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DI SCIENZE NATURALI

E DEL

MUSEO CIVICO

DI STORIA NATURALE

IN MlliANO

VOLUME XCVIII

MILANO

Marzo 1959

CONSIGLIO DIRETTIVO PER IL 1959

Presidente: Grill Prof. Emanuele, Via Botticelli, 23 (1959).

Moltoni Dott. Edgardo, Museo Civico di Storia Naturale (1959-60).

*■

Nangeroni Prof. Giuseppe, Via Aldo Ma¬ nuzio, 15 (1959).

Segretario : Vialli Dott. Vittorio, Museo Civico di Storia Na¬ turale (1958-59).

Vice-Segretario : Conci Prof. Cesare, Museo Civico di Storia Naturale (1959-60).

Cima Dott. Felice, Via Pinturiccìuo, 25

Ramazzotti Ing. Giuseppe, Via Vittorio Ve¬ neto 24, Milano

SiBiLiA Dott. Enrico, Minoprio {Como)

Taccani Avv. Carlo, Via Burini, 24

Viola Dott. Severino, Via Vallazze, 66

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Cassiere: Turchi Rag. Giuseppe, Viale Certosa, 278 (1959-60). Bibliotecario : Malìa Krùger

Consiglieri:

(1958-1959)

Vice -Presidenti

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1897-1910.

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1929-1941.

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1944-1955.

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1956-1957.

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Premiala Tipografìa Successori FUSI - Via L. Spallanzani 27 1959

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Alfredo Corti

Professore emerito dell’ Università di Torino

BOTANICA VALTELLINESE (Appunti e divagazioni)

propter pulcritudinem et ferad- tatem orM notissima est Valtel¬ lina. Sprecher 1633.

Multa restant quae posteritati natura reservavit, nimirum ut omnis aevi liomines ha'beant quo se exercerent. Linneo.

« Non vi è certo in tutto il Regno Lombardo, e nemmeno in tutta Italia, un paese che più si meriti di essere accuratamente visitato dai naturalisti, di quello in cui si richiude il territorio della provincia di Sondrio ». Così iniziava la Prefazione del suo Prodromo della Flora Valtellinese il Dottor Giuseppe Filippo Massara che ci ha la¬ sciato quello di cui a lungo diremo, che è stato il primo organico contributo alla conoscenza del mondo vivente della gran valle lom¬ barda. Che, possiam dire, oggi tutti conoscono nelle sue maggiori li- nee, nelle sue più attraenti bellezze : ma che ancora attende di essere metodicamente esplorata e studiata, anche se siano andati a mano a mano accumulandosi contributi vari, molti pregevoli e taluni pre¬ ziosi, alla sua conoscenza, della gea, della flora, della fauna, della storia umana.

Anime gentili ne han sempre sentito il fascino : e basta ricor¬ dare di questo secolo il nome di Giovanni Bertacchi, poeta che alla integrità di uomo unì quella gentilezza delPanimo per cui la sua me¬ moria ci è tanto cara, e il minor cantore dalla vita breve, malato di ricordi, che fu Guglielmo Felice Damiani; per risalire a Giovanni Giacomo Reghenzani, nato a Teglio nel 1723, più conosciuto col nome di Costantino, assunto con la sua appartenenza all’Ordine dei Barnabiti, maestro di eloquenza e poeta più che discreto, che pere-

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A. CORTI

gT’inante per varie città italiane mantenne un’accorata nostalgia per la piccola patria, dove volle finire, cantata nella sua « Vallis Telli- nae descriptio »

Magna jacet medios, inter juga Raetliica, inontes Alpium in anfractu, longo circumdata vallo,

Finibus Insubriae, Lario contermina stagno

Te labens rapido mediam secat Abdua cursu, Abdua quae multis torrentibus aucta superbii. Te frug’um facilem reddit, rerumque potentem Natura, atque loeis primum donavit amoenis.

Fig’. 1. Sondrio, Piazza Nuova, nel 1822.

Da disegno del Brockendon stampato da AVallis (^).

(^) W. Brockendon (1787-1854) studiò alla Royal Academy e poi a Parigi: pittore di paesaggi e di ritratti, il suo autoritratto è agli Uffizi; membro delle Accademie di Firenze e di Roma e della Royal Society; nel 1822 fece un lungo viaggio in Svizzera e in Italia : pubblicò varie serie di ricordi, fra. i quali « Illustrated Road Book from London to Naples, Ex- cursions in thè Alps » e quanto è riferito ancora a pag, 82.

William Wallis, col fratello Robert, furono stampatori assai pregiati.

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E un componimento poetico per il quale con una buona dose benevolenza si è voluto ricordare T Invito a Lesbia Cidonia, è stato successivamente preparato dal pittore e letterato sondriese Pietro Martire Rusconi (1785-1861) (^) per presentazione della Valle all impe¬ ratore Francesco 1, una visita del quale annunciata per il giugno^ 1825, non ebbe poi luogo; vi sono accenni botanici!

Vedi il cacto dell’Indico paese

Sovra il colle Sondriense, e l’erba amica

Che dal crin di Ciprigna il nome prese,

mirar ti sia grave anche il nefando Aconito.

Ma dove lascio la vital pastura Della feconda e dolce ape Bormiense Che all’Ispana sovente il pregio fura?

(^) « Umile omaggio, cantica di P. M. R. alla Sacra Cesarea Maestà di Francesco Imperatore e Re », Sondrio 1825. [Lo stesso pubblicò anche un ’« Ode pel monumento alla Sacra Maestà di Francesco eretto nella Piazza Nuova (ora piazza Garibaldi) di Sondrio », nel giugno 1825, che probabilmente si sarebbe dovuto inaugurare in occasione della progettata visita: del detto monumento, che appare nella bellissima stampa del tempo, e del quale si è talvolta lamentato che non ne sia rimasta traccia, ne è indicata la fine nelPurgentissimo impiego dei suoi materiali per ar¬ ginare la disastrosa alluvione del Mallero (invero al tempo del frangente non era neppure del tutto ultimato!): impiego accennato dal Rusconi in quella sua « Storica descrizione del singolare e terribile innondamento » che il 27 agosto 1834 fece danni immensi travolgendo molte case a Sondrio che fu minacciata di distruzione: per cui il Governo Austriaco decise e fece erigere nel 1835 a quasi tutte sue spese le robuste argina¬ ture: che a poco erano valse quelle costrutte dopo la antecedente pur ruinosa piena del 1817, seconda nella cronistoria della città; per ricono¬ scenza i Sondriesi eressero il monumento, poi disgraziatamente danneg¬ giato, che ora è nel piccolo giardino presso il Ponte Nuovo, opera del Kroff, con le statue simboleggianti Giustizia, Religione, Pace, Benefi¬ cenza, apprezzato dalPImperatore Ferdinando nella sua visita del- Pagosto 1838. Il 25 dicembre del 1927 il Mallero, ancora in gran piena, riuscì a scardinare e far precipitare il Ponte Nuovo costrutto in ferro poco prima del 1880 mantenendo a maggior ragione quella denomina¬ zione trasmessagli dalPantecedente ponte in legno, costrutto nel primo quarto del secolo per la Strada Nazionale; così cliiamato a distinzione del Ponte Vecchio, in muratura, unico finallora, che con la via Valeriana, romana, congiungeva le due parti della città, demolito in alcune arcate dalla piena del 1834; dalla quale era rimasto integro, sulla sponda sini¬ stra, il palazzo della I.R, Delegazione, cui poi seguì quello dell’Ammini¬ strazione Provinciale nostra: nel 1927 l’argine sinistro cedette in pieno appena a monte del Ponte Nuovo e il bel palazzo, con tutti gli Uffici, fu travolto].

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ed anche di botanica che diremo applicata, quale l’eecessivo abbat¬ timento dei boschi:

Ivi la scure prepotente e il matto Guadagno, che il presente util sol vede E sul danno futui’o ha il ciglio astratto Entraro; e tolti dall’antica sede Cadder que’ tronchi e caggion tuttavolta Del nudo monte rovesciati al piede.

Poiché una delle maggiori bellezze della Valle è quella del mondo vegetale, e poiché non pochi furono gli studiosi che in vario modo lo illustrarono nello scorso e del nostro secolo, così allo scrivente, bene augurando per la Scienza e per la sua piccola patria, é parso oppor¬ tuno di raccogliere Consiliiim futuri a praeterito venit, scriveva il vecchio Seneca quello che in più di mezzo secolo gli é passato amorosamente, cjual riposante diletto, davanti agli occhi nella com¬ binazione dell’amabile scienza mai professata di proposito e la Valtellina. Non c’é invero gTan merito : tanto più che se non c’é da ambire a perfezione, neppure si é certo riusciti alla comple¬ tezza : notizie, curiosità, giudizi talvolta quelle divagazioni fu¬ rono sedimentati nei decenni dall’infanzia alla tarda vecchiaia: forse valeva la pena che non si disperdessero con la fine dei decenni: una assai benevola affeianazione di Plinio può assolvere da un severo giudizio: Historia quoquo modo scripta delectat) nessuna pretesa di dilettare, augurio se mai, di possibile incitamento.

Poiché il mondo vegetale é strettamente legato al suolo, alla sua costituzione, alla sua forma, la gea e la morfologia della Valle, que¬ sta strettamente connessa con la prima, non possono non interessare profondamente lo studioso, éd anche il semplice amatore, il quale nella sua incompetenza, qual lo scrivente, ammira e vorrebbe com¬ prendere, e si affida a quei che san leggere il gran libro, li ap¬ prezza... e li invidia. Un giovane, or sono ormai molt’anni, ha dato una simpatica sintesi (^) di quella avvincente accennata interpreta¬ zione delle forme: pubblicata in bella veste ma di scarsa diffusione, non ha trovato la risonanza che si meritava, e ancor merita; l’autore, «he aveva guardato e visto molto con occhi ben aperti e ben preparati.

(^) A. Saragat: La geografia fisica della Valtellina. Boll. Beale Soe. Geograf. Ser. 5, v. 3, fase. 4-6, 1914.

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bene scrivendone, s’è poi taciuto; peccato; che nei decenni poi tra¬ scorsi contributi vari, taluni massivi, e faccio solo i nomi dello Staub e dei Coniugi Cornelius, avrebbero aiutato a perfezionare le cono¬ scenze. Il Collega e Consocio G. L. Nangeroni, che non teme fati¬ che al suo entusiasmo di osservatore e di studioso, ha precisato e fatto conoscere, anche attraverso le pubblicazioni di questa benemerita So¬ cietà, tante cose, e certamente altre ne illustrerà.

In questi miei appunti strettamente botanici ho lasciato da parte tutto quanto ha esclusivo valore storico-culturale, e cioè antecedente al definitivo assestarsi scientifico della scienza delle piante: notizie veramente commendevoli al proposito, e tanto più ricordando la gio¬ vine età dell’autore, sono nella pubblicazione del Cermenati di cui dirò nella pagine seguenti. Per i secoli XVI, XVII e XVIII son gli studiosi svizzeri di gran nome, che ci hanno lasciato notizie riguar¬ danti la flora valtellinese : CoiTado Gessner, Giovanni e Gaspare Bahuin (quest’ultimo abbastanza noto a noi anatomisti perchè sovente è col suo nome chiamata la valvola che sta a separare l’intestino te¬ nue dal crasso, nomata pur dal Fallopio, maestro illustre a Padova nel secolo precedente, durante il quale era pur stata individuata dal bo¬ lognese Achillini) poi i fratelli Sclieuclizer, Giov. Gessner e il celebre Haller, di vastissima mente e vastissima attività, che nel 1768 pub¬ blicò a Berna i tre grandi lussuosi volumi della « Historia stirpium indigenarum Helvetiate inchoata », nella cui prefazione tratta della Valtellina come della « Helvetia transalpina » ; però le sue notizie per la Valtellina sono tutte di seconda mano e dubitabili. Si arriva così alla « Flora Helvetica » del pastore L. Gaudin (1766-1833) in 7 volumi (1828-’33), nei quali sono molte le indicazioni per il Canton Ticino e per la Valtellina : questa visitata dall’alto bormiese al Lario ; e la trattazione è condotta con un buon metodo, « Ditissima Flora ' Vallis Tellinae nondum satis innotuit » concludeva. E cominciava proprio di quei tempi il lavoro degli italiani.

Xel fascicolo dedicato alla Botanica della citata memoria del Cermenati sono ricordate notizie dei primi tempi del secolo scorso in¬ teressanti solo in paide la Valtellina, finitima all’Engandina e al Tirolo, e opere generali quale la Flora Italiana del Bertoloni, prima nel tempo quanto doviziosa di dati : seguita da cjuella, incompleta per la morte deU’autore, del Parlatore e poi ancora contributi vari fino al Compendio della Flora Italiana di G. Arcangeli del 1882. Avvertenza questa per quanti volessero ambire a più profonda visione di quella che possa venire dalle modeste pagine seguenti.

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Un primo contributo alla conoscenza del mondo vegetale della Valtellina è stato curato negli anni intercorrenti fra la pubblica¬ zione della prima e della maggior opera del comasco Comolli che or tosto vedremo, per opera di un medico provinciale, Giuseppe Berga¬ maschi, pavese, già assistente all’Università, autore di lavori di bo¬ tanica e di medicina, e di Relazioni anche per le provincie di Bergamo e di Brescia : è rimasto però inedito : un giovane studioso {^) ne ha re¬ centemente esumato il manoscritto presso l’Ateneo di Brescia, presso il quale giaceva dall’inizio del 1830.

Un valtellinese sarebbe tentato di riferire a lungo, di augurare la pubblicazione integamale : ma, per limitarci al nostro ambito, si ri¬ corda solo un lungo viaggio, a tappe, da Sondrio allo Stelvio e ri¬ torno, con ampio, amplissimo elenco di piante osseirate e raccolte: che sta di certo a testimoniare l’abito all’osservazione e allo studio del mondo vivente da parte di questi medici di vecchio stampo : non ho fatto un esame critico, non ne vai onnai la pena : non ho però mai incontrato in Val Malenco il Bìiodoclendron hirsiitum, e non so proprio dove si jDotevano rinveniiud la Nympìiaea alba e il Nuphar luteum! Per la piccola storia è interessante la visita del Bergama¬ schi al dott. Massara a Montagna e una gita di più giorni in Val Malenco in sua compagnia, iniziata a quel bosco Valdone esplora- tissimo dal medico condotto ai limiti del suo territorio.

Nella sua Relazione l’A. descrive le condizioni ambientali e quelle degli abitanti, con espressioni « piuttosto crude », dice il pre¬ sentatore : lo scrivente ritiene sia bene che si abbia memoria delle allora « infinite paludi e acque stagnanti che scorgonsi intorno a Sondrio, cagione di tante febbri intermittenti in primavera ed in autunno » e degno di credito « l’affetto soverchio delle antiche costu¬ manze » degli abitanti che l’A .vorrebbe « scuotere ». Le descrizioni e difese quasi idilliache che il Romegialli, nello stesso turno di tempo del Bergamaschi, ha enfaticamente asserite nella sua voluminosa Sto¬ ria della Valtellina, non rispondevano certo, ancora a fine di quel se¬ colo lo scrivente vide alla realtà : ad esempio per le condizioni igieniche delle persone e delle abitazioni ! Il Medico provinciale os-

(^) Sartori Fanelli C. Una relazione inedita statistica e naturali¬ stica sulla Valtellina di Giuseppe Bergamaschi, medico e botanico pavese (1785-1867) in « Valtellina e Val Cliiavenna, ^Rassegna economica sulle, Prov. di Sondrio ■». Giugno 1955.

BOTANICA VALTELLINESE

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servava e diceva come stavano le cose : se mai c’è da rallegrarsi che dette cose siano tanto mutate in questo secolo^ e in meglio, con un abbrivo degli ultimi tempi che a confidare.

In quel primo quarto del secolo scorso veramente si è iniziata la metodica esplorazione botanica della Valtellina; per opera di un me¬ dico comasco che, vedremo, ne doveva segnare tosto una delle mag¬ giori oime. Il « Prodromus Plorae Provinciae Comensis Plantarum a Josepbo Comollio M.D. in Lariensi provincia lectarum enumeratio, quam ipse in botanophilorum usu atque commodo exibet. Novo Comi, MDCCCXXIV », inizia con una Prefazione di una quindicina di pa¬ gine di corrente latino nelle quali è una analitica esposizione topo¬ grafica delle varie zone della regione, specialmente dei distretti mon¬ tani, con elencate le specie più interessanti raccolte in ognuna, in totale 1300 forine, per concludere : « Si fata adversa inibi non erint, et omnes provinciae partes rimari concedant, majoris momenti opus aggrediar, universamque Comensem Floram elucubrabo », per delec- tatione dei botanofili e utilità dei medici e speziali.

Il Comolli tenne fede alla parola: dopo un decennio comparve il primo dei sette volumi in 24° della « Flora Comense, disposta se¬ condo il Sistema di Linneo a comodo dei medici, degli speziali e dei dilettanti nelle escursioni botaniche, del Professore Giuseppe Co¬ molli I. E. Direttore del Liceo, medico provinciale di Como, membro coiTispondente della Società Medico-Botanica di Londra ecc. ecc. Voi. I in Como coi tipi di Pietro Ostinelli MDCCCXXXIV » ; e seguirono i Voi. II e III; col Voi. IV, tutto simile ai precedenti, lo stampatore è Pietro Bizzoni di Pavia, nell’anno MCCCXL^M, e l’A. « già Direttore dell’I.R. Liceo e Medico di delegazione in Como, at¬ tuale Professore 0. di Economia rurale e membro della Facoltà filo¬ sofica della I.R. Università di Pavia, ecc. ».

Seguirono, ancora a Pavia, e sempre coi tipi del Bizzoni, i suc¬ cessivi tre volumi, dei quali l’ultimo, settimo, porta la data MDCCCLVII. Nella prefazione al primo volume è annunciata la « enumerazione e descrizione delle piante fin qui osservate nel territo¬ rio comasco, ma anche nella Valtellina e nel Cantone Ticino, paesi ap¬ partenenti alla medesima diocesi ».

Di ogni specie è data la indicazione secondo « i sistemi naturali di Jussieu e di DeCandolle » dei quali l’A. riconosce la superiorità nel confronto della artificiosità linneana, che peraltro adotta nella siste¬ mazione dell’opera « a comodo dei medici, speziali e dilettanti ». La

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descrizioiiG d.6Ì generij sovente ampia^ e in latino, quella delle specie, generalmente più concisa, in italiano, col seguito dei nomi volgari italiani e dialettali: in tutto per più di 2200 forme. Alla fine della Prefazione del primo volume, dopo ricordati gli aiuti di illustri bo¬ tanici e pregievolissimi (sic) amici Beidoloni, De Candolle, Moretti, Balsamo, de Notaris, De Rainer, Cesati « e pure obbligo di rendere distinte grazie all’egregio sign. Dott. Massara, che mi favorì la mas¬ sima parte dei vegetali della Valtellina e mi pose in grado di de¬ scriverli », e nel lavoro « l’infaticabile dottor Massara ». Martino Anzi nel 1873 sentenziò che «l’opera in cui le fanerogame valtelli- nesi fanno più splendida comparsa si è la Flora Comense di G-iu- seppe Coniolli, avendo questo chiarissimo botanico erborizzato con grande attenzione e molta scienza dal piano di Colico allo Spinga c al Braulio ». A proposito di un problema floristico ancora forse non del tutto risolto dovrò più innanzi avanzare una considerazione sul definitivo compimento di quest’opera che è pur sempre fonda- mentale.

In una breve avvertenza al volume quarto, oltre le scuse per l’in- teiTuzione e il proposito di condurre a termine l’opera per le piante vascolari, l’A. espone chiaramente il progetto di continuare per le tallofite «fidando nella valida cooperazione dell’illustre collega il Professore Dr. Santo Garovaglio, che all’intricato studio si e con sin¬ golarissimo impegno e molta gloria dedicato da tanti anni, ad incre¬ mento d’un brano della Botanica, che in passato fu troppo trascu¬ rato ». Purtroppo il bel programma non è stato compiuto (^).

Nell’anno medesimo della comparsa del primo volume dell opera del Coniolli, quattro anni dopo scritta la Relazione Bergamaschi, usciva per le stampe a Sondrio quel primo maggior contributo spe¬ cificatamente dedicato alla flora della Valle di cui e il chiaro se pur breve cenno nelle primissime linee di questo scritto : se ne tratterà ampiamente più avanti.

E’ probabile che le condizioni umane dei decenni immediatamente posteriori a tali prime fondamentali affermazioni abbiano avuto una

(^) Inspiegabile l’affermazione eh© è in una breve memoria commei- morativa non per il Comolli che nella Flora Comense siano indi¬ cate 150 specie di licheni: delle crittogame le sole vascolari vi sono con¬ siderate, sul fine dell’opera, con 47 specie.

BOTANICA VALTELLINESE

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decisa azione rallentatrice verso ideali e prodotti di studi cui neces¬ sita serenità di vita e di spirito ('). La bufera napoleonica si era chiusa col vantaggio del definitivo tracollo della ingrata soggezione grigiona: la dominazione austriaca, il paternalistico Regno Lombardo Veneto, per quanto amministrativamente corretto e talvolta sollecito, era pur sentito, almeno dai migliori, qual giogo. A tutto questo si aggiunsero tempi di botanica dolorosa, « gii anni della crittogama » dei quali è durato a lungo il pauroso ricordo: era arrivata e si era spaventosamente diffusa « la crittogama », « la muffa », V Oidium o Erysiphe Tuckeri. La media Valtellina produceva e produce vini pre¬ libati apprezzatissimi nella Elvezia finitima : a quei tempi solo pro¬ dotto di esportazione che concedesse Facquisto degli alimenti fonda- mentali, cereali a complemento della insufficiente produzione locale, e dell’altre mercanzie indispensabili mancanti. Il malanno che non si sapeva come arginare, improvviso, devastatore assoluto dei gi’ap- poli, dannosissimo ai pampini, alla pianta, annullò 1 economia locale : furono anni di estrema ciaidele miseria : chi scrive ne sentì ancor ri¬ cordare la spaventosa tristezza. Le faticose aspre pendici dei vigneti che or ridono al sole, e che pur al viaggiatore transitante parlano, devono parlare non di solo senso di estetica, ma della commovente santità del lavoro umano, attestano, con la serena sopportazione di ogni sforzo, il quasi mistico attaccamento dei valligiani alla vite, ri¬ sorto appena che fu arginata la prima crittogama, mantenuto decenni più tardi (1890 ca) appena altri faticosi accorgimenti tennero e tut¬ tora tengono a bada la seconda, la peronospora, e poi, con lavoro incalcolabile, vinta la subdola fillossera!

La Botanica tacque nei primi durissimi tempi; ritrovò vita alle 'prime squille del Risorgimento Nazionale, e predilesse ove la flora di Valtellina è più ricca e più bella.

Dopo quelle prime acquisizioni che abbiamo visto per le Fane¬ rogame (a « nuptiae publicae », disse Linneo per le prime 23 Classi dalle Monandria alle Polygamia del suo Systema naturale, 1735) troviamo gli inizi e vedremo tosto il fiorire delle contribuzioni per

(^) Si può al più ricordare, se pure non vi è risultato di ricerca: « Plorae longobardicae amplissimuni dedit cataloguni celeberr. Dynastes Cesati in Notizie naturali e civili su la Lombardia, Milano 1844, ubi Lon¬ gobardi spoetata fuit sub suis maximis confiniis ». (Anzi, 1878).

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le Crittog’ame (la 24° e ultima Classe del Sistema Linneano (Cr^^pto- gama, quia nuptiae clam celebrantur) (^).

Santo Garovaglio (1805-1882) comasco, prima assistente e poi, rial 1852, professore di Botanica all’Università di Pavia, lia pubbli¬ cato in tre successive contribuzioni un catalogo ragionato (") per la determinazione, le sinonimie, le stazioni e gli ambienti di vita delle specie; elencando nella prima parte 132 muschi frondosi, nella se¬ conda 203 licheni con l’aggiunta di una decina di muschi frondosi, di alcune epatiche e di sei felci, forse da controllare; nella terza parte 118 muschi, 12 epatiche e 116 licheni. Martino Anzi, del quale ampiamente diremo, scriveva nel 1860 del Garovaglio, « qui vallibus montibusque multis attentissime exploratis, magmuni specierum nu- merum retulit, inter quas plures rarissimas vel adhuc incogmitas ».

Frutto della acquisita competenza furono due letture all’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere C) nelle quali non si sa se più ammi¬ rare la vasta sicurezza delle cognizioni o l’ardore dello studioso * commoventi i ricordi degli entusiasmi, delle fatiche, delle privazioni giovanili : lo scrivente non si attenta a valutazione analitica a critica; gli studi hanno fatto grandi progressi nel secolo, però di

(^) Andrea Cesalpino d’Arezzo, oltre che medico di grido, fu un grande scienziato : ebbe chiara la visione e chiaro il concetto della circo¬ lazione del sangue, e indubitatamente primo fondò e usò tal dizione: concetto e dizione che Guglielmo Harwey che fu per quattro anni alla scuola di Fabrizio d’ Acquapendente a Padova seppe ben descrivere e ben lanciare, così che tutto il mondo lo ritiene lo scopritore, invece che divulgatore, o, se vogliamo, al più precisatore del grande fenomeno; molti, e fra i molti lo scrivente, haimo dato opera alla correzione, senza riuscire a raddrizzare le cose. Botanico profondo, il Cesalpino, nella sua opera «De Plantis » (Plorentiae 1583) scrisse per le Crittogame: « Plan- tarum quaedam nullum omnino semen ferunt, quippe quae cum imper- fectionissimae sint, ex putredine tantum ortum ducant: idcirco eas nutriri tantum et augeri contingit » : erano ancora da venire i tempi di Fran¬ cesco Pedi e ancor più quelli di Lazzaro Spallanzani.

(^) S. Garovaglio: Catalogo di alcune crittogame raccolte nella Pro¬ vincia di Como e nella Valtellina; Parte I, Como, 1837; Parte II, Mi¬ lano, 1838; Parte III, Pavia, 1843.

(^) id. id., Della distribuzione geografica dei Pcheni di Lombardia e di un nuovo ordinamento del genere Verrucaria: Pavia 1864.

id. id., Sui più recenti sistemi lichenologici e sulla importanza com¬ parativa dei caratteri adoperati in essi per la limitazione dei generi e delle specie: Pavia, 1865.

BOTANICA VALTELLINESE

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c-erto il nome, Tanimo del Garovagiio è da considerare con tanta am¬ mirata simpatia.

Indicazioni generali per le Alpi se non particolari per la Val¬ tellina sono in un’opera che merita d’essere almeno ricordata per la profondità di indirizzo e magari anche ammirata per la forma lus¬ suosa C): tutta scritta in fluente latino, iniziano ampi Prolegomeni per quanto riguarda la morfologia del tallo, degli organi della ripro¬ duzione delle Verruca f iae (licheni) : delle quali sono esposte le ca¬ ratteristiche generali e le suddivisioni delle decine di generi e cen¬ tinaia di specie note, con una sistemazione secondo i caratteri strut¬ turali sicuri: per ogni specie è una piccola esauriente monografia. Oserei dire commoventi le affermazioni dei tanti anni di lavoro, delle fatiche, per gli alti monti e le valli più volte peregrinate, e le lung’he ricerche fra libri e microscopi, « quo elegantium huiusmodi plantularum scientiae nova referrem additamenta. Haec, quae non jactanter, sed prò facti conscientia, meminisse juvit ».

Notizie per licheni di Valtellina, con una specie, Endocarpon Anzianum, dedicata all’ Anzi di cui diremo tosto, sono in altra grande monografia {“) che con le predette desta veramente ammirazione per l’opera vasta e indefessa, la ricchezza descrittiva e critica dei dati, per le illustrazioni del fido Gibelli, mirabile pietosa collaborazione 23er una grave infermità agli occhi del Garovagiio : la cui opera liche- nologica complessiva menta veramente l’appellativo di monumen¬ tale. E vi fa parte anche la grande monografia « De Pertusariis Eu- ropae mediae commentatio », (®) pubblicata dalla nostra Società, per¬ chè vi sono pure elencate forme diffuse su le Alpi (^).

(ri S. Garovaglio: Tentameli dispositioiiis metliodicae Liclieiiuni in Eongobardia nascientinm, Mediolani MDCCCLXV 5 con 10 grandi tavole Ut. di centinaia di figure « partium internarum cuiusque speciei» {dise¬ gnate tutte da Gius. Gihelli, allora Assistente all’Università di Pavia e poi Professore di Botanica alle Università di Bologna e di Torino; in Meni. Ist. Lomb. Se. e Lett. Gl. Se. mat. nat. le prime tre sezioni in V. 10, Milano 1867, la quarta sez. ibid. v. 11, 1870.

(^) S. Garovaglio : De lìclienibus endocarpei mediae Europae, li. c. Galhae, Gennanìae necnon totius Italiae. Commentarius. Penitiores li- cheimm partes microscopio investiga vit, iconibusque illnstravit Josephus Gibelli: con 4 tav. Meni. Ist. Lomb. Se. e Lett. Gl. Se. mat. nat. ser. 3, voi. 12. Milano 1873.

(^) Meni. Soc. It. Scienze Nat. Voi. Ili, Milano 1871.

^•^)Grande merito del Garavaglio fu di aver fondato, nel 1871, su¬ perando grandi difficoltà, il Laboratorio Grittoganiico annesso all’Isti¬ tuto Botanico pavese, fecondo, nei tanti decenni, di studi preziosi. Del

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Martino Anzi, nato a Bormio il 31 gennaio 1812, morto a Como il 29 aprile 1883, canonico della cattedrale e insegnante al Seminario di Como, possessore delle lingue classiche e dell’ebraica nonché delle moderne europee : nel 1848 ebbe incarichi per la difesa dello Stelvio, dedicò la sua prima opera al patriota conte Torelli « primo correctori Provineiae Sondriensis ab Austriae jugo ereptae ».

Si affermò e lasciò traccia duratura sopratutto quale conosci¬ tore delle tallofite e delle briofite: già nel 1863 l’illustre Nylander, in «Flora» il più autorevole archivio botanico del tempo, scriveva:

« Inter recentes Lichenum europaeorum collectiones certe eximie eni- tet quam edidit clarissimus Martinus Anzi lichenologus assiduitate et fomiis plurimis raris detectis de scientia optime meritus » j e il Ga- rovaglio nel 1865 parla dell’infaticatum Anzium: che aveva raccolto e studiato e distribuito rari materiali fra gli scienziati: ed era uscito per le stampe quel « Catalogus Lichenum c|uos in Provincia Sondriensi et circa Novuni Comuni collegit et in ordinem systematicum digessit presbiter Martinus Anzi, in Seminario Novo Comensi professor » C) per cui era venuta la lusinghiera citazione : vi sono considerate 541 spe¬ cie, con due nuovi generi e 60 specie nuove, in una personale sistema¬ zione; contributo in vero più che notevole alla scienza, alla flora no¬ stra, con la sostanziosa epigiufe di un affermazione del grande Fries « certum habemus Lichenes, in iis stricte determinandis, omnium plantarum difficillimos esse ».

Chiamato per lusinghiera proposta ed azione del Parlatore (^) a far parte di Commissioni e Giurie alla Esposizione Italiana di Fi¬ renze del 1861, approfittò della permanenza in Toscana per esplora¬ zioni botaniche, e ne nacque quel « Manipolus Lichenum rariorum vel novorum, quos in Langobardia et Etruria collegit et enumeravit M. A. » C) quasi seguito al Catalogo suddetto, con 159 forme, delle

G. nel 1882 F. Sordelli tessè un elogio negli Atti di questa Società (voi. 25) con Pelenco completo delle pubblicazioni del G. stesso: la cui opera di lichenologo è stata in tempi più vicini riesaminata da T. Tomaselli che ne ha affermato il prezioso contributo al rinnovamento dello studio delle difficili crittrogame.

(ri Stampato a Como, presso C. Franchi, 1860.

(ri Filippo Parlatore (1816-1877) originario di Paleraio, per pre¬ sentazione e raccomandazione di Humbold al granduca Leopoldo II no¬ minato a 24 anni alla cattedra di Botanica, appositamente creata, al Mu¬ seo di Scienze Naturali di Firenze: vi fondò PErbario centrale: fu sue allievo e poi successore Teodoro Caruel.

(ri Commentario della Soc. Crittogamologica Italiana. Voi. 1, n. 3, Genova 1862.

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qauli 38 nuove per la scienza, molte di Valtellina. E sol due anni dopo comparvero i « Symbola lichenum rariorum vel novorum Italiae supe- rioris » (^) con notizie di 118 specie, una quarantina delle ciuali nuove, molte di Valtellina. Nel 1866, negli Atti della nostra Società (Voi. IX), sono deir Anzi non molte pagine di « Neosymbola lichenum ra- rioruni vel novorum Italiae superioris » elencanti una ottantina di specie, la maggior parte della Valtellina, molte della regione lariana, talune del veronese, della Toscana, con un totale di 30 forme nuove ! E solo due anni dopo negli stessi Atti (Voi. XI) comparvero gli « Ana- leeta lichenum rariorum vel novorum Italiae superioris » ; ancora 73 specie, con più di 40 novità per la scienza. L’Anzi, sempre accu¬ ratissimo nell’osservare e indicare le caratteristiche ambientali, am¬ plifica il quadro « plures species polares in alpibus nostris aeque prospera vegetati one gaudere, plures alios lichenes a me primo in alpibus Italicis detectos, in terris cpioque borealibus vice fausta po- stmodum inventos esse », sulle isole dello Spitzberg, in Groenlandia, e ne ricorda le condizioni termiche e di luce (“).

Nelle Memorie dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere del 1877 (Voi. XIII), è dell’ Anzi la « Enumeratio niuscorum Longobar-

(^) ibid. voi. 2, fase. 1, Genova 1864.

(-) La signora doti. Maria Cengia Sambo negli anni 1923-1931, oltre che in altre sedi, ha pubblicato iiegli Atti di questa Società (voi. LXIl- LXX) una serie veramente pregevole di contribuzioni allo studio dei li¬ cheni, alla loro distribuzione, alla loro biologia: evidentemente non ha avuto conoscenza degli ampi diligenti lavori dello Anzi, che Le sarebbero stati di sicuro interesse, per la precisione onde sono contesti, nella consi¬ derazione del fattore altitudine, nello studio della flora dei passi alpini considerati, tutti, meno uno solo, del mondo dolomitico; e, nello asserito parallelismo con i licheni delle tundre, i risultati del nostro abate in ri¬ guardo alle gelate regioni nordiche sarebbero state di proficua discus¬ sione: lo Anzi aveva esplorato, raccolto* e studiato usque ad regionem gla- cialem: l’autrice ritiene (Il microclima di una valle alpina attraverso i licheni: Ardi. Bot. Voi. Vili. 1932) che dai licheni si abbiano indica¬ zioni dei microclimi che possano concedere un abbozzo del clima ove man¬ chino osservazioni o strumenti : asserisce la indipendenza della flora lichenica dal tipo della roccia ambientale. E fa una razionale classifica¬ zione a seconda che nella, simbiosi i simbionti clorofillici siano cloroficee (0 cianoficee o dell’uno e dell’altro gruppo: con delicate ricerche dimo¬ strando profonde diversità del metabolismo delle simbiosi, in quelle con cianoficee sostenuto e arricchito da un ulteriore scoperto simbionte, un ^zobacterio captante e utilizzante l’azoto atmosferico, per cui tali licheni concorrono con le loro spoglie all’arricchimento del terreno.

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diae superioris » ; dell’ Anzi, che si afferma anche per le Briofite sagace diligentissimo studioso, elencando 411 specie e 66 varietà, ta¬ lune nuove per la scienza, proi3rie del bormiese (montes bormienses ma Jori frequentia perlustravi), raccolte « a planitie usque ad gla-

Pig_ 2, Busto di Martino Anzi dello scultore di Ciolo.

cies aetemas sedulo per annos multos ». Alcune poche notizie sui mu¬ schi della Val Masino le aveva fornite Pfeffer (1865) e altre per il Bormiese e il Chiavennasco erano comparse nella notissima « Synopsis museoimm europeorum di P. Schimper nel periodico Flora” ». Nel 1881 nelle stesse , Memorie dell’Istituto Lombardo lo Anzi pubblicava la « Enumeratio hepaticarum quas in provinciis Novo Comensi et

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Sondriensi collegit M. A. » « Hepaticas haud omnino neglexi » : e l’A. un’ampia contribuzione per queste crittogame poco appari¬ scenti e poco studiate con precise indicazioni di ambienti elencando 106 specie, parecchie nuove per l’Italia mentre altre pur nuove erano state comunicate ad altri studiosi che le avevano già pubblicate. « Sperans fore ut plura in posterum addere valeam » aveva sog¬ giunto a proposito dei muschi ; per le epatiche « Omnes mea nianu decerpsi nemine adjuvante : sed niontes editiores mensibus tantum aestivis adscendere potili, unde factum est, quod specimina multa sine capsulis, sine perianthiis, vel adeo imperfecta colligerim, ut rite deter- minari nequeant, atque ut negiigenda seposita sint ».

Tanta fu l’attività e tanto il valore del canonico bonniense nello studio delle crittogame ; pur prestò accurata attenzione e indagine anche alle fanerogame: al proposito ricorderemo in pagine seguenti «Alcune notizie sulla flora valtellinese » ; ma nel 1878 comunicava all’Istituto Lombardo un sostanzioso « Auctarium ad Floram Novo-Co- mensem editam a Josepho Comolli » considerata « veruni fundamentum Florae totius latissimae diocesis comensis » (^). Per la Valtellina, e so¬ pratutto per l’alta valle dell’Adda non sarebbe possibile non tenere nel debito conto tal ricco contributo : come sempre, l’A. si dimostra non solo conoscitore esperto delle piante, ma ricco ed accuratissimo nelle indicazioni delle località « dum lichenes et muscos colligebam, quos jam pubblici juri feci, plantas phanerogamicas nunquam neglexi; alpes bormienses, stirpium rariorum feracissimas, per annos multos investigavi », elencando più di un centinaio di forme in aggiunta a quelle del Comolli e parecchie centinaia di stazioni nuove, in parti¬ colare per l’alta valle nostra; molto deve aver canmiinato ed osser¬ vato, e dalle lunghe peregrinazioni ed osservazioni deve essere germi¬ nata la avanzata razionale proposta, ben indicata, delle cinque re¬ gioni, dalla « collina » alla « alpina » (").

Tutti i lavori dell’ Anzi sono caratterizzati dalle acquisite sicure

(^) Mem. Ist. Lomb. S. Lett. Gl. Se. mat. © Nat, v. 14, Milano 1881.

(^) L ’A. un dotto elenco di opere che possono interessare gli stu¬ diosi della Natura valtellinese, sopratutto per la gea: a testimoniare l’ac¬ curato interesse che egli ha sempre dimostrato ai rapporti della flora con l’ambiente, in primo luogo con la natura del suolo. Nel tempo dell’Auc- farium scriveva : « Florae novo comensis territorium universum f usius ©gregieque illustratur in Geologia applicata delle provincie lombarde di ^Giulio Curioni - Milano, U. Hoepli, 1877 ».

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conoscenze, prodotto di intelligenza, di interesse, di laboriosità: e glie ne vennero attestazioni e riconoscimenti non comuni: membro di molte Accademie scientifiche, ebbe onorificenze per l’Esposizione Italiana di Firenze del 1861, medaglia d’oro all’Esposizione Interna¬ zionale di Londra del 1862 e a quella Agricola di Como, medaglia al merito alla Esposizione Universale di Vienna del 1873 C).

(q Non mancano mai, nelle memorie dello Anzi, taluni riferimenti personali che rivelano lo spirito delUuomo e le fatiche per i suoi studi:

« Faxit Deus, ut alias symbolas postime adderò valeam, ad augendum Floram lichenologicam inclitae Peninsulae quae ut in reliquis divìnae providentiae donis, ita quoque in universa re herbaria ditissima fulget ».

« Omnia meis viribus praestiti, absque ullo hominum adjumento, nec ma- gistrorum consilio: verumtamen non sine magno librorum, atque speci- minum exicatorum apparata, eoque meis sumptibus comparato, quum publicae bibliotecae mihi viciniores huiusmodi adminiculis omnino ea-

reant ».

E ora divagazione massima: la lingua latina posseduta con decorosa scorrevolezza dal Vittadini, dal Comolli, dal Garovaglio, dallo Anzi, mi induce a qualche considerazione: non avanziamo alcuna protesta o pro¬ posta perchè gli studiosi ritornino tutti e in ogni paese, a valersi della lingua che usarono Malpigli!, Morgagni, Linneo, per non citare, fra i tanti, che tre sommi : scendo a livello assai più modesto : quel po di coltura, quel solco che gli studi liceali di fine del secolo^ scorso lasciarono nello scrivente, in amici suoi, furono un viatico di soddisfazione per non dire di gioia nella vita; se mai con un po’ di rammarico di non averne meglio approfittato. Tuttavia molta soggezione e pur fatica ci davano ancora Tacito ed Orazio, e non diciamo Platone e Tucidide. Nessuno di noi avrebbe saputo andar più in di una letterina « X amico dilectis- sinio salutem dicit! ». E pur ci avevano afflitti per tanti anni con lo studio filologico: solo l’oasi di un assai vecchio al ginnasio superiore, prete spretato, facendoci leggere e leggendoci ad alta voce, senza troppi riferimenti o domande di regole, latino di Livio o di Cicerone, e pur di Tertulliano e dei Padri della Chiesa, ci aveva fatto apprezzale, gu¬ stare la grande madre lingua. Con tal metodo « non filologico » devono aver appreso Vittadini, Comolli, Anzi! - Non sono rare le lamentele per gli studi umanistici, dichiarati superflui, fuori tempo, oggidì che la vita è dominata dalla tecnica: povera gente! Perchè non avviare i figli alle scuole dei periti, agricoli, meccanici, tecnici? Lessi recentemente un’allusione a Cambridge, dove si è scoperto tanto di quanto oggidì os¬ sessiona e spaurisce l’Umanità. Molti anni sono, lo dissi già in una solenne occasione, una delle maggiori autorità, il Vicerettore di quell’università, pur tanto orgogliosa delle grandi rivelazioni che vi si conseguivano, mi parlava a lungo della opportunità di istituire corsi, obbligatori per tutte le Facoltà, volti solo a migliorare gli animi! La Scienza, nel suo alto svi¬ luppo e nel suo divenire; è prodotto della coltura storica ed umanistica:

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Non potei avere conoscenza di: « Catalogus algamin aquae dnlcis Longobardiae et Etruriae, Fungi rariores Langobardiae collecti et enumerati, Algae exicatae Langobardiae et Etruriae, Musei et bepa- ticae Langobardiae exicatae », annunciate dall’allievo Longa. Come per il Garovagiio così per l’Anzi non mi sono preoccupato degli essicati distribuiti agii Istituti e a studiosi: la lontananza nel tempo non ne assicurerebbe forse neppure un attuale valore.

A meno di un anno dalla scomparsa di Martino Anzi il Prof. I. Regazzoni pubblicava nell’Almanacco Provinciale di Como « Cenni biogTafici » dell’uomo e dello studioso, raccolti in opuscolo nel 1913 per dare opera al Comitato per un dignitoso e decoroso busto in bronzo, opera dello scultore G. Di Ciolo, ora, ad auspicio, collocato nell’atrio della Scuola Professionale di Bormio; una lapide sulla fac¬ ciata della Chiesa Arcipretale Plebana dice i meriti del concittadino preclaro, al cui nome è dedicata una piazza del borgo.

Allievo spirituale di Martino Anzi fu Massimo Longa, pur nato a Bormio il 9 novembre 1854 ed ivi morto il 16 luglio 1928 : per quasi mezzo secolo insegnante nelle scuole della sua borg^ata, diede opera assidua a numerose attività civili fuor della scuola, fondan¬ done alcune : ricordiamo la Società Operaia del 1882, della quale un continuo plebiscitario consenso lo mantenne presidente fino alla morte ; e la società di Apicoltura il miele di Bormio gode meritata fama che si collega con quella sua contribuzione su « Le piante apistiche del Bonniese » che avremo ancora occassione di accennare ; e ri¬ corderemo anche l’operoso contributo alla inchiesta sui pascoli al¬ pini valtellinesi dell’inizio del secolo, nonché, di tempi meno lontani, preziose collaborazioni sulla flora bonniese.

la coltura che non è basata e non conosce l’animo dell’umanesimo, l’animo dell’uomo, si riduce a stretto tecnicismo la cui aridità può anche im¬ pedire che germi fecondi di singoli o di plurimi s’abbiano ad aprire. La ricerca scientifica non va diretta alla conquista tecnica : la ricerca scien¬ tifica nella sua più ampia accezione è la base del progresso umano, versO' il meglio. L’ultimo Congresso internazionale per la Organizzazione Scien¬ tifica del Lavoro, a Ginevra, concludeva che « è la ricerca scientifica che provoca e induce l’evoluzione industriale: l’applicazione delle sue scoperte alla tecnica determina il progresso economico senza il quale non è possi¬ bile alcun progresso sociale ». Su una magari inconscia base spirituale la ricerca scientifica conduce alla tecnica e condiziona l’economia.

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Il Longa, di famiglia originaria di Livigno, ebbe prole nume¬ rosa : si devono ricordare due figli scomparsi in giovane età : Glice- rio, insegnante a Milano^ idealista, in dimesticbezza intellettuale e spirituale col padre, morto a 27 anni nel 1913, promessa di un lu¬ minoso avvenire annunciato da una « Etnognafia bormina » pubbli¬ cata nel ‘12, raccogliente le tradizioni, le leggende, il folklore del- rantico Contado di Bormio, e dal « Vocabolario bormino » uscito postumo appena dopo la morte deirautore, assai apprezzati e lodati da studiosi di fama ; Cjuanto riguarda nella prima opera le piante medicinali e le credenze di medicina popolare, e quanto può dirsi di naturalistico nella seconda sono del padre collaboratore. Altro figlio- dei Nostro, romonimo Massimo, esso pure insegnante a Milano e pure grande idealista, volontario nella guerra libica, nella legione gari¬ baldina della guerra greco-turca del ’12, pluridecorato e più volte promosso per merito di guerra nel primo grande conflitto, caduto alPOrtigara: parecchi anni dopo, il padre, da Bormio, andò a piedi attraverso i monti alla ricerca della salma del figlio.

Massimo Longa, uomo di coltura, mitissimo di carattere, mistico non religioso, la sua natura schiva si fece ancor più appartata per tutti i tempi neri del fascismo, cui ricusò ogni contatto del suo animo. Le bellezze della flora sono degna cornice delle bellezze umane. _

Il Longa fu veramente un profondo conoscitore della flora va¬ scolare dell’alta valle deU’Adda : per decenni tanti ne visitò a più riprese, in ogni momento della vegetazione, tutti anche più riposti recessi. Accuratissimo nella ]3reparazione degli essicati, oltre valer sene per omaggi e per scambi con scienzati di alto bordo, italiani e stranieri che ne avevano grande considerazione, donò materiali a isti¬ tuzioni scolastiche e scientifiche C): la sua grande collezione è alla

(^) Cospicua donazione fece il Longa nel 1907 alLOrto Botanico del- PUniversità di Torino: nella maggior sala delle collezioni è un quadro « Herbarium generale phanerogamicum Musavi botanici Taurinensìs, prae- ter alias complures collectiones minor es continet » e sono i nomi della bo¬ tanica di più di un secolo : « M. Longa Plantae Bomiienses » : e contributi di illustri di ogni parte del mondo, e tanti erbari completi, fra gli altri di Balbis, Belli, Gibelli, Carestia, Ee, Ducis Aprutii plantae nordicae ob hyperboreae, iter Stellae polaris 1899-900. In anni non lontani Ferd. Vi- gnolo Lutati, unendo nella lucida veneranda età le sicure conoscenze og¬ gettive alla nobile dedizione, ha rivisto e schedato tutto il materiale delle piante vascolari dell’Erbario generale e dell’Erbario pedemontano del¬ l’Orto bot-anico Universitario torinese, un qualcosa come presso la cin-

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Società Botanica di Lombardia. L^no studioso svizzero, E. Furrer, si aggTeg’ò, come vedremo, il Longa per la preparazione della « Flora von Bormio » e ancora più tardi il Longa collaborò con mi nostro ben noto studioso.

Il Longa ebbe dal Ministero speciali encomi e medaglie qual bene¬ merito nella pubblica istruzione: il Comune di Bonnio ne ha atte¬ stato il riconoscimento del valore ^personale e scientifico con una targa marmorea su la casa natale e con la dedica di una delle prin¬ cipali vie della borgata. Nobili ed assai belle pagine per il Longa scrisse T. Urangia Tazzoli, in quel primo volume (^) su la Contea (che era veramente Contado) di Bormio, nel quale non si sa se più am¬ mirare la limpida purezza degli intenti, la faticata diligente cultura, la forma sempre signorile : oltre considerazioni e dati vari riguar¬ danti il mondo dei vegetali vi è un ampio capitolo dedicato parti¬ colarmente alla flora, e più specialmente alle piante fanerogame come maggiori determinanti del paesaggio : con diligente lavoro di infor¬ mazione son considerati le foreste, gli arbusti e le erbe legnose, i fiori, le coltivazioni ed i prodotti, la flora medicinale.

Una delle accennate donazioni del Longa merita un trattamento speciale, per il valore suo, ed anche per la pur breve ma calda presen¬ tazione fatta da un naturalista di non comune livello : M. Bezzi (^) illustrò al massimo Consesso scientifico lombardo la donazione, che è stata dell’inizio del secolo, al Liceo Piazzi di Sondrio, dell erbario del Nostro con un accurato manoscritto di ben 224 pagine ricco di notizie corologiche : l’erbario in 21 grandi pacchi con esemplari ab¬ bondanti, di alcuni gruppi più difficili riveduti da specialisti: il Buser pubblicò infatti « Les Alchemilles bormiaises d’après les récoltes de M. Longa » (Bull. Herbier Boissier, v. I, n. 7, Genève, 1901) dedi¬ cando la nuova specie Aldi. Longana all’oculato scopritore; al quale S. Belli, che fu per alcun tempo professore di Botanica dell’Università di Cagliari, aveva pur dedicato lo Hieracium Longanum. Il Bezzi ha

quaiitina di migliaia di forme (Atti Acc. Se. di Torino, cl. Se. fis. mat. e nat. voi. 85 e 86, 1951 e ’52): annunciando poi 336 paccM di essieati di crittogame cellulari, il V. L. esprimeva l’augurio, e noi lo amphamo, di oculato controllo da parte di altro competente idealista revisore.

(^) T. LTrangia Tazzoli : La Contea di Bormio - Raccolta per lo stu¬ dio delle alte valli dell’Adda, v. I, Il Paesaggio; Sondrio 1932.

(^) M. Bezzi: L’erbario Longa: Bendic. Istit. Lomil). Se. e Leti. Ser. II, V. 37, Milano 1904.

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elencato le specie più notevoli delFerbario in cinque fittissime pagine : e ha insistito, ripetendo Paugurio, perchè il manoscritto venisse pub¬ blicato; il che purtroppo non è mai stato fatto. io so in Cjuali con¬ dizioni sia attualmente, a più di mezzo secolo di distanza, ciuel pre¬ zioso materiale, di alto valore scientifico e pur spirituale, material¬ mente non valutabile, materiale labile, fragile, se non confortato da continue, diligenti, consapevoli ed oculate cure: molte persone si sono succedute lassù (^).

Nel 1872 un breve gruppo di gentiluomini fondava a Sondrio la Sezione Valtellinese del Club Alpino Italiano: fra le primissime cure vi fu quella di preparare la « Guida alla \ altellina ed alle sue acque minerali, con cenni storici, geognostici e botanici » pubblicata a Milano nel 1873, ad opera del Professore Fabio Besta, nato a Te¬ glie il 17-1-1845 e morto a Tresivio il 3-7-1922, che fu per decenni professore e lungamente rettore della Scuola Superiore di Econo¬ mia e Commercio di Venezia, al cui lustro portò una contribuzione di fama mondiale ; una seconda edizii^ne della Guida seguii nel 1884, sempre ad opera del Besta, che accrebbe il testo con pregevoli notizie storiche ed artistiche, per cui il Cennenati ben ne concretò il giudizio « non un arido itinerario bensì un libro di istruttiva ed anco non ina¬ mena lettura ».

Vi è, nella Guida, quel capitolo di « Alcune notizie sulla Flora Val¬ tellinese » dell’ Anzi già accennato; nelle quali v’è la naturale afferma¬ zione che appartengano per la flora alla provincia di Sondrio le valli di Poschiavo e Pregaglia « avvegnaché le scienze naturali non guardano ai confini politici ma sibbene ai confini naturali » ; e avvertito che fino allora troppo poco si fossero considerati le qualità geognostiche e geologiche dei terreni, richiama l’attenzione, fornendo dati, su l’oasi temperata delle acque termali di Bormio, corregge inesattezze degli studiosi precedenti, italiani e stranieri; quindi tratta dei muschi stu¬ diati da specialisti di gran fama, ricordando il già fatto e augurando il da fare : però conclude : « Dopo tanti studi fatti da uomini assai dotti, possiamo con sicurezza affermare forse con alquanta bene-

(^) In tempi recenti il Direttore dell’Istituto Botanico dell’Università di Pavia, Prof. P. Ciferri, con meritoria opera ha istituito un Erbario lombardo a coordinare tanti preziosi materiali.

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volenza , essere la provincia di Sondrio mia delle parti d’Italia dai botanici meglio illustrata ». Seguono due capitoletti, il primo di novità per la flora valtellinese, di 40 fanerogame, ed un secondo di « nuove località abitate da alcune specie assai rare e graziose molto ricercate dai botanici viaggiatori » di 32 fanerogame, 44 muschi al¬ cuni nuovi raccolti dall’ Anzi e descritti dal De Notaris.

Nella seconda edizione della Guida vi è immutato il suddetto contributo dell’ Anzi, nel contempo mancato ai vivi. Segme di M. Longa un capitoletto di novità per la flora valtellinese con una cin¬ quantina di fanerogame, ed uno di quasi una cinquantina di località prima sconosciute per preziosità floristiche : notevoli le indicazioni di molte forme di Rosa, determinate dal Dr. Cornaz di Neuchàtel ehe avremo ancora occasione di nominare. Nell’elenco del Longa è indicato qual novità VAllosorus crispus, essendo sfuggita la sino¬ nimia del genere (Pteris) usata dal Massara.

Poiché si è accennato alle Rose del Bormiese si può aggiungere che notizie se ne trovano nella monografia di « H. Christ : Die Rosen der Schweiz », e un trattamento per i tempi completo ne fece « H. Dingier: Ueber die Rosen von Bormio 1907-1909 ».

Mario Cermenati di Lecco (1868-1924) venne a Sondrio giovi¬ netto, per le scuole medie, e si innamorò della Valtellina; allievo spirituale di Antonio Stoppani, volto alle osservazioni naturali - etiche, ebbe preferenze per la gea : ma lasciò maggior traccia di cultore di Storia della Scienza, fondando a Roma negli anni della virilità un Istituto di Studi Vineiani che ebbe vita attiva; insegnò per qualche anno all’Università di Roma Storia delle Scienze, ma la politica ne assorbì le energie; deputato, si arruolò volontario alpino allo scoppio della prima guerra. Durante gli anni che fu a Sondrio si legò in stretta colleganza col coetaneo Bruno Galli Valerio (1867- 1843), di molto ingegno e di spiccato spirito naturalistico che pur

(^) Nei molti anni di fedele frequenza il Galli Valerio fu appassio¬ nato alpinista, per un quarto di secolo pubblicando nel giornale «La Val¬ tellina » continue semplici relazioni delle gite effettuate in una sua ru¬ brica « Punte e passi » relazioni che poi tradusse in francese nel volume « Cols et sommets » (Lausanne, 1912); nella Rivista italiana di Scienze naturali (ann. XVII, Siena, 1897) pubblicò un lungo articolo « Dal Pizzo del Diavolo al Cavrello » del gruppo centrale delle Orobie, con ampie in¬ dicazioni della flora, riferendo i dati desunti dal Massara. Laureato in medicina umana e nella veterinaria, insegnò prima alla Scuola Veterinaria di Milano, dalla quale, nel 1897, fu chiamato alla Università di Losanna,

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giovanissimo pubblicò nel 1890 cpiei « Materiali per lo studio dei \ er- tebrati della. Valtellina » che, ora rarissimo, è ancora degmo di conside¬ razione: di carattere decisamente non facile, dopo decenni di fedele attaccamento alla Valtellina, l’abbandonò per non farvi più ritorno, esagerato ammiratore della Scienza tedesca, allo scoppio della prima guerra. Il Germeirati negli anni di scuola a Sondrio diede subito a vedere la sua capacità d’iniziativa ; fu sua opera coraggiosa quei giornaletto mensile « 11 Xaturalista Valtellinese » sognato e diretto con rottimismo di giovinetto, che chiuse per mancanza di mezzi e fors’anche di materiali al primo anno (1885), pur avendo raccolto qualche non spregevole contributo. Ormai rarità bibliografica, alla. Biblioteca Civica di Sondrio non v’è che una collezione incompleta : alla Biblioteca di Lecco la collezione è completa anche di un supple¬ mento del gennaio ’86 destinato a esaurire gli argomenti deH’anuata trascorsa. Per cpianto può esservi di qualche valore si ricorda un già accennato ampio e interessante studio di Massimo Longa su « Le piarrte apistiche del Bormiese » considerate 377 specie con accu¬ rate indicazioni di stazioni e di biologia fiorale, epoca della fiori¬ tura, se visitate precipuamente per il nettare o per il polline; e sotto il titolo « Il mio erbario » del Sac. P. Ronchetti un elenco di piante raccolte specialmente in Val Masino ; del medico Ed. Comaz di Neu- cliàtel, frecjuentatore per sedici anni corrseciitivi dei Bagni di Bormio e appassionato botanico, specialista studioso del genere Rosa, giudi¬ cante la flora del bormiese come una entità colorogiea ben caratte¬ rizzata, vi è uno studio : « Piiblications relatives à la Flore de Bor¬ mio » dalla seconda metà del secolo XVII. Notevole il cenno biogra¬ fico del Massara. Per il mondo animale merita di essere ricordato, se pur fuori di cpiel che ci interessa, lo studio del IVIagg. G. B. Adami « Contribuzione alla Fauna Malacologica della Valle dell’ Adda », con¬ dotto con evidente conoseenza su il cospicuo numero di 52 specie.

per la cattedra di Medicina sperimentale e comparata e Parassitologia, r vi fondò un Museo di parassiti che è celebre, insegnò per 40 armi, por¬ tando Plstituto e la sua Scuola, a fama internazionale: esonerato per li¬ miti di età nel 1937 ebbe onoranze eccezionali. Lasciò più di 400 scritti scientifici; per la Valtellina sono da ricordare, oltre al sopradetto, un primo (1902) su uno strano focolaio di malaria sopra Piatela, notizie singole di faunistica sopratutto di parassitologia, e poi una decina ar con¬ tribuzioni, in collaborazione con la Dr. J. Eocliaz de J origli, su la biologia dei culicidi, in rapporto alla malaria, con risultati conseguiti anche in Valtellina.

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Certamente di maggior consistenza è il lavoro stampato a Son¬ drio nel 1887 « La Valtellina ed i Naturalisti, Memoria Bibliogra¬ fica » in sei fascicoli di complessive cinque centinaia di pagine (prezzo per fascicolo lire una!): Generalità, Zoologia, Botanica, Geologia, Mineralogia e Litologia, Acque termali e minerali : laboriosa fatica di ricerca fin per tempi di secoli lontani e per contributi di ogni am¬ piezza ,e in ogni lingua : « quindi leggere, rileggere, studiare, va¬ gliare », il compito propostosi dal giovane autore, die meritatamente ci si avvede non fu di vane parole. QueU’amore alla Valle che spinse il Cermenati all’iniziativa è riflesso in tutte le lodi che egli rintraccio e con speciale compiacimento e diligenza riferì; non mancando però di esercitare la sana critica e fin la sferza quando ritenne oppor¬ tuno. Vi sono frequenti vorrei dire naturali le lamentazioni per la scarsità degli studi e delle notizie, la lamentazione per la Biblioteca Civica di Sondrio allora non curata, quella, di sicuro particolarmente sentita, (fase. I, parg. 19-21) sulla povera sorte del giornaletto di due amii prima: e ingenuità dei tempi, con le notizie di collezioni di privati ciuali curiosità senza, alcuna consistenza di cognizioni, la la¬ mentazione della mancanza di un esperto tassidermista !

Il Cermenati si appassionò all’alpinismo completo, vorrei dire, splorativo, di godimento sano per il corpo e per lo spirito, e di studio; ricordando la fondazione dell’Alpine Club del 1857, del- l’Oesterreichischer Alpen Verein del 1862, dello Schweitzer Alpen Club dell’aprile 1863, e ciuella, famosa per noi, e venuta dopo 1 ascen¬ sione di Quintino Sella e Paolo di Saint Robert al Monviso, del Club Alpino Italiano, dell’ottobre 1863, faceva voti perchè, con i provetti campioni dell’alpinismo inglese e tedesco, gli italiani si intonassero aMi « àuspici e duci Gastaldi e Sella » : sarebbe veramente bene se ancora oggigiorno si facessero e sopratutto si ascoltassero simili voti, che purtroppo per molti risuonano lontani nel tempo e pallidi o fin privi di significato.

Proprio per questo scritto dobbiamo ricordare John Ball (1818- 1889) irlandese, deputato a AVestminster, membro del 1855 al ’58 del primo ministero Palmerston, geologo e botanico in continenti diversi, sposato con una nobile Parolini, figlia del fondatore del Giardino bo¬ tanico di Passano del Grappa: grande conoscitore delle Alpi, poi¬ ché quando nel 1863 anno in cui iniziò l’ Alpine Journal, quel glo¬ rioso sempre vitale periodico che ha mantenuta immutata la veste ed immutato il carattere di « raccolta di avventure di montagna e di os-

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servazioni scientifiche » il Ball pubblicò il primo volume della sua monumentale Guida, sintesi di vent’anni di esplorazione della intera catena, se non aveva titoli di alto alpinismo quali i maggiori scala¬ tori suoi connazionali, poteva coscienziosamente affermare di cono¬ scere ciuanto scriveva, avendo attraversata 48 volte per 32 passi la catena, oltre un centinaio di passi laterali. In quelle sue peregrina¬ zioni il vascolo del botanico ed il libretto per gii appunti erano fe¬ deli compagni a nobilitare l’alpinista e l’alpinismo : peccato non po¬ ter riportare un po’ dei suoi scritti (^) ; però una sua nota ci inte¬ ressa, da non potersi trascurare (') : pubblicata in versione italiana dal prof. T. Carnei deH’Università di Pisa nel periodico da lui di¬ retto : volta ad illustrare uno di quei distretti delle Alpi che posseg¬ gono una flora assai più svariata dell’abituale, quali, già noti, il Mon- cenisio, il Col di Tenda, Zermatt, il M. Baldo; vuole aggiungere il ba¬ cino di Bormio, con le sue V alli confluenti. Il Ball le esplorò se non a fondo, di certo con molta oculatezza e competenza, la Val Furva, da S. Caterina al Forno e al M. Confinale, il Cavia, il ÙI. Sobretta, e poi lo Stelvio, la Val Zebrìi e la Val Viola che, diceva, meritereb¬ bero accurate esplorazioni; il valente britanno le serie delle mi¬ gliori specie incontrate : e segue una nota supplementare di dati del dott. Levier che fu per molti anni medico dei Bagni di Bormio.

In entrambe le pubblicazioni che ebbi a ricordare a necrologio dell’ Anzi è ripetuta la schematica notizia di « Catalogus Algarum aquae dulcis Longobardiae et Etruriae » ed anche di una collezione « Aloue exsiccatae Longobardiae et Etruriae », senza verun’altra in- dicazione ; nulla seppi rintracciare al proposito. Il Longa, che go¬ dette la. lunga personale benevolenza dell’abate, scriveva (1. c.) « la morte lo colse mentre, colla monografia delle Diatomee, .già micro¬ scopicamente rivedute, stava per coronare la serie delle sue preziose osservazioni ». Nulla risulta pubblicato al proposito : io so quale ultimo destino abbiano avuto le grandi collezioni quelle delle crit¬ togame, dei licheni sopratutte, di sommo valore la ricca biblio¬ teca botanica dell’ Anzi.

(^) Letture belle di gentilezza e di notize sono : Giov. Angelini ; Per il centenario della salita di J. B. sul Pelino: Biv. Mens. del C.A.I., voi. 76, 1957; e Giov. ZoRZi: John Ball a Bussano, spigolature biografiche: Alpi Venete, ann. XII, 1958.

(2) J. Ball, Note sulla botanica del distretto di Bormio ; Nuovo Giorn. Boi. It. voi. 6, Pisa 1874.

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Le Alghe, che assolvono tanta, immensa funzione nel bilancio della vita sulla Terra, quelle che noi conosciamo con l’appellativo co¬ mune non richiamano purtroppo l’attenzione della massima parte dei curiosi della natura, degli ammiratori della vita ; in una bella pub¬ blicazione di una grande benemerita associazione volta a interessare i non studiosi alle bellezze del mondo e della vita dei vegetali del nostro Paese, le povere alghe non hanno avuto neppure un cenno! E sono all’origine, per la mag’gior parte, di cpianto mangiamo : e a conoscerle un po’ da presso offrono meraviglie.

Per la Valtellina un gTuppo di bellissime, microscopiche, che a rnhiadi stanno nelle acque con portenti di gusciolini di esilissima si¬ lice che con i loro resti arrivano a formare rocce, le vedremo rin¬ tracciate e studiate con ardore. Ben poco per le altre : ciuasi un se¬ colo fa ne furono indicate per la valle di Poschiavo e per il Bormiese, con speciale interesse considerate quelle raccolte in acque termali: ma lo scrivente non ha avuto conoscenza diretta del lavoro C) ; più tardi L. Montemertini (^) elencò per località varie un centinaio di specie.

Di quelle meravigliose minutissime accennate, che- sul finire del secolo scorso ebbero tanti e valorosi cultori per tutto il mondo, tutti sanno qualcosa, delle due valve silicee varie di delicatissime fomie che nella abituale riproduzione si separano {òia-rénrco = taglio at¬ traverso) per quindi ricomiiletarsi, con finissime ben precise scul- tui’e per cui furono elette a controllo e testimonio della perfezione dei più delicati strumenti dell’ottica; ma son tante, tantissime le forme già note per tutte le acque dolci e le marine, inimmaginabili quelle ancora ignote alla Scienza (®). A dare un’idea della parte, non ancora sufficientemenete esplorata, che la enorme massa di questi minuscoli grumi di sostanza viva, con clorofilla, ha nel volversi Cjuotidiano e nei tempi del fenomeno vitale sulla Terra, valg'a il calcolo che nella foto¬ sintesi annuale di sostanza organica dalla anidride carbonica della

(^) G. Bruegger: Biindner Algen - Chur 1862.

(^) L. Montemartini : Cloroficee di Valtellina - Atti Ist. Bot. Vniv. Pavia - 2°- ser. voi. 5, Pavia 1899.

(^) Velia Silloge algarnm del De Toni, uscita per le stampe appena dopo i lavori del Pero, sono elencate quasi 6000 specie: pur computando le scoperte posteriori, non è possibile immaginare quante ancora siano sconosciute nelle immensità degli oceani ed in quelle incalcolabili delle acque dolci inesplorate in tutti i continenti.

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atmosfera, delle 2 X (= 200 miliardi) di tonnellate di carbonio, fissato, il 90% lo è dalle minutissime alghe verdi del plancton delle superfici marine, alimento delle zooplancton e indirettamente di tutta la scala degli animali del mare, mentre solo il 10% lo è dalla vegeta¬ zione terrestre, risultando anche, di conseguenza, la ossigenazione delle acque in stretto rapporto col metabolismo clorofillico delle in¬ finite microscopiche algiie ! E i paleontologi studiano ed apprezzano quei grandi depositi pur accennati di quelle meravigliose conchi- gliette silicee di tempi geologici anche molto lontani, di potenza ma¬ gari impressionante : si pensi che Berlino e costrutta su un sedi¬ mento di diatomee! Di quel modestissimo tripolo che le vecchie mas¬ saie premurosamente usavano a render lucidi gli ottoni ed i rami ! L’Abate conte Fr. Castracane degli Antelminelli (1817-1899) che de¬ dicò tutta la vita allo studio delle diatomee viventi, le designò « gemme del microcosmo ».

La prima contribuzione fu di E. Bonardi (^) assistente a Pavia, elencante una sessantina di forme di una ventina di generi, raccolte nell’ Adda e in acque stagnanti della bassa valle, in ruscelli e stagni di località varie, anche montane. Quindi Benedetto Corti ( ) pure assistente a Pavia, fece ricerche al Lago Palò in Valmalenco, elen¬ cando una novantina di specie, di cui, una, e una varietà, nuove per la scienza; estese poi l’indagine al Lago di Poschiavo, discutendone l’origine, elencandovi poco più di una cinquantina di specie : è pro¬ babile che la raccolta del materiale sia stata, e per il primo e più sem¬ plicemente per il secondo lago, piuttosto limitata: non vi e trattata la ricchissima fiorala neritica, delle rive.

Ma subito dopo un solertissimo e colto studioso, Paolo Pero, per parecchi anni professore di Storia Naturale al Liceo Piazzi di Son¬ drio, come egli amava ornarsi sul fronte dei suoi lavori, fu il primo insegnante dello scrivente , non trascurando le pur unicel- lulari desmidiee splendenti e colorate, faceva delle diatomee valtel- linesi una vastissima illustrazione.

Per vastità e per mole, delle contribuzioni del Pero, è da consi-

(^) E. Bonardi : Intorno alle diatomee della Valtellina e delle sue Alpi: Bollett. Scientif. Voi, 5, Pavia 1883.

(^) B, Corti: Sulle diatomee del Lago del Palù in Val Malenco - Bol- lett. Scientif. Voi. 4, Pavia 1881 ; id. id. : Sulle diatomee del Lago di Po- schiavo - ibid.

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derare la grande monografia su i Laghi alpini C), premiata con « di¬ ploma di nriino grado^ pari a medaglia d’oro » alla Esposizione di Milano del 1894: riguarda un totale di 46 bacini lacustri indagati: comparsa in due parti, la prima per i 34 della valle dell’ Adda (ve¬ ramente l’uno, quello di Valpisella, è più precisamente della valle dello Spoi, del bacino idrografico del Danubio); di 337 pagine, con uno schema di calla idrogi-afica per tutta la Provincia, un bel rilievo (1 : 6000) del Lag'o delle Scale di Fraele, nonché, del medesimo, una veduta fotografica ad illustrazione dell’ampia descrizione del bacino, rilievo e veduta che or sono di speciale interesse dopo che ciclopici la¬ vori umani hanno cancellato per sempre tante delle maggiori linee di Cjuei luog'hi.

La seconda parte della monografia, di pagine 108, riguarda 12 laghi, dei quali 9 realmente della Valle del Liro affluente della Mera, due della Valle di Lei influente nel Reno, ed uno direttamente nella Mera (").

Le due parti sono riassunte, ognuna, in prospetti comparativi, un primo delle condizioni fisico biologiche dei singoli laghi rispetto alla altitudine, alla superfice, all’origine se morenica o di frana¬ mento o di dilacerazione, se tettonica od orografica; elencata quindi

(^) P. Pero, I laghi alpini valtellinesi, ricerche e studi, parte prima. Valle deU’Adda: Nuova Notarisia, serie IV, 1893; id. id. parte seconda. Valle del Liro (Spluga): ilid. Id. id. Le diatomee delPAdda e di altre acque dei dintorni di Sondrio, Malpighia, anno VII, Voi. VII, 1893. Id. id. Di alcuni fenomeni biologici delle diatomee e specialmente della loro bla- stogenesi: La Notarisia, Commentario ficologico generale, parte speciale della Rivista Neptunia, 1893, N. 2 e N. 3; id. id. Cenni oroidrografici e studio delle diatomee del Lago di Mezzola: Malpighia, n. 9, Genova 1895.

(^) I grammatici dicono che il nome dei fiumi deve essere in ogni caso di genere maschile, e proprio la Mera è stata da un valentissimo e carissimo mascolinizzata: sono andato su per le valli: tanti sapevano di tale mascolinizzazione ; ma tutti concludevano «Noi diciamo la Meira, mai il Meira». Perfino all’Adda tentano i puristi di cambiar sesso. Vorrei sentirli dire ai valligiani che 1 ’Adda è magro, è grosso, è torbido ! Sa¬ rebbero alla meglio compatiti come sconosciuti. I toponimi sono sacra pro¬ prietà delle popolazioni che li usano e sovente li han creati. E poi, p§r ogni scrupolo, sono in buona compagnia: «Dall’alta Sona e dal ventoso Dardo » è il bellissimo verso del bellissimo sonetto del grande poeta, che pur sapeva qualcosa. E poiché é venuto di citare la Saona, chi abbia a frequentare Lione ammirerà turbinosi le Elione et la Saóne^ che nessun cittadino mai muta di genere, non ostante la simiglianza fonetica, le Eòn <et la Son. E, naturai lupiite, a schiiso di ingenue pedanterie, diremo pur tutti «il fiume Adda», «il fiume Mera» !

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la natura della roccia, il colore, la temperatura dell’ acqua e deH’aria e lo stato del cielo al momento delPosservazione, il numero delle forme di diatomee rinvenutevi, della fauna pelagica, dei molluschi, dei ver¬ tebrati; questi viventi disposti in successivi prospetti, il primo, am¬ plissimo, ad indicare quale presenza nei singoli laghi, delle 290 forme di diatomee rinvenute nei bacini abduani, e quali, sempre per ogmuno, delle 225 nei laghi del Liro; e poi ancora un ultimo consimile per le 27 specie di zooplancton dei laghetti dell’ Adda e delle 18 di quelle del Liro; per quest’ultimo poi ancora un prospetto comparativo per 60 forme di desmidiee.

Si aggiungano, per ogni lago, la presentazione, notizie di inte¬ resse vario, e quelle sulla flora fanerogamica osservata in occasione delle visite, per cui è doveroso concludere che pur qualunque disin¬ teressato viatore dovrà sostare.

Le indagini del Pero non hanno naturalmente riguardato tutti i laghi alpini della provincia di Sondrio, che sono assai numerosi, come già ci si avvede dallo schema idrografico citato, che neppure tutti li segna, specie i minori ; lo studioso ha fatto evidentemente una scelta dei principali, per ampiezza e località. Le due catene, la retica e la orobia, che formano la Valle, sono ricche di conche lacustri: at¬ tuali, di limpide accjue, e, diremmo, trapassate, trasformate in con¬ che paludose e torbose: tutti noi le conosciamo con i candidi ciuffi degli eriofori; nel futuro più o meno lontano si può ritenere che ugual sorie, e fino a completa scomparsa, sia a tutti destinata. Il Perschel^ nello studio comparato di catene montuose, ne trasse la conclusione che la frequenza dei laghi di montagna è un indizio della età delle catene stesse: le nostre montagne di Valtellina sarebbero pertanto ri¬ sultate da un sollevamento meno antico di quello ad esempio che ha originato le Alpi Occidentali.

E dopo esplorate le acque placide e azzurre dei laghetti alpini il Pero volse la sua attività, ancora per le diatomee, a quelle rapide e sovente turbolente del gran fiume e a quelle dei suoi fossati late¬ rali, (e dell’Adda vecchia, relitta prosciugantesi dopo lo scavo del¬ l’alveo rettilineo) per un tratto del corso indagato, che fu di una tren¬ tina di chilometri, da Boffetto ad Ardenno : elencando 172 specie ed una cinquantina di varietà ; con l’interesse di deduzioni ricavate dagli oculati rilievi : « Solo da un coscienzioso studio diatomologico in rap¬ porto ai tre coefficienti di variabilità, altitudine, temperatura e, so¬ pratutto, natura geologica del terreno, si potrà dedurre una qualche legge e poscia indagare le cause della varia corologia diatomistica »,

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E da ultimo, a coronamento, dopo tanto lavoro analitico, consi¬ derazioni di ordine generale, quale quella sulFectoplasma jalino, alPesterno dei frustoli silicei delle singole alghe, che per essere so¬ stanza vivente a contatto col mondo ambiente, oltre avere funzione protettiva e sicuramente di moto, deve essere naturalmente ben at¬ tiva nel metabolismo dell’intera cellula. Ma un problema ancor più arduo è prospettato : della riproduzione, sopratutto per quei casi di rapida e prodigiosa comparsa di diatomee in ambienti dove prima non esistevano, difficilmente da spiegare con i processi già noti, di sommo interesse come ognuno può comprendere. Il Pero considerò la concezione avanzata dal già nominato Castracane, più competente no¬ stro studioso, di una riproduzione blastogenetica, per minutissimi germi (^), resistenti, trasportati anche da correnti atmosferiche: e notizie di osservazioni ed esperienze varie: per far seguire i risul¬ tati delle ingegnose ricerche volte a tale scopo, cercando la flonila delle fontane pubbliche, di Sondrio città e per una trentina di vil¬ laggi dei dintorni, le cui acque, captate alle sorgenti erano condotte in tubi metallici, in condizioni quindi riparate da possibili inquina¬ menti: in uno specchietto sono le date di costruzione dei singoli ac¬ quedotti, e, a parte, elencata una novantina di specie talvolta abbon¬ danti; con risultati suggestivi se anche non conclusivi.

Delle ricerche del Pero ultime furono quelle sul Lago di Mez¬ zola, « Dimidiatus laeus » : da un paio di secoli individuato dal Lario per gli apporti dei materiali dell’ Adda, che fino al 1857, prima del taglio rettilineo che la condusse al Lario, vi versava le sue acque: ora la Mera e i minori torrenti della Val Goderà e della Val dei Patti alimentano il minor bacino, comunicante per un ampio canale col mag¬ giore. Con alcune notizie sulla fauna, su la frequenza della lontra, su tre uccelli nuovi per l’ornitofauna valtellinese, l’A. fa una stringata ma chiara esposizione circa l’origine del lago considerato, e di tutto il Lario, sostenendone l’origine orogenica, contro la asserita di esca- vazione; per elencare quindi 135 specie di diatomee raccolte nella regione litorale, 57 nella profonda, nella melma di fondo, 31 nella regione pelagica ; nessuna desmidiea.

Di tutta la produzione del Pero non si può, che ci vorrebbe spa¬ zio e particolare competenza, far qui un più profondo esame: i pro-

(^) Studiosi posteriori hanno potuto realmente constatare in alcune forme la trasformazione del corpo cellulare in numerosi corpiccioli ^L- gellati liberantisi.

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blemi insoluti sono ancor molti oggidì; però lo scorrere le pagine desta sicura ammirazione per la vasta appassionata coltura natura¬ listica, per l’ampio assolto programma su per le valli ed i monti; e, da chi appena conosca, non potrà mancare il sentito elogio al fine diligente lavoro al microscopio.

Un ragazzo, dopo descritto un caso teratologico di Scilla C), in¬ dicava il fatto di fiori di Liliiim hiilhif eriim con gineceo atrofico ( ) rinvenuti ad Alhosaggia presso Sondrio ; a distanza di C|uasi mezzo secolo e di tanta differenza di ambiente, ritrovato simil caso in Lu¬ cania (^) e più recentemente a ciuasi 2000 m. in ù al ùlalenco su verso il Passo del Muretto. E’ opportuna una precisazione; si trattò in ogni caso di piante senza bulbilli, che, con i testi moderni, si devono ascrivere alla varietà croceum Chaix, del L. hulbiferiim: che il Ma¬ nuale dell’ Arcangeli (1894) indica con la forma tipica « massime nelle parti più calde e meridionali » e il Fiori, nella Xuova Flora d’Italia (1925) «per la Penisola e la Corsica»; il Fiori riporta il fatto della possibile riduzione del gineceo che ebbi ad osser^'are alla fine del secolo scorso ; che meriterebbe qualche indagine ; non fosse che per vederne il comportamento rispetto alla forma tipica (a tanta distanza di tempo e di luoghi mai ho incontrato il tipico L. hulbi- ferum): A. Chiarugi descrivendo per trentatrè esemplari del tipico bulbifero della Val Gardena parecchie singole anomalie, riportava nove casi di atrofia del gineceo ; tale estensione del fatto nello spazio e nel tempo e nelle due entità tassiche, può in duine a ritenerlo di significato un po’ particolare, discretamente differente da quanto più abitualmente si riferisce alla teratologia.

G. B. Traverso (1878-1955) cresciuto nell Orto Botanico di Pavia da famiglia di generazioni di floricoltori della Riviera ligure, com- paa’no di studi e di aspirazioni dello scrivente che Lo ricorda con animo, per quasi un ventennio Professore di Patologia vegetale nel¬ l’Università di Milano, da giovane assistente del Saccardo ne continuò lo studio dei miceti con ricerche ed opere trattatistiche : nei suoi anni

(^) A. Corti; Su una forma anormale di infiorescenza di Scilla bi- folia L., Boll, del Naturalista - A. XVIII, n. 4, Siena 1898.

(“) id. id. : Gineceo rudimentale nel Lilium bulliferum L. ibid. n 7. (®) id. id. ; Stazioni e biosinecie inconsuete di Achillea moschata. Att. Soc. It. Se. Nat. voi. 87, Milano, 1948.

(^) A. Chiarugi: Illustrazioni di casi teratologici; Nuovo Giorn. Bot. It. Nuova Serie, voi. 33, Firenze, 1926.

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giovanili pubblicò un breve contributo (^) per la Valtellina, anche per materiale fornitogli dallo scrivente, di un centinaio di specie, una delle quali nuova jDer la Scienza.

Nei tempi a cavallo del secolo si ebbe, e non solo in Italia, un fiorire della scienza delle galle, che fondata e portata a sicuro livello da Marcello Malpighi con il chiarissimo capitolo « De Gallis » della sua « Anatome plantarum », aveva trovato fra noi sul declinare del¬ l’ottocento valorosi studiosi : e cito solo Giovanni Canestrini zoologo e Caro i\Iassalongo botanico : che necessitano le due branche della biologia per la costruzione dell’edificio; nei primi lustri del nostro secolo A. Trotter fu attivissimo attore e propulsore; poi la moda, devo dire, andò impallidendo : peccato ; che il fenomeno gallare è veramente mirabile, gravido di problemi interessanti e singoli e ampi campi delle scienze della vita.

Le galle della A^altellina furono oggetto di osservazioni dello scri¬ vente, prima considerando anche ciuelle originate da vegetali, i mico- cecidi, e poi soli gli zoocecidi, prodotti cioè da animali, neniatodi o artropodi, acari o insetti di vari ordini ; in tre comunicazioni alla nostra Società (") furono considerate più di tre centinaia di forme; seguirono descrizioni di specie nuove di acari cecidiogeni valtelli- nesi e illustranti singoli problemi di cecidiologia. G. Mariani fece conoscere le sue osservazioni (^), alcune forse meritorie di nuove indagini: notizie singole di galle valtellinesi apparvero in scritti di studiosi di fama, M. Bezzi, Fr. Thomas, A. Trotter.

Angelo Andres di Tirano, per molti anni professore all’Univer¬ sità di Parma, si interessò al fango dei Bagni di Bormio notissimo ab antiquo per virtù terapeutiche dopo che potè constatare che

(^) G. B. Traverso: Primo elenco di Microniiceti della Valtellina: Annales mycologici {Editi in notitiam Scientiue Mycologicae Universalis, V. I, Berlin^ 1903).

(“) A. Corti: Le Galle della Valtellina: primo contributo alla cono¬ scenza della cecidiologia valtellinese : Atti Soc. It. Se. Nat. voi. 40, Mi¬ lano, 1901; id. id. Secondo contrib., il>id. voi. 41, 1902; id. id. Terzo con- trib. lOid. voi. 49, 1911. Id. id. : Nuove specie di eriofidi; Marcellia, voi. 2, 1903; id. id. : Eriofidi nuovi o poco noti. Zoolog. Anzeig. Bd. 28, 1905. Id. id. : Piccoli fatti e brevi divagazioni di cecidiologia; Bollett. di Zoo¬ log. voi. 7 , Napoli, 1936.

(®) G. Mariani: Nuovo contributo alla cecidiologia italica: Marcellia, voi. 7, 1908. Id. id. : Nuove aggiunte ed osservazioni alla conoscenza della •cecidiologia valtellinese: iibid. voi. 13, 1914.

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detto fango non risponde al senso più abituale della parola ma¬ teriali terrosi con acqua essendo invece costituito, nella sua mag¬ gior parte, quasi esclusivamente da sostanze organiche con prodotti delle medesime. Con numerose comunicazioni C) fece conoscere le sue indagini, i cui risultati se pur un po’ fuori di quel che più comu¬ nemente si ritiene il dominio della botanica, son tuttavia da licordare perchè riguardano stranissimi vegetali, dei più infimi della serie, con nuovi generi di schizomiceti (tiobacteri, leptotrix, beggiatoe) dalla biologia assai particolare, provenienti in suggestiva copia continua con l’acqua calda (verso i 40°, in un volume di circa un metro cubo al minuto), dalle viscere della terra, dove devono di necessità esistere grandi non comuni ambienti culturali dei medesimi, con specialissimi metabolismi, che in talune specie conducono a differenziare nel loro plasma granelli o perfetti cristallini di zolfo elemento, che costituisce più della metà in peso del fango disseccato: l’origine prima è ben oscura, che ogni supposizione è per tutto ardua.

(^) A. Andres : Il fango delle terme di Bormio ; Analisi microscopica- di quello che si trova nelle vasche da bagno: Bend. Ist. Lomb. Se. Leti. Milano, s. 2°, v. 37, 1904. - Sulla formazione del fango termale di Bormio; generalità e grumi natanti, 1 tav. : ibid. v. 38, 1905. - Sulla formazione' del fango termale di Bormio; i bioccoli parietah; ibid. v. 39, 1906. - Sulla formazione del fango termale di Bormio ; la poltiglia di fondo : ibid. v. 39, 1906. - Di alcuni microrganismi, probabihnente esistenti nel fango termale di Bormio, con f ig. : Atti Congresso Naturalisti Milano settem¬ bre 1906: Milano 1907. Il fango termale di Bormio: Atti Vili Congress. Naz. Idrol. e Climatol. Milano, 1906 (stampati a Perugia, 1907).

L’Andres, che fu essenzialmente zoologo, aveva iniziato la sua vita, di ricercatore con le Biatomee: nel Nuovo Giorn. Bot. It. voi. 9, 18//, pp. 177-197, è una sua memoria su «La teoria deH’incapsulamento del. guscio delle Diatomee ed i recenti studi sulla natura del contenuto delle medesime: relazione critica», datata 19 aprile 1876 da Lipsia, dove LA. iniziò il suo indirizzo verso il mondo animale lavorando per un anno nel Laboratorio del Leukart (successivamente fu per un anno a Londra presso il vecchio Huxley, e per un terzo anno a Parigi presso il Eanvier); in tal memoria accenna chiaramente ad una sua precedente ed evidentemente maggiore su la « Organizzazione delle Diatomee » : che non mi è riuscito in alcun modo di rintracciare: non solo, ma è al proposito curioso il fatto che il Prof. C. Avetta, di Botanica all’Università di Parma, in oc¬ casione delle onoranze (31 maggio 1926) al Collega Zoologo per il suo ritiro dalLinsegnamento, diceva (e stampava): «Ad un primo lavoro su la Org. di Diat. che presumo risalga al 1874 o ’75, cioè ad uno o due anni dopo che vi foste laureato a Pavia - » ; evidentemente neppure il Pre¬

side oratore, botanico, ne aveva potuto aver conoscenza diretta!

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Nel 1907 per opera di H. Brockmann Jeroscli, di Winterthur C), allievo di C. Schroeder Professore a Zurigo, che doveva anni dopo dare alle stampe la magistrale « Das Planzenleben der Alpen », com¬ pariva la monografia su la Valle di Poschiavo, illustrante la flora della maggiore convalle della destra dell’ Adda (') : monografia che deve essere particolarmente ricordata, poiché, se pur scarsa ne è stata la influenza fra noi, per il contenuto analitico e per l’idea direttrice, non solo è da tenere ancor oggi in vera considerazione, ma, ben si può dire, ha echeggiato qual diana cui in tempi a noi più vicini sono se¬ guite ragguardevoli e fin magistrali contribuzioni ispirate a concetti nuovi, a nuovi indirizzi, ad una biologia più vera, cioè riguardante più strettamente e più profondamente la vita e i rapporti dei vege¬ tali, fra gli individui, fra le specie, con le condizioni ambientali, al di fuori, diremo meglio al di sopra delle più semplici cognizioni sta¬ tistiche sistematiche che avevano dominato per tanti decenni, ed eran basilari necessità, le osservazioni e le fatiche degli studiosi. Di quel lavoro, che a me giovane non indirizzato professionalmente agii studi botanici, parve allora quasi nuova luce, redassi una re¬ censione che apparve su la Rivista del Club Alpino Italiano (Voi. XXVII, Torino, 1908) e che mi pare si possa ancor oggi ricordare;

« Quest 'opera è degna di speciale nota perchè tratta dello studio della flora di un’importante bacino geograficamente italiano, la Valle di Po¬ schiavo, affluente dell 'Adda, da secoli annessa al Cantone dei Grigioni; ma ancora, e forse a maggior ragione richiamerà l’attenzione degli stu¬ diosi per il metodo con cui le ricerche furono condotte e per il piano del lavoro. Invece delle aride e mute filze di nomi, con cui i sistematici fino agli ultimi tempi assolvevano il loro compito nello studio della vita vege¬ tale di una regione, nomi che apparivano pur nell’elenco isolati e indipen¬ denti, qui sono studiati e rilevati i rapporti dei vegetali con l’ambiente in generale, con la costruzione geologica del suolo, con i fattori biologici che 'possono rivelarci le ragioni della distribuzione geografica delle piante e

(^) H. Brockmann Jerosch: Die Plora des Puschlav (Bezirk Ber¬ nina, Canton Graubunden) und ihre Pf lanzengesellschaf ten ; primo di tre capitoli di « Die Pflanbengesellschaftcn der Echweizerischealpen », pubbli¬ cato da W. Engelmann di Lipsia^ 1907.

(^) Per quanti ambiscono completare le cognizioni per la Valle di Poschiavo, citerò, di tempi posteriori: U. Ugolini: Note illustrative per alcune piante raccolte nel Canton Ticino é in Val di Poschiavo - Boll. Soc. Ticin. Se. Nat v. XXIII, 1928; e W, Wischer: Haben das Oberen- gadin und das Berninagebiet wàhrend der letzen Eiszeit an Alpenpflanzen -als Refugium gedient? - VerJiandl. Naturfosch. Gesell. Basell v. XXXIX, 1929.

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più ancora delle associazioni di vegetali e formazioni della vegetazione di una regione. La regione illustrata lia confini e caratteri ben delineati é peculiari; trovasi a dividere, per la sua parte più elevata a settentrione, il bacino dell’alta Engadina, a clima spiccatamente continentale, dal ba¬ cino dell’Adda, a carattere proprio della regione marina insub rica. La costituzione litologica del suolo non è molto complicata. Predominano con grande maggioranza le rocce antiche silicee; solo qua e là, relitti di estese formazioni, qualche affioramento calcareo dolomitico mesozoico.

jMello studio analitico della flora, l’autore giunge a conclusione in¬ teressante con l’indicazione di specie nuove per la regione e con copia di indicazioni di stazioni nuove.

Ma l’Autore ha avuto cura di rilevare le riunioni sociali che le varie specie offrono con maggiore frequenza; riunioni che si devono ritenero come il prodotto delle condizioni che le località offrono, e che a loro volta possono influire sulle condizioni del clima.

Così l’Autore stabilisce un sistema, creando una denominazione pe¬ culiare, per delineare le società di piante che costituiscono la fisionomia dei vari quadri vegetali.

E in tale lavoro ritiene di massima importanza quei tipi che hanno zone di diffusione propria, ricercando perciò le località dove i vari tipi costituiscono il complesso della vegetazione; dai quali per il concorso di altre specie, si ritrovano i gradi di passaggio; gradi che sono quindi estremamente vari per la costituzione sia quantitativa che qualitativa degli Enti tassici.

L’Autore istituisce i primi gradi di riunione di specie col nome di « associazione » ; chiama « formazioni » quelle di grado superiore e che si riuniscono a loro volta in « gruppi di formazioni » : « tipo di vegetazione » è il grado più elevato di tale classificazione.

La flora della Valle di Poschiavo o, per meglio dire, le società vege¬ tali sono raggruppate in sette tipi, che sono : foreste, boscaglie, piani di piante ad alto fusto, piani rocciosi, piani prativi, piani paludosi e for¬ mazioni degli stagni.

Li ciascuno di questi tipi l’A. studia i gruppi di formazione, le for¬ mazioni e le associazioni. Non seguiremo certo tale studio analitico : ne- risulta fra l’altro che alcune società di piante resistano a condizioni varie, anche con differenze profonde, mentre altre direi più mutabili' o sensibili mostrano variazioni anche profonde con il mutare delle condizioni ecolo¬ giche, talvolta in modo per nulla proporzionale, e con sostituzione di tipi più 0 meno g-raduale ».

E veniamo subito, per legame, a E. Furrer, di Zurigo, che portò un contributo vivificatore ed innovatore nella floristica del Bormiese : è del 1915 l’elenco, in collaborazione con M. Longa (’^), nel quale sono elencate 1124 specie sicure, lasciando le minori o dubbie ed esclu-

(P E. Furrer und M. Longa, Flora von Bormio : Beilieft. z. Botan^ Centrali)!. Bd. 33, AMli^ II, 1915.

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dencloiie 75 indicate erroneamente: accurate sono le indicazioni di località, il loro carattere, nonché la frequenza delle piante, l’altezza minima e massima su le montagne; la lingua straniera, e la stretta sobria dichiarazione di stima e di amicizia verso il collaboratore ita¬ liano, conoscitore ben noto, fecero non nascondere, con le lodi, una sia pur velata impressione dello scrivente, nella recensione ap¬ parsa nella nostra rivista « Natura » (v. 14, fase. 1, p. 28-30, Mi¬ lano 1923).

Il Furrer aveva però l’anno precedente pubblicato un ampio stu¬ dio sul bormiese, a carattere più sintetico (’■) ; è il nuovo indirizzo di indagine che arriva nella regione cui la dea Flora aperse una sua ben ricca cornucopia : studio iniziato con uno schizzo geogTafieo, per trattare dell’orografia, della geologia, del clima, delle popolazioni, della ricchezza della flora, delle specie xerotermiche, delle alpine, per inoltrarsi poi nelle considerazioni dei consorzi vegetali, elencan¬ doli, vedendone le eventuali successioni : chiamando « associazioni » l’unità negli studi sui consorzi analogamente alla nozione di «specie» negli studi di sistematica; per stabilire quali elementi si debbano considerare per determinare un’associazione, e cioè le specie esclu¬ sive, le dominanti, e tutta la flora ; le singole associazioni potendo variare per l’altitudine, per l’orografia, il substrato : da considerare ancora le fasi successive, in serie, che una data associazione può pre¬ sentare; sono sinteticamente esaminati i consorzi più tipici del bor¬ miese, associazioni più tipiche, con esempi di successione di consorzi, interessanti fra tutti quelli della colonizzazione delle gande calcari. In lingua italiana il Furrer pubblicò uno stringatissimo riassunto (^) delle sue osservazioni, considerazioni e proposte. Concetti, giudizi, ' proposte dei primi tempi della fitosociologia, questi studi del Broc- kmann Jerosch e del Furrer portano evidentemente chiare impronte dei singoli studiosi: fatto naturale, e non certo deprecabile, perchè è dall’insorgenza, dalle comparazioni, magari dai conflitti di plurime idee che si vanno sempre modellando quelle che si possono conside¬ rare le conclusioni più attendibili: oggidì, per i decenni di cammino

(^) E. Furrer: Yegetation Studien in Bormiesisclien: Vierteljahrsschr. d. Naiur. Gesell. Ziirich, Bd. 59^ 1914.

(^) E. Furrer, Eiassunto di Fitogeografia bormiense. - Malpighia, Voi. ^7, 1914-15.

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percorso, è augurabile una sistemazione, una uniformazione almeno dei basilari fra i concetti, e delle terminologie.

Nel 1925 L. Fenaroli e M. Longa fecero fare ancora un nuovo notevole passo alla conoscenza della flora del Bormiese, pubblicando un succoso contributo (^) di aggiunte e variazioni alle più partico¬ lareggiate conoscenze, elaborato sull’abbondante materiale dell’inter- corso periodo ; riferendosi, per la storia e per la descrizione della regione a quanto aveva esaurientemente esposto il Furrer nei suoi « Studi » e nella prefazione alla « Flora », della quale questo nuovo apporto vuol rappresentare continuazione e integrazione. Con i dati minuziosi sopratutto per generi difficili, accertamenti di specie dubbie o non ancora note per il Bormiese, di avventizie per la guerra com¬ battutavi, o rarissime, o nuove per la flora italiana, o addirittura per la scienza, il lavoro riflette i lunghi decenni delle diligenti inda¬ gini del Longa, e del Fenaroli le osservazioni sopratutto per le re*- gioni più elevate (Gavia, Tresero, Braulio, Fra eie, Dosdè) e la pa¬ dronanza delle determinazioni. Un vecchio semplice amico dei fiori resta sorpreso, allibito, alla precisazione di tante forme minori, a co¬ minciare dalla prima pagina, delle varietà delle crittogame vascolari, per non parlare delle 14 sottospecie, vagamente sentite magari da tempo nella sottocoscienza, del tanto diffuso vecchio Hieracium pi- losella di Linneo, della cinquantina di specie del sempre tribolante genere Hieracium! Incoraggiamento a nuove indagini... verso la perfezione! Che il Fenaroli con il candore del conoscitore auspica di cuore, e subito, a prova del suo fervore, presenta per il bormiese una nuova sottospecie proprio di Hieracium (^).

[Deve essere ricordato un breve contributo che lo scrivente non ha saputo rintracciare: E. Craveri, Escursione botanica nell’alta Valtelli¬ na in tempo di guerra. Cassino, 19^1].

Un contributo, se anche non ampio, per tutta la flora faneroga- mica valtellinese, lo ha dato poco dopo V. Giacomini (®), frutto di

(^) L. Fenaroli e M. Longa: Flora Bormiese (Seguito a Furrer e Longa «Flora von Bormio»): Nuovo Giorn. Boi. It. Nuova Serie V. 33, 1926.

(2) L. Fenaroli: Additamenta hieraciologica ; Atti Soc. It. Se. Nat. V. 67, Milano. 1928.

(®) V. Giacomini: Contributo alla conoscenza della Flora lombarda; con osservazioni sistematiche e fitogeografiche: Att. Ist. Bot. TJniv. Pa¬ via, ser. 5, V. 9, 1950.

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molte varie osservazioni. Mentre valore più sentimentale può avere quell’elenco di un centinaio di fanerogame raccolte una settantina di anni fa nel bormiese da G. Briosi e determinate da Bertossi Q: le precisazioni storico -fitogeografiche, data la varietà e l’accuratezza delle indicazioni delle località, fin sopra i 2500 m., sono ancora da considerare. Commovente per lo scrivente, che fu scolaro del Briosi a fine del secolo, nella grande aula, sempre stipata, quando anche gli studenti di medicina dovevano sapere cos’è una pianta: in quel¬ l’istituto di Pavia, che ora ha il nome del Briosi, riccamente ampliato di locali e di attrezzature, nell’edificio che fu del Convento di S. Epifanio dei Lateranensi, allora quasi all’estrema periferia della città, ospitante anche gli Istituti di Fisiologia, di Chimica generale, di Chimica far¬ maceutica, ed ora, con la Botanica la sola Genetica; l’Orto Botanico _ vi ebbe inizio intorno al 1775 dall’antecedente Orto dei Semplici del secolo XVI, secondo dopo il primo patavino: ci si affermò, iniziato dal Garovaglio, e crebbe a fama sicura qual parte integrante dello Istituto, il fecondo « Laboratorio Crittogamico Italiano » che tanto ha prodotto e produce: sotto le eleganti ai’cate claustrali dell’ampio cortile cui fa centro la bella vera del pozzo, è una galleria di marmi che nelle effigie e nel nome parlano di tanta storia della Scienza, da Agostino Bassi a G. Vittadini a Santo Garovaglio a Giov. Briosi, da Fr. Nocca, G. Moretti, G. Comolli, G. A. Scopoli, a 0. Penzig, a P. Baccarini, a L. Buscalioni, a G. Gibelli, a Fr. Cavara, a R. Far- neti e M. Turconi, a R. Pirotta che vi han lavorato, tutti evocanti ri¬ cordi di larghe e anche larghissime tracce nella Botanica italiana. Vi è ricordato anche il nome di Camillo Golgi.

Ospitato in due povere camere dell’Istituto crittogamico, nel 1859 Paolo Mantegazza vi aveva fondato l’Istituto di Patologia generale, primo non solo in Italia ma nel mondo, che finallora si erano ritenute sufficienti le lezioni teoriche per tal branca fondamentale delle Scienze mediche : ivi ebbero inizio i primi esperimenti su gli innesti dei tes¬ suti animali per opera del Mantegazza stesso; che nel ISIO lasciava Pavia per Firenze ove fondava la cattedra e il museo di Antropologia; avendo successore a Pavia Giulio Bizzozero (1846-1901) che nel 1875 fu chiamato all’Università di Torino : Camillo Golgi (1846-1926) suc¬ cedette nel sempre povero ambiente (per un semestre figurando co-

(^) F. Bertossi : Contributo alla conoscenza della Plora dei dintorni di Bormio: Att. Istit. Bot. JJniv. Pavia ser. 5, v. 9, 1950.

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me addetto al Crittogamico), dove compì le memorabili scoperte su la specificità dei parassiti vari della malaria umana (1886* 1892) per i cjuali si erano affaticati e affaticati patologi di tutto il mondo, attendendovi pure a quelle famose ricerche che dovevano procurargli nel 1906 il sommo riconoscimento del Premio Nobel.

L’attuale Direttore, Prof. R. Ciferri che con gTande intelligenza ha curato l’ampliamento, l’arricchimento e l’attività dell’Istituto, con ugual misura di gentilezza e di spiritualità, a ricordo e auspicio, per i presenti e per i venturi, ha arricchito quella suggestiva lapidea galleria.

V. Giacomini, appena sopra accennato, ora Professore di Bo¬ tanica all’Università di Catania, lo troveremo ancora in questa magra rassegna, nella quale porta calore con la sua alacrità sotto al cielo e nel suo studio, col suo talento botanico : ora ne ricordiamo, di anni ormai lontanucci, che dovevano essere di verde gioventù per l’autore, una poderosa memoria (^), che riguarda un gruppo di vegetali poco conosciuti dai più, si potrebbe dire poco allettanti per quanti non ne facciano oggetto di indagine, ma altrettanto diffusi e frequenti e d^ grande funzione nell’economia del terreno, per i rapporti, positivi o negativi, con le piante vascolari. Non si può, non dirò, riassumere, ma pur solo additare la complessità e la ricchezza dei dati e dei pro¬ blemi rispecchiati nella monografia, che con molte stazioni della Valle dell’Oglio ne considera pur tante dell’alta Valle dell’ Adda: sono illu¬ strati gli aspetti peculiari della vegetazione delle alte zone montane, dalle gole umide e ombrose fino alle torbiere, dalle morene fino alle rupi secche e soleggiate e ai veri limiti nivali. Per ogni stazione stu¬ diata, alla lista delle fanerogame fa seguito l’elenco delle briofite, con le variazioni a seconda del variare, anche leggero ad esempio della morfologia e potenza della torbiera delle florale.

Per dare un’idea, Paludella squarrosa, delle zone artiche circum¬ polari, trovata a Sta. Caterina dal Garovaglio nel 1837, rinvenuta poi in poche rarissime stazioni alpine, a Trepalle, al Paluaccio di Oga (Anzi) quale relitto di immigi’azioni glaciali: degne di conside¬ razione speciale le osservazioni al suo proposito sulla piana di Sta. Caterina e sul Paluaccio, per il rilievo delle condizioni attuali, ma

(^) V. Giacomini: Studi biogeografici. Associazioni di Briofite in Alta Valcamonica e in Valfurva (Alpi Retìclie di Lombardia). Atti Istit. Botan. Università, Pavia, seria IV, voi. 12, 1939.

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sopratutto per quanto è venuto a mutarsi per azione delFuomo : a Sta. Caterina la Paludella è ridotta così da prevederne prossima la scomparsa e pur ridotta è altra specie rara, Auloconium palustre rigoglioso ai tempi del Garovaglio e dell’ Anzi; ma per il Paluaccio le cose son più gravi, Giacomini riporta la suggestiva descrizione di E. Levier, del 1901 e sui dati di Anzi e di lavori svizzeri ricostruisce la flora fanerog'amica e briologica di quel tempo : dopo del quale per un decennio una intensa estrazione di torba per la fornace della calce di Boianio ha profondamente mutato, da non restarne che scarse vestigia, dice l’A. dell’aspetto primitivo: modificazioni elencate, fino alla scomparsa totale della Paludella squarrosa.

Ne risulta l’importanza degli studi dettagliati e minuziosi dei singoli anche minimi peculiari ambienti naturali : con la suggestiva, che dovrebbe essere persuasiva, affermazione conclusiva ; « Se è vero che non è mai sufficientemente minuzioso ed accurato l’esame dei dati a disposizione quando si deve risalire da fatti particolari a quelle sintesi o visioni più larghe che sono aspirazioni di ogni studioso della Natura, è altrettanto vero che pure nel campo fitogeografico in cui oggi si tenta per tante vie di cogliere leggi più generali della scon¬ certante complessità di espressioni di questo insieme vivo dinamico che è la Flora si impone l’utilizzazione dei minimi elementi dispo¬ nibili, anche di quelli che potrebbero sembrare meno degni di studio ».

Pascoli alpini: alla fine del secolo scorso si agitava la questione dei pascoli e dei boschi : due ambienti vegetali di primaria impor¬ tanza per le popolazioni : l’autorità governativa attuava per il rim¬ boschimento provvedimenti un po’ drastici, a tutela del patrimonio, diciamo pur sacro, ma di utilità limitata per i locali e solo a lunga scadenza, di alto interesse nazionale per la difesa della piana; i pa¬ scoli erano di godimento immediato a tutti i rurali, modesti taluni, po¬ veri nella mag’gior parte. Lo scrivente, figlio di un medico di mon¬ tagna, ha conosciuto quei tempi di tristissima vita, infieriva la pel¬ lagra, e ne ha ancora strazio al cuore. La campagna, la lotta ad anni impari, era imperniata su la capra, unica possibilità di stalla per tanta parte delle famiglie, di limitato valore di acquisto, di limi¬ tato costo di vita, di modesto ma apprezzatissimo reddito. Noi ben sappiamo cjuanto esiziale sia il morso della capra alle giovani piante : quella peculiare capacità del suo stomaco nel rendere assimilabile la cellulosa le consente non solo di appetire, ma di utilizzare i ramoscelli

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legTiosi, la lignina, che tutti gli altri erbivori non appetiscono perchè resistente alla digestione : per cui la graziosa, simpatica e, per tanti motivi, cara bestiola, costituisce un deciso nemico alla causa dei bo¬ schi! Era stata promulgata da anni un’apposita legge, ma nessuno vi poneva mano per quanto si avrebbe dovuto fare ; solo « i guardabo¬ schi » se ne valevano, eran pochi, ma quando potevano non lesina- vano le gTavi multe ai poverissimi alpigiani. C. Fanchiotti, Ispettore forestale, per le sue benemerenze montane Socio benemerito del Club Alpino Italiano, fu destinato a Sondrio : e si fece sentire, con atti¬ vità, con iniziative che ancor si ricordano : pubblicò un volumetto « Sull’importanza dei boschi in Valtellina, (Sondrio, 1889) », nel quale si sente il calore per la causa e pur cpiello verso le più strette miserie umane.

Nel 1901 Luigi Credaro, deputato al Parlamento per il Col¬ legio di Tirano, chiamato dall’Università di Pavia a quella di Roma, in un vivace memoriale (^), con una prefazione comparante la legi¬ slazione francese con l’italiana, illustrava le provvidenze della prima verso le popolazioni di montagna, in contrasto con la nostra, che male si curava delle stesse, gravandole di restrizioni e di balzelli : pas¬ sando quindi a esaminare in tesi di massima ed in analisi quanto stava avvenendo nella povera valle, quali fossero i fatti e le condi¬ zioni locali, quali le provvidenze e le previdenze da adottare: con mente ed animo di conoscitore e di valtellinese di cuore (^}.

Q-} L. Credaro: Pascoli alpini e imboschimento: Cìiinvennn, 1901.

(^) Un vecchio valtellinese non può sentire il nome del Credaro, cui tanto dobbiamo noi tutti italiani, senza un senso di reverente gratitudine. Lo scrivente ricorda con ammirazione mai impallidita, e non la può tacere anche se lontana dalla Botanica, Uopera del Professore di Storia deUa Filosofia dell’Università lombarda, nel istituire la scuola elementare ita¬ liana: ero studente a Pavia, e frequentavo con riverenza la casa dell’il¬ lustre conterraneo : poche notti egli dormiva nel suo letto, chè per tutta l’Italia viaggiava a studiare a controllare a organizzare; e come politico. Ministro, « fece » la scuola elementare per tutta Italia ; che andava dal nulla di certi paesini miserrimi, a scuole con insegnanti senza pur minima preparazione, poco più che analfabeti commisti con animali domestici, con l’animale domestico, prezioso unico possesso, che ha il nome espressivo delle sue abitudini e delle sue confidenze, in Campania, in Basilicata, in Puglia, in Calabria, ed anche più vicino a noi, con com¬ pensi di dieci, quindici lire, non quindicimila, dieci, quindici lire mensili. E senza andare ai tanti estremi, lo scrivente ben ricorda che in un vil¬ laggio di Valtellina, con le complete classi elementari, una insegnante di

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Quasi contemporaneamente, frutto della benemerita iniziativa della Società Agraria di Lombardia, compariva per le stampe un vo¬ lume 0 destinato ai pascoli alpini. Non è nel carattere di questa nota, il poter trattarne; vi sono, di botanica elementare, alcune in¬ dicazioni ed anche illustrazioni su le piante foraggere, buone e cat¬ tive: dirò, per aver \T.sto, che dei risultati di quell’inchiesta un po si è fatto e molto non si è fatto: vivace animatore era A. Serpieri^ che poi salì in alto negli studi di agraria, troppo in alto nel nero v^entennio ) l’auspicato mig’lioramento delle bovine, verso allevamenti destinati alle stalle della piana lombarda, è ormai raggiunto in pieno. Nel volume però è un’Appendice, di « Notizie sulla flora dei pa¬ scoli alpini valtellinesi », di Massimo Longa, con un elenco di tre cen¬ tinaia di specie più o meno utilizzate od utilizzabili, ed un altro per un centinaio di specie non utilizzabili o decisamente dannose : vi è ri- specchiata la pratica conoscenza dell’esperto botanico.

Facciamo, per i pascoli alpini, un gTan salto, da quei primis¬ simi agli ultimissimi tempi: nel 1954 Y. Giacomini, attivissimo e be¬ nemerito, pubblicò nella Rivista «Yaltellina e Val Chiavenna » (N. 11) un interessante articolo « Per la conoscenza geobotanica dei pascoli valtellinesi » con bibliografia ed una cartina ad indicare strin¬ gatamente un vasto campo di studi di sociologia botanica, di pari im¬ portanza scientifica e pratica, che egli stava svolgendo in Valtellina e da cui si ebbe come or appresso vedremo, una poderosa contribu¬ zione : « Un po’ di storia, opportunità di una tipologia geobotanica dei pascoli montani, i pascoli come associazione erbacea, le associa¬ zioni erbacee e il loro ambiente, ciò che si sta facendo in Yaltellina ».

E pochi mesi dopo infatti, nelle Memorie della nostra Società,

ruolo, licenziata in piena regola delle regie Scuole Magistrali di Sondrio, per le cinque continue ore quotidane del suo lavoro, aveva lo stipendio di 34 hre mensili: fosse pur alto il valore della lira! Or ci si lamenta, si discute, si augura, e anche si fa; sia sempre ricordato che le basi da cui si è partiti, veramente la prima creazione, fu di Luigi Credaro : che poi fu Senatore, Commissario con poteri di Viceré nell’Alto Adige, lustro dell’Ateneo della Capitale: erano i tempi nei quali essere deputato, se¬ natore, ministro, voleva dir qualcosa, di regola certificava altezza perso¬ nale .

(G Atti della Commissione d’inchiesta sui Pascoli alpini; I Pascoli alpini Valtellinesi; Milano 1902.

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apparve, del Griaeomini con S. Pignatti Cjuella che non dubito dire la più ampia profonda e completa moderna contribuzione allo studio delle piante della Valtellina, se pur topograficamente limitata all’alta ù alle del Braulio C) ; che è pur di quel territorio bormiese « dove, scris¬ se l’Anzi, sembra che la Flora abbia sparso con più larga mano i suoi tesori » : e abbiamo intravisto e visto quanti contributi si sono suc¬ ceduti nei tempi. Siamo fuori, con questo maggiore, ormai lantani, dalla jDura sistematica, dai cataloghi o liste di specie, benemeriti però nel costituire la base prima con la quale solo è possibile costruire e quindi procedere. E gii AA, ne son naturalmente così convinti, che, ad iniziare propriamente la trattazione della monognafia, dopo le no¬ tizie fisiogTafiche, è il capitolo su Ta Flora: limitata, nello studio, a quella della zona più tipicamente alpina fra i 2200 m. s. m. fin sopra i 3000 : e sono elencate, numero impressionante, 595 entità tassiche di piante vascolari, alle quali, importante assai, fa seguito un elenco di 31 specie di Licheni, 16 di Epatiche, 121 di Muschi : non si tratta, dicono gii AA., della Flora Crittogamica della zona, ma soltanto delle specie citate nel testo, interessanti l’indirizzo del lavoro : per chi abbia sia pur elementari cognizioni è di certo degno di nota il decisivo contributo alla conoscenza delle Graminacee e delle Ciperacee, con una sessantina di forme delle prime e una trentina delle seconde.

E poi c’è la parte maggiore, veramente originale, cioè tutte le os¬ servazioni e deduzioni del mondo studiato, riguardanti « Gli aggrup¬ pamenti rupestri, La vegetazione dei macereti. La vegetazione delle vallette nivali. La vegetazione fontinale e palustre, I pascoli de'' cal-

(^) V. Giacomini e S. Pignatti: Plora e Vegetazione delFalta Valle del Braulio, con speciale riferimento ai pascoli di altitudine; con carta di vegetazione 1:12.500 - Mem. Soc. It. Se. Nat. Voi. XI ^ fase. II-III, Mi¬ lano. 1955.

(~) « Questo estremo angolo montuoso nord-orientale di territorio lom¬ bardo, lembo del vecchio Contado di Bormio, limitato da una irregolare cresta sui 2900-3200 m., che tiene separati gli alti bacini secondari d ^orì¬ gine dei fiumi Adda e Adige, affondata in larghe selle trasversali (m. 2500-2880) per cui si scende in versante politicamente svizzero a Xord (Val Monastero), e longitudinali che conducono nella Provincia di Bol¬ zano ad oriente (Valle di Stelvio-Trafoi) ». Così iniziano le Ossei*vazioni Geoniorfologiche su la Alalie del Braulio (Natura, voi. 23, Milano, 1932) del Prof. L. G. Nangeroni, che con illustrazioni e schemi ne fanno cono¬ scere la morfologia, la costituzione, la genesi.

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care, I pascoli della silice, la veg'etazione delle boscaglie ed arbu- steti nani », comprendenti 17 Alleanze che alla lor volta rigiiardano 24 Associazioni con tabelle e schemi grafici assai esplicativi; e da ultimo, con una evidentissima Carta Fitosociologica in grande scala ^ dei pascoli delFAlpe dello Stelvio, le conclusioni : « La dinamica della vegetazione. La dinamica del suolo. Caratteri del suolo, con tenore in carbonati, tenore in fosforo, tenore in sostanze organiche, contenuto in acqua. Fertilità del suolo. Stato attuale della vegetazione. Com¬ mento alla carta della vegetazione.

E’ facile comprendere da queste sommarie indicazioni, come non sia possibile, non fosse che per il molto spazio che richiederebbe, un esame un po’ particolareggiato della Memoria, che rappresenta un esempio finora unico in Italia di studio approfondito della Vegeta¬ zione di una data regione secondo le migliori vedute, facendo ricorso a molteplici indagini soccorrenti : gli AA. vi hanno lavorato con at¬ tività e attenzione dimostrando il pieno possesso del patrimonio cul¬ turale necessario : Pesame dettagliato è fonte di vivo compiacimento.

Gli stessi studiosi, Giacomini e Pignatti, hanno pubblicato 0 una « edizione ristretta e semplificata dello studio qui sopra indicato, che vuol essere un commento sintetico e facilmente comprensibile della carta fitosociologica della stessa zona ed un primo contributo dei fitosociologi italiani allo studio dei problemi pratici riguardanti i pascoli di alta « montagna ». Dirò che mentre la grande Monografia prima ricordata può essere oggetto di meraviglia e di esempio per chi voglia approfondire conoscenze, o, meglio, studi di biologia vege¬ tale montana, questa edizione ristretta dà, nelle sue cinquanta pa¬ gine con la sua carta riprodotta tal quale che nella maggiore. Passai piacevole suggestiva possibilità di avere una chiara attraente idea del programma affrontato e svolto, di conoscere quanto avviene lassù nel modesto interessante e attraente mondo dei piccoli vegetali : e in rapporto con quanto l’uomo può avvantaggiarsene.

Non si può fare a meno, dopo gli accenni purtroppo sommari alle belle indagini di fitosociologia valtellinese, di additare un volume

(^) V. Giacomini e S. Pignatti : I pascoli delFAlpe dello SteMo (Alta Valtellina) Saggio di fitosociologia applicata e di cartografia fito¬ sociologica. Supplemento agli Annali della Sperimentazione agraria; 'nuova serie, Voi. 9, 1955.

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denso di coltura e conoscenza di R. Tommaselli (^) nonché la breve nota, comparsa in ciuesti Atti C) che, nella sug-gestiva semplicità, di¬ schiude, a ehi non li conosce, orizzonti di bellezza e di vantaggi.

Ed è forse questo il momento e la sede nella quale si voglia con¬ cedere a ehi scrive di segnalare ai giovani botanici italiani un argo-^ mento di ricerca e di studio, che per attuarsi avrebbe almeno questo di sicuro, ambienti particolarmente suggestivi e belli. La conca di Cogne, nel Gruppo del Gran Paradiso, e quella di Chiareggio fra il Disgrazia e il Bernina, sono entrambe a 1600^ m. s. m. attorniate da vette di più di 3000 m., fin oltre i 4000, ammantate da numerosi ghiacciai: monti, nei due distretti, di tre distinte consimili nature, silicee, calcaree, ofiolitiche. Or bene le due flore presentano sostan¬ ziali differenze: a Cogne, oltre naturalmente le essenze arboree al¬ pine più tipiche, prosperano latifolie cjuali Acer pseudoplatanusr qualche Prunus coltivato, Ribes grossularia con abbondanti dolcissimi frutti, il Berberis vi è rigoglioso quasi infestante, \ù«sono campi di segale e di patate con buoni raccolti ancora a Gimillan duecento metri più alti; a Chiareggio dominano le conifere, se ne togli, scarsi, rele¬ gante tremula betulla, il sorbo d’aucupio, l’ontano, il sambuco di montagna e un salice dalle larghe foglie del gruppo del caprea, il Berberis vi cresce scarso e striminzito, nessuna possibilità di coltiva¬ zioni fuor del fieno dei bei prati : le floride delle due zone hanno no¬ tevole concordanze e notevoli differenze, più ricche di specie e di individui C[uelle del Gran Paradiso. Programma, tutto lo studio, ri¬ chiedente* ad ogni modo, non breve lena di lavoro e competenza, che le valli confluenti sono parecchie. La flora di tutto il Parco iNazio- nale del Gran Paradiso è in corso di indagine da iiarte di giovani valenti : l’Orto Botanico che il Parco ha fatto sorgere in Yalnontey potrà essere di aiuto per lo studio dell’una delle località : si conceda allo scrivente di ricordare che, essendo Consigliere del Parco, ebbe egli la prima idea e fece la prima proposta per la creazione di quel giardino botanico, or battezzato « Paraelisia » (^).

(A E. Tomaselli : Introduzione allo studio della Pitosociologia. Mi¬ lano 1966.

(^) E. Tomaselli : Il contributo della fitosociologia allo studio dei pro¬ blemi forestah. Atti. Soc. It. Se. Nat. Voi. 95, Milano 1956.

(®) Per motivi di topografia, ma soprattutto per incitamento ed au¬ gurio di qualche vasta indagine sul mondo vegetale della, nostra Valle, vo¬ glio additare la memoria di V. Giacomini e X. Arietti, Studi sulla flora

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Il crestone, ove a 2812 m. è posto il Rifugio Marinelli al Ber¬ nina, è attorniato, limitato dalle Vedrette Superiore e Inferiore di Scerseen, dalla Vedretta di Caspoggio e dalle rispettive morene : co¬ stituito in prevalenza da rocce silicee ed in minor parte da calcaree, ha i suoi limiti inferiori a circa 2750 e la sommità a 3186 m, s, m., al di sotto quindi, rispettivamente, e al di sopra di quei limiti fisici e biologici delle nevi sulle Alpi che sono tanto vari non solo in fun¬ zione di determinati fattori stabili, quali la posizione nella catena, l’altitudine, la pendenza, l’esposizione, la natura del suolo, ma pur di variabili, quali i meteorologici. E’ un piccolo mondo, cjuesta « isola glaciale », di viventi, ora influenzabili ed influenzati dalla frequenza umana: il Rifugio, della Sezione Valtellinese del Club Alpino Ita¬ liano, è comoda base per osservazioni e per studio. In tempi oimiai lontani, un profondo naturalista, il sommo ditterologo Mario Bezzi, ne trattò in quei grandi Studi su la ditterofauna nivale delle Alpi Italiane », che pubblicati nelle Memorie della nostra Società (Voi. IX, 1918) son di certo uno dei massimi titoli della Zoologia nostra (^). E non paia fuor di jiosto la citazione di tal magistrale lavoro basato sulla profondissima conoscenza del più diffìcile ordine degli Insetti,

e vegetazione delle Prealpi Lombarde {Atti Ist. Bot. Univ. Pavia, 1.5, V. 2, 1943) la cui introduzione almeno, di ammirevole ricchézza culturale, potrebbe offrire buona traccia ad un volonteroso neofita.

(^) A. Corti : Una pietra miliare nello studio delle fauna delle alte Alpi: Biv. Cluh Alpino It. voi. 38, n. 4-6 Torino 1919. Vi sono riassunti i maggiori preziosi dati e concetti che sono nella grande Memoria del Bezzi, quali possono interessare ogni persona colta, e in particolare ogni zoologo ed ogni botanico. Voglio ancora ricordare, del Bezzi, la breve nota su « La ditterofauna dell risola glaciale Marinelli al Bernina giuste le nuove raccolte del Prof, A. Corti » comparsa in Natura, Riv. di Se. Nat. Voi. XII, Milano 1921: sopratutto per la dottrina ond’è pervasa, su un materiale pur non abbondante, che ha pure permesso al compianto studioso, specie nel confronto con la sua monografia di un quindicennio prima, e nel contempo erano avvenute profonde modificazioni locali di esaminare e valutare alcune leggi di etologia generale. Questo prezioso contributo del sonuno ditterologo, coltissimo naturalista, fa indiretta¬ mente valorizzare, per le indagini suUa variazioni delle florule, quelle do¬ cumentazioni di tempi passati, di raccoglitori e studiosi trapassati; che, quando precise nelle determinazioni e per le locahtà, se esami superfi- ciah le possono ritenere semplici elenchi di specie, costituiscono docu¬ menti per il variare del mondo vivente; e per tal motivo lo scrivente non le ha per nulla trascurate in queste pagine di rassegna.

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vivificato da una vasta precisa coltura naturalistica, quando solo si consideri che vi son trattate la vegetazione, la sua natura e distribu¬ zione, la ditterofauna e i suoi rapporti con la flora, le piante a cusci¬ netto e i ditteri antomidi nivali. G. Fornaciai^, or più di dieci anni, faceva conoscere (^) i risultati di ricerche che gli peiTuettevano di elencare, su Cjuest’isola glaciale, una trentina di crittogame e un cen¬ tinaio di fanerogame con indicazioni della frequenza e della distri¬ buzione in varie distinte zone dell’isola, ben rapjDr esentata in uno schema, e con descrizione e illustrazioni di forme nuove di Erigeron e di Phyteuma. Diligente e lodevole indagine, oltre la quale ulteriori ne son germogliate, intraprese da due giovani studiosi, allievi del Gia- comini. La gentile convalligiana Yera Credano, educata all’amore della montagna, ha sentito l’attrazione della flora alpina e dei suoi problemi: e iniziò bene, con osservazioni (') su la colonizzazione delle morene recenti, avendo preso in esame quella della Vedretta di Ca- spoggio sotto il Rifugio Marinelli: dal primo biennio e dal primo quincjuennio dalla liberazione dal ghiaccio, per finire con cinque elen¬ chi delle specie che man mano vi si rinvengono nei successivi stadi: da poche, una mezza dozzina, fino ad una trentina, quando la coloniz¬ zazione ha raggiunto quel che si può pensare compimento, prima che sia possibile il costituirsi di una cotica erbosa. A tal primo studio ha fatto seguito, della stessa autrice, un articolo sostanzioso che do¬ vrebbe invogliare tanti alpinisti ciechi a quanto non sia da scalare ; oltre ad un’annunciata. cospicua aggiunta all’elenco floristico del For- naciari, l’A. esemplificazioni ed accenna ai problemi della flora di lassù : si sa che la Credaro non ha abbandonato le piantine dell’isola glaciale cui ora attende in collaborazione del coniuge A. Pirola, che, frattanto, con un breve interessante scritto (^) ci ha individuato un diffuso interessante fenomeno che riguarda reciprocamente lo strato

(^) G. Fornaciaei: Un’isola floristica delle Alpi Eetiche centrali (ca¬ ratteristiche botaniche); Atti dell’Accad. di scienze lettere e arti di Udine, serie VI, voi. IX, 1945-48.

(^) V. Credaro: La vegetazione colonizzatrice ai margini dei ghiacciai del Bemina: con illustr. Valtellina e Valcliiavenna. Bass. Econom. della Brov. di Sondrio, II, 1955.

id. id. Esplorazioni botaniche nel Gruppo del Bernina: Biv. Mens. del C.A.I. voi. LXXVI, 1957.

P) A. PiROLA: Rapporto tra fenomeni ciionivali e vegetazione nel Gruppo del Bernina: con illustraz. Valtellina e Valcliiavenna, anno XI, N. 5, 1958.

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più superficiale del terreno influenzato dalla temperatura oscillante attorno al grado di congelamento delfacqua del terreno stesso, e il contegno della flora sul terreno medesimo: per ossei’vazioni, sempre nei dintorni del Rif. Marinelli: ad ogmi congelamento notturno uno strato di ghiaccioli verticali di alcuni millimetri solleva una sottile coltre di terriccio che ricade col disgelo diurno, le piante influenzando e influenzate nel ripetersi del ciclo.

Tanti anni fa Gr. NegTi, aveva fatto conoscere nel Bollettino del Comitato Glaciologico It. del 1934 e ’35 i suoi rilievi su « La vegetazione delle morene del Ghiacciaio del Lys (Monte Rosa) » ; per casa nostra, qualche tempo dopo, Y. Giacomini ha descritto per le morene laterali del Gh. dei Forni, che negli ultimi decenni ha subito un ritiro spettacolare, a 2200 m. ca, una vera flora da giardino al¬ pino, con Salix, Bliododendron, Vaccinium^ Ccdluna, Gnapìialium, Saxifraga^ Achillea!

La Valtellina è una delle non molte regioni montane d’Italia dove si coltiva il grano saraceno {Fagopyrum sagittatum Gilib. = F. fagopyriim L. = F. aesculentum) noto col nome locale di « formen¬ tone », come seconda coltura dopo la messe della segale, per lunga tratta sui pendii della valle volti al sole, anche fino a lO'OO m.s.m,, nel terziere inferiore, in quello di mezzo, e su fino a Grosio, con spe¬ ciale intensità a Montagna, a Teglio, in Val di Poschiavo; a tarda estate i campi in fiore, col verde gTasso delle foglie, il rubino degli steli e il bianco roseo dei ricchi profumati melliferi racemi fiorali, ricordano nella loro bellezza le distese primaverili dei fioricoltori di Olanda. La farina, di color grigiastro, dagli acheni tipicamente tri- ..góni, è apprezzatissima, per polenta giudicata non solo più saporosa ma più nutriente e facilmente assimilabile della più comune di gTa- notureo: l’anzianissimo scrivente ricorda i tempi nei quali le condi¬ zioni di vita in Valtellina erano assai meno agevoli delle attuali: la « polenta nera » era consigliata ed usata nell’alimentazione degli in¬ fermi in luog’o dell’abituale gialla quasi unico cibo della allora troppo parca maggioranza dei contadini ! Un piatto fine e di lusso è consi¬ derata la « polenta taragna » nella quale a metà cottura vi sono im¬ messe dosi di butin’o e di cacio: a cose fatte e ben riuscite è un piatto da re : che dire poi dei gustosi « pizzoccheri », tagliatelle fatte di « farina nera », di certe grosse frittelle « sciat » (rospi, per il co-

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lore e un jdo’ la forma, natanti per la cottura nell’olio bollente); Te- glio è considerata il capoluogo dei buongustai del formentone C).

G. Fornaciari, della Cattedra ambulante di Agricoltura, lasciò la Valtellina per l’Istituto tecnico di Udine, avendo segnata gTadita ed apprezzata traccia della sua attività anche nello studio della flora ri¬ cordata in questi appunti, scrisse nel 1933 un buon articolo (^) su una pregiata rivista, con illustrazioni e tabelle: nel 1929 si era calco¬ lato che fossero interessati 1200 ettari nella coltivazione del saraceno, con ima produzione di 12 mila quintali di grano : sono indicate le pratiche culturali, i bisogni della rapida vegetazione, seminata di re¬ gola dopo la mietitura della segale, ed il raccolto ad ottobre.

Valerio Giacomini, ormai tante volte ricordato, ci ha offerto al¬ cuni contributi (^) nei quali a lato di una larga documentata tratta-

(^) Figlio di Giuseppe Eomegialli autore dei cinque volumi della, maggiore Storia della Valtellina^ dalle origini al 1815, fu Francesco, clie scrisse di poesia, e di storia ; si vedano, per il padre e per il figlio, i giu¬ dizi del Mazzali nel volumetto ricordato nella ultima nota di questo scritto. Nelle « Conversazioni storiche in Valtellina (Sondrio 1886) » sono alcune righe che possono interessare, ove sono raccolte le notizie cen- suarie nei tempi, di valutazione dei fitti in natura degli stabili : « Il si¬ lenzio che si mantiene (nei documenti) intorno al grano turco ed al sara¬ ceno, è cosa naturale, come per le patate, nonché per il gelso, che solo nel secolo scorso cominciarono ad essere introdotti nel paese ». « Ma quanto al grano turco, siamo alUoscuro del quando sia venuto a noi, come pure per il frumentone nero. Lo si sostituiva man mano al miglio, come vediamo notato e consigliato in vecchi registri di famiglia. Fatto sta che questi grani noi li abbiamo avuti ben tardi, perchè vi si oppo¬ nevano le antiche investiture, che non contemplavano questo genere nella coltivazione, e perciò nelle prestazioni, e senza dubbio anche la innata volgare prevenzione contro ogni nuova cosa. Si sa quanto dovette durare la patata, tanto provvidenziale, prima di popolarizzarsi in Francia ». (Per la poesia del Francesco E. possono essere da noi ricordate le ariose e talvolta patetiche note descrittive della Valle nei versi per Bona Lom¬ barda, la contadina di Sacco in Val del Bitte, infiammata amante e poi sjiosa del capitano di ventura conte Brunoro, eroica combattente col ma¬ rito per il Ee di Napoli e per la Eepubblica veneta, che le diede il grado di capitano, a Negroponte contro i Turchi).

(^) G. Fornaciari : Per la conoscenza del cereale della montagna. Note sul grano saraceno e sulla sua coltivazione in Valtellina: con illustr. e tabelle. L’Italia agricola. Ann. 70, mini. 6, Roma 1933.

(^) V. Giacomini: Il grano siberiano (Fagopyrum tatarioiim) in Valtellina; in: Valtellina e Valchiav ernia. Rassegna econom. della Prov. di Sondrio, N. 6, 1954; id. id. Il grano saraceno {«Fagopyrum sagit- tatum >y Gilib.) I, Notizie storiche sulla sua introduzione (con interes¬ santi illustraz.) iòid. N. 4, 1955; II, Notizie sulla variabilità in coltura e sulle specie congeneri (con figure esplicative) ihid. N. 6, 1955.

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zione scientifica propriamente detta, e da godere la erudizione storica bibliogTaf ica ; e se ci si può cong’ratulare con 1 Ente cbe ne lia culata la decorosa pubblicazione, accrescendo i ineriti e le attrattive della bella Rivista, può anche rincrescere della risultante limitazione al¬ meno topogTafica della pubblicazione stessa: poiché dalle tre con¬ tribuzioni risulta una monogTafia interessante anche al di fuori del limitato nostro campo. Nella nostra valle capita ancora di incontiare seminati dell’altro fagopiro, il tataricum. L., forse più rustico, di certo -assai meno pregiato : talvolta è intruso nei seminati della specie più nota: nei paesini dei dintorni di Sondrio è conosciuto col nome di « coronili », mentre nelFalta valle con quello di « Siberia » licollegan- tesi evidentemente ai paesi d’origine. Il Giaconiini ne ha dato storia, descrizione, rafforzando l’opinione di una decisa inferiorità per tutti i confronti con la specie più bella, più nota, più redditizia : la quale si può ancor dire non corra pericolo di un prossimo decadimento per¬ chè sempre apprezzatissima.

Ricordiamo, non per stretta conoscenza dei vegetali normalmente AÙventi in Valtellina, ma per breve accenno alla patologia della pre¬ ziosissima vite, la preoccupazione e l’attività contro la. « degenera¬ zione infettiva » nuova minaccia, probabilmente da virus : la più volte citata Rassegna « Valtellina e Val Chiavenna » del febbraio 58 ha pubblicato due articoli al proposito : « E. Baldacci, Il migliora¬ mento sanitario della vite, e G. Fogliani, La selezione clonale della vite contro la « degenerazione infettiva ». Il Fogliani, dell’Osserva¬ torio Fitopatologico di Milano, ha raccolto le sue « Ricerche speri¬ mentali sulla « degenerazione infettiva della vite » in due ampie me¬ morie apparse nel 1955 negli Annali della Sperimentazione Agrària : condotte col serio metodo deU’esame obbiettivo analitico dei fatti che possan servire di base verso una diagnosi, una conoscenza sintetica.

Rifacciamoci ora quasi agli inizi:

Giuseppe Filippo Massara : «Di quest’uomo saggio e dabbene, quantunque pavese, di nascita, è debito dirne alcunché, come quegli che per circa 18 anni ebbe lode nella nostra Valle per senno e per virtù » 5 così Luigi Gandola in quel suo «Albo storico-biografico de¬ gli Uomini illustri Valtellinesi (Sondrio 1879) ».

Medico condotto a Montagna presso Sondrio, la sua opera era •sovente richiesta sulla sponda opposta della valle, ove, di faccia a

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Montagna sono sparsi gli abitati di Albosaggia e Faedo; il giorna 2 settembre 1839 l’Adda. in piena travolse il Massara e il suo cavallo che solo si salvò : la famiglia del bravo medico rimase in dura stret¬ tezza.

Nessuna particolare notizia è arrivata a noi della sventura: «al Porto », che ancor dura il noto toponimo, ove in tempi lontani esi¬ steva il traghetto per Albosaggia con una specie di cassone a fondo piatto detto « il navét », si ha sicura notizia che nel 1839 esisteva, e resistè alla piena, un ponte in legno, già detto allora, con molto si¬ gnificato, « nuovo », benché costrutto fin dal 1817, e per la cui ma¬ nutenzione annuale nel 1833 era stata chiamata l’impresa di Gius. Buzzi : l’attuale ponte in ferro è stato costrutto nel 1880. Il navét faceva trasbordi più a monte, in località Coldana, e ancor si chiama, anche sulle carte topografiche, « Ponte del Navette » quello per ac¬ cedere al Comune di Faedo : si può ritenere che il medico di Mon¬ tagna sia stato colà travolto.

Ne ho lasciato per ultimo la sua trattazione, come con le sue prime parole iniziai queste note, perchè la sua figui’a culminata in tanta sventura, lo vuole e lo merita. Dissi, in quelle righe, che egli ci ha lasciato quello che è stato il primo maggiore organico contri¬ buto alla conoscenza del mondo vivente della Valle: nel 1834 pub¬ blicò a Sondrio il « Prodromo della Flora Valtellinese, ossia Cata¬ logo delle piante rinvenute in varie escursioni botaniche nella Pro¬ vincia di Sondrio, in cui si distinguono con brevi ragionamenti le specie più rare, i nomi volgari di molte piante, i principali prodotti del suolo e le proprietà che a varie specie si attribuiscono ».

Nel Prodromo, disposto secondo l’ordine alfabetico dei generi, classificati secondo il sistema di Linneo, sono elencate 1205 specie di fanerogame con poche varietà, ed alcune crittogame. L’A. ha esplo¬ rato molte località, alcune con speciale frequenza, ma non tutte le convalli sino alla testata; è necessario considerare che il Massara è partito dal precedente nulla, che modesto, povero medico condotto, ha dovuto veramente sottrarre il tempo per le escursioni botaniche e per lo studio alle sue occupazioni professionali, e i mezzi alla fa¬ miglia, lontano da ogni ambiente, persone e mezzi di studio che po¬ tessero aiutarlo: sorretto solo da un gTande amore, che emana dal pur modesto volume, un amore che è entusiasmo, e ne fa apparire la chiara simpatica personalità: ed io, nei miei lunghi decenni di Val- tellinese, i cui occhi godono sempre di ogni aperta corolla, nello seor—

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rere quelle pagine mi sono sentito talvolta commuovere, e ho pen¬ sato alle gioie dei ritrovamenti del modesto medico di Montagna.

Si direbbe che la tragica morte abbia congiurato a far scendere Foblio sull’infelice: qualche cenno laudativo, come quello citato del Gandola, però posteriore di un quarantennio ; l’umiltà, quasi più che la modestia onde è pervaso il Prodromo, non furono affatto ricam¬ biate con qualche generosità ed anche equità dai grandi maestri di Scienza che pur avevano avuto da Lui tante notizie e tanti materiali. Dobbiamo allo svizzero Prof. Florian Davatz (") una biografia lau- datoria, letta nel 1885 alla Società dei Naturalisti di Coira: ripara- razione assai postuma, meritoria per l’A., non per noi italiani.

Le diligenti ricerche hanno però condotto a ben poco per la vita mortale del Nostro: chè il Davatz chiese invano agli Uffici di Stato Civile di Pavia e di Montagna la data di nascita, che sol per pre¬ sunzione si può ritenere del 1790 : il Davatz dice circa Tanno 1793; però l’Archivio dell’Università di Pavia lo dice immatricolato, dopo gli studi liceali, alla Facoltà di Medicina nel 1808 e laureato a pieni suffragi e lode nel 1915-16. L’Archivio Parrocchiale di Sondrio lo di¬ rebbe, alla sua morte, nato nel 1798 o sul principio del ’99 : cer¬ tamente in errore. Nel 1821 (V. Prefaz. sua) fu nominato medico condotto di Montagna. Il Davatz si disse spinto a preparare la bio¬ grafia per le doti di spiritualità e di bontà che emanano dal libro, che, « finora non ha trovato il suo pari per quanto conceine quelle regioni, opera indispensabile a chiunque voglia studiare la flora dal Legnone allo Stelvio ». Pur nel suo schema di arido catalogo « con rara semplicità e chiarezza l’autore dipinge nelle annotazioni gli usi popolari, il modo di pensare e il grado di coltura del basso ceto val- tellinese, dimodoché l’opera diviene pure oggetto di lettura amena nelle ore d’ozio. Da ogni frase traspare la bonarietà del dottore di Montagna e il suo amore pei contadini, della cui economia pubblica e privata si fa sincero maestro, non con dissertazioni lunghe e dotte, ma con parole d’amore, dettate con finissimo acume e tal fiata anche vestite di mite satira, specialmente quando si tratta di combattere la superstizione e l’ignoranza». E ne cita alcuni casi; avrei voluto con-

(") 1 Aprii 1885; Lehrer Davatz; Ueber deii Veltliiier Botaiiiker Med. Dr. Giuseppe Phylippo Massara (1839) von Montagna. Jahres-Be- richt d. Naturforsch. Gesell. Grauòiindes. Neue Folge. XXIX Jaìirg. Chur., 1886.

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creta re io pure osservazioni del genere, ma mi avvidi che quelle del professore svizzero erano perfette e non superabili. Il Davatz comu¬ nicò un riassunto della sua biografia al «Naturalista Valtellinese » che come accennammo, la pubblicò alla fine del suo anno di vita.

Martino Anzi nel suo Auctarium, che abbiamo considerato, così commentò il Prodromo : « In hac jucundator leetor frequentibus obser- vationibus amoene expositis de utilitate, et virtute herbarum, cum aliis multis notionibus ad statisticam, ut ajunt, pertinentibus. Dolen- dum tantum est, vegetabilium determinatione fusiorem, et accuratio- rem ealamum quandoque exoptare » : Il serio acciliato Canonico della Cattedrale di Como apjDare di animo un po’ troppo severo nel giu¬ dicare, che i meriti umani del Massara, e non dico quelli botanici, lo potevano far degno di qualche indulgenza.

Mi si concedano due minuscole notizie personali : lo scrivente ha dalla sua infanzia ricordi del Massara da parte della sua nonna pa¬ tema (Caterina Paini di Montagna I8I6-I896) che aveva avuti rap¬ porti diretti e amicali col suo medico ; purtroppo, quando mi avi’eb- bero tanto interessato, la nonna non c’era più. Da quei confabulari avevo saputo che al Cimitero di Sondrio, dove la salma faticosamente rintracciata del Massara era stata modestamente inumata, doveva esi¬ stere una piccola lapide tombale con iscrizione: ma quando ne feci ben più tardi la ricerca il Cimitero era in demolizione, e tutti i marmi, grandi e piccoli, asportati. Ancora : pregai mio padre, che parecchi decenni or sono ampliò per un po’ di tempo la sua condotta medica, che tenne per poco meno d’un sessantennio, di Tresivio-Pendolasco, includendovi Montagna,' di ripetervi accurate ricerche : il Massara deve probabilmente aver avuto figli nei suoi molti anni di Montagna : ma l’Archivio del Municipio era stato distrutto da un incendio, e in quello della Parrocchia nessuna notizia s’è potuta rintracciare.

Due forme nuove rintracciò nelle sue indagini il Massara, nella limitatissima area di alcmie delle valli del Gruppo Centrale delle Alpi Orobie : la Sanguisorba dodecandra e la Viola ComolUa descritte nel Prodromo : indubitata buona specie la prima, della quale una bella illustrazione a colori è nel volume, riprodotta in riduzione nella fig. 3 di cjuesta nota; ancor discussa la seconda; di tutte due dirò alquanto ampiamente.

Per la sanguisorba il Massara dice : « in tutte le Alpi che sovra¬ stano a vai d’ArigTia e d’Ambria ; e più sotto « sulle alpi di Togno,

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Rua, Rodes, Rola, Seais, Scigoìa, Forcellina, Veniiia, e in parecchie nltre montagne ». Due toponimi, commisti, sono di difficile compren-

3_ Sanguisorha dodecandra Riduzione della tavola a colori del frontispizio del Prodromo del MaSsara.

«ione; le alpi di Togno e di Rolla non esistono nelle valli sopraindi¬ cate, delle Orobie; di Togno non alpe esiste, ma valle di Togno, ed e nelle Alpi Retiche, cioè sulla destra dell Adda, e prima affluente di sinistra della Val Malenco; e di faccia, sulla destra della stessa, sono

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i Prati Rolla a 1300 m. ca : questi non li ho mai visitati: ho percorso più di ima volta la Tal di Togno, non per ricerca, e non ricordo di aver incontrato la sanguisorba, che mi avrebbe certamente interes¬ sato; da tenere però in conto che, dai tempi, i contadini di Albosag’gia (Orobie) conducono ogni anno il proprio bestiame ad alpeggiare al¬ l’alpe Palliale, alla testata della Val di Togmo. 11 Comolli, di cui avi’emo da dire, riferendosi ai materiali ricevuti dal Massara, cita le valli orobie, per poi aggiungere, precisando « dalla parte di mezzo¬ giorno trovasi soltanto sull’alpe di Togno ». Un asserito ritrovamento della sanguisorba nel Canton Grigioni non è stato mai confermato, probabilmente abbaglio di determinazione.

11 Prof. G. Fornaciari, pubblicò nel 1948 una ricca e diligente nota sulla rosacea (^), rinnovandone la dettagliata descrizione, con la più ampia analitica indicazione della distribuzione sul piovente val- tellinese delle Alpi Orobie, dalla Valle del Liri alla Valle d’Ailgma, ove è ovunque diffusa, frequente e rigogliosa.

E’ veramente degno di considerazione, si può dire ben caratteri¬ stico, lo spesseggiare lussureggiante della, sanguisorba entro questi limiti, e l’improvvisa mancanza apjiena al di fuori, nelle finitime con¬ valli, in ambienti di consimle costituzione geognostica, di aspetto bo¬ tanico del tutto simile, neppur delimitate, separate da alte impervie costiere rocciose : sul versante bergamasco delle stesse montagne era già nota per l’alta Val Brembana, ove la trovai anche nel ramo pili orientale sotto le baite di Armentarga. Nella Valle Seriana, dove non era indicata, la vidi abbastanza comune nella bassa Valle di Fimne- nero, mentre non la vidi nella vicina parallela Val di Coca e manca di certo in tutta la Conca del Barbellino, con terreni ed esposizioni con¬ simili, separate dalle valli valtellinesi ove più tipica ed abbondante è la pianta, da una linea di cresta che appena appena qua e tocca i 3000 m., incisa però da valichi che si potrebbero anche ritenere non difficilmente superabili. E vada qualche giovane che abbia occhi, fiato e gambe, a controllare quelle indicazioni per la Valle di Togno e i prati Rolla, d’interesse maggiore di una semplice notizia floristica : come di ben particolare interesse sarebbero ] recise e particolareggiate

(^) Il Poterium dodecandnim Beiitli. et Hook e la sua distribuzione geografica. Anmiario del Provveditorato agli Stadi di Udine.

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notizie su la esistenza nei territori del nostro Poteriuyn dodecandrum dei congeneri P. officmale e P. sanguisorba.

Il Massara, individuata la prima volta nel 1829 la pianta, rico¬ nosciutone il problema tossonomico, ne scrisse e ne spedì, in piena

Pig. 4. Sanguisorba dodecandra. Eidu- zioiie della grande illustrazione accompa¬ gnante la memoria del Moretti.

modesta umile buona fede, esemplari a tanti alti papaveri della scienza, avendone risposte discordanti.

Giuseppe Moretti, Professore di Botanica all’Università di Pavia, senza punto avvisare il botanico valtellinese del suo fondamentale cambiamento, giacché « rimanevasi tuttavia fiso nell’opinione che la nostra sangmisorba fosse la canadensis » mentre Bertoloni, Host, Co-

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molli convenivano che si trattava di una nuova specie, la descriveva e nomava primo nel 1833, in una vorrei dire non comune sede (^). Il Massara commenta : « Singoiar cosa è, che mentre io stava per pub¬ blicare una memoria sulla pianta discoperta dichiarandola nuova sotto il nome di Sanguisorba Vallistellinae, mi accorsi che il professore Moretti m’avea prevenuto. E chho lo credevo le mille miglia lontano da questo pensiero. Benchho non potessi non desiderare, siccome quello che ne aveva il diritto, di essere il primo a descrivere la mia pianta, e a darle un nome e a rendere la mia scoperta di pubblica ragione; non sia però chi simmagini che di questo fatto, io abbia alcun dispiacere sentito. Perchè a quel valentuomo a cui di tanto sono pur debitore, non che questa piccola gloria, anche altre di maggior conto cui mi fosse dato di aspirare, di buon grado gii cederei ». Molto chiaro lo stato d’animo.

Il fatto fu giudicato per quel che valeva: fin in poesia: Gliu- seppe Napoleone Besta nel suo poema didascalico in 31 canti, del 1871 ("), così ne verseggiava:

(^) Gr. Moretti : Descrizione di una nuova specie di Sanguisorba in¬ digena dell 'Italia con un breve cenno sul genere Sanguisorba, con tav. : Bibliografia Ital. V. 70, 1833. Descrizione ampia, dettagliata, chiara, evidentemente su materiale copioso e anche fresco ; la illustrazione è veramente bella, con l'unica osservazione che le grandi infiorescenze non sono mai erette, ma sempre, per il lor peso, reclinate: è riprodotta in riduzione alla fig. 4 di questo scritto. L'A. si ingegna a dimostrare che il genere Sanguisorba ha maggiore ragione d'essere accolto del ge¬ nere Potermm, da Linneo, per considerazioni varie ma giudicate di non gran conto, staccato dal Sanguisorba ; non seguiamo il Moretti in una valutazione comparativa; chè se noi usualmente chiameremo ancora San¬ guisorba la nostra pianta, accetteremo la consenziente opinione dei più reputati trattatisti moderni che la ascrivono al genere Poterkm.

(^) La Valtellina, Tirano 1871; il Besta, ancora nel '71, tradusse dal latino in bei versi una nostalgica elegia del conterraneo già ricordato Eeghenzani; nel 1872 pubblicò il poemetto «Le stagioni in Valtellina» e nel '78, in prosa, «Bozzetti Valtellinesi » che si leggono con diletto: quello intitolato al Carnevale rispecchia all'inizio la gioiosità dell'autore, autodidatta, cuore ed animo allegro, buon canterino, per lo più conosciuto col nomignolo di Maranga; nacque, visse e morì a Teglio (2. -Vili. -1840/ 13-III-1879) : ebbe a fratello il medico Bartolomeo B. del quale sarà cenno in altra nota.

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di Massaia tacer mi lascia Scienza e giustizia a cui, poiché con molta Fatica ebbe nomate ad una ad una Sovra i cespi natii le medicali Pianticelle di cui benigna veste Questi monti natura, e poi che al fiore Dodici numerò dorate antere Della sua sanguisorba, della gloria Invido un altro poi tarpò le penne.

Poco tempo fa io ebbi a scrivere ; « Però questo Professore Giu¬ seppe Moretti si è altre volte compiaciuto di anticipare sotto il suo nome il battesimo di forme vegetali per le quali altri studiosi, aven¬ dole già individuate per nuove, avevano pregato e ambito una con¬ ferma dell’illustre botanico : conosco bene, e spero di scriverne, il caso tipico di una fanerogama dalla bella e profumata infiorescenza » che era la Sanguisorba (^) ; era a proposito di un fungo rinvenuto, stu¬ diato e illustrato da un laurendo, Carlo Vittadini, iniziatosi agii studi di micologia nei quali doveva lasciare traccia soda e durevole; che

(^) Val la pena, per più motivi, di trascrivere alcune righe delle già citate « Conversazioni storiche » di Francesco Roniegialli, per giudizi e notizie: «Si sa che il gelso morus alba venne in Europa probabilmente sotto Giustiniano; ma il morettiano si dice giunto in Lombardia sola¬ mente nel 1776, per semi; poi passò da Monza all’orto botanico di Pavia. Si dice Morettiano^ ma si vuole sia stato introdotto dai fratelli Gappa di Milano, prendendo altrui nome, come la sanguisorba, morettiana aneli ’essa per usuraia zione, ma trovata qui dal Massara. Quello poi delle Filippine venne in Europa sul 1823 da Manila, e si presta meglio anche alla se¬ conda sfogliatura. Il dr. G. B. Bonfadini lo piantò (v. Massara) in Valtellina, dove i gelsi già si erano diffusi assai prima del finire dello scorso secolo, poiché troviamo già d’allora che si parla di bachi da seta, il che permetterebbe di affermare essere noi stati niente affatto ultimi in Lombardia ad occuparci di questo prodotto; e dei gelsi, non sappiamo di che qualità, già troviamo parola in una corrispondenza tedesca da Coira al Governatore Pianta de Wildenberg, sotto due date, 29 marzo 1743 e 7 aprile del medesimo anno ». Quel Morettiano, perchè nominato Morus marcrophylla dal Moretti nel 1829, con tal nome elencato dal Mas¬ sara nel Prodromo, era invece già stato, vedi destino del Professore pa¬ vese, nominato nel 1797 dal viaggiatore,, sistematico, collaboratore di Lamark, I. L. M. Poiret (1775-1834), qual M. italica, che il Fiori accetta quale varietà del M. alba ; di quello, detto delle Filippine, dal Massara indicato qual M. cuculata Bonaf., non è cenno nelle flore italiane moderne.

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scoprì, stabilì contro autorevole errate opinioni, la causa prima ed unica della naturale dissoluzione delle sostanze organiche morte, e per primo ideò e sperimentò la coltura dei microrganismi che tutti anche fra noi dicono iniziata, in tempi ben posteriori, da Roberto Koch.

Il Comolli, che non ometteva mai aggettivi laudativi al botanico valtellinese, al quale, aveva pur scritto, doveva la massima parte dei materiali e delle notizie valtellinesi per la sua Flora comense, non fu da meno : rimastagli evidentemente sconosciuta la designazione e la descrizione del Moretti, lui pure nel 1833, in colleganza con Gr. Jan Q dava la diagnosi col nome di Sanguisorha macrostacìiya, che nel suc¬ cessivo anno descriveva ampiamente nel primo volume della sua Flora, ripoilando qual sinonimo la sua designazione specifica.

La descrizione è comparsa in una sede che direi un po’ strana, in « Catalogus plantarum Horti Parmensis » per il 1833, che non mi è stato possibile di rintracciare. Emilio Cornalia, Direttore del Museo di Milano, in occasione della inaugurazione del busto allo Jan, ne fece la commemorazione (1867), che interessa per tante notizie di persone a di cose ; in una nota iniziale è annunciato « un’ampio lavoro sulla vita e sulle opere di G. J. steso per incarico del R. Istituto Lombardo di Scienze, che vedrà la luce negli Atti di questo Corpo scientifico, e conterrà l’Elenco completo e ragionato delle pubblicazioni fatte da G. J. ». Ebbi la speranza di rintracciarvi qualcosa dello scritto in col¬ laborazione col medico comasco; ma, con non poca sorpresa, dopo molte ricerche ho dovuto concludere che l’ampio lavoro non ha mai vista la luce.

Il Massara aveva anche scritto : « Quantunque ella s’appigli fa¬ cilmente a qualunque teiTeno, mi sono però persuaso che la coltura

(G Giorgio Jan (1791-1866) nato a Vienna da famiglia ungherese, a 25 anni Professore di Botanica all’Università di Parma portata in fama dalla di lui attività e dal di lui sapere; le sue preziose collezioni di molluschi fossih e viventi, di minerah e rocce, l’erbario di 17 mila numeri, costituirono il primo nucleo (1838) per il Museo Civico di Storia Naturale di Milano, che egli con grande alacrità, aiutato da F. De Fi¬ lippi, ordinò per il Congresso degli Scienziati (1844), sesto di quella serie che tanto contribuì a vivificare la fratellanza degli italiani. A età già avanzata si diede allo studio dei Rettili, con tanto fervore e tanto risul¬ tato da ottenere larghissimi aiuti materiali da tutto il mondo; lasciò, opera gigantesca, la « Iconographie générale des Séipents » ; la colle¬ zione dei Rettih del Museo di Milano, distrutta dalla guerra, era arri¬ vata ad essere senza dubbio la più ricca del mondo.

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non poco gli toglie della sua naturale bellezza ». Il Moretti (1. c.) rife¬ risce di averla coltivata nell’Orto Botanico di Pavia dove cominciò a fiorire dopo la metà di giugno, i fiori spandendo odore affatto simile a quelli del tiglio, secondo il Massara a quello della canella (^). Molti, moltissimi anni fa (31. Vili. 1900!) in un mio primo tentativo di trapianto, rizomi raccolti a Scais (Val Venina a 1400 m.s.m.) tosati delle parti epigee e piantati in giardino a Tresivio (500 m.) in terra

Fig. 5. Aiuola di Sanguisorba a Chiareggio (piantata nel 1935,

. in piena fioritura, nel luglio 1955).

fertile e curati, diedero prontamente nuove f rondi rigogliose ; però ^■itto perì nell’inverno. Molti anni dopo (1925) la prova fu ripetuta trapiantando a Boirolo sopra Tresivio, a 1400 m. : le piantine, isolate qua e là, attecchirono, però vissero modestamente per qualche anno per poi scomparire. Nell’estate 1935 ancora una volta si rinnovò il tentativo a Chiareggio (1600 m.) in Val Malenco: sulla incolta erbosa

Il Massara veramente ha scritto: «Il gratissimo odore dei suoi fiori, che si fa sentire ad una distanza grandissima, è piuttosto simile a quello delPinsetto detto dai lombardi mo scardina (cerambix moscatus) e a quello del fiore del pan porcino (ciclamen europaeum) che alPodore di canella o di tiglio ».

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sponda destra del toiTente Nevasco, che limita l’ingTesso alla conca dei prati, pochi metri sotto il eigiio stradale, presso mi gruppo di be¬ tulle, si piantarono numerose radici ancor raccolte a Seais : bene at¬ tecchirono e assunsero già ai primi anni aspetto rigoglioso, senza che per un decennio mai fiorissero. S’iniziò poi, direi improvvisamente, ogni anno, una abbondante fioritura ; forse determinata da una larga somministrazione, in superficie, di concime naturale azotato; appa¬ rentemente normale la maturazione delle infruttescenze.

Si son visti, nei molti anni trascorsi, oltre il mantenimento rigo¬ glioso degli individui trapiantati, alcuni nuovi, inizialmente meno ro¬ busti, sorti fra i primi, evidentemente da proliferazioni sotterranee; nessun dato pennette invece di considerare una sia pur limitata ri- produzione 2ier seme, poiché su la china immediatamente sottostante alla aiuola, onnai da anni fitta e fiorente, mai si è potuta rintracciare qualche nuova piantina.

I risultati tanto difformi delle due suddette esperienze ad altitu¬ dine e in ambienti apparentemente consimili agii originali, nel primo caso di rizomi isolati a distanza, nel secondo di rizomi vicini in breve spazio, mi hanno fatto sorgere il dubbio che siano intei'venuti, deter¬ minanti od adiuvanti, quei funghi microscopici che f illustre amico e collega Prof. Beniamino Peyronel ha studiato quali simbionti abituali necessari per tante piante pur della flora tipicamente alpina: nello stupendo fenomeno della micorrizia (^). Bel oggetto di indagine per un volenteroso ricercatore, su l’aiuola di Chiareggio, o, meglio, nella de¬ limitata esclusiva ben definita area naturale di questa rosacea.

Aggiungerò ancora, e varrebbe la cura di una indagine, anche per c[uanto può riguardare la genesi della nostra specie, di non ri¬ cordare incontri di forme congeneri nelle valli che dirò dominate dalla dodecandra : ììPoterium sanguisorba è dato dal Massara per frequente nei campi e sulle strade, e il P. officnalis è dato per i prati di Isolacela e Semogo nel bormiese; e lo Anzi per, quest’ultimo, nel suo Aucta- rium : « In pratis paludosis circa laeulum di Pusiano, ubi ad hominis altitudinem assurgi! : humilior prope Bormium et in suis vallibus et montinbus (Livigno, Trepalle, Pezzolmigo) ubi usque ad regionem alpinam ascendi! » : ne ricordo un mirabile addensamento tutto at¬ torno alla base della fontana pubblica sulla piazza di uno degli abi¬ tati alla sbocco della Valle Zebrù.

(^) B., Peyronel - Osservazioni e considerazioni sul fenomeno della micorrizia al Piccolo San Bernardo (con bibliografia). Nuov. Giorn. Boi. It. V. 44, 1937.

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La seconda delle specie nuove descritte dal Massara, ancora in¬ teressante non fosse che per il suo stretto endemismo nelle Alpi Oro- bie, presso a poco concordante con cpiello della Sanguisorba (io la osservai molti e molti anni or sono anche sui ghiareti alla base della della parete meridionale della Presolana nelle pur vicine Prealpi Bei- gamasche e verso il 1889 un botanico svizzero la avrebbe vista al Ponte dei Merli sul M. Legnone) ha avuto varie vicende. L’A. stesso, tenendo in considerazione, riportandole, le opinioni varie di studiosi di fama che ebbero ad esaminare gli essicati (Comolli, Savi, Bertoloni, De Notaris) esprimendo giudizi discordanti, nel dedicare la piantina al Coniolli poneva in calce una noticina intonata ad umile modestia :

« Se avr-ò preso errore sarò presto a ricredermi. Pur tuttavia confi¬ dando che la Valtellina, così ricca com’ella è di tesori botanici, mi porgerà qualche nuova occasione di dare al sullodato professore Co- niolli questa prova di stima di guatitudine e di leale amicizia ». Nella Prefazione al suo Prodromo il Massara parla anzi di una sola specie nuova, alludendo certamente alla Sanguisorba.

Il professore allora ancora a Como, nella sua Plora (voi. I, p. 336-37) non ha accettato la nuova specie, riferendola invece alla num- midariae folla, basandosi sulla autorità citata del Reichenbach C) : dopo la dettagliata descrizione facendo seguire ; « questa specie i di cui pochi esemplari che posseggo convengono in tutto colla figura so¬ pracitata del Reiehenbaeh, fu trovata quesPanno per la prima volta dairinfaticabile botanico dottore Massara su le alpi di Rodes e della Forcellina, e colta in fiore alla fine di luglio » ; il volume è del 1834, del medesimo anno che vide la pubblicazione del Massara . nessuno dei, due ebbe più ad occuparsene : il Massara purtroppo fu colto dalla

morte.

Ma una considerazione, anche di ordine generale, si affaccia per i sette volumi della opera del Comolli; pubblicati, come si è visto, nel lungo lasso di tempo dal primo, del 1834, airultimo, del 185/ . con tanta accuratezza per cui i primi (I-III, 1834, ’35, ’36) stampati a Como, risultano rispetto ai restanti (IV-VII, 1846, 47, 48, 5/) editi a Pavia, tanto somiglianti per sostanza come per veste e formato, di¬ sposizioni e caratteri del testo, da dimostrare non solo che per quel lungo tempo e nelle due sedi mai era sminuita la cui*a pei la riuscita

(1) Reichenbach: Plora gemi, ei^curs, 2, p. 709, plant. crit. icon. 140

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delFopera : ma sopratutto dovrebbe dimostrarsi che la ricerca di tutta la flora illustrata era stata portata a tal desiderato e giudicato com¬ pimento fin da prima dell’inizio della pubblicazione di tutta l’opera : in quanto è almeno sorprendente che lo studioso, ancora volto a pro¬ fessione per nulla contrastante, non abbia avuto occasione, necessità, di un’aggiunta postuma a quei sette volumi : magari di foiune even¬ tualmente prima non rintracciate (^), di sicure notizie corologiche, di precisazioni sistematiche : sempre lontana è la perfezione ! E la pic¬ cola violetta doveva anche umanamente interessare il Professore ^el- l’Università di Pavia, che certamente nel quasi quarto di secolo che era trascorso ne avrà pur trattato coi colleghi iSIoretti e Garovaglio, dopo la sua attribuzione secondo l’opera tedesca ; probabilmente ci avrebbe dato il suo definitivo giudizio : che egli, mentre, nel 1834, ri¬ ferisce di aver avuto pochi esemplari dal Massara che in quell’anno l’aveva primamente raccolta, neppui’ fa un cenno dell’opinione del « infaticabile botanico » che riie li aveva forniti, e della gentile e lusinghiera proposta denominazione.

Per concludere aggiungerò che anche l’Anzi non ebbe mai a far cenno della \iola, perchè le Alpi Orobie non furono suo frequentato campo di ricerca. Per tutto ciò varrebbe la pena che ne fosse assi- cui’ata l’entità tassica.

Dei nostri trattatisti moderni l’Arcangeli (Compendio della flora italiana, sec. ediz. 1894) accetta in pieno la specie del Massara, ben distinta dalla niimmiilariaefoUa dell’AUioni.

A. Fiori e Gr. Paoletti nella Flora analitica di Italia (Voi. 1, Pa¬ dova 1896) posero la Comolìia qual varietà della cenisia L., e la die¬ dero per le Alpi Orobie fra i 750 e i 1400 m. : non so per cjuali dati; si può senza tema, ritenenù un errore di mille in meno.

Il Fiori (Fuova Flora analitica d’Italia, voi. I, 1923-25) mantiene la Comolìia qual varietà della cenisia L. dalla quale dovrebbe distin- giiersi sol per lo sperone più breve dei sepali e più ottuso che nel tipo: stipole tutte lineari-lesiniformi intere. Veramente chi conosca le due piantine vive e in fiore, la tipica cenisia e la Comolìia, sarà al¬ quanto sorpreso di Cjuesto avvicina.mento per le sensibili differenze di portamento, dei caratteri più facilmente rilevabili. La specie del ge-

(D Si ricordi solo, a sostegno di questa considerazione, che l’Anzi, con le sue esplorazioni pur specialmente volte alle tallofite, e poi il Longa, fecero conoscere tante fanerogame non elencate nella flora del ComoUi,

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mere Viola sono di assai poco facile e sicura discriminazione: ben lo sanno i sistematici più accurati: chissà che non possa valere l’esame comparativo della formule cromosomiche che dovrebbero essere facil¬ mente rintracciabili con il noto esame a fresco degli elementi cellulari apicali delle radici. E quando sol qualche dubbio sia ancor mantenuto su la esistenza di questa entità tassica, quel suo carattere di perfetto limitato endemismo, sfug'gente ad ogni interpretazione causale, po¬ trebbe valere almeno ciuanto una minuta quantitativa differenza mor¬ fologica, di uno sperone, di una stipola, di un picciolo, per definire la specie : nel mondo animale e nel vegetale sono pur molte le « buone -specie » che non possono addurre un carattere tanto saliente della loro biologia.

A conforto per le lamentate trascuratezze ed ingiustizie per il Massara voglio concludere con notizie di alto livello : il celebre De Xotaris (1805-1877) dell’Università di Roma, fondò il genere Massa- ria, l’eporediese C. Spegazzini, professore a Buenos Aires e poi a Da Piata, fondò il genere Massariella, e P. A. Saccardio (1845-1920) lustro che tutti sanno dell’Ateneo Padovano, che ha lasciato traccia imperitura nel campo della micologia, il genere Massarina: lo spirito del modestissimo medico travolto nell’ Adda avrebbe ben da esultare !

Ma dopo il problema strettamente tassonomico sorge Cjuello più ampio e cattivante di considerare questa rioletta e pur la sangniisorba quali espressioni di quel complesso che ripete la sua origine dalla linea filetica e dalla nascita del singolo individuo fino all’ambiente e alle sue condizioni attraverso al colare del tempo : perchè e come que¬ ste pianticelle, sono nate e limitate in tanto circoscritto teiTeno. Si ag¬ giunga, per meglio considerare il complesso problema, che F. Fona, -ora professore di botanica all’Università di Parma, in tempi a noi più vicini descriveva per una montagna ben nota delle Prealpi Berga¬ masche non lontana dalla catena delle Alpi Orobie, un nuovo tipico -caso di endemismo (’■) : la Linaria Tonzigii, trovata in numerose po¬ polazioni su macereti di deiezione dell’ Arerà, fra i 2009 e i 2400 m. in consociazione con altre piantine di tali ambienti : cercatavi invano, con diligenza, la Linaria aìipina.

V) P. Loxa: Xuova specie di Lm-ari-a rinvenuta al Pizzo Areta, con ÀUnstraz. : Natura - Eiv. Se. Nat. voi. 40, Milano 1949.

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Al tempo del Massaia, del Comolli, dell’Anzi, era necessario, in¬ teressava avere un’idea della vastità del campo nel senso qualitativo e quantitativo, e i Cataloghi, le Flore più o meno ragionati ne erano il logico riflesso.

Oggidì si tende a cercare, senza peraltro negligere chi opera alla perfezione di quell’indirizzo, di approfondire l’indagine; si cer¬ cano e si studiano da quel che ci han detto quei primi descrittori, i singoli problemi, problemi tassonomici più profondi e più fini per singole entità, specie, varietà, per domandare e dare aiuti alla cono¬ scenza del fenomeno vitale.

[Se qualche giovane vorrà dedicare energia e studio agli ende¬ mismi orobi, potrà con vantaggio prendere esempio da una mono^ grafia recente C), condotta in modo magistrale per una specie ende¬ mica delle Prealpi Bergamasche, ove l’ampio areale ne è stabilito, e pur le caratteristiche auto e sinecologiche, la variabilità e le affinità della specie : autonomia ben definita ; ritenuta, la bella piantina, originata per differenziazione da un ciclo di fonne mediterranee assai affini tra di loro e forse derivanti da un unico ceppo periadriatico e tirrenico ; programma, traccia di lavoro per le nostre : per le quali non v’è a pensare, perchè inesistente, al lussuoso ammirevole contri¬ buto storico culturale concretato per la Campanula].

In casi dubbi quale questo della violetta o altamente interessanti come quelli della sanguisorba e della linaria nel confronto almeno con le più comuni , diffuse specie congeneri, la citologia potrebbe forse dare un presto e magari determinante aiuto; e non parlo di possibilità della genetica, se in questo determinato caso più che difficoltà non vi fosse impossibilità di sperimentazione. La sistematica, nella sua grande e basilare importanza non solo pratica per l’applicazione e discrimi¬ nazione di caratteri tassici, di riconoscimento delle forme nel senso- stretto della parola, ma in quello tanto più vasto e più alto della comprensione dei viventi, va fortunatamente orientandosi , e appli¬ cando tali indirizzi di indagine. Per il primo sovraindicato, volto alla assicurazione della entità e posizione tassica delle piantine, della

C) Gf. ABIETTI, L. Fenaroli, V. GiACOMiNi : Saggio per la distribu¬ zione ecologica e variabilità della Campanula elatinoides Moretti, endemismo- insub rico. Memoria pubblicata dalla Camera di Commercio di Bergamo e ristampata conforme nel « Supplemento agli Annali della Sperimenta^.. Agraria'». Nuova serie, voi. 9, 1955.

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Viola in ispecie, rindagine citologica sarebbe di non estrema diffi¬ coltà ; facile, vorrei dire, f esame a fresco del genoma su gii elementi dei meristemi apicali delle radichette col carminio acetico; impegna¬ tivo quello della più precisa morfologia cellulare.

Nelle piante sono stati scoperti fatti genetici suggestivi per am¬ piezza e chiarezza. Grande importanza è stata riconosciuta al sommarsi dei fattori genetici con quelli topogTafiei: quando una popolazione.' e la sistematica odierna più profonda e precisa tende sempre più a considerare popolazioni invece del singolo individuo, campione feno¬ tipo quando una popolazione è staccata e isolata dalle restanti con¬ sorelle interfeconde, può con facilità accadere che i fattori genetici si affennino con caratteri propri determinando una nuova forma isolata, si determina la microevoluzione, sostenuta dai fatti topografici, eco- gici. Si possono avere e generalmente si hanno non sole differenze morfologiche ma peculiari fatti ecologici determinati dalfisolamento topogTafico e determinanti un isolamento riproduttivo : la barriera genetica dopo aver determinato manterrebbe la nuova forma isolata.

Non possiamo certo soffermarci in questo scritto a considerare molto più da vicino le nostre piantine precisamente endemiche in un ben limitato areale : ne potrebbe venire magari un volume ! Il Ghigi, se pur esaminava piuttosto per il mondo animale il problema della specie, stringava in poche dense righe riassuntive di un suo scritto (^) quanto si potrebbe veramente riferire anche alle piante: e io, per la lunga competenza ed esperienza, teorica e sperimentale, dell’ A. le ripeto, che i progressi dell’ultimo decennio hanno se mai rafforzato e sviluppato i sintetici concetti del chiarissimo Zoologo di Bologna : « Come la vita è attributo indissolubile degli organismi viventi, così ciascun organismo vive secondo le modalità e le esig’enze della propria specie. La specie costituisce dunque il problema differenziale della biologia, che investe fatti morfologici, fisiologici, genetici ed ecolo¬ gici. Condizione necessaria, ma non sufficiente perchè i caratteri degli organismi siano specifici, è che essi siano trasmissibili per eredità. Tali caratteri possono variare per cause tanto intrinseche quanto estrinseche, dando luogo a modificazioni, ora stabili ed ora effimere. La Genetica sperimentale ha condotto a precisare meglio il concetto di specie, i cui caratteri sono Testrinsecazione di geni allineati nei cromosomi, geni che influenzandosi reciprocamente e subendo in-

(^) A. Ghigi : La specie; Scientia, V. 83, fase. 187-18S, 1948.

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fluenze ambientali, si rendono responsabili del fenotipo individuale e specifico. Molti fenotipi, cui si attribuisce carattere di specie, sono il risultato di incroci i quali seguono le leggi del Mendel e quando quelli, specialmente in seguito ad isolamento geografico, formano una popolazione di genotipi costituita da individui omozigoti per tutti quei caratteri che si contrappongono ad altri omologhi di una popo¬ lazione affine di genotipi, colla quale la prima avrebbe la possibilità fisiologica di incrociarsi, abbiamo la razza. Le differenze citologiche, chimiche, sierologiche non sono sufficienti a distinguere le razze dalle specie. Queste possono essere definite come « entità biologiche cui l’isolamento fisiologico permette di conservare nei discendenti il com¬ plesso dei caratteri comuni ai vmri fenotipi che le compongono ed im¬ pedisce loro di mescolarsi ad altri complessi affini ».

Nella mia nota ch’ebbi a citare per l’anomalia fiorale del giglio rosso (pag. 34) riportai una densa pagina di un altro maestro gene¬ tista zoologo nostro, M. Benazzi dell’Università di Pisa, che nel trat¬ tare di una specie alpina di Planaria riassumeva dati e concetti che potrebbero essere ben considerati anche per i brevi stretti endemismi floreali delle montagne di Lombardia. Mi si perdoni, per il mio me¬ stiere, se ricordo ancora zoologi oltre il v^ecchio sempre validissimo amico dell’Ateneo felsineo, dal Cuénot coi suoi volumi di un trentennio su la speciogenesi, ad alcuni dei nostri, per far qualche nome oltre al Benazzi a me particolarmente caro, il D’Ancona maestro di molti indirizzi, il Tortonese che conosce e sa guardare a fondo tanti animali, il che non è poco, il Sacchi giovane che sa v^edere e rilevare.

E’ comparsa or ora la terza edizione, aggiornata, della maggior opera di un massimo studioso di genetica (^) e ne è annunciata una (“) specialmente dedicata al mondo vegetale ; apertura ed ammi¬ razione vengono dalle iniziative della « Association for thè Study of Systematic in relation to General Biology ».

Ai complessi fatti intimamente legati nei singoli viventi, a quelli in senso lato di spazio e d’ambiente, a quelli di tempo, che la paleonto¬ logia aveva •imposto magari attraverso sorprendente e diremo incon¬ cepibili artifici, fu col Darwinismo che si è raggiunto in pieno il pro¬ blema dell’ereditarietà. Dalla prima ormai vecchia ampia sintesi, ora

(^) Th. Dobzhansky: Genetics and thè origine of species - Colum¬ bia University Press - 1958.

(^) G. L. Stebbins - Variation and evolution in plants. ibid.

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oggetto di critica, ma che per il mondo animale ha nassnnto e pro¬ dotto molti frutti, dalla legge biogenetica fondamentale, quanto cam¬ mino fino alla scienza genetica attuale!

Quanto cammino da quei primi fatti rilevati da De Vries, al- Tinizio del secolo, dalla riscoperta delle leggi del Mendel, dalle prime sperimentazioni col famoso moscerino, fino agii ibridi artificiali utili¬ tari del mais, dei frutti, dei fiori !

Ma pur sovente la scienza è ancora incerta, opinabile direi, nelle valutazioni sogg’ettive, nelPadditare la ereditarietà : quelle piante pic¬ cole endemiche potrebbero offrire contributi alla ricerca e al pen¬ siero.

E una data storica è da ricordare, che si avvicina la ricorrenza centenaria del più profondo rivolgimento intellettuale e spirituale dopo Galileo: «L’Origine delle specie» compariva il 24 novembre 1859 nella sua prima edizione di 1250 esemplari esauriti nella gior¬ nata: una breve comunicazione dell’anno prima, del Darwin in col¬ laborazione col Wallace 0 aveva determinata l’attesa.

Species tot sunt quod ah initio, che aveva ancor mantenuto il maggior ascendente se pur dubbi e fatica di studi e di pensiero fos¬ sero già sorti, andava a cedere alla concezione che quelle specie di tutti i viventi, la nostra, compresa, considerate fin allora entità sta¬ tiche, fisse, immutabili, dovevano essere riguardate quali stadi, mo¬ menti di processi di un continuo divenire : era un capovolgimento. E se forti e talvolta burrascose furono le opposizioni, ben si può dire che nello scorrere del secolo da tutto il mondo della coltura, alta e modesta, e pur dalla più dura e più duratura negazione, da tutti e per tutti, il profondo mutamento è stato accolto.

E il gran vecchio dorme or placido in quell’avello, che fn con¬ trastatissimo, nell’Abbazia di Westminster, presso la tomba di Newton, a fianco di quella dell’astronomo Johannes Herchell, e non lungi è la lapide del suo padre William, alibi sepultus, qui coelorum pernipit claustra ; ancora vicini sono i medaglioni di J. Stokes, fisico mate¬ matico di J. C. Adams, qui planetam Neptunum calculo monstravit, di Lord Lister cui tanto deve rumanitù sofferente, di A. R. Wallace

(P Darwin Oh. a. Wallace Alfr. Russ. On thè tendences of species to form varieties and thè perpetuation of varieties and species bv naturai means of selection: connnunicated by Sir Ch, Lyell and J. D, Hooker. Joiirn. Proc. Linnean Soc., v. 3. London, 1958.

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(1823-1913) appena qui sopra ricordato, e ancora di Darwin con la sua gran barba, by those who in inany lands bave uniteci to perpe¬ tuate thè memory of Ja. Pr. Joule, in recognition of Services to Science in establisliing thè law of thè conservation of energy and deterini- ning thè inechanical equivalent of heat; e poi del botanico Hooker, del chimico Rarnsay; sempre non lungi dalla tomba del Darwin sono quelle dei musici, e ricordo solo il Purcell compositore del secolo de- cimosettimo tuttora apprezzatissimo : e solo su un lato del gran tempio. Giù il cappello davanti agli altissimi ricordi che onorano la umanità !

Ma torniamo alle nostre piantine: quando ebbero origine'?

La catena delle Alpi Orobie emergeva isolata dal grande gelido manto dei tempi glaciali, mentre la lenta maestosa fiumana abduana lasciava gli ancor attuali resti delle sue morene laterali fin verso i duemila metri; il Gruppo Centrale, il più complesso e Punico che at¬ tinga brevemente oggidì i 3000' m., dove sono i territori della sangui- sorba e della violetta descrittevi dal Massara, era una delle maggiori isole della gelata distesa lombarda. Ogg’etto d’ipotesi, di discussioni sono state per molto tempo, e in parte lo sono ancora, le cause deter¬ minanti le glaciazioni e il loro svolgimento. La Serra d’Ivrea, l’anfi¬ teatro di Rivoli, quello Brianteo, quello del Garda ci dicono la im¬ mensa portata e durata del complesso maggior fenomeno : ma quando e come avvenne il ritiro, i ritiri delle successive glaciazioni, la disso¬ luzione di quella coltre di due migliaia di metri di spessore e della lunghezza di centinaia di chilometri'? Si direbbe rapida nella sua maggior parte, quella più a valle, per la relativa scarsità di docu¬ menti della retrocessione. Ma a percorrere le alte valli si incontrano momenti di arresto, quando ormai i ghiacciai dovevano aver assunto aspetto quasi quale possiamo raffigui’arci, che poteva essere, fra quelli attuali, dell Aletsch e del Baltoro. Quanti osservatori risalgono questo ramo occidentale della Valle Maleneo, ove io scrivo, vedono a S. Giuseppe, a IdO'Ù m. una stupenda morena, incisa e scalzata dal Mallero, con caratteri suoi particolari che potremo perfin dire quasi di dimostrazione scolastica: ci son voluti di certo lunghi tempi perchè il ghiacciaio, fermo in tali suoi limiti, potesse edificarsi tanto monu¬ mento frontale : l’uomo cominciava probabilmente in quei lunghi tempi a risalire le valli, alla ricerca di selvaggina, e le montagne, le pendici, ormai libere, si coprivano di verde. Il Nangeroni, con vi-

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sione d’esperto, ha dato una pittoresca descrizione con degli schizzi delle vicende che dicono le morene quaternarie della Val Malenco (^).

Credo sia stato Alberto Heim, il celebre geologo del Politecnico di Zurigo che dedicò tutta la vita allo studio delle Alpi, a concretare il primo calcolo della durata di 16 mila anni dei tempi postglaciali : calcolo che non può di per già non impressionare : quando si pensi che in tempi più recenti il geologo svedese De Geer svolgendo un metodo sicuramente analitico, della numerazione delle sedimentazioni dei materiali frontali durante la fusione dei ghiacci, per il caratteri¬ stico alternarsi di materiali grossolani estivi con quelli fini inver¬ nali, le varve, in serie regolari succedentisi e facilmente numerabili è arrivato a conclusioni vicine (^),

E più ancora il matematico Milankovith, di Belgrado (0, clie, partendo dai tempi e dai rapporti della radiazione calorifica solare studiati dal climatologo Kòppen, ha calcolato con grande profondità ed alacrità le variazioni secolari e millenarie del moto kepleriano della Terra, che la meccanica celeste concede di determinare per l’azione gravitazionale degli altri pianeti, fornendo dati per spiegare i fe¬ nomeni climatici delle diverse ere geologiche, e cioè una paleocli¬ matologia valida per più di mezzo milione di anni precedenti gii at¬ tuali, con suggestive concordanze con i più accetti risultati dei geo¬ logi.

Per cui mi trovo quasi titubante quando debbo pensare che il mio paesaggio valtellinese, primamente abbozzato nei tempi ceno- zoici, innalzato ancora nel vicino pleistocene, quasi di un ieri geolo¬ gico, con tutto il sistema delle Alpi, di un migliaio di metri e perciò

(^) L. Gr. Nangeboni: Morene stadiarie nella Val Malenco. Atti Soc. It. So. Nat., V. 69, Milano 1930.

(2) Chi voglia aver maggiori notizie al proposito veda, negli Atti della nostra Società (voi. 92, 1953) la memoria di V. Vialli «Le varve e la geocronologia assoluta degli ultimi 15 millenni ».

(®) I calcoli, gli scritti del Milankovitli non credo siano di lettura per tutti, non certo per lo scrivente. Però è di pochi anni una lucidissima esposizione critica, comparsa su la nota rivista « Scientia » (voi. 87, n. 180, 1952) « Applicazioni geofische della meccanica celeste » di Carlo Somigliana, (cui lo scrivente ebbe l’alto onore di essere per molti anni collega di Facoltà alla Università di Torino): che dimostrò, all’età di 92 anni, nella chiara alta complessità di quello scritto, la tempra di « uno di quei più illustri rappresentanti della Fisica matematica classica -^he hanno contribuito a tenere alto il prestigio della Scienza italiana » (C. Agostinelli).

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già ben modellantesi per la più attiva erosione, rifinito, direi, dalie- grandi lime glaciali del quaternario, si « è fatto » al massimo nella, ultima dozzina o quindicina di milenni : la sorpresa ci prende osser¬ vando certi grossi fatti, come le forre* certamente postglaciali dei tor¬ renti laterali, si vedano quelle di sinistra del terziere di mezzo, le splendide Cassandre del Mallero, subito alle spalle delPabitato di Sondrio fino alle case del Gombero, la cui nera forra appare nella pur ridotta stampa che orna le prime pagine di questo scritto, pro¬ fondo selvaggio baratro iniziantesi qual netto taglio nel verde ri¬ dente U glaciale di Arquino modellato dal grande ghiacciaio con¬ fluente nel maggiore abduano, col quale i massi del gxanito e del ser¬ pentino di Malenco erano carreggiati fino in Brianza (^) ; e mentre il taglio si iniziava, il ghiacciaio ritirandosi, individuandosi, sostava a erigere la prima gTande morena stadiaria, or tutta a vigneti, fra i quali s’inerpicano, relitti di storia umana, i ripidi tornanti della più antica mulattiera penetrante nella valle; come ancora son colto da stupore al considerare il gTan conoide della Fiorenza prodotto dal breve se pur insubordinato onomatopeico torrente Ron: del Ron, che dal piccolo placido circo glaciale dell’ omonima alpe, antica valle sollevata, è prepicitato e sempre precipita, erodendo tutto un ampio monte, per stendere ai piedi, nel massimo conoide della gi’an valle, le sue rovine, a sospingere l’Adda, al Ponte di Sazzo, veramente a co¬ stringerla senza possibilità di scampo, contro le nude rocce basali della sponda orobia : ehi salga a mirare di faccia, e vai la pena, dai bei prati dei Briotti, ha la chiara visione che una potentissima mano adatte¬ rebbe, si direbbe con precisione di misura, quel cumulo alla sua ori¬ ginaria sede, colmando la grande erosione del piccolo Ron: restan¬ done ripulito il fondo valle quale l’ultima gTande espansione glaciale abduana aveva di certo modellato: non si può che restare sorpresi,, noi almeno, che non abbiamo la mente adeguata ! C).

(^) Più presso al limite delPabitato di Sondrio, ad oriente del Ca¬ stello Masegra, in qualche scavo profondo si sono rinvenuti materiali ser- pentinosi che non possono interpretarsi se non per esclusivo trasporto del Mallero: che or corre tanto più basso ad occidente del Castello: e che prima di incidere le profonde distanti Cassandre, dev’essere colato giù,, da Ponchiera, ad oriente!

(-) Chi abbia vaghezza di conoscere quanto di fatti e di teorie sono*- stati ancor recentemente considerati circa il sempre dibattuto problema, delle glaciazioni quaternarie potrà trovarne una profonda trattazione in « Problemi attuali di Scienza e cultura, (quaderno n. 16) » dedicato a le Epoche glaciali, pubblicato nel 1950 dalla Accademia dei Lincei: vi

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Ma c’è da divagare un po’ anche con la scienza atomica! Per noi vecchi, iniziati e cresciuti sulla fondamentale e immutabile unicità dei singoli elementi e dei singoli atomi, quel sovvertimento intellet¬ tuale è stato quasi una tragedia spirituale.

E’ ormai cognizione diffusa che l’uranio si disintegra con len¬ tissimo ritmo mutandosi in torio, radio, bismuto e definitivamente in piombo : a concedere indagini su l’età delle rocce, anzi della Terra l Ma i tre elementi più diffusi con l’azoto a costituire ogni so¬ stanza vivente, l’ossigeno, l’idrogeno, il carbonio, hanno atomi va¬ riabili; il tipico peso atomico 16 del primo varia, in proporzioni mi¬ nori, a 17 e a 18 : H. C. Urey, con razionale procedimento che sa¬ rebbe un po’ lungo ad esporre, stabilendo le proporzioni di ossigeno pesante nelle spoglie degli organismi marini accumulati a costituire antichissime stratificazioni sedimentarie, calcolò la temperatura de¬ gli oceani, con notevoli variazioni nel volgere di milioni di anni: fu ad es. un notevole abbassamento fra 60 e TO' milioni di anni fa, e proprio di quei tempi è la scomparsa dei rettili giganti. Dell’idro¬ geno si è parlato assai del pesante, deuterio, per la tragedia umana: piuttosto raro; ma rarissimo è il pesantissimo tritio, radioattivo tra- sfoiTuantesi in un dodicennio nell’inattivo elio : la dosatura del tritio in una sostanza che fu viva o derivata, ne eonsente la datazione se non troppo lontana. Willard Frank Libby ideò e applicò questa in¬ dagine.

Ma il Libby, membro della Commissione Atomica americana, fu il primo specialista per gii isotopi a far conoscere il metodo di da¬ tazione col radiocarbonio : tutti ormai sanno che una piccola frazione di, quel carbonio, che è essenziale e prevalente costituente di ogni so¬ stanza animale e vegetale, è radioattiva, il radiocarbonio o carbonio 14 :

e mentre il restante, in massima proporzione, è immutabile, il radio-

*

carbonio si disintegra durante la vita dell’organismo piuttosto rapida¬ mente, più lentamente nei resti mortali, fiuo a scomparire dopo circa otto decine di migliaia di anni : si crede originato negli alti strati dell’amosfera per il bombardamento dei rag’gi cosmici, vi brucerebbe

hanno contribuito studiosi autorevoli, geografi, geologi, geofisici, bio¬ logi, astronomi: per la Botanica assai ragguardevoli contribuzioni furono quelle meritevoli di particolare considerazione di A. Chiarugi. « Le epo¬ che glaciali dal punto di vista botanico », e l’altra di E. Tongiorgi « Le- epoche glaciali dal punto di vista paleoclimatologico ».

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in anidiide carbonica, radioattiva, che le coiTenti d’aria fanno arri¬ vare al suolo, ove assimilata dai vegetali verdi, origine prima di ogni sostanza organica sulla Terra, per tal mezzo aiuivando anche nei corpi animali; molte misurazioni sugg’estivamente concordanti su mate¬ riali torbosi hanno indicato la data di una dozzina di millenni per la fine dell’ultima glaciazione ; in accordo per l’Europa e per la America.

Le piccole baite dell’Alpe Pirola, alte a mezzodì su Chiareggio, sono a 2096 m. : buon punto per osservare la maggior parte delle montagne che incombono su la conca, su le quali una evidente linea orizzontale uniforme traccia sui 2000 m. il limite della vegetazione arborea, degli abeti e dei larici : il bosco che da Chiareggio sale con¬ tinuo verso l’Alpe si arresta decisamente su le pendici più giù delle baite. Sopra le baite è il Lago di Pirola 2263 m. alla sua sinistra li¬ mitato nettamente dalle masse rocciose ofiolitiche mesozoiche che omo- geneee e continue costituiscono tutto quel complesso orogTafico che sta, grossolanamente parlando, a oriente del Monte della Disgrazia, nei pressi del quale lo troviamo limitato dalla grande e più recente formazione guanitica che diremo del Masino, forme prestanti della quale se ne ammirano dalla Pirola verso occidente; la sponda destra del lago è invece tutta silicea, di assai più antica formazione gneis- sica-scistosa : il lago si è originato da un distacco o dilacerazione se¬ condo la linea di contatto fra le due formazioni litiche. Nel secondo decennio del nostro secolo una galleria scavata a livello del fondo ha vuotata la massa d’acqua permettendo Cjuindi di costruire la diga che ne ha ampliata la capacità a fine idroelettrico. Sul fondo del lago si rinvenne un ammasso di grossi tronchi di conifere ottima¬ mente conservati, celati nel gelido ambiente : costituirono una prov¬ videnziale provvista di combustibile per tutta la dui’ata dei lavori della diga. Xelle prime centinaia di metri più bassi del lago, come si è già detto, e nella vasta conca e sulle pendici sovrastanti al lago oggidì non vi sono alberi, non un solo alto fusto : C|uella pro^^ùsta di legna si era preparata nei tempi (secoli, millenni) nei Cjuali la vegetazione doveva essere ricca ed abbondante sovra i 2300 m.s.m. : oggidì la flora della zona è, a seconda del suolo e dell’esposizione, alpina, e cioè a cotica erbosa continua, o alpina nivale cioè a forma- -zioni prative interrotte e a zolle isolate, proprie della zona a macchie

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di neve (^). Una notizia abbastanza ampia del ritrovamento dei tron¬ chi sul fondo del laghetto alpino, unitamente a quella, raffigurata anche in fotografie, di un curioso e difficilmente spiegabile feno¬ meno di dinamica teiTestre, diedi molti anni or sono ( ). Altri fatti possono eventualmente accordarsi con cpiello di Pirola: nella Mono¬ grafia sui laghi della Val Malenco (^) Xangeroni ha riferito che alla torbiera di AcquanegTa, a 2113 m., al limite superiore del bosco cui superiormente non sono che magli cespugli di ginepro e di rodo¬ dendro, furono trovati tronchi di larice e di cembro, questo oggidì rarissimo anche a livelli inferiori; e C. F. Cappello C) ha dato no¬ tizie di rinvenimenti a livelli superiori di alcune centinaia di metri ad ogni attuale vegetazione arborea, di grossi ceppi e grossi tronchi, in lavori di sterro e pur in un lago; inclinando a ritenerli di epoca storica, vicina ai tempi attuali, rafforzando tale interpretazione con varie interessanti notizie; pur il Nangeroi ritiene i materiali suddetti di tempi non molto remoti, di condizioni climatiche adatte allo svi¬ luppo delle grandi conifere.

Portai con me alcuni dei pezzi del legno di Pirola, e li conser\’ai fin quando a Milano sorse, anche per la munificenza del carissimo indimenticabile nostro Marco De Marchi, l’Istituto Sperimentale del Legno C) ; ricerche su quei pezzi, che vorrei augurare custoditi, do-

(^) ScHROEDER C., Das Pf lanzeiilebeiL der Alpeii: Fine Schilderimg

der Hochgebirgsflora, Zuricli, 1908.

(^) A. Corti: Nel gruppo del Disgrazia, Studi ed esplorazioni, Miv.

Cluò Alp. It., V. 41, 1922.

(®) Natura, v. 21, Milano 1930.

(^) C. F. Capello: Contributo alla conoscenza della variazione del clima nelle Alpi Cozie in epoca storica, Att. Soc. It. Se. ISat., v. 80, Milano 1941.

id. id. Alcune notizie sulle oscillazioni del limite superiore del bosco nelle Alpi Occidentali: Natura, v. 37, Milano, 1946.

(5) A Eaffaele Cormio, che un passionato interesse e lunghi decenm di fatiche fecero profondissimo conoscitore del legno, tutti sanno, o al¬ meno dovrebbero sapere, che è stato intitolato l’Istituto, Civica Siloteca Cormio: al presente, dopo la morte del fondatore, par che ogni attività vi sia inibita da condizioni di fatto : il che è veramente doloroso. Le pubblicazioni che il Cormio ci ha lasciate rivelano vastità di cognizioni, di intenti; ricorderemo anche per il molto interesse naturalistico, la mo¬ nografia sui Silofagi marini (Teredini, Bankie, Limorie, Chelure ed altri distruttori immersi nel mare) fmtto di lunghe esperienze, di anni e anni, compiute in gran parte all’Istituto di Biologia marina di Eovigno, anche ^on risultati non comuni di conoscenze di zoologia e di ecologia. Poco

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vrebbero dare indicazioni di nna certa lirecisione su la tanta pro¬ fonda variazione climatica nel breve tempo geologico più vicino a noi, determinante quel profondo, massiccio cambiamento delle con¬ dizioni della vegetazione quale quello della sicura esistenza di densi rigogliosi boschi di conifere a livello tanto più elevato delhattuale ! A darci possibilità di ampie considerazioni. Ci domanderemo allora anche le condizioni della vita vegetale su quelle isole dei monti Orobi ove oggi vivono veramente isolate le piantine che abbiamo lasciato nelle pagine addietro ; e forse potremo pensare qualcosa, al di fuori degli ignoti fattori determinanti diversi, per la loro origine.

Il Chiarugi nel suo denso studio ricordato concludeva ; « Nella flora alpina gli endematomi che hanno valore sistematico elevato che presentano forti disgiunzioni geografiche si chiamano « paleogenici » e sono relitti caratterizzati da rigidità ecologica e sistematica : quelli che hanno valore problematico minore, generalmente varietà e pic¬ cole specie, localizzate in aree disgiunte non molto lontane fra lorcv si chiamano « neogenici » e sono di origine recente.

Le ricerche deH’azione dalle epoche glaciali sugli organismi pla¬ stici permette quindi di seguire nel tempo^ il fenomeno evolutivo e di introdurre nella filogenesi delle specie il concetto della cronologia. Si è così giunti alla affennazione (F. E. Zeuner, Biological Evolu- tion and Time, 1946) che nell’evoluzione naturale per la formazione di due specie da un comune antenato non occorre meno di circa mezzO' milione d’anni. Le differenziazioni che avvengano in periodo di tempo inferiore non oltrepassano il valore di vai’ietà o di sottospecie e sono fra loro ancora interfertili. Ciò rappresenta un dato molto importante per la genetica, perchè il lasso di tempo necessario per la formazione naturale di una nuova specie è troppo lungo per essere suscettibile di esperimento. Soltanto l’esatta interpretazione dei rapporti filoge¬ netici da parte del monografo sistematico e biogeogTafo, alla luce della, doeumentazione delle condizioni geologiche e climatiche dell’area di differenziazione specifica durante la glaciazione, può far progre¬ dire questo importante capitolo della genetica ».

Poiché non è ragionevolmente proponibile die le piantine ende¬ miche dei monti lombardi si possano presumere originate in tempi

dopo (1949) Hoepli pubblicava il gran volume «Legno e legnami, di¬ fetti, cause e rimedi » dove il teorico e il pratico si sommano, fino a. quello più umano dei damii ai lavoratori di determinati materiali, in una stretta unione della conoscenza obbiettiva col calore dello spirito.

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anteriori alla definitiva scomparsa deirultima glaciazione, che siano cioè migrate e liniigrate per accantonarsi definitivamente nei piccoli areali, per l’autorità delle affermazioni qui sopradette, per quanto si è accennato in queste troppo lunghe e mal proporzionate pagine _ e il pudore delle incompetenze ha rietato ogni pur minimo ac¬ cenno ai fattori determinanti più intimi e diretti delle specie -- si ripete a conclusione l’augurio di indagini verso conoscenze dettagliate c sicure: il Darwin, con la sua alta autorità morale asseriva, che af¬ fermazioni o pur solo supposizioni ipotetiche o teoriche cadono di botto quando un sol dato sicuro di fatto le contrasti.

Dai limitatissimi endemismi alpini lombardi, i fatti ben pre¬ cisati, l’applicazione dei concetti della scienza moderna, potrebbero dare e ricevere molta luce.

Ma torniamo, per chiudere, alla cronaca umana.

A un decennio dalla tragica scomparsa del Dottor Massara assu¬ meva la condotta medica di Montagna il Dottor Telecro Corti (1823- 1888) laureato a Pavia, nonno paterno dello scrivente: benché non avesse legami ufficiali con il Comune di Albosaggia, so che il me¬ dico di Montagna, come già il Massara, frequentava per la sua pro¬ fessione gii abitati della opposta sponda della Valle ( ). Per una ma nifesta chiara simpatia per la causa della liberazione dal giogo stra¬ niero, il Dr. Corti si convinse della opportunità di allontanarsi dalla Valtellina, e andò a esercitare il suo ministero nella pianura lombarda.

(^) La condotta medica di Montagna, al tempo dei nostri botanici, si estendeva anche nella Valmalenco, almeno fino ad Arquino: «quegli antichi medici che avevano comune con il procaccia il lieto destino di per¬ correre a piedi, 0 a cavallo, l’intera circospezione affidata alle loro cure, e che da quell’esercizio quotidiano traevano, oltje alla fiorente salute, una cara dimestichezza con la terra e con la gente » (e di certo, noi di¬ ciamo per i nostri, quella desiderosa per le piante e per i fiori): così a proposito di uno scritto del Dottor Bartolomeo Besta « Sulla condotta di Valmalenco in Valtellina », del 1861, non molto posteriore quindi ai tempi che abbiam visto: presentato da E. Mazzah in «Poeti e letterati in Val¬ tellina e in Valchiavenna », Sondrio, 1954: aureo volumetto questo, dal quale, alla compiacenza per tante notizie raccoltevi, ben si unisce il godi¬ mento per la avvedutezza e l’interesse dei giudizi e la venustà della forma: con tali sue doti personali il Mazzoli in tempi vicini rievocò più particolar¬ mente e bellamente il medico Besta nella più volte citata Rivista « Vai- tellina e Val Chiavenna » anno XI, marzo 1958.

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a Mozzate e a Cuggiono; però nel 1863 era nominato Medico Diret¬ tore dellOspedale di Sondrio, dove durò per nn quarto di secolo, fino alla sua morte.

Uomo per derivazione familiare di non comune desiderio di coltura studiò da solo le lingue modenre negli aimi che fu a Montagna si dedicò con grande alacrità alla Botanica: può darsi che ambisse alla Flora Valtellinese, a completare e coronare l’iniziativa dello sventurato scomparso Collega : non ne sono però rhuaste trac¬ cia, scritte, nè, anlvate al nipote, orali.

E’ rimasto invece un accurato e voluminoso suo manoscritto, di poco meno di 750 pagine, tutte ordinate in una chiara grafia tipica della metà del secolo scorso : lo si dovrebbe dire un’opera di Bota¬ nica Sistematica, in quanto vi sono trattati tutti i gruppi vegetali, dalle Alghe ai Funghi, Licheni, Epatiche, Muschi, Equisetacee, Felci, Bizocarpee, Ipossilee di Linneo « da classificare secondo Adriano Jusseu»: son svolti e talvolta solo elencati 284 gTuppi, per le Critto¬ game i nove sovradetti, per le famiglie delle Fanerogame i restanti; sono dati i caratteri dei gruppi e quelli distintivi dei generi, sovente ricordato il sistema di Linneo : elenco e talvolta descrizione di specie, con osservazioni: le località indicate sono per lo più quelle del Pro¬ dromo del Massara.

Mi sono più volte chiesto, ed ho fatto C|ualehe indagine, circa la sorte, il destino degli essicati del Massara : ma sopratutto su le fonti bibliografiche dei due medici di Montagna. Nulla ho potuto sapere per il Massara, su quali basi compì il lavoro di riconoscimento delle tante e tante forme : ed egualmente per il Nonno mio : che lasciò una discreta libreria, non solo di testi di Medicina, ma d’altre scienze. Fi¬ sica, Chimica, Biologia : nulla di Botanica, se non il Prodromo Massa¬ riano con le annotazioni a matita, a ciascun genere, della Famiglia secondo Jussieu. Ancora non esisteva la Biblioteca Civica di Sondrio, ora intitolata a Pio Kajna, sorta nel 1861 per un lascito di libri e di un reddito annuo del già ricordato sondriese P. M. Rusconi, al presente assai ben ambientata e diretta; ancor oggidì non v’è alcuna opera fondamentale, se ne togli, ora, i sette volumi della Plora del Comolli, recentemente avuti dallo scrivente : studente universitario, li acquistai, intonsi, a Como, per poco denaro da un rivenditore di libri usati che ne possedeva altri esemplari.

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Nel manoscritto del Teleero Corti, che or ora ho pur donato alla Biblioteca di Sondrio, cimelio di tempi e di livelli trapassati, non vi è alcuna indicazione di opere fondamentali di Botanica sistema¬ tica (^) : per talune famiglie, delle più laboriose, ricorre spesso la citazione del Comolli, ma solo del primo tomo (si dovrebbe dire che non fossero noti i seguenti, che, parecchi almeno, videro la luce in tempi precedenti al lavoro del Corti) ; per le piante velenose è citato laconicamente un Man. Med. Leg. des Poissons, altrove la Gazz. Med. It., il Journ. des Connaissances Medico-Chirurgicales, dal 1832 al 1854, e il Trattato dei Giardini del Piacere in più tomi (ricorda le 150 specie di Pelargonium !) C): indicazioni tutte in margine, evi¬ dentemente di tempi posteriori.

Noi sovente ci lamentiamo : con mezzi di certo ben scarsi e la¬ boriosi quei nostri vecchi facevano, e seriamente : che bravi !

Tempo è trascorso dall affermazione del grande Linneo che volli porre in epigrafe a queste pagine sconnesse ; « Infinite sono le cose che non furono in esperienza » lasciò in testamento il sommo Leo¬ nardo : molto è stato fatto, Tabbiam visto, per lo studio del mondo vegetale in Valtellina : ma la conoscenza con il dilatarsi si appro-

(^) La sventurata scomparsa, di questi giorni, della Prof. Giusep¬ pina Zanoni, Direttrice dell’Istituto Botanico dell’Università di Genova, mi induce a ricordare la Sua trattazione della Sistematica dei Vegetah « Problemi e metodi della Botanica Sistematica » di pag. 850 con 224 fig. Genova, 1956 ; pubbhcata col troppo modesto scopo di fornire una base agli studenti universitari, è a sicuro giudizio la più ricca di dottrina e di metodo che io conosca, al di sopra, fuori veramente delle solite, trite schematiche elencazioni, poiché l’aridità sistematica vi è tutta illuminata da scienza e conoscenze. La parte speciale, prima, nella ricca rassegna delle categorie, tratta del rilevamento dei caratteri,' della loro valuta¬ zione e interpretazione filogenetica, delle difficoltà: ed è preceduta da una parte generale sul significato della sistematica e da un ampio ric¬ chissimo esame del problema della specie.

(^) Si può ritenere più che probabile il riferimento a : « Istruzione teorico-pratica nell’arte de’ giardini di piacere, compilata dai dottori Giuseppe Moretti professore ordinario di botanica nella i. r. univer¬ sità di Pavia e Carlo Chiolini decano della facoltà medico chiinirgica farmaceutica nella stessa università. Seconda ediz. Milano 1840, in due voi. di complessive 900 pagine e 2 tav, ». La prima ediz. era stata nel 1828-29.

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fonda, e perciò è d’uopo non sostare, non allentare: l’anelito alla ri¬ cerca, al sapere, innalza, nobilita l’uomo. La Valle che ha espresso j\Iassara, Anzi, Longa, Andres, che ha chiamato con le sue bellezze entusiasti e faticati modesti ed illustri d’Italia e di tanti Paesi, con¬ tinuerà a dare ciò che Natura riserva, perchè gli idealisti possano exercere . . . et gaudere.

Chiareggio in Val Malenco, il 24 luglio 1958.

Divagazioni postume :

A complemento della nota a pag. 6: Le opere del Brockendon, ermai quasi rarità da bibliofili, sono naturalmente tutte reperibili al British Museum (la cui sala di lettura, celebrato capolavoro di inge¬ gneria, fu disegnata nel 1857 dall’Architetto italiano Pennizzi). In « Illustrations of thè Alps by vrhich Italy communicates with France, Switzerland and Germanv, 2 voi. London 1828-29 » testo e bellissime vedute illustrano i passi del Piccolo e del Gran S. Bernardo, del Mon- cenisio, Monginevro, Sempione, San Gottardo, S. Bernardino, Spinga, Stelvio, Grimsel, Brennero, Tenda e Argenterà, nonché le principali città e paesi delle zone, in 96 tav. incise su acciaio e 13 schizzi topo¬ grafici: per la Valtellina oltre la veduta di Sondrio possono interes¬ sare la visione del Ortles in veste invernale dal passo dello Stelvio, e, non fra le più felici, quella dei Bagni di Boimiio. A complemento della pag. 10-11, il Brockendon fa della nostra valle un quadro per il quale sono di conforto i profondi mutamenti da quei tempi : « This -squalid appearence is hightened by poverty and few districts present a more miserable race of people, afflieted as they are with goitres and cretinisme, thè coneomitants of filth ». Della Valle presso Sondrio dice che « thè productions of this part of thè valley are well known, and thè wine of thè Valtellina has an extensive celebrity; but thè wines appear to be ili trained and thè vinyard mismanaged. Numerous mul- beriw trees are cultivated for silk woimis and thè soil is so produc- tive that two harvests of Indiali and other corn are gathered in thè year ». Non lusinghiera impressione è pur quella di Sondrio che, città principale della valle, per i frequenti passaggi deteiininati dallo Stel¬ vio, dovrebbe essere in condizioni di offrire migliore accoglienza. Chi scrive, ripetendo quanto ha già accennato, ha visto in gioventù pel-

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lagra, gozzismo' e cretinismo: ricordino sempre i Valtellinesi, nelle tanto più umane attuali condizioni, quel Dott. Mug’gia, vittima, per la sua origine, dell’esecrato delittuoso fascismo, che qual apostolo so¬ stenne e fece distribuire ovunque, all’insaputa degli utenti, il sale di cucina con dosi infinitesime di iodo a debellare completamente le deturpanti affezioni tiroidee, appena che il g'rande ÙVagner Jauiegg, dell’Università di Vienna, premio Nobel per la sua ideata e attuata cura della paralisi progressiva con l’artificiata infezione malarica, ne ebbe scoperta controllata e applicata, la sicura peculiare azione pre¬ ventiva.

In tempi veramente odierni è uscita una monografia di V. Già- comini, con appendice di R. Ciferri: «Alle origini della Lettura dei Semplici (1546) dell’Orto dei Semplici (1558) e dell Orto Botanico (1773) nell’Università di Pavia » magnificamente illustrata con ripro¬ duzioni di documenti, di edifici e di giardini (Pavia, marzo 1959): l’epigTafe, affermazione di un grandissimo, è di una preziosità da riportare a gioiosa sentimentale chiusura di queste pagine : « . . . c est à cette Italie, à qui l’Europe doit presque toutes ses meilleures insti- tutions, qu’elle doit ainsi les jardins de botanique » A. De Candolle.

Arrigo Cigna - Giuliano Rondina (Gruppo Grotte Milano)

SULL’IDROLOGIA CARSICA EPIGEA NEL TERRITORIO DELLA PROVINCIA DI COMO

(Lombardia)

Introduzione.

Sono state prese in consider azione le sorgenti della provincia di Como, aprentisi in rocce carsogene. Essendo stato escluso il territorio delle Griglie, che verrà studiato a T^arte ed in un secondo tempo, le ricerche si sono C|uindi rivolte jier lo più a due zone : la prima deli¬ mitata ad ovest dal confine svizzero, a nord dal contatto con le rocce cristalline, ad est con la riva occidentale del lago di Como ed a sud con i depositi morenici e la seconda identificabile col triangolo Como- Lecco-Bellagio.

Le osservazioni sul terreno si sono protratte negli anni 1954-1957, di preferenza nei periodi primaverile ed autunnale. E’ stato incluso soltanto un numero estremamente limitato di sorgenti situate all’in- tenao di grotte in quanto, alla impostazione delle ricerche, al Gruppo Grotte Milano è toccato il compito di studiare l’idrologìa carsica epigea.

Il presente lavoro costituisce il risultato della collaborazione di molte persone, i cui nomi sono riportati in calce alle notizie rigniar- danti ciascuna sorgente : nel ringTaziaiie, gli autori desiderano espri¬ mere la loro particolare riconoscenza all’amico dr. ing. Cappa, rile¬ vatore assiduo, per le utili discussioni avute nel corso della stesura di questa nota. Giunga pure un sentito ringraziamento al Prof. Nan- geroni. Presidente del Gruppo Grotte Milano, per il suo costante ap¬ poggio, al C.N.R. per il tangibile aiuto finanziario ed al Comando Militare di Zona (2) (già III Comiliter) per la ^concessione deiran- tomezzo.

I

sull’idrologia carsica epigea nel TERRITORIO ECC.

«

6

86

A. CIGNA - G. RONDINA

Cenni sulle caratteristiche fisiche delle sorgenti.

Distribuzione delle sorgenti secondo le quote.

Al fine di calcolare teoricamente le relazioni tra le osservabili che si presentano o almeno di giustificare quelle ottenute sperimental¬ mente si è ritenuto opportuno introdurre alcune semplificazioni per non appesantire inutilmente i calcoli. In primo luogo la forma del terreno è stata schematizzata secondo un cono a sezione circolare. Ciò è senz’altro giustificato in quanto il territorio ove si sono svolte le

Fig, 2 Grafico delle aree racchiuse dalle curve di livello in funzione della quota. Nella approssimazione adottata la radice quadrata delle aree è funzione lineare della quota. I punti sperimentali sono stati de¬ dotti da misure compiute con planimetro su una carta 1 : 200.000 del

« triangolo » Como-Lecco-Bellagio.

ricerche è uniformemente montagnoso, con esclusione di estese pia¬ nure, e il diagramma di fig. 2 mostra l’ottimo accordo tra i valori delle aree racchiuse da alcune curve di livello (trattini) ed i valori teorici (linea continua) riferentisi al cono equivalente. Nel diagramma le aree sono riportate in funzione della quota.

Con un calcolo elementare si trova che il cono equivalente in questione ha un semiangolo di apertui’a di circa 80°: si tratta per¬ tanto di un cono molto « schiacciato ».

SULL^IDROLOGIA CARSICA EPIGEA NEL TERRITORIO ECO. 87

La superficie S (fig. 3) in funzione della distanza H dal vertice -sarà data allora dalla relazione

S=7THHg"a (1)

essendo a il semiangolo di apertura, che in questo caso, come si è detto, è di circa 80°.

Calcoliamo ora il numero probabile di sorgenti che si aprono al

JFig. 3 Schematizzazione del terreno per lo studio della distribuzione delle sorgenti secondo la quota. Nel nostro caso Cangolo a è di circa 80° (cfr. testo) e pertanto il cono risulta molto più «aperto» di quello

qui disegnato.

di sopra di una certa quota che denoteremo con H, tenendo presente che essa viene misurata a partire dal vertice del cono equivalente e che, pertanto, H è legata alla usuale quota topografica, ù, dalla re¬ lazione

H=1686 A (2)

essendo 1686 la massima quota misurata in metri della zona consi¬ derata (vetta del M.te S. Prima).

88

A. CIGNA - G. RONDINA

Cominciamo a considerare il numero di sorgenti situate nelF ele¬ mento d S' di area laterale : tale numero sarà proporzionale all’area stessa, però bisognerà pure considerare un effetto che potrebbe es¬ sere definito « di approfondimento ».

Infatti l’ucqua che origine alle sorgenti ha a sua disposizione il volume elementare d V ma può venire a giorno soltanto attraverso l’area d^' q poiché i volumi crescono proporzionalmente ai cubi delle lunghezze e le aree proporzionalmente ai quadrati è evidente che, al¬ lontanandosi man mano dal vertice il rapporto d S'/ d V diminuisce.. Da ciò sorge l’effetto di approfondimento sopra citato e dipendente dal fatto che, aumentando la distanza dalla vetta, l’acqua ha a dispo¬ sizione volmni sempre maggiori mentre la superficie esterna cresce- più lentamente e la probabilità di fuoriuscire diminuisce.

Essendo (fig. 3)

C]?S' = :7rHtga . dS

dV = tg^a . dR il rapporto d SV d V vale :

__ 1

'dV~ Htga

Potremo allora ritenere che il numero di sorgenti, d N, per elemento d S' di area laterale, sia :

dR == ì]

1

H tg a

avendo posto i] coefficiente di proporzionalità da determinarsi. Si ot¬ tiene allora :

dR =

T] ji 11 tg a . da H tga

= r] 71 dii

(4>

ed integrando:

H

Nh = liJT / rfH = ,jrH. (6)-

0

Nh rappresenta il numero di sorgenti che si aprono nella zona com¬ presa tra la vetta e la curva di livello che dista H da essa (Vedi la relazione (2) per passare alla quota -topografica). Ciò vuol dire, che

90

A. CiaNA - G. RONDINA

secondo la teoria esposta, il numero di sorgenti situate al di sopra di una certa quota è direttamente proporzionale alla distanza dalla vetta.

Se si tiene conto che non sono state condotte ricerche nelle zone¬ superiori ai 1300 m e che pertanto non si hanno dati per sorgenti si¬ tuate al di sopra di tale quota, si riscontra un accordo veramente ot¬ timo tra i valori teorici forniti dalla (5) e quelli sperimentali. Questo fatto è messo in evidenza nel diagramma di fig. 4 dal quale si è pure potuto calcolare il valore di trovando :

V = (1,96 ± 0,03) . 10-2 m-i (6)

che è, a meno del fattore moltiplicativo n, il numero di sorgenti rile¬ vate situate in una fascia di terreno delimitata da due isoipse la cui differenza di quota sia di 1 metro. Risulterebbe allora che nella zona trascurata, superiore ai 1300 metri, si sarebbe dovuta rilevare circa una ventina di sorgenti. E’ probabile però che questo valore sia ef¬ fettivamente minore in quanto, alle alte quote, l’acqua che alimenta le sorgenti è poco abbondante e, conseguentemente, non sempre queste sono rilevabili.

Portata delle sorgenti.

Vi è un duplice apporto di acqua, almeno per le sorgenti della, zona considerata, e precisamente uno dovuto alle precipitazioni atmo¬ sferiche ed un altro dovuto alla condensazione del vapor d’acqua con¬ tenuto in aria portata alla saturazione per il contatto con rocce o ter¬ reni più freddi. Non si tiene conto cioè dell’eventuale acqua di origine profonda che, peraltro, tolto forse il caso della « Sorgente Minerale » (n. 13), non sembra effettivamente presente.

L’apporto di acqua dovuto alle precipitazioni sarà proporzio¬ nale alla piovosità p, ad un coefficiente £ dipendente dalla penetra¬ zione, dallo scorrimento superficaie e dall’evaporazione ed infine dalla superficie S considerata. Esso, tenuto conto che sia p che £ sono funzioni del posto, sarà quindi dato da :

j «-(S) p(S) f/S. (7)

s

Analogamente l’apporto dovuto alla condensazione si potrà scrivere :

SULL^IDROLOGIA CARSICA EPIGEA XEL TERRITORIO ECC.

91

essendo v una funzione proporzionale alla quantità d’acqua conden¬ satasi dall’aria satura.

Si può notare che, sia p, che t, che v, sono le medie di grandezze che variano (e anche entro limiti molto ampi) nel tempo.

L’apporto totale di acciua sarà allora dalle (7) e (8) :

Qh = j p{S) -f p(S)j dS

Sh

e, identificando Sh con la S della (1), la Qh rappresenta la quantità d’acqua « a disposizione » nella zona compresa tra la quota H e la vetta.

Ricordando allora la (5) potremo ottenere la portata media per le sorgenti comprese nella zona ora accennata che denoteremo con qu e si avrà:

J |<;(S);3(S) + r(S)ìrfS

Purtroppo però non è possibile calcolare esplicitamente la (10) in quanto nell’integrale che vi compare è nota soltanto la p(S) (fig. 5) mentre sono assolutamente insufficienti i dati sulla £(S) e soprat¬ tutto sulla r(S).

Dobbiamo poi osseiA^are che un altro fenomeno interviene a mo¬ dificare le condizioni presupposte nello svolgimento della presente teoria.

Tutto quanto fin qui esposto, infatti, è valido quando la strut¬ tura interna del cono equivalente, o, ciò che è lo stesso, delle mon¬ tagne, sia omogenea.

Nella realtà questa condizione è praticamente soddisfatta, almeno nella maggior parte dei casi, alle quote più elevate.

Alle quote inferiori e nelle parti più interne dei massicci rocciosi il fenomeno carsico ipogeo raggiunge un tale sviluppo da diventare il fattore preponderante nella definizione della portata delle sorgenti.

Attualmente non siamo in grado di svolgere una teoria rig’orosa e nel contempo abbastanza semplice che giustifichi pienamente i ri-

92

A. CIGNA - G. RONDINA

saltati sperimentali. La complessità dei fenomeni che inteiA'engono e la scarsa conoscenza di essi che se ne ha fa ritenere che neanche in un prossimo futuro questo problema potrà essere risolto. Dobbiamo

rig. 5 Isoiete medie annue del trentennio 1921-1950 nella zona del

Lario (da bibl. 3).

quindi limitarci per ora a indicare soltanto la forma che deve assu¬ mere la (10) per soddisfare le osservazioni. La portata media è espressa allora da una formula del tipo :

gK = 2’nAnH“ (11)

ove gli An sono dei coefficenti da determinarsi (fig. 6).

SULL'’lDROLOGIA CARSICA EPIGEA NEL TERRITORIO ECC.

93

pig, 0 Portata media delle sorgenti situate al di sopra di una certa quota in funzione di tale quota. L Cistogramma rappresenta le quantità realmente misurate, la curva continua è data dalla relazione teorica (11)*

Distribuzione delle sorgenti secondo la portata.

Nel precedente paragTafo avevamo scritto la relazione empi¬ rica (11) che la portata media delle sorgenti nella zona compresa tra la vetta ed una data isoipsa in funzione della quota H. Ora, te¬ nuto conto della (5), si può evidentemente scrivere un’altra relazione del tipo della (11) che il numero di sorgenti aventi una data por¬ tata. Si ottiene così la:

N = Zn Bn (1)” (12)

ove i coefficienti Bn sono legati agii An della (11) attraverso semplici

relazioni di proporzionalità (fig. 7).

Le differenze abbastanza sensibili die appaiono tra le cur\"e teo¬ riche ed i dati sperimentali sono do^uite, tra laltro, al fatto che le misure effettuate non sono in generale delle medie nel tempo (ciò per difficoltà pratiche: non sarebbe stato possibile seguire per mesi

94

A. CIGNA - G. RONDINA

e mesi decine di sorgenti, poste talvolta in località di non agevole accesso), ma rappresentano un valore, per così dii’e, istantaneo della portata.

Inoltre le sorgenti rilevate non sono owiamente tutte quelle esi¬ stenti, e poiché le portate variano entro limiti amplissimi (tra le mas-

Fig. 7 Numero delle sorgenti aventi una data portata. Analogamente ai diagrammi precedenti 1 Cistogramma è relativo "ai numeri effettivamente trovati, la. curva continua è data dalla relazione (12).

sime e le minime c’è un rapporto di 10^) raverne trascurate alcune, conduce a risultati talvolta sensibilmente differenti dalle previsioni teoriche.

Si può infine notare che, secondo il diagramma teorico, il numero di sorgenti con portata grandissima tende a zero ed il numero di sor¬ genti con portata piccolissima tende all’infinito. Ora, mentre i risul¬ tati sperimentali concordano con il comportamento teorico per le grandi portate, essi se ne discostano notevolmente per le piccolissime, come è messo in luce in fig. 8 ove appare evidente che al diminuire della portata tende a zero pure il numero delle sorgenti.

SULL-’lDROLOGIA CAESICA EPIGEA NEL TERRITORIO ECO.

25 -

20

15 -

10

5

0 - ■'■I - - 1 - - - 1 « - ' -

10'^ 10'^ io‘^ 1 10 10^ 10* 10^ 10* io‘ /-sec

95

g Numero delle sorgenti aventi una data portata (La scala delle

portate è logaritmica).

96

A. 0IGÌ5A - G. RONDINA

Questo fatto è però pienamente giustifieuto in quanto la dif¬ ficoltà di scoprire e soprattutto di rilevare sorgenti con portata in¬ feriore ad un certo minimo diventa molto gTande e, in pratica, quindi, tali sorgenti vengono ad essere trascurate, benché in realtà il loro numero sia enorme.

T eìnper atura delVacqua.

La conoscenza delle variazioni di temperatura dell’acqua du¬ rante periodi di tempo abbastanza lunghi (un anno, per esempio) sarebbe di indubbia utilità per le informazioni che se ne potrebbero trarre sull’origine della relativa sorgente.

Purtroppo, come già si è detto nel caso delle portate, misure continuate di questo genere non sono state possibili e ]3ertanto si co¬ nosce soltanto la temperatura che l’acqua della sorgente aveva alla epoca deU’unico rilievo. Tuttavia anche da questi dati parziali si sono potute dedurre interessanti conclusioni.

Innanzitutto osserviamo come l’acqua di falda, in generale, as¬ suma la temperatura della roccia circostante, mentre per l’acqua che scoiTe entro cavità più o meno grandi vi è una certa probabilità che abbia una temperatura prossima a quella del luogo d’origine. Ciò Tuoi dire che nel primo caso, se il terreno è omogeneo, la tempera¬ tura dell’acqua sarà data dalla legge del gradiente geotermico nelle zone più profonde e, nello strato situato ad una trentina di metri dalla superficie esterna, sarà invece pari, come è noto, aUa tempe¬ ratura media annua esterna.

Quindi le acque, per così dire, superficiali rientreranno in questa categoria mentre quelle più propriamente carsiche potranno assumere temperature variabili entro limiti abbastanza ampi : maggiori se sono rimaste per un lungo periodo in bacini distanti dalla superficie esterna, minori se sono state condotte a valle rapidamente dalle alte quote attraverso pozzi e gallerie.

Premesso che la temperatura media annuale ridotta al livello del mare nel territorio oggetto della ^Dresente ricerca è di 14° C si è cal¬ colata la differenza fra la temperatura dell’acqua di ciascuna sor¬ gente e quella media annua teorica alla stessa quota considerando una diminuzione di C ogni aumento di 150 m di quota.

SULL^IDROLOGIA CARSICA EPIGEA NEL TERRITORIO ECO. o i

Dal diagramma della frequenza di queste differenze (fig. 9) si vede come esse si addensino intorno ad una valore di + 0,86° C con una distribuzione gaussiana, come se la profondità media delle falde

9 Frequenza delle differenze fra la temperatura dell’acqua di ciascuna sorgente e quella media annua teorica alla stessa quota. Si vede ebe, in media, la temperatura delle sorgenti è superiore di 0,86° C a quella

media annua locate.

^8

A. CIGNA - G. RONDINA

acquifere fosse di circa una cinquantina di metri (anzicliè 30) o se la temperatura media annua locale fosse di 0,86“ C maggiore di quella calcolata teoricamente.

Le sorgenti le cui temperature abbiano dato origine a punti si¬ tuati nelle ali di tale distribuzione, quando ciò non sia dovuto ad evidenti influenze climatiche esterne, a priori possono con buona probabilità essere ritenute più propriamente di tipo carsico. E pre- eisamente gli scarti di temperatura variano di segno a seconda delle condizioni prima esposte.

Nel diagramma di fig. 10 sono riportate le temperatura delle sorgenti rispetto alle quote.

Sono stati differenziati nella rappresentazione grafica i casi in cui la temperatura delfaria era superiore a quella delFacqua e vice¬ versa in modo da poter giudicare, ovviamente, circa l’eventuale ef¬ fetto nei singoli casi, delle influenze climatiche esterne.

Osseiviamo, in particolare, che l’assoluta maggioranza delle sor¬ genti il cui punto rappresentativo giace al di sotto della linea della temperatura media annua teorica ha mostrato possedere tale tempe¬ ratura nonostante la maggiore temperatura dell’aria. Non vi è stata quindi influenza del clima esterno e, per quanto già detto, queste sor¬ genti hanno buona probabilità di essere di tipo carsico.

Questo non significa che non vi possano essere altre sorgenti carsiche (anzi, da ossei-vazioni dirette si sa che ce ne sono); le osser¬ vazioni qui esposte servono solo come dato orientativo

Dati numerici sulle sorgenti rilevate.

Di ogni sorgente vengono elencati nell’ordine, in generale : nu¬ mero d’ordine, nome (eventuale), coordinate geografiche (Long. Ovest Monte Mario, Lat. Nord), Foglio Quadrante e Tavoletta della Carta 1 : 25.000' dell’I.Gr.M., data ed ora di rilievo dei dati, temperature dell’aria e dell’acqua, differenza tra la temperatura dell’acqua e quella media annua teorica alla quota della sorgente, portata, grado che definisce l’ordine di grandezza secondo la classificazione del Meinzer (bibl. 1, 2), terreno geologico ed eventuali notizie relative, uote o descrizione, nome del rilevatore.

^ ^ ^

Il numero d’ordine è stato attribuito in base alla posizione geo¬ grafica delle sorgenti e procedendo, in generale, da Nord a Sud e da Ovest a Est.

SULL^IDROLOGIA CARSICA EPIGEA NEL TERRITORIO ECC. 99

10 Temperatura delPacqua delle sorgenti in relazione alla quota. La linea continua (teorica) la temperatura media annua della zona in esame, ad una certa quota, considerando un gra¬ diente termometrico di 0,66° C, l’altra linea continua (sperimentale) la temperatura media delle

sorgenti al variare della quota. (Cfr. testo).

100

A. CIGNA - G. RONDINA

Sorgente n. 1

Yalsolcla, « Alpe Mapel », quota m 1145.

23' 19", 46° 02' 51,5" = 17/III/SO Valsolda.

Rilevata il 22/11/1955, h 16.20.

Temperatura aria C. Temperatura acqua 7,2° C + 0,8° C Portata 0,15 l/min (8°). Geol. : dolomia principale.

L’acqua ristagna in una pozza e quella poca che tracima si disperde nel terreno (A. Cigna).

Sorgènte n. 2

Valsolda, « Passo Stretto », quota m 1125.

22' 04", 46° 02' 56" = 17/III/SE Porlezza.

Rilevata d 21/11/1955, h 16.20.

Temperatura aria C. Temperatura acqua 6,9° C Afs + .0',3° C Portata 6 l/min (6°/7°). Geol.: Dolomia principale.

L’acqua fuoriesca da una piccola cavità lunga circa nn metrO' (A. Cigna).

Sorgente n. 3

Val Rezzo, « Sasso Forca », quota m 1170.

21' 00^', 46° 03' 00" = 17/III/SE Porlezza.

Rilevata il 7/11/1954, h 15.30.

Temperatura aria, temperatura acqua non rilevate.

Portata: 60 l/min (5°/6°). Geol.: Dolomia principale.

origine ad un torrentello (G. Rondina).

Sorgente n. 4

Val Rezzo, « Pramarzio », quota m 1040.

20' 59", 46° 04' 02" = 32/III/SE Porlezza.

Rilevata il 7/11/1954, h 14.25.

Temperatura aria: 9,5° C. Temperatura acqua: 7,2° C A^ù + 0,1°C Portata. 12 l/min (6°). Geol.: contratto tra Dolomia principale e mi¬ ca scisti.

E’ situata all’interno di una piccola costruzione in muratura. Alimenta un abbeveratoio (G. Rondina).

SULL^IDROLOGIA CARSICA EPIGEA NEL TERRITORIO ECC.

101

Sorgente n. 5

Corrido, « versante Ovest del M.te Colmen dei Carae », quota m. 900. 3“ 19^ 58", 46° 03' 26" = 17/III/SE Porlezza.

Rilevata il 7/11/1954, h 14.00.

Temperatura, aria : 13° C. Temperatura acqua : 10° C + 0,2° C. Portata : 1,2 l/min (7°). G-eol. : Dolomia principale.

(Gr. R ondina).

Sorgente n. 6

Carlazzo, « valle del torrente Cuccio a monte della carrozzabile » quota m 575.

18' 18", 46° 03' 28" = 17/III/SE Porlezza.

Rilevata il 7/11/1954, h 10.00.

Temperatura aria: C. Temperatura acqua: 12° C Aft = + 1,8° C Portata: 156 l/min (5°). Dolomia principale (o calcari?).

Complesso di sorgenti (A. Ci^a).

Sorgente n. 7

Carlazzo, « Valle del Torrente Cuccio sul fianco a monte della car¬ rozzabile », quota m 540.

18' 17", 46° 03' 22" = 17/IlI/SE Porlezza.

Rilevata il 7/11/1954, h 10.30.

Temperatura aria: C. Temperatura acqua: 12° C A^ + 1,6° C Portata: 18 l/min (6°). Dolomia principale (o calcari?).

(A. Cigna).

Sorgente n. 8

Carlazzo, « Valle del Toiu’ente Cuccio e valle della carrozzabile », quota m 525.

18' 16", 46° 03' 18" = 17/III/SE Porlezza.

Rilevata il 7/11/1954, h 11.00.

Temperatura aria: C. Temperatura acqua: 12° C = + 1,5 C Portata 210 l/min (5°). Geol. : Dolomia principale (o calcari?). Complesso di sorgenti (A. Cigna).

7

102

A. CIGNA - G. RONDINA

Sorgente n. 9

Carlazzo, « Val Mesino », quota m 930.

16' 27", 46° 03' 52" = 17/III/SE Porlezza.

Rilevata il 3/10/1954, li 11.45.

Temperatura aria: 15,5° C. Temperatura acqua: 8,9° C = + 1,1° C

Portata: 355 l/min (5°). Geol. : scaturisce da copertura detritica.

(G. Rondina).

Sorgente n. 10

Grandula ed Uniti, « Velzo », quota m 525.

14' 48", 46° 02' 02" = 17/II/SO Menaggio.

Rilevata il 3/10/1954, h 10.45.

Temperatura aria : 18° C. Temperatura acqua : 15° C = + 4,5° C

Portata: 1,8 l/min (7°). Geol.: calcari in banchi.

(G. Rondina).

Sorgente n. 11 Fontana delle Uova

Grondola ed Uniti, « Croce », quota m 450.

14' 12", 46° 01' 07" = 17/II/SO Menaggio.

Rilevata il 3/10/1954, h 10.00.

Temperatura aria: 14°C. Temperatura acqua: 11° C Aft— + 0,0°C

Portata: 2,4 l/min (7°). Geol.: calcari in banchi.

(G. Rondina).

Sorgente n. 12

Ramponio-Verna, « presso Verna » quota ni 800.

23' 23", 45° 59' 49" = 32/IV/NO Lanzo cTIntelvi.

Rilevata il 19/9/1954, h 17.50.

Temperatura aria: 20° C. Temperatura acqua: 14° C Zl^ = + 5,3° C

Portata: 5 l/min (7°). Geol.: calcari gTigi del Lias con assetto sub¬ orizzontale.

E’ costituita da rivoletti, d’interstrato. E’ utilizzata per alimentare una fontanella in loco (A. Cigna).

SULL^IDROLOGIA CARSICA EPIGEA NEL TERRITORIO ECC.

103

^Sorgente n. 13 Fonte M i n e r di e

Lanzo d’Intelvi, quota m 830'.

25' 25", 45° 58' 40,5" = 32/IV/NO Lanzo d’Intelvi.

Rilevata il 19/9/1954, h 15.30.

Temperatura aria; 19,5°C. Temperatura acqua; 11,5°C = +3,1°C

Portata; 15 l/min (6°). Geo!.; morena.

L’acqua sgorga da un tubo alPinterno di una piccola costruzione in muratura (A. Cigna).

Sorgente n. 14 Laino, quota m 700.

22' 29", 45° 58' 58" = 32/IV/NE Castiglione dTntelvi.

Rilevata il 19/9/1954, li 10.00.

Temperatura aria 19° C. Temperatura acqua 13,2° C = + 3,9° C Portata; 45 l/min (6°). Geol. ; calcari grigi del Lias.

E’ stata costruita un’ opera di presa e l’acqua viene utilizzata per l’alimentazione di un lavatoio pubblico in loco. La vera sorgente è situata qualche decina di metri più a monte. (G. Rondina).

Sorgente n. 15 F o n t e d eli’ Ah i s

Laino, « sotto l’Alpe di Laino », quota m 905.

Rilevata il 19/9/1954, li 9,30.

21' 06", 45° 58' 39" = 32/IV/NE Castiglione d’Intelvi. Temperatura aria 19° C - Temperatura acqua 9,2° C Zl^ = + 1,2° C Portata; 4,5 1/niin (7°). Geol.; Calcari grigi del Lias.

L’acqua fuoriesce da un tubo (G. Rondina).

Sorgente n. 16 Sorgente A c q ii a f r e d d a

Tramezzo, « Masnate», quota m 370.

15' 53°, 45° 58' 44" = 32/1 V/NE Castiglione d’Intelvi.

Rilevata il 3/10/1954, li 9.00.

Temperatura aria 16° C - Temperatura acqua 10° C Zl^ = 1,5° C Portata; 24.320 1/niin (3°). Geol.; dolomia a Concliodon.

E’ situata al contatto fra dolomia e morena (G. Rondina).

104

A. ^ CIGNA - G. RONDINA

Sorgente n. 17

Pelilo d’Intel vi, « sotto Monte Prada », quota : m 1055.

30 24^ 450 57/ ^ 32/IV/NO Lanzo d’Intelvi.

Rilevata il 19/9/1954, li 11.30.

Temperatura aria : 16,4° C - Temperatura acqua : 11,2° C zld + 4,2° C Portata: 1,5 l/min (7°). Greol. : calcari grigi del Lias.

L’acqua sgorga da un tubo proveniente da opere di presa in loco.- Altre sorgenti non captate disperdono l’acqua nel terreno (A.. Cigna).

Sorgente n. 18

S. Fedele d’Intelvi, « Filone Monte Criste », ciuota 1175 m.

24' 28", 45° 57' 17" = 32/IV/NO Lanzo d’Intelvi.

Rilevata il 19/9/1954, li 10.50.

Temperatura aria: 16° C - Temperatura acqua: 11,6° C Zl^=H-5,4°C Portata : 4 1/niin (7°). Geol. : Calcari grigi del Lias.

E’ utilizzata per alimentare una fontanella in loco (A. Cigna).

Sorgente n. 19

S. Fedele d’Intelvi, « Monte d’Orimento », quota ni 1280.

24' 40", 45° 56' 55" = 32/IV/NO Lanzo d’Intelvi.

Rilevata il 3/10/1954, li 16.30.

Temperatura aria : 13° C - Temperatura acqua : 10,5° C Alt = 5,0° C

Portata: 2 1/niin (7°). Geol.: calcari grigi del Lias.

(G. R ondina).

Sorgente n. 20

Casasco d’Intel vi, « presso C. Bressera Bassa », quota : 875m .

22' 51", 45° 56' 7" = 32/IV/NO Lanzo d’Intelvi.

Rilevata il 3/10/1954, li 17.45.

Temperatura aria: 10,5°C. Temperatura acqua: 10',5°C ZlS' = + 2,3°C’

Portata : non rilevata. Geol. calcari grigi del Lias.

(G. R ondina).

SULL^IDROLOGIA CARSICA EPIGEA XEL TERRITORIO ECC.

105

Sorgente n. 21.

Cerano d’Intelvi, « Valle di Brone », quota m 940.

23' 01", 45° 55' 37" = 32/1 V/NO Lanzo d’Intelvi.

Rilevata il 3/10/1954, li 18.00.

Temperatura aria : C. Temperatura acqua : C Zl^ = + 1,3° C Portata: 20 l/min (6°). Geo!.: calcari grìgi del Lias.

(G. Rondina).

Sorgeìite n. 22 F o n t e r a c e i a

Cernobbio, «versante SO del Monte Bisbino », c|Uota m 1135.

Rdevata il 31/12/1954, li 13.00.

23' 25", 45° 52' 15" = 32/IV/SO Cernobbio.

Temperatura aria: C. Temperatura acqua: 6,1° C = 0,3° C Portata 4 l/min (7°). Geol. : calcari neri del Lias inf.

Nelle vicinanze si notano sg’occiolanienti d’acqua d’interstrato.

(R. Potenza).

Sorgente n. 23.

Cernobbio, « Piazzola », C|Uota m /OO.

23' 54", 45° 51' 30" = 32/IV/SO Cernobbio.

Rilevata il 31/12/54, h 15.00.

Temperatura aria : C. Temperatura acqua : C Zl^ = 4,3 C

Portata: 2 l/min (7°). Geol.: Calcari neri del Lias inf.

(R. Potenza).

Sorgente n. 24. Fonte A n zone

Cernobbio, « C. Anzone », c{uota : in 700.

22' 59', 45° 51' 32" = 32/1 V/SO Cernobbio.

Rilevata il 31/12/54, li 11.30.

Temperatura aria: C. Temperatura acqua: 9,i C Zl^ = + 0,4 C Portata: 30 1/niin (6°). Geol.: cale, neri Lias inf . Strati immeisi a Sud. Due sorgenti vicine alimentano la stessa fontana (R. Potenza).

106

A. CIGNA - G. RONDINA

Sorgente n. 25.

Cernobbio, « Madrona », quota: m 850.

30 32/ 44//^ 450 54, 29" = 32/IV/SO Cernobbio.

Rilevata il 31/12/1954, h 10.50.

Temperatura aria: 10^ C. Temperatura acqua: C = + 0,7° C Portata: 0,15 l/min (8°). Geol.: calcari neri Lias inf.

Abbondante stillicidio, in parte raccolto, avente origine da una fessura negli strati immersi a SE (R. Potenza).

Sorgente n. 26.

Bellagio, « km 27,8 strada della Valassina, sotto l’Alpe Queto », quota 490 m.

Rilevata il 3/7/1955, h 16.00'.

Temperatura aria: 18° C. Temperatura acqua: 12,2° C = + 1,5° C Portata: 0,7 l/min (7°). Geol.: Dolomia principale.

Utilizzata come lontanino (G. Rondina).

Sorgente n. 27 Fonte della Grotta delle sette F ontane-

Lezzeno, « Costa a Nord di Sossana », quota : m 202.

14' 12", 45° 57' 13" = 32/I/NO Bellaggio.

Rilevata il 4/7/1954, li 11.00.

Temperatura aria: 19° C. Temperatura acqua: 12° C Afì = 0,7° G'

Portata: 270 l/min (5°). Geol.: Dolomia principale in strati E-Q subverticali.

L’acqua sgorga a pochi metri dal lago tra il detrito antistante e la grotta. La temperatura deH’acqua del lago era di 19°-20° C (A. Cigna)..

Sorgente n. 28 Sorg. del F. L ombro o Menar e sta

Civenna, « Alpe del Pianorancio », quota : m 942.

12' 12", 45° 55' 25" = 32/I/NO Bellaggio.

Rilevata il 25/5/1956, h 14.00.

Temperatura aria: 13,5° C. Temperatura acqua: C = -f- 0,3° C

Portata: 30' l/min (6°). Geol.: Dolomia principale.

(G. Rondina).

SULL^IDROLOGIA CARSICA EPIGEA NEL TERRITORIO ECC.

107

Sorgente n. 29

Olivete Lario, Cascinai Alpetto o Ghisallo, quota : m 625.

10' 55", 45° 55' 37" = 32/I/NO Bellagio.

Rilevata il 3/7/1955, h 12.00.

Temperatura aria: 19,2°C. Temperatura acqua: 10,4°C Ad = + 0,6°C Portata: 60 l/min (5°/6°). Geol. : Dolomia principale in strati su- borizzontali.

E’ utilizzata per alimentare l’acquedotto di Civenna (G. Rondina). Sorgente n. 30

9

Olivete Lario, Cascina Alpetto o Gtiisallo, quota: m 600'.

10' 51", 45° 55' 34" = 32/I/NO Bellaggio.

Rilevata il 3/7/1955, h 11.30.

Temperatura aria: 19,5° C. Temperatura acqua: 11° C Ad + 1,0° C Portata 1,7 l/min (7°) Geol.: Dolomia principale.

L’acqua sg'orga da una frattura obliqua nella roccia. E’ perenne. Cir¬ ca 100 m verso NO vi è un’altra sorgente captata per l’acque- dotto di Civenna. (G. Rondina).

Sorgente n. 31

Valbrona, «presso Cretto Ceppo Palazzolo », quota: m 320.

OS' 50", 45° 53' 56" = 32/I/SO Asso.

Rilevata il 31/3/1957, h 14.10.

Temperatura aria: 13,2° C. Temperai, acqua: 10,2° C Ad = 1,7° C Portata: (dallo sfioratore) 0,5 l/min (8°). Geol.: Dolomia principale. Da una piccola costruzione racchiudente la sorgente, un tubo porta l’acqua ad una casa vicina. Le misure sono riferire all’acqua uscente da uno sfioratore. (A. Cigna).

Sorgente n. 32 FontedelPop

Valbrona, «sopra la Riva Liscione », quota: m 340.

08' 42", 45° 53' 56" = 32/I/SO Asso.

Rilevata il 31/3/1957, li 13.00'.

Temperatura aria: 13,2° C. Temperai, acqua: 10,6° C Ad = 1A° C Portata: 1,3 l/min (7°). Geol.: Dolomia retica.

Vi è una piccola opera di presa e la fonte alimenta una fontanella. (A. Cigna).

108

A. CIGNA - G. RONDINA

Sorgente n. 33

Fagg-eto Lario, versante SO del Monte di Faello, quota: m 1170.

3 15' 36", 45° 52' 02" = 32/1 V/S E Moltrasio.

Rilevata il 20/5/1955, h 17.00.

Temperatura aria : 14° C. Temperatura acqua : C Ad = + 2,8° C

Portata: 24 l/min (7°). Geo!.: calcari grigi del Lias; strati a reg- gipoggio.

Sorgente dlnterstrato. (G. Rondina).

Sorgente n. 34 Sorgente duella Grotta Gugl i e 1 m o

(2221 Lo)

Faggete Lario, versante NO del Monte Palanzone, quota: ni 130'0.

15' 16", 45° 51' 59" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 9/5/1957, li 15.00.

Temperatura aria: 8,2° C. Temperatura acqua: 7,0'° C AO = + 1,7° C

Portata: 2,5 l/min (7°). Geo!.: Calcari gTigi del Lias.

(G. Cappa).

Sorgente n. 35

Faggete Lario, versante Ovest Monte Palanzone, quota: ni 1270.

15' 14", 45° 51' 45" = 32/1 V/ SE Moltrasio.

Rilevata il 29/5/1955, li 15.45.

Temperatura aria: 14,5° C. Temperatura acqua: C Ad-- + 2,5°C Portata (media) 6,7 l/min (6°). Geol. : calcari grigi del Lias. Sistemata artificialmente: è utilizzata in parte dal vicino Rifugio Popolare. Dopo forti precipitazioni fuoriesce un forte getto (G. Rondina).

Sorgente n. 36

Faggeto Lario, strada per riva di Palanzo, quota: m 255.

18' 22", 45° 51' 41" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 17/3/57, li 10'.30.

Temperatura aria: 11,0° C. Temperat. acqua: 8,4° C zll9 = 3,9° C

Portata : 2,5 1/niin (7°). Geol, : calcari grigi del Lias.

(A. Cigna).

SULL^IDROLOGIA CARSICA EPIGEA NEL TERRITORIO ECC.

Ì09

.Sorgente n. 37 Fonte P 1 i n i a n a (2034 Lo)

Torno, «Villa Pliniana », quota: m 215.

18' 51", 45° 51' 27" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 17/3/1957, h 13.00.

Portata: (media) 6.000' l/min (7°). Geol. : calcari grigi del Lias. Temperatura aria: 12,5° C. Temperat. acqua: 9,7° C Zl^ = 2,9 C

(A. Cigna).

Sorgente n. 38

Torno, carrozzabile Torno-Corno, quota : m 250.

20' 19", 45° 51' 14" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 29/5/1955, h lOMO.

Temperatui’a aria: 17° C. Temperatura acciua : 11° C Ad— 1,3 C Portata: 1 l/min (7°). Geol.: calcari grigi del Lias, in corrispondenza di una piccola anticlinale strizzata.

Captata e trasformata in fontanella. (G. Rondina).

Sorgente n. 39

Faggeto Lario, « Alpe del Monte », quota : in 805.

16' 51", 45° 51' 17" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 29/5/1955, li 11.40'.

Temperatura aria: 16,5° C. Temperat. acqua: 9,0° C A6 = + 0,4 C Portata: 0,15 l/min (8°). Geol.: calcari gTigi in parte coperti da mo¬ rena, immersione SO, pendenza 5°-10°.

L’acqua proviene da numerosi rivoletti d’interstrato. E’ all’interno di una piccola costruzione in muratura (A. Balducchi).

Sorgente n. 40 Fontana M a r a n o n

Faggeto Lario, «versante SE del Pizzo dell’Asino», quota: in 11/5. 15' 32", 45° 51' 09" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 29/5/1955, li 14.30.

Temperatura aria: 14° C. Temperatura acqua: 10'° C Zl^ = 3,8° C

Portata: 0,5 l/min (8°). Geol.: situata nella cerniera di una sincli¬ nale. Calcari grigi del Lias.

' (G. Rondina).

17-3-1957

no

A. CIGNA - G. RONDINA

Fig. 11 ^ Variazioni della portata della Fonte Pliniana misurate il 17 marzo 1957. In ordinata sono riportati i valori del livello del bacino antistante la sorgente. Dal diagramma sembrerebbe che il periodo principale (am¬ messo <?lie la variazione sia periodica) sia di almeno tre ore e niezza,

SULL^IDROLOGIA CARSICA EPIGEA SUL TERRITORIO ECC.

Ili

Sorgente n. 41 F o n ta n a C a n a r g e i

Faggete Lario, « sotto il Pizzo del! Asino », quota : m 979.

15' 50^', 45° 50' 57" = 32/lV/SE Moltrasio.

Rilevata il 29/5/1955, h 13.50.

Temperatura aria: 15,5° C. Temperai, acqua: 10,0'° C A6 + 2,5° C Portata: 3 l/min (7°). Geol. : calcari grigi del Lias sub orizzontali. (A. B aiducchi).

Sorgente n. 42

Faggeto Lario, « sotto il pizzo dell’Asino », quota : m 998.

15' 46", 45° 50' 55,5" = 32/lY/SE Moltrasio.

Rilevata il 29/5/1955, li 13.40.

Temperatura aria : 15,5° C. Temperai, acqua : 10,3° C Ad + 3,0° C Portata: 0,3 1/niin (8°). Geol.: calcari grigi del Lias. suborizzontali,.

lievemente a reggipoggio.

(A. B aiducchi).

Sorgente n. 43

Tomo, « Alpe Malacrida Pandina », quota : m 740.

18' 56", 45° 50' 45" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 29/5/1955, h 14.00.

Temperatura aria : 16° C. Temperatura acqua : 10,2° C = + 1,1° C Portata: 3 l/min (7°). Geol.: calcari grigi del Lias.

Captata con serbatoio e getto libero a circa 5 m dalla sorgente* (G. Cappa).

Sorgente n. 44 A c q u a d e 1 F ò

Torno, Piazzaga, Valle del Colore, quota: m 615.

18' 47", 45° 50' 49" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 29/5/1955, h 14.30.

Temperatura aria: 16° C. Temperatura acqua 9,9° C Ad = + 0,0°C Portata: non rilevata. Geol.: calcari grigi del Lias; strati subverti¬ cali, orientati E-0.

Consiste in una vasta e moderna opera di presa. Vi è mi rubinetto dal quale l’acqua esce in pressione. Forse la sorgente è localiz¬ zata ad una quota superiore. (G. Cappa).

112

A. CIGNA - G. RONDINA

S ùrgente n. 45 Sorgente C a r a v a g g i o

Casiino, presso PAlpe del Prina, quota : m 660.

14' 40", 45° 50' 44" = 32,/I/SO Asso.

Rilevata il 3/10/1954.

Geol. : calcari grigi del Lias. Captata per l’acquedotto di Castel- marie (G. Cappa).

Sorgente n. 46

Casiino, «Alpe del Prina», quota: m 580.

14' 34", 45° 50' 48" = 32/I/SO Asso.

Rilevata il 3/10/1954, h 15.40.

Temperatura aria: 14,7° C. Temperatura acqua: 10,0° C A6 = 0,2° C

Portata: 54 l/min (6°). Geol.: calcari grigi del Lias; strati subver¬ ticali.

E’ situata alla base di una parete rocciosa. La portata, secondo in¬ formazioni raccolte sul posto, è pressocchè costante anche nei periodi di grande siccità. (G. Cappa).

Sorgente n. 47

Casiino, « Alpe del Prina », quota : m 585.

14' 32", 45° 50' 51" = 32/I/SO Asso.

Rilevata il 3/10/1954.

Geol. : calcari gaigi del Lias. Captata per l’acquedotto di Casiino. (G. Cappa).

Sorgente n. 48 S o r g . P i s s a r o 1 1 i n o

Brunate, « versante Ovest delle Tre Croci », quota : m 727.

21' 24", 45° 49' 31,5" = 32/lII/NE Como.

Rilevata il 29/5/1955, h 9,50,

Temperatura aria: 16° C. Temperatura acqua: 8,8° C Ad = 0,3° C

Portata : 6 l/min (6/7°). Geol. : calcari grigi del Lias, strati subver¬ ticali, orientati E-0.

L’acqua sbocca da una fessura orizzontale, captata per erogazione in loco; piccolo serbatoio. (G. Cappa).

SULL^IDROLOGIA CARSICA EPIGEA NEL TERRITORIO ECC.

115

Sorgente n. 49 Sorgente Re g onda

Brunate, « Monte Uccellerà », quota : ni 830.

20^ 28,5", 45° 49' 36,5" = 32/II/NE Como.

Rilevata il 29/5/1955, li 11.30.

Temperatura aria: 16° C. Temperatura acqua: 8,7° C Ad + 0,2° C Portata: 2 l/min (7°). Geo!.: calcari grigi del Lias, strati subver¬ ticali.

Captata per erogazione in loco con piccolo serbatoio. (G. Cappa).

Sorgente n. 50. Sorg. del «Buco del Pertugio» (2214 Lo)

Blevio, « M.te Pizzo dei Termini », quota : m 930.

19' 55", 45° 50' 01" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 29/5/1955.

Temperature aria e acqua non rilevate.

Geol. : calcari grigi Lias.

E’ situata entro una cavità parzialmente rimaneggiata e chiusa da un cancello. Non accessibile. Si nota un tubo di presa d’acqua del diametro di circa 5 cni (G. Cappa).

Sorgente n. 51 A c q u a F r e g i a

Faggeto Lario, «vers. N M.te Bolettone », quota: m 1090'.

' 16' 44", 45° 50' 21" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 29/5/1955, h 12.45.

Temperatura aria: 11° C. Temperatura acqua: C Ad -f- 0,3° C Portata 0,5 l/min (8°). Geol. : calcari grigi Lias, strati suborizzont. E’ una sorgente d’interstrato. (G. Rondina).

r

Sorgente n. 52

Erba, «Val Bova», quota: m 875.

15' 37", 45° 50^ 09" = 32/lV/SE Moltrasio.

Rilevata il 30/4/1956, li 1700.

Temperatura aria : 8,3° C. Temperatura acqua 8,2° C Ad 0,0'°C Portata 600 l/min (4°/5°). Geol.: calcari grigi Lias inf.

L’acqua sgorga da un passaggio alto qualche decina di centimetri completamente allagato, situato a fianco di un cunicolo asciutto. (G. Cappa).

114

A. CIGNA - G. RONDINA

Sorgente n. 53 Sorg. d. Grrotta Tana (2054 Lo)

Erba, «Val Bova », quota: m 875.

15' 36", 45° 50' 12" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 30/4/1956, h 17.00.

Temperatura aria : 8,1° C. Temperatura acqua : 8,0 °C Ad = 0,2° C Portata 300' l/min (5°). Geol. : calcari grigi Lias inf., iimners. E con pendenza 10°. Nella zona brusche variazioni di giacitura degli strati.

L’acqua sgorga da una fessura d’interstrato nella parete sin. (oro¬ grafica.) della grotta a circa 32 metri dall’ingresso. (G. Cappa).

Sorgente n. 54 Sorgente d. Tagliata (?)

Erba, «Val Bova», quota: m 760'.

15' 25", 45° 50' 13" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 19/4/1955, li 14.30'.

Temperatura aria: 20° C. Temperatura acqua: 9,7°C AO = + 0,8° C Portata 300’ l/min (5°). Geol.: calcari grigi Lias, subverticali orien¬ tati E-0.

L’acqua fuoriesce da una fessura apparentemente verticale, coperta da detriti, sul displuvio fra due torrentelli. Misurazioni ripetute il 30/4/1956 hanno fornito risultati praticamente identici (G. Cappa).

Sorgente n. 55

Erba, «Val Bova», quota: m 740.

15' 25", 45° 50' 14" = 32/IV/SE Moltrasio.

Rilevata il 30/4/1956, h 16.00.

Temperatura aria: C. Temperatura acqua: 9,9° C AO -f- 0',8° C Portata 360 l/min (5°). Geol.: calcari neri Lias inf., strati verti¬ cali E-0.

L’acqua sgorg’a da una fenditura orizzontale che taglia uno strato subito sopra il greto del torrente. (G. Cappa).

Sorgente n. 56 FonteAcqu asanta

Casiino, quota m 440.

13' 48", 45° 50^ 15" = 32/I/SO Asso.

Rilevata il 3/10/1954, h 15.15.

Temperatura aria: 17° C. Temperatura acqua: 12,0'°C Ad = + 0,9°C Portata 13,8 l/min (6°). Geol.: calcari giùgi Lias.

Captata per l’alimentazione di una fontana monumentale (G. Cappa).

SULL-’lDROLOaiA CARSICA EPIGEA lIEL TERRITORIO ECO.

115

Sorgente n. 57

Castelmarte, «carrozzabile Castelmarte-Canzo », quota: m 395.

12' 29", 45° SO' 11" = 32/I/SO Asso.

Rilevata il 3/10/1954, h 16.30.

Temperatura aria: 18° C. Temperatura acqua: 12° C Ad = + 0,6° C Portata 15 l/min (6°). G-eol. : calcari galgi Lias.

Raccoglie le acque di un pianoro soprastante, ove gli strati della roc¬ cia sono orizzontali (G. Cappa).

Sorgente n. 58

Proseiq)io, « vers. XO del Monte Scioscia », quota : m 445.

11' 27", 45° 50' 20" = 32/I/SO Asso.

Rilevata il 31/3/1957, h 12.00.

Temperatura aria: 12,2°C. Temperatura acqua: 8,8°C Ad = 2,2°C Portata 3,5 l/min (7°). Geol. : calcari grigi Lias.

Sgorg'a dalla roccia (interstrato) a fianco della strada, late a monte (G. Cappa).

Sorgente n. 59

Canzo, « S. Miro al Monte», quota: m 600.

09' 11", 45° 51' 01" = 32/I/SO Asso.

Rilevata il 13/1/1955, li 16.00.

Temperatura aria: C. Temperatura acqua: 8,6° C Ad = 1,4° C Portata 4,6 l/min (7°). Geol.: calcari gTigi Lias molto fratturati. Captata ed utilizzata il loco come fontanella con tubo e vasca ' (G. Cappa).

Sorgente n. 60

Valmadrera, « Caserta », quota : m 260.

06' 09", 45° 50' 38" = 32/I/SE Lecco Rilevata il 31/3/1957, li 15.30.

Temperatura aria: 12,2°C. Temperatura acqua: 10,0°C Ad 2,3°C Portata 150 l/iiiin (5°). Geol. : Dolomia principale.

L’acqua sgorga con forza da un tubo che alimenta un lavatoio. La sorgente è presumibilmente nei pressi (A. Cigma).

116

A. CIGNA - G. RONDINA

Sorgente n. 61 S o r g . cl , Buco del Piombo

(ramo Ovest (2208 Lo))

Erba, «Val Bova », quota : m 695.

15' 17", 45° 49' 33" = 32/lII/NE Como Bilevata il 20/6/1949, h 15.00.

Temperatura aria: 12°C. Temperatura acqua: 10,6°C = 4-l>2°C

Portata 60 l/min (5°/6°), Geol. : calcare maiolica.

Sgorga da un sifone al termine della galleria ovest. Le misurazioni ripetute il 3/1/1950 hanno fornito risultati identici (A. Cigna).

Sorgente n. 62

Erba, « San Salvatore », quota : m 460.

14' 18", 45° 49' 24" 32/II/NO Erba.

Rilevata il 3/10/1954, h 14.15.

Temperatura aria : 18,4°C. Temperatura acqua : 14,2° AB + 3,3°C Portata 2,4 l/min (7°). Geol.: calcari grigi Lias.

Utilizzata per alimentare un abbeveratoio (G. Cappa).

Sorgente n. 63

Eupilio, « lago Segnino », cjuota : m 375,

11' 03", 45° 49' 47,5" = 32/II/NO Erba.

Rilevata il 3/10/1954, li 17.00.

Temperatura aria 15,5°C. Temperatura acqua : 11,0°C AB 0,5°C Portata 15 l/min (6°). Geol.: calcari grigi Lias, strati orizzontali. Sgorga a circa 15 metri dalla riva orientale del Lago, tra i sassi sottO' la strada (G. Cappa).

Sorgente n. 64

Rògeno, « riva S. Lago Pusiano », quota : m 258.

10' 52", 45° 47' 24" = 32/Il/NO Erba.

Rilevata il 31/3/1957, li 16.15.

Temperatura aria: 12,5°C. Temperatura acqua 12,7°C AB = + 0,4°C Portata 0,15 1/niin (8°). Geol.: alternanze di arenarie e puddinghe calcaree cementate da calcare grigio plumbeo, strati vertic.

E’ situata a qualche metro dalla riva media del lago. L’acqua sgorga al centro di una pozza di un paio di metri di diametro, smuo¬ vendo la sabbia attorno al foro d’uscita. (G. Cappa).

sull'idrologia carsica epigea nel territorio ecc.

117

Conclusione- Riassunto.

Nel presente lavoro sono state descritte, almeno in relazione alle earatteristiclie principali, alcune decine di sorgenti site nella pro¬ vincia di Como, limitatamente a quelle zone ove può verificarsi il fe¬ nomeno carsico.

Per questioni organizzative si sono purtroppo dovute escludere, eccettuati pochi casi, le sorgenti che, pur soddisfacendo alla, su ac¬ cennata condizione, si aprono all’interno di grotte. E’ pertanto chia¬ ro che conclusioni generali sull’argomento trattato potranno aversi soltanto quando saranno noti anche i dati relativi all’idrografia car¬ sica ipogea. Cionostante possiamo ritenere che le deduzioni teoriche sulle caratteristiche fisiche delle sorgenti, verificate nel caso attuale, saranno molto probabilmente ancora valide quando verranno com¬ pletate le nozioni sull’idrografia carsica della zona. Varieranno in¬ vece, e ovviamente, i valori numerici.

E’ opportuno notare poi che la teoria esposta ha potuto essere svolta grazie alla relativa uniformità, dal punto di vista geologico, presentata dalla zona stessa.

Si è trovato opportuno studiare il fenomeno anche sotto il punto di vista teorico e statistico in quanto questo è, crediamo, praticamente l’unico modo per trarre delle informazioni sul fenomeno stesso quan¬ do, come ora, siano scarsi i dati direttamente acquisibili.

D’altra parte il capitolo sui dati numerici delle sorgenti rilevate potrà seuv'ire a quanti vorranno estendere l’indagine in altra dire¬ zione.

Summary.

In this commmiication aii account is given of thè priiicipal cha- racteristics of severa! dozen springs wliich occur in thè limestone areas aronnd Como. (N. Italy) For reasons of organization, springs rising in eaves, with a few exceptions, were unfortnnately excluded. Therefore thè generai conclusions reached must be regarded as provisionai pending tlie availabihty of more data concerning thè subterranean hydrology of thè limestones. Despite this reservation thè anthors consider that thè theo- retical deductions concerning thè physical features of tliese springs, ba-

8

118

A. CIGNA - G. ROXDINA

sed upoii tlieir current observations, will in all probability be fouiid to be valid wlieii furtlier data on tlie karstic bydrology becomes available. Quantitative niodifications will be necessarv of course, It should be noted tliat it was possible to adopt tlie liypothesis used in tliis study owing to thè relatively siniple geological structure of thè region. It was further considered that thè theoretical and statistica! approach was thè only pos¬ sible way of reaching anj" conclusions when direct observations were so liniited. In addition thè chapter dealing with thè quantitative results of field observations of these springs will be of use to other workers ap- plying different approaches to this question.

TEXT EIGUEE CAPTIOXS

Fig. 1 Map of thè area studied. The Swiss frontier is shown on thè west (by a dotted line) and thè contact zone of thè liniestone and cry- stalline rocks is indicated on thè nortli. The sites of springs are shown

by black dots.

Eig. 2 Graph of thè area enclosed between successive contours against altitude. In thè approxiniation adopted, thè square root of thè area is a linear function of thè height. The experimental points were obtained by nieasurement with a planinieter on a 1 : 200.000 map of thè triangular area between Como, Lecco and Bellagio.

Eig. 3 A generalized section showing thè distribution of springs in relationship to altitude. In thè present case, angle a is e. 80° (see text) and therefore thè cene is really flatter than shown here.

Eig. 4 A graph of thè number of springs found above a given alti¬ tude against that altitude. The broken line shows thè number of springs actually found, while thè straight line is given by equation (5).

Eig. 5 The distribution of meaii annual precipitation in thè Lake

Como region (ref. 3j.

Eig. 6 The average flow of springs above a given altitude as a function of that altitude. The histogram is based upon actual measu- renients, while thè continuous curve is given by equation (11).

Fig. 7 The frequency of springs having a given flow. As before thè histogram is based upon actual measurements, while thè continuous curve

is given by equation (12).

Eig. 8 The frequency of springs having a given flow. (The flow

scale is logarithmic ).

sull'idrologia carsica epigea nel territorio ecc.

119

9 _ The frequeucy of thè differences between thè water tempe¬

rature of each spring and thè theoretical mean animai temperature at thè same height. It should be noted that thè man temperature diffe- rence is 8.86° C (1.55° F) higher than thè air temperature.

pig^ XO A graph of thè temperature of spring water against altitude. The straight line (niarked « teorica ») gives thè theoretical mean annual temperature of tire area studied at any given altitude, based on an as- sumed thermal gradient of 0.66° C per 100 m ( 1.09° F per 300 feet). The other straight line (niarked « sperimentale ») gives thè mean tempe¬ rature of thè spring water against height (see text).

Fig. 11 Variations in flow of thè Fonte Pliniana (Spring of Pliny), near Como. The ordinates show thè water level of thè pool infront of thè spring. It appears freni tliese data, that thè niaiii period (if thè change is truly periodic) is about 3% hours at least.

Ringraziamo l’amico Dr. G. T. Warwick dell’Università di Bir¬ mingham per la cortese traduzione in lingua inglese del riassunto e delle didascalie.

Résumé.

On donne ici ime description des caractères principaux de quelque dizaine de sources de la province de Como (N. Italie), notamment pour les endroits dans lesquelles le x^hénomène carsique à lieu.

Pour des questions d’organisation nous avoiis étés obligés d’exclure, sauf quelques rares exceptions, les sources qui tout eii étaiit du type dé- siré, s’ouvrent à l’interieur d’une grotte. C’est bien evident, alors, que 1 ’on pourra tirer des conclusions genérales seulenient lorsqu ’on connaìtra les donnés relatifs à 1 ’hydrograxihie carsique souterraine. Néammoins nous croyons que les déductions théoriques sur le caractères physiques des sources, verifiés pour le cas x)L6sent, seront elicere valables lorsque nos connaissances sur 1 ’hydrograxihie carsique de la zone seront accom- plies. Bien au contraire les valeurs numériques subiront des forts chan- genients.

Il parait nécessaire des ouligner que l’oii a jni construire la théorie que l’on vient d’exposer, gràce à la relative uniformitè géologique de la zone.

On a .ci'u avantageux 1 ’étude du xihénoniène inèiiie au point de vue théorique et statistique, x)RÌs<lRe nous croyons que ce soit le seni moyen pour aboutir à des conclusions, lorsque on a seulenient très peu de donnés directement acquérables, conime c’est maintenant le cas.

120

A. CIGNA - G. RONDINA

D ’autre part le cliapitre sur les valeurs iiumériques des sources le- vées pourra. arder tous ceux qui désirent continuer la. recherete daus d autr es di r ec ti o n s .

Zusammenfassung.

lu Torliegender Arbeit 'werden die hauptsaclilicbsten Eigensebafteu TOii eiuigeu Zeliuern voii Wasserquellen iu der Provinz Como (a. Italieii) bescliriebeu, rvobei sicb der Yerfasser auf die Gebiete, wo die Moglicbkeit der karsischeu Erosionserscbeiuuugen besteht, bescbràukte.

Aus Organisierungsgriindeu mussteu leider, bis auf rveuige Ausuab- men, diejenigen Quell eu ausgesclilosseu werden, die ins Innere von Grot- ten einuiiinden, trotzdem sie der obigen Bedinguiig entsprechen. Desbalb koniien selbstverstandlicb solange nocb keine Scblussfolgeruiigen gezogen werden, bis aneli die sicb auf die karsisebe unterirdische Wasserkunde beziebenden Daten zur Terfùgung stehn. Wir diirfen jedoeh annehmen, dass die pbrsikaliscben Eigensebafteu der Quellen boehstwabrscheinlieb noeli gelten, wenn unsere Kenntnisse iiber die karsisebe Wasserkunde des untersuebten Gebiets vervollstandigt sein werden. Selbstrerstandlieb werden die nunieriseben Werte eine Aenderung erfabren.

Dabei ist zu bemerken, dass die relative geologisebe Gleiebformigkeit des untersuebten Gebiets die Ausarbeitung der in vorliegender Arbeit ge- sehilderten Tbeorie ermogliebte,

IVir bielten es fiir zweckmiissig, die Ersebeinung aneli vom tbeore- tiselien Standpunkt aus zu untersuehen, da dies unserer Meinung naeb der praktiseb einzige Weg ist, bei der Knajipbeit der unmittelbar erbaltlieben Daten Angaben dariiber zu erbalten.

T7eb rigens kann das Kapitel iiber die numeriseben Werte der unter¬ suebten Quellen zukiinftig den in anderen Eiebtungen arbeitenden Eors- ebern zunutze konimen.

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(7) B. Ufficio Geologico, Carta geologica d’ItaHa 1 : 100.000, Fogli:

17 (Chiavenna), 18 (Como).

Vittorio Vialli

LA MARMOTTA FOSSILE DI RAZZA PRIMIGENIA DI GIARDINETTO (VAL DI LIMA - TOSCANA)

Abbastanza numerose sono le segnalazioni di reperti fossili di marmotte nell’Alta Italia ed in Toscana provenienti, in minor parte, dai livelli più recenti del Pleistocene ed, in maggioranza, da teiTeni olocenici. Per lo più si tratta, di individui di Marmota marìnota L., del tutto simile alla forma tipica attuale delle Alpi.

Soltanto in ]3oclii casi furono rinvenute parte sclieletriebe di sog¬ getti denuncianti, rispetto alla comune forma alpina, dimensioni com¬ plessive e di dettaglio nettamente superiori. Regalia (31) ed esempio, la segnala alla Grotta dei Colombi (Is. Palmaria), basandosi su fram¬ menti di due ulne, un omero, un incisivo, un femore e due estremità tibiali; Fabiani (9) la trovò alla Buca del Tasso (Apuane), dove la sua presenza è testimoniata da alcuni rami mandibolari, vari incisivi e diverse ossa lunghe. De ATlleneuve e Boule (3) la rinvennero in alcune grotte dei Balzi Rossi (e in qualche altro giacimento della Costa Azzurra) : soprattutto importanti sono i resti rinvenuti nella Grotta del Cavicchio, consistenti in quattro crani molto frammentari, e nu¬ merose ossa lunghe, che furono descritti e figurati dal Boule nel sopracitato lavoro. Non mi risulta che, in Italia, questa forma mag¬ giore di marmotta pleistocenica sia stata segnalata ufficialmente al di fuori delle regioni ligure e toscana, dove, per giunta, essa sembra essere localizzata in giacimenti situati in prossimità del mare e a al¬ tezze molto modeste. Da informazioni avute gentilmente dal Prof. E. Tongioegi, questa particolare mannotta è stata rinvenuta recen¬ temente anche nei dintorni di Grosseto, il che spinge molto più a sud i suoi limiti di distribuzione, finora ritenuti poco discosti dalle Alpi Apuane. Qualche indizio, che avrebbe bisogno di ulteriori indagini per essere confermato, può far pensare che questa marmotta abbia vissuto anche nel Veneto orientale. Leonardi (23), ad esempio, rife¬ risce che, alla Grotta di Mala Peci presso Dividale nel Friuli, vennero trovati, insieme a numerosi frammenti di ossa craniche e delle estre-

LA MARMOTTA FOSSILE DI RAZZA PRIMIGENIA ECO.

123

inità, tre rami mandibolari ed alcuni incisivi appartenenti ad almeno quattro individui, di dimensioni decisamente grandi^ addirittura forse mag glori di quelle delle marmotte di razza « primig enia » della Girotta del Cavicchio ai Balzi Rossi di Grimaldi, illustrate dal Boule nel 190'6. Anche una mandibola proveniente da Velika dama, e ritenuta da Fabiani (10) una M. marmota, sembra possedere secondo me una caratteristica morfologica che riteng’o propria della forma maggiore pleistocenica.

Se l’esistenza di quest’ultima forma nel Veneto fosse provata, si porrebbe il problema della scelta della via di penetrazione seguita dall’animale per giung’ere nei territori liguro-toscani, dove esso sem¬ bra avere trovato un ambiente molto adatto di vita. Tutto pero lascia supporre, da ciò che sappiamo finora, che esso vi sia giunto dalla Francia, seguendo una direttrice non molto discosta dal litorale.

Dall’esame della bibliografia, si vede che gli autori che si occu¬ parono di questa forma maggiore di marmotta non poterono disporre di materiale sufficiente (cranio, mandibola ed ossa dello scheletro) per illustrarla in modo soddisfacente. Credo perciò utile approfittare di un fortunato ritrovamento di buoni resti, per colmare questa pic¬ cola lacuna nelle conoscenze dei micromammiferi pleistocenici.

La forma di marmotta descritta in questa nota fu variamente in¬ terpretata del punto di vista tassonomico: come specie a {Arcto- ms primigenia K.), come razza della marmotta comune {Arctomys (o Alarmota) marmota primigenia K.) o addirittura in rari casi come rappresentante occidentale della marmotta asiatica {Marmata (o Arctomys) hohac). Ritenendo più logico considerare C{uesta forma come una razza, lo indico come Marmota marmota primigenia Ivaup.

Il materiale in oggetto è stato sc^^ierto dal Prof. F. Mancini, Direttore incaricato del! Istituto di Geologia Applicata dell’Univer¬ sità di Firenze G), nel corso di un’indagine geomorfologica sui terrazzi della Val di Lima (Valle del Serchio, Toscana), in una località si¬ tuata a 310 metri s.l.m., a breve distanza daH’abitato di Giardinetto. Il punto di rinvenimento si trova sul fianco nord-orientale della val-

(p Ringrazio l’amico Prof. Fiorenzo Mancini per avermi concesso in studio questo interessante materiale fossile e per le notizie di carattere geomorfologico riguardanti il luogo di giacitura. (V. Mancini F. : «7 ter¬ razzi ciuaternari del fiume Lima {Appennino toscano) ». Eiv. Geogr. Ital. A. LXV - fase. 4, die. 1958.

124

V. VIALLI

letta, a poca altezza sul fondovalle diluviale. Recenti lavori di co- stmzione di una strada misero in luce una serie di gTotticelle fonna- tesi entro delle brecce ad elementi calcarei retici, impastate di terra cenere, pulvenilenta, e di minuti cristalli di dolomite. Le brecce, do- ^uite a fenomeni colluviali, rivestono gran parte del versante vallivo e sono tagliate dalla nuova strada che conduce a Limano. Esse appaiono addossate alla spessa coltre alluvionale, la cui sommità pianeggiante costituisce il secondo dei tre terrazzi di costruzione messi in luce da Mancini nella Val di Lima. Il primo terrazzo, sul c[uale sorge Giar¬ dinetto, si estende una trentina di metri più in basso, sul fondovalle, mentre il terzo terrazzo, sospeso di circa 60 metri sul secondo, molto bene delineato, presenta uno spessore notevolissimo di ciottolami for¬ temente alterati e ricoperti Cjua e di terra rossa colluviale.

Secondo le notizie avute, le ossa della marmotta vennero rinve¬ nute in una grotticella che appariva quasi riempita di teiTa cenere e teiTa rossa, e dalla cui volta pendevano piccole stalattiti. I resti gia¬ cevano indifferentemente nella teiua rossa ed in quella cenere, però tutte a un medesimo livello. Lo stato di conservazione è ottimo, seb¬ bene fossero coperti da forte incrostazione calcarea che li cementava spesso col detrito di riempimento. Non privo di interesse il fatto che il livello fossilifero fosse situato sotto una crosta stalagmitica grigia, discontinua, di piccolo spessore. Prima dei lavori di sterro, effettuati per il taglio stradale, le grotticelle erano ricoperte da ciottolami di arenaria e da terra rossa, franati probabilmente dall’alto dopo l’in-^ sediamento delle marmotte entro la cavità, col risultato di obliterare la ria d’uscita e di provocarne la morte.

L’aver trovato i fossili nel terrazzo medio, che con ogni proba¬ bilità appartiene al Pluviale rissiano, non fornisce alcun indizio circa il periodo in cui è vissuta la marmottta, anche tenendo conto che i suoi resti non hanno subito rimaneggiamenti. Tutti sanno infatti che quest’animale scavatore può ricavare le proprie tane entro terreni di qualunciue livello, pur che si prestino alle sue necessità. Da notizie comunicatemi verbalmente dal Prof. Tongiorgi, risulta che, a poca distanza, in altre grotte e in giacitura verosimilmente coeva a quella della marmotta in questione, sono stati trovati recentemente dei ma¬ nufatti del Paleolitico superiore, analogamente a quanto si verifica nel livello B della Grotta del Principe, e forse anche alla Grotta dei Eanciulli.

LA MARMOTTA FOSSILE DI RAZZA PRIMIGENIA ECO. 125

Materiale.

A - Ossa appartenenti a un individuo adulto e comprendenti: cranio (intero).

ramo mandibolare destro (quasi intero).

2 omeri (interi).

2 ulne (una frammentaria).

1 radio

2 femori (privi della parte distale).

2 tibie (intere).

atlante ed epistrofeo (interi).

1 scapola (incompleta).

4 vertebre.

2 ossa iliache.

1 sacro (incompleto).

4 ossa metacarpali.

3 falangi.

B - Ossa di un secondo individuo adulto comprendenti:

2 omeri incompleti.

1 osso ischiatico frammentario.

2 ilei.

C - Ossa di un terzo individuo del quale si conserva soltanto l’insieme ileo-ischio destro.

D - Resti di mi quarto individuo giovane, comprendenti: cranio (incompleto).

2 omeri, 2 ulne, 1 radio, 1 femore e 2 tibie, tutti più o meno incompleti.

Osservazioni osteologiche.

(individuo A)

Lunghezza assoluta delle ossa lunghe.

[1]

[2]

omero

mm

86

78

radio

»

67

63

ulna

»

93

72

femore

»

94 c.

79

tibia

»

94

80

NB.: [1] M. marmata primigenia di Giardinetto

[2J M. mar mota fossile di Velika dama (Fabiani, 10)

126

V. VIALLI

Per quanto riguarda il bacino, mi limito a indicare soltanto la lunghezza dell’osso iliaco : mm 61, dal suo estremo distale al centro della cavità cotiloidea ; (l’ileo dell’esemplare di M. marmota del Buco delle Pecore, Magreglio, figurata da Senna (33) è lungo appena 50 mmj.

Queste misure concordano perfettamente con quelle di Arctomys marmotta razza primigenia, figurata da Gaudry alle tavole II e III del suo lavoro sull’esemplare di S.te Suzanne (12).

Cranio - Il pezzo si presenta completo quasi in ogni sua parte. Salvo la mancanza di entrambi i premolari, si notano soltanto piccole rotture di poco conto. A giudicare dal grado non eccessivo di usura dei denti e daH’incompleta sutura delle ossa, l’individuo rappresenta un adulto pienamente maturo, ma non vecchio.

Confrontato con i crani di alcune marmotte viventi del Trentino e dall’alta Val d’Aosta, e con altri due crani di marmotte fossili {Mar¬ mota marmota L.) di Geronieo Monte, nonché con le figure di Marmota marmota fossili, riprodotte da vari autori, il cranio di Giardinetto non presenta, nell’insieme, diversità morfologiche di grande rilievo. La maggior parte di esse potrebbe benissimo rientrare nei limiti di variabilità individuale e sessuale dell’animale.

Una ne esiste, però, che colpisce a prima vista, qualora si osservi il cranio dall’alto, e consiste nella diversa forma dell’insieme costituito dalle ossa premascellari e nasali : nella marmotta di Giardinetto, esso appare tozzo e relativamente largo sul davanti, mentre invece è slan¬ ciato e chiaramente assottisliato anteriormente in tutte le forme vi- venti. Un’identica struttura è rilevabile anche nelle due marmotte fossili di Geronieo Monte, nell’esemplare di Nova (Verona) de¬ scritto da Pasa (29), nonché negli individui figurati dal Boxile per la Grotta del Cavicchio (3) e da Heller per la sua Arctomys primi- geniiis Kaup, del loess recente di Nebra (Germania) (17). Si ha la netta impressione che si tratti di un carattere costante, che si può mettere in rilievo anche con un indice molto espressivo, seppure di significato non bene definibile : il rapporto cioè tra il valore dello strozzamento post-orbitale, misurato subito dietro il processo zigoma¬ tico del frontale, e la larghezza delle due ossa nasali, misurata ante¬ riormente, a livello della loro massima espansione. Sulla maggiore accentuazione dello strozzamento post-orbitale nella razza primigenia delle marmotte fossili, é già stato accennato da Stehlin nel suo lavoro

LA marmotta fossile DI RAZZA PRIMIGENIA ECO.

127

su Coteneher (35), che lo riferì trattando appunto delle differenze con la specie tipica, senza però scendere in dettagli.

Gli indici risultanti dai sopraddetti rapporti sono:

per tre crani di marmotta rivente, 1,08 - 1,11 - 1,15;

per tre crani di marmotte fossili (due di Geronico Monte e la primigenia di Giardinetto) 0,85 - 0,8 < - 0,83.

A mio parere, sempre prescindendo dalle dimensioni, questa è la sola, effettiva, diversità tra l’attuale forma vivente e quella fossile in generale. Dico in generale, perchè se è vero che essa è molto chiara nell’individuo a gaandi dimensioni di Giardinetto, è del pari vero che essa è riscontrabile anche in esemplari fossili di marmotta, i quali, rignardo alla statura, non si allontanano dalle marmotte viventi.

Le altre differenze elencate da Stehlin nel lavoro su Coteneher (cresta sagittale più rilevata e più lunga, linee temporali più accen¬ tuate, faccetta frontale più concava) e citate da qualche autore per accostai’e la forma fossile maggiore (razza primigemei) al bohac, hanno un valore del tutto relativo, che può indicare una qualità, ma non certamente una cjuantità. Ed anche la cpialità appare indefini¬ bile, soprattutto se si pensa che la maggiore accentuazione dei rilievi ossei in generale, e di quelli cranici in particolare, è in funzione di¬ retta della forza traente esercitata dai muscoli. Perciò, pur potendo, in qualche caso, esprimere una maggior robustezza d’insieme dell’ani¬ male, non sono indicativi per una distinzione tassonomica sia pure di rango inferiore.

Le dimensioni del cranio di primigenia di Giardinetto [1], con-

frontate con quelle dell’esemplare fossile di

Ca’

Xova

[2],

con le

dimensioni di una marmotta fossile

di Geronico

Monte [3] e

di una

maiTQotta adulta attuale di Pré St.

Didier

[i]

sono :

[1]

[2]

[3]

[4]

lunghezza condilo-basale

mm

108

92

93

93

lunghezza dei nasali

»

43

35

36

36

larghezza massima dei nasali

»

23

19

16

lunghezza del diastema

»

28

23

23

25

larghezza a livello degli

archi zigomatici

»

67

60

55

59

larghezza dello strozzamento

postorbitale

»

19

17

18,5

lunghezza della serie dentaiia

»

24

20,8

22

22

128

V. VIALLI

Mandibola - Nel seguente specchietto sono segnate le dimensioni della mandibola della primigenia di Giardinetto [1], insieme a quelle

di una marmotta comune fossile di Geronico motta attuale di Pré St. Didier [3] :

Monte

[2] e

di una

mar-

distanza dal condilo al margine ante¬

[1]

[2]

[3]

riore dell’alveolo incisivo

min

70

60 c

61,5

altezza al margine anteriore dell’alveolo

premolare quarto

»

20

15

13,5

altezza a livello del terzo molare

»

16

16,5

14

diastema

»

18

12,5

14

diametro antero-posteriore deH’incisivo

»

6

5

4

lunghezza della serie dentaria

»

22

21

20

Oltre a presentare, come si può vedere, dimensioni maggiori, e ud avere aspetto notevolmente più robusto nei confronti della mar¬ motta attuale e rispetto a. M. marmota fossile, la mandibola dell’esem¬ plare di Giardinetto possiede almeno una peculiarità che si riscontra, identica, in Arctomys primàgenius dell’interstadio W. I/II di Eisle- ben (18), nei grandi individui della Grotta di Mala Peci (24), in Arctomys marmota^ razza primigenia di Sainte-Suzanne (Erve), il¬ lustrata da Gaudry (12), nonché, sebbene in misura minore, nella mandibola destra pleistocenica di M. marmota di Velika Jama, de¬ scritta da Fabiani (10). Questo carattere si scorge meglio osservando l’osso di profilo e dal lato interno. Balza allora evidente all’occhio che l’altezza della mandibola, rilevata sotto il quarto premolare è note¬ volmente maggiore dell’altezza, presa in conlspondenza del ter^o mo¬ lare. Ne risulta un’arcuatura dell’intero settore mandibolare che si raccorda con un’insenatura sensibilmente accentuata al margine in¬ fero-posteriore dell’organo. Nelle marmotte attuali, ed in molte M. marmota fossili, figurate nei lavori di vari Aa., le due altezze, al contrario, quasi si equivalgono. Conseguentemente, mentre in queste ultime la porzione media del ramo ha contorno subrettangolare, nel¬ l’esemplare di Giardinetto il contorno è subtrapezoidale.

, Ciò ha certamente un significato fisiologico. E’ verosimile che l’effetto di tale struttura arcuata si traduca in una maggior potenza della masticazione ed in una maggiore robustezza assoluta dell’insieme. Questa struttura della mandibola armonizza con la forma robusta e tozza della regione rostro-nasale a cui s’è accennato descrivendo il

LA MARMOTTA FOSSILE DI RAZZA PRIMIGENIA ECO.

129

cranio. Pur tenendo conto che le forme dei vertebrati pleistocenici sono spesso più forti dei loro discendenti attuali, vien fatto di pen¬ sare, nel caso della marmotta in oggetto, che la struttura più mas¬ siccia dell’organo della masticazione possa essere connessa con la dieta particolare, genericamente comprendente delle specie vegetali più resistenti.

Si veda, a tale proposito, la conformazione del settore mandibo- lai’e ora descritta, nel castoro e nello scoiattolo, roditori di materiali relativamente resistenti, in cui appare, accentuatissima, la maggiore altezza mandibolare rilevata sotto il quarto premolare, rispetto a quella misurata sotto il terzo molare; mentre nella lepre e nel coni¬ glio, animali notoriamente assuefatti -a una dieta più tenera, la strut¬ tura è diametralmente opposta. E che questa osservazione abbia pro¬ babilità di corrispondere al vero, sembra dimostrarlo anche la spic¬ cata robustezza dei denti incisivi della razza primigenia, in effetti ri¬ levantissima in paragone con gii incisivi della forma alpina attuale.

C’è inoltre da sottolineare, sempre trattando dello stesso argo¬ mento, che nel castoro e nello scoiattolo, l’apofisi coronoide della mandibola è molto sviluppata, mentre nella lepre e nel coniglio essa è rappresentata da un saliente appena accennato. A quest’ultima apo- fisi, si attaccano, come è noto, i potenti muscoli temporali che funzio¬ nano da elevatori della mandibola.

Ebbene, quantunque siano rare le mandibole di razza primigenia, in cui il processo coronoide si conserva sufficientemente bene, mi sembra di poter affermare che, anche sotto questo riguardo, esista una certa diversità, in quanto a forza ed orientamento del processo coronoide, tra la marmotta vivente e la primigenia: a me sembra cioè che, nella razza pleistocenica di Giardinetto, il processo coronoide sia piu accentuato e disposto, rispetto al condilo, in posizione più avan¬ zata. Questo induce a pensare a una maggiore intensità e, nello stesso tempo, a un’applicazione più redditizia della forza applicata alla leva di terzo genere che la mandibola stessa rappresenta.

La divagazione in campo fisiologico è stata fatta, oltrecchè per mettere in luce una apprezzabile, diversità morfologica tra le due forme di marmotta, anche per prospettare quella che potrebbe essere un’ipotesi di lavoro nel campo delle indagini paleoecologiche. Dato che sembra non potersi negare l’esistenza, nella razza primigenia, di un organo masticatore più robusto, sia in senso assoluto che relativo,

IBO

V. VIALLI

rispetto a M. marmota fossile ed attuale, ed ammesso che questo fatto trovi la sua ragion d’essere in un tipo di dieta diverso, più coriaceo per intenderci, dalla dieta alla Cjuale si attiene la marmotta attuale, si tratterebbe ora di vedere se, da ciò, sia possibile trarre delle dedu- -zioni, sia pure largamente approssimative, intorno al tipo di asso¬ ciazione vegetale che caratterizzò l’ambiente in cui visse la primigenia. Deduzioni che, a loro volta,, potrebbero fornire indizi di carattere al¬ trettanto generale circa il tipo o sotto tipo di clima del luogo.

A questo proposito, jiotrebbe giovare un confronto, per quanto riguarda il genere di alimentazione, tra le due specie attuale di mar¬ motte europee: quella delle Alpi e il hohac. Nel primo caso, mi sembra di poter affermare che l’ambiente offre all’animale un foraggio te¬ nero e fresco durante tutti i mesi dell’anno che esso trascorre fuori del letargo invernale C). L’ambiente in cui vive il hohac (chiamato comunemente anche « marmotta delle steppje ») è fondamentalmente differente. Esso infatti preferisce le regioni steppiche deH’Europa orientale, Russia meridionale e Asia centro-meridionale, caratteriz¬ zate da un clima continentale freddo ed asciutto, dove la vegetazione, soggetta a un lungo riposo invernale, è di carattere xerofilo e micro¬ termico. Ne deriva che l’alimentazione del hohac non può che basarsi prevalentemente, salvo cioè che nel periodo di rapida fioritura che segue le brevi piogge estive, su una dieta resistente, a erbe dilre Du- riìierhosa »), nonché su rizomi, tuberi, bulbi e radici di cespugli e di qualche raro albero pioniere.

Trovandomi nella necessità di esprimere un parere sul tipo di clima in cui visse la razza primigenia, opterei, per analogia con quanto esposto in merito al hohac, per un clima freddo ed asciutto.

(^) E noto che la marmotta alpina vive tra i 1800 e 3000 m. di al¬ tezza. Nel Gruppo di Brenta, ad esempio, essa si trova tra i 1800-2000 metri, ai limiti della vegetazione arborea. Scava le sue tane nel detrito di falda, il quale, dov’è rassodato, è coperto da un folto tappeto erboso. Nel Gruppo del Cedevale, la marmotta è localizzata sui 2700 in. (Lago delle Marmotte, Careser) e dispone in qualunque stagione in cui è sve¬ glia di abbondante erba, niantenuta sempre verde e rigogliosa dalle fre¬ quenti precipitazioni di stagione e dall’acqua di fusione di estesi nevai. Si sa, d’altronde, che l’attività vegetativa delle praterie alpine non su¬ bisce sosta invernale, ma soltanto un rallentamento, grazie alla coper¬ tura di neve che impedisce un eccessivo raffreddamento del terreno e che permette, nello stesso tempo, il passaggio della luce necessaria alla foto¬ sintesi clorofilliana. Scomparsa la neve, le piante manifestano un rigo¬ glio immediato, consentendo agli erbivori di trovare cibo abbondante sin nei primi giorni della bella stagione.

LA MARMOTTA POSSILE DI RAZZA PRIMIGENIA ECO.

131

di carattere steppico, deteriiiinante condizioni ambientali alquanto di¬ verse da quelle in cui è vissuta e vive la comune marmotta alpina.

Alle medesime conclusioni arriva, per altra via, Heller (18), grazie alla scoperta fatta a Eisleben (Germania) di resti di primi¬ genia in un livello di loess depositato nel cataglaciale Wiirm I, ed alterato e umificato nell’Interstadio W. l/II (epoca a cui risale 1 in¬ sediamento, in quella località, dell’animale).

Tutto questo sia detto indipendentemente da quelle che possono essere le relazioni di parentela tra la marmotta di razza primigenia ed il bob ac, in merito alle quali, pur essendo stati numerosi gli autori che se ne occuparono, le idee sono ancora tutt’altro che chiarite. In¬ fatti, secondo Liebe, Woldrich, Hagmann, Heller ed altri, le due specie europee sarebbero derivate da un antenato comune, immigrato in Europa in epoca precedente airultima glaciazione. La separazione dei due rami da questo tipo ancestrale collettivo, che gli autori tede¬ schi indicano col termine specifico di Arctomys (o Marinata) primi¬ genia Kaup, sarebbe stata piuttosto tardiva e da mettere in relazione con cause essenzialmente climatiche, cioè col progressivo ritiro del- Vinlandsis scandinavo e la graduale affermazione nell’Europa occi¬ dentale dei regimi di tundra e di steppa. Questo spiegherebbe i mo¬ tivi per cui le marmotte pleistoceniche europee mostrano, a volte, ca¬ ratteri del hohac e altre volte, invece, strette rassomiglianze con la marmotta delle Alpi. Per Woldrich (37), tra gli esemplari fossili te¬ deschi, predominerebbero anzi, nettamente, i tipi morfologicamente più vicini al hohac, ma non fino al punto di pregiudicare la loro con¬ figurazione specifica consentendo, come hanno fatto, ad esempio Nehring, Laville e pochi altri, la loro inclusione nella specie orien¬ tale (^)

(L Nella marmotta delle steppe, il Pm4 inferiore è sorretto da due radici, invece che da tre come nella Marmata marmata; inoltre, in que¬ st ’ultima, il medesimo dente appare corredato da un tubercolo supiilemen- tare che, al contrario, manca nel hohac. E da tenere presente però che, secondo indagini statistiche separatamente condotte da Kafka (21) e Hagmann (16) su abbondante materiale fossile ed attuale, anche questi caratteri, ritenuti dagli zoologi di valore specifico, non lo sono altrettanto per quanto riguarda le forme fossili le quali, rappresentando, come s’è detto un tipo ancestrale, generalizzato, possono possederli più o meno di¬ luiti tra alti caratteri meno importanti. Sicché, nei casi di estrema ras¬ somiglianza con Luna o Laltra specie attuale, sarebbe piu giusto parlare a seconda dei casi di hahitus di Marmata marmata o di Marmata hohac piuttosto che azzardare una categorica identificazione specifica.

132

V. nALLI

Le vedute in proposito degli autori franco-svizzeri (ScHAFr^ Gaudry^ Studeb^ Boule^ Stehlin ed altri) sono molto diverse e Stehlin le riassume chiaramente nella sua bellissima memoria su Co- tencher (op. cit.). Egli nega innanzitutto che le nostre grandi mar¬ motte pleistoceniche, che ammette sensibilmente diverse dalla M. mar¬ mata attuale, posseggano caratteri morfologici in numero e quantità sufficienti a giustificare, come invece fanno gli autori tedeschi, la loro inclusione in una specie autonoma. Il suo parere è che si tratti di una forte variante di M. marmata^ da allineare accanto a quesEul- tima come semplice razza {Arci, marmata , razza primigenia). Per ciò che riguarda le note affinità della primigenia col hohac^ egli le accetta, ma interpretandole solamente come un bagaglio ereditata dalFantenato comune delle due specie. E non potrebbe essere altri¬ menti, secondo il valente paleontologo di Basilea, perchè mentre è accertato con sicurezza che la M. marmata è giunta sulle Alpi prima del Wiirm, come lo provano le scoperte di Bachler nelPInterglaciale riss-wurmiano di Wildkirchli, Drachenloch e Wildsmannlisloch, il habae sarebbe arrivato in Europa, da oriente, molto tardivamente, in¬ sieme alla Saiga e AV Alactagas, allorché si impose il regime steppica su ampie zane lasciate libere àaW inlandsis seandinavo al termine del¬ l’ultima glaciazione. E anche quest’immigrazione del bahac verso oc- eidente fu di portata ridotta, non avendo interessato che le pianure della Gennania settentrionale o, al massimo, come ritiene il Boxile, i territori fino al Reno.

Sulla base di cpiesti ed altri dati, Stehlin conclude esprimendo la convinzione che la diffusione della M. marmata nell’Europa occi¬ dentale, fino a livello del mare (Garonna) ed ai Pirenei, nonché nei Balcani (Krapina, Serajevo), sia avvenuta dalle montagne europee e non dalle steppe orientali, durante la fase di espansione del Wiirm, e che il suo attuale accantonamento alpino e carpatico risalga ad epoca susseguente l’ultima glaciazione.

E’ evidente come le opinioni riguardanti l’evoluzione delle mar¬ motte europee, la loro fisionomia sistematica, nonché la cronaca dei loro spostamenti migratori, siano piuttosto contrastanti.

Tenendo conto di ciò che era già acquisito in materia, i risultati del presente lavoro, pur non portando dati sufficienti a chiarire de¬ finitivamente in un senso o nell’altro i complessi argomenti, testimo¬ niano, a mio modo di vedere che: 1) la forma a grandi dimensioni di marmotta del Pleistocene italiano è morfologicamente più vicina alla

LA MARMOTTA FOSSILE DI RAZZA PRIMIGENIA ECO.

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forma alpina attuale che al bobac; 2) per un certo numero di carat¬ teri che, considerati separatamente potrebbero rientrare nel quadro della variabilità specifica della M. marmota, ma che, presi invece in blocco, costituiscono un insieme abbastanza costante e di valore tas¬ sonomico apprezzabile, si giustifica rinclusione di questa forma mag¬ giore in una razza della marmotta comune che, segmendo quanto è stato fatto da altri autori, viene chiamata primigenia; 4) la comparsa della razza primigenia non è tardiva, ma risale sicuramente almeno al Paleolitico superiore (tardo Wiirm); 5) la via di penetrazione in territorio italiano sembra essere stata la fascia costiera tirrenica, con provenienza dalla Francia; questo, a meno di non considerare i sog¬ getti italiani di taglia maggiore quali rappresentanti di una partico¬ lare razza liguro-toscana ; 6) la razza primigenia fu forma planiziale, di clima freddo e asciutto (steppico), in contrapposizione con la spe¬ cie madre M. marmota che è, attualmente e con ogni probabilità lo fu anche in passato, forma glaciale, distribuita in ambienti di ricca di¬ sponibilità idrica.

Museo Civico di Storia Naturale di Milano.

Dicembre 1958.

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TAVOLA I

Fig. 1. Marmata marmata primigenia, Kaup - cranio, visto di fianco^ Individuo adulto A. Pleistocene sup. di Giardinetto (Val di Lima, Toscana),

Fig. 2. Marmata marmata primigenia, Kanp - cranio, visto dal basso,;^. del medesimo individuo.

Fig. 3, Marmata marmata primigenia, Kaup - ma.ndibol,a, ramo sinistro^ visto dal lato interno, del medesimo individuo.

Fig. 4. Marmata marmata, L. - i^iandibola, ramo sinistro, visto dal lato interno. Esemplare attuale di La Chatz (Pré St. Didier^ Val d’Aosta).

Fig. 5. Marmata marmata primigenia^ Kaup - atlante, faccia poste¬ riore. Individuo adulto A. Pleistocene sup. di Giardinetto (Val di Lima, Toscana).

Fig. 6. Marmata marmata prmiigenia, Kaup - epistrofeo dello stesso individuo, faccia anteriore.

Fig. 7. Marmata marmata primigenia, Kaup - ulna destra dello stesso individuo, faccia laterale.

NB. : tutti i pezzi sono riprodotti in grandezza naturale. La mandibola- di Marmata marmata L. (fig. 4) è riportata per confronto.

I'mv. 1

AI. LI - mai-motta fossile ece.

Atti S

oc.

Ita). Se. Nat. ^ ol. XCVIII,

Dr. Severino Viola

NOTA SU UN NUOVO TBICHOLOMA VELENOSO

Circa venti anni fa, a Milano, si verificò un av^^elenamento fun- :gino non mortale molto grave, in persone diverse non appartenenti alla stessa famiglia. I funghi erano stati raccolti da una persona con buona conoscenza micologica e regalati poi a conoscenti. Il raccogli¬ tore credeva di aver raccolto una specie sola e precisamente il Tri- choloma portentosum (Fries) Quel, che nel tardo autunno cresce co¬ pioso nelle pinete delle nostre Groane. Nei disturbi che si possono verificare dopo aver mangiato funghi, specialmente nei casi non gravi in cui si ha solo molestie d’intestino e di stomaco vi è sempre da do¬ mandarsi se questi disturbi sono da attribuire ai funghi oppure ad altre cause, perchè spesso la paura o la diffidenza verso questi vege¬ tali fa scambiare una semplice indigestione od altri banali incidenti con un avvelenamento da funghi. In questo caso però dato che In¬ cidente si verificò con gli stessi funghi cucinati in diversi posti e senza ■che gli uni fossero suggestionati dagli altri si doveva concludere che si trattava di un autentico avvelenamento. I funghi erano stati rac¬ colti nelle pinete di Cascina Amata di Cantù. Il raccoglitore av\ùsò il Dr. Ferri che allora dirigeva l’Ufficio micologico del Comune di Milano e pensando bene alla raccolta fatta si ricordò di aver notato dei TricJioìoma che differenziavano un poco dal Tricholoma porten¬ tosum. Del fatto si occuparono specialmente il Dr, Ferri ed il Dr. Ale- magna. Nella località di raccolta si trovarono diversi esemplari di un fungo che assomigliava al Tricholoma portentosum ed al Tricho¬ loma terreum (Schaeff.) Quel, ma che non era l’uno l’altro. Il Dr. Ferri inviò qualche esemplare al Cormn. Catoni a Trento per vedere di arrivare ad una classificazione ma la risposta fu deludente. Una prima risposta che si trattava del T. portentosum seguita qualche giorno dopo da una lettera in cui diceva di essersi sbagliato ma di non riuscire a dare una classificazione sicura. Non c’è da stupirsi di Cjueste diagnosi sbagliate od incerte specialmente quando si tratta di un fungo visto dopo diversi giorni in cui è stato raccolto e spedito per

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S. VIOLA

1

posta in un pacco chiuso (vedremo in seguito che anche in Francia sono incorsi nello stesso errore con il medesimo fungo). Xegli anni venienti se ne trovarono ancora diversi esemplari, non molti perchè non cresce abbondante anche negli anni più favorevoli e lo chiamammo con diversi nomi posticci in attesa di una diagnosi sicura. Tutti i soci della Soc. Naturalistica della S.E.M. raccoglitori di funghi al corrente del caso si

Fig. 1. Triclioloma groanense. (Fot. Viola)

guardarono dal mangiarlo e qualcuno rinunciò a mangiare anche il T. portentosum per non incorrere in errore. Una decina di anni fa trovandomi con il Sig. G .Tallero ad un congresso di micologia ne parlammo a lungo con molti micologi e passati in rassegna tutti i Tricholoma del gruppo concludemmo che doveva trattarsi del Tvi choloma virgatum (Fries) Gill. che gode fama di essere velenoso ed assomiglia al nostro. Nell’autunno del 1957 un nuovo awelenamento richiamò l’attenzione sul nostro inicete. Un raccoglitore con buone conoscenze micologiche ma non al corrente dei precedenti ne raccolse qualche esemplare nelle vicinanze di Appiano Gentile e li cucinò in

NOTA SU UN NUOVO TRICHOLOMA VELENOSO 139

miscuglio con altri funghi. Nel 1957 la. comparsa fungina fu piuttosto scarsa e questo spiega il piuttosto scarso bottino fatto da questo rac¬ coglitore. La raccolta consisteva in:

Cantharellus cibarius gr. 50;

Hydnum repandum gr. 200;

Bnssula cyanoxantìia gr. 15;

Cantharellus lutescens gr. 150;

Boletus ed'ulis gr. 15 ;

in più cinque o sei esemplari del nostro Tricholoma e cioè gr. 55/65.

Questi pesi naturalmente sono da prendere in senso lato e non sono stati controllati con la bilancia. Le specie sopracitate sono tutte notoriamente mangereccie e la cultura micologica del raccoglitore è sicura garanzia sulla loro identificazione. Il giorno dopo la raccolta furono cucinati e consumati con il pasto di mezzogiorno dal laccogli- tore e dalla sua signora. Mentre il marito, che mangiò circa i tre quarti del totale, li trovò di ottimo gmsto, la moglie notò un leggero sapore acre come di rapa. Verso le c[uattordici la signora accusava sonnolenza e male di capo in seguito ebbe due scariclie intestinali pressoché normali. Verso le ore 1/ ebbe un violento attacco di vomito acquoso seguito da violente scariche intestinali di materiale acquoso con leggeri dolori addominali. Questi disturbi intestinali durarono fino al mattino seguente.

Per il marito le conseguenze furono più gravi. Verso le quindici e trenta accusava una sonnolenza insolita e come uno strano rigon¬ fiamento all’addome. Alle 1/ ebbe una scarica alvina normale, mez¬ z’ora dopo una scarica semi-acquosa. Alle 18 un’altra ancora violenta esclusivamente di materiale acquoso e cjualche dolore addominale. Queste scariche si ripeterono per tutta la notte a brevi intervalli ed in misura minore per tutta la giornata seguente e la seguente notte. Solo dopo ciuarantotto ore cominciò a migliorare notevolmente. La signora si è rimessa quasi completamente in 24 ore mentre il marito non fu perfettamente a posto che dopo una diecina di giorni. Du¬ rante l’avvelenamento l’infortunato prese solo accjua salata fredda, acqua minerale e cpialche bicchiere di latte ogni altro alimento gli dava nausea. Lhi particolare curioso, le scariche alvine hanno disi¬ dratato talmente l’infortunato che dopo 48 ore dall’indigestione dei funghi era diminuito ben quattro chili di peso.

140

S. VIOLA

Messo al corrente di Cjuesto avvelenamento ed avendo la fortuna di aver vicino il Prof. Nemo Cova che si è particolarmente dedicato allo studio di avvelenamenti fungini cercai di arrivare ad una chia¬ rificazione del caso. Il nostro avvelenato appena ristabilito ritornò sul posto e potè ritrovare ciualche esemplare del fungo incriminato, io pure ne trovai ciualcuno nelle stesse pinete ma verso Tradate. Tre

Fig. 2. Sezione di fegato di cavia colorata con Sudan III°. Si notano gocciole lipidiche intracellulari sopratutto prevalenti nelle

zone perilobulari.

(Fot. Prof. Nemo Cova)

o quattro li mandai in Francia da un conoscente valente micologo ma purtroppo la risposta fu deludente come quella data al Dr. Ferri dal Comm. Catoni. Mi rispose che si trattava del Tricholoma terreum che cresce molto abbondante nel Giura e che viene come è logico man¬ giato senza avvelenamenti. Ripeto qui, come ho detto sopra, che non c’è da stupirsi di queste diagnosi errate fatte su funghi raccolti da parecchi giorni e per forza di cose mal conservati. Con gli esemplari rimastimi preparai un estratto idroglicerico. Un centimetro cubo di

NOTA SU UN NUOVO TEICHOLOMA VELENOSO

141

questo estratto corrispondeva a gr. 0.25 dif ungo fresco. Misi Testratto in fiale da 1 c.c. e le sterilizzai per un’ora a 115°. Questa sterilizza¬ zione mi permetteva di conservare inalterato il liquido e nel medesimo tempo metteva, l’estratto nella condizione del fungo cucinato distrug- g’endo eventuali veleni termolabili. Queste fiale dettero modo al Prof. Cova di eseguire pareccliie prove su cavie. 11 Prof. Cova comuniclieià a parte questo suo lavoro, io mi limito qui a darne un breve sunto. Tre-quattro centimetri cubici iniettati in peritoneo provocarono dopo qualche ora diarrea ed urinazione abbondante. Su quattro cavie iniet¬ tate verso le quattordici, due furono trovate morte al mattino, le altre si rimisero abbastanza prontamente. Sulle morte e sulle altre sacri¬ ficate in seguito si notarono alterazioni al fegato. In seguito venne inietatta una sola fiala e le cavie pur presentando disturbi non mo¬ rirono però anche in queste sacrificate si notò la medesima altera¬ zione al fegato. Da queste prove risulta che il fungo è altamente ve¬ lenoso e che probabilmente una indigestione abbondante oltre all’av¬ velenamento acuto può lasciare disturbi al fegato per un tempo piut¬ tosto lungo.

Dopo quest’ultimo avvelenamento, pensai ancora al T. Virgatum dato che la signora aveva avvertito un gmsto leggermente acre (questo particolare era però contraddetto dal maggior infortunato che aveva trovato i funghi di ottimo sapore). Appena in possesso del fungo scartai questa ipotesi perchè masticatone un pezzetto constatai che uon era aere amaro.

In questo mese di novembre ho cercato di nuo\o il nostro fungo per poterlo definire con sicurezza e vedere con chiarezza in cosa dif¬ ferisce delle specie con cui può essere confuso. Per questo nuovo fungo propongo il nome di Tricìioloma groanense. Ne ho trovato pochi esemplari nelle vicinanze della cascina S. Bartolomeo e qualche altio nelle vicinanze della cascina Villafranca ambedue tra Tradate ed Appiano Gentile. Ecco come si presenta :

Cappello - Diametro da 3-6 cui. carnoso compatto, dapprima conipa- nulato poi pianeggiante, subiimbonato, asciutto di colore grigio topo o grigio cinereo, peloso scjuamuloso ;

Lamelle - dapprima bianche poi grigio cenere, piuttosto spaziate e ventrate, staccate dal gambo, non fragili ;

Carile - di colore bianco sporco con forte odore tra il ciniicino e di farina rancida ;

142

S. VIOLA

Gambo - pieno, compatto fibroso di colore bianco-cinerino alto 4-5 cm, e di circa 1 cm. di dametro, attenuato alFestremità ;

Spore - Eliticbe subrotonde 4/6-7 u;

Habitat - Finora è stato trovato nelle pinete delle Groane. Compare in ottobre e cresce per tutto il mese di novembre se la stagione è propizia.

Il fungo con cui può essere confuso più facilmente e con cui ha più caratteri in comune è il Tricìioloma terreum. Si distingue da ciuesto per diversi caratteri. Il T. terreum ha cappello e gambo fra¬ gili mentre il nostro ha cappello e gambo compatti e sodi. Il terreum non ha odore mentre il greamense ha un forte odore di cimice o di farina rancida. L’uno cresce in grandi gruppi spesso in ceppi di di¬ versi individui l’altro sempre in pochi esemplari separati. Le spore del Terreum sono leggermente più grandi dell’altro.

Dal T. virgatiim differisce, come abbiamo già visto sopra, per il sapore essendo il virgatum acre ed amaro mentre il nostro non ha Cjuesti sapori. Masticandone un pezzetto anche a lungo si avverte il forte odore cimicino ma nessun cattivo sapore. Inoltre il Tirgatum è campanulato ed imbonato. Dal T. portentosum con cui è stato con¬ fuso nei due awelenamenti citati differisce ancora di più. Si può dire che assomigliano solo per la colorazione del cappello. Il T. porten¬ tosum di taglia più robusta, ha il gambo massiccio ingrossato alla base e sia il gambo che le lamelle hanno sempre qualche sfumatura gialla mentre nel nostro c’è solo colorazione bianca o grigia.

Con gli altri Tricìioloma \ùcini e cioè T. murinaceum Bull. T. tigrinum (Schaeff.) Quel. T . scalpturatum Fries ecc. le differenze sono ancora più evidenti. In questo lavoro di cernita, comparativa tra le specie vicine e somiglianti mi ha prestato valido aiuto l’amico S. Taliero che ringTazio vivamente.

Mi è sembrato utile presentare questa nota perchè se è sempre interessante la conoscenza di una nuova identità vegetale la presente riveste un importanza maggiore trattandosi di un fungo velenoso che può facilmente essere confuso con funghi mangerecci e di largo consumo. Fcco la diagnosi della nuova specie :

Tricìioloma groanense n. sp.

Pileus - 3-6 cm. latus, carnosus, compactus, companulato-explanatus, subumbonatus, siccus, griseo-murinus vel griseo-cinereas, vil- loso-scjuamulosus ;

NOTA SU UN NUOVO TEICHOLOMA VELENOSO

14B

Lameìlae - Albae, clein griseocineraea, subconfertae, latae, postice marginatae liand fragiles ;

Caro - Albido-grisea, odore forti inter ciniicimum et farinam rancidam.

Stipes - Teres, compactus, fibrillosns colore albo-cinereo 4-5 cm. lon- gus circiter 1 cm. crassus, basi attennatus ;

Sporae - Ellipticae, 4-6/7

Habitat - In nemoribus pinorum Groane, appellatis adirne tantum inventus est, mense octobri et iisqne ed finem novembris secnndnm est tempus anni.

29 Novembre 19Ó8.

Ed. Luna de Carvaiho (Museu do Dundo - AngoU)

UXE FORME REMARQUABLE DE PAUSSUS RÉCOLTÉE PAR LE PROF. O. SCORTECCI EX SOMALIE

{Col. Carab. Paiiss.)

Xoiis avons recu poni’ étiide quelques Paussicles somaliens dii Musée Civiqiie d'Histoire natiirelle de Milan, recoltés par le prof. O. Scortecci. Dans cette collection noiis avons troiivé iin exemplaire du 2T.’oiipe Inermis-P ì'oceriis-C eiituvio ^ bieu proche d une sons-espece de- crite par nons-niènie des environs de Loiirenco IMarqnes (Afriqne Orientale Portugaise). Yoir figs. 1, 2, 3, et / .

Xoiis nons occiiperons ici de Tétiide de cette noiiveaiité :

Paussus fradei scorteccii, ssp. n.

Figs. 4, 5 et 7 à droite

Pausso fradei m. simiìis; antennariim clava biconvexior quam in fradei", denteni basalem brevem kabet. Long. corp. millini. 10.

Long. 10 nnn, larg. 4 et long, de la massiie antennaii’e 2,5 mm. De la mème taille de l’espèce t^q)iqne, bnin rongeàtre Inisant, avec l épistome conrbe et margine de noir, an milieu il se trouve un sillon longitudinal jusq’au sommet de la tele. Les veux sont bien saillants et le con bien net. La massiie antennaire présente quatre sillons transversaux dans sa marg’e inferieure mais ils sont piesque invisi- bles, Pangle soiis-basale termine en dent peu prononcée (fig. 4). La massue (fig. 5) est fortement plus convexe que chez le type (fig. 3). Le prothorax est aussi moins large chez fradei fradei (Fig. 1); les

élytres et les patt-es sont identiques.

Xous avons guand plaisir en dédier cette sous-espèce à son

ré-

colteur.

LTi seni exemplaire $ - Tholotype, Gardo (Somalie italiemie), 18.X.1957. Museo Civico di Storia Xatnrale di Milano.

1 Paussus fradei fradei - Pronotum du liolotype.

2 et 3 Paussus fradei fradei - Massue antennaire.

4 et 5 Paussus fradei scorteccii - Massue antennaire du liolotype.

6 Paussus stolzi Kolbe $ (selon une piloto de Eeichenspergee).

7 à gauche Paussus fradei fradei Luna de Carv. - Holotype. Coll. Cen¬

tro de Zoologia, Min. do Ultram., Lisbonne.

7 à droite Paussus fradei scorteccii, ssp. n. - Holotype $ Coll. Mus.

Civ. St. Nat. Milano.

146 ED. LUNA DE CARVALHO - UNE FORME REMARQUABLE ETC.

xious avons décrit le Paussus fradei (1951, Anais Junta Inv. Col,. Lisboa, voi. VI, tomo IV, p. 113, fig. la, planebe II, fig. 9) conune line sous-espèee de Paussus stolzi Kolbe (Fig. 6) (1926, N. Beitr. Ins.- K., 3, p. 1/5) de la Nvassaland. Aujourd’Imi avec mie deuxième exem- plaire sous les yeiix, nous sommes d’accord qu’il y a des différences iiettes pour justifier ime séparation spéeifique, Ainsi nous propo- sons réeartemeiit du fradei de Pespèce stolzi et Pexemplaire de la So¬ malie ne serait pas consideré qu’une sous-espèee du fradei (fig. 7 à gauche).

^ ^ ^

Les autres Paussides reeoltés par G. Scortecci, sont les suivants : Paussus somaliae Keichen. Rabable, 28.X.1957.

Paussus plamcollis Raffray, Gardo, 21.X.1957.

Paussus niloticus Westwood, Vili. Duca Abruzzi, VI.1931.

Il nous sembre étre le première fois que les deux dernieres espèces sont mentionées de la Somalie.

Nous présentons ici nos remmerciments à Madame la Dr. M. L. Alves pour les déssins que aimablement nous a fait du type du P . stolzi f radei et à notre ami M. R. G. Lopes pour sa photo du mème exemplaire.

Dundo, XI.1958.

Ed. Luna de Carvaiho

(Museu do Dundo - Angola)

ESSAI ilONOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES

DE LA SOilALIE

{Col. Carah. Pauss.)

Gràce à Pamabilité de Monsieur le Professeur Edgardo Mol- TOXL ti’ès digTie directeur dii jMusee Civique d Histoire natui’elle de Milan, nous avons eu roccasion d’étudier une rielie collection de Paus- sides de la Somalie italienne, appartenant au dit Musée.

Trois espèces seuleiiient ne sont pas representees dans la collec¬ tion examinée mais on y tronve cjuelqnes espèces inédites ponr la faune somalienne et deux esx3èces nonvelles.

Gestro en 1909 (Bull Soc. Ent. Ita!., XLI, pp. 264-26/') a enre- gistré vingf-deux espèces de rEiAdhrée, dont deux seulement sont aussi connues en Somalie, L’inventaire paussidologique somalien semble étre eiicore très loin d’ètre ex)uise en eff et un cou^d d oeil sui les espèces connues en Abyssinie et en Erytbrée nous montre l’impos- sibilité de Tabsence, en Somalie, d’espèces deux régions voisines.

Tableau dictomique des sous-familles, tribus et genres des

Paussides somaliens.

1(2) Antennes avec onze artieles, le deuxieme très petit et xiresque enfoncé dans le troisième. Massue mince et comprenant les neuf demiers artieles .... PROTOPAUSSINAE CEPAPTEPINI

Un seni genre . Caralndomemniis Kolbe

2(1) Moins d’onze artieles antennaires.

3(4) Antennes avec sept artieles, les cinq derniers en massue . . . .

. PENTAPLATAETHBINAE

Un seni genre . Penta pìatarthnis Westwood

4(3) Antennes avec trois artieles, le dernier seulement elavifomie . .

. PAUSSINAE PAUSSIXI

Un seni g’enre . Paussiis Linné

148

ED. LUNA DE CARYALHO

Subfamille FROTOPAVSSiyAE

Des trieliomes prothoraciques présents (genre Protopaussiis Ge¬ stro) et Heteropaussus Thomson), pygidiaux et ceplialiques toujours absents. Les antennes sont eomposées de onze articles monoliformes eliez la tribù Propopaussini et claviformes chez la tribù Cerapterini.

Tribo C e r a p t e r in i

Le deuxième article cliez tous les Paussides de cette tribù (et tous les autres, Protopaussini excepté) est très petit, en forme d’an- neau presque eaclié dans le premier. Les triehomes (eéphaliques, pro¬ thoraciques et pygidiaux) sont tojours absents.

Genre C arahidomemnus Kolbe

Massue antennaire étroite, parallèle ou subparallèle. Téte avec deux fossettes peu pronocées entre les yeux; ceux-ci sont ronds et saillants. Prothorax toujours cordiforme ou subcordiforme.

Les espèces de ee genre sont bien distinctes de celles des Ar- thropterus australiens et Cerapterus à cause de Taspect des profé- murs et des protibias que portent le premier, une dent plus ou moins émousée et la deuxième un ergane de toilette rudinientaire. La seule espèce connue de la Somalie eiicore inèdite appartient au sous- genre Carahidohleptus (Kolbe), aisément reconnaissable par la forme amincie de la massue antennaire. En effet le premier article de la massue des antennes est un peu plus court et bien moins large que le suivant.

\ oici le tableau de toutes les espèces de ce sous-genre :

1(4) Pronotum un peu plus long que large. Plus de 6 mm de lon- gueur. Les élytres avec un dessin rouge longitudinal dans sa suture.

2(3) La tète et les élytres sont de couleur brune, le pronotum est rouge. Les élytres sont glabres. Long. 7 mm. Afrique du Sud . ,

. l'irhyi (Westwood)

3(2) La téte et le pronotmn sont testacés, les éhTres noirs avec des

petits poils eourts dorés. Long. 6,5 mm. Somalie .

. hracìiynoides, sp. n.

4(1) Pronotum plus large que long. Long. 6 mm.

ESSAI MONOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES DE LA SOMALIE 149

5(6) Les articles moyens de la massiie antennaire sont un tiers plus larges que longs. Les élytres finement ponetués. Antennes fer- rugineuses. Zambésie . . . seineri (Kolbe)

6(5) Les articles moyens de la massue antennaire sont un peu moins larges que le doublé de la longueur. Les élytres avec jionetua- tion absente, noirs. Antennes brunes. Afrique Orientale . . . . . metJineri (Kolbe)

1. Carabidomemnus (Carabidobleptus) b r a c h y n o i d e s , sp. n.

Un seul exemplaire liolotypique : Somalie italienne (A. Falzoni col.) Garoe, IV, 1931 (Museo Civico di Storia Naturale di Milano). (Fig. 1, a-c) C arahiclomeìnni kirhyi proximus ; caput tìwraxque rnfotestacei; elijtris hreviter setosis^ nigropiceis, apicibiis suturaque testaceis. Long. corp. millim. 6p.

Long. 6,5 mm, long, de la massue antennaire 2,5 mm. Facies resemblant un peu les petits Bracb^mides. La téte, le pronotum, les antennes et les pattes sont d’un rouge testacé, les antennes un peu plus sombres, les elytres et l’abdomen (pygidum exceptée) sont noirs de poix. Les elytres se presentent un peu testacé dans lèur partie bumérale et a]3Ìcale et la région suturale (nioitié apicale seulement) porte ime tacile longitudinale testacée. La téte est alutacée et pré¬ sente de très jDetits points éparsement distribués, elle est un peu plus longue que large, repistome est un peu anguleux, le labre trapezoidal avec deux soies lougues. Les palpes maxillaires et labiaux sont de la méme sorte cpie chez les autres espèces du genre. Le sommet de' la téte se présente bifoveolée elitre les yeux, ceux-ci sont bémispliériques et bien saillants. Les antennes (fig. 1, b) présentent le premier article subspliérique bien rugueux avec quelques poils et mie longue soie, le deuxième se trouve caclié dans le premier mais il est bien visible à la loupe. La massue antennaire est fort gréle à la base, ses articles sont convexes, le premier article ii’est Ciu’uii tiers moins large cpie le suivant et presque de moitié plus court, le deuxième est à peu près deux fois plus large que long, les Sème-Sème sont deux fois plus longs que larges, le 9ènie est presque deux fois plus long que le Seme (mais un peu plus court que les Tèrne et Séme ensemble), il est régulièrement arrondi à lapex. Tonte rantenne est revétue de petits poils dorés et son tég’ument est bien rugueux. he pronotiim est presque cordi- forme, légèrement plus long que large, son coté basai est plus large que Fapical. Les marges latérales du prothorax sont sinueuses avec

10

ED. LUNA DE CARVALHO

150

une gouttière étroite; un sillon longitudinal moyen/ de la base jusqu’à l’apex, est présent, il y a deux fossettes dans la marge apicale. Le tégiiment du prothorax est alutaeé avec quelques poinst armés de courtes soies dorées. Absence de soies marginales typiques des Cara- biques. Les élytres sont brillants, totalement revétus de soies dorées un peu plus allong'ées que sur la téte et le prothorax; la serie om-

Fig. 1 Carabidomemnus (Carabidobleptus) hrachynoides, sp. n. Ho-

lotype.

a - Vue dorsale, b - Antenne droite. e - Edéage.

d - Apex de l’édéage du C. (C.) ìcirbyi (Westw.), selon P. J. Darling- TON, Jr.

biliquée est coniposée d’une quinzaine de soies un peu allongées. Le pygicUum est testacé; rabdomen noir est densément revétu de courts poils dorés. Les l uttes présentent aussi des poils dorés disposés en ligne dans la margine externe des tibias et des tarses. Les profémurs se présentent inermes et les protibias sinueux dans leur partie in¬ terne. Aedeagm cornine nous montrons dans la fig. 1-e ; il est bien different de celili du C. ìdrbyi (Westwood), selon la figure de Dar-

ESSAI MONOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES DE LA SOMALIE 151

LiNGTON^ Jr. (Fig. 1, d). Femelle et éthologie inconnues. Sans doute a été pris à la lumière.

Cette espèee est aisément distinguée de Fespèce proche kirbyi (Westwood) à cause da sa téte présentant la méme couleur que le prothorax et par ses élytres revétus de soies, au lieu d’étre « glaher- rimus » comme la déscription de Westwood Fenregistre pour Fespèce de FAfrique du Sud. Sans doute ne sommes nous qu’en présence d’un nouveau cas de distinction g’éographique déjà connu cliez d’autres Paussides africains.

Subf amille PENTAPLA TARTHBINAE

Cette subfamille ne renferme que des Paussides à palpes n’oc- eultant pas la bouche et avec des antennes à massue de cinq articles. Ils ont des trichomes protbraciques et dans la région humerale des élytres. Il se peut que le genre fossil Arthropterites Wasmann (1926^ Zool. Anz. 68, 9/10', p. 28, fig. 1) à massue de sept articles, ne soit d’autre chose qu’un « niissing-link » entro les Cerapte’rinae et les Pentaplatarthrinae. Mallieureusement nous croyons que le type, un mauvais échantillon, est actuellement perdu et cette hypothèse resterà gratuite jusqu’à la découverte providentielle d’un nouvel exemplaire dans la succin baltique.

Tribù P e n t a p l a t a r t h r in i

Cette tribù est composée de deux genres tout-à-fait africains. LfO monospécifique Hyperpentarthrus Kolbe très rare et cantonné au Congo belge, et le genite Pentaplatarthrus Westwood, bien di- stinct du premier à cause de son pronotum compléxement contruit, qui se trouve dans presque tonte FAfric|ue Centrale et Orientale; il * est inconnu cependant dans FAfrique Occidentale et au Congo belge.

Grenre Pentaplatarthrus Westwood

La seule espèee de la Somalie est bien distincte à cause de Fab- senee d’une petite dent dans Farticle apieal des antennes et à cause da sa grand taille (11 mm.).

2. Pentaplatarthrus bottegi Gestro, 1895

1895, R. Gestro, Ann. Mus. Civ. St. Nat. Genova, XXXV, p. 298, fig. Type ; Somalie italienne - Uebi Scebeli.

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ED. LUNA DE CAE.VALHO

Sept exemplaires : Domo, A. Falzoni col. (IV, 1939) et Eil (Nogal), S. Venzo et A. Falzoni col. (III/IV, 1938) M. M. et C. A. C).

Fig. 2 Fentaplatarthrus hottegi Gestko. a - Vile dorsale.

b - Massue anteniiaire gauche (Noter Fabsence de la deiit au dernier article).

(^) M.M. = collectioii du Museo Civico di Storia Naturale di Milano. C.A. = collectioii de Fauteur.

ESSAI MOXOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES DE LA SOIMALIE 153

(Fig’. 2, a-b) La forme bieii caracterisée de cette espèce, comme nous l’avons montré ci-dessus, dispense d’une noiivelle deseription dans cette étude. À part ime dimension un peu plus petite cbez les màles, les exeinplaires obseiu’és sont bien semblables. Gomme en ge- stroi Kolbe^ les élvtres ne sont pas taehés.

Subfamille PAUSSIXAE

On ne eonnait cpi’un genre en Somalie - Paussus Linxé. Dans l’hypotbèse qu’on découvre en Somalie aussi des représentants des genres Paussomorplius et Hylotorus, genres bien répandus en Abys- sinie et en Ervtbrée, nous doimerons ici ime clef des trois tiibus afri- caines de cette subfamille:

1(2) Des organes stiidulants absents. Deuxième article des palpes labiaux plus gTand C[ue le premier . . . Tribù Ceratodermi

Un seni genre africani . Paussomorplius Raefray

2(1) Des org*anes stridulants présents, situés dans le premier segment abdominal et les métafémurs. Deuxième articles des palpes labiaux toujours semblable au premier et de méme longueur. 3(4) Téte étranglée à la base en sorte de cou, Antennes et pattes

non rétractiles . Tribù Paussini

Deux genres africains. Paussus L. et Falco paussus Darlixgtox. 4(3) Téte sans cou. Antennes et pattes se cachant en des orifices

appropriés . Tribù Hylotorini

LLi seni genre . Hylotorus Dalacax

Tribù P a u s s i n i Tableau des genres africains

1(2) Les élytres sont longitudinalement et profondément sillonnés; les antennes petites semblables à celle du genre Hylotorus . .

. . {Falco paussus Dar.lixgtox)

2(1) Les élytres ne sont pas profondément sillonnés; des antennes polymorphiques . Paussus LixxÉ.

Genre Paussus LixxÉ Tableau des groupes somaliens

1(2) Massue antennaire excavée postérieurement .

. Groupes non représentés en Somalie

2(1) llassue antennaire non excavée postérieurement, parfois sil- lonnée.

154

ED. LUNA DE CAEVALHO

3(6) Des trieliomes prothoraciques présents, parfois peu nete.

4(5) Massue antennaire sillonnée postérieurement. Trichomes protho- raciques bieu nets . Groupe Spencei.

5(4) Massue antennaire non sillonnée postérieurement. Trichomes prothoraciques, très peu nets . Groupe Manicanus.

6(3) Des trichomes prothoracicjues absents.

7 (8) Téte pourvue d’une petite come verticale avec un triehome au sommet . Groupe Armatus-Foliicornis-W oerdeni.

8(7) La come et le triehome céphalique absents .

. Groupe Inermis-Procerus-Centurio

Groupe Armatus-F oliicornis-W oerdeni

Groupe bien distinct à cause de l’absence des trichomes protho¬ raciques et pygidiaux et pour présenter sa téte surmontée d’une come

plus ou moins longue avec un triehome au sommet.

Tableau des espèces somaliennes

1(4) Massue antennaire allongée.

2(3) Massue ime fois et demie plus longue que large. Prothorax non

sillonné dans sa moitié antérieui’e. Long. 7,5 min .

. {arabicus Raffeay).

3(2) Massue deux fois plus longue que large. Prothorax sillonné

dans sa moitiè antérieure. Long. 8,5-10 min .

. Somalia e Reichensperger.

4(1) Massue antennaire lenticulaire.

5(6) Massue antennaire bien piate et avec la dent sous-basale bien encourbée. Long. 7,5 mm . . . foUicornis Wasmann

6(5) Massue antennaire foilement biconvexe, dent sous-basale droite ou peu encourbée.

( (8) Massue antennaire aiissi longue que large. Long. 8 mm .

. saverii Gestro.

8(7) Massue antennaire bien plus longue que large.

9(10) Pattes ciliés de grosses soies coiirbes. Come céphalique courte. Long. 10 mm . moltonii, sp. n.

10(9) Pattes non ciliées. Come céphalique rélativement allongée.

11(12) La dent sous-basale de la massue antennaire est recourbée. Les

éhTres sont ponctués en séries. Long. 8,5 mm .

. spinicola Wasmann

ESSAI MONOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES DE LA SOMALIE 155

12(11) La dent sous-basale de la massue antennaire est droite. Les

élytres ne sont pas ponctués. Long. 8 min .

. aethiops Blanchard

3. Paiissus foliicornis Wasmann, 1907

1907, Wasmann, Deutseli. Ent. Z., p. 566. Type: Somalie italienne - Aimolato Higo.

Un seni exemplaire : Garoe, IV. 1939 (A. Falzoni col.).

<Fig. 3, a-e) Long. 7,5 min, largeur 2,5 min, long, de la massue

Pig. 3 Paussus foliicornis Wasmann a - Vue dorsale.

b, c, d - Massue antennaire gauche, vue en plusieurs positions. e - Come céphalique.

antennaire 2,5 inm. Duin brun-rouge brillant dans l’ensemble. La tetc est aussi large que longne (les yeux inelns), finement ponetiiée, 1 épi- stome bilobé et sillonné longitudinalenient au milieu, les yeux sont bien saillants, le disque céphalique est surmonté d’une come erecte

156

ED. LUNA DE CAEAL4LH0

droite et lég’èrement inelinée en avant. Le premier article des anten— nes est brillant et non foA’éolé; le troisièine plus gTand que la tète et finement ponetué et Anelli aA^ec de petites soies dorées. Le protliorax est bien étranglé au niillien, non pas sillonné dans sa nioitié antérieure est presqne régailièrement arrondie aux marges latérales. La inoitié postérienre est un peu inoins large que l’jantérieure et ses marges la¬ térales sont droites et dh^ergentes ; dans le disque il y a ime région semicirculaire un peu saillante au milieu. Tout le pronotum porte quelques soies un peu longiies. Les éìytres sont deux fois plus long's que larges ensemble et portent de gros points avee soies dorées eour- bes régulièrement disposées. Les pattes sont gTeles. Ethologie in- connue.

4. Paussus saverii Gestro, 1923.

1923, R. Gestro, Ann. Mus. Cìal St. Nat. GenoAm, LI, pp. 33-35^ Type: Afrique Orientale Anglaise - GAvasso-Njiro (Museo Ci- AÙco di Geno Am.).

(Fig. 4, a-c) Cette espèee, qui nous est inconnue d’après nature, a été- citée de la Somalie par Reichensperger (1948, Senkenb. Nat. Gells.,.

Fig. 4 Paussus saverii Gestro $ a-b - Massue anteiiiiaire droite. c - Come céplialique (d’après Reichensperger).

479, p. 24). Elle ne se trouAm dans la colleetion en référenee. Reichen— SPERGER (1938, Deeheniana, 97, p. 123, fig. 13b) a examiné l’exem- plaire holotypique une femelle et a fait les déssins de la tét-e et de la massue antennaire; ceux-ci ont servi de base à notre figure iei inelus.

ESSAI ilOXOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES DE LA SOMALIE 157

5. Paussus somaliae E-eichenspergeh, 1953

1953, A. Keichexsperger, Ann. ]\Ins. Civ. St. Nat. Genova, LXVl, pp. 161-165, figs. 1, 6, 7 et c. Type : Somalie - Piana di Gelib sul Giuba (Museo Civico di Genova).

Dix exemplaires. Vili. Duca Abruzzi, IX. 1929; Eil (Nogal), IlI/IV. 1938; Gelib-Bidi (Giuba), VI. 1922; Eabable, 28.10-57 (U. Flechter, S. Venzo, A. Falzoni, G. Scortecci et Zammaraxo col.). M.M. et C.A.

Fig. 5 Paussus somaliae Eeichexsperger $ 2 a - Vue dorsale du male, b - Massue anteiiiiaire gauche, c - Come céphalique du male, d - Massue aiitennaire droite de la femelle. e - vu dorsale de la femelle. f - Come céphalique de la femelle. g - Soies des élvtres.

(Fig. 5, a-g) Long. 10 mm, largeur 4 nim ; long, de la massue anten- naire $ = 2,3 mm, 2=2 mm. D’un bruii rougeàtre dans l’ensemble,

158

ED. LUXA DE CABVALHO

le disque de la massue ant enna ire, la dépression moyenne dn prono- tum et les pattes sont de conleur noiràtre. Téte avec rugosité poin- tiforme, non brillante, la niarge de Tépistome et le sillon longitudinal moyen (de l’épistome jusqn’à la come frontale) finement noirs; les yenx sont peu saillant, sur le joues se trouvent quelqnes polis do-

Fig. 6 Paussus arahicus Eaffray de l’Erythrée. u, - Ensemble dorsale, b - Massue. c - Come.

rées. La come cépbalique est un peu conique à sa base et un peu plus longue cliez la femelle que cliez le male. Le premier article des antennes est presque cylindrique, bien rugmeux et bérissé de polis droits; le deuxième est glabre et brillant, presc^ue noir; le troisième (la massue) est lenticulaire allongé et un peu plat, deux fois plus long que large, il est moins grand chez la femelle que chez le male.

ESSAI MONOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES DE LA SOMALIE 159

tonte sa marge est earénée et ciliée; la dent sous-basale est robuste à apex émoussé, les deux cotes du disque sont noir. Le prothorax est aussi rugneux que la téte, sa partie antérieure est plus large que la po- stérieure, elle est latéralement arrondie et un peu anguleuse avec quel- ques polis dans les marges, le milieu du disque est sillonné longitudi- nalement dans sa partie apicale. La moitié postérieure est à peine plus large que longne, les marges latérales sont presque droites, un peu arrondies, le milieu du disque n’est excavé qu’un peu superi iciel- lement. Les élytres sont allongés avec sèrie ombiliquée de soies et to- talement revétus de courts polis encourbés. Les pattes ne sont pas ciliées mais elles sont revétues de soies. Une femelle observée de Ge- lib-Bidi (localité du type?), porte une étiquette avec l’indication ; Paussus arabicus Raffr./R. Gestro det. » sans doute écrite par ce gTand savant.

Reichensperger a considéré cette espèce procbe de Varahicus. Nous avons sous les yeux un exemplaire d’Erytlirée (Fig. 6) et les différences observées dans la description originale y sont bien nettes.

Fig. 7 Paussus spinicola Wasmann - Holotype, d’après Wasmann.

6. Paussus spinicola Wasmann, 189B.

1893, E. Wasmann, Mitt. Scliweiz. entom. GeselL, 8, 9, pp. 1-3. Type : « Somaliland ».

(Fig. 7) Cette espèce nous reste aussi inconnue d’après nature. Elle Jious semble ètre proche de somaliae mais avec la massue antennaire

160

ED. LUNA DE CARVALHO

moins allongée. La figure ici reprósentée a été faite cLaprès la pho- tograpliie du type publiée par Wasmann (1929, D. Ent. Z., I, pi. II, fig. 5).

7. Paussus moltonii, sp. n.

Neuf exeinplaires. Holotype female : Gardo, III. 1930 (I. Bo- scHis eoi.) (M. M.); allotype male : Eil (Nogal) IlI/IY. 1938 (S. Yen- zo eoi.) (M. M.); eotypes: Eil (Nogal) III/IY. 1938 (S. Yenzo eoi.). 'M. M. et C. A.

(Fig. 8, a-d) P. cilipes W estwood similis sed major (9-11 millim.), to- tus riifocastaneiis cum pedibus obscnrioribiis. Corna frontali parvo, antennarum clava lenticidaris longior cpiam in cilipes. Caput, pro- tìiorax pedesque ciliates.

D’un bruii roiigeàtre non luisant avee les pattes et le premier ar- tiele des antennes un peii plus foneé. La téte est un peu allong’ée avec les yeux un peu saillants bien rugaieuse, Fépistome bordé de noir et avee mie ligiie arénée, noire aussi, de l’épistome jusqu’à la eorne eé- phaliqiie, eelle-ei petite (fig. 8, d) eomnie eliez le Paussus cilipes (plus liaut que eliez le P. ivoerdeni Kitsema). Les yeux et les eòtés de la téte sont revétus de gros polis jaunes semblables aux eils des pat¬ tes. Les antennes (fig. 8, b, e) sont plus rugneuses que la téte et aussi eoiivertes de eils. Le premier artiele est subeylindiique, eourt ; le deu- xième petit et brillant et la massue est lentieulaire et eilié sur toiit le rebord marginai. La dent sous-basale est largement trieliomée des deux eòtés (fig. 8, e). Le prothorax est un peu piu long que large, bien étranglé au milieu et avee un sillon longitudinal moyen, de la marge antérieure jusqii’à la niarge postérieiire ; pas de tricbonies. La moitié antérieure est arrendi latéralement, de la niénie longueiir que la moitié ii)ostérieure et aussi large que la téte; elle est aussi revétue de polis eilié^. La partie postérieure est un peu moins large que fan- térieure, ses marges latérales sont un peu arrondies et presque droi- tes, avee la marge de la dépression moyenne un peu saillante; elle est aussi eiliée aux eòtés. Les éìytres sont lisses, alutaeés, avee quelques poils eourts dans l’apex. On trouve dans les regions marginales et bu- mérale quelques poils moins robustes que les eils de la téte et du pro- notum; la sèrie ombiliquée est eomposée de sept ou buit poils longs et minees. Le pi/gidium est densément et fortement ponetué. Toutes les pattes sont bien eiliées eomme ebez P. armatus IYestavodd.

ESSAI MONOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES DE LA SOMALIE 161

La préseiice de cils sur la téle (yeiix inelus) et pronotum, la ca¬ rène inoyenne longitudinale, sa longueur plus grande que cliez le P. cilipes (9-11 mm de long, totale contre 7-8 min.), écartent bien cette

Fig. 8 Paussus moltonii, sp. n. - Holotype. a - Vile dorsale, b - Massiie anteiinaire droite. c - Come céplialique.

d - Deiit sous-basale de la massiie auteniiaire.

162

ED. LUNA DE CAEVALHO

espèce inèdite des deux sous-espèces de cilipes. Selon les dessins de Westwood^ la inassue antennaire est aussi plus courte et moins grosse chez cilipes. La dimension trop petite de la come frontale et beaucoup d’autres caractères nous montrent que nous somnies en présence d’une espèce bien differente du P. armatus Westwood^ espèce avec pattes bien ciliées aussi.

Le Paussus moltonii diffère aussi du P. propinquus Périn- GUEY (^) poui’ sa taille plus grande (P. propinquus 7-8 nim), sa come céplialique plus courte que dans l’espèce en refference. Enfin les éltyres du Paussus de Peeinguey sont provus d’une rangée de longnes soies dans ses marges latérales.

Nous avons gTand plaisir à dédier cette nouveauté à M. le Pro- fesseur Ed. Moltoni.

8. Paussus aethiops Blanchard, 1845.

1845, Blanchard, Règne An. Edit. Crochard, Ins., pi. 61, fig. 8.

Type; Nubie (Musée de Paris).

Un exemplaire: Vili. Duca Abruzzi, 1933 (U. Flechter col.) et un autre de l’Erytbrée (Dott. Sibilla col.) classiffié par Gestro. M. M. et C. A.

(Fig. 9, a-c) Long. 8 mm, largeur 2 min, long, de la massue des anten- nes 2 mm. Semblable à l’espèce antérieure mais plus petite avec la come céphalique (fig. 9, b) plus grand et un peu conique. Les pattes et le pronotum ne sont pas ciliés. Les tricbomes de la dent sous-ba-

(^) Nous somuies bien reconnaissants à M. le Doeteur H. Andreae, South Afriean Museum, pour Uexameii du Holotype du Paussus propin¬ quus PÉRINGUEY qu’il nous a fait.

Sur le difficulté de faire 1 Identification des espèces déciites par PÉRINGUEY, M. le Dr. Andreae nous a fait Uavis suivant:

« . . . is almost impossible to revise a group without seing Périn- guey ’s types . . . to identif y tliem « ex descriptione » a man who can do that safely lias not been boni yet. » et ajoute aussi; «I must draw your attention to one pecularity of Pèringuey : He measures bis specimens from thè tip of thè mandibles to thè end of thè abdomen, so he gives thè length of P. propinquus as 8-9 mm, others, measuring from tip of labrum to end of elytra would cali it 7-8 ».

ESSAI MONOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES DE LA SOMALIE 16B

sale de la massue antennaire sont très petits surtout le trichome de la partie inférieure. L’épistome est aussi caréné longitudinalement.

Cette espèce est bien connue de la Niibie, du Sudan, du Congo belge et de l’Erytlirée. Nous supponons cpie e’est la première fois qu’elle est eitée de la Somalie.

Groupe Spencei

Ce gToupe ne présente que deux espèces bien écartées géographi- quement ime dans la Somalie et Tautre (spencei Westwood) ne se trouve que dans binde.

Fig. 9 Paussus aethiops Blanchaed

a - Vue dorsale, b - Massue antennaire droite. c - Come céphaliqiie.

11 est bien semblable au groupe Spinico.ris, excdusif de PAfrique, mais au lieu d’une come cépbalique il y a des fossettes sur la téte.

164

ED. LUNA DE CARVALHO

Dans l’espèce somalienne la massue antennaire est quadrisillonnée (comme cliez spinicoxis), par eontre FesiDèee indienne ne présente qu’une massne bien lisse.

9. Paussus cìtternii Gestro, 1911.

1911, E. Gestro, Ann. Mus. Civ. St. Xat. Genova, 3°, \ (XLV) pp. 457-460, fig's. Tvpe: Somalie italienne - terr. Rahannin.

Fig. 10 Paussus citternii Gestro.

a, - Enssemble.

b - Massue antennaire du male.

e - Massue antennaire de la femelle (Déssins basées d’après figs. de Gestro et Eeichensperger).

(Fig. 10, a-e) Aous ii'avons pas d’exemplaires de cette espèce, qne nons connaissons seulement par la littérature. Les déssins ci-inelus ont été basés sur les figures de Gestro et Eeichensperger (1938, Decheniana, 97 B, p. 128, fig. 14).

ESSAI MONOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES DE LA SOMALIE 165

Le dimorphisnie sexuel eliez le Paussus citternii est bien net dans la massue antennaire 10, a, b). Jusqu’à présent cette espèce n’est eonnue qiie dans la Somalie.

Groupe Manicanus Tableau des espèces soinaliennes

1(2) Prothorax plus long- que large. Massue des antennes trois fois moins large que longue ........ planicollis Raffray

2(1) Prothorax aussi large que long’. Massue des antennes moins de deux fois plus longue que large . . . vollenhovii Westwood

10. Paussus planicollis Raffray, 1885.

1885, A. Raffray, Nouv. Ardi. Mus. Paris (2) Vili, pi. 15, fig. 33; 1886, loc. cit. IX, pp. 7 et 16. Type: Abyssinie (Musée de Paris).

Trois exemplaires ; Gardo, III. 1930 et 21.X.1957 (Boscms et G. Scortecci col.). M. M. et C. A.

(Fig. 11, a-b) Long. 7 nun, larg. 2,5 mm, long, de la massue 1,5 mm. DMn rouge testacé bien brillant. La téte est ovale large, brillante, avec quelques polis sur les joues et le disque, les yeux sont rondes et glabres. La massue antennaire (fig. 11, b) est à peu près trois fois plus longue que large, brillante et couverte de fins polis dorés, la marge antérieure droit, la postérieure courbe, la dent sous-basale un peu longue avec l’apex aigu. Le prothorax est légèreinent étranglé, un peu plus long cjue large ; la moitié antérieure est carrée, latéralement arrondie et ses angles antérieurs sont arrondis. La moitié postérieure est de méme longueur que l’antérieure, moins large dans sa partie antérieure et de la mème largeur à la base. Le sillon transverse est peu profond et à ces extremités présente une petite dent avec quel¬ ques polis (trichomes rudimentaires). Tout le pronotum est éparse- ment couvert de longs polis. Les élytres sont allongés, brUlants et éparsement couverts de points sétigères régulièrement disposés. Le pygidium est noir et couvert de polis (plus petits et plus densément

11

166

ED. LUNA DE CARVALHO

disposés que sur les elytres), ses inarges sont ciliées. Les pattes sont g-réles, relativement allongées et avec quelques soies. Cette espèee est eonnue du Kiliinandjaro, de l’Abyssinie et de FErtbrée.

Fig. 11 Paussus planicollis Eaffray

a - Vue dorsale, b - Massue antennaire droite.

11. Paussus vollenhovii Westwood, 1874.

1874, J. 0. Westwood, Thes. Ent. Oxon., p. 94, pi. 19, fig. K). Type: « Africa Tropicalis ».

Deux exemplaires : Vili. Duca Abruzzi, IX. 1929 et V.1939 (U. Flechteb col.). M. M. et C. A.

(Fig. 12, a, b) Long. 8 mm, larg. 3 iiim, long, de la massue ant. 2,5 min. Semblable à l’espèce précédente mais plus robuste et plus Frillante. La massue antennaire (fig. 12, b) est moins longue et plus large,

ESSAI MONOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES DE LA SOMALIE 167

presqiie lenticulaire et aplatie. Le pronotum est moins long mais il présente le méme facies. Les élytres sont un peu plus larges et leur ponctuation se présente plus forte et moins abondante, Les fémurs sont plus renflés.

Fig. 12 Paussus vollenhovii Westwood. a - Vu© dorsale, b - Massue anteniiaire droite.

La localité connue de cette espèce est présentée conime « Africa Tropicalis » (la méme c[ui se trouve dans la description originale). Sùrement le Paussus vollenhovii est nopveau d(3,ns Iq- faune de Ig, So-

wmlie,

/

168

ED. LUNA DE CAEVALHO

Groiipe Inermis-Procerns-Centurio Tableau des espèces de la Somalie

1(4) Massiie antennaire lenticulaire.

2(3) Massue antennaire bien quadrisillonnée .

. niloticus Westwood

3(2) Massue antennaire très faiblement quadrisillonnée, presque to- taleinent lisse . fraelei ssp. scorteccii mihi

4(1) Massue antennaire allongée, sa largeur nioins de nioitié de sa longueur . patrizii Gesteo

Fig. 13 Paussus niloticus Westwood $ a - Vue dorsale, b - Massue antenuaire droite,

ESSAI MONOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES DE LA SOMALIE 169

12. Paussus niloticus Westwood, 1874.

1874, J. 0. Westwood, Thes. Ent. Oxon., p. 83, pi. 19, fig. 9. Type;

Nil Blanc.

Deux exemplaires : Somalie Ital. 1I1/IV.1937 (S. ^ exzo col.), VII. Duc^ Abruzzi, \A.1931 (G. Scortecci). M. M. et C. A.

(Fig. 13, a-b) Long. 8,9 mm, larg. 4 et long, de la massue a, 7 mm. D’un roiige brunàtre bien brillant. La téte est lisse avee quelques pe- tites soies dans le disque, l’épistome ronde avec ime ligne mediane noire, les yeiix revétus de quelques soies plus longues que sur la tètp. Le disque de la téte, entre les yeux, est un peu élévé et le con bien net. Les antennes (fig. 13, b) sont bien brillantes avec la massue C[ua- drisillonnée dans sa marge inférieure, elle est lenticulaire bien ro¬ buste et grosse, on y voit quelques petites soies dans le disque. Le pronotum se présente étranglé au milieu, sa moitié antérieure est plus large que la postérieure et ses marges latérales sont arrondies, les marges de la moitié postérieure sont droites. Les éìytres sont bien larges avec gTosse ponctuation et soies dorees aussi. Les pcittes sont rélativement courtes avee les fémurs et tibias aplatis.

Cette espèce est connue du Xil Blanc, Xubia et Bahr el Abrad (selon la description originale) et du Congo belge (selon Reichens- perger).

13. Paussus patrizi! Gestro, 1923.

1923, R. Gestro, Ann. Mus. Civ. St. Nat. Genova, LI, pp. 31-32, fig. Type: Somalie - Margherita, sul Giuba (Museo Civico di

Genova).

Quattro exemplaires: Vili. Duca Abruzzi, X.1929 (L^. Flechter col.). M. M. et C. A.

(Fig. 14 a-b) Long. 8 mm, larg. 3,9 et massue 3 mm. D’un rouge tes- tacé brillant, totalement couvert de pontuation et revétu de polis comds jauiies. Téte et pronotum semblable à celle de l’espèce anté¬ rieure sauf les marges de la moitié antérieui’e du prothorax qui soni

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ED. LUNA DE CARVALHO

plus ang’uleuses et le sillon transversai qui se présente sinueux. La massue antennaire (fig. 14, b) est tout-à-fait differente, allongée, sa niarge antérieure bien recte et la j)ostérieure anguleuse; la dent sous-basale malgré sa petitesse est bien nette. Les élytres et les pattes sont aussi seinblables à ceux du P. niloticus. Les quatre exeinplaires.

Fig. 14 PaussKs pairizii Gestro.

a - Vile dorsale, b - Massue antennaire droìte.

encore couverts de qnelques écailles de papillons, ont sans doute été ohassés au piège luniineiix. L’éthologie de cette espèce reste encore ineonnue.

Elle est ineonnue dehors de la Somalie.

14. Paussus fradei scorteccii Luna de Cahv., 1959.

1959, Ed. Luna de Carvalho, Atti Soc. It. Se. Nat., XCVIII, p. 144. Type: Somalie ital. - Gardo, 18.X.1957 (M. M.).

(Fig. 15, a-b) Long. 19 min, larg. 4 et long, de la massue antennaire 2j5 mm. De la méme taille que Tespèce typique, brun rougeàtre lui-

ESSAI MONOGRAPHIQUE SUR LES PAUSSIDES DE LA SOMALIE ]7l

sant, totalment couvert de petits polis clorés. La téte est luisante avec répistome courbe et marginé de noir, au milieu il se trouve un sillon longitudinal jusqu’au sommet de la téte. Les veux sont bien saillants

Fig. 15 Paussus /radei scorteccii Luna de Carvalho - Holotype. a - Vue dorsale $ . b - Massue antennaire droìte.

et le cou bien net. La massue antennaire (fig. 15, b) présente quatre sillons transversaux dans la marge inférieure mais ils ne sont visi- bles que si nous les clierclions avec un éclairage special (en effet il est ncesseaire de mouvoii* légèrement le rayon lumineux pour que les sillons deviennent visibles; la méme opérataion est necéssaire pour

172 ED. LUNA DE CARVALHO - ESSAI MONOGRAPHIQUE ETC.

voir les sillons de la massaue de P. f radei f radei). La massue porte aussi une dent sous-basale peu prononeéé mais absente cliez le type; elle est fortement plus convexe que cliez fradei typique (voir l’an- tenne gauche répresentée dans la fig. 15, b). Les élytres et les pattes sont identiques à ceux du type.

Un seul exemplaire male le liolotjqDe a servi pour fonder la sous-espèce scorteccii.

SUNTO DEL REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ

(Data di fondazione: 15 Gennaio 1856)

Scopo della Società è di promuovere iu Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali.

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I Soci annuali pagano L. 2000 all’ anno, in una sola volta, nel primo bimestre dell' anno, e sono vincolati per un triennio. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti in Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ri¬ cevono gratuitamente gli Atti e le Memorie della Società e la Hi vista Natura.

Chi versa Lire 20000 una volta tanto viene dichiarato Socio vitalizio.

Sia i soci annuali che vitalizi pagano una quota d’ammis¬ sione di L. 500.

Si dichiarano Soci benemeriti coloro che mediante cospicue elargizioni hanno contribuito alla costituzione del capitale sociale 0 reso segnalati servizi.

La proposta per V ammissione d' un 'nuovo Socio annuale 0 vitalizio deve essere fatta e firmata da due soci mediante let¬ tera diretta al Consiglio Direttivo.

Le rinuncio dei Soci annuali debbono essere notificate per iscritto al Consiglio Direttivo almeno tre mesi prima della fine del 3'’ anno di obbligo o di ogni altro successivo.

I^a cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza.

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Gli Autori che ne fanno domanda ricevono gratuitamente cinquanta copie a parte, con copertina^ stampata, dei lavori pub¬ blicati negli Atti e nelle iMemorie, e di quelli stampati nella Divista Natura.

Per la tiratura degli estratti, oltre le dette 50 copie, gli Autori dovranno rivolgersi alla Tipografia sia per 1’ ordinazione che per il pagamento. La spedizione degli estratti si farà in assegno.

INDICE DEL FASGLGOI.O I

A. Corti, Botanica valtellinese (Appunti e divagazioni) . pag. A. Cigna - G. Bondina, Sull’ idrologia carsica epigea nel

territorio della provincia di Como (Lombardia) . »

V. ViALLi, La Marmotta fossile di razza primigenia di

Giardinetto (Val di Lima - Toscana) (Tav. I-II) . . »

S. Viola, Nota su un nuovo Tricholoma velenoso . »

Ed. Luna de Carvalho, Une forme remarquablé de Paussns récoltée par le Prof. G. Scortecci en Somalie {Col. Cavai). Pauss.) . . " * *

Ed. Luna de Carvalho, Essai monograpbique sur les Paus-

sides de la Somalie {Col. Carah. Patissi) ...»

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Nel licenzicPre le bozze i Signori Autori sono pregati di notifi¬ care alla Tipografia il numero . degli estratti che deside¬ rano oltre le 50 copie concesse gratuitamente dalla Società.

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1 dei prezzi per gli

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i Atti da pubblicarsi

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Ij. 1500.—

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e 2000.-

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11 2500.—

n 2750.-

« 16

1750.

e 1800.—

n 2250.

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Natura. -

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