Cf . S "17 A V 1 5 APR 1953 DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI E DEL DI STORIA NATURALE IN MILANO VOLUME XCI Fascicolo III-IY MILANO Dicembre 1952 CONSIGLIO DIRETTIVO PER IL 1952 "W Presidente: Magistretti Ing. Luigi. Via Carducci , 14 • (1952- 1953). .A Grill Prof. Emanuele, Via Botticeìli , £3 Vice -Presidenti: 1 (1952-53). / Moltoni Dott. Edgardo, Museo Civico di Storia Naturale (1951-52). Segretario : Vialli Dott. Vittorio, Museo Civico di Storia Na¬ turale (1952-53). Vice-Segretario : Eagnani Prof. Gustavo, Via Botticeìli , 23 (1951-52). Cima Dott. Felice, Via Pinturicchio , 25 Nangeroni Prof. Giuseppe, Viale Tunisia , 30 Consiglieri: Parisi Dott. Bruno, Museo Civico di Storia I Naturale Sibili a Dott. Enrico, Minoprio (Como) Taccani Avv. Carlo, Via Burini , 24 Tra verso Prof. G. B., Via Celoria , 2. Cassiere: Rusca Rag. Luigi, Viale Mugello , 4 (1951-52). Bibliotecario: Dott. Lucia Perini ELENCO DELLE MEMORIE DELLA SOCIETÀ Voi . I. Fase. 1-10 ; anno 1865. » II. a 1-10 ; a 1865-67. » HI. a 1-6 ; a 1867-73. » IV. a 1-8,6; ii 1868-71. n V. a 1 ; a 1 1895 (Volume completo). 11 VI. a i-3; ii 1897-1910. n VII. n i ; n 1910 (Volume completo). n Vili. a 1-3; a 1915-1917. li IX. a 1-3; ii 1918-1927. li X. ii 13; a 1929-1941. ii XI. ii i; ' ii 1944. Pavia — Premiala Tipografia Successori FUSJ - Via L. Spallanzani 11 — 1952 i (1952-53) Renato Loss e Andrea Giordana OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY (ARGENTINA) La formazione calcareo carboniosa di Leon - Volcan) introduzione. Scopo della presente nota è quello di esporre alcune osser¬ vazioni effettuate in collaborazione con l’ Ing. Min. Dr. Andrea Giordana su certe caratteristiche litologiche e stratigrafico- tetto¬ niche della grande massa di materiali proterozoici che compon¬ gono il blocco di montagne subito al NNW di Jujuy (Nord Ar¬ gentina) e precisamente fi a Volcan e Leon lungo la sponda si¬ nistra del vallone di Humahuaca (Rio Grande di Jujuy). I materiali proterozoici qui costituiscono con assoluta .preva¬ lenza un gran blocco montagnoso con direzione N-S, che verso il N va topograficamente sempre più elevandosi e costituisce, a partire dalla sua terminazione meridionale a E di Leon, la se¬ guente serie di vette lungo la cresta : Morro del Abra Morada (m. 2296), quota 2504, Cerro Aguas Blancas (m. 284S), Cerro Santuyo (m. 3027), Cerro F.l Manzano (ni. 3210) e quota 3361. raggiungendo -a NE di Volcan quote di 3500, per proseguire assai poderoso verso il N. Le nostre conoscenze su tale serie di materiali precambrici del Nord dell’Argentina dal Keidel (1910), che per primo li ri¬ conobbe tali, in poi, sono piuttosto scarse, fatto questo che si collega, da una parte, alle difficoltà di separare stratigraficamente elementi di una serie assai potente e fortemente ripiegata in tempi precambrici, e, dall' altra, al carattere di grande monotonia -della stessa e uniformità, trattandosi di sedimenti prevalentemente terrigeni, nei quali Keidel (1947) fa rilevare come degno di nota il fatto che, nel Proterozoico delle Ande del Nord Argentino, non si siano ancora scoperti calcari e dolomie. Uno degli scopi di questa nota è precisamente quello di rettificare questa osservazione. u 142 R. LOSS E A. GIORDANA La formazione calcareo scistoso carboniosa di León-Vclcan. La serie degli affioramenti meridionali ( Valli La Cdlerar Mania ni e Grande ). — Coll la indicazione di « Formazione cal¬ careo scistoso-carboniosa » definiamo un complesso di materiali grigio scuri o neri in affioramenti più o meno esposti e costi¬ tuenti una fascia che bordeggia il fianco sinistro del Rio Grande di Jujuy, dal Morro Abra Morada a NE di Leon alle prime pen¬ dici a NE del paese Volcan, per una estensione totale di circa 14 Km e una direzione NNW-SSE. Questa massa calcarea, for¬ temente incisa da vallette trasversali, rispetto alla direzione della valle principale (Rio Grande), si va spostando in direzione N verso il fiume e topograficamente offre i suoi affioramenti da quote comprese fra i m. 1900 e i 2500 al S e i 2100 a Volcan, deno¬ tando cioè un certo abbassamento generale. A NE di Leon la sua terminazione meridionale si presenta in forma di creste mozze e isolate, probabilmente corrispondenti a sinclinali chiusi e assai compressi, affiorali fi verso la cima della cresta montagnosa. Da¬ vanti al paese Volcan, dove sparisce completamente, affìoiano le creste anticlinali ugualmente schiacciate e chiuse proprio nei pressi del fiume. Cosicché la massa calcarea assume la sua mas¬ sima potenza di affioramento nel tratto intermedio alle due loca¬ lità, costituendo un corpo di pieghe acute, con inclinazione as¬ siale generale verso il N, con valori anche piuttosto elevati. In relazione a questa posizione spaziale generale della massa calcarea e al riconoscimento di pieghe visibili nella stessa, si è- potuto differenziare e seguire stratigraficainente nella serie alcuni termini assai interessanti e sopratutto fare osservazioni sulle re¬ lazioni che possono intercorrere fra la massa calcarea e i mate¬ riali scistosi arenoso-argillosi, che come elementi generali, già da tempo riconosciuti, costituiscono la massa preponderante del blocca proterozoico studiato e del Proterozoico di Jujuy in genere. E quindi da pensare pi'obabile per lo meno questa | ossibi- lità: subito a E del paese Volcan, dove la formazione calcarea sparisce sprofondandosi e assottigliandosi nella sua potenza asso¬ luta, è possibile vedere ì materiali della serie superiore, che co¬ prono o coprivano i vertici anticlinali calcarei e si possono tro¬ vare nei nuclei sinclinali. Subito a E di Leon sono osservabili i materiali della serie inferiore, sebbene in questo senso sia al¬ quanto difficile seguire nel terreno le strutture che possono in- OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JU.TUY (ARGENTINA) 143 dicarli. Però le varie incisioni naturali che, in parecchi punti, sono vere gole torrenziali, permettono di fare un’altra osservazione, che in certo modo corrobora lo schema strutturale dianzi dato : mentre nel tratto medio della fascia, più o meno a NE della stazione ferroviaria di Bàrcena, il fondo valle di queste incisioni è sopra la massa calcarea, nelle vallette più prossime a Leon i calcari oltre che essere notevolmente alti nella topografia, non affiorano più nel fondo valle, ma s’ incontrano invece in affiora¬ menti ristretti, subverticali, sui fili o creste divisorie fra valle e valle ; questo anche per un fatto erosivo o di maggiore matu¬ rità dell’ incisione meridionale. A un assottigliamento della massa calcarea verso il S si ac¬ compagna anche una probabile ripetizione della stessa, dovuta verosimilmente a lenticolazioni marginali o di addentellamento della placca originale calcarea. Tralasciando i modesti affiora¬ menti dei materiali Cambrici della copertura trasgressiva sulla massa proterozoica, rappresentati da arenarie quarzitiche chiare o rosee o rosso vinose più o meno grossolane ( K1 del Keidel) e da arenarie silicee con Scolilhus rosso scure o verdastre (K2 del Keidel), visibili nelle vallette di La Galera e di Mamanì a NE di Leon, la serie dei materiali che si possono osservare in questa terminazione meridionale in un tentativo d’ ordinamento dal basso all’alto, risulta la seguente: a) scisti argillosi ciò ri ti ci , giallo verdolini o. grigio chiari, che passano a membri ben arenosi quarzosi, per contenuto di granuli di quarzo, di grana fina, micacei, localmente anche violacei. Nella porzione bassa delle vallette La Calerà e Mamanì, si presentano tettonicamente molto laminati e con evidenti caratteri d’ammassamento e « boudinage », rappresentato da lenticolazioni di piccole masse silicee arenose, tali che, localmente, l’insieme assume un aspetto caotico di scisti nodulosi. Il tettonismo mul¬ tiplo di tali materiali è evidente, giacche oltre ai ripiegamenti d’età precambrica, i movimenti d’età andina hanno complicato o chiuse maggiormente le pieghe vecchie, strizzandole e dando al¬ l’insieme un carattere diapirico, che potrebbe essere la causa per la quale tali argilloscisti cloritici si sono portati su blocchi delle arenarie quarzitiche rosee della copertura cambrica deformata e rotta. 144 R. LOSS E A. GIORDANA Il passaggio laterale più alto e più prossimo alle intercala¬ zioni calcaree che vi appaiono immerse in sinclinali chiusi o complessi, nella porzione più occidentale degli affioramenti meri¬ dionali, è data da : h) argilloscisti o scisti ardesiaci rosso violacei più o meno scuri, ancir essi laminati e fratturati, con piani di fratturazione a patina ocracea ; e c) scisti silicei a sottile stratificazione più o meno verdo¬ lini o giallastri, reticolati, duri. Si caratterizzano oltre che per la sottile stratificazione, per superfici con reticolazione in rilievo, dovuta alla presenza di una fitta rete di fratture con riempimento. Non si devono confondere con materiali similari che appaiono però al tetto delle strutture anticlinali calcaree più al N. La loro colorazione frequentemente giallo ocracea o rossastra e proba¬ bilmente un fenomeno secondario di alterazione della pirite pre¬ sente. Questi scisti silicei sono di scarsa potenza e mentre qui appaiono intercalarsi fra il calcare e gli argilloscisti violacei o rosso violacei, più al N si trovano al letto di una interessante facies locale della massa calcarea, data da scisti calcarei carbo¬ niosi, come anche al tetto della stessa, che in tal caso appare intercalata nella parte bassa della serie calcarea. Questi scisti silicei verdolini compatti, anche più di apparenza argillosa grigio chiara, induriti o laminati o di aspetto filladico verdi, si presen¬ tano percorsi da numerosi sistemi di fratture e sono piritizzati. Questa piri tizza'zione è rappresentata da piccoli cristalli cubici più o meno densamente disseminati e completamente limonitizzati e da grossi cristalli < metacristalli) anche a solo parziale limoni- tizzazione, i quali mostrano sulla rottura le fratture dell’ effetto dinamico cataclastico del materiale posteriormente alla formazione di questi cristalli. E opportuno osservare come nella porzione meridionale del blocco proterozoico che contiene la facies calcareo-carboniosa, a una ripetizione di affioramenti di tali scisti silicei sottili general¬ mente rosso giallastri, si accompagna una ripetizione delle inter¬ calazioni calcaree legate alla massa predominante degli scisti argillosi rosso violacei, che le separa. D’altra parte, mentre verso il N la massa calcarea va assumendo un netto carattere di co¬ strizione e compressione in una massa ristretta di pieghe acute, verso la sua terminazione S (Leon) appare come ramificata in monconi affioranti o come divisa in tre elementi separati, dei OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY (ARGENTINA) 145 quali è difdcile interpretare la funzione strutturale e quindi .la loro posizione rispetto agli scisti rossi d’intercalazione. Da no¬ tarsi però che questi ultimi vanno diminuendo verso il X e sono ben poco rappresentati, sebbene presenti anch' essi ài tetto di ben chiare strutture anticlinali calcaree. Infine è possibile che nella parte S di maggiore dispersione del calcare, si assista non solo a una ripetizione di quest' ultimo entro gli scisti rossi, ma anche a una maggiore estensione verticale di questi ultimi rispetto alle porzioni più al X. Comunque, dando a tali spuntoni calcarei del S preferibilmente funzione sinclinale, vediamo legarsi superiormente agli scisti silicei sottili reticolati verdolini o giallastri il: d) complesso calcareo e calcareo scistoso - carbonioso. E questo un insieme di materiali calcarei abbastanza variabile nei suoi termini, che offre la sua maggiore esposizione e potenza nella porzione media dell1 affioramento generale (pendici e valli al XE ed E di Bàrcena). Il termine medio e più frequente è un calcare nero o grigio scuro, compatto e più o mena venato di calcite e, in minor grado, quarzo. La colorazione, che in certi casi può essere decisamente nera, è dovuta a una pigmentazione diffusa di origine organica. Il carattere della venatura è variabile e ìli certi casi particolarmente intenso, reticolando totalmente la massa; in altri casi è quasi assente. Essa è di origine tettonica, corrispondendo a una cataclasi del calcare e saldatura per parte di soluzioni prevalentemente calcitiche, la cui struttura spatica può anche essere vistosa. Come vedremo, esistono termini compatti a struttura minutamente cristallina, altri che sono chiaramente arenoso - quarzosi, altri a carattere più scistoso, accentuandosi quest'ultimo in relazione alla particolare facies cui può dar luogo detta formazione. Limitandosi per ora alla porzione più al S, dove la facies scistoso - carboniosa non è presente o non è conservata, si possono ‘osservare termini calcarei alquanto differenti, nel senso di un contenuto assai scarso di sostanza carboniosa che influisce sulla loro colorazione e nel senso anche della loro tessitura. Per questi affioramenti più meridionali e probabilmente terminali deb L originale placca calcarea, ricordiamo qui un tipo di transizione più bassa (La Pena), dato da una massa calcarea grigio chiara essenzialmente arenacea; quest’ultimo carattere è piuttosto di¬ sperso per quanto riguarda minuti granuli quarzosi inclusi nella massa calcarea. Questa è piuttosto compatta, e assume un aspetto a tessitura lentiforme in piccola scala per sottili veli minutamente 146 R. LOSS E A. GIORDANA arenosi brunicci intercalati nella massa p i il omogenea grigio chiara e per sottili vene di calcite bianca. La tessitura leuticolare di natura dinamica di questo materiale è del resto assicurata dalla presenza di lenticelle di calcare più oscuro che spiccano isolate nella massa d’insieme, mentre d’altra parte si collega al tipo chiaramente straterellato e subscistoso in bande marroncine are¬ nose e bande calcaree grigio scure cristalline, il cui insieme permette riconoscere una intensa deformazione in pieghette chiuse e strozzate (x). L’originale carattere, arenaceo di questi materiali calcarei è evidente ed è opportuno richiamare l’attenzione sui granuli quarzosi dispersi nella massa, poiché è questo un carat¬ tere che può, come vedremo, assumere un aspetto petrogra fica- mente ben definito in certi membri della serie essenzialmente calcarea. E presente inoltre il normale calcare nerastro catacla- stico, il quale ritorna ad apparire verso il culmine della montagna, come si può osservare salendo lungo il versante sinistro della valle La Calerà, senza che sia dato osservare la facies carboniosa, che, come diremo, è visibile al N. In questi affioramenti topograficamente più elevati e che co¬ stituiscono le pendici sudorientali del blocco montagnoso, a una morfologia generale a mammellone (Morro del Abra Morada) si vede legarsi una struttura anticlinale, al cui nucleo in cerniera sta il solito calcare oscuro con una inclinazione assiale di 30° circa al N, coperto dalla seguente successione ascendente : e) V orizzonte argilloso arenoso conglomeratico, col quale indichiamo per ora un notevole membro della serie, che per il suo contenuto disperso e irregolare di ciottoli generalmente, pic¬ coli nella massa arenoso - argillosa più o meno scistosa, e per la sua posizione costante al tetto delle strutture calcaree da Leon a Volcan, e infine per il suo contenuto di pirite in cubetti, alle cui alterazioni si deA7e il colore giallastro o marron che lo carat¬ terizza, costituisce un elemento assai interessante e nuovo fra i materiali proterozoici della zona. In questo punto della sezione L L’affioramento più basso e più meridionale del calcare e pro¬ babilmente in posto, si vede proprio a E dello sbocco della valle del Rio Leon, anche qui dopo una massa esterna di argilloseisti arenoso micacei grigiastri e rosso violacei. Anche in questo affioramento il calcare è a tessitura laminata, lenticolare, granuloso cristallino fino, nero. OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY (ARGENTINA) 147 questo membro si presenta con uno spessore approssimativo di 3-4 m., di colore marron rossiccio. Offre una certa scistosità, che .si accompagna a una pronunciata lentieolazione degli inclusi maggiori, rappresentati da lenticelle nettamente arenacee con granuli di quarzo e da altri materiali prevalentemente silicei ma aneli’ essi coi soliti granuli di quarzo e che potrebbero essere vecchi ciottoli laminati che, se non fosse per la loro colorazione ■e la loro omogeneità, mal si differenziano dal resto del materiale. Gli inclusi minori sono rappresentati da dispersi ciottoletti di arenarie quarzitiche bianche e quarziti e infine granuli di quarzo e minuti cristalli di pirite più o meno limoni tizzata, qualcuno però ancora abbastanza fresco. Nella massa è riconoscibile una sottile tessitura laminare arenoso fina a minute lenticelle argil¬ lose limonitiehe. Diremo più avanti quali altri caratteri può pre¬ sentare tale materiale, nel quale sembra poter riconoscere un de¬ posito di trasporto d’acque poco forti, se non proprio un deposito di natura marino-glaciale o tillitico di dispersione e deposizione in ambiente acqueo. Seguono : f) scisti argillosi rosso violacei per una potenza comples¬ siva di una ventina di metri; sono in tutto analoghi o indiffe- venziabili petrograficamente da quelli che appaiono più in basso. Si possono ben osservare all’Abra Morada. g ) altro calcare grigio nerastro della potenza di pochi metri, che sovrapponendosi agli scisti rossi forma attualmente il tetto d’ampia anticlinale e quindi il mammellone topografico del Morto del Abra Morada. La Fig. 1 illustra schematicamente la serie notata lungo le pendici S e sudorientali della valle La Calerà e l’interpretazione tettonica che la sostiene. Nella figura sono state opportunamente •collegate le varie porzioni delle sezioni, i cui affioramenti appaiono lungo le creste dei versanti vallivi o lungo i fondo valle delle tre incisioni che dal S al N sono : La Calerà, Mamanì e Grande. La sezione II, che corrisponde al fianco orografico destro de La Calerà, mette in evidenza anche la serie di copertura cam¬ brica, trasgressiva ; la prima massa calcarea affiora come una specie di bastione erosivo (La Pena), al quale' corrisponde nella valletta Mamanì una massa calcarea in sinclinale chiuso con leggero rovesciamento a W e a contatto con altra massa calcarea subverticale che determina una rottura di pendio. Questo contatto è rappresentato da una rottura con certo scorrimento ad angolo «elevato sopra il sinclinale, il quale appare incastrato a valle in 148 R. LOSS E A. GIORDANA scisti violacei argillosi con intercalazioni grigio turckiniccie, se¬ guite da scisti argillosi cloritici verdastri alternanti ad alcuni banchi sottili di arenarie silicee compatte verdi. Queste arenarie- verdi dure si ritrovano anche all’ entrata della valle Grande. Questi materiali denotano movimento, che si collega a quel tet- Fig. 1 - Sezioni relative alle pendici orografiche delle valli La Calerà, Ma mani e Granfie. Sv : scisti verdolini o violacei, anche arenoso mi¬ cacei, o nodulosi etc. Sr : Scisti rossi o rosso violacei. C: calcari. Ac: orizzonte arenoso argilloso dispersamente conglomeratico. aqv : arenarie quarzitiche grigio verdi dure, aqb : arenarie quarzitiche gros¬ solane biancastre. Kt : arenarie quarzitiche chiare o rosee, più o meno grossolane (Cambrico s. 1.), localmente cataclastico milonitiche. K2 : arenarie argillose e argilloscisti rosso vinosi o verdastri con Scolithus (Cambrico s. 1.); tonismo che notammo entro certi termini di quegli scisti violace o grigi e nodulosi che riunimmo come membro più basso della serie. Che nel calcare esistano qui disturbi di faglia è compro¬ vato da piani di rottura N-S e riempimenti di quarzo bianco entro un tipo di calcare nero piuttosto sottile e scistoso e anche da fenomeni di lenticolazioni e mescolamento degli strati calcarei, nei quali si notano qui come termini secondari intercalati : scist: silicei verdolini e calcari a sottile stratificazione. La massa prin- osservazioni sul proterozoico di jujuy (argentina) 14A ci pale calcarea è rappresentata da un calcare nero carbonioso che nell’ala W del sinclinale offre evidente scistosità di laminazione,, una struttura minutamente cristallina, sottile venatura calciti ca di riempimento di frattura variabile da punto a punto. I caratteri tettonici, quali rovesciamento verso W delle strut¬ ture e l’elativa rottura e certo scorrimento in questo senso di masse calcaree avvicinate, ora notato, sono del resto collegabili a quelle strutture che potremo esaminare accentuarsi nelle sezioni più al N. La IV e V sezione della Fig. 1 rappresentano affiora¬ menti topograficamente elevati del blocco montagnoso. Il profilo più basso rappresenta in questo caso gli affioramenti di fondo valle, che non mostrano calcare, poiché questo, come dicemmo, . nel tratto dato affiora solo in cresta. Abbiamo visto che al mammellone del Abra Morada la serie si chiude con il calcare poggiante sugli scisti rossi. Più al N (Sez. IV e V) gli spuntoni calcarei alti nella topografia appaiono come apici d’anticlinali acute, sottili in cresta, entro gli scisti argillosi rossi e rosso violacei. Però nella porzione topografica¬ mente più elevata e data da una vecchia superficie sollevata,- pianeggiante, che tronca il blocco proterozoico, appaiono come probabili membri superiori : h) argilloscisti d’aspetto ardesiaco in qualche punto con bande arenacee fini, rosso violacei o grigio rossastri ; e i) arenarie quarzose grossolane, grigio biancastre o tùr- chiniccie, con intercalazioni superiori di argilloscisti violacei al¬ quanto arenosi, ma anche franchi, tendenti al cioccolato. Queste- arenarie più o meno chiare, quarzose, a grana visibile, general¬ mente ben cementate e di aspetto localmente vitreo, formano banchi di 30-40 cmi, con inclinazione a NE di 45" e con le loro intercalazioni argillose più o meno scistose, sono quelle che co¬ stituiscono la superficie tronca topograficamente più elevata del blocco montagnoso a N del Morrò del Abra Morada. Si può' osservare come il piano orientale di contatto fra gli spuntoni calcarei e gli scisti rossi sia distintamente parallelo all’ inclina¬ zione anzi data per queste arenarie quarzose. La formazione calcareo scistoso - ca rboniosa (Iella gola Aguas Bianca s (E di Bar cena). Da tutto quanto abbiamo finora esposto risulta come la facies calcarea sia essenzialmente legata ai materiali argillosi attual¬ mente dati dagli argilloscisti subardesiaci rossi o rosso violacei. 150 R. LOSS IO A. GIORDANA Spostandosi ora agli affioramenti della zona del centro a E di Barcena (gola Aguas Blancasfi quello che sopratutto conviene rilevare è che la facies scistoso-carboniosa appare proprio alla base della serie calcarea. Qui la serie di copertura cambrica non ha lasciato nessuna traccia di sè e alle prime pendici prospicenti il letto del Rio Grande i materiali affioranti sono rappresentati da : Arenarie silicee minutamente micacee grigio verdi e assai com¬ patte, alternantisi ad argilloscisti grigio verdolini; quindi arenarie n scisti arenacei poco micacei violacei con granelli quarzosi di¬ spersi e con inclusi di materiali verdolini silicei arenosi ; scisti argillosi d’aspetto più franco rosso violacei cioccolato con venuzze di quarzo, visibili questi ulti ini nell’ incisione del torrente. Il loro aspetto di laminazione e mescolamento con lenticelle irregolari di una breccia silicea diasprina assai dura, oltre alle vene di quarzo, li caratterizzano. Seguono compattissime arenarie micacee grigie e scisti più o meno argillosi e arenosi grigio verdolini, lo¬ calmente di aspetto filladico e quindi scisti nodulosi violacei o -scuri. Tutti questi elementi della serie bassa della valletta of¬ frono un’inclinazione pino meno forte a E e in particolare quelli scistosi danno prove evidenti di tettonismo, per cui è necessario mantenere certa riserva sulla loro originale successione strati - grafica, sebbene, a parte le arenarie micacee grigie compatte, è •evidente l'analogia con i materiali più bassi della serie prima data. A proposito delle arenarie compatte grigie si può osservare come la loro prosecuzione S sia osservabile proprio allo sbocco nel letto del Rio Grande della valle Grande, sotto forma di arenarie compatte grigio ferro a divisione lastriforme irregolare, grana fina, con granuli di quarzo dispersi. Nell’affioramento ora dato sembrano porsi a contatto superiore con un ricordo della coper¬ tura cambrica quarzitica, rappresentata infatti da resti nataci a- stici di arenarie quarzitiehe bianche e rosee, che sarebbero rimaste prese in movimenti differenziali che hanno colpito costi ìa serie e che, come vedremo, si accompagnano a quei disturbi per faglia e scorrimenti differenziali che sono presenti lungo il bordo occidentale del blocco in esame. Del resto la resistenza alla deformazione delle arenarie grigie dentro una serie a elementi plastici potrebbe aver determinato movimenti delle prime rispetto ai secondi, cosa che anche ab¬ biamo potuto notare nelle intercalazioni più dure del Protero- OSS IO UVA Z IONI SUL PL10TER0Z0IC0 DI JUJUY (ARGENTINA l 151 20 i co più al N, e che si ripete in parte anche per le masse cal¬ caree. Come vedremo, arenarie del tutto similari si susseguono al tetto delle anticlinali calcaree della zona del Volcan, per cui le considerazioni ora date sono sufficienti a giustificare la riserva prima fatta e a mantenere come probabilmente superiore la po¬ sizione di tali arenarie. Ritornando alla facies scistoso-carboniosa della gola Aguas Blancas, subito sopra m gl i scisti nodulosi violacei scuri affiorano, come letto attuale del corpo scistoso-carbonioso, un complesso poco potente di scisti cloritici a forte laminazione, grigi o grigio verdolini e alquanto piritizzati. Fegue una massa di natura len- ticolare tettonicamente deformata e spezzata in vari segmenti, della potenza di 4-5 m. e costituita da sottili straterelli calcarei e interstrati e veli di sostanza carboniosa, ora opaca e pastosa ora a superficie brillante e untuosa. L’aspetto generale di questa speciale facies scistoso-carboniosa del complesso calcareo denota una sottile stratificazione di natura calcarea, i cui elementi ge¬ neralmente sottili, ma in qualche caso spessi anche 20-30 cm., più o meno arenosi, s’alternano a deposizione di sottili veli di natura carboniosa. Gli straterelli calcarei, anch’ essi neri, hanno assunto sotto l' effetto tettonico una pronunciata lenticolazione che si accompagna a un fitto ripiegamento dell’insieme, mentre il conseguente dinamometamorfismo si attuò sulla sostanza carboniosa senza però arrivare a una grafitizzazione vera e propina della stessa ; questa si presenta come veli o patine sottili che si adat¬ tano alla lenticolazione delle intercalazioni calcaree. Queste ul¬ time per effetto di « boudinage -> locale possono presentarsi più o meno strozzate e stirate, quindi d’aspetto fortemente ondulato e noduloso, oppure anche divise in lenti di una certa grossezza, come quelle che sono state rappresentate nella Fig. 2 a e b ; in ogni caso questi straterelli e lenticolazioni sono date da un calcare nero a struttura minutamente cristallina e anch' esso re¬ ticolato e da un tipo di calcare arenaceo a forte contenuto di granelli quarzosi. Alla venatura calcifica più o meno presente e legata a una originale struttura cataclastica del calcare, si unisce una rete posteriore d’apporto siliceo e rappresentata da fìloncelli di quarzo bianco che attraversano le strutture della massa o che si sono cacciati in locali dislocazioni. A questa venuta di silice si deve probabilmente una diffusa piritizzazione degli scisti cal¬ carei e carboniosi e degli argilloscisti grigio verdolini. L’esame 152 R. LOSS E A. GIORDANA Fig. 2 fc> Fig. 2 a e 26 - Due aspetti dell’ intercalazione a facies. carboni osa r alla base della serie calcarea della gola Aguas Blancas (quota circa 2000 in.). Sr : scisti rosso violacei nodulosi. Sv : scisti clori- ti ci, verdi o grigi, sottili, molto laminati e piritizzati. Scc : facies scistoso calcarea carboniosa, con masse lenticolate di calcari arenoso- quarzosi (Ca). Se: pochi scisti silicei nerastri, C: calcari sottil¬ mente stratificati, anche arenoso quarzosi, o compatti, neri. F quarzo bianco filoniano. OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY (ARGENTINA) 153 minuto di certe piccole deformazioni di questa massa denota ro¬ vesciamento verso W di piccole pieghe, collegabili quindi a rot¬ ture multiple della massa calcarea, con probabile caduta di quei blocchi più esterni che presentano inclinazione verso W, che con¬ trasta con quella verso E del resto della massa calcarea. Si am¬ mette cioè che i calcari affioranti come placche inclinate a W degli affioramenti più esterni della gola Aguas Blancas, subito sopra la lente scistoso-carboniosa, siano porzioni scorse verso \Y e cadute delle strutture calcaree della massa principale. Possiamo distinguere due tipi generali di tessitura di questa formazione scistóso- carboniosa calcarea : 1) un tipo brecciato minulo , nel quale il carattere cata¬ clasi co assume una notevole intensità, tale che al microscopio la roccia risulta minutamente brecciata : i oranuli, delle dimen- sioni di un mm. o poco più, si presentano variamente giustapposti e la sostanza carboniosa occupa spazi irregolari fra i granuli. Questi ultimi possono offrire alla loro volta una minuta cataclasi originale assai sviluppata. Rotture posteriori attraversano la tes¬ situra cataclastica dell' insieme, con riempimento spatico di cal¬ cite e quarzo cristallino, ai quali si aggiunge pirite in cristalli idiomorfì. Alla sedimentazione di lame più o meno spesse e al¬ terne di sostanza calcarea o arenoso calcarea, e veli di sostanza carboniosa seguì quindi una cataclasi intensa forse multipla, con arrangiamento brecciato del calcare e irregolare dispersione della sostanza carboniosa sedimentata (non quella di pigmentazione). Però esistono evidenze per le quali alla cataclasi, a cui eorri- -spondono le vene calcitiche e quarzose, seguì altra rottura poste¬ riore, come lo dimostrano fagliette che alla loro volta interessano le vene calcitico quarzose principali. 2) Un tipo scistoso,- che risulta da sottili lenticelle o lamine di sostanza carboniosa che si alternano a lamine o straterelli di calcare più o meno arenoso. Le lenticelle o veli carboniosi con¬ tengono certa quantità di pirite e si presentano minutissime, alle volte variamente contorte e stirate, mescolandosi a lenticelle mi¬ nori di sostanza argilloso calcarea bruna. Del resto esistono tutti i passaggi alla struttura tipicamente cataclastica e la sostanza carboniosa può assumere le più diverse forme di adattamento. Al tetto dell’intercalazione carboniosa di Aguas Blancas segue la serie essenzialmente calcarea a stratificazione ben evi¬ dente, nella quale dal basso all’alto si sono potuti osservare i seguenti termini : 154 R. LOSS E A. GIORDANA calcari arenosi per abbondante contenuto di granuli quarzosi, di¬ visi iu banchi sottili e con bande di stratificazione più o meno oscure per pigmento carbonioso ; calcari neri più compatti reti¬ colati di calcite, a struttura cristallina fina, in grossi banchi con intercalazioni di scisti silicei a sottile stratificazione, grigio scuri,, della potenza di circa 2 m. ; altra successione, in alternanza con scarsi scisti carboniosi, di calcari in banchi di 10-20 crn. di spes¬ sore, di color nero cupo o grigio plumbeo sulle superfici di dia- clase e con poche e sottili Amelie di calcite, d’aspetto omogeneo- però anche localmente scistosi : calcari alquanto arenacei per il solito contenuto di granuli di quarzo, però compatti e quasi senza venatura. La massa calcarea continua a monte dei termini ora descritti, dove, abbassando la loro inclinazione a E, dà luogo a una specie di valle sopraelevata, con addolcimento nel profilo della pendenza generale. Si ripete cioè qui una condizione topografico-strutturale che si incontra anche più al N di Aguas Blancas. In questa la facies scistoso-carboniosa è essenzialmente alla base della serie calcarea o per lo meno tale appare, legandosi inferiormente a scisti silicei grigio verdolini più o meno laminati. Il tettonismo di questi ultimi e dell’intercalazione calcareo carboniosa, unita¬ mente a quello verificato nei termini più bassi della serie e al fatto che la massa calcarea ha una inclinazione all’ E o legger¬ mente variante che si va poi addolcendo, fa pensare a un com¬ plesso calcareo in ala occidentale di un sinclinale rotto e scorso verso W ad angolo piuttosto elevato. Gli effetti dinamici relativi hanno agito sui materiali in forma diversa ma comunque scarsa a giudicare dall' aspetto fresco di alcuni membri e dalla poca eristallinità degli stessi. Il che a sua volta fa pensare che agli effetti dei movimenti orogenetici precambrici, quelli di epoca andina si siano aggiunti sopratutto con rotture e sollevamenti delle masse precambriche già da tempo ripiegate e nelle quali la massa calcarea si è comportata alquanto diapi ricamentes La forni izione calca reo-scistoso- carboniosa della gola dì Santuyo. Quest’ ultima considerazione trova infatti l’appoggio di os¬ servazioni che si possono fare in un’ altra valle parallela a quella di Aguas Blancas, vale a dire nella profonda incisione di San- tuvo, che si apre proprio in faccia del canale di scolo dell’ enorme OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY (ARGENTINA) 1 55* cono di deiezione torrenziale o cono del Volcan, noto per le sue correnti di tango. Questo gran cono costringe il corso del Rio Grande verso le pendici del blocco proterozoico, la cui lascia occidentale di materiali non calcarei si va rapidamente assotti¬ gliando nel suo affioramento, risalendo verso il N la sponda si¬ nistra del Ilio Grande : tanto che, come vedremo, le acque di questo fiume poco al N" dello sbocco dell' incisione di Santuyo già lambiscono materiali calcarei ripiegati. Questa incisione, im¬ postandosi sulle strutture calcaree, è un bell’ esempio d’escava- zione di forra o gola a pareti subverticali e cadute d; acqua. La fascia dei materiali non calcarei che costituisce la sponda sinistra del Rio Grande è data dalla continuazione settentrionale di quelle arenarie compatte micacee grigie, che si presentano,, qui, con aspetto scistoso, lenticolate e anche plisettate, grigio ferro, abbastanza, micacee. Esse proseguono sulla sponda destra immergendosi sotto la potente coltre alluvionale del cono di deie¬ zione del Volcan, con accenno a inclinazione a W, in banchi ben differenziati. Seguono, proprio nel letto del fiume, gli scisti ar¬ gillosi rosso violacei e quelli grigio verdolini, subverticali o con forte inclinazione a W. Il tutto offre caratteri di deformazione- piuttosto forte, collegabili a quelli che vedremo più avanti anche nella serie calcareo scistosa affiorante più a N nel letto del fiume e corrispondente a una costrizione e rottura con scorrimento- delie masse calcaree verso W. Che tali disturbi si presentino accentuati e anche ripetuti, lo si può vedere nel fatto che, nello sperone terrazzato destro di sbocco della valletta di Santuyo, la massa calcarea grigio scura reticolata si presenta fortemente- fratturata con specchi di frizione ; mentre alla base di altra por¬ zione di calcari fratturati vediamo stirata e lenticolata la facies- degli scisti neri carboniosi con pieghe a uncino, che denotano spostamento differenziale lungo un piano inclinato a E di circa 45". Sotto la lenticolazione carboniosa, che assume aspetto sgra¬ nato a rosario irregolare, compare qui ancora calcare tutto frat¬ turato, cosicché si può pensare che per un fenomeno di taglia¬ tura e scorrimento con inclinazione del piano di movimento a E, le masse calcaree abbiano trascinato a forma di lenti le masse carboniose entro i calcari, localmente sopprimendole, salva re¬ stando la loro posizione strati grafica basale e senza escludere la possibilità della loro ripetizione dentro la serie calcarea. Questa lenticolazione scistoso carboniosa, generalmente sot¬ tile, tiene al tetto quegli scisti silicei sottilmente stratificati a 156 R. LOSS E A. GIORDANA s iperfìci di stratificazione reticolate per fratture e mostranti an¬ cora la colorazione verdolina, più o meno mascherata superficial¬ mente da patine giallastre, evidentemente per alterazioni della pirite presente anche nel materiale carbonioso che sta sotto. Quest’ultimo con gli scisti silicei si può seguire fino alle masse calcaree, che determinano una forte rottura di pendio con cascata. Alla base di questi calcari gli scisti silicei verdolini sono ancora presenti e si accompagnano ad altre intercalazioni di analoghi scisti laminati ; sono quelli con piritizzazione vistosa e intensa fratturazione minuta che riunimmo nel membro c) della serie stratigrafica. La massa calcarea della cascata è data da un calcare nero a struttura minutamente cristallina, alla base forte¬ mente eataclastico e di aspetto localmente spatico, con forte ve¬ natura calcifica ; superiormente più uniforme e con poca vena¬ tura, in banchi ben individualizzati, che s’inclinano a NE di circa 30’, con numerosi piani di taglio verso E di 40-45°. La calcite di riempimento può presentarsi anche in nidi spatici grossi. Il calcare a monte della cascata si può presentare di aspetto più arenoso e grigiastro chiaro con i già citati granelli di quarzo particolarmente abbondanti, come anche di aspetto scistoso, scarse vene e scarsi elementi granulosi e sottili lamine di gesso lungo i piani di stratificazione là dove passa a veri e propri scisti car¬ boniosi. Infatti l’inclinazione generale della serie aumenta verso i 50' a E ^e riappare l’intercalazione scistoso carboniosa.. La massa calcarea in banchi di potenza variabile e con le loro intercalazioni scistose di pochi cm.. passa qui a un insieme fortemente deformato in pieghe acute o a zig zag inclinate a W, della potenza approssimativa di 4-5 m., piano assiale diretto più o meno N-S (Fig. 3). Qui il materiale calcareo carbonioso nero assume la solita facies di alternanze sottili fra livelli nodulosi o lenticolati per « boudinage » di calcare nerastro con fratture cal- citizzate e piritizzate e veli di sostanza carboniosa di aspetto lu¬ cente per laminazione o ancora plastica e tenera, come veli di argille carboniose laminate. Però esistono* anche intercalazioni di scisti silicei sottili neri reticolati. La pirite si fa più frequente e si disperde lungo i piani di fratturazione, che si rendono visi¬ bili sulle superfici di stratificazione secondo un reticolato che può essere contromodellato dai veli carboniosi. E interessante quindi rilevare : la natura prevalentemente calcarea delle masse strati- -ficate, sotto forma di straterelli anche minori di un cm., con OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY (ARGENTINA) 157 ^veli carboniosi intercalati; questi ultimi per effetto di compres¬ sione dinamica assumono aspetto subgrafitoide friabile, lucente : il passaggio d'alternanza fra i banchi di calcari neri o grigio scuri e gli scisti carboniosi argillosi, più o meno laminati e in¬ duriti e reticolati ; la piritizzazione, come pure la reticolazione calcitica e quarzosa, passa in tutta la serie. Al tetto di questa intercalazione ripiegata segue una potente serie calcarea data da banchi compatti e intercalazioni scistose, Fig. 3 - Aspetto della serie scistoso carboniosa in anticlinale ripiegata, rovesciata e scorsa; a monte della cascata della gola di Santuyo. Ci : calcare nero compatto reticolato, in banchi con sottili intercala¬ zioni di scisti calcarei neri. Sa: scisti argillosi carboniosi, laminati. Scc : complesso calcareo carbonioso scistoso, ripiegato. C._, : calcari neri della massa scorsa sopra la parte scistoso carboniosa. che potrebbe essere una porzione della precedente, dislocata e scorsa lungo un piano di movimento che corrisponde agli scisti ripiegati di prima. Più a monte, a una zona quasi pianeggiante corrisponde un rapido raddrizzamento della serie calcarea, e si ripresenta la facies carboniosa fortemente lenticolata e soppressa, accompagnandosi a una fratturazione del materiale calcareo grigio nerastro e a specchi di faglia, il che potrebbe costituire un terzo pùano di movimento differenziale, ad alto angolo in questo caso. La massa dei calcari a stratificazione ben evidente si sus¬ segue in grossi banchi subverticali per porsi poi verticali e of¬ frire complete pieghe anticlinali diritte e acute, al cui tetto si possono riconoscere gli scisti argillosi verdolini e poi quelli rosso 12 158 R LOSS E A. GIORDANA 159 OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI .JUJUY (ARGENTINA) violacei. A questi ultimi si sussegue a W, nella porzione più alta della serie, un’altra intercalazione calcarea superiore. Quello che è interessante è il fatto che le pieghe calcaree diritte si presentano a nuclei chiusi per forte compressione della massa, come del resto si può controllare nell’incisione che sta più a N di questa. All' ammassamento generale delle pieghe calcaree della por¬ zione più elevata della sezione, si accompagna un rovesciamento delle stesse della parte più bassa della sezione con probabili rotture e sfuggita di tipo diapi rico di certe loro porzioni che si va accentuando verso il fondo valle del Rio Grande dove la massa assume aspetto caotico e scorrimento. La Fig. 3 ripro¬ duce schematicamente l'aspetto della zona scistoso carboniosa ripiegata, che nella Fig. 4 è stata utilizzata a indicare il tipo di deformazione e movimento delle masse calcaree. Queste masse sul versante occidentale del blocco proterozoico tenderebbero a originare un tipo di struttura che ricorda quella dei cunei com¬ posti. Rinserratesi le pieghe calcaree, in parte sfuggite diapirica- mente dagli scisti argillosi del resto della serie, la massa calcarea verrebbe ad avere funzione di massa rigida. La formazione calcareo-scisloso-carbon.iosa della gola dì Sa eh ago. Passando ora a esaminare la profonda incisione di Sachayo, parallela alla precedente e subito al N della stessa, colpisce il fatto che, come già dicemmo, la serie calcarea affiora nel letto del Rio Grande. Da questo punto fino a poco prima del paese Volcan la massa calcarea costituisce la sponda sinistra di questo fiume in pendici assai ripide. L’affioramento di base offre i soliti caratteri di pieghe, piccole in questo caso, ma acute* e con ten¬ denza al rovesciamento a W. Esso risulta costituito, come si può meglio vedere dalla Fig. 5, da un’alternanza fra banchi calcarei grigi o grigio scuri, più o meno spessi, e argilloscisti sottili, ai quali segue una spessa serie di circa 10 m. di potenza apparente,, completamente ripiegata, rotta e rovesciata a W e data da scisti silicei giallastri o verdolini, sottilmente stratificati, con superfìci lucide verdastre, con reticolazione in rilievo, del tipo di quelli che nella valle precedente si trovano legati alle masse lenticolate carbouiose. Questa parte scistosa di forte ripiegamento endemico^ 160 R. LOSS E A. GIORDANA è stata e viden temente alquanto soprascorsa da una massa di cal¬ cari, che qui appaiono dapprima con forte pendenza a E, poi si raddrizzano e prendono pendenza opposta, costituendo cioè un sinclinale scorso, che in certo modo si collega con la porzione scorsa della serie più bassa della valletta precedentemente esa¬ minata. E interessante rilevare fra gli elementi petrografie! della massa di calcari che costituiscono la porzione scorsa sopra gli argilloscisti ripiegati, un tipo di arenaria grossolana quarzosa a Fig. 5 - Dettaglio dell' affioramento calcareo scistoso sulla sponda si¬ nistra del Rio Grande, allo shocco della gola di Sachayo. a: calcari ìastriforrni oscuri, con intercalazioni di argilloscisti. b : calcare are¬ noso quarzoso compatto, c. : calcare arenaceo grossolano con rari cri¬ stalli di pirite, d: scisti silicei duri e calcari Ìastriforrni compatti a sottile stratificazione (20-25 cm.). e: scisti silicei localmente carbo¬ niosi, laminati e ripiegati e con piani di taglio a E, giallastri o ver¬ dolini, con sriperfici reticolate in rilievo. cemento calcareo e pigmento carbonioso. La grandezza dei, grani quarzosi, alcuni di colore ametistino o ceruleo grigio nella rot¬ tura, può raggiungere il min. Questi granuli rotondeggianti sono cataclastici e si presentano anche compenetrati. Il cemento, es¬ senzialmente calcareo, contiene sostanza carboniosa e può offrire una struttura cariata per asportazione dello stesso e in esso si rende manifesta anche una limonitizzazione proveniente dall’al¬ terazione di pirite. Quest’ ultima infatti è presente in forma di sottili lenticelle a struttura microcristallina. Quest’arenaria gros¬ solana è dunque il membro che sintetizza quella più o meno ge- OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY (ARGENTINA) 161 nerale dispersione di granali quarzosi, che notammo presente in parecchi elementi della serie calcarea e non calcarea. D'altra parte esistono in questo sperone più occidentale della successione che ora esaminiamo, termini di transizione, dati cioè da calcare nero con la solita reticolazione cataclastica di aspetto subcristal¬ lino, nella cui massa spiccano dispersi i sopradetti granuli, e termini che, in banchi ben individualizzati di 5-6 cm., sono dati da un calcare nero fosco, compatto, di grana assai fina, con frat¬ tura. netta e grigio perlacea plumbea, e scarsissima venatura bianca calcitica. L' aspetto del tutto fresco di tali materiali è evidente e tale da permettere l'esame dettagliato della succes¬ sione sedimentaria, che nel caso di spessori ridotti è data da un netto passaggio laterale a una banda non uniforme di arenaria quarzosa a cemento calcareo per uno spessore massimo di 1,5 cm. e con altro passaggio laterale netto a scisti arenosi molto fini, laminari, anch’essi calcarei. Le vene calcitiche spatiche possono anche presentarsi concordanti fra questi due ultimi tipi d'inter- strato. L’ala E del sinclinale scorso è a sua volta soprascorsa da un altro sinclinale a cerniera con forte frantumazione e piano di faglia con inclinazione di 50° circa a NE parallelo al piano di stratificazione della sua ala occidentale. Anche in questa valletta il torrente s’incastra in gola d’ escavazione della massa calcarea, della quale è visibile il ripiegamento in pieghe acute chiuse, flessure e leggeri rovesciamenti a \Y nel tratto più basso, verti¬ cali più a monte. In qualche caso sono ancora visibili sinclinali di scisti argillosi rosso violacei. Il costipamento di queste pieghe calcaree molto acute assume in questa gola il suo massimo d’espo¬ sizione, essendo la direzione del complesso a NW ; verso gli affioramenti di cresta sono ben conservati gli apici anticlinali calcarei minori o anticlinali maggiori mozzati e in sinclinali ripetuti quegli elementi arenoso argillosi conglomeratici che qui rappresentano quel membro di natura forse tilli-tica, che consi¬ derammo superiore a calcari ; qui appare di nuovo nella struttura topograficamente alta, mentre nella valletta che sta più al N della presente, già appare più basso e più spostato a YV. In questi sinclinali elevati, di cui la Fig. 6, il materiale di riempimento è dato da scisti arenosi di color marroncino, fìssili, con argille arenose conglomeratiche grigio marroncine, con pas¬ saggio più o meno evidente ad argilloscisti franchi più teneri e R. LOSS E A. GIORDANA dello stesso colore : il tatto per una potenza reale di circa 3 m. S: intercala a questo membro una curiosa breccia silicea assai dura e d’aspetto lenticolare, come nucleo chiuso d’un sinclinale. E data da piccoli frammenti irregolari di arenarie quarzitiche chiare farinose e nuclei silicei grigio cerulei quasi opalini. La lenticolazione di questi componenti clastici angolosi è abbastanza evidente e V interpretazione che possiamo suggerire per la stessa Fig. 6 - Aspetto delle anticlinali calcaree (C) e dei sinclinali argil¬ loso arenosi conglomeratici (Ac) con breccia silicea (B), come appaiono negli affioramenti di cresta, sponda sinistra della gola di Saehayo. è quella di un nucleo sinclinale lenticolato tettonicamente, che per posizione corrisponderebbe a una breccia silicea ben cemen¬ tata biancastra, che vedremo al tetto del materiale conglomeratico della sezione successiva più a N. Il materiale arenoso argilloso conglomeratico, scistoso, mar¬ roncino, offre in questo caso inclusi più grossi di quelli che finora abbiamo potuto osservare. Si tratta d'inclusi silicei coni patti, grigio azzurrini, a contorno irregolare, delle dimensioni OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY (ARGENTINA i 16B unassime di 6 cui. per 1 . 5 - '2 era. di spessore. Le lamine di stra¬ tificazione. che accusano piuttosto una scistosità tettonica del materiale, tendono chiaramente ad avvolgere e giustapporsi alla forma del ciottolo. Esistono altri numerosi inclusi di dimensioni minori, anche lenticolati, alcuni d'aspetto quadrangolare; ma in generale le lamine di stratificazione del materiale arenoso argil¬ loso presentano sempre una inarcata disposizione lentiforme di natura tettonica e la giustapposizione dei veli sedimentari attorno agli inclusi irregolarmente dispersi a motivo di eterogeneità di tale deposito. In relazione con le strutture più elevate di questa sezione ritorna ad affiorare in sinclinali deformate e come nucleo il sopracitato materiale, sempre marroncino giallastro, con pas¬ saggi laterali a bande grigio sporche di natura irregolarmente eonglomeratica minuta e una divisione in banchi di 5-6 con. di spessore, con intercalazioni argillose scistose giallastre. La lenti- colazione degli inclusi irregolarmente dispersi, dalle dimensioni che possono arrivare a quelle di una noce, silicee, è più o meno evidente. E presente poi una diffusione di pirite in cristalli cu¬ bici, alle volte di aspetto fresco, alla cui alterazione si deve la colorazione del deposito. La profonda incisione del torrente ci permette anche di os¬ servare dettagli tettonici e relazioni stratigrafiche che servono ad illuminarci sopra il comportamento della massa calcarea alla deformazione in tutt'uno col resto del Proterozoico. Alle pieghe calcaree completamente chiuse e acute si sussegue verso la ter¬ minazione orientale profonda della massa calcarea, un ammassa¬ mento e rottura della stessa, di cui la Eig. 7 riproduce un dettaglio. Si nota così che il solito calcare nerastro a stratifica¬ zione evidente e sottile (10-20 cm, ) si presenta arricciato e rag¬ gomitolato. come nucleo strozzato e d’inviluppo profondo, al quale inferiormente corrisponde, come massa diapiricamente incuneata, altro calcare grigio venato, che mostra ancora un intenso ripie¬ gamento in piccola scala e ripetuto. Questa pieghettatura com¬ plessa e del tipo dei materiali plastici, si rende ancora evidente per leggere linee oscure d'incisione differenziale, ma l'erosione opera sulla massa in forma indipendente dalla sua struttura di de¬ formazione. Sopra queste masse calcaree così deformate endemi- ramente si presenta solamente flesso il deposito conglomeratico, -sotto forma di strati di circa 10 cm. di spessore, arenoso, con eiottoletti e granelli silicei e quarzosi dispersi, del solito colore 164 R. LOSS E A. GIORDANA giallastro bruno; potenza totale circa 3 m. Seguono, con ripiega¬ mento prima intenso e di tipo endemico, poi smorzato, scisti quar¬ zosi a sottile stratificazione, verdastri, ai quali seguono scisti argillosi franchi rosso violacei laminati, e quindi arenarie compatte a grana fina, micacee, grigio verdi, in banchi grossi e resistenti alla deformazione e contro le quali si è deformato e aggiustato più o meno plasticamente, da una parte il calcare a stratificazione Fig. 7 - Aspetto terminale profondo della serie calcarea, parte aita- della gola di Sachayo. Ch : nucleo calcareo strizzato e fortemente de¬ formato. Co : calcari a stratificazione sottile raggomitolati (strutture a. gomitolo). Ac: orizzonte arenoso argilloso conglomeratico. Sv : scisti quarzosi a sottile stratificazione, verdi. Sr : Scisti rossi, aqv : arenarie quarzitiche verdastre in banchi compatti. AA. : linea d’incisione del torrente. sottile e dall’altra gli scisti quarzosi verdi fittamente straterel- lati e gli argilloscisti rosso violacei, forse in parte anche soppressi. Xon sarà inutile osservare qui che la massa dei materiali proterozoici, rappresentata sopratutto da resistenti masse di are¬ narie silicee grigiastre in banchi grossi, segue a oriente solle* vandosi topograficamente di molto. Per cui, la massa calcarea,. ± 2500 m OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY (ARGENTINA) < ai a> a> v ww Z/2 a a x s: a TJl N K O SI s: a» <5 Cjj a> o a a> m o bD — w xn a> a ’r-t co ■- m o a O) ÒJD oc o co -i bl 165- (|el torrente Sivéluiyo. a.,: alluvioni recenti del lyio Grande, A; linea (.l’incisione elei torrente Saeliayo. 11. LOSS li A. GIORDANA 16G se alle sollecitazioni di accorciamento ha risposto serrandosi in un insieme di pieghe acute e chiuse, alle sollecitazioni di asse¬ stamento del blocco proterozoico dei movimenti andini rispose con una fratturazione ed espulsione cuneiforme di segmenti rigidi nel loro insieme. La fig. 8 rappresenta schematicamente quello ■che si é potuto osservare in questa gola. Gli a (fio rai}ienli della valletta Manzano e dell' E del paese Volcan . Subito al SE del paese Volcan e al N della gola di Sachayo ■esiste un’altra piccola incisione, quella del Manzano, che ci per¬ mette di completare le relazioni strati grafiche strutturali della for¬ mazione in esame. E da osservare innanzi tutto che dallo sperone destro di sbocco della gola di Sachayo fino quasi all’altezza del paese Volcan, la massa calcarea costituisce la ripida pendice sinistra del letto del Rio Grande, che in qualche punto mostra scoperta la parte scistoso carboniosa. A questa pendice calcarea più esterna, almeno per un tratto o monte dello sbocco della vai letta che ora esaminiamo, si può tentati vamente dare funzione anticlinale, che potrebbe quindi es¬ sere la continuazione di quelle strutture più esterne che si vedono nella sezione relativa alla vailetta del Manzano. Però giova notare ohe nella valletta del Manzano, di cui ora tratteremo, la massa calcarea non affiora più con quella potenza di pieghe che carat¬ terizza la gola di Sachayo, ma si presenta diremo come ridotta, ben presto seguita dalle strutture non calcaree, cosa questa che non ci è facile spiegare se teniamo presente la distanza di solo circa un Km. fra le due incisioni e che sembrerebbe corrispondere a un ben rapido sprofondamento della massa delle pieghe calcaree, -accòmpagnato da un suo rapido assottigliamento verso N. Si è potuto osservare varie volte come l’inclinazione assiale delle strutture assurge a valori veramente elevati verso il N (anche 60-70°), il che porterebbe di per sè solo a seppellire le strutture •calcaree sotto i materiali di riempimento del letto del Rio Grande. Però, anche se è logico pensare che simile valore non sia affatto ■costante, ma possano esistere ondulazioni assiali, che accompa¬ gnandosi a un assottigliamento dello spessore originale della placca calcarea faciliterebbero la rapida riduzione nel suo affiora¬ mento attuale (al N e NE del paese Volcan non c’è più traccia OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY ( ARGENTINA ) 167 Supue- sfos vestigios de glaciaciones del Paleozoico ea lo. i Argentina. Rev. Mu¬ seo de La Piata (N. S , I, 347-406; La Piata 1943. Questo lavoro dà una buona idea della complessità del problema per quello che riguarda le tilliti paleozoiche argentine. OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JU.JUY (ARGENTINA) 179 glaciale o di deposizione glaciale in un mezzo acqueo, sono molto suggestivi. La superficie di riposo dell’orizzonte conglomeratico sopra il calcareo è generalmente ben definita e solo in un puuto si è potuto constatare la presenza di blocchi calcarei, del tutto uguali nell’aspetto al tipo caratteristico del calcare sottostante, inglobati nel materiale arenoso argilloso conglomeratico proprio alla super- ficie di deposizione sul calcare. E questa indubbiamente una superficie di discordanza di stratificazione, più o meno mascherata dalle deformazioni tettoniche, che ci permette riconoscere un hiatus epirogenetico leggero. Infatti alla sedimentazione terrigena, alla quale appartiene anche la serie calcarea, segue una pausa a cambio di sedimentazione per parte d’acque correnti d’apporto più grossolano irregolare, sebbene a quanto pare in misura piut¬ tosto scarsa, di ciottoli variamente lavorati, ma in nessun caso striati. L'oscillazione è del tipo regressivo, ma di scarso effetto, poiché riprende quella sedimentazione terrigena, che aveva prima depositato la serie degli scisti arenosi e argillosi e la serie cal¬ carea, e che ridepone con carattere prevalentemente arenoso quar¬ zoso la successione potente di quelle arenarie e di quegli scisti argilloso arenacei, che costituiscono la serie superiore. Alcuni dei termini stratigrafici non calcarei, differenziati in questa nota, possono trovare la loro equivalenza in quelli che fu¬ rono descritti per zone prossime a quelle qui considerate, più a N e a NW. Gli scisti ardesiaci delle tonalità violacee ora ten¬ denti al rossastro ora al cioccolato e i termini arenosi più o meno micacei e alle volte scistosi, ma generalmente compatti, possono inquadrarsi coi materiali descritti da vari Autori, in particolare con quelle tre distinzioni petrografiche che Ducloux (1940) diffe¬ renziò per le zone della valle di Juella e collaterali sulla destra del Rio Grande al N di Tilcara ; inoltre con quelle differenzia¬ zioni di carattere generale che diede il De Ferrarus (1940) per zone al N di Volcan. Le osservazioni di quest’ultimo investiga¬ tore mi sembrano interessanti, se non altro perchè si riferiscono a quegli affioramenti proterozoici che, corrispondendo al lato destro del Rio Grande, vengono a collocarsi più o meno sulla prosecu¬ zione della fascia che sta ad occidente delle strutture calcaree di Leon Volcan. Infatti nel Cerro Patapampa, al S del pmese Purmamarca, le rocce proterozoiche sono evidentemente rappre¬ sentate da materiali argilloso arenosi dati da ardesie filladiche e 180 R. LOSS E A. GIORDANA filladi e arenarie scistose verdastre più o meno oscure e rossa¬ stre o rosso violacee in frequenti alternanze, con intercalazioni di compatti banchi di arenarie silicee a grana fina. Come ab¬ biamo potuto osservare in varie occasioni, questa serie del Cerro Patapampa offre i soliti caratteri di intenso ripiegamento e quindi i movimenti differenziali relativi alla varia resistenza alla defor¬ mazione, da cui le lenticolazioni di cui parla anche il De Fer- rariis. Però sonò sempre movimenti differenziali d’intercalazione e d'effetto complessivo scarso. E anche con le riserve relative alle difficoltà di correlazioni a distanza, è sospettabile che questa- serie argilloso arenacea fina a colori contrastanti si colleghi a quella fascia che sempre più ridotta verso Volean notammo a oc¬ cidente delle strutture calcaree, ancor più affetta qui da tettoni- smo multiplo e non solamente proterozoico. Fra i tipi arenacei quarzosi verdi della zona di Tumbaya s'incontra fra il resto un termine a grana quarzosa ben visibile, die ripete cioè dentro tal serie l'aspetto grossolano a granuli arrotondati e abbondanti di quelle arenarie sia calcaree sia non calcaree verdastre o bian¬ castre della serie esaminata. Comunque il fatto più notevole della sedimentazione protero- zoica risulta a un certo momento quello dell’ apporto di sostanza calcarea più o meno accompagnato da quello di sostanza carbo¬ niosa, la cui origine organica, sia come pigmentazione generale della serie calcarea, sia come sedimento proprio intercalato sot¬ tilmente a quello calcareo, rimane Y unica possibilità, data la evidente natura terrigena del deposito e il suo scarsissimo meta¬ morfismo, che, a parte gli effetti di multiple cataclasi, è quello della scistosità dinamica di deformazione e una non sempre vi¬ sibile cristallizzazione. L’aspetto lucente subgrafitoide dei veli carboniosi è del resto uno degli effetti dinamici di metamorfismo, che non è stato però sufficiente alla completa trasformazione della sostanza carboniosa, da una parte piuttosto diffusa e scarsa come deposito proprio e dall’altra privata di quegli apporti mag¬ matici e termici, che avrebbero potuto agire in forma ben più definita. Incidentalmente osserviamo che le poche e scarsissime mineralizzazioni osservate nella zona dei calcari sono rappresentate- da assai esigui apporti di solfuri metallici (galena, pirite), legati a una diffusione teletermale filoniana di quarzo con calcite. Que¬ st’ ultima associazione è assai frequente e si accompagna in certi casi a prevalenti carbonati (calcite, siderite). La mancanza dei OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY (ARGENTINA) 181 caratteri distintivi della grafite vera e propria (pleocroismo e anisotropia) ci permettono asserire lo scarso grado di metamorfi¬ smo della sostanza carboniosa, la quale cioè si avvicinerebbe alle trasformazioni superficiali che furono per esempio riconosciute da A. Bibolini e A. Giordana (1933-34) su certe masserelle nodu- lari dinamometamorfiche delle antraxoliti alpine, mentre non sa¬ rebbe arrivata alle trasformazioni di quei tipi carboniosi, nei quali l’azione dinamoinetamorfica è accompagnata da grafitizzazione,. come le grafiti antracitose del Pinerolese (Piemonte) legate a energiche azioni di metamorfismo dinamico e di carico (G. B. Dal Piaz, 1939). La facies più scistosa e quella cataclastica della formazione calcarea carboniosa di Leon Volcan, nella quale sono riconoscibili per lo meno due tempi di deformazione (cataclasi antica o pre¬ cambrica e cataclasi recente di età andina), partecipano in altre parole di quell’aspetto submetamorfico- di tutto il complesso dei materiali proterozoici di Jujuy, che, dopo le deformazioni precam¬ briche, quelle andine hanno ripreso con fenomeni di prevalenti fratture in blocchi e probabili accentuazioni dei vecchi ripiega¬ menti e quindi conseguenti rotture di tipo cuneiforme di quei materiali che, come i calcari, hanno risposto rigidamente. Non è facile trarre conclusioni più o meno speculative sulla natura e origine della sostanza carboniosa che ha determinato la caratteristica colorazione della formazione calcarea e calcarea arenosa ; colorazione ben uniforme nel suo insieme, sebbene la sostanza carboniosa sia quantitativamente scarsa. Essa si renda manifesta come una finissima sospensione di particelle carboniose che sedimentano lentamente in una soluzione del materiale cal¬ careo con acido cloridrico. Questa sostanza carboniosa si rende alquanto più abbondante nella facies scistosa, ma anche in questo caso è difficile lo studio separato. Se la sua origine è organica,, quest’ affioramento’ del Proterozoico argentino è un caso di più di quelli già noti relativamente all’ esistenza di una vita organiz¬ zata nel Precambrico, della quale del resto si conoscono vari do¬ cumenti fossili per le formazioni proterozoiche (uroniane) del Nord America, unitamente a scisti carboniosi anche di altri paesi. E a questo proposito non sarà inutile ricordare che la successione ripiegata dell’ Algonchico medio della Finlandia (Jatuliauo) con¬ tiene nella sua parte superiore al N del lago Onega, oltre a scisti carboniosi, un deposito antracitoso (shungite) di circa 2 m., che 182 R. LOSS E A. GIORDANA Sederholm (1897) considera il più antico giacimento di carbone -e che naturalmente fa pensare a un certo sviluppo della vita ve¬ getale già in tempi precambriani (Sederholm parallelizza il suo Jatulico all'Uronico del Nord America). La sedimentazione calcarea della formazione jmoterozoica di Leon Volcan sembra iniziare con prevalente apporto di materiale arenoso quarzi tico, oltre a deposizione della sostanza carboniosa. In vari punti dell' affioramento (Aguas Blancas, Sacbayo) la parte inferiore della formazione calcarea più o meno prossima alla facies -scistosa e dentro questa stessa, offre elementi distintamente are¬ noso quarzosi. Questa deposizione chiaramente terrigena e alquanto grossolana, che del resto si ripete in altri membri sia della serie •calcarea stessa sia di quella non calcarea, sopra e sottostante, potrebbe essere considerata una prova ciclica di oscillazioni ge¬ nerali leggere dell' insieme e, in certo qual senso, un motivo che stacca con certa non conformità detta serie da quella argilloso pe- litica degli scisti rossi. Fra le fasi ripetute di oscillazioni ver¬ ticali, la maggiore rimane comunque quella del deposito conglo- meratico disperso forse tillitico, che chiude al suo tetto la serie calcarea, in qualche punto erosa. Un fatto di notevole importanza è quello che la formazione cal¬ careo carboniosa di Leon Volcan venga a trovarsi press’ a poco sull' allineamento meridiano di quelle formazioni calcareo cristal¬ line che rispettivamente nella Sierra di Cordoba (Prov. di Cor¬ doba) e nelle « Sierras » di Guasayàn e Aneajàn (Prov. di San¬ tiago del Estero) sono conosciute in base ai lavori di diversi investigatori G. Bodenbender, 1905; B. Beder, 1922, 1928; F. Pastore, 1932 . Gli affioramenti di Cordoba e di Santiago •dèi Estero s'incontrano a un dipresso lungo il 65° meridiano; quelli di Leon Volcan cadono sul 65° 30', vale a dire si presen¬ tano leggermente spostati a W, come se fosse questo un effetto dell' allineamento generale meridiano di questa fascia calcarea proterozoica. A questo proposito ricordiamo che secondo Beder 1928i i calcari granuloso cristallini di Guasayàn e Aneajàn of¬ frono una direzione di N-S 13" E, che può arrivare a N-S 18° W, con predominanza delle deviazioni verso V , fino a direzioni NVT-SE: condizióni queste che sono del tipo di quelle notate nei calcari di Leon Volcan. Però se per la loro posizione i calcari carboniosi di Leon Volcan si collegano in forma suggestiva a quelli di Cordoba e di Santiago del Estero, esistono differenze che li separano. OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY (ARGENTINA) 183 Innanzi tutto manca nella formazione di Leon Volcan quel legame a rocce granitiche e quelle concomitanti condizioni di me¬ tamorfismi per le quali i calcari granuloso cristallini della « Sierra» di Cordoba assumono un aspetto ben distinto, che li collega a quelli di Guasayàn e Ancajàn. Mentre negli ora detti affioramenti il carattere della cristallinità anche grossolana è il più generale e le colorazioni sono generalmente rosee o bianche o grigio gial¬ lastre, essendo i tipi grigio bruni o grigio nerastri per pigmen¬ tazione organica rari nella serie cordobese e prevalenti quelli giallastri o grigiastri nella serie di Guasayàn e Ancajàn, dove d'altra parte sono rari i tipi bianchi marmorei, nella serie di Leon Volcan il carattere della cristallinità è generalmente poco appariscente, essendo sostituito piuttosto da cataclasi e la pigmen¬ tazione carboniosa è dominante, potendo originare una facies scistoso carboniosa vera e propria. D’altra parte ancora, esiste una gradualità differenziale anche nelle mineralizzazioni meta¬ morfiche. Infatti i calcari cristallini di Cordoba sono caratterizzati da una numerosa serie di minerali metamorfici (per certi calcari dbiotiti ci anche grafite squamosa), in relazione, secondo Pastore (1932), a una diffusione ascendente di silice e silicati e ad ap¬ porti di contatto con rocce intrusive granitiche (metamorfismo di contatto e di iniezione). Nelle « Sierras » di Guasayàn e Anca- jàn secondo Beder 1928) lo zoccolo cristallino è dato da sedi¬ menti metamorfici scistoso cristallini e submetamorfici nei quali, secondo i casi, si può ancora riconoscere il loro carattere origi¬ nale sedimentario, a seconda degli effetti metamorfici di contatto con graniti e anche di natura magmatica. Evidentemente Tinva- sione magmatica ha attuato sui vecchi sedimenti, che erano rap¬ presentati da depositi clastici fini arenosi, argillosi e calcarei, d'aspetto più o meno scistoso per dinamometamorfismo tettonico precambrico, originando quella serie di materiali, che Beder (1928) distinse come filladi quarzifere e quarziti fìlladiche ma¬ croscopicamente compatte, ma che per la presenza di abbondanti grani di quarzo clastico e miche e sostanza argillosa e arenosa, accusano un'origine arenacea più o meno fine. Nelle zone di contatto con le masse d’ intrusione, tali rocce passano alle quarziti biotitic-he e quarziti micacee a bande, originando anche micascisti biotitici e paragneiss plagioclasico biotitici. Gli originali depositi calcarei passarono ai calcari cristallini granulosi, sotto forma di intercala- 184 R. LOSS E A. GIORDANA zioni concordanti con gli scisti più o meno metamorfici. E notevole- ricordare con Beder (1928) che i calcari di Ancajàn sono general¬ mente scarsi di minerali accessori, sebbene nella maggioranza con.- tengano mica bianca e isolati grani di quarzo, caso quest'ultimo comune nella serie dei calcari di Leon Volcan. Beder stesso OS: serva che la formazione dei silicati calcici è scarsa nei calcari di Ancajàn. In breve tutta la facies attuale della serie di Ancajàn e Guasayàn è in relazione agli apporti più o meno sentiti di na¬ tura magmatica. Anche i filoni di solo quarzo, secondo Beder (1928), non raggiungono mai le dimensioni di quelli della stessa classe della serie cordobese, e si presentano invece a quarzo lat¬ teo cavernoso, a riempimento ocraceo d'alterazione di pirite. C’è qui un motivo di più per allontanare verticalmente i calcari prò- terozoici di Santiago del Estero da quelle azioni minerogene che- sono proprie della serie di Cordoba, avvicinandoli invece ai cal¬ cari di Leon Volcan, dove d'altra parte non esistono affatto le- azioni di corpi magmatici e la reticolazione teletermale del quarzo latteo solo raramente e assai sporadicamente contiene, oltre a- calcite e siderite, qualche solfuro metallico e, in un caso, scarsis¬ simo feldspato rosso carnicino. Le considerazioni che si sono fatte tendono in altre pardo a differenziare sempre più dal S al N i vari gruppi di calcari proterozoici, nel senso di una graduazione da un massimo a zero- di quelle azioni, sia di metamorfismo regionale piuttosto profonde sia di metamorfismi diretti di contatto magmatico e fenomeni enigmatici, che assumono il loro maggior sviluppo per la serie di Cordoba, minori per quella di Guasayàn e Ancajàn, nulli per la¬ serie di Leon Volcan. Qui il calcare ha un aspetto cristallino minuto non sempre presente e la più o meno evidente diffusione- delia sostanza carboniosa, senza poter dire naturalmente se in origine si trattava di depositi bituminosi o di resti di piante, assume una facies del tutto speciale, che avrebbe avuto un ruolo- assai interessante se fossero intervenuti quei fatti magmatici così predominanti negli affioramenti di Santiago del Estero e di Cordoba. Il maggior grado di metamorfismo dei materiali con calcari proterozoici di Cordoba e di Guasayàn e Ancajàn non significhe¬ rebbe quindi necessariamente una posizione stratigrafica più bassa- di quella dei calcari e scisti di Leon Volcan. Questo concetto è stato trattato recentemente dal L. Gonzales Bonorino (1950) a OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY (ARGENTINA) ] 85 proposito della stratigrafia del Precambrico delle « Sierras » Pam¬ peane, nelle quali passa, per mezzo di uno smembramento dello zoccolo infrastrutturale in blocchi individualizzati, il complesso della Puna. Anche nel pensiero di questo Autore il metamorfismo delle rocce precambriche delle varie unità morfologico-strutturali, quali le « Sierras » Pampeane, quelle Subandine e Puna, dimi¬ nuisce dal N al S, in relazione precisamente al fatto della stretta dipendenza fra metamorfismo e invasione magmatica ('intrusioni di tipo batolitico e iniezioni magmatiche), che accusano gli scisti delle « Sierras » Pampeane. Ai sedimenti con solo metamorfismo dinamico dei materiali infrastrutturali dei blocchi di montagne di Jujuy e alle semipeliti submetamorfiche prepaleozoiche dei nuclei anticlinali delle «Sierras» Subandine australi, seguono le ardesie fìlladiche più o meno arenose del X e NE di Tucumàn, appartenenti alla facies degli scisti verdi (Eskola, subfacies degli «cisti cloritico-muscovitici), per passare subito alla subfacies bio- titico cloritica (scisti cloritico-sericitici-biotitici) e quindi la fa¬ cies anfibolico epidotica (associazione di biotite, muscovite, oli - goclasio), passaggio questo che da N a S è presente anche nella «Sierra» di Guasayàn (Gonzales Bonorino, 1950, pag. 96) e corrispondente all’area degli scisti o fìlladi quarzifere listate o -a bande alterne di quarzo e mica. L’aumento del metamorfismo interviene nelle regioni caratterizzate dalla presenza di corpi gra¬ nitici, alla cui influenza si deve il passaggio degli scisti alla fa¬ cies di anfìboliti epidotiche e anfìboliti (filladi e micascisti), in¬ contrandosi infine il grado più avanzato di metamorfismo nelle zone migmatiche. Queste e altre considerazioni, che conducono l’Autore citato ad affermare la unicità senza discordanze interne di tutto il complesso degli scisti delle « Sierras » Pampeane da Eiambalà (Catamarca) a Guasayàn, e legare ad un solo ciclo orogenico prepaleozoico gli scisti e i graniti delle « Sierras » Pampeane, potrebbe essere un motivo che ci spinge a pensare di unire ten- tativamente a quedi anche i materiali submetamorfici del Protero- zoico di Jujuy o per lo meno quei materiali argillosi arenosi più o meno ardesiaci ai quali sono legati i calcari di Leon Volcan. Naturalmente le possibili ed eventuali correlazioni stratigrafiche in senso stretto con i calcari di Santiago del Estero e di Cordoba rimane un problema assai arduo. Non si può però escludere, e de considerazioni precedenti ci aiutano al rispetto, che l' affiora- 186 R. LOSS E A. GIORDANA mento calcareo carbonioso di Leon Volcan stia in una relazione' non proprio sincrona e forse omotassica con i calcari delle « Sier- ras » Pampeane, del complesso cioè di materiali epiconti Dentali di quel « geosinclinale prepaleozoico a ciclo orogenico unico e chiusosi con la messa in posto in determinate regioni di graniti,, gli ultimi dei quali in corpi batolitici », per usare una espres¬ sione sintetica e conclusiva del Gonzales Bonorino (1950). Rimane naturalmente da vedere quale reale significato possa avere l’orizzonte arenoso argilloso conglomeratico postcalcareo di Leon Volcan, nella storia geologica del Proterozoico di Jujuy e se esso possa realmente dividere la serie sopracalcarea di Leon Volcan, dal complesso dei calcari neri e degli scisti rossi che l’accompagnano. A questa possibilità sembra opporsi il fatto no¬ tato al Morro del Abra Morada della presenza di un calcare su¬ periore a detto orizzonte. In altre parole dal S al N l’orizzonte conglomeratico sembra accentuare il suo carattere sopracalcareo e probabilmente verso il S ha maggiormente perdurato ripeten¬ dosi la sedimentazione calcarea. Quest’ ultima indubbiamente è limitata, sia verticalmente, sia orizzontalmente e dai suoi carat¬ teri generali si potrebbe per essa suggerire la presenza di bacini o conche relativamente poco profonde, nelle quali ha potuto con¬ centrarsi l’accumulazione del materiale calcareo terrigeno, in qualche modo collegato ad una attività biologica, da cui proviene anche la sostanza carboniosa, conche cioè di sedimentazione a pre¬ dominio più continentale che propriamente marino. A questo proposito è utile l’esame dei dati analitici, che sono raccolti nella seguente tabella e che si devono a sei analisi effettuate dal Dr. Luciano Ricci (*) su campioni della serie cal¬ carea e che corrispondono alle seguenti caratteristiche : I. Calcare nero cristallino, di grana fina, tessitura lenticolare, con reticolazioni di vene calcitiche. Pendici basse al S della valle La Galera, a E di Leon. IL Calcare arenoso quarzoso, con abbondanti grani quarzosi,, nero tosco, con bande di stratificazione ; parte bassa della serie calcarea della gola Aguas Blancas, al tetto della in¬ tercalazione basale scistoso carboniosa. (l) Ringraziamo qui la utilissima collaborazione del Dr. L. Ricci, capo del Laboratorio Chimico dell’ Istituto di Geologia e Miniere del— T U n i v . di T ucmnàn i n J n j uy . OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJUY ( ARGENTINA) 18/ Iti. Calcare cristallino a grana fina, grigio scuro, molto compatto e omogeneo, senza venatura, stratificazione sottile ; spuntoni medio superiori della valle Grande. IV. A renaria calcarea a grana visibile per abbondanti granuli quarzosi a cemento calcareo, alquanto carbonioso, grigio chiara. Parte bassa della serie sulla sinistra del Rio Grande, sperone destro dello sbocco della gola di Sachayo. V. Calcare grigio nerastro compatto, a grana fina, omogeneo,, scarsissima venatura calcitica, in banchi ben differenziati di 9-10 Gin. ; transizione agli strati arenosi della serie del IV. Vt. Calcare nerastro a grana fina, compatto a stratificazione sot¬ tile o lastri forme. Affioramento estremo settentrionale, a E del paese Volcan. Tabella delle analisi chimiche (x) Campioni I li ni IV V VI Perd. al Puoco 40,34 24,66 42,06 19,12 34,88 41,60 Si02 7,80 41,67 3,44 54,13 16,78 3,04 Pe203 traccie 0,47 traccie 0,42 2,81 traccie MnO, traccie traccie traccie — — traccie a.o. 1,12 2,36 0,95 2,41 0,84 0,81 CaO 50,50 29,93 53,13 23,60 42,85 53,27 MgO 0,51 1,87 0,63 0,49 2,57 0,41 C libero indeter. indeter. indeter. indeter. indeter. indeter. Totale 100,27 100,96 100,21 100,17 100,73 99,13 ( 1 ) A titolo di comparazione riportiamo qui l’analisi di un calcare cristallino di Ancajan, tratta da V. Angelelli : Yacimientos de calizasr 188 11. LOSS l<] A. GIORDANA Dai dati soprastanti risulta abbastanza chiaro l’alto conte¬ nuto (superiore al 90 °/0) di CaC03, il basso contenuto (inferiore al 3%) di MgCO.j, le piccole quantità di silice (escludendo na¬ turalmente i termini arenosi), allumina e ferro. Queste condi¬ zioni fanno escludere il carattere marnoso di detti calcari, collo¬ candoli bene fra quelli idonei alla fabbricazione dei cementi (*), avvicinandoli inoltre a certi tipi recenti di origine continentale, di spessori ridotti. San Salvador de Jujuy , luglio 1952. 0 P E RE CI T A T E 1922. Beder R. Estudios geológicos en la Sierra de Cordoba , e special¬ mente de las calizas cristalino-granulosas y sus fe¬ llóni enos de metamorfismo. Boi. n. 33, ser. B (Geologia) de la Direcc. gen. Min. Geol. e Hidrol., Buenos Aires- 1928. » » La Sierra de Guasayàn y sus alrededores, una con- tribución a la geologia e hidrologia de la Provincia de Santiago del Estero. Pubi. n. 39 de la Direcc. Gen. Min. Geol. e Hidrol. Buenos Aires. 1933-34. Bibodini A. e Giordana A. Contributo alla conoscenza delle antraciti alpine. L’ antracite di La Thuile in Val d’ Aosta. R. Acc Se. Torino, Atti, 69, Torino. 1905. Bodenbender G. La Sierra de Cordoba. Costitución geològica y productos minerai es. Anales Min. Agricult., secc. Geo¬ logia Min. I, n. 2 Buenos Aires. 1939. Dal PiAZ G. B. Considerazioni geologiche sui giacimenti antro - citici carboniferi delle Alpi Italiane. In « Combusti¬ bili Ital. e loro Impiego» ; R. Acc. Se. Torino, Torino. 1940. De Ferrari is C. I. C. Corrimiento de bloques de montana en los alrededores de Purmamarca , Dept. de Tumbaya ( Rrov . de Jujuy). Tesis del Museo de la Piata, 1, Buenos Aires. - calcareos y dolomitas , pag. 348 Boi. N. 50, Min. Agr. Nac., Dirección de Minas y Geologia, Buenos Aires, 1941, secondo L. R. Catalano : insolubile in HC1: 2,82 ; Fe203 e A1203 : 0,96; CaO : 53,24; MgO : 1,22 ; C02 : 41,76. (x) Vedasi a proposito: Industriai Minerai and Rocks. The Ame¬ rican Institute of Mining and Metallurgical Engineers, New York, 1949, pag. 167-168. OSSERVAZIONI SUL PROTEROZOICO DI JUJtJY (ARGENTINA 189 1940. Ducloux H. A. Sabre los fenómenos de corrimiento en ambos lados de la quebrada de Juella , Dept. de Tilcara ( Prov . de Jujuy). Tesis del Museo de la Piata, n. 2, Buenos Aires. 1950. Gonzales Bonorino F. Algunos problemùs geológicos de las Sierras Pampeanas. Revista de la Asoe. Geolog. Ar¬ gentina, V, n. 3, pag. 81-110, Buenos Aires. 1910. Keidel J. Estuclios geológicos en la quebrada de Humahuacu , en la de Iruya, y algunos de sus valles laterales. Mem. de la Div. de Minas, Geol. e Hidrol. del ano 1908, Anales Min. Agricult., V, n. 2, 76-77, Buenos Aires. 1947. » » El Precàmbrico. In Geografia de la Rep. Argentina, t. I. G. E. A., Buenos Aires. 1932. Pastore F. Hojct 20i del Maya Geològico de la Argentina. Región orientai media de la Sierra de Cordoba. Re- levamiento geològico y explicación. Boi. n. 36 Direcc. Min. y Geol., Min. Agricult. de la Naeión, Buenos Aires. 1897. Sederholm Archdisclie Sedimentformation in siidwestlicJien Fin- land. fide : Kaiser E. Lelirbucli der Geologi schen Formationskunde, II, 1 Bd. pag. 55-56, 1923. 1948. Shrock R. R. Sequence in layerecl Rocks ; A stucly of Features and Structures useful for determining top and bottoni, or Order of Succession in bedded and Tabular Roclc- bodies. McGrow Hill Book Company, New York. il G. Pagliani e C. Milani LA PEGMATITE DI C ANDO GLIA (VAL D’ OSSOLA) Poco sopra il paesetto di Candoglia in Val d’ Ossola, in lo¬ calità Vallorba, presso il terzo tornante della strada carozzabile che porta alle grandiose cave di marmo rosa della Fabbrica del Duomo di Milano, nel solco scavato dal torrentello Vallorba, af¬ fiora una pegmatite, già sfruttata un tempo per la muscovite ed ora abbandonata ; numerosi sono gli affioramenti sparsi lungo il pendio. Quello di maggiori dimensioni ha spessore massimo, nella zona visibile, di una decina di metri, ha sezione rozzamente len- 7 -* 1 \ ticolare e, come tutti gli altri della zona, direzione SO-NE. E in concordanza con le rocce incassanti che sono, come per la lente di marmo che è talvolta a contatto con la pegmatite, gneiss bio- tifici facenti parte della zona Ivrea-Verbano o kinzigitica. Questi gneiss non sono altro che la continuazione verso Oriente degli gneiss Strona minutamente descritti da Artini e Melzi (1); essi sono sempre caratterizzati, insieme alle kinzigiti che più a Nord li accompagnano, dalla presenza di numerose lenti di calcare saccaroide e di filoni o di piccole vene pegmatitiche che solcano tutta la formazione (2). A Candoglia in particolare, come ad Ornavasso, le lenti di calcari e di calcefiri sono tanto frequenti da apparire quasi con¬ tinue e numerosi sono gli affioramenti pegmatitici. La pegmatite di Candoglia ha tessitura massiccia, color bianco, è priva di geodi o di cavità, ha tipica struttura pegma- tica, grana assai grossolana. I minerali che la compongono sono: Componenti essenziali : quarzo e feldispato sodico in proporzioni quasi eguali, muscovite e, assai subordinata, una pertite ortoclasica. Componenti accessori : tormalina assai abbondante, apa¬ tite, granato. Componenti accidentali : biotite. 191 LA PEGMAT1TE DI CAN DOGLI A (VAL d‘ OSSOLAj Le proporzioni in cui si trovano i vari componenti sono quanto mai variabili ; in alcuni punti la tormalina costituisce fino al 50 °0 della massa della roccia, in altri, specialmente alla pe¬ riferia del filone, essa è completamente assente ; nelle parti peri¬ feriche, a contatto con il gneiss biotitico, si ha invece un fortis¬ simo arricchimento di muscovite. Non mancano vene di quarzo quasi puro, racchiuso nella massa del filone. Quarzo : Il quarzo è il componente più diffuso della pegmatite ; è bianco lattiginoso, forma vene di notevole spesssore o, in forma di minuti cristalli, cementa gli altri minerali e ne riempie le fratture. Estinzioni ondulate frequenti e intensa frantumazione sono visibili in sezione sottile al microscopio ; sovente i granuli sono striati. E sempre autallotriomorfo rispetto agli altri compo¬ nenti. Feldispati : Caratteristica di questa pegmatite è la presenza di un plagioclasio acido come componente feldispatico dominante, invece di ortoclasio. Già il Tacconi, nella sua breve descrizione della pegmatite di Candoglia (3) nota la presenza di un feldispato acido. Esso è di color bianco, si presenta in grossi cristalli mal formati o in masse informi. Al microscopio appare torbido per incipiente alterazione e in alcuni punti è zeppo di inclusioni, sopratutto di muscovite, o è attraversato da vene quarzose. I cri¬ stalli sono quasi sempre geminati, sopratutto secondo la legge dell’albite, più raramente vi si associa quella del periclino. Note¬ voli le deformazioni clastiche che hanno provocato nel minerale frantumazioni, estinzioni ondulate, incurvamenti e spostamenti nei piani di geminazione. Talvolta è possibile osservare vene esilissime di micropertite ortoclasica attraversanti i cristalli di plagioclasio. Gli indici di rifrazione, determinati col metodo della linea di Becke, sono risultati : a = 1,531 A 0.001 ji = 1,536 — 0,001 ^ == 1,541 ± 0,001. L’angolo d’estinzione nella zona simmetrica si aggira intorno ai — 10'. L’angolo assiale ottico determinato direttamente per mezzo del T. U. è risultato 2V — 83°. Si tratta quindi di un oligoclasio dalla composizione Abdù An10. Queste determinazioni sono state controllate al T.U. stabilendo la posizione dei piani di simmetria ottica rispetto al polo e ai piani di geminazione ; anche in tal modo il plagioclasio è risultato con un contenuto di circa il 10 °0 di An. 192 G. PAGLIA NI E C. MILANI L'analisi cbiinica, eseguita su materiale il più possibile puro, p.sp. = 2,602 Dai dati analitici risulterebbe per il plagioclasio di Candoglia una composizione corrispondente a 78,70 % di albite, 14,53 °0 di anortite e 6,77 0/0 di ortoclasio. La discordanza fra i dati analitici e quelli ottici è dovuta alla percentuale relativamente elevata di k2o, proveniente dalle sottili ma abbastanza frequenti vene per- titicbe che solcano i cristalli di plagioclasio. Micropertite : in alcune vene di quarzo purissimo incluse nella massa pegmatitica è possibile notare, anche ad occhio nudo, la presenza di sottili vene di feldispato che, all’ esame microscopico, è risultato essere una micropertite ortoclasico-albitica in larghe lamine. ha dato : Si02 63,76 k2o 1,04 ALOg 23,48 Na20 8,44 Fe203 tracce h20- 0,08 CaO 2,66 h20+ 0,34 MgO ass. 99,80 Muscovite : La moscovite è uno dei componenti più abboudanti della pegmatite, tanto che, come si è detto, il filone fu un tempo sfruttato per la sua estrazione. La mica bianca si presenta gene¬ ralmente in lamine di color argento, talvolta di notevoli dimen¬ sioni (4-5 cm. di diametro massimo); le lamine più piccole appaiono profondamente implicate col plagioclasio, con la tormalina e, là dove questa esiste, con la biotite. E sempre idiomorfa rispetto al quarzo e al feldispato ; al microscopio appare limpida e quasi priva di inclusioni. Gli indici di rifrazione sono risultati : a = 1,556 ±0,001 /? = 1,599 ± 0,0U1 y = 1,602 ± 0,001 2E = 5i°,6'; 2V = 34°18' (media di parecchie misure): I dati analitici sono i seguenti : Si02 45,58 lv20 5,17 Ti02 ass. * Na20 3,57 ai2o8 35,00 ECO - 1,00 Fe2Os 2,64 H,0 + 5,72 MnO ass. F2 0,10 CaO 0,60 100.36 MgO 0,98 f,= O 7 0,05 100,31 P.sp. = 2,699 LA. PEGMATITE DI C ANDOGLI A ( VAL d’ OSSOLa) 193 Non è litinifera. La formula calcolata in base all’analisi risulta: (K,Na)Al2 (OH,F), [Al Si, OJ Il contenuto relativamente elevato di ferro e acqua e il basso tenore di alcali potrebbero essere spiegati con un’incipiente al¬ terazione, accompagnata dalla sostituzione del K col Na, ad opera di soluzioni circolanti nell’ultimo stadio della cristallizzazione. Tormalina: dei pochi minerali accessori presenti nella pegmatite di Candoglia la tormalina è certamente, come si è già avuto oc¬ casione di asserire, il più abbondante. Essa si presenta general¬ mente in individui prismatici, fittamente striati secondo l’asse verticale, di notevoli dimensioni (5-6 cm. di diametro massimo) ed è inclusa nella massa feldispatica ; i cristalli più grandi sono spesso incurvati, spezzati e ricementati da quarzo, feldispato o muscovite. Rispetto agli altri minerali la tormalina è sempre net¬ tamente idiomorfa. Rarissimi sono i cristalli ben formati, con facce lucenti, e quindi poco si prestano a buone misure gonio¬ metriche. L’ habitus è quello più comune e le forme osservate sono le seguenti: j 2 1 1 j }110j jl21j jlOlJ {110; ;0I0|. La povertà di forme della, tormalina della pegmatite di Candoglia va attri¬ buita al fatto che i cristalli sono sempre interclusi nella massa e non compaiono mai entro a geodi essendo queste, come si è già detto, mancanti del tutto. Il colore è nero ; quindi pleocroismo marcato co = verde scuro e — rosa chiaro Gli indici di rifrazione, determinati per confronto con li¬ quidi ad indice noto, sono : co = 1,646 ± 0,001 a = 1,626 -±z 0,001 co — e = 0,020. L’analisi chimica ha dato i seguenti risultati: Si02 32,48 K20 0,51 Ti02 0,70 Na.,0 2,58 B203 11,28 H2o- 0 06 ^2^3 33,32 h2o + 1.71 PeO 10,70 F, 0,13 MgO CaO 5,38 1,12 f2 = o 99,97 0,06 99,91 P .sp. = 3,11 G. PAGLIA NI E C. MIL ANI 194 La tormalina della pegmatite di Candoglia risulta quindi formata da una miscela quasi equimoleeolare di dravite e di schorlite. Dai dati analitici si ricava la formula : Na [(Fe,Mg)3Al6]B3Si5028(0H)2. La formula generale delle torma¬ line secondo Machatschki (4) è : XY9B3SifiH4032, mentre quella della nostra è :XY9B3Si5H 2 0 29. Apatite : E assai più frequente di quello che potrebbe apparire ad un esame superficiale ; trovasi in cristalli verde giallastri mal conformati, generalmente allungati, ma più spesso in noduli di piccole dimensioni, immersi nella massa feldispatica, in parage¬ neli con la tormalina e la muscovite. La piccolezza dei granuli e sopratutto l’impossibilità di avere del materiale perfettamente puro ci ha impedito di eseguirne l’analisi chimica. Gli indici di rifrazione per la luce del sodio sono risultati : co = 1 ,637 ± 0,001 e = 1,634 ± 0,001 co — e = 0,003 Essendo gli indici per la ossiapatite e per la fluoroapatite rispettivamente : ossiapatite co = 1,645 co = 1,651 flluoroapatite e — 1,633 e = 1,629 l’apatite di Candoglia risulterebbe una miscela di ossiapatite con fluoroapatite con prevalenza di quest’ ultima. P-sp. =3,123, valore un po’ basso rispetto a quelli per l'a¬ patite (ossiapatite = 3,15, flluoroapatite =■■ 3,23) che si può spie¬ gare con la presenza, come appare all’ osservazione al microscopio, di numerosissime inclusioni assai minute, con ogni probabilità gassose o liquide, disposte in linee incrociantesi a losanga o in zone regolari. Granato : Non è molto diffuso nella pegmatite di Candoglia. Si presenta sia in forma di grossi cristalli isolati, di color viola brunastro o bruno, se già in parte limonitizzati, di abito assai semplice — predomina generalmente 1* icositetraedro {211} a cui è talvolta associato il rombododecaedro — di dimensioni variabili (dimensioni maggiori : 3-4 cm. di diametro massimo), sia sotto forma di rari e piccolissimi cristalli tondeggianti, inclusi quasi sempre nel feldispato, di color rosso e roseo e assai più freschi del granato bruno. A causa delle dimensioni minime non è stato possibile analizzarli. 195 LA. PEGMATITE DI CANDOGLIA (VAL d’oSSOLA) L’analisi di un cristallo brano fra i meno alterati è la se¬ guente : SiO, 37,42 Ti02 ass. aia 22,48 FeA 0,36 FeO 20,55 MnO 10,40 CaO 1,52 MgO 7,71 100,44 La miscela ternaria del granato di Candogdia corrisponde quindi a : 51,68 °0 di almandino, 25,80° n di spessartite. La for¬ mula che risalta dall’analisi dà: 4,2 Si02 1,5A1203 1,0 FeO 1 MnO 1 MgO ; si avrebbe quindi un forte eccesso di Si02, di A1203 e di FeO, dovuto alle inclusioni di quarzo e clorito nel granato. Biolite : Nessuno degli Autori che ricordano la formazione peg- matitica di Candoglia ha fatto cenno della presenza di questa mica; anzi sia il Tacconi che il Traverso (5) affermano che essa non esiste nella pegmatite. Invece, in campioni sicuramente pro¬ venienti da Candoglia e in seguito ad osservazioni personali sul posto, abbiamo potuto accertare che, se pur assai rara, la biotite esiste, specialmente in alcune parti periferiche del filone, in la¬ mine di dimensioni anche notevoli (5 cm. di diametro). Ha color bruno-nerastro con riflessi dorati; le lamine non hanno mai un netto contorno geometrico. E associata sopratutto al plagioclasio, ed alla moscovite, che sembra in alcuni punti quasi concresciuta con la biotite, più raramente a granato e tormalina. E intensamente alterata, ha pleocroismo del giallo al bruno. Crii indici di rifrazione sono risultati : a = 1,578 ± 0,001 0 = y= 1,620 ± 0,001. La figura d’interferenza è quasi uniassica. Riportando i valori degli indici di rifrazione nel diagramma di Winchell (6) la mica nera di Candoglia risulterebbe composta dal 70° 0 circa di molecola ferrica e dal 30° 0 di molecola ma¬ gnesiaca. 1 9G G. PAGLIANI E C. MILANI I risultati analitici sono : Si02 34,86 MgO Ti 0.7 2,63 k2o AIA 21,91 Na20 FeA 2,14 H.,0 + FeO 1 7,52 H<0 - MnO tracce F, CaO 0.86 6,82 5,63 2,47 5,17 0,76 0,05 100,82 P.sp. = 3,123 La b ioti te di Candoglia è quindi discretamente titanifera e leggermente fluorifera. Il tenore basso di SiO,2, della somma to¬ tale degli alcali e la notevole percentuale di LQO sono dovute alla forte alterazione. Fenomeni di contano fra pe g matite e marmo-. In alcuni punti, specialmente in vicinanza delle cave più alte, appare evidente la trasformazione dal marmo là dove è a diretto contatto con la peg- matite. Qui il calcare passa a calcefiro zonato, (3) e oltre che di calcite, che in alcuni punti è persino subordinata ad altri componenti, consta di un pirosseno di tipo fassaitico, che è l’ele¬ mento predominante, associato ad egirina ed a un antibolo di tipo actiuolitico ; è pure presente l’ arfvedsonite. In minor quan¬ tità il quarzo, la dori te, la celsiana — feldi spato di bario caratte¬ ristico del marmo di Candoglia la fìogopite ; piccole plaghe di taramellite e di titanite. Abbondanti pirite, pirrotina e magne¬ tite, tanto da formare in alcuni punti concentrazioni e vene. Tutti questi minerali presentano evidenti effetti di cataclasi con estinzioni ondulate, biassicità anomala nel quarzo e forma¬ zione di fratture. Non si può però ascrivere unicamente alla azione della pegmatite la formazione del calcefiro al contatto, perchè i minerali tipici cha vi si ritrovano sono stati osservati negli altri numerosi calcefiri della zona. La loro formazione è dovuta quindi anche a fenomeni metamorfosanti più generali che avevano già agito sul calcare prima dell’iniezione pegmatitica. Nella massa calcarea stessa si sono avuti fenomeni di meta¬ morfismo dovuti alla venuta del filone con la formazione di mi¬ nerali di genesi pueumatolitica come la tormalina che, sebbene in misura assai scarsa, si ritrova diffusa in tutta la formazione calcarea ; ha color nero, con pleocroismo dal blu indaco al rosa violaceo, indici di rifrazione : co = 1 ,642 e e = 1,623 co — e= 0,019 LA PEGMAT1TE DI DANDOGLI A (VAL d’ OSSOLA) 197 e quindi composizione chimica assai viciua a quella della tormalina della pegmatite. Anche V axinile die è stata ritrovata 7 ) recen¬ temente nelle vene dette dal Tacconi « a facies pegmatitica » che sono a immediato contatto con il filone anfibolitico che traversa la lente calcarea nella sua parte centrale, può avere avuto una genesi in parte pneumatolitica e così la fiogopite che abbonda in tutta la massa calcarea e la cui genesi può essere rirerita all’apporto di soluzioni alcaline provenienti dalla pegmatite; nella fiogopite, inoltre, come nelle miche della pegmatite, è stato ri¬ trovato il fluoro (7) in proporzioni notevoli (2,10 °/0). Le ultime soluzioni di origine pegmatitica avrebbero infine portato ad un arricchimento in solfuri di he e Cu che impregna¬ rono tutto il calcare rosa con formazione di pirite in gran quan¬ tità, di calcopirite e di magnetite. Il metamorfismo di contatto a Candoglia si è quindi esplicato con uua dedolomitizzazione del marmo con formazione di fiogopite nella massa calcarea e di diopside e tremolite con fiogopite al contatto e ad un apporto nel marmo di elementi come T, B, Le, S, oltre quelli più comuni della pegmatite (Ha, H, Al, Si, 0, Mg, Ca, H). Per quanto riguarda la temperatura del filone pegmatitico essa doveva essere assai bassa ; anche a Candoglia come in molte peg- matiti della zona di Bellinzona — zona delle radici ticinese — il cui influsso sui calcari è stato descritto dal Mitteholzer nel suo magistrale studio sul metamorfismo nella zona delle radici del Ticino (8) mancano o sono molto subordinate le tipiche as¬ sociazioni di contatto di catazoua — wollastonite, vesuviana, gra¬ nato. — È quindi da supporre che i filoni pegmatitici della zona di Ivrea come della zona delle radici ticinese siano assai lontani dal loro serbatoio magmatico. Conclusioni : La pegmatite di Candoglia risulta essere una peg¬ matite sodico-borica, con oligoclasio come feldispato dominante,, assai povera di minerali caratteristici se si eccettui la tormalina. La prevalenza di plagioclasio sul feldispato potassico è caso ab¬ bastanza raro nelle pegmatiti in generale e in quelle della zona di Ivrea in particolare. I numerosissimi filoni pegmatitici che solcano tutta la formazione, sia inclusi nelle kinzigiti che nei gneiss biotitici, hanno quasi sempre come feldispato dominante ortose o microclino. Così ad esempio i potenti filoni di pegmatite tormalinifera inclusi nel gneiss Strona (1) con enormi individui G. PAGGI ANI K C. MILANI 198 di per ti te microcl ino-albitica, in Val Strona e nella Valle del Nono ; la pegmatite di Ornavasso, descritta dal Traverso (6), i filoni cbe affiorano nell’alta Val Cannobina e in Val Grande (6) e il filone di pegmatite grafitifera a microclino descritto dal Roccati (9) nel Vallone della Ravinella in Valle Strona. Una pegmatite a pìagioclasio acido è stata invece minuta¬ mente descritta da F. De Quervain (10) a Brissago in Valle della Madonna (Ticino). Anche qui il filone pegmatitico è incluso nel gneiss biotitico della zona d’ Ivrea ed è assai simile al nostro. Oltre all' albite sono infatti presenti quarzo, muscovite e torma¬ lina; sporadico e subordinato il microlino. Accessori più frequenti granato e apatite, accidentali zircone, biotite, pechblenda e fosfati di Fe-Mn. Si ha auche a Brissago una notevole quantità di apa¬ tite, presenza di fluoro nelle miche, poca biotite limitata alla parte periferica del filone. Nella pegmatite di Candoglia sono però completamente assenti minerali rari come zircone, minerali radioattivi, fosfati di manganese caratteristici, in genere, delle pegmatiti sodiche. Anche nella zona d’ Ivrea come nella zona delle radici tici¬ nese (8) si possono quindi distinguere due gruppi di pegmatiti, a feldispato potassico e ad albite ; la pegmatite di Candoglia, appartenente al secondo gruppo, assai meno frequente, potrebbe essere una prosecuzione verso occidente di esso e si ricolleghe¬ rebbe alla pegmatite di Brissago. Per quanto riguarda l’età, si può presumere che essa sia terziaria, come quella della pegmatite di Brissago. Già Cornelius per la Valtellina (11) e più tardi Kundig (12) e Walter (13) per¬ ii Ticino avevano distinto le pegmatiti che solcano la vasta zona cosi detta « delle radici » in antiche e recenti. Questa suddivi¬ sione venne accettata anche dal De Quervain per le pegmatiti della zona Bell inzona Locamo e pensiamo si possa anche accet¬ tare per le pegmatiti della zona d’ Ivrea del versante italiano. Le pegmatiti antiche sarebbero anteriori alla formazione delle Alpi, probabilmente paleozoiche o ancora più antiche. Esse sono povere di minerali, assai scistose, talvolta divise in lenti. Le pegmatiti recenti, invece, sono un poco cataclastiche ma non scistose, frequentemente solcano in discordanza le rocce cir¬ costanti e là dove queste sono calcari o calcefìri producono feno¬ meni di contatto evidenti. Possono contenere oltre i minerali es¬ senziali anche minerali caratteristici che si trovano pure nelle 199 LA PEGMATITE DI CANDOGLI A (VAL d’oSSOLAi peginatiti di rettamente associate a massicci eruttivi recenti. Fra l’altro l’apatite sarebbe caratteristica delle pegmatiti recenti e così pure il plagioclasio acido predominante. Esse sono con ogni probabilità del terziario. La pegmatite di Candoglia crediamo possa essere ascritta a questo gruppo data la tessitura massiccia, i fenomeni di cataclasi e il metamorfismo esercitato sui calcari e i calcefiri a contatto, nonché la presenza di oligoclasio come feldispato dominante e la notevole quantità di apatite. Fa man¬ canza di minerali caratteristici, se si eccettui l’apatite, contraste¬ rebbe in parte con questa ipotesi ; ma bisogna tener presente che a Candoglia l’attività idrotermale non ha avuto luogo o è stata estremamente ridotta ed è in genere durante quest’attività che si originano i minerali rari : una prova di questa assenza di un’ attività idrotermale posteriore alla consolidazione è data dalla mancanza assoluta di granito grafico che è appunto dovuto, se¬ condo recenti teorie, a fenomeni di sostituzione idrotermale. BIBLIOGRAFIA 1) Artidi E. e Melzi G. 2) Novarese V. 3) Tacconi E. 4) Machatschky F. 5) Traverso S. 6) Winchell A. N. 7) Camisasoa 0. 8) Mittelholzer A. E. 9) Roccati A. 10) De Quervain F. : Ricerche petro grafiche e geolog iche sulla Valsesia. Milano, 1900. : La formazione dioritico-kinzigitica in Ita¬ lia. Boll. R. Uff. Geol. d’Italia. Voi. 56, n. 7. 1931. : La massa calcarea e i calcefiri di Cando¬ glia in Valle del Toce. Atti Soc. Min. It. Voi. 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Svizz. Min. Voi. 30, 1950. Istituto di Mineralogia, Petrografia e Geochimica dell’Università di Milano. Maria Adelaide Cherchi TERMOREGOLAZIONE IN HYDROMANTES GENE! ITALICHE Dunn Mentre il problema delle relazioni tra temperature ambien¬ tali e temperature corporee nei Rettili ha formato oggetto di indagini relativamente numerose, negli Anfibi, esso è stato ap¬ pena sfiorato. Ho creduto perciò opportuno svolgere una serie di ricerche sull’argomento, cominciando con una. specie, Hydromantes genei italicus , che per le sue particolari abitudini rende l’indagine stessa relativamente più agevole. La maggior parte degli Urodeli del nostro paese vivono, come ben noto, in ambienti in cui, non solo durante il corso del¬ l’anno, ma anche durante quello del giorno, la temperatura e l’umidità dell’aria (fattore questo importantissimo per l’esistenza degli anfibi) hanno variazioni molto sensibili. E quindi assai difficile, forse più difficile ancora che nei ret¬ tili, conoscere con una certa precisione, tanto la temperatura cor¬ porea di questi animali, quanto la temperatura ambientale più adatta alla loro vita. Per Hydromantes genei , invece, le cose si presentano in modo diverso e più semplice. Questi anfibi, come ben noto, vivono esclusivamente in grotte, e qui si trattengono di solito lontano dall’ingresso, spesso in fessure, cunicoli, ecc., dove le eventuali, lievi variazioni di temperatura e di umidità sono risentite in modo quasi trascurabile. Hydromantes genei , insomma, sta in ambiente soggetto a condizioni, se non costanti in senso assoluto, almeno variabili entro limiti molto modesti. Tutte le variazioni inoltre non sono mai brusche come quelle che si verificano in luoghi dove vivono altri anfìbi urodeli, quali ad esempio Salamandra salamandra o Salamandrina terdigitata , ma cosi lente che nel corso, non solo di 24 ore, ma anche di molti giorni sono quasi inapprezzabili. Da tutto ciò appare ovvio che la temperatura delle grotte è quella ottima ambientale per gli Hydromantes'. ed è ovvio anche 202 M. A. CHI5RCH1 che la temperatura corporea degli esemplari i quali si trovano nelle grotte stesse, è quella preferenziale, incendendo con tale definizione, la temperatura corporea più adatta per il pieno svol¬ gimento degli atti vitali. Per la conoscenza della temperatura e dell* umidità delle grotte, mi sono valsa in parte di dati forniti gentilmente da vari speleologi del gruppo di Genova: Ing. E. Coddè, Dr. M. Frau- ciscolo, Sig. N. Sanfilippo, che ringrazio vivamente. Attraverso le indagini compiute dalle persone ricordate, ri¬ sulta che la temperatura delle grotte dove vivono gli lì y Uro¬ mante s oscilla tra un minimo di -j- 7" C il quale è toccato solo eccezionalmente, ed un massimo di -15° C, che si raggiunge, e raramente, nel pieno dell’ estate. Risulta anche che per la massima parte dell'anno la tempera¬ tura si mantiene sui 1 0°- 18° C. Si ha insomma un'escursione annua di, al massimo, 8 gradi centigradi la quale si compie lentissima¬ mente. In media nel corso di un mese non si hanno variazioni superiori a 0,5" C. Circa l’umidità, i dati non sono forse estremamente precisi poiché risultano ottenuti con strumenti non molto delicati, pur tuttavia possono essere utilizzati come orientamento. L'umidità relativa, dunque, oscilla tra un minimo di 80 0 0 ed un massimo di 99,5 °/0 ; è logico ammettere, data la condizione dei microam¬ bienti in cui si trovano normalmente gli Hydromav.tes , che nei microambienti stessi essa sia più vicina al massimo che al mi¬ nimo riscontrati. Possiano insomma dire che l' ambiente preferenziale degli Hydromanles è soggetto ad una temperatura variabile da 7° C a 15" C, e l’umidità oscilla tra 88 11 0 e 99,5° 0. Per conoscere la temperatura preferenziale corporea degli ani¬ mali, mi recai in varie grotte della Liguria, ricavando i dati per mezzo di termometri a mercurio appositamente costruiti (per scopi simili a quelli che io desideravo raggiungere) per conto dell’A- merican Museum of Naturai History di New York, alcuni dei quali furono donati al Prof. G. Scortecci durante un suo recente viaggio in America. Tali termometri sono estremamente sensibili e di grande precisione. Tana deile streghe {Rapallo). In questa grotta furono catturati otto esemplari di cui 3 adulti e 5 piccoli. Le temperature cloacali degli individui adulti, TE UMOR EGOLAZIONK KCC. 203 i soli per i quali, col termometro a mercurio, era possibile com¬ piere misurazioni, erano rispettivamente: 16,4"- 16, ò" - 16" 0, eguali o poco inferiori a quelle ambientali che erano le seguenti: aria a 7 metri dall' ingresso, e a un metro dal suolo in un punto dove vennero trovati alcuni esemplari 16°C; superfìcie rocciosa dove stavano gli animali 1 5° C. Grotta Valdetlaro {Rapallo). In questa grotta furono catturati 12 esemplari di cui 10 adulti. Tre individui adulti, presi in vicinanza di un pozzo situato a circa 10 m. dell’apertura, avevano le seguenti temperature cloa¬ cali : 16,6° - 15,6" - 15,6° C. La temperatura dell’aria a un metro circa dal suolo, nella zona di cattura, era di 15° C ; l’umidità rela¬ tiva, misurata con un psicrometro di Asinann, era di 84" 0. Le temperature di 7 Hydromanles catturati in fondo al pozzo erano rispettivamente: 14° - 14,6° - 15" - 14,4" - 14,4" - 15° - 1 5° C ; la temperatura dell’aria era di 14° C ; quella della superficie rocciosa di 13° 0; l’umidità relativa era di 98 " (i. Da notarsi che tutti gli individui, giovani ed adulti di varia dimensione, erano, per quanto possano esserlo gli Hydroman lest molto vivaci. Gli esemplari ricordati furono portati in Istituto e posti in un grande vaso di vetro in cui erano stati messi muschio 9 pietre fortemente inumiditi, e dove già si trovavano vari individui presi in altre grotte (Tana della Volpe - Millesimo ; Grotta della Suja - Genova). In tale ambiente la temperatura oscillava tra i 20° e i 22° C. Quantunque la temperatura fosse di parecchi gradi al di so¬ pra di quella normale delle grotte, e l’umidità notevolmente in¬ feriore (l’umidità relativa della stanza era del 60 °/0, e poco superiore quella del vaso), ed inoltre la luminosità fosse intensa, gli Hydromantes mostrarono di sopportare abbastanza bene le nuove condizioni. La loro vivacità peraltro appariva fortemente diminuita. Dopo qualche giorno, quando ritenni che gli animali fossero già un po’ assuefatti alle anormali condizioni, cominciai la sperimentazione con due individui : un adulto che verrà indicato successivamente con la lettera A, e uno giovane che verrà suc¬ cessivamente indicato colla lettera B. Per ricavare le temperature cloacali ed ambientali mi servii, non più di un termometro a mercurio, ma di coppie termoelettri¬ che ad ago ed a contatto, molto sensibili, che erano state appo- -204 M. A. CHERCHI sitamente costruite per l’Istituto dall’ Elektrolaboratoriet di Co¬ penaghen. Le indicazioni ricavate usando tali coppie collimavano co¬ munque con quelle ottenute mediante i termometri a mercurio. Il primo esperimento venne compiuto il 29/V/1952; la tempera¬ tura dell’aria nel grande vaso di vetro era di 21,8° C ; quella cloa¬ cale dell’esemplare A, di 22° C e quella dell’esemplare B, di 28° C. Tolti dal loro ambiente, i due Hy dromo ntes furono portati alle ore 11,80 in un apposito terrario all’aperto, e posti su un substrato fatto di piccoli frammenti di terra cotta. La tempera- fi M Fig. 1 - Grafie») ottenuto con l’ Attinografo di Robitzsch. Il periodo che interessa è quello compreso tra le ore 11,80 e le 12. Si nota la brusca ascesa del tracciato tra le 11,45 e le 12, tura di esso, ricavata appoggiando una termocoppia a contatto sui frantumi, era 27,8" C ; quella dell’ aria, misurata questa volta con una termocoppia ad ago posta a 3 cm. circa al di sopra del sub¬ strato, era di 24° C. Queste temperature relativamente basse, si spiegano col fatto che la giornata era ventosa, ed il cielo assai nuvoloso. Delle condizioni della nuvolosità durante la sperimentazione, TERMOREGOLAZIONE ECC. 205 vi avrà una precisa idea, osservando il grafico ricavato mediante un Attinografo di ^Robitzsch (1). Quando i due Ilyd romani es furono nel terrario, non solo non tentarono di fuggire, ma mostrarono una torpidezza ancor mag¬ giore di quando si trovavano nel vaso di vetro posto nell’interno della stanza. Dopo 10 minuti di esposizione, cioè alle 1 1,40 la temperatura cloacale di A era di 21,8° C ; quella di B 22,4(>C. Dopo venti minuti la temperatura cloacale di A era salita a 22,(0 0 e quella di B a 23,8° C. Ambedue gli esemplari erano tor¬ pidissimi e la loro pelle appariva un po’ arida. A questo punto (ore 11,50) l’esemplare B apparve in pessime condizioni: era perfettamente immobile, tanto da far pensare che '.fosse morto. Fu tolto subito dal terrario e messo in un reci¬ piente con un po' d’acqua nel fondo, la cui temperatura era di '21° 0. Dopo 10 minuti riprese a dar segni di vita, e a mano a mano si riebbe tanto che alle ore 12,26 sembrava in condizioni -quasi normali. L’esemplare A, mantenuto nel terrario, apparve alle ore 12 in condizioni non migliori dell’altro ; la sua temperatura cloacale -era salita a 30° C : quella del substrato era di 32° C. Il notevole aumento della temperatura del substrato dipendeva da un forte aumento della radiazione solare (vedi fi g. 1). Ancb’esso fu portato nell’interno dell’Istituto e messo in un vaso con un po’ d’acqua a circa 22° C. Dopo una brevissima im¬ mersione, la sua temperatura scese a 27° C. L'esemplare si riprese ancor meglio dell’altro, ed alle ore 12,20 la sua temperatura cloa¬ cale era scesa a 23,8° C (vedi fig. 2). I due animali furono lasciati per circa due ore in riposo, in una stanza dove la temperatura era di 22,8° O, poi, insieme con un altro individuo adulto che indicherò d’ora in avanti con la let¬ tera C, vennero portati in una grotta situata nell’Università, Tale grotta, scavata nella roccia durante il periodo bellico per ser¬ vire quale rifugio antiaereo, aveva un’umidità del 94 0 0, e una temperatura dell’aria oscillante tra i 14° ed i lò" C. (3) Dell'uso dell’ Attinografo nello studio delle relazioni fra tem¬ perature ambientali e temperature corporee degli animali verrà detto in un lavoro di prossima pubblicazione. 206 M. A. CHERCHI Scopi dell’esperimento erano i seguenti: osservare in quanto tempo due esemplari prima esposti all’aperto, si sarebbero uni- Fig. 2 - Curve delle temperature dell’esemplare A (linea intiera),, e dell'esemplare R (linea tratteggiata). formati alia temperatura della grotta, ambiente che per l’insieme delle sue condizioni poteva essere considerato addirittura eguale TERMOREGOLAZIONE ECC. 207 a quello preferito dagli Hydromantes ; osservare se vi fossero differenze di comportamento tra i due individui già assoggettati Fig. 3 - Curve delle temperature dell’esemplare A (linea intiera), dell’esemplare B (linea tratteggiata) e dell’esemplare C (linea punteggiata). 208 M. A. CHERCHI ad esperimento e quello che invece aveva condotto sino ad allora vita quasi normale. Alle ore 15,40, ora in cui gli individui furono portati nella grotta, le loro temperature cloacali erano rispettivamente le se¬ guenti : A 22,4° C; B 23° C; C 28,6° C. Dopo 10 minuti le temperature erano rispettivamente le se¬ guenti : A 20° C B 19,2" C; C 19° C. Colla diminuzione della temperatura tutti gli esemplari apparvero più vivaci. Dopo 20 minuti di permanenza nella grotta le temperature cloacali erano le seguenti : A 17,8" C ; B 17,6° C ; C 17,2° C. Alle ore 16,20 le temperature cloacali erano rispettivamente : A 16,8" C ; B 17,2° C ; C 16" C. La vivacità degli animali da questo momento in poi apparve eguale a quella degli individui nell' ambiente naturale. Alle ore 17, cioè dopo un soggiorno in grotta di circa un’ora e mezza, le temperature cloacali erano rispettivamente : A 15,6° C ; B 16,4° C; C 15" C. Portati poi in Istituto dove la temperatura oscillava tra 22" C e 24" C, i due esemplari che erano stati precedentemente esposti all’aperto morirono il giorno dopo; l’altro invece si mantenne in ottime condizioni (vedi fig. 3). Il giorno 10/ VI tentai un secondo esperimento simile a quello ricordato sopra, valendomi di tre individui che, catturati uno nella Tana della Volpe (Millesimo) il 22 III, e gli altri nella Grotta delle Streghe (Rapallo) il 25 V, erano vissuti da allora in uri vaso di vetro e assoggettati alla temperatura della stanza. Al momento in cui furono prelevati, la temperatura dell'am¬ biente era di 24,8" C e l’umidità relativa del 60 °/0. Gli individui, per quanto un po’ torpidi, apparivano in discrete condizioni ; le loro temperature cloacali erano le seguenti : esemplare D (adulto) 23.4° C ; esemplare E (adulto) 24" C ; esem¬ plare F (giovane) 24,2° C. Il loro peso era rispettivamente: esem¬ plare D gr. 3; esemplare E gr. 3.2; esemplare F gr. 1,2. Alle ore 15,55 furono portati nella grotta dell’Università dove la temperatura dell'aria era, come di norma, di 14.2" C e 1’ umidità del 94 0 0. Le variazioni della temperatura cloacale sono esposte nella acclusa tabella. h 15,55 h 16,10 h 16,30 h 16,55 h 18,15 Esemplare D 23.4" C / 19,4° C 17,4" C 16,8° C 15,8" C Esemplare E 24° O 19,6" C 17" C 16,6° C 15,4" C Esemplare F 24 2° C 19,2° C 17,6° C 17, 28 C 16,4° C TERMOREGOLAZIONE ECC. 209 Per quel giorno non furono eseguite altre misurazioni e gli animali furono lasciati in grotta. Il 12/YI, V Hyd Tornante s E fu trovato morto,, gli altri due invece in ottime condizioni e molto vivaci (vedi fig. 4). Fig. 4 - Curve delle temperature dell’esemplare 1) punto e tratto lungo), dell’esemplare E tratteggio uniforme , dell’esemplare F punto e tratto breve). •Sei giorni dopo fu ancora misurata la temperatura dei dm? Hydromantes rimasti che era rispettivamente : esemplare D 1 5.6' 0, esemplare F 16° C. Furono allora portati fuori della grotta e ri- 210 M. A. CHERCHI messi nel loro vaso di vetro, per vedere come avrebbero soppor¬ tato la temperatura ambientale che era allora salita a circa 27° C. Il peso degli animali subito dopo essere stati tolti dalla grotta era il seguente: peso dell' esemplare D gr. 3,2; peso del¬ l’esemplare F gr. 1,2. Si tenga presente cbe gli Hydromantes erano stati tenuti sempre a digiuno. Assoggettati alla relativamente alta temperatura dell’ ambiente, due giorni dopo essi furono trovati morti, insieme a tutti gli altri Hydromantes cbe da tempo più o meno lungo erano nell’Istituto. ❖ £ Dagli esperimenti di cui è stato riferito e dalle osservazioni compiute nell’ambiente naturale risultano i seguenti fatti. Ritengo opportuno prima di esporli, mettere in evidenza cbe il presente lavoro deve essere inteso come il primo di una serie sulle relazioni tra temperatura ambientale e temperatura cloacale degli eterotermi e in particolare modo degli anfibi urodeli. I Gli Hydromantes hanno una capacità di termoregolazione molto scarsa, quando sono adulti, e addirittura minima, quando sono giovani. Questo fatto non può apparire molto strano poiché si tratta di una specie abituata a vivere in condizioni ambientali quasi statiche. Ili Gli Hydromantes hanno un’evidente tendenza a far assumere all’ organismo una temperatura di poco superiore a quella dell'ambiente, anche quando la temperatura ambientale stessa non è quella ottima di 13" - lò^C. Si vedano al proposito i dati concernenti gli esemplari cat¬ turati nella Tana delle Streghe e nella Grotta Valdettaro, e gli esemplari portati nella grotta dell’ Università. Ciò peraltro si verifica solo fino a quando la temperatura si avvicina molto a 24° C. Quando nell' ambiente si superano i 24" C la tendenza degli Hydromantes è opposta ; essi ten¬ dono cioè ad assumere una temperatura inferiore. Questo farebbe pensare che i 24° C fossero, se non la temperatura critica, per gli adulti, almeno il limite di sopportazione oltre il quale la specie non può spingersi senza correre grave rischio. Tutto ciò sembrerebbe dimostrato dallo stato critico in cui apparvero gli esemplari A e B quando le loro tem* TERMOREGOLAZIONE ECO. 211 perature cloacali erano prossime a 24° C, dalla morte di questi due esemplari (dopo un periodo durante il quale pa¬ reva si fossero riavuti), ed infine dalla morte di tutti gli individui conservati in Istituto quando la temperatura delle stanze aveva superato i 24° C. Ili Quando la temperatura ambientale si mantiene entro i limiti che la specie può sopportare senza risentire danno, la termo- regolazione si compie con lentezza. Ciò è provato dagli esperimenti compiuti nella grotta dell’ Università. Nel primo gli esemplari per abbassare la loro temperatura da 22,4° C - 23° C a 15° C - I6,4°C, impiegarono 1 ora e 20 minuti. Nel secondo esperimento per passare da 28,4° C - 24,2° C a 15,4° C - 16,4° C, impiegarono 2 ore e 20 minuti. Quando invece la temperatura ambientale supera i 24" C o vi si avvicina, la capacità di termoregolazione si attenua for¬ temente ; ciò è dimostrato dall'esperimento compiuto espo¬ nendo gli esemplari all’aperto. Nell'individuo A, infatti, mentre in 20 minuti la temperatura corporea era salita sol¬ tanto di 0,6° C, portandosi da 22° C a 22,6° C, in 10 minuti ebbe uno sbalzo di 7,4° C portandosi da 22,6° C a 30° C. Ringrazio vivamente il Prof. GL Scortecci che mi ha con¬ sigliata e seguita nel presente lavoro. Istituto eli Zoologia della Università di Genova Ottobre 1952 Dr. Ludovico Sicardi STROMBOLI, PANARLA E VULCANO (Eolie neir agosto-settembre 195 L Nell’estate dello scorso anno sono stato nell' Eolie e la j ri¬ sente nota raccoglie alcune osservazioni fatte a Stromboli, & Panarea ed a Vulcano, le tre isole eoliche in cui l'origine di tutto l'arcipelago si rivela oggi attraverso le singolari e diverse- forme dell’attività vulcanica di ciascuna di esse. I. - STROMBOLI Lo Stromboli ha la sua cima a quota 926 ma il suo cratere, come è noto, si apre duecento metri più in basso entro una grande escavazione rivolta a N. \V., residuo terminale di un barranco che la ripresa di attività nel vecchio edificio andò riempendo fino all’attuale posizione della conca craterica. In questo cratere a differenza di tanti altri, il camino vul¬ canico non sfocia in un unico punto ma, ramificandosi, si apra' la via in più parti mutando sovente la posizione delle bocche, chiudendone alcune, aprendone e riaprendone altre, formazione che ogni tanto resta sconvolta da un formidabile parosi su; a esplosivo dopo di che riprende la molteplice ed effimera costru¬ zione. Si sono arrivate a contare fino 14 bocche tra attive e spente. Tali bocche non sono però distribuite a caso giacche si concentrano particolarmente in una fascia lungo l'orlo delia Sciava, la nera pendice che dal cratere scenda al mare, ed in altri due gruppi rispettivamente sotto il Torrione e sotto il Filo dello Zolfo, -residui di due dicchi sui quali si appoggiano gii estremi della fossa craterica. Tale distribuzione fu messa in ri¬ lievo fin dal 1916 da un attento studioso dello Stromboli. Gaetano Ponte. Attraverso tali bocche nelle quali il magma affiora tua che meno frequentemente trabocca all’ esterno, si svolge un'at¬ tività esplosiva più o meno intensa con frequenti lanci di scotue- incaudescenti ricadenti attorno ed entro la bocca stessa. Se le- STROMBOLI, PANARLA E VULCANO (EOLIE) ECC. 1 3 bocche sono invece chiuse ma la potenza dell’ ostruzione non s ri- foca il magma, questo ogni tanto nelle sue esplosioni solleva il materiale soprastante in una nube scura nella quale subordinato-, ed in ritardo appare il materiale incandescente proveniente dal magma. Questi sono gli aspetti predominanti allo Stromboli : tali periodi di attività sono rotti, come si è detto, da relativamente- violenti parosismi esplosivi cui possono seguire colate laviche che traboccando dal cratere scendono a mare lungo la pendice della Sciare; altre interruzioni nell’attività esplosiva si hanno quando tutte le bocche restano contemporaneamente ostruire e per la rilassatezza delle tensioni interne il vulcano appare nella quiescenza di uno fase solfatarica. : , Notizie precise sulle forme e sull’intensità della recente at¬ tività vulcanica non è stato possibile raccogliere in posto nep- ' pure per il 1951 giacché all' infuori della registrazione molto¬ soggettiva dei terremoti locali e dei parosismi vulcanici, mfi- h altro viene annotato da parte della locale Stazione Segnali della nostra Marina. Le notizie quindi gentilmente favoritemi dal Capo Segnalatore, sig. Cada Vittorio, sono assai limitate per quanto non prive di interesse, essendo del tutto ovvio come man¬ cando una cronaca continua dei mutevoli aspetti dell' attività cra¬ terica, restino nel complesso assai ristrette le nostre conoscenze. L' 1 1 gennaio del corrente anno, alle 3,50 è stata registrata una scossa di 4° grado ; 1 7 11 aprile alle 9,45 una colata lavica non troppo abbondante prese a scorrere sulla Sciara per due o tre giorni giungendo fino al mare. Il 16 maggio alle 10,34 nuova scossa di terremoto di 4° grado, altra il 1° giugno alle 18,25 di 5°. Durante tutto questo periodo si notarono frequenti leggere oscillazioni degli infissi liberi, che mi è possibile confermavo personalmente. Nell’improvvisa impossibilità di recarmi al cratere, durante le mie due giornate di permanenza nell'Isola, le mie osserva-: zioni si limitarono all’esame delle manifestazioni esplosive v si¬ bili da Punta Lena e da Punta Labronzo al mattino rispettiva¬ mente ed alla sera del 30 agosto. Le bocche attive erano tre: la prima sotto il Torrione, cpnft.e. potei già constatare la sera del 29 al mio arrivo. Verso le 19 41. battello, in ritardo sul suo orario, passava davanti alla Sc aig. quando si udì un improvviso secco boato, levandosi immediati- mente un fascio di scorie non troppo luminose che ricaddero. 214 L. SIC A UDÌ Dell' interno della fossa, misto a vapore bianco ed a poca cenere; il punto di emissione era visibilmente sotto il Torrione ed un po’ nell'interno della Fossa. Il giorno dopo, alle 18, 30, da La- bronzo osservai un'esplosione identica alla precedente come aspetto, intensità ed ubicazione. Non posso escludere che la stessa bocca non abbia dato altre esplosioni, anche se nessun boato udii da S. Vincenzo durante la mia permanenza, certo che altri getti non potei osservare nelle due ore che mi fermai a Labronzo. E pos¬ sibile ritenere quindi che le esplosioni della bocca del Torrione fossero alquanto rade; l'assenza quasi totale di materiale scuro faceva pensare ad una bocca completamente aperta e con il magma affiorante la cui testata nel condotto si doveva però consolidare in una crosta assai resistente per rompere la quale occorreva un lungo accumulo di gas al cui irrompere violento dovevasi at¬ tribuire il boato. Altre due bocche erano invece sotto il Filo dello Zolfo. Al mattino del 30 tra le 5,36 e le 8,58 osservai ed annotai da Punta Lena 45 esplosioni distribuite su due bocche assai vicine senza però comprendere se esse fossero realmente tali o la vicinanza un effetto di prospettiva. Fu la sera da Labronzo che le due bocche mi apparirono veramente una dietro l’altra poco spostate su questa secouda direzione e giacente sotto il Filo dello Zolfo. Al mattino su 45 esplosioni, 5 appartennero alla bocca più ar¬ retrata : delle 29 osservate alla sera, potei attribuirne tre sicu¬ ramente a questa stessa bocca. Tra le prime l’intervallo medio fu di 4' 44", tra le seconde di 4' 19", segno di una certa uniformità nella frequenza dell’attività esplosiva, in quel giorno almeno. Al mattino le mie osservazioni restarono assai limitate per il posto in cui mi trovavo potendo giudicare i lanci soltanto per l’aspetto che essi assumevano quando la nube di cenere si era già allargata avendo superato (quando riusciva a farlo) sulla mia visuale l’orlo craterico. Per questa stessa ragione o per il chia¬ rore del giorno non potevano essere notati getti di scorie, pure che queste riuscissero giungere a quell’altezza. Comunque apparve che i lanci dovevano essere ricchi di cenere, tra cui si scorgeva però una nube di vapore biancastro. Alla sera invece da Labronzo e mie osservazioni furono più complete e le esplosioni potevano essere seguite quasi dal loro sorgere, il che potei fare inizial¬ mente in piena luce afferrando ogni dettaglio poi nella notte, restando più sicuro Y apprezzamento delle condizioni termiche del materiale emesso. STROMBOLI, PANAREA E VULCANO (EOLIE) ECC. 215 Da Labronzo il lancio apparve costituito da un fascio di scorie luminose al rosso, cui seguiva una nube di cenere. Le scorie giungevano ad un’altezza più bassa dell’orlo craterico e solo poche volte ricaddero sulla Sciara, spegnendosi però rapida¬ mente ; la cenere invece si alzava assai più in alto diradando in una nube grigiastra con al centro una colonna di vapore bianco. La localizzazione delle tre bocche era dunque per due sotto il Filo dello Solfo e per la terza sotto il Torrione, posizioni ben note, come si è già detto. Veniva quindi a mancare completamente attività delle bocche della Sciara, gruppo situato sull’orlo cra¬ terico e sede di solito della più viva attività del vulcano. Da questo gruppo di bocche avvengono le rade emissioni laviche per trabocchi terminali o per lacerazioni laterali. La mancanza di attività non escludeva però la presenza delle bocche del gruppo, non individuabili con sicurezza dal mio posto di osservazione, e forse temporaneamente chiuse. Nel '37 (Atti Soc. Se. Nat. voi. LXX1X, 1940, Milano) vi¬ sitai Stromboli ed il suo cratere, la cui attività allora era assai più appariscente ; più vistosi i getti di scorie dalla bocca della Sciara, meno, in raffronto a questa, su quella del Torrione. Nella quiete e nel buio della notte si scorgeva sulla prima un chiarore iniziale, poi un lancio più o meno fitto di scorie incandescenti n parte ricadenti sulla Sciara e rotolanti su di essa in lunghe scie luminose, quindi lo spegnersi di ogni riverbero nel sopra¬ stante vapore. Con il lancio non si udiva alcun boato ; si perce¬ piva invece, sovente assai distintamente, il rumore quasi metal¬ lico della lava tumultuosa che stava per aprirsi all’emissione violenta del getto gassoso che Y agitava. Assieme a questa forma di attività, vi era il getto di sola cenere da una piccola conca completamente chiusa situata sotto il Torrione (W). Nel '37 le esplosioni sfrombolane della bocca della Sciara (S) durante quattro ore di osservazione dall'orlo craterico di levante, avvennero in media ogni 13' 35", quella della bocca (T) del Torrione ogni 13' ; invece 17' separarono le emissioni scure della bocca (W) ; silenziose due bocche esistenti sotto il Filo dello Zolfo. Fua pic¬ cola colata di lava infine scendeva lungo la Sciara dalla sommità per un centinaio di metri, alimentata solo assai lentamente e che all’ estremità meridionale si sfaldava progressivamente anziché proseguire nella discesa verso il mare. A fine agosto del ’51 gli aspetti ed i valori dell attività craterica di Stromboli sono assai diversi. Anche "se il-' magma” 216 L. SICAKDI rivela la sua permanenza con lanci di scorie ancora incande¬ scenti, questi lanci nella bocca sotto il Torrione sono rarissimi e poco intensi, più frequenti ma di intensità non eccessiva quelli delle due bocche sotto il Filo dello Zolfo. In conclusione si può dire che lo Stromboli attraversava una fase intermedia tra la pienezza della sua attività normale e la quiescenza solfatane^ verso la quale il vulcano sembrava tendere salvo l’ intervenire di altri fattori, come altre volte si è già verificato, per modificare un tale orientamento e riportare il cratere nella forma più solita della sua attività. II. - PANAREA A Panarea è stata controllata la temperatura di una sorgente di acqua calda sulla riva del mare ad una cinquantina di metri dal molo a settentrione del piccolo scalo ; l'acqua si confonde però subito con quella marina : due successive misurazioni terni iche- allé tre del pomeriggio del 1° settembre ed al mattino del 2, hanno dato rispettivamente valori di 54° e 56'h Sulla spiaggia della Carcara vi è invece una lunga striscia fumarolizzata che si manifesta sulla testata di un banco tufaceo- parallelo alla linea di spiaggia. Su poco più di un centinaio di metri, ricco di efflorescenze di solfati soprattutto di ferro, meno di alluminio e di calcio, ri sono tre zone nelle quali la tempe¬ ratura interna del terriccio alterato dall'esalazione ed umido ri¬ vela temperature financo di 99°-l 00°, sovente pure attraverso pic¬ cole corolle di zolfo, segno di qualche sporadica più netta fuma¬ rola tenuissimamente solfidrica per l'annerimento della cartina all’acetato di piombo tra la diffusissima, generale esalazione idro- carbonica, Per la lentezza della diffusione resta facilmente trat¬ tenuto l'acido solfidrico cui è legata la formazione dei solfati sciolti nelle goccioline della condensazione acquosa che, sospinta verso l’esterno, abbandona poi il sale in superficie per evapora¬ zione. La testata del banco è tutta alterata e la colorazione giallo brunastra delle efflorescenze marca visibilmente la fumarolizza- zione, la più importante manifestazione dell’attuale vulcanismo eolico tra Stromboli e Vulcano. III. - VULCANO L’attività di Vulcano è esclusivamente solfa tari ca cioè, ca¬ ratterizzata dalla presenza di nuclei fumarolici a diversa tempe¬ ratura, esalanti miscele di vapor acque con diversi gas. STROMBOLI, PANARLA E VULCANO (EOLIE) ECC . 217 La distribuzione fumarolica di Vulcano interessa principal¬ mente il settore di NW dell’ apice del Gran Cono entro e fuori r cratere o Fossa di Vulcano. Altre fumarole si hanno in un nucleo di esalazione idro-carbonico-solfidrica presso ai Faraglioni del Porto di Levante sulla piana che circonda il Gran Cono, sulla quale fino al 1980 circa vi era un altro gruppo di fumarole esclusivamente idro carboniche sotto i dirupi del monte di Lentia, uno dei grossi domi residui dell’antico vulcano scomparso in tempi preistorici, nella cui area di sprofondamento sorse poi 1' attuale Gran Cono. Quest'ultimo nucleo è ancora solo ritrovabile per la maggior temperatura esistente nel sottosuolo ; quello dei Faraglioni del Porto di Levante appare com'era nel 1937, cioè assai ridotto di fronte alla maggior ricchezza ed intensità delle emissioni esi¬ stenti in precedenza. Maggiore interesse si concentra invece sulle fumarole del cratere, oggi più ampiamente diffuse e termi¬ camente più alte che non nel 1937. sempre però meno dei -mas¬ simi valori raggiunti nel 1924. Fino al 1913 circa restava un'unica fascia di fumarole sul¬ l'alto delia pendice di NW del Gran Cono e qualche altro spi¬ raglio dentro il cratere. Nel 1913 (De Fiore — VULCANO — Napoli 1921) ebbe inizio una recrudescenza dell’attività fumaro¬ lica con la formazione di nuovi sporadici gruppi di fumarole ■sulla parete del settore di NW del cratere ed anche a sud in una striscia sotto l’orlo. Successivamente il gruppo a NW prese ad ampliarsi talmente da trasformarsi nel 1916 in due - grossi nuclei: -uno interno a q. 240 circa in un fascio di allineamenti Lumarolici orizzontali effetto di un’ampia fratturazione periferica (gruppo A), l’altro a cavallo dell’orlo sotto forma di una grande frattura radiale (B). Queste formazioni rimasero tali fino al 1923 alla quale epoca sul prolungamento del ramo esterno di B. ad una quarantina di metri più in basso', si aperse una grossa fu¬ marola C, termicamente assai attiva che dal 15 febbraio al 7 giugno, durante la mia seconda permanenza a Vulcano, passò da 214° a 240°. Dal 1913 l’esalazione delle fumarole della Fossa di Vulcano •è stata studiata almeno termicamente da molti altri. Nella ta¬ bella seguente sono riportate le misure di temperatura effettuate -dai vari A. A., ultime le mie del 1937 e del 1951. 218 L. SICARDl Autore Anno Mese A B c De Fiore 1913 9 110° 110° — Platani a 1916 10 410° 373° — Malladra 1921 8 536° CO -u oo — De Fiore 1921 9 550° 396’’ ■ — Sicardi 1922 1—5 p 380’ — » 1923 6 580° 475° 240 1 De Fiore 1924 10 615° 555° p Imbò 1930 11 364° 0 V » 1932 5 388° 238° p Dessau-Bernauer 1933 3 — 4 465° 227° 275 Sicardi 1937 8 ò o 170° ò o T-< » 1951 9 246° 210° 187 1 Dal 1913 al 1924 per undici anni l’ incremento termico è continuo : procede praticamente di pari passo sulla A e sulla Br aggiungendosi poi la C nel 1923 ; i massimi termici sono però sulla A. Probabilmente poco dopo il 1924 la temperatura prese a scendere per poi di nuovo risalire nel 1933 ad un nuovo mas¬ simo, inferiore però al precedente ; nel ’37 si registra un netto decremento ma nel ’51 una nuova energica ripresa con il ritorno in A della massima termicità. Lo sviluppo della fumarolizzazione fino al 1937 è stato da me già ampiamente illustrato (lì recente ciclo dell7 attività fuma- rolica dell’Isola di Vulcano — Bulletin Volcanologique — S. Il — v. 7" — Napoli, 1941). Nel 1937 i grossi nuclei A, B, C erano del tutto individuabili presentandosi su di un unico allineamento come distinte unità e con forme caratteristiche, solo che l’inten¬ sità dell’esalazione era assai ridotta ovunque. Quest’anno tutti i nuclei avevano ripreso vigore pur mancando l’imponenza delle nubi di vapore osservate nel 1923; la B si è anche accresciuta di due ramificazioni lunghe circa una ventina di metri sul suo braccio esterno ed a questo perpendicolari, una restando un poco sotto l'orlo craterico verso E e l’altra assai più in basso verso. W. La C si mostrava inoltre inserita in un sistema di due frat¬ ture lunghe una ventina di metri, divergenti verso est e perife¬ riche come la A, rispetto alla radiale B. Procedendo dalia B verso sud sull’orlo craterico, nel 1937, si avevano ancora due piccoli nuclei di scarsa importanza che attualmente si sono am¬ pliati con maggior continuità in un’unica fascia (100°). STROMBOLI, PAN ARE A E VULCANO (EOLIE) ECO. 219 Nel complesso appare chiaramente come la ripresa termica dell’attività fumarolica di Vulcano oggi registrata ma di cui non ci è possibile determinare l’anno al quale ne risale l’inizio, è stata accompagnata da una serie abbastanza ampia di lesioni le quali ancor più che in addietro fanno del settore di NW del cratere di Vulcano un punto estremamente debole nei possibili futuri sviluppi dell’attività vulcanica dell’Isola. Di una serie di analisi chimiche eseguite sull’esalazione di alcuni nuclei fumarolici della Fossa di Vulcano, sarà oggetto un’altra nota. Torino, 1 ottobre 1952. Fabio Invrea : I . i Imenotteri raccolti da L. Ceresa in Sardegna i I CRISIDI, MIRMOSIDI e MUTILLIDI Il Sig. Leopoldo Ceresa, in una sua escursione, nella Sar¬ degna nord-occidentale, dal 1" al 15 Giugno 1952, fatta col preciso -scopo di raccogliere Imenotteri per riprendere l’illustrazione fau¬ nistica dell’isola, ha radunato una massa imponente di esemplari di quasi tutte le famiglie : tra essi un bel numero di Crisidi ed? in minor misura, anche Mirmosidi e Mutillidi che ha sottoposti al mio esame, pregandomi di farne una breve illustrazione da -comprendersi tra le pubblicazioni che dovranno . segnalare questo validissimo apporto per la conoscenza della imenotterofauna sarda. Cosa che- faccio molto volentieri, dato specialmente che si tratta di un contributo di notevole entità, anche se sono costretto a ri¬ mandare a più tardi, a quando cioè saranno state metodicamente ■esplorate anche altre parti dell’ isola, o le stesse in stagioni di¬ verse, e saranno così affluiti altri copiosi materiali, uno studio faunistico organico e completo per queste tre famiglie quasi to¬ talmente trascurate dai tempi di Achille Costa e soltanto in questi ultimi anni oggetto di nuove ricerche tutt' ora in corso da parte -di alcuni egregi studiosi. Il Ceresa dal canto suo si propone di continuare negli anni venturi l'esplorazione imenotrerologica della Sardegna, variando le zone e de epoche della raccolta, e questa sua meritoria e non lieve fatica, che, per V abilità, la tenacia e 1’ esperienza del ricer¬ catole, promette di riuscire molto feconda, deve essere senz'altro validamente incoraggiata ed aiutata. Per la speciale posizione e fisionomia della Sardegna tali indagini hanno infatti una impor¬ tanza tutta particolare, non soltanto dal punto di vista faunistico e zoogeografico, dati i numerosi endemismi, ma altresì per la loro ripercussione sullo studio di problemi biologici e geologici di più vasta portata. Come ho detto non espongo qui considerazioni ge- IMENOTTERI RACCOLTI DA L. CERESA IN SARDEGNA 221 nerali che riservo per una sintesi finale, limitatamente, ben inteso, alle tre famiglie da me studiate, ma faccio seguire solo l’elenco delle specie catturate durante l’escursione, corredando tuttavia qualche citazione, quando occorra, con quei dati che meglio val¬ gano a fissare la fisionomia di talune forme. Dirò che tutti i Cri- sidi segnalati in questa nota sono stati raccolti sui fiori di om¬ brellifere (prevalentemente Ferula sp., e anche Thapsia garga- nica L.) ad eccezione degli Hedychrum rufìpes Buyss. presi sui dori di Achillea sp. Per i Mutillidi esporrò, quando mi risulta, l’ambiente nel quale gli esemplari sono stati dal Ceresa catturati. Le date e le località della escursione del Ceresa sono le se¬ guenti : 1 - VI - 1952 2 » 4 » 0 ^ 0 » 6 » _ i » 9 » 40 » 11 » ■* n » 18 » 14 » 15 » Tissi Chilivani Porto Torres Osilo M iniera Canaglia e Porto Torres Stagno di Platamona (Porto Torres) Ploaghe Lago Barazza e Porto Conte Stagno di Cenano (Porto Torres) Olbia Sassari dintorni Marina di Sorso Alghero Pam. CHRYSIDIDAE Cen. Ellampus Spinola Ellampus auratus L.) - Porto Torres, St. Platamona, 1 es. Cen. Holopyga Dahlbom Holopyga fervida (Fab. • - Miniera Canaglia, 1 A1. Holopyga gloriosa (Fab.) - Chilivani, Porto Torres, Ploaghe, Alghero, 9 9 9- Holopyga chrysonota (Forst.) - Chilivani, St. Platamona, St. Ce¬ nano, Sassari, 8^9* Holopyga chrysonota (Forst.) var. aureomaculala Ab. - St. Platamona, 1 cf. Jlolopy ga amoenula Dhlb. - Tissi, Chilivani, St. Cenano, Alghero, 26 S71 9 ? comprendenti anche la forma che da molti si attri¬ buisce alla var. ovata Dhlb. lo 222 F. 1NVREA Holopyga amoenula Dhlb. var. sardoa n. ^9. Lungh. mm. 7-7 1/2 . Forma robusta e tarchiata. Parte¬ anteriore del corpo, compresa l'area mediana del mesonoto, uni¬ formemente verde smeraldo, soffusa di dorato, specialmente sul capo, sul pronoto e sulle tibie in varia misura. Mandibole nere.. Antenne nere collo scapo e il pedicello verdastri. Tegole, nerva¬ ture delle ali e tarsi bruni. Addome superiormente dorato ver¬ dastro 0 verde dorato, nero sugli sterniti. Punteggiatura molto densa e piuttosto grossa, più forte che nella forma ovata Dhlb.r col mesonoto, lo scutello e il metanoto (postscutello) scolpiti con grossi punti rotondi, regolari, reticolati, a fondo piatto e lucido. Punteggiatura addominale più fitta e più profonda che in ovata.. St. Platamona, Porto Torres, Sassari, 6 0* 1 9* Olotipo e allotipo di Porto Torres, 6- VI- 52, nella mia collezione ; cotipi in collez. Ceresa. E la stessa forma che il Mantero in: «Imenotteri dell’ Asi¬ nara » - Bollett. Soc. Ent. Ital., XLI, 1909, ha determinato come Holopyga viridis Guer. L’esame di questi esemplari dell’ Asinara nel Museo di Genova mi aveva indotto a scartare la parentela con la viridis Guer. che è uniformemente verde, lucida e debol¬ mente scolpita, e mi aveva fatta considerare la fisionomia spe¬ ciale che ora ritrovo negli individui recati dal Ceresa. L’affinità maggiore mi sembra sia con la var. virideaurata Linsenmaier, ma è la punteggiatura che non permette l’accostamento. Penso perciò che si tratti di una forma particolare circoscritta alla Sardegna o all’area sardo-corsa. Gen. Hedychridium Abeille Hedychridium ftav'ipes Evers. - Chilivani, St. Platamona, 4 9 9- Hedychridium roseam (Rossi) var. chloropygum Buyss. - Tissir 2 cf c? • Hedychridium sculpLuralum Ab. - Chilivani, St. Platamona.,. Gen. Hedychrum Latreille Hedychrum nobile (Scop.) - Chili vani, St. Platamona, Ploaghe, 4 cf cf • Hedychrum rufìpes Buyss. - Ploaghe., una ventina di es. cfcf 6 9 9? con grande prevalenza di queste ultime; Olbia 1 9- Tutti gli es. di Ploaghe sono stati raccolti su fiori di Achillea sp. IMENOTTERI RACCOLTI DA L. CERESA IN SARDEGNA Robert Dii Buysson nella sua Monografia fin André : Spec. Hy mèli. Eur Alg., Voi. VI, 1891, pag. 228) ha descritto V H. rufipes come varietà dell'//. Gerstaec Iteri Chevr. su alcuni esemplari 9 della Sardegna (Sorgono) comunicatigli dal Gribodo ed interpretando la variazione come un caso di rufinismo- Cinque di tali esemplari sono pervenuti a me col legato Gribodo, quattro si trovano ancora nella mia collezione ed uno in collezione Ceresa, Effettivamente quello tipico (forse 1’ unico comunicato al Du Buys¬ son ?) presenta un arrossamento molto marcato delle zampe nella loro totalità (con molto vaghi riflessi violacei), delle antenne, della nervulazione alare, delle tegole e degli sterniti : il capo e il dorso del torace sono violacei con ampie zone verdastre. Gli altri es. sono normali o quasi : più nettamente violacei sul capo e sul to¬ race, con arrossamento limitato ai tarsi e, in maggiore o minor misura, alle articolazioni delle zampe. Le antenne, le nervature delle ali, le tegole e gli sterniti sono bruno neri o neri. Gli esemplari in serie catturati dal Ceresa e che comprendono i due sessi permettono di meglio fissare, nella struttura e nella colorazione normali, i caratteri di questa forma speciale alla Sar¬ degna. Più che con V H. Gerstaeckeri l’affinità appare evidente- con V H, longicol/e Ab. per il pronoto più depresso, la sua mag¬ gior lunghezza, quantunque leggermente meno accentuata, per gli angoli anteriori del torace meno acuti e più arrotondati e per la corta pubescenza del capo e del torace bianca e non nera o nero rossastra. Il colorito della parte anteriore del corpo è di un bel violaceo deciso, uniforme, o talora con riflessi verdastri o verde bronzati sulla fronte, sulla faccia, sulle pleure e sugli an¬ goli postico-laterali del torace. L'addome è superiormente rosso- fuoco come in H. Gerstaeckeri e longicolle. Inferiormente il corpo è nero con riflessi volacei più o meno evidenti e in qualche zona dello sterno verdastri. Le mandibole sono gialle con l’apice nero e lateralmente violacee nella parte basale allargata: la porzione- protratta della lingua è pure gialla, mentre i palpi sono neri con vaga tendenza al bruno come le antenne. Le zampe sono supe¬ riormente violacee, coi tarsi anteriori gialli e quelli mediani e posteriori gialli solo inferiormente : un ingiallimento si nota nor¬ malmente anche presso le articolazioni, e spesso, più o meno, sul lato inferiore dei femori e delle tibie. Le* tegole e le nervature delle ali sono brune La punteggiatura tanto toracica che addo¬ minale è fina, assai più fina e uniforme che nell'//. Gerstaeckeri 224 F. INVREA e più simile a quella del longicolle. Il maschio si distingue dalla femmina per la pubescenza del capo e del torace più lunga e più eretta, per il pronoto appena più breve e per la mancanza di piegatura rilevata quasi a tubercolo al centro del margine apicale dell'ultimo tergite visibile. Per quanto bo detto più sopra ritengo legittimo di elevare Y Hedychrnm rufipes Buyss. al rango di specie distinta, endemica della Sardegna. Gen. Stilbum Spinola Stilbum cyanurunt (Eòrst.) var. siculum Tourn. - Porto Torres, Ploagbe, 2 a7 07- Gen. Parnopes Latreille Parnopes grandior (Pallas) - Marina di Sorso, 1 cf- Gen. Pseodochrysis Semenov Pseudockrysis incrassata (Spin.) - Ploagbe, 4 0 0. Questi esem¬ plari hanno riflessi dorati sul pronoto, sulle aree laterali del mesonoto e particolarmente sullo scutello. Ma non mi pare il caso di mantenere in vita la var. gratiosa Mocs-, carat¬ terizzata appunto da tale spolveratura aurea, dato che non si tratta di un fatto eccezionale ma di un aspetto cromatico di intensità variabile che si nota su quasi tutti gli esem¬ plari. Gen. Chrysidea Bischoff Chry sidea pianila (Kb) - Tissi, 1 cf- Esemplare intensamente azzurro carico. Gen. Chrysis Linné Chrysis silicata Dhlb. - St. Genano, Tissi, Cbilivani, Marina di * Sorso, 3 rfrf, 3 09. E una specie non comune, prevalente¬ mente orientale (Caucaso, Asia mediterranea, Grecia e arci¬ pelaghi dell’Egeo), ma che raggiunge la Spagna e le Baleari. Per l’Italia è citata della Sicilia e della Sardegna ed io ne bo visto e ne possiedo anche alcuni esemplari dei dintorni di Roma. Chrysis cuprea Rossi. - Tissi, 5 9$. Chrysis dichroa Dblb. - Tissi, 19- IMENOTTERI RACCOLTI DA L. CERKSA IN SARDEGNA 225 Chrysis mediocri s Dhlb. - Tissi, Ploaghe, 3 dV. 2 9 2- Chrysis succine ta L. - Tissi, Chilivani, Porto Torres, Ploaghe, 12 Chrysis suceincta L. var. bicolor Lep. - Chilivani, Porto Torres, 7 0?. Chrysis suceincta L. var. Gribodoi Ab. - Chilivani, Porto Tor¬ res, 14 tfV. Chrysis viridula L. var. ci ngulicornis Fòrst. - St. Cenano, 1 o. Chrysis viridula L. var. pyrrhina Dhlb. - Tissi, St. Cenano, 3 cfd** Chrysis splendidula Rossi (nec Dhlb. - Porto Torres, St. Ce¬ nano 3 cTcf- Chrysis splendidula Rossi var. dominula Ab. - St. Platamona, St. Cenano, 1 rf, 1 Q . Chrysis sybarita Fòrst. - St. Cenano, Marina di Sorso, 1 ci71, 1 9 • Chrysis cerast.es Ab. - Tissi, St. Platamona, St. Cenano, Marina di Sorso, Olbia, 6 efe/b 4 O O . Chrysis ignita L. - Porto Torres, St. Platamona, St. Cenano, 3 9 9. Chrysis ignita L. var. co //ita Fòrst. (= urici fera Ab. - Porto Torres, St. Cenano, 9 ej'd'i 6 9 9- È una delle varietà dell7 ignita meglio caratterizzate tanto nel rf ( conila ) come nella 9 ( uncifera ). Chrysis inaequalis Dhlb. - Chilivani, St. Platamona, St. Cenano, ^ cf cf 5 1 9 • Chrysis incisa Ab. - Chili vani, 1 Q. Chrysis vari.de/is Ab. - Tissi, Chilivani, St. Platamona, St. Ce¬ nano, 6 cf'cP- E una forma rara, propria della Francia me¬ ridionale, della Penisola Iberica e delle Baleari. Chrysis scutellaris .(Fab.) - Tissi, Chilivani, Ploaghe, St. Cenano. Marina di Sorso, Olbia, 8 tfc?- Chrysis Grohmanni Dhlb. - Chilivani, St. Cenano, 2 cfoC I 9 * Chrysis sexdentata Christ. - Porto Torres, Ploaghe, Lago Ba- razza, St Platamona, Marina di Sorso, 7 dV, 3 9 9- Fani. MYRMOS1 DAE Cen. Myrmosa Latreille Ih/ / /no sa b / unni p e s L ep. - l'issi, Chili \ ani, 3 dV- Myrmosa thoracica (Fab.) (= ephippium Panz.) - St. Cenano, ^ cf • 226 F. INVREA F am. MUTI LLI DA E Gei). Myrmilla Wesmael Myrmilla calva (Vili.) - Porto Torres, St. Genano, 4 9 9- Myrmilla calva (Vili.) var. distincta (Lep.) - Porto Torres, St. Genano, 1 cT, 1 9- Myrmilla capitata (Lue.) - St. Genano, 1 9 • Myrmilla Chiesii (Spin.) - Olbia, 1 9- Gen. Ronisia Costa Ronisia barbara (L.) var. brulla (Pet.) - Marina di Sorso, 5 cTcA su ^or’ di Ferula. Ronisia barbara (L.) var. loi’osa (Costa) - Marina di Sorso, 1 su fiori di Ferula. Gen. Smicromyrme Thomson Srnicromyrme ridicala (Pali.) - Porto Torres, St. Platamona, St. Genano, Marina di Sorso, Lago Barazza, Olbia, 32 (VcG 27 O Q. Non soltanto i maschi, ma anche quasi tutte le femmine, sono stati catturati sui fiori di Ferula , fatto per le seconde notevole in quanto normalmente solo gli alati tra i M u ti 1 li d i frequentano le infiorescenze e si nutrono verosi¬ milmente di nettare e di polline, mentre il modo di alimen¬ tazione dell’altro sesso è tutt’ora incerto, anche se da qual- c’ uno (Molitori si è affermato che esso possa essere in qual¬ che caso o circostanza di natura carnea. Le femmine della viduala evidentemente, anche se certo non sempre, fanno ec¬ cezione alla regola dato che pure il Prof. Edoardo Gr ideili, nella Laguna di Venezia, ne ha trovato un certo numero sulle bianche infiorescenza della ombrellifera Echinophora spinosa L. che alligna sulle spiagge marine. Io le viduata 9 costantemente trovate cori-enti sul terreno preferibilmente sabbioso Ricordo invece di aver notato molti anni fa a Ge¬ nova, e a distanza di tempo una dall’altra, due femmine di Ronisia barbara (L.) var. brìi Ha (Pet.) arrampicate sulle ombrelle della Ferula ferulago L. : non potrei dire però se vi stessero lambendo il nettare o non piuttosto la melata, prodotta dagli afidi che molto spesso infestano quella pianta, come è certamente il caso per un esemplare 9 della var. de¬ corati frons Costa della stessa specie che Marcello Cerniti IMENOTTERI RACCOLTI DA I,. CEliESA IN SARDEGNA 227 prese in settembre a Sasso Fnrbara (Roma; su di una pianta di Pittosporwm tobira Ait. infestata dalla cocciniglia Peri- ceri/ a Purchasi Mask. Si sa cbe i maschi di Mutili i d i sono assidui alla melata : in precedenti mie pubblicazioni ho citato molti casi di catture anche numerose di Mutillidi e Mirmosidi di tal sesso sul Fico e sul Mirto infestati dal Coccide Cero - pìas/es rusci L., sul Pesco e sulla Inula attaccati da Afidi, sul Pittospomun con Pericerya già indicato ecc. Sull’alimen¬ tazione delle femmine invece i dati mancano. In cattività il Berio, come già aveva fatto il Minkiewics in Polonia, ha tenute vive per lungo tempo piccole femmine di Smicro¬ myrme nutrendole con miele. Smicromyrme Ceresae n sp. O. Lungh . mm. 4-51/.,. All’ infuori della statura molto mi- aore. assolutamente simile nell' aspetto, nella disposizione generale del disegno e nella colorazione, alla Smicromyrme vicinata (Pali.) 9, se ne distingue per i seguenti caratteri: Le zampe e le an¬ tenne sono interamente ferruginose, senza alcuna parte nera : soltanto le prime hanno gli articoli terminali un poco oscurati ed un offuscamento anulare all’apice dei segmenti del flagello. I tubercoli antennali sono invece neri, anziché rossi come in ridicala. La macchia bianca sul capo è troncata rettilineamente tra i due occhi e non, come in viduala , acutamente prolungata sulla fronte e sulla faccia fino alla radice delle antenne. Il colore dei disegni chiari del capo e dell' addome è di un argenteo un poco più tendente al dorato, mentre invece la pubescenza coricata del torace é di un dorato meno carico e meno lucente. La macchia centrale del secondo tergite del gasti;o è meno regolarmente ro¬ tonda od ovale, col contorno più incerto, ed è tendenzialmente in po' trasversale. La fascia apicale dello stesso secondo tergite -è notevolmente più folta e più larga, con l’espansione mediana m avanti meno acutamente triangolare, ma con un andamento quasi regolarmente arcuato. L’area pigidiale è circondata preva¬ lentemente da peli argentei, anziché neri o rossastri. Morfologicamente la somiglianza è notevole. Il capo della Ceresae è però un pochino più lungo e un poco meno convesso anteriormente. Il secondo articolo del flagello delle antenne è della stessa lunghezza del terzo e non sensibilmente più lungo di esso come in viduala. Le spine delle tibie mediane e poste- 228 F. 1NVREA - IMENOTTERI RACCOLTI DA L. CERESA IN SARDEGNA riori sono più rade e meno valide. Il secondo segmento del gastrc è proporzionalmente assai più largo e l’addome ne risulta cosi, nel suo complesso, più globoso e più corto. L’area pigidiale è più triangolare, più attenuata all’ apice, coi lati meno paralleli e con l’andamento delle strie meno longitudinale e più a spina di pesce. Porto Torres, St. Genano, Ploaghe, 6 9 9- Olotipo di St, Genano (Porto Torres) 11 - VI - 1952 nella mia collezione; cotipi in collezione Ceresa. Smicromyrme Agusii (Costa) - Chilivani, St. Genano, Marina di Sorso, 5 dV. Su fiori di ombrellifere. Sulla validità speci¬ fica di questa forma che l’ André aveva creduto di poter re¬ trocedere a semplice varietà della Sm. rufipes (Fab.) rimando a quanto ho ampiamente esposto in : « Mutillidi nuovi o no¬ tevoli del Bacino Mediterraneo, 2a parte» (Boll. Soc. Entom. Ital. LXXXI, 1951, q>. 39). È uno dei Mutillidi endemici più caratteristici della fauna sardo-corsa. Smicromyrme rufipes (Fai.) var. ciliata (Panz.) - St. Platamona, St. Genano, Marina di Sorso, 8 cfcf- Su fiori di ombrellifere^ Smicromyrme P errisi (Sicli. Pad.) - St. Genano, Olbia, 2 9 9- * E aneli' essa elemento endemico sardo-corso. Vedi in propo¬ sito il mio lavoro testé citato, pag. 42 nota. G. Fagnani IL CULMINE DI DAZIO (Bassa Valtellina) . « Von Tirano bis Ardenno tritt in unserer Zone keine Granitmasse von gròsserer Bedeutung auf » . : cosi si espri¬ meva nel 1916 H. P. Cornelius (1) nel suo importante lavoro geologico sulla bassa Valtellina. Fig. 1-11 Culmine di Dazio visto da Morbegno. Effettivamente da Tirano id Ardenno non esistono masse granitiche: appena ad occidente di quest* ultima località, invece, emerge la massa rocciosa del Culmine di Dazio, costituita in gran parte dal cosidetto « Daziogranit » di Cornelius. Le rocce costituenti il Culmine di Dazio sono rappresentate in modo del tutto schematico nelle carte geologiche che accom¬ pagnano i lavori di Cornelius (1) e di Cornelius-Furlani (2). G. FAGNANI Assai approssimativa e incompleta è anche la rappresenta¬ zione del Culmine di Dazio nella pubblicazione geologico-petro- grafìca del Melzi (3) sulla Valle del Masino. Il Culmine di Dazio ha la forma di una cupola allungata in direzione Est-Ovest con perimetro alla base di 8-9 Km. e coll’al¬ tezza di 913 m. s. m. ; si trova sul versante settentrionale della bassa Valtellina e costituisce un complesso a sè, morfologicamente distinto dai rilievi montuosi più settentrionali, di fronte allo sbocco della Valle del Masino nella Valle dell’ Adda. Sul versante settentrionale le pendici inferiori del Culmine sono ricoperte da abbondante materiale di trasporto antico e re¬ cente : il versante meridionale si affonda con uniforme e forte pendenza nel fondovalle ed è lambito dal corso dell’ Adda. Verso occidente il pendio più o meno scosceso, scende con forre dirupate verso la vailetta di Dazio mentre ad oriente le falde del monte sono immerse nelle alluvioni recenti del fondo- valle (*). li granito di Dazio. Il cosidetto granito di Dazio è una roccia chiara finemente granulare, con tessitura subparallela, che già ad occhio nudo ri¬ vela i costituenti essenziali e precisamente: quarzo grigiastro, plagioclasio, e, in quantità minore, ortoclasio e mica biotite. All'esame microscopico il quarzo si presenta in granuli cri¬ stallini allotriomorfi con numerose inclusioni praticamente irri¬ solvibili per le loro minutissime dimensioni, spesso fratturati ir¬ regolarmente e sempre con estinzione ondulante. Il plagioclasio è generalmente meglio conservato del feldispato potassico e si presenta in lamine spesso geminate secondo la legge dell ’ albi te : sulle lamine con estinzione simmetrica sono stati misurati angoli di 12° - 14°: il confronto degli indici di rifrazione con quello della collolite ha dato : n o o IN co & ~ 9 0 z o ’O^o q'o ° Q Z: Z' O'O ° Q d 0 o 0 °o -v CP o - r- -O ^ o ^ C> O O ^ e v: 1? 238 G. FAGNANI Il banco di dolomia è stato in parte interessato da una frana recente che ha portato a valle sulle rive del Masino una consi¬ derevole quantità di massi e di materiale detri tico. Un’altra lente di roccia carbonata esiste ad oriente del paese di Dazio dove affiora per breve tratto dalla coltre morenica tra due lembi di «scisti del Tonale » : si tratta di un calcare compatto bianco utilizzato un tempo come pietra da calce : sono particolarmente evidenti fenomeni di milonitizzazione che interessano la dolomia ed il cal¬ care nonché le rocce adiacenti per una profondità di una trentina di metri, in corrispondenza della ben nota linea di dislocazione alpina che dal Passo del Tonale raggiunge con andamento- Est-Ovest il Ticino (linea del Tonale o linea insubrica). La massa « granitica » che costituisce la parte centrale del Culmine era stata già ricordata dal Theobald (5) nel 1866, che la localizzò presso il piede del Culmine nella sua parte orientale z al contrario la presenza del granito pare sia completamente sfug¬ gita al Melzi Cò) che parla solo di « equivalenti del verrucano con lenti di calcare triasico » . Circa la natura della roccia che costituisce la parte centrale dell’altura di Dazio i vari A A. hanno espresso al riguardo opi¬ nioni divergenti. Nel lavoro del 1916 Cornelius (1) interpreta la roccia di Dazio come una massa granitica vera e propria completamente avvolta sia a Nord che a Sud dai cosidetti «scisti di Morbegno».. Nel lavoro del 1930 in collaborazione con Furlani (2) Cor¬ nelius si intrattiene ulteriormente sulle rocce del Culmine di Dazio considerandolo costituito nella parte centrale da un « orto- clasarmer Biotitgranite ». Il Tromp (6) invece afferma di non aver potuto constatare la minima traccia di rocce granitiche nei dintorni di Dazio : senza risultato sarebbero state anche le sue ricerche del granito nei pressi della vetta del Culmine. Tromp si dichiara perciò in¬ certo sull’esistenza di una «massa granitica» di Dazio ed è piuttosto disposto a pensare che il « Daziogranit » di Cornelius sia in realtà identificabile con uno gneiss vero e proprio attribui¬ bile ad una varietà di « gneiss chiari ». La roccia che il Cornelius descrive come granito e che il Tromp interpreta come gneiss costituisce in effetti la parte cen¬ trale del Culmine di Dazio : essa è ben visibile particolarmente all’ estremo orientale del Culmine in corrispondenza di una pie- H. CULMINE DI DAZIO (BASSA VALTELLINA) 239 cola cava, ora abbandonata, poco a Nord dell’ingresso della gal¬ leria ferroviaria: la roccia granitica affiora anche all’estremo oc¬ cidentale del Culmine — sulla mulattiera che scende dal paese di Dazio ai Torchi Bianchi — dove la si può osservare per brevi tratti alternata con gli scisti. Circa i caratteri strutturali del granito di Dazio si può rico¬ noscere che esiste effettivamente una facies periferica della massa granitica che presenta un evidente isorientamento dei costituenti mineralogici, in particolare della mica ; ciò è riscontrabile sia in sezione sottile che ad occhio nudo e verrebbe in parte a giusti¬ ficare 1’ appellativo di gneiss datole dal Tromp. Riassunto Sono state eseguite ricerche chimiche ed ottiche sulle rocce che costituiscono il Culmine di Dazio (Bassa Valtellina) e preci¬ samente : il granito di Dazio, la gabbrodiorite, gli scisti di Mor- begno e la dolomia inclusa nella «serie del Tonale». Sono state considerate anche le opinioni divergenti esistenti circa il « Dazio- granit » di Cornelius. Istituto di Mineralogia e Petrografia dell’ Università di Milano Autunno 1952. BIBLIOGRAFIA 1) Cornelius H. P. : Zur Kentnis der Wurzelregion ini unterei! Veltlin r Neues Jahrbuch fiir Mineralogie XL Beilage Band. 1916, Stuttgart. 2) Cornelius H. P., Furlani M. : Die insubrische Linie vom Tessili bis zum Tonalepass. Akad. der Wissenschaften. Wieu, 1930. : Ricerche geologiche e petro grafiche sulla Valle del Macino. Giornale di Mineralogia, Cristallo- grafìa e Petrografia. Fase. 11, Voi. IV, 1893, Pavia. : Die Magmentipen. Schw. Miner. und Petr. Mit- teilungen XVI Band, Zurich, 1936. : Die siidostlichen Gebirge von Graubiinden und dem angrenzenden Veltlin. Beitràge zur Geolo- gischen Karte der Schweiz Geol. Coimn. Schw. Nat. Gesel. Bern, 1866. : La geologie du Valle del Bitta et la, Tectonique des Alj)es Lombardes. Ed. Eduard Ijdo, Leiden 1932. 3) Melzi G. 4) Niggli P. 5) Theobald G. 6) Tromp S. W. C. Sacchi I MOLLUSCHI DELLE DUNE FOSSILI NELLE ISOLE PONZIANE NEI RAPPORTI CON LA MALACOFAUNA VIVENTE A Ponza ed a Ventotene esistono dune fossili di sabbia cal¬ carea giallastra, contenenti resti numerosi di Polmonati e di Mesogasteropodi terrestri. Poi che la loro presenza è in evidente relazione con condizioni climatiche diverse dalle attuali, sembra interessante un parallelo fra forme viventi ed estinte, in un piano generale di confronto fra le associazioni malacofaunistiche del- T arcipelago, e quelle del litorale tirrenico, che ho studiato in più ampie ricerche attualmente in corso di stampa. I rilevamenti a Ponza sono stati effettuati da ine durante ricerche compiute nel settembre 1952 ; altro materiale fossile ponziano, ed il materiale di Vento tene, ho esaminato nella col¬ lezione Buchner (Porto d' Ischia). Ringrazio perciò il dott. Giorgio Buchner della sua premurosa gentilezza. Le ricerche sono state eseguite nel corso della mia permanenza, come borsista del Centro di biologia del C. N. R., alla- Stazione Zoologica di Napoli (1). PONZA. Duna della Cala dell’Acqua (N 0 dell’isola). La superficie della duna misura, all’ incirca, 15X§0 m. Nel tratto più meridionale essa, erosa dagli agenti esogeni, è spoglia di vegetazione, o presenta una copertura molto discontinua di Crithmum maritimum L., Statice minuta L. Inula viscosa L. e Daucus sp. (juv.). In un lembo settentrionale esiste un fram¬ mento di macchia a Pislacia lentiscus L. ed Asparagus acuti- (M Gli elenchi malacofaunistici premettono, al nome delle specie, il simbolo della forma biologica, secondo i criteri da me proposti Sacchi, 1952), La nomenclatura specifica è quella del Giskmain (1930-1931 ). 1 MOLLUSCHI DELLE DUNE FOSSILI ECC, 241 foli ita L., oltre il quale il terreno è coltivato a vigneti. La po¬ tenza della duna raggiunge i 4 7 5 m., il suo limite inferiore so- vrasta di un metro il livello delle mareggiate. E composta di un’arenaria giallastra ricca di calcare (Ca C03 = 6£,1 °0 nel di¬ sfatticcio della roccia; = 52,2 0/0 nell’ ass. di C 1* i t h m 0 - S ta¬ ti ce tea); inferiormente si trova uno strato carbonioso nerastro, spesso pochi cm., che dà, in acqua, una sospensione nettamente nera, arricchito, nella sua situazione basale, di Ca CO., (= 68,2 °0). La macchia a lentisco presenta un sottile A, (1 2 cm.) ; ed un A0 grigiastro, di ca. 20 cm. di potenza, assai impoverito di cal¬ care (CaC03 = 15,0 %), passante a C (arenaria). Un orizzonte fossile B, ricco di bambole calcaree (CaCO., = 71,6° 0) da antiche concrezioni radicali, interessa l’intera estensione della duna. / LTn tratto di' 1 ' 2 m., che non è fossilifero, sovrasta l’oriz- zonte fossilifero. L’arenaria è ricca di frammenti calcarei di origine marina, di cui sono con sicurezza riconoscibili nicchi spezzati di Glicy- meris — ■ meglio conservatisi degli altri Lamellibranchi delle associazioni di spiaggia sabbiosa, di cui tuttora pullulano i lito¬ rali tirrenici, in virtù del grande spessore conchigliare — e por¬ zioni del guscio di Crinoidi; frammentici di Veneridi s. 1. fre¬ quenti, rari i Foraminiferi. La fauna fossile terrestre comprende le specie seguenti : C Helioella ( Trochoidea ) sditila De Crist. & Jan. K II eli x ( Cryp tomphalus) aspersa Muli. K Pupilli fera solida Drap. K Ena obscura Porro. K Chondrula (ridens Muli. K Goniodiscus rolundatus Muli. K Cyclostoma elegans. Muli. H Oxychilus eellarius Muli. II Viti 'ea sp. (,juv. 1 es. incompl.). La fauna vivente comprende : A) Or i th in o-S tatice tu in : C Helicella ( Trochoidea ) conica Drap. K Eobania venniculata Muli. K Rumina decollata L. B'; Macchia : C Helicella ( Trochoidea ; conica Drap. CM Helicella ( Xerotricha ) conspurcata Drap. 242 C. SACCHl K Helix (Cantareus) aperta Bora., occasionale. K Theha gregaria Rossm. K Eobania vermiculata Muli. K Chondrula tridens Miill. K Lauria cglindracea JDa Costa. K Papillifera solida Drap. K Cgclostoma elegans Muli. C) Margini della cultura, lungo il sentiero che scende dall1 incasato alla cala (ass. a carattere subruderale, con domi¬ nanza di Cynodon dactylon L.). - CM Reticella (Cernuella) subprofu ga Stab. K Eobania vermiculata Miill K Rumina decollata L. K Helix f Cantareus ) aperta Bora. K Papillifera solida Drap D) Margini della f o n t e : H Oxgchilus cellarius Miill. K Galba tru ricalala- Miill. Duna della regione I Conti (2 km a N-NO del villaggio di Ponza). All’incirca d’estensione uguale ad un terzo della precedente, coltivata a vigneto e della potenza massima di un paio di metri. Presenta l’orizzonte a bambole calcaree, ma non è fossilifera e, forse anche per questo motivo, la sua arenaria è meno ricca di CaC03 (= 58.0 °/0) pur condividendo con la precedente il colore e l'aspetto generale. E colonizzata da un’associazione di Molluschi viventi di ca¬ rattere subruderale : CM Helicella, ( Xerotr icha ) conspurcaUi Drap. CM Helicella ( Cernuella ) subprofuga Stab. K Eobania vermiculata Muli. K Helix (Cantareus') aperta, Bora. K Papillifera solida Drap. K Caracollina lenticella Fér. Sulla macchia ad Erica arborea, lentisco, leccio allo stato ar- bustivo, Phillyrea, Arbulus , Smilax asperah ., Cistus, Sparlium, Myrtus communis L. ecc., nelle garrighe a Thy melerà hirsuta e nelle siepi di Rubus e di Agave, specialmente sviluppate nel tratto meridionale dell’isola, vivono su suolo siliceo, grigio- biancastro, poverissimo di calcare (carbonati = 0,55° 0 in media), solo le specie seguenti: 0 1 MOLLUSCHI DELLE DUNE FOSSILI ECC. 243 CM Helicelìa ( Xerotricha ) co n spurcata Drap. CM Helicelìa ( Cerimeli a ) subprofuga Stab. K Eohania vermiculaia Mitili. K Heliv ( Cantar eus ) aperia Borii., occasionale. K Rumina decollata L. (1), con una densità, peraltro, che può addirittura definirsi spora¬ dica in confronto a quella che esse raggiungono sulle arenarie; queste vengono perciò a costituire aree di accantonamento anche per le forme a tendenza più ubiquista. VENTOTENE. Dune estese su larga parte dell’isola; arenarie giallo-oscure, già segnalate dal Béguinot. Nel complesso meno riccamente calcaree delle dune pon- ziane (CaC03 = 37,00 °/0), con frequenti granuli lavici neri (le lave di Ventotene appartenendo, notoriamente, alla serie basica contrariamente ai terreni di Ponza, acidissimi nella maggior parte). Ventotene, da tempi assai antichi (Béguinot) è prevalentemente coltivata a vigneti, la vecchia « macchia bassa » essendone sub¬ totalmente scomparsa. Fauna vivente. (' Helicelìa ( Trochoidea ) conica Drap. CM Helicelìa ( Cernuella ) subprofuga Stab. K Eobania vermiculata Muli. K Rumina decollata L. K Lauria cylindracea Da Costa (Telegrafo marino : subfos¬ sili p. p.). K Cyclostoma elegans Muli. Fauna fossile. Parata Grande (costa occ.). Duna seconda : C Eupàrypha pisana Muli. (1 es. giovane) C Helicelìa ( Xerocincla ) liammonis Schm. CM Cochlicella acuta Muli. (3 es.). CM Helicelìa (. Xeromicra ) apicina Lam. l) Fa stagione piovosa, sì, ina poco avanzata mi ha impedito il ■ritrovamento di forme nude : la presenza a Ponza di Ayriolimax agre- $tis L., il piccolo Limacide ubiquista che il Monterosato (1893) se¬ gnala anche a Lipari, è però molto probabile, anche per la continua importazione di verdure che gli Isolani praticano dal Continente. E ve¬ rosimile che anche Oxychilus cellcirius Muli., specie di larga tolleranza ni fattori edafici estenda la propria area distribuzionale, ai terreni -eruttivi ponziani. 244 c. sacchi K Theba carthusiana Muli. K Ena obscura Porro (1 es. completo -j- frammenti) K La uria cylindracea Da Costa. Il Oxychilus cfr. celiar ìus Muli. (1 es. giovane). Il Ferussacia cfr. rescoi Drap. Cala della nave ( costa or. i Duna terza : K Theba gregaria Rossm. K Cliondruìa Iridens Miill. K Tapi [tiferà solida ■ Drap. Duna quarta : K Ilelix ( Cryptomphalus ) aspersa Miill. K Hygromia cinotella Drap. K Pupilli fera solida Drap. K Goniodiscus rotunda tus Miill. II Oxychilus cella rius Miill. Al Telegrafo vecchio risultano, ancora, raccolte alcune Lav¬ ila cylindracea i Da Costa ; al Telegrafo marino parecchie He- liceità (. Xerocincta ) liammonis Schm. Dalla valutazione di questi dati di fatto si possono trarre lè- considerazioni seguenti : a) Cronologicamente i giacimenti fossiliferi delle Isole- Ponziane non possono risalire oltre il Quaternario, e si tratta, almeno in parte, senza dubbio di un Quaternario recente, perche- la presenza delle Enidi, e, soprattutto, delle Eiicelline (i cui generi più caratteristici, sec. Germain — p. 270 - — « ne se mon- trent, à V état fossile, que dans le Quaternaire le plus voisin de nous ») indica il carattere moderno di queste associazioni, che si ritrovano, d'altronde, praticamente identiche sul litorale del con¬ tinente, tuttora viventi (Q (v. oltre). La fauna più recente è, senza dubbio, quella della duna 2y Parata Grande) a Ventotene, con Euparypha pisana, con lieti cella apicina e con Cochlicella acuta , che il Germain dice « fos¬ sile ori subfossile seulement dans la Quaternaire tout à fai t ré- cent». Tutte queste specie hanno, a Ventotene, aspetto subfossile,, e rappresentano verosimilmente un’ondata di popolamento suc- (M Le forme più antiche del Terziario recente o del Quaternario antico, sono qui Goniodiscus , Cyclostomci e Ferussacia. Ir a ss. è, però», nettamente più recente, considerata come entità ecologica a sè. I MOLLUSCHI DELLE DUNE FOSSI LI ECC. 245- cessiva a quella rappresentata, dalle altre specie della stessa dima, più tenacemente cementate dall’ arenaria. b ) Dal punto di vista ecologico, tutte le forme, tranne le tre citate in a ), e le altre elicelle, indicano un ambiente di gran lunga più sciafilo e più igrobio delle attuali formazioni di macchia che ricoprono le isole. Esse sono reperibili nei lecceti di Cuma e del Circeo, dove ancor oggi, come nella grande duna di Ponza, la specie di gran lunga più frequente è Cyclosloma elegans. Lo strato h umico della duna maggiore di Ponza, e la composizione faunistica della malacocenosi fossile indicano chia¬ ramente l'esistenza di un’antica formazione forestale, verosimil¬ mente di una foresta a Quercus ilex L. o (Beguinot), Q. giu pedmiculata , certo di tipo mediterraneo. Ricordo che Helix aspersa è rara sul litorale continentale che fronteggia le Poii- ziane ; la distruzione del leccete provoca la sua sparizione pra¬ ticamente completa dai tratti sabbiosi (1), e la sua riduzione ad ambienti microclimaticamente più favorevoli (subrudereti umidi) nei tratti rocciosi. Le specie dell’Helicetum aspersa# che, o per statura minore, o per abitudini spiccatamente humi- cole, ( Goniodiscus , Tebine, Olausilidi, Enidi, Cycìostoma , Zoni- tidi) possono sfuggire alla distruzione della specie caratteristica,, sopravvivono in un 0 xy chi 1 e to - Li in a c e tu m largamente con¬ dizionato dall'azione antropica, o vengono «ereditate» dall’Eoba- nietum vermiculatae, 1' ass. malacologica caratterizzata dalle fo. K che segue immediatamente l'Helicetum aspersae nella scala di igrofìlia discendente e di resistenza crescente al di¬ sturbo antropico (Sacchi, 1951). Tale è il caso della macchia. ' svi¬ luppatasi a Ponza sulla maggior duna fossile, che presenta nel suo popolamento di Molluschi, oltre alle forme caratteristiche nella macchia insediata sulle dune litorali di Cuma e di Paestum, anche Chondrula tridens Muli, specie che il Bellini (1915) é lo Statuti (1882) dicono rara, rispettivamente, sui litorali napo¬ letano e laziale, e che io, nel corso dei miei rilievi, ho incontrate una volta sola, nel lecceto di Licola, a nord del monte di Cuma. Le- forme, d’altra parte, della macchia sviluppata a Ponza su suolo calcareo, risentono chiaramente dell’edafiSmo differenziale — di cui (fi È rara nei pineti toscani. Nelle Eolie (4949) l'ho trovata, per contro, frequente, ma nella cintura umida dalla base dei coni vulca¬ nici, o nelle culture umide. Ambienti analoghi essa frequenta in Pngl:aT in Sicilia, in Algeria ricerche personali). C. SACCHI 246 è indicatrice biologica anche la presenza di muschi calcicoli — che condiziona la frequenza di forme come Theba e Cyclostoma le quali, pur non assolutamente calcicole (Sacchi cit.) sono, però, generalmente assenti dai terreni vulcanici, non oltrepassando le arenarie a Ponza e mancando, p. es., dalle Eolie. Nelle dune che formano il tombolo del lago di Sabaudia, la macchia che occupa il lato a mare non ospita, oggi, Heìix aspersa , e Ramina decollata vi è rara; ma il denudamento operato dal vento e dal mare in larghi tratti presso la foce meridionale del lago, circa mezzo chilometro a nord della tenuta di Torre Paola, ha messo allo scoperto strati di sabbia contenenti FI. aspersa , e rare Eobania. in mezzo ad una quantità enorme di nicchi sub¬ fossili di Cyclostoma e di Rumina , tra uno sviluppo radicale assai maggiore di quello attribuibile alla sovrastante macchia, in quel punto composta di radi cespugli di lentisco, ginepro, rosma- nino e Philly rea. Quest’associazione non pare, dalla sua compo¬ sizione, indice sicuro di un insediamento forestale sviluppatosi nel passato sul tombolo, ma esso rivela per certo l’esistenza della boscaglia, molto più folta e più umida — forse in relazione con le condizioni delle antiche paludi estese a monte del lago — di cui è ancora vivo il ricordo d’uomo. c) U elicei! a ( Xerocincta ) hammonis Schm. è una specie italiana, non litoranea prettamente, diffusa dalla Padania all’Italia centrale (Alzona & Alzona-Bisacchi, 1938, p. 12*2) e nettamente xèrobia. Lo Statuti (cit.) la dice presente a Terracina. d) Heiicelta ( Trochoidea ) scinda De Crist. & Jan. non è citata per il Lazio, nè per la Campania, ma di Terracina è ci¬ tata FI. \ T.) terresti is (Statuti), nome che per molte ragioni, impossibili ad esporsi in questa sede, e, fra l’altro, per essere servito a designare forme diverse, deve qui, per l’appunto, in¬ tendersi sinonimo di FI. scinda. Questo è, forse, dato la grande localizzazione della specie sul litorale italiano, il reperto più in¬ teressante della malacofauna fossile ponziana, e mette in più diretti rapporti zoogeografici l’arcipelago col continente. e) Nè l’una nè l’altra elicella identifica una facies parti¬ colare. Esse sembrano rappresentare aspetti xerobi nell’ass. fon¬ damentalmente igrobia, cosi coni’ è, oggi, comportamento generale di FFeliceUa conica , ed anche di Euparypha pisana , specie en¬ trambe che si addensano alla periferia dei boschi litoranei, nelle radure, nei tratti marginali... nelle stazioni meno rigorosamente sciafile dei biotopi. La stessa H. conica ha questo comportamento nella macchia di lentisco sopra la grande duna fossile di Ponza. I MOLLUSCHI DELLE DUNE FOSSILI ECC. 247 /') Ferussacia vescol Drap, è segnalata dal Bellini nel Camano, ma non vi figura nei miei rilevamenti ; è comune (ma di¬ scontinua) nell’Italia meridionale e nell’Africa minore, sia in asso¬ ciazioni ruderali o murali che in Helicetum aspersae tipici. • g) Caracollino, lenticula Fér. è molto rara nella regione fìegrea : qualche caso segnala il Bellini a Cuma ; per il Lazio, 10 Statuti ed il Lepri (1909) la trovano a Civitavecchia. Per quanto rara, io l'ho, peraltro, rilevata nell’associazione rupicola (essa pure delle Cri tm o-Stati ce tea) al Circeo. Anche a Ponza non ho raccolto più di 5 esemplari ; manca dalla duna maggiore e non compare fossile. li) Theba gregaria Possili., frequente nel Napoletano, ed, a Cuma, caratteristica della macchia e di ambienti simili, è segna¬ lata per Civitavecchia e Terracina. Th. carlhusiana , specie lar¬ gamente diffusa, non vive a Ponza, ed è rara a Cuma ; non com¬ pare nei miei rilevamenti a Sabaudia, ove è invece frequente Th. gregaria. iì ffe/icella conica Drap, è finora Tunica specie strettamente Jitorale-psammicola che si conosca oggi alle Ponziane; neppure essa oltrepassa la grande duna di Ponza : non è presente nè alla Chiaia di Luna, nè a Santa Maria (sabbie povere di Ca CO„ = 1,0% m media), ma è insediata sull’arenaria disgregata, cioè in am¬ biente genericamente psammoide. Nelle spiagge citate non esi¬ stono sabbie completamente al riparo delle forti mareggiate ; nè i rudereti di Ponza sono sufficientemente ricchi di calcare per consentirne la presenza. La specie, caratteristica della fauna co¬ stiera del Mediterraneo occidentale (Sacchi, 1952), concentra alle Ponziane il carattere « flammulatura sopracarenale » nella totalità degli individui costituenti i suoi popolamenti, mentre questo fenotipo è generalmente presente, ma poco frequente f20f— 30%) sul litorale continentale. La comparsa a Ventotene di H. conica è forse contemporanea a quella di E. pisana e di C. acuta , con cui popola, in frequenza spesso elevatissima (centinaia di indi¬ vidui per mq.) il retroduna secco mediterraneo; in coll. Buchuer si trovano, infatti, esemplari chiaramente subfossili ; il che conferma l’ipotesi di un’ondata di popolamento xerobio sovrappostasi alla fauna igrobia con la trasformazione della duna boscata in duna a carattere subdesertico, cioè vicina alle condizioni generali delle dune marittime a debole copertura vegetale (ammofileti) (1). (*) Assente forse dalia duna minore per la sua notevole distanza dal mare e per la sua posizione riparata dalle influenze ìnicroclima- 11 che marine. 248 C. SACCHl /) Hygi omiu cinctella Drap, non è comune a Cornati (lec - ceto); lo Statuti la disse diffusa alle Paludi Pontine; non l’ha rilevata a Sabaudia. E una specie centroeuropea-meridionale, fre¬ quente nell’ Hel icetum aspersae della macchia umida su are*- narie calcaree nel Messinese. m) Le specie dell’ Eo b ani e t um elicelletoso (qui con II conica) delle C rit h m o - S t ati c e te a, non si trovano fossili. Unà- simile associazione, oltre che su scogliere calcaree del continente da Genova alle Puglie, ho rilevato alle Eolie (1949) ad Ischia (1949); alle Tremiti (1 951) ; ai Galli (1952). Essa costituisce una terza ondata di popolamento, insediatasi alle Ponziane in un anv- biente che a sua volta dell’ecologia dunicola originaria conservava ben poco, trasformandosi, col progredire dell’azione abrasiva, in una sorta di scogliera marittima. u) Parimenti recente è, certo, il popolamento di ffeliceUà conspurcata e di II. subprofuga. Quest’ ultima dispiega a Ponzc* la grande variabilità ed eleganza di forme di Sabaudia, del Nà- poletano, di Paestum ; ma a Ventotene compare con una popola¬ zione prevalentemente composta di individui senza ornamentazione. In conclusione, la mancanza di endemismi sia nella fauna fossile, che io quella vivente, le affinità strette delle forme poff- ziane con quelle del litorale continentale laziale-campano, autoriz¬ zano non solo, come il BÉguinot suppose per alcune correnti d popolamento vegetale, alla formulazione di ipotesi di colonizza¬ zione invasiva, in perfetto accordo con la natura prevalentemente- vulcanica del gruppo insulare, ma anche all' identificazione zoo- geografica probabile delle zone di partenza della migrazione. Essa ebbe origine, assai verosimilmente, dal Terracinese (Circeo com¬ preso), pur potendo esservi presenti, fra le forme più recenti, ele¬ menti di importazione dal Napoletano, con cui il traffico fu sempre attivo. Bicordo che le eobanie ponziane si avvicinano, nella loro fi¬ sionomia, più a quelle di Cuma che a quelle di Sabaudia ; né ra¬ gioni di edafiSmo differenziale possono invocarsi aprioristicamente a definire ecodemi. Le forme piccole, di nicchio sottile, e di di¬ segno screziato, del Napoletano si ritrovano anche a Cuma, su sabbie abbastanza ricche (circa il 20 °rt) di Ca CO., ; mentre, p. es.^ a Lipari, anche nella regione pumicea dell’isola, si hanno forme piuttosto grandi, con conchiglia pesante e disegno netto, simili ai popolamenti del golfo di Milazzo antistante. I MOLLUSCHI DELLE DUNE FOSSILI ECO. 249 Notevole la concentrazione dei caratteri, da deriva generica 1 o legata al forte isolamento, nelle elicelìe (forme giovani !) inse¬ diate a Ponza ed a Veutotene. Dal punto di vista ecologico, può dirsi che alle antiche asso¬ ciazioni igrobie, cui la presenza degli strati fossili di humus (Cala delP acqua a Ponza) accentua il valore di associazioni silvi¬ cole (L, si sovrappose verosimilmente a Ventotene, spogliata del tutto, prima di Ponza (Beguinot) del rivestimento boscoso origi¬ nario. un’ass. di tipo retrodunicolo-subruderale, con caratteristiche fo. CM , perfettamente aderente al carattere psammoide che le arenarie denudate assumono in superficie, che si ritrova quasi identica, p. es.. a Clima : di essa. IL conica ed IL subprofuga possono essere le uniche forme sopravvissute. Forse contemporanea, forse legata più direttamente ad azione antropica {IL aperta ed Eobania essendo, notoriamente, specie eduli molto ricercatei fu l'introduzione delle forme dell’Eobanietum / di rupe e di macchia silici col a , specie largamente adattabili e facilmente propagabili. Il Germain (p. 320) ricorda che Rumina .decollata ha invaso, introdotta con vegetali, gruppi insulari atlantici fino alle Antille e alle Bermude ! Oggi l'arcipelago ponziauo è scarsamente piovoso, ricevendo poco più di 700 muovanno di pioggia, in inedia (semaforo di Ponzai; ma non è escludibile che si siano avute, in passato, oscillazioni climatiche del tipo di quelle che si invocano per ispiegare le oscillazioni delle paludi sul litorale pontino, anch’esso, attualmente piuttosto arido (meno di 800 mm annui di pioggia). L’esistenza di un mantello forestale è comunque sufficiente alla creazione di un microclima igrofilo per l’Helicetum aspersa e, ass. che si forma anche, in simili condizioni (macchia folta), in regioni notoriamente fra le più secche d’Italia (litorale meridionale garganico ; Salento ; Sicilia iblea . . . ). In definitiva, ritengo che l’adozione dei criteri associazioni¬ stici per i popolamenti malacologici, sia utile e conveniente, a fini interpretativi ecologici, non solo per la biogeografia, ma anche per la biostoria. d) Il Béguinot identifica il vecchio mantello forestale delle isole in boschi di Quercus del gr aess ili flora : ina (v. oltre) anche un lec¬ cete (« macchia alta del Béguinot) è sufficiente alla creazione di un am¬ biente scia filo- igrob io adatto ad ospitare l’ He 1 i c e tu in aspersae. Noto qui che alcuni specchi d’acqua nei terreni silicei ponziani, con vegeta/., a Tufacee ospitanti Rana , Tricotteri, Odonati, Eterotteri acquatici ..., sono privi del tutto di Molluschi. 250 C. SACCHI I MOLLUSCHI DELLE DUNE FOSSILI ECC. Résumé. L’Au teur, en comparant la malacofaune fossile quaternaire- avec les Mollusques vivants des ìles Pontiennes (Ponza et Ven- totene), conclut à l’hypothèse d’un peuplement par l’invasion, cornine on l’a déjà suppose pour les végétaux. Il trouve un pa- rallólisme remarqnable entre les associations de Mollnsques ter- restres des ìles, et celles du continent. Summary. The Author, comparing fossil quaternary malacofauna with living Mollusks of Ponza and Yentotene (Pontian archipelago)r concludes by thè invasìon hypothesis of installation that was already supposed for planis; he fìnds remarkable zoogeographic and ecologie correlations between Islands and continent land-shells associations. NOTA BIBLIOGRAFICA Alzona, C., Alzona-Bisacuhi J. - 1938. Malacofauna italica, 1 : 93-128. Bèguinot, A. - 1905. Ann. Bot. 3 : 181 — 454. Bellini, R. - 1915. Boll. Soc. Nat. Napoli, 27: 149 — 194 Germain, L. - 1930-1931. Faune de Francc, 21-22 (897 -j- XIV pp). Lepri, G. - 1909. Bull. Soc. Zool. It. 18: 347 — 444. Monterosato, Allèry di -, T. - 1893. Atti Acc. Sci. Lett. Arti di Palermo (3), 5 : (33 pp). Sacchi, C. - 1952. Boll- Soc. Venez. St. Nat., 7 : (51 pp). Statuti, A. - 1882 Atti Acc. Pont. Nuovi Lincei, 34 : (89 pp). CRONACA SOCIALE Consiglio direttivo per il 1952 Presidente : Magistretti Iug. Luigi, Via Carducci , 14 (1952- 1953). Grill Prof. Emanuele, Via Botticeìli , 23 Vice -Presidenti : ) (1952 53). / Moltoni Dott. Edgardo, Museo Civico di Storia Naturate (1951-52). Segretario : Vialli Dott. Vittorio, Museo Civico di Storia Na¬ turale (1952-53). Vice-Segretario : Eagnani Prof. Gustavo, Via Botticeìli, 23 (1951-52). Cima Dott. Felice, Via Pin tur icchio , 25 Nangeroni Prof. Giuseppe, Viale Tunisia, 30 l Parisi Dott. Bruno, Museo Civico di Storia Consi g lievi : 1 u ra ^ I Sibili a Dott. Enrico, Mi-fi opr io (Como) ' Taccani Avv. Carlo, Via Burini, 24 Traverso Prof. G. B., Via Celoma , 2. Cassiere: Busca Rag. Luigi, Viale Mugello, 4 (1951-52). Bibliotecario : Dott. Lucia Perini (1952-53) ADUNANZE SOCIALI Seduta del 15 marzo 1952 Presiede iì Presidente Doti. B. Parisi All’ adunanza presenziano molte persone che non appartengono ^alla Società, venute per assistere all' annunciata commemorazione che il dott. C. Vandoni farà in memoria del cav. Augusto Mu¬ linar recentemente scomparso. Il Presidente, dichiarata aperta la seduta, premette brevi parole per ricordare che il Museo Civico è debitore verso il cav. Molinai* di molti preziosi aiuti per quanto concerne l7 incremento delle collezioni di animali ver¬ tebrati nostrani ed esteri. Alla Vedova, presente al convegno, il Dott. Parisi esprime a nome della Direzione del Civico Museo e del Consiglio Direttivo della nostra Società, il rammarico per la grave perdita subita e prega il Dott. Vandoni di iniziare il suo dire. La commemorazione, esauriente sotto ogni punto di vista, illustra la figura dell7 Estinto soprattutto nella veste di natura¬ lista che, unendo capacità organizzative non comuni a una grande passione per gli animali, seppe creare pressoché dal nulla un ap¬ parato di raccolta, c accia e smistamento di rettili, anfibi, uccelli -e mammiferi da esposizione così bene attrezzato da meritarsi la fama di Hagenbeck italiano. Il Dott. Vandoni, che per l’ affet¬ tuosa amicizia che lo legava al Molinai* ha saputo trovare toccanti espressioni che hanno messo in luce la bontà d’animo e la cor d ial ita del Defunto gerente dello Zoo di Milano, è seguito con grande attenzione dai presenti i quali, alla fine, lo applaudono vivamente. Il Presidente comunica che hanno mandato la propria adesione i Proff. Ghigi e Stazzi, dopo di che sospende per breve tempo la seduta al fine di permettere ai non soci di prendere commiato. Ripresa la seduta, il Segretario legge il verbale dell' adu¬ nanza del 15-12-1951 che viene approvato. Il Presidente dà poi la parola all" log. G. Scaini il quale riassume il suo lavoro, fatto ADUNANZE SOCIALI DELL’ANNO 1952 253 in collaborazione con M. Nardelli ed intitolato « La sti Ibi te del¬ l'alta Val Malenco». Viene quindi comunicata dal Presidente la dolorosa notizia della scomparsa dell’ Ing. Prof. Francesco Mauro, socio vitalizio fin dal 1909 e deceduto a Milano il 13-2-1952. L’ ing. Mauro che fu Consigliere della nostra Società e beneme¬ rito donatore al Museo Civico di una ricca collezione di minerali italiani, verrà prossimamente commemorato dall’ Ing. L. Magi¬ stretti. Alle sue esequie il nostro Sodalizio era rappresentato dal Consiglio Direttivo quasi al completo e da molti soci. Il Dott. Parisi rende noto cbe dopo l’ultima adunanza sono pervenuti i seguenti contributi straordinari per il 1951 : Prof. Cf. Nangeroni L. 5000; Prof. A. Chigi L. 5000; V. Favero L. 7000; C. M. Gramaccioli L. 500 ; A. Piazzoli L. 5000 ; Prof. A. M. De Angelis L. 1000; Ing. L. Magistretti L. 30.000; A. Reg¬ giani L. 2000 ; R. De Senn (2° contributo) L. 1000 ; P. Brambilla (2° contributo) L. 1000 ; per il 1952, si ebbero : L. 8000 dalla Società Feldspato ; L. 25.000 dal Dott. F. Cima ; L. 2000 da A. Foggiani. Il Presidente passa quindi ad illustrare il Bilancio Consuntivo 1951 : egli fa risaltare le forti spese di stampa delle pubblicazioni sociali che hanno costretto ad aumentare la quota sociale, pur avendosi il compenso del consueto contributo del Museo Civico, delle offerte spontanee di numerosi soci e degli incassi effettuati come rimborso spese stampa delle pagine ecce¬ denti le otto concesse gratuitamente. Egli chiarisce che V aumento di L. 140.000 del Fondo intangibile è dovuto per L. 30.000 al¬ l’iscrizione di 3 nuovi soci vitalizi, per L. 10.00 ad un versa¬ mento fatto dal Prof. Vittorio Tonolli e per L. 100.000 ad un'of¬ ferta straordinaria fatta alla Società dal Dott. Bruno Parisi stesso. Dopo la presentazione del Bilancio, prende la parola il Vice-Pre¬ sidente Prof. Grill per esprimere al Dott. Parisi il ringraziamento unanime dei soci per la sua generosa offerta. Tutti i presenti ri¬ volgono al Presidente un caloroso e sentito applauso, approvando il Bilancio che, naturalmente, è accompagnato dalla prescritta relazione dei revisori (Prof. S. Venzo e Rag. F. Gallivanone). Si procede poi alla votazione per la nomina dei nuovi associati, per cui risultano eletti in qualità di soci annuali i sigg. : Prof. Cario Picchio (Milano), proposto dal T. P. Stolz e Ed. Moltoni ; Dire - zione del Liceo Scientifico « Leonardo da Vinci » (Milano), proposto da B. Parisi e Ed. Moltoni. Il Presidente annuncia che si dovrà procedere alla votazione ìs 254 ADUNANZE SOCIALI DELL’ANNO 1952 per la nomi na per il biennio 1952-53 di soci alle seguenti cariche scadute o rimaste scoperte : Presidente, 1 vice-Presidente, Segre¬ tario e 6 Consiglieri. Prima di votare il Dott. Parisi prega vi¬ vamente i presenti, che avessero intenzione di rieleggerlo, di voler dare il voto ad altra persona poiché egli, che lo scorso anno cessò per. limiti d'età di essere Direttore del Museo Civico, ha deciso di stabilire la propria residenza fuori Milano. Nell’ occa¬ sione, il Dott. Parisi ringrazia i membri del Consiglio Direttivo e tutti i soci per la collaborazione prestatagli Jn tutto il tempo durante il quale fu alla Presidenza della Società. Scrutatori i sigg. Turchi e Brivio, alle cariche vacanti vengono eletti i Sigg. : Ing. Luigi Magistretti, Presidente ; Prof. Emanuele Grill, Vice- Presidente ; Dott. Vittorio Vialli, Segretario; Prof. G. B. Tra¬ verso, Prof. Giuseppe Nangeroni, Dott. Bruno Parisi, Dott. En¬ rico Sibilia, Dott. Felice Cima e Dott. Carlo Taccani come Con¬ siglieri. Concluse le elezioni, il Dott. Taccani prende la parola per ricordare ai presenti la fattiva e disinteressata opera che il Dott. Parisi ha prestato alla Società fin dai primi tempi di ap¬ partenenza ad essa e prosegue mettendo in risalto la sua figura di studioso, la capace e proficua attività esplicata come Direttore del Museo, da lui guidato degnamente anche nei difficili anni della guerra e del dopoguerra quando l’incarico costava uno sforzo continuo e faticoso. Rivolgendo il saluto al Dott. Parisi, il Dott. Taccani propone che, in segno di stima, gratitudine e riconosci¬ mento dei suoi meriti, egli sia iscritto all’Albo dei Soci Bene¬ meriti. Alla bella proposta s’ associa il Prof.. Grill che invita i presenti ad accoglierla per acclamazione. Cosa che accade tra i più calorosi applausi. Dopo brevi e commosse parole di ringra¬ ziamento pronunciate dal Dott. Parisi, che fa voti affinchè la So¬ cietà abbia a prosperare sempre in futuro, la seduta è tolta. lì Segretario : Dott. V. Vialli Seduta del 24 maggio 1952 # » Presiede il Presidente lng. L. Magistretti Aperta la seduta, 1‘ Ing. Magistretti commemora il compianto Prof. Dott. Ing. Francesco Mauro, Socio Vitalizio dal 1909, da molti anni Archivista prima, Consigliere poi della Nostra Società, resosi benemerito nei confronti del Sodalizio per diversi contri- ADUNANZE SOCIALI DELL* ANNO 1952 255 bufi straordinari e verso i naturalisti per la cospicua donazione, fatta nel Settembre 1950 al Museo Civico di Storia Naturale di una bellissima collezione di minerali italiani. Il suo decesso è avvenuto in Milano il 13 Febbraio scorso. La rievocazione deU’Ing. Magistretti, che gli fu amico fraterno, è seguita attentamente dai presenti, tra i quali si nota la Vedova, già collaboratrice fedele nel multiforme ed eccezionale campo di attività svolte dall' illustre Scomparso. Le parole del Presidente mettono in viva luce le doti eccezionali di intelletto e di carattere che fecero primeggiare l’Ing. Mauro nei settori dell’industria, della tecnica e delle scienze. Al termine della commossa rievo¬ cazione, che sarà quanto prima pubblicata sui nostri ATTI, la seduta viene sospesa per breve tempo, così da permettere agli intervenuti di visitare la collezione mineralogica E. F. Mauro esposta nella prima delle due sale del Museo da poco aperte al pubblico. Ripresa la seduta, l’Ing. Magistretti esprime il proprio rin¬ graziamento per essere stato a sua insaputa chiamato dalla fiducia dei Soci nell’ultima assemblea alla Presidenza della Società e certo di interpretare il pensiero di tutti rivolge un particolare e grato saluto ai suo predecessore Dott. B. Parisi per l'opera as¬ sidua svolta a favore della Società in tanti anni di appartenenza al suo Consiglio Direttivo. Viene quindi letto ed approvato il verbale della precedente seduta del 15 Marzo u. s., dopo di che hanno inizio le letture. La Dott. F. Regalia legge un breve riassunto del suo lavoro, presentato in collaborazione col Prof. V. Giacomini ed intito¬ lato Illustrazione eli una recente iconografia di 'piante lombarde. Prende poi la parola il Dott. R. Bevacqua che espone il suo studio Considerazioni sulla precision e delle determinazioni colorime- t riche , corredando il suo dire con vari diagrammi proiettati sullo schermo. Terminata questa comunicazione, il Vice-Presidente Prof. E. Grill, premesso di apprezzare il lavoro del Dott. Bevacqua il quale nella pur breve esposizione, ha dimostrato di essere pie¬ namente padrone dell’argomento, esprime all’autcre il suo pa¬ rere che lo studio di carattere essenzialmente fisico-matematico non possa essere valutato in modo adeguato dalla massa dei let¬ tori dei nostri ATTI, essendo troppo estraneo all’ abituale campo naturalistico ; per tale motivo il Prof. Grill non crede che il lavoro stesso possa essere adatto per la stampa sul nostro perio¬ dico. Dopo breve discussione, il Dott. Parisi consiglia di rimettere ADUNANZE SOCIALI DELL’ANNO 1952 25(1 la decisione di merito al Consiglio Direttivo della Società. Ac¬ cettata la proposta, riprendono le letture. In assenza degli Autori, le comunicazioni del Dott. D. Pujatli - Osservazioni sulV Hgmenolepis c liminula (. Rudolp/ii 1819' in India e del Prof. C. Cappello - Alcune osservazioni sul fòhn freddo in Piemonte sono riassunte dal Segretario. Passando agli affari, il Presidente legge e commenta il Bilancio/Preventivo per l'anno 1952 del quale, se nessuno ha obbiezioni, chiede l'appro¬ vazione per alzata di mano. Avuto il consenso unanime, dei pre¬ senti, l'Ing. Magistretti invita a procedere alla votazione per la nomina dei nuovi soci. Risultano così eletti soci annuali i sigg. G. Battista Breda (Brugherio), proposto da C. Taccani e Ed. Moltoni ; Maria Carones (Milano), proposta da C. Taccani e Ed. Moltoni; Dott. Fernando Ghisotti (Milano», proposto da Ed. Moltoni e V. Vialli ; Umberto Parenti (Modena), proposto da Ed. Moltoni e B. Parisi ; Antonio Rigliini (Milano), proposto da Ed. Moltoni e S. Venzo ; Don lvanlioe Ta gli a ferri (Laveno Mombello), proposto da C. Taccani e Ed. Moltoni. Subito dopo la seduta è tolta. Il Segretario : Dott. Y. Pialli Seduta del 28 giugno 1952 Presiede il Presidente lng. L. Magistretti Letto ed approvato il verbale della precedente seduta del 24; 5/52 l’Ing, Magistretti prega che siano iniziate le comunica¬ zioni all’ordine del giorno. Il Prof. S. Venzo espone il contenuto del suo lavoro Nuove faune ad ammoniti del Domeriano- Ale¬ niamo dell' Alpe Turati e dintorni (Alta B riama) ed invita i soci, cui interessasse l’argomento, a visitare dopo la riunione la sala del Museo Civico di Storia Naturale dove trovansi esposti i materiali studiati. Il Prof. Nangeroni propone che per l’autunno prossimo venga organizzata una gita sociale all’Alpe Turati per vederne le località più importanti e per essere edotti dalla com¬ petenza del Prof. Venzo dell’interessantissima stratigrafia d'in¬ sieme. La proposta è accettata dai presenti e in particolare il Prof. Venzo si dichiara pronto a fare da guida agli escursionisti. In assenza dell'autore, il Segretario riassume la nota del Dott. W. Maucci intitolata Un nuovo Pseudecliin iscus del Carso trie- ADUNANZE SOCIALI DELL? ANNO 1952 257 stino {Tardigrada, Scutechiniscidaé). Il Dott. Moltoni dichiara trattarsi di un argomento interessante e ben condotto e ne ap¬ poggia la. pubblicazione sul nostro periodico. Il Dott. Moltoni, non essendo presente il sig. M. Barajon, ne comunica le brevi Notizie entomologiche. Passando agli affari, il Presidente avverte che sono perve¬ nuti alla Società i seguenti contributi straordinari per il 1952 : Sig. E. E. Rosenberg L. 500: Ing. F. Brasa L. 1000; Prof. A. Brian L. 5000. Ringraziando questi generosi oblatori. l’Ing. Magistretti auspica che altri soci ne segnano Y esempio. Al ter¬ mine della seduta, il Presidente porge a tutti i saluti e gli auguri di buone vacanze. Il presente verbale viene letto ed approvato seduta stante. Il Segretario : Dott. Y. Yialli Seduta dee 15 novembre 1952 Presiede il Presidente Ing. Luigi Magistretti Dichiarata aperta la seduta il Presidente, in assenza degli Autori, invita il Segretario a presentare il lavoro del Dott. R. Loss e dell' Ing. A. Giordana intitolato Osservazioni sul Prote- rozoico di Jujuy Argentina nonché quello della Prof. S. Fu¬ magalli su II cranio nella necropoli neolitica di Gebelèn i Alto Egitto). Nota seconda. L'Ing. Magistretti prega quindi la Prof- G. Pagliàni di comunicare il proprio lavoro fatto in colla¬ borazione con C. Milani su La, peg matite di Caadoglia. Ter¬ minata T esauriente esposizione della Prof. Paglioni, prende la parola il Vice-Presidente Dr. Moltoni il quale, riassume la nota di M. A. Cherchi intitolata Termoregolazione in Hydromantee genei italicus Duna. {Anfibi urodeli) e quella del Dott. L. Si- cardi Stromboli , Pan area e Vulcano Eolie nell agosto-set¬ tembre 1951. Passando agli affari, il Presidente comunica che il socio G. C. Cadeo ha versato L. 1000 come contributo straordinario per il 1952. Subito dopo la seduta è tolta. Il Se g reta rio : Dott. Y. Yialli 258 ADUNANZE SOCIALI DELL’ANNO 1952 Seduta del 13 dicembre 1952 Presiede il Vice-Presidente Doli. Edgardo Moltoni Aperta la seduta, il dott. Moltoni avverte che il Presidente ing. Magistretti, per un improvviso impegno che lo costringe a recarsi fuori Milano, non potrà intervenire e legge una sua let¬ tera con la quale l’ing. Magistretti esprime il proprio rincresci¬ mento per non poter ascoltare le interessanti comunicazioni iscritte all’ordine del giorno. Dopo la lettura del verbale della seduta del 15/11/52, invi¬ tato dal dott. Moltoni, il prof. G. Fagnani illustra i suoi due la¬ vori intitolati rispettivamente « Il culmine di Dazio ( Bassa Vai- tellina) » e « Il berillio nei minerali del granito di Bareno ». La nota del dott. C. Saccht « I molluschi delle dune fossili delle Isole Ponziane nei rapporti con la malaco fauna vivente », in assenza dell'autore, viene presentata dal dott. Moltoni. Terminate le comunicazioni, il Presidente comunica che sono pervenuti alla Società i seguenti contributi straordinari per il 1952 : dott. Felice Cima L. 50.000 (2° contr.) ; dott. Paola Man¬ fredi L. 2000 ; ing. Giuseppe Albani L. 2000 : rag. Franco Gal¬ li va non e L. 1000. Vengono quindi nominati i due revisori del Bilancio Con¬ suntivo 1952 nelle persone del prof. Sergio Venzo e rag. Franco Gallivanone. Terminata la seduta i presenti si recano a visitare la colle¬ zione di vertebrati del Brasile, recentemente acquistata dal Museo Civico di Storia Naturale e attualmente in attesa di essere esposta nelle nuove sale. I soci passano in rassegna uno a uno i magni¬ fici esemplari, la cui cattura, preparazione e montaggio sono do¬ vuti al sig. Ferdinando Giuliano che li portò direttamente dal Brasile, ove egli esercitò per vent’anni l’arte tassidermica. Al termine della visita, i soci si congratulano vivamente col dott. Moltoni, Direttore del Museo, sia per l’illustrazione da lui fatta della fauna che per il cospicuo ed interessantissimo ma¬ teriale che senza dubbio è destinato a costituire un forte richiamo per i futuri visitatori ed amatori di scienze naturali. Il Segretario ; Dott. V. Vialu CONTRIBUTI STRAORDINARI PER IL 1951 Per fronteggiare le difficoltà finanziarie della Società. i Soci qui elencati versarono i seguenti contributi : Bari Bruno ........ L. 1000 Boldori Rag. Leonida ...... » 1000 Brambilla Pietro ....... » 2000 Corti Prof. Alfredo ...... » 5000 De Angelis Prof. Maria ..... » 1000 De Senn Renato . . . . . . » 2000 Paverio Vittorio . . . . » 7000 Fondazione De Marchi ...... » 50000 Gfallelli Giovanni ....... » 1000 Ghigi Prof. Alessandro ...... » 5000 Gramaccioli Carlo Maria ..... » 500 Magistretti Ing. Luigi ...... » 30000 Manfredi Dott. Paola ...... » 2000 Moltoni Dott. Edgardo ...... » 1000 Nangeroni Prof. Giuseppe ..... » 5000 Ognibeni Ing. Tito . . 2> 2000 Parisi Dott. Bruno ...... » 3000 Piazzoli Antonietta ...... » 5000 Porta Prof. Antonio ...... » 1000 Riedel Dott. Alfredo ...... » 2000 Roggiani Aldo » 2000 Rosenberg Ernesto Romano ..... » 4000 Rusca Rag. Luigi ....... » 1000 Società Feldspato ....... » 9000 Sommaruga Dott. Claudio ..... » 1000 Valle Dott. Antonio ...... » 1000 Venzo Prof. Sergio . . . » 1000 Vigoni Ignazio ....... » 1000 Volpi Dott. Luigi ....... » 1000 Il Dott. Bruno Parisi ha inoltre versato L. 100.000 il titoli di Stato ad incremento del fondo intangibile. ■ ir * INDICE Barajon M., Gen. Cicindela (Co]. Carabidae) Barajon M., Gen. Siona Dup (= Schistoslege Hb.) pag. 124 Lep. Geometridae) ...... Capello C. F., Osservazioni su] « pseudo-fòhn » freddo »m 125 in Piemonte (Comunicazione preliminare) Cherchi M. A., Termoregolazione in Hydromanles » 31 cjenei Dumi ........ » 201 Fagnani G., Il culmine di Dazio Bassa Valtellina) . Fumagalli S , Il cranio nella necropoli neolitica di » 229 Gebelèn (Alto Egitto). Vota seconda Giacomini V. e Regalia F., Illustrazione di una re¬ » 55 cente iconografia di piante lombarde (Tav. I) Invrea F., Imenotteri raccolti da L. Ceresa in Sar¬ » 43 degna - I. Crisidi, Mirmosidi e Mutillidi Loss R. e Giordana A., Osservazioni sul proterozoico di Jujny (Argentina). (La formazione calcareo » 220 carboniosa di León-Volcan) ..... Magistretti L., Commemorazione del Prof. Ing. Fran¬ cesco Mauro tenuta nell' Aula Magna del Museo » 141 Civico di Storia Naturale in Milano Maucci W., Un nuovo Psendechin iscus del Carso » 131 Triestino (Tardigrada, Scutechiniscidae) Pagliani G. e Milani G., La pegmatite di Candoglia « 127 (Val d5 Ossola) ....... Pujatti D., Osservazioni sull’ Hi/menolepis diminuta » 190 (Rudolphi 1819) in India ..... Sacchi C., I molluschi delle dune fossili nelle isole » 38 ponziane nei rapporti con la malacofauna vivente Scaini G. e Nardelli M., La stilbite delfialta Val Ma- » 240 lenco ......... Sicardi L., Stromboli, Panarea e Vulcano (Eolie) uel- » 25 l' agosto-settembre 1951 . » 212 262 ìndice Stolz Picchio T. e Picchio C., Osservazioni prelimi¬ nari sulla ciclomorfosi della dafnia nel lago di Varese ......... pctrj. 5 Venzo S., Nuove faune ad ammoniti del Domeriano- Aleniano dell'Alpe Turati e dintorni (alta Brianza). La successione strati grafica ...... 95 Cronaca Sociale Consiglio direttivo per il 1952 ...... 251 Adunanze sociali ........ » 252 Contributi straordinari ........ 259 PRESENTED 1 5 APR 1953 i SUNTO DEL REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (Data di fondazione : 15 Gennaio 1856) Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. I Soci possono essere in numero illimitato : annuali , vitalizi , benemeriti . I Soci annuali pagano L. 2000 all’ anno, in una sola volta , nel pruno bimestre dell* anno, e sono vincolati per un triennio. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti in Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ri¬ cevono gratuitamente gli Atti e le Memorie della Società e la Rivista Natura. Chi versa Lire 20000 una volta tanto viene dichiarato Socio vitalizio. Sia i soci annuali che vitalizi pagano una quota d’ammis¬ sione di L. 100. Si dichiarano Soci benemeriti coloro che mediante cospicue elargizioni hanno contribuito alla costituzione del capitale sociale o reso segnalati servizi. La proposta per V ammissione d’ un nuovo Socio annuale o vitoMzio deve essere fatta e firmata da due soci mediante let¬ tera diretta al Consiglio Direttivo. Le rinuncie dei Soci annuali debbono essere notificate per iscritto al Consiglio Direttivo almeno tre mesi prima della fine del 3° anno di obbligo o di ogni altro successivo. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Tutti i Soci possono approfittare dei libri della biblioteca -odale, purché li domandino a qualcuno dei membri del Consi- . òio Direttivo o al Bibliotecario, rilasciandone regolare ricevuta e con le cautele d’ uso volute dal Regolamento. Gli Autori che ne fanno domanda ricevono gratuitamente cinquanta copie a parte, con copertina stampata. , dei lavori pub¬ blicati negli Atti e nelle Memorie , e di quelli stampati nella Rivista Natura. Per la tiratura degli estratti , oltre le dette 50 copie, gli Autori dovranno rivolgersi alla Tipografia sia per 1’ ordinazione che per il pagamento. La spedizione degli estratti si farà in assegno. INDICE DEL FASCICOLO II I-1V R. Loss e A. Giordana, Osservazioni snl proterozoico di Jujuy (Argentina). fLa formazione calcareo carboniosa di León-Volcan) ........ paq. G. Pagliani e G. Milani, La pegmatite di Candoglia (Val d’ Ossola) ........... M. A. Cherchi, Termoregolazione in Hydromantes genei Dunn L. Sic ardi, Stromboli, Panarea e Vulcano (Eolie) nell’agosto- settembre 1951 ......... F. Invrea, Imenotteri raccolti da L. Cerosa in Sardegna - I. Crisidi, Mirmosidi e Mntillidi ....•» G. Fagnani, Il culmine di Dazio (Bassa Valtellina) . . » C. Sacchi, I molluschi delle dune fossili nelle isole pon- ziane nei rapporti con la malacofauna vivente . . » Consiglio direttivo per il 1952 ...... * Adunanze sociali ......... » Contributi straordinari ........ » 141 190 201 212 220 229 240 251 252 259 Nel licenziare le bozze i Signori Autori sono pregati di notifi¬ care alla Tipografia il numero degli estratti che deside¬ rano , oltre le 50 copie concesse gratuitamente dalla Società. Il listino dei prezzi per gli estratti degli Atti da pubblicarsi nel 1952 è il seguente : CO PIE 25 30 50 75 IOO Pag. 4 L. 400.- L. 500.- L. 700.- L. 1000.- L. 1200.- » 8 » 700.- » 800.- n 1000.- y> 1350.— » 1600.- * 12 1000.- » 1150.— » 1400.- » 1700.- >1 2000.- n 16 « 1200. - 1 0 0 co tH » 1700.- » 2000.— » 2400.- NB. La coperta stampata viene considerata come un ^3 di foglio. Per deliberazione del Consiglio Direttivo , le pagine concesse gratis a ciascun Socio sono 8 per ogni volume degli Atti o di Natura. Nel caso che il lavoro da stampare richiedesse un maggior numero di pagine , queste saranno a carico dell' Autore. La spesa delle illustrazioni è pure a carico degli Autori. I vaglia in pagamento delle quote sociali devono essere diretti esclusivamente al Dott. Edgardo Moltoni, Museo Civico di Storia Naturale , Corso Venezia , 55, Milano.