chiavon e del Monte Bolca. In ciascuna delle altre non venne finora osservato, che io mi sappia, alcun insetto completo, ma solo dei frammenti d’insetti, cioè: 1. Nel tufo calcare di Grone, l'impronta di un’ala di Ta- banide (Ditteri). — L’esemplare appartiene al Gabinetto del R. Istituto tecnico di Bergamo. 2. Nelle marne sovrastanti alla lignite di Leffe, e nella stessa BIBLIOGRAFIA DEGLI INSETTI FOSSILI ITALIANI, ECC. 91 lignite, alcune elitre egregiamente conservate che il sig. N. Pini, alla cui cortesia debbo tale comunicazione, crede poter riferire a due distinte specie del gen. Donacia Fab. (Coleotteri) e pre- cisamente alla D. reticulata Schh. e D. bidens (?) 3. Nel travertino di Gavorrano, un’elitra la quale, secondo Heer, deve aver appartenuto ad un coleottero del gen. Helops Fab. Questa elitra trovasi menzionata e figurata nelle Contri- butions à la flore fossile italienne dei signori Gaudin e Strozzi. ! 4. Finalmente gli alabastri della Valnerina non contengono, a quanto pare, vere impronte di insetti, ma risulterebbero essi stessi formati dalla agglomerazione di tante celle calcaree co- struite da insetti, attorno i tronchi ed i rami degli alberi ba- gnati dalle acque del lago della Valnerina. Secondo Stoppani quelle cellule calcaree sarebbero l’opera delle larve d’una friga- nide, la Friganea major. * INSETTI FOSSILI NELLE MARNE E NEI GESSI DELLA FORMAZIONE GESSOSA-SOLFIFERA. Tutti gli autori che direttamente o indirettamente si occupa- rono di codesta formazione (il cui studio, nelle varie regioni ita- liane dove essa è più sviluppata, fu singolarmente facilitato grazie alle continue escavazioni praticate nel suo spessore a profitto dell'industria e della agricoltura) menzionano nei loro scritti varie specie di insetti fossili, alcune delle quali si incontrano assai frequentemente nelle rocce da cui la detta formazione ri- sulta costituita. Tale è per esempio la Libellula Doris Heer, che allo stato di larva fu trovata abbondantissima nelle marne associate ai gessi di Guarene ° presso Alba, in Piemonte — di Castellina marit- 1 Nouveaux mémoires de la société helvetique. — Zurich, 1860. — Vol. XVIII, pag. 28. PI. IV, fig. 8 e 86. ? Atti della Società italiana di scienze naturali. — 1881. — Vol. XXIII, pag. 289. ° Sismonpa E. Matériaux pour servir à la paléontologie du terrain tertiaire du ‘Piémont, = Nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, 1865. — Serie II, vol. XXII, pag. 470. | 92 G. MALFATTI, tima * — di Limone °, presso Livorno, e di pasticci 1 Monti Livornesi ° — di Monte S. Donato” nel Bolognese — di Sinigaglia © e di Ancona °; nonchè negli strati di gesso marnoso di Sogliano !° presso Rimini — di Perticara !! presso San Marino; | e della contrada Cannattone, !'* la quale comprende una serie di colline che si trovano a settentrione di Recalmuto e di. Grotte nella provincia di Girgenti, in Sicilia. In quest’ultima località alle larve della Libellula Doris sono frammiste quelle di un’altra libellula, la L. Eurynome Heer. °° Però mentre dell’una (L. Doris) si contano spesso fin 100 im- pronte in un piede quadrato di superficie, sono piuttosto rari gli esemplari dell’ altra specie. La Libellula Eurynome fu rinvenuta anche nelle marne e nei gessi di Sinigaglia '* unitamente ad un insetto che sembra dover ‘ CAPELLINI G. Notizie geologiche e paleontologiche sui gessi di Castellina ma- rittima. — Nuovo Cimento. Vol. XII. — Pisa, 1860. — La formazione gessosa di Castellina marittima ed î suoi fossili. — Nelle Me- morie dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Ser. III, tomo IV (1874). 5 CAPELLINI G. La formazione gessosa, ecc., ecc. 6 CAPELLINI G. Sfratî a congerie, ecc., ecc., nei monti livornesi. — Rendiconto dell’Accademia delle Scienze di Bologna. — Seduta 19 novembre 1874. — Nuove ricerche, ecc. Id. Id. — Seduta 8 aprile 1875. — Gli strati a congerie, ecc., ecc. — Atti della R. Accademia dei Lincei, 1879- 1880. — Serie III, vol. V. 7 CAPELLINI G. Pesci ed insetti fossili nella formazione gessosa del Bolognese. — Gazzetta dell’Emilia 22 maggio 1869, N. 141. — La formazione gessosa, ece., ecc. * ProcaccINI-Ricci. Entomoliti delle gessaje Sinigalliesi. — Neî nuovi annali delle Scienze naturali. + Bologna, 1842. | MassaLonGo A. P. Sopra due larve fossili di Libellula, ecc. Negli Studî paleon- tologici. — Verona, 1856. — Pag. 22-23 con figure. SCARABELLI G. F. Geografia stratigrafica del Senigalliese.— Imola, 1859. — Pag. 25. ° CAPELLINI G. La formazione gessosa, ece., ecc. 10 Idem. 11 CAPELLINI G. La formazione gessosa, ecc., ece. 12 StoeHR EMILIO. Notizie preliminari sulle piante ed ‘insetti fossili della forma- zione solfifera in Sicilia. — Nel Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia. — Roma, 1875. N. 9 e 10. 13 SToEHR EMILIO. Op. cit. 14 MassaLonGo A. P. Sopra due larve fossili, ecc., ecc. BIBLIOGRAFIA DEGLI INSETTI FOSSILI ITALIANI, ECC. 93 5 essere collocato fra i rincoti geocorisi,! ed agli altri insetti se- guenti : !° 1. (schna sp. (Affine all’ (E. Metis Heer) — 2 ali. IE » Sp. (Affine all (. Polydora Heer) — 1 ala. 3. Libellula sp. — 2 ali incomplete. 4. Sirphus Freyeri Heer — 1 esemplare. 5. Formica macrophthalma (?) Heer — 1 esemplare. 6. Halys sp. — l es. incompleto. INSETTI FOSSILI NEL TRIPOLI (SCISTI A DIATOMEE). Questa roccia essendo costituita dai gusci silicei di esseri mi- croscopici (appartenenti al regno vegetale e parzialmente forse anche al regno animale) ed avendo per conseguenza una strut- tura finissimamente granulare, è, dopo l’ambra, quella nella quale riuscì più perfetta la fossilizzazione di tutti gli insetti in gene- rale, ed in particolare delle specie più piccole e più delicate. Per lo più il tripoli si trova nelle medesime località dove esiste la formazione gessosa, e costituisce dei banchi di varia potenza i quali giaciono al di sotto di essa, e ne sono separati da parecchi strati d’origine marina, il cui spessore dinota che la detta formazione è notevolmente meno antica di quei banchi. Ond’è che la fauna, come la flora, del tripoli (almeno per la piccola parte che finora ne fu studiata) differiscono alquanto dalla fauna e dalla flora della formazione gessosa. ' Per ciò che riguarda la fauna entomologica però sarebbe ora impossibile lo stabilire dei confronti, giacchè se molto incom- plete sono le nostre cognizioni rispetto agli insetti fossili della formazione gessosa, lo sono ancora di più quelle che si riferiscono agli insetti del tripoli. 15 ProcaccINI-Ricci. Lettera prima sulle filliti Sinigalliesi. — Nei Nuovi Annali delle Scienze naturali. — Bologna, 1838. — Anno 1.° fascicolo 2.°, pag. 210, tav. V, figura 1. 1° ScARABELLI G. F. Geologia Stratigrafica, ecc., ece., pag. 25. 17 S. DE-BoSsNIASKI. Comunicazioni scientifiche, in Atti Società toscana di scienze naturali, — Processo verbale adunanza 14 novembre 1880. Pag. 91, 94 G. MALFATTI, at Vero è che il prof. Capellini, il quale nel ricco Museo geolo- gico dell’ Università di Bologna da lui fondato e diretto ne possiede una ricca e bellissima collezione, procuratagli dal si- gnor Tito Nardi di Gabbro — nei Monti Livornesi — (ove la zona del tripoli è assai sviluppata) vi ha riscontrato i seguenti tipi ** IMENOTTERI Formica globularis (?) Heer., î Sp. | GryMlacris sp. | Libellula sp. Tipula lineata Heer. Bibio sp. ORTOTTERI DITTERI che certamente non si trovano nelle roccie della formazione gessosa; tuttavia negli scisti fogliacei di Mondaino che, a quanto pare, corrispondono esattamente al tripoli di Gabbro, !° lo Sca- rabelli ?° dice aver trovato in copia ali e larve di libellule, fra le quali (non essendo indicato di che specie si tratti) potreb- bero trovarsi anche la L. Doris e la L. Eurynome. La questione adunque rimane per ora sub judace. | INSETTI DELL’AMBRA. Sebbene la maggior parte dell’ambra che si trova sia in com- mercio, sia nelle collezioni scientifiche ed artistiche, provenga dalle sponde prussiane del mar Baltico, questa pregiata resina fossile non è punto rara fra noi. Varî autori infatti, come Al- dovrandi, Monti Giuseppe, Brocchi, Carrera, ecc., ne hanno da lungo tempo segnalata la presenza in Liguria, nel Padovano, nel Reggiano, nell’ Umbria, in Sicilia; ed anche recentemente il prof. L. Bombicci la rinvenne piuttosto abbondante nel Bo- lognese. 18 CAPELLINI G. Il calcare di Leitha, il sarmatiano e gli strati a congerie nei monti livornesi. — Att. R. Ac. Lincei. Serie III, vol. II. — Seduta 3 marzo 1878. Copie a parte, Roma 1878, in 4°, pag. 13. 4? S. DE-BosNIASKI. Op. cit., pag. 100. 20° SCARABELLI G. F. Monografia della provincia di Forlì. — Forlì, 1880, pag. 78. BIBLIOGRAFIA DEGLI INSETTI FOSSILI ITALIANI, ECC. 95 In tutti codesti luoghi l’ambra si presenta in pezzi, quali pic- coli, quali voluminosi, che mostrano traccie di arrotondamento, dovuto evidentemente all’azione meccanica delle acque, che dopo averli staccati dalla roccia entro cui erano inclusi, li traspor- tarono per qualche tempo lungo il cammino da esse percorso. Finora, per quanto io mi sappia, non furono riscontrati in- setti fossili tranne che nell’ambra di Sicilia, la quale ha la sua principale giacitura primitiva entro le molasse, marne e sabbie mioceniche attraversate dai fiumi Simeto o Giarretta, e Imera o Salso, e si raccoglie allo stato di disseminazione (giacitura secondaria) presso le spiagge del mare a Catania ed a Licata, nonchè presso Terranova, Girgenti, Spaccaforno, Scicli, Ragusi, e nelle campagne centrali di Asaro, Centorbi, Leonforte, S. Fi- lippo. °* Le prime notizie relative alla fauna entomologica dell’ambra siciliana si devono al Guérin-Méneville ** che nel 1838, coadiu- vato dal Lefèbure, ne studiò una piccola raccolta comunicatagli dal dott. Carmelo Maravigna, allora professore di chimica presso l’ Università di Catania. Gli insetti riscontrati in quella raccolta, secondo i citati au- tori, sono i seguenti: COLEOTTERI. 1. Staphylinus ? In cattivissimo stato. 2. Anaspis. Specie ben caratterizzata. — A. antiqua Guer. 3. Scraptia. 5 ne E — S. ovata Guer. 4. Platypus. n 3 5 — P. Maravigne Guer. ORTOTTERI. 5. Blatta. Un insetto perfetto ed una larva. EMITTERI. 6. Psocus. Due larve. È 2! BomBicci L. Studî sui Minerali del Bolognese. — Mem. Acc. Scienze Istituto di Bologna. Serie III, tomo 1° (1871). — Corso di Mineralogia, 2» Edizione. — Bologna 1875, vol. II, parte I, p. 517. 23 GUÉRIN-MÉNEVILLE. Note sur les insectes trouvés dans l’ambre de Sicile. — Révue zoologique de l'année 1838. Paris, 1840. — Tom 1 (pag. 168-170 e PI. 1, fig. 1-18). 96 G. MALFATTI, IMENOTTERI. 7. Bracon? O genere nuovo molto affine. 8. Formica. Sette specie, di forme molto diverse dalle solite. DrrTERI. 9. Cecidomya. Due specie. 10. Simulium? O genere affine. 11. Eyphus? O genere affine. 12. Dasypogon. Due specie ben caratterizzate. 13. Nuovo genere? Assai rimarchevole per la dilatazione della testa. Mancano le antenne. 14. Due piccoli Tipularidi accoppiati. 15. Varî nemoceri e muscidi di difficile determinazione. {l dotto quanto compianto C. Rondani °° fece più tardi osser- vare al signor Guérin-Méneville : “ 1.° Che due degli imenotteri collocati da lui fra le for- miche non sono probabilmente tali, attesa la struttura delle loro antenne. “ 2.° Che i due ditteri controsegnati nella lista col N. 12 non spettano al genere Dasypogon, bensì al gen. Ceratopogon. “ 3.° Che forse è puramente accidentale la dilatazione straordinaria del capo nell’insetto N. 13, il quale, per la di- sposizione delle nervature nelle ali, e lo sviluppo delle spine alla terminazione delle tibie, sembra appartenere alla tribù dei Scio- philini. , E il dottor Frichson °* nella sua rivista dei lavori entomolo- gici comparsi durante l’anno 1838 tenne conto di tali rettifiche. Altre notizie relative agli insetti fossili dell’ambra siciliana si trovano in un breve scritto del signor H. Hagen °° di cui stimo opportuno dare qui a traduzione: ?3 RONDANI C. Remarques sur la note de Mx Guérin-Méneville. — Révue zoologi- que de l’année 1840. Paris, 1840. — Tom. III° (pag. 369-370). 24 WIEGMANN Aua. Archiv fiir Naturgeschichte — fiinfter Jahrgang. — Zweiter Band. Berlin, 1839, pag. 309. 25 HAGEN H. A. Insecten im Sicilianischen Bernstein im Oaxforder Museum. — Stett. Ent. Zeit. 1862. — T. 23, pag. 512-914. BIBLIOGRAFIA DEGLI INSETTI FOSSILI ITALIANI, ECC. 97 “ Nei molti viaggi da me fatti non mi occorse mai di osser- vare esemplari d’ambra siciliana in nessun Museo, eccettocchè in quello di Oxford, dove se ne trova una piccola collezione di ‘30 pezzi, comperati a Catania da Hope. La maggior parte di questi pezzi contiene piccoli ditteri, formiche e coleotteri; tre peerteono delle termiti e precisamente: * 1.° Una termite alata di media grossezza la quale, da un confronto fatto con 150 pezzi a termiti del mar Baltico, risul- terebbe essere una specie nuova. “ 2.° Altra termite alata più piccola, avente le dimen- sioni di 7. antiquus. — Non si può tuttavia determinare con sicurezza come tale, attesa la sfavorevole posizione dell’insetto entro il pezzo. “ 3.° Termiti operaje. “ Siccome le termiti in genere sono piuttosto rare nell’ambra del Baltico (sopra 15,000 pezzi di tale ambra da me esaminati ‘solo 150 contengono termiti, ed i ‘/; di queste appartengono al T. antiquus); e più rare ancora le termiti operaje (1 su 150) ‘— la loro abbondanza in una collezione di soli 30 pezzi è un fatto che merita di essere preso in considerazione. Anche il colore dell’ambra siciliana, così diverso da quello dell’ambra baltica, fa ‘pensare che esse abbiano anticamente avuto origine da alberi di- versi, onde è naturale che rinchiudano una fauna diversa. , °° L'autore conchiude facendo voti perchè il signor Westwood si ‘occupi di tale argomento studiando diligentemente le ambre in- settifere del Museo di Oxford. Ignoro però fino a qual punto quei ‘voti sieno stati esauditi, essendomi riuscito impossibile il procu- ‘rarmi la sola opera dove credo si trovino parecchie indicazioni ‘in proposito. ° i SI 28 Vedi anche dello stesso autore (H. A. HAGEN) An Entomological Tript to Oxford. Entom. Mecklemb. Iutellig. 1861 (paz. 165-168). 27 Alludo qui agli opuscoli sugli insetti fossili che il sig. H. Goss pubblicò re- centemente negli Atti della Società gevogica di Londra; opuscoli dei quali il nobi!e P. BARGAGLI fece una accurata analisi nel Bullettino della Società entumolugica ita- liana per l’anno 1880. ValxxrT. * I sr 98 Gi MALFATTIj i/l Lila È Recentemente poi io stesso ?* ho descritto due minutissimi in-. setti rinchiusi in un pezzo lavorato d’ambra siciliana, posseduto dal signor Presidente della R. Accademia dei Lincei, l’illustre Q. Sella. Uno di questi insetti rappresenta un genere non per anco riscontrato nell’ambra baltica (gen. Tapinoma); l’altro ap- partiene all’elegantissimo tipo dei Mimaridi. | INSETTI FOSSILI NELLE MARNE A FILLITI DI CHIAVON, SALCEDO, ECC. Il sig. prof. G. Omboni in varî suoi scritti afferma che queste marne (nelle quali come è noto si trova una ricca e splendida flora tropicale ed una non meno ricca fauna, rappresentata spe- cialmente da batraci, pesci e crostacei) contengono non rara- mente belle ed assai ben conservate impronte di insetti fossili, e probabilmente è in qualcuna di tali impronte che Abramo Massalongo °° credette di riconoscere il tipo delle api. Forse questa citazione non cade qui esattamente a proposito, giacchè il Massalongo, parlando di tali api, non ebbe cura di ag- giungere dove ed in quali rocce le avesse osservate, ma mi in- duce a credere che si tratti propriamente delle marne di Chiavon | il fatto, che nella collezione paleontologica del Museo di Milano si trova un frammento di detta roccia contenente l’impronta e con- tro impronta d’un bellissimo imenottero, le cui forme sono ap- punto affini a quelle di alcuni apiaridi. L’esemplare in questione fu gentilmente donato al Museo dal sig. Giuseppe Gargantini-Piatti, cui lo vendette nel 1868 Gio- vanni Meneguzzo, l’intelligentissima guida di cui si valgono tutti coloro che fanno escursioni geologiche e paleontologiche nelle montagne venete. 28 MALFATTI G. Due piccoli imenotteri fossili dell’ Ambra siciliana. — Reale Accademia dei Lincei — Transunti — Vol. V, Serie III (1881). 29 MassaLoNGO A. P. Dissertazione sopra un nuovo genere di Pandanee fossili nella provincia veronese, = Verona, 1853, pag. 12. BIBLIOGRAFIA DEGLI INSETTI FOSSILI ITALIANI, ECC, 99 INSETTI FOSSILI NELLE MARNE ITTIOLITICHE DEL MONTE BOLCA. °° Non così numerosi nè così ben conservati come i resti di piante e di pesci insieme ai quali si rinvengono sepolti, ma non- dimeno interessantissimi perchè sono i più antichi insetti fos- sili italiani finora conosciuti, e perchè fra essi trovasi una specie che è menzionata e figurata in opere stampate sul principio del secolo scorso °' cioè da 130 a 150 anni innanzi la comparsa dei primi lavori paleo-entomologici di qualche merito, quali sono quelli di Germar, Unger, Brodie, Marcel De-Serres, ecc. Questa specie, di cui non rimangono ora più che le rozze fi- gure datene dallo Scheuchzer (mentre si ignora completamente a sorte dell'esemplare originale onde furono tratte) secondo il Massalongo, che potè studiarla con altro esemplare in apparenza affatto simile a quello di cui si valse lo stesso Scheuchzer, do- vrebbe riferirsi al gen. Cordulia Leach. Il Massolongo la deno- minò O. Scheuchzeri, e nel suo prodromo d’una entomologia fos- sile del Monte Bolca °° la descrisse e figurò insieme cogli altri 6 insetti seguenti: 30 Gli è solo abusivamente che si attribuisce alle dette marne una tale provenienza, giacchè esse sono in realtà estratte da varie cave situate sui fianchi di una monta- gna denominata Lastrara, che trovasi nel Comune di Vestena nuova, e che pur es- sendo vicinissima al monte Bolca, ne differisce notevolmente per la natura e la di- sposizione delle roccie onde risulta formata. Il monte Bolca, e particolarmente la sua regione culminante, detta Purga di Bolca, è costituito per la massima parte di ba- salte a grana fina ed uniforme ed a tinta bruno-epatica; la Lastrara invece è com- ‘posta di roccie sedimentarie che sono disposte in strati quasi orizzontali e consistono parte in un calcare marnoso durissimo (zengio) spesso intercalato da vene di calcare spatico, e parte in una marna fissile (lastra) la quale battuta si divide in lamine sottilissime, ed emana collo stropicciamento un odore fetido. Nella prima roccia non sì trovano ordinariamente nè fossili, nè alcuna altra sostanza eterogenea; l’altra in YVece contiene numerose impronte ed avanzi di piante, pesci, crostac-i, inse ti; non- chè globuli ed arnioni formati talvolta da solfuro di ferro, talvolta da materie di aspetto bi uminoso o resinoso (ambra ?). 3 ScHEUCHZER. Heybarium diluvianum. Tiguri, 1700; in fol. 23 MassaLonGo A. P. Studî paleontologici. Con tavole litugrafiche. — Verona, 1856» Pag. 11-21, tav. 1-2. 100° G. MALFATTI, BIBLIOGRAFIA DEGLI INSETTI FOSSILI, ECC. Ancylochira delecta Heer. Perotis levigata Heer. ORTOTTERI Forficula bolcensis Mass, a Nevrorreri Termes Peccanae Mass. Dipterites Angelini Mass, Bibio Serrerì Mass. CoLEorTERI DrrreRì Altri insetti fossili del Bolca, fra cui una Gliphea incerta Mass. — una Libellula, ed una specie non determinata di Gono- plax sono figsurate in una delle tavole che lo stesso valente pa- leontologo, così immaturamente rapito alla patria ed alla scienza, aveva preparato per servire di illustrazione al suo Compendium faune et flore Volcensis, rimasto inedito; °° — altri, fra cui due Asili ed una Cimice americana (s?c) si trovano menzionati come appartenenti alla collezione Bozza, da Monsignor Serafino Volta. °* Marcel De-Serres poi, in uno dei suoi opuscoli paleontologici °° riferisce di avere osservato nel Museo di Nimes, sopra lastre marnose d’ignota provenienza, le impronte fossili di parecchie belle ed egregiamente conservate libellule ad ali distese, ch'egli crede essere del M. Bolca, “ perchè stanno insieme ad altri 0g- getti di quella località. , — Quando si rifletta che la ricca col- lezione di Don G. G. Spada, divenuta poi proprietà del marchese Scipione Maffei, passò da ultimo nelle mani del botanico Seguier, che la portò seco a Nimes, la supposizione fatta da Marcel De- Serres non può dirsi affatto priva di fondamento. Sì DE-VISIANI. Vita ed opere di Abramo Massalongo. — Negli Atti del R. Istituto Veneto. Serie III, T. VI, pag. 263 e 299. 34 Ittiologia Veronese. — Opera in folio cominciata nel 1796 e terminata nel 1809. Vedi Capo II $ XXVII. 35 Géognosie des terrains tertiaires. — 1 vol. in-8. puedo 1829. Pag. 235. ee —_’__———_ ru CENNO PREVENTIVO SUL GIACIMENTO A FILLITI scoperto DAL Dorr. F. BELTRAMINI pr’ CASATI, PRESSO Bassano VENETO, del Socio FERDINANDO SORDELLI. (Seduta 31 Luglio 1881.) L’egregio signore dott. Francesco Beltramini de’ Casati, di Bassano (provincia di Vicenza), distinto cultore delle scienze, cui la flora vicentina e l’Apicoltura già devono utili lavori e pregiate pubblicazioni, scopriva or son pochi anni, presso la città, un deposito di piante fossili con conchiglie marine, evi- dentemente del. terziario superiore. Approfittando dell’ escava- zione di una cantina nella villa del nobile signor Baldassare Compostella, posta alle falde del Col Rovigo, egli raccolse colla massima cura tutte le filliti e gli altri avanzi organici venuti alla luce in quella occasione, conscio della importanza che essi potevano avere per la geologia del paese, formandone una col- lezione per ogni verso degna d’essere conservata e studiata. Forse troppo confidando nelle mie forze, egli ebbe la bontà di inviarmi il materiale da lui raccolto, perchè ne tentassi lo studio, di che non posso a meno di ringraziarlo di gran cuore; e per la fiducia addimostratami e per l’occasione pòrtami di estendere le mie cognizioni intorno ad un periodo della Terra, che ha lasciato nel nostro paese tante e così interessanti ve- stigia. La roccia in cui stanno le filliti è un’argilla assai omogenea, a grana finissima, di colore giallognolo-cenerino, chiaro, assai 102 F. SORDELLI, allappante alla lingua, sulla quale i vegetali appajono gene- | ralmente di color rugginoso, convertiti come sono in ossido di ( i ferro. I nervi anche i più fini, sono, ciò malgrado, conservati. talora assai bene, il che facilita d’assai il riconoscimento dei varî caratteri sui quali riposa la distinzione delle specie. Dissi che tale argilla è d’origine marina, ed infatti avanzi di conchiglie marine si vedono qua e là nei saggi inviatimi*. Ed il dott. Beltramini mi scrive poi di avervene più specialmente raccolte alcune, tra le quali: Turritella subangulata Brocchi Chenopus pes-pelecani (L). Pecten cristatus Bronn. stategli determinate dal prof. Cesare D'Ancona. Le filliti, in esemplari numerosi, si riferiscono però a poche specie, almeno quelle che ho potuto studiare fin qui. Fra le meglio caratterizzate vi sono: Sequoia Langsdorfi Bgt. Quercus Charpentieri Heer. — drymeja Ung. Platanus deperdita (Acerites dep. Massal. = PI. aceroides Gpp. et Auct.) Ficus lanceolata (Web.). Ehamnus Decheni (Web.). Cassia phaseolites Ung. Questa florula potrà, certo, essere di molto arricchita, quando avrò potuto esaminare il rimanente del materiale raccolto e le mie indagini saranno giunte a miglior porto. Ma intanto mi pare possa tornare utile per la scienza il met- tere in evidenza fin d’ora il grande significato della scoperta fatta dal Dott. Beltramini. Era generalmente ammesso fin qui, che nel Veneto, dal Garda fino all’Isonzo, ed anche più in là, non esistesse il pliocene ma- 4 Non sarà forse superfluo il notare come tali conchiglie siano realmente content poranee delle filliti: la mancanza di segno alcuno di corrosione, e d’altra parte la finezza del fango in cui si trovano imprigionate, escludono l’idea che possano deri vare da un terreno più antico, come si verifica per moltissimi altri fossili. CENNO PREVENTIVO SUL GIACIMENTO A FILLITI. 103 rino, ed infatti lo sviluppo che in quella regione hanno i ter- reni terziarî inferiore e medio, assai diverso da quanto si osserva in Lombardia, sopra tutto per quanto riguarda i varî piani del miocene, veniva, oltre all'osservazione diretta, a dare ragione di questo modo di vedere. Ora però avremmo in questo deposito di Bassano un suffi- ciente argomento per mettere in forse una tale credenza, sopra tutto se le ulteriori indagini verranno a confermare le impres- sioni ricevute da questi primi risultati. Il complesso delle piante finora determinate è il medesimo che si riscontra ad Oeningen e da noi nei gessi e nelle marne delle vicinanze di Stradella. Ora questi depositi ed altri aventi gli stessi caratteri paleontolozici, confusi per lungo tempo col miocene (di cui formavano però la porzione più recente), sono oggidì posti a giusto titolo nel pliocene e collocati alla base del medesimo. Collocazione che già il Massalongo, forse prima di ogni altro, aveva già adottata fin dal 1859, nel suo ultimo pro- spetto cronologico comparativo delle flore fossili di varî paesi, di qua e là dall’Alpi. Nè a ritenere pliocenico questo nostro giacimento di Bassano, si oppone la fauna. Poichè, anzi, quelle poche specie di mollu- schi finora determinate si trovano tutte nel più puro pliocene. Detto giacimento, nello scorso anno e nel presente, fu visi- tato dal nostro collega prof. Taramelli, il quale ne aveva anche prima studiati i dintorni. Il piano delle filliti, così mi diceva il mio amico, è sopportato da marne, molasse e conglomerati con- tenenti fossili marini, aventi tutti i caratteri del piano tortoniano. Precisamente al Col Rovigo non si osserva la marna torto- niana sotto le molasse con filliti; ma poco lontano, verso nord- ovest, presso Romano, identiche molasse riposano concordanti sopra la detta marna, quivi assai fossilifera. La vegetazione im- pedisce di seguire passo passo l'andamento degli strati; ma pare che si tratti di una vòlta tra le due località, con affioramento intermedio delle marne e con opposta inclinazione delle molasse a filliti, le quali a Col Rovigo sembrano allinearsi colla posi- 104 A F. SORDELLI, i 04560 zione della zona dei conglomerati sarmatici di Asolo, inclinando: ; a sud-est. WINENL ci .O Le specie ivi raccolte da Taramelli, sono quelle stesse che furono determinate dal dott. Angelo Manzoni, cioè le seguenti: IO Conus tarbellianus Grat. Pleurotoma calcarata Grat. è i —. fusco-cingulatus Bronn. — sinuata Bell. Ù — Dujardini Desh. - pustulata Brocchi. ——* Ancillaria glandiformis Lamk. Turritella Archimedis Brongn. | Buccinum clathratum Lamk. _ rotifera Lamk. tt — semistriatum Brocchi Natica millepunctata Olivi Cassis saburon Lamk. Corbula gibba Olivi. \ Pleurotoma Sotteri Micht. Venus Dujardiniù Hornes. È — Jouanneti Desm. Sono in tutto 17 specie, delle quali solo 5 sono attualmente viventi, mentre nel pliocene il numero delle specie estinte supera di poco la metà. La fauna dunque di codesto piano inferiore è prettamente tortoniana, e lo prova anche la presenza dell’ Ancillaria glandi- formis, della Turritella Archimedis, e di varie Pleurotome. che non si trovano nei piani appena più recenti. Abbiamo però veduto che il deposito fillitifero è stratigrafi- camente superiore al tortoniano, ed anche i fossili sono nel loro complesso più recenti:di quelli che si rinvengono a quel piano, col quale si chiude la serie miocenica. — Dalle quali osserva- zioni vuolsi concludere che qui abbiamo con ogni probabilità, per non dire certezza, la presenza di un lembo di pliocene marino, che forse non è altro se non la continuazione di quello che appare scaglionato al piede delle nostre prealpi, da Castel- lamonte, a Maggiora, alla Folla d’Induno, ad Almenno. ed a Castenedolo. lesigta Che se per gli ulteriori risultati che si attendono dallo studio di una così importante località, studio al quale spero di. poter io pure contribuire, si trovasse conveniente di non istaccare af- fatto il giacimento a filliti dal sottoposto tortoniano, rimarrà sempre vero e nuovo il fatto che questa florula di Bassano è ne,” _— EI E CENNO PREVENTIVO SUL GIACIMENTO A FILLITI. 105 la prima che sia stata scoperta ad un livello così alto. Giacchè è noto come tutte le altre flore terziarie del Veneto, finora co- nosciute, appartengono o all’ eocene, o agli strati più bassi del miocene, vale a dire all’ oligocene. Sicchè rimarrebbe ancora una notevole lacuna fra queste flore, illustrate da Massalongo e da Visiani, e la nostra di Bassano, che appartiene ad ogni modo ad un piano di.molto più recente. NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI ED IN GENERALE DELL’ATTIVITÀ SISMO-VULCANICA NELLE EOLIE. Nota del prof. Gruseppe MERCALLI 1. Notizie di tre recenti eruzioni dello Stromboli. ‘ Pochi giorni or sono il sig. Ambrogio Picone mi scriveva da Lipari, che lo Stromboli verso la metà dello scorso ottobre, dopo tre giorni di lesggiera maggiore attività, il giorno 18 eruttò in abbondanza cenere e piccole pietre; aggiungeva che sebbene a Vulcano non sieno avvenuti rimarchevoli fenomeni, tuttavia i rombi interni spesso si fecero sentire più forti dell’ordinario.® Il sig. Picone ebbe la gentilezza di accompagnarmi la notizia con 1 In data 24 aprile del corrente anno lo stesso Sig. Picone mi scriveva che dal 20 al 22 aprile il cratere di Vulcano diede rumori fortissimi, e che sul piano, che circonda l'orlo superiore del cratere, hanno rinvenuto l'acido borico, cosa che prima non s'era vista. 106 : IR RIE G. MERCALLI, ta un saggio dei lapilli eruttati il giorno 18 ottobre dallo Strom-. boli. Sono cristalli di Augite di forme regolarissime e di colore. decisamente nero. Molti offrono la geminazione per emitropia, altri bellissime macle di due o più cristalli. Tra quelli emitro- pici i più voluminosi hanno 15 mm. di lunghezza per 7 di gros- sezza, e tra quelli non geminati 11 mm. di lunghezza per 8 di grossezza. In generale la loro superficie, vista alla lente, appare reticolata per un gran numero di piccolissime ed irregolari ca- vità o intaccature, che non saprei se di origine meccanica o fi- sica. Alcuni portano infissi nella propria massa pezzettini di un minerale verde-giallognolo che può essere Olivina. È noto che le scorie e. le arene lanciate da Stromboli nelle sue moderne eruzioni sono appunto caratterizzate da un gran numero di cri- stalli di Augite assai grossi e regolari. Già nel 1879 il sig. Picone mi informava di due altri brevi parossismi offerti dallo Stromboli in quell’anno ; il primo in feb- braio, l’altro in giugno. Il giorno 4 febbraio verso le 10 a., gli abitanti di Stromboli intesero un forte rombo e videro un fumo straordinario sul cra- tere. Il giorno 5 poi all’istessa ora si ripetè il rombo, ma con una forza ancor maggiore, tantochè fu udito fino a sud di Vul- cano, a 45 chilometri di distanza: il fumo usciva con veemenza mentre una fitta pioggia di pietre pomici si riversò sul mare, ed in tanta quantità che riferiscono “ esserne stato pieno il mare da sembrare all’occhio una terra estesa e piana ,. Alcuni barca- iuoli che nel momento dell’eruzione del 5 si trovavano in mare così la descrivono: “ Verso le 10 a. avvertimmo un forte tuono, n guardammo Stromboli e vedemmo un’immenso fumo, contem- » poraneamente il mare si agitò e fino a che non arrivammo 4 » Panaria avvertimmo sempre come un passaggio di una cor- » rente sott'acqua che da Stromboli dirigevasi a ponente. Al- » lorquando avvenne l’eruzione noi eravamo circa 4 miglia di- » Stante da Stromboli ,. Nel giugno poi lo Stromboli dal giorno 3 al 6 gettò cenere, ed il mattino dell’8 alle ore 2 a. dopo un forte rombo eruttò NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 107 pietre incandescenti sul versante est per fortuna incolto; tutte le rare piante boschive sparse su quel lato vennero bruciate, tantochè i naturali sul principio credettero essersi aperte nuove bocche e ne ebbero spavento. 2. Teoria di R. Mallet sul meccanismo dello Stromboli. Questi recenti fenomeni dello Stromboli m’invogliarono ad esaminare se tanto i parossismi, come le ordinarie moderate eru- zioni di questo vulcano trovino una soddisfacente spiegazione nella nuova teoria proposta da Robert Mallet sul meccanismo dello Stromboli. * Riferirò dapprima quasi colle stesse parole dell’ illustre autore la sua teoria; la quale essenzialmente consiste nell’applicare allo Stromboli l'ipotesi, con cui Bunsen spiegò tanto plausibilmente le eruzioni del gran Geyser d’ Islanda. Egli premette che l’acqua da cui risultano i volumi immensi di vapori che continuamente emette lo Stromboli, deriva imme- diatamente dal mare; e che la lava non può mai riempire la gola fino al suo orlo come una colonna compatta di materia fusa; perchè ad ogni esplosione verrebbe espulsa tutta; ciò che non accade. Ammette invece che la lava arrivi soltanto fino al fondo dell’imbuto, facendosi strada fra i frammenti che vi si trovano, saldandoli insieme e trasportandoli con sè durante la esplosione. Ciò premesso, ecco come l’ill. vulcanologo spiega il meccani» smo dello Stromboli. Imaginiamo, egli dice, che un condotto laterale (ch'io nel seguito chiamerò condotto luvico) conduca la lava più o meno liquida immediatamente al fondo del cratere; e che un tubo centrale, o gola del vulcano, si diparta dalla parte centrale del fondo stesso dell’imbuto craterico e si approfondi ì MaLLet, On the mechanism of Stromboli, nei Proceedings of the Roy. Soc. Lon- don, 1874. La Memoria di Mallet venne tradotta in italiano da O. Silvestri nel Bull. d. Vule. ital., An. 1876. —- Le citazioni si riferiscono alla traduzione. sean 1IORMOAT2 ORBREMERORDDI, atta ARY al disotto dali livello del bito) ilo vapore acqueo: a pren peratura e tensione; — 2.° sbocchi (ad un livello «inferiore. & quello del mare, ma superiore al punto dove arriva il vapore; un’ altro condotto laterale che comunica col mare, e che per: mette all'acqua marina l’entrata nel tubo centrale *in maniera che vi possa ritrovare il livello esterno del mare. ! Se _suppo- niamo, continua Mallet, una esplosione finita ed i frantumi ir parte ricaduti nel fondo dell’imbuto (la forma del quale deve essere tale che vi sia un po’ di posto per sostenere il detritc caduto nel cratere, senza che esso vada tutto a riempire e chiu- dere la gola), la lava uscendo dal condotto laterale, si frammi- schia ai frantumi, li salda più o meno insieme, ed a seconda che la sua quantità è maggiore o minore, qualche parte di essa può fluire nella gola e nell'acqua, che questa allora può con- tenere. La gola però si è vuotata coll’ultima esplosione, e la tensione in essa essendo allora quella di un’atmosfera o poca più l’acqua del mare incomincia ancora a risalire per mezzo dei condotti marini. Quest’acqua già calda riceve però altro calore dalle pareti della gola e dalle correnti di vapori caldissimi, la temperatura dei quali è probabilmente molto diversa da quella della lava. Supponiamo che la colonna di acqua marina sia per- venuta fino all'altezza del livello del mare; allora la parte in- feriore della colonna ha già raggiunto il suo punto di .ebolli- zione, quello cioè corrispondente alla pressione dell’acqua sopra- stante, aggiunta alla tensione dei vapori nella parte del tubo ancora vuoto d’acqua; tensione che dovrà corrispondere alla mag- giore o minore quantità di quelle materie, che ostruiscono la apertura del tubo e impediscono l’uscita ai vapori ed ai gaz, che in esso sono contenuti. In quell’ istante l’intera colonna può essere innalzata verticalmente di pochi piedi dal vapore, che 4 Mallet în altro luogo nota che questo condotto può essere anche formato da pie- cole fessure, che permettono l’ infiltrazione dell’acqua del mare. NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 109 viene generato nel fondo della gola; e mentre questo poco va- pore trova uscita al fondo del cratere, l’intera colonna liquida ricadrà subitamente a piombo nel fondo della gola; e così questo successivo rialzarsi e ricadere della colonna continuerà fino a che ogni sua parte abbia raggiunto il punto di ebollizione cor- rispondente alla propria profondità. Questa è la causa dei ru- ‘mori, che precedono l’esplosione. Appena raggiunto il punto di ebollizione, l’intera massa d’acqua al disotto del livello del mare è violentemente spinta in alto, e, vincendo ogni ostacolo, scaccia innanzi a sè tutto quello che riempie il fondo del cratere, ed esce fuori colla forma di una nuvola immensa composta di ce- nere; pietre, lave, vapore ed acqua finamente divisa. Quando il ‘tubo è di nuovo vuoto, e dopo che i frantumi sono ricaduti nel cratere, tutto è pronto per ricominciare da capo e per ripro- durre gli stessi fenomeni. è. Osservazioni alla teoria del sig. Mallet. Sebbene io convenga pienamente col sig. Mallet nell’opportu- nità di applicare la teoria proposta da Bunsen sul meccanismo ‘del gran Geyser d'Islanda, anche alla spiegazione del mecca- ‘nismo delle eruzioni vulcaniche; mì si permetta: tuttavia di fare alcune osservazioni al modo, con cui l’ill. geologo inglese ne fa l'applicazione speciale allo Stromboli. \ Osservazione I. — Il sig. Mallet comincia l'esposizione della sua teoria asserendo che Stromboli rimane unico tra i vulcani ‘terrestri col carattere ritmico delle sue eruzioni: sul quale osser- svazioni più 0 meno accurate si sono fatte per lo spazio di oltre 2000 anni. | A me pare invece che i fenomeni che normalmente presenta lo Stromboli nel suo cratere non siano per nulla a lui speciali ed esclusivi; ossia si ripetano frequentemente anche in altri «vulcani. Potrei citare il Masaya, il Kilauea, l’Isalco; ma mi limi- terò ai soli vulcani italiani. In una delle ultime eruzioni di Vul- cano (settembre 1873) le esplosioni si succedevano ritmicamente 110 »G. MERCALLI, ad intervalli di 20 a 30 minuti. All’ Etna nell’8 agosto 1864 il | prof. O. Silvestri osservò che nel sommo cratere del vulcano si vedeva la gola tutta incandescente, e che per ogni intervallo da | 5 a 6 minuti primi si sentiva una detonazione cupa e profonda | con leggiera scossa del suolo, ed intanto veniva fuori una sbuf- fata di acidissimo vapore, che projettava, ad un’altezza che non oltrepassava il bordo del cratere, delle incandescenti scorie poco voluminose.? Nell’agosto del 1874 nell’interno del gran cratere etneo Falb vide un piccolo cono di eruzione interno, il quale dava | esplosioni ad intervalli di pochi secondi. ° Il Vesuvio poi mol- tissime volte e talora anche per mesi e per parecchi anni si. trovò in uno stato di attività identico a quello in cui è ordina- | riamente lo Stromboli. Limitandoci al secolo attuale, si osser- | varono al Vesuvio eruzioni moderate e ritmiche, precisamente | come quelle dello Stromboli, principalmente nel 1819, nel 1820, nel periodo 1841-1849, nel 1855, nel 1665, nel 1872 prima dell'eruzione del 26 aprile, nel periodo attuale principiato fino dal dicembre 1875. Ecco, per esempio, come io stesso osservai il Vesuvio nel 1878, in settembre Alle nove circa antimeridiane del giorno 24 mi trovavo sul- l’orlo del cratere. Spinsi ansiosamente lo sguardo in quella vo- ragine, ma niente vi discerneva, trovandosi essa interamente occupata da un denso fumo, nel quale solo apparivano ad in- tervalli le rosse striscie disegnate dalle materie incandescenti lanciate nell’aria. Fortunatamente il vento portava il fumo verso sud-est, ed io potei scendere nel cratere dalla parte nord-ovest. Arrivato sul fondo mi trovai sulla crosta di una lava ancora calda, sgorgata in parte la notte stessa od il giorno precedente. Come un pantano di fuoco essa riempiva tutto il vano anulare esistente tra le pareti del cratere e la base di un piccolo co- netto di eruzione che sorgeva nella parte sud-orientale. Quel 4 MERCALLI, Contribuzioni alla Geol. delle isole Eolie. Atti Soc. It. Se. Nat., 1879. 2 0. SILVESTRI, I fenomeni presentati dall’ Etna negli anni 1863-65, p. 67. Atti Ace. Gioenia, 1867. ® FALB, Gedanken und Studien tiber der Vulcanismus, pag. 59. Gratz, 1850, NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 111 conetto, di 50 metri circa di altezza, lanciava dalla sua cima una colonna di vapore carico di detriti e di piccoli pezzi di lava incandescente, mentre i più grossi brani di questa, non potendo ‘essere portati in alto dal vapore, si vedevano rotolare al basso sul fianco meridionale del cono. Dopo un getto di vapori e di de- triti seguiva qualche minuto di riposo, poi un secondo getto si- mile al primo, e così via via quelle piccole eruzioni si succe- devano con regolare e ritmica intermittenza. Intanto nell’ interno della gola del vulcano si sentiva fortemente agitarsi la lava, ed il suono che essa mandava non saprei meglio paragonarlo che a quello di un denso liquido metallico, le cui onde urtassero contro una sponda rocciosa, ovvero a quello di un gran numero di porte metalliche gigantesche, le quali sbattessero contempo- raneamente. La lava su cui camminavo mostrava, al disotto di ‘una crosta di tre o quattro decimetri di spessore, la massa in- terna ancor fluida ed incandescente, e sulla sua superficie, vicino al cono di eruzione, sorgevano alcuni piccoli conetti di un metro o poco più di altezza, i quali lanciavano ad intervalli getto di vapore e frantumi di scorie, quasi parodiassero, ripetendo in mi- niatura, i fenomeni del cono maggiore.. Dopo la mia visita il Vesuvio presentò eruzioni di pietre e ceneri a brevi intervalli principalmente nel giugno-luglio 1897. Similmente al cratere del Vesuvio Davy nel dicembre 1819 osservò succedersi ritmicamente le esplosioni ogni 2 o 3 minuti; Leonhardt ogni 10 secondi nel marzo 1820;* un corrispondente del Moniteur Off. (N. 8, febbraio, 1847) ad intervalli di qual- che minuto nel gennaio 1847; infine lo Stoppani nell’ ottobre 1865 a regolari intervalli di circa 15 minuti.’ È adunque indubitato che i fenomeni eruttivi ritmici e mo- derati, quali sono offerti dallo Stromboli, si verificano pure in ‘generale anche negli altri vulcani. Solo si può notare che tali fenomeni nello Stromboli perdurano presso a poco eguali da 1 DAvy e LEONHARDT cit. in RoTH, Der Vesuv, pag. 81. ? STOPPANI, Corso di Geologia, I, p. 336. 112 i 6, MERCALLI, ©. xi lunghissimo tempo, negli altri vulcani invece si oscesisa ni A nariamente per un tempo relativamente breve. Anche in questo però non bisogna esagerare. È vero — come comunemente si 4 negli autori — che lo Stromboli già era in attività circa 2000 anni or sono; perchè accennano alle sue eruzioni prima Callia, serit» tore siracusano dei tempi di Agatocle (anni 317-289 a. C.), poi più tardi Cornelio Severo, Strabone, Plinio. Ma che lo Stromboli, come pure comunemente si asserisce, si sia sempre trovato da più di 2000 anni in uno stato d'attività continuata, moderata e ritmica simile a quella in cui lo vediamo presentemente, non credo che si possa abbastanza fondatamente argomentare dagli storici dell’antichità e del medio evo. Callia dice che ai suoi tempi Vulcano e Stromboli giorno e notte lanciavano fuoco. Stra- bone scrive, che Stromboli comparato a Vulcano e Lipari, me perde per la violenta eruzione delle fiamme, ma che pel fulgore li sopravanza. Diodoro asserisce che Vulcano e Stromboli mon al- trimenti che V Etna vomitavano arena e sassi infocati in gran numero. Plinio dice che a Vulcano c’è un colle che di notte getta fuoco, e che Stromboli “ è solo differente da Lipari perchè getta più chiara fiamma. , Dalle quali espressioni, sempre troppo ge- nerali, non si può argomentare niente di preciso sulla natura dei fenomeni offerti anticamente da Stromboli. Anzi dall’ avvici- namento che tutti gli scrittori fanno di Stromboli a Vulcano, pare si possa inferire che lo stato di questi due vulcani fosse allora notevolmente diverso del presente. — Cosa più ancora incerta è il sapere lo stato in cui si trovò Stromboli dal prin- cipio dell’èra volgare fino al principio del secolo XVII; perchè nessuno scrittore non ne parla più fino a Cluverio. Tanto che, non solo la natura, ma l’esistenza stessa ossia la continuità dei fe- nomeni eruttivi allo Stromboli per molti secoli non si può sta- bilirla se non con molta incertezza. Per esempio, da ciò che Clu- verio chiama perpetui i fuochi di Stromboli si può supporre che tali ai suoi tempi fossero ritenuti per tradizione. ® Nè anche 41 Ecco il passo di Cluverio « ... Sed perpetui ejus (di Stromboli) ignes eminus | navigantibus nocte tantum conspiciuntur..», i pippi NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 113 dopo Cluverio possiamo dire di avere notizie precise ed impor- tanti riguardo allo Stromboli fino alla fine del secolo XVIII, quando venne visitato da Dolomieu e Spallanzani, i quali credo siano i primi, che ci lasciassero osservazioni accurate e scienti- fiche fatte a questo vulcano. Se adunque le eruzioni ritmiche di vapori e detriti non sono un fenomeno speciale allo Stromboli, ma comune al Vesuvio ed a molti altri vulcani, ne segue che probabilmente sarà uno solo il meccanismo, che tanto in questi come nello Stromboli deter- mina tali eruzioni. Orbene in nessun modo si potrebbe supporre esistente il complicato meccanismo imaginato da Mallet al di- sotto dello Stromboli anche negli altri vulcani in generale; per- chè con tale meccanismo non si potrebbero in nessun modo spiegare i forti parossismi, in cui questi vulcani emettono cor- renti di lava, sia dal cratere terminale sia dai loro fianchi pro- fondamente squarciati. Osservazione II. — Nella teoria esposta si parte, come da idea fondamentale, dal supporre che la lava non giunga al fondo del cratere per la stessa gola del Vulcano, per cui arriva il vapor acqueo. Mallet dice che bisogna suppor questo, perchè “ qualsiasi la sorgente della’ lava, questa non può mai riempire la gola...; poichè in quel caso, qualunque fosse il meccanismo del Vulcano, ad ogni esplosione, tutta questa gran colonna. di 400 piedi di altezza verrebbe completamente scacciata fuori del tubo...* , La qual cosa, secondo il Mallet, non è mai accaduta, perchè egli ritiene che l’attuale cratere dello Stremboli non abbia mai emesso. correnti di lava. Da prima, io confesso di non capire la ragione per cui se la gola del vulcano si suppone piena di lava, questa ad ogni esplosione debba essere comple- tamente scacciata fuori del Vulcano. Imperocchè a. questa sup- posizione contraddice il fatto che in tutti i vulcani che si tro- vano in attività ritmica e moderata come lo Stromboli (e nei quali il Mallet non vorrà certamente supporre la gola piena 4 MALLET, Op. cit., pag. 74. Vol, XXIV, 8 114 G. MERCALLI, d’acqua e non di lava) avvengono esplosioni talora anche di forza straordinaria, senza che dalla gola del vulcano venga scacciata la colonna lavica che la riempie, ossia senza che venga alla luce lava abbondante ed in corrente. Basti citare l’ eruzione vesu- viana del 1660. | Ma più ancora direttamente contraddice alla supposizione di Mallet il fatto che lo Stromboli stesso nei momenti di maggiore attività eruttò lava in corrente. Scrive a questo proposito Leo- poldo Pilla: “ È stato creduto finora che questo vulcano non versasse corrente di lava. Questa assertiva è falsa; imperocchè lungo lo spalto di scorie, che discende dalla bocca del Vulcano al mare nel lato rivolto a maestro, veggonsi varie piccole cor- renti, che mostrano chiaramente essere state di recente vomitate dal Vulcano ,. Anzi assicura il Pilla che gli isolani gli addita- rono una piccola corrente escita dal Vulcano appena due mesi prima.® III Osservazione. — Il supporre, come si fa nella teoria del si- gnor Mallet, che la lava e l’acqua arrivino fino al cratere per vie affatto differenti presenta, secondo me, parecchie difficoltà: 1.°) Rimane in tal modo inesplicata la causa per cui la lava ascende verso il cratere; perchè se la lava avesse nella propria massa vapore acqueo ed altre materie gazose, essa farebbe eru- zione per proprio conto indipendentemente dalla gola centrale; 2.°) Non si intende come la lava ed i detriti che stanno sul fondo del cratere non precipitino nella gola centrale, principalmente appena avvenuta una esplosione, quando nella gola il vapore ac- queo non ha che una pressione poco differente di quell’ atmosfe- rica; 3.°) Si ammette in tale supposizione, che la lava sia una materia allo stato di fusione ignea, e non un magma acqueo cri- stallino ad alta temperatura. Ora i moderni progressi della pe- trografia pare invece che siano favorevoli a quest’ultima ipotesi sulla formazione delle lave. La loro genesi idroplutonica e la cri- stallizzazione interna ed antecedente all'emissione venne dimo- 1 L. PILLA, Parallelo tra è tre vulcani ardenti d’ Italia. Catania, 1835, pag. 106, Li NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 115 strata principalmente dallo Scrope e dallo Stoppani; ed ora è ammessa più o meno completamente anche da O. Silvestri, da Fuchs, da Levy e da altri. Lo Stromboli stesso poi mi pare of- fra un bellissimo argomento in favore di quest’ultima opinione nei grossi e regolari cristalli d’Augiti, che emette sia liberi, sia nelle scorie, come accadde anche nello scorso ottobre, e come comunemente avviene nelle sue eruzioni. È vero che il signor Mallet, prevenendo questa difficoltà, scrive: “I cristalli d’Augite sono formati probabilmente nell’interno del tubo (centrale) da piccole porzioni di lava cadendo allo stato liquido nell’ acqua, che in esso è contenuto. , Ma, supponendo anche possibile mine- ralogicamente la cosa (di che dubito fortemente), osservo: 1.° Che i cristalli d’ Augite si trovano non in via eccezionale, ma normalmente nelle scorie e nelle arene dello Stromboli; per cui, se la loro origine fosse quella supposta da Mallet, bisognerebbe ammettere che la lava cadesse non in piccole porzioni, ma tutta o quasi tutta nella gola ripiena di acqua marina: il che non po- trebbe accadere secondo la teoria dell’Autore; 2.° Che i cristalli d’Augite od isolati o nelle scorie vengono eruttati non solo dallo Stromboli, ma anche dal Vesuvio e da altri vulcani. Epperò con- verrà trovare per la loro origine una spiegazione applicabile in generale a tutti i vulcani, e non al solo Stromboli. IV Osservazione. — Il signor Mallet non fa cenno nella sua teoria di nessuna causa speciale, che valga a spiegare i paro- sismi, che ad irregolari intervalli interrompono la continuata e mo- derata attività dello Stro mboli. Imperocchè l’ illustre vulcanologo non ammette nessuna influenza nel meccanismo dello Stromboli nè della pressione atmosferica, nè delle forze endogene che ca- gionano simili parosismi negli altri vulcani.! Eppure tali paro- sismi mi sembrano non infrequenti se soltanto dal 1879 in poi a . se ne devono, come sopra si è visto, «segnalare tre. Ed invero, 4 MALLET (Op. cit., pag. 54) asserisce che il meccanismo dello Stromboli, « qualun- que siasi la sua natura, deve essere com preso entro una piccola distanza dalla super- i ficie, e non è riferibile alle forze potenti e profondamente situate che producono i parossismi incerti e del tutto imprevedibili della generalità dei vulcani. » LI TRN G. MERCALLI, e riandando le storie, ne trovai ricordati alba ossi alle guenti date: marzo 1638, marzo 1744, 1783, ottobre 1822, set tembre 1834, ottobre 1855, gennaio 1865, dici 1869, giu» gno e settembre 1874.! > cai V Osservazione. — Non sarà inutile infine, che qui riassuma i fenomeni osservati in diversi tempi dai principali naturalisti, che da Spallanzani in poi visitarono il cratere di Stromboli. Poi- chè questo mi pare il modo migliore onde il lettore si faccia un'idea esatta delle eruzioni dello Stromboli, e possa meglio giu» dicare sul modo di darne la spiegazione. Lo Spallanzani nel 1788 osservò che nel cratere di Strom- boli le esplosioni succedevansi con forza assai diversa e con tale rapidità, che erano rare quelle che fossero interrotte da 3 o 4 minuti primi: nelle più forti i detriti venivano lanciati a circa mezzo miglio d’altezza, nelle più deboli invece solo a 50 piedi. E gli Strombolesi lo rassicuravano che allora il vulcano poteva dirsi pacifico, perchè altre volte lancia moltissimi sassi infuocati immediatamente fino in mare e ad un miglio dal lido. Lo Scrope nel 1820 vide sul fondo del cratere di Stromboli due bocche: da una esciva solo fumo, nell’altra si vedeva innal- zarsi ed abbassarsi la lava incandescente ad intervalli di circa 10 minuti. ° Biot che visitò Stromboli nel 1825 dice che le eruzioni sì succedevano a qualche minuto d’intervallo.* Hoffmann nel 1828 trovò lo Stromboli in grande attività. Abich lo visitò nel luglio 1836, e sul fondo del cratere vide sette bocche, la principale delle quali aveva 60-70 piedi di dia- metro. In tutte si scorgeva la lava ribollente rosso-bruna. Con- tinuamente si svolgeva fumo da tutto il fondo del cratere, e ad I Vedi gli Autori sulla cui autorità riferisco queste eruzioni nella mia Opera in corso di pubblicazione: I Vulcani ed i fenomeni vule. in Italia, pag. 141. Milano, Vallardi, 1880-1881. 2 SPALLANZANI, Viaggi alle Due Sicilie. 3 ScRroPE, Les Volcans, p. 333. 4 Compt. Rend. de l’Acad. de Paris, 1856. NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 117 intervalli di 6 o 7 minuti, si ripetevano piccole eruzioni; nelle quali di tempo in tempo la lava si gonfiava ed innalzava tanto nelle bocche, che una piccola corrente di essa traboccava dal- l’orlo del cratere verso la Sciarazza.! Nel 1839 Sartorius von Waltershausen trovò pure nello Strom- boli 6 o 7 bocche, che ad intervalli di qualche minuto davano eruzioni.” i Nel 1844 il signor de Quatrefages vi trovò sei bocche. Due mandavano solo fumo; dalla terza esciva un vapore denso e bianco con pietre incandescenti. Finalmente le altre bocche presenta- vano eruzioni intermittenti: due facevano eruzione nel medesimo tempo ogni 5 o 6 minuti; nella terza le esplosioni non avveni- vano se non ogni 10 o 12 minuti ed erano assai più forti e com- pletamente indipendenti da quelle delle due precedenti. Charles Saint-Claire Deville nell’ottobre 1855 trovò nell’in- terno del cratere di Stromboli tre bocche. La principale occu- pava il centro, era circondata da un piccolo cono di scorie ed offriva forti eruzioni ad intervalli di un quarto d’ora circa. Delle altre due bocche l’una non mandava che fumo, l’altra dava esplosioni 3 o 4 minuti prima o dopo quelle della bocca cen- trale. Ritornato nel luglio 1856 l’istesso Deville trovò l’attività del cra- tere assai diminuita. Non avvenivano più eruzioni forti, come quelle della bocca centrale del 1855, ma solo piccole esplosioni, e queste così frequenti che spesso succedevano fino a 3 o 4 in un sol minuto. ‘ Bornemann visitò pure lo Stromboli sul principio di luglio 1856 ed attesta che le eruzioni avvenivano da due crateri; uno emet- teva, quasi senza interruzione, fumo, cenere e scorie; l’altro du- rante tre giorni non diede che una sola eruzione, ma assai forte. In nessun punto del cratere appariva lava. i ABICH, Besuch des kraterbodens, ecc. Zs. d. d. Geol. Gesell. IX, p. 392. 2 WALTERSHAUSEN, Der Aetna, I. ® Compt. Rend., 1. c. ‘ Compt. Rend. Acad. de Paris. An. 1865. 5 BORNEMANN, Bericht diber eine Reise in Italien. Zs. d. d. Geol. Gesell. IX e XIV, 118 G. MERCALLI, Il signor Mallet asserisce che nel 1864, quando egli fu a Strom- boli, guardando nell’interno del cratere, non poteva scorgerne il fondo, pure dalla forma della colonna di fumo gli parve che fosse una sola bocca la eruttante. Osservò che le esplosioni si succedevano ad intervalli molto irregolari, varianti da 2 a 30 minuti, e notò che la durata dell’ esplosione era maggiore, quanto maggiore era l’intervallo che l’avea preceduta. * Judd dice che allo Stromboli nell’aprile 1874 osservò che gli intervalli tra un’eruzione e l’altra variavano da meno di un minuto fino a 20 minuti; e che al momento in cui principiava un'esplosione istantaneamente e senza nessun preavviso si sen- tiva un suono somigliante a quello di una locomotiva che corre sotto la tettoia di una Stazione, ed un gran volume di vapore con frammenti di roccie veniva violentemente lanciato fino a 400 o 500 piedi al disopra dell’orlo del cratere. ° Confrontando tra loro queste osservazioni fatte a Stromboli in tempi differenti, si vede che le eruzioni ordinarie di questo Vulcano eolico non hanno nel loro ritmo e nei loro fenomeni nulla di più regolare e costante di quanto sopra abbiamo no- tato, che occorre spesso di osservare anche nel cratere di Vul- cano, dell'Etna, del Vesuvio, ecc.; epperò non pare conveniente attribuirle ad un meccanismo affatto speciale e differente da quello esistente negli altri Vulcani. In ogni modo i fenomeni offerti dal cratere dello Stromboli in epoche diverse anche tra loro assai vicine, presentano molto maggiori differenze tra loro di quelle che dovrebbero verificarsi se sotto allo Stromboli esistesse dav- vero il meccanismo supposto dal signor Mallet. In particolare parmi difficile spiegare nella costui teoria la grande diversità nel numero e nell'azione delle bocche esistenti sul fondo del cra- tere. Egli ne vide una sola e ragiona nella sua teoria come se tale fosse lo stato normale dello Stromboli; ma vedemmo che gli altri osservatori invece ne trovarono due, tre e fin sei, sette, ed in uno stato di attività tra di loro molto differente. 4 MALLET, Op. cit. .% Jupp, Volcaneos. London, 1881. NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 119 4, Spiegazione delle eruzioni dello Stromboli. Se per quanto venni fin qui esponendo a me pare che il mec- canismo imaginato dal signor Mallet per lo Stromboli non sia il più conveniente a spiegarne le eruzioni; tuttavia, come già dissi, ritengo giusta l’idea di applicare allo Stromboli ed in generale ai vulcani la teoria proposta da Bunsen pel gran Geyser del- l’ Islanda. Prima di tentare tale applicazione giova notare, che nei fe- nomeni eruttivi dello Stromboli bisogna distinguere tre gradi di- versi di intensità. Ossia si deve separare prima le eruzioni mo- derate, normali, continue dai parossismi eruttivi, che ad inter- valli irregolari la interrompono. Poi le stesse eruzioni moderate normali si può suddistinguerle in forti e deboli. Ciò premesso, se si suppone che la lava nell’ interno del foco- lare vulcanico di Stromboli esista non allo stato di fusione ignea ma di un magma acqueo cristallino ad alta temperatura ; allora è chiaro che nella parte inferiore della colonna lavica, l’acqua potrà accumularsi e riscaldarsi, come in una pentola di Papin, ad una temperatura sempre maggiore quanto più profonda. Ma quando essa in tal modo avrà raggiunta una forza elastica, che superi la forza rappresentata complessivamente dalla tenacità e dal peso della lava sopraincombente, nonchè dalla pressione at- mosferica, accadrà un’eruzione. Dopo la quale rincomincierà dac- capo l’accumulamento di forza elastica nelle parti più profonde della massa lavica, per sfogarsi poi con una nuova eruzione, e Così via via. A questo modo si spiegherebbe il ripetersi delle piccole eru- zioni quasi continue od a brevi intermittenze di 1, 2, fino a 15 e 30 minuti. Quanto alle cause che ponno rendere queste esplosioni a quando a quando più forti dell’ordinario, potreb- bero essere: 1.° Accidentali ostruzioni nel camino vulcanico le quali ritardando l’eruzione lasciano tempo di accumularsi in esso quantità maggiore di forza elastica. Pensando quanto sieno fre- 120 | @. MERCALLI, quenti i franamenti nell'interno dei crateri dei vulcani attivi, a cagione dell’ equilibrio molto instabile dei materiali che ne co- stituiscono le pareti si vede quanto facilmente potranno acca- dere tale ostruzioni. 2.° Le notevoli diminuzioni di pressione at- mosferica. 3.° Fors' anche l’attrazione luni-solare. Finalmente a determinare i parossismi maggiori che iii lo Stromboli, penso che possano concorrere le tre cause testà nominate, e di più l’azione meccanica comunicata al focolare dello Stromboli dai focolari sismici o vulcanici con cui esso si trova in più stretta relazione. L’attrazione luni-solare non l’ accenno se non come causa cdi valore molto incerto. Il Perrey confrontando le date di tutti i terremoti accaduti dal 1750 al 1872 trovò una notevole prepon- deranza in favore delle Sizigie. Il Palmieri in alcune eruzioni vesuviane recenti, come ad esempio, quelle del 1855 e del 1872 notò pure la coincidenza dei massimi eruttivi colle Sizigie. Per i terremoti dell’isola d’Ischia notai in un altro mio lavoro che sopra 17 casi per 13 il giorno del terremoto dista meno di tre giorni.dal Plenilunio o dal Novilunio e parecchie volte c’è coin- cidenza o quasi immediata successione. Per le recenti eruzioni avvenute dopo il 1873 a Vulcano ed a Stromboli confrontai le date precise comunicatemi dal signor F. Picone di Lipari, ed ecco il risultato che ottenni. Nel 1873 il 7 settembre comincia una forte eruzione a Vulcano e nell’8 cade il Plenilunio. Nel 1879 in gennaio il 6 comincia altra eruzione a Vulcano e nell’8 an- cora il Plenilunio; nel febbraio il giorno 4 fece eruzione lo Strom- boli ed il Plenilunio cade nel 7; nel giugno ancora Stromboli fa eruzione dal 3 all’8 ed il 5 avviene il Plenilunio. Finalmente nello scorso ottobre si ebbe il Plenilunio nel giorno 8, e verso il 15 cominciò la maggiore attività allo Stromboli. Dunque per queste eruzioni eoliche sopra 5 casi per 4 il fenomeno cade sem- pre molto vicino al Plenilunio. Più certa ritengo l’ influenza che la pressione atmosferica esercita sugli eccitamenti tanto piccoli che grandi dello Strom- boli. Sentiamo dapprima l’opinione che in proposito hanno gli NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 121 abitatori dell’isola di Stromboli. Per gli antichi riporterò la te- stimonianza di Plinio, il quale parlando di quest'isola scrive: “e cujus fumo quinam futuri sint venti in triduum praedicere incolae traduntur, unde ventos Aeolo paruisse existimatum.* , Spallanzani riferisce essere opinione degli Strombolesi, che i fumi e gli strepiti del loro vulcano sono moderatissimi, quando spira tramontana o maestrale; aumentano invece e prendono maggior forza, ove soffi libeccio, scirocco od austro. È vero che l'illustre naturalista soggiunge, che nel tempo della sua dimora di giorni 35 alle isole Eolie non sempre trovò verace questa legge”; non credo tuttavia doversi per questo ritenere totalmente infondata l’ opinione degli Strombolesij; imperocchè anche i Li- parotti attuali da me interrogati nel 1878 sull’influenza dello stato dell'atmosfera sopra il cratere di Vulcano, me ne afferma- rono l’esistenza. Il sig. Picone poi, che abitò dal 1872 al 1876 presso la Fossa di Vulcano come direttore dei lavori minerarî, asserisce quanto segue: se spira scirocco non si svolge fumo, in- vece molti gaz solforosi; se spira levante i gaz si avvertono meno e si ha poco fumo e bianco; se infine soffia libeccio o po- nente, o se il cielo è nuvoloso il fumo aumenta di molto; e se minaccia pioggia, il fumo è abbondante, nero, denso. Il sig. Mallet non solo nega qualunque influenza dell’ atmo- sfera sulla forza delle eruzioni dello Stromboli; ma vorrebbe dimostrarne a priorî l’impossibilità. Imperocchè, secondo lui, anche supponendo che il barometro si abbassasse istantanea- mente per mezzo decimetro (ciò non accade mai), l’innalzarsi di un sol piede della colonna di lava basterebbe a far equilibrio a questa esagerata diminuzione di pressione atmosferica.? Ciò che asserisce il sig. Mallet accadrebbe, se la lava fosse una materia liquida, priva di acqua e di sostanze gazose ten- denti a sprigionarsi. Ma invece, se riflettiamo, che in seno alla lava nell’interno del focolare vulcanico si trova in gran quan- i PLINIO, Hist. Nat. III, 14. ? SPALLANZANI, Viaggi alle Due Sicilie. ® MALLET; Op. cit., pag. 57-58. 122 :.® 6 MERCALLI, } RAVFIA tità l’acqua riscaldata ad alta temperatura, come in una pentola di Papin, ovvero allo stato sferoidale; a me pare che una di- minuzione di pressione atmosferica romperà l’equilibrio in un primo strato (di maggiore o minore spessore a seconda del va- lore dell’abbassamento barometrico) presso la superficie della co- lonna lavica, determinando l’istantaneo sprigionarsi di vapore acqueo, proveniente dalla subitanea evaporazione dell’acqua, o da vapori acquei preesistenti nella lava: e così si produrrà una piccola eruzione presso la superficie superiore della colonna la- vica. Allora anche un secondo strato più profondo sentirà una diminuzione nella pressione, che supportava, e da esso pure si svolgerà tumultuosamente vapor acqueo. E così via via, il dis- equilibrio, determinato dalla pressione atmosferica direttamente solo nel primo strato più superficiale, si propagherà poco a poco fino nelle parti più profonde del focolare vulcanico. È inutile avvertire che questo ragionamento si può applicare non solo allo Stromboli, ma anche agli altri vulcani, che (come ad esempio la Fossa dell’isola Vulcano) mostrano maggiore at- tività in conseguenza degli abbassamenti barometrici. Finalmente ho detto che a determinare i massimi eccitamenti ‘ presentati dallo Stromboli può concorrere anche l’azione eserci- tata sul suo focolare dagli altri focolari sismici o vulcanici. Per dimostrarlo converrà vedere se i fenomeni dello Stromboli mo- strano o no di avere concatenamento cronologico o topografico con altri fenomeni eruttivi o sismici. A tale scopo ho compilato il seguente Quadro comparativo; in una prima colonna del quale registro tutti i fenomeni sismici o vulcanici storicamente noti non solo di Stromboli, ma di tutte le isole Eolie; in una seconda colonna riassumo i principali fenomeni endogeni, che avvennero in Italia contemporaneamente, ovvero (più frequentemente) che seguirono prima o dopo, a poca distanza di tempo, i fatti no- tati nella prima colonna. Il Quadro spero risulterà tanto più interessante in quanto. che alcuni fatti, che in esso riporto non erano finora conosciuti o totalmente od in qualche loro particolare. A me gentilmente NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 123 li comunicò il sig. Ambrogio Picone di. Lipari, estraendoli da un’antica cronaca, che si conserva presso una famiglia di Lipa- rotti. Questi fatti nel Quadro li riporterò testualmente come sono nel manoscritto e li segnerò colle iniziali MMS. Per gli altri fenomeni si vedano le fonti a cui li attinsi nella mia opera 1 Vulcani ed è fenomeni vulcanici in Italia, Milano 1881, e spe- cialmente nel Catalogo cronologico, ecc. dei fenomeni sismo-vulca- mici italiani. — Per brevità nel Quadro qualche volta scriverò T invece di terremoto ed E invece di eruzione. Per esprimere la intensità dei terremoti userò delle parole disastrosi, rovinosi, ecc., giusta la scala sismica proposta da M. S. De Rossi nel. Bollet- tino del Vulc. italiano. QUADRO COMPARATIVO dei fenomeni sismo-vulcanici eolici con quelli di altre regioni d' Italia, 350. Tra questo anno e il 320 Eruzione all’ Etna contemporanea o quasi a av. C. vi fu un’ eruzione quella delle Eolie. nelle isole Eolie. 206 av. C. Eruzione all’ isola Vulcano. Si forma Vulca- nello. Vel 126 av. C. Presso l'isola di 126 av. C. Eruzione all’ Etna e terremoti for- Lipari eruzione sottoma- tissimi nei dintorni di questo vulcano. rina? 43 av. C. Eruzione a Vulca- 44 av. C. Eruzioni all’ Etna. . no (Ms.). D.C. D. C. 1444, febbrajo 5. E. a Vul- 1444, febbrajo 5. T. in Sicilia ed in Calabria. cano “con getto di sassi, Nell’anno (senza data mensile) E. all’ Etna dei quali 4 percorsero ol- e terremoti nei dintorni di questo vulcano. tre 6 miglia, (Ms.). Nel- l’istesso dì T. in tutte le Eolie. 1550. Eruzione a Vulcano(sen- 1550, agosto 25. T. rovinoso in Calabria ed in za data mensile). «Val di Diano. Nell’anno ancora disastrosa nel regno di Napoli; specie ad Ariano. 124 1626 in maggio. ‘Eruzione a Vulcano. 1638. Poco prima del 27 mar- zo eccitamento allo Strom- boli. 1651. E. nelle isole Lipari (forse a Vulcano?). 1688, giugno 5. Forte eccita- mento a Stromboli e Vul- cano. 1693. Nelle Eolie il 9 gennajo T. fortissimo senza dan- neggiare il paese (Ms.) 1717, aprile 22. T. nelle isole Eolie. 1731. A Vulcano eruzione per più mesi. 1739, maggio 4. Eruzione a Vulcano. 1744. A Stromboli eruzione in marzo. 1771. A Vulcano “ eruzione ai 15 febbrajo, ed ai 21 dello G. MERCALLI, 1626, marzo 26 e 27 ed aprile 4, disastroso in >. Calabria, specie a Gerifalco e Catanzaro. In aprile parecchi T. a Napoli. L'Etna è in moderata attività fin dal 1603. a 1638, marzo 27, disastrosissimo in Calabria ed a Messina. Nel marzo T. a Bellinzona. Aprile 21 ed in autunno a Siena. Il Vesuvio tutto l’anno e l'Etna fino all’aprile sono in fase — stromboliana, i 1651, gennajo 16, comincia E. fortissima al- l’ Etna. Nell’anno T. nei dintorni di questo vulcano. 1688, In gennajo T. fortissimi in Basilicata. Giugno 5-8 T. disastrosissimi in Campania e Basilicata. Nell'anno E. all’ Etna. 1693. Dal 9 all’ 11 gennajo disastrosissimo in Sicilia ed a Malta; risentito in Svizzera, Francia, Germania. Gennajo 18, 19 ed aprile 28 T. forti ancora in Sicilia. All’Etna E. forte il 9 gennajo, moderata tutto l’anno. 1717, aprile 4 T. in Val di Noto; 22 T. a Mi- lazzo, Pozzo di Gotto, Castrocale ed altrove nella Sicilia settentrionale. Giugno 15-17 a Siracusa e Messina; 27 a Catania. Nell'anno T. in Calabria. Giugno 6 al 13 ed in di- cembre E. forte al Vesuvio. 1731, marzo 9 e aprile 17 T. rovinosi in Ca- pitanata, Puglia ed Napoli. Settembre 20 T. rovinoso nell’Abruzzo. Ottobre 18 T. a Napoli e disastroso in alcuni luoghi di Pu- glia e dell'Abruzzo; sentito in Calabria. 1739. In febbrajo T. fortiss. a Benevento e Fog- gia, legg. a Napoli. Il 24 aprile T. in Pu- glia. Maggio 4 T. in Val Demone; rovinoso a Naso, ove le scosse si ripeterono per 15 giorni, e poi ai 21 maggio e 9 e 29 giugno. — 1744, febbrajo 22. T. a Lecce. Nell’anno T.in | Calabria, specialmente rovinoso presso Ca- tanzaro e disastroso a Messina, Il 13 giugno E. all’ Etna. 1771. Da Livorno a Pisa il 18 gennajo T. for= tiss,, poi repliche di scosse fino a’ 20 marzo. NATURA DELLE KRUZIONI DELLO STROMBOLI. 125 | stesso mese si ripetè l’eru- zione con butto di zolfo ed altre materie da oscurare l’orizzonte ,, (Ms.). 1780. In estate nelle Eolie, scosse quasi continue; Vul- cano emette molto fumo; le scosse cessarono dopo che Vulcano fece sentire un rombo sotterraneo così forte che si udì in tutte le isole vicine, . 1783. “ Nel 5 febbrajo 1783, | poco oltre il mezzo giorno, il tremuoto si sentì con grande violenza e strepito, ma senza danno di uomini e di abitazioni ,, (Ms.). Al- la fine del gran terremoto calabro eccitamento allo Stromboli. 1786. A Vulcano “ eruzione ai 12 gennajo e durò per un mese intiero mandando in aria gran quantità di cenere e pietre infocate , (Ms.). 1822. Dal settembre fino ai | primi mesi 1823 maggiore attività a Vulcano; verso il 22 di ottobre attività straordinaria a Stromboli. Ad Alba scosse quotidiane dal 28 gennajo al 20 aprile. In agosto T. forti nel Man- tovano, Ferrarese, Modenese ed in Sarde- gna; in Val d’Imagna ed in Brianza for- tissimo il giorno 15. — Il Vesuvio continua nell'attività stromboliana, in cui si trova dopo il 1767. 1780, gennajo 27. T. a Malta ed alla fine del mese all’ Etna ed -in Sicilia; nel mese T. forti a Bologna e Padova. In marzo T. al- l'Etna ed in Calabria. In aprile T. ancora in Sicilia e presso 1’ Etna, rovinoso a Mes- sina. In maggio T. in Sicilia ed in Calabria. Nell'estate molte scosse forti tra Taormina ed il Faro. 1783. Gran terremoto calabro cominciato il feb- brajo 5 a mezz’ora dopo mezzodì. Durante questo terremoto i rumori sotterranei par- vero venire dalla parte delle Eolie. Nell’a- gosto piccola eruzione al Vesuvio. 1786, gennajo 1. T. a Terni (nel dicembre 1785 c'eran state scosse tutti i giorni); il 15 T. forte a Gubbio e legg. a Roma. Febbrajo 12 T. fortiss. a Rieti e Gubbio. Marzo 9 rovi- noso a Messina, disastroso a Milazzo, ecc. In aprile T. a Milano e dintorni (specie Li- scate), Piacenza, Crema e fortiss. a Bergamo. In maggio, luglio, ottobre e novembre molti T. in provincia di Roma. In agosto ad Aqui- la moltiss, scosse, alcune rovinose. In dicem- bre rovinoso a Rimini e fortiss. a Padova. 1822. In gennajo maremoto e forse eruzione sottomarina presso Marsala. In aprile molti T. in Calabria e fortiss, nella parte est di Sicilia. In luglio T. mediocri a Catanzaro e ad Ancona. Tutto l’anno il Vesuvio è in forte , eruzione: grande parossismo il 22, 23 e 24 ottobre. Dal giugne all’ottobre l’ Etna man- da molto fumo e cenere. 196 dh MERCALLI, 1823. & Il giorno 5 marzo ad 1823. In febbrajo T. forti il 16 a Palermo ed ore 19 avvenne altro for- tissimo tremuoto, ma sen- za arrecar danni di sorta ed i Villini în ringrazia- mento al protettore San Bartolomeo istituivangli ‘ una festa che tutt’ora si celebra con pompa e de- vozione , (Ms.). Questo terremoto fu fortissimo anche a Salina e Strom- boli. 1841, marzo 20 a sera. Nel- l’isola di Lipari terremoto fortissimo. Contempora- neamente terremoto leg- giero sulla costa occiden- tale della Sicilia. 1855, ottobre 3 o 4. Lo Strom- boli lanciò scorie su tutta l’ isola. 865. Eccitamento a Strom- boli alla fine di gennajo e ‘- sul principio di febbrajo. | il 27 a Foggia e San Severino ove si ripetè ‘legg. nel marzo. Il 5 marzo fortissimo a Pa- lermo (ond. N. E.-$:0.), Corleone, ecc., e rovinoso a Naso, Roccapalombo, Pozzillo, Castel Buono, ecc. Nell’ istesso dì E. alla Salsa di Terrapilata; il 27 T. rovinoso ‘hel- l’isola di Favignana. Il 26 scosse legg. a Palermo, il 31 mediocre a Messina. Il 28 maggio T. forte a Castelbuono. Nel seguito dell’anno T. ancora in diversi luoghi di Sicilia, 1841. In gennaio molte scosse, alcune forti in Calabria, a Reggio ed a Messina; una me- diocre a Malta. Febbraio 20-21, T. fortis- simo in diversi luoghi del regno di Napoli. Marzo 6, T. forte nell'isola d’ Ischia, il 30 nuove scosse in Calabria. Maggio 23, T. in tutta la Sicilia occidentale. In giugno e — luglio parecchi T. in molti luoghi del re- gno di Napoli specie a Sulmona, rovinoso a Taranto. Luglio 22, T. fortissimo a Li- vorno. Il Vesuvio manda maggior quantità di fumo in luglio, ed in settembre si mette in attività stromboliana. Dall’agosto al di- cembre alcune scosse forti a Messina ed @ | Reggio Calabria e molte legs. in altri punti della Calabria. 1855. In gennaio, febbraio, agosto, dicembre e principal. il 7 ed il 20 settembre, molte scosse (alcune fortiss.) a Cosenza, Reggio ed altrove in Calabria. Maggio 1, comin- cia una forte E. al Vesuvio. Luglio 25, forte T. in Germania, Francia, Svizzera, a Torino, Milano, Parma, ecc. Ottobre 8, T. a Malta; verso la metà a Borgotaro, a Ni- | castro, all isola di Gozzo. i 1865. Nel gennaio (e già fin dal luglio 1864) molte scosse (alcune fortiss.) presso il Gar- gano. Gennaio 80, comincia una fortiss. E. all’ Etna. Dal marzo 3 ai 20 aprile conti- NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 127 1873. A Vulcano maggiore attività il 22 luglio e 7 agosto, forte eruzione il 7 settembre e per fino al 20 ottobre. 1874. Stromboli in giugno lancia pietre fino all’abi- tato; il 1 settembre si ve- dono fiamme straordinarie nel cratere. nue scosse legg. a Briatico (nel golfo San t'Eufemia). Luglio 18-19, disastroso a Fondo di Macchia ed altrove al piede Sud del- l'Etna. Nel luglio T. fortiss. in Asia Mi- nore e maremoto nel Mediterraneo: comin- cia VV E. a Santorino. Settembre 21-24 for- tiss. a Val di Pierla in Toscana e rovinoso in Umbria, specie a Città di Castello. Il Vesuvio si trova tutto l’anno in forte at- tività stromboliana. 1873, marzo 12. T. in gran parte d’Italia, di- sastroso nelle Marche, specie a Fabriano. In aprile T. fortiss. a Fabriano, S. Michele, forte a Cosenza. In maggio fortiss. nel Mo- denese; E. alle Salse di Sassuolo e Nirano. Giugno 29, disastroso nel Bellunese. Luglio 11 e 12, fortiss. nel Lazio; il 13 rovinoso a Sora, Alvito, Belmonte. Agosto 8, fortis- simo nel Bellunese, a Sarmede, ecc. Set- tembre 11, fortiss. a Cosenza con repliche nel mese; il 17 fortiss. nell’Italia sup., spe- cie a Parma, Genova, Lucca, Arella. Nel- l'ottobre T. ancora a Sora, Alvito, ecc., nel Bellunese, a Piaggine, a Torre Mileto. In novembre e dicembre molti (alcuni for- tiss.) a Mignano ed altrove presso il vulcano di Roccamonfina. 1874. T. molto forte in gennaio a Campobasso, in febbraio a Rocca Secca, in marzo ad Arma di Taggia. In aprile una scossa forte a Catanzaro e parecchie deboli a Cosenza. In luglio T. mediocre a Malta. In maggio, giugno e luglio conati eruttivi all’ Etna, poi forte E. dal 29 luglio al 15 agosto e molti fortiss. T. nei dintorni dell’ Etna. In settembre T. forti a Marsiconovo e Potenza. Ottobre 6 T. rovinoso in Romagna; in di- cembre rovinoso nell’ Abruzzo ed in Cam- pania. 1876, luglio 27. Eruzione a 1876. Nel marzo T. forti a Cosenza e Castro- Vulcano; la cenere vien portata fino a Lipari e Sa- lina. villari, e nel Lazio ed Umbria. In aprile e maggio fortiss. a Spoleto; fortiss. e rovi- nosi nel Veronese; a Corleone parecchie 128 1877. In settembre eruzione a Vulcano. Gennajo T. forte all’ isola d’ Ustica. 1878. In agosto e parte di set- tembre eruzione a Vulca- no, emette una gran co- lonna di fumo con cenere e lapilli. G. MERCALLI, scosse forti e moltiss, scio Maglio; rovinoso al Gargano ed in Manfredonia. In giugno a Corleone e dintorni. ‘una rovi- nosa e moltiss, legg., fortiss. a Castelbuono. In luglio una scossa fortiss. a Corleone e molte legg.; fortiss. al Monte Baldo. Ago- sto T. forte a Corleone. In settembre for- tissimo al Capo Spartivento e legg. a Cor- leone quasi tutti i giorni. Nell'ottobre an- cora T. fortiss. a Corleone e molto forti in Campania e nella prov. di Roma. Alla fine di luglio il Vesuvio dà una piccola eruzione. 1877, gennaio e febbraio. Parecchie scosse me- diocri a Corleone. Febbraio, molte sul Ve- ronese forti, ed alcune sul Bolognese; legg. a Milano ed in Prov. di Roma. Marzo, T. mediocri e forti nel Lazio. Aprile, scosse legg. a Messina, legg. a Milano, forti a Tuffa e Cilli. In maggio molte scosse (al- cune fortiss.) a Cosenza. In giugno fortiss. a Malcesine. In agosto presso i vulcani la- ziali ed ernici scosse molto legg., alcune fortiss., una rovinosa a Veroli. Agosto 30-31 e settembre 27 a San Severino. In ottobre a Corleone alcune mediocri e molte legg. Novembre e dicembre T. forti a Tossignano Lojano, Quaderna, ecc. 1878. In marzo, aprile e novembre alcuni T. rovinosi e parecchi fortiss. nel Bolognese, specie a Quaderna di Ozzano, Varignano, Tossignano, Castel San Pietro. In giugno T. forti e fortiss. a Cortignano, Valmaira, Saluzzo, ecc. Settembre 15, molte scosse forti ed alcune disastrose nelle Provincie Romane, specie Caprarola, Spoleto, Monte- falco, Castel Ritaldo. In novembre e dicem- _ bre T. fortiss. a Mineo; comincia l’ eruzione di Fango a Paternò. Il Vesuvio si rianima verso il 25 aprile con piccole eruzioni, poi ne offre più forti verso il 24 settembre ed in novembre. NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 129 1879, gennajo dal 6 al 14 e specie il 10-11 eruzione a Vulcano. Febbrajo 4 eru- zione allo Stromboli. Giugno dal 3 al 6 e specie 1’8 eruzione allo Stromboli. 1881, aprile 20-22. Rumori fortissimi nel cratere di Vulcano. Ottobre 15-18, eruzione allo Stromboli. Novembre 16 “alle 5,50 a. m. ebbimo (in Lipari) una leggera scossa di tre- muoto seguita, dopo 2 o 3 minuti, da altra più forte e lunga durata in senso ondulatorio, ma senza al- cuna disgrazia, mercè la misericordia divina , (Let- Vol. XXIV. 1879. Nei primi mesi parecchie volte vortici di fumo al cratere terminale dell’ Etna, e sgorghi di lava da quello del Vesuvio. A. Paternò continua intermittentemente l’ E. fangosa. In febbraio forti e fortiss. T. nel- l’Alta Italia, specie a Gargnano, Collio, ecc., e scosse rovinose nell’ Umbria, specie a Norcia, Cascia, ecc. In aprile scosse forti ed alcune disastrose in Romagna specie a Valsenio, Casola e Palazzuolo, dove nel- l’anno si contarono 900 e più scosse tra forti e leggere. Aprile in principio, T. for- tissimo a Palazzuolo in Romagna; il 26 a Tropea, Pizzo, Messina; 26-28 scosse quasi continue sui fianchi dell’ Etna; il 28 T. a Reggio Cal. Dal 26 maggio al 5 giugno forte E. sui due fianchi opposti dell’ Etna : contemp. cresce l’attività al Vesuvio. Giu- gno 16 e 17 scosse fortiss. e parecchie di- sastrose a Santa Venerina ed a Guardia al piede dell’ Etna. In giugno e luglio molti T. e continue detonazioni sotterranee nel Vero- nese, specie presso il Monte Baldo. In lu- glio ed agosto ancora T. fortiss. al piede Est e N. E. dell'Etna. In dicembre T. for- tissimo a Mineo. Sino alla fine dell’ anno dura intermittentemente l’attività eruttiva al Vesuvio, all’ Etna ed alla Salsa di Pa- ternò. 1881. In gennaio T. nella prov. di Roma ed in Romagna. In febbraio T. specie il 2, 3; 12, nell’ Istria, nel Veneto, in Romagna, a Roma, a Narni, in Calabria e Sicilia; il 14 nell’ Appennino bolognese, ed il 27 e 28 presso l'Etna, nelle prov. Romane, a Ve- rona, ad Agram. Marzo 2, T. a Castrovil- lari, Cosenza, ecc., eccitamento di attività al Vesuvio; 3, T. in Svizzera, Piemonte, Lombardia; 4, T. disastroso di Casamic- ciola; 4 e 5 eccitamento di attività all’Etna ed alle Salinelle di Paternò; 11 e 12 T. forti a Foligno, e verso la metà del mese 9 A DL 130 G. MERCALLI, sta | tera del signor Picone în forti a Rieti, Casamicciola, Sora ed in Pie . data 18 movembre 1881 monte. Aprile 3-5, T. disastroso di Scio all’ Autore). legg. a Cacominl]à Corleone, Mib vs ;33 e 19, 23, 27, eccitamenti al Vesuvio; dal 19 al 23T.a Verona, Mineo, e più Totti. a Paola presso Cosenza; il 27 a Reggio Cal. e Messina. Giugno 28, T. fortiss. a Sul- — mona. Luglio 22, T. in Piemonte, in Sviz- zera ed in Francia. In settembre in princi- pio, T. rovinoso nell’ Abruzzo specie ad Orsogna, ed alla fine forti in Romagna. In novembre il 16 tra le 5 e le 6a. m. T. in tutta Italia, in Svizzera, in Francia, specie a Liège, ed in Austria; il 18 legg.in prov. di Cuneo; il 25 forte a Bologna. Nel Quadro si vede che quasi tutte le eruzioni dello Strom- boli e di Vulcano cadono in tempi più o meno vicini alle epo- che, in cui avvennero importanti fenomeni eruttivi o sismici nella zona vulcanica mediterranea. Se quindi non si vuole attri- buire tutte queste coincidenze al caso, bisogna concludere, che deve esistere qualche rapporto tra questi fenomeni ed i focolari vulcanici eolici. Quanto alla natura di tale rapporto qui mi li- mito ad osservare, che dalla grande diversità che passa tra i materiali eruttati contemporaneamente dai vulcani italiani parmi derivare, che non si possa supporre tra i loro focolari una li- bera e diretta comunicazione dei magma lavici. Al quale riguardo è specialmente importante la natura dei prodotti moderni della Fossa di Vulcano. Nel secolo scorso (probabilmente nel 1771) essa eruttò una corrente di lava di natura schiettamente tra- chitica, © mentre da secoli l’ Etna ed anche il vicino Stromboli emettono solo basalti augitici. Nel settembre 1873 lanciò pro- jetti e ceneri, che vennero raccolti ed esaminati da Baltzer.® 4 MERCALLI, Contribuzioni alla Geol. delle Isole Lipari. Atti Soc. it. di Sc. Nat. 1879. 2 BALTZER, Geogn.-Chem. Mittheil. îiber die mneuesten Erupt. auf Vulcano, negli Zeitsch. d. d. Geol. Gesell., 1870. NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 131 £ projetti sono formati da una Liparite, che contiene su 100 parti 73,79 di acido silicico; 3,78 di allumina; 13,81 di ossidi di ferro; 1,43 di calce; 0,05 di magnesia; 7,04 di alcali. La cenere del giorno 7 settembre era di color bianco neve, quasi totalmente costituita da cristallini di Tyidimaite; sicchè dopo torrefatta conteneva 93,2 e fino a 95,8 °/ di acido silicico. L'Etna invece in tutti i tempi storici eruttò lave e detriti che in media contengono su 100 parti 49,447 silice; 19,30 allu- mina; 11,82 ossidi di ferro; 10,21 calce; 3,69 magnesia; 3,58 soda; 1,33 potassa.' Ultimamente Vulcano fece ' eruzione nel gennaio 1879. Il sig. Ambrogio Picone raccolse ed ebbe la gen- tilezza di inviarmi un campione della cenere eruttata il 30 gen- naio di quell’anno. È una polvere molto fina di color grigio- cenere. Venne esaminata dal prof. Pietro Polli di Milano; il quale trovò, che veduta al microscopio si mostra composta di particelle per la maggior parte di figura irregolare ed angolose, alcune soltanto tondeggianti. Qua e là nel campo del microscopio si vedono rarissimi bacilli e cristallini aciculari (microliti?), e laminette esagonali (Tridimite ?); ma pochissime complete, es- sendo quasi tutte frammentarie o con alcuni dei loro angoli e spigoli arrotondati. Lascia vedere inoltre dei frammenti irrego- lari più voluminosi di color verde chiaro (silicati ferriferi?) ed un minor numero di altri di color giallo-bruno meno voluminosi. All’analisi chimica il sig. Folli trovò in 100 parti 0,450 di sostanze solubili nell’acqua bollente, costituite da cloro, acido solforico, sodio, potassio, calcio, materie organiche; ed in 100 parti complessivamente 76 di anidride silicica, 5,70 di ossido ferrico, 13,50 di ossido alluminico, 1,088 di calce, 0,732 di po- tassa, 3,413 di soda. Orbene l'Etna verso la fine di maggio dell’istesso anno 1879 lanciò una cenere nera, che Giimbel trovò costituita su 100 parti da 50,36 di silice; 20,04 di allumina; 8,99 di ossidi di ferro; 1 Queste cifre sono la media di 20 analisi di lave moderne dell’ Etna fatte da di- versi Autori. — Vedi MeRcALLI, Vulcani e fenomeni vulc. in Italia, pag. 174. Mi- lano, Vallardi, 1881. 132. | G. MERCALLI, 8,20 di calce; 3,64 di magnesia; 5,02 di soda e 2,43 di potassa. — Dunque di queste due ceneri la prima proviene da un magma lavico più che acido, la seconda da uno basico; * l’una contiene 1,088 °/ di calce; l’altra 11,84 tra calce e magnesia. Ritrovato nelle cause fin qui discusse il modo di spiegare le eruzioni ritmiche ordinarie ed i parossismi eruttivi dello Strom- boli, ci rimarrebbe ancora di ricercare la ragione della conti- nuità delle sue eruzioni. Dirò solamente che essa parmi doversi attribuire — come a causa se non unica almeno principale — alla piccola altezza del vulcano (il cui cratere attivo si trova a 660 metri circa sul li- vello del mare); per cui la colonna lavica non trovandosi mai molto alta nell'interno del cono vulcanico, non riesce a squar- ciarne i fianchi ed a sgorgare da esso in grande quantità. Se questo accadesse, in seguito il vulcano rimarrebbe probabilmente in quiete per un certo tempo, come suol fare il Vesuvio dopo simili sfoghi. 5. Dell’attività sismica delle Eolie. Riguardo ai terremoti, dall'esame del Quadro comparativo an- zitutto si vede che nelle isole Lipari non si conservò memoria di terremoti rovinosi o disastrosi; e che anche i terremoti forti o fortissimi vi sono piuttosto rari. Si può quindi ritenere che alle Eolie corrisponde un minimo di attività sismica relativa- mente alla maggior parte del rimanente suolo italiano. Impe- rocchè la storia ricorda molti terremoti disastrosi e rovinosi in quasi tutte le altre regioni d’Italia e specialmente nel Veneto, in Romagna, nelle Marche, negli Abruzzi, in Toscana, nella Campagna romana, in Campania, in Basilicata, nelle Calabrie, in molte parti della Sicilia. Io trovai notizie di circa 300 ter- remoti italiani rovinosi o disastrosi storicamente noti. Tali ter- remoti furono relativamente più numerosi in alcune regioni lon- ! I feldspati acidi contengono da 65 a 69 0/, di acido silicico. NATURA DELLE ERUZIONI DELLO STROMBOLI. 133 tane dai vulcani attivi (Calabria, Abruzzi, Veneto, ecc.) che non in vicinanza di questi; tuttavia avvennero in buon numero an- che nei Campi Flegrei, al Vesuvio e soprattutto presso l’ Etna. Ne accaddero all’Epomeo d’Ischia negli anni 1228, 1302, 1828, 1881;! nei Campi Flegrei negli anni 1488, 1537, 1538, 1570, 1582; presso il Vesuvio negli anni 63, 79, 1561, 1582, 1609, 1688, 1694, 1794; presso l’Etna infine negli anni 252, 1083, 1169, 1536, 1537, 1633, 1634, 1669, 1693, 1818, 1832, 1842, 1846, 1865, 1874, 1875, 1879. + Dai quali confronti derivano alcune importantissime conse- guenze risguardanti i rapporti che passano tra i terremoti ed i vulcani. 1.° I vulcani non sono valvole di sicurezza contro i terre- moti perimetrici (cioè di Calabria, Abruzzo, Puglia ecc.); donde si argomenta che molto probabilmente le materie sotterranee, che causano questi terremoti, non sono le stesse che trovano sfogo sgorgando dai vulcani. Conclusione simile a quella, a cui siamo arrivati sopra considerando i rapporti che hanno i focolari vul- canici tra di loro. 2.° I vulcani sono invece vere valvole di sicurezza contro i terremoti vulcanici propriamente detti, solo quando sono in attività; e lo sono tanto più quanto più sono bassi. Alle isole Lipari, dove si verificano meglio e contemporaneamente queste condizioni mancano i terremoti disastrosi e sono rari anche gli altri. All’ Etna invece dove le materie sotterranee ordinariamente devono innalzarsi per 3300 m. solamente nell’interno del cono vul- canico, per venire alla luce — sono frequenti i fortissimi terre- moti, anche quando il vulcano è in piena attività e principalmente | poco prima o poco dopo le forti eruzioni. E ———@—P—_—m—È——————_ __———— Tra i più forti terremoti eolici invece mi pare che solo quello | del 1841 mostrò chiaramente di avere un'origine locale; e che tutti gli altri sieno movimenti sismici comunicati al suolo eo- lico o direttamente od indirettamente, totalmente o parzial- 1 MERCALLI, I Terremoti dell'Isola d’Ischia, negli Atti d, Soc. it. di Se. Nat., 1881. 134 G. MERCALLI, NATURA DELLE ERUZIONI, ECC, mente da centri sismici di altre regioni. Ed invero i terremoti eolici del 1693, 1717, 1783, 1823 e quello attuale del 16 no- vembre u. s. si vede che sono sempre contemporanei a terre- moti, i quali urtarono assai più violentemente altre parti d’Italia, mostrando evidentemente di avere ivi e non nelle Eolie la loro principale origine ed intensità. Dalle cose dette parmi infine seguire, che sia poco probabile l’opinione di F. Ferrara, il quale pensava risiedere nel mare eolico l'origine dei terremoti siculi del 1823, * e tanto meno quella del sig. E. Suess,° il quale (generalizzando questo modo di vedere del Ferrara) considera i terremoti di alcune parti della Calabria e di molti luoghi della Sicilia, come irraggianti (radial- stòsse) dalle isole Lipari, ossia come aventi la loro origine nei focolari sismo-vulcanici eolici. Monza, 18 dicembre 1881. i Ferrara cit. dal Perrey nella Mém. sur les Trembl. de Terre en Italie avee Sup- plement. 2 E. Suerss, Die Erdbeben des siidlichen Italien, nei Denkschr. der K. Akad, d. Wiss., 1874. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI ED APPARTENENTI ALLE CLASSI DEI FLAGELLATI, LOBOSI, SPOROZOI E GILIATI Memoria di Parassitologia Comparata per il Dott. Grassi B. da Rovellasca (di Como) (DAL SUO LABORATORIO PRIVATO DI ROVELLASCA) AVVERTENZE Il presente lavoro venne cominciato nel Laboratorio del prof. Maggi di Pavia; la parte che riguarda le Amibe dei Chetognati, è stata fatta in quello del prof. Kleinenberg di Messina; tutto il resto nel mio privato di Rovellasca. Nell’allestire una parte dei disegni fui coadiuvato dalla gen- tile ed intelligente mia sorella Isabella Grassi. Agli ultimi d’ottobre 1879 mandai a luce una Nota Preven- tiva, in cui sono accennati molti dei fatti qui riferiti per esteso. Diciotto mesi dopo, il Quarterly Journal of Microscopical Science pubblicò una Memoria di Cunningham, che è stata composta ‘a Calcutta, che porta la data del novembre 1879 e che riguarda (come la or ora citata mia Nota) la storia naturale ed il valor patogenico delle Monocercomonadi e delle Amibe parassitiche dell’uomo. Siccome in essa non è fatto alcun cenno intorno alle 136 B. GRASSI, mie precedenti ricerche, così io reclamo la priorità per i punti in cui queste coincidono con quelle di Cunningham. Nel presente lavoro naturalmente terrò calcolo soltanto di quelle parti della Memoria di Cunningham, le quali insegnano vere novità. Le ricerche da me imprese dopo la pubblicazione della Nota Preventiva, m’ hanno obbligato a mutare alcuni punti della clas- sificazione che allora io avea adottato. Rovellasca, ottobre 1881. Al MEDICI ITALIANI. Questa Memoria è essenzialmente un capitolo di parassitolo- gia, la quale forma un ramo della patologia comparata. Perchè la patologia comparata viene d’ordinario fraintesa e negligentata, così, profittando di questa occasione, mi permetto di toccarne alquante cose. Dirò senza reticenze i miei pensamenti e spero che il lettore prenderà in buona parte questa mia franchezza, che è semplice espressione della profondità del mio convincimento. Io sono nel numero di quei pochi che vagheggiano una larga e profonda riforma degli studî medici: perchè credo che le scienze mediche, specialmente in Italia, si muovono in troppo angusta cerchia. Si vorrebbe un volume per allegare tutti i fatti, su cui è ba- sata questa mia asserzione; qui mi limito a brevi cenni sui punti essenziali: comincio coll’ istologia. Tranne poche e non mai abbastanza onorate eccezioni, l’istologia scruta soltanto tre o quattro vertebrati superiori, quasichè gli altri fossero composti altrimenti che di tessuti e di cellule. Ma s’egli è innegabile che anche un'osservazione isolata può condurre ad una scoperta di grande momento: non è però meno vero che. così procedendo, il campo visivo vien ridotto ad un % INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 137 ‘punto, e non accade quasi mai di poter sceverare il principale dall’accessorio e l’artificiale dal. reale: epperò non di rado si finisce per consegnare alla scienza piuttosto che un materiale acconcio all’induzione, un fomite d’idee inesatte, oppure un cu- mulo di fatti slegati. i Nelle nostre scienze sono tanto necessarî i singoli fatti, quanto gli asserti dottrinali: questi sono le pietre migliari che indicano la strada da battere, i punti di riscontro che insegnano dove spezzar la roccia per mettere allo scoverto la vena dell’oro. Orbene questi asserti dottrinali si fondano quasi sempre sovra un’ estesa comparazione; la quale, ripeto, è al giorno d’ oggi tanto trascurata dalla più parte dei nostri istologhi, non ostante che abbia dato e dia tuttora tanto splendidi risultamenti, special- mente in Germania. Accennando all’ istologia non ho molto digredito dal mio par- ticolare argomento: poichè quel che or finisco di dire per 1’ 1- stologia vuolsi ripetere e con maggior forza, per la patologia; e quì il discorso non vuolsi limitare all'Italia. La patologia è una scienza che, per così dire, non ha ancora conquistata l’ u- nità. Una parte è terra incognita; un’altra è in mano del me- dico; un’altra sta in possesso del veterinario; un’altra infine vien rilegata tra le industrie agricole (bacologia, apicoltura, etc.). Come esiste un’anatomia comparata, che, prescindendo dai bi- sogni del pratico, forma un corpo ed un’anima sola colla anatomia umana; così vive una patologia comparata che è unum et idem con la patologia umana, o sperimentale, o generale, che vogliasi dire. Ricordo che quando, studente ancora, frequentava il corso di pa- tologia generale, veniva preso da una forte curiosità di sapere per- chè non si comprendesse nella patologia lo studio delle malattie di tutti quanti gli animali. E, quando vidi che il patologo sperimentale tentava di riprodurre le malattie dell’uomo nelle rane e nei conigli, ho domandato perchè non si studiassero anche le rane ed i conigli, e non questi animali soli, quando ammalavano naturalmente. La mia curiosità e la mia domanda allora restarono insoddi- sfatte. Da quel tempo sono corsi sei anni: e niente mai mi diede ud 138 | | B. GRASSI, a divedere che i miei dubbî d’allora fossero irragionevoli. Sem- brerebbe che molti credessero le malattie triste retaggio del solo uomo: od almeno giudicassero le malattie dell’uomo senza relazioni con quelle degli altri animali. y Ma per dimostrare quanto infondate siano queste idee, basta interrogare l’autorità dei veterinarî, i quali vanno sempre più mettendo ad evidenza che l’animale ammala spesso come l’ uomo: basta tentare un'applicazione anche limitata del Darwinismo alla patologia e ‘si vede immediatamente che restiamo illumi- nati di una nuova e feconda luce. Io credo che i patologhi veterinarì oggidì siano sovra una strada più giusta di quella dei patologhi umani. Ma ancor essi non guardano così lontano, come sarebbero capaci; gli animali, di cui essi sì occupano, sono una schiacciata minoranza in pa- ragone a quelli che restano da investigare. Non voglio più oltre abusare della pazienza del mio cortese lettore. Mi sembra d’aver nettamente delineato il mio intendi- mento; esso mira ad un’estensione della patologia, molto al di là degli stretti confini, dentro i quali oggidì vuolsi contenere: la patologia, se forte non m’inganno, non si giova quanto po- trebbe della comparazione: la comparazione nelle scienze medi- che debbesi ritenere la strada maestra per giungere ad un vero alquanto comprensivo. Prima di far punto, vo’ dire che questo mio lavoro è fatto in conformità alle idee dianzi esposte. Lo scopo, a cui mirai direttamente, è stato la conoscenza di alcuni. Protisti parassiti dell’uomo: per apprezzarli il meglio a me possibile, li ho studiati, oltrecchè nell’ uomo, in svariate classi animali. Mi prefissi però anche un altro scopo, meno diretto, e fu di cercare in questi parassiti dei fatti di qualche valore per la Anatomia e l’ Embriologia comparate. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI, 139 QUADRO DELLE CLASSI, DELLE FAMIGLIE E DEI GENERI pro; di cui si parla in questa Memoria Classi Famiglie Generi 1 Cercomonas (emend. mihi) 1 Flagellata (Ehbr.) 2 Megastomidea (mihi) 3 Lophomonadidea (mihi) 4 Trichomonadidea (mihi) 5 Trypanosomata (Kent) 2 Lobosa (Carp.) 1 Amoebaea (Ebr.) 1 Coccididea (mihi) 3 Ji raf dia: Sporozoa rase) 2 Gregarinidea (mihi) 1 Bursaridea (Stein) 4 Ciliata (Ehr.) 2 Urceolarina (Stein) 3 Opalinidae (Stein) 1 Monocercomonas (mihi) 2 Cimaenomonas (mihi) 3 Plagiomonas (mihi) 4 Monomita (mihi) 5 Heteromita (Duj.) 6 Dicercomonas (mihi) 1 Megastoma (mihi) 1 Lophomonas (Stein) 1 Trichomonas (mihi) 1 Trypanosoma (Gruby) 1 Amoeba (emend. Bit.) 1 Coccidia (Leuck.) 1 Gregarinae (Duf.) 1 Balantidium (Clap. e- Lach.) 2 Plagiotoma (id.) 3 Bursaria (id.) 1 Trichodina (Ebr.) 1 Opalina (Stein) 1 Nella classificazione di Haeckel ed in quella alquanto modifieatà dal prof. Maggi È questa Classe vien denominata Gregarinae Duf.; con Leuckart io ritengo che deb- basi sostituirvi il nome di Sporozoa; li distinguo per lo meno in due famiglie, Gre- garinidea cioè e Coccididea, perchè le divergenze delle Gregarine dai Coccidi sono rilevanti e non si può perciò riunirli in una sola famiglia senza offendere l’ ordine naturale. 140 B. GRASSI, CAPITOLO I. Classis: FLAGELLATA. Le forme nuove da me rinvenute edi caratteri nuovi per me scoverti in forme già descritte e la conseguente insufficienza delle classificazioni in uso, mi persuadono a modificarle secondo il seguente quadro: nel quale però io non considero che le forme parassitarie. Dopo i debiti riscontri ho veduto che sarà | facile di ritenere le famiglie qui fissate, senza riformare radi- calmente il recente sistema del prof. Stein. Nella distinzione delle famiglie ho concessa poca importanza al numero dei flagelli, perchè nel far le mie ricerche ho dovuto convincermi che è troppo difficile il determinarlo con esattezza e che talvolta esso è forse incostante negli individui di una stessa specie. Quadro delle Famiglie. 1.° Cercomonas (Duj. p. parte). (L’estremità posteriore è più o meno affilata, o bifida: dal- l’estremità anteriore spuntano parecchi flagelli). 2.° Megastomidea (mihi). (L’estremità posteriore è bifida: esiste una profonda incava- tura in vicinanza all’estremità anteriore). 3.° Lophomonadidea (mihi). (L’estremità posteriore è più o meno affilata: dall’estremità anteriore spunta fuori un ciuffo di numerosi flagelli). INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 141 4.° Trichomonadidea (mihi). (L’ estremità posteriore è più o meno affilata: l’estremità an- teriore porta parecchi flagelli: possiede corpuscoli tricocistimorfi). 5.° Trypanosomata (Kent). (Il corpo è fornito di un orlo ondeggiante: un’estremità del- l’orlo si prolunga in un flagello). 1: FAMILIA CERCOMONAS (Duj. p. parte). CARATTERI, Estremità posteriore, più o meno affilata: estremità anteriore fornita di parecchi flagelli uguali fra loro: nucleo all’estremo anteriore: vacuoli parecchi ovvero invisibili (almeno cogli ordi- narî ingrandimenti). Moltiplicazione per bisezione (e sporulare?)® Generi. I.° Monocercomonas (mihi). (Ad estremità posteriore semplice, attenuata od'ottusa). II° Cimaenomonas (mihi). (Con un flagello quasi costantemente rivolto all’indietro ed agitantesi sulla superficie del corpo, in modo di far nascere l’idea di un orlo ondeggiante, o d’una serie di ciglia vibratili). 1 Cioè per incistamento, o semplice quiescenza compagnata da una partizione della intera massa del corpo in un numero maggiore, o minore di corpuscoli sporoidi (sporule). 142 B. GRASSI, III.° Plagiomonas (mihi). (In forma di una storta: estremità posteriore affilata e sem- plice). IV.° Monomita (mihi). (Ad estremità posteriore quasi sempre ottusa: ad un sol fla- gello anteriore grosso e lungo). V.° Heteromita (Duj.). (Due flagelli dipartitisi da un medesimo punto anteriore del corpo: l’uno ondulante, diretto in avanti e determinante la pro- gressione: l’altro fluttuante, o strisciante, od agglutinantesi a qualche solido per trovare un punto d’appoggio e contraendosi tutto d’un tratto volta indietro il corpo, a cui appartiene). VI° Dicercomonas (mihi). (Ad estremità posteriore bifida: sei (?) fiagelli anteriori di cui due possono essere volti all'indietro). 1.° Gen. Monocercomonas. Monocercomonas Hominis (mihi) SINONIMI. Bodo hominis (Kent) Cercomonas hominis (Dav.) Trichomonas intestinalis (Leuck.) NOTE STORICHE. Questi parassiti intestinali, molti anni fa, sono stati chiara- mente accennati da Brera: Dubini fin dal 1849 li giudicò una. forma prossima alle Monadi: Davaine nel 1854 li descrisse bre- INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 143 vissimamente sotto i nomi di Cercomonas Rominis. Dal 1854 venendo al 1879 (in cui pubblicai la mia Nota Preventiva) ne | vennero constatati pochi casi in Europa (alcuni di Lambl, due da Ekekranz, alcuni di Tham e di Marchand, nove di Zunker). Risulta dalla recente Memoria di Cunningham ch’ esso stesso e Lewis avrebber pubblicato fin dal 1870 (in un lavoro affatto sconosciuto nel mondo scientifico) che le Monocercomonadi sono communissime in India; nel 1879 io ho fatto la stessa osserva- zione a Rovellasca dove le ho trovate nelle feccie di un centi- naio d’uomini in preda a diarrea. Le descrizioni fornite dai nominati autori sono affatto insuf- ficienti, ad eccezione di quella recentissima di Cunningham, la quale conferma la mia del 1879 quasi in ogni punto. Riguardo al significato patologico, Cunningham è d’accordo con me: Zunker però tiene un’opinione affatto contraria. DESCRIZIONE. In questo, come in tutti i Flagellati, si distingue un corpo e dei fiagelli. Nel corpo, per la descrizione, è commodo distin- guere il corpo propriamente detto e l’estremità posteriore, o caudale. Per evitare ogni equivoco, è bene notare fin d’ora che da questa estremità si passa al corpo p. d., senza un limite speciale. Corpo p. d. Come in molte altre Cercomonadi, il corpo p. d. è di forme varie. Le più caratteristiche si possono ridurre alle seguenti: ovoidali, cono-piriformi, tondeggianti, irregolari ed in continua mutazione. Anche le dimensioni sono molto differenti: l'individuo cono-piriforme può avere una lunghezza massima variabile da mm. 0.0099 a 0.0044 combinata con una larghezza massima (in vicinanza all'estremità anteriore) variabile da 0.0044 a _0,0036: nell’individuo ovoidale la massima lunghezza oscilla da 144 HE i GRASSI, CAPUT 0. 0088 a 0. 0048: la massima larghezza da 0.0048 a 0. 0083. Nelle forme tonde il diametro varia da 0.0066 a 0.0033. Questa incostanza di forma e di dimensioni mi condusse a dubitare che avessi sottocchi parecchie specie, non una; ma; su- bitochè mi misi più addentro a questi studî, sventai ogni dub- — bio. Ne soggiungerò i motivi, dopo la descrizione. o VE Nel corpo p. d. si può distinguere, benchè poco nettamente, un ectoplasma ed un endoplasma; in alcuni esemplari (i più voluminosi) già a fresco si scorge un nucleo; che si può rendere evidente in tutti coll’acido acetico e colle sostanze coloranti. Il corpo p. d., oltrecchè nucleo e vacuoli, contiene granelli di varia grandezza e di rado racchiude (se non presi abbaglio) dentro di sè frammenti di corpi estranei (amilacei ?); allora per solito altri simili aderiscono alla superficie del corpo e sempre se ne incontra nel liquido in cui la Monocercomonade nuota; laonde parrebbe che quelli penetrati nell'interno del corpo fos- sero alimento solido analogamente a ciò che verificasi in altri Flagellati. All’estremo anteriore ed un po’ da un lato in certi individui, incontrasi un’infossatura di varia profondità, che per argomento d’analogia si potrebbe giudicare un Citostoma; senonchè questo giudizio è revocato in dubbio dal fatto che cotale infossatura (tanto nella Cercomonade in discorso quanto in altre) manca affatto in molti individui, i quali del resto sono perfettamente uguali a quelli che la posseggono: e per giunta la supposta sua funzione non si può mai constatare nonostante che l’individuo nel preparato microscopico si conservi vivace per qualche tempo. Se si escludesse la significazione di Citostoma, si potrebbe pen- sare ad un’incipiente moltiplicazione per divisione; a questo riguardo debbo però soggiungere che mi occorse di conservare per parecchi giorni degli esemplari che presentavano l’infossa- tura, senza che essa si approfondasse, o scomparisse. È notevole che nelle singole scariche alvine o quasi tutte le Monocercomonadi mancano di infossatura (e questa è la regola) — ovvero quasi tutte la presentano (e questa è l’eccezione). INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 145 Estremità caudale. 99 | bi L’estremità posteriore, ovvero caudale, è un prolungamento immediato del corpo, diritto, od alquanto piegato da un lato; varia assai per la lunghezza e grossezza; talvolta è quasi lineare, talvolta conica, tal rara volta infine presenta uno strozzamento alla base; è lunga di solito la metà, talora meno, talora più e perfino quanto il corpo dell’animale. | Flagella. I flagelli dipartonsi dal polo anteriore, talvolta, a quanto sembra, un po’ lateralmente ad esso. Benchè il loro studio sia difficilissimo, pur tuttavia dopo prolungate osservazioni, in ispe- cie nei casi in cui non c'erano molti Schistomiceti che impac- ciassero l’osservazione, e coll’aiuto di una soluzione di ioduro di potassio iodata, arrivai.a dimostrare che ve ne sono almeno tre: qualvolta ne vidi quattro. Notisi che nelle preparazioni . allestite senza cura, di spesso le Monocercomonadi non mostrano traccia alcuna di questi delicati flagelli. iI quali sono uguali tra loro per lunghezza: essa è per lo manco un po’ maggiore di quella del corpo p. d. La grossezza loro è minima, uniforme per tutti quelli di un medesimo individuo. V°è quando due o più flagelli s’agglutinano insieme in tutta, od in parte della loro lunghezza. | | | Movimenti. Le forme a corpo tondeggiante s’avanzano, rotolando di qua e di là senza regola: a volte s’arrestano ed allora si può vedere lo scuotere dei fiagelli: essi sferzano senza posa il corpo a cui appartengono. Le forme ovoidali-coniche progrediscono descrivendo linee; le quali, a quel che sembra, risultano di tante minime linee curve, Vol. XXIV. 10 > 4 rà da vigila non laterali del corpo, altermam toniurtA A a sinistra: contemporaneamente a queste oscillazioni, l'individuo. ruota incompiutamente sul suo asse longitudinale: dopo un tratto più o meno lungo, esso muta direzione in vario senso... |. . La Monocercomonade in preda a questi movimenti può spo- stare delle masse relativamente grosse. Talvolta. queste stesse forme ovoidali-coniche s’incontran fisse. per il prolungamento caudale ad un corpo qualunque e si vede che fanno movimenti rotatorî, o di pendolo, a quanto sembra, per strigarsene.. Certi esemplari descrivono rapidamente una piccola circonfe- renza e poi ritornano sovra di essa 1-2-10 e perfino 100. volte. Sono degni di considerazione certi individui, che presentano un ondeggiamento affatto simile a quello delle Cimenomonadi (V. più oltre). La Cercomonade s’avanza: subito dopo fa onde alternativamente, a destra ed a sinistra, talvolta anche ripetu- tamente da uno stesso lato: si trascina quindi avanti di nuovo e ripete l’ondeggiamento. Questo ondeggiamento negli animali in movimento sembra di- pendere da un orlo ondulante, ovvero da una serie di ciglia vi- bratili: io credo che in realtà sia prodotto da uno o più flagelli rovesciati indietro sul corpo ed ondulanti. Certe Monocercomonadi sono irregolari ed in continua e ra- pida trasformazione: il corpo in totalità od in parte (e special- mente nella sua estremità anteriore) è in preda a veloci moti ameboidi. In alcuni individui ebbi notato il rapido emettere e ritirare d’uno pseudopodo in un punto costante. UNITÀ DELLA SPECIE. Come ho già cennato, non ostante le qui riferite divergenze di forme e di dimensioni, io ho creduto bene di raccogliere tutte le Cercomonadi dell’uomo in un’unica specie. Debbo qui assegnarne le ragioni. Quelle che compaiono, anche nelle feccie recentissime, con forme tondeggianti, sono individui ovoidali, o conici prossimi ad INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 147 immobilitarsi (morire?): e nel fatto, anche quelle che non ave- vano tale forma, la acquistano d’ordinario qualche tempo dopo l’emissione della feccia e poco più tardi tutte sono tondeggianti ed immobili (morte ?). Ciò non accade appena per le Cercomo- nadi dell’uomo, ma anche per molte altre. Le forme ovoidali differiscono molto da quelle cono-piriformi, ma non è difficile di trovare delle forme intermedie che si po- trebber aggregare tanto alle prime quanto alle seconde. Certe Monocercomonadi offrono un notabile ondeggiamento, che però non può considerarsi specifico, perchè gli altri loro caratteri rispondono tutti perfettamente a quelli delle altre forme: perchè s’alternano con queste, o le comitano in un me- desimo oste: e perchè il loro numero talvolta aumenta qualche tempo dopo l’emissione delle feccie, senza che questo aumento si possa attribuire ad un processo di moltiplicazione; e final- mente, perchè l’ondeggiamento non è prodotto da un organo speciale, ma semplicemente da una insolita posizione di un fla- gello. Le Cercomonadi possono diventare irregolari ed incostanti di forma quando sono lì lì per diventare immobili (morte ?); gli è perciò che il loro numero è molto più rilevante nelle feccie emesse da parecchio tempo di quel che nelle recenti. RIPRODUZIONE. Il processo di riproduzione della specie in discorso mi è re- stato incognito. Le idee di Cunningham, al mio parere, non sono sodamente fondate, come mostrerò nel seguitamento di questa Memoria. In nessun caso ho potuto vedere alcun indizio di fissiparità: nel dubbio che il processo accadesse soltanto* di notte, feci delle osservazioni anche notturne, le quali al pari delle diurne, riescirono vane. 148 | og Re BASA ca cao E sat prata ks reti olii — CONDIZIONI FAVOREVOLI E SFAVOREVOLI ALLA ibm 5 raf re Rete Ho riscaldato delle Men ccsblerénidi bois pazire di Schiiltze e le vidi morire a 46° C.: io le aveva portate a questo grado in circa venti minuti: la temperatura dell’ambiente era circa 18° C. Qualvolta però scaldando più celeramente, ne vidi alcune muoversi anche quando il termometro segnava 54° C.: a 55°. eran tutte morte. Queste mie sperienze collimano con quelle citate da Licnsolenai che, cioè, le temperature sopra i 40° R. sono micidiali alle Ger-. comonadi parassitiche. In giornate in cui il termometro segnava 10° Ri io le vidi mobilissime. Quando pubblicai la mia Nota Preliminare, io credeva che le Monocercomonadi evacuate colle feccie s’ immobilitassero (moris- sero?) perchè subivano un abbassamento di temperatura. Vero è però che m’avea fatto nascere qualche sospetto l’averle tro- vate d’autunno qualche volta vivaci in feccie emesse da tre o quattro giorni. La quistione era a questo punto, quando lessi il lavoro di Cunningham, nel quale è detto che la temperatura inferiore a quella dell’organismo forse rallenta i movimenti delle Monocercomonadi, ma che la morte dipende dall’ acidità delle feccie, acidità che può essere già subentrata prima della de- fecazione, ovvero può aver luogo alquanto più tardi. Egli adduce come prova di fatto specialmente il mantenersi mobili le Mono- cercomonadi nella bovina, la quaie appena emessa è sempre neu- tra od alcalina e successivamente, se era neutra, diventa alca- lina e, se era alcalina, si conserva tale. In quest’autunno, io confermai, almeno in parte, l’osserva- zione di Cunningham: tentai parecchie prove e tra l'altre mi riuscì questa. Ad un paziente in preda a diarrea con Monocer- comonadi amministrai della magnesia ordinaria: egli evacuò feccie acquose, alcaline e formicolanti di Cercomonadi: queste feccie non inacidirono e le Cercomonadi sopravvissero: oggi son | | INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 149 passati cinquanta giorni, la reazione non s'è cangiata e le Cer- comonadi sono ancora vivissime. E da notarsi che la tempera- DIS tura dell'ambiente, in cui si trovano, s'è già parecchie volte abbassata sotto ai 6° R. . Feci molte volte delle infusioni con materie che passando pel tubo digerente sogliono provocare scariche diarroiche in cui pul- lulano eserciti innumeri di Monocercomonadi: conservai per molto tempo delle feccie, in cui le Monocercomonadi eran morte da non pochi giorni e che avean acquistato una reazione alca-. lina: ned in queste feccie, ned in quelle infusioni vidi mai svi- lupparsi Cercomonadi della specie in discorso. Arroge che in vita libera non è stata segnalata alcuna specie identificabile con questa e che invano l’ebbi a cercare in poz- zanghere, vasche con acqua sucida, ecc. Le Monocercomonadi vennero da me trovate in tutti i paesi in cui ne feci ricerca: cioè dire a Rovellasca (piano lombardo asciutto in cui mancano affatto gli Anchilostomi) a Milano ed a Messina. La loro numerosità è incostante: di norma più le feccie son liquide, più se ne incontra. In molti casi, dentro le feccie ac- quose, strabbondano tanto che col microscopio Hart. Oc. 4 Ob. 8 (tubo accorciato) se ne contano perfino quaranta per ogni campo. VALORE PATOGENICO. Siccome ho già detto, i pazienti nelle cui feccie trovai Mono- cercomonadi, erano in preda a diarrea: cioè a quella abnormità della defecazione in cui le masse evacuate hanno consistenza molto inferiore alla regola, mentre il numero delle scariche è relativamente aumentato e l’atto del defecare è facile, pronto e perfino involontario. È raro d’incontrar Monocercomonadi e se pur si incontrano, sono sempre scarsissime, nelle feccie d’individui tormentati dalla dissenteria; notisi che per dissenteria intendo quella forma mor-. bosa empirico-clinica, in cui si ha intensa voglia di scaricare 150 B. GRASSI, l’alvo, accompagnata dal tenesmo rettale e seguita dall’emissione — di scarse feccie commiste a muco-pus ed a sangue. La diarrea comitata da Cercomonadi esprime un’enterocolite che può esser primitiva ovvero secondaria, per es. al colera (Davaine e Cun= | ningham), alla tifoide, alla tubercolosi intestinale: in questi due. ultimi casi non trovai mai molte Cercomonadi. | Nell’enterocolite ab ingestis, spesse volte occorrono sibi tissime: siccome questa malattia è molto commune, così resta molto commune anche l’avvenirsi a Cercomonadi. A Rovellasca gli ingesti che ordinariamente cagionano la diar- rea sono: le verdure, le frutta, il melgone acerbo, la pasta ina- cidita, ecc. Diarrea e Monocercomonadi d’estate e d’autunno sono più frequenti, poichè con queste epoche coincide l’uso e l’abuso delle or nominate materie alimentari: fors'anche la temperatura e la umidità esercitano una certa influenza. Non di rado un bel giorno tutti gli individui di una famiglia vengono assaliti da diarrea con Cercomonadi: tantochè si so- spetterebbe lo sviluppo di un morbo infettivo, se la qualità e la quantità degli ingesti non ci porgessero un’adeguata ragione del fatto. Ho seguito con attenzione molti casi di diarrea ab ingestis in cui le Monocercomonadi eran sommamente abbondanti, senza poter rilevare alcun sintomo speciale e riferibile alla loro pre- senza. La diarrea con Cercomonadi suol avere la sindrome di qualunque diarrea (meteorismo, borborigmi, dolori addominali diffusi, talora esacerbantisi un po’ prima della defecazione, spos- satezza, inappetenza, sete viva, malessere generale, lievi altera- zioni di temperatura, etc.). Il decorso per lo più è acutissimo (1-2-3 giorni); talvolta però quando il paziente non adotta un conveniente regime dietetico- curativo, la malattia si prolunga per 15-20-30 giorni e talvolta per parecchi mesi. Di spesso occorrono le recidive. In nessun caso la malattia è ribelle alla cura. Una volta regolata la dieta, d’ordinario cessa spontaneamente. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 151 V'è quando però ella persiste: allora, forse più d’ogni altra me- dicina, riesce efficace l’infuso d’ipequaquana (rad. d’ipeq. gr. 1 e 4/a f. inf. alla col. gr. 120: s. da prendersi a cucchiai in 24 ore); più di mezza dozzina di casi, in cui l’amministrazione dei rimedî comunemente usati era riuscita infruttuosa, guarirono im- mediatamente coll’ipequaquana; alla quale pertanto spettano, oltrecchè i nomi di radice antidissenterica, quelli di radice an- tidiarroica. | I nostri contadini sogliono curarsi senza medico, prendendo per bocca molto cremor di tartaro; io ho avuto campo di per- suadermi che questa loro pratica empirica è riprovevole. Le materie fecali contenenti Monocercomonadi di solito sono un piaccichiccio di color giallo-bruno; frequenti volte mandano un fetore orrendo; sono più o meno molli, ovvero liquide; ta- lora un po’ vischiose. La reazione può essere neutra, o legger- mente alcalina, od acida. Il microscopio non vi discopre quasi mai cellule catarrali, od emasie: è costante invece la presenza di innumerevoli coorti di Batteri, i quali per altro si trovano anche nelle feccie dei sani. Di spesso alle Cercomonadi s’accompagna una discreta quan- tità d’Amibe e qualche rara volta un grosso numero di Mega- stomi (V. più innanzi). Nelle scariche diarroiche provocate da purganti (olio di ri- cino, magnesia, cremor: tartaro solubile, calomelano, senna, ecc.) talvolta. formicolano le Monocercomonadi: talvolta per contro non se ne trova neppur una. La loro assenza, come ho già lasciato supporre, può verificarsi anco nei casi di enterocolite ab ingestis, nonostante che gli in- gesti siano quei che soglion provocare scariche strabbondevoli di Cercomonadi: può anche darsi che il loro numero sia piccolis- simo in proporzione colla gravità della diarrea. Ho pur veduto ch’elleno fan sempre difetto nella diarrea pro- vocata da certi ingesti (cipolle, cagliata, etc.). Nelle evacuazioni diarroiche dei lattanti (ne ho esaminato per : lo meno otto casi) le Cercomonadi sono costantemente assenti. n» ai Le RE St LAT de + PE v 152 ASA DAVE ARAN; .. Quando la diarrea è cronica, raro è che esse sieno nur Riassumendo: in molti, ma non in tutti i casi di di: incontrano Monocercomonadi; nè dalla sintomatologia, «nè dal | l'ispezione macroscopica delle feccie si può arguire con sicurezza | la loro presenza, o meno. ratto Dì regola esse compaiono nelle evacuazioni al cominciar. dala diarrea e finiscono con essa. Ciò ho verificato anche sovra me | stesso per ben tre volte. Ù Io non le ho trovate in feccie d’individui perfeigaz i sani: | non ostante che per ragioni d’analogia (V. più avanti) SUppo- — nessi che potessero esistervi. Cunningham ha trasformato in realtà il mio supposto, dimo- strando che in India è caso communissimo l’incontrare Cerco- | monadi nelle feccie normali. Per finire l’esposizione delle ragioni iche. possono Anita ire il giudizio sull’efficienza morbosa delle Monocercomonadi, debbo ricordare i fatti che sieguono. 1.° Ho aggiunto a. venticinque grammi di feccia liquida con Monocercomonadi abondanti, al- trettanta quantità d’infuso d’ipequaquana al '/» °/o: dopo 24 ore que’ parassiti si manteneano tuttora vividi, come in campioni, a cui non avea aggiunto nulla. 2.° L’ipequaquana riesce efficace anche nelle diarree senza Cercomonadi. 3.° La feccia piena | zeppa di Cercomonadi data a mangiare ai cani, non propaga loro la diarrea. | Egli era noto che nel panzone dei ruminanti s'incontrano Cercomonadi. Cunningham a Calcutta ebbe recentemente dimo- strato ch’esse sono costanti nelle bovine e vi compaiono di spesso in molta quantità. Per dimostrarnelo, egli sì servì di un decotto filtrato di bovina stessa. Con questo eccipiente e con una solu- zione di iodio iodurata, anch'io ho trovato queste Monocerco- monadi tanto a Rovellasca quanto a Messina: non mai però in | INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 153 grosso numero: sono similissime a quelle dell’uomo, però restano quasi sempre più piccole. Monocercomonas coronellae (mihi)? SINONIMI. Cercomonas colubrorum (Hann.)? DESCRIZIONE, etc. È simigliantissima alla forma ovoidale dell’uomo. Certamente ha almeno quattro flagelli. L’estremità caudale ‘è in BEnenHio più lunga e più sottile che nell’uomo. Venne da me constatata una sol volta nella Coronella Austriaca a Rovellasca, nell'ottobre 1879: parecchie Coronelle catturate nella medesima località ed alla stessa epoca non me ne presen- tarono alcun esemplare. — Lascio in dubbio se debbasi distinguere dalla Monocercomonas . Hominis. Monocercomonas insectorum (mihi) SINONIMI. Bodo melolonthae (Leidy)? (Leidy le trovò nell’intestino delle Melolonte americane). Schedoacercomonas melolonthae (mihi). Schedoacercomonas grillotalpae (mihi). mia etc. Corpo ovato, obovato, o sub-rotondo; posteriormente più o meno ottuso (sicchè si può quasi dire che l'estremità caudale 154 pito gear B. GRASSI, manca). Massima lunghezza mm. 0.0154: massima largh. 0. 011» nucleo relativamente grosso, tondeggiante e collocato all’ estre- mità anteriore del corpo. Non vi scorsi l’infossatura (Citostoma ?). Molti esemplari portano aderenti al corpo e verosimilissimamente anche dentro di esso, dei corpuscoli splendenti e abbrunanti. coll’iodio e probabilmente amilacei. a ADO Vi sono tre-quattro flagelli anteriori più lunghi del corpo; a quanto sembra originano addossati l’uno all’altro. (STILE Trovai questi parassiti in quasi tutte le larve di Grillotalpa e di Melolonta; non li ebbi mai a vedere nelle Melolonte mature. Abbondano nella parte posteriore dell'intestino, dove si trova. feccia pultacea, o quasi liquida, nerastra, a reazione neutra od alcalina. sù L’estremità caudale è l’unica differenza rilevante che intercede tra questa specie e la Monocercomonas Hominis. Nel Grillotalpa m’accadde però di trovare una forma con estremità caudale di solito lunga quasi come il corpo, ma tal- volta anche il doppio di esso; gli altri caratteri concordavano con quelli della Schedoacercomonas or ora descritta. Io non saprei distinguere, con sicurezza, alcune di queste forme dalla Mono- cercomonas Hominis e tanto meno dalla Monocercomonas Coro- nellae. II.° Gen, Cimaenomonas. Cimaenomonas Batrachorum (mihi). SINONIMI. Cercomonas Iniestinalis ? (Ehr.) Cercomonas Ranarum? (Ehr.) Bodo Intestinalis? (Ehr.) Bodo Ranarum? (Ehr.) Trichomonas Batrachorum (Perty). INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 155 à ANNOTAZIONI. . Questa specie è già nota per le descrizioni e le figure di Perty, Stein, Kent, ecc. Perciò io mi limito a registrare alcune osservazioni originali. La variabilità di forma e di diametro in queste specie è ri- levante, come nella Monocercomonas Hominis. In non rari esemplari ho trovato quattro flagelli; essi hanno origine dall’estremo anteriore del corpo. Tre sono diretti in avanti; un quarto più lungo e più grosso è rovesciato indietro, cioè sul corpo ed è in continuo scuotimento od ondulamento, attalchè a Stein nacque l’idea che il corpo possedesse un orlo ondeggiante ed a Perty invece sembrò che il corpo fosse fornito di una serie di ciglia vibratili. In certi esemplari uccisi coll’iodio questo quarto flagello com- pare evidentemente, perchè resta un po’ allontanato dal corpo. La sua lunghezza sopravanza quella del corpo: la parte so- pravanzante può produrre l'illusione che da una parte postero- laterale del corpo spunti fuori un altro flagello (il quale vedesi figurato in Stein). Parlando della Monocercomonas Hominis ho già menzionato che alle volte anche un suo flagello si rovescia indietro ed ondeggia come in queste Cimenomonadi; laddove questo fatto accade ap- pena eccezionalmente nella Monocercomonade, invece è la regola nella Cimenomonade; non di rado però m’avvenni anche ad esemplari di questa, nei quali non si notava ondeggiamento di sorta. In tutti gli individui esiste una costa longitudinale (che si trova figurata in Stein): essa percorre un mezzo meridiano ed ap- parentemente divide in due metà longitudinali e disuguali il corpo | della Cimenomonade: questa costa è un po’ curva; ha aspetto | chitinoide e si prolunga anche nell’ estremo caudale; il quale anzi non di rado mi parve risultasse soltanto del prolungamento LI di questa costa; che è caratteristica del Gen. Cimaenomonas. 156 rta to 126 Bea @BAGSIy to ne dh DIO nd; lita in sali come in altre mates svi id e sorta: alcuni compaiono quasi macchie chiare; altri, qui betti splendenti, che senza l’uso dei reattivi potrebher scan DO ia S con nuclei o sporule. 3 3 RR seguiti In certi individui accade na vedere dei frustoli solidi (ami-. lapei2} ) aderenti al corpo ed anche, a quanto pare, racchiusi | dentro di esso. Si ricordi che un fatto simile ho già accennato | per le Cercomonadi dell’ Uomo e del Grillotalpa; lo pz molte altre specie. A ih a All’estremità anteriore del corpo in tutti gli csetaninA la tisiai un nucleo, che risalta coll’acido acetico. : rif In certi individui occorre di rilevare un’infossatura side per posizione e per forma a quella che ho descritta nelle Cercomo- nadi umane. Questa infossatura di solito è stretta e poco pro- | fonda: di raro avviene che s’approfondi fino alla metà della lun-. ghezza del corpo e rarissimo è il caso che la sorpassi; allora la parte anteriore della Cimenomonade è biloba; un lobo mag- giore porta i flagelli ed un altro minore non ne presenta alcuno: tra i due lobi esiste una fenditura stretta e lunga, a modulo cuneiforme. Dirò qualcosa sulla riproduzione. L’estremità caudale talora è molto allungata. Sono degni di menzione certi individui, relativamente gigan- teschi, a processo caudale molto sviluppato e, per così dire, strozzato alla base: accanto a questi s'incontrano altri a. coda smozzata, ma pur voluminosi; ed altri ancora molto piccoli, che. sembrano quasi appendici caudali, staccate da quelli a coda smozzata e viventi di vita propria. Per quanto a lungo osservassi, non ho però mai potuto sor- prendere in atto questo conghietturato processo; lo che revoca in forse la sua realtà. Una volta sola m’accadde di vedere una Cimenomonade con doppia estremità caudale. Tentai molte coltivazioni allo scopo di scovrire il processo di: riproduzione, ma non approdai ad alcuna conclusione seria. | INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 157 . Soltanto le coltivazioni fatte con acqua gelatinosa mi lasciaron travedere qualcosa; e forse, s’io fossi stato meglio fornito di strumenti, mi sarei avvicinato alla soluzione del problema. Dopo 48 ore parecchi esemplari ancor vividi, erano sparsi di minutissimi bastoncelli (un po’ curvi?): gli altri erano in morte apparente (o reale?) tondi e ripieni dei medesimi bastoncelli; questi all’ingrandimento massimo di cui io disponea (Oc. 5, Ob. 9 Hart.) non erano ben distinguibili da numerosi Batteri, che stavano nel liquido insieme colle Cimenomonadi. Dopo 64 ore non si vedeva più alcuna Cimenomonade in movimento : tutte avevano assunto la or ora detta forma tondeggiante ed ‘erano infarcite di bastoncelli. Due interpretazioni sono possibili: od i Batteri avevano in- vase le Cimenomonadi, oppure le Cimenomonadi erano în ri- produzione; riproduzione che potrebbe paragonarsi a quella de- | scritta da Dallinger e Drysdale per la Monas Dallingeri (Kent). i Questi fatti osservai ripetute volte: sciaguratamente non ho i potuto procedere oltre nella loro indagazione, perchè non di- | sponeva nè di buone camerette di coltivazione nè di fortissimi obbiettivi. ‘ Non voglio tacere che in parecchi casi vidi nella cloaca dei Rospi delle Cimenomonadi quiescenti e bastoncellate, senza che | nel liquido, in cui esse stavano, coabitassero dei Batteri para- i gonabili ai loro bastoncelli. Per dir tutto, devo aggiungere che in parecchi casi ritrovai i forme simili (cioè tondeggianti, immobili e piene di bastoncelli) i nelle vaccine recentissime e non contenenti Batteri, la cui forma | ricordasse i bastoncelli stessi. Mi resta di fare qualche osservazione che servirà a meglio | chiarire il valore clinico delle Monocercomonadi dell’Uomo. Le Cimenomonadi in discorso abitano la cloaca della: Rana Temporaria, della Rana Esculenta, del Bufo Vulgaris e!del- l’/yla Arborea. Sono comuni tanto a Rovellasca quanto a Pavia ed in ogni stagione, 158 | B. GRASSI, «Le mie osservazioni furon prolungate soprattutto nel Bufo Vulgaris. Non ne trovai mai uno, in cui elle mancassero af- fatto: però non sono rari gli individui in cui scarseggiano. Scar- seggiano, quando la cloaca contiene molta sabbia; per contrario sogliono essere abbondevolissime, quando vi si trova molta so. stanza organica liquida, o semiliquida. bA) Le feccie della cloaca hanno reazione alcalina. Quelle eliminate spontaneamente sono piuttosto sode e d’or- dinario non vi si può riscontrar alcuna Cimenomonade, ancorchè queste strabbondino nella cloaca. Prendiamo nota di questo fatto che riscontreremo anche in altri animali: il non trovar Cercomonadi nelle feccie non nega ricisamente la loro presenza nell'intestino. Egli si pare che esse fuorescono dall’oste soltanto in casi di diarrea. Abbiamo veduto che la vaccina ne contiene abitualmente: pos- siamo soggiungere che la vaccina abitualmente è tenera, od in altri termini nella Vacca una lieve diarrea è condizione fisio- logica. Forme simili alle Cimaenomonas Batrachorum s'incontrano in altri animali d’altre classi. Nel Gatto, alla parte inferiore del tenue ed alla superiore del crasso, si può trovar Cimenomonadi indistinguibili da quelle dei Batraci: in esse pure notai la costa chitinoide, il nucleo, i fla- gelli, di cui uno è rovesciato indietro. Insieme con loro stanno non rari individui, in cui non si vede ondeggiamento di sorta e che sono perciò identici alle forme ovali dell’uomo. Ho detto or ora che l’ondeggiamento può mancare anche nelle Cimaeno- monas Batrachorum. Quella del Gatto sta in mezzo a feccia molle ed acida. Nel Mus Musculus, nel Mus Rattus e nell’ Arvicola Arvalis ho riscontrato una Cimaenomonas del pari similissima a quella dei INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 159 Batraci: mentre è facile di vedere il flagello che produce l’on- deggiamento (è grosso ed è lungo una volta e mezza la lun- ghezza del corpo), egli riesce malagevole di certificare l’esistenza di flagelli anteriori: tantochè, due anni fa, io credetti che man- ‘cassero; in quest'anno invece, delle volte parecchie, ebbi la. for- tuna di vederne due corti: nel Mus Musculus poi, li ho trovati lunghi, come nelle altre Cimenomonadi. Che. i molti esemplari da me trovati senza flagelli, accennino ‘a ciò che il Flagellato può ritirarli per poi emetterli a suo pia- cere? che rappresentino una specie differente? Abitano la parte inferiore del tenue e la prima parte del crasso dove, cioè, sonvi feccie pultacee, o quasi liquide: la reazione di queste feccie è alcalina; vi strabbondano ognora i Batteri. Nei Mus giovani sono rarissime: affatto comuni per contro in quelli vecchi. .. Nella parte inferiore del crasso si trovano feccie sode conte- nenti frequenti volte dei corpi immobili ch’io ritengo Cimeno- monadi in morte apparente o reale. Nelle feccie evacuate spontaneamente non ho potuto dimo- strare Cimenomonadi mobili. Quest’autunno (e non in quello del 1879) ho trovato non di rado nei cechi delle Galline, forme» poco dissimili dal Cimaeno- monas Batrachorum. È notevole però che le più di esse sono un po’ curve nel senso dell’asse longitudinale. Le feccie erano a reazione alcalina: in altre Galline che con- vivevano con quelle in discorso, la reazione delle feccie era acida e le Cimenomonadi mancavano. Una forma identica si trova talvolta in feccie molli emesse dalle Anitre. Nella parte inferiore dell'intestino crasso di due Anitre, nel 1879, ho trovato abbastanza numerosi esemplari rapportabili | alle Monocercomonadi dell'Uomo. », Nr Mo 160 "—’B. GRASSI, + TA Forse a quest’ultima forma dell’ Anitra sono identiche le se- guenti incompletamente descritte dai loro scopritori: | ha sE Monas Anatis (Dav.) (1874). daga Cercomonas Gallinarum (Dav.) (1877: verine trovata in una Perdix). si Cercomonas Gallinae (Riv.) (1880: nei Polli e nei Piccioni). Cercomonas Hepaticum (Riv.) (1880: nei Piccioni). Rivolta crede che queste sue Cercomonadi siano capaci d’in- generare gravi malori. Egli parla d’una forma di croup prodotto dalla Cercomonas Gallinae; la quale (cito le sue parole) può vivere e moltiplicarsi non solo nell’intestino dei Polli e dei Piccioni giovani, ma può ancora vivere e moltiplicarsi in numerose colonie sulla mucosa della bocca, della faringe, dell’ esofago, dell’ingluvie e del con- dotto che va al ventricolo succenturiato ed al ventriglio. Nelle quali regioni, insinuandosi tra le cellule epiteliali e sotto le stesse e forse nelle glandole mucipare desta un’irritazione e la formazione di piccole piastre che hanno l’aspetto di quelle erou- pose. Nel fegato il Cercomonas Hepaticum, al dire dello stesso autore, produrrebbe un epatite caseosa. Evidentemente questi giudizî non sono imbasati sovra prove speciali; sibbene sovra un preconcetto teorico di cui. discorrerò più innanzi, che cioè, i parassiti sian causa della malattia che comitano. | Davaine ha accennato sotto i nomi di Trichomonas Caviae una Cimaenomonas, che ha molta attinenza con quella dei Ba- traci. Anch'io l’ho trovata numerosa in tutte le Cavie ché mi ven- nero in esame: essa abita la parte superiore del crasso, là dove si trova feccia ancor quasi liquida. Questa feccia ha reazione neutra. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 161 III° Gen. Plagiomonas Plagiomonas Grillotalpae (mihi) SINONIMI. Retortamonas Grillotalpae (mihi) DESCRIZIONE, etc. Il corpo di fronte ha forma di storta coll’estremità assotti- gliata anteriore. . La sua massima lunghezza oscilla da mm. 0,015 a 0,016: la sua massima larghezza da 0,0033 a 0,0022 | Nella metà anteriore havvi una macchia chiara e non colo- rabile coll’iodio: è più vicina al lato convesso del corpo che al concavo. Non vi scorsi un nucleo evidente. L’estremità anteriore porta due (?) flagelli lunghi più del corpo; l’uno è rivolto in avanti e l’altro indietro. i L’estremità caudale è più corta del corpo, tranne che negli esemplari piccoli; talvolta è formata da un regolare assottigliarsi del corpo; tal’altra sembra un bastoncino a punta ottusa. Il Plagiomonas s’avanza roteando intorno a sè stesso. Abita la parte inferiore dell’intestino delle larve di Grillotalpa (a Rovel- lasca). È rarissimo; lo trovai parecchie volte nel 1879; questo anno non ebbi la fortuna di rivederlo. Mi parve che certi esemplari segnassero passaggio a forme che non sono rare nei giovani Grillotalpa e che ho in addietro paragonate alle Monocercomonadi ovali dell'Uomo. IV.° Gen. Monomita Monomita Muscarum (mihi). Vol. XXIV. 11 162 te i B. GRASSI, SINONIMI. Cercomonas Muscae Domesticae (Stein). Herpetomonas Muscae Domesticae (Kent). Cercomonas Muscarum (Leidy)? Bodo Muscae Domesticae (Burnett)? DESCRIZIONE. Questa specie si trova figurata nell’opera classica di Stein, È communissima nell’intestino di parecchie specie di mosche; in un sol oste se ne può veder delle miriadi; di spesso ne gremiscono il canal intestinale. Non di rado si dispongono in globi. Svariatissima è la forma e la grandezza degli individui che s'incontrano in ogni mosca: ve ne ha di tondeggianti-ovoidali, d’ovoidali-allungati, di fusiformi, di lineari, di piramidali (ad apice anteriore, etc.). La lunghezza può variare da mm. 0,0033 a 0 0198. La lar- ghezza per contro è poco incostante ed è sempre compresa tra 0,0022 a 0,0044: ell’è relativamente maggiore negli esemplari più corti. L’estremo anteriore è ona d’un solo flagello, piuttosto grosso e lungo di sovente forse due volte la lunghezza. del corpo. | L’estremo posteriore è più o meno ottuso: rarissimamente è affilato. Il protoplasma del corpo sembra spugnoso. Col metilvioletto e coll’acido acetico, in taluni esemplari, si pone in evidenza un corpicciuolo tondo e quasi centrale (nucleo ?): in altri individui se ne veggono due, apparentemente collocati sovra una linea trasversale mediana del corpo, l'uno quasi ad un'estremità di essa, l’altro quasi all’ altra. Non sono rari gli esseri in cui si veggono tre di questi corpicciuoli; due sono collocati come nel caso precedente, il terzo sta vicino al punto d’origine del fla- gello. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 163 Esaminai, migliaia di Mosche al fine di carpire alla natura il segreto della riproduzione di questi parassiti; non ho toccato la meta a cui mirava, ma qualcosa ho veduto. Ho trovato molte volte degli individui in vario grado di di- visione (la quale non vidi però mai completarsi sotto i miei occhi). La divisione, a quanto pare, può esser trasversale, ovvero longitudinale: la prima si può giudicare effetto di graduale strozzamento del corpo della IMonomita, verso la metà di sua lunghezza; la seconda comincia ad un polo dell'animale e man mano procede verso l’altro; il polo di partenza può essere sì l’anteriore che il posteriore; talvolta mi parve che la divisione S’iniziasse nella parte mediana-longitudinale. La divisione longitudinale è molto più comune di quella tras- versale. La divisione può essere in corso su esemplari di svariate gran- dezze. | Quando sono presenti molti esemplari minimi, si trovano non di rado anche numerosi corpicciuoli sporuliformi ovoidali-ton- deggianti e minutissimi. Ho sospetto ch’essi sieno germi di Mo- nomite. Le Monomite fuori del corpo della Mosca, muoiono già dopo 24 ore, ancorchè le feccie vengano conservate in camera umida, aggiungendovi o no dell’acqua gelatinosa, dell’albume d’uovo, del decotto di vaccina ecc. _ Notasi che nell'intestino delle Mosche non si riscontra mai nessuna Amiba. Vicinissima alla Monomita Muscarum è la Leptomonas Biit- schlii (Kent), trovata da Biitschli nell’intestino del Trilobus Gra- cilis. Molto propinqua è anche l’Herpetomonas Lewisi (Kent), tro- vata nel sangue dei Ratti indiani da Lewis e da me cercata e ricercata invano a Rovellasca, LA 164 x i | B. GRASSI, V.° Gen. Heteromita (Duj.) Heteromita Lacertae (mihi) SINONIMI. Schedoacercomonas Lacertae Viridis (mihi). DESCRIZIONE. Corpo piriforme (coll’estremo sottile collocato posteriormente) od a seme d’avena, etc. Lunghezza massima da mm. 0,0125 a 0,0066; larghezza massima da 0,0044 a 0,0022. Nucleo verso l'estremità anteriore; frequenti volte due vacuoli nella parte po- steriore. Negli individui uccisi coll’ iodio si possono vedere due fla- gelli, che hanno origine da un punto commune all’estremità ante- riore del corpo; l’uno di essi è lungo più che tre volte la lun- ghezza del corpo ed è più grosso di un altro; il quale è rivolto costantemente all’indietro e non più corto del primo. La lun- ghezza di questi flagelli è relativamente maggiore negli individui a corpo piccolo. Il corpo posteriormente attenuasi e termina per lo ui puntuto. Questo Flagellato s’avanza oscillando; dopo aver percorso un certo tratto in linea pressochè retta, muta rapidamente dire- zione. | Che il flagello rivolto all’indietro possa servire come. nelle Heteromite non parassitarie a “ ramener tout à coup en se con- tractant l’animal en arrière , è una circostanza ch'io non ho potuto accertare. La specie in discorso abita la cloaca della Lacerta Viridis e della Lacerta Muraria: in questa è rara, in quella è comunissima. Venne da me riscontrata d’estate e d’ autunno, a Rovellasca ed a Pavia. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 165 ® Heteromita (?) Caviae (mihi) SINONIMI. Monas Caviae (Dav.)? DESCRIZIONE. Nella parte superiore del crasso della Cavia, oltre a grosse Cimenomonadi, si trovano dei minuti Flagellati, ch’ io registro dubbiosamente tra le Meteromitae. . Il corpo è ovale, non di rado presenta uno strozzamento, 0 colletto, alla metà della sua lunghezza. È ottuso ai poli; in ge- nerale il polo anteriore è più attenuato del posteriore. La lunghezza massima di questo corpo varia da mm. 0,0066 a 0,0033: la massima larghezza da 0,0022 a 0,0033. Non seppi trovarvi un nucleo ; notai tre flagelli anteriori uguali tra loro. Alle volte si trova un flagello diretto all'indietro e lungo n . più del corpo: il suo punto d’origine è prossimo a quello degli anteriori, dei quali è più grosso. Taluni esemplari mi sembrarono in preda a movimenti ame- boidi. Con questa forma vuolsi forse accompagnare un piccolissimo Flagellato dell'intestino della Blatta: vi scorsi tre flagelli, che partono dall’estremo anteriore del corpo ed un quarto che ori- gina (?) dall’estremo posteriore, un po’ lateralmente. VI Gen. Dicercomonas (Duj.) Dicercomonas Intestinalis (Duj.) SINONIMI. Hexamita Intestinalis (Duj.) 166 vii Bor GRASSI, NEI ANNOTAZIONI. Questa specie a Pavia ed a Rovellasca è molto rara: io l'ho cercata di spesso, ma l’ho trovata una sola volta nella Rana Esculenta (a Pavia) e quattro volte nel Bufo Vulgaris (a Ro- vellasca). Anche in questa specie il numero dei flagelli è incerto: ne vidi parecchie volte cinque ed una volta sei. Certi esemplari fi- gurati da Stein, mit zwei seitlichen Reihen undulirender Fortsùtze am Vorderleib, probabilmente sono esemplari in cui due flagelli sì sono rovesciati all’indietro. Molte Dicercomonadi però non presentano ondeggiamenti di sorta; teniamone calcolo. Questo e gli altri fatti, che ho in ad- dietro citati, indicano forse che l’importanza di questi flagelli rovesciati indietro è relativamente piccola. Il Dicercomonas si potrebbe definire una Cimaenomonas dop- pia: se due Cimenomonadi si fondessero insieme, in modo che il polo anteriore dell'una combaciasse col polo anteriore del- l’altra ed ugualmente il posteriore col posteriore, il nuovo in- dividuo sarebbe uguale ad una Dicercomonade. Che l’una forma sia stadio di sviluppo dell’altra ? Dicercomonas Muris (mibi)? DESCRIZIONE. Corpo ovale-allungato, ovvero piriforme (coll’estremità assot- tigliata posteriore) flessibile. Quattro flagelli anteriori. Lunghezza massima del corpo da mm. 0,0064 a 0,0046: larghezza massima di 0,0022. L’estrema piccolezza di questo Flagellato rende sommamente dif- ficile il suo studio. Abita la parte anteriore del tenue di varî Mus e dell’ Arw?- cola Arvalis (a Rovellasca). È raro: coabita col Megastoma. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 167 1 2.* FAMILIA MEGASTOMIDEA (n. fam.) Finora vi appartiene una specie sola. Megastoma Entericum (mihi) SINONIMI. Dimorphus Muris (n. sp.) Siccome la parola Dimorphus può dar luogo ad equivoco e l’altra Muris, come si vedrà più sotto, è insufficiente, così io credo opportuno di abbandonare questi nomi che aveva usati nella mia Nota preliminare del 1879. DESCRIZIONE, È trasparente ed incoloro; singolare è la sua forma: in qual- che modo si può paragonare ad una pera a base elittica. L’ e- stremità anteriore del Megastoma resta base: apice la sua estre- mità posteriore. Si supponga divisa la pera in due metà da un piano che unisca l'apice all'asse maggiore della base. Poco più» dei due quinti anteriori (ossia contigui alla base) di una di queste metà si mostrano profondamente incavati: l’ inca- vatura è a forma di rene disposto trasversalmente all’asse me- diano-longitudinale della pera e coll’ilo mediano-longitudinale e posteriore. La profondità e l'estensione di questa incavatura in alcuni esemplari sono maggiori ed in alcuni altri minori, di quanto ho detto or ora. Il corpo per solito appare ialino: talvolta però 'è finissima- mente granelloso. Ha un sottilissimo invoglio chitinoide: pare certo che questo sì estende nell’incavatura verso l’orlo della quale esso è lieve- | mente ispessito. Sulla linea mediana-longitudinale della superficie Sp 168 B. GRASSI, posteriore all’incavatura forma una sottil costa, che va dall’orlo posteriore dell’incavatura all’apice della pera (costa forse para- gonabile a quella che ho descritta nelle Cimenomonadi). . .. In molti esemplari al fondo dell’incavatura si vedon due mac- chioline (vacuoli?) chiare, elittiche ad asse maggiore antero- posteriore, l’una appena al di là, l’altra appena al di qua del- | l’asse mediano-longitudinale della pera. Ki si pare che in corrispondenza a queste macchioline, l’in- volucro chitinoide diventi estremamente sottile o che sia inter- rotto. | Vicino all’estremità anteriore della costa, che ho poco addietro — descritta, sta un corpicciuolo già visibile a fresco, d’aspetto chi- tinoide, tondeggiante, minutissimo, talvolta doppio (?). Dalla costa in vicinanza a questo corpicciuolo (?) dipartonsi |. circa sei flagelli, di cui quattro sono facilissimamente visibili e _ lunghi almeno quanto la pera: due di essi si dirigono verso il lato destro del Flagellato, due altri in modo simmetrico verso il lato sinistro. Sembra talvolta che due flagelli originino }’ uno da un lato dell’apice della pera e l’altro dall’altro. L’apice della pera si prolunga, a così dire, in un breve pic- ciuolo, il quale si divide ad angolo acuto in due sottili filamenti, forse alquanto più corti che i flagelli. ‘ Il Megastoma è capace di una rapida progressione: per solito s'avanza facendo contemporaneamente una parziale rotazione sul suo asse longitudinale in modo da mostrare la sua cavità alter- nativamente di fianco e di fronte: talvolta per contrario incede mostrando sempre la sua cavità di fianco e quasi tremolando. Non è raro che s’aggrovigli frammezzo al tritume ed allora fa dei movimenti irregolari per istrisarsene. Lo vedi anche rotear ripetutamente sul suo asse longitudinale, di poco spostandosi dal punto in cui si trovava. La lunghezza e la larghezza di questi esseri sono variabili: la lunghezza di 5 a 10 F, la larghezza da 4 a 6 P. Nell’Uomo di piccoli non ne trovai in nessun caso. I più piccoli, che m'ab- bia veduti, eran nell’Arvicola. ille, ST INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 169 I Megastomi eliminati colle feccie ben presto muoiono: vi si possono riconoscere però anche dopo otto giorni, perchè il corpo si presenta inalterato di forma, anzi sono ancora evidenti le macchie vacuoliformi ed il corpicciuolo splendente: però dei de- licati flagelli e dei filamenti caudali non vedesi traccia alcuna. I Megastomi uccisi coll’acido osmico e successivamente trat- tati col picrocarmino non si colorano, tranne che alle volte com- pare una tinta rosea in corrispondenza all’incavatura, tinta che può anche limitarsi alle macchioline vacuoliformi. Il corpicciuolo splendente non assume mai il carmino: per ciò e per i caratteri già addietro mentovati, non posso credere che esso sia un nucleo. — Nell’incavatura alle volte riposa una metà d’una sferula, o bollicina ialina, poco splendente; la riscontrai soltanto nei Me- gastomi morti; essa diventa rosea coll’iodio. Sferule simili vidi talvolta uscire dal corpo di altre Cercomonadi. Nel caso del Megastoma ei si pare che il protoplasma siasi rigonfiato e che una parte del protoplasma stesso sia uscita in forma di bolli- cina squarciando l’involucro chitinoide là dov'è più sottile (cioè in corrispondenza all’incavatura). Nel corpo del Megastoma non vidi mai alimenti solidi. ABITAZIONE. Ho trovato il Megastoma a Rovellasca, nel corpo del Mus Musculus, del Mus Rattus, del Mus Decumanus, del Mus Syl- vaticus, dell’ Arvicola Arvalis (in tutti questi animali, special- mente se sono un po’ vecchi, il Megastoma è communissimo) ne corpo del Gatto (in questo è rarissimo) e nelle feccie anche re- centissime di Uomini affetti da diarrea: finora in queste lo ri- scontrai soltanto tre volte: notisi che i casi in cui lo cercai non superano la cinquantina. Negli animali, che ho dianzi nominati, abita a gran prefe- renza duodeno e digiuno: è raro verso l’estremità posteriore del tenue: suol mancare nel crasso. Si trova sempre in grosse coorti. 170. SERE .. B GRASSI, i a ARA Sia nei Topi che nei Gatti, egli è ovvio rilevare che questo | curioso parassita suol tener la sua parte incavata apposta ‘alla superficie libera delle cellule epiteliali intestinali. >. /.0 0° Ì Questo fatto significa che l’incavatura molto verisimilmente | ha il valore di cavità boccale; potrebbe lasciar adito anche al sospetto che il parassita avesse il pessimo costume di vivere a spese delle cellule stesse. 1) VALORE PATOLOGICO, etc. Nonostante il sospetto che il Megastoma viva a spese dell’e- pitelio intestinale e la certezza ch’esso stando applicato alla*su- perficie libera delle cellule intestinali impedisca loro di funzio- nare regolarmente: ciò nonostante, dico, io non ho potuto persua- dermi che l’oste ne subisca un’influenza nociva. È difficile trovare un’Arvicola che non ne nutrichi immense schiere. Bisogna supporre o che le Arvicole siano tutte amma- late, o che i Megastomi riescano loro indifferenti: delle due ipo- tesi, la prima mi sembra improbabile. Arroge che non ebbi mai a constatare un’evidente alterazione morbosa dell’intestino, tuttochè fosse gremito di Megastomi. Dirò alcune minuzie intorno ai tre casi da me osservati nel- l'Uomo. In ogni scarica alvina i Megastomi erano presenti a bi- lioni: gli osti (contadini di Rovellasca) soffrivano di diarrea (in due casi era cronica ed in un terzo era subacuta). Sarebbe audacia voler derivar la diarrea dai parassiti. | Come ho già cennato, i Megastomi possono esistere nel tenue | dei Topi e del Gatto e mancare nel loro crasso e nelle loro - feccie. Parmi probabilissimo, per non dire certo, che un »fatto | simile si ripeta nell’Uomo e che i Megastomi popolino le eva- cuazioni alvine appena quando l’oste sia in preda a diarrea, promossa da un’affezione di quella parte dell’ intestino, dove abi- tano i Megastomi. In due casi dopo ripetute dosi di magnesia calcinata, non vidi più alcuno di questi parassiti nelle feccie: ed i malati miglio- - seni ni i INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 171 rarono sensibilmente: non si può decidere con sicurezza se que- sto miglioramento sia ascrivibile alla scomparsa dei Megastomi, od alla congrua dieta per me prescritta ai pazienti, od al na- tural processo della malattia. Il terzo paziente non s’assoggettò ad alcuna cura; le sue feccie contengono ancora oggi una certa quantità di Megastomi e la malattia continua. In tutti e tre i casi le feccie erano acide, quasi liquide: no- tisi che il loro colore in due casi era giallo: nel terzo era ne- rastro. L'esame microscopico delle feccie mi rilevò oltre ai Megastomi, alcune Amibe, numerosi corpuscoli elittici (che descriverò più avanti) ed i soliti Batteri: in due casi coesistevano pure alcune rare Monocercomonadi. Credo che il medico debba imparare a conoscere i Megastomi, ancorchè si decida che non ci sieno dannosi: infatti essi pos- sono fornire un criterio diagnostico di. molta importanza sulla sede d’un’affezione del tubo intestinale. Per quanto ho in addietro mentovato, io non esito a credere che la diarrea con numerosi Megastomi indica un’affezione della metà superiore del tenue, ossia dell’abitazione ordinaria dei Me- gastomi. Il trovarsi questi Megastomi a bilioni nelle scariche fecali, ed anche per molti giorni, accenna forse che la lesione dell’inte- bI | stino è circostanza favorevole al loro moltiplicarsi. Ho ingoiato numerosi Megastomi e non li presentai nelle fec- cie, neppure dopo la presa d’un purgante. È possibile chei germi di questi parassiti arrivino nell’Uomo per mezzo delle materie fecali dei topi; e ciò non parrà strano, quando avrò detto che i nostri contadini sogliono tener il pane nei granai e, come so di mia propria veduta, accade soventi volte | che i topi lo imbrattino di sterco. 172 ‘ERA È l B. GRASSI, x} 4 FA SERA ASIA | Sn. i Vista ei + FAMILIA LOPHOMONADIDEA (Mibi) cieca ita : ‘ i “è È sa Lophomonas Blattarum (Stein). i in HM » Longa dr) ANNOTAZIONI. TRI OB rante È Questo dia a Rovellasca è comune nel retto della Blatta. Posso confermare la descrizione datane da Biitschli. | Aggiungerò che esso si pasce non soltanto di materie amila- | cee, ma assume anche miceli e spore; il cibo ingesto può esser tanto abbondante da occupare il corpo tutto ad eccezione di una +. sottil zona periferica e del nucleo. Il corpo (come dice Biitschli, in opposizione a Stein) in ge- nerale è piriforme: ciò ho dimostrato, uccidendo il Protisto coi | vapori di acido osmico. Neppur io ho potuto constatare la pre- | senza del citostoma descrittovi da Stein. Le Lofomonadi, per la posizione del nucleo e dei flagelli, si avvicinano alle Cercomonadi. L’unica divergenza sta nella quantità di questi flagelli, i quali — sono pochi nelle Cercomonadi, numerosi nelle Lofomonadi. 4.2 FAMILIA TRICHOMONADIDEA (n. fam.) Trichomonas Melolonthae (mihi): DESCRIZIONE, etc. Questa specie è comunissima nell'intestino delle larve di Melo- | lontha Vulgaris, associata o no alla Monocercomonas. Se ne incontrano miriadi in ogni oste (a Rovellasca, d'estate e d’autunno). ) Forma del corpo alquanto varia: conica (ad apice posteriore) obconica, ovata, obovata, ecc. sua lunghezza massima, da mm. 0,014 a 0,007: sua larghezza massima da 0,005 a 0,0034. Almeno in alcuni esemplari, è un po’ appiattito. Sua estremità anteriore ottusa: sua estremità caudale inco- stante, cioè in vario grado affilata od ottusa. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 173 . Il corpo tutto è omogeneo, oppure contiene qualche granello splendente di varia grossezza: talvolta ne possiede una serie longitudinale: soltanto di rado ne è ricolmo. A quel che mi pare, la zona periferica (superficiale) contiene molti bastoncelli rigidi: sono lunghi quasi come il corpo, quando questo non è corto: circa la sua metà od anche appena il terzo, se esso è corto: sono più o meno lunghi, si trovano più o meno rari, senza una regola evidente: in taluni individui il terzo po- steriore del corpo ne va privo: per solito non arrivano fino al- l’estremità posteriore. La loro direzione è sempre nel senso della lunghezza del corpo. | Sono visibilissimi a fresco; permangono immutati sotto l’ a- zione dell'acido acetico; coll’iodio diventano d’un giallo-cupo. Dall’estremità anteriore del corpo dipartonsi per lo meno tre- quattro flagelli, lunghi più del corpo e sottili. Non riuscii a dimostrare la presenza d’un nucleo. In una dozzina di Melolonte se ne rinviene sempre per lo manco una, le cui ‘Trichomonadi presentano quest’ interessantis- sima particolarità: la superficie del corpo sembra spinosa per la presenza di 4-6 o più bastoncelli, simili a quelli che stanno nello spessore della zona periferica; questi bastoncelli sporgono in va- rie direzioni. | Si può supporre che i cennati bastoncelli siano formazioni pa- | ragonabili alle tricocisti dei Ciliati; meno audacemente, si pos- i Sono assomigliare ai corpuscoli tricocistimorfi rinvenuti da Me- reschkowski in un Flagellato (Merotricha Bucillata [ Mer.]). ° Biitschli ha suggerito che il mio Trickomonas per i bastoncelli în discorso può essere propinquo al Mallomonas di Perty: la re- cente descrizione del Mallomonas fornitaci da Kent, al mio pa- rere, esclude la possibilità di un cotale avvicinamento. . Ho veduto in alcune Trichomonadi uno strozzamento trasver- | sale, che può supporsi accenno ad una divisione trasversale. Talvolta l’appendice caudale sembra doppia. «Non sono molto rari gli individui, la cui parte posteriore è 174 MTISTATANNOS! 3 ARRiSgt FD è TORO | biloba, o triloba. Quando i lobi sono ‘due, sovente uno è più sviluppato dell’altro : lorchè havvene tre, i due laterali sono più piccoli del mediano. | cr Pranditgiito | ‘Si trovano delle forme, in cui i lobi sono appena manifesti ed altre in cui invece sono profondamente segnati. toi Tutte queste forme probabilmente si debbono ritenere dra e modalità d’un processo di moltiplicazione. ‘Per le or ora descritte forme trilobe (accennanti a divisione in tre parti) e per i bastoncelli tricocistiformi il Gen. part monas merita l’attenzione dei Morfologhi. 5.4 FAMILIA TRYPANOSOMATA (Kent) Gen. Trypanosoma Trypanosoma Sanguinis (Gruby). SINONIMI. »- Undulina Ranarum (Lank.). citi ine 4 Aa Livi SA Note. Questa specie era stata rinvenuta appena nella Rana Esculenta; io la incontrai molte volte anche nell’ Hyla Viridis e nel Bufo Vulgaris, sì a Rovellasca che a Pavia. Nel sangue della Rana Esculenta ho scoperto certe forme, che potrebbero esser 7rypanosoma giovani. Sono corpi globosi; ad una parte della superficie del globo prende attacco una stretta membranella ondulante che finisce libera in un flagello. Non si può escludere il dubbio ‘che queste forme, piuttosto che giovani 7rypanosoma, rappresentino giovani Paramecioides (V. più innanzi). Gen. Paramecioides CARATTERI. SA DR RI A iii ì : ELI i i Lc ARE IE Presenza di una membrana ondulante, senza alcun rudimento di flagello. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 175 — In questo genere comprendo, oltre al 7rypanosoma Eberthi Kent' (a cui perciò cambio il nome Zrypanosoma con quello di Paramecioides) una specie da me riscontrata nel sangue della Rana Esculenta a Rovellasca, a Como ed a Pavia, specie che io denominerò: | Paramecioides Costatum (mihi). Questo mio Paramecioide ha figura di Paramecium, od anche di rene coll’ilo spostato. | Vi distinguo come in un rene due margini, due faccie e due estremità, l'una delle quali può denominarsi anteriore e l’altra posteriore. __ Un margine è convesso, l’altro è concavo, ossia è fornito d’ ilo: l’ilo è più vicino all'estremità anteriore che alla posteriore. .Di solito il Paramecioide oftre alla vista le faccie del rene: le quali sono leggermente convesse e percorse da solchi: questi solchi sono stretti e restano evidenti anche quando l’individuo è stato ucciso coll’acido acetico. Hanno in complesso una direzione discendente da un'estremità all’altra. I rialzi (0 coste) natural- mente, alternanti coi solchi, sono relativamente grossi e granellosi. Io ho contato circa otto coste sovra ciascuna faccia. _ La lunghezza massima di queste faccie varia da mm. 0,026 a 0,033: la lor larghezza massima per solito è un terzo, o poco meno d’un terzo della lunghezza massima. La distanza che intercede tra le parti centrali delle due fac- | cie è inferiore alla detta larghezza massima. Quindi il Paramecioide è un essere reniforme, più lungo che largo e più largo che grosso. | L’estremità anteriore è ottusa: quella posteriore può essere quasi puntuta. Il corpo del Paramecioide porta un orlo ondulante e stretto, press'a poco sul suo margine convesso ; comincia all’estremità 1 Non mì pare accettabile la supposizione di Kent che, cioè, questo Trypanosoma Eberthi sia uno spermatozoo d’un Anfibio. 176 È 7 qB GRASSI. nica anteriore e finisce poco prima della metà del margine stesso; a quanto sembra si perde sovra una delle faccie. Quest’orlo negli individui morti può mostrar cinque merli, o denti che si voglian dire. sile iù Lai Il flagello (che io ho riscontrato quante fiate ho voluto nei Trypanosoma) manca sempre ai Paramecioides: o, con maggior castigatezza d’espressione, per quanto cercassi, non riuscii a ri- levarlo. Non riscontrai nè citostoma nè nucleo. Qua e colà nell’interno del corpo, si può vedere qualche gra- nello splendente, la cui posizione varia nei varî individui. Per quel ch'io ho osservato, questa specie, come pure il 7rypa- nosoma, non inghiottisce mai alimenti solidi. Il Paramecioxles rotea incompletamente sovra sè stesso: non lo vidi mai locomoversi. Ho già nominata la sua abitazione: or debbo aggiungere che esso è relativamente raro: per es., pochi giorni fa in mezzo chilo di rane non ne potei vedere più di 40 esemplari: in certe località (p. es. a Rovellasca) tutte quante le Kane Esculente ne presentano qualcuno. Esso manca sempre ai Rospi, alle Raganelle ed infine alla Rana Temporaria; ancorchè questi Batraci vengano presi in lo- calità in cui le Ranae Esculentae sono infestate dai Purame- cioides. Il Paramecioide da me descritto non può considerarsi, come uno stadio adulto, o giovanile del 7rypanosoma: perchè que- st’ultimo è communissimo in Batraci, in cui non si trova mai il” Paramecioides. Chaussat (citato da Davaine) nel 1850 ha accennato un pa- rassita del sangue della rana col nome di Paramecium Costa- tum: questi nomi lasciano sospettare ch’egli abbia avuto sot- t'occhi il parassita da me descritto. Sfortunatamente le copie del dettato originale di Chaussat sono rarissime ed io non ho | potuto consultarlo. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI, 177 Flagellati da me cercati ma non rinvenuti. Cercomonas (Bodo) Urinarius (Hassal) O » Helicis (Leidy) J » Canis? (Gruby e Delafond) ” » E Julidis (Leidy) Hexamita Duodenalis (Davaine) Trichomonas Suis (Gruby e Delafond) pi Vaginalis (Donné) È Limacis (Dujardin) Herpetomonas Lewisi (Kent) Leptomonas -Biitschliu (Kent) Lophomonas Striata (Biitschli). ‘NB. Non mi venne fatto di trovare il 7. Vaginalis, nono- stante che l’abbia ricercato in più di cento donne ed in pa- recchie femmine di Ruminanti. Si aggiunga che tanto in queste quanto in quelle trovai il secreto vaginale costantemente acido. rete irene] Appena rarissime volte m’avvenni a qualche Cercomonade nelia cavità boccale: Rosenthal e Rappin forse a ragione le identifi- "cano alle Monocercomonas Hominis: per altro si deve confessare che le descrizioni di questi Autori sono troppo imperfette per le attuali esigenze scientifiche. STILI TATE ZI SEMI III ZIE Forse sono Momnocercomonas Hominis anche i Flagellati tro- vati da Kannenberg e da altri clinici nella Gangrena polmonare. Vol. XXIV. 12 178 B. GRASSI, CAPITOLO IL. Classis: LOBOSA. Familia: Amoedea. Gen. Amoeba. Amoeba Coli (Lòsch) NOTE STORICHE. L’occorrere di organismi ameboidi nelle feccie umane è stato — ricordato da Lewis e Cunningham a Calcutta, nel 1870-71. Nel . 1875 Losch descrisse organismi simili in un caso di affezione del crasso, li nominò Amoeda Coli e li denunciò come colpevoli d’aver prodotto la malattia che comitavano. Nella mia Nota Preventiva del 1879 ho scritto d’aver trovata questa Amiba in sei casi, sempre però scarsa di numero e soggiunsi: “ non posso almeno per quello ch'io ho veduto, concederle valore patoge- nico ,. Nel recente lavoro di Cunningham, questa idea viene fortemente appoggiata e si trova un'estesa descrizione dell’ A- miba in discorso; questa descrizione non concorda in ogni punto con quella che siegue, da me fatta sopra Amibe umane osser- vate a Rovellasca. DESCRIZIONE. Corpo di forma mutabile: protoplasma piuttosto denso. Ecto- plasma ed endoplasma distinguibili, appena quando l’indi- viduo diventa tondeggiante -e quiescente: allora l’ectoplasma appare sottile, s’estende però attorno a tutto l’endoplasma. Nelle Amibe in moto l’ectoplasma d’ordinario è concentrato INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. E79 quasi tutto negli pseudopodi. L’endoplasma è poco granelloso e contiene: 1.° parecchi, od anche numerosi vacuoli, tondeggianti, a diametri variabili, non contrattili, od almeno contrattili a lunghi intervalli: 2.° un nucleo tondo con due (sempre?) nu- cleoli: nucleo e nucleoli diventano evidenti coll’acido acetico (con questo reagente l’Amiba assume forma tonda e muore ed il nucleo resta sempre eccentrico); 3.° materie alimentari (glo- buli rossi, globuli bianchi, corpuscoli amilacei, Batteri, etc.). Nelle feccie liquide, o diluite col già più volte menzionato decotto «di vaccina, o con un liquido indifferente, le Amibe pos- sono presentarsi tondeggianti, con uno o parecchi pseudopodi corti, piuttosto grossi, ottusi e ialini; i quali vengono emessi e ritirati per lo più lentamente, senza che l’individuo muti di luogo. Per questi pseudopodi il corpo può diventar digitiforme, piriforme, etc. Non di rado però ci si offre tondeggiante ed affatto immobile: allora ha contorno netto. un doppio con- torno però (accennante ad una cisti) quale avrebbe riscontrato Cunningham, a me non venne mai veduto. Le dimensioni dell’Amoeba e del suo nucleo variano: queste sono le più communi varietà (rilevate quando l’individuo avea forma tondeggiante): Diametro dell’ Amiba Diametro del suo nucleo mm. 0,012 mm. 0,0033 0,018 0,0055 0,022 0,0055 0,008 0,0022 Ho riscontrato delle forme tondeggianti e quiescienti ch’ io non saprei dire se siano Amibe, ovvero Cercomonadi immobili; il loro diametro variava da mm. 0,007 a 0,005 e quello del loro nucleo era minore di 0,0022. In una feccia recentissima, in cui erano presenti molte Amibe, ho sperimentato il graduale riscaldamento colla tavoletta di Schiiltze; a 38°-40° le Amibe non erano mobili più che a 15°. 150 x B. GRASSI, ABITAZIONE. i Ito . Queste Amibe sono volgarissime a Rovellasca, a Messina, a. Milano ed a Pavia. Esse possono occorrere anche nelle feccie d’ Uomini sani, quasi mai però in grossissimo numero. | Sono di gran lunga più frequenti e più abbondanti negli in- dividui affetti di forme diarroiche-dissenteriche. Possono, o no essere combinate agli altri Protozoi parassiti del tubo digerente. Nelle feccie eliminate da ventiquattro ore non sono più ri. conoscibili. | In quelle d’ Uomini sani o malati, insieme o no colle Amibé, si possono trovare certi corpicciuoli speciali * che Cunningham ritiene Sporoidi, ossia germi delle Amibe. Son corpicciuoli tondeggianti, od elittici: le loro dimensioni sono un po’ incostanti: nelle forme tonde il diametro d’ordinario varia da mm. 0,0055 a 0,0088: nelle forme elittiche, l’asse mag- giore da 0,0088 a 0,010 ed il minore da 0,0066 a 0,0088. Constano di una capsula delicata e d’un contenuto d’ordinario ialino od incoloro: tra la capsula ed il contenuto alle volte sembra di veder un interstizio, occupato forse da un liquido; inoltre (massime ai poli, nei corpuscoli elittici) ancora tra la capsula ed il contenuto, di spesso accade di incontrare dei gra- nelli già visibili a fresco. Il contenuto dei corpuscoli in discorso coll’iodio ingiallisce e raggricchiasi: coll’acido acetico diventa finamente granelloso. Talvolta nel centro di questo contenuto, già senza alcun rea- gente, si vedono parecchi granelli grossolani (od anche dei va- cuoli secondo Cunningham). Io ho trovato che corpicciuoli similissimi ma a contenuto con tinta lievissimamente giallognola si trovano (a Rovellasca) nei ciechi di quasi tutte le Galline ed in quantità sterminata: qual- volta compaiono anche nelle loro deiezioni. i Già descritti da Swayne,.da Brittau e da Hallier nelle evacuazioni dei colerosi. - PP Se . ©, ——_ | | | Ì | INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 181 È notabilissimo che all’autopsia io li trovai appena nei mento- . vati ciechi, dove coesisterano o no colle Cimenomonadi. La feccia, in cui pullulavano, era acida o neutra. Dopo 24 ore di coltivazione in camera umida, questi corpu- scoli offrivano segni di corrompimento. Cunningham asserisce, com’ho detto, che essi sono sporoidi d’Amibe: li avrebbe veduti formarsi dalle Amibe e trasformarsi in Monocercomonadi. . Io non sono riuscito a confermare queste sue osservazioni, nonostante che abbia seguito scrupolosamente i metodi da lui prescritti. —__-- Nella cavità boccale non di rado si trovano dei corpi ch'io non so con sicurezza ascrivere alle Amibe o giudicare corpuscoli . . da LI . . . | salivari un po’ diversi dei soliti. Nella mia Nota Preventiva li ho ritenuti Amibe, basandomi sulle descrizioni dei corpuscoli salivari, quali vengono date dai soliti libri di testo; ora, dopo più maturi esami, dubito che queste descrizioni sieno insufficienti. Nè si trovi ridicola questa mia incertezza; il grande maestro Leuckart, nel 1879, scrivea che le Amibe “ durch Bau und Le- bensausserungen den zelligen Elementartheilen der hoheren Orga- mismen zum verwechseln ihnlich seien ,. Amoeba Muris (mihi) DESCRIZIONE. LI È similissima a quella dell'Uomo, dalla quale si distingue quasi soltanto per la grandezza: la sua massima grandezza su- pera di poco quella minima dell’ Uomo, anzi spesso resta infe- riore: quand'è tondeggiante il suo diametro non è mai mag- ‘giore di mm. 0,0132. » 182 B. GRASSI, Quest’Amiba è molto lenta, almeno alla temperatura dell'am-. biente ed in feccia diluita con acqua semplice o con acqua al- buminosa, o gelatinosa. Può mostrarsi con due o più pseudopodi larghi e corti; ordinariamente ne emette uno solo e prima di emetterne un secondo, ritira il primo. Lo pseudopodo può es- sere ialino, ossia ectoplasmatico ; verso di esso si ritira l’endo- plasma ed il resto dell’ectoplasma; è così che l’Amiba si loco- move. | Nell’endoplasma havvi uno o parecchi vacuoli tondeggianti che non vidi mai contrarsi ed un nucleo che, nelle Amibe a forma tonda, appare eccentrico. Vengono ospitate dal Mus Musculus e dal Mus Rattus. Stanno nella parte superiore del crasso, in mezzo a Batteri numerosissimi e talvolta insieme con Monocercomonadi; ivi la feccia è pultacea ed ha reazione alcalina. Sono relativamente molto rari i Topi in cui s'incontrano. queste Amibe: non le ho mai trovate in grande numero. Amoeba Ranarum (?) (mihi). NOTA STORICA. Questa specie venne cennata da Lieberkiihn e da Leuckart. DESCRIZIONE. Si distingue un ectoplasma ed un endoplasma. L’endoplasma è granelloso e può contenere o no materie alimentari: possiede sempre un nucleo tondo e nucleolato, che diventa evidente col- l’azione dell'acido acetico. La forma del corpo è indeterminata: non di rado è tondeggiante o digitale. Tutto il protoplasma è scorrevolissimo quasi fosse liquido. Gli pseudopodi sono digiti- formi: possono essere semplicemente ialini e vengono messi fuori in ogni direzione. L’Amiba può emetterli e ritirarli, quasi sempre senza loco- n e e INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 183 moversi. La locomozione accade essenzialmente così: in un punto della periferia formasi un lieve rigonfiamento ectoplasmatico, oppure (raramente) formasi una sporgenza digitiforme del pari ectoplasmatica: questo rigonfiamento o sporgenza, tantosto in- grandisce di molto, perchè si rovescia in esso tutto l’endoplasma e verso di esso si ritira il resto dell’ectoplasma. Quando assumono forma tonda, presentano un diametro va- riabile da mm. 0,008 a 0,024; quelle digitiformi possono esser lunghe 0,0303. Il diametro del nucleo non supera mai 0,0044. Quest’Amiba si muove rapidamente e per qualche tempo in feccie diluite con acqua salata, con decotto di vaccina, ecc. Essa non ha carattere alcuno che la differenzi sicuramente da altre Amibe non parassitarie. Così, p. es., Amibe simili a queste ha descritte Cunningham (ed io pure ho riscontrato) in vaccine tenute per qualche tempo dentro una camera umida; Amibe altrettanto simiglianti si sviluppano anche nelle feccie eliminate dal Rospo, etc. etc. ABITAZIONE. L’Amiba in discorso abita nella Rana Esculenta (a Rovel- lasca, a Pavia ed a Como). Se ne sta nell’ intestino, dalla metà in giù fino all’ano; non manca quasi mai, anzi spessissime volte è molto abbondante ; si trova in ogni epoca dell’anno. È notabile la sua costante assenza dai Rospi; anche da quelli che vengono presi nelle stesse località in cui le Rane ospitano eserciti di Amibe. Esse sono perciò parassiti speciali della Rana Esculenta; in "queste ho già segnalato un altro parassita speciale, il Parame- cioides Costatum. Che l’ Amocba Ranarum (?) abbia relazione col Paramecioides ? 184 IITTERERAT0N2N ANERARSI Amoeba Blattae (Biitschli). ANNOTAZIONI. LI Questa specie è commune a Rovellasca: posso confermare la esattezza della descrizione di Biitschli: vi aggiungo però alcune osservazioni. | Accanto a forme che, come scrive quest'Autore rivalcnsanii per grandezza coll’Amoeba Princeps, se ne trovano altre minute che, misurate in quiete, hanno diametri compresi tra mm. 0.0044 a 0,0066: quelle col diametro di 0,0044 non mostrano un nu- cleo, neppur coll’acido acetico; si muovono però come le grandi. Insieme colle Amibe (lo ha notato il Biitschli) si trovano so- ‘vente delle cisti infarcite di corpuscoli nucleiformi. Ho verificato che cisti uguali s'incontrano spesso nelle feccie recenti della Blatta e vi si conservano immutate almeno per qualche giorno. È possibile che queste cisti passino in altre Blatte e giunte nella parte media del loro intestino la capsula venga digerita ed i corpuscoli nucleiformi si trasformino nelle minime Amibe sovraccennate, di cui talora se ne incontrano moltissime. Le Amibe grosse o mezzane possono contenere uno o più nu- clei grandi ed ovali; questi nuclei hanno membrana più o meno spiccata e contenuto granelloso, tranne che nella parte centrale che appare ialina; come ha notato Biitschli, essi possono essere appuntati ad un polo. Si deve notare che talvolta mancano in individui del restc vivacissimi e che soventi volte in preparati allestiti con ogni precauzione si trovan molti nuclei isolati, cioè fuori dell’Amiba Questo fatto ho verificato tante e tante volte, sicchè omai credo fisiologico: forse accenna ad un modo speciale di ripro duzione? L’Amoeba Blattae si pasce di corpuscoli amilacei, di spore di micelî, di Batteri di varie sorta, ecc. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 185 (a) Amoeba Chactognathi (mibi). SINONIMO. Amoeba Sagittae (mihi). (b) Amoeba Pigmentifera (mihi). ABITAZIONE. Queste due Amibe! si trovano nei Chetognati; sono spesso in isciami e s'incontrano molto frequentemente, quando gli osti siano prossimi, od abbiano raggiunto il maturamento sessuale maschile, mentre per contrario prima di quest'epoca, cotali parassiti non sono mai presenti. _ Le loro abitazioni predilette sono la cavità caudale e le vie ond’esce lo sperma; si veggon più di rado nel celoma del tronco. Ritengasi però che, quando ne sono nel celoma del tronco, non mancano quasi mai nella cavità caudale. La ragione della costante mancanza delle Amibe nei giovani sta probabilmente nell’essere in questi mancante una via di co- municazione della cavità caudale coll’ambiente. Come le Amibe passino dalla cavità caudale nel celoma, ell’ è cosa malagevole a divinarsi: niente però vieta d’imaginare che il sottil setto divisore del celoma della cavità caudale possa es- sere trapassato dalle Amibe. Dopochè fissai la mia attenzione sovra queste Amibe, ho po- tuto pescare soltanto quattro specie di Chetognati adulti, o quasi e cioè: la Spadella Inflata (mihi), la Spadella Bipunctata (Quoy e Gaimard), la Spadella Serratodentata (Krohn) e la Sagitta Claparèdi (mihi): e tutt'e quattro mi offersero le Amibe. A me 1 Ringrazio pubblicamente l’egregio prof. Kleinenberg che, co’ suoi autorevolissimi ‘consigli, mi ha facilitato le ricerche intorno a queste Amibe. 186 B. GRASSI, resta verosimilissimo che esse infestino anche le sei altre specie di Chetognati, che frequentano lo stretto di Messina. DESCRIZIONE. Queste Amibe possono assumere svariatissime forme, di cui due ne sono le più communi, l'una tondeggiante e l’altra digitale. La grandezza varia molto anche fra gli individui adulti; mi- surandoli nei momenti che la loro figura è press’a poco ton- deggiante, si può stabilire un diametro medio di circa trenta micromillimetri: non è raro però l’avvenirsi in esemplari mag- giori, o minori anche di molto. Si distingue nettamente un ectoplasma ed un endoplasma: non v' ha accenno alcuno di mesoplasma. L’ectoplasma è sottile e ialino ; l’endoplasma contiene un nucleo, molti granelli e non di rado anche dei vacuoli. Il nucleo si riscontra con sicurezza ap- pena negli esemplari artificialmente coloriti; se ne sta innicchiato quasi nel centro dell’endoplasma; è tondeggiante con un dia- metro medio di quattro micromillimetri. I granelli sono tondi, assai rifrangenti a riflesso lievemente giallognolo; e, se sono un po’ grossi, hanno un contorno brunastro. La loro grandezza è indeterminata; questa indeterminazione si verifica anche pei granelli d’un medesimo individuo; in cui inoltre non sono mai uniformemente sparsi. I vacuoli non sono contrattili; sono ton- deggianti e varia tanto la loro ampiezza quanto il loro numero. Quando la figura delle Amibe è più o meno tondeggiante, spesso procedono da esse molti pseudopodi sottili, corti, ottusi e ialini; in questi casi si può dire che le Amibe quasi non si locomovano; allora l’emettere ed il ritirare gli pseudopodi ac- cade molto lentamente. Altre volte l’ Amiba si sorprende digi- tiforme ed ha, o no, uno ovvero parecchi pseudopodi, lunghi e larghi. Allora la sua locomozione suol essere vivace; ed essen- zialmente avviene in questo modo: nella direzione in cui l’Amiba vuol avanzarsi compare dapprima una estesa sporgenza dell’ec- toplasma, che subito diventa anche lunga, entrandovi l’endo- INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 187 plasma; di solito, contemporaneamente o quasi la parte opposta dell’Amiba si ritira verso la parte dove si forma. lo pseudopodo. Nelle Amibe dell’ In/lata e della Bipunctata, 1’ endoplasma contiene sempre alla sua periferia e vicino al nucleo un così detto ocello, di color nero alla periferia e nerognolo appena al centro: questo ocello di solito è più grande del nucleo. È co- stante nelle Amibe delle nominate due specie di Chetognati e manca con altrettanta costanza nelle altre. Risulta di pimmento granelloso e non si può credere alimento assunto dall’ Amibe, perchè nell'ambiente che le accoglie, manca una sostanza uguale od almeno simile. — Fuggendo dal caos ond’è avvolta la sistematica delle Amibe, questo dirò, che io ritengo quelle da me or ora descritte meri- tevoli di nomi speciali e propongo i nomi di Amoeda Chaeto- gnathi (mihi) per quella senza ocello: e di Amoeba Pigmenti- fera (mihi) per quella che ha l’ocello. Che se ora ci facciamo ad indagare più minutamente la mor- fologia di questi esseri, troviamo degni di avvertenza alcuni caratteri dei granelli sovraccennati; i quali diventano neri col- l'acido osmico e non si colorano nè coll’ematossilina nè coi varî carmini, benchè le Amibe siano state ben conservate tanto col- l’acido picrosolforico, quanto nella soluzione macerante degli Hertwig. L’aspetto e le proprietà di questi granelli conducono alla cre- denza che sieno di natura adiposa. Granelli simili sono già co- nosciuti nel protoplasma di svariati Protozoi; nelle Amibe, per ‘quanto m’insegna la letteratura che ho potuto consultare, deb- bono essere stati segnalati molte volte senza dimostrarne la costituzione adiposa. Nel nostro caso è agevole constatare la mancanza dei granelli in discorso nell'ambiente in cui vivono le Amibe, e da ciò indurre che essi non vengano assunti tal quali, nè tal quali emessi, e perciò, se mi è permesso l’espressione, sono una secrezione delle Amibe stesse: e forse non è troppo azzar- 188 LE DGRASSIZUOIA GA MAO doso il supporre che VOR un materiale (com gr le) di riserva. * Mi resta di accennare il processo ‘di riproduzione. ® | |. ° n Debbo premettere che è impossibile seguire un’Amiba nelle diverse sue fasi di sviluppo: perchè i Chetognati, com’è notis- simo, sono oltremodo delicati, muoiono per un nonnulla, diven- tano subito opachi ed alla lor morte tien dietro, quasi senza ri- tardo, quella delle Amibe da essi ospitate. | Bisogna perciò abbandonare la via diretta, per batterne una indiretta, ed ecco quale. È d’uopo procurarci moltissimi Chetognati di svariate età, da quelli in cui non si rinvengono che giovani cumuli spermatici a quelli in cui lo sperma è già stato emesso ed il periodo d' atti- vità sessuale maschile è già consumato. 4 Partendo dal fatto fondamentale per me cerzionato, che, cioè, tanto più adulto è l’animale, tanto più adulte soglion essere, al- meno per gran parte, le Amibe da lui ospitate, e cercando pa- zientemente gli stadî intermedî, si arriva alla ferma credenza. nella verità dei fatti infrascritti. Le Amibe giovani sono piccole, hanno granelli finissimi e si muovono molto lentamente: crescendo la loro età, vanno ingran- dendo e compaiono molti granelli relativamente grossi. Gli in- dividui acquistano anche una vivacità maggiore; viene però un tempo in cui ritornano lenti; ed a poco a poco diventano af- i Qui è forse bene ricordare che la riproduzione e lo sviluppo delle Amibe non è stato per anco sufficientemente illuminato; qui non posso diffondermi in citazioni : ri- corderò soltanto che il Biitschli, nel Regno animale del Bronn, scrisse, non fa ancora un anno, che nelle Amibe accade la riproduzione per bisezione dell’ animale mobile. Aggiunse che è stato osservato l’incistamento « dis jetzt ohne Vermehrung » (pa gina 234): non so perchè l’autore non consideri le osservazioni communicate all’ I stituto Lombardo dal M. E. Prof. Maggi nel 1876 in una Nota che quegli cita ne sullodato lavoro: l’ egregio Professore di Pavia avrebbe verificato due volte un inci stamento consecutivo a conjugazione di due individui e più tardi rottura della cisti in un punto « ed uscita del contenuto granulare avendo ciascun grano l’ aspetto di una spora ». Nell'aprile scorso it Cunningham negava l'autonomia alle Amibe paras- site del tubo digerente degli animali superiori e collocava anche queste nel ciel evolutivo dei Myxromyceti (V. più innanzi). INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 189 fatto immobili e s'incontrano allora appiccicati alle pareti del celoma o della cavità caudale dei loro osti. In certi individui forse lì lì per immobilitarsi, il nucleo diventa a cifra otto, quasi tendesse a dividersi. Quelle che si rendono immobili non hanno tutte egual diametro, sibbene alcune sono relativamente grosse ed altre piccole. Quando i movimenti sono cessati del tutto, assumono forma tonda; l’endoplasma si separa nettamente dall’ectoplasma ed il suo contorno diventa fortemente segnato, quasi che un esilissimo strato periferico si fosse molto addensato. Più tardi in alcune di queste Amibe l’ocello diventa giallognolo; in altre questa tinta giallognola s’estende a tutto l’endoplasma, sicchè non si distingue pi°. l’ocello. Più tardi in alcune esso è scomparso interamente; e l’ endo- plasma è affatto incoloro e racchiude dei granelli piccoli e poco abbondanti. * Più tardi ancora tanto in quelle coll’ocello giallognolo, quanto in quelle in cui esso è svanito, compaiono uniformemente sparsi molti corpicciuoli tondeggianti-ovoidali col diametro massimo di tre micromillimetri e contenenti parecchi granelli che hanno l'aspetto di quelli che ho descritto nell’ Amiba adulta. Conti- nuando il processo, tutta l’ Amiba (ad eccezione dell’ocello negli individui in cui non è scomparso) si trasforma in un glomere di ‘corpicciuoli eguali a quelli or ora descritti. Ogni individuo ar- riva a questo stadio: gli altri stadî voglionsi considerare in- termedî. | Di frequente due od anche molte Amibe si aggregano e su- biscono un processo simile a quello testè indicato in Amibe iso- late. In questo caso si vedono dei globi più o meno ampî, a seconda del numero delle Amibe che hanno concorso a costi- tuirli: quando il processo non è ancora molto avanzato s’ incon- tra un globo dentro il quale sono tanti globetti, di cui ciascuno rappresenta l’endoplasma d’un’ Amiba; tra questi globetti vi è una materia appena granulosa ed a riflesso giallognolo: il con- itorno generale del globo è per lo più appena accennato: tal. ‘volta però in qualche parte è doppio. 190 B. GRASSI, Sembra che la sostanza cementante i globetti e formante iu contorno generale risulti dalla fusione dell’ ectoplasma delle sin- pa gole Amibe. I globetti di cui ciascuno, come ho detto; rappre- senta l’endoplasma di un’ Amiba possono presentarsi in differenti stadî di moltiplicazione: indi parrebbe che queste Amibe aggre- gate conservassero una relativa indipendenza. Comunque sia viene un momento in cui questi globi sono pieni di corpicciuoli* simili a quelli delle Amibe isolate e talvaliagi non tutti eguali tra loro in grossezza. {n appresso tanto i corpicciuoli delle Amibe isolate quanto quelli delle Amibe aggregate sogliono separarsi gli uni dagli altri; in- grandiscono e raggiungono perfino la lunghezza di sette e la lar- ghezza di tre micromillimetri; conservano però la forma irrego- larmente ovoidale. Tutti questi corpicciuoli una volta separatisi l’uno dall'altro sono evidentemente appiattiti tanto che la lor grossezza è forse appena un micromillimetro; da uno dei due poli dell’ovoide parte un flagello lungo circa due volte l’asse maggiore dell’ovoide stesso; in grazia di questo flagello il cor- picciuolo è mobile. Quando e come si formi il flagello io non ho potuto osservare. Alla parte centrale dei corpicciuoli isolati si trovano ancora quei granelli che vi avevamo avvertiti quando erano ancora associati. Parecchie volte mi parve evidente che questi elementi flagelliferi si coniugassero a due a due. Essi si conservano coi liquidi degli Hertwig; cercando allora di colorirli, una zona periferica relativamente larga si tinge lievemente, ma la centrale resta incolora, quasi fosse un va- cuolo in mezzo a cui stessero i granelli ora accennati: questa specie di vacuolo è riscontrabile anche negli individui viventi, sotto forma di una macchia chiara. Infine è degna di nota la costante assenza di un nucleo. 4 Non voglio però tacere che per un istante restai ambiguo davanti al supposto (e vorrei dire allo scrupolo) che i descritti corpicciuoli fossero parassiti delle Amibe ; non tardai però a slontanarmene, dacchè non m’avvenni mai ad alcun fatto, od in- dizio, che in qualche modo l’appoggiasse: molte e molte volte osservai la ripeti- zione del processo senza quelle irregolarità, che pur sogliono occorrere quando si ha che fare con parassiti. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 191 Possiamo dunque conchiudere che le larve delle nostre Amibe sono elementi flagelliferi senza nucleo, similissimi a certe mo- nadi ed a certe zoospore: si potrebbero giudicare fasi citodulari o moneriche dello sviluppo delle Amibe: fasi simili sono già note in altri Protisti. ! CONSIDERAZIONI MORFOLOGICHE. I. Le Amibe ontologicamente sono paragonabili alla Protomyzxa Aurantiaca (Haeckel): in altri termini, non v’'ha dubbio che la storia dello sviluppo avvicina le Amibe ai Moneri. Cotali fatti però non bastano ancora a giustificare la fusione dei Moneri coi Lobosi, fusione che è stata tentata anche recentemente da Bit- schli. Questa fusione sarà fattibile soltanto allorchè si dimostrerà che in tutti quanti i Moneri esiste un nucleo. II. Se una parte delle osservazioni di Cunningham sono esatte (com’io credo) si può ritenere che per il ciclo evolutivo le Amibe dei Chetognati hanno affinità prossima col Protomyxomyces Co- prinarius (Cunn.). Questo curioso essere (con cui al mio parere, come dirò più innanzi, le Cercomonadi od Amibe parassitarie del tubo intesti- nale non hanno alcun rapporto) è polimorfico: v'è quando si riproduce con uno sporangio fornito d’un rudimentale capillizio e v'è quando invece si riproduce per sporangi rudimentali, cioè dire perfettamente come le Amibe dei Chetognati. Il fatto fondamentale che differenzia il Protomyxomyces dai Myxomyces è questo: gli esseri ameboidi fabbricanti lo sporan- gio (più o meno perfetto) non coalescono intimamente l’ uno col- l’altro per modo da formare un commune plasmodio; ma benchè strettamente addossati rimangono individualmente distinti, in- 4 Nelle specie di Chetognati, in cui accade la circolazione dei cumoli spermatici, è facile di trovare circolanti con essi o da per sè sole, le Amibe e le loro larve. Anche nel celoma del tronco, e queste e quelle possono similmente circolare. 192; Ruio: :. B. GRASSI, quantochè ogni unità ameboidea si trasforma in una massa in- dipendente di spore. 106 10 Questo fatto si ripete tal quale nelle Amibe da me studiate. U Da RI III. L’Ontologia delle Amibe porge forse un altro argomento in favore della posizione dei Flagellati in una classe più bassa di quella dei Lobosi. CAPITOLO III. Classis: SPOROZOA. FAMILIA COCCIDIDEA (Leuck.). A Rovellasca ho rinvenuto Coccidi nel Gatto, nei Mus, nel Coniglio, nel Porco, nella Talpa, nell’Anitra, nei Rospi e nella Coronella Austriaca. Non ne parlerò in particolare, ad eccezione di quelli del Gatto, di cui fornirò ragguagli un po’ minuti e di quelli della Coro- nella, di cui toccherò soltanto alquante cose. Nell’intestino (non mai nel fegato) del Gatto si trova un Coc- cidio che, come mostrerò più sotto, è diverso del Coccidium Oviforme (Leuck.): lo denomino: Coccidium Rivolta. Ad honorem del prof. Rivolta di Pisa, il quale contribuì lar- gamente allo studio dei Coccidi.' 4 Rivolta ha descritto brevissimamente e senza figure un psorospermo dei piccoli uccelli, che ha molta somiglianza con questo di cui discorro: anche in esso (ma sempre fuor del corpo dell’oste) ha luogo una segmentazione in due spore, iu ciascuna delle quali si formano però (al dire di Rivolta) 10-15 microcoechi psorospermici, G. Piana (cit. da Rivolta) ha osservato la formazione dei mierococchi in questi pso- rospermi, senza precedente segmentazione, INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 193 S'incontra adulto nelle feccie della parte inferiore del tenue e di tutto il crasso; è un corpo ovale, od elittico, coll’ asse mag- giore di mm. 0,0308-0,027 col minore di 0,024-0,022: ha una capsula liscia e sottile, la quale ad un polo (quello che corri. sponde alla parte più acuminata dell’ovale) può esser fornita di una specie di spiraglio micropilico. Questa capsula inchiude una pallottola granellosa di varia grandezza e quasi centrale. In nessun punto essa è contigua alla capsula; ne resta lontano più che in ogni altro punto in corrispondenza allo spiraglio micropilico. L’interstizio tra la pallottola e la capsula è occupato da un liquido trasparentissimo. La pallottola non ha mai diametro minore di mm. 0,019-0,020. Nel suo centro si nota una macchia chiara e ialina (nucleo). Per tutti i menzionati caratteri questo Coccidio è molto si- mile all’ Oviforme. Esso. passa almeno alcuni stadî di sviluppo nell’ epitelio del tenue. Dove io ho incontrato gli infrascritti: uno stadio (1°) in cui evvi una semplice massa ovale grande press’ a poco come il Coccidio adulto; questa massa risulta di granelli tondi minuti ed uniformi, un altro stadio (2°) in cui su questa massa gra- nellosa sta addossata una sottilissima capsula e finalmente un altro stadio (3°) in cui la capsula è grossa pressa poco come nell’adulto; al polo minore havvi già lo spiraglio micropilico, al polo maggiore essa presenta uno sdoppiamento, grossolanamente paragonabile a quello della membrana del guscio dell’ uovo di gallina, ove forma la camera dell’ aria. Questa capsula contiene un globo di sostanza granellosa assai più grosso che nell’adulto, tantochè lateralmente ed al polo maggiore tocca quasi la capsula stessa. L’interstizio tra questa ed il globo è occupato da un liquido trasparente, come nell’ adulto. Nel centro del globo granelloso in questo terzo stadio, nel centro dell’ovoide granelloso nei due stadî precedenti, può ve- dersi nettamente, o no, una macchia ialina (nucleo). Il terzo stadio, oltrecchè nello spessore dell’epitelio intesti- Vol. XXIV. 13 1940 dl —B. GRASSI, nale, si può incontrar anche libero nelle feccie del PRES e del crasso, insieme colle forme adulte, che ho già descritte, come presenti in questa stessa sede. Fo Sugli Con queste forme giunte, 0 prossime al completo sviluppo, nelle feccie del crasso, si trovano altre ancora, in cui, invece del globo granelloso, esistono due cosidette spore: la pallottola, cioè, s'è divisa in due paillottoline: il piano divisore ha secon- dato l’equatore del Coccidio. Se la feccia del crasso contenente questi Coccidi vien tergile in acqua di fonte, una parte di essi resta a lungo immuta- bile, un’altra deperisce: in un’altra parte invece le pallottole si dividono uf supra in due pallottoline: in un’altra infine la costruttura delle due spore subisce una trasformazione profonda, pur mantenendosi la loro forma tondeggiante. Ecco i caratteri delle spore così trasformate: sono sfere del diametro di 0,0143, circondate da una delicata capsula: in ciascuna di esse sono comparsi quattro (?) embrioni (mezzelune di Schneider) lunghi più del diametro della sfera, sottili, ialini, concavi, simili insomma a quelli descritti da Eimer nei Topi: essi sono vicini l’ uno al: l’altro, come le dita di una mano: colla concavità guardano l'interno della spora e, per così dire, abbracciano una sferula di granulazioni (nucleus de reliquat) a contorno semplice ma ben distinto. Questo ciclo evolutivo dei Coccidi verificasi alcuni giorni, do- pochè le feccie sono tenute nell'acqua. Se si prolunga questa immersione, i Coccidi muoiono e si decompongono. Supponendo perciò che il loro sviluppo in vita libera fosse compiuto, ne feci inghiottire molta copia a due giovani Gatti: ciò non valse però ad infestarli di Coccidi. Questa parziale storia dello sviluppo del Coccidium Rivolta ha valore sotto parecchi punti di prospettiva. Essa dimostra che non è giusto di identificare con Leuckart ed altri autori i Coccidi dei Mammiferi (eccezione fatta soltanto per quelli del Mus) col. Coccidium Oviforme Leuck. del fegato del Coniglio. s: td, INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 195 Dopo queste mie ricerche non è più lecito ritenere senza ul- teriori dimostrazioni che il Coniglio sia il gran magazzino dei Coccidi e che l'Uomo ne riceva accidentalmente l'infezione: bi- sogna prima dimostrare che il Coccidio dell’ Uomo ha uno svi- luppo uguale a quello del Coccidio Oviforme. La simiglianza tra le forme adulte non è sufficiente a determinarne l'identità spe- cifica; il Rivolta ha molta simiglianza coll’ Oviforme, anzi Leu- ckart, che conosce amendue, li confuse insieme; a me bastò di seguire in parte il loro sviluppo, per differenziarli con tutta si- curezza. Questi esseri, i quali, adulti, non si possono distinguere gli uni dagli altri, laddove durante il loro sviluppo si differenziano nettamente o, più brevemente, questi esseri che non possono venir francamente divisi in ispecie senza la conoscenza della loro embriogenia, a me sembrano degnissimi di considerazione: perchè ci fanno sospettare che altri Protisti (Foraminiferi, Radiolari) la cui distribuzione, in specie al giorno d’oggi, è dichiarata impos- sibile, sarebber forse classificabili ove si cercassero e si ado- perassero i criterì ontologici. In una Cororella, uccisa da parecchie ore, nel settembre scorso ho trovato moltissime spore d’un Coccidio che forse merita un nome speciale. Stavano nella metà inferiore dell'intestino e tutte erano in ugual stadio di sviluppo. Molte erano isolate: alle volte se ne trovavan due toccantesi in un punto e vedeansi le traccie di una membrana commune: qua e colà si presentavano in gruppo di quattro o cinque ed anche più. Alcune erano evidentemente innicchiate nelle cellule epiteliali. Simigliavan alquanto a quelle del Coccidium Rivolta: erano ovali-elittiche: avean contorno semplice: l’asse maggiore era di mm. 0,007: 0,0045 il minore. Ognuna conteneva almeno due embrioni ialini ed un granelloso nucleus de reliquat; questo non 196 B. GRASSI, aveva contorno netto, era di forma subelittica ed aveva un asse eguale a quello maggiore della spora: gli embrioni erano semi- lunari, disposti secondo l’asse maggiore della spora e più lunghi di queste. Nel Rospo, a Rovellasca, si trova un Coccidio in vario stadio di sviluppo fino a quello della segmentazione in due spore, le quali però non presentano mai embrioni. Queste spore del Coccidio del Rospo per dimensioni sono si- mili a quelle che termino di descrivere nelle Coronelle. Siccome i Rospi sono il cibo ordinario della Coronella, così mi è venuto il sospetto che essa si infetti di Coccidi per mezzo dei Coccidi dei Rospi. Non ho avuto occasione di provare questo sospetto al fuoco dell’ esperienza: perciò rem in medio relin- quam. FAMILIA GREGARINIDEA (Duf.). Le Gregarine anche a Rovellasca sono molto frequenti: le tro- vai abbondanti soprattutto nella Blatta Orientale, nel Geotrupe Stercorario ed in parecchie Libellule. Non ne feci argomento di studî speciali. CAPITOLO IV. Classis: CILIATA. Mi son fermato pochissimo sui Ciliati: perciò mi limito a bre- vissimi cenni. A Rovellasca ho trovato nel Porco il Baluntidium Coli e ciò ho già notificato nella mia Nota Preliminare (1879). Io ho cercato molto e molto il Balantidium nell’ Uomo e non ve lo rinvenni mai. Fu più fortunato di me il dott. Graziadei, INTORNO AD ALCUNI PROTISTI EÎNDOPARASSITICI. 197 il quale l’anno scorso ebbe a descriverlo in un anemico del Got- tardo (1880). * i A Rovellasca ed a Pavia ho riscontrato quest’altri Ciliati: 1.° Batantidium Entozoon (Ehr. p. parte) (Nel retto delle Rane e del Rospo). 2.° Plagiotoma Cordiformis (Clap. e Lach.) (Nella parte inferiore dell'intestino delle Rane e Raganelle). 3° Plagiotoma Lumbrici (Duj.) 4.° Bursaria Blattarum (Miiller) 5.° Opalina Ranarum (Stein) (Nella Rana Esculenta). 6.° Opalina Dimidiata (Stein) (Nella Rana Escilenta). 7.° Opalina Obtrigona (Stein) (Nell’Hyla Arborea). A Pavia m'occorse di osservare nell'intestino del Triton Cri- status una Trichodina di cui non ho segnato sufficientemente i caratteri specifici. CAPITOLO Y. DI ALCUNE FORME DUBBIE. 1.° MONERE? DELLE RAGANELLE. Accenno anzitutto ad un singolarissimo parassita del sangue dell’Hyla Viridis ch’io ho osservato alla sfuggita, in Pavia, nel 1879. A Rovellasca, per quante Raganelle sacrificassi, non ebbi mai a riscontrarlo; non avendo più avuto occasione di farne ricerche a Pavia, mio malgrado debbo limitarmi a cenni incom- pletissimi. 1 Leuckart ha dimenticato di notare che esso fu trovato anche in Cocincina. Vedi TREILLE, Arch. Méd. Nov. 1877, t. 11, p. 129-133. PA | "gna 198 B. GRASSI, È un corpuscolo tondeggiante di diametro variabile da mm. 0,0034 a 0,0048, finissimamente granelloso, multiradiato: i raggi sono ottusi e mobili, uguali tra loro per grossezzà e lun- ghezza in uno stesso, ma non in tutti gli individui. Non ho deciso se i raggi coprono tutto il corpo in modo da renderlo simile ad un riccio di castagne, oppure se sono limitati ad una zona. Non ho potuto sorprendere nè il formarsi di raggi nuovi, nè lo scomparire di quelli già esistenti. Per un momento tutti i raggi si mantengono in moto, oscil- lando tutti nella medesima direzione. Non potei rilevare la presenza di un nucleo. Questo è il poco che io so intorno all’anatomia di questo pa- rassita meritevole senz'altro di ulteriori finissime indagini, per- chè è possibile che il parassita scoverto da faveran, nel sangue d'individui tormentati da febbri palustri, abbia molto a vedere con questo in discorso. 2.° CORPUSCOLI SPECIALI DELLE FECCIE. Nel 1878 io richiamai l’attenzione sovra certi corpuscoli spe- ciali e multiformi delle feccie umane. Gli studî da me successivamente impresi dimostrarono che le forme più grosse sono Amibe quiescenti. Restano però ancora altre forme, sulla cui natura non sono punto in chiaro: le de- scrivo qui, con incertezza ancor maggiore di quando le notificai nel 1878. Ne distinguo due, che certamente non hanno tra loro alcuna parentela. 1°) Forma: Sono corpuscoli elittici, di dimensione poco differente di quella del corpo d’una Momnocercomonas Hominis grossa ed ovale; hanno capsula ben distinta, contenuto quasi ialino e molto rifrangente: in questo contenuto giaciono dei sottilissimi bastoncelli od un- cini splendenti, giallognoli, apparentemente chitinoidi: il lor nu- mero e la loro direzione sono incostanti. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 199 Quando le feccie sono stantie, il contenuto invece che ialino, appare granelloso ed alquanto raggricchiato. L’iodio tinge in giallo il contenuto, ma non la capsula. In nessun modo seppi svelare in questi corpuscoli la presenza d’un nucleo. Vennero da me riscontrati soltanto nell’Uomo, affetto o no da diarrea: furono presenti a grosse coorti in tutti e tre i casi di Megastoma sopra riferiti: altre volte mi occorsero non accom- pagnati da alcun altro parassita. Certi individui continuano ad eliminarne giornalmente immense schiere, per mesi e mesi: talvolta un bel giorno questi corpuscoli scompaiono, per ricomparire qualche tempo dopo. È difficile avanzare un'ipotesi ragionevole sulla loro essenza. Ebbi sospetto che fossero spore. A crederli tali però certa- mente stava irresoluto, soprattutto perchè non mi accadeva di vederne pur uno in germinazione, nè d’incontrar miceli, tutto che cercassi e ricercassi. Ma a render vana affatto cotale opi- nione, venner presto le coltivazioni (tentate in molte maniere, cangiando principalmente le condizioni di temperatura e d’umi- dità): infatti non vidi germinare neppure un corpuscolo: Mi pro- posi un altro dubbio: che, cioè, si trattasse di spore, le quali per l’azione dei succhi digerenti avessero perduto la vita e fors’an- che subìto un'alterazione di forma. Con questi concetti feci man- giare ad un cane della crema vecchia d’alcuni giorni, in cui lus- sureggiava l’Oidium Lactis; l’animale emise escrementi che ne presentavano i miceli e le spore inalterate : queste spore in qualun- que maniera si coltivassero, dopo 12-14 ore eran già germinate. Esclusi ancora con tutte le cautele che si trattasse di elementi introdotti con cibi, bevande o medicamenti. Un tempo credetti che fosser Megastomi incistati: il non averli trovati in alcuno degli altri animali che ospitano il Megastoma e l’averli riscontrati non accompagnati dai Megastomi anche nel- l'Uomo, mi slontanò da questa interpretazione. In conclusione non so decidere che cosa siano questi curiosi corpuscoli: hanno forse una parentela coi Coccidi? 200 B. GRASSI, 2*) Forma: | | L'altra sorta di corpuscoli si riscontra non di rado nelle fec- cie dell'Uomo, più di frequente nelle vaccine. i Sono corpuscoli per lo più tondi a diametro quasi mai supe- riore al massimo offerto dalle Monocercomonadi; di spesso in- feriore, ed anche molto inferiore; non hanno capsula, sibbene un nucleo eccentrico e tondo; contengono parecchi granuli di varie forme, che spiccano dopo l’azione dell’acido acetico e che coll’iodio si tingono in giallo coffeano, mentre il resto del cor- puscolo ed anche il nucleo assumono un color giallo. Alle volte questi granuli mancano: alle volte coll’azione dell’ iodio, invece di questi granuli coffeani, compare soltanto un grano nuclei- forme ma parimente coffeano: altre volte infine sono presenti appena questi granuli ed il nucleo è invisibile. Sospettando che fossero Amibe immobili per la temperatura troppo bassa, le riscaldai colla tavoletta di Schiiltze; non ebbi il piacere di vederle muoversi. Non posso credere che siano spore, perchè non riuscii in alcun modo a farle germinare. CAPITOLO VI. IDEE DI CUNNINGHAM INTORNO ALLE MONOCERCOMONADI ED ALLE AMIBE DELL’ UOMO. Tolgo l’assunto di discutere le idee di Cunningham intorno ai rapporti delle Monocercomonadi e delle Amibe dell’ Uomo col Protomyxomyces Coprinarius (Cunn.) e d’assegnare le ragioni per cui non le posso accettare. Credo di render più proficua questa discussione facendo pre- cedere alcuni passus dell’ autore in discorso. Tra le conclusioni di Cunningham, si leggono queste: “ The monadic, amoebal ‘and sporoid bodies are all develope- mental forms of one species of parasite which I propose to call INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 201 Protomyxomyces coprinarius... This parasite appears to be clo- sely related to the organisms included within the Protist groups of Protomonadinae and Myxomycetes, and in certain respects seems to represent a connecting link between them... Its im- mature forms occur parasitically as normal inmates of the di- gestive canal in certain of the lower animals (vacca, cavallo)... Normal human excreta do not form a medium in which any farther developement of the parasitic elements outside the host- body can occur... On the contrary, the normal series of fer- mentative changes through which the excreta pass after exit . from the body ensures the complete destruction of the parasitic elements... No such destructive effect, however, is exerted by the changes occuring during the decomposition of the excreta in certain lower animals — specially cows and horses; and here the parasitic elements on their escape from the body un- dergo farther processes of developement resulting in the produc- tion of reproductive bodies securing the continuance and diffu- sion of the species. — “ Such excretal matters, therefore, serve as a constant source whence parasitic elements may be transferred to the bodies of the other animals. “Human excreta which have passed through the initial pro- cesses of decomposition, and which have thus become alkaline, allow of the continued existence and multiplication of elements of the parasite which may then obtain access to them, and may thus serve as a. second centre of reproduction... The introduc- tion of the reproductive elements of the parasite into human body is mainly effected through the medium of the air... The introduction of the reproductive elements per se seems to be quite innocuous... , Dilucido alcune di queste proposizioni, citando qualche altro luogo del medesimo autore: “... While fresh cow dung is relatively deficient of bacteria, it is by no means devoid of distinct organisms generally. On the contrary we find it almost invariably containing a very large Si SR na: A pi numi ci Air sa ‘cometisiosiiametiga other infusorial forms of various kinds. After Stra 0 of the zoospores under various circumstance, I am unable t dicate any constant PESO to citi ea from t TOSCHI human exereta. , cana Questi sono i Sottrai che si osservano nelle FAC ( in una camera umida: è “ Again and again we find a basis sé dii “with Laica I increase in the numbers of these bodies for some time; a ces- sation in their activity; the appearance of multitudes of ‘bodies agreeing in size and form with the inactives zoospores, but cha- racterised by the presence of a contractile vesicle; the emer-. gence and growth of these, as active amoeboid bodies and the. appearence of sporangia... All that can be positively affirmed is that the amoeboid bodies which replace the zoospores prima- rily present appear to be directly derived from the latter and that the two forms seem merely to represent different deve- lopemental stages of one and the same organism, connected with one another by the intervention of an inactive stage... After continuing to progress through the medium for variable periods, the Amoebae either cease to move, and remaining more or less isolated, become encysted, or becoming aggregated into masses give origin to sporangia... The encysted bodies are either quite free or are associated in little sroups and knots. As a rule, no further change appears, to occur within them and they remain unchanged for indefinite periods, ready to resume activity when favorable conditions again present themselves. In place of be- coming encysted, however, we normally find the Amoebae, after some time become more sluggish in their movements, and adhe- ring to one another in pairs or groups of various sizes, the union becoming very intimate, and in some cases proceeding to such a degree of apparent fusion that we are only able to estimate the number of individual elements entering into the formation of a group by the number of nuclei or of rigidly dilated con- tractile vesicles which may persist ... » Si possono trovare Led “hl INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 203 “ all stages of the formation of perfect sporangia, from that in which we have mere irregular aggregations of closely adherent Amoebae ... to that in which we have perfectly developed spo- rangia, with a distinct investing membrane, and even, in cer- tain cases, an internal meshwork representing what may be re- garded as a rudimentary capillitium... After the sporangia have been, as it were, planted out by the aggregation and more or less intimate union of the Amoebae, and the formation of an investing membrane, the process of spore formation normally sets in when this is regularly carried out the bodies of the Amoe- bae become resolved into masses of spherical spores, measuring from 5 to 9 v in diameter... As the sporangia mature and dry the spores lose their spherical form... and they become bicon- cave... When a mature sporangium containing such biconcave spores is introduced into a suitable medium, the former very rapidly well out and become spherical, and by their increased bulk exert a constantly increasing tension on the sporangial wall. The capsule ultimately ruptures at one or more points and contracts, forcing the spores out in streams and masses into the fluid... The spores give origin to minute Amoebae, but, in cer- tain cases, in place of doing so, they appear to be resolved into flagellate zoospores which swim off actively in the fluid... When sporangia are introduced into preparations of freshboiled cow dung they rapidly disappear, and the cultivation within twenty- four hours, in favorable cases, shows an abundant new crop of sporangia. This process may be repeated again and again indefinitely so long as a fresh medium is supplied for each ex- periment; for, as in the case of the natural development, the soil appears to be exhausted in the process of producing a sin- gle crop. As a rule, in these cultivations we do not find a zoo- sporic stage represented, the spores at once giving origin to amoeboid bodies, which after have increased in size, become as- sociated to form new sporangia... The sporangia and spores described above are such as occur by far most regularly and may be regarded as the typical form of reproductive bodies in 204 B. GRASSÌ, the organism, but certain other sporangial bodies occasionally accompany or replace them which although differing in various particulars are, I believe, mere aberrant varieties determined by the coincidence of special conditions... » se Credo che queste citazioni bastino per informare i lettori in- torno alle idee sostenute da Cunningham: le molteplici ragioni ond’egli tenta di elevarle: a fatti reali, non si possono riferire senza riprodurre per intiero la lunga Memoria; ciò che sarebbe fuori dei limiti che mi sono assegnato nel presente lavoro. A me sembra di poter ragionevolmente restringermi a far sen- tire quali e quante difficoltà si oppongono ad ammettere l’ipo- tesi di Cunningham. La denomino addirittura ipotesi, perchè il metodo d’ esperi- mento tenuto dall'autore conduce mai sempre a conclusioni molto incerte. Non che egli ignorasse che vi fosse una via ben più si- cura; chè anzi, come sembra, vi pose il piede, ma subito lo ri- trasse, a motivo dei tanti ostacoli che gli si pararono contro. Le osservazioni di Cunningham sono fatte su preparati estem- poranei: questi preparati vengono allestiti con briciole tolte in varî tempi da un boccone di vaccina, che si conserva in una ca- mera umida. Questo metodo va soggetto a molteplici obbiezioni : la principale è che nella vaccina stessa e nella camera umida possono esistere, ed esistono in realtà numerosi germi di Protisti ; i quali sviluppandosi sono cagione di deplorevolissime confusioni. Lo stesso Cunningham registra una serie di Funghi che si svi- luppano in queste così dette coltivazioni: io posso aggiungere una serie di Flagellati già notissimi come non parassitarî ed an- che alcuni Cigliati. Questa obbiezione al giorno d’oggi ha molto più valore che pel passato: perchè, a quanto pare, le ricerche di Dallinger e di Drysdale hanno fornito una base positiva ‘alla vecchia presun- zione teorica dell’esistenza di germi ultramicroscopies. Aggiungasi che questi delicatissimi microrganismi (di cui Cun- ningham studiò lo sviluppo) poco dopo la loro morte, si scom- pongono così profondamente che non è più possibile di rilevarne neppure una traccia. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 205 Per conquistar la sicurezza (prendiamo un esempio) che le Mo- nocercomonadi della vacca diventano Amibe, ei si vuole una di queste due cose: o seguir passo passo la trasformazione, ovvero constatare il succedersi delle Amibe alle Monocercomonadi te- nute, come si suol dire, isolate. ‘Non s'è potuto fare (lo confessa candidamente Cunningham ùtesso) nè l’una nè l’altra cosa: e però il frutto delle osserva- zioni da lui compiute ha un peccato originale, fomite di dubbî e di incertezze. È Volgendo in animo questi ragionamenti, ho pensato che, se nel lavoro di Cunningham erano incorsi degli errori, essi avreb- ber dovuto farsi innanzi con una certa prontezza a chi avesse la fortuna di ripetere le sue osservazioni in un paese molto lon- tano e con una Fauna od una Flora molto differenti: siccome mi trovava appunto in questa condizione (Cunningham, lo ri- peto, ha fatto i suoi studî a Calcutta), così io stesso volli rifare il suo lavoro. Premetto che io ho cercato di vedere quel che egli ha veduto con una nuova e lunga serie di osservazioni imprese in condi- zioni simili alle sue. Comincio a stabilire due fatti fondamentali, e sono: 1.° A Rovellasca molte vaccine contengono Monocercomo- nadi (Zoospore di Cunningham); quasi mai ebbi ad incontrarle in molta copia. Rassomigliano a quelle dell'Uomo, ma in gene- rale ne sono più piccole.‘ 2.° Anche a Rovellasca, almeno d’autunno, la vaccina ap- pena emessa è neutra ma presto diventa alcalina (laddove lo sterco umano, od è di già acido all'atto della defecazione, o lo diventa tantosto). Feci molte coltivazioni d’estate, cioè in condizione di tempe- ratura simile a quella di Calcutta: quando i calori estivi ces- sarono, sperimentai oltrechè alla temperatura dell'ambiente, in un essiccatore ad acqua. 4 Cunningham ve le trovò quasi sempre in gran copia e spesso più grosse di quelle dell’ uomo. Fd data e 0, 206 | B. GRASSI, Cunningham ha osservato che il grado dell'umidità es grande influenza sullo sviluppo degli sporangi: perchè q n grado non viene da lui precisato, ed anzi non precisabile, così È io ho cercato che questo elemento variasse molto nelle mie col | tivazioni, persuaso che il caso m’avrebbe prodotto una volta 0 l’altra, condizioni identiche a quelle in cui si trovava Cunnin- gham. i uit Oggi le mie coltivazioni sommano a più di trecento; ne in- frascrivo i risultati. In molti casi mi si svilupparono prestissimo negli strati su- perficiali della vaccina molte Amibe; in non rari casi, dopo qualche tempo, invece delle Amibe, trovai delle cisti che giu- dico Amibe quiescenti: soltanto in cinque o sei casi vidi svilup- parsi gli sporangi del Profomyxromices. Se sì prescindesse dalla molto maggior frequenza con cui Cun- ningham ottenne gli sporangi perfetti, si potrebbe ammettere che fino ad un certo punto noi siamo d’accordo. Il disaccordo comincia quando si tratta di stabilire che que- ste Amibe e questi sporangi sono derivati delle Monocercomo- nadi parassitiche e che queste Amibe sono identiche alle Amoedae Coli. Io ammetto l’esistenza del Protomyromyces; non posso ne- gare che esso tenga il ciclo evolutivo dimostrato dal suo sco- vritore, ma non so ammettere che esso abbia che fare colle Mo- nocercomonadi e colle Amibe parassitiche. Ho detto poc'anzi che in Rovellasca, a differenza di quanto suol occorrere a Calcutta, le Monocercomonadi nella vaccina d’ordinario sono scarse e talvolta scarsissime.' Queste piccole diversità, s' io non m’inganno, m'hanno svelato il punctum mi- noris resistentiae della dimostrazione di Cunningham. Io ho trovato che le Amibe possono comparire dopo venti- quattro ore e numerose assai anche in vaccine entro cui era difficile trovar una Monocercomonade. è i Prevenendo un’ obbiezione dirò che nella ricerca delle Monocercomonadi m'at- tenni scrupolosamente al metodo prescritto da Cunningham. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 207 Nelle preparazioni allestite prima della comparsa delle Amibe, non ebbi mai a notare un aumento nel numero delle Cercomonadi, sibbene qualche volta mi venne fatto: di scovrirvi delle Amibe minutissime. Si può supporre che le Amibe relativamente grosse quali s'incontrano, per es. dopo 24 ore di coltivazione a 33.° C.°, siano originate da queste Amibe minutissime: che siano invece derivate dalle Monocercomonadi per me non è punto dimostrato. Nei pochi casi, in cui vidi svilupparsi gli sporangi perfetti, con- statai che contemporaneamente ad essi nella vaccina coesistevano Amibe e Monocercomonadi mobili: il numero di queste Monocer- comonadi, per quanto si poteva calcolare, era presso a poco uguale a quello che avevo riscontrato nella vaccina ancora calda. Feci bollire della vaccina e poi l’inaffiai generosamente con certa feccia umana liquida, in cui vivevano molte Monocerco- monadi già da parecchie settimane; le Amibe comparvero in queste feccie miste, dopo alcuni giorni; le Monocercomonadi a poco a poco scomparvero tutte; ma io non ho potuto persua- dermi che le Amibe derivassero direttamente da esse. Tutti questi risultamenti ottenuti non una, ma centinaia di volte, m’invogliarono a ripassare il lavoro di Cunningham per vedere se questo coscienzioso osservatore si fosse già imbattuto in qualche fatto che lo conducesse a dubitare della giustezza della sua teoria. Mal non m’apposi; infatti a pag. 285 si legge: “ Experiments on the artificial introduction of the sporangia into the bodies of healthy animals have never been followed by any special result. I have again and again caused a dog to swallow large number of sporangia in all stages of developement and desiccation without the treatment producing the slightest appreciable effect. ,, Parmi che queste esperienze lascino adito a forti dubbî sulla pretesa attinenza del Protomyxomyces colle Cercomonadi e colle Amibe. 208 B. GRASSI, Tra i molti fatti da me riferiti intorno ai Flagellati ed ai Lobosi parassiti nessuno parla decisamente in favore dell’ipotesi di Cunningham; non m’avvenni mai ad alcun indizio che mi confermasse la pretesa parentela delle Cercomonadi colle Amibe v' hanno animali in cui le une e le altre coabitano; ve n’ hanno di quelli in cui una sorta manca qualche volta, infine ve ne sono alcuni in cui una sorta manca sempre. Si deve notare che le Cimenomonadi e le Amibe coesistono nella Rana Esculenta mentre negli altri Batraci esiste la prima qualità di Protisti e manca sempre la seconda. Il retto dei Rospi digiuni da molti e molti giorni presenta sovente Cimenomonadi, ma non mai Amibhe. Le ragioni dianzi esposte, se forte non m’inganno, giustificano la mia premessa, vale a dire che l’ipotesi di Cunningham non è accettabile senza il corredo di prove migliori di quelle esposte dal suo autore. Questo capitolo era già scritto quando rileggendo la Memoria di Lewis sui Microfiti del sangue ho notato questo passus: “ Il y a plusieurs années le D." Cunningham et moi-mème nous fàmes frappés fréquentement de la rapidité avec laquelle les organismes apparaissent en ce pays dans le sang et dans les tissus des animaux morts. , Questo fatto al mio credere, getta un’altra ombra sull’ ipotesi di Cunningham ; cotale celerità di sviluppo (veramente sorpren- dente, come dimostrano parecchi fatti allegati da Lewis) si ve- rificano senza dubbio anche nelle feccie; dev'essere perciò som- mamente malagevole il distinguere quali esseri derivino dalle Mo- nocercomonadi e quali da germi minimi e mal distinsuibili dalle granulazioni, germi che come ho già detto possono essere già in in- cubazione nelle feccie o vagare nell’atmosfera della camera umida. 4 Nel prossimo estate mi propongo di studiare la Cercomonas Lymnei. Ecker, fin dal 1851, ne ebbe ad osservare lo sviluppo e senza difficoltà; secondo quest’ autore, li a stette INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 209 CAPITOLO VII. CONSIDERAZIONI GENERALI SUI PARASSITI. Mi sembra convenevolissimo di far precedere alle conclusioni mediche di questo mio dettato, alcune considerazioni generali sulla teoria parassitaria. N concetto della natura parassitaria di molte malattie affa- scina i medici da molti e molti anni. Si vuol attribuire ad Henle il merito d’aver tentato di dimo- strare per mezzo di ragionamenti rigorosi che la teoria della natura viva dei morbi infettivi dev'essere accettata come la più ‘verosimile. Prima di Henle però, un nostro robustissimo ingegno, le cui opere al giorno d’oggi giaciono dimenticate e svilite, il pro- fessore Rasori, con finissimo criterio, ebbe a sostenere una tesi quasi affatto uguale, come prova l’infrascritto squarcio della sua erronea ma splendida teoria della flogosi. (1837). “ E in che consistono alla perfine questi contagi, cagioni ch’ ei sono di tanti meravigliosi effetti sovra la cute? La soluzione di un tal quesito non è propriamente necessaria al subbietto che abbiamo fra le mani, non di meno ei non sarà inutile il toc- carne poche parole. Gaubio, fin dalla prima metà del secolo passato, propose intorno alla essenza dei contagi la quistione medesima con questa semplice domanda: an animalcula 2. La quale pur essa è una di quelle, a cui alluse Bacone: prudens interrogatio dimidium scientiae. Ora, esaminando la natura dei contagi, si troverà ch’ei posseggono tre proprietà costanti ed essenziali, cioè sono: di propagarsi diremmo all’infinito, dove trovano pascolo al loro sviluppo; di conservare mai sempre nel molte Cercomonas coalescono e formano una cisti; la quale scoppia e dà esito a sciami di germi monadiformi, che presto acquistano la forma e le dimensioni degli adulti. Vol. XXIV. 14 210 MRIEZASASO(TMA R:SMRMBSI/VOIA CA OAMOTR propagarsi l'identità della specie; di riprodursi pei loro semi quando siano applicati là dove non mai esistettero o da grano pezza avevano cessato di esistere. Ma queste proprietà tutte e tre appartengono alla vita esclusivamente; donde si cava per necessa- ria conseguenza che i contagi sono materia dotata di vita. Questa dottrina fu da noi esposta fin dal 1766 dalla cattedra di Pato- logia nella Università di Pavia, e successivamente nei primi anni del secolo presente nella Clinica Militare di Milano. , Queste seducenti ragioni sovraneggiano ai nostri giorni la mente dei patologhi, in grazia della scoperta dei presupposti parassiti: egli si pare che la patologia delle malattie infettive vada trasformandosi e riducendosi a parassitologia. Non è affar mio il mettere sulla bilancia tutti gli sperimenti fin qui tentati; vo’ soltanto notare alcuni punti fondamentali. Le analogie (già da moltissimi anni scoverte) tra le malattie infettive ed i processi fermentativi insieme congiunte e legate con la importanza dei fermenti vivi (importanza messa a luce meridiana da molti sperimenti e forse soprattutto da quelli di Ludersdorf) confortano senza alcuna dubitazione le dottrine parassitarie. Se la conclusione delle sperienze sul valore patogenico dei microrganismi è ancora acerba, il loro significato grandissimo nelle fermentazioni (per essere il problema più semplice e per essere stato abbordato qualche tempo prima) è ormai stabilito e, vorrei dire, indiscutibile. Questa soluzione riflette viva luce sul- l’altro problema e nel mio parere basta a giustificare i medici, che, sentendo la fitta caligine ond’è avvolta l’etiologia delle ma- lattie infettive, s'adagiano e si fondano sulla teoria parassitaria. Accogliamola quindi; non dimentichiamo però che è una teoria, cioè un vero forse provvisorio. Con altre parole, per non essere travolti e sommersi dall’empito delle esagerazioni, prepariamoci alla possibilità di doverla modificare: inquantochè una prova competente non è stata per anco prodotta, anzi dal seno degli avvocati della teoria parassitaria si sono già staccati parecchi campioni, per sostenere una causa opposta. INTORNO Al) ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 211 . Fin qui, seguendo la corrente, ho limitato il discorso alle malattie infettive: io però credo che questa limitazione rimpic- eiolisca la questione. Ciò che possiamo aspettarci di trovare nelle malattie infettive ce lo possono insegnare soltanto consi- derazioni d’ordine molto più generale. . Moviamo dal fatto fondamentale che in natura la convivenza o simbiosi di esseri d’ugual specie e di esseri di specie diffe- renti è molto commune, tanto nel regno vegetale, quanto in quello animale. In rispetto ai rapporti che si verificano tra i conviventi, è possibile fondare una distinzione di grande momento * ed è questa che siegue : 1.° Due o più esseri possono convivere con vantaggio re- ciproco: e questa convivenza si può denominare Consorzio (mu- tualismo di Van Beneden seniore). Cito alcuni esempî tolti a preferenza dal campo medico. Il Demodex folliculorum (che trovasi nelle ghiandole sebacee, ogni qualvolta vi esiste disposizione ad un accumulamento anormale del loro contenuto) secondo le ricerche dell’illustre dermatologo E. Wilson, adempie uffizî benefici sull'economia. della. pelle: e però se al Demodex è utile l’uomo, all’uomo è utile il Demodex. Secondo le ricerche di Nencki e di Kiihne, i fermenti orga- nizzati giuocano una parte principale nella digestione intesti- nale: Kiihne sostiene che la digestione pancreatica si sospende, quando si levano tutti i fermenti organizzati che esistono ordi- nariamente nel Pancreas. È quindi }’utile reciproco che regola i rapporti dei fermenti cogli animali superiori. 2.° Due, 0 più esseri possono convivere senza che al van- taggio dell’un convivente sia collegato alcun svantaggio dell’ al- tro: questa convivenza si può denominare, con Van Beneden se- niore, Commensalismo. È commensalismo la convivenza coll’Uomo dei Tricocefali e delle cosìdette Anguillole Intestinali e Sterco- rali: ordinariamente è commensalismo quello degli Ascaridi colle 1 Adotto in molti punti una distinzione cennata da Delpino nella sua 'irista Bo- tanica (Annuario Scientifico del Treves, 1880). Sit svrricasai B. GRASSI, s) Galline e col Gallo: è commensalismo I delle Opaline colle Rane, quello del Balantidium Coli col Porco e coll’ Uomo, ecc. > . Notisi poi che la parola commensalismo vuol essere intesa nel senso più lato, che le si può concedere. > incasso & Così, per es., i Gamasidi devonsi dire commensali degli In- setti: quelli s’attaccano a questi per emigrare in luogo, ove pos- sano avere maggiori vantaggi nello struggle for life: il Gamaside, in un certo senso, sta all’ Insetto, come colui che cavalca al suo cavallo. Inoltre l’intrinsichezza dei commensali può esser di. vario grado: così per via d’esempio, è commensalismo superficiale quello del Tricocefalo il quale si ciba di feccie: è commensalismo intimo quella della larva di Pentastoma nel fegato dell’ Uomo. 3.° Al vantaggio dell’un convivente può esser necessaria- mente collegato un danno di vario grado dell’altro (Parassi- tismo). Le forme di parassitismo sono molteplici in rispetto al grado del danno risentito da una delle due parti, cioè dire il danno può esser lievissimo, lieve, grave, gravissimo. È lievissimo, per esempio, il danno che gli Uccelli ed i Mammiferi patiscono per la convivenza dei Pidocchi. Di solito gli Ascaridi ci fanno lieve male. L’Anchilostoma e la Trichina sono rovinosi per l’ Uomo, quando l’assalgono in grosse schiere: l’Oidium e la Phylloxera rovinano le vigne, ecc. Tutti questi esempî si possono comprendere sotto la denomi- nazione di parassitismo genuino. V’ha un altro parassitismo che si può denominare servile: qui havvi un padrone ed uno schiavo: ma quest’ultimo può es- ser ben trattato, alimentato e conservato. Ne sono esempî i formicai misti: questi indipendentemente dai loro fondatori natu- rali, mantengono una o due specie estranee; iloti che i fonda- tori hanno rapito nelle culle d’altri formicai, per farsene ausi- liari e servitori. Esiste un’altra forma di parassitismo che si può denominar gregario. Evvi un pastore ed una greggia, un agricoltore e piante INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 213 coltivate, cioè si dà convivenza tra l’'educatore e l’ educando; quest’ultimo riceve per alcun tempo dei segnalati servigî dal primo; può esser ben alimentato e prosperare, ma infine sconta i beneficî ricevuti col proprio sacrificio. Probabilmente sono così combinati i rapporti di certi vegetali tra di loro: per esempio quelli delle Azolle colle Anabene; nelle Azolle scorgesi una ca- vità che è un organo esclusivamente assegnato a far da nido a colonie di Anabene; è lecito assumere che i peli, di cui va for- nita questa cavità, siano destinati a smungere almeno una parte delle intruse Anabene. Le due ultime modalità di parassitismo (il servile cioè ed il gregario) non hanno ancora esempî negli animali superiori: non ci maraviglieremmo però se questi esempî venisser scoverti oggi stesso. Abbiamo, per quanto dissi, tre forme principali di convivenza: consorzio, commensalismo e parassitismo: il commensalismo può esser superficiale, intimo e spurio: il parassitismo può essere genuino, servile e gregario: il parassitismo genuino può essere lievissimo, lieve, grave, mortale, ecc. È utile cennare che tutte queste modalità di rapporto tra oste ed ospite, sono unite l’una all’altra da anelli intermedî. In certi casi pochi ospiti possono ritenersi semplici commensali; molti invece finiscono per uccidere l’ oste. Se ora vogliamo fare l'applicazione di questi principî all’ Uomo, d’un tratto si scorge contro quanti e quali scogli vengono ad urtare coloro (e non son pochi in Italia e fuori) che considerano i così detti parassiti cause delle malattie che comitano, senza darne una congrua dimostrazione: essi possono scambiare. gli amici coi nemici. Nel fondo fondo il credere gli esseri conviventi coll’uomo ammalato fomite della malattia è ingenuità non minore 214 B. GRASSI, di quella di un naturalista, che credesse le acque del mare sa- line, per la specialità della fauna. up Prima di passare alle conclusioni speciali intorno ai parassiti che più sopra ho descritti, anche a rischio di digredire alquanto dal mio tema, voglio toccare un motto sovra un’altra serie di fenomeni. È un fatto che la convivenza è subordinata a condizioni, re- condite tanto che spesso gli strumenti più fini ed i reagenti più delicati non bastano a metterle allo scoperto. Queste condizioni, che vengono generalmente negligentate, sono invece degnissime di studio e, s' io non vado ben lungi dal vero, la loro considerazione porterebbe una rivoluzione nel campo dei parassiti. Quando si pensa che le larve del Dockhmius Duodenalis muo- iono se vengono introdotte nel tubo digerente del Gatto e con- tinuano a svilupparsi se introdotte in quelle dell’ Uomo: laddove quelle d’un verme similissimo, anzi quasi indistinguibile per chi non ha fatto studî speciali, subiscono una legge inversa, cioè ma- turano nel Gatto e muoiono nell’ Uomo: quando, dico, si pensa a questi fenomeni, è impossibile che almeno per un momento non baleni nel nostro animo uno sconforto pella insufficienza dei nostri mezzi d’indagine: e come non restar meravigliati, per così esprimermi, della meticolosità di questi vermi che sentono tanto profondamente circostanze minime? È un assioma che la Botrytis Bassiana Bals. è causa d’ una malattia del Bombice del gelso, volgarmente appellata calcino. Chi crede che basti chiudere in un ambiente la Botrytis, od i suoi germi, ed il baco da seta per indurli alla convivenza, s° in- ganna a partito: perchè la Botrytis infesti il baco è d’uopo che si combinino certe circostanze, che, s'io non temessi di promuo- vere uno scandalo, oserei dire misteriose. Interrogate i Bachi- coltori ed essi vi porgeranno le prove di questo mio giudizio. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI, 215 . Nei trattati di Bacologia, di cui ve ne sono parecchi, composti con rigore scientifico, vengono ancora oggi riferite ed apprezzate le due vecchie opinioni di Lambruschini e di Auduoin: Lambru- schini ba scritto che la malattia del calcino risiede nella pre- senza del fungo, ma dubita che non possa svilupparsi nel baco senza una predisposizione fisiopatologica dell'animale. Auduoin invece ammette che i germi siano sparsi in ogni luogo e che si sviluppino istantaneamente soltanto, allorquando trovano circo- stanze favorevoli. In che consistano la predisposizione dell’autore italiano e le circostanze favorevoli di quello francese è affatto incognito. Io stesso, da molto tempo, ho notato alcune stranezze del calcino. In una camera-bigattiera un anno ha regnato il calcino : l’anno dopo non compariva senza che si usasse alcuna cura disinfettan- te: invece nelle camere-bigattiere contigue a questa che ne era immune, esso infieriva tanto da distruggere tutto il raccolto. Esso può sevire per tre-quattro anni in una stessa camera, no- nostante le più scrupolose cautele. In certe camere di solito de- serte dal calcino, può invece mancare in certi anni ad esso fa- vorevolissimi. Può accadere che in una parte d’una camera, tutti i bachi filino il bozzolo e sfarfallino: che in un’ altra parte i bachi della stessa razza ed età muoiano tutti quanti! L’anno dopo può ac- cadere il caso opposto. Da persone degne di fede mi fu narrato che a Rovellasca (che conta 3000 abitanti ed in cui quasi tutte le famiglie allevano molti bachi) un anno il calcino non diede alcun segno di vita fino al momento, in cui la maggior parte dei bachi, od eran molto prossimi, o cominciavano già a salire alla frasca. In que- st'epoca, e precisamente alle quattro d’una bella giornata, si trovò che il calcino era cominciato in moltissime bigattiere: con rapidità fulminea, e forse appena in ventiquattr’ ore, morirono quasi tutti i bachi di molte bigattiere. Che fu? I contadini hanno detto che fu un’inflasso, il Don 216 VITAMINE BIOS DOTE CA OI Ferrante del Manzoni avrebbe invocato una fatale congiunzione di Giove con Saturno: chi osa sostituirvi. parole, u meno CARI che, od almeno di senso meno oscuro? .E gli scienziati giudicano gente di dura cervice i neh perchè non credono che il fungo è la causa del calcino! |... Causa sì, dirò io: ma causa limitata nella sua sfera d’azione, da circostanze per ora ignorate nella loro essenza, ma notissime nei loro effetti, circostanze che meritano di esser elevate alla dignità di concause. Volete altri esempî? L’anno scorso la Peronospora colla ce- lerità dell’elettrico assalì quasi tutti i vigneti d’Italia: que- stanno invece, sbugiardando tante Cassandre, che prediceano la rovina di Troja, Troja restò illesa! Qual lezione per i parassi- tologhi che si contentano di figurare e misurare il parassita ! Altro fatto istruttivo è il seguente, ancor esso offerto dalle viti: teoricamente i rapporti della Fillossera colle Viti ameri- cane dovrebber essere identici a quelli colle Viti nostrali. Invece quelle non sono danneggiate dal terribile parassita: queste invece ne vengono distrutte. Si cerca il perchè, ma non si trova! Se non temessi di uscir dai limiti che mi sono imposto in que- sta Memoria, potrei accumulare centinaia d’esempî: finirò invece con uno che tocca l’ Uomo. La pratica della vaccinazione fa sorgere un problema singo-- lare; chi può imaginare delle differenze fisiche o chimiche tra un individuo vaccinato da un paio d’anni ed un altro non vac- cinato? eppure in questo il vajuolo attecchisce ed in quello no: o, com’ oggi si dice, il Micrococco del vajuolo in questo può lus- sureggiare come la gramigna nei campi incolti ed in quello in- vece non può neppur svilupparsi. E, mi si lasci dire, con questa incognita sott’ occhi, non è au- dacia precipitosa indurre che i Batteri sono cause delle malattie infettive, dal fatto che propagano queste malattie anche pochi Batteri derivati da una lunga serie di coltivazioni frazionate? INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 217 PRINCIPALI CONCLUSIONI MEDICHE. Se applichiamo i principî or ora formulati ai fatti speciali precedentemente esposti, giungiamo facilmente alla infrascritta conclusione. - Alcuni Protisti (Coccidi) si hanno a buon diritto per morbipari e però loro sta bene la denominazione di parassiti genuini: il Coccidio è il carnefice, l’oste è la vittima. Per altri (Megastomi) sarebbe prematuro il decidere se ab- biano un’ efficienza morbosa. I restanti (che formano la pluralità) sono organismi che at- tecchiscono e si moltiplicano sopra un suolo fornito dall’ oste (e composto spesse volte di parti solide e liquide tendenti alla de- composizione) senza recargli alcun danno, o vantaggio apprezza- bile: devonsi perciò appellare Commensali. Alcuni di questi Com- mensali sono superficiali (le Cercomonadi da me descritte, le Tri- chomonadi, ecc.); altri invece sono Commensali intimi (es. i Try- panosomata del sangue dei Batraci). I Coccidi sono patogeni perchè egli è evidente che guastano e distruggono le cellule dei tessuti organici e non di rado un oste ne accoglie orde sterminate. Considerazioni imbasate su for- me morbose (Psorospermosi) in cui essi s'incontrano, forniscono la controprova della realtà dei loro maleficî. L'osservazione microscopica insegna: 1.° che i Megastoma ap- plicano la parte a cui io attribuisco la funzione di bocca sulle cellule dell'epitelio, del duodeno e del digiuno: forse le suc- chiano e certamente impediscono che esse funzionino regolar- mente; 2.° che talvolta abbondano tanto ch’ ei si può dire che ogni cellula abbia il suo Megastoma. Questi fatti rendono verosimile l’ esistenza di una forma mor- 218 B. GRASSI, bosa che si potrebbe denominar Megastomiasi: manca però il suffragio del clinico. ped I casi da me osservati nell’ Uomo sono inconcludenti. In questo mio paese, quasi tutte le Arvicole, almeno da parec- chi anni, contengono innumeri schiere di Megastoma: o in queste Arvicole domina una Megastomiasi epidemica ovvero i Megastomi almeno alle Arvicole non sono dannosi. T'ertium mon datur! Le Monocercomonadi e le Amibe dell'Uomo debbonsi giudi- care Commensali superficiali. Nelle feccie, come in altre sostanze organiche decomponentesi, possono vivere oltre ai Batteri, Monocercomonadi ed Amibe. Le prove dell’innocenza delle Monocercomonadi e delle Amibe sgorgano da molte fonti: e cioè dire dalla clinica medica, dalla patologia sperimentale e dalla comparazione. Abbiamo veduto che le malattie, comitate da numerosissime frotte di Monocercomonadi e d’ Amibe, non sono ascrivibili alla loro presenza: abbiamo aggiunto che questa presenza di molte Monocercomonadi, o di molte Amibe, è un fatto communissimo e normale in molte classi animali. Soggiungerò alcune conclusioni sulla diagnosi, sulla sede, etc. dei Protisti parassiti dell’ Uomo. 1.° La diagnosi si fa in base alla presenza di Monocerco- monadi, o di Amibe, o di Megastomi nelle feccie: con altre pa- role, la loro presenza nelle feccie vuol dire che nell’intestino pullulano parassiti d’uguali specie. È possibile però che manchino nelle feccie ed invece siano presenti nell'intestino. Molto probabilmente ciò accade quasi sempre negli individui con alvo fisiologico, o stittico j invece non accade forse mai, quando l’alvo è diarroico; ad eccezione dei Megastomi, i quali, al mio credere, possono essere assenti dalle feccie anche in questo caso ed essere invece numerosi nell’in- testino. INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 219 « 2.° Sono verosimili anche le seguenti proposizioni, indotte dai fatti di sopra riferiti. Le Monocercomonadi abitano l’ultima parte del tenue e la prima del crasso, negli individui con alvo fisiologico o stittico : in quelli affetti da diarrea si estendono anche per tutto il crasso. Con altri termini, le Monocercomonadi stanno là dove si trova feccia quasi liquida. Le Amibe, negli individui con alvo fisiologico, probabilmente abitano gran parte (anteriore) del crasso: si possono propagare per tutta la sua lunghezza, quando gli individui sono in preda a diarrea od a dissenteria. Od altrimenti, le Amibe stanno là dove sî trova feccia pultacea. I Megastomi negli individui non sofferenti diarrea ingenerata da alterazioni della parte anteriore del tenue, abitano in questa parte e specialmente nel duodeno. Negli individui sofferenti co- tale diarrea si diffondono per tutto l’ intestino. La presenza dei Megastomi nelle feccie indica un’ affezione morbosa della parte anteriore del tenue: la presenza delle Monocercomonadi indica un’affezione della parte posteriore del tenue e di quella anteriore del crasso: finalmente quella delle Amibe indica piuttosto un’ affezione del crasso. PRINCIPALI CONCLUSIONI ONTO-MORFOLOGICHE. In questa mia Memoria ho messo in luce parecchi fatti rela- tivi alla Morfo-Ontologia dei Protisti: andrei troppo per le lun- ghe se qui io volessi riepilogarli Toccherò soltanto i punti più generali: : 1.° Certe Amibe subiscono un ciclo evolutivo paragonabile a quello della Protomyca Aurantiaca. 2.° Le classificazioni dei Flagellati, in uso al giorno d’oggi, debbono venir riformate (V. il quadro in principio del Capitolo sui Flagellati). 3.° Certe specie di Protisti (i Coccidi) non sono ben deter- minabili senza la conoscenza del loro sviluppo. Ut } CI DD (ep) -1 220 erro, Lot Pel@lBABSI pila a aero BIBLIOGRAFIA. 1 REDS BarLz, Ueber paras. 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Vol. is Pd a rita tran 59 Lee invito "® le E hg Ni ala Bee LL ima adagia PAR È sian altri lavori speciali si trova la citazione nei Trattati di a Bigio, IIS rt, Kent, ece. - ta RE + Vel, gr $ a $4 | t uva MAR k i tai I È pad ( nesta: mia Mentoria: era già stampata, ‘giare dosidhibi un si di Gaule e der F arblosen Elemente des Bi: dea che Gaule e prima di lui Riittig ( Parasiten we Froschblutes. Inaug. Dissert.) hanno veduto una forma che È; ae: è identica al mio Paramecioide: essi la descrivono incom- ; — pletamente come una varietà di 7rypanosoma Sanguinis. tota SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. Tavola I. MoxocERCOMONAS HomINnIS. da fig.a 1 a fig.a 18. a = infossatura (Citostoma ?) . b = flagello ondeggiante rovesciato all'indietro. .c = nucleo. d = pseudopodo. : HETEROMITA LACERTAE. da fig.a 19 a fig® 28. ife 1A ART PA a b = flagello ondeggiante rovesciato all indietro. da figa 4 a figa 12, E RON Semplice contorno di esemplari che SR DE infossatura. È alla cam. lue. col 3 Oc. ed 8 Ob. Hart.). ci a da Dea 18 ® figa 16. i o; 2° MonomITA MuscAaRUM. «RISPOSE fig.® 17. Individuo con tre corpuscoli nucleiformi. fig.e 18, 20, 21 e 23. Individui con due corpuscoli nucleiformi. 2 fig.e 19 e 22. Individui con un corpuscolo nucleiforme. pi wo fig.e 24, 25, 26 e 27. Individui minimi. pese fig.e 28 e 29. Individui in divisione (Copiati alla cam. luce. col 4 0e. ed PLAGIOMONAS GRYLLOTALPAE, ste: fig.e 30 e 31. HETEROMITA? CAVIAE. da fig.a 32 a fig.a 35. MoxnoceERcoMONAS INSECTORUM. da fig.® 36 a fig. 38. MONERE? DELLA RAGANELLA. fig.2 39. (Semischematica). Tavola II10 MEGASTOMA ENTERICUM. fir.e 1 e 2. (Semischematiche) 1 di fronte, 2 di fianco. x da fig.* 3 a fig.* 10. Contorni di individui in varie posizioni TOopiati sie col 4 Oc. ed 8 Ob. Hart.). fig.a 11. Individui morti da cui esce una bolla trasparente (Copiati al col 4 Oc. ed 8 Ob. Hart.). CORPUSCOLI SPECIALI DELLE FECCIE (Forma prima). fig.e 12, 13 e 14. i) pi * n ur). da Moti SS, Prot. endoparass. ; VE, tti Soc.It $.N.. Vol XXIV XXIV Tav. DL sd 4 PL d D' Grassi dis. | Lit.F.Carabelli--Meano VHilazzo 14 GRASSI, Prot. endoparass. Atti Soc.I1t.S.N. Vol. XXIV Tar. Il Mitra dis. i Lut.F.Carabelli Milano 1 Atti Soc.lt SN. Vol. XXIV Tar. HT _——___————_ Pr elica a i ® cardo (D. + SR A tal Lit. F.Carabelli Milano Î è $ Atti Soc.1t$ N. SSÙ, Prot. endoparass. Vol. XXIV Tar. IV Milazzo 14 Milano V. .F.Carabelli "Lit ‘eV INTORNO AD ALCUNI PROTISTI ENDOPARASSITICI. 2253 TRICHOMONAS MELOLONTHAE. » là fig.® 15 a fig." 30. Individui uccisi coll’iodio (Copiati alla cam. luce. col 4 0e, ed i pe Ob: Hart.). fig.* 31 a, db, c. Individui ad estremità posteriore biloba o triloba. fig. 32 e 33, (Semischematiche). PARAMECIOIDES COSTATUM. È fig.2 35. (Copiato alla cam. luce. col 4 Oc. ed 8 Ob. Hart.). fig.® 34 idem molto più ingrandito, in cui però si vedono le coste di una faccia sola. Mir Giovane TRYPANOSOMA SANGUINIS ? DE, fig.® 36. (Copiato alla cam. luce. col 4 Oc. ed 8 Ob. Hart.). SPORE DEL COCCIDIO DELLA CORONELLA. da fig.® 37 a fig.® 40. CoccIDIUM RIVOLTA fig.® 41. Individuo con due spore. | @ = Spiraglio micropilico. fig.° 42, 43 e 44. Spore in cui si sono formati gli embrioni; nelle fig.© 42 e 43, si vede il mwcleus de reliquat e l'estremità di 3-4 embrioni; nella fig. 44 (Semischematica) il mucleus de reliquat non è stato segnato. AMOEBA COLI. fig.» 45, (Copiata alla cam. luc. col 4 Oc. ed 8 Ob. Hart.). Tavola IV@o NB. In questa spiegazione della Tavola, per brevità, ho denominato I stadio di ri- | produzione quello in cui di solito l’ocello è ancora nero ed i granelli sono abbon- dantissimi: II stadio quello in cui di solito l’ocello è sbiadito, oppure scomparso, ed | i granelli sono rari: III stadio quello in cui sono comparsi i corpicciuoli (futuri ele- menti flagelliferi). AMOEBA CHAETOGNATHI ed AMOEBA PIGMENTIFERA, Fig.e 1, 2, 7, 8, 9, 10, 11. Amoeba Pigmentifera adulta o quasi. Fig. 3, 4, 5, 17 e 27. Amoeba Chaetognathi giovane. Fig.a 6. Idem adulta. «Fig. 12. Otto Amibae Pigmentiferae associate, in riproduzione (in I ed in II stadio). 4 Fig.e 13, 15, 16, 28, 29. Amoebx Pigmentifera isolate, in riproduzione (II stadio). È Fig.* 14. Due Amoebx Pigmentifere toccantesi e verisimilmente prossime al I sta- dio della riproduzione. Fi ig. 30. Due a ‘Pignoni ssoci: Figa. 33. Amoeba Pigmentifera giovanissima (2). Fig.a 36. Elementi flagelliferi (larve monadiformi di Amoeha jugazione (?); il flagello non è segnato. CR Figa 37. Idem. (a più forte ingrandimento). dad: | Figa 38. Elementi fiagelliferi isolati. . Fig.® 39. Altri elementi Aagreliari Polar (nel Petali non è segni i nella ne. 38). Tutti gli elementi fiagelliferi quì disegnati appartengono alle. A tiferae. NB. Nel Quadro delle classi, delle famiglie e dei generi, dopo Kent, 1 7xypanosoma (Gruby), si aggiunga: 2 Paramecioides (mihi). A di fi A 4 I Ù) 4 he n ; t è È F “ p « A P| 4 dl ; de N° dr { A / ù ù nai EE e 1) “siae ERRATE ar IE tà E ei all'at $ 4 H PO Di» FORA «® def pes Ri e PI ARE Mi 16 DE Mr Sri PARLI ra è , DR ag ( on: x dure > SRISENTITITSE 7 iti, k ASORE SI Sa, Vi ILE Vl E ti 3 CERI J ' ni ed n gi i x (Cel >; bee: po “i 296 Og: Loi Latvia } {xo ° . cdl ad M * î è Lal de { % fi SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ. Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. I Socj sono in numero illimitato, effettivi e corrispondenti. I Socj effettivi pagano it. L. 20 all’anno, în una sola volta, nel primo tri- mestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli .dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunica- zioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. A Socj corrispondenti si eleggono persone distinte nelle scienze naturali, le quali dimorino fuori d’Italia. — Possono diventare soc) effettivi, quando si ‘assoggettino alla tassa annua di lire venti. — Non sono invitati partico- larmente alle sedute della Società, ma possono assistervi e presentarvi o ‘farvi leggere delle Memorie o delle Comunicazioni. — Ricevono gratuita- ‘mente gli Atti della Società. La proposizione per l'ammissione d'un nuovo socio deve essere fatta e firmata da tre socj effettivi. I Socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima -della fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad es- sere tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di un ‘anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno successivo, -cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere ì suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stampate negli Atti o nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, secondo ‘la loro estensione ed importanza. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del ‘formato degli Atti o delle Memorie stesse. Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, pur- «chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone ‘regolare ricevuta. | Quanto ai lavori stampati negli Atti l’autore potrà far tirare un numero «qualunque di copie ai seguenti prezzi: | ; Esemplari 23» XI) i 100 '/j di foglio (4 pagine) . . TL. 125| L. 2 25| L. 2 50/L. 4 — t/a foglio (8 pagine) . . . n 175] » 3 50| » 4 — |» 5 50 | ®/x di foglio (12 pagine) . . » 250) » 5 — | » 6 75/» 9 Biliforlio dio pagine); - / | 72751 » 5 501 =» 8 — |» 10 — sa A + DOSE Di vllogscnifià uostati aes guenti Pit’ drioRe a silos crono =. gite ta] bite FIIRIMVRO ma diviglalas Bitokno Art onelioo ni TeRABBiant) “dio sd — inpisastipantd ovino ebagralà SR oa A did sugo. è into ste alia d' ERA du LINIIISUN GIEN y: ae #0B Y SIAE “oggi 85 LA “a IZ n) Inte TI Maura, DLiografia degli insetti fossili italiani. LI APT alias Ta Ni Roi soollasg) iMladiià oft3' movi i lionel ira 59 F. Mazza, Note faunistiche sulla valle di Staffora (Con De Mo RTILLET, si sur Talbiniome; delia ‘èr “TESO datto gita #} (902 OSE mrecib finora conoscinti ci Da ONE ni onos gu: . F. SorpeLui, Cenno preventivo sul giacè imento @ “A | 5 vili n scoperto dal dott. F. Beltramini de Casati SA presso Bassano Veneto . . . 0... a pISY DAL ao delle eruzioni ita: Stra mDegi Pn mo |__—’1‘n generale dell’ attività sismo-vulcanica nelle sa Hole: I SALIIOUIIE A CIIOA B. GRASSI, Intorno ad dr AUS enioparceci chi ed SOA na alle classi dei init lobosi, IONI x... Sporozoi e ciliati (Tav. 1: a Re 9 EDT] sb). Cata i ui "pri sia (auBifa DA Ip ea hienitI cablop Didier dell oio dia dh cs DIVO RIE SPAM ia dIsia cn) £rtegioioiroli hà ipa 4 goti Ra x di j LI pi & È — eee I ——_—_ BONE. o di Gi _ 1° < ci « LE ATTI DELLA SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI VOLUME XXIV. FascicoLo 4 — FoetI 15-17 4/4. Con 1 Tavola. MILANO, TIP. BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. PER L'ITALIA: PER L'ESTERO: PRESSO LA PRESSO LA SEGRETERIA DELLA SOCIETA’ LIBRERIA DI ULRICO HOEPLI MILANO MILANO Palazzo del Museo Civico, Galleria De-Cristoforis, Via Manin, 2. 59-62. MaRzo 1882. i veda la Gli ATTI e delle MEMORIE s pagina di questa copertina. Per la compera de 3° "apnee O Presidente, TER dottor EmiLio, direttore del Musco O; (e. «Naturale di Milano, via Monte Napoleone, 36. ar si A Vice-presidente, VILLA Antonio. Milano, via Sala, 6. >» È. | SORDELLI FERDINANDO aggiunto al Museo Civi i: __ Segretarj naturale di Milano, via Monforte, 7. ce. Pini rag. NAPOLEONE, via Crocifisso, 6. __Cassiere, GARGANTINI-PIATTI GIUSEPPE, Milano, via di Senato, LIA FAST 5% IE PO. Ra PRANOR KE Ò % dr i pò. * i È ti dtt o +33 n i Seduta del 18 dicembre 1881. Presidenza del Presidente Prof. Comm. E. CORNALIA. Dichiarata aperta la seduta, il Presidente richiama l’atten- zione dei soci sulle copiose aggiunte pervenute alla Biblioteca della Società durante le scorse vacanze, e ne fa presentazione all’adunanza. Indi il segretario Sordelli aggiunge d’ essere in- caricato dal socio professore STRoBEL, di offrire in dono alla Società una copia del primo fascicolo della Iconografia compa- rata delle ossa fossili del gabinetto di storia naturale della Uni- versità di Parma; indica, altresì, fra i doni offerti dagli autori, la Carta geologica del Friuli, con annesso fascicolo di spiega- zione del socio prof. TARAMELLI; alcune pubblicazioni del socio prof. MariInoNI, tra cui quella Sui minerali del Friuli e sulle industrie relative; non che quattro copie del Primo elenco di molluschi terrestri e fluviali del circondario di Porto Maurizio, dei signori G. GENTILE e G. R. SULLIOTTI. Lo stesso segretario, in assenza dell'autore, legge parte della Memoria inviata dal socio dott. B. Grassi: Intorno ad alcuni Protisti endoparassitici ed appartenenti alle classi dei Flagellati, Lobosi, Sporozoi e Ciliati. In essa lA. fa precedere alcune con- siderazioni sulla importanza dello studio di cotali microrganismi in rapporto alla medicina ed alla patologia, ne descrive quindi parecchie specie, ne indaga la sede e lo sviluppo, corredando lo scritto con alquante figure. Il prof. CornALIA fa notare dal canto suo quanto interesse si Vol. XXIV, 15 Ma (URI Bo 226 SEDUTA DEL 18 DICEMBRE 1881. annetta ‘oggidì a simili ricerche e cita in prova le belle ricerche di Pasteur sulla causa di alcune malattie contagiose, tra le quali il carbonchio ed il cosiddetto colera dei polli, e gli studî di varî scienziati nazionali e stranieri sui protisti delle acque | potabili, che destano sì grande attenzione dal punto di vista della pubblica igiene. Pei quali motivi la Presidenza, tenuto calcolo dei mezzi disponibili, ha creduto di accogliere per la stampa negli Atti, la memoria del dott. Grassi, malgrado sia alquanto estesa. Ha quindi la parola il socio prof. MERCALLI, il quale legge Sulla natura delle eruzioni dello Stromboli, a proposito di una recente teoria di Roberto Mallet. Parla dapprima l'A. di tre re- centi parossismi dello Stromboli; esposto poi il modo con cui il citato autore cerca spiegare il meccanismo delle eruzioni del vulcano eolio, ne rileva i difetti, pure convenendo nella oppor- tunità di applicare alie eruzioni vulcaniche in genere, la teoria proposta da Bunsen pel Gran Geyser d'Islanda. Propone a sua volta una semplicissima spiegazione dei fenomeni eruttivi, ap- plicabile non solo allo Stromboli, ma anche agli altri vulcani; e riassume in un quadro cronologico i fenomeni sismo-vulcanici delle Eolie comparati con quelli delle altre regioni d’Italia; dal quale prospetto appare una concomitanza, certo non casuale, fra codeste manifestazioni, sebbene le materie eruttate non siano le stesse pei diversi vulcani. E quanto alle relazioni fra questi e i terremoti, dimostra che i vulcani non sono valvole di sicurezza contro i terremoti periferici, ma invece lo sono contro i terre- moti vulcanici p. d., almeno durante le eruzioni. Dopo le letture, il Presidente annuncia la dolorosa perdita, fatta dalla Società, di alcuni tra i suoi membri più antichi, e cioè: del conte ErcoLe TURATI, del cav. GiovANNI MARANI, socio fondatore, e del dott. Amr Bovfg, socio corrispondente. Si passa di poi alla votazione sopra la proposta di aggregare alla Società, quali soci effettivi, i Signori: i PauLucci marchesa MARIANNA, di Novoli (Firenze), presentata dai soci Pini, Cornalia e Antonio Villa. SEDUTA DEL 18 DICEMBRE 1881. 227 Tesrarocni avv. ERNESTO, di Moncalvo (Monferrato), presen- tato dai soci Antonio, G. B. e Vittorio Villa. MoLinarI ing. FRANCESCO, assistente al Museo Civico di Mi- lano, presentato dai soci Cornalia, Sordelli e Malfatti. CamrRANO dott. Lorenzo, assistente al Museo zoologico di To- rino, proposto dai soci Malfatti, Pini e Sordelli. Sulla proposizione del socio marchese LuIGr CRIVELLI viene nominata per acclamazione la signora marchesa M. PAULUCCI; procedutosi quindi alle votazione a scrutinio segreto riescono del pari nominati all’ unanimità i signori TestAFOCHI, MOLINARI e CAMERANO. Da ultimo il socio dott. MALFATTI, a nome del prof. Guino ViMERCATI, direttore della Rivista scientifica industriale, che si pubblica in Firenze, dà comunicazione di un nuovo programma col quale viene annunciata una importante modificazione al ci- tato periodico, e consiste nell’aggiunta di una speciale sezione, dal titolo: Giornale del Naturalista, nel quale saranno inseriti sunti, od almeno cenni bibliografici, delle nuove pubblicazioni di Storia naturale italiane ed estere; notizie delle escursioni scien- tifiche che si faranno in paese, dei diversi metodi e ritrovati utili per la preparazione e conservazione delle raccolte; una corrispondenza scientifica atta a facilitare le relazioni tra natu- ralisti, come pure tutte quelle informazioni che possono giovare ai medesimi, per vendite ed acquisti, cambî, ecc. F. SORDELLI Segretario. Ta pesdEv i! sil 9 RIPIENE EINE Te peo . Ve, Ai aa dite + TA SUGLI ORGANI RIPRODUTTORI FEMMINILI DELL’HALMATURUS BENNETTII Gould. © Note anatomo-fisiologiche del Dott. GIACOMO CATTANEO. I, Le ricerche intorno agli organi riproduttori femminili dei Mar- supiali offrono un particolare interesse, tanto dal lato anato- mico, che dal fisiologico. Infatti i Marsupiali, come forme infe- riori nella gran classe dei mammiferi, presentano, nell’età adulta e allo stato permanente, delle disposizioni organiche, che sono invece solo transitorie, e notansi solo negli stadî embrionali, dei mammiferi superiori. Questi ultimi poi hanno talora delle dispo- sizioni organiche normali, che appaiono come direttamente de- rivanti da quelle più basse dei Marsupiali, o talor anco delle perturbazioni teratologiche, che, ripetendo alcune configurazioni degli organi dei Marsupiali, si palesano come casi di arresto di sviluppo, o di atavismo.! Dal lato fisiologico poi è da notarsi ' Caratteristica dei Marsupiali è la presenza di due uteri con due vagine. Orbene, anche gli animali che, allo stato adulto, presentano un utero semplice, hanno talora, nello sviluppo embriologico, due corna-uterine, o un utero bifido, che richiama l’an- tica duplicità dell’utero. (Vedi OwEN, On the anatomy of vertedrates. Vol. III, Mam- mals. London, 1868. Female organs.). Allo stato adulto si hanno poi due uteri com- pletamente separati nei generi Lepus, Sciurus, Hydrochoerus e Orycteropus. Invece nei generi Cavia, Mus, Coelomys i due uteri si uniscono solo per breve tratto, per isboccare insieme nella vagina. Di qui si passa alla configurazione dell'utero degli Lal È È 4 SUGLI ORGANI RIPRODUTTORI ‘FEMMINILI, ECC. 229 che, in causa della complicata e peculiare struttura dell’ appa- recchio, sono ancora molto discusse, od anche insolute, parecchie importanti questioni, relative al: processo di fecondazione e alle modalità del parto presso talune specie di Marsupiali; e la .ri- soluzione di tali questioni (non presentandosi facilmente da noi il caso di poter istituire esperienze o vivisezioni su un certo numero di Marsupiali), non può aspettarsi da altro, che da un accurato e dettagliato esame anatomico della struttura delle varie parti dell'apparecchio genitale. Gli studî sugli organi riproduttori femminili dei Marsupiali, hanno una lunga e interessante storia. Tra i primi che ne die- dero delle descrizioni sono da annoverarsi l’Home? e il Cu- vier;° tuttavia fa d’uopo giungere fino all’Owen,* per trovare un’esatta interpretazione di tali organi, e avere le loro omo- logie cogli organi affini degli altri mammiferi. Infatti Owen provò che le parti descritte dall’ Home” come tube fallopiane, e dal Cuvier® come piccole porzioni d’una matrice tripla 0 qua- drupla, non erano altra cosa che due uteri distinti, omologhi a insettivori, dei carnivori, dei cetacei e degli ungulati, nei quali l’utero semplice si prolunga in due corna, all’estremità delle quali arriva l’ovidotto; le corna dell’utero sono accorciate nei Chirotteri e nei Prosimii, e mancano, allo stato adulto e normale, nelle scimie e nell’uomo. Così pure la vagina di parecchi rosicanti (Lagostomus) serba, per un tratto, la duplicità primitiva. (Vedi GEGENBAUR, Grundriss der ver- gleichenden Anatomie, Leipzig 1878.:$ 454, pag. 643, fig. 352, A, B, C). Sono poi noti, pur in animali a utero normalmente semplice, dei casi teratologici di duplicità; e l’OwEN cita l’utero doppio con doppia vagina di una donna (OwEN, op. cit. vo- lume III, pag. 685); e l’HyRTL (Trattato di anatomia dell’uomo, ecc. Trad. italiana. Milano, Vallardi), dice che nel museo anatomico di Praga si trovano gli organi ge- nitali di una vergine, con vagina doppia, e mancanza congenita d’imene in ambo gli orifizî vaginali. È ? Home, Some observations on the mode of Generation of the Kanguroo, with a particular Description of the Organs themselves. — Philosophical Transactions of the Royal Society of London. 1795. Parte III, p. 221, con tre tavole. ® G. CuvieR, Legons d’anatomie comparée. Paris 1805. Tom. V. 4 RicHARD Owen, On the generation of the Marsupial animals, with a Description of the impregnated Uterus of the Kangaroo. — Philosophical Transactions, 1834, pag. 333. ° Home, loc. cit., pag. 228. © CUVIER, op. cit., pag. 146. 230 G. CATTANEO, quelli, pur doppî, ma più intimamente uniti, dei rosicanti. L’0- wen provò inoltre che i canali, che seguono agli uteri, e a cui s'era assegnata una funzione gestativa, avevano solo invece una funzione efferente, e corrispondevano non già all’ utero, ma a alla vagina degli altri mammiferi. | In seguito alla conoscenza di tali omologfe, si potè stabilire che gli organi genitali femminei dei Marsupiali constano, in ge- nerale, di due ovarî, di due ovidotti, di due uteri, di due va- gine, di un canale uro-genitale mediano e di una clitoride; e, in alcuni casi, v'è da distinguere una vagina mediana da due va- gine laterali. Nella Didelphys dorsigera gli uteri sboccano di- rettamente nelle due vagine, e queste, pur direttamente, sboc- cano nel canale uro-genitale; ma non vi è alcuna vagina me- diana. Nella Didelphys virginiana cominciano ad apparire due fondi ciechi mediani, uno per ciascuna vagina; però non comu- nicanti tra di loro. Nel Macropus major i due fondi ciechi va- ginali comunicano tra di loro, e la cavità comune, o vagina me- diana, si estende fino al vestibolo uretro-genitale, ma non si apre e non isbocca in esso, anzi termina in una tasca chiusa. Nell’ Hypsiprymnus murinus il fondo cieco mediano della vagina raggiunge uno sviluppo maggiore, tanto nel senso della lunghezza, come in quello della larghezza ; chè al basso arriva fino al pas- saggio uro-genitale, in alto si dilata in una larga camera, che si estende al di là degli uteri in ogni direzione. Però anche in esso, come nel Macropus major, il fondo cieco mediano della vagina non comunica direttamente col canale uretro-genitale; non v'è insomma alcun foro di sbocco, il quale lasci supporre che i nemaspermi ascendenti, o il feto discendente, possano passare direttamente dalla vagina mediana nel canale uretro-genitale; o viceversa; si vede invece ch’essi devono necessariamente pren- dere la più lunga via delle vagine laterali, che è l’unica aperta tra l’orifizio sessuale e gli orifizî, o musi di tinca, dei due uteri. Nell’ Halmaturus Bennettiî invece il fondo cieco della vagina me- diana comunica direttamente, per mezzo d’un foro, col vestibolo uro-genitale; e quindi è da credersi che per tale diretto sbocco SUGLI ORGANI RIPRODUTTORI FEMMINILI, ECC. 231 avvenga il passaggio sì dei nemaspermi, che del feto; che per esso insomma si effettui sì la fecondazione, che il parto. Però anche la questione dell’esistenza o della mancanza di questo diretto passaggio tra il fondo della vagina mediana e il canale uro-genitale, ha una non breve storia, e non può dirsi per anco una questione esaurita. Parecchie lacune tuttavia esi- stono, pur nella constatazione obbiettiva del fatto, presso le di- verse specie di Marsupiali, e, più che tutto, nell’origine di que- sta comunicazione; ricerca questa che non può essere fatta in altro modo, fuorchè studiando le forme embrionali o giovanili delle specie che presentano lo sbocco, ed esaminando gli organi ge- neratori di quelle specie, che formano passaggio, tra quelle a fondo cieco perfettamente chiuso e quelle a fondo chiaramente aperto. Inoltre v'è sempre la questione sulla via tenuta dai nemaspermi e dal feto presso alcune specie, e sulla funzione delle vagine la- terali, in quelle specie, che, avendo la diretta comunicazione tra l’orifizio sessuale e la vagina media, avrebbero nelle vagine la- terali un organo a prima apparenza affatto inutile e superfluo. L’Home,' pel primo, aveva affermato che esiste una comu- nicazione diretta tra la cavità della vagina mediana e quella del vestibolo uretro-genitale; soggiungeva anzi che l’apertura si dilata a poco a poco, di mano in mano che s’avvicina il mo- mento del parto; ed essa diviene allora così ampia, in amendue i suoi diametri, da permettere l’uscita del feto. E ciò asseriva non d’una specie in particolare, ma in genere dei Kanguri, 0 Macropodini. Il Cuvier, nelle sue dissezioni, non trovò l'apertura indi- cata dall’Home, e però non accettò le conclusioni del suo pre- decessore. Non essendovi uno sbocco diretto fra la vagina me- diana e il canale uretro-genitale, il Cuvier fu necessariamente costretto ad ammettere che il feto, uscito da uno degli uteri per mezzo del muso di tinca, e arrivato nella parte superiore della vagina mediana, non può continuare la sua via in essa, ? HomE, loc. cit. 232 G. CATTANEO, chè essa finisce a fondo cieco; e perciò s’insinua in una delle vagine laterali, e vi progredisce lentamente, pei moti delle pa- reti delle vagine stesse, finchè sbocca nel canale uro-genitale; e di là esce in luce all’esterno. strati Questo reperto e concetto del Cuvier fu san, da R. Owen,® nel 1841. Infatti egli, esaminando gli organi genitali femminei di due Macropus major, non giunse a scoprire le tracce di una comunicazione qualsiasi tra il canale mediano e il vestibolo genito-urinario. L’ anatomico inglese trovò però questo di notevole nel Macropus major: cioè che, sebbene la vagina. me- diana finisca a fondo cieco, e non comunichi col vestibolo uro- genitale, pure la sua estremità non è libera e materialmente dis- giunta dalla parete superiore del vestibolo stesso, ma vi è unita mediante un semplice tessuto cellulare. A prima vista dunque essa parrebbe comunicante col vestibolo; e solo l’impedito pas- saggio d’una sonda tra il fondo cieco e il canale uro-genitale dimostra l'insussistenza della comunicazione. È singolare però che nè E. Geoffroy Saint-Hilaire, nè il Carus s’accordino col Cuvier e coll’Owen su particolari tanto importanti della struttura dell'organo femmineo nei Kan- guri. Secondo il Carus,° la vagina mediana dei Marsupiali sa- rebbe totalmente chiusa al basso, fuorchè nello stato di gravi- danza. Seguendo l’opinione dell’ Home, il Carus pensa che, du- rante la gestazione, e durante e dopo il parto, il fondo della vagina mediana si apra nel vestibolo uro-genitale, per mezzo di una stretta fessura. Sezionando una femmina di Kangurò, che recava nella vagina mediana un feto, lungo circa 8 pollici, il Carus trovò i labbri dell'apertura di sbocco tra loro avvici- nati, anzi conglutinati; ma una sonda non tardò a trapassarli, e ad emergere sopra l’ orifizio uretrale. Dunque, secondo il zoo- tomo tedesco, il feto dei Marsupiali passa nel vestibolo uro-ge- nitale della madre direttamente dalla vagina mediana, traver- $ Owen; Cyclopedia of Anatomy and Physiology. 1841. — Marsupialia. ° CARUS, Traité élémentaire d’anvatomie comparée. Bruxelles, 1838, pag. 436. SUGLI ORGANI RIPRODUTTORI FEMMINILI, ECC. 233 sando il foro di sbocco, che si determina alla sua estremità in- feriore. A questo modo il feto, già formato, ma pur piccolissimo (non pesando esso che circa 21 grani, rispetto alla madre che pesa circa 56 libbre), esce dal vestibolo genitale materno, e di là. è fatto passare nella borsa, o marsupio. Tale sarebbe, se- condo il Carus, la via di discesa. Quanto alla via di ascesa, che dovrebbe essere tenuta dagli spermatozoi, all’atto della fe- condazione, il Carus crede che essa sia rappresentata dalle due vagine laterali; ossia che lo sperma ascenda per questa, e non per la mediana, e solo tocchi la parte superiore della me- diana, là dove sboccano ad un tempo i rami superiori delle due laterali e i due musi di tinca; e che appunto da questo vesti- bolo superiore, per mezzo dei musi di tinca, lo sperma arrivi poi negli uteri. In seguito il Poelman, in un Macropus Bennettii trovò che la comunicazione tra il fondo della vagina mediana e il canale uro-genitale esiste realmente, e che si può assai facilmente per- suadersene coll’introduzione d’una sonda.'° Onde il Van Be- neden crede che l’esistenza di una comunicazione diretta tra la vagina mediana e 1l vestibolo genitale, segnalata dal Carus e da E. Geoffroy Saint-Hilaire, in ispecie che non possono precisarsi, e dal Poelman nel Macropus Bennettii, non siano caratteri individuali o anomali, ma siano veramente proprî ad una, o ad alcune specie. !* Il Poelman istituì anche delle indagini fisiologiche, -su di un Kangurò, proveniente dal giardino zoologico di Anversa, per ve- dere quali funzioni fossero precisamente compiute dalla vagina mediana, e quale dalle laterali. E a lui la distinta fessura, esi- stente tra il fondo vaginale e il vestibolo genitale, e la diretta comunicazione, per tal via, tra il vestibolo genitale e i musi di 10 C. PorLMAN, Description des organes de la génération chez le Macropus Ben- nettii. — Bulletin de l’ Acad. Royale de Belgique. Tom. XVIII, 1851, pag. 595 e seg., con figure. 11 Vedi in: POELMAN, Organes de la génération chez le Macropus Bennettii. — L’ Institut, 1851, pag. 317. 234 G. CATTANEO, tinca degli uteri, ed inoltre la notevole obliterazione delle corna laterali, fecero pensare che il condotto mediano serva bensì per il parto, ma non sia estraneo anche all'atto della fecondazione. E così il Poelman sarebbe in contraddizione coll’Home e col Carus, che invece ammisero come provata l’ ascesa dello sperma per la via delle vagine laterali. L'esistenza della comunicazione mediana fu in seguito con- statata da altri. II Poelman ebbe occasione di parlare a Ri- chard Owen della scoperta fatta nel Macropus Bennetti; e allora il grande anatomico di Londra mostrò al professore di anatomia comparata dell’ Università di Gand una preparazione, appartenente pure al Macropus Bennettii. Erano gli organi ri- produttori femminili, in cui anche l’Owen aveva rinvenuto la comunicazione mediana; ma non aveva fin allora pubblicata la descrizione di tali organi, perchè credeva di essere in presenza di un'anomalia, e non di un caso generale. Infatti il Macropus major, specie che pur sembra tanto affine al Macropus Ben- nettii, ha una disposizione affatto diversa. Però questo perfetto incontro col reperto del Poelman fece mutar opinione all’ O- wen, il quale comprese allora che un simile meato di comuni- cazione non era un caso isolato, ma era la disposizione normale, che .riscontrasi nel Macropus Bennettii.!? Edmondo Alix,‘ avendo avuto da Edoardo Verreaux un’ Halmaturus Bennettiù 2, ne potè studiare gli organi ripro- duttori. Nella presenza del meato della vagina mediana egli vide un artificio della natura, atto a sottrarre l'embrione delicatissimo d’un Kangurò al lungo e laborioso tragitto entro le vagine me- diane. Infatti, dice egli, se si considera la ristrettezza delle va- gine laterali, e soprattutto l’estrema sottigliezza, che esse pre- sentano, a circa due centimetri dal vestibolo uretro-genitale, sì 12 PoELMAN, Organes de la génération chez les Marsupiaux femelles. — L’Institut, 1851, pag. 422. 13 Ep. ALIX, Sur les organes de la parturition chez les Kanguroos. — Comptes Rendus des séances de l’Acad. des Sciences de V Institut de Paris, 1866. I Sem., pag. 146. e e a E d SUGLI ORGANI RIPRODUTTORI FEMMINILI, ECC. 235 rimane meravigliati per la lentezza del tragitto e la. violenza delle pressioni alle quali l'embrione andrebbe soggetto, se tran- sitasse di lì. Però questi sono ragionamenti puramente subbiet- tivi; e qui solo l’osservazione diretta dei fatti ci può mostrare qual sia la verità. Nella preparazione, che sottomise all'esame dei suoi colleghi della Società Filomatica, l’Alix mostrò sulla faccia pubica del vestibolo uretro-genitale, immediatamente al di sopra del meato urinario, un’ apertura circolare, più grande di quella del meato stesso, e increspata a guisa di sfintere anale. Una sonda intro- dottavi penetrò nella cavità della vagina mediana. Questa pre- parazione, scrive l’Alix, ci mostra con evidenza incontestabile l’esistenza dell'apertura negata dal Cuvier e dall’Owen, af- fermata da Ev. Home. E qui venne in mente all’Alix, ciò che certamente sarà già stato compreso anche dal lettore di questa nota, che i dispareri dei suddetti autori su una questione così ovvia ed empirica, come la presenza o mancanza di uno sbocco vaginale mediano, da null'altro deriva, fuorchè da que- sto, che essi non riferiscono le loro osservazioni a una medesima specie di Kanguri. Le vagine laterali, secondo l’ Alix, non offrono alcuna trac- cia di distensione, e nulla indica che esse possano servire, o ab- biano servito, al passaggio del feto. Esse non sembrano aver altro ufficio che quello di ricevere lo sperma, al momento del- l'accoppiamento, e condurlo fino al collo dell’ utero. Esse perciò meriterebbero il nome di vagine spermatofore, mentre la vagina mediana sarebbe una vagina embriofora. Tale maniera di vedere è confermata da un fatto interessante, cioè che la mucosa della vagina mediana è coperta di un epitelio poliedrico o. pavimen- toso, mentre la mucosa delle vagine laterali è coperta da un epitelio cilindrico. Risulta da questi fatti, conclude l’Alix, che l'uscita. dell’em- brione non offre in realtà quella lentezza, che è stata sostenuta dai contradditori di Ev. Home; ma “ non bisogna credere per ciò che la previdenza della natura possa essere presa in difetto ; essa vi ha provveduto mercè l'istinto della madre. , 236 ‘« — G, CATTANRO, RU 101907] Jules Verreaux, durante il suo soggiorno in Australia, pos- sedeva un notevole numero di Kanguri, che avea accostumati alla schiavità. Mercè una attenta e ininterrotta sorveglianza, tanto diurna che notturna, egli potè sorprendere il segreto del loro parto. Quando è sul punto di partorire, la femmina ap- plica le sue due zampe anteriori a ciascun lato della vulva, in modo da divaricarne le labbra; indi essa introduce il muso nel vestibolo vaginale, e accoglie l'embrione nella bocca. Allora porta le zampe anteriori ai labbri del marsupio, in modo da di- latarne l'apertura; immerge la testa nella tasca e vi depone l'embrione. Pochi istanti dopo, esso è già aderente al capezzolo. L’Alix afferma che l’Owen e il Bennett avevano supposto questi fatti, ma l’onore della scoperta appartiene a Jules Ver- reaux. Qui però osserverò che il Leisering, ispettore del giar- dino zoologico di Berlino, aveva già osservato, fin dal 1846 e 1847 l'accoppiamento e il parto di alcuni Kanguri, soggetti alla sua sorveglianza; e indicò chiaramente che l’embrione è recato nel marsupio con l’ajuto del muso della madre. !* Il Poelman,'* appena ebbe conoscenza della Nota dell’Alix, presentata all’ Accademia delle scienze di Parigi dal Milne-Ed- wards, con una sua lettera, reclamò tosto per sè la priorità della scoperta; e approfittò dell'occasione per aggiungere che, dopo la pubblicazione dei suoi primi lavori sugli organi fem- minei dell’ Halmaturus Bennettii, potè di nuovo verificare l’ac- cennata disposizione anatomica presso altri individui della stessa specie. Poco dopo, l’Alix'° rispose che, rinunciando volontieri al- 14 LeISERING, Ueber die Fortpflanzung des Kinguruh. — Archiv fiir Naturge- schichte, von WIEGMANN, ErIcHSoN und TroscHEL. Berlin, 1849. Vol. I, pag. 18-38. Riguardo al parto dei Kangurò, vedi specialmente ciò che è scritto a pag. 31. 15 PoELMAN, Sur la disposition des organes femelles de la génération dans les Kanguroos; reclamation de priorité, adressée à l’occasion d’une communication ré- cente. — Comptes Rendus de V Academie des Sciences de Paris. 1866. I Sem., p. 399. 16 ALIX, Organes de la parturition chez les Kanguroos. Lettre de M. Ed. Alix, reconnaissant l’anteriorité d’un travail de M. Poelman sur cette question. — Comptes Rendus, ecc. 1866. I Sem., pag. 645. è tnt SUGLI ORGANI RIPRODUTTORI FEMMINILI, ECC. 237 l’onore della scoperta, restava contento d’aver potuto contri- buire, da parte sua, ad elucidare una questione, “la cui grande importanza è apprezzata dagli uomini più eminenti. , Anche l’Owen mandò all’ Accademia di Parigi alcune osser- vazioni sopra la comunicazione di Ed. Alix: tanto per ricor- dare all’autore francese che la sua scoperta anatomica era stata preoccupata per lo meno da due osservatori, quanto per com- battere l’argomento, che l’Alix credette di addurre, in seguito alle sue osservazioni, allo scopo di mostrar difficile o impossi- bile il passaggio del feto, nel parto dei Marsupiali, per le va- gine laterali. L’Owen dichiara che una simile fisiologia si 0p- pone alla legge della struttura degli organi interni degli animali a borsa. Il passaggio del feto dalla vagina mediana nel vesti- bolo uretro-genitale non ha mai luogo, secondo l’Owen, fuor- chè in qualche caso affatto eccezionale; la regola dev'essere il passaggio del feto per le anse o vagine laterali. Qui l’Owen aggiunge alcune osservazioni, che riporterò te- stualmente in traduzione letterale, perchè interessanti dal punto di vista fisiologico: “ Il modo di transito del fete dalla vulva al marsupio è d’un carattere così rimarchevole, ch'io non saprei accettare il merito, che l’Alix mi vuole attribuire, di averlo intuito 0 indovinato. Mi era impossibile divinare i fatti a priori; e anche se fossi stato dotato di una sì viva immaginazione, non avrei punto osato presentare questa ipotesi alla Società Reale, senze le esperienze che l’appoggiassero. Questi fatti io non li avevo intuiti; essi furono il risultato puro e semplice dell’ os- servazione. Avendo isolato una femmina fecondata, della specie Macropus major, io la sottomisi ad un esame giornaliero, finchè avessi determinato il periodo preciso della gestazione. È vero che non vidi l’ embrione in transitu. Abbisognerebbero occhi al- trimenti costituiti dei miei, per discernere un corpo vermiforme di 15 millimetri di lunghezza e di 5 millimetri di larghezza, attraverso alle spesse pareti del muso del grande Kangurò, in- | fossato nel vestibolo o nel fondo della borsa marsupiale. Ma, | siccome il trasporto del feto e la sua adesione alla mammella 238 | G. CATTANEO, sono risultati di operazioni fatte dal muso della madre, io mi decisi di tentare una nuova prova, mediante un’ esperienza, che proposi ai direttori della Società zoologica, e per la quale ot- tenni la loro sanzione. Alcune ore dopo il parto, levai il. pic- colo dalla mammella, e fui testimonio dei seguenti fenomeni. La madre mostra tosto dei segni di inquietudine, e s’ abbassa per lambire l’ orifizio vulvare e per infossare il muso nel vestibolo. Infine ella afferra con le due zampe anteriori, i lati dell’ orifizio della tasca, e, divaricandoli, cala il muso, fino agli occhi; nella cavità; poi l’agita in sensi differenti, come nell'atto di cercare e accogliere il neonato. — Io non so se il Bennett ha vera- mente supposto questi fatti. Edouard Bennett, grande it- tiologo, era vice-segretario della Società zoologica nel 1834; N. A. Vigors, ornitologo rinomato, n’era segretario; e il Yarrell e W. S. Macleay erano membri del Consiglio. Tutti assistet- tero alle mie sperienze, ed accettarono le conseguenze che ne tirai. Ma nessuno di loro si lusingò d’averne previsti i risul- tati; nessuno pretese ad altro posto, fuorchè a quello di spet- tatore. Il dott. Giorgio Bennett, di Sydney, in Australia, ha fornito dei materiali preziosi per le mie ricerche, ed a lui si deve un articolo sulle abitudini dell’ Ornitorinco;! ma ignoro se egli abbia pubblicato una notizia o una memoria sul parto dei Kangurò. ,, Infine ’Owen richiama delle osservazioni sul parto dei Marsupiali, pubblicate dopo la memoria del 1834, ove tro- vasi il dettaglio di esperienze fatte su un Potoroo (Bettongia).'* II. Per quanto risulta dalle notizie storiche fin qui accennate, si vede che la questione della comunicazione tra la vagina mediana ed il condotto uretro-genitale nelle femmine dei Mar- supiali è tutt'altro che esaurita; tanto dal lato anatomico, che 17 Transact. of the Zoological Society. Vol. 1. 1834. 18 Proceedings of the Zoological Society, in-8°, parte XII, pag. 163, 12 novem- bro 1844. pel SUGLI ORGANI RIPRODUTTORI FEMMINILI, ECC. 239 dal lato fisiologico. Vi son dispareri tra i varî autori sulla esi- stenza o mancanza di tale comunicazione presso varie specie; e, quanto alla funzione, il meato vaginale mediano serve, secondo il Carus, l’Home e l’Alix, all’uscita del feto; secondo l’Owen invece non adempie a questa funzione, se non in casi eccezionali; secondo il Poelman infine esso avrebbe parte di- retta nel fenomeno della fecondazione. Quel che pare omai as- sodato si è che questa comunicazione tra la vagina mediana e il condotto uretro-genitale esiste normalmente nell’ Halmaturus Bennetti; però i casi finora osservati sono così pochi, che non può dirsi al tutto superfluo un nuovo esame, che li confermi. V’è poi la grande questione dell’origine di cotesta comunica- zione tra la vagina mediana e il condotto uretro-genitale; sa- rebbe cioè interessantissimo, per la morfologia di quest’ appa- recchio dei Marsupiali, il conoscere se questo diretto passaggio tra la vagina media e il condotto genitale sia un carattere an- tico, che vada omai disparendo, o se non sia invece un carattere nuovo, che venga sviluppandosi. Importa, cioè, vedere se la tasca chiusa del Macropus giganteus e dell’ Hypsiprymnus murinus sia dovuta al rimarginamento di un’apertura, esistente in un organo simile a quello dell’ Halmaturus Bennettii, o se invece le forme ataviche di quest’ultimo non avessero la vagina me- diana chiusa, e il passaggio si sia poi determinato per qualche speciale causa meccanica o fisiologica. Tanto l’una cosa che l’al- tra potrebbe esser possibile, considerata a priorî; chè abbiamo mille esempî, nell’anatomia comparata, di organi tubulari e pervii, che posson trasformarsi in appendici cieche, come anche di organi sacculiformi, che possono assumere un pertugio e di- venir tubulari. La risoluzione di questo problema non può es- sere data da altro, che dall'esame di qualche forma embriolo- gica, o almeno di qualche forma giovanile, di un Marsupiale. Se, per esempio, trovassimo che un giovane Halmaturus Bennettii presenta la comunicazione vaginale mediana più ampia e distinta che non l’adulto, dovremmo, secondo ogni probabilità, conclu- dere che gli antenati dell’ H. Bennettiù avevano essi pure un 240 tt G. CATTANEO, reo ampio passaggio vaginale mediano, e che ora esso sia piuttosto — in via di riduzione. E allora la tasca chiusa del Muacropus e dell’Hypsiprymnus potrebbe sembrar derivata dal rimargina- mento di una vagina aperta. Ma se invece trovassimo che la. forma giovanile dell’Halmaturus Bennettii presenta ‘un foro più stretto che non la forma adulta, o addirittura non presenta al- cun foro, allora ci sarebbero adeguate ragioni per poter con- cludere che le forme a tasca chiusa son piuttosto da conside- rarsi come le più antiche e meno differenziate, e che perciò il n carattere del diretto passaggio vaginale mediano non è in via di riduzione, ma anzi piuttosto in via di sviluppo. Per tutte le sovresposte ragioni, mi parve utile esaminare in dettaglio l'apparecchio riproduttore di due femmine della specie Halmaturus Bennettii, di cui si fece la dissezione nel Labora- torio d’Anatomia Comparata dell’ Università di Pavia; delle quali femmine una era adulta, l’altra assai giovane, tantochè aveva appena raggiunto una metà della statura normale per questa specie ‘°. L’apparecchio riproduttore femminile dell’ Halmaturus Ben- nettit?° consta di due ovarî (fig. I e II, a), di due trombe fal- 1? Ringrazio l’egregio prof. L. MAGGI, direttore del Laboratorio d’Anat. comp. del- l’Univ. di Pavia, che gentilmente mi concesse i citati pezzi da esaminare, e mi di resse nelle ricerche. 20 L’Halm. Benn., o Kangurò rosso-bruno, allo stato adulto, ha il corpo, dalla bocca all’ano, lungo circa un metro, e la coda lunga circa 60 centimetri. Il suo colorito generale è grigio-rossastro pallido. I peli del dorso hanno radice grigio-bruniccia, si colorano poi in rosso-ruggine pallido e hanno alla sommità un grande anello bianco. Il contorno degli occhi, il collo, le spalle e le gambe anteriori sono di color ruggine chiaro, con orecchie bianche; il lato ventrale è biancastro, con sereziature grigio-rug- gine chiare, e i singoli peli bigi alla radice, color ruggine chiaro in mezzo, bianchi all’apice. Il capo ha, in generale, il colore del corpo; solo il vertice è più scuro; il muso è brunicccio, il labbro superiore coperto di pelo bianco, l’inferiore con una macchia bruna, le orecchie bianche con margine nero e con apice nero-bruniccio; le zampe anteriori son brune con sprizzature bianche, le dita nero-brune: le gambe po- steriori sono rossiccie, con chiazze bianche e brune sulle tibie, e dita brune; lucenti i peli alla radice delle unghie, misti bianchi e neri quelli della coda, che ha l’apice nero. La femmina ha, in generale, un colorito più chiaro che il maschio. Quanto alla Sinonimia di questa specie, possiamo così brevemente riassumerla: Macropws ruficollis I er. —_ = 35 ee’ r—reo_— SUGLI ORGANI RIPRODUTTORI FEMMINILI, ECC. 241 lopiane, terminate da un padiglione (fig. I e II, d e o), di due uteri (fig. I, II, HI, IV, ce), di due vagine laterali (fig. I, II, III, IV, d), di una vagina mediana (fig. I-IV, e) e di un ca- nale uro-genitale (fig. I-IV, f); e ciò tanto nel giovane, che nell'adulto. Gli ovarî sono tondeggianti, e vengon per metà com- presi dal padiglione fogliaceo e caliciforme degli ovidotti; questi poi, dopo un tragitto serpeggiante, sboccano nei due uteri, i quali sono fusiformi, aderiscono, sulla linea mediana, verso la base, e si divaricano alquanto all’apice. Ciascun utero è termi- nato da un muso di tinca (fig. III, «) e i musi di tinca sboc- cano in una specie di atrio, in cui s'aprono tre vie; due late- rali, date dalle vagine tubulose e piegate ad ansa, e una me- diana, data dalla vagina media *!. Mia prima cura fu di esaminare se esisteva o no il passaggio diretto tra il fondo della vagina media e il condotto uretro-genitale. Introdussi quindi uno spe- Lesson. Mammal. p. 228; Waterhouse. Mammal. I, p. 125, tav. 5, fig. 9. — Kangurus ruficollis. Desmarest. Mammal. pag. 274. — MHalmaturus ruficollis. Gould. Macropod. II, tav. 2. — Kangurus rufogriseus. Goldfuss. Isis 1819, p. 267. — Macropus Bennettii. Waterhouse. Proceedings Zool. Soc. 1837, 103; Giebel. Odont. Tav. 19, fig. 16, a. — Macropus fruticus. Ogilby. Ann. magaz. nat. hist. 1838. I, p. 219. — Halmaturus nalabatus. Gray. Mag. nat. hist. 1837. I, 583. — Halmaturus leptonye. Wagner. Schreb. Siugeth. III, p. 116. — Halmatu- rus Bennettiîi. Gould. Macropod. I, tav. 7. 24 Occorre notare, a titolo di confronto, che gli ovarî sono stretti e semplici nei Kangurò unipari, e larghi e tubercolati nei multipari (Opossum, ece.). Nel Macropus major l’ovario è bilobo, molto vascolare, con rughe e papille. Gli uteri sono fusiformi presso tutti i Marsupiali, più lunghi nei multipari, che negli unipari, con membrana muscolare di moderato spessore, tessuto areolare e vascolare e delicato epitelio. No- tasi, in generale, che la capacità degli uteri sta in ragione inversa colla capacità della borsa marsupiale; la massima capacità dell'utero e la minima capacità della borsa trovasi nella Didelphys dorsigera ; la minima capacità dell’utero e la massima capacità del marsupio trovasi nell’ Hypsiprymnus murinus. Nelle specie che seguono la relativa capacità dell’utero rispetto alla vagina diminuisce secondo l’ordine in cui sono scritte; e nelle stesse specie la grandezza del marsupio cresce secondo lo stesso ordine, ossia diminuisce secondo l’ordine inverso: Didelphys dorsigera, Petaurus pygmaeus, Petaurus taguanoides, Dasyurus viverrinus, Didelphys virginiana, Ma- cropus major, Hypsiprymnus murinus. Vedi: OweEN, Anat. of the Tree-Kangaroo — Dendrolagus inustus Gould. — Proc. Zool. Soc. 1852, pag. 106; e: On the Anatomy of vertebrates. Vol. III. Mammals. London 1868. $ 383, pag. 680 e seg. Marsupialia. Female organs. Vol. XXIV. 16 “prova in senso inverso, cioè nella direzione dalla vagina al con- 242 [JI G. CATTANEO, ] cillo nel vestibolo uretro-genitale dell'apparecchio della femmina adulta; e, spingendolo in su, ne vidi ben presto comparire la estremità sulla parete della vagina mediana, che era stata pre- cedentemente spaccata con un taglio longitudinale. Ripetuta la dotto genitale, s'ebbe lo stesso risultato. E dunque fuor di dub- bio che la femmina adulta dell’ Halmaturus Bennettii presenta, a differenza di tutti i Kanguri affini, la particolarità di avere, come disposizione mormale e costante, un diretto passaggio dalla vagina media al condotto uretro-genitale. Tentai la stessa prova sull’apparecchio della femmina giovane; me ne ebbi un risultato affatto diverso. Sia dalla parte del ve- stibolo genitale, che da quella della vagina (pur qui previamente spaccata), lo specillo non poteva penetrar più che tanto; impe- dito ad avanzarsi da un sepimento, completamente chiuso ed integro, che sta tra il condotto escretore e la vagina mediana. Nella femmina giovane dell’ Halmaturus Bennettii non c'è dun- que il diretto passaggio tra la vagina e il condotto genitale, che invece riscontrasi nell’adulta. Questo passaggio si determina quindi a un’età abbastanza avanzata dell’animale, e probabil- mente non molto prima dell’epoca, in cui esso diventa atto a generare. Questo fatto della presenza di tal passaggio mediano dell’adulto, e della sua mancanza nel giovane, è di grande im- portanza dal lato morfologico; e lascia supporre che gii attuali Halm. Bennettii, discendano da Macropodi, i quali, come il Ma- cropus major, |’ Hypsiprymnus murinus, ecc., non presentavano diretta comunicazione tra la vagina media e il condotto efferente; ma eran conformati in modo che il parto, come succede in fatto nella maggior parte dei Kanguri, dovesse effettuarsi per mezzo delle anse o vagine laterali. Le vagine laterali rappresentano dunque gli originarì e più antichi dòtti efferenti; e le mediane invece una formazione più tarda, la quale acquistò un reale valore fisiologico solo per mezzo della formazione di un diretto passaggio nel condotto genitale; chè allora il parto potè operarsi per via diretta, e senza il tortuoso percorso delle anse laterali. SUGLI ORGANI RIPRODUTIÒRI FEMMINILI, ECC. 43 Però la separazione, che esiste tra il condotto genitale e il fondo della vagina mediana nell’ Halm. Bern. giovane; è assai meno profonda di quella che trovasi nel Macropus major. Ab- biamo qui anzi uno stadio intermedio tra il M. major adulto e l’Halm. Benn. adulto. Nel M. major la vagina media finisce a fondo cieco, come una tasca, e pure a fondo cieco finisce supe- riormente il condotto uretro-genitale; ma i due organi non sono a contatto con le loro pareti; ciascun fondo cieco ha una pa- rete propria, che dista di parecchi millimetri dalla parete del fondo cieco vicino; e, se sembrano a prima vista uniti, è solo perchè tra un fondo e l’altro esiste un tessuto areolare, facil- mente rimovibile, che li abbraccia solo esternamente. Invece nell’Halmaturus Bennettii giovane la vagina media ed il con- dotto genitale sono affatto contigui, e si susseguono senza in- terruzione; e ciascun fondo cieco non ha una parete propria e distinta. Una sola parete separa l'un fondo cieco dall’altro; co- sicchè la parete del fondo cieco della vagina mediana (fig. III, e), è anche parete del fondo cieco del canale uretro-genitale (fi- gura III f), ossia la faccia anteriore-superiore di tale membrana costituisce l’ interna superficie del fondo cieco della vagina me- dia, e la faccia posteriore-inferiore costituisce l’interna super- ficie del fondo cieco del canale uretro-genitale. Non abbiamo dunque a far altro che ad immaginare aperto un pertugio in questa membrana o sepimento unico; e allora avremo l’ appa- recchio nella sua forma definitiva, cioè come si presenta nella femmina adulta. Esaminando il fondo cieco della vagina mediana, per mezzo di uno specillo, (notisi che la vagina era stata previamente spac- cata con taglio longitudinale) (fig. III, e) si trovano da distin- guere due parti: cioè una parte dorsale e una parte ventrale. La parte dorsale della vagina media è più breve della ventrale, e ambedue terminano con un fondo cieco. Cosicchè vi si notano due fondi ciechi (fig. III, p, g), uno superiore-posteriore, che sta nella parte dorsale della vagina, e si potrebbe anche chia- mar sacrale, perchè è contiguo all’osso sacro: ed è il più corto; 244 G. CATTANEO, l’altro inferiore-anteriore, che sta nella parte ventrale della va- gina mediana, e si potrebbe dire anche pubico, perchè contiguo al pube: ed è il più lungo (fig. III e IV, p; fig. II, g.. Il fondo cieco vaginale che si oppone direttamente al fondo cieco del condotto uretro-genitale (fig. III e IV, f) non è il più lungo o pubdico, ma è il più breve o sacrale (fig. II, p; IV, p). Il primo fondo cieco della vagina mediana (fig. III e IV, p) ha la forma d’un piccolo canale; il secondo (fig. III, g; fig. IV, t) rassomiglia piuttosto a una tasca; e il diametro trasversale del fondo cieco più corto è minore di quello del fondo cieco più lungo. Il fondo cieco più corto va ad agglutinarsi col. fondo cieco del condotto uretro-genitale; il più lungo segue in parte il canale uretrale, e termina di contro alla parte posteriore del tubercolo del meato urinario (fig. IV, v). La presenza di questi due fondi ciechi è constatabile non solo alla dissezione, ma an- che all’esterno, come si vede nella fig. I, /, e fig. II, m. Sl fondo cieco sacrale (fig. II, m) termina come cuneo tra le due vagine laterali; il fondo cieco pubico (fig. I, ) percorre un tratto di circa un centimetro tra le due vagine laterali, restando parallelo ad esse e sovrincombente all’uretra. La differenza di lunghezza tra i due fondi ciechi è di circa 5 millimetri. Osservando la superficie interna ed inferiore o pubica del ca- nale uretro-genitale, là dove trovasi il meato urinario (fig. IV, £), vedesi nell’Halmaturus Bennetti adulto il foro di comunicazione o di sbocco della vagina mediana, e nel giovane invece un tu- bercolo (fig. IV, v), posto alla base del meato urinario, e corri- spondente al tubercolo del meato urinario dei mammiferi supe- riori. Dalla base di questo tubercolo si spicca un rialzo mwucoso o piega mucosa (fig. IV, «), della lunghezza di sei millimetri, che è posto a sinistra e all’innanzi del meato urinario. A si- nistra della piega mucosa si presenta un’infossatura a fondo cieco (fig. IV, «), simmetrica col tudercolo del meato urinario, e non già col rialzo mucoso, o col meato urinario. Questo pic- colo fondo cieco è opposto al fondo cieco più lungo (fig. IV, #) della vagina mediana. SUGLI ORGANI RIPRODUTTORI FEMMINILI, ECC. 245 — Nel Macropus major la vagina mediana, nella sua parte su- periore, là dove riceve i due musi di tinca, presenta, secondo l’Owen, un tramezzo, il quale si avanza, più o meno completo, fin verso l’estremità del fondo cieco vaginale. Nell’ Halmaturus Bennettii adulto il Poelman riscontrò il tramezzo solo alla parte superiore, tra i due musi di tinca; più al basso, egli dice, ogni traccia di separazione è scomparsa. L’Halmaturus Bennetti giovane, come ci aveva presentato una forma intermedia tra il Macropus major adulto e l Halm. Benn. adulto, per riguardo alla presenza o mancanza di comunicazione tra il fondo. cieco vaginale e il fondo cieco del condotto uretro-genitale, così ci presenta un caso intermedio, tra le due forme suddette, pur nello sviluppo del tramezzo vaginale; chè esso, nella femmina giovane è completo tra i due musi di tinca (fig. III, «), subito dopo si fa incompleto (fig. III, r); ma non iscompare; sibbene discende regolarmente, sempre aderente alla superficie interna della parete dorsale della vagina mediana, e libero verso la su- perficie della parete ventrale, fino all’estremità del fondo cieco più corto, o sacrale. Osservando la superficie interna del canale uretro-genitale dell’ Halmaturus Benne!tii giovane, si riscontrano due piegature (fig. IV, %w) ben distinte ed elevate. Esse stanno a lato del meato urinario, e, essendo foggiate a semicerchio, possono indicarsi col nome di pieghe semilunari. Alla base del tubercolo del meato urinario esse si uniscono, avanzandosi verso il fondo cieco del canale uretro-genitale; invece, nella loro parte antero-superiore, si fondono colla superficie interna della parte ventrale del con- dotto uretro-genitale. | Da quanto fin qui esposi si ricava che gli organi genitali fem- minei dell’Halmaturus Bennettii giovane tengono un grado inter- medio tra quelli del Macropus major e dell’ Halmaturus Bennettii adulti, specialmente pel carattere della presenza o mancanza di comunicazione tra la vagina mediana e il condotto uretro-geni- tale. Essendo chiuso il fondo cieco della vagina. mediana. nel Macropus, e aperto nell’Halmaturus, e quest’apertura determi- 246. Wi t:5 G. CATTANEO, nandosi, nello sviluppo individuale, mercè il pertugiarsi di LIMBIEOTOTE sepimento prima integro, facilmente ne deriva che l’Halmaturus Pe] Bennettiù deve credersi derivato da una forma a vagina. me- diana originariamente chiusa; e perciò la diretta comunicazione tra essa vagina e il condotto genitale deve ritenersi come un perfezionamento, una complicazione della primitiva terminazione cieca. L’Halmaturus Bennettii sarebbe dunque una forma. più differenziata, più elevata, anatomicamente parlando, che non il Macropus major, e tutti gli altri Kanguri; sarebbe quindi uti- lissimo, dopo tali risultati anatomici, tenere il genere Halma- turus come affatto distinto dal genere Macropus; mentre invece, come rilevasi dalla sinonimia sopra citata °°, questi due generi sì confondono tuttora, dai migliori autori, l’uno coll’altro. In- vece l’uno differisce dall'altro per un profondo e importantis- simo carattere anatomico, più fisso e costante di molti altri, puramente esterni, che si adoperano talvolta nell’ordinamento tassonomico. Il diretto passaggio tra la vagina mediana e il condotto ure- tro-genitale è una disposizione anatomica recente e, per così dire, ancora in via di sviluppo; mentre la disposizione più an- tica è quella di una vagina mediana chiusa. Ma anche la vagina mediana chiusa è un organo meno antico che le vagine ansi- formi o laterali. Noi troviamo infatti che la Didelphys dorsigera non ha la vagina mediana; cosicchè il passaggio dello sperma e del feto s’effettua unicamente per mezzo delle vagine laterali. Nella Didelphys virginiana tra le due vagine laterali appaiono due fondi ciechi, però non comunicanti tra di loro. Nel Ma- cropus major e nell’ Hypsiprymnus murinus i due ciechi sono assai più lunghi, e comunicano tra di loro, restando solo. un setto longitudinale mediano come rudimento dell’ antica parete di divisione. Nell’Halmaturus Bennettii il setto è pressochè scom- 22 Vedi retro la nota ventesima; da cui ricavasi che la specie, che forma oggetto di queste ricerche, e che tanto si distingue, pei caratteri anatomici, dalle affini, è compresa, dai varî autori, almeno sotto tre nomi generici diversi: Macropus, Kan- gurus, Halmaturus. $i SUGLI ORGANI RIPRODUTTORI FEMMINILI, ECC. 247 - parso, e la vagina unica si prolunga tanto, da fondersi col ca- ; nale uro-genitale e da sboccare in esso. Si vede qui chiaramente una formazione per successivo sviluppo di due ciechi secondarî. 4 L antito, originario apparecchio di efferenza dagli uteri, era dato dalle due vagine laterali; ma, al loro punto di connessione cogli uteri, si formarono due insaccature secondarie; queste insacca- ture si fusero sulla linea mediana, si allungarono, giunsero a toccare il fondo cieco superiore del condotto genitale, e poi si aprirono in esso. Ecco riepilogata la storia probabile della for- mazione di questo importantissimo organo, almeno come ci è lecito escogitarlo, dietro i dati anatomici che abbiamo a nostra disposizione. In tutti i Marsupiali che mancano di vagina mediana, o che hanno una vagina mediana perfettamente chiusa, a fondo cieco, la fecondazione e il parto si effettuano per mezzo delle due va- gine laterali ansiformi, che sono le sole due vie aperte tra gli uteri e la vulva. Ma nell’Halmaturus Bennetti ci sono tre vie aperte tra gli uteri e il vestibolo genitale. Ora per quali di esse si effettua il parto, per quali la fecondazione ? Forse tutte e tre servono, 0 ponno servire, secondo i casi, al doppio scopo? O vi è anche qui, come in tant’altri organi, una divisione del lavoro fisiologico? Abbiamo visto come questa questione sia già stata ventilata e discussa da insigni anatomici, e come le loro con- clusioni siano le più disparate e contraddittorie che si possano - immaginare. L’unico modo di risolverla con assoluta certezza sarebbe il poter istituire delle vivisezioni su femmine d’ Halma- turus fecondate o partorienti; ma, in mancanza di ciò, vi sono delle ragioni anatomiche, che lasciano chiaramente vedere il si- gnificato e la funzionalità delle varie parti. Anzitutto, se c'è una comunicazione diretta e ampia tra la vagina mediana e il vestibolo genitale, e se questa ‘comunica.’ zione è piuttosto in via di sviluppo, che di riduzione, è segno ch’essa è utile e funzionante; chè se non servisse a nulla, o non si sarebbe formata, 0, formatasi, si sarebbe poi, per disuso, atro- fizzata, come succede di tutti gli organi inoperosi, che col tempo, 248 G. CATTANEO, divengono rudimentali. Quell’apertura è la via più diretta, che mette in comunicazione i musi di tinca col vestibolo genitale; è anche la via più facile e ampia, in confronto con quella of- ferta dalle strettissime e tortuose e lunghe vagine laterali. Le condizioni meccaniche del parto indicano dunque la vagina me- diana come la via normale d’uscita del feto; e in ciò sono or- mai d’accordo i principali autori. Quanto all’ascesa dei nema- spermi, essa potrebbe farsi o per la vagina mediana, o per le vagine laterali. Ma il Carus ha fatto osservare che il fondo della vagina è bensì aperto nella femmina adulta; ma se questa è vergine, 0 molto lontana ancora dall’epoca del parto, i labbri della fessura sono tra loro avvicinati e agglutinati; talchè è bensì possibile che il feto, spinto dalle contrazioni muscolari della vagina media, stacchi i due labbri aderenti, e s’apra la via, dal di dentro al di fuori; ma non par possibile che possan fare lo stesso i nemaspermi, dal di fuori al di dentro, non es- sendovi una causa dinamica adeguata che possa produrre tale effetto. La via della vagina media par dunque chiusa, almeno nei casi normali, alla salita dei nemaspermi. È loro aperta in- vece la via delle vagine laterali; ed è tanto più probabile che sia questa la via normale d’ascesa, quando si pensa che, in cor- rispondenza alla disposizione bipartita dell'organo femmineo; pur l'organo copulatore maschile è bifido in molti Marsupiali. Anzi sarebbe molto utile per questa questione uno studio esatto sulla forma del pene nelle diverse specie di Marsupiali, e sul modo d’ejaculazione del liquido seminale. Nessuna ragione però esclude che quando, per caso anomalo o patologico, la fessura mediana rimanga aperta anche in tempo iontano dalla gravidanza, non possano anche per tale via salire i nemaspermi. In conclusione però il concetto del Carus e dell’Alix sulla funzione embrio- fora della vagina media e spermatofora delle anse laterali sem- bra essere quello che meglio si accorda coi fatti osservati, e più s'avvicina alla verità. Questione interessante, per l’anatomia e fisiologia dei Marsu- piali, è quella relativa al grado di sviluppo del feto al momento | SUGLI ORGANI RIPRODUTTORI. FEMMINILI, ECC. 249 del parto. Si sa che la gravidanza uterina dei Marsupiali è brevissima (circa 40 giorni); e che invece assai più lungo è il . tempo di dimora del neonato entro il marsupio (circa 300 giorni). Inoltre si sa che il feto dei Marsupiali, appena partorito, è pic- colissimo, incapace di muoversi, e insomma meno sviluppato che quello dei mammiferi superiori. Per tali ragioni parecchi pen- sarono che il feto dei Marsupiali venga partorito ancora in- completo, e che esso continui il suo sviluppo embrionale entro il marsupio; che insomma nei Marsupiali vi sia una doppia gra- vidanza: una nell’utero, e una, susseguente; nel marsupio °°. Codesta gravidanza extra-uterina (Zweite oder marsupial-Ge- burt) è stata ‘contraddetta da parecchi, tra cui dal Leisering. E infatti, intendendola in senso troppo lato, si può dire ch’essa è una esagerazione. Realmente il feto dei Kanguri nasce quasi com- pleto, e la dimora nel marsupio fisiologicamente corrisponde, in gran parte, al periodo dell’allattamento degli altri mammiferi. Però non si può negare che, nei primi tempi almeno della vita marsupiale, non abbia luogo un complemento dell’evoluzione em- briologica. Infatti, all'istante della nascita, il feto è completo per certe parti, ma ancora alquanto incompleto per altre. Esso ha diaframma chiuso, cuore e polmoni sviluppati, come nell’ adulto; presenta già l’aorta, con un bulbo, da cui derivano le carotidi e le succlavie; e possiede la vena porta, risultante dall’ unione della vena mesenterica con la vitellina, o onfalomeseraica. Il feto nascente presenta però uno stomaco semplice, come quello dei carnivori, un fegato a due lobi simmetrici, e un sistema ner- 23 L’OwEN osservò l’accoppiamento dei due Kanguri al 27 agosto 1833; e al 4 ot- tobre il feto fu, dalla madre, recato nel marsupio. Il tempo di gravidanza sarebbe dunque di 38-39 giorni circa. Il LEISERING osservò l’accoppiamento, il parto, l’en- trata e l’uscita dal marsupio nel 1846-47, e constatò che la durata dell’allevamento marsupiale è di circa 43 settimane. Il tempo totale, che intercede tra il concepimento e l’uscita dal marsupio, sarebbe dunque, secondo l’OwEN e il LersERING di circa 340 giorni, ossia d’oltre 11 mesi. Di quel periodo, i #/,, son rappresentati dalla vita ute- rina e i ‘°/,, dalla vita marsupiale. — Vedi: LeIsERING. Uber die Fortpflanzung des Kanguruh. — Troschel’s Archiv. 1849; Owen. On the gen. of the Marsupial animals — Phil. Trans. 1834, e: Anat. of vertebr. Vol. III. London 1868. 250 G. CATTANEO, voso rudimentale. Invece l'adulto ha uno stomaco lunghissimo, sacculato e ravvolto ad ansa °*, un sistema nervoso abbastanza bene sviluppato, e un fegato impari; chè uno dei due lobi sì è ridotto, ed è divenuto una piccola appendice, detta lobo spige- liano. Nell’Hypsiprymnus poi il lobo spigeliano è completamente atrofizzato *°. Ora, tutte queste modificazioni, che avvengono dopo la nascita, e prima dell’uscita del piccolo dal marsupio, devono necessariamente aver luogo durante la vita marsupiale, e spe- cialmente nei primi mesi. Dobbiam dunque concludere che il feto dei marsupiali nasce alquanto immaturo, e che il tempo di di- mora entro il marsupio è un periodo non solo di nutrizione e di accrescimento, ma anche di svolgimento; è insomma, almeno in sul principio, una continuazione dello sviluppo embrionale. Dal Laboratorio d’Anatomia e Fisiologia comparate dell’ Università di Pavia, dicembre 1881. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. Figli Organi riproduttori femminili dell’ Ha/maturus Bennettii, veduti dallo loro parte ventrale. (? , gr. nat). a Ovarî. b Tube fallopiane o ovidotti. o Padiglione, o orificio dilatato dell’ovidotto. ec Uteri. d Vagine laterali ad ansa. e Vagina mediana. f Canale uretro-genitale. g Ureteri. h Vescica urinaria. î Uretra. Z Schema del fondo cieco più lungo della vagina mediana, 24 ScHAEFER and WILLIAMS. On the structure of the stomach in the Kanguroos. — Proceedings of the Zool. Society. London 1876; e: Gracomo CATTANEO. Contribuzione all’Anatomia comparata dello stomaco dei Kanguri. Bollettino scientifico. Pavia 1881. 25 GARROD, On the Kangaroo called Malmatwrus Vectuosus, and its affinities. — Proceedings of the Zool. Society. London 1875, Milano, Ut. Fonchi SZ er TA CI en E II AT LIZA 19) , ] N SITA diiggggé GL, e / 44, 1), SLIM ; YZ, i CUMULI Afti d. Soc.it.d. Sc.nat.Vol.XXIV, Tav.5 zo, Li ra DALLE SEA e0. Halmaturus Bennettii DS sci is L È PE TI na. fe lt b Ferac aiar SO et ee e | altaneo dis SUGLI ORGANI RIPRODUTTORI FEMMINILI, ECC. 251 Fia. IT. Organi riproduttori femminili dell’ Ha/maturus Bennettii, veduti dalla loro parte lorsale (2', gr. nat... i a Ovarî. b Tube fallopiane o ovidotti. o Padiglione, o orificio dilatato dell’ovidotto. c Uteri. d Vagine laterali ad ansa. e Vagina mediana. f Canale uretro-genitale. 9g Ureteri. h Vescica urinaria. m Schema del fondo cieco più corto della vagina mediana. Fia, III Vagina mediana, aperta dalla parte ventrale (grand. nat.). Uteri. Vagine laterali. Vagina mediana sparata. =“ 0a Canale uretro-genitale. e Muso di tinca (os fincae) dell’utero. os Orifizî vaginali superiori. p Fondo cieco breve della vagina mediana. q Fondo cieco lungo della vagina mediana. » Setto della vagina mediana. Fia. IV. Vagina mediana e canale uretro-genitale, tagliati dalla parte dorsale, per mostrare a superficie interna della parte ventrale (grand. nat.). ec Uteri. Vagine laterali. Canale uretro-genitale. Fondo cieco breve della vagina mediana. Orifizî vaginali inferiori. +. Ru Schema del fondo cieco lungo della vagina mediana. u Infossatura a fondo cieco. Tubercolo del meato urinario. Meato urinario. a S Rialzo mucoso, o piega mucosa. w Pieghe semilunari. LA VULPES MELANOGASTRA Bp. Nota del Dott. Crsare LEPORI. Se la sorte non mi fosse stata contraria, ed avessi potuto ottenere ciò che ha costituito e costituisce sempre le aspira- zioni di tutta la mia vita, ossia la nomina di professore di Zoo- logia e rami annessi in questa Università di Cagliari, avrei continuato la pubblicazione del sunto delle mie lezioni, fatte durante sette lunghi anni successivi d’incarico ufficiale di quel- l'insegnamento in questa stessa Università, intarsiandovi il ca- talogo delle specie zoologiche della Sardegna finora conosciute per gli studî altrui, le nuove da me trovate e le mie partico- lari osservazioni su di esse, come già avevo promesso nella prima dispensa di quell’opera. A quest’ora forse quel lavoro sì trove- rebbe a buon punto, ma la sorte ha disposto diversamente; e quindi io, costretto a rinunciare, almeno temporaneamente, a quella pubblicazione, mi limiterò ora a rendere di pubblica ra- gione alla spicciolata alcune di queste mie osservazioni, a mi- sura che la cortesia dei direttori dei nostri giornali scientifici di Storia Naturale mi permetterà di poter inserire in mezzo agli altri, certamente più interessanti, anche i miei modestis- simi lavori. — E per cominciare con un mammifero, terrò conto in questa nota soltanto della Vulpes melanogastra, o Canis me- lanogaster, coi quali nomi la distinse C. L. Bonaparte, il’ fon- datore di questa nuova specie di volpe. Veramente, a voler esser giusti, il Bonaparte non pretende —. in modo assoluto che la sua Vulpes melanogastra costituisca una specie distinta, e lo si può desumere da queste sue parole: LA VULPES MELANOGASTRA BP. 1909 _“ Varietà, razza, o specie che sia il nostro Canis melanogaster questo sosterremo, che esso è distinto dal Canis Vulpes delle parti settentrionali e medie di Europa al pari del C. fulvus, del C. cinereo-argentatus e del C. niloticus ammessi come specie dal massimo numero dai Naturalisti; e così distinto per l’ap- i punto come è la nostra passera comune (Zringillu cisalpina) da | quella del resto d’ Europa (Zringilla domestica). , Pare adunque che alcuni dubbî fossero nati nella sua mente. Ciò non ostante è impossibile non accorgersi che una certa ten- denza predominava in lui a volerla considerare come specie di- stinta, appoggiandosi in certo qual modo all’ autorità del pro- fessore Paolo Savi, il quale, prima incerto, lo assicurava in seguito di essere pienamente persuaso della diversità specifica della volpe italiana da quella del settentrione dopo i confronti che aveva instituiti. E poichè abbiamo citato il Savi, ci sia per- messo qui in passando di far notare come la sua osservazione sulla diversità del pelo nei volpini poppanti, lungo, biancastro e simile alla lana pecorina in quelli del settentrione, ed all’op- posto corto e grigio cenerino nei nostrali, alla quale il Bona- parte annette una grande importanza, non sembrerà più tale se si considera la grande diversità del clima e l’estrema varia- bilità del colore e della lunghezza del pelo di una stessa specie zoologica secondo i diversi paesi, o secondo le diverse regioni più o meno elevate dello stesso paese. Ne faccia fede lo sco- jattolo comune. D'altronde a questo riguardo si rende neces- sario un numero assai grande di osservazioni per poter asse- verare con certezza che i caratteri dei poppanti di una specie non si presentino, sia pure accidentalmente, in quelli dell'altra; e non risulta che il Savi abbia fatto tanto, e se, anche volen- . dolo, avesse potuto farlo, poichè la cosa riuscirebbe molto diffi- cile anche in Sardegna, dove la volpe è tanto comune. Ma passiamo ora a vedere quale sia stato il criterio su cui il Bonaparte si è basato per considerare come specie distinta la sua Vulpes melanogastra. Questo criterio è senza dubbio quello che serve a tutti coloro che sono vaghi di creare nuove ; 254 i I BU LEPORI, specie, e che, bene applicato, è certamente di una solidità in- contrastabile.* Sentiamo ora come egli discorre a questo propo- sito, e se, nel caso pratico, abbia fatto una giusta applicazione dei principî che professa. tol@ “ Nel regno dei corpi organici, egli dice, dovunque ci si pre- senta differenza costante di caratteri, ivi non esitiamo ad am- mettere francamente specie distinte; sembrandoci che non basti . presumere, ma che sia necessario poter dimostrare la variabilità dei caratteri per sentenziare con fondamento che più esseri di apparenza diversa siano varietà o razza di una specie medesima. E se in questo stesso gruppo Vulpes gli zoologi sono stati con- cordi finora nel considerare come specie distinte esseri per sal tanto analoghi che nulla più, forse ciò viene dalla impossibilità in cui tutti si sono trovati di raccogliere le prove della riso- luzione dei caratteri dell'uno in quelli dell’altro ,. Ora, se a me potesse riuscire di provare che i caratteri della Vulpes melanogastra si risolvono facilmente in quelli della vewl- garis, credo che nessuno potrebbe più mettere in dubbio l’iden- tità delle due specie, e ciò è quanto io mi propongo di svolgere nella presente nota. Esaminiamo adunque i caratteri che servirono di base al Bo- naparte per stabilire la sua nuova specie. Sono i seguenti: Vulpes fulva subtus nigricans; artubus antice, auriculis po- stice nigris; caudae ‘apice albo. Passiamoli in rassegna: Vulpes fulva subtus nigricans. Non mi tratterrò a discorrere del color fulvo generale dell'animale, chè a nessuno verrebbe in testa di sostenere esservi differenza sensibile fra le due pretese specie; mi limiterò al subtus nigricans che servì a dare il nome alla specie. Ma neppure riguardo a questo havvi bisogno di spen- dere molte parole; mi gioverò di quanto dice in proposito lo stesso Bonaparte. Sentiamolo. “ La circostanza del ventre nero, da cui è preso il nome ap- plicato alla nostra volpe, non è la sola, nè la più sicura per cui si distingue dal Canis vulpes di Linneo. Questo nero spa- E N N LA VULPES MELANOGASTRA BP. 255 risce nell'estate, come abbiamo già detto, e neppure nelle altre stagioni è sempre di una medesima intensità. E poi la specie Linneana assume anch'essa qualche volta le tinte scure del ventre, ed un bell’esempio ne abbiamo in una figura riportata fra quelle della Fauna scandinavica del sig. prof. Nilson. , . Sarebbe veramente il caso di dire che nel Bonaparte habe- mus reum confitentem. Il carattere più spiccato, quello di cui si valse per dare il nome alla specie si rinviene (e sia pure qual- che volta soltanto), nella specie Linneana. Non basta. Svanisce questo carattere nell’estate, e neppure nelle altre stagioni è sempre della medesima intensità; ed io mi trovo in grado di poter aggiungere, appoggiandomi a buon numero di osservazioni, *che spesso, assai spesso, manca del tutto. Come dunque un carattere tanto variabile per la sua inten- sità, capace di presentare, direi quasi, infinite gradazioni; che può esistere e può mancare intieramente nell’uno e nell’altro animale, si possa prendere per base a costituire una nuova specie, io lascio considerarlo ad ogni zoologo di buon senso, e non mi tratterrò più a lungo a confutarlo. Non posso però di- spensarmi dal citare qui un brano dell’opera del Cetti “ I Qua- drupedi di Sardegna , col quale chiude il suo articolo sulla volpe, perchè mi pare che esso debba gettare molta luce sulla causa della maggiore appariscenza del color nero sulle parti inferiori della volpe di Bonaparte. “ Mentre la secchezza, dice il Cetti, influisce nella mole della volpe, il tepor del clima influisce nel suo pelo, facendolo raro e breve e grosso. Non ostante però il tepor del clima sonosi uccise volpi, che altri avrebbe giurato venute dalla Nuova-Zembla, sì erano candide. Il color comune declina al fosco, al nero; ciò proviene in parte dalla brevità dei peli maggiori, che lasciano travedere più dell’oscura la- netta !. |, Senza farvi molti commenti io richiamo l’attenzione del let- tore specialmente sull’ultima parte di questo brano. È chiaro 1 Un magnifico esemplare di varietà albina proveniente da Laconi esiste nel nostro Museo. 256 C. LEPORI, che la relativa quantità e lunghezza dei peli lunghi e della sottoposta lanugine deve influire sull’apparenza più o meno in- tensa del colore delle parti sulle quali s' impiantano; — mentre da altra parte la diversità del clima deve influire alla sua volta sul relativo sviluppo in lunghezza e foltezza della medesima la- nugine e dei peli medesimi. Ma tiriamo avanti, poichè non in- tendo di annettere molta importanza a quest’argomentazione, contentandomi solo di avervi rivolto l’attenzione degli zoologi. Artubus antice, auriculis postice nigris. Sono caratteri comuni a tutte due le pretese specie, senza che neppure un’ ombra di differenza apparisca in essi. Mentre scrivo mi stanno presenti due esemplari di volpi, uno di Sardegna, l’altro proveniente dal Piemonte, ed è la vulgaris; ma nessuna diversità si può os” servare a questo proposito. Dirò anzi che il colore nero della parte anteriore degli arti è più pronunciato nell’ esemplare pie- montese che in quello di Sardegna. D'altronde questo è un ca- rattere molto soggetto a variare nell’ estensione e nell’ intensità, come mi risulta dall'esame di alcuni esemplari sardi esistenti nella collezione del nostro Museo, e di moltissimi altri osservati nei negozî di pellicceria, ove a centinaia si possono vedere le pelli di volpi. È sopra questi specialmente che ic ho fatto le mie osservazioni. Caudae apice albo. Bonaparte non dice esplicitamente se que- sto carattere appartenga solamente alla specie da lui descritta; e l’averlo egli accennato nella diagnosi non ci può autorizzare a presumere che egli abbia voluto considerarlo come un carat- tere esclusivo della sua Vulpes melanogastra. Non posso com- prendere però come egli gli abbia accordato tale importanza da meritargli un posto distinto nella descrizione dell’ animale. In- fatti, e lo stesso Bonaparte ne conviene, la punta della coda ora è bianca, ora è nera affatto, presentando numerosissime gradazioni da individuo a individuo. Entriamo ‘in un negozio di pellicceria e facciamoci mostrare tutte le pelli di volpe che vi esistono, e sarà difficile trovare due esemplari che abbiano la punta della coda affatto identica per il colore. La vedremo in rr — _ _ , e — 1 ——————’_reilt' HW LA VULPES MELANOGASTRA BP. 257 alcuni totalmente bianca; in altri, pure bianca, ma con minor numero di peli; in altri con soltanto alcuni peli bianchi; ed in altri ancora la punta più o meno nera. Ciò dipende dalla di- versa stagione e dalla diversa età in cui venne cacciato l’ani- male. Ma tutto questo non dà un'impronta speciale alla Vulpes melanogastra ; ed io credo che la stessa cosa succeda nella Vulpes vulgaris, come si può argomentare dalle descrizioni che troviamo nei diversi autori. È bensì vero che alcuni di questi, descrivendo la Vulpes vulgaris, assegnano ad essa per carattere la punta della coda nera, e fra questi posso qui annoverare il nostro prof. Cor- nalia, * il quale in materia di Mammalogia è fuori dubbio l’auto- rità più competente in Italia; ma questo è certamente un er- ròore; ed io non so da che abbia potuto avere origine. L’ esem- plare di Vulpes vulgaris proveniente dal Piemonte che trovasi nella collezione del nostro Museo ha la punta della coda bianca, e ciò va perfettamente d'accordo colla descrizione della Vulpes vulgaris o Canis vulpes di Linneo che ne dà il Cuvier nella sua grande opera Il regno animale. Apriamo infatti questo li- bro, e vedremo che egli incomincia la descrizione della volpe ordinaria o Canis vulpes di Linneo colle seguenti parole: Plus ou mons roux, le bout de la queue blanc. Ora, come si po- trebbero spiegare queste asserzioni contraddittorie di diversi autori in ciò che altro non è se non una semplice constata- zione di un fatto? La cosa è facilissima. L’ estremità della coda per quanto riguarda il suo colore deve subire gli stessi cambiamenti tanto nella Vulpes vulgaris quanto nella melano- gastra, e quindi presentarsi ora più o meno bianca, ora più o meno nera, a seconda della diversa età e della diversa stagione. Prescindendo pure dall’argomento della Vulpes vulga- ris piemontese esistente nel nostro Museo, io credo che nessuno vorrà mettere in dubbio che Cuvier abbia bene osservato, come non metto in dubbio io che abbiano bene osservato gli altri che 4 Fauna d’Italia. Vol. XXIV. 17 258 C. LEPORI, dicono il contrario; a tutti si deve dar ragione purchè si abbi: cura di rammentare il noto adagio dei giureconsulti: Disting u tempora et concordabis jura. Si può dire dunque essere carat. tere esclusivo della Vulpes melanogastra l’apice della coda bianco ? Non lo è affatto; come parimenti non è esclusivo della Vulpes vulgaris l’apice della coda nero. Nell’una e nell'altra si pre- senta ora bianco, ora nero, e nell’una e nell’ altra devono mani- festarsi numerose insensibili gradazioni nel passare dall’ uno al- l’altro colore. Sarebbe interessante di studiare le condizioni, di età o di stagione, sotto le quali questi mutamenti avvengono; ma tale studio non è così facile, come a prima giunta potrebbe sembrare. Del resto basta al nostro scopo l’aver constatato che tali mutamenti avvengono. Ed ecco adunque che anche il ca- rattere caudae apice albo, indicato da Bonaparte, e da altri ri- tenuto esclusivo della Vulpes melanogastra, perde il suo valore. Io non posso però lasciare la coda della Vulpes melanoga- stra senza accennare ad un carattere di cui nessuno degli au- tori che io ho potuto consultare, nemmeno lo stesso Bonaparte, ha tenuto conto; carattere che per altro si vede assai chiaro nella bellissima figura che ne dà il Bonaparte nella sua Iconografia della Fauna italica. Voglio dire il carattere degli anelli alterni fulvi e neri che si osservano per tutta l’estensione della coda, e che la rendono tanto elegante. Questo carattere però si rin- viene soltanto in un limitato numero d’ individui, forse solamente nei più perfetti. Fra gli esemplari che esistono nella collezione del nostro Museo nessuno lo mostra; e, se ci rechiamo ad un negozio di pellicceria, ne vedremo soltanto alcuni in mezzo ad un gran numero di pelli. È ciò appunto che mi fa supporre ap- partenere questo carattere solo agli individui più perfetti, o più adulti, od anche più vecchi, giacchè è noto che le volpi vecchie si cacciano più difficilmente delle giovani. Coi mezzi che sono a mia disposizione, io non posso accertarmi se tale carattere si ritrovi eziandio nella Vulpes vulgaris; ma se fosse il contrario, ed appartenesse esclusivamente alla Vul/pes melanogastra, io son di parere che nella presenza di questi anelli alterni fulvi e neri LA VULPES MELANOGASTRA BP. 259 della coda, si avrebbe un carattere di un valore molto più si- curo per costituire, non una specie nuova, ma una varietà ben distinta di Vulpes vulgaris, alla quale meglio si adatterebbe il nome di Vulpes uro-anulata. Intanto io prometto di occuparmi dello studio di questo carattere nella Vulpes melanogastra per conoscere come, quando od in quali individui si sviluppi, invi- tando nello stesso tempo quegli zoologi che si trovano in condi- zioni di poterlo fare, a verificare se si rinvenga, e quando, an- che nella vulgaris. Passati in rassegna e confutati i caratteri indicati nella dia- gnosi, rimane ora a discorrere degli altri, dall’ insieme dei quali, più che dai precedenti, presi isolatamente, il Bonaparte induce la differenza specifica delle due volpi: “ Costante è però, dice in proposito il Bonaparte, la diversa proporzione delle parti. La nostra volpe, benchè abbia le dimensioni generali alquanto più piccole, ha la testa più grande, e questa forma circa il terzo della lunghezza del tronco dell’animale, mentre nel Cumiîs vulpes corrisponde presso a poco al quarto. Le orecchiette e in pro- porzione e assolutamente sono più corte. Le zampe di dietro sogliono essere d’un’altezza uguale in ambedue le specie, ma siccome nel Canis melanogaster le anteriori sono assai più brevi, ne risulta una sproporzione fra le une e le altre molto mag- giore in essa che nel Canis vulpes. , Diamo un rapido sguardo anche a questi caratteri. È cosa abbastanza nota che nei climi caldi le stesse specie di animali, del pari che le stesse specie di piante în genere, mentre hanno uno sviluppo più precoce che nei climi freddi assumono all’incontro dimensioni più piccole; quasi che il troppo celere sviluppo non lasci tempo agli esseri organizzati di rag- giungere quelle dimensioni che uno sviluppo più lento permette . ad essi di raggiungere nei climi freddi. In Sardegna, per esem- | pio, il di cui clima, se non si può dir caldo, perchè mai da noi sì manifesta in estate quel calore soffocante che si soffre in molti altri paesi, anche un po’ settentrionali, merita almeno l’ap- pellativo di molto temperato; giacchè il nostro inverno, fatta 260 «©. LEPORI, eccezione di qualche rara giornata un poco rigida, si può “6 una continua primavera. Ebbene, gli animali tutti in Sardegna sono di piccola statura, e così pure la volpe. “ Il decremento di mole, dice il Cetti parlando della volpe, rilevato in tanti dei passati quadrupedi, cade pure sotto la volpe. La volpe sarda sarà un terzo meno in peso di una volpe comune d’Italia. , Io non starò qui ad indagare quale sia la causa, o quali le cause, forse mol- teplici, di questo decremento di sviluppo nei nostri animali di Sardegna ; farò solo notare che quanto si può dire a questo ri- guardo della Sardegna è applicabile anche a tutti quelli altri paesi, i quali, secondo Bonaparte, costituiscono la patria della sua Vulpes melanogastra, e sono la Toscana, la Romagna, il re- gno di Napoli e la Sicilia. Infatti il clima di questi paesi si av- vicina di molto a quello di Sardegna, e se la statura della volpe, come asserisce lo stesso Bonaparte, è anche minore in Sarde- gna, ciò deve attribuirsi, senza dubbio, all'essere le condizioni climatologiche del paese che influiscono sulla statura degli ani- mali più pronunciate in essa che nelle altre località. Io non sarei alieno dal prestar fede all'opinione del Cetti, il quale, come sopra abbiamo visto, ripone nella secchezza del clima la causa precipua del decremento di mole della volpe, e per conseguenza anche degli altri animali. Qual meraviglia adunque che la volpe di questi paesi meridionali abbia minore statura di quella del settentrione? Ma come poi spiegare la diversa proporzione delle parti? Debbo far precedere che il Bonaparte ha esagerato non poco nello stabilire le relative proporzioni delle partij e chiunque vo- glia mettere in rapporto la descrizione che egli fa dell’animale colla figura che lo rappresenta nella sua Iconografia della Fauna italica, si accorgerà di leggieri di tale esagerazione. Chi infatti, esaminando la figura, potrà avere il coraggio di dire che la testa formi circa il terzo della lunghezza del tronco dell’ani- male? E nemmeno tanto sensibile apparisce la sproporzione fra le estremità posteriori e le anteriori. (‘he se poi questi con- fronti si vorranno instituire sopra animali preparati, 0, meglio PART UL TT sertà LA VULPES MELANOGASTRA BP. 261 anche, vivi, l’esagerazione della descrizione del Bonaparte appa- rirà anche più evidente. A questo riguardo invito i lettori a confrontare la misura delle diverse parti del corpo indicata da Bonaparte nell’opera citata per la sua Vulpes melanogastra con quella indicata da Chenu nella sua Encyclopedie d’ Histoire Na- turelle per il Canis vulpes di Linneo, e rileveranno la spropor- zione fra le estremità anteriori e posteriori esistere anche in questa specie, e nello stesso grado. Ma, prescindendo pure dalla sproporzione delle estremità, che, a chiunque voglia esaminare l’animale con animo veramente spregiudicato, non apparirà più pronunciata che nella Vulpes vulgaris, io voglio limitarmi a di- | scorrere della testa. Un fatto che mi ha sempre fortemente colpito nello studiare le cause che concorrono a rendere minore la statura degli ani- mali nei paesi meridionali, si è la debole influenza che desse spiegano sopra certe parti dell'organismo, ed in modo speciale sul cranio. Pare anzi che le potenze riduttrici dello sviluppo non abbiano alcun’azione su di esso. È un fatto questo che possiamo constatare in quasi tutti gli animali. L'uomo stesso non sfugge a questa legge. Gli abitanti della Sardegna sono in generale di molto bassa statura relativamente agli abitanti delle altre re- gioni settentrionali, o meno meridionali, non solo d’ Europa, ma anche dell’Italia stessa; e non pertanto il cranio conserva in essi le stesse dimensioni: ed in rapporto alle dimensioni del cranio trovasi pure lo sviluppo del cervello e dell’intelligenza, checchè ne pensino i nostri vicini del continente, i quali sono usi a considerare i sardi come gente barbara ed inetta, degna di essere lasciata nell’abbandono, e perciò dimenticata sempre, od almeno chiamata per ultima alla partecipazione dei benefizî ed alla distribuzione delle ricompense. Possiamo adunque spiegare in modo assai plausibile le pro- porzioni più pronunciate della testa della Vulpes melanogastra relativamente alle altre parti del corpo, distruggendo così il va- lore, a dire il vero assai problematico, che il Bonaparte vi an- nette per giustificare la creazione della nuova sua specie. Del 262 C. LEPORI, resto si può vedere assai chiaramente nel seguente quadro com- parativo, che inserisco in questa nota, fra la descrizione che dà il Bonaparte della Vulpes melanogastra e quella che dà lo Chenu del Canis vulpes Lin., come le proporzioni della testa anche in quest’ultima specie siano considerevolmente pronunciate. QUADRO COMPARATIVO dei caratteri assegnati da Bonaparte alla Vulpes melanogastra e da Chenu al Canis vulpes Lin. BONAPARTE. Vulpes melanogastra. Il capo è piuttosto grosso, con muso aguzzo e fronte depressa; orecchiette erette, acute ; occhi molto obliqui, iride fosca; coda folta, grande, che tocca terra. Il color generale è un fulvo più o meno oscuro ed il pelame consiste in una lanugine breve, frammista a lunghi peli. La lanugine è folta, di color grigio scuro alla base e fulvo all’apice. I peli lunghi sono neri alla base, quindi biancastri per lungo tratto, e fulvi nel solo apice; alcuni però sono total- mente neri, e molti di questi si riuni- scono per formare superiormente una specie di collare o di giogo poco pro- nunziato. CHENU. Canis vulpes Lin. Museau effilé ; téte assez grosse, à front aplati; oreilles droites, pointues ; yeux très-inclinés; queue grande, touchant la terre, extréè- mement touffue; pelage composé de poils longs et épais, d’un fauve plus o moins foncé, sem- blables sur le corps et sur la queue. (Questo brano non ha riscontro nella descrizione dello Chenu, ma tutto quanto ivi è indicato si trova pure nel Canis vulpes.) LA VULPES MELANOGASTRA BP. Di color bianco sono le labbra, il contorno della bocca, la porzione in- feriore delle gote e 1’ estremità della mascella inferiore. Il muso è rossa- stro con qualche mistura di tinta nera intorno agli occhi, la quale s’inoltra verso i baffi e va a tagliare il bianco del contorno della bocca. Baffi lunghi, folti, neri. Gola, petto, pancia e lato interiore delle cosce di color nero quasi velato d’una rugiada biancastra, perchè molti peli, particolarmente quelli posti verso i lati, hanno l'estremità bianca. La parte posteriore delle orecchiette è nera morata. La faccia anteriore delle zampe è nera specialmente verso il basso, e il resto fulvo misto di grigio e di bian- chiccio come il corpo; le zampe po- steriori sono d’ un color fulvo più chiaro e più uniforme nel lato di dietro. La coda ha non pochi peli termi- nati di biancastro e di nero, ed infe- riormente regna per tutta la sua lun- ghezza una striscia nera; negli indi- vidui perfetti essa ha un fiocchetto di peli bianchi all’ estremità. (Il Bonaparte termina la sua descri- zione dicendo che tutte le parti del corpo descritte come nere divengono bianche in estate, e fa rilevare i varî 263 lèvres, tour de la bouche, màchoire inférieure, devant du cou, gorge, ven- tre, intérieur des cuisses, blances; mu- seau roux; (Questi sarebbero veramente i ca- ratteri differenziali della Vulpes me- lanogastra; ma abbiamo veduto già sopra come non siano esclusivi di questa, e si trovino pure, sebbene non costantemente, nel Canis vulpes. Ri- chiamo l’attenzione del lettore alle parole: “ quasi velato d’ una rugiada biancastra. , derrière des oreilles d’un brun noir; pattes d’un brun foncé en avant; (i caratteri che vengono in seguito nella descrizione del Bonaparte esi- stono pure nel Canis vulpes.) queue terminée par des poils noirs. (qui lo Chenu ripete l'errore in cui è caduto anche il Cornalia, e che io ho fatto già rilevare più sopra.) (Lo Chenu invece conchiude in questo modo: «“ Dans cette espèce, le pelage peut varier plus o moins considérablement, 264 C. LEPORI. cambiamenti di colore che avvengono et il peut ainsi se produire des varié - nelle altre parti del corpo, non esclusa tés constantes que quelques auteurs la estremità della coda, la quale va a ont mème regardées, probablement @ perdere il fiocco di peli bianchi.) tort, comme étant des véritables e- spèces. ,, ) È Il confronto di queste due descrizioni è troppo eloquente per indurci a dover confessare come il Bonaparte abbia caricato troppo le tinte nel mettere in rilievo i caratteri differenziali delle due forme di volpi. Del resto, ammesso pure per ipotesi che sia vero, senza restrizione alcuna, quanto egli assevera per riguardo ai medesimi, io non so comprendere come da ciò se ne debba trarre per logica conseguenza che quei due animali co- stituiscono due specie distinte. Se si tien conto della variabilità estrema che i predetti caratteri presentano nella loro esistenza e nella loro intensità, e dell'influenza che le diverse condizioni geografiche e climatologiche possono esercitare sui medesimi, noi ci convinceremo che le due forme di volpi, ritenute da Bonaparte ed altri, per due specie distinte, non ostante una leggierissima apparenza di diversità, costituiscano una sola ed identica .specie, divisibile tutt'al più in due varietà geografiche, quella dei paesi meridionali e quella dei paesi settentrionali.' Dal Museo zoologico dell’ Università di Cagliari, dicembre 1881. i Rilevo dal Cornalia che il Wagner e Keyserling considerano la Vulpes melano- gastra come specie distinta dalla vu/garis, il Blasius invece opina il contrario; ma io non ho potuto avere l’opportunità di leggere le loro opere. Il più grande ostacolo, per chi trovasi in Sardegna, alla pubblicazione di lavori scientifici è l'immensa dif- ficoltà di procurarsi i mezzi bibliografici necessarî. ro e w—————————— ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO OD IN CAMBIO ALLA BIBLIOTECA SOCIALE NELL'ANNO 1881. PUBBLICAZIONI PERIODICHE DI SOCIETÀ ED ACCADEMIE SCIENTIFICHE. Italia. Bullettino Meteorologico dell’ Osservatorio del E. Collegio Carlo Alberto in Monca- lieri. — Torino, 1880, 4°. Vol. XV, N. 7-12. Bollettino decadico di detto Osservatorio. — Torino, 1881, 8°. Anno X, N. 2-10. Bollettino mensuale di detto Osservatorio. — Torino, 1881, 8°. Serie II, Vol. I, N. 1-8. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. — Torino, 1881. Vol. XVI, disp. 2-7. Bullettino dell’Osservatorio della R. Università di Torino. — Torino, 1881, 4°. Anno XV. Giornale della Società di Letture e Conversazioni scientifiche di Genova. — Genova, 1880, 8°. Anno IV, fasc. 10-11; Anno V, fase. 1-10. Bullettino dell’ Agricoltura. Milano, 1880, 4°. Anno XIV, N. 52; Anno XV, N. 1-51. Bullettino necrologico mensile del Comune di Milano. — Milano, 1880, 4°. Anno 1880, novembre, dicembre; Anno 1881, gennajo-agosto. Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di scienze e lettere. — Milano, 1880, 8°. Se- rie II, Vol. XIII, fase. 19 e 20; Vol. XIV, fase. 1-17. Indice dell’anno 1880. Atti dell’Accademia fisio-medico-statistica di Milano. — Milano, 1881. Anno accade- mico 1881. Memorie del Reale Istituto Lombardo di scienze e lettere. — Milano, 1881, 4°. Vol. XIV, fasc. 3. Commentarî dell’ Ateneo di Brescia per gli anni 1880-81. — Brescia, 1880, 8°. Atti della Società Veneto-Trentina di Scienze naturali, residente in Padova. — Pa- dova, 1881, 8°. Vol. VII, fase. 1. Bullettino della detta Società. — Padova, 1881, 8°. T. II, N. 1. ; dui del Reale ‘ Istituto Vonol CH scienze, lettere di arti. — \ . Rendiconto delle Sessioni dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bolo lo ARI Serie V, disp. TalQa) ve o ch'i AA 4 Atti dell’Ateneo Veneto. — Venezia, 1880, % Serio III, Vol III,} I pnt; ISITS (ib cprieani i per: vir esta L’ Ateneo Veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. \ » Seri iN ded AI i L geni sa Pi fig ca Cabo Trieste, 1879, S°. Anno XIV, N. 9; Anno XVI, na XWVILIN..3-12. sli sf dr ADS vo ae. Annuario della Società dei Naturalisti in ioni. _ Mat ba, so, da no o XV, i Serie II, disp 1-3. x soi : Memvrie dell’Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna. — Daogne, 18 81, 4° 35, essi Serie IV, T. II, fasc. 1-3. i Laica 0). Bologna, 1881, 8°. Anno accademico 1880-81. i+ OR 5 Bullettino di Paletnologia Italiana. — Reggio pipi 1880, 8°. Anno ui N.1l : e 12. Indice. satil Alti della Società Toscana di scienze naturali. — Processi verbali: A anni del 9 gennajo, 13 marzo, 8 maggio, 3 luglio 1881. Memorie di detta Società. — Vol. V, fasc. 1. Annuali d’ Agricoltura. (Ministero d’ Agricoltura). — Firenze, 1881, 8°, Anno 1881, N. 34, Bullettino della Società Entomologica italiana. — Firenze, 1881, 8°. Anno SATA IV. Anno XIII, T. LII. i Resoconti delle Adunanze della Società Entomologica italiana. — Fixolueei 1880, 80, Prima adunanza 26 dicembre; 1881, prima adunanza 12 giugno. Processi verbali delle adunanze tenute nell’anno 1879. i na Atti della R. Accademia dei Fisiocritici di Siena. — Siena, 1881, 4°. Serie III, Vol. II, fasc. 2; Vol. III, fasc. 2.63. Bullettino del Naturalista Collettore. — Siena, 1881, 8°. Anno I, N. 7-12. Atti della R. Accademia dei Lincei. — Roma, 1881, 4°. Serie III. Transunti. Vol. V, fasc. 2-14; Vol. VI, fase. 1-2. Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia. — Roma, 1881, 8°. Vol. XII, N. 1-10. Regolamento interno del PR. Comitato Geologico. Roma, 1880, 8°. Atti del Reale Istituto d’Incoraggiamento alle scienze naturali, economiche e tecnolo- giche di Napoli. — Napoli, 1880, 4°. Serie II, T. XVII. Rendiconti della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli. — Napoli, 1880, 4°. Anno XIX, fasc. 11 e 12; Anno XX, fase. 1-7. Annali della Stazione agraria di Caserta. — Caserta, 1881, 8°. Anno VIII. Il Picentino. Salerno, 1881, 8°. Indice dell'Anno XXIII; Anno XXIV, fase. 1-10. Giornale ed Atti della Società di acclimazione e agricoltura in Sicilia. — Palermo, 1880, 8°, Vol. XX, N. 11 e 12; Vol. XXI, N. 1-10. | Il Naturalista siciliano. — Palermo, 1881, 8.° Anno I, N. Le 2. Atti dell’ Accademia Gioenia di scienze naturali in Catania. — Catania, 1879, 4°. Serie III, T. XIII e XIV. : È Ù ea"; ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO, ECC. 267 Francia. Société Linnéenne du Nord de la France. — Bulletin mensuel. Amiens, 1879, 8.0 T. IV, N. 88-90; T. V, N. 91-98. Mémoires de la Société Nationale des sciences naturelles et mathématiques de Cher- bourg. — Paris, 1879, 8.° T. XXII. Bulletin de la Société botanique de France. — Paris, 1880, 8.0 Toldex du T. XXVI, T. XXVII, 1880. Session extraordinaire è Bayonne. T. XXVII, Comptes-Rendus 6; T. XXVII. Revue bibliogr. D-E; Index T. XXVII; T. XXVIII, Comptes-Rendus 1-4; Revue bibliogr. A-C. Bulletin mensuel de la Société d’acclimatation. — Paris, 1880, 8.° 3° Série, T. VII, N. 10; E VIN, 10-11; T.\VIIIN. 1250T. VIII. Nu.t-9 Mémoires de la Société des sciences physiques et naturelles de Bordeaua. — Bara, 1880, 8°. 2e Série, T. IV, cahiers 1-2. Mémoires de V Académie des sciences, belles-lettres et arts de Savoie. Chambéry, 1880, 8°. 3e Série T. VIII. Revue Savoisienne. — Annecy, 1880, 4°. Année 21°, N. 12; Année 22°, N. 1-10. Annales de la Société d’agriculture, histoire naturelle et arts utiles de Lyon. — Lyon, 1880, 8°. 5e Série, T. II, 1879. a Belgio. Bulletin de la Société royale de Botanique de Belgique. — Bruxelles, 1881, 8°. T. XIX, fasc. 1-2. Procès=Verbaua des Séances de la Société royale malacologique de Belgique. — Bru- xelles. 1881, 8.0 Tome X, Année 1881. Séance du janvier-mai; T. VIII, janvier- décembre; T. IX, janvier-octobre. Annales de la Société malacologique de Belgique. — Bruxelles, 1877, 8°. Année 1877, T. XII; Année 1878, T. XIII. Annales de la Société entomologique de Belgique. — Bruxelles, 1880, 8.0 T. XXIII, XXIV. Mémoires couronnés et Mémoires des Savants étrangers publiés par V Académie royale | des sciences, lettres et beaur arts de Belgique. — Bruxelles, 1879, 4°. II© partie, T. XXXIX (2° partie) XLII, XLIII. XLIII (1° partie). Mémoires couronnés et autres mémoires di detta Accademia. — Bruxelles, 1880, 8°. T. XXIX, XXX, XXXII. Bulletins de l’Académie royale des sciences, lettres et beaua arts de Belgique. — Bruxelles, 1878, 8°. 2e Serie, Tomes 46-50, Tables 1858-1878. Annuaire di detta Accademia. — Bruxelles, 1879, 8.° 1879-1881. Paesi Bassi. Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles. — Harlem, 1880, 8°. Tome XV, livrais. 1-5; T. XVI, livr. 1-2. Archives du Musée Teyler. — Harlem; 1881, 8.° Série II, 1re partie. 268 ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO, ECC. Inghilterra. Journal of the Royal Microscopical Society. — London, 1881, 8°. Serie II, Vol. I, parts 1-6. O Proceedings of the Royal Society. — London, 1880, 8°. Vol. XXIX, N. 197-199; Vol. XXX, N. 201-205. Philosophical Transactions of the Royal Society of London. — London, 1879, 4°. Vol. 170, part. I, II; Vol. 171, part. I. Fellows of the Society, december 1, 1879. Palaeontographical Society. London, 1881, 4.° Vol. XXXV. Proceedings of the scientific meetings of the zoological Society of London, for the year 1881, — London, 1881, 8.° Part. I, II, 1880, part. IV. : Transactions of the zoological Society of London. — London, 1881, 4°. Vol. XI, parts 3-5. Memoirs of the literary and philosophical Society of Manchester. — London, 1879, 8.° Third Series, Vol. VI. Proceedings di detta Società. — Manchester, 1877, 8°. Vol. XVI, XIX. Svezia. Entomologisk Titdskrift. — Stockholm, 1880, 8°, Bd. 1, 1880, hàft 3-4; Bd. 1, 1881, hifte 1-2. Bihang till Iongl. Svenska Vetenskaps-Akademiens Handlingar. Stockholm, 1877, 8°. Band 4, hifte 1-2; Bd. 5 hifte 1-2. Ofversigt af k. vetens. Akademiens Fòrhandlingar. — Stockholm, 1877, 8°. Arg. 34-37. Lefnadsteckningar. — Stockholm, 1878, 8°. Bd. 2, hifte 1. Kongliga Svenska Vetenskaps-Akademiens Handlingar. — Stockholm, 1877, 4°. Bd. 14: 2, Bd. 15-17. Atlas. Germania. Schriften der mnaturforschenden Gesellschaft in Danzig. — Danzig, 1881, 8°. Neue Folge, Vol. V, Heft I, II. Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschichte in Mecklenburg. — Neubran- denburg, 1880, $°. 34 Jahr. (1880). Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft. — Berlin, 1880, 8°. Bd. XXXII, Heft. 3; Bd. XXXIII, Heft. 1-2. Palaeontographica. — Cassel, 1881, 4°. Bd. XXVII, lief. 3; Bd. XXVIII, lief. 1-5. XXVIund XXVII Bericht des Vereines fiir Naturkunde zu Cassel. — Cassel, 1880, 8°. Jahrbiicher des Nassauischen Vereins fiir Naturkunde, = Wiesbaden, 1878 u. 1879, 8°; Jabrg. XXXI u. XXXII. Mittheilungen des Vereins fiir Erdkunde zu Halle a. S.1877. Halle, 1877, 80; 1877-1880. Die Naturgesetze. — Leipzig, 1881, 8°; Theil IV, Lief. 9. ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO, ECC. 269 Jenaische Zeitschrift fiir Naturwissenschaft. — Jena, 1881, 8°. Bd, XIV, N. F. Bd. VII; Suppl. H. I; Bd. XV, N. F. VIII, Heft. 1-2. Sitzungs=Berichte der Naturwissens. Gesellschaft Isis in Dresden. — Dresden, 1881, 80, Jahrg. 1880, 1-12. Sitzungsberichte und Abhandlungen der Naturwiss. Gesell. Isis inDresden. — Jahrg. 1881, Januar bis Juni, 57er Jahres-Bericht der Schlesischen Gesellschaft fiir vaterlindische Cultur fiir 1879. Breslau, 1880, 8.0 Bericht tiber die Senckenbergische naturforschende Gesellschaft. — Frankfurt a. M., 1880, 8°; 1879-81. 19er, 20er und 21er Bericht des Offenbacher Vereins fiir Naturkunde. — Offenbach a. M., 1880, 80, Notizblatt des Vereins fir Erdkunde zu Darmstadt. — Darmstadt, 1880, 8°. Folge IV, heft. 1. Verhandlungen der Physikal.-medicin. Gesellschaft in Wiirzburg. — Wiirzburg, 1881, 8°. Neue Folge; Bd. XV, heft. 1-4. Sitzungsberichte der physikalisch-medicinischen Societùit zu Erlangen. — Erlangen, 1880, 8°; 1880, heft. 12. Sitzungsberichte der mathematisch.=physikalischen Classe der K: bayer. Akademie der Wissenschaften zu Miinchen. — Miinchen, 1880, 8°, Jahrg. 1880, Bd. X, Heft. 4; 1881, Heft. 1-4. Abhandlungen di detta Accademia. — Miinchen, 1881, 8°. Bd. XIV, Abth. I. Svizzera. Bulletin de la Société Vaudoise des Sciences Naturelles. — Lausanne, 1880, 8°. 2.0 S., Vol. XVII, N. 84-86. Beitrige zur Geologischen Karte der Schweiz. — Bern, 1880, 4°. 20 Lief., V. XVII. Appendice ed Indice. Atlas., Lief. 14, Abtk. III. Verhandlungen der Schweiz.=Naturforsch. Gesellschaft în Bern. — Bern, 1879, 8°. Jahrevers. 61-63. Mittheilungen der Naturf. Gesellsch. in Bern. — Bern, 1879, 8°. N. 937-1017. Jahres=Bericht der Naturforschenden Gesellschaft Graubiindens. — Chur, 1881, 8°. Neue Folge, Jahrg. XXIII und XXIV. Mémoires de la Société de Physique et d’ Histoire naturelle de Genève. — Genève, 1880, 4°. T. XXVII, I partie. Compte Rendus des Travaux présentés à la 63° Session de la Société Helvétique de Sciences Naturelles réunie a Brigue les 13, 14 et 15 septembre 1880. — Genève, 1880, 8°. Vierteljahrsschrift der Naturforschenden Gesellschaft în Zirich. — Zurich, 1879, 8°. Jahrg. XXIV, heft 1-4. Jahrg XXV, Hoft 1-4. Nouveaux Mémoires de la Société Helvétique -des Sciences Naturelles. Ziirich, 1881, 4°. Vol. XXVIII, livr. 1. Bulletin de la Société des Sciences Naturelles de Neuchdtel. — Neuchàtel, 1881, 8°, T. XII, cahier Ie. 270 ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO, ECC. Austria-Ungheria. Mittheilungen der Anthropologischen Gesellschaft in Wien. — Wien, 1880, 8°. Bd. X,. N. 8-9. Jahrbuch der k. k. Geologischen Reichsanstalt. — Wien, 1880, 8°. Jahrg. 1880. Bd. XXX, N. 4. - Verhandlungen der k. k. Geologischen Reichsanstaît. — Wien, 1880, 8.° Jahrg. 1880, N. 12-18. HoERNES R. e AvuingER M. — Die Gasteropoden der Meeres-Ablagerungen der ersten und zweiten Miocinen Mediterran-Stufe in der Oesterreichisch-Ungarischen Mo- narchie, Lief. 2. Abhandlungen der k. k. Geologischen Reichsanstalt, Bd. XII, Heft. 2. Wien 1880, 40. Verhandlungen der k.k. Zoologisch-botanischen Gesellschaft in Wien. — Wien, 1881, 8°, Bd. XXX. Schriften der Vereines zur Verbreitung naturwissenschaftlicher Kenntnisse in Wien. Wien, 1881, 8°, Bd. XXI. Mittheilungen der l. k. Geographischen Gesellschaft in Wien. — Wien, 1880, 8° Bd. XXIII. Berichte des naturwissenschaftlich-medizinischen Vereines in Innsbruck. — Inn- sbruck, 1881, 8°. Jahrg. XI. Mittheilungen des Vereines der Aerzte in Steiermark. — Graz, 1881, 8°. XVII Ve- reins, 1880. Verhandlungen des Vereins fiir Natur- und Heillkunde zu Presburg. — Presburg, 1880, 8°. Neue Folge, Jahrg. 1873-1875, Heft 3; Jahrg. 1875-1880, Heft 4. Mittheilungen aus dem Jahrbuche der Kn. Ung.-Geologischen Anstalt. — Budapest, 1881, 8°. Bd. IV, Heft 4. Verhandlungen und Mittheilungen des Siebenbiirgischen Vereins fiir Naturwissen- schaften in Hermannstadt. — Hermannstadt, 1881, 8°, XXXI Jahrg. Russia. Bulletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. = Moscou, 1880, 8.9 Année 1880, N. 2-4; Année 1881, N. 1. Mémoires de V Académie impériale des sciences de St. Pétersbourg. — St. Petersbourg. 1880, 4°. VII Série, Tome XXVII, N. 13-14; T. XXVIII, N. 1-6. Bulletin di detta Accademia. Tome XXVII, N. 2. Meddelanden af Societas pro Fauna et Flora Fennica. Helsingfors, 1881, 8.° Hàftet 6-8, Asia. Records of the Geological Survey of India. — Calcutta, 1880, 8°. Vol. XIII, par. 2. Memoîrs of the Geological Survey of India. — Calcutta, 1880, 8°. Vol. XV, part. Vol. XVII, part 2. . ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO, ECC. 271 Memoirs of the Geological Survey of India. Calcutta, 1880, 4°. Paleontologia indica. — Ser. X. — Indian Tertiary and Post-Tertiary Vertebrata. Vol. I. part. IV. R. LyDEKKER. -- Supplement to Crania of Ruminants. Vol. I, part. V, R. LyDEKKER. Siwalik and Narbada Proboscidia. Ser. XIII — WAAGEN WILLIAM. — Salt Range Fossils. 1. Productus, Limestone Fossils. 2. Pisces, Cephalopoda: Supplement. Gasteropoda. Ser. XIV — Tertiary and Upper Cretaceous Fauna of Western India. Vol. I, 1 p. MARTIN Duncan. Sind Fossil Corals and Aleyonaria. America. Contributions to the Archaeology of Missouri, by the archaeological Sections of the St. Louis Academy of Science. — Salem, 1880, 4°. Parts I, Pottery. Memoirs of the Boston Society of natural history. — Boston, 1879, 4°. Vol. III, parts I, number III. Report of the United States Geological Survey of the Territories. — Washington, 1879, 4°. Vol. XII. Report of prof. Joseph Henry, Secretary of the Smithsonian Institution. — Washing- ton, 1867, 8°. Anales del Ministerio de Fomento de la Republica Mexicana. — Mexico, 1881, 80. Tomo IV. Revista cientifica Mexicana. — Mexico, 1880, 4. Tomo I, N. 12-16. Boletin del Ministerio de Fomento de la Republica Mexicana. — Mexico, 1880, 4°, vo e06-2197 TIVI, NOT-137. * Boletin de la Sociedad de Ingenieros de Jalisco. — Guadalajara, 1880, 12°. Tomo 1, N. 3-10. Revista Mensual Climatologica. — Mexico, 1881, 4°. T. I, N. 1-8. Archivos do Museu Nacional do Rio de Janeiro. — Rio de Janeiro, 1878, 49. V. III, 3 e 4 trimestres. Eleventh Annual Report of the U. S. Geological and Geographical Survey of the Territories, embracing Idaho and Wyoming, 1877. — Washington, 1879, 8°. Annual Report of the Board of Regents of the Smithsonian Institution, 1878-79. — Washington, 1879, 8°. Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences. — Boston, 1879, 80. New Series, Vol. VI. Whole Series, Vol. XIV. Vol. VII, part I, II. Proceedings of the Boston Society of natural history. — Boston, 1879, 8°. Vol. XX, part II, III. The Transactions of the Academy of Science of St. Louis. — St. Louis, 1880, 8°. Mal IV, N. 1 Occasional Papers of the Boston Society of nat. history, III. — Boston, 1880, 8°. Con Carta Geologica. 272 ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO, ECC. | Australia. LIVERSIDGE ARCHIBALD. — Report upon certain Museums for Technology, Science, and Art, also upon Scientific, Professional, and Technical Instruction, and Systems of Evening Classes in Great Britain and on the Continent of Europe. — Sydney, 1880, 4°. pe Annual Report of the Department of Mines, New South Wales, for the years 1878, 1879. — Sydney, 1879, 4°. — Maps to accompany Annual Report of the Depart- ment of Mines, New South Wales, for the year 1879. — Sydney, 1880. Journal and Proceedings of the Royal Society of New South Wales, 1879. — Sydney, 1880, 8°. Vol. XIII. PUBBLICAZIONI NON PERIODICHE. ZOOLOGIA. CANESTRINI RIiccARDO. — Insetti ed Acari dannosi alle viti e mezzi per combat- terlî. Padova, 1881, 8°. — — Contribuz. allo studio degli Acari Parassiti degli Insetti. Padova, 1881, 8°. — — Il genere Gamasus e la Fil'ossera. Padova, 1881, 8°. Curò ANTONIO. — Saggio di un Catalogo dei Lepidotteri d’Italia. Parte quinta. Mi- crolepidoptera. — Firenze, 1881, 8°. DE MoRTILLET GABRIEL. — Sur l’origine des Animaua domestiques. Paris, 1879, 8°. DE SANCTIS LEONE. — .eMonografia Zootomico=Zoologica sul Capidoglio arenato a Porto S. Giorgic. -- Roma, 1881, 4°. GracoMETTI VIincENZO. — Il Cranipolimetro. — Mantova, 1881, 8°. NinxI A. P. — Nota sull’Aphya Phalerica, Rondeletii. — Venezia, 1881, 8°. Norsa GIusEePPE. — I Protisti delle acque lacustri di Mantova. — Mantova, 188!, in-8°, PARONA CorrADO. — Importanza della Protistologia e dell’ Elmintologia nell’ inse= gnamento della zoologia medica. — Milano, 1881, 8°. PLATEAU FÉLIX. — Préparation rapide des grandes pièces myologiques. — Reims, 1880, 8°. — — Recherches Physiologiques sur le Coeur des Crustacés Décapodes (Extrait des Archives de Biologie, Vol. I, 1880). — Décapodes, 8°. — — et V. Liinarn. — Observations sur VAnatomie de VÉI6phant d’ Afrique (Loxodon Africanus) adulte. — Bruxelles, 1881, 8°. PREUDHOMME DE BoRrRE A. — Liste des Criocérides recueillies au Brésil par feu Camille Van Volxem, suivie de la description de douze nouvelles espèces améri- caines de cette tribu. — Bruxelles, 1881, 8°. ReETZIUS GUSTAF. — Das Gehòrorgan der Wirbelthiere. I. Das Gehòrorgan der Fische und Amphibien. — Stockholm, 1881, 4°. ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO, ECC. 273 VALLE ANTONIO. — Crostacei parassiti dei pesci del Mare Adriatico. -— Trieste, 1880, 80, — — Sopra una specie nuova del genere Stellicola Ksm. — Trieste, 1880, 8°. | BOTANICA. Comes 0. — Osservazioni su alcune specie di funghi del Napoletano e descrizione di due nuove specie. — Napoli, 1880, 8°. PirotTA R. — Sullo sviluppo della Periza Fuckeliana De By e della P. Sclerotio- rum Lib. — Firenze, 1881, 8°. — — Sulla Struttura e sulla Germinazione delle Spore del Sorosporium (?) Pri mulicola (Magn.). — Modena, 1881, 89. SAINT-LAGER. — Nouvelles remarques sur la nomenclature botanique. — Paris, 1881, So. SoRDELLI F. — Sulle Piante della Torbiera e della Stazione Preistorica della La- 9024. — Milano, 1881, 8°. PALEONTOLOGIA. GIACOMETTI VINCENZO. — Note per uno studio di Paleontologia del territorio man- tovano. — Mantova, 1880, 8°. MALFATTI GIOVANNI. — Bibliografia degli Insetti Fossili Italiani finora conosciuti. Milano, 1881, 80, — — Due piccoli Imenotteri fossili dell’ambra siciliana. Un foglio. OmBONI GIOVANNI. — Denti di Ippopotamo da aggiungersi alla Fauna Fossile del Veneto. — Venezia, 1880, 40, STROBEL PELLEGRINO. — Iconografia comparata delle Ossa Fossili del Gabinetto di Storia naturale dell’ Università di Parma. — Parma, 1881, 4°, fasc. I, Balenot- teride. PALETNOLOGIA. CASTELFRANCO P. Notizie intorno alla Stazione Lacustre della Lagozza nel Comune di Besnate. — Milano, 1881, 80. DE MORTILLET GABRIEL. — Classification et chronologie des haches de bronze. — Paris, 1880, 8°. — — Cachette de bronze de Fouilloy (Oise). — Paris, 1881, 8°. — — Critique du Chronomètre de Penhoutt (Loire Inférieure). — Meulan, 1878, 80. . MARINONI CAMILLO. — Bronzi preistorici del Friuli. Milano, 1879, 8°. QuaGLIA GIUSEPPE. — Archeologia. — Dei Sepolcreti antichi scoperti in undici Co- muni del Circondario di Varese. — Varese, 1881, 40. 274 ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO, ECC. GEOLOGIA, MINERALOGIA. Bergdirection zu Idria. — Das k. k. Quecksilberwerk zu Idria in Krain. — Wien, 1881, 40. BoTTI U. — Sulle Breccie Ossifere nella Provincia di Terra d’ Otranto. — Lecce, 1881, 120, D'ACHIARDI A. — Sw di alcuni minerali della miniera del Frigido presso Massa nelle Alpi Apuane. — 8°. MarinoNI CAMILLO. — Contribuzioni alla Geologia del Friuli. — Milano, 1879, 8°. — — Sui Minerali del Friuli e sulle Industrie relative. — Udine, 1881, 8°. Mossisovics EpMmunD. — Veber heteropische Verhiltnisse im Triasgebiete der Lom- bardischen Alpen. — Wien, 1880, 8°. NicoLIis ENRICO. — Note sulle Formazioni Eoceniche comprese fra la Valle dell’A- dige, quella d’IMlasi ed î Lessini. — Verona, 1880, 12°. SCARABELLI GOMMI, FLAMINI G. — Descrizione della Carta Geologica del versante settentrionale dell’ Appennino fra il Montone e la Foglia. Con due Carte Geologi- che. — Forlì, 1880, 4°, STOPPANI ANTONIO e TARAMELLI TORQUATO. — Relazione e progetto di legge pre- sentati alla Commissione per la Carta Geologica del Regno. — Firenze, 1580, 8°. TARAMELLI TORQUATO. — Spiegazione della Carta Geologica del Friuli (Provincia di Udine). Con carta geologica. — Pavia, 1881, 8°. CHIMICA. MoRrELLI A. — Ancora sulla Sintesi del Glucosio, in risposta al sig. V. Valente. Un foglio. Zinno SiLvestRo. — Sulla Sintesi del Glucosio. (Risposta alla critica del dott. Va- lente). — Napoli, 1880, 12°. — — Nuova produzione del Glucosio. — 8°. DI VARIO ARGOMENTO. ABENI LuIici. — (Uno scritto dell’Ing.). — Brescia, 1881, 8°. Concorso Agrario Regionale per le Provincie Siciliane, con sede in Messina dal 1 al 15 settembre 1882. — Messina, 1280, 16°. Esposizione Industriale Italiana del 1881 în Milano. Industria casalinga e mami- fatture caratteristiche delle singole regioni d’Italia. — Milano, 1881, 8°, GIACOMETTI VINCENZO. — Relazione sopra il Civico Museo di Mantova. — Mantova, 1881, 12°. Metropolitan Museum of Art. Eleventh Annual Report of the Trustees of the Asso- ciation, May, 1881. — New York, 1881, 8°. Esequie di Francesco Rizzoli celebrate in Bologna per cura della Provincia il 29 maggio 1880. — Bologna, 1880, 8°. . SCHEFFLER HERMANN, — Die Naturgesetze. — Braunschweig, 1881, 8°. INDICE Presidenza pel 1881. Soci effettivi al principio dell’anno 1881. Soci corrispondenti . 1 Istituti scientifici corrispondenti . Seduta del 30 Gennaio 1881. Seduta del 27 Febbraio 1881. G. MercaLLI, I terremoti dell’ Isola da P. LuccHETTI, Sulla causa dei terremoti . L. PaoLucci, Sopra alcune specie rare di uccelli ate Marche . Seduta del 27 Marzo 1881 Seduta del 29 Maggio 1881 . Bilancio consuntivo dell’anno 1880. Bilancio preventivo per l’anno 1881 Seduta del 31 luglio 1881. F. Mazza, Note faunistiche sulla valle di Staffora. G. De MortILLET, Note sur l’albinisme des mammifères G. MaLFartI, Bibliografia degli insetti fossili italiani finora conosciuti i bd Ol Ka Dì N La tl Ot Sì I D0_Sb NUIN SO 00 [fel «| _—‘’G. MercaLti, I o ai BIOS) "TIT cai n generale dell attività | dig. B. GRASSI, Intorno ad diro copia ontparassit ed appartenenti alle dute dei Magellati, lobosi, HI. sporogoi e ciliati (Tav. 1a 4)... 0.0.0 c SI Seduta del,18 Dicembre, 18810. ‘°Uy " MMG G. CATTANEO, Sugli organi ioni femmimili del- l Halmaturus Bennettii, Gould (Tav. 5.) . . C. LePORI, La Vulpes melanogastra Bp. . . . . Elenco dei libri pervenuti in dono od in cambio alla Biblioteca Sociale, nell’anno 1881. . . . . 2 tig #31 3” te: dA fa à viRt4 see: ie (arte ) sÉTAA& i tagd ne VE It; SA RSM; a sa si IE 50 404 ERA RAZR MR EA NERO È gi FETO TORI cui pipi ict Vistari ' pas Sidia 1h: de DE Silfprannstl ira infos bia dadi "a fade rd Lav Fii - Le Ad A ANI DA INZAL uan ) Te SE NOTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ, usi bi \ pe es Piano della Società . è di promuovere in Italia il progresso degli studî air alle scienze naturali. diet Socj sono in numero illimitato, effettivi. e corrispondenti. AR val Socj effettivi pagano it. L. 20 all’anno, în una sola volta, nel primo tri- mestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli "ema nel Regno d’ Italia), vi presentano le loro Memorie e Comuniea- zioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. E dA Soc) corrispondenti si eleggono persone distinte nelle scienze naturali, le . quali dimorino fuori d’ Italia. — Possono diventare socj effettivi, quando si | assoggettino alla tassa annua di lire venti. — Non sono invitati partico- — larmente alle sedute della Società, ma possono assistervi e presentarvi o farvi leggere delle Memorie o delle Comunicazioni. — Ricevono gratuita- mente gli Atti della Società. La proposizione per Vl ammissione d’ un nuovo socio deve essere fatta e firmata da tre socj effettivi. I Socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad es- | sere tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno successivo, cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere ì suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stampate negli Atti o nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, secondo la loro estensione ed importanza. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del formato degli Atti o delle Memorie stesse. Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, pur- chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone regolare ricevuta. Quanto ai lavori stampati negli Atti l’autore potrà far tirare un numero qualunque di copie ai seguenti prezzi: Esemplari 745) 0 e 5) 400 if, di foglio (4 pagine) . . L.1 25) L. 2 25) L. 2 50 L. 4 — t/a foglio (8 pagine) . . . pb To» 950 |» £ — "lm DB 50 5/, di foglio (12 pagine) . . » 2 501 » 5 —| » 6 7D|n di SEO TO pasine) -.--. . | » 2:75 » 5 50l-»:8 — [a 40625) An poeta: To dortia): GE Ai RAI: CI Tapalav:in) è aitogii£ orlo ANDE E, citt 5 2088 aan sob A: shoe di dHisiszi gico aa olive catia gelo te SI “qué ig ebrei d'alta fo) citi cao‘ a RIE ‘oe “aladuisloni. dae dti Joi i b SÙ IE ERI ui ISINRANRO Lyvodalioz vato rid aan 11 e MESI GIOVVINI — SEO Gia dentiogre Lo Litigi i pg: \0H -£ USS 5 Ei al cre: IT) apt de io ae rara iii nia YNO SE RIS TEA pia a ata SI: o PRescar: utetabs » TRENTA quobat coda ice sa LU 1 Lui Mi FIRE TA tibetano ee i mad AME LUCE LP PORTI BLOC] dr STRERIRS Fe padre n $ Pat: vat i Mia try Hi DI : 44 "> audio: del 18 Dicembre 1881. RIA — G. CATTANEO, Sugli organi gi femminili d DN l Halmaturus Bennettii, Gould (Tav. 5. ") A ha \ : hi Pi) È A ded » 4 : n a sd 1 È Rei, bg i ci TA td PRESIDENZA PEL 1882, Presidente, CORNALIA prof. comm. EmiLio, direttore del Museo Storia Naturale di Milano, via Monte Napoleone, 36. Vice-presidente, ViLLa AntoNIO. Milano, via Sala, 6. SorRDELLI FERDINANDO aggiunto al Museo Civico di Segretarj naturale di Milano, via Monforte, 7. Pini rag. NAPOLEONE, via Crocifisso, 6. Cassiere, GARGANTINI-P1aTTI GrusepPE, Milano, via del Senato, 14. California Academy of Sciences Presented by Società Italiana di Sci. enze Naturali, Milano. February 14 , 1902» ? va j PI A | #95n9192 lo vmsbsdAl "a 3 -fof ib sacnt£etl sta À someriM ,i{[oudsk es X001 dI ì DELLA SOCIETÀ ITALIANA SCIENZE NATURALI VOL. XXV. ANNO 1882, MILANO, TIPOGRAFIA BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. 1882. VOLA ivano Odg vi ai CA inioti : Ù »i GI reato) i tot I biosuse Ri ua ° Pal Ì Sid ) TU EST TTAt sa Sè ESTOLL i Seprità E LEM I} È 131 o 1) ib c9iriie VR, 4 de : i Y x > ‘a : ‘ Mi Me Pero 19 ft PERA TRACIOTTÀ. MI. E Leoni 3 e nes; Raro col a nda Dt'arndì xD9 -2OSY, + uno sip IS ISEIINI INDRO o1nogtott SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI. DIREZIONE PEL 1882. . Presidente. — CORNALIA prof. comm. Emitio, direttore del Museo Civico di storia naturale in Milano, via Monte Napoleone, 36. Vice-Presidente. — VinLa cav. Antonio, Milano, via Sala, 6. SORDELLI FERDINANDO, aggiunto al Museo Civico di Segretarj storia naturale in Milano, via Monforte, 7. Pini nob. rag. NAPOLEONE, via Crocifisso, 6. Conservatore. — FRANCESCHINI rag. FELICE. Vice-conservatore. — MOLINARI ing. FRANCESCO. CONSIGLIO D’ AMMINISTRAZIONE. Visconti ERMES march. CARLO. BeLLOTTI dott. CRISTOFORO. CRIVELLI march. LUIGI. Cassiere. — GARGANTINI-PrATTI GrusePPE, Milano, via Senato, 14. Econonio. — DELFINONI avv. GOTTARDO, Commissione amministrativa SOCJ EFFETTIVI al principio dell’anno 1882. ALBANELLI rag. FiLippo, Milano. Aresi Vincenzo, alunno nella R. Università di Napoli. ARRIGONI conte Oppo degli Oddi, Padova. BeLLottI dott. Cristororo, Milano. BerLA ETTORE, Milano. Besta dott. Riccarpo, Ivrea. Bertoni dott. EUGENIO, Brescia. BIGNAMI ing. Emizio, Milano. BoccaccinI prof. Corrapo, Ravenna. Borromeo conte Carro, Milano. BortI cav. ULpERICO, consigliere delegato presso la R. Prefettura di Reggio Calabria. BrIoscHI comm. FRANCESCO, senatore del Regno e direttore del R. Istituto Tecnico superiore di Milano. Burri sac. ANGELO, professore nel R. Istituto Tecnico, Milano. Buzzoni sac. Pietro, Milano (CO. SS. di Porta Romana). CaLpERINI sac. Piero, direttore dell'Istituto Tecnico di Varallo (Val Sesia). CaMmERANO dott. Lorenzo, Torino. Campacci dott. Cesare, Milano, at dei le“ mio n SR PETE Ai |ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1882. 5 Canetti dott. Carlo, Milano. Cantoni cav. Gaetano, direttore della Scuola superiore di agri- coltura, Milano. CantonI ELvezio, Pavia. CAPRIOLI conte Tommaso, Brescia. CarRUCccIO prof. cav. Antonio, della R. Università di Modena. CasteLFRANCO prof. Pompeo, Milano. CasteLLI dott. FEDERICO, Livorno. CattANEO dott. Giacomo, Pavia. CavaLLoTTI ing. AnGELO, Milano. CERRUTI ing. Giovanni, Milano. Cresati barone Vincenzo, professore di botanica nella R. Univer- sità di Napoli. CetTI ing. GiovannI, Laglio (Como). Coccoxi prof. GeRoLAMO, Bologna. CoLienon dott. NicoLa, professore di meccanica nel R. Istituto Tecnico, Firenze. Corona avv. AcHILLE, Milano. CoLomo dott. GIUSEPPE, assistente alla cattedra di anatomia pa- tologica nella R. Università di Pavia. CoLoni sac. GAETANO, prof. di Scienze naturali a Crema. CoRNALIA prof. comm. Emrzio, direttore del Museo Civico di storia naturale, Milano. Corvini dott. LorENZO, professore nel R. Istituto Veterinario, Milano. CRESPELLANI cav. ARSENIO, Modena. CriveLLi march. Luicr, Milano. Curò ing. ANTONIO, Bergamo. De-Bosis ing. FRANCESCO, Ancona. DeLFINONI avv. GortARDO, Milano. DeL Mayrno march. NorBeRTO, Milano. De Leone dott. Vincenzo, Castiglione Messer Raimondo (Abruzzo). Doria march. Gracomo, Genova. Emery dott. CARLO, professore di zoologia nella R. Università di Bologna. 6 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI FanzaGo dott. FiLiPPo, professore di storia naturale nella R. Uni-. versità di Sassari. FERRARIO dott. cav. ERcoLE, Gallarate. | FerRERO OTTAVIO LUIGI, professore di chimica nel R. Istituto Agrario di Caserta. FERRETTI sac. ANTONIO, parroco di S. Ruffino (Scandiano). FrancescHINI rag. FeLIce, Milano. GALANTI AntoNIO, professore di agraria nel R. Istituto Tecnico, Milano. GARBIGLIETTI cav. ANTONIO, dottore collegiato in medicina, Torino. GARGANTINI-PIATTI ing. GiusePPE, Milano. GaAsco FRANCESCO, professore nella R. Università di Genova. GeRvasoNnI dott. TuLLio, Bergamo. GIACOMETTI dott. Vincenzo, Mantova. GiBeLLI dott. GiusePPE, professore di botanica nella R. Univer- sità di Bologna. Gouin ing. LEONE, Cagliari. Grassi dott. BatTISTA, Rovellasca (prov. di Como). GuaLtERIO march. CarLo RAFFAELE, Bagnorea (Orvieto). GuiscarDI dott. GueLIELMO, professore di geologia nella R. Uni- versità di Napoli. LeporI dott. CESARE, assistente al Museo zoologico dell’ Uni- versità di Cagliari. LezzanI march. MASSIMILIANO, Roma. Maggi dott. LeoPoLDo, professore di anatomia comparata nella R. Università di Pavia. MacretTI dott. PaoLo, Cassina Amata (Milano). MALFATTI dott. GiovaNnnI, Milano. MatiNnvERNI ALEssio, Quinto (Vercelli). MantovanI Pro, professore di storia naturale nell’Istituto Tec- nico di Reggio Calabria. Manzi prof. MricHELANGELO, Lodi. MarcuHi dott. Pietro, Firenze. Marinoni nob. CAMILLO, professore nel R. Istituto Tecnico di Udine. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1882. 7 MARSILI Luo, professore di fisica nel R. Liceo di Pontremoli. MARTELLI-BoLoanINI conte IpPoLITO, Pistoja. Mask sac. Francesco, arciprete a Castel d’Ario (provincia di Mantova). | MarTIROLO dott. ORESTE, Torino. Mazza FELICE, studente in medicina, Varzi (Voghera). MazzoccgHI ing. LuraI, assistente al R. Istituto Tecnico superiore di Milano. MazzuccaeLLI ing. VirtoRIo, Milano. Mazzetti sac. GirusePPE, Modena. MELLA conte CarLo ARBORIO, Vercelli. MENEGHINI GIusEPPE, professore di geologia nella R. Università di Pisa. MERcaLLI sac. prof. GrusePPE, Monza. MOLINARI ing. FRANCESCO, Assistente al Museo Civico di Milano. MoLon cav. ing. FRANCESCO, Vicenza. MontaANARO cav. CARLO, reggente l’ Intendenza di Finanza, Aquila. Mora dott. Antonio, Bergamo. NEGRI FraNncESCO, Avvocato alla Corte d’ Appello in Casalmon- ferrato. NEGRI dott. cav. GAETANO, Milano. NesrI dott. Lurei, Milano: NicoLis ENRICO, Verona. NicoLucci cav. GrustIniano, Isola presso Sora (Napoletano). Ninni conte ALEessanpRo PERICLE, Venezia. Nocca CarLo FRANCESCO, Pavia. Norsa GiusePPE, Milano. Oxgoni dott. GiovannI, professore di mineralogia nella R. Uni- versità di Padova. PADULLI conte PieTRO, istruttore pratico di chimica nel labora- torio della Società d’ Incoraggiamento d’arti e mestieri, Milano. PaoLucci dott. Lursi, professore di storia naturale nel R. Isti- tuto Tecnico, Ancona. PARONA dott. CARLO FABRIZIO, assistente di geologia nella R. Uni- versità di Pavia. 8 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI ParoNA dott. CorRrapo, professore di zoologia e anatomia com- parata nella R. Università di Cagliari. | PASSERINI dott. GIOVANNI, professore di botanica nella R. Uni: versità di Parma. PauLucci MarcHEsA MARIANNA, Villa Novoli presso Firenze. Pavesi dott. Pietro, professore di zoologia nella R. Università di Pavia. PeruGIA dott. ALBERTO, direttore onorario del Museo civico di Trieste. PranzoLa LuIeI, dottore in legge, Milano. PicaeLia dott. Luiei, Modena. Pini nob. rag. NapPoLeoNnE, Milano. Pirona dott. GruLio ANDREA, professore di storia naturale al Liceo di Udine. PiroTtA dott. RomuaLDo, professore di botanica, direttore del- l’orto della R. Università di Modena. Porri PIETRO, professore di storia naturale all'Istituto Tecnico di Milano. PrADA dott. Teoporo, professore di storia naturale all’Istituto Tecnico di Pavia. QuaeLia ing. GIUSEPPE, Varese. ReBEscHINI CrIsTIANO, Milano. Regazzoni dott. Innocenzo, professore nel R. Liceo di Como. RigoLpi mons. AGostINO, vescovo di Pavia. Ricca dott. Luier, Arona. RosaLes-CraaLini march. Lurcr, Bernate (Como). Rossi cav. ANTONIO, ingegnere capo del genio civile (Como). SALMOIRAGHI ing. Francesco, Milano. SartoRIO dott. ACHILLE, professore di storia naturale nel R. Liceo di Pistoja. SCARABELLI-GOMMI-FLAMINI GIusEPPE, senatore del Regno, Imola. ScanpeR-Levi barone comm. Aporro, Firenze. ScoLA dott. Lorenzo, Milano. SeLLa comm. QuINTINO, ingegnere delle miniere, deputato al Par- lamento, Roma. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1882. 9 SorpELLI FERDINANDO, aggiunto al Museo Civico di storia natu- rale di Milano. SPINELLI GiovanNI BartIsTA, Venezia. StoPPANI ab. ANTONIO, professore di geologia nel R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento, Firenze. STROBEL PELLEGRINO, professore di mineralogia nell’ Università di Parma. Istage TARAMELLI TORQUATO, professore di geologia nella R. Università di Pavia. TarGIonI-TozzetTI ApoLro, professore di zoologia al Museo di storia naturale di Firenze. TerRACccIANO cav. NicoLa, direttore dei Giardini Reali a Caserta. Tesrarocni avv. Ernesto, Moncalvo (Monferrato). Tommasi dott. ANNIBALE, Mantova. TRANQUILLI GIOVANNI, professore di storia naturale nel Liceo di Ascoli. TREVISAN conte Vittore, Milano. Turati nob. ErnESTO, Milano. Turati nob. GranrRANcO, Milano. VaLLe dott. AntoNIo, assistente presso il Civico Museo di storia naturale di Trieste. VeRrRI ANTONIO, capitano nel Genio militare, Terni. Vieoni nob. GiuLio, Milano. ViLLa cav. AntoNIO, Milano. ViLLa cav. Giovanni BattISTA, Milano. Vira Vittorio, Milano. Visconti conte ALronso Maria, Milano. Visconti Ermes march. CarLo, Milano, Visconti di Moprone duca Raimonpo, Milano. ZuccHi dott. CARLO, medico-capo dell’ Ospedale Maggiore in Milano. SOCJ CORRISPONDENTI AscHERSON dott. PaoLo, addetto alla direzione dell'Orto botanico, Berlino. BARRAL, direttore del Giornale L’ Agriculture pratique, Parigi. BoLLE CARLO, naturalista, Leipziger Platz, 13, Berlino. BRUSINA SPIRIDIONE, soprintendente del Dipartimento zoologico nel Museo di storia naturale in Agram (Zagrab), Croazia. Davis GrusePPE BERNARDO, presidente della Società antropologica di Londra. FavRrE ALFonsO, professore di geologia, Ginevra. FicuieR LuIiaI, rue Marignan 21, Parigi. GeinITZ Bruno, direttore del Gabinetto mineralogico di Dresda. GorpPERT H. R., direttore dell’orto botanico di Breslavia. Hauer FRANCESCO, direttore dell’ I. R. Istituto Geologico di Vienna. HeeR OsvaLpo, professore di botanica nel Politecnico di Zurigo. JannsENS dott. Eugenio, medico municipale, rue du Marais, 42, Bruxelles. Le PLé dott. AmepEO, presidente della Società libera d’emula- zione, Rouen. Lory CARLO, professore di geologia alla Facoltà delle scienze a Grenoble. MERIAN, professore di geologia al Museo di storia naturale di Basilea. MORTILLET GABRIELE, aggiunto al Museo Nazionale di Saint-Germain en Laye, presso Parigi. Netto dott. LApisLao, direttore della Sezione botanica del Museo Nazionale di Rio Janeiro. Piet LuIGI, avvocato, del Gabinetto mineralogico di Chambéry. PizAaRRO dott. GIoacHINO, direttore della Sezione zoologica del Museo Nazionale di Rio Janeiro. PrancHon GiuLIo, professore di botanica a Montpellier. _—66@me'’m ul _140‘091419121‘1—‘—1—’’‘’Iteo’ —‘’’—’—_’_—__—@—_e e n © | SOCJ CORRISPONDENTI. tici Ranmonpi dott. Antonio, professore di storia naturale all’ Uni- versità di Lima (Perù). Ramsay ANDREA, presidente della Società Geologica di Londra; Museum of practical geology, Jermin Street, S. W. SeNONER cav. ApoLro, bibliotecario dell’I. R. Istituto Geologico di Vienna, Landstrasse Hauptstrasse, 88. StUDER BERNARDO, professore di geologia, Berna. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI al principio dell’ anno 1882. ITALIA. 1. R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. — Milano. 2. Ateneo di scienze. —— Milano. 3. Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri. — Milano. 4. Società Agraria di Lombardia. — Milano. 5. Accademia Fisio-Medico-Statistica. — Milano. 6. Ateneo di Brescia. 7. R. Accademia delle scienze. — Torino. 8. Accademia di agricoltura, commercio ed arti. — Verona. 9. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. — Venezia. 10. Ateneo Veneto. — Venezia. 11. Accademia Olimpica. — Vicenza. 12. Società Veneto-Trentina di scienze naturali. — Padova. 13. Associazione Agraria Friulana. — Udine. 14. Società dei Naturalisti. — Modena. 15. Accademia delle Scienze. — Bologna. 16. Accademia dei Georgofili. — Firenze. 17. Società Entomologica italiana. — Firenze. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI . Società toscana di scienze naturali. —_ Pisa. 19. Accademia de’ Lincei. — Roma. alia 20. Società Italiana delle Scienze detta dei Quaranta. — - Roma, 21. R. Comitato Geologico d’Italia. — Roma. al sii 22. Accademia dei Fisio-Critici. — Siena. , EI ‘23. Società di letture e conversazioni scientifiche. — - Genova. P 24. Società Reale delle Scienze. — Napoli. 25. R. Istituto d’Incoragg. per le scienze naturali. — Napoli. 26. Associazione dei Naturalisti e Medici. — Napoli. 27. Società economica del Principato Citeriore. — Salerno. 28. Accademia palermitana di scienze, lettere ed arti. — Palermo. 29. Società di scienze naturali ed economiche. — Palermo. 30. Commissione Reale d’ Agricoltura e pastorizia. — Palermo. 31. Società d’acclimazione e agricoltura. — Palermo. 32. Accademia Gioenia di scienze naturali. — Catania. 33. Società d’orticoltura del litorale di Trieste. SVIZZERA. . Naturforschende Gesellschaft Graubiindens. — Chur. . Institut National Genèvois. — Genève. . Société de physique et d’histoire naturelle. — Genève. . Société Vaudoise de sciences naturelles. — Lausanne. . Société des sciences naturelles. — Neuchatel. . Naturforschende Gesellschaft. — Ziirich. . Naturforschende Gesellschaft. — Basel. . Società Elvetica di scienze naturali. — Berna. . Naturforschende Gesellschaft. — Bern. GERMANIA ED AUSTRIA. . Naturwissenschaftliche Gesellschaft Isis — Dresden. . Zoologische Gesellschaft. — Frankfurt am Mein. . Zoologisch-mineralogisches Verein. — Regensburg. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1882. 13 46. Physikalisch-medizinische Gesellschaft. — Wiirzburg. 47. Nassauisches Verein fiir Naturkunde. — Wiesbaden. 48. Offenbaches Verein fiir Naturkunde. — Offenbach am Mein. 49. Botanisches Verein. — Berlin. 50. Verein der Freunde der Naturgeschichte. — Neubrandenburg. 51. Geologische Reichsanstalt. — Wien. 52. Geographische Gesellschaft. — Wien. 53. Zoologisch-botanische Gesellschaft. -— Wien. 54. Siebenburgisches Verein fiir Naturwissenschaften. — Her- mannstadt (Transilvania). 55. Verein fiir Naturkunde. — Presburg (Ungheria). (SL Dì 58. . Deutsche geologische Gesellschaft. — Berlin. . Physikalisch-medizinische Gesellschaft. — Erlangen. Senkenbergische naturforschende Gesellschaft. — Frankfurt am Mein. . Verein fiir Erdkunde. — Darmstadt. . Naturforschende Gesellschaft. — Gorlitz. . Schlesische Gesellschaft fir vaterlàndische Cultur. — Breslau. . Bayerische Akademie der Wissenschaften. — Miinchen. . Preussische Akademie der Wissenschaften. — Berlin. . Physikalisch-oeconomische Gesellschaft. — Kéonigsherg. . Naturhistorisches Verein. — Augsburg. . Deutsch-Oesterreischisches Alpen-Verein, Section “ Austria , — Wien. . K. K. Hof-Mineralien-Cabinet. — Wien. . Medizinisch-naturwissenschaftliche Gesellschaft. — Jena. . Naturwissenschaftlich-medizinisches Verein. — Innsbruck. . Verein zur Verbreitung naturwissenschaftlicher Kenntnisse. — Wien. . K. ungar. geologische Anstalt. — Budapest. . Antropologische Gesellschaft. — Wien. . Naturwissenschaftliche Gesellschaft. — Chemnitz. . Direction der Gewerbeschule Bistritz. — Siebenbiitgen. 14 76. 77. 78. PAS A 80. DE 82. 83. 84. 85. 86. 87. 88. 89. 90. SL 92. 93. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI SVEZIA e NORVEGIA. . Kongelige Norske Universitet. — Christiania. Académie Royale Suèdoise des sciences. — Stockholm. RUSSIA. Académie Impériale des sciences. — St-Pétersbourg. Société Impériale des Naturalistes. — Moscou. Societas pro fauna et flora fennica. — Helsingfors. BELGIO E PAESI BASSI. Académie Royale de Belgique. — Bruxelles. Société Royale de botanique de Belgique. — Ixelles-les- Bruxelles. Société Malacologique de Belgique. — Bruxelles. Société Entomologique. — Bruxelles. Musée Teiler. — Harlem. FRANCIA. Institut de France. — Paris. I Société d’ Acclimatation. — Paris. Société Géologique de France. — Paris. Société Botanique. — Paris. Société Linnéenne du Nord de la France. — Amiens (Somme). Académie des sciences, arts et lettres. — Rouen (Seine inf.). Société des sciences naturelles. — Cherbourg (Manche). Société des sciences physiques et naturelles. — Bordeaux. - (Gironde). Académie des sciences, belles-lettres et arts de Savoie. — Chambéry. 94. 95. 96. 97. 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. 109. 110. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1882. 15 Société Florimontane. — Annecy. Société d’agriculture, d’histoire naturelle et des arts utiles de Lyon. Société d’histoire naturelle. — Toulouse. INGHILTERRA Royal Society. — London. Geological Society. — London. Zoological Society. — London. Geological Society. — Glascow. Literary and philosophical Society. — Manchester Natural History Society. — Dublin. Royal physical Society. — Edinburgh. AMERICA (Stati Uniti). Smithsonian Institution. — Washington. American Academy of arts and sciences. — Cambridge. Academy of sciences. — S. Louis (Missouri). Boston Society of natural history. — Boston. Connecticut Academy of arts and sciences. — New-Haven (Connecticut). Orleans county Society of natural sciences. — Newport. ASIA (Indie Orientali). Geological Survey of India. — Calcutta. Seduta del 29 gennajo 1882. o Presidenza del Presidente prof. comm. E. CORNALIA. Il Presidente presenta la memoria inviata dal socio dr. Gia- como CATTANEO, Sugli organi riproduttori femminili dell’ Halma- turus Bennettii, ed il segretario ne legge il sunto steso dall’au- tore medesimo. In questo lavoro viene primamente esposta in succinto la storia delle principali ricerche fatte sull’anatomia e la fisiologia dell’ apparecchio genitale femminile dei Marsupiali, da Home (1795) fino ai nostri giorni. Nella seconda parte sono quindi esposti i risultati delle ricerche fatte dall’autore, sull’ ap- parecchio riproduttore di due femmine di detta specie, una adulta e l’altra giovane. Da tali ricerche è tratto, per conse- guenza, a deduzioni circa il modo con cui si effettua il parto, ed a considerare quanto vi sia di vero nell'opinione che l’ evo- luzione embriologica dei marsupiali non si compia negli uteri, ma continui, almeno per qualche tempo, entro il marsupio. Alla memoria va unita una tavola rappresentante l’apparato ripro- duttore preso in esame, e veduto dai lati dorsale e ventrale, intero e sezionato. È data lettura della memoria inviata dal sig. dr. CESARE LepoRI, di Cagliari, dal titolo: La Vulpes melanogastra di Bona- parte. In essa sono addotti i motivi per cui 1’ A. non crede che codesta Volpe meriti d’ essere distinta specificamente, non solo, ma si osserva altresì come i caratteri adoperati dal Bonaparte per distinguerla non siamo costanti e non bastino nemmeno a SEDUTA DEL 29 GENNAIO 1882. 17 separare nettamente la Volpe a ventre nero quale una varietà meridionale della Volpe comune. Della stessa opinione si dichiarano alcuni dei soci presenti, ed il dr. MaGRETTI aggiunge come anche in Lombardia egli abbia osservato degli individui offrenti alcuni dei caratteri della Volpe a ventre nero. Il Segretario legge il processo verbale dalla precedente BE nanza, 18 dicembre 1881, che viene approvato. Il Presidente richiama quindi l’attenzione degli intervenuti sulle collezioni etnografiche che ebbero parte all’ Esposizione in- dustriale nazionale dello scorso anno, e che riunite nella classe 50*, formavano la principale attrattiva. del così detto Salone pompejano, attorno al quale dette collezioni erano metodica- mente ordinate. Dice che terminata la Mostra fu cura della spe- ciale Commissione da lui presieduta, di restituire ai singoli espo- sitori i diversi oggetti inviati; che alcuni di tali espositori ave- vano però già prima dichiarato di lasciare in dono alla città tutti od una parte di quelli da loro spediti; che altri oggetti furono direttamente acquistati dal Comitato dell’ Esposizione, dietro proposta della Commissione, in particolare alcuni costumi e la quasi totalità dei fantocci, qui fatti costruire apposta per la circostanza. Aggiunge che altri generosi, essendo stati uffi- ciati perchè volessero lasciare a Milano quanto avevano inviato lo fecero volonterosamente, o senza condizioni di sorta, o dietro il solo rimborso delle spese incontrate per oggetti di valore. I nomi di tutti questi benemeriti oblatori furono a suo tempo riportati dai giornali. Il Presidente ricorda come tutti questi oggetti divenuti ora proprietà cittadina, possano formare una sufficiente base pel primo impianto di un Museo etnografico italiano, avendosi tra gli altri circa 90 costumi di varie parti d’Italia, la collezione etnografica abruzzese del De Nino, che fu premiata colla me- daglia d’oro, ed una quantità d’altri oggetti. Dice aversi fon- date speranze che il Municipio possa dare il locale occorrente e che intanto si è provveduto alla loro provvisoria collocazione. Vol. XXV. 2 x 18 SEDUTA DEI 29 GENNAIO 1882. Tra gli svariati arnesi domestici che figuravano all’ Esposi- zione, la Società nostra aveva pure messo alla mostra una piccola collezione formata dietro le proposte primamente fatte dal socio prof. P. Castelfranco, discusse ed adottate nelle adu- nanze sociali del 28 dicembre 1879, 4 aprile e 4 luglio 1880, che avevano condotto alla nomina, in seno alla Società, di un Comitato promotore di una collezione etnografica lombarda; come saggio della quale si avevano appunto gli oggetti esposti, resi anche più interessanti, in quanto che parecchi avevano da lato pel confronto analoghi arnesi, ma provenienti da popoli selvaggi o semibarbari, anche lontanissimi. Ciò premesso, il Presidente chiede ai Soci se credono che anche la nostra Società debba concorrere alla istituzione del Museo etnografico di cui fece parola, col cedere in dono al medesimo gli oggetti di sua proprietà; ritenendo da parte sua che sia questo il partito più conveniente. Posta ai voti la proposta del Presidente, essa viene a voti unanimi approvata. Viene pure approvata all'unanimità la nomina a socio effet- tivo del signor LepPoRI dott. CrsARE, assistente di zoologia ed anatomia com- parata, nella R. Università di Cagliari, proposto dai soci PARONA CoRRADO, CORNALIA e SORDELLI. F. SORDELLI Segretario. | ————————-—— Seduta del 26 febbrajo 1882 Presidenza del Presidente comm. prof. E. CORNALIA. Il Presidente presenta il ms. della Memoria del socio prof. .P. StROBEL: Studio comparativo sul teschio del porco delle mariere, ed il Segretario ne legge il sunto fatto dall’autore. In questa me- moria, che è accompagnata da tre tavole, il socio STROBEL, descrive cinque teschi provenienti dalle mariere dell’ Emilia, li confronta tra loro, ne fa rilevare i caratteri di razza, li paragona quindi col Sus palustris delle palafitte svizzere, dimostrandone l'affinità; mentre dal parallelo istituito fra il porco delle mariere, il ci- gnale e varie razze di maiali domestici attuali, 1’ A. tenta stabi- lire la genesi del primo, il quale non avrebbe alcuna parentela nè col cignale, nè coi porci selvatici dell’ Asia e dell’ arcipelago indiano, mentre probabilmente da esso deriva il porco iberico attuale. Il socio segretario SoRDELLI legge poi una sua nota sui fossili e sull'età del deposito terziario della Badia, presso Brescia. Egli presenta alcuni di tali fossili avuti in comunicazione dal prof. TARAMELLI, e dice che avendovi potuto riconoscere, tra gli altri, il Cyclostoma antiquum Desh. e l’ Helix Ramondii Bgt, ritiene doversi l’indicato deposito attribuire al miocene inferiore e più precisamente al piano Aquitaniano di K. Mayer. Lo stesso Segretario legge il processo verbale dell’adunanza 29 gennajo 1882, che viene approvato, con una breve aggiunta pro- posta dal Presidente. 20 SEDUTA DEL 26 FEBBRAIO 1882. È data indi comunicazione dell'invito fatto alla nostra Società dalla Presidenza dell’ Ateneo di Bergamo, a prender parte alla celebrazione del primo centenario della nascita di Angelo Mai. Circa la qual cosa il Presidente propone, e i soci approvano, che. a rappresentare il nostro sodalizio venga prescelto il socio cav. ing. ANTONIO CURÒ. Viene egualmente approvato il cambio fra gli Atti della nostra Società e le pubblicazioni del Verein fiir Naturkunde di Cassel; la quale associazione cassellese ha già inviato qualche fascicolo dei suoi annuali Rendiconti. E si decide che il cambio si effettui pei volumi degli Atti corrispondenti alle annate ricevute. È data comunicazione dei temi di concorso pubblicati dalla Reale Società della Nuova Galles del Sud, relativi a questioni scientifiche ed economiche interessanti il continente australiano. Viene infine annunciata la morte del cav. dott. CARLO MINoNZIO, presidente dell’ Accademia fisio-medico-statistica. Dopo di che il Presidente leva la seduta. F. SORDELLI Segretario. —_____—__—_——_—_——_c STUDIO COMPARATIVO SUI, TESCHIO DEL PORCO DELLE MARIERE del socio Prof. PELLEGRINO STROBETL. Col nome di Porco delle Mariere o Terremare non intendo punto di distinguere dalle altre una data razza di suino, ma solo d’indicare che la razza, all’illustrazione della quale mi propongo di contribuire con questo lavoro, si è quella cui spettano quasi tutti (e forse tutti) i residui di porco domestico che si rinven- gono nelle nostre stazioni prestoriche conosciute sotto gl’ indi- cati nomi di Mariere e Terremare. Quasi di certo è quella che Riitimeyer, nel 1860, chiamò Torfschwein (Porco delle torbiere) o Sus scrofa palustris!. Ca- nestrini, nel 1866 ?, la denominò Sus antiquus; ma questo nome, essendo già in precedenza stato imposto da Kaup ad una specie fossile, non può esserle conservato. Vedremo se le convenga l’e- piteto di Porco brevimuso che le diedi nel 1877*. Il primo annuncio della scoperta d’avanzi di tale razza nelle Terremare dell'Emilia veniva dato nel 1862 nella prima rela- zione È su quei depositi artificiali dell’uomo, compilata da Luigi 1 Untersuchung der Thierreste aus den Pfahlbauten der Schweiz. Zurich, 1860, p. 9. 2 Oggetti trovati nelle Terremare del Modenese. Seconda relazione: Avanzi orga- nici. Modena, 1866, pag. 139. 3 Avanzi animali dei fondi di Capanne nel Reggiano. Reggio dell’ Emilia, 1877. 4 Le Terremare dell’ Emilia. Prima relazione. Torino, 1862, pag. 22. 22 P. STROBEL, Pigorini e da me, ed inviata al compianto Gastaldi, iniziatore degli studî paletnologici in Italia. In essa si ammetteva l’iden-. tità della razza in discorso col detto Sus palustris del Riiti- meyer. — Due anni dopo, a quella relazione teneva dietro una. seconda‘, nella quale, collo studio di materiale più copioso, in quel frattempo raccolto, si completavano le misure delle diverse parti della mandibula di quel maiale e della sua dentatura, elementi scheletrici i più importanti e caratteristici sinallora conosciuti, e si estendevano i confronti di essi e di altri ele- menti scheletrici colle parti corrispondenti dello scheletro del Sus palustris, del porco dei Grigioni (Liindinerschwein), del nostro maiale e del cignale, Sus scrofa ferus. — Nello stesso anno rendeva più evidenti cotali confronti mediante la publi- cazione di figure”, sia delle mandibule e degli omeri del porco delle Mariere, sia di quelli del maiale nostrano e del cignale, tanto recente, di Sardegna, quanto delle stesse Mariere. — In seguito nel 1866 il Canestrini (opera citata) riscontrava avanzi della stessa razza in questione nelle Terremare modenesi; sì come poi ne scopriva il Chierici in quelle del vicino Reggiano. — Comparando nel 1876 la fauna dei pozzi sepolcrali di San Polo, reggiano °, con quella delle Mariere, ebbi di nuovo occa- sione d’occuparmi della detta razza suina, e di provarne l’ esi- stenza in un’epeca posteriore a quella di quasi tutte, se non tutte, le nostre Terremare, notoriamente della così detta età del bronzo. — Infine nel 1877, trattando degli avanzi animali dei fondi di Capanne del detto territorio di Reggio *, metteva a confronto varie mandibule di porco delle Mariere con una del Sus palustris delle Palafitte elvetiche, e con altra di suino d’una di quelle prestoriche Capanne dell’età litica, passando a i Le Terremare e le Palafitte del Parmense. Seconda relazione. Milano, 1864, p. 47. 2 Avanzi preromani raccolti nelle Terremare e nelle Palafitte dell’ Emilia. Fasci- colo 2. Parma, 1864; pag. 11. Tav. V. fig. A-E. 3 I pozzi sepolcrali di Sanpolo d’ Enza. Parte seconda: Avanzi animali. Parma, 1876; pag. 23. 4 Avanzi animali dei fondi di Capanne nel Reggiano. Reggio dell’ Emilia, 1877; pag. 11 e 26. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 23 delle deduzioni intorno all’età relativa di queste e degli avanzi animali di esse, per le quali si è condotti a far risalire l’esi- stenza del porco delle Mariere sino ad una età anteriore a quella delle Palafitte litiche della Svizzera. E così sarebbe pro- vato, come il detto porco avesse vissuto nel nostro paese al- meno dall’età delle dette Capanne * sino all’epoca etrusca. Come potrà vedersi dall’indice bibliografico in fine di questa memoria, il Riitimeyer non solo fu il primo a distinguere dagli altri porci il Sus palustris, ma ne è il precipuo illustratore. Il Jeitteles più che a ricercarne e stabilirne i caratteri diffe- renziali, contribuì a farci conoscere altre contrade da quel suino già abitate, ed a provarne per tal modo più estesa l’area di diffusione. Il Nathusius, l’Hartmann, il Naumann e lo Studer ne trattarono solo accessoriamente. Sono specialmente le considerazioni che vado ad esporre le quali m’hanno indotto e deciso ad illustrare, anche con figure, i cinque teschi di porco raccolti nelle Terremare del Parmense e del Reggiano e venuti in mio potere, o messi a mia dispo- sizione, dopo l’ultimo mio lavoro in proposito. Primieramente, da quanto mi consta, sono assai pochi in paragone, 6, i teschi, più o meno completi, di porco palustre sinora descritti: due della Svizzera?, e quattro della Mora- via°, tutti d’individui femminei; nessuno poi venne rappresen- tato con figure, per quanto sappia. Nè degli strati ché conte- nevano i teschi moravi fu stabilita, con certezza, l’età relativa. Di più, mentre il Riitimeyer ammise sin quasi da principio 4 Reboux fa cenno di avanzi di Sus palustris raccolti nel quaternario di Parigi. ? RurimeveR L. — Die Fauna der Pfahlbauten in der Schweiz. Basel, 1861; pa- gine 33, 45 e 179. Neue Beitrùge zur Kenntniss des Torfschweins. Basel, 1865; pag. 150 e 151. Un teschio di adulto mancante delle ossa anteriori al 3.° dente molare, della Palafitta di Robenhausen, ed altro quasi completo di serofa vecchia, della Palafitta di Wauwyl. s JeITTELES L. H. — Die vorgeschichtlichen Alterthiimer der Stadt Olmiitz, ecc. La Parte, Wien, 1872; pag. 23. Due teschi quasi interi di serofe adulte. RiriMeveR L. — nei Neue Beitrùge or ora citati pag. 151 e 152, illustra i due te- schi di Olmiitz, indicati dal Jeitteles, più altri due, pure di serofe adulte, mancanti delle ossa del grugno, scavati presso Maerisch-Schoenberg. 24 P. STROBEL, de’ suoi studî', e sostenne anche nel 1877 ?, che nel Sus pa- lustris scorresse sangue del Porco siamese, il Nathusius non lo riteneva ancora per provato, allorchè, nel 1864, pubblicava la classica sua opera”. Ed in questo importante argomento fui d’avviso che debba portare luce lo studio dei teschi suini delle nostre Terremare, relativamente non pochi. Ad ottenere questo intento non può certo bastare una sem- plice descrizione di quei cinque teschi, ma rendesi indispensa- bile di passare inoltre a dei confronti. E tali ho istituiti tra essi ed i frammenti di altri sei teschi di porco delle Mariere (n. XIV a XIX) e nove teschi e mezzo (n. 20) di porci recenti, sì selvatici che domestici, valendomi all’uopo del materiale esistente nei musei di Parma, per quanto limitato sia. Nè ri- tenni superfluo il confronto degli uni e degli altri colle figure di teschi porcini, date da Daubenton*, Cuvier®, Nathusius (opera citata), Ritimeyer (opere citate) ed altri, onde allargare possibilmente il campo degli studî e quindi la base dei ragio- namenti e delle deduzioni. RASSEGNA DEL MATERIALE STUDIATO. 1.° TESCHI DI PORCO DELLE MARIERE. (Numeri e Figure Ia V.) N.° I. Teschio intero, della Terramara di Castione dei Mar- chesi, parmense, donato dal signor marchese Guido Dalla Rosa al Gabinetto di storia naturale della Università di Parma. Di femmina giovane, coi denti della seconda dentizione già usati, i Die Fauna der Pfallbauten già citata. Nella precedente sua memoria Unter- suchungen der Thierreste, pure già citata, a pag. 9, nota 2, avea però espresso il dubbio che potesse essere una specie distinta. 2 Einige weitere Beitrige iiber das zahme Schwein. Basel, 1877. ® Vorstudien fiir Geschichte und Zucht der Hausthiere, ecc. Berlin, 1864; p. 149. 4 Description du Cochon, du Cochon de Siam et du sanglier. Paris, 1755; pa- gina 125, Tavole XVIII e XIX. 5 Recherches sur les ossemens fossiles. Quatrièòme édition. Paris, 1836. tl e e STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 25 meno che i 3.' molari, dei quali non spuntano che i due tuber- coli anteriori. Le suture interfrontale (fronto-frontale) e fronto- parietale (coronale) sono distinte; l’interparietale (sagittale) è tuttora discernibile. N.° II. Teschio intero, dello strato della palafitta della Mariera di Castione suddetta, donato dal signor cav. Lodovico Ugolotti al nominato Gabinetto. Del pari di femmina giovane, cogli in- cisivi da latte, coi molari 1.' e 2. già logorati ed i 3.' che stanno per uscire dagli alveoli. Le suture interfrontale e fron- toparietale sono distinte e l’interparietale è tuttora visibile. N.° III. Teschio privo delle ossa del grugno, della Terramara di Quingento di S. Prospero, parmense, donato dal signor Giu- seppe Consigli al summenzionato Gabinetto. D’individuo (fem- mina ?) giovane, coi molari 1.° e 2.' usati, e col tallone dei 3.' ancora quasi nascosto. La sutura frontoparietale è distinta, e le interfrontali ed interparietali sono visibili. N.° IV. Teschio mancante delle ossa del grugno, della detta Terramara di Quingento, donato dal sullodato signor Consigli al nominato Gabinetto. D’individuo (maschio ?) adulto; anche i 3. molari sono già alquanto usati. La sutura interparietale è quasi invisibile, l’interfrontale e la frontoparietale appena si discernono. Le ossa sono robuste. N.° V. Teschio privo delle ossa del grugno, della Terramara di Campeggine, reggiano, di proprietà del Museo di storia patria di Reggio dell'Emilia. D’individuo (maschio ?) vecchio, con tutti i molari logorati. Le suture interfrontale e frontoparietale sono quasi indiscernibili, l’interparietale è obliterata. Le ossa sono assai robuste. 9°, TxSscHI DI SUINI RECENTI. (Numeri e Figure 6 a 13.) N.° 6. Teschio di cignale maschio giovane della Sardegna, conservato nel menzionato Gabinetto parmense. I molari e pre- molari della seconda dentizione sono già usciti dagli alveoli, 260 P. STROBEL,, esistono invece tuttora tutti gli incisivi da latte, però dietro ai medi stanno spuntando quelli della seconda dentizione; i canini sono già usati. Le suture della fronte e dei parietali sono quasi obliterate. quo TRN N.° 7. Teschio di maiale nostrano maschio giovane. Fa parte | delle raccolte del Gabinetto di anatomia comparata dell’ Uni- versità di Parma. Tutti i denti della seconda dentizione sono spuntati, solo il tallone del 3.° molare è tuttavia un poco na- scosto. Le suture interfrontale e frontoparietale sono marcatis- sime, l’interparietale invece è superiormente obliterata. N.° 8. Teschio di scrofa nostrale, vecchia, castrata (puro sangue ?). Appartiene al Gabinetto. zootomico della Scuola di me- dicina veterinaria parmense. Tutti i denti sono logoratissimi; il 1.° molare sinistro ed i 2.' sono obliterati. Le suture della fronte e dei parietali sono tuttavia ancora discernibili. N.° 9. Teschio di scrofa castrata, incrociata nostrana e rus- sa’, di proprietà del prof. Giulio Valdonio. I denti spettano |. tutti alla seconda dentizione, ma sono poco usati. Le suture interfrontale e frontoparietale sono distintissime, l'interparietale invece è obliterata. N.° 10. Teschio di maiale incrociato russo ed inglese, appar- tenente al sullodato prof. Valdonio. Giovane, coi denti molari e premolari della seconda dentizione, i 3. molari però sono tuttora nascosti negli alveoli. Degli incisivi gli anteriori sono della seconda dentizione, i medi appartengono tuttora alla pri- ma, ma sotto ad essi stanno per ispuntare quelli della seconda, i posteriori mancano. Le suture interfrontale e frontoparietale sono aperte, l’interparietale invece è perfettamente saldata ed | obliterata. La lamina esterna dei frontali presenta diversi fori. | N.° 11. Teschio di verro della razza Yorkshire (puro sangue?), conservato nel Gabinetto zootomico della suddetta Scuola vete- i Questa razza venne prodotta per incrociamento in Toscana dal principe Demi- doff, ambasciatore russo, donde essa s’ebbe il nome; dicesi anche casentina. Di To- scana passò poi nel Modenese, nel Reggiano e nel Parmense. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 27 rinaria parmense. Tutti i denti sono della seconda dentizione, però il tallone del 3.° molare è tuttora nascosto nell’alveolo; il canino è già usato. La sutura interfrontale è visibile, la fron- toparietale appena segnata, l’interparietale perfettamente obli- terata. N.° 12. Teschio di verro casentino (Berkshire bastardo?) puro sangue, di proprietà del prof. Valdonio predetto. Giovane tra i 16 e 18 mesi, con tutti i denti della seconda dentizione, ed in- oltre coi 2.' incisivi della prima, coesistenti, davanti, con quelli della seconda dentizione. Delle suture solo la parieto-temporale è obliterata, delle altre alcune sono tuttora aperte. N.° 13. Teschio ai porcellino nostrano di circa 5 mesi, appar- tenente al Gabinetto zootomico della Scuola di medicina vete- rinaria in Parma. Esistono tutti i denti della prima dentizione meno i 3.' incisivi, veggonsi però i loro alveoli insieme con quelli, posteriori ad essi, dei 3.' incisivi della seconda dentizione; i 1.' premolari! ed i 1.' molari della seconda dentizione stanno per spuntare. Le suture sono per la massima parte aperte. Lol I confronti che istituiremo cadranno dunque, più o meno este- samente, sopra 1.° cinque teschi di Porco delle Mariere, ed i frammenti di altri sei, 2.° uno di cignale sardo, 4 9.° tre di maiale nostrano e la metà destra d’un quarto, 4.° due di matali incrociati, 5.° uno di verro della razza Yorkshire, 6.° uno di verro casentino. i Nella numerazione dei premolari seguo, come nei lavori precedenti, il Riitimeyer, che la incomincia dai canini verso i molari, nè già il Nathusius, che segue inversa direzione. 28 P. STROBEL,. CONFRONTI. ARR dei 0 1. CONFRONTO TRA I TESCHI E FRAMMENTI DI TESCHIO DEI, MAIALE DELLE TERREMARE (NUM. E FIG. I-V). Incominciando dall’occipite, notasi qualche leggera differenza nell’ampiezza del foro, massima (di 27 mm.) nel teschio N.° II di Castione, e minima (di 24 mm.) in quello N.° IV di Quin- gento. A questa differenza corrisponde l’altra nella distanza dei condili, nel loro contorno esterno, di 54 mm. nel primo cranio e di 48 mm. nel secondo. Quello è di giovane scrofa, questo di adulto, forse maschio. — Soltanto nel teschio N.° II di Castione s'è conservato uno dei processi giugulari, stiloidei di alcuni’, cioè il destro. Esiste pure, ma troncato alla punta, nella metà destra d’un occipite di porco, raccolto nella medesima Mariera (N.° XVI). In questo frammento esso processo è schiacciato ai lati, cultriforme, retto, lungo (Tav. 3); nel cranio predetto invece offre una sezione trasversa ovale, è ricurvo all’indietro ed alquanto più breve (Tav. 1). — Le carene cervicali od ascendenti (steirgende Leisten del Nathusius) dell’occipite sono talora doppie là ove, al punto della massima loro divergenza, s’ uniscono alle ali della sot- tile cresta occipitale; si mostrano ivi più acute nel teschio di Cam- peggine, N.° V, al pari della cresta occipitale stessa; sono ru- dimentali negli altri teschi. La squama flabelliforme od a ven- taglio, o sella, formata da quelle ali, è assai incavata nel teschio di Campeggine e pochissimo in quelli di Castione, e correla- tivamente esse ali sono più distanti tra loro in questi e meno in quello. Le carene lambdoidi, poco saglienti, sono nel cranio di Quin- gento, N.° III, più brevi che negli altri, e lo sono di conformità 1 Queste ossa, nè per la loro posizione, nè per la loro funzione, ponno essere pa tagonate ai processi stiloidei, e già Bojanus rimarcò l’erroneità di questa denomi- nazione (Nathusius op. cit. pag. 35). STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 29 le ossa e le fosse temporali. L’osso timpanico del cranio di Cam- peggine, nella faccia interna, prolungasi anteriormente in una lamina tricuspidata; nel teschio di Castione N.° II, la lamina e le cuspidi sono appena accennate, del pari che nell’osso timpa- nico d’un temporale della stessa Mariera di Castione, N.° XVII. Gli altri crani mancano della cassa del timpano. La lunghezza dei parietali pare sia costante. Su quelli del cranio di Campeggine distinguesi una carena sagittale assai ot- tusa e breve, in forma di tubercolo allungato. Negli altri crani non se ne scorge che una traccia quasi insensibile. — Le ca- rene parietali s' accostano tra loro assai nel teschio di Quin- gento N.° IV, distando tra loro appena 11 mm., mentre che nei teschi di Castione sono tra loro distanti 27 millimetri. Sporgono molto nel detto teschio di Quingento,. meno invece in quello di Campeggine. Poco varia la larghezza della fronte, quasi piana: minima nel N.° II, di Castione, e massima nel N.° IV, di Quingento. I fori so- praorbitali sono maggiormente distanti tra loro nel cranio di Campeggine, ed il meno in quello di Quingento N.° IV. In questo e nel cranio di Castione N.° II s’accostano ai nasali maggior- mente che negli altri tre crani. Nel teschio di Quingento N.° III ed in quello di Campeggine il sinistro dista dai nasali alquanto (di 5 mm.) più del destro. Nel N.° I. di Castione il destro viene da una lamina obliqua diviso in due. I canal? che scendono da quei fori sono meno profondi nei due teschi di scrofa giovani . di Castione che negli altri tre. Quanto alle ossa lagrimali osserverò che in taluni teschi, come quelli di Castione e quello di Quingento N.° III, nonchè nei frammenti di teschi della Palafitta di Parma, segnati coi N XVIII e XIX, esse si prolungano anteriormente, tra il fron- tale ed il mascellare, in un cuneo (punta anteriore del Riiti- meyer) più o meno lungo ed acuto, mentre che negli altri teschi, N.° IV di Quingento e quello di Campeggine, e nel frammento N.° XIV di Castione, questo cuneo manca. La minima lunghezza inferiore relativa, ammessa l’altezza posteriore, all’orbita, eguale 30 P. STROBEL, ad 1, riscontrasi nel lagrimale del frammento N.° XIX di Par- ma, 1, 09, e la massima in quello del cranio N.° IV di Quin- gento 1, 80; la minima lunghezza superiore, escluso il prolunga- mento cuneiforme, osservasi nel teschio N.° I. di Castione, 1, 69, e la massima nel frammento N.° XIV pure di Castione, 2, 29. | Nel cranio di Quingento N.° III i lagrimali hanno figura 1’ uno dall’altro diversa. — I fort lagrimali sinistri del N.° III di Quin- gento confluiscono in uno solo per la mancanza del sepimento, che dovrebbe tenerli divisi. — Il tubercolo che sta davanti ad essi è sagliente nel teschio di Campeggine, e prolungasi in acuta carena verso i nasali. I zigomatici poco differiscono nei diversi teschi; i più bassi veggonsi nel teschio N.° II di Castione, alti 27 mill., ed i più alti nel teschio N.° IV di Quingento, alti 32 millimetri. Nel mascellare superiore del teschio di Campeggine la carena che dal zigomatico prolungasi verso il foro sottorbitale sporge in forma di taglientissima cresta quasi lamellare, mentre che la medesima nei teschi di Castione è bassa ed ottusissima. Il foro sottorbitale trovasi relativamente alquanto più in avanti nel teschio di Castione N.° Il che non nel N.° I, ed è inoltre più ampio che in questo. Le ossa nasali nel teschio di Quingento N.° IV s’uniscono tra loro formando una volta assai convessa, sì che il naso ne riesce assai stretto, alla radice largo 28 mill., mentre che nei teschi . di Castione è largo sino 35 millimetri. Gli altri due teschi man- | cano di ossa nasali. L'incontro dei nasali coi mascellari Ave viene sotto un angolo più o meno ottuso. La serie dei denti mascellari forma una linea retta nel N.° I | (Tav. 2, fig. [.*), e quasi retta nei N.' II, XV e XVIII; e le due serie convergono; sebbene leggermente, verso i canini. Il margine posteriore del 3.° molare nel teschio di Quingento N.° IV ed in quello di Campeggine trovasi davanti al margine lagrimale del- l'orbita, in quello di Quingento N.° III invece posteriormente; nei teschi di Castione il .3.° molare non è ancora totalmente uscito dall’alveolo. Il palato si allarga bensì gradatamente, ma di poco, verso gl’intermascellari. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 31 L'angolo faciale, ossia d’incontro tra il piano della base del cranio e la linea tirata dalla cresta occipitale alla punta degli intermascellari è in tutti assai acuto; il teschio di Castione N.° I presenta l'angolo occipitale, formato cioè dall’ incontro del piano occipitale colla detta linea occipito-incisiva, più acuto ; l’angolo, rientrante, fronto-nasale è ottusissimo, da 173° a 177°, il profilo riescendo perciò quasi retto. Nei teschi N.' I, II e III, d’individui giovani, le suture sono, come già s’accennò, tuttora più o meno distinte; e, viceversa, nei teschi IV e V, d’individui adulti, non sono discernibili che quelle dei lagrimali e dei zigomatici; tutte le altre sono quasi o del tutto obliterate. Deduzioni rispetto al valore tassonomico dei caratteri. Senza dubbio tutti cinque i teschi esaminati spettano ad una sola razza. Quindi le differenze che riscontrammo tra essi, non potrebbero dipendere che da cause individuali: dalla diversa età, dalla differenza di sesso, dallo stato di maggiore o minore libertà ed indipendenza, dal diverso regime, dal differente grado di nutrizione; e perciò nè meno i caratteri nei quali osservammo notevoli differenze, avrebbero alcun valore per la distinzione delle specie e delle razze suine. I predetti fattori ponno agire tanto separatamente, quanto due o più in concomitanza, otte- nendo, od esagerando, un identico risultato. Così p. e. lo svi- luppo delle carene cervicali e sagittale, dei canali soprorbitali', dei tubercoli prelagrimali, delle carene zigomatico-mascellari, può progredire coll’ età ed è maggiore nei maschi e negli individui che vivono in istato semiselvaggio (parliamo d’animali domesti- ci), poichè questi caratteri denotano robustezza, la quale natu- ralmente è maggiore nell’adulto che non nel giovane, nel verro che non nella scrofa, nel selvatico che non nel domestico, denotano i I canali vascolari i quali dal foramen supraorbitale decorrono in avanti, non hanno alcuna influenza sulla forma del teschio, dice il Nathusius, opera cit. pag. 31. +82 P. STROBEL, maggiore attività e sviluppo di muscoli anche del teschio, il quale serve e per grufolare e per difendersi ed aggredire. Que- sti caratteri saranno dunque saglienti in massimo grado in un individuo adulto, maschio e selvaggio, e viceversa in minimo grado in una giovane femmina domestica, come appare dall’ e- same dei teschi in discorso. Nel nostro caso dovremo escludere la supposizione che le dif- ferenze da noi accennate possano dipendere da diverso regime o da differente azione dell’uomo sugli individui suini, non po- tendosi ritenere che, in quei tempi remoti ed in quello stadio di progresso dell’uomo, questo avesse pensato a perfezionare le sue razze domestiche, quale la razza porcina in discorso, cam- biando nutrimento ed aumentando le cure. Per quanto riguarda i rapporti della specie suina coll’uomo, non si può omettere d’ac- cennare come i maiali passino con facilità dallo stato domestico al selvatico, inselvatichiscano, e, viceversa, i cignali facilmente s'addomestichino!. Ma tale inclinazione del genere Sus, mentre ne avrà facilitata ed accelerata la domesticazione in confronto di altri mammiferi ora domestici, anzi che favorirne la tra- sformazione, o produzione di forme diverse, ed il perfeziona- mento suo per gli usi dell’uomo, ne avrà invece reso quasi inva- riabile lo stato e quindi anche quasi costante la struttura e la forma degli individui della stessa specie suina, pei contatti continui collo stipite selvatico. In proposito va però avvertito, che tra gli avanzi delle Terremare non si riscontrò alcuno di porco selvatico, tranne del cignale, Sus scrofa ferus. 1 Nathusius, op. cit. pag. 147. --- Il Riitimeyer nella sua recente memoria: Eini- ge weitere Beilriige ecc. alla pag. 481 riporta il seguente passo del Dott. Morin, relativo al porco domestico della Cocineina: « Il n’est pas rare de le voir remplir, auprès des nouvelles accouchées embarrassées de leurs richosses, les mémes offices x qui, dans nos pays, sont confiés plus volontiers à leurs jeunes frères des races féline v x ou canine. » Ed in nota a questo passo aggiunge l’ osservazione che: « In Italien wendet sich bekanntlich diese hiusliche Zuneigung derselben Thierart wie in Co» chinchina zu. », ossia, in Italia questa domestica affezione rivolgesi motoriamente v LA alla medesima specie come in Cocincina. Ora dalle informazioni assunte e da Ita» liani continentali e da isolani mi risulta che questa non è che una mera asserzione gratuita, 0, quanto meno, l’ingiustificata generalizzazione d’un fatto di eccezionale individuale aberrazione, che può accadere in qualsiasi paese. — ee TTT "= ce -——— = , STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 33 Rispetto al valore tassonomico da darsi ad altri dei caratteri nei quali osservammo qualche variazione nei teschi passati in rassegna, vado ad esporre le relative opinioni del Nathusius e del Riitimeyer. La direzione del processo o spina jugulare sarebbe, secondo Nathusius, opera cit. pag. 35, uno dei più caratteristici indizî delle differenti forme del porco. I miei studî, come vedremo, non appoggerebbero punto tale asserzione. L’ampiezza ed i contorni del piano compreso tra le carene parietali variano notevolmente per l’avvicinarsi maggiore o mi- nore di queste tra loro. Il Nathusius, opera cit. pag. 30 e 40, dichiara che tali differenze sono indipendenti dall'età, dal sesso, dalla statura, da influenze locali. Quelle carene talora, come in un vecchio verro del Sus verrucosus Mill. e Schleg., s' accostano l’una all'altra quasi come nel cranio del tapiro. Le differenze nella parte scheletrica in discorso non sarebbero dunque, al dire di Nathusius, che meramente individuali, come verrebbe confermato anche dal confronto dei nostri teschi, e quindi di nessun valore per la distinzione delle razze. Invece, al dire del Nathusius, opera cit. pag. 9, 10 e 32, sarebbe di somma importanza diagnostica il lagrimale. Esso non subirebbe modificazioni nè per l’addomesticamento o perfeziona- mento (Kultur), Nath. op. cit. p. 71, nè per differente nutrizione, Nath. op. cit. pag. 102. Anche il Riitimeyer, nel 1865, rico- nobbe pure nel detto osso una parte caratteristica, una parti- colarità del teschio nelle diverse specie e razze suine'. Ma po- steriormente, nel 1878, egli concepì qualche dubbio circa l’im- portanza tassonomica di questo elemento scheletrico ®, e con- venne che la forma del lagrimale non possa in nessun caso, da sola, servire come carattere distintivo assoluto, ma sia solo la 1 Neue Beitrige zur Kenntniss, ecc. pag. 143. 2 Einige weitere Beitrùge, ecc. pag. 489. Egli osservò qualche differenza tra il lagrimale del verro e quello della scrofa in alcuni teschi di porco della Nuova Ir- landa, nei quali lo Studer riconosce i parenti del porco siamese e del porco palu- stre (Beitrag zur Kenntniss, ecc. 1879, pag. 76). Vol. XXV, dI da P. STROBEL, espressione di rapporti osteologici del teschio, che ne sono la causa, quali la dolicocefalia o la brachicefalia e la diversa in- clinazione del piano occipitale’. Comunque però, ritengo che la forma del lagrimale potrà, di concerto con altri caratteri, servire per distinguere le diverse razze suine, specialmente quan- do notevole ne sia la differenza. — Già il Nathusius aveva os- servato che la posizione dei fori lagrimali non è costante, e che talora non evvi che un solo foro per lagrimale, il quale foro è meno ampio degli opposti due presi insieme. Vedemmo, in più, che lo stesso teschio di porco delle Mariere può da un lato presentare due fori, ed uno solo dall’altro. Essi non ponno quindi servire alla distinzione di razze e meno ancora di specie di Sus. La convessità trasversale del dorso del maso non dipende, secondo Nathusius, op. cit. pag. 31, nè dall’età, nè dal sesso, nè da altre cause note, ma varia nei diversi individui, e noi abbiamo appunto notata la variabilità di tale carattere negli individui d’una razza medesima; sì come avvertimmo in questa differenze abbastanza notevoli anche nella concavità della sella occipitale e nello sviluppo delle sue ali, nonchè nel volume e nella forma della cassa timpanica. Per cui si deve ritenere che nessuna di tali particolarità possa da sola e di regola caratte- rizzare una data razza o specie suina. 2. CONFRONTO TRA I TESCHI DEL MAIALE DELLE TERREMARE (N.° I-V) E QUELLO DI CIGNALE RECENTE DELLA SARDEGNA (N.° E FIG. 6). Nel procedere a questa comparazione ometterò, per brevità, di confrontare quelle. parti che vedemmo or ora non potere for- nire alcun criterio per la distinzione delle razze. La differenza che tosto sale agli occhi si è quella del profilo. Mentre questo nei teschi di porco delle Mariere è quasi retto, non formando tuttalpiù che un angolo fronto-nasale di 173°, nel ì Memoria precitata pag. 497, STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 3D cignale è visibilmente concavo, formando un angolo rientrante O ele | Alia differenza nel profilo sembra essere legata la diversità nell’altezza del cranio, maggiore nel cignale (41 :100, lunghez- za del teschio) che non nel porco delle Mariere (35 : 100). Il teschio è relativamente più largo nel cignale, la sua massi- ma larghezza dall’ uno all’altro zigoma stando in rapporto colla sua lunghezza come 53 : 100, mentre che nel maiale delle terre- mare questo rapporto non è che di 47 : 100. La spina giugulare del teschio di cignale differisce tanto da quella del teschio N.° II, quanto dall’altra del frammento N.° XVI, ambe di Castione; sta tra esse. È retta anzi che curva, com’ è invece la spina del N.° II, e più lunga; è meno schiacciata e più breve, a quanto sembra, di quella del N.° XVI; dirigesi visi- bilmente in avanti, come pare che si diriga questa, mentre che la spina giugulare del N.° II curvasi all’indietro. Sì le une che l’altra dirigonsi all'infuori. In relazione col profilo pare che sia pure la lunghezza dei parietali e frontali, minore nel cignale che nel porco delle Mariere. In questo le orbite sono più ampie che non nel cignale. Il lagrimale manca, nel cignale, della punta cuneiforme, e per le lunghezze relative de’ suoi margini, inferiore e superiore (1,30 — 1,91), sta quasi in mezzo tra gli estremi dei 13 la- grimali di porco delle Mariere esaminati. Il palato è relativamente più lungo nel cignale (72 : 100) che non nel maiale delle Terremare (67 :100), e si suppone che ancora questa diversità sia collegata colla differenza del pro- filo. Mentre che nel maiale suddetto le serie dei denti mascel- lari corrono quasi parallele, sì che la massima differenza in più di larghezza del palato, tra i 3.' molari, non è che di 2 mm., nel cignale invece tale differenza importa 9 mm., e si verifica verso ì canini. Alla radice il naso, pochissimo convesso, del cignale è meno largo che non quello del porco delle Mariere. Inoltre il naso 36 P. STROBEL, del cignale presenta in quel posto una sezione trasversale ad angolo retto, perchè i mascellari s’ appoggiano perpendicolar- mente ai nasali, incastrandoli, mentre che nel porco delle Ma- riere incontrano questi ad angolo più o meno ottuso. I nasali del cignale, più lunghi di quelli del detto porco, si restringono gradatamente verso metà lunghezza, per allargarsi di nuovo verso la punta. Una diversità pure notevole, la quale però non appare dal confronto dei teschi, perchè gli intieri delle Terremare sono di scrofe, mentre che quello di cignale appartenne ad un maschio, riscontrasi nel mascellare superiore e precisamente nella cresta e corrispondente doccia sopra e canino. Questa differenza viene invece provata dal confronto di quella parte del teschio del cignale con due frammenti d’ossa del grugno di verro delle Mariere, l’uno, N.° XIV di Castione (Tav. 1), e l’altro, N.° XV, di Parma. In questi la cresta è ridotta ad una carena bassa ed ot- tusa, ed il canale tra essa e la parete del mascellare è appena segnato; e tali differenze sono tanto più rimarchevoli in quanto che riscontransi anche in quello dei frammenti in discorso, N.°XV, che spettava ad un individuo alquanto più adulto del cignale posto a confronto. La saldatura ed obliterazione delle suture sembra essere più precoce nel cignale che nel maiale delle Terremare. Deduzioni. Conosciute le differenze tra il teschio di cignale sardo e quello del maiale delle nostre Terremare, passiamo a vagliare l’importanza delle parti scheletriche, cui si riferiscono, nella di- stinzione e nella classificazione delle specie e razze di Sus. Il Ritimeyer* dichiarava nel 1861 che tutte le razze suine domestiche attuali, osteologicamente da lui conosciute, si asso- migliano pei seguenti caratteri del teschio: fronte ripida, occi- pite verticale, fosse temporali ed ossa dei zigomi ripide, carat- i Die Fauna der Pfahlbauten, ecc. pag. 188, STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 37 teri ch’egli ritiene non essere punto particolari d’una razza, sibbene effetto della domesticazione; mentre che tutte le forme di porco, quando selvatico, concordano nella struttura del te- schio opposta all’accennata, cioè, nella direzione obliqua (all’in- dietro) di tutta la parte posteriore della testa ossia della fronte, dell’occipite, delle fosse temporali e delle ossa dei zigomi. Il Nathusius, op. citata pag. 63, 95, 104, conferma l’asserzione del Riitimeyer, e conviene nella sua opinione, che la direzione ripida delle parti posteriori del cranio e lo schiacciamento della linea del profilo alla radice del naso siano l’effetto d’una co- mune causa fondamentale, cioè dell’ allevamento e della dome- sticazione, ed affatto indipendenti dalla qualità di razza, poi- chè tutte le razze riscontransi anche senza quella forma di te- schio. Sarebbero l'alimentazione abbondante, si direbbe quasi passiva, e l’inerzia del grugno che producono il raccorciamento della testa, dalle due estremità verso la radice del naso *. Per l’opposto, un nutrimento stentato, procacciatosi attivamente e specialmente coll’ uso del grugno, determinerebbe una forma allungata del teschio. Il movimento del grugno, tanto per gru- folare in cerca di cibo, quanto per offendere o difendersi, ri- chiedendo una continuata azione dei muscoli cervicali nel senso d’alto in basso, ed esponendo le ossa del grugno a continui urti dal disopra, quei muscoli tirerebbero poco a poco la squama flabelliforme dell’occipite e per consenso le ossa temporali, pa- rietali e frontali verso l’indietro ed in basso, e quegli urti ri- petuti che sosterrebbero le ossa del grugno, le spingerebbero all’ingiù. Per tale modo verrebbe determinata una forma di teschio stirata ed all'indietro ed in avanti, coll’ occipite notevol- mente inclinato all'indietro; mentre che viceversa nel porco alle- vato il piano occipitale giunge perfino ad essere inclinato in avanti*. Il Ritimeyer insiste nella suesposta opinione circa gli effetti della domesticazione sulla forma del teschio anche nelle 4 NATHUSIUS, op. cit. pag. 67, 101, 103. 2 NATHUSIUS, op. cit. pag. 69. 38 P. STROBEL, posteriori e recenti sue memorie, sebbene avesse nel teschio di Sus palustris della Palafitta di Robenhausen riscontrato il pro- filo retto, ed incavato invece nel teschio della medesima razza raccolto nella Palafitta di Wauwyl!; e sebbene nell’ ultimo suo lavoro porti degli esempi di suini asiatici ed africani do- mestici a profilo retto”. Il Sanson * dissente affatto dai nominati autori, e non esita punto di sostenere che la suesposta spiegazione meccanica del fatto in questione, data dal Nathusius, sia “ assolutamente inam- » Missibile, anche a titolo di semplice probabilità, in causa del- » l'assenza del legamento sopraspinoso cervicale* ,. Per cui egli pone la differenza nel profilo del teschio tra i caratteri distintivi di razza: sarebbe rettilineo il profilo nel cignale eu- ropeo e concavo nei porci asiatici. A quale conclusione ci conduce in proposito il confronto dei nostri teschi? Stando al Nathusius ed al Ritimeyer i teschi di maiale delle Terremare avrebbero appartenuto ad individui selvatici, o per lo meno inselvatichiti. Certamente in quei tempi remoti non si allevavano ed ingrassavano i suini come al giorno d’oggi, e ciò sembra provato anche dalla piccola loro statura, ma è certo pure che erano domestici’, al pari di quelli delle mandre del- l’Italia meridionale, della Sardegna e della Sicilia®. Quindi il 1 Neue Betirige zur Kenntniss, ecc. pag. 153 e 166. 2 Hinige weitere Beitrige, ecc. pag. 487 e 488. 3 Trattato di zootecnia. Riassunto di A. Lemoigne e G. Tampelini. Milano, 1880; pag. 953. 4 Confesso che non comprendo punto una tale argomentazione, il detto legamento non avendo rapporto alcuno coi movimenti del capo. 5 Il Riitimeyer stesso, nella sua memoria Neue Beitriige citata, alla pag. 171, dichiara che le ossa di Porco delle Mariere, da me avute, spettano ad un porco indubbiamente domestico, e che portano le impronte della domesticazione più evidenti ancora che non quelle della piccola razza di Neuveville. 6 È probabile che in quei tempi remoti (dei terramaricoli) i maiali vagassero » la massima parte dell’anno nelle nostre selve pascendosi di ghiande, sorvegliati e » custoditi solamente da pastori .... Credo che solo nella stagione invernale si te- » nessero in apposite stalle per difenderli dal freddo. » CANESTRINI. Oggetti trovati nelle Terremare, ecc. pag. 145. Ed allora si nutrivano con ghiande, di cwi nelle Ma- riere incontransi dei magazzini, STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 39 fatto che tali porci avevano teschio a profilo retto, sta contro l’opinione dei sullodati autori, sì come contro la spiegazione meccanica dell’ipotesi che dà il Nathusius, sta l’altro fatto, che i teschi di porco della Mariera di Castione, numeri I e II, sono d’individui ancora giovani, i quali pertanto non potevano avere fatto ancora che ben poco uso del loro grugno. Secondo il San- son, il porco delle Terremare dovrebbe, pel carattere del profilo, spettare alla razza del Sus scrofa o cignale, ciò che non è. Passando al teschio del cignale di Sardegna, abbiamo indi- cato come il suo profilo non sia punto retto, ma alquanto in- cavato alla radice del naso. Ciò contrasterebbe pure con quanto in proposito asserirono i nominati tre autori, nonchè il Daw- benton, i quali assegnano al cignale un teschio a profilo retto o quasi retto. E vero, un caso solo potrebbe essere un'eccezione, che perciò confermerebbe appunto la regola. Pel fatto, poco die- tro addotto, che i suini passano facilmente dallo stato selvatico al domestico e viceversa, potrebbe darsi che nel caso nostro si trattasse appunto o di un cignale addomesticato, o di un maiale inselvatichito, o di un discendente incrociato di quei due porci; ed io non posso pur troppo garantire che il teschio sia d’individuo di cignale puro sangue. Debbo però far osservare che il teschio del maiale nostrano, col quale avrebbe potuto ac- cadere l’incrociamento supposto, presenta un profilo meno inca- vato di quello del teschio di cignale in contestazione. Comunque, non possiamo a meno di tenere calcolo anche di questo fatto, sebbene isolato, in quanto che la logica deduzione da esso non farebbe che completare e confermare quindi la deduzione tratta dalla dirittura del profilo nei teschi del maiale delle Terremare, che cioè, l’incavatura del profilo alla radice del naso non dipen- derebbe punto dalla domesticazione e dalla nutrizione del suino. A maggior conferma di questa deduzione addurrò un altro fatto che osservasi in due teschi della razza Yorkshire, conservati nel gabinetto zootomico della R. Scuola zootecnica di Reggio del- l'Emilia. Nel teschio. del verro, vecchissimo, il piano occipitale, colle fosse temporali, è sensibilmente inclinato in avanti, ed il 40 P. STROBEL, profilo è incavato più ancora che nel teschio della serofa della | stessa razza rappresentato dalla fig. 7 della tav. II della citata opera del Nathusius, mentre che nella giovane scrofa, allevata | nello stesso stabilimento, col 3.° molare tuttora nell’alveolo e_ cogli incisivi in muta, il piano occipitale è verticale soltanto, le fosse temporali sono un poco inclinate all’indietro ed il profilo è quasi retto. Non è dunque l’uso del grugno, non lo stato di domesticità che determinano il profilo e la forma del teschio; sibbene potrebbe sospettarsi che la struttura della testa deter- mini piuttosto la impossibilità ovvero la possibilità e la facilità di valersi del grugno: non sarebbe la modificazione e la cessa- zione della funzione che trarrebbe dietro a sè la trasformazione e la soppressione dell'organo, sibbene viceversa queste determi- nerebbero quelle: un muso raccorciato e rivolto in su (Mopsbil- dung) rende impossibile il grufolare, nè già viceversa la cessa- zione di quest’ atto produce un muso rivolto in su, rincagnato, (retroussé), quale vedesi nella razza perfezionata estrema (Extre- me Kultur-Rasse o Culturrace). Di conserva colla differenza nel profilo appaiono le diversità nella larghezza e nell’altezza proporzionali del cranio, maggiori nel raccorciato teschio del cignale e minori nell’ allungato del maiale delle Terremare. Così pure i zigomi sono) più alti nel cignale che non nel porco delle Mariere, e la direzione loro, nonchè delle fosse temporali, segue quella della parte posteriore del cranio, è cioè più obliqua all’indietro nella seconda razza che non nel cignale. — Quanto alla larghezza del cranio, ed in generale alle misure di larghezza del teschio in confronto con quelle di lunghezza, non posso omettere di notare. come il Na- thusius stesso abbia ripetutamente, op. cit., pagine 91 e 131, asserito, che le misure di larghezza sono costantemente, in pro- porzione, maggiori nel maiale siamese od ‘indico, che non nel vivente nostrano, con che egli viene implicitamente ad accordare a tale carattere un valore di razza, i due termini di confronto essendo entrambi equipollenti, ambi i suini vivendo nello stato di domesticità. La larghezza relativa del cranio sarebbe dunque ed un carattere di domesticità ed un carattere di razza. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 41 Dissi già che per i miei studî sarei condotto a non accordare alla spina jugulare alcun valore come carattere per la distin- zione delle razze suine, poichè, come vedremo confermato più avanti, essa non solo per la forma ma anche per direzione varia negli individui d’ una medesima razza. La sua direzione non è poi nè meno sempre in rapporto colla direzione del piano occipitale. Pel legame sopra accennato, parlando dell'altezza del cranio, e della direzione dei zigomi e delle fosse temporali, la fronte del nostro cignale è relativamente .meno lunga che non nel ma- iale delle Terremare. Il Riitimeyer ! ebbe a segnare come carattere che distingue il Sus palustris delle Palafitte della Svizzera dal cignale, la mag- giore ampiezza delle orbite, carattere distintivo che riscontrammo del pari nei teschi del porco delle Mariere, quantunque ben lieve sia tale differenza. Quanto al lagrimale mi limiterò ad osservare come le misure relative del medesimo nel cignale di Sardegna non corrispondano punto a quelle che il Riitimeyer ? assegna a tale specie, nella quale quell’osso sarebbe inferiormente due volte più lungo della sua altezza nel margine orbitale, e superiormente tre volte più lungo; mentre che nel cignale in questione, come si vide, la lunghezza inferiore non sta all’altezza posteriore suddetta, che come 1,30: 1, e la lunghezza superiore come 1,91: 1. Del va- lore tassonomico di quest’osso si tenne già parola, come pure del suo nesso colla forma del teschio, il quale nesso riceverebbe conferma dal caso in discorso, in quanto che il teschio di ci- gnale sardo in questione, non avendo il profilo rettilineo e la forma allungata d’altri teschi di questa specie, il lagrimale n° è pure meno allungato. Ma contro tale deduzione sta l’altro fatto che nel teschio di cignale sardo conservato nel Museo civico di Milano, il cui profilo è quasi retto, il lagrimale è ciò non ostante assai breve, più ancora che nel teschio in discorso. 1 Die Fauna der Pfahlbauten, ecc. pag. 179. 2 Neue Beitrige, ecc. pag. 159. * 49 P. STROBEL, . La lunghezza relativa dei nasali e del palato può ritenersi del | pari in rapporto colla inclinazione della parte posteriore del cranio, e quindi, questa parte essendo raccorciata nel cignale, in esso la lunghezza relativa è maggiore che non nel porco delle Terremare. Lo stesso potrebbe dirsi anche della larghezza del palato, pure maggiore nel cignale che non nell’altro suino. Insieme colla diversa larghezza del palato abbiamo rimarcata anche una differente dire- zione della serie dei denti mascellari. Mentre che nel maiale delle Terremare le due serie di quei denti segnano due file quasi pa- ralelle, nel cignale esse divergono e toccano la massima distanza al 2.° premolare. Secondo il Nathusius, op. cit., pag. 37, la lun- ghezza e la strettezza del palato ed il subparallelismo delle se- rie dei denti mascellari sarebbero particolarità caratteristiche del cignale, e la distanza tra i 3.' premolari sarebbe in esso co- stantemente minore di quella tra i 2.° molari (op. cit. p. 38), e nel maiale discendente dal cignale questo paralellismo dei denti mascellari non sarebbe punto alterato, poichè il palato si sarebbe uniformemente allargato (op. cit., pag. 93). Nel maiale siamese invece il palato ai piccoli premolari s’ allarga bruscamente in i : | È ‘ avanti e fuori di proporzione (op. cit., pag. 93), e la massima | I distanza (op. cit., pag. 86) sarebbe, come appunto nel nostro cignale di Sardegna, di 9 millimetri maggiore della minima (50: 41°"). Le indicate differenze tra il porco siamese ed il cignale di Germania segnate dal Nathusius sarebbero la conseguenza d’una interna necessità di costruzione o conformazione (innere Gestaltungsnothwendigkeit, op. cit., pag. 94), ossia un carattere specifico o quanto meno di razza. Il Riitimeyer accetta le con- clusioni del Nathusius, e dichiara che la posizione reciproca delle serie dei denti mascellari è una particolarità della specie*, poi- chè affatto indipendente dall'influenza del semplice allevamento (Cultur), mentre che invece l'allargamento del palato in avanti sarebbe un effetto della domesticità?®. I fatti sopra esposti, re- ì Neue Beîtriige zur Kenntniss des Torfschwveins, cit. pag. 143, 159 e 160. ® Einige weitere Beitr. iiber das czahme Schwein, cit., pag. 491. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 45 lativi al maiale delle Terremare ed al’ cinghiale della Sardegna sarebbero in opposizione al supposto dagli autori citati, il ci- gnale della Sardegna non offrendo i caratteri da essi assegnati al cignale europeo, e riscontrandosi maggiore larghezza relativa del palato in quell’individuo selvatico che non nei porci domestici delle Mariere. Nel palato del Sus palustris il Nathusius avrebbe osservato come i premolari deviano alcun poco all'infuori della linea me- diana dei molari; il Riitimeyer invece! afferma che in quella razza preistorica la distanza dei denti mascellari, misurata dal centro della corona, è posteriormente maggiore che non ante- riormente. Nel palato del teschio N.° II di porco delle Mariere, come pure dei frammenti N.° XV e XVIII, osservasi, come fu ac- cennato, un fatto simile a quello notato dal Nathusius nel Sus palustris, le serie dentarie, cioè, si vanno accostando sino al 3.° premolare, poi di nuovo s’allontanano, sebbene di poco, se- gnando di tal modo due linee leggerissimamente inflesse; mentre che invece nel teschio N.° I quelle serie mostransi quali il Rii- timeyer le indica nel suo Sus palustris. Per analogia puossi de- durre che la stessa differenza nel detto elemento scheletrico siasi verificata anche nel Sus anzidetto, e che quindi ponno avere ragione ambo gli autori. Vedi la Tav. 2 fig. I e XV. Il Nathusius (op. cit., pag. 31), descrivendo il teschio del ci- gnale, fa notare come là ove il mascellare superiore viene ad immediato contatto col nasale, ossia alla radice del naso, le loro superficie o piani esterni vi si incontrino quasi ortogonalmente, ossia formandovi approssimativamente un angolo retto. Vedemmo come eguale rapporto tra loro quelle ossa presentino anche nel cignale sardo; mentre che nei teschi del porco delle Mariere l’in- contro loro avviene ad angolo più o meno ottuso. La cresta ossea ed il canale sopracanini sono marcatissimi nel cignale, relativamente più che in tutti gli altri teschi suini oggetto di questa memoria. Tale particolarità, insieme colla con- 1 Neue Beitr. zur Kennin., ece. cit. pag. 160. 44 P. STROBEL, cavità notevole dei mascellari superiori, denota un animale sel- vatico, tanto più se si tiene calcolo della giovane sua età (in- cisivi in muta). Questo teschio ci presenterebbe, come appare dai confronti istituiti, secondo Nathusius e Riitimeyer, associati insieme carat- teri di stato selvatico, nella parte facciale, e di stato domestico, nella porzione craniale. Ma, mentre la struttura della parte fac- ciale o del muso proverebbe che l’animale ne facesse frequente e valido uso, ciò non ostante non ne sarebbe conseguito, come avrebbe dovuto, secondo le supposizioni del Nathusius, lo stira- mento all'indietro della parte posteriore del teschio. Sarebbe un fatto in opposizione alla detta ingegnosa ipotesi del valente au- tore; mentre che, abbandonata questa, potrebbe essere addotto come prova d’incrociamento tra cignale e maiale, ammesso che in questo il piano dell’occipite si trovi maggiormente inclinato in avanti, e di conformità sia modificata la scatola craniale. Ma contro questa argomentazione sta il fatto, addotto precedente- mente, che il teschio del nostro maiale, con cui avrebbe potuto avere luogo l’incrociamento, presenta un profilo meno incavato che quello del teschio del cignale sardo, nonchè l’altro fatto, che l’altezza del suo cranio è minore di quella del cranio del detto cignale. 3. CONFRONTO TRA I TESCHI DEL PORCO DELLE MARIERE È TRE DI MAIALE DI RAZZA NOSTRANA, IBERICA (N.' E FIG. 7, 8 e 20). Nel profilo i tre teschi di maiale nostrano non concordano perfettamente. Mentre che nei teschi dei giovani maschi N.° 7 e 20 è quasi retto, nel teschio della scrofa, N.° 8, è alquanto schiac- ciato alla radice del naso. L'altezza relativa del cranio del nostro maiale uguaglia quella del porco delle Terremare. Quanto alla larghezza massima relativa i teschi N.° II ed I delle Mariere si collocano tra i teschi N.° 7 ed 8 del maiale re- STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 45 cente in esame, poichè posta = 100 la lunghezza orizzontale del teschio, la massima larghezza nel N.° 7 sta alla lunghezza, come 46:100, nel N.° II come 47:10, nel N.° I come 48:100, e nel N.° 8 come 50: 100, ossia la larghezza del teschio giunge in questo a metà la lunghezza. La squama occipitale è strettissima nei N.' 7 e 20, molto meno nel N.° 8. La forma dei processi giugulari nei teschi N.° 7 e 8 differisce tanto da quelli del teschio N.° II delle Mariere, quanto dall'altro N.° XVI. Sono cultriformi, leggermente ricurvi ad S, colla punta rivolta in avanti ed ingrossata, come nel te- schio del cignale di Sardegna. Nella scrofa N. 8 dirigonsi alcun poco all’indietro, e nel maschio N.° 7 sono quasi perpendicolari alla base del cranio. Nel N.° 20 la spina gugulare è schiacciata, come nel N.° XVI delle Mariere, non termina in punta, è quasi perpendicolare come nel N.° 7. Nel maiale N.° 7 l’altezza relativa dei zigomi sta tra i due estremi d’altezza dei zigomi del porco delle Terremare, circa come i zigomi del cignale di Sardegna. Nella scrofa N.° 8 in- vece è superiore alla massima altezza dei zigomi del detto porco, e maggiore ancora è l’altezza di quelle ossa nel teschio N.° 20. Nella scrofa i zigomatici sono grossi, stretti invece nei maschi. La direzione del ramo ascendente delle apofisi zigomatiche, sì come la direzione delle fosse temporali, s’ accosta in tutti tre i teschi di maiale nostrano di più alla perpendicolare che non nel cignale N.° 6. I parietali sono più brevi che nel cignale N.° 6, e più ancora che nel porco delle Terremare. — In relazione col profilo la fronte è più breve nella femmina N. 8 che non nei maschi N.' 7 e 20; però anche in questi è più breve ancora che nel teschio del cignale sardo. Per tale carat- tere questo sta in mezzo tra il detto maiale N.° 7 ed il porco delle Terremare N. I e II — I fori sopraorbitali sono nella scrofa alquanto infossati e continuano in un canale profondo e largo, quale verremo a conoscere assai pronunciato nel teschio De 10, SIT] 46 P. STROBEL, Le orbite sono meno ampie nel maiale nostrano che non in quello delle Terremare, anzi sono delle meno ampie. Il diametro longitudinale, alquanto maggiore dell’altro, è quasi verticale, mentre che nel cignale sardo è alcun poco obliquo all’indietro. Il lagrimale nel N.° 7 presenta brevissima la punta cuneiforme, nei N.' 8 e 20 essa manca. Quest’osso per la maggiore lunghezza del margine superiore relativamente all’inferiore scostasi più che quello del cignale N.° 6 dalla figura rettangolare; nella scrofa N.° 8 però questa differenza tra la lunghezza dei due margini è minore, e minore sembra pure essere la lunghezza dei detti margini rispetto alla lunghezza del margine orbitale (ove le su- ture sono obliterate) sì che la figura del lagrimale s’ avvicina al quadrato. . Le ossa nasali alla radice del naso sono relativamente più strette che non nel cignale. Quelle dei due maschi s’incontrano quasi ad angolo retto coi mascellari superiori, non così nella scrofa, in cui questi scendono un poco obliquamente, come nel porco delle Mariere. Nei due maschi formano volta più convessa, che nella femmina; in questa sono infossati tra i mascellari, come nel cignale. Nel teschio N.° 20 la distanza dal lagrimale al margine po- steriore del foro infraorbitale è uguale a quella che corre da questo margine al canino, ed il foro dirassi anteriore; è invece posteriore nel teschio N.° 8, cioè la distanza sua dal lagrimale uguaglia appena quella sino al 2.° premolare; nel N.° 7 il foro è mediano, tra il lagrimale ed il 1.° premolare. Per la lunghezza e la larghezza del palato il teschio di ma- iale N.° 7 non è dissimile da quello del cignale di Sardegna, quello della scrofa, N.° 8, raggiunge il massimo nella lunghezza; il palato in essi è più lungo e s’allarga di più che non nel ma- iale delle Terremare. Il margine posteriore del 3.° molare sta dietro al margine lagrimale dell’orbita nel N.° 8, e sotto al medesimo negli altri. Quanto alla carera sopra: canino i due giovani maschi, pro- babilmente castrati, non si distinguono punto dalla scrofa pure (0) STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 47 castrata; essa carena è debolissima come nel porco delle Ma- riere. Deduzioni. Il fatto che il profilo nei N.' 7 e 20 è quasi retto, mentre che nel N.° 8 è alquanto incavato alla radice del naso, sembra essere in opposizione colla esposta ipotesi del Nathusius, poichè muscoli ed i tendini avendo funzionato di più nella vecchia scrofa N.° 8, che nei giovani maschi N. 7 e 20, il suo teschio dovrebbe essere più stirato degli altri due. Potrebbe però darsi che tale differenza, sì come quella nella larghezza del teschio e nella figura del lagrimale, dipendesse da una causa genealo- gica, cioè, che tali differenze provenissero da incrociamenti con razze perfezionate inglesi, specie colla Yorkshire. Pel profilo i N. 7 e 20 s’avvicinano di più al teschio del porco delle Terre- mare che non a quello del cignale sardo, N.° 6. Vedemmo che l'altezza e la larghezza proporzionali del te- schio sono ad un dipresso uguali nel nostro maiale e nel maiale delle Terremare, mentre che nel cignale sono relativamente maggiori. Ciò non concorderebbe coll’ asserzione del Nathusius e del Riitimeyer, che la larghezza sia maggiore nei suini domestici a fronte dei selvatici. La direzione e la forma delle spine jugulari variano nel ma- iale nostrano, e quindi parrebbe che questo elemento scheletrico non potesse servire quale carattere distintivo di razze, come ebbi già ad avvertire. La direzione dei zigomi sembra essere, come nel cignale, in relazione con quella del piano dell’ occipite, ed in generale colla direzione della parte posteriore del capo. Quanto all'altezza re- lativa di quella parte del teschio pare .invece che non esista rapporto alcuno con tale direzione. L’altezza maggiore del zi- goma nel teschio N.° 20 farebbe quasi sospettare d’una mesco- lanza, sebbene in minima proporzione, di sangue inglese nel ma- iale cui quel teschio apparteneva. 48 P. STROBEL, Tra la lunghezza della fronte ed il profilo del teschio non sembra esistere relazione alcuna. Pel lagrimale il nostro porco recente, sopra tutto nei N. T e 20, s'assomiglia di più al maiale delle Terremare che non al ci- gnale di Sardegna; ma, viceversa, per la lunghezza e la lar- ghezza del palato s’avvicina di più a ques che non al detto maiale prestorico. Il valore tassonomico della sezione trasversale del naso alla sua radice pare che venga ad essere diminuito, non concordando interamente in tale carattere i tre teschi di maiale nostrano or ora descritti. Ma in proposito giova ripetere l’ osservazione, che la scrofa cui appartenne il teschio N.° 8 non era forse di pure sangue nostrano. Riassumendo, osserverò come il maiale nostro, iberico, adulto, tenga del maiale delle Terremare pel suo profilo, per la larghezza / È e l’altezza del teschio, per la forma dei lagrimali. Vedremo in - seguito altre somiglianze tra queste due razze e segnatamente nel teschio di maiale nostro giovane. 4. CONFRONTO TRA J TESCHI PRECEDENTI ED UNO DI SCROFA INCROCIATA: NOSTRANA MONTANARA CON RUSSA 0 DEMIDOFF, O CASENTINA (N.° E FIG. 9). Pel profilo il teschio di questa meticcia non differisce punto da quello della razza nostrana, N.° 7; il piano dell’ occipite in- contra la linea del profilo quasi ad angolo retto, e quest’angolo occipitale s'accosta perciò di più a quello del cignale di Sarde- gna, N.° 6, che non a quello della razza indigena, N.' 7 e 8. L’altezza relativa del cranio sta tra quella del detto cranio di cignale e l’altezza del cranio della razza nostrana. Quanto alla larghezza relativa il teschio in esame non diffe- risce quasi da quello al N.° 8, è alquanto più largo del teschio N.° 7 di razza indigena, ma meno di quello del cignale sardo NB STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 49 — Dei processi giugulari il destro ha la forma di quelli del detto (o cignale, e come in questo dirigesi in avanti; il sinistro invece scende perpendicolarmente alla base ed ha la forma del pro- cesso jugulare del maiale nostrano N.° 7, è cultriforme; come nel cignale ambi dirigonsi all’ infuori. Più lunghi che nel maiale indigeno ne sono i parietali, meno però che nel cignale e nel porco delle Mariere. La fronte, un poco convessa, è relativamente più lunga che nel cignale, e di molto più lunga che nella razza nostrale, quasi come nel porco delle Mariere. È molto stretta come nel maiale nostrano N.° 7. . Le ossa dei zigomi sono relativamente alte circa come nella scrofa nostra, N.° 8, e nel verro Yorkshire N.° 11, ma meno che nel verro casentino N.° 12. L’ ampiezza dell’ orbita è maggiore che non nel maiale nostro, N.° 7, e minore che non nel porco delle Mariere; il suo dia- metro verticale è, rispetto all’orizzontale, più lungo che non negli altri teschi meno quello casentino, N.° 12, l'opposto di quanto osservasi nei teschi dei maiali delle Terremare. Relativamente assai lungo è il lagrimale, più che nel maiale nostrano, e più ancora che nel cignale sardo; il margine suo superiore è il più lungo di tutti. La lunghezza e la larghezza relativa del palato uguagliano al- l’incirca quelle del palato del cignale e del nostro maiale. I nasali s' uniscono formando una volta abbastanza convessa, più che nei N.' 7 e 20, e più ancora che nel cignale di Sarde- gna, ma non sì restringono gradatamente, come in questo, verso metà lunghezza, per allargarsi di nuovo gradatamente verso la punta. La larghezza relativa del naso alla sua radice è pari a quella del naso del cignale N.° 6, e maggiore di quella del naso del nostro maiale N.° 7; e l’incontro delle ossa nasali colle ma- scellari superiori vi avviene quasi ortogonalmente, senza che queste incastrino quelle; però i mascellari vi sono meno inca- vati, che. non nel teschio del maiale nostrano, e meno ancora che nel teschio del cignale sardo. Vol. XXV. 4 50 P. STROBEL, Questo teschio N.° 9 distinguesi da tutti i precedenti per la spugnosità della lamina esterna delle ossa craniali e dei lagrimali. Deduzioni. Dai confronti precedenti apparirebbe come il teschio della scrofa incrociata in esame, per la maggior parte de’ suoi carat- teri, tenga del teschio d’uno de’ suoi stipiti, il maiale nostrano, e per il rimanente ricordi il cignale di Sardegna; presentando pure qualche punto di contatto col teschio del maiale delle Terre- mare, come nella lunghezza delle ossa frontali, mentre che, vice- versa, non tradirebbe l’altro stipite, il porco casentino, che per la spugnosità del cranio, la convessità della fronte e l’altezza del cranio e dei zigomi, caratteri gli ultimi due che osservansi anche nel teschio della razza Yorkshire. Per la lunghezza e la figura del lagrimale s’accosterebbe al teschio del cignale di Germania, figurato dal Nathusius, Tav. I, fig. 2. Singolari sono le spine jugulari, differenti l'una dall'altra, e per forma e per direzione. Questo fatto potrebbe provare tanto la nessuna importanza caratteristica di questa parte del cranio, quanto, ma meno probabilmente, la riunione in questo di carat- teri di due razze diverse, non però della casentina, i di cui pro- cessi giugulari sono diversi e dall'uno e dall’altro del teschio in confronto. 5. CONFRONTO TRA I TESCHI PRECEDENTI ED UNO DI MAIALE INCROCIATO: INGLESE, YORKSHIRE?, CON RUSSO, CIOÈ CASENTINO, BERKSHIRE? (N.° E FIG. 10). Presenta questo teschio il profilo più schiacciato alla radice del naso che non tutti gli altri passati in rassegna. Il piano dell’ oc- cipite è visibilmente, di tutti, il più inclinato in avanti. Proporzionatamente uguaglia in altezza il teschio del verro STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 51 | casentino N.° 12, mentre che la larghezza ct n’è Sg 4 fonigero, uguale a quella dell’incrociato N.° | . Di tutti i teschi sin qui esaminati è don la di cui squama | ipse è più larga, 92 millimetri, ossia di 29 : 100 in propor- | zione colla lunghezza del teschio, e di 60:100 relativamente alla larghezza; sì che le si compete specialmente il nome di fiabelliforme, mentre che quella del teschio del nostro maiale N.° 7 è delle più strette, soli 69 millimetri, ossia in proporzione di 22:100 rispetto alla lunghezza del teschio, e di 47:100 ri- guardo alla sua larghezza; ma per compenso questa è la più in- cavata, sì che ad essa applicare puossi più particolarmente il nome di sella. Cultriformi sono i processi giugulari, scendono volti alcun poco all'indietro e dirigonsi all'infuori. Le carene lambdoidi si dilatano in lamine e le fosse temporali sono assai profonde. Più brevi di tutti sono i suoi partetali, lunghi appena 17”®, ossia nella proporzione di 5, 4: 100 rispetto alla lunghezza del teschio, mentre che presentano la massima lunghezza quelli dei teschi di porco delle Mariere, la massima lunghezza dei quali è di 35°”, ossia in proporzione di 14:100 relativamente alla lun- ghezza del teschio, ch'è quanto a dire la loro lunghezza relativa è quasi il triplo di quella dei parietali del teschio in esame. — Le carene dei parietali di questo sono le più ottuse, e scen- dendo verso i processi soprorbitali si perdono. La carena sagit- tale è rappresentata da un tubercolo. La fronte distinguesi da quella di tutti gli altri teschi per la gobba prominente tra la sutura coronale ed i fori soprorbitali, sì che per tale riguardo e pel profilo non si può a meno di tro- vare della somiglianza tra questo teschio e quello del maiale co- cincinese di Saigun rappresentato dal Riitimeyer nella memoria: Ein. weit. Beitr. iiber d. zahme Schw., più volte citata, fig. 1 e 2. I frontali del teschio parmense si distinguono da quelli del cocincinese perchè intorno ai fori soprorbitali sono infossati, e tali fosse si prolungano sui nasali tenendo luogo dei canali so- 52 l abeti (\P. STROREL, prorbitali. La fronte del teschio in discussione è piuttosto lunga, tra quella del teschio N.° 12 e l’altra del N.° 7; la sua massima larghezza relativa tiene la media tra quella della fronte del ma- iale indigeno nonchè dell’incrociato N.° 9, ch'è la minima, e la larghezza massima della fronte del verro casentino N.° 19, ch'è la massima. I zigomi del teschio che stiamo confrontando, quanto all’al- tezza relativa, stanno tra i N.' 7 ed 8 dei teschi di maiale no- strano; quanto alla grossezza superano quelli degli altri teschi, meno che del verro casentino, in cui la loro massima grossezza è notevole. Ha le orbite meno ampie di tutti, meno ancora di quelle del maiale nostrano N.° 7; illoro diametro verticale è alquanto mag- giore dell’ orizzontale; l’asse maggiore è quasi perpendicolare alla base del cranio. I lagrimali tendono alla forma quadrata; davanti ai loro fori sporge un tubercolo abbastanza pronunciato. Il foro infraorbitale apresi anteriormente. Molto larghi e piatti sono i nasali e s’infossano tra i ma- scellari, per modo che questi vi formano i margini del naso, come avviene pure nel cignale. La sezione verticale del naso, alla radice, è rettangolare. Esso è il più breve di tutti, lungo soli 150 millimetri, ossia in proporzione colla lunghezza del te- schio =48:100, opposta a quella del naso del cignale, ch'è la massima = 59 : 100. Largo è il palato in rapporto colla sua lunghezza, che pro- porzionatamente è minima, uguale a quella del palato del ma- iale delle Terremare; non conviene però dimenticare che il te- schio è d’individuo giovane. La carena sopra dl canino è di ben poco più sviluppata che nel maiale nostrano. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 53 ménià Deduzioni. . Confrontato il teschio in esame con uno di verro casentino, di- chiaratomi di puro sangue, grande, e meno giovane, N.° 12, risulta come esso conservi di questo suo stipite i caratteri seguenti: pro- filo assai incavato, squama occipitale larga, spina giugulare diretta all’indietro, parietali brevi, colle carene ottuse, fronte convessa, fori soprorbitali infossati, orbite più alte che larghe, lagrimali subquadrati, scatola craniale spugnosa, palato largo e nasali larghi e piatti. Alcuni di questi caratteri sono in lui, per così esprimermi, esagerati a fronte del teschio casentino, quali il profilo più schiacciato, la ottusità delle carene dei parietali, la brevità di queste ossa, la convessità della fronte, la spugnosità delle ossa craniali, persino cariate e forate. Altri caratteri in- vece sono meno pronunciati, come la larghezza della squama occipitale e del palato, l’altezza e grossezza dei zigomi, e la ca- rena sopra il canino, la quale nel teschio del verro casentino forma una protuberanza grossa, lunga, ed alta. Le accennate differenze in meno nel teschio N.° 10 a fronte del teschio N.° 12, parte sono dovute alla minore età e parte alla castrazione del porco N.° 10, come l’atrofia della carena sopra il canino. Per la figura del lagrimale si scosta dal teschio del porco ca- sentino e s’avvicina al teschio del maiale Yorkshire, e per tale carattere tradisce la sua parentela con questo secondo suo stipite. Ciò che distingue il teschio N. 10 dal teschio del verro ca- sentino, sì come da tutti gli altri in esame, si è la grande in- clinazione in avanti del piano dell’occipite, che il Nathusius forse spiegherebbe colla differenza di età. È questo teschio poi che maggiormente s’ allontana dal teschio del porco delle Mariere. 54 P., STROBEI, 6. CONFRONTO TRA I TESCHI PRECEDENTI ED UNO DI VERRO DI RAZZA YORKSHIRE (N.° E FIG. 11). “n Il profilo è alcun che incavato, meno però che nel teschio della scrofa nostrana N.° 8, ed assai meno che nel teschio casen- tino N.° 12. Il piano dell’occipite scende quasi perpendicolarmente all’asse orizzontale, mentre che nel teschio della detta scrofa di- rigesi in avanti. L'altezza e la larghezza relative del cranio sono massime, maggiori cioè che in tutti gli altri teschi in confronto. La squama occipitale è la più larga dopo quelle dei teschi N. 10 e 12. Le spine giugulari sono relativamente brevi, grosse, torte un poco ad ,S, e scendono perpendicolarmente alla base. Piuttosto sporgente è la carena sagittale, lunghi sono i parie- talì ed acute le loro carene, relativamente tra loro le più di- stanti; e la fronte, piuttosto larga, è leggermente incavata pel lungo, nè i fori soprorbitali si trovano infossati come nel teschio precedente N. 10 e nel teschio di verro casentino, N.° 12. I zigomi sono stretti e relativamente più alti che in tutti gli altri teschi, eccettuato il N.° 12. Viceversa minore è l'ampiezza delle orbite, eccezione fatta del teschio N.° 10, precedente, il diametro verticale è assai mag- giore dell’orizzontale, come nel teschio or detto; questa diffe- renza però è meno marcata che non nei teschi N.° 9 e 12. È il lagrimale del teschio che confrontiamo che maggiormente tende alla figura quadrata. La carena zigomatico-mascellare è sporgente, ed il foro in- fraorbitale apresi molto in avanti. Per la larghezza del naso alla radice somiglia al teschio N.° 10, e come in questo le ossa nasali sono piatte ed incastrate tra i mascellari e gl’intermascellari, incontrando del pari i primi or- togonalmente. Sono relativamente brevi, meno però che nel sud- detto N.° 10. Li STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 55 Il palato di questo teschio s’ allarga in avanti più che in tutti gli altri, e pertanto, relativamente alla lunghezza del teschio, il suo muso è più grosso, l'opposto di quanto osservasi nel porco delle Mariere. Il suo grugno però è meno grosso di quello del verro casentino N.° 12. La linea dei mascellari è un po’ curva. La carena sopra la zanna è sviluppatissima, meno però della carena corrispondente del teschio di cignale, ma per la forma s'accosta a questa più che non la carena del teschio casentino, N° 12ì | Il margine posteriore del 3.° molare trovasi dietro al mar- gine lagrimale dell’ orbita. Come vediamo, il verro cui spettava il teschio in esame non aveva ancora raggiunta la forma estrema o più perfetta, al dire de- gli zootecnici, della sua razza (extreme Kultur-Rasse o Culturrace), non era ancora un Yorkshire puro sangue, e lo si deduce dal confronto del suo teschio con quello, sebbene di scrofa, figurato dal Nathusius, e con altro di verro vecchio, conservato nella rac- colta della R. Scuola zootecnica in Reggio dell’ Emilia. Le differenze che passano tra questi teschi e quelli del ma- iale delle Terremare non evvi chi non le riconosca; a ciò basta il confronto delle figure. | 7. CONFRONTO DEI TESCHI PRECEDENTI CON QUELLO DI GIOVANE VERRO CASENTINO, BERKSHIRE? (N.° E FIG. 12). Della maggior parte dei caratteri di questo teschio si è già fatto cenno nell’analizzare i teschi ai N.' 9, 10 e 11; per cui mi limiterò ad un breve riassunto e complemento dei medesimi. Il teschio in discorso si distingue per la spugnosità della la- mina esterna del cranio, sebbene in grado minore del N.° 10, pel. profilo assai incavato alla radice del naso, per la notevole sua larghezza e quasi massima altezza; per la massima ampiezza della squama e la massima grossezza della cresta occipitale, per 56 E 0 PO:STROBRL) YI TA tito Dr le carene cervicali grosse ed elevate con tubercolo alla base (al foro occipitale) e per la direzione all’indietro delle spine giugulari; per le carene lambdoidi dilatate in lamina; pei pa- rietali brevi, però meno di quelli del N.° 10, e per le carene loro ottuse, sebbene, del pari, meno che nel teschio or detto; per la massima larghezza della fronte, per la convessità della parte sua superiore, quantunque in grado minore che nel teschio N.° 10, per la infossatura nella parte anteriore od inferiore, e per la forma sua di pentagono che s’avvicina al regolare più che nei teschi del Yorkshire e del cignale; per le orbite, in cui massima è la differenza tra il diametro longitudinale e maggiore, ossia l’altezza, ed il latitudinale e minore, ossia la larghezza; per la massima altezza e grossezza (30"") dei zigomi; pei lagri- mali poco più lunghi che alti, con tubercolo prelagrimale grosso, mammellonare; pei nasali, di lunghezza media, assai larghi (quasi al massimo) e piatti, ed incastrati tra i mascellari, a sezione verticale ortogonale; per la carena zigomatico-mascellare grossa, ottusa, ed il foro sottorbitale anteriore; per larghezza e lun- ghezza quasi massime del palato, la di cui parte molare è la più lunga, pari a quella del N.° 8, e per la massima larghezza del grugno; pel margine posteriore del 3.° molare posto dietro al margine anteriore dell’ orbita; infine per lo sviluppo notevole della carena e del canale sopra canino, profondo 15°". Per questo carattere, cioè per lo sviluppo della detta carena, il te- schio del verro casentino s’accosta più d’ogni altro a quello del cignale, la forma della carena è però diversa, come appare dalla figura. Della razza nostra iberica, dall’incrociamento della quale con razza inglese (Berkshire?) sarebbe provenuta questa sottorazza, non riscontriamo nel teschio in esame che tre caratteri: uguale lunghezza relativa delle ossa nasali e della parte molare del pa- lato, e poca ampiezza delle orbite. È STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 57 MISURE. ata «Già il Nathusius lamentava gli effetti dannosi alla scienza, provenienti dalla mancanza di norme fisse nella misurazione delle parti del teschio, per la. quale. mancanza rendesi impossibile. il paragone delle misure d’una data parte, prese da un autore, colle misure della stessa parte prese da un altro. Il Nathusius cercava d’ovviare a tale inconveniente col premettere alle tabelle delle misure da lui publicate delle spiegazioni, mediante le quali egli indicava i punti estremi e fissi delle medesime, da lui sta- biliti. E tali norme furono seguite anche da me, sì che mi di- spenso dal presentare cotali spiegazioni, riferendomi in proposito, per risparbio di tempo e di spazio, all'opera del nominato au- tore. AN Sebbene non, convenga totalmente nella disposizione della se- rie di tali. misure, ‘adottata dal Nathusius, pure non mi sono permesso di modif carla, e per non rendere più difficile il con- fronto tra le misurc del detto autore e le mie, e perchè non credetti che un tale cambiamento, ancorquando fosse logico, avrebbe portato un vantaggio che coutrabbilanciasse l’ accennato svantaggio; sarebbe stato come il sostituire la più conveniente numerazione dodicesimale alla decimale. In onta però alle spiegazioni intorno al modo adottato nel prendere le misure sono d’avviso, che le medesime, in buona parte, saranno sempre più o meno fluttuanti ed incerte, cioè, non potranno mai essere rigorosamente fissate, in quanto che gli estremi loro non possano essere esattamente stabiliti, non es- sendo essi spesso nè linee regolari nè punti. Pochi esempi baste- ranno a spiegare il mio concetto, e ad appoggiare la mia opi- nione. N.° 6 delle misure: lunghezza del naso. La sutura fronto-nasale segna una linea a zigzag. Secondo che pertanto si prenderà per punto di partenza della misurazione il vertice dell’ angolo rien- trante, oppure quello dello sporgente, si avrà una differenza di 58 ul | by STROBED, 171 Antani ca cina uno o due millimetri e più nella misura. L’ assimetria dei nasali, — comune anche nei lagrimali, viene ad aumentare l'incertezza. N.° 11. Lunghezza del palato. Il margine posteriore od incavo. delle lamine del palato non segna una curva regolare, il vertice della quale cada nel mezzo della medesima, sibbene risulta dal- l’incontro irregolarissimo di due curve spesso di arco disuguale. Quale dovrassi scegliere? La norma dettata dal Nathusius non è sufficiente per ottenere l’ uniformità di misurazione. N.° 20. Larghezza del naso. Nella relativa misura si dovrà com- prendere anche i mascellari superiori, quando i nasali sono in- castrati tra essi, sì che questi concorrono a formare la radice del naso? Il Nathusius non ne fa cenno. Alla parola naso do- vrebbesi forse sostituire quella di nasali? N.° 43-45. Altezza e lunghezza del lagrimale. All’incertezza proveniente dal genere delle suture, già accennata parlando so- pra del N.° 6 delle misure, sensibile specialmente nella misura dell'altezza posteriore dell’osso in questione, s’ aggiunge il fatto che il margine orbitale o posteriore del medesimo non è segnato da una linea, bensì da una superficie convessa, sì che riesce as- solutamente impossibile il fissarvi un termine preciso. — In al- cuni il lagrimale continua, al margine superiore, tra frontali e mascellari, in un prolungamento cuneiforme. Orbene, nella mi- surazione della lunghezza di questo margine superiore dovrassi giungere sino alla punta di quel prolungamento, o non si dovrà estendervisi? Ed in caso negativo fin dove si dovrà portare in avanti la punta del compasso, poichè non havvi demarcazione alcuna tra il lagrimale ed il suo cuneo? E siccome in molti la- grimali questo manca, e, per rendere possibile il confronto di tali ossa, nei diversi individui, conviene quindi non fare calcolo del cuneo, così ognun vede l'imbarazzo. Da tutto ciò deduco che non poche misure non riescono rigo- rosamente esatte, ancora quando siano prese da un medesimo os- servatore. Perciò non si potrà dare molto valore alle misure re- lative o ridotte tratte dalle misure assolute fluttuanti, a meno che trattisi di differenze notevoli od estreme. Questo inconve- STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 59 niente cresce, come è chiaro, quando si pongano a confronto misure ridotte, stabilite su misure assolute prese da osservatori . differenti. A non esagerare l’importanza delle misurazioni consiglia pure la circostanza, che non tutte le particolarità, non tutti i carat- teri, non tutte le forme, le figure, le linee delle parti del teschio sì possono esprimere con cifre, ridurre a misure; mentre che queste particolarità hanno pure, quale espressione strutturale, un valore innegabile nella distinzione delle razze, nè si ponno pertanto trascurare. Premesse queste considerazioni, per le quali si viene ad asse- gnare il giusto valore alle misure, ecco gli specchi di quelle che ho creduto del caso di presentare, tenendo le altre a disposi- zione di chi eventualmente vorrà prenderne notizia. 60 _nibtbP OP: STROBEL) TABELLA D' UNA P x NOTA. Le misure sono indicate în 1 PARTI MISURATE LATI Nora. — La numerazione corrisponde a quella delle tabelle del Nathusius. XA Ì . Asse dalla punta degli intermascellari al dune inferiore del foro occipitale. Luni del teschio . . (1 a . . . ® .. . 2. Asse orizzontale tra la punta suddetta | e la metà della cresta occipitale. . . 4. Asse dalla metà della detta cresta alla punta del naso. NIOBIISPIOE". 5. Misura col nastro del contorno del profilo tra i detti due punti. . +. . + 6. Asse longitudinale delle ossa nasali sino al iii della sutura frontale. Lung del naso, . . sì a. «ere 7. Asse longitudinale dalla radice del naso o alla finea della froùte che ne unisce le soprorbitali crd RR | 8. Asse longitudinale dal punto ‘mediano di questa linea al margine ‘della cresta occi 11. Asse longitudinale dall’incavo delle ossa palatine alla punta degli intermascellari! ghezza "del palato . . . ° + + | WS 12. Asse longitudinale della parte miviara del ‘palato E 000 13. Asse della parte incisiva. Lunghezza del grugno ‘ en nidi oi 14. Asse trasverso tra gli archi zigomatici. Massima larghezza del teschio TTT 15. Asse trasverso tra i processi soprorbitali. Massima /@rghezza della fronte . i 16. Asse trasverso tra i margini superiori delle ossa bag al margine orbitale . 7. Minima larghezza tra le carene parietali . a pn: Si 19. Asse trasverso tra le suture degl’ intermascellari al margine alveolare. Lergheg grugno . ro È 20. Larghezza del : naso alla riunione dei frontali coi i mascellari, ossia alla radice. 22. Massima larghezza della squama occipitale >. & TR LISI s. Larghezza del palato: minima distanza tra i margini alveolari al tubercolo anti del molare 3.9 . . . Me ut 24. » » » distanza come sopra del molare Lo ui ‘< & 25. » » » distanza come sopra del premolare 2,0 (32 di Nathusius) 28. Asse verticale dal margine inferiore del foro occipitale alla metà della cresta voci Altezza del cranio. 38. * Lunghezza dei parietali : dal punto d'incontro della sutura frontale colla coronal metà della sutura della cresta occipitale. . Sabra,” «I 39. Lunghezza della fronte, dalla sutura frontonasale alla punta ‘della coronale .- 40. Orbita, massima distanza verticale de’ suoi margini. Diametro longitudinale . : 41. » distanza dalla metà del margine orbitale dell’osso lagrimale alla punta dei cesso soprorbitale. Diametro latitudinale . 42. Zigomatico, massima altezza. 43. Osso lagrimale, sua altezza al margine orbitale o posteriore. . . . . + 44. >» » lunghezza del suo margine inferiore, o minima . . . . + 45. >» » lunghezza del suo margine superiore, o massima . . +... + * Questo numero ed i successivi vengono da me aggiunti ai numeri del Nathusiv! misura del n.° 38 è una parte di quella del n.° 8 di quest’autore, sì come al n.° 39 è ll parte dello stesso numero aggiuntovi il n.° 7. | 'TUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. si segnano le misure approssimative. iL E) MISURE DEI TESCHILI. È SI NUMERI DEI TESCHI 196 141 139 108 23,4. 35,4. 34,9. 221 161 100 116 22? 112? 46 38 39 22 27,4, 26,8. 49.d. 50,5. 226 162 155 115 225 i 162 157 100 61 211 148 154 105 24,d. 37,4. 35;S. 62 P. STROBEL, i SPECCHIO d’una parte delle misure ridotte, ossia proporzionali o relative. La lunghezza del teschio dal foro occipitale sino agli incisivi = 100, I numeri progressivi corrispondono a quelli della ta- vola delle misure assolute, ed indicano quindi le medesime parti misurate. — Con carattere più marcato si segnano le misure estreme. (©) o È © © î Zi 2 I II 6 7 8 9 10 11 12 NUMERO DEI TESCEII 2 108 105 100 85 90 95 80 94 93 4 110? | 103?| 106 95 95 104 89 99 104 € 57? 552 59 54 57 56 48 53 54 7 26 27 22 24 22 27 25 22 20 8 27 26 26 19 19 22 17 25 27 11 67 68 71 70 73 70 68 70 72 12 48 48 51 51 52 51 48 50 52 13 19 20 20 19 21 20 20 20 20 14 48 47 51 46 50 49 49 56 54 15 35 33 36 31 ST 31 34 37 38 16 27 25 25 24 26 23 26 26 30 17 1l 11 8 10 12 12 12 14 12 19 12 12 14 13 15 13 13 15 16 20 15 14 12 11 10 12 13 13 14 22 24 25 24 22 26 23 29 27 32 28 36 35 40 36 36 38 41 43 41 38 14 12 11 7? 8 9 5 10? 10? 39 40 41 37 367 |' 33 40 37 37 38 STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 63 Misure ridotte dell’ ORBITA, Con carattere più marcato si segnano le misure estreme. E —————T_———_—+_—_—_—+__-----—+ .iI PARTI MISURATE Num. progr. 40 | Diametro verticale o supero» SIRIO Gioie lennon. DÒ 15 | 14 | 14,5| 16 | 14 | 15| 15 II. Relative al n.° 28, altezza del teschio . P 40 | Diametro verticale . . . .146 | 43 38 | 39| 40 | 41 | 36 | 35 |37 41 } Diametro orizzontale . . .{40|37,5] 34 | 3134 |32,5|] 28 | 29 | 29 I. Relative al n.° 1 Li ie del teschio. è. +. Lab Differenza tra idue diam. m.m. | 6 5 6 8 TL 10 9 9 |12 41 | Diametro orizzontale od an- tero-posteriore . . . .| 14|13 | 13) 11|12 | 12,5) 11| 12|12 Misure ridotte dei ZIGOMI: altezza. Con carattere più marcato si segnano le misure estreme. NUMERO DEI TESCHI MISURE GENERALI cui si proporziona I II 6 7 8 9 | 10 |-11 |-12 Num. progr. I. Lunghezza del teschio, n.0 1 { 100 | 100% 100| 100] 100] 100] 100| 100 (109 Altezza massima del zigoma { 13) fl 13|] 12] 14| 15| 14| 16| 18 II. Altezza del teschio, n.0 28 f 100| 100} 100| 100] 100| 100| 100| 100 | 100 Altezza massima del zigoma | 35| 31] 33| 34| 38| 38| 35| 37|42 MS: cirio csi Rice ES he; © | Pa STROBEL, | n P. 64 OIIOP ®Zzo)18,1 0 I[estu Iop ezzegSier e] ‘o1goso) [op ezzagSun[ er è osso gsonb e1) mioddei 1 ‘euo1]so oImsimi o] Oueudes IS 0)v0IEtI nId 0I16}}VIVO UOI ved | 82/0 0 0 0 0 ‘08$9)s o[ewitiSE] Jep ezzogFun[ eI 0 ezzox te ] #1) trponb uou ouo ‘ezzei 0 or0ads euIsOpow1 el[jou Huesoo cuowi cugis mioddei I]e} ego 03uoia eqorod ‘turSepur osorznutu te) ur o]1tnFos tp o)mpalo 0q uoN 0 IR ACARIO 0 0 demi | BIS so| Fo1| 667% 96T| V| porlestzlizoz| cal rent or) e1%7 0L°T| 06°0| 69° 60°1| Z| 61°] 6I°1| S8°0] Loft] 1s°r[a9zr| ost) ogt1f sel 08°) ti°r| tit) 821 XIX |[IHIAX| AIX | GI TI OI 6 sl [| 8 L 9 A AI | IMI II I TIELOST.,L IIXTT OGHINDON EF,U ‘e[egiqiuo eurSiewi [e ‘orotIogsod ezzoI]e ;T TIVNIY9VT 19p opopi! ansi . ‘9}Iqro esepui ‘pg ‘Fed ere ‘sasnreN IT * ewrtoziouno eqund el es -a1dwmo9 ‘o)jsonb 1p ezzogFunt pniiiaiieziantociitei erotica LION -odns eursIttai |op ezzoySunr] . . . . . ». . Li QIOII -ojur ourdIeta [op ezzogSunt OLVUASIN UNIDUVN 97 CH vY ‘1F01d ‘wunN STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 65 b 00 Misure ridotte della larghezza del PALATO. con È La lunghezza del palato, n.° 11 delle tabelle, = 100. NUMERO DEI TESCHI Distanza tra i margini alveo- lari al tubercolo anteriore del Molare 3.0 ap Distanza tra i margini alveo- lari al tubercolo anteriore del'Molare 1.0... Distanza tra i margini alveo- lari al tubercolo anteriore del Premolare 2.°(3.° Nath.) 16,8] 16,9f 19 | 20 | 20,8] 19 |22,7| 25 |24,9 Differenza in meno . . . .{1,2|01f{-|—-|-{[|[|-{|-]|- | » in più. . .. .J1-| 6 6 | 6,8 6/5,2| 10/99 Con carattere più marcato si segnano le misure estreme. Per rappresentarsi meglio in quale misura il palato s’ allarghi verso il grugno e rendasi sinuosa la linea dentaria, più che la differenza tra la larghezza del palato ai molari e la larghezza sua ai 2.° premolari converrebbe invece indicare la differenza tra la larghezza ai 2.° e quella ai 3.° premolari, poichè è spe- cialmente in questo punto che incomincia la curva. Dal confronto relativo risulta, che nel teschio del porco delle Mariere N.° I (Tav. 2, fig. I.*) il palato dal 3.° al 2.° premo- lare (2.° al 3.° Nath.) si restringe di 1 mm., in tutti gli altri teschi s' allarga, di solî 2 mm. nel teschio del maiale delle Ter- remare N.° II ed in quello della scrofa incrociata N.° 9, e sino di 6 mm. nel teschio del verro casentino N.° 12; vi s’ allarga di 5 mm. nel teschio del meticcio N.° 10 ed in quello del verro Yorkshire N.° 11. Vol. XXV. 9 66 P. STROBEL, È ‘trita £ CONFRONTO SINTETICO DEI DODICI TESCHI ILLUSTRATI. Mm 1. CONFRONTO DEI CARATTERI ESPRESSI CON CIFRE. Agli estremi della serie vediamo, da una parte, il porco delle Mariere e, dall’altra, il verro casentino, quello con 13 misure estreme sopra 23, questo con sole 8. Se il teschio N.° 11 fosse della forma estrema d’ allevamento (extreme Kulturrasse) della razza Yorkshire, quale è descritta e figurata dal Nathusius, e quale appare dal teschio della Regia Scuola zootecnica in Reggio dell’ Emilia, sarebbe questo che dovrebbe trovarsi all’ estremo opposto a quello in cui va collocato il teschio del maiale delle Terremare, mentre che invece non presenta che 5 misure estreme, delle quali, inoltre, 3 sole sono opposte alle corrispondenti nel teschio del maiale anzidetto. Come vediamo, i due teschi N.' 11 e 12 riuniti, raccolgono in sè tanta quantità di estremi quanta ne offre da solo il teschio del porco delle Mariere. Questo distinguesi pei seguenti caratteri: Minimo volume, minima altezza del cranio, massima inclina- zione all’ indietro del piano dell’ occipite (ossia massimo stira- mento del teschio), profilo quasi retto, massima lunghezza dei parietali, le carene dei quali s' accostano tra loro maggiormente in questa razza, massima lunghezza della fronte, massima lar- ghezza del naso, massima ampiezza delle orbite, l'altezza delle quali è di poco maggiore della larghezza; minima altezza dei zigomi, minima lunghezza e larghezza del palato, e minima lar- ghezza della parte sua incisiva, ossia del grugno. Il teschio casentino, N.° 12, presenta le seguenti particolarità: Massimo volume, massima larghezza della squama occipitale e della fronte, massima altezza dell'orbita e dei zigomi, mas- sima lunghezza della parte molare del palato (come nel N.° 8), massima larghezza del srugno. Quasi tutti questi caratteri costi- tuiscono estremi opposti dei caratteri corrispondenti del porco delle Mariere. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 67 I caratteri che distinguono il teschio di verro Yorkshire, N. 11, da tutti gli altri sono: Massima larghezza del teschio, massima altezza del cranio, massima distanza delle carene parietali, lagrimale pochissimo, più lungo che alto, quasi quadrato, massimo allargamento in avanti del palato. Il teschio di meticcio N.° 10 (n.° 12 >< n.° 11) si fa rimarcare pel profilo il più incavato, pel piano occipitale più inclinato in avanti, per la minima lunghezza dei parietali, la minima am- piezza delle orbite, la minima lunghezza del naso e del palato (col N.° IL), che s'allarga meno che negli altri teschi recenti. — Quanto al palato conviene osservare che l’individuo è gio- vane. L’infossatura del profilo e la poca ampiezza delle orbite riscontransi anche nel teschio casentino N.° 12, più che in tutti gli altri; non sono questi caratteri del teschio in discorso che esagerazioni di quelle particolarità, e devono perciò figurare fra i caratteri distintivi del maiale casentino. Dopo il teschio N.° 10 si è quello del maiale nostrano, N.° 7, che offre maggior numero di caratteri estremi, cioè: Minima larghezza del teschio e della squama occipitale, mi- nimo diametro supero-posteriore della fronte (come nel N.° 9), minima lunghezza del grugno; particolarità queste che riscon- triamo pure nel teschio del porco delle Mariere, ora nello stesso grado estremo, come la brevità del grugno, ora in grado più o meno minore, come le altre (la squama occipitale è meno larga nel N.° III). La poca ampiezza relativa delle orbite, sebbene non in grado estremo, come nel N.° 10, distinguerebbe specialmente il teschio del porco nostrale da quello delle Terremare. Il teschio di scrofa, N.° 8, ha la fronte più breve, il naso più stretto ed il palato più lungo, particolarità che in grado minore riscontransi anche nel teschio di maiale nostrano N.° 7; quasi che a compensare la riduzione di altri caratteri per l’incrocia- mento (supposto) con altra razza (Yorkshire?) occorresse una tale esagerazione. Nel teschio di meticcio, N.° 9, (n.° 7 >< n.° 12) abbiamo del 68 | P. STROBEL, pari l’ esagerazione d’ una delle qualità del teschio di maiale nostrano, cioè, la massima strettezza della fronte in ambi i dia- metri (N.' 15 e 16). Si distingue inoltre per avere il margine superiore del lagrimale relativamente più lungo che non da tutti gli altri teschi esaminati. IRA. La massima lunghezza dei nasali è l’ unica particolarità per la quale vada distinto dagli altri il teschio del cignale sardo N.° 6. Dallo specchio delle misure ridotte apparirebbe inoltre come in esso le carene parietali distino tra loro meno che negli altri crani. Ma dalla tabella delle misure assolute emerge invece come per tale riguardo sia il N.° IV dei cranî delle Terremare, che presenta l’estremo, cioè la minima distanza. Del resto sap- piamo già come questo carattere non abbia punto importanza alcuna nello studio delle razze. 2. CONFRONTO DEI CARATTERI NON ESPRESSI CON CIFRE. I teschi del porco delle Mariere vanno distinti per la cresta occipitale più sottile, le carene lambdoidi meno salienti e le pa- rietali più acute, per la fronte piana a figura di pentagono molto irregolare, pei canali soprorbitali meno profondi, pel tu- bercolo del lagrimale meno sviluppato, careniforme, pei nasali non incastrati tra i mascellari, per la carena sopra il canino rudimentale anche nel maschio. Caratteri del teschio casentino, N.° 12, sono: Spugnosità della scatola craniale, sebbene meno che nel N.° 10, carene cervicali ascendenti più elevate con tubercolo alla base, ossia sopra il foro occipitale, carene lambdoidi dilatate in lamina, meno però che nel teschio N.° 10, carena occipitale più grossa, carene parietali ottuse, ma non tanto quanto nel teschio ora accennato, fronte convessa nella parte supero-posteriore, e con- cava nella infero-anteriore, la di cui figura s’ avvicina maggior- mente al pentagono regolare, massima grossezza dell’ osso zigo- matico, carena zigomatico-mascellare grossa, ottusa, tubercolo prelagrimale grosso mammellonare, foro sottorbitale posto ante- STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 69 riormente*, ma meno che nel N.° 11, cresta sopra il canino spor- gente non però tanto ‘quanto nel teschio del cignale. . Particolarità del teschio di verro Yorkshire, N.° 11: .. Carene cervicali salienti, ma meno che nel teschio precedente, con tubercolo alla base, carene lambdoidi dilatate e fosse tem- porali.: profonde, sebbene non tanto quanto nel teschio N.° 10, carena sagittale tubercoliforme sporgente, carene parietali acute, meno però che nei teschi del porco delle Mariere, fronte piana appena incavata, quasi leggermente solcata, sulla linea. longitu- dinale mediana, di figura pentagona subregolare, nasali piatti, meno però che nel teschio N.° 10, zigomi assai stretti, ossia com- pressi, carena zigomatico-mascellare sporgente, foro infraorbitale aperto molto in avanti. ossia anteriore, cresta sopra la zanna elevata, sebbene meno che nel teschio del cignale, nonchè del verro casentino, margine posteriore del terzo molare situato dietro al margine anteriore dell’orbita. Nel teschio di meticcio N.° 10 (n.° 12 x n.° 11) incontriamo le seguenti differenze dagli altri teschi: Massima spugnosità della scatola craniale, carene lambdoidi alate, cioè dilatate in estese lamine, e fosse temporali le più profonde, carena sagittale ridotta a basso tubercolo, carene pa- rietali assai ottuse, fronte molto convessa superiormente, più ancora che nel teschio N.° 12, infossata inferiormente, nasali i più piatti, zigomatici grossi, meno però che nel N.° 12, tuber- colo prelagrimale sporgente, foro sottorbitale anteriore. Il teschio del mostro maiale, N.° 7, non differisce dagli altri che per la mancanza di carena sagittale e per la posizione me- diana del foro infraorbitale. Compressi sono i suoi zigomatici ed i nasali non sono incastrati tra i mascellari. Il teschio N.° 8 di scrofa nostrale (forse incrociata col N.° 11) presenta le particolarità che seguono: Mancanza di carene ascendenti cervicali e di sagittale, canali 1 Se la distanza tra il punto d’incontro delle suture lagrimale, zigomatica e ma- scellare ed il margine posteriore del foro infraorbitale è eguale o subeguale a quella da questo margine al canino, chiamo il foro anteriore; quando invece essa distanza eguaglia quella dal detto foro al 2.° premolare, lo dico posterdore. 70 P. STROBEL, sopraorbitali profondi e larghi, zigomatico piuttosto grosso, tu-. bercolo prelagrimale careniforme e fossa profonda sotto il "et desimo, foro sottorbitale il più ampio e posteriore. an Nel teschio della meticcia N.° 9 (n.° 7 > n.° 12) non trovifimò nulla di caratteristico. È privo di carene cervicali, la carena sagittale è appena indicata da ùn tubercolo, ampio sì, ma bas- sissimo, la fronte è alcun poco convessa, i nasali non sono in- castrati tra i mascellari, i zigomatici sono stretti. Infine, il teschio del cignale sardo, N.° 6, distinguesi per la precoce saldatura ed obliterazione delle suture dei parietali e frontali, per le carene cervicali taglienti, pel massimo sviluppo della carena sagittale, per la posizione mediana del foro infraor- bitale, il meno ampio, e per la cresta sopra il canino la più sviluppata e robusta. Vedemmo come certe particolarità si presentino più salienti nei meticci che non negli stipiti loro, vi siano, come mi sono già espresso, esagerate. È chiaro che tali proprietà debbano considerarsi quali caratteri de’ loro stipiti, nè già quali note distintive dei meticci, in una ricerca quale è la nostra, dei carat- teri delle razze. E così la massima strettezza della fronte in ambi i diametri (N. 15 e 16 delle misure) e la lunghezza del lagrimale che distinguono il teschio N.° 9 di meticcia (n.° 7. x n.° 12) sono da ritenersi caratteri del nostro maiale N.° 7, del pari che la massima brevità della fronte e la massima strettezza del naso che osservansi nel teschio di scrofa N.° 8, sebbene in questa sembra essere scorso un poco di sangue inglese. Parte dei caratteri che contrassegnano il teschio del meticcio N.°.10, s'incontrano sì nel teschio dell’uno, che in quello dell’altro stipite suo, cioè, tanto nel teschio N.° 11 della razza Yorkshire, quanto in quello N.°-12 di razza casentina, e pertanto se potranno distinguere queste da altre razze, non serviranno però a distin- guerle tra di loro. Tali caratteri comuni alle due razze sono: profilo schiacciato, piano occipitale diretto in avanti, carene lam- bdoidi lamellari e fosse temporali profonde, orbite proporziona- tamente piccole. All’incontro i nasali più brevi e piatti sono ca- STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 71 ratteristici del teschio della razza Yorkshire, sì come le carene parietali ottuse e la fronte sporgente posteriormente ed infossata ‘anteriormente, distinguono il teschio della razza casentina. MEDIA A i RITCIEi 3. RASSEGNA CRITICA DEI CARATTERI. Confrontando da principio i diversi teschi di porco delle Ma- riere abbiamo già incominciata una scelta in questo senso, e l’abbiamo continuata di poi nei confronti cogli altri teschi. Dissi che alcuni caratteri sono di norma indizio di robustezza, e quindi o di età matura, o di sesso maschile o di stato selva- tico. Come caratteri di tale sorta indicai il maggiore sviluppo delle carene cervicali, sagittale, zigomatico-mascellari, della cresta sopra il canino, del tubercolo prelagrimale, dei canali sopraor- bitali. Aggiungerò la obliterazione delle suture parietali e fron- tali. Diffatti, incontriamo un maggiore sviluppo relativo delle dette parti, se non di tutte, quasi di tutte, e nel teschio del porco più vecchio delle Mariere, N.° V, e nei vecchi o nei maschi delle razze recenti, e nel cignale. In questo precoce è 1’ oblite- razione delle nominate suture, ed inoltre vi osservammo il foro sottorbitale il meno ampio, mentre che desso presenta la mas- sima ampiezza nel teschio della scrofa N.° 8. Per cui possiamo ritenere quale segno di selvatichezza anche la riduzione del detto foro. Di tutte queste particolarità adunque non terremo, dì re- gola, conto alcuno nello stabilire le differenze tra le diverse razze suine. Sappiamo inoltre già, come l’assieme di certi caratteri venga da alcuni ritenuto quale prova di domesticazione ed allevamento ‘artificiale del suino, a qualunque razza o specie esso possa ap- partenere, e come, viceversa, i medesimi autori sostengano che il suino d’una medesima razza o specie presenti un assieme di caratteri opposti a quelli, quando è selvatico. In ultima sintesi questo assieme di caratteri concomitanti sarebbe in rapporto collo stiramento all’indietro del cranio ed all’avanti della faccia 72 P. STROBEL, nell’individuo selvatico, e viceversa col ritiro 0 raccorciamento d’ambe le dette regioni del teschio verso la radice del naso nel domesticato. Per cui nel selvatico dovremo avere: profilo retto | o quasi retto, minore altezza e larghezza relative, in generale, del teschio, piano occipitale inclinato all'indietro e processi ju- gulari diretti in avanti, apofisi zigomatiche e fosse del tempo- rale inclinate all'indietro, zigomi bassi, parietali e frontali rela- tivamente lunghi, orbite subcircolari, lagrimali allungati, naso e palato lunghi, margine posteriore del terzo molare posto ante- riormente al margine lagrimale dell'orbita. E, viceversa, nell’in- dividuo domestico, secondo la maggiore o minore influenza eser- citata dall’ uomo, dovremo incontrare, in grado maggiore o minore, un profilo incavato verso la radice del naso, maggiore altezza e larghezza relative del cranio, piano occipitale inclinato in avanti, o, per lo meno, perpendicolare alla base e spine giu- gulari dirette all'indietro o perpendicolari, fosse profonde, ed apofisi zigomatiche del temporale secondo la direzione dell’ oc- cipite, con carene lambdoidi lamellari, zigomi alti, parietali e frontali ripidi e relativamente brevi, orbite più alte che larghe, lagrimali più brevi, naso e palato meno lunghi, palato largo, margine posteriore del terzo molare posto dietro al margine an- teriore dell’orbita. Ho già provato fin da principio l’ erroneità di tale teoria, avendo dimostrato anche l’ insussistenza della ipotesi emessa per sostenerla e per ispiegare il supposto fatto. Provato una volta che lo stiramento del teschio, e, viceversa, il suo raccorciamento non sono in rapporto alcuno collo stato di selvatichezza o di domesticità del suino, anche tutti gli altri supposti caratteri, correlativi e concomitanti con quello, perdono ogni valore quali caratteri che debbano provare l’uno o l’altro di quei due stati. Ciò non ostante ne passerò diversi in rassegna per provare che presi ed esaminati anche isolatamente, si manifestano non di- pendenti dagli stati suddetti del suino. Ma prima credo bene di ricapitolare i fatti contrarî alla sud- detta teoria ed alla spiegazione meccanica della medesima data % , | | dal Nathusius, ed accettata dal 97 aggiungendovene al- Fi ‘cun altro. Ed LI LAc 1,8 re hinai A. Fatti contro la teoria. + STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. (75 roi 1. Suini domestici a teschio stirato, con profilo retto o quasi . retto: Porco delle Mariere Ni Ia V (Tav. 1). x dot 2. Suino selvatico con teschio relativamente assai largo, sti- rato solo in avanti, quindi relativamente alto, con parietali e frontali ripidi e profilo incavato alla radice del naso: Cignale sardo N.° 6 (Tav. 1 e 2). 3. Suino domestico a teschio con profilo quasi retto, quindi relativamente poco alto, stretto: Maiale iberico o nostrano N° 7 e 20(Tav. 1 e 2). 4. Suino domestico a profilo quasi retto: Incrociato iberico con casentino, N.° 9 (Tav. 3). B. Fatti contro la spiegazione meccanica del Nathusius. 1. Giovane scrofa di razza Yorkshire a profilo quasi retto, a piano occipitale pochissimo inclinato in avanti, con spine giu- gulari perpendicolari alla base e fosse temporali dirette un poco all’ indietro; Vecchio verro della stessa razza con profilo assai curvo in basso, a piano occipitale molto inclinato in avanti, coi processi giugulari diretti all’indietro e fosse temporali dirette un poco in avanti. Questi due teschi sono conservati nella Regia Scuola zootecnica di Reggio dell’ Emilia. 2. Giovanissimo porcellino iberico, N.° 13, a profilo retto, con. spine giugulari inclinate notevolmente in avanti, ramo po- steriore delle apofisi zigomatiche assai obliquo all'indietro, zigomi bassi. Adulti della stessa razza, N.° 7 e 20, a profilo alcun poco incavato, spine giugulari perpendicolari alla base del cranio, ramo posteriore delle apofisi zigomatiche quasi perpendicolare, zigomi relativamente più alti (Tav. 1 e 3). 74 dA disp Li ET 87 BIOBOT | Dopo divcio; ecco alcuni fatti contro la teoria in discussi to si i quali si O solo all’uno. i all’altro elemento schele- | trico del teschio. gite eo sciita | Tanto le maggiori bio del pone quanto le minori, le | incontriamo nei teschi di porci domestici: e così la fronte più larga nel N.° 12, del verro casentino, e la più stretta nel N.° 9, | di scrofa incrociata, iberica montanara con casentina. La lar- ghezza della fronte del cignale ne costituisce la media. Così pure || vedesi il palato più largo nel detto teschio N.° 12 ed il più stretto nei teschi del porco delle Terremare. Il teschio del ci- gnale tiene ancor qui il mezzo. Sì nel cignale che nel maiale N.° 7 i zigomi presentano la medesima altezza relativa; la minima, nè già una delle maggiori, riscontrasi nel porco domestico delle Mariere. Tanto la massima, quanto la minima differenza tra 1’ altezza e la larghezza (diam. verticale ed orizzontale) delle ordite osser- vansi in teschi di maiali, cioè, la massima, mill. 12, nel teschio N.° 12, di verro casentino, e la minima, mill. 4, nel frammento di teschio N.° XVIII, di porco delle Mariere, mentre che nel ci- snale la differenza è di 6 millimetri. Il lagrimale tende di più alla figura quadrata, e quindi è più breve nel teschio del cinghiale di Sardegna, che non in tutti i teschi di porco domestico esaminati. Troviamo il palato più lungo nonchè il più breve nei suini domestici, cioè, il più lungo nel teschio della scrofa N.° 8, ed il più breve in quello del porco delle Terremare, perciò da me già chiamato brevimuso. Il Nathusius* ed il Riitimeyer? sostengono che la posizione del 3.° molare rispetto all’orbita sia diversa secondo il rapporto diverso del suino rimpetto all’ uomo. Il margine posteriore di quel dente si troverebbe posteriormente al margine anteriore o. lagrimale dell’orbita nei porci domestici, e viceversa, anterior- 1 Opera citata, pag. 45 e 65. 2 N. Beitr. 2. Kenntn. d. Torfschiweins, pag. 153. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 75 Î mente nei selvatici. Nel teschio di porco delle Terremare N.° III | il margine posteriore del 3.° molare è posto dietro al margine | anteriore dell’orbita, e nei teschi N.‘ IV e V davanti; nei teschi NI e II quel dente non è ancora completamente uscito dal- | l’alveolo. Nei teschi N.° 6 del cignale sardo e N.' 7 e 20 del ma- iale iberico, il margine posteriore del dente in parola sta sotto il margine lagrimale dell’orbita. Non parmi quindi che per tali differenze si distinguano suini salvatici da domestici. Ora alcuni fatti a prova che i caratteri, i quali sarebbero l’ espressione e l'impronta della domesticità, non sono punto sempre concomitanti, quindi non conseguenti dalla forma rac- corciata del teschio, nè pertanto distintivi dello stato predetto. Mentre nel teschio di meticcio, N.° 10, il piano dell’occipite è. il più inclinato in avanti, le dipendenti spine giugulari non seguono punto la corrispondente direzione all'indietro, ma scen- dono quasi perpendicolarmente alla base del cranio. Nel teschio del porcellino nostrale N.° 13 (Tav. 3), sebbene il piano occipitale inclini in avanti, le dette spine dirigonsi esse pure notevolmente in avanti. Nel teschio della meticcia, N.° 9, la spina destra di- rigesi in avanti, mentre che la sinistra scende perpendicolar- mente alla base del cranio. Nel teschio di cignale N.° 6, quantunque, come vedemmo, il profilo sia più incurvato ed il cranio più alto che non nel te- schio del maiale N.° 7, pure i parietali e frontali sono più lunghi che in questo. Lo stesso dicasi de’ suoi nasali, i più lunghi di tutti |. In un teschio di cignale sardo, conservato nel Museo Civico di storia naturale in Milano, sebbene presenti un profilo quasi retto, pure il lagrimale, secondo uno schizzo favoritomi dal Sor- delli, tende alla figura quadrata, più che il lagrimale del teschio della stessa specie e della stessa provenienza, N.° 6, or ora no- minato, in cui il profilo è curvo. 1 Questa massima lunghezza relativa dipende dal disequilibrio delle due regioni del teschio, la craniale e la facciale, preponderando questa in lunghezza e quella in altezza, - Dai fatti espost fedi merremmieso ciata! pa 0 rag genere, vez — i rietali, frontali, nasali e del palato, nè la larghesza d e del palato, nè l’altezza dei zigomi e delle orbite, 1 la di rezione dei processi giugulari all'indietro, nè la quadratura dei lagrimali contraddistinguono il suino domestico dal selvatico. Vedremo in seguito se ed in quali casi, e quali di. questi carat- teri abbiano un valore di razza, oppure semplicemente individuale. - Il solo carattere che incontrastabilmente prova lo stato do- «mestico di un suino, si è la spugnosità della sua teca craniale!. Secondo alcuni l’ampiezza del foro sottorbitale proverebbe pure tale stato del suino, e questa asserzione completerebbe l’altra. precedente che la riduzione di quel foro sia segno di selvati- chezza. clacio dote nr miniati. \ 3 (LECtMeh Eliminati i caratteri che indicano robustezza e quelli che sa | rebbero segnali di domesticità, passiamo in rivista gli altri, e scartiamo le particolarità individuali, ossiano i caratteri. inco-. stanti nella razza e nella specie. | La squama occipitale presenta nella stessa razza lacioliolfi ei concavità differenti, come, p. e., nel porco delle Mariere. Il Nathusius, come ebbi ad avvertire diggià, afferma che la direzione dei processi giugulari è diversa nelle differenti forme di porco, e ne è quindi un carattere di distinzione. Orbene, vedemmo già che nel teschio della meticcia N.° 9 i processi se- guono direzioni l’uno dall'altro diverse. Come ci consta del pari, nel porco delle Terremare e la direzione e la forma dei pro-. cessi in questione sono differenti nei diversi individui, sì come 4 In ciò sta una prova dell’accrescimento forzato e morboso, paragonabile a quello | delle frutta in una serra, pel quale quanto l'allevatore guadagna in volume, peso e prezzo, altrettanto il consumatore perde in sapore e salubrità del commestibile. Vi pensi chi tocca provvedervi, STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 77 nel sunnominato teschio N.° 9 la forma dell’uno differisce Pea: da quella dell’altro suo processo. | Quanto all’osso del timpano sostenni già che non poteva ser- vire menomamente quale criterio di distinzione dei suini. Infatti esso varia assai e per volume e per forma e per appendici nella stessa razza. La sezione sua trasversale è subtriangolare negli uni, ovale negli altri, l’osso è gonfio o schiacciato, grande o pic- colo, con o senza prolungamenti antero-inferiori, e questi sono lamellari, cuspidati, spinosi a seconda dei diversi individui. Già il Nathusius affermava che la maggiore o minore ampiezza dello spazio compreso tra le carene frontali varia assai nella stessa. forma di suino, e ci siamo persuasi della giustezza di questa sua affermazione. Il lagrimale è più breve nel neonato che non nell’adulto, al- meno ciò si osserva nel cignale di Germania e Francia, che chia- merò celtico per distinguerlo dal nostro o sardo; si osserva sì nel maiale iberico che nel celtico, ossia supposto discendente domesticato del cignale celtico. Però la forma del lagrimale non sembra variare che entro ristretti limiti negli individui adulti d’una stessa razza o specie. Puri caratteri individuali sono invece la mancanza o la presenza e la maggiore o minore lun- ghezza della punta cuneiforme del detto osso. — Come accennai diggià, il Nathusius nega ogni valore tassonomico ai fori lagri- mali, ed i fatti da me addotti gli danno ragione. Esaminando i teschi del porco delle Mariere scorgemmo che in taluno 1 nasali hanno sezione trasversale assai convessa, in altri sono quasi piani, e ne deducemmo che tali particolarità del naso non possano pertanto costituire che caratteri indi- viduali. . La posizione del foro enfraorbitale varia pure da individuo ad individuo della medesima razza, ma forse solo entro dati limiti. Esclusi i caratteri denotanti la robustezza, e pertanto anche per lo più la selvatichezza, esclusi quelli che sono indizio della domesticità ed i caratteri puramente individuali, abbiamo note- 78 P. STROBEL, volmente ristretta la cerchia entro la quale andare in traccia dei caratteri dì razza. Incominciamo la rivista con quelli che, secondo alcuni, dovrebbero segnare lo stato di domesticità ovvero di selvatichezza del suino. sa 1. Sebbene la linea del profilo possa variare nella stessa © specie come, p. e., nel cignale di Sardegna, pure può servire alla distinzione delle razze, quando le differenze siano estreme. | Così è quasi retto nella razza delle Terremare e nella iberica; | è, di regola, assai curvato in basso nella razza Yorkshire; tutte tre razze domestiche. 2. Lo stesso che del profilo dicasi dell’ altezza del cramio, massima nella razza Yorkshire e minima nel porco delle Ma- riere, ambe razze domestiche. 3. Larghezza del cranio, massima nel maiale di Yorkshire, minima nell’iberico, ambi domestici. 4, Larghezza della fronte, massima nei verri casentino e . Yorkshire, minima nell’iberico, tutti tre domestici. 5. Rapporto tra il diametro verticale e l’ orizzontale del- l’orbita ; massimo diametro verticale relativo nel teschio casentino e nel Yorkshire, minimo nel maiale delle Terremare e nel ci- gnale. 6. Altezza dei zigomi, massima nel maiale casentino, mi- nima nel porco delle Mariere, ambi domestici. 7. Figura del lagrimale. Dissi già, sin da principio, che il Nathusius vede nella figura diversa di quest’ osso un carattere specifico. Il Riitimeyer, ultimamente, mostrò qualche dubbio sul valore assoluto del medesimo nella classificazione delle specie suine. Da solo, ritengo, che forse non porge sufficiente criterio distintivo, sibbene complementario di altri, a meno che non trattisi di differenze estreme. Così la figura quasi quadrata del lagrimale varrà a distinguere la razza siamese e la Yorkshire . da quella delle Terremare e dalla iberica, nonchè dal cignale celtico; non però dalla razza casentina, nè dal cignale di Sar- degna, nei quali la figura del lagrimale sta tra i due estremi, | inclinando però verso la quadrata. Avvisai diggià che tale ca- STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 79 rattere varia da individuo ad individuo della stessa razza, ma entro ristretti limiti e che varia benanco nello stesso individuo secondo l’età, essendo più breve nel giovane che nell’adulto in quelle razze nelle quali, come nell’iberica e nella celtica, è ab- bastanza lungo nell’adulto. Nel teschio del cinghiale di Germania, come appare dalla fig. 2 della tavola I dell’opera citata del Nathusius, è assai lungo; in quello d’un cignale di Francia, conservato nel Museo Civico di storia naturale di Milano, come desumesi da uno schizzo del suo lagrimale favoritomi dal Sor- delli, il margine superiore di quest’osso supera in lunghezza più del doppio il margine orbitale o posteriore, ossia l'altezza sua. Tanto nel teschio del cignale sardo del detto Museo Civico già menzionato, che concorda ne’ suoi caratteri principali coll’ altro del Gabinetto di storia naturale dell’ Università di Parma, N.° 6, salvo nel profilo che è in lui, come sappiamo, quasi retto, quanto in questo teschio N.° 6 il margine superiore supera di ben poco l’orbitale, ossia, il lagrimale è quasi quadrato. Da questo fatto converrebbe dedurre, a parer mio: che l’osso in questione non ha alcun valore per la distin- zione delle specie, mentre che, secondo il Nathusius, opera citata, pag. 32, il lagrimale assai allungato sarebbe uno dei più im- portanti caratteri distintivi del Sus ‘scrofa ferus L.; o che il cignale di Francia e Germania è di specie differente da quello di Sardegna. Io, nè esagerando il valore di questo elemento scheletrico, nè negandogliene assolutamente, lo accetto quale criterio per di- | stinguere di quella specie due varietà, che chiamerò Varietas celtica luna e V. sardoa l’altra. — Il lagrimale del teschio di cignale di Francia, sopra menzionato, essendo meno lungo del lagrimale dell’altro teschio di cignale, pure cennato, di Germa- . nia, indicherebbe già essere possibile il passaggio dall’ una al- . l'altra di quelle varietà. 8. Larghezza del palato, massima nel maiale casentino, mi- i nima nel porco delle Mariere, ambo domestici. 9. Il margine posteriore del 3.° molare nel teschio Yorkshire 80 P. STROBEL, è posto dietro al margine lagrimale dell’orbita, nel Pu: sardo, invece, sotto al medesimo, nè già anteriormente. GG Credo che ‘alcuno dei caratteri segnali di robustezza, Mc siano sviluppati in massimo grado, o, viceversa, siano atrofizzati, possano servire alla distinzione delle razze, indicando appunto. razze robuste o deboli, come nelle razze del cane. 10. Così le carene cervicali o montanti, mentre nel cignale indicano robustezza, servono a distinguere il maiale casentino da quello delle Terremare, in quello essendo grosse e fornite di prominenza basale, in questo deboli, oppure sottili, e simili a quelle del cignale. 11. I canali sopraorbitali del teschio casentino sono he profondi e larghi che quelli dei teschi del porco delle Mariere. 12. La cresta ossea sopra il canino è sviluppatissima nel cignale, poi nei verri Yorkshire e casentino, hel maiale nostrano iberico, ed in quello delle Terremare è atrofica. Anche taluna delle particolarità ‘ndividuali potrà salire al rango di carattere di razza, quando sarà molto sviluppata, op- pure potrà servire a distinguere un gruppo di razze da un altro gruppo. 13. La larghezza della squama occipitale è massima nelle razze casentina e Yorkshire, e minima nella iberica e nel porco delle Mariere. 14. Mediano (N.° 7) oppure posteriore (N.° 8) è il foro dn- fraorbitale, nella razza iberica, ed anteriore nella Yorkshire. 15. In questa i nasali sono piatti; tra i porci delle , Ter- remare osservammo l’individuo a nasali i più convessi nel senso trasversale. Terminiamo la rassegna coll’esame di quei caratteri che non mi parvero nè individuali, nè indizî di robustezza o gracilità, di stato selvatico ovvero domestico. 16. Carene lambdoidi espanse in lamina nei crani, delle STUDIO COMPARATIVO SUL 'IESCHIO DEL PORCO, ECC. 81 | razze casentina e Yorkshire, basse e taglienti nel cranio del porco delle Mariere. ife 17. Cresta. occipitale grossa nella razza casentina, sottile nel maiale delle Terremare. - 18. Carene parietali ottuse nel cranio casentino, acute nei erani delle Mariere. VRRTRAA | 19. La differenza tra la larghezza superiore o massima della fronte (n.° 15 delle misure) e la inferiore (n.° 16) o minima! è . maggiore nella razza Yorkshire e minore nel maiale delle Ter- remare. A questa differenza corrisponde la differenza nella lun- ghezza dei lati del pentagono? frontale, sì che nella razza York- shire esso s’accosta maggiormente al pentagono regolare, e nel porco delle Mariere se ne allontana maggiormente. 20. La fronte è alcun poco infossata sulla linea mediana longitudinale nella razza Yorkshire, è quasi piana nel cignale e nel porco delle Mariere, è convessa superiormente ed infossata inferiormente nella razza casentina. 21. Osserviamo le orbite relativamente più ampie nel maiale delle Terremare, e le meno ampie nelle razze casentina ed ibe- rica. La differenza non ‘è però notevole. 22. Assai grosse sono le ossa zigomatiche nel teschio ca- sentino. 23. Il minimo incavo lagrimale-mascellare scorgesi nei teschi del porco delle Mariere, il massimo in quelli del cignale e delle razze Yorkshire e casentina. 24. A questa differenza corrisponde una differenza nella postura dei nasali tra i mascellari: incastrati fra questi negli ultimi tre teschi, non incastrati nei maiali delle ‘Terremare e della razza iberica. 25. Naso più stretto ha questa razza, e più largo invece il porco delle Mariere e della razza Yorkshire. 4 Questa misura n.° 16 è segnatamente importante pei confronti, dice il Nathusius, op. cit., Atlante, pag. 7. ? Mentre che il piano formato dai frontali insieme coi parietali è esagono o rom- bico spuntato ai due angoli acuti, quello formato dai solî frontali è pentagono. Vol. XXV, 6 82 P. STROBEL, | 26. Nel cignale, nelle razze Yorkshire e casentina, le ossa mascellari s'incontrano ortogonalmente coi nasali, nel porco | delle Mariere invece ad angolo alquanto ottuso. Questo carat-. tere è concomitante ‘coi precedenti ai N.' 23 e 24. _ 27. Nel maiale casentino il palato s° allarga notevolmente dai premolari in avanti, nel porco delle Terremare si allarga | di poco e gradatamente sino ai primi premolari (Tav. 2 e 3). 28. Con questa differenza concorda l’ altra nella larghezza del grugno, massima nel maiale casentino e minima nel suino . delle Mariere. 29. La serie dei denti molari segna una linea n fieei ad S nelle razze Yorkshire e casentina, e retta nelle altre. Però in talun maiale delle Terremare indica già una leggera tendenza alla inflessione (Tav. 2, fig. XV). 4. DIAGNOSI DELLE DIVERSE RAZZE. Esclusi i caratteri comuni a più razze, quelli di cadauna delle razze esaminate si riducono ai seguenti: I. Nel porco delle Mariere: minimo volume, carene lamb- doidi e parietali taglienti, minima differenza tra i due diametri trasversali della fronte (N.° 15 e 16 delle misure), canali sopra- orbitali stretti e poco profondi, minima altezza dei zigomi, orbite più ampie, nasali che s° incontrano ad angolo ottuso coi mascel- lari, poco incavati, palato e grugno stretti. II. Nel porco nostrano od sdberico: minima larghezza relativa del cranio è della fronte, naso stretto, foro infraorbitale mediano o posteriore. III. Nel cignale sardo: nessun carattere speciale. IV. Nel porco casentino: carene parietali ottuse, fronte ele- vata superiormente ed infossata inferiormente, canali sopraorbi- tali larghi, zigomatici alti e grossi, palato largo, che s’ allarga in avanti, grugno pure largo. V. Nel porco della razza Yorkshire: massima altezza e STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 89 larghezza del cranio, fronte leggermente solcata longitudinal- mente, massima differenza tra i suoi diametri trasversali (ni 15 e 16 delle misure), lagrimali subquadrati, nasali piatti, foro in- fraorbitale anteriore, 3.° molare posteriore. Il cignale sardo non presenta alcun carattere che lo di- stingua dalle dette razze domestiche prese complessivamente. Parrebbe quindi che dovesse essere il substrato loro. E, infatti, riscontriamo nelle razze iberica e delle Terremare il quasi pa- rallelismo delle serie dei denti mascellari e la disposizione loro su linea retta, quali veggonsi nel cignale sardo!; nel porco delle Mariere incontriamo la forma delle carene cervicali del detto cinghiale, la fronte piana e le orbite subcircolari del me- desimo; nelle razze casentina e Yorkshire i lagrimali sono simili a quelli del cignale di Sardegna, i nasali sono pure incastrati tra i mascellari e s’ incontrano con questi ad angolo retto; vi osserviamo del pari i mascellari molto infossati longitudinal- mente e la cresta sopra i canini assai prominente e robusta. Il porco delle Terremare, all’ opposto del cignale, si distingue invece pel maggior numero di particolarità, e forma quasi un tipo a sè. Nell’assegnare a cadauna razza i caratteri suoi distintivi non ho inteso di affermare che in ciascun individuo della medesima si abbiano da riscontrare tutti indistintamente. La variabilità delle forme, almeno entro dati limiti, è ora generalmente, e fu sempre da me, ammessa. Secondo la maggiore o minor copia di caratteri comuni a due o più delle dette razze, credo di poterle riunire nei seguenti tre tipi 0 gruppi, cioè: I. Gruppo, rappresentato dal solo cignale sardo. II. Gruppo, che comprende le razze delle Mariere ed iberica, le quali posseggono in comune le seguenti particolarità: Profilo retto o quasi retto, minore altezza del cranio, squama 1 Nel teschio del cignale di Francia, più volte citato, secondo i dati fornitimi dal Sordelli, le dette serie segnerebbero bensì linee rette, ma divergenti verso i canini. 84 P. STROBEL, OTTO occipitale poco larga, lagrimale allungato, nasali nè piatti nè incastrati tra i mascellari, carena sopra i canini atrofica. III. Gruppo, composto delle razze casentina e iper substrato siamese, coi seguenti caratteri comuni: nisi aresti d Profilo curvo, cranio alto, carene cervicali grosse ‘con promi- nenza basale, carene lambdoidi lamellari, squama occipitale larga, fronte larghissima, diametro verticale dell’orbita molto più lungo dell’orizzontale, palato largo, serie dei denti mascellari CSSPOMa in linea leggermente incurvata ad S. î Ad esaurimento dei confronti, accennerò infine. come il porco: delle Mariere possegga in comune colla razza Yorkshire il naso largo, e l’iberico col casentino le orbite meno ampie. © |’ A riunire in un sol gruppo il porco delle Mariere e l’iberico, non mi determinò solamente quel complesso di caratteri tra essi comuni, sopra enumerati, sibbene inoltre un fatto genealogico od atavico, pel quale parmi provata la derivazione del porco iberico . da quello delle Terremare. Colla fig. 13 (Tav. 3) ho rappresentato il teschio d’un porcellino iberico. Basta confrontare tale figura con quelle dei teschi delle Terremare, e segnatamente di quelli interi N.' I e II, per convincersi della somiglianza di. quei te- schi, massime nelle regioni faciale e fronto-parietale, nel profilo e nei zigomi. Quel giovane teschio distinguesi, come ho già ac- cennato, e da quelli adulti delle Terremare e dall’ iberico adulto pel lagrimale subquadrato. Una differenza simile osservasi pure, come ebbi del pari ad avvertire, nei teschi dei giovani cignali e maiali celtici rispetto ai teschi degli adulti. Però tra i teschi dei giovani porci celtici e l’ iberico corrono delle differenze, sì che anche per tale riguardo i suini dell’una razza vanno distinti da quelli dell'altra, e mostrano la derivazione da stipiti diversi. Queste differenze consistono: nella forma più allungata del te- schio nel porcellino iberico, nella cresta occipitale più saliente, nella fronte appena convessa, nella regione facciale più bassa, stretta e lunga, ossia più acuta, sebbene il lagrimale abbia il margine superiore meno lungo che non l’abbia quello del teschio del giovane cinghiale celtico. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 85 «. Pur troppo non conosco alcun teschio di porcellino delle Ma- riere per fare il confronto coll’iberico ; dovrebbe da questo dif- ferire e riprodurre, almeno in parte, le forme del teschio del suo stipite. Me ne duole assai, perchè un cotal teschio non po- trebbe a meno di portare lume nella. contesa circa la deriva- zione del porco delle Terremare, e contribuire a comporla, ri- solvendo il problema. (La fine e le tre tavole nel fascicolo 2.°). { IR! ‘ SUI FOSSILI E SULL’ETÀ DEL DEPOSITO TERZIARIO DELLA BADIA, PRESSO BRESCIA. Nota del socio FERDINANDO SORDELLI. Questo deposito giace a nord-ovest di Brescia fra Sale di Gussago ed Urago Mella ed è noto da tempo ai geologi per la sua particolare struttura e per i fossili terrestri che contiene. Esso è costituito da un conglomerato di ciottoli calcarei e silicei di varia forma e grossezza, frammisti a calcare terroso bianco ed a calcaréè argilloso; di poco si eleva sulla pianura che lo circonda e, secondo Curioni,! offre qua e là tracce di stratificazione inclinata di 20 gradi verso OSO, nei lembi set- tentrionali, mentre verso mezzodì l’inclinazione è ancor mi- nore. ° _ ® CurIONI GiuLIo — Geologia applicata delle provincie lombarde, I, p. 321. 2 Il prof. G. RAGAZZONI nei Cenni geologiei sopra una parte dei terreni terziari della Provincia di Brescia, comunicati all’ Ateneo di Brescia (Comment. per gli anni 1858-61, p. 202), notava esso pure sin d’allora « l’inclinazione ordinaria degli strati di circa 30° verso ovest; direzione, con qualche lieve disviamento, da sud a nord », La differenza fra le due osservazioni, come si vede, non è molto rilevante e può dipendere anche dall’ essere stata fatta sopra punti diversi. 86 | F. SORDELLI, Per tale scarsa pendenza il benemerito geologo ora nominato era inclinato negli ultimi suoi anni a sospettare che il deposito della Badia potesse appartenere al pliocene. Altri autori, invece, seguendo il modo di vedere del prof. G. Ragazzoni, pensarono più giustamente che dovesse andar compreso nel miocene, e non mancò neppure qualcuno che l’ascrisse all’ eocene; come fece l’Hauer, nella sua apprezzata memoria geologica sulla Lom- bardia, fondandosi sulla presenza di nummuliti che Zepharovich avrebbe rinvenuto al pendio nord del dosso della Badia, verso Torricelle.® — Come si vede, le grandi divisioni della serie ter- ziaria ci sono tutte. I soli fossili ricordati fin qui dagli autori che più special- mente si occuparono di questo deposito, sono conchiglie dei ge- neri Helix e Cyclostoma;* però senza alcuna indicazione speci- fica, cosicchè da questo lato rimaneva pur sempre aperta la via a mere supposizioni, arrischiate sempre, quando non s’appog- giano sopra il solido fondamento della Paleontologia. Ora, mercè la gentilezza del nostro collega prof. T. Tara- melli, avendo potuto studiare alcuni fossili di quell’interessante giacimento, stati raccolti dall’egregio prof. G. Ragazzoni, di Brescia, e dallo stesso prof. Taramelli, e tra essi avendo po- tuto riconoscere alcune forme bene caratterizzate, credo di a- vere una sufficiente base per giudicare dell'età di quel singolare e già controverso deposito. Detti fossili sono in un calcare disnohicta ora assai com- ® HAUER (Franz. v.) nell’Jalrbuch der K. K. geol. Reichsanstalt. Wien, 1858, IX, p. 495. 4 Il prof. RAGAZZONI cita anche i generi Planorbis e Paludina (Vedi: La collina di Castenedolo, ecc. nei Comment. dell’ Ateneo di Brescia, pel 1880, pag. 127 (12]). A me tuttavia non fu dato di vedere fuorchè specie terrestri. Lo stesso professore aveva antecedentemente indicato (nei Cenni geolog. sopra una parte dei terreni ter- ziarî, ecc.) anche la presenza di madrepore, insieme alle conchiglie terrestri. Ritengo che alcune concrezioni calcari, di cui ebbi in comunicazione qualche esemplare, in- sieme ai fossili, possa aver dato luogo a tale opinione; un esame accurato dimostra del resto in essi la mancanza totale di una struttura organica qualsiasi, malgrado la forma loro, come bitorzoluta, assai irregolare per altro, e che simula a un di- presso quella d’ alcuni frammenti di polipai. SUI FOSSILI E SULL’ETÀ DEL DEPOSITO TERZIARIO, ECC. 87 patto, ora invece quasi terreo o farinoso, e constano di con- chiglie e impronte di foglie, delle quali un piccol numero sol- tanto in istato di sufficiente conservazione e suscettibile di determinazione. «Tra essi una delle forme meglio riconoscibili è quella già riferita al gen. Cyclostoma. Su di un pajo di buoni esemplari, potei verificare che si tratta appunto di questo genere preso nel senso più stretto, cosicchè la specie della Badia viene per ciò stesso ad avere prossimi rapporti con alcuni molluschi del- l’attuale fauna europea ed in particolare col Cyclostoma elegans Miill,, così diffuso per gran parte d’Europa e meglio ancora col Cyclostoma costulatum Ziegl., proprio delle regioni orientale e meridionale dell’ Europa stessa. La specie della Badia è iden- tica a quella che Alessandro Brongniart descriveva fin dal 1810° sotto il nome di C. elegans antiquum, riconoscendo così impli- citamente esistere delle differenze fra il fossile e la specie vi- vente; differenze che appaiono anche più rilevanti se si pongono in presenza le due conchiglie, e per le quali Deshayes fu indotto a distaccare affatto la specie dal Cyclostoma elegans ed a chiamarla Cyclostoma antiquum Al. Brongn. sp.° Si distingue alla conchiglia globoso-conoidea, mamillata all’apice, perforata alla base, a cinque anfratti convessi, talvolta crenulati alla su- tura, rilevati da coste longitudinali, varie di numero, per lo più alternantisi una più grossa con una più esile, attraversate da 3 BRONGNIART — Sur des terrains qui paraissent avoir été formés sous Veau douce (Ann. du Musée d’Hist. nat. XV, p. 365, pl. XXII, f. 1.) 6 Ecco le principali sinonimie di questa specie : Cyclostoma elegans antiquum ALEx. BRONGN., loc. cit. — — — DesHayES, Coquilles fossiles des environs de Paris. II, p. 75, pl. VII, f. 4-5. — — — NouLeT, Mém. sur les coquilles d’eau douce, II édit., pag. 177. — antiquum DesHAYES, Anim. sans vertèbres du bassin de Paris, II, p. 881, pl. LVIII, f. 1-4. — bisulcatum TaoMmAE Nass. Jahrb. II, p. 146, tab. IV, f. 2 (non Zieten). — antiquus SANDBERGER Die Land-und Siisswasser-Conchylien der Vorwelt, 1870-75, p. 411, tab. XXIII, fig. 28, 282. Li auris |. F. SORDELLI, |. Lose NR linee esilissime (strie d’accrescimento), l’ultimo anfratto m unito di costoline più larghe e assai dilatato esso stesso, sicchè sta alla totale altezza della conchiglia, come 3:7; e la totale ‘altezza della conchiglia stessa sta alla base come 9:8. 0/0 Una volta riconosciuta la identità di questa specie, mi trovai naturalmente sulla buona strada per la determinazione di qual-. che altro fossile, ed in vero ricercando quali fossero i caratteri della Fauna che s’accompagna all’ anzidetto Cyclostoma, venni a conoscenza di un fatto curiosissimo, che qui cade in acconcio di riferire. | Le più frequenti conchiglie della Badia, se non sempre le meglio conservate, appartengono al genere delle Elici; or bene due specie di questo medesimo genere erano state già indicate del nostro giacimento fin dal 1860, dall’illustre Deshayes, nel 2° volume della sua descrizione degli invertebrati del bacino di Parigi, dove cita espressamente le Helix Ramondi e Nouelì siccome provenienti dalla Badia ed avute in comunicazione dal geologo nostro Giulio Curioni. Questa preziosa indicazione non fu tuttavia rilevata, per quanto mi consta, dai geologi lombardi, e forse ne fu cagione l’avere il paleontologo francese collocato per errore la nostra Badia in Piemonte, anzichè in Lombardia." Eppure è certo che si tratta della località bresciana, sia perchè essa sola di tal nome fu studiata e descritta dal Curioni, che ne diede persino uno spaccato,® sia perchè non. esiste in Piemonte un luogo così chiamato a cui i nostri fossili possano riferirsi. Varie possono essere le supposizioni per ispiegare il silenzio dei nostri; forse Deshayes si ritenne gli esemplari senza comunicare ? Di tali errori che sarebbero imperdonabili presso gli scrittori nazionali, se ne incontrano spesso nelle opere, anche insigni, degli stranieri che trattano delle cose nostre. Così, per es., SCHIMPER (Traité de Paléontologie végétale) indica ripetutamente Sinigaglia siccome collocata nel Veronese! Certo indotto a credere così dall’essere stato di Verona il Massalongo, l’illustratore della Flora fossile senigalliese. $ CurIONI — Geologia applicata delle provincie lombarde, I, p. 272, f. 39. In questo spaccato si vedono gli strati, assai poco inclinati del giacimento a conchiglie terrestri, poggiare sui banchi del lias superiore piegati ad anticlinale. SUI FOSSILI E SULL’ETÀ DEL DEPOSITO TERZIARIO, ECC. 89 . le sue determinazioni a Curioni; forse questi, allora occupato nello studio di terreni più antichi, verso i quali, come è noto, più particolarmente era rivolta la sua attenzione, siccome ad un campo più fecondo di industriali applicazioni, non ne tenne il debito conto. Ma appunto perchè non è aperto l’adito se non a mere inutili supposizioni, preferisco passar oltre e venire al- l’esame dei fatti. Delle due specie citate dal Deshayes, ebbi sott’occhio varî esemplari: più frequente mi parve la Helix Noueli Desh.° la cui forma e statura si avvicinano a quella della H. vermiculata; è però maggiormente subglobosa, talvolta un pochino depressa;!° ha spira convessa, ottusa, al- l’apice, con 6 anfratti, i primi appiattiti, gli ultimi rigonfi, l’ultimo ripiegato all’ingiù presso il peristoma, tutti a super- ficie liscia, appena segnata da strie irregolari di accrescimento. L'apertura è piccola relativamente, semilunare, assai obliqua, inclinata sull’asse di circa 40°, incrassata al margine, il quale LI poco si riflette all’esterno. La columella è impervia. Insieme con questa, ma avente una dispersione nota più e- stesa, sta la _ Helix Ramondi Aless. Brongn. Questa specie, di cui do qui sotto *' la sinonimia, ha una conchiglia solida, subglo- ® Helix Noueli DesHAvYES, Descript. des Animaux sans vertèbres du bassin de Paris II, p. 803, pl. 51, f. 15-16. 10 Giustamente avverte DESHAYES essere entro certi limiti variabile l’allungamento della spira in questa come in presso che tutti i molluschi gasteropodi. Nelle chioe- ciole della Badia oltre a ciò si osserva spesso anche uno schiacciamento dovuto a pressioni subite dalla roccia in cui sono racchiuse; il che è reso manifesto dalle ir- regolarità della depressione, ora nel senso verticale, più sovente obliqua, con spo- stamento degli anfratti, ecc. it Helix Ramundi Alex. Brongn. Ann. du Mus. d’ Hist. nat. T. XIV, p. 378. pl. 2, f. 5 (1810). BowDicH, Elem. of Conch. pl. 4, f. 18 (1822). Boissy, in: Magas. de Zool., p. 2, pl. 87, f. 1 (1844). KLEIN, in Wirtemb. Jahrb. T. II, p. 67, pl. 1, f. 5 (1846). SANDBERGER, Conch. d. Mainz. Tertiirbeckens, p. 41, pl. 4, f. 11 (1860). SANDBERGER — Land-und Siisswasser Conchylien der Vorwelt, p. 382, Taf. XXI, f. 12-12a, 90 | F. SORDELLI,. bosa, ottusa all'apice, alquanto depressa alla base, coll’umbi- lico quasi interamente ricoperto dal callo che vi discende dal palato. Sei anfratti piuttosto convessi, separati da suture lineari, | l’ultimo assai ampio scendente obliquamente alla parte estrema, alto ?/3 di tutta la conchiglia. Apertura assai obliqua, semiel- littica, coi margini riuniti dal callo palatale, alquanto incras- sati, reflessi, il basale subdilatato. — Ciò che più caratterizza questa Elice è però la sua superficie la quale, salvo che nei primi anfratti, è percorsa da grosse rughe trasversali, nel senso cioè ed in corrispondenza delle linee di accrescimento; rughe d’aspetto affatto particolare, dovute a pieghe irregolari, ondu- late e quasi papillose.! La Helix Ramondi è stata da tempo riconosciuta in più luoghi e la sua giacitura è delle meglio conosciute. Essa fu raccolta a Montabuzard presso Orléans, alla Chapelle, Neuville aux Bois. — Jussat, Machal, Saint Maurice, ecc.; in tutta la Limagne, Fagarolles, Vianne (Lot-et-Garonne), Bouret, Moissac, Castel- Sagrat, St. André de Méouille (Basses-Alpes). (DesHAYES). — A Trappes presso Parigi ( Tournouer ); alla stazione di Dijon (Martin); Asnières, Bellefond, Ruffey ed altrove nel diparti- mento della Còte d’ Or, nel conglomerato. — Agen, Tournon, Malause, Roquemaure, ecc. (dip. di Lot-et-Garonne, Tarn-et- Garonne, Tarn), assai frequente nel calcare bianco a conchiglie terrestri (Noulet). (SANDBERGER). A Recollaine, Court, ecc. presso Delsberg nel Giura bernese; Oepfingen, Gamerschwang e Ehingen presso Ulma; nel calcare ad Helix rugulosa e nel Bohnere (Probst e Miiller); Appenzell, Riifi presso Schznnis (cant. St. Gallo), Monod presso Paudèze (Vaud), nella così detta Molassa d’acqua dolce inferiore (Aqui- tanien I” e II di Karl Mayer). (SANDBERGER). Nella Germania infine fu raccolta a Hochheim, Oppenheim ed HrER — Die Urwelt der Schweiz. — E nella traduz. francese di J. Demole: Le monde primitif de la Suisse, p. 428, fig. 201. . 1? La specie appartiene alla sezione Pledecula ed offre certa analogia colla attuale Helix Bowdichiana Fér. propria al gruppo insulare di Madera. SUI FOSSILI E SULL’ETÀ DEL DEPOSITO TERZIARIO, ECC. 91 Ilbesheim presso Landau, e altrove nel calcare a conchiglie ter- restri. (SANDBERGER). Dovunque questa conchiglia fu trovata alla base del miocene e precisamente a quel piano che i geologi, dopo Karl Mayer, chiamano Aquitaniano. ** In Francia, infatti, la detta Elice è ritenuta caratteristica di quella formazione conosciuta sotto il nome di calcare della Beauce, così sviluppata nella regione di tal nome, nell’Orlea- nese, ecc. Nella Svizzera vi corrisponde in ragione di tempo la molassa d’acqua dolce inferiore, a tipo della quale i geologi svizzeri sogliono prendere quella detta appunto ad H. Ramondi di Delsberg (o Délémont), e nella Germania è in più luoghi, come si disse, rappresentata, ed in particolare dal calcare di Hochheim, nel bacino di Magonza, ove la nostra Elice si accom- pagna tra le altre con una conchiglia, pure assai caratteristica ma d’acqua salmastra, il Cerithium margaritaceum. A questo piano, giusta l'opinione dei più stimati geologi, spettano pure i giacimenti caratterizzati dall’ Antracotherium magnum osservato già in più luoghi e tra noi segnatamente a Cadibona, a Zovencedo nel Vicentino, motivo per cui codesto terreno fu talvolta chiamato anche Antracoteriano. In mancanza, per ora, di altri fossili caratteristici, credo quindi opportuno richiamare l’attenzione dei nostri geologi sulla presenza nel giacimento della Badia, dell’ Helix. Ramondi, non che dell’altra Elice sua consorella; facendo notare come in- sieme alla Kamondi, vada accompagnata d’ordinario una co- piosa Fauna malacologica, studiata principalmente dal Deshayes, da Aless. Braun, da Reuss, da Sandberger ed altri valenti na- turalisti, principalmente tedeschi. Alla Badia di Brescia, la H. Ramondi si trova insieme, come abbiamo visto, non solo alla H. Noveli, ma anche al Cyclostoma antiquum. Ora quest’ultimo sappiamo come si rinvenga anche 13 Seguo con ciò la classificazione dei terreni proposta dal prof. E. RENEVIER, nei suoi Tableaux des terrains sédimentaîres, pubblicati negli anni 1873-75, siccome quella che mi pare la più attendibile nello stato attuale della geologia. 92 «00% 0 ODISP.*SORDELLA73 1.123 ® 1207 TOA altrove in compagnia della H. Ramondi. Sicchè si trovano in: sieme, non solo nel bacino terziario di Magonza (nel Land- schneckenkalk e nel Cerithienkalk), ma anche nel. bacino, di Parigi, nella Francia meridionale, nel Giura svizzero e nel bacino bavaro-elvetico. Onde in mancanza dell’ una, può egre- giamente servire anche l’altra a caratterizzare questo livello geologico. sliamo Altri fossili, oltre quelli fin qui menzionati, mi vennero. poi comunicati; ma non hanno per noi sì grande importanza, onda non farò che dirne appena qualche parola. | Quattro esemplari di conchiglie, assai malconce però, appar= tengono al genere carnivoro delle Glandine; mancando. esse degli anfratti superiori ed essendo guaste pure al peristoma; non mi riesce possibile il farmi un concetto esatto della. forma primitiva, onde qualunque ravvicinamento specifico mi sembra inopportuno, pel momento almeno, e fintanto che nom sia in possesso di esemplari meglio conservati. i Tracce di vegetali non mancano nemmeno in questo. giaci- mento, e già il Ragazzoni ne avvertiva, non molto tempo fa; la presenza. Tra il materiale avuto fra mano, non potei os- servare altro, tuttavia, se non le impronte di una monocoti- ledone certamente da collocare nella. famiglia delle Ciperacee, a quanto pare, anzi, un vero Cyperus, affine a Cyperus sire- num, Cyperites plicatus, ecc.; ed un pajo di foglie, assai più importanti per noi perchè meglio differenziate, appartenenti al genere Myrica. Sembrano queste appartenere ad una stessa specie, e si di- stinguono ‘alla superficie piana, come levigata, alla forma lan- ceolata, spatolata, col margine dentato ai due terzi anteriori; coi denti mediocri e assai poco sporgenti. I nervi secondarî si dipartono dal mediano sotto un angolo assai aperto di 60°-65°. — Per la forma :generale, spatolata, col’ lembo prolungato.a cuneo inferiormente, la poca profondità delle intaccature mar- ginali, queste foglie somigliano assai a Myrica longifolia e de- perdita di Unger, come richiamano del pari alcune filliti di tal SUI FOSSILI E SULL’ETÀ DEL DEPOSITO TERZIARIO, ECC. 93 genere rinvenute nella Provenza dal conte di Saporta;!* tanto le une quanto le altre, precisamente nel miocene inferiore. Devo però notare come codeste specie, oltrecchè non coincidono del tutto colla nostra, si fondino finora su di un numero limitatis- simo di esemplari, almeno quelli pubblicati, e non tutti di ot- tima conservazione, per cui non si hanno ancora dati bastevoli per conoscere il grado di variabilità delle loro foglie; ed è probabile quindi che taluna di esse non sia che meramente no- minale. Onde una certa esitanza nella determinazione riesce affatto naturale. Non potendo quindi con certezza in- scrivere le filliti della Badia nel no- vero delle specie conosciute e d°’altro lato sembrandomi utile il contraddi- “stinguerle in qualche modo, nel mentre ne unisco il disegno a questa mia nota, le chiamerò, provvisoriamente e finchè non siano meglio conosciute, Myrica Ragazzonii, dal nome di chi primo fece conoscere il giacimento della Ba- dia e si occupò di raccoglierne e farne conoscere i fossili ai geologi. Le affinità di questa specie, oltre che con varie altre fossili sussistono fino ad un certo punto anche con qualcheduna delle viventi. E sebbene non possa citare alcuna forma attuale, a me nota, tanto affine da lasciar luogo a sospettare una filiazione diret- ta, parmi alquanto vicine alla nostra sieno la Myrica cerifera del- l'America boreale, e meglio ancora la Myrica californica, Hort. della regione settentrionale occidentale dello stesso continente. Per la forma generale del lembo è vicina pure a Myr. rubra del Giappone, se non che questa ha il margine intero, mentre nella nostra è evidentemente dentato almeno alla parte anteriore. Myxrica Ragazzonii $Sdll. della Badia di Brescia. ‘4 Segnatamente: MyricophyUlum zachariense Sap., Myr. anceps Sap., Myr. bitu= minosum Sap. Le maggiori affinità mi pajono esistere colla prima specie (Vedi: SA- Porta — Etudes sur la végétation du S. E. de la France à l’époque tertiaire (An- nales des sciences nat. Sér. IV, Tome XIX, pl. 8, fig. 1-3. Seduta del 26 marzo 1882. Presidenza del Vice-Presidente cav. A. VILLA. Data la parola al socio dott. MAGRETPI, questi legge una sua Nota sopra alcune aberrazioni nel colorito delle penne in vecelli dell’ordine dei passeracei, e presenta anche all’adunanza gli esem- plari cui la sua comunicazione si riferisce, e sono: due passere mattugie, un’allodola cappellaccia, presso le quali si osserva un forte grado di melanismo, un passerotto (Passer Italiae) affetto da clorocroismo con lento passaggio all’ albinismo; inoltre due casi di allocroismo offerti da una mattugia e da un merlo femmina. Indi il segretario Sordelli legge la nota del sig. Filippo Ponti: Sul peso specifico dei principali legni industriali indigeni ed eso- tici; e chiede se la Società ritiene opportuna l’ inserzione di essa ne’ proprî Att2. Su di che il socio MOLINARI fa osservare che sarebbe bene la nota stessa fosse esaminata da persona com- petente, trattandosi di fatti e di cifre che non si possono veri- ficare sul momento. Viene quindi accettata la nota del sig. Ponti sotto tale condizione. e Lo stesso segretario dà poi comunicazione di uno scritto del socio dott. CAMERANO, sopra Un caso di polimelia in un Triton SEDUTA DEL 26 MARZO 1882. 95 taeniatus. Esso consiste in una biforcazione del femore sinistro posteriore e nella consecutiva presenza di due zampe in un in- dividuo dell’ anzidetta specie, preso sul Gran Sasso d’Italia, dal prof. Pedicino; e riesce nuovo, non conoscendosi finora altro caso di polimelia nei batraci urodeli. È letto ed approvato il processo verbale dell'adunanza tenuta il 26 p. p. febbraio. Il socio cassiere G. GARGANTINI-PIATTI dà in seguito comuni- cazione dei risultati dei bilanci sociali, consuntivo 1881 e pre- ventivo 1882. Consta dai medesimi che nel 1881 si ebbe un to- tale introito di L. 3038,06 ed una spesa complessiva di L. 2240,99; per cui rilevasi un avanzo disponibile alla fine di detto anno di L. 797,07. E pel corrente anno potersi presumere un introito totale di L. 5597,07, contro una spesa di L. 3540, onde si avrebbe alla fine del 1882 un avanzo, pure presunto, di L. 2057,07. I risultamenti di detti bilanci, già stati previa- mente discussi e adottati dalla Direzione e dal Consiglio ammi- nistrativo, vengono del pari approvati a voti unanimi dalla So- cietà. Il Segretario Sordelli informa i Soci che, giusta la delibera- zione presa nella seduta di febbrajo, la Presidenza aveva scritto al socio ing. Curò annunciandogli l’incarico a lui deferito dai colleghi di rappresentare la nostra Società alle onoranze tribu- tate ad Angelo Mai, presso l’Ateneo di Bergamo, in occasione del centenario della nascita di quell’illustre paleografo. Che il sig. Curò con somma gentilezza assunse l’incarico, e che l’Ateneo aveva spedito alla Società il volume contenente i discorsi e le memorie tutte pubblicate in quella circostanza, di che la Società, nostra deve essere grata ad entrambi. Si passa, da ultimo, alla votazione per la nomina agli uffici sociali rimasti vacanti a termini del regolamento. Vengono rie- letti i Soci uscenti di carica e nominato Vice-Conservatore il Socio ing. F. Molinari. In seguito a ciò la Direzione ed il Con- siglio amministrativo della Società rimangono, pel corrente anno, così composti: 96 SEDUTA DEL 26 MARZO 1882; i CornaniA prof. ‘comm. Ewinio, Presidente. © 0° dp Vitta cav. ANTONIO, Vice-Presidente. noaro9, siano | SoRDELLI FERDINANDO, 7998 nda bin | Pini NAPOLEONE, Segretari. ima Fei i f FRANCESCHINI pa Conservatore: 0! (i long i ©’ Motinari ing. Francesco, Vice-Conservatore. 0/0 000 GarcanmtINI-PratTI cav. ing. Gruseppe, Cassiere. 0/00 00 “DeLriNoNI cav. avv. GortarDO, Economo. 000 20 — Visconti Ermes march. CARLO, ) GG dl. BeLLortI dott. CrIsTOFORO, > Consiglieri d’amminis © CriveLLI march. Luci. aa oto 1° | sia men N ti ri med Segretario. cdi | LO A } 0) and Da Pian 1 pena giare i oa “aloe siaonseg. agi moti ginolada ila igloo tia Dada: inatteso Db 09, dtnelmagia :bog@a storta | olmi igiene co ora 1) pasaeqpbe ira eri elaidoa ; ioe0ghiigoT Ro È Ratiià Ri 0019 areortata dia ; Haoq Fon ; o) e gr pc e è Li }a i % LARIO it ‘49 dei dB, ae 0 SL o "i SIMPLE Lenpa eretti ° î si! i » e } Trù LS Pittor ei È: ; ) È pinta MT ù i riti 19 4 Miesda vbb t ito ct tate Fsvazent cin “Or Ure di gfhito TIA - LI 14: ct Dali La Caro i pi pigra ww —@ » Loi Gol o gi ggb ; Ar do e- Lane di = ps va vr Dati br (a Baio de I BILANOI MI 4b ottogni sun intivo 1881 e Preventivo 1882. se diro nnt i nitrico il Ru i RITI Lt a an fa ) 7 CL mentre : x Ù f Ò n i È ii x i PI É 3 E f L] i i \ } i | j Li | i i È «I epatica n e- e Ps A pa 3 SRL PATTI II IERI 98 (Allegato A) DD Attività. tà cassa al ristretto conti 1.° Gennaio 1881 Importo di N. 15 quote arretrate a L. 20 ca- dauna, e cioè: N. 1 quota 1878 nu Bree pi. FUOLLAEGAgO Importo di N. 100 quote 1881 a L. 20 cadauna Per vendita Atti e rimborso di copie a parte BIL Dal 1. Gai \ vi LIS 38 Passività. \Ila Tipografia Rebeschini e C. per stampa Atti e Circolari . | Domenico Bellazzi litografo Bergomi Andrea aiuto aila Segreteria \ Ronchi litografo per lavori \l librajo Hoepli per somministrazioni jpese d’amministrazione tipendio agli inservienti . \ Sordelli pel fascicolo 50° Iconografia | degli Ofidi. Spesa . Attività a pareggio 1112] — 133 | — 53 150 | — |49.01. 56, 60 T6.| — ] 389 .| — 184 | 99 || 61. 62 43, 44,49, 50 L90454, 5507 08, 09 12|—- 63 2240 | 99 T97.| OT 3038 | 06 99 Mandati _——_>—r- _-'© 100 ic (Allegato B) (3005 Attività. VI PALIN 2 | Importo di N. 70 quote arretr. a L. 20 cad., e cioè: — “| N. 8 quote:-1879.. |... 0 L'ia60na » 19/4 880 IL Mist citunio. co ig RAZR n "43, 1881 CAO STAR I -1 | Esistenti in cassa al 1.° Gennaio 1882. Totale L. 1400 E Importo di N. 140 quote pel 1882 a L. 20. . L. | 9£ 4 | Ricavo presumibile per rimborso copie a parte e vendita Alti |). |... Passività. pa Atti, Memorie e Circolari ese per litografia ese d'Amministrazione, Posta, Segreteria librai Hoepli e Dumolard per associazioni di- | verse e somministrazioni librarie lato alla Segreteria li inservienti r legatura libri . Attività 101 LOU 3540 | — 2057 | 07 5597. |.07 ul n to iv ite. °° LR di ma “ROSSI Real BENE LOSTO, I pop OTIROO SANE 80; gl AA gd i bei VE) ì té i ufna: - ni q i Tera | A sh — ABERRAZIONI NEL COLORITO DELLE. PENNE rice ‘ rd1d A tia IN UCCELLI DELL'ORDINE DEI PASSERACEI. (511: ARE Nota del socio sato Dott. PaoLo MAGRETTI. riga cza ph Nella bibliografia da me altra volta consultata e citata? guardante le alterazioni di colore nelle penne degli uccelli, non trovasi descritto nè riferito alcun caso di melanismo della Ga- lerida cristata Lin. (Boie). È questa la così detta Cappellaccia degli autori ed in fire chiamata Calandra, Calandra capuzol, frequente in Italia, ma non stazionaria nella Lombardia come lo è nelle regioni cen- trali e meridionali. Essa ama preferibilmente la pianura e le colline e non si trova giammai in grossi branchi, ma solo in piccol numero od in coppie. Nidifica nei campi, e, nel nido poco elegante, depone dalle quattro alle cinque ova di color grigio tendente al giallo e cosparse di macchie bruniccie. Uno appunto di cotali nidi veniva raccolto nella prima- vera dello scorso anno, nei pressi di Milano, ed i quattro ni- diacei allevati presentarono tutti l’ abito chiaro, proprio dei giovani di questa specie. Senonchè, durante la prima muta, da agosto a settembre, uno di questi individui, di sesso mascolino, presentò un piumaggio che lo fa di molto differire dal normale per un notevole pre- dominio del nero su quasi tutte le piume e le penne. 1 MAGRETTI P., Sopra alcuni casi di scoloramento delle penne în uccelli nostrali: Atti della Soc. ital. di Sc. nat. Vol. XXII (1879) p. 292. $ _ AA At ABERRAZIONI NEL COLORITO DELLE PENNE, ECC. 103 . A dir vero, un caso consimile potei pur osservare or fanno alcuni anni, in giovani esemplari di Turdus musicus Lin., pro- ‘veniente dalla Valle Brembana e che allevai io stesso nutrendo con foglie d’ Urtica frammischiate a farina di melgone e polvere d’ essiccate crisalidi del Bombyx mori. Anch’ essi mostrarono fin dalla prima muta, e vieppiù nelle successive, una grande. ten- denza al melanismo. Non saprei pertanto attribuire la causa di tale anomalia, nè alla qualità particolare di cibo, nè ad uno spavento qualsiasi ch’abbia potuto produrre un’ azione intensa sul sistema san- guigno in relazione colla copertura del corpo. Omettendo, almeno per ora, altre possibili investigazioni sul- l'esemplare in discorso e che conservo tutt’ora vivo, esso pre- senta: Il becco, inferiormente giallastro, bruniccio nella parte su- periore; l’iride normalmente oscura. Le piume del dorso, tranne qualche macchia rosso-lionata alle scapole, intensamente nere. Il pileo, erigibile in un lungo ciuffo, nero con qualche penna rossiccia sullo stelo. La regione auricolare, con piume un po’ rilevate, di color rossiccio-chiaro. La gola, il petto, l’addome, i fianchi e il sot- tocoda, d’un nero intenso, tranne qualche piccola macchia, ap- pena rossiccia nel mezzo del petto ed un bordo bianco alla regione anale. Le prime sei remiganti delle due ali sono to- talmente nere, le altre lionate coll’ apice bianco. Le grandi co- pritrici nere in parte col bordo rossiccio-pallido, le timoniere tutte nere, i piedi normalmente grigio-carnicini. L’esemplare, come si vede, offre un caso di melanismo par- ziale, inquantochè conserva ancora molti caratteri dell’ abito normale, lascia però scorgere una grande tendenza all’ anneri- mento completo delle penne che si verificherà, credo, nelle suc- cessive mute. Un altro caso di melanismo, più frequente del primo, mi pre- sentarono due individui, maschio e femmina, di Passer meon- tanus Lin., presi nei dintorni di Milano. Essi portano su un 104 P. MAGRETTI, ABERRAZIONI NEL COLORITO, ECC. piumaggio generalmente nero diverse chiazze del solito color rossiccio le quali variano nei due esemplari a seconda della muta di già assunta. RARO Fra i varî casi di aberrazione dal colorito usuale delle penne, | riferentisi generalmente all’albinismo, piacemi S BELA qui alcuni che potei ultimamente osservare. Clorocroismo con lento passaggio all’ albinismo imperfetto, in una femmina di Passer Italiae Lin., da me allevata nella quale | notai una grossezza maggiore della media solita ed un impal- | lidimento che, nei sei mesi in cui visse, andò facendosi sempre più risentito. Morì d’ipertrofia di cuore con travaso di siero alle mucose ed uno sfasciamento totale delle intestina. 1 Due casi d’AlMlocroismo: 1.° in un individuo maschio di Passer — montanus Lin., bianco, col becco ed alcune macchie al vertice, sull’occipite ed ai lati del collo, le remiganti primarie d’en- trambe le ali, ed una delle timoniere esterne solo nericcie. 2.° in una femmina di Turdus merula Lin., che, sul colore normale bruniccio di fondo, presenta: la testa, gran parte del dorso e del groppone, molte macchie alla gola, sui fianchi, sul petto ed all'addome, qualcuna delle piccole copritrici delle ali, la I, IX, X, XI (all’apice), XII, XIII, XVII, remigante del- l’ala destra, la II, III, IX, X, XIII (in parte) e XVIII remi- gante dell’ala sinistra ed una delle timoniere mediane, d’un bianco-niveo argentino splendente; il becco ed i piedi bruno- giallicci. WOOdOR LI #4 4 ch | ti amo NOTA SUL PESO SPECIFICO (DEI PRINCIPALI LEGNI INDUSTRIALI INDIGENI ED ESOTICI, Mura ida i, î . i di P, LA pad Ponti FILIPPO. . Sorrette dai migliori artefici, l’ebanisteria e la fabbricazione «dei mobili d’ uso comune, non sarebbero certo tenute in gran conto, quando offrissero alla consumazione dei prodotti d’incerta durata. Le costruzioni di legno, ragguardevoli talvolta, quali le case, i ponti, le navi, e l'ossatura delle strade ferrate, perde- rebbero gran parte della loro importanza, quando non andas- sero garanti di sicurezza e di resistenza. Queste doti capitalissime di qualsiasi lavoro dipendono diretta- mente dalla materia prima ond’è costituito. Base d’ogni giudi- zio, la qualità di quest’ultima è affatto indispensabile per quelle industrie che traggono dai legnami il loro sostentamento. Le condizioni, alle quali tutti i legni debbono soddisfare per costituire un'eccellente materia prima, sono anzitutto una con- . veniente maturazione, la raccolta fatta nell’epoca e colle con- dizioni più propizie, l'omogeneità della costituzione, ed una con- veniente stagionatura. È appunto mentre quest’ultima si compie, che le fibre si ras- sodano, che i vasi si disseccano, che il legno se buono si fa ot- timo, se già avariato si rende inservibile e da porsi negli scarti. Quando un tronco od una tavola sieno convenientemente stagio- nati, ponno sottoporsi alla lavorazione, colla sicurezza di otte- nere dei prodotti solidi e resistenti, come si farebbe pei legnami provenienti da operazioni meccanico-chimiche, quali sarebbero la disseccazione artificiale ed il trattamento coi sali di rame. I criterî che facilitano la ricerca della stagionatura dei le- enami sono variabili e differenti a seconda dei materiali che si sottopongono all’analisi. L’aspetto esterno è sufficiente per le 106 F. PONTI, % costituzione, talune vogliono infine una pratica ed un corredo di cognizioni che non trovansi in tutti. Il colore, la forma, il percentuale di materie volatili e la densità dei legnami, sono; — benchè instabili, i migliori criterì che guidano a giudicarli. | Anche il peso specifico è un criterio analitico che concorre talvolta all’apprezzamento dei legni. Questi perdono durante la stagionatura gran parte dell’acqua e degli umori che ne riem- piono il loro tessuto fibro-vascolare. Conseguentemente i legni verdi sono più pesanti di quelli essiccati al sole ed all’ aria, che raggiungono generalmente, dopo un certo tempo, una densità costante o poco variabile, quando si voglia prescindere da innu- merevoli circostanze che v’influiscono. La luce, la quantità e la temperatura dell’aria, 1’ abbondanza degli umori contenuti nei vasi, la natura del terreno e l'epoca della raccolta, sono infatti altrettante cause che rendono variabili, anche tra esemplari della medesima specie, gli accennati caratteri. L’ indicare con cifre stabili la densità dei tessuti legnosi riesce finora impossibile, ma non è certo una chimera. Quando le singole specie di legnami fossero titolate e disposte regolar- mente in acconcio prospetto secondo la provenienza, la maggiore o minor densità, ed il metodo seguito per ottenerla, la scienza e l’industria avrebbero entrambe una fonte di sicuri giudizî. Un fatto che si verifica sempre nella pratica è la costante e più o meno sensibile differenza fra i dati esprimenti il peso specifico di una medesima specie. L'eccellenza del metodo se- guito, la identica provenienza, l'aspetto e l’età comune degli esemplari, non la possono impedire; le più piccole ed impercet- tibili disuguaglianze di volume nei campioni pesati, la loro in- tima struttura, modificata sempre da recondite cagioni, squili- brano costantemente e rendono impossibile l'eguaglianza dei risultati. Io non farò qui la storia degli innumerevoli agenti che ne perturbano l'accordo, nè ne ricercherò la genesi; la geografia botanica, la fisica, la chimica e le ricerche microscopiche vi hanno campo comune e diranno l’ultima parola. specie più comuni, altre richieggono anche l’ esame dell’interna NOTA SUL PESO SPECIFICO DEI PRINCIPALI LEGNI, ECC. 107 n _ Un organismo vegetale è troppo soggetto a trovarsi in di- versissime condizioni, perchè non ne risentano sia pur debol- mente, il suo aspetto e l’intima sua costituzione. La stessa pianta, cresca all'ombra od al sole, volga le sue frondi a le- vante od al tramonto, profondi le sue radici nel terriccio o nel- l’acqua, può modificarsi più volte, e differire totalmente da un’ altra della medesima specie, che le vegeti accanto. L’ine- guale percezione dei raggi solari, le proporzioni e le qualità diverse dei sali, tolti al terreno dalle radici, nelle loro funzioni assorbenti comunicati alla linfa, e da questa trasfusi in tutto l'organismo, nei suoi movimenti di ascesa e di discesa, bastano ad influire diversamente sul tessuto legnoso, ed a vietarne l’ uni- formità, in uno stesso esemplare. . Nè si potrà dubitare della grandissima influenza. che hanno sempre la durata ed il modo di esposizione alla luce ed all'aria, sui legnami abbattuti di fresco, che già compatti negli individui invecchiati, si fanno sempre più solidi mentre stagionano. Que- st’ ultima fase, che segna il trapasso dalla silvicoltura alle arti, e che è destinata a fornircene la materia prima, è foriera di tante ed incognite trasformazioni nell’intimo delle sostanze che le vengono affidate. I legni più pesanti sono quelli che maggior- mente s’induriscono colla stagionatura, mentre i più leggieri perdono talvolta col disseccare gran parte della loro consistenza. Il durame della quercia, del corniolo e dell'olivo, molto pregno di sali minerali, si consolida ed aumenta di peso, quanto più si espone agli agenti dell'atmosfera; quello dell’abete e dell’acero diventa più leggiero, quello del fico e del gelso rimane stazio- nario. Queste differenze avveransi più o meno sensibilmente, secondo le stagioni in cui si raccolgono i materiali da sottoporsi alla stagionatura. Prescindendo da quelli morti naturalmente che sono poverissimi di umori, e che non tardano a disgregarsi, gli esem- plari raccolti in primavera o nell’autunno, che ne contengono in abbondanza, sono più soggetti a modificarsi di quelli abbat- tuti nell’estate o nell’inverno, che ne contengono in minor quantità. 108 , dia RL BONE 0 QUALE Ati AI — Non tutti i tessuti legnosi sopportano una lunghissima stagio- natura. Alcuni e specialmente gli esotici vi guadagnano sem aumentando di peso e di consistenza; altri più citrate scono a decomporsi coll’azione dei gaz atmosferici e degli xi- lofagi. Il legno ferro e il legno santo sono nella prima. categoria, quelli del fico, del gelso e di qualche conifera Mi e alla seconda. Math Ar ‘ Molti legni presentano inoltre particolarità spiccatissime che contribuiscono a renderne variabili le forme ed i caratteri. Lo stipite delle palme è più compatto all’esterno che all’ interno, mentre tutte le altre piante hanno il durame al centro e l’al- burno alla periferia. Alcuni cauli hanno strati legnosi assai densi, alternanti con altri di minore durezza, altri infine hanno una massa uniformemente compatta. Questi casi non sono raris» simi nella medesima specie, e talvolta riscontransi in un mede- simo esemplare, che l’atrofia ha inegualmente modificato. La densità dei tessuti legnosi non si può stabilire in un modo assoluto, nè tutti i metodi rigorosamente scientifici sì prestano a determinarla. Le numerose cause che abbiamo accennato con- corrono troppo a modificarne i caratteri, perchè tutte le inda- gini che mirano ad ottenerla abbiano a dare dei risultati uni- formi e sicuri. Una sufficiente esattezza, che valga a soddisfare le esigenze dell’industria e dell’arte, si potrà soltanto conseguire in seguito a ripetute esperienze sopra un gran numero di esem- plari per le singole specie, scegliendoli in ogni caso tra i più svariati, e raccogliendoli in epoche e in località differenti. L' o- perazione elementare ma scrupolosa di determinarne il peso spe- cifico sarà sempre condotta con diversi processi che si control- lino tra loro, e che permettano infine la formazione di una serie di dati medî e poco variabili, col concorso di tutte le differenze dalle più alle meno sensibili. È appunto coll’intento di giovare al conseguimento di una media sempre più esatta, che ho segnato qui sotto il peso spe- cifico dei principali legni indigeni ed esotici che s’impiegano nell’industria e nel commercio. Gli esemplari che servirono 4 NOTA SUL PESO SPECIFICO DEI PRINCIPALI LEGNI, ECC. 109 determinarlo hanno dai dieci ai quindici anni di stagionatura e furono raccolti per la medesima specie in epoche e in località differenti, ed in diversi esemplari. Prescindendo da ogni classi- ficazione botanica od ordine alfabetico, ho creduto meglio di- sporli in ordine crescente di densità ripartendoli in tre distinte ‘categorie, quella dei legni indigeni, quella dei legni di piante ac- climatizzate in Italia, e l’altra dei legni esotici o d’ oltremare. Tutte le specie che stanno nella prima e nella seconda sono citate ‘col nome comune e col nome scientifico; gran parte di quelle che appartengono alla terza, vanno distinte con quello puramente com- merciale, vista la difficoltà di applicar loro un nome botanico, per molte non ancora accertato. Anche la denominazione comune di quest’ ultimi è affatto industriale, e non è generalmente costi- tuita che dalla indicazione della provenienza o di qualche ca- rattere esterno, così come è conosciuta dal costruttore e dal- l’ebanista, come per esempio, il legno ferro ed il cedro d’Algeria. LEGNI DI PIANTE INDIGENE, Alnus glutinosa — Ontano, alno . . . ... . . . . Peso Sp.° 0. 406 Salix alba — Salice bianco . . . cabsrrartà Ac: P 0. 427 Acer pseudoplatanus — Acero Sirino RETE AE ET E. 0. 436 Populus nigra — Pioppo comune . . . ..0.... P 0. 444 Malostreggnlis — Salice fragile .. . . . ... ee a 0. 445 Nalx'vitellina — Salice: giallo . L.A “i 0, 445 Tilia grandiflora — Tiglio d’ Olanda —. ...... A 0. 451 Betula alba — Betulla 0 Bidollo . . ... +... J 0. 480 Tilia parvifolia — Tiglio selvatico . . ........ é 0. 490 ipmmaccomibra — Pino zembro >.<. 0.06. F 0. 490 Hopulustalba — Pioppo bianco |... .. . . ii 0. 496 ge parmputea > Salice rosso +0... a... : 0. 511 Populus tremula — Pioppo tremulo . . ...... 3 0. 515 Populus italica — Pioppo piramidale . ...... . $ 0. 520 Ragustrum. yulgare — Olivello «+. .°. è e th Î 0. 533 TZ NIE s 0. 536 gen vesta. — Castano... . . . Le 4 à 0. 537 Tuniperus communis — Ginepro... 0.0.0... x 0.9. Pinus pinea — Pino da pignoli . ........ + 5 0. 545 110 ‘ida teri, NN VOI NE 5 ADI Ulmus montana — Olmo montano |... 101.0. Peso Sp. 0. 549 Piiinus corasus: — Ciliegio i.) Lite LR TR nil d. 570 Abies .excelsa — Abete 108580. |... UT “O 57 I Ficus carica — Fico a frutto bianco... . + ig 7 SI 583. Ficus carica — Fico a frutto nero . . . . n "è 0, Cee Cupressus sempervirens — Cipresso " È ii 618 Sambucus nigra — Sambuco. LL 0 tt Pinus larix — Larice . . MIRI, n “0.615 Corylus avellana — Nocciuolo >. 0.0. 00 Regali to Abies pectinata — Abete bianco . . LL... sO Ulatus'icampestris — Olmo ”.. ». +. c.c. 0. *, TA = 0. 642 Pinus sylvestris — Pino silvestre . a 0. 65 Acer platanoides — Acero riccio . fia Morus alba — Gelso i 0. 671 Acer opalus — Acero . 5 0. 675 Populus flexibilis (P. nigra bumilia) —_ Pioppo flessibile n.0. 680. Fagus silvatica — aggio x Moige; ò 0. 684 Salix caprea — Salice capreo . . . 0. 686 Evonymus europaeus — Fusaggine Î ‘0. 688 Mespilus germanica — Nespolo ì 0. 698 Cercis siliquastrum — Albero di Giuda 5 0.709. Pyrus communis — Pero comune . È 0. Ulmus latifolia — Olmo . di 0. 722. Acer campestre — Acero loppio x 0. 730 Prunus domestica — Susino — 0. 731 Prunus spinosa — Prugnolo . "i 0. 761 Laurus nobilis — AlWoro . Ra 0. 771 Crategus azarolus — Lazzeruolo a 0. 774 Quercus cerris — Cerro n 0. 775 Nerium oleander — Oleandro È 0. 776 Rubus fruticosus — ovo. - 0. 782 Celtis australis — Fraggiracolo n 0. 786 Ilex aquifolium — Agrifoglio . 2 0. 788 Taxus baccata — Tasso RR Fraxinus excelsior — Frassino . è 0. 806 Malus communis — Melo comune . : 0. 818 Cydonia vulgaris — Melo cotogno —. . . .... + & 0. 820 Crategus oxyacantha — Biancospino À 0. 822 Olea: europaéa.— Olivo. ii n a E tro -- 0. 831 Carpinus betulus — Carpino. c.c. 0 nti te " 0. 840 *Quencri ilex» Leseio-. ».. +. -. Lit e a Le 0. 848 Punica granatum — Melagrano ». . 00.0. È, 0. 850 NOTA SUL PESO SPECIFICO DEI PRINCIPALI LEGNI, ECC. 111 Ceratonia siliqua — Carrubo. . . .. . è». + + +. Peso Sp.° 0. 875 Sorbus domestica — Sorbo . . ..°. LL... x 0. 905 Rhamnus alaternus — Ramno . . ..86....0. Arbutus unedo — Albatro od Albatrello . . . . Quercus pedunculata — Quercia farnia . . ... . Zizyphus vulgaris — Giuggiolo . . . +... Quercus sessiliflora (Q. robur #) — Rovere . . . . bad (do, => Gt 922 926 935 987 $ a a SRO Phyllirea angustifolia — ilaria 0 Lillatro . 5 999 Erica arborea — Erica o scopa arborea 5 002 Buxus sempervirens — Bosso... ..°.... x 020 Cornus mascula — Corniolo . . ./.°.... 186 LEGNI DI PIANTE ESOTICHE ACCLIMATIZZATE IN ITALIA. Paulownia imperialisi — Paulonia. . . . . .. +. Peso Sp.° 0. 379 Abies alba — Abete bianco . . . .. . è 4 0. 450 Mimosa iulibrissin — Mimosa a 0. 528 Aesculus hippocastanum — iciana n 0. 537 | Bignonia catalpa — Bignonia . : È 0. 538 Liriodendron tulipifera — Liriodendro . > 0. 549 Tuniperus virginiana — Cedro americano . . . . Po 0. 550 Tuglans alba — Noce Dianco A 0. 555 Ailanthus glandulosa — Ailanto . Di 0. 567 Iuglans cinerea — Noce cinerea x 0. 591 Olea fragrans — Olivo odoroso . Li 0. 620 Amydalus persica — Pesco dI, 5 0. 652 Pinus cedrus — Cedro del Libano . . 5 0. 712 Acer saccharinum — Acero da zucchero si 0. 730 Iuglans nigra — Noce nera . . È 0. 735 Robinia frutescens — Fobinia salistgnio A 0. 751 Platanus orientalis — Platano orientale 3 0. 759 Iuglans regia (fruct. oblongis) — Noce comune . a. 0. 763 Acer rotundifolium — Acero a foglie rotonde 0. 775 Acer eriocarpum — Acero . . . ... È 0. 782 Robinia pseudoacacia — Kobinia comune . c Pesa M 0. 785 Mespilus japonica — Nespolo del i aloss «Sh " 0. 816 Citrus limon — Limone . . . si 0. 825 Citrus medica — Cedro . . ... > 0. 859 Prunus armeniaca — Albicocco . RI E OT el na 0. 859 Gleditschia triacantha — Spinacristi . . ..... . ° 0. 859 Prunus laurocerasus — Lauro ceraso . . ....% A 0. 901 Quercus nigra — Quercia nera . . ..°. 00. + sj 0. 977 112 n LEGNI DI PIANTE ESOTICHE *. Grignon S. Domingo - vi "a 007 FORIO hag * Gadrayd'Algorie — PITT ti Mogano femmina o Cedro di Spagna — — __?? GN Mogano d’Amboine — Flindersia Amboinensis , Montouchy — ate trito aterniita i Dias ine Tuia, Radica — Callitris PRI » pei. pina Mogano S. Domingo — Swietenia mahogoni . . . Corombur S. Domingo — Ò SRI At A a Amaranto violetto — Copaifera sp. . +... 0.4, Teck — Zectona grandis . . . . e Ra Espanille S. Domingo — Erithalis Miglia a Chéne de Corse — ? Amarant de Cajenne — ? n te e RIVARA Santal Cotes d’Afrique — Ae A o Courbaril Guyane — Hymenaea courbaril . Camagon delle Filippine — ? Wacapoo Brésil — ? Palissandro o Noce d’India — Dalbergia? Courbaril Brésil — ? 2) III RIT Bois lance — ? Lat vir LE i Legno ferro del Ceylan — Mesua farsa: «; ciduaiv Mosaranduba Brésil — ? Tamarin Guyane — ? Bois Violette — Peltogyne venosa . i Legno ferro della Martinica — Stadtmannia fera Rio negro — ? Ebano — Diospyrus Lila Panacoco Guyane — Robinia Panacoco Cochenille Guyane — ? SA Grénadille Madagascar — Brya Ebenus Boco o legno di ferro — Bocoa pmasensis ? Boco della Guiana — Bocoa? Satiné Brésil — PA REA RIO Legno Santo o Guaiaco — "TR officinale È DI # Il primo è per questi legni il nome industriale; il secondo, per alcune specie, | quello botanico. fato. ragioni PON LOTTA 0A Me di Ual A ue de * - Lupia (SI s sis ‘@‘iIJ4s4s "i è. » È È si sa e 4 Giga da YiogiH - " É | LI n SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ. ppo delta Iibiciota è di promnovere in Italia il progresso degli studi de Ile scienze naturali. I Jocj “sono. in numero illimitato, effettivi e corrispondenti. I So Î effettivi pagano it. L. 20 all’anno, in una sola volta, nel primo tri- dell anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli nti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunica- € ricevono gratuitamente gli Atti della Società. Socj corrispondenti si eleggono persone distinte nelle scienze naturali, le dimorino fuori d’Italia. — Possono diventare socj effettivi, quando si igettino alla tassa annua di lire venti. — Non sono invitati partico- ente alle sedute della Società, ma possono ‘assistervi e presentarvi 0 leggere delle Memorie o delle Comunicazioni. — Ricevono gratuita- en e gli Atti della Società. Le ) proposizione per l'ammissione d’ un nuovo socio deve essere fatta e ‘m ata da tre socj effettivi. | > i È Socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima la fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad es- > tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di un no, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno successivo, ssano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stampate gli Atti o nelle Memorie della Società, per estratto o dig esteso, secondo | loro estensione. ed importanza. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del mato degli Atti o delle Memorie stesse. Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, pur- è li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone golare ricevuta. ‘Quanto ai lavori stampati negli Atti l’autore potrà far tirare un numero ‘alunque di copie ai seguenti prezzi: ke e in | i Esempiari ih 25 50 75 109 $$ di foglio (4 pagine) . . |L.125{ L.225|L. 2 50|L. 4 — 1] foglio (8 pagine) e, » 175) » 3 50] » 4 — |» 5 50 3], di foglio (12 pagine). . | » 250|» 5 —|» 675|» 9— Milfoglio (16 pagine) . . . |» 275|» 5501 - 8—|» 10 —| INDICE. Direzione pel 1882 . 1 R Socî effettivi al principio dell’anno ‘1882. È Socì corrispondenti . ; Istituti scientifici corrispondenti . Seduta del 29 Gennaio 1882 Seduta del 26 febbraio 1882 . P. StROBEL, Studio comparativo sul teschio del Por delle Mariere . j F. SoRDELLI, Sui fossili e sull età del Roposito Jerli rio della Badia presso Brescia . Seduta del 26 Marzo 1882 Bilancio consuntivo dal 1 gennaio al 31 iena 1881 Bilancio preventivo dal 1 gennaio al 31 dicembre 1882 P. MaerEtTI, Aberrazioni mel colorito delle penne in uccelli dell’ ordine dei passeracei è F. Ponti, Nota sul peso specifico dei principali Lod industriali indigeni ed esotici DELLA | SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI VOLUME XXV. FascicoLo 2 — Foti 8-15. con tre tavole MILANO, TIP. BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. PER L’ITALIA: | PER L'ESTERO: PRESSO LA | PRESSO LA SEGRETERIA DELLA SOCIETA’ LIBRERIA DI ULRICO HOEPLI MILANO MILANO Palazzo del Museo Civico. Galleria De-Cristoforis, Via Mavin, 2. 59-62. SETTEMBRE 1882. gli ATTI e delle MEMORIE si veda la 3° pagina di questa copertina. Per la compera de PRESIDENZA PEL 1882. Presidente, N. N. Vice-presidente, Vira AntoNIO. Milano, via Sala, 6. SorpELLI prof. FreRDpINANDO, aggiunto al Museo Civico « Segretarj storia naturale di Milano, via Monforte, 7. Pini rag. NAPOLEONE, via Crocifisso, 6. Cassiere, GARGANTINI-P1aTTI GiusePPE, Milano, via Senato, 14. DI UN CASO DI LENTA IN UN TRITON TAENIATUS (Schreid.) PEL Dott. LORENZO CAMERANO. Varî autori si sono occupati in questi ultimi tempi dello stu- dio della polimelfa nei vertebrati e principalmente nei Batraci anuri. Io ricorderò fra gli altri i lavori dello Strobel, del Sor- delli, del Fabretti, del Cavanna e del Parona; ai lavori anzi di questi due ultimi io rimando il lettore desideroso di cono- .scere la bibliografia che riguarda lo studio della polimelîia dei vertebrati. ‘ Dai lavori di questi autori si vede che mentre numerosi sono i casi di polimelîa stati osservati nei Batraci anuri (generi Rana, Bufo, Alytes), negli Uccelli (generi Anas, Anser, Fulica, Cardue- lis, Fringilla, Gallus) e nei Mammiferi stessi (generi Sus, Bos, Canis, Homo), nessun caso invece venne fino ad ora osservato nè nei Batraci urodeli nè nei Rettili. Il caso che io sto per descrivere appartiene appunto ai Ba- traci urodeli e si osserva precisamente in un Trifon taeniatus (Schneid.) raccolto nell’anno 1881 con altri tritoni dal profes- sore Pedicino al Gran Sasso d’Italia e da lui donato al R. Mu- seo o Zoologico di Torino. 1 G. CAVANNA, Descrizione di alcuni Batraci anuri polimeliani e considerazioni intorno alla polimelia. Pubblicazioni del R. Istituto di Studî superiori di Firenze. 13877. — Ancora sulla polimelia nei Batraci anuri. Ibidem, 1879. CorRADO PARONA, La pigomelta studiata nell’ uomo e negli altri vertebrati. Annali scientifici del R. Istituto tecnico di Pavia, 1878-79. — Sulla pigomelta nei vertebrati. Bollettino scientifico. N. 6. Pavia, 1880. Vol. XXV. 8 114 L. CAMERANO, L’individuo in questione è una femmina ed è perfettamente sviluppato: le sue dimensioni sono le seguenti: Lunghezza totale dall’apice del muso alla estremità della coda . . . . metri 0,075 6 dol ciglio LA Ile Tt AGGI n OO È del ironia eee a < (OSS 4 dell’arto anteriore. . . . n. _OE6 & È posteriore normale vtr QI » Soprannumerario , 0,0125 » » Questo individuo nulla presenta di anormale, salvo quanto riguarda il cingolo pelvico e più precisamente la metà sinistra del cingolo stesso. | Fig. 2 Arto posteriore sinistro (ingrandito) Arto posteriore sinistro, e visto lateralmente. di grandezza naturale e visto inferiormente Si scorge dalle qui unite figure che la zampa posteriore si- nistra è doppia; all’ arto normale se ne aggiunge cioè uno anor- male sviluppato a un dipresso come il primo. L'inserzione del- l’arto anormale si fa alla coscia ad una distanza di circa metri 0,002 dal corpo. Le due estremità sono esternamente quasi al tutto identiche, tanto che non è facile a primo aspetto ricono- scere il membro anormale; le dita, la colorazione, la larghezza, la parte inferiore del piede, tutto insomma è anche nell’arto soprannumerario ben sviluppato e regolare. L’esame dello scheletro mi ha mostrato un bacino regolare anche dalla parte sinistra e un femore sinistro invece molto modificato. DI UN CASO DI POLIMELIA IN UN TRITON TAENIATUS. 115 _ Il femore sinistro a tre millimetri circa di distanza dalla sua Bardini colle ossa del bacino si sdoppia, | come si può vedere dalla figura 3 qui unita: — i due rami che ne risultano sono corti, di am millimetro appena di lunghezza, e grossi. Uno dei rami inferiori, ponendo 1’ osso nella | Fig. 3. | sua posizione naturale, si articola diretta- remore posteriore sinistro mente colle ossa della gamba le quali sono agyeniito] al tutto regolari. Esso costituisce l’arto normale, il quale viene ad essere così soltanto un po’ spostato o ripiegato. L’ altro ramo si articola per mezzo di uno straterello sottile di cartila- gine con un ossicino cilindrico di circa due millimetri di lun- ghezza che a sua volta poi si articola colle ossa della gamba. Queste ultime sono al tutto regolari. L’anormalità adunque sta principalmente nel femore. Non è molto facile il poter spiegare con sicurezza il modo di formazione dell’arto soprannumerario. Mi pare che si potrebbe considerare l’ osso intermedio fra la gamba dell’arto soprannume- rario e il femore comune come un femore rudimentale e come tale pure si potrebbe considerare il ramo corrispondente della biforcazione del femore comune. Il femore dell’arto soprannumerario si è unito con quello del- l’arto normale e ciò naturalmente in età giovanile; la pressione del nuovo femore ha a poco a poco fatto piegare una parte del secondo e quindi gli ha dato la forma biforcata simmetrica che noi ora osserviamo. Rimane da spiegare la non intera ossifica- zione del supposto femore e quella specie di articolazione sopra menzionata fra le due parti del femore stesso. Forse ciò si po- trebbe intendere come una modificazione dovuta all’ adattamento ed al funzionare del nuovo arto il di cui sviluppo indica che esso era adoperato forse con frutto dall’ animale. Un'altra ipotesi per spiegare l’anomalîa in discorso potrebbe essere questa: si potrebbe considerare cioè l’arto soprannumerario Come una specie di escrescenza, come una nuova formazione fat- tasì sull’arto normale in seguito a ferite o ad altre cause. male sf dg tutto parto Di troppo. nè sull’ una nè sulainoe ta. leto cl maniera di Spiegare i în Apia miglior l’anomali: È bb rig i ‘ \ JD A ora descritta. | PEN SL dina AII86 pre omoir sihop li . ol 1 OSTIBI 9921109317 dee d 1 ARNO viste "LI fai î PRATO es i e er - IP Pi 1 Li da DEL Metaon 010 | SETE LI VANTA % ledianpitverur Mena: , dro) dÈ LI cons Seduta 30 aprile 1882. tai Presidenza del Presidente prof. comm. E. CORNALIA. Il socio SorpeLti legge Sulla vita scientifica del socio prof. Santo: GarovagLio. Discorre, cioè, brevemente degli studî fatti in patria ed all’estero dal perduto collega, ne rammenta i mol- teplici lavori coi quali sì bel posto ebbe ad acquistare fra i bo- tanici e ne commemora i pregi quale docente e quale primo fondatore in Italia di un Istituto esclusivamente destinato allo studio delle crittogame parassite. L'A. termina questo suo scritto coll’indicazione dei lavori a stampa e degli exsiccata pubblicati dal memorato naturalista. Lo stesso socio dà altresì comunicazione di un’ Appendice alla nota sugli Anacantini del mare Adriatico, del socio dott. NINNI. È quindi invitato il socio dott. Magretti a dare lettura della nota spedita dal socio prof. P. Pavesi relativa alle recenti sue Ricerche pelagiche nel lago di Toblino; nella quale l'A. fa co- noscere più specie nuove per la faunula di quel lago, e mette in rilievo la scarsità degli entomostraci, per la quale quelle ac- que poco sembrano prestarsi alla introduzione e all’allevamento di nuove specie di pesci, e meno poi alla propagazione dei deli- cati salmonidi. Il segretario Sordelli legge la parte più essenziale di un la- | voro comunicato dal sig. Antonio BerLESE, di Padova, ed am- | messo dalla Presidenza a sensi dell’art. 24 del Regolamento. In | esso il sig. Berlese propone un Nuovo metodo di zoofonografia. 118 SEDUTA 30 APRILE 1882. Partendo, cioè, dagli studî già fatti a tale scopo dal socio nostro prof. PaoLucci, l'A. fa rilevare le imperfezioni del metodo se- guito dal nostro collega, e cerca come porvi rimedio, mediante un più compiuto sistema di segni convenzionali, atti, secondo l’A., ad esprimere.i suoni degli animali, co] timbro, col tempo e colle altre qualità che loro sono proprie. Legge indi l’altro segretario N. Pini, la comunicazione del sig. EpoarDpo BoNARDI, laureando in scienze naturali, presso 1’ U- niversità di Pavia: Suiì Molluschi di Valle Intelvi. Nella quale data un’idea sommaria delle condizioni geologiche e botaniche della valle, enumera 29 specie di Molluschi da esso lui colà os- servate. È letto ed approvato il processo verbale dell’ antecedente tor- nata 26 marzo 1882. Per ultimo procedesi alla votazione a scrutinio segreto, giusta la quale viene eletto all'unanimità socio effettivo, il signor: CoLomBo ParaccHI sac. FEDERICO, professore nel Collegio Ro- tondi, in Gorla Minore, proposto dai socî Mercalli, Sordelli e Pini. FERDINANDO SORDELLI Segretario. Pal empire a SULLA VITA SCIENTIFICA DEL SOCIO «Prof, SANTO GAROVAGLIO COMMEMORAZIONE letta nella Seduta del giorno 30 aprile 1882 DA FERDINANDO SORDELLI * AccIiunTo ALLA Direzione DEL Museo Civico DI STORIA NATURALE. Il giorno 18 del passato marzo la Società nostra perdeva uno de’ suoi soci più antichi, uno de’ suoi membri più illustri. Mae- stro colla viva parola a parecchi fra i nostri colleghi, a molti più cogli scritti e coll’esempio, il prof. Santo Garovaglio fu di quella eletta schiera di scienziati che prepararono l'odierno indirizzo degli studî naturali del nostro paese e, non foss’altro per questo solo titolo, la generazione nostra e le venture deb- bono essere grate alla di Lui memoria. Il più bell’elogio di un tale uomo è il racconto di quanto ha fatto a pro de’ nostri studî; ed io tenterò di farlo brevemente, certo d’interpretare così il pensiero de’ miei colleghi, i quali desiderano che anche negli Atti della nostra Società rimanga un cenno della vita e delle opere di. Lui. Nacque il nostro Garovaglio il 28 gennajo 1805, in Como, da Francesco e Teresa Mazzucchelli. Suo padre esercitava la 1 Devo speciali ringraziamenti al chiarissimo Signore dott. ALFONSO GAROVAGLIO per avermi egli cortesemente offerto parecchie notizie riguardanti l'illustre estinto di cui era cugino. La Bibliografia poi, aggiunta in fine, è quasi per intero compilata su di un elenco a stampa donatomi recentemente dall’autore stesso, il compianto Garovaglio. 120 F. SORDELLI, farmacia, e questa circostanza vuol essere notata perchè dà in parte ragione dell’indirizzo dato da poi agli studìî dal nostro collega. 1? st RSI Dopo avere, infatti, percorse le classi ginnasiali e liceali nella — città nativa, fin d’allora facendosi notare fra i più distinti sco- | lari, Egli veniva, nel 1821 ammesso al 1° anno di Medicina e Chirurgia presso 1’ Università Ticinese. Se non che verso la fine di quell’istesso anno scolastico ebbe la sventura di perdere la ge- nitrice, il che per le condizioni della famiglia l’obbligò a troncare l’iniziata carriera per darsi alla professione” paterna. Perciò fu. messo come apprendista in Milano nella rinomata farmacia dei frati ospitalieri di S. Giovanni di Dio, detti Fatebenefratelli, e vi stette per due anni. Nè colà, per altro, nè presso le Università dei dominî au- - striaci in Italia, poteva sperare di ottenere il diploma di dot- tore in chimica da Lui ambito; giacchè in tutta la Monarchia, la sola Università di Vienna era allora autorizzata a conferire quel grado. Appena dunque potè farlo ecco il giovane Garova- glio recarsi in quella capitale e colà non solo attendere alla chimica, ma ripresi gli interrotti studî di medicina, compirli, ri- portando anche per questa facoltà il diploma di dottore. Quanta attività ed amore agli studî portasse il nostro Garo- vaglio, quanta svegliatezza d’ingegno Egli spiegasse, non è age- vole il dire, ma ben lo si può dedurre dal fatto che stando ap- punto in Vienna non solo attese, e con onore, a conseguire i suoi gradi universitarî; ma di pari passo coltivò la Botanica, di questa prediligendo per lo appunto la parte più difficile, cioè la Crittogamia. È anzi alla dimora di Lui in Vienna che noi andiamo in gran parte debitori del progresso che questo amabile ramo di. scienza potè fare nel nostro paese. — Cosa fosse la Botanica crittogamica in Italia avanti il Garovaglio, lo si può vedere dalle pubblicazioni dei primi trent'anni di questo secolo. — Il terzo volume della Flora veronensis del PoLuINI, per l’Italia su- periore, qualche piccola monografia del Rappr per la Toscana, da delle Alpi più che mai: vivo era il risveglio per dicasto at- aentissimo ramo della Botanica. Alla Germania spetta incontrastato il vanto di avere dato | alle scienze Hepwic, il vero fondatore della Briologia. E gli in- segnamenti di quell’illustre, i fatti posteriori lo provano, non caddero certo in cattivo terreno. Come per lo studio dei Mu- schi vi ebbe a fautori Schreber, Schwaegrichen, Weber, Mohr, Ehrhart e tanti altri, così anche per quello dei Licheni, per tacere di altre classi, la Germania (co’ paesi vicini) ci diede a maestri Acharius, Schaerer, Hibener, Flòrke, Hoffmann, Wall- roth, ecc., e tuttora tien alta la bandiera del progresso in que- sta come in altre scienze di osservazione. Alla scuola di quei valenti ebbe appunto il merito di perfe- zionarsi il nostro Garovaglio; il quale, infervorato ogni dì più nelle sue ricerche crittogamiche, sì trovò al suo ritorno in pa- tria in possesso non ‘solo del diploma e di una soda ed estesa coltura, ma anche di una gran quantità di Muschi ed altri ve- getali, da Lui stesso raccolti, in particolare nella Bassa Au- stria. — Seguendo anche in ciò l'esempio primamente datoci dagli Alemanni,* Egli iniziò allora fra noi, nel 1832, la pub- i Uno dei più antichi ed importanti exsiccata, IHMerbarium vivum plantarum of- ficinaliwm, di ALe. WILHELM ROTH, uscì fra il 1785 ed il 1788, in XVII fascicoli in folio. Ma ne esistono di anteriori, sebbene non pare che avessero da principio i pregi scientifici che andarono dappoi acquistando. La Collection of dried plants del DicKkson è del 1789. Celebri rimarranno le collezioni di crittogame edite da ScHRADER (1796-97), Funk (1801-20), MouGEoT et NEsTLER (1810-16), DesmaziaREs (1825 e segg.), HoPPE et HoRNSCHUCcH, SCHAERER, AGARDH, FLORKE, ecc. Gli erbarioli, da una centuria ciascuno, pubblicati dal Prof. GioRGIo JAN in Parma, appartengono pure ai primi decennî di questo secolo. Ma contengono solo farlerogame e il loro scopo era piuttosto quello di popolarizzare la Botanica fra le colte persone, anzichè quello di divulgare determinati tipi specifici. Inoltre non pare che se ne facessero. vere edizioni ma si mettessero assieme man mano, secondo la ricerca. Portavano diversi titoli: Flora Italiae superioris; — Herbarium medico-oeconomi- cum; — Oekonomisch-technische Pfanzensammlung ; — Herbier portatif des dames. — Io ne posseggo tre col titolo comune: ZHerbarium portatile. Parmae, 1820. Ogni volumetto contiene una centuria, e cioè: vol. I, Plantae alpinae; vol. II, Plantae vernales; vol. III Plantae aquaticae. 122 F. SORDELLI, blicazione dei Muschi dell’ Austria inferiore, in esemplati dissec= cati. — E fu quello il primo saggio in Italia di tal genere di pubblicazioni quanto mai utilissimo, e che ebbe poi fra noi, fe- lici imitatori in BaLsaMo-CRIveLLI e DE NoraRIS,! nel. Massa- Lonc0° e in quella eletta schiera di studiosi che capitanati da De Noraris diedero alla luce, dal 1860 fino al presente, la co- piosa e pregiata serie dell’ Erbario crittogamico italiano. Egli stesso, il Garovaglio, non si limitò a quel primo espe- rimento. Percorreva ogni anno ora l’una ora l’altra parte delle nostre provincie e in particolare a palmo a palmo perlustrava quelle di Como e di Sondrio, raccogliendovi muschi e licheni e successivamente pubblicandoli in saggi naturali. — E delle stesse provincie pubblicò anche tre decadi di Felci, sotto il nome suo e del comasco dott. MoxpeLLI, suo collaboratore. Quei primi saggi fecero ben presto conoscere anche fra noi e favorevolmente apprezzare le egregie qualità del nostro Garo- vaglio. Il quale già appena compiuti i suoi studî in Vienna; potè visitare le principali città universitarie di Germania, Fran- cia, Belgio, Olanda, Inghilterra, e in quelle sedi del sapere stringere amicizia colla più parte dei naturalisti d’allora. E di ritorno in patria ebbe nel 1833 la carica, modesta, ma a Lui sì cara, di assistente di Botanica nella Università di Pavia, da Lui tenuta per quattro anni. — Ed è bello il vedere la gara suscitatasi in quel tempo tra Lui ed altri animosi, incitati dal di Lui esempio e presi da generosa emulazione per lo studio della nostra Flora! Garovaglio, Moretti, ComoLii, DE NoTARIS, Barsamo-CRIVELLI, CesatI, JAN... quali nomi venerandi! Quale aurea età per la Botanica lombarda! | Chi non ha mai abbordato lo studio di una parte almeno dell’inesauribile campo della Crittogamia non potrà mai farsi i Musci mediolanenses collecti et editi a Jos. BaLsaMo et Jos. DE NorarIs, Me- diol., 1833-34. Quattro fascicoletti con 80 specie. 2 ABRAMO Bart. MassaLoNnGO pubblicò in 10 grossi volumi i Licheni italiani, ac- compagnandoli con un testo esplicativo dal titolo: Schedulae criticae in Lichenos exsiccatos Italiae. Veronae, 1855-56, in-4. i) SULLA VITA SCIENTIFICA DEL SOCIO PROF. SANTO GAROVAGLIO. 123 ‘un’adeguata idea delle difficoltà, talora insuperabili, che vi s' in- contrano, della pazienza che vi si richiede, delle lunghe gior- nate che bisogna dedicarvi, ora coll’occhio fiso al microscopio, ora assorbite in bibliografiche ricerche. E di tutte le doti ri- | chieste per tali indagini era ampiamente fornito il compianto ‘nostro collega, le cui numerose pubblicazioni bene giustificano la stima di cui godeva presso gli scienziati italiani e stranieri. A complemento di questi brevi cenni darò in fine un elenco possibilmente il più completo dei suoi lavori a stampa, i quali pei soli Muschi e Licheni sommano a non meno di venti. Tra essi vanno in particolare notati quelli illustrativi sui Muschi dell'Austria inferiore, in uno dei quali introdusse, forse pel ‘primo fra noi, il metodo dicotomico * per facilitare la determi- nazione dei generi e delle specie; gli elenchi dei Muschi, delle Epa- tiche e dei Licheni lombardi, certo insufficienti oggidì, ma che per allora furono una rivelazione delle neppur sospettate ric- chezze naturali del nostro paese. E le monografie lichenologiche, pubblicate fra gli anni 1864 e 1872, principalmente nelle Memo- rie del Reale Istituto Lombardo e in quelle della nostra Società. Questi non furono tuttavia che una parte dei frutti lascia- tici dalla scientifica attività del nostro Garovaglio. Nel 1839 veniva Egli incaricato presso 1’ Università pavese dell’insegna- mento della Fisica, Chimica e Botanica pel corso preparatorio della facoltà medico-chirurgica e nel 1852 era nominato pro- fessore di Botanica e direttore dell’ Orto botanico; di quell’Orto, decantato dal Mascheroni, ma che pure non conteneva allora la metà di quelle ricchezze che il Garovaglio seppe in seguito accumularvi. ì Colla pubblicazione della Bryologia austriaca eacursoria, tamquam clavis ana- lytica ad omnes in Imperio Austriaco huc usque inventos facile et tuto determinan- dos. Vindobonae, F. Volke, 1840 (VIII, 94 pp.), tentava pei Muschi la via stessa or son pochi anni percorsa da L. Piré pei Muschi pleurocarpi del Belgio. In Italia il Garovaglio precedeva il PASSERINI, il cui primo saggio: Flora Italiae superioris metodo analytica. Thalamiflorae, è del 1844. Il prof. PASSERINI medesimo si valse poi largamente del metodo dicotomico nella sua F/ora dei dintorni di Parma e nel Compendio della flura italiana, tuttora in corso di stampa. 124 F. SORDELLI, Come insegnante e come prefetto dell’ Orto, ebbe a spiegare rare attitudini. Per l’abitudine della cattedra, parlava alto, con frase ben ponderata, spesso incisiva, più spesso elegante, di so- lito forbitissima, sempre efficace. I discorsi ch’ Egli lesse prelu- dendo ai suoi corsi di Botanica, ch’ Egli fece poi stampare ed ebbero l’onore d’una traduzione francese, ne sono una prova; e così le Notizie sulla vita e sugli scritti del Vittadini, micologo e suo degno collega all’Istituto; la descrizione ch’ Egli pubblicò insieme collo Zoncapa, dei principali Giardini dell’ Alto Milanese e del Comasco, vanno lette esse pure, e per lo stile e per le precise informazioni che contengono. Gli studenti gli volevano bene ed Egli ne li ricambiava con pari amore. E parecchi divennero poi alla loro volta insegnanti egregi e distinti botanici. — Di essi avrò fra breve l’occasione di menzionarne qualcuno. Come direttore dell’ Orto pochi poterono e potranno stargli a paro, nonchè superarlo per l’attività addimostrata di continuo, frenata solo dai limitati mezzi posti a sua disposizione. Amante dell'ordine, stimava che senza di questo fosse pressochè inutile l’accumulare tante scientifiche dovizie. Studiavasi di rendere sempre più completa ed utile la bella collezione di piante a Lui affidate; e le indicazioni più importanti per lo studioso voleva apparissero tutte sui singoli cartellini che accompagnano cia- scuna specie. — I pavesi ricordano con riconoscenza e non di- menticheranno certo sì presto, come il Garovaglio insistesse al- tresì, e finalmente ottenesse, che il Giardino botanico fosse aperto al pubblico in determinati giorni ed ore della settimana, onde ognuno potesse profittare nella misura delle proprie facoltà di un sì ricco materiale d’istruzione. Il che se per una parte dimostra quanto alieno da grettezza fosse il nostro professore, prova altresì quanta fiducia Egli nutrisse nel senno della po- polazione. Oltre le piante adatte alle scolastiche dimostrazioni di Mor- fologia ed Anatomia, amava fossero rappresentate anche le spe- cie ornamentali i cui fiori e le cui foglie, col prestigio dei co- LI pr SERE PE rg A SULLA VITA SCIENTIFICA DEL SOCIO PROF. SANTO GAROVAGLIO. 125 lori, recano tanto diletto alla vista e nell’anima infondono soave letizia. — Un impegno speciale Egli metteva però costantemente affinchè, in quanto era possibile, nell’Orto non mancasse alcuna delle piante di cui si giova l’arte salutare. Insegnando ai fu- turi. farmacisti, della cui scuola fu anche direttore dal. 1870 al 1876, Egli voleva che tanto quelli, quanto i giovani medici, apprendessero a conoscere colla virtù delle piante anche i ca- ratteri loro specifici e si doleva che questo ramo di cognizioni non sia, come dovrebbe essere, coltivato da chi per istituto ha in cura la salute altrui. Egli stesso descrisse una specie nuova di Sensiliva posseduta nel Giardino e pubblicò due note sullo Jaborandi e sulle sue proprietà curative, intorno alle quali tanto clamore s’era solle- vato or son pochi anni. Già innanzi in età e nelle circostanze stesse in cui altri cerca o si dà ad una più riposata esistenza, parve in quella vece che nel Garovaglio più vivace si manifestasse quell’ardore giova- nile di cui lo vedemmo animato e che ebbe sempre fino agli ultimi giorni di sua vita. — A tutti noi è noto come a Lui si debba l'istituzione del Laboratorio crittogamico presso la pa- vese Università. Colla fondazione del quale, avvenuta nel 1871, il nostro collega entrava in un nuovo e difficile arringo. Ma il fatto addimostrò quanto pari Egli fosse all’altezza del mandato impostosi; malgrado l’incredulità dei molti che dubitavano della riuscita e dei vantaggi della novella istituzione; malgrado gli ostacoli d’ogni sorta incontrati, sovrattutto sui primordî. Non mancavano, come non)mancano in Italia, insigni cultori della Botanica intesa nel senso delle sue più dirette applicazioni all'Agricoltura, ed in particolare allo studio di quei microsco- pici parassiti, miceti la più parte, che sono la causa delle più comuni e più disastrose malattie che spesso assalgono le piante coltivate, o utilizzate dall’uomo. — Tuttavia non si aveva fra noi alcun centro al quale potessero dirigersi tanto i più ignari di scienza, come sono appunto di solito i coltivatori, quanto gli studiosi medesimi e gli stessi Corpi amministrativi dello Stato, per averne schiarimenti e consigli. 126 F. SORDELLI, Istituzioni vòlte a tale scopo si andavano fondando di là dalle Alpi, per opera di Governi, di scientifici istituti, perfino di rie- chi privati. E male sopportava il Garovaglio che in Italia non si avesse il coraggio di impiantarne almeno uno. — E questo coraggio mostrò di averlo Egli medesimo; son note la perseve- ranza, le pratiche infinite, le arti tutte della persuasione, da Lui messe in opera, per giungere al nobile scopo di fare più direttamente concorrere gli studî botanici a vantaggio della no- stra prima ricchezza nazionale. E premio della di Lui fiducia e della di Lui costanza si fu la cooperazione ottenuta dai Corpi amministrativi del Comune e della Provincia di Pavia, dalla So- cietà agraria di Lombardia, dal Comizio agrario di Pavia, dalle amministrazioni dei collegi Ghislieri e Borromeo, dallo stesso Governo e da non pochi privati, suoi parenti, amici ed ammi- ratori. Egli stesso per rendere la cosa possibile metteva a di- sposizione del novello Istituto, oltre l’opera sua, l’uso di una ricca suppellettile di sua proprietà, cioè la sua copiosa biblio- teca botanica, pregevole sovrattutto per quanto riflette le crit- togame, il suo Erbario, frutto di tante peregrinazioni e di tanti studî, e i suoi microscopî: il tutto rappresentante un cospicuo capitale scientifico, che in quella occasione fu calcolato avere un valore venale di circa 32 mila lire.! Una circostanza singolare farà risaltare ancora meglio la te- nacità di propositi e l’attitudine del nostro confratello per le più delicate indagini. — Le ricerche di cui per tutta la vita si occupò il Grarovaglio, non possono farsi, come dissi, senza l’impiego del microscopio. Or bene, fra le non poche traversìe onde fu aspro il cammino del nostro collega, vi fu pur quella di un affievolimento della vista, che per qualche tempo lasciò temere di una completa cecità, e che persistette poi fin che visse, interdicendogli così, appunto quando .più ne provava il bisogno, l’uso di quell’indispensabile stromento. — Egli però 1 Vedasi: Sulle attuali condizioni del Laboratorio di Botanica crittogamica fon- dato presso la Università di Pavia con decreto sovrano 26 marzo 1871. Relazione del prof. S. GAROvaGLIO. Pavia, 1872, p. 51. SULLA VITA SCIENTIFICA DEL SOCIO PROF. SANTO GAROVAGLIO. 127 seppe vincere anche questa difficoltà e circondarsi di giovani egregi, suoi allievi ed assistenti, iniziarli nei misteri di tutta quella vegetazione arcaniflora, dirigerne le osservazioni, sup- | plire coi loro occhi alla imperfezione dei suoi, mentre poneva a loro disposizione la sua lunga esperienza ed una erudizione | scientifica non comune. — Per tal modo vedemmo il Garovaglio, in questa sua nuova fase, acquistarsi sempre più bella rinomanza e convincere del- l’utilità de’ suoi sforzi anche gli oppositori e gli indifferenti. Numerosi ed importanti scritti rimangono di Lui ad attestarci la bontà del suo indirizzo scientifico; e con essi s'accompagnano pure quelli de’ di Lui allievi e collaboratori, fra i quali vanno segna- lati il Girgenti, il PrrortA, il CartANEO, che ora, a Bologna, a Mo- dena ed a Pavia, continuano con successo l’opera del maestro. La fama di eccellente botanico ed agronomo, gli valse meri- | tamente onori ed incarichi, in patria e fuori. I pavesi, che più davvicino lo conoscevano e potevano apprezzarne le doti, lo vollero nei consigli del Comune, in quello provinciale di Sanità e nella Commissione ampelografica. Dal 1854 apparteneva al R. Istituto lombardo qual membro effettivo e dal 1865 quale | pensionato. La nostra Società agraria lo aveva fra i suoi di- i rettori, e di parecchi altri sodalizî era membro onorario. * 4 Era cavaliere dell'ordine belga di Leopoldo (1864); il Governo italiano gli con- | ferì il grado di cavaliere dell’ ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (1871), indi quello di ufficiale della Corona d’Italia (1875), più tardi (1881) quello di commendatore mello stesso ordine. | Aggiungo qui ancora i titoli d’ onore coi quali era ascritto a varî Corpi scientifici: È Socio corrispondente della R. Società botanica di Ratisbona (1836); della R. Ac- ‘cademia delle scienze e della Società agricola di Torino (1841); della Società bota- mica ed orticola di Dresda (1844); della Società di scienze naturali di Halle (1845); della Società zoologico-botanica di Vienna (1853); delle Società di scienze naturali di Strasburgo e di Rouen (1864); di quella di Cherburgo (1865); dell’ Accademia fisio-medico-statistica di Milano (1869); dell’ Accademia di Urbino (1872). Socio onorario dell’ Ateneo di Brescia (1864); del Comizio agrario di Pavia e di quello di Massa e Carrara (1871); del Circolo Cestoni (1878); della Società imperiale | degli Amici della Storia naturale, dell’Antropologia e dell’ Etnografia in Mosca (1878); ‘della Società Slesiana di scienze lettere ed arti di Breslavia (1878). — Accademico attuale dell’ Accademia Virgiliana di Mantova (1867). 128 °F. SORDELDI, (io rase Noi, ricordando l’operosa vita del perduto collega, dobbiamo riflettere a qual punto egli abbia trovato fra noi la Botanica allorquando prese ad occuparsene ed a qual punto Egli l’abbia lasciata. Dal poco che io ne dissi e dal molto che si può ap- prendere dalle opere di Lui, apparirà quanto Egli abbia con- tribuito a quell’immenso progresso che gli studî nostri fecero in questi ultimi 50 anni. — Più viva sarà allora la stima, la venerazione e la gratitudine nostra per quegli egregi i quali, come il Garovaglio, seppero col magistero degli scritti e della parola promuovere tanta emulazione e dirigere verso il meglio l’attività intellettuale de’ loro compatrioti. ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE DEL PROF. SANTO GAROVAGLIO. l.a I Muschi dell'Austria inferiore. 1.b I Muschi rari della Provincia di Como e della Valtellina, in saggi disseccati. — Le due raccolte poi vennero fuse assieme sotto un unico titolo: Bryotheca austriaca. Decadi I-XXX. Vienna e Pavia, 1832-46. — Le decadi erano ripartite così: I-XIV Muschi austriaci; T-IX Muschi co- mensi (corrispondenti alle decadi XV-XXIII[ della Bryotheca); XXIV-XXX col solo titolo: Bryotheca austriaca. . Lichenes novocomenses et Vallistellinae exsiccati. Collezione che poi prese il titolo di Lichenotheca austriaca. Ne uscirono due edizioni: la I° di XXIV decadi, 1836-44; la II*, mutato il titolo in Lichenotheca italica, di XLV decadi, 1846-49. 3. Filices provinciae Comensis et Vallistellinae. Decadi I-III, Novocomi, 1836-40. (Exsiccata pubbl. in collaborazione col D." Monpetti.) 4, Catalogo di alcune Crittogame raccolte nella provincia di Como e nella Valtellina. — Parte I° Muschi frondosi. Como, Ostinelli, 1837, 8° 35 p.) — Parte II° Licheni. Append.: Felci, Muschi frondosi ed epatici. Mi- lano, Ripamonti-Carpano, 1838, 8° (56 p.) — Parte IM® Muschi, Epa-. tiche, Licheni. Pavia, Bizzoni, 1843, 8° (46 p.). 5. Delectus specierum novarum vel minus cognitarum quas in collectiomibus suis eryptogamicis evulgavit S. G. — Sectio I. Musci, Novocomi, 1838, 8°. — Sectio II. Lichenes, Ticini Regii, Fusi, 1838; 8°. | (a) SULLA VITA SCIENTIFICA DEL SOCIO PROF. SANTO GAROVAGLIO. 129 . 6. Enumeratio muscorum in Austria inferiore huc usque lectorum adjecta indicatione loci eorum matalis, et tempore quo fructum ferunt. Viennae, | 1840, 8° (48 pù). | 7. Bryologia austriaca excursoria tamquam Clavis analytica ad omnes in Imperio Austriaco huc usque inventos muscos facile et tuto determi- _ —’nandos. Vindobonae, Volke, 1840, 12° (94 p.). 8. Saggio d’un prospetto delle piante crittogame della Lombardia. (Felci, Muschi frondosi, Epatiche, Licheni). Nelle Notizie naturali e civili sulla Lombardia pubbl. dal D.r C. Carranreo (p. 827-338), Milano, Bernar- doni, 1844, 8°. 9. Sulle attuali condizioni dell’ Orto Botanico della R. Università di Pavia. Relazione. Pavia, Bizzoni, 1862, 8° (24 p.). 10. Cenni sulla distribuzione geografica dei Licheni di Lombardia e di un nuovo ordinamento del genere Verrucaria. Pavia, Bizzoni, 1864, 8° (34 p.) 11. Lichenes exsiecati Longobardiae in ordinem systematicum dispositi. De- cades I-VIII, Verrucariae uniloculares, biloculares, quadriloculares. Ti- cini, 1864-67. 12. Tentamen dispositionis methodicae Lichenum in Longobardiae nascen- tium, additis iconibus partium internarum cujusque speciei. Sect. I. Ver- rucarias uniloculares Wustrans. (Memorie del Reale Istituto lombardo, vol. V., fasc. IL) — Lo stesso, a parte: cum Prolegomenis. Mediolani, Bernardoni, 1865, 4° (58 p. cum tab. lith. III). 13 Alcuni discorsi sulla Botanica. Fas. I. (La botanica. — Il fiore. — Le nozze delle piante. — Le Conifere). Ediz. I., Pavia, 1862, (51 p.) — Ediz. II., Ivi, 1865. — Di questi discorsi la signora Gatti De GaAmonp pubblicò una traduzione francese nel periodico “ L’Education de la femme. , Bruxelles, 1863-64. 14, Idem. — Fasc. II. (Gl alberi. — La botanica appo gli antichi) Pavia, 1865, 8° (92 p.). 15. Sui più recenti sistemi lichenologici e sull’importanza comparativa dei caratteri adoperati in essi per la limitazione dei generi e delle specie. Pavia, 1865. «16. Tentamen dispositionis methodicae Lichenum in Longobardiae nascen- tium, ecc. Sect. IL. Verrucarias biloculares illustrans. (Memorie del Reale 14 Istituto lombardo, vol. X, fasc. V, 1867). Mediolani, Bernardoni, 1865, 4° (p. 30 cum tab. lith. Il). 17 Tentamen dispositionis methodicae, ecc. Sect. III. Verrucarias quadrilocu- a lares illustrans. (Memorie del Reale Istituto lombardo, Vol. X, fasc. III), Mediolani, 1866, 4° (40 p. cum tab. lith. IV). 18. Manzonia cantiana, novum lichenum angiocarpeorum genus pro- positum atque descriptum. Penitiores lichenis partes microscopio inve- stig. iconib. illustravit Jos. GiseLLi.. (Memorie della Società Italiana di Vol. XXV. 9 Ln ” 130 F. SORDELLI, 19. 20. 21. 22. 24. 25. Scienze naturali, tom. II, n. 8). Mediolani, i 1866, pà (p. 8, cum tab. lith.) Notizie sulla vita e sugli scritti del dott. CarLo VirrADINI. Milana; Ber- nardoni, 1867, (32 p.). Thelopsis, Belonia, Weitenwebera et Limboria, quatuor Li- chenum angiocarpeorum genera recognita iconibusque @lustrata. Peni- tior. partes microscopio investig. iconesq. confecit Jos. GrseuLi. (Memorie della Società Italiana di Scienze naturali, tom. III, n. 2) Mediolani, 1867, 4° (12 p. cum tab. lith. II). GarovaGLIOo e Zoncapa. — I giardini dell'Alto Milanese e del Comasco. Milano, 1867, 8°. Disp. I-II. (Pubblicato nel periodico “ I Giardini , e riprod. anche altrove. Tentamen dispositionis methodicae, ecc. Sect. IV. Verrucarias quinque- pluriloculares illustrans. (Memorie del Reale Istituto lombardo, vol. XI, fasc. 1.). Mediolani 1868, 4° (48 p. cum. tab. lith. III), . Octona Lichenum genera vel adhuc controversa vel sedis prorsus in- certae in systemate. (Memorie della Società italiana di Scienze naturali, vol. IV n. 2). Mediolani, Bernardoni, 1868, 4° (20 p. cum tab. lith. II). Della fondazione di un Laboratorio di Botanica crittogamica per lo studio delle malattie delle piante e degli animali prodotte da crittogame parassite. (Rendiconti del Reale Istituto lombardo. Serie III, vol II, p. 712). Milano, Bernardoni, 1869, 8° (8 p.) — Tirato anche a parte. Sulle Endocarpee dell’ Europa centrale e di tutta Italia. (Sunto nei Ren- diconti del Reale Istituto lombardo. Serie II, vol II, p. 1125). Milano, Bernardoni, 1869, 8.° 26 Descrizione di una nuova specie di Sensitiva arborea. (Memorie del Reale 27. 28 29. 30. Sl. Istituto lombardo, vol. XI, 1870 p. 1). Milano, Bernardoni, 1870, 4° (8 p. con tav. lit.). — Tirato a parte. Sulla Phacidiopsis Grappae, Nuovo genere di Licheni fondato dal D* BeLtramiNI. (Rendiconti del Reale Istituto lombardo. Serie II, vol. III, p. 50) Milano, 1870, 8° (4 p. con tav. lit.). Sulla Normandina Jungermanniae. (Nuovo giornale botanico. Fi- renze, vol. II. Rendiconti del Reale Istituto lombardo. Serie II, vol. III, p. 367). (4 p. con tav. lit.). De Pertusariis endocarpeis Europae mediae. (Memorie della Società Italiana di Scienze naturali, vol III, n. 3). Mediolani, Bernardoni, 1871, 4° (40 p. cum tab. lith. IV). De Lichenibus endocarpeis Europae mediae. (Mem. del R. Istit. lomb. vol. XII, fasc. IV, pag. 257). Mediolani, Bernardoni, 1872, 4.° (44 p. cum tab. lith. V). Sulle attuali condizioni del laboratorio di Botanica crittogamica. Rela- zione. (Rend. del R. Istit. lomb. Ser. II, Tom. V, p. 299-361). Milano, Bernardoni, 1872, 8.° — Ristampato in Pavia, Bizzoni, 1872, 8.° (64 p.). en SULLA VITA SCIENTIFICA DEL SOCIO PROF. SANTO GAROVAGLIO. 131 32. Swù microfiti della ruggine del grano. (Rend. del R. Istit. lomb. Ser. II, vol. V, p. 1023-1066). Milano, 1872, 8.° — Riprod. con aggiunte nel- __ l'Archivio triennale del laboratorio crittogamico di Pavia, vol, I, p. 1, con tav.). Milano, Bernardoni, 1875, 8.° (32 p.). 133. Sulla scoperta di un discomicete trovato nel cerume dell’ orecchio umano. . (Rend. del R. Istit. lomb. Serie II, vol. V, p. 463. — Arch. trienn. Vol. I, pag. 113, con tav.). Milano, Bernardoni, 1872, 8.° (4 p.). 34. Sullo Sporotrichum maydis. (Rend. del R. Istit. lomb. Vol. VI, Ser. II, fasc. VIII, pag. 236, 1873. — Arch. trienn. Vol. I, p. 31). Mi- lano, Bernardoni, 1874, 8.9, con tav. 35. Sulla Pleospora tritici. (Rend. del R. Istit. lomb. Vol. VI, S. II, p. 611, 1873. — Arch. trienn. Vol. I, pag. 119). — Tiratura a parte, senza tav. col titolo: Pleosporae tritici brevis descriptio. Milano, Ber- nardoni, 1873, 8.° — Riprod. con incis. in legno nel Giornale agrario italiano, Ann. VIII, n.° 8. 36. Sul fungo parassita che produce le due malattie del riso volgarmente co- nosciute coi nomi di Bianchella e Brusone. (Rend. del R. Istit. lomb. Vol. VIII, Ser. II, 1874, p. 122, con 2 tav. — Arch. trienn. Vol. I, p. 173, con 2 tav. — (Tirat. a parte con 2 tav.). Milano, Bernardoni, 1874, 8°. — Ristamp. anche a Torino, Bona, 1874. ìi 37. Archivio Triennale del Laboratorio crittogamico. Milano, Bernardoni, 1874, 8.° (244 p. con 20 tav. lit.). Vedansi intorno a questa pubblicazione, i Giudiz? sull’ Archivio triennale del La- boratorio Crittogamico della Università di Pavia, raccolti ed editi dal GAROVA- GLIO. — Parte I, Pavia, Fusi, 1875 (33 p.). — P. II, 1876 (20 p.), — P. III 1879 (32 p.). 38. Intorno ad alcuni grani di Zea Mays anneriti. (Arch. trienn. Vol. I, p. 115, con tav.). Milano, Bernardoni, 1874, 8.° 39. Relazione sui parassiti ond’erano affette le foglie ed i rami di gelso spe- diti dal conte Bettoni di Brescia. (Arch. trienn. Vol. I, p. 127, con tav.) Milano, Bernardoni, 1874, 8.°. 40. Sulla natura del male ond’erano attaccate alcune spighe guaste di fru- mento. (Arch. trienn. Vol. I, p. 132). Milano; Bernardoni, 1874, 8°. 4l. Sulla malattia dei capperi e su quella dei vitigni. (Arch. trienn. Vol. I, p. 134). Milano, 1874, 8.° con tav. (Dei num. 38-41 non furono tirate copie a parte). 42. GarovagLio e Cattaneo. — Sui miceti degli Agrumi. (Rend. del R. Ist. lomb. Ser. II, vol. VIII, p. 118. — Arch. Vol. II, pag. 3). — Tiratura a parte di p. 14 col titolo: Sulle principali malattie degli agrumi. Mi- lano, Bernardoni, 1875, 8°, con tav. lit. 43. Nota (I) sul Jaborandi. (Rend. del R. Istit. lomb. Ser. II, vol. VIII, 1875, p. 397, 410). 132 F. SORDELLI, 44. Nota (II) sulle Jaborandi. (Rend. del R. Istit. lomb. Ser. II, vol. VII 1875, p. 418). | 45. Notn sulle larve e gli acari riscontrati in alcuni grani di frumento gua- sto. (Rend. R. Istit. lomb. Serie II, Vol. VIII, p. 563, 1875). . 46. Nota sulla malattia che nel corrente anno 1875 ha dominato durante la. vegetazione del frumento (Rend. del R. Istit. lomb. Ser. II, Vol. VIII, p. 588. — Bull. dell'Agricoltura, 1875). 47. Comunicazioni varie fatte al R. Istituto lombardo di scienze e lettere, nell’anno 1875. (Fascicolo di pag. 16, contenente, stampati a parte, gli scritti indicati ai n. 43, 44, 45 e 46, coll’aggiunta di una memoria del D. AnceLo MarstRrI, Sugli acari del frumento. 48. GarovagLio e Cattaneo. — Nuove ricerche sulla malattia del brusone del riso fatte nel Laboratorio Crittogamico di Pavia nell’ estate del 1875. (Rend. del R. Istit. lomb., Ser. II, vol. VIII, p. 860, 1875. — Arch. vol. II, p. 15) Milano, Bernardoni, 1875 (8 p. — Bull. dell’Agricoltura, 1875, n. 46, p. 469. — Ivi, 1876, n. 40, p. 388). 49. Id. Id. — Sulla Erysiphe graminis e sulla Septoria tritici. (Rend. del R. Istit. lomb. Ser. II, vol. VIII, 1875, p. 910, 946. — Arch. vol. II, p. 21) Milano, Bernardoni, 1875, 8° (8 p. con tav.). 50. Garovaerio e Prrorra. — Sulla ruggine del grano turco ( Puccinia Maydis). (Rend. del R. Istit. lomb. Ser. II, vol. VIII, p. 61. — Arch. vol, II, p. 28) Milano, Bernardoni, 1876, 8° (8 p. con tav.). 51. GarovaaLio e CattanEO — Sulla ruggine dell’abete rosso (Peridermium abietinum). (Rend. Istit. lomb. Ser. II, vol. IX, p. 61, 1876. — Arch. vol. II, p. 47) Milano, Bernardoni, 1876, 8° (12 p. con tav.). 52. Sul gentiluomo del riso (Bullettino dell’ Agricoltura, 1876, n. 36, p. 343. — Arch. vol. II, p. 103). — Tirat. a parte di pag. 4. Milano, 1877, 8°. 53. Elenco delle piante presentate dall’Orto botanico dell’ Università di Pavia e da altri espositori alla mostra regionale del 1877. Pavia, Bizzoni 1877, 8° (60 p.). 54, GarovaeLio e CattANEO, — Studi sulle dominanti malattie dei vitigni. (Rend. del R. Istit. lomb. Ser. II, vol. XI, 1878. — Arch. 2, p. 262. — Anche a parte in fasc. di p. 36 con due tav.). — Della rogna dei vi- tigni, Rend., p. 138-144. — II. Del mal mero, p. 210-219. — II. Del vajuolo o picchiola, p. 348-358, 384-391. — Poche parole d’ aggiunta, p. 808-814. Delle memorie al N. 54 fu fatta una traduzione in tedesco dal Dott. OTTO PENZIG, pubblicata negli « Annalen der Oenologie » vol. VIII, fase. I e II. Heidelberg, 1879. 55. Nuove ricerche sul vajolo della vite. (Rend. R. Istit. lomb. Ser. II, vo- lume XII, 1879, p. 163-169. — Arch, vol. III). Milano, Bernardoni, 1879, S° (9 p.). 56. SULLA VITA SCIENTIFICA DEL SOCIO PROF. SANTO GAROVAGLIO. 133 Malattia della vite (Bull. dell’ Agricoltura, 1879, n. 42, p. 373). — È | un cenno preventivo sul male detto fuoco selvatico o mal bianco. 57. Archivio del Laboratorio di Botanica crittogamica presso la R. Univer- ui 58. 59. 61. 62. 63. 64 65. 66. sità di Pavia. Vol. II e III. Un vol. 8° con 23 tav. litogr. Milano, Bernardoni. | Relazione al R. Ministero d’Agricoltura Industria e Commercio sulla comparsa della Peronospora melle viti tanto indigene, quanto esotiche coltivate nell’Orto botanico. 20 agosto 1880. Sui tentativi di cura fatti nell’Orto botanico di Pavia con parecchie va- rietà di viti tanto nostrali quanto esotiche attaccate dalla Peronospora viticola. Relazione a S. E. il Ministro d’Agricoltura, Industria e Com- mercio. (Bull. dell’ Agricoltura, 1880, n. 37). — Stampato anche a parte coi tipi Bernardoni. . Conferenza sull’invasione în Italia della Peronospora viticola, tenuta avanti la Commissione Ampelografica Provinciale e la Direzione del Comizio circondariale di Pavia, addè 14 settembre 1880. — Relazione del cava- liere Ing. Pro Pierra (nel giornale 17 Patriota, n. 114-115. — Anche a parte: Pavia, Bizzoni, 1880. — Un sunto è nel Bull. dell’ Agricoltura, 1880, n. 40, p. 319). La Peronospora viticola ed il Laboratorio crittagamico. — Contributo alla storia del più infesto dei parassiti vegetali che attacchino la vite. (Rend. Istit. lomb., vol. XIII, 1880, p. 573-584, con 1 tav.). — Anche a parte, in opuscolo di 32 p. in cui sono riprodotti a modo di allegati i lavori citati ai n. 58, 59, 60 ed altri del D." R. Pirorra. Milano, Ber- nardoni, 1880, 8°. Sulla Peronospora viticola (Bull. dell’ Agricoltura, 1880, n. 44, p. 349). — Proposta di questionario. Sulla Peronospora viticola (Bull. dell’ Agricoltura, 1880, n. 47, p. 377, con una tavola). Provvedimenti da prendersi durante la corrente invernata affine di im- pedire la ricomparsa della Peronospora e combatterla efficacemente al suo primo manifestarsi. Relazione al R. Ministero d’Agricoltura, Indu- stria e Commercio. Milano, Bernardoni, 1880, con 1 tav. litogr. Tavola sinottica dei risultati ottenuti nell’ Orto botanico dell’ Università di Pavia dalla semina e coltivazione di 15 qualità di viti, specie e va- rietà (asiatiche ed americane) in risposta ai quesiti contenuti nella Circolare del Ministero d’Agricolturà, 6 novembre 1880. (Rend. Istit. lomb., Ser. II, vol. XIV, 1881, p. 7-8, con 2 prospetti. — Bull. dell’ A- gricoltura, 1881, n. 3, p. 19-22). Sommario delle notizie giunte al Laboratorio crittogamico di Pavia sul- l'invasione epidemica della Peronospora viticola in Italia nel- Vanno 1880. Milano, Bernardoni, 1881. (Bull. dell’ Agricoltura, 1881, n. 7, p. 54). 134. F. SORDELLI, SULLA VITA SCIENTIFICA, ECC. 67. L'invasione della Peronospora viticola in Italia. Sue d strose © 68. 69. 70. 7). 72. 73. 74. 79. 76. 77. conseguenze sul prodotto, ecc, Relazione a S. E. il sig. Ministro Agli coltura, Industria e Commercio. (Rend. Istit. lomb., Ser. II, vol. XIV, 1881, p. 26:31). Sopra pampini di viti affetti da Erinosi o Fitoptosi. (Rend. Istit. lomb, XIV, 1881, p. 332. Mezzi usati nella primavera e nell’ estate 1881, presso Orto botartioo di Pavia per salvare dalla Peronospora le viti americane che vi si col- tivano. Relazione a S. E. il Ministro d’Agricoltura, Industria e Com- mercio. (Rend. Istit. lomb., XIV, 1881, p. 552-564). La Peronospora viticola (Bull. dell’Agricolt., 1881, n. 35, p. 200). Frutticoltura (Bull. dell’ Agricolt., 1881, n. 20, p. 161. — Si accenna alla Fitoptosi della vite e ad un coleottero parassita del pero). L’epidemia della Peronospora viticola nel 1881, sua indole beni- gna, colla indicazione di un mezzo di comprovata efficacia per uccidere il parassîta (Bull. dell’ Agricoltura, 1881, n. 38, p. 305). La vite e î suoi nemici nel 1881. (Rend. Istit. lomb., vol. XIV, Ser. II 1881, p. 628-647). Guida illustrativa dei 150 quadri componenti la collezione dei parassiti vegetali che sono fomite di gravi malattie negli animali e nelle piante. Pavia, Bizzoni, 1881, 8° (10 p.). Catalogo sistematico ed alfabetico dei parassiti vegetali infetti alle piante ed agli animali in saggi naturali e disegni illustrativi secondo 1’ ordine con cui si succedono nei 166 quadri della collezione portatile ad uso degli Agricoltori. Pavia, Bizzoni, 1881, 8° (38 p.). TRADUZIONI. Pogorny Lurer — Storia naturale delle piante ad uso dei Ginnasi e delle Scuole reali inferiori dell'impero austriaco, voltata dal tedesco in italiano. BertANnI, Corta e GarovaeLio. — Manuale di Chirurgia del Professore Dott. Massimiziano CreLtus, Prima traduzione italiana sulla quarta edi- zione tedesca. Ù POR ALessaNnDRO PERICLE NINNI APPENDICE alla mia Nota sugli Anacantini del mare Adriatico Sp. 1. — Gapus EuxINUS, Nordmann. Gadus merlangus, Steind. Sitz. d. k. Ak. Wiss. Math. Nat. CI. 57. Abth. 1. Wien, 1868, p. 703. Il dottor Giinther tiene specificamente distinte le due forme Gadus eurinus e Gadus merlangus L., dicendo che la prima trovasi nel mar Nero e nell'Adriatico, la seconda nelle “ Coasts of Northern Europe. ,, Sp. 1° Gapus Luscus, Will. 1880. Giglioli, Cat. degli Anfibi e Pesci Ital. p. 36. Gadus luscus Will.; « Napoli, Sicilia. Trieste? Accidentale affatto. ,, 1880-81. La Prov. di Venezia, p. 110 Gadus luscus Will. “ Fu indicata con incertezza dal prof. Giglioli. , 1881. Perugia, Elenco dei Pesci dell'Adriatico, p. 36. “ Due esemplari nella Collezione dei vertebrati italiani a Firenze. , Sp. 11° OprHIpiUM BROUSSONETI, Miill. 1880. Giglioli, 1. c., p. 37, Ophidium Broussonetii Mill. “ Spalato; giugno, aprile, rara. ,, 1880-81. La Prov. di Ven. p. 110. Sa pra na + baie». STRA 1880. Giglioli, 1. c., p. 37. Ophidium Rochii Mill |_’‘’—’Questa e le specie precedenti (barbatum e Broussone di essere ulteriormente stu oto ga soli dn peri ci 1880-81. La Prov. di Ven, «> Po SI Sp. 13° FIERASFER DENTATUS, Cuv, MS 1880. Giglio l. c., p. 37, Fierasfer dentatus Cuv. € Rarissima. Ne ho veduti altri due presi a Venezia. » 1880-81. La Prov. di Ven., p. 110. DI | 1881. Perugia, l. c., p. 38. Fierasfer dentatus. “ Rarissimo. per plari nella Collezione del Museo Civico. i be RT. d “ Pope i sii Lio Aloe ! UP 18. PARYNORHOMBUS uNIMACULATUS, Risso. | $ SIBYAIT] Mit» Il Baia crede che il Pleuronectes trichodactylus "del a cari sia sinonimo del Phrynorhombus unimaculatus. Ma il Nac- cari cita l’Encyclopédie méthodique, e dalla lettura dell’ articolo relativo a questa specie, mi pare di vedere che si tratta di una Solea e non di un Phrynorhombus. Difatti nella descrizione dicesi : “.... poisson ressemble à la Solea? pour la forme du corps.... La nageoire pectorale, qui est à droite, a quatre rayons d’une finesse extrème, l’autre, qui est à gauche, n’est que le rudi- ment très-imparfait d’une nageoire. Le còté supérieure, c’est è dire, celui où sont les ieux, est d’un gris sombre, avec des ta- ches plus foncées (p. 64, N. 1)., Codesti caratteri possono applicarsi meglio alla Solea lutea che al Phrynorhombus unimaculatus. Oltredichè sta in appoggio lbennt enti. dritte ste crt, tit ca Ai e. 4 Spero che il sig. Perugia vorrà convincersi che solo per errore di trascrizione io posi lo Sphagebranchus imberbis invece del Fierasfer imberbis tra i sinonimi del Fierasfer acus Giinth. ? ll Pleuronectes trichodactylus L. è la Solea trichodactyla. Amboyna. Vedi Giin - ther, IV, 472. nd deli one nti iii APPENDICE ALLA MIA NOTA SUGLI ANACANTINI, ECC. 137 . della mia ‘opinione il nome volgare esposto dal Naccari, che anche oggidì si applica alla Solea lutea e alla Solea monochir. — Aggiungo che il Nardo, contemporaneo al Naccari, adoperò _ il nome Pleuronectes trichodactylus per la Solea monochir, ciò che non sarebbe accaduto se si vedeva nel Pleuronectes tricho- dactylus dell’Enc. méthod. un pesce prossimo ai Rhombus. Sp. 19° ARNOGLOSSUS CONSPERSUS, Ostr. 1880. Giglioli, 1. c., p. 38, Arnoglossus conspersus, Cstr. “ Ravenna. , 1880-81. La Prov. di Ven. p. 110. 1881. Perugia, l. c., p. 40. Il Perugia elenca l’Arnoglossus laterna dicendola specie “ non | rara, e l’Armoglossus conspersus, sulla fede del Giglioli, con . la sola citazione: “ Ravenna. ,, Solo recentemente ho potuto ap- | prezzare i caratteri che distinguono queste due specie. I rap- porti tra la lunghezza della mascella inferiore e la lunghezza | totale de’ miei individui non si mantengono sempre entro i li- miti segnati dal Canestrini, ma quelli del conspersus sono però assai diversi da quelli del /aterna, come può vedersi dal se- guente prospetto : Arnoglossus conspersus. Lunghezza mascella inferiore: lun- ghezza totale :: 1: 8.80 9.73 8.10 8.34 8.38 8.53 8.85 9.00 9.16 8.14 8.92 8.44 9.07 9.42 8.88 9.00 9.16 9.00 8.71 BUTI 8.61 8.88 8.64 9.27 9.19 8.96 8.95 9.15 8.75 9.16 9.00 9.66 8.45 9.07 9.30 8,45 138 A. NINNI, Arnoglossus laterna. Lunghezza mascella inferiore: lunghezza totale :: 1: 6.73 7.25 6.97 3 6.86 6.68 i i Secondo il prof. Canestrini. La lunghezza mascella inferiore: lunghezza totale :: 1: (laterna) 7.7 (conspersus) 10.1 8.0 9.0 7.1 9.1 7.2 9.0 vob 9.0 7.2 8.6 7.8 9.2 7.2 9.2 7.0 9.0 7.0 10.7 Il laterna è comune ed il conspersus comunissimo nell’Adria- tico. Di entrambe le specie io ne ebbi delle centinaja di esem- plari, specialmente dall’agosto all’aprile, dai pescatori chioggiotti, che in quest'epoca frequentano le coste istriane ed il Quarnero. Sp. 26 PLEURONECTES ITALICUS, Giinth. Il Perugia cita esemplari di 1 m. (?) | Sp. 28. SoLea KLEINI, Risso. Il lembo oscuro che adorna le pinne . D, A, e C è carattere giovanile, gli esemplari di grandi dimensioni hanno le dette pinne prive di cotesto carattere. La P sinistra porta di sovente una macchia nera. Solea kleinii. Ke verrgn..-* APPENDICE ALLA MIA NOTA SUGLI ANACANTINI, ECC. 139 Sp. 31. SOLEA IMPAR, Bennett. Solea impar E. T. Bennett Proc. Comm. Zool. Soc. I, p. 147. Solea lascaris, Bp. Icon. Fn. it. Pesci (n. Risso). Solea lascaris, Canestr., Arch. Zool. An. I. p. 88. t. 4, f. 1. (n. Risso). Solea nasuta, Nordm. in Demidoff Voy. Russ. mérid. zool, III Poiss. p. 131. i Solea nasuta, Steind. Sitz. d. k. Ak. Wiss. Math. Nat. Cl. 57. Abth. 1 Wien, 1868, p. 724. Io dissi e ripeto ora che nell'Adriatico è abbondantissima la Solea impar, mentre che la lascaris, che io elencai sull’ altrui fede, sfuggì alle mie ricerche. Risulta per me adunque che quasi tutti gli ittiologi nostrali determinarono per Solea lascaris la forma detta S. impar dal Bennett. Nel suo recente Catalogo il Perugia esclude la èmpar e pone la lascaris, citando per quest’ ultima il solo Giglioli, che l’ ebbe da Trieste, dicendola “ non frequente. ,, Ignoro se sotto questo nome si trovi compresa la comunissima par, nè so poi darmi ragione dell’unica citazione offerta. Il nome volgare di Sfoja indicato da questo autore è insuffi- ciente a designare le sogliole a grossa verruca, ed è certo che lungo la costa italiana chiamansi Sogliole o Sfogli dal porro le Specie provvedute dal lato cieco di una narice molto grossa, e ciò per distinguerle dalla sogliola comune, che vendesi nei mer- cati a ben più alto prezzo. + A complemento delle notizie già offerte ed in appoggio della ‘opinione da me emessa, cioè, che la forma che trovasi nell’A- driatico in estrema abbondanza è la Solea impar Bennett e non la Solea lascaris Risso, aggiungo qui le seguenti notizie sul no- tamento dei raggi delle pinne dorsale ed anale. La Solea lascaris ha: D. 85; A. 68 (secondo Risso). D. 85; A. 64 (secondo Giinther). D. 85; A. 70 (esemplare da me posseduto). 140 A. NINNI, La Solea impar ha: D. 67; A. 53 (secondo Giinther). D. 78; A. 60 (secondo Bonaparte). D. 67-76; A. 54-59 (secondo Canestrini). E secondo la mia formola: D. 66-78; A. 52-61. In 35 Solea impar dell'Adriatico trovai per la dorsale: . Esemplari N. 1 con 66 raggi » » d » 68 b)] » » d ” 69 » ”» b)] + ” 70 » b)] b)] 1 » 71 n» P}} ” + » 72 » Per l’anale: Esemplari N. 1 con 52 raggi ” b)] 1 » 53 ” »n ” d » D4 n » » 10 n DÒ » n » 8 )) 96 » Gli esemplari più frequenti sono quelli che presentano nella | dorsale 73 raggi e nell’anale 55. Giinther dice che l’altezza del corpo è contenuta 2 3/5 nella lunghezza totale (esclusa la codale); ma io trovai questo rap-. porto poco costante. I rapporti tra la larghezza e la lunghezza del corpo (senza €.) Esemplari N. 10 con 73 raggi » Esemplari N. » » » » » » »” » 3 IE 2; a Daf bro fi E 2 riali Bri sti GO li sogni nonchè la numerazione dei raggi D. ed A. si possono vedere nella seguente tabella. 4 | | Rapporto | D. | A. | Rapporto | D. | A. | Rapporto | D. | A. 3.08 74 | 60 2.84 69 | 54 3.11 68 | 52 2.84 70 | 54 2.94 66 | 55 3.32 73 | 54 2.80 73 °| 55 SO TITO BY 2.88 | 70 | 55 3.00 74 | 56 2.88 73, | 55 3.24 70 | 55 2.78 Va.) 07 2.86 76 |-57 3.03 69 | 56 || 2.68 73 | 54 2.78 69 | 58 2.96 18,461 2.90 68 | 55 2.84 72 | 57 2.80 73 |. 56 2.81 75 | 59 3.08 78 |. 2.64 73 | 55 DR O7I:] 561% 2196 78/4 ‘56 2.88 72 | 55 ll 3.06 734 56.J'. .2.98 68 | 54 2.90 | 78 | 60 MR 3.00. (| 72 | 56 2.94 69 | 56 3.00 68 | 55 2.86 760 | 55 3.00 74 | 57 f 4 Sl colore de’ miei esemplari è il bruno-verdastro o giallastro ‘uniforme o con sfumature più 0- secure; alcuni, specialmente i gio- yani, hanno delle macchiette poco evidenti. La pettorale destra è dello stesso colore del corpo con una macchia nera intensa nel mezzo della metà posteriore; que- sta macchia è contornata di tinta chiara. A pinna chiusa scor- gesi soltanto un filo nero nel mezzo della pettorale, ciò che fa distinguere a colpo d'occhio questa specie dalla vulgaris, che porta invece una larga macchia nella parte postero-superiore della P. Il lato cieco della par è bianco-latteo. BS; PioD. Solea impar. Solea vulgaris. Sp. 34° SOLEA MINUTA, Parn. 1880. Giglioli, I. c., p. 39. Solea minuta Parn. “ Trieste. Rara.,, 1880-81. La Provincia di Venezia, pag. 110. 1881. Perugia, l. c., p. 43. DELI fi ste 004 & ANDOLUSS «Ka s5RYNRAE | ESCURSIONE ZOOLOGICA AL LAGO DI rr ) riRa i 38 i ‘div Nota del socio | oder SANI | î cp tl rel | Prof. PiETRO PAVESI. . rca TESA UR Dit ti vira dr) | Una rocca antica domina dall'alto il trivio di Arco; di Vez-_ zano e delle Giudicarie nel Trentino, là presso Ponte delle | Sarche, e chiude il più romantico paesaggio che mai siasi di- pinto. È Castel Toblino, in mezzo a placido laghetto alpestre. Io visitavo questo lago per onorifico incarico della Società di. piscicoltura artificiale di Torbole il 3 marzo u. s.! e lo trovai. diviso dalla piccola penisola, formata dalla rupe del castello, separato poi da un ramo superiore, che ha nome dal paesello di S. Massenza. Quest’ ultimo volge quasi a N, misura appena : 40 ettari di superficie, è lungo 1150 m. e largo 430. Il la-. ghetto di Toblino si adagia invece da NE a SO secondo la valle del Sarca, sin oltre Pietra Murata sbarrata dallo sfasciame | dei monti, che emula i celebri lavini di Marco in Val dell’A-. dige; è all'altezza di 240 m. sul mare, lungo 1600 m. e largo. in massima 800. Esso presenta la maggiore profondità di 40 m. | sotto al castello nel luogo detto all’ Ulba e alla Coda di Dossa, | dove poco sopra riceve il torrente Gross, ma è circondato da. facili rive, coperte di canneti, le quali si abbassano dolcemente | e costituiscono un fondo melmoso ed erboso. Strobel, Bilz e Gredler, Ausserer, Heller e Canestrini vi hanno fatto qualche ricerca zoologica, di guisa che il lago di Toblino non è affatto sconosciuto dai naturalisti, ed io volli studiarvi. 1 Colgo l’ occasione propizia per ringraziare della splendida accoglienza fattami colà le numerose e còlte persone, che gentilmente soddisfecero ogni mia interpellanza, ed in particolare il sig. Candido Sommadossi, agente del conte Guglielmo di tr dell kenstein=Trostburg. . ESCURSIONE ZOOLOGICA AL LAGO DI TOBLINO. 143 gli entomostraci della regione pelagica per aggiungere questo ai : 31 laghi italiani precedentemente esplorati allo stesso scopo, ma i anche per determinare se vi fossero le condizioni opportune di vita per i salmonidi, cui mira soprattutto la piscicoltura. Impe- rocchè è noto come il Bythotrephes longimanus, scoperto dal Leydig nello stomaco del lavareto del lago di Costanza, insieme con la Leptodora hyalina Lillj., sono necessarî per la esistenza di tal sorta di preziosi pesci; al pari della Bosmina coregoni Brd. dei laghi della Svezia (B. Lilljeborgi G. O. Sars) e d’In- ghilterra, che entra per moltissima parte nel nutrimento del Coregonus albula, e così via. A Gli studî dei primi nominati e specialmente del Gredler* ri- flettevano i molluschi, ed essi vi rinvennero la Limnaea ovata Drap., L. minuta Drap. (truncatula Miill.), L. stagnalis Mùll., Paludina o Bythinia tentaculata L. (©mpura Lmck.) fra i gaste- ropodi e di acefali l’ Unio Requienii Mich. e l’Anodonta cygnea Drap., che parve propria anche del lago di S. Massenza, sebbene con dubbio ammessa dal Gredler, che più tardi la citò come A. cellensis Gm. Io pure vidi frequente una grossa Anodonta nel canale che congiunge i due laghetti, e, raccoltone un esemplare vivente, risultò affine alla var. rostrata Schr. della cellensis al nostro egregio collega Pini, che possiede un Unio Requienti della stessa località nella sua ricca collezione di molluschi terrestri e fluviali. h L’Ausserer® s’ occupò dei libellulidi e ne raccolse quivi una dozzina di specie, cioè: Libella cancellata L., Epitheca flavoma- culata v. d. Lind., Anax formosus v. d. Lind., Onychogomphus | forcipatus L. Milia splendens Harris, Via! barbara Fabr., Platycnemis pennipes Pall., Agrion najas Hans., A. minium Harr., A. elegans v. d. Lind., A. lunulatum Chp. Le del probabilmente tutte nascono da ana viventi nel lago. 1 Tirols Land — und Stisswasser — Conchylien II. Die Siisswasser — Conchy- | Zen, in Verh. Zool. Bot. Ver. Wien, IX. 1859. :2 Neurotteri tirolesi, parte I. Pseudoneurotteri, in Ann. Soc. nat. Modena, IV. | 1869. Vedi anche PIROTTA, Libellulidi italiani, in Ann. Mus. civ. Genova, XIV. 1879. 144 pi, Tatari Vo, PA VESOISSE RA Heller ! e Canestrini ® ne studiarono i pesci, che risulterebbero essere soltanto di 6 specie: Barbus plebejus Val. (Barbo),. Tinoa vulgaris Cuv. (Tinca), Leuciscus erythrophthalmus L. (Scardola), L. cephalus L. (Squal), Esox lucius L. (Luzzo), Salmo fario L.. (Truta). Tuttavia per quanto ho raccolto e saputo, bisogna ag-. giungere a questi: Cyprinus carpio L. (Bùlbero), L. muticellus Bp. (Varòn), L. aula Bp. (Pesse zentill), Chondrostoma soétta Bp. (Savèll) ed Anguilla vulgaris Flem. (Anguila); anzi la reîna e la savetta, con la tinca, il cavedano ed il luccio vi sono abbon- danti, mentre rara è la trota e manca il salmarino (Salmo sal-. velinus L.) vanto del prossimo lago di Molveno.° I due pescatori campano la vita e pagano l’ annuo canone di circa L. 300 (FI. 120) pescandoli con diverse reti, il bertovello {brataded), una rete a sacco che dicesi re-de tratta, un tremaglio (s’ciaola), la spigonza ed il lescaròl per i piccoli pesci, l’antana per la savetta, e l’anguilla con la solita cordicella ad ami. Ma le co- munità circostanti, nel vendere il lago ai conti di Wohlkenstein, essendosi riservato il diritto pubblico di pescare dalle rive od a piede asciutto, molti altri e specialmente quelli di Calavino lo visitano con la canna, la bilancia (balanzìn), che dà loro buone prese, la fiocina per le grosse reine e tinche. La pesca più cu- riosa, che si fa al lago di Toblino verso la fine di febbraio, è quella della savetta; si taglia il ghiaccio e si riduce il pesce, che segue le vie tracciate, in piccolo spazio, dove lo sì circonda con le reti. Mi risulta inoltre che vive nel lago la rana mangereccia (Rana esculenta L.)in quantità tale da esportarla e venderla a Trento, la biscia del collare (Tropidonotus natrix L.), il martin pesca- | 4 Die Fische Tirols und Vorarlbergs, in Zeitschr. des Ferdinandeum, 1871, Vedi anche DE-COBELLI, Prospetto sistematico dei Rettili, Anfibi e Pesci del Trentino finora studiati, in Programma XIV dell’I. R. Scuola superiore di Rovereto, 1873. 2 Fauna d’Italia. III. Pesci, ed. dott. Vallardi. Milano, 1873. 3 Questo delicatissimo e bel salmonide vuole acque profonde e fresche assai e frega pure durante i due mesi di novembre e dicembre. La Società di piscicoltura di Tor- bole, accettando un mio consiglio, si emancipò dall’ estero per l’ acquisto di ova di salmarino e ne ha allevato dei magnifici esemplari con ova fecondate a Molveno. ESCURSIONE ZOOLOGICA AL LAGO DI TOBLINO. 145 tore (Alcedo ispida L.) comune, e che lo frequentano le anitre selvatiche, talchè esistono appositi casotti per la caccia d’ au- tunno e di primavera. Quanto ai crostacei, sapevo che lo stesso prof. Camillo Heller! aveva raccolto nel lago di Toblino il Cyclops coronatus Claus, ed il Notodromas (Cypris) monachus O. F. Miill., che trovò pa- rimenti a Lans, Lanser Moor, Seefeld, St. Ulrich, nell’ Achensee presso Buchau, Sterzing e Merano. Mi sembra però che egli abbia esplorato il lago lungo le sponde, anche perchè io raccolsi nel mezzo altre specie. Lo traversai dal Castello verso l’estremo meridionale alle 4 pom., notando una temperatura esterna di 10° c. e dell’acqua di 5°. Era ancora giorno ed alla superficie non feci prese colla mia solita reticella di tulle; ma a 5 m. di profondità cominciai una pesca scarsa di Cyclops serrulatus Fisch. e di Bosmina longirostris Miill., a 10 m. poi la raccolta fu ab- bondantissima e quasi esclusivamente costituita dalla stessa Bos- mina, le cui femmine portavano ova, e da pochi Cyclops coro- natus e serrulatus. Il risultato scientifico di questa mia piccola escursione, è dunque di segnalare un maggior numero di vertebrati aquatici nel lago di Toblino; di aggiungere il Cyclops serrulatus e la Bos- mina longirostris alle specie trentine, quest’ultima nuova anche per la fauna del Tirolo in genere; di stabilire la povertà di en- tomostraci nel lago, poichè, quando ci sono, le specie comuni si prendono facilmente e subito; di constatare la mancanza delle . forme caratteristiche della vera fauna pelagica o relictenfauna dei laghi, cioè la Leptodora ed il Bythotrephes. Locchè sta in perfetta corrispondenza coi risultati di mie ricerche in altri laghetti al- pini, di Piora presso il San Gottardo, di Alleghe sopra Belluno, e non deve ripetersi dalla piccola estensione superficiale o pro- fondità, in quanto ne riboccano invece i nostri laghetti della Brianza non più grandi e di acque basse. 1 Untersuchungen iiber die Crustaceen Tirols, in Bericht. med. naturwiss. Ver. in Innsbruck, 1871. Vol. XXV. 10 disfe io, perseguitare la biscia del cc 1 are iii n Jai uccelli acquatici, sopprimere l’uso tratta e la pesca in tempo di fregola; ‘meglio sareb tarsi del dono naturale della tinca e della refna, ce ci favorire, con gli stessi mezzi e con la fecondazione £ rtificial sviluppo di queste specie. ) cotla 4 +) Risi APPUNTI SUI MOLLUSCHI DI VALL’INTELVI di EDpoARDO BONARDI ALUNNO DEL R. CoLLEGIO GHISLIERI IN. PAVIA E LAUREANDO IN SCIENZE NATURALI. Lo studio dei Molluschi della Vall’ Intelvi mi fu consigliato dal prof. Pietro Pavesi, il quale, considerando come già si co- nosca la fauna malacologica dei laghi di Como e di Lugano, e di molta parte del territorio ad essi circostante, pensò che avrebbe potuto tornare di qualche vantaggio una rassegna delle specie di molluschi esistenti nella mia valle nativa, ancora ine- splorata, e sita appunto fra i detti due laghi. Perciò, nelle scorse vacanze autunnali, vi raccolsi quanto ho potuto trovare di Malacozoi terrestri ed acquatici, e determinatili colla scorta delle migliori opere speciali e dei consigli del chiarissimo mio maestro e dell’egregio dott. Eugenio Bettoni, cui rendo grazie infinite, li elenco sistematicamente in queste pagine, ben per- suaso di lasciare parecchie lacune dovute alla brevità del tempo, delle ricerche ed alla mia poca esperienza nel farle, che i na- turalisti vorranno benignamente condonarmi. Non ho creduto necessario di tener conto, per ciascuna specie, della natura mi- neralogica e fitologica della località ove ne presi gli individui, perchè, essendo tanto piccola l'estensione della regione che è oggetto di questo studio, credo che le condizioni fisiche della medesima non siano, ne’ suoi varî punti, così diverse da aver prodotto variazioni di qualche momento nei caratteri specifici de’ suoi organismi. Ma se tale diversità non c’ è per le varie località della Valle d’ Intelvi, deve di sicuro esistere quando essa N 148 k. BONARDI, venga SSR con altre regioni. Epperò pensai di premet- tere alcune notizie generali sulla costituzione geologica e sulle produzioni minerali e vegetali della mia valle; notizie ch'i io credo non inutili, specialmente in rapporto colle moderne teorie transformiste, che possono di molto avvantaggiarsi dei dati for- niti a loro dalla geografia fisica, zoologica e fitologica. La Valle d’ Intelvi è posta tra il 41’ ed il 50' del 26° di la- titudine e può considerarsi come una sella di passaggio tra il lago di Como e quello di Lugano. È riferibile, per la massima parte, al Lias inferiore ed è una continuazione della zona di Moltrasio, tipica per questa formazione. Gli strati vedonsi qualche volta molto sconcertati, eretti, contorti; così, ad esempio, fra Pellio e Scaria sono inclinati a 70° e contengono una sostanza terrosa, ricca di bitume, di color nero, disposta in istraterelli non sorpassanti i 2 cent. di spessore. L’ accennato disturbo nella stratificazione fece nascere al Curioni il dubbio che i banchi di questa località siano una continuazione della dolomia bituminosa di Arogno. Verso Pellio però questo terreno sconcertato è co- perto da banchi regolari liasici, che si connettono con quelli di Argegno e di Osteno, al quale ultimo villaggio, situato sul lago di Lugano, pare si estenda la formazione infraliasica della valle Porlezza. Infatti i calcari dell’Orrido di Osteno sembrano ascri- vibili all’infralias. Nell’ epoca glaciale il ghiacciaio del lago di Como con un ramo si spinse, per la via di Argegno, nella Valle d’ Intelvi, salì fino a San Fedele e discese dall’opposta parte fino al lago di Lugano, per congiungersi col ramo che vi perveniva dalla valle Menaggio. Quindi la Valle d’ Intelvi è magnificamente arro- tondata specialmente in alcune località, quali sarebbero 1 territorî di Castiglione, di San Fedele, di Pellio, di Laino. È ricchissima di depositi morenici, che si innalzano sui due versanti fino al- l’altezza di circa 800 m., così abbondanti ed in taluni punti così potenti che fecero scrivere allo Stoppani essere la Valle d’ Intelvi una vera cloaca morenica. In qualche luogo, come a San Sesino ed a Laino, lo sfasciume morenico è cementato a APPUNTI SUI MOLLUSCHI DI VALL’INTELVI. 149 formare un conglomerato potente fin quattro metri. I massi er- ratici numerosissimi e talora colossali provengono dalle Alpi della Valtellina. I molluschi di Vall’Intelvi li trovai quasi esclusivamente entro i limiti del terreno morenico ; in posizioni più elevate non riuscii a raccogliere che qualche rara Helix pomuatia, alcune Vitrine ed un solo esemplare di H. nemoralis. Mineralogicamente la Vall’ Intelvi, all'infuori dei massi erratici e delle morene, è formata dal calcare bituminoso, ricco di si- lice, proprio del Lias inferiore. Per la difficile erodibilità di questa roccia i torrenti che discendono ai due laghi si sono scavate delle gole profonde, anguste, orride, che fanno mirabile contrasto coll’ ampio e ridente orizzonte della valle presa nel suo assieme. Quegli esili straterelli di sostanza nera, bituminosa, di cui dissi più sopra, le acque minerali del Paraviso e di qualche altra fonte non ancora presa in considerazione, il calcare della roccia in posto e parecchi trovanti adoperati per costruzione, costituiscono tutta la ricchezza mineralogica della Vall’ Intelvi. I' massi erratici constano specialmente di granito, sienite, dio- rite, gneiss ordinario ed amfibolico, serpentino. Dal punto di vista fifologico la Valle d’ Intelvi, come una delle più elevate della provincia di Como, ha una flora prevalente- mente alpestre; la vite, l’olivo, il fico non vi prosperano ad un'altezza superiore al centinaio di metri sul livello dei due laghi. I campi sono coltivati, in tutta la valle, a frumento, se- gale, grano turco, orzo, pomo di terra, lino, canape, grano sa- raceno;' ma ivi potei raccogliere poche specie di molluschi, cioè la Helix pomatia ed alcuni rari Limax maximus. Coltivati sono gli ortaggi, tra i quali numerose limaccie, spe- 1 Vi prosperano anche: il fagiuolo (Phaseolus nanus e vulgaris), il ravizzone (Brassica napus), la zucca. Spontaneamente poi vi crescono la gramigna (Tviticum repens), la menta (Mentha arvensis), il forasacco (Bromus asper e sterilis), il gladiolo (Gladiolus communis), l' agrostide dei campi (Agrostis spica venti), varie specie di panico, particolarmente il panico selvatico (Panicum viride), parecchie specie di Lo- lium, il rosolaccio (Papaver rhoeas), il morbidello (Valeriunella olitoria), ecc. n \A LINO vi della Le aut o Sun estensione delle praterie! è, in Vall’ Inte riore a quella dei campi; ma esse sono vota ini duttive, dando fieno appena due volte all’anno; ia Da erte, più di rado umide e piane. Nei prati ombreggiat: raccolsi il Limax maximus e la Helix pomatia, la quale t comune anche nei prati secchi, unitamente alla Helix. dril ad altre specie congeneri. Sparsi poi più o meno copio campi e nei prati sono: i gelsi (Morus alba) e gli alberi da frutta: melo, pero, pesco, ciliegio, susino (Prunus domestica); più raro il nespolo (Mespilus germanica); abbastanza frequente anche il noce, e nei prati umidi, paludosi, varie specie di salcio. Sotto la corteccia di molti di questi alberi trovai numerosi aa di Clausilie e di Pupe. Le selve, formate specialmente da castani, spesso colossali, sono talvolta ammirabili, come quella di Pellio, e l’altra ancora più poetica di Laino. Ivi prosperano bellissimi muschi, e fra essi crescono copiosi i funghi, come gli agarici, i boleti, le cla- varie, i lycoperdon (vescie di lupo), dei quali osservai pascersi molti Limax. I boschi ® costituiscono una delle principali ricchezze della 4 Vi abbondano le graminacee, coi generi P/hleum, Phalaris, Agrostis, Stipa, Aira» Poa, Koeleria, Cynosurus, Melica, Festuca; le piantaggini, le cicute; i generi Rumea, Ranunculus, Trifolium, Orobus, Lathyrus, Melilotus, Achillea, Spiraea, Dianthus, Veronica, Pinguicula, Chaerophyllum, Peucedanum, Laserpitium, Pimpinella, Ery- simum, Polygala, Salvia, Melampyrum, Genista, Coronilla, Crocus, Juncus, Luzula, Eriophorum, ece. Sono pure comuni il mirtillo ( Vaccinum myrtillus), il trifoglino selvatico (Medicago lupulina), V’arnica (Arnica montana), i Myosotis, ecc. 2 Sono popolati specialmente dal faggio (Fagus sylvatica), dal carpino (Ostrya carpinifolia), dal nocciuolo (Corylus avellana), dai Crataegus (Spin del dialetto co- masco), dall’ontano (Alnus glutinosa e incana), dalla betula (Betula alda), dall’ albe- rella (Populus tremula), ecc. Minore importanza vi hanno il castano, la rovere, (Quercus pedunculata), il sorbo (Sordus domestica e aucuparia), il corniolo (Cornus mascula), legano (Cytisus laburnum), il tiglio (Tilia parvifolia), il frassino (Frazinus excelsior), il Prunus avium (galbini del dialetto comasco), il pruno (2’runus spinosa), l’olmo (Ulmus campestris). Sì trovano pure nei boschi: la Rosa canina, il lampone O . APPUNTI SUI MOLLUSCHI DI VALL’INTELVI. 151 Vall’ Intelvi e ne occupano molta parte. In essi rinvenni copio- samente la Helix. pomatia, la Lehmannia arborum, e qualche volta il Limax maximus. Sui muricciuoli vecchi, ove raccolsi la maggior parte dei pol- ‘ monati conchigliferi che ho studiato, abbondano, oltre i muschi ed alcune delle graminacee già accennate, le parietarie (Parie- taria officinalis), la chelidonia maggiore (Chelidonium majus). l'edera (Hedera helix), 1 erba mora (Solanum nigrum), 1 erba grassa (Sedum album), Verba da calli (Sedum acre), il Thymus lanuginosus, qualche specie di Galium, e, nelle regioni elevate, l’aconito napello. Classe I GASTEROPODA. Ord. I PULMONATA INOPERCULATA. Fam. Limacidae. Gen. Limax, Linné 1758. 1. Limax maximus Linné, Syst. nat. edit. X. 1758, p. 652. Sin. Limax cinereus Stabile, Delle conchiglie terrestri e flu- viali del Luganese (1845), pag. 20. Limax maximus Stabile, Prospetto sistematico statistico dei Molluschi terrestri e fluviali viventi nel territorio di Lugano (1859), pag. 16. Limax cinereus Pini, Molluschi terrestri e d’acqua dolce vi- venti nel territorio di Esino (1876), pag. 18, sez. Heynemannia. Il mio esemplare raggiungeva, vivo, una lunghezza di cent. 20. selvatico (Rubus idaeus), il rovo (Rubus fruticosus), il Berberis vulgaris, ecc. Final- mente molte piante erbacee, tra cui importante è l’ Artemisia absinthium o assenzio, e parecchie crittogame, come la regolizia (Polypodium vulgare), la felce maschio (Aspidium filix mas), la felce femmina (Aspidium filiv foemina), la felce grande (Pteris aquilina), la lingua di cane (.Scolopendrium officinarum). spa | L'A hs CADI {al E. BONARDI pih i n Mii dorso. biancastro tende gnolo, con tubercoli piuttosto allungati ed uniform renato per ‘/4 circa della sua lunghezza; cappuccic rotondato ed ovolare anteriormente, terminato ad ang parte posteriore; rugosità poco pronunciate e. acini ni triche; apertura respiratoria ampia, ovale, collocata a destra, nella parte posteriore del cappuccio ; tentacoli del colore del corpo, i superiori leggermente bruno-violacei; apertura degli organi ri- produttori rotonda, ordinariamente chiusa, posta parallelamente. al tentacolo inferiore destro; suola del piede biancastra, divisa longitudinalmente in tre campi abbastanza distinti. Specie di- scretamente diffusa in Vall’ Intelvi, ma non abbondante. Ne trovai gli individui nelle vallecole, nelle siepi umide, nei boschi, in luoghi oscuri, e quasi sempre durante il tempo piovoso. i 2. Limax variEGATUS Drap., Tableau. Moll. pag. 103 (1801). Sin. Limax variegatus Pini, Moll. di Esino, pag. 33, sez. Plepticolimax. Specie mutabilissima e molto comune in Vall’ Intelvi. Esce specialmente di notte nei lavatoi e nelle cantine, ecc.; di giorno trovasi raramente, tranne nel caso che sia imminente la pioggia. E di lunghezza variabile, secondo le mie osservazioni, dai 7 ai 10 centim. Ha il corpo cosparso di granulazioni mi- nute, ora poligonali, ora irregolari, colorate, in nero, o in bianco-grigiastro; queste ultime prevalgono sui lati del corpo, le altre sul dorso. Raccolsi anche un esemplare, che il sig. Pini, nell’ opera citata, descrive a granulazioni grigio-rossiccie, in guisa da simulare una reticolazione oscura, interrotta, sovrap- posta ad un fondo chiaro. Il cappuccio è più oscuro del resto del corpo, la cui tinta fondamentale qualche volta riappare sotto forma di macchie più o meno ampie; in generale però si presenta di colore oscuro ed è sparso di macchie grigiastre, variamente estese ed abbondanti. L’ apertura respiratoria è ovale, piuttosto grande, circondata da un margine bianco-gial- liccio; è posta a destra nella regione posteriore del cappuccio. Gli organi della riproduzione si aprono a destra del collo, po- APPUNTI SUI MOLLUSCHI DI VALL’INTEL.VI. 153 ‘steriormente al piccolo tentacolo inferiore. I tentacoli superiori, più lunghi, sono azzurro-violetti, gli inferiori sono brevissimi e più bruni, specialmente all’apice. La suola è biancastra e divisa longitudinalmente in tre campi, di cui il mediano, perfettamente liscio, è il più esteso. 3. Limax PsaRÙUS Bourguignat, Notes sur divers Limaciens nouveaux, ou peu connus, in Revue et Mag. de Zool. (1861). Sin. Limax psarus Pini, Moll. d’ Esino (1876) pag. 35, sez. Stabilea. Specie diffusa e comune in Vall’ Intelvi; se ne vedono gli in- dividui di statura mediocre non oltrepassanti in lunghezza gli 8 centimetri, errare numerosi nei luoghi umidi e poco illuminati, come nelle cantine, nei piccoli antrij in tempo piovoso e du- rante la notte sono più abbondanti. Hanno il capo ed il collo bianchicci; il capo, nella regione nucale, ha tre linee nerastre protendentisi all’indietro; il corpo sparso di macchie nere, piut- tosto grandi, disposte secondo linee longitudinali. Il loro cap- puccio è pure cosparso di queste macchie; ma esse sono più piccole e distribuite irregolarmente; è arrotondato più nella parte anteriore che nella posteriore, la quale termina talvolta in una specie di angolo più o meno pronunciato. L'apertura respiratoria è piccola e non presenta, al margine, alcuna acci- dentalità; è posta a destra, circa alla metà del corrispondente lato del cappuccio. I tentacoli superiori sono cinereo-violetti, gli inferiori tendono più al giallognolo. La suola del piede è bianco- gialliccia, divisa in tre campi longitudinali, di cui il’ mediano è più esteso e perfettamente liscio. 4. Limax AGRESTIS Linn., Syst. nat. edit. X, vol. I, p. 652 (1758). Sin. Limax agrestis Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 37, sez. Agriolimax. Specie molto abbondante e diffusa in Vall’Intelvi. Si trovano questi Limax soprattutto negli orti e nelle selve, ove pasconsi molto volontieri di funghi. Sono di piccole dimensioni, tanto che io non raccolsi alcun esemplare che sorpassasse i 5 cent. di 154 E. BONARDI, lunghezza. La loro colorazione è variabilissima; la porzione po- steriore del corpo molto meno sviluppata in confronto della an- teriore; il cappuccio grossolanamente ovale; l'apertura respira- toria a destra e posteriormente circondata da un margine gial- lognolo. Gen. Lehmannia, Heynem. 1863. 5. LEHMANNIA ARBORUM Bouchard Chant., Moll. du Pas de Calais (1834), pag. 164. Sin. Limax marginatus Stabile, Prosp. Moll. di Lugano (1859), pag. 16. Lehmannia arborum Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 39. I miei esemplari, della media lunghezza di 6-7 cent., sono, per la massima parte, di colore traente al verde-ceruleo ed anche al verde-bruno, specialmente alla regione dorsale; i fianchi — del corpo però sono più chiari. Il dorso è carenato; il cappuc- cio, molto ampio ed ovale, ha l’orificio respiratorio a destra e posteriormente; i tentacoli sono bianco-giallognoli, i superiori molto più lunghi degli inferiori; la suola del piede è bianco- giallastra, divisa longitudinalmente in tre campi, di cui il me- diano è molto più esteso. Questa specie è frequente nei boschi, in luoghi umidi ed oscuri. ‘ Gen. Amalia, Moq. Tand. (1855). 6. AMALIA MARGINATA Drap., Hist. Moll. pag. 124, tav. IX, fig. 7 (1805). Sin. Amalia marginata Pini, Molluschi di Esino (1876), p. 42. Gli individui di questa specie, aventi una lunghezza di 6-7 centimetri, abitano i luoghi ombreggiati ed umidi. I miei esem- plari raccolti quasi tutti sotto le pietre e sotto i pezzi di legno fradicio, corrispondono alla descrizione data dal Pini nell’opera citata. APPUNTI SUI MOLLUSCHI DI VALL’INTELVI. 155 Gen. Vitrina, Drap. (1801). 7. Virrina peLLuciDA Miill., Verm. hist., II (1774). Sin. Vitrina pellucida. Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 51, sez. Phenacolimax. Specie rara secondo le mie ricerche. La trovai sotto i cespugli di elleboro e di aconito napello, particolarmente sul monte Ge- ‘neroso. Gen. Hyalina, Gray (1840). 8. Hvyauina ceLLaRIA Mill., Verm. hist., II, pag. 38 (1774). Sin. Zonites cellarius Stabile, Prosp. Moll. di Lugano (1859), pag. 19. Hyalina cellaria Pini, Moll. di Esino, (1876), pag. 52, sez. Hyalina. Trovai questa specie anche ad altezze ragguardevoli, sempre | però in luoghi umidi ed ombreggiati, nel terriccio, nelle siepi, qualche volta nei buchi dei muri, specialmente vicino a vecchie fontane con acque stagnanti. 9. Hyarina LucivA Drap., Tableau Moll., pag. 96, (1801). Sin. Zonites lucidus Stabile, Prosp. Moll. di Lugano (1859), | pag. 19. Hyalina lucida Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 43, sez. Hyalina. Il Pini dice che questa specie è più comune al piano, ove rimpiazza la precedente, e va scomparendo man mano che si Ya verso i monti, per cedervi il posto. Gli esemplari ch’io rac- colsi giacevano nella stessa località della cellaria. 156 E. BONARDI, Fam. MHetlicidae. Gen. Helix, Linné (1758). 10. HeLix ANGIGYRA Ziegler, in Rossm., Iconographie der Land-und Siisswass. Moll. pag. 70, fig. 21 (1835). Sin. Helix angigyra Stabile, Conch. del Luganese (1845), p. 27; Prosp. Moll. Lugano (1859), p. 22. ” A Pini Moll. d’ Esino (1876), pag. 65, sez. Gonostoma. Si trova dappertutto in Vall’ Intelvi, in ispecial modo sui muricciuoli secchi, fra gli ammassi di pietre, colla Pupa fru- mentum, col Pomatias septemspiralis e colla Clausilia itala. 11. Heuix purcHenca Miill., Verm. hist., II, p. 232 (1774). Sin. Helix pulchella Stabile, Conch. del Luganese (1845) p. 29; Prosp. Moll. di Lugano (1859), p. 22. è L Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 66, sez. Vallonia. È specie piuttosto rara e poco diffusa in Vall’Intelvi; la rac- colsi nei vecchi muri, sotto i loro rottami, sotto le corteccie dei vecchi alberi, ecc. 12. HeLIx stRIGELLA Drap., Tableau Moll. pag. 84 (1801). Sin. Helix strigella Stabile, Conch. del Luganese (1845), p. 25. Prosp. Moll. di Lugano (1859), p. 25. s x Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 67, sez. Fruticicola, a. Helicella. È molto abbondante e diffusa; si trova al piede dei muri di cinta o di sostegno sparsi nei campi e nei prati, ed anche nei prati stessi, sotto le pietre, o mista alla ghiaia nei luoghi aridi. 13. HeLix cartAUSIANA Miill., Verm. hist., II, pag. 15 (1775). Sin. Helix carthusianella Stabile, Conch. del Luganese (1845), pag. 24; Prosp. Moll. di Lugano (1859), pag. 25. Helix carthusiana Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 69, sez. Fruticicola e. Theba. APPUNTI SUI MOLLUSCHI DI VALL’INTELVI. 157 Secondo le mie ricerche, avrebbe le stesse abitazioni della precedente specie, sebbene sia di essa assai meno abbondante. 14. HeLix unIFAScIATA Poiret, Coquilles fluv. et terr. ‘du Départ. de l’Aisne, etc., pag. 119, (1819). Sin. Helix candidula Stabile, Conch. del Luganese (1845), pag. 24. Helix unifasciata Stabile, Prosp. Moll. Lugano (1859), p. 25. È 2 Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 70, sez. Xerophila. Abbonda nei luoghi aridi e si spinge anche molto in alto. Io la osservai quasi sempre colla Helix strigella. 15. HELIX NEMORALIS Linn., Syst. nat. edit. XI, p. 773 (1758). Helix nemoratis Stabile, Conch. del Luganese (1845), p. 22. Prosp. Moll. di Lugano (1850), p. 26. ; Ù Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 80, sez. Tachea. È discretamente abbondante e diffusa lungo le strade, sui muri, nei cespugli; ne raccolsi un esemplare quasi alla vetta del monte Generoso. 16. Helix Pomatia Linn., Syst. nat. edit. X, p. 771 (1758). Sin. Helix pomatia Stabile, Conch. del Luganese (1845), p. 22; Prosp. Moll. di Lugano (1858), p. 26. i s Pini, Moll. di Esino (1876), p. 80, sez. Po- matia. Specie abbondante e diffusa colle sue numerose mutazioni a ( magna alt. mm. 50; largh: mm. 40; di grandezza d <$ media Landi 40-40: i 80; ERRE Uparta Ol del. S64 1 R0 i: F A \ brunnea di colore d castaneo-fasciata (fasciis 3) ei albescens. 158 | E. BONARDI, Gen. Dial Scopoli (1777). 17. Burimus osscurus Miill., Verm. hist., II, pag. 103 (ITA). | Sin. Bulimus obscurus Stabile, Coce*a0i Luganese (1845), | | pag. 35; Prosp. Moll. di Lugano . | (1859), pag. 27. sii | - Ù Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 81, sez. Napaeus. tia | Specie, secondo le mie ricerche, poco abbondante e diffusa | in Vall’ Intelvi. Trovasi tra i muschi e le erbe dei muricciuoli, in posizioni ombreggiate. Gen. Clausilia, Drap. (1805). 18. Crausrzia ITALA Martens, Reise u. Venedig, II, p. 442, tav. 3, fig. 1 (1824). Sin. Clausilia albopustulata Stabile, Conch. del Luganese (1845), p. 41, fig. 38; Prosp. Moll. di Lugano (1859), pag. 29. Clausilia itala Pini, Moll. di Esino (1876), p. 88, sez. Delima. Assai abbondante e diffusa. Rinviensi sui muri, nei detriti calcarei, sotto la corteccia degli alberi, ecc. 19. CLausizia DUBIA Drap., Hist. nat. Moll. France, p. 70, N. 3 (1805). Sin. Clausilia rugosa Stabile, Conch. del Luganese (1845), pag. 42, fig. 39. Clausilia dubia Stabile, Prosp. Moll. di Lugano (1859), p. 30. à » Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 92, sez. Iphigemia. Specie poco abbondante, quantunque diffusa in tutta la valle. | Io ne trovai gli individui sotto le pietre, al piede degli alberi, i in posizioni per lo più ombreggiate. APPUNTI SUI MOLLUSCHI DI VALL’INTELVI. 159 Gen. Pupa, Lamk. (1801). ba 20. Pura rRomeNTUM Drap., Tabl. Moll. (1801). È BS idin. Torquilla triticum Stabile, Conch. del Luganese, pag. 40, fig. 35, (1845). iS Pupa frumentum Stabile, Prosp., Moll. Lugano (1859), p. 32. | .; ati ci a Moll. di Esino (1876), pag. 99, sez. 4, orquilla. _ Specie abbondante e sparsa ovunque. Si trova preferibilmente sui muri, sotto le pietre, sulla roccia in posto, tra il detrito della medesima. È 21. Pupa PagopuLa Des Moulins, Act. Soc. Linn. de Bor- deaux, IX (1830), pag. 158. _ Sin. Pupa pagodula Stabile, Conch. del Luganese (1845), p. 36, fig. 27; Prosp. Moll. di Lugano (1859), pag. 33. ù î Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 104, sez. | . Pagodina.: «Molto meno frequente della specie che precede, quantunque | si trovi in tutta la valle, sotto le pietre, al piede e dentro qual- che muro campestre, ed anche tra le erbe secche ed i muschi, insieme alla seguente. Gen. Vertigo, Miill. (1774). 22. VertIGo MuscoRruM Drap., Tabl. Moll. pag. 56, tav. III, — fig. 26 (1801). Sin. Vertigo minutissima Stabile, Conch. del Luganese (1845), pag. 38, fig. 32. Vertigo muscorum Stabile, Prosp. Moll. di Lugano, p. 34. 3 4 Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 104, sez. Istmia. Di questa piccolissima specie raccolsi qualche esemplare tra i muschi e le erbe secche. Î lar “ È, A Lei ll. si #05 n SEA dd È Hhoari] isti MA s;l Bien iano Di pe À 10 Agrate bre g. (1791). 0% uno Veri usa Dub toa PALUSTRIS Mill, Verm. "ol na Sin. Limmaeus palustris Stabile, tas del I pag. 51, fig. 55 - 2000 Limnaea palustris Stabile, Prosp. Moll. di Lu gano PIVIARIITRE, pag. 41. ‘SO Sa pa o Pini, Moll. di Esino (1876), pag Limnus. ai Vive colla specie successiva, di cui però è sell 7 quente. 24. Limnara PEREGRA Miill., Verm. hist., II, pag. ; 1300 Has LAS Sin. Limnaeus pereger Stabile, Conch. del Luganese (I pag. 51, fig. DT. Limmaea peregra Stabile, Prosp. Moll. di Lugano (1859), i 5 n Pini, Moll. di Esino (1876), pag. 111, sez. Gulnaria. Si trova nei fossati ed in alcune fontane di beveraggio i bestiame, spesso galleggiante sull'acqua, o nascosta fra le alghe | che ne coprono la superficie; trovasi anche attaccata alle pareti | di tali fontane, oppure posata sul loro fondo limaccioso. Ord. II. OPERCULATA. Sez, PULMONATA TERRESTRIA. Fam. Cyclostomidae. Gen. Cyelostoma, Lamk. (1799). 25. CrcLosroma ELEGANS Miill., Verm. hist., II, gite (1774). 31001 Sin. AA elegans Stabile, Prosp. Moll. di Lugano VOS pag. 43. APPUNTI SUI MOLLUSCHI DI VALL’INTELVI. 161 Sin. Cyclostoma elegans Pini, Moll. di Esino (1876), p. 115, — sez. Ericia. È poco abbondante. Lo trovai qualche volta nei muricciuoli campestri e nelle siepi verdeggianti. Gen. Pematias, Hartm. (1821). 26. Pomatias sEPTEMSPIRALIS Razoum., Hist. nat. Jorat, I, pag. 278 (1789). Sin. Pomatias maculatum Stabile, Conch. del Luganese (1845), pag. 44, fig. 42. Cyclostoma septemspirale Stabile, Prosp. Moll. di Lugano (1859), pag. 44. Pomatias septemspiralis Pini, Moll. di Esino (1876), p. 115, sez. Pomatias. È abbondantissimo e diffuso assai. Si trova in luoghi selvatici, sotto le pietre, sui muricciuoli, sulla roccia in posto, in situa- zioni umide ed ombreggiate. C]. II. ELATOBRANCHIA. Fam. Sphoceridae. Gen. Pisidium, Pfeiff. (1821). 27. Pisipium caseRrTANUM Poli, Test. utriusq. Sicil., I, p. 65 (1791). Sin. Pisidium fontinale Stabile, Conch. del i PRGARSSA (1845), pag. 62, fig. 77. dadini casertanum Stabile, Prosp. Moll. di Lugano (1859), pag. 49. Ne trovai solo qualche esemplare nel limo di alcune fontane prosciugate da poco tempo, nel territorio di Laino, a 650 m. circa sul livello dei mare. Vol. XXV. 11 A: pe bas pur Aa Ho pivot ingr dt ALTA AL Ret aoertie Sen Unio, Retz. (1 28. UNIO REQUIENI Mich., Compl. à D Bo tav. XVI, fig. 24. veni ni Sin. Unio longirostris Stabile, Conch. del Lugen p. 60, fig. 72. AH Unio tumidus Ibid. p. 61, fig. 74. Unio glaucinus Ibid. p. 61, fig. 75. ER Unio requienii Ibid. p. 62; Prosp. Moll. Lugano (18 59), + 2 Pini, Moll. di Esino (1876), pag. sez Lymmium. b. x Si trova tanto ad Osteno, sul lago di Lugano, quanto cat Ar- ‘ gegno, sul lago di Como, nei seni tranquilli, sulla sabbia è: ® limo, tra le conferve. ai tn Gen. Anodonta, Lamk. (1799). Ù 13 è Abi L. 29. ANODONTA ANATINA Linné, Syst. nat. edit. X, I, i 704 (103). Sin. Anodonta anatina Stabile, Conch. del Laga (1845) p. 57, fig. 67-68. Anodonta rostrata Stabile, ibid., p. 59, fig. 69-70 (70 a. SL lensis). Anodonta piscinalis Stabile, Prosp. Moll. di Lugano (1859), pag. 47. Anodonta anatina Pini, Moll. di Esino (1876), p. 125. È comune ad Argegno ed a Osteno nelle sabbie e nel limo. Dal Laboratorio zoologico della R. Università di Pavia, aprile, 1882. — PI è. da À STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO DELLE MARIERE del socio Prof. PELLEGRINO STROBEL. (Continuaz. da pag. 85 di questo stesso volume). CONFRONTO pEL Porco DELLE MARIERE COL SUS PALUSTRIS DEL RiTIMEYER. Come ebbi ad accennare nella introduzione, sino dalla prima scoperta di avanzi del porco delle Mariere, ritenni questo iden- tico del Sus palustris del Riitimeyer. Confronti ulteriori delle mandibole di questo con quelle del primo, nonchè del porco dei nostri fondi di capanne !, mi confermarono vieppiù in quella prima opinione. Ma per la comparazione dei feschi dei nominati suini non ho trovato quella copia di materiale ch’ ebbi a disposizione nei con- i fronti delle loro mandibole. Non conosco quasi altre misure del Sus palustris all'infuori di quelle date dal IRiitimeyer. Egli, nel- l’opera Die Fauna der Pfahlbauten, non ne porse che misure as- | solute, e nella Memoria posteriore N. Beitrige 2. Kenntn. d. Torfschweins non diede che 17 misure ridotte di quel porco preistorico. Nella tabella che segue presento queste misure ridotte rela- tive ai teschi del S. palustris di Wauwyl e di Olmiitz, para- gonate colle corrispondenti del teschio del porco delle Mariere. 1 Avanzi animali dei fondi di capanne. cit. pag. 12 e 30 (53 e 79). mp. {gt ET -°- ns ‘0109180 ou) uou ojenb I iti ta cena è i — nea 58 E 5 % * 3 su ui ve 98 c‘cg cg 98 SI oi rai ZI SI 3£ LE Pe (35) ce vy . 67 G'LF LV 8h GL GI CGI 03 6I 19. 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Rena onop 0}uo1Ju0d Igp ouoSIema QIOLIB]I 9][9Pp 00104 OP 0199897 ]9p otpew OT cc _ uao Numero progr. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 165 A queste misure aggiungo quelle ridotte dell’osso lagrimale — del porco delle Terremare, confrontate con quelle del lagrimale d’individui di Sus palustris della Svizzera, del lago di Starnberg nella Baviera, e della Moravia, citati nella Introduzione. LL k i tarn- |{. l'e S Bo Mariere si n Svizzera|Moravia| $$ o A PARTI DEL erg SES o media media media media 33 Si 5 LAGRIMALE MISURATE SÙ a di di di, di i mau O a 8 misure 4 mis, 1 |5 mis. 2|5mis. 2| 49 | 2 DO — —r—r—-—-—-_- z_—.o_v[[«<«m«——x ( ‘ hb}2 __ = _"———2n21_———— E == e be xo Se rr. cioxeo a 43 | Altezza al margine posteriore od MR I, La 1 1 l 1 1 44 | Lunghezza inferiore o zigomatica. | 1,44 | 1,37 1,31 1,29 1,37 45 | Lunghezza superiore o fronto-na- MM na sn 11,99 2,16 2,16 | 2,30 2,07 Differenza tra le due pae millimetri. 0... 0.0. 0 14 _ 16 19 15 Gli estremi sono segnati con carattere marcato. 1 NAUMANN, Die Fauna der Pfahlb. im Starnberger See, pag. 19. ? RiTIMEYER, N. Beitrige ece., citati pag. 158. Dal confronto delle esposte cifre emerge che il teschio del Sus palustris di Wauwyl supera quello del maiale delle Terre- mare nelle seguenti misure: di lunghezza: del profilo (obliqua n.° 4), della parte poste- riore della fronte coi parietali (n.° 8), del margine superiore del lagrimale, e segnatamente della parte molare del palato; di larghezza: del teschio, della fronte e specialmente del grugno. Gli sta invece al disotto quanto alla lunghezza orizzontale del profilo (n.° 2). Concordano tra loro i detti teschi per la lunghezza dei nasali, della parte anteriore della fronte e del grugno. DI Liri nor 18, 19)i P% Les schio di W uwyl benanco quello del maiale celtico, come vedremo. tanto non possiamo a meno di riconoscere dell’ affini | edi teschi del porco delle Mariere. || °° 2 Nel teschio del porco di Olmiitz, d’epoca storion fi n meno di riconoscere dei punti di contatto coi teschi dei recenti, e più specialmente del nostro maiale iberico. Infatti scostandosi dal teschio del S. palustris e del porco delle Mai presenta la lunghezza della parte anteriore della fronte e della parte molare del palato del maiale iberico, nonchè la figura tra- pezia dei lagrimali di questo anzi che la subrettangolare del | porco delle Mariere. Al teschio del maiale celtico s'avvicina per la lunghezza della parte superiore della fronte unita a quella dei — parietali (n.° 8 delle misure), e per la lunghezza del profilo e la massima larghezza del teschio, nei quali due ultimi caratteri pre- senta misure estreme opposte a quelle del S. palustris di Wauwyl. In quel porco d’Olmiitz non posso quindi riconoscere, col Riiti- meyer, un vero S. palustris, sibbene una forma di passaggio, un meticcio ibero-celtico. Epperciò nel valutare le medie delle misure medie del S. palustris e del porco delle Terremare riuniti (ultima colonna degli specchi) non ho potuto tenere calcolo delle misure del porco d’Olmiitz, in quanto si riferiscono ai N.' 2, 4, î 7, 8,12, 14, 44 e 45. Prima di passare al confronto dei caratteri assegnati dal Ri- timeyer al S. palustris, e da lui enumerati nelle varie sue opere, con quelli che abbiamo verificati nel porco delle Mariere, è me- stieri premettere, che il nominato autore ha riscontrato delle differenze tra il teschio del S. palustris di Wauwyl già men- zionato, e quello della palafitta di Robenhausen, differenze che egli ascrive alla differenza di rapporti che i due individui cui appartennero quei teschi, ebbero coll’uomo. Il teschio della sta- zione di Robenhausen presenta un profilo perfettamente diritto, un occipite correlativamente inclinato all’ indietro, lagrimali lunghi ed orbite piccole, inclinate all'indietro, il diametro ver- ticale delle quali supera di molto l’orizzontale; ed il margine È RE - a _ °° _ Peet a è ; ì STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 167 posteriore del 3.° molare trovasi molto davanti al margine an- teriore dell'orbita. L'individuo cui spettava questo teschio era dunque, secondo Riitimeyer, o selvaggio, o poco lontano dallo stato selvaggio. Invece il teschio di Wauwyl ha profilo incavato alla radice del naso, occipite meno inclinato, fronte più larga, lagrimali meno lunghi, orbite più ampie a periferia quasi cir- colare; ed il margine posteriore del 3.° molare sta direttamente sotto il margine lagrimale dell’orbita. Questo teschio apparteneva quindi, secondo l’autore, ad un individuo allevato dall’uomo *. Alla prima scoperta di questa razza prestorica di suino nella Svizzera, il suo scopritore opinava che, secondo ogni probabilità, essa aveva vissuto allo stato libero ?. Poco dopo? ammise che a canto degli individui selvatici, ancora nell’età della pietra, l’uomo lacustre avesse tenuto mandre del S. palustris, opinione confermata anche in seguito, come or ora vedemmo. Però nella stessa Me- moria, più avanti del periodo riprodotto *, conveniva col Nathu- sius®, che la tesi se il detto suino abbia mai vissuto nella Sviz- zera come animale veramente selvatico, dovesse lasciarsi tuttora da risolvere. Lo Schiitz ® nega che il S. palustris abbia vissuto allo stato selvatico accanto alle palafitte, il Naumann ‘’ invece lo | sostiene. Infine, nell’ultimo suo lavoro, del 1877, il Riitimeyer abbandona affatto le prime, anzi esposte, idee, ed ammette che il S. palustris non sia che una mera forma di porco allevato dal- l’uomo (Culturform). Ora se, come ritengo, si confermerà che il S. palustris non ab- bia mai esistito in Isvizzera che allo stato domestico, avremo un altro fatto in appoggio della mia opinione, che i caratteri indi- cati dal Nathusius e dal Riitimeyer come segnali di domesticità 4 N. Beitriige, eca., pag. 153. 2 Umntersuchung der Thierreste, ecc., citata, pag. 13. 3 Die Fauna d. Pfuhlb. pag. 52 e 120. * N. Beitriige, ecc., cit. pag. 161 e 168. 5 Opera citata, pag. 146. ° Zur Kenntniss des Tofschweins, Berlin 1868, pag. 42-44 (Naumann). ? Die Fauna d. Pfahlb., ecc. cit. pag. 24. ® Ein. weit. Beitrige, ecc. pag. 479. 168 F. STROBEL, de’ suini non lo sono punto; poichè dei menzionati due teschi d’una medesima razza domestica, l’uno presenta i supposti ca- ratteri di selvatichezza e l’altro quelli di domesticità. Ma ritorniamo al confronto del S. palustris col porco delle Mariere. Questo ha parte dei caratteri dell’individuo di Roben- hausen, quali il profilo retto e l’occipite inclinato all’ indietro, e parte dell’altro di Wauwyl, come le orbite ampie, a periferia quasi circolare; in talun individuo del maiale delle Terremare il molare 3.° è posto davanti all’orbita, come nel teschio di Ro- benhausen, in talun altro invece esso sta sotto al margine an- teriore dell’orbita, come nel teschio di Wauwyl. Tanto nel S. palustris delle palafitte elvetiche che nel maiale in discussione i zigomi tengono una direzione quasi orizzontale *, il muso è sottile, acuminato? ed il grugno breve, basso, debole, le linee dentarie distano trà loro maggiormente nella parte po- steriore molare, che nell’ anteriore premolare del palato *, la zanna è debole e la cresta ossea sopra la medesima atrofica °. Come carattere tipico che distingue il teschio del S. palustris di Wauwyl, domestico secondo il Riitimeyer, da quello del ci- gnale, questo autore adduce le maggiori proporzioni di larghezza in tutte le parti. Il maiale delle terremare invece ha il cranio, la fronte ed il grugno più stretti che non il cignale. Al capitolo ove diedi le diagnosi delle diverse razze, ho pure 4 RuTIMEYER, Die Fauna der Pfahlb., pag. 179. 2 RiTIMEYER, N. Beitrige, ecc., pag. 156. ® Mentre che il Riitimeyer (Fauna d. Pf., pag. 43. — N. Beitriige, ece., pag. 157 e 167) e lo Studer (Ueder die Thierreste, ecc. Ziirich 1876, pag. 68) ammettono la cortezza delle ossa incisive, ossia del grugno, come carattere che distingue il S. pa- lustris dal cignale, il Nathusius (op. cit. pag. 37) sostiene che tale carattere è affatto incostante nella medesima razza e specie suina. » 4 RiirimevEr, N. Beitrige, ecc. pag. 160. Alla fine del capo, nel quale, dopo con- frontati i caratteri del teschio del cignale sardo con quelli del teschio del maiale delle Terremare, ho proceduto a delle deduzioni, feci già cenno della piccola diffe- renza che sarebbe stata osservata nella linea della serie dentaria, secondo i diversi individui di .S. palustris, e composi il disparere esistente in proposito tra il Riitimeyer ed il Nathusius (op. cit. pag. 149). Vedi tav. 2, fig. I° e XV. S RiTIMEYER, Die Fauna, ecc., cit. pag. 39. — N. Beitrége, ece., cit. pag. 167. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 169 indicato i caratteri distintivi del teschio del porco delle Mariere, nonchè quelli ch’esso ha comuni col teschio della vivente razza iberica. Confrontando cotali caratteri con quelli del teschio del __S. palustris quali appaiono dalla descrizione che ne dà il Riiti- | meyer, emerge che i teschi d’ambo i porci prestorici concor- dano: nelle piccole dimensioni, nella direzione dei zigomi, nella — lunghezza del lagrimale, nella sottigliezza del muso e del gru- i gno, nel minimo sviluppo delle carene sopra il canino. Quanto allo sviluppo della squama occipitale del S. palustris, delle ca- . rene lambdoidi e parietali e dei canali soprorbitali, ai rapporti tra i due diametri della fronte, alla forma dei nasali ed al . loro incontro coi mascellari, nessuna indicazione ho saputo tro- vare nelle opere a mia disposizione. Dei caratteri del profilo, della direzione dell’occipite, della larghezza della fronte non dobbiamo tenere conto, poichè, come vedemmo, sono variabili nel S. palustris della Svizzera, come lo è il carattere della po- sizione del 3.° molare, ciò che si verifica per altro, come sap- piamo, anche nel porco delle Terremare. Dai confronti istituiti, credo di poter dedurre che & S. palustris della Svizzera ed 4 porco delle Mariere appartengano quasi di certo ad una medesima razza, cui va conservato il nome datole dal suo scopritore, sebbene sia improprio, in quanto che accenni ad una giacitura de’ suoi avanzi, che non è la sola in cui rinven- gansi, come ci è noto. E dell'avviso che i detti suini spettino ad una medesima razza è pure il Riitimeyer, il quale non solo me lo espresse a voce, ma lo publicò benanche nella sua Me- moria N. Beitrige 2. Kenntn. d. Torfsch., ove, alla pagina 170, afferma che tra gli avanzi animali delle nostre Terremare da me inviatigli, trovansi anche quelli “ di un porco assai piccolo e . domestico, il quale non differiva dalla piccola sottorazza (Schlag) dal S. palustris di Neuveville e di altri depositi posteriori della Svizzera oceidentale, che per minore robustezza ed impronta più marcata di domesticità. , Non tutti però gli avanzi del porco delle Terremare sono di così piccole dimensioni come gli accen- nati; ve ne sono che corrispondono a quelli del S. palustris figu- rati dal Riitimeyer nell'opera Die Fauna der Pfahlbauten. lol oliodai ob ron co 3 inftitti di sh, Sa allo 9a Sus bi OI ibid in | pranzi e o MAIALE IBERICO e ep > Alon i + SIR Mii: ST i Liv AO E i Dell’affinità del nostro maiale col porco delle M ) riere h ragionato, anzi, in base a tale loro parentela, ho di essi tuito un gruppo a sè. Ora, poichè lo possiamo, ci con vie o) luppare maggiormente la tesi, facendo entrare nel confronto anche il S. palustris, del quale si è or ora "esi di ità CC maiale delle Terremare. Bars. Innanzi tutto premetto una tabella delle misure ass teschio del giovane porco iberico con a fianco quelle » i esso, e dei teschi del maiale iberico adulto e del S. palu: delle palafitte elvetiche e delle Mariere nostre. GG 00° ;,9R oga Dil lecon 10 fieri tod 9. 01 aci 171 | Ln c‘07 è GE 145 19 sotto. + * *I[equoiz 10p ezzoySunt | 6g | _ SI O SI c‘87 ttt * 0.0. ingoned 1op ezzogSunt | gg iS I 1°6g c‘6g 98 c‘9g 99 pe n e See e ogninio. [epy e2zog[V | 7 (Ca) da ‘ (4 a] Tad GF3 VA A P63 eg o]1e}idio000 emenbs efpop ewissemi ezzoySiert È 37 ° 2 » SFI DI ZI 1g si eroe e -*. 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Relative al N.° 1, lunghezza del te- schio. 4 Diametro vertioale > -.. . . a) 18,3 14 16 #t-] Diametro orizzontale. i. 15,5 1l 13,5 II. Relative al N.° 28, altezza del te- schio. dg Diamotro vertionto n. è UL 50 39 44,5 41 { Diametro orizzontale . . . . .: . . 42,4 SI 38,7 Differenza tra i due diametri, millimetri 5 8 5,0 Misure ridotte dei ZIGOMI: altezza. 5 TESCHI o MISURE GENERALI Porco iberico Lu n Porco ° CUI SI PROPORZIONA rea delle S giovane adulto Mariere = Zi N.° 43 N.° 7 media I. Lunghezza del teschio N.° 1. . . 100 100 100 42 | Altezza massima del zigoma . . . . 11,6 I 12 12 II. Altezza del teschio N.° 28. . . . 100 100 100 42 | Altezza massima del zigoma . . . . 31,8 34 33 b ni , 9 è * STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 173 Misure ridotte dei LAGRIMALI. L'altezza posteriore, N.° 43 = 1. e TESCHI |a È © Porco iberico Porco D MARGINE MISURATO re SI egalane 1 oneo delle Mariere > delle a D- iovane adulto iere E ia Markae S. palustris A N 0-43 Ni® 7 | media media 44 | Lunghezza del margine in- MRRIDnO, (sirio li. 0,94 1,20 1,44 1,37 45 | Lunghezza del margine su» Mione. .-. . . . 1,60 2,25 1,99 2,07 Differenza tra lc due lun- ghezze, millimetri . . ll 23 14 15 Dalla comparazione delle misure relative del teschio del ma- iale iberico giovane con quello dell'adulto, appare che col cre- scere dell'animale ‘ diminuiscono le seguenti misure: del profilo (di poco), della [arghezza del teschio, della squama occipitale e della fronte, i della lunghezza dei parietali, della distanza reciproca delle loro carene, dell’ampiezza dell’orbita e della larghezza del naso e del grugno (di poco). Aumentano invece le misure di lunghezza Heller fronte (di poco), d'altezza dei zigomi (di poco), di lunghezza dei lagrimali (di molto), del naso e del muso; il palato s’allarga (di poco) anteriormente, la differenza tra la larghezza posteriore e l’an- teriore essendo nel giovane di 3 millimetri e di 4 nell'adulto. L'altezza relativa del cranio mantiensi quasi stazionaria; in- vece il piane dell’occipite piega, quantunque di ben poco, all’ in- . dietro. Alcuni di questi cambiamenti avvengono anche nel teschio del da bici rstort sua Allatira in veti e den: I regione facciale sulla craniale, nonchè, specialmente, nell gamento del lagrimale. L’avvicinarsi delle carene pariet è che un fenomeno individuale. mu odi Caratteri che in proporzioni quasi uguali incontri nei teschi del S. palustris e del porco delle "Perronsi in quelli del maiale iberico, sì giovane che adulto, pnt il cranio ed i zigomi bassi ed il grugno stretto, e tali cani sono costanti nel maiale iberico. sofia Tanto nei teschi del S. palustris e del porco delle Mariere, quanto in quello del giovane maiale iberico, osserviamo le or- bite ampie, i nasali larghi ed il muso breve. > Sgr I tre caratteri che distinguono il giovane maiale iberico dal- l’adulto e dagli altri due suini prestorici, sono la squama occi- pitale larga, la, sebben leggera, convessità della fronte ed i la- grimali corti, caratteri che incontriamo invece nel teschio del porco siamese od indico e delle razze a substrato SUO. Da questi fatti seguendo la teoria della evoluzione, dovremmo — dedurre: 1.° Che la razza iberica, presentando nello stato suo giova- nile molti caratteri del S. palustris e del porco delle Mariere, deve essere a questi affine, sia che derivi direttamente da essi, sia che provenga da uno stipite coi medesimi comune e simile, e mo- dificatosi o solo per influenza degli agenti esterni e per selezione naturale, oppure per incrociamento artificiale con altra razza. I 2.° Che ammesso un tale incrociamento, questo dovrebbe i avere avuto luogo col porco indico, poichè con esso il maiale iberico giovane ha caratteri comuni. i 3.° Che questo, derivando forse da uno stipite (estinto in epoca geologica precedente) comune col S. palustris, se n'è sco- stato meno di questo suo parente europeo, poichè conserva un maggior numero di caratteri del suino giovane, ossia della forma | atavica. 34 LE ME CA) STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 175 Im appoggio della supposizione che il maiale iberico derivi dal _S. palustris, viene una scoperta fatta nella stazione lacustre elvetica di Corcelettes, dell’età del bronzo, e recentemente resa publica dal dottore Vittore Gross !. Dallo strato archeologico della medesima si trasse: “ un petit animal à quatre pattes, de bronze massif, pesant 650 grammes, dont il est difficile de dire «s’il représente un porc ou une taupe. , Questo bronzo venne dall’autore rappresentato sulla tav. V della sua Memoria colla fig. 2.*, della quale ho fatto riprodurre la testa sulla tav. 3.° lettera B. Non posso a meno di fare le meraviglie come si possa ‘essere in forse tra un maiale ed una talpa, e, sebbene straniero, costituitomi patrocinatore gratuito di quegli antichi Elvezi, di- fendo il loro spirito di osservazione e la loro abilità nell’arte, sebben bambina ancora. Una talpa con due orecchie abbastanza lunghe e con quattro gambe mediocri e rette! La coda è rudi- mentale, è vero, ma questo difetto dipese dalla difficoltà di ri- produrre, colla fusione, una parte così sottile del corpo del maiale. Riconosciuto essere incontestabile che l’artefice lacustre abbia, con quella figurina, voluto rappresentare il suo maiale, ch’ era il S. palustris, possiamo farne i confronti e col porco delle Mariere e col maiale iberico. Il muso è breve, come nel porco delle Mariere, il profilo è un poco incavato, come nel S. palustris di Wauwyl ed un poco di più che nella testa del maiale iberico. Le sue orecchie, sia per lunghezza, sia per direzione, somigliano a quelle del detto maiale. Di più, sotto-e dietro all’orecchia, l'artefice ha inten- zionalmente segnata una protuberanza conica. In proposito, il prof. Antonio Zanelli, direttore della Scuola zootecnica in Reggio dell’ Emilia, mi scrive che: “ il porco iberico di una delle Ba- » leari, il quale ha qualche parentela con alcune razze italiane, » porta (appunto) nella parte inferiore delle guance, e posterior- » mente alla mascella, due simetriche appendici, che consistono » di un fiocco di derma della lunghezza di 7 ad 8 centimetri, 1 Station de Corcelettes, époque du bronze. Neuveville, 1882, pag. 9. i P. STROBEL, » fornito di una ciocca di setole, quali compaiono benanco in al- s cune razze lombarde, sebbene solo casualmente. ,, Verruche simili, ma in numero maggiore, porta pure il maiale di Giava, detto perciò S. verrucosus, nonchè quello di Celebes, S. cele- bensis. Non ritengo che le verruche sieno un carattere distintivo | d'importanza ', ma che, concomitante con altri, non può a meno i di dare peso alla deduzione, che il maiale iberico provenga dalla razza cui spettano ed il Sus palustris ed il maiale delle Ter- remare. D’avviso contrario a questo sarebbe il Naumann, Mem. cit. pag. 22, dato che per porco romanico egli intenda il nostro iberico. Il fatto che la scoperta d’oggetti d’arte prestorici o proto- storici viene in aiuto della paleozoologia non è nuovo, e ne ho già tratto profitto nello studio sulle razze del cane delle Terre- mare °, nonchè nella classificazione de’ buoi della necropoli della Certosa di Bologna *. Quelle scoperte ci recano il vantaggio di poter confrontare non solo gli scheletri, ma benanco le forme ‘ esterne delle razze prestoriche e protostoriche colle viventi, e stabilirne le parentele e la derivazione di queste da quelle. CONFRONTO TRA IL MAIALE IBERICO ED IL CELTICO. Per la confusione che regna nella terminologia zootecnica si è costretti d’indicare il significato ed il valore che si danno ai nomi con cui si designano le razze. Per razza iberica intendo adunque la nostra indigena, del teschio della quale ho descritti i caratteri distintivi principali. ! Il Natbusius, op. cit. pag. 163, è di opposto parere. Egli afferma inoltre che co- tali verruche non s'incontrano in nessun maiale (celtico), e perciò egli esclude l’idea che i suddetti due porci asiatici abbiano contribuito nella produzione del medesimo. 2 Le razze del cane nelle Terremare. Nel Bullett. di Paletnol. ital. Anno VI, 1880. ® Lettera al Zannoni, inserita nell’opera di questo: Gli scavi della Certosa di Bo- jogna. Bologna, 1881, pag. 214 e precedenti. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 177 tavola V, di supplimento; del Low * ce la figura meglio delle re a me note, sebbene veramente rappresenti la sottorazza i varietà così detta rapoletana. La figura che Bénion® dà di uesta medesima. sottorazza corrisponde a quella del Low. È lessa nerastra, come, al dire del Sanson, nella Grecia e nella pagna a meridionale. Nella testa del ipo di questa razza, quale fn 957 dell’opera citata, le orecchie hanno forma, dimen- Am e direzione diverse da quelle del maiale nostrano, sono cioè, trette ed allungate e dirette aPha agata in avanti dal basso n alto. Nel testo però le descrive “ quasi orizzontali ,, preci- samente come le figurano gli altri due autori citati. Il Sanson, op. cit. pag. 958, diede a questa razza il nome: d’iberica, perchè questo qualificativo, che fu già dato alla razza bovina dello stesso centro ispanico e popolante pure le sponde del Mediterraneo, a parer suo, è più comprensivo d’ogni altro, essendo in rapporto coll’estensione della sua area geografica ‘naturale, in tempi prestorici abitata dagli Iberi. Ed io l’ho pre- Bib:ito quel nome appunto perchè ritengo che il maiale cui lo si applica, sia il discendente del porco domestico degli antichi Iberi, quello stesso dei posteriori Terramaricoli, S. palustris ibericus. Asserisce il Sanson che in Germania la varietà napoletana, che insieme colla siciliana sarebbe la più perfetta, sebbene gran parte dell’anno vaghi libera per le campagne, viene chiamata romanica, “ perchè in realtà essa abita le Romagne come il » Napoletano. , — Ma non sembra essere questo il fatto per cui le venne quel nome. Fu il Nathusius, opera citata, pag. 142, che lo propose per indicare con esso la razza ch’ egli dice sparsa in tutti i paesi europei del Mediterraneo, tra i quali enumera tassativamente il Napoletano, l’ Alta Italia, la Spagna ed il Por- togallo; e vedremo tosto per quale motivo le impose quella de- nominazione. Dice che la varietà da lui osservata nell'Italia su- 1 Low Davin, Histoire maturelle-agricole des animaua do mestiques de V Europe. Paris, 1844, pag. 32. 2 BénIioN AD., Traité de Vélevage ct des maladies du pore. Paris, 1872, pag. 19. Vol. XXV. 32 178 P. STROBEL, periore ha orecchie più lunghe della forma ideatasi per tipo d questa razza, ch’ egli ritenne già siccome affatto speciale. E come vedemmo or ora, tale differenza nelle orecchie notasi an- che tra il nostro maiale, ossia dell’Italia superiore o padana, ed. il tipo dell’iberico figurato dal Sanson. Se la scrofa rappresentata dalla statuetta romana di bronzo, scoperta a Portici e figurata. dal Nathusius alla citata pagina 142 della sua opera (fig. 35), è, come egli stesso afferma, il tipo della sua razza perciò da lui | detta romanica o romana, debbo dichiarare che non corrisponde | punto nelle foòme al porco iberico nostrano. Fatt’ astrazione | dalle dimensioni, dalla forma e dalla direzione delle orecchie, che sono relativamente corte, strette e dirette verticalmente dal basso in alto, vi osserviamo che il profilo della sua testa è in- cavatissimo alla radice del naso, mentre che nel nostro maiale è quasi retto, come sappiamo. Il tronco è proporzionatamente meno lungo che in questo. Il Nathusius, op. cit., pag. 75, parla di maiali a teschio sì- | mile a quello del cignale (celtico) viventi nell’ Alta Italia. Non mi trovo in grado di giudicare s’ egli, ciò asserendo, s’'apponga al vero, ma è certo, come vedremo, che il teschio del maiale nostrano differisce per molti caratteri da quello del maiale ci- gnaliforme del Nathusius, che chiamai già celtico, seguendo in ciò la terminologia del Sanson. — Il porco romanico del Nathu- sius viene ora, secondo lui, opera cit., pag. 143, artificialmente prodotto incrociando il maiale or ora nominato coll’indico puro sangue, oppure colle forme inglesi prodotte per replicati inero- ciamenti di sottorazze o varietà (Schlaege) inglesi coll’indico: il maiale metà sangue (Halbbutschwein) degli allevatori inglesi sa- rebbe identico del romanico, e tale incrociamento sarebbe quindi già avvenuto ai tempi romani. Il porco romanico proviene adun- que secondo Nathusius da due stipiti, l'uno simile al Sus scrofa. ferus Lin., Sus europaeus Pallas, e l’altro simile al Sus indicus Pallas. E secondo lo stesso autore tutti i maiali sinora conosciuti ed esaminati appartengono ad una delle dette due razze, o costitui- yvis ea a Paine tre razze di maiali: l’asiatica, Sus asia- is, ch’. è il Sus indicus predetto, o porco siamese, o chinese Sanson), la celtica, Sus celticus o maiale derivato dal cignale, Sus scrofa, e l’iberica, Sus sbericus, che dovrebbe corrispondere | a romanica del Nathusius, ma che sembra non corrisponderle realmente. Ed io seguo il Sanson nella divisione delle razze suine ed accetto la sua diagnosi dei caratteri della razza iberica. F — Mentre che il Riitimeyer nel 1861 supponeva che, secondo gni probabilità, la razza romanica non avesse alcun rapporto | lb: Sus palustris, col porco indico e col maiale da lui denomi- Mito Graubiindtner o Bindner Schwein, ossia porco della Lega grigia o dei Grigioni, secondo lui discendente dal Sus palustris, ‘il Nathusius, nel 1864”, riconobbe nel maiale dei Grigioni il porco romanico tipico, solo più setoloso della forma meridio- nale ©. Nel 1865 * il Riitimeyer mutò parere, accettando questo del Nathusius. Egli così descrisse, nel 1861, la razza del Canton Grigione: statura assai piccola, dorso tondeggiante non carenato, gambe corte, orecchie corte e ritte, grugno corto e gros- so, colore nero uniforme, o più di frequente rosso bruno oscuro, setole lunghe distanti. Dato che questa descrizione, la quale cor- risponde alla citata statuetta di Portici, sia conforme al vero, ciò che non puossi dubitare, e dato quindi che la razza dei Grigioni sia identica della romanica del Nathusius tipica, è | chiaro che questa non possa essere la nostra iberica. Peccato | che nè il Nathusius, nè il Ritimeyer non abbiano dato misure ‘ del teschio della razza romanica, per potere mediante il con- fronto di questa parte importantissima del corpo decidere defi- i nitivamente la questione, la quale così non può risolversi senza _ 1 Die Fauna d. Pfahlb., pag. 189. 2 Op. cit., pag. 143. ® Secondo Funk, in Scawerz, Praktischer Ackerbau, Berlin, 1882, pag. 718, la razza grigione sarebbe una razza incrociata colla romanica. 4 N. Beitrige 2. Kenntn., ecc., pag. 147. ° Die Fauna d. Pfahlb., pag. 181. di L DI ‘ sius sarebbe affine alle razze romanica e grigione è l’ ungherese, ‘allude l’ultimo suo nome, per le setole morbide e ricciute, so- 180 È P. STROBEL, lasciare qualche dubbio, poichè la decisione interinale si bas solo sulla affermazione del Nathusius, accettata dal Riitimeye: che il maiale grigione di questo autore equivalga al tipo del m iale romanico del Nathusius, che cioè que’ due nomi siano sino- nimi, e sul confronto, che faremo tosto, del teschio del nostro maiale iberico con quelli di maiale grigione. ori A Un’ altra razza, la quale secondo il Riitimeyer ed il Nathbu- detta anche sirmica, turca o ricciuta (krauses Schovcin), Sus scrofa crispa Fitzinger, del S. E. dell'Europa *. Si distingue, come già stituite in certe varietà da peli lanuginosi sotto a delle setole rigide. I suoi lagrimali al dire del Nathusius sono assai corti, il palato s’ allarga molto tra i premolari, e ia cresta ossea sopra la zanna è debole, sebbene questa sia valida. Secondo il medesimo, op. cit. pag. 152, essa razza non avrebbe rapporto alcuno col cignale, ma è in tutti i caratteri essenziali simile al porco in- dico. Viceversa, secondo studî posteriori (1874) del Rhode ? il maiale ungherese sarebbe più affine al cignale che non al porco indico. Passate in rassegna le tre razze che dal Nathusius e dal Rii- timeyer voglionsi più o meno affini al maiale indico, occupia- moci del maiale celtico, Sus scrofa domesticus Lin., Sus celticus Sanson, maiale cignaliforme (wildschweinihnliches Haussehwein) del Nathusius, che suolsi suddividere in grossohriges Hausschwein o maiale a lunghe orecchie, Sus scrofa macrotis Fitz., ed in kurzohriges Hausschwein o maiale ad orecchie corte, Sus scrofa brachiotis, suddivisione però, che secondo Nathusius, op. cit., pag. 76, non sarebbe osteologicamente giustificata. — E qui mi 1 Affino a questa razza sarebbe, secondo Riitimeyer, Thieriberreste unus tschudi- schen Opferstitten, 1875, pag. 143, quella di cui rinvengonsi gli avanzi ne’ luoghi di sagrificio dei Ciudi preistorici negli Urali. 2 RuopE S., Die Schweinezucht nach ihrem rvationellen Standpunkt. Berlin, 1874, pag. 23 (Naumann). STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 181 conviene confessare subito il mio peccato d’avere, seguendo il rier e la maggior parte dei zoologi, ed ingannato dal senso sinonimo Sus europaeus Pallas, ritenuto essere il nostro aiale comune il Sus scrofa domesticus, il gewihnliche o gemeine Tausschwein, ossia il maiale. comune degli autori tedeschi, e l averlo con tal nome indicato negli scritti precedenti. — A quanto pare, il Ritimeyer*! non riguarda quale discendente del Sus scrofa fuorchè la varietà sua macrotis dell’ Europa media. Quanto alla varietà brackhiotis, ossia ad orecchie corte, non gli sembra improbabile che possa riferirsi allo stesso stipite del porco dei Grigioni ?, dall'autore dichiarato affine all’indico. In- vece il Nathusius scelse più specialmente questa varietà per lo studio della razza stessa, ed è del teschio del maiale cignaliforme ad orecchie corte d’Iwanowsk che dà le figure. a e ia — Come appare a sufficienza dall’esposto sin qui, non piccola è . la confusione che regna nell’apprezzamento dei caratteri e delle affinità, e nelle opinioni intorno agli stipiti dei maiali viventi in Europa. Tale confusione è favorita dalla circostanza che, da quanto pare, i caratteri esteriori dei suini non corrispondono sempre alla struttura del teschio, sì che maiali a teschio uguale o quasi uguale ponno presentare differenze riguardo alla lunghezza delle orecchie, alle setole, al colore, alla lunghezza degli arti, alla cur- vatura delle coste, ecc.; e viceversa maiali con caratteri esterni simili ponno avere teschi diversamente costrutti. Ma siccome il teschio è la parte più caratteristica nei mammiferi, così attenia- moci di preferenza ad esso, e poniamo ora a confronto le misure di teschi di quattro dei nominati cinque maiali, e vediamo a quale conclusione quel paragone ci condurrà. 1 Die Fauna d. Pfahib., pag. 175. ? Op. precitata, pag. 189. 182 i P., STROBEL, Tavola delle misure ridotte. o 7 TESCHI DEI MAIALI © È o PARTI MISURATE = iberico grigione | ungherese g a iluas a N07 media — media — _ media | di 6 teschi di 8 teschi di 6 teschi 1 | Lunghezza del teschio . . 100 100 100 100 2 » orizzontale del profilo . 85 88 91 95,5 + » obliqua del medesimo . 95 99,5 101 105 6 » del naso . . 54 54,5 56 59 7 » della parte anteriore della fronte. . 24 22,5 21,5 25,5 8 » della parte poster. della fronte coi parietali . 19 22,5 23,5 24,5 11 » del palato . . . 70 70 69,5 69 12 » della parte molare del medesimo . . 51 50 50 49,5 13 >» dellaparteincisiva (gru- gno) . 19 20 19,9 19,5 14 { Massima larghezza del cra- nio. . 46 48,5 51,5 46 15 » larghezza detla Boato: 31 33,5 35,5 33 17 } Distanza minima delle ca- : rene parietali tra loro 10 12 10 9 19 {| Larghezza del grugno . . 13 14,5 14,5 13,5 47 » del muso ai canini . . 22 25 & 21 20 » del naso alla radice . 11 11 11 11,5 22 » della squama occipitale 22 22,5 22,5 23,5 28 | Altezza del cranio . . . 36 3 37,5 35 42 » dei zigomatici. . . . 12 19,5 _ 13,6 Con carattere più marcato si segnano le misure estreme. Queste misure, meno quelle del teschio del maiale iberico, sono prese dall’atlante del Nathusius, pagine 18 e 19, colonne. IX-XI, XX-XXV, dalla tabella del Riitimeyer alla pagina 163 della sua Memoria sul porco palustre ', nonchè dall’altra tabella di misure assolute alla pagina 183 dell’opera sua sulla fauna delle palafitte ?, misure che ho potuto ridurre. A Neue Beitriige zur Kenntn. d. Torfschiweins. 2 Die Fauna der Pfahlbauten. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 183 . Le medie delle misure del teschio del maiale de’ Grigioni sono a risultante: 1.° delle medie di due teschi, stabilite dal Riiti- neyer nella citata Memoria; 2.° delle medie delle misure ridotte di due teschi, cavate dalle assolute dello stesso autore, publicate nella citata opera sua, e 3.° delle medie delle misure ridotte di due teschi, N. XX e XXI del Nathusius; ossia, sono le medie di 6 teschi in tutto. Le medie del teschio del porco ungherese risultano dalle mi- sure di 8 teschi, prese, 4 ‘dal citato atlante del Nathusius, Ni XXII-XXV, e 4 dalla citata memoria del Riitimeyer; questi vi diede già la media, dalle misure ridotte del Nathusius la cavai io stesso; e stabilii la media finale, togliendola dalle dette due medie di prim’ ordine. Le medie poi di second’ ordine o finali del teschio del matale celtico (gemeines Hausschwein) sono prese dalle misure ridotte speciali di 3 teschi, N.' IX-XI, dell’atlante del Nathusius, dalle quali trassi la media, dalla media già calcolata dal Riitimeyer sulle misure di due teschi, nella citata sua Memoria, e dalle mi- sure assolute d’un teschio, date dallo stesso autore nella nomi- nata sua opera, e da me ridotte. Misure ridotte dei LAGRIMALI. L’altezza posteriore, N. 43 = 1. ° “= TESCHI DEI MAIALI RA 2ETT_ titti — aan || 2 | MARGINE MISURATO | 2a iberico grigione | ungherese celtico E N.° 7 e 20 | . 7 media | media — media È di 4 teschi di 6 teschi di 2 teschi dd Lunghezza del margine | feno UL. 0...: 1,19 1,10 1,04 1,71 45 Lunghezza del margine | Mero . . .. . . 2,24 2,03 1,66 2,88 Con carattere più marcato si segnano le misure estreme. 184 P. STROBEL, Presi le medie delle lunghezze del lagrimale del porco sii | e del celtico dalla menzionata Memoria del Riitimeyer, pag. 158, e quelle del maiale ungherese sono le medie tra le medie del, Riitimeyer, 1. c., e quelle del Naumann *. Mi sono valso del pari | delle misure prese sulle figure dei teschi dei maiali celtico ‘ed ungherese, che fanno parte dell’atlante del Nathusius. Dal confronto tra le quattro colonne delle due tabelle risulta esservi il massimo divario tra i maiali celtico ed iberico, il primo. : dei quali presenta 14 estremi sopra 19 misure, ed il secondo 10. Il porco de’ Grigioni non sì distingue che per 6 estremi sopra 19 misure, e l’ungherese per soli 4 sopra 17. Î I teschi del maiale celtico di fronte a quello dell’ iberico, del. quale conosciamo già i caratteri, distinguonsi per le seguenti proprietà particolari: ; Maggiore lunghezza del profilo, dei parietali, dei frontali, deill lagrimali e del naso, minore lunghezza del palato e della parte sua molare, mentre che la parte incisiva, ossia il grugno, è un poco più lunga; maggiore larghezza della squama occipitale, della fronte, del naso e del grugno, e minore larghezza dello spazio tra le carene parietali e del muso tra i canini; non con- cordano i teschi delle due razze che nella massima larghezza relativa del cranio. Van distinti dagli altri i teschi del porco domestico grigione per la massima altezza dei zigomi, per la massima distanza tra. loro delle carene parietali, per la massima lunghezza della parte incisiva del palato, ossia del grugno, per la massima larghezza del muso tra i canini. | I teschi del maiale in questione e quello dell’iberico presen- | tano la medesima altezza relativa del cranio ed il palato egual. | mente lungo. î Caratterizzano i teschi del maiale ungherese le seguenti par- | ticolarità: È. 1 Die Fauna der Pfahlbauten, ece., pag. 19. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 185 Di di. lajrairoali. . Coi teschi del maiale celtico non ichasiini i teschi dell’ ungherese in comune che la lunghezza del grugno, e col teschio dell’ibe- | rico non condividono che il carattere insignificante della minima distanza delle carene parietali. Massima è la larghezza del grugno nei maiali grigione ed un- Milinice, ed uguale la larghezza della squama occipitale, inter- media tra quella dei teschi delle altre due razze. «Nella larghezza dei nasali, i maiali iberico, grigione ed un- gherese concordano. «Tanto i teschi del maiale grigione, quanto quelli dell’ unghe- | rese, come appare già dal predetto, s’ accostano per un maggior numero di misure relative al teschio del porco iberico, che non a quelli del celtico, gli si avvicinano però di più i teschi del . maiale de’ Grigioni (per 10 misure sopra 19 vicino all’iberico, e per 7 al celtico) che non quelli dell’ungherese (per 7 su 17 vicino all’iberico, e per 6 al celtico). Questi sono i risultati dei confronti delle misure. Ma non tutti i caratteri, fra i quali alcuni importanti, ponno, come sap- piamo, esprimersi con cifre. Per riconoscerli occorrono originali, 0, quanto meno, descrizioni e figure. Del teschio del porco gri- gione non m’ è nota che la descrizione che ne dà il Riitimeyer ! del teschio del porco ungherese non conosco che figure, quelle dell’atlante del Nathusius; questi diede e descrizione comparata e figure del teschio del porco celtico, e precisamente della sua varietà brackhiotis d’ Iwanowsk. Secondo Riitimeyer, il teschio del maiale de’ Grigioni forma una piramide bassa e ripida, la linea del profilo è concava, no- tevole n’ è la larghezza ai zigomi, il piano occipitale è verticale od inclinato in avanti, e le fosse temporali verticali, i zigomi i Die Fauna d. Pfahlb., pag. 182. 186 P. STROBEL, sono alti, corti, ripidi e molto arcati (orizzontalmente!), le or- bite piccole, la fronte forma un rombo oblungo ed è piana come | i nasali, corta, grossa ed angolosa è la parte facciale, largo il palato, nè a margini paralelli, mascellari ed intermascellari. sono alti e corti, la protuberanza sopra il canino appena in- dicata. Di questi caratteri ben pochi riscontransi nel teschio del maiale iberico, quali la direzione del piano occipitale e delle fosse temporali, la forma della fronte, la poca ampiezza delle orbite, l’atrofia della carena sopra la zanna; tutti gli altri sono il contrapposto de’ suoi caratteri. A consimile conclusione vengo condotto dal confronto delle figure del teschio del maiale ungherese del Nathusius coi nostri teschi iberici. Va però in proposito rimarcato che il teschio del maiale in questione, mentre, come quello dell’iberico, non ha i nasali piatti, differisce invece e da questo e dal teschio del grigione per la forma della fronte. E dal confronto di quelle figure e delle misure medie del .te- schio del porco ungarico colle medie misure e colla descrizione del teschio del porco de’ Grigioni emerge, come già sostennero ed il Nathusius ed il Riitimeyer, che queste due razze sono af- fini, concordando e nel profilo, e nell’altezza e larghezza del teschio, e nella conseguente forte curva orizzontale dei zigomi, nella larghezza della squama occipitale, nello sviluppo e nella forma della regione facciale e nella conseguente altezza e bre- vità dei mascellari ed intermascellari, infine nella larghezza del palato. Mentre pel confronto delle sole misure siamo stati indotti a riconoscere grandi differenze tra il teschio del maiale iberico e quelli del celtico, al confronto invece delle figure del teschio di questo, porte dal Nathusius, coi teschi di quello, non possiamo a meno di riconoscere maggiore affinità tra essi nella fisomomza, che non tra i teschi del maiale iberico e quello dell’ ungherese, pure figurato dal Nathusius. Le differenze principali che vi ri- scontriamo nel teschio del celtico a paragone coll’iberico sono: STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 187 Profilo incavato, piano tra le carene parietali di forma affatto . diversa da quella del detto piano nel teschiò del maiale iberico, lagrimali più lunghi, nasali più corti*, mascellari ed interma- . scellari meno lunghi e più alti, palato che s’allarga meno verso i canini. . La figura del teschio del porco domestico più antica, quella del Daubenton”, offre delle somiglianze col teschio del maiale iberico, però il profilo n° è più incavato, i zigomi sono più alti e le orbite meno ampie ancora che in questo. Nel teschio di porco figurato dal Cuvier*, ravvisiamo tosto il meticcio inglese, e per la sua larghezza relativa, e per la forma della fronte, e pei lagrimali subquadrati, e pei zigomi alti, e pei nasali piatti ed incastrati tra i mascellari. Di queste figure del Daubenton e del Cuvier non possiamo pertanto tenere conto nel nostro studio comparativo di razze suine. Dai confronti istituiti, e, per quanto sta in me, esauriti, tra le quattro razze suine: iberica, grigione, ungarica e celtica, parmi di poter conchiudere, che le medesime spettano a tre diversi gruppi, cioè: 1.° Gruppo (tipo) celtico, Sus scrofa L., S. celticus Sanson, 2.° Gruppo (tipo) iberico, Sus ibericus Sanson, 3.° Gruppo, meticcio a substrato indico o siamese, cui vanno aggregati i meticci inglesi, suddiviso in a) celtico ?-indico o razza ungherese, D) iberico ?-indico o razza dei Grigioni. 41 La media lunghezza di queste ossa, presa dalle misure di 6 teschi, sarebbe in- vece maggiore che nel teschio del maiale iberico, come abbiamo veduto. ? Description du cochon, du cochon de Siam et du sanglier. Paris, 1755, pl. XXIV, fig. 3, page 161. «Sommet beaucoup plus élevé que dans les autres (cochons), de fagon que le front semble rentrer en dedans. Cette différence est moins apparente dans le verrat. » ° Recherches sur les ossements fossiles. Paris, 1836, Atlas, pl. 61, fig. 1 et 2, page 29. 188 P. STROBEL, TABELLA DELLE MIS 1) Massima altezza del zigomatico . . . . 0.0. + +e ee i Con carattere più ma % Le misure medie del cignale di Germania sono il risultato delle medie di re otto teschi, dei quali il Nathusius, nell’op. cit. Atlante, pag. 18 e 19, porge l individuali del Nathusius e medie del Riitimeyer, date nelle loro publicazioni ora moria E. w. Beitr. i. d. zalime Schw. alla pag. 494. Ebbi già ad indicare, come | » ° i E a o è - PARTI MISURATE = D E] D Zi 2 Asse orizzontale tra la punta degli intermascellari e la metà della eresta o tale . . a . . . . . . . . . . . . La . . . . . . . . . . » | 4 Asse dalla metà di questa cresta alla punta del naso... +... 0. + 6 Lubgheùza dei nasalit) Li ia el 7 Asse longitudinale dalla radice del naso alla linea della fronte che ne unisce Wi fisi soprorbitali. . . . . . . . . . . . . . ® . . . . . . . di $ Asse longitudinale dal punto mediano di questa linea al margine della cresta pitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . "I 12 Asse longitudinale della parte molare del palato . . . 0. +0. +++.) 13 Asse longitudinale della parte sua incisiva (grugno). . . . . +...» sa Asse trasverso tra gli archi zigomatici, massima larghezza del teschio . . d 15 Asse trasverso tra i processi soprorbitali, massima larghezza della fronte . 19 Asse trasverso tra le suturo dell’intermascellare al margine alveolare, larghezz grugno. . . . . . . . . . . ti . . . . . . . . . . . . . bal i 28 Asse verticale od altezza del cranio . 42 | il porco delle Mariere o S. palustris ibericus. (Ì » sr » Pa | Germania ) | RISE Ì sa ms media vi uf 104,7 mE 111,5 N _| 60,5 1 35 13,52 N MAIALE Celtico media 95,5 105 "le misure estreme. METE = -—1_gpprer Iberico media \di 12 teschi] di 6 teschi | di 2 teschi | Sus palustris media di 3 teschi Sus indicus media di 5 teschi STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC, Sus vittatus media di 6 teschi 105,3 112 56,8 189 Sus VErrucosus media di 6 teschi 107,8 114,4 57,7 | Riitimeyer nella Memoria N. Beitr. 2. Kennt. d. Torf., pag. 163, e di quelle di individuali. — Le medie dei Sus indicus e verrucosus sono calcolate sulle misure i del Sus vittatus risultano dalle sei individuali publicate dal Riitimeyer nella Me- medie relative ai maiali celtico ed iberico ed al Sus palustris, compreso in esse nre ES SS a Lee Room =. da cri dee 6 | 29 | ‘po ppen ezuosogig |] — 88% 181 «+++.» coronsad | «ns ouidIgtI [op ezzoyTunT RI 13'I ssa ee 3 100) -UI 0uISIBII [Op ezzoySunT | Fp 00° 00°r di + gut è soi -iqio ouidigwi [e ezzo]ly | ep 4 oInstu | einsiv oInsiva oINSITI oIMSIUI VINSITI OINSIUI Z pe B € TSI vo z 6I I ci 3 i : fa: s1usnpod | 900 091)[90 ciuemso” | cueiÎg | vudopieg ALVUOASIN ILIVA È ; sug 2. 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Confrontati i teschi del maiale delle Terremare tra loro, non- chè con quelli del parente Sus palustris, come pure coi teschi del cignale di Sardegna e dei maiali iberico, celtico e meticci a sub- strato indico, si sono stabilite le basi per procedere ad un con- fronto sintetico tra la nominata razza preistorica e le recenti, e tra queste medesime. Onde procedere a tale confronto premisi due specchi di mi- sure ridotte, quasi tutte medie (Vedi pag. 188 a 190). Nel 2.° specchio le misure medie del Sus irdicus sono cavate dalla fig. 6 della tav. II e dalle misure assolute dateci dal Nathu- sius, op. cit. pag. 83 ed 84, e da me ridotte, e dalle già ridotte che fanno parte dello specchio relativo publicato dal Riitimeyer nella sua Memoria N. Beitr. 2. Kenntn. d. Torfsch., pag. 158. Quelle del cignale di Germania sono esse pure cavate, per 8 la- grimali, dalle assolute del Nathusius, op. cit., pag. 32, e per 11, dallo specchio or indicato del Riitimeyer. Le misure ridotte del ci- gnale di Francia vennero prese da uno schizzo al naturale dell’ osso in questione del teschio esistente nel Museo civico di storia na- turale in Milano, di cui ebbi già a parlare; sì come uno schizzo del lagrimale del teschio di cignale di Sardegna dello stesso Mu- Led 192. a P. STROBEL, i Ya LIB seo mi servì per stabilire le medie relative. Le misure 1 del Sus verrucosus sono prese sulla figura 4 della tav. 32 d | l’opera dei Miiller e Schlegel, Qver de wilde Zwijnen, ecc. Del modo con cui ho stabilite le medie dei maiali celtico ed. iberico. e del Sus palustris ebbi già a rendere conto. nudi des Dalla comparazione delle misure dei cignati appare come a teschio del cignale sardo differisca dal germanico per minore. lunghezza del profilo e della parte anteriore della fronte, per. maggiore larghezza del cranio, della fronte e del grugno, per maggiore altezza del cranio, e soprattutto, come ci è già noto, per minore lunghezza dei lagrimali; differenze tutte, meno l’ultima, per le quali, secondo il Nathusius ed il Riitimeyer, il maiale va distinto dal suo stipite selvatico, tali differenze essendo da essi ritenute quale effetto della domesticazione. Paragonando il te- schio del cignale sardo, N.° 6, con quelli del maiale delle Ter- remare, lo già addotti i motivi pei quali credo di dovere esclu- dere l'influenza d’un incrociamento di cignale sardo con maiale nella produzione di quella forma di teschio; mi limiterò soltanto a ripetere l’osservazione che nella Sardegna, ai tempi nostri, il cignale non avrebbe potuto incrociarsi fuorchè col maiale nostro od iberico, ma che questo ha il profilo del teschio quasi diritto, la parte anteriore della fronte più lunga, il teschio, la fronte ed il grugno meno larghi, il cranio meno alto, ossiano caratteri op- posti a quelli del cignale sardo in discussione, e che l’ avvicine- rebbero anzi al cignale germanico. Quanto al lagrimale, vediamo come il cignale di Francia forma il ponte dall'una all’altra delle dette forme di cignale. Il margine superiore del suo lagrimale tiene precisamente il medio, e la differenza tra la lunghezza di questo margine e quella dell’inferiore s’avvicina alla media, sì che la figura dell'osso meno si scosta dalla rettangolare o dalla parallelogrammica, che non il lagrimale del cignale di Germania. Dissi che il cignale di Francia, o gallico, forma il ponte tra il celtico ed il sardo, anche perchè, stando al Blainville (Ostéo- logie), pure in Francia esistono dei cignali a profilo concavo ‘ 4 NATHUSIUS Opera citata, pag. 160. > rea n Coe STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 193 _ Se poniamo a confronto il teschio del Sus palustris e del pa- rente suo il porco delle Mariere cogli altri, ci accorgiamo subito ch'è da quello del Sus indicus che maggiormente si scosta', e specialmente per le misure di larghezza e di altezza, assai mag- giori in questo che non nel S. palustris, mentre che in queste «misure esso S. palustris più si avvicina al Sus ibericus ed al S. vittatus. Ben pochi punti di contatto presenta col S. verru- cosus, un poco più col cignale di Germania, assai più col cignale «di Sardegna e col maiale celtico. La grande differenza tra il teschio del S. palustris e quello del S. indicus appare inol- tre dal confronto delle figure dei teschi del porco delle Ma- riere, S. palustris ibericus, tavole 1.° e 2.*, figure I a V, con quelle del S. indicus nell’ Atlante del Nathusius, tav. II, fig. 6, e tav. IV, fig. 16. Minore differenza corre tra le prime figure e quella che il Daubenton, nell’opera citata, tav. XXIV, fig. 2, dà del teschio del porco di Siam. Ma in proposito il Nathusius avverte che l'originale del teschio ritrattato è d’individuo gio- vane, e che non appartiene alla forma puro sangue?, è già una forma d’incrociamento, un meticcio. Siccome il Riitimeyer ed altri autori trovano della parentela tra il Sus palustris ed il S. indicus, e riconoscono nel S. vit- tatus Temm. lo stipite selvatico di quest’ ultimo °, così conviene che mi fermi a stabilire più estesi confronti tra il teschio del S. palustris e quello del S. vittatus, prendendo per base ai me- desimi le misure dello specchio, le indicazioni circa ai caratteri del teschio del S. vittatus fornite dal Ritimeyer*, e le figure i Il Ritimeyer (Die Fauna der Pfahlb. pag. 184), mentre sostiene l’ affinità del S. palustris col S. indicus, afferma che quello differisce in massimo grado dalla razza Berkshire; eppure è storicamente provato che questa proviene in parte dal S. indicus. 2 Il Riitimeyer (Die Fauna der Pfahlb. pag. 175, nota 1) asserisce che è incro- ciata con razza europea. ® Dato che il porco dell'isola di Arw nel mare australe vi esista allo stato selva- tico, come si asserisce, il Nathusius, op. cit., pag. 169, lo riterrebbe quale stipite del S. indicus, poichè ne possiede tutte le particolarità caratteristiche, meno quella del profilo, che nel porco d’Aru è diritto. 4 E. w. Beîtr. îi. d. zahme Schu. pag. 473 e 474. Vol. XXV. 13 Da tale esame risulterebbero i fatti. peer stà Il teschio del S. vitfatus è alquanto più alta que S. palustris, e corrispondentemente il piano dell’ occi piteiida inclinato all'indietro, ed il profilo, sebbene retto pre pi però più rapidamente verso l’ occipite, sì come le fosse ter mp rali e le apofisi zigomatiche sono più ripide ed i zigomi pi corti e più alti. a di; fg deA La fronte, quantunque appena convessa, lo è nai 5 di più che la fronte del S. palustris, le orbite sono meno ampie, sebbene. a contorno quasi circolare, come nel teschio del S. palustris, i canali soprorbitali sono tra loro più distanti che non in questo. La parte facciale, o muso (mascellari ed intermascellari), è più corta, di conformità col profilo del teschio s’ alza più rapidamente verso l’indietro, ed è relativamente più larga che nel teschio del S. palustris. I nasali sono assai piatti. La cresta sopra il canino è alquanto più sviluppata che nel detto porco prestorico, ed il canale, tra esso ed il mascellare, è più lungo e più largo. Quanto alla lunghezza del profilo e dell’intermascellare (gru- gno) le misure dello specchio non corrispondono alle*misure che si ponno prendere sulle figure dei Miiller e Schlegel: mentre che secondo quelle misure e profilo e grugno sarebbero più lun- ghi nel S. vittatus che non nel S. palustris, lo sarebbero invece meno secondo le figure dei citati autori. Non posso istituire confronti tra i lagrimali di questi due suini, perchè il Riitimeyer non dà le misure di quelli del S. wvit- tatus, ed i Miiller e Schlegel non segnano sulle loro figure del teschio di questo porco che i margini anteriore e posteriore. Però nel loro S. timoriensis, che ritiensi non essere fuorchè un S. vittatus giovane, essi indicano dei lagrimali simili a quelli del S. palustris. Il Riitimeyer asserisce che il lagrimale del S. vit- tatus è fornito di lunga punta anteriore. I Miiller e Schlegel RA Pe er — 1 Over de wilde Zwijnen, ecc., tav. 32, fig. 5 e 6. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 195 ‘non ne indicano punto nelle figure del S. vittatus, ed in quelle — del S. timoriensis, Tav. 31, fig. 2 e 3, non se ne scorge che una traccia. Ho già rimarcato sin da principio come un tale carat- tere nei suini sia affatto individuale. ‘|. Dal precedente confronto appare come il teschio del S. vit- _ tatus differisca da quello del S. palustris «_——‘1° per caratteri i quali, secondo il Nathusius ed il Riiti- | meyer, contraddistinguono il suino domestico dal selvatico, quali la maggiore altezza del cranio, la minore inclinazione all’indie- tro del piano occipitale, ecc. 2.° per particolarità che caratterizzano il S. indicus, come la fronte convessa ed i nasali piatti. Siccome il domestico S. palustris offre caratteri che si sup- pongono segni di selvatichezza, mentre che il selvaggio S. vit- tatus, come or ora vedemmo, presenta caratteri a quelli oppo- sti, ossia di domesticità; siccome inoltre il S. palustris ed il S. indicus, sebbene ambi domestici, per tale sorta di caratteri trovansi, direbbesi, agli antipodi, così, lo ripeto, non posso ac- cettare come distintivo del suino domestico a fronte dello sti- pite suo selvatico la maggiore altezza e larghezza del teschio cogli altri caratteri a quelli secondarî. In apposito capitolo ci siamo occupati delle differenze tra il teschio del porco delle Mariere e quello del cignale sardo. Ri- mando ai lavori del Riitimeyer, e specialmente alla sua opera Die Fauna der Pfahlbauten, ecc., chi volesse conoscere partico- . larmente i caratteri pei quali il S. palustris si distingue dal cignale celtico, tre volte maggiore di lui. Già il Daubenton, Mem. citata, ebbe ad osservare come il teschio del porco di Siam differisca da quello del cignale per la convessità della fronte e la concavità del dorso del naso (profilo). Il Cuvier, opera citata, rimarcava inoltre nel teschio siamese la regione craniale maggiore (maggiore larghezza) e la facciale più corta che non nel teschio del cignale. È segnata- mente nella maggiore larghezza relativa del teschio, nella cor- tezza del lagrimale quasi altrettanto alto che superiormente 196 P. STROBEL, lungo, e nello sproporzionale allargamento in avanti del palato | dopo i premolari, che il Nathusius! stabilisce le differenze tra il teschio del S. indicus e quelli del cignale e del corrispon- dente maiale cignaliforme o celtico. Il Riitimeyer® aggiunge al- tri caratteri di distinzione del teschio del porco siamese, come il minor volume, la maggiore ampiezza delle orbite, la bassezza dei zigomi. Il teschio del maiale celtico mostra l’ 80 per 100 d’affinità con quello dei cignali; però nella larghezza sua e nella lunghezza del palato s’ avvicina ai teschi del maiale iberico e del S. palustris. Il teschio che si distingue pel maggior numero di estremi, 8, e che sarebbe quindi il più caratteristico, si è quello del S. in- dicus; poi verrebbe il teschio del cignale di Germania, con 6 estremi, indi quelli del S. verrucosus e del maiale iberico, con 5; seguono i teschi del maiale celtico, del S. palustris e del S. vittatus, con 2, ed infine il cignale sardo, con una sola misura estrema. Quanto a questo pervenimmo allo stesso risultato alla fine del confronto sintetico tra esso ed i maiali delle Terre- mare, iberico e meticci Yorkshire e Berkshire. Non così conclu- demmo del porco delle Mariere, il quale in quella comparazione ci risultava il più caratteristico. Ma non dobbiamo dimenticare che ora si sono aggiunti alquanti enti di confronto, i quali tutti spettano a tipi viventi. Nulla dunque di più naturale che sieno questi tipi quelli che maggiormente si differenziano e spiccano, e sono i Sus indicus, scrofa, ibericus e verrucosus. Il S. vit- tatus spetta al primo di questi tipi, il maiale celtico ed il ci- gnale di Sardegna al secondo, il S. palustris al terzo, del quale ritengo anzi sia lo stipite. Oltre alle tre specie esotiche menzionate, che sono Sus ver- rucosus Miill. e Schleg., vittatus Temminck (Boie, Mill. e Schleg.) ed indicus Pallas, i .varî autori enumerano una discreta quan- tità di suini, sì domestici che selvatici del continente e delle 4 Opera cit., pag. 91-94. ? D. Fauna d. Pfahlb., pag. 176. ‘e be pron: i STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 197 dell’Asia e dell'Oceania, delle quali e a me note sa- he bero; in n: ordine alfabetico, le seguenti: La SRO e, andamanensis Gray, — barbatus Miiller et Schlegel, | — celebensis Miiller et Schlegel, cristatus A. Wagner, leucomystax Temminck, moupinensis Ad. Milne-Edwards, papuensis Lesson, pliciceps Gray, salvianus (Porcula) Gray, taiwanus Swinhoe, timoriensis Miiller et Schlegel. Dalla rivista critica di questi suini del Nathusius, opera ci- tata pag. 158 e seguenti, e dall’altra più estesa del Riitimeyer nella Memoria £. w. Beitr. diber d. zahme Schw. pag. 465-468, risulterebbe come i Sus andamanensis e taivanus non siano che varietà domestiche del S. vittatus, i S. leucomystax e moupinen- sis" varietà selvatiche della stessa specie, ed il S. timoriensis un individuo giovane della medesima; e come inoltre il S. ce- lebensis sia una varietà selvatica del S. verrucosus, ed il S. pli- ciceps varietà del S. indicus. Il S. cristatus non è forse che il S. vittatus secondo Ritimeyer, e secondo Nathusius il S. pa- puensis sarebbe un maiale inselvatichito, assai giovane e del quale non si potrebbe riconoscere la specie. Fatto questo scarto ci rimarrebbero le seguenti quattro spe- cie selvatiche: Sus barbatus, salvianus, verrucosus e vittatus, del quale il S. indicus non sarebbe che la razza addomesticata e perfezionata. {l Ritimeyer® dichiarava nel 1861 che nessuna delle tre for- 4 Milne-Edwards, l’autore di questa specie, inclina a ritenerla, insieme colle altre forme selvagge dell’ Asia orientale, come razza locale di uno stipite comune (RiiTI- MEYER, Mem. cit. p. 476, nota). ® Die Fauna der Pfahlb. pag. 53. tl OP ISTROBEE, DTRAAATO me S. lario A verrucosus e vittatus possa essere unita al | palustris, poichè tutte distinguonsi da esso per quei medesim caratteri pei quali diversifica da lui il cignale, e specialm per notevole prolungamento della regione facciale, come n nel verrucosus*, e sopra tutti nel S. barbatus®, e per forte svil della pio enza del canino, come segnatamente néllemenateta leucomystax del S. vittatus e celebensis® del S. verrucosus, nelle quali quella protuberanza o cresta è ancora più pronunciata che nel cignale, carattere questo, desunto dalla detta cresta, il quale, secondo lo stesso autore *, come in generale la forma delle vi- cinanze dei canini superiori, potrebbe servire persino alla distin- zione de’ suini in generi diversi. Delle differenze del teschio del S. vittatus da quello del S. palustris ho trattato distesamente. Quanto a quelli dei S. dar- batus e verrucosus basta il confronto delle figure loro date dai Miiller e Schlegel con quelle alle tav. 1.* e 2.* dei teschi del S. palustris ibericus per persuadersi tosto delle notevoli loro di- versità. Della differenza specifica del S. salvianus dal S. palu- stris non puossi movere dubbio, da che lo si distaccò persino dal genere Sus per crearne un genere a sè, Porcula. L’ Hartmann? trova della grande somiglianza tra il S. palu- stris ed il S. sennaariensis Fitzinger dell’Africa, che ascrive al tipo indico; e Riitimeyer® seco lui conviene nel riscontrare tra essi della somiglianza, segnatamente nella figura del lagrimale, ma, pel contrario, dichiara che il S. sennaariensis per la forma stretta ed allungata del teschio, per la strettezza del palato e del grugno, e per la dentatura debole, si distingue notevolmente © dei atleti bai 4 MiLL. e SCHLEG., op. cit., Tav. 32, fig. 4. 2 MiiLL. e SCHLEG., op. cit., Tav. 31, fig. 5..« Risalta la lunghezza relativamente considerevole del nasale, la quale uguaglia quella del frontale. >» osserva il Riitimeyer alla pag. 491 della sua Memoria £. w. Beitr. è. d. zahme Schw. Avrà voluto dire che uguaglia quella del frontale insieme col parietale. 3 MiLL. e SCHLEG., op. cit., Tav. 28 dis, fig. 2 e 3. 4 Teber leb. u. foss. Schweine, pag. 18. ° Geograph. Verbreit. d. im nordòstl. Afrika, ecc., pag. 250. S E. w. Beitr. î. d. zahmen Schw., pag. 464 e 487. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 199 dal S. palustris*. Non conosco il teschio del S. sennaariensis, ma da quanto asserisce il Riitimeyer, convien dedurre che sia assai allungato e stretto, se lo è più di quello del S. palustris; forse lo è quanto quello del S. barbatus. Ricapitolando conchiuderemo che il S. palustris non è affine a nessuno dei porci esotici passati in rassegna. IL CIGNALE DELLE PALAFITTE LOMBARDE E DELLE TERREMARE.. Insieme cogli avanzi del porco delle Terremare raccolgonsi in queste, sebbene in quantità assai minore, residui del cignale, Sus scrofa ferus, e se ne rinvennero anche nei depositi analo- ghi prestorici d’altri luoghi d’Italia e fuori, e, quanto al no- stro paese, segnatamente nelle palafitte e nei fondi di Capanne. Ma in questi, all'opposto di quanto accade :nelle Terremare, sono essi più abbondanti degli avanzi del Sus palustris, nonchè di volume maggiore ?. Ma se nelle Mariere, come vedemmo, si scoprirono teschi e pezzi di questa parte scheletrica del /S. pa- lustris, non s' ebbe invece da quei depositi alcun teschio di ci- gnale, per quanto mi consta, e solo ho tra le mani il frammento anteriore d’ un mascellare superiore di cignale maschio colla ri- spettiva zanna, scoperto dal Pigorini nello strato uliginoso della palafitta della Mariera di Castione. Ed in vista di tale scarsità di ossa del teschio di cignale prestorico in Italia, avvisato dal i Mem. precitata, pag. 488. ? Come risulta anche dalle seguenti misure del diametro di zanne superiori: ———————— I DEPOSITI acer cime | IN MILLIMETRI Mariera di Castione parmense, strato della Lippi uligi- noso . . RIE 8 CP rflraettà . detto detto MZ Palafitta di Robenhausen (RimmereR, Die Fauna der ‘Palo, p. 31) . . nai da 2° || Stazioni (Capanne) della Vibrata ‘ pr Sia 200 i id (RP ISTROMBLI TTT AMO ca PR Ù) Sordelli che tra le reliquie della Palafitta dell’ Isolino nel le 0 di Varese evvi il teschio d’ un cignale*, ho creduto bene di curarmi i disegni del medesimo e di porgere, nella teo lettera A, la figura di esso, visto di profilo, e di darne la spie gazione, e ciò anche ad eccitamento dei paleontologi e zoologi lombardi a volere sistematicamente illustrare gli abbondanti avanzi animali delle loro Palafitte, anello di congiunzione tra le nostre Terremare e le Palafitte d'oltralpe. Avrei desiderato di potere esaminare e misurare il teschio in parola per confron- tarlo specialmente con quelli del porco delle Mariere, ma non mi fu possibile per ragioni che sarebbe superfluo di qui esporre. E se posso dare l’accennata figura di ‘quel prezioso avanzo, lo debbo al fortunato suo possessore, cav. Andrea Ponti, beneme- rito proprietario della detta Palafitta, il quale ebbe la genti- lezza di farmene eseguire a sue spese i disegni, vedutolo di pro- filo, di sopra e di sotto. Mandibole ed omeri di cignale delle Terremare del Parmense furono da me figurati ed illustrati negli Avanzi preromani alla tav. V, lettera D e D°”, sì come una mandibola delle Mariere modenesi venne rappresentata e descritta dal Generali?. Dai limi- tati confronti istituiti e da me e dal Generali risulterebbe come il cignale delle Terremare fosse di statura maggiore dei mag- giori cignali viventi in Europa, ma rimanesse al di sotto della media dei cignali delle Palafitte elvetiche ®. E si è per tale dif- ferenza nelle dimensioni, che dicono talora colossali, che il Ri- timeyer *, il Jeitteles® ed il Naumann ® dichiarano distinguersi segnatamente dal cignale recente quello prestorico della Sviz- 4 RANcHET GIov. e REGAZZONI INNoc., Le nuove scoperte preistoriche all’ Isolino nel lago di Varese. Negli atti della Soc. Ital. di sc. nat. Milano, 1878, Vol. XXI, pag. 381. 2 GENERALI GIOVANNI, Avanzi animali delle Terremare del Modenese. Modena, 1870, tav. VI, pag. 90. 3 Vedi anche lo specchio nella terzultima nota precedente. 4 Die Fauna der Pfahlbauten, ecc., pag. 32. ° Die vorgeschichtlichen Alterthiimer, cit., pag. 20. * © Die Fauna der Pfahlb., ecc., pag. 18. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 201 «zera, della Moravia e della Baviera. L’omero del cignale pre- storico mostra la perforazione alla fossa olecranica, quale 0s- servasi anche nel S. palustris!. Secondo il Riitimeyer ?, il cignale delle Palafitte della Svizzera si distingue inoltre dal vivente per uno sviluppo eccessivo di quei caratteri i quali lo differenziano dal maiale. Sebbene il teschio dell’Isolino sia rotto alla fronte e manchi de’ nasali, pure vi si può distinguere un profilo quasi retto, piuttosto convesso che concavo, il piano dell’ occipite di- rigesi alquanto all’ indietro insieme colle fosse temporali, il margine posteriore del 3.° molare trovasi davanti al margine lagrimale dell’ orbita, caratteri questi pei quali, secondo il no- minato autore, come sappiamo, il suino selvatico sì distingue- rebbe dal domestico. Il cignale delle Palafitte elvetiche presenta inoltre un altro carattere della sorta or ora accennata, cioè uno sviluppo notevole della cresta ossea sopra la zanna, come ap- pare dalla figura 2 della tav. VI della precitata opera del Rii- timeyer; invece il teschio dell’ Isolino, ugualmente che il fram- mento di Castione, stanno per tale proprietà tra il cignale, tanto prestorico svizzero quanto recente, anche sardo, da una parte, ed il Sus palustris, il porco delle Mariere ed il maiale vivente dall’altra. Nel pezzo di Castione la massima altezza di tale cresta, dalla linea mediana e più profonda della fossa o del canale che forma col mascellare, non è che di 7 millimetri, il suo spessore alla base è di 9 mill., e la sua lunghezza di 53, e tale cresta è careniforme; mentre che nel bienne cignale sardo, N.° 6, che dovea essere molto meno grande del cignale di Ca- n stione, la cresta è alta 12 mill., il suo spessore è di 9 mill., e i Il Naumann, Mem. cit. pag. 24, spiega la perforazione dell’omero nella fovea maxima col movimento e sfregamento, dell’ olecranon frequente ed accelerato sin dalla prima giovinezza nell’individuo selvatico, e si fonda anche su tale carattere per sostenere la selvatichezza del S. palustris. In contrario osservo, primo, che que- sto porco, come ho provato, era domestico, poi, che non solo omeri d’individui vecchi presentano fori relativamente piccoli, e viceversa, omeri d’ individui giovani fori assai ampi (Avanzi preromani, tav. V, fig. A? e B?), ma che persino nel medesimo indi- viduo, mentre uno degli omeri è perforato, l’altro non lo è punto (Z pozzi sepolcrali, ecc., pag. sl). ® Die Fauna der Pfahlbauten, ecc., pag. 32. À 5 4 1, x. > Ma a oa Asi Ps SUBOBBE, 371% è 500 dd la sua lunghezza di soli 34, e la cresta non s’assottiglia in ca- rena, ma è tubercoliforme, e larga in alto 8 millimetri!. I fatti | a me noti, relativi al carattere della cresta in discorso, non. essendo che i due esposti, dell’Isolino e di Castione, i quali pertanto potrebbero anche essere meramente individuali, non azzardo alcuna deduzione, non li ritengo un indizio nè di pas- saggio del cignale al S. palustris, nè d’incrociamento con que- sto od altro porco domestico, nè, molto meno; penso che i porci. selvatici in discorso possano costituire una forma speciale, in onta che il Nathusius, opera citata pag. 161 e 163, assicuri non avere il cignale, dall’età della pietra al giorno d'oggi, su- bito alcun mutamento, e sebbene, come ebbi già ad accennare, il Riitimeyer dia grande importanza alla conformazione del ma- scellare superiore intorno al canino. Nel teschio dell’Isolino le carene parietali sono alquanto tra loro distanti, proporzionata mente un poco meno che nei teschi di maiali recenti N. 8 ed 11. Il diametro longitudinale e maggiore dell’ orbita non sembra scendere verticalmente, ma obliquamente dal margine antero- superiore verso la regione posteriore, ed il zigsomatico pare as- sai alto a confronto col porco delle Mariere o S. palustris ibe- ricus. Il foro infraorbitale è mediano. Le linee dei denti mascel- lari corrono diritte e tra loro parallele, ed il palato, per la di- minuzione graduata di larghezza di quei denti, s’ allarga perciò gradatamente verso i canini. I lagrimali non sono segnati nella figura; probabilmente ne saranno obliterate le suture. All’infuori dei residui di Sus palustris e di S. scrofa ferus non si rinvennero nelle Terremare avanzi di suini, poichè è per lo meno assai dubbioso che talun osso o dente di quei depositi possa spettare al maiale recente, sia celtico, sia iberico. Di tale fatto terremo conto per deduzioni ulteriori. “2 4 Nel teschio dell’Isolino le zanne dovevano essere piccole, a giudicarne dall’am- piezza dei loro alveoli. Sordelli, in lettera. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 203 Bici OPINIONI CIRCA LA PARENTELA, LO STIPITE E LA DISCENDENZA DEL SUS PALUSTRIS. «Come ebbi già ad accennare, il Riitimeyer alla prima scoperta del Sus palustris nelle Palafitte della Svizzera riconobbe nei suoi avanzi tali differenze dallo scheletro del Sus scrofa da fargli so- spettare che si trattasse d’una specie distinta'; e credo che avesse ragione. Nel 1861° egli esprimeva l’avviso che non esistesse alcuna specie suina selvatica che avesse i caratteri del Sus palustris, o potesse essere a lui ricondotta; e che nessuna delle numerose . forme di porco dell’ Asia orientale, a lui in allora note, poteva ‘essere posta in rapporto col detto suino prestorico, all’infuori del maiale di Siam, ignoto allo stato selvaggio, poichè forse più non esiste in tale stato. Opinava inoltre che il Sus palustris stia decisamente più vicino al detto maiale di Siam, ossia del- l'Asia orientale, Sus indicus Pallas ®, che non al cignale, S. euro- paeus, Pall., S. scrofa L.; ed accennava come, stando alle sole co- gnizioni frammentarie d’ allora, queste fossero favorevoli all'ipotesi della diffusione di tale tipo da ponente a levante, mentre che egli stesso sentivasi più inclinato per l'ipotesi opposta; ed os- servava come fosse superfluo il chiedersi se il S. palustris fosse lo stipite del S. indicus o viceversa. Infine riconosceva la pa- rentela del predetto porco prestorico col maiale dei Grigioni, del quale lo riteneva stipite. In seguito, nel 1865 ‘, il Riitimeyer confermava l’ opinione sue- sposta circa alla parentela del S. palustris col maiale siamese 1 Untersuchungen der Thierreste, ecc., pag. 9, nota 2. ? Die Fauna der Pfahlb., ecc., pag. 53, 54, 177, 178, 186, 188 e 190. ® Col nome di porco indico non s’ intende punto d’accennare all’ originaria sua patria. Lo si scelse solo per seguire le regole della nomenclatura e per rispetto al diritto di priorità, avendolo il Pallas introdotto pel primo nel sistema. ! N. Beitr. 2. Kenntn. d. Torfsch., ecc., pag. 147, 148, 153, 159, 166-168, 173. 204 B3ASTROBET, i} 1 pa a vi artrà 0 e col grigione, che ritiene, col Nathusius, identico del r mM ed estendeva tale parentela al porco ungherese, mentre modif cava il suo avviso circa all'origine del detto porco delle Pala- fitte e del maiale grigione. Il S. indicus non sarebbe, second lui, che uno dei loro stipiti, e l’altro forse il cignale, e con maggiore quantità di sangue di questo nel S. palustris, che non nei maiali romanico (grigione) ed ungherese (l. c. pag. 159). I Però, avuto riguardo a certi caratteri particolari del S. palu- | stris, egli inclinava a ricercare il secondo fattore nella produ- zione di questo, piuttosto che nel cignale, in una forma piccola | e debolmente armata, sia ch’essa vivesse ancora nell’ Europa | orientale o nell’Asia occidentale, sia che fosse estinta (l. c. pag. 168). Esprimeva infine la speranza che discendenti attuali | del porco prestorico in questione si dovessero scoprire anche negli altri paesi oltre la Svizzera, nei quali sì sono rinvenuti re- sidui di esso, e segnatamente nella Moravia, ove il S. palustres pare abbia vissuto anche in avanzata epoca storica (XIV secolo). Infine, nel 1877, il Riitimeyer dichiarava d’ avere modificata la sua opinione intorno all’ origine del predetto porco nel senso di ritenerlo siccome una forma d’allevamento (Culturform) del tipo indico, di cui, come già avvisai, il S. vittatus Temminek sa- rebbe lo stipite selvatico. Accennai sin da principio che il Nathusius® non ritiene certa la parentela del S. palustris col S. indicus, ma solo probabile. Della affinità che }’ Hartmann” riscontra tra il S. palustris ed il S. sennaariensis Fitzinger, non ammessa dal Riitimeyer, tenni. poco addietro parola, sì come avvertiva del pari che 1’ Hart- mann li pone entrambi nel tipo indico. Quest’ autore sospetta che il S. palustris abbia probabilmente, con altri, trovata dall’ Africa la via nell’ Europa. L’opinione dell’ Hartmann che il S. palustris sia di provenienza va ua. 1 E. w. Beitr. è. d. zahme Schwein., pag. 479. 2 Opera cit., pag. 149. 3 Verbreitung der im nordoestlichen Afrika wildlebenden Saeugethiere, Berlin, 1868, pag. 350. + ttt n in sint cin n Mio. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 205 ‘africana non viene accettata dal Naumann', non avendosi, secondo lui, prove sufficienti per ammettere quella provenienza. Conviene invece nella ipotesi del Riitimeyer che quel suino prestorico sia ‘d’origine asiatico-europea, e che nella produzione di questa razza, oltre al fattore asiatico, abbia agito una forma affine al cignale ‘europeo’. La parentela, secondo lui indubitabile, del S. palu- stris col S. indicus accennerebbe alla patria della massima parte dei nostri animali domestici, al lontano Oriente. Da un cenno, che solo per incidenza lo Studer fa del pro- blematico S. papuensis Lesson in una delle sue Memorie’, si sospetterebbe ch'egli ritenga tale suino affine al S. palustris, sì ‘come riguarda il cane dello stesso paese, la Nuova Bretagna, Canis Hiberniae Quoy et Gaimard, quale parente prossimo del Canis palustris Ritimeyer, coetaneo del porco prestorico or no- minato nelle Palafitte elvetiche; entrambe le dette razze di quel- l'arcipelago sarebbero affatto estranee alla fauna originaria del medesimo e probabilmente ivi importate dall’ uomo nelle sue im- migrazioni dal continente asiatico *. E dalle parole dell’ autore parrebbe essere egli dello stesso avviso del Riitimeyer quanto alla derivazione asiatica del S. palustris. In ultima sintesi, tutti cinque gli autori citati ammettono una ‘medesima origine di questo porco prestorico, almeno in parte, e solo discordano circa alle modalità ed alla via da esso tenuta per arrivare dall’ Asia in Europa. Quanto allo stipite del S. palustris sono di parere dal loro diverso, e lo esporrò in fine della Memoria. E quanto alla sua parentela coi viventi maiali grigione (romanico) ed ungherese ho già a suo luogo esternato avviso contrario. A Die Fauna der Pfahlb., ecc., pag. 24. ? Memoria precitata, pag. 19. ® StupER TuroPHIL, Beitrag zur Kenntniss der Hunderacen in den Pfahlbauten. Braunschweig, 1879, pag. 75. 4 RiTIMEYER, E. w. Beitr. è. d. zahme Schw. p. 491, riporta, in nota, un passo dello Studer in proposito. Già il Nathusius nel 1864, op. cit. pag. 171, avea asserito | che vi era stato importato, e che vi si era inselvatichito. n, Ia A n et dea fata PETE 0.4, 4 BIEN TAR Oo ) 206 l P. STROBEL, Le parentele del Sus palustris non si sono cerciiteive ii discendendo nel tempo e nelle generazioni, bensì anche salendo alle epoche geologiche precedenti, sì come si è ricercata T'epora | della sua comparsa. a nsd I | Il Riitimeyer! accenna alla somiglianza di quel suino coi porci del Miocene, nella conformazione del sistema dentario; ed avuto riguardo alla notoria ricchezza di forme di suini nell’ Asia orientale ed alle molte tracce di sorgenti orientali della popolazione ani- mata dell'Europa, è di parere che si debba rivolgersi al conti- nente asiatico per rintracciare i parenti sia anteriori, sia poste- riori del S. palustris?. Tale suo avviso che si debba ricercare gli antenati di questo porco nell’ Asia venne da lui posterior- mente * avvalorato dalla circostanza che in Europa nè entro de- positi del periodo dell’ Orso delle caverne, nè meno in quelli del periodo della Renna si rinvennero avanzi del S. palustris, e che il | Bos primigenius fu il solo coetaneo suo ora estinto, e che lo fu soltanto negli ultimi tempi dell’esistenza di questo; sì che la com- parsa del porco in discussione, almeno nella Svizzera, sarebbe av- venuta dopo l’ epoca della massima estensione dei ghiacciai, dopo la comparsa dell’uomo non solo, ma dopo un lasso di tempo sufficiente per dare agio a questo di domesticare specie suine selvagge e d’incrociarle. Ammessa 1’ origine del S. palustris, al- meno in parte, asiatica, si verrebbe con ciò a provare una co- municazione tra l’ Asia e l’ Europa in tempi assai remoti. Trattando degli avanzi animali dei fondi di Capanne del Reg- giano, dopo l’esame loro ed i confronti dei medesimi cogli avanzi animali delle Caverne dell’ Alta Italia e delle Palafitte neolitiche nell’ Elvezia, nella Lombardia e nel Veneto, pervenni alla conclusione che le Capanne sono stazioni anteriori a que- ste Palafitte (pag. 27). E siccome nei fondi di esse Capanne rinvengonsi i residui di S. palustris, i quali dopo quelli del cervo A Die Fauna der Pfahlb., ecc. pag. 55. 2 Memoria precitata, pag. 53. 8 N. Beitr. 2. Kenntn. d. Torfsch., ecc, pag. 173. 4 Avanzi animali dei fondi di Capanne nel Reggiano. Reggio dell’ Emilia, 1877. : i STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 207 ‘e del cignale, vi sono i più abbondanti, ne viene che, almeno "da noi, esso suino prestorico esisteva in una età anteriore a quella constatata dal Riitimeyer nella Svizzera. > i i } Ù Nell’accennata memoria (pag. 26), partendo dai fatti allora noti, credetti di potere asserire che le Capanne dell’ Emilia erano ‘posteriori dei monumenti nelle menzionate Caverne. Ma fatti e studî ulteriori condussero il Chierici, scopritore delle dette Ca- | panne, osservatore sottile ed illustratore coscienzioso, a ritenerle appartenenti ad un sol gruppo colle grotte artificiali e caverne . sepolcrali della Sicilia e della Pianosa, coi fondi di Capanne sparsi dall’Alpi al Gargano nel versante adriatico e colle caverne se- polerali della Liguria!. Il S. palustris adunque sarebbe coetaneo almeno dell’ ultima fauna delle Caverne?. Re n n C ii Ma v'ha di più. Come ebbi già ad avvertire, secondo il Re- boux, residui di S. palustris sarebbero stati scoperti persino nel quaternario di Parigi. Da quest’epoca possiamo seguirlo attraverso all’età della pietra, del bronzo e del ferro, prestorica e protostorica, sino ai tempi romani ’. Gli avanzi suoi tratti dai fondi di Capanne mostrano dimen- sioni maggiori di quelle degli avanzi della stessa razza raccolti it CuieRIcI GAETANO, G/’ Iberici in grotte artificiali, in fondi di Capanne e în ca- verne. Nel Bullettino di Paletnologia italiana, Anno VIII. Reggio dell’ Emilia, 1882, pag. 1. ® Il Pigorini in un recente suo scritto (Scoperte paletnologiche nel territorio di | Modica, nel Bullettino di Paletnologia Italiana, anno VIII, pag. 28) m’invita a com- | parare la fauna dei fondi di Capanne con quella delle caverne neolitiche della Sicilia, (per trovare argomento a giudicare della contemporaneità delle Capanne con queste caverne. In proposito osserverò, per ora, che uno dei fatti pei quali ritenni i fondi di Capanne più antichi delle palafitte neolitiche, si è lx mancanza in essi degli avanzi di cane. Siccome, almeno in talune delle Caverne suddette, come quella di Villafrati, si sono, dal barone Andrian, raccolti residui di quel carnivoro domestico (Pràhisto- \rische Studien aus Sicilien, Berlin, 1878, pag. 43), così le ritengo, almeno in parte, posteriori dei fondi di Capanne, e questi, naturalmente, posteriori delle caverne ar- cheolitiche della Sicilia. 3 Là ove confrontai il teschio del S. palustris con quello del porco delle Mariere, indicai i fatti ed i motivi per cui non posso, col Riitimeyer, riconoscere dei S. palu- stris nei porci di Olmiitz del secolo XIV. uu Ti + Pai « 208 P, STROBEL, nelle Terremare, e, a fronte di quelli dello stesso suino delle Palafitte elvetiche e delle nostre Mariere, presentano caratteri di maggiore robustezza e di maggiore compattezza di dentatura, e talun individuo pare avere vissuto allo stato selvaggio od in- selvatichito !. E *. OPINIONI CIRCA ALL’ORIGINE DELLE RAZZE DI MAIALE ATTUALMENTE ALLEVATE IN EUROPA. Alla questione circa la discendenza del Sus palustris va stret- tamente legata l’altra intorno agli stipiti dei maiali o porci do- mestici d’ Europa, sì che non posso esimermi dal trattarne. I libri sacri più antichi dell'Asia parlano già de’ maiali come di animali domestici. Questo fatto dell’addomesticazione del porco nella più remota antichità, non solo storica, ma persino presto- rica, come vedemmo, susseguita ben presto dalla multiplicazione delle razze, indi dal loro incrociamento, rende assai difficile il rintracciare le origini di queste razze. A tre riduconsi le ‘potesiì in proposito, cioè, chi ammette un solo stipite di tutti i maiali, chi ve ne scorge due e chi tre. Sino alla seconda metà di questo secolo si riteneva che tutti i maiali provenissero da un solo capostipite, e, pel consenso di quasi tutti i zoologi, compreso il Cuvier, indicavasi come tale il Sus scrofa ferus Linn., o cignale europeo, S. europaeus Pallas®, e recentemente. ancora, 1875, eravi chi propugnava tale opinione, p. e. il Cornalia®. Il Géoffroy Saint-Hilaire invece, visto che l’addomesticamento del porco ebbe luogo in Asia nella più re- {1 STROBEL P., Gli avanzi animali, ecc., citati, pag. 11 e 12. 2 Nome improprio, avvegnachè questo cignale viva anche in certe regioni dell’Asia e dell’ Africa. Non si può però negare che la massima area da lui occupata, trovasi in Europa. 3 Catalogo descrittivo dei Mammiferi osservati in Italia. Fa parte (prima) della Fauna d’ Italia. Milano, 1875, pag. 60. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 209 mota antichità (storica), fa discendere tutti i maiali da un ci- gnale asiatico, diverso dall’ europeo. «Il Nathusius, op. cit. pag. 136, ritiene che tutti i maiali ap- partengano od alla razza cignaliforme, cioè discendente dal S. | europaeus, od alla razza asiatica, S. indicus, della quale sarebbe probabilmente stipite il S. vittatus Temminck (Boie, Miiller e Schlegel), opera cit. pag. 160 e 174 ‘; oppure sieno il prodotto del loro incrociamento, sieno meticci o forme intermedie, quali ‘suppone essere i maiali romanico e grigione (col S. palustris) ed il maiale ungherese, e quali è storicamente provato che sieno le razze inglesi, op. cit. pag. 175 e 176. — Questa sentenza del Nathusius che riconosce due stipiti dei maiali, venne accettata anche dal Riitimeyer®, il quale però da prima, come vedremo, ammetteva tre stipiti di maiali. E nell’ultimo suo lavoro sui suini ° l’autore prelodato prova come il S. vittatus sia da con- siderarsi quale stipite di porci da lungo tempo addomesticati nell'Asia orientale, tra cui il S. indicus, e come quel porco sel- yatico, nella parte orientale del mondo antico, corrisponda al cignale, S. scrofa, della parte occidentale *. In proposito però non posso a meno di far osservare, come il medesimo autore, sedici anni prima, giudicando del teschio del S. vittatus dalla sola figura data dai Wagner e Schinz, non riuscisse a ricono- .scere alcuna differenza tra esso ed il teschio del cignale sud- detto °. Come accennava poco fa, il Riitimeyer, prima della publi- cazione dell’opera del Nathusius, riuniva le varie forme di porco, "dai punti di vista osteologico e paleontologico, nei seguenti tre gruppi, da lui ritenuti naturali: 4 Fu già accennato, come il Nathusius, verificandosi una data condizione, sia in- clinato a ritenere il porco dell’isola di Aru quale stipite del S. indicus. Sia però il S. vittatus oppure il porco d’Aru lo stipite del maiale indico, non crede l’autore che s’abbia d’ammettere con certezza che la patria originaria di questo trovisi nel S. E. dell’Asia, e che di là sia immigrato in Europa. Opera citata, pag. 149. 2 N. Beitr. 2. Kenntn. d. Torfsch. pag. 144 e 165. ° E. w. Beitr. îi. d. zahme Schw. pag. 480, 484 e 485, 4 E. w. Beitr. i. d. zahme Schw. pag. 484 e 493. ° D. Fauna d. Pfahlb. pag. 187. Vol. XXV. 14 210 LOAOVADSY TAL DIPPSTROBRL) 1 4 rasta tap.°0îl MAGI presi vagina dalle grand orecchie dell’ E pra rogna ei dt coreana i 2.° il porco. bibite di Celobes ed il maiale di Berkshire; dio % porco delle palafitte ed i maiali indico o siamese e grigione !. (ORA In seguito alla pubblicazione del Nachasitsi co misi i Riitimeyer abbandonò questa divisione trina per aspociiegia bina di quell’autore. sn adele Anche il Sanson, come ci è pure noto, riduce i maiali viventi a tre tipi, non concordanti però con quelli or ora indicati del Riitimeyer, ma non ne ricerca gli stipiti. Essi tipi sono il S. celticus?, che corrisponderebbe al S. scrofa in senso stretto, il S. ibericus della regione mediterranea, ed il S. asiaticus o porco indico, di Siam, ecc. E dissi ripetutamente che seguo questa divisione del Sanson, _ e ritengo essere il cignale celtico o del nord, $. scrofa, lo sti- pite del maiale celtico, il S. palustris quello dell’iberico, ed il. S. vittatus, sulla fede del Riitimeyer, lo stipite del maiale indico. — Rimando all’opera del Sanson chi volesse attingere cognizioni | intorno all'area di diffusione dei nominati tre tipi, ed a quelle | del Nathusius (op. cit. pag. 160, 173, 185) e del Riitimeyer, me specialmente all’ultima di questo: Ein. weit. Bertrige db. das zahme Schwein, chi volesse procurarsi notizie speciali sulla di- stribuzione geografica degli stipiti Sus scrofa (Riit., pag. 464 e 465) e S. vittatus (Riit., pag. 469, 471, 472 e 492), questo; li-_ mitato all’Asia, quello, disperso per varie regioni del mondo an- tico. Il S. palustris non esiste più nella primitiva sua forma, nè. allo stato selvatico. Invece pare che avesse diggià esistito nell’età quaternaria, insieme col cignale e colle varietà sue. Non è qui nostro com- 4 D. Fauna d. Pfahlb. pag. 188 e 189. ? Del Sanson, nè già del Ritimeyer (N. Beitr. 2. Kennt. precitati pag. 174), chè questo sarebbe il S. palustris. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCÒ, ECC. 211 | pito il salire nelle nostre ricerche genetiche più oltre verso lo stipite comune di tutti i porci. Ci basta sapere che ambe le dette forme di porco abbiano esistito, già differenziate, da noi d) bi + & | ed altrove in Europa prima dell’età neolitica. ‘Passando dalle razze alle sottorazze, ai meticci, de’ quali l’ori- gine non è accertata dalla storia. esporrò le varie opinioni degli autori compulsati circa alle loro sorgenti, e vedremo come di- ‘| scordino non solo tra autore ed autore, ma benanco nello stesso ( autore secondo l’epoca dell’opera sua. Incominciamo dal problematico maiale romanico dei Nathusius e Riitimeyer, nel quale quest’ultimo, dapprima, non ricono- sceva alcuna affinità col S. palustris, ma che poi* dichiarava parente del medesimo sì come del S. faivanus e del S. indicus®. Tanto l’uno quanto l’altro autore * lo ritengono prodotto dal- l’incrociamento, avvenuto al più tardi al tempo dei Romani, tra porci del tipo S. scrofa e del tipo S. indicus; ed il Nathu- sius, l. c., sostiene che il porco romanico s’ottenga oggigiorno incrociando maiali cignaliformi (celtici) con maiali indici oppure con meticci anglo-indici. Sappiamo già che il Nathusius non. distingue il maiale gri- gione del Riitimeyer dal suo romanico, e pertanto ammette per esso i medesimi stipiti che per questo. Il Riitimeyer ne aveva sino dal 1861° riconosciuta la parentela col S. palustris e col S. indicus, e lo avea posto in un gruppo con questi, nel terzo, come abbiamo poco fa veduto. In seguito ® accettò il parere so- pra espresso del Nathusius circa la sua affinità ed origine. Anche al maiale ungherese il Riittimeyer non accordava da principio ‘ alcuna parentela col S. palustris, l’ammise però in 1 Die Fauna der Pfahlb. pag. 189. 2 N. Beitr. 2. Kenntn. d. Torfsch. pag. 159. 3 E. w. Beîtr. ii. d. zahme Schw. pag. 468 e 479. 4 NATHUSIUS, op. cit. pag. 144. — RiirIMEYER, N. Beitr. 2. Kenntn. d. Torfsch. pag. 146. ° D. Fauna d. Pfahlb. pag. 189. 5 N. Beitr. 2. Kenntn. d. Torfsch. pag. 147. ? D. Fauna d. Pfahlb. pag. 189. 212 dì ‘P. STROBEL;, so Loan seguito '; e dopo che il Nathusius, op. cit. pag. 152, avea so- stenuto che in tutti i punti essenziali concordava col S. indicus, anche il Riitimeyer ® concedevagli l’affinità con questo suino; al pari che col S. taivanus. | samia GR Mentre che il Riitimeyer, come vedemmo, sostiene la paren- tela del S. palustris coi maiali romanico, grigione ed. ungherese, il Naumann, Mem. cit. pag. 22, la nega recisamente, ricono- scendo invece nella produzione di queste sottorazze specialmente l’azione del S. scrofa. une: Accennai già altrove, come il Riitimeyer, ne’ primi suoi lavori, derivasse dal ,S. scrofa soltanto il maiale a grandi orecchie, S. scrofa macrotis?, mentre che sembravagli probabile che il ma- iale ad orecchie brevi, S. scrofa brachiotis, provenisse come il maiale grigione, dal S. palustris. Se volessi inoltre occuparmi delle origini dei diversi meticci inglesi, essendo desse storiche, entrerei nel campo della zootec- nia ed uscirei affatto da quello segnatomi in questa Memoria. Non accennai in essa che ai meticci Yorkshire e Berkshire, e per le nozioni intorno ai loro stipiti ed ai loro caratteri ri- mando ai trattati di zootecnia, come, a mo’ d’ esempio, a quelli del Low, del Nathusius, del Bénion, del Sanson, del Wilkens, del Funk. Solo richiamerò alla mente del lettore, come il Rii- timeyer, riconoscendo possibile la parentela tra il porco di Berk- shire ed il S. celebensis *, li riunisse entrambi nel secondo dei tre gruppi, nei quali comprendeva, nel 1861, i porci dell’ Eu- ropa e dell'Asia da lui esaminati?, mentre dichiarava infinita- mente diverso da essi il S. verrucosus ®, del quale invece poi, nel 1877, ammetteva non essere che una varietà il S. celebensis suddetto *. A N. Beitr. 2. Kenntn. d. Torfsch. pag. 174. 2 E. w. Beitr. è. d. zahme Schw. pag. 479. ® D. Fauna d. Pfahlb. pag. 175 e 188. 5‘ D. Fauna d. Pfahlb. pag. 186. 5 Opera precitata, pag. 188. 6 Opera precitata, pag. 187. 7 E. w. Beîtr. i. d. zahme Schw. pag. 467. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 213 «Per uscire dal labirinto zootecnico, del quale in questo ed in precedenti capitoli ho dato dei saggi, troveremo noi il filo d’A- rianna che ci guidi? Ne dubito assai, e ciò per motivi ch’ ebbi già altrove ad esporre! e che non mi resta che di qui ripetere. Continua è la comparsa di forme nuove d’animali domestici e la scomparsa di vecchie, secondo che si estrinseca e spiega, continua o cessa l’azione dell’uomo. Nulla essendovi di stabile, ma continua essendo invece la variabilità delle forme, è chiaro come l’idea di razza, di tipo e caratteri della medesima, non possa essere che arbitraria, al più convenzionale, come quella del tipo di porco romanico del Nathusius. Aggiungasi che da tempo gl’incrociamenti si sono per modo moltiplicati e compli- cati, sebbene nel porco meno che in qualche altra specie dome- stica, che si può dire difficilissimo, se non quasi impossibile, il trovare d’una così detta razza individui puro sangue, che pre- sentino cioè tutti i supposti caratteri distintivi della razza cui sì riferirebbero. RIASSUNTO. In onta alla provata, continua e graduale variabilità delle forme nel tempo e nello spazio, non possiamo però, per bisogno nostro, passarcela senza idee e concetti, per quanto vaghi ed elastici, di genere, di specie, di razza, di varietà; e per potere riconoscere le affinità e le differenze tra queste diverse forme, è necessario analizzarle. A tale scopo, per ciò che riguarda i suini presi ad esame, passai in rivista le diverse parti del loro teschio, ne notai le particolarità, vagliai queste, e ne stabilii il valore nella caratte- ristica delle razze, ed a tale RASSEGNA CRITICA DEI CARATTERI de- dicai un intero capitolo. L’esame d’una trentina delle parti del teschio e lo studio dei fatti ad esse relativi mi hanno condotto a riconoscere in certi 1 Le razze del cane nelle Terremare dell’ Emilia. Nel Bullettino di Paletnologia italiana, Anno VI, 1880. Reggio dell'Emilia, pag. 140; dell’estratto, pag. 38. 214. P. STROBEL, | 3a caratteri la prova dello stato giovanile, in altri l'impronta della robustezza, dipendente dalla matura età, dalla maschiezza; dalla © selvaticità del porco. Tra questi ultimi caratteri enumerai la cresta saliente e la doccia profonda sopra il canino, alle quali dal Ritimeyer si attribuisce un valore non indifferente nella classificazione, in quanto che vi sono specie selvatiche tanto con tale cresta assai sviluppata, come i Sus scrofa, verrucosus, vit- tatus, quanto colla medesima appena pronunciata, come il Sì: bar- batus, e del pari vi hanno razze domestiche con cresta spor- gente, come le razze Yorkshire e Berkshire, ed altre colla medesima atrofica, quali i S. palustris ed ibericus. di D’altri caratteri, e più specialmente per mezzo del confronto dei teschi del porco delle Mariere tra loro, ho provata la muta- bilità nella stessa forma, sono individuali od incostanti, e fra essi ho segnato tassativamente la larghezza (in forma di ventaglio, fabellum) e la concavità (in forma di sella o di cucchiaio) della squama occipitale, la forma e la direzione dei processi! giugu- lari (contro l'avviso del Nathusius), il volume, la forma e le appendici della cassa timpanica, la reciproca distanza delle ca- rene parietali, la posizione del foro infraorbitale, e del 3.° mo- lare rispetto all’ orbita (contro il parere dei Nathusius e Riiti- meyer). Tanto il Riitimeyer quanto il Nathusius sostengono che certe particolarità del teschio indicano la domesticità del suino, sì come le contrapposte ne segnano lo stato selvatico, qualunque sia la specie, essendo le prime il necessario effetto della domestica- zione e dell’allevamento artificiale del suino. In ultima sintesi i caratteri che si suppone dinotino lo stato selvatico, si riassu- merebbero nello stiramento del teschio dal punto mediano:sotto la radice del naso, sì in avanti della faccia, che all’ indietro del cranio, e nel piegamento in basso di queste parti, sì d’avere un profilo retto del teschio o quasi retto. Viceversa; nell’individuo 4 Ciò non pertanto non posso lasciarmi indurre a separare dal cignale sì vivente che prestorico delle Palafitte elvetiche quello delle nostre 'Terremare e delle Palafitte lombarde a cresta sopra la zanna appena saliente. STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 215 domestico avverrebbe il ritiro. o raccorciamento d’ambe le parti verso la. radice del naso, ed il. profilo vi s’incaverebbe pel ri- piegamento in avanti della regione craniale e talora anche pel ripiegamento all’indietro della parte facciale !, formandosi così un.muso raccorciato e rivolto in su (Mopsbildung). Ma non pochi fatti contraddicono a questa supposizione; s’hanno cioè, razze suine domestiche coi supposti caratteri d’ animali selvatici, quali il maiale delle Terremare, Sus palustris ibericus, il maiale ibe- rico; S. ‘bericus, un maiale incrociato iberico-casentino, il ma- iale del Cedlan?, il S. sennaariensis* ; e viceversa, vi sono porci selvatici coi supposti caratteri di maiali, come il S. penicillatus Schinz. *. Di più, abbiamo conosciuta una specie domestica, di cui talun individuo presenterebbe caratteri d’animale selvatico, come il S. palustris di Robenhausen illustrato dal Riitimeyer, e talun altro mostrerebbe quelli d’ animale domestico, come il S. palustris di Wauwyl pure citato dal Riitimeyer. Del pari, ho indicato una specie selvatica, il S. scrofa, di cui qualche individuo, in Fran- cia, in Sardegna, mostrerebbe caratteri di suino domestico. Da questi fatti. ho. creduto di potere logicamente dedurre, che le proprietà ritenute dai prelodati autori quali effetti dell’addo- mesticamento e della nutrizione del porco, non ne sieno punto la conseguenza. La spiegazione così detta meccanica, che di questa supposta modificazione del teschio in seguito all’addomesticazione ed al- l'allevamento artificiale del suino espose il Nathusius, è inge- gnosa e seducente, ed ho ampiamente svolta la sua teoria nelle deduzioni che seguono al confronto tra il teschio a profilo retto 4 Taluna di queste differenze erano già state avvertite dal Cuvier, cioè il prolun- gamento della parte facciale e la minore altezza del cranio nel cignale a fronte del maiale. Invece il Low avrebbe indicato quale effetto della domesticazione la maggiore lunghezza del grugno, all’opposto di quanto asserirebbero i nominati autori. 12 Riirimever, E. w. Beitr. i. d. zahme Schw. pag. 488. 3 RirimevER, Mem. cit. pag. 486. 4 Riirimever, Ueb. leb. u. foss. Schw. pag. 17. — Eppure, secondo la figura che ne dà il Brehm (La vita degli animali, Vol. II, pag. 768, Torino, 1872), deve essere grufolatore per eccellenza. 216 ‘vi r3 x ì |P. STROBEL, . ©. I) eye : del porco delle Mariere e quello a profilo incavato del cignale sardo: sarebbe nell’individuo selvatico la forma stirata del te- schio l’effetto dell’attività dei muscoli cervicali e degli urti della parte superiore del grugno contro la terra nel grufolare. Ma anche contro questa teoria ho combattuto coi fatti alla mano. Esaminando teschi di razze diverse, come l’iberica e la Yorkshire, osservai che quelli d’individui giovani, nei quali nessuna o poca poteva essere stata l’azione dei muscoli suddetti e l’uso del gru- gno, presentano profilo retto o meno incavato che quelli degli adulti, insieme con altri caratteri supposti l’effetto di quelle supposte cause meccaniche, mentre che nei teschi degli adulti, che non potevano a meno di avere usato dei loro muscoli e del loro grugno, il profilo è più o meno incavato ed essi mostrano inoltre altre particolarità che suppongonsi l’ effetto della poca © nessuna azione dei detti muscoli e del grugno. Anche il fatto, sopra esposto, che in porci selvatici si osservano supposti caratteri di domesticità, sta contro questa teoria, avvegnachè nel suino sel- vatico massima dovrebbe essere l’attività dei muscoli e del grugno. Mentre pertanto ammetto che mediante l’ addomesticazione e pe- culiarmente per l’allevamento del porco si possa produrre in esso un teschio con tutti i caratteri dai Nathusius e Riitimeyer at- tribuiti a tale azione dell’uomo, sino al punto d’ottenere un muso raccorciato nella guisa indicata, nego che ciò avvenga per le cause meccaniche addotte dal Nathusius, e nego pure che a seconda dell’accennata diversità di conformazione d’un teschio sì possa, come sostengono i nominati autori, decidere senz’ altro se l'individuo cui appartenne, era domestico ovvero selvatico. Il raccorciamento del teschio e l’incavatura alla radice del naso si ottengono dall'uomo per selezione e per altri processi sino al punto estremo sopra indicato; ed è questa conformazione che rende impossibile il grufolare, nè già viceversa la cessazione di quest’atto che produce un muso rivolto in su, rincagnato (retroussé), quale vedesi nella razza suina perfezionata estrema (extreme Kultur- Rasse); non sarebbe la modificazione e la cessazione della fun- zione che trarrebbe dietro a sè la trasformazione e la soppres- STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 217 sione dell’organo, sibbene, viceversa, queste determinerebbero quelle. Tanto è ciò vero che conformazioni simili (Mopsbildungen) le ‘osserviamo in animali domestici di regime disparato, privi di igrugno, quali, ad esempio, il cane ed il bue; e nel cane dome- stico abbiamo e razze a testhio allungatissimo, volpino, con pro- filo diritto o quasi diritto, ed altre a teschio subgloboso, sci- ‘miesco, profondamente incavato alla radice del naso. Nè mancano ‘esempî d’animali domestici nei quali la secolare quasi completa ‘cessazione d’ una funzione non determinò punto l’atrofizzazione . dell'organo rispettivo e nè meno la modificazione del medesimo. L’ala del canarino, che da secoli nasce, vive, riproduce e muore entro lo spazio di pochi decimetri cubici, non divenne perciò ‘aptericoide, ma non differisce punto dall’ala de’ suoi fratelli spazianti per l'immenso aere. Terminerò questa critica colla os- servazione che la teoria del Nathusius è basata sopra un fatto che potrebbe offrire delle eccezioni, e che realmente ne offre, ove non nel genere Sus, di certo nella famiglia dei Suini, si parte cioè dal supposto che tutti i porci selvatici siano grufo- latori per eccellenza. Sono specialmente due caratteri, ai quali il Nathusius ed il Riitimeyer attaccano grande importanza diagnostica, ossia per la distinzione delle razze, e segnatamente per la distinzione del tipo Sus europaeus dal tipo S. asiaticus, la lunghezza e la figura cioè, del lagrimale, e la direzione della linea mediana dei denti mascellari, ovvero la posizione reciproca della serie dei denti ma- scellari, in rapporto coll’allargamento del palato in avanti. — Quanto al lagrimale già il Riitimeyer concepiva ultimamente qual- che dubbio circa alla sua importanza quale carattere distintivo assoluto, ed i fatti da me addotti che i cignali di Sardegna hanno il lagrimale conformato a somiglianza di quello del S. asiaticus, e che vi sono in Francia cignali, i di cui lagrimali stanno tra quelli allungati del cignale tipo o celticus, e quelli del cignale sardo, sardous, danno ragione al Riitimeyer, ed io convengo con lui. — Non sarebbe tanto la convergenza o la divergenza delle serie dei denti mascellari, misurata dalla linea longitudinale me- 218 PO.D L00211 01 SBRORBE; 0 cYrr a Ka 805 cds | diana delle rispettive corone, che stabilirebbero un carattere .di- . stintivo di razza, quanto la inflessione più o «meno» bri sca, di quelle serie o linee verso il di fuori, partendo dai primi premo» lari (numerati dall’avanti all'indietro, nè già viceversa, come 88 i il Nathusius, op. cit. pag. 60, figura) e portandosi verso il gru- gno (Vedi Tav. 2, fig. I" e XV; Tav. 3, fig. 12°). Di questo ca- rattere ammetto il valore diagnostico, ma nè meno di esso. 1’ am- metto assoluto. is ii Anzi, a nessun carattere accordo un valore assoluto, e ritengò invece che persino i caratteri individuali e quelli dinotanti robu-. — stezza possano alzarsi al rango di carattere di razza, quando toc- | chino uno dei due estremi di loro sviluppo, siano generalmente costanti in quella forma e concomitanti con altri. L'idea di spe- cie e di razza non può basarsi su caratteri isolati, ma solo su di un complesso di caratteri, de’ quali tutti non è nè meno ne-. cessaria la coesistenza in qualunque individuo di quella data forma, e ciò in vista della variabilità sua nel tempo e nello spazio. In prova della mia tesi ecco due fatti che riguardano il S. scrofa, considerato quale tipo del suo genere. Il Sanson lo distingue. dal S. asiaticus, S. indicus Pall., pel profilo rettilineo del suo teschio, mentre che in questo sarebbe concavo; ed il Nathusius li distingue inoltre pel lagrimale, assai lungo nel primo e breve e subquadrato nel secondo. Ebbene, sappiamo che, da una parte, vi sono porci | asiatici a profilo retto, e che, d’altra parte, il cignale di Sar- degna ha profilo incavato e lagrimale subquadrato, mentre che in Francia esistono cignali che, e pel profilo del loro teschio e pei lagrimali si collocano tra il cignale, che chiamerò tipico 0 cel- tico, ed il cignale sardo. Nè l’una nè l’altra di queste partico- larità del teschio, nè isolate e nè meno riunite, costituiscono dunque caratteri specifici. Si è perciò, che ritenendo della stessa specie sì il cignale germanico che il sardo, non li ho distinti che quali varietà: celtica e sardoa, fra le quali in Francia troviamo individui che ne formerebbero l’ anello di congiunzione. Quale parte importante del teschio va certo considerata la dentatura. Ciò non pertanto non me ne sono quasi fatto carico, STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 219 e perchè ebbi già in altri scritti ad occuparmi diffusamente della dentatura della mandibula del S. palustris!, e perchè in animali profondamente modificati dall’allevamento, quali le razze recenti, i caratteri desunti dalla struttura e dalla forma dei denti, non avrebbero grande valore ?. . E dappoichè ci troviamo nell'argomento dei caratteri, non posso tacere d’altro di essi, cui si annette molta importanza, | voglio dire il foro olecranico dell’omero, quale generalmente 0s- servasi nel maiale e nel cignale delle Terremare e nel S. pa- lustris. Provai come la spiegazione meccanica che ne dà il Nau- mann, cioè per sfregamento dell’ olecranon contro la parete del- l’omero; non regga, e come prova decisiva in contrario addussi il fatto singolare della perforazione d’uno degli omeri mentre che l’altro del medesimo individuo non è punto perforato. Ag- giungasi che la perforazione dell’omero, come è notorio, osser- vasi anche nell'uomo, e certo nessuno vorrà spiegarla nel modo suesposto. Avvertirò, infine, che il margine del foro olecranico è intero ed acuto, quale non si potrebbe ottenere mediante lo sfregamento indicato. Non pochi caratteri ponno essere espressi con cifre, e pertanto ne ho date diverse tabelle, non mancando però d’ avvertire come e perchè il valore di tali misure non sia quale generalmente lo sì ritiene. Trattandosi poi d’animali domestici occorrono, come gia avvisava il Riitimeyer ®, misure medie prese da un numero sufficiente di teschi, se si vogliono evitare errori. Esaminati ed apprezzati i diversi caratteri dei teschi ho po- tuto passare alla ricerca dei caratteri distintivi delle diverse razze, sì preistoriche che recenti, tanto europee quanto esotiche prese a confronto col porco delle Mariere, allo scopo di rintrac- ciare le PARENTELE sue, le origini e la discendenza. Primieramente ebbi a constatare che il porco delle Mariere 1 Avanzi animali dei fondi di capanne, ecc. citato. ? RiTIMEYER, E. w. Beitr. ii. d. zahme Schw. pag. 482. ® E. w. Beitr. i. d. zahme Schw. pag. 482. 220 tri BUSBPROBRL Ai a; Mea appartenne ad una sola razza, e che, secondo anche |’ opinion del Riitimeyer, esso era domestico. Indi provai, come ave affermato sino dalla sua scoperta, che spetta a quella form di porco pure domestico, cui il Riitimeyer diede il nome di S. palustris ', ed in parte alla sua minore varietà di Neuveville; secondo la dichiarazione del Riitimeyer stesso, alla quale forma però il Naumann ® nega il valore di varietà. Siccome il maiale delle Terremare si distingue dagli altri pel palato più. breve, l’ebbi già a chiamare porco brevimuso, non sembrandomi logico il chiamarlo porco palustre, oppure delle Terremare, in quanto che se ne scoprono le spoglie anche in depositi di ben diversa natura ed età. Ma, per rispetto al diritto di priorità o storico mantenni al porco delle Mariere il nome di S. palustris, gli ag- giunsi però l’epiteto d’ibericus, per indicare che esiste qualche differenza tra esso e la forma elvetica, e per accennare alla sua patria ed alla sua parentela col porco nostrano, S. iberzeus, del quale lo ritengo stipite. Questa parentela del S. ibericus col S. | palustris per mezzo del S. palustris ibericus e la derivazione del primo da quest’ultimo vennero provate e per lo studio dei carat- teri dei loro teschi, e genealogicamente od atavicamente, per la maggiore somiglianza del teschio del S. ibericus giovane che non dell'adulto con quello del S. palustris ibericus adulto, ed anche archeologicamente pel confronto d’una statuetta in bronzo del S. palustris d’ una delle Palafitte della Svizzera coll’attuale S. bericus. Mentre che pei confronti istituiti pervenni a provare tale pa- rentela tra quei maiali, giunsi d’altra parte a dimostrare come il S. palustris pei caratteri del teschio si trovi agli antipodi. del S. indicus e delle razze europee ottenute coll’incrociamento suo; quali la Berkshire e la Yorkshire, ed i meticci loro (teschio N..10, . Tav. 3, fig. 10). E siccome non pochi caratteri pei quali il S. 2. dicus differisce dal S. palustris si riscontrano anche nel S. wit- | ‘ Ù 4 Da principio egli lo considerò selvatico, poi in parte selvatico ed in parte dome- stico; infine si persuase che dovea essere stato domestico. ® Die Fauna d. Pfahlb., ecc. pag. 25. V STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 221 tatus, che si ritiene essere lo stipite selvatico del S. indicus e di altri maiali dell’ Asia orientale, così il S. palustris è alquanto diverso anche del S. vittatus; per il che viene esclusa la possi- bilità che possa esservi della parentela, ammessa dal Riitimeyer e da altri, tra il S. palustris ed il S. vittatus, ed in genere tra quello e le forme asiatiche ed oceaniche di Sus. Middt:) ‘ Stabilite le somiglianze nei caratteri e le affinità delle diverse razze, sì può passare a raggrupparle secondo appunto le loro parentele. ‘ Le razze che formarono l’oggetto di questa Memoria, ponno, sotto questo punto di vista, essere riunite in quattro GRUPPI come segue: 1.° Sus scrofa L., S. europaeus Pall., o cignale in senso stretto, o celtico, col S. celticus Sanson; Var. sardous Strobel. 2.° Sus palustris Riitimeyer. Var. bericus Strobel, col S. ibericus Sanson. 131° Sus asiaticus Sanson. a) selvatico, S. vittatus Temminck, b) domestico, S. indicus Pallas. Meticci col S. celticus ed ibericus: Maiali grigione, ungherese, Berkshire, Yorkshire. 4.° Sus verrucosus Miller e Schlegel. Perchè un tale aggruppamento delle diverse forme di suini possa dirsi naturale, deve concordare colle .oRIGINI loro. Le ipotesi circa alle origini dei maiali allevati in Europa pos- sono riassumersi in tre, che denomineremo delle origini una, dina e rina, a seconda che si ammettono uno, due o tre stipiti di tutti i nostri maiali. Alcuni, come il Cuvier, riconoscono nel S. scrofa lo stipite di tutti loro; il Géoffroy lo rinviene invece nel S. indicus. Il Nathusius, il Riitimeyer ed altri ne ammettono due stipiti, cioè tanto il S. scrofa quanto il S. indicus, oppure il supposto "222 | oh (to Pe TROPEA) di) suo) stipite S. vittatus. Dal primo sarebbe. venuto per dc o sticamento il maiale cignaliforme, S. celticus; dal secondo; 0) pure dall’incrociamento suo col primo, sarebbero provenuti i ma iali del secondo gruppo da me stabilito ed i meticci del terzo. Il Riitimeyer, prima d’accettare l'ipotesi dell'origine bina del Nathusius, aveva, a quanto pare, supposta un'origine trina dei nostri maiali, poichè riunivali in tre gruppi da lui ritenuti na- turali, e cioè: i AL lina 1.° del S. scrofa col maiale a grandi orecchiej | 0% 2.° del S. celebensis Miill. e Schleg. (verrucosus M. e Sch var.) col maiale Berkshire; resta 3.° del S. palustris col S. indicus e col maiale born Anche il Sanson forma dei maiali europei tre gruppi, non con- | cordanti però con quelli or ora indicati del Riitimeyer, e sono: del S. celticus o S. scrofa in senso stretto, del S. ibericus e del. S. asiaticus, corrispondenti a quelli adottati da me; solo ch'egli gli stabilisce e denomina secondo lo stato attuale delle forme e le aree di diffusione delle razze, mentre che io risalgo alle ori- gini, e dai loro stipiti li nomino dei S. scrofa, S. palustris e S. vittatus. ULTIMA TESI. IL SUS PALUSTRIS È UNA FORMA SPECIALE ED INDIGENA. Da principio (1860) il Riitimeyer era inclinato a riguardare nel Sus palustris una specie distinta, eine besondere Species. In seguito egli, poi il Naumann, lo Studer ed altri, e dubita- tivamente anche il Nathusius ammisero la parentela sua col Sus indicus, intorno a che il Riitimeyer dichiarava essere di poca importanza lo stabilire quale dei due fosse lo stipite. Circa al grado di essa parentela ed alla modalità della derivazione od. origine il Riitimeyer ha successivamente publicate tre ipotesi: che cioè il S. palustris sia il prodotto dell’incrociamento ‘ del S. scrofa col S. indicus, oppure di questo con un discendente STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 223 forse estinto d’una specie piccola e debolmente armata, ovvero, - infine, che non sia fuorchè il prodotto dell’allevamento d’una «razza del tipo indico. «Non accetto nessuna di queste tre ipotesi, ma mi attengo alla | prima idea del Riitimeyer: il S. palustris è una forma speciale — ed indigena. ° , Per potere convenevolmente sciogliere una tesi qualunque bi- | sogna porre chiaramente i termini e le basi della medesima. L’affermare in genere la parentela tra il S. palustris ed il S. — indicus suona alle mie orecchie come la frase comune che siamo tutti fratelli in Adamo, poichè tanto l’uno quanto l’altro di quei porci deriveranno da un porco capostipite e tipo del genere Sus. È quindi necessario dichiarare imprima quando ritengasi che abbia avuto luogo il differenziamento del S. palustris dal S. in- tieni dc dicus, se prima del differenziamento, o distacco dal tronco co- mune; del S. scrofa, o contemporaneamente ad esso o dopo il medesimo. Convenuti su questo punto, sarà da stabilirsi se si ammetta che il S. palustris siasi staccato contemporaneamente col S. indicus dal ramo comune, oppure prima o dopo di esso. Insieme con tali quesiti genealogici devono essere sciolti altri, cronologici e geografici; bisognerà fissare se il differenziamento abbia avuto principio nell'epoca attuale, o nella cenozoica 0 qua- ternaria, oppure già nella neozoica o terziaria; se in Europa o nell'Asia o nell'Africa, oppure contemporaneamente in diversi punti dell’antico continente. Quanto al quesito genealogico i paleontologi, per quanto mi sappia, non hanno raccolti dati sufficienti per rispondere con qualche probabilità d’accostarsi al vero. Dal Riitimeyer*' ap- pesi bibi Ce | prendo soltanto che porci affini al S. palustris vissero già nell’età - | miocenica dell’epoca neozoica, mentre che non consterebbe che abbiano esistito suini parenti del S. scrofa prima della poste- riore età pliocenica. Secondo lo stesso autore, l. c., nel S. pa- | lustris riscontransi due tipi di dentatura, l’uno, sviluppato nei ua . suini del Miocene, cesserebbe col S. palustris, l’ altro invece con- 1 Die Fauna d. Pfahlb., ecc. pag. 55. 224 P. STROBEL, tinuerebbe col S. scrofa. Questi fatti appoggerebbero pen sizione che il S. palustris siasi differenziato e concretato prima. del S. scrofa, che quello sia lo stipite di questo, oppure che lo stipite d’entrambi sia una terza forma, estintasi nel suddivi- dersi, oppure continuata coi rami provenuti da essa. //G// 00° Rispetto agli altri quesiti so appena che il Reboux scopriva nel quaternario di Parigi residui del S. palustris. Questo avrebbe dunque già esistito nell'epoca cenozoica, e si sarebbe. quindi staccato dallo stipite, ossia differenziato, al più tardi in quest’ e- poca, e ciò avrebbe forse avuto luogo in Europa. In un prece- dente capitolo ho provato come il S. palustris sia coetaneo del- l’ultima almeno delle faune delle caverne d’Italia, e come attraverso alle successive età della pietra e del bronzo siasi man- tenuto sino nella età etrusca e romana, trasformandosi in S. ébe- ricus (porco romanico vero?), e, così trasformato, sia pervenuto ai giorni nostri. Questi fatti vengono in sci dell'ipotesi che il S. palustris sia una specie distinta di Sus, che sia indigena dell’ Europa; e che di qui siasi, dato il caso, estesa ad Oriente, nè già viceversa, che di là ci sia venuta, ma certo non lo provano; manchiamo troppo di cognizioni paleontologiche delle regioni asiatiche ed africane per poterlo sostenere. Passiamo ora in rassegna critica le tre ipotesi del Riitimeyer. Le prime due suppongono l’incrociamento di due forme. L'idea d’incrociamento, ben diversa da quella di selezione artificiale, per me è di regola intimamente legata ad altre due, a quella di domesti- cità dell’animale e d’azione dell’uomo ; all’incrociamento devono . necessariamente precedere l’addomesticazione e normalmente la moltiplicazione delle razze domestiche, poichè per ottenere un meticcio occorrono generalmente due di queste. L° incrociamento d’un individuo domestico con altro selvatico della stessa specie non produce un meticcio. Non comprendo quindi come il Riitime- yer potesse supporre l’origine del S. palustris per incrociamento, quando (1861) ammetteva lo stato selvatico di questo. Ma tale STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 225 sua ipotesi è pure, cronologicamente, contraria alla sua divisione dei tempi prestorici in periodi zoologici *!. Egli li divise, assai lo- gicamente, in periodo delle razze domestiche primitive, od età . della pietra, delle razze domestiche multiple, ossia della loro moltiplicazione, delle razze domestiche allevate (Kulturracen) ed incrociate, ossia dell'età attuale. Come mai dunque, da che l’al- levamento razionale e l’incrociamento delle razze non poteva avere, nè ebbe luogo fuorchè in un'epoca moderna, si può sup- porre che in principio dell'età della pietra, cioè, nell'età qua- ternaria, o per lo meno nell’età delle caverne, sia avvenuto un incrociamento tra due specie di maiale? Con questa sola e semplice osservazione vengono a cadere le due prime ipotesi del Riitimeyer. L’incrociamento del S. indicus col S. scrofa non avrebbe potuto avere luogo nè meno in ‘Asia che con individui selvatici di questo, poichè non pare ch’esso vi esista allo stato domestico neppure oggigiorno. I miei ragionamenti valgono quindi anche pel caso che si volesse trasportare colà il campo dell’ in- crociamento. Ma ammettiamo pure la possibilità di questo tra due specie allo stato selvatico, oppure tra due specie l’una sel- vatica, come sarebbe il cignale, e l’altra domestica, come il maiale indico (non già tra due individui uno domestico e l’altro selvatico della medesima specie), dimostrerò con altri fatti e con altri ragionamenti come quel supposto incrociamento, con pro- duzione di prole prolifica, non possa avere avuto luogo. In tutte tre le ipotesi del Riitimeyer. si suppone che il fat- tore od uno dei fattori del S. palustris sia stato il S. indicus, o quanto meno un porco del tipo suo. Parmi d'avere dimostrato quale notevole differenza siavi tra il teschio del S. palustris e quello del S. indicus, e benanco tra esso ed i teschi dei me- ticci di questo, quali le razze Yorkshire e Berkshire. Ma ho pure mostrata la differenza che passa tra il teschio del S. pa- lustris e quello di diverse forme di porco dell’ Asia e dell’ Ocea- nia. Escluso quindi, per provata mancanza di somiglianza e di 1 Die Fauna der Pfahlb., ece. pag. 237. Vol. XXV. 15 226 ot IRE P: ‘STROBELJI (VA 4 affinità col prodotto, il supposto od uno dei Ru Diosti ve IK duttori, vengono a mancare le fondamenta alle dette ipotesi basate su quella supposta parentela. Tutte tre le. i povestieali Riitimeyer cadrebbero dunque già per questo fatto: ma lrn» molo e procediamo oltre. 1A VALSO La prima ipotesi del Riitimeyer ammette ict i S. indicus col S. scrofa per produrre il S. palustris. Non sol- tanto il Nathusius, ma anche il Riitimeyer ammettono nei suini la facilità di passare dallo stato domestico al selvatico e vice- versa, e d’incrociarsi tra loro domestici con selvaggi della stessa specie, e quindi anche dei meticci coi loro stipiti. Questo incro- ciamento, nei tempi prestorici, sarebbe stato favorito dallo stato di libertà delle mandre suine durante la maggior parte del- l’anno. Ma, ciò premesso ed ammesso, se il ,S. scrofa era uno degli stipiti del S. palustris, perchè non s'incontrano residui di | porco che segnino un passaggio dall’ una all'altra di queste forme, costituiscano una forma intermedia? Perchè non si scopre fatto alcuno che accenni ad un ritorno del S. palustris ad uno dei supposti suoi stipiti, mentre si trovavano tra loro a libero con- tatto? Nei depositi prestorici, almeno dell’Italia, non si sco- prono che avanzi di S. palustrîs (ibericus) domestico, e di S. scrofa selvatico, indizio di qualche peso, se non prova, della loro contem- poraneità senza passaggi, e quindi della loro nessuna parentela. Ricorrendo poi, seconda ipotesi del Riitimeyer, ad un secondo stipite problematico, per mole e per organi di difesa somigliante al S. palustris, che nell’incrociamento avesse sostituito il S. scrofa, . parmi che, tanto fa, si possa rinunciare affatto allo stipite S. 2- dicus, e ritenere sufficiente l’altro, poichè già simile al S. palu- stris, e supporre che da esso per influenza dei modificati agenti esterni e per selezione naturale sia provenuto il S. palustris, che è quanto dire che questo non sia punto un meticcio. Veniamo alla terza ipotesi: il Sus palustris non è che il pro- dotto dell'allevamento d’una razza suiha del tipo indico *. Per ie CALA 4 Ho già precedentemente avvertito quale significato debba darsi all’epiteto éw- dicus; l’idea geografica non y' entra punto. | STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 227 tipo indico non posso intendere che una forma di porco svilup- patasi nell'Asia, ossia lo stipite problematico dell’attuale S. in- dicus; chè se si potesse supporre che avesse potuto svolgersi in Europa, la questione si ridurrebbe a questione di parole: ascritto il S. palustris al tipo indico ed ammessolo indigeno dell’ Europa, cesserebbe ogni questione. — Tre sono le ipotesi che si ponno emettere circa l'introduzione dall’ Asia di tale porco del tipo in- dico, ed alla sua domesticazione. Potrebbe essere immigrato sel- vatico, od essere stato importato selvatico dall'uomo, e poi ad- domesticato; ed allora tale forma essendosi ottenuta in Europa, sarebbe da considerarsi indigena. Oppure potrebbe essere stato im- portato già domestico, con tutte le modificazioni subîte per l’azione dell’uomo. Questa terza supposizione avrebbe per sè le maggiori probabilità, per l'analogia con quanto succede anche oggidì. Ma se così fosse avvenuto come si spiegherebbe la diffe- renza notevole, nel teschio almeno, tra il S. indicus ed il S. pa- lustris? In proposito, ammesso che il S. palustris sia il prodotto dell’allevamento d’una razza di #ip0 indico, si può supporre: 0 che il S. palustris ne sia la forma anteriore e la posteriore il S. indiceus, o viceversa, che dalla modificazione di questo siasi formato quello, oppure che entrambi siano diramazioni di una terza forma precedente. Per sostenere che dal S. palustris (asia- tico) sia provenuto il S. indicus, bisognerebbe rinvenire nell’ O- riente avanzi del S. palustris, ciò che sinora non consta, ch’io | sappia. Inoltre contro questa supposizione sta il fatto, che il S. indicus presenta caratteri che in altri maiali non si riscon- trano fuorchè nell’età loro giovanissima, ossia ch’ esso conserva maggiormente caratteri atavici che non il S. palustris, è quindi una forma meno modificata, più antica di questo, nè può quindi provenire da lui. Nè si può supporre che dal S. indicus siasi svolto per modificazioni il S. palustris, e perchè in Europa non | sì scoprirono residui prestorici di S. indicus, come non se ne sarebbero rinvenuti in Asia del S. palustris, e perchè ripugna l’ammettere che, mentre il S. 2rdicus si sarebbe in tempo rela- tivamente breve trasformato in S. palustris sul suolo europeo, 228 P. STROBEL, si sarebbe invece conservato per tanto tempo immutato e uno stato meno progredito nelle regioni asiatiche, ciò che dc vrebbesi ritenere da che, come replicai, non consta che tal porco di tipo indico abbia mai vissuto in quelle contrade sotto le forme di S. palustris. Questi fatti sono pure contrarî all’ipo- tesi che il S. palustris sia al pari del S. indicus, una dirama- zione asiatica d’una supposta terza forma, loro stipite comune. Da quanto ho esposto conchiudo che il S. palustris è una forma particolare ed europea. Non posso però a meno di confessare che soltanto ricerche e scoperte nel continente asiatico potranno fornire il materiale per la soluzione definitiva ed inoppugnabile della contesa. La Memoria cui ho posto termine collo svolgimento di que- st’ ultima tesi, era già stata incominciata or sono tre anni. La- vori più urgenti, sebbene meno simpatici, m' obbligarono ad una sosta involontaria cotanto lunga. Mi sono posto all’opera senza idea alcuna preconcetta, anzi se mai ne avea, erano quelle del Riitimeyer, posteriori al 1860, come ognuno potrebbe persua- dersi dalla lettura dei precedenti miei scritti. Le attuali mie conclusioni non paiono a me che la necessaria conseguenza dei fatti che mi si sono spontaneamente offerti. Quelle potranno es- sere erronee, questi rimarranno ed entreranno a far parte del patrimonio della scienza, e di essi potranno valersi studiosi più capaci e più fortunati di me; ed a ciò solo tengo di averli loro fatti notare. Prima di congedarmi dal paziente lettore mi corre l’obbligo d’ esprimere la mia riconoscenza a coloro che più efficacemente mi aiutarono nelle mie ricerche e ne’ miei studî, fornendomi sia del materiale, sia dei libri, sia delle cognizioni speciali, e qui | con grato animo ne do la nota, premettendole però il nome | dell'amico prof. F. Sordellî, che ora dirige il Museo Civico di | Storia Naturale in Milano, come di colui, che mi usò maggiore cortesia e pazienza, e mi fu più largo di cognizioni. Ora i nomi | degli altri: | STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 229 Prof. G. Chierici in Reggio dell'Emilia; Giuseppe Consigli in S. Prospero di Parma; marchese Guido Dalla Rosa, dottore Lo- dovico Jung, professore dell’ Università, dottore Francesco Lom- bardi, direttore della Scuola di Medicina veterinaria, Don Pie- . tro Perreau, bibliotecario della Regia, tutti quattro in Parma; cav. Andrea Ponti in Milano; cav. Lodovico Ugolotti di Castione dei Marchesi, parmense; dottore Giulio Valdonio, insegnante nella . Scuola di Medicina veterinaria in Parma; prof. Antonio Zanelli, direttore della scuola zootecnica in Reggio dell’ Emilia. NOTA. Alla fine del capo, nel quale si confrontò il S. palustris col porco delle Mariere, fu dimenticata la seguente osservazione. Mentre che quindi al porco delle Terremare conservo il nome di S. palustris, lo distinguo però, per le leggiere differenze dal- l’elvetico, coll’ epiteto d’ibericus, col quale accenno alla sua patria ed al suo nesso genetico col S. ibericus. APPENDICE ECONOMICO-IGIENICA. Parrà strano come uno studio comparativo di teschi presto- rici possa fornire materia a considerazioni igieniche del giorno. Eppure così è. . Osservate le fisure dei teschi di maiali meticci N. 9, 10, 11 e 12, e v'accorgerete tosto come essi tutti si distinguano da tutti gli altri esaminati per un carattere: la spugnosità o carie della — lamina esterna della teca craniale, nonchè dei lagrimali e dei zigomi. Nel N. 9 i fori sono minuti (le piccole proporzioni della figura 9 della tavola 3 non resero possibile d’indicarli meglio) e sì limitano ai parietali e frontali; nel N. 10 osservansi dei fori di otto millimetri persino di diametro; nel N. 12 invadono an- che la cresta occipitale, i lagrimali, i zigomi. ca ì so Falle ione, che gli anime ali, giri o’ te da una malattia (at pu osseo, cui lascio ficare, chè a ma: poco importa del nome. ‘Nol al mio campo, paragonerei i teschi spugnosi dei n ala ai confetti di Tivoli, e gli altri, di cignale V uno, tdi ra strana prestorica e vivente gli altri, allo spato d’Island cite gli uni, i confetti, Calcite l’altro, lo spato, ma particelle informi, precipitosamente attrattesi alla rinfuse sto di particelle di forma geometrica, regolarmente, lentam strettamente aggruppatesi, sostanza amorfa quelli, individuali zata questo. 4 DS Dai fatti ora esposti non solo deduco che i maiali Reno noi allevati sono affetti da malattia del sistema osseo, ma inol- tre che tale morbosità è in ragione diretta della moltiplica- zione degli ‘incrociamenti. Difatti nel maiale del N. 9, ia cui uno dei genitori è di razza pura, cioè nostrana,, Sus ibericus, quella morbosità, come accennai, appena si Miro. mentre che nel maiale del N. 10, nel quale entrambi i genitori sono meticci, Yorkshire con casentino, essa aumentò, come vedemmo, se non in estensione, certo e di molto in intensità. Nè mi si obbietti essere la spugnosità delle ossa carattere d’età giova- nile, poichè il maiale del N. 7, S. ebericus, era più giovane di quello del N. 9, e di pari età di quelli dei N. 11 e 12. Di più, nel teschio N. 13, di S. ibericus, di soli 5 mesi (Tav. 3) non os- servasi la minima traccia di spugnosità della lamina esterna delle ossa craniali. Nei teschi di maiale nostrano, S. sberécus, N. 7 e 8, di porco delle nostre Terremare, S. palustris idericus, N.Ia V, e di cignale sardo, S. scrofa sardous, N. 6, vediamo una lamina esterna craniale liscia, lucente, compatta, e le altre ossa del teschio del pari di tessuto più consistente che nei te- schi dei meticci, e questi segni di stato normale aumentano d’intensità secondo l'ordine in cui ho enumerato i teschi. L’indicata morbosità dei meticci m’ha fatto sorgere il so- spetto che alla medesima possano corrispondere tendenze a ma- SL STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 231 lattie di altri sistemi; e per averne la conferma o la negazione mi sono rivolto a chi, sia per pratica esperienza sia per scienza, potesse fornirmi le occorrenti cognizioni, dirigendo a ciascuno la medesima nota di quesiti. . Corrisposero in modo speciale i signori fratelli Dall’ Olio, sa- lumieri in Parma, dottore G. Valdonio, ripetutamente nominato in questa Memoria, e dottore Tancredi Zimmer], medico veteri- nario municipale in Parma. Essi unanimemente risposero che i meticci senesi, casentini (detti anche russi) o toscani in genere, edi romagnoli vanno maggiormente dei maiali nostrani soggetti alla gragnuola ed alle malattie verminose od entozoiche in ge- nere, e ad altre di minore importanza !. Ambi i periti veterinarî poi asseriscono che dopo l'introduzione dei meticci la risipola cangrenosa, prima quasi sconosciuta da noi, si è oltremodo estesa, e coglie di preferenza i meticci stessi, più linfatici e flosci dei suini nostrani. Essi adunque sono più di questi soggetti a ma- lattie nocive all’ uomo. Questi fatti avrebbero dovuto consigliare la massima precau- zione e lentezza nella sostituzione dei suini meticci ai nostrani. Invece consta pur troppo, per l'affermazione unanime degli in- terrogati, che è maiali di razza nostrana andarono da alcuni decennî e vanno da noi (provincie di Parma e Reggio dell’ Emi- lia) rapidamente diminuendo per modo, che in pianura ponno dirsi quasi totalmente scomparsi, ed in montagna sono oramai scarsissimi. La causa di questa sostituzione, in onta all'igiene ed in onta anche alla gastronomia, sta nel tornaconto del giorno, che ge- neralmente è l’unica molla delle azioni dell’uomo. I meticci sono precoci, impinguano più presto e maggiormente dei nostri, e s’ac- contentano d’ogni sorta di pasto. Le loro ossa sono più piccole, minore ne è la tara, cioè testa, collo, estremità degli arti, vi- sceri, e perciò maggiore ne è proporzionatamente la mercanzia, sì che sono preferiti e da chi alleva e vende i suini, e da chi li compera, essendo anche saliti in credito nel commercio. Però pre- 4 E specialmente i teschi (N. 10 e 12), al dire dei contadini. 236 P. STROBEL, TAVOLA 3.% con razza casentina (n.° 12); giovane, castrata. Per isvista evvi segnata la su- x tura interparietale, mentre che è obliterata. Figura 10. Teschio di meticcio, casentino con inglese, entrambi già meticci; molto giovane. Il basso tubercolo sagittale appena distinguesi nella figura, nè vi E pare l’infossatura intorno al foro soprorbitale. CIV Figure 12 e 12. Teschio di verro casentino, meticcio di Sus ibericus e razza Berk- shire, giovane. Nella fig. 12“ la sutura interfrontale dovrebbe essere maggiormente segnata. Figura 12°. Parte molare del palato del N.° 12, pel confronto con quella del porco delle Mariere, Sus palustris ibericus, figarata alla tav. 2.9 fig. Is e XV. Figura 13. Teschio di porcellino nostrano, Sus ibericus, di 5 mesi circa. Il confronto suo coi teschi del maiale delle Terremare, Sus palustris ibericus, sarebbesi age- volato, se questa figura fosse stata posta nella tavola 12. Ma non ebbi il teschio in parola che dopo il disegno sulla pietra delle tavole 12 e 22. i Figura XVI. Metà destra dell’occipite di un porco della Terramara di Castione, col processo giugulare, pel confronto di questo con quello del teschio della medesima razza e Terramara, figurato alla tavola 12 figura II. Figura A. Copia d’uno dei tre disegni del teschio di cigna/e della Palafitta dal 14 lino nel lago di Varese, favoritimi dal sig. cav. Andrea Ponti. Figura B. Testa d’una statuetta in bronzo della stazione di Corcelettes in Isvizzera, rappresentata dalla figura 5 della tavola V della Memoria del Gross: Stazion de Corcelettes, époque du bronze. Neuveville, 1882, statuetta colla quale suppongo che quei lacustri abbiano avuta l'intenzione di rappresentare il loro maiale, Sus palustris. SOMMARIO. CENNO STORICO. RASSEGNA DEL MATERIALE STUDIATO. 1.° Teschi di porco delle Mariere; 2.° Teschi di suini recenti: cignale sardo, maiali iberico, casentino, Yorkshire ed incrociati tra questi tre. ConrrontI: 1.° Tra i teschi del maiale delle Terremare. Deduzioni rispetto al valore tassonomico dei caratteri: caratteri individuali, di robustezza, del lagrimale. 2.° "Tra i teschi del maiale delle Terremare e quello di cignale recente della Sardegna. Deduzioni: supposti caratteri di domesticità e di selvati- chezza, e teoria meccanica del Nathusius. Lagrimale, palato e serie dentarie. 3.° Tra i teschi del porco delle Mariere e quelli di maiale iberico. De- duzioni: somiglianza col porco predetto. 4.° Tra i teschi precedenti ed uno di meticcia iberico-casentina. Dedu- zioni: spine giugulari. 5.° Tra i teschi precedenti ed uno d’incrociato Casentino-Yorkshire. Deduzioni: profilo, piano e squama occipitali, fronte. Strobel, Porco delle Mariere Atti Soc.Ital.Sc.Nat VoLXXV t.4. al tei, Letti gori =% " MIST ; s 3 Le figure sono % del vera Ceccotti dis. Lit Dall'Olio Parma Atti Soc.Ital.Se.Nat Val XXV.E2 IEre Strobel.Perco delle Mar ITI del vera, menola fFig.1?uXV $ Le Figure sono t-Dall'Olio Parma L P Ceccotti dis. Strobel Parco delle Mariere Atti Soc tal SeNat.ValXXV.t.3 Le Fiqure sono k, del vero 1 menoinureri 125 XVI è B P Ceccotti dis. Lib Dall'Olio Porma STUDIO COMPARATIVO SUL TESCHIO DEL PORCO, ECC. 237 Tra i precedenti teschi ed uno di verro Yorkshire. Palato. Tra i detti teschi ed uno di verro casentino. Palato. I ‘assolute e ridotte dei teschi confrontati. Valore, specchi. NTO SINTETICO dei dodici teschi illustrati. 1.° dei caratteri espressi o ° dei caratteri non espressi con cifre: caratteri del porco delle ) 8,0 Hassegna critica dei caratteri: caratteri di robustezza, età, selvatichezza, domesticità, individuali, di razza. contro la teoria del Nathusius del raccorciamento del teschio del agnosi. delle diverse razze; loro riunione in tre tipi. | ConFRONTO del porco delle dicro col Sus palustris Riitimeyer. Calbiteri dc omesticità. Appartengono. entrambi ad una sola razza. Per la varietà dell | e Nivaliare proponesi la denominazione di S. palustris ibericus. | ConeRonTO del S. palustris col nostro maiale, S. ibericus; quello è lo sti- ite di questo. Prove ataviche ed archeologiche. — lola del maiale iberico col grigione (romanico?) ed caldi e col ico. Spettano a tre gruppi. x | o FINALE tra i teschi dei cignali sardo e celtico, dei maiali celtico e | iberico, dei S. palustris ed indicus, vittatus e verrucosus, e d’ altri porci otici. Quattro tipi viventi: Sus scrofa, ibericus, indicus e verrucosus. Cignale delle Palafitte lombarde e delle Mariere. Sua differenza dal vivente da quello delle Palafitte svizzere. . Opinioni circa la parentela, lo stipite e la discendenza del S. palustris. Fo me affini nel Miocene. S. palustris nel quaternario, nell’ età della pietra, 1 bronzo e del ferro sino all’epoca romana. S. ibericus (romanico ?). Opinioni circa all’origine delle razze di maiale attualmente allevate in : 3 propa. Ipotesi delle origini una, dina e trina. . Riassunro. Caratteri, parentele, tipi, origini. Uma resi. Il $. palustris non è un prodotto d’ incrociamento, nè fu È portato in Europa, ma vi esisteva indigeno sino dall’ epoca quaternaria, ‘ed il S. ibericus ne è il discendente attuale. Caiusa e nota. | ApPENDICE economico- igienica. Anglomania. Si perfezioni con allevamento razionale il sano maiale nostro, S. ibericus, e si abbandoni all’ inevitabile de- | perimento il malaticcio bastardume esotico. «°° BrBLIOGRAFIA. * | 3 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. n SEZRITE*R iz 40 PRETE TEST PE rn ” vage RR on vw ‘Ae La 7 leg At ha ss0if don ‘Aa . SSFRETta Seduta del 25 giugno 1882. Lil io SR Te Presidenza del Vice Presidente cav. A. VILLA. Il Segretario Sordelli legge la memoria inviata dal socio pro! Innocenzo REGAZZONI, relativa ad un Cranio umano preistorici rinvenuto in Brianza. Detto cranio, proveniente dalla torbiere a oriente del lago di Pusiano, detta la Comarcia, giaceva pe metà sepolto nel limo del fondo e coperto per l’altra metà dalla torba. L’A. lo descrive, riporta il giudizio datone dal prof. Zoja, e senza rimovere del tutto il dubbio riguardo alla sua età, tiene non doversi escludere che ‘possa essere assai antico, con- fortato in tal modo di vedere dalle circostanze stesse della su giacitura e dal fatto che allo stesso preciso livello si rinvennero pure oggetti preistorici in selce. hill Su questa memoria il socio CASTELFRANCO muove alcune abili zioni, associandosi all’autore nel ritenere non abbastanza pro- vata la antichità di tale resto umano. Dice che la torba po- trebbe essere stata galleggiante almeno un tempo, nel qual caso un cadavere poteva venire trascinato al disotto di essa e ass 1- mere quindi una giacitura ‘da farlo sembrare assai più antico. Al quale proposito il socio ing. VittoRIO VILLA ricorda che presso i pescatori e barcajuoli del lago di Pusiano vige la tradizione che i cadaveri nella. parte orientale del lago, non vengono ri- gettati alla riva ma scompaiono senza lasciar traccia. SEDUTA DEL 25 GIuGNno 1882. 239 FI | Risponde il socio SorpeLLI che la torbiera della Comarcia da lui vista una volta, situata sopra un leggerissimo pendìo, non l’ha trovata galleggiante e stando alle indicazioni medesime date dal prof. Regazzoni nella sua memoria, non parrebbe che lo sia stato neppure nei tempi andati, non facendovisi parola di quello trato fangoso nero che nel caso supposto dovrebbe esistere fra lo strato torboso propriamente detto e il limo biancastro del "fondo. Il socio Castelfranco esprime ancora il desiderio di avere mag- po particolari sulle condizioni di giacitura del cranio in di- “scorso ed in particolare sulla distanza dalla riva attuale del punto in cui fu trovato. Ed il segretario Sordelli dice che ne ‘scriverà al socio Regazzoni, il quale, ne è certo, comunicherà volontieri alla Società tutte quelle ulteriori notizie che potrà | raccogliere in proposito. Lo stesso segretario Sordelli dà comunicazione di una sua nota: Su di un Axolotl polimelico, e sulla più frequente causa di tale anomalia nei batraci urodeli. Egli descrive anzitutto l’e- semplare, che presenta vivo alla Società, ed è affetto da poli- melia all’arto anteriore ‘destro. Parla indi delle analoghe mo- struosità descritte negli Urodeli da Siebold, da Duméril e da Camerano, ne mette in evidenza gli speciali caratteri, e ne fa una distinta categoria separando le polimelie vere delle Rane fin qui conosciute, e dovute a originaria duplicità dei germi, dalle melomelie degli Urodeli che non interessano punto il tronco, ma solo l’arto affetto, e sono dovute ad una causa puramente _ traumatica. Il segretario Sordelli, a nome dei colleghi della Presidenza, comunica alla Società che per iniziativa del sig. dott. Filippo Terzaghi fu aperta una sottoscrizione per ricordare nel Civico Museo la memoria del compianto nostro Presidente prof. Emilio i Cornalia, che per 16 anni diresse questo Istituto cittadino. Ag- giunge che varî socî e molte altre persone hanno già contribuito a che possa sorgere un decoroso monumento all’ illustre estinto, e che coloro i quali intendessero associarvisi possono farlo an- fia del fiohatoi tonbcinfoili dovero sto verso Colui che resse le sorti del 1 0s nto sodal (sor mordî della | sua istituzione. La pror osta | viene. | presenti, i 1 quali. deferiscono al socio È So. rdelli lin IC parsene e darne poi lettura i in una. delle GALA, i Ante «In fine vien letto ed approvato il processo,i; rbal: e cata 30 aprile 1882... ||. < Su i Tad ci Bi, #% Pat fi te al | vela Tr, : i i» n dita è Cee sti riot. ip Shi vt} vat — SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ. opa . ella Societa è di promuovere in Italia il progresso degli studi alle Scienze naturali. co] effettivi pagano it. Li 20 STTaRe in una sola Was Pe primo tri- tr P peo Sono invitati rina alle sedute pone quelli 3 Pa ricevono dive gli Atti della Società. A Socj corrispondenti si eleggono persone distinte nelle scienze i le qua 1a. dimorino fuori d’Italia. — Possono diventare socj effettivi, quando si. lsog oggettino alla tassa annua: di lire venti. — Non sono invitati partico- gppetito alle sedute della Società, ma possono assistervi e presentarvi o vi leggere delle Memorie o delle Comunicazioni. — Ricevono gratuita- en ni gl Atti della Società. a proposizione per l’ ammissione d un nuovo socio deve essere fatta e arma rata da tre soc) effettivi. — pù I [ Socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima el la fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad es- re tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di un no, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno successivo, cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. tro Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stiate negli Atti o nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, secondo 2 i loro estensione ed importanza. J La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. | Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del formato degli Atti o delle Memorie stesse. | Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, pur- chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone Pe egolare ricevuta. | Quanto ai lavori stampati negli Atti l’autore potrà far tirare un numero qualunque di copie ai seguenti prezzi: Esemplari (280 | sO | 75 | 2100. | */a di foglio (4 pagine) L.225|L.250|L 4 — | iJa foglio (8 pagine) . . . = 1:154 43 DOS, SS % di foglio (12 pagine) . 5 —| » 6 75/» 9— tl foglio (16 pagine) . . . » 2 75 Lo 5 501 » 8— I» 10 ich | | N) sa DO - un No) la») (I $ $ n un >) to .db52î9 GODORPInO: Vik} 6988 e Le +1 % % Mar = Py NCMORTE si AGUSTA pia sh, 2 CAI 30 v È A * x Li » pa A s i 4 e) Di "U A ip Ra i Te è de * Agro hi ti STRAIT " ai eve x pe | + fr 3 Le 4; Presidente, N. N. | Vice-presidente, VILLA ANTONIO. Milano, via Sala, 6. Y Rd 4. & ty 3 bi ; 7 a _ SORDELLI prof. “bero aggiunto. al Segretarj storia naturale di Milano, via Monforte, ' PinI rag. SA SFOLER via Croctfe e 6. È PIRO) i ù TUSTI n k Cassiere, Giava GIUSEPPE, Milano, via Senato, 4A CSR. 4 t} w n Pa) Ni Mi a VISA OIETE A RN ALDA SER METTO nè 404 IEITOST OST I ARIES A PE:208 Add Rn sta TRA | Avia i Vian SEI + } Di We ge At ia Rasa î TO 3 "M zI 2 5 p?: SA LA "i tato bai È an A . ki | DI UN CRANIO UMANO RINVENUTO IN BRIANZA. Nota del socio Prof. INNOCENZO REGAZZONI. (Tav. 4.2). Le ricerche relative all’uomo primitivo hanno fruttato e in Italia e fuori una ricca suppellettile di oggetti diversi nell’uno o nell'altro modo prodotti dalla industria umana, rivelata così in ogni suo aspetto. Le alluvioni, le caverne, i ricoveri sotto roccia, le stazioni lacustri e le palustri, le terremare, i dolmen, ‘i tumuli e le necropoli, per tacere d’altri minori monumenti di quella età remotissima, recarono alla nuovissima scienza paleoet- nologica un largo tributo di armi e di utensili interessanti non meno che svariati. Per la qual cosa divenne possibile determi- nare in quali condizioni sia vissuto l’uomo vetustissimo che si suol dire preistorico, e quali fossero le sue occupazioni, i suoi costumi, e le sue cognizioni riferibilmente tanto al mondo fisico quanto al morale. Il progredire di cotesti studî e delle relative scoperte fomentò il naturale desiderio di conoscere più da vicino quei primi no- stri antenati, che è quanto dire di conoscere le loro condizioni fisiche e antropologiche non che i rapporti etnografici fra le varie genti, che nei tempi preistorici in questa ed in quella regione si succedettero. Divennero quindi sempre più vive e più impor- tanti le ricerche delle reliquie umane, e le esplorazioni si suc- ‘cedono ovunque senza posa, e non sempre infruttuose. Se non che alla segnalata dovizia dei prodotti della umana industria corrisponde altrettanta penuria di spoglie dell’uomo preistorico, Vol. XXV. 16 I. REGAZZONI, vuoi perchè distrutte dal tempo edace, massime quando si trat di gente avara di cure verso i trapassati, vuoi perchè scompo- ste dal processo di incinerazione al quale soventi volte furono. assoggettate. Perciò, allorchè si incontra qualche resto umano | non del tutto sformato, lo si fa oggetto di esame diligentissimo | e se ne tiene conto come di documento prezioso per la storia dell’ umanità primitiva. La qual cosa si verifica in singolar modo rapporto ai teschi umani quà e là dissotterrati, i quali hanno il massimo valore agli occhi dell’ antropologo e dell’ etnologo. In forza di queste considerazioni io giudico pregio dell’opera il dare alcune notizie intorno ad ‘un cranio umano, evidente- mente antichissimo, stato rinvenuto nel 1886 in altra delle tor- biere della Brianza; ciò che giustifica questo mio scritto e ne addita l’unico intendimento. I palecetnologi conoscono da varî anni la torbiera della Co- marcia, che occupa il seno formato dal lago di Pusiano verso ‘la sua sponda orientale, imperocchè da essa si esumarono di- verse reliquie dell’uomo preistorico, menzionate in questa od in quella pubblicazione.' La proseguita escavazione della torba mise all’aprico nuovi cimelî, quali più quali meno interessanti; ed io sento sempre il dovere di ripetere calde azioni di grazie all’ egregio signor dott. Giosuè Oriani per la cura costante colla quale invigila affinchè nulla vada smarrito. Interessante senza dubbio fra gli oggetti della Comarcia è un teschio umano, primo ed unico resto d’uomo fino ad ora ivi rin- venuto. Venne raccolto sullo scorcio del luglio 1880 verso il lato sud-est della torbiera, dove giaceva sotto al deposito tor- boso alla profondità di due metri circa, e d’ onde venne estratto nell’escavare la torba. La porzione inferiore di esso stava se- polta nella melma marnosa del sottosuolo della torbiera, la su- periore, ossia la callotta, era coperta dalla torba. Assieme ad esso si trovarono due frammenti ossei, l’uno spettante al tem- 4 REGAZZONI, L'Uomo preistorico nella prov. di Como. Milano, 1878; e Rivista ar- cheol. della prov. di Como. — VILLA ANT. e G. BATTA., Cenni geologici sul territo- rio dell’antico Distretto di Oggiono. n DI UN CRANIO UMANO RINVENUTO IN BRIANZA. 243 * : porale destro, l’altro allo sfenoide, ma nessun altro osso lasciò dalla raccolta che io ne tengo presso il Gabinetto di Storia na- turale del R. Liceo Volta in Como. La porzione inferiore del teschio, stata immersa nella melma, ne è tuttora imbrattata, così che le ossa presentano un color terreo; la porzione superiore, già racchiusa nella torba, è invece di colore olivastro sporco ed offre nuda e quasi lucente la su- | perficie ossea. L’interna cavità del cranio era riempiuta da fine erbe palustri e da fanghiglie; ora, che è svuotata, appare di colore olivastro puro, e le ossa sono in gran parte rivestite da uno straterello membranoso, pure olivastro, disseccato e facile a staccarsi. Le ossa poi allappano leggermente alla lingua, ma sono ben conservate; le suture sono manifeste all’esterno; i sol- chi interni, in cui si adagiano i vasi sanguigni, sono pronunciati; lo spessore delle ossa si può dire normale. Al teschio in discorso mancano tutte le ossa della faccia, esclusa una minima porzione delle ossa nasali, e mancano in gran parte quelle eziandio della base del cranio, ad eccezione di por- zione della rocca petrosa sinistra. La callotta ossea residuata presenta quasi tutto il frontale, mancante soltanto in parte verso destra ed inferiormente; consta inoltre dei due parietali interi, della squama dell’ occipitale, compreso l’ inion, della mas- sima parte del temporale sinistro e della porzione superiore della grande ala sinistra dello sfenoide. Nel suo complesso il cranio in discorso è piuttosto piccolo ; il suo peso è di grammi 480, compresi i due frammenti ossei stac- cati. La forma è quella di un ovoide alquanto allargato e po- steriormente schiacciato. Guardato dall’ avanti all'indietro, pre- senta la fronte ristretta, bassa, sfuggente, con gobbe frontali ben pronunciate e coll’arcata sopraccigliare sinistra completa ed accompagnata da porzione della volta orbitale corrispondente; l’arcata sopraccigliare destra manca del tutto. Si nota per altro he di all esame interno. Nessun indizio di sutura fr ; idee ce i Mione: cosa a mi Il lato sinistro presenta l'osso temporale presso € pò: - np] col foro auditivo e col processo mastoideo. Il compo ds manca, essendosene trovati soltanto alcuni piccoli fre ic nti, nè potendosi escludere assolutamente che qualche minuto. frame mento sia rimasto inosservato entro alla torba al romea | rinvenimento del cranio stesso. Posteriormente è manifesta una > certa sporgenza dell’ SRDARHTA, distrutto nella sua porzione infe-. riore, così che non c’è più traccia di foro occipitale. Le gobbe parietali sono ben pronunciate, la destra meno che la sinistra, per cui risulta una evidente dissimetria, essendo il parietale si- | nistro più elevato e più sviluppato che il destro. Nel desiderio di avere dati più esatti, e per parte di persona meglio esercitata in questo genere di osservazioni e di studî, a mezzo del chiarissimo prof. cav. T. Taramelli, che mi onora della sua benevolenza, feci pervenire il cranio della Comarcia all’ illustre prof. cav. G Zoia; e qui trascrivo letteralmente il giudizio gentilmente proferito dall’ esimio anatomista dell’ Ateneo ticinese. “In complesso il cranio è piccolo, ma di bella forma, e suf- ficientemente regolare. È però leggermente assimetrico, essendo sviluppata un po’ più la parte sinistra. La fronte è alquanto stretta e fuggente allo indietro. » Sono bene appariscenti la glabella e le gobbe frontali, le so- praccigliari e le parietali. Sono discretamente sviluppate le ar- cate sopraccigliari e le occipitali posteriori. Invece sono piccoli i seni frontali e l’apofisi mastoidea sinistra. » Si notano le incisure sopraorbitali, due fori mastoidei a si- nistra; il foro uditorio esterno dello stesso lato è normale, men- tre il meato interno è piccolo. Mancano i fori parietali. » La sutura fronto-parietale (coronale) è aperta, normalmente dentata, e la sagittale è pure aperta e dentata, ma soltanto all’avanti ed all’indietro, mentre è semplice e chiusa in corri- i î ci + È : N Atti d Soc. It. d.S.N Vol. XXV Tav, 4. Cranio della Comarcia DI UN CRANIO UMANO RINVENUTO IN BRIANZA. 245 spondenza dell’obelion; la lambdoidea, regolare ed aperta, offre quattro wormiani, due per ciascun lato. » All’interno le suture sono scomparse ad eccezione della squa- mosa sinistra; sono bene tracciati i solchi vascolari; si vede qualche fossetta per granulazioni di Pacchioni; è singolarmente sviluppata e saliente la cresta frontale interna e coronale. » Misure del cranio : Circonferenza orizzontale . . . . . . millim. 505 Ma ro ricolate . 1, 004, 6 | ZAR » Soprauricolare approssimativa . . e) 310 mggzgiontale” totale. 0 (n, si TRE TELO RRSSAA o i 123 fimaisopraoccipitale . 0.0... bi 76 Diametro antero-posteriore massimo . . i: 176 ne trasversale massimo . . . . i 148 Indice cefalico . . . . . .-. . centim. 84.05 Capacità approssimativa . . . . cent. cub. 1,500 » Cranio molto antico; brachicefalo vero; probabilmente ma- schile; di circa 35 anni. — Romano? — , Fin quì il preclaro prof. Zoia, il quale chiude il diligente suo esame col dubbio che il cranio brachicefalo puro della Comarcia possa essere di tipo romano. Ma la forma brachicefala non manca nei più antichi depositi dell’epoca preistorica, e parmi che valga la pena di ricercare se a questa si possa far risalire il cranio in discorso. È noto che l’Eschricht, il Retzius ed il Nilsson divisero la ve- tusta famiglia umana in due gruppi: brachicefalo l’ uno, com- prendente i primissimi abitatori dell’ Europa e rappresentato oggidì dai Mongoli e dai Chinesi come anche dai Baschi, dai Finni e dai Lapponi, popoli costituenti una razza mongoloide; e dolicocefalo l’altro, formato da genti che dall’ Asia vennero nel nostro continente e lo invasero. Dallo incrociamento di questi due tipi si farebbero derivare tutte le attuali razze europee. Questa distinzione però non resse di fronte alle scoperte posteriori ed a tan ì Mm 246 I. REGAZZONI, alle osservazioni alle quali queste diedero luogo. I rinomati cran di Néanderthal, di Engis, e del vecchio di Cro-Magnon, cranî giudicati antichissimi, sono tutti dolicocefali, con fronte ristretta, | bassa e sfuggevole, ed arcate sopraccigliari molto salienti. Nel- l’opera Crania ethnica De-Quatrefages ed Hamy affermano — ed Hamy lo ripete e lo dimostra eziandio nei Précis de Paléontologie — humaine -— che il tipo dolicocefalo fu anteriore a qualunque altro in Europa. Alle razze primitive di Cannstadt e di Cro-Magnon assegnano cranî dolicocefali; nella razza meno antica di Furfooz riconoscono forma mesaticefala o subbrachicefala, laddove il tipo brachicefalo puro viene dal Broca considerato siccome caratte- ristico di una quarta razza fossile. Egualmente dolicocefalo sa- rebbe l’antichissimo cranio dell’Olmo; il quale al chiaro Nico- lucci lascia supporre che “anche questa forma craniale fosse propria di quegli uomini che nel cuore della nostra penisola vissero contemporanei di una Flora e di una Fauna in parte estinta, e furono i rappresentanti dell'umanità in quell’ epoca, alla quale si dà il nome di prima età della pietra.' , E dolico- cefali vengono del pari dichiarati dall’ egregio prof. Issel i cranî dei cavernicoli della Liguria. Malgrado questi ed altri fatti ed osservazioni, che infirmano la opinione del Retzius, sembra che le forme del cranio umano differissero essenzialmente fino da tempi più remoti, e che fra gli aborigeni europei già si riscontrassero i due tipi, brachice- falo e dolicocefalo. , La brachycéphalie et la dolicocéphalie des types humains, dice il De-Nadaillac, existaient en Europe avant les immigrations , ed il Lubbock avverte che i cranî rinvenuti nelle caverne di varie regioni europee erano quali dolicocefali e quali brachicefali.” In seguito dal centro dell’Asia orde immense di uomini, rami diversi del grande albero ariano, in epoche diverse e non ben 4 NicoLUucci, Antropologia dell’ Etruria. Atti della R. Accad. di Scienze fisiche e matematiche. Napoli, 1967. ? De NADAILLAC, Les premiers hommes. Vol. 2°, pag. 297. Paris, 1881. — LuBs- BOCK, I tempi preistorici. Pag. 241. Torino, 1878. DI UN CRANIO UMANO RINVENUTO IN BRIANZA. 247 determinate, irruppero in Europa. Grosse maree umane si in- calzarono da oriente verso occidente, si combatterono, si confu- sero e scomparvero, non lasciando dietro di sè che le povere tracce di cui noi con pazientissimo lavoro andiamo in cerca. E con queste varie razze si succedono diversi periodi o fasi di in- civilimento, dal quale le razze inferiori sono soggiogate o di- strutte, fin che si formano i popoli eminentemente perfettibili, la cui grandezza e il cui incessante progredire sono glorioso patri- monio della umana famiglia. I popoli di origine ariana costituiscono il nucleo di coteste grandi immigrazioni, le quali, dalle regioni montuose della Bac- triana si distesero prima nelle varie provincie asiatiche, quindi invasero l’intero continente europeo. A guisa di sconfinato ven- taglio, gli Arii si estesero dall’Indo e dal Gange fino al mar Bal- tico, e dal Turkestan e dall’Oxus fino all’ arcipelago Britannico, non arrestandosi che alle barriere insuperabili del Mare Gla- ciale. Questi popoli, che, a quanto sembra, recarono in Europa le prime nozioni dei metalli, fattori principali dell'umano diroz- zamento, vi importarono eziandio diversi tipi umani, e ve li dif- fusero in tutte le regioni nelle quali vennero a prender stanza. Infatti brachicefali si pretende che fossero di preferenza i Li- guri e gli Etruschi, laddove i Pelasgi, gli Umbri ed altri si vo- gliono dolicocefali. | Fra le genti preistoriche europee, adunque, e l’ una e l’altra forma di cranio era rappresentata, così negli aborigeni o ‘nei primissimi abitatori d’ogni regione, come fra le genti soprav- venute in successo di tempo. Per la qual cosa sembrami che nulla vieti di accordare al cranio brachicefalo puro della Co- marcia un’ antichità più remota che la romana. Nè il tipo bra- chicefalo può essere considerato come caratteristico della razza latina o della romana, in cui eziandio occorrono frequenti i cranî di forma diversa. Il preclaro prof. L. Maggi descrisse sei cranî stati esumati da tombe dell’ epoca romana rinvenute a Ca- steggio, nel Vogherese. Fra questi sei cranî ve ne sono due dolico- cefali puri, due subbrachicefali, uno brachicefalo puro ed no 248 I. REGAZZONI, subdolicefalo. I due tipi quindi vi sono rap prevpgistg in propor- zioni presso che eguali. Altre circostanze eziandio sembrano concorrere ad a fia Paig al cranio in discorso una antichità assai remota, e sono le cir- costanze nelle quali esso fu rinvenuto. | La Brianza era senza dubbio abitata durante l’epoca preisto- rica. Ciò attestano le varie scoperte paleoetnologiche fattevi dallo Stoppani, dai fratelli Villa, dal Castelfranco e da me, che pure vi raccolsi in più località non scarsi cimelî dell’uomo esostorico. Il lago di Pusiano ebbe le sue palafitte in corrispondenza al- l'Isola dei Cipressi. La vicina torbiera di Bosisio fornì traccie di stazioni non che buon numero di armi e di strumenti litici, e cocci rozzissimi e qualche oggetto in bronzo. Indizî di una pa- lafitta furono riscontrati nel lago di Annone, come pure avanzi «di pali ed oggetti preistorici diversi apparvero nella torbiera di Maggiolino, in territorio di Rogeno, ed in altra presso a Ca- sletto. In quanto alla Comarcia, dalla quale venne estratto il teschio umano di cui faccio parola, devo ripetere che, benchè non si riscontrassero indizî di stazione, pure da quella torbiera si raccolsero parecchi cimelî paleoetnologici. Allasovraccennata mia collezione la Comarcia ha somministrato parecchie cuspidi di frecce e di lance, coltellini, nuclei, raschiatoi e schegge di pie- tra selce, un fuso di legno e varî dei così detti galleggianti per reti, un frammento di corno di cervo lavorato, alcuni denti di ruminanti, semi di avellana, qualche piccolo coccio di rozza sto- viglia, uno spillone ed un coltello di bronzo.' Nessuna meravi- glia, adunque, se un teschio umano, evidentemente antichissimo, esumato in località tutt’ altro che povera di ricordi dell’ uomo preistorico, si vorrebbe attribuirlo ai primitivi abitatori di quella contrada. Quel teschio inoltre giaceva sul fondo della torbiera, sepolto sotto l’intero strato torboso, della potenza di ben due metri. Il processo di formazione della torba, naturalmente lento, deve senza i Rivista archeolog. della prov. di Como. Fase. 19. Giugno, 1881. DI UN CRANIO UMANO RINVENUTO IN BRIANZA. 249 dubbio aver impiegato buon numero d’anni per formare lo strato torboso di due metri. E molto più lento deve essere stato il periodo della torbificazione della Comarcia, trattandosi di un piccolo seno di un lago ad acque fredde e magre, tal che nel verno gelano bene spesso, ed a fondo sabbioso e non rivestito da ricca vegetazione acquatica. Tali considerazioni non permet- terebbero forse di assegnare al cranio della Comarcia una più alta antichità? Attorno allo stesso cranio si rinvennero alcune schegge silicee, analoghe alle altre sparse quà e là nella torbiera e sepolte quali nella torba, quali nella marna del sottosuolo. Questa parmi altra circostanza della quale forse non è vano il tener conto, mas- sime se la si aggiunga al rinvenimento in luogo di altri oggetti preistorici, come venne già accennato. Dal complesso delle con- dizioni paleoetnologiche della Comarcia non è lecito dedurre che l’uomo preistorico vi abbia tenuto stabile dimora; ma non si può neppure negare la sua presenza in quella località, nella quale probabilmente egli si recava dalle vicine stazioni di Bo- sisio e dell'Isola dei Cipressi, allo scopo di esercitarvi la pesca e la caccia. Là egli disseminò armi ed utensili, e nulla vieta di credere che vi abbia altresì lasciato il cranio del quale si è fatta parola. | Io non voglio, nè posso affermare che il cranio della Comar- cia sia assolutamente preistorico; sembrami soltanto che le con- siderazioni esposte concedano di formulare anche siffatta ipo- tesi. La quale io espongo e sottopongo al giudizio degli studiosi, pago, ora e sempre, di chiamare la loro attenzione su di un fatto forse non totalmente destituito di valore. Como, marzo. 1882. / 250 I. REGAZZONI, DI UN CRANIO UMANO, ECC. NOTA. Mi faccio un dovere di aggiungere alcune altre notizie raccolte dopo che la presente memoria era già stata comunicata alla Società Italiana di scienze naturali. A maggiore schiarimento delle circostanze che accompagnarono il rinve- nimento del cranio in discorso, avverto che esso fu trovato ad un centinaio di metri circa dal limite orientale della Comarcia. E meglio ancora fu | raccolto alla estremità di una linea la quale, partendo dal ciglio della | strada che da Cesana-Brianza mena a Bosisio e proprio appena al di là della linea di confine fra i due Comuni e verso Bosisio, si avanza nella tor- biera pel tratto di cento metri circa ed in direzione da levante a ponente. Dal punto in cui giaceva quel cranio al limite occidentale della torbiera verso il lago di Pusiano, corrono altri duecento metri circa. Aggiungo del pari che l’egregio signor dottore Oriani, accompagnato anche dal signor Carlo Mauri di Pusiano, avvertito subito del rinvenimento del cranio, accorse in luogo, e praticò diligenti e pazienti indagini. Non rinvenne verun altro osso o frammento osseo, nè emerse alcuna altra circostanza oltre quelle già accennate. In secondo luogo noto che le torbe della Comarcia furono un tempo gal leggianti, e quindi si potrebbe supporre che il cadavere di persona anne- gata nel lago di Pusiano potesse dal moto ondoso e da correnti essere por- tato sotto alle torbe e depositato fra queste ed il sottosuolo della torbiera. Da informazioni che assunsi in luogo e da persone meritevoli di piena fidu- cia non risulta che i cadaveri degli annegati nel lago potessero insinuarsi sotto alla torba e così addentro nella torbiera, come non consta che ciò siasi mai verificato. Venni piuttosto assicurato che a memoria di uomini i cadaveri degli annegati in detto lago o vennero pescati o vennero a galla dopo alcuni giorni, come di solito avviene. D'altra parte resterebbe sempre. | a spiegare e la constatata antichità del cranio della Comarcia, e la man- canza assoluta d’ogni altro avanzo di scheletro umano, e tutte le altre circostanze relative al giacimento del medesimo. Posso altresì affermare che da lunghi anni le torbe della Comarcia cessarono di essere galleggianti, e che quando vennero escavate esse appoggiavano sul fondo, e presentavano uno strato tutto continuo dalla parte più profonda alla superficie. Chiudo poi con una parola di caldo ringraziamento agli egregi professori Giov. Vanini e T. V. Paravicini; il primo disegnò dal vero il cranio della Comarcia, ed il secondo ne fece la riduzione ad un !/, della grandezza na- turale e lo riportò sulla pietra. DI UN AXOLOTI, POLIMELICO A E DELLA PIÙ FREQUENTE CAUSA DI TALE ANORMALITA NEI BATRACI URODELI. Comunicazione del socio Prof. FERDINANDO SORDELLI Aggiunto ALLA Direzione DEL Civico Museo DI STORIA NATURALE. ( Seduta del 25 giugno 1882). . Poco tempo dopo la comunicazione fatta alla Società dall’ e- eregio nostro socio dott. CAMERANO, intorno ad un caso di polimelia in un Triton taeniatus,' io riceveva in dono dal pre- paratore del Civico Museo, sig. Barazetti, alcuni Axolotl (Sire- don lichenoides Baird), provenienti dall’allevamento da lui fatto nel 1881.° E fra essi con piacere ne trovai uno il quale pre- sentava un’ anomalia affatto analoga a quella descritta da Ca- merano, salvo che invece di interessare l’arto posteriore sinistro, 19 mio esemplare l’arto affetto da polimelia è l'anteriore destro. Con moltissimi altri individui esso proviene da uova deposte il 26 aprile e nate il 20 maggio; ha dunque poco più di un anno di vita; misura cent. 15 !/e e presentasi normalmente sviluppato in |! Atti della Società italiana di scienze naturali, vol. XXV, 1882, p. 113. | 2 Sarebbe forse utile il descrivere il pren seguito per ottenere con tutta sicurezza un'abbondante propagazione di tali curiosi animali, ma non è questo il luogo opportuno. Solo ricorderò come i numerosissimi individui che ora si trovano sparsi nelle varie parti d’Italia, provengano tutti dagli allevamenti fatti dal signor Barazetti, e discendano da quelli stati per la prima volta introdotti dal compianto nostro presidente prof. Cornalia; al quale 7 esemplari pervennero vivi, nel novembre 1867, dal Giardino delle Piante di Parigi, donati dal fu prof. Augusto DUMERIL, \allora direttore della « ménagerie des reptiles ». Di quei 7 individui, due vivono an- cora adesso, per cui hanno circa 16 anni. Nessuno di essi ha mai subito la metamor- \fosì. Non così quelli allevati più tardi da Barazetti, parecchi dei quali offersero i leuriosi fenomeni descritti già da Duméril fino dal 1866. (V. Observations sur la re- \production, dans la Ménagerie des Reptiles du Muséum d’histoire naturelle, des Axolotls, batraciens urodèles à branchies extérieures, du Mexique, sur leur dévelop- \pement et sur leurs métamorphoses. — Nouv. Arch. du Muséum, II, p. 265-292, pl. }. 252 F. SORDELLI, tutte le sue parti, sia nelle proporzioni del corpo, sia nel colori; bruno-nerastro, segnato appena sui fianchi da macchie assai po distinte. L’arto soprannumerario è evidentemente inserito sull mero dell’arto già indicat a circa ?/s dall’articolazior di questo colla spalla; esso è più breve e più sottile de o gli arti anteriori (normali), non ha che tre dita abbastan: za bene sviluppate, assai dix varicate fra loro, il mediano più lungo, l'interno più bre: ve, tra le quali, alla base, vedesi tesa la pelle in forma! di stretta membrana natato Parte anteriore dell'animale, vista dal di- ria. La zampa, che dirò (im>| sopra, in grand. nat. Le branchie del 1° pajo propriamente e solo per di- sono nigto alquanto DAO verso il dorso stinguerla dall’ altra unita) per lasciar vedere meglio le gambe. ° : | autosita , non differisce &i primo aspetto dalla normale sinistra, ma osservando bene sì vede che, pur avendone la forma generale, il volume n’è di alcun poco maggiore e segnatamente le dita ne sono di circa una; metà più lunghe; inoltre l’ articolazione dell’ avambraccio coll’oz mero è come leggermente girata e portata un po’ più in alto, mentre, nella normale sinistra, l’avambraccio si piega un po’ più, decisamente dall’ avanti all’ indietro. Del resto questa zampa: ha movimenti, si può dire, normali ed alterni con quelli delle sinistra, nel camminare e nel nuotare. Non così invece avviene dell'arto soprannumerario, il quale non solo ha le dita immobili! fra loro e sull’arto cui appartengono, ma esso stesso appare! 1 come rigido rispetto all’ omero dell’ autosita, ai movimenti del quale risponde passivamente. Ne viene che nei moti dell’avam i È "| È | I i braccio, allorchè questo si porta avanti, le due zampe si diva- ricano, e si riavvicinano all'incontro quando l’avambraccio si porta all’indietro. Osservando i movimenti dell’animale (ciò che il. DI UN AXOLOTL POLIMELICO, ECC. 253 lott. Camerano non potè fare pel suo 7riton *), si vede quindi che ‘arto soprannumerario riesce piuttosto d’impaccio che di aiuto. I caso descritto come unico fra gli Urodeli dal dott. Came- ano cesserebbe quindi d’esser tale pel solo fatto della pubblica- lone di questa mia noterella. Se non che io non era lontano lal credere che anche altri casi fossero noti, di anomalie di uesto genere, solo che si esplorasse meglio la relativa biblio- rafia.* E in vero, parlando del mio caso col nostro collega iott. Malfatti, questi attrasse la mia attenzione sul lavoro del irof. Augusto DumgRriL pubblicato |jnel 1867,° nel quale sono lescritte e figurate numerose anomalie osservate appunto tra li Axolotl allevati nel Giardino delle piante di Parigi. Di que- te il maggior numero appartiene a quelle anormalità dette etro- e polidattilia, che consistono, rispettivamente, nella pre- "nza pil dita in numero inferiore, ovvero O alla 1 norma. rese nel genere delle polimelie, e precisamente nella specie belomele, cioè offrono lo sviluppo di arti accessorî inseriti sui ormali, appartengano poi questi al cingolo toracico, ovvero al ingolo pelvico. Rientrano quindi perfettamente nella categoria elle aberrazioni descritte dal dott. Camerano e da me. i Quanto all’origine di tale mostruosità è naturale il credere ne difficilmente si potrebbe accertarsene quando non si aves- ro tra le mani se non individui presi alla campagna, dei quali oco e punto si può sapere di quanto riguarda la vita loro an- riore. Ma nel caso degli Axolotl la circostanza è ben diversa, |* In compenso l’egregio naturalista torinese ci diede interessanti particolari osteo- gici, che io non posso comparare col mio soggetto, fin che è vivo. 4 Oltre quanto dirò in appresso, trovo notato che anche v. SIEBOLD, aveva già to conoscere, con altre anomalie, un caso di melomelia rudimentale, di un Tritone, ba, cui s'erano sviluppate due dita soprannumerarie, con membrana interdigitale, a î ello del ginocchio, 0v' era stato ferito (C. T. E. v. SieBoLD, Observationes quae- im de Salamandris et Tritonibus, p. 23, fig. 22). 5 DuméRIL AUG., Description de diverses monstruosités observées è la Ménagerie s Reptiles du e RA d’histoire naturelle, sur les Batraciens urodèles à bran- les extérieures dits Axolotls (Arch, du Mus. d’hist. nat. 1867, III, p. 119-130, ‘ec l pl.). 254 P. SORDELLI, e la loro storia getta, come vedremo, un raggio di luce. rischiara la genesi di certe anomalie per modo da doverle di stinguere, quanto alla causa, da certe altre in apparenza affini, È nota, infatti, la facilità estrema con cui detti animali ripr ducono le parti asportate. Soprattutto nei primi mesi di età, e anche in seguito, quando per poco si trascuri di nutrirli a temp diventano voracissimi e strappano le branchie, le zampe e pari della coda ai compagni, i quali, come se nulla fosse, in pocli giorni rimettono le parti perdute. Ciò ebbe ad osservare pel primi il prof. Duméril a Parigi, osservò il nostro Cornalia a Milano | potè verificare chiunque ebbe ad allevare di tali batraci. Anchi tra i numerosissimi Axolotl allevati dalle uova ottenute nel 1887 da Barazetti, dei quali una notevole parte figurava all’ Esposi zione nazionale nella galleria dell’ Orticoltura, confinati com « rano in ispazî ristretti, avvennero più e più volte scene di sangwi ed estirpamenti di gambe, così da lasciar talvolta a nudo omei e femori. Eppure non uno morì per questa causa, ma sempil l’arto ripullulava entro un tempo relativamente brevissimo. Tr individui con estremità riprodotte rinvenne appunto il Dumér le anomalie da lui descritte, e tra essi va pure collocato quell da me descritto; sebbene, mi affretto a soggiungere, in quest individuo, non si abbia potuto tener dietro fin dai suoi primore alla produzione e sviluppo del fenomeno. | Da quanto dissi, risulta quindi estremamente probabile ct anche l’ anomalia descritta dal Camerano debba la sua origir ad una mutilazione, in seguito riparata, essendo noto da assi tempo con quanta facilità i Tritoni rimettono le parti perduti specialmente le zampe e la coda. Il prodursi di tali anomal non sarebbe adunque da ricercare nell’uovo e nella multiplicil degli embrioni, ma sarebbe un fatto dovuto ad una riparaziot in eccesso dei tessuti, favorita senza dubbio da particolari co) dizioni della ferita°; giacchè non tutti gli individui mutilati x 6 Una conferma di ciò i’ avressinio nelle parole stesse di GEOFFROY ST.-HILAIR « On peut d’ailleurs produire è volonté la duplication ou mème la multiplication | la queue chez les lezards et surtout chez les salamandres; il suffit, pour obtenir. i DI UN AXOLOTL POLIMELICO, ECC. 255 | mettono poi, oltre le normali, anche delle parti in soprannumero. Sì verifica, insomma, negli Axolotl e nei Tritoni, potrei dire nei batraci urodeli in genere, lo stesso fenomeno osservato nelle lucertole, presso le quali al posto della coda perduta ne ripul- * un’altra e talvolta non una sola, ma due o tre.” | Con ciò non voglio dire, per altro, che tutte le polimelie debbano Hiipendero dalla facoltà di riparare le membra perdute. Anzi la iù naturale conclusione che parmi poter dedurre dalle premesse osservazioni si è appunto questa: che se presso gli Urodeli è ovvio l’ammettere come la più probabile e più frequente causa della multiplicità delle membra la facoltà di poter riprodurre, talora in eccesso, certe parti perdute, laddove questa facoltà non esiste, noi troveremo appunto una fondata ragione per am- mettere che il fenomeno sia dovuto a tutt’ altra causa e vero- Similmente ad una originaria duplicità dei germi. Nelle Rane po- limeliche, per es., è naturale che la spiegazione valevole pei Tritoni © pegli Axolotl non serve più, poichè non credo che presso le Rane si sia osservata, almeno in modo sì manifesto, la proprietà già citata negli Urodeli. Del resto anche l’osservazione dei caratteri presentati dalle anomalie istesse fin qui avvertite nei Batraci, induce a separar queste in due serie ben distinte. La Melomelia non interessa, come sì disse, che l’arto, anzi una parte sola di esso e non offre rapporto alcuno col resto del corpo; onde si comprende come possa veri- résultat assez intéressant sous Ie point de vue physiologique, de retrancher une por- tion du prolongement caudal, de diviser en deux ou plusieurs lambeaux l’extrémité du moignon, et de maintenir ces lambeaux séparés Jusqu'à ce que Ia cicatrisation de chacun d’eux soit opérée.» — GEOFFR. ST.-HiL. Mist. des Anomalies, I, p. 456. 7 Nella stessa categoria di fenomeni io pongo per conseguenza anche le chele mo- Struose dei crostacei. Anche qui abbiamo a che fare con membra le quali ripullulano colla massima facilità dopo essere state asportate. Benchè riguardi un fatto non del tutto nuovo, parmi dover aggiungere qui ancora ‘un’altra osservazione. Nello stesso acquario in cui tengo gli Axolotl havvi pure un pesce rosso (Cyprinopsis auratus) il quale, nei primi giorni di convivenza, si ebbe man- giate dai voraci coinquilini porzioni delle pinne anale e caudale. Queste andarono a poco a poco reintegrandosi, sicchè in meno di due mesi la restaurazione era com- pleta. Però le parti nuove rimasero scolorate per modo che si distinguono ancora adesso da tutto il resto. 256 Li F. SORDELLI, ficarsi presso gli animali dotati della facoltà di riprodurre cert parti del corpo, come fanno i Tritoni e gli Urodeli in genere. Presso gli Anuri, invece, Rane, Rospi, ecc. è notevole come una tale anomalia, se pure si è riscontrata, debb’ essere raris- sima; anzi sopra 32 casi enumerati dal dott. TARUFFI,* nemmeno uno ve n’ha di vera melomelia. Invece tutti questi casi di mem- bra soprannumerarie riguardano arti inseriti sui cingoli toracico o pelvico o altrimenti interessanti parti interne del tronco. Si tratta, insomma, di una polimelia che mi pare aver maggior di- ritto a questo nome, in quanto l'inserzione delle parti accesso- rie, parasite, è più profonda e in più intimi rapporti col resto | del corpo. Presso gli Anuri adunque, le circostanze sono assai diverse, e come differiscono dagli Urodeli riguardo alla proprietà di ripristinare le parti perdute, così si vede che anche le ano- malie degli arti sono diverse ed hanno evidentemente una di- versa origine. Così è ovvio l’ammettere che anche negli Urodeli potranno presentarsi di tali polimelie a sede profonda, dovute, a quanto sembra, ad originaria duplicità dei germi nell’uovo (cioè la Pigo- Gastro- Noto- e Cefalomelia, colle loro diverse varietà), nel modo stesso con cui si sono osservate negli Anuri, negli Uccelli, nei Mammiferi e nell’ Uomo stesso. Come pure è plausibile il credere che se finora non abbiamo in vista casi di tal sorta di Polimelia nei Tritoni e nelle Salamandre, ciò dipenda dal fatto che tali animali passano generalmente inosservati, salvo quel piccolissimo numero che ne vien raccolto, per curiosità o per iscopi scientifici. Così come negli Anuri stessi scarsissimi sareb- bero i casi noti di polimelia se non fosse il grosso contingente t) apportato a quest'ordine di fatti dalle Rane mangerecce (R. esculenta e temporaria), le quali contano 28 casì sopra i 32 citati dal dott. TARUFFI nel 1880.° È 8 TARUFFI, Nota storica sulla polimelia nelle rane (Atti della Società italiana di 3 scienze naturali, 1880, p. 112-122). — Il prof. CorraDpo PARONA descrisse posterior- mente un altro caso di polimelia nella Rana comune (Nuovi casi dì pigomelia nei vertebrati, nel Giorn. d’Anat. Fis. e Patol. degli animali, Pisa, 1881, p. 4 dell’estr.). — * Vedi la nota antecedente. DI UN AXOLOTL POLIMELICO, ECC. 257 Mentre per l’opposto la melomelia potrà forse anche avere altra origine, ma da quanto finora 8° è veduto si può quasi es- ser sicuri che dipenderà nel maggior numero dei casi da una azione affatto locale, posteriore alle prime fasi dell'embrione e che può far sentire i suoi effetti ancora quando l’animale è già sviluppato. L’ordine con cui si producono tali anomalie è in ogni modo . mirabilissimo. Anche in queste aberrazioni d’origine traumatica la legge primamente messa in bella luce da Geoffroy St.-Hi- laire, della omologia delle parti (loi de l’affinite de soi pour s0ì), non solo non vien meno, ma si può dire ne riceve una bella conferma. Poichè non s’è visto finora una zampa nascere sopra una coda mozzata, o sopra un arto morsicato spuntare una coda. Anche la coda degli Axolotl riceve talora fieri strappi e mutila- zioni dai poco garbati compagni. Ma anche per essa avviene o la restaurazione per così dire normale, oppure presso i margini o ai lati della coda ripristinata nascono delle appendici, come . falde o porzioni di una coda soprannumeraria. Geoffroy St.-Hilaire !° collocava tutti i suoi mostri polimelici nella categoria dei mostri doppi, ossia formati dall’ unione di | due individui, completi o meno, ed io pure ammisi ciò nella mia Memoria, scritta nel 1876, sopra una Rana polimelica del Civico | Musco.'* Ora dopo le riferite osservazioni non parrebbe che la melomelia dei Tritoni e degli Axolotl possa mettersi fra i mo- stri doppi, giacchè l’individuo era in origine affatto normale ed unico; e ammettendo l'anomalia si produca in questi casi spe- | ciali per una sorta di gemmazione, è chiaro che questa non potrà mai estendersi fino a produrre un individuo intero, mentre solo i negli animali inferiori e nelle piante abbiamo una gemmazione 10 Isipore GEOFFROY ST.-HILAIRE, Histoire générale et particulière des anomalies | de l’organisation chez Vhomme et les animaux. Bruxelles, 1837, III, p. 130. — Id. | « Tératologie » in: Diet. univ. d’histoire naturelle, par D’OrBIGNY. Paris, 1848, XII, | pag. 467. 11 SoRDELLI, Sopra una Rana polimelica del Civico Museo di Milano, con alcune considerazioni sulla polimelia e sulla polidattilia degli articolati. (Atti d. Soc. Ital. di Sc. nat. XIX, 1876, p. 393). Vol. XXV. 17 258 F. SORDELLI, DI UN AXOLOTL POLIMELICO, ECC. vera e completa, per la quale l’individuio è suscettibile di molti- plicarsi, non solo in via normale, ma anche in modo eccezionale quando venga ferito o mutilato. — Se si riflette d’altra parte che “ Natura non facit saltus , e che l’ individualità animale procede per gradi, non parrebbe si possa respingere del tutto l’idea che una nuova gamba o parte di essa, nata sopra un arto normale preesistente, se non può dirsi fistologicamente un nuovo individuo, potrebbe essere tuttavia considerata come una parte di un nuovo individuo, necessariamente non autonomo. f Con tal modo di considerare le cose però anche la polidat- tilia, messa da Geoffroy St.-Hilaire fra le emiterie o anomalie semplici, dovrebbe essere considerata come una mostruosità dop- . pia, giacchè come abbiam visto negli Axolotl e nei Tritoni!* la causa di questa anomalia è Za stessa che produce la melomelia. | Mentre se si nega agli Urodeli polidattili la qualità di mostri | doppi, bisognerà negarla, evidentemente, anche a quelli affetti da | melomelia, originata anch'essa dal riprodursi in eccesso di una porzione più o meno estesa di un arto. | Da questa piccola discussione parmi adunque dover concludere — che la classificazione dei mostri polimelici data da Geoffroy St.- Hilaire e seguita pressochè generalmente fino ai giorni nostri, è — difettosa, ed è suscettibile di miglioramento solo quando si vo- glia avere maggior riguardo alla origine delle anomalie, origine | la quale, nei batraci almeno, si riconobbe assai diversa, secondo che trattisi della melomelia, oppure delle altre forme di polimelia. — 12 Oltre gli Axolotl polidattili descritti da DuMÉRIL (Descriptions de diverses monsiruosités, ecc.), si conosceva da tempo il Tritone (Triton cristatus) di cui parla Isiporo GEoFFROY ST.-HILAIRE nella già ricordata sua opera (vol. I, p. 488, tav. III), il quale aveva la zampa posteriore destra terminata da sez dita, e la sinistra, pure posteriore, con sette dita. Seduta del 30 luglio 1882. Presidenza del Vice Presidente cav. ANTONIO VILLA. _ Il Segretario Sordelli legge una nota inviata dal socio dot A. P. Ninni, Sopra una specie di Tonno nuova per l Adriatico. Questa è il Thynnus brachypterus C. V., specie di cui 1’ A. dà la descrizione e le misure, in confronto col Tonno volgare, dal quale ritiene debba tenersi specificamente distinto. Alla nota medesima è poi aggiunto un prospetto sinottico delle otto spe- cie di Tonni finora osservati nell’ Adriatico. Legge quindi altra nota del socio Onpo ARRIGONI, nella quale sono descritti Due casiì di deviazioni nel becco degli Uccelli; il primo in una Cinciallegra (Parus major), il secondo in un’ Al- lodola capelluta. Accompagnano lo scritto due figure, a maggior chiarezza dei fatti segnalati dall’ autore. Il socio SALMOIRAGHI comunica alcune Osservazioni geologiche fatte in occasione di recenti lavori ferroviarî nei dintorni del lago di Comabbio. Mostra come le colline di quella regione, esternamente rivestite di terreni morenici, abbiano una interna ossatura di gonfolite, che già fu osservata in diversi affioramenti dallo Zollikofer. Accenna pure come questa gonfolite appoggi in stratificazione trasgressiva sovra una mollassa miocenica fossili- fera, della quale mostra alcuni esemplari di foraminifere. Nota infine l’indipendenza del calcare nummulitico di Ternate dalla gonfolite di Comabbio che parimenti dovrebbe ascriversi al mio- a i Dai n cene, mentre le due formazioni sono, nelle carte geologiche più recenti, riunite in un solo colore. Terminate le letture, il Segretario Sordelli, a nome della Presidenza, presenta il diploma e la medaglia d’argento stati conferiti alla Società dalla Giuria dell'Esposizione nazionale 1881, “ per aver esposto oggetti etnografici antichi e moderni compa- rati e per l’iniziativa presa già nel 1879 di fondare una colle- zione etnografica lombarda ,. Presenta altresi, a nome del socio TREVISAN, alcune copie della biografia da lui scritta intorno al prof. Emilio Cornalia, e le distribuisce fra i Socî, secondo il desiderio espresso dall’autore. È letto ed approvato il processo verbale dell'adunanza 25 giugno 1882. Parimenti, messa ai voti la proposta per nominare socio ef- fettivo il signor ScarPA dott. GiusePPE, di Treviso, presentata dai Soci Ninni, Sordelli e Pini, viene approvata all’ unanimità. Letto per ultimo, seduta stante, il presente verbale, viene esso pure approvato. 260 SEDUTA DEL 30 LUGLIO 1882. FERDINANDO SORDELLI Segretario. SOPRA UNA FORMA DI TONNO NUOVA PER L’ADRIATICO. Nota del Socio Dott. ALEssanpRo PERICLE NINNI. (Seduta 30 luglio 1882). Nel Volume VIII dell’ Histoire naturelle des poissons di Cu- vier e Valenciennes, tra i Tonni Mediterranei trovasi descritto il Thynnus brachypterus appellato volgarmente alicorti, È specie cotesta prossima allo Scomber thynnus, L. o Thynnus vulgaris, C. V., ma che si distingue da questo per le pettorali molto più corte in proporzione e pei disegni affatto speciali che porta ai lati del corpo. Il Tonno alacorta è tuttora mal noto e fu osservato nei mari italiani soltanto dal Giglioli.® Nessun autore, ch'io sappia, lo citò dell’ Adriatico. * Per tali ragioni credo interessante l’ annunciare che 1’ Orcy- nus brachypterus vive nell’ Adriatico, comparendo non tanto ra- ramente e talvolta anche in abbondanza nell’ estiva stagione. La disposizione delle macchie dei miei esemplari non è quale viene rappresentata nella tav. 211 di Cuvier e Valenciennes e nella tav. 46, fig. 2 del Reg. An. ill., ma è precisamente come viene descritta a pag. 99 del Vol. VIII dell’ Hist. des Poiss. Vale a dire “ Le fond de la couleur est, comme dans le thon ordinaire, bleu d’acier sur le dos, argenté sur les còtes et sous 1 C. V. t. VIII (1831), p. 98-102, tab. 211. 2 E. H. GIGLIOLI, Catalogo degli Anfibi e Pesci Ital. (1880), p. 25, d. Estr. 7%. brachypterus. Portoferrajo. Giugno. « Specie che va ulteriormente studiata. » ® Il Canestrini nei Pesci d’Italia (1872), p. 102, dice: « È una specie che credo rara nei nostri mari; io non l’ho mai osservata. » 262 A. NINNI, le corps. Dans le bleu-noir du dos il y a des taches d’un bleu plus clair. De chaque còté du dos on voit douze ou treize ! bandes verticales noiràtres, séparées par des intervalles plus etroits; sur chaque bande est une série de taches rondes de la teinte du fond. En d’autres termes, on pourrait dire que le fond est d’un bleu cu d’un plombé foncé, avec des lignes et des sé- ries verticales de taches plus claires ,. L’O. brachypterus, paragonato coi giovani tonni a lunghe pet- torali, offre sempre delle notevoli differenze; anche il sistema di colorazione, sebbene simile in entrambe le forme (in età giova- nile), è diverso, poichè io non ho mai osservato che le linee verticali e le macchie sorpassino la linea laterale nell’O. tAyn- nus. Lo scarso materiale da me raccolto non mi permette certo di esporre un’ opinione sulla bontà specifica della presente for- ma. Secondo il Liitken il drackypterus non sarebbe altro che un giovine Orcynus thynnus; ma crede il medesimo autore che la maggior parte delle specie del sruppo tAynnidae dovranno es- sere eliminate, perchè riposanti soltanto sopra differenze di poco valore ed in massima parte provenienti dall’età. L° Orcynus brachypterus fu descritto da varî autori e figurato da Cuvier. La figura dell’alacorta data dall’ Yarrell! non rap-° presenta questo pesce ma 1’ Ausis rochet. 1 Talvolta queste fascie non sono segnate tanto nettamente da potersi numerare con facilità. ì YARRELL W., A hist. of British fishes. Third ed. v. II, p. 219. SOPRA UNA FORMA DI TONNO, ECC. 263 Dimensioni DI DUE OR. BRACHYPTERUS E DI UN GIOVINE OR, VULGARIS Or. Or. Or brachyp- | brachyp- , Cha radon vulgaris Lunghezza totale 0",540 | 0%,550 0,815 Altezza ! i On; 140 CO 130 O, 0, 200 (?) Larghezza del corpo (all apice P). x om 088 0,086 Lunghezza laterale del capo. . . . om 138 - qu 145 012,220 Larghezza del capo. . . . . . . 0072 0.070 Occhio . a Varddcgu sclO028 0,025 012,030 Spazio preorbitale vp 0 A 1 a OIOLS O .044 | 02,074 Spazio interorbitale. . . . . . .| 0%,048 0,044 0,076 Lunghezza delle Pettorali. . . . .| 0%,070 0,071 0,140 PRESI NELL'ADRIATICO NEL GIUGNO 1882. Seguendo le idee esposte dal chiarissimo dott. Liitken le for- me Adriatiche del gruppo thynnidae apparterrebbero alle seguenti specie: Gen. Oreynus, Risso. 1. O. GERMO (Lac.). Th. Sc. Th. Th. Th. pacificus, C. V., Hist. Poiss., VIII, 133. alalunga, L. Gm., Syst. Nat., I, 1330. albacora, Lowe, Proc. Zool. Soc., 1839, 77. argenti-vittatus, C. V., Hist. Poiss., VIII, 134. balteatus, C. V., Hist. Poiss., VIII, 136. Th. sibi, Temm. et Schleg., Faun. Jap. Poiss., Th. macropterus, Temm. et Schleg., Faun. Jap. Poiss., 98, tab. 51. 97, tab. 50. 4 I Tonni che si portano d’estate nel mercato di Venezia sono tutti mutilati, poi- chè con un taglio circolare viene tolto ad essi gran parte del ventre in un coi vi- sceri e le branchie. 264 A. NINNI, SOPRA UNA FORMA DI TONNO, ECC. % 2. O. TEYNNUS (L.). Th. brachypterus, C. V., Hist. Poiss., VIII, 98, tab. 211. Th. coretta, C. V., Hist. Poiss., VIII, 102. Gen. Thynnus, (s. s. Liitken). (TAynnichthys, Giglioli). 3. T. PELAMYS (L.). 4. T. THUNNINA, C. V. 2 Th. brevipinnis, C. V., Hist. Poiss., VIII, 112, tab. 213. Gen. Auxis, C. V. 5. A. ROCHEI (Risso). Gen. Orcynopsis, Gill. (Pelamychthys, Giglioli). 6. O. uNICOLOR (Geoffr.). Gen. Pelamys, C. V. 7. P. SARDA (Bloch). DEVIAZIONI NELLE MASCELLE DEGLI UCCELLI. Nota del Socio Oppo ARrRIGONI DEGLI ODDI. (Seduta 30 luglio 1882.) Mi pregio segnalare all'attenzione degli studiosi due casi di deformità nel becco degli uccelli. Osservansi in due individui, che appartengono alla mia rac- colta ornitologica: una cinciallegra (Parus major Linn.) e una cappellaccia (Alauda cristata Linn.). Per maggiore chiarezza ne unisco le figure. Siccome poi fra le molte pubblicazioni che consultai in argomento mi avvenne recentemente di leggerne una accurata e interessantissima del- l’illustre prof. Parona, inserita negli Atti di questa Società (Vol. XXIII, 1880, pag. 127 e seg.), in cui descrive la devia- zione delle mascelle, osservata egualmente in una cinciallegra, e ne dà anche la tavola, così sembrami chiaro del pari, più utile, e certo più breve, annotare le differenze che passano fra queste due anormalità, anzichè estendermi in oziose descrizioni. Devo premettere che l’individuo ch’io posseggo è adulto, di sviluppo completo, e nell’atto che l’uccisi constatai dalla viva- cità dell’ occhio, dalla sveltezza dei movimenti, dalla lucidezza delle penne e dalla nutrizione che era in perfetto stato di bhe- nessere. (Fig. 1.) La deviazione nell’ uccello illustrato dall’ egregio professore 266. | O. ARRIGONI, incomincia più vicina alla base del becco, il quale assume e man tiene una forma arrotondata, mentre nel mio l’incontro de due mascelle è «più avanzato, e il becco si conserva piuttosto schiacciato. Immediate nell'incontro, e pronunciatissime, sono le due curve nell’esemplare del Parona, ciò che non avviene nel Mg È Vi Î, 27, UZZAM( DUNN 777, i, 2 E Pop 3) du VAI AMY A S4 / ZI, (4, di Fl Fig. 2. mio; le punte di quello ottuse, in questo nella mascella infe- riore acuminata, nell'altra tronca; ma da attento esame dubi- DEVIAZIONI NELLE MASCELLE DEGLI UCCELLI. 267 gerei che quest’ultima si fosse spezzata. In entrambi la mascella uperiore che passa a sinistra della inferiore. . Molto differente, come potrà agevolmente rilevarsi dalla fig. 2, è l’anormalità nel becco della cappelluta. La mascella inferiore, he anche in questa oltrepassa la superiore a destra, e egual- nente circa in quel punto ove terminerebbe il becco normale, a i due margini rientranti, che finiscono col riunirsi in una ‘otondità a punta ottusa. Ma più rimarchevole è l'irregolarità lella mascella superiore, dapprima curva in basso, poi che si itorce a spira, e termina colla estsemità smussata. Le curve che recedono l’incontro impediscono che il becco possa chiudersi. A dir vero riesce difficile capacitarsi come questo uccello abbia ;otuto prendere il cibo, eppure dallo sviluppo perfetto e dall’ a- lito offre indizî sicuri di età avanzata e di ottime condizioni. Pongo termine col menzionare un altro esempio di alterazione nel becco. Uno storno (Sturnus vulgaris Linn.) della stessa mia ‘accolta, che ha la mascella superiore molto allungata, e colla unta acutissima. Veste completa livrea d’inverno e non pre- senta nient'altro degno di osservazione. Ometto la bibliografia, riportandomi a quella diligentissima, he correda l’interessante memoria del sullodato prof. Parona. LR vidi aaa ELI gi Ab 1000) dell’ Ingegnere FRANCESCO SALMOJRAGHI. (V. Tav. 5.8) (Seduta 30 luglio 1882.) attraversamento richiese una galleria, detta del Fonti progeti i tata della lunghezza di 1510 metri e precisamente posta fra Cimx di Milano e Gino In una memoria d’argomento idrotecnico pubblicata ato mesi or sono in collaborazione con l’ing. E. Paladini' mi oe corse già di annunciare, che gli attacchi di quella galleria, com trariamente alle previsioni, avevano incontrato un nucleo di con glomerato a grossi elementi (Gonfolite), che alla prima impressione! e forse non erroneamente giudicai per miocenico. Successivamente mi interessai a seguire il progresso del lavo i sotterraneo del Ronco e potei raccogliere in esso e fra quel adiacenti a cielo scoperto alcuni fatti geologici, che credo uti di segnalare in via preventiva, attendendo che più tardi dal con li 4 PALADINI e SALMOJRAGHI; Sulla derivazione dal Fiume Tresa e sistemazione @ Lago di Lugano, ecc. Milano, 1882. ALCUNE OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 269 . L’area attraversata colla Galleria del Ronco forma un com- plesso di mediocri elevazioni, i cui tratti orografici difficilmente ipossono essere descritti. Due linee principali di colline spiccano n essa. L’una occidentale si eleva presso la cascina Boffalora di Varano all’incile della Brabbia, emissario del Lago di Co- mabbio, e con cresta continua e andamento da Nord a Sud passa fra Corgeno e Cuvirone, dividendo ivi il Lago di Comabbio dalle paludi di Varano e dal Rivo Lento, che ad ‘esse affluisce; poi ‘proseguendo colla stessa direzione su Vergiate, spicca un ramo \Rivo Dondi. All’Est un’altra linea di colline discontinue si di- parte da Bodio presso il Lago di Varese su Casale Litta e S. Pan- crazio con andamento da N-NE a S-SO, fiancheggia la Brabbia ‘ed il Rivo Lento, indi piega a S-E e racchiudendo con il ramo precedente l’insenatura piana di Cuvirone si spinge fino presso Cimbro. Tra le due linee non intercede però una depressione continua, poichè esse si toccano e si fondono insieme presso Cu- virone stesso. La ferrovia, appena attraversato il Torrente Strona, fora in isbieco quest’ultima linea di colline, l’orientale, con una dire- zione all'incirca da S-S E a N-NÒO entrando in galleria presso Cimbro e sboccandone nel Rivo Lento; solo dappoi per evitare i piani torbosi e l’abitato di Varano si piega ad incidere con una forte trincea l'estremo Nord della collina occidentale in vi- cinanza della Boffalora. Per l’intelligenza di quanto dirò, giova anche premettere, che la Galleria fu attaccata, oltre che per le due bocche, anche per quattro pozzi distribuiti sull’asse e distinti con numeri d’ordine, il primo essendo quello più al Sud. Infine i lavori incomincia- rono verso J}a fine del novembre scorso, e la perforazione com- plessiva in tutti gli attacchi è giunta in oggi (30 luglio 1882) a poco più di una metà dell’intero sotterraneo. | | 270 | F. SALMOJRAGBI, 0 Premesso ciò, accenno anzitutto come il soprassuolo sul or della collina del Ronco, come pure su quello delle colline adi centi, ad eccezione di alcune vallette a fondo torboso, è cati > tutto morenico. I terreni però che comprendo sotto il nome di morenici non presentano dovunque gli istessi caratteri di giacitarai e compo | sizione. | | Distinguesi anzitutto la schietta morena caratterizzata dall as senza di stratificazione, dalla mescolanza caotica di grandi massi | non rotolati, di ciottoli (alcuni striati), di ghiaie, sabbie ed ar k gille. Essa fu messa a nudo nella parte meridionale della Trin-. cea d’approccio alla Bocca Sud, ed ivi costituisce una delle cer- chie continue dell’anfiteatro del Verbano, depositata in una sosta di regresso del ghiacciaio e precisamente quella cerchia, che Lai determinato la falda destra della valle intermorenica del Tor- rente Strona. i Della stessa natura sono i lembi di schietta morena sparsi. sulle falde e sulla cima del colle, deposti parimenti nel regresso del ghiacciaio e rappresentati specialmente da massi erratici gia-:. centi alla superficie o di poco affondati nel suolo. Questi massi | però attualmente sono in gran parte scomparsi, essendo per lo. I più formati di gneiss e perciò ricercati come materiali da co- struzione. Ne rimangono ancora parecchi e tra gli altri merita di essere citato un masso di cloritoschisto a schistosità contorta sporgente per un volume di 62 m. c. sul colle del Ronco tra il Pozzo 3 ed il Pozzo 4. DL Si distinguono in secondo luogo diversi depositi lacustro-gla- j ciali. Uno d’origine intermorenica fu tagliato nella parte cen- trale della Trincea d’approccio alla Bocca Sud; consta di strati di sabbia argillosa coperti da un’alluvione cuissoi e successiva- mente da un mantello torboso. Il bacino lacustre ivi fu manife- stamente determinato dalla cerchia morenica già citata e dalla È falda meridionale del Colle del Ronco e fu riempito dopo il ri-_ È tiro del ghiacciaio. L’altro è un deposito lacustro-glaciale di ostacolo. È composto di argille più o meno sabbiose, poco coe- ALCUNE OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 271 renti, quindi franose, con qualche ciottolo e rari massi. Occupa in parte sotto forma di strati orizzontali sottili la valletta del Rivo Lento e venne inciso dalla Trincea d’approccio alla Bocca Nord. È facilmente spiegabile come nell’avanzamento o nel re- gresso del ghiacciaio tra la fronte di questo e la falda Nord } del Colle del Ronco si sia temporaneamente intercluso un la- ghetto glaciale. In terzo luogo si notano moltissimi depositi di sfacelo more- nico dei quali possono distinguersi due tipi principali; il primo di alluvione nettamente stratificata, e tale è quella composta di ciottoli, ghiaje e sabbie, che ricca di polle d’acqua appare nella parte settentrionale della Trincea d’ approccio alla Bocca Sud. Il secondo tipo è quello di detriti di falda per lo più for- mati di massi e ciottoloni e scheggie e terra, a struttura caotica o con incerte linee di stratificazione. Un esempio ne porge la parte meridionale della Trincea della Boffalora. Questi sono i terreni d’origine morenica incontrati dalla fer- rovia nella traversata del Ronco, i cui spiccati caratteri pale- sano la fase nella quale si sono formati. Parmi però che si debba distinguere uî altro terreno morenico, che è quello precisamente, che fu incontrato nella perforazione dei pozzi della galleria al disotto della morena superficiale e prima dell'incontro del nucleo gonfolitico, e che appunto per l’esistenza di questo nucleo si presenta fortemente acquifero. Esso ha caratteri variabili, or caotico ora discontinuamente stratificato, con i soliti massi e ciottoli sparsi in diversa misura fra elementi fini, argillosi o sabbiosi. È certamente una morena per la presenza di erratici a spigoli acuti e di ciottoli striati ed è poi la più antica delle morene perchè immediatamente addossato alla Gonfolite. Ma non essendo stato scoperto su ampi tagli, non potei afferrarne bene i caratteri per giudicare in qual fase glaciale fu deposto, se cioè in quella d’avanzamento precedente gli anfiteatri o in una di regresso d’un primo e più antico periodo glaciale e se esso subì modificazioni e quali dopo essere stato deposto. La petrologia dei terreni morenici del Ronco, a qualunque 272 | F. SALMOJRAGHI, fase appartengano, è formata per la massima parte di gneiss, che si presentano con multiforme struttura ed aspetto, or cor mica argentina, or bronzata, per lo più nera, or con strati con tinui o noduliformi di felspato, or facenti passaggio ai micaschisti, ora ai graniti. lal asa I graniti pure non vi mancano ma sono più rari. Sono gra-. niti normali col felspato bianco o rossastro e copia di larghe la-. melle di mica nera, che non potei però distintamente riferire a giacimenti noti. Così vi trovai dei micaschisti e delle quarziti, un protogino, un masso di cloritoschisto già prima citato e delle. serpentine; queste finora solo alla superficie e sempre in piccoli. ciottoli lisciati e striati. | Vi si trovano anche delle roccie amfiboliche; ma in generale: sono desse in ciottoli arrotondati e con tutta probabilità (al- meno in parte) provengono dalla formazione gonfolitica di cui sarà parola più avanti. Fra gli erratici di roccie cristalline, di cui può in modo asso- - luto determinarsi la provenienza, cito, anche perchè rarissimi: un masso di granito rosso, indiscutibilmente di Baveno, del .vo- lume di 0" °*40, giacente alla superficie nel Rivo ‘Lento; e un ciottolo angoloso di porfido rosso pure senza alcun dubbio rife- ribile alla formazione di Val Gana o del Ceresio, e questo tro- vato nella morena più antica nella escavazione del Pozzo 4. Vi si contano anche molti calcari, specialmente nelle morene più profonde; forniscono anzi la massima parte dei ciottoli striati. Sono dolomie bianche subsaccaroidi, calcari oscuri appartenenti ai terreni secondarî delle Prealpi nostre, ma difficilmente iden- tificabili nella loro provenienza. Possono soltanto identificarsi, per i caratteri petrografici o paleontologici costanti, alcuni ciot- toli, non frequenti, di Majolica e alcuni più frequenti di Cal- care nummulitico. Questo, senza dubbio, proveniente dal giaci- mento di Travedona-Ternate, trovasi anche in grossi massi; i ciottoli piccoli però vi sono bensì striati, non mai completa- mente arrotondati, ciò che è spiegato dalla brevità del loro percorso. ALCUNE OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 273 Im sostanza la petrologia delle morene del Colle del Ronco non differisce sensibilmente da quella nota delle altre morene dell’anfiteatro della sponda sinistra del Ticino. pp P. Gli attacchi della Galleria del Ronco, come già dissi, dopo aver perforato questo terreno morenico, incontrarono un nucleo di conglomerato cui torna utile assegnare il nome di Gonfolite. In sul principio parve difficile differenziare questo nuovo ter- reno dal morenico, poichè alcuni caratteri generali sono comuni ad entrambi, e d’altronde nei lavori sotterranei e specialmente in quelli d’approfondimento dei pozzi, il piccolo spazio, la scarsa luce, l’acqua, il fango concorrono a rendere poco distinguibile la materia che si escava. Ma quando la stessa Gonfolite apparve successivamente in tutti gli attacchi, al Pozzo 1 alla profondità di circa 26” (cioè presso l'imposta della Galleria) ai Pozzi 2, 3 e 4 alle profondità rispettive di circa 8,7 e 14 metri, e in- fine alla Bocca Nord ad una distanza misurata orizzontalmente dal principio del sotterraneo di circa 60”, e quando per questo incontro si dovettero modificare i mezzi di escavazione, divenne evidente che il Colle del Ronco conteneva un’interna ossatura di Gonfolite, solo esternamente rivestita di un mantello mo- renico. Riportando i dati anzidetti sul profilo della Galleria si rico- nosce anche, che l'ossatura stessa viene assecondata dalla falda esterna soltanto dal lato di Nord, in altri termini che il man- tello morenico si è specialmente accumulato sulla falda che guarda a Sud. La Gonfolite del Ronco ha i caratteri seguenti: Anzitutto gli elementi, che la formano, sono tutti ciottoli rotolati con forme subsferiche o elissoidiche, ma con superficie d’ordinario non lisciate. Eccezionali veramente vi sono i fram- menti a spigoli vivi. I ciottoli si distinguono per le loro note- voli dimensioni. Credo non errare assegnando loro un diametro medio di 0.20. Non vi mancano ciottoli minori e tratte anche dove i ciottoli minori prevalgono, riducendosi con ciò la strut- Vol. XXV. 18 274 | F. SALMOJRAGHI,. i tura della roccia a quella di un *ordinaria dt zionalmente superate opolta con massi di 1" ed oltre. All’at- I tacco verso Nord del Pozzo 2, a 10" dall'asse del Pozzo, ne O( corse uno di roccia SA che richiese cinque colpi di mina e fu stimato dai minatori del volume di 4" Più precise di- mensioni constatai in un blocco di granito porfiroide incontrato presso al fondo del Pozzo 4. Esso misurava circa 1.50 x 1.50. x 1.80 e non fu nemmeno in totalità estratto. Questi blocchi non hanno più forme regolari di sfere od elissoidi; ma sempre la loro superficie è grossolanamente arrotondata. Credo non priva di importanza la constatazione di queste di- . mensioni massime dei ciottoli della ,Gonfolite per il problema interessante della loro provenienza e per la determinazione del- l'agente che li ha trasportati. k La petrologia degli elementi della Gonfolite del Ronco è sva- ‘ riata pur circoscrivendosi nei limiti di poche famiglie di roccie, cioè delle roccie cristalline massiccie e delle calcaree. Le roccie gneissiche vi sono rarissime e ciò costituisce un carattere diffe- renziale, che giova assai per distinguere la Gonfolite dai terreni morenici, poichè vedemmo che questi in prevalenza constano di gneiss. Così pure non vi trovai finora nè arenarie, nè roccie ser- pentinose. Per vero mi mancò il tempo per studiare le roccie della Gon- folite del Ronco nell'intento di identificarle con quelle in posto del vicino Piemonte, alle quali assomigliano più che non a quelle | della Lombardia. E una tale identificazione, importantissima per lo stesso problema sovra accennato, non può oramai in altro. modo fondarsi che sulla osservazione microstauroscopica delle la- mine sottili. Attendendo quindi i risultati di questo studio, mi limito ora ad una semplice enumerazione. È Le roccie amfiboliche sono le prevalenti fra i ciottoli della Gonfolite del Ronco, indi la grandissima tenacità della materia | che vi si escava. Sono vere sieniti a felspato ed orneblenda, con' ALCUNE OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 275 ma non identiche ad essa. SA dioriti con diversi gradi di di- ‘stinguibilità dei componenti e porfidi amfibolici ed amfiboliti ed tre molte mal definibili coi soli caratteri della macrostruttura. “ con punteggiature spatiche o dolomie Rane grigie 0 calcari saccaroidi micacei. Il Calcare nummulitico vi è escluso. Alcuni poi dei ciottoli dolomitici sono decomposti e si trasfor- marono in noduli di creta pulverulenta. Specialmente di calcare poi sono i ciottoli non arrotondati; alcuni di essi sembrano im- prontati ma non distintamente. Tutta questa congerie di ciottoli è copiosamente cementata insieme da un’arenaria grossolana, azzurra, tenace; la quale alla sua volta consta di granelli rotondi o nt di quarzo ja- lino o appena translucido con pagliette di mica e granuli verdi probabilmente cloritici riuniti da un cemento, che da diverse inalisi mi risultò variabile nella sua composizione, or calcareo, or dolomitico, ma per lo più dolomitico-ferruginoso. | Questa stessa arenaria, che forma il cemento della Gonfolite, si alterna di quando in quando ai banchi della Gonfolite stessa ‘ormandovi delle lenti stratiformi o degli interstrati general- Mente non continui. Sono singolari poi alcuni interstrati pure entiformi di una Molassa argillosa fossilifera, della quale dirò ù avanti. La Gonfolite del Ronco è stratificata, benchè colla sua strut- ura non possa esserlo con regolarità, nè mostrarlo sempre. La itratificazione si desume anzitutto dalla posizione dei piani dia- netrali maggiori dei ciottoli elissoidici, i quali per ragione di squilibrio assunsero spesso una comune orientazione; e più an- \ora si desume dagli interstrati di arenaria, che a quando a ao LI ; Patt 7 276 | F. SALMOJRAGHI, quando e per piccoli tratti presentano dea PAT netti. fr Le molte misure fatte nei diversi attacchi (ad cin al alc discordanze facilmente spiegabili colle condizioni cicci m conducono a stabilire, che tutta la Gonfolite del Ronco è pres a poco inclinata verso il Sud-Est. Il grado di inclinazione au-- menta dagli attacchi del Sud andando verso quelli del Nord ed! è mediamente di 30°. 110) i La costruzione della Galleria del Ronco venne intrapresa nella; previsione di incontrare sol dei terreni morenici. Le apparenze. del soprassuolo prettamente glaciali, l'analogia con il vicino coll morenico di Vergiate, già perforato colla ferrovia Milano-Arona, rendevano plausibile una tale previsione; la convalidavano poi; le carte geologiche più recenti, quella lombarda »del 1877* e. quella svizzera del 1880° le quali coloriscono col Quaternario l'area attraversata dalla ferrovia. 1 Eppure un nucleo gonfolitico vi era già stato segnalato in. precedenti lavori. i Un geologo svizzero, lo Zollikofer, fino dal 1854* studiando i dintorni di Sesto Calende aveva in particolare rilevati i ca-. ratteri del Conglomerato, che si erge all’Ovest di Comabbio sul Monte della Croce, e riconosciuto che lo stesso Conglomerato. affiorisce in diversi punti di quella zona e cioè nel letto del! Rivo Dondi presso Vergiate, sulla strada tra Vergiate e Cor- geno, presso Cuvirone e al Nord-Est di Sesto Calende; e perciò aveva concluso, che non solo tutte le colline all’ Ovest del Lago dii Comabbio, ma anche quelle all’ Est, da Vergiate fino al Lago. di Varese (e fra esse quindi anche il Ronco) erano costitui Ni dello stesso Conglomerato, rivestito solo all’esterno da un man- i CuRIONI, Geologia delle Provincie lombarde. Milano, 1877. | 2 Foglio XXIV della Carta Dufour colorito geologicamente da SPREAFICO, NEGRI & | STOPPANI e illustrato da TARAMELLI. Berna, 1880. li 3 ZOLLIKOFER, Géologie des environs de Sesto Calende. Bulletin de la Soc. Vaud. | des Sc. Nat. (Vol. III e IV, 1853-1855). ALCUNE OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 277 i tello di terreno erratico. In questo senso colorì lo Zollikofer una i sua piccola carta, nella quale però seguendo i dati di quella di | Escher e Studer, ed esagerando i rapporti esistenti fra il Con- merato e il Calcare nummulitico di Ternate, pose il primo nell’ Eocene (Flysch). i Pochi anni dopo, cioè nel 1858, le indicazioni dello Zollikofer | vennero ripetute nella carta dell’Hauer® il quale vi aggiunse ‘alcune osservazioni avute dallo Zepharovich e fra le altre questa, che lo stesso Conglomerato di Comabbio venne ritrovato in un | pozzo praticato nella villa Serbelloni a Taino, dapprima decom- posto, e poi così duro da richiedere la mina per essere scavato. . Anche lo Stoppani prima dell’Hauer aveva accennato all’ esi- ro È da lamentarsi che nella colorazione delle posteriori carte lEeologiche della Lombardia si sia data la preferenza al sopras- ‘suolo morenico anzichè al nucleo roccioso sottoposto. I tecnici, che progettarono la Galleria del Ronco, sono pienamente giu- stificati, se appoggiandosi alle risultanze geologiche più recenti € più universalmente ammesse, proporzionarono i mezzi di la- ‘voro alla previsione di incontrare solo morena. i. Non v'ha poi alcun dubbio sull’identità tra il Conglomerato ‘di Comabbio e la Gonfolite del Ronco. Ho visitato tutti i punti idi affiorimento indicati dallo Zollikofer e riscontrata 1’ esattezza idei caratteri da lui descritti e la loro corrispondenza con quelli da me osservati in galleria. L’ unica differenza sta in ciò che i ‘ciottoli del Conglomerato affiorente a Comabbio, Cuvirone, Cor- igeno, Sesto Calende, Rivo Dondi, ecc., furono indicati dallo Zol- likofer e sono realmente (almeno in parte) cementati da una sabbia giallastra; mentre quelli della Gonfolite del Ronco lo | I Von HAUER FRANZ, Erliuterung zu einer geologischen Uebersichtskarte der Schichtgebirge der Lombardie. Jahrb. der K. K. geol. Reichsanstalt. Wien, 1858. | 2 STOPPANI, Studî Geologici e Paleontologici sulla Lombardia (Parte III, cap. II). | Milano, 1857. 278 F. SALMOJRAGHI, sono sempre da un’arenaria azzurra tenace. I ciottoli ar negli affiorimenti esterni sono spesso decomposti e doati di un sfaldatura sferica; quelli sotterranei sempre compatti. "e rosione meteorica spiega bastantemente questa difforangami nella perforazione della Galleria, la prima Gonfolite. incontra si trovò per qualche decimetro decomposta e facile jin gabile, e lo stesso avvenne nel pozzo di Taino citato dall’Hauer. Del resto si hanno da pertutto gli stessi caratteri di dimen- sioni e natura dei ciottoli! di stratificazione non distinta e ac-' cennata solo dalla posizione di questi o dalla interclusione di nuclei stratiformi di arenaria. Ola Una volta poi abituato l’occhio a colpire i caratteri differen- ziali fra la Gonfolite, tuttochè disgregata dagli agenti esterni, e i terreni morenici o di sfacelo morenico, che possono a prima | vista confondersi con essa, non mi fu difficile riscontrare nelle 9 adiacenze altri punti di affiorimento. | Sulla falda fiancheggiata dalla ferrovia fra la Bocca Nord del È Ronco e la Boffalora di Varano ne sono messi a nudo alcuni nelle cave di prestito ivi praticate per la costruzione dell’ar- gine stradale: un nucleo più visibile poi appare nella parte cen- | trale della Trincea della Boffalora. Quivi i banchi presentano una stratificazione trasgressiva con quella riscontrata in Galle- | ria e, se le mie previsioni non sono errate, apparirà la base. della formazione gonfolitica sovrapposta ad una Molassa argillosa fossilifera. :9 Così non solo affiorisce la Gonfolite in vicinanza dell’abitato di Cuvirone, ma bensi anche sulla strada fra Cuvirone e Ver- giate, ed ivi persiste la stessa inclinazione verso Sud-Est. Dall'altro lato del lago di Comabbio, oltre le falde ripide e difficilmente accessibili del Monte della Croce, prospicienti tanto il Lago di Comabbio come quello di Monate, ho riscontrato una 4 Lo Zollikofer ha rimarcato nella Gonfolite la prevalenza delle roccie amfiboliche, l’eccezionalità dei gneiss, la mancanza di serpentine. Egli però vi notò dei ciottoli di un’atenaria analoga al Verrucano che al Ronco finora non trovai, e notò come as-. senti i graniti che invece vi intervengono. ALCUNE OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 279 località assai propizia a mostrare l’ interna compagine della Gonfolite, ed è una piccola gola posta sul punto culminante del sentiero fra Comabbio e Lentate. — A Mercallo, nel rivo che scende presso il vecchio Cimitero, rivedonsi gli stessi banchi; però ivi prevalentemente composti di | ciottoli calcarei e dolomitici. Anche lo Zollikofer aveva trovato ‘verso Osmate una località con tale prevalenza. Più all’Ovest notai numerosi affiorimenti sulle falde e sull’al- tipiano da Taino a Sesto Calende. La Gonfolite traspare ad ogni passo; molti dei massi arrotondati e giacenti alla superfi- cie, che sembrano glaciali, spettano alla Gonfolite pel cemento che hanno tuttora aderente. Lo sprone di Lisanza, che si spinge nel Lago Maggiore e che orograficamente non potrebbe spiegarsi se constasse di soli ter- reni morénici, ha invece l’ossatura di Gonfolite, e questa è di- stintamente, benchè su piccola area, visibile di fianco alla Chiesa parrocchiale. Infine la stessa Gonfolite fu messa recentemente a nudo nella trincea detta del Lavaggione sulla ferrovia Novara-Pino tra Li- sanza e Sesto e in essa ho notato dei nuclei di lignite picea analoga a quella del Miocene comense e un masso di calcare micaceo colle dimensioni di 2.50 < 1.50 tuttora visibili sulla scarpa della trincea. Ivi poi la direzione dei banchi è presso a poco la stessa osservata al Ronco, l'inclinazione ha la stessa misura, ma è opposta, cioè rivolta a Nord-Ovest. E questa po- sizione, che generalmente prevale all’Ovest del Lago di Comab- bio, mostra come la Gonfolite formi ivi la gamba di un’anticli- nale, di cui l’altra gamba giace all’ Est nella Gonfolite di Cu- virone, del Rivo Dondi e della Galleria del Ronco. * Portandoci dall’altro lato della Galleria del Ronco, più al- l’Est trovai un distinto affiorimento di Gonfolite presso il Ci- mitero di Casale Litta; gli elementi vi sono più minuti, la so- 4 Mi si disse che un ceppo durissimo fu incontrato nello scavarsi la cantina della stazione di Vergiate; ma non potei identificare i materiali estratti con quelli della nostra Gonfolite. 280. F. SALMOJRAGHI, miglianza colle alluvioni moreniche più accentuata, ma gli altri caratteri di composizione e struttura rimangono invariati. Un ultimo affiorimento, infine, appare sulla strada da Casale Litta a Varano sulla falda prospiciente le torbiere. E in queste due ultime località citate gli strati assumono una direzione più de- cisamente Est-Ovest ed una inclinazione, non o lire pena 130°, rivolta a Sud. sali Lo Zollikofer spinge la formazione della Gonfolite verso il Nord, fino al Lago di Varese, ma erroneamente; poichè, come vedremo, presso Bernate essa si addossa alla Molassa fossili- fera. È più facile che la Gonfolite continui verso Nord-Est, naturalmente sempre coperta dai terreni morenici. Il prof. Maggi me ne indicò degli affiorimenti nei dintorni di Azzate e Bugug- giate ed alla Marcolina; ma in una rapida corsa fattavi non potei rintracciarli. Ho notato soltanto che alla Marcolina (falde dell’Olona presso Vedano) sonvi in copia puddinghe alluvionali più recenti, non confondibili colla Gonfolite, perchè caratteriz- ‘zate dalla presenza di ciottoli di porfido rosso e dal cemento esclusivamente calcareo anzi spatico. In ogni modo è probabile che la Gonfolite, al disotto di queste alluvioni cementate, si con- giunga colla formazione di Arenarie e Brecciole di Malnate e quindi colla Gonfolite comense. Per scopo di raffronto ho perciò esaminato la nota collina di Castel Baradello e notato che in essa i caratteri di giacitura, dimensione dei ciottoli, cementa- zione e interclusione di noduli stratiformi di arenaria, corri- spondono a quelli del Ronco. La petrologia dei ciottoli non è nemmeno molto diversa; sul che mi riservo migliori studî. Ho già fatto cenno, che la Gonfolite del Ronco riposa sopra una Molassa, che parmi una formazione nuova in Lombardia. Affioriva già questa, benchè poco distintamente, sull’ estremo Nord della collina occidentale presso la Boffalora di Varano: ma fu meglio scoperta nella parte settentrionale della trincea praticatasi ivi nel corrente anno. È una roccia stratificata, azzurra, compatta, che si scava in ALCUNE OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 281 parte col piccone, in parte colla mina, e che quando è dissec- ‘cata acquista tenacità lapidea. Però col favore degli agenti at- ‘mosferici ingiallisce e si sfalda e si sgretola facilmente. Anzi un ‘pezzo isolato di tale roccia esposta soltanto al sole assume in ‘poco tempo una sfaldatura sferica, dividendosi poi, quando sia ‘percosso, non più secondo i piani di stratificazione, ma secondo calotte concentriche. Non è uniforme nella sua struttura e composizione. Alcuni strati si presentano coll’aspetto di una vera argilla. Ma i ca- ratteri dell’odore, dell’allappamento e del far pasta coll’acqua non sono in essa molto marcati. Alcune analisi sommarie mi diedero da 70 a 80 %/o di sostanze insolubili (con distinguibili fra esse pagliuole di mica e granelli minutissimi di quarzo), da 7 ad 8 % di ossidi di ferro e traccie di fosfati, da 5 a 6 %o di carbonato calcare, da 7 a 12 °/0 di carbonato di magnesia. Più spesso gli strati hanno aspetto di Molassa contenendo più grossi e visibili gli elementi micacei e quarzosi, e sempre colla stessa scarsezza di carbonato di calce. In generale però gli strati di questa roccia esposti a lungo naturalmente od artificialmente all’azione atmosferica, oltre ingiallirsi acquistano parzialmente le proprietà dell’argilla, talchè possono prestare materiale per la fabbricazione di mediocri mattoni. La stratificazione è regolare assai. Gli strati variabili di po- tenza da 0.10 ad oltre 1”.00 e più, inclinano di 65°... 68° approssimativamente verso Sud-Est; sono quindi in posizione trasgressiva con la Gonfolite del Ronco e di Cuvirone, hanno cioè la stessa direzione, ma una più forte inclinazione. La sezione geologica (Tav. 5.) condotta sul profilo vero della ferrovia mostra i rapporti esistenti fra la Gonfolite e la Mo- lassa. Ivi ho tracciate le linee di stratificazione tenendo conto graficamente, che il piano della sezione fa col piano contenente le linee di massima pendenza degli strati un angolo di circa 26°.® 1 L’asse della Galleria è diretto da N 27° O a S 27° E: gli strati della Gonfolite e della Molassa lo sono mediamente da N 37° E a S 37° 0. 282 F. SALMOJRAGHI, - Questa sezione permette di calcolare, che la Molassa, per la parte che fu scoperta in trincea, ha una potenza non inferiore. a 285". È certo però che i suoi strati si succedono ancora nel sottosuolo verso Nord fino ad appoggiarsi al Calcare nummuli- tico di Varano, il cui affiorimento sorge a circa mezzo chilo- metro dalla Boffalora ed è sufficientemente concordante colla Molassa stessa. Ma dove avvenga il contatto fra le due forma- zioni non può in alcun modo determinarsi. Colle fondazioni del Viadotto sul Canale Brabbia non si incontrò che un’argilla la- — custre di origine recente. La potenza poi della Gonfolite, calcolata nello stesso modo, mi risulterebbe non minore di 750”; ma non mi arrischio a s0- stenerlo; poichè nella tratta, che non fu messa allo scoperto tra la Bocca Nord e la Trincea della Boffalora, o nelle tratte non ancora scavate della Galleria, se non è più possibile che si na- sconda un flesso, può però nascondersi un salto. In ogni modo anche in questo caso, avuto riguardo alla natura del terreno, la sua potenza sarebbe ancora tale da non poter essere spie- gata se non con un abbassamento dell’area di sedimentazione contemporaneo alla formazione della Gonfolite, ciò che del resto è confermato dalla trasgressività della stratificazione. La Molassa della Boffalora è fossilifera. Dapprima non vi trovai che delle foraminifere; ma dopo che il prof. Taramelli, che vi si era recato nel frattempo, mi ebbe avvisato d’avervi notato delle bivalvi, proseguii le ricerche e trovai non solo fo- raminifere e bivalvi, ma gasteropodi e pteropodi e frantumi di echini e coralli e traccie di vegetali. Sfortunatamente la materia testacea delle conchiglie è fria- bile, talchè i fossili difficilmente possono isolarsi e conservarsi; inoltre sono questi deformati per, compressione, e nelle bivalvi le valve quasi sempre disgiunte. La determinazione specifica vi è estremamente difficile. Vi ri- conobbi finora i generi Dentalium, Buccinum, Turritella, Turbo- nilla, Cerithium, Natica, Pinna, Ostrea, Cardium, Pecten, Pec- tunculus, Tellina, Venus ed altri. ALCUNE OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 283 Fra di esse determinate con sicurezza sono le specie: * Dentalium grande, Desh. Pecten duodecim-lamellatus, Bronn. e determinate con riserva per la imperfezione degli esemplari le specie: Buccinum polygonum, Brocc. Turritella marginalis, (Brocc.) Turbonilla gracilis, (Brocc.) Caratteristiche poi vi sono le foraminifere, benchè non copiose e. finora soltanto degli ordini delle Sticosteghe e delle Elicosteghe di d’Orbigny. Le più frequenti fra le prime sono le Dentaline, e in esse trovai finora le specie: D. capitata, Boll. D. elegans, d’Orb. D. approximata, Reuss. oltre parecchie altre, che non potranno determinarsi o ascriversi a specie nuove se non sopra saggi più numerosi. Evidentemente non è consentito di pronunciare un giudizio cronologico sicuro con dati paleontologici così scarsi. Anzi ho fatto riserve sulla determinazione delle tre specie Brocchiane di gasteropodi (proprie del Pliocene, ma estese anche al Miocene) perchè non si ringiovanisse il deposito più di quanto è con- sentito dalle cognizioni, che si hanno sugli altri terreni terziarî della Lombardia. Ad ogni modo esclusa la pliocenità della Molassa della Bof- falora per la forte inclinazione de’ suoi strati, non essendovi da noi esempio di Pliocene così ‘disturbato, non rimane che collo- carla nel Miocene, salvo trovarne poscia il livello più preciso. Questa opinione trova conferma in altri argomenti. Nelle vicinanze della zona, che ho percorso, abbiamo un oriz- zonte geologico nel Calcare nummulitico di Ternate già più “n volte ricordato. Questo terreno non è così esteso come appare 284 F. SALMOJRAGHI, dalla Carta del Curioni, che col nome di Arenarie e Caleari — nummaulitici comprende in un sol colore il Calcare nummulitico propriamente detto e la Gonfolite di Comabbio. Nè è così esteso come lo indica la Carta di Spreafico, Negri e Stoppani, la quale, oltre occupare con esso la stessa area del Conglomerato di Co- mabbio, lo spinge poi al Sud di Varano per tutta la collina orientale fino a Corgeno e Cuvirone, invadendo quivi il dominio della Molassa e della Gonfolite, anzi segnando una località fos- silifera precisamente dove trovasi la Trincea della Boffalora. Confini più precisi del Nummulitico sono tracciati nella Carta dello Zollikofer. Questi infatti lo limita ad una lista, che va da Travedona a Ternate e da Ternate si prolunga d’alquanto lungo la sponda occidentale del lago. Solo questa lista dovrebbe spin- gersi in punta ancora più al Sud sempre rasente il Lago fino ad oltrepassare l'altezza di Comabbio; ed inoltre ad essa dovrebbe essere aggiunto un affiorimento isolato di Nummulitico sotto il colle di Varano dal lato prospiciente le torbiere, poichè dall’altro lato verso il Lago la trincea scavata per la ferrovia non ha in- contrato finora che terreni di sfacelo morenico. ! Ora appunto lo Zollikofer, nelle sezioni, che accompagnano la sua citata memoria, tracciando il Nummulitico in concordanza colla Gonfolite e immediatamente al di sotto di essa, assegna ad entrambe lo stesso livello geologico, quello dell’ Eocene. Ma anzitutto questa concordanza non mi pare perfetta. Sta che il Calcare nummulitico, considerato nel complesso della sua giacitura, asseconda l’anticlinale formata dalla Gonfolite dall’ un lato e dall’altro del Lago di Comabbio, ma se lo si osserva più in dettaglio trovansi delle divergenze. Per esempio, nella cava dei Ceppi presso Travedona esso inclina di 20° verso Ovest, in quella di S. Sepolcro presso Comabbio di 40° verso Nord-Ovest circa. Ma in un’altra cava recentemente aperta poco lunge e al i Devo alia gentilezza del signor Napoleone Borghi se potei osservare le traccie d’un affiorimento nummulitico a Varano, che, una volta messo a nudo in una cava ed ivi da molti osservato e citato in parecchie memorie, ora è nascosto sotte di una vigna e difficilmente può essere rintracciato. ALCUNE OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 285 Sud di quella di S. Sepolcro vedonsi gli stessi strati contorcersi verso Sud-Ovest e poi arcuarsi in una marcata sinclinale. “La Gonfolite invece sull’area tra il Lago di Comabbio e il Verbano inclina bensì verso Nord-Ovest, come il Nummulitico di S. Sepolcro, ma ha una maggior regolarità di linee: e lo stesso dicasi di quella delle colline fra Varano e Vergiate e del Ronco inclinata a Sud-Est, e di quella di Casale Litta inclinata a Sud. La Gonfolite in sostanza è parimenti ondulata ma con curve più larghe; mostra aver subito movimenti orogenici meno complessi del Calcare nummulitico. D’altra parte questa formazione nummulitica, che ha una di- stinta facies appennina, consta di strati variabili di grossezza, da 0.20 ad 1”, di un calcare or bianco or giallognolo con strut- tura compatta od arenacea, ora azzurrognolo con struttura brec- ciforme, essendo specialmente quest’ultimo formato di un im- pasto di nummuliti e radioli di echini e frammenti di testacei diversi talvolta spatizzati. Vi sì alternano anche degli strati di una marna calcarea sfaldabile. Benchè contenga interclusi qua e là noduli argillosi o marnosi e ciottoletti lisciati di selce nera e talvolta faccia passaggio ad una brecciola silicea, pure nel suo insieme conserva più il carattere di un deposito pelagico che d’uno litorale '. La Gonfolite invece rappresenta un immenso 4 Il Calcare nummulitico del Lago di Comabbio dà calce grassa, ma per questo scopo si usa limitatamente, Un’analisi fatta sul materiale proveniente dalla cava di S. Sepolero mi diede la composizione che segue: Biampomatb di oalco! i it... de teetinti ti 08.50 » di rippnoniny et ronite pube cairo ved. 016 Wagidi di ferro (ed.alluminio ... .. .. . (..... ele + 0,021 Argilla e silice gelatinosa . . . ..... + 0.039 Alcali, acqua e perdita . . . . . . +... + 0.065 1.000 To stesso Calcare serve poi come materiale da costruzione, ma solo per murature or- dinarie, non potendo estrarsi in pezzi da taglio. Secondo esperienze fatte presso il R. Istituto Tecnico Superiore di Milano possiede la resistenza allo schiacciamento di Chil. 482 50 per centimetro quadrato, 286. F, SALMOJRAGHI, 0 GG delta torrenziale. Ora le due formazioni geneticamente sono troppo diverse, perchè l’una possa aver fatto seguito all'altra senza interruzione ; tanto più che il Nummulitico in Lombardia, colla sua giacitura a lembi discontinui, rivela d’aver subito una denudazione. ti ig 2A Ma l'indipendenza del Calcare nummulitico dalla Gonfolite è — specialmente provata dall’interporsi fra mezzo a quelle due for- mazioni la Molassa a Dentaline. Come però ciò mi apparve sol- tanto nella trincea della Boffalora, mi diedi a cercare altri fatti che convalidassero quella posizione. Stando alla stratigrafia sovraindicata della Gonfolite, la Mo- lassa dovrebbe presentarsi tanto a piè della falda da Osmate a Comabbio fino a Mercallo, quanto a piè di quella da Bodio a Casale Litta. Ma sulla prima linea non mi fu dato di rinve- nirla: oltre il solito mantello morenico ivi si è nella regione dei detriti della falda gonfolitica, che mascherano la base della formazione molassica. Sull’altra linea invece fui più fortunato, avendo trovato distinti affiorimenti della stessa Molassa (già trasformata però in argilla giallastra) alla Torbiera Litta nella località detta Fabric, sulla strada da Bernate a Casale, sotto il Cimitero comune di Bernate ed Inarzo, dove è coperta dalla morena e infine sotto Lomnago presso Bodio. In questi punti la Molassa inclina verso Sud mostrandosi quindi concordante colla Gonfolite di Casale Litta, a cui si sot- topone presso la Torbiera; inoltre è fossilifera avendovi rac- colto pure delle Dentaline: fa perciò indubbiamente continua- zione a quella della Boffalora. A Lomnago poi gli strati sono un po’ sconvolti: ma ivi, tranne che sia mascherato dalle mo- rene, il Nummulitico manca; poichè lì presso, a Cazzago, al- l’entrata del paese venendo da Bodio, notai con meraviglia un affiorimento di Calcare Majolica, credo il primo che sì sia os- servato al Sud del Lago di Varese. Nè trattasi di un erratico, come potrebbe far credere la esiguità dell’affiorimento, perchè la Majolica fu anche trovata nella fondazione di una casa ad un chilometro all’Est di Cazzago, nella località detta Bonzò, ALCUNE OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 287 dove poi il soprassuolo è tutto sparso di frammenti dello stesso Calcare. Cercai anche se qualche lembo di Molassa fosse rimasto al di sopra degli strati nummulitici da Ternate a Travedona, e di- . fatti sulla falda prospiciente il lago di Monate il soprassuolo giallognolo lo farebbe sospettare; ma distinti affiorimenti non potei rinvenire. Credo però sufficienti i fatti raccolti per provare che la Mo- lassa si interpone fra il Calcare nummulitico e la Gonfolite. Se essa poi ha rapporti stratigrafici con entrambe le formazioni, che la racchiudono, mostra però di possedere rapporti petro- grafici e genetici più stretti colla Gonfolite, e quindi deve rite- nersi formare con essa un unico terreno, che, indipendentemente dai fossili rinvenuti e solo per analogia con altri terreni di Lom- bardia, va collocato nei limiti del Miocene. Questi rapporti poi sono evidenti in un altro affiorimento molassico esistente nel Rivo Dondi da Torretta a Cuvirone. Esso può osservarsi soltanto da chi cammina nel letto del rivo; lo vide già lo Zollikofer cui parve d’aspetto glaciale, ma poi avendone constatato la sottoposizione alla Gonfolite, lo ritenne a questa subordinata. La Molassa ivi ha gli stessi caratteri di quella della Boffalora e contiene, benchè raramente rinvenibili, gli stessi fos- sili. Il Rivo Dondi, in parte, corre sulla direzione dei suoi strati, perciò la potenza complessiva di questi non può misurarsi; ap- pare però superiore ai 100"! Infine gli stretti rapporti, che esistono tra la formazione mo- lassica inferiore e la gonfolitica .superiore, sono dimostrati anche dal trovarsi in questa degli interstrati continui o lentiformi di quella. Uno se ne incontrò al Pozzo 4 della Galleria del Ronco della grossezza di 4" circa; un altro al Pozzo 2 a metri 75 del- 4 Il Rivo Dondi ha scarse acque, che utilizzate per l'irrigazione non arrivano alla Strona. Però esse sono perenni, avendo corso sotterraneo fra il mantello morenico. e il nucleo gonfolitico o molassico. Della stessa natura sono le acque incontrate negli attacchi della Galleria del Ronco, dove però se ne vide sgorgare in abbondanza an- che da crepacci della Gonfolite (Pozzo 3). 288. |. F. SALMOJRAGHI, l'attacco verso Nord con pari grossezza, ma pane: evidente- mente non continuo, perchè non fu incontrato nella perforazione del Pozzo 3. In questi interstrati molassici rinvenibili nella Gon- — folite sono più scarsi i fossili, che non nella Molassa che vi è — sottoposta: ebbi però una Dentalina e un piccolo gasteropodo indeterminabile al Pozzo 4. Rappresentano essi forse delle pul- sazioni accentuate di abbassamento dell’area litorale, su cui si precipitavano da ignote falde per opera di ignoti torrenti i ma- teriali della Gonfolite. Dal fin qui detto emergono le seguenti conclusioni: 1.° I ghiacciai scendendo sull’area circostante all’ Est del lago di Comabbio e all’ Ovest dello stesso lago fino al Verbano, trovarono un sistema di colline gonfolitiche mioceniche;, già da tempo sollevate, che dovettero superare per invadere il piano e la cui orografia modificarono colle loro morene. 2.° I ciottoli di quella Gonfolite, per lo più formati di roccie cristalline mancanti o non frequenti in Lombardia, hanno tali dimensioni da far supporre o non molto lontana l’area di de- nudazione donde provennero o concorrente un’azione diversa dalla torrenziale per avvicinarli, forse un’azione glaciale. 3.° La stratificazione della Gonfolite è disposta ad anticli- nale col vertice denudato. L’asse di questa anticlinale coincide presso a poco coll’asse maggiore del lago di Comabbio, donde prosegue lungo la Brabbia fino al lago di Varese, segnando con ciò la traccia di una valle preglaciale dovuta al sollevamento ed alla erosione. 4.° La Gonfolite copre in stratificazione trasgressiva una Molassa pure miocenica fossilifera, caratterizzata da Dentaline. Di essa però rimasero pochi lembi, e la sua denudazione ebbe certo larga parte nella creazione delle attuali depressioni di questa regione. 5.° Il Calcare nummulitico, che si sottopone alla Molassa, ordinariamente confuso in un sol colore colla Gonfolite, ne è indipendente, trovandosene appunto separato dalla formazione ALCUNE OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 289 molassica anzidetta. La sua area di affiorimento deve perciò limitarsi alla collina da Travedona fino poco oltre Ternate e ad uno sprone isolato sotto Varano. ù 6.° Tanto la Molassa che il Nummulitico, per quanto può | giudicarsi dai loro scarsi affiorimenti, partecipano alla anticlinale formata dalla Gonfolite. Queste conclusioni, che presento ora in via preventiva, quando dal progresso degli studî e da un opportuno parallelo col Mio- cene del Piemonte sieno rese più particolareggiate specialmente dal lato cronologico, potranno anche profittare agli altri lembi miocenici lombardi e specialmente al Miocene comense. Però a questo scopo i soli raffronti petrografici non bastano. Abbiamo veduto come la Gonfolite del Ronco presenti una certa somiglianza con quella del Castel Baradello, talchè potrebbe concludersi per la loro contemporaneità. Ma d’altra parte anche la Molassa della Boffalora ha molte analogie colla Molassa li- gnitifega di Lucino e Montano e coll’ Arenaria di Malnate. In- fatti delle analisi chimiche mi mostrarono, che queste roccie sono caratterizzate dalla stessa prevalente composizione di gra- nuli di quarzo e pagliette di mica e specialmente dalla, stessa scarsezza di carbonato calcare, che notai nella Molassa della Boffalora. Può essere questa una prova, che tutte provengono da una comune area di denudazione, ricca di roccie cristalline, povera di calcaree, la quale oramai è stabilito che non deve cercarsi nei monti della Lombardia, ma al di là del Verbano. Ma non può concludersi da ciò per il loro perfetto sincronismo di formazione nella stessa suddivisione del. Miocene, poichè la Molassa della Boffalora di Varano si sottopone alla Gonfolite del Ronco, quella di Lucino e Montano invece sembra sovrap- porsi alla Gonfolite del Castel Baradello. Il profitto che potrà dare il presente studio sta più in ciò, che messi in avviso i cultori della Geologia, che il Miocene lombardo può essere fossilifero, il Miocene stesso verrà tolto dall'abbandono in cui fu lasciato finora e maggiormente studiato. Vol. XXV. 19 perforanti nédfoli ua Mandi ch redo assai prob: ; vasta area miocenica, che si stende si Gonidih} pì molassici ad elementi fini, che pur non vi mancano, nire, a chi li cerca, i rappresentanti della piccola fi a alla Boffalora di Varano, specialmente or sapendosi tracciarvi i fossili la roccia non deve essere frugata sol cc tello, ma pazientemente esplorata colla lente.* 2/0 4 Devo sentiti ringraziamenti agli Ingegneri della Direzione Governa; presa costruttrice Peregrini, Calcaterra e Coduri, che con ogni crolli Ì sero lo studio della Galleria del Ronco, non che al prof. F. Sordelli, iu ai i mezzi per il preventivo studio dei fossili. Nota aggiunta in corso di stampa. pr Dopo la lettura della presente memoria, ulteriori da cr zioni di foraminifere tendono ad abbassare la Molassa della du falora nell’ Oligocene. Mi limito ad accennare il fatto, riservando ad altro lavoro la discussione paleontologica del problema. , nf dee ed è è % pra A 22 So) ; 1) ere S Di TT. (01ST) c0vOg . BLIITEO > S 3 È. dg a A + 7-XULI s dn) È ia LT a; = pi è SARE ù ì È è È pngessogeleors9oddep reouta] SP da S IA hà P men sa à #4 NES | Seat 3 3 0:10: 909: SS E SITO o gue er, BT Lot di j;009 RI A i s ì $ : È gf 0) ro, SIA ACE EGLI PO IUASE IZ se a q K $ D Si Bi) VEE SME WI <000 , s A hr co Si da T Q40 ; Di ese ETA Ss a pu01A7) 9 0U ILL] “ RS ate ig i'4 È SO 017924 i È iS; E LALA Ma CLS ) 10IIUILOUL O 200fs $ ta 2 2° ig I 79) 2pP av) 2779U ISIS IR DILIAL SNA ci È : }l LX. È à det pa Poruzone Te È ° 270/0929 170.498 759 SÌ S i) Ea $ S a DELV70N ì N S 2u0129l04] a ù È 3 BI Fa Si. dis IS) 3 [N S @ AS È è S Ria IN N. 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, J CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 305 . 85. Philomela luscinia Selby. (N. s. Rossignolu). Co- munissimo e nidificante. 86. Philomela major Sw. (N. s. ......) Se esiste, è rarissima. | Il Salvadori ritiene dubbia l’esistenza di questa specie. Sulla fede del Cara io qui l’annovero, ma anch'io dubitando, giac- «chè mai l’ho vista. Sono però ben lontano dal condividere il sospetto del Salvadori, il quale nel suo Catalogo dubita che il Cara abbia creduto di riconoscere la Philomela major nell'unico individuo di Zusciniopsis lusciniodes esistente nel Museo di Ca- gliari. Il Cara era certamente in grado di poter distinguere l'una dall’ altra queste due specie. Più accettabile è piuttosto il dubbio che l’avesse confusa con qualche esemplare della Phi- lomela luscinia, stando a quanto lo stesso Salvadori ci fa sa- pere nella Fauna d’Itulia sull’individuo spedito dal Cara al Brooke come appartenente alla Philomela major, e che per as- sicurazione dello stesso Brooke altro non era che un comune Rusignuolo. Colgo intanto quest’ occasione per dichiarare che io non ammetto fra le specie sarde la Lusciniopsis lusciniodes, giacchè quell’unico individuo esistente nel Museo di Cagliari, sul quale il Salvadori ha fondato l’esistenza di questa specie in Sardegna, fu, come lo stesso Cara assicura, regalato al Mu- seo assieme a due esemplari di Perdix francolinus, e non già catturato in Sardegna. 87. Sylvia hortensis Lath. (N. s. ...... ). Comune, di passaggio in primavera. Nè il Cara nel suo Elenco, nè il Salvadori nel suo Catalogo annoverano questa specie fra gli uccelli di Sardegna: Hausmann crede probabile il suo passaggio: Genè, secondo il Salvadori, ne indica il nome sardo in un catalogo manoscritto dei nomi volgari degli uccelli italiani. Ora ogni dubbio è tolto; la Sylvia hortensis è di passaggio in Sardegna, ed in gran numero. Il sig. Bonomi ne ha ceduto diversi esemplari al Museo, presi nei dintorni di Cagliari. Vol. XXV. 20 306 C. LEPORI, 88. Sylvia atricapilla Scop. (N. s. Conca de moru). Comune in primavera. 89. Sylvia curruca Lath. (N. s. Stampacresuras). Piut- tosto rara. 90. Sylvia cinerea Lath. (N. s. Stampacresuras). Piut- tosto comune e nidificante, ma non stazionaria. | 91. Sylvia conspicillata Marm. (N. s. Topi de mata. Cherri-cherri). Comune e stazionaria. Il Cara la disse stazionaria; il Salvadori nel suo Catalogo crede che solo alcuni individui restino nell’inverno. La verità è che si trova sempre in tutte le stagioni e non in iscarso nu- mero, sebbene più abbondante in primavera. Ciò vale anche per la specie seguente. 92. Sylvia subalpina Bonelli (N. s. Topi de mata). Comune e stazionaria. 93. Melizophilus provincialis Jenyns (N. s. Topi de mata. Cherri-cherri). Non comune, ma stazionario. Topi de mata è nome generico in Sardegna per quasi tutti gli uccelletti di piccolissime dimensioni; Cherri-cherri è il nome quasi direi specifico che si dà in certi villaggi alla specie in .di- scorso in comune al Melizophilus sardus ed alla Sylvia conspi- cillata, come abbiamo già visto, forse per il grido loro caratte- ristico e per le abitudini analoghe. 94. Melizophilus sardus Gerb. (N. s. Topî de mata. Cherri-cherri). Comunissima e stazionaria. 95. Pyrophthalma melanocephala Gm. (N. s. Conca de moru). Comunissima e stazionaria. 96. Phyllopneuste sylvicola Brelm. (N. s. ..... ). Rara. 97. Phyllopneuste trochilus Lath. (N. s. ..... ). Rara. Stazionaria? Il Salvadori è stato il primo a trovarla. Il Giglioli, forse se- guendo l’ Hausmann, la dice stazionaria in Sardegna, ma io non sono in grado di poter confermare quest’opinione. i RI : CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA, 307 98. Phyllopneuste rufa Bp. (N. s. Topi de mata). Piut- tosto comune, stazionaria ? Il Cara la confuse colla specie seguente e la disse rara. Il Salvadori ha rettificato quest’errore, che in seguito lo stesso Cata ha riconosciuto. Io poi posso assicurare che la specie è comune in Sardegna. 99. Hypolais icterina Vieill. (N. s. ...... ). Rara. Il Cara nelle sue Osservazioni al Catalogo del Salvadori am- mette questa specie; però nè Salvadori, nè io l’abbiamo trovata. L’ Hausmann l’avrebbe trovata in settembre. L’ammetto adunque sulla fede del Cara e dell’ Hausmanmu. 100. Acrocephalus palustris Cab. (N. s. ...... Ìa Rara e di passaggio (secondo l’ Hausmann). L’ammetto sulla fede dell’ Hausmann che dice d’averla trovata. 101. Acrocephalus arundinaceus Naum. (N. s. Tur- du). Comune in autunno. Stazionaria? 102. Acrocephalus turdoides Cab. (N. s. Turdu). Non tanto raro, nidificante? Non è sulla fede dell’ Hausmann che io ammetto questa specie. poichè spesso l’ho trovata in autunno negli oliveti del Campi- dano di Cagliari. L’ Hausmann pretende anche che vi nidifichi, ma non posso accertarlo. 103. Calamodyta vhragmitis Bechst. (N.s. ..... ). Rara? « —L’ammetto sulla fede dell’ Hausmann che dice d’averla trovata in iscarso numero. 104. Calamodyta aquatica Bp. (N. s. ....) Rara? L’ammetto sulla fede del Cara; io non l’ ho mai trovata. 105. Lusciniola melanopogon G. R. Gray. (N. s. mento. ). Rara? O di comparsa accidentale ? Nè Cara, nè Salvadori, nè Hausmann, nè io l’abbiamo trovata; ma il Salvadori dice che un individuo preso in Sardegna esiste nel Museo di Torino, e quindi l’ammetto. È probabile che que- sta e le due specie precedenti compariscano solo qualche volta accidentalmente. 308 C. LEPORI, 106. Bradypterus Cettii Cab. (N. s. Rossignolu). per mune e stazionario. 107. Cisticola schoenicola Bp. (N. s. Topi de pat) Comune e stazionaria. 108. Motacilla alba Linn. (N. s. Coetta. Madiscedda): Comunissima in autunno ed inverno. 109. Motacilla boarula Penn. (N. s. Coetta. Madisced- da). Meno comune della precedente in autunno ed inverno. Ni- difica. Il Cara vuole che nidifichi, ed il Salvadori l’ammette; ac- cetto quindi la loro opinione, ma non ho osservazioni proprie al riguardo. 110. Budytes fiavus Cuv. (N. s. Coetta. Madiscedda). Piuttosto comune in autunno ed in inverno. Il Salvadori è stato il primo a darci notizia dell’esistenza di questa specie. 111. Anthus arboreus Bechst. (N. s. Pispanta). Non molto comune. Stazionario ? 112. Anthus pratensis Bechst. (N. s. Pispanta). Co- munissimo. Stazionario ? 113. Anthus cervinus K. et BI. Di comparsa acci- dentale? L’ammetto sulla fede del Cara, ma confesso di non averlo mai trovato. 114. Anthus spinoletta Bp. (N. s. Pispanta). Piuttosto . raro. Il Cara lo dice abbondante nel passo autunnale, ma io non ho potuto verificare questo fatto. 115. Anthus campestris Bechst. (N. s. Pispanta. Ca- landria). Comune. Stazionario ? 116. Alauda arvensis Lin. (N. s. Calandria). Comu- nissima e stazionaria. 117. Alauda arborea Lin. (N. s. Calandria). Comunis- sima e stazionaria. 118. Melanocorypha calandra Boie (N. s. Calandrio- nè). Comunissima e stazionaria. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA, 309 \ 119. Galerida cristata Boie. Di rara comparsa acci- dentale. | In mezzo a tanti naturalisti che hanno esplorato la Sarde- gna, nessuno finora ha potuto trovare questa specie; il Cara però ammette la sua comparsa, sebbene in piccol numero, nella primavera e nell’estate di ogni anno. Nemmeno io, per quanto mi sia adoperato, ho potuto trovarla. "Tuttavia, siccome non vo- glio supporre che un conoscitore tanto distinto di Ornitologia quale era il Cara abbia potuto errare sulla determinazione di una specie così facile a riconoscersi, come pare voglia credere il Salvadori; e trattandosi d’altronde che l’inesistenza di essa specie in Sardegna, mentre è comunissima e stazionaria nelle parti meridionali del Continente Italiano e nella vicina Sicilia, è un fatto molto singolare, per non dire strano e veramente inesplicabile, per questi motivi ammetto come probabile; sebbene accidentale, la comparsa della Galerida cristata in quest’ isola. 120. Calanarella brachydactila Kaup. (N. s. Attac- caterra. Terraèa). Comunissima e stazionaria. 121. Miliaria europaea Sws. (N. s. Orgiali de denti). Comunissima e stazionaria. 122. Passerina melanocephala Vieill. (N. s. Orgiali) (secondo Cara). Di passaggio accidentale (Cara). Non ostante la negazione del Salvadori, ritengo giusto quanto assevera il Cara su questa specie; e perciò non la escludo, seb- bene non l’abbia trovata. 123. Emberiza citrinella Linn. (N. s. Orgial?) (secon- do Cara). Comune in montagna, arriva in primavera, annida e parte in ottobre (Cara). Anche riguardo a questa specie, che mai ho trovato, per quante ricerche io abbia fatto, mi rimetto intieramente a quanto ne dice il Cara, non volendo ammettere la supposizione del Sal- vadori che un ornitologo come il Cara abbia preso per Embe- risa. citrinella le femmine dell’ Emberiza cirlus. 124. Emberiza cirlus Linn. (N. s. Pispanta). Piuttosto comune, nidificante ma non stazionaria. 310 C. LEPORI, 1125. Emberiza hortulana Lin. (N. s.......). Raro e di passaggio accidentale. Lena 126. Emberiza cia Linn. (N. s. Pispanta). Rara e di passaggio in primavera. dl ag 127. Emberiza schoeniculus Lin. (N. s. Orgiali). Rara e di passaggio in inverno. “Ma 128. Passer montanus Briss. (N. s. .......) Molto raro e di passaggio in inverno. T 129. Passer salicicolus Bp. (N. s. rubato Disige ziatamente troppo comune e stazionario. * 130. Petronia stulta Kaup. (N. s. Cruculeu de nioiilià Comune ma non stazionaria. Nidificante? Il Cara afferma che nidifica nelle montagne, ed è cosa gene- ralmente conosciuta che suole fare il nido nei fori degli alberi. A questo riguardo però io posso assicurare che si ricovera an- che nei buchi dei muri, non so se per deporvi le uova o per difendersi dal freddo. Ricordo che essendo fanciullo ho preso più volte questo vago uccelletto, dalla elegantissima macchia gialla sul petto, con bacchettine impaniate collocate all’ imboce- catura del nido, fatto in buchi dei muri della stessa mia casa d’abitazione in Sardara, messa all’ estremità dell’abitato. Mai però ho trovato le uova. È uccello poco diffidente e si lascia avvicinare. Posato sul tetto sta lungamente a cantare; mandando un monotono e melanconico grido che consiste nella sillaba è un poco trattenuta. 131. Coccothraustes vulgaris Vieill. (N. s. Pizzu grussu) (secondo Cara). Piuttosto comune in autunno e prima- vera. 132. Fringilla coelebs Linn. (N. s. Passarellu). Comu- ne e stazionaria. 133. Ligurinus chloris Koch. (N. s. Vardarolu). Co- mune e stazionario. 134. Chrysomitris spinus Boie (N. s. Camariu de monti). Piuttosto raro e di passaggio in autunno e prima- vera. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 311 135. Carduelis elegans Stph. (N. s. Cardanera). Comu- nissimo e stazionario. 136. Cannabina linota Gray. (N. s. Passarellu). Co- mune e stazionaria. ‘137. Serinus hortulanus Koch. (N. s. Canariu de monti). Di passaggio in primavera. | 138. Chloroptila citrinella Salv. (N. s. Canariu de monti). Di passaggio in primavera e nidifica (secondo Cara). «Non: volendo credere capace il Cara dell’errore grossolano che il Salvadori gli attribuisce, quello cioè di aver considerato come appartenente a questa specie qualche individuo della spe- | cie precedente, e reputandolo sempre, come lo era di fatto, uomo di buon conto, io annovero sulla fede del Cara anche la Chloroptila citrinella, confessando però ingenuamente di non averla mai trovata. | 139. Loxia curvirostra Linn. (N. s. Biccw trottu). Di passaggio ‘accidentale qualche volta in inverno (Cara). 140. Sturnus vulgaris Linn. (N. s. Sturru pinta). Co- munissimo. Non stazionario, nè nidificante. Il Cara bene a ragione disse di questa specie: “ Comunissi- mo: arrivano ai primi d’agosto in gran numero e partono in primavera. , Da queste parole il Salvadori arguisce nel suo Ca= talogo che il Cara abbia voluto dire questo stornello rimanere in Sardegna solo durante l'inverno, mentre egli (il Salvadori) pensa che alcuni vi nidifichino, avendone visti alcuni giovanis- simi nel Museo di Cagliari. Nota poi che dal gennaio all’ aprile non ne vide alcun individuo, e si meraviglia di non averne in- contrato alcun branco di passaggio durante il marzo e l’aprile come avviene sul Continente. Nella Fauna d’Italia poi ripete le stesse cose, e cita in appoggio l'autorità del Brooke, che ha passato diverse primavere in Sardegna. Il Cara ha confutato assai bene queste supposizioni del Sal- vadori nelle sue Osservazioni, ecc., ed è un fatto che Salvadori è in errore. Il non averne visto, nè egli nè il sig. Brooke al- cun branco di passaggio nulla significa. Questi branchi numero- 312 aC LEPORI , FA IAOTRUDARZOO sissimi si vedono spesso, ed è oggetto di curiosità negli abitanti | di alcuni paesi dell’isola l’osservare, specialmente verso il tra- -monto, questi immensi stuoli di uccelli, volando capricciosamente e rapidamente a tortuosi giri in varie direzioni, assumere nel- ‘l'insieme diverse bizzarre forme, ora come schierati sopra una sola linea, ora riuniti in colonna serrata simulando quasi le evoluzioni militari di un corpo di truppa che manovra. Io'stesso ho assistito moltissime volte a questo sorprendente spettacolo. La supposizione poi che nidifichi, basata sulla presenza di alcuni giovanissimi individui nel Museo, è destituita affatto di fonda- mento. Prima di tutto gli individui del Museo non sono giova- nissimi, ma giovani dell’anno; d'altronde poi è certo che inu- merosi branchi che passano risultano composti di adulti e gio- vani insieme riuniti; si è osservato anzi, come ben nota il Cara, il fenomeno che nel 1844 il passaggio di questi uccelli si veri- ficò di soli giovani individui. Sta fermo adunque che questa specie è comunissima in Sardegna; giunge in agosto 0 settem- bre, parte in primavera, e non nidifica. 141. Sturnus unicolor La Marm. (N. s. Sturrx). Di- sgraziatamente troppo comune e stazionario. 142. Pastor roseus Temm. (N. s. ...... ). Di ‘pas- saggio accidentale (Cara). 143. Oriolus galbula Lin. (N. s. Canariu aresti). Giunge in primavera piuttosto in iscarso numero, nidifica .e parte. 144. Fregilus graculus G. Cuv. (N. s. Carroga). Non comune, ma stazionario. 145. Corvus corax Lin. (N. s. Crodbu). Comune iti sto e stazionario. 146. Corvus frugilegus (N. s. Carroga niedda). Di- sgraziatamente troppo comune e stazionario, | 147. Corvus corone Linn. (N. è. Crobdu). Comune e sta- zionario. 148. Corvus cornix Linn. (N. s. Carroga braca). Co- munissimo per disgrazia. e stazionario. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 313 149. Corvus monedula Lin. (N. s. Carroghedda de cam- panile). Comunissimo e stazionario. Devo notare come un fatto molto singolare la scomparsa di questa specie dall’altissimo campanile di Serramanna, frequen- tato una volta da immensi stuoli di questi uccelli. 150. Nucifraga caryocatactes Temm. (N. s. .....). Di passaggio accidentale (Cara). (. 151. Garrulus glandarius Vieill. (N. s. Piga). Co- mune e stazionario. 1.152. Colamba palumbus®' Lin. (N. s. Tidu. Tidoni). Comunissimo. Arriva in autunno, parte in primavera. 153. Columba oenas Lin. (N. s. Tidu. Succella). Come la precedente arriva in autunno, ma parte principiando l'estate. 154. Columba livia Briss. (N. s. Colombu aresti). Co- munissima e stazionaria. 155. Turtur auritus G. R. Gray. (N. s. Turtiri). Co- munissimo. Giunge in primavera, nidifica e parte in settembre. 156. Perdix petrosa Lath. (N. s. Perdixi). Comunis- sima e stazionaria. 157. Coturnix communis Bonn. (N. s. Circuri). Comu- nissima e stazionaria. 158. Otis tetrax Lin. (0. s. Pidraziu. Fagianu). Piut- tosto comune e stazionaria. 159. Glareola pratincola Leach. (N. s. Perdixi de mari). Comune. Di passaggio in primavera. 160. Oedicnemus crepitans Temm. (N. s. Pudda me- dia). Comune e stazionario. 161. Vanellus cristatus Linn. (N. s. Lepuri de argiola). Comune. Stazionario? Il Cara la dice nell’ Elenco stazionaria e nidificante. Il Sal- vadori dice nel suo Catalogo non esservi dubbio che il Cara siasi ingannato, giacchè in quella vece parte in primavera e ri- 1 Ml Cara nell’ Elenco la disse stazionaria. Il Salvadori ripetè lo stesso nel suo Ca- talogo; ma il Cara corresse l’errore nelle sue Osservazioni al Catalogo del Salvadori. 314 i è SUL TADBORE iii /VACO ENTI SZ ‘torna in autunno. In seguito il Cara nelle sue Osservazioni co risponde: “ Potrebbe darsi che questa specie sia in parte mi- “gratoria, ma io dovevo ritenerla e Ja ritengo, in parte almeno, stazionaria, perchè ne ho preso in tutte le stazioni, ne ebbi il nido che deposi nel Museo, e n’ebbi anche dei pulcini. ., To però non ho potuto mai constatare nè il fatto della staziona- rietà, nè quello della nidificazione; e, se questi si sono verifi- cati, debbonsi ritenere come casi puramente eccezionali; stando in massima quanto giustamente asserisce il Salvadori. | 0° 162. Squatarola helvetica Savi (N. s- Curruliu brenti nieddu). Piuttosto comune, viene in primavera... SIL, 163. Charadrius pluvialis Lin. (N. s. Culugioni de terra). Non molto comune, arriva in autunno parte in estate. 164. Eudromias morinella Brehm. (N. s. Zurruliu conca de molenti). Si trova sovente, arriva in autunno parte in primavera. PESI Il Salvadori nel Catalogo dubita dell’esistenza di questa spe- cie; tuttavia l’ammette, ed è certo che vi arriva in discreto numero. 165. Aegialites hiaticula Boie (N. s. Zurruliu peis grogus). Comune, nidificante? 166. Aegialites curonicus Keys et Blas. (N. s. Zur- ruliotteddu). Comune e stazionario. 167. Aegialites cantianus Boie (N. s. Zurruliw conca de molenti). Comunissimo e stazionario. 168. Strepsilas interpres Ill. (N. s. Zurruliottu). Non tanto raro. di passaggio in primavera. 169. Haematopus ostralegus Lin. (N. s. Zurruliw peis arrubius). In discreto numero e stazionario. 170. Himantopus candidus Bonnat. (N. s. Zurruliv peis longus). Più abbondante del precedente, viene in autunno e parte in estate. IELAZI 171. Recurvirostra avocetta Lin. (N. s. Filippa. Paisanu). Non è raro, viene in autunno e parte in prima- vera. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 315 |» 172. Calidris arenaria Leach. (N. s. Zurruliotteddu). I ffiaticaio comune e nidificante. (173. Luimicola pygmea Koch. (N. s. Beccaccinu diffe- renti) (Cara). Di passaggio qualche volta in primavera (Cara). Quantunque uccello nordico non è improbabile, come preten- derebbe il Salvadori, il passaggio di quest’ uccello in Sardegna; tanto più che ora non si ritiene rara la sua comparsa in di- . verse località dell’Italia. Confesso però di non averlo mai tro- vato, e quindi l’ammetto sulla fede del Cara come di rara com- parsa accidentale. 174. Pelidna maritima Brunn. (N. s. Beccaccinu mied- duzzu). Rara e di passaggio nell’ inverno. L’ammetto sulla fede del Cara. 175. Pelidana subarquata Brehm. (N. s. LBeccaccinu arrubiastu). Comune. Arriva in autunno, parte al principio del- l’estate. 176. Pelidana alpina Brehm. (N. s. Leccaccinu brenti niedda). Come il precedente. i 177. Actodromas minuta Kaup. (N. s. Beccacce soli) Come il precedente. 178. Actodromas Temminckii Raro? Di passaggio accidentale? Il Salvadori è stato il primo ad indicare l’esistenza di que- sta specie in Sardegna. Il Cara non lo annovera nel suo Elenco, ma dice nelle sue Osservazioni, ecc. di averne depositati diversi individui nel Museo. Intanto però l’individuo esistente nel Mu- seo di Torino e proveniente dalla Sardegna è il solo, per quanto io ne so, che resti a far testimonianza della comparsa di que- sta specie in quest'isola, giacchè gli individui depositati dal Cara nel Museo di Cagliari più non vi si trovano. Il Giglioli dice nel citato opuscolo a proposito di questa specie: “ arriva. in luglio, sverna in alcune località del mezzogiorno e special- mente in Sardegna e parte in aprile e maggio. , La qual cosa equivale quasi ad essere stazionaria. Non sono in grado di po- ter confermare quanto egli dice, e non so da dove abbia at- 316 Gi: LEBOBE, Dna ti tinto i dati in appoggio della sua asserzione per quanto riguar le la Sardegna; ad ogni modo presto intiera fede alle sue parole i 179. Tringa canutus Lin. (N. s. Beccaccinu de mari) Non raro, arriva in autunno, parte in primavera inoltrata, , 180. Machaetes pugnax Cuv. (N. s. Zurruliw). Non raro e di passaggio fra marzo ed aprile. ‘nt afstatat Il Cara non lo. annovera nell’ Elenco; anzi in una nota a p. 145 del suo libro dice recisamente che il genere Mackaetes manca in Sardegna. Il Salvadori però l’ammette nel suo Cata- logo, e spetta a lui l’onore di avere indicato per il primo l’ e- sistenza di questa specie nell’isola; e sebbene il Cara nelle sue Osservazioni al Catalogo Salvadori abbia manifestato qualche dubbio sulla esattezza di quanto il Salvadori afferma in pro- | posito, io posso assicurare gli ornitologi che il Machaetes pu- gnax esiste in Sardegna, e diversi esemplari catturati dal sig. P. Bonomi fanno parte della collezione del nostro Museo. 181. Actites hypoleucus Boie (N. s. Zur ia .Abbondante in tutte le stagioni. “ Passa l’inverno fra noi, e parte in marzo , dice il Cara. Il È Salvadori all’incontro dice: “ Durante l’inverno non ho veduto | quest’ uccello in Sardegna, e credo che invece dell’inverno, come afferma il Cara, vi passi l'estate, come pure avviene nell'Italia _ Continentale. , Hanno entrambi ragione da una parte e torto dall'altra. L° Actites hypoleucus arriva in abbondanza verso gli | ultimi d’autunno venendo dai paesi settentrionali; ma; trovando — il nostro inverno assai mite, molti si trattengono, e quindi è molto comune in questa stagione. Al sopravvenire poi della sta- gione calda, verso gli ultimi di marzo od i primi d’ aprile molti emigrano verso regioni più settentrionali, ma altri pure ne so- praggiungono da paesi più meridionali; e una parte di questi rimane, mentre altri continuano il loro viaggio verso il nord. La Sardegna quindi è per così dire il perno od il centro, delle oscillazioni che questi uccelli descrivono nel compiere le varie loro emigrazioni. È un fatto però che nell'inverno sono molto più abbondanti che nelle altre stagioni. Mi fa perciò meraviglia CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 317 i che il Salvadori non ne abbia veduto durante l’inverno che | passò in Sardegna, se non è che, come talvolta succede, l’in- verno di quell’anno fosse molto rigido; ma questo! in Sardegna è caso meramente eccezionale. 182. Totanus ochropus Temm. (N. s. Zurruliu culu biancu). Piuttosto comune. Stazionario o solo di passaggio? — Il Cara dice che passa in primavera ed autunno, il Salvadori invece lo crede stazionario. Non ho dati per decidere la que- stione. 183. Totanus glareola Temm. (N. s. Zurruliu peis birdis). Non tanto comune, nidifica? 184. Totanus fuscus Bechst. (N. s. Zurruliu peis ar- rubius). Molto comune, arriva in autunno e parte in primavera. 185. Totanus calidris Bechst. (N. s. Zurruliu peis ar- rubiu). Come il precedente. 186. Totanus stagnatilis Bechst. (N. s. Zurruliu peis longus). Non comune, nidifica? Sl Cara dice: “ comunissimo fra noi, e vi nidifica, parte prin- cipiando l'estate. , Il Salvadori invece crede che Cara abbia errato, e che se realmente questa specie si trova in Sardegna ciò avvenga in primavera, e seguiti il suo viaggio verso il nord a porvi il nido. Dal canto mio io nulla posso affermare sulla nidificazione; è certo però che la specie esiste in Sardegna, ma non è comune. Il nostro Museo possiede un individuo catturato e preparato dal più volte citato sig. Bonomi, tanto benemerito dello stesso Museo. 187. Totanus canescens Lin. (N. s. Zurruli). Non è comune, arriva in autunno e parte in primavera. 188. Limosa aegocephala Lin. (N. s. Beccaccia de is cannas). Come il precedente. 189. Limosa rufa Briss. (0. s. Beccaccia de is cannas). Come il precedente, ma più raro. Il Cara ammette anche l’esistenza della Limosa rufa, e la cosa non è improbabile perchè, sebbene raramente, è stata cat- turata in tutte le parti d’Italia. Non menando quindi per buone Mete, f > SS è, 318 ARRE DIIAAI LARGO TO, IA gAgi sonata le ragioni esposte dal Salvadori, sulla fede del Cara annoveri anch’ io la Limosa rufa, che però non ho mai trovato, ma colla speranza di trovarla, come è avvenuto di sure esiti m- messe dal Cara, e negate, od almeno messe in dubbio dal Sal vadori. © | tà AAA O 190. Numenius arquata Lath. (N. s. Curruliu). | o) mune, arriva in autunno e parte in primavera, nidifica? 191. Numenius tenuirostris Vieill. (N. s. Currulit). Scarso, arriva in autunno e parte in primavera. 004 «QUE 192. Numenius phaeopus Lath. (N. s. Curruliu). Meno | scarso del precedente, arriva in autunno e parte in prima- vera. DR 193. Scolopax rusticola Linn. (N. s. Beccaccia. Ca- boni de murdegu). Comunissima, arriva in autunno e parte dd primavera. Mi risulta che qualche volta deponga le uova. Ciò giustifi- cherebbe quanto asserisce il Cara che, cioè, parta al Preso | dell’ estate; ma non è questa la regola generale. 194. Gallinago major Leach. (N. s. Beccaccinu). Co- mune. Di passaggio in autunno e primavera. È 195. Gallinago scolopacinus Bp. (N. s. Beccaccimu). Come il precedente, ma più abbondante. 196. Gallinago gallinula Bp. (N. s. Beccaccinu). Come 1 precedenti, ma più scarso. 197. Rallus aquaticus Lin. (N. s. Puddiredda de ac- qua). Comune e stazionario. 198. Crex pratensis Bechst. (N. s. Puddizedda de ac- qua). Comune e stazionario. | 199. Ortygometra porzana Steph. (N. s. Puddiredda de acqua). Comune. Viene in primavera, nidifica e parte. 200. Ortygometra Baillonii Steph. (N. s. Puddixedda de acqua?). Rara. Di passaggio in primavera. 201. Ortygometra minuta K. et BI. (N. s. Puddicedda de acqua). Meno rara della precedente. Di passaggio in prima- vera. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 319 | 202. Gallinula chloropus Lath. (N. s. Pudda de ac- qua. Sciabiga). Comunissima e stazionaria. | 203. Porphyrio smaragnotus Temm. (N. s. Puddoni ?). Di ‘rarissima comparsa accidentale. Per quanto io ne so, nessuno dei naturalisti che finora lecita esplorato la Sardegna ha mai trovato il Porphyrio smaragnotus. Ciò non di meno, siccome il Salvadori ci fa conoscere nella Fauna d’Italia che due individui, l'uno inviatovi dal Prunner, l’altro indicato come ricevuto dalla Sardegna mentre si teneva vivo nella tenuta Reale di Stupinigi, si trovano attualmente nel Museo di Torino, ma induco ad annoverare questa specie fra gli uccelli sardi come di rarissima comparsa accidentale. 204. Porphyrio antiquorum Bp. (N. s. Puddoni). Si prende spesso nell'autunno e primavera. Il Salvadori, e nel Catalogo e nella Fauna d’ Italia. manife- sta l’opinione che questa specie sia stazionaria in Sardegna e quindi vi nidifichi. Le ragioni sulle quali egli poggia questo suo modo di pensare sono state veramente combattute dal Cara. nelle Osservazioni al Catalogo dello stesso Salvadori, ed io non posso garantire la stazionarietà di quest’ uccello. In quanto alla nidificazione, cui il Salvadori crede, prestando fede anche alle notizie somministrategli dai pescatori, dovrà ritenersi una mera supposizione che niente per ora può autorizzarci ad ammettere. Riguardo però al numero degli individui che arrivano possiamo dire che nulla ‘vi è di più irregolare, ed è esattissimo quanto in proposito ne dice il Cara “ în alcuni anni numerosi, in altri scarsi, ed in altri rarissimi ,. Anche il Giglioli (1. c.) dice del pollo sultano: “ Anche questa specie è sedentaria in Sardegna ed in Sicilia, ma non può dirsi comune ... . nidifica alla fine di marzo ed aprile. , Non so niente della Sicilia, ma non è certo che in Sardegna la specie sia sedentaria. 205. Fulica atra Lin. (N. s. Puliga). Comunissima e sta- zionaria. Il più gran numero però arriva in autunno e parte in primavera. 206. Fulica cristata Gm. (N. s. Puliga). Rara. AL 205 su) e uo faccio unicamente Fund acne l'opportunità di esaminare individuo alcuno dell cristata degli ornitologi proveniente dalle località o digena. Che se i caratteri di questa sono identici a individui trovati in Sardegna, (uno dei quali fa) p: si della nostra collezione universitaria, mentre un'altro. ie: e da me ceduto al Museo di Firenze quando io ero alla direzione di questo) sarei quasi inclinato a consigliare gli ornitolog i adi radiare dai cataloghi d’ornitologia la specie ulica cristata.. Difatti, i caratteri sui quali si vogliono stabilire ie rn tolto quello della cresta carnosa, non reggono ad un esame cri- tico. Tali caratteri si riferiscono solo alle differenti dimensioni di alcune parti del corpo, o del corpo intiero. Riporto qui le misure registrate dal Salvadori nella Fauna d’ Italia per le e specie di folaghe. j Fulica atra Fulica cristata i Lunghezza totale . . 0%,400 . . . . 0%,440 Alagsisss rali» frrtab 10 DÒ iaia Codas io sioenisinctsoa 207,085. 100 ade Becco. 53; ia 107,002. rta T'ar@oriao:tibie i La - «0060804 A Prima di tutto farò notare che, avendo io eseguito misure di confronto fra l’individuo della Fulica cristata ed altri della Fw- lica atra esistenti nel nostro Museo, non ho trovato differenza alcuna sensibile; posso anzi affermare che le loro dimensioni sono perfettamente identiche; lo stesso posso dire degli altri caratteri. Ma avessi pure trovato qualche differenza reale fra le dimensioni dell'uno e quelle degli altri esemplari, ciò non me ne avrebbe imposto, non tanto per la sua incalcolabile esi- guità, quanto perchè si sa che in tutte le specie zoologiche esi- 3° di pagano it i 20 HI in una ui volta, nel primo tri- LE anno. 2006 invitati Ppniniarnente alle sedute (almeno di ni, e ricevono ieiazione gli Atti della ici E Sogj corrispondenti si eleggono persone distinte nelle scienze naturali, le li dimorino fuori d’Italia. — Possono diventare socj effettivi, quando si Sidi sua tassa annua di lire venti. — Non sono invitati sla N de, gli Atti della Società. a one per. È | ammissione d'un nuovo socio deve essere fatta e Dein 1a socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno successivo, cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. . Le Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stampate Bosi: Atti o nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, secondo la loro estensione ed importanza. . La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. | Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del formato degli Atti o delle Memorie stesse. . Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, pur- chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone regolare ricevuta. Quanto ai lavori stampati negli Atti l’autore potrà far tirare un numero ‘qualunque di copie ai seguenti prezzi: È 4 } Esemplari 25 50 75 100 | 4, di foglio (4 pagine) . . | L.125|L.225|L.250|L. 4 — «| if foglio (8 pagine) . . . » 175) » 3 50| » 4—- |» 5 50 i| 3/, di foglio (12 pagine). . | » 250] »- 5 —|» 675]. 9— | 1 foglio (16 pagine) . . . 2 790 E BOT O si A È w ti » Presidente, N. N. Vice-presidente, ViLLa Antonio. Milano, via Sala, 6. x UNI SE T s3È ARE prof. FERDINANDO, ‘aggiunto al Mus Segretarj. storia naturale di Milano, via MET ui | Pini rag. ne via Crocifisso, 6. Cassiere, GancantINI-PIATTI fin ce Milano! ; via Sena Gi diraBge enbetia {9 com: bDeLs 60]} ALI 6 QeHN6 REMOTO La i L, INVE AS FILO... PN î n Gadvog È d % - i MOT AZIO bi va mM # % x e” CI neri ui LOR CERO # #34 VAS SALDIATI I Rat. GAME ty Te a NA & (ORO, (Te. SE ALICI sTOoR)oz: A ZIGIOCE VELA ERA it; QRATRRASE A etti ea ifylt ini. id A DI FS ‘ . £ à, x tel ) hi RI TRNATÀ pn rp pirate PASÀ AA di CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 321 stono differenze leggiere da individuo ad individuo per riguardo ] e dimensioni, od almeno possono esistere. Nelle folaghe poi tali differenze si manifestano con grande frequenza, e ciò fece i dire al Temminck, parlando appunto del genere Fulica, “ Comme di les Rales et les Poules d’cau, les espèces varient beaucoup d’in- . dividu à individu dans: la dimension totale, et ceci dépend pro- bablement de causes qui tiennent è la localité. , _ . Cosa diremo poi della cresta? Il Salvadori nel suo Catalogo . relativamente alla Fulica cristata dice: “ Questa specie non è notata nell’Ornitologia sarda del Cara, e sebbene egli avesse osservato che fra le folaghe che restano a midificare in Sarde- gna se ne prendono alcune che portano una piccola carnosità sulla placca frontaie, pure non aveva saputo apprezzare il va- lore di questo carattere. , Io però soggiungo che, se il Cara non ha saputo apprezzare il valore di questo carattere, il Sal- vadori ne ha forse esagerato di troppo l’importanza, prenden- dolo per criterio a dover riconoscere la Fulica cristata in Sar- degna. E non potrebbe forse questo carattere presentarsi acci- dentalmente nella Fulica atra, sia come un'anomalia, sia pure come un fenomeno di atavismo, quasi un ritorno ai caratteri di un’ antico progenitore, comune forse a tutte le specie di fo- laghe? È sotto questo indirizzo che dovranno farsi le ulteriori indagini. Io intanto ammetto per ora la Fulica cristata anche per la Sardegna perchè non voglio mettermi senza prove irre- fragabili in contraddizione con sì valenti ornitologi, quali sono il Salvadori ed il Giglioli che ammettono senza titubanza al- cuna appartenere a questa specie gli individui sardi da loro esaminati; ma mi permetterò di fare le più ampie riserve, ri- chiamando l’attenzione degli ornitologi a studiare l’ argomento sotto l’ indirizzo da me indicato. Ed in tale opinione mi con- fermano anche alcuni altri riflessi che verrò esponendo. La cre- sta è stata osservata soltanto in alcuni di quelli individui che rimangono a nidificare, secondo quanto afferma il Cara, e se- condo quanto i pescatori hanno fatto conoscere al Salvadori; ma i pescatori dicono anche che la cresta non è ugualmente Vol. XXV. 21 spe Par SI IONEGINGIO ale) ee. SVC "due esemplari che esistevano nel nostro Musco, «ceduto al Giglioli ha la cresta piuttosto piccola, m rimasto quà l’ha invece ben pronunciata. Alcuni pescat i anche che gli individui con cresta sono*maschij; e non n si mai accorti che vi siano anche femmine crestute, o che g dividui crestuti si tengano appaiati separatamente i RN induce a credere che crestuti e non crestuti si accesi 1 loro promiscuamente. Io sono stato sempre poco disposto a pre- stare intiera fede a quanto dicono persone profane alla scienza, — quali sono i pescatori; tuttavia, alcune notizie in apparenza di poca importanza possono talvolta spandere molta luce per risol- vere alte questioni scientifiche; e nel caso nostro, le circostanze ora indicate sono di tale gravità che, bene appurate, possono bastare ad autorizzarci a dare il bando alla Zulica cristata dalla terra sarda, considerando come semplice varietà acciden- tale della folaga comune gli individui finora ritenuti appartenere alla specie cristata, e come una riversione ai caratteri di un’an- tico progenitore comune la presenza in essi di una cresta car- nosa; il quale carattere però tenderebbe a scomparire, e ciò spiegherebbe la minor frequenza del medesimo attualmente nella comune folaga. Che se poi, ripeto, la Fulica cristata indigena dell’ Africa e del Madagascar è identica pei suoi caratteri agli individui di Sardegna, io non sarei punto alieno dal credere che essa non è una buona specie distinta, ma una semplice varietà locale; e mi sentirei così propenso a dare ragione al Cara, il quale, sebbene siasi poi ricreduto, dice però che fino alla pubbli- cazione del suo Elenco ha ritenuto la Fulica cristata come una varietà della specie afra. Il Cara, sebbene disprezzato, come in generale lo sono tutti i sardi, era però un profondo conoscitore di ornitologia. Io, confinato in questo estremo lembo di terra, non posso procurarmi i libri e gli altri mezzi all'uopo richiesti per poter studiar bene la questione, ma il non aver tenuto pa- rola di una Fulica cristata un naturalista come il Cuvier, ed un ornitologo quale il Temminck, me ne impone davvero. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 323 | Esposti questi miei modestissimi riflessi lascerò che altri di «me più fortunato, e meglio provveduto dei mezzi necessarî, ap- ‘plichi i suoi studî allo scioglimento della questione, reputandomi | pago abbastanza se coi miei dubbi avrò potuto richiamarvi l’at- tenzione degli ornitologi. i 207. Grus cinerea Linn. (N. s. Gru). Comune. Di pas- ‘saggio in autunno e primavera. 208. Ardea cinerea Linn. (N. s. Menga). Comune. Viene in autunno, parte in maggio. 209. Ardea purpurea Linn. (N. s. Menga arrubia). Come la precedente. 210. Egretta alba Bp. (N. s. Menga bianca manna). Come la precedente. 211. Egretta garzetta Bp. (N. s. Menga bianca piticca). Come la precedente. | Il Cara ammette anche l’Ardea egrettoides Temm., ma questo è un errore che ha fatto ben rilevare il Salvadori, e quindi non deve annoverarsi nell’ Avifauna sarda l’Ardea egrettoides. 212. Bubulcus ibis Bp. (N. s. ...... ). Rarissima ? Questa specie è annoverata dal Salvadori nel suo Catalogo per essere stato assicurato dal Cara che un individuo venne da lui preso una volta, ma tanto malconcio da non poterlo prepa- rare. Il Cara dice pure nelle Osservazioni, ecc. di averne avuto altri individui, e perciò l’ammetto anch’ io, pur confessando di non averla mai vista. 213. Ardeola ralloides Boie (N. s. Menghixedda groga). Non comune. Di passaggio in autunno e primavera. 214. Ardetta minuta G. B. Gray. (N. s. Menghixedda piticca). Piuttosto comune. Di passaggio come la precedente. 215. Botaurus stellaris Steph. (N. s. Caboni de canna). Comunissimo. Arriva in autunno, nidifica e parte. 216. Nycticorax grisea Brehm. (N. s. Menga niedda). Comune. Di passaggio in autunno, parte in primavera. 217. Ciconia alba Willughby (N. s. Cicogna). Rara e di passaggio. 324 . .C. LEPORI, 218. Ciconia nigra Gesn. (N. s. Cicogna). Di passaggio, ‘ma meno rara della precedente. i. SR 219. Plegadis falcinellus Kaup. (N. s. Tadanu). Piut- tosto frequente. Arriva in autunno e parte in primavera. 220. Platalea leucorodia Linn. (N. s. Gragallu). Non tanto rara. Arriva in autunno, parte in primavera. Nell'ottobre dell’anno scorso .1881 il prof. P. Gennari ne vide un’individuo nel laghetto dell’ Orto botanico. - 221. Phoenicopterus roseus Pall. (N. s. Mangoni). Comunissimo. La maggior parte viene in agosto e settembre, e parte in primavera; alcuni individui però restano stazionarî. Tre questioni importantissime riguardano il fenicottero, e SONO : 1.* La stazionarietà. 2.* La nidificazione. | 3.° L’ esistenza o no del Phoenicopterus erythraeus. 1.° La stazionarietà. È fuori dubbio che alcuni individui; ma alcuni soltanto e assai pochi, se ne vedono in tutto l’anno. Questo è un fatto che venne già constatato dal Cara per lunga serie di anni, e il Bonomi sopra citato, ed il Meloni, anche questi attivissimo ed intelligentissimo raccoglitore di oggetti zoologici, sono in grado di confermare quanto ora io asserisco, e quanto io stesso ho avuto più volte occasione di bene appu- rare: e ciò senza tener conto dell’ osservazione del sig. Brooke, citato dal Giglioli, il quale (il Brooke), avrebbe visto ancora in gran numero i fenicotteri sugli stagni presso Cagliari nel 7 giugno del 1871, giacchè questo fatto potrebbe solo significare un semplice ritardo, ritardo certamente molto singolare, nella loro emigrazione, forse per anomalia di stagione. Quale poi. sia la causa per cui alcuni pochi fenicotteri non emigrino io non saprei indicare, e bisognerebbe fare delle semplici congetture e supporre cause, applicabili anche a tutti gli uccelli che rego- larmente sogliono emigrare in massa, e ciò non ostante restano, sebbene in piccol numero, stazionarî. Sarebbero per esempio gli individui malaticci, torpidi e deboli, e quindi impotenti ad af- \ CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’ AVIFAUNA SARDA. 325 frontare le fatiche ed i disagi di una lunga traversata, a com- piere la quale si richiede integrità di forze ed un certo orga- smo non supponibili in individui malsani e fiacchi, quali sareb- bero quelli che rimangono stazionarî. Ma su di ciò non voglio spendere più parole e passo alla nidificazione. 2.° La midificazione. Pare a prima giunta che quando una specie d’uccello, per l’ ordinario migratore, rimane stazionario, sebbene in piccol numero, in una data località, vi debba anche nidificare; e così sarebbe del fenicottero in Sardegna. Il Cara lo afferma recisamente dicendo che rimangono stazionarî e vi nidificano; soggiunge anzi nell’ Elenco di avere avuto varie volte dei novelli in pelurie, e nelle Osservazioni al Catalogo Salva- dorì assicura di avere avuto le uova. Il Giglioli (1. c.) crede in- dubitato che alcune coppie si fermano a nidificare in Sardegna; e ne dice le ragioni. Riporto qui fedelmente le sue parole. “ Nel più dei casi questa specie giunge in Sardegna in agosto e set- tembre veniente da mezzogiorno, e lascia quell’ isola in marzo ed aprile diretta a mezzogiorno. È, credo, indubitato che alcune coppie si fermano a nidificare; la Collezione centrale dei ver- tebrati italiani possiede un individuo giovanissimo che non sem- bra invero atto alla migrazione; il mio amico marchese Mario Nerli mi assicura di aver veduto le spoglie di un pulcino an- cora coperto di peluria, ed il Meloni di Cagliari mi scrive che alcune coppie devono nidificare nello stagno di Quartu, in luogo detto Sant'Elena Molentraxius, ove ne sarebbero stati presi nel luglio. Sono poi note le dichiarazioni in proposito del Cara e di altri, e ricorderò che il 7 giugno 1871 il sig. A. B. Brooke vide questi uccelli ancora in gran numero sugli stagni presso Cagliari. , Non ostante il grande rispetto che io professo all’ egregio prof. Giglioli, giudice tanto competente in materia d’Ornitolo- gia, ed alla memoria del compianto nostro Gaetano Cara, io mi schiero dalla parte del Salvadori, che si è dichiarato contrario ad ammettere la nidificazione del fenicottero in Sardegna, e du- bito, dubito fortemente, che tanto il Giglioli quanto il Cara 326 C. LEPORI, © « siano caduti in errore. Mi si permetta quindi una qualche pa- rola di confutazione agli argomenti sui quali poggia il loro modo di vedere. | Il Cara dice di avere avuto dei novelli in peluria; ma se que- sti novelli di cui egli parla sono quelli depositati nel Museo di Cagliari noi possiamo fermamente asserire che trovansi in grado di poter volare e compiere la migrazione. Io però credo che il Cara intende parlare, come ha fatto bene osservare il Salvadori nella Fauna d’ Italia, e come io stesso ho avuto campo di veri- ficare, di giovani individui che, dopo arrivati in Sardegna, fanno la prima muta, e per qualche tempo sono talmente sprovveduti di penne che sembrano novelli in peluria ed a mala pena possono volare, o non volano affatto; motivo per cui, e questo è il caso citato da Meloni, qualche individuo venne preso colle mani. La stessa cosa si può affermare delle spoglie del pulcino ancora co- perto di peluria vedute dal marchese Nerli; e forse anche del- l’individuo giovanissimo che non sembra, come dice il Giglioli, atto alla migrazione, posseduto dalla Collezione centrale dei ver- tebrati italiani. Si tratta adunque di giovani individui che sono in prima muta e nei quali, sia pure per caso eccezionale, la com- parsa della nuova livrea, ossia lo sviluppo delle penne nuove, sì compie in modo piuttosto lento ed anormale. E delle uova avute dal Cara cosa dovremo dire? Il Cara non ci fa sapere come e da chi le abbia avute. Io non farei torto al Cara se supponessi per un momento che egli possa essere stato ingannato accettando come uova di fenicottero uova di alcuni uccelli domestici, od anche selvatici, colle quali possono facil- mente scambiarsi. Non sarebbe la sola ed unica volta questa in cui persone di mal talento, collo scopo di far danari, sfruttano la buona fede d’insigni scienziati offrendo loro una cosa per un’altra, colla quale possa facilmente confondersi. È certo che nel Museo non esistono uova di fenicottero, come egli assicura. Non voglio però fare nemmeno questo giudizio temerario, ed ammetterò che le uova vedute dal Cara fossero veramente uova di fenicottero, ed uova deposte in Sardegna; ma cosa se ne do- CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. SVT PO è vrebbe indurre da ciò? che i fenicotteri nidificano in Sardegna? Ma io credo di no. Noi sappiamo che alcuni fenicotteri rimag- gono stazionarî, e che in certi anni la loro partenza è in ri- tardo; e di ciò rende testimonianza il sig. Brooke che li vide nel mese di giugno. Potrebbe adunque qualcuno dei ritardatarî o degli stazionarî deporre qualche uovo già venuto a maturità, anche senza far nido, come succede anche di altri uccelli selva- . tici, che depongono uova fuori tempo e fuori luogo nella cam- pagna senza far nido, e quindi senza disposizione a covarli. I cacciatori possono far fede di quanto dico, ed io pure ne trovai. Ma da questo fatto alla nidificazione passa una bella differenza. E se i fenicotteri nidificassero, sia pure qualche volta, in Sar- degna, come è che mai si è potuto trovare il nido, non ostante le molte ricerche fatte? Eppure il nido dei fenicotteri è così singolare nella sua forma, ed è di tali dimensioni che non sa- rebbe potuto sfuggire ad una osservazione anche la meno attenta. Le indagini però intraprese furono sempre minute e scrupolose, e ciò non ostante riuscirono sempre infruttuose. I fenicotteri adunque non nidificano in Sardegna. Si potrebbe però fare a noi un’ altra obbiezione ed è che, sebbene non facciano il nido, possono tuttavia deporre le uova e covarle. Che possano de- porre uova è ammissibile, ed abbiamo già visto in qual modo questo possa succedere; ma che possano covarle senza fare il LN nido è cosa assolutamente inammissibile. Stante l’enorme lun- ghezza delle sue gambe è indispensabile al fenicottero un nido alto quale egli lo sa costrurre, onde potervisi adagiare; giacchè in terra egli non sì adagia mai, non potendo ciò in modo al- cuno eseguire per le dimensioni e la struttura speciale delle gambe e delle articolazioni. Chi, come me, abbia tenuto in casa un fenicottero vivo e lo abbia veduto camminare in una stanza si sarà prima di tutto accorto come egli cammini tanto a stento che a mala pena si può reggere in piedi: se per avventura,i suoi tarsi si piegano, e ciò succede molto sovente, egli cade di botto a terra e non si può più rilevare; in questo caso nem- LI meno le ali lo aiutano ; è necessario sollevarlo colle mani. Come 8. | C. LEPORI, ° adunque è supponibile che il fenicottero possa covare le uova. senza farsi l’indispensabile suo nido? Parmi perciò che la midi- ficazione del fenicottero in Sardegna non sia provata, e non possa accettarsi fino a tanto che non si rinvenga il nido. È ac-. cettabile quindi l'opinione del Salvadori, colle di cui parole vo- _ glio chiudere questo punto. lcco cosa egli dice in proposito nella Fauna d’Italia: “ È dubbio se qualche fenicottero nidi- fichi in Sardegna, giacchè sebbene il Cara ciò affermi e dica di avere avuto più volte i giovani coperti di peluria, io dubito as- sai che fossero giovani in prima muta, ma già atti al volo e venuti di fuori, come se ne vedono nel Museo di Cagliari, ove non se ne conserva alcuno incapace di volare. Lo stesso Cara non ha mai potuto trovarne il nido e le uova, * sebbene mol- tissime raccomandazioni siano state fatte per esse ai pescatori, ai quali la ricerca non dovea riuscire difficile per la singolare forma del nido, conico ed elevato sopra le acque, e che difficil- mente poteva restare inosservato in uno stagno non molto grande come quello della Scaffa, ed in tanto numero di pescatori e di anni. , “ E forse la ragione del non nidificare i fenicotteri in Sar- degna sta appunto nella mancanza di sicurezza che essi soffrono negli stagni non molto grandi di quell’isola, e giorno e notte solcati da grandissimo numero di barchette da pesca e da tra- sporto, che vanno continuamente da un’estremità all'altra. , “ E se non m’inganno in questa mancanza di sicurezza per la loro prole e per loro stessi nel tempo della nidificazione noi dobbiamo ricercare la spiegazione delle singolari emigrazioni in Sardegna. ,, 3.° Esiste 0 no în Sardegna è Phoenicopterus erythraeus 2 Prima di tutto dirò che è ancora dubbio se il Phoenicopterus erythraeus di Verreaux sia veramente una buona specie distinta dal PA. roseus di Pallas, ed a questo riguardo havvi divergenza 4 Nelle Osservazioni al Catalogo Salvadori il Cara dice di aver avuto anche le uova. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 329 di opinioni fra gli ornitologi. Lo stesso Salvadori dice che lo Schlegel, avendo esaminato un Ph. erythraeus tipico statogli inviato dallo stesso Verreaux, si è pronunciato negativamente, e che nella stessa opinione convengono Hartlaub e Finsch, seb- . bene il Gray ammetta sempre la specie del Verreaux come ve- ramente distinta. Ma, ammessa pure l’esistenza di un P”. ery- thraeus specificamente diverso dal Ph. roseus, il primo esiste o no in Sardegna? Il Salvadori pel primo lo annovera nel suo Catalogo fra gli uccelli sardi, basando la sua opinione sopra in- dividui esistenti nel nostro Museo e che al primo vederli; per la maggiore vivacità del colorito e per le minori dimensioni, giudicò dovessero appartenere a specie diversa dal roseus. “ In queste due condizioni, egli dice, dell’ essere più piccolo e più vivacemente colorito consistono i distintivi più caratteristici di questo fenicottero che, come l’altro, varia notevolmente nelle dimensioni, mantenendosi però sempre più piccolo. , Poi ne dà la descrizione chiamandolo similissimo al Ph. roseo; fa però no- tare che la coda non è rossa, come indicano Verreaux, Bona- parte ed Hartlaub, ma solo vivamente rosata; che il nero del becco non è più esteso nel Ph. roseo, come vorrebbe lo stesso Hartlaub; e che le dimensioni sono un poco maggiori di quelle assegnate dai detti Verreaux, Bonaparte ed Hartlaub. Dopo tanto io mi crederei quasi dispensato dallo spendere più parole per confutare gli argomenti del Salvadori; egli stesso colle sue osservazioni ha distrutto l’opera sua. Ma siccome nella Fauna d’ Italia, non ostante lasci trasparire gravissimi dubbi, continua a mantenere la specie in Sardegna per l’esistenza in essa di fenicotteri molto più piccoli degli ordinarî, e molto più vivamente coloriti, a completare la confutazione della sua opi- nione mi contenterò qui di riprodurre un brano di quanto dice in proposito il Cara nelle Osservazioni al Catalogo del Salva- dori. “ Se il Salvadori, egli dice, per lo spazio di 35 e più anni si fosse, come a me successe, famigliarizzato coi fenicot- teri, dei quali ho preparato più che cinquecento individui, avrebbe osservato che dessi nelle graduate loro dimensioni, presi in Spart e ani ha e: À; Av” Pal “RE age leo» ui Seria. ton &. 1% ai 30 Sb sbiadito, isa dii ue if > vechio pe enn acquistano un colore vivissimo. Avrebbe inol le dimensioni variano da individuo avciidiigl nc sibilmente decrescente dal più grande al più picco È iq io farò osservare che lo stesso Salvadori, come abb a lamo sessi sopra, confessa che le dimensioni degli individui d on: sono un poco maggiori di posa assegnate da Ferunsialiti naparte e da Hartlaub. piovuto Reffpfoninzion Gli individui quindi descritti dal Salvadori come spparanenti al Ph. erythraeus non sono che fenicotteri di bassa statura ve- stiti di abiti nuovi dopo aver deposto i nc: ma pur sempre. appartenenti alla specie roseus. se sroiai ani bd Il Giglioli (1. c.) all’articolo fenicottero non fa neppur cenno. del Ph. erythraeus. Sarebbe egli forse, come io lo sono, dell’o-. pinione che il Ph. erythracus non sia una buona specie, oppure 1 non vuole ammetterlo in Italia? Potrebbe darsi e l'una e l’al-: tra di queste due ipotesi: ad ogni modo quel silenzio è pel caso nostro di una eloquenza inestimabile. persa rode 222. Cygnus olor Vieill. (N. s. Cigna 0 pr Raris- simo e di solo passaggio in inverno. AITAE 223. Cygnus musicus Bechst. (N. s. Cignu 0 Casini) Come il precedente. 224. Anser cinereus Mey. et Wolf. (N. s. Coca arti) Piuttosto raro e di passaggio in inverno. È 225. Anser segetum Mey. et Wolf. (N. s. Coca aresti). Abbondantissimo in autunno ed in inverno. 226. Tadorna cornuta Gray. (N. s. Anadi era). Si. trova spesso. Alcuni individui restano stazionarî e nidificano. 227. Spatula clypeata Flem. (N. s. Biccangia). Co- mune. Arriva in autunno, parte in primavera. 228. Anas boschas Lin. (N. s. Anadi conca birdi). Co- munissima e stazionaria. 229, Chaulelasmus streperus G. B. Gray. x. S. - CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’ AVIFAUNA SARDA. 331 | ‘230. Mareca penelope Selby (N. s. Busciu). Comune. I Arriva in autunno, parte in primavera. .. 231. Dafila acuta Leach. (N. s. Agu). Come la prece- dente. | 232. Querquedula crecca Steph. (N. s. Circuredda). Comune. Arriva in autunno, nidifica e parte. 233. Querquedula circia Steph. (N. s. Circuredda). Come la precedente. 234. Marmaronetta angustirostris Rehb. (N. s. aiar ). Rarissima e di passaggio. All’infuori dei due individui mandati dal Cantraine al Tem- minck, e di quello spedito dal Cara al Durazzo, io non conosco altro caso di cattura di questa specie in Sardegna. 235. Branta rufina Boie (N. s. Pibderoni). Comune. Ar- riva in primavera e parte in estate, dopo aver nidificato. 236. F'ulix nyroca Giild. (N. s. Niedduzzeddu). Piutto- sto scarsa. Di passaggio in inverno. 237. Fulix ferina Linn. (N. s. Caburossu). Piuttosto co- mune. Arriva in autunno, parte in primavera. 238. Fulix marila Lin. (N. s. Busciu ?). Di passaggio ac- cidentale. Salvadori l’ annovera fra le specie dubbie, ma io l’ebbi pa- recchie volte ed un’individuo venne lasciato nel Museo dal Cara. - 239. Fuligula cristata Steph. (N. s. Niedduzzu). Co- munissima in inverno. Nidifica? 240. Bucephala clangula G. B. Gray. (N. s. Anadi furistera). Scarsa. Arriva in autunno, parte in primavera. 241. Oidemia fusca Flem. (N. s. Busciu de Spagna) (Cara). In qualche inverno, ma di raro. 242. Hrismatura leucocephala Bp. (N. s. Titillonazu Cappuccinu). Piuttosto scarsa. Nidificante (Cara). Arriva in pri- mavera e parte in estate. SIC Mergus evil dit pit s. Strallera passe gio in inverno 0 È adli } 245. Merone serrator Lin. (N. s. ra) aio "comune. Arriva in autunno, parte ping UNA IT Pelecanus onocrotalus Lin. (So i rarissima comparsa accidentale. GG 00°® fr salati | 247. Phalacrocorax carbo Lench. (N. 6: Crol puitiargi) Comune e stazionario. 9401 248. Phalacrocorax graculus eee (N "St A MARSI. Comune e stazionario. | nie 0100 RA Coi giovani dell’anno di questa specie ne formò il Cara una nuova che chiamò Carbo leucogaster. Il Salvadori nel suo Cata- logo, mentre da una parte accetta per buona la formazione di questa nuova specie, dubita dall'altra dell’esistenza del Phala- crocorax graculus o Carbo cristatus di Temminck, ammesso dal Cara, dicendo che questi ha descritto come Cardo cristatus Temm. gli adulti del /eucogaster. Dubbiosamente quindi il Sal- vadori annovera nel suo Catalogo il Carbo cristatus Temm. o Ph. graculus, “ siccome la sua esistenza in Sardegna non sa- rebbe attestata che da quell’individuo giovane che si trova nel Museo di Cagliari, e che trattando della specie antecedente (leucogaster) ha già detto dubitare che sia un vero Carbo ceri- status o Ph. graculus. Nella Fauna d’Italia però il Salvadori ha rettificato tutti questi errori, ed è un fatto che l’individuo giovane di cui egli parla nel Catalogo è un vero Ph. graculus e non Desmarestii ; che gli individui descritti da lui come Ph. Des- marestiù e dal Cara come Carbo leucogaster sono i giovani del- l’anno del Ph. graculus, e che il Ph. graculus è comune e sta- zionario in Sardegna. 249. Phalacrocorax pygmaeus Dumont. (N. s... . .). Di rarissima comparsa accidentale. All’infuori dei tre individui citati dal Salvadori io non cono- sco altri casi di cattura. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 333 250. Sylochelidon caspia Brehm. (N. s. Cau biccu grussu). Non molto rara. Arriva in primavera, nidifica e parte in autunno. | i 251. Sterna cantiaca Gm. (N. s. Caitta biccu mieddu). Comune e stazionaria. Non ho mai trovato l’affine Sterna Dougalliù Tem., e sono quindi inclinato a ritenere giusto quanto in proposito dice il Salvadori sull’ errore in cui può essere caduto il Cara scam- biando questa specie con individui in abito di nozze della spe- cie precedente. |. 252. Sterna fluviatilis Naum. et Br. (N. s. Cairedda). Comune. Arriva in primavera, nidifica e parte in autunno. 253. Sterna minuta Lin. (N. s. Caizedda bianca). Come la precedente, ma meno comune. 254. Gelochelidon anglica Bp. (N. s. ..... PS Piut- tosto rara. Di passaggio in primavera. Il prof. Gennari la trovò pel primo, e pel primo la descrisse il Salvadori. 255. Hydrochelidon nigra G. B. Gray. (N. s. Caicedda miedduzza peis arrubius). Piuttosto scarso, di passaggio in pri- mavera. Due individui presi dal sig. Bonomi si trovano nel nostro Museo. 256. Hydrochelidon fissipes G. B. Gray. (N. s. Cad- vedda niedduzzu). Piuttosto comune, di passaggio in autunno, ritorna in primavera, nidifica e parte. 257. Chroocephalus ridibundus Lin. (N. s. Cau de mari). Comunissimo e stazionario. Il Larus capistratus che, seguendo il Temminck, anche il Cara annovera come specie distinta, è stato riconosciuto non essere altro che varietà del Chr. ridibundus. 258. Chroocephalus melanocephalus Bruch. (N. s. Cau de mari). Piuttosto scarso, nidifica? Il Salvadori annovera dubbiamente questa specie nel suo Ca- talogo. Egli però può esser certo che il Chroocephalus melano- mente singolare, esiste in assai scarso numero: nulla poi poss 334 KUMARI A ZIA 120 EROI 0416 IRIS LA ARAN sot esiste in Sardegna, ed un individuo in abito d’inve 10, preso dal sig. Bonomi, esiste nel nostro Museo; ma; cosa vera dire per riguardo alla nidificazione, sebbene il Giglioli sulla fede di Tristram e Medlycott l’ammetta. , | i) stangata Colgo l'occasione per dire che sono d'accordo col Salvadori nel negare assolutamente l’esistenza del Larus atricilla in Sar- degna. 12} 0782 259. Chroocephalus minutus Eyton. (N. s. Caireddw). Piuttosto scarso, ma stazionario. A 260. Gelastes Genei Brehm. (N. s. Cau colori de crv) Non comune, ma stazionario. 261. Rissa tridactyla Macgill. (N. s. Caireddu?). Di rara comparsa accidentale. Il Salvadori dubita dell’esistenza di questa specie. Io l’alfinetito sulla fede del Cara, pur confessando di non averla mai trovata. Il Salvadori dice che ha qualche ragione per credere che i due individui esistenti nel Museo non siano stati presi in Sardegna, ma non la manifesta; tengo quindi per esatto quanto afferma il Cara. 262. Larus canus Linn. (N. s. Gavina). Comune e sta- zionario. Non è intieramente giusta l’ osservazione del Cara che “ com- parisca fra noi solo negli inverni più rigidi ,; È vero però che nelle cattive giornate si vede svolazzare in gran numero nel nostro golfo di Cagliari. Del resto si vede anche posarsi a terra con molta frequenza. Il Salvadori ha trovato in gran numero le gavine lungo la costa orieutale della Corsica e della Sarde- gna seguire i bastimenti per raccogliere gli avanzi che sì get- tavano in mare. Non ne vide però più dal Capo Carbonara fino a Cagliari, e non sa rendersi ragione del loro restarsi fuori del — golfo. È un fatto sul quale ho rivolto spesso la mia attenzione, _ ma nemmeno io ho potuto trovare una plausibile spiegazione. — La gavina è uccello di volo potentissimo, e come tale pare che abbia una tendenza alle abitudini quasi direi pelagiche. Durante CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’'AVIFAUNA SARDA. 335 il giorno quindi, se fa bel tempo, vola in alto mare, od alquanto «distante da terra, in cerca di alimento di sua maggiore soddi- Sfazione; ma se il tempo è cattivo ed il mare agitato, allora ‘Si avvicina a terra sempre collo scopo di procacciarsi quel nu- trimento che non può trovare distante dalla costa, ed è in que- ste circostanze specialmente che si vede posarsi a terra. 263. Larus Audouinii Payraudeau (N. s. Cau). Non è raro, stazionario. Il Salvadori lo annovera nel suo Catalogo fra le specie dub- bie; io però ne ebbi diversi individui, e si trova non solo nelle coste dell’isola della Maddalena, ma dapertutto, ed in maggior numero negli isolotti della costa occidentale, nei quali anche nidifica. Il nostro Museo possiede tre esemplari tutti presi in Sardegna. 264. Larus leucophaeus Licht. (N. s. Cau mannu). Co- munissimo e stazionario. Non sono d'accordo col Salvadori nel ritenere che il Cara abbia erroneamente creduto appartenessero al Larus glaucus gli adulti in abito di primavera del leucophaeus, come vorrebbe risultasse dalla descrizione che egli dà di quest’ ultimo: la de- scrizione è breve, ma è precisa. Ciò che fece credere, certo con fondamento, al Salvadori che il Cara avesse errato è 1’ annota- zione messa dal Cara al Larus glaucus, di cui diceva nell’ E- lenco: “ Comunissimo fra noi, nidifica nei nostri isolotti; se ne vede in grandissima quantità nell'isola di Serpentara ;; quale annotazione doveva esser messa al Larus leucophaeus od argen- tatus, di cui invece ha detto nello stesso Elenco: “ Capita di raro fra noi, e sempre d’inverno. , Fu adunque un’errore di trasposizione, come lo stesso Cara confessa, e quindi io sulla fede di lui ammetto fra le specie sarde anche il Larus glaucus sebbene non l’abbia mai trovato. 265. Larus glaucus Brunn. (N. s. Cau). Di rarissima comparsa accidentale in inverno. 266. Larus fuscus Linn. (N. s. Cau). Piuttosto raro. Di passaggio in autunno. nostro Museo, e sono io il primo ad annoverarlo fra gli uccelli 336 MICI SI GILES LEPORI,. ih irrita | . 267. Larus marinus Lin. (N. s. Cau). Ammetto anche questa specie sulla fede del Cara. E 268. Lestris pomarinus Temm. N CER ia) rarissima comparsa accidentale. ci ARAN ARIA Un solo individuo giovane di questa specie Pit esiste nel di Sardegna. Fu preso dal signor Bonomi vicino allo stagno di Cagliari, e non so se altro individuo sia stato mai catturato in Sardegna. sile 269. Puffinus kubhlii Bp. (N. s. Giaurru). Comuniatino e stazionario. 270. Puffinus yelkouan Bp. (N. s. Giaurru). "Vai co- mune, ma stazionario. Il Cara ascrive alla Sardegna nella sua Ornitologia il Puffi nus anglorum. Il Salvadori nel suo Catalogo ammette pure il P. anglorum, e considera probabilmente come tali gli individui esistenti nel Museo di Cagliari, mentre introduce la specie P. gelkouan per l’individuo che si conserva nel Museo di Torino, proveniente dalla Sardegna. Nella Fauna d’ Italia però il Sal- — vadori nega all’Italia, e quindi anche alla Sardegna, il P. am- glorum, e dice che questo è rappresentato in Italia dal P. yel- kouan, attribuendo a questa specie tutto quanto si è detto da- gli autori italiani intorno al P. anglorum; ed il P. yelkouan è per lui l’uccello cui in Italia si dà il nome di Berta maimore. Il Giglioli però nell’ opuscolo citato dà alla Berta minore degli italiani il nome sistematico di P. anglorum Temm., mentre d’al- tra parte non fa punto menzione di un P. yelkouan. La conse- guenza che si può trarre da tutto questo è che il P. amglorum Temm. ed il P. yelkouan Bp. sono una ed identica cosa, e le differenze desunte dalla punta dell’ ala, dalla tinta delle parti | superiori e dalle piume laterali del sottocoda devono mettersi | nella categoria di quelle differenze individuali che presentano spesso insensibili gradazioni da individuo a individuo in moltis- sime specie zoologiche, in modo speciale poi fra gli uccelli. Nel nostro Museo esistono attualmente tre esemplari che, chiunque CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 337 li voglia esaminare, potrà colla stessa comodità riferirli tanto al P. anglorum, quanto al P. yelkouan. | ‘271. Procellaria pelagica Lin. (N. s. Pibinga). Piut- tosto comune e stazionaria. |‘ ‘272. Oceanites Wilsonii K. et BI. (N. s. Pibinga?). Di rarissima comparsa accidentale ? Il Salvadori è stato il primo ad annoverare quest’uccello fra . le specie sarde: dirò anzi meglio fra le specie italiane, giacchè l'individuo che esisteva nel Museo di Cagliari (ora è stato ce- dutò al prof. Giglioli di Firenze, il quale lo ha ritenuto per la Collezione Centrale dei Vertebrati Italiani), è il solo che sia stato catturato in Italia, seppure si può in qualche modo con- siderare quale terra italiana la povera e derelitta Sardegna. L'individuo in discorso venne preso nelle vicinanze di Cagliari. Il Salvadori, alludendo al Cara, dice in proposito: “è suoi ca- ratteri non erano stati osservati, 0 valutati, onde era stato con- fuso colla specie antecedente (Procellaria pelagica), dalla quale la sua maggiore statura e la membrana interdigitale gialla la fanno distinguere a prima vista. , E a vero dire sono questi i soli caratteri pei quali si distingue dagli esemplari della pela- gica, qualora pure per maggiore statura vogliasi intendere so- lamènte la maggiore lunghezza delle gambe, giacchè in tutto il . resto, tanto per il piumaggio, quanto per le dimensioni del corpo non sì distingue affatto dagli esemplari della pelagica. £l Cara nelle Osservazioni al (Catalogo Salvadori ha ribattuto le ragioni per le quali il Salvadori ha voluto che l'individuo in discorso appartenesse all’ Oceanites oceanica, e si esprime in que- sto modo: “ D’un maschio della Thalassidroma pelagica egli ne ha creato un’Oceanîtes oceanica. E perchè? Perchè aveva una non interrotta cintura bianca alla base della coda; perchè aveva statura maggiore della pelagica, e perchè aveva la membrana interdigitale gialla. Non ha forse la pelagica la fascia di un bianco puro come la descrive il Temminck? Il colore qualunque, anche la privazione d’ogni colore, non si altera sulle membrane da tanto tempo disseccate, e non si procede per induzione nel- Vol. XXV. 22 338 a otto + VADA RAY ASILI RTO.0EBPORIO LAI AMORE «rore? Non importa; il Salvadori ha. voluto che un’ individuo l’interpretare il colore primitivo, per cui è facile cadere in er- maschio della Thalassidroma pelagica diventasse 1° Oceanites ocea- nica, ecc. ecc. ,. Vedremo in seguito se queste osservazioni del Cara abbiano qualche valore. Intanto il Salvadori nella. Fauna d’ Italia ha creduto meglio opportuno di adottare il nome di Oceanites Wilsonii invece di 0. oceanica, come aveva fatto pri- ma nel Catalogo, seguendo in ciò la massima parte degli au- tori; ed è venuto in questa determinazione in seguito ad aver studiato la bella serie d’individui raccolti nei mari australi durante il viaggio della Magenta, ed esistenti nel Museo di To- rino; dal quale studio sarebbe portato a credere che 1°0. ocea- nica spetti ad una specie distinta, rappresentante nei mari au- strali la O. Wilsonii dei settentrionali. L°'0. oceanica sarebbe più grande, e non avrebbe sull’ala la fascia bianca. Il Giglioli però nell’opuscolo citato adotta il nome di O. oceanicus, così dicendo: “ Questa specie largamente sparsa nei grandi oceani sembra presentare delle variazioni individuali donde la distin- zione in 0. Wilsoni ed O. oceanicus, non più ammessa oggidì. , E dopo avere accennato alle diverse catture fatte sulle coste della Gran Brettagna e della Francia, così continua: “ Una sola volta sarebbe capitata sulle nostre coste, e mentre scrivo ho innanzi a me quell’unico individuo, preso vicino a Cagliari e. confuso colla comune P. pelagica; fu riconosciuto dal Salvadori nel 1863. , Ora, l'individuo del quale si parla appartiene all’ 0. oceanica o Wilsonii, oppure avrebbe ragione il Cara di dire che trattasi di un maschio della P. pelagica ? Per deferenza ai professori Giglioli e Salvadori, cultori di- stintissimi di Ornitologia, e di me molto più competenti, io vo- glio ammettere che l’individuo catturato in Sardegna sia 10. Wilsonii od oceanica, quali nomi ritengo sinonimi, e quindi lo | annovero in questo mio lavoro; non posso dissimulare però, che alcuni dubbi sono sorti nella mia mente, e spesse volte mi sono sentito inclinato ad aderire piuttosto all'opinione del Cara. Tali dubbi furono in me avvalorati dai seguenti riflessi: CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’ AVIFAUNA SARDA. 339 «__‘ 1.° Il Temminck, dicendo che esiste nei mari australi e nel ‘Pacifico una seconda specie di procellaria, di cui i colori della livrea sono assolutamente gli stessi di quella europea, ci fa sa- pere che la prima è più grande di questa, che ha le ali ed i tarsi molto lunghi e la coda forcuta. L'individuo preso in Sar- degna, mentre ha i tarsi più lunghi e la membrana interdigi- tale in parte gialla, presenta però gli stessi colori della pela- gica, non è più grande di corpo e non ha la coda forcuta. 2.° Il Degland, come osserva lo stesso Salvadori, non ha notato, nel descrivere la Oceanites Wilsonii, che il bianco del sopracoda si continua con quello delle parti laterali dell'addome e del sottocoda in modo da formare alla base della coda una cintura non interrotta. Ciò vuol dire che questo carattere può mancare nella Wilsond, mentre d’altra parte, come ben dice il Cara, la cintura non interrotta si osserva pure nella pe- lagica. 3.° Il Temminck ci fa osservare che Buffon, descrivendo la piccola procellaria dei nostri climi non si è accorto qu'il donnatt dans ses planches enluminées la figure de la seconde espèce .. . tanto sono leggiere le differenze che passano fra l’una e l’altra delle due specie ammesse. 4.° Mentre il Salvadori, come abbiamo già visto, incline- rebbe ‘a fare due specie distinte della O. oceanica ‘e della O. Wilsonii, ‘il prof. Giglioli ci dice che 1’ “ O. oceanicus, larga- mente sparso nei grandi oceani, sembra presentare delle varia- zioni individuali, donde la distinzione in O. oceamicus ed O. Wilsonti, non più ammessa ‘oggidì. , Le esposte considerazioni mi hanno più d’ una volta portato a sospettare che lO. Wilsonti, od oceanica od oceanicus che si voglia chiamare; e la Procellaria pelugica non siano due buone specie distinte; e quindi abbia ragione il Cara di dire che l’in- dividuo maschio (il Cara ‘che lo ha preparato ha dovuto esami- narne ‘il sesso), preso ‘nelle vicinanze di Cagliari, sia veramente il maschio ‘della ‘P. pelagica. È bensì vero che tutti gli indivi- dui femmine della P. pelagica da me esaminati hanno presen- - 340 Artato VIS SA PRA «, LEPORI, pinta (FR ORC agne tato sempre. Ì Libiadani ‘propri assegnati & conosci stessa cosa ha osservato anche il sig. P. Bonomi; ma se l’0. Wilsonii presenta tali variazioni individuali da aver fatto cre- dere a due specie distinte, perchè le stesse variazioni non potrebbero verificare tra individui e individui della P. pelagica. specialmente nel sesso maschile? Ed in questo caso non potreb- be imputarsi ad errore al (ara l’aver considerato l'individuo maschio preso nelle vicinanze di Cagliari, e da Salvadori bat- tezzato 0. Wilsonii, come il maschio della P. pelagica. Con- chiuderò adunque dichiarando e ripetendo che, sebbene per de- ferenza a Giglioli e Salvadori io voglia accettare quale un’ 0. Wilsonii od oceanica l'individuo di cui è parola, tuttavia mi sarà lecito di manifestare un qualche dubbio e dire che ritengo fermamente essere ancora una questione da studiare se 1° 0. Wilsonit sia 0 no una specie distinta dalla P. pelagica, 0 ve- ramente non si tratti che di semplici variazioni individuali, 0 tutto al più di varietà locali, limitate a certe zone. Sarebbe pure da ricercarsi se il maschio della P. pelagica assuma tal- volta i caratteri dell’ Oceanites Wilsonii, come sarebbe, secondo il Cara, il presente caso. 273. Fratercula arctica Leach. (N. s! ..... ). Di rarissimo passaggio accidentale. “ Un solo individuo, dice il Cara, ne fu predato vivo. nell’in- verno del 1835, il quale si lasciò avvicinare e prendere colla mano senza la menoma difesa. , Quest’individuo si trova nel nostro Museo. Il Museo possiede pure un'altro individuo, pari- menti catturato in Sardegna, che il Salvadori ha considerato nel suo Catalogo come la varietà distinta da alcuni col nome di Fratercula glacialis. Nella Fauna d’ Italia però corregge l'errore e dichiara che la Fratercula glacialis del suo Catalogo degli uccelli di Sardegna non è altro che il giovane della Fra- tercula arctica. “ La forma del becco, egli dice, nei giovani tanto diversa da quella del becco degli adulti, mi trasse in.in- ganno. Dubito che la stessa cosa sia avvenuta al Durazzo, che ‘annovera come specie distinta la Fratercula glacialis. » e CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 341 Scrivo quest’annotazione unicamente per evitare che altri cada nello stesso errore. 274. Utamania torda Leach. (N. s. ..... ). Di pas- saggio accidentale, ma raramente. 275. Colymbus glacialis Lin. (N. s. Gangorra). Un solo individuo ne fu predato nello stagno della Scaffa presso Cagliari, e fa parte della Collezione del nostro Museo. 276. Colymbus arcticus Lin. (N. s. Gangorra). Di passaggio accidentale? Nel nostro Museo esiste già da molto tempo un giovane co- limbo, al quale venne dato il nome di Colymbus septentrionalis ; ma sebbene i colori della livrea ne siano molto sbiaditi, io ho ritenuto sempre che si trattasse di ‘specie diversa. I miei dubbi non si erano punto dissipati quando nel dicembre dello scorso anno 1881 il sig. Bonomi mi portava altro giovane colimbo, nel quale evidentemente ho dovuto riconoscere un Colymbus arcti- cus. Uno studio di confronto bene accurato di questo con l’e- semplare già prima esistente nel Museo ha dimostrato che ì miei dubbi non erano infondati, giacchè anche quest’ individuo è un giovane Colymbus arcticus. Sono quindi due individui di questa specie già catturati in Sardegna, ed io pel primo li an- novero fra gli uccelli sardi. 277. Colymbus septentrionalis Lin. (N. s. Gangorra). Non raro, ma soli giovani. 3 278. Podiceps cristatus Lin. (N. s. Gangorra). Co- mune e stazionario. , 279. Podiceps nigricollis Sundev. (N. s. Cazzòdlu). Co- munissimo e nidificante. Molti individui stazionarî. 280. Podiceps minor Lath. (N. s. Cazzdlu. Accabus- soni). Comune e stazionario. 281. Podiceps longirostris Bp. (N. s. ..... ). Ra- rissimo ? Stazionario? Estinta la specie? o scomparsa? Sono stato per molto tempo esitante se dovessi o no anno- verare qui il Podiceps longirostris di Bonaparte come una vera specie appartenente alla Sardegna. Dopo lunga e seria riflessione 342 | 7A TRRILIOORE (0014 LELE mi sono finalmente deciso ad ammetterla, ed esporrò brevemente ora le ragioni che m’indussero a ciò fare. ia Rita Il Cara nel suo Elenco non ha indicato questa specie perchè, come egli stesso ce lo dice, non la conosceva. Fu primo il Sal-. vadori ad annoverarla fra le specie sarde nel suo Catalogo, nel quale dà di essa una ben dettagliata descrizione, ritraendola’ dall’ unico esemplare che allora esisteva e tuttora esiste nel no- stro Museo, e facendo rilevare perfettamente come dessa si at-. tagli alla diagnosi specifica datane dal Bonaparte. Nella Fauna d’Italia però il Salvadori disdice quanto aveva asseverato nel Catalogo ed afferma recisamente che il Podiceps longirostris del Bonaparte non è una buona specie, e che l’individuo esistente. nel Museo di Cagliari è un giovane del Podiceps cayennensis dell’ America meridionale. Ritiene perciò menzognere le asser- zioni del Cara sulla provenienza di quell’ individuo, e crede non essere improbabile che il Bonaparte sia stato tratto in inganno nello stesso modo, senza però dire da chi. Come ben si vede è una grave imputazione che si fa ad un cittadino sardo, vera il- lustrazione della patria sua, del quale la Sardegna wvenera la memoria e rimpiange la perdita. Io quindi in omaggio alla me- moria di un così degno figlio di questa terra sciagurata, tanto disprezzata e vilipesa da coloro che si dicono nostri fratelli del Continente, non posso che respingere sdegnosamente le ingiuste e poco benevoli insinuazioni che si fanno a di lui riguardo, e domanderò prima di tutto al Salvadori se sappia che gl’indivi- dui o l’individuo proveniente dalla Sardegna, sul quale il Bo- naparte ha fondato la sua specie Podiceps longirostris, gli fosse stato mandato dal Cara. E se non lo fu, bisognerà supporre la presenza di un altro ingannatore, e forse di un altro ancora, e così via via si arriverebbe non so dove. D'altronde bisogne- rebbe anche ammettere nel Bonaparte una troppo grande leg- gerezza, certamente non supponibile in uomo di tanto ingegno e di tanta perspicacia, il quale si sarebbe lasciato trascorrere a fondare una nuova specie d’animale senza darsi pensiero di as- sicurarsi ben bene della provenienza degli esemplari che gli ve- nivano mandati, e sui quali la fondava. CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. . 343 To ammetto ben di buon grado col Salvadori che il Podiceps cayennensis sia la sola specie cui si possa riferire pei suoi ca- ratteri.il Podiceps longirostris di Bonaparte, ma non mi adat- terò mai a credere che il Cara abbia presentato ed al Bona- parte ed al Salvadori un uccello fatto venire dall'America come preso in Sardegna, ed in località determinata. Sarebbe tale enor- mità questa che io ne raccapriccio al solo pensarvi, e non vo- glio neppure per un momento supporre capace di tanto un cit- tadino così benemerito. della cara ed infelicissima patria mia. D'altronde, volendo pure ammettere tanto mal talento nella persona di Gaetano Cara, e concesso che egli avesse avuto l’a- nimo veramente d’ingannare il Salvadori, egli si sarebbe valso - della troppo facile credulità di lui per menargli un tiro e farlo comparire ignorante, esponendo puramente il fatto nel suo li- bro Osservazioni al Catalogo ecc., che il Salvadori si compiace di chiamar libello. Invece sentiamo come egli si esprime in quel libro a proposito del Podiceps longirostris, e non potremo fare a meno di riconoscere il linguaggio dell’ uomo leale e giusto. «Io; egli dice, non avevo notato quest’ uccello nel mio Elenco perchè non mi occorse: mai di vederne, sebbene dopo la pub- blicazione di esso l’abbia riconosciuto. Tengo buona la specie dal Salvadori rapportata nel suo Catalogo, rettificando una sua mal: intesa nel proposito che gli manifestai di comprenderla nella seconda edizione dell’Elenco stesso, perocchè io gli accen- nai lo stagno d’ Oristano non già quello di Tortoli. , Io quindi sono convinto che gli individui sui quali il Bona- parte ha stabilito la sua specie Podiceps longirostris, come an- che l'individuo che fa parte della collezione del nostro. Museo, e ‘che venne egregiamente descritto dal Salvadori nel suo Ca- talogo, siano stati catturati in Sardegna. Ma; messo questo in sodo ed allontanata ogni dubbiezza sulla provenienza di questi uccelli, sarà poi vero quanto il Salvadori assevera ‘nella Fauna d’ Italia, vale a dire che il Podliceps lon- girostris non sia una buona specie? O sarà lo stesso Podiceps cayennensis trovatosi accidentalmente in Sardegna? Esaminiamo brevemente la questione. 944. srt: LR, cia oraria Quattro ipotesi possono farsi: 3 «non. 1.* Od è una specie distinta che rate in ri Furot Podiceps cayennensis dell'America meridionale; | / GL} 2.* Od è lo stesso Podiceps cayennensis trovatosi acciden- talmente in Sardegna; iLbatoroiba 1 3.* O potrebbe essere un ibrido nato dall incrociamento del Podiceps cristatus o del Podiceps griscigena con. qualche specie di colimbo, per es. il Colymbus septentrionalisj; | «00 4.° Oppure è lo stesso Podiceps griseigena di statura molto più grande dell’ ordinaria ed a becco mostruosamente lungo. Prima di tutto escluderò l’ipotesi dello Schiff, che. trattisi ‘ cioè di una varietà accidentale del Podiceps cristatus con becco sottile. Per la statura potrebbe riferirsi al cristatus; sebbene l'individuo giovane esistente nel Museo di Cagliari mostri una statura alquanto maggiore; ma ciò potrebbe forse essere. un difetto di preparazione: i colori però sono quelli del Podzceps griseigena. Non si tratta adunque di Podiceps cristatus. E nemmeno credo, non ostante la grande rassomiglianza, dei colori, che trattisi del Podiceps griseigena, la di cui statura e il becco hanno dimensioni di gran lunga inferiori. Escludo per- ciò anche la mia 4.* ipotesi come assai poco probabile. Dirò lo stesso della 3.* perchè, sebbene non sia in natura affatto inammissibile l’incrociamento d’individui appartenenti a specie affini, nientedimeno è cosa estremamente rara. Mi fermerò quindi sulla 1.* e 2.°. Non è certamente un fatto. strano la comparsa accidentale di specie zoologiche, che, come gli uccelli, sono forniti di mezzi potentissimi di locomozione; in terre assai lontane dal luogo di loro nascita. Potrei, se lo re- putassi necessario, citarne moltissimi esempi. Cosa adunque osterebbe ad ammettere che il Podiceps cayennensis sia potuto e possa capitare eccezionalmente qualche volta in Sardegna? Il Salvadori, preoccupato senza dubbio dall’idea che il Cara lo abbia voluto ingannare, non crede assolutamente che sia mai giunto da sè in Sardegna, ma la cosa è probabile. Osterebbe forse il riflesso che gli individui presi furono sempre dei giovani, CONTRIBUZIONI ALLO STUDIO DELL’AVIFAUNA SARDA. 345 e perciò poco atti a compiere lunghe emigrazioni; ma si po- trebbe anche ammettere che gli individui venutici fossero adulti, che abbiano nidificato e lasciato i figli giovani, i quali poi fu- rono catturati: e ciò spiegherebbe in modo abbastanza soddi- sfacente il fatto che mai si è potuto cogliere individuo alcuno di Podiceps longirostris in età adulta. Del resto, volendo escludere anche questa 2.* mia ipotesi, ri- mane la 1.*, che trattisi vale a dire di una nuova e distinta specie, rappresentante nei nostri mari il Podiceps cayennensis dell’ America meridionale, e come ‘tale io voglio indicarla in questo mio lavoro, conservandole il nome specifico datole da Bonaparte, fino a che ulteriori studî od argomenti non ci au- torizzino a rigettarla. Il non essersi più trovato il Podiceps lon- girostris non è per me una ragione plausibile per doverla esclu- dere. Potrebbe darsi che questa specie, come è accaduto di tante altre, fosse ora scomparsa, e siasi avuto la fortuna di trovarne in Sardegna i soli ultimi rappresentanti, ma non mi indurrò a credere capace di una turpe e bassa menzogna uno scienziato tanto: valente, un cittadino tanto stimabile e tanto stimato qual'era Gaetano Cara. Nota. 204. Porphyrio antiquorum. Il Meloni mi dice di aver trovato i pulcini e di averli mandati al prof. Giglioli. Sa- rebbe questa una prova irrefragabile della nidificazione del pollo sultano in Sardegna. Nondimeno io ritengo che ciò succeda ec- cezionalmente, e non sia già la regola generale. A me non è potuto riuscire di avere i pulcini, e neppure le uova, non ostante i molti impegni assunti dallo stesso Meloni e da altri. Mi di- chiaro però sempre pronto a ritrattare la mia opinione appena mi si offriranno i dati certi comprovanti il contrario; e lo stesso dirò per riguardo alla stazionarietà. NIFUSETO SALA Wa 101% : L'ira SEIE.OD 9] Ga: Bu ITTICA GETORE niofgal uit oro ee NOTE BOTANICHE: ci’ sti — Comunicate dal socio diletto iti 8I | i ttet ab ade Prof. FERDINANDO SORDELLL... i 0 Accronto ALLA Direzione DEL Civico Museo pi Storia Narorane. 0 ace ‘ (Adunanza del 26 novembre 1882.) era de MIEMABTTR LL ;1141 TATA 0 È WALL pi | ° è * PREPOSTE nad È, a Prima scoperta della Wolffia arrhiza nell’ Alta Italia.. (DO ie a L’Italia possiede tutte e cinque le specie europee dell’ antico genere Lemna,! già note da gran tempo ai botanici; intorno alle quali non si avevano se non le scarse notizie tramandateci dal Vallisnieri, dal Micheli,° da Linneo, da Wolff, prima che i bei lavori di Schleiden, di Hoffmann, di Weddell e di Hegel- mayer, ° non ci facessero conoscere un po’ meglio la storia di questi singolarissimi vegetali. 4 Esse sono: : Lemna arrhiza Linn. (Wolffia Michelii Schleid., Wolffia globosa Grant.). L. trisulca L. (Staurogeton, Rehb.). L. minor L. L. gibba (Telmatophace, Schleid.). L. polyrhiza (Spirodela, Schleid.). La Lemna orbicularis di Kitaibel, descritta su esemplari raccolti in Ungheria, non mi sembra differire specificamente da Lemma polyrhiza. Colla scoperta della Wofffia arrhiza, tutte le Lemnacee europee vengono ad pira tenere parimenti al dominio della fiora milanese. H 2 VALLISNIERI, De arcano lenticulae palustris semine. Fiore della Lenticula pa- lustre. (Nella: Prima raccolta d’ osservazioni e d’ esperienze. Venezia, 1710.). Valli- snieri fu il primo che osservasse i fiori, sempre rari a trovare, nelle Lemne. MicHELI, Nova plantarum genera, 1729. i i * SCHLEIDEN G., Prodromus: monogr. Lemnacearum, 1839 (Linnaea, V, p. 388). Beitrige zur Botanik, Leipzig, 1844. HoFFMANN J. H., Beitrige zur néoheren Kenntniss von Lemna arrhiza, nebst O I TT n © n i 'itdggtdrbrbbd'i it i 7 7 eems=>SS NOTE BOTANICHE. 347 Ma se per quattro specie, Lemna minor, gibba, polyrhiza e trisulca, le notizie sul loro modo di vivere e sulla distribuzione loro geografica, non fecero difetto, lo stesso non potè dirsi della quinta specie, Lemna o Wolffia' arrhiza. E ciò dipese senza dubbio dal fatto che mentre in ogni regione, si può dire, del- l'Europa, le prime quattro sono diffuse in maggiore o minore abbondanza, poche sono finora le località ospitanti con certezza l’ultima specie. ° i Questa, della quale ho il piacere di poter presentare un di- sereto numero di esemplari viventi, è, come vedete, piccolissima. È la più piccola tra le piante fanerogame della flora europea; * e quasi quasi si sarebbe tentati di escluderla dalla fanerogamia, appoggiati al fatto della assoluta mancanza di fiori in tutti gli esemplari fin qui osservati fra noi, se non fossero le analogie con altre specie e se per avventura non si sapesse che il Mi- quel * ne ha descritto degli individui fertili provenienti da Giava. einigen Bemerkungen iiber L. polyrhiza, gibba, minor und trisulca (Wiegmann'’s Archiv fiir Naturgeschichte, VI Jahrg., I Bd., 1540; p. 138-163, Taf. I-1I.). Questa è la traduzione del lavoro inserito nei Tydschrift voor Natuurlyke Ge- schiedenis en Physiologie, e che non ho potuto consultare. WeEDDELL H. A., Observations sur une espèce nouvelle du genre Wolffia (Ann. des se. nat., Botanique (III), tom. XII, p. 155-173, pl. VIII.). HEGELMAIER, Die Lemnaceen, 1868. 4 Alcuni botanici scrivono Wof/ffia, altri Wolfia. Hanno, mi pare, ragione i primi giacchè il genere fu dedicato a J. F. WoLFF, autore dell’opuscoletto De Lemna, Altorf, 1801. Forse per isvista 1’ ARCANGELI disse nel Comp. fl. ital. che il genere è stato dedicato al medico N. M. WoLr, il quale scrisse pure di botanica nello scorso secolo, ma non si occupò in modo speciale delle lenti acquatiche. 2 Su questa minutissima pianticella regnarono per lungo tempo idee erronee. Varî autori espressero il dubbio che dessa non fosse se non il primo stadio di sviluppo di altre lemnacee ed in particolare della Lemna polyrhiza ed a questo contribuì di certo l'assenza di fiori e la convivenza abituale delle due specie nelle stesse acque. Anche là dove io la raccolsi entrambe vivono accanto, mescolate l’una all’ altra. DIETRICH, Synopsis plant. I, p. 124, la escluse addirittura dal novero delle specie, sebbene scrivesse nel 1839. ® Le Wolffie sono le più piccole e le più semplici tra le stesse Lemnacee, La W, brasiliensis, per es., ha dimensioni che non sorpassano o di poco la metà di quelle della arrhiza. 4 MiQuEL, Flora van Nederl. Ind. III, 221, citato anche da CESATI, PASSERINI © GIBELLI nel Compendio della FI. ital. pag. 208. 348 F. SORDELLI, Alla estrema piccolezza, va congiunta una estrema’ semplicità di struttura, sicchè l'esame microscopico non rivela in questi corpicciuoli, piani alla parte superiore, affiorante sull’acqua, sub- rotondi in tutto il resto, se non una struttura meramente cel: lulare; a cellule rilassate, inframmezzate da lacune aeree, sicchè la pianta galleggia e, disturbata, riprende Abi la sua pù mitiva posizione. j casati dia Privo di radice, come accenna il nome, ciascun siti riproduce, all’incirca come le altre Lemne, per mezzo di bul- billi che nascono nel fondo di una fessura solo percettibile al microscopio; i quali, raggiunto che abbiano una certa dimen- sione si staccano dalla pianta madre per vivere di vita indi- pendente. Sul finire dell'autunno i bulbilli così formatisi scen- dono in fondo all’ acqua ove dimorano tutto l’inverno (detti perciò svernatoj ') e nella successiva primavera risalgono a galla per riprodurre alla lor volta la specie. Gli esemplari che ab- biamo sott’ occhio si trovano appunto nella fase di sviluppo di tali svernato]. La Lemna arrhiza fu primamente scoperta in Toscana da} Micheli, ° che la denominò Lenticularia omnium minima, arhiza, ed in Toscana la osservarono nel nostro secolo altri botanici; più tardi fu trovata anche nel Napoletano. Bertoloni® dice di averla raccolta nelle acque termali “ al Molinello in lunae portu , (intendi nel golfo della Spezia), ma nessuno ve la citò dappoi, e per me rimane ancor dubbio se il Bertoloni conobbe o meno questa specie su esemplari vivi. L’aver egli creduto che alla Lemna arrhiza spettassero gli esemplari inviatigli di Corsica dal Soleirol, mi farebbe propendere per la negativa. La descri- 1 Codesti svernatoj hanno forma e colore abbastanza diversi dai bulbilli che sî sviluppano lungo l’anno; questi sono eguali in tutto alla pianta madre, mentre gli svernatoj sone giallognoli, globulosi o meglio ovali-lenticolari, cioè a 3 diversi dia- metri, senza superficie piane. ? MicHELI, Nov. plant. genera, p. 16, tab. 11, f. 4. L’illustre botanico la raccolse pel primo « in piscinis regii suburbani ruris vulgo i vivai dell’Imperiale et alibi paucis in locis. » ® BERTOLONI ANT., F7. italica, I, p. 848. NOTE BOTANICHE. 349 zione che quell’ autore ne dà' non corrisponde punto alla nostra pianta e in particolar modo vi contraddice l’ essere la pianta corsicana “ ejusdem formae, texturae et coloris ac in Lemna MINOTE Nell’Italia superiore e segnatamente in tutta la conca pa- dana, codesta specie non era mai stata osservata, per quanto io sappia, poichè ne taciono affatto le flore locali e regionali da me consultate in proposito. Io stesso; nelle mie escursioni in varie parti della Lombardia, non l’aveva mai incontrata; e fu solo nella decorsa primavera che trovatomi ad esplorare, per tutt’ altro scopo, in compagnia di amici, i dintorni di Berna- reggio, m’imbattei a rinvenirla copiosa in un piccolo stagno fra detto villaggio e l’altro poco lontano, di Ronco, entrambi. nel mandamento di Vimercate. Il signor Barazzetti, il quale di recente me ne recava in buon dato da quella stessa località ov’'io l'ho scoperta, mi assicurava poi di non averla vista altrove in tutti quei dintorni, ch’ egli conosce perfettamente; sebbene e fosse ed acque stagnanti non manchino in que’ terreni, per la maggior parte poco permeabili. Difficile è la spiegazione di questo fatto, sapendosi quanto maggiore sia l’ area di dispersione delle piante d’ acqua dolce, in confronto di quella delle specie terrestri, sebbene per il loro modo di vivere le prime abbiano per necessità una stazione molto più circoscritta.? E però la più probabile ipotesi che ci si affaccia è quella della recente introduzione fra noi di tale specie e del suo trasporto per mezzo degli uccelli acquatici. Una circostanza, infatti, la quale darebbe un certo valore al mio sospetto, si è che in quel punto ove finora fu trovata la Wolffia il sig. Antonio Barazzetti, fratello del nostro preparatore 4 BertoLONI. Op. cit. I, p. 126. 2 Una prova rimarchevole di questo fatto l'abbiamo fra le stesse Lemnacee. Nes- suna delle specie nostrali è esclusiva dell’ Europa, ma trovasi anche in regioni lon- tanissime. Così L. gibba e minor trovansi nell’ America, nelle Indie e per più di mezzo il mondo. L’Asia nutre parimenti le altre due specie nostre polyrhiza e tri- sulca. 350 | F. SORDELLI, al Museo, fa la posta alle anitre salvatiche evi. tiene perciò a guisa di richiami, delle anitre comuni. | (GG. 0 n In altre parti d'Europa la nostra pianta è egualmente. diffusa e manca, tra le altre, in Germania, ove certamente noi sarebbe sfuggita all’ occhio di mille accurati osservatori, se vi esistesse. siete zazati Trovasi nell’Olanda meridionale, nei dintorni di Gonda; ne Belgio. Nella Francia fu citata primamente dal Thuillier, la raccoglieva nel secolo scorso . negli stagni della. foresta di Fontainebleau; da dove sembra scomparsa, giacchè i botanici parigini ve lo cercarono in seguito, ma senza alcun risultato; mentre fu raccolta in una decina di altre località sparse qua. e là per la Francia. Nè manca fuori d’Europa, al Bengala, a Giava ed altrove; chè, anzi, le Wolffie tutte possono dirsi essen- zialmente siii i ible II. Linaria vulgaris a due speroni. 30 1g L’ Antirrhinum linaria o linaria comune, così distinta fra Je piante della nostra flora per la sua corolla personata d’un bel giallo, terminata in basso da uno sperone acuminato di rimar- chevole lunghezza, è anche una delle specie i cui fiori hanno da tempo attirata l’ attenzione dei botanici per le frequenti ano- malie ch’essi presentano. Ed anche negli Atti della nostra So- cietà sono ricordate in più d’un luogo delle mostruosità osser- vate in questa specie; e segnatamente ne faceva cenno il prof. Caro Massalongo nel vol. 18.°, al quale rimando per maggiori. notizie in proposito. ° cd 4 Il gen. Wolffia èil più ricco di specie dell’intiera famiglia. Il Weddell ne.enu- merava tre specie fin dal 1849 e 1’Hegelmaier nel 1868 ne descriveva già 12. Esse sono tutte esotiche; la stessa W. arrhiza, la sola che si abbia in Europa, non fa eccezione alla regola, poichè non vi fu mai osservata in fiore, certo segno che non vi sì trova nelle migliori condizioni per il suo normale sviluppo. i 2 MassaLoNGo CARO, Di due anomalie della Linaria vulgaris Mill: (Atti della Soc. it. di Sc. nat. 1875, p. 362-365, tav. VII. Vedasi anche: SORDELLI, sopra fiori di NOTE BOTANICHE. 351 «Qui accennerò solo come una delle anomalie ricordate dal Massalongo è quella della corolla a tre speroni; * alla quale è ‘quasi identica l’altra da me osservata tra Camnago e Lentate, ‘poco lungi dalla ferrovia Monza-Como. In tutti questi fiori lo sviluppo dei due speroni soprannumerarî si spiega assai bene osservando la forma della base della corolla, come si presenta ‘mei fiori normali; nella quale, a destra ed a sinistra si osserva «un piccolo rigonfiamento, che non manca mai in parecchie al- tre specie e si vede bene, per es., anche nei veri Antirrini (Anth. majus, orontium, ecc.) a fiori, cioè non speronati. Or ‘bene, sono appunto questi rigonfiamenti o piccole gibbosità, le quali sviluppandosi in modo eccezionale producono gli speroni o nettarî soprannumerarî. Generalmente però, l'anomalia non sì arresta soltanto alla corolla, ma interessa anche altre parti e di solito il calice. In questo genere di mostruosità ho visto d’altronde numerosi passaggi fra la forma quasi affatto normale e quella a tre lun- ghi speroni, con. poco o punto alterazioni nelle altre parti del tubo e del lembo corollino. Spesso i due speroni anomali non sono egualmente lunghi e talora, come in un fiore da me osservato quest’ anno, invece di due, si sviluppa uno sperone solo oltre il normale, per es., quello di destra, ed in allora ab- biamo una corolla a due soli speroni ed asimmetrica. La quale, così da sola, riesce assai dimostrativa, e prova la giustezza della spiegazione cui accennavo poco fa. Ma la stessa specie di Linaria mi offerse quest’ anno anche un. altro genere di anomalie. Nel comune di Guanzate, circon- dario di Como, alla località denominata la Carlotta, dove rin- venni il fiore a sperone anomalo laterale, ho potuto raccogliere alcuni altri esemplari sui quali, oltre buon numero di fiori per ogni verso normali se ne osservavano frammisti altri a sperone Linaria a 3 speroni, nel Resoconto della seduta 28 novembre 1875 (Atti, vol. 18, p. 404). Un fiore anomalo della medesima specie osservai pure presso Induno, ma su di esso non raccolsi ulteriori osservazioni (Atti, vol. 21, p. 258). 1 MassaLoNGO, loc. cit., tav. VII, figura a destra. 352. F. SORDELLI, NOTE BOTANICHE. unico alla base, ma bifido all’ estremità. Anche in questa sorta di anomalie vidi esistere varie gradazioni, da un fiore in cui lo sperone appariva appena fesso alla punta, a quelli nei quali la divisione si estendeva alla metà ed anche più oltre la totale lunghezza del medesimo. In tutti i casi però, anche in quelli: ove la divisione era appena accennata, il calice partecipava senza fallo alla mostruosità ed offriva sei sepali in luogo dei cinque normali. Nei fiori sezionati non potei invece osservare alterazione di sorta nel numero e nella disposizione degli stami e dei pistilli. Messo da tempo sull’avviso, osservai quest’ anno più d’un mi- gliajo di piante della Linaria, così comune in tutto il nostro altipiano, ma in nessuna mi occorse di trovare notevoli aberra- zioni, salvo, come dissi nella cennata località, ove esemplari a fiori anomali, frammisti ad altri perfettamente normali, non erano rari. Quanto alla causa prima di tali anomalie noi non ne sap- piamo nulla; ma per le circostanze in cui le rinvenni, credo poterne dedurre che, una volta prodotte, esse siano capaci di propagarsi per seme, al pari di altre mostruosità, sebbene non in modo costante ed inevitabile. Essendo la stagione inoltrata, parecchi fiori avevano già per- duta la corolla, ma l’avvertita concomitante anomalia del ca- lice, persistente col frutto, mi offriva un mezzo agevole per di- stinguere dalle altre le capsule provenienti dai fiori anormali e mi porgeva così il destro di raccoglierne separatamente il seme. E di tale circostanza io conto approfittare per fare intorno @ tale argomento nuove osservazioni e sperienze. Con che se po- trò ottenere qualche concludente risultato mi farò un dovere di comunicarlo a codesta onorevole Società. Seduta 31 dicembre 1882. Presidenza del segretario, prof. SORDELLI. Il socio ing. F. MotINARI legge l'introduzione al suo lavoro monografico intitolato: Dal lago d’ Orta al lago Maggiore, stu- dio geo-mineralogico, col quale 1° À. si propone di illustrare quel tratto di paese montuoso, nettamente circoscritto dalla Toce, dalla Strona e dai laghi Cusio e Verbano, avente per sommo vertice il Motterone o M. Margozzolo. Ne descrive brevemente la configurazione e l'aspetto; e in uno schizzo geognostico pre- liminare segna la distribuzione delle rocce in posto finora note nella regione, cioè dei graniti, dei porfidi, degli schisti e della dolomia di Arona. Il segretario Sordelli dà lettura del processo verbale dell’ an- tecedente adunanza 26 novembre 1882, che viene approvato. Indi si passa alla votazione per ammettere quali socî effet- tivi, i signori: ViLLa ing. CaLuisto, di Milano, proposto dai socî G. B. Villa, Sordelli e Pini. MezzeNA ELVINO e Bazzi EugENIO, allievi ingegneri del R. Istituto Tecnico Su- periore di Milano, proposti dai socî Molinari, Stoppani e Sor- delli. i BeLLoncI GiusePPE, professore di zoologia alla R. Scuola Su- Vol. XXV. 28 mari. in fr T "35% PIRA Essi son nominati all’u seit DELA test Mi Il segretario Sordelli dà infine comunicazione di del socio G. B. Villa colla quale chiede hg il suo nc cancellato dall’ elenco. dei socî, | proponen rò ins figlio ing. ii La proposta è urto dai socî, 3 qu al gio collega che, insieme al fratello suo Antonio, tanto cc alla fondazione e al progresso della Società. | i im CR). È; moà da Gusto vi Prof. F. Sor ) Segretario nua : diodi 3 ist 08 sori Ob a vl DOTE ? pi. “SM oss 1a i 108.000 Sa 3\also8 ni. NUOVO METODO L DI ZOOFONOGRAFIA. Nota di ANTONIO BERLESE LAUREANDO IN SCIENZE NATURALI NELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA, (Colla tavola 6.2). Uno studio finora quasi completamente negletto ma che in . seguito (lo speriamo) sarà coltivato dai fisiologi, è l’ espressione dei sentimenti negli animali, a mezzo del linguaggio. Pochi os- servatori della natura si sono dedicati a questo argomento, e meno ancora al linguaggio strettamente fonico. Fra gli altri cito il Dupont de Nemours, Brehm, Bechstein, Darwin e da ul- | timo, e più particolarmente, il Paolucci, che in una sua estesa ed interessantissima memoria Sulle voci degli uccelli* ci diede precise notizie zoofonologiche. i Le cause che ritardarono lo sviluppo di questo studio de- vonsi rintracciare nella deficienza di un metodo grafico, atto a denominare, direi quasi, con precisione, ogni singolo suono in modo facilmente leggibile e riconoscibile. Su questo punto del- l'argomento richiamo l’attenzione degli zoologi e storiografi d’animali. Scoperta la denominazione dinomia, le scienze natu- rali hanno fatto notevolissimi progressi, ed è inutile il rammen- tarlo. Ai nomi speciali, che ciascun essere, e ciascuna parte di esso hanno avuto, si deve il rapido incremento di tutti gli altri 4 Atti della Società Italiana di Scienze naturali, vol. XX, (1878). 356 A. BERLESE, rami della scienza, ed appunto in grazia della sistematica, e della denominazione, lo scienziato può lavorare su di un solido terreno. A dir vero, si è tentato di trascrivere i diversi suoni 9° degli animali, con altri “dell umana favella che li ricordassero, ma questo metodo, già dagli antichi sperimentato, è affatto pri. mitivo, è troppo difettoso, come in seguito diremo, per dare utili risultati. i ada Certo io non presumo di avere scoperto ciò, che, a parer mio, dovrà essere il frutto di ricerche più lunghe e di ingegno più pronto che il mio non sia; a me sarebbe sufficiente ricompensa di quella fatica che ad ogni modo mi costò questa noticina, l’aver aperto, dietro le orme di quegli esimii che mi hanno pre- ceduto in questo studio, una utile gara alla ricerca del tanto desiderato metodo di zoofonografia. Nè discuterò sul valore scien- tifico, non dico della memoria presente, ma dell’argomento. stesso prescelto; a chi si dedica a questo studio, che sulle prime, e da lungi, sembra assai strano e futile, l’ utilità nella biologia degli animali non tarda a Ratti e ne darà una prova, non la lettura di questa nota, che tanto non presumo, ma cer- tamente l’esame della sullodata memoria del Paolucci. Ed ora entriamo più innanzi nell’argomento. Suoni degli animali. gb ‘I mammiferi, uccelli, rettili, taluni anfibii, taluni insetti, € qualche ragno, sono atti ad emettere suoni speciali. Il Paolucci divide gli animali in autofoni ed eterofoni; i primi, che sareb- bero meglio detti monofoni, non possono produrre che” una ‘sola nota, mentre gli altri variano i loro suoni entro un limite più o meno ampio. Si può aggiungere un ultimo gruppo, degli afom. La distinzione tra monofoni ed eterofoni non può forse sempre farsi, e talora si può essere in dubbio, se si debba collocare un animale in un gruppo, anzichè in un altro, come non può. est sere fatta una rigorosa distinzione tra gli animali, che. nelle voci impiegano gli organi respiratorii, e quelli in cui i suoni NUOVO METODO DI ZOOFONOGRAFIA. 357 sono prodotti da strumenti, per nulla in rapporto cogli organi della respirazione. Per me io terrei come naturale una distin- zione fra animali eterofoni e monofoni; quando nei primi fossero compresi tutti i vertebrati dotati di voce, e nell’altro gruppo tutti gli artropodi che possono emettere un suono. Io non credo infatti, che i Batraci non possano disporre che di una sola voce punto modulata, e la cosa è dimostrata in modo evidente dalla Rana esculenta L. e forse da altre specie di batraci. Il linguaggio fonetico, varia dall’ una all’ altra specie, e talora entro una stessa specie; l’ uomo, come l’ animale più elevato, dispone di un linguaggio certamente assai ricco di espressioni. I pochi suoni semplici, che sono le consonanti e le vocali, dan- no, se variamente accoppiate, origine ad uno stragrande nu- mero di parole. Nelle voci degli animali esistono anche le con- sonanti e le vocali, ma l’essenziale differenza che corre tra suoni semplici proprî all’ uomo, e quelli proprî agli animali, che nelle voci di questi ultimi, le vocali sono poco distinte, le consonanti, male articolate e direi quasi smussate. L’uomo stesso deve percorrere diversi stadî nello sviluppo delle sue facoltà vocali, ed ognuno conosce la differenza che D (DA pale passa tra i primi vagiti di un bambino, paragonabili alle voci di qualche mammifero, e la favella dell’ adulto. Certe conso- nanti non sono bene pronunciate dai bimbi, e talora nemmeno dall’uomo fatto. î Questa essenziale discrepanza, tra le voci degli animali e quelle = ‘dell’ uomo, è una conseguenza della maggior perfezione della cavità orale di quest’ ultimo in confronto di quelli. Ne viene adunque, che l’intensità, l'altezza e il timbro di una voce, assumono differenti forme nei varî animali, mentre la nota rimane consimile nelle varie specie. Possono però esservi animali, che in seguito a particolare esercizio, imitino con suf- ficiente fedeltà la favella umana, e ciò dimostra ancora, che un uomo adulto, giacchè una volta fu bambino ed incapace di ar- ticolare voci più di un altro mammifero, ha percorso nello svi- ‘358 A. BERLESE, luppo delle facoltà vocali, ad un dipresso, gli stessi stadî pappagallo istruito. RAC Lasciando pel momento gli animali monofoni ed occupand solo degli eterofoni, vedremo che la nota è prodotta dalla. da- ringe, la cavità orale serve poi a modificare codesta nota in. guisa da modularla a piacimento dell’animale. vat 4 Io credo di pater distinguere in tutti | gi animali le seguenti forme del timbro: 1. Timbro molle o lene (Paol.) (0. 3.) Ri 2. Timbro acuto (Paol.) (() Mu. 3. Timbro aspro (Paol.) (E. €.) si rel 4. Timbro trillante (Paol.) (&) £ 5. Timbro trillante aspro (nob.) (>) t 6. Timbro trillante fautato (nob.) (©) cal 7. Timbro della voce umana (nob.) (U.). > Il timbro della voce umana, assai si avvicina al timbro aspro, ma però ne è certamente distinto. È comune a quasi tutti i mammiferi, ed a qualche uccello. Il timbro molle; è molto usato da taluni uccelli, specialmente passeracei, si imita, come dice lo stesso Paolucci, aprendo de- bolmente la bocca, abbassando i denti fin presso il labbro infe- riore, protratto, facendo un canalicolo colla lingua e è bordi in- terni dei denti, e facendo passar l’aria per detto tubulo (espira- zione). Si ottiene facilmente tentando pronunciare simultanea- mente le consonanti 7. C. Gli uccellatori lo imitano benissimo. Noi lo distingueremo col segno © (Theta dei greci, minuscolo 19). Il timbro acuto, molto usato da parecchi uccelli e da qualche mammifero (anche dal cane sebbene con significato ben diverso e con altezza speciale) si ottiene prolungando le labbra in guisa É "I 1 La questione dei timbri, su cui riposa tutto lo studio della Zoofonografia, è cer- tamente una questione assai complicata. L’un timbro passa lentamente nell’ altro, mediante una infinita serie di gradazioni, pressa poco come in sistematica, un ge- “ nere si unisce ad un altro genere anche distante, per mezzo di una lunga Rei molti anelli. Però, come è necessaria e può vivere la sistematica, così anche la di- pure necessaria, quantunque difficile e talora in sommo grado. > stinzione tra i timbri è NUOVO METODO DI ZOOFONOGRAFIA. 359 ‘pa formare un lungo tubulo di piccolo calibro, ed aspirando Varia (aspirazione). Molti uccellatori, lo producono con gran facilità; ‘è un fischio molto acuto, usato talora dai passeracei come voce ‘di avviso. Lo contrassegniamo con una mezza parentesi (. Que- ‘sto timbro è affine ad una varietà del precedente, detta dal Paolucci, timbro flautato, che si può imitare col nostro 2uffolo ordinario (aspirazione ed espirazione). (Distinto col ® [Phi dei greci, minuscolo @ ]). Timbro aspro. Vengono ora quei timbri che si ottengono come i precedenti, ma facendo vibrare le parti della cavità orale. Il timbro aspro corrisponde al nostro Z aspro, prolungato; si ot- tiene, a detta del Paolucci, disponendo la lingua come nel timbro lene, ma, appoggiando leggermente Varcata degli incisivi sul lab- bro inferiore protratto ‘e contraendo î muscoli buccinatori (Con- trassegnato da uno E Csi dei greci, minuscolo €). È molto usato da parecchi uccelli. Il timbro trillante è un timbro aspro, in cui le vibrazioni sono così lente da ricordare un trillo; è veramente un fischio tremulo, ottuso, come dice lo stesso Paolucci, che primo lo ha descritto; si riproduce difficilmente, anche questo suono è frequentissimo negli uccelli (segno #r.). Il timbro trillante aspro è un vero strido, e proprio degli uc- celli gridatori, molto aspro, sgradevole all’orecchio e quasi sem- ‘pre molto forte; talora usato anche dagli uccelli cantatori, ma ‘sotto l'impressione dello spavento e dell'angoscia; per questo “suono furono inventate le parole stridere e gracidare, le quali ‘indicano i due limiti di asprezza, ai quali detto timbro può giungere (Contrassegnato col segno >>). Il timbro trillante flautato merita proprio codesto nome. Si può ottenere disponendo la bocca come per l’acuto, ma facendo vibrare la lingua alla base. Riesce però difficile riprodurre que- sto trillo. Varia di asprezza; il più lene è usato dal Merlo (Segno #f.). Procedendo dal timbro più lene, al più aspro, noi abbiamo il seguente ordine: 4 Aa E 360 A. BERLESE, Timbro flautato, lene, acuto, trillante flautato, trillante,. aspro, umano, trillante aspro. A Havvi una forma di timbro aspro, molto usato dagli uccelli e in ispecie dalle silvie; si può imitare con grandissima facilità scoccando rapidamente colle babbra un vero bacio. Era conosciate nella Capinera (tek, tek) (Segno x). Zoofonologia. (246 pg rase net? I scienza, che in appresso verrà senza dubbio coltivato più che non lo sia stato finora, e che è bene chiamare fin d’ora Zoo- fonologia. Noi divideremo questo studio nei seguenti rami: 1. Zoofonografia (scrittura dei suoni); AMO 2. Zoofonodinamia (valore biologico dei suoni); 3. Zoofonotomia (scomposizione dei suoni); 4. Zoofonologia descrittiva (descrizione dei varî suoni. nidi uno o più animali); 5. Zoofonologia comparata (confronto tra i varî suoni di parecchi animali). Evidentemente paragonando lo studio della Zoofonseidanti alla Zoologia (in senso lato), la Zoofonografia corrisponde alla figura e descrizione della specie; la Zoofonodinamia alla Fisiologia, la Zoofonotomia all’ Istologia, la Zoofonologia descrittiva alla Ana- tomia descrittiva, e la Zoofonologia comparata alla Anatomia comparata. be «al Daremo un saggio di tutti questi rami del nostro studio, tranne della Zoofonotomia, per la quale è necessario un rzs0- natore, strumento che ci fa difetto. rada i | i Lo studio dei suoni degli animali costituisce un ramo di i Te_———_—m—mTmTT——+@»w_—_—@—@ NUOVO METODO. DI ZOOFONOGRAFIA. 361 Zoofonografia. È stato sempre riconosciuto il bisogno di indicare con qual- che mezzo i suoni emessi dai diversi animali. Il primo metodo, il più antico, ma ben anche il più rudimentale, è quello di tra- durre nella favella dell’uomo i suoni stessi. Di qua presero origine tante espressioni onomatopeiche; come muggito, ruggito, belato, gracidare, stridere, etc. e i tanti nomi dati a diversi animali. Il Brehm, e tutti quelli che mi precedet- tero, adottarono questo metodo e lo estesero il più possibile. È però necessario avvertire che questo metodo grafico presenta gravi inconvenienti, che talora lo rendono affatto inutile; que- sti sono: I. L’impossibilità di trascrivere i tempi, cioè le pause e le accelerazioni del canto; II. La necessità di scrivere consonanti, che non sono mai rigorosamente esatte, perchè negli animali sono ottuse, smus- sate; III. La necessità di notare vocali che raramente sono chiare come nell’ uomo; IV. L’impossibilità di trascrivere suoni spettanti a parec- chi timbri, come il trillante e trillante flautato etc.; V. Assoluta mancanza di segno che noti il timbro, l’altezza e talora l'ampiezza del suono. Da ciò risulta che un autore (Brehm) traduce con tellterell- telltelltell il canto di avviso del passero, ed un altro, (Paolucci) la stessa voce con griò, griò, griò. . Recentemente lo stesso Paolucci, riconoscendo questi difetti, ha tentato con lodevoli sforzi di introdurre la scrittura musi- cale pel canto degli uccelli. Ma questo metodo presenta i seguenti svantaggi: I. Colla scrittura musicale è impossibile dare anche una pallida idea delle consonanti che sebbene smussate, pure esi- stono nelle voci degli animali; ME * 362 A. BERLESE, II. Colla scrittura musicale è impossibile far sentire le CI cali, che quantunque non ben chiare, pure esistono nei. suon degli animali; . 08 III. Le note musicali non sono punto le note della ‘Yoce degli animali, che non trovano riscontro nella gamma; o se” lo trovano, il caso è raro; TOR IV. Manca il timbro; 9 V. È impossibile RT i suoni del timbro trillante, trillante aspro ed altri. È però chiaro che l’un metodo può, fino ad un certo punto, completare l’altro, perchè ad esempio in una voce;. Il tempo è dato dalla musica. Le consonanti e le vocali, dalla scrittura ordinaria. L'altezza e l'ampiezza dei suoni possono essere date dalla scrittura musicale. na” Questo metodo, che noi chiameremo misto e che è dovuto al Paolucci, presenta però degli inconvenienti che sono: I. Necessità di due scritture e per conseguenza inevitabile | confusione. II. Restano sempre per la scrittura ordinaria gli inconve- nienti II, III e per la musicale il III; | III. È impossibile trascrivere miri suoni del timbro tril- lante. È necessario trovare un metodo che tenga in pari tempo dell’una scrittura, e dell'altra ne abbia i vantaggi, e ne sia privo dei difetti. ) Ecco ciò che ho tentato; al pubblico il giudizio del come mi sia avvicinato alla meta delle mie ricerche. evi DS ” Nuovo metodo. 1A Giacchè nella voce degli animali esistono le vocali e le ‘con- sonanti, ma quelle sono poco chiare e queste smussate; “così. noi le trascriveremo, ma sarà necessario pronunciarle POTE, bro indicato. Per l’uomo, giacchè il metodo deve comprendere — VOL.XXU, TAV. VI. TI SOC. ITAL. SCIENZE NAT. | fi 8; - | = E e 7 8 Gi] | Con pa lai | > - Til iz i 20. 21 Cda SSR ee — è 2====:====/N== ; È ni Da; i ne 1s NUOVO METODO DI ZOOFONOGRAFIA. 363 tutti gli animali, si leggeranno le vocali e le consonanti, chiare e ben articolate, ciò che si potrà avvertire con segno speciale. La nostra scrittura somiglia molto alla musicale, e però le note hanno lo stesso valore che in musica. Il segno indicante il tim- bro, nel quale deve andar letta la scrittura, sarà posto in chiave. Moltissimi segni necessarî ad indicare i tempi togliamo dalla scrittura musicale. Le note devono essere suonate nel timbro indicato dal segno in chiave, se però non sono all’ apice della coda, munite di al- tro timbro, come ad esempio nella fig. 1 (Tav. nostra); nel qual caso la prima nota va letta nel timbro acuto, e le altre due nel lene, avendo all’ apice della coda, ciascuno un è minu- scolo. | Colla scrittura che vedesi alla fig. 2 si potrebbero contras- segnare i suoni gutturali, e colla fig. 3 i suoni molto acuti. Quando due note sono scritte l’una sopra l’altra, come vedesi a fig. 4 devono leggersi (giacchè nessun animale può fare colla voce una cadenza) prima l’ una, indi l’altra, avvertendo che, per prima deve leggersi la più vicina all'apice libero della coda, così il segno a fig. 5 sarebbe evidentemente l'inverso del primo; però in ambi i casi le note devonsi leggere legate, cioè l’ una immediatamente dopo l’altra. Ciò premesso si conducano cinque linee (fig. 6) delle quali la prima segna l’ i, la seconda l'e, la terza «, la quarta o, la quinta a, gli spazî accolgono note che devonsi leggere con vo- cali intermedie, così il segno a fig. 7, indicherebbe una vocale che ricorda l’ ew dei francesi, etc. La fig. 8 è una delle tante voci di richiamo del Parus maior, voce che gli uccellai chiamano onomatopeicamente cibbè, cibbè, ed imitano assai fedelmente fischiando nel timbro indicato. Nei timbri (—3 —@ — la vocale a, mal si pronuncia, men- tre la si incontra assai spesso in voci dei timbri tr. — > — % e talora anche nel &. Per l’uomo, la scrittura a figura 10 si leggerebbe con fi- gliuolo, etc. 364 A. BERLESE, 1 LIRAG L Saggio di Zoofonografia dei monofoni | | | 00 (ib Siasge, antia 1 Insecta. (Tai) 19- BOO. Locusta SETIGERA (fig. 11) o. Stridio agutiasi til forse il più acuto di quanti si conoscono; odesi nelle belle serate di agosto; più raramente di giorno. Sana OrcanTUS ITALICUS d' (fig. 12). Anche queste. voci prolun- gate si odono nelle sere di estate e di autunno, e formano la melodia a taluni tanto grata, che dura fino al levare del gior- no; al primo, un secondo risponde con un canto più basso (fig. 13). SENTI GRYLLUS CAMPESTRIS e' (fig. 14). Questo suono fu tradotto | col crì, crì, d'onde gryMus, grillon, ete. GOMPHOCERUS BIGUTTATUS o (fig. 15). Odesi nei prati du- rante le belle giornate di autunno. CICADA ORNI & (fig. 16). Stridio notissimo. Saggio di Zoofonologia e Zoofonodinamia degli eterofoni superiori. Lin FRrINGILLA MONTIUM (fig. 17). Chiamata ordinaria, anche du- rante il volo. — (fig. 18.) Chiamata più vivace, usata più ra- ramente durante il volo, talora voce di timore. — (fig. 19 e 20.) Voci di avviso. — (fig. 21.) Voce usata dall’ uccello per impau- rire altri passeracei. F. coELEBS (fig. 22). Chiamata ordinaria, anche durante il volo. — (fig. 23.) Chiamata più vivace, anche di timore. — (fig. 24.) Voci basse, lente, emesse durante lo studio; dagli uc- cellai dette pianto. Mi ih) 4 Per gli insetti avrei volentieri adottata un’altra forma di timbro, che avrei chia- mata stridente, se avessi avuto esempi più numerosi. Laga Il segno b indica note che trovansi nella gamma, le note puntate leggonsi bs accentate, ad un dipresso come in musica. pe © e n NUOVO METODO DI ZOOFONOGRAFIA. 365 PARUS MAIOR (fig. 25). Voce di conversazione, odesi di fre- quente quando trovansi assieme molte cincie; comune anche alle altre specie del genere. — (fig. 26.) Talora composta come (fig. 27) voce di avviso. — (fig. 28.) Voci di chiamata della cincia, emesse rapidamente e con energia, indicano uccello che desidera la compagnia di altri della sua specie; gli uccellai le traducono colle parole cibbè, cibbè, cibbè, cibbè, pepecì, pepecì, pepecì. Se traducibili con note musicali, rivelano una cincia sa- tolla, che non desidera compagnia e che perciò si lascierà pren- dere difficilmente; gli uccellatori lo sanno benissimo, e chiamano incampagnate le cincie che così cantano. Saggio di Zoofonografia e Zoofonodinamia descrittiva della Fringilla domestica. Ho avuto agio di studiare accuratamente le diverse voci e- messe da una passera che tengo prigione. (Fig. 29). Voce di conversazione con compagne vicine. — (fig. 30.) Voce vivace di conversazione. — (fig. 31.) Id. meno. vivace. — (fig. 32.) Chiamata poco vivace, diretta a compagne vicine. — (fig. 33.) Id. più energica, ma sempre durante il ri- poso quasi assoluto del corpo. — (fig. 35.) Chiamata energica, vivacissima; l'uccello durante questo grido protende il capo ed il collo nella direzione del compagno a cui indirizza il cenno, e che generalmente passa volando; il grido è tanto più vivace, quanto più l’uccello che vola passa vicino al compagno che lo chiama, cioè quanto maggiore è la speranza in quest’ultimo di arrestare l’altro. — (fig. 36.) Canto, verso della passera; odesi frequentemente nelle belle giornate di primavera e d’estate, al- lorchè le passere stanno sui tetti delle case, esposte ai raggi del sole; talora è unito ad altre voci come a fig. 37. — (fig. 38.) Voce rapida, breve, poco alta, cmessa dall’ uccello quando sta per lanciarsi nell’aria e prendere il volo; serve, direi quasi, per incoraggiare sè stesso, e sotto questo punto di vista è ana- SIA 366 A. BERLESE, loga a molte espressioni del linguaggio umano; più energica-. mente, fig. 39. — (fig. 40.) Voce di timore, quasi spavento. DI; (fig. 41.) Voce talora di timore; allorchè parecchie passere e- mettono assieme questo grido, le circonvicine accorrono tosto; usano le passere riunite a migliaia, cantare così lunga pezza prima di ritirarsi sugli alberi per passarvi la notte; è chiamata efficacissima. oraseroog Saggio di Zoofonologia comparata di alcuni uccelli cantori. Lo studio dell’anatomia comparata ha fatto sorgere la teoria — dell’ evoluzione. Sarebbe cosa utile il rintracciare, se lo studio della zoofonologia comparata potesse, alla stessa guisa che la | linguistica ci discopre l'origine dei popoli, illuminarci sulla que- stione dell’origine della specie. Alcune voci sono comuni a parecchi tolta e tra quelli di uno stesso genere, il numero delle voci comuni è assai grande. . Nei passeracei il suono al 29 della Fringilla domestica si ri- pete col 25 nei Parus e nell’ Ignicapillus cristatus, ete., sempre collo stesso significato (conversazione). Nelle Fringele, ed altri passeracei, l’ordinaria voce di richiamo può scriversi col segno 42, che con leggiere modificazioni di timbro si ripete in quasi tutte le specie, così è 22 nella Fringilla coelebs, ed F. monti fringilla; è 30 nella 7. domestica, e F. cisalpina, nel Parus maior ed altri congeneri. Analoghe sono le voci di timore del Parus maior e P. cau- datus. La voce di avviso, 26, è comune a moltissimi uccelli cantori, in tutti collo stesso significato (presenza di pericolo), tra questi citiamo: Parus maior, P. minor, P. coeruleus, P. cau- datus, Ignicapillus cristatus, le Fringille, le Silvie, i Turdus, etc., etc. La voce di timore, 43, è comune a tutte le silvie, più o meno modificata nell’altezza, così nel pettirosso, è 44, etc. E voce di NUOVO METODO DI ZOOFONOGRAFIA. 367 ‘timore, di richiamo, più raramente di avviso (te, tek, della ca- \pinera, Paol.). Chiudo invocando benigna la critica, da parte degli zoologi, questo mio scritto, il quale, vogliamo crederlo noi pure, è pieno idi mende; accetteremo, come un vero favore, tutto ciò, che dal pubblico ne potrebbe. essere suggerito riguardo allo studio che coltiviamo, e speriamo che questa noticina serva a far compren- dere, sia pure lontanamente, l’utilità che si potrebbe ricavare dallo studio della zoofonografia, nella biologia degli animali; nè io debba ripetere: * Oleum et operam perdidi. 26 Febbraio 1882. DE’ TELEOSTEI. Per il dottor GRASSI BATTISTA. è Scopo di questo mio lavoro (che presto verrà pubblicato n extenso) è stato il conoscere lo stile della colonna vertebrale nei pesci ossei e, con questa nozione, tentare di decifrarne le omo- | logie. Alcuni fatti mi porsero occasione di gettare uno sguardo sulla quistione generale dell’ origine dello scheletro cartilagineo e di quello osseo. Le mie conclusioni sono basate: 1.° su quanto è già noto in: torno allo scheletro assile nei pesci ossei adulti; 2.° su ricer- che speciali intorno al suo sviluppo. Le mie ricerche sono fatte sovra forme, le quali, come l’a- natomia comparata dimostra, nel complesso della loro organiz- zazione, manifestano sicuri indizî di primitività: e sono esocidi, salmonidi, ciprinoidi e clupeidi. Non ho trascurato gli studî già fatti da altri (e specialmente quelli di Goette e di Pouchet) anche con altri teleostei; m’affretto però a dire che alle osser- | vazioni su questi ultimi, io concedo appena un valore secondario, vuoi. perchè sono incomplete, vuoi perchè riguardano forme | molto aberranti. Nello stabilire le omologie, ho fatto calcolo grandissimo della Î posizione che tengono i teleostei nell'albero genealogico: posi- zione che risulta designata specialmente per le speculazioni | CONCLUSIONI DI UNO STUDIO SULLO SVILUPPO, ECC. 369 Gegenbaur. Si può dire, cioè, che in complesso i teleostei si sono diramati dai ganoidi, non però da quelli oggidì viventi: coi quali (e segnatamente coll’amia) manifestano maggior affi- nità di quel che cogli altri pesci attuali. È a notarsi che que- sti ganoidi sono assai indipendenti l’uno dall'altro e s° accor- dano tra loro in ciò che tutti stanno vicini alla forma stipite de’ vertebrati gnatostomi: meno vicino però di quanto lo sono i selacei. I vertebrati superiori manifestano parentela assai più prossima co’ selacei che coi teleostei. I quali infine rappresen- tano un ramo divergente e terminale. Lo che però non esclude che in essi siasi potuto conservare per qualche sistema organico qualche disposizione primitiva, la quale può essere andata per- duta, o trovarsi meno chiara ne’ selacei. Entro subito nel cuore dell'argomento. ! $ 1. Corpa. La corda nell'’embrione prossimo a schiudersi consta dei se- guenti strati ch’ io enumero andando dal centro alla periferia: 1.° Di cellule vescicolari che rappresentano il tessuto pro- prio della corda; .2.° Di un semplice e sottil strato epitelimorfo: 3.° Della membrana propria della corda; 4.° Di una sottilissima membrana elastica ed amorfa, la quale è esternamente circondata da connettivo embrionale. ‘ Fino a che si forma il corpo della vertebra, la corda va crescendo di lunghezza e diametro in modo quasi uniforme. Notasi però sui tagli, in corrispondenza ai setti intermusco- lari un leggerissimo rigonfiamento; il qual potrebbe anche so- -spettarsi artificiale. Inoltre l’ingrossarsi della corda è di grado maggiore nella sua propria membrana che nel suo strato epi- telimorfo. 1 I fatti, chè qui espongo, contraddicono in moltissimi punti quelli riferiti da Goette nell’ Arch. f. mikr. Anat. 1879. Vol. XXV. 24 370 B. GRASSI, x pis Egli è verosimile che la membrana propria cresca per opera. di questo strato epitelimorfo e che l’elastica cresca a spese del connettivo circostante. ») (iovodri Verso l’epoca in cui si sviluppa il corpo della vertebra, la membrana propria della corda nella regione intervertebrale pre- sentasi ispessita e quasi fibrosa e appare sporgente nella sostanza propria della corda. ida A questo livello lo strato epitelimorfo è più ricco di cellule e perifericamente all’elastica esterna le cellule embrionali si di- spongono a guisa di uno strato d'’ epitelio. sv AE Al formarsi del corpo della vertebra tien dietro un crescere | della sostanza propria della corda, per lo meno a gran dini renza, nelle regioni intervertebrali. Con questo avvenimento sono in relazione i noti ‘gozzi, cui na corda ci offre presto e che, più essa cresce, più si fanno spic- cati. | ! | Quasi contemporaneamente le sezioni ci danno per le mem- brane la seguente disposizione, la quale press’ a poco permane anche nell’adulto. La membrana propria della. corda è | molto ispessita e fibrosa nelle regioni intervertebralij; di qui «sottile s’estende sulla metà contigua di ciascuna delle due faccette (su- perfici interne di ciascuno dei coni del cosidetto doppio cono); più in là non si può più seguire con sicurezza; prima però della parte mediana delle vertebre riappare sottile e invece che fi- brosa sembra ialina; diventa abbastanza grossa alla parte me- diana (meno però che nella regione intervertebrale) ma conserva l'aspetto ialino. L’elastica esterna è ben distinguibile appena là dove lo è anche la membrana propria della corda; He però ovunque assai sottile. tr BE Poco dopo che queste modificazioni delle ‘membrane si sono È accentuate, nel tessuto proprio della corda si prepara una gran modificazione che si completa più tardi. Ed è questa: proba- bilmente per soluzione di cellule si formano lacune. La dispo- sizione più comune di queste lacune è la seguente: la corda, tranne che nelle regioni intervertebrali, riducesi ad un funicolo CONCLUSIONI DI UNO STUDIO SULLO SVILUPPO, ECC. 371 fibroso e spesso. Questo funicolo sta al centro della vertebra e co’ suoi estremi alquanto allargantisi si perde in un setto in- tervertebrale che è fatto dalla sostanza propria della corda ed in cui si distinguono ancora cellule vescicolari. Alla perife- ria questo setto si ripiega e prolungasi a coprire gran parte delle faccette. La piega può formare sovra di queste uno strato pù o meno spesso (nel primo caso la lacuna resta grande; pic- cola nel secondo); questo strato va perdendosi verso la parte mediana della vertebra. Lo strato epitelimorfo resta evidente (l’ho trovato, per es., in lucci di 14 centim.) e si prolunga an- che sulla parte mediana della vertebra, dove perciò delimita la n lacuna. In questa vi è un liquido acquoso. * To non oso affrontare la quistione delle omologie speciali della corda, perchè le cognizioni riguardo agli altri pesci sono in- sufficienti. Dirò soltanto che la comparazione pare fondata ap- pena coi ganoidi. Quanto ai selacei non si può dare un giudi- zio definitivo finchè non si è determinata l’origine delle cellule che si trovano nella membrana propria della corda. $ 2. ARCHI E PEZZI IN RAPPORTO CON ESSI. A. Archi. Il primo accenno della segmentazione dello scheletro assile è dato dalla formazione degli archi: essi seguono la formazione della corda e precedono la formazione del corpo della vertebra. Se non si considerano gli archi modificatisi per servire la pinna caudale, sta la regola che i superiori si sviluppano prima che 1 Queste lacune accennanti ad atrofia per cessamento di funzione sono già abba- stanza note ne’teleostei adulti e ne’ selacei; ne’ tunicati tutto il tessuto della corda va distrutto e più non resta che-uno strato epitelimorfo periferico. Cito questa somi- glianza perchè è un argomento che forse più facilmente d’ogni altro toglie di mezzo il recente sospetto che il cilindro assile della coda de’ tunicati non rappresenti una corda, appunto perchè sì trasforma in un canale pieno di liquido acquoso. 372 B. GRASSI, i i gli inferiori e che i superiori vanno colonna ai dall’avanti l’ indietro. it 00, Essi cominciano molto spesso cartilaginei: si sviluppano però già ossei ne’ ciprinoidi (tutti?), gli archi superiori (eccezion fa dei primi e degli ultimi) e gli inferiori della parte posteriore. del tronco e della parte anteriore e media della coda. —’—’’ Per intendere la posizione che tiene la cartilagine è d do. riflettere: 1.° che l’arco comincia assai accosto alla corda; Ta che la cartilagine dell’arco va crescendo alla parte acnta alla corda; 3.° che gli archi inferiori al tronco vanno man ma ano scostandosi dai superiori, man mano che ci portiamo dalla. parte anteriore alla posteriore. Su tutti i teleostei in principio, gli archi superiori tutti e gli i inferiori della parte posteriore del tronco e della coda sono De lindrici: quelli del tronco sono monconi corti e grossi. RT. La cartilagine acquista uno sviluppo maggiore, o minore, si arresta o si riduce, più o meno presto, a seconda della fami glia, a cui appartiene il teleosteo e della regione vertebrale, che si prende in considerazione. ; Il maximum di cartilagine, in complesso, si sviluppa negli archi del luccio, alla parte anteriore e media del tronco; ‘fino ad un certo punto il salmone rivaleggia col luccio per la quan- tità di cartilagine, ma poi cede. Nel luccio stesso alla regione critica del tronco ed a quelle anteriore e media della coda si sviluppa minor quantità di cartilagine. aci Il minimum mi venne offerto dai ciprinoidi ad una verteb ra della coda, che è l’ultima di quelle non ancora modificatesi per la pinna caudale. | Gli archi trasversi sono ricchi di cartilagine in tutti î ‘ casi (nel luccio press’ a poco, come gli archi superiori corrispondenti). Ne’ ciprinoidi la. cartilagine va decrescendo andando dalla re- gione anteriore del tronco alla posteriore; questa. perdita 2 fi duale è risentita specialmente dalla parte posteriore della “vere tebra e dalla parte vicina all’ arco superiore. 3 e alato 8:51 [eb asta CONCLUSIONI DI UNO STUDIO SULLO SVILUPPO, ECC. 373 Nella 4.* e 5.* vertebra de’ ciprinoidi (tutti ?)! gli archi si svi- luppano con molta quantità di cartilagine; tra la cartilagine dell'arco superiore e quella dell’inferiore (in individui da 20 a 60 mmt.) non c’ è spazio che per un sottil strato osseo; lo spazio è maggiore, ma non di molto, tra le basi degli archi superiori e tra quelle degli inferiori. Nella 5.*, alla stessa epoca, nella parte anteriore della vertebra, in prossimità alla corda la cartilagine degli archi superiori tocca direttamente quella degli archi infe- riori. In quest’ epoca, la quantità di cartilagine delle nominate due vertebre par maggiore che nella corrispondente epoca sulle cor- rispondenti vertebre del luccio, tra i cui archi restano sempre grandi spazî; più tardi, ne’ ciprinoidi, la parte di cartilagine ‘che è addossata alla vertebra continua ad estendersi in super- ficie, appunto come negli altri processi trasversi; ed ancora come in questi, la parte distale subisce una degenerazione adiposa (?) Nella coda (de’ ciprinoidi) la cartilagine dell’ arco interiore d’un lato può fondersi, alla base, con quella dell’ altro lato. Nel luccio e nel salmone c’ è un momento, in cui gli archi tutti sono sviluppati e tutti constano soltanto di cartilagine; la loro base abbraccia molta parte della corda; i superiori della maggior parte (anteriore) del tronco raggiungono il livello su- periore del midollo spinale e non si congiungono tra loro; ciò fanno però gli altri archi superiori, i quali presentano già un accenno d’apofisi spinosa. Alla parte posteriore del tronco gli inferiori vanno allungan- dosi e possono esser riuniti per ponti di varia forma come nel- l’adulto (con molte varietà individuali per numero e forma); non di rado esistono forme di transizione da questi archi uniti a ponte a veri archi inferiori con apofisi spinosa. 1 Un motto sulle loro prime quattro vertebre. La maggior parte (e precisamente la distale) dell’ arco superiore della 1.8 vertebra forma la stapes; una parte simile della 2.8 forma l’incus; l’ arco trasverso della 3.8 forma il malleus. Il claustrum mi sembra differenziato dal cranio. Le ‘prime quattro vertebre non hanno coste. Ciò a rettifica del recente lavoro di Nusshbaum. i 374 B. GRASSI, È Anche ne’ciprinoidi questi ponti si sviluppano per tem ma ossei. Ad un periodo ulteriore nel luccio e nel salmone quando, cioè, si è sviluppato l’osso, la cartilagine diventa. quasi limitata alla base dell’ arco; qui però come negli altri archi ad apofisi spinosa, per un certo tempo può conservarsi un po? di cartilagine al punto, donde dipartesi dall’arco l’apofisi spinosa. La cartilagine degli archi dorsali si conserva per molto tem- po, almeno nel luccio (la trovai in individui di 15 e più cent.), però non cresce più in lunghezza; sicchè presto non raggiunge più il livello della faccia superiore del midollo. L’arco continua ad allungarsi per mezzo di tessuto osseo. "odo I fatti esposti dimostrano che ne’ teleostei la cartilagine è in gran riduzione; oltracciò permettono di presumere che, là dove or non se ne sviluppa, è avvenuto un accorciamento di sviluppo; ed infine rendono fondata l’idea che, perfino ne’ an- tenati dei lucci, ne esistesse in maggior quantità di quel,che negli attuali. La fusione della cartilagine degli archi inferiori (alla coda) e quella dei superiori cogli inferiori (alla 5.* verte- bra ne’ ciprinoidi) sono per avventura residui dell’antico edifi- zio e spie del dominio che una volta possedea la cartilagine nella colonna vertebrale. * Alla parte dorsale del midollo spinale decorre il legamento vertebrale superiore. Esso si sviluppa press’ a poco contempora-. neamente agli archi ed è costante in tutti i Teleostei. AT di- sotto di esso e al disopra del midollo spinale ed al di dentro ed un po’ all’indietro degli archi superiori, nel tronco, ad un pe- riodo relativamente tardivo, quando, cioè, questi hanno già rice- vuto un involucro osteoide ed osteoide è la loro punta, compaiono , IRTcigalIoo i Almeno in alcuni acantotteri la base degli archi nell’ embrione è fatta di carti- lagine; perchè i ciprinoidi sono per la loro organizzazione complessiva più primitizà che gli acantotteri, ell’è naturale l’illazione che la quantità di cartilagine per sè stessa non è prova di primitività. Ciò armonizza con quanto Gegenbaur ha osservato pel cranio dell’alepocefalo. | s09 R00G Ae re gere © nn . 5 e © = o » CONCLUSIONI DI UNO STUDIO SULLO SVILUPPO, ECC. 375 per ogni vertebra due pezzi (intercalari) cartilaginei uno per lato (nei salmoni, nei lucci e nelle clupee); presto essi si toccano sulla linea mediana e si fondono insieme; possono assumere anche forma complicata specialmente alle vertebre anteriori (nel luccio); cre- scono col crescere dell'animale. Nelle vertebre anteriori del luccio già in individui giovanissimi s’estendono in .giù. della metà dell’altezza del midollo. La loro cartilagine non si fonde almeno in molte vertebre con quella degli archi; sibbene ciò fa l’osso, che più tardi le involge con quello che involge gli ar- chi stessi. Ne' ciprinoidi ancor giovani si sviluppano dagli archi supe- riori le apofisi già note negli adulti, che fanno da suolo al le- gamento vertebrale e da tetto al midollo. Essi sono forse omo- loghi ai pezzi cartilaginei or ora accennati. “Ne’ciprinoidi si sviluppano cartilaginei anche i due pezzi 0s- sei che coprono il midollo nelle prime vertebre: di questi l’an- teriore si perde nell'estremo anteriore del legamento vertebrale, il posteriore poi copre il legamento stesso. Per questi rapporti i pezzi in discorso non si possono paragonare agli altri qui so- pra descritti. Altri pezzi in rapporto cogli archi sono i così detti porta pinne od ossa interspinali. Ho detto che gli archi superiori per la maggior parte del tronco nel salmone e nel luccio non si congiungono mai in apofisi spinosa. Ne’ giovani, quando gli ar- chi stessi sono del tutto cartilaginei ed arrivano colla loro estre- mità libera press’ a poco a livello del legamento vertebrale su- periore, poco al disopra di questo, si sviluppano cartilaginei i portapinne; uno per ogni vertebra, anche là dove mancano le pinne; se l'estremità prossimale del portapinne si biforcasse in due cortissimi rami congiungentisi coll’ estremità libera degli. archi superiori, noi avremmo un arco con apofisi spinosa, pres- s'a poco come quelli della regione della coda. 376 B. GRASSI, Col prolungarsi degli archi i portapinne liegt ® tr compresi per un tratto più o meno lungo. Ne’ ciprinoidi gli archi superiori anche al tronco Me È gono (come negli altri teleostei) alla coda, e per. paso mando una lunga apofisi spinosa. Portapinne si possono » però sviluppare anche là dove si formano apofisi spinose, con cui però manifestano sempre evidenti rapporti. Anche ne?’ ciprinoidi i portapinne sviluppansi cartilaginei, nonostante che levcorri- spondenti apofisi sviluppinsi ossee. ora Mt B. Coste. E TT Le coste si sviluppano al limite peritoneale dei legamenti in- termuscolari ventrali, più tardi che gli archi ed in generale an- dando dali’ avanti all’indietro. Dapprima si nota un accumulo. di connettivo embrionale. vane Nel luccio e nel salmone la costa si preforma cartilaginea; la cartilagine è assai più abbondante nel luccio che nel sal- mone. La costa al primo apparire non è molto lunga; la sua cartilagine riceve per tempo un involucro osteoide. che però non s’estende all'estremo distale della costa; qui essa conti- nua ad allungarsi, sviluppando dapprima cartilagine che poscia riceve il velamento osteoide, come nella parte precedente. Non molto di rado accade (specialmente alle coste posteriori), che l’osso ravvolge anche l’estremo distale, ma ben presto al di là di questo osso si sviluppa nuova cartilagine; e così la. costa continua a crescere e la cartilagine della costa appare interrotta in uno o parecchi punti. Ne’ ciprinoidi si può ritenere che questa eccezione è diventata la regola; la costa si sviluppa per un pri- mo e lungo tratto senza cartilagine; poi comincia la cartilagine che in molti punti viene interrotta dall’ osso. Quasi sempre su una sezione trasversa la cartilagine è in maggior quantità verso l'estremo distale di quel che prima di esso. ino gle Ne’ teleostei si può dire che le coste hanno origine indipen- | CONCLUSIONI DI UNO STUDIO SULLO SVILUPPO, ECC. 377 dente dagli archi, se si parla di coste soltanto allora quando si è già formata cartilagine, od osso. «Nel luccio e nel salmone, tra l’arco trasverso e la costa, nel primo momento, resta un sottil strato di tessuto connettivo em- brionale .che alla sua parte mediana rapidamente, nel luccio, si trasforma in cartilagine; sicchè l’arco trasverso diventa in con- tinuazione diretta colla costa e non si saprebbe dire dove quello finisce e comincia questo; subito però il confine resta accennato con sicurezza dall’involucro osteoide che circonda la costa e cessa là dove si formerà l’ articolazione. La descritta unione succede anche nel salmone; ma la carti- lagine che la forma è a cellule più piccole e pare che possieda sempre pochissima sostanza intercellulare, facilissimamente colora- bile: in ciò essa si differenzia dalla cartilagine degli archi e delle coste. Questo carattere persiste ancora ne’ salmonidi di 5 mesi. Ne’ ciprinoidi il tessuto embrionale che divide le coste dal- l’arco trasverso è più abbondante; si trasforma per tempo in cartilagine simile a quella del salmone; essa pure mantiensi lungo tempo e senza mutar struttura, e viene ad essere separata in- teramente dall'arco, appena quando la cartilagine contigua di questo va distrutta, come sopra ho detto. Le coste posteriori meritano speciale considerazione. Anche agli archi congiungentisi per ponti possono corrisponder coste; ne’ salmonidi ciò può accadere anche ad un paio d’archi che formano già una corta apofisi spinosa. Le coste corrispondenti a questi archi e non di rado anche a parecchi de’ precedenti mon unentisi a ponte (in tutte le famiglie de’ teleostei) non en- ‘trano in connessione cartilaginea coll’arco, ma tra la costa e l’arco si sviluppa soltanto tessuto fibroso. . Come.gli ultimi archi trasversi, così le ultime coste presen- tano frequenti variazioni individuali ed abbondanti variazioni ‘specifiche. | «Non di rado alcune coste posteriori appaiono rudimentali in confronto alle altre; archi che in certi individui portano coste, ponno esserne privi in individui d’ugual grandezza. Da una 378 Bi GRASSI UO ‘Ml dIRZIAINON parte può esservi un arco trasverso cone A “dall l’altra soltanto un arco trasverso un po” più lungo: | 0° È pr Ne’ ciprinoidi talvolta gli ultimi archi trasversi che pori tano coste sono ossei; talvolta alcuni con un nucleo cartilagineo alla. base non portano coste ecc. L'ultima costa mi apparve sciolta in varî pezzi, corti, discosti l’uno dall’ altro e fatti di cartila- gine involta d’osso (in un luccio di 4 cent.) | n Le ultime coste del luccio si perdono colla ioni estremità distale ne’ setti intermuscolari ventrali. si TA Va stai | 4 sosti | He, > shine ei cela I dati embriologici non contrastano in alcun modo l'idea (fondata sull’ anatomia comparata) che gli archi inferiori “x coda ne’ teleostei siano omologhi ai processi (archi) trasi ersì . del tronco. a | Ho già accennato che nel salmone v’ ha un tempo Re le coste non sono ancora sviluppate ed invece esistono già i a cessi trasversi e gli archi inferiori: in questo tempo mi chiaro che gli archi inferiori sono omologhi ai processi tra- sversi. E A dissipare qualunque dubbio concorrono le seguenti osser- vazioni: pei Ù vegi 0lE 1.° le coste si sviluppano in certo senso indi penitente pg pari} AMS RESA ° questa indipendenza è suit e permane nelle coste posteriori 1 GAL GRIRF .° le coste vanno sviluppandosi dall’ avanti all’ indietro . le coste, in contraddizione cogli. archi trasversi, alla hei posteriore del tronco tendono a sparire; ordinariamente — là dove si riduce la cavità addominale, non s ‘avvicinano l’una | all’ altra co’ loro estremi, ma s' internano nei i sepimenti'i er-. muscolari; si "4° I 5.° archi inferiori con ‘apofisi spinosa, in cui siavi. viola CONCLUSIONI DI UNO STUDIO SULLO SVILUPPO, ECC. 379 di divisione in due pezzi (accennante a costa ed arco) non si vedono in nessuna epoca. C. Ariste” Credo opportuno di far seguire allo studio delle coste alcune osservazioni sulle ariste, che parecchi giudicarono coste od or- gani simili. ( Esse si sviluppano più tardi che le coste senza preformarsi cartilaginee. ° Quelle che nell’adulto restano in continuazione cogli archi della vertebra (le ariste oblique dorsali anteriori per es. del luccio) si sviluppano già in continuazione colla lamella ossea che involge la loro cartilagine. Negli altri casi 1’ unione col corpo della vertebra, o co’ suoi archi, accade per mezzo di un tessuto ten- . dineo. Al posto, in cui in una specie trovasi un’arista, in un’altra può vedersi un semplice tendine: in certi setti intermuscolari l’ arista può del pari esser surrogata da un tendine. "Cerchiamo ora di istituire le comparazioni colle altre classi di pesci. È necessaria la seguente premessa. I pesci ossei hanno in complesso un numero di vertebre molto minore di quello degli altri pesci: pare ragionevolissimo di am- mettere che anche ne’ progenitori dei primi fossero molto nu- merose. Perchè archi e corpi delle vertebre (vedi più innanzi) vanno sviluppandosi dall’avanti all’ indietro, ad eccezione delle ultime vertebre modificate per la coda, il cui sviluppo è relati- vamente molto precoce; ‘egli è verosimile che la scomparsa ‘delle vertebre sia avvenuta press’ a poco nella regione media della tu £1)?7 ! Griiten dei Tedeschi. È Così anche nella perca : le cui coste, si sviluppano come quelle da’ ciprinoidi, Nel salmone sì trovano le cosidette cartilagines intermusculares, di cui parlerò a lungo in extenso. 380 B. GRASSI, coda (queste vertebre sono anche nel luccio le gi ip cartilagine), ossia là dove le vertebre sono ultime a svilupparsi. Conseguentemente vertebre del tronco saranno venute ad ap- partenere alla coda: da indi una riduzione della cavità addo- minale, da indi un alterarsi della posizione e funzione delle co- ste. Non è improbabile che il fuoco non siasi ancora spento e che possa venire un tempo in cui il numero delle vertebre dei teleostei sarà minore di quel che al presente; le facili anomalie | alla regione critica del tronco depongono forse in favore della mia supposizione. 20, A Questa premessa ci deve rendere assai cauti nel paragonare gli archi d’ un teleosteo con quelli degli altri pesci; egli mi sembra evidente che, per es., la ragione critica d’uno sturione. può essere apparentemente simile a quella d’ un teleosteo, ma essenzialmente è qualcosa di molto diverso; ciò che del resto ci suggeriva già il concetto della parentela tra teleostei e sturioni, che abbiamo accennato nel principio di questo sunto. {°° Fondamentalmente però i teleostei concordano cogli altri pe- sci: quattro archi (in origine cartilaginei) s'incontrano sì in quelli, che in questi. Il paragone regge intiero, com’è naturale, soltanto negli stadî embrionali. | DATO] Comincio cogli archi superiori. Ne’giovani selacei gli archi superiori d’ un lato sono separati da quelli dell’ altro lato ‘e dal corpo vertebrale e dagli archi inferiori; sono cilindrici. e sottili, s’ estendono press’ a poco fino al livello del legamento fibroso superiore. Insomma corrispondono in tutto con quelli del tronco ne’ lucci e ne’ salmoni: i portapinne degli embrioni de’ selacei, (benchè si trovino appena là dove sonvi pinne) son paragona- bili a quelli degli embrioni de’ nominati teleostei (ancora al tronco); il legamento vertebrale superiore pare omologo. | Marg Ma sì ne’ teleostei che ne’selacei esistono altri pezzi per cui il paragone non regge intiero. Gli intercalari neurali de’ selacei non si sviluppano tardivamente e non hanno la posizione dei pezzi intercalari che ho in addietro accennati nei fisostomi : neppure gli intercalari spinali sono ad essi paragonabili. In CONCLUSIONI DI UNO STUDIO SULLO SVILUPPO, ECC. 381 quanto però gli intercalari neurali e spinali sono disposti in modo da formare la parte dorsale del canale spinale e da ser- vire, per così dire, come letto al legamento vertebrale superiore, mostrano un’ indubbia simiglianza coi pezzi intercalari de’ te- leostei. Non dimentichiamo però che già nell’embrione del selaceo' l’astuccio cartilagineo attorno al midollo spinale è molto più completo che nel teleosteo. Gli archi superiori degli sturioni hanno grandissima simi- glianza con quelli de’ selacei e perciò presentano anche affatto simili convergenze e divergenze con i teleostei. Quelli dei ganoidi ossei per il poco dominio della cartilagine ed il grande dell’ osso s’accostano ai teleostei. I pezzi speciali collocati sopra al midollo spinale e sotto al legamento verte- brale superiore si riscontrano fors’ anche ne’ ganoidi ossei. Pa- recchie differenze coi teleostei si possono spiegare ammettendo una progressiva riduzione della cartilagine andando dai ganoidi ai teleostei; resta però sempre una grossa differenza nella di- sposizione della cartilagine. Finisco questo tentativo di confronto per gli archi superiori, ponendo la quistione, se il loro svilupparsi prima degli inferiori può mettersi in rapporto con ciò che ne’ ciclostomi gli archi inferiori sono rudimentali ed in una specie sono limitati alla coda. Negli archi inferiori le convergenze sono minori che ne’ su- periori. Alcuni punti sono evidenti, cioè dire che gli archi in- feriori. de’ teleostei alla coda non sono omologhi che parzial- mente a quelli dei ganoidi ossei, laddove lo sono interamente gli archi trasversi e le coste al tronco. Non così chiaro è il si- gnificato degli archi inferiori della coda ne’ selacei e ne’ aci- penseridi. Parecchi forti indizî però ci portano ‘ad avvicinarli a quelli de’ ganoidi ossei e perciò a differenziarli da quelli dei’ teleostei; se. ammettiamo che anche ne’ selacei ed. acipense- ridi sia avvenuta una riduzione della cavità addominale, pos- siamo pensare che essa sia accaduta, per così esprimermi, nella 382 | B. GRASSI, n direzione su cui si è continuata ne’ ganoidi ossei e che ne” te. leostei abbia seguito un’altra via. o, È quistione se le coste de’ selacei e de’ acipenseridi siano , omologhe a quelle de’ teleostei. I rapporti che le coste de’ se-- lacei hanno con i processi trasversi durante lo sviluppo (se ci affidiamo ad alcune sommarie notizie di Balfour) trovano intero riscontro ne’ teleostei, eccezion fatta delle ultime coste, che nei selacei si sviluppano come le anteriori. Sta però il fatto | esse hanno quasi sempre posizione diversa; diversa sì, ma non fondamentalmente, come ha notato Gecgibatiti aio” AR Le coste ne’ giovani acipenser, a quanto sembra, tia 1 colla cavità addominale rapporti quali si. verificano ne °teleostei; esistono fors’anche simiglianze di struttura (il presentarsi della cartilagine sciolta in varî pezzi, ecc.). DIRO RO Goette crede che quelle ariste laterali, le dol S” ‘attaccano ai processi trasversi, siano omologhe alle coste dei selacei: co con ciò viene a far nascere una distinzione delle ariste laterali in due differenti classi. Lo che è assurdo quando si ‘considera la va- riabilità d’ inserzione delle ariste laterali nelle varie regioni di un medesimo animale; inoltre con questo suo modo di vedere hanno vere coste appena alcune poche forme dal più al meno. aberranti. RIA. Combatte decisamente l'opinione di Goette la Stara dello sviluppo delle coste e delle ariste laterali. Il fatto del mona- canto citato da Goette è inconcludentissimo. Meta. nice 1. 2196 $ 3. CORPO DELLA VERTEBRA. , 30 GR Esso è formazione tardiva più d’ogni altra parte della co- lonna vertebrale; non si preforma mai cartilagineo; “RARA dal connettivo attorno alla corda. ilo Comincia a comparire il doppio cono; ben presto però sor- gono, in immediata continuazione con esso, alla sua superficie | esterna (specialmente verso la parte mediana delle vertebre) la- CONCLUSIONI DI UNO STUDIO SULLO SVILUPPO, ECC. 383 melle ossee complicate nel luccio, semplici e simmetriche nei ciprinoidi. In. certi lucci occorre di trovare, alla regione critica del tronco, cartilagine in mezzo all’osso del doppio cono; con que- sta insolita struttura s’ accompagna un disordine degli archi. Siamo davanti ad anomalie di prima formazione, od acquisite (frattura riparata)? Si ha ragione di credere che in queste re- gioni le fratture siano frequenti; ma si sa anche che ne’ pletto- gnati ed in alcuni acantotteri il corpo è fatto di lamelle ossee tra cui secondariamente si depone della cartilagine (ialina ?). Quando l’arco si sviluppa senza che si preformi cartilagine, già al suo primo apparire è fuso col corpo della vertebra; quando sì preforma poca cartilagine (archi anteriori e medî della coda nel luccio e nella trota) accade non molto tardi una fusione . dell’osso che la involge con quello della vertebra. Quando in- fine la cartilagine preformatasi è abbondante, gli archi restano permanentemente separati dal corpo vertebrale (e questo caso molto verosimilmente rappresenta la condizione primitiva); al- lora la cartilagine può dividersi per tempo, più o meno com- pletamente, in due pezzi sul piano in cui è cessato l'osso del- l’arco e non è ancora cominciato quello della vertebra. Le cognizioni sullo sviluppo del corpo vertebrale dei selacei e dei ganoidi ossei sono un po’ incomplete e però non posso istituir con essi un confronto molto fruttuoso. L'assenza di cartilagine ne’ teleostei può forse spiegarsi come un accorciamento di sviluppo, paragonabile a quello degli archi dorsali de’ ciprinoidi. Già ne’ ganoidi può incontrarsi la fusione dell’arco col corpo. 384 B. GRASSI, $ 4. CONSIDERAZIONI ct) AR iO SULL’ ORIGINE DELLO SCHELETRO CARTILAGINEO. — — ia IRR Te ra : o an Nello sviluppo del teleosteo v’ha un momento in cui la. mu- sculatura è già divisa in porzione dorsale e ventrale ed.i io- commi. Lo scheletro non è rappresentato che dalla corda e e per- ciò alla musculatura manca l’appoggio dello scheletro. A livello dei legamenti intermuscolari si notano allora dattorno alla corda due spazî dorsali e due ventrali, occupati da connet- tivo embrionale; nel mezzo di essi si sviluppa la cartilagine. de- gli archi; comincia con pochissime cellule a scarsissima sostanza intercellulare. Egli è evidente che finchè questa cartilagine non ha raggiunto un certo volume, non può nè difendere parti. de- licate, nè offrire appoggio ai muscoli, ossia non può funzionare così come farà più tardi. Se. pensiamo che una simile condizione di cose dev’ essersi ri- petuta anche filogeneticamente, siamo portati a conchiudere o che questo scheletro cominci casualmente e senza funzione, oy= vero che abbia originalmente avuto un’altra funzione. Soltanto questa seconda proposizione ci pare accettabile : Gegenbaur ha già dimostrato che nella storia dello sviluppo degli organi un cambiamento di funzione è uno dei principî più razionali e più costanti a verificarsi in natura.’ i Qual può essere stata quest'altra funzione? Man mano che ingrandisce l’animale, le cellule embrionali che riempiono i quattro cennati spazî per non lasciar sorgere delle lacune dovrebbero, o moltiplicarsi, ovvero segregare s0- stanza per es. ienifoli In fatto segue quest’ultimo pro- cesso, il quale rappresenta un’ economia di lavoro, di cui tro- viamo molti altri casi nella serie animali: l'economia comincia al cominciare della secrezione. .*. 4 Questo principio annulla una seria obbiezione al Darwinismo, avanzata dal prof. Mantegazza. CONCLUSIONI DI UNO STUDIO SULLO SVILUPPO, ECC. 385 Secondo questo concetto la funzione della cartilagine in di- scorso al primo svilupparsi si ridurrebbe al riempire le lacune. Con ciò non è ancora detto però come siasi sviluppata cartila- gine, invece che un altro tessuto economico. Questa difficoltà ri- ceve un po’ di luce dalla seguente considerazione. Io non escludo che in una parte delle supposte forme senza scheletro siasi svi- LI luppato, per es. adipe; è naturale però che quelle in cui aveva cominciato la cartilagine, ad un certo momento, abbiano otte- nuto un gran vantaggio nella lotta per l’esistenza. Il quì cennato tentativo di spiegar la prima formazione dello scheletro è sorretto anche da ciò che si osserva nelle altre classi di pesci. I quattro archi sono fondamentali in tutte; quando si pensa quante divergenze s'incontrano nelle singole classi, non si può disconoscere il grande significato di questa convergenza in un punto tanto essenziale. Un momento, in cui gli archi non funzionano nè ‘come organi di sostegno nè come organi di protezione, accade verosimilissi- mamente in tutte le altre classi di pesci. Una volta pronunciatasi la funzione d’attacco per la musco- latura, è sorta una condizione per uno sviluppo sempre crescente di questo scheletro; anche qui, come in molte altre parti, la muscolatura sarà stata a sua volta causa di maggiori complica- zioni; il connettivo intermuscolare essenzialmente indica la via su cui gli archi possono prolungarsi. Ad un certo momento sarà diventata utile la segmentazione. Da questa possiamo dedurre i portapinne e le coste. Se si pensa che dallo scheletro assile è deducibile il cefalico e da questo è deducibile quello degli arti, ei si vede a che sem- plicità può ridursi quella così complessa macchina che è lo sche- letro d’un vertebrato. Vol. XXV. 25 386 B. GRASSI, $ 5. CONSIDERAZIONI asspi anke OG SULLO SVILUPPO DELLO SCHELETRO OSSEO, |<’ 1tde ONG ri sossth “ Egli è noto che sulla patria primitiva dello scheletro 08880 le opinioni sono molto divise; v° ha chi s’ attiene ad un duali- smo e chi tende ad un monismo. sata Perchè in questa disquisizione i teleostei. hanno già offerto dati preziosi, è naturale ch’io tenti di far PASSATO i fatti c la me raccolti alla stregua delle due ipotesi. Ho escluso una vera partecipazione delle membrane delle orde alla formazione dell’ osso; questo fatto al mio parere rende pi piana la via a chi vuol accostarsi al monismo. Ho dimostrato che ossa indubbiamente primordiali (archi ver- tebrali) possono indifferentemente svilupparsi con, o senza pre- formarsi cartilaginei. Questo fatto contraddice la regola di Kol- licher (1879): Die Primordialknochen (sind) ohne Ausnahme als Knorpel praeformairt. 6, Anche le seguenti considerazioni confortano il concetto mo- nistico: | 1.° Esiste un parallelismo tra le ossa primordiali del cra- nio e la colonna vertebrale: in ambo i casi, cioè, tutte le ossi- ficazioni originano pericondrali e la cartilagine si mantiene par- zialmente nelle ossa dell’ adulto; in diverse proporzioni però nei Mivar teleostei; ! ° Abbiamo ragioni per credere che gli archi pit del reti nel luccio e nel salmone in gran parte (la distale, quella cioè che sta al di là del legamento vertebrale ed a lato del por- tapinne) siasi sviluppata senza preformazione cartilaginea. Questi , archi sono perciò in certo modo ossa in parte primarie ed in parte secondarie; 4 In quest’òrdine di questioni entra quella del perchè alcune parti della colonna vertebrale si preformand cartilaginee ed altre no; tutto conduce a credere che là. dove compare ancora cartilagine, una volta essa era in maggior quantità che nélle parti da cui è già interamente scomparsa; là perciò l’ osso nella lotta per l’esistenza ha trovato maggiore opposizione e la cartilagine non ha ancora ceduto. CONCLUSIONI DI UNO STUDIO SULLO SVILUPPO, ECC. 38 3.° Lo scheletro osseo per un’ epoca embrionale non corta e per una quantità non inconsiderevole è ne’teleostei tutti rap- presentato da un tessuto osteoide senza cellule che perciò trova riscontro nella dentina. Questo tessuto può formare fors’ anche tutto lo scheletro compreso le ariste, allo stato adulto. Kolliker, che ha già osservato questi fatti nell’ adulto, da molte ricerche ha conchiuso che die Gruppe welche cichtes Kno- chengewebe besitet, die grosse Mehrzahl der hòher organisirten Knochenfischen in sich schliesst. Egli inoltre aggiunge che esiste un’ analogia dello scheletro interno con quello integumentale sicchè kein Fisch dessen inneres Skelet der Knochenkòrpchen ent- behrt, solche in der Haut zeigt, wogegen allerdings von den Fi- schen mit dichten Knochengewebe lange nicht alle auch in den Schuppen solches besitzen. A primo aspetto possono parer contrarî al monismo i seguenti fatti: | 1.° l’ossificazione degli archi è primitivamente indipendente da quella del corpo vertebrale; su qual strada ossificazioni cu- tanee o mucose possono esser arrivate al corpo vertebrale? 2.° le ariste talvolta son rappresentate da semplici tendini; pare quindi naturale d’ ammettere che il connettivo siasi man mano ossificato senza invocare l’approfondarsi di ossificazioni cu- tanee. Questo fatto acquista un certo valore per i rapporti di certe ariste cogli archi. E l’una e l’altra obbiezione al mio parere non sono gravi: dimostrano soltanto che i fatti necessarî a scioglier definitiva- mente il problema, debbonsi ricercare in forme molto più pri- mitive che non siano i teleostei. * + NB. Questo lavoro venne da me fatto nel Laboratorio del prof. Gegenbaur, al quale mi dichiaro obbligatissimo. Heidelberg, luglio 1882. Rio Qui non alludo alle pretese ossa della colonna vertebrale de’ selacei: esse, come dimostrerò nel lavoro esteso, sono cartilagine modificata. Dl. A I si Li ni Li oe p° A ni TRASI attoo. og! sisuvido 30ga/ Pata” ‘todd «Mpini RESTA: ate: vafaf'amioli. arore bario auos L MM 190 af ai SI 89 ahioszso Ta) %i pe | LR a > gr Id SOA a #, nd ieri UdRda . , "su Getto PTT Pa i è, ralTa E Vert c da TULA A A L HI OROCd BIEL / : sr % z ; (® };: ri La a nd ®, D 5) dr s sd feta O | AE Len ni Dia é va x ‘ % ‘ È CI Le } i; i filof id 19 * # , ‘ x €)? A 2% L . ra i (OG aio th | A 4 r e TA ae al 7 : i FITEI PESA Tag RI :; AZ ng ei [ bf il:ard zia 1 © | [a È Pa ov 19 Bi cb TZ n ch 4 RI 03 1 Iriaos x ou : te sh e ‘ i s nato 101 Mep < » € , 4 PR |] « Mi Pica à * Si tt it uti ta È «Dax d ii ti VIX-10W Wide ate?! 311 cneoì .VX 167400061 cn ON RAGA a do «aent dal 4 . vividi è : e" : phi 3 Ma N ff 1 A Mb, oo Ra nen‘ N * EEA w v No, TORI 1% Ap ni ; ‘ A ° ® afuni peso, ti SIG6b04 stro nto Lr paro Tarare «Emana LITY to VOrtaet ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO OD IN CAMBIO ALLA BIBLIOTECA SOCIALE NELL’ ANNO 1882. PUBBLICAZIONI PERIODICHE DI SOCIETÀ ED ACCADEMIE SCIENTIFICHE. Italia. Bullettino Meteorologico dell’ Osservatorio del Collegio Reale Carlo Alberto in Mon- calieri. Torino, 1873, 8.9, Vol. VIII, N. 4-5. Bollettino decadico di detto Osservatorio. Anno X, N. 11-12; Anno XI, N. 1-8. Bollettino mensuale di detto Osservatorio. Serie II, Vol. I, N. 9-12; Vol. II, N. 1-6. Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, ivi, 1881, 8.9, Vol. XVII, dispen- se 1-7. Bullettino dell’ Osservatorio della R. Università di Torino, ivi, 1882, Anno XVI (1881). Giornale della Società di Letture e Conversazioni scientifiche di Genova, ivi, 1881, 8.0, Anno V, fase. XI-XII; Anno VI, fase. I-VIII. Bullettino dell’ Agricoltura. Milano, 1882, 8.°, Anno VI, N. 1-51. Bullettino necrologico mensile del Comune di Milano, ivi, 1881, 4.°, settembre-dicem- bre; 1882, gennaio-agosto. i Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Milano, 1881, 8.°, Se- . rie II, Vol. XIV, fase. 18:20; Vol. XV, fase. 1-18. Indice del Vol. XIV. Atti dell’Accademia Fisio-Medico-Statistica di Milano, ivi, 1882, 8.°, Anno Accade- mico 1882. nof Atti dell’ Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti in Bergamo, ivi, 1881, 8:°, Anno V, di- spensa unica. Atti della Società Veneto-Trentina di Scienze naturali residente in Padova, ivi 1882, 8.°, Anno 1881, Vol. VII, fase. 2. 390 LIBRI IN DONO, ECC. Bullettino della detta Società. Tomo II, N. 2. 2 Atti dell’ Accademia Olimpica di Vicenza, ivi, 1879, 8.°, Vol. XIV, Sem. I e II 1879; Vol. XV, Sem. I e II 1880. Homorie dell’Accademia d'’ Agricoltura, Arti e Commercio di Verona, ivi 1882, 89, Vol. LVIII della Serie III, fasc. 1-2. Bullettino dell’ Associazione Agraria Friulana. Udine, 1882, 8.°, Serie III, Vol. V, N 1:51. |; è 65 sb avis Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Vanguili 4254028 89, T. 8, Serie V, disp. 1-8. i raolid L’ Ateneo Veneto. Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Vengo 1881, 8, Serie IV, N. 5-7; Serie V, N. 1-3. pi et act L’Amico dei Campi. Trieste, 1882, 8.0, Anno VIII, N. 1-10. ERESIA d Memorie dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, ivi, 1882, fi Serie. IV, Tomo II, fasc. 4; Tomo III. fase. 1-2. vi Rendiconto delle Sessioni dell’ Accademia suddetta. Anno accademico 1881-82, ‘rombi Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna dalla sua origine a tutto il 1880. Bologna, 1881, 8.°, volume unico, Bullettino di Paletnologia Italiana. Reggio d’ Emilia, 1881,:8.0, Anno VII, N. 1-12; Anno VIII, N. 1-9. Indice dell’anno 7. Bibliografia paletnologica italiana dell’anno 1880-81. Atti della Società Toscana di Scienze naturali. Processi verbali, Vol. III, Adunanze 13 nov. 1881, 8 genn. 1882, 7 maggio 1882, 2 luglio 1882. Bullettino della Società Abrabiogica Italiana. Firenze, 1881, 8.°, Anno XIII, T. III e IV; Anno XIV, T. I-II; Anno XV, T. I. spinti Atti della Regia Accademia dei Fisiocritici di Siena, ivi, 1881, 4.0, Serie II Vol. III, fasc, 4-6. ‘rode Rapporti e Processi Verbali di detta Accademia. Siena, 1882, 8.°, T. L, fase. A na Atti della Regia Accademia dei Lincei. Roma, 1382, 4.9, Serie III, Transunti, Vol. VI, fase. 3-14. DIE ‘Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia. Roma, 1881, 8.°, Anno 1881, N. 11 pp Anno 1882, N. 1-8. SR sO Bollettino delle Finanze, Ferrovie e Industrie. Roma, 1882, 8.°, Anno XV, N. rise i Atti del Reale Istituto d' Incoraggiamento alle Scienze Naturali, Economiche e tra nologiche di Napoli, ivi, 1881, 4.°, Serie II, T. XVII, parte II. SEA Rendiconti della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Nago ii) 1881, 4.0, Anno XX, fase. 10-12; Anno XXI, fase. 1-10. s04 Veni Il Picentino. Salerno, 1881, 8.°, Anno XXIV, fase. 11 e 12; Anno XXV, faso. e è; Giornale ed Atti della Società d’ Acclimazione e Agricoltura în Sicilia, Palera Di __ 11881, 8.°, Vol. XXI, N. 11 e 12; Vol. XXII, 1832, N. 1-8. 4 o Atti della Reale Accademia di Scienze, lettere e belle arti di Palermo, ivi, 1989, 14%, __ Nuova Serie, Vol. VII. Atti dell’ Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania, ivi, 1881, 49, Fori At, ‘Tomo XV-XVI. MAT 1TZ7 > basati. 4° d è try i SOGIARI 3) PRETI i 4 LIBRI IN DONO, ECC. 391 Francia. Bulletin mensuel de la Société d’ Acclimatation. spesi 1881, 8. o, 3e Série, Tome VIII, “N. 10-12, T. IX, N. 1-10. Bulletin de la Société Botanique de France. Paris, 1881, 8.°, T. 28 1881, Comp. R. 5; T. 28 1881, C. R. 6; T. 28 pci Revue bibliogr. D.; T. 28 1881, Revue bi- bliogr. E.; T. 28 1881, Sess. Extr. è Fontainebleau. Revue Shooibtene Annecy, 1881, 8.°, Année 22, N. 11-12; Année 23, N. 1-9. Bulletin de la Suciété libre d'émulation du commerce et de l’industrie de la Seine Inférieure. Rouen, 1881, 8.°, Exercice 1880-1881. Bulletin mensuel de la Société Linnéenne du Nord de la France. Amiens, 1880, 8.°, T. V, N. 99-109. Mémoires de la Société des Sciences physiques et naturelles de Bordeaux. Paris, 1880, 8.0, T. IV, 3 cahier. Société d’histoire naturelle de Toulouse, ivi, 1878, 8.°, XIT Année, 3 fase.; XIII Année, 1 fasc.; XIV Année, 1-4 fase. MERI Svizzera. Beitrige zur Geologischen Karte der Schweiz. Bern, 1881, 4.°, Lief. 23. Con carta. Blatt XIX. Mittheilungen der Naturforschenden Gesellschaft in Bern aus dem Jahre 1881, Bern, 1882, 8.°, heft II, N. 1018-1029. 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Sciences Natur vile Basel, tap °, Band, XXVIII, Abth, 2. -RIRM0Z «E AXAL: dali, 0-4 ,URRL reioletoli agi da è dee 3 ago sd a eng "Willa #2 DIE SI veg isa . ii RA er sii 44 Bulletin'de la Société Royale de Botanique de arti Bruxelle XXV Anniversaire de la Société . Entomologique de Hal èxtraordinaire convoquée pour la commémoration de la ondat 16 octobre 1880. Bruxelles, 1880, 8°. Ì nie Annales de la Société Entomologique de Belgique. Bruxelles, 1a; BE, Procès=-Verbaux des Stances de la Société Etoyale Malacologique de Bel les, 1882, 8.0, 6 nov, 1880, 4 dée. 1880, 8 janvier 1881, 4 dée. 1881. di K Paesi Bassi. Archives du Musée Teyler. Haarlem, 1881, 8.°, Série II, partie. In E. VAN DER VEN. Origine et but de la fondation Teyler. Archives Néerlandaises des Sciences exractes et naturelles. Harlem, 188 XVI, Livr. 3, 4, 5; Tome XVII, Livr, 1, 2. pid. Russia. o cgra ago $i qu ARS Ti ) Mémoires de V Académie Impériale des Sciences de St. Pétersbourg, i 1881; 4,9 Série VII, T. XXVIII, N. 79; T. XXIX, N. 1-4; T. XXX, N, 4-5. use: Bulletin di detta Accademia. 1881, 4.0, T. XXVII, N. 1-4; T. XXVIII, Bulletin de la Société Impériale des Mais. de Moscou, ivi. 1881, c80, 1 innée 1881, 8.9, N. 2-4, Table Générale et Systematique des Mb ntenu ‘les premiers 56 volumes. i ipa Mémoires de la Société Impériale des Naturalistes de Mo; scou, i i, 1881 o.:T. XIVy livrea 2i redie (ai sel pini i la i = 1 4 DI iaia î * e. TOTTÀ Inghilterra. P; cina sit a 6 Proceedings of the Scientific Meetings of the Zoological Solto re Londo? , fi ‘ year 1881. London, 1881, 8.°, Part. III-IV (Year 1879, part. IV; part, III); 1882, part. II. A List of the Fellows. à The illustrated London News. N. 22-34, Vol. LXXX, february 25, 188 Palaeontographical Society. 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Sitzungsberichte der Jenaischen Gesellschaft fiir Medicin und Naturwissenschaft fur das Jahr 1881. Jena, 1881, 80. Sitzungs-Berichte der naturwiss. Gesellschaft Isis in Dresden, ivi, 1882, 8.0, Jahrg. 1882, Januar bis Juni. 58ster Jahres-Bericht der Schlesischen Gesellschaft fiir vaterlindische Cultur fiir 1880. Breslau, 1881, 8°. Siebenter Bericht der Naturwiss. Gesellschaft zu Chemnitz, ivi, 1881, 8°. Notizblatt des Vereins fiir Erdkunde zu Darmstadt, ivi, 1881, 8.°, Folge IV, Heft II, N. 13-14. Verhandlungen der Physical.-Medicin. GPrasfacheti in Wiirzburg, ivi, 1881, 8.9, Neue Folge Bd XVI. Sitzungsberichte der physikalisch. prertraniitt Gesellschaft zu Wiirzburg, ivi, 1881, 8.0, Jahrg. 1881. Sttzungsberichte der physikalisch-medicinischen Societàt zu Erlangen, ivi, 1881, 8.°, Heft 13. TARA PRI Be AITINA E A SN CIVEOAIOAI PIP NIOIIRI X 3 j î : TOR ba di 39£ LIBRI IN DONO, ECC. Correspondenz-Blatt des Zoologisch.-mineralog.- Vereines in Pijea ivi 12.0, Jahrg. 34, 1880, Jahrg. 35, 1881... 4 fa "Re Abhandlungen der Naturforschenden adriana Qu Goòrlite, ii 18 381 , 80. (da SA p XVII. ali a) Sitzungsberichte der mathematisch-physikalischen Classe dol sì — Wissenschaften zu Miinchen, ivi, 1882, 8°. 1882, Heft, rame iv Hd Sechsundzwanzigster Bericht des Naturhistorischen Vereins in Augsbwi 1881, 8°. wi SB pa. - Ag . 50 CANESTRINI GIOVANNI e RiccAaRDO. — Acari Italiani nuovi 0 9%); Ù roti. Y 1882, 8°. PA ERE Curò AntonIO. — Saggio di un Catalogo dei Dista d’ Italia. Parte VI] crolepidoptera. Firenze, 1882, 8°. i si È GARBINI ADRIANO. — Apparecchio della Digestione nel Paltiemonete9 i rona, 1882, 8°. i # od Dn GENTILE G. e GiorGIo RoBERTO SULLIOTTI. — Primo Elenco di Mollusch e fluviatili viventi nel Circondario di Porto Maurizio (Liguria Occ foglio. LA HASswELL A. WILLIAM. — Catalogue of the Australian Stalk-and Sessile- stacea. Sidney, 1882, 8°. 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Navoli, 18 uri | csi =S i n Di vario argomento. Le pi he) QI sica Bi ta o a CAI Boug AMI (Autobiographie du doct.). Vienne, 1879, 8°. > vi tardi GIORDANO MicHELE. — Le risorse dello Stato ed È pareggio Loft dii laici ci principii della Scienza moderna. Torino, 1871, Bo OT (BL) nera Mit» Mar AneELO (Nel primo Centenario di). Bergamo. 1882, 8°. a v Ministero DEI LavoRI PUBBLICI. — Rilievi, osservazioni ed esperier U i ch Roma, 1882, 4°. «D rival ì i, ì Lu ; n ITCA Mi 6 LIBRA ‘tt. as iball Dil n i o MEA i O FILO pr Lt Ju nisemisg d Salo e cate Lai | à È tinto” Hb $ a Due ipogeo vazsa Ba ssa N gu cop Per rn x il 2.71 4 (1 î x + RIA El 2% °° si prio Ce BR i; i pw»: de AB sito di SUL è 99 va ptt nie eri % ‘ A 01» dI x " inirbpi uipate 3047 1 ni 4404 rinato sell SEI init sport Hg ; Si a «Ostitio I sh onpni-1a noipelogg astgrai INDICE Direzione pel 1882 . Socî effettivi al principio dell’anno ‘1882. Socî corrispondenti 4 Istituti scientifici corrispondenti . Seduta del 29 Gennaio 1882 Seduta del 26 febbraio 1882 . P. STROBEL, Studio comparativo sul tessili del ; Pero delle Mariere . ; F. SorpELLI, Sui fossili e sull età del iziia tuale. rio della Badia presso Brescia . Seduta del 26 Marzo 1882 Bilancio consuntivo dal 1 gennaio al 31 lu 1881 Bilancio preventivo dal 1 gennaio al 31 dicembre 1882 P. MagrETTI, Aberrazioni nel colorito delle penne in uccelli dell’ ordine dei passeracei F. Ponti, Nota sul peso specifico dei siuvieii ini industriali indigeni ed esotici P L. CAMERANO, Di un caso di polimelia în un Triton taeniatus (Schneid.) Seduta del 30 aprile 1882 F. SORDELLI, Sulla vita scientifica del socio pur ci Garovaglio A. P. NinnI, Appendice a mia cata di Prentta tim del mare Adriatico P. Pavesi, Escursione zoologica al lago di Toblino. È » 135 142 E. ‘nea ant sui Molluschi và. r. W° ] P. StroBeL, Studio comparativo sul teschio dl i delle Mariere (continuazione e fine) . . | Seduta del 25 giugno 1882... .. . De | Prof. I. ReGazzoNI, Di un cranio umano rinvenuto in Brianza RAVSA) OOe ; di. bemoginta. e a Seduta del 30 luglio 1882. pi li è fl A. P. Ninni, Sopra una forma di Dato nuova per V'Adriattito; <4008 {i L'IEPRISIE Mico O. ARRIGONI DEGLI ODDI, Diviatione nelle ic desti glicaccolli . .. Gig o 19316006 F. SaLmosraGnI, Alcune osservazioni pr sui o: dintorni del lago di Comabbio (tav. 5) . . È eu Seduta del 26 novembre 1882. . ....°. C. LepPori, Contribuzioni allo studio dell’ Avifauna sandiot pati LSM e AR SEI F. SorpELLI, Note botaniche MIR Seduta idel 31 dicembre:1882.-.. Lea A. BerLEsE, Nuovo metodo di zoofonografia (tav. 6.*). B. Grassi, Conclusioni di uno studio sullo sviluppo della colonna vertebrale de’ Teleostei . . . Ni; SI h Elenco dei libri pervenuti in dono od in cambio alla pe: ‘ Biblioteca sociale nell’anno 1881. . . . È "SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETA. | Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi gelativi alle scienze naturali. uT Socj sono in numero illimitato, effettivi e corrispondenti. DE AA Socj effettivi pagano it. L. 20 all’anno, in una sola volta, nel primo tri-' mestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli «dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunica- zioni, e ricevono gratuitamente gli Atti della Società. DA IE Socj corrispondenti sì eleggono persone distinte nelle scienze naturali, le ciali dimorino fuori d’ Italia. — Possono diventare socj effettivi, quando si ‘assoggettino alla tassa annua di lire venti. — Non sono invitati partico- larmente alle sedute della Società, ma possono assistervi e presentarvi o farvi. leggere delle Memorie o delle Comunicazioni. — Ricevono gratuita- el Atti della Società. La proposizione per l’ ammissione d’ un nuovo socio deve essere fatta e firmata da tre soc] effettivi. I Socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad es-. sere. tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno; e invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno successivo, dbisano; di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere d suoi diritti per le quote non. ‘ancora pagate.. | he: Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stampate. begli Atti o nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, secondo i da loro estensione ed importanza. | La cura delle. pubblicazioni spetta alla Presidenza. e Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del formato. degli Atti o delle Memorie stesse. i “a Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, pur- li domandino a qualcuno dei. membri della Presidenza, rilasciandone si hè * A el zo esta» ricevuta. e Esemplari | n di a gni ras SII 250|L. 4 — | 4a foglio (8 pagine) +0 |a 175)» 3.50] n 4—|» 5501) Mo: 3h di foglio (12 pagine) . . | » 250)» 5 —|- 675]|n 9 È l foglio po mazina): dc... 2a be 0 Ro 10 al dei È da i sia oi, Lan 7 {ISS RL sittli « o1snlie mOnI. “A 5 Te lgio/a LL Orto itog aagiso IN D 10 bg sl di do: en pad > RENZO fi oigutis) oi one (01 cilo 313159 “109 it eitl. 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(mai | | Elenco ‘dei libri pervenuti in dono ‘od în cambio Na Biblioteca sociale nell’ anno 1881°. ott: SO Sto Ù DIA MALIIDOI 4 pa; ki A tI dd À _ x : v î [e jifots META DIE 1 Of LLUMi uit i o Dio tu dò a Sarai Ri Dir: 1208 è geote dI TOS Vs shop Di si ns » II GL) j pl NEDTS AIA RSE ? bi indit: SD i ah IV IITOER ‘0102 RO nba na Bi Mobil “20, si bri > Cee u ° tI 13 DI hitech day ,l Tadrp : wi olî if i il tf id s [RENT i ti Es DI à ) + Cad : LUSSI LII - i a " "at << & uè da od Fis ie o è % : { 0 dela ì Lido So [ES GS | i VALAR : Ò Ne Oa. O: Gli is ARIA. \ hu + i È ) : la È SANS : Le ia È bi x Ù } 4 a x Pla : ‘BR "SI | & Y è ta v, Vel $ a È} } - Par Og 19) N; i È at yu md pa è Le n ; kigiA rin tai \ r (%; è Wipraa x #7 A < L > 9 $ i ARP Pai ST - v Po è EI ATI \ " N a Ad ‘ i ù bIE ng e, ' " rh î fe 4 n. % da o t 1 i + % î ola LA }, D) ; i i v dI z Tia CISA: x P À ha al va = v PA Ù » Di si y) È Ku Sa Loeb. 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