ASISaorifiontte 3 23 FISTITELEFPSO”E ICRITRACIOICALO ddt LAPTOIE BESTRICOCO DO Y OKI Side a ddl dA MAZZA: e AES og de nate Dis O mora o) Ma Sar n Tui ra; A CICLI Tato Leivi \arh: ui Rare DEE UCI AB passo OCIOCLAS 8) sn PUR SRO, Med N Di LO b 3 dante Ù Lat Sd A, NN La e Mari Tr sb nie SA PUOI, urea CCI O) PINO Vle o) wa NICRUNN DI ME tg OO UN DR DI Fota “pa oO (0 RIE RA RIONI Mg AAA ded ba 0) 4 a tac; de RA Ù DEI RI Rx tI NANTRAICIC SON AZIZURO DOO RIUMLECIIIULIO RUCOCIO Dr RT Ù LAO PUTTANA LUX STO ti dont RA RE So a hai aore ad MERO] melita; NOI LA) po LO, IRA to SOI DCO METE NOE O rare DIG ere Na (RICCI Mile! 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VITA pa a Malo VAR NEI Nic ANAL .- do L'EMCROA a! ARA pi da e ded id ? AO, hg, Proto Roi IRA (on Ù (ata EICROTTA TRA a gua (6 VOCROÌ ri Ara sia # vI ‘ eta si i - to da na PENTA I) Meo toda nd den | IH ERIANEN i i De La (a DUI o) L 9A ir tai i yang RA IIC ALn OTIOVIe Du ATTI DELLA SOCIETA TOSCANA DI SCIENZE NATURALI RESIDENCE ENEREZIESTZA PISA. TIPOGRAFIA T. NISTRI E Cc. 1883 DESCRIZIONE DI NUOVE SPEGIK DI LEPTOCEPHALI DELLO STRETTO DI MESSINA PEL DOTT. LUIGI FAGCIOLA Il numero considerevole delle nuove specie di Leptocephalidi state rinvenute nello stretto di Messina da vari naturalisti fore- stieri quivi soffermatisi per alcun tempo, quali Bibron, Gegenbaur, Kolliker, Haeckel e Keferstein, fecemi sospettare che altre non poche sarebbero per discoprirsi in quelle acque se assidue ricer- che si continuassero a praticare. Di fatti in procacciarmi questi . animali sovente mi vennero sott’ occhio forme diverse e andai persuadendomi ognora più quella famiglia di pesci esservi a do- vizia rappresentata, sì che ora stimo dover contare nello stretto un numero di specie non inferiore a quello di qualunque altra della fauna ittiologica dei nostri mari. Ho divisato perciò d’ illustrare in diversi opuscoli le nuove specie che fino adesso conosco e quelle che in seguito sarò forse per ritrovarvi, riserbandomi di scrivere in fine un lavoro più esteso su tutti ì rappresentanti della famiglia viventi in quelle acque. Intanto darò qui senz’ altro 1’ elenco delle specie sin’ oggi indicate pei mari italiani e che sarebbero pure le sole europee. 1. Leptocephalus Morrisi, Gm. 2. pi Spallanzani, Riss. 3. x (Helmichthys) punctatus, Raf. 4. 5 (Helmichthys) diaphanus, Costa. n bi Kollikeri, Kaup. 6. x (regenbauri, Kaup. 4 f L. FACCIOLÀ 7. Leptocephalus Bibroni, Kaup. 8. È Yarrelli, Kaup. 9 E stenops ('), Kaup. 10. È, longirostris, Kaup. 11. È brevirostris, Kaup. 12. Lo Haeckelî, Kaup. 13. 3 Kefersteini, Kaup. 14. Hyoprorus messanensis, Koll. 15. Tilurus trichiurus, Cocco (Oxystomus Rafinesquii, Facc.). 16. Isso Ra up: 17. » hyalinus, Facc. (Oxystomus hyalinus, Raf?). Fo notare soltanto che delle specie qui riportate le ultime tredici (9-17) non sono state ancora notate per altre località fuori lo stretto di Messina. Ad esse ora devono aggiungersi le seguenti. 1. Leptocephalus affinis. Tav. 4, Fig. 1. Corpo largo, assottigliato e lungo. Rostro corto e acuto. Ma- scella inferiore più lunga della superiore. In ambedue denti dritti ed acuti, sull’ estremità di ciascuna inoltre due denti incurvi. Occhio piccolo, circolare. La narice posteriore s’ apre su di un tubercoletto depresso. Fessure branchiali obblique, inferiormente ravvicinate. Pinne pettorali appena visibili. Tubo digestivo on- deggiante perchè attaccato sul margine di una larga duplicatura cutanea esilissima. Ano presso l’ estremità posteriore del corpo. Una piega bassissima regna dall’ occipite alla coda. Un ordine di punticini neri lungo il margine di questa piega dorsale. Due altri ordini partono dal disotto della gola e vanno lungo i lati del tubo digerente non più oltre del primo 5° della lunghezza del corpo. Sotto la linea laterale sono tratti obliqui lungo una porzione di ciascuno degli interstizii muscolari, formati da punti neri sì ravvicinati che ad occhio nudo appariscono come linee continue. N’ ebbi una diecina di esemplari. (4) Della provenienza dell’ unico esemplare di questa specie, esistente nel museo di Parigi, l'A. dice: « probably, but not certainly, from Messina». Ma io già ve la rinvenni, DESCRIZIONE DI NUOVE SPECIE DI LEPTOCEPHALI D 2. Leptocephalus inornatus. Tav. 4, Fig. 2. Somiglia la precedente, ma ha il corpo un po’ meno assotti- gliato e l’ano molto più innanzi. Inoltre mancano denti e punti sul corpo. WimahezzadeliGorpo tara 4 dt ai St Mossimavalbezza > eee i 2a Lunghezza del capo . . MOR 72 Dalla punta del muso all’ vicna della dolo 108°" Wballafpuntavdel: muso all’ano; 0083 (4. 8447 Ne vidi finora un solo esemplare. Osserv. — Queste due specie sono affini alle esotiche L. taenia Kaup e L. marginatus Q. et G., con le quali dovranno entrare in un gruppo distinto. 8. Leptocephalus sicanus. Tav. 4, Fig. 3. Corpo molto compresso, poco e quasi egualmente ristretto ver- so i due estremi. La sua massima altezza perdura di più nella metà posteriore che nell’ anteriore. Capo mediocre. Muso triangolare, discretamonte puntuto. Mascelle eguali. Di queste la superiore ha il profilo alquanto convesso e declive e il margine dentario appena incavato. La inferiore è più stretta, dritta, con un incavo longitudinale dalla parte di sotto tra le due branche e cogli angoli alquanto sporgenti. Lo squarcio orale giunge fino al mar- gine inferiore degli occhi ed è un po’ meno di metà della lunghezza del capo. Denti acuti su tutto il margine della bocca. Di essi due più lunghi sono sull’ estremità della mascella superiore; se- guono circa altri 7 denti per lato, poi una seconda serie di altri 28 circa più piccoli e più ravvicinati. Due sono sulla punta della mandibola, indi altri 17 all'incirca per lato, un poco più lunghi e più obliqui dei superiori. Gli occhi toccano il profilo, sono un poco ristretti sull'angolo della bocca ed inclinati in avanti. Una narice semplice innanzi al loro margine anteriore, un’ altra con orlo membranoso più vicina alla punta del muso che al- l’ occhio e al di sopra del margine della bocca. Profilo della gola alquanto incavato. Fessura branchiale non obliqua nè incavata, * egualmente distante dalla linea laterale e dal margine inferiore 6 L. FACCI@LÀ del corpo. La distanza che la separa dal margine posteriore del- l’ occhio è uguale a quella che intercede tra il margine anteriore di questo e l’ estremità del muso. Pettorali lunghe quanto il diametro degli occhi, non appuntate. Codale con raggi distingui- bili, più lunga che larga, ottusa. Il segmento superiore dell’ occhio è nerastro. Lungo il margine del ventre due serie di punti neri ravvicinati. Un’ altra serie di più fini e più ravvicinati LEO la base dell’ anale e della codale. Lunghezza ‘del':corpo ee e ee e Altezza ‘massima: on Lunghezza del capo . . . TRARRE Dall'estremità anteriore all’ aa: della ipsa 85%", 5 Dall’ estremità anteriore all’ano . . . . . 107°” SY E specie piuttosto frequente. 4. Leptocephalus Borelli. Tav. 4, Fig. 4. Corpo molto compresso, poco ed ugualmente ristretto ai due estremi. La mascella superiore è piuttosto puntuta sull’ estremità, convessa sul profilo, alquanto incavata sul margine boccale. La inferiore è più lunga, senza angoli sporgenti. L'una e l’ altra armate di piccoli denti acuti, eccetto sulla punta. La narice ante- riore è al di sopra del margine della mascella, appena più vicina all'estremità di questa che al margine anteriore degli occhi, presso a cui si apre la posteriore. L’ occhio è circolare o quasi, tocca il profilo, cape 3 '/, volte nella lunghezza del capo. Squar- cio orale alquanto obliquo, poco più grande di metà della lun- ghezza del capo. Angoli mandibolari nulli. Il protilo della gola non è concavo. La distanza tra l’ estremità del muso e il margine anteriore dell’ occhio è uguale a quella tra il margine posteriore di esso e la fessura branchiale. Questa è piccola, dritta e dista dalla linea laterale quanto dal margine inferiore del corpo. Pet- torali più corte del diametro dell’ occhio, ottuse. Codale corta, ritondata. Due serie di punti ravvicinati lungo il margine infe- riore del corpo. Lunghezza :del' corpo. * Rei 00 Altezza massima; 0 AN 9 Lunghezza del capo. . .° a 6 Dalla punta del muso all’ aria della sbrsale 3 14 Dalla puntalidelimusofalliano CR 89 DESCRIZIONE DI NUOVE SPECIE DI LEPTOCEPHALI 7 Questa specie è affine alla precedente. 5. Leptocephalus inaequalis. Tav. 4, Fig. 5. Corpo considerevolmente lungo e compresso. La sua metà posteriore è più alta dell’ anteriore. Capo mediocre. Muso corto, non puntuto. Squarcio della bocca obliquo. Mascella inferiore uguale alla superiore o un pocolino più corta, smussa o poco puntuta, larghetta. Sulla sua estremità 2 denti appena incurvi, dopo un intervallo altri 8 dritti ed acuti, dopo un secondo inter- vallo altri 9 più piccoli. Due più lunghi dei superiori e falciformi sulla punta della mandibola, indi circa altri 18, dritti, acuti, rivolti obliquamente in avanti. Occhio mediocre, sovente ristretto sopra l’ angolo della bocca, un po’ inclinato in avanti. Una narice semplice innanzi al margine anteriore degli occhi; un’ altra pure semplice presso l’ estremità del muso; al di sotto di questa un’ al- tra con orlo membranoso. Fessure branchiali oblique, estese da un poco al di sotto della linea laterale al margine inferiore del corpo. Pettorali appuntate, lunghe quanto il diametro dell’ occhio o un po’ meno. Dorsale e anale bassissime. Codale breve ed acuta. Due serie di punti lungo il margine del ventre, posteriormente tra essi molto distanti, sicchè in tutto se ne contano circa 35. Wimohezzagdelacorpot9t4) o vi ib i e 687 Messitià ZA RAS AO O E cia Lunghezza del capo . . . UECORI ATO Dall’estremità anteriore all’ asanna Gelo dorsale 75°" Dall’ estremità anteriore all’ano . . . . . 98" N’ ebbi centinaia di esemplari. 6. Leptocephalus Maurolici. Tav. 4, Fig. 6. Corpo molto compresso, egualmente ristretto verso i due estremi. Nella metà posteriore la sua massima altezza dura di più che nell’ anteriore. Capo piccolo anzi che no. Il suo prfilo è declive e leggermente convesso dalla nuca alla base del rostro. Questo è lunghetto, dritto, stretto. Mascelle eguali, o la inferiore un poco più lunga, quasi egualmente puntute. La superiore è triangolare, col profilo tagliente e col margine boccale retto come quello della mandibola. Denti visibili, acuti, impiantati su l’ in- 8 L. FACCIOLA tiero margine delle mascelle. Due ravvicinati sull’estremità di ciascuna. Squarcio orale appena obliquo, uguale, o pressocchè, alla metà della lunghezza del capo. Angoli mandibolari in contat- to tra essi e alquanto sporgenti. Gli occhi toccano il profilo, sono inclinati in avanti, più o meno ristretti nella porzione po- stero-inferiore. Il loro diametro è maggiore della distanza tra il margine anteriore e l’ estremità del rostro, ed entra 4 volte nella lunghezza del capo. Profilo della gola alquanto incavato. Fessura branchiale quasi verticale, non incavata, estesa quasi fino al margine inferiore del corpo. Pettorali più o meno pun- tute, lunghe quanto l’occhio o circa. Dorsale ed anale bassissime sì che non lasciano scorgere raggi e costituenti una stretta lista- rella opaca sul margine di quell’ ordinaria piega trasparente priva di muscoli nella quale s'innalzano i due margini del corpo. Co- dale un po’ più lunga che larga, non puntuta. Due ordini di punti neri lungo il ventre. Una serie di più fini e più ravvicinati lungo il margine dell’anale e intorno la base della codale. Lunghezza ‘del :corpo iu... Lo Massima altezza iu e Lunghezza del capo . . . «ate OO Dalla punta del rostro all’ cielo della dorsale gqron Dalla punta del rostro all'ano. . . . . . 97°" E una specie rara, di cui ebbi finora 4 esemplari. 7. Leptocephalus gutturosus. Tav. 4, Fig. 7. Corpo non molto compresso, subcilindrico. Le sue due estre- mità sono poco e quasi egualmente ristrette. Capo piuttosto grosso, uu po’ rigonfio sui lati. Il suo profilo è convesso e discen- de appena sul muso. Questo è ottuso. Mascella inferiore larga, distintamente più corta della superiore. Senza denti. Una narice semplice innanzi al margine anteriore degli occhi, un’altra con orlo membranoso sui lati della estremità della mascella. Occhio grandetto, circolare; tocca il profilo, ma non giunge all’ angolo della bocca; entra 4 volte nella lunghezza del capo. Gola molto rigonfia. Fessure branchiali piccole, posteriormente incavate, distanti dalla linea laterale quanto dal margine inferiore del corpo. Pettorali acuminate, triangolari, lunghe quanto il diametro dell'occhio. Codale rotondata. Lungo il ventre due ordini di DESCRIZIONE DI NUOVE SPECIE DI LEPTOCEPHALI 9 punti neri. Presso l’ano questi sono sì ravvicinati da formare due linee apparentemente continue. Lungo il margine dell’ anale un’ altra serie di punti meno distinti. Wamohezza! dell corpo ii 0 4 Rica Assia IE OT 0 Lunghezza del capo . . . e La Dall’ estremità del muso all’ gine dall dorsale 27"" Dall’estremità del muso all’ano . . . . . 39" E specie rara. 8. Leptocephalus peloritanus. Tav. 4, Fig. 8. In questa specie il capo somiglia assai quello della prece- dente ed è perciò grossetto, ma pur non di meno il corpo è molto assottigliato. La metà anteriore di questo è uguale alla posteriore. La mascella inferiore è lunga quanto la superiore, ma più ristretta a punta e porta alcuni denti più distinti verso la parte media dei suoi margini. Profilo della gola alquanto convesso. Pettorali ottuse. La dorsale e l’ anale allargansi al- quanto verso la coda. Codale più lunga che larga, rotondata sull’estremità, con raggi visibili. Il tubo digestivo porta da cia- scun lato alcuni punti neri. Ano difficile a vedere. denezza IAGLCORPor n e 4 e NMIZIERIIDA, MOZZA A NERO ENER RAMA SIR Lunghezza del capo . . . ROTA O Dall’ estremità anteriore all’ori Di dall dorsale 48°" Dall’ estremità anteriore all’ano . . . . . 64" Ne vidi finora due esemplari. 9. Leptocephalus zancleus. Tav. 4, Fig. 9. Corpo molto compresso, mediocremente ristretto ai due estremi. La sua metà anteriore è uguale alla posteriore. Capo mediocre. Mascelle di eguale lunghezza, senza denti. Squarcio della bocca poco obliquo, quasi orizzontale, compreso 2 '/, volte nella lunghezza del capo. Occhio quasi circolare, appena ristretto inferiormente, uguale allo spazio infraorbitale. Fessure branchiali piccole, non oblique, concave in dietro, egualmeute distanti dalla 10 I. FACCIOLÀ linea laterale e dal margine inferiore del corpo. Pettorali poco appuntate, lunghe quanto l’ occhio. La linea laterale è dapprima più vicina al margine superiore del corpo, andando in dietro diviene mediana. Gli interstizii muscolari sono angolati lungo la linea laterale solamente nella parte anteriore e poste- riore della lunghezza del corpo, curvi nella parte media. Sul tubo digerente sono alcuni punti neri. Lunghezza (del'ieorpo TRI ie Massima altezza 0. si ne Lunghezza elica poste ee (oo Dall’ estremità del muso all’ano . ... . 42°M Ne vidi un solo esemplare. 10. Leptoeephalus tenuirostris. Tav. 4, Fig. 10. Il corpo è molto compresso, ben presto s’ innalza dalle due estremità sicchè risulta quasi egualmente largo nella maggior parte della lunghezza. Capo piccolo ; il suo profilo va in linea orizzontale fino all'estremo anteriore, indi discende obliquamente in dietro formando angolo con la mascella superiore. Questa è lunga quanto l’inferiore. Amendue debolissime, filiformi, armate di numerosi denti acuti, dei quali due stanno sull’ estremilà di ciascuna. Occhi piccolissimi, posti sull'angolo anteriore del capo. Un ordine di punticini neri da ciascun lato del tubo digerente. Lunghezza-delicorpo eee asce Massima. altezza: (if. la a Lunghezza del capo senza rostro-. . . . . 35" N’ebbi due esemplari. 11. Leptocephalus Prestandreae. Tav. 4, Fig. 11. Corpo poco compresso, più stretto verso l’ estremità posteriore che anteriore. L'altezza del capo è metà della lunghezza. Muso corto ed ottuso. Mascella inferiore debole, un poco più corta della superiore. La porzione anteriore del contorno di questa è arrotondito e, al microscopio, sinuoso. Entrambe portano alcuni piccoli denti. Squarcio orale bastantemente obliquo, '/3 della lunghezza del capo. L'occhio tocca il profilo, è alquanto ristretto DESCRIZIONE DI NUOVE SPECIE DI LEPTOCEPHALI ini sull'angolo della bocca e leggermente inclinato in avanti. Il suo diametro è maggiore della lunghezza del muso ed entra 4 volte nella lunghezza del capo. Il contorno pupillare dell’ iride è tinto di nero. La narice anteriore si distingue da quella delle altre specie per essere sotto forma di una piccola fessura longitudinale, invece che circolare. Apertura branchiale assai piccola, dritta, posta nel mezzo dell'altezza tra la linea laterale e il margine inferiore del corpo. Dorsale ed anale bassissime. Due serie di punti neri ravvicinati lungo il margine del ventre. Verso l’ ano le due serie convergono e i punti si raccostano di più. Lungo tutto il margine libero dell’ anale una serie di punti assai vicini. Eiipehezzaiidel corpo... dai 0 PRIDOZZA MASSIMA RR TO O en Lunghezza del capo . . . AE OLa; mm Dall’ estremità anteriore all’ nico della dorsale 21 Dall’ estremità anteriore all’ano . . . . . 30" Due esemplari. Questa specie è dedicata al fu Prof. Antonio Prestandrea, naturalista messinese. 12. Leptocephalus exopas. Tav. 4, Fig. 12. Corpo molto assottigliato, egualmente puntuto ai due estre- mi. Muso allungato. Mascelle quasi eguali. Di esse la superiore è trilobata sull’ estremità, con alcuni denti acutissimi verso la parte posteriore. La inferiore porta un dente sulla punta ed altri sui margini, più numerosi dei superiori. Occhi sporgenti e molto ravvicinati. Una serie di grossi punti neri tra essi di- stanti su ciascun lato del tubo digerente. Le linee dei lati del corpo o interstizii muscolari non sono inclinate ad angolo verso il suo margine superiore ed inferiore, ma solamente lungo la li- nea laterale, il che basta a distinguere questa specie da tutti gli altri Leptocephali. lmnohezzatdell'corpo Spot ca PAIPEZZA ASSI LIE ST ina 8 Tuinohezzafdelk capote e ie id Dalla/fpuntardeltimuso all'ano 0. 0 er. 2019 Due esemplari. FLUORITE DELL'ISOLA DEL GIGLIO MINERALI CHE L'ACCOMPAGNANO NEL SUO GIACIMENTO FLUORITE DI CARRARA NOTE MINERALOGICHE LUIGI BUSATTI Aiuto nel Museo di Mineralogia dell’ Università di Pisa La Fluorite come facente parte della matrice dei filoni metalliferi è stata segnalata in varii luoghi della Toscana (!). Così fu trovata all’Angina in Val di Castello presso Pietrasanta, al Bottino (Alpi Apuane); alla Cornata di Gerfalco (Siena); a Montieri, Boccheggiano (Grosseto). Anche dell’ Isola dell’ Elba sì cita la Fluorite, ma il suo giacimento non è stato per anco bene accertato. Per ultimo fu rinvenuta all’ Isola del Giglio e nel marmo di Carrara. È della prima di quest’ ultime due loca- lità che il Museo Pisano di Mineralogia possiede una raccolta di belle cristallizzazioni, che il Direttore prof. D' Achiardì mi indicava come materiale di studio: della seconda un bel cristallo che lo stesso scopritore ing. D. Zaccagna mi favoriva pure per studio. Si abbiano essi i miei ringraziamenti. Fluorite dell’ Isola del Giglio. La Fluorite del Giglio ha colore roseo-chiaro, che sembra svanire in alcuni cristalli tanto è leggera questa colorazione; raramente volge al violaceo. E translucida in massa, ed al sommo grado trasparente in lamine di poco spessore; nel quale ultimo stato è pure affatto incolora. (4) D' Achiardi. Miner. d. Tosc. Pisa 1872, FLUORITE DELL'ISOLA DEL GIGLIO MINERALI CHE L’ACCOMPAGNANO EC. 13 Alcune linee nelle massarelle spatiche come nei cristalli de- terminano perfettamente la direzione della sfaldatura, che sì com- pie secondo piani corrispondenti a facce ottaedriche. A seconda della estensione e sviluppo che si da ad esse se ne ottengono solidi diversi. E specialmente nelle facce di splendore vitreo ottenute per sfaldatura che ho notato di frequente viva iridescenza. Al cannello ferruminatorio questa Fluorite decrepita e si di- sperde in frantumi: piccole schegge sui margini fondono in smalto bianco. Durezza = 4; peso spec. = 3, 17. Osservata al microscopio mostra la sua intima struttura dovuta alle linee di sfaldatura che l’ attraversano, e numero- sissime inclusioni liquide a bolla gassosa immobile. Esse sono per la forma svariatissime, rotonde allungate sinuose: per la distribuzione, o sparse senza ordine oppure disposte in file. Ri- scaldando circa a 25° la bolla gassosa diventa mobile, prende diverse posizioni nel liquido e quindi termina per appoggiarsi alla parete dell’ inclusione: questo avviene simultaneamente per molte bolle. Nella Fluorite di Striegau e di Kònigshayn ' ed in quella che il prof. Spezia ? cita dello gneiss di Beura furono pure rinvenute inclusioni liquide. Le forme cristalline da me studiate nella Fluorite del Giglio sono in numero di sei: Cubo (100) Rombododecaedro (110) Ottaedro (111) Tetracisesaedro (mn0) Triacisottaedro (331) Esacisottaedro (431) Di tutte queste forme l’ ottaedro solo si osserva allo stato libero, le altre si hanno nelle seguenti combinazioni : I. — 100, 111 I. — 110, 111 IIIL. — 100, 110 IV. — 100, mn0 (#4) A. v. Lasaulx. Krystallographische Notizien. Zeù. Kr. Min. v. Groth. 1, Bd. 1877. (?) G. Spezia. Cenni Geognost. e mineralog. sul gneiss di Beura. At. d. R. Ac. d. Sc. di Torino. Vol. XVII, disp. 6.8 mag. 1882. 14 L. BUSATTI V. — 100, 110, 111 VI. — 100, 110, 111, mn0 VII. — 100, 110, 111, 331 MIEZ>ZAOCIRO NO, ra 901 IX. — 100, 110, 111, mn0, 331, 481 L’ ottaedro libero, allo stato cioè isolato, nella Fluorite del Giglio non può dirsi raro, chè anzi ne è la forma dominante sia solo sia in combinazione con altre. Ne fanno eccezione tre cristalli, fra quelli che ho veduti, della combinazione IX, in cui sono maggiormente estese le facce di rombododecaedro, e tutti quelli delle combinazioni VI, IV, III, che sono in piccolo numero, nei quali dominano le facce esaedriche; le quali pure si svilup- pano maggiormente delle ottaedriche in alcuni rari cristalletti della combinazione I. Gli individui di abito ottaedrico, più ricchi di facce e più belli e voluminosi, prevalgono sugli esaedrici che oltre essere in minor numero, sono eziandio piccolissimi in con- fronto dei primi. Quale sia degli mn0 per l'impossibilità di misure goniome- triche non posso decidere. Il 331 è stato riconosciuto per le seguenti misure prese al goniometro Wollaston: Angoli trovati da me In media Angolo dato slo 1eoa MEP dagli autori 130 6 13 RN6/ Î 13°, 12° 13°, 14° \ 13:15 |) 13°, 9' 13°, 16° L’esacisottaedro 481 non ancora osservato, per quanto io sappia, nella Fluorite si presenta come smussamento dei venti- quattro spigoli del rombododecaedro, come indica la figura 4 (Tav. V). Riporto i valori degli angoli misurati di questa forma: Angoli trovati da me In media Angolo dato DIL gue lose 39°, \ dagli autori o 32°, 8° I 39° 12") 39° 21 \ 322 26° | 32°, 27 | 32°, 14' 32°, 12° FLUORITE DELT. ISOLA DEL GIGLIO, MINERALI CHE L'ACCOMPAGNANO EC. 15 Le facce del cubo si osservano pressochè in tutte le combi- nazioni, ma non ho riscontrato un solo cristallo che terminasse esclusivamente dalle facce cubiche. Esse sono piccole ineguali ed associate subordinatamente sempre alle altre, tra le quali spiccano per la loro lucentezza. Solo in alcuni cristallini queste facce hanno maggiore sviluppo e sono le dominanti, come lo sono pure in alcuni altri cristalli del medesimo tipo, ma grossi, uno dei quali si vede rappresentato un po’ ingrandito nella fig. 5 della tavola. Avverto che questi cristallini piccolissimi, in con- fronto di quelli ad abito ottaedrico, quanto gli altri eccezionali per grandezza, ma che ripetono la medesima origine dei piccoli, li incontriamo sopra alcune facce ottaedriche risultanti dalla riunione di piccoli individui: esaedrici, lù dove ne conservano alcuni completi tra gli altri tutti alterati. Negli individui di tipo esaedrico le facce cubiche mancano di lucentezza e quasi mai piane e lisce se ne hanno con su- perficie scabra per le scalfiture ed incavi che vi si osservano. E notevole il cristallo ora ricordato (fig. 5) per le scalfiture che si riuniscono insieme quasi a striare le facce cubiche pa- rallellamente alla loro diagonale, ed a formarvi una specie di ingraticciatura. In altri cristalli del medesimo abito, sulle facce cubiche si hanno delle cavità piramidali a quattro facce del diametro di 2 a 4 mm., con gli spigoli che ne limitano la base, paralleli allo spigolo di combinazione 100 : 111. Nelle faccette lucenti cubiche, che portano i cristalli d’abito ottaedrico, si possono studiare delle strie che le rendono ondu- late o le rilevano un po’ per il fatto della poliedria tanto co- mune in questa specie. In un cristallo della combinazione (100, 110, 111, 381, 431, imn0) si scorgono delle strie, che alla pe- riferia delineano un ottagono con angoli ottusi concorrenti alle diagonali delle facce esaedriche e con gli acuti alle linee mediane di dette facce, linee parallele ai suoi lati e che dividerebbero la faccia del 100 in quattro quadrati eguali, come indica la fi- gura 6. (tav. V). Dalla quale apparisce anche come man mano che le strie sì dipartono dal perimetro di detto ottagono, la loro convessità, che è dal lato del centro di esso, diminuisce gradata- mente fino a ridursi a curve continue e più internamente anco a linee parallele alle diagonali della faccia cubica. Il prof. Scacchi nella sua memoria Sulla poliedria delle facce 16 L. BUSATTI dei cristalli (') dopo avere parlato di strie della Fluorite, in modo molto analogo a quello testè fatto, aggiunge che: « nei cristalli del Derbyshire...... trovandosi gli angoli triedri del cubo tron- cati dalle facce piccolissime di un tetracontaottaedro, le due piccole linee estreme delle strie sono esattamente parallele agli spigoli formati dalla faccia del cubo con quelle del tetraconta- ottaedro. La qual cosa fa presentire una certa concorrenza di due. altre direzioni secondarie di spostamento per ciascuna delle zone che determinano il principal carattere di poliedria della fluorina ». Or bene nel nostro caso ciò sembrerebbe evidente, essendochè le linee estreme delle strie, cui accenna il predetto Professore, e che nel nostro ottagono vanno a formare l’ angolo ottuso, si possono considerare quasi come la continuazione di quelle del tetracontottaedro 431 che smussa gli angoli diedri del 110 (vedi fig. 4). Ma per la corrosione subita dai nostri esemplari di Fluorite non si può studiare il fenomeno completamente. In altro cristallo della combinazione VIII (100, 110, 111, mn0, 331) e con le facce rombiche e cubiche inegualmente svi- luppate per la differente estensione delle ottaedriche, che vi ten- gono il predominio, si presentano le seguenti particolarità sulle faccette cubiche. Osservate colla lente, una di esse si risolve in tante piccolissime cavità di forma irregolare, molte delle quali per altro si possono paragonare ad una piramide tetragona con internamente un sistema di striatura, che ripete presso a poco l'ottagono che si ha superficialmente e sopra tutta l’ estensione delle facce cubiche di sopra descritte, e che rappresentai colla fig. 6. V'è solo questa differenza che ricondotte le linee di uno di questi ottagoni tutte al medesimo piano, ed estese in modo che occupassero per intero la faccia cubica, l’ angolo acuto anzichè fare capo alle linee mediane, risulterebbe che esse strie 1’ andreb- bero a formare alle diagonali della faccia. In altra, irregolarissima per l’' ineguale suo sviluppo, s° innalza una piramide a tre facce, sopra i cui piani si veggono delle strie che malamente si pos- sono seguire nel loro andamento. Anche le faccette cubiche che hanno una certa estensione re- lativamente alle altre nei cristalli delle combinazioni (100, 110), (100, mn0), (100, 110, 111, mn0), citate in principio come (4) Memorie della R. Accad. d. Sc. d. Torino. S. II. T. XXI, 1862, FLUORITE DELL'ISOLA DEL GIGLIO, MINERALI CHE L'AaccomPagnaNo Ec. 17 appartenenti ai cristalli di abito esaedrico, oltrechè essere in senerale meno lucenti delle altre, sono anche notevoli per le scalfiture, solchi e tracce di striatura che offrono. Ma non. si distingue bene come sian prodotte, e non sì giunge mai a scor- gere su queste facce esaedriche quei rilievi a piramidi ottusis- sime, prodotte dalle stesse facce varianti di posizione per il fenomeno della poliedria, e che adornano e caratterizzano le facce molto estese di 100 della Fluorite dei giacimenti forestieri. No- tiamo che in alcune di queste faccette le strie si manifestano come leggere solcature, per breve tratto, parallele agli spi- goli 100: mn0, come tendenti forse a dimostrare una oscilla- zione, un turbamento nel costituirsi tra la faccia cubica e la tetrachisesaedra. i Come abbiamo già avvertito l’ ottaedro è la sola forma che esista allo stato libero. Raramente però presenta regolarità e sviluppo adeguato di facce e non somministra i cristalli più belli, Nella pluralità questi ottaedri liberi, risultano da un decresci- mento di tanti piccoli cubetti guasti ed incompleti, i cui angoli ne sbucano fuori rendendo le loro facce scabrosissime: tale mo- dificazione sembra acquisita posteriormente alla loro formazione. Le facce ottaedriche sì osservaro nelle combinazioni già no- tate, quasi costantemente, rarissimo essendo il caso di non ri- scontrarvele. Ciò verificasi solo in alcuni rari cristalletti appar- tenenti alla combinazione III (100, i10). Le figure 1, 2, 3, 4 (ve- di tav. V) dimostrano in che rapporto di sviluppo stiano le facce ottaedriche con quelle delle altre forme in alcuni bei cristalli quasi completi di questa Fluorite: ora rendendola d’ un tipo de- cisamente piramidato per la loro estensione, ora essendo piccole facce che modificano l’ angolo triedro del rombododecaedro. Esse ripetono in più larga scala quanto si osserva nella forma semplice riguardo all'aspetto fisico. Sono grandemente alterate per sofferta corrosione, la quale secondo che si esercitò più o meno lunga- mente alterò anche più o meno profondamente le facce che studiamo. Sempre appannate ed in differente grado ruvide e rugose, solo presentano qualche lembo liscio e risplendente quelle che sfuggirono a completa alterazione; anzi ne ho osser- vata una o dne quasi per intero lucente e liscia perchè appunto rimasta illesa dall’ azione alteratrice. Alcune facce ottaedriche, che ad occhio nudo sembrano minu- Se. Nat. Vol. VI, fase. 1.° 2 18 1. BUSATTI tamente punteggiate e come sagrinate, osservate colla lente mostrano come tale apparenza sia dovuta nel maggior numero dei casi a vere cavità regolari in forma di piramidi triangolari, a similitudine di piccole tremie, i cui orli più alti determinano sulle facce ottaedriche delie figure a triangolo equilatero che si orientano con i suoi lati parallelamente ai tre spigoli dell’ otta- edro come è disegnato alla fig. 7. La figura 7° mostra una di queste piramidi d’ incavazione ingrandita. Se tali cavità si affit- tiscono tanto da toccarsi l'una coll’ altra, se ne generano pro- fondi solchi paralleli ad uno spigolo dell’ ottaedro. Quando tale riunione oltrechè avvenire in serie lineare avviene per tutta l’ estensione delle facce, queste appaiono tutte perforate, incavate ed irte di minutissimi rilievi, che le rendono atfatto ruvide. Quelle poi maggiormente estese ci si presentano come un am- masso a larghi pertugi, tutte incise, intaccate più o meno pro- fondamente, perchè appunto più alterate delle altre. Il loro aspetto è quale si vede nella fig. 8. È in queste ove sembra l’agente corrodente avere più a lungo lavorato e tanto da por- tare un cangiamento nella sostanza stessa: qua e là in differenti punti di queste facce si avvertono delle massarelle di Fluorite che hanno perduto il primitivo color rosa ed han preso un aspet- to gommoso. Le facce del rombododecaedro si annoverano fra le più comuni; in alcuni cristalli sono assai bene definite e regolari, ed ora vi dominano oppure vi si scorgono come facce di modificazione (ve- di fig. 1, 2, 4 della tav. V.). Indipendentemente dall’ essere più o meno regolari, è in rapporto alla maggiore o minore estensione di queste facce che si hanno sulle loro superfici delle differenze fisiche. Liscie e lucenti le piccolissime, non presentansi tali le maggiori, le quali ci appariscono rugose scabre e spesso più o meno appannate; però l’ appannamento non è tale da toglier loro ogni splendore, che anzi quasi tutte lo presentano a diffe- renza delle facce ottaedriche nelle quali è proprio eccezionale. In uno o due cristalli della combinazione IX, nei quali le facce rombododecaedriche sono molto estese, è notevole una specie di increspatura che queste presentano. Essa con i suoi ripiegamenti produce solchi o più propriamente scannellature, dirette nel senso della macrodiagonale delle facce. Colla lente si scorgono esilis- sime strie che a zig-zag seguono gli incavi ed i rilievi di quelle Pe st FLUORITE DELL'ISOLA DEL GIGLIO, MINERALI CHE L'ACcOMPAGNANO EC. 19 scannellature, e che perciò le percorrono in direzione opposta al loro generale andamento. È un particolar sistema di striatura che non si estende a tutta la faccia, ma a guisa di fascia per dir così, l’ occupa per breve tratto partendo dallo spigolo for- mato dalla faccia del rombododecaedro con quella del cubo. In queste medesime facce di 110 sono altre strie sottilis- sime parallele alla brachidiagonale ed altre più profonde, quasi solchi, prodotte da piccole cavità, che senza interruzione sono contigue una all'altra, come è benissimo discernibile colla lente. Del medesimo ordine di queste cavità sono altre maggiori re- golari a foggia di piramidi incavate, che delineano colle loro basi delle figure a losanga sulle facce nelle quali si osservano. Esse sono isolatamente sparse senza ordine, oppure riunite in gruppetti e di grandezza varia. La figura 9 rappresenta una faccia nella quale si osservano le particolarità sopra dette, e la figura 9° rappresenta una delle piramidi d’incavazione in- grandita, per dimostrare come appariscono formate internamente di tante strie o meglio gradini discendenti, come è il caso per le vere tramoggie che presentano molti altri minerali. Queste piramidi di corrosione sono allungate in alcune facce nel verso della macrodiagonale, in altre in quello della brachi- diagonale. Ma in ambedue i casi abbiamo sempre corrispon- denza di parallelismo dei loro quattro bordi superiori con i quattro lati della faccia di 110 che le porta. Un aspetto abbastanza singolare e non riscontrato per altre facce, è quello che ci offrono le rombododecaedriche del bellis- simo cristallo d’abito esaedrico, già ricordato (fig. 5), come unico per la sua grandezza. La loro striatura non sì saprebbe meglio raffigurare che a quello che ci offrono i disegni dei così detti nodi gordiani. Però l’ andamento in apparenza intralciato delle mi- nute strie, si può sempre ricondurre, come lo è infatti, ad essere parallello agli spigoli che convergono in ciascuna faccia di 110 agli angoli acuti ed ottusi. La figura 10 (tav. V.) spiega quanto è stato detto. Se estendessimo questo sistema di striatura, così interpetrato, sulle dodici facce del rombododecaedro, immaginato esso stesso isolato civè non in combinazione con altre forme, ne verrebbe fuori un solido con tendenza a quarantotto facce. Però avverto che le facce rombododecaedriche del cristallo figurato non sono 20 L. BUSATTI affatto rilevate, e che le strie in questo caso harno tutt’ altro significato di quello che a prima giunta si potrebbe loro attri- buire: qua non stanno altro a denotarci che l’ azione corrosiva di qualche soluzione che agiva chimicamente e con lesse cri- stallografica sulle facce di 110, e non ci rappresentano che fi- gure di corrosione (Aetzfiguren). A queste figure si deve pure riferire quanto abbiamo già no- tato riguardo alle cavità piramidali sulle facce cubiche e rombo- dodecaedriche ed ai triangoli di corrosione sulle facce ottaedriche. Salle quali ultime facce di Fluorite già Baumhauer le otteneva artificialmente ('), ed il Lasaulx (*) ed il Calker (*) le illastravano nella Fluorite di Striegau e di Kénigshayn il primo, l’altro in esemplari che crede poter ritenere o di Zinnwald o di Altenberg. Riguardo alle particolarità delle facce delle altre forme poco resta a dire. Tanto quelle di tetracisesaedro, che quelle di tria- cisottaedro ed esacisottaedro quasi mai le troviamo ben netta- mente definite e sviluppate, ed anche quando presentansi tali, son piccolissime. Quelle di mn0 sono scabre ed appannate e si trovano di preferenza negli individui cristallini a tipo esaedrico: negli altri cristalli quando vi si osservano sono malamente svi- luppate o come rudimentali. Quelle di triacisottaedro (831) si osservano nelle combinazioni più ricche di forme ed a tipo ot- taedrico, come modificanti gli spigoli 111:110; sono più o meno piccole a seconda dell’ estensione che prendono le facce otta- edriche, e debolmente specchianti. Colla lente vi si scorgono mi- nutissime strie che vanno parallele agli spigoli di combinazione del 100: 110. Quelle di tetracontottaedro (431) si rinvengono nei cristalli appartenenti alla più ricca combinazione IX (100, 110, 111, 331, 481, mn0) e come dicemmo in principio smussanti i ventiquattro spigoli del dodecaedro. Lo spigolo sostituito da esse facce è sempre mal concio e come graffiato. Sono anche esse al pari delle 381 specchianti e solcate da fitte e leggerissime strie, parallele allo spigolo di combinazione formato dalla faccia del cubo con quella del tetracontottaedro. Bellissimi esempi di curvatura ci offrono alcuni cristalli di (4) Baumhauer. N. Jahr. fur Min. Geol. und Paleont. 1876. p. 605. (2) A. v. Lasaulx. Mem. cit. Zeit. Kr. Min. v. Groth. 1, Bd. 1877. (3) F. J. P. v. Calker. Mineralogische Mittheilungen. 4. Groth. 7, Bd. 5. H. 1883. FLUORITE DELL'ISOLA DEL GIGLIO, NINERALI CHE L'ACCOMPAGNANO EC. 21 Fluorite del Giglio, che sono tanto più speciosi per il modo col quale si presentano. Sembrano dovuti a forme originatesi per graduato decrescimento sopra altre preesistenti. L'abito domi- nante ne è l’ ottaedrico con apparenza di triacisottaedro ed anco di esacisottaedro; ora ne sono semplicemente gli spigoli incurvati, ora tutte le facce. Le strie vi sono originate da tante lamine desradanti ed un piano che vi si conducesse parallelamente da- rebbe luogo ad una faccia cubica, vedi la fig. 11, tav. V. Alcune volte questi cristalli prendono la forma di un vero sferoide e vi sì scorgono persistere le facce di 100 e di 110. Nessun’ esempio di geminazione mi han fornito i cristalli di Fluorite studiata: solo ne ho veduti degli aggruppamenti. Minerali che accompagnano la Fluorite nel suo giacimento. La Fluorite, della quale abbiamo detto quanto offre di più interessante per le forme cristalline e sue particolarità, entra come materiale lapideo nella composizione del filone ferreo, prevalentemente a solfuro, che nell’ Isola del Giglio trovasi al luogo detto Cala dell’Allume, al contatto del granito, della quale roccia è costituita la massima parte dell’Isola, e degli schisti paleozoici sottostanti al calcare cavernoso, che unitamente ad altre rocce, si trova nella parte di ponente dell’ Isola a for- mare il promontorio del Franco. Da questo filone oggi si esporta in gran quantità la pirite di ferro per la fabbricazione dell’ acido solforico e del vetriolo di ferro. Il prof. Meneghini (') avevane già predetto utile escavazione. Anteriormente aveva accennato all’ esistenza di questo filone il Pareto (-). Oltre al ferro micaceo ed alla Pirite, come abbiamo detto prevalente, altri minerali metallici si veggono nelle geodi associati alla Fluorite di questa miniera e sono la Sperchise e la Calcopirite, dei quali ora par- lerò incominciando dalla Pirite. Pirite - - La Pirite è in belli e grossi cristalli abitualmente cubici della varietà detta da Kay triglifa, in mille modi aggrup- (4) Meneghini. Descriz. d. cart. geol. d. prov. d. Grosseto. 1865. (2) Pareto. Costituz. geolog. delle is. Pianosa, Giglio ec. Pisa 1845. DI L. BUSATTI pantisi ed incrocicchiantisi. In alcuni gruppi cristallini ciò avviene con legge cristallografica ed i cubetti si uniscono secondo piani paralleli alla faccia ottaedrica. Oltre il cubo, ho osservato allo stato isolato anche il pentagonododecaedro (x 210), molto pic- © colo e nascosto fra alcuni grossi cristalli di quarzo: è del resto rarissimo ed il più delle volte è con incertezza che si ritiene non associato all’esaedro. Altre forme osservate in questa Pirite sono : l’ottaedro (111), l’emiesacisottaedro (© 321) e l’icosite- traedro (211): forme che ho rinvenuto nelle seguenti combi- nazioni : I. — 100, 111 II. — 100, 7210 III. — 110,111, 7210 IV. — 100, 111, 7321 V. — 100, 111, 7 210, 7321 VI. — 100, 111, 211 VII. — 100, 211 Le facce 111 sono Iucentissime e frequenti, ma molto su- bordinate; così è delle x 210 e delle x 321; lucentissime pure le 211, ma rare e più abituali nella combinazione VI. I valori angolari di quest'ultime facce colla 111, alla quale stanno in- torno, oscillano da 19,° 20° a 19,° 44% (211 :111=19°,28' dato). Nei cristalli della combinazione VI (100, 111, 211) le strie non sono più parallele a due lati soltanto della faccia cubica ma a tutti e quattro; però non vengono esse ad unirsi ad an- golo retto a cagione di altre strie che vi si uniscono parallele allo spigolo 100: 211: tendenti così insieme a formare un ottagono. Più raro è che le strie si uniscano in esagono come osservò lo Striver (') avvenire nei cristalli di pirite di Traversella della combinazione (100, 111, x 210, x 321), ed in quelli elbani della stessa combinazione come ha descritto il D' Achiardi (*). Anche in questo modo striate le facce, le strie dell’ esagono son sempre parallele, le due più lunghe, ai due lati della faccia cubica, le due più corte allo spigolo 100 : 211. (') Struùver. Stud. sulla Mineral. Ital. Pir. d. Piem. e d’ Elb. 1869. fig 176. () D' Achiardi. Mineral. toscana. Pisa 1873. FLUORITE DELI ISOLA DEL GIGLIO, MINERALI CHE 1° ACCOMPAGNANO EC. 23 Di Pirite gigliese parlò il Baldassarri (') ed il D’Achiardi (?) ne cita anche cristalli della combinazione IV. Sperchise — Si distende sopra i cristalli di Pirite in croste, le quali con sufficente ingrandimento si veggono resultare dalle forme comuni della Sperchise, rognoni mammelloni ec. La Pirite liberata da questo involucro presenta sempre le sue facce bril- lanti e le striature come abbiamo descritto, onde è eliminato il dubbio che sopra ad esse si trovi la Sperchise come prodotto d’alterazione. D'origine posteriore senza dubbio alla Pirite gialla e forse alla Fluorite, che in un esemplare involge, la Sperchise dovette originarsi in condizioni differenti da quelle in cui avvenne la de- posizione del solfuro monometrico, e tali da non consentire più lo stesso assettamento molecolare cristallogenico al solfuro di ferro che pur dovette seguitare a generarsi. Altre particolarità non presenta, e solo trascrivo il peso specifico che varia da 4,2 a 4,6 tra le prove che, mi hanno accertato essere queste croste null'altro che Sperchise. Calcopirite — La Calcopirite della Cava dell’Allume fu menzionata dal Giuli (*) e dal D’ Achiardi(‘) che dice averla veduta insieme a Galena, Blenda, Malachite e Limonite. Negli esemplari da me veduti è, per così dire, immedesimata alla Pirite ed in cristalli tetraedrici striati in vario modo aggruppati e pene- trati fra loro. Il color giallo proprio alla speciè è oscurato per la conver- sione superficiale della Calcopirite in Covellina. Che tale sia sempre il prodotto d’alterazione non può dirsi, che anzi in alcuni punti va riferito all’ossido nero di rame; ma nell’uno e nell'altro caso si tratta sempre con un prodotto secondario e le efflorescenze di Malachite che. qua e là si veggono lo con- fermano, efflorescenze che in qualche esemplare si distendono anche sulla Fluorite. Alla forma (y 111) si unisce in alcuni cristalli la sua com- plementare (y 111) ed il prisma di seconda classe (100): in altri (1) Baldassarri. Prodot. natur. ec. Siena 1763, (*) D' Achiardi. Op. ce. (8) Giuli. Stat. miner. Tosc. 1842-43. (£&) D’Ach. Op. cit. 24 L. BUSATTI cristalli a queste facce si aggiungono pure quelle di un ottaedro di seconda classe, che riferisco al 201. Le facce di modificazione y Ill, e 201 in generale conservano un po’ di lucentezza, quasi che l’assettamento molecolare loro più difficilmente ne accon- sentisse la alterazione. Alcuni grossi cristalli tetraedrici nell’in- terno sono come cavernosi ed ì vacui sono occupati da piccoli cubetti di Pirite, i quali spesso si compenetrano con quelli di Calcopirite da sembrare come fusi insieme. FLUORITE DI CARRARA Questa Fluorite fu rinvenuta in una geode di marmo sta» tuario delle cave di Lorano (Carrara) in associazione ai notissimi cristalli di quarzo e dolomite selliforme. Come minerale acciden- tale in rocce calcari la Fluorite fa ritrovata in diversi paesi, come anche in Italia, ma nel nostro classico giacimento marmi- fero è la prima volta che si rinvenne, non sapendo di alcuno che ne abbia fatta menzione. Alla sua rarità si unisce anche bellezza di cristallizzazione, e purezza come in generale è di tutte le altre specie minerali quarzo, calcite, dolomite, gesso, albite, solfo, che le geodi del marmo apuano hanno finora fornito. Al pari di questi minerali quivi genaravasi la Fluorite per reazioni dipendenti dal metamor- fismo nell'atto in cui il carbonato di calce si depurava per ridursi candido e cristallino. Il cristallo di Fluorite di questa località da me veduto mi- sura circa 2 cm.: è scolorito, translucido e mostra linee di fenditura che accennano alla sua facile sfaldatura ottaedrica. La sua forma a primo aspetto si giudica per un cubo assai re- golare, la di cui struttura però sembra tutt'altro che semplice. Si può ritenere infatti come il risultato di tanti elementi esae- drici che si aggregano, si compenetrano con parallellismo dei respettivi assi a costituire un unico cristallo a facce non piane ma scavate leggermente a tramoggia in vicinanza degli spigoli, parallelamente. ai quali portano pure strie. È specialmente nella parte centrale delle facce di esso cristallo di Fluorite che si veggono delle lamine, spesso sovrapposte, le quali sembrano dovute a faccette di tanti elementi esaedrici che si aggregano‘a costituire l’apparente unico cristallo. Queste FLUORITE DELL'ISOLA DEL GIGLIO MINERALI CHE L'ACCOMPAGNANO EC. 25 faccette sono pure a tramoggia, o più spesso insensibilmente rialzate a piramide tetragona per poliedria. Da una però delle facce di questo cristallo. è un solo elemento esaedrico che ne sbuca fuori, e con le proprietà fisiche anzidette, ma con questo di più che l'angolo triedro è smussato da faccette di tetracon- tottaedro, che non ho potuto riconoscere quale sia. Queste fac- cette però sembrano presentarsi anche negli angoli triedri del cubo a struttura complessa come abbiamo descritto. Altri piccoli cristalletti cubici si associano a questo ma non più con parallellismo dei respettivi assi, bensì in posizione obliqua e quasi paralleli alla faccia ottaedrica che verrebbe a troncare l’angolo triedro del grosso cubo. SOPRA UNA SPECIE MEDITERRANEA CENERE LINGULINOPSIS DEL SOCIO DOTT. L. G. BORNEMANN sr. Nel 1860 1l professore Reuss (') stabilì il genere Lingulinopsis per un tipo di foraminiferi intermedio tra la famiglia delle Rhabdoidee e più specialmente delle Glandulinidee e quella delle Cristellaroidi. Egli caratterizzò il detto genere come segue: “ Lingulinopsis testa calcarea, elongata, compressa biformi, inferne spirali, superne recta; loculis primis paucis in spiram exiguam lateraliter compressam convolutis, junioribus ad rectam lineam sibi superspositis, partim ampleotentibus, apertura ter- minali, fissuram longitudinalem angustam sistente. ,, L'unica specie che ne conobbe il Reuss era quella da lui anteriormente descritta sotto il nome di Lingulina bohemica del Plaener di Weisskirchlitz presso Teplitz (?). x Più tardi lo Schwager (*) vi riunì anche la Amphistegina striata Reuss (') del Neocomiano di Berklingen (Westfalia). Di ambedue le specie le figure originali sono cattivissime e non lasciano riconoscere il carattere distintivo del genere, cioè (1) Reuss. Sitzeungsberichte der k. bòhm. Gesellsch d. Wissensch. 1859. p. 23. (2) Reuss. Versteinerungen der bòhmischen Kreideformation II, p. 108, Tf. xLuI, fig. 10 (la tavola è erroneamente segnata vIIL.). (8) Schwager. Saggio di una classificazione dei foraminiferi. Bollettino del R. co- mitato geologico. 1877. Spiegazione della tavola n.° 29. (4) Reuss. Foraminiferen des nordeutschen Hils und Gault. Sitzungsberichte der k. Akad. zu Wien XLVI, p. 57. Tf, v, fig. 5, SPECIE MEDITERRANEA DEL GENERE LINGULINOPSIS 27 la spiralità della parte inferiore del guscio, ma supplisce a co- desti difetti per la L. bohemica la seconda descrizione datane dal Reusse; e riguardo all’ Amphimorphina striata il signor Schwager ebbe la compiacenza di scrivermi che l'unico esemplare da lui così determinato che ebbe dal Hils superiore di Sottmar e che da lui fù adoperato ad una sezione (sfortunatamente rotta poi dopo) mostrò le logge primarie disposte a guisa se non proprio di Cristallaria almeno di Marginulina. È dunque dimostrato che quel tipo di passaggio esiste real- mente, che se ne mantenga il valore generico collo Schwager o che se ne faccia un sottogenere come ha fatto lo Zittel nel conosciuto suo manuale di paleontologia (p. 68). Però esso tipo pareva finora aver esistito soltanto durante il periodo cretaceo; grande era perciò la mia gioia, quando nel pulir dal fango aderente alcuni pezzi di roccia con coralli, pescati nelle vici- nanze di Carloforte (isola San Pietro, Sardegna), vi trovai nu- merosi esemplari della bellissima e grande specie, che oggi introduco sotto il nome di Lingulinopsis carlofortensis. Come si vede da tutte le figure della tavola VI la mia specie recente si compone da sette a dieci logge convesse con leggera compressione laterale e cuoprendosi parzialmente (fig. 7). Le prime di esse, sino al numero di quattro stanno completamente in giro e costituiscono così la base a modo di Cristalleria; le su- ture che le separano non sono sempre ben distinte, talvolta anzi quasi invisibili (fig. 2-5). Le logge seguenti si succedano in linea retta o leggermente curvata e sono distinte da suture profonde ed incurvate. L’ ul- tima si distingue per il suo sviluppo considerevole. L'apertura terminale, talvolta alquanto protratta forma una fessura longi- tudinale, più o meno allargata nel suo mezzo. L’insieme del guscio è quasi sempre leggermente curvato fuori del piano simmetrico. Talvolta si osserva una cresta finissima alla parte inferiore. A seconda del numero delle logge che partecipano al giro embrionale, varia la forma degli individui. Quando non sono che due e che già la terza adotta la direzione retta -caso piut- tosto raro - nascono delle forme quasi simmetriche o migliari, le quali sì distinguono difficilmente da una vera Lingulina (fig. 1); ma quando il giro finisce soltanto dopo la quarta o quinta, il 28 L. G. BORNENANN guscio adulto piglia una forma più o meno siliquosa o cuneiforme, come sì verifica nella maggior parte degli individui (fig. 3 e 4). Vi sono certe varietà dove le logge aumentano rapidamente di dimensioni (fig. 2 e 3). Altre poi dove cresce soltanto il dia- metro longitudinale mentre che la larghezza e lo spessore ri- mangono quasi invariabili (fig. 4). Tali particolarità influiscono grandemente sull'aspetto generale degli individui. Accenno finalmente alcune mostruosità nello sviluppo delle singole logge le quali resultano senz'altro dall’inspezione delle fig. 2, 5 e 6; esse rappresentano forme bizzarrissime ma connesse da passaggi molteplici colle varie forme regolari, come pure queste lo sono tra di loro, così che dietro il mio materiale attuale non saprei distinguere e limitarne diverse specie; vale anche quì ciò che dice lo Schwager (') in proposito della Fusu- lina japonica Giimbel: , Auch bei dieser Art finden wir nàm- s lich.... nicht unbedeutende Schwankungen in der Gesammt- » gestalt..... Nicht destoweniger sind aber alle diese Formen » durch den Charakter ihrer gesammten Gestalt eng mit einan- » der verknipft und die vorkommenden Schwankungen re- » duciren sich zumeist auf den gròsseren oder geringeren Spiel- »rtaum bei einigen Maassen ,. La nostra specie attinge la rispettabile lunghezza di oltre 5"® e vive in abbondanza sui banchi di corallo nella località sovraindicata. Riguardo ai rapporti della nostra specie colla L. bohemica Rss. vi pare essere moltissima affinità, ma non saprei per adesso precisarne chiaramente nè le somiglianze nè le differenze dietro quella figura e senza materiale di confronto. Anche la L. bohemica, misura sino a 4" di lunghezza. (4) Schwager. Carbonische Foraminiferen aus China und Japan in v. Richthofen. China Bd. IV. 7. Abhdlg., p. 122. PS. Mentre che si stampava la nota sovrastante ebbi occasione di raccogliere altri numerosi esemplari della Lingulinopsis carlofortensis. Ve ne sono alcuni di dimensioni rimarchevoli e di forme svariatissime le quali con- fermano pienamente quanto dissi intorno all’ estrema variabilità di essa specie. In un altra occasione renderò conto di questi nuovi trovati, Bragg »” SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VI. G. ANGELINI pusilla. Tuttavia non è per questo che una qualche diffe renza non si avverta nel confronto delle regioni or ricordate nell’Emb. pusilla e nel giovane Miyliarino; poichè quella presenta le mac- chie delle due serie laterali più sottili, più delicate e, almeno negli adulti, nere; mentre in questo tali macchie sono più gros- solane, e molte ve n° ha delle bruno-olivastre, o scure. E quello che maggiormente differisce dall’ &mb. pusilla è il maschio, in cui le macchie sono più fitte e più confuse: anzi in esso i due baffi laterali scuri e la frapposta regione biancastra sono ma- lissimo delimitati. Per ottenerne la limitazione è necessario di- varicare artificialmente le penne a destra ed a sinistra; ed in questa condizione, se veramente è un maschio, dev’ essere stato rappresentato l’ esemplare del Bonaparte, nel quale pur tuttavia le due serie di macchie sono così grosse e così fitte, da differire di molto da quelle dell’ Embd. pusilla. Una differenza assai importante parrebbe consistere nella’ co- loritura delle due timoniere esterne di ogni lato; giacchè la descrizione, che il Savi ne da, non s’ accorda nè colla corrispon- dente del Bonaparte, nè con quella, che il Savi stesso ci diede della coda dell’ Emb. schoeniclus, il che dovrebbe avvenire, se realmente i due individui da lui descritti per Emb. pusilla sono due giovani di Migliarino: invece si trova che la descrizione in discorso corrisponde a quella, che gli autori danno della coda della vera Emb. pusilla. Infatti negli esemplari descritti dall’il- lustre Ornitologo pisano “le due timoniere esterne hanno nella parte estrema un’ amplia macchia triangolare bianca, maggiore sulla esterna remigante, che sull’interna; nel resto dellla loro estensione, come pure sul margine esterno, sono grigio-nere ,: mentre nell’ individuo del Bonaparte “ le due timoniere esterne portano sopra il nero una gran macchia cuneiforme di bianco puro, la quale nella penultima occupa solo parte del pogonio interno, che obliquamente divide, e nell’ ultima invade quasi l’intera penna, fuorchè la base, lo stelo e l'estrema punta ,. I colori sono dunque gli stessi, ma varia la loro relativa pro- porzione: negl’ individui del Savi sì ha una minor quantità di bianco, disposizione che coincide con quella, che d’ ordinario si riscontra neil’ Emb. pusilla. Or questa differenza, che avrebbe non piccola importanza, e potrebbe dar luogo a dubbi, qualora fosse costante, appunto per mancar di costanza non ha alcun OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI EMBERIZINI 45 valore. Ho infatti potuto rilevare dal confronto di molti esem- plari di Emb. schoeniclus, che la proporzione del bianco e del nero, come pure la forma delle macchie nelle due timoniere esterne di ogni lato sono variabili nei diversi individui; che mentre in alcuni la 1.° timoniera è in massima parte bianca, in altri è per metà ed anche più occupata dal nero, che corre pure molto avanti sul pogonio esterno: che mentre la 2.° ha in alcuni la punta intieramente bianca, perchè occupata dalla base di un’ ampia macchia cuneiforme di questo colore; presen- tandosi invece in altri tale macchia molto piccola e deformata, e che più non arriva all’ apice della penna, questo anzichè bianco, si mostra nero. Nessuna relazione ho potuto avvertire nella forma e nell’ estensione di queste macchie coll’ età o col sesso degli individui esaminati: una coincidenza ho invece tro- vata circa la distribuzione del bianco e del nero nei singoli in- dividui, corrispondendosi in ciascuno la maggiore o minore estensione dei due colori su tutte e quattro le timoniere. Nè l’accennata variabilità è propria soltanto di questi uccelli, chè anzi in generale si verifica tutte le volte che le timoniere pre- sentano due o più colori gli uni sugli altri disposti a grandi tratti, e in modo da costituire delle macchie più o meno irre- golari. Nel Croccolone (Gallinago maior) e nel comune Frin- guello (Fringilla coelebs), ad esempio, lo si può veder molto bene, ed anzi di quest’ ultimo s'incontrano spesso individui, che hanno macchiata di biamfco anche la terza timoniera, la quale nei più si mostra totalmente nera Le parti del manto finora considerate sono quelle, che nella giovane Emb. schoeniclus e nell’ Emb. pusilla offrono caratteri differenziali più salienti; le altre presentano differenze meno costanti e più difficilmente apprezzabili. Così i margini rossicci delle penne del dorso e delle ali sono in entrambe le specie ora più, ora meno larghi, e le macchie nere or più, ed or meno apparenti: il groppone è d’ ordinario grigio-nocciola, o grigio- scuro: la sfumatura rossiccia delle parti inferiori è in entrambe ora più cupa, ora più sbiadita, e le macchie ne sono or più, ed or meno numerose; e nell’ una e nell’ altra si vedono le due fascie biancastre, che decorrendo dagli angoli della mascella inferiore, vanno a perdersi nel grigio ferruginoso della cervice; in ambedue l’ angolo dell’ ala è ora d’ un bel fulvo, ora soltanto 46 G. ANGELINI grigio lionato, con tutte le gradazioni intermedie; lo specchio alare, prodotto dall’ estremità bianco-rossigna delle medie e grandi cuopritrici nell’ Emb. pusilla, non è spesso più, marcato di quello dell’ E&mb. schoeniclus; neppure la proporzione delle re- miganti e la lunghezza relativa della coda offrono nelle due specie differenze tali, da poter esser prese come caratteri distin- tivi. Chè se qualche differenza, benchè lieve, riguardo a queste parti pur si riscontra nelle descrizioni dei diversi autori, esse non sono che l’effetto di variazioni individuali, ovvero, siecome trattasi di colori, del modo diverso onde ogni persona suol tra- durre in parole le proprie sensazioni. Anche il Gerbe parlando dell’ Emb. pusilla asseriva che “ abstraction faite du bec, de la taille et des bandes qui ornent le dessus (cui poteva aggiungere anche le parti laterali) de la tète, on prendrait volontiers cette espèce, surtout dans son plumage d’ hiver, pour un jeune ou une femelle du Cynchrame schoenicole , Ornith. Europ. Vol. L, pag. 321. i Venendo ora al confronto delle parti che restano allo sco- perto, cioè del becco e dei piedi, si può dire che questi ultimi non offrono caratteri distintivi importanti: una differente lun- ghezza e robustezza non sempre li distingue nelle due specie. In- vece il becco presenta ditferenze abbastanza rilevanti. Il Bonaparte sì limitò soltanto a dire che quello dell’ uccello da lui descritto era “ più sottile ,, di quello dell’ £md. schoeniclus; ed il Savi ce lo dipinse “ piccolo, conico, accuminato con lo spigolo superiore poco arcuato: grigio corneo superiormente, più chiaro inferior- mente ,. Queste frasi, mentre s' accordano fra loro, convengono pure al becco dell’Emb. pusilla, almeno nella sua prima età. Ciò peraltro non vuol già dire che il becco di questa specie non diversifichi da quello del JM/igliarino; che anzi le loro dif- ferenze sono grandi nel maggior numero dei casi, ed apprez- zabili poi sempre. Ed il tempo in cui maggiormente si rasso- migliano è la giovinezza: allontanandosi da quest’ epoca il becco si modifica alquanto, ma seguendo una via diversa, anzi dia- metralmente opposta nelle due specie: conciòssiachè quello dell'Emb. schoeniclus diventi. coll’ invecchiare più grosso, più ottuso, e col profilo superiore più convesso; mentre invece quello dell’ Eb. pusilla si fa più lungo, più acuto, ed il suo culmine si spiana, poi s'incava, e viene da ultimo a disegnare OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI EMBERIZINI 47 col profilo una linea più o meno notevolmente concava. Inoltre in quest’ultima i margini laterali della base della mascella in- feriore sono d’ ordinario meno inflessi, che non in quella. Anche dal confronto delle due figure, che il Bonaparte unì nella tav. 36.3 della sua Fauna, emergono in parte le accennate differenze: infatti il becco della fig. 2.° presenta il culmine più rapidamente discendente, ed un diverso rapporto di lunghezza e di grossezza da quello della fig. 1.°, in cui inoltre, se la figura fosse esatta ('), la leggera convessità del profilo superiore starebbe ad indicare trattarsi di un giovane individuo. Il colore del becco non offre buoni caratteri differenziali, giacchè, al pari di quello dei piedi, è press’ a poco lo stesso nelle due specie, ed oscilla col variar delle stagioni. Invece la statura dell’ #mb. schoeniclus è quasi sempre molto maggiore di quella dell’ Emb. pusilla, ma non sempre: basta infatti osser- vare le due figure del Bonaparte se se ne vuole un esempio; ed anche il Savi, che assegna al Jfigliarino la statura dello Zigolo giallo, dà agl’ individui, che descrisse per Emb. pusilla, soltanto 0.2, 12 di Innghezza. Da questo minuto confronto mi pare dimostrato non esser altro i due individui, descritti dal Savi nella sua Ornitologia Italiana per Emb. pusilla Pall., che due giovani di Emb. schoe- niclus, non differenti forse che pel sesso da quello descritto dal Bonaparte per Emb. Durazzi, e dal medesimo rappresentato sotto il num. 2 nella tav. 36.° della sua Iconografia. Oltre alla diversità non molto grande di alcune parti dell’ abito giovanile, unita alla somiglianza quasi perfetta delle rimanenti col manto dell’ Emb. pusilla, la piccolezza della statura, la sottigliezza e poca convessità del becco, la gracilità e delicatezza delle forme propria di certi individui di mb. schoeniclus, furono certamente le cause, che trassero in inganno l’ illustre Principe di Canino sui rapporti specifici dei due esemplari nella suddetta tavola (4) Nella figura, che dello stesso esemplare diede il Durazzo, (Notiz. degli Ucc. Lig.) «disegnata (secondo lui) con maggior diligenza e più precisi caratteri» il becco è più appuntato e col culmine affatto dritto. Il cerchietto nero dei lati della testa si presenta poi anche in questa figura, come in quella della Fauna, deformato da una rientranza alla parte inferiore. Questa anomalia, che il Durazzo pare attri- buisse all’ età, dipende molto probabilmente dalla muta, ed è dovuta ad alcune penne non ancora completamente sviluppate. 48 G. ANGELINI figurati: e queste pure debbono essere state le ragioni, che indussero in errore il non meno valente Ornitologo pisano. E se il primo riconosceva già fin da principio la perfetta rasso- miglianza dell’ individuo da lui descritto col giovane Migliarino, scrivendo “ Nè quella somiglianza apparentemente perfetta, che essa abbia col giovane Schoeniclus, sembracì sufficiente a ne- garne la differenza ,, il secondo poi, che trent’ anni dopo pren- deva un abbaglio consimile, confessava apertamente di non veder punto chiaro nella questione, e di esser poco persuaso della di- versità specifica dell’ Emb. pusilla dall’ Emb. schoeniclus, manife- stando le sue incertezze in una nota così espressa: , La specie, della quale trattasi in questo articolo, (Emb. pusilla, Pall.) è così generalmente ammessa dagli Ornitologi, che non credo poter fare a meno di riportarla in questa Ornitologia, quantunque tutti gli studi che ho potuto fare sulla medesima non non ab- bian dissipato il mio dubbio che possa trattarsi d'una semplice varietà dell’ Emb. schoeniclus, anzichè d'una vera specie ...... -.......Gli Ornitologi, che abbiano maggiori e migliori mezzi di me per schiarire i dubbi e le incertezze sopraccennate, mi faran cosa gratissima a comunicarmi le loro relative osserva- zioni, ed a darmi così modo di correggere o di completare il presente articolo ,. Ornit. It. Vol. II, pag. 117. Or come mai, se tutti gli altri Ornitologi eran d’ accordo nel considerare come buona specie la Emb. pusilla Pall., il Savi invece fortemente ne dubitava? Quali esemplari aveva egli esa- minati, o potevano suscitargli dei dubbi? Esistono nella collezione ornitologica del Museo di Pisa fra le altre alcune Emberize, che mi pare possano gettar luce sul- l'argomento. Di esse due sul cartellino attaccato alla base por- tano scritto “ Emberiza Durazzi Bon. -—- An. var. Emb. schoeni- clus? — Genova , e sotto la base si vede ripetuta l'indicazione “ Kmb. Duraz. Genova ,. Queste sono due giovani femmine di Emb. schoeniclus; ma che presentano una certa diversità di co- lorito, dappoichè l’ una (N.° 1516) è più sbiadita dell’ altra (N.° 1517), avendo le penne con margine nocciola più largo e più chiaro, le macchie scure molto più rade, e le parti inferiori con una sfumatura generale giallastra. Ora, se si confrontano questi due esemplari colle descrizioni, che del maschio e della femmina di Emb. pusilla Pall. ci lasciò il Savi nella sua. Orni- OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI EMBERIZINI 49 tologia Italiana, si trova che vi corrispondono perfettamente; onde v’ è ragione di credere esser questi gl’ individui da lui de- scritti. Inoltre ciò è confermato anche dall’ indicazione della pro- venienza di detti esemplari: infatti nella nota dianzi citata del- l’Ornitologia italiana così si legge: “Poco dopo quell’ epoca (cioè della pubblicazione dell’ Emb. Durazz:), io ricevei un ma- schio ed una femmina della nuova specie dello stesso Marchese Darazzo, per lo che ho ogni ragione di credere essi individui identici a quello descritto (') e figurato dal Principe Bonaparte. To adunque, volendo far conoscore tale specie, credo il miglior partito sia di pubblicare la descrizione de’ due indicati individui, dal Durazzo inviatimi col detto nome, e tuttora conservati in questo Museo ,. Adunque gli esemplari, che il Savi descrisse, li aveva ricevuti col nome di Emb. Durazzi dal marchese Durazzo di Genova, il possessore dei due tipi dell’ Emb. Durazzi di Bo- naparte; e siccome li aveva ricevuti in un’ epoca, in cui non si era ancor riconosciuto esser state confuse sotto quel nome due specie diverse, bisognava vedere a quale di queste due specie essi appartenevano. Ed è facile l’immaginarselo; l’ Emb. pusilla, che compare accidentalmente, e soltanto in alcune parti d'’ Italia, è piuttosto rara nelle collezioni, e tanto più poi lo doveva es- sere in quell’ epoca, in cui cominciava allora ad essere avver- tita; infatti anche il Durazzo un un anno dopo la pubblicazione del Bonaparte (Ucc. Lig. pag. 49) dava conoscere di non pos- sederne che un solo individuo. È quindi naturale che egli do- vesse mandare al Savi due esemplari di quelli figurati dal Bo- naparte sotto il num. 2, che sono molto più comuni, tanto più poi che egli (1. c.) inclinava a ritenere piuttosto questi ultimi come specie nuova, credendo di vedere in quel primo un’ Emb. lesbia. Ed anche al Savi non fu poscia difficile raccogliere nella stessa Toscana altri esemplari simili a quelli, che aveva rice- vuti da Genova, e che accanto ai medesimi figurano anch’ oggi nella bella collezione da lui creata. Due di essi portano sul car- tellino la stessa dubbia notazione dei due esemplari Genovesi, (!) Anche il Doderlein (Avif. del Mod. e della Sic. pag. 90) scrive « Esaminata diligentemente, riconobbi esser questa l’ Emb. pusilla di Pallas, gia descritta e fi- gurata dal Bonaparte sotto il nome di « Emb. Durazzi» e non avverte che, se gli uccelli di cui parla corrispondessero realmente alla descrizione del Bonaparte, non apparterrebbero all’ Emb. pusilla, ma sibbene all’ Emb. schoeniclus! Se. Nat. Vol. VI. fasc. 1.0 4 50 G. ANGELINI soltanto in luogo di “ Genova ,, vi si legge “ Pisa ,, e di questi l'uno è un maschio, che pare giovane, ma presenta ]e macchie delle parti inferiori di un nero molto puro; l’altro è una fem- mina, e porta notato sotto la base di mano del Savi “ Embe- riza lesbia22? del marchese Durazzo Genova ,. Forse il Savi sospettò una volta che potesse esser questo l'uccello della fig. 1.8 di Bonaparte, e che il Durazzo riferiva all’ Emb. lesbia 2! L' in- dicazione “ Genova , va poi senza dubbio riferita al Marchese Durazzo, non all’ esemplare, altrimenti starebbe in contraddi- zione con quella del cartellino. Altri due esemplari pur si ve- dono, sul cui cartellino sta scritto “ Emberiza Durazzi $ ( nel- l’ uno), £ (nell’ altro) Bp. — Nel Pisano, ed anche questi due sono un giovane maschio, ed una femmina di Emb. schoeniclus. Oltre a questi esiste una femmina (N.° 1522), che pare adulta, un poco più grossa dei precedenti, ma col becco egualmente conformato e sottile, ma che ciononostante è messa là addirit- tura come un JMigliarino: ed altrettanto è pure di un maschio (N.° 1519), col becco non molto più grosso, ma che per avere la livrea dell’ adulto non poteva far nascer dubbio sui suoi rap- porti specifici, e che è forse di quelli mantenuti in ischiavitù dal Savi per studiarne le variazioni del becco (vedi Ornit. It. Vol. II, pag. 123). Finalmente v'è eziandio un esemplare della vera Emb. pusilla Pall., ed in questa si trova registrato sul car- tellino “ Emberiza pusilla Pall. — Lombardia ,, e tale è pure la notazione esistente sotto la base: ivuoltre sul cartellino sì trova aggiunto di mano del Savi “ Salvadori ,. Pare adunque che fosse colto in Lombardia, e che il Savi lo ricevesse dal Salva- dori, forse in occasione di cambi avvenuti fra il Museo di Pisa e quello di Torino. Una leggiera concavità del culmine rostrale indica trattarsi di un individuo adulto: inoltre pare che sia una femmina in abito invernale, giacchè i colori non sono molto vivaci, e le due fascie nere del pileo sono in parte mascherate dai margini rossicci delle piume (‘). Esso viene così ad offrire nel suo piumaggio le condizioni più favorevoli di rassomiglianza colla femmina e col giovane del Migliarino: dimodochè, se si (4) In questa spoglia la 3.2 timoniera di ogni lato presenta all’ apice una pic- cola macchia biancastra. Non trovando altri, che ne faccia menzione, non so se questa particolarità sarà generale; ma se lo fosse, sarebbe un nuovo carattere distin- tivo fra l' Emb. pusilla e la schoeniclus. OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI EMBERIZINI 51 . sorvola a qualche differenza, caratteristica si, ma poco appa- rente del becco e del pileo, tutti i summentovati esemplari costituiscono nel loro insieme una serie, che presenta fra’ suoi membri un graduato passaggio. Questo fatto mi pare possa darci la spiegazione delle incer- tezze del grande Ornitologo, nonchè la storia degli argomenti, che egli non sì curò di esporre, ma che asserì solo indurlo a non considerare l’ Emb. pusilla come specie distinta. Nell’ incertezza, in cui si trovava, non si trattenne a parlar di costumi, contentandosi di accennar semplicemente, e come di volo, essere essi press’ a poco quelli del Migliarino: ed in ciò forse non s' ingannò, giacchè, sebbene i costumi dell'Emb. pusilla non sieno molto conosciuti,‘e non sembri abitare il margine dei paduli, pare tuttavia che ami anch’ essa la vicinanza delle acque, ciò che, come osserva il Gerbe, stabilirebbe un rapporto di più fra le due specie. In cambio però di prediligere le località basse, come fa il Jfigliarino, essa si piacerebbe delle regioni ele- vate ed alpestri: infatti il Pallas, che la scoprì e che ebbe campo di osservarla in abbondanza nella Dauria, dove ha sua stanza naturale, la dice abitare intorno ai ruscelli montani nei freschi boschi di larici, e intorno ai torrenti delle Alpi di quelle regioni. Inesatto è poi quanto il Savi asserì intorno alla distribuzione geografica dell’ Emb. pusilla, avendo detto “ Trovasi nell'Italia media e meridionale, nonchè in l’rovenza , giacchè se è vero che più volte capitasse in Provenza, altrettanto non si può dire nè per l’ Italia media, nè per la meridionale. Questa però è una conseguenza necessaria dell’errata determinazione della specie; giacchè, avendo egli trovato anche in Toscana degl’ individui si- mili a quelli, che aveva descritti per Emb. pusilla, era indotto a riconoscerne la presenza nell'Italia media: riguardo poi alla meridionale, non saprei su quali fatti si fondasse per asserir ciò, se non sull’autorità del Benoit, che disse tre individui esserne stati colti in Sicilia. Invece 1’ Emb. pusilla è in Italia di comparsa affatto accidentale, e, se si fa eccezione della notizia data dal Benoit, (che per non aver fatti in appoggio viene dal Salvadori posta in dubbio) nonchè di un individuo, che, secondo il Wright, sarebbe capitato a Malta (Doderlein 1. c. pag. 332), le regioni meridionali e medie d’ Italia, compresa la Toscana, sono per l'appunto quelle, dove non si sa che sia mai stata osservata. 52 G. ANGELINI Per l’ opposto nell’ Italia settentrionale è stato più volte riscon- x o trato quest’ uccello, che è proprio specialmente del Nord del- l’ Asia; e vari individui ne sono stati colti nel Nizzardo, in Liguria, in Lombardia, nel Veneto e nel Modenese. Il prof. Salvadori (Fauna d° It. Ucc. pag. 143) mostrò di aver poca fede che a questa specie appartengano gl’ individui, che, secondo il Doderlein (Avif. pag. 90), “ sebbene assai raramente, riscontransi in estate, e fors’ anche d'inverno nei terreni acquitrinosi del basso Modenese ,, e ciò per l’ epoca, in cui s’ incontrerebbero: giacchè fa davvero meraviglia che uccelli propri dei paesi bo- reali vengano. in Italia e nel basso Modenese a passar l’ estate, mentre in altre regioni anche più nordiche e fredde, non solo d'Italia, ma d’ Europa non si vedono che ben raramente, e nella cattiva stagione. Peraltro la conferma e la descrizione, che il Dederlein diede degli indicati esemplari (l. c. pag. 332 ), mostrano che realmente si tratta dell’ Emb. pusilla: laonde, se mi è permesso manifestare una mia idea su ciò, dirò che, mentre non mì pare inverosimile che un qualche individuo possa essersi trovato nel Modenese in estate, non credo poi punto che ciò sia l’espressione di un fatto normale e generale, tanto più che il Doderlein stesso nella sua conferma più non parla di sta- gione estiva. Nemmeno io credo che quegl’ individui vi capitas- sero nella stagione, in cui vennero colti; per intendere la qual cosa bisognerebbe ammettere che questi uccelli, al par dei Crocieri, andassero soggetti a irregolari migrazioni, mentre di ciò non si ha verun indizio: ma mi pare invece più probabile che giunti in inverno, e trovato abbondante nutrimento, © resi per qualche accidente incapaci a rifare il viaggio, non sieno più tornati alle primitive regioni; e riesce pur facile im- maginarsi come, stante la loro piccolezza, possano esser sfuggiti alle persecuzioni dei cacciatori. Ed in appoggio al fatto citato dal Doderlein si hanno altri esempi di uccelli, che non solo passarono l’ estate, ma eziandio nidificarono in regioni, dove ben di rado è solo accidentalmente comparvero, come avvenne del Coccizus glandarius (') (Stor. degli Uccelli. Firenze 1767-76), (3) Al dott. Salvadori pare non degno di fede che una coppia di Coccizus glandarius sì sia riprodotta nei boschi presso Pisa, perchè «avrebbe costruito un nido ed allevato quattro figli»; mentre si sa che in altre regioni quest’ uccello mo- stra le stesse abitudini del nostro Cuculo. Invece il Savi ne trae argomento per OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI EMBERIZINI 53 del Turdus torquatus e dell’ Anser cinereus (Savi Ornit. It.), che furono trovati nidificanti in Toscana. L’avvenimento riferito dal Doderlein ha poi una certa importanza anche perchè l’Emb. pusilla nel Modenese avrebbe mostrato abitudini alquanto di- verse da quelle, che, al dire del Pallas, presenta nella Dauria; giacchè, in luogo di prescegliere le acque limpide e fresche della montagna, si sarebbe stabilita alle basse, nelle località stesse abitate dal Migliarino. Inesatto è poi che l’ Emb. pusilla, come asserisce il Gerbe, “ parait ètre de passage périodique, assez re- gulier, en Italie et en Provence , e ciò almeno per l'Italia, giacchè si può dire che è stata osservata soltanto in alcune regioni della zona settentrionale, dove pure capita raramente ed alla spicciolata: neppure mi sembra che, rigorosamente par- lando, si possa dirla di passaggio per l’Italia, giacchè non si sa che proceda più oltre verso il Mezzogiorno; ma probabil- mente quegl’individui, che giungono da noi, vi svernano, e vanno considerati come sentinelle avanzate, per non dire individui smarriti, del passo autunnale. Ma se rara è l’ Emb. pusilla, abbastanza frequenti e stazio- nari sono da noi quei piccoli individui di Emb. schoeniclus, che il Bonaparte ed il Savi poterono confondere con quella specie. Oltre agli esemplari esistenti nel Museo di Pisa, e di cui ho fatto menzione, uno ne ho visto nella collezione del Liceo di Livorno, che per la sua gracilità, certo da chi non era ornito- logo, pare fosse preso per una Pispola! questo è infatti il nome, che porta scritto sotto la sua base. Inoltre io stesso sullo scorcio del gennaio 1881, ad una distanza di quasi 40 chilometri dal mare, in regione montuosa, lontano da paduli, incontrai lun- dubitare dell’ opinione generale, e cita a convalidare quell’ asserzione le abitudini dell’ affine C. americanus, che fa un nido ed alleva da se la sua prole. Se in questa divergenza di opinioni è lecito pure a me manifestare la mia, dirò che inclino a ritenere per vero che una coppia di €. glandarius si propagasse nella detta loca- lità, e ciò perchè si tratta d' un uccello che ha caratteri tali da poter essere dif- ficilmente confuso con specie indigene; perchè gli Autori della Storia degli Uccelli colla figura, che ne diedero, mostrarono di averne esatta conoscenza; e perchè se- condo il Roux pare si riproduca anche in Provenza. Non mi sembra invece proba- bile, per mancanza di altri esempi, che esso prendesse cura della prole; nè ciò a mio parere vien punto asserito nella Storia degli Uccelli, dov'è detto soltanto « nidificò nelle nostre macchie di Pisa e fece quattro figli» Nemmeno il numero dei figli mi sembra argomento sufficiente per negare il fatto, sapendosi che anche il nostro Cuculo depone talora più d'un uovo in uno stesso nido. 54 G. ANGELINI ghesso il fiume Marecchia alcuni di questi Miglarini. Il gelo, che da più giorni invadeva le regioni submarine, aveva proba- bilmente indotto questi uccelli a risalire Inngo il letto del fiume, nella cui parte superiore, per aver esso una direzione press’ a poco da Sud-Ovest a Nord-Est, spirava un’ aria più dolce, tem- perata dal vento di Libeccio. Essi uccelli erano pochissimo ti- midi, fors’ anche per la fame che li tormentava; abitavano la sponda del fiume, attorno alle polle e lungo i corsi d’ acqua limpida, framezzo ai cespugli di salcio; era difficile indurli ad abbandonare il loro posto, e cacciati vi ritornavano prontamente; di rado, e solo spaventati, salivano sulle piante; emettevano sovente un piccolo zirlo, e questo pareva il grido di richiamo. To me ne procurai sei individui, due femmine e quattro maschi, non però tutti nello stesso giorno; erano assai piccoli, ma non tutti egualmente; i più piccoli eran femmine, e raggiungevano appena la statura di un Lucarino (C4hrysomitris spinus), però anche i più grossi erano di statura ben inferiore a quella d’uno Zigolo giallo (Emberiza citrinella). Nel marzo dello stesso anno un altro individuo ne vidi poco lungi dal luogo, dove aveva incontrato quei primi; volava in cima alle vetrici ed alle siepi, e mi parve più grosso: emigrato probabilmente insieme agli altri non era più tornato alla vecchia dimora, poichè, ad onta di frequenti visite, non ho mai più incontrato dei Migliarwm: in quella regione, nè so che altri ve n' abbia rinvenuti. Quest’ osservazione non è forse priva d'importanza: giacchè, se, esistendo tra gli esemplari del Museo di Pisa qualcuno, che non mi sembra giovane, dimostra non poter essere le differenze loro interamente dovute all’ età, (il che del resto mal si com- prenderebbe per esser queste nelle specie affini molto più limi- tate) gl’ individui da me osservati, che per la stagione, ed i maschi anche per la maschera nera e l’ intensità dei colori, non potevano lasciar dubbio sull’ età loro, vengono in conferma di quella supposizione. Inoltre, se la frequenza di consimili indivi- dui poteva far sospettare non dover essere quelle differenze del tutto accidentali, il fatto di averle riscontrate, benchè più o meno accentuate, in tutti gl’ individui di uno stesso branco, sembra indicare che si tratti piuttosto di una razza particolare. Anche il Bonaparte mostrò di aver osservato il maschio adulto di questa varietà, avendo detto (1. c.) che “lo Schoeniclus non OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI EMBERIZINI 55 tinge mai di tutto nero il capo e la gola come il maschio di questa (Emb. Durazzi),; la quale asserzione è certamente er- ronea; ma è importante notare come egli, ad onta della cono- scenza del maschio adulto, considerasse i piccoli individui di Emb. schoeniclus come costituenti una specie a se. I caratteri, pei quali questa varietà si distingue dagli coli nari Migliarini, sono, come già accennai, la statura minore, le forme più eleganti, i tarsi più gracili, la testa più piccola, il becco più breve, più sottile e meno convesso. Ora, per caratteri precisamente opposti a questi si differenziano dall’ ordinario Migliarino altri individui, che pure abitano le stesse località, e dei quali fu fatta la specie Emb. pyrrhuloides. Fa Pallas il pri- mo a distinguere specificamente questi individui, che non ebbe forse occasione di studiare in tutte le loro gradazioni; e loro diede l'appellativo di pyrrhuloides appunto ad indicare il grosso loro becco. Ne è già che essi non fossero stati peranco osser- vati da altri Naturalisti; chè anche prima d’ allora in Europa, e persino in Italia, erano conosciuti, ma venivano considerati come semplice varietà dell’ Emd. schoeniclus. Infatti col nome di Migliarino di padule V Emb. pyrrhuloides era stata rappresen- tata nella Storia Naturale degli Uccelli (tav. 226 An. 1767-76), e come tale pure si conservava nei Musei di Torino e di Parigi (Savi, Ornit. It. Vol. Il pag. 122) La nuova specie del Pallas pare che non fosse presa in considerazione, o non venisse giu- stamente interpetrata, inquantochè non riuscì a richiamare l’at- tenzione degli Ornitologi sui suoi rapporti tassonomici e sulla sua distribuzione geografica. Fu il prof. Paolo Savi che nel 1829 tornò a porre in evidenza quest’ E&mberiza, descrivendola però anch’ egli come specie nuova, cui nominò Emb. palustris ; e solo molto più tardi fu riconosciuta l’ identità di questa coll’Emb. pyr- rhuloides, nome, che per ragion d’ antichità fu all’ altro preferito. “ Quest’ uccello (come il Savi stesso afferma) fu ed è il soggetto di grandi discussioni in Italia ed in Francia ,; giacchè, se molti Naturalisti adottando le vedute dell’ illustre Professore ammi- sero la nuova specie, altri pur ve ne sono, che dando ai suoi argomenti un peso minore, considerano l’Emb. pyrrhuloides piut- tosto come varietà o razza dell’ Emb. schoeniclus, anzichè come specie distinta. Le differenze zoologiche, che si Savi lusso a provare la 56 G. ANGELINI diversità specifica dell'Emb. pyrrhuloides dalla schoeniclus, con- sistono nella statura alquanto maggiore, nel tarso proporzio- natamente più corto ed un poco più grosso, nella testa in pro- porzione delle altre parti più voluminosa, nel becco più grosso, più rigonfio, più ottuso, e col culmine più incurvato, nonchè nel colorito delle parti superiori un poco più intenso. Intanto si può osservare che l’ argomento riguardante la ptilosi ha ben poca importanza, perchè si tratta di una leggera differenza d’in- tensità di colorito, del qual fatto ci porgono esempio tant’ altre specie; ed inoltre perchè essa è variabile anche in quest’ uccello, come nel Migliarino, cogl’ individui, coll’ età e colla stagione; mentre poi, come il Savi stesso afferma, la relativa distribuzion dei colori e la proporzione delle penne è identica ‘nelle due specie. I caratteri distintivi di maggior valore sono, a confes- sione dello stesso Ornitologo, quelli offerti dal becco: ed anche il Bonaparte si mostrò dello stesso parere, avendo detto che “ha ragione il Prof. Savi quando afferma che la diversità prin- cipale consiste nel becco grosso ed ottuso nella palustris, sottile ed acuto nell'altra ,. Ora al becco più grosso corrisponde un maggiore sviluppo delle ossa della faccia e del cranio, onde si ha la testa più grossa; ed a questa pur si associano analoghe differenze nelle altre parti dell’ organismo, le quali appunto colla loro armonia ci fanno travedere le relazioni, che passano fra questi uccelli. Sono infatti in ogni caso i rapporti differenti delle varie parti del corpo di due animali, che possono essere invocati a comprovare la loro diversità specifica: mentre invece quando esse parti conservano nelle loro variazioni inalterati rapporti, le offerte differenze anzichè avvalorarsi, reciprocamente s' infirmano, e vengono piuttosto a costituire una prova con- traria. Contuttociò le qualità del becco dell’ Emb. pyrrhuloides sarebbero tali da rendere pienamente giustificata la formazione di una nuova specie, qualora esse fossero ugualmente accentuate in tutti gl’ individui; ma ciò non è. Imperciocchè, come fra gli esemplari della varietà più piccola di £mb. schoeniclus sì riscon- trano tutte le gradazioni dei caratteri differenziali fino al Mi- gliarino tipico, (che, secondo il Savi, avrebbe la statura dello Zigolo giallo, ed il becco dello Zigolo muciatto) del pari fra questo e la Passera di padule esistono dei termini intermedi, che sta- biliscono dall'uno all’ altra un graduato passaggio. i } OSSERVAZIONI SOPRA AICUNI EMBERIZINI 57 Primo a far rimarcare questi ultimi fu il Dott. Michaelles di Norimberga, che li osservò, poco dopo la pubblicazione del- l’Emb. palustris, nella Dalmazia, ed anzi li descrisse come specie nuova, cui diede il nome di Emb. intermedia, appunto ad indi- care i suoi rapporti tassonomici. Questa specie fu pure oggetto di vivi contrasti, giacchè combattuta da Ornitologi valenti, come il Degland, ebbe eziandio a sostenitori, almeno per un certo tempo, Naturalisti autorevolissimi, quali il Selys-Longchamps ed il Bonaparte: tuttavia non potè sostenersi, e direi, se non temessi di avanzare una proposizione troppo ardita, che dovè subire nei sistemi ornitologici quella sorte, che l’ è forse serbata nell’economia della Natura. Al presente 1 Emb. intermedia Mi- chaell. non è più ammessa, almeno per quanto io sappia, da alcun Ornitologo: peraltro non tutti sembrano nutrire relativa mente alla medesima le stesse. opinioni. Il Savi, che nel 1831 (Ornit. It. II pag. 125) si dichiarava incompetente a giudicare, in mancanza di studi relativi, se si trattasse di una specie di- stinta, o di una varietà dell’ Emb. palustris, nel sno ultimo la- voro (l. c. pag. 120) si pronuncia addirittura in favore di que- st’ ultima opinione, e crede il becco dell’ Emb. intermedia solo per le dimensioni, non per la forma, intermedio a quello del Migliarino e della Passera di padule. Al contrario per Gerbe (Ornith. Europ. I, pag. 326) l’ Emb. intermedia non sarebbe nè una razza o varietà ('), nè una forma unica, ma corrisponde- rebbe a forme straordinarie di due specie diverse, poichè egli dice di non aver visto in buon numero di esemplari determinati per Emb. intermedia, che o delle Passere di padule col becco un po’ meno forte che non nei vecchi individui, o dei Migliarini col becco un poco più arcuato ed ottuso del solito. Invece Salvadori, quantunque annoveri l’ Emb. pyrrhuloides fra le specie, sincera- mente confessa essere l’ Emb. intermedia una forma realmente intermedia al JMiglarino ed alla Passera di padule. E questo è quanto sembra anche a me, sebbene non abbia potuto esami- nare che pochi individui a quella specie riferiti, ma che però ho (1) Il disaccordo dei due Autori in questo punto non è che apparente, e dipende dal diverso significato da loro attribuito alla parola varietà. Per Gerbe razza e va- rietà sono sinonimi; invece il Savi indica con razza le varietà permanenti, con va- rietà le altre. Io ho seguito l’ esempio del Gerbe, ed aggiungo l’' epiteto accidentale alla varietà presa secondo il concetto del Savi. 58 G. ANGELINI ragione di creder tipici, perchè provenienti di Dalmazia, e pro- babilmente dallo stesso Michaelles donati al Savi, con cui era in relazione (vedi Savi, 1. c. pag. 215). Frequentissimi anche in Italia, secondochè afferma ;l prof. Salvadori, sono cosiffatti in- dividui; lo che dimostra non potersi invocare l’ ibridismo a spie- gare la presenza dell’ Eb. intermedia; giacchè, se per l'affinità grande dell’ Emb. schoeniclus e della pyrrhuloides l'accoppiamento delle due specie (supposto che sien tali) non è impossibile, esso resta però sempre in natura un fatto eccezionale, e rari sono i suoi prodotti. Il trovarsi poi dell’ Emb. intermedia individui di tutte le età ci attesta non potersi nemmeno all’ età attribuire le differenze che quest’ uccello presenta, e che quindi anche il secondo argomento dal Gerbe messo in campo a darne la spie- gazione è per lo meno insufficiente. Chiaro. invece emerge dal confronto delle opinioni emesse dai diversi autori intorno alla specie del Michaelles che essa non corrisponde ad una forma unica, ma piuttosto ad una serie di forme, di cui, se gli estremi sì accostano, giusta il parere del Gerbe, al Migliarino od alla Passera di padule, si hanno però esemplari “ che (per usare le stesse parole del Salvadori) per le dimensioni, per la forma e grossezza del becco, e per le proporzioni del tarso tengono tal- mente il mezzo, che non si saprebbe a quale delle due specie attribuirli , (Fauna d' It. Ucc. pag. 145). Si passa così insensi- bilmente dall’ una all’ altra di queste supposte specie mercè gl’ individui dell’ #mb. interinedia; e torna facile intendere come, sia che questi ultimi si riproducano tra di loro, sia che sì ac- coppino, com'è probabile che spesso avvenga, con quelli della schoeniclus o della pyrrhuloides, ne provengano sempre forme a queste due intermedie. L' esistenza dei summentovati passaggi fu che indusse gli Ornitologi, i quali adottarono la specie proposta dal Savi, a non formare per la medesima un genere a parte, (vedi Ornit. It. 1I, pag. 120) del che egli tanto si meravigliava, e, credo io, con ragione: inquantochè fa davvero meraviglia che, mentre non già la poca importanza, ma la indeterminatezza dei carat- teri differenziali sconsiglia i Naturalisti dal porre l'Emb. pyr- rhuloides in un genere diverso da quello della schoeniclus, lo stesso motivo non sia poi loro d' ostacolo a considerarla come specie distinta. Almeno il Savi, sebbene non’ apprezzasse giu- stamente, secondo il mio modo di vedere, le differenze dell’Emb. pyrrhuloides, si mostrava coerente! OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI EMBERIZINI 59 Ma, oltre ai zoologici, altri caratteri differenziali citava il dotto Ornitologo a provare la diversità specifica della sua Em- beriza; e tali caratteri, quantunque meno importanti, gioverà pur prendere in esame, per vedere quale ne sia il valore. E fra i biologici la stazione avvertiva un poco diversa: l’ Emb. pyr- rhuloides, quantunque abiti anch’ essa, come il Migliarino, il margine dei paduli, si terrebbe in una zona più centrale, pre- ferendo i luoghi motosi ed ingombri di cannelle a quelli più asciutti e sparsi di macchioni. Differenze ben piccole, come si vede, e che possono essere l’ effetto di condizioni locali partico- lari, anzichè un fenomeno generale; infatti, mentre Bonaparte conferma l’ asserzione del Savi, il Gerbe, che dice d’ aver osser- vato spessissimo nel Mezzodì della Francia l' Emb. pyrrhuloides e la schoeniclus, nega recisamente aver quella abitudini più acquatiche, ed esistere fra i due uccelli alcuna differenza di co- stumi o d' abitudini. Aggiunge il Savi di non aver mai trovato la Passera di padule lontana dall’ acqua, come il Migliarino, che imbrancato coì Frinquelli e colle Passere mattugie visita i prati e i campi nella cattiva stagione. Ma non può esser questa la conseguenza di un’ altro fatto pure citato dallo stesso Autore, di non aver cioè incontrato in l'oscana durante l’ inverno che poche o punte Passere di padule? Inoltre egli crede “di non picciol momento , il non aver visto in più diecine di Emb. pyrrhuloides, uccise in una mede- sima truppa, alcun individuo di Em. schoeniclus od intermedia. Ma anche a questo argomento mi pare che si possa annettere ben poca importanza, per la semplice ragione che non ne avrebbe alcuna l’ argomento contrario. Che meraviglia infatti dovrebbe recare il trovar il Migliarino imbrancato con uccelli tanto a lui affini e per forme, e per stazione, e per costumi, se il me- desimo s' accomuna coi /ringuelli e colle Passere mattugie? Io son anzi d’' avviso che ciò debba avvenire, quantunque al Savi non capitasse d’ osservarlo, perchè è abitudine comune non solo agli Zigoli, ma si può dire a tutti i Passeracei granivori quella di pascolare uniti in branchi eterogenei. Di più vediamo che le specie zoologicamente e biologicamente più vicine sono quelle che più facilmente s° accompagnano; onde avviene spessissimo d’ incontrare lo Zigolo giallo col nero e coll’ Ortolano; gli Stril- 60 G. ANGELINI lozzi colle AModole; i Frinquelli coi Fringuelli montani; i Verdoni coi Fanelli e coi Raperini ecc. e vedonsi poi sovente branchi, in cui molte specie vanno insieme commiste. Un'altro argomento è quello del canto, e questa, dopo i caratteri morfologici, è forse la differenza di maggior valore. Ecco come il Savi ne parla “Il fischio loro, mentre volano o chiamano i compagni, è simile molto a quello dei Prispoloni. Ha bensì anche quest’ Emberiza una specie di rullo corto ed acuto, ma che io non ho sentito se non quando ne ho preso in mano qualcuno ferito. ........ Essa ha una voce similissima a quella dei Ranocchi (Rana esculenta), solo è meno stridula e più sonora » (Ornit. It. II pag. 124-125). Io non ho avuto l'opportunità di ascoltare la voce ed il canto dell’Emb. pyrrhu- loides, per conseguenza non sono in grado di confutare, o di confermare quanto ne scrisse il grande Maestro: mi limiterò quindi ad alcune riflessioni intorno a ciò, che ne dissero altri osservatori, ed a ciò che l’ anologia dei. fatti mì suggerisce. E innanzi tutto noterò che negli autori, che ho potuto consul- tare intorno a questo soggetto, non trovo fatta menzione d'altra particolarità all’ infuori della qualità della voce, che dicono anch'essi avere una certa somiglianza con quella dei Ranocchi (Bonaparte, Gerbe), mentre poi altri neppure di essa fanno pa- rola, come Doderlein, che dice solo che strillano a modo dei Passeri, e Salvadori, che non menziona alcuna differenza glosso- logica. Ma ammesso pure che una differenza vi sia, (e bisogne- rebbe per dubitarne non fosse nota l’ esattezza e la coscienza di chi lo asserì) il canto dell'E£mb. pyrrhuloides è esso assoluta mente diverso per la voce e per la modulazione da quello del- l’Emb. schoeniclus, o non ne è piuttosto una modificazione, una diversa gradazione? Io non lo so, ne ho potuto trovare che alcun autore ne parli; ma mì è lecito sospettare che, come essa tiene il mezzo fra il Migliarino e la Passera di padule per le forme e per le dimensioni, così pure lo tenga per la voce e per il canto. Inoltre mi pare che, come vi sono specie le quali per certi altri caratteri, pel becco, ad esempio, o per il manto, poco o punto diversificano fra di loro, mentre possono le stesse parti offrire variazioni notevoli negl’individui di una stessa specie; del pari, avendosi specie cui non valgono a distinguere la voce ed il canto, altre pure se ne possano avere, che a questo OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI EMBERIZINI 61 riguardo presentano nel loro seno una qualche differenza. Infatti all’Alauda cantarella non attribuì il Bonaparte un canto assai diverso da quello dell’Alauda arvensis? Eppure non potè soste- nersi, e fu abbandonata. E il Beccaccino muto (Scolopax brehmi) non si leva sempre silenzioso, mentre l’ordinario Beccaccino (Scolopax gallinago) ripete il suo grido ogni qualvolta si frulla? Eppure fu cancellato dal novero delle specie, e ad onta del ca- rattere morfologico non indifferente di due timoniere di più (16); anzi fu cancellato appunto perchè la scoperta d’individui a dodici timoniere dimostrò l’incostanza di tal carattere. Or non è questo un caso perfettamente simile al nostro? Ma persino nel sapore dell’ Emb. pyrrhuloides credette il Savi di trovare una differenza caratteristica: disse infatti che la sua carne “è pochissimo buona da mangiarsi, giacchè puzza di for- miche, forse più di quella delle Rondini e del Torcicollo ,. Ma di quanto poco valore tassonomico possa essere questa partico- larità di leegieri s’ intende, ove sì pensi, che il sapore delle carni dipende dal vitto dell'animale, e che quindi è soggetto a variare, non solo nei vari individui di una data specie, ma eziandio nello stesso individuo a seconda delle sue condizioni biologiche. Moltissimi uccelli infatti hanno un sapore più o meno diverso secondo la stagione e la località abitata; e ciò tanto è vero, che può bastare talora questo solo indizio a svelare se un uccello provenga da una o da altra parte di una data regione. Sono poi tanto intime le affinità morfologiche e biologiche del Migliarino e della Passera di padule, che ci fanno credere do- versi essi prevalentemente nutrire delle stesse sostanze; non è d’ altronde improbabile che questa, in grazia del suo becco più robusto, giunga a frangere qualche seme, che il Migliarino non vale a rompere, ed il cui olio dia alle sue carni un sapore par- ticolare. Ma sarebbe forse per questo diminuita l'affinità dei due uccelli? Può darsi inoltre che l’ accennata differenza non sia affatto generale, ma limitata agli abitanti di certe località solamente; tanto più che fra gli autori da me esaminati, il solo Bonaparte ripete l’asserzione dell’ Ornitologo pisano. Le differenze relative alla nidificazione, stando anche a quello che ne disse il Savi, sono assai lievi, e ben lungi dal varcare i limiti delle variazioni solite a verificarsi in specie ben definite. Sì sa infatti che l’ ubicazione del nido ed i materiali onde si 62 G. ANGELINI compone, nonchè il numero, le dimensioni, la forma ed il colore delle uova sogliono variare entro limiti più o meno lontani, secondo le specie. Nel caso nostro il volume delle uova è quello, che presenta la differenza più saliente, e forse l’unica; ma sic- come una tale differenza, oltre all’ esser molta piccola, sta in armonia colla differente grossezza dei due uccelli, viene a co- stituire un argomento in favore, piuttostochè a discapito della loro identità specifica. Asseriscesi poi (Gerbe) che neppure que- sto carattere sia costante; e di ciò è facile intender la ragione, se si riflette, che, prescindendo anche dalle variazioni acciden- tali, fra le uova del Migliarino e della Passera di padule deb- bono naturalmente venire a collocarsi quelle dell’ E mb. intermedia. Della distribuzione geografica dell’ Emb. pyrrhuloides nulla disse il Savi, come pure non disse nulla di quella dell’ Emb. schoeniclus: ma, stando a quanto afferma il Gerbe, la prima di queste Emberize abiterebbe tutto il Sud di Europa, nonchè l'Asia occidentale, mentre la seconda s’' incontrerebbe in tutta Europa dal Sud al Nord: anche questa però deve trovarsi nell’ Occi- dente dell’Asia, come fan credere le osservazioni del Pallas, che incontrolla lungo il corso inferiore dell’ Ural (Pall. Voy. vol. VIII, Append. pag: 62). Adunque la Passera di padule abita le stesse regioni, che sono abitate dal Migliarino, ma ne occupa solo una parte, cioè la zona più meridionale. Questo fatto non è forse immeritevole di considerazione; inquantochè, se 1° Emb. pyrrhuloides, avendo stanza comune col Migliarino, non si può dire addirittura che ne sia una varietà geografica; tuttavia per la sua diffusione assai minore sì mostra come una forma ad esso subordinata, ed in un certo rapporto colle condizioni cli- matologiche. In Italia possiam dire che quasi in tutte le loca- lità, dove vive l'una, vive anche l’altra di queste due forme,. meno forse la Sardegna, dove non so che l’ Emb. pyrrhuloides sia stata fino ad ora osservata; ma non è punto improbabile che ancor là si ritrovi. Anche nelle loro migrazioni questi uccelli offrono perfetta rassomiglianza: nelle parti settentrionali d' Italia nè l'uno, nè l’altro. passa l'inverno: nelle medie pochi restano durante la cattiva stagione: nelle meridionali, e specialmente in Sicilia, tanto l’ uno, che l’altro si trova d’ inverno in maggior abbon- danza, perchè agl’individui stazionari si aggiungono quelli pro- OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI EMBERIZINI 63 venienti da più nordiche regioni. E, se nell’ Italia media il Mi- gliarino s° incontra nella mala stagione più comunemente della Passera di padule, ciò probabilmente avviene perchè quello è in realtà più abbondante di questa, e poi perchè molti Miglia- rini, provenendo da paesi più freddi, che non la Passera di pa- dule, trovano in regioni meno meridionali le condizioni adattate alla loro esistenza. I caratteri fisiologici e biologici assegnati all’ Emb. pyrrhu- loides son dunque anch’ essì tutt’ altro che tali, da consigliare a separar specificamente questa forma dall’ Embd. schoeniclus. Ma v' ha di più. Anche alla varietà più piccola di £mb. schoeniclus attribuirono gli autori, che ne parlarono, differenze analoghe a quelle, che or ora abbiam passate in rivista. E pri- mo fu il Principe di Musignano, che nella sua Fauna asserì aver quella dal Migliarino “ assolutamente diversi la dimora, la ni- dificazione ed il canto ,. In che consistessero queste differenze egli non lo specificò, e forse perchè quanto affermava non era frutto di osservazioni sue proprie, come ci fa credere il seguente passo, in cui egli, parlando del Marchese Durazzo, dice “il quale non solo mandavaci il gentil volatile dei.monti Liguri, ma l’accompagnava altresì di belle notizie da lui raccolte con assidue e diligenti osservazioni, che ci han persuaso dell’ assoluta diversità della specie , (Bp. 1. c.). Che poi le osservazioni e le notizie dell’ Ornitologo genovese si riferissero, non già alla fig. 1.° della Fauna Italica (tav. 36), cioè all’ £'mb. pusilla, ma bensì alla fig. 2.°, di leggeri s’ intende, ove si pensi che l’Emb. pusilla capita accidentalmente in Liguria, e che quindi il Durazzo non poteva aver avuto campo di studiarla in libertà, tanto è vero che non ne possedeva che un unico esemplare: ma ciò è con- fermato eziandio da quello, che il Durazzo stesso più tardi (1840) scriveva nelle sue Notizie sugli Uccelli Liguri. Quivi infatti, dopo aver sostenuta l'opinione, che il “ rarissimo uccelletto , della fig. 1.* della Fauna sia, contrariamente al parere di Bona- parte, la Emb. lesbia di Buffon (tav. 656), passando alla fig. 2.° così ne parla. “ La figura seconda poi della Fauna sarebbe mai come eziandio il Principe di Musignano mostra sospettare, la E. provincialis? 0 una nuova specie, finora confusa colla Schoe- niclus, alla quale, a prima giunta, tanto somiglia? Io per ora non oso asserire nè l'una nè l’altra cosa; e mi sarà d’ uopo 64 G. ANGELINI fare una gita alle nostre montagne per avere, se mi verrà fatto, e nidi ed individui. Ciò che intanto io posso dare per certo si è, che tale Emberiza annida e soggiorna da noi, in luoghi montuosi ed alpestri, tra i cespugli dei boschi, mentre la Schoe- niclus dimora ne’ paduli, e non annida da noi per mancanza di essi; che allorquando i nostri cacciatori ne fanno in autunno alcuna preda, per lo più è di primissimo mattino, ora consueta del costei passaggio, e che da loro fu sempre indicata come specie diversa, coi nomi vernacoli di St, Sta boschin-na, Stra- passua: il canto pure dell’ una differisce da quello dell’ altra; e di questa, non di quella, avviene che nei più rigidi inverni sen’ faccia alcuna preda sulle nostre colline, ove la caduta delle nevi la costringe a ripararsi , (Ucc. Lig. pag. 49). Queste notizie, che il Durazzo credeva poterci dare per certe intorno all’ uccello della fig. 2. (') di Bonaparte, sono un miscuglio tale di proba- bile e d’ improbabile, che fanno veder chiaramente, come l’Au- tore si basasse, non tanto su di osservazioni sue proprie, quanto sulle imbrogliate narrazioni dei cacciatori, e non avesse abba- stanza riservatezza nello accettare ciò, che da persone estranee alla scienza gli veniva riferito. Non avendo io potuto in altra circostanza, che in quella addietro ricordata, studiare in natura l’ uccello, di cui quì è questione, non sono in grado di decidere quanto di vero e di falso vi possa essere nelle asserzioni del Durazzo: tuttavia, sebbene evidenti inesattezze ci sconsiglino dal prestar fede in modo generale alle sue parole, non possia- mo neppur credere che tutte sieno invenzioni od osservazioni erronee, ed è per lo meno giustificato il sospetto che, al pari della Passera di padule, possa la varietà più piccola di Miglia- rino presentare, oltrechè nei caratteri morfologici, anche nel canto e nei costumi una qualche differenza. (') Tanto Gerbe, quanto Salvadori, accusano il Durazzo di aver detto che l’Emb. pusilla soggiornì e sì riproduca sui monti liguri, riferendo così il passo ora citato all’uccello della fig. 1.2 di Bonaparte; ma evidentemente a torto. L' essere alcuna delle asserzioni del Durazzo applicabile forse all'Emb. pusilla è stato probabilmente ciò, che ha indotto in errore i due Ornitologi. Della Sia boschinna, o Strapassua tornava poi il Durazzo a parlare nel Catalogo aggiunto alla Descrizione di Genova, ma allora ce la dava addirittura come specie distinta, figurandola e descrivendola sotto il nome di Emb. schoeniculoides. Nulla però diceva de’ suoi costumi in con- ferma, o in correzione di quanto aveva antecedentemente asserito, soltanto ripeteva comparir essa nei rigidi inverni. OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI EMBERIZINI 65 Ciò viene in appoggio agli altri argomenti, che m' inducono a ritenere non debba questa forma esser punto accidentale, ma che debba invece costituire una razza distinta, ed opposta al- l’Emb. pyrrhuloides. Tale forma, che ha dato luogo a tante confusioni, e che ha potuto esser presa da Naturalisti eminenti per una specie diversa dall’£wmb. schoeniclus, mi pare che a torto sia stata in appresso del tutto trascurata dagli Ornitologi, i quali, non solo non si curarono di verificare quali ne fossero i rapporti e le differenze, ma, trattando del Migliarino, neppure l’ accennarono. Penso quindi che non riesca inopportuno il met- terla nuovamente in evidenza, e richiamare su di essa l’ atten- zione degli osservatori, tanto più poi, che lo studio di questa varietà può essere di giovamento grandissimo a giustamente apprezzare l’Emb. pyrrhuloides. E vaglia il vero, il fatto che l’Emb. schoeniclus suole presentare, non solo un eccesso, ma eziandio un difetto nello sviluppo delle sue forme, ne rende sempre più manifesta ed accentuata la variabilità, e finisce per togliere ogni valore alle differenze, già tanto poco tassonomi- camente pregevoli, dell’ Ymb. schoeniclus e della pyrrhuloides. Se esistessero soltanto le forme fra loro più divergenti della piccola e della grande varietà di Migliarino, a nessuno certa- mente verrebbe in capo l’idea di non considerarle come due specie distinte; ma siccome fra queste viene a schierarsi una serie non interrotta d’ altre forme con passaggi graduati ed insensibili, ogni ragione, anzi possibilità di farlo viene ad esser tolta. Colle idee, che in oggi tendono a prevalere nel campo delle Scienze Naturali, potrebbesi credere cosa, se non inutile, almeno di ben poco momento il far questione di specie o di varietà, avvisando ormai i più che anche la specie sia un elemento va- riabile, e che tanto valga dire specie poco definita, quanto va- rietà molto accentuata. Di ben altra importanza è la questione per i partigiani dell’ antica scuola, fra i quali, in compagnia di tant’ altri Grandi, militava Paolo Savi. Sostenere l’ unità del piano organico; riconoscere la variabilità possibile soltanto nei gruppi superiori alla specie, e come effetto del prestarsi le specie ad aggruppamenti diversi in causa dei molteplici loro rapporti, ma senza vedere in questi alcun legame genetico; ammettere la discontinuità dei diversi periodi geologici, nonchè delle flore So. Nat. Vol. VI. fasc. 1.° 5 66 G. ANGELINI e delle faune, ed a cataclismi generali e distruggitori assegnarne la causa; attribuire in gran parte a creazioni nuove, più per- fezionate, i salti che si avvertono nelle nostre classificazioni ; propugnare Ja fissità delle specie in ogni singolo periodo; rite- nere che un abisso separi la specie dalla varietà, ed invocare la fecondità indefinita con invariabilità di caratteri a pietra di paragone era l’ assunto, era il programma di quella Scuola. Ben altrimenti vanno le cose per i partigiani del transformismo, pei quali, benchè non sia esclusa la possibilità di una comunanza di origine, diversi sono i centri, intorno a cui s' aggruppano pel loro sviluppo le pressochè infinite forme organiche; pei quali tutti i gruppi dei nostri sistemi, dal tipo alla specie, sono va- riabili, e geneticamente dipendenti; che negano la generalità di grandi sconvolgimenti tellurici; che ammettono, del pari in modo generale, il graduato succedersi dei periodi geologici, ed il lento e continuo trasformarsi delle forme organizzate; che riferiscono esclusivamente alla scarsità delle ricerche, ed all’ im- perfezione degli archivi geologici la discontinuità delle serie di forme organiche conosciute; e che infine sostengono non esi- stere fra specie e varietà altra differenza fuorchè vi grado, ri- conoscendo per non assoluto, oltrechè di difficile applicazione, il criterio distintivo della fecondità indefinita con permanenza dei caratteri differenziali. Come l’ individuo durante il suo ciclo vitale passa successivamente per diverse fasi di sviluppo, così, secondo i transformisti, le specie e gli altri gruppi tassonomici subiscono analoga evoluzione, al compimento della quale occorre un tempo tanto più lungo, quanto più esteso, e quindi più ele- vato è il gruppo stesso. Ond’ è che, mentre noì nel breve corso della. nostra esistenza possiamo osservare l’ evoluzione dell’ in- dividuo, e, per certe specie, di molti individui ancora, non ci è però mai dato di veder quella delia specie, non solo, ma nep- pure di accorgerci del suo procedere, se non affrettandone il progresso col procurare le condizioni favorevoli, e col dare in- dirizzo alle energie modificatrici di una qualche forma vivente. Ma, se non ci è concesso in natura vedere sotto ai nostri occhi la trasformazione delle specie, e possiamo quindi per un tempo assai breve considerarle come stazionarie, il presentarci esse nel loro insieme per la non contemporaneità del loro ciclo evolutivo tutti i gradi possibili di sviluppo, ci da indizio dei loro muta- OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI EMBERIZINI 67 menti. Vediamo infatti fra le forme organiche viventi alcune, che hanno già assunto caratteri propri stabili e decisi, costi- tuire specie ben determinate, mentre altre con caratteri meno stabili e meno accentuati sembrano accennare ad una differen- ziazione incipiente, e ci danno immagine di specie in via di for- mazione. Or bene fra gl’innumerevoli esempi, che di quest’ ul- time si potrebbero addurre, e dei quali nella scelta, non nella ricerca, ci sarebbe da trovarsi imbarazzati, 1’ md. schoeniclus colle sue forme grandemente e gradatamente divergenti ce ne offre, a mio avviso, uno dei più evidenti e dei più istruttivi. Gl'innegabili passaggi, che rendono spesso difficile, e talora quasi impossibile la delimitazione delle specie, e che son causa nella scienza di tanti contrasti e di tanta confusione; che pro- vocano questioni di un importanza capitale, e costituiscono un ostacolo inesplicabile pei partigiani di Cuvier e di Brogniart: sono invece per quelli di Lamark e di Darwin un fatto neces- sario, conseguenza e prova a un tempo della teorica da loro professata. l'utti i gruppi delle nostre classazioni non sono per essi che astrazioni della mente; gl’individui, ed ancor questi non sempre in egual grado definiti, vanno riguardati come i soli materiali, che Natura ci somministra per la costruzione dei nostri sistemi. L' unica classificazione veramente naturale, ma che probabilmente non potrà mai essere realizzata, sarebbe quella che riproducesse l’ ordine genetico di tutte le forme: ogni altra è artificiale, non vale cioè che come artificio adottabile per comodità di studio. Contuttociò tutti i gruppi superiori alla specie acquistano colle nuove idee maggior valore, che in pria non avessero; inquantochè, sebbene per l’ imperfezione delle nostre cognizioni non possiamo pretendere di classificare secondo l'ordine genetico, tuttavia, per essere tutti i gruppi dei nostri sistemi basati sulle affinità naturali, e in merito alla loro ge- neralità gli uni agli altri subordinati, siamo indotti a ritenere che debbano più o meno a quell’ ordine approssimarsi. Al con- trario la specie viene a perdere quasi tutto il suo valore teorico, e diventa un'idea puramente soggettiva; non scema però per questo la sua importanza pratica, la quale va anzi ogni dì più aumentando per la scoperta di sempre nuove forme. È infatti la sintesi lo scopo, a cui mira la scienza, servendosi dell’ ana- lisi come mezzo per giungere ad essa, giacchè è proprio allo 68 G. ANGELINI intelletto il ricercare, ed utile per la memoria il conoscere quali sono i rapporti, che passano fra cosa e cosa. ‘Trattandosi poi di idee soggettive, è naturale che non tutti convengano subito nello stesso parere; ma ad un tale accordo si giunge appunto colla discussione, comunicandosi reciprocamente le proprie os- servazioni e le proprie vedute. Nè inutile, nè di poca impor- tanza è dunque anch’oggi il far questione di specie e di va- rietà, che è quanto dire indagare il valore dei rapporti delle diverse forme organiche, per poi accordarsi sul posto, che deb- bono occupare nelle nostre classificazioni. Ciò che varia pel cambiato modo di considerar la specie è soltanto l’importanza relativa dei caratteri differenziali: se in- fatti pel passato ad alcuno dei fisiologici si attribuiva da tutti un'importanza pressochè esclusiva, oggi invece è dei morfolo- gici che dai più si tien conto principalmente. Se tutte le forme organiche presentassero differenze della stessa natura, facile po- trebb' essere segnare il limite fra specie e varietà: ma siccome ad organizzazioni cotanto diverse corrispondono differenze non meno svariate, ed anzi forme della stessa organizzazione ci of- frono il più delle volte accidentalità differenti di parti diverse, non è possibile stabilire altro criterio generale per la distinzione delle specie dalle varietà, che quello della determinatezza dei caratteri dagl' individui somministrati. Non sono infatti gli es- seri naturali fabbricati per le classificazioni, ma debbono queste adattarsi alle esigenze di quelli; e non è in nostro arbitrio che la scelta delle loro qualità a seconda del fine, che ci proponiamo. Tutto pratico essendo lo scopo a cui mira la specie, fra i ca- ratteri, che restano dopo la formazione dei generi, dovranno per conseguenza esser scelti non i più importanti, ma i ben determinati: tutte le qualità di una certa evidenza essendo buone a caratterizzar questo gruppo, che è l’ ultimo del sistema. Così, ad esempio, fra gli Uccelli sarà da attribuire più volentieri va- lore specifico ad una semplice macchia ben apprezzabile e co- stante in certi individui, ed assolutamente mancante in altri, si- mili nel resto a quei primi; di quello che a differenze notevoli di tutto il manto, o del becco, o di altra parte qualsiasi, ma che molto accentuate in taluni esemplari, svaniscono poi gra- datamente negli altri. Così facendo, più non accadrà di trovarsi spesso fra mano individui, che sfuggono alla classificazione, e OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNI EMBERIZINI 69 non si sa a quale specie riferire: nè si avranno nomi, che affa- ticano inutilmente la memoria, arrecando più confusione, che vantaggio, all’ ordinamento sistematico delle forme organizzate. È in forza di queste considerazioni generali, e dietro al ri- sultato del minuto esame dei relativi caratteri differenziali, che io credo opportuno togliere l’ Emb. pyrrhuloides Pall. dal novero delle specie, e considerare questa, unitamente all’ Emb. interme- dia Michaell. ed all’ mb. Durazzi Bp. n.° 2 (Emb. schoeniculoides Durazzo) come forme appartenenti tutte all’ Emb. schoeniclus Linn., capace, è vero, di notevoli variazioni, ma però netta» mente delimitata. Accennai già alle affinità, che ravvicinano questa specie al- Vl Emb. pusilla Pall., ma neppure sul valore di queste son d’ac- cordo gli Ornitologi: infatti, per tacere degli altri, Gerbe ne fa, un genere a parte (Cynchramus), il Savi ne forma soltanto una sezione distinta (Migliarini), Salvadori colloca i due uccelli nel genere Emberiza senza distinzione di sorta. Non avendo io potuto fare uno studio completo di tutti gli £mberizini, non mi trat- terrò su tale questione, fors’ anche troppo lunga ed ardua; ma noterò soltanto, come mi sembri giusta l’ osservazione del Gerbe che i caratteri delle femmine e dei giovani indichino spesso nel modo migliore i rapporti naturali delle specie, e che perciò l'Emb. pusilla e l' Emb. schoeniclus, che tanto in quelle condi- zioni si rassomigliano, meritino di essere insieme comprese in un gruppo speciale. Genere, sottogenere, o sezione, che poi lo si voglia chiamare, questo gruppo avrà sempre il pregio di riunir due specie fra loro collegate da stretti rapporti zoologici e bio- logici, ma tutte due ben definite; propria l’ una d’ Europa l’al- tra dell’ Asia, ma ambedue facenti parte della ricca serie del- l’Avifauna italiana . M. CANAVARI rr rr LL } CONTRIBUZIONE II ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI DEGLI STRATTA TEREBRATULA ASPASTA NGI, NELL'APPENNINO CENTRALE (Adunanza del di f luglio 1883) Sin dal 1880 pubblicai una memoria su , I Brachiopodi degli strati a 7. Aspasia Mgh. ('),. In essa descrissi 41 specie, la mag- gior parte delle quali accompagnate da figure. Più tardi (1881) mercè alcuni nuovi materiali feci un’ appendice (è) al primo la- voro. Il numero delle specie saliva alle 45, di cui oltre i ?/, erano esclusive dell'Appennino. Le più spiccate analogie si riscontra- vano con le Alpi meridionali e Nordiche e con la Sicilia. Solo poche e incerte forme 7. fimbrioides E. Desl., T. cfr. punctata Sow., trovavano le corrispondenti nella provincia zoologica del- l’ Europa centrale. Ulteriori ricerche hanno offerto altri importantissimi mate- riali, alcuni dei quali furono raccolti da me, e gli altri li debbo alla cortesia dei signori conte Toni di Spoleto, abbate Moriconi della Rocchetta presso Arcevia e ing. Baldacci di Roma. Essi provengono dai monti della Rocchetta, appendice nordica del (1) Atti della R. Acc. dei Lincei, vol. VIII. Roma 1880. (?) Nuovi Brachiopodi degli strati a T. Aspasia Mgh. nell’App. centr. Atti della Soc. tosc. di Sc. Nat. Memorie, vol. V, fasc. 1.° Pisa, 1881. CONTRIBUZIONE IIl ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 71 Suavicino, dal monte Soratte, provincia di Roma, e dal monte Subasio presso Assisi. Nuove forme e un nuovo genere (Leptaena) per l'Appennino, vengono ad accrescere notevolmente la fauna dei classici strati a T. Aspasia Mgh. La buona conservazione di alcuni esemplari di forme già note mi muove a figurarli nuovamente; la costanza di alcuni caratteri, riscontrati in certe specie, riferite precedentemente alle estralpine, m° induce a separarle da quelle. In tal maniera sì renderà più manifesta l’ indipendenza della fauna in parola dalla coeva estralpina, e a dimostrarne invece i legami più stretti con quella mediterranea, come si vedrà al termine di questa nota. Descrizione delle specie rn Gen. LEPTAENA Dalman (emend. Davidson) Nel Lias medio dell’ Appennino fu per la prima volta dal Parona (') indicata la presenza del genere Leptaena; ma senza però una precisa determinazione specifica, a causa di insuffi- cienti esemplari. Uno però tra essi(*) mi sembra assai interes- sante e lo indico col nome di Lep. Paronai. Quelli che io posseggo appartengono a due forme nuove distintissime, una non ben de- finibile e con dubbio riferita alle Leptaenae, entrambi poi dotate del foro di passaggio al peduncolo. Una specie, in terreni analoghi, era stata descritta anche dal Gemmellaro (?), sicchè negli strati a 7. Aspasia Mgh. d’Italia sono sino ad ora notate le seguenti: 1. Leptaena gibbulosa Gemm. 8. Leptaena fornicata n. f. 2. » Paronai Canav. 4. 5 (°) apenninica n. £. (1) Sopra due piani fossiliferi del Lias nell’ Umbria. Estratto dai Rendiconti del R. Ist. Lomb. Ser. III, voli XV, p. 4. Milano, 1882. (2) Parona C. F. Contributo allo studio della fauna lias. dell’App. centr. Atti della R. Acc. dei Lincei. Tav. III, fig. 16. Roma, 1883. (3) Sopra alcune faune giuresi e liassiche di Sicilia, p. 53, tav. X., fig. 1, 2. Palermo, 1872-82. 72 M. CANAVARI Leptaena fornicata n. f. Tav. IX, fig. 6. rimamezza. ds sla 6 0 iO Larchezza eee 05 SPESSeZZAii PS MAROON Conchiglia orbiculare, inequivalve, leggermente auricolata, un poco più larga che lunga, a superficie apparentemente liscia. Valva perforata uniformemente convessa, con la massima cur- vatura corrispondente a circa ‘/; della lunghezza della conchiglia. Le orecchiette ben delimitate sono leggermente convesse. Apice acuminato, poco ricurvato e troncato da un piccolo foro circo- lare. Valva brachiale concava, quasi seguente la convessità della opposta; lo spazio quindi riservato all’ animale era molto angusto; orecchiette alquanto concave. Margine cardinale ret- tilineo, largo i °/s della massima larghezza della conchiglia. Area doppia, leggermente concava, pseudodeltidio (') piuttosto piccolo e un poco saliente. Osservata con una lente anche a debole ingrandimento la superficie della conchiglia sì presenta ornata da pieghe di accre- scimento e da sottili strie radiali, più manifeste in prossimità della regione apiciale di quello che non siano nella regione fron- tale, ove svaniscono anche totalmente. Sulla valva perforata si osservano poi dei fori arrotondati, irregolarmente disposti, ab- bastanza grandi, per modo che se ne contano tre o quattro in ogni millimetro quadrato. Quali caratteri interni sono solo visibili, però mal definite, due impressioni muscolari sulla piccola valva. Per molte particolarità la forma in esame si avvicina alla Lept. Davidsoni E. Des. (*) della provincia zoologica estralpina. Se ne allontana per la forma del contorno, per il minore sviluppo (') Il Deslongchamps (Mém. sur les genres Leptaena ete. — (Brach. Pal. franc. terr. ]jurass.) chiama deZtidio tanto la placca triangolare che si osserva nelle Leptaenae, come quella delle Spiriferinae. Esse invece furono indicate dal Bronn col nome di pseudodeltidio, perchè avente sviluppo e struttura diversa dal proprio del- tidio delle Terebratule e di altri generi di Brachiopodi. (*) Memoire sur les genres Leptaena et Thecidea des terr. jurass. du Calvados, Mem. de la Soc. linn. de Norm. p. 221, pl. XI, fig. 1,2. 1853, CONTRIBUZIONE III ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 13 delle orecchiette e sopratutto per la minore lunghezza del mar- gine cardinale e per la presenza di costicine radiali e delle per- forazioni del guscio. Un unico esemplare dei monti della Rocchetta (Suavicino), ove fu raccolto dall’ abbate Moriconi. Leptaena (?) apenninica n. f. Tav. IX. fig. 7. Lmmeinezzini co ento (8 bi a Leto o eo rie 0) Ae eZ SPESSOZZAMAR A RI IA A Conchiglia suborbicolare, più larga che lunga, con sottili pieghe di accrescimento. Grande valva convessa, con la massima curvatura distante dall’ apice circa '/, della lunghezza della con- chiglia. Orecchiette appena indicate; apice troncato da foro quasi circolare, non ben conservato. Valva brachiale depressa nella regione frontale, leggermente convessa in quella apiciale. Mar- gine cardinale rettilineo, lungo un poco più della metà della larghezza della conchiglia senza raggiungerne i ?/,, come nella forma precedentemente descritta. Area doppia, concava, ma non definita la porzione inferiore; pseudodeltidio non conservato. Com- messura delle valve con una leggera inflessione nelle regioni la- tero-apiciali e alla fronte, con la convessità rivolta verso la valva perforata. La superficie ha sottile punteggiatura, visibile anche con una lente di mediocre ingrandimento. Essa è però, in con- fronto a quella della precedente forma, grandemente più minuta e più spessa. Dei caratteri interni sono visibili solo due rami venosi, che partono dall’ apice della valva brachiale per protendersi accop- piati sin circa alla metà della lunghezza della conchiglia, e de- viare quindi bruscamente ad angolo verso le regioni apiciali. La convessità della valva brachiale, che per conseguenza non segue la curvatura della valva perforata, come suole os- servarsi nella Leptaenae, m' induce qualche dubbio sulla sua determinazione generica. È indubitato però che nel rimanente è completa la corrispondenza colle Leptaenae. Del resto, forme con valva brachiale piana o un poco convessa, erano state già in- dicate, ma a causa di alcune particolarità nella superficie della (4 M. CANAVARI conchiglia, riferite pure con dubbio a questo genere (Leptaena ? variolata E. Desl. (')). Nessuna analogia, a cagione della poca spessezza del guscio, può addursi col genere Thecidea, al quale potrebbe compararsi. per la forma della conchiglia. Due esemplari provenienti dai monti della Rocchetta (Suavi- cino) sono dovuti alle ricerche dell’ abbate Moriconi, che, insieme al precedente, li volle con gentile pensiero donare alle collezioni del Museo geologico di Pisa. Gen. SPIRIFERINA d' Orb. Il genere Spiriferina è abbastanza rappresentato nella pro- vincia zoologica mediterranea, e le specie ad esso rapportate si riuniscono quasi tutte al gruppo delle Fostratae (*). Nel Lias medio dell'Appennino gli esemplari sono ben conser- vati per ciò che concerne i caratteri esterni del guscio. Solo in x alcuni casi isolati è permesso di potere studiare qualche traccia delle spire mercè la frattura della conchiglia. L’ apparato apo- fisario si presenta allora nella massa calcarea, che riempie la (') Mém. sur les genres Leptaena et Thecidea etc. p. 226, pl. XI, fig. 6. (*) Una specie che io descrissi col nome di Spiriferina Meneghiniana (La Montagna del Suavicino. Bott. R. Com. GEoL. p. 20, tav. I, fig. 5. Roma, 1880) mostrava un carattere atavico importantissimo, che, mentre la separava dal gruppo delle Ktostratae, la riuniva invece con gli Spiriferi paleozoici. Il carattere al quale al- ludo era quello relativo alla presenza di una depressione mediana sul lobo della valva perforata. Un fatto analogo era stato notato per la Spiriferina verrucosa Ziet. (E. Deslongchamps, Etudes critiques sur des Brach. nouveaux ou peu con- nus, p. 19, Caen, 1862-63), specie molto diffusa nel Lias medio e particolarmente negli strati a 7. (W.) numismalis Lmk. della provincia zoologica dell'Europa centrale. L’accennata particolarità, nel mentre era stata già indicata e non era punto in op- posizione alle leggi di sviluppo zoologico, trovava anche un appoggio nella presenza nel Lias medio di generi con Rabditus paleozoico, quali sono Orthis e Leptaena. Però a costo di tali considerazioni ritengo, da un nuovo e accurato esame della, Sp. Me- neghiniana, che essa, e pei suoi caratteri e pel suo modo di conservazione, debba cancellarsi dalla lista dei Brachiopodi liasici dell’ Appennino. Debbono poi eziandio cancellarsi da questa fauna le altre due forme che già figu- rai: Sp. rostrata Schl., Sp. Tonti (La montagna del Suavicino, l.c. p. 18 e 20, tav. I, fig.4 —IBrachiopodi degli strati a T. Aspasia Mgh. p. 8, tav. II, fig. 10). Per iscusa dell’ errore debbo dire che mi furono inviate dal conte Toni di Spo- leto, il quale, sulla fede di un raccoglitore o compratore di fossili inesperto, le disse appunto provenienti dal Suavicino. CONTRIBEUZIONE IIl ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. (0 cavità interna della conchiglia, in linee spatizzate. Le parti in- terne conservate quasi ordinariamente sono il setto mediano della grande valva e i due setti laterali, che rappresentano l’ unione delle lamelle dentali con la stessa valva. Essi setti sì veggono per trasparenza sul guscio spatizzato. Nella frattura si presentano come le spire, senonchè talune volte, essendo stati convertiti in ossidi di ferro, o possono del tutto isolarsi o ri- mangono nel modello interno i vuoti nei quali trovavansi. Per la determinazione specifica, oltre che all’ampiezza del- l’area, alla punteggiatura del guscio e cicatrici delle spine tu- berculose, e allo sviluppo dei setti, do anche un valore all’in- tera conformazione della conchiglia. Ciò che naturalmente deve essere in relazione con la grandezza e disposizione delle spire coniche, come osservò il Deslongchamps ('). Del resto anche i più piccoli caratteri non sono trascurabili per una buona de- terminazione, trattandosi di un genere che, per il grande svi- luppo delle sue braccia, può considerarsi come un tipo di perfe- zione nei Brachiopodi (?). . Le specie sino ad ora notate negli strati a 7. Aspasia Mgh. dell’ Italia sono le seguenti: 1. Spîr. rostrata Schl. 8. Spir. apenninica Canav. DEN, Five risata MII BosniaskiCanav. 3. , obtusa Opp. 10. , alpina Opp. 4. , Cfr. angulata Opp. NEgeeeseto con ner 5. , StatiraGemm. IR Seen AN cum 6. , Sicula Gemm. i VAIO 7. » cantianensis Canav. 14. , MinsteriDav. Spiriferina rostrata Scbl. sp. Pam DS i A 1880. Spiriferina rostrata (Schlotheim sp.) Canavari, I Brach. degli strati a T. Aspasia Mgh. nell’ Appenn. centrale. Estratto dagli Atti della R. (1) Etudes critiques sur des Brah. nouveaux ou peu connus, p. 10. Caen, 1862-63. (2) E. DestLonGeuamps, Brachiopodes. Pal. Frane. Terrain jurassique, p. 15. 76 M. CANAVARI Acc. dei Lincei, ser. 3.°, vol. VIII, p. 8, (escl. tav. III, fig. 10). Roma. 1880. Spiriferina rostrata (Schl. sp.) Parona, Il calcare liass. di Gozzano. Estratto dagli Atti della RK. Acc. dei Lincei, ser. 3.°, vol. VIII, p. 8, tav. I, fig. 1 e 2. Roma. EP ung:hezza I Taro: hezza RS O 10) ISPESSEZZA PIRO TS DAR? S L’ esemplare che riferisco a questa specie presenta un mar- catissimo ed ampio seno nella valva perforata, limitato da mar- gini alquanto acuti. Le sue dimensioni si avvicinano a quelle della forma che erroneamente descrissi tra le specie degli strati a T. Aspasia Mgh. dell’ Appennino centrale (!) (vedi la nota 2 nella p. 74[7]). L'apice assai robusto e non molto prominente in confronto a quello della valva brachiale, è rotto alla sua estremità. Area ben definita e occupante un terzo della larghezza massima della conchiglia. Il pseudodeltidio (vedi nota 1 a pag. 72 [5)) non conservato, in conformità a quanto generalmente si osserva nei fossili appartenenti alle Spiriferine. Valva brachiale con un lobo non molto pronunciato in corrispondenza al seno della valva opposta. La conchiglia è liscia o solo ornata da pieghe concentriche di accrescimento. La superficie è finamente punteggiata e le spine tubulose caduche dovevano essere nu- merose e molto delicate. Tutti gli accennati caratteri corrispondono alla Sp. rostrata Schl. sp., secondo l’estensione data a questa specie dal Deslong- champs (è). ; Dei caratteri interni sono manifesti i tre setti nella valva perforata, che sono visibili per trasparenza non solo, ma ezian- dio sulla frattura dell’ apice. Il setto mediano è lungo un poco meno del terzo della lunghezza della conchiglia. I due laterali molto più corti, prodotti, come già si è accennato, dalle lamelle dentali. Nella piccola valva si osserva anche traccia del setto mediano, e si veggono per trasparenza attraverso il sottile guscio (4) I Brach. degli strati a 7. Aspasia Mgh. ecc. Tav. III, fig. 10. (2) Etudes critiques sur des Brach. nouveaux etc. p. 10, tav. II, fig. 7-9, CONTRIBUZIONE III ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODÎ EC. Cari il principio delle lamelle che sostenevano i coni spirali dell’ap- parecchio apofisario. Avuto riguardo all’ unicità dell’ esemplare, non mi sono per- messo ulteriori ricerche sui caratteri interni, specialmente su quelli che si sarebbero potuti ottenere mercè una sezione car- dinale (Cardinal-Schliff del Zugmayer (')). Del resto caratteri anche trascurabili, poichè si tratta di specie molto nota e rin- venuta già in altri posti e in uno stato tale di conservazione che ha permesso di studiarla in tutte le sue più minute parti- colarità. SPIRIFERINA RostRATA Schl. var. srtriata. — Riferisco alla stessa specie, come varietà strzata, un bellissimo esemplare che presenta le seguenti dimensioni: ILIIAZIIEZZA o ole o al deo I 28) ILEMRSIEZZAS. nia oo 6 e e Da 0 SIE o coda o lola lontal OI La valva perforata, molto convessa, ha un seno mediano che partendo dall’ apice si estende sino al margine frontale, ove occupa circa ‘/, della larghezza della conchiglia. Apice robusto, abbastanza prominente in confronto a quello della valva bra- chiale, e assai ricurvato. Area ben limitata, ampia la metà della larghezza della conchiglia, a curvatura leggermente concava e ter- minante con un solco quasi marginale nelle parti interne, indicato nella fig. 2 dalla doppia linea che limita la fessura deltoidea. Valva brachiale convessa, con un lobo mediano non molto elevato, in corrispondenza al seno della valva opposta. Apice poco pro- minente e poco ricurvato. La conchiglia, oltrechè essere ornata dalle pieghe di accrescimento, presenta distintissime costicine, che irradiano dagli apici, irregolarmente avvicinate, tanto sul seno e lobo corrispondente come sulle due parti laterali. Se ne contano 10 sul seno della valva perforata. Commissura delle valve pressochè rettilinea nella regione apiciale: nella frontale le valve non si corrispondono e sono rimaste alquanto aperte, la qual cosa fa osservare la poca spessezza del guscio. I setti non sono conservati. La superficie è finamente punteggiata. Dalla tipica Sp. rostrata Schl. sp. si distingue un poco per (4) Untersuchungen ueber rhaetische Brachiopoden. Beitr. z. Pal. Oesterr. - Ung. und des Orients. I. B. p. 2, in nota. Wien, 1882. (8 M. CANAVARI l’ ampiezza dell’area (superiore ad un terzo della larghezza mas- sima della conchiglia) e per gli ornamenti esteriori. In riguardo a tali caratteri essa corrisponde assai bene alla forma di Sp. rostrata descritta e figurata dal Parona ('). Questa però, dal di- segno dato dallo stesso Parona (*), sembra avere un’ area molto minore, per cui sarebbe più collegata con la forma tipica alla quale fu rapportata. Nulla si può inferire dei caratteri interni, perchè del tutto sconosciuti nella forma in discussione. La Spiriferina rostrata Schl. var. striata ha anche molta ras- somiglianza con la Sp. alpina Oppel(*) del Lias inferiore di Hierlatz. Se ne distingue però per la molto minore ampiezza dell’area e per la presenza delle costicine radiali. L’esemplare figurato come forma tipica (fig. 1) proviene dal monte Soratte (provincia di Roma), ove fu raccolto dall’ ing. Baldacci insieme alla Sp. alpina Opp. Esso è conservato nelle collezioni del R. Comitato geologico in Roma. L’ esemplare figu- rato (fig. 2) della var. striata proviene dalle Precicchie (Suavicino) e fa parte della collezione privata del conte Toni di Spoleto. Spiriferina alpina Opp. Tav UD, sila Sì 1861. Spiriferina alpina Oppel, Ueb. d. Brach. des untern Lias. Zeitsch. der deutsch. geol. Gesellsch. p. 541, Taf. XI, Fig. 5, Berlin. IRISINEZZZEO o o Lo 6 o lalla o o A DO PRANZARE e a LE Spessezza della valva perforata... . . >» 10 L’ esemplare che riferisco a questa specie risulta solamente della valva perforata. Essa è un poco più lunga che larga, molto ricurva, e non presenta nè seno mediano, nè costicine radiali. L'area, appena concava, occupa tutta la larghezza della con- chiglia in corrispondenza della commissura con la valva bra- (') Il calcare liassico di Gozzano. Estratto dagli Atti della R. Acc. dei Lincei, ser. 3.2, vol. VIII, p. 8, tav. I, fig. 1-2. Roma, 1880. ©) LL @s (*) Ueber die Brach. des untern Lias. Zeitsch. der deutsch. geol. Gesellsch. XII B., p. 541, Taf. XI, Fig. 5. Berlin, 1863. CONTRIBUZIONE II ATILA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI FC. 79 x chiale nella regione apiciale. La conchiglia è sottilmente pun- teggiata; su di essa non havvi traccia delle cicatrici delle spine tubercolose: è ornata da pieghe di accrescimento. Dell’ interno sono visibili solamente i tre setti della grande valva, i quali sono assai sviluppati. Il mediano si protende per circa la metà della lunghezza della conchiglia; i due laterali, dovuti alle lamelle dentali, sono lunghi la metà di quello mediano. Ad eccezione di questi ultimi caratteri che non furono de- finiti dall’ Oppel ('), l' esemplare descritto corrisponde totalmente alla specie alpina, così frequente nel Lias inferiore di Hierlatz. È questa la prima volta che la Sp. Alpina Opp. viene notata nel Lias medio d’ [talia. L’esemplare figurato fu rinvenuto al monte Soratte (provincia di Roma) dall’ ing. Baldacci, insieme alla Sp. rostrata Schl. sp. e ad altre forme di Brachiopodi che si descriveranno nel corso di questa nota. È Spiriferina Moriconii n. f. Tav. IX, fig. 5. Lmnalezzata colo o ello deo to ago i rino) MATO NE ZZA E IR A ZAN te a PO SPESREZZAMA A N QI Conchiglia liscia, inequivalve, più lunga che larga e senza seno mediano e lobo corrispondente. Valva perforata molto gib- bosa, con la massima convessità circa ad un terzo dall’ apice. Questo piuttosto robusto, ma poco prominente in relazione a quello della valva brachiale, e non molto ricurvato. Area be- nissimo definita e a curvatura fortemente concava, occupante nella base tutta l’ ampiezza del margine cardinale. Pseudo- deltidio non conservato, ma a giudicare dallo spazio da esso occupato, si arguisce che era abbastanza sviluppato. Valva brachiale molto meno convessa dell’ opposta, con il margine apiciale pressochè rettilineo, quasi circolare quello frontale e latero-frontale. La punteggiatura della conchiglia non è distinta. Sono distinti il setto mediano e i due laterali della valva per- forata, ma pochissimo sviluppati. Sulla valva brachiale, e late- (4) Ueber die Brach. etc. l. c. p. 54l. 80 M. CANAVARI ralmente all’ apice, sono indicati piccoli setti, prodotti forse dalle lamelle di sostegno ai conì spirali dell’ apparato apofisario. La specie in discorso, del gruppo della Sp. rostrata Schl. sp., è ben distinta dalle affini per la forma del contorno, per le di- mensioni, per la pronunciatissima concavità dell’area e per la gibbosità della valva perforata. Essa specialmente è vicina 0 Sp. alpina Opp., ma differente specificamente a cagione dei caratteri accennati. L' esemplare figurato fu raccolto nei monti della Rocchetta (Suavicino) dall’abbate Moriconi, e donato al Museo di Pisa, in cui è conservato. Spiriferina undata n. f. Tav. IX, fig. 4 LUIIhezaA RR RAEE edema TARA EE o o oo ooo IR SPESSEZZAS: i e SOR) 1883. Spiriferina cfr. gryphoidea (Uhl.) Parona, Contributo allo studio della fauna lias. dell’App. centr. Atti della R. Acc. dei Lincei. Tav. III, fig. 20. Roma. Conchiglia inequivalve, più lunga che larga, a contorno ovale, senza seno e lobo corrispondente. Valva perforata regolarmente convessa con l’ apice robusto, ricurvato, acuminato. Area a cur- vatura leggermente concava, limitata esternamente da linee un poco arcuate, ampia circa '/, della larghezza massima della con- conchiglia. Pseudodeltidio molto stretto, come sì rileva dallo spazio da esso occupato. Valva brachiale conve-sa, con la massima curvatura in vicinanza dell’ apice. La conchiglia è ornata da pronunciatissime strie di accrescimento per modo che risulta come ondosa. In prossimità della regione frontale si scorgono eziandio delle sottili coste radiali. Commessura delle valve leg- germente inflessa verso la perforata nelle regioni laterali. La superficie è finamente punteggiata. Dell’ interno sono visibili solamente i setti della valva per- forata; essi per altro sono poco sviluppati, e i due laterali sono molto approssimati al mediano. CONTRIBUZIONE Ill ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 81 In riguardo alle relazioni che essa ha con le specie già cono- sciute, si debbono particolarmente notare quelle che presenta con la Sp. gryphoidea Ublig ('). Se ne distingue per il molto minore sviluppo e minore ricurvatura dell’apice della valva per- forata, e per la presenza delle costicine radiale. L’esemplare figurato fu rinvenuto dall’ing. Baldacci nel Lias medio del monte Soratte (provincia di Roma) ed è conservato nelle collezioni del R. Comitato geologico in Roma. Nell’ Appennino centrale è stata raccolta anche un'altra Spiriferina vicinissima alla Sp. gryphoidea Uhl., e che io consi- dero come forma adulta della specie quì descritta (?). Gen. TEREBRATULA (Llhwyd) Klein s. str. Le terebratule hanno la prevalenza nella fauna di cui si parla. Sono conservatissime nella forma esterna; spesso per tra- sparenza, attraverso il guscio spatizzato, è visibile il sistema ve- noso palleale, anche quando la conchiglia è molto spessa, come accade ad esempio nella Terebratula (Pygope) Aspasia Mgh. Dalla sezione cardinale (Cardinal-Schliff del Zugmayer (£)) non molto si può rilevare, ad eccezione di alcuni rari casi nei quali è dato osservare l’ apparato interno cardinale, e traccia anche delle braccia. Però è da por mente che non molti tentativi sono stati fatti in questa direzione, a causa dei pochi duplicati ap- partenenti alla stessa specie. Le terebratule del Lias medio appenninico si ripartiscono, come già fu indicato parzialmente (‘) e come meglio si vedrà alla fine di questa nota, in parecchi cicli di forme. Ora io ri- cordo solo il gruppo più importante, quello cioè della T. Aspasia (') Ueber die liasisehe Brachiopodenf. von Sospirolo bei Belluno. Estratto dai Sitzb. der k. Ah. der Wissensch. p. 15. Taf. I, Fig. 1-3. Wien, 1879. (*) Parona C. F. Contributo allo studio della fauna lias. dell’ Appennino ecc. Roma, 1883. (3) Untersuchungen ueber rhaetische Brachiopoden. Beitr. zur Palacontologie Oesterr.- Ung. und des Orients. I B., p. 2, in nota. Wien, 1882. (4) UaLiG V. Ueber die lias. Brachiopodenf. von Sospirolo bei Belluno. Stzd. der k. Akhad. der Wissensch. Wien, 1869. — Canavari M. Alcuni nuovi Brach. degli strati a T. Aspasia Mgh. nell’App. centrale. Atti della Soc. tos. di Sc. Nat. Memorie, vol. V, p. 177-188. Pisa, 1881. So. Nat. Vol. VI. fase. 1.° 6 82 M. CANAVARI Mgh., distinto giustamente dagli altri come sottogenere (Pygope Link.). È superfluo ripeterne i caratteri poichè essi furono già indicati dal Pictet ('), dal Douvillé (*) e da altri (*). Innanzi di passare alla descrizione delle forme nuove e ad alcune speciali considerazioni su quelle già edite, credo utile dare la lista delle terebratule state fino ad ora rinvenute nel Lias medio di tutta Italia. Essa lista sì compone delle seguenti specie: 1. Ter. (Pyg.) Aspasia Mgh. 17. Ter. pacheia UNÌ. GOTI » Chrysilla Unl. 18. , synophrys Unl. SIE » cornicolana Canav. 19. , cfr. punctata Sow. 4 co) » rheumatica n. f. 20. , sphenoidalis Mgh. pi » Canavari Par. 21. , cfr.sphenoidalisMgh. 6. , erbaensis Suess. (Canav.). 7. » cfr.aurita Stopp.(Par.){). 22. , Taramellii Gemm. 8. , Rotzoana Schaur. 23. » Cfr. pyriformis Suess., (Par.). 9. », Paronai Canav. 24. , gozzanensis Par. 10. , filosa Mgh. 29. » Sismondaîi Par. ll. , Meneghini Par. 26. , cerasulum Zitt. 12. , Renieri Cat. 27. , undata Mgh. 13. , cfr. fimbrioides E. Desl. 28. , rudis Gemm. 14. , n.f.cfr.fimbrioides E. Desl. 29. , cfr. Andleri Opp. (Unl.). (Par.). 15. , ‘poptychan. f. 90. » Piccininù Zitt. 16. , mediterranean.f. 31. , Gemmellaroi Par. () Ét. monogr. des Térébratules du groupe de la T. diphya. Mel. pal. Trois. livr. Genève 1867. (2) Note sur quelq. genr. de Brach. (Terebratulidae et Waldheimidae). Bu2Z. de la Soc. géol. de France. Trois. serie, t. VII. Paris, 1878-79. (3) CanAvaRI M. Alcuni nuovi Brach. ec. l. c. — Beitr. zur fauna des unt. Lias von Spezia. Palaeont. zu Cassel, p. 127-129. Cassel, 1883. — Parona C F. Contri- buto allo studio della fauna lias. dell’ Appenn. Atti della R. Acc. dei Lincei. Roma, 1883. (4) Il nome in parentesi indica l’autore che fece il riferimento della specie incerta. CONTRIBUZIONE III ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC» 88 Terebratula (Pygope) rheumatica n. f. Tav. X, fig. 4-7. LMRENAZA co eo ooo RI JO oo dd A JU LEmsmEZZA oe i ipo o LE e o e MO SPEASEZZA: Si i MEDIO 12 Conchiglia inequivalve, più larga che lunga, ad angolo apiciale pochissimo variabile. Valva perforata uniformemente convessa, con un indizio di lobo mediano principalmente manifesto in pros- simità al margine frontale. Apice robusto, senza carena, molto ricurvato, troncato da un piccolo forame contiguo all’ umbone. Falsa area quasi nulla e deltidio estremamente basso. Valva bra- chiale più o meno convessa, con la massima curvatura nella regione apiciale e provvista di una depressione o seno mediano che incomincia a manifestarsi poco luugi dall’ apice, per rendersi più marcato alla fronte, ove assume un'ampiezza alquanto in- feriore ad '/, della larghezza delia conchiglia. ‘l'alora il seno si ripiega sulla valva perforata, la quale rimane come abbrac- ciata dalla brachiale, carattere così interessante nel gruppo della T.(Pyg.) Aspasia Mgh. Commessura delle valve a margini molto acuti, lesgermente incurvata nelle regioni latero-apiciali, forte- mente piegata ad arco alla fronte con la concavità brachiale. La conchiglia è ornata da marcate pieghe di accrescimento. Punteggiatura uniformemente distribuita, minuta e assai rav- vicinata. Dell’interno sono manifeste le molte ramificazioni del sistema venoso (fig. 5), come ordinariamente si osserva in tutte le Py- gope. I caratteri del cardine ottenuti mercè una sezione obliqua della regione apiciale, sono troppo insufficienti per essere de- scritti e figurati. Lo spessore della forma in esame aumenta grandemente con l'età, per modo che nello stato adulto (fig. 4), caratterizzato da forti rugosità causate dallo sviluppo delle pieghe di accresci- mento, si appalesa quasi globulare. TereBRATULA (Pyc.) RAEUMATICA n. f. var. pePRESSA. — Distinguo con questo nome l’ esemplare rappresentato con la fig. 6 e avente le seguenti dimensioni : 84 M. CANAVARI IOEZEN oo ala L LT Larghezza e RESA SA O 20) Spessezza. Lia 0 Esso, in confronto ai precedenti esemplari, diversifica per una minore convessità della valva brachiale, la quale ricorda le più caratteristiche forme della 7. (Pyg.) Aspasia Mgh. (1). Un carattere assai spiccato della varietà in parola è quello re- lativo alle impronte vascolari della valva brachiale, le quali sono differentissime da quelle della forma tipica (fig. 5). La T. (Pyg.) rheumatica appartiene al gruppo della 7. (Pyg.) Aspasia Mgh. e mostra le più strette analogie con quella forma che indicai col nome di 7. (Pyg.) corricolana (£). Se ne differenzia però facilmente per il molto minore sviluppo della regione api- ciale e per la maggiore acutezza dell’ angolo commessurale delle valve. Tre esemplari della 7. (Pyg.) rheumatica n. f. farono raccolti dall’ abbate Moriconi nei monti della Rocchetta (Suavicino); un esemplare fu rinvenuto da me insieme al Baldaccì nel Lias medio rosso del Subasio, presso Assisi. L' esemplare indicato come var. depressa lo raccolsi ai Campi dell’ Acqua presso Ficano. (Suavi- cino). Ad eccezione di quello del Subasio, che fa parte delle col- lezioni del R. Comitato geologico in Roma, gli altri si trovano conservati nel Museo geologico di Pisa. Terebratula hypoptycha n. f. Tav. X, fig. 1. run ehezza AA 20) Tare hezza i SORIA e ZO IS PESESZZA RE O e: POI e NSA O Conchiglia più lunga che larga, a contorno pressochè sub- pentagonale, leggermente troncata alla fronte. Le due valve uniformemente convesse. Apice della valva perforata molto svi- luppato, senza spigoli laterali, poco ricurvato e troncato da un (3) 1 Brach. ecc. Tav. I. (®) Alcuni nuovi Brach. ecc. p. 6, tav. 1X, fig. 6-8. Pisa, 1881. % CONTRIBUZIONE Ill ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 85 ampio forame allungato e quasi contiguo all’ umbone. Falsa area e deltidio indistinti. La valva brachiale in prossimità della fronte presenta un indizio di lobo, limitato da due piccoli rialzi, ampio un poco meno di ‘'/, della larghezza della conchiglia. In corrispondenza a tale lobo si ha una. leggera depressione frontale nella valva opposta. La conchiglia è liscia, ad eccezione di alcune pieghuzze longitudinali (1-8) visibili presso la regione frontale nel seno e lobo delle valve. Tali pieghuzze alla distanza di circa 2 millimetri dal margine frontale, svaniscono total- mente. Linea commessurale un poco sinuosa nelle regioni latero- apiciali, e ripiegata verso la valva brachiale alla fronte, ove si ‘ ha una minuta e distinta dentellatura. La forma descritta appartiene evidentemente all’ interessante gruppo della 7. fimbrioides E. Desl. (') della provincia zoologica dell’ Europa centrale, ma anzichè alla tipica specie estralpina si avvicina maggiormente a quella del Lias medio di Sospirolo, descritta dall’ Uhlig (?) come 7. n. f. cfr. T. fimbrioides E. Desl. . Una differenza molto piccola si riscontra con quest’ ultima per la presenza del seno e per la maggior piccolezza delle costicine frontali. L’esemplare figurato fu raccolto alle Precicchie (Suavicino) e fa parte della ricca collezione privata del conte Toni in Spoleto. Terebratula mediterranea n. f. 1881. Terebratula fimbrioides (E. Desl.) Canavari, Alcuni nuovi Brachiopodi degli strati a T. Aspasia Mgh. nell’Appenn. cen- trale. Estr. dagli Atti ‘id. Soc. tosc. di Sc. nat. Vol. V, fasc. 1.0 p. 6, tav. IX, fig. 10 (non E. Desl.). Pisa. La cagione per cui separo con un nome nuovo la specie che io rapportai alla estralpina 7. fimbrioides E. Desl., è dovuta alla costanza dei caratteri che ho riscontrato in parecchi esemplari rinvenuti alle Precicchie (Suavicino), dopo il mio primo riferi- (1) Brachiopodes. Pal. frane. Terrain jurassique, p. ITA, pl. 44. (2) Ueber die lias. Brach. etc. p, 21, Taf. II, Fig. 3. 86 M, CANAVARI mento. E noto invece come la specie della provincia zoologica dell’ Europa centrale sia eccessivamente variabile così nella forma, come nelle dimensioni. Nella serie della 7. fimbrioides E. Desl. la specie appenninica viene a porsi tra la forma precedentemente descritta e la 7. pacheia Unl. (') del Lias medio delle Alpi bellunesi. Terebratula sp. ind. cfr. T. sphenoidalis Mgh. Tav ie 2 1872-82. Terebratula sphenoidalis (Meneghini) Gemmellaro, Sopra alcune faune giuresi e liasiche della Sicilia, p. 62, tav. 10, fig, 18, 19 (escl. fig. 16, 17). Palermo. Tune hezza ie E . mm. 22 TarRehezzA A e RE » 20 Spessezza . . . . . dior FI URI CSR Per la forma del contorno, gli ornamenti del guscio e anda- mento delle valve, l’ esemplare figurato corrisponde pienamente a quello che indicai col nome di 7. sp. ind. del gruppo della 7. punctata Sow. (*). L° unica diversità è relativa al maggior spes- - sore della conchiglia. Per tale carattere assomiglia invece a quelle forme di 7. sphenoidalis Mgh. di Sicilia rappresentate dal Gemmellaro con le figure 18 e 19 (3). Tuttavia considero tuttora come specie indeterminata gli esemplari citati, perchè molto diversi dalla tipica 7. sphenoidalis Mgh. come fu da me pubblicata (*). La forma in parola trova le corrispondenti nelle specie estral- pine: T. sinemuriensis Opp., T°. punctata Sow., T. subpunctata E. Desl. ecc. L’ esemplare figurato proviene dal Lias medio della Rocchetta (Suavicino) e si trova ora nel museo geologico di Pisa. (4) Ueber die lias. Brach. etc. p. 20, Tav. II, Fig. 1,2. (2) Alcuni nuovi Brach. ecc. p. 4, tav. IX, fig. 9. Pisa, 1881. (3) Sopra alc. faune giuresi ecc. |. c. (4) M. CanAvARI. I Brach. ecc. p. 14, tav. II, fig. 5, 6. Roma, 1881. CONTRIBUZIONE III ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. È 87 Terebratula Taramellii Gemm. 1874. Terebratula Taramellii Gemmellaro, Sopra alcune faune giuresi e liasiche della Sicilia, p. 61, tav. XI, fig. 5 e 6. Palermo. 1880 $ x (Gemm.) Parona, Il calcare liass. di Gozzano. Estratto dagli Atti della R. Ace. dei Lincei, ser. 3.8, vol. VIII, p.- 8, tav. I, fig. 1 e 2. Roma. 1883. i 7 (Gemm.) Parona, Contributo allo stu- dio della fauna liass. dell’ Appenn. centrale. Atti della R. Acc. dei Lincei, ser. 3.° vol.XV, tav. III, fig. 16. Roma. ILTIARINEZZAN deg a o e Lol e 00) 0 aa ILERElNEZZA dillo oo o o on a o olio e DUI SDESSEZZA AA OR e NON o. Tra parecchie centinaia di terebratule del Lias medio del- l'Appennino centrale che ho avuto campo di studiare, è questa la prima volta che mi si presenta un esemplare identico alla specie siciliana superiormente accennata. Il Parona ('), più for- tunato di me, l'aveva già riscontrata tra alcuni fossili dei din- torni di Terni, ove fu raccolta dal capitano Verri. In confronto alla specie tipica l’ individuo in esame presenta una piccola dif- ferenza nella maggiore depressione della conchiglia, carattere che era stato già notato in una varietà del Lias di Gozzano nelle prealpi piemontesi (?). Nell’ esemplare che io posseggo è conservata la minutissima punteggiatura del guscio, uniforme- mente distribuita. La specie citata proviene dal monte della Rossa, appendice nordica del Suavicino, ed è conservata nel museo geologico di Pisa. Gen. WALDHEIMIA King. Solo poche e non ben certe forme di Brachiopodi degli strati a T. Aspasia Mgh. nell’ Appennino centrale, si riferiscono al (4) Contributo ecc. I. c. (3) Il calcare liass. di Gozzano ece. |. c. 88 M. CANAVARI genere Waldheimia (1). In nessun esemplare è dato esaminare l'apparato apofisario, e raramente in alcuni è manifesto il setto mediano della valva brachiale. Un fatto che è bene accennare sin da ora e sul quale tor- nerò in seguito, sì è quello della mancanza quasi completa di forme appartenenti agli importanti gruppi della W. Partschi Opp., W. stapia Opp. e W. Ewaldi Opp., diffuse in altre località (Hierlatz, Sospirolo, Gozzano, Sicilia) della provincia zoologica mediterranea. Nel Lias medio d'’ Italia sono state sino ad ora notate le seguenti specie: 1. W. Partschi Opp. 15. W. n. sp. Par. 2. 0%ygonia UN. 16. , apenninica Zitt. 3. » securiformis Gemm. 17. , furlana Ditt. 4., Catharinae Gemm. 18. , sentinensis n. f. D. , avicula ULl. 19. , amygdaloides Mgh.. 6. , stapia Opp. 20. , amygdaloides Mgh. var. l. , venusta UNI. È revoluta m. 8. , Gastaldi Par. 21. , mutabilis Opp. 9. , Paretoi Par. 22. , èndentata Sow. 10. , Zwaldi Opp. 23. , numismalis Lmk. 1l., cfr. Ewaldi Opp. (Par.) 24. , cfr.LycetteDavids. (UAl.) 12. , sospirolensîis Uhl. 20. » consobrina n. £.3 IR Ac 26. , costulata Gemm. 14. , bilobata Stopp. 270. » Engelhardti Opp. Waldheimia civica n. f. Tav. X, fig. 11. LATTARINGZZA 0 od o 0 9 o 0 0 vo mm. 13 ITERSIIGIZA]O di e o o 0 0 00 0 00 > 13 SPEBSEZZA NO. VIII I > 7,5 Conchiglia quasi circolare, troncata leggermente alla fronte, poco convessa, liscia. Valva perforata uniformemente convessa; apice poco sporgente (rotto), margini laterali e falsa area indi- (') Alcune specie riferite già (M. CanavaRI, I Brach. ecc. p. 20) con dubbio al genere Waldheimia (W.? filosa Mgh., W.? Meneghinii Par.) sono state ascritte in questa nota tra le Terebratulae. V. p. 82 [15]. CONTRIBUZIONE III ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 89 stinti. Valva brachiale convessa, con una leggera depressione mediana che comincia a poca distanza dall’ umbone e si estende sino alla fronte. La commessura delle valve, quasi tagliente, scorre in linea retta. nelle regioni laterali, è un poco convessa alla fronte verso la valva brachiale. Punteggiatura uniforme, minuta, ravvicinata. Con la rottura della regione apiciale della valva perforata è stato messa allo scoperto una parte delle braccia, convertite in spato calcare, come avviene di sovente nelle specie apparte- nenti a questo genere. Il setto mediano della: valva brachiale non è ben definito e, da quello che si può arguire, sembra che sì estenda sino ad '/, della lunghezza della conchiglia. La forma in parola è l’ unica dell'Appennino che si raggruppi con la W. Ewaldi Opp. del Lias inferiore di Hierlatz ('). Se ne distingue facilmente per la forma circolare e non ovale-allungata del contorno, e per la minore depressione mediana della valva brachiale. Per quest’ ultimo carattere invece rassomiglia di più alla W. sospirolensis Ul. (*), la quale appartiene pure allo stesso ciclo di forme. Una analogia ancora più grande si riscontra con uno dei due esemplari figurati dal Gemmellaro (*) col nome di W. Ewaldi Opp. Ma da tutte le forme ricordate, come eziandio dalla W. cfr. Ewaldi Opp. Par.) (5) di Gozzano, la W. civica n. f. sì distingue notevolmente per il minore spessore della conchiglia. L’ esemplare figurato fu raccolto dall’ estinto abbate Rusconi a Monticelli (Roma), insieme alla 7. Aspasia Mgn. e a piccoli ammoniti del gruppo dell’Harpoceras radians Rein. Esso trovasi nelle collezioni del Museo geologico di Pisa. Waldheimia (?) sentinensis n. f. Tav. X, fig. 8. Io Hezza NE RR TAO Lenglezzo eo oe dio giada Sr SPESSEZZANA NO RR OO Conchiglia inequivalve, obovata, un poco più lunga che larga, con la massima ampiezza ad '/; dall’ apice, liscia o solo ornata (1) Ueber die Brach. etc. p. 539, Taf. XI, Fig. l. (2) Ueber die lias. Brach. etc. p. 28, Taf. III, Fig. 1-6. (£) Sopra alc. f. ecc. p. 69, tav. XI, fig. 7 (non fig. 8). (#) Il cale. liass. di Gozzano ecc. p. 16, tav. II, fig. 3. 90 M. CANAVARI da alcune pieguzze di accrescimento nella parte marginale. Valva perforata convessa, con la maggior curvatura in corrispondenza, alla maggiore larghezza della conchiglia, ripiegata dolcemente verso l’ opposta alla fronte. Apice pochissimo sporgente con ca- rene laterali, troncato da un piccolo forame obliquo, quasi con- tiguo all’ umbone; falsa area e deltidio molto ridotti. Valva bra- chiale un poco meno convessa della perforata, leggermente ap- pianata ai margini. Linea commessurale diritta o appena sinuosa nelle regioni laterali, rialzata alla fronte verso la valva brachiale. Punteggiatura minuta, non completamente distinta. Setto mediano non conservato e quindi non certa la deter- minazione generica. Questa forma trova solo un riscontro in alcune varietà della Waldheimia furlana Zitt.(!), così frequente nel Lias medio del- l'Appennino. È facile distinguerla per ta mancanza del seno sulla valva brachiale e del lobo corrispondente sulla opposta. Per il con- torno obovato ricorda moltissimo la W. amygdaloides Mgh. (?), ma ne diversifica totalmente per la mancanza della falsa area lanceolata, così caratteristica e costante nella specie ora citata. L’ esemplare descritto, conservato nel museo geologico di Pisa, è dovuto alle diligenti ricerche dell’ abbate Moriconi, e proviene dal Lias medio dei monti della Rocchetta (Suavicino). Waldheimia (?) amygdaloides Mgh. var. revoluta m. UNA: (EA IalaZZA 0 sl o ot at 0 19 Warchezz a Fe: Ar ORE e 0 SPESSOZZA MES IRA O Conchiglia inequivalve, ovale-allungata colla massima ampiezza a */, circa dall’apice, ornata da sottili costicine radiali, inequi- distanti, appena visibili ad occhio nudo. Valva perforata convessa a tetto, alquanto pianeggiante nel mezzo verso la fronte, in modo da formare un distinto rialzo, oltre il quale con rapido declivio scendono i fianchi verso i margini. Apice poco spor- gente (rotto), con margini cardinali, che, alquanto incurvati, (2) M. CanavarI, I Brach. ecc. p. 22, tav. III, fig. 3. (2) 1. c. p. 23, tav. III, fig. 4, 5. CONTRIBUZIONE Ill ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 91 raggiungono la linea commessurale alla metà circa della lun- ghezza della conchiglia; circoscrivono in tal maniera una depres- sione laterale lanceolata del tutto identica a quella della W. amygdaloides Mgh. (*). Valva brachiale molto convessa all’umbone, va gradatamente diminuendo di curvatura verso la fronte e i fian- chi. Linea commessurale un poco convessa verso la valva bra- chiale, nella parte superiore dei fianchi. Punteggiatura sottilis- sima e molto spessa. Nessuna traccia del setto mediano, rimanendo quindi incerto il suo assegnamento generico. Comparando la descrizione fatta con quella della W. amyg- daloides Mgh., si osserverebbe come la sola differenza impor- tante che esiste tra le due forme dipende dall’ avere l'una la maggiore ampiezza della conchiglia nella regione apiciale e l’altra nella frontale, per modo che mentre l’ una è ovata, l’altra ri- sulta obovata. Si direbbe che la specie descritta è l’ inversa della W. amygdaloides Mgh. La differenza accennata, dipende proba- bilmente da un’ accidentalità individuale, ragione per cui consi- dero l'esemplare in esame anzichè come nuova forma, come va- rietà revoluta della W. amygdaloides Mgh. Esso proviene dalle vicinanze di Domo nel Suavicino e fa parte della collezione privata del conte Toni in Spoleto. Waldheimia consobrina n f. ia PI iuoglezza ge Gio nm 9 an, TEAKCHezza Mi i RO Spessezza. . i 0. > 40 >. 5 Conchiglia piccola, inequivalve, a contorno circolare o leg- germente obovato, apparentemente liscia, ornata alla fronte da alcune pieguzze (circa 10), che si protendono al di più per un millimetro, oltre il quale svaniscono totalmente. Valva perfo- rata uniformemente convessa. Apice poco sporgente, ricurvato, troncato da un piccolo forame circolare; spigoli laterali taglienti; falsa area bassa ed allungata nel margine cardinale, deltidio molto basso. Valva brachiale meno convessa dell’ opposta, con (4) M. CANAVARI, l Brach. ecc. p. 23, tav. IlI, fig. 4, 5. GI M. CANAVARI la massima curvatura nella regione apiciale. Linea commessu- rale non molto acuta, quasi diritta nelle parti laterali, e con piccole dentellature alla fronte. Punteggiatura non distinta. Indizio non ben determinato del setto mediano, che appare protendersi sin circa alla metà della lunghezza della conchiglia. Il minore dei due esemplari dei quali sono state date supe- riormente le dimensioni, presenta il contorno circolare, ha ap- pena indicate alcune linee di accrescimento e le pieguzze mar- ginali alla fronte. Il secondo, che è quello figurato, diversifica ben poco dal primo nelle dimensioni, però n'è alquanto differente per essere più turgido, e per avere maggiormente distinta la dentettatura frontale; caratteri che debbono attribuirsi allo stato adulto dell’individuo, poichè esso presenta una spessezza molto considerevole nelle parti marginali e distintissime pieghe di accrescimento. Sembra quindi che la conchiglia non dovesse as- sumere dimensioni grandi, ma che rimanesse invece molto piccola, e il suo sviluppo ne modificasse solo notevolmente lo spessore, in particolar modo delle regioni esterne, come sì osserva in pa- recchie altre specie. La descritta forma ha molta analogia con la W. Lycettî Dav. ('), così frequente nella provincia zoologica dell’ Europa centrale. Come essa, rimane sempre piccola ed ha la forma del contorno quasi circolare; ne diversifica però, oltrechè per le pieguzze frontali, eziandio per la commessura delle valve, la quale non si effettua mai sotto un angolo così acuto come nella specie estralpina. Alle assidue ricerche dell’ abate Moriconi si deve il rinveni- mento ai monti della Rocchetta (Suavicino) dell’ elegante forma in esame. Essa si trova ora conservata nel Museo geologico di Pisa. Waldheimia mutabilis Opp. var. Mao 26 ila ©, 10, 1861. Terebratula (W.) mutabilis Oppel, Ueb. d. Brach. des un- tern Lias. Zeitsch. der deutsch. (!) A Monogr. of british fossil Brach. Palaeontographical Society, p. 44, PI. VII, fig. 17-22. London, 1851. CONTRIBUZIONE III ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 93 geol. Gesellsch. p. 538, Taf. X, Fig. 7, Berlin. 1881. Waldheimia Engelhardti (Opp.) Canavari, Alcuni nuovi Bra- chiopodi degli strati a T.Aspasia Mgh. nell’Appenn.Ecent. Estratto dagli Atti d. Soc. tosc. di Sc. nati Voli Vfase A Si pioTtav. IX, fig. 11 (non Oppel). Pisa. Funphezza i Ione 20 Rm Parehezzati ei HA oa Sumo oO 1! SS PESSEZZA ne n O Bn ol SERE AMS) La forma di Waldheimia che rapportai alla MW. Engelhardti Opp., appartiene invece alla W. mutabilis Opp. A_ questa si rife- riscono eziandio parecchi altri esemplari raccolti dall’ ing. Bal- dacci nel Lias medio del monte Soratte (provincia di Roma). L' esemplare rappresentato con la fig. 9 è un poco più largo che lungo, subpentagonale e presenta una forte piega di accre- scimento in vicinanza dei margini frontale e latero-frontali. La valva perforata è provvista d’ una leggera depressione mediana, oltre la quale i fianchi scendono con un declivio abbastanza forte, per modo che essa risulta come se fosse formata da tre piani. La porzione cardinale è del tutto identica a quella della specie alpina. La valva brachiale è appianata verso i margini e ripete in molto minori proporzioni la forma dell’ opposta. La punteggiatura minuta, estremamente ravvicinata. Quale carattere interno è manifesta la traccia del setto me- diano, che si estende per circa '/, della lunghezza della conchiglia. Il secondo esemplare (fig. 10), di cui sono date superiormente le dimensioni, è pressochè identico a quello che riferì alla W. Engelhardti Opp. Esso presenta sulla piccola valva, oltre che un indizio del setto mediano, quattro tracce o piccoli solchi ( s%- lons), in cuì si attaccavano i seni venosi palleali. Tale carattere è ben marcato in un altro gruppo di Terebratulae che il Deslongchamps (') vorrebbe distinguere genericamente col nome di Epithyris. Sulla valva perforata sono indicati poi due setti che partono lateralmente al foro e si protendono, deviando leg- (1) Brach. Pal. frans. p. 49. 94 M. CANAVARI germente in una linea arcuata, fin circa ad '/, della lunghezza della conchiglia. Essi sono dovuti alle lamelle dentali. Le piccole differenze accennate tra la forma appenninica e la tipica alpina in riguardo ai caratteri esterni (i caratteri in- terni non furono definiti dall’ Oppel) sono probabilmente dovuti a quelle piccole modificazioni alle quali va soggetta una specie per l'adattamento di vita in nuove località. In ogni modo credo necessario fare osservare che gli esemplari raccolti nell’ Appen- nino sono qnasi ordinariamente lunghi quanto larghi, e solo in rari casi la lunghezza eccede la larghezza. In quelli di Hierlatz sembra invece predominare la forma allungata. Una specie che ha grande affinità con la Waldheimia muta- bilis Opp. è la Terebratula Meneghinii Par., che con dubbio ri- ferì già alle Waldheimiae ('). Finalmente faccio notare che per il gruppo delle Waldhe/miae cintae, a cui si riferisce la W. mu- tabilis Opp., è stato creato dal Bayle un sottogenere speciale col nome di Zeilleria. i Nell'Appennino centrale la specie citata fu rinvenuta, oltrechè al monte Soratte (prov. di Roma), anche alle foci di Cantiano e ai monti della Rocchetta (Suavicino): alcuni esemplari di essa si trovano nelle collezioni del R. Comitato geologico in Roma, e i rimanenti nel Museo geologico di Pisa. Gen. RHYNCHONELLA Fischer. Il genere Ehychonella è largamente rappresentato nel Lias medio dell'Appennino centrale, e, come i precedenti, si può ri- partire in parecchi cicli di forme. Senonchè i limiti di essi ri- mangono incerti o indefiniti a cagione della grandissima varia- bilità di caratteri a cui la maggior parte delle specie vanno soggette. Tale particolarità, mentre rende difficile una buona e sicura determinazione, è anche la causa principale della molti- plicità di nomi nuovi che si avvera per tale genere. Le specie o forme diverse sino ad ora notate nel Lias medio d'Italia sono le seguenti: (4) M. CANAVARI, I Brach. ecc. p. 20, tav. II, fig. 12. a CONTRIBUZIONE III ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 95 1. Ah. deltoidea Mgh. Qereot(UAl e 2. , aptycha Canav. ('). 28. , discoidalis Par. Ss Wripieran. f. 29. » pectiniformis n. f. 4. , zena Canav. 30. , cfr.tetraédraSow.sp.(Par.) 5. , Mariotti Ditt. Sl. , peristera Uhl. 6. , retroplicata Zitt. 82. , Euscont n. f. 7. , retusifrons Opp. 39. » Paoli Canav. 8. , pisoides Zitt. 384. , cfr. Fraasi Opp. (Canav.) Se Kraussi Opp. 30. , Cfr. Fraasi Opp. (Zitt). 10. , enversa Gemm. 36. , Zitteli Gemm. 11. , pusilla Gemm. Sten (Uli) been fi: (Par.).(0) 38. ,» Sp.ind. (Canav.) 13. , Meneghini Litt. 39. , polypticha Opp. 14. , furcillata Theod. sp. 40. , serrata Sow. 15. , fascicostata UNI. 41. , Scherina Gemm. 16. , fissicosta Mgh. 42. , Glycinna Gemm. 17. , Reynesi Gemm. 43. » Albertiù Opp. 18. , cfr. subdecussataMunst.44. , cfr. Guembeli Opp. (UNl.) (Zitt.) 45. , palmata Opp. 19. , Sordelli Par. 46. , flabellum Mgh. 20. , Orsinii Gemm. 47. , triquetra Gemm. (?) 21. , cornicolana Canav. 48. , Capellini Par. 22. , undata Par. 49. , Verrii Par. 23. » Stoppani Par. 50. , sp.ind. (Canav.) 24. , variabilisSchl.sp.var. 51. , cuneiformis n. f. 25. , lubrica Ul. 52. , dolabriformis Mgh. 26. , Briseis Gemm. (1) Faccio qui osservare che la RA. aptycha Canav. ha grandissima rassomiglianza con la Terebratula Piccininii Zitt. (Geol. Beob. aus den Central-Apenn. etc. p. 125, Taf. 14, fig. 7), che mai mi è occorso di trovare nel Lias medio dell’ Appen- nino. Un esemplare che fu riferito a questa specie (CANAvARI, I Brac. ecc. p. 19) è troppo incompleto per una certa determinazione; e poichè le Zittel nella descrizione della sua specie non parla di punteggiatura del guscio, carattere essenziale nel genere Terebratula, mi nasce il dubbio che la 7. Piccininii Zitt. non sia altro che una RA. aptycha Canav. (%) Il nome in parentesi indica l’ autore che descrisse la forma indeterminata o che fece il riferimento incerto. (8) Questa specie appartiene probabilmente alla Ri. flubellum Mgh., la quale, come è noto (CanaAvaRI, I Brach. ecc. p. 28, tav. IV, fig. 4-7), è assai variabile in molti de’ suoi caratteri esteriori. 96 M. CANAVARI fhynchonella triptera n. f. Mayo SUE 1 Lunghezza. . + . mm. 5 . . . . mm. 6,5 Tae hezza i E > E > SD Spessezza . . .. >» 4 » 4 Conchiglia piccola, più larga che lunga, a contorno subpen- tagonale, minutamente fibrosa. Valva perforata mediocremente convessa con la maggior curvatura nella regione apiciale. Essa ha un marcatissimo seno mediano, il quale incomincia in vici- nanza dell’'apice e si protende, allargandosi, sino ‘alla fronte, ove la valva ripiega verso l’opposta formando un piccolo lembo sporgente. Lateralmente a questo solco i fianchi seendono con rapido declivio ai margini assottigliati e appianati. Apice molto ricurvato, senza spigoli laterali, con un piccolo forame abbrac- ciato dal deltidio, il quale non è conservato; falsa area bassa e larga alla base. Valva brachiale divisa nettamente in tre parti a guisa di ali (triptera), la mediana occupata da un forte lobo triangolare, molto acuto, in corrispondenza al solco della valva perforata, le due laterali leggermente convesse all’ umbone, pre- sentano in prossimità dei margini una distinta piega che segue il contorno esterno della conchiglia, e oltre la quale si hanno i margini molto assottigliati. La commessura delle valve segue una linea leggermente convessa nelle regioni laterali; alla fronte è assai convessa a guisa di un semicerchio verso la valva brachiale. Questa elegantissima forma è oltremodo caratteristica e ben distinta da tutte le altre liasiche descritte. Essa ricorda sola- mente la El. zeina Canav. ('), e presenta un particolare inte- resse perchè insieme a questa si raggruppa forse alla 4. Ma- riottii Zitt. (*). L' analogia di queste forme è palese mercè la comparazione di giovani individui della specie descritta con quelli pure giovani della E%. Mariottii Zitt. (8). Con le forme della pro- (’) I Brach. ecc. p. 26, tav. III, fig. 8. (?) Geol. Beob. aus den Central-Apenn. p. 129, Taf. 14, Fig. 17. (3) CANAVARI, I Brac. ecc. p. 26. tav. IV, fig. 3. CONTRIBUZIONE III ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 97 vincia zoologica dell’ Europa centrale trova solo un lontano ri- scontro nella RX. ringens Her., specie oolitica dell'Inghilterra ('). I due esemplari di %. triptera n. f. dei quali sono state date superiormente le dimensioni, furono rinvenuti nel Lias medio dei monti della Rocchetta (Suavicino) e sì trovano conservati nelle collezioni del Museo geologico di Pisa. Rhynchonella pectiniformis n. f. Tav. XI. fig. 5. nERezza ro ie e lie P'asphezzarntto et ot 2 SPESSEZZA N ET N OI Conchiglia inequivalve, più larga che lunga, angolosa nella parte apiciale e rotondeggiante alla fronte, a struttura distin- tamente fibrosa. Valva perforata con la maggiore convessità nella regione apiciale, ornata da circa 24 costicine appiatite o appena angolose, molto più ampie dei solchi che le limitano, da ricordare quelle che si osservano nei Pecten. Esse costicine incominciano in prossimità dell’ apice e si protendono sino alla fronte, ove la valva è un poco depressa e si ripiega alquanto verso l’ opposta, ma senza dar luogo ad un vero e proprio solco limitato da coste di maggiore rilievo, come si osserva ordina- riamente nelle A7ynchonellae. Apice molto robusto, ricurvato (rotto), con margini laterali arrontondati; forame, deltidio e falsa area non conservati. Valva brachiale simile all’ opposta così nella convessità, come nella conformazione delle costicine. L'unione delle valve si effettua sotto un angolo molto acuto, special- mente alla fronte; linea commessurale un poco sinuosa nelle regioni laterali, leggermente convessa verso la valva brachiale alla fronte, in cui l’ interpolazione delle coste produce una den- tellatura un poco angolosa, ma non molto acuta. La conchiglia è ornata nelle parti marginali da sottilissime strie di accresci- mento che non sono visibili ad occhio nudo. La descritta forma è affine alla R%. discoidalis (Par.) (2) del Lias medio di Gozzano. Ne diversifica per la conformazione e (4) Davipson, Ool. Monogr. p. 74, PI. XIV, figs. 13-16; Suppl. p. 204, PI. XXVII, figs. 14-16. (°) Il calcare liass. di Gozzano ecc. p. 23, tav. III, fig. 5. Se. Nat. Vol. VI, fasc. 2.9 ti 98 M. CANAVARI maggior numero delle coste, per la mancanza di spigoli late- rali all'apice e della depressione sui fianchi della conchiglia. Un altro carattere differenziale si nota eziandio nella linea com- messurale delle valve, la quale nella E%. pectiniformis n. f. pre- senta una sinuosità più marcata nelle regioni laterali e una distinta convessità alla fronte di quello che non si osservi nella forma figurata dal Parona ('). A titolo di confronto con specie estralpine ricordo solamente la A. inconstans Sow. (*) del Kim- meridgiano e la R%. pinguis Roem. var. pectunculoides Et. (*) del Sopracoralliano. L'unico esemplare figurato fu raccolto dall'ing. Baldacci, insieme alla T. Aspasia Mgh., nel monte Soratte (provincia di. Roma). Esso si trova ora conservato nelle collezioni del R. Co- mitato geologico in Roma. Rhynchonella Rusconii n. f. Tav. XI, fig. 6. Lunghezza Ri ee NO E II EAROEZENO Lo o nolo oi sive alto, oe 10) SPOssezza A RO RESI) Conchiglia inequivalve, non completamente conservata. Valva perforata convessa alla regione apiciale, depressa un poco in quella frontale; apice molto prominente, ricurvato, acuto, con forame compreso da un’ ampio spazio triangolare, in cui si tro- vava il deltidio. Valva brachiale molto convessa, trilobata. Il lobo mediano comincia alla metà della lunghezza della conchiglia, e su di esso scorrono quattro coste angolose e prominenti, che incominciano all’ umbone per arrivare sino alla fronte. Lateral- mente è limitato da due pareti a rapido pendio oltre le quali sì hanno i due lobi laterali arrotondati e provvisti ognuno da 4-5 coste pure molto angolose. Si ha poi una fortissima depres- sione concava ai fianchi, nella quale si trova la commessura: delle valve che si presenta un poco convessa verso la brachiale. I caratteri suindicati sono tratti da due esemplari. L’ uno, che è quello figurato, ha quasi tutta la valva perforata iinclusa (1) Il calc. liass. ecc. l. c. (*) Davipson, Ool. Monogr. p. 87, and Suppl. p. 191, PI. XXVI, fig. 6. (3) 1. c. Suppl. p. 194, PI. XXVI, fig. 10. CONTRIBUZIONE III ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 99 nella roccia e non offre alcuna traccia della commessura delle valve; l’altro invece presenta tale ultima particolarità, ma, come il precedente, non ha conservata completamente la valva perforata. Però, essendo il guscio spatizzato, da una sezione trasversale, secondo la lunghezza della conchiglia, si può benissimo studiaré l’andamento della valva perforata, e rilevarne la depressione frontale, che si è superiormente accennata. È ben difficile trovare qualche analogia tra la descritta forma e le note specie liasiche della provincia zoologica mediterranea, ciò che dà ragione al nuovo nome proposto. Se si vuole trovare una parentela è duopo cercarla in specie estralpine, e invero essa assomiglia grandemente ad una varietà di R%. tetraédra Sow. sp. del Lias medio d’ Inghilterra descritta dal Davidson ('). Ne diversifica per la forma molto più allungata della valva brachiale, per il maggior sviluppo dell’ apice e per la depres- sione concava dei fianchi; in ogni modo però si può dire che la Ph. Rusconii n. f.è tra noi la rappresentante della E%. tetraédra Sow. sp. Al medesimo gruppo accennato furono già riferite altre specie del Lias medio italiano, quali sono R%. cfr. |tetraédra Sow. sp. (Par.)(°) e EA. peristera UNI. (*). Parecchi esemplari di R%. Rusconii n. f. li ho raccolti nel Lias medio del monte Vettore e precisamente non lungi da Forca Viola; un frammento distintissimo della stessa forma è stato rinvenuto dall’ ing. Baldacci al monte Soratte (provincia di Roma). L'’esemplare figurato proviene poi da Monticelli nei Cor- nicolani (Roma), e si ideve all’ estinto abbate {Rusconi, a cui sono ben lieto di dedicare la caratteristica forma, nella speranza ch’ essa rimarrà in paleontologia quale tributo di riconoscenza verso quegli che tanto cooperò alle ricerche dei Brachiopodi del Lias medio dell’ Appennino centrale, la maggior parte dei quali egli donava alle collezioni del Museo geologico di Pisa. ERhynchonella Paolii Canav. 1880. Rhynchonella Paolii Canavari, La Montagna del Suavicino. Estratto dal Boll. del R. Com. geol. pl, tav. I, fig. 1. 1880 - n. f.? Canavari, I Brach. degli strati a T. A- (*) Ool. Monogr. Suppl. p. 198, PI. XXIX, fig. 6. (*) Il cale. liass. di Gozzano ecc. p. 22, tav. III, fig. 3. (3) Ueb. d. lias. Brach. etc. p. 33, Taf. IV, Fig. 4. 1100 M. CANAVARI spasia Mgh. nell’ Appenn. centrale. Estratto dagli Atti della R. Acc. dei Lincei, ser. 3.8, vol. VIII, p. 81, tav. IV, fig. 13. L’ esemplare che descrissi e figurai come P7. n. f.? (') appar- tiene quale forma giovanile, alla E. Paoli Canav. Il poco svi- luppo delle coste che si osserva nell’ esemplare tipico (2) è una pura accidentalità proveniente dal modo di estrazione dalla roccia in cui era incluso. Altri parecchi esemplari benissimo conservati e raccolti alle foci di Cantiano tra monte Petrano e monte Tenetra, danno ragione alla accennata supposizione, e alla sinonimia riportata. Rhynchonella sp. ind. cfr. Rh. Fraasi Opp. Tav. XI, fig. 4. 1861. Rhynchonella Fraasi Oppel (cfr.) Ued. d. Brach. des untern Lias. Zeitsch. der deutsch. geol. Gesellsch. p. 543, Taf. XII, Fig. 3. — non Zittel, Geol. Beob. aus den Central-Apenn. Geogn.- pal. Beitr. von Benecke. P. 130, Taf. 14, Fig. 18. Miinchen, 1869. Tune hezz AR e) Lanelezza PMO RZ SPESSEZZANANE IO IO AI O O Nel Lias medio d’ Italia sono state notate parecchie forme di Rhynchonellae, che appartengono al gruppo della Rh. Fraast Opp., quali sono R%. cfr. Fraasi Opp. (Zitt.) (), Ah. Zitteli Gemm. (*) e R%. n. £. (Unl.) £). A nessuna delle ricordate cor- risponde l'esemplare figurato. Esso diversifica dalla R%. Zittele Gemm. di Sicilia per il maggior numero delle coste (25 o 26 in confronto di 12 o 13), per la minore espansione delle valve alle regioni latero-frontali in cui la conchiglia è molto spessa (4) I Brach. ecc. Il. c. (2) La Mont. del Suavicino ecc. l. c. (3) Geol. Beob. etc. 1. c. (4) Sopra alc. f. ecc. p. 78, tav. XI, p. 23. (5) Ueber die lias. Brach. ete. p. 35, Taf. III, Fig. 13. CONTRIBUZIONE III ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 101 e a contorno pochissimo convesso dimodochè veduta di fronte (fis. 4°) appare quasi tetraedra, come nella tipica specie alpina. Per quest’ ultimo carattere e per la piccolezza dell’apice ricorda invece la R%. cfr. Fraasi Opp. (Zitt.) del monte Catria, ma ne diversifica grandemente per il maggior numero delle coste. Dalla forma poi descritta dall’ Uhlig sì distingue facilmente per la maggiore spessezza, per l’ andamento della linea commessurale alla fronte, per il molto minore sviluppo della depressione dei fianchi nelle regioni latero-apiciali e per la forma del contorno. Da tutte poi si distingue per la conformazione del seno me- diano della valva perforata, non limitato da coste di maggior rilievo delle altre, e per la presenza di un piccolo seno anche nella valva brachiale, in maniera che la conchiglia appare come cincta. Però è indubitato che più di ogni altra si avvicina alla specie alpina, da cui rimane separata per il pochissimo sviluppo dell’ apice. L’imperfezione dell’ esemplare da me studiato, alquanto de- formato e non completamente conservato, mentre non ha per- messo una sicura determinazione, non ha neanche dato elementi necessari e sufficienti a farne una nuova specie. Esso proviene dagli strati a T. Aspasia Mgh. del Suavicino e si trova conser- vato nelle collezioni del Museo geologico di Pisa. Rhynchonella sp. ind. Raw. XI, fig: LimEleza 0 0 o 0 o 0 6 o VO MArENEZZA SER IUS ENI PR SPESSCZZAN MOR MRO MESI Conchiglia inequivalve, più larga che lunga, deformata, non completamente conservata. Valva perforata poco convessa, ri- piegata verso l’ opposta alla fronte, in cui si ha un ampio seno con sei coste angolose, limitato da. due coste di maggiore ri- lievo, oltre le quali se ne hanno altre 6 o 7 per ogni lato: le ultime di queste sono molto assottigliate. Apice pochissimo sporgente, senza spigoli laterali, contiguo all’umbone. Valva brachiale convessa con un indizio di lobo, ma non ben definito a cagione della deformazione nella parte sinistra di chi la guarda, ornata da coste alternanti a quelle della opposta, Linea com- 102 M. CANAVARI messurale quasi diritta ai fianchi, in cui non havvi traccia di depressione, ripiega fortemente verso la valva brachiale alla fronte. Ivi la conchiglia è rotta e la dentellatura solo in parte conservata (fig. 2°). Anche la forma ora descritta appartiene al gruppo della R%. Fraasi Opp., ed ha le più spiccate analogie con la E. Zitteli Gemm. (') di Sicilia. Se ne distingue per la forma molto più arrotondata del contorno, per il minore sviluppo dell’apice e per l’ assoluta mancanza delle depressioni ai fianchi.) L' imperfezione dell’ esemplare non permette di entrare in ulteriori confronti, nè autorizza a chiamarlo con un nome nuovo. Esso fu raccolto alle falde occidentali del Suavicino e fa parte della collezione privata del conte Toni in Spoleto. Rhynchonella sp. ind. Tav. XI, fig. 3. Lunghezza. . . . . SIRO e EN Tarchezza Rc CE E 2 SPESSOZZA Nic GET ZIONI, Conchiglia inequivalve, subtriangolare, più lunga che larga, con la massima ampiezza circa ad '/, dalla fronte. Valva per- forata poco convessa, un poco ripiegata verso l’ opposta nella regione frontale, ove presenta un distinto seno. Apice piuttosto robusto, ricurvato, con traccia di spigoli laterali che si esten- dono per sin circa '/, della lunghezza della conchiglia a deli- mitare la depressione concava dei fianchi. Valva brachiale più convessa dell’opposta, e un poco appiattita nelle parti laterali. La conchiglia è ornata da 23 o 24 costicine per ogni valva, piuttosto minute, e numerose e sottili ai fianchi. Se ne contano tre nel seno, limitato lateralmente da una piega di maggior ri- lievo. Da questa poi e in prossimità dell’ apice si origina per dicotomia nella parte interna una costicina (v. fig. 3°), la quale non arriva al margine frontale. Sul lobo corrispondente, e in- terposte alle precedenti, si hanno 4 coste. La commessura late- rale è un poco sinuosa; alla fronte s’ innalza verso la valva (1) Sopra alc. f. ecc. p. 78, tav. XI, fig. 23. CONTRIBUZIONE Ill ALLA CONOSCENZA DEI BRACHHOPODI EC. 103 brachiale, dando luogo ad una dentellatura non ben conser- vata (fig. 3°). Anche per il descritto esemplare non sì è azzardata la pro- posizione di un nome nuovo, o la sicura identificazione con specie note, appartenendo esso ad una serie di forme molto indecise e che sono oltremodo variabili. Quello di cui si può asserire si è che esso diversifica dalle accennate ynchonellae del Lias medio italiano, e che si raggruppa con la “th. plicatissima Quenst. ('). L’ esemplare figurato fu raccolto nel Lias medio del Suavi- cino e trovasi ora nella collezione privata del conte Toni in Spoleto. Rhynchonella cuneiformis n. f. Tav. XI, fig. 1. Rimane co nà lu oo in II a Lariano co, DI o an ES iS ott SS STPESSOZZ AS RO E ON Conchiglia subtriangolare-equilatera, acuminata all’ apice, arrotondata alla fronte e leggermente concava ai fianchi, con la maggiore ampiezza a circa la metà della lunghezza; spessa nella parte anteriore e tagliente alla fronte a guisa di cuneo. Grande valva poco convessa e un poco pianeggiante al margine frontale, ripiega quasi ad angolo retto ai fianchi, ove presenta un’ampia depressione leggermente concava. Apice acuminato, pochissimo sviluppato, quasi contiguo all’umbone e con spigoli laterali. Valva brachiale convessa, con margini latero-apiciali acuti a limitare la depressione dei fianchi accennata. La con- chiglia è ornata da coste poco rilevate e non molte numerose (8-9) che irradiano semplici dagli apici per: poi alcune, ma ra- ramente, bipartirsi. Tali coste non continuano sulla depressione dei fianchi. La commessura scorre quasi rettilinea nelle regioni laterali, ha una dentellatura embricata anzichè angolosa alla fronte. L'elegante forma descritta appartiene, insieme alle R%. do- labriformis Mgh., Rh. palmata Opp. ecc., al gruppo della R%. (*) Petrefactenk. Deutsch]. Brach. p. 44, tab. 37, Fig. 37. Leipzig. 188!. 104 È M. CANAVARI Greppini Opp. (!). Le particolarità della sua forma, costanti anche in piccoli esemplari, rendono superflua l’enumerazione dei caratteri differenziali con le specie affini. Tre esemplari furono rinvenuti ai monti della Rocchetta (Suavicino) dall’ abb. Moriconi, e donati al Museo geologico di Pisa. OSSERVAZIONI FINALI La fauna a Brachiopodi del Lias medio d’ Italia si compone di 128 forme diverse, delle quali, 4 furono descritte senza nome, 2 rimasero come specie indeterminate, 2 furono considerate come semplici modificazionì di specie note, e 16 si riferirono dub- biosamente a specie già conosciute. Di queste ultime però non si debbono trascurare. le 5 che ricordano tipi estralpini, sicchè dal numero 128 prelevandone come incerte solamente 19, ne ri- mangono 109 come ben caratterizzate. Comparando questa importante fauna con la corrispondente estralpina, il primo fatto che si appalesa si è quello della sua completa indipendenza. La qual cosa da altri già enunciata, cor- risponde pienamente con ciò che è stato osservato per gli am- moniti in relazione alla divisione delle provincie zoologiche nei mari liasici. Le poche forme che ricordano le estralpine sono probabilmente nella nostra provincia le rappresentanti di quelle, e se non sì vogliono ‘prendere a tipo di nuove specie, debbonsi almeno ritenere come varietà; intendendo con tale parola quelle modificazioni a cui va soggetta una specie nell’ emigra- zione da provincia a provincia e nell’ adattamento quindi alle . nuove condizioni di vita, in riguardo però allo stesso periodo di tempo. Analogo fatto al suesposto è conosciuto per la fauna di Hierlatz (?) e in Italia si avvera eziandio per le non molte specie (1) Ueber die Brach. etc. p. 345, Taf. XIII, Fig. l. (Ae: CONTRIBUZIONE IIl ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 105 (circa 25) del Lias inferiore e per quelle in numero ancora mi- nore (10) del Lias superiore. Quindi è che si potrà esprimere la legge: I. Indipendenza della fauna liasica della provincia zoologica mediterranea da quella corrispondente della provincia zoologica dell’ Europa centrale. Di speciale interesse è un’ altra deduzione che sorge spon- tanea nella mente di chi studia le diverse faune liasiche illu- strate da parecchi autori, che ho più volte ricordati nel corso di questa nota, cioè: Il. Esiguo numero di forme comuni tra le diverse località o regioni, rimanendo però uniforme l’intero habitus della fauna nella stessa provincia zoologica. È probabile che tale particolarità sia in armonia alla sta- zione fissa che hanno i Brachiopodi nella così detta zona bati- metrica dei Coralli. Però noi osserviamo che certi gruppi di forme, ad esempio quelli delle nucleate (Terebratula Aspasia Mgh.) e delle fran- giate (T. fimbrioides E. Desl.), hanno un’ ampia area specifica ed anche un’ ampia distribuzione verticale. E noto difatti come il primo gruppo presenti una grande persistenza di caratteri attraverso un lunghissimo periodo di tempo, e il secondo im- plichi tra noi parecchie zone del Lias inferiore e medio, e al di la delle Alpi si ritrovi eziandio in terreni oolitici. Le specie quindi che appartengono ai cicli di forme ricordate, si manife- stano anche in provincie limitrofe, pochissimo modificate dal tipo donde si sono diramate. Potremo esprimere tale fatto nel modo seguente: III. Distribuzione verticale ampia di quelle poche forme che hanno anche un’ampia area specifica nella stessa provincia zoologica, e loro emigrazione in pro- vincie limitrofe con poca variabilità di caratteri. Non si deve poi trascurare il fatto che le forme che sono in armonia con l’ultima legge, hanno oltremodo accentuati i caratteri specifici; alcune poi sembrano partite di qui per an- dare a popolare i mari dell’ Europa centrale; ma per altre appare accadere il contrario. In riguardo alla comparsa tra noi di tipi che solo più tardi appaiono nella provincia zoologica estralpina, possiamo notare precisamente i due gruppi summenzionati, Fa- 106 M. CANAVARI cendo astrazione dal primo, di cui tanto sì è parlato, il secondo, quello cioè delle terebratule frangiate, incomincia in Italia nelle zone più antiche del Lias inferiore con la 7. Eustachiana Can. (!) e continua nel Lias medio con una ricca serie di forme; mentre al di là delle Alpi appare solamente nel Lias medio con la 7. Paumardi E. Desl. e con la T. fimbrioides E. Desl. (©). È duopo per altro dire che esaminando in tale direzione molti fatti, ci troviamo di fronte ad un insieme di particolarità osservate già per gli ammoniti (*) e che nelle presenti conoscenze possiamo interpretare in modo diverso, rimanendone tuttavia lontane le attendibili deduzioni. Scendendo ora a speciali considerazioni sulla fauna a Bra- chiopodi dell’ Appennino centrale, essendo essa la sola che abbia un particolare interesse nel presente lavoro, si deve innanzi tutto notare la comparsa del genere Leptaena, stata già annun- ziata dal Parona (4). Un altro fatto da non trascurare, si è quello del grande sviluppo di forme di Spiriferinae, che apparten- gono tutte al gruppo delle rostratae (tripartitae del Zugmayer (*)). Queste due osservazioni sono di fondamento per la separazione della fauna in esame da quelle del Lias superiore; però esse non alterano per nulla le conclusioni che io già feci (°) sulla probabile età dei cosidetti , Strati a 7. Aspasia Mgh. dell’ Ap- pennino centrale ,. Essi cioè, in confronto alle diverse faune a Brachiopodi del Lias medio d’ Italia (Sospirolo, Gozzano, Sicilia) sarebbero i più recenti. Le attuali ricerche paleontologiche sem- brano maggiormente comprovare quella supposizione. Prescin- dendo infatti dalle Spiriferinae rostratae, che si manifestano eziandio nelle altre località summentovate, e da alcune forme di Ehynchonellae (Rh. deltoidea Mgh.) che ricordano tipi antichi (RA. laevis Suess. degli Hallstiittershichten (")), ma che per altro (1) Sui fossili del Lias inferiore nell’ Appennino centrale. Attî della Soc. tosc. di Sc. nat. Memorie, vol. IV, fasc. 2.9, p. 156, tav. XI, fig. 9. Pisa, 1880. (3) Brach. Pal. frang. p. 169-174. (3) M. CanavaRI, Beitr. z. Fauna des untern Lias v. Spezia. Palaeont., p. 190, 191. Cassel, 1882. (4) Contributo allo studio della fauna liass. dell’ App. centr. Roma, 1883. (5) Untersuch. Ueber rhaet. Brach. etc. p. 24. (6) Alcuni nuovi Brach. ecc. p. 10. (7) E. Surss, Ueber die Brach. der Hallstàtter Schichten. Aus dem IX B.d. Denkschr. d. math.-naturw. CI. d. k. Ah. d. Wiss. p. 28, Taf. I, Fig. 9. Wien, 1855, CONTRIBUZIONE III ALLA CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 107 si riscontrano anche in terreni più recenti dei liasici, ha invece molta importanza: 1.° la presenza di forme che si riferiscono alla 7. Remeri Cat. e alla T. rotzoana Schaur., altrove svilup- pate nel lias superiore; 2.° la mancanza di Waldheimiae special- mente dei gruppi della W. Ewaldi Opp. e W. Partschi Opp., frequenti nella parte superiore del Lias inferiore (Hierlatz ) e diffuse eziandio a Sospirolo, Gozzano, Sicilia. Innanzi poi di chiudere questa nota, non posso ristare dal chieder venia, come feci altra volta (*), della molteplicità di nomi nuovi usati; ma se talora le piccole differenze notate hanno dato cagione a nuovi nomi che non soddisfino i zoologi per la deli- mitazione specifica, esse tuttavia hanno una importanza somma in geologia, così per riconoscere la distribuzione geografica della specie nei tempi che furono, come per dedurne e la successiva comparsa in regioni differenti, e il presumibile posto nella serie cronologica dei terreni. (?) Aicuni nuovi Brach. ecc. p. 10. sl trovano Fig. 1 a-d Co EE , 2a-e eoIano »s 4a-d 3 Deo aaa s 6a-d Lanier DO RIT mia=d L ATA O SN SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE (Tutti gli esemplari, quando non sia preventivamente detto, nel R, Museo geologi ‘o di Pisa e sono figurati in grandezza naturale) avaerarara aaa aaa Tav. IX. . Spiriferina rostrata Schl. sp. p. 75. Monte Soratte ( Roma ). L’esemplare originale nelle collezioni del R. Comitato geologico in Roma. i Ingrandimento di una porzione di guscio dell’ esemplare precedente. . Spiriferina rostrata Scbl. sp. var. striata m. p. 77. Precicchie nel Suavicino L' esempl. orig. nella collezione privata del conte Toni in Spoleto. . Spiriferina alpina Opp. p. 78. Monte Soratte (Roma). L° e- sempl. orig. nelle collezioni del R. Com. geol. in Roma. . Spiriferina undata n. f. p. 80. Ibid. L’esempl. orig. nelle collezioni del R. Com. geol. in Roma. . Spiriferina Moriconii n. f. p. 79. Monti della Rocchetta (Suavicino). Leptaena fornicata n. f. p. 72. Ibid. La stessa, ingrandita. Disegno schematico della. regione cardinale della forma precedente. Ingrandimento di una porzione di guscio dell’ esemplare precedente. Leptaena (?) apenninica n. f. p. 73. Ibid. La stessa ingrandita CONTRIBUZIONE Ill ALLA. CONOSCENZA DEI BRACHIOPODI EC. 109 Tav. X. Fig. 1 a-d. Terebratula hypoptycha n. f. p. 84. Precicchie nel - Suavicino. L’ esemplare originale nella collezione privata del conte Toni in Spoleto. » 2a-d. Terebratula sp. ind. cfr. T. sphenoidalis Mgh. p. 86. Monti della Rocchetta (Suavicino). » 3a-d. Waldheimia (?) amygdaloides Mgh. var. revoluta m. p. 90. Domo nel Suavicino. L° esempl. orig. nella collez. priv. del conte Toni in Spoleto. » 4a-d. Terebratula (Pygope) rheumatica n. f. p. 83. Monti della Roc- chetta (Suavicino) . RI) Veduta schematica del sistema venoso della forma prece- dente. Subasio (Assisi). L’ esempl. orig. nelle collezioni del R. Comitato geologico in Roma. » 6a-d. Esemplare adulto della forma precedente. Monti della Roc- chetta (Suavicino) . » 7a-d. Terebratula (Pyg.) rheumatica var. depressa m. p. 83. Campi dell'Acqua nel Suavicino. n de. Ingrandimento di una porzione di guscio dell’ esemplare precedente. » Sa-d. Waldheimia (?) sentinensis n. f. p. 89. Monti della Rocchetta (Suavicino). » 9a-d. Waldheimia mutabilis Opp. p. 92. Ibid. » 10a-b. Waldheimia mutabilis Opp. Monte Soratte (Roma). Esemplare col setto mediano e i setti rostrali, conservato nelle col- lezioni del R. Comit. geol. in Roma. DEBLOIA: Ingrandimento di una porzione di guscio dell’ esemplare i precedente. IR Waldheimia civica n. f. p. 88. Monticelli (Roma). 12. Waldheimia consobrina n. f. p. 91. Monti della Rocchetta (Suavicino). 12 a-d. La stessa, ingrandita. » 110 M. CANAVARI Tav. XI. Fig. la-d. Rhynchonella cuneiformis n. f. p. 103. Monti della Rocchetta (Suavicino). 2 a-c. Rhynchonella sp. ind. p. 101. Suavicino. L’esemplare originale nella collezione privata del conte Toni in Spoleto. » 9a-d. Rhynchonella sp. ind. p. 102. Suavicino. L' esempl. orig. nella collez. priv. del conte Toni in Spoleto. n 4a-d. Rhynchonella sp. ind. cfr. Rh. Fraasi Opp. p. 100. Suavicino. s 5a-d. Rhynchonella pectiniformis n. f. p. 97. Monte Soratte (Roma). L’ esempl. orig. nelle collezioni del R. Comitato geologico in Roma. s 6a-b. Rhynchonella Rusconii n. f. p. 98. Monticelli (Roma). ERI Rhynchonella triptera n. f. p. 96. Monti della Rocchetta (Suavicino). a Ta-d. La stessa, ingrandita. ERRATA CORRIGE Pag. 82 linea 25 ipoptycha hypoptycha >» 83 » 831 (fig. 4) (fig. 6) DOTT. VITTORIO SIMONELLI FAUNULA DEL CALCARE CEROIDE CAMPIGLIA MARITTIMA (LIAS INFERIORE) La fauna del calcare ceroide di Campiglia Marittima era fin qui conosciuta soltanto per i brevi elenchi di fossili pubblicati da G. vom Rath e dal De Stefani, in seguito a comunicazioni del Prof. Meneghini. E la determinazione cronologica di quel terreno si fondava quasi esclusivamente sulla presenza dell’Avi- cula Ianus e della Chemnitzia pseudotumida. Le belle collezioni del Museo di Firenze comprendono un nu- mero ragguardevole di fossili del Campigliese, messi insieme da un raccoglitore celebre; da Tito Nardi. Fra questi fossili abbon- dano quelli provenienti dal calcare ceroide, che io ho avuto agio di studiare in grazia della cortese ospitalità dei Professori Stop- pani e D’ Ancona, e che vengono oggi ad arricchire sensibilmente una fauna di cui era lamentata la ristrettezza. Come ho già annunziato in una comunicazione preventiva alla Società Toscana di Scienze Naturali ('), i fossili da me esa- minati appartengono alle tre classi dei Gasteropodi, dei Lamel- libranchi e degli Echinidi. I Cefalopodi sembrano mancare addi- rittura, come nelle analoghe formazioni dell'Appennino centrale, (‘) V. Simonelli — Fossil: del Lias inferiore di Campiglia Marittima, Proc. verb. della Soc. Tosc. di Sc. Nat. resid. in. Pisa. — Adunanza del 2 luglio 1882. 1019) V. SIMONELLI del Palermitano, e del bacino inferiore della Nera e del Velino, mentre invece abbondano straordinariamente nei calcari giallicci a struttura spatica. Fra le specie che sono riuscito a determinare, alcune sono già state indicate nel Lias inferiore del M. Pisano, dell’Appen- nino centrale e della Sicilia, alcune non sono ancora conosciute nel Lias inferiore italiano, ed altre sono nuove. Il loro insieme ci permette di ritenere che il calcare ceroide di Campiglia ap- partenga al Lias inferiore, e debba esser compreso nella zona ad Angulati; cioè nel piano A del De Stefani, nel facies a Chemmitzia pseudotumida. CONE 10) Si (0 ELI Gasteropodi Gen. Pleurotomaria Defrance. Pleurotomaria margaritifera nov. sp. TavieXDS i ea AN EO10NSpitale RC RO: Lunghezza della conchiglia . . . 23.mm Larghezza Mot i O I Conchiglia conica, trocoide, più lunga che larga, ombilicata. Spira crescente sotto un angolo regolare di 55.°, composta di giri quasi piani. L’ ultimo anfratto presenta anteriormente uno spi- golo alquanto ottuso, che limita la base leggermente convessa. La fascia del seno è sporgente, situata quasi nel mezzo degli anfratti, più vicina al margine anteriore che al posteriore. Bocca... Gli ornamenti consistono in sottili linee trasversali, ed in file o cingoli di tubercoletti, ugualmente trasversali. Ogni giro porta due di queste file, una anteriormente, un’ altra posteriormente. Nella fila anteriore i tubercoli sono alquanto più grandi e meno numerosi che nella posteriore. Per la forma, per l'angolo spirale e per la posizione della fascia del seno, questa specie rammenta la Pleurotomaria decipiens Deslong., (Mèm. d. 1. Soc. Linn. de Normandie, 8. p. 122. pl. X, fig. 8.), che ha però un cingolo solo di tubercoli per ogni giro. FÀUNULA DEL CALCARE CEROIDE 113 La P. bitorquata Deslong. (Op. cit., p. 119, pl. XI, fig. 4.), ha i tubercoli anteriormente e posteriormente come la nostra specie, ma ne differisce per l’ angolo spirale, che è concavo. La P. Het- tangiensis Tqm., con la quale la specie di Campiglia ha pure qualche lontana analogia, se ne distingue per le dimensioni assai maggiori, per l’ angolo spirale meno acuto, per i giri arroton- dati e depressi alla sutura. Pleurotomaria? sp. Riferisco dubitativamente al genere Pleurotomaria una cattiva impronta di conchiglia trocoide, più alta (18."") che larga (13.""), formata di anfratti alquanto convessi, succedentisi a gradino, ornata di coste trasversali equidistanti, che nell’ ultimo giro sono in numero di tre. Sembra che l’ ultimo giro, oltre all’ angolo posteriore, presentasse anteriormente uno spigolo piuttosto acuto, e che la base fosse leggermente convessa. Gen. Cirrhus Sovverby. Cirrhus nasonicus nov. sp. Tav. XIX, fig. 2, 2a. Conchiglia trocoide, sinistrorsa, generalmente più larga che lunga, crescente sotto un angolo spirale assai concavo. I primi giri non sono punto convessi, sono molto obliqui e si succedono a gradino formando un angolo regolare; il penultimo ed il ter- zultimo giro si mostrano alquanto convessi; l’ ultimo giro poi è rotondato all’ esterno, e sporge grandemente sul cono della spira. La base presenta una larghissima apertura ombellicale. ‘La superficie della conchiglia è ornata di grosse coste lon- gitudinali, in numero di circa 20 per ogni giro, separate da in- tervalli assai grandi. Nell’ ultimo anfratto queste coste si limi- tano alla metà posteriore, sicchè la base, fatta astrazione da una serie di grossi tubercoli rotondi che circondano l’ ombilico, è affatto liscia. Oltre alle coste si notano nella superficie degli anfratti alcune linee longitudinali rilevate, ed un cingoletto pa- rallelo e contiguo alla sutura posteriore. Il maggiore e più completo esemplare ha 22"" di lunghezza, Se. Nat. Vol. VI, fase. 2.0 8 114 V. SIMONELLI a cui sarebbero da aggiungere circa 6"" per i giri mancanti. EllEpenultimo | giro fha 18% di diametro e 1’ ultimo giro 275, 13 dei quali spettano all’ ombilico. Questa bellissima conchiglia ha molta somiglianza col Cirrhus nodosus Sovv. (Min. Conch., II, p. 94, tab. 91, fig. 2), da cui però si distingue facilmente per l’obliterarsi delle coste longitudinali nella porzione anteriore dell’ ultimo giro, e per avere i primi anfratti piani enon convessi. Gen. lrochus Linneo. Trochus sp. ind. Esemplare in cattivo stato che non consente la determina- zione specifica. La forma della conchiglia è trocoide, depressa; i giri crescono rapidamente; l’ultimo giro è arrotondato nel contorno, pianeggiante nella base; la bocca è rotonda; il lato columellare sembra che termini in un tubercoletto. Luughezza 6". Larghezza mm. 7'/,. Gen. Neritopsis Grateloup. Neritopsis Passerinii Mgh. Ma VPI RN 1876. Neritopsis Passerinii, De Stefani. Geologia del Monte Pisano. (Mem. del R. Comit. geol. italiano, Vol. III. part. I.) pag. 7. Conchiglia neritiforme, ovale e allungata trasversalmente, con la lunghezza di 17"" e la larghezza di 25®" negli esemplari più completi, ma che può raggiungere dimensioni superiori a queste di un terzo, a giudicarne da alcuni frammenti. Spira breve, composta di tre anfratti convessi, a rapidissimo accre- scimento. — Bocca rotonda. La superficie è ornata di coste variciformi trasversali agli anfratti, grosse e distanti, e di sottili cordoncini longitudinali che ingrossano alquanto passando sopra le coste. In certi fram- menti più risparmiati dalla corrosione questi cordoncini sono situati alla distanza di 2-5" l'uno dall’ altro, e nello spazio interposto corrono delle linee strettissime, appena rilevate. radica: 7° e IR I TT *"" >. A A />»>p>6:>' ‘e ° FAUNULA DEL CALCARE CEROIDE 115 Questa specie, che sembra piuttosto comune nel calcare ce- roide di Campiglia, si mostra affine, secondo il De Stefani, alla Neritopsis compressa Klipst. ed alla N. paucivaricosa Ditm., ri- manendone distinta per la forma e per il numero delle coste e dei cordoncini. Fra le specie di periodi meno antichi rammenta alquanto la N. Hebertana d' Orb., del Lias medio. Gen. Biscohelix Dunker. Discohelix thyrrena nov. sp. Tav. XIX, fig. 4, 4a. Lunghezza della conchiglia. . . , . 12,0m Larghezza » » si ooo 0 CSA Grande conchiglia discoidale, depressa, largamente e profon- damente ombilicata di sopra, piana di sotto. Spira sinistrorsa, composta di sei anfratti quadrati, che si dilatano regolarmente. Il dorso degli anfratti è liscio; i loro due spigoli esterni, superiore ed inferiore, sono ornati di grossi tubercoli lontani .l’ uno dal- l’altro, allungati nel senso della spira nei primi giri, e rotondi negli ultimi. Questa Discohelix ha grande affinità con la D. tubercolosa (d'Orb.) (Pal. Frang., Terr. Jur., Vol. II, pag. 312, pl. CCCXXII, fig. 11-16), e con la D. sinistra (d’ Orb.) (Op. cit., pag. 310, pl. CCCXXII, fig. 1-7). Si distingue da entrambe per l’allunga- mento dei tubercoli nel senso della spira, e, più particolarmente, dalla D. tubercolosa, per la spira non convessa, dalla D. sinistra, per il dorso degli anfratti piano e non convesso. Gen. Euomphalus Sovverby. Euomphalus Anconai nov sp. Tav. XIX, fig. 5, 5a. Lunghezza della conchiglia. . . . . 13M TAFSHEeZzare Me E Conchiglia sub-lenticolare, con la spira brevissima, appena convessa, formata da quattro giri triangolari, contigui, carenati, posteriormente scavati e lisci, anteriormente convessi e striati trasversalmente. L'ultimo anfratto è di rapidissimo accrescimento; 116 7. SIMONELLI raggiunge 21."" di diametro, mentre il secondo non ne ha che 13. Non ho potuto esaminare l’ ombilico, che rimane coperto dalla roccia nell’ unico individuo esistente nelle collezioni di Firenze. Questa specie ha una certa somiglianza con 1° Evomphalus Bronni Goldf. (Petref. Germ., pag. 81, tab. 189, fig. 4, a, b.); se ne distingue però abbastanza facilmente per la mancanza di cingoli nella parte posteriore degli anfratti. Gen. Palaeoeniso Gemmellaro. Palaeoniso Appenninica Gemm. Tav. XDX, fig. 6. 1878. Palaeoniso Appenninica, Gemmellaro. Sopra alc. faune giur. e hassiche. Pag. 241, Tav. XXII, fig. 42, 43, 45 e 46. 1883. > 7 Parona. Contributo allo studio della fauna lassica dell’App. Centrale. Pag. 85. Rimangono due soli frammenti, dai quali può rilevarsi la forma pupoide della conchiglia, la notevole larghezza del suo ombilico, la ventricosità dell’ultimo giro, proprie di questa specie. Degli anfratti che si sono conservati, ì primi sono piani, gli ultimi leggermente convessi. La superficie è segnata da rare e sottili strie trasversali agli anfratti. La larghezza dell’ ultimo giro è di 11."", l'altezza del pe- nultimo di 4.°", come nell’ esemplare tipo della montagna di Bellampo. — L'angolo spirale posteriore è di 47.° Palaeoniso nana Gemm. Tav. XIX, fig. 7. 1878. Palaeoniso nana, Gemmellaro. Sopra alc. faune giur. etc. Pag. 242, tav. XXII, fig. 44 e tav. XXV, fig. 1 e 2. 1883. > » Parona. Faun. liass. App. Centr. Pag. 85. L'unico esemplare corrisponde perfettamente alla descrizione che fa di questa specie il Gemmellaro: Conchiglia conica, corta, con spira acuta e crescente sotto un angolo concavo. I suoi giri (10) sono corti e leggermente convessi, le suture impresse te te "LTT TEO FAUNULA DEL CALCARE CEROIDE 117 e profonde. Essa ha l’ ultimo giro rigonfiato, alquanto angoloso in fuori, convesso in avanti, e alto un poco meno della metà della lunghezza della conchiglia. L'ombilico è larghissimo, e circoscritto da un margine acuto. Ha 1’ apertura larga, ellittica e angolosa in avanti e in dietro, ed il lato columellare semplice. La superficie esterna è liscia e pulita. L'individuo di Campiglia ha una forma intermedia a quella dei due individui figurati ai n.i 1 e 2 nella tav. XXV dell’opera di Gemmellaro. Le sue dimensioni sono le seguenti: Lunghezza 11."%; altezza dell’u. g.:5."; alt. del pen. g: 1." 1/.. Palaeoniso pupoides Gemm. . Tav. XIX, fig. 8. 1878. Palaeoniso pupoides, Gemmellaro. Sopra alc. faune Giur., pag. 240, tav. XXII, fig. 40 e 41. 1882. ” ” Canavari. Beitr. zur Fauna des unt. Lias von Spezia. pag. 132. 1883. 3 È Parona. Faun. liass. App. Centr. Pag. 84. Lunghezza approssimativa della conchiglia . 43.mm Larghezza dell’ ultimo giro. . +... . 18.mm Altezza del penultimo giro. . . . . . . bm Conchiglia ovale, allungata, pupoide, composta di dieci o umdici giri leggermente convessi, piuttosto brevi. Ombilico lar- gamente aperto, prolungato per tutta la lunghezza della con- chiglia. Apice piegato lateralmente. Superficie liscia. Se si eccettuano le dimensioni, che qui sono maggiori di quasi il doppio, non troviamo nessuna differenza rilevante fra il nostro esemplare e quelli della provincia di Palermo. Palaeoniso Canavarii nov. sp. Tav. XIX, fig. 9. Lunghezza della conchiglia . . . . . . 45.,mm Alza colalzmo, o doo e o e Ste Larghezza » » plisco Ero Altezza del penultimo giro. QU Questa conchiglia, la cui determinazione generica mi fu sug- gerita dall’ amico Dott. Canavari, è di forma ovale-allungata, 118 V. SIMONELLI fortemente pupoide. La sua spira è composta di circa nove an- fratti quasi piani, relativamente alti, separati da suture ben distinte. L’ ultimo giro è acuminato anteriormente. L'apertura è molto stretta, allungata, angolosa in avanti e in dietro. La superficie è munita di strie d' accrescimento trasversali agli anfratti. Questa specie si distingue dalla precedente e da tutte le altre del g. Palaeoniso per il suo insieme quasi cilindroide, e per la forma dell’ ultimo giro. Palaeoniso Nereis , nov. sp. Tav. XIX, fig. 10, 10a. Lunghezza . . . AIA cn patio co CZ Altezza dell’ ultimo Sh) doo d'oro: o Legno Larghezza . . . RT TE Altezza del gni o Tanto ono o E Conchiglia ovale-allungata, pupoidea, con la spira formata da 10-11 giri corti, quasi piani, lisci. L'ultimo giro è ventri- coso, declive anteriormente. L’ ombilico è angusto, ma prolun- gato per tutta la lunghezza della conchiglia. L° apice è alquanto piegato lateralmente, le suture sono impresse e profonde. La bocca è rotonda posteriormente, acuminata anteriormente. Questa specie è piuttosto affine alla Palaeoniso pupoides Gemm. Se ne distingue per le maggiori dimensioni, per la ventricosità dell’ ultimo giro, per la mancanza del solco spirale circoscrivente l’ombilico, e per la forma dell’ apertura. Gen. Chemnitzia d’ Orb. Chemnitzia pseudotumida De Stef. 1876. Chemnitzia pseudotumida, De Stefani. Geologia del Monte Pi- sano. Pag. 76. 1880. È 5 Canavari. Sui fossili del Lias infe- riore dell'Appennino centrale. (Atti della Soc. Tosc. di Sc. Nat., vol. IV, fasc. 2.°) pag. 146, tav. NRE pela Varii esemplari, isolati con la semicalcinazione, si possono riferire con certezza a questa specie. L’ angolo spirale varia da i 1 | ) FAUNULA DEL CALCARE CEROIDE 119 37° a 41°. Lo stato della superficie non permette di scorgere alcuna traccia di ornamentazione. Gli individui più completi presentano le seguenti dimensioni : i 1 II INIL IV V Lunghezza. . . .. mm. 42 37 47 41 42 Diametro dell’ ult. giro » 20 18 24 21 18 Altezza » » » 19 16 21 dii 17 Altezza del penult. giro >» 9 6 8 UY 8 Chemnitzia subulata nov. sp. Na veXSIRAG,I cla: Lunghezza desunta dall'angolo spirale. . . 40.m Altezzatde ultimo etto RR 8-9 Larghezza » Bi lo ela 6 Lo 0 e TERI Altezzafdelipenultimno > RR ni Conchiglia allungatissima, con la spira crescente sotto un angolo regolare di 13.°, composta di giri appena convessi, molto obliqui, piuttosto alti, a superficie liscia. La bocca è arroton- data in avanti, acuminata posteriormente. Questa specie ha qualche analogia con la Chemnitzia Aspasia d’ Orb. (Pal. Fr. Terr. Jur., t. 2°, pag. 49, pl. CCXLII, fig. 4), dalla quale si distingue per le dimensioni assai minori, e per l'angolo spirale più acuto. Differisce dalla Chemnitzia Repeli- niana d’ Orb. (Op. cit. pl. COXXXVIII, fig. 2.) per la forma del- l’ultimo giro e per l'angolo spirale più aperto. Dalla C. mul- tistriata Gemm. (Sopra alc. faune giur., p. 461, tav. XXIV, fig. 5,6), con cui avrebbe a comune la poca convessità dei giri, la forma della bocca e l’ acutezza della spira, si distingue per la super- ficie affatto liscia e per l' ultimo giro più dolcemente assotti- gliato in avanti. Chemnitzia lomentum nov. sp. Tav. XIX, fig. 12. Lunghezza desunta dall’angolo spirale . . 23.mm Nizza dillo io o oo eee ee Larghezza » Dt io evita O Altezza del penultimo giro . . .... 3.mm Conchiglia conica, molto allungata, con la spira crescente sotto un angolo regolare di circa 16°. Non rimangono che sei 120 V. SIMONELLI giri leggermente convessi, separati da suture distintissime. L’ul- timo giro presenta anteriormente le traccie di una carena ot- Tusa BOCCA Superficie ornata di sottilissime strie d’ accre- scimento, trasversali agli anfratti. Vicina per l'insieme alla Chemmnitzia eulimoides Gemm. (Op. cit. pag. 272, tav. XXII, fig. 20-21.), se ne distingue per la convessità dei giri, per la loro minore obliquità, per 1’ angolo spirale più aperto, e per la presenza di una carena nell’ ultimo anfratto. Chemnitzia campiliensis nov. sp. Tav. XIX, fig. 13, 14. Conchiglia allungata, turrita, con la spira crescente sotto un angolo regolare di 19°. L’ esemplare meglio conservato (fis. 14) non ci mostra che cinque giri, alquanto convessi, se- parati da suture lineari, ondulate, il maggiore dei quali è alto 1°" e largo 10°". La superficie degli anfratti è ornata di pieghe trasversali strette e diritte. Ci sembra che a questa medesima specie possa essere rife- rito anche l’ esemplare rappresentato nella fig. 13, ove è con- servato anche l'ultimo giro, convesso, alto 17. e largo 17." In questo individuo l’ altezza del penultimo giro è di 9."" La superficie dell’ultimo anfratto appare liscia per la quasi completa obliterazione delle coste trasversali, di cui non rimangono che oscure tracce. La maggior convessità dei giri fa distinguere questa specie dalla Chemnitzia undulata d’Orb. (Pal. Fr., Terr. lur., T. II, pag. 36, pl. COXXXVII, fig. 16, 17) di Fontaine-Etoupe-Four, e dalla C. Veturia Gemm. (Faun. giur., pag. 256, tav. XXI, fig. 6) di Pa- lermo, a cui si avvicinerebbe alquanto per gli ornamenti. Non possiamo confonderla con la C. polyplecta Gemm. (Op. cit. pag. 254, tav. XXI, fig. 7,8) che ha i giri più convessi e l’ angolo spirale più aperto, e nemmeno con la C. Ethra Gemm. (Op. cit. pag. 256, tav. XXI, fig. 11, 12) che ha le pieghe depresse verso il terzo posteriore e rialzate lungo il margine suturale. Dalla C. apen- ninica Gemm. (Op. cit. pag. 255, tav. XXI, fig. 10, e tav. XXIV,. fig. 1, 2) si distingue per le pieghe, che, invece di arrestarsi bru- scamente un po’ in avanti del margine posteriore dei giri, vanno | i PE TOT n, FAUNULA DEL CALCARE CEROIDE 121 lentamente degradando fino alla sutura. È pure per la forma delle pieghe che si distingue dalla C. Moorei Gemm. (Op. cit. pag. 253; tav. XXI, fig. 4, 5), nella quale sono più larghe e nodose. Chenmitzia Nardii Mgh. 1876. Chemnitzia Nardi, De Stefani. Geol. del M. Pis., pag. 81. (Campiglia). Questo nome, scritto di pugno del Prof. Meneghini, accom- pagnava una sezione di conchiglia conica, turrita, lunga 29.®®, larga 10."", composta di otto anfratti convessi, formanti un angolo spirale di 27.° Chemnitzia calvensis nov. sp. Tav. XIX, fig. 15. 16. Altezza desunta dall’ angolo spirale . . . 70.,mm Altezza dell'ultimo giro... 0... 24. Larghezza » Pu dia di ao 6 01 A Altezza del penultimo»... +... .0. 1Lmm Conchiglia conica, turricolata, allungata. Spira crescente sotto un angolo regolare di circa 25°, composta di giri alti, molto convessi anteriormente, profondamente scavati nel quarto posteriore, e alquanto rialzati presso la sutura. Apertura ovale, leggermente angolosa in avanti, ristretta in dietro. La superficie mostra qualche traccia di grosse pieghe vari- ciformi trasversali, nei giri che precedono l’ ultimo; di più è segnata da numerose e ben distinte linee d’ accrescimento tra- sversali agli anfratti, molto sinuose, intersecate da leggiere linee longitudinali. i Questa specie rammenta nella forma dei giri la Chemnitzia Tatia Gemm. (Op. cit., pag. 252, tav. XXI, fig. 1, 2,8), dalla quale sì distingue per la quasi assoluta obliterazione delle pieghe negli ultimi anfratti, i 122 V. SIMONELLI Gen. Cerithium Adanson. Cerithium sp. ind. Tav. XIX, fig. 17. Frammenti di conchiglia conica, allungatissima, con la spira crescente sotto un angolo regolare di 13.°, composta di giri quasi piani, piuttosto brevi, ornati da sottili linee longitudinali e da due cingoli moniliformi composti di tubercoletti rotondati. Uno di questi cingoli è situato posteriormente, in contiguità della sutura; l’altro, di tubercoletti più piccoli, è collocato quasi nel centro degli anfratti 1 unico esemplare ha una larghezza massima di 10.2%, ed accenna alla lunghezza di circa 50,9% Cerithium De-Stefanii nov. sp. Tav. XIX, fig. 18. Conchiglia allungata, acuta, con la spira crescente sotto un angolo regolare di circa 25.° Non rimangono che otto giri, della complessiva lunghezza di 10."”, e della massima larghezza di 4." Questi giri sono piani, pentagonali, ornati in ciascun angolo di una costa ottusa, assai sporgente. Negli intervalli fra le coste si notano dei sottili cordoncini trasversali, equidistanti, in nu- mero di quattro per ogni giro. Due di questi cordoncini sono mediani, e gli altri due sono aderenti alle suture. Vengono in- tersecati da finissime strie longitudinali, alquanto oblique. Questa specie si riconosce dal Cerizio pentagonale liassico descritto dal Gemmellaro col nome di C. pentaplocum (Op. cit., pag. 296, tav. XXV, fig. 27 e 28), per il numero maggiore dei giri, per la spira più acuta, per la forma e la distribuzione degli ornamenti. Ha qualche lontanissima analogia con il C. Bathonicum Lyc., (Supplement. to. gr. colite moll., pag. 6, tav. XLIV, fig. 19) che però è più piccolo, ha la spira più ottusa ed i cingoli più numerosi. Somiglia pure nella forma al C. pentagonum Arch. (Mèm. Soc. Geol. Fr., t. 5, pag. 884, tav. XXXI, fig. 6), che in- vece dei quattro cingoli ha numerose strie impresse, trasverse, Petrini 1 FAUNULA DEL CALCARE CEROIDE 123. Lamellibranchi Gen. ILima Bruguiére. Lima punctata (Sovv.) 1815. Plagiostoma puncetata, Sovverby. Min. Conch., Vol. II, pl. 113. fig. 12. 1836. 7 È Goldfuss. Petref. Germ., PI. 101, fig. 2. 1850. 5 5 d’Orbigny. Prodr., I, pag. 30. 1855. " 5 Terquem. Pal. de VÈi. inf. de la form. liasique de la prov. de Luxembourg et de Hettange. (Mèm. de la Soc. Géol. de France, IL.° ser., t. 5.° p. II). Pag. 317. 1865. 5 ; Stoppani. Géol. et Pal. des couches è Avicula contorta en Lombardie. P. 73, pl. XIII, fig. 1-6. 1866. 5 3 Capellini. Fossili infraliassici della Spe- iaia tav VIRA 0. Linee o dillo eta did duna o UO LERSINOZZA: ot ia le a vo one alto NI Conchiglia convessa, quasi semicircolare, troncata anterior- mente, ornata su tutta la superficie di costicine raggianti fitte, irregolari, flessuose, separate da intervalli lineari, e di finissime strie d’ accrescimento concentriche, che danno agli intervalli l’ap- parenza di una fina punteggiatura. Lima? sp. nov.? Tav. XIX, fig. 19. LORI NEZZA) cis io 6 orig 0 O ILengincrza: \Otta olbia e Conchiglia ovale-oblunga, transversa, convessa, ornata di numerose coste raggianti, leggermente flessuose e granulate, strette e fitte, che quasi svaniscono nella regione umbonale, e che sono tagliate da linee d’ accrescimento concentriche, Lato 124 V. SIMONELLI boccale troncato, leggermente convesso; lato anale sviluppatis- simo, arrotondato. La sola specie del g. Lima che si avvicina alquanto alla nostra è la L. ovata Roem. (Kreideg., pag. 57. n.° 18), che però ha le coste raggianti assai meno fitte. Gen. Pecten Klein Pecten disparilis Quenst. tao 2006 i 20, 1858. Pecten disparilis, Quensted. Der Jura. Pag. 47, tab. 3, fig. 8, n.9. Una sola valva larga 13.”%, lunga 12."® L'’ orecchietta vi- sibile ha la lunghezza di mm. 1'/,. : Pecten sp. ind. Tav. XIX, fig.21. Un frammento di valva a superficie pochissimo convessa, or- nata di coste irradianti dall’ apice, alternanti di rilievo, alte, rotondate, leggermente nodose verso l'apice, separate da inter- valli molto stretti. Pecten sp. ind. Una sola valva a contorno incompleto, regolarmente convessa, ornata. nella superficie da 10 coste raggianti, separate da larghi intervalli, rotondate, leggermente squamose, che, sottilissime nella regione umbonale, ingrossano gradatamente andando verso la pe- riferia. — Larghezza: 10." Gen. Avieula Klein. Avicula Deshayesei Tqm. Tavo SID, ui DI: 1854. Avicula Deshayesei, Terquem. Pal. de V Èt. inf. de la form. Lias. de la prov. d. Lurembourg. (Mém. SE FAUNULA DEL CALCARE CEROIDE 125 d. 1. Soc. géol. d. Fr., s. II, t. V.) pag. albapl Societe ni 1866. Avicula Deshayesei, Capellini. Fossili anfraliassici della Spezia. i Pag. 65, Tav. Vi fig. 1-6. 1878. n 5 Wright. Monograph on the Lias Ammo- nites of the British Islands. (Paleont. Soc., vol. XXXII). pag. 20. Riferisco a questa specie una valva sinistra, di forma ovale- allungata, leggermente tumida, con l'ala anteriore piccolissima e la posteriore calcarata e fornita di un solco parallelo al suo margine esterno. Il guscio, di cui non restano che esigui fram- menti, è ornato di pieghe concentriche fitte e sottili. Dimensioni: Lunghezza 25."" Larghezza 33." Gen. Èbiotis nob. Posidonomya (pars). Meneghini, 1853. Avicula (pars). De Stefani, 1876. Conchiglia suborbicolare, equilaterale o leggermente obliqua, depressa nella regione palleale, alquanto convessa nella cardi- nale. Umboni poco sporgenti. Orecchiette uguali, larghe, depresse, affatto lisce, senza intaglio per il bisso, col margine cardinale alquanto obliquo. Cerniera sprovvista di denti. Superficie talora quasi liscia, talora ornata di coste raggianti e di pieghe con- centriche, oppure di sole coste o di sole pieghe. Rapporti e differenze. — La presenza di orecchiette e lo sviluppo, spesso ragguardevole, delle coste raggianti, distinguono il genere Diotis dal genere Posilonomya. — L’ equilateralità della conchiglia, la larghezza e la depressione di ambe le orec- chiette, la loro uguaglianza, la mancanza d’ intaglio per il bisso e di denti alla cerniera, lo allontanano dal g. Avicula. — Per l'insieme, e per i caratteri offerti dalla superficie, ha qualche analogia con il genere triassico Daonella Mojsisovics, che costi- tuisce pure da solo intieri strati; ma ne diversifica per le larghe e depresse orecchiette. 126 V. SIMONELLI HDiotis Eanus (Moh.) 1853. Posidonomia Janus, Meneghini. Nuovi fossili toscani. ( Annali delle Univ. Tosc., T. III) pag. 27. 1869. 3 s Zittel. Geol. Beob. aus den Central-Ap., pag. 119. 1876. Avicula Janus, De Stefani. Geologia del M. Pisano. (Mem. del R. Comit. geol. d'Italia. Vol. III, p. I.) pag. 81. 1880. È » Canavari. Sui fossili del Lias inf. dell’Ap. centr., Atti d. Soc. Tosc. d. sc. nat., Vol. IV.) pag. 154, tav. XI, fig. 5-8. 1883. DA » Parona. Faun. liass. App. Centr. Pag. 92. I gusci di questa specie costituiscono quasi per intiero uno strato di calcare lumachella. Nei campioni del Museo di Firenze gli individui meglio conservati o sono lisci affatto, o mostrano le pieghe concentriche, o le coste raggianti: sono rari gl’ indi- vidui in cui si associano pieghe e coste. Le valve hanno in ge- nerale la larghezza di 5-8.®%; ma alcuni frammenti accennano alla larghezza di quasi 20." — Il numero delle pieghe, che sono sempre raffittite nella regione umbonale, varia da 12 a 15. — In alcuni esemplari si osserva distintissima l’ alternanza di costi- cine di minore e maggior rilievo. (Gen. Cucullaea Lamarck. Cucullaea sp. ind. Frammento di valva .romboidale allungata, inequilaterale, liscia. Umbone antimediano, lato posteriore carenato, margine inferiore sinuoso. Gen. Cardium Linneo. Cardium sp. ind. Tav. XIX, fig. 23. Una sola valva, che è regolarmente convessa, equilaterale, or- nata di coste fitte, sottili, diritte, separate da intervalli lineari. Dimensioni: Lunghezza 12."", larghezza 10," FAUNULA DEL CALCARE CEROIDE 127 ECHINODERMI Echinidi La determinazione, anche approssimativa, dei pochi nuclei che rappresentano la classe degli Echinidi tra i fossili di Cam- piglia, è addirittura impossibile. Non ci si può fare un’ idea della forma primitiva dell’ animale, perchè i nuclei sono tutti compressi e deformati: del periprocto e del peristoma non si ha il minimo accenno; soltanto in alcuni si può vedere qualche oscura traccia di ambulacri semplici. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA DESS SI CITA PU 5 09 0999 2 Si 10. 10 a. 11. IU 12. 13, 14. Pleurotomaria margaritifera nov. sp. Id. Dettaglio di un anfratto. Cirrhus ausonicus nov. sp. Id. Neritopsis Passerinii Mgh. Id. Discohelix thyrrena nov. sp. Id. Euomphalus Anconai nov. sp. | Id. Palaeoniso appenninica Gemm. Palaeoniso nana Gemm. Palaeoniso pupoides Gemm. Palaeoniso Canavarii nov. sp. Palaeoniso Nereis nov. sp. Id (Sezione) Chemnitzia subulata nov. sp. Id. Chemnitzia lomentum nov. sp. Chemnitzia campiliensis. nov. sp. 15, 16. Chemnitzia calvensis nov. sp. 17. 18. 19% 20. I 22. 23. Cerithium sp. ind. Cerithium De Stefanii nov. sp. Lima sp ind. Pecten disparilis Quenst. Pecten sp. ind. Avicula Deshayesei Tqm. Cardium sp. ind. A. MORI CONTRIBUZIONE ALLA FLORA LICHENOLOGICA DER RILOSC ANTA: Fra i botanici che hanno presa ad illustrare la Flora Toscana varii hanno trattato anche della Flora Licheno logica e basti ricordare il sommo Micheli che primo de- scrisse dei Licheni nella sua opera Nova plantarum gene- ra: Gaetano Savi pure ne descrisse nel Botanicon Etru- scum e Martino Anzi che con le sue collezioni e con i suoi scritti contribuì potentemente a far conoscere i licheni di questa parte d’ Italia. Quello poi che giovandosi dei lavori pubblicati dai ricordati botanici e di varie colle- zioni sì pubbliche che private ha compilato un’esteso ed accurato catalogo dei licheni toscani è il dott. Francesco Baglietto che nel suo «Prospetto Lichenologico della Toscana» pubblicò nel volumo terzo del Nuovo giornale Botanico Italiano un’elenco di 411 specie di licheni rac- colti nella Toscana e nelle isole adiacenti. Essendomi negli ultimi tempi dovuto occupare della sistemazione dei licheni dell’ erbario dell’ Orto botanico di Pisa ho- veduto che con i materiali che si trovano in detto erbario e con i licheni da me raccolti Se. Nat, Vol. VI, fasc. 2.° ; 8 150 A. MORI in varie erborazioni avrei potuto pubblicare una con- tribuzione alla flora lichenologica della Toscana, e tanto più volentieri mi sono risoluto a far ciò in quanto chè ho potuto giovarmi anche di una collezione che il Prof. Giovanni Arcangeli ha avuto la bontà di met- tere a mia disposizione. Fra le specie che figurano in questa mia con- tribuzione poche sono quelle che non figurano nella pubblicazione del Dott. Baglietto; ma dove ho potuto ho creduto utile di aggiungere anche solo delle nuove località per le specie già enumerate in detto lavoro. Ho seguito per la classazione quella proposta dal Koerber ed adottata nella sua Parerga Lichenologica. Per le citazioni mi sono per lo più limitato alle opere di Koerber ed a quella del Prospetto del Dott. Baglietto trovandosi quivi moltissime citazioni bibliografiche. Lichenes Heteromerici Will. Ord I. Thamnoblastîi Kbr. Fam. Cladoniaceae Cladonia Hoffm. 1. Cladonia endiviaefolia (Dicks). Koerber Parerga lichenologica pag. 9. - Baglietto, Prospetto lichenologico della Toscana in nuovo giornale botanico italiano Vol. III, 1871, pag. 249. Hab. — Tenuta Salviati a Migliarino presso Pisa. (Arc.). 2. CI. alcicornis (Lightf). Koerber Selecta Lichenum Germaniae pag. 17. Parerga 9. - Bagl. I. c. 250. Hab. — Monte pisano; sommità del monte della Verruca (Mori). 3. Cl. pyxidata (Linn.). Kbr. S. L. G. 17. Parerga 9. - Bagl. I. e. 250. b. pocillum Nyl. lich. par. N° 19. Hab. — Alla base dei pini nelle pinete prossime al paese della Rotta presso Pontedera (Mori). è. Firenze presso Monteloro (Arc.). 4. Cl. rangiferina (Linn.) Kbr. S. L. G. 36. Parerga 13. - Bagl. l. c. 252. Hab. — Tenuta Salviati a Migliarino presso Pisa (Arc.). 5. CI. furcata (Schreb). Kbr. S. L. G. 84. Parerga 13. - Bagl. BAG Hab. Valle del Sestaione luogo detto #7 Sordeto (Arc.). lSz A. MORI Ramalineae Evernia Ach. 6. Evernia prunastri (Linn). Kbr. S. L. G. 42. Di erga 16.- Bagl. l. ec. 218. Hab. — Sopra le Querci nella Selva: pisana (Mori). Valle del Sestaione (Arc.). 7. E. furfuracea (Linn.). Kbr. S. L. G. 43. Parerga 17 Bagl. l. c. 218. Hab. — AI Monte pisano alle grotte della Mannaia (Arc) Ramalina Arch. 8. Ramalina fraxinea (Linn.). Kbr. S. L. G. 38. Parerga 17. - Bagl. l. c. 216. Hab. — Monte Posì presso Arezzo sulle Querci (Pichi). 9. R. fastigiata (Ach.). Bagl. I c. 217. Hab. — Appennino pistoiese a Boscolungo sui faggi (Arc.) A Monte maggiore presso Ripafratta (Arc.). 10. R. farinacea (Linn.) Kbr. S. L. G. 40. Parerga 17. - Bagl. AZANTE Hab. — Appennino pistoiese presso Boscolungo (Arc.). Al monte pisano, sommità della Verruca (Mori). 11. R. polymorpha var. Calicula. Mass. — R. tinctoria (Web.) Kbr. 8. L. G. 40. Hab. — Firenze presso Monteloro (Arc.) CONTKIBUZIONE ALLA FLORA LICHENOLOGICA DELLA TOSCANA i Cetraria Ach. 12. Cetraria islandica (Linn.). Kbr. S. L. G. 44. Parerga 11. - Bagl. l. c. 214. Hab. — Appennino pistoiese al Lago Nero (Arc.). Ord. II. Lichenes Phylloblasti A Discocarpi Fam. Peltideaceae Nephroma Ach. 13. Nephroma laevigatum B. papyraceum Kbr. S. L. G. 55. Pa- rerga 23. Hab. — Monte senario sulla scorza degli abeti (Arc.). Peltigera Willd. 14. Peltigera aphtosa (Linn.) Xbr. S. L. G. 58. Parerga 23. - Bagl. lc. 216. Hab. — Massi di Carrara presso Berticagnano (Arc.). Appen- nino pistoiese a Boscolungo (Arc.). 15. P. canina(Linn.) Kbr. S. L.G. 58. Parerga 23.- Bagl. I. c. 216. Hab. — Appennino pistoiese a Boscolungo presso 1’ antica Dogana (Arc.). Monte pisano a Santa Maria del Giudice . (Arc.) sommità del monte della Verruca (Mori). 16. P. horizzontalis (Linn.) Kbr. S. L. G. 61. Parerga 25. - Bagl. l. c. 215. Hab. — Appennino pistoiese alla Valle del Sestaione presso il ponte della sega ad acqua (Arc.) 17. P. venosa (Linn.) Kdr. S.L. G. 62. Parerga 25. - Bagl. l. c. 215. Hab. — Appennino pistoiese nella valle del Sestaione (Arc). 134 A. MORI Solorina Ach. 18. Solorina saccata (Linn.) Kbr. Parerga 25. - Bagl. l. c. 216. Hab. — Appennino toscano alla Verna (Arc.). Farmeliaceae Sticta Schreb. 19. Sticta scrobiculata (Scop.) br. Parerga 28. - Bagl. 1. c.226. Hab. — Sterile; al monte maggiore presso Ripafratta (Arc.). 20. S. pulmonacea (Linn.) br. Parerga 28. - Bagl. l. c. 226. Hab. — In frutto al monte pisano (Mori). Nella Selva pisana (Arc.)sterile. Al monte maggiore presso Ripafratta (Arc.). 21. S. amplissima (Scop.) ‘Kbr. S. L. G. 68. Parerga 28. Sticta glomulifera (Light.) Bagl. l. c. 225. Hab. — Nelle vicinanze di Camaldoli (Arc.) Sulla corteccia dei vecchi castagni al Lago presso Vallombrosa (Arc.). Imbricaria Schreb. 22. Imbricaria perlata. Xbr. S. L. G. 69. Parerga 28. - Bagl. bi 5 BA Hab. — Monte pisano; sommità del monte della Verruca (Mori). 23. L tiliacoa. Kbr. S. L. G. 70. Parerga 30. - Bagl. Lc. 223. Hab. — Monte pisano ad Asciano sopra gli olivi (Mori). 24. I. sinuosa. Kbr. S. L. G. 84. Parerga 30. - Bagl. l. c. 223. Hab. — Monte pisano ad Asciano nella Valle delle Fonti (Arc.). CONTRIBUZIONE ALLA FLORA LICHENOLOGICA DELLA TOSCANA 155 25. I. saxatilis (Linn.) Kbr. S. L. G. 72. Parerga 30. - Bagl. LL c. 223. Hab. — Monte pisano, sommità del monte della Verruca (Mori). Firenze presso Monteloro (Arc.) Presso Boscolungo al Mago (Arc.). Valle del Sestaione sugli abeti (Arc.). 26. I. physodes (Linn.) Kbr. S. L. G. 75. Parerga 30. - Bagl. lc. 224. Hab. — Appennino pistoiese a Boscolungo (Arc.). 27. I. olivacea (Linn.) br. S. L. G. 77. Parerga 31. — Par- melia olivacea. Bugl. I. c. 225. Hab. Lungo la Greve a S. Andrea e sui muri di Firenze (Arc.). 28. I. aspera (Mass.) Xbr. S. L. G. 78. Parerga 31. Parmelia exasperata. Bagl. l. c. 225. Hab. — Colline di S. Sepolcro (Cherici). Appennino pistoiese a Serra Bassa presso Boscolungo sulla corteccia degli alberi (Arc.). 29. I. caperata (Dill). br. S. L. G. 81. Parerga 31. Parmelia caperata. Bagl. l. c. 224. Hab. — Pisa a S. Rossore sulla scorza dei pini (Arc.). 30. I. conspersa (Ebrh.) Abr. S. L. G. 81. Parerga 31. — Par- melia conspersa Bagl. l. c. 224. Hab. — Monte pisano ad Asciano (Mori) Monte Argentario alla Madonna del Sasso (Arc.). 51. I. centrifuga (Linn.) br. S. L. G. 82. Parerga 31. Hepp. fl. eur. n° 853. Hab. — Monte pisano alla Verruca (Mori). 136 A. MORI Umbilicarieao Umbilicaria Hoffm. 32. Umbilicaria pustulata (Hoffm.). Kbr. S. L. G. 93. Parerga 39. — Lasallia pustulata LBagl. lc. 256. Hab. — Al masso del diavolo presso Vallombrosa (Arc.). Gyrophora Ach. 33. Gyrophora cylindrica (Linn.) dr. S. L. G. 97. Parerga 40. — Umbilicaria cylindrica. Bagl. l. c. 256. Hab. — Appennino pistoiese al Lago nero (Arc.) al Libro aperto (Arc.). 34. G. vellea (Linn.). Xbdr. S. L. G. 97 scan 40. — Umbilica- ria vellea. Bagl. Lc. 256. Hab. — Monte pisano alle Grotte della Mannaia (Arc.). B. Pyrenocarpi Endocarpeae Endocarpon Hedw. 35. Endocarpon miniatum (Linn.) fr. S. L. G. 100. Parerga 492. Bagl. lc. 280. Hab. — Monte pisano, massi di Verrucano sopra Nicosia presso Calci due) Appennino pistulese al Lago nero (Arc.). Ord. III, Lichenes Kryoblasti A. Disceocarpi Lecanoreae Pannaria Delis 36. Pannaria plumbea (Lightf) dr. S. L. G. 109. Parerga 45. Bagl. l. c. 227. CONTRIBUZIONE ALLA FLORA LICHENOLOGICA DELLA TOSCANA 137 Hab. — A. Vallombrosa sugli abeti (Arc. e Borzì). 37. P. Triptophylla (Ach.). br. S. L. G. 107. Parerga 45. - Bagl2lNcE2<8. Hab. — Al monte argentario (Arc.). 38. P. brunnea (Sw.). Abr. S. L. G. 107. Parerga 46. - Bagl. IRcM228! Hab'— Appennino pistoiese sul terreno umido presso il ponte della sega ad acqua nella valle del Sestaione. (Arc.). Placodium Hill. 39. Placodium circinatum. (Pers.) br. S. L. G. 114. Parerga 53. —— P. radiosum Bagl. l. c. 230. Hab. — Appennino toscano alla Verna (Arc.). 40. P. inflatum (Schl.). br. S. L. G. 117. Parerga 53. Hab. — Appennino pistoiese a Boscolungo (Arc.). Psoroma Ach. 41. Psoroma fulgens (Sw.). Abr. S. L. G. 118. Parerga 55. — Placodium fulgens. Bagl. lc. 231. Hab. — Monte pisano alla Verruca (Arc.). Sulla terra vicino a Corlignano (Arc.). Santa Margherita a Montici (Arc.) 42. Ps. crassum. (Ach.) Abr. S. L. G. 119. Parerga 56. - Bagl. lc a229) Hab. — Monte pisano a S. Giuliano. Mori. 43. Ps. Lagascae. (Fr.) Kbr. S. L. G. 120. Parerga 56. Hab. — Monte pisano (Arc.). Sc. Nat: Voll VI, fase. 1° 9 138 | A. MORI Callopisma De Not. 44. Callopisma cerinum (Hedw) Khr. S. L. G. 127. Parerga 63. - Bagl. I c. 244. Hab. — Appennino toscano alla Verna (Arc). 45. C. citrinum (Ach.) Kbr. S. L. G. 128. Parerga 65. - Bagl. Lc. 242. Hab. — A Settignano presso Firenze (Arc.). 46. C. aurantiacum (Lgthf.) Kbr. S. L. G. 129. Parerga 66. - Bagl. ©. c. 243. î. Velanum (Mass.) Abr. L. c. Hab. — Appennino toscano alla Verna (Arc.): la var. è. salle mura urbane di Pisa dalla parte di Ponente (Mori). Lecanora Ach. 47. Lecanora subfusca (Linn.) Abr. S. L. G. 140. Parerga 71. - var. diffusa Arc. in Erb. critt. ital. Serie II N? 1269. Hab. — Sulla scorza del Ginkgo biloba nell’ Orto Botanico di Pisa (Arc.). x 48. L. pallida (Schreb) Kbr. S. L. G. 144. Parerga 81. - Bagl. Lc. 235. x. Cinerella. Hab. — Sulla scorza degli alberi alla Puzzolente presso Livorno (Arc.) e nella selva pisana sulla scorza dei Lecci (Mori). 49. L. badia (Pers.) Kbr. S. L. G. 138. Parerga 85. - Bagl. l. c. 236. Hab. — Firenze presso Settignano (Arc.). Zeora Fr. 50. Zeora sulphurea (Hoffm.) Kbr. S. L. G. 136. Parerga 89. — Lecanora sulphurea Bagl. l. c. 239. CONTRIBUZIONE ALLA FLORA LICHENOLOGICA DELLA TOSCANA 159 Hab. — Lungo la Greve presso la villa Fenzi ed al Cimone di Fiumalbo (Arc.). Ochrolechia Mass. 5. pi iolecna pallescens (Linn.) Kbr..S. L.G.149. Parerga 92. ;. parella (Linn.) Abr. l. e. Hab. — Presso la Pieve S. Stefano e lungo la via fra S.Casciano dei Bagni e Cetona (Arc.) la var. y Monte pisano ad Asciano (Mori). i Urceolaria Ach. 52. Urceolaria ocellata (Vill.) Kbr. S. L. G. 169. Parerga 104. - Bagl. l. c. 246. 8. arenaria Ach. Hab. — Sul terreno nella tenuta di Suese presso Livorno (Arc.). Monte pisano a S. Giuliano e ad Asciano (Mori). Lecideae Psora Hall. 53. Psora lurida (Sw.). Abr. S. L. G. 176. ide 118. - Bagl. lc. 208. Hab. — Monte pisano a S. Giuliano (Mori). Thalloidima Mass. 54. Thalloidima vesiculare (Hoffm.). Xbr. S. L. G. 179. Pa- rerga 121.- Bagl. l. c. 259. Hab. — A Montici presso Firenze (Arc.). 140 A. MORI 55. T. candidum (Web.) Kbr. S.L.G. 179. Parerga 121. - Bagl. 56. 09. 60. I. c. 268. Hab. —— Alla Verna sulle rupi (Arc.). Blastenia Mass. Blastenia Lallavei (Clem.) Xbr. S. L. G. 185. Parerga 126. — Callopisma Lallavei Bag!. l. c. 244. Hab. — Firenze a Settignano ed al monte Senario (Arc.). Al monte pisano a S. Maria del Giudice (Mori). . BI. ferruginea (Huds) Kbr. S. L. G. 183. Parerga 126. — Callopisma ferrugineum Bagl. l. c. 245. var. Pollini. Hab. — Nella selva pisana sulla scorza degli alberi. La var. al monte pisano a S. Maria del Giudice (Mori). . BL sinapisperma (DO.). Kbr. l.c. 184. Parerga 129. Hab. — Appennino toscano lungo la via di Fiumalbo (Arc.). Bacidia De Not. Bacidia rubella (Pers.). Abr. S. L. G. 186. Parerga 131. - Bagl. l. c. 268. Hab. — Borgo S. Sepolcro sulla scorza dei cipressi. Biatora Fr. Biatora ambigua (Mass.) Kbr. Parerga 160. — B. tahescens Kbr. S. L. G. 203. B. tabescens Mass. Ricerch. pag. 124. f. 242. Hab. — Monteloro presso Firenze. CONTRIBUZIONE ALLA FLORA LICHENOLOGICA DELLA TOSCANA 141 Bilimbia De Not. 61. Bilimbia spheroides (Smf.) Kbr. S. L. G. 213. Parerga 169. Hab. — Nella Valle del Sestaione ,abetine presso il Sor- beto (Arc.). Diplotomma Fw. 62. Diplotomma alboatrum (Hoffm.). Abr. S. L. G. 218. Pa- rerga 109. \ ALLO g. epipolium \Ach.). Abr. Parerga l. c. — Hepp. FI. L'ur. INESMIE0% Hab. — A Settignano presso Firenze (Arc.). Lecidella Kbr. 63. Lecidella atrobrunnea (Ram.). Kbr. S. L. G. 239. Pa- rerga 198. Hab. — Appennino toscano, al Cimone di Fiumalbo (Arc.). 64. L. pruinosa (Ach.) Kbr. S. L. G. 235. Parerga 209. Hab. — A Settignano presso Firenze (Arc.). 65. L. enteroleuca (Ach.). Kbr. S. L. G. 243. Parerga 216. — Lecidea enteroleuca Bagl. l. c. 262. Hab. — Monte pisano sulla scorza degli alberi (Mori). Lecidea Ach. 66. Lecidea platycarpa (Ach.). Kbr. S. L. G. 249. Parerga 221.- Bagl. l. c. 260. Hab. — Appennino pistoiese al Libro aperto (Arc.) 142 i A. MORI Rbizo canne Ram. 67. Rhizocarpon petraeum (Wullf). Abr. S. L. G. 260. a ga 230. - Bagl. lc. 264. Hab. — Appenuino pistoiese, valle del Sestaione al Lago nero (Arc.). Baeomyceae Sphyridium Fw. 68. Sphyridium byssoides (Linn.). Kbr. Parerga 246.-- S. fun- giforme (Schrad). br. S. L. G. 273. - Bagl. 0. c. 254. Hab. — Nella valle del Sestaione al luogo detto il Sorbeto ed al ponte del Sestaione (Arc.). Baeomyces Pers. 69. Baeomyces roseus (Pers). Kbr. S. L. G. 274. Parerga 246. - Bagl. l. c. 254. Hab. — Monte di Ripa nelle alpi apuane (Arc.). Graphideae Lecanactis Eschw. - 70. Lecanactis abietina (Ach.). dr. S. L. G. 276. Parerga 247. — Hepp. Fl. Eur. N° 110. Hab. — Sulla scorza dei cipressi al Poggio imperiale presso Firenze (Arc.). Opegrapha Humb. 71. Opegrapha varia (Pers). Kbr. S. L. G. 285. Parerga 253. - Bagl. l. c. 279. CONTRIBUZIONE ALLA FLORA LICHENOLOGICA DELLA Toscana ——143 var. tetrablasta. Mori, Erb. Critt. Ital. Ser. II N.° 1348. Sporae tetrablastae: 0,023 longae, 0,006 latae. Hab. — Sopra un tronco di Pterocarya caucasica nell’ Orto Botanico di Pisa. Arthonia Ach. 72. Arthonia vulgaris (Schaer). Xbr. S. L. G. 290. Parerga 265. Hub. — Firenze in Boboli sulla scorza della Tilia argentea (Arc.) e sopra un castagno d'India dell’ Orto Botanico di Pisa. (Arc.). 73. A. galactites (DO.). Kbr. Parerga 267. - Bagl. I c. 278. Hab. — Pisa sui pioppi e sugli olmi fuori della Porta alle Piagge (Mori). B. Pyrenocarpi Dacampieae Dermatocarpon Eschw. 74. Dermatocarpon Schaereri (Hepp). Kdr. S. L. G. 326. Hepp. FI. Eur. N° 100. i Hab. — Firenze al giardino di Boboli sui muri dei fos- setti (Arc.). Verrucarieae Verrucaria Wigg. 75. Verrucaria purpurascens (Hoff.). Kbr. S. L. G. 347. Pa- rerga 362. - Bagl. l. c. 288. Hab. — Monte pisano a $S. Giuliano (Mori). Ripafratta (Arc.). 76. V. macrostoma (Duf.) Kbr. S. L. G. 343. Parerga 367. - Bagl. LL c. 286. Hab. — Sulle mura urbane della città di Pisa dal lato di Ponente (Lodi). 144 A. MORI 71. V. fuscoatra (Wallr.). Kbr. S. L. G. 341. Parerga 367. = V. nigrescens (Pers.) Bagl. I. c. 287. Hab. — Nel monte argentario non lungi da S. Liberata lungo la via di S. Stefano. (Arc.). 78. V. viridula (Schrad.). Kbr. S. L. G. 343. Parerga 369. — Endocarpon viridulum Schrad. Spic. pag. 192, tab. 2, fig. 4. Hab. — Sui vecchi muri degli orti di Pisa (Arc.). 79. V. muralis (Ach.) Ibr. S. L. G. 347. Parerga 378. - Bagl. Gs BS Hab. — Lungo la Greve presso S. Andrea (Arc.). Lichenes Homoemerici Wallr. Ord. IV. Lichenes gelatinosi Collemeae Collema Hoffm. 80. Collema multifidum (Scop.) Kbr. S. L. G. 409. Parerga 417. 8. jacohbaeaefolium (Schk.). Kbr. l. c. - Bagl. Lc. 292. Hab. — Monte pisano sul calcare ammonitifero di San Giu- liano (Arc.). Synechoblastus Trevis. 81. Synechoblastus vespertilio Lightf). Kbr. Parerga 419. — Lethagrium nigricans \Ach.) Bagl. l. c. 293. Hepp. FI. Eur. 216. Hab. — Al confine toscano nella valle delle Pozze sui faggi. Al monte Majori presso l’ Abetone sui faggi e a Camal- doli (Arc.). Nella selva pisana sulle querci (Mori). Leptogium Vr. 82. Leptogium lacerum. Abr. S. L. G. 417. — LIL. atrocoeru- leum Mass. mem S7.- Bagl. LL c. 294. 8. pulvinatum Ad». lc. 418. Hab: — Valle di Montignoso (P. Savi) la var. f. App. pistoiese al Lago nero (P. Savi). Lichenes Byssacei Kbr, Ephebe Fr. 85. Ephebe pubescens (Linn.), xdr. Parerga 447. - Baglii. c. 290. Hab.— Luugo la Greve presso Monteloro. ALI Ri d, no + Facciola. Nuove sp. di Leptocephali. We O) >; 77) 5 DIP * SS « 00) ATEO FIEVADI / i i {{{ ‘ ASA, III NANI | CAO DI) A) + y} DON, NI >) TASSATO TA MIE, 77 77 I LS c < II (NU QU AU i; I <( di CLLIADÀ, ; \ DÒ di DD) EPDIPBGGIIII DOD x a: YZ O Ù K« << i | E )5b 99 ESS INDIZIO i ° DI mM, TITO, O vo) i VI { SR "© "i DOS S i , À N XU TIM N TOI TT TTMaa STILO CCI IS UU ISS = 7 71/7202 AA AA i p: - 2 tu 12. ut dis Gristof fama lu | Lot. Gozan Hisa Atti.Soc.Tos. Se.Nat.Vol.VI Tav.V. Busatti.Fluorite del Giglio ecc. Aut. dis: Cristofani in( AttiSoc.Tos.SeNat.Vol.VI. Tav. VI. LG Bornemannyr Lingulinopsis carlofortensis. e BartoliN® contrib® all’istorma del -( arbonio Atti SoeTosSe Nat Vol. VI Tav. VIT. liratite nell'ileEhroridreco 20re.8 Buns ylari Ct le di ( TETRA pesta N & u101b ©] (7) SIL] (0) Ì VSS]A] IP PIVICALLI LASA Grati BartoliN® conftmb® all'istoria del-Carbonio Papasogli è Atti SoeTosSe Nat Vol.VI Tav VII Runser J dg tornt Storta nell'Ae Phroriditco Curbone cdi UTTESTI7] nelle Phiovidereo 20r firatile Gratile di liglan marta TE TTOSIEZENI AGI LE DGENIAI INCA LASSO OLII fr "Tr VEIL SALE MMMLA SI Lb cd bf rus e] tivnig g - DSSW0] IP js nube ISU] E OIVIOJIOS CA IP yyj 7IIOS O Bunsen 2 soluz" d'Av Soltorica Grafite nella uao gg -- usum e SPO IP 40)05' ) ] ni contrib; all Istoria del Larpolnto Bartoli. N° (Ali Carbo: av. VIII le + } nd01b ©] ))02UD(] 00€] 2nrho) Nat WVol.VI T 3 x Atti SocTos. Papasogli è» Bartoli N" contrb' all'istoria del Carbomo qIliSocPos SeNat.VoLVI Tav. VITI 2OILO di Carbone ili Storta arbosti ( ruao1b pi uasiui 1 ‘ CEST ILOTO RO RROTI TTI mob s0SUNE Y 02110])08 dt 1), E71)08 mu1016 €] UISUNY 9 VSSVIO] 1 200)08 sa edi pponan dgr = nba A 07 MER 3 | i ' PA i / Atti Soc.Tosc Sc.Nat Vol.VI Tav. IX, Ganavari-Brach. las. E.Cristofani dis.e lit. Lità A Paris, Firenze Roma Ai Serle SaR amare Bian net. gb E.Cristofani dis.elit. Lit4 A Paris, Firenze-Roma. Atti Soc.Tose.Sc.Nat. Vol VI Tav, (mara brad ias. E. Cristofani dis.elit. Lità A Paris, Firenze-Roma. Sc. Nat VoLVI. Tav ALE. -Simonelh. Foss. las. Simonelli dis. E.Cristofani lit. Lit° AParis, Firenze-Roma. pero; se «LÌ E N n È to cd { y x Ù h 7 i pi “i ì \ È n 3000 % Il > ‘ È UN Jar ni I ‘ x \ a) S RATIO Te — IL NERVO DEPRESSORE NELL’ UOMO ACGLE ALTRI MDMFRRI RICERCHE DI MORFOLOGIA COMPARATA © ATRENTEBEDIO!" TA STUDENTE IN MEDICINA AL CHIARISSIMO MIO MAESTRO PROF. GUGLIELMO ROMITI — er 1Dbro— Questo lavoretto che ella concepì ed altamente onorandomi raccomandò a me, a lei sig. Professore, che con ogni mezzo ne diresse e favorì l’ esecuzione, ora ritorna compiuto. Non è quel che dovrebbe essere per corrispondere alle premurose cure e agli amorevoli consigli che ella ebbe per me; lo accetti dunque com’ è, poichè ciò non toglie che con esso vada unita la prova della infinita riconoscenza del suo scolare. ARNALDO VITI. IL NERVO DEPRESSORE NELL UOMO E NEGLI ALTRI MAMMIFERI RICERCHE DI MORFOLOGIA COMPARATA DI ARNALDO VITI, STUDENTE MEDICINA Lavoro eseguito nell’ Istituto ‘Anatomico di Siena diretto dal Prof. Guglielmo Romiti mn IMPORTANZA DEL NERVO DEPRESSORE Fu nel 1866 che comparve il lavoro di £. Cyon e C. Ludwig “ Die reflece eines der sensiblen nerven des Herzens auf die moto- rischen der Blutgeftisse , nel quale i due Fisiologi Tedeschi il- lustrarono un ramo nervoso che nel Coniglio (Lepus cuniculus) nasce dal nervo Vago nella porzione più alta del collo e che dopo un lungo decorso si gitta nel ganglio stellato, del gran sim- patico. Chiamarono essi questo nervo Nervus depressor e di- mostrarono che per via riflessa, può notevolmente abbassare la pressione sanguigna. Questa scoperta anatomica, e l’ applicazione fisiologica che tosto ricevè, portarono d’ improvviso una gran luce nel campo delle discussioni tanto controverse circa la questione della cir- colazione del cuore. Le Gallois indicò per il primo l’ influenza della midolla spi- nale su i battiti cardiaci. Dopo di lui Wr/son Philipp e poi Budge, Schiff e Weber fecero esperienze circa la influenza del cervello e del midollo spinale sulla innervazione del cuore; ma la questione era rimasta sospesa. Von Bezold nel 1863 dal ve- dere che la sezione del midollo spinale fra l’ occipitale e 1’ atlante produceva un abbassamento molto considerevole della pressione 152 À. VITI del sangue nelle grosse arterie e al tempo stesso un rallenta- mento nei battiti del cuore e provando inoltre che l’ eccitazione meccanica della midolla indietro della sezione ristabiliva e la pressione del sangue e l’ acceleramento dei battiti, credette poter dimostrare l’ esistenza di un centro eccito-motore del cuore che poteva non solo aumentare il numero dei battiti, ma produrre anche un aumento considerevole di pressione del sangue. Le esperienze di Ludwig e Thiry provarono che questa azione della midolla, anche recisa, sulla pressione del sangue si mani-. festa anche quando sieno distrutti i nervi che collegano il cuore al midollo stesso, e conclusero perciò che l’ azione del midollo sì spiega sul sistema circolatorio periferico e non sul cuore. Ora è appunto per la scoperta del Nervo Depressore nel Coniglio e della sua azione fisiologica che sì venne da Cyon a dimostrare, che l’ influenza della midolla sulla pressione del sangue è di natura riflessa, e in null’ altro consiste che in una modificazione vaso- motrice periferica e resultante dall’ eccitazione di un nervo sen- sibile, eccitazione che può considerarsi prendente origine dal cuore medesimo. L' eccitazione del moncone periferico di questo nervo depressore è senza alcun effetto, ma l’ eccitazione del mon- cone centrele produce una considerevole diminuzione di pressione nella circolazione sanguigna, per azione riflessa che sì trasmette principalmente sul sistema vascolare dei visceri addominali per mezzo dei nervi splacnici e ne determina la paralisi e la dila- tazione. Il nervo depressore della circolazione di Cyon rappresenta insomma la via centripeta di un'azione riflessa paralizzante; perchè è per questa via che il cuore paralizzando la tonicità dei vasi può da sè stesso regolare la pressione del sangue nel- l’alveo vascolare. Gli esperimenti di Cyon e Lud:cig sul depressore furono ri- petuti da tutti i fisiologi non solo nel Coniglio, ma anche in ‘altri animali, dove questo nervo è stato saccessivamente ritrovato. Budg, Vundt, Beaunis, Poincarè, Stelling,’ Bernhardt, Hertmann e molti altri, tutti confermano le vedute dei fisiologi tedeschi. Mercè adunque le conclusioni fisiologiche a cui oggi si è giunti, il nervo depressore rappresenta nella nevrologia circolatoria, un sistema regolatore, da aggiungersi all’ apparecchio nervoso auto- maticamente ritmico (Gangli intracardiaci) e all’apparecchio indbi- tore e acceleratore (Pneumogastrico e Simpatico). IL NERVO DEPRESSORE 153 In conseguenza di cio, le ricerche fisiologiche sul nervo de- pressore non sono di un lusso puramente scientifico; ma invece, come ben osserva il Paladino ('), sono tali da non poter loro negare un valore pratico assai grande, perchè dimostrano come mediante questo apparecchio nervoso regolatore esiste grande reprocità tra il cuore e l’ alveo Vascolare e perchè costituiscono per la Clinica un mezzo di spiegare come e dove il cuore trova aiuto per sopperire al lavoro soverchiamente accresciuto nelle stenosi e nelle insufficienze valvolari (2) e come Sl cuore possa per questo sistema regolatore moderarsi nei casi pericolosi dei suoi stati ipertrofici. Ora, se tale azione fisiologica del depressore racchiude in sè una non così lieve importanza pratica, mi pare si possa giusta- mente dedurre che importanza grande ha pure lo studio ana- tomico di questo nervo. SCOPO DI QUESTO LAVORO Con una tale importanza fisiologica innegabilmente dimostrata, conviene riconoscere essere assai razionale che gli anatomici, at- tribuendo al nervo depressore anche un’ importanza anatomica, si dessero a ricercarlo diligentemente in varii animali. I resultati ottenuti fin quì non sono certamente esenti dl contradizioni. Se poi ricerchiamo questo nervo depressore nell’ uomo, e se esiste ci domandiamo come lo si trova e in quali rapporti di origine, di decorso e di terminazione, bisogna allora convenire che nulla di certo conosciamo in proposito, tanto le osservazioni fin quì pra- ticate sono scarse, poco ordinate e straordinariamente incerte. Ricercare il nervo depressore di (yon nel maggior numero di animali, ricercarlo parimente nell’ uomo guidato dalla analogia e per mezzo di questa e della comparazione cercare di stabilirne la morfologia e la disposizione, ecco il tema che al principio dell’anno accademico decorso, l’ egregio Professore Guglielmo (1) G. Paladino. — Su2l' azione riflessa dei nervi sensibili del cuore e su un complicato apparecchio nervoso regolatore dello stesso. (3). S. Tammasi — Prolusione alla Clinica nell’anno 1867-68 (Inedito). Ci- tata da Paladino L. c. 154 A. VITI Romiti mio maestro proponevami di studiare sotto la sua dire- zione. Accettai di buon grado. Postomi tosto all’ opera ho con- tinuate per circa un’ anno le mie ricerche, spinto molto dal de- siderio di poter portare un qualsiasi raggio di luce su questo punto della nevrologia comparata, ove le incertezze erano gran- dissime. Gli animali sui quali ho ricercato il nervo depressore sono, il Coniglio, il Gatto, il Cane, il Cavallo, il Topo, la Pecora, il: Porco-Spino, il Bove. Oltre questi ho avuto pure occasione di osservare una Scimmia. Ho estese poi le mie ricerche sull'uomo ed in maggior numero che negli altri animali, perchè è in esso appunto che circa al Nervo Depressore regnano le massime di- screpanze, per le scarse ricerche fin quì praticate dai pochi ana- tomici che di tale argomento si sono occupati. STORIA Eduard Bernhardt, che si è occupato della ricerca del N. Depressore nel gatto ('), trattando in generale della questione del nervo depressore giustamente incomincia colle parole di Bever nel suo lavoro “ Contribnto allo studio dei nervi del cuore e dei vasi (*) , nel quale questo autore accenna alla scarsezza delle ricerche circa la situazione e i rapporti del nervo depres- sore sugli altri animali, oltre che nel coniglio, e alle contradi- zioni esistenti su tale argomento. Dall’ epoca in cui data il lavoro di Bernhardt ad oggi pochi passi ha fatto l’ anatomia circa questo punto della nevrologia, onde la incertezza a cui accenna il Lever è ben lungi dall’essere dileguata e le contradizioni in cui son venuti gli anatomici per le loro ricerche non sono del tutto scomparse. Sembra strano, è vero, che in una questione di pura e sem- plice anatomia descrittiva vi debbano essere delle contradizioni e delle incertezze; ma io credo che sia appunto possibilissimo, avuto riguardo alle molte varietà che possono incontrarsi in (!) Anatomische und Phisiologische Untersuchungen ber den N. Depressor bei der Katze. Anatomischer Theil. Dorpat, 1868. (2) Wurzburger Medicinische Zettschrift. Band VII Heft IV, Pag. 216. IL NERVO DEPRESSORE 155 questo punto della nevrologia. Anzi per quanto io mi sappia e per quanto io stesso ho potuto verificare, e nell'uomo e negli altri animali, la distribuzione dei nervi nel collo è piuttosto dif- ficile che si possa trovare la stessa in due soggetti separati non solo, ma anche in un medesimo soggetto nei due lati del collo. Mi limito soltanto ad accennare, che di incertezze e contra- dizioni ne esistono, ma non voglio entrare nel merito della di- scussione; io soltanto riferirò i resultati a cui si è giunti e le conclusioni tirate dai vari anatomici. Cyon e Lud:vig che scuoprirono questo nervo, nella descri- zione che ne danno (') (illustrata con 2 figure) fanno nascere il N. depressore con due radici una delle quali proveniente dal nervo laringeo superiore, l’altra dal tronco del nervo vago, ac- cennano alla possibilità di una origine unica dal laringeo superiore e ad una sola eccezione al decorso da essi descritto. Portarono le loro riceréehe anche sul cane e sull’ uomo come accennano appunto in un’ altro lavoro “ dell’ innervazione del cuore dalla midolla spinale , (?). Nell’ anno stesso 1866 in cui comparve il lavoro di Cyon e Ludwig, H. Aubert e G. Roever annunziarono le conclusioni delle loro ricerche sul porco-spino (Erinaceus europeus) ed in esso pure trovarono il nervo depressore (*). Nel 1867 comparvero poi gli studj di Dreschfeld il quale negò l’ esistenza del depressore sul cane (‘). Nuovi studi furono fatti da Stelling che dimostrò 1’ e- sistenza di fibre con proprietà del depressore anco nel tronco del vago (?). Un bel contributo allo studio del depressore lo ha dato Eduard Bernhardt il quate ha studiato accuratamente questo nervo più specialmente nel gatto, senza trascurare di osservarlo (4) Die reflexe eines der sensiblen Nerven des Herzens auf die motorischen der Blutgefisse — Aux dem Physiologischen Institut. ( Berichte d K. S. Ges. d. W. Math phys. CI. 1866). (*) Archiv fr Anat. Physiolog. und wissenschaftliche Medicin von Reichert und Du Bois-Reymond. (3) Ueber den Einfluss des Nerven Vagus, Laringegeus superior und Sympa- ticus auf Blutdruch und Frequenz. Centralblatt. f. die medic Vissensch. S. 477. und Meisner's Jahresberichte 1866, 425 - 1867 S. 563 - 1863, S. 430. (4) Untersuchungen aus dem phisiologischen Laboratorium in Virzburg von A. v. Bezold 1867. Heft IL (?) Experiment, Untersuchungen uber den Einfluss des N. Depressor. Dissert. Dorpat 1867. i 156 A. VITI pure nel cavallo, nel cane ed anco nell’ uomo stesso (!'). Alix riportato da Hnkelstein, ha trovato il nervo depressore nell’ ip- popotamo (*). Kreidmann pure riferisce 1 resultati delle sue ri- cerche nella pecora, nel cane e nell’ uomo (?). Il Prof. Eugenio Giovanardi di Modena pubblicò nel 1879 una sua memoria nella quale espone ciò che egli ha osservato circa il Depressore nel- l’uomo, nel cane e nel coniglio e concludendo esprime il dubbio se non sia il laringeo esterno il nervo che Cyon eccitava (*). A. Chaveau nel suo trattato di anatomia comparata descrive il nervo depressore nel coniglio come lo descrive il Cyon ed accenna ad un tale Toussaint che con le sue ricerche non avrebbe ritrovato che raramente la radice che si distacca dal pneumogastrico (©). J. Henle si limita solamente a far cenno dei lavori di Cyon e Ludwig, di Dreschfeld e Stelling, Bernhardt, Aubert e Eoever (£). Molto accuratamente riferisce sul nervo depressore Adolfo Fin- kelstein. Egli nel suo lavoro (") incomincia con un riassunto sto- rico e ricorda i lavori di Aubert e Rdver, di Alix e di Dreschfeld. Espone le sue ricerche eseguite nel Coniglio, nel Gatto, nel Cane, nel Cavallo e nell’ Uomo, e sebbene quelle praticate sull’ uomo sieno limitatissime, pure i resultati che: egli ne riferisce più degli altri si approssimano a quelli che ho ottenuti 10 osservando un numero di cadaveri relativamente grande di fronte ai soli 5 da lui esaminati. Del nervo depressore in molti altri trattati specialmente di fisiologia si trova fatta menzione anche dal lato anatomico. Non posso e non voglio quì dilungarmi nella citazione, mi basta ram- mentare Landoîs il quale sul tal proposito non fa che riportare molti dei lavori già citati (5); Hertmann non ha che poche pa- (4) Anatomische und Physiologische Untersuchungen ber der N. Depressor ecc. (2) Journal de Biologie. Paris 1872. Bd. l, S. 179. (3) Anatamische Untersuchungen iiber den N. Depressor beim Menschen und Hunde. Med. Centralbl. Nr. 11. und Archiv f. tanat und Physiol. Anat. Abth 1878, S. 405-415. 1 Tafel. (4) Spallanzani — Nodena 1879. (9) Traite d° Anatomie Comparée des Animaux domestiques. Trois. Edition. Paris 1879. (6) Handbuch der Nervenlehre des Menschen. Zweite ferbesserte Auflage. Brausveig. 1879. Pag. 487. x (7) Der Nervus depressor bei Menschen, Kaninche, Kunde, bei der Katze und dem Pferde. Archiv fùr Anat. und Physiol. Anatomische Abte:lung 1880, Pag. 245. (8) Lehrbuch der Physiologie des Menschen. Wien 1880, Pag. 687. IL NERVO DEPRESSORE 157 role in proposito (') così pure Beaunis (2) Aiss e Duval, (*) Livon (*) ed altri. Mi sono qui limitato ad un semplice riassunto storico senza accennare al contenuto in particolare dei singoli lavori menzio- nati. Trattando del depressore in ogni singolo animale, allora cercherò di riassumere nel modo migliore i resultati ottenuti dalle ricerche fin quì praticate e ne farò confronto con i miei. Dato così un breve cenno sulla importanza delle ricerche anatomiche del nervo depressore dedotte dalla importanza fisio- logica per la possibile applicazione alla Clinica, sorvolato con un rapido sguardo sulla respettiva letteratura, è mia intenzione di esporre ora le osservazioni praticate sugli animali più sopra accennati paragonandole con quelle sinora esistenti. Coniglio Dai resultati ottenuti dalle ricerche del nervo depressore nel Coniglio ( Lepus cuniculus) venne in mio nome dal Prof. Guglielmo Romiti presentata una breve nota preliminare alla Società Toscana di Scienze naturali, nel passalo Agosto, nota nella quale annun- ziava io che più ampiamente avrei trattato di tale argomento nella presente monografia. I conigli da me osservati erano allora in numero di 40; oggi ho estese le mie osservazioni anche su altri 10 conigli; ma i resultati che allora esposi sono rimasti inalterati, perciò non faccio quì ehe esporli nuovamente e più estesamente. x Secondo la descrizione che Cyon e Ludwig danno di questo nervo nella loro memoria già citata, esso nasce con 2 radici, delle quali una si distacca dal tronco del nervo vago, la seconda (') Handbuch der Physiologie. Vierter Band I. Theil. Leipsig 1880. Pag. 389. (*) Nouveaur Elements de Physiologie humaine ete. Chapitre INIL Physiologie de l' Innervation. Pag. 1272. (3) Cours de Physiologie d' après V enseignement du îProf. Kuss publié par le docteur M. Duval. Trois. Edit. Paris 1876, Pag. 201-5-6. (4) Manuel de Vivisections. Paris 1882, Pag. 310. 158 A. VITI dal nervo laringeo superiore. Costituitosi questo nervo segue l’ar- teria carotide in immediata vicinanza del Nervo Simpatico ac- compagnando il quale giunge fino all’ apertura superiore del torace. Arrivato nel petto il nervo depressore, come gli autori mostrarono in una precedente pubblicazione di uno di loro ('), si gitta nel gauglio stellato ed esce da questo accompagnato da. un nervo che sì parte dal ganglio stesso e termina nel plesso cardiaco fra l'arteria polmonale e l’ aorta. In questo lavoro fanno notare però gli autori come talvolta non sia dato trovare questa duplice origine del nervo depressore, ma sibbene una sola radice la quale più comunemente sarebbe quella del laringeo su- periore. In 40 conigli che Cyon e Ludwig esaminarono trovarono una sola variante al decorso surricordato. Essa consisteva in ciò, che il N. depressore nel mezzo del collo sì univa di nuovo al tronco del nervo vago e dove ciò avveniva sì sparpagliava in un piccolo plesso, dal quale spiccava il depressore nuovamente costituitosi. Questo in riassunto è quanto dissero i due fisiologi tedeschi circa la morfologia del depressore nel coniglio. Dei vari osser- vatori sull’ argomento, molti si limitano semplicemente a con- fermare quanto era stato detto da Cyon e Ludwig. Io non sò se abbiano essi pure praticate ricerche sul coniglio stesso o se sla questione di semplice fiducia nell’ asserzione dei fiisiologi ab- bastanza sperimentati nella osservazione; il fatto è che pochi sono quelli che accennano a qualche cosa di vario circa l’ ori- gine, il decorso e la terminazione di questo nervo nel coniglio. Finkelstein, sebbene egli pure confermi le ricerche di Cyon, nonostante cita una varietà circa l’ origine del depressore, va- rietà consistente nella presenza di due radici date ambedue dal nervo laringeo superiore. Il Prof. Paladino parlando delle fibre depressorie, dice come queste fibre decorrono o in un tronco separato o pure mesco- late al Vago o al Simpatico. Circa il depressore del Coniglio rammenta la duplice origine scoperta da Cyon e Ludwig aggiun- gendo potersi facilmente trovare una origine unica cioè dal la- ringeo superiore, e di più fa notare essere il nervo depressore (') O. Ludwig und C. Thiry — Wiener Sitsungsberichte 49. Band, 1864. IL NERVO DEPRESSORE 159 a sinistra più sviluppato che a destra ('). Chauveau (£) descri- vendo i caratteri differenziali dei nervi cranici negli animali, come particolarità del Pneumogastrico nel coniglio cita al solito il depressore con due radici. Di queste pone come maggiore quella, del laringeo superiore e cita un tale Towssaint il quale avrebbe raramente ritrovato quella che proviene dal nervo vago. Lau- dois (*) invece fa derivare il depressore dal laringeo superiore, ed aggiunge che spesso può esistere una seconda radice anche del vago. Il Giovanardi (') ha osservato soltanto 5 conigli dei quali in uno solo ha trovato da ambedue i lati un ramo del pnumogastrico nato ad uno stesso livello del nervo laringeo superiore che dopo un tragitto di 5 centim. va nel simpatico, questo ramo egli dice essere difficile a scuoprirsì e per l’esilità e per la carotide che lo ricuopre e perchè trovasi nascosto nel tessuto connettivo. In un altro coniglio egli ha trovato il nervo sopradescritto soltanto nel lato sinistro del collo, invece egli ha trovato che il laringeo superiore e il laringeo esterno nascono se- parati, e quest’ ultimo molto sviluppato e scorrente in basso e comunicante col larzngeo inferiore. Negli altri tre conigli non ha trovato nulla di tutto ciò, tranne sempre una notevole lunghezza ed un certo sviluppo del nervo laringeo esterno. Questi resultati, come sì vede, differiscono molto da quelli di Cyon e Ludwig e sebbene il numero dei conigli esaminati sia assai piccolo, pure il Giovanardi ne conclude che secondo lui, nessun ramo del la- ringeo superiore e esterno e del vago va al cuore senza essersi unite ai rami del simpatico, che non può dirsi costante un ramo del vago che comunichi col simpatico, e che un nervo come dice il Cyon vi sarà ma per sola eccezione; in fine pone fuori il dubbio se possa essere il laringeo esterno il nervo depressore. Queste conclusioni, rispetto al coniglio almeno, non sono accet- tabili per me, poichè nelle mie ricerche eseguite su 50 conigli, sebbene esse non concordino perfettamente con quelle di Cyom, pure non ho mai veduto mancare il nervo depressore. Vengo ora alle mie ricerche in particolare. Il primo coniglio da me esaminato faceva eccezione a quanto Istituzione di Fisiologia. Napoli 1878, Vol. I, Cap. II, Pag. 322. lio Tee) 160 A. VITI Cyon e Ludwig avevano stabilito come disposizione di origine del nervo depressore. Essi infatti ammettono come varietà l'ori- gine del depressore unica, cioè con una sola radice; ora appunto lo mi imbatteva in questa eccezione (almeno allora io la credeva tale); il depressore sì originava unicamente dal laringeo supe- riore (Fig. A). Ciò mi eccitò la curiosità di osservare altri conigli e così feci colla massima attenzione, e sempre col controllo del mio egregio Maestro; ma pur troppo doveva io presto convin- cermi che non una eccezione era quella che di subito si era a me presentata, ma sibbene il comune modo di origine di questo nervo. Dei 50 conigli da me osservati non voglio star quì a descri- vere le singole osservazioni, ciò riescirebbe inutile e tedioso del pari, poichè fatta astrazione di pochi casi, tutte si assomigliano. Soltanto quelle in cui ho trovato qualche cosa di vario da ciò che è per me fatto normale descriverò a parte. In questo numero non indifferente di conigli soltanto due volte ho potuto osservare la duplice origine del depressore come vien descritta dai fisiologi tedeschi e con ciò intendo non in due conigli da ambo i lati del collo in ciascuno, nè in un solo co- glio da ambedue i lati; ma in due soggetti distinti; però in ciascuno da una sola parte del collo, a destra in uno, a sinistra in un altro. In questi due casì il depressore originavasi dal laringeo su- periore molto in alto, cioè verso il suo estremo centrale, e tosto riceveva una seconda finnissima radice distaccatasi dal tronco del vago 4 o 5 millimetri in sotto dell’ origine del laringeo su- periore (fig. B). ° In due altri conigli pure ho trovato in ciascuno dal lato destro del collo una duplice origine, ma assai differente da quella ritenuta per normale dal Cyon, ed anzi nè da esso nè da altri mai ricordata. Il nervo depressore si vedeva al solito distaccare dal laringeo superiore, ma in un caso gli si univa un rametto sottilissimo, relativamente lungo, proveniente dal Simpatico, !/, centim.° circa al disotto del gauglio cervicale superiore (fig. 0), nell'altro un ramo relativamente grosso (quanto il depressore stesso) si distaccava dal mezzo del cordone del simpatico per dirigersi in basso ed unirglisi prima di entrare nella cavità toracica (fig. D). IL NERVO DEPRESSORE 161 In un altro coniglio poi mi fu dato osservare, soltanto però dalla parte sinistra del collo, questo modo di origine. Oltre la radice proveniente dal nervo laringeo saperiore, ne esisteva un’ altra di egual grossezza lunga circa '/, centimetro origina- tosi dal tronco del Vago proprio nel punto di origine del la- ringeo superiore. Queste due radici originavano un nervo che certamente io ritengo qual depressore e perchè questo non vi era in altro modo rappresentato, e per il suo decorso analogo a quello del depressore stesso (fig. E). In questo caso però rimane il dubbio, e credo non si possa tanto facilmente di- leguare, se la radice data a livello del punto di origine del laringeo superiore debba ritenersi come rappresentante quella che secondo Cyor proviene dal Vago, o come una seconda radice troppo precocemente distaccata dal tronco del laringeo superiore medesimo. Tolte queste poche eccezioni, in tutti i conigli che ho po- tuto osservare ho veduto il nervo depressore originarsì unicamente dal laringeo superiore. A questa asserzione si potrebbe benissimo fare obiezione dicendo che causa la esilità, della radice prove- niente dal Vago, questa non potrebbe essere stata subitamente osservata e perciò sacrificata nella dissezione. Ma a ciò mi sembra poter facilmente rispondere primieramente, che queste mie os- servazioni sono state condotte colla massima precisione possibile e che moltissime volte, anzi nella massima parte, non fidando di me stesso, ho voluto che anche il mio professere controllasse, quasi direi, la preparazione ed egli può rispondere sulla realtà del fatto. In secondo luogo dirò: perchè quelle due sole volte che la radice data dal Vago esisteva, sebbene esilissima come la dicono, non è sfuggita alla osservazione? Se in tutti i conigli esaminati fosse esistita, siccome ripeto, la ho cercata colla mas- sima cura possibile, non saprei trovar la ragione perchè due sole volte mi sia accorto della sua presenza e non in tutti i casi. Finalmente è per un fatto accidentale che ho dovuto anche con- vincermi della sua mancanza; ed è questo. Tranne i conigli che mi venivano gentilmente elargiti dai Sigg. Professori Solera e Bufalini, dai respettivi gabinetti di fisiologia e farmacologia, conigli che avevano servito ad altre esperienze, e che per me facevano il medesimo servizio, tranne questi conigli, io dico, gli altri che aveva di mia proprietà o che fornivami il Prof. Romiti 162 A. VITI faceva uccidere colla puntura del bulbo. In questi, forse per lesione di vasi nella puntura, eseguita malamente e con grossi istrumenti da chi incaricato, molte volte, esaminandoli diverse ore, ed anche un giorno dopo io trovava uno stravaso di sangue che coagulatosi lungo il collo formava al disotto dei nervi un sottostrato di colore nero sul quale si potevano benissimo scorgere tutti 1 più fini ramoscelli nervosi per il loro colore argentino. Ebbene, va- lendomi di questo avvenimento, sebbene del tutto accidentale, avrei dovuto anche meglio vedere questa seconda radice del de- pressore e pure non mi è stato dato riscontrarla. Ed anche posso assicurare che quelle due volte che esisteva una seconda radice, ma proveniente dal simpatico, son sicuro di non essermi per nulla ingannato, sia perchè nella dissezione riesce bene separato il tronco del simpatico da quello del vago, sia perchè tolto questo ho veduto questa seconda radice rimanere in sito completamente. Non parlo dell’ obiezione che possa farsi, se il nervo come lo ho osservato io fosse il laringeo esterno, perchè sempre ho ve- duto il laringeo esterno e il depressore, come due rami distinti non confondibili e per il decorso e. per la terminazione. In conclusione adunque, fatte queste poche eccezioni, secondo le mie ricerche, il depressore si origina soltanto dal laringeo superiore, Però anche circa il modo di origine dal laringeo superiore, sebbene nella massima parte dei casi il depressore non rappre- senta che un semplice ramo distaccatosi dal tronco di questo nervo, pur tuttavia due volte ho veduto un origine un po’ ec- cezionale. Infatti in un coniglio il nervo laringeo superiore, ap- pena originatosi dal preumogastrico dividevasi in due rami ben distinti e ciò da ambedue i lati del collo. Da ciascun ramo di divisione del laringeo superiore spiccavasi un fine rametto; destra i due rametti si univano tosto in un solo a costituire il depressore, mentre a sinistra seguivano ciascuno il decorso normale perfettamente isolati, dimodochè può dirsi che in questo caso avevasi duplicità del depressore medesimo (fig. F). Questa eccezione non so che altri l’ abbiano riscontrata; soltanto il Hinkelstein (') ha osservato una origine del depressore con due radici provenienti ambedue dal laringeo superiore, ma non dice (8) JI © 7 II, NERVO DEPRESSORE 163 se il tronco di questo nervo era unico e duplicato come l’ ho veduto io e se le due radici si comportassero nel modo descritto più sopra. In un altro coniglio io trovava, però soltanto dal lato destro del collo, il depressore originato da tre radici, delle quali due provenienti direttamente dal laringeo superiore, una dal laringeo superiore sì, ma a comunanza di origine col laringeo esterno (fig. G). Queste tre radici riunivansi tosto in un tronco comune, il quale dopo un decorso dì 1 centim.° circa si divideva in due rami secondari che seguivano il decorso normale del depressore. Disposizione anche questa del tutto nuova. Circa l’ origine del depressore non avrei altro da aggiungere. Mi rimane però a no- tare un fatto che fin quì non credo essere stato da alcuno men- zionato nel coniglio. Nel caso in cui ho riscontrato tre radici di origine del depressore, come sopra è detto (fig. G), ho notato pure la presenza di un rametto nervoso, che nato dal laringeo superiore, appena che si è distaccato dal tronco del Vago, dopo un decorso di 1 centim.° circa, parallelo al Vago stesso, entra nel tronco quest’ ultimo nervo. Questo medesimo fatto io ho osservato anche due altre volte (una volta a destra e un’altra a sinistra). Ho voluto qui riferire anche questa accidentalità perchè anzichè di nessun conto, io credo che abbia la sua im- portanza dal lato dell’ analogia con altri animali e coll’ uomo. lo credo che anche questo semplice rametto nervoso debba ri- ferirsi al depressore; in altri termini, mi sembra potere ammettere che quel fascio di fibre nervose contenute nel laringeo superiore e che poi resesi libere formano il depressore possa aver subìto una scissione in una sua parte ed aver formato due fascetti di fibre distinti, dei quali uno ha seguitato il decorso normale del depressore, l’ altro è rientrato nel tronco del vago. Con questo modo di spiegazione mi pare possiamo renderci ragione anche della duplicità e della triplicità della radice proveniente dal la- ringeo superiore, ammettendo appunto la divisione del depressore nel tronco del laringeo stesso (quando vi è ancora immedesimato, divisione i cui fascetti si spiccherebbero dal lagingeo superiore in punti distanti tra loro, e quindi o si riunirebbero di nuovo o rimarrebbero isolati (fig. F) e riunitisi potrebbero anche separarsi ON Se. Nat. Vol. VI. fase. 2.° 2 164 A. VITI nuovamente in numero eguale o minore (fig. G) di rami. La ragione che mi porta ad ammettere che questo rametto che si distacca dal laringeo superiore per portarsi nel vago, non sia, dirò così, che una parte del depressore stesso, si è, che negli altri animali è caso frequente vedere tutto il depressore portarsi a finire nel tronco del vago stesso a altezze diverse come di- mostrerò a suo luogo, e che, almeno a quanto riporta Hendle ('), delle fibre con proprietà analoghe al depressore decorrono pure nel tronco del Vago secondo le ricerche fisiologiche di Dreschfeld e Stelling nel coniglio, fatto che Bernhardt e Kreidmann ammet- tono anche nel cavallo e nell'uomo. Anzi aggiunge a tal pro- posito Henle, che questo fatto spiega l’ incostante grossezza del depressore a seconda che più o meno fibre rimangono immede- simate nel Vago. Secondo le mie osservazioni, come ho detto più sopra, fui portato a ritenere il nervo depressore, quale semplice ramo pro- veniente dal laringeo superiore; ma circa il punto poi in cui dal tronco di questo nervo si distacca il depressore non può stabilirsi nulla di certo.. Più di frequente è vero che il depres- sore si diparte dal laringeo superiore molto prossimo al suo estremo centrale, ma del resto io 1’ ho veduto distaccarsi da tutti i punti, in varianti altezze, dall’ estremo centrale di questo nervo, fino al punto da cui si distacca il laringeo esterno. Del resto questa è una questione di poca importanza; ho voluto accennare a questo fatto semplicemente per fare osservare, che quanto può variare questo punto di origine del depressore nel - coniglio, altrettanto in altri animali più prossimi all’ uomo, e nell’ uomo stesso va facendosi questa origine più costantemente verso l'estremo centrale, in modo da sembrare talvolta, come dirò a suo luogo, quale ramo proveniente dall’angolo che fa il laringeo distaccandosi dal cordone del puemnogastrico almeno apparentemente, poichè tolta la guaina del puemnogastrico, ve- diamo che l’ origine è sempre dal tronco del laringeo superiore. Cyon e Ludwig, sui 40 conigli esaminati, soltanto una volta hanno trovato una eccezione al decorso del depressore, come essì lo descrivono, e questa consisteva, come ho già descritto, in ciò, che il depressore nel mezzo del collo si univa al vago sfor- (1) L. c. IL NERVO DEPRESSORE 165 mandosi in un piccolo plesso da cui poi scaturiva nuovamente il nervo. Questa varietà di decorso nei conigli che ho osservati, non l’ ho mai riscontrata, però ho veduto una volta il nervo depressore essere rappreseritato da un ramo della lunghezza di 1 centimetro e '/, circa che si univa poi intimamente al cor- done del vago senza assumere aspetto plessiforme. Questa va- rietà io riscontrava in quel medesimo coniglio in cui l’ origine del depressore si faceva con due radici una dal laringeo supe- riore, l’altra proveniente dall’ angolo che forma questo nervo staccandosi dal vago (Fig. E.). Anche questo fatto ha la sua importanza, come vedremo, per stabilire l’ analogia del depres- sore oltrechè negli altri animali anche nell’ uomo. Più di questa sopradescritta mi è apparsa come più frequente un’ altra varietà, che nè dà Cyon nè da altri trovo rammentata; voglio dire della possibilità che il nervo depressore termini im- medesimandosi col tronco del simpatico. Nei 50 conigli osservati io ho riscontrata questa varietà una volta da ambedue i lati del collo, tre volte a sinistra e tre volte a destra separatamente. Essa consisteva in ciò che il depressore decorreva unitamente al simpatico, ad un certo punto variò in altezza si immedesi- mava con esso (fig. H). E qui si potrebbe dubitare che questa unione fosse semplicemente apparente, e che il nervo depressore decorresse invece isolato sempre, però dentro la guaina del sim- patico stesso; ma il dubbio mi cade di fronte al fatto che avendo io avuto cura ogniqualvolta ho incontrata questa varietà di di- varicare il depressore e allontanarlo dal simpatico, sono giunto ad un punto in cui questa divaricazione non è stata più pos- sibile e piùttosto si è distaccato il nervo prima che separarsi più oltre. Una volta poi sebbene il nervo depressore dal lato destro del collo presentasse il suo cammino normale, si trovava unito al gran simpatico per mezzo di un rametto esilissimo della lunghezza di circa 15 millimetri (fig. 1). Avendo cura colla dissezione di non alterare di troppo i rapporti, io ho potuto osservare che anche il modo di decorso che tiene il depressore non è costantemente lo stesso. I fisiologi tedeschi dicono che il depressore decorre in immediata vi- cinanza del simpatico. Stando invece a quanto io ho veduto nelle mie ricerche, debbo dire che talvolta, sebbene non sia il modo più frequente, il depressore lo sì vede come un ramo nettamente 166 A. VITI = separato dal simpatico e decorrente parallelo ad esso, distante qualche millimetro, altra volta, e ciò è più frequente, appena che si è distaccato dal laringeo superiore sembra che sì imme- desimi col tronco del simpatico, ma ciò non è, poichè col sem- plice scollamento d' alto in basso si può benissimo vederlo affatto separato fino alla sua terminazione, fatta eccezione di quelle poche volte, in cui ad un certo punto vi sì immedesima vera- mente, come più sopra ho ricordato. Riassumendo adunque i resultati delle mie ricerche praticate su 50 conigli, ho.constatato, che soltanto due volte esisteva una origine duplice dal laringeo superiore e dal vago, come affermano. Cyon e Ludwig e ciò non nel medesimo animale, ma in due sog- getti distinti; altre due volte, soltanto dal lato destro, ho trovato che alla radice proveniente dal laringeo superiore si univa un’ altra radice proveniente dal simpatico, una sola volta dal lato sinistro oltre la radice del laringeo ne esisteva un’ altra proveniente dallo stesso punto da cui si distacea il laringeo superiore. Del resto nel rimanente dei conigli da me osservati, che forma la grande maggioranza, il depressore si origina unicamente dal laringeo superiore, ed in questi ho riscontrato 43 volte una origine unica da ambedue i lati, 6 volte da un lato solo; una sola volta l’ori- gine dal laringeo si faceva con due radici tanto a destra che .a sinistra; una volta dalla parte destra, questa origine poteva dirsi triplice, perchè oltre due radici distinte che spiccavansi dal laringeo superiore ne esisteva una terza che da questo si ori- ginava insieme al laringeo esterno. Questo circa al modo di origine del depressore. Circa poi alla terminazione di questo nervo confermo le os- servazioni di Cyon, perchè in 50 conigli, ho trovato 42 volte, che da ambedue le parti il depressore terminava nel gauglio stellato, 4 volte a destra soltanto, 3 volte soltanto a sinistra. Del resto solo una volta ho veduto questo nervo terminare colla sua unione intima al simpatico tanto a destra che a sinistra, 8 volte terminava nello stesso modo, una soltanto a destra, 8 volte solamente a sinistra. Una volta soltanto questa termi- nazione invece di farsi nel tronco del simpatico si effettuava nel tronco del vago, ed una sola volta parimente sebbene il depre- sore terminasse come normalmente al garglio stellato, era in co- municazione per mezzo di un filetto relativamente lungo col cordone del simpatico. IL NERVO DEPRESSORE 167 A maggiore esplicazione di quanto sopra possono osservarsi le seguenti tabelle: Origine del Depressore 50 Conigli osservati da ambedue i lati del collo formano osservazioni N. 100. In queste l'origine era: 33 ; da 2 lati. 43 = 86 volte Origine unica Ser ll V da un solo lato ci al Laringeo sup. soltanto Origine duplice - 9 iS » triplice . 1 » Dal Laringeo superiore e dal Vago. . . .0. ..... 2 » Dal Laringeo superiore dal Simpatico . . 60 2 » Dal Laringeo superiore dal punto di origine di ona Aci asa opto » | 100 Terminazione del Depressore In 50 conigli — Osservazioni N, 100 i da ambedue i lati 42 =. . . . 84 volte Nel Ganglio Stellato a destra soltanto. 4 » a sinistra soltanto . 3 » da ambedue i lati 1 = 2 » Nel tronco del Simpatico a destra soltanto. 3 » a sinistra soltanto . 3 » Nel tronco del Vago 1 » 100 Null’ altro mi resta ora da aggiungere sulle mie ricerche del Depressore nel Coniglio. Come ognun vede esse differiscono assai dalle ricerche di Cyon e Ludwig, circa l'origine di questo nervo. * Intraprendendo queste ricerche io non intendeva certamente dimostrare il contrario di quanto era stato detto fin qui, anzi io voleva solamente osservare la disposizione, la morfologia di questo nervo per trarne delle utili deduzioni per l'analogia nel- l’uomo. Oggi sono costretto per la realtà del fatto, a conclu- dere diversamente. E per ragione di equità, non sono io il primo a dimostrare la origine unica dei Depressore dal laringeo superiore, poichè, come altra volta ho ricordato, il Toussaint, citato da A. Chan- veau (') a dire di questo autore avrebbe egli pure fatte delle (O). 168 A. VITI ricerche in proposito per le quali soltanto qualche rara volta avrebbe rinvenuta la radice proveniente dal Vago. Io non so su quanti conigli il Toussaint abbia eseguite le sue ricerche e se questo trovarsi raramente della radice del Vago possa costuirsi quale eccezione (invece che disposizione normale) come è a me resultato . Le mie ricerche, mi portano di necessità a queste conclusioni. I resultati fisiologici che Cyon e Ludwig ottennero mediante gli esperimenti su questo nervo, che gli fecero meritare il nome di Nervus depressor non rimarranno per nulla alterati. La impor- tanza di questo nervo quale causa di trasmissione di un eccita- zione centripeta che partentesi dal cuore può, riflettendosi sui nervi vasomotori, determinare la diminuzione della pressione del sangue nell’ alveo vascolare, rimarrà di sicuro inalterata, e con le conclusioni anatomiche differenti, non sarà mai detto che il cuore non possa per mezzo di questo nervo regolare da sè stesso la pressione del sangue, ma il fatto anatomico concernente l'origine del depressore (tralascio le varietà di terminazione) non è certa- mente quello che Cyon e Ludwig avevano descritto. Infatti ciò che essi stabiliscono come eccezione all’ origine comune del de- pressore nel coniglio, secondo queste mie ricerche sono costretto a porlo come fatto normale, mentre deve essere considerata come varietà, l’ origine del depressore con le due radici del Vago e del Laringeo superiore. Questa disposizione come l’ ho io riscontrata mi servirà perciò di base a stabilire la comparazione della morfologia del depres- sore in altri animali, comparazione il cui scopo ultimo è di giun- gere alla conoscenza della disposizione del depressore nell’uomo. Giatto Come Cyon e Ludwig furono i primi che segnalarono la pre- senza di questo nervo nel Coniglio, così il merito di averlo ri- cercato e studiato per il primo nel Gatto (felis catus) spetta a Eduard Bernhardt, ed i resultati delle sue ricerche pubblicava IL NERVO DEPRESSORE 169 egli in una memoria stampata a Dorpat nell’anno 1868 ('). Avanti del Bernhardt nessuno aveva pensato a fare ricerca di questo nervo nel gatto, ed egli come fa osservare nella sua me- moria, intraprendendo questa ricerca, null’ altro ebbe per criterio che le analogie di origine e di cammino. Ed infatti partito da questo punto di vista, egli osservò e riscontrò l’ esistenza di un nervo proveniente dall’ estremo centrale del laringeo superiore e che si getta nel tronco del vago e del simpatico. Basandosi appunto sull’ analogia egli ritiene questo nervo come rappresen- tante il depressore nel Gatto. Il Bernhardt dice di avere praticate le sue ricerche su 30 gatti, in tutto il qual numero, soltanto una volta ha notato la mancanza di questo nervo da ambedue i lati del collo. In un quarto dei 29 animali osservati, egli lo ha osservato soltanto da nn lato; nei rimanenti poi esisteva da ambe le parti, sebbene, al dire dell’ autore quasi mai si osservavano gli stessi rapporti da ambo i lati del corpo. Ha osservato inoltre il Bernkardt che questo nervo si pre- senta più nettamente isolato e con un cammino più lungo a sinistra di quello che a destra e che il suo sviluppo, la sua grossezza e la sua lunghezza nella maggioranza dei casi sono in diretto rapporto colla grandezza del corpo degli animali 08- servati. Come nervo isolato soltanto per un certo cammino, egli ha veduto il depressore anche in un piccolo gatto nato da sei giorni. Circa il decorso di questo nervo nel gatto, ecco come si esprime quest’ osservatore. « Il consueto camino del depressore era solito essere il seguente: originato dal nervo laringeo superiore solo o ben anche con due radici, dal nervo laringeo superiore e dal tronco del vago, discende nel collo al di dietro della carotide e ora dopo un lungo, ora dopo un corto camino, il più delle volte dopo che ha percorso uno spazio di un mezzo pollice si getta ora nel simpatico ora nel vago, talvolta prosegue il suo cammino separato fino dentro alla cavità toracica e immette im- mediatamente nel plesso cardiaco, senza precedente collegamento con alcuno dei due nervi che lo accompagnano ». Circa il rapporto poi di situazione rispetto.al vago e al sim- (4) Anatomische und Physiologisce Untersuchungen ber den Nervus Depressor bei der Katze. Dorpat 1868. 170 A. VITI patico, soltanto un unica volta egli lo ha osservato identico nel medesimo animale; mentre nel rimanente degli animali da lui osservati egli ha potuto verificare tutti i possibili cambiamenti nella posizione relativa di questi tre nervi. A prova di quanto sopra egli riporta nel suo lavoro un piccolo quadro contenente le osservazioni praticate su sei gatti in cui trovò il depressore da ambedue le parti del collo. Quivi è notata la disposizione del depressore di fronte ai due nervi che lo accompagnano (vago e simpatico) e la terminazione di esso in uno di questi, o nel ganglio cervicale inferiore. Senza star quì a riportare il quadro del Bernhardt dirò che le conclusioni che dall’ osservazione di esso possono tirarsi sono le seguenti: che a sinistra il depres- sore non è mai il più esterno dei tre cordoni nervosi (8 volte è situato all’interno, 3 volte nel mezzo) e che mai da questo lato si getta nel vago, mentre 4 volte termina nel ganglio cer- vicale inferiore e due volte nel cordone del simpatico, che a destra due volte si trova il depressore nel mezzo, due volte al- l'interno, due volte all’ esterno, e che da questo lato non si getta nel ganglio cervicale inferiore, mentre termina 4 volte nel tronco del vago e due volte in quello del simpatico. Nei casi poi in cui il nervo depressore non si perde nel collo in uno dei due tronchi nervosi che lo accompagnano, ma decorre invece isolato sino entro la cavità toracica; il Bernhkardt si è dato cura di osservare minuziosamente e quasi direi con un lusso di ricerca superfluo, le molteplici variazioni del cammino del depressore che egli divide in tre ordini tipici, che in brevi parole sì possono riassumere così; 1.° All’ altezza dell’ apertura superiore del torace il depres- sore sì unisce con un ramo del ganglio cervicale inferiore e va così al cuore. 2.° Il nervo depressore si getta nel ganglio cervicale in- feriore dal quale sì distaccano, un ramo che si porta nel vago, uno che corre al cuore e due altri un po’ più grossi che si get- tano nel ganglio toracico primo. 9.° Il depressore decorre isolato fino all’ altezza della prima costa si divide poi in diversi rametti nervosi tinissimi che si portano direttamente al cuore. Si anastomizza col vago, col ganglio cervicale inferiore e col primo ganglio toracico. Come ho detto, il Bernhardt si dilanga assai nella descrizione IL NERVO DEPRESSORE IZ di questi tre tipi, specialmente nella descrizione dei rami comu- nicanti fra il depressore, il vago, il ganglio cervicale inferiore e il primo ganglio toraeico. Riportar tutto ciò mi sembra vizioso, perchè dopo tutto non si giunge a stabilir nulla circa la ter- minazione del depressore nel cuore. La disposizione anatomica del nervo depressore nel Gatto, come viene stabilita dal Bernhardt, fatta astrazione dalle varietà a cui può andare soggetta, presenta tuttavia varii punti di ana- logia col nervo depressore nel coniglio. Infatti, sebbene non sia da considerarsi secondo il Berrhardt, che come eccezione l’ origine del depressore nel gatto con due radici dal laringeo e dal vago, pure egli trova in ciò un punto di comparazione col coniglio, come pure costituisce per lui un’ altro importante punto di ana- logia la terminazione del .depressore nel vago, fatto che Cyon e Ludwig hanno pure verificato, sebbene una sola volta su 40 conigli. Finalmente anche nel modo di decorso vede il Bernhardt l'analogia col coniglio, poichè anche in questo animale, al dire di Cyon e Ludwig il depressore, entrato nella cavità toracica tiene un decorso assai complicato, causa le anastomosi che manda ai rami nervosi che nascono dal ganglio stellato. Anche il Finkelstein nel suo lavoro pubblicato 12 anni dopo quello di Bernhardt conferma la esistenza del depressore nel gatto, e secondo le sue ricerche la varietà descritta da Cyon sarebbe riscontrata una volta in questo animale, con la sola differenza che nel gatto l’ unione del depressore col vago avveniva nella parte inferiore del collo ('). Non è a mia cognizione che dopo £ernhardt e Finkelstein altri si sia occupato delle ricerche anatomiche ‘del depressore nel gatto. Sono molti però gli autori di fisiologia che su tale argomento, semplicemente accennano all’ esistenza del depressore nel gatto, ad esempio il Palladino (*), secondo il quale la man- canza di questo nervo si verifica il 22°/, da un sol lato, il 3 °/ da ambedue i lati del collo, il che presso a poco concorda con i resultati del Bernhardt è con i miei. Io mi sono dato cura di osservare la disposizione del depressore anche in questo animale ed ecco i resultati a cui son giunto nelle mie ricerche. ©) ee (2) Istituzione di Fisiologia ec. già citato. 172 A. VITI Il numero dei Gatti da me osservati è di 10 soltanto, e seb- bene sia di due terzi inferiore a quello di Bermhardt, pure posso dire a priori che in generale le mie osservazioni mi portano a tirarne delle conclusioni identiche almeno in massima parte. In fatti nei 10 gatti da me osservati ho potuto verificare la presenza quasi costante di questo nervo. Dico quasi costante, perchè due sole volte, e ciò sempre dalla parte destra, ne ho no- tato l'assoluta mancanza; mai ho veduto che mancasse da am- bedue i lati del collo. Nel rimanente questo nervo trovasi sem- pre come nervo distinto. E voglio anche notare come sia giusta l'osservazione del Bernhardt circa l'essere questo nervo per più lungo tratto separato dagli altri nel lato sinistro, mentre nel lato destro in generale il suo decorso isolato e un po’ più breve. Circa l’origine concordo perfettamente col Lernhardi nel- l’ammettere il depressore nel gatto come ramo proveniente dal Laringeo superiore in generale, e talvolta anche con una se- conda radice del Vago. Infatti 7 volte su 10, ho veduto questo nervo tanto a destra che a sinistra trarre origine unicamente dal laringeo superiore ad altezza varia del decorso di questo nervo (Fig. A). Due sole volte una tale origine ho riscontrato soltanto a sinistra e ciò era appunto nei due casì in cui a destra vi era assoluta mancanza del depressore. Una volta sola ho veduto questo nervo originarsi con duplice radice, cioè dal laringeo e dal vago, e in questo caso la radice proveniente dal vago era di una esilità rimarchevole e sì distaccava dal tronco di questo nervo 3 millimetri subito al disotto del punto di origine del laringeo superiore (fig. B): ciò a destra. Nel medesimo animale in cui notava questa duplicità di origine del depressore dal lato sinistro le cose erano un po’ diverse. Infatti anche da questa parte io notava la presenza di una fina radice proveniente dal vago, distaccata presso a poco nel medesimo punto che a destra; ma vi era di più una terza radice della lunghezza di circa un centimetro la quale si distaccava dall’estremo inferiore del gan- glio cervicale superiore del simpatico. Queste tre radici riuni- tesi tutte insieme originavano il tronco del depressore (Fig. B.) . Però dovendo dire la verità io non potrei assolutamente as- sicurare, se questa terza radice del depressore debba conside- rarsì come una radice distinta o se sia uno dei nervi cardiaci e specialmente il superiore, che appunto si diparte dal ganglio IL NERVO DEPRESSORE INS) cervicale superiore, e che in questo caso si sarebbe fuso col depressore. E questa medesima supposizione può farsi certa- mente anche nel coniglio, in quei casi in cui il depressore ha due radici una del laringo e l’altra del simpatico. Comunque sia la cosa io non sono al caso, a dire il vero, di risolvere questa questione, perchè sebbene mi sembrasse, nel gatto in cui tro- vava questa terza radice, di osservare anche un esilissimo fila- mento che poteva rappresentare il cardiaco superiore, pure io debbo confessare di non essermi accertato del fatto in modo da poterlo assicurare senza tema di andare errato. Comunque sia la cosa, ripeto, tanto se si deve ritenere questa terza radice come il nervo cardiaco superiore che si fonde poi col depressore, quanto se si deve considerare come un rametto a parte concor- rente alla formazione del depressore stesso, ho creduto impor- tante notarla, e perchè nè il Bernhardt nè Finkelstein fanno menzione di questa varietà, e perchè essa costituisce un fatto importante per la comparazione necessaria per stabilire la di- sposizione del depressore nell'uomo. Anche la relazione che Bernhardt dice esistere fra le pro- porzioni del depressore e la lunghezza dell’ animale io 1’ ho ri- scontrata giustissima. Poichè nel numero dei gatti che io ho esaminato come ne annovero uno di grandezza non comune, così ne annovero due nati forse da 3 o 4 giorni e perciò ho potuto con questi due termini considerare le graduali variazioni delle proporzioni del depressore, mediante i 7 animali intermedi in grandezza e confermare l’asserzione del Bernhardt. Circa la situazione del depressore relativa al vago e al sim- patico, nel numero delle mie osservazioni ho veduto tutte le possibilità di variazione su questo rapporto; mi astengo dal ri- portarle, poichè non credo si possa attribuire ad esse una grande importanza. Se sia il depressore più esterno di fronte al vago, al simpatico, o il più interno, o se si trovi pure nel mezzo non sì può stabilire neppure con un criterio approssimativo. Del resto anche senza la conoscenza di questo rapporto si può il depressore non confondere con altri nervi, poichè non v° è altro ramo nervoso che decorra parallelo al vago e al simpatico. In quanto alla terminazione del depressore nel gatto le cose, come afferma il Bernhardt e come.io stesso ho potuto verificare, sono alquanto differenti di fronte al coniglio. Mentre in questo 174 A. VITI animale è cosa normale la terminazione del depressore nel ganglio stellato (ultimo ganglio cervicale del simpatico), nel gatto invece può dirsi che il nervo depressore termina indifferentemente, sia nel simpatico, sia nel vago, e talvolta anche direttamente nel plesso cardiaco. Ma se un più frequente modo di terminazione deve stabilirsi, secondo le mie osservazioni, sono portato a concludere che più frequentemente il depressore non arriva al cuore nè và al ganglio cervicale inferiore, ma sibbene finisce al tronco del vago con i rami del quale certamente deve poi concorrere alla formazione del plesso cardiaco. RI. Le mie osservazioni mentre circa alla origine del ca concordano con quelle di: Bernhardt, circa alla terminazione in vece se ne distaccano un poco. Infatti il Bernhard ammette che il nervo depressore nel gatto termini pure nel tronco del vago; ma nel quadro di cui egli correda il suo lavoro, apparisce che in sei animali, questa terminazione nel vago si ha: soltanto 4 volte dal lato destro e mai dal sinistro. lo invece in dieci gatti, due volte ho veduto il depressore terminare nel tronco del vago in ambedue le parti ad altezza non sempre eguale, ma presso a poco circa alla metà del decorso: del vago nel collo, 4 volte l’ho veduto terminare nel vago soltanto a destra, e 4 volte pure soltanto a sinistra, ad altezza varia sempre, ma per lo più a sinistra dopo un cammino più lungo isolato, come può vedersi nella figura CO. Adunque per questi resultati ottenuti io sono portato ad ammettere la terminazione nel vago possibile tanto a destra che a sinistra non solo, ma anche più frequente di quello che non l'abbia ritrovata il Bernhardt. La terminazione del depressore nel tronco del simpatico in- vece, relativamente al numero delle ricerche, io l’avrei riscon- trata meno frequente che il Bernhardt, poichè egli in 6 gatti l’ha riscontrata due volte a destra e due volte a sinistra, io invece in 10 non la ho veduta che due volte a destra e 1 volta a sinistra, ed in questo caso il depressore non si trovava iso- lato mai oltre la metà del collo (fig. D). Circa alla terminazione del depressore nel plesso cardiaco direttamente sembra che essa sia meno frequente e perchè il Bernhardt non l’ha mai riscontrata nei sei casi riportati nel suo quadro, e perchè io stesso in 10 casi una sola volta ho veduto IL NERVO DEPRESSORE 175 il depressore correre isolato al plesso cardiaco soltanto a sinistra, ed in questo caso il nervo prima di terminare nel plesso divi- devasi in due rami (fig. E.). Un altra volta dalla parte destra il depressore andava nel plesso cardiaco perfettamente isolato si, ma però poco sopra al ganglio cervicale inferiore spiccava un ramo che si gettava in questo sanglio dal quale due altri ramettini partivansi, uno che si portava al primo ganlio toracico, l’ altro al plesso cardiaco (fig. F). Una terminazione duplice, cioè nel vago e nel simpatico, non è mai rammentata da Bernhardt, io la ho osservata una volta dalla parte sinistra. Infatti in questo caso il depressore poco dopo originatosi dal laringeo superiore, dividevasi in due rami uno dei quali assai corto ('/, centimetro circa) si perdeva nel vago, l’altro invece oltrepassata la metà del collo si univa al sim- patico (fig. G). La terminazione del depressore nel ganlio cervicale superiore per me deve essere piuttosto rara poichè io, fatta eccezione di quell’ anastomosi che più sopra ho ricordato (fig F), non ho mai veduto il depressore gettarsi in questo ganglio; mentre sarebbe assai frequente per il Bernhardt poichè egli l’ avrebbe trovato 4 volte a sinistra, sulle 6 osservazioni riportate nel suo quadro. I resultati delle mie osservazioni adunque, in tesi generale poco ditferiscono da quelli ottenuti dal Bernhardt. Infatti rias- sumendo in brevi parole la disposizione del depressore nel gatto dirò, che questo nervo si origina generalmente dal laringeo superiore, talvolta con una seconda radice data dal vago, e talvolta anche con una terza proveniente dal ganglio cervicale del simpatico, discende al collo dietro la carotide e dopo un cammino variabilmente lungo sì getta nel pneumogastrico, tal- volta invece nel simpatico, per lo più avanti che questi nervi oltrepassino l’ apertura superiore del torace, talvolta, sebbene più raramente decorre sino al plesso cardiaco isolatamente o anastomizzandosi prima col ganlio cervicale inferiore. Può questo nervo mancare da un sol lato del collo, forse, ma più di rado, non può essere affatto rappresentato da alcuna parte. Stabilita così la morfologia del depressore nel gatto, si vede chiaramente che in diversi punti esiste una analngia col de- pressore nel coniglio. Infatti anche nel gatto l’origine del 176 A. VITI depressore è unica come nel coniglio, talvolta duplice (dal la- ringeo e dal vago). Anche la triplicità dell’origine del depres- sore (dal laringeo superiore, dal vago, e dal simpatico) sebbene a prima vista non presenti analogia col coniglio, pure se vo- gliamo possiamo trovarla dappoichè quella radice che nel gatto proviene dal ganglio cervicale superiore, nel coniglio pure la abbiamo rappresentata in quei pochi casi in cui oltre la radice del laringeo superiore ne esiste una seconda che si distacca dal cordone del simpatico. Intercede soltanto la differenza, che nel coniglio questa radice si presenta insieme con quella del laringeo superiore, mentre nel gatto si presenta in un caso in cui oltre la radice del laringeo superiore esiste anche quella data dal vago. Anche nel coniglio si ha la possibilità della terminazione del depressore nel vago, come nel gatto avviene molto frequen- temente, e nel simpatico, come pure nel gatto si può trovare, sebbene assai più di rado. Infine anche la terminazione del de- pressore direttamente nel cuore non differisce molto dalla ter- minazione del depressore nel ganglio stellato da cui certamente deve riescire per portarsi al cuore. Dunque questi due punti che sembrerebbero un po’ più lontani nella comparazione si riav- vicinano assai. Nel gatto la terminazione al cuore è immediata, nel coniglio invece vi è di mezzo il ganglio stellato. Solo ne differisce la frequenza, poichè quanto è assai frequente trovare il depressore nel coniglio terminare al ganglio stellato, altret- tanto è assai raro che nel gatto si porti immediatamente nel plesso cardiaco. Cane Di tutti gli animali, in cui gli anatomici si son dati cura di ricercare il nervo depressore, il cane (Canis familiaris) è quello in cui Ja questione della esistenza o non esistenza di questo nervo non ha ancora ricevuto una soluzione. L’ anno seguente a quello in cui Cyon e Ludwig scuoprirono il depressore nel coniglio, Dreschfeld, che come gli altri fisiologi, si era dato alle ricerche fisiologiche su questo argomento in ’ IL NERVO DEPRESSORE 177 varii animali, in quanto al nervo depressore nel cane si esprime molto esplicitamente colle seguenti parole , il nervo depressore manca nel cane (') ,. Egli perciò nega il depressore e lo nega recisamente; mentre su tal proposito i due fratelli M. ed E. Cyon si espeimono in un modo molto indeciso. Infatti nel loro lavoro , della innervazione del cuore. da parte del midollo spi- nale (*),, essi hanno queste parole: « Nel cane il decorso dei nervi del cuore in generale è il seguente: simpatico, vago e pro- babilmente anche il depressore nel collo decorrono come è noto in un sol tronco nervoso ,. Ed anche sul decorso ulteriore di questo nervo conservano essi dei dubbi, poichè nel medesimo lavoro è detto più oltre , il ramo dell'ultimo ganglio cervicale che decorre più all’interno .è la continuazione del depressore, nel cane questo nervo è probabilmente uno dei tre rami del tronco che sì porta al cuore ,. Come bene osserva il Bernhardt (*) con questo modo di esprimersi fa un contrasto molto strano la ricurezza colla quale alla fine del lavoro citato, in una appo- sita tabella è dato ragguaglio delle ultime ricerche. Infatti M. ed E. Cyon dicono: , Cicerca colla eccitazione diretta dei nervi in un cane a) vaghi, depressori e simpatici recisi da ambe le parti; 5) eccitazione dei nervi dall’ ultimo ganglio cervicale ,. Mentre là la prova dell’esistenza del depressore nel cane è posta in dubbio, qua invece si parla del depressore in un modo asso- lutamente sicuro. Il Bernhardt nel suo lavoro già citato, riporta anche i re- sultati che egli ottenne ricercando il depressore nel cane. Egli dice che malgrado la esplicita dichiarazione di Dreschfeld e i dubbi dei fratelli Cyon, in 4 cani sottoposti alle ricerche ana- tomiche, soltanto una volta essergli riuscito di osservare il nervo depressore come tronco isolato e con un cammino come viene descritto nel coniglio e nel gatto. Anche in questo caso il nervo depressore nasceva dall’estremo centrale del laringeo superiore come un sottile filetto e si gettava finalmente dopo un decorso di circa un pollice e mezzo nella guaina comune del vago e simpatico. Questo nervo, egli dice, era così sottile che difficil- (©) eo i (*) Archiv fur Anatomie, Physiologie und wissenschaftliche Medicin von Rei- chert un Du Bois-Reymond 1867. Heft. III. u. IV. (3) L. ce. 178. A. VITI mente lo si sarebbe potuto porre in evidenza nell’ animale vi- vente per sottoporlo alla prova sperimentale. Ciò è quanto dire che Bernhardt caratterizza questo nervo per il depressore più per l'analogia di origine e di decorso, che dalla sua azione fi- siologica. Secondo il Paladino questo nervo manca nel cane come ramo isolato e le fibre depressorie decorrerebbero invece nel tronco del vago e del simpatico (!). Il Kreidmann invece nella ricerca di questo nervo ebbe dei resultati incerti. Egli dice, che può ritenersi quale depressore un ramo che fa distaccare dal laringeo superiore e che unito ad un ramo del vago decorre dentro la guina del vago-simpa- tico (?). Henle (‘) parlando del depressore accenna alle ricerche di Bernhardt. Colle ricerche di Dreschfeld concorderebbero quelle di Gzo- vanardi (‘). Sebbene questi non abbia esaminati che due cani, pure nella sua memoria sul nervo depressore, dice che tranne i nervi laringei, non ha trovato che i rami cardiaci del simpatico e nulla più. Anche il Finkelstein (9) non dice nulla di nuovo accennando al depressore nel cane, soltanto si liraita a confermare i resultati di Kreidmann. Nel cane adunque io non poteva dagli studi altrui farmi un concetto della disposizione del nervo depressore essendo questi oltremodo discordanti, poichè chi dice assolutamente che non esiste, chi si limita solamente a dire che le sue fibre decorrono nel tronco comune del vago e del simpatico, chi gli attribuisce un origine con due radici, dal laringeo superiore e dal vago, chi finalmente lo fa nascere soltanto dal laringeo superiore. Considerando ora i resultati che io ho ottenuti esaminando 6 cani, dirò, così a priori, che non mi resta altro che confermare quanto dice il Bernhardt su tale proposito. Infatti in 6 cani io non ho trovato che in due soli un nervo, che per l' anologia, d’ origine e di decorso, possa considerarsi quale depressore, negli altri 4 io non ho riscontrato nulla che accenni alla presenza (4) L. c. () ro: (3) L. e, (3) Lo ® ($) L. ec. iL NERVO DEPRESSORE 179 di questo nervo, e perciò in questi io non dirò col Dreschfeld che esso non esiste affatto, ma neppure posso asserire che le sue fibre abbiano un cammino del tutto nascosto nel tronco del vago-simpatico. lo mi son dato cura di togliere la guaina comune del vago e del simpatico, e non ho avuto altro re- sultato che quello di potere isolare per un certo tratto, il tronco del vazo da quello del simpatico e nulla più. Fibre che abbiano le proprietà fisiologiche del nervo depressore vi saranno io non voglio negarlo, ma se vi sono, e la fisiologia soltanto può provarlo, anatomicamente io dico che non si può stabilire nulla di certo. In due cani in cui ho detto esistere un nervo che ha analogia di cammino. e di origine col depressore come nel coniglio e nel gatto, ecco. ciò che ho potuto vedere. In uno di questi due cani, il vago e il simpatico apparentemente uniti potevano facilmente essere isolati fino alla metà del collo. Dalla parte destra il la- ringeo superiore, poco dopo essersi distaccato dal tronco del vago, mandava un ramo che decorreva isolato parallellamente a questo nervo per circa 7 o 8 centimetri, quindi sì univa a questo, e non era possibile seguirlo più oltre (fig. A). A sinistra le cose erano alquanto differenti. Il ramo che si distacca dal laringeo superiore e che riceve il nome di laringeo esterno, perchè non entra dentro il canale della laringe, in questo caso appena originatosi, mandava un rametto ben visibile, il quale sì univa, dopo un decorso di circa 3 centimetri, con un ramo proveniente dal simpatico e formato un sol nervo, questo de- correva isolato per una lunghezza di cirra 10 centimetri, quindi sì univa intimamente al vago-simpatico (fig. B). Nell’ altro cane dalla parte sinistra io non trovava nulla che potesse ricordare il depressore, a destra invece, dal laringeo superiore, appena originatosi dal vago, si distaccava un piccolo nervo che dopo un decorso isolato di 4 centimetri ritornava nel tronco del vago e non lo si poteva più seguire. - Con questi resultati appunto io non posso fare altro che confermare i resultati di Berrhardt, soltanto egli avrebbe tro- vato questo nervo originato dal laringeo superiore; mentre una volta io l'ho veduto nascere anche dal laringeo esterno, ed unirglisi una radice del simpatico. Ma anche questa origine dal laringeo esterno non toglie l'analogia, poichè la possiamo spiegare, So. Nat. Vol. VI, fasc. 2.° 3 180 A. VITI ammettendo che il nervo depressore che negli altri casì si è distaccato dal laringeo superiore in questo caso ha seguitato a decorrere, e per una ragione che non saprei dir quale, è rimasto per un certo tratto unito a quelle fibre motrici del laringeo superiore che vengono a costituire il laringeo esterno. Di ciò si ha un’ altro esempio nel coniglio in quel caso in cui il depres- sore nasce con 3 radici, due direttamente dal laringeo supe- riore, l’altra a comune col laringeo esterno. Sicchè, dopo tutto, ciò non differisce gran fatto dalle ricerche del Bernhardt. Anche la presenza di quel ramo dato dal simpatico che entra a costi- tuire il depressore non è cosa affatto nuova. Lo si è trovato nel coniglio, si è trovato pure nel gatto, come vedremo anche nell'uomo non nè mancano gli esempi. Soltanto mi resta a no- tare che mentre il Bernhardt dice di avere trovato il depressore tanto sottile che nell’ animale vivente difficilmente lo si avrebbe potuto vedere; io invece ho trovato che questo nervo non aveva questa esilità, anzi. dirò, una volta era quasi grosso quanto il tronco del simpatico. Concordano pure le mie ricerche con quelle di Bernhardi circa la presenza di questo nervo. Egli lo ha trovato una volta in 4 cani, mentre io in 6 lo avrei trovato una volta da ambedue le parti del collo ed una volta dalla parte destra soltanto. In conclusione, come si trova il depressore nel cane? Il de- pressore nel cane non si trova costantementente; se le sue fibre decorrono intimamente unite al vago-simpatico, anatomicamente non si può dimostrare, ciò spetta alla fisiologia. Quando questo nervo esiste esso è rappresentato da un ramo del laringeo su- periore, che dopo un decorso più o meno lungo, finisce al tronco del vago, e può anche darsi il caso che alla sua origine contri- buisca con una fina radice il simpatico. L' affermazione adunque che questo nervo lo si trova costan- temente nel cane, è contro la verità, e il negarne assoluta- mente l’ esistenza è impossibile, basta l’ accurata osservazione per dimostrare che non si può. IL NERVO DEPRESSORE 181 Cavallo Tranne il Bernhardt e il Finkelstein io non sò che altri ana- tomici sì sieno occupati di osservare, se anche nel cavallo (Equus caballus) esiste un nervo depressore. Perciò anche in questo ani- male l’ esistenza di questo nervo non è ancora ben dimostrata. Il Bernhardt nel suo lavoro circa il depressore nel gatto(') porta anche i resultati ottenuti dalle sue ricerche praticate su dei cavalli. Egli prima d'intraprendere la descrizione dei suoi resultati fa una osservazione, che apparentemente può sembrare assai razionale e giusta, ma che considerata poi meglio si vede potere anche esser soggetta ad errore; inquantochè egli dice, che considerate le colossali dimensioni del cavallo di fronte a quelle del coniglio e del gatto, è cosa impossibile che il nervo de- pressore possa sfuggire alla osservazione e che per conseguenza se non si trova il nervo depressore nel cavallo, è questa una buona ragione per ammettere che in realtà esso non esiste af- fatto come tronco isolato. Descrivendo poi quanto egli ha po- tuto vedere, confessa chiaramente di non aver trovato un vero e proprio nervo depressore isolato, crede però di aver trovato una forma di analogia con il depressore, come si presenta nel coniglio e nel gatto. Infatti egli dice di avere veduto nel cavallo il nervo laringeo superiore originarsi da uno smagliamento a guisa di rete del nervo vago, con apparenza di due radici di- stinte. Di queste due radici la seconda, egli dice, (e con ciò intende forse accennare a quella che si stacca da un punto più basso del tronco del vago) sembra disgiungersi dal la- ringeo superiore, imperciocchè si distingue chiaramente un fa- scetto molto grosso, ma anche assai corto proveniente dal- l’ estremo centrale del laringeo superiore e che tosto ritorna ad unirsi col tronco del vago. Per questa analogia invero poco ben netta, e che si è potuta dimostrare soltanto in pochi esem- plari, il Bernhardt non osa asserire con certezza potersi ritenere questo fascetto nervoso per il nervo depressore, ma vuole sol- tanto richiamare l’ attenzione su questo nervo di cui l’ analogia col nervo depressore se non è bene evidente di per sè stessa ©) Le 182 A. VITI è almeno supponibile. E crede dì essere autoriazato a fare questa supposizione perchè anche nel gatto il depressore, secondo lui, lo ha veduto tenere una volta un cammino del tutto simile, e perchè anche Cyon e Ludwig descrivono un decorso quasi con- simile del depressore, però soltanto in via eccezionale, avendolo osservato una sola volta su 40 conigli. È giusto adunque convenire che gli studi del Bernhard non ci conducono alla certezza sulla esistenza del depressore nel cavallo, come nervo isolato, soltanto in forza dell’ analogia pos- siamo supporre che esista, ma non in modo costante. Anche le ricerche praticate su questo medesimo animale dal Ainkelstezn (') non aggiungono nulla all’ argomento, poichè in ultima analisi, questo autore non fa che confermare i resultati del Berrmhardt. D'altra parte consultando i trattati di fisiologia si può fa- cilmente vedere che le ricerche fisiologiche non escludono la presenza di fibre depressorie anche nel cavallo, poichè l’ eccitazione del moncone centrale del pneumogastrico reciso al collo, può produrre, fra gli altri effetti, anche quello di abbassare la pres- sione del sangue e siccome questo effetto lo si ottiene colla ec- citazione del moncone centrale del depressore in quegli animali in cui esiste, così vuol dire che le fibre nervose con proprietà depressorie, invece che in un cordone isolato, decorrono imme- desimate al cordone del pneumogastrico. Il Paladino peraltro nella sua istituzione di fisiologia (*) dice che nel cavallo il de- pressore ha brevissimo corso e nasce per lo più con due radici. Questa asserzione mi ha colpito di fronte alle incertezze emesse dal Bernhardt. Io non so se il Paladino abbia fatto sul cavallo ricerche anatomiche in proposito, oppure se resulti a lui per ricerche di altri; comunque sia è certo, che tale affermazione include almeno la possibilità dell’ esistenza del depressore nel cavallo come tronco nervoso isolato. Onde farmi una idea del come possa essere rappresentato il nervo depressore nel cavallo io ho portato le mie ricerche ap- punto su 5 cavalli, e a dire il vero, in questo piccolo numero di ricerche potrei quasi affermare di essere stato più fortunato di Benrhardt, inquantochè posso assicurare fin da ora che il depressore esiste anche nel cavallo come nervo isolato, e pro- (*) L. cc. (2) L. c. IL NERVO DEPRESSORE 183 babilmente raro è che non si trovi rappresentato, almeno ciò deduco dai seguenti resultati. In un primo cavallo io ho osservato che dal laringeo supe- riore, prima che da questo si distacchi il laringeo esterno, si diparte un ramo nervoso, il quale dirigendosi obliquamente verso il pneumogastrico, si unisce tosto con un altro ramo nato dal pneumogastrico stesso, 10 centimetri circa al disotto dell’ origine del laringeo superiore; unitisi questi due rami e formato un solo nervo, esso decorre parallelo al vago e al simpatico (che si tro- vano in una medesima guaina ma benissimo distinti) per circa 708 centimetri e quindi entra nella guaina di questi dove può seguirsi ancora e finalmente gli si unisce, verso la metà del collo dove non è più possibile separarlo dagli altri cordoni nervosi, che costituiscono il vago. Questo dalla parte destra. Dalla parte sinistra invece esisteva un ramo discretamente grosso, il quale si distaccava dal laringeo superiore, anche qui quasi a metà del suo corso al di fuori della laringe, e dopo avere camminato paral- lelo al simpatico e al vago per un tratto di 15 centimetri, si perdeva nel tronco del simpatico e non lo sì poteva più seguire (fig. A). In due altri cavalli ho potuto osservare, come dice il Bernhard, il larirgeo superiore trarre origine da uno smagliamento reti- forme del vago; ma per render meglio l’idea di questa dispo- sizione dirò, che in questi due casi si vedeva benissimo il laringeo superiore originarsi dal vago, ma fra questi due nervi esisteva uno scambio tale di rami, che formava un vero e proprio plesso nervoso occupante l’ angolo che fa il laringeo superiore quando si diparte dal tronco del vago. In questa fittissima rete nervosa io non ho potuto scorgere che un altro ramo si distaccasse dal vago per unirsi al laringeo superiore e formare così una seconda radice di questo nervo, come dice il Bernhardt, come pure non ho veduto quella speciale disposizione che egli descrive. In uno di questi due cavalli da questo plesso traeva origine da ambedue le parti un ramo, che dopo un decorso di 25 centimetri si univa al cordone del simpatico. Questo ramo a sinistra poco dopo la sua origine mandava un fine rametto lungo circa 10 centimetri, che si univa pure col simpatico; così anche a destra, colla differenza però che questo rametto non aveva una lunghezza maggiore di 3 centimetri (fig. B). 184 A. VITI Nell’ altro pure da questo piccolo plesso si distaccava un ramo da ambedue le parti, ma si comportava diversamente, perchè a destra questo ramo si univa con un filetto nervoso nato dal vago a quattro centimetri sotto al plesso descritto, e formato un sol nervo decorreva libero per circa 10 centimetri inguainato col vago e col simpatico; quindi sì perdeva nel tronco del vago: a sinistra invece questo ramo non ne riceveva alcun altro dal vago, ma sibbene decorreva isolato fra questo e il simpatico, e dopo un cammino di 15 centimetri circa dividevasi in due ra- metti secondari dei quali uno molto corto si univa al simpatico, l’altro assai più lungo sì gettava nel vago (fig. C). In unaltro cavallo non trovava io alcuna traccia del surri- cordato plesso, soltanto vi era un rametto del laringeo superiore, che dopo 10 centimetri circa di decorso si univa intieramente al cordone del vago (fig. D). Disposizione presso a poco identica a quest’ ultima descritta io trovava nel genere Asinus. Infatti tanto a destra che a si- nistra dal laringeo superiore un poco dopo la sua origine dal vago usciva un rametto che decorreva per 5 o 6 centimetri senza ricevere alcuna anastomosi nè dal tronco del vago nè da quello del simpatico, e quindi si perdeva da ambedue le parti nel vago stesso. Secondo questi miei resultati, pur confermando in parte quanto dice il Bernhard, io debbo ritenere, come sopra ho ac- cennato, il nervo depressore come costante nel cavallo, o almeno quasi costante, perchè io non l’ ho veduto mai mancare. Il plesso nervoso che io in due cavalli ho veduto esistere fra il laringeo superiore e il vago, certamente deve essere il corrispondente di quella espansione retiforme da cui il Bernkardt fa originare il laringeo superiore. Però questo plesso secondo le mie osservazioni non darebbe per nulla origine al laringeo su- periore. Questo nervo in quei due casi simili a quelli del Ber- nhardi nasceva ben distinto dal tronco del vago, mentre il plesso che io ho descritto non resulta altro che da uno scambio reci- proco di filetti nervosi fra questi due nervi. Il Berrhardt oltre quelle volte in cui ha osservato quella disposizione che egli descrive, non avrebbe mai trovato un nervo che potesse rasso- migliarsi al depressore. Io non sò se egli siasi dato cura di to- gliere la guaina comune del vago e del simpatico come ho fatto IL NERVO DEPRESSORE 185 io ed osservare se dentro questa esistesse alcun altro ramo ner- voso. Il fatto è che anche quando non esisteva quella speciale disposizione accennata dal Bernhardt, io ho sempre ritrovato un nervo che per l’ analogia d'origine e di decorso può certa- mente paragonarsìi al depressore, come lo si trova nel coniglio e nel gatto più specialmente. Le mie ricerche adunque sebbene confermino in parte le osservazioni del Berrhardt, pure io credo con esse potere af- fermare qualche cosa di più. Posso affermare cioè, che sempre nel cavallo esiste un ramo nervoso da doversi ritenere analogo al depressore. In quei due casì in cui le mie ricerche sembrano concordare colle ricerche del Bernhardt pure ne differiscono per questo, che il ramo nervoso che si distacca dal piccolo plesso teso fra il laringeo e il vago, termina per lo più nel simpatico e non nel vago stesso come egli dice, poichè così io l’ ho ve- duto terminare in un cavallo da ambedue i lati (fig. B), mentre nell’ altro a sinistra terminava nel vago e nel simpatico con due rami distinti e soltanto a destra andava a finire unicamente nel vago (fig. ©). Ma anche in questo ultimo caso, sebbene il ramo originato dal piccolo plesso terminasse nel vago, pure vi è sempre una notevole differenza nel caso mio poiche a formarlo concorreva pure un rametto venuto dal vago stesso. Considerando poi gli altri tre esemplari da me osservati, l'aver trovato in questi un ramo nervoso come esisteva nel coniglio e nel gatto, originato dal laringeo, con o senza una radice data dal tronco del vago e terminante o nel vago stesso o anche nel simpatico, mi porta ad ammettere che questo nervo debba ritenersi quale depressore. E non solo io lo ritengo tale in questi tre casi, ma anche negli altri due in cui non origi- navasi direttamente dal laringeo superiore, poichè il decorso e la terminazione sono perfettamente identici. In conclusione basandomi sull’ analogia con gli altri animali, credo potere affermare che il depressore esiste anche nel cavallo, in generale con la seguente disposizione. Esso si origina quasi sempre dal tronco del laringeo superiore qualche volta da un intreccio di fili nervosi che formano un plesso tra questo ramo e il vago. Così originato esso decorre isolato per nn cammino di lunghezza variabile, quindi si immette nella guaina comune del vago del simpatico, tolta la quale lo si può vedere anche 186 A. VITI libero per un tratto più o meno lungo, quindi termina indiffe- rentemente nel vago e nel simpatico, e talvolta nell’ uno e nel- l’altro. Non è raro che questo nervo riceva un ramo dal vago poco dopo che si è distaccato dal laringeo, il quale ramo co- stituisce così una seconda radice come è possibile trovare nel - coniglio e nel gatto. Data questa origine e riconosciuta al nervo testè descritto un tal decorso e una tale terminazione, non si può dire che esso non sia il depressore. Però io credo che sebbene le dimen- sioni dell’ animale di cui ora si parla siano enormi di fronte a quelle del gatto o del coniglio più specialmente, pure se non si agisce con una certa cura non è facile discoprire questo nervo, o almeno lo si può credere alquanto differente e attribuirgli un cammino separato cortissimo mentre la sua lunghezza è in ge- nerale assai considerevole. Ecco perchè al principio di questo capitolo io faceva notare non essere sempre giusta la osserva- zione fatta dal Bernhardt, che se questo nervo non si trovava nel cavallo, considerate le colossali proporzioni di questo, dovere ritenersi come non esistente qual tronco isolato. Mi pare piut- tosto avere ragione il Paladino quando dice che questo nervo esiste nel cavallo, sebbene non si trovi constantemente con due radici, come egli dice, e con un decorso brevissimo. Topo Non credo che altri siasi data cura di osservare la dispo- sizione del depressore nel topo (Mus); in nessuno autore ne trovo fatta parola. Io, osservata e stabilita la disposizione di questo nervo nel coniglio, pensai che non molto di simile doveva essere nel topo, poichè certamente fra questi due animali ap- partenenti al medesimo ordine (Roditori), sebbene a generi dif- ferenti (Mus e Lepus), come esiste analogia in molti altri organi doveva pure esistere per ì nervi pneumogastrici o simpatici. E con questo criterio che io mi posi.a ricercare il depressore in questo animale, ed infatti tosto mi accorsi che anche quì il depressore esiste come ramo isolato, non però perfettamente IL NERVO DEPRESSORE 187 come nel coniglio, ma con disposizioni tali da non lasciare alcun dubbio sulla sua analogia. Io ho ricercato il depressore in 5 topi dei quali 4 della specie decumanus ed uno della specie rattus. Circa alla diversità della specie dirò subito che questa non influisce nulla sulla disposizione del depressore, questo nervo, come lo si trova nell’uno, così pure sì presenta con eguale disposizione nell’ altro, e da ciò credo poterne arguire la identicità di disposizione e di rapporto in tutte le specie del genere Mus. Non lieve però è la difficoltà onde scuoprire questo nervo, attesa la sua esilità per la quale occorre talvolta fare uso di una lente di ingrandimeuto, onde assicurarsi della sua esistenza, e trovatolo, per non lacerarlo nel seguito della preparazione. Io, posto allo scoperto il pneu- mogastrico in tutto il suo decorso nel collo, mi son sempre servito per isolare il depressore di aghi finissimi, mai di bisturì onde non lederlo e per essere più sicuro circa alla origine, al decorso e alla terminazione. Procedendo adunque colla massima accuratezza in queste ricerche, io credo potere affermare a priori che il nervo depres- sore è quasi sempre costante nel topo, almeno nei 5 animali da me osservati non l’ ho veduto mancare che una sola volta da un sol lato del collo. 1 rapporti di questo nervo nel collo non differiscono da quelli che ha nel coniglio e nel gatto. Esso de- corre parallelo al vago e al simpatico per tutto il suo decorso; ma per amore del vero non posso dire veramente quale situa- zione esso abbia relativamente ai due nervi suddetti, e questo credo sia anche di poca o nulla importanza inquantochè non giova affatto per stabilirne l’ analogia, essendo la sua origine e la sua terminazione tali da non permettere su ciò dubbio alcuno. E poi io credo che sarebbe quasi impossibile stabilire il rapporto relativo al vago e al simpatico, poichè decorrendo questo nervo esilissimo insieme con essi e non potendosi bene osservare se non scollandolo leggermente, non si può garantire che ciò facendo non vengano i rapporti alquanto alterati. Ecco ora più dettagliatamente i resultati delle mie ricerche. Dei 5 topi osservati, in 2 esisteva da ambedue i lati del collo un rametto esilissimo che originavasi dal laringeo supe- riore poco dopo che questo si è distaccato dal tronco del vago e subito addossavasi al pneumogastrico, con il quale decorreva 188 A. VITI per 7 o 8 millimetri circa, quindi si univa intimamente al t1onco di questo nervo (fig. A). In un altro, questo medesimo nervetto esisteva da un sol lato, cioè a sinistra, mentre a destra non era per nulla rappresentato. In un quarto sorcio, io trovava a sinistra un ramo prove- niente al solito dal laringeo superiore, al quale se ne univa un altro esilissimo e cortissimo il quale traeva origine dal vago, quasi subito al di sotto del punto di origine del laringeo stesso. Questi due rami si riunivano-tosto a formare un sol nervo che decorreva isolato per quasi tutta la lunghezza del collo e quindi sì riuniva al vago (fig. B). Dalla parte destra vi era il solito ramettino del laringeo superiore lungo 8 o 9 millimetri che si getteva nel vago. Finalmente in un altro di questi animali io notava con molta soddisfazione a conferma anche di quanto aveva notato nel gatto, anche una origine triplice. Infatti, in questo animale a destra oltre le due radici come sopra ho descritto, esisteva anche un esilissimo rametto di 5 o 6 millimetri di lunghezza proveniente dal ganglio cervicale superiore e che insieme cogli altri due con- tribuiva a formare un ramo unico. A sinistra esisteva pure una triplice origine ma differente da quella di destra, inquantochè non esisteva un rametto del ganglio cervicale superiore, ma una seconda radice del vago la quale si distaccava dalla metà del tronco di questo nervo nel collo per gettarsi tosto nel depres- sore (fig. 0). Data adunque questa disposizione del depressore nel topo, rimane evidentissima l’ analogia con gli animali fin qui osser- servati. Poichè anche in questo animale, come si vede, il de- pressore trae origine dal laringeo superiore nel più dei casi e termina nel vago come generalmente osservasi nel gatto, ed anche nel cane e nel cavallo. Anche la duplicità di origine di questo nervo dal laringeo superiore e dal vago, trova la sua ana- logia in una origine simile nel coniglio, nel gatto e nel cavallo. La origine triplice, cioè dal laringeo del vago, del simpatico, sebbene fatto meno frequente, pure lo sì riscontra anche nel gatto. Vi è di più in questo animale la possibilità, che la ra- dice che può esser data dal vago, sia duplice. Ciò non costi- tuisce affatto una diversità da menomare l’ analogia del depres- sore nel topo, poichè io riconoscendo, sebbene non come fatto IL NERVO DEPRESSORE 189 costante, che questo nervo possa trarre origine con due radici una dal laringeo superiore, e l’altra dal vago, credo potersi spiegare la duplicità di quest’ ultima radice, ammettendo che quel fascetto di fibre che viene a costituire la radice data dal vago si è distinto in due fascetti che si sono distaccati dal vago ad altezze differenti. La terminazione dì questo nervo è nel vago, come si verifica nel gatto, nel cane e nel cavallo ed ec- cezionalmente nel coniglio. Esiste adunque anche nel genere Mus un nervo depressore che trae origine dal laringeo superiore, ma può anche ricevere una radice dal vago e più raramente anche un’ altra dal ganglio cervicale superiore e termina nel tronco nel vago stesso per mezzo del quale ya al cuore. Del resto i rapporti son presso a poco identici a quelli che ha nel coniglio e nel gatto. Porco-Spino Nel riassunto storico che il nXelstein premette alla sua memoria sulle ricerche del depressore in varii animali e nel- l’uomo (') accenna anche al lavoro di Y. Aubert e G. Rover i quali trovarono il nervo depressore nel porco-spino (Hrino- ceus europeus) (*). A queste medesime ricerche accennano pure Landois (#) ed Hartmann ('), ma nessnn di essi entra in speciali dettagli. A riporto di Zenle ($) il lavoro di Aubert e di Réver sì trova pure negli annali di Me:isner. Jo non ho potuto osservare da me stesso il lavoro originale di Aubert e over nè consultare gli annali di Messner, e ciò con assai rincrescimento, in quanto che io non ho potuto farmi un'idea giusta del come, secondo essi, si trovi il depressore nel porco-spino e confrontare le mie ricerche con quelle dei due os- servatori tedeschi. È vero che il sapere che il depressore esiste è gia di per sè un fatto importante, poichè, fatte poche ecce- zioni, si può affermare che il depressore ha presso a poco una (pure: ()glte: (©) Ie, | (©) Lo @ (©) Io CI 190 A. VITI disposizione identica in tutti gli animali in cui è stato osservato; ma non basta per la comparazione poichè io non poteva prima di intraprendere le mie ricerche stabilire a quale dei tipi, più proprio a ciascuno animale dovessi rassomigliare la disposizione del depressore nel porco-spino e su questo indirizzo eseguire le mie ricerche. Per conseguenza io non posso quì fare altro che riferire quei resultati avuti dalle poche ricerche da me ese- guite, e di qui trarre un giudizio comparativo. Io ho esaminato soltanto tre esemplari di questo animale; sono pochi è vero, ma credo però anche in questo scarsissimo numero di osservazioni potere asserire a priori, che la disposizione del depressore nel porco-spino, non è per nulla differente da quella che ha questo nervo in altri animali. Nei tre soggetti osservati, io trovava in uno un ramo pro- veniente da ambedue le parti del laringeo superiore il qual ramo tosto si addossava al tronco del vago e con esso decorreva nel collo. A destra non era possibile poterlo seguire nella cavità toracica, poichè all’ apertura superiore di questa si riuniva tal- mente al vago da non poterlo più distinguere (fig. A). A si- nistra invece lo si seguiva facilmente dentro la cavità toracica dove poteva benissimo osservarsi la sua terminazione nel plesso cardiaco, fra l’ aorta e l'arteria polmonale (fig. B.). In un altro io trovava questo medesimo ramo sempre con origine unica, dal solo laringeo, ma terminante però da ambe- due le parti del collo nel tronco del vago, non però ad altezza eguale, inquantochè, mentre a destra questo rametto era assai corto ('/, centimetro circa) a sinistra misurava una lunghezza di 2 centimetri e '/,. Finalmente in altro di questi animali io trovava dalla parte destra il solito ramo dal laringeo superiore che disceso paral- lelo al vago a livello dell’ apertura toracica superiore vi si univa intimamente. Dalla parte sinistra questo ramo nervoso originavasi con due radici, una dal laringeo, l’ altra proveniente dal tronco del vago subito al disotto dell’ origine del laringeo superiore stesso (fig. C). Invece di due radici può dirsi meglio che questo ramo traeva origine come negli altri casi dal laringeo superiore e riceveva una finissima e assai corta anastamosi dal vago. Da questa medesima parte si poteva questo nervo seguire fino entro al torace per pochi millimetri, quindi l’ unione sua intima al vago impediva di seguirne ulteriormente il decorso. IL NERVO DESRESSORE 191 x Questo nervo è molto esile in questo animale e sebbene non lo sia come nel topo, pure presenta non poche difficoltà nella sua preparazione. Io ho cercato di eseguirla con tutta la mas- sima cura possibile, onde non ledere questo ramo nervoso e non alterarne i rapporti, e ho potuto convincermi che normalmente la sua disposizione è tale che esso si trova situato all’interno del vago, il quale a sua volta è situato internamente di fronte al cordone del simpatico. Ciò in quanto al rapporto di situa- zione: in quanto alle sue connessioni, io almeno servendomi anche di una lente da ingrandimento non ho potuto osservare che quell’esilissimo filetto del vago, che come ho già descritto, ne costituisce come una seconda radice; del resto non ho veduto mai altra anastomosi, ed anche in quell’ unico caso in cui questo nervo correva fino al plesso cardiaco, a me è sembrato che giungesse fin quà senza mandare alcun ramo al vago o al sim- patico e senza riceverne alcuno da essi. Non v'è dubbio adunque che il nervo depressore esista anche nel porco-spino, poichè l’ analogia lo dimostra chiarissimamente. L’ origine di questo nervo costantemente dal laringeo superiore, la possibilità che questo sia duplice, cioè anche dal vago, la sua terminazione nel vago ed altezze differenti ossia in altri termini, la sua variabile lunghezza ed anche la sua diretta ter- minazione nel plesso cardiaco stesso, sono tutte cose che si pos- sono notare anche negli altri animali e riguardo a quest’ ultimo più facilmente nel gatto. Concordano i miei resultati con quelli di Aubert e Rover? Io voglio supporlo, poichè ho cercato di condurre le mie osserva- zioni colla maggiore accuratezza possibile, cosa che certamente non e da porsi in dubbio che abbiano essi pur fatto, e per con- seguenza, tolta qualche possibile eccezione, i resultati non do- vrebbero discordare gran che. Ma anche quando ciò avvenisse, io posso assicurare dalla esattezza delle mie osservazioni, certo poi di non avere errato anche per l’ analogia di questi resultati con quelli fin quì descritti in altri animali. 192 A. VITI Pecora e Bove Mi sembra cosa inutile riferire separatamente i resultati ot- tenuti dalle ricerche del nervo depressore nella pecora (Ovîs aries) e nel bove, (Bos taurus). Presso a poco identica e nell’uno e nell’ altro di questi due ruminanti, la disposizione del depres- sore può essere benissimo insieme considerata. Di tutti gli osservatori che si sono occupati di ricercare il nervo depressore nei varii animali; soltanto il Kreidmann, è @ mia cognizione che abbia fatto ricerche in proposito sulla pecora, mentre nel bove non credo che alcuno fin quì siasene occupato. Io ricercando questo nervo nella pecora volli osservare se anche nel bove, animale del medesimo ordine, si presentasse ‘colla me- desima disposizione, e dovetti convincermi che, almeno quando esiste la disposizione che assume nel bove non (differisce gran fatto da quella che ha nella pecora. 1 Il Kreidmann che ricercò questo nervo anche nel cane e nel- l’uomo, dice nel suo lavoro (') di avere trovato nella pecora il nervo depressore libero, il quale da un lato dell’ animale da lui osservato traeva origine unicamente dal laringeo superiore, dal- l’altro invece esisteva una seconda fine radice data dal vago. ‘ Non sò quanti di questi animali abbia osservati il Kreidmann, ma standomi a questi resultati ne deduco che nella pecora, in quanto alla origine, il depressore non differisce affatto dalla ori- gine che può avere anche in altri animali. Il decorso di questo nervo, secondo lo stesso osservatore, è breve assai, esso non sa- rebbe che di 7 o 8 centimetri e la sua terminazione non sarebbe direttamente al plesso cardiaco nè al ganglio cervicale inferiore, ma sibbene nel tronco del vago, per mezzo del quale certamente anderebbe a perdersi nel cuore. Senza osservare un gran numero di questi animali, io dovetti tosto convenire, che i resultati espressi dal Are:dmann erano giusti. Infatti nelle 4 pecore da me osservate io notava in due un ramo che originatosi dal laringeo superiore, dopo un decorso vario fra i 5 e 15 centimetri ritornava a inguainarsi nel vago WMISic: IL NERVO DEPRESSORE 193 e non lo sì poteva più separare dai fasci nervosi che compongono questo nervo (fig. A). Ciò da ambedue i lati del collo. In un’altra pure trovava io tanto a destra che a sinistra, quella disposizione che Kreidmann ha veduto da un sol lato, il depressore cioè ricevere un rametto del nervo vago della lunghezza di circa 8 centimetri (fig. B) il quale però a destra si distaccava dal vago poco dopo il laringeo superiore, mentre a sinistra si dipartiva dalla metà del cordone di questo nervo nel collo. Anche in questo caso formatosi il depressore con questi due rami di origine, ter- minava nel vago. In un'altra poi soltanto dal lato sinistro io trovava un ramo del laringeo superiore che si gettava nel vago dopo circa 10 centimetri di decorso, dal lato destro mi fu im- possibile osservare una consimile disposizione. Occorre però notare che trovandosi nella pecora, come in molti altri animali, il tronco del vago unito in una sola guaina a quello ‘del simpatico, oc- corre separare per un certo tratto questi due nervi per mettere in evidenza questo ramo che decorre per un certo tratto in mezzo ad essi. Nel bove potei io praticare le mie osservazioni soltanto sopra un soggetto giovanissimo, e su due fetì l’ uno di 6 l’altro di 4 mesi. Nel primo io rinvenni da ambedue le parti del collo, un rametto del laringeo superiore che dopo un decorso di 6 o 7 centimetri sì univa al pneumogastrico. Negli altri due sol- tanto da un lato solo io vedeva un piccolo nervo assai corto con eguale decorso ed eguale terminazione il quale traeva ori- gine anche dal laringeo superiore, dall’ altro lato io non trovai alcun che di simile; almeno a me non riuscì di isolare alcun ramo che decorresse addossato al tronco del vago. Concorda adunque la disposizione di questo nervo nel bove con quella che assume nella pecora, dove è anche più netta- mente visibile e perciò credo inutile dimostrarlo anche con una figura. I resultati che io ho ottenuti nella pecora sono, come ho gia detto, identici a quelli di Xreidmann, poichè anche a me è stato dato osservare il depressore nascere in una radice sola dal laringeo superiore, o anche con una seconda radice del vago. Su questo duplice modo di origine faccio pure osservare, che sebbene sia possibile trovare nella pecora il depressore originato con le due radici solite, pure non è questo il modo di origine 194 À, VITI più comune. Più comunemente il depressore anche in questo animale, non è che un semplice ramo del laringeo superiore che poi si unisce col vago. Il {reidmann non sò se abbia trovato costantemente questo nervo. Io sarei portato a concludere che può anche mancare; ma se questa possibilità sia frequente o rara invece, non posso assicurarlo, poichè il numero delle mie osservazioni è limitato, e sebbene una volta non lo trovassi da una parte, credo che ciò non basti per potere stabilire una media. Nel bue invece, sembrerebbe che la possibilità della man- canza di questo nervo fosse maggiore, ma anche qui attese le poche osservazioni, faccio le mie debite riserve. Noto anche come nel bove sembrerebbe trovarsi anche più raramente o non trovarsi affatto l’ origine di questo nervo anche dal vago, al- meno così dedurrei dalle mie osservazioni, ma lo ripeto, sono tre sole, dunque non posso affermarlo assolutamente. In conclusione adunque, il nervo depressore nella pecora e : nel bove, non differisce nella sua disposizione da quella che pre- senta negli altri animali: anzi in questo animale, si può asse- rire essere facilmente visibile, e quelle rare volte in cui non è possibile trovarlo come tronco nervoso isolato, attesa la sua tendenza a ritornare nel tronco del vago, non è improbabile che le sue fibre decorrano unite a questo medesimo nervo, e che ciò è possibile anche in altri animali è provato dall’ espe- rimento fisiologico. “scimmia, Con massima soddisfazione avrei io voluto eseguire ricerche del depressore nella scimmia su larga scala, onde avere un cri- terio più sicuro dell’analogia di questo nervo nell’uomo, poichè certamente la disposizione e i rapporti che esso deve avere nei qaudrumani non possono differire gran fatto. Infatti il pneumo- gastrico e il simpatico nel loro decorso nel collo, come sì com- portano nella scimmia, così pure li vediamo essere disposti nel- l’uomo; ora è conseguenza facile a dedursi che anche il depres- IL NERVO DEPRESSORE 195 sore se in qualche modo è rappresentato nei quadrumani, non può e non deve essere molto differentemente rappresentato nel- l’uomo. E d'altra parte questo medesimo animale che nella scala geologica, dopo l’uomo, occupa il primo posto, trovandosi perciò più di esso affine agli animali sottostanti, deve ritrarre da essi dei carattari più mamifesti di quello che non possa ri- trarli l’uomo stesso; ragione per la quale nello studio dello svilupppo e della perfezione comparativa degli organi e dei si- stemi, dappoichè è riconosciuto inimpugnabile il grande principio della provenienza delle forme più perfette dalle meno perfette, è della più alta importanza lo stabilire la disposizione di un dato organo in questo animale costituente il termine medio che riunisce l’uomo agli animali inferiori. Ma se: posso però dichia- rarmi anche sodisfatto dell’ aver potuto osservare questo ani- male, inquantochè nella letteratura di questo nervo non trovo nessuno che lo abbia ricercato nei quadrumani, mi duole nel tempo stesso di non potere riferire che un unica osservazione. E questo debbo attribuire ad una pura e semplice combina- zione, poichè quando io mi accinsi a studiare tale argomento, non aveva certamenta in animo di portare le mie osservazioni anche sulla scimmia. Capitò l'occasione ed io ne feci prò, ecco quali resultati ne ricavai. La scimmia da me esaminata era un rapprentante del ge- nere Cercopithecus appartenente alla specie sadeus. In esso dalla parte destra del collo il laringeo superiore dava origine ad un ramo il quale si univa, dopo un corso di un centimetro, con un altro rametto partito dal tronco del pneumogastrico a 3 0 4 millimetri al di sotto dell’ origine del laringeo superiore. Dalla unione di questi due rami resultava un nervo che decorreva parallelo al vago al di dietro della carotide e al simpatico fin verso la metà del collo e quindi si perdeva nel cordone del simpatico stesso. Questo ramo appena originatosi con queste due radici era unito per un corto filetto al ganglio cervicale su- periore del simpatico (fig. A). A sinistra non esisteva affatto questa disposizione, però un centimetro al disotto del punto di origine del laringeo superiore si distaccava dal tronco del vago un ramo relativamente grosso, il quale decorreva libero da ogni anastomosi nel collo parallelo al tronco del vago stesso, quindi entrava ne!la cavità toracica dove sempre isolato si perdeva nel plesso cardiaco. ; 196 A. VITI Non si può certamente porre in dubbio che dalla parte destra non si trattasse del depressore vero e proprio; infatti non è cosa molto rara in altri animali vedere che al depressore nato dal laringeo superiore si unisca un rametto proveniente dal vago; lo si è visto nel coniglio, nel gatto, nel cavallo ec. E quel rametto che unisce questo nervo al ganglio cervicale superiore può benissimo considerarsi analogo a quella radice proveniente dallo stesso sanglio che, in alcuni animali, e nel coniglio stesso, contribuisce a formare il depressore,.e che nel gatto la troviamo una volta rappresentata insieme a quelle del laringeo superiore e del vago, raro esempio di origine del depressore da tre radici. Anche la terminazione di questo nervo contribuisce ad avvalo- rare l’ analogia. Il depressore soltanto nel coniglio termina ge- neralmente al ganglio stellato, ma negli altri animali, a cose normali, non giunge al cuore che indirettamente, gettandosi cioè nel cordone del vago o del simpatico. E poi quale altro nervo potrebbe essere se non il depressore con una tale origine e con una tale terminazione? Anche quel ramo che dalla parte sinistra si distaccava dal vago pure al disotto del laringeo, io credo non debba lasciarsi senza considerazione. Io ammetto, come altre volte ho accennato, il depressore quale ramo del laringeo superiore, e ritengo la radice che può talvolta avere origine dal vago, possa essere un fascetto di quelle fibre che nel tronco del laringeo costituiscono un fascio che rendendosi libero forma il depressore. Questo fa- scetto si sarebbe disunito dal fascio principale del laringeo superiore per pura accidentalità e per una causa ignota, e sa- rebbe uscito dal vago come ramo indipendente per raggiungere nuovamente quelle fibre dalle quali si era distaccato. Ora se non ripugna commettere che tutte le fibre che dovrebbero costituire il depressore, e non una parte, lascino il laringeo prima che questo si distacchi dal tronco del vago, ed escano poi da questo medesimo tronco indipendenti per portarsi al cuore, si può ri- tenere che anche quel ramo del pnenmogastrico relativamente grosso, che si porta al cuore, debba considerarsi quale depressore. Concludo insomma, che l’ analogia fra il resultato ottenuto da quest’unica ricerca e quelli ottenuti dalle ricerche sugli altri animali, mi sembra sia abbastanza palese e questo nervo debba ritenersi esistere anche nella scimmia. IL NERVO DEPRESSORE 197 Con ciò non voglio esserire assolutamente che il nervo de- pressore sia costantemente rappresentato nei quadrumani. Per dir ciò occorrerebbe un numero considerevole di osservazioni, ed io invece non ne ho che una sola, mi basta però il fatto che si trovi qualche volta rappresentato, se non lo sarà costan- temente. Anche circa alla morfologia di questo nervo nella scim- mia, non sì può con una sola osservazione affermare che sia quella che ho descritto e disegnato; anzi, come avviene anche negli altri animali, credo che qui vi saranno pure delle varietà, e chi sa se il caso da me osservato non sia una eccezione alla disposizione normale di questo nervo, e che esso invece comu- nemente si presenti assai più semplice. Io sarei inclinato ad ammettere che in questa unica osservazione suno imbattuto in una eccezione, perchè anche negli animali inferiori a questo, la disposizione da me descritta non si presenta altro che in via eccezionale e non in tutti, e sarei per credere che probabilmente anche nella scimmia il depressore, quando esista .come nervo isolato, non debba essere altro che un ramo del laringeo superiore. Uomo Le osservazioni sulla morfologia del depressore nell’ uomo, prima delle mie ricerche erano scarse ed incomplete. Premetterò un riassunto di quanto era noto. Eduard Bernhardt nel suo lavoro altre volte citato, passando in rivista il lavoro dei fratelli M. ed £. Cyon , dell’ innerva- zione del cuore da parte della midolla spinale ('), fa giusta- mente osservare che in un punto di questo lavoro, viene certa- mente accennato al nervo depressore nell’ uomo e riferisce le parole testuali “ La dimostrazione deì nervi del cuore nell’uomo, che in generale hanno lo stesso cammino che nel coniglio, si trova nell’ atlante anatomico di Loder,. E qui soggiunge il Bernhardt: “ Da questa dimostrazione sembra resultare che M. ed E Cyon hanno veduto anche nell’ uomo il nervo depressore, (9) Lc 198 CA. VITI che essi certamente noverano fra i nervi del cuore; almeno dalle loro parole niente lascia a dubitare il contrario ,. Certamente la deduzione tratta dal Bernhardt è giustissima e non poteva essere diversa, ma bisogna pur convenire che quella dei fratelli Cyon è un' asserzione assai vaga. lo non voglio dubitare che i Cyon non abbiano colle loro parole accennato anche al nervo depressore, essendo certamente uno dei nervi che vanno al cuore, mi fa caso però che non diano una descrizione netta ed esplicita. Io non ho potuto consultare quell’ atlante del Loder, in cui viene accennato trovarsi la dimostrazione dei nervi del cuore nell’ uomo, e per conseguenza non posso qui che fare una sola deduzione e questa si è, che il nervo depressore nell'uomo, se- condo Cyon si trovi nelle medesime condizioni di situazione, di origine, di rapporto e di terminazione in cui si trova nel coniglio; almeno così fanno supporre le loro parole. Accennando alle sue ricerche nell’ uomo il Lermhardi dice di avere trovato una disposizione del tutto analoga a quella del cavallo, poichè egli dice di avere osservato una espansione plessiforme del nervo vago, da cui sì origina il laringeo supe- riore coll’ apparenza di due radici e nello studio esatto di queste radici per mezzo della lente, aver potuto veder anche un fascio nervoso che dal laringeo superiore ritorna nel tronco del vago. Questo fascio assai corto, alla mente del Bernhardt richiama la disposizione già descritta nel cavallo. Ritornando poi sulle pa- role dei Cyon, circa la disposizione dei nervi del cuore nell'uomo, egli giustamente esprime i suoi dubbi su quella loro asserzione, dicendo che i fratelli Cyon i quali “ non conobbero il nervo de- pressore che nel coniglio , non avendo fatte ricerche sulle mol- teplici varietà che questo nervo presenta nel gatto, le quali sole ammettono un parallelo colla disposizione che il depressore as- sume nell’ uomo, hanno troppo precocemente giudicato quando dicono che ,i nervi del cuore nell’ uomo hanno in generale lo stesso decorso che nel coniglio ,. Non dubita il Bernhard} che queste parole possano essere giuste, per quanto riguardano il contegno di quei nervi che formano l’insieme caratterizzante il plesso cardiaco, ma con ragione fa osservare che le vie per le quali gli elementi nervosi forniti di proprietà diverse si portano a questo plesso sono varie nei varii animali, e per conseguenza anche nel coniglio e nell’ uomo. In conclusione il Bernhardt II NERV® DEPRESSORE 199 stenta ad accettare quanto affermano i Cyon sul nervo depres- sore nell'uomo. Il sapere come si trova questo nervo nel coniglio non vuol dire che si possa affermare lo stesso nell’ uomo e per conseguenza io credo con Berrmhardt che il giudizio dei fratelli Cyon è un po’ precipitoso. Anche colle osservazioni sue proprie non viene il Berrmhardt a chiarire completamente la questione. Certamente quella espan- sione plessiforme del pneumogastrico a cui egli accenna non può essere altro che il plesso gangliforme di Scarpa e 1° origine del la- ringeo superiore apparentemente con una duplice radice da que- sto plesso, credo che piuttosto possa considerarsi come una va- rietà di origine del laringeo stesso; varietà anche questa appa- rente poichè anche quella seconda supposta radice del laringeo superiore presto sì riunisce al vago da cui sembra distaccarsi. Ma un altra ragione che mi fa dire non avere il Bernhardt de- finita la questione della presenza e della disposizione del depres- sore nell'uomo si è questa. Egli dice, che nell'uomo ha trovato una disposizione del tutto identica a quella trovata nel cavallo, ora appunto nel cavallo accennando a ciò candidamente dichiara di non potere per questa analogia solo poco ben distinta, asserire con certezza che si tratta del nervo depressore, soltanto egli fa notare che l’ analogia è supponibile. Il Kreidmann di cui ho già rammentati gli studi eseguiti in proposito sul cane e sulla pecora ('), dice di aver ricercato questo nervo anche nell'uomo, e descrive i suoi resultati in poche parole. Secondo questo autore per osservare il depressore occorre togliere diligentemente la guaina che riveste il pneumogastrico; allora, egli dice, esser facile vedere che questo si divide in tre o più cordoni dei quali l’interno dà il laringeo superiore; ora da questo sì partirebbe una radice che tosto si unisce con un’altra nata dal cordone medio del vago. Queste due radici formano un nervo unico che decorre dentro la guaina del vago stesso e questo nervo egli ritiene quale depressore e crede che debba essere costante. È facile comprendere che i resultati del Areidmann non consuonano con quelli di Bernhardi. E per conseguenza ri- mane il dubbio nella questione. In Italia prima del Giovanardi, io credo che nessuno sì oc- (3) ol5tc- 200 A. VITI cupasse di ricerche anatomiche sul nervo depressore e special- mente poi nell’ uomo. Nella sna memoria già citata egli riferisce i resultati che ha ottenuti dalle sue osservazioni sull'uomo. Îgli ha osservato 7 cadaveri ed i resultati che ne ottenne credo do- verli qui riportare per poterli confrontare con i miei, con i quali in qualche parte consuonano. I In un uomo dalla parte sinistra del collo egli ha trovato un rametto nato dal laringeo superiore che si anastomizza col cardiaco medio del simpatico. Questo nervo egli ritiene essere il nervo di Cyon però con una sola radice e senza comunicare col ganglio cervicale inferiore. Due altri rami si staccano dal tronco del pneumogastrico per portarsi uno nel cardiaco medio, l’ altro nel laringeo esterno. A destra nota solo due rami nati dal pneumogastrico ad altezze differenti e che si gettano il più alto nel laringeo inferiore, il più basso nel cardiaco superiore. In un neonato maschio, a destra non ha trovato che un ramo del pneumogastrico distaccatosi un centimetro al di sotto del plesso gangliforme, che si anastomizza col cardiaco superiore del sim- patico verso la metà del collo. Lo stesso a sinistra, più un ramo del ganglio cervicale superiore che si unisce al laringeo esterno e due rametti cardiaci del pneumogastrico che si uniscono al gran simpatico. In un altro uomo da ambedue le parti ha tro- vato un ramo che nasce dal ganglio cervicale superiore del sim- patico, oltre il cardiaco superiore, il qual ramo dopo avere com- municato per diversi filamenti col cardiaco superiore stesso si congiunge col laringeo inferiore; un ramo cardiaco del pneumo- gastrico che nella parte inferiore del collo si anastomizza col cardiaco inferiore del simpatico; di più un esile rametto del laringeo superiore che và nel cardiaco superiore. In una donna ha veduto il laringeo superiore ricevere un ramo del ganglio cervicale superiore, dal laringeo esterno nascere un ramo ab- bastanza grosso che costeggia la carotide primitiva e che in corrispondenza colla settima vertebra cervicale si unisce al car- diaco medio. In altre tre preparazioni non ha veduto alcun ramo che dal laringeo superiore andasse a congiungersi ai rami car- diaci o si portasse isolatamente al cuore. Il Giovanardi adunque due volte sole avrebbe trovato un ramo del laringeo superiore che si unisce ai rami cardiaci del simpatico, una volta soltanto a sinistra ed una volta da ambedue le parti. Questo ramo sa- IL NERVO DEPRESSORE 201 rebbe quello che più si approssima alla disposizione che ha il depressore nel coniglio. Egli per conseguenza non trae alcuna sicura conclusione dalle sue ricerche; soltanto dic» essere co- stante un ramo di comunicazione tra il laringeo esterno e il simpatico. È forse il larinseo esterno il nervo di Cyon? Con questo dubbio chiude la sua memoria. Il Fonkelstein (') ha esaminato in proposito 5 cadaveri e ne deduce per conclusione che si debba ritenere nell’ uomo qual nervo depressore un ramo il quale nasce dal ramo esterno del laringeo superiore e che decorre isolato o si fonde col ramo cardiaco derivante dal ganglio cervicale superiore. Egli crede questo ramo essere costante. Questo ramo esterno del laringeo superiore cui accenna il Ninkelstein deve essere certamente quel- lo che costessia il canale laringeo e che si conosce col nome di laringeo esterno. In tal caso si approssimerebbs assai alle ‘conclusionì del Giovanardi. Ma anche questo osservatore come il Giovanardi stesso, non porta che un piccolo namero di osserva- zioni dalle quali io credo non si possa trarre un giusto criterio e una conclusione esatta; soltanto si può accennare ad una pos- sibilità. Ma l'osservatore tedesco invece afferma assolutamente che questo ramo debba ritenersi qual depressore, mentre l’os- servatore italiano, più coscienziosamente, sebbene concluda presso a poco lo stesso, pure esprime il suo dubbio sulla verità della sua conclusione. Consultando gli autori di anatomia umana più moderni e più autorevoli, non sì trova fatta parola di tale questione. Così almeno Sappey, Henle, Quain, Beaunis e Bouchard: W. Krause gli conserva il nome di ramo cardiaco del vago. Soltanto nel recentissimo trattato di anatomia umana del prof. Carlo Ge- gembaur sì trova appena un cenno, poichè l’autore non ha in proposito che queste poche parole. Egli dice che il ramo car- diaco che si distacca più in alto dal tronco del vago deve ri- tenersi analogo al depressore degli altri mammiferi (?) Nell’ intraprendere lo studio di questo punto della nevrologia mi proposi di venire ad una conlusione chiara e sicura per quanto mi fosse stato possibile, perciò cercai di eseguire le mie ricerche su un numero piuttosto considerevole di cadaveri; ed’ (lee (®) Lehrbuch der Anatomie des Menshen. Leipsig. 1883 pag. 842. - 202 ATOVITI infatti ne ho potuti esaminare 100. Ne avreì potuto osservare anche un numero maggiore, ma credo che questo sia abbastanza considevole per trarre delle conclusioni giuste e sicure circa alla frequenza, alla origine, alla terminazione e ai rapporti di questo nervo. Come ho già accennato, presi per punto di partenza delle mie ricerche il laringeo superiore, studiandomi di osservare se da esso si diparta un ramo che direttamente o indirettamente sì porti al cuore. Dico indirettamente perchè stante la molte- plicità dei rami nervosi che decorrono lungo il collo, io mi pro- posi di osservare anche se questo nervo che io cercava e che in forza dell’ analogia non doveva essere che un ramo del laringeo superiore, sì unisse con i rami cardiaci, che cgnun sà proven- gono dai gangli cervicali del simpatico e dal tronco del pneu. mogastrico. In conseguenza di ciò io non potei limitare le mie osservazioni al solo nervo laringeo superiore, compreso anche il laringeo esterno che da esso proviene, ma dovetti prendere di mira anche il tronco del vago ed il cordone del gran sim- patico. Non intendo però con questo di dire che io riferirò qui le minime particolarità così molteplici e varie che si riscontrano nei rami cardiaci tanto del simpatico quanto del pneumogastrico; no, io, lo ripeto, mi limiterò esclusivamente ad accennare in ogni singola osservazione quanto è di necessaria pertinenza del. l'argomento e che può essere importante per l’ analogia e per stabilire la morfologia di questo nervo. Siccome poi è provato dall’esperimento fisiologico secondo gli studi di Dreschfeld e Stelling, che fibre con proprietà de- pressorie decorrono anche nel tronco del vago, mi sono dato cura anche di togliere la guaina di questo medesimo e colla, massima diligenza osservare se fosse possibile caratterizzare un fascetto di fibre che per la loro origine potessero ritenersi come costituenti il nervo depressore incluso nel tronco del pneumo- gastrico, specialmente in quei casì in cui questo nervo non si presenta come ramo isolato e distinto. Alla descrizione dei resultati da me ottenuti in ciascun ca- davere esaminato ho creduto necessario dover dare una dispo- sizione particolare. Non ho voluto cioè stare a descrivere una dietro all'altra 100 osservazioni, volendo far ciò, anche nel modo il più conciso, avrei dovuto andare molto per le lunghe, il la- voro sarebbe riuscito più monotono e tedioso. Ho voluto invece 7 IL NERVO DEPRESSORE 203 disporre questi resultati a guisa di quadro, coll’ ordine seguente. Sotto tre colonne ho posto il numero d'ordine, il sesso degli individui, su cui ho eseguito le mie ricerche, e l'età. Ciò che riguarda poi la disposizione del nervo, oggetto di queste ricer- che, l’ ho distribuito sotto 4 colonne, in una prima ho posto quanto si riferisce al pneumogastrico, nella seconda quanto si riferisce al laringeo superiore, nella terza e nella quarta le par- ticolarità inerenti all’argomento che riguardano il laringeo ester- no e il simpatico. Ad ogni osservazione poi avrei voluto acclu- dere la respettiva figura, ma sarebbe stata cosa inutile, poichè molte avrebbero dovuto essere eguali o presso a poco eguali, e poi avrei fallito al mio intento che è quello di riassumere i resultati che ho ottenuti con poche figure tipiche alle quali in- tendo riportare le varie disposizioni che può assumere il de- pressore nell’ uomo. 204 A. VITI ® | da | I 3 5 ; i ) i i Laringeo | Sesso | Età ‘Pneumogastrico) Laringeo superiore Gran simpaticc Co) | | esterno Z | ; i 1 | Uomo 58. | Non dà che il Dà la sola diramazione del|Destra. Duplice. anni |solo laringeo su- laringeo esterno da ambedue Uno di questi ra- periore da ambe- 1 lati. mi oltre portarsi due le parti. | ‘al muscolo crico- itrioldeo con un | rametto comunica | icol simpatico. — | Sinistra. Manca | la duplicità. mE gegen a ST Uomo 64 Destra. Tre cen-. Idem | Destra. Con un| Manca il gan- i |timetri al disotto, rametto comunicalglio cervicale me- del ganglio ples-. col cardiaco supe-\dio. — Sstra. Il isiforme di Scarpa, riore del simpa-|cardiaco superio- manda un ramo ‘tico. — Smistra.|re originasi con che dopocortotra | ‘Comunica con un|due radici: una gitto va nel car- rametto del gan-|più esile a cui sì diacosuperiore.—, glio cervicale su-|unisce il filetto Sistra. Non si; nota la presenza; di questo ramo. | | | Nulla di parti- Destra. Oltre il laringeo colare. ‘esterno fornisce un rametto] che si getta nel simpatico; ‘un centimetro sotto al gan- glio cervicale superiore. — Sinistra. Esiste questo ra-| ‘mo dal quale si parte un’ esilissimo filamento che si unisce al pneumogastrico. Destra. In cor- | Nulla di particolare. rispondenza della biforcazione della carotide destra na- Il | . e» \periore che poi si lunisce al cardia- | È |co superiore. Manca a sinistra. le. A sinistra è A destra norma-| comunicante peri un esile filamento) del laringeo ester- no Nulla di partico- lare. Tdem ‘ na ini, | isce da questo ner- | | ivo un ramo assai | | più grosso dei car- Î | diaci normali del | | \Pneumogastrico , |che dopo averlo col simpatico. | | | \costeggiato per | | circa 3 centimetri, si porta poi in den- itro dietro alla ca-. irotide e oltrepas- sato il giugulo và nel plesso cardia- co. Sinistra. \Lo stesso; però il rametto si ori- gina 4 centimetri | circa più sotto. | N. d'ordine IL NERVO DEPRESSORE 205 Pneumogastrico Î \ Laringeo superiore | Laringeo (Gran simpatico esterno (SA 6 | Dorna 7 | neonato Uomo neonato | | Giorni 4 Giorni 2 Destra. Dalla pat- te media del pneu- mogastri o nel collo, nasce un ra- mo che discende in basso, situato prima sulla caro- tide e poi sul tron- co brachiocefali- co. e che si segue fino al plesso car- diaco. - Sinistra (Vedi laringeo su- periore) . Destra. Normale. Sinistra. A due centimetri circa al disotto del suo punto d'ori-| gine, sì parte da esso un ramo che dopo un decorso di 2 centimetri e '/, si get'a nel pneumogastrico Sì vede seguitare intimamente unito a questo nervo e quindi nuo-| vamente distaccarsene dopo 3 centimetri di corso e por- dere in basso nel plesso car- liaco al davanti dell’ arco Normale da am- bedue le parti. Tanto a destra che a sinistra nor male e così tutt gli altri nervi. Co. sicchè in questo cadavere non Vv) è nulla di )arti- colare da notare. | Destra. Due cen- \timetri al disott: del punto d’origi- nedel laringeo su- sto nervo un ra- | lell’ aorta. Nella sua parte più inferiore questo nervetto| fornisce un rametto che si porta in fuori e in alto per sperdersi sulla vena giugula- re interna; al di sotto di questo se ne origina un'altro she si sperde nel connettivo ira la carotide e 1a succlavia] sinistra. | Destra. Non dà che il solo aringeo esterno. Sinistra. )ltre questo manda un ra- nettino nel cardiaco supe- riore. | Normale da ambedue i lati. I iperiore, si staccal dal tronco di que-| |modella grossezza]| del laringeo ester-| ino che dirigen- dosi lungo la vena iguigulare inter-. ina scende perpen-. ‘dicolarmente per gettarsi nel plesso tarsi sulla carotide e discen-| | | Nulla di partico- lare. Normale Idem Idem Mancanza del cardiaco medio a sinistra, se non si ritenga per ta- \ le quel rametto che dal ganglio cervicale medio si getta nel ramo che si stacca dal ipneumogastrico. Idem N. d'ordine Età Pneumogastrico| I | LO | | I | VITI Laringeo superiore Laringeo | esterno | | (Gran simpatico 10 Donna | 61 anni 74 anni Donna | Donna | 10 neonato | Giorni | I cardiaco. INVE istra. Un tronco! \consimile al prece- ‘dente, scendendo! iîin basso si situa! però al di dietro della carotide pri mitiva e giunto’ liu corrispondenza! ‘del ganglio cervi-. ‘cale med. o si uni- Isce con un ves: \mo proveniente! da questo (proba- bilmente cardiaco! |medio, però molto) breve) e formato! così un sol nervo! và a sperdersi in! vicinanza dell’o-| imologo di destra nel plesso car- diaco. Ì ° Destra. Nessun ramo anor-| ‘male. — Swistra. Un cen-!| timetro appena dopo che si è distaccato dal tronco dell | \pueumogastrico da origine | lad un filetto nervoso, Tchel idirettosi in basso, dopo quat- ‘tro centimetri di corso, sì | Nessun ramo ol; ‘tre il laringeo su- ‘periore da ambe- due le parti. imogastrico. e m—.—n—- | Nulla che negri Nulla. iniaqualche dispo- sizione partico- lare. | Il | Nonpresenta nul.| Destra. Prima dell’ origine! la degno di nota;del laringeo esterno nasce| ‘tanto a destra che un ramo assai fino, che ri- la sinistra. ‘mane del tutto coperto dalla I ‘carotide e si unisce con il ramo che emana dal ganglio, ‘cervicale medio del simpa-| ‘tico e così formato un sol isperde nel tronco del pneu-| i | | I ‘vole. { Inervosi segue fino a perderlo, nel plesso cardiaco. —- St inistra. Questo stesso ramo! | | Destra. Il larin- geo esterno riceve un ramo che vie-| ne dal ganglio cer-, ‘vicale superiore.! — Sinistra. Nul-! la di notevole. Nulla di note-! Idem Nulla di note- vole. Idem Idem |che invece di unirsi con un) | ramo del simpatico, sì getta] ‘in questo, nella sua porzione! icompresa fra il ganglio cer-| vicale superiore e il medio.! ) I 13 ! Uomo demente 14, Uomo neonato | avanzata! Destra. L NERVO DEPRESSORE Età Pneumogastrico Laringeo superiore Laringeo esterno 207 Gran Stneatina jalcun ramo note- | ole oltre il larin- geo. se non un ‘semplice rametto iche va ad inner- ivare la parte su- iperiore dell’ omo- iplata-juideo. - Sr nistra. Dà un ra- imetto versola pir- ‘te media del collo metto del pneumogastrico ae va a gettarsi precedentemente descritto e| in un ramo che ‘discende dallarin- igeo superiore. | Destra. Normale. — S nistra Da un ‘ramelto che si di- ‘stacca 3 centime- media | | male. — Seristra. Un centi-| metro dopo la sua origine, ‘sì distacca da esso un ramo ‘che situatosi fra il tronco del 10.° e il simpatico scende purallelo ad essi. In corri- spondenza della biforcazione) della carotide dà un filetto) al pesso intrre rotideo: alla metà del collo riceve il ra-| formato così un nervo dell tutto analogo al depressore,| icome lo descrivono Cyon e Ludwir, giunto all’arco del- ‘l’aorta si divide in due ramil secondari, di cui uno, scor-| rendo sulla parete anteriore dell’arco aortico, si suddivide ‘in 2 altri rametti ila parete posteriore dell'arco aortico e termina esso pure nel plesso cardiaco. | il | Destra. Originasi dal pneu- mogastrico con due radici lunghe ciascuna ] centimetro circa. — Sinistra. Normale. ‘tri al di sotto del! ‘ganglio plessifor- me esi getta nella, porzione di sim- patico situata fra. i due gangli cer-. ‘vleali superiore e ‘medio. 15 | Nulla di notevo- giorni le da ambedue imo comunicante per un ra” to lati. Soltanto a destra lo tr ovia-| metto con il ganglio cer- ‘Vicale superiore. - Sinistra. Normale. che sì ‘sperdono nel plesso cardiaco] ifra l’aorta e l’arteria pol-| ‘monale; l'atro ramo segue | | | | Destra. Oltre iche dal laringeo superiore nasce, può dirsi, anche dal ganglio cervi- cale superiore, dal quale riceve una iradice originatasi ida due. radicette: jsecondarie. — Si ‘nistra. Nulla dij ‘notevole. Smistra. Ramet-! del laringeo’ ‘esterno chesi get-| ita nel simpatico fra il ganglio cer- \vicale superiore e. iil medio, — De-' stra. Nulla. Î Non dà) Destra. È perfettamente nor; | Nulla di notevole Nulla di notevole ldem Idem 208 A. VITI Donna i Non presenta nulla di notevole a sinistra. A des- tra con una pice- leola radice con- |correa formare un ramo, che è de- scritto nel larin- geo superiore com- ‘pletamente. Un ra- Imo che viene dal \plesso gangliofor- me concorre a for- mare l'ansa colla branca discenden- te internadel ples- so cervicale, ansa iche normalmente dovrebbe formarsi con un ramo del- Il ipoglosso. Ì tosi dal vago, origina un rametto che unitosi. con un’ altro rametto assai esile proveniente dal tronco del pneumogastrico costituisce un nervo unico che dopo un decorso di 3 centimetri gastrico. Ora, 2 centimetri al disotto di questo punto. dal pneumogastrico esce un la carotide scende sino al con delle diramazioni del simpatico, le quali però si — Sinistra. Il solito ramet'o za ricevere dal pneumogastrico, si segue fino al giugulo, dove si getta in un pi colo ganglietto iso- lato (non mai da me veduto altre volte), al quale fanno) capo a loro volta due ramil ‘assai esili che vengono dal'a \parte inferiore del tronco del simpatico nel collo. Da que- sto ganglio due rametti ri- escono per andare nel ples- so cardiaco, uno, situandosi! sulla parete anteriore del- l'arco aortico, l’altro sulla \parete posteriore. | circa si getta nel pneumo-, rametto che situatosi dietro giugulo; si divide in 2 ra-| mettini, che si confondono gettano nel plesso cardiaco.| originatosi dal laringeo. sen-; alcuna radice] bedue le parti con il simpatico. A destra per un solo filetto anastorno- tico a sinistra in- vece per due, pei quali si unisce con il nervo cardiaco superiore in cor- rispondenza del ganglio cervicale medio. (<>) Ì £ I | È e DI i Laringeo | | Sesso Età |Pnemougastrico] Laringeo superiore Gran simpatico 3 esterno | Z | | Î 15] Donna 70 Sinistra. Cinque| Sinistra. Poco dopo origi-; Destra. Norma-| Nulla di notevole i anni centimetri circa|natosi manda un rametto le. — Sinistra | ‘al di sotto dell’o-\che dopo 2 centimetri di/Molto ramificato | 'ricine del larin-|corso si getta nel pneumo-,e comunicante ol- | Igeo superiore sijgastrico. Lo stesso notasi a tre che cul cardia- | ‘stacca dal pneu-|destra. (co superiore an- | imogastrico un ra- (che con il ricor- | [mo che parallela- rente. mente ad esso di- | scende nel giugu- I ilo e si segne fino inel plesso cardin- co - Destra. Nul- Î la di tutto ciò. | 16 62 Destra. — Appena stacca-| Comunica daam-| Non presenta di vario altro che quei dueramettini che a sinistra se vanno a gettar- nel piccolo gan- glio descritto. —__ ____—_—————— If, NERVO DEPRESSORE | Ì È | i E È LR , ; Laringeo s| Sesso | Età |Pneumogastrico, Laringeo superiore al esterno Di i d i 17] Uomo 45 Destra. Di fronte A destra non offre nullal A destra è assai demente| anni ‘lla estremità su- di notevole. A sinistra la lungo, di più cen | 18) Uomo \avanzata! demente | \periore del corpo sua origine oltre che dalun suo ramo si tiroide dà origine pneumogastrico si fa pure anastomizza con! ad un ramo “che per una corta radice dal il ricorrente. isolato va a get-ganglio cervicale superiore. ‘tarsi nel plesso, cardiaco, correndo. sulla parete ante- ‘viore dell’arzo aor-| ‘tico. — Sinistra. i Dalla parte più ‘inferiore del 3.0, imedio del corso idi questo nervo, inel colto, sì di- \stacca un rametto che tosto si uni- isce con un ramo ‘che viene in basso; dal ganglio cervi-| cale superiore del simpatico. Al di- isotto subito di questo ramo, se ne stacca dal pneu- mogastrico un’al- itro che unendosil \pure a dei rametti «le! simpatico, ap- pena sorpassato il igiugulo si va a sperdere come il precedente nel plesso cardiaco. Destra. Tre cen-| ‘timetri e 1/, al dil sotto del ganglio ‘idiscarpa si stacca ‘lun rametto che \unisvesi con un’al- tro rametto pro- veniente dal la-! Destra. Poco dopo che il' laringeo superiore e nato dal pneumogastrico origina’ precedentemente descritto. trico stesso e | un rametto. che direttosi in basso. sì unisce con quello, Destra. Il larin- ioeo esterno è as- ‘sai grosso e tos'o si divide in due rami e oltre a di- stribuirsi al mu- proveniente dal pneumogas- scolo crico-tiroi= formatosi così deo, va ad anasto- \ringro superiore. - Sinistra: Nella parte più inferiore del collo si stac- iun ramo unico € analogo mizzarsi col car- per origine al depressure di diaco medio del Cyon, si unisce con una di- simpatico e col ramazione del laringeo ester- ricorrente. — St cano due rami a ‘brevissimadistan- za l'uno dall’ altro e oltrepassati nell no che a sua volta si uni-|nisera. Normale. sce col cardiaco medio. | I | giugulo si sper- dono nel plesso cardiaco. 209 (Gran simpatico Seltanto a sine stra offre di stra- ordinario che dal ganglio cervicale superiore, oltre il cardiacosuperiore solito, si origina unramo che. come sì è descritto. sì u- nisce con uno pro- veniente dal pneu- mogastrico, per andare nel plesso cardiaco. Nulla di notevo- le da ambedue le parti. 210 N. d'ordine ({o) 21 (°) (19) ho VITI Pneumogastrico Laringeo superiore Larinreo esterno Gran simpatico Uomo {demente Uomo demente Donna Donna demente | avanzata avanzata anni 30 anni Î | Il Il Nessan ramo in- solito da ambedue le parti. Idem Destra. Tre cen- timetri sotto «l gar glio plessiior- me di scarpa si originano % rami. di cui uno si spel- de nel plesso ca- rotildeo, uno sì unisce col cardia- co superiore del simpatico. — S - nistra. Nulla di tutto ciò. Destra. Concor- re per la massima parte a formare con due rametti il laringeo ester- no, comeè descrit- to al luogo di que- sto nervo. li più a 2 centim. e 4/, al disotto del ples- so gangliforme da origine a un ramo che decorre per 6 o 7 centimetri, quindi biforcasi: uno dei rami di nisce al carliaco medio del simpa- tico, l'altro si uni- sce quasi subito biforcazione si u=! ‘al tronco del vago Destra. Normale. — Sini- stra.Appenaoriginatosi man-; da un sottile rametto che dopo un cortissimo decorso sisperdenelpneumogastrico.| Ì | Î Destra. Poco dopo la sua, origine si spicca da esso un rametto che dopo un4 centi- metri di decorso va nel pnew- mogas' rico Sinistra. Questo medesimo ramo però più corto quasi della metà del precedente. "Lt Destra. Dopo la sua origine subito, nasce da esso un ra- mo che si getta nel pneu- magastrico, 3 0 4 millimetri sopra al punto in cui orì- ginasi i due rami preceden- temente descritti. - Sinistra. Normale. i Destra. Non concorre che in minima parte, con un sottilissimo ramo. a formare il laringeo esterno. — Se nistra. Il solito ramo che dal laringeo superiore si get- ta nel tronco del pneumo- gastrico. \plessiforme. Que- isilissimo |ringeo superiore. | Nulla di partico- lare. Idem Da ambedue le parti nasce dal laringeo superiore con due rami di- stinti, dei quali il più alto a ile- stra sì distacca insiemealrametto che va nel vago. Destra. La sua origine sì fa per 2 rametti prove- nienti dal pneu- mogastrico uno al punto di origine del laringeo su- periore, l’altro 2 centimetri al di- sotto del ganglio st'ultimo rametto ne riceve uno e- dal la- Così formatosi il laringeo esterno! si distribuisce co- me normalmente. Non vi è di no tevole che un ra metto, che a sini- stra dal ganglio cervicale superio- re va nel laringeo esterno. Nulla Idem ldem Pneumogastrico IL NERVO DEPRESSORE Laringeo superiore Laringeo esterno 211 Gran simpatico v A E LI | Sesso| Età (=) zi 23| Uomo 78 anni 24| Donna BI anni 25| Uomo 40 anni | Nulla di varia- to da ambedue le \parti. Destra. Nulla di notevole. — Sin tra. Dall’estremo inferiore del ples- so gangliforme di scarpa nasce iun rametto che si unisce tosto ad un ramo venuto dal laringeo supe-- riore. Sono ambedue normali, né danno alcun ramo inso- lito. So. Nat. Vol. VI, fasc. 2.° Destra. Prima dell'origine Idel laringeo esterno si di- stacca dal laringeo superiore; un ramo, che discende in basso parallelo al pneumo- gastrico e riceve filetti ana- istonomici del cardiaco su- \periore e medio e va così isolato a perdersi nel plesso cardiaco. Insieme a questo ramo ne ha origine un'altro, pure dal laringeo, che dopo circa 6 centimetri di corso) isolato si sperde nel pneu-; |mogastrico. — Sinistra. Ra- mo consimile che dal larin- geo si getta nel plesso car- diaco, dopo essersi anasto- mizzato col simpatico. Destra. Prima del laringeo esterno da origine ad un ramo che dopo 5 o 6 cen- timetri di decorso si getta inel vago. — Stristra Il so- ilito ramo, che nasce prima idell’origine del laringeo e- sterno, da questo lato si uni- sce con il rametto che viene dal plesso gangliforme del pneumogastrico. Così costi- tuito un sol nervo, questo discende parallelamente al pneumogastrico al suo lato, interno, attraversa il giugulo sì sperde nel plesso cardiaco. Destra. Dalla parte sua più alta si parte un ramo che sceso isolato fino alla metà del collo, quivi sì unisce col cardiaco superiore del sim- patico, che si segue fino al plesso cardiaco. Un’ altro ramo nato dal punto d’ori- gine del laringeo superiore sì sperde nel pneumogastrico, dopo 3 o 4 centimetri di corso. — Sistra. Il solito ramo che si parte dal larin- geo superiore, ma alla metà idel collo si divide in 3 ra- mi, uno si uuisce al larin- geo esterno, gli altri due dopo 4 centimetri di corso si riuniscono, ne formano un solo che si unisce, come a paglia piccoli rametti, che con delle di- ramazioni deicar- diaci superiore e medio, formano un piccolo plesso a maglie piuttosto strette. - Sinistra. Non vi è che un'anastomosi col cardiaco supe-- riore. Normale da am- bedue le parti. Idem destra, col cardiaco superiore. Destra. Si spar-| Non presenta al- in tantitro che quelle a- ‘nastomosi descrit- te. fra i cardiaci superiore e medio col ramo che da ambedue le parti nasce dal laringeo superiore. Nulla di partico- lare. Idem N. d° (SO) D 27 29 Donna Donna Uomo neonato Uomo Età 6 mesi 27 anni ——__—— 11 giorni 78 anni À. VITI mpatico che si parte subito dopo l'origine del laringeo supe- riore, si unisce alla metà del collo con un rametto del laringeo esterno. Disceso nella parte inferioredel collo, riceve un’ altro ramo ana- stomotico dal simpatico, ne manda uno al ricorrente, quindi oltrepassato il giu- gulo va nel plesso cardiaco. — Sinistra. Il solito ramo del laringeo che va senza anastomosi alcuna nel plesso cardiaco isolatamente. Destra. Dalla par-| Nulla presenta di straordi- te superiore dellnario a destra. — Sinistra. Pneumogastrico ,|Appena nato dal pneumoga- sotto all’ originelstrico dà origine ad un ra- del laringeo su-|metto che dopo 3 o 4 cen- periore, si distac-|timetri di corso và nel pneu- ca un ramo che|mogastrico. discende isolato nel gingulo e si perde nel plesso cardiaco. — St nistra. Verso la metà del collo si trova avere origi- ne questo medesi- mo ramo che ter- Imodoche a destra. Destra. Verso la| Destra. Appena nato da metà del collo dà|origine ad un rametto che origine ad un ra-|dopo 1 centimetro e ‘/, di mo che isolato|decorso va nel preumoga- scende nel giugu-|strico. — Sinistra. Questo lo o va nel plesso| medesimo ramo, però lungo cardiaco. — Stini-[circa 1 centimetro di più stra. Nulla di no-|del corrispondente di destra. tevole. Destra. All’estre- mità inferiore del ganglio plessifor- me diversi ramet- ti che se ne di- staccano formano un piccolissimo plesso, dal quale Destra. Originato dal pic- ceve poi dal ganglio cervi- cale superiore due grossi rami, ma cortissimi (1 centi- metro circa) — Sinistra. La stessa origine; dal ganglio cervicale superiore non ri- ceve che un sol ramo. mina nello stesso | colo plesso già descritto, ri-| oltre il laringeo ; } J Laringeo Pneumogastrico) Laringeo superiore Gran si esterno Idem Destra. Un ramo nervoso) Non presenta di notevole altro che quel ramo che a destra si unisce con quello venuto dal laringeo supe- riore. —- Normalea destra. A sinistra presen- ta un ramo ana- stamotico col car- diaco superiore del simpatico. Destra. Normale. Sinistra. Anasto- mosi col cardiaco superiore del sim- patico. Normale da am- bedue i lati. Nulla di notevole tranne l’ anasto- mosi che a destra presenta col ramo che discende dal laringeo superio- re. Nulla ldem Nulla di vario, se sì toglie l'anasto- mosi dei due car- diacì superiore e medio di destra e del superiore di sinistra col ramo descritto nel pneu- mogastrico. pra o ‘ordine | | Sesso [Si LA 30 | Uomo demente Età IL NERVO DEPRESSORE Pneumogastrico 213 Laringeo esterno Laringeo superiore Gran pinto Î seguita e al terzo superiore del collo superiore trae orì- gine un ramo che 1 centimentro do- po si divide in due secondari, dei quali uno gettasi subito nel tronco del vago, 1° altro riceve il cardiaco superiore. Poco dopo ricevuto que- sto, nervosi divide nuovamente in 2 rami, uno dei qua- li scende nel ples- so cardiaco, l’ al- tro dopo essersi unito col cardiaco medio, riducesi in due rametti che si anastomizzano col ricorrente. Un al- troramo si stacca dal Pneumoga- strico al terzo in- feriore del collo e si segue fino al plesso cardiaco. - Sinistra. Non vi è che il piccolo plesso che dà ori- gine al solito ra- mo, che da questo lato ricevuto il solo cardiaco su- periore, senza mai dividersi, va nel plesso cardiaco. Destra. Tre cen-| timetri al disopra| del giugulo da un| rametto che si Igetta poi nel gan- iglio cervicale in- feriore del sim- patico. Sini- istra. Nessun ra- mo insolito. \del laringeo esterno sì stacca un piccolo plesso Forma) Oltre il piccolo plesso che forma un ramo che discende iso- con dei rametti a destra col larin- lato fino al terzo inferiore che vengono dal geo esterno e l'a- idel collo e quindi si getta ganglio ‘cervicale! nastomosi con que- nel pneumogastrico. — St superiore del sim-!sto medesimo ner- ‘nistra. Questo medasimo ra- patico. - Sinistra.|vo a sinistra, de- mo che si getta nel pneu- Non vi è che una vesi notare un ra- imogastrico verso la metà semplice anasto-\mo corto e piut- del” collo. imvsi cortissima!tosto grosso, che formata da un sot-|dal ganglio cer- tile rametto venu- vicale superiore todalganglio cer-;di destra va ad vicale superiore. |unirsi al ramo che si origina dal la- ringeo superiore. Destra. Prima dell'origine Destra. 214 À. VITI té L—___mc--_zzii ® 3 Ss Ì i ; si Laringeo x o| Sesso| Età |Pneumogastrico] Laringeo superiore Gran simpatico | 7 esterno | 31| Uomo 64 Destra. Un ramo| Normale tanto a destra che| Normale a destra.| Da ambedue le demente| anni |nasce dal pneumo-|a sinistra. A sinistra appe-|\parti non ha un gastrico per mez- na originatosi sildecorso rettili- zo di tre radicette divide in due ra-|neo come normal I corte e distinte al mi secondari, uno|mente, ma tortu- disotto del gan- dei quali si distri-|oso, incurvandosi! | glio plessiforme buisce come di/prima versolatra- | di scarpa. Questo solito, l’ altro in-'chea poi ripren- ramo scende iso- |vece camminandoidendo direzionej | lato parallelo al tortuosamente, in-lrettilinea, però pneumogastrico e crocia nel suo de- molto ravvicinato] |. si getta nel ples- corso due volte il|adessa. A sinistra so cardiaco. — St? gran simpatico, evi ha il ramo a- nastra. Nulla di riceve da que-|nastomotico fra il : notevole. sto un'anastomosi/ganglio cervicale partita dalganglio|medio e il larin- cervicale medio,|geo esterno. quindi scende nel- la parte più bassa del collo, dove di- visosi in due ra- mi si sperde con | uno nel vago e | con un’ altro nel | simpatico. 32| Donna 79 Destra. Nulla di Normale tanto a destra chel Da ambedue i Nulla anni |notevole. — S:-|a sinistra. lati è molto rami- nistra. All’unione ficato, manda un del terzo superio- filetto nervoso nell - re con i due terzi tronco del gran inferiori del suo simpatico e ne ri- decorso nel collo, ceve da questo me- dà origine a un desimo nervo uno, ramo che tosto si che sidistacca dal divide in due, uno ganglio cervicale assai corto si get- superiore. ta subito nel gran simpatico, l’ altro discende in basso e dopo esser giun- to al di sopra del giugulo, circa 2 centimetri, si ri- getta nel pneu- mogastrico. 33 | Donna 70 Non presenta al- Idem Destra. Appena, Destra. Dall’ e- anni |cunchè di notevo- originatosi manda|stremo inferiore le sia a destra sia un ramo che dopo!idel ganglio cer- a sinistra. 3 o 4 centime-|vicale superiore tri di decorso valun ramo si stacca nel pneumoga--|per andarsi a get- strrico. — Sri-|tare nel pneumo- stra. Questo me-'gastrico, subito al desimoramo, però! disotto del punto assai più lungo, in cuì questo ner- ® d Uni uo) & IO) Ko) Z Pea 35 Sesso Donna Uomo | 36 Donna | Età 50 anni 56 anni anni IL NERVO DEPRESSORE Pneumogastrico Laringeo superiore Laringeo esterno Destra. Con un ramo nato subiio al disotto dell’ori- gine del laringeo superiore concor- re a formare il laringeo esterno Sinistra Nulla di straordinario. Destra. Dall’ e stremo inferiore del plesso gangli- forme dà origine ad un ramo che uniscesi dopo 5 centimetri di cor- so con il cardiaco superiore del sim- patico. - Sinistra. Dallo stesso gan- glio plessiforme nasce un corto ramo che si uni- sce con un altro ramo pure assai corto del laringeo superiore. Di fron- te al ganglio cer- vicale medio del simpatico si di- stacca dal pneu- mogastrico un al- tro ramo che si segue fino al ples- so cardiaco. Non presenta nulla di straordi- nario da ambedue le parti. Normale a destra. A sini- stra appena nato dà origine ad un ramo dal quale tosto spiccasene uno che va nel pneumogastrico, quindi questo ramo scende in basso nel terzo inferiore del collo e si getta esso pure nel vago. A destra è perfettamente normale. — Sinistra. Appena nato da origine ad un ramo assai corto che, unitosi con quello proveniente dal pneu- magastrico dalla parte op- posta del plesso gangliofor- me, forma un sol nervo che scende in basso e in corri- spondenza della biforcazione della carotide primitiva ri- torna nel tronco di quest’ ul- timo nervo. Destra. Appena staccatosi dal pneumogastrico dà ori- gine ad un ramo che dopo 6 centimetridi corso si getta nel pneumogastrico stesso. — Sinistra. Questo medesi- mo ramo nasce insieme col laringeo esterno e va a get- tarsi nel simpatico al disotto esilissimo| riceve un filetto dalgransimpatico e quindi giunto nella parte più bassa del collo, si gettanelgransim- patico stesso. Destra. Originasi con il ramo de- scritto nel pneu- mogastrico e con idue rami distinti dal laringeo supe- riore. — Sinistra. Nulla di ciò. Ambedue normali Idem del ganglio cervicale medio,! 215 Gran simpatico vo riceve il ramo venuto dal larin- geo esterno. Sinistra. La sola anastomosi col ra- mo che viene dal laringeo esterno. Destra. lcardiaci superiore e medio formano un fitto plesso con rami del laringeo ester- no. Sinistra. Pefettamente nor- male. Nulla di note- vole. Idem 216 N. d'ordine A. VITI Sesso Età Pnemougastrico Laringeo superiore Laringeo esterno Gran simpatico 37 38 99, 40 Uomo neonato Donna Uomo 4 giorni Feto non a termine 82 anni 74 anni Destra. Al terzo superiore del col- lo nasce un ramo che tosto si unisce col cardiaco supe. riore del simpati- co e formato un sol nervo sì segue fino nel plesso car- diaco. Destra. Nulla di notevole. — Sn4- stra. Al 3.° supe-| riore del corso del vago nel collo si stacca dal tronco di questo nervo un ramo che di- sceso nella parte più bassa del collo, si unisce col car-| simpatico e così, formato un sol nervo, lo si segue fino al plesso car- diaco. Nulla dì vario a destra. Sini- stra. Alla metà del collo sì stacca un ramo che scen- de in basso e tra- versato il giugo- lo, va nel plesso cardiaco. Un ramo si parte dall’ estremo in- feriore del plesso gangliformechesi unisce con un r'a- mo nato dal la- ringeo superiore. Questo ramo è as- sal corto non mi- surando neppure Destra. Appena nato dà origine ad un rametto che va nel pneumogastrico. - St- nistra. Questo medesimo ra- mo che però riceve il car- diaco superiore e sì segue così fino al plesso cardiaco. Destra. Prima di originare il laringeo esterno manda un ramo che scende in basso, riceve il caidiaco superiore del simpatico e nella parte più bassa del collo si getta nel pneumogastrico. — St nistra. Questo medesìmo ra- mo, senza ricevere rami del simpatico, si getta dopo 3 centimetri di cammino nel diaco medio del|pneumogastrico. Ambedue normali Idem Destra. Insieme con il la- ringeo esterno da origine ad un ramo che ricevuto un ramettino dal ganglio cer- vicale superiore và dopo 7 centimetri di cammino a sperdersi nel vago. — Sini stra. Nulla di vario. Sinistra. Appena origina- tosi dal pneamogastrico si parte da esso un rametto che dopo brevissimo decorso riceve un ramo dal pneumo- gastrico stesso, ramo cortis- simo (lungo neppure l cen- timetro). Questo ramo segui- ta poi il suo decorso in basso. quindi dirigesi in 1 centim. di Inn- dentro per andare ad unirsi Destra. Riceve un rametto del cardiaco superio- re. Sinistra. Si unisce con un rametto ad un al- tro del ganglio cervicale superio- re e così forma- tosi un ramo uni- co, lo si segue fino verso la metà del collo e poi si getta nel vago. Sinistra. Spicca un rametto che tosto si unisce con un ramo di bifor- cazione del nervo cardiaco superio- re e vedremo co- me termina. — De- stra. Nulla di va- Non prssenta d'in- solito che l’unio- ne dei cardiaci superiori, a de- stra con il ramo del vago, a si- nistra con quello del Laringeo su- periore. Normale da am- bedue i lati se si toglie il cardiaco superiore destro che si unisce col ramo che viene dal Laringeo su- periore e il car- diaco medio sini- stro che sì unisce col ramo prove- niente dal pneu- mogastrico. Non presenta di vario che i ramet- tianastomotici de- scritti. Complicato assai a smistra. Dopo il ganglio cervicaie suparioreevvi uno stroz zamento € quindi un’ altro gangliettino. Da questo ganglietti- no si stacca un grosso ramo, tan to che consideran- rio, soltanto para- gonato con il suojdolalgrossezza del ordine N. d' Pneumogastrico; IT. NERVO DEPRESSORE Laringeo superiore Uomo anni ghezza ed è per- fettamente oriz- zontale. Ciò sol- tanto a sinistra. verso la metà del collo, con un ramo di divisione del cardiaco superiore. Al punto in cui da origine al larin- geo esterno riceve un ramo corto, ma non molto fino, dal ganglio cervicale superiore. — Destra. Nasce un ramo identico dal laringeo supe- riore che tosto origina un rametto il quale si getta nel pneumogastrico, quindi sceso crocia il cardiaco superiore unendovisi intimamente nel punto d’ inerociamento, di- |scende poi nel giugulo, at- traversato il quale si sperde nel plesso cardiaco. | Destra. Nulla dil Destra. Poco dopo la sua notevole. — Sin:- origine manda un rametto stra. Un centime- che tusto si unisce al pneu-;che a sinistra in- tro sotto al plesso mogastrico e quivi lo si può via al ramo che verso la metà del collo in-|. Laringeo esterno 217 Gran simpatico analogo di sini-|cordonedelsimpa- stra, sembra per la|tico si può ritenere sua finezza ridot-|come una divisio- to quasialla metà.|ne di esso. Questo Nulla di notevole, tranne il rametto ramo rimane iso- lato fino oltre la metà del collo, quindi si riunisce presenterebbe il ganglio cervicale medio, ma sposta- to assai. Il cardia- cosuperiore si ori- gina con due ra- metti, poi si di- vide in due rami secondari, uno si perioree vi si uni- sce formando un sol ramo, quindi incrocia il simpa- tico al disopra del gangliettino pre- cedentemente de- scritto, si divide in due rametti; con uno va nel vago, coll’ altro nel tronco del simpatico stesso. A destra il car- diaco superiore ha un decorso obli- quo in fuori e al 3.09 inferiore del collo si getta nel tronco del Pneu- mogastrico. N. d'ordine Sì SÒ Uomo Pneumogastrico 60 anni A. VITI Laringeo superiore Laringeo esterno gangliforme si di- stacca un rametto che dopo un de- corso dì circa 15 millimetri si uni- sce con un ramo che scende dal la- ringeo. Dal Pneumoga- strico nessun ra- mo particolare nè a destra nè a si- nistra. seguire per più di un cen- timetro di decorso unito nella stessa guaina che avvolge i fasci nervosi che costitui scono il tronco del 10.° paio, quindi si fonde con essi e il seguirlo rimane impossi- bile. — Stristra. Lo stesso rametto che si parte dal la- ringeo superiore, decorre in questo lato libero e dopo 2 centimetri di cammino si unisce con quel rametto che originasi dal ppeumogastrico e costituito un unico ramo incrocia obliquamente, il sim- patico per portarsi sul lato interno di esso; riceve un filamento dal laringeo ester- no e sceso nella parte più bassa del collo si divide‘in due rami; con uno dei quali si unisce al ricorrente al li- vello dell’ origine della ca- rotide primitiva, coll’ altro seguita in basso, incrocia l'arco dell'aorta sulla sua parte anteriore e quindi si sperde nel plesso cardiaco. Destra. Appena staccatosi il laringeo superiore dal pneumogastrico, da origine al laringeo esterno e ad un fine ramettino che decorre per un piccolo tratto paral- lelo al laringeo esterno sud- detto, quindi se ne distacca per dirigersi in basso paral- lelo al cordone del simpa- tico e distante circa un cen- timetro in dentro. Riceve tosto un rametto che viene dal ganglio cervicale supe- riore e formato un sol ramo con esso, si porta sempre nella medesima direzione. In corrispondenza della 6.2 ver- tebra cervicale presenta un leggerissimo rigonfiamento ganglionare, prosegue nel suo decorso e al livello della 7.2 vertebra riceve dal sim- patico un ramo corto ma non molto fino, che presenta un ganglio più piccolo di quello precedentemente descritto. A] disotto della 7.® vertebra discende dal la- ringeo superiore. Gran simpatico Presenta di vario solo quel rametto che a destra si unisce, per for- mare un unico tronco, con quel ramo descritto nel laringeo superio- re. sini E v = È | Sesso Le] zi | | Uomo | 44 | Donna Età 30 anni anni IL NERYO DEPRESSORE Pneumogastrico Laringeo superiore Idem Idem sì mette in comunicazione con il ricorrente per mezzo di due filetti paralleli, riceve quindi un’ altro ramo dal ganglio cervicale inferiore, quindi sorpassa il giugulo, inerocia il ricorrente al di dietro dell’ arteria succlavia @ si sperde subito nell’ori- gine del plesso cardiaco. — Sinistra. Questo medesimo ramo nasce nel medesimo pure la stessa direzione, però non riceve anastomosi dal ganglio cervicale superiore del simpatico. Fra la 6.2 e la 7.8 vertebra cervicale di forma sferica, un poco più piccolo di una lenticchia, al quale immette un esile ra- metto del gran simpatico lungo poco più di l centim. A] disotto della 7.2 vertebra cervicale si divide in due rami, uno esterno l’altro in- terno. Il primo di questi rami si dirige direttamente nel plesso cardiaco, l’ altro manda un ramo al ricorrente, \al qual ramo si unisce un filetto del simpatico che si distacca al di sopra subito del ganglio cervicale infe- riore, quindi prosegue in basso al davanti del ricor- rente stesso dietro l’ arco dell'aorta per perdersi nel plesso cardiaco. Destra Appena originatosi manda un ramo assai grosso il quale però si unisce su- bito col pneumogastrico, dentro la guaina del quale può essere seguito per circa un centimetro. — Swistra. Questo medesimo ramo che \si comporta identicamente; però è più corto. Destra. Un rametto del la- ringeo superiore distaccatosi un poco al disotto della sua origine, dopo un decorso di modo che a destra, segue) presenta un piccolo ganglio] 219 Laringeo : s Gran simpatico esterno Nulla Nulla Nulla Nulla D9 (AS) i ® | da e) | Sesso| Età [=] Z = 45| Uomo I anno | | | | | | | | 46| Donna 7 anni Pneumogastrico A. VITI Laringeo superiore Laringeo esterno Gran simpatico itro del ganglio Destra. Al disot- to del plesso gan- gliforme di scarpa dà origine ad un ramo assai appa- riscente che scen- de parallelo al tronco del vago; al terzo interiore del collo sì unisce con due rami ve- nuti uno dal la- ringeo esterno ed uno dal ganglio cervicale superio- re, quindi prose- gue nel giugulo per sperdersi nel plesso cardiaco. - Sinistra. Unramo identico sì stacca dal plesso gangli- forme subito al di- sotto dell’ origine del laringeo su- periore e senza unirsi ad altro ra- mo, discende in basso fino al 4.° inferiore del collo, dove esso sì sper- de riunendosi al simpatico. Destra. Al di- sotto l centime- plessiforme si di- stacca un ramo che ricevuto to- sto un filetto dal glio cervicale su- periore, incrocia il cordone del sim- patico per unirsi ad un ramo ben appariscente, pro- veniente dal la- ringeo esterno. — Sinistra. Questo] un centimetro si getta nel pneumogastrico. — Sinistra. Nulla di tutto ciò. Nulla di notevole da ambo i lati. Nulla di particolare. istesso ramo na-| \sce dalla metà del Destra. Nulla. = Sinistra. Poco do- po staccatosi dal laringeo superio- re da origine ad un ramo assai fino che al3.° inferiore del collo si unisce al ramo descritto nel ppeumogastri- co ed ad un ramo del simpatico. Presenta di no- tevole solo i due rametti che l’uno a destra e l’altro asinistrasono sta- ti già menzionati. Destra. Nulla. - Sinistra. Un ra- metto distaccatosi dal ganglio cervi- cale superiore si termina come è descritto. Vi è di notevole solo che quei due rametti del gan- glio cervicale su- periore d'ambo i lati che si distri- buiscono come si è detto. N. d’ordine 47 48 49 Sesso Donna Uomo Donna Età IL NERVO DEPRESSORE Pneumogastrico Laringeo superiore Laringeo esterno 221 ‘Gran simpatico 52 anni anni 20 mesi cordone del pneu- mogastrico, nell suo tragitto nel| collo si unisce con! gine come quelli di destra. ll ramo formato dalla u- nione di questi 3 filetti tanto a de- stra che a sinistra discende nel giu- gulo dove il de- strodivisosiin due filamenti che pas- sano uno al davan- ti, uno dietro la succlavia destra, va a perdersi nel plesso cardiaco; il sinistro dopo es- sersi anastomizza- to col ricorrente, passa dietro la succlavia del suo lato e finisce nel plesso cardiaco es- so pure. Nulla Destra. Nulla di ‘particolare. — St nistra. In corri- spondenza della 6% vertebracervicale dà origine ad un filetto che si getta in un ramo pro- veniente dal larin- geo superiore. Nulla i due rami aventi la medesima ori-| Da ambedue le parti appena nato dà origine a un ramo che si getta dopo breve tra- gitto nel tronco del pneu- mogastrico. Questo ramo è più lungo a destra che a sinistra. Destra. Nulla. — Sinistra. Avanti di dare origine al laringeo esterno da un ramo che discende in basso, passa sul sìmpatico sotto al gan- glio cervicale superiore dal quale riceve un piccolo fila- mento, quindi si riporta verso il pneumogastrico e alla 6. vertebra riceve quel rametto descritto nella colonna del pneumogastrico. Formato co- ;siun soloramo, esso si può se- guire fino al plesso cardiaco. Da ambedue i lati del collo ilo stessoramo come al N.0 47, soltanto è più lungo, oltre- Nulla Nulla da ambo i lati. Nulla passando la metà del collo. Nulla Destra. Nulla. - Sinistra. Concor- re con quel ra- metto del ganglio cervicale superio- re a formare un sol nervo col ra- mo proveniente dal laringeo su- periore Nulla 222 N. d’o Sesso a Pneumogastrico IL NERVO DEPRESSORE Laringeo superiore esterno 52 53 54 Donna Donna demente Uomo Donna neonato Donna 56 anni 58 anni 69 anni 15 giorni 39 anni ia ina” Destra. Nulla di notevole. — Sini stra. Dalla metà del tronco del va- go nel collo si di- stacca un grosso ramo, che in vo- lume supera quel- lo che hanno nor- malmente i car- diaci del pneumo- gastrico stesso. Questo ramo de- corre parallelo al pneumogastrico fi- no al giugulo, quì sì discosta per por- tarsi in dentro sul- l’arco dell’ aorta, oltrepassato il qua- le si sperde nel plesso cardiaco. Lo stesso ramo come al N:° 47. Più lungo a destra. Nulla Da ambedue le parti no- tasi un ramo del laringeo superiore che distaccatosi, poco dopo l’ uscita di questo nervo dal pneumogastrico, rimane aderente a questo nella sua guuina, a destra per 1 centimetro e 1/,, a sinistra per 2, quindi si confonde col pneumogastrico stesso. Non dà alcun ramo note- vole tanto al di fuori quanto al di dentro della guaina del pneumogastrico. Non vi è di notevole altro che un semplice filamento che dal laringeo superiore destro si getta nel pneumo- gastrico. Destra. Un rametto del larin- geo superiore, distaccatosi quasi subito dopo l’uscita di questo nervo dal tronco del vago, si rigetta tosto nelvago stesso. — Sinistra. Un ramo si diparte dal laringeo supe- riore, discende parallelo al pneumogastrico e al livello della biforcazione della ca- rotide primitiva manda un filetto nel tronco di questo Idem Idem Idem Di straordinario presenta quel ra- Laringeo Età 9g | Gran simpatico Nulla Idem Idem Idem Nulla di partico- lare fuori che il metto che con- corre alla forma- zione del ramo de- scritto nel larin- geo superiore. ramo descritto nel laringeo superio- re, che si unisce con quello del la ringeo esterno. nervo; quindi si fa obliquo in dentro, trova un filetto) | _—_—_——_—T——————T———_»o uti ® E ho) & © Ke} Z Età IL NERVO DEPRESSORE Pnemougastrico Laringeo superiore Laringeo esterno 293 ni Gran simpatico 38 anni nervoso formato da due fila- menti, uno partito dal la- ringeo esterno, l’ altro dal ganglio cervicale superiore, sì unisce conquesto rametto, forma un unico nervo, che seguitando il suo cammino obliquo in dentro passa fra la carotide e la succlavia sinistra, quindi sull’arco del- l’aorta e si perde nel plesso cardiaco. Destra. Un ramo si distacca dal laringeo appena origi- natosi dalvagoe tosto manda un esile ramettino che si getta in quest'ultimo tronco, più in basso un'altro; quindi procede parallelo al vago stesso e alla metà del collo gli sì unisce intimamente. Destra. Nulla di notevole. — Sint stra. Appena ori- ginatosi manda un ramo molto fino che sì dirige in basso, dopo un de- corso di 5 centi- metri circa trova un ramettino del simpatico, che si distacca a 2 cen- timetri e mezzo circa sotto al ganglio cervicale superiore ed un altro che proviene al leringeo ester- no stesso, e che si porta in fuori, prima che questo si getti nel mu- scolo crico-tiroi- deo. Con questi due rami si unisce il ramo sopra de- scritto per il pri- mo; ma per bre- vissimo tratto, chè da questa fusione subito si origina- no due soli ramet- ti che divarican- dosi l'uno dall’al- tro scendono nel giugulo, passando uno fra la caroti- de e la succlavia, uno frala carotide e la trachea, con- traendo qualche a- nastamosi col sim- patico, e possono seguirsi fino nel Presenta da con- siderare a sinistra quel rametto che si distacca 2 cen- timetri e ‘/, sotto al ganglio cervi- calesuperiore, già descritto nel la- ringeo esterno. plesso cardiaco. N. d' Età Pneumogastrico À. VITI Laringeo superiore Laringeo esterno (AS D 57 08 59 60 Donna Donna demente Donna Donna Donna 19 anni 64 anni 74 anni 68 anni 32 anni Nulla di straor- dinario da ambo i lati del collo. Nulla di partico- lare a destra. — Sinistra. Dà un'e- sile ramo che con- corre alla torma- zione dellaringeo esterno. Nulla Nulla Nulla a destra A sinistra in cor- Iisponpenza della biforcazione della carotide si distac- ca dal vago un fi-| letto nervoso, che situatosi dietro al- la carotide stessa discende in basso, oltrepassato ilgiu- gulo, si porta sul- la faccia anteriore dell'arco dell’aor- ta, al di la del qua- lo si disperde nel plesso cardiaco. Nulla A destra manda un esile ramettino nel pneumogastri- co, rametto lungo l centi- metro circa. Sinistra. Nulla. Destra. Manda un rametto lungo3 centimetri nel tronco del pneumogastrico. — Si nistra. Un ramo consimile a cui sì unisce un filetto del ganglio-cervicale superiore si distacca dal tronco del laringeo poco dopo (*/, cen- timetro) la sua origine dal pneumogastrico; questo ra- mo decorre isolato per un certo tratto (circa 8 0 9 cen- timetri) quindi si getta nel pneumogastico stesso. Tolta la guaina del pneu- mogastrico, sì vede benis- simo il tronco da cui ha origine il laringeo superiore continuarsi con un ramo as- sai cospicuo col tronco del pneumogastrico stesso. Nulla di variato a destra. -- Sinistra. Un rametto si parte dal laringeo superiore appena originatosi e dopo un decorso di l centimetro circa rientra nel pneumo- gastreo. Nulla A destra nulla. A sinistra origi- nasi con due ra- dici delle quali una è data dal Pneumogastrico. Nulla Idem Idem Gran simpatico Nulla Idem A destra vi è quel rametto che nato dal ganglio cervicale superio- re si unisce al ramo proveniente dal laringeo. Nulla ldem © i È | Sesso =] Z 61} Uomo 62| Uomo 63| Uomo 64| Donna idemente 65 | Donna demente Età Pneumogastrico IL NEÉRVO DEPRESSORE Laringeo superiore Laringeo ‘festerno si Gran simpatico 63 anni 34 anni 35 annl 35 anni 63 anni | iche dopo un cen- Nulla di notevo- le a destra. A si- nistra dal plesso gangliforme si di-. stacca un ramo timetro di decorso si unisce ad un ra-| metto proveniente dal laringeo su- periore. Nulla A sinistra un ra- mo assai cospicuo distaccatosi dal tronco del vago, situatosi. fra la giugulare e la ca- rotide si porta, come al solito, nel plesso car- diaco. Nulla A destra nulla idi particolare. A sinistra un ramo che a livello del- la 6.8 vertebra si istacca dal tronco |del nervo, più igrosso dei cardia- ci quando esisto- ino, scende nel to- Irace e libero da lognì anastomosi, \prima di perdersi co si divide in due inel plesso cardia- Soltanto a sinistra vi è un ramo che staccatosi dal la- ringeo superiore poco dopo la sua origine dal vago, in- contra il ramo proveniente dal plesso ganglioforme e formato un ramo unico dopo un docorso di 2 centimetri e 1/, si getta nel tronco del pneumogastrico. Da embedue le parti vi è un rametto del laringeo su- periore che si getta nel tron- co del vago; un po’ più lungo a sinistra. Come sopra. Però soltanto dal lato sinistro. Non vi è di notevole che ‘il solito rametto come ai Ni 62-63 proveniente dal laringeo superiore sinistro lungo 2 centimetri, che si getta nel vago. Da ambedue i lati si stacca un rametto dal laringeo su- periore lungo 2 centm. e 1/5 che va nel pneumogastrico. rami. Nulla Idem Idem Idem Idem Nulla Idem Idem Idem Idem (de) D (7) (e) ° (0) e N. d Età Pneumogastrico A. VITI Laringeo superiore Laringeo esterno Di (°>) 67 68 69 —a Gran simpatico Uomo Donna Uomo demente Uomo neonato 39 anni 28 anni 16 giorni Nulla di vario. Idem ldem Dal pneumoga- strico nulla. Destra. Semplice rametto che va nel vago lungo 5 centimetri circa. — Sinistra. Si stacca dal laringeo su- periore un ramo della gros- sezza del laringeo esterno. che si dirige in basso pa- rallelo al pneumogastrico; dopo 5 centimetri circa di decorso, riceve un ramo che a guisa di anza proviene dal laringeo esterno. A metà del collo riceve un ramo dal simpatico; prosegue in basso, due altri rami riceve dal simpatico appena entrato nel torace, quindi termina nel plesso cardiaco, come di so- lito. A destra dal laringeo nella parte più alta si spicca un ramo che dopo 5 centimetri di decorso si getta nel vago. Avanti di unirsi a questo, manda un filetto che dividesi tosto in ‘due filetti più pic- coli che si vanno a gettare nel tronco del simpatico. A sinistra il laringeo su- periore manda un ramo ap- pena nato dal vago, che dopo 3 centimetri di decorso co- munica per un filetto col laringeo esterno, quindi scende parallelo al vago stesso; giunto neltorace pas- sa sull’arco dell'aorta e quindi si sperde nel plesso cardiaco: A destra appena nato il laringeo superiore spicca un ramo che discende parallelo al pneumogastrico, il quale ramo a mezzo del collo man- da un rametto nel tronco di questo nervo, al terzo infe- riore vi finisce gettandosi completamente in esso. A sinistra vi è pure un ramo che nato dal laringeo supe- riore dopo '/, centimetro di decorso si inguaina col vago Non vi è da no- tare che l’ana- slamosi che invia al ramo prove- niente dal larin- geo superiore. Nulla Idem Idem Nulla Idem Idem ann Idem ® = = n | Sesso | Età Co) z | | 7! Uomo | 50 | anni | I | | | I | E | 71| Donna | 32 idemente| anni | | Da 72| Donna 70 anni | | | IL NERVO DEPRESSORE Pnemougastrico | Laringeo superiore Nulla (come può vedersi togliendo la guaina a questo) quindi si rifà libero per ridividersi al di sopra del gingulo in due rami dei quali uno uni- scesi al tronco del simpatico, l'altro si getta nel ganglio cervicale inferiore e con un filetto si anastomizza col ri- corrente. Da ambedue le parti il la- ringeosuperiore appena nato origina un ramo che dopo l centimetro e !/, circa di cam- mino si inguaina col vago. col quale decorre per pochi millimetri: quindi ne riesce per dirigersi in basso paral- lelo al troncodel vago stesso. Quello di destra anpena riu-| scito dal tronco del penumo- gastrico manda un Inngo filetto anastamotico col sim- patico e più in basso, oltre la metà del collo. un’ altro ne riceve dal pnenmocastri- co: quindi seguita a discen- dere in basso al di dietro dell tronco brachiorefalico arte- rioso e dell'arco aortico per; perdersi nel plesso cardiaco. Quello di s@aistra invece manda una fine anastamosi al simpatico subito al di- sopra del gingulo, passa poi fra la carotidee la succlavia, sull'arco dell’aorta e sì per- de esso pure nel plesso car- diaco. Da ambedue le parti si vede un ramo che originato dal laringeo superiore non rimane libero che per pochi \millimetri. per ringuainarsi col tronco del vago stesso. Si vede da ambe le parti che il laringeo superiore ap- pena distaccatosi dal pneu- mogastrico, manda un corto iramo che si ringuaina con Sc, Nat. Vol. VI, fase. 2.° questo. Laringeo esterno Nulla Idem Idem Idem Gran simpatico Nulla Idem ldem Idem 228 N. d’ordine 74 75 76 Sesso | Età Donna 65 anni Donna 28 ; demente | anni Donna | 50 | anni | Uomo 60 ; demente | anni Pneumogastrico 7 Ào VITI Laringeo Laringeo superiore 9 p esterno Gran bs Nulla Dalla metà del suo decorso nel collo, il pneumo- gastrico manda un ramo assai cospi-| cuo che si segue fino nel plesso car-| diaco. Nulla di partico- lare a destra. A sinistra dal terzo co del pneumoga- strico nel collo sì distacca un ramo assaicospicuo che scende a lato alla carotide. passa fra questa e la suc- clavia quindi sul- l'arco dell’ aorta eterminanel ples- so cardiaco fra l'aorta e l'arteria polmonale. Nulla di straor- dinario a destra. A sinistra dal punto in cui si spicca il laringeo superiore sistacca un'altro ramo che tosto si unisce con un rametto «el gangl'o cervicale superiore, per for- mare un unico nervo a cui nella metà del collo si unisce il cardiaco superiore, col qua- le discende per Ì Non vi è alcun ramo del inferiore del tron-\portarsi in bassi per un tra- ( Nulla laringeo che vada nel pneu- mogastrico. Il | | Tanto a destra che a sini-| Idem stra esiste un ramo del la-i ringeo che dopo 1 o 15 millimetri di decorso rien-| tra nel vago. | il Î | h . . Ì Nulla a destra. A sinistra] ldem un ramo ben netto sì stacca] dal laringeo superiore perl gitto di 3 centimetri e 4/;; quindi rientra dentro al tronco del vago da cui non è possibile distinguerlo. | ] Nulla \perdersi nel ples- iso cardiaco. Nulla Idem Jîdem Non vi è da no- tare che il cardia- co superiore s7722- stro che sì unisce tosto, come si è già detto. al ra- mo formato dal filetto proveniente dal vago unito al rametto del gan- glio cervicale su- periore. Pneumogastrico IL NERVO DEPRESSORE Laringeo superiore | Laringeo | esterno - È = (e) La o 3 Z | 77) Donna | | 78) Uomo | "9 79) Donna | U 0 80) Uomo | anni 69 anni anni Nulla A sinistra nulla. A destra allivello della 7 ® vertebra un ramo sì stacca dal vago per por- tarsi dentro algiu- gulo, accollato al tronco brachioce- falico arterioso e perdersi poi sotto l' arco dell’ aorta nel plesso cardia- co. Nulla Idem superiore, costeggia il pneu- \mogastrico e finalmente al Soltanto a s’nistra dal tronco del laringeo superio- re sì stacca un ramo che dopo 3 centimetri di de- corso rientra nella guaina del pneumogastrico, quivi rimane per circa 3 altri 3 centimetri, come può ve- dersi togliendo la guaina stessa; poi ne riesce per di- rigersi libero da ogni ana- stamosi dentro al torace, do- ve dopo un cammino altre volte descritto si getta nel plesso cardiaco. Soltanto a destra può ve- dersi un rametto assai corto che dal laringeo superiore, nel punto in cui si distacca dal vago, rientra nella guaj- na di questo, dove non è più distinguibile dagli altri fa- sci nervosi. Da ambedue le parti si spicca un ramo dall’estremo centrale del laringeo supe- riore, a destra dopo 5 cen- timetri di decorso si sperde dentro al vago; a sinistra invece comunica per un ra- metto col laringeo esterno e per un'altro col cardiaco livello della 7.8 vertebra vi sl perde esso pure, come quello di sinistra. Da am- bedue le parti questi nervi non riescono più dal tronco del vago. Non vi è alcun ramo che \accenni alla disposizione Da ‘vata altre volte. Nulla Idem Idem Idem Nulla Idem Idem Idem 230 Sesso Età 82 83 84 Donna Donna Dorna Donna 52 anni 70 anni 40 anni Pneumogastrico Nulla Dal pneumoga- strico sirisero sii stacca nel terzo inferiore del collo! un ramo assal più; voluminoso . dei. cardiaci normali. Questo ramo sl- tuato fra la giu- gulare e la caro- tide, discende nel giugulo, costeg- gia la carotide e nel cavo toracico, passato sull’ arco idell’ aorta, termi- na nel plesso car- diaco. A destra due ramettini sidi- staccano dal ples- so gangliforme di Scarpa e tosto (1 centimetro circa di decorso) si uni- scono ad un ra- metto del larin- geo superiore. Nulla Idem ] Laringeo superiore Soltanto a destra vi è un rametto corto che staccatosi dal punto di origine del la- ringeo superiore rientra to- sto nella guaina del vago. A sinistra nulla di parti colare. A destra appena ori- ginatosi il laringeo supe- itiore da un rametto che tosto si unisce con i due provenienti dal plesso gan- gliforme del pneumogastri- co e formato un sol ramo decorre isolato per circa 2 centimetri quindi rientra dentro al vago. A destra un ramo nasce dall’ estremo centrale del la- ringeo superiore, discende in basso e si porta un po’ in- ternamente verso la parte mediana del collo; trovato il laringeo esterno vi si uni sce per tosto distaccarsi nuovamente. e unirsi al car- diaco superiore del simpa- tico. A sinistra dal laringeo su- periore si stacca un ramo nervoso che scende in basso dietro la carotide con de- corso non rettilineo; arri- vato in corrispondenza del giugulo immette in un pic- colo ganglio (della grossezza [di una piccola lenticchia),, Laringeo | . esterno Nulla Idem Idem Idem . Gran simpatico Nulla Idem Idem Idem [. n] | IL Pneumogastrico NERVO DEPRESSO | Laringeo superiore Laringeo esterno 231 Gran i ® [el | E ©| Sesso C-) DA | 85] Uomo 86| Uomo | | È Uomo È 881 Uomo 52 anni 61 anni 67 anni grosso ramo, confondibile con i rami cardiaci comuni del pneu- mogastrico, si di- stacca di fronte alla 5.® vertebra per portarsi, ad- dossato alla caro- tide e quindi al tronco branchio- cefalico. nel ples- so cardiaco. A destra uni non! A sinistra a li-l dove pure fa capo un corto ramo proveni»nte dal gran simpatico. Da questo gan- glio escono 4 rami due cor- tissimi ('/ centimetro cir- ca) rientrano tosto nel sim- patico stesso, due scendono direttamente, attraversano il giugulo, l arco dell'aorta c di la si. sperdano nel plesso cardiaco. A destra nulla di tutto ciò. A sinistra un ramo si stacca dal laringeo poco dopo usci ‘to dal vago, tosto sì divide in due rami secondari dei quali uno dopo l centimetro di decorso rientra nel tronco idel vago, l'aliro scende fino alla metà del collo dove si unisce intimamente al car- diaco superiore. A destra inulla di tutto ciò. Da ambedue le parti to- vello della sestaigliendo la guaina del pneu- vertebra esce un/mogastrico si vede che dal ramo cospicuo che; troneodel lari ingeo superiore, si situa dietro lajprima che esca dal pneumo-| carotile. e isolato|gastrico stessu. si diparte un termina nel ples-'ramo che decorre nel vago so cardiaco. ben distinto dai fasci ner- vosi che compongono il tronco di questo nervo. A destra più lungo che a s? nistra. Nulla Solito ramo che va nel vago visibile soltanto a destra, | tolta la guaina del pneumo- gastrico. A destra un ra-| A destra un ramettino deli mo assai cospicuo. laringeo superiore si distac-, sistacca dal pneu-.ca per portarsi quasi subito mogastrico allalnel vago. metà del collo el finisce nel cala co superiore. Nul-! la a sinistro. Nulla Idem Idem Idem Idem Nulla Idem Idem Idem Idem 232 Ae VITI Laringeo esterno Pneumogastrico] Laringeo superiore Gran simpatico) | N. d'ordine (2) © vv v © m Conai D 28 Nulla A destra dal laringeo su- Nulla Nulla { anni ringeo superiore si stacca . |un ramo che discende pa- | rallelo al vago. Questo ra- 0 Vo) i © B 5) mo riceve dei cortissimi fi- letti dal ganglio cervicale superiore. A metà del corso del pneumogastrico appa- rentemente si unisce per | brevissimo tratto a questo | nervo, poi se ne distacca, prosegue in basso, da un ra- mo al ganglio cervicale in- feriore, quindi addossato al tronco arterio-0 brachioce- falico passa sull'arco del- l’aorta e si perde nel plesso cardiaro. A sinistra esiste un ramo proveniente dal laringeo che dopo !/ centi- metro di corso si divide in due, un rametto decorre per | 4 centimetri e poi si perde nel pneumogastrico, l’altro | dopo un cammino presso a poco uguale si perde nel cardiaco superiore del sim- patico. 90| Uomo 48 Nulla che accen- Nulla Idem ldem anni |ni alla presenza del depressore. 91 | Uomo 68 Nulla Da ambedue le parti il la- Idem Idem anni ringeosuperiore appena nato dà origine ad un ramo ner- voso che a sinistra decorre parallelo al ppeumogastrico; verso la metà del collo en- tra nella sua stessa guaina, dove decorre per 3 o 4 cen- timetri quindi riesce, si di- rige in basso si addossa alla carotide, entra nel torace, passa sull’ arco dell’ avrta, oltrepassato il quale sì per- de nel plesso cardiaco. A destra questo ramo invece dopo un decorso isolato di 6 centim. rientra nel vago, per non riuscirne. “ | I (°) f= E ? | Sesso| Età q = 92| Uomo 69 anni 93| Uomo 9 annì 9: | Donna 78 anni 95| Uomo 75 anni | Ro | 96| Uomo | 85 | anni IL NERVO DEPRESSORE 238 | Dalla metà del \tronco del pneu- un rametto nascere dal la- mogastrico a si- ringeo superiore appena di- nistra sì distacca staccatosi dal vago e dopo un grosso ramo Ì centimetro e '/, di decor- iche addossato al-so ritorna nel tronco del ila carotide discen- pnpeumogastrico. de nella cavità to- racica e va a ter- minare nel plesso icarliaco. A de- stra nulla di ciò. Laringeo | Pneumogastrico\ Laringeo superiore | i ‘Gran simpatico esterno © Nulla | Soltanto a destra vi è un Nulla Nulla rametto che nato dal larin- geo dopo 3 centimetri circa di decorso si getta nel tron- co del vago. | Idem A sinistra dal laringeo sil À sinistra man- Idem | parte un ramo a cui tosto da un rametto che si unisce un filetto nervoso Sì congiunge a ‘proveniente dal ganglio cer- quello formato dal | ivicale superiore del simpa-laringeo superio- patico; formato un unico re e dal filetto ramo decorre isolato fino proveniente dal alla metà del collo dove si ganglio cervicale unisce col nervo cardiaco Superiore. superiore. A destra nulla. |” Nessun ramoche Nulla Nulla Idem \accenni alla pre- | senza del depres- | sore. | Nulla Fra il laringeo superiore e Idem Idem il pneumogastrico. al punto d' origine del primo, da am- bedue le parti esiste come un picco‘o plesso da questo isi origina un ramo che a destra dopo un decorso di 8 centimetri si unisce al va- go, a sinistra invece trova un rametto del ganglio cer- vicale superiore e vi si uni- sce. Formato così un ramo unico, decorre isolato e giunto in corrispondenza | dell'apertura toracica si u- nisce al ramo cardiaco su- periore del simpatico. Soltanto a sinistra si vede Idem Idem N. d'ordine A. VITI ha Età Pneumogastrico Laringeo superiore (lo) =] 98. 99, Donna demente 27 anni | Nulla | Des'ru. Rametto che si stacca dal plesso ganglifr- me per unirsi col un rametto del la- ringeo superiore. Sinistra. Nulla. Dal plesso gangli- forme di destra. iolta la guaina del pneumogastrico,si vede staccarsi un rametto corto e grosso che tosto sì unisce con uno consimile che si diparte dal larin- geo superiore nel punto in cui si stacca dal pneu- mogastrico. For- mato un sol ra- mo,Qquesto decorre dentro la guaina del vago, dove si può seguire per un centimetro e !/, circa, poi si con- fonde intimamen- te con gli altri fasci che formano questo inervo. Tolta la guaina del pneu- mogastrico sì vede un ramo nato dal laringeo superiore ‘he a siristra decorre unito il pneumogastrico stesso, a ‘lestru se ne distacca alla metà del collo per portarsi nel plesso cardiaco senza al- cuna anastamosi. Destra Appena originatosi il laringeo superiore manda in rametto che unitosi a quello proveniente dal pneu- mogastrico forma un ramo nico che al terzo superiore tel collo manda un filamento esilissimo al cordone. del pneumogastrico stesso, quin- ili prosegue isolato e alla metà del collo si uni>ce col cardiaco superiore. A s02%- stra vì è lo ste-so ramo del ‘aringeo superiore che scen- de direttamente in basse e trovato il cardiaco medio vi si unisce direttamente. A sinistra dà origine a un ramo che decorre inguainato col pneumogastrico fin verso la metà del collo, quindi si rende libero, si porta sulla carotide, scende nella cavità toracica e si sperde nel ples- so cardiaco. Laringeo i o Gran simnatico esterno | Nulla Nulla Idem Idem i Idem Idem N. d’ordin "| IL NERVO DEPRESSORE 235 li Laringeo | Sesso | Età |Pneumogastrico| Laringeo superiore È Gr an simpatico esterno Bale di Donna 68 Nulla a destra.| Da ambedue le parti vi è Nulla Nulla | | anni ‘A sinistra dallaun rametto lungo circa due metà del tronco centimetri, che nato dal la- del vago si stacca ringeo nel punto in cui si un ramo, che co- diparte dal pneumogastrico, steggiando la ca-ritorna poi nel tronco di rotide, scende nel questo medesimo nervo. cavo toracico e si perde nel plesso cardiaco. | | { | Ì Nat. Vol. VI, fasc. 2.° -1 236 A. VITI Esposti i fatti vediamone i resultati. Nei 100 cadaveri da me esaminati soltanto 7 volte ho no- tato l'assoluta mancanza di questo ramo nervoso da ambedue i lati del collo; nei rimanenti 93 in 18 mancava soltanto a destra in 12 soltanto a sinistra. Riassumendo, in 200 osserva- zioni, (100 di destra e 100 di sinistra) questo ramo nervoso manca 25 volte dal lato destro del collo, 19 volte dal lato si- nistro in tutto 44 volte, cioè a dire che su 200 osservazioni si trova 156 volte. In queste 156 volte però non posso dire che un nervo analogo al depressore esistesse costantemente ed ecco perchè. 10 volte tanto dalla parte destra quanto dalla parte sinistra del collo, ho veduto il pneumogastrico ad altezza varia nei vari individui, ma più facilmente nei due terzi inferiori del suo decorso cervicale, emettere un ramo assai grosso relativa- mente ai rami cardiaci che questo nervo può dare nel collo, di modo che non credo che debba ritenersi come uno di questi rami, poichè può con essi coesistere. Questo ramo seguito nel suo cammino o direttamente di per sè od anche indirettamente, cioè per mezzo dei rami cardiaci del gran simpatico, va a terminare nel cuore. Siccome poi ho riscontrato questo ramo nervoso quasi sempre quando non esisteva altro ramo che potesse in certo modo dirsi analogo al depressore, mi è sorto il dubbio che esso stesse a rappresentarlo, e questo dubbio, credo, che sia in parte giustificato dal fatto, che diverse volte in cui si era presentato questo medesimo ramo, seguendolo dentro la guaina del pneu- mogastrico ho potuto risalire sino alla sua origine, ed ho veduto che si distaccava dal tronco del laringeo superiore proprio nel punto in cui questo esce dal pneumogastrico. Ciò constatato io dico, che anche quando questo ramo nervoso non lo sì può se- guire fino al laringeo superiore, perchè non più distinguibile per la sua intima connessione con gli altri fasci del pneumoga- strico, si può giustamente dedurre che non sia che il resultato della riunione di fibre che per un certo tratto hanno camminato disperse nel tronco del pneumogastrico e che in altri casi seb- bene riunite decorrono dentro la guaina di questo medesimo nervo e sì vedono distaccarsi dal laringeo superiore. Queste mi sembrano ragioni, se non indiscutibili, almeno molto probabili per ammettere che anche in questi 20 casi (10 a destra e 10 a sinistra) si tratti di un ramo analogo al depressore; ma anche base: c. IL NÉRVO DEPRESSORE 237 volendo ciò negare aggiungendo questi 20 casi ai 44 di assoluta mancanza si avrà sempre un contingente di 136 osservazioni nelle quali della esistenza di un nervo che può ritenersi quale depressore non può farsi alcun dubbio almeno per la parte ana- tomica. Volendo poi calcolare più minutamente ne viene, che la mancanza di un nervo che possa ritenersi qual depressore è più frequente a destra che a sinistra; e infatti, fra i casi di assoluta mancanza e i casi dubbi si ha un totale di 35 a destra e di 29 a sinistra su 200. A maggior chiarezza, ecco qui riportati in apposito quadro questi dati numerici. Destra | Sinistra | Totale | Mancanza assoluta. . || 25 19 44 Nervo depressore ) Presenza probabile. . | 10 ; 10 20 | Presenza certa ....| 65 | 71 136 Dalle singole ricerche praticate su 100 cadaveri quale è la conlusione che in ultima analisi può trarsi circa alla morfologia del depressore nell’ uomo? To concludo su ciò d.cendo, che depressore nell'uomo è rappresentato da un ramo del laringeo su- periore che direttamente o indirettamente si porta nel plesso cardiaco. Premessa questa definizione più giusta di quella di ramo cardiaco del vago di Irause, trovano spiegazione tutte le varie forme sotto cui può presentarsi questo nervo. Imperocchè dicendo, che il depressore nell’ uomo non è che un ramo del laringeo superiore che và direttamente o indirettamente al cuore, si esprime un concetto assai largo nel quale includesi l’idea di un nervo isolato e libero, e quella di tutte le connessioni che questo nervo può preudere con gli altri rami nervosi del collo che si portano al cuore. Colla definizione premessa si includono una quantità rag- guardevole di disposizioni particolari rispetto a questo nervo, come può verificarsi nella descrizione minuta delle singole 0s- servazioni; ma di queste varie disposizioni può farsi una scelta, prendendo alcune che si presentano più di frequente quali tipi principali e considerando le altre quali varietà di queste. 238 A. VITI Un ramo nervoso che nato dal tronco del laringeo superiore si porti direttamente al cuore non è il caso più frequente, ma pure lo si può incontrare. Questo ramo si distacca dal laringe superiore sempre vicino al suo estremo centrale, cioè quasi presso al punto in cui questo si diparte dal tronco del vago e si porta, come si legge nella osservazione 26*, al cuore senza alcuna anastomosi (fig. A). Ma più di frequente esso non decorre libero affatto da ogni comunicazione con gli altri nervi, come avviene in altri casi, ma più specialmente nella osservazione 23.8 lato sinistro, in cui è detto che questo nervo riceve dalle anastomosi dal simpatico (fig. B). Qualche volta può anastomizzarsi con il laringeo esterno o con qualcuno dei rami cardiaci, col ppeumoga- strico e con i gangli cervicali. È raro il caso, ma non perciò im- possibile, che lungo il decorso di questo nervo esista un ganglio, assai piccolo se vuolsi, ma ben visibile, ganglio a cui si portano talvolta rami del simpatico e se ne partono ‘altri che vanno al cuore, come si ha dal lato destro, nei casi N.° 16 e 84 (fig. 0) e nella osservazione 42.° da ambedue i lati del collo e di cui riporto quì la figura (lig. D. E). Può anche avvenire (come nelle osservazioni 89, 91, 99, 100) che questo ramo del laringeo supe- riore, per uu brevissimo tratto del suo decorso penetrando nella guaina del pneumogastrico, sembri unirsi a questo nervo, ma apparentemente soltanto, poichè facilmente lo si può separare. E questo è un fatto importante per spiegare qualche altra forma sotto la quale può presentarsi il depressore. Il caso più frequente però si è di trovare un ramo del la- ringeo superiore che si unisce con qualcuno dei rami vicini, per mezzo dei quali deve andare necessariamente al cuore. Infatti, fatta diligente osservazione si vede che spessissimo il laringeo superiore poco dopo che si è distaccato dal vago, manda una diramazione nel tronco di questo nervo e anzi dirò, che questa disposizione è la più frequente, poichè mi è stato data osservarla 81 volte dal lato destro e 21 volte dal lato sinistro, come sì legge nelle osservazioni 9, 30, 36, 54, 72, 81, e in moltissime altre (fig. F). Però talvolta non è questo ramo visibile a prima vista e conviene togliere la guaina del pneumogastrico, allora è facile vedere che questo ramo nasce dall’ estremo centrale del laringeo superiore per tosto inguainarsi col vago. La lunghezza di questo ramo che ritorna nel tronco del vago è varia; più di IL NERVO DEPRESSORE 239 frequente non è lungo che 2 o 3 centimetri, ma può talvolta presentarsi di una lunghezza di 7 o 8 centimetri ed anche più. Anche in questa disposizione si presentano talvolta delle varietà le quali consistono per lo più in ciò, che questo nervo prima di gettarsi completamente nel tronco del pneumogastrico, manda in esso uno o due rami secondari come al N.° 34, 55, 69, e non è anche impossibile il caso che una diramazioncella di questo nervo lo unisca ad un ramo cardiaco del gran simpatico e di ciò appunto veggansi i N.' 79, 85. Non è poi infrequente osservare che questo ramo il quale dal laringeo superiore si getta nel pneumogastrico, ricomparisca ad un certo punto del decorso di questo nervo nel collo, per por- tarsi direttamente o indirettamente al cuore, di ciò posson ve- dersi le osservazioni segnate ai N.' 5, 28, 60 77, 86 ed altre (fig. G). Ciò che mi fa affermare che in questi casi il nervo che si di- stacca da un certo punto del pneumogastrico sia quello che dal laringeo superiore ritorna nel tronco del pneumogastrico stesso, si è, che diverse volte seguendolo dentro la guaina in cui era avvolto, ho potuto vedere che appunto si continuava nel ramo proveniente dal laringeo e perciò la sua origine dal pneumoga- strico era semplicemente apparente. Dato c.ò alcune volte, credo si possa arguire lo stesso per altri casi in cui non è possibile ricondurre il ramo che esce dal pneumogastrico a congiungersi coll’ altro che proviene dal laringeo superiore, ammettendo che le fibre di questo sì sieno intimamente commiste agli altri fasci del pneumogastrico e quindi riunitesi di nuovo in un cordone unico. Sebbene non frequentemente, ma pure è possibile, che il nervo il quale riesce dal tronco del vago non decorra perfetta- mente libero fino al plesso cardiaco, ma si anastomizi invece col simpatico, ovvero si unisca intimamente con esso o a qual- cuno dei suoi rami cardiaci, sù ciò vedansi le osservazioni 21, 38, 70, 88, e qualche altra. Un’ altra disposizione possibile si è che, un ramo che si di- stacca dal laringeo superiore si unisca tosto al gran simpatico o a qualcheduno dei suoi rami cardiaci, come nelle osservazioni 3, 11, 86, (fig. H) e 11, 25, 66, 98 (fis. I). Come varietà a questa disposizione può avvenire che il ramo dato dal laringeo prima di unirsi al simpatico o ad un ramo cardiaco, dia un filetto nervoso al pneumogastrico, come nei casi 3, 29 e 40 e che esista 240 A. VITI contemporaneamente, come nel caso 25 dal lato destro, anche un ramo del laringeo stesso che si porta nel vago. E mi spiego questa varietà ultima ammettendo che quelle fibre che nei casi, 3, 29, 40 si sono distaccate per portarsi nel vago si sieno invece precocemente disgiunte ed uscite dal laringeo superiore sepa- ratamente. Può anche avvenire conse nei casi 30, 38, 58 che il ramo dato dal laringeo superiore, formato un ramo unico con un filetto dato del ganglio cervicale superiore, vada a ter- minare poi non al plesso cardiaco, ma nel tronco del pneamo- gastrico. Può darsi anche che questo ramo nervoso si diparta non dal laringeo superiore direttamente, ma sibbene dal laringeo esterno, e che si unisca direttamente al simpatico come nei casi segnati 1, 4, 14, (fig. K) e in quelli segnati 2, 33, 34 (fis. LD). Questa sarebbe la disposizione che il Finkelstein e il Giovanardì danno al depressore nell’ uomo. lo credo si che questo ramo rappresenti il depressore poichè ammetto che invece di essersi distaccato dal tronco del laringeo superiore prima che questo dìa il laringeo esterno, le sue fibre abbiano proseguito e siano uscite invece dal tronco di questo ultimo, ma non credo questo fatto costante, come lo dicono i due sullodati osservatori; anzi è per me uno dei casi meno frequenti. È fucile avere questa disposizione anche insieme a qualcheduna delle più frequenti, come nei casì, lo, 27, 54 ec.; ed una volta dalla to sinistro nel caso sesnato 55 ho potuto osservarla. duplice, cioè due rami del laringeo esterno si univano con un rametto del ganglio cer- vicale superiore del simpatico, rami che uscivano dal tronco del laringeo esterno, uno presso la sua origine, uno quasi presso la sua terminazione al muscolo crico-tiroideo. Un unica volta soltanto, come ho veduto nel caso 33 dal lato destro, questo ramo del laringeo esterno non andava ad unirsi al simpatico o a qualche ramo cardiaco, ma si gettava invece nel tronco del vago. Ciò pure mi conferma nel credere questo ramo analogo a quello che spessissimo si parte dal laringeo superiore ed ha una identica terminazione. Nell’ osservazione N.° 39 poi si ha anche un'altra varietà, poiche il ramo che è dato dal laringeo esterno, dopo unitosi con un filetto del ganglio cervicale supe- riore, si getta nel tronco del pneumogastrico, e di più dalla parte sinistra si vede più sotto un ramo di egual grossezza | | IL NERVO DEPRESSORE 24.1 staccarsi dal vago per portarsi nel plesso cardiaco. Altra varietà è quella che sì ha nella osservazione 54 a sinistra, poichè in questo caso è un ramo del laringeo superiore ed uno del laringeo esterno che sì uniscono a un ramo del ganglio cervicale superiore, e qui posso benissimo ammettere che il ramo dato dal laringeo esterno non sia che una parte di quello dato dal laringeo superiore, per la ragione che può benissimo una parte delle fibre di quest’ ul- timo aver continuato, per un certo tratto, a stare unita colle altre fibre del laringeo superiore ed esterno, e si sia resa libera in altro punto. Un nervo che nasca con due radici come vien descritto da Cyon e Ludwig nel coniglio, nell’ uomo è piuttosto raro. Soltanto nelle osservazioni segnate N.° 12, 24 ho veduto questo nervo nato con una radice del laringeo superiore ed una del pneumogastrico portarsi direttamente nel plesso cardiaco (fig. M). Nel caso 61 sinistra esiste questo medesimo nervo così originato, ma dopo un certo decorso sì getta nel vago e nel caso 99 dal medesimo lato presenta queste dne radici, ma per vederlo occorre togliere la guaina del vago stesso e questa sarebbe la disposizione che assegna il Kreidmann al depressore nell’ uomo. Nel caso 35 a sinistra un nervo identicamente originato, dopo essersi unito al vago, riesce dal tronco di questo per portarsi nel plesso cardiaco, mentre nel caso 16, sinistra, dopo riescito dal vago riceve dei rametti dal simpatico. A questo medesimo tipo può riferirsi la disposizione che assume nel N.° 41 a sinistra, consistente anche in una terza radice data dal laringeo esterno. Un nervo con origine duplice può unirsi al cardiaco superiore del simpatico, come ai N. 18 a destra, 40, 98 a sinistra; anzì in questi casi vi ha di più, perchè esiste anche un ramo del laringeo esterno che va nel cardiaco superiore. Questi sono, in riassunto, i diversi tipi ai quali si può ripor- tare la disposizione che può assumere il depressore nell’ uomo, e le loro possibili varietà. Ho tralasciato di accennare alcune varietà perchè riferibili sempre a qualcheduno dei tipi descritti. Stabiliti questi diversi tipi l'analogia di questo nervo con il depressore come si trova negli altri mammiferi esaminati è innegabile, vi è soltanto una differenza, che non altera però le condizioni, ed è che nell'uomo questo nervo, sebbene di fre- 249 À. VITI quente non giunga direttamente al cuore, pure non è nel ganglio cervicale inferiore che va a terminare come nel coniglio, ma o vi comunica per qualche ramo, o si getta invece completamente nel tronco del vazo, nal simpatico, o in qualche ramo car- diaco dei gangli cervicali. !n ciò adunque concorda più colla di- sposizione che assume nel gatto e in altri mammiferi. Del resto è nell’origine dove l'analogia è perfettissima. In tntti gli ani- mali in cui è stato osservato questo nervo, esso non è che un ramo del laringeo superiore al quale può aggiungersi talvolta una seconda radice del pneumogastrico e secondo le mie ricerche anche una terza, sebbene assai più di rado, dal gran simpatico, come ho riscontrato nel gatto e nel topo. Così pure nell’ uomo io ho definito questo nervo quale ramo del laringeo superiore, ma non ho neppure escluso la possibilità di una seconda radice data dal pneumogastrico e talvolta anche di una terza consi- stente in un rametto per lo più del ganglio cervicale superiore. Il caso che la seconda radice provenga non dal pneumo- gastrico, ma dal simpatico, come verificasi nel coniglio e nel gatto, è anche verificabile nell'uomo, poichè, come ho dimo- strato, non è infrequente il vedere un filetto dato dal cordone del simpatico o da qualcheduno dei gangli cervicali aggiun- gersi al ramo proveniente dal laringeo superiore. Anche nel- l’uomo si è potuto verificare che alla formazione di questo nervo concorra un ramo del laringeo esterno, come feci notare nel coniglio, anzi dirò che nell’ uomo questa radice del laringeo esterno è relativamente più frequente che nel coniglio. La di- sposizione a cui accenna il Bernhardt nel cavallo ho potuto ri- scontrarla pure nell'uomo poichè anche qui ho trovato qualche volta un piccolo plesso da cui si originava il laringeo superiore, o meglio un piccolo plesso teso fra il laringeo superiore e il pneumogastrico, plesso dal quale sì origina un ramo che per lo più ho veduto unirsi ai rami del simpatico come nel caso 29, da ambedue i lati del collo e nel 95 a sinistra, o pure gettarsi nel pneumogastrico, come nel caso 95, a destra. Però questo fatto lo credo molto eccezionale. Nel topo, nel porco-spino, nella pecora e nel bove, non vi sono disposizioni particolari che non abbiano il loro esempio congenere nell’ uomo. La disposizione che io notai in quell’ unica scimmia che potei osservare, trova in certo modo riscontro nell’ osservazione 95, dove un ramo for- IL NERVO DEPRESSORE 243 mato con due radici, una dal laringeo superiore e l’altra dal pneumogestrico si unisce al cardiaco superiore del simpatico. In conclusione, non solo tutte quelle disposizioni che sì tro- vano più comunemente negli animali hanno il loro riscontro in disposizioni simili nell’ uomo, ma anche tutte le varietà e tutti i casi eccezionali si ritrovano rappresentati. L’ analogia è dunque certa; quel ramo che io mi sono studiato di dimostrare nella sua origine, nel suo decorso, e nella sua terminazione, e di cui ho mostrato la varia morfologia riferibile ad una definizione unica, è il nervo Depressore della circolazione. Dopo i resultati tratti dalle mie ricerche, io non posso ac- cettare come applicabili alla generalità dei casi nessuna delle conclusioni a cui son giunti gli osservatori che mi precedettero; è soltanto come casi speciali che posso accettarle. Se uno più degli altri si è avvicinato colle sue conclusioni alle mie è il Bernhardt. La disposizione a cui egli accenna, in certo modo quasi conferma l’esistenza di un ramo del laringeo superiore che ritorna nel tronco del vago. La disposizione a cui accenna il Kreidmann è tutto affatto eccezionale; un po’ meno rara è la disposizione menzionata dal Finkelstein e dal Giovanardi; ma dato pure che si verificasse costantemente, in certi casi esiste l'analogia perfetta anche non facendo conto di essa. Quel che non posso assolutamente accettare è ciò che dice il Gegembaur. Non posso ammettere che il ramo cardiaco del pneumogastrico che si distacca più in alto degli altri rami consimili che può dare questo nervo nel collo, si debba ritenere qual depressore. Si può stabilire l'analogia senza ricorrere a questo nervo, e dato anche che qualche volta rientri nella costituzione del de- pressore, come potrebbe dubitarsi in quei pochi casi in cui entra a formare il depressore anche un rametto del pneumogastrico, è sempre però un fatto eccezionale e direi quasi anche dubbioso. Anche nei casi in cui esiste soltanto un ramo che si distacca dal tronco del pneumogastrico, casi che potrebbero sempre rien- trare nella definizione principale, ma sui quali ho espresso io pure i miei dubbi, io credo non si tratti del ramo cui accenna il Gegembaur, esso è molto più grosso dei cardiaci cervicali; può co- esistere con loro e non è certamente il più alto, poichè il caso più frequente è che si distacchi dal pneumogastrico, dai due terzi inferiori del suo tronco nel collo. Per i fratelli Cyon la di- Sc. Nat. Vol. VI, fasc. 2.° 8 944. A. VITI sposizione dei nervi del collo nell'uomo, e perciò anche del de- pressore, sarebbe identica a quella che si ha nel coniglio. Su ciò ho già detto altrove, che io credo col Bernhard, essere questa un’ asserzione un po’ precipitosa. Se i due fratelli Cyon intendano alludere ad una morfologia del depressore nell’ uomo, che si può ritenere analoga a quella del coniglio, sebbene non sappia io come intenderebbero dimostrarla, pure concorderei con loro; ma essi parlarono di identità specialmente poi circa il de- corso di questo nervo; perciò io non posso, dietro i miei resultati, accettare le loro vedute. Certo che il de pressore come l'ho tro- vato io nell'uomo è l'analogo del depres sore degli altri animali, almeno anatomicamente si può dimostrare senza ombra di dub- bio; ma non per questo è perfettamente identico a quello che sì trova nel coniglio. Non potendo adunque io accettare in modo speciale alcuna delle conclusioni che sopra, credo però poterle singolarmente ammettere sotto la definizione, ossia sotto il tipo generale a cui riferisco tutte le possibili varietà del depressore nell'uomo. Con- cludo adunque che il nervo depressore nell'uomo non è costante trovarlo come ramo distinto, però nella maggioranza dei casi esiste e non è altro che un ramo del laringeo superiore, il quale sempre si porta al cuore o direttamente di per se stesso o in- direttamente, cioè, per mezzo degli altri rami nervosi che scor- rono nel collo, talvolta unendosi al pneumogastrico, senza ri- comparire come avviene il più spesso, o ricomparendo ad un certo punto del tronco di questo ramo; talvolta riunendosi al gran simpatico o a qualcuno dei suoi rami cardiaci. Nei casi che non sono certamente i più, in cui questo nervo partitosi dal laringeo superiore si dirige direttamente al cuore, il suo decorso è pa- rallelo a quello pneumogastrico e al simpatico, costeggiando la carotide primitiva e nel giugulo passando al davanti o al di dietro di essa, per camminare quindi sull’ arco dell'aorta e perdersi poi nella rete nervosa costituente il plesso cardiaco. In questo suo decorso entra per lo più in comunicazione con il simpatico per filetti anastomotici, e talvolta anche col ricorrente. Tutte le varietà di origine di questo nervo, sia che esso si origini dal laringeo superiore e dal pneumogastrico, o dal laringeo supe- riore, dal laringeo esterno e dal pneumogastrico insieme, o tal- volta anche semplicemente dal laringeo esterno, sono tutte spie- on IL NERVO DEPRESSORE 945 gabili ammettendo una precoce divisione del fascio di fibre co- stituente questo nervo in fascetti secondari, che si rendono poi liberi da punti differenti, per tosto riunirsi a formare un ramo unico. È così che io intendo stabilire la morfologia del nervo depressore nell'uomo, morfologia unica, ma al tempo stesso mol- teplice per le sue varie modificazioni, basata sulla analogia, de- dotta dalla comparazione di questo nervo fra l’uomo e vari altri animali. In tutte le figure esistenti in queste tavole i rapporti sono alquanto spostati, per meglio ANNOTAZIONE mettere in evidenza i singoli rami nervosi. Soltanto per il Coniglio, Gatto, Topo, e Porco- Spino le proporzioni sono naturali, negli altri la proporzione delle figure è minore del vero. Le lettere esistenti nelle figure significano: COAT Sia Vago o Pneumogastrico. Simpatico. Laringeo superiore. Laringeo esterno. Depressore. .8. + + Ganglio cervicale superiore. c.m. . . Ganglio cervicale medio. c. ii . . Ganglio cervicale inferiore. n Ricorrente. Dies Plesso gangliforme. Els Plesso cardiaco. Ca. s Cardiaco superiore. G. s Ganglio stellato. Pubblicando i resultati di queste mie ricerche, sento in me il dovere di porgere i più sentiti ringrazia- menti, oltre che al mio egregio Maestro Prof. Romiti per la sua continua direzione e per la liberalità colla quale pose a mia disposizione i mezzi dell’ Istituto e e la propria biblioteca, anche agli egregi Professori Luigi Solera e Giovanni Bufalini per il materiale gen- tilmente offertomi dai respettivi gabinetti di Fisiologia e Farmacologia. Mille grazie di cuore all’ ottimo sig. Tito Tincolini veterinajo comunale, poichè anche egli ha fatto molto per me. Al mio carissimo condiscepolo e affezionatissimo amico Giulio Valenti, che con tanta gentilezza e premura mi prestò l’opera della sua mano espertissima nel disegnare, protesto la più sincera ri- conoscenza unita al perenne ricordo della sua bontà. Siena, Decembre 1883. A. VITI. AINO SOLO ti IT for li SEU] | ad l ROIO Ì Be % Sa z » REV ERI CI Ae, fl" È Ù î CHA n Ur È 2 {ji mi di ROTH . LI EEA VO a n ; SIAT I Na OVELDADICI LAT TRAI DE) MESH) Til Voi ; ì PEDIN } TOLL6: (OVE Le è De: MESE PREDO } j ità è DI ‘ «fd ha PURA ? CUR I. dA Ì (| Ì 7 î SI > RIE j LALA UAC ua Le LUA: pt PELLI FOCE % pi FP sf EA RE TRONI TOR k ‘ DA LAU wi 4% "ero FER x ALCUNE RICERCHE SULLA STRUTTURA ISTOLOGICA DELLE SACCHE AGRIPORE: DEGLI UCCELL DEL DOTT. EUGENIO FIGALBI Aiuto alla cattedra di Anat. comp. e Zoolog. della Università di Pisa Lo scopo che mi prefiggo nella presente nota si è di accen- nare ciò che è stato detto dai diversi osservatori sulla struttura intima delle sacche aerifere degli uccelli, e di riferire anche il risultato delle mie ricerche in proposito, non tanto per confer- mare, ove lo merita, il già scritto, quanto per completare l’ ar- gomento. Credo di non aver fatto del tutto opera inutile e su- perflua: quello che si sa sulla struttura delle sacche aerifere, trovasi talmente sparso e slegato che incomodo e difficile resta a conoscersi, per quanto si tratti di cose abbastanza semplici; lo, in questa modesta nota, mi sono studiato collegar tutto, in modo che sia possibile formarsi un’ idea sull’ istologia di questi organi, dei quali tanto si è parlato dai singoli cultori dell’ ana- tomia. Con attenzione e scrupolo mi sono occupato della Bibliografia riguardante l’argomento e credo di aver tutto o quasi rintracciato. Delle sacche aerifere degli uccelli, considerate specialmente sotto il punto di vista dell’ anatomia grossolana, moltissimi autori si sono occupati e vi hanno scritto più o meno intorno. Furono esse scoperte dal linceo occhio di Harvey (1651) ('), che per il primo dette cenno dei fori, che nella faccia inferiore dei polmoni ornitici si trovano, e delle saccocce membranose che 250 E. FICALBÌ da essi fori emanano. — Dopo la scoperta di Harvey, PrRRAULT (1666 e anni seguenti) (*), celebre anatomico, che disponeva di un materiale di studio, quale non a tutti è dato aver sutto- mano, studiò estesamente le sacche aerifere e dando relazione delle sezioni anatomiche di otto struzzi, di quattro casoari, di diverse aquile, otarde, cormorani, pellicani ed altri uccelli, parlò delle sacche stesse, e, sebbene non sempre venisse ad esatte con- clusioni, specie sul numero loro, pure le descrizioni sue sono in- gegnose e interessanti. Perrault è stato il primo anche a stu- diare con estensione il diaframma degli Uccelli, che era stato, per altro da Correr accennato fin dal 1628. -— Nel 1771 1’ olan- dese Camper (‘), anatomizzando un’ aquila, vide che certe ossa erano prive di midollo e contenevano aria: scuoprì insomma l’osteopneumatismo. Ma di esso la perfetta conoscenza devesi a Giovanni Hunter (1777) (*), che classicamente lo descrisse. “ Le ossa che ricevono aria, egli dice tra altre cose, sono di due specie: alcune, come lo sterno, le coste, le vertebre, hanno la loro interna sostanza divisa in cellette innumerabili, altre, come l’omero e il femore, sono traforate da un lungo canale, qualche volta con poche colonne ossee, che lo attraversano alle estremità ,. Esattezza maggiore non potrebbe richiedersi. Egli fece vedere sperimentalmente come le cavità ossee comunichino con le vie aeree: amputò l’omero o il femore ad Uccelli e, chiusa loro la trachea, vide che vivevano, respirando dal foro del moncone. Giovanni Hunter si occupò anche a cercare quale potesse essere l’ ufficio delle sacche aerifere. Credette da primo che potessero servire a facilitare il volo, accrescendo il volume, senza aumen- tare il peso dell’ uccello, ma abbandonò ben presto questa opi- nione, considerando, tra le altre cose, che lo struzzo, ad esempio, che non vola affatto ha sacche aerifere sviluppate relativamente molto di più che la volatrice beccaccia. “ Queste contraddizioni, egli dice, mi hanno obbligato a credere di qualche altro uso il singolare apparecchio ,. Ha torto, per ciò, Sappey quando attri- buisce recisamente ad Hunter questa opinione, ch’ egli stesso rifiutò. Quando l’ Uccello tutte gonfia le sacche, come fa il tac- chino, dice Hunter esser segno di passione. Molto giudiziosamente, per terminare, egli pensò che le sacche fossero serbatoi d’ aria di riserva, la quale può asser utile a diversi usi, quale, per ci- tarne uno, quello di permettere all’ Uccello di emettere, con RICERCHE SULLE SACCHE AFRIFERE DEGLI UCCELLI 251 pochissima capacità polmonare, suoni di lunga durata, senza ri- prender fiato. Hunter descrive anche esattamente il diaframma ornitico e dimostrò come necessario fosse alla respirazione in questi animali, poichè, contenendo aria il torace, in causa delle sacche aerifere, il polmone ha bisogno di un tramezzo resistente, che lo liberi da quella influenza; l’aria delle sacche egli dice, “impedirebbe la' respirazione, come accade appunto agli altri animali, quando han piagato il polmone e l’aria trova attra- verso di questa piaga libero passaggio nella cavità del torace ,. Jon il che allude Hunter allo pneumotorace, causa potente di dispnea nei Mammiferi, che ne siano affetti. — MicaeLe GIRARDI, Medico parmense, (5) fu quello che (1784) con maggiore esattezza e precisione di ogni antecedente osservatore descrisse tutto l’ ap- parecchio respiratorio ornitico. Lo stesso severo Sappey dice “che questo osservatore gli sembra essere stato colui che portò in tale studio il colpo d’ occhio più penetrante e l’ intelligenza la più solida ,. Parlando delle sacche aerifere, dice Girardi: “ Altre si veggono nella cavità del torace, altre nelle parti late- rali di questo, altre nel collo, altre finalmente nel ventre ,. Nelle descrizioni sue chiaramente si scorge come egli per primo ne vedesse il numero giusto di 9, da ciascuna delle quali più o meno nei diversi Uccelli posson partire cavità secondarie e di- verticoli, che si recano tra i muscoli e nelle ossa. Vide Girardi che le ossa dello scheletro cefalico ricevono aria dalle cavità timpaniche, vide che la vescica aerea addominale destra è quasi sempre maggiore della sinistra, il che esattissimo. Ci fa sapere anche come gli sia avvenuto di vedere che “ nell’ uccello istesso le vesciche aeree della destra parte erano nè per la struttura, nè pel numero a quelle della sinistra corrispondenti ,. Ed io pure in un colombo ho riscontrata questa asimmetria delle sac- che. Anche del diaframma ornitico Michele Girardi da chiara descrizione, ampliando e confermando le cose dette da Hunter. — Nel 1788 Vincenzo Maracarne (7), insigne anatomico e Chirurgo, confermò e completò i risultati delle osservazioni di Girardi. — Tacendo di ogni altro, ed anche di Cotas (‘!°), che nel 1825, sta- bili, come Girardi, a 9 il numero delle sacche e dimostrò come sieno recipienti chiusi, dai quali l’ aria mai può uscire, per in- vadere o la cavità peritoneale, o il tessuto sottocutaneo, pos- siamo venire a SapPEr('"), che nel 1847 dette. dell’ apparecchio 252 E. FICALBÌ respiratorio e delle sacche aerifere degli Uccelli completa descri- zione. Al di lui lavoro rimando chi fosse bramoso di rendersi conto preciso delle cose dal punto di vista dell’ anatomia de- scrittiva. Fin qui ho accennato gli osservatori principali che si occu- parono della parte macroscopica delle sacche aerifere. Quelli che ne hanno studiato la struttura minuta non sono molti; tra questi, nessuno ha fatto di essa uno studio completo; solo la toccano per digressione o incidenza. Sappey già nominato ('7), dice che le pareti delle sacche con- sistono in una membrana di natura cellulosa, nella quale scor- rono pochi vasi sanguiferi; nega i linfatici, e dice che le sacche sono da considerarsi non come membrane di natura muccosa, ma sibbene sierosa. In talune sacche poi (anteriori) ammette una specie di tunica elastico-fibrosa; non parla di nervi. Dirò a suo tempo cosa mi sembra di tutte queste asserzioni. — Grurzror ('9) ammette invece nelle sacche anche linfatici e nervi, per non parlare dei vasi sanguiferi. — Munr-Epwarps (‘9), Campana (8) di- cono, con poche varianti quello che dice Sappey. — Scaurze; nel Manuale di Stricker, all’ articolo Polmoni (?'), ha sulla struttura delle sacche aerifere queste parole: “ Le sacche aerifere degli Uccelli — che devono esser considerate come larghi diverticoli delle pareti bronchiali — consistono in una membrana di tessuto connettivo fibroso, traversata da fibre elastiche delicate e da capillari, formanti una rete a larghe maglie: essa membrana è rivestita nella sua interna superficie d’ un epitelio a un solo strato, del quale le cellule sono ciliate solamente in vicinanza dell’ origine bronchiale della sacca ,. — Hermann e Tourneux (*2) benissimo descrivono l’ epitelio delle sacche aerifere e l’ interno endotelio di alcune, che chiamano pure epitelio, come dirò più oltre. — Wierxmurg (?) parla della struttura delle ossa orni- tiche aereate. | Sullo sviluppo delle sacche aerifere non si hanno che poche cose, detteci da Rara€e (!'), SeLENKA (29), BaLFOUR (?‘). Riserbandomi di toccare ove mi parrà ‘giusto e opportuno le opinioni degli osservatori accennati fin qui, do ora, senz’ altro, una nota bibliografica dei lavori che esistono sulla conformazione, sulla struttura, e sullo sviluppo delle sacche aerifere degli Uccelli; i numeri del testo corrispondono ai sottonotati: amici RICERCHE SULLE SACCHE AERIFERE DEGLI UCCELLI 253 (1) Harvey W. — Ewercitationes de generatione animalium. La prima ediz. di questo libro fu pubblicata sotto la direzione di Ent, amico e discepolo dell'Autore, nel 1651. Io ho avuto tra mano questa ediz.: Pataviî MDCLXVI, Typis Herendum Frambotti (V. pag. 7, Ex. III). (3) Perrault Claude. — I suoi scritti sono in: Mem. Acad. d. Sc. T. 3, An. 1666-1699, Paris. (€) Méry Jean. — Dissecò delle aquile, uno struzzo e altri uccelli: confermò le cose dette da Perrault. I suoi scritti sono nel succitato Tomo delle Mem. Acad. etc. (4) Camper P. — Possono leggersi i risultati delle osservazioni di Camper, pubblicati per la prima volta nel 1771, in questo scritto: Mem. sur la stru- cture des os dans les ociseaux et de leurs diversités dans les différentes especes, in Mém. de math. et de phys. prés. a l’Acad. d. Sc. Paris. T. VII, 1776. (5) Hunter J. — An account of certain rexeptacles of air in Birds, which communicate with the lungs and are logded both among the flestey and in the hollow bones of those animals, in Philos. Transact., ATT4. — Io ho avuto tra mano una trad. ital. pubblicata in: Scelta di opusc. interessanti. Milano, Gabazzi. 1777. (6) Girardi Michele. — Saggio di osservazioni anatomiche intorno agli organi della respirazione degli Uccelli. Mem. indirizzata a V. Malacarne. In: Mem. di matem. e di fisica della Società italiana. T.II, P. II. Verona (Tipi Ramanzini) 1784. () Malacarne Vincenzo. — Conferma di osservaz. anat. intorno agli or- gani della respiîr. degli Uccelli; in Mem. suddette, An. 1878. T. IV. (8) Cuvier Georges. — Questo grande anatomico ebbe idee un po' erronee sulla disposizione delle sacche aerifere; egli credeva che l’aria, per mezzo loro, invadesse tutta la cavità peritoneale, il che non è, essendo esse un si- stema chiuso. Le opinioni di Cuvier vennero fuori nella 1.* ediz. della sua Anat. Comp. nel 1805; il libro più diffuso è questo: Lee d’Anat. Comparée (Pub. par Dumeril), 3.8 édit. T. III, p. 212, Bruxelles, 1840. (?) Fuld Lehmann. — Dissertatio de organis, quibus Aves spiritum ducunt. Cum tab. aen. color. Virceburgi 1816. (19) Colas. — Essai sur l’organisation du poumon des Oiseaux, in: Journal complémentaire du Dict. des Sciences médicales, Paris 1825. (4) Rathke M. H.— Ueder die Entwicklung der Athemwerkzeuge bei den Vogeln und Saugethieren, in: Nova Acta Acad. C. L. C. Nat. Curios. T. XIV, Bonnae, 1828. Dice Rathke che le sacche sono piccole appendici che, a guisa di diverticoli, nascono dal polmone. (‘*) Hohlarausech R. — De avium saccorum aéreorum utilitate disserta- tio. Goiting. 1832. 254 E. FICALBI (13) Jacquemin Em. — Sur lu respiration des Oiseaux, nel giorn. L’ Ix- stitut, 1835. » » — Sur la pneumaticité du squelette des Oiseaux. Ibid. » >» — Sur la distribution des canaux aériens dans les diverses parties du squelette des Oiseaua, in: Compt. rend. Acad. d. Sc. 1836. (44) Owem ER. — Articolo Aves in: Todd's Cyclop. of Anat. and Physiol. 1837. Vedi anche: » » — On the Anatomy of the Vertebrates. London, 1866. (55) Lereboullet A. — Anatomie comparée de V’ appareil respiratoire dans les animaux vertéebrés. Thèse. Strasbourg 1838. (4) Guillot Natalis. — Memotîre sur l appareil de la respiration dans les oiseaux; in: Ann. des Sciences naturelles, Série II, T. V, Paris, 1846. (17) Sappey Ph. €. — Recherches sur l’ appareil respiratoire des Oiseaux. Paris, 1847. (13) Raîmey &. — On the minute anatomy of the lung of the Birds; in Me- dico-Chirurgical Transactions, T. XXXII, 1849. (19) MIflme=-Edwards BE. — Riassume le cose note, nelle sue Leg. sur Za Phys. et l’Anat. comp. (Respiration); T. II, Paris, 1857. (2°) Selenka E. — Beitrag sur Entwickelungsgeschichte der Luftsdiche des Huhns; in: Zettschrift fir Wissenschaftliche Zoologie, sechzehnter Band, Leipzig, 1866. (2) Sehulze Fr. — Die Lungen, in Stricker’s Handbuck, Leipzig 1871. (22) Elermanmn &. et Toeurmeux E. — Recherches sur quelques épithé- liums plats dans la série animale; in: Journ. de Vl’ Anat. et de la Phis. normales ot pathologiques, An. 1876, N. 2. Paris. (23) Campana. — PAysiologie de la respiration chez les oiseaux. Anat. de lV’appareil pneumopolm., des faux diafragmes, des séréuses chea la poulet. Avec fig. e 48 phot. Paris, 1875. (4) Foster M. et Balfour Fr. — Elements d' embryologie. Trad. par Rocherfort. - Pag. 154. Paris, 1877, (*) Strasser Hiams. — Ueber die Luftsdiche der Vogel; in: Morphologisches Jahrbuch, III Bd., Zeipzig 1877. (26) Wrildermutl HE. A. — Der feinere Bau der lufthaltigen Vogelanochen nebst Bettrigen zur Kenntniss ihrer Entwicklung; in: Jenaische Zeitschrift, Bd. IX, Jena, 1877. RICERCHE SULLE SACCHE AERIEERE DEGLI UCCELLI 255 Tutto ciò accennato veniamo più particolarmente alla strut- tura delle sacche aerifere. Consistono esse in recipienti membra- nacei, a sottilissime e fragilissime pareti, contenuti in massima parte nella cavità toraco-addominale. Comunicano, come è noto, con le vie aeree, ed ecco come: i bronchi entrati nel polmone, scorrendo presso la sua faccia ventrale danno dei rami che vanno nel parenchima polmonare, ed altri, detti bronchi ricettacolari, che si aprono nelle sacche; questi sono tanto grossi rispetto a quei che vanno nel polmone, da considerarsi continuazione del bronco principale, piuttosto che rami suoi. Il polmone ornitico, per la presenza dei bronchi ricettacolari, presenta alla sua faccia ventrale cinque grossi fori, che sono appunto lo sbocco dei bron- chi sulle sacche. — Sono queste in numero di 9, otto pari, una impari e mediana; cominciando dall’ avanti, si incontrano prima due sacche cervicali, una a destra, una a sinistra delle vertebre del collo, poi una interclavicolare, mediana; questa, a differenza di ogni altra, riceve aria dai due polmoni; nella cavità toracica, vera e propria sono quattro sacche, al paio anteriore si dà nome di foraciche anteriori, alle altre due di toraciche posteriori; nella cavità addominale poi sono altre due sacche, una per lato, s’ in- tende, e diconsi addominali, delle quali la sinistra è più piccola, in generale, della destra. Alcuni di questi ricettacoli aeriferi, a seconda dei vari uccelli, non hanno altra apertura che quella per la quale comunicano col bronco ricettacolare, altri mandano dei diverticoli che, facendosi strada tra i tessuti, penetrano fino nella compage di diverse ossa, quali posson esser lo sterno, le coste, le vertebre, l’ omero, il femore ed altre, secondo i diversi tipi ornitici. — Molto si è discusso sull’ uso delle sacche aerifere. Non estendendomi ad accennare le varie opinioni, dirò solo che molti le considerano quali apparecchi aereostatici, che dovreb- bero agevolare all’ Uccello il sollevarsi nell’ aria. Questa opinione, che lo stesso Hunter rigettò, non mi sembra da accettarsi; sa- rebbe lo stesso che ammettere, dice Cadiat, che una barca gal- leggiasse meglio se riempita d’acqua: è vero che l’ aria delle sacche è un po’ più rarefatta, perchè più calda, ma cosa mai può questo fatto valere? Io seguo le opinioni di Hunter: le sacche sono serbatoi d’aria respiratoria che l’ Uccello o può adoprare ad emetter lunghi suoni, al che non servirebbe il piccolo suo polmone, o può iniettare durante il volo nei polmoni, quando, 256 E. FICALBI avendo diversamente occupati i muscoli, non gli è facile muo- vere a suo bell’ agio la gabbia toracica. Circa allo sviluppo embriogenet'co delle sacche aerifere può dirsi ch’ esse si producono come diverticoli del primitivo polmone, diverticoli che via via sviluppandosi vanno invadendo le singole parti del corpo, nelle quali le sacche sono contenute. Ciò dilu- cida il loro significato morfologico e si fa vedere come devono considerarsi piuttosto quali espansioni polmonari, in cui si è perduto ogni vestigio della complicata struttura del parenchima del polmone, che come espansioni dei bronchi, dei quali sembre- rebbero a prima vista appendici. Ciò anche sempre più mette in rilievo la omologia loro con la porzione sacciforme del pol- mone degli ofidii e con quelle gemmazioni vescicolari che pre- senta la porzione posteriore del polmone dei camaleonti. Le sacche aerifere, come ho ridetto, sono recipienti membra- nacei, a sottilissime pareti, che emanano dall’apparecchio bronco- polmonare. — Istologicamente considerate, le pareti delle sacche risultano composte dei seguenti elementi: 1.° Di una sottile membranella connettivale, che è lo stroma della sacca; 2.° Di uno strato di cellule epiteliali pavimentose, che ri- vestono la superficie interna delle sacche e si continuano in tutti 1 loro diverticoli; 8.° Di uno strato di cellule endoteliali, che, in alcune sacche solamente libere in cavità, tappezzano la superficie esterna loro; 4° Di vasi poco numerosi che scorrono nel connettivo, e di nervi parimente scarsissimi. Descriverò gradatamente queste varie parti accennate. 1. La membranella connettivale, che forma il corpo della sacca è di una estrema sottigliezza e facilissima a lacerarsi; è più sottile dello stesso peritoneo e completamente trasparente. Solo con attenzione vi si possono vedere scorrere dei vasellini, che sempre più facendosi sottili dalla radice alla periferia delle sacche, si perdono poi del tutto di vista ad occhio nudo. Osser- vata al microscopio la membranella costituente la parete della sacca si vede risultare composta di fasci di tessuto connettivo intrecciati in varia guisa tra loro, in modo da costituire una fitta trama; se con un pennello si toglie il rivestimento epite- liale e endoteliale della sacca e di questa si colorisce poi un RICERCHE SULLE SACCHE AERIFERE DEGLI UCCELLI 257 frammento col picrocarminio, vedonsi tra i fasci anche delle cel- lule connettive. Oltre ai fasci connettivali le pareti delle sacche aerifere contengono numerosissime fibrille elastiche, molto sottili, intrecciantisi in tutti i sensi e anastomizzate tra loro. Diverse delle sacche aerifere, come è noto, inviano dei diverticoli fin dentro le cavità delle ossa: ora le pareti di questi diverticoli aeriferi intraossei sono anche più delicate di quelle delle stesse sacche: sono, al solito, costituite da connettivo, ma di aspetto poco fibroso e senza quelle fibre elastiche, che poco fa dicevo; dirò a suo tempo come sieno assai vascolarizzate. Parla Sappey (!7) di una specie di tunica elastico-fibrosa, che rinforza le pareti di alcune sacche; io ritengo che voglia parlare del connettivo che unisce certe sacche alle pareti circostanti: nelle sacche libere in cavità questa tunica non esiste certamente; in quelle che con la loro faccia esterna aderiscono, come dicevo ad altre parti, si nota sì del connettivo e delle fibre elastiche di soprappiù, specie alla sacca interclavicolare, nella sua parte sottocutanea, ma non così da potersi parlare di tunica vera e propria. 2. Vengo all’ epitelio delle sacche. Ch' esso debba esistere può a tutta prima supporsi; infatti essendo la sacca emanazione dei primitivi diverticoli polmonari, quindi dell’ entoderma intestinale, non può a meno di contenere l’ epitelio entodermico stesso. E vero bensì che alcuni han detto che scompare l’ epitelio negli ultimi tratti delle vie respiratorie e di questa opinione fu, per gli uccelli, Ramey ('9), ma mentre può ritenersi che certamente gli ultimi spazii polmonari sono rivestiti di cellule epiteliali, si può anche star sicuri che indubbiamente provviste ne sono alla loro superficie interna le sacche aerifere. Col mezzo del nitrato argentico puossi mettere in evidenza benissimo il rivestimento epiteliale. — L’epitelio della trachea, dei bronchi è vibratile, quello delle sacche risulta di cellule piatte, senza ciglia, poligo- nali, a contorni rettilinei, di figura spesso pentagonale o esago- nale, irregolari quasi sempre. Le cellule sono fornite di un bel nucleo, assai granuloso, che rendesi manifestissimo con la ema- tossilina e che può essere nucleolato; il protoplasma cellulare è, specialmente attorno al nucleo, finamente granuloso. La fig. 1 (tav. XXIII) dà assai chiara idea delle particolarità accennate. Le cellule sono disposte in un solo piano: si tratta, dunque, di un epitelio pavimentoso a un solo strato, perfettamente ialino e 258 E. FICALBI tale, per ciò, da sfuggire alla vista, se non si ricorra a mezzi artificiali di coloramento per osservarlo. Che sia a un solo strato si deduce facilmente dal fatto che non vedesi nessun contorno di cellule sottostanti, o i loro nuclei. Questo epitelio ricorda quello delle ultime terminazioni respiratorie del polmone; ciò è importante ed unito al modo di svilupparsi delle sacche, sempre più ci fa riconoscere come esse propriamente siano da conside- rarsi non quali produzioni bronchiali, come dicono molti, tra i quali lo ScHutze (?'), ma sibbene omologhe al parenchima polmo- nare grandemente semplicizzato, come è la porzione vescicolare del polmone ofidiano. Come avviene il passaggio tra epitelio vi- bratile dei bronchi e pavimentoso semplice delle sacche? Accor- dandomi con Hermann e Tourneux (*?), posso dire che all’ ingiro dello sbocco dei bronchi ricettacolari nelle sacche si ha per uno o due millimetri epitelio prismatico, vibratile, il quale forma così una zona all’ intorno del foro del polmone; questa zona ha contorni irregolari e si continua con l’ epitelio pavimentoso pro- prio alle sacche. — La cavità delle sacche aerifere non sempre è regolare, come, ad esempio, accade per le addominali: sovente è anfrattuosa, è irregolare per numerosi rientramenti e frasta- gliature della parete; così accade per la sacca interclavicolare, che ha le pareti stesse talmente frammiste ad altri organi, in modo da sembrare attraversata da arterie, vene, muscoli; ora, non è che questi organi l’ attraversino realmente; è la sacca che loro si è addossata rivestendoli, presso a poco come può fare un sacco sieroso, che ricuopre un viscere, senza contenerlo nella sua cavità; altre sacche mandano diverticoli tra i muscoli e fin dentro le ossa. Ora l’ epitelio mai fa difetto, neppure in queste sacche a pareti così irregolari, neppure nei diverticoli loro. Se dall’ aorta, se dai grossi bronchi, che han rapporti con la sacca interclavicolare e che sembra l’attraversino (come può vedersi anatomizzando un’ anatra) sì stacca quella membrana che li involge, st riconosce facilmente, con attento esame micro- scopico, previo trattamento con nitrato argentico ed ematossilina, che questi organi sono alla loro superficie ricoperti dalla parete della sacca, tappezzata del noto epitelio. I diverticoli che la sacca interclavicolare (per tacere di altri diverticoli simili) manda sotto l’ ascella (e che poi si fanno strada nell’ omero), i quali prendono apparenza di un connettivo interstiziale, tanto sono RICERCHE SULLE SACCHE AERIFERE DEGLI UCCELLI 259 irregolari, han sempre una faccia libera interna, tappezzata, in ogni sua anfrattuosità e frastagliatura, di epitelio. — Anche i diverticoli delle sacche che si apron nelle ossa presentano, come ho ridetto, un rivestimento epiteliale. Questi diverticoli rara- mente sono. a pareti regolari: in generale essi mostransi più o meno disuguali ed anche nelle ossa lunghe, come 1’ omero, ove la cavità presenta regolarità assai evidente, pure, al suo estremo superiore, frequenti trabecole ossee l’ attraversano e la rendono frastagliata; l’ epitelio, e con esso tutta la parete del diverticolo aerifero, la quale può chiamarsi muccosa pneumatica (VinermoTE (#9) tappezzano queste cavità ossee ed ogni irregolarità loro. Dissi già che lo stroma della muccosa pneumatica, come ora la chiamo, constava di un sottile strato di gracile connettivo, senza fibre elastiche, venendo ora alle cellule dell’ epitelio dirò ch' esse sono leggermente differenti da quelle descritte per il corpo delle sacche. Ci si presentano, nei diverticoli intraossei, di due maniere: al- cune sono di dimensioni assai appariscenti, forse un poco più che quelle della cavità delle sacche, han contorni più irregolari, presentano, al solito, un nucleo; altre sono più piccole, più scure, meno numerose e intercalate quà e là tra le grandi: il loro protoplasma, che, come ho detto è più colorito, presenta un nucleo, che si rende manifesto con l’ ematossilina: trovo queste cellule più piccole, intercalari, disposte a caso quà e Jà senza ordine distribuitivo alcuno tra le grandi (fig. 2, tav. XXIII). Circa al significato loro nulla so dire: è un fatto che sono ca- ratteristiche dei diverticoli intraossei delle sacche aerifere. — Dalla descrizione che ho dato del rivestimento epiteliale delle sacche, si rileva che l’insieme di esse, dei loro diverticoli e delle cavità ossee aereate costituisce un sistema perfettamente chiuso (fuor che dalla parte della trachea) i cui limiti sono sempre rappresentati da una superficie epiteliale. L’ entoderma, considerando le cose embriologicamente, si è spinto, cosa insolita negli altri vertebrati, fin nell’ interno delle ossa ('). 8. Esamino ora l’endotelio che ho detto rivestire alcune sacche. A questo proposito occorre tosto distinguere due maniere (*) Taccio, a questo proposito, dell’ opinione di Robin e di Cadiat, che conside- rano di origine ectodermica l'apparecchio bronco-polmonare. Le opinioni di Cadiat possono vedersi riassunte nel suo lavoro: Du développement des fentes et des arcs branchiauso chez l’embryon; Journal de l’An. et de la Phys. An. 1883. N. 1, Paris. Sc. Nat. Vol. VI, fasc. 2.° 9 260 E. FICALBI di essere delle sacche stesse. Non tutte tra esse rappresentano vere e proprie borse a pareti libere fluttuanti in cavità, costi- tuite, insomma, in modo che sia possibile asportarle dal corpo tali e quali; le addominali per esempio, han libera tutta la su- perficie loro o quasi; ma altre, come sarebbe la interclavicolare, sono così frammiste ad altri organi, che di superficie esterna non presentano traccia alcuna: la interclavicolare già rammen- tata è così fatta, che, come dissi anche più indietro, sembra essere attraversata da arterie, muscoli, etc.. Dunque, per riepi- logare, si hanno sacche a superficie esterna libera, sacche che non possiedono questa particolarità; e queste seconde possono essere frastagliatissime e rese irregolari e anfrattuose dagli or- gani e dai tessuti circostanti, cui aderiscono, cui passano in mezzo. Di tale disposizione varia delle sacche già si era accorto G. Hunter (*), che così scriveva: “ Altre sono collocate in ampie cavità, qual'è l'addome; altre sono sparse di modo tra gl’ in- terstizii delle parti, che sembrano a prima vista formare la co- mune membrana, che quelle parti ‘congiunge ,. Come ben si esprime Hunter! I diverticoli della interclavicolare, che si recano all’omero sono in tal modo intersecati coi muscoli, coi tendini, coi nervi che passan sotto l’ ascella, che sembrano proprio il connettivo interstiziale (la comune membrana) ricevente queste parti. Ora, riguardo al rivestimento endoteliale, come di leggeri si comprende, sono differenti tra loro le sacche di una maniera e quelle dell’ altra: possiedono il rivestimento quelle sole che han superficie esterna libera, che con la loro faccia esterna non aderiscono alle parti vicine. Se esaminiamo, dopo .trattamento con nitrato argentico, un lembetto di sacca addominale, mani- festissimo vediamo l’ endotelio. È, come di solito, uno strato di grosse cellule piatte, a protoplasma chiaro, di figura irregolare, a contorni non rettilinei ma leggermente ondulati; tutte le cellule sono fornite di grosso nucleo granuloso (fig. 3 tav. XXIII). Per il lieve spessore delle pareti della sacca, in adatti preparati, si vede da un lato l’ endotelio coi suoi nuclei e, spostando il fuoco delle lenti, dall’ altro scorgesi l’ epitelio. Le cellule endoteliali della faccia esterna delle sacche ci stanno a rappresentare il foglietto viscerale di un invoglio sieroso: il peritoneo (parlo delle addominali) lo fornisce. Questo invoglio, però; è ridotto al mi- nimi termini; e si può dire che il solo strato delle cellule en- RICERCHE SULLE SACCHE AERIFERE DEGLI UCCELLI 261 doteliali lo rappresenta; in altre parole, il foglietto parietale sieroso nel ripiegarsi sulla sacca non le cede che il solo endo- telio. Tra le cellule dell’ endotelio di una sacca addominale di anatra una ne ho vista, e l’ ho disegnata, molto granulosa, più regolare di forma, di apparenza epiteliocide. — Le sacche che aderiscono ad altre parti, non presentano alla loro superficie esterna, che è quella di aderenza, rivestimento cellulare. L’ ade- renza tra sacca e altro organo si fa per mezzo di un tessuto connettivo lasso, a fibrille delicate, che si lacerano con grande facilità; è un tessuto simile presso a poco a quello che sì trova tra il polmone e le pareti toraciche degli uccelli, tessuto che sta in luogo della pleura e che ben mise in vista Sappey. In certi punti una sacca aderisce ad un’altra: così la interclavi- colare, nell’ anatra ciò è facile a costatarsi, alle cervicali; in questo caso asportando ed esaminando un lembetto, che corri- sponda al punto di aderenza, vi si scorge un doppio rivestimento epiteliale, dovuto, come è ovvio a intendersi, all’ epitelio delle due sacche in contatto. Dirò di più che sovente nel punto di contatto si deposita del tessuto adiposo in sottili strati. Circa alle sacche addominali, devo fare una osservazione che non è senza importanza: esse in generale sono assolutamente libere in cavità, la loro superficie esterna, cioè, è per ogni dove isolata, rivestita ovunque di cellule endoteliali; tuttavia può avvenire che queste sacche contraggano talvolta aderenze non solo col peritoneo parietale, ma anche col rivestimento sieroso degli organi addominali: in questo caso è impossibile isolarle ed aprendo l addome si lacerano. In certi uccelli, come per esempio nell’ anatra, questo fatto si ha di rado, in altri mi è sembrato frequentissimo e quasi lo direi normale. Questa spe- ciale disposizione che posson prendere le sacche spiega benissimo, a mio credere, il falso concetto di Cuvirr (8) delle sacche piene, delle sacche, cioè, contenenti entro la cavità loro gli organi dell’ addome. A proposito dell’ endotelio delle sacche aerifere, non posso astenermi dal riferire alcune opinioni e vedute emesse da Tovr- neux e da Hermann (?°): questi osservatori parlano di un doppio endotelio (ch’ essi, non facendo la importante distinzione tra ri- vestimenti epiteliali e endoteliali, chiamano epitelio), il quale dicono aver trovato nello spessore delle pareti delle sacche; e 262 E. FICALBI in una figura (che io confesso francamente di non aver saputo interpretare, tanto vi si confonde una parte coll’ altra) rappre- sentano le cose, come essi considerano. Aggiungono “di non rischiare alcuna esplicazione sull’ esistenza di questo doppio epi- telio (endotelio) nello spessore di una membrana, che non è affatto separabile in due pagine distinte ,. — Io mi son dato con ogni cura a ricercare ciò che videro i due precitati osservatori e mi sono imbattuto in un fatto che mi spiega la ragione di quel doppio endotelio da essi descritto e non interpretato. Comincerò per dire che invano l’ ho cercato nelle sacche addominali, che per quanto fortemente imbevute di nitrato argentico mai me lo han mostrato. Esaminando finalmente le sacche toraciche ho veduto un doppio endotelio che si trovava di fatto nello spes- sore del lembetto che avevo sotto al microscopio, lembetto che con maggiore attenzione osservato presentava la particolarità di essere ambedue le sue facce rivestite di epitelio, simile nel- l’una e nell'altra e simile a quello che riveste per ogni dove l'interno delle sacche. Questa cosa tosto mi ha fatto nascere il pensiero che si trattasse di un frammento di quella parete che le sacche a contatto hanno a comune; e preso, infatti, un lembo della parete comune di due sacche toraciche a contatto e imbevutolo fortemente di nitrato argentico, ho avuto lo stesso risultato: ho visto, cioè, come le due facce di quel lembo fossero rivestite di epitelio e nello spessore suo lasciasse scorgere cellule di apparenza endoteliale, ossia grandi, esagonali o pentagonalli, i cui contorni, però, non sono ondulati ma rettilinei. Il signi- ficato di queste cellule mi.sembra spiegato, esse rappresentano un endotelio esterno delle sacche, endotelio che non si è distrutto, per quanto avvenuta l’ aderenza più o meno avanzata di due pareti primitive in una sola. Non saprei altrimenti concepire la presenza di un endotelio stratificato nello spessore di una mem- brana indivisibile, come dicono Tourneux e Hermann. All’ endo- telio sottoepiteliale di Debone non risponderebbe quello che ho descritto, perchè troppo discosto dalla superficie epiteliale. 4. I vasi sanguiferi delle sacche aerifere sono poco abbon- danti, finissimi ed appartengono tutti alla grande circolazione (Fig. 4, Tav. XXIII). Nascono da diverse sorgenti ed in generale può dirsi che le arterie di questo o quell’ organo, che passano presso le sacche aerifere dan loro qualche minimo ramoscello; cri RICERCHE SULLE SACCHE AERIFERE DEGLI UCCELLI 263 non sempre però. I vassellini scorrono sia nello spessore della parete della sacca, sia più presso le sue superfici, o sotto su- bito l’ epitelio o sotto l’endotelio. Dalle arteriole partono i ca- pillari, che dopo essersi disposti in maglie anastomotiche assai ampie, si gettano nelle venuzze. Non è raro osservare una di- sposizione di vasi abbastanza caratteristica: si vedono, cioè, dei capillari che nati da una arteriuzza formano una specie di ansa ricorrente, una specie di arcata e si gettano nelle vene satelliti dell'arteria che li ha originati. Le vene e le arterie vanno in generale insieme, e spesso si ha.che una arteria è accompagnata da due vene satelliti; puo però essere accompagnata da una sola ed anche si hanno arterie e vene che decorrono separate. — Una disposizione curiosa prende il tessuto adiposo nelle sacche aerifere; esso ha quasi costantemente rapporto coi vasi. Come dimostra la Fig. 5, Tav. XXIII, lungo i vasi maggiori depositansi in gran numero i globuletti grassosi, ma il particolare si è che essi globuletti si riuniscono qua e là in speciali cumuli adiposi, benissimo appariscenti e che si colorano fortemente con acido osmico, cumuli ai quali sempre si dirigono uno o più capillari, che vi passan sotto e che quivi sì anastomizzano sovente tra loro. — I diverticoli intraossei delle sacche aerifere si mostrano più ricchi di vasi che non le sacche stesse; formano delle reti capillari a maglie assai più strette (Fig. 6, Tav. XXIII.) e per lo spessore minimo delle pareti di questi diverticoli, può dirsi che scorrono quasi subito sotto l’ epitelio. Nulla può togliere che nell’ interno delle ossa aereate degli uccelli si abbia scambio gassoso respiratorio, vera ematosi. Circa ai vasi linfatici delle sacche aerifere posso dir soltanto questo: che ve li ho fino.ad ora cercati invano. Ho intenzione di persistere nelle mie ricerche. Guitror (!°) ve li ammette con- trariamente a Sappey, e dice che possono scorgersi uccidendo l'uccello quando è in piena digestione. Io ho fatto ad un’ anatra ingerire grande quantità di butirro, l’ ho uccisa a tempo oppor- tuno e non ho potuto vedere ciò che vide Guillot. I nervi delle sacche aerifere sono scarsissimi. Con tratta- mento al cloruro d’oro non ne ho visto che qualche raro filetto scorrere per lungo tratto, biforcandosi qualche volta ed essere prima parallelo ai vasì più grossi, poi indipendente (Fig. 5, n #, 264 E. FICALBI Tav. XXIII). Non mi sono occupato di ricercare le terminazioni | di questi scarsissimi ramuscoli nervosi. Il Così ho accennato la istologia delle sacche aerifere. Sappey le considerò di natura sierosa; ciò non mi sembra rispondere affatto alla verità. Questi organi, considerati sia nella struttura loro, sia nella loro origine embriogenetica, rappresentano espan- sioni grandissime della muccosa respiratoria, ed hanno assoluta omologia con la parte vescicolosa del polmone degli ofidi. Fic. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tav. XXIII, . Kpitelio della faccia interna di una sacca addominale del- l’anatra (460 v. ingr.). . Epitelio di un diverticolo aerifero intraosseo (omero dell’anatra). Vi si scorgono due sorta di cellule: le une grandi e chiare, le altre piccole e scure intercalari alle grandi (460 v. ingr.). . Endotelio della faccia esterna di una sacca addominale del- l’anatra (460 v. ing.). . Vasi sanguiferi di una sacca addominale dell’anatra. In 2 2 ve- desi un vaso che attraversa tutto il campo senza dare ra- mificazione alcuna. ‘In x x vedesi un’ansa che passa di- rettamente da una arteria in una vena (35 v. ingr.). . Disposizione del tessuto adiposo nelle sacche aerifere (anatra), lungo il decorso dei vasi sanguiferi; @ arteria; v vena; c capillari; c a cumuli adiposi; » nervi (50 v. ingr.). . Vasi sanguiferi di un diverticolo aerifero intraosseo | omero dell’anatra ]; (100 v. ingr.). fia i SCOMPOSIZIONE DEL GABDRO ROSSO PER OPERA DEI PRODOTTI DI OSSIDAZIONE DI UNO DEI SUOI ELEMENTI r NOTA DEL DOTT. PIETRO GUCCI + (Estratta dalla tesi di laurea in Chimica presentata in questa R, Università nell’ anno 1877), Alla gita che il distinto Professore di Mineralogia di questa Università fece cogli studenti alla miniera di Montecatini nel 1877 ebbi l'onore e la fortuna di assistere anch’ io. Tra i molti esemplari di minerali che ci vennero presentati come esistenti in quella località, ve n’ era uno d’ignota compo- sizione. Fu detto che si sospettava essere un prodotto di scom- posizione del gabbro rosso, ma nulla venne assicurato giacchè nessuna ricerca era stata fatta in proposito. Esternato allora il desiderio di analizzarlo e d’indagare tutto ciò che lo riguar- dasse, me ne venne regalata una buona quantità nel mentre che dall’ Ing." Schneider veniva gentilmente condotto sul posto dove era evidente la sua formazione. Le osservazioni che qui ebbi agio di fare intorno alla sua giacitura, al modo di forma- zione e alle condizioni mineralogiche e geologiche, mi fecero quasi credere quanto si sospettava. Ritornato a Pisa mi accinsi, nel laboratorio di Chimica diretto dal Prot. Paolo Tassinari, a determinarne i suoi caratteri chimici e la sua composizione ed a stabilire un parallelo fra i componenti suoi e quelli del gabbro rosso per dedurne le ragioni della sua origine. Ciò che ho po- tuto concretare dalle osservazioni fatte sul posto, dalle infor- mazioni ricevute, e dai resultati delle mie analisi, è ciò che vengo brevemente ad esporre curando di toccare appena per sommi capi ciò che riguarda in specie la parte chimica. 268 P. GUCCI Il minerale suindicato trovasi sempre nella massa dei gabbri rossi comparendo ivi in pasta bianco-giallastra morbida ed un- tuosa al tatto, dimodochè per questo carattere rassomiglia gran- demente alle argille. Deve notarsi però come, escavando una galleria, non si trovi già formato inquantochè il gabbro rosso non offre che i suoi caratteri ben netti e ben definiti, nè si generi subito nè in ogni punto; ma dopo un certo tempo e proprio dove si trova uno stillicidio, il gabbro comincia a per- dere il suo aspetto usuale, il suo colore scompare, si vede in- somma avvenirvi una modificazione la quale giunge a mostrarsi così manifesta e con effetti così strani, da dare al gabbro stesso tutto l’ aspetto di una massa filonosa. Un tale aspetto gli viene appunto impartito da quella pasta bianco-giallastra summenzio- nata che formò il soggetto di questo mio lavoro. Questa materia, la quale va successivamente a raccogliersi nei vacui che il gabbro rosso suol presentare, col semplice uso della mano può staccarsi facilmente ed allora si riconosce al disotto il gabbro rosso con tutti i suoi caratteri, ma ben sì vede che ‘è stato profondamente eroso. Non può dunque attribuirsi la formazione di quella ma- teria che ad un’ azione chimica sul gabbro stesso prodotta dal- l’acqua o da ciò che questa può tenere in soluzione o da am- bedue le cose insieme. Che provenga dal gabbro ce lo confermano altre osservazioni importanti; infatti quando sia disseccata si presenta in forma di una massa gialla non omogenea, giacchè mentre si può rompere facilmente colle mani, mostra sempre dei noccioletti molto duri di colore bigio chiaro o bigio cupo come certe superficie più o meno circoscritte che si osservano facilmente nel gabbro rosso, superficie costituite da materia molto più dura e più compatta della restante massa del gab- bro. Si può dunque dedurre che la presenza di quei noccioletti inalterati si debba a ciò che l’azione modificatrice non sia stata così energica da attaccare tutta la massa del gabbro egualmente in ogni punto e che essi per la durezza e compat- tezza loro abbiano resistito maggiormente a quell’ azione; pure trovandosi disgregata la pasta che li teneva saldati, si sono col nuovo corpo formato riuniti nel vacuo del gabbro come ho già sopra indicato. Inoltre esaminandone la polvere al micro- scopio, si osservano cubi di pirite, isolati, geminati o riuniti in vari modi, identici a quelli che si trovano in certi frammenti, lg LA SCOMPOSIZIONE DEL GABBRO ROSSO EC. 269 di gabbro rosso non che in alcuni di quei noccioletti, come ben potei costatare, però in copia assai maggiore e tutti più o meno corrosi. Ma potendo nascer dubbio che l’ apparenza di cubi al microscopio fosse dovuta a dei prismi di calcopirite, volli isti- tuirvi delle ricerche chimiche le quali mi convinsero che si trat- tava proprio di pirite inquantochè, mentre ottenni ben decisa la reazione del ferro, non ebbi quella del rame neppure col processo elettro-chimico di Bunsen. Questo dunque mi sembra porre fuori di dubbio che il minerale soggetto di studio ripeta la sua ori- gine dal gabbro rosso. Deve notarsi che, come nel gabbro, nulla di cristallizzato vi esiste all'infuori della pirite; perciò non avendomi potuto servire più oltre l’ osservazione microscopica, dovetti ricorrere ad alcune considerazioni rispetto alle rocce circostanti, per dedurre poi le ultime conclusioni dai resultati delle analisi chimiche. Analizzando chimicamente il gabbro rosso di Montecatini e il nuovo corpo potei rilevare queste notevoli differenze: nel gab- bro nulla rinvenni di solubile nell’ acqua meno che tracce di calce e di acido solforico appena sensibili; infatti macinato sot- t' acqua nel mortaino d’ agata un frammento di gabbro e con- centrato il liquido, che sì mantenne sempre neutro al tornasole, non ebbi da questo la reazione della calce coll’ ossalato ammo- nico, nelle debite condizioni, e quella dell’ acido solforico col cloruro baritico che dopo un quarto d’ora. Questo credo si debba più che agli elementi del gabbro, ad infiltramento di acque selenitose che in quelle località sono tutt’ altro che rare, o ad un principio di alterazione del frammento esaminato. Col nuovo corpo invece trattato egualmente, dopo aver separato per setaccio i frammenti di roccia non decomposta, mentre pro- cedeva l’ evaporazione dell’ acqua cristallizzava un corpo che per la forma e per le sue reazioni si manifestò puro solfato di calce. Le acque madri di questi cristalli avevano reazione de- cisamente acida e sottoposte all’ analisi, oltre alla calce e al- l'acido solforico mostrarono contenere, sebbene in minime dosi, rame, ferro, sodio e tracce di acido cloridrico e, quello che più interessa, in quantità relativamente notevole 1’ allumina. La magnesia non mì fu possibile svelarla. Inoltre trattando il gabbro cogli acidi si svolge anidride carbonica in quantità ragguarde- vole, che varia a seconda degli esemplari, e nella soluzione oltre 270 P. GUCCI al ferro alla calce ec. vi è, per quanto poca, pure sensibilissima la magnesia. Col nuovo corpo invece non. si ha cogli acidi svol- gimento apprezzabile di anidride carbonica nè d'altro gas e nel liquido non si rinviene affatto la magnesia; di più questa non ‘ mi fu possibile di rintracciarla neppure nelle soluzioni ottenute e coll’ acido idrofluosilicico e coi carbonati di sodio e potassio per fusione. Avverto però che sottoponendo a simili trattamenti quei noccioletti di cui sopra ho parlato, e che ho considerato come frammenti di roccia non decomposta, si hanno resultati che coincidono con quelli ottenuti col gabbro inclusive la rea- zione dell’ acido carbonico e della magnesia. Il nuovo corpo adunque prescindendo da questi e senza prender di mira gli elementi che figurano in tracce o che possono essere accidentali, differisce qualitativamente dal gabbro da cui deriva, per la scom- parsa totale dei carbonati e della magnesia e per contenere solfato di calce e solfato di allumina. Quanto poi ai diversi rapporti centesimali vedi in fine gli specchi comparativi. Studiamo ora quali possono essere le cause che hanno dato luogo a questi cambiamenti sia nella struttura che nella com- posizione chimica del gabbro rosso. Riferendoci alla disposizione o per dir meglio alla successione dei minerali di rame nelle miniere in generale, si troverebbe a prima vista la causa di queste modificazioni. Infatti, com’ è ben noto, nei filoni delle miniere di rame si hanno dei nuclei formati al centro da calcopirite seguendo poi 1’ erubescite la calcosina etc. e ciò per un processo di ossidazione del solfuro di ferro, origi- nandosi la melanteria; questa, ossidandosi ulteriormente per for- mare solfato ferrico e poi ossido ferrico ed acido solforico, ver- rebbe a reagire con questo sul gabbro rosso. Si potrebbe pensare anche.:alla calcontite che pure in esse .miniere si forma e che, secondo le osservazioni del Pilla, può decomporre de’ silicati dando luogo con essi ad una doppia decomposizione; infatti cita egli un pirosseno, silicato di calce e ferro, che in contatto della calcontite così si comporta generando la crisocolla. Di più, come verificai in Laboratorio, potendo il solfato di rame reagire ancora sui carbonati di calce e magnesia dando luogo, pure per doppia decomposizione, al carbonato di rame e ai respettivi solfati di calce e di magnesia, si spiegherebbe con ciò la presenza, nel nuovo minerale, del solfato di allumina del sol- SCOMPOSIZIONE DEL GABBRO ROSSO EC. 271 fato di calce e la scomparsa della magnesia attesa la sua po- chezza e la solubilità grande del suo solfato nell’ acqua. Ma non rinvenendosi i prodotti complementari della reazione, silicato e carbonato di rame, l'ipotesi non è più ammissibile in questo caso. Inoltre riflettendo, secondo che il distinto Prof. A. D’Achiardi ci fece osservare, come nella miniera di Montecatini la succes- sione dei minerali si trovasse invertita, e pensando che il nuovo corpo può formarsi anche molto lungi dal filone ed in regione anche più elevata, mi sembra che la causa modificatrice del gabbro sia più razionale ricercarla non già nei minerali del filone ma in un elemento contenuto nel gabbro stesso, voglio dire la pirite. Ricordiamoci che il minerale studiato non si rinviene scavando una galleria ma si forma dopo del tempo e dove stilla dell’acqua e consideriamo che al disopra della galleria molti sono gli ammassi del gabbro che, tutti più o meno, contengono pirite. Ora, se dalla parte superiore s° infiltra dell’ acqua e con essa penetra dell’ aria, la pirite lentamente si ossida per trasfor- marsi in acido solforoso e solfato ferroso che venendo poi a contatto dell’ aria, come può succedere per es. quando si apre una galleria, si ossideranno trasformandosi, il primo, per la po- rosità della roccia stessa, in acido solforico ed il secondo in solfato ferrico che alla sua volta si convertirà in acido solforico. e solfato basico di ferro suscettibile di decomporsi in ossido ferrico ed acido solforico. L’ acido solforico, per queste vie ori- ginato, scomparrà dapprima i carbonati di calce e di magnesia per attaccare poi i silicati, non escluso quello di allumina. Dando al fenomeno una simile interpretazione mi sembra che possiamo renderci logicamente conto non solo del modo di formazione del nuovo minerale ma ancora delle differenze nella sua composizione paragonata con quella del gabbro rosso cioè, la scomparsa dei carbonati e della magnesia, la quasi totale trasformazione della calce in solfato di cui, per la discreta quantità che se n’ è po- tuta formare e per la sua poca solubilità, una parte è rimasta, e la presenza del solfato alluminico che, per quanto solubilis- simo, pure vi si riscontra per la lentezza colla quale continua- mente si forma a spese dell’ ingente quantità di silicato che vi è nel gabbro, il che ci mostra come questo abbia subìto una decomposizione analoga a quella che soffrono gli schisti argillosi compenetrati da pirite quando vengono esposti all’ azione del- 202 P. GUCCI l’aria e dell’acqua per la preparazione del solfato di allumina. Di più non saprei per quale altra reazione spiegare l’ enorme aumento dell’ ossido ferrico che, sebbene sul per cento degli elementi che costituiscono il minerale studiato figuri l’ acqua nella proporzione del 17,88, pure ha raggiunto la cifra 24,93 % essendo rimasta presso a poco eguale la quantità dell’ ossido ferroso. Per non dilungarmi in altre considerazioni credo più opportuno di porre fine al mio lavoro riferendo i resultati delle analisi quantitative da me istituite sul nuovo minerale ponen- dovi a parallelo quelli ottenuti coi gabbri rossi di Montecatini dal dott. A. Funaro che si trovano pubblicati in un lavoro in- titolato I gabbro rosso fatto dal Prof. A. D' Achiardi e da lui e presentato alla Società Toscana di Scienze Naturali nell’Adu- nanza del dì 7 maggio 1882. | Analisi eseguite dl dottor A. da IO, o, | | Funaro sti gabbri rossi dl È fn dl Montecatini, ‘scalini, A | 2. 3 SIOE 47,751 +... | 47,236 36,501 Phs0; ; ; 0,332 0,441 tr. SOFORa 0 n > ZO 2,559 CONA 1,758 4,060 _ CIEL a Shi RA tr TiO, ona loto alal oo lo. 00 0 trucco CIO SI ci Reosto eo 0 2,920 KO: DI SOON (01 0402 E 24,928 INFOR a 0 MSI 7 11,742 CIO e 020 egg 0,061 CRON Ce MO24 OE SO 0 1,868 Mel va SRISTOR Re SISSA = Na; paoo i SI al i 1,321 O 0002 013320 tr. ACQUA E RISO EN MOTORINO. 17.880 Elem. non valut. e perdite 0,220 99,874 100,085 100,000 I BLENNII Tri MAR DI MESSINA MEMORIA DEL DOTT. LUIGI FACCIOLÀ (con tavola) P_______--— Riguardo alle specie del genere £/ennius viventi nelle acque di Messina si hanno alcune notizie che riferirò brevemente. Cocco (') vi scoprì una specie che descrisse col nome di Blennius Rouati. Cuvier e Valenciennes (?) fanno menzione di un Blennius gattorugine della lunghezza di 8 pollici e di numerosi esemplari di Blennius sphynx raccolti da Biberon a Messina. Inoltre ricor- ‘ dano questa località per il Blennius palmicornis. Cocco (*) predetto diede il seguente elenco delle specie di Blennii peloritani. 1. Blennius gattorugine Willugh. 5 patuvanus Raf. 2. È tentacularis Brùnn. d. n palmicornis C. et V. S pholis? Riss. 4. ta punctulatus Riss. 3 brea Riss. D. 1a ocellaris Linn. (4) Su di alc. pescì de’ mari di Messina. Lett. al sig. A. Risso. Giorn. di Sc. Lett. ed Arti. Vol. XLII, n. 124, aprile 1833, pag. 11-13. (*) Hist. nat. des Poiss. XI, 1836. (8) Indice ittiol. del mar di Messina. 1845. In corso di pubblicazione nel Na- turalista Siciliano. 9274 L. FACCIOLÀ 6. Blennius pavo C. et Vi. 3 » 2 Riss. n gonocephalus Raf. P gobioides? Raf. È gibosus? Raf. l. x Rouxii Cocco. Do julioides Raf. 8. a vividus Raf. 5 graphicus Riss. 9. 5 sphyna C. et V. Rippel (') trovò nelle stesse acque tre piccoli esemplari di un blennio che nomò Blennius macropterix per la considerevole lunghezza delle pinne pettorali. Giglioli (*) fra le altre località assegnate ai Llennius gatto- ‘rugine, tentacularis, Rouxi e palmicornis cita anche Messina. To (*) descrissi e figurai in una nota due specie di blennii di questo mare, cioè il Blennius trigloides C. et V. ed un Blen- nius Canestrini. Vinciguerra (‘) infine notò esemplari di Blennius tentacularis e palmicornis ed uno di sphynx presi a Messina durante le escur- sioni del Violante. In riepilogo i blennii descritti o semplicemente indicati per lo stretto di Messina sono: Blennius gattorugine 5 tentacularis 5 palmicornis 5 punciulatus 5 ocellaris Pi pavo È Rouxi 5 vividus ;; sphyna 5 macropteria fa Canestrinit (!) In Mus, Senck. (2) Cat. d. Mammif, ecc. ed El. d. Anfib. e Pesc. ital. 1880. (3) Descriz. di due sp. di B/lennius del mar di Messina. In Ann. Soc. Nat. di Modena. An. XIV, fasc. 4, 1880. (4) Risult. ittiol. delle Crociere del Violante. 1883. i BLENNII DEL MAR DI MESSINA 275 Fra queste specie devono andar cancellate: il Blennius pun- ctulatus Riss. oggi ritenuto sinonimo del tentacularis Brùnn.; il Blennius vividus Raf. anche riferibile a quest’ ultimo o al Blen- nius palmicornis; il Blennius macropterix Rùpp. riconosciuto pel giovine del Blennius trigloides C. et V., e il Blennius Canestrinii Facc. che ora ascrivo con tutta probabilità al Blennius tentacu- laris Brùnn., mentre al Vinciguerra, secondo il suo dire, sem- bra vedere in esso il pesce erroneamente figurato da Guichenot come Blennius inaequalis. Finora adunque si conoscono nel mare di Messina le se- guenti specie di Blennii: 1. Blennius gattorugine Willugh. 2. N tentacularis Brùnn. d. », Ocellaris 4. Là pavo C. et V. 5. È palmicornis C. et V. 6. È Rouxi Cocco. TO 5 trigloides O. et Vi. 8. È sphyna C. et Vi. La fauna italiana conta altre specie che mancano nello stretto e sono: il Blennius erythrocephalus Riss. trovato a Nizza e a Genova, il Blenmus basiliscus C. et V. dell’ Adriatico e del Ligustico, il Blennius galerita Lin. (Montagui Flemm.) raccolto nel Ligustico, e il Blennius Canevae recentemente descritto dal Vinciguerra sopra esemplari presi a Genova, a Gianutri e sulle coste della Dalmazia (Lesina, Brazza, Spalato). Il nome di davose che volgarmente si dà a questi pesci non solo in Sicilia ma ancora in altre parti d'Italia, per esempio a Genova, e in Provenza, viene da dava che è quella spuma o muco che cola dalla bocca agli animali e propriamente ai qua- drupedi. Per analogia ed estensione i pesci di cui si tratta si dissero bavose perchè dal loro corpo si segrega quando sono estratti dall’ acqua un muco abbondante. In Messina poi sì di- stinguono col nome di davose di scoglio i Blennii propriamente detti e con quello di bavose di molo o bavoselle i Cristiceps ar- gentatus. In alcuni punti della riviera (Ganzirri) si chiamano anche bdavose i Lepadogaster, dal corpo dei quali si segrega del pari abbondante una mucosità. I Blennii si prendono per lo più con l’ amo nella pesca dei Sc. Nat. Vol. VI, fasc, 2.° 10 IT6 i. FACCIOLÀ Gobius. Quelli che sogliono capitare sul mercato sono il fentacu- laris, il palmicornis, l’ ocellaris il pavo, il gattorugine, ma i due primi a preferenza degli altri. Il tentacularis non manca quasi mai nelle mescolanze di quei giovani pesci o piccole specie che dai pescatori’ chiamansi complessivamente pesci dî ragno, cioè Motelle, Ofidii, Gobii, Donzelle, Clini, Tripterigii, Castagnole, Apogoni, Fierasferi, Rombi, e giovani di Menole, di Scorpene, di Labri, di Congri, di Sciarrani, di Pagelli, di Sarghi ecc. che sì prendono col gangano insieme a crostacei decapodi brachiuri, donde quel nome. Difficilmente succede di vedervi lo sphyna e il trigloides, non perchè sieno forse specie meno comuni, ma perchè non si allontanano dalli scogli. Il Rova: è veramente assai raro. In generale appariscono sul mercato più di fre- quente nell’ inverno e nella primavera, di rado se ne vedono nell’ estate. Incontransi specialmente sul lato occidentale del braccio di S. Ranieri (a S. Salvadore, al Lazzaretto) nei siti bassi rocciosi od algosi, tranne l’ ocellarîs che vive in luoghi profondi. Nutronsi principalmente di crostacei, di molluschi, di vermi, di polipi, e di alghe che tagliano coi loro denti incisivi. Una specie, il Blennius palmicornis, è quasi esclusivamente er- bivora con un intestino molto lungo. Il Blennius tentacularis a parte di altri animali fa cibo dei crostacei decapodi brachiuri. A tal uopo ne rompe il guscio coi denti e ne mangia il contenuto. È notevole che in nessuno dei numerosi esemplari che ho spa- rati vi erano resti di altri pesci nel tubo digestivo, forse perchè sono animali di natura timida. Nel pavo la riproduzione pare che avvenga a primavera sol- tanto, nell’ocellaris comincia dall’inverno e nel palmicornis si con- tinua nell’ estate. Il tentacularis e il gattorugine depongono uova tutto l’anno. Per lo sphynx mi è noto solamente che va in frega nell’autunno. Ignoro l'epoca degli amori nel trigloides e nel Rouzi. Venendo ora a dire qualche parola della loro organizzazione debbo spenderla in primo luogo sull’integumento esterno. Questo è nudo, cioè privo di scaglie. Risulta di tre strati che sono l'epidermide, il derma, e il tessuto connettivo sottodermico. In quanto all’ epidermide mi è riuscito difficile di trovarla nello stato di completa conservazione perchè i suoi elementi disgre- gati dal muco che trasudano in copia dopochè l’ animale vien tratto fuori dell’acqua, si distaccano agevolmente. Quelli che I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 277 ho trovati erano piccoli elementi rotondi, trasparenti, a conte- nuto omogeneo, senza nucleo visibile, disposti in pochi ordini (v. fig. 14). Nel B/ennius trigloides erano piuttosto cellule pa- vimentose. Su di un taglio trasversale della cute (v. fig. 15) vedesi poi il derma costituito principalmente da fibre longitudinali e trasversali molto serrate. Verso il limite esterno questo tessuto perde l’ aspetto fibroso per formare uno strato esilissimo traspa- rente, senza apparente struttura, alle volte poco distinto, quale del resto incontrasi in tuttii vertebrati. Esso è analogo al basale amorfo delle mucose e trovasi in contatto con le cellule più profonde dell’ epidermide. La membrana di cui parlo è intera= mente sprovvista di fibre muscolari. Segue il tessuto cellulare connettivo sottocutaneo, poco denso, biancastro, leggermente madraperlaceo. Nella parte più interna questo si modifica in una membranella sottile, unita ed uniforme, punteggiata di nero, ch'è la fascia superficiale dei muscoli. Tralasciando gli altri costituenti della pelle, ci fermeremo alquanto sopra un elemento morfologico assai importante per le sue qualità chimiche, ana- tomiche e funzionali. Esso è la cellula pigmentaria. In tutte le specie qui descritte cellule di questa natura formano due strati distinti, uno nella spessezza della parte più esterna del derma (v.fig.15,a)l’altro sulla fascia superficiale menzionata (v. fig.15,0). Giammai se ne incontra nell’ epidermide. Esse perciò devono es- sere considerate come corpuscoli di tessuto connettivo restati autonomi ma differenziati nelle loro qualità. Sono sparse su tutto il corpo, comprese le ali e i tentacoli e possono anche vedersi ad occhio nudo. Malgrado la composizione speciale del loro contenuto, che non dev’ essere ricco di protoplasma, godono di una notevole elasticità per cui possono considerevolmente espandersi e retrarsi. Si comprende perciò che la loro forma e grandezza devono variare secondo lo stato in cui si trovano nei diversi punti del corpo. In quello di massima concentrazione si presentano come piccole masse di una sostanza intensamente nera, omogenea, di forma irregolare, (v. fig. 14), oppure roton- data (v. fig. 16), nelle quali nulla farebbe supporre l’ esistenza di altrettanti cellule. Sono queste appunto che meglio sì vedono ad occhio nudo. Le più espanse possono occupare una superficie più di dieci volte maggiore ed hanno un aspetto assai elegante (v. fig. 18 e 19). Dal loro centro irradiano numerosi prolunga» 978 i L. FACCIOLÀ menti semplici o poco ramificati, non appuntati sull’ estremità e la cui regolare disposizione sotto un debole ingrandimento le fa somigliare nella forma a certe masse cristalline, per esempio a quelle del lattato di calce. La melanina che contengono es- sendo allora molto rarefatta prende un colore meno scuro e piuttosto giallastro e permette di scorgere nella parte centrale della cellula la presenza di uno, due o più nuclei rotondi. È notevole che questi corpi sono privi di sostanza colorante e però trasparenti. Alle volte si mostrano offuscati, ma ciò dipende da pigmento che gl'imbratta esteriormente. Sovente vedonsi in mezzo alla sostanza della cellula e dei suoi prolungamenti altri punti chiari rifrangenti come i nuclei, con cui potrebbero con- fondersi, ma essi altro non sono che vacuoli prodotti dal sover- chio distendimento del protoplasma. Alle volte sì trovano presso il margine de’ prolungamenti ove possono mostrarsi incompleti per rottura di una porzione del contorno, il che dimostra che sono spazii scavati. Mentre le cellule più retratte restano sepa- rate da intervalli più grandi dello spazio da esse occupato, questi intervalli possono disparire interamente quando sì distendono inosculando e anastomizzando i loro prolungamenti. Ma questo fenomeno non avviene di frequente. Fra questi due stati estremi esistono tutti i passaggi di forma e di grandezza. Quanto alla sostanza pigmentaria osservo che la sua forma è piuttosto diffusa ed omogenea anzichè granulosa e che le diffe- renze nel suo colore sono gradazioni di nero dipendenti dallo stato di maggiore o minore condensamento delle molecole. Essa distin- guesi per una grande tenacità. L'acqua, l’ alcool, l’ acido cro- mico, l'acido acetico concentrato non la discioisono un l’alterano in guisa alcuna. Negli elementi di cui parlo risiede la causa pi delle variazioni di colorito cui va soggetto il corpo dei blennii non solo secondo gl’ individui, ma pure secondo le circostanze in cui sì trova uno stesso individuo. Coteste variazioni, e specialmente in alcune specie, sono sì molteplici che gli autori spesso han dovuto notarle particolarmente in singoli individui. Per esse vennero introdotte nella sistematica non poche specie puramente nominali. È superfluo di far comprendere che i corpuscoli me- lanici anzidetti son parti vitali e non masse inerti di sostanza depositata. Basterebbe perciò richiamare la presenza dei nuclei. sciiti I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 279 Ma in qualche punto del corpo dove il colore non cangia, essi non mostrano nucleo nè membrana esterna e formano un vero ammasso di pgmento, come ad esempio sulla grande macchia nera della natatoia dorsale del Blennius ocellaris. La perdita . degli altri costituenti della cellula può allora spiegarsi per la mancanza d’ esercizio. Eccettuati questi pochi casì, tutte le gra- dazioni di colorito, le tinte diverse e le macchie che si osservano sul corpo de’ blennii corrispondono ad altrettante modificazioni nello stato dei cromatofori e del loro contenuto. Queste modi- ficazioni possono restare permanenti in questa o in quella parte del corpo, anche dopo la morte dell'animale, per esempio sulle fascie trasversali oscure del tronco che non si cancellano mai completamente, ma altrove sono instabili come vidi in certe macchie oscure che si dileguarono sotto gli occhi. Ho cercato di sapere se le tinte più o meno oscure o più o. meno chiare del corpo dipendessero da differenza nello stato de’ corpuscoli coloranti oppure da una semplice disuguaglianza nella copia mantenendo ovunque le medesime qualità imperciocchè 1’ effetto poteva essere eguale in. ambo 1 casi. Quest’ ultimo però era meno probabile perchè allora non c' era bisogno di tanto spiccate pro- prietà ameboidi nei cromatofori nè poteva spiegarsi il divenire oscura una parte che prima era chiara e viceversa. L’ osserva- zione infatti fece vedere che la quantità de’ corpuscoli melanici su di una data superfice era nelle parti oscure pressochè eguale a quella delle parti chiare, ma mentre sulle prime si mostravano espansi con numerosi prolungamenti e di color molto meno intenso, in queste retratti, senza o con brevissimi raggi e di color nero saturo. La differenza nel colore dei corpuscoli ora notata sembra dovesse produrre sulla tinta della pelle un effetto contrario a quello che realmente risulta, ma è facile persuadersi che non può essere riflettendo che quando i corpuscoli sono re- tratti la sostanza colorante è contenuta e ristretta in un piccolo spazio lasciando grandi intervalli e quando invece sono dilatati questi intervalli ne vengono ristretti più o meno o dispariscono del tutto. Le differenze di cui parliamo possono distintamente osservarsi nella pelle del Blennius palmicornis. In altri casi la diversità di tinta dipende da ineguale ripartizione del pigmento nell’ interno delle cellule. Vidi nella pelle del tronco del Blennius trigloides questi corpuscoli dapertutto rarefatti e con numerosi 280 i L. FACCIOLÀ prolungamenti. Ma mentre in corrispondenza delle fascie tra- sversali oscure offrivano un colore omogeneo, negli intervalli di queste, ove la tinta mostrasi più chiara, il pigmento era accu- mulato nella parte centrale della cellula, ma debolmente iniet- tato nei prolungamenti. Vi è ancora un modo di rendere più o meno oscuro il colore di una parte senza modificare la forma e le dimensioni delle cellule. Alcune volte vedonsi questi elementi in corrispondenza di macchie oscure distesi e forniti di raggi come nelle parti adiacenti più chiare; ma in quelle la melanina è più densa e inoltre gli spazi intercellulari contengono una sostanza libera più o meno fosca, la quale è un prodotto di transudamento di quella contenuta dentro le cellule. È notevole che questa medesima sostanza interstiziale in altri casì si trovi in corrispondenza e nel luogo delle macchie celestine (Blennius sphynx e pavo) e manchi nelle parti vicine meno chiare. Ricor- derò finalmente d'aver veduto in alcuni individui del Blennius pavo dal corpo tutto nerastro la sostanza colorante diffusa uni- formemente in quello strato del derma; ove si contengono le cel- lule pigmentarie. Queste per troppa distensione si erano rotte spandendo all’ intorno il proprio contenuto come indicavano i nuclei sparsi quà e là (v. fig. 17). In conclusione si ha che le varie colorazioni della pelle pos- sono dipendere: 1.° dallo stato di espansione o di retrazione più o meno grande dei cromatofori, 2.° dal modo di ripartizione della sostanza colorante nell’ interno della cellula, 3.° dal con- . densamento o diradazione dei detti corpuscoli, 4° dalla presenza o meno di pigmento negli spazii intercellulari. Questi stati pos- sono avverarsi tanto nello strato superficiale quanto in quello profondo dei cromatofori e combinarsi tra loro variamente per dar luogo a una moltitudine di tinte. È rimarchevole che le specie girovaghe sono in riguardo al colorito più variabili di quelle che non sogliono allontanarsi dalli scogli (Llennius sphyna, trigloides, Rouxi). In dipendenza con la facoltà di cui si parla è un importante fenomeno che si osserva in questi animali voglio dire il mime- tismo. Io conosceva un caso di sorprendente imitazione del co- lorito del Gobius niger presentata dal Blennius pavo e dal pal- micornis trovati insieme a quello, quando con piacere vidi an- I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 281 nunziato un fatto di simil genere in un lavoro del Vinciguerra ('). Questi osservò una strana somiglianza tra il colorito di un in- dividuo del suo Llennius nigriceps con quello de’ maschi del Tripterygion nasus. È ancora più strano, dice l’ autore, d'aver trovato quell’ individuo sopra uno scoglio associato a uno di essi. Credo che lo scopo di queste imitazioni sia di proteggere l’animale dalle aggressioni di specie nemiche poichè pare che i Gobius niger e i maschi del Tripterygion nasus debbano col co- lorito che li distingue inspirar loro ripugnanza e disgusto. In quest’ ultimi il color nero del capo è come una maschera che infonde paura. A siffatta conclusione m° induce anche il vedere altre specie dalle tinte molto vivaci, e non comuni, come 1’ Apo- gon imberbis, l’ Anthias sacer, il Labrus viridis, i Trachypterus, il Microstoma rotundatum, il Cepola rubescens, il Xyrichthys no- vacula, ecc. non mai ricercate come cibo dai pesci voraci, seb- bene più esposte alla loro attenzione. È cosa notevole poi che queste specie, come pure quelle che hanno qualche particolare arma di offesa o un aspetto strano (Dactylopterus volitans, Ura- noscopus scaber) sono rappresentate da un numero scarso d’ in- dividui, mentre le più abbondanti e nello stesso più ricercate come cibo dai nemici sogliono essere appunto quelle che offrono 1 colori più ordinari e mancano di mezzi speciali di offesa e di difesa. Fra esse potrei ricordare il Box boops, il Maena vulgaris, l’Alosa sardina, l'Engraulis enchrasicholus, il 1° Atherina hepsetus, ed altre. La ragione di ciò è riposta in una differente prolificità o più o meno grande probabilità del naturale destino delle uova. Le specie più produttive non hanno per ciò stesso sentito il bisogno di provvedersi di particolari mezzi di protezione; in quelle rappresentate da un numero ristretto d’ individui per contrario ogni struttura atta ad assicurare la loro esistenza nella concorrenza vitale dovea certamente avere una tendenza a mantenersi ed a svilupparsi maggiormente. Prima di lasciare la pelle dobbiamo far breve motto de’ tubi di senso. Sul capo sono semplici follicoli scavati nel senso ver- ticale, che terminano a cul-di-sacco nel tessuto sottostante e si aprono per un orifizio circolare alla superficie eguale della pelle o talvolta sopra piccole eminenze di essa; sono più o meno nu- (') Lav. cit. p. 75 (539). 282 DIR I. FACCIOLÀ merosi, sparsi quà e là senza ordine, tranne intorno all'occhio e lungo il margine preopercolare, ove formano una serie regolare di pori. Nel Blennius palmicornis avvene alcuni nello spazio in- fraorbitario, il numero e la disposizione dei quali non varia in nessun caso. I pori che sì osservano lungo la linea laterale non differiscono in nulla da quelli del capo. Nella porzione anteriore inarcata di essa si trovano all’ estremità di tubi che emanano dai lati di un canale longitudinale. Il tragitto di questi tubi secondari nella spessezza della pelle è perciò obliquo. Più indietro invece di un canale continuo si hanno corti canali staccati i quali comunicano all’ esterno per tubi verticali alla loro dire- zione. Nell'ultima porzione retta infine la linea laterale consta di semplici follicoli simili a quelli del capo, distanti tra essi. Sul capo troviamo i tentacoli sopraorbitali. Il loro sviluppo è soggetto a molte variazioni non solo secondo le specie ma benanco secondo gli individui della stessa grandezza e talora secondo il sesso. In generale sono in proporzione del corpo più corti e meno ramificati nei giovani nei quali alle volte mancano completamente (Llennius sphynx). Nel Blennius tentacularis ed ocellaris offrono differente lunghezza secondo il sesso. Le narici sono al numero di due per lato. La superiore è posta in pros- simità del contorno orbitario e somiglia ad uno dei pori cuta- nei circostanti. La inferiore ha un contorno membranoso la cui porzione superiore si allunga in una appendice più o meno fim- briata o in un semplice cirro. È caratteristica del Blennius tri- gloides la presenza di due appendici sulla narice inferiore, una in alto e l’altra in basso. I denti delle mascelle sono di due specie, incisivi e canini. Gl' incisivi sono numerosi, serrati, immobili, pressochè tutti eguali, disposti in serie semplice, impiantati ora in linea perfettamente semicircolare ed ora ad arco più o meno prominente nel mezzo. | Verso la loro radice se ne osservano altri rudimentari destinati a rimpiazzare quelli che cadono. I canini sono posti al termine degli incisivi, uno per lato in ciascuna mascella o nella sola mascella inferiore, secondo le specie. I canini inferiori possono mancare per anormalità (Blennius tentacularis, Blennius gattoru- gine). 1 superiori sono più costanti. Sopra un lato della mascella superiore o della mandibola talfiata esistono due canini invece di uno, I canini inferiori sono ora più (ed è il caso più frequente), I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 283 ora meno robusti dei superiori, secondo le specie. In taluni in- dividui sono abnormemente eguali a questi. A bocca chiusa i due margini liberi formati dalle estremità degli incisivi si toc- cano perfettamente; i canini inferiori entrano dentro 1’ arcata dentaria superiore, i superiori sporgono fuori l’' arcata dentaria inferiore. Valenciennes, Giinther, Canestrini non fanno menzione di denti sul vomere nei Blennii, anzi quest’ ultimo dice che il palato è inerme. Ma in alcune specie io vidi piccoli denti acuti su quest’osso. Ciascun osso faringeo porta denti acuti disposti a pettine. Dietro l’arcata dei denti incisivi esiste in ciascuna ma- scella un velo membranoso semilunare, formato di una duplica- tura della mucosa boccale. Questi due veli membranosi esistono in un gran numero di pesci, nei quali, secondo Cuvier, il loro effetto sarebbe d’ impedire agli alimenti e massime all’ acqua inghiottita di rifluire per la bocca; ma ciò che importa notare nel nostro caso è che l’inferiore almeno serve coi suoi moti a rinnovare l’acqua alle branchie. Ecco il fatto da me osservato. Volli tenere in un vase con acqua marina un Llennius palmi- cornis trovato semivivo al mercato. Ritornato al fluido naturale, a poco a poco si riebbe completamente. Gli opercoli battevano, ma la mandibola stava immobile ed un poco abbassata, mentre per regola nei pesci essa col suo moto incessante serve alla de- glutizione dell’acqua. Supposi per ciò che questo liquido affluisse alla bocca unicamente per l'aspirazione prodotta dallo schiudersi della fessura branchiale. Le pareti trasparenti del vase mì per- misero di guardare dentro la bocca che stava semichiusa in per- manenza. Allora scorsi la membrana trasversale inferiore agitarsi con moti celeri e frequenti, di cui contai 120 in un minuto primo. Ancora non sono riuscito a sapere se di concerto con essa muovasi anche il velo superiore. Dal vedere poi nelle altre specie di Blennii le stesse produzioni si può credere che adem- piano al medesimo ufficio. Giova qui ricordare l’ osservazione da me fatta sulla membrana sublinguale dell’ Uranoscopus scaber. Questa come nel caso de’ Blennii serve pure alla respirazione, ma i suoi movimenti sono passivi, cioè comunicati dall’ osso joide che spinge contro essa lo strato di acqua intermedio. Gli archi branchiali portano sui due lati del loro margine concavo una serie di tubercoli terminati da 1-5 denticuli secondo le specie o gl’individui. Queste appendici restano sotto o rag- 284 L. FACCIOLÀ giungono appena ma non oltrepassano il detto margine degli archi branchiali formato da una lamella membranosa che prende attacco sul contorno osseo. I raggi branchiosteghi sono al nu- mero di 6 per lato, a forma di falce. La membrana che li so- stiene è in tutto unita a quella del lato opposto in guisa da formare sotto la gola una specie di tovagliuolo che copre l’ istmo e si termina posteriormente in un orlo trasversale. Per siffatta conformazione la fessura branchiale si {trova completamente chiusa nella porzione orizzontale. A ciò forse e alla chiusura completa della fessura per opera della valva operculare si deve il prolungarsi della vita dell'animale per qualche tempo fuori dell’ acqua. Due giovani individui avuti in vita dimorarono per circa dieci ore all'aria libera sull’ orlo di una vaschetta con acqua marina in cui io li avea posti. Ogni volta che li rimet- teva nell’ acqua ne saltavano fuori a guisa di raganelle e come se l’aria fosse il loro naturale elemento. Sebbene all’asciutto essi facevano oscillare il velo prelinguale che pel. poco d’° acqua contenuta nella bocca produceva un liéve romore. La dorsale è unica, nasce innanzi o in direzione della fes- sura branchiale e termina presso la base della codale, talvolta congiungendosi a questa pinna. Si distingue in una porzione pseudospinosa formata di raggi semplici, cioè non articolati nè ramificati, e in una porzione molle di raggi articolati e non ramificati. Quest’ ultimo carattere non è costante perchè nel Blennius pavo gli ultimi raggi dorsali spesso sono bifidi. Il nu- mero dei raggi molli può alquanto variare negli individui di una medesima specie, mentre più costante è quello dei raggi pseudospinosi. Verso l’ unione delle due porzioni dette il mar- gine libero della pinna è più o meno incavato. L’ ultimo raggio è semplice e non duplice. Le pettorali sono larghe, più o men lunghe del capo, con i raggi inferiori e superiori più corti dei raggi medii, ma gl’in- feriori più robusti dei superiori. I loro raggi sono tutti. sem- plicemente articolati. Le ventrali son giugolari, rivestite completamente dalla pelle, eccetto nel Blennius Iouxi. Nei Blennius ocellaris, tentacularis, palmicornis, gattorugine, pavo e trigloides mostrano esteriormente tre raggi il più interno de’ quali, molto più delicato, sta addos- sato al raggio adiacente per la maggior parte della sua lun- I e PAIA I CGIE I ii a racc È > ANIA I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 285 ghezza e viene rivestito insieme a questo da una pelle comune. Allo stesso modo se si spoglia il raggio che nello stato intatto sembra essere il più esterno si trova aderire sul lato esteriore di esso un raggio breve, che è semplice, pseudospinoso, mentre gli altri tre sono articolati per tutta la lunghezza. Nel Blennius sphyna vi è un raggio di più, poichè al raggio interno segue più internamente un altro raggio breve, articolato. In queste specie il raggio più lungo è sempre il 3.° contando dall'esterno verso l’ interno. Nel Blennius Rouxi le ventrali si distinguono per esser formate di due soli raggi articolati, non rivestiti dalla pelle. Le pinne in parola risultano dunque di 2-5 raggi secondo le specie e non di 3 (Gunther). A torto si è considerato il rag- gio più interno come un ramo del raggio che lo. procede perchè esso risulta fin dalla sua base di due metà longitudinali ed ar- ticola con pedicoli radicali proprii. L'anale nasce ad una più o meno breve distanza dall’ ano e si arresta un poco prima della dorsale, eccettuati i Blennius ocellaris e Irouxi. Notevolissime sono alcune differenze esistenti nel numero totale de’ suoi raggi, come pure in quello de’ primi raggi semplici (non articolati) a secondo il sesso. Nelle femmine de’ Blennius pavo, gattorugine, tentacularis ed ocellaris il numero totale dei raggi in parola spesso era minore di quello dei ma- schi, alle volte era eguale, ma non raggiunse mai il massimo presentato da questi. Più importante è il caso di un carattere sessuale di questa natura offerto dal Blennius palmicornis, in quanto che nelle femmine si trovano sempre da uno a tre raggi anali di meno che nei maschi. Nelle femmine del teigloides ve n'era pure uno di meno, ma non avendo esaminato in questa specie esemplari sì numerosi quanto nelle anzidette, non so se questa differenza sia costante oppure avvenga talvolta, mentre il numero dei raggi anali nelle femmine potrà eguagliare tal- altra quello dei maschi, come si avverte nel tentacularis ecc. Nelle femmine del B/ennius sphynx, per contrario, il numero dei raggi anali uguaglia alle volte quello dei maschi, in alcune lo supera, ma non è mai minore. Il numero dei raggi semplici poi è sempre di due nei maschi; di uno a due, secondo gl’ in- dividui, nelle femmine dei Blennius gattorugine e tentacularis, di uno nelle femmine dei Blennius pavo, sphyna, trigloides, palmi- cornis ed ocellaris. Del Blennius Rouxi non ho veduto ancora 286 L. FACCIOLÀ individui di questo sesso. Si avvertono pure talune differenze di sesso nella lunghezza dei primi raggi dell’ anale. Nei maschi ho trovato due raggi brevi; fanno eccezione i maschi del B/en- nius sphynx in cui i primi due raggi hanno lunghezza ordinaria. Nelle femmine dei Blennius tentacularis, pavo, trigloides e sphyna esiste invece un solo raggio breve cioè il primo; per le femmine del palmicormis e del gattorugine vi sono da uno a due raggi brevi. La caudale infine è uniloba, rotonda. Considerando, come ha mostrato il prof. C'anestrini, questa natatoia nei pesci siccome formata di due, di cui l'una è continuazione della dorsale e l’altra dell’ anale, troviamo nel nostro caso in ciascuna metà di essa una somiglianza nella composizione dei raggi, dei quali alcuni sono semplici spiniformi, altri semplicemente articolati ed altri articolati e forcuti. Il numero totale di questi raggi varia secondo le specie e secondo gl’ individui di una stessa specie. Così esso va da 19 (Blennius pavo) a 27 (Blennius tenta- cularis) secondo le specie. In individui di talune specie si trova una differenza di 2-4 raggi. Esaminando poi i raggi di ciascuna metà di pinna ho trovato che il numero di quelli della metà superiore era maggiore di quello della metà inferiore, eccettuato un caso nel Blennius sphynx in cui l’uguagliava. Venendo ancora al numero dei raggi di ciascuna sorta nelle due metà della na- tatola, si trova variare secondo le specie e secondo gl’ individui di una specie quello dei raggi semplici spiniformi. È da questa variazione soltanto che dipendono le differenze del numero to- tale dei raggi della codale nelle varie specie o negli individui di una stessa specie, perchè i raggi articolati sono sempre 13, distribuiti come segue. Per regola seguono. ai raggi brevi spi- niformi in sopra e in sotto 2 raggi semplicemente articolati, cioè in tutto 4, e poi 5 nella metà di sopra e 4 nella metà di sotto articolati e forcuti. Alle volte superiormente si hanno 1 o 3 raggi articolati e indivisi invece di 2, ma allora i raggi articolati e ramificati seguenti sono 6 o 4 e non 5, sicchè il numero dei raggi articolati è sempre di 7. Similmente nella metà inferiore della coda i raggi solamente articolati sono ta- lora al numero di 1 o di 3 invece di 2: allora nel primo caso si hanno 5 e nel secondo 8 raggi articolati e bifidi invece di 4, sicchè il numero de’ raggi articolati, divisi e no, è sempre di 6. sO I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 287 . Per queste anomalie può aversi in tutto un numero di 2 o 6 raggi articolati e indivisi invece di 4, e di 7 od 11 raggi arti- colati e ramificati invece di 9, ma il numero totale di tutti i raggi articolati è sempre di 13. Dopo ciò è facile comprendere il simbolo della codale nella particolare descrizione delle specie. L’ano è posto sempre innanzi il mezzo della lunghezza to- tale del corpo ed ha piccole pieghe radianti. Nelle femmine si vede dietro ad esso (fig. 22, 9g) un’ apertura provveduta in avanti di una piega cutanea. semilunare, la quale in qualche specie, per esempio nel 54. ocellaris, alle volte è poco sviluppata o manca completamente. Essa apertura è lo sbocco comune degli ovari e della vescica urinaria. Immediatamente dopo vi è un tubercoletto che non è già una papilla urinaria, perchè con l’ esame più diligente con cui si possa ricercare non sì riuscirà mai a trovare un orificio distinto per l’ uscita del- l’ urina, sebbene il signor Valenciennes lo ammetta dicendo che l'apertura degli ovari è posta in avanti di quella della vescica e dietro l’ano('). Avverto che non avendo veduto finora fem- mine del Blennius Rouxiì non so se ciò che ho detto valga pure per questa specie, ma suppongo che la cosa non stia diversa- mente. Nei maschi le parti di cui è parola possono invece dif- ferire secondo le specie cui appartengono. Nei B/ennius pavo, tentacularis, trigloides, sphynx e Rouxi esiste dietro l’ano un' ori- fizio in comune per i testicoli e per le vie urinarie, prolungato in un breve tubo conico troncato nell’ apice. Nei maschi del Blennius gattorugine ed ocellaris vi è pure una sola apertura genito-urinaria, ma è in tutto simile all’ apertura genitale delle femmine, cioè senza tubo. Singolarissima e nuova, per quanto conosca, nella classe dei pesci è poi la disposizione degli orifici esterni dei maschi del Blennius palmicornis. Ricercando attenta- mente scopronsi in essi dietro l’ano tre semplici pori (v. fig. 29, 0) posti in linea trasversale, dei quali l’uno di mezzo comunica con la vescica urinaria, e i due dei lati sono le aperture dei canali deferenti, come meglio dirò in prosieguo. Dietro 1’ aper- tura genitale esistono, all’ infuori dei Blennius sphyna, trigloides ed ocellaris, due gruppi di fiocculi o papille nerastre, posti l'uno dietro l’altro. Esse rassomigliano a lamponi e inturgidiscono (') Hist. nat. Poiss. XI, p. 199. 288 L. FAOCIOLÀ nell’ epoca degli amori. È importante notare per ciò che verrà detto appresso che questi due gruppi di papille si trovano im- piantati sui due primi raggi della natatoia anale ed altro non sono che vegetazioni e ripiegamenti lamellosi della pelle che veste questi due raggi. Le femmine mancano costantemente di queste produzioni. La lunghezza dello spazio che corre tra l’ ano e il 1.° raggio anale varia secondo la specie, per esempio è assai piccola nel Blennius sphyna, è più considerabile nel Blennius palmicornis. Riguardo poi alla posizione dell’ orificio genitale in questo spazio si avvertono pure delle differenze. Nei due sessi del Blennius ocellaris e gattorugine è innanzi la base del 1.° raggio anale. Nelle altre specie è nel mezzo della detta distanza. Il signor Valenciennes esponendo i caratteri generali dei Gobioidi dice che il maschio di questi pesci ha l’ orificio urinario circondato di papille simili a quelle che esistono all’ apertura dei testicoli. Venendo alla sottodivisione dei Blennii ripete la stessa cosa. Nella descrizione del Blennius gattorugine dice me- desimamente che dietro l’ orificio dei testicoli evvi un gruppo di papille e l’ orificio urinario è posto presso la base del primo raggio anale, dietro l'apertura genitale ed è circondato da un gruppo di papille distinte dalle precedenti. Queste osservazioni come ben si vede discordano da quanto ho notato innanzi sul proposito secondo la mia esperienza ed io ritengo che l’ autore sia stato tratto in inganno. Con la maggiore attenzione che abbia usata non sono mai riuscito a scorgere un orificio per l'urina separato da quello pel seme, tranne nel Blennius palmicornis, ove hanno quella disposizione specialissima innanzi notata. Oltre a ciò secondo l’A. il meato urinario sarebbe frapposto tra i due gruppi di papille. Ma essendo queste inserite sui due primi raggi anali il detto meato, ove anche si ammettesse, dovrebbe trovarsi dopo il principio dell’ anale, ciò che non può avvenire. Risulta dunque dalle mie osservazioni che nelle otto specie che descrivo lo sbocco delle vie genitali non è separato da quello degli or- gani urinarii, eccetto il solo caso de’ maschi del Blennius pal- micornis. Considero pure come non completamente esatta l’ as- serzione del signor Bonaparte che nei due sessi dei Blennii evvi dietro l’ ano un’ appendice conica tubolosa (Appendix tubu- I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 289 losa conica post anum in utroque sexu (')). Quest’ appendice nei Blennii è propria dei maschi di alcune specie. Il fegato è piuttosto grosso ed occupa la parte anteriore e media della cavità addominale. La cistifellia è piccola o mediocre e contiene bile leggermente verdiccia e molto diffluente. La milza è stretta, di color rosso vinoso. I reni occupano tutta l'estensione del cavo ventrale e stanno loggiati nel solco for- mate dalla faccia inferiore de’ corpi delle vertebre di quella re- gione e dalle emapofisi corrispondenti. Nondimeno risaltano un poco. Presso la loro estremità posteriore spiccano un piccolo uretere che si apre nella parete superiore della vescica urinaria. Questa è allungata come i reni a cui aderisce, e di forma tu- bolosa. La sua parete risulta di tre strati, uno esterno o sieroso, uno interno o mucoso rivestito da epitelio cilindrico, ed uno medio a fibre muscolari liscie, dirette in vari sensi, ma di cui quelle circolari son più distinte. L° urina è incolore e si vede gemere all’ esterno comprimendo a riprese l’ addome. Le glan- dule sessuali, specialmente gli ovari, all’epoca della frega occu- pano gran parte del cavo dell’ addome. Ma quando sì riducono al loro volume ordinario non si estendono che per una parte di esso. Allora si presentano più o meno stretti, più o meno allungati secondo le specie e di forma compressa. Esse stanno attaccate ai lati della vescica urinaria per una specie di liga- mento membranoso. È notevole la presenza di un vase sanguigno ad ansa che le congiunge verso la parte posteriore. I condotti escretori nascono dalla lor faccia inferiore verso il terzo poste- riore della lunghezza, divenuti liberi si raccostano l'uno all’altro addossandosi sulla parete inferiore della vescica urinaria, dopo essersi riuniti in un solo tronco si aprono in prossimità del- l'estremo posteriore di questa. Fanno eccezione i maschi del Blennius palmicornis in cui i canali deferenti dopo che si con- giungono al di sotto del collo della vescica orinaria si dividono di bel nuovo per andare ad aprirsi ciascuno con un’ apertura propria a’ lati del meato urinario. I testicoli, cosa notevole, al- l’epoca della frega sopportano un movimento di rotazione da fuori in dentro, in virtù del quale la loro faccia che nello stato ordinario era inferiore diventa a poco a poco interna e poi su- (1) Prodromus system. ichthyol. 290 L. FACCIOLÀ periore. Nello stesso tempo i loro margini si piegano e si ac- costano l’ uno all’altro. Si comprende perciò come dalla forma compressa passano a quella di corpi più o meno cilindrici. Dopo quell’ epoca ritornano allo stato ordinario eseguendo un movi- mento in senso opposto. Non so ancora se un fatto simile av- venga nell’ ovario, Il tubo alimentizio è conformato nelle diverse specie sul medesimo stampo. Esso conserva un carattere uniforme in tutto il suo percorso ed è piegato una o più volte. La porzione anteriore o gastro-esofogea si distingue solamente per un poco più d’'ampiezza. Manca un punto o piloro che segni il pas- saggio dello stomaco nell’ intestino medio non vedendosi ispes- simento della parete o valvola di sorta. Questa esiste bensì al principio della porzione espellente o crasso-rettale. La lunghezza del canale in discorso può variare notevolmente non solo secondo le specie ma ancora secondo gl’ individui di una stessa specie. Ecco un’ esempio: f Lunghezza totale Lunghezza Specie o i del corpo dell’ intestino BI. pavo 0.2, 092 0.2, 040 BI. palmicornis 0.2, 095 0.2, 260 i 0.®, 095 0.2, 365 All’ uniformità di conformazione esterna risponde uniformità di struttura. La mucosa in tutta la sua estensione non offre difatti che delle pieghe longitudinali generalmente poco svilup- pate. Secondo i tratti in cui si esamina poi queste pieghe pos- sono modificarsi più o meno; nello stomaco per esempio sono più forti e spesso divise in porzioni isolate in modo da costituire papille di forma irregolare. Tutta la superficie della membrana è tappezzata da piccoli elementi cilindrici. Lo stomaco è total- mente sprovvisto di speciali glandule secretorie. Quì cade in acconcio far notare che la presenza di questi organiti nella mu- cosa gastrica dei Teleostei non è un fatto così costante come 1 BLENNII DEL MAR D:! MESSINA 29] si potrebbe credere. Nelle specie, da me finora esaminate, in cui il canal digerente forma un tratto uniforme sia che corra dritto fino all’ ano sia che sì ripieghi, per esempio nel Sayris Camperii Lac. nel Belone acus Riss., nel Cristiceps argentatus Riss., nel /ulis Giofredi Riss., esse mancano. Nella stessa condizione si trovano talune specie in cui lo stomaco sebbene non costituisca ancora una cavità distinta per essere piegato ad U, pure è ba- stantemente differenziato dal resto del canale sia per la presenza di un tratto pilorico che pel calibro e per le qualità fisiche della propria parete, per esempio 1° Argyropelecus hemigymnus Cocco, il Coccia ovata Cocco. Anche quando lo stomaco si è co- stituito in un tubo distinto, chiuso all’ estremità posteriore, e l’intestino prende origine da esso ad angolo, le glandule gastriche possono mancare, come ho visto nel Paralepis sphyraenoides. Le uova sono piuttosto piccole e spesso variamente colorate, per esempio in celestino, in rancio. Quelle che si trovano verso la periferia dell’ovario ingrossato sono schiacciate, discoidali. Nelle più piccole il contenuto è opaco. A misura che ingrossano questo diventa sempre più trasparente. Ciò dipende da che le prime contengono un maggior numero di granulazioni. Nel con- tenuto trasparente delle uova più grosse si avverte un punto oscuro o colorato che veduto al microscopio risulta di un gruppo di vescicole contenenti uno o due nuclei. L' aggrupparsi, il nu- mero, la grandezza e la posizione di queste vescicole sono ge- neralmente variabilissime da novo a uovo. Alle volte sono sparse quà e la nel protoplasma. Una rimarchevole particolarità delle uova dei blennii è ancora l’ opacità che mostrano da uno dei poli. Si sa che in quelle della rana l’ opacità di un emisfero dipende da una quantità di corpuscoli lecitici minore di quella che è accumulata nell’ altro emisfero. Nel nostro caso la massa interna dell'uovo, ad eccezione del punto oscuro notato, si mo- stra trasparente. Sottoposto al microscopio uno di questi uovi fa vedere sulla parte opaca un aspetto finamente reticolato ap- partenente alla membrana esterna e che manca nella parte op- posta trasparente. Questo reticolo s’ irradia da un punto cen- trale verso la periferia, le sue maglie perciò sono più o meno allungate. Andando verso questa poi esse si restringono, i tra- mezzi sì fanno sempre più delicati e infine non si scorge più che una struttura granulosa omogenea. Se si fanno dimorare Se. Nat. Vol. VI, fasc, 2,° 11 da 292 L. FACCIOLA per poca ora in acido acetico diluito uova previamente conser- vate nella glicerina gonfiano notevolmente ed allora si vede di una maniera distintissima, anche ad occhio nudo, che l’opaca- mento è cosa affatto superficiale. Esso opacamento è parago- nabile alla superficie smerigliata che si osserva sul fondo di certi fiaschietti di vetro. Per lo stesso trattamento più prolun- gato si scorgono lungo le linee reticolate finissimi granuli molto rifrangenti. Finalmente i caratteri più importanti dello scheletro si pos- sono riassumere nel modo seguente: | 1. Il cranio è distinto in una porzione anteriore e in una porzione posteriore da un forte restringimento dietro le orbite. Fa eccezione il Blennius palmicornis. : 2. A causa di questo strozzamento il temporale superiore si trova disgiunto dal frontale posteriore. 3. I mascellari superiori e gl’ intermascellari sono immo- bilmente fissati al cranio. 4. Le due branche della mandibola inferiormente son tra esse discoste in modo che lo spazio di gola compresovi è largo. 5. Le ossa sottorbitali sono strette e non si estendono sulla guancia. 6. I frontali medii sono stretti. 7. La fossa temporale è profonda. Essa viene colmata da masse muscolari considerevoli, il cui sviluppo è in rapporto con la robusta dentatura. 8. I parietali sono bene sviluppati. 9. Evvi una cresta ossea, più o meno sviluppata, sulla congiunzione dei parietali tra essi (cresta interparietale o sa- gittale) e dei parietali con l’' occipitale (cresta. parieto-occipitale o lambdoidea), meno nei Blennius palmicornis e sphynx. 10. Le spine o creste posteriori del cranio, (media, inter- mediaria ed esterna) o mancano o son poco accennate. 11. L’occipitale basilare offre tre faccette concave per l'articolazione con la vertebra atlantoidea. 12. L’interopercolo è assente ('). (1) Negli autori non trovo notato questo fatto. I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 293 13. Mancano il radio e l’ ulna ('). 14. Le ossa del carpo invece sono bene sviluppate e s° in- grandiscono d’ alto in basso. Sono al numero di quattro, talora ve n'ha un altro incompleto posto interiormente, che non articola coi raggi della pettorale. 15. Le ossa del bacino sono piccole e aderiscono agli omeri presso la sinfisi. 16. Le vertebre sono compresse. 17. Le neuroapofisi delle due prime vertebre mancano com- pletamente (-B. trigloides) o sono poco sviluppate (B. palmicornis). 18. L'ultima peuroapofisi è divisa in due o tre raggi alla cui estremità si attaccano i raggi brevi spiniformi della codale. L'ultima emapofisi al contrario è semplice come le precedenti e porge inserzione per la sua estremità ai raggi brevi inferiori della codale. 19. Le coste s' impiantano sulle apofisi emali e sono ad- dominali solamente. Esse giungono fino a metà dell’ altezza del ventre. 20. Le due prime coste mancano di appendici od epi- - pleurali. 21. Per la mancanza o incompleto sviluppo delle neuro- apofisi delle due prime vertebre i due interneurali corrispondenti non prendono rapporto con esse, ma restano nella carne. Quando la dorsale nasce in direzione della fessura branchiale sono il l. e 2.° interneurale (B. pavo). Se comincia sul margine preo- percolare sono il 3.° e 4.°, mentre il 1.° e 2.° s’ inseriscono sul cranio (B. ocellaris). Gli altri interneurali si congiungono al lato anteriore delle neuroapofisi. Gl' interemali invece aderiscono al lato posteriore delle emapofisi. 22. Gli ultimi due raggi della dorsale e dell’ anale, benchè divisi tra essi fin dalla base, portano un solo processo interspinoso. (4) Valenciennes (Hist. nat. Poiss. XI) nota che nel Blennius gattorugine il icubitale e il radiale sono assai stretti. A me non è stato possibile distinguere questi due ossi. In essa specie, come nelle altre, i carpali si attaccano immediatamente al margine posteriore dell’ omero. Anche il Gunther dice sul proposito «I am unable to distinguish (nel B. gattorugine) the radius or the ulna; they appear to united with the humerus, without leaving sutures betweem them ». Catal. III, p. 213. 294 1. FACCIOLÀ 1. Blennius ocellaris. (1554, Rond.) BI. ocellaris, Lin. Syst. I, p. 442. i Cuv. Val. Hist. XI, p. 220. ) Giint. Cat. III, p. 222. si Canestr. Blenn. p. 87 t. II, £. 2. È Vinciguerra, Blenn. p. 10 (439). < Ss ss L’ altezza del tronco è uguale o quasi alla lunghezza del capo e sta 4'|;-4?|, volte nella lunghezza totale. La spessezza è metà dell’ altezza. I tentacoli sopraorbitali sono più o meno lunghi e poco ramificati. La narice inferiore porta una sola appendice sul contorno superiore. Vi sono due canini in ciascuna ma- scella. Il vomere è inerme. Le appendici branchiali sono armate di 2-3 denticoli. Sopra l’ angolo superiore della pettorale vi è un’ appendice cutanea pinguedinosa. Un’ altra più piccola esiste dietro la nuca da ciascun lato. La dorsale tra il 4. e 7. 0d 8° raggio porta un ocello nero circondato da un’ aureola bianca. ! Sui lati del tronco esistono fascie trasversali oscure. D. 11-12 + 14-15 — 25-26 (non 27), erano ALSO EL O | giEriot uo i fiore pre ps n) 2-3 + 52-48 | Dent. ZA ) Vert. 11 + 22 n Il capo è poco più lungo che alto. Il suo profilo monta in linea convessa assai rapidamente dal muso al margine antero- superiore degli occhi, indi meno insino all’ origine della dorsale, donde si abbassa dolcemente in linea retta fino alla coda. Il profilo inferiore del capo è perfettamente simile al ‘superiore, si continua in linea convessa sino all’ ano, indi va raccostandosi all’ opposto in linea retta. Le guancie sono mediocremente ri- I BLENNII DEI, MAR DI MESSINA 295 gonfie. Gli occhi toccano il profilo. Il loro diametro supera di una o due volte lo spazio infraorbitario, è uguale allo spazio che li divide dall’ origine della dorsale ed alle volte minore. I tentacoli sopraorbitali variano in lunghezza secondo il sesso. Nelle femmine non raggiungono il diametro dell’ occhio, nei maschi lo sorpassano anche di una volta. Essi sono sfrangiati lungo il margine posteriore, non divisi o leggermente all’ apice. La narice superiore è posta sul contorno orbitario anteriore; la inferiore si apre appena più indietro ed è munita sul suo contorno superiore di un’ appendice più lunga che larga, leggermente fran- giata sui lati e all’ apice (v. fig. 1). La distanza che separa le due narici di un lato è minore di quella che intercede tra due dello stesso nome. I pori cutanei del capo son poco numerosi, se ne osserva una serie intorno all’ occhio ed un’ altra lungo il mar- gine preopercolare, alcuni altri sono sui lati della nuca. ln un grosso individuo essi si aprivano sulla sommità di piccole emi- nenze della pelle. Tra le due narici superiori esiste costantemente una di queste aperture per ciascun lato. Un' altra, impari, si avverte nel mezzo dello spazio tra gli occhi e l'origine della dorsale e si fa notare per la presenza di una macula bianchic- cia al suo posto. Al di sotto del 1.° raggio dorsale vi è imman- cabilmente su ciascun lato del corpo una breve appendice cuta- nea, appena dilatata e intaccata all’ estremità, per ordinario di color gialliccio o verdiccio. In un caso era lunga quanto il ten- tacolo nasale (v. fig. 10). L'angolo della bocca si trova in di- rezione del mezzo dell’ occhio. I denti incisivi formano su cia- scuna mascella una fascia uguale, perfettamente semicircolare nella inferiore, un poco prominente in avanti nella superiore. I canini inferiori sogliono essere più robusti e più adunchi dei superiori, ma non mancano esemplari che li hanno uguali a questi. Tre volte trovai due canini invece di un solo sopra un lato della mascella superiore, il posteriore di essi era più pic- colo dell’ anteriore. Alle volte questo canino acccessorio sembra mancare perchè non sporge dall’ alveolo. La valvola prelinguale è striata in senso verticale, la superiore è liscia. Il vomere è inerme. I denti faringei sono disposti in serie arcuata semplice, i superiori al numero di 8 circa, gl’ inferiori di 6, per ciascun OSSO. La dorsale nasce in direzione del margine preopercolare e 296 | L. FACCIOLÀ termina disgiunta dalla codale. La sua porzione anteriore è più alta della posteriore e tra 1’ una e l’ altra il margine è profon- damente incavato. Il 1.° raggio poi è allungato al di sopra degli altri, ma non affilato e l'estremità di esso negli adulti spesso mostrasi divisa in 2-5 piccoli lobi. Il 2.° raggio è pure allun- gato, ma meno del primo. Questo poi è più o meno elevato secondo il sesso. Nei maschi è sempre più lungo e sta 1 'j3- 1/4, nelle femmine 1 -'|;, volte nella lunghezza del capo. In queste talora è di poco più alto del 2.° raggio. Le pettorali sono lar- ghe, rotondate, e giungono fino all’ ano, talvolta fino al 2.° rag- gio anale; son lunghe quanto il capo e comprendonsi 5-6 '/, volte nella totale lunghezza del corpo. Il loro raggio più lungo è il 7.° contando dall’ alto. Sopra il loro angolo superiore esiste un lobo cutaneo pinguedinoso, rotondato, della figura di mezza ellissi tagliata nel senso del suo corto diametro, alle volte bi- filo per un seno nel mezzo del margine (v. fig. 11, a). È strano che gli autori descrivendo questo blennio non abbiano fatto pa- rola di una particolarità tanto distinta e costante. Questa pro- duzione è analoga a quella che si trova dietro la commessura della labbra nel Blennius galerita Lin. e che recentemente il Vinciguerra ha richiamata all’attenzione degli ittiologi. Un’ ap- pendice simile a quella del 5. gattorugine ho trovata allo stesso sito nello Scopelus Rafinesquii Cocco. Le ventrali sono piuttosto lunghe, formate da un raggio esterno semplice e corto non vi- sibile nello stato intatto e da tre raggi articolati, di cui il medio supera gli altri in lunghezza. La punta estrema di questi tre raggi è bifida. L' anale sì termina esattamente in direzione della dorsale, ed anche in ciò questa specie si distingue dalle altre. I suoi raggi sono al numero di 17-18 nelle femmine, di 17.19 nei maschi. In quelle ha un solo raggio semplice che è in lun- ghezza '/, del 2.°, in questi ha 2 raggi semplici dei quali il 1.° è soltanto '/, del seguente. La codale ha il margine poste- riore convesso ed è un poco più lunga che alta. Essa forma circa la 5.° parte della lunghezza del pesce. Dei suoi raggi ar- ticolati i due esterni in alto e in basso sogliono essere indivisi e gl’interni bifidi. In alcuni esemplari adulti quelli son bifidi e questi quatrifidi. La linea laterale comincia innanzi l'angolo superiore della fessura branchiale e si dilegua verso l’estremità posteriore delle pettorali. In alcuni esemplari non è del tutto 297 mancante nella porzione posteriore del corpo, scorgendovisi qualche poro isolato. È quasi retta e si compone di vina serie di tubi staccati. La sua brevità concorda con la ordinaria scar- sezza dei pori di senso del capo. L’ano dista dal muso quanto dalla base della codale. Dietro ad esso ed in vicinanza della base del 1.° raggio anale si avverte nei maschi un forame sem- plice che è l’orificio esterno dei testicoli e della vescica urina- ria (v. fig. 831). Nelle femmine l’ apertura genito-urinaria occupa lo stesso sito; alcune volte però è un poco più innanti; essa è provveduta anteriormente di un ribordo cutaneo non sempre distinto; immediatamente dietro esiste un tubercoletto rotondo sprovvisto di qualunqne apertura che potrebbe supporsi per l’ uscita dell’ urina (v. fig. 24). I maschi oltrecchè per mancanza di questa lieve prominenza si distinguono per. una minima par- ticolarità, ed è che la pelle dei due primi raggi anali si pro- lunga un pocolino oltre l'apice costituendo un’ appendice molle e nerastra. Ma questa appendice è cosa diversa da quei gruppi di papille che si trovano allo stesso sito nei maschi di altre specie e che secondo Valenciennes non mancherebbero in questa, ma io non ne ho mai vedute e sono sicuro che mancano . I caratteri sessuali esterni di questa bavosa si comprendono adunque nel seguente prospetto: MASCHI I tentacoli sopraorbitali superano il diametro degli occhi. Il 1.° raggio dorsale è notevolmente più lungo del capo. Il numero dei raggi anali è 17-19. I BLENNII DEL MAR DI MESSINA FEMMINE I tentacoli sopraorbitali sono più corti del diametro dell’ occhio. Il 1.° raggio dorsale è lungo quanto o appena più del capo. Il numero dei raggi anali è 17-18. Vi sono 2 raggi semplici all’ anale. La pelle dei due primi raggi anali si prolunga un poco oltre l'apice di questi. Vi è un'orifizio genito-urinario sem- Vi è un solo raggio semplice all’anale. I due primi raggi anali non si pro- lungano in appendice cutanea. L’orificio genito-urinario porta un tu- plice. bercoletto. Il tronco è di color grigio-giallastro o semplicemente cinereo tra fasce trasversali oscure poco intense, sopra i cui margini spiccano alcuni grossi punti nerastri. La metà inferiore di questa parte del corpo alle volte è ornata di una serie di grandi mac- chie celestine, oppure è percorsa da striscie longitudinali gial- lastre oscure su di un fondo ceruleo. Il ventre è biancastro, oppure coperto di macchie rancie. Il capo alle volte è di un grigio giallastro più chiaro di quello del corpo. In un caso era 298 |‘ I. FACCIOLÀ rosso-violaceo. Lo spazio interorbitaric è nerastro, in un esem- plare nella parte posteriore era bleuastro. L’ iride spesso è del colore che ha nella gallina domestica, alle volte è parzialmente giallo-aurata. I tentacoli sopraorbitali son nerastri. L’ appendice cutanea pettorale innanzi rimarcata è bicolore avendo la sua metà superiore per solito gialliccia o verdiccia e la metà infe- riore rossiccia od oscura. La pinna dorsale è grigio-giallastra con strisce brune e macchie dello stesso colore oppure bianche. Alle volte è verdastra. Tra il 1° e 2.° raggio dorsale la tinta suol’ essere più scura. Tra il 5.° e 1°8.° o talvolta il 7° rag- gio evvi una grande macchia nera circondata di bianco, ca- ratteristica della specie. Essa è posta sulla metà superiore dell’ altezza della pinna, alcune volte assai vicina all’ estremo lembo di questa. Non ho trovato differenze nella grandezza od altro carattere di questa macchia nei due sessi. I suoi margini sogliono essere irregolari; in un caso era allungata sul senso della lunghezza del corpo. Il Canestrini invece ha descritto e rappresentato questa macchia di figura regolarmente circolare e dice che in alcuni esemplari avvene due, una tra il 5.° e 6, l’altra tra il 6.° e 1° 8.° raggio. Anche Rondelet ha rappresen- tato questo blennio con due macchie nella dorsale. Le pettorali, le ventrali, l’anale e la codale sono nerastre, specialmente verso i margini. Quest’ ultima spesso è piuttosto giallastra oscura. L'anale non è orlata di bianco. Ma in taluni esemplari le punte estreme di questa pinna, della codale e della dorsale s’ intingono di bianco. Un individuo adulto preso sul mercato avea il lato destro di una tinta molto sbiadita in paragone a quella del lato opposto e quasi biancastra; le fascie trasversali ivi erano pure poco distinte, persistendo nei loro margini i punti nerastri notati e il coloramento ordinario dell’iride. Dopo qualch’ ora questo lato del corpo divenne scuro come l’ altro. Siffatta mu- tazione fu prodotta da espansione de’ cromatofori retratti. Ho trovato che l’animale morto posto nell’ acqua dolce acquista una tinta sbiadita, biancastra. La pelle distaccata dal tessuto cellulare sottocutaneo conserva i propri colori oscuri dovuti alla presenza di cromatofori ramificati di figura regolare. Sulla grande macchia nera della dorsale questi sono agglomerati e sembrano diventati dei punti inerti. Intorno ad essa, nell’aureola bianca, sono radi e completamente retratti, I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 299 Il canale intestinale è piegato una volta, più ampio nella porzione gastrica, si restringe in seguito e si riallarga un poco nell’ ultimo tratto. Esso prende attacco sulla faccia superiore del fegato. La costituzione della membrana mucosa conserva un carattere quasi uniforme in tutta la sua estensione. Nella porzione gastro-esofagea offre pieghe longitudinali flessuose, tra due più alte ve n’ ha per regola una più bassa, la quale alle volte viene rimpiazzata da prominenze isolate. Queste pliche si continuano nell’ intestino propriamente detto, ove diventano più sottili e più regolari. Nel retto, il cui principio è segnato da un bordo circolare rilevato, assumono una disposizione irregolarmente reticolata. La lunghezza del canale è un poco più grande di quella del corpo, come indicano le seguenti misure: Lunghezza Lunghezza del corpo dell’ intestino 0.2, 120 0.2, 165 0.2, 122 0.2, 185 0.2, 155 0.", 180 0.2, 160 DELIO I corpi trovati nel suo interno erano alghe foliacee e fila- mentose, resti di crostacei isopodi e decapodi brachiuri, fram- menti di coralli, vermi del genere Nereis. Il fegato è formato di due lobi di cuì il sinistro è più grande. La cistifellia è piri- forme o a forma di fagiuolo. La vescica urinaria occupa tutta la lunghezza del cavo addominale ed è rotondata nella sua estremità anteriore. Le glandule genitali nello stato di riduzione portano due liste bianche di grasso e sono corte. Le uova dap- prima sono bianche, poscia ingrossando diventano rancie. Il pe- ritoneo deile pareti del ventre è di color bianco leggermente splendente e piuttosto latteo. La mandibola è robusta, dietro i canini offre una punta os- sea diretta in dietro che è l'estremità posteriore dell’ osso den- tario. Di contro a questa ve n’ha un’altra simile che sorge 300 I. FACCIOLÀ dall’ osso angolare. L’ osso articolare è saldato col dentario. Il forame del canale dentario è grande ed ovale. L’intermascel- lare è più robusto di quello delle altre specie. I suoi pedicoli corti e spessi aderiscono contro l’ estremità anteriore dell’ etmoide che si stende un poco in avanti di essi e gl’impedisce così di scorrere al di sopra. Il mascellare superiore è pure completa- mente immobile, stando la sua porzione anteriore conficcata tra l’unguis e l’intermascellare, al quale inoltre offre un solco. La sua estremità anteriore articola col vomere e col palatino, la posteriore è troncata. Il nasale discende diritto sul lato esterno dell’ etmoide e dell’ apofisi montante dell’ intermascellare. Esso concorre col frontale, col lagrimale e coll’ intermascellare a for- mare la cavità della narice. Il sottorbitale è stretto per meglio ingrandire l'enorme incavo della regione palato-temporale. Dietro i frontali posteriori il cranio è fortemente ristretto, presso a poco a forma di cono. Dal punto ristretto al forame occipitale la sua faccia superiore discende dolcemente. I parietali stanno alquanto inclinati. Dalla loro sutura s’ innalza una cresta che dividesi posteriormente in due branche divergenti. Queste si ter- minano all’ osso mastoide. La cresta media posteriore del cranio od occipitale superiore vi manca completamente. Le creste in- termedie ed esterne sono appena indicate. Il vomere è saldato con l’ etmoide. Il palatino si unisce al trasverso in un solo pezzo dritto. Il pterigoideo interno è posto verticalmente formando una sola lamina col giugale e timpanale. Il temporale propria- mente detto si trova disgiunto e discosto dal frontale poste- riore pel notato restringimento del cranio dietro le orbite. Esso articola invece, oltre al mastoideo, con l’ala temporale nel punto ove questa si congiunge col parietale. Lo sfenoide si prolunga inferiormente in una stretta lamina tagliente. Il preopercolo è di forma semilunare e verso il mezzo del suo margine posteriore ha una incisura. L’opercolo è triangolare, col bordo anteriore concavo, coì lati superiore e posteriore retti. Il subopercolo è alquanto allungato; stretto e puntuto in basso, più largo e la- minare in alto; il suo lembo posteriore si trova più indietro di quello dell’ opercolo; il margine anteriore si prolunga in due ben distinte spine, delle quali una più corta nasce verso il mezzo della lunghezza, l’ altra più lunga forma la sua estremità su- periore. Queste due spine abbracciano l’ opercolo, l’ apice del I BLENNII DEL MAR D! MESSINA 301 quale viene ricevuto nell’ angolo che la spina inferiore fa col margine anteriore da cui si spicca, mentre la spina superiore sta assai bene addossata al lato posteriore dell’ opercolo. Il so- prascapolare è articolato al cranio per due estremità, di cui una corta è in rapporto con l’ occipitale esterno, l’ altra in forma di apofisi col mastoideo. Lo scapolare un poco curvato s’ incrocia con l’ omero passandovi al di sopra, invece di formare una curva regolare con esso. Quest’ osso omerale offre due creste anteriori, limitanti l’ incavo che viene riempito da muscoli, ed una poste- riore. Si riunisce al compagno innanzi al bacino. Non vi è traccia di radio e cubito. Gli ossi carpali s' inseriscono direttamente al bordo posteriore dell’ omero, sono stretti nel mezzo e larghi ai due estremi in guisa da lasciare tra essi degli spazi ellittici. Ciascuno di essi risulta di due porzioni triangolari che si con- giungono per gli apici. Ma ve n’ ha uno incompleto, ch’ è il più inferiore, rappresentato dalla sola metà anteriore inserita sul- l’omero. Le pelvi sono rappresentate da due lamine corte e lar- ghette, aderenti al bordo inferiore degli omeri poco indietro della sipfisi di questi. La 1.° e la 2.* vertebra mancano di pro- cessi spinosi superiore ed inferiore e risultano del corpo e del- l’arco che è più delicato di quello delle vertebre seguenti. Questi due primi archi od anelli restano separati e distanti tra essi come pure dall’ occipite e dall’ arco della 3.° vertebra. Gl’ inter- valli vengono coperti da tessuto membranoso. Le emapofisi co- minciano a riunirsi per formare un forame sulla 9. vertebra, ma le loro estremità restano disgiunte sino alla 12.° vertebra, sulla quale cominciano a riunirsi per prolungarsi nel processo spinoso o ematospina. Mancano completamente le apofisi trasverse. Le articolari sono pochissimo sviluppate. Di esse la più distinta è la postero-inferiore. Le coste s' impiantano sulle apofisi emali; sulle due prime vertebre, che mancano di queste apofisi, pren- dono attacco in alto, sull’ arco. Esse ad eccezione delle due prime, portano alla loro base una costa accessoria od epipleurale. Il 1.° e il 2.° interneurale s’ inseriscono sull’occipite. Il 3.° e il 4.° si trovano iu direzione delle due prime vertebre, ma restano nella spessezza della carne essendo queste sprovviste di reuro- apofisi. Nelle mie note trovo d’ aver veduto individui con ovarii o testicoli ingrossati a dì 8 e 27 febbraio, 16 aprile e 13 maggio, 302 L. FACCIOLÀ Esemplari adulti avuti al principio di novembre e in gennaio non offrivano alcun ingrossamento delle glandule genitali. An- cora non mi è capitato di vedere esemplari giovani di questa specie. Il più grosso che ho avuto presentava le seguenti di- mensioni. Lunghezza del ‘corpo 0%, 19 è Massima altezza 0", 044 hi spessezza 0", 029 Altezza della radice della coda 0", 016 Dall’ estr. del muso all’ano O”, 076 Lunghezza del capo 0”, 045 Diametro dell’ orbita 0”, 012 Spazio infraorbitale più stretto 0%, 005 Tentacolo sopraorbitale 0%, 016 Lunghezza del 1.° raggio dorsale 0%, 060 5 delle ventrali - 0%, 027 ni delle pettorali 0”, 030 a, della codale 0%, 038 Il Vinciguerra cita due esemplari di questa specie presi nel golfo di Genova a 90 metri di fondo ('). Anche qui vive in luoghi piuttosto profondi e si prende comunemente insieme ad altri pesci col così detto rampino fino a 50 passi. I pescatori dicono che quando vien presa si difende coi ‘denti cercando di mordere. Sul mercato di Messina apparisce poco frequente. Vive in tutto il Mediterraneo e nelle parti limitrofe dell’ Oceano. 2. Blennius pavo. (1554 Rond.) BI. pavo Riss. Icht. p. 133. » Cuv. Val. Hist. XI, p. 238. Giinth. Cat. III, p. 221. » Canestr. Blenn. p. 97, T. IV, f. 4. s Vincig. Blenn. p. 10 (439). L altezza del tronco entra 5-6 volte, la lunghezza del capo 41/,-5'/, volte nella totale lunghezza. La spessezza è metà dell’ altezza. (1) Risult. ittiol. Croc. Viol. 1883, p. 73. I BLENNII DEI, MAR DI MESSINA 303 I tentacoli :sopraorbitali sono semplici o poco divisi all’ apice, e brevi. La narice inferiore ha un solo cirro. Esistono due canini in ciascuna mascella; gl’ inferiori più robusti dei supe- riori. Il vomere porta un piccolo dente acuto. Le appendici branchiali sono munite di un sol denticolo. I maschi hanno sul capo una cresta pinguedinosa che inturgidisce nell’ epoca degli x amori. IL corpo è ornato di macchie e lince celestine. D. 12+22-23, P. 14, V.1+3. A. 324 22-24, 2 14-22-23. 0 fora gl) Ro r | Dent. 94 20° Vert. 10 + 29. Il profilo del capo ascende dal muso insino alla nuca in linea curva più declive nei maschi, meno nelle femmine, indi si ab- bassa leggermente in linea retta fino alla codale. Il profilo in- feriore segue un andamento simile. Le guancie sono poco rigonfie. Gli occhi non toccano il profilo. Il loro diametro eguaglia lo spazio che li divide sulla fronte ed entra 5// volte nella lunghezza del capo. I tentacoli sopraorbitali sono sì brevi che abbassati non sorpassano il semidiametro dell’ occhio. La na- rice superiore è in prossimità del contorno anteriore dell’ orbita; la inferiore porta sul margine superiore un breve cirro semplice (v. fig. 7). Esse distano tra sè per metà dello spazio che si frappone tra le due inferiori. 1 pori cutanei del capo sono scarsi, una serie se ne osserva lungo il margine preopercolare, un’ altra intorno all'occhio. L'apertura della bocca non oltrepassa il mar- gine anteriore degli occhi. Il labbro inferiore è distintamente bilobo. La curva formata dai denti è in ciascuna mascella al- quanto prominente nel mezzo. In nessun caso vidi mancare al- cuno dei canini. Gl’inferiori erano sempre più robusti e più lunghi dei superiori. Il vomere porta un piccolo dente mediano acuto. Sopra ciascun osso faringeo esistono circa 6 denti acuti disposti ad arco e dietro ad essi alcuni altri più piccoli. Le due valvole retromascellari sono egualmente sviluppate, la in- feriore ha fine pieghe verticali, la superiore è liscia. 304 0 i L. FACCIOLÀ La dorsale nasce in direzione della fessura branchiale e ter- mina quasi congiungendosi con la codale. Il suo margine libero è lievemente emarginato all’ unione della sua porzione pseudo- spinosa con la molle, la quale suol’ essere un poco più elevata. In alcuni è impossibile distinguere ad occhio nudo questo punto per l’ uniformità del detto margine. Parecchi dei suoi raggi molli assai di sovente sono biforcati. In un esemplare ve n'erano dieci. Ciò costituisce una nota assai caratteristica di questa specie. Le ventrali risultano di un raggio esterno semplice e breve e di tre raggi articolati. Le pettorali sono rotondate, compren- donsì 6 '/, —- 6 */; volte nella lunghezza totale del corpo e giun- gono fino all’ano; talvolta ne restano più innanzi ma non mai lo sorpassano. L’anale termina un tantino più in avanti che la dorsale, all’ origine dei primi raggi della codale. I suoi ultimi raggi non di rado sono bitidi sull’estremità, come i corrispon- denti della dorsale, ma in minor numero e meno distintamente. Nei maschi il suo primo raggio è metà della lunghezza del se- condo, questo del terzo. Nelle femmine è breve il solo primo raggio, cioè metà del secondo. La codale ha il margine con- vesso. La linea laterale comincia dall’ angolo della fessura bran- chiale, s' inarca al di sopra delle pettorali, indi discorre in linea retta insino alla codale. Per regola nel suo principio esistono due serie di pori opposti tra essi, e in tutto il resto una sola serie di pori distanti. Alle volte affatto in avanti vi ha un solo ordine di pori lungo il mezzo del canale, indi nel resto della porzione inarcata e nel principio della porzione retta dei pori ravvicinati due a due con un breve canale. In taluni individui dal principio della porzione retta sì stacca inferiormente un'altra serie di pori che si porta in avanti in linea dritta. Si. direbbe allora che la linea laterale è bifida. L’ano dista dalla radice della coda per '/, —'/ di più che dal muso. Nelle femmine 1’ orificio genitale è sormontato da un piccolo lembo semilunare; immediatamente dietro si scorge un tabercoletto senza alcun orifizio (v. fig. 27). Nei maschi dietro l’ ano esiste pure una sola apertura genito-urinaria, ma sì trova all’ estremità di un tubo conico, troncato all’apice e più sviluppato di quello delle altre specie che ne sieno fornite (v. fig. 36). Indi si avvertono due sruppi di papille nerastre attaccate sui due primi raggi anali, rotondate.. Sovente si nota un terzo piccolo rigonfiamento sul I BLENNII DEL MAR Dì MESSINA 305 margine della membrana che unisce il 2.° al 3.° raggio. In un esemplare invece delle ordinarie papille, i due primi raggi anali erano vestiti da una pelle più spessa. Sulla regione delle narici, sulle guancie, sull’ opercolo sono punti,e macchiette celestine splendenti. Un ocello bleu circon- dato di celestino orna la tempia. Delle fascie oscure, poco ap- pariscenti, limitate da linee o da tratti interrotti di color cele- stino scendono sui lati del capo e della parte anteriore del tronco; le prime si congiungono a capriolo al di sotto della mascella, le altre montano sulla dorsale; nel resto di quest’ ala alle volte esistono altre simili fascie senza che appariscano ai lati della porzione corrispondente del dorso. 11 restante del corpo è disseminato di macchiette celestine che in alcuni sono assai piccole e puntiformi. Altre simili macchiette sono sparse sulla dorsale. Una serie ne esiste alla base dell’ anale da ciascun lato, la quale pinna è inoltre orlata di bianco. L’ estremità della co- dale è di color feccia di vino. Le pinne pettorali e ventrali sono giallo-verdiccie. Ma questi colori abituali vanno soggetti a mu- tare notevolmente. Ai 21 aprile del 1882 acquistai sul mercato cinque esemplari di questa specie e uno di 5B/. palmicornis in- sieme a de’ Gobius niger, tutti presso a poco della medesima statura. I blennii aveano il capo, il tronco, le pinne, non escluse le ventrali, di color nerastro come in questi ultimi, sicchè per colore, forma e grandezza molto li assomigliavano nell’ aspetto esteriore. Questi pesci erano stati presi nella stessa circostanza ed è perciò naturale il pensare che i blennii vivendo in società coi Gobius niger ne aveano imitato il colore. Dopo qualche ora che lì ebbi tra le mani la tinta divenne meno oscura e quasi verde-giallognola lurida, non così quella de’ Gobius che rimase qual’ era. La pelle è ricca di corpuscoli pigmentarii come la fascia superficiale. Staccata conserva quasi lo stesso colore che avea in posto, dovuto all’espansione di essi corpuscoli. In cor- rispondenza delle macchie e linee celestine i corpuscoli dello strato profondo non soffrono alcuna modificazione, essendo per numero, grandezza e grado di colore simili a quelli degli altri punti del corpo. I cromatofori della pelle ivi sono invece re- tratti e perciò più neri. Negli individui di color nerastro uni- forme suddetti la distensione di questi elementi avea apportato la rottura della propria membrana. In effetti la sostanza co- 306 L. FACCIOLÀ lorante era diffusa egualmente e in mezzo ad essa splendeano numerosi nuclei liberi (v. fig. 17). Il celestino delle macchie e linee del corpo sì era mutato in colore più scuro di quello del fondo, cioè in nero. Il tubo alimentare è più o meno corto, piegato qualche volta. Precedentemente notammo un caso in cui era meno di metà della lunghezza del corpo. In altro era lungo quanto il corpo. In un terzo esemplare lungo 117 millim. misurava 130 millim. In sei individui avuti in epoche differenti conteneva crostacei isopodi, simili agli onisci terrestri. La sua interna mem- brana è conformata sullo stesso andare di quella delle altre specie. Nello stomaco offre pieghe flessuose, interrotte, irrego- lari e piccole prominenze isolate. Passando nell’intestino pro- priamente detto queste pieghe diventano regolari, dritte, longi- tudinali, e vanno sempre più attenuandosi fino a poter dispa- rire completamente per mostrarsi di nuovo nel retto. Il fegato è più o meno biancastro, conformato e disposto come nelle altre” specie. La vescicola del fiele è alquanto allungata. I testicoli nello stato di riduzione sono corti, compressi, di figura ellittica ed occupano quasi la parte media della cavità addominale, stando un poco più vicini alla sua estremità posteriore che all’ estre- mità opposta. La loro sostanza glandulosa propriamente detta è posta sulla faccia inferiore di una placca adiposa che forma i bordi dell’intero organo. I canali deferenti emergono un poco più vicino all'estremo posteriore di questo, sì dirigono in dentro, indi corrono dritti sulla parte media della parete inferiore della vescica urinaria, con la quale hanno uno sbocco comune. Le uova mature hanno un punto aranciato nel mezzo del contenuto. Sono di forma rotonda e non ovale (Valenc.). Dietro le orbite il cranio è assai ristretto come nel BI. ocel- laris. Per siffatto restringimento il temporale superiore resta disgiunto dal frontale posteriore. I parietali stanno inclinati lungo la linea mediana suturale, da cui s' innalza una lamina tagliente longitudinale o cresta sagittale, la quale in dietro si unisce ad una cresta trasversale o lambdoidea che si eleva dagli occipitali e si termina all'estremità del mastoideo, ove quest’ osso articola col soprascapolare. La faccia posteriore del cranio, in- grandita da questa cresta, trovasi su di un piano verticale, nel BI. ocellaris questo piano è invece inclinato. Il punto di con- I BLENNII DEL MAR DÌ MESSINA 307 giunzione della cresta sagittale con la trasversa sì può consi- derare come la spina media posteriore del cranio, mancano però la spina esterna ed intermedia. La regione temporale è molto scavata. Le due prime ossa interneurali restano nella carne per la mancanza di processi spinosi sulle due prime vertebre e non aderiscono nemmeno all’occipite perchè la dorsale nasce in dire- zione della fessura branchiale. La 1.° e la 2.* costa si attaccano sull’ arco delle due vertebre corrispondenti, essendo queste man- canti di apofisi emali. Finora mi è successo di vedere individui in frega soltanto in aprile. I maschi sono più numerosi delle femmine. L’esem- plare più lungo misurava 0», 115. Vinciguerra riporta esem- plari lunghi più di un decimetro. Questa specie vive nel Me- diterraneo. In Messina è meno frequente del LI. palmicornis e del tentacularis. Secondo Vinciguerra è fra le più comuni del- l’ Adriatico. Osservaz. Valenciennes dice che dietro l’ ano vi è un pic- colo tubo carnuto, lungo mezza linea, con un forame alla sua estremità, che è l’orificio del testicolo. Questo tubo è seguito da una specie di tubercolo in forma di fragola, risultante da una duplicatura della pelle; una seconda fragola, simile a questa, esiste dietro l’orificio della vescica urinaria. — Secondo l'A. dunque questo orificio sarebbe separato dal genitale e si trove- rebbe tra i due gruppi di papille. Ma un attento esame, fatto anche con l’aiuto del microscopio, non mi ha fatto mai scor- gere nei maschi, come nemmanco nelle femmine, un orifizio urinario distinto dal genitale. Se sì accompagnano i canali de- ferenti nel loro corso si vede che essi vanno a sboccare presso l'estremità della vescica urinaria. I due gruppi di papille stanno attaccati sui due primi raggi anali e per avverarsi l’apertura della vescica urinaria tra questi bisognerebbe che la cavità del ventre sì prolungasse oltre il principio della pinna anale. Se. Nat. Vol. VI, fasc, 2.° i o 308 L. FACCIOLÀ 8. Blennius gattorugine (1685) BI. gattorugine, Willugh. p. 132, c. 20, e t. H. 2, f. 2. Cuv. Val. Hist. XI, p. 200. 3 x Giinth. Cat. III, p. 212. Canestr. Blenn. p. 90, t. II, f. 1. Vincig. Blenn. p. 4 (433). L’ altezza del corpo è uguale alla lunghezza del capo e sta 4‘/, —5 volte nella lunghezza totale. I tentacoli sopraorbitali sono lunghi e palmati. La narice inferiore è provvista di un solo ciuffetto di ciglia. Per ordinario vi sono due deboli canini nella sola mascella inferiore. Mancano denti sul vomere. Le appendici branchiali portano 1—3 denticoli. Il corpo è ornato di fascie trasversali oscure. DATES OPA VAI A. 8 2+-19-21; © 1-2+-19-21 - 20-22 (non 23). 5641-24 5-6=12 13 Li ae ZE Soa 39-48 Dent. 0-24 83-45 Vert. 11+-25 Il capo è poco più lungo che alto, compresso sui lati; la sua spessezza è circa */, della lunghezza. ]l profilo ascende rapida- mente in linea convessa dal muso insino al 1.° raggio dorsale, donde va leggermente declinando in linea retta fino alla coda. Il profilo inferiore del corpo segue un andamento simile. La nuca e lo spazio interorbitario sono profondamente solcati. Le guan- cie rigonfie. Gli occhi toccano il profilo. Il loro diametro entra 1-2 volte nello spazio infraorbitario, 2 volte nella distanza dal- l'estremità del muso. La pupilla è chiara. I tentacoli sopraor- bitarii nei giovani sono in proporzione al corpo più corti che negli adulti, nei quali possano giungere, abbassati, fino alla base del 3.° raggio dorsale. Sono ramificati sul lato interno ed esterno, specialmente verso la base ed hanno in tutto 34-50 estremità. I BLENNII DEL MAR Dl MESSINA 309 La narice superiore è posta innanzi al margine anteriore degli occhi. L’ inferiore si apre in direzione dritta della superiore, da cui dista meno dello spazio che la divide dall’ opposta omonima. Essa è fornita di un orlo membranoso, il cui segmento supe- riore si prolunga in un’ appendice palmata composta di 5-10 fi- lamenti quasi di una stessa lunghezza (v. fig. 2). Sul capo sono sparsi pori catanei alcuni dei quali si dispongono in serie sul contorno inferiore dell’ occhio e sul margine preopercolare, altri aggruppansi dietro la tempia e sulla nuca. Due si aprono su due eminenze della pelle poste una a destra e 1’ altra a sinistra al di sotto della mandibola, come nel 27. ocellaris. Lo squarcio della bocca giunge fino al di sotto del margine anteriore degli occhi. Non esistono denti canini nella mascella superiore, gl’ in- feriori, se pure meritano il nome di canini essendo spesso poco diversi dagli altri denti, possono mancare. Alle volte sono due incisivi situati un poco più in dietro degli altri denti. Due simili denti trovansi in alcuni anche sulla mascella superiore. Gl’incisivi inferiori sono disposti sopra un ben descritto semicerchio, i su- periori formano invece una curva alquanto prominente in mezzo. I denti faringei superiori ed inferiori sono al numero di 10 circa sopra ciascun osso, in serie semplice ad arco. Le due membrane retromascellari superiore ed inferiore sono bene sviluppate; con pieghe verticali sulla loro taccia anteriore, più fine nella su- periore. La dorsale comincia in direzione del margine preoperco- lare e termina congiungendosi alla base della codale; sulla con- tinuazione della sua porzione pseudospinosa con la molle, ch’ è più alta, ha il margine lievemente incavato. Le pettorali son larghe e rotondate, tanto alte quanto lunghe, in dietro giungono fino all’ano o quasi ed uguagliano il capo in lunghezza o pres- sochè. In un esemplare la pettorale destra avea 13 raggi e 14 la sinistra. L'anale termina più in avanti che la dorsale. Nei maschi porta due raggi brevi, essendo il 1.0 '/3-'/; del 2.° e questo pure 1/2-'/3 del seguente. Nelle femmine i raggi brevi dell’ anale sono da uno a due, perchè il 1.° è '/,-'/, del 2.°, e questo ora '/, del 5.° ed ora di lunghezza normale. La codale cape 6 '/,-6 '/, volte nella lunghezza totale del pesce. La linea laterale principia dal- l'angolo superiore dell’ apertura branchiale, dapprima scorre leggermente inarcata, verso l’ estremità posteriore delle pettorali 810 L, FACCIOLÀ si abbassa in linea concava, indi va dritta fino alla coda. Nella sua porzione soprastante alle pettorali è costituita da due serie di pori opposti, al numero di 17 circa per ogni serie. L’ ano si apre nel mezzo della distanza dell’ estremità del muso dalla base della codale o un poco più innanti. Più vicino alla base del 1.° raggio anale che all’ ano esiste nei maschi un solo ori- fizio per l’ uscita del seme e dell’ urina (v. fig. 31). La pelle che copre il 1.° e 2.° raggio anale mostra in essi un aspetto ruvido dovuto alla presenza di assai piccole e numerose prominenze rotonde, che s’ ingrossano all’ epoca degli amori in modo da costituire due eminenze fangiformi. Sul 1.° raggio sì estendono su tutta la superficie della pelle che lo riveste o lo rende corto e largo, sul 2.° invece sono limitate all’ apice, da dove possono continuarsi anche sul margine della membrana inter- media del 2.° e 3.° raggio. Nelle femmine 1’ apertura genito-uri- naria è sormontata da una piega semilunare, segne immediata- mente un picciolo tubercolo (v. fig. 23). I colori del corpo in questa specie non sono gran fatto va- riabili. Sopra 1 lati si osserva dapertutto un reticolo biancastro e dentro le sue maglie un giallo-rossiccio oscuro, la cui tinta diventa più fosca sulle fascie trasversali ed in generale più chiara e quasi aranciata nella parte inferiore del corpo e sul ventre che altre volte è verdiccio uniforme. Le fascie trasversali sono al numero di 7-8, rossiccie oscure in alcuni, olivacee in! altri, orlate di bianco celestino. La prima è sul capo, irregolare e ad essa appartiene la grande macchia oscura della tempia. Le fa- scie seguenti ascendono sulla dorsale volgendo obliquamente in avanti e arrivano in basso fino al profilo inferiore del corpo. Verso il mezzo della loro lunghezza sono spezzate per modo che la loro metà inferiore trovasi spostata un poco più indietro della superiore ed in alcuni tutta in corrispondenza dell’ inter- vallo di due porzioni superiori. Le porzioni inferiori di fascie sono meno fosche e alle volte biancastre per avere i tramezzi del detto reticolo più larghi. Anche gl’ intervalli tra queste porzioni di fascie, corrispondenti alle semifascie superiori, sono spesso più chiari di quelli della porzione superiore del corpo. Si noti che il detto spostamento diviene meno marcato indietro finchè le ultime fascie riescano quasi uniche. Le fascie di cui si paria verso il margine inferiore del corpo non di rado smem- I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 811 bransi e riunisconsi così a quelle del lato opposto. Tra il 2.° e 4° o 5.° raggio della dorsale vedesi una macchia oscura lascia- tavi dalla 1.° fascia del tronco. I lati del capo hanno alle volte screziature celestine. L’ iride è rossiccio-fosca, i tentacoli orbitali sono più o meno verdi-giallastri con macchiuzze sanguigne. In un esemplare i pori del margine preopercolare aprivansi su macchiette bianche. La gola suol’ essere ornata di fascie bianche capriolate. Il colorito delle pinne varia un poco; generalmente è più o meno giallastro, sparso in taluni di macchie rossiccie, che dispongonsi in più serie sopra le pettorali, come nel I. palmicornis. La codale e l’ anale sono spesso oscure. Quest’ ultima è sempre orlata di bianco. Le estremità dei raggi della dorsale sono pure bianche. Su ciascun lato della radice della coda esì- stono due macchie giallastre. Sulle fascie oscure vedevansi al microscopio cellule pigmentarie espanse, tra esse anastomizzate per mezzo dei prolungamenti ramificati e sparse di numerosi punti rifrangenti. Tra le fascie vi erano pure cellule con pro- lungamenti, ma più piccole e tra esse divise. Il tubo digestivo sorpassa un poco la lunghezza del corpo, più ampio nella porzione gastro-esofagea conserva in seguito un calibro uniforme fino alla valvola del retto, nel quale si riallarga. La sua membrana interna nella detta porzione inge- rente è sollevata in pliche più o meno irregolarmente disposte, ondulate, le quali continuandosi nell'intestino medio diventano più regolari, longitudinali e ravvicinate e a misura che si va in dietro sempre più basse. In un caso quelle dello stomaco erano intaccate più o meno profondamente sul margine in modo da formare quà e là delle creste isolate. La mucosa del retto è liscia. Il fegato è grosso, posto nella parte anteriore e media della cavità addominale, di color bianco o roseo. I testicoli fuori l'epoca della frega sono stretti, allungati, posti nella parte media del cavo. In un soggetto pronto alla riproduzione presentavano una porzione anteriore più grossa, più consistente, con un solco longitudinale sulla faccia superiore; il sinistro inoltre era diviso da una scissura trasversale in due lobi; posteriormente il tes- suto era molle e lobulato. Le uova sono alquanto schiacciate, specialmente quelle che si trovano verso la superficie dell’ or- gano. Quelle che vidi aveano un color celestino con un punto oscuro in mezzo, alia L. FACCIOLÀ Il cranio somiglia più a quello dell’ ocellaris. Nondimeno le mascelle sono più deboli, i pedicoli dell’ intermascellare più lun- | ghi e più gracili, dritti e tra essi riuniti; in alto urtano contro l’ etmoide, sui lati aderiscono alle ossa nasali, le quali sono inar- cate, dilatate sull’ estremità inferiore e si congiungono inoltre coi frontali anteriori in alto e col preorbitale in basso. Gl’inter- mascellari sono relativamente ai mascellari superiori più lunghi. che nell’ oce/laris. Questi ultimi articolano per anfiartrosi tra essi, col preorbitale, col vomere e con l’ intermascellare; al quale offrono un tubercolo sull’ estremità inferiore della lero porzione interna. Le narici sono limitate dal nasale, dal pre- orbitale e dal frontale anteriore. Lo sfenoide, oltre alla lamina inferiore verticale, offre in avanti due espansioni laterali. I frontali medi sono scanalati, i frontali posteriori hanno il mar- gine crenellato. I parietali sono piani, larghi, inclinati. Tra essi e i frontali posteriori il cranio è fortemente ristretto in modo che l'osso quadrato resti disgiunto e ben discosto da queste ultime ossa. Tra i due parietali indietro. s° interpone una lamina piuttosto larga, la quale può esser considerata come un occipitale superiore o come un interparietale. Per questa disposizione la cresta interparietale propriamente detta è corta, poichè si divide bentosto in due creste laterali divergenti che sorgono sulla su- tura di ciascun parietale con l’ occipitale superiore od interpa- rietale e vanno a terminare al mastoideo. Delle spine posteriori del cranio la media manca completamente, l’' intermediaria e l’ esterna sono alquanto sviluppate. La lamina palato-temporale è considerevolmente depressa. Il preopercolo non ha incisura sul margine posteriore. L° opercolo è triangolare, ha il lato an- teriore concavo, il superiore (base) retto. Il subopercolo è stretto, allungato. Dal mezzo del suo lembo anteriore spicca un sottile processo che si dirige in alto; superiormente si termina in altra apofisi. Tra questi due prolungamenti viene ricevuto l’ opercolo. 11 soprascapolare è biforcato per articolarsi col mastoideo e con l’ occipitale esterno. Lo scapolare è larghetto, compresso, quasi rettangolare. Esso si congiunge con l’omero per la sua faccia interna. Il coracoide aderisce a queste due ossa per la sua estre- mità superiore allargata a paletta e si compone di due pezzi stiliformi. Nessuna traccia di radio ed ulna. Le ossa del carpo impiccioliscono andando verso il più alto. Il bacino è rappre- I BLENNII DEL MAR DI MESSINA allo sentato da due lamine triangolari. La cavità che risulta dalla loro congiunzione con gli omeri è divisa in avanti da un setto osseo mediano. La 1.° vertebra è priva di neurospina, la 2. l’ha brevissima in paragone delle seguenti. Non esistono apofisi tra- sverse. I due primi interneurali sono trasformati in due lamine triangolari riunite insieme in una placca che sì articola col cranio. Il regime di questa bavosa è, se non esclusivamente, a pre- ferenza animale. Fra i corpi contenuti nel tubo alimentare notai resti di crostacei decapodi brachiuri, assai spesso pezzi di una membrana bianca, mollastra, sparsa di alveoli che non ho po- tuto determinare, e alcune conchiglie spettanti alle specie Nassa corniculum Olivi [Buccinum] e N. Cuvieri Payer. In uno vidi grani di pepe spappolati. Una sola volta rinvenni porzioni di alghe. Valenciennes vi trovò coralline ed altri piccoli polipai sminuzzati dall’ azione dei denti. Incontrai esemplari fecondi ai primi di febbraio, un individuo poco adulto il 22 luglio, nato probabilmnte in giugno ed un altro giovane al 1.° di ottobre, altri giovani in novembre. Canestrini dice che questa specie raggiunge una lunghezza di circa 30 centimetri. In un esemplare maschio notai le seguenti dimensioni: Lungh. totale del corpo 0", 208 Massima altezza 0”, 049 5 spessezza 0”, 027 Dall’ estremità del muso all’ano 0%, 087 Lunghezza del capo 0", 044 Altezza Rata 0”, 043 Diametro dell’ occhio 0”, 007 Tentacolo sopraorbitale 0”, 023 Lunghezza della codale 0", 035 5 del tubo digerente 0%, 260 Il BI. gattorugine abita il Mediterraneo e le sponde europee dell’ Atlantico. Osservaz. Valenciennas dice che nei maschi vi è un’ apertura genitale eccessivamente piccola assai distante da quella dell’ ano e dietro ad essa un gruppo di papille nere. Dice inoltre che la loro vescica urinaria si apre presso la base del 1.° raggio anale dietro l’ orifizio genitale e che il forame è circondato in questo punto da un’ altro gruppo di papille formanti un piccolo tuber- colo ben distinto dal precedente. La più attenta osservazione S14 L. FACCIOLA da me fatta a questo riguardo su parecchi maschi mi ha dato un risultato differente. In essi, si è detto innanzi, esiste un solo orificio pei testicoli e per la vescica urinaria posto presso la base del 1.° raggio anale. Su questo vi è poi un gruppo di papille e un altro sul raggio seguente. Siffatte produzioni quando esistono nelle specie di blenniì s'impiantano sempre sui due primi raggi e qualsia apertura è posta al di quà di essi. Or secondo l’A. nel gattorugine il primo gruppo di papille si troverebbe in- nanzi l’ origine dell’anale, e uno degli orificii, l’urinario, tra un gruppo di papille e l’altro, disposizione che giammai si av- vera per alcuna specie. 4. Blennius tentacularis. © (1769). BI. tentacularis Brinn. Icht. Mass. p. 26. A Cuv. Val. XI, p. 212, t. 319. s Giint. Cat. III, p. 215.. È Canestr. Blenn. p. 96; T. IV, f. 6,9 10. 3 Vincig. Blenn. p.5 (434). n ” L’ altezza del tronco si comprende 5*/,-6'|, volte, la lunghezza del capo 4-5 ‘|, volte nella intiera lunghezza del corpo. La spes- sezza è circa *, dell’ altezza. I tentacoli sopraorbitali sono lunghi e ramificati. La narice inferiore porta un breve cirvo. Esistono 2 canini in ciascuna mascella. IL vomere ha un piccolo dente. Le appendici branchiali portano 2-4 denticoli. Il corpo è ornato di fascie trasversali oscure. Tra il 1° e 2° raggio dorsale vi è una macchia nera. D. 129-13+18-22, P:13-14, V. 143; A. è 2423-24, 9 1-24-292-94- 23-25 (non 26) o 674+2:344-5-13-14 AES )319 Dent. 2-3+24-34 1 9121-32 Vert. 104-29-30. = 23:27 Il capo è circa 'j} più lungo che alto. Il profilo ascende ra- pidamente dal muso fino al margine superiore degli occhi, indi I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 315 si abbassa dolcemente in linea retta sino alla coda. Le guancie non sono rigontie o il sono leggermente. Gli occhi sono contigui al profilo. Il loro diametro è più lungo dello spazio che li di- vide in alto nella parte di mezzo, ed entra 5 volte nella lun- ghezza del capo. I tentacoli sopraorb:tali in proporzione al corpo sono più lunghi negli adulti che nei giovani. Nei maschi sono anche più lunghi che nelle femmine. In quelli alle volte giungono, abbassati, fino al 3.° raggio dorsale. In queste talora sono più corti del diametro dell’ occhio. Valenciennes conobbe che la di- versa lunghezza di queste appendici è in rapporto col sesso di- cendo: “Dans d’autres ils (i tentacoli) deviennient bien plus petits, ce qui tient au sexe ,. Esse hanno dei rami all'apice e lungo il margine interno ch’ è espanso verso la base. Al di sopra di questa vi è spesso un ramo più lungo degli altri. Alle volte non esistono che pochi rami all'apice e alla base, oppure vi è un solo ramo grosso al di sopra di essa. In alcuni sono inso- litamente larghi. In un giovane individuo risultavano di 5 fi- letti quasi di eguale lunghezza. La narice superiore è posta in prossimità del contorno orbitario. La inferiore ha sull’orlo su- periore un tentacolo più o meno corto, semplice o bifido (v. fig. 4). La distanza che divide le due narici di un lato è eguale a quella che intercede tra due narici omonime, sicchè esse stanno ai quattro angoli di uno spazio quadrato. Una serie di pori cutanei circonda l’ occhio, un’ altra serie scorre lungo il margine preoper- colare, alcuni altri si aprono sulla nuca. L'angolo della. bocca sì trova in direzione del mezzo dell’ occhio. Gl' incisivi sono di- sposti a semicerchio in ambo le mascelle. I due canini inferiori mancano talfiata oppure ve n’ ha un solo; per ordinario sono più robusti dei superiori, alle volte eguali a questi. Alcuni esem- plari hanno due canini sopra un ‘lato della mascella superiore, il posteriore di essi in un caso era più grosso dell’ altro. I denti faringe superiori od inferiori son piccoli el acuti, al numero di 7 circa per ciascun tubercolo osseo, disposti a pettine. I due veli retromascellari, superiore ed inferiore, sono eguali. La dorsale nasce tra la fessura branchiale e il margine pre- opercolare, alle volte in direzione di quella, e finisce disgiunta dalla codale; è leggermente emarginata a metà della sua lun- ghezza e per ordinario ‘la sua porzione molle è un poco più x ° elevata della pseudospinosa, La detta smarginatura è si lievis- 016 L. FACCIOLÀ simamente accennata che ad occhio nudo non sì può sicuramente indicare ove si termini la porzione pseudospinosa. In una fem- mina alcuni degli ultimi raggi della porzione molle ed anche l’ultimo dell’ anale, erano bifidi all’ apice. Le ventrali esterior- mente offrono alla vista due raggi, ma se si spogliano della pelle si trova che a ciascuno di essi sta unito un altro raggio corto. Il raggio corto esterno è semplice, pseudospinoso, l’ in- terno è articolato come il raggio adiacente. Le pettorali in in- dividui della medesima statura possono un poco variare in lun- ghezza, giungendo ora in sino all’ ano ed ora in sino all’ anale. Questa termina appena innanzi della dorsale. Nei maschi ha sempre 2 primi raggi semplici e per lo più 23 raggi articolati, talvolta 24; in tutto non si hanno mai meno di 25 raggi. Nelle femmine vi è per solito un solo raggio semplice e da 22 a 23 articolati; di rado i raggi semplici sono al numero di 2 come nei maschi e gli articolati al numero di 24, ma il numero to- tale dei raggi non sorpassa i 25. L'anale nei maschi conta dunque da 25 a 26 raggi e nelle femmine da 23 a 25 raggi. Inoltre in quelli ha 2 raggi brevi essendo il 1.° la metà del 2.°, questo la metà del 3.°; in queste porta un solo raggio breve. La co- dale cape 6-6 '/, volte nella lunghezza totale. Vidi un esemplare in cui la dorsale e l’ anale erano largamente congiunte alla co- dale in modo da formare insieme una sola pinna continua. Probabilmente era stato mutilato come facea pensare l' inegua- glianza della radice della coda. La linea laterale principia dal- l'angolo superiore della fessura branchiale, s'incurva sopra le pettorali, indi discende e corre dritta fino alla coda. Nel principio della sua porzione anteriore inarcata i pori formano due serie sui lati del canale longitudinale sottostante e sono opposti tra essi, in tutto il resto dispongonsi l’uno dietro l’ altro in serie unica. La distanza che sevara l’ano dal muso è compresa 1-'/, volte tra esso e la base della codale. L' orificio genitale è posto nei due sessi nel mezzo della distanza dell’ ano dal 1.° raggio anale. Nelle femmine esso è provvisto di un piccolo lembo ‘ semilunare sul contorno anteriore. Immediatamente dopo si nota un menomo tubercolo (v. fig. 28). Nei maschi l’ apertura genitale è prolungata in un brevissimo tubo conico, tronco all’ apice. Il più attento esame non mi ha mostrato dietro ad essa alcun altro orificio. Seguono ad esso due gruppi di papille nerastre 0 sr ETA I BLENNII DEL MAR DI MESSINA MIT di altro colore sui due primi raggi anali, di mediocre grossezza (v. fig. 35). Spiccata più che in tutte le altre è in questa specie la fa- coltà di cambiar di colore. Ciò da ragione come Risso ne abbia potuto formare ben cinque specie, le quali non possono riguar- darsi nemmeno come determinate varietà individuali, essendo il diverso coloramento cosa mutabile non solo secondo l’ età, ma pure secondo le circostanze in cui si trova l’ animale e il tempo + trascorso dalla sua morte. Sarebbe perciò assai lungo 1’ andar notando le diverse tinte e macchie che possono presentarsi sul corpo di questo blennio. Il colore generale del fondo sul cada- vere è un grigio-giallastro lurido o giallo verdastro chiaro, più decisamente verde sul ventre. È propria dei maschi l’esistenza di piccioli tratti verticali oscuri, di forma che si avvicina al- l’ovale, sulla parte anteriore del tronco con punteggiature dello stesso colore sui lati del capo e della porzione posteriore del corpo. Allora le fascie trasversali brune son poco marcate e in avanti alle volte quasi indistinte. La porzione inferiore di queste sovente è spostata in dietro sì da stare nell’ intervallo di due porzioni superiori. Gli spazii esistenti tra le semi-fascie inferiori vengono per ordinario occupate da macchie celestine o argen- tine disposte in una serie, alle volte confluenti, in modo da co- stituire una fascia longitudinale. I margini delle fascie verticali superiormente sogliono essere anche colorati in celestino o bianco. Alle volte evvi inoltre un reticolo di questo colore su tutto il tronco, e nelle sue maglie il colore oscuro del fondo. In un esemplare i margini celestini delle fascie oscure discendevano fino alla parte inferiore del tronco, ma quì il colore delle fascie e quello dei loro intervalli era rancio, sul capo vi erano screzia- ture celestine, specialmente sulla membrana branchiostega, e il lembo della dorsale era bleuastro. Le ventrali e la porzione adiacente delle pettorali son di frequente ornate di macchie ros- siccie oppure uniformemente aranciate. La dorsale in questi casi ha pure nella porzione molle macchie dello stesso colore. L’anale, quando è oscura come le ventrali, è orlata di bianco. Spesso è invece ornata di fascie bianche, al numero di 11 circa, che dalla sna base si portano obliquamente in avanti, ripiegandosi alquanto e giungono talora fino al margine libero. In dietro esse risol- vonsi in macchiette. Nello stesso tempo la dorsale molle e la 318 L. FACCIOLÀ codale portano pure altre macchie bianche. In taluni casi le. notate fascie bianche dell’ anale sono nerastre e sulla dorsale le macchie hanno allora lo stesso colore. L’ iride nei giovani offre dei tratti rossi disposti a raggi. Le femmine hanno sotto la gola 4 fascie bianche a capriolo, delle quali la posteriore resta incompleta pel terminarsi della membrana branchiostega. Queste fascie nei maschi mancano o sono appena indicate. Le femmine portano alle volte delle macchiette oscure sui lati del corpo, ma queste differiscono da quelle dei maschi per non essere al- lungate. Sui lati della base della dorsale osservai ìn un esem- plare una fascia longitudinale gialliccia. Vidi talora i tentacoli sopraorbitali biancastri e in uno aveano due serie di macchiuzze rossigne sul lato esterno. In un soggetto lungo 65 millim. da me descritto col nome di B/. Canestriniî, ma ora da riferire con la maggior probabilità alla specie di cui si parla, il capo in alto ein avanti, i tentacoli sopraorbitali, i raggi della dorsale verso la base e specialmente la codale con la sua radice erano di color verde d’ erba, la membrana branchiostega e la base delle pettorali con macchiette celestine; sul tronco macchie dello stesso colore disponevansi in serie trasversali e confluivano in modo da formare strette fascie sul fondo giallo-rossiccio; tra il 1.° e 2.0 raggio dorsale vi era una macchia arvanciata; le pettorali e le ventrali giallo-verdiccie, l’ anale orlata di bianco. Ma fra tutte le innumerevoli gradazioni e variazioni di colorito sono quasi immancabili le notate fascie trasversali più o meno oscure sul tronco, al numero di 8-9, ed è poi costante la macchia tra il 1.° e 2.° raggio dorsale, quasi sempre nerastra negli adulti, a margini poco netti, con sfumatura dello stesso colore tra il 2.° e 5.° e talora anche fra il 3.° e 4.° raggio. In un esemplare essa era picchiettata di rossiccio, in altro circondata d’aureola di questo colore; in una giovine era rossa, in un maschio verdiccia con macchiuzze rosse all’intorno. Ad occhio nudo la pelle di questo blennio apparisce tutta sparsa di punticini oscuri che sono le cellule pigmentate. Tra quelle del derma alcune sem- brano sottostare immediatamente all’epitelio, altri s° internano nella spessezza degli strati superficiali del connettivo. Quelle della fascia superficiale sono più uniformi nel loro aspetto. Le modi- ficazioni del colorito sono prodotte precipuamente dai cromato- fori del derma, 319 Parlando del colorito di questo blennio debbo notare due strani casi di mimetismo. Sul mercato vidi talvolta insieme ai Julis Giofredi e vulgaris alcuni individui di BI. tentacularis che loro somigliavano pel colorito rossiccio carnicinò e per un certo grado di trasparenza del corpo. In uno di essi vi era per- fino una fascia longitudinale lungo i fianchi simile a quella del Julis Giofredi. Altri individui che si accompagnano col Cristiceps argentatus offrono una sorprendente imitazione del colorito di questo in cui è pure molto variabile. Se lungo i fianchi vi è, come di sovente, una serie di macchie argentate, negli esemplari di BI. tentacularis consociati si osserva ugualmente lungo i lati del corpo una serie di macchie celestine splendenti, le quali come nei Cristiceps formano alle volte per confluenza una fascia. In entrambi vidi fascie oscure identiche intorno al corpo ed un identico colore tra esse. Il 5/. tentacularis s' accompagna pure coi Gobius ed altri pesci della sua statura. Esso è il più giro- vago e il più socievole e deve naturalmente a questa abitudine l'avere raggiunto una grande perfezione nella facoltà di cam- biare di colore a scopo d’ imitazione. I caratteri sessuali esterni di questo blennio sono bastante- mente sviluppati; dalle cose predette risultano come segue: I BLENNII DEL MAR DI MESSINA MASCHI I tentacoli sopraorbitali sono più lunghi e possono giungere fino alla base del 3.° raggio dorsale. Sui lati del corpo vi sono macchie al- lungate ovali di colore scuro, e mancano fascie bianche capriolate sotto la gola. L'anale ha 2 raggi semplici e 23-24 raggi articolati. Dietro l' ano vi è un’ orifizio genito-uri- nario prolungato in cortissimo tubo. FEMMINE I tentacoli sopraorbitali sono più corti e alle volte non misurano il diametro dell’ occhio. | Sotto la gola vi sono fascie bianche a capriolo, e mancano sui lati del corpo macchie allungate verticali. L’anale ha 1-2 (per lo più l) raggi semplici e 22-24 raggi articolati. Dietro l’ ano vi è un’ orifizio genito- urinario con piega semilunare, seguito immediatamente da un tubercoletto. Il tubo digerente è lungo quanto il corpo 0 presso a poco. Eccone qualche misura: Lunghezza del corpo Lunghezza del canale 0." 114 0." 110 0.” 080 0." 088 0.1, 114 0.®, 100 0.", 095 0.”, 090 320. i. FACCIOLA Le sostanze o corpi che ho trovato in esso tubo sono alghe ramificate, fango sabbioso, sabbia pura insieme a conchiglie, piccoli gamberelli, l’ animale di certi Venus mangerecci adope- rati come esca per prendere Donzelle (Julis), i visceri di crostacei decapodi brachiuri, ed esemplari di Bulla hydatis Lin. var. minor Phil. Le uova sono di color giallastro-lurido. Vedute al micro- scopio mostrano insieme alle granulazioni gialle alcune vescicole più grosse di color turchino. Tra i frontali posteriori e i parietali il cranio è considere- volmente ristretto. La parte di esso che sta dietro a questo punto risulta cuneiforme. Le apofisi montanti dell’intermascellare aderiscono alla faccia anteriore dell’ etmoide, ch'è piana, ma per alquanto inclinata all’innanzi e per tal modo gl’ impedisce di portarsi in sopra. I mascellari adiacenti sono un poco dila- tati e quasi rotondati sull’estremità posteriore, in avanti ven- gono interamente coperti dal lagrimale. L' osso articolare della mandibola termina indietro con due punte tra cui è un incavo. La fossa temporale è profonda. Il temporale superiore è disgiunto dal frontale posteriore. Esso offre in alto tre tubercoli di arti- colazione, uno coll’ ala temporale, uno col mastoideo ed uno con l’opercolo. I parietali sono lunghi, più stretti in avanti, di forma triangolare; risultano di due lamine di cui una superiore più grande sta inclinata da dentro in fuori e in sotto, perciò si congiunge all’ opposta ad angolo; l’ altra inferiore più stretta sta inclinata sulla prima da fuori in dentro formando con essa uno spigolo laterale e uniscesi in basso all’ ala temporale. La cresta interparietale è lievemente accennata; l’occipito-parietale al contrario molto elevata ed ingrandisce la faccia posteriore del cranio che ha una leggiera inclinazione. Questa cresta è formata da cinque punte riunite da sostanza ossea negli in- tervalli. La spina media posteriore del cranio sarebbe rappre- sentata dalla interna delle punte ora dette. Le spine interme- diaria ed esterna sono poco pronunziate. Il preopercolo forma '[, di cerchio ed ha un’ incisura nel mezzo del suo margine po- steriore. Il cinto toracico somiglia nelle diverse parti a quello delle altre specie. Le due prime vertebre mancano di neurospina e risultano semplicemente del corpo e dell’ arco. Esse perciò non danno attacco agli interspinali corrispondenti. I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 3327) In tutte le stagioni mi è successo di vedere sul mercato di Messina giovani individui o poco adulti di questo blennio. Oltre a ciò trovai femmine con ovaril maturì dai 10 ai 24 di luglio e ai 2 e 14 di agosto. Anche Vinciguerra dice che nella Crociera del 1879 fu preso un giovane individuo addì 7 settembre. Questi fatti mostrano che la riproduzione si avvera più volte l’anno e non soltanto a primavera. È poi notevole che la femmina pregna trovata ai 14 di agosto era lunga appena 42 millim. Conosco altri esempi di pesci che si riproducono assai precocemente. Il più lungo individuo da me avuto misurava 114 millim. Cuvier e Valenciennes e Vinciguerra riportano individui lunghi soltanto 10 centim. Questi dice che il 2/. fenlacularis non sembra ab- bondare in alcun luogo nel Mediterraneo. In Messina è il più frequente e non manca quasi mai nelle mescolanze di piccole specie e di giovani pesci. Non si è incontrata nell’ Oceano. 5. Blennius sanguinolentus (1811). BI. sanguinolentus Pallas Zoogr. INI, p. 168. » pholis Riss. Hist. III, p. 232. » palmicornis Cuv. Val. XI, p. 214, t. 820. » Sanguinolentus Giinth. Cat. III, p. 218. » palmicornis —Canestr. Blenn. p. 94, t. II, f. 3, t. III, f. 1. > sanguinolentus Vincig. Blenn. p. 6 (435). L’ altezza del tronco è compresa 5 volte, la lunghezza 4*/,-54/, volte nella lunghezza del pesce. La spessezza è circa */, dell'al- tezza. I tentacoli sopraorbitali si compongono di 4-9 brevi fila- menti. La narice inferiore porta un solo ciuffetto di cirri. Esi- stono due canini in ciascuna mascella, i superiori sono più de- boli degl inferiori e separati dagl’ incisivi per un diastema. Il vomere porta un piccolo dente. Le appendici branchiali sono armate di 1-3 denticoli. Tra il 1° e 22° raygio dorsale esiste quasi sempre una macchietta circolare nerastra ben distinta . Sul corpo mancano fascie trasversali. 392 1. FACCIOLÀ i Malco 10990 Pi ei vaio LI o 1412456 = 11 AULA odi 24 24-34 = 21 Dent. Vert. 114-27-28. Il capo è circa '/, più lungo che alto, di forma quasi conica avendo il protilo dal muso all'origine della dorsale egualmente inclinato che dal muso al margine della membrana branchiostega e le guancie rigonfie. Dal margine anteriore degli occhi all'ori- gine della detta ala esso è men lungo e più declive che nella specie precedente. Da qui va dolcemente dechinando in linea retta insino all’ ultimo raggio dorsale. Dalla gola poi al prin- cipio dell’anale è molto convesso per la protuberanza del ventre; da questo punto ascende fino alla radice della coda raccostan- dosi al superiore. Gli occhi non toccano il profilo. Il loro dia- metro è eguale allo spazio infraorbitario ed entra 4'|,-b volte nella lunghezza del capo. I tentacoli sopraorbitali sono sì corti che abbassati giungono per ordinario fino al margine superiore della pupilla e non vanno mai al di là del mezzo dell’ occhio. La narice superiore dista dal contorno dell’ occhio quanto dalla narice inferiore. Questa porta sul margine superiore un’ appen- dice divisa in 2-7 brevi filamenti (v. fig, 8). L’ intervallo delle narici di un lato è metà di quello che esiste tra due narici omo- nime in guisa che tutte e quattro limitano nno spazio rettan- golare allungato. Dei pori cutanei del capo quattro sono costan- temente nello spazio infraorbitario disposti nei quattro punti di un rettangolo. Alquanto più indietro ve n'ha un altro sulla linea mediana. Due altri pori si aprono alla sommità di due piccole eminenze situate sotto il labbro inferiore in direzione dei canini. Lo squarcio della bocca giunge fin sotto il margine anteriore degli occhi. In un esemplare l’ angolo di essa trova- vasi abnormemente innanzi di questo margine. I denti incisivi sono disposti in una linea meno convessa di quanto nelle altre specie; verso il bordo libero. sono colorati in rosso di fuoco, specialmente i superiori. I canini inferiori stanno immediata- mente dietro il termine degli incisivi e di rado mancano. I su- I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 323 periori invece sono situati sempre un poco più indietro di questi denti; alle volte sono rudimentari o mancano affatto. La mem- brana trasversale inferiore ha il margine libero lievissimamente laciniato e fine ripiegature nel senso dell’ altezza. Nel mezzo del margine anteriore retto del vomere sì osserva un piccolo dente acuto come nel £./. tentacularis. I denti faringei superiori ed inferiori dispongonsi in una serie leggermente inarcata su ciascun osso e son piccoli ed acuti. La dorsale nasce sulla nuca, in direzione del margine preoper- colare e termina alla base della codale. È lievemente emarginata verso il mezzo della sua lunghezza e la sua porzione pseudospi- nosa è ora egualmente, ora un poco più ed ora un poco meno alta della porzione molle. Le pettorali sono rotondate, lunghe quanto il capo, e comprendonsi 5-6 ‘'/, volte nella lunghezza totale; nei giovani esse sono relativamente più lunghe che negli adulti. Le ventrali si compongono di un raggio esterno semplice e breve e di tre raggi articolati. L' anale è quasi egualmente alta in tutta la sua lunghezza e termina un poco più in avanti della dorsale. Il numero dei raggi che la compongano presenta una rimarchevole differenza, essendo di 21-22 nelle femmine e di 23-24 nei maschi. In quelle vi è un solo raggio semplice. In questi ve n’ ha due che danno inserzione alle due papille genitali. Di più nelle prime vi sono da uno a due raggi brevi, essendo il 1.° 4/,-'/, della lunghezza del 2.°, il 2.° ora '!/, del 3.° ed ora di ordinaria lun- ghezza. Negli altri i raggi brevi son due, dei quali il 1.° '/, del 2.°, il 2.° a sua volta '[3 del raggio seguente. La codale è con- vessa. Al di sopra delle pettorali si nota un bordo rilevato della pelle che non disparisce collo stiramento e pare un rudimento dell’ appendice o lembo cutaneo notato nel 24. ocellaris. La li- nea laterale comincia dall’ angolo superiore della fessura bran- chiale, s' inarca al di sopra delle pettorali, indi discende in linea retta fino alla coda. La porzione inarcata è segnata da una traccia la quale appartiene al canale longitudinale sottostante. Ivi i pori sono disposti in più di una serie, alcuni alternanti, altri opposti tra essi e altri irregolarmente. Essi comunicano col canale mucoso per mezzo di condotti laterali minori più o meno lunghi secondo la distanza da esso. Più in dietro, in quel tratto che comprende la breve porzione discendente e il princi- pio della porzione retta, i pori non formano che una serie sem- Sc. Nat. Vol. VI, fasc. 2.° 13 324 L. FACCIOLÀ plice e sono divisi per lo più a due a due. Ciascuna coppia inoltre si trova alle due estremità di un corto canale longitu- dinale proprio, col quale comunicano, come ben s° intende, non per tragitti laterali, ma direttamente in senso verticale. Nella porzione posteriore del corpo infine i pori perdono la disposizione a paja e si succedono a distanze più grandi, essi sono le aper- ture di semplici follicoli verticali brevissimi mancando ogni traccia di canale longitudinale. Lo spazio che separa l’ ano dal- l’ estremità del muso alle volte è uguale a quello che corre tra esso e la base della codale, altre volte invece n’ è più corto o più lungo. La disposizione degli orificii esterni delle vie genitali ed uri- narie differisce nei due sessi. Nelle femmine vi è, come nelle altre specie una sola apertura per l’ emissione delle uova e dell'urina, provvista di un ribordo semilunare sul suo contorno anteriore, posta nel mezzo della distanza tra l’ ano e la base del 1.° raggio anale. Immediatamente dietro ad essa notasi un tubercoletto per alquanto allungato, talora indistinto (v. fig. 22). Nei maschi invece vi è dietro l’ ano un’ eminenza trasversale della pelle a larga base, su cui si scorgono tre orifizii disposti in linea tra- sversale. Di essi i due esterni comunicano coi condotti deferenti e sotto la lente mostrano all’ intorno delle menomissime pieghe lamellari radianti, il medio appartiene alla vescica urinaria ed ha un contorno semplice. In contatto con la detta eminenza della pelle si trova posteriormente una grossa papilla nerastra formata da numerosi ripiegamenti della pelle intorno al lo raggio dell’ anale, segue ad essa un'altra papilla appena più piccola sul 2.° raggio anale (v. fig. 29). Il colore generale del corpo sul cadavere è per lo più un giallo verdastro più o meno lurido sparso di macchiette brune, che pure vedonsi sul capo. Esse dispongonsi talora in due serie lungo i fianchi e confluendo possono formare delle fascie longi- tudinali più o meno irregolari. Una serie di queste macchie si nota sovente lungo la base della dorsale. Un esemplare morto era giallastro chiaro con macchie scure. La macchia tra il 1.° e 2.° raggio dorsale può mancare, alle volte vi sono più mac- chiette oscure. La tempia porta in alcuni una macchia bleuastra. Il contorno pupillare dell’ iride è giallo-dorato. Su le pettorali, la porzione molle della dorsale, l’ anale e la codale esistono macchie sanguinolenti, le quali dispongonsi in tre o quattro 1 BLENNII DEL MAR DI MESSINA 325 ‘ serie su le pettorali e in due o tre sulla codale. L’ anale è inoltre orlata di bianco, talora di nero. Il ventre è bianchiccio. Mancano sempre sul corpo fascie trasversali. Questo blennio gode ad un grado eminente la facoltà di mutar di colore. Io vidi questo cangiamento eseguirsi sotto 1 propri occhi nei cada- veri freschi. In due individui vi erano due grandi chiazze nera- stre sotto la gola che dopo alcuni momenti disparvero comple- tamente per dar luogo al colore giallastro lurido generale. In altri esemplari osservai grande chiazze scolorate irregolari sul tronco, le quali han dovuto formarsi post-mortem. Vidi indivi- dui con macchie giallastre lungo i fianchi e coi tentacoli sopra- orbitali biancastri. Ma le macchie rossiccie delle pinne non si cancellano mai completamente, sebbene possano offrire vari gradi d’ intensità. Sotto al microscopio vedonsi sul luogo delle mac- chie scure cromatofori della pelle espansi, ramificati e anasto- mizzati, di color bruno giallastro. Nelle parti meno oscure sono invece completamente ritratti, con brevi prolungamenti, di forme irregolari, oppure rotondi e di color nero intenso. Sulla mac- chia nerastra tra il 1.0 e 2.° raggio dorsale sono addensati in maggior numero. i Il tubo intestinale è lungo, assai più che nelle altre specie. Ecco talune misure: Lungh. totale | Lungh. del del corpo |tubo digerente 0.®, 072 0.", 180 0.2, 073 0.®, 190 0. 075 | 0,250 0.2, 080 0.®, 245 0.", 080 0., 255 0.®, 082 0.n, 285 0.2, 085 0”, 240 0.2, 095 0.", 260 0.", 095 0.", 365 0.2, 096 0.2, 842 0.", 098 0.®, 840 0.2, 100 0.®, 825 0.®, 101 0.”, 310 326 L. FACCIOLÀ 0.", 102 0.” 340 de do 20 0.", 105 0.” 240 0.", 107 0.®, 810 OSE 0.", 270 0.2, 110 0.2, 370 0.2, 113 0.", 390 0.2, 113 0.®, 480 0.2, 115 0." 280 O=5 0.", 390 0.%, 116 0." 410 0.2, 120 0.", 410 0», 125 0.", 360 0.2, 180 0." 400 0.®, 185 0.”, 305 0." 145 0.", 400 0.» 145 0." 490 Si vede che la lunghezza di esso canale sempre misura più di due volte quella del corpo, che può esservi contenuta più di tre volte, non mai quattro; che tra due individui della stessa statura o presso a poco può variare notevolmente essendosi tro- vata una differenza di 11 centim. La straordinaria lunghezza del canal digerente di questa specie, riconoscibile così a primo aspetto per la protuberanza del ventre, dipende dal suo regime quasi esclusivamente erbaceo, siccome sonomi accertato con la dissezione. Su di un numero stragrande di esemplari ho trovato di fatti in esso tubo quasi sempre alghe di varia forma, cilindriche, ramificate, filiformi, foliacee e in ogni caso divisi in pezzetti per opera dei denti. In casi rari trovai sostanze animali ora miste ad alghe ed ora sole, erano piccoli crostacei di quelli che sì ap- pallottolano e grosse uova forse di pesce. La mucosa esofagea presenta pliche longitudinali terminantisi con un bordo cir- colare rilevato al principio dello stomaco. Questo offre dap- prima papille frastagliate indi fine pieghe longitudinali serrate le quali si continuano fino alla valvola che segna il principio del retto. Qui le pieghe sono irregolarmente reticolate. Sopra un esemplare rilevai pieghe lamellose tra esse serrate nell’ ul- I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 327 tima estremità di questa porzione del canale e parevano una continuazione più marcata delle pieghe radianti esterne dell’ ano. Nelle pareti dello stomaco ho notato constantemente l’ esistenza di piccoli punti flavo-oscuri i quali guardati al microscopio mo- strano essere delle cisti, forse di gregarine. Il fegato è formato di una porzione posta nella parte anteriore e media del cavo addominale. La cistifellia somiglia ad un appendice pilorica e giace piuttosto a destra. I testicoli sono allungati, stretti je di color bianchiccio, sostenuti da un corpo adiposo. All’ epoca della frega si estendono per l’ intiera lunghezza del cavo addominale e alle volte anche si flettono indietro ciascuno verso il lato op- posto a quello che occupa incrociandosi tra essi. I canali defe- renti offrono una rimarchevole particolarità. Nelle altre specie qui descritte non esistendo che un solo orifizio esterno per la fuoruscita del seme è necessità che essi sì riuniscano posterior- mente in un solo canale. Nei maschi del 27. palmicornis vi sono invece due orifizii genitali, uno a destra l’altro a sinistra. I due canali deferenti potevano perciò andare a sboccare per la via più diritta. Ma se con una delicata dissezione sì seguono nel loro corso sì vedrà che usciti ciascuno dal proprio testicolo vanno a convergere in dietro sulla linea mediana per fondersi in un solo tubo, il quale tosto si divide in due rami divergenti che vanno a sboccare isolatamente negli orifizi suddetti (v. fig. 20). Quest’ ultima loro porzione è difficile a isolare perchè immede- simata nel tessuto circostante. Gli ovarii nello stato ordinario sì estendono fino a metà della lunghezza del cavo addominale, ingrossando occupano la più gran parte di essa. Le uova ma- ture sono per lo più biancastre, alle volte leggermente bleuastre o rancie, con un punto bianco opaco nel mezzo del contenuto. La vescica urinaria è tubulosa, molto allungata occupando quasi tutta la lunghezza del cavo ventrale. Essa aderisce per tessuto cellulare lasco alla faccia inferiore dei reni. La sua estremità anteriore è conica rotondata, posteriormente si stringe in un collo per andare ad aprirsi tra i due orifizii genitali già rimar- cati (v. fig. 20). Il cranio di questo blennio si distingue da quello delle altre specie per mancanza di strozzamento dietro le orbite tra i fron- tali posteriori e i parietali. Quindi l’ osso temporale superiore offre la sua ordinaria articolazione col frontale posteriore, La 328 T. FACCIOLA faccia anteriore dell’ etmoide è scanalata per la fissazione delle apofisi montanti dell’ intermascellare. Lateralmente queste ade- riscono anche alle ossa nasali che dividono la cavità interna ove stanno i detti pedicoli dalla cavità delle narici. Il preorbitale è piuttosto largo e copre la porzione interna del mascellare su- periore, la cui estremità posteriore non è slargata. Ciascun osso parietale risulta di due lamine, una interna o superiore oriz- zontale che si unisce a quella del lato opposto, ed una esterna ed inferiore inclinata ad angolo sulla prima. Lungo 1’ incontro delle due lamine sorge una cresta mediocre. La sutura mediana dei due parietali è invece appena rilevata. L’ occipitale interno ha due creste sui lati della linea mediana dirette in dietro. L’ oc- cipitale esterno ne ha una più piccola trasversale. Lo sfenoide è ingrandito inferiormente dalla solita lamina verticale tagliente. Il preopercolo è inarcato in un terzo di cerchio. L’ opercolo è triangolare con un lato anteriore incavato in conformità del margine posteriore convesso del preopercolo. Il subopercolo è allungato, leggermente inarcato e più stretto inferiormente; dal suo lembo anteriore si distacca una punta che si dirige in su e nel cui angolo viene ricevuto l’ apice dell' opercolo, come nel BI. ocellaris. I raggi branchiosteghi sono ricurvi meno gli ultimi due compressi a lama di coltello; il più esterno sta interamente sul lato interno del subopercolo, al quale somiglia. Il soprasca- polare poggia sul lato esterno dell’ omero. Il coracoide si com- pone dei due soliti stiletti e si dirige in basso dietro l’ ascella delle pettorali. Le pelvi sono saldate con le ossa omerali im- mediatamente dietro la sinfisi. La 1.° vertebra non ha spina neurale, la 2.° ne offre una traccia. Le due prime ossa inter- spinose superiori, per l’ origine della dorsale in direzione del margine preopercolare, prendono attacco sulla volta del cranio e propriamente sull’ occipitale interno e »porzione dei parietali. Esse sono congiunte insieme in una lamina triangolare il cui lato anteriore è declive. Questa bavosa vive in società coi Gobius. Io appresi ciò prima per detto dei pescatori, poi me ne assicurai vedendola sul mer- cato quasi sempre insieme a questi pesci. Credo che tale abitu- dine dipenda dall’ avere in comune un regime prevalentemente erbaceo. Vidi femmine gravide in marzo ed aprile. La più gio- vane di esse in quello stato era lunga 72 millim. Ma la ripro- I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 329 duzione continua nell'estate, come mi fu provato dall’ esistenza di giovani esemplari trovati in agosto e nei primi giorni di ot- tobre. Ai 18 agosto una femmina avea gli ovarii estesi fino al 8.° anteriore dell’ addome, larghi, ma vuoti, mostrando così di aver deposto da pochi giorni le uova, Nell’ inverno la moltipli- cazione non deve cessare nemmanco giacchè nei primi giorni di marzo vidi un esemplare lungo 7 centim. I maschi mi capitarono più di sovente delle femmine. Il più lungo esemplare da me veduto avea 0", 185. Vinciguerra ne riporta uno lungo 0", 190. Questa specie vive ns1 Mediterraneo e nelle parti limitrofe del- l’ Oceano. Osservaz. Valenciennes dice che le aperture esterne del ma- schio sono circondate di papille simili a quelle del BI. gattorugine. Con ciò egli fa credere che la disposizione degli orificii genitale ed urinario nel maschio del sanguinolentus sia simile a quella che hanno nel gattorugine. Abbiamo già veduto che non è com- pletamente esatto quant’ ei assevera riguardo agli orificii esterni del maschio di questa specie, mentre d’ altra parte è ben dif- ferente la disposizione di questi orifizii nel sanguinolentus. 6. Blennius Rouxii (1833). BI. Rouxii Cocco, Lett. a Risso su di ale. pesci di Mess. Giorn. di sc. lett. ed art. Sic. n. 124, p. 9, t. 42, f. 1. L Bonap. Fn. it. Pesci, t. 106, f 3. Giinth. Cat. II, p. 217. Canestr. Pesci (Fn. d’ It.) p. 181. Vincig. Risult. itt. Croc. Violante, 1883, p. 70. L'altezza pel corpo sta 6'/, volte, la lunghezza del capo 5 volte nella lunghezza totale del pesce. La spessezza è '/, dell’ altezza. I tentacoli sopraorbitali sono corti e poco divisi. La narice in- feriore porta un cirro semplice. Vi sono due canini in ciascuua mascella, gl inferiori più grossi dei superiori. Il vomere è iner- me. Le appendici branchiali sono munite di 2 denticoli. Sui lati del tronco scorre una fascia longitudinale castagno-fosca. 330 L. FACCIOLÀ D. 1294-22, P.14, VW: 2 A. 24-23 8+24+5=15 ss 6+2+44=12 2+-26 Dent. DICA Vert. 39. C. 27 Il capo è ‘/, più lungo che alto. Il corpo è compresso più di quello delle altre specie. Il suo profilo ascende rapidamente dal muso al margine antero-superiore degli occhi, indi continua a salire in linea convessa, ma più leggermente fino all’ origine della dorsale, donde va discendendo in linea retta fino alla coda. Il profilo inferiore è meno incurvo sul capo, indi segue un andamento simile al superiore. Le guancie sono compresse. Gli occhi raggiungono il profilo. Il loro diametro è triplo dello spazio infraorbitario, entra una volta nella lunghezza del muso, 4% volte in quella del capo. I tentacoli sopraorbitali abbassati non giungono, o appena, al margine inferiore dell’occhio. Essi risultano di tre cirri, di cui l'anteriore è il più grosso e il più lungo, il posteriore il più corto e più sottile (v. fig. 9). La na- rice superiore è posta in prossimità del contorno anteriore del- l'orbita, la inferiore dista da essa quanto dalla compagna e porta un filo semplice piuttosto lungo (v. fig. 8). L’ apertura della bocca va fino al di sotto del mezzo dell’ occhio. Gl’ incisivi sì dispongono su di una linea curva un poco prominente nella parte media. I canini inferiori sono lunghi e ricurvi. I denti faringei formano una serie semplice. Dei pori cutanei del capo una serie esiste intorno all’ occhio, un’ altra lungo il margine preopercolare, alcuni altri dietro la tempia. Im un esemplare aprivansi ciascuno in mezzo ad una macchietta bianca. La dorsale nasce in direzione del mezzo dello spazio compreso tra il mar- gine del preopercolo e l’ angolo superiore della fessura bran- chiale; termina in prossimità della base della codale; è quasi uniforme in tutta la sua lunghezza. Le ventrali sono lunghe quanto le pettorali e risultano di due soli raggi di cui l’ interno è più lungo, disgiunti l’ uno dall’ altro per l’ intiera lunghezza. Si distinguono da quelle delle altre specie anche perchè non vengono vestite dalla pelle. Le pettorali giungono fino all’ ano. Dei loro raggi il più lungo è l’ undecimo cominciando a contare I BLENNII DEL MAR DI MESSINA DD . dal superiore. Sono un poco più corte del capo ed entrano più di 6 volte nella lunghezza totale del corpo. L’ anale termina in direzione della dorsale. Nei maschi il suo 1.° raggio è ?/; del 2.°, questo è '/, del seguente. La codale è lunga quanto le pet- torali, rotondata. La distanza dell’ ano dall’ estremità del muso è circa */, dell’intiera lunghezza. Dietro ad esso si scorge nei maschi un solo orifizio provvisto di un breve tubo e due pa- . pille sorrette dai due primi raggi anali (v. fig. 34). La linea laterale comincia dall’ angolo superiore del preopercolo e giunge leggermente inarcata fino al mezzo delle pettorali o poco più indietro. Non ho potuto distinguere altri tubi o pori al di là di questo punto. Il colore del corpo è giallo-ambrino, sparso di minutissimi punti neri. Dal margine posteriore dell’ orbita alla radice della coda scorre sui lati del dorso una fascia castagno-fosca la quale va restingendosi d’ avanti indietro. Lo spazio membranoso tra il 1.° e 2.° raggio dorsale è fosco. L’anale è oscura verso la porzione libera ma le punte dei suoi raggi restano bianche. Distaccata la pelle si vede che ì minutissimi punti nericci sparsi sul corpo risiedono nel tessuto cellulare sottocutaneo. In quella sono scarsi ed invisibili senza l’ aiuto della lente. Sulla fascia longitudinale oscura i corpuscoli pigmentari sono dilatati e perciò molto ravvicinati tra essi ma non anastomizzati. Sullo scheletro notiamo le seguenti particolarità. Gl’ interma- scellari sono brevi e formano soltanto la metà del contorno superiore della bocca. L’ estremità posteriore dei mascellari su- superiori è ottusa. I frontali medii non sono scavati. Dietro le orbite il cranio è poco ristretto, nondimeno il temporale resta disgiunto dal frontale posteriore. I parietali sono, come in tutti, sviluppati a preferenza delle altre ossa della scatola craniana, più lunghi che larghi, tra essi inclinati, un poco convessi este- riormente. La cresta saggitale è lievissimamente accennata. Meglio distinta è la cresta lambdoidea. I pezzi opercolari somigliano a quelli delle altre specie. Il suboperaolo dal suo margine anteriore manda un prolungamento e nell’ angolo che ne risulta entra l’apice dell’opercolo. L’interopercolo è assente. Le ossa del carpo sì attaccano sullo spigolo posteriore deil’omero. Le vertebre sono compresse. Di questa specie ebbi finora due soli esemplari maschi, di d92 L. FACCIOLA cui il più lungo misura 0.%, 072. Fu trovata in Dalmazia, ove sembra più fregnente, e a Taragona (Spagna). — Osservaz. Bonaparte e sulla fede di lui Canestrini qualifi- cano i canini della mascella superiore come più robusti degli in- feriori. Vinciguerra al contrario dice più sviluppati questi ultimi in un individuo che ci ha descritto. Tali son pure nei miei esemplari. ". Blennius sphynx (1836). BI. sphyna, Cuv. Val. Hist. XI, p. 226, t. 321. È n Gunt. Cat II pi 2215 > n. Canestr. Blenn. p. 101, t- II, fo 2e IVA 8: 5 » Vinciguerra, Blenn. p.9 (438). x L’ altezza del tronco è racchiusa 5 *|, 7 '|, volte, la lunghezza del capo 4°|,-5!|, volte nella lunghezza totale del pesce. La spes- sezza è 3/, dell’ altezza. 1 tentacoli supraorbitali sono sem- plici e corti. La narice inferiore è sormontata da un’ appendice divisa in poche estremità. Esistono due canini in ciascuna ma- scella. Il vomere porta 4 piccoli denti. Le appendici branchiali sono armate di un solo denticolo. Sul tronco esistono fascie tra- sversali oscure ornate di celeste e sul capo macchie e linee di questo colore. D. 12 + 16-17 P.14, V.14- 4, A. & 24 16-17, 2 14- 18-19, , 45 + 2-3 +45 = 11-12 grane 2432 Dent. PET, ) Vert. 35 DI Il corpo è cilindraceo. Il capo è poco più lungo che alto. Il suo profilo ascende quasi verticalmente dal muso insino al mar- gine antero-superiore degli occhi, donde si abbassa dolcemente in linea retta fino alla codale. Dal muso al bordo postero-inferiore della membrana branchiostega è più inclinato, indi va legger- mente innalzandosi fino alla coda con un andamento simile al superiore. Gli occhi sono contigui al profilo e distano superior- mente tra essi per metà del loro diametro, il quale si com- I BLENNII DEL MAR DI MESSINA DOS) prende 4-5 volte nella lunghezza del capo. I tentacoli sopraor- bitali spessissimo mancano completamente, o sono appena ac- cennati, in esemplari lunghi 4-5 centim. Nei più adalti non mancano, ma la loro lunghezza è variabile, giungendo in alcuni quando si abbassano fino al margine superiore della pupilla, in altri un poco più in sotto dell'occhio. Essi sono semplici. In un esemplare quello di destra era forcuto. La narice superiore è semplice, posta in prossimità del margine anteriore degli occhi, la inferiore sta sulla stessa linea verticale e porta un piccolo lembo diviso in 3-4 cirri (v. fig. 6). Le due narici di un lato distano tra esse quanto da quelle del lato opposto. Esse si tro- vano perciò sugli angoli di uno spazio quadrato. Una serie di pori cutanei esiste intorno all’ occhio e un'altra meno nume. rosa lungo il margine preopercolare. L'apertura della bocca pel profilo rapido del capo e per la posizione molto anteriore degli occhi giunge fino al di sotto del mezzo di questi. I canini sono costanti, gl’ inferiori alquanto più robusti dei superiori. Valen- ciennes dice che nella mandibola vi sono due di questi denti per ciascun lato. Io ne trovai due sul lato destro della mandi- bola in un solo caso. Dietro ciascuna mascella esiste la solita valvola semilunare. Sul margine inferiore della porzione ante- riore verticale del vomere s' impiantano 4 piccolissimi denti acuti. Su ciascun osso faringeo vi è una serie di denti acuti disposti in leggiera curva. I denticoli delle appendici degli archi branchiali si distinguono da quelli delle altre specie per essere corti ed ottusi. La dorsale nasce in direzione del margine preopercolare e termina disgiunta dalla codale. La sua porzione anteriore negli adulti è sempre più alta della posteriore, nei giovani invece per solito è uguale a questa, ma talvolta n'è un poco più alta oppure più bassa. Ecco talune misure: Lunghezza totale | Altezza della dors. | Altezza della dors. del corpo anteriore posteriore 0.2, 075 0.2, 012 0.2, 0065 0.2, 049 0.°, 0075 0.2, 005 0.2, 049 0.2, 0045 0.®, 004 334 L. FACCIOLÀ Il margine di questa pinna dorsale offre una marcata inci- sura nella congiunzione della porzione pseudospinosa alla molle. I raggi della prima vanno scemando in lunghezza davanti in dietro, in guisa che essa risulta di forma triangolare. Conservo un esemplare lungo 4 centim. sul quale esiste un’ anomalia della dorsale. Appena più indietro dell’ angolo superiore della fessura branchiale sorge in esso una piccola pinna isolata composta di due raggi riuniti da membrana. Dopo un intervallo nasce la dorsale ordinaria in direzione del mezzo della lunghezza delle pettorali, rappresentata da 9+16. Le pettorali hanno forma ovale e arrivano fino all’ origine dell’ anale 0 poco presso. Come bene ha notato Valenciennes sono un poco puntute. Dò nel se- guente prospetto alcune misure della loro lunghezza e di quella del corpo col rapporto tra l’ una e l' altra. 1. d. corpo 0.", 088 I. delle pett. 0.m, 008 | 1.delle pett. : 1. d.corpo (1:42), a 0.0, 040 a 0.m, 010 d Di E | n 0.9, 040 Ù 0.m, 010 SI CISITA i n 0.2, 040 È 0. 010 5 i ue DNTCONI ODI È 0.m, 010 1 ; SL OO ; 0. 011 | 3 n Me s 0044 È 0.m, 010 7 3 ao s 0, 046 p 0. 010 sl E ZE s 0.046 5 0.m, 011 ; 5 ALe 0.2, 047 D 0.", 010 5 A CAI, DO. N049 x 0.» OLI ; 3 MEZ], s 0. 050 È 0." 010 ; dò ao Oi 050 ; 0. 011 È E MEZ 10052 x 0.» 011 i la dis SO 0nH055 x 0.m, 010 3 5 BIRRE n 0056 È 0. 012 s Li PE ZiA , 0,057 B 0.", 013 : È Oo n 0,061 ; 0.m, 013 È ? DES a 0.2, 065 È 0.2, 013: a 5 ale 0.9, 065 x 0.", 015 È i ed , 0,067 È 0.m, 014 x n AE s 0, 068 ; 0.m, 016 i Î RR, Pn 075 Ù 0.®, 016 9 È MEZ, i BLENNII DEL MAR DI MESSINA 335. Per quanto spetta agli individui presi in esame si rileva adunque che le pettorali si comprendono da 4 a 5 ‘|, volte nella intiera lunghezza del corpo, che possono essere egualmente svi- luppate in esemplari in cui la differenza di lunghezza giunga fino a l centim., che in esemplari della stessa lunghezza o pres- sochè non presentano notevoli variazioni nella loro grandezza. Le ventrali sono in lunghezza circa '|, delle pettorali. Ad un un esame superficiale si mostrano composte di due raggi. Os- servando più attentamente -si scoprono verso la parte interna altri due raggi minori. Se poi si spoglia della pelle il raggio esteriore si vede addossato al suo lato esterno un raggio corto semplice. In tutto si hanno perciò 5 raggi alle ventrali. L’ anale nasce in direzione del terzultimo o penultimo raggio della dor- sale pseudospinosa e termina appena più innanzi che la dorsale. Fo notare che il suo primo raggio nei maschi non è breve o rudimentario e più o meno nascosto sotte la pelle come nelle altre specie, ma scoperto e bene svilnppato al pari dei seguenti; nelle femmine è breve, cioè ‘/, del seguente. La codale è rotonda. La linea laterale comincia dal di sopra dell’ angolo superiore della fessura branchiale, s' incurva leggermente sopra le petto- rali, indi si abbassa e va dritta fino alla codale. Nella porzione anteriore inarcata si compone di un canale longitudinale con- tinuo con due serie di pori, nella porzione discendente di canali staccati, nel resto di semplici pori isolati. Questi si continuano inferiormente nella stessa direzione retta fino all'angolo superiore delle pettorali, sicchè la linea laterale in avanti è bifida. La distanza dell’ ano dall’ estremità anteriore entra 2 '/- 2 5, volte nella lunghezza totale. Dietro ed in prossimità a quest’ orifizio esiste nei maschi un cortissimo tubo conico con l’ apice troncato (v. fig. 33). In tutti gli esemplari di questo sesso finora esami- nati non ho potuto scorgere papille di sorta sui due primi raggi anali, i quali nondimeno sono alquanto appiattiti e con l’ estre- mità smussa e rotondata invece che puntuta qual’è in quelli che seguono. Nelle femmine l’ apertura genitale manca del tubo notato nel maschi, ma è provveduta di un ribordo semilunare. Ad essa segue bentosto il solito tubercoletto (v. fig. 26). I colori che ornano il corpo di questa piccola specie sono poco soggetti a variare ed in alcune parti offrono una sorpren- dente uniformità. Sei fascie scure discendono sui lati del tronco 336 Î. FACCIOLÀ dalla base della dorsale fino alla carena del ventre o quasi. Le tre che seguono alla prima sono le più distinte e sempre orlate di celestino. Di esse tre la media è verticale mentre le due dei lati stanno inclinate ravvicinandosi in basso. Inoltre i loro margini superiormente sono irregolari formando un incavo con una spor- genza al di sopra e al di sotto. Nel mezzo di questa loro porzione superiore o testa evvi una linea celestina più o meno distinta la quale fa sì che ivi Je fascie prendano l'apparenza di esser duplici. Questa nota non venne trascurata da Valenciennes. Sul capo esistono punti e screziature celestine. Una linea di questo co- lore sta costantemente sotto l’ occhio, obliqua da sopra in sotto e da dietro in avanti. Su la tempia vi è un ocello turchinastro orlato di rossiccio. La dorsale anteriore presenta delle striscie oscure dirette in avanti ed un poco arcate. Verso il suo mar- gine libero e a questo parallele esistono inoltre 4-5 listarelle di color gialliccio ed alcuna volta celestine. L’ ultima listarella è quasi marginale. Gl'intervalli tra queste linee divengono più stretti andando dalla inferiore alla più estrema. Sui raggi della dorsale posteriore vi sono tratti celestini e tra questi macchie oscure. Sulla base delle pettorali si nota una macchia giallo- verdiccia scura più o meno distinta. Le ventrali son giallo-aran- ciate. I raggi adiacenti delle pettorali partecipano talvolta di questo colore. L’ anale è gialliccia con tratti bianchi sulla base dei raggi ed orlata pure di bianco. Sopra quest’ orlo il colore è nericcio, specialmente in avanti. La codale ha due o tre serie trasversali di macchie giallo-verdiccie o celestine. I giovani hanno tinte meno vivaci e piuttosto sbiadite. Costante è in essi la pre- senza di serie oblique di macchie brune sulle due porzioni della dorsale. Sul tronco i corpuscoli pigmentarii dello strato super- ficiale sono assai scarsi e piccoli, non così sulle pinne ove ab- bondano. Quelli dello strato profondo o della fascia superficiale sono di due grandezze, gli uni assai piccoli, puntiformi, gli altri più grossi e rotondi, e tutti poi intensamente neri e privi di prolungamenti. Distaccando la pelle dal tessuto soggiacente si scopre che le macchie celestine appartengono a questo e che essa non prende alcuna parte alla loro formazione, contraria- mente a quanto si osserva nel 57. pavo, in cui le stesse macchie risiedono esclusivamente nella pelle. Abbiamo avvertito che con la retrazione dei cromatofori si producevano ie tinte chiare. Ma i BLENNII DEL MAR DÌ MESSINA 337 nel caso presente essi non hanno più da contrarre il loro corpo in corrispondenza delle macchie celestine essendo dapertutto perfettamente rotondi. Ivi invece la superficie compresa tra i corpuscoli neri si presenta più bruna che altrove per deposito di sostanza colorante, la quale però potrà produrre il fenomeno della tinta chiara celestina assorbendo delle luce. L’ intestino è piegato due volte e va gradatamente restrin- gendosi dalla sua estremità anteriore all’ opposta. La sua in- terna membrana è percorsa da sottili pieghe longitudinali più distinte nella porzione gastrica. Quivi inoltre presentano lungo il loro margine delle piccole prominenze villose. Alle volte una piega viene sostituita per un certo tratto da queste vegetazioni poste l’'‘una in seguito dell’ altra. In un esemplare lungo 64 millim. misurava 68 millim. Il fegato più largo indietro si re- stringe in avanti dove forma due prominenze conoidali simme- triche. Le glandole genitali sono poco allungate, strette, appiat- tite. biancastre. Il peritoneo parietale è nerastro. Dietro le orbite il cranio è alquanto ristretto, in guisa che il temporale si trova disgiunto dal frontale posteriore. La tem- pia e la guancia sono infossate. Non esiste cresta interparietale. La cresta parieto-occipitale è leggerissima. Mancano affatto le spine posteriori del cranio. L’opercolo è allungato e alquanto incurvo. Il subopercolare è pure stretto e allungato. Vi sono 4 ossa carpali. Le due prime vertebre non portano spine neurali. Il 5 novembre vidi un individuo lungo 4 centim. il quale perciò dovea esser nato in autunno. Il più adulto che conosco misura 75 millim. Questa specie vive nel Mediterraneo. Da noi, oltre ai mari di Sicilia, fu incontrata nell’ Adriatico, nel Ligu- stico e nel Tirreno. 8. Blennius trigloides (1836). BI. trigloides Cuv. Val. Hist. XI, p. 228. Ù Bonap. Ic. fn. it. tom. III, fasc. XXVIII, f. 6. È Giinth. Cat. III, p. 227. Canestr. Pesci (fn. d’ It.) p. 184. R Vincig. Blenn. p. 14 (448) cum fig. 13 Facc. Descr. di due sp. di BI. p. 1, f. 1,10, 15. » »* % » è» è 338 i. FACCIOLÀ L’ altezza del corpo entra 5 *|,-6 volte, la lunghezza del capo 4'/;-4'/, volte nella intiera lunghezza. La spessezza è circa *|, dell’ altezza. Mancano completamente i tentacoli sopraorbitali. La narice îin- feriore porta due ciuffetti di appendici, uno in alto, l’ altro in basso. I canini della mascella inferiore sono più forti dei su- periori. Il vomere è armato di 3-4 piccoli denti. Le appendici branchiali portano 1-3 denticoli. Il corpo è ornato di fascie trasversali oscure. DAS PASIASOA A.3 /2+18, 2 14-18, 5+2+5=12_ Cipe o rg 24 26 Dent. 24 29’ Vert. 36. Il capo di questa specie somiglia a quello del BI. sphyne, specialmente nei giovani. Esso è circa ‘|; più lungo che spesso. Il suo profilo ascende assai rapido sino al margine antero-supe- riore degli occhi. Da qui al 1.° raggio della dorsale diviene oriz- zontale, indi discende leggermente fino alla codale. Le guancie son molto rigonfie, donde deriva ìn parte l'aspetto trigioide del- l’animale. Gli occhi toccano il profilo. Lo spazio infraorbitario è scanalato ed uguaglia la metà del loro diametro. Questo poi sta 4 volte nella lunghezza del capo. La narice inferiore è posta sul contorno orbitario superiore; la inferiore sì trova in dire- zione della prima, da cui dista quanto dalla sua compagna, di maniera che tutte e quattro stanno sugli angoli di uno spazio quadrato. La narice inferiore, a differenza delle altre specie, è provveduta di due ciuffetti di appendici, uno sul suo contorno superiore (v. fig. 5), l'altro sull’ opposto lembo con un numero minore di fili. Sul capo osservansi pori cutanei, più numerosi dietro il margine superiore degli occhi e sulla nuca. Lungo il margine del preopercolo dispongonsi in serie. Lo squarcio della bocca pel profilo rapido del capo e per la posizione degli occhi arriva fino alla metà di questo. I denti della mascella superiore formano una fascia disuguale perchè vanno scemando in lunghezza dalla sinfisi al loro termine in modo che quelli di mezzo sono I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 339 due volte più lunghi dei più corti. I denti inferiori sono eguali e terminano con due canini adunchi, più robusti dei superiori. Il vomere è armato di 3-4 piccoli denti acuti. I denti faringei formano un piccolo gruppo ad arco su di ciascun osso. I due veli membranosi mascellari sono eguali e lisci. La dorsale nasce in direzione del margine preopercolare e termina molto vicino alla codale. Essa è più o meno profonda- mente avvallata nel mezzo della sua lunghezza e perciò biloba. La porzione pseudospinosa è alta quanto la posteriore, i suoi raggi s' innalzano nella parte media e vanno decrescendo in avanti e in dietro in modo che le loro estremità descrivano una curva regolare. Le pettorali son larghe e rotondate e giungono sino all’ano; nell’ intiera lunghezza del corpo comprendonsi 4'-4?| volte. Dei loro raggi l’ 8.° è il più lungo. Le ven- trali entrano 7-3 volte nella detta lunghezza. Esteriormente mostrano 3 raggi di cui l'interno sembra essere un ramo del 2.°, ma la dissezione fa vedere che questo apparente ramo del raggio adiacente, sebbene ad esso in gran parte congiunto, è un raggio indipendente costituito di due metà e con radici pro: prie. Sul lato esterno delle pinne si trova poi sotto la pelle un raggio semplice. Si hanno così in tutto 4 raggi, di cui il primo o esterno è poco men di metà del secondo al quale sta forte- mente unito .ed è ottuso sulla punta, il terzo è il più lungo, il quarto o interno è poco men del secondo. L’ anale incomincia in direzione del seno della dorsale e termina appena più innanzi che la dorsale. Essa offre alcune differenze di sesso. Nei maschi ha in tutto 20 raggi, dei quali il 1.° e il 2.0 sono semplici o pseudospinosi. Nelle femmine ne ha 19, di cui il 1.° solamente è semplice. Oltre a ciò in quelli il 1.° è in lunghezza un mezzo del 2.°, questo la terza parte del 3.° raggio; in queste in- vece il 1.° è un terzo della lunghezza del 2.° e questo due terzi del 3.° raggio. Di talchè i maschi portano due raggi brevi all’ anale, le femmine un solo. La codale è convessa sull’ orlo posteriore. In ambo i sessi vi è dietro l’ano un solo orifizio genito-urinario. Nella femmina esso è coperto dalla ordinaria piega (v. fig. 25), nel maschio ha una brevissima appendice tu- bulosa (v. fig. 32). La linea laterale s’ inarca leggermente sovra l’ala pettorale, indi divenuta dritta. In avanti viene costituita da un canale continuo con due serie di pori sui lati, indi da Sc. Nat. Vol. VI, fasc 2.° 14 340 i i. FACCIOLÀ corti canali staccati e in ultimo da semplici follicoli. L’ ano dista dall’ estremità del muso quanto dalla base della codale. Mancano tubercoli genitali esterni. i Il colore generale del corpo è un giallo-verdiccio lurido e talora grigio-giallastro lavato. Sul corpo esistono macchie oscure più o meno confluenti in modo da formare una triplice fascia. La porzione anteriore di questa scende dal margine inferiore dell’ occhio e si unisce a quella del lato opposto sotto la man- dibola; la media partendosi dalla tempia si congiunge parimente all’ opposta sul pavimento della mandibola, la posteriore passa sulla membrana branchiostega e sui pezzi opercolari ed infe- riormente non confluisce a quello dell’ altro lato. Altre sei fascie verdiccie oscure coi margini irregolari di color bianco stanno sui lati del tronco. Di esse la prima discende dallo spazio del 2.° e 4.° raggio dorsale, l’ultima abbraccia la radice della coda. Lo spazio compreso tra il 1.° e 2.° raggio dorsale è più o meno fosco. La dorsale, le pettorali, l’anale, la codale sono macchiate di bruno o di verde-giallastro. Su quest’ultima pinna cotali macchie dispongonsi in tre serie verticali. Il margine dell’anale è orlato di bianco. Lo spessore della pelle è meno considerevole di quanto nelle altre specie. I corpuscoli pigmentarii in questa membrana e nel tessuto cellulare sottostante sono sparsi in ‘copia. I loro prolungamenti s’irradiano assai regolarmente spesso dividendosi in due o tre rami e per poco non vengono in. con- tatto con quelli delle cellule vicine;. succede assai di rado che si anastomizzino tra essi. Questi corpuscoli tra le fascie oscure del tronco non erano meno espansi che in queste. La differenza di colore deriva soltanto dalla quantità della sostanza intercellu- lare, essendo più scura e più densa in corrispondenza delle fascie, più chiara e più fina negli intervalli di queste. Anche sulle macchie bianche le cellule erano distese come nelle parti più oscure, ma la melanina era concentrata nel mezzo della cellula i cui prolungamenti ne contenevano una copia esigua traspa- rente; inoltre la sostanza fondamentale era pure scarsissima. Il canale nutritizio è più corto del corpo, piegato una sol volta. In un’ esemplare lungo 0.2, 070 estendevasi per 0.2, 045. La sua. porzione ingerente o gastro-esofagea è poco più larga del resto. La mocciosa nell’ esofago offre piccole eminenze isolate, nel restante del tratto fa vedere delle pieghe longitudinali, ma I BLENNII DEL MAR DI MESSINA 341 ‘scarse e poco pronunziate. Al principio della porzione espellente o rettale vi è un bordo rilevato circolare. In esso canale ho rinvenuto resti di gamberelli e una £ittorina neritoides (Turbo) Lin. conchiglia che vive alle più basse profondità e quasi a fior d’acqua. Fin qui non vidi esemplari con glandule genitali ma- ture. Queste nello stato abituale sono strette, allungate ed oc- cupano coi loro condotti un poco più di metà della lunghezza dell’ addome. Il cranio di questa specie ci offre pure una depressione con- siderevole della regione temporale ed un restringimento dietro le orbite che separa il temporale superiore dal frontale posteriore. I due intermascellari si riuniscono tra essi ad angolo, in modo che il contorno superiore della bocca riesce prominente nel mezzo invece che semicircolare, quale in altre specie. Essi formano la metà del contorno superiore della bocca. I loro pedicoli stanno conficcati immobilmente tra le due ossa nasali che sono inarcate. Il mascellare superiore sta pure fisso tra l’ intermascellare e il lagrimale e un po’ coperto da quest’ ultimo; la sua estremità. posteriore è tagliata in linea retta. Il contorno orbitario è spor- gente. I frontali posteriori hanno delle scanalature dirette verso il margine. Anche il contorno inferiore dell’ orbita è crenulato. I parietali stanno alquanto inclinati. La cresta sagittale e lam- bdoidea sono leggermente accennate. La faccia posteriore ‘del cranio è inclinata Il preopercolo ha il suo margine anteriore concavo, il posteriore convesso, l’ inferiore retto. L’opercolo è triangolare. Il subopercolo è più lungo e più stretto o si appone dietro a tutto il margine posteriore del pezzo precedente. Il suo margine anteriore non si prolunga in due spine tra cui venga ricevuto l’ apice dell’ opercolo, ma è intiero. ll coracoide risulta di due stiletti, di cui l’ inferiore più corto, il superiore allargato a paletta ed articola con l’omero. Le ossa del carpo sono al numero di 4 e si attaccano direttamente all’ omero, non essen- dovi traccia di radio e cubito. Le ossa del bacino son due la- minette triangolari che si congiungono agli omeri presso l’an- golo che risulta dalla congiunzione di questi. Le due prime ver- tebre mancano di neurospina. Il più lungo individuo che ho misura 11 centim. Vinciguerra riporta un esemplare lungo 116 millim. Questa specie da noi fu raccola a Napoli (Savigny), nel mar Siculo (Doderlein), nel- 942 i i. FACCIOLÀ l’Adriatico (Bellotti), nel Ligustico (Vinciguerra). Richardon, secondo Valenciennes, e Lowe la trovarono a Madera. Osservaz. 1.* Valenciennes crede d’ aver veduto un vestigio di tentacolo sopraorbitale in uno o due individui. Bonaparte dice pure che è brevissimo. Nei miei esemplari e in quelli 0s- servati da Vinciguerra è del tutto mancante. Osservaz. 2.° Gli autori (Valenciennes, Ginther, Vinciguerra) descrivono un solo tentacolo sulla narice inferiore. Ma è carat- teristica di questa specie la presenza di due tentacoli su di essa narice. Osservaz. 3. Valenciennes, riporta 2 raggi alle ventrali e dice che il raggio interno, ch’ è il più lungo, non è diviso. Ap- parentemente è così, ma in realtà vi sono 4 raggi, perchè a ciascuno dei due esteriormente visibili sta fortemente addossato un altro raggio. Quindi il raggio più lungo è il terzo e non il secondo. O DALAI - rs Leni (») Ha I 9 (n fas 15. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Tentacolo nasale ingrandito del B?. ocellaris. » » » |. »» gattorugine. » » » » » sanguinolentus. » » » » » tentacularis. » » (sup.) » » » trigloides. » »: » » » Sp h YNI » » » » » pavo. » » » » » Ro uxii. » sopraorbitale » >» » » . Appendice cutanea ingrandita dei lati della regione occipitale del 2. ocellaris. . & appendice cutanea, p pinna pettorale, f fessura branchiale nel BI. ocellaris (gr. nat.). . Tubercoli denticuliferi degli archi branchiali del BI Roucit(4))- . Un tubercolo e suo denticulo degli archi branchiali del £7. sphyna (4) - . Pezzetto di pelle dei fianchi del B/. sanguinolentus osservata di fronte (‘/oo)- Si vedono le cellule epiteliali e per traspa- renza gli elementi pigmentari sottostanti in istato di re- trazione. Taglio verticale della cute del B sanguinolentus (io). @ ba- sale amorfo, d derma propriamente detto e corpuscoli pigmentari verso il suo limite esterno, e tessuto connettivo cellulare sottocutaneo con detti cerpuscoli, d fibra mu- scolare, . 16. Corpuscoli pigmentari rotondi della fascia superficiale del BI. sphyne o). 17. Pezzetto di pelle in un individuo insolitamente nerastro del BI. pavo (‘4o). Si vedono i nuclei delle cellule pigmentali rimasti liberi e la melanina sparsa uniformemente per rot- tura di queste. 18. Una cellula pigmentaria del tessuto sottodermico della re- N09) 20. 30. Sl. 32. Altra cellula pigmentaria del derma del 284. sanguinolen- v. od (07 gione dei fianchi del BI. trigloides (x)- tus (/s00)- vescica urinaria, v/ sua estremità posteriore, ## testicoli, t' t! estremità dei loro condotti escretori nel BI sanguino- lentus (gr. nat.). vescica urinaria, 00 ovari, tiniestino retto, @ ano, g val- vola e tubercolo genitale nel BI. sanguinolentus (gr. nat.). ano, 9 valvola e tubercolo genitale, r 1.0 e 2.0 raggio anale: nella femmina del BI. sanguinolentus (ingr. una volta). ano, g valvola e tubercolo genitale, 7 1.° raggio anale: nella femmina del 24. gattorugine (ingr. una volta). ano, 9g valvola e tubercolo genitale, 77/10 e 2.° raggio anale: nella femmina del 2°. ocellaris (ingr. una volta). ano, g valvola e tubercolo genitale, r7/ 1.0 e 2.° raggio anale: nella femmina del B/. triglotdes (ingr. una volta). ano, 9g valvola e tubercolo genitale, 77’ 1.0 e 2° saggio anale: nella femmina del BI. spAhyn® (ingr. una volta). ano, g valvola e tubercolo genitale, n 1° e 2° raggio anale: nella femmina del £5/. pavo (ingr. una volta). ano, v valvola e tubercolo genitale, r7/ 1.0 e 2.0 raggio anale: nella femmina del 2! tentacularis (ingr. una volta). ano, o orifici genitali ed urinario (quello di mezzo), pi due gruppi di papille impiantate sul 1° e 2.° raggio anale, r 3° e 4° raggio anale: nel maschio del B. sanguinolentus (ingr. una volta). i ano, v valvola genitale, r 7/ 1.° e 2.° raggio anale con ve- getazioni verso l’ estremità loro: nel maschio del 2. gatto- rugine (ingr. una volta). ano, o orifizio genitale, r 7/ i due primi raggi anali: nel maschio del 2. ocellaris (ingr. una volta). a ano, t tubo genitale, r r/r” 1.° 2.° e 3.0 raggio anale; nel maschio del 24. triglotides (ingr. una volta). 345 Fic. 33. a ano, t appendice tubulosa genitale, ” 1.° e 2.° raggio anale: nel maschio del B/. sphyna (ingr. una volta). » 34. a ano, t tubo genitale, r 7/ i due primi raggi anali con una papilla sull’ estremità, r” 3.° raggio anale: nel maschio del BI Rouxi (ingr. una volta). » 39. a ano, t infundibulo genitale, p primo gruppo di papille sul 1.° raggio anale, p’ secondo gruppo di papille sul 2.° raggio anale r: nel maschio del B/ tentacularis (ingr. una volta). » 36 a ano, # imbuto genitale, p 1.° e 2.0 gruppo di papille, 7 3.0 | raggio anale: nel maschio del 2. pavo (ingr. una volta) C. I. FORSYTH MAJOR I CINGHIALI DELL'ITALIA. STUDI CRANIOLOGICI Il Cinghiale è da annoverarsi fra i mammiferi europei meglio conosciuti, e ciò anche avuto riguardo alle esigenze della Zoo- logia scientifica, essendo stato il suo teschio argomento di studi speciali, in prima linea del Ruetimeyer (') e del Nathusius (?). Esso vien considerato generalmente come una forma constante tanto nel tempo che nello spazio: nelle liste di mammiferi post- pliocenici c' imbattiamo spessissimo nel “ Sus scrofa , . Gli avanzi di cinghiali delle palafitte elvetiche più antiche non offrirono al Ruetimeyer differenze cogli attuali. La sua diffusione attuale non si limita all’ Europa; è considerato come uno dei Mammiferi più diffusi della regione paleartica, giacchè gli osservatori più coscienziosi ci asseriscono essere tanto il cinghiale dell’Africa set- tentrionale quanto quello dell’Amur identico al comune Sus scrofa. Pur tuttavia, e senza uscire dall’ Europa, si possono trovare registrati quà e là nella relativa bibliografia cenni sopra cin- ghiali di certe regioni, i quali nei caratteri esterni presentano qualche particolarità, forse indizio di differenze più importanti. (') L. Ruetimeyer. Die Fauna der Pfahlbauten der Schweiz. 1861. — id. Neue Beitrige zur Kenntniss d. Torfschweins (Verhh, d. Natur f. Ges. in Basel IV. 1, 1864, p. 139-186. (?) H. v. Nathusius. Vorstudien f. Geschichte u. Zucht d. Hausthiere zunaechst am Schweineschaedel. Berlin 1864. I CINGHIALI DELL'ITALIA - STUDI CRANIOLOGICI 347 | Secondo il Nordmann, i cinghiali abitatori dei bassi-fondi palu- dosi del Pruth si distinguono per le loro gambe relativa- mente alte ('). Il Nathusius riporta le notizie avute da caccia. tori austriaci sull’ esistenza di cinghiali con orecchie pendenti, nei paesi del Danubio inferiore (*). Lo stesso autore accenna all’ esistenza d’una piccola specie di cinghiali molto frequente, da quello che ne riferiscono alcuni viaggiatori, in alcune regioni intorno al Mar Nero (?). Nelle pagine che seguono intendo dimostrare che quando dissi essere i cinghiali fra i mammiferi europei i meglio cono- sciuti, questo debba intendersi in senso relativo. Da molto tempo m'aveva colpito il fatto che i crani di cin- ghiali italiani da me esaminati nei nostri Musei non corrispon- dono perfettamente alla forma che il testo e le fisure dell’opera di Nathusius danno come tipica del Sus scrofa. Da principio non annettei grande importanza a questa circostanza, attribu- endola ad incrociamenti avvenuti con maiali domestici ('). In seguito, quando cominciai ad occuparmi più seriamente dell'ar- gomento, reputai necessario, per chiarire la questione, di pre- scindere affatto dai crani conservati nei Musei senza precise indicazioni, ma presi per base a questi studi un materiale co- scienziosamente controllato riguardo alla provenienza. Giunsi alla conclusione che difatti esistono alcune differenze fra il cranio del cinghiale della penisola italiana e quello germanico. Chi si è fatto l'occhio a questo genere d’ osservazioni è anzi-colpito a prima vista da una di esse differenze, essendo i crani italiani un poco più larghi ed un poco più al dei crani del cinghiale germanico . Il materiale sul quale sono basate le mie osservazioni intorno al cinghiale della nostra penisola è il seguente: 1. Un cranio di maschio adulto, ucciso presso Montepe- scali (Maremma toscana) dal sig. Conte Bardo Corsi-Salviati di Firenze, e da lui regalato al Museo paleontologico dell’ Istituto Superiore di Firenze . (4) R. Hensel. Bericht ùb. d. Saugethiere f. 1859, p. 65. (Troschel's Archiv f- Naturgeschichte). ©) re. pielol. (©) cp A152! (4) È noto che i cinghiali del Parco Reale L S. ERRE presso Pisa sono for- temente incrociati con maiali. 348 : €. I. FORSYTH MAIOR 2. Cranio di maschio adulto, della Maremma Romana, ce- dutomi anni fa dal Preparatore del Museo Civico di Milano. 8. Cranio di maschio quasi adulto, ucciso dal sig. Dott. Emanuele Malfatti di Tatti, presso Massa Marittima (Maremma toscana ), e da lui regalato in carne al Prof. Man il quale mi donò il cranio . 4. Cranio di maschio adulto ucciso presso Talamone (Ma- remma toscana ); comprato sul Mercato di Firenze. 5. Cranio di maschio vecchio ucciso questo inverno. nella macchia dell’Alberese ( Maremma toscana ). Lo debbo alla cor- tesia dei signori Dolfi e Dott. Paolo Galardi. Disgraziatamente questo cranio è tanto fracassato che non permette di prendere che pochissime misure. 6. Cranio di femmina adulta, della Maremma toscana; comprato sul Mercato di Firenze. Le nostre cognizioni intorno al cinghiale dell’ isola di Sar- degna fino a poco fa, si limitavano alle notizie che ne ha dato, nella seconda metà del secolo passato, il P. Francesco Cetti, nei suoi Quadrupedì di Sardegna, le quali sì riducono presso a poco a farci sapere, essere il cinghiale sardo molto piccolo e molto comune . Nel 1882, parlando incidentalmente del cinghiale sardo, di- chiarai che a torto lo si confonde senz’ altro col Sus scrofa pa- leartico, avendo il primo dei caratteri in comune col Sus vittatus. Nel tempo stesso ebbi a constatare, avere il cinghiale di Sardegna fra tutte le forme di cinghiali conosciute, le maggiori analogie col maiale delle Palafitte, il così chiamato Sus palustris (!) . Nello stesso anno lo Strobel ha fornito indicazioni sopra due crani di cinghiali sardi, l’ uno conservato nel Museo di Parma, l’altro in quello di Milano (*). Per la forma quasi quadrata del lagrimale, egli distinse il cinghiale sardo come Var. sardoa da quello “ tipico ,, Var. celtica (*) e fa osservare esistere in Francia degli individui di cinghiali i quali formano. il passaggio (1) L'origine della Fauna delle nostre isole (Proc. Verb. Soc. Tose. Se. Nat. Adunanza 12 marzo 1882. p. 119, 120, 132. (®) Pellegrino Strobel. Il Teschio del Porco delle Mariere. Studio comparativo (Estratto deg Atti della Soc. Ital. di scienze naturali. Vol. XXV. Milano 1882). p. 15, 16, 21-23, 40-45, 48, 50, ua 559, 59, 61-63, 70, 09 9, 98,103. - (3) 1. c. p. 59. I CINGHIALI DELL’ ITALIA - STUDI CRANIOLOGICI 349 tra le due forme ('). Le altre indicazioni sul cinghiale sardo, sparse nella Memoria dello Strobel concordano colle mie osser- vazioni proprie, se sì eccettui il profilo concavo attribuito al cinghiale sardo, sulla fede d’un cranio del Museo di Parma (?). D’ altra parte è detto, presentare il cranio del Museo Civico di — Milano un profilo quasi retto (*), ma corrispondere con quello di Parma nei caratteri principali (‘). Il lagrimale s’avvicina più alla forma quadrata in quello che in questo (*). L’anno scorso, nel rendere pubblici alcuni dei resultati ai quali fui condotto dallo studio del genere Sus (5), feci menzione anche del cinghiale sardo, che precedentemente avevo chiamato Sus scrofa meridionalis, e dichiarai che con altrettanto diritto lo si poteva considerare come varietà del Sus vittatus, poichè ha in comune con questo la maggior parte dei caratteri che lo distinguono dal Sus scrofa, oltre alcuni altri a lui particolari. Dei dodici crani di cinghiali sardi che ho potuto utilizzare per questi studi, uno (il N.° 3 delle tabelle di misure }, d’ un maschio adulto, è proprietà del Museo Civico di Genova, che lo ebbe dall’Ing. Traverso, del Sarrabus (S. E. della Sardegna). Altri nove mi. furono spediti direttamente dalla Sardegna, gli ebbi freschi in carne ed in pelle, in parte colla pelle intera. E sono: N.° 1. Maschio vecchio, ucciso a Sarroch pr. Pula ( Sud della Sardegna ). Spedito dal Preparatore e Cacciatore Stefano Meloni di Cagliari al Museo paleontologico di Firenze. N.° 2. Maschio adulto, della provincia di Cagliari. Dono del fisiologo prof. Francesco Corso, il quale a mia richiesta lo procurò per mezzo d’ un amico medico di Cagliari. N.° 4 Maschio vecchio. Dalla provincia di Cagliari. Spedito dal suddetto Meloni al Museo paleontologico di Firenze . N.° 5. Maschio (Gli ultimi due tubercoli del mol. 3. sup. appena spuntate dalle alveole). Venne spedito da Porto Torres (N. della Sardegna) al mio indirizzo da uno spedizioniere che me lo fece capitare per mezzo d’ un suo collega di Livorno, (1) 1. e. p. 59, 119, 120. (2) 1. c. p. 15, 53. Tav. I, fig. 6. (@) 1. e. p. 16,755. pleapio9: ONLeuea (6) Studien zur Geschichte der Wildschweine (Gen. Sus). Separat-Abdruck aus d. « Zoologischen Anzeiger » 1883, N.° 140. 350 .. «€. I. FORSYTH MAJOR senza che fino a quest’ ora mi sia riusciuto sapere chi sia il ge- neroso donatore. , N. 6. Maschio vecchio. Provincia di Cagliari. Dono come sopra (N.° 2) del prof. Corso. i N. 7. Maschio adulto. Provincia di Cagliari. Spedito dal Meloni al Museo paleontol. di Firenze. N.° 8. Femmina adulta. Di Castiadas (prov. ‘di Cagliari). Spedito dal Meloni al Museo paleontol. di Firenze. N.° 9. Femmina quasi adulta, dei dintorni d’Alghero (N 0). Gentilmente spedito, dietro mia richiesta, dal sig. Dott. Guido Becciani, direttore del Bagno Penale d’Alghero, al Museo paleon- lologico di Firenze. i N.° 12. Femmina giovane (gli ultimi molari non sono spun- tati dalle alveole). Alghero. Spedito dal predetto al Museo pa- leont. di Firenze. | Altri due crani (N.° 10 e 11) di madre adulta e di figlio quasi adulto, mi furono gentilmente prestati dall’ amico prof. Ettore Regalia, il quale li ebbe da un parente, il sig. Plancher possidente nella provincia di Parma. Madre e padre erano stati catturati da giovani nei boschi della prov. di Sardegna e ven- nero elevati dal suddetto sig. Plancher. Dietro le informazioni avute dal prof. Strobel, da me pregato, sulla provenienza del cranio di cinghiale sardo del Museo di Parma da lui descritto e figurato, si venne a sapere che era del padre, importato gio- vane dalla Sardegna insieme colla femmina. Essendo rettilineo o quasi il profilo dei dieci crani di cinghiali sardi sopra enumerati (N.° 1-9, 12), visibilmente concavo invece, cioè formando un angolo Snia ni di 163° quello del cranio del Museo di Peru, ('), non posso considerare questo carat- tere, collo Strobel, come inerente al Cinghiale di Sardegna, ma va considerato invece come effetto della domesticazione; in- vece di contraddire all’opinione del Nathusius e del Ruetimegyer (?) ne è anzi una conferma ulteriore. Anche il cranio del figlio di quella coppia importata dalla Sardegna, ha il profilo concavo. Tatti e tre questi cranii sono alquanto più grandi di quelli di cinghiali sardi affatto selvatici. Mi occuperò in altra occasione (') Strobel. 1. c. p. 14, 15. (?) Strobel. 1. c. p. 27, 28, 53 segg.; et passim. ir i o cc den + de vt in i ì CINGHIALI DELL'ITALIA - STUDI CRANIOLOGICI 351 di questi tre cranii interessantissimi, non potendo quì entrare a trattare degli effetti della domesticazione. Confronto tra i Crani dei Cinghiali germanico, continentale italiano e sardo. Nelle seguenti tabelle di misure ho adottato in genere le misure del Nathusius, alle tabelle del quale corrisponde la nu- merazione progressiva. La tabella I.* contiene le misure asso- lute. Nella tabella II.° queste sono convertite in misure relative, mettendole in proporzione colla lunshezza del cranio, dalla punta anteriore degl’ intermascellari al margine inferiore del foramen magnum (misura N.° 1), la quale è fatta — 100. La tabella III.* contiene le medie delle misnre relative, del cinghiale continen- tale italiano e sardo, messe in confronto d’ una parte colle medie del cranio del cinghiale germanico, d'altra parte con quelle del Sus vittatus. Confrontando le medie delle misure ridotte del cinghiale sardo (S) colle medie tanto del cinghiale del continente italiano (1, come del cinghiale germanico (G) (queste ultime desunte dall'opera di Nathusius), e tenendo separati i crani dei due sessi, ci accorgiamo che sotto alcuni rapporti importanti il cinghiale sardo s' allontana molto più dal Sus scrofa di Germania che non il cinghiale del continente italiano, il quale ultimo sotto certi riguardi è intermedio fra i due, però l'affinità fra I e G e più considerevole di quella fra I e S. Misure di larghezza. — La larghezza della fronte, cioè l’asse trasverso tra i processi soprorbitali del frontale, il N.° 15 delle tabelle, raggiunge nei cinghiali sardi maschi le massime a me note in tutto il genere, non eccettuati i Sus asiatici; oltrepassa di 4, 6 quella di G, di 3, 25 quella di I. E molto considerevole anche nei S la larghezza anteriore della fronte, tra i margini superiori delle ossa lagrimali (N.° 16), la quale nelle medie di I e G non fa vedere differenze. La massima larghezza del teschio (N.° 14) nei S oltrepassa di 2,9 quella di I, di 3, 9 quella di G. Le varie misure di larghezza del naso (N.° 19-22) raggiun- gono parimente la massima in S. La minima larghezza tra le carene parietali (N.° 17), dimen- 352 : C. Il FORSYTH MAJOR sione molto variabile nei cinghiali, ha però qualche valore ove sì considerino misure medie; anche per questa misura la cifra più alta è raggiunta dal cinghiale sardo. La larghezza della mandibola va di pari passo colla larghezza del cranio, e quindi la massima della distanza dei condili fra di loro è raggiunta da S (N.° 36). La media delle massime lar- ghezze della mandibola, all'infuori dei condili (N.° 37) è un poco superiore nel cinghiale italiano; la massima assoluta però, 44, 9 mm., si trova in un cranio sardo (del Museo di Genova). Misure di lunghezza. — Nel cinghiale sardo la lunghezza del cranio (misura N.° 1 delle tabelle) varia in nove adulti da 223, 5 a 204 mm. Anche sotto altri rapporti i vari crani non sono completameate uguali tra di loro; in alcuni di essi la dif- ferenza dal Sus scrofà è meno saliente; d' altra parte abbiamo le transizioni fra le forme estreme. Il cinghiale della penisola italiana, più grande assai di quello sardo, non raggiunge però le dimensioni di quello germanico. Nel primo, l’asse longitudinale del teschio ( N.° 1) varia da mill. 295,5 (2) a 339 (4); nell’ ultimo, da mill. 322 (9) a 366. Quindi le massime di I oltrepassano di poco le minime di G. Avendo il Nathusius, per le sue tabelle di misure, fatto una scelta fra tutti i crani a sua disposizione, mentre che io misurai tutti i miei crani italiani, le cifre indicate non rappresentano forse la proporzione esatta nelle dimensioni fra i cinghiali del- l'una e dell’ altra regione. Se dividiamo la fronte (ossa frontalia e partetalia) con Na- thusius in una parte anteriore e posteriore, per mezzo d’ una linea la quale unisce le punte delle apofisi soprorbitali, ci accor- giamo che la media della parte posteriore della fronte ( N. 8) nei Ie S è molto più lunga che in G. La parte anteriore della medesima (N.° 7) è quasi identica in lunghezza in tutti e tre i gruppi; è poco più lunga soltanto nei S; nei crani femminili però vi è un aumento sensibile in favore di S. All'incontro la lunghezza delle ossa nasali (N.° 6), quasi uguale per G e I, è molto inferiore per S. L’asse della parte incisiva del palato (N. 13) è massima nei S, ciò che colpisce maggiormente, vista la larghezza e poca lun- (!) Non fu preso in considerazione il cranio non affatto adulto di Massa Marittima. : L] i I CINGHIALI DELL’ ITALIA = STUDI CRANIOLOGICI 353 ghezza dei crani di cinghiali sardi, ai quali dà un aspetto carat- teristico. La sinfisi del mento invece ( N.° 84 e 34 a ) è molto più breve in S e I che nel cinghiale di Germania. Misure d’ altezza. — Le dimensioni d’ altezza del cranio sono espresse per mezzo dell'asse verticale dal margine inferiore del foramen magnum occipitale alla metà della cresta occipitale (N.° 28); e dell’asse verticale dal piano basale — sul quale ri- posa il cranio unito colla mandibola — alla metà della cresta occipitale (N.° 29). La prima di queste dimensioni è molto più considerevole in I e S, che in G; I sorpassa anche un poco S, e più che altro nell’asse verticale di tutto il cranio, per la quale la media di S oltrepassa soltanto di poco quella di G. Un espressione abbastanza precisa per la direzione più o meno verticale dell’ occipite ci è fornita dal confronto delle due mi- sure N.° 1 e 2, cioè delle due assi longitudinali, dalla punta degli intermascellari al margine inferiore del foro occipitale (N.° 1), e dell'asse orizzontale tra la punta suddetta e la metà della cresta occipitale (N.° 2). Nei cinghiali europei il N.° 2 è sempre superiore al N.° 1, cioè la parte superiore dell’ occipite oltrepassa all’indietro quella inferiore, surplombe su quest'ultima. La media delle misure N.° 2 è quasi uguale in I e S, un poco più alta in S; ma in ambedue questa media è alquanto più alta che nei G; l’occipite nei cinghiali sardi ed italiani continentali si scosta quindi più dalla verticale che nei germanici. Il con- fronto di questa misura N.° 2 nei singoli crani ci fornisce inoltre altri insegnamenti. Nei cinque crani maschili di Germania (vedi Nathusius) essa varia fra 104-110; nei quattro maschili adulti italiani abbiamo maggiore costanza, da 108,2 a 110, 4. La mas- sima variabilità si riscontra nei sette crani maschili sardi (104, 5- 112, 5). Anche per questo carattere adunque si verifica una non indifferente variabilità fra i singoli individui di cinghiali sardi; in alcuni (i crani segnati N." 1 e N.° 3) l’occipite appare al- l'occhio disposto quasi verticalmente; in altri l’ obliquità del medesimo, cioè il “surplombement , della parte superiore su quella inferiore, raggiunge il massimo grado finora constatato nel genere Sus. 354 G. I. FORSYTH MAJOR. TABELLA I? Misure assolute . Asse dalla punta degli intermascellari al margine inferiore del for. magn. . Asse orizzontale tra la punta degli intermascellari e la metà della cresta occipitale, . Asse dalla punta del naso alla metà della cresta occipitale . Asse longitudinale delle ossa nasali sino al principio della sutura frontale JIOò po . Asse longitudin. dalla radice del naso alla linea della fronte che ne unisce le punte delle spofi soprorbitali b . . 8. Asse longitudin. dal punto mediano di questa linea al margine della cresta occipitale - 9. Asse longitudin. dal margine inferiore del foram. magnum al vomer : ’ . 10. Asse longitudin. dal margine infer. del foram. magn. alla metà dell' incavo delle ossa palatine! ll. Asse longitudin. dall’incavo delle ossa palatine alla punta degli intermascellari 12. Asse longitudin. della parte molare del palato 13. Asse longitudin. della parte incisiva del palato . 14. Asse trasverso tra gli archi zigomatici. Masssima larghezza del teschio . 15. Asse trasverso tra i processi soprorbitali del frontale ‘Massima larghezza del fronte + cca cani Mer! cina. Pene ili ici cicala celo nn - Asse trasverso tra i margini superiori delle ossa lagrimali, ai margini orbitali 17. Minima larghezza tra le carene parietali 19. Asse trasverso tra le suture degl’intermascellari al margine alveolare Larghezza delle ossa nasali tra le punte superiori delle suture degl' intermascellari. Larghezza del naso alla sua radice . . ° 20. Larghezza del naso alla riunione dei frontali coi mascellari 21. Minima larghezza del naso . 22. Massima larghezza della squama occipitale . o È | . . . . 23. Larghezza del palato: minima distanza tra i margini alveolari al tubercolo antero-interno del mol.3 21. » » » :distanza come sopra del mol., 291 » » » :distanza come sopra del praem., » » » :distanza come sopra del praem., » » » :distanza davanti ai praem.; : 27. » » » :minima distanza tra i margini alveolari dietro all’inc., verticale dal margine infer. del foram. magn. alla metà della cresta occipitale 29, Asse verticale dal piano basale alla metà della cresta occipitale 2 30. | Asse verticale dal piano basale al punto più alto dei processi condiloidei. : . A Asse verticale dal piano basale all’orizzontale della superficie triturante dei molari. . ° . . . . © 7 Gana È n . La » . -. . . C) . CD] . . . . » . ® . . sir Sii iii iii 32. 9 | Altezza del ramo orizzontale ai praem $ MR. 33. n Altezza del ramo orizzontale sotto la metà dei moll.;. . 34, rr | Asse longitudinale della sinfisi del mento - 3 d Asse longitudinale della medesima, trascurandone la punta anteriore. } 35. tw | Asse longitudinale del ramo orizzontale . : 36. S Massima distanza dei processi condiloidei . . î 37. Massima larghezza al di fnori dei processi condiloidei I CINGHIALI DELL'ITALIA - STUDI CRANIOLOGICI PENISOLA ITALIANA < Monte Pescali o) 306 331 393 190,5 75,9 87 45 87 219 157 62,5 140 104 74 25 39,5 24 46,5 32 21 69,5 26,5 29 36 32 44,5 33,5 118,5 196 105 55 46 42 89 75,5 105 117 133 Tala- mone È Massa Maritt. o) 30,5 105 168 39-40 38-39 116 106 115 Marem® Romana | Marem ?| N.° 1 Tosc. 209 355 SARDEGNA no2|no3 | No4|no5|N°6|N°7|N08 OI OE O OSIO ò S 257 | 249 | 258 |263 |239 | 264 |2235 281 | 271 | 286 | 287 | 264 | 297 | 243,5 201 | 276 ! 300 | 308 | 275 | 307 | 257 J500\\NI375: 0146. [== Mae = 1315 655 | 64 | 75 Ma 33 645 Tae od 67850 55072 SM 625 425 | 39 |445 | 415 | 40 |40 | 36 725 |v | 77 |725|68 |745 | 65,5 184 | 178 | 180 | 190 | 171 | 190 | 157,5 127 | 1225] 1275] 1365] 121,5| 1315] 110 565 |56 |54 |54 |50 |595 |485 119 | 120 | — |124 | 115 | 120 | 105 915 | 92 2292 (86 ZII 65 |65 |64 |68 |63 — | 56 3 8054021 33 19 |25 |305 SNA co 39 N sn 82600 30) 55 DIR NDS Od 205 e22 Log ros 395 | 365 | 365 | — |40 SPORE INO4 28 275 | 27,5 — | 28 =. .|27 18. | 185 | 185 | 185 | 175 | 195 | 19 55 —. 56. 585 | 54 |54 | 505 24 |235 | 235 |23 | 215 | 235 | 185 Zi 2 SRO 31 sa 290) (3008 12954 13150255 285 | 30. |27 |27 |265 |29 |24,5 37 |405 | 345 |37 |365|s8 |3sl 275 |841 |255 | 295 | 27 |255 | 235 Ori NIGRO LO7IA D100; 1 055 900 (153) | 153 | 152 | 1656 | — | 156 | — CR 785.87 — |81 DES 4h ii 465 ri 37298 38. | 40-41| 385 | 3885 | — |39 |30 35 |355|35 |37 — |34 |28-29 TRI IA 70 \\K65,51,| (66/5 uia S| 58 605 163 |59 |565 | 585 | 64 | 505 89 |875|93 |107 |88 |96 |865 ZE RIOASNIRI00:: 1106 = 98 » — 112% [102,5] 1090| — 1 98 = NUORO v 356 C. I. FORSYTH MAIOR IAN 13% Asse Asse Asse . Asse . Asse Asse . Asse . Asse + Asse . Asse Asse . Asse . Asse TABELLA II? Misure ridotte (la lunghezza del cranio = 100). dalla punta degli intermascellari al margine inferiore del for. magn. orizzontale tra la punta degli intermascellari e la metà della cresta occipitale. dalla punta del naso alla metà della cresta occipitale. longitudinale delle ossa nasali sino al principio della sutura frontale longitudin. dalla radice del naso alla linea della fronte che ne unisce le punte delle apofisi soprorbitali . longitudin. dal punto mediano di questa linea al margine della cresta occipitale longitudin. dal margine inferiore del foram. magnum al vomer. . longitudin. dal margine infer. del foram. magn. alla metà dell’incavo delle osse palatine. longitudin. dall’ incavo delle ossa palatine alla punta degli intermascellari longitudin. della parte molare del palato longitudin. della parte incisiva del palato . o ; SIN 5 trasverso tra gli archi zigomatici Massima larghezza del teschio trasverso trai processi soprorbitali del frontale. Massima larghezza del fronte 30. mi | Asse longitudinale del ramo orizzontale 36. 37. | Massima distanza dei processi condiloidei . . . Massima larghezza al di fuori dei processi condiloidei . Asse trasverso tra i margini superiori delle ossa lagrimali, ai margini orbitali . ° 17. Minima larghezza tra le carene parietali 19. Asse trasverso tra le suture degl’ intermascellari al margine alveolare Larghezza delle ossa nasali tra le punte superiori delle suture degl’intermascellari . Larghezza del naso alla sua radice . 0 5 0 o o 5 Ò . 20. Larghezza del naso alla riunione dei frontali coi mascellari . Ù . 21. Minima larghezza del naso . 22. Massima larghezza della squama occipitale . ; TACITO c o 2 . . . 23. Larghezza del palato : minima distanza tra i margini alveolari al tubercolo antero-interno del mol.;. 24. » » » :distanza come sopra del mol., , 25. » » » :distanza come sopra del praem.;. » » » :distanza come sopra del praem.,. » » » :distanza davanti ai praem.,. o o . ° È |27. » » » :minima distanza tra i margini alveolari dietro all’inc., 28. Asse verticale dal margine infer. del foram. magn. alla metà della cresta occipitale | 29. Asse verticale dal piano basale alla metà della cresta occipitale 30. Gg / Asse verticale dal piano basale al punto più alto dei processi condiloidei. 31. ri | Asse verticale dal piano basale all'orizzontale della superficie triturante dei molari. 32.9, Altezza del ramo orizzontale ai praeme 39. 9 Altezza del ramo orizzontale sotto la metà der moll.;. 0 . 34. o Asse longitudinale della sinfisi del mento : d Asse longitudinale della medesima, trascurandone la punta anteriore. o . VERSA RROnA Ir n ITA ITA ZIA I CINGHIALI DELL'ITALIA - STUDI CRANIOLOGICI 35% PENISOLA ITALIANA SARDEGNA Monte | Tala | Massa [Marem*|Mareme| N01|ne2|Nog|No4|Nes|No6|Ne7|N°8]N09 | Pescali| mone | Maritt.|Romana| Tose. | Feel i FAI AAT I 100 | 100 | 100 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100 | 100. | 100 | 100 | 100 | 108,2] 109,1| 110,4! 108,3 1045 109,2| 108,8| 110,8| 109,1] 110,5| 112,5| 108,9| 1065 2 115,7] 115,8] 114 | 11733 110,3| 113,2| 110,8| 116,2| 117,1] 115 | 116,8| 115 | 111,7 62,3 | 60 |595 | 61,6 Si 1581400) 05500 (50,60 en sis 567 24,7 | 25 | 25,6 | 265 2504 PS eo I 0498 NESTA losraliora 28,4 | 30,9 | 29,1 | 296 DS SON 0 3042870 03010 Cosi ore 14,7 | 16,4 | 15,6 | 15,3 155 | 165 | 15,6 | 17,2! 158 | 167 | 152 | 16,1 | 167 23,4 | 28,8 | 28,5 | 28,2 mg 12820) (281501298 275 | 128)5 | 28211 29,3. |-30.2 see (071,3 | 73 22.| Wi |18 [09 23 2038095 51,3 | 50,4 | 52,1 | 515 51,4 | 49,4 | 49,2 | 49,4 | 51,9 | 50,8 | 49,8 | 49,2 | 49,8 20,4 | 20,9 | 195 | 20,6 21 2.225. DI 205/8 N20/0M 022500 felini 20 45,8 | 47,1 | 438 | 43,4 50 | 46,3] 482 | = |471 | 48,1 | 455 | 47 | 448 {34 |343 | 30,6 | 31,7 339 [838 Lay i ls — |362 | 341 242 | 25,4 | 22,7 | 242 28000 12551 osi 2488 05098 ge 25000246 Si 81-74 95 | 12,1 | 122 | 8 125 | 8 5 | Jet I2:9R 2:30 12,60) 124 139182. |Meg Mez 25 ez ed 80195 at 59 i aglio, asia, (aos 15,2 | 148 | 142 | 15,6 e Rot Mc I RSS e 520 52 105 | 112 | 10 |119 12,6 | 10,9 | 11 ori e a MS 2 o GORI 6 75 sane cen o o 72 22,7 | 248 | 21,1 | 223 32 2 — || 22 (00 2 11,76| 12,02| 11,42] 11,65 12,65 | 12,06) 13,25| 11,24| 14,41) 12,84| 11,98| 11,41| 10,43 10,5 | 10,7 | 10,5 | 99 ne suon io [05M 02 I ll 9,1 14,5 | 14,5 [142 | 143 15,1 | 144 | 132 | 13,4 | 141 | 15,9 | 14,4 | 13,3 | 13,3 ll 10,5 | 10,7 | 10,6 88,7 | 41,3 | 36,3 | 385 64 | 66,9 | 58,1 | 63,3 6 NODO GIA 9 62 59 N60 3i,3 | 34,9 | 30,8 | 33,9 34 SA 01 Rao (e 30179) SA I | 18 194 | 17,3 | 185 18 Losi eo 177 Em ezse 1619) M165 15! 16,3 | 13,6 | 14,3 145 | 148 | 163 | 149 | 146 | — |148 | 13,4 | 12,4 13,7 | 14,8 | 13,3 | 15 ti 03:08 MILA 28 13:60 DIA ES 2:90 I 21206 29 | 29,9 | 26,3 | 26,8 29 | 28,4 | 29,7 | 26,3.| 24,9 | 27,8 | 27,6 | 25,9 | 23,7 24,7 | 26,7 | 232 | 24 26:10 23/50 25,80 122,9 (21.5 2474) N42 22,6 11204 | 343 | 37,6 | 40,1 | 36,7 36,5 | 34,6 | 35,1 | 36 |40,6 | 36,8 | 36,4 | 38,7 | 42,2 38,2 ! 40,2 | 36,7 > 36,8 AO O AR 987403 I 37 40 ——kcoE.lltulrl91gr ].cett@""@"sl\/{lttctttcm=trtu —@‘c— es o cle====" po ISO SS Sn] (Oi SO “I 8,6 {85 |9,13|9 9 9,4 | 9,1 8a 9 89 |83 |91 10 10,8 | 10,7 | 11,6 | 9,7 10 105 | 11 IO | OS 11,50 43,5 | 42,8 | 39,8 | 39,8 358 C. I. FORSYTH MAIOR TABELLA IIF? Misure medie ridotte 1. Asse dalla punta degli intermascellari al margine inferiore del for. magn. 2. Asse orizzontale tra la punta degli intermascellari e la metà della cresta occipitale. o 4. Asse dalla punta del naso alla metà della cresta occipitale c o 6 9 . , ’ 6. Asse longitudinale delle ossa nasali sino al principio della sutura frontale . ‘7. Asse longitudin. dalla radice del naso alla linea della fronte che ne unisce le punte delle apofisi soprorbitali . i 0 o o o È . o o 0 5 c 5 c 5 . Asse longitudin. dal punto mediano di questa linea al margine della cresta occipitale . Asse longitudin. dal margine inferiore del foram. magnum al vomer . Asse longitudin. dal margine infer. del foram. magn. alla metà dell’incavo]delle ossa palatine. . Asse longitudin. dall’incavo delle ossa palatine alla punta degli intermascellari . . . Asse longitudin. della parte molare del palato . 0 c . 5 ; . Asse longitudin, della parte incisiva del palato . i o 5 c . o o . Asse trasverso tra gli archi zigomatici. Massima larghezza del teschio 15. Asse trasverso tra i processi soprorbitali del frontale. Massima larghezza del fronte. 16. Asse trasverso tra i margini superiori delle ossa lagrimali,Fai margini orbitali . 17. Minima larghezza tra le carene parietali . È 0 c o lot . ò c 19. Asse trasverso tra le suture degl’intermascellari al margine alveolare 5 . Larghezza delle ossa nasali tra le punte superiori delle suture degl’intermascellari . Larghezza del naso alla sua radice : . Larghezza del naso alla riunione dei frontali coi mascellari . 0 : 0 . . Minima larghezza del naso . . Massima larghezza della squama occipitale . . Larghezza del palato : minima distanza tra i margini alveolari al tubercolo antero-interno del mol.3. » » » :distanza come sopra del mol., » » » :distanza come sopra del praem 3 . c o - È : o . » » » :distanza come sopra del praem.,. » » » :distanza davanti ai praem.,. o 0 0 5 0 } » » » :minima distanza tra i margini alveolari dietro all’inc., . Asse verticale dal margine infer. del foram. magn. alla metà della cresta occipitale . Asse verticale dal piano basale alla metà della cresta occipitale Asse verticale dal piano basale al punto più alto dei processi condiloidei. Asse verticale dal piano basale all’ orizzontale della superficie triturante dei molari. Altezza del ramo orizzontale ai praem., . 3 Altezza del ramo orizzontale sotto la metà dei moll.,. Asse longitudinale della sinfisi del mento , c c : 5 . Asse longitudinale della medesima, trascurandone la punta anteriore. 3 h Asse longitudinale del ramo orizzontale Mandibola | Massima distanza dei processi condiloidei . . 5 3 î 6 È e 3 Massima larghezza al di fuori dei processi condiloidei /{. ///.//.° . 4 9 ° ° . ° E A I CINGHIALI DELL’ ITALIB - STUDI CRANIOLOGICI sf 8 | a | #85 sala Ei sia) e | 3583 | CS Di gegio saliaa S'è © a è ES que is eis si -5S sa) $ | £5 a |a | es È SS 3 cr | 2 = 6 o) È > (72) È (cp) Ses va 2338388) 25|30)20|19|49 i 100 | 100 100 | 100 {100 | 100 | 100 | 100 100 | 100 | 100 107,4| 109 | 109,3| 101 | 104,2|106,37 |104,01 | 103 | 107,7 |109,93| 101,7 112,8) 115,7] 1141] 112 | 113,2] 112,2| 113,8| 110,3| 113,3|113,82| 113,4 61 |60,8 | 57,6 | 54 | 57,24] 56,6 | 575 | 60,3 | 577 | 541,6 | 547 2bi2(25:4 | 26,1 | 265 |248 | 25,6 | 276 | 25,43) 28.1 | 31,2 | 27,15 27,2 | 295 | 295 | 315 | 317 | 31,9 | 29,25| 243 | 28,1 | 28,8 | 32,37 egg 6 MO iz 17,1 (17,01155- 16.4 | 17,7) 17:95 29, | 285 |28,3.| 295 | 2915] 285 | 2775/29 | 297 | 812 | 30,1 72,8 | 715 | 71,6 | 705 | 705 | 7153| 72,35) 71,33| 70,2 | 68,79] 69,77 50,4 | 51,3 | 50,3 | 49 | 48,97] 50,9 | 48,85] 51,66| 495 | 49,63| 49,87 20.8 | 20,35| 215 | 215. |21,28| 20,65| 23,92) 20 |z1 |202 | 20,27 43,6 | 45 | 475 | 49 | 4872] 48,161 489 | 41 |459 | 45 | 486 31,8 | 33,15| 36,4 | 32 32,23 | 342 | 33,05| 31 35,1 | 35,8 | 34,57 24,2 | 24,1 | 26,1 | 245 | 23,82] 24,73) 24,49) 23,33| 248 | 28 | 247 iena IR 03 95 103) 110 126 | — | 13 12,8 | 125 | 12,9 | 135 | 135 | 146 | 12,85| 11 O 0 PIRA A SS o] ear 95 130,1 Pio e i 50] Lo 13,8 Seo 4 | 13 Se Co) e SIONI ezio NS RI0:9 ee GSC | Sis Sali (og l| — | 252301200223 | — |,24,85 78. |86 |9 9,25 | 8,76 | 9,23 | 8.27 | 7,36 | 8,7 | 10,28| 9,5 | SUSA ig no 0 og 2 keze 10 _ | 11,26 | 11,96| 11,71| 12,12| 11,95 12,11 10,2 | 10,92 12,9 SOA ELI Bi 027 SITO OL ESS ioni 12,1 I — | 14,4 | 1435| — |14,44| 148 | 13,48| — |133 |14,15| 15,37 IRA 0:70 0:91 29 ee. a Dl86|,— | 10,16 1 OZ 36 | 38,7 | 38,3 | 395 | 37,66) 39,1 | 38,45] 335 | 36,7 | 35,46| 35,1 | 60,6 | 63,1 | 611 | 71 Mi Negi4 = |152;66,/60 609 | 32,2 | 335 | 31,9 |405| — |363 | — |32,66|311| — | 36,8 18,8 | 18,3 | 17,65| 19 Reg Og e 0733 6:60 18,78 ORE A: DI 45 SSR 16,62) A 12.954 | 12,8 | 142 | 13,8 | 16 SR Ono SA dI 12611565 O 294 | 28,0 | 27,7 | 24 |27,03| 27,1 | 28,63] 26 |248 | 255 | 22,2 — |24,65| 24 — e ee = | eee ez 36,4 | 37,2 | 36.6 | 39 Sei — RMS | coi asi 230008 4050 RI 35 140 — | 40,2 37,79 | 41,5 | 40,9 | 43 — |401| — |3466|391 | — | 40,8 360 C. I, FORSYTH MAJOR Osso lagrimale. — Stante la grande importanza dal Na- thusius attribuita alla forma del lagrimale nel genere Sus, è necessario entrare in alcuni particolari riguardo ad esso. Na- thusius è stato il primo a richiamare l’ attenzione su quest’osso. Trattando del Sus scrofa ferus, egli dice: L’ osso lagrimale è molto più lungo che alto: la sua altezza al margine orbitale rag- giunge approssimatamente la metà del lato inferiore che si congiunge coll’ osso malare, ed un terzo della lunghezza del lato superiore che sì congiunge col frontale. Questa lunghezza dell'osso lagrimale è una delle caratteristiche più importanti pel cinghiale e le forme più vicine ad esso , (').. Nelle misure ridotte del lagrimale che seguono, l’ altezza dell’ osso al margine orbitale è stata fatta = 1; e le altre due misure sono messe in proporzione colla prima. Le misure rela- tive del cinghiale germanico sono calcolate sopra quelle asso- lute di otto crani, cinque maschili e tre femminili, date da Nathusius (?). \ Maschi : Femmine A B G A B G Sus scrofa di Germania (5) : 1 1,81 2,99 Germania (3) : 11,87 2,72 Dell'Italia continentale (4) : 1 1,416 2,79 Italia cont. (1) : 1 1.19 2,94 Della Francia (Strobel) : 1 1,44 2,38 Di Sardegna (4): 1 1,13 2.14 Sardegna (3) : l 1.4 2,26 » (Strobel) lRetiS2 A ACO7 Con A è stata segnata l'altezza al margine orbitale, con B la lunghezza del margine inferiore, con C la lunghezza del margine superiore. Queste misure ci dicono: che nel cinghiale sardo la forma del lagrimale si avvicina a quella quadrata più che negli altri messi in confronto; che nel cinghiale del continente italiano il lagrimale è un poco meno allungato che il lagrimale del cin- ghiale germanico; però vi è poca differenza. Anche sotto questo rapporto S si discostano più da I che questi ultimi da G. In un cranio di cinghiale sardo del Museo di Milano, del Î CINGHIALI DELL'ITALIA - STUDI CRANIOLOGICI 361 quale lo Strobel comunica le misure ('), il lagrimale si avvicina . ancora di più alla forma quadrata. In un cranio di cinghiale di Francia del medesimo Museo (*) il lagrimale ha approssima- tamente la forma che ha in crani del continente italiano. Sa- rebbe desiderabile il poter avere delle notizie più esatte sulla provenienza di questi due crani del Museo Civico di Milano; nonchè sul loro sesso e la loro età. Dalla notevole differenza fra la lunghezza del margine superiore del lagrimale nel cranio sardo del Museo di Milano, e di quelli da me misurati, si po- trebbe indurre che il primo spetti ad un individuo giovane; fors’ anche nella misurazione fu trascurata la punta anteriore del lagrimale, la quale qualchevolta è abbastanza lunga ‘ed è stata da me compresa nella misurazione della lunghezza supe- riore dell’ osso. Nella Tabella III, ho messo a confronto anche le medie del Sus vittatus di varie regioni, per dimostrare colle cifre quanto il cinghiale sardo s’ avvicina a questa forma asiatica, anzi sotto molti rapporti s’ accosta più al S. vittatus che al S. scrofa. Oltre i caratteri espressi dalle misure, ve ne sono altri al- trettanto importanti, nei quali si rivela il medesimo fatto; sono: la convessità della regione fronto-parietale, costante nei crani femminili sardi, ma della quale si trova qualche traccia anche in crani di vecchi maschi del cinghiale sardo, mentre sotto questo rapporto non trovo differenze fra G e I. Poi: la conca- vità dei mascellari e lagrimali molto più pronunziata in S che in G; l'andamento più rettilineo della sutura fronto-nasale nei primi, ecc. Anche per alcuni di questi caratteri il cinghiale del conti- nente italiano è un poco intermedio fra il Sus scrofa della Germania ed il cinghiale sardo, si avvicina però sempre maggiormente al primo che al secondo; in tal modo che di certo non vi può es- sere il dubbio spettare al cinghiale italiano la denominazione Sus scrofa, mentre che vi sono individui del cinghiale sardo, e (1) 1 c. p. 92. In questo luogo l’autore da la media di due misure 'di «cin- ghiali sardi»; altrove (p. 45) si trovano le misure del lagrimale del cranio conser- vato a Parma; così mi fu possibile calcolare quelle del cranio del Museo Civico di Milano. @) 1. e. p. 92. 362 C. I. FORSYTH MAIOR .sono in maggioranza, i quali con altrettanto, ed alcuni con più diritto, si possono chiamare Sus vittatus. L’analogia fra i due gruppi, Sus scrofa e Sus vittatus, di- venta molto maggiore se poniamo in confronto crani di giovani individui. In altre parole, le forme del Sus vittatus, e quindi anche il cinghiale sardo, conservano in varie gradazioni, e du- rante tutta la vita, dei caratteri che sono soltanto passeggieri, giovanili nel Sus scrofa; e cioè: il cranio nei primi è più largo; la parte frontale del medesimo è più sviluppato, meno quella parietale; l’ occipite è più verticale; la regione frontoparietale convessa; i lagrimali brevi ed alti; la sutura naso-frontale più ret- tilinea; le ossa nasali larghi e brevi; i mascellari e lagrimali fortemente incavati; la sinfisi del mento breve. Non sento il dovere di chiudere questo scritto con conside- razioni generali alle quali di certo conducono i fatti communi- cati. Esse considerazioni generali di non lieve portata furono da me presentate altrove in anticipazione ('). Quì m’ incombeva l'obbligo di dare, col compasso e millimetro, le prove d’alcune asserzioni contenute in scritti antecedenti. (1) Die Tyrrhenis. Studien ùber geographische Verbreitung von Thieren u. Pflanzen im westlichen Mittelmeergebiet. Separat-Abdruck aus «Kosmos» VII, 1883. — Studien zur Geschichte der Wildschweine (Gen. Sus), l. c. a G. MENEGHINI NUOVE AMMONITI DELIL’APPENNINO CENTRALE RACCOLTE DAL REV. D. ANTONIO MORICONI CENNI PRELIMINARI I fossili descritti in questa nota sono di proprietà del Rev. D. Antonio Moriconi pievano di Rocchetta, presso Arcevia, e furono da esso signor pievano liberalmente affidati per oggetto di studio al R. Museo geologico di Pisa. Il dott. Canavari, che conosce le località in cui furono rinvenuti e che ha intrapreso l'esame accurato della interessante collezione, ci favorì i seguenti cenni ('): * La numerosa raccolta di fossili del Rev. D. A. Moriconi proviene da quel tratto montuoso dell'Appennino centrale ch’ è circostante al villaggio della Rocchetta in provincia di Ancona. Esso tettonicamente rappresenta le ultime propagini N O. del gruppo del Sanvicino, dal quale topogra- ficamente rimane distinto mercè la profonda gola della Rossa, ove scorre l’ Esino. Ad occidente poi segue il gruppo del Catria, disposto nella direzione S E.- NO. al pari del precedente e di tutti gli altri dell’ Ap- (4) M. CanAvARI, Sulla presenzo degli strati a Posidonomya alpina Gras nell’ Appennino centrale. — La collezione paleontologica dell’ Appenn. centr. del R. D. Antonio Moriconi. — Di alcuni interessanti fossili dell’ Appenn. centr. Negli Atti d. Soc. tosc. di Sc. nat. Proc. verb. Ad. del 14 gennaio 1883, e del 12 marzo 1884. Vol. III, pag. 221-222, Vol. IV, pag. 55. Se. Nat. Vol. VI, fasc. 2.° 17 364 G. MENEGHINI pennino. La regione è intersecata, prevalentemente da O. ad E., dal fiume Sentino, che, dopo aver oltrepassato la rinomata spaccatura della Grotta di Frasassi, sì versa, a mezzogiorno del castello di Pierosara, nell’ Esino. Le vallate dei due fiumi menzionati ed altre minori rendono la località oltremodo atta allo studio geologico, mentre la straordinaria ricchezza di fossili rivelataci dal Rev. Moriconi la fa considerare come una delle più importanti (') ,,. “ Le particolarità stratigrafiche sono quelle medesime riscontrate nel Sanvicino, nei monti della Rossa e in tutte le altre montagne del- l' Appennino (*), se non che la presenza in quella regione di alcuni nuovi fossili, modifica alquanto le idee che si avevano intorno alla successione dei terreni appenninici dell’ èra mesozoica ,. “ Innanzi tutto diremo che nell’ Appennino centrale si era general- mente osservato che al Lias superiore seguiva in ordine ascendente o la Oolite inferiore (Strati ad Harpoceras /Ludwigia] Murchisonae Sow. sp.) oppure il Titoniano, con la mancanza di tutti i piani geologici in- termedi (3) ,. “ Nei monti della Rocchetta, alla fauna del Lias superiore, ricca di numerose e pregevoli specie tra cui l’ Aegoceras Taylori Sow. sp., e alcune nuove (Hildoccras /Lillia] dilatum Mgh., Hild. [L.] cirratum Mgh.), succede, a rappresentare il Dogger, la fauna degli strati ad Harpoceras (Ludw.) Murchisonae Sow. sp., con le specie: Hammatoceras fallax Ben. sp. Stephanoceras Bayleanum d’ Orb. sp. Sphaeroceras polyscides Wag. sp. e la fauna degli strati a Posidonomya alpina Gras, con piccoli ceta- lopodi, alcuni gasteropodi e abbondanti esemplari della specie carat- teristica (4) ,. “ Da questa seconda fauna si passa a quella del Titoniano, con tracce però di specie appartenenti ai piani intermedi del Malm. ,. “ Ricordiamo infatti che al Sanvicino fu raccolta erratica una ammo- nite corrispondente al Perisphinctes patina Neum. (5), specie degli strati a ('‘) K. v. FrITscH, Neuere Beobacht. in den Appenn. Halle a. d. Saale, 1880. (2) Vedi la Sezione geologica nelle valli del Sentino e dell’ Esino per G. Sca- RABELLI Gommi FLAMINI, unita alla Relazione d. escurs. fatte il 3 e 4 sett. 1883 nella Grotta di Frasassi ecc. di M. CanavaRI. Boll. d. Soc. geol. ital. Vol. II,- pag. 229, tav. V_ Roma, 1883. (3) K. A. ZirteL, Geol. Beobacht. aus d. Centr.-Appenn. Geogn.-pal. Bettr. di E. W. BENECKE, II Bd. Munchen, 1869. (4) M. CanavariI, Sulla presenza d. str. a P. alpina Gras ecc. (5) M. CanavarI, Za montagna del Sanvicino. Boll. d. R. Com. geol. Vol. XI. Roma, 1880. NUOVE AMMONITI EC. — CENNI PRELIMINARI MA3.09 Macrocephali, che, secondo molti, rappresentano la parte inferiore del Malm. Tra i fossili poi rinvenuti dal Moriconi si osservano alcune bel- lissime ammoniti riferibili al genere Sphaeroceras, differenti da tutte le specie note, ma grandemente affini allo Sph. globuliforme Gemm., specie anche questa dei suddetti strati a Macrocephali (!) ,. “ Non è poi improbabile che si abbiano anche rappresentanti della zona a Peltoceras transversarium Quenst.; la specie qui descritta dal prof. Meneghini come Peltoceras (?) retroflexum, e il Nautilus giganteus d’ Orb. potrebbero forse appartenere a quella zona , “ La fauna titoniana che succede è ARR ricca di bel- lissime e svariate specie, con predominanza dei generi Aspidoceras, Peri- sphinetes e Simoceras. Una specie è nuova Aspidoceras Moriconii Mgh.; e varie forme di Simoceras sono affini alle Sci S. Catrianum Zitt., S. Volanense Opp. e S. admirandum Zitt., mentre le altre si riferiscono a quelle descritte e figurate dallo Zittel (?). Una specie di questo piano, che non era stata ancora rinvenuta nell’ Appennino è il Perisphincetes symbolus Opp. sp. , “ Come specie poi appartenenti esclusivamente al titoniano superiore citiamo : Lytoceras municipale Opp. sp. (3) Sphaeroceras Groteanus Opp. sp. “ La fauna neocomiana è poverissima di fossili ed è indicata da alcune indeterminate ammoniti racchiuse in un calcare identico alla Maiolica, e da un esemplare di Terebratula euganensis Pict. , “ A] Neocomiano seguono il Calcare rosato e la Scaglia, come nel Veronese e nel Vicentino, senza l’ intermedia presenza della formazione a Rudiste, così sviluppata nella catena appenninica più meridionale. Si avverta però che nella Seaglia si trovano alcune’ Rudiste, ripeten- dosi quindi nell’ Appennino centrale un fatto già osservato nel ter- reno omonimo delle località dell’ Italia settentrionale testè menzionate (*). Fanno parte difatti della collezione Moriconi parecchie Sphaerulites e Radiolites, le cui cavità interne sono d’ ordinario riempite di silice ,. (1) G. MENEGHINI, Nuove specie di Ammoniti dell’App. centr. Atti Soc. tosc. di Se. nat. Proc. verb. Vol. III, pag. 74. Pisa, 1834. (*) Die fauna der dlt. Ceph. fuhr. Tithonbil ecc. Pal. Mittheil. aus dem Mu- seum d. k. B. Staat. Cassel, 1870. (3) Questa specie fu citata dallo ScaRABELLI nel lavoro: Sugli scavi eseguiti nella caverna ossifera di Frasassi. Atti d. R. Ace. dei Lincei. Roma, 1880. (4) G. BoruM, Beitr. 2. Kennt. der grauen Kalhe in Venetien. Zeitschr. d. D. geol. Gesellsch, Bd. XXXVI, pag. 744. Berlin, 1884. ° 366 i G. MENEGHINI » Abbiamo inoltre notato nella Scaglia gli Echinodermi caratteristici del Senoniano: Offaster globulosus P. d. Lor. Cardiaster subtrigonatus Cat. sp. Stenonia tuberculata Cat. sp. “Dai rapidi cenni esposti il fatto più importante che si rileva sì è che nell’ Appennino centrale molti piani del Giura superiore non indicati o non riconosciuti dagli osservatori, vi sono rappresentati, resi evidenti non da caratteri lito- logici, spesso uniformi, non da discontinuità di stratigra- ficazioni, frequentemente ingannevoli, ma da accurate e mi- nuziose ricerche paleontologiche ,. DESCRIZIONE DELLE SPECIE. LIAS SUPERIORE. Coeloceras cfr. Braunianum d’Orb. sp. Mie OE Na 00, DIAZ A SERA e I ORTI Alt. dell’ult. giro. ® . . 18 = 0,237 SUOMSPESSOLE IAA MONA Largh. dell’ombel. . . . 45 = 0,592 Conchiglia petrefatta in calcare compatto biancastro, o piuttosto modello esterno, non potendosi nelle fratture assegnare al guscio alcun distinto spessore, rimanendo solo a rappresen- tarlo in alcune parti la lucen.ezza della superficie. Forma di- scoidale con leggera depressione ombelicale, cinque giri unifor- memente compressi, fianchi piani, faccia sifonale convesso-de- pressa; ricoprimento presso che nullo; le coste leggermente ed irregolarmente flessuose, separate da solchi ad esse eguali in NUOVE AMMONITI DELL’ À PPENNINO CENTRALE 367 larghezza, terminano all’ esterno del.fianco in tubercolo spini- forme, dal quale si dipartono le due strie che leggermente fra loro divergendo attraversano la faccia sifonale per riunirsi al _tubercolo della corrispondente costa del lato opposto; alle 55 coste dei fianchi corrispondono così 110 strie trasverse, appaiate due a due e leggermente convesse all’ avanti sulla faccia sifonale dell’ ultimo giro. In nessuna parte della spira fu dato scoprire le suture settali; sì può solo notare che l’ ultima porzione n’ è priva vedendovisi traccie di oggetti estranei inclusi. Differisce dal tipo per le coste meno numerose e leggermente curvate all’ innanzi, ma non conoscendosene le suture settali non si può su quel solo carattere osar di proporre una nuova specie. Hildoceras (Lillia) cfr. Mercati Hauer Tav. XXI, fig. 4 a-c. Diani ONE A 10 Alt. dell’ ult. siro... . ..9 = 0,204 SUOESPessore er i 2107284 Largh. dell’ombel. . . . 25 = 0,568 Modello interno formato di cinque giri, calcolando appros- simativamente gl’ interni oscurati dalla roccia, metà dell’ ultimo non concamerata. Il ricoprimento della spira presso che nullo e le proporzioni costituiscono forma esattamente discoidale. Le 27 coste dell’ ultimo giro divise da ampi solchi, diritte, radiali e leggermente retroflesse, s° ingrossano all’esterno, piegandosi all’avanti a formare gli spigoli che limitano, gli ampi solchi laterali alla carena su di essi sporgente. Le suture settali, per quanto la corrosione consente di rilevare, corrispondenti alla figura datane dall’ Hauer (fig. 10). Se questo carattere dei lobi è insufficiente a distinguere la specie dalle affini, i limiti ne ri- mangono ben dubbiosi. L’ Hauer avverte la forma globosa e l’angusto ombelico nello stato giovanile, le coste acute e spor- genti in tutti i giri, e riferisce a questa specie alcune delle forme ( Monograph. etc. tav. X, fig. 3, 4,8) da noi credute ap- partenenti all’ //. comense e poste a titolo di confronto ac- canto a quelle del tipico /7. Mercati. 368 G. MENEGHINI Questa che ora figuriamo se ne allontana: per lo scarso nu- mero delle coste e per la disposizione loro; m a l’ unico esem- plare è troppo incompleto per osare di proporlo a tipo di una nuova specie. Hildoceras (Lillia) dilatum n. sp. Tav. XXI, fig. 1 ac. Diam. . TS ZAINI Alt. dell’ ult. ato, co 00 9 = 0/0 SUORSpessore e ERO Largh. dell'ombell . .. . 5 = 0,22 Falcifero a giri depressi, seminvoluti, con rapido accresci- mento; carena sporgente acuta, fiancheggiata da profondi solchi, coste numerose, semplici, sigmoidee, fortemente piegate all’ in- nanzi, fino agli spigoli che limitano i solchi laterali alla carena; lobi protesi: il laterale esteriore più corto del sifonale, il late- rale interno di metà più piccolo. Gli addotti caratteri sono desunti da un solo ed incompleto modello interno. Benchè l’ ombelico sia oscurato dalla roccia, sì può calcolare non essere ì giri più che tre; ed, a giudicare dalla rapida di- minuzione che si vede nell’ ultimo, sembra che costanti debbano ‘essere le proporzioni anche nei precedenti. È pur notevole la distanza dei setti, risultando esso ultimo giro di sole sei con- camerazioni. La eccedenza della larghezza in corrispondenza alla sella laterale dà alla sezione una figura subtrapezoidale. Le 35 coste dell’ ultimo giro, tutte semplici e regolarmente distribuite, eguali in larghezza ai solchi interposti, sorgono sottili dalla sutura ombelicale, leggermente piegate all’ innanzi, s'ingrossano sul fianco con attondato gomito all’ indietro, cor- rendo poi, nel terzo esteriore del giro, molto obliquamente al- l’avanti fino allo spigolo che limita il profondo solco laterale alla sporgente carena. La sutura dei setti è poco obliqua: lobo sifonale del doppio più lungo che largo, riccamente frastagliato e terminato in due ramì paralleli; sella esterna più larga di esso lobo sifonale, divisa da un lobulo secondario in due parti, la esterna delle quali un poco maggiore dell’ interna; lobo la- NUOVE AMMONITI DELL’ APPENNINO CENTRALE 369 terale esterno più stretto e più corto del sifonale, terminato m tre punte, denticolato' specialmente sul lato esterno ; sella Jate- rale di larghezza eguale a quella di esso lobo; il laterale in- terno di molto più piccolo (nella figura apparisce troppo obliquo), affatto scoperto dalla sutura ombelicale che taglia la sella ac- cessoria. L’esemplare sembra a prima giunta presentare una certa somiglianza con quello figurato dall’ Hauer come varietà invo- luta dell’Am. Mercati (Cephalop. aus dem Lias etc. p. 43, Taf. XXIII, fig. 8, 9). Descrivendo questa specie e discutendone il valore, avvertivamo non aver potuto trovare, nè in Lombardia nè nell’ Appennino, essa forma involuta coi lobi caratteristici: “Quant è l’ échantillon de la figure 8,9, tous ceux qui ont la spire embrassante au mème degré nous présen- tent le lobe latéral extérieur plus allongé et d'une forme tout èà-fait différente , (Monograph. etc. p. 32). Poteva credersi che l’ esemplare ora pervenutoci riempisse il vuoto accennato nella nota or ora riferita, associandovisi a proporzioni non molto diverse e ad una certa somiglianza di forma esteriore il carattere del lobo laterale esteriore così corto da non raggiungere la linea radiale (fig. 1 ce). Ma più o meno corto, esso lobo, del pari che il laterale interno, ha forma ben differente da quella tipica dell’Am. Mercati H. (1. c. fig. 4, 5, 10), forma che l’ Autore dice giustamente ceratitica. Indipendente- mente dalla relativa brevità del laterale esteriore, essi lobi si avvicinano piuttosto a quelli dell’ Am. Comensis ed in particolare quali l’ Hauer li figura pel suo Am. Erbaensis (1. c. Taf. XI, fig. 14), d'onde poteva provenire il dubbio che si trattasse di una nuova forma da aggiungere alle dieci da noi già annoverate di quella specie polimorfa, ed alla quale non sarebbe quindi stata applicabile l’ allusione dell’ Oppel, che trattando dell’Am. subcarinatus, Y. et B., avverte aver egli precedentemente ( Die Juraform. p. 251 ) riferito a torto ad essa specie un esemplare proveniente dal Lias superiore di Milhau, che riconosce spet- tante invece all’ Am. Mercati H., e crede trovare fra le due specie analogie sufficienti per riguardarle quali precursori della famiglia che comprende l’ Am. sternalis d. B. e l' Am. cycloides d’ Orb. (l’aleontol. Mittheil. 1862, p. 141), perchè evidente- mente attribuisce ad essa forma involuta (fig. 8, 9,) i lobi (fig. 10) 370 G. MENEGHINI che l’ Hauer esattamente figura per la forma evoluta (fis. 4, 5). La varietà dell’ Am. (HwWdoceras) cycloides ad ombelico largo figurato dal d’ Orbigny (pl. 121, fig. 4, 5) sembra a prima giunta presentare molta somiglianza colla forma quì descritta, ma ol- trechè anche le proporzioni ne sono alquanto diverse, è princi- palmente a notare la grande differenza delle suture settali, nelle. quali la ristrettezza della sella esterna induce il d’ Orbigny a dichiarare l’Am. cycloides “ un passage entre deux groupes (pag. 371) ,. Hildoceras (Lillia) cirratum n. sp. Tav. XXI, fig. 2. Diamar Alt. dell’ult. giro . . . . 16 = 0,550 Suo spessore. . . . . l14 = 0,486 Largh. dell’ ombell . . . 5 = 0,174 Conchiglia molto involuta, piccolo e profondo ombelico, carena sporgente fiancheggiata da solchi profondi, coste numerose, sottili, flessuose, molte delle quali raccolte in fasci sporgenti sui fianchi a guisa di nodi, sutura settale poco obliqua; lobi eguali in larghezza alle selle, i laterali esterni più lunghi del sifonale, il primo ausiliare a scoperto dalla sutura. Benchè desunti da un solo modello interno, questi caratteri manifestano una forma distinta da tutte le affini, obbligando a designarla con un nuovo nome specifico. La mancanza di setti in metà dell’ ultimo giro dimostra che la conchiglia non aveva dimensioni di molto maggiori a quelle del modello. La involuzione non lascia allo scoperto che una terza parte dell’ altezza del penultimo giro, sul quale scende ripido il fianco attondato dell’ ultimo, risultandone profondo e limitato da profonda sutura l'ombelico. I fianchi sono convessi, colla massima sporgenza in corrispondenza ai nodi, provenendone sezione ovale di poco più alta che larga. I profondi solchi che fiancheggiano la carena sono limitati all’ esterno da spigoli acuti e sporgenti; confluiscono ad essi con grande obliquità le curve esteriori delle coste, fortemente ripiegate all’ avanti sul fianco ed oblique all’ indietro verso l’ ombelico che non raggiungono, rimanendone liscio il contorno. Sono circa 60 nell’ ultimo giro: NUOVE AMMONITI DELL’ APPENNINO CENTRALE Sal alcune sono affatto semplici, regolarmente sigmoidee; le altre convergono in fasci al gomito anteriore sporgendovi in nodo più o meno grande e prominente: sono sei che confluiscono al primo nodo in parte compreso nella frattura, succedono due coste semplici, cinque confluiscono al secondo nodo, e la con- fluenza delle due anteriori precede quella delle altre; collo stesso ordine continua l alternanza di qualche costa semplice e fasci sempre meno definiti, sette dei quali sono distribuiti sull’ ultimo giro. Linea suturale dei setti poco obliqua, lobi più lunghi che larghi, di larghezza eguale a quella delle selle; i laterali esterni più lunghi del sifonale, sella esterna divisa in parti eguali da un lobicino mediano, sella laterale divisa invece in numero im- pari di sellette, lobo laterale interno della stessa forma che l’ esterno, ma di un terzo più breve, sella accessoria molto meno alta della laterale e divisa in parti pari, lobo accessorio intie- ramente scoperto, tagliando la sutura la seconda sella accessoria. La fascicolazione delle coste in nodi sporgenti sui fianchi si presenta talvolta come semplice varietà in alcune specie di Lioceras, che abitualmente mancano di quel carattere ( Lioc. discoides e Lioc. complanatum, Ved. Monograph. etc. p. 17. PI. IV. fig. 2). Si potrebbe inferirne che anche nel genere Lilia, come fra le specie di Lzoceras, sì trovano precursori del genere Ludwigia. Hildoceras retrorsicosta Opp. sp. Tav. XXI, fig. 3 a-c. DIARI ara aos lun Alt. dell’ ult. giro . 08 —40,1258 SUONEPEsso e 0290) Largh. dell’ombel. . . . 19 = 0,613 All’ unico esemplare proveniente dal calcare rosso ammonitico di Pian d’ Erba descritto nella Monografia (p. 46, PI. X, fig. 3), siamo lieti di potere ora aggiungerne uno proveniente dal cor- rispondente calcare rosso dell’ Appennino. Sei giri, calcolando i due interni lisci oscurati dalla roccia ed ai quali il disegnatore non ha lasciato sufficiente spazio, non essendosi con abbastanza fedeltà attenuto al lentissimo accresci- mento. Manca una porzione dell’ ultimo, rotto in rispondenza 302 i © G. MENEGBINI all’ ultimo setto, essendone priva la metà conservata. Coste in esso ultimo giro 30, calcolando le 7 del pezzo mancante; 24 nel penultimo, 22 nel terz’ ultimo, 18 nel più interno dei co- stati, che rappresenta solo in parte il terzo al partire dall’ ori- gine della spira. Sono molto sporgenti dai solchi interposti, al- quanto irregolari ma sempre più larghi delle coste stesse. Diritte e un poco retroflesse, queste si ripiegano all’avanti solo all’esterno, confluendo allo spigolo che limita il profondo solco laterale alla carena ch'è sporgente sopra ad essi spigoli. La singolare e ca- ratteristica conformazione dei setti è chiaramente espressa nella frattura, e visibilissime ne sono le suture che sono molto spa- ziate, ma non abbastanza precise riguardo alle minute frastaglia- ture specialmente della sella esterna. Quantunque incompleta- mente definita la linea suturale non può dirsi affatto sconosciuta: « Scheidewandlinie unbekannt , ( Hauer, 1. c. p. 630). Riguardo alla sinonimia, ed alle forme del Medolo ascritte come varietà a questa specie, nulla abbiamo ad aggiungere a quanto ne fu detto nella Monografia (1. c. p. 46, 205) e nell’Appendice che 1° accom- pagna (p. 11, PI. II, fig. 3, 17). MALM. Olcostephanus? cfr. Stenonis, Gemm. Tam SO:90h ie o DIAM CER RR III INTE cellule ato e 030 Suo ‘spessore... 9 — (0,253 Largh. dell’ombell . . . 41 = 0,547 Modello interno, formato di circa cinque giri, essendone oscurati i più interni da roccia tenacemente adesa; l’ esterno leggermente compresso al suo termine, mentre già al ritorno della spira lo spessore comincia ad eccederne l’ altezza e sì può arguirne la forma depressa dei giri interni; sezione terminale ovale, corrispondendone il massimo spessore alle coste nodiformi, largamente intaccata dal ritorno della spira coperta, per ap- pena '/, dell'altezza del penultimo giro, dall’ orlo ombelicale attondato dell’ ultimo, a sutura quindi profondamente scolpita. Nell’ ultimo ed in metà del penultimo giro appariscono solo rade coste nodiformi sulla porzione esterna dei fianchi, circa 15 nell’ ultimo giro; nella prima metà del penultimo e nei giri NUOVE AMMONITI DELL’ APPENNINO CENTRALE SITO) interni vedonsi invece le coste primarie molto più fitte occupare tutta o quasi tutta la porzione scoperta, comparendone appena presso la satura la prima biforcazione. L’ ultimo giro ha al suo primo terzo un profondo strozzamento obliquamente volto al- l’avanti ethe attraversa con dolce curva convessa la faccia sifo- nale, limitato posteriormente da robusto ed elevato cercine; l’an- teriore è più sottile e pochissimo elevato. Anche nei giri interni si ha qualche strozzamento, ma la imperfetta conservazione non consente precisarne i particolari. Piccolo frammento soltanto di suscio spatizzato è conservato sulla faccia esteriore della por- zione non concamerata dell’ ultimo giro, (1c.) e la superficie liscia n'è attraversata da leggeri solchi in corrispondenza al lato anteriore delle coste sporgenti sui fianchi, con leggere con- vessità fra l'uno e l’altro di essi solchi. Il modello interno della prima metà, ch'è la porzione concamerata di esso ultimo giro, è profondamente scolpito dal solco sifonale, che al ritorno della spira apparisce leggermente deviato a destra. I setti si susseguono a distanza corrispondente al grande sviluppo dei lobi, più riccamente frastagliati di quello che appariscano ad occhio nudo, come sono rappresentati nella nostra figura (1 d). Il sifo- nale termina in due lunghi rami divergenti, la sella esterna è divisa da un lobicino secondario in parti presso a poco eguali, il primo lobo laterale raggiunge colla lunga punta mediana la linea radiale, la sella laterale molto più ristretta della esterna, ed al pari di essa divisa in parti eguali, secondo lobo laterale piccolo ed obliquo, e molto più obliquo il primo ausiliare, sella ausiliare bipartita da distinto lobicino secondario, simile al quale altro ne succede presso alla sutura, a rappresentare un secondo lobo ausiliare, che insieme al precedente ed al laterale interno viene così a costituire il lobo sospensivo, come nei generi Parkinsonia e Perisphinctes. In un altro esemplare si può calcolare circa un mezzo giro di più: DTA e Von ATI de hunt Sie 278—207284 Suo spessore . RS. Largh. dell'ombell. . . . 53 = 0,557 e nella ultima porzione che ne rimane le coste sono più nu- merose e maggiormente elevate in tubercoli nodiformi compressi 374 G. MENEGHINI a spigolo acuto. Pur nodiformi, e numerose(13 in '/,) sono le coste nel penultimo giro, e come nell’ esemplare precedente quelle dei giri interni, ognuno dei quali ha un solo strozzamento. Un terzo esemplare di soli sei centimetri di diametro non conserva che piccola porzione del quinto giro e la frattura ne mostra già lo spessore eccedente l’ altezza; il quarto giro, ter- minato da strozzamento benissimo conservato, ha 15 coste no- diformi, nella prima porzione di esso quarto giro e negli interni le coste occupano tutta la porzione visibile del fianco e sono fitte, come in quelli del precedente. La cattiva conservazione non consente veder i lobi, ma il solco lasciato dal sifone si continuw fino all’ elevato cercine posteriore dello strozzamento che precede la porzione rimasta di un giro ulteriore. La imperfezione degli esemplari e le varietà di essi non ci con- sentono di giudicare se si tratti positivamente della forma de- scritta e figurata dal Gemmellaro col nome di 07. Stenonis (Sopra i Cefalopodi della zona inferiore degli strati con Aspidoceras acanthicum di Sicilia. Atti dell’ Acc. Gioenia di Sc. N. di Catania, ser. 3.2 1877 p. 208, tav. XVI, fig. 10), alla quale certamente molto sì avvicinano. Non osiamo pertanto pronunciare alcun giudizio sul genere cui la specie stessa o la sua affine fu riferita dal Gemmellaro, giacchè, anche estendendo collo Zittel il concetto del genere Olcostephanus originariamente proposto dal: Neumayr per le specie cretacee, a molte forme giurasiche, dobbiamo ‘per le ti- toniane prendere a tipo 1° O. Groteanus Opp. (Zitt. Stramb. Ceph. p. 90, Tal. 16, fig. 1-4), ove la sutura settale, benchè con un solo lobo accessorio, conserva ben proporzionati e paralleli i due lobi laterali. Simoceras admirandum Zitt. Tav. XX. fig. 5 D'AERRoeCo n AE delitulit Malo i lio r== (0294 Suo spessore. . . . . . l4e 0,270 Largh. dell’ombel. . . . 25 = 0,490 Rozzo ed incompleto modello interno, di circa quattro giri, notevole soltanto per le costicine che ornano i giri interni: partono appaiate dalla sutura ombelicale, con leggere deviazioni NUOVE AMMONITI DELL’ APPENNINO CENTRALE 1379 per i frequenti e profondi strozzamenti. Le suture settali non sono bene distinte che nei giri interni e corrispondono, come ogni altro particolare, alla nitida descrizione dello Zittel (Paleontol. Mbk Itp201,: Lat. 32, Big..1-3). Simoceras sp. indet. Taio DOS nea 2 DIA e i . ALERA CL alta eno AO 108222 IS LLORES PESSOL E MI SCO = Largh. dell’ombel. . . . 27 = 0,600 Incompletissimo modello interno di quasi sei giri leggermente compressi, pochissimo involuti, ciascuno de’ quali ornato sui fianchi di 36 coste nodiformi; sorgono d’ un tratto dal margine ombelicale, che scende liscio e ripido alla sutura, e svaniscono sulla faccia sifonale, deviate quà e là da irregolari strozzamenti. Nell’ ultimo mezzo giro sembrano mancare, ma in parte almeno per effetto di corrosione. Tutto l’ ultimo giro senza setti, ma questi non lasciano nettamente rilevare le suture loro neppure nei giri interni. Simoceras cfr. Catrianum Zitt. Lav. XX, fig.3 a,b, 6,4. DIANE RE AN OO Alt. (dell'ult. giro... |... 17 = 0,303 Suo spessore . . . . . l5 = 0,268 Largh. dell’ombel. . . . 28 = 0,500 Modello interno di quasi cinque giri completi, l’ esterno dei quali, per ben due terzi, appartiene all’ ultima camera. La cor- rosione vi ha in gran parte scancellate le costicine sulla faccia sifonale e sulla parte esteriore dei fianchi, nonchè i nodi ai quali cinque o sei di esse confluiscono intorno all’ ombelico. I fianchi dei giri interni sono tutti ornati di costicine radiali deviate quà e là dalle strozzature. Una profonda strozzatura attraversa pure l’ ultima camera, ed altra se ne vede presso 376 G. MENEGHINI alla frattura, con cercine anteriore molto sporgente. Perfetta- mente conservata è l ultima sutura settale (3 d) riccamente frastagliata: più lungo che largo il lobo sifonale terminato in due rami divergenti; sella esterna di larghezza eguale a quella, di esso lobo, divisa mercè lobulo secondario molto sviluppato in parti disuguali, la maggiore esterna pur suddivisa in parti disuguali, la interna delle quali è la maggiore; lobo laterale esterno molto più stretto di essa sella, e la cui punta terminale non raggiunge la linea radiale; sella laterale molto più angusta della esterna; divisa in parti presso a poco eguali; lobo laterale interno piccolissimo e molto obliquo, al pari del lobo accessorio, che lo supera in lunghezza ed in ricchezza di frastagli; sella accessoria pur divisa in due parti eguali, mal conservato il secondo lobo accessorio (o terzo considerando come tale anche il laterale interno) indicato nella descrizione dello Zittel (Palaeont. Matth. II, p. 214, Taf. 83, fig. 2-3). Questa conformazione della sutura settale allontana i S. Catrianum ed odmirandum dal tipo del S. lytogyrum Zitt. (ibid. p. 209, Taf. 33, Fig. 1) e ravvicina quello del S. Volanense ai tipi dei generi Perisphinetes e Parkinsonia. Simoceras cfr. Volanense Opp. sp. Tav. XX, fig. 44,b,c,d. DIRE A 00 ANT elluli amo 08 6002 = (0/68 Suo spessore . . . . . . 10 — 0,161 Largh. dell’ombell —. . . 39 — 0,629 N L’ indicato spessore dell’ ultimo giro è dello spazio interco- stale; sarebbe invece 13"" ( — 0,210) in corrispondenza alle coste, e 15" comprendendovi i nodi interni. Le copie di essi nodi sono 11 nella metà conservata dell’ ultimo giro ch' è il quinto, i nodi depressi esterni e gli appuntiti interni vanno sempre più fondendosi nelle 15 coste della seconda metà del penultimo giro, mentre nella prima, come negli altri giri interni, le coste sempre più fitte e regolari terminano per nascondere nella sutura il leggerissimo rilievo depresso che rappresenta il nodo esteriore. Due forti strozzature irregolari si succedono a sole due coste d’ intervallo prima della frattura. Nei giri interni lina NUOVE AMMONITI DELL’ APPENNINO CENTRALE SU la collocazione relativa delle strozzature non si può con esat- tezza determinare. È solamente nel terzultimo giro che riuscì veder chiaramente i due lobi e la sella laterale e la porzione interna della sella ester:ore. Paragonato 1’ esemplare a quello descritto e figurato dallo Zittel (Pal. Maitth. II. p.213, Taf. 32, fig. 7-9) nonsi ha a notare altra differenza che quella delle coste alquanto più fitte nei giri interni e la minore sporgenza dei loro nodi esterni. Ma se il paragone s’ instituisce invece coll’esemplare descritto e figu- rato da Oppel (ibid. I, p. 231, tab. 58, fig. 2), scorgonsi mag- giori differenze. In esso infatti 1’ accrescimento della spira è tanto più lento che a soli 50"" di diametro ha già cinque giri, e vi è più graduato il passaggio dalle rade coste binodose de’ giri esterni a quelle più fitte dei giri interni. Attesa la notata differenza fra i due tipi, non osiamo pro- porre che come varietà (sotto al nome di Aesinense) una forma che, a giudicarne dal numero degli esemplari, sembra la più frequente nel T'itoniano delle Marche, ed è eminentemente di- stinta dalla precedente per il lento accrescimento della spira, per le coste più fitte ed uniformi in tutti i giri e per i tubercoli spinosi più sporgenti. L’ esemplare maggiore ha 45" di diametro e vi si contano cinque giri, 1’ esterno dei quali ha 9" di altezza (0,20) e spessore presso che eguale. In correlazione al lento accrescimento è l’am- piezza dell’ ombelico (28% = 0, 62). L’ ultimo giro è ornato di 83 coste che sorgono sul fianco dal contorno ombelicale con elevato nodo spiniforme e terminano all’ esterno pure in acuto nodo poco compresso e sporgente a guisa di spina nel piano stesso della spira. Le ultime cinque coste sono molto piegate all’innanzi; le precede una strozzatura profonda, limitata po- steriormente da una delle solite coste ma più sottile delle altre ed un po’ curva, terminata nel solito tubercolo spiniforme, an- teriormente poi da un rilevato cercine semilunare la cui forte convessità è rivolta all'indietro. Precede, coll’ intervallo di cinque coste, altra strozzatura egualmente conformata, e due altre ad intervalli diversi precedono nello stesso ultimo giro; e quattro ne ha pure il penultimo. Nei giri più interni le strozzature sembrano meno numerose e più irregolari; ed alquanto irrego- lari vi sono pure le coste, il cui numero va proporzionatamente 378 G. MENEGHINI diminuendo, conservandosene uniforme la distribuzione e ben manifesto in tutte il tubercolo spiniforme esteriore. I setti mancano solo nella porzione della spira che succede all’ ultima strozzatura, ma le suture non ne sono ben visibili che nei giri interni: lobo laterale esterno molto meno largo della sella la- terale, alla quale corrisponde il tubercolo interno; piccolo il lobo laterale interno ed appena accennato un piccolissimo lobo ausiliare. Peltoceras? retroflexum n. sp. Maw SOS 0 la 6 DIL 00 III NIE cell'uli ato ss so O = MS Suo spessore c.® . . . . 24 — 0,436 Largh. dell’ombel. . . . 23 — 0,418 Modello interno assai incompleto formato di circa tre giri. Non possono darsene le misure che approssimativamente. Giri depressi seminvoluti a sezione trapezia; larga faccia sifonale leggermente convessa; alto contorno ombelicale obliquo attondato; anguste facce laterali piane convergenti all’esterno. Il massimo spessore corrisponde quindi al limite esterno del contorno ombelicale. Fianchi ornati di grosse coste numerose: sorgono dalla sutura ombelicale inclinate con angolo acuto al- l’indietro e s' ingrossano in nodi al margine esteriore dell’ alto contorno ombelicale; si ripiegano ad angolo di circa 90° all’avanti sul fianco, ma in numero maggiore, sorgendone spesso due dallo stesso ingrossamento nodiforme; s’'ingrossano pure in forma di nodi sui lati della faccia sifonale, sulla quale ciascuna di esse si fende in due costicine, che l’ attraversano senza indizio. d’ interruzione. La zona dei retroflessi gomiti, rimane depressa come fosse obliterata da corrosione. Nella porzione scoperta dei giri interni le coste hanno direzione radiale, alcune sorgono appaiate e divergenti dalla sutura ombelicale, quà e là disordi- nate da qualche irregolare strozzamento. Tre quarti dell’ ultimo giro sono senza setti: della loro sutura fatalmente non vedonsi ‘che due lobi accessori molto obliqui, nel contorno ombelicale, .l piccolo lobo laterale interno e porzione della sella laterale. —_—r—_——r—21212@%8"£z£—x—=—"—" e — —_ NUOVE AMMONITI DELL’ APPENNINO CENTRALE 379 La scarsezza dei caratteri che la imperfezione dell’ esemplare consente di rilevare lascia incerta la determinazione del genere. Colla maggior parte delle specie di Pe/toceras, questa forma non presenta a prima giunta alcuna somiglianza; pure, se si ana- lizzino bene i pochi caratteri conservati e si prenda a tipo di confronto il P. transversarium Quenst, ( A. Toucasianus d° Orb. pl. 190), vi si troverà un qualche ravvicinamento; coi Simoceras l’unico ravvicinamento sì troverebbe nella forma adulta del S. Catrianum Zitt. (1. c. fig. 2) per la comparsa dei tubercoli retroflessi periombelicali. Aspidoceras Moriconii n. sp. ETNO IZ DIANA RARO AE OI Alt. dell’ ult. giro. . . . 24 — 0,320 Suo spessore. . . . . . 26 — 0,346 Largh. dell’ombel. . . . 34 — 0,453 Modello interno di poco oltre tre giri depressi, a larga faccia sifonale convessa, limitata dai tubercoli spiniformi nei quali si elevano sui due lati le dodici coste che attraversano essa faccia sifonale. Sui fianchi, che scendono obliquamente all'ombelico, due costicine appaiate confluiscono a ciascun nodo, e nella prima metà dell’ ultimo giro (quindi in tutti i giri interni) anche le forti coste che attraversano la faccia sifonale sono doppie, ossia partite da un solco che ne separa la porzione posteriore più elevata dall’anteriore e parallela più tenue, precisamente come. nel Peltoceras Athleta Ph. sp. adulto (ved. d’ Ovb. pl. 164. — Bayle, Erpl. de la Carte géol. de la Fr. IV, pl. 49). I tubercoli spiniformi coronano i giri interni al contorno della spira. Metà dell’ ultimo giro manca di setti: largo e di lunghezza alquanto maggiore il lobo sifonale terminato in due rami pochissimo di- vergenti; sella esterna di larghezza eguale a quella di esso lobo e divisa in parti pari ed eguali; minore in larghezza al sifonale il lobo laterale, la cui punta terminale non raggiunge la linea radiale; molto più larga dell’ esterna e meno alta la sella late- rale, divisa in due parti disuguali, essendo maggiore la esterna. Se. Nat. Vol. VI, fasc. 2.0 18 380 - G. MENEGHINI — NUOVE AMMONITI ECc. È in essa sella laterale ch'è compreso il nodo spiniforme. D'un terzo minore ma del resto simile all’ esterno il lobo laterale interno; più larga di esso, divisa in due parti eguali e molto meno alta della laterale la prima sella accessoria; dune lobi ac- cessorii obliqui allo scoperto dalla sutura ombelicale che taglia la seconda sella accessoria. (Nel setto figurato il secondo lobo accessorio era nascosto da un nodo del giro precedente). Benchè i caratteri sieno desunti da un solo modello interno essi ci sembrano sufficienti a definire una nuova specie che me- rita di portare il nome patronimico del benemerito raccoglitore. Fra gli Aspidoceras non ha che lontane analogie coll’A. Ragoz- nicense Zeuschn. (ved. Zitt. Pal. Mitth. II, p. 197, Taf. 31, fig. la, b), o forse con forma adulta dell’ A. Zeuschneri Zitt. (1. c. fig. 4); ha notevoli affinità coi Peltoceras; e per le copie di costicine convergenti ai nodi, si direbbe ricomparirvi per atavismo un carattere dei Coeloceras. » » 2 db. 3 b. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE INTO DIO Peltoceras? retroflecum n. sp. Incompleto modello interno, veduto di fianco. . Lo stesso veduto dalla faccia sifonale. Simoceras sp. ind. Incompleto modello interno, veduto di fianco. . Simoceras cfr Catrianum Titt. Modello interno veduto di fianco. . Lo stesso veduto dalla parte dell’ apertura. . Lo stesso veduto dalla faccia sifonale. Linea suturale dell’ ultimo setto, in dimensioni tre volte maggiori del vero. Simoceras ctr. Volanense Opp. Incompleto modello interno veduto di fianco. . Lo stesso veduto dalla faccia sifonale. . Lo stesso: frammento del termine della spira. . Lo stesso: porzione della linea suturale dei setti in uno dei giri in- terni, ingrandita. Simoceras admirandum Zitt. Modello interno veduto di fianco. Tav. XXL. . Hildoceras (Lillia) dilatum n. sp. Modello interno veduto di fianco. . Lo stesso veduto dalla parte dell’ apertura. . Lo stesso veduto dalla faccia sifonale. . Linea suturale d’un setto, molto ingrandita. . Hildoceras (Lillia) cirratum n. sp. Modello interno veduto di fianco. Lo stesso veduto dalla parte dell'apertura. . Linea suturale di un setto, molto ingrandita. . Hildoceras retrorsicosta Opp. Incompleto modello veduto di fianco. Lo stesso veduto dalla parte dell’ apertura.” Lo stesso veduto dalla faccia sifonale. . Linea suturale d'un setto, molto ingrandita. 382 di Fig. 4a. » » » » » » » 4 db. 4c. Da. 50. 6a. 4 b. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Hildoceras (Lilia) cfr. Mercati v. Hauer. Modello interno veduto di fianco. Lo stesso veduto dalla parte dell’ apertura. Lo stesso veduto dalla faccia sifonale. Coeloceras cfr. Braunianum d' Orb. Esemplare veduto dal fianco. Lo stesso veduto dalla parte dell’ apertura Vanikoro? sp. ind. Modello interno: di conchiglia dubbiosamente rav- vicinata ai generi Marica e Neritopsis. L’esemplare costituito dal solito calcare rosso del lias superiore dell’ Umbria e delle Marche, ma d’incerta locatità, non merita particolareggiata descrizione, bastando questa e le seguenti figure a darne fedele immagine. Lo stesso veduto dalla faccia inferiore. Lo stesso in iscorcio. Tavo XXIII. Olcostephanus? ctr. Stenonis Gemm. Modello interno veduto di fianco. Lo stesso veduto dalla parte dell’ apertura. . Lo stesso ve luto dal lato sifonale, che mostra conservata porzione del guscio spatizzato. . Linea suturale dei setti in grandezza di poco superiore al vero. . Aspidoceras Moriconii n. sp. Modello interno veduto di fianco. . Lo stesso veduto dalla parte dell'apertura. . Linea suturale dei setti in grandezza doppia al vero. . Nautilus giganteus d'Orb. Profilo a semplice contorno ed in metà di grandezza dell’apertura di un modello interno che sembra doversi riferire alla indicata specie, comune secondo il d'Orbigny ai piani oxfordiano, coralliano e kimmeridgiano. Schizzo pure a semplice contorno ed in metà grandezza di una por- zione clel fianco, a dimostrare la flessione dei setti. L. G. N“ | DELLE MATERIE CONTENUTE NEL SESTO VOLUME FaccioLA. — Descrizione di nuove specie di Leptocephali dello stretto di Messina. . BusattI. — Fluorite dell’ Isola del 1 Giglio Fluorite d di Ghana . G. BorneManN Ir. — Sopra una specie mediterranea del genere Lingulinopsis . CIRO RA i LL TI, PaPASOGLI e A. BARTOLI. — i contribuzione alla istoria del Carbonio . ANGELINI. — Osservazioni sopra alieni uccelli appartenenti alla solo tamieliaa desi Embezerini@ n 0 e n . CanavarI. — Contribuzione alla conoscenza dei Brachiopodi degli strati a Terebratula Aspasia Mgh. . SIMONELLI — Faunula del calcare ceroide di Campiglia Variftima . Mori. — Contribuzione alla Flora lichenologica della Toscana . . Viri. — Il nervo depressore nell’ uomo e negli altri mammiferi, ricerche di morfologia comparata . . FicaLBi. — Alcune ricerche sulla struttura RA delle sacche aerifere degli uccelli. . . Gucci. — Scomposizione del gabbro rosso . . FaccioLA. — I Blennii del mar di Messina . L Forsyr Masor. — I cinghiali dell’ Italia. . MENEGBINI. — Nuove Ammoniti dell’ Appennino centrale . » » » » 12 Le tav. I, II, III, saranno pubblicate nel terzo e ultimo fascicolo di questo volume insieme alle relative memorte. ni Ta x = ì STE tO 3 3 Pa & È l ; = E z, 3 (A a i 14 n \ _ è : # 6 È LA = È & = È f . . 4 a AA 3 n > * = 4 4 ig inir ì bb" "hi i = CARRA ". I pr E x Le, PR fi => * 5 o et pe 3 Lo ; pio, ie Stab.Lit. Sordo-Muli Siena eee RI Sugo Si 741 3 Z Vitt -D epressore O Zi D G.ct Lig. L I\ \ ) I fl | ni ID) i} sei ve ; » è GATTO "ò S Si ky ge, Ì i ko < A SRO RENI - ==" ZIO o 5 =" T'LTTT } AS A ESS Es _ _—_——______—%86 = —="t=——=*=—-.- / Di ae Ù \ a E lar ZA \ ( _ = === ***; Se ì du de E DI SAS SÌ I Atti Soc.Tose.Se. Nat.Vol. VI Tav. XII Stab. Lit. Sordo-Muti Siena - Valenti Dis. Atti Soc. Tose.Se. Nat.VoL VI Tav. XIV I Viti -Depressore }{} \\ Î OS | DI | SR 27\\ Ii ZAINI È S \V 7 INI si LAI A Vv aa ETA | E 25 .[ \ {| il Wta ) \ | II : Iles D | É |l | | | il | \ESSa [| / \ ti J ZAES /IA Ali v [hp Ges G.c.t Î\ Î ie gl \ | Î Î | \ I | al (0 \ LOI x\ \ | 7, f Ul iti (N | \ la | | | | | I Ì SEZ] LAN | _ OZZY SU TN S vi V| | Ì TE f] \ , \ i | IRA IN l x ‘ | | | { il 2A VADA | 4 | | i INI Z5 MINNA Pp | |\Ik i MS O] Na I\ [7 Se s \ij | | | N \ I SL ASÎ HI | Î | Îl t IE i SS VI UL Ml ATI vl | INS II RA VI IT Jean ez "3A, 2 | ili 1g A Vv LU KALI] \U IT \l N IReSZ “ps AIA (ll III î Il} e | fl | Vi | ZgB MN (IT VIVI I] \\ || ill I ll VI \il/ \\] If] VIT ji Il fl \\l I} | \\ ['/ N Î \\ || |I | Il | | Valenti Dis. ÎÎ Stab. Lit. Sordo-Muti Siena | I) |} | ——e t_t___Y« —Eeo.—oWoWoOoWmoowo—o\|we'———eeeweée-.—_.__ee_m2m2n2xaX........:ÙibiWl:a@È{| _;}jàjy i )}5( A I da (ui Sal vo So ic2l i Ba) 13} ci o asi Ue] o (cel si coari Gi RS 100] cei CL ec ca RE TA 2 i | I in “i FERA Tha del = ta RAISI paesino 2a SCIMMIA — dl 77 i ui SR N x E x == = È “Ze - waeree== tl Ù 5 } ue n Valenti Dis. Stab. Lit. Sordo Muti Siona Li è ta - r i : pesa a ATE I È, TIT TeW$, "Pa _E TC er rra ser __#% un Ni E «_ n TO N a x N DS sf 653 2 kh | Sr” +, î N Ù a 4 7 RS Li xè Mr Stab. Lit. Sordo-Muti Siena Valenti Dis. /1g DA var VA Viti-D epressore 5ig.L UO NEO Lig. K Ati Soc. Tose.Se.Nat.VoL VI Tav. XVII /\ \ S S S _ SS 3 SS ì SAZESIAA: 9 : Di Pra = =" IE DR ASS ‘> i = N ù a E S N de Stab.Lit. Sordo-Muti Siena Valenti Dis. Atti Soc. Tosc.Sc. Nat. Vol.VI Tav. XX E. Crisiofani dis.e lit | "i È w DI Meneghmi. Nuove Ammoniti. Lit8 Ach.Paris, Firenze e Roma SII Atti Soc.Tosc.Sc. Nat. Vol. VI. Lav. AKI E. Uristofani dis.e lit. Menegnm. Nuove Ammomti Lit Ach. Paris, Firenze e Roma. VAGA (RO 1% REATI NA St ia ite LAI PI 1 (VPI sa VO EVI Atti Soc. Tose.Sc Nat Vol.VI Tav.XXIL E. Cristofani dis.e lit. Meneghini. Nuove Ammoniti. Lit*Ach.Paris. Firenze e Roma. Ficalbi dis. Cristofani lit. R. Lìt. Gozanì Pisa a AttiSoc.Tose.Se Nat.Vol.VI Tav.XXIII Ficalbi Sacche aerifere degli uccelli 6 mit (RIST a Tr ni # « si AttiSocTos.ScNat.Vol. VI. Tav. NOMINE ro dig A DEE ; Facciolaà. Blennii ET 15 sui LC a BS RESI RRESE ni L n pa pa AUL. Als. UTiIStorlani IL UIE.ENZAOAnI Sis: "le “egli 0 ro o RT e ren A Siri “i i «ice ee 1a È CR: ANDREA BATELLI ED ERCOLE GIACOMINI CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALLVARI DEGLI UCCELLI ©) Per uno studio morfologico sulle glandule salivari degli Uccelli conviene dividere il nostro argomento in tre parti, delle quali la prima sia dedicata all’anatomia di dette glandule, la seconda al loro sviluppo e la terza, comprendendo pure la loro ulteriore elaborazione, alla struttura istologica ed all'elemento glandulare. Anatomia. IL Nella questione delle speciali omologie, dai vari autori sta- bilite tra le glandule salivari degli Uccelli da un lato e quelle dei Mammiferi e dei Rettili dall'altro, rimanevano ancora dei punti meritevoli di essere meglio chiariti. Seguendo la storia delle glandule salivari degli Uccelli, apparisce come il concetto delle omologie speciali, quantunque, per diverse ragioni, sempre molto difficile a precisarsi in organi di tal genere, sorto con i primi criterì comparativi, ricavati dalla sola topografia, siasi (*) Sull'argomento publicammo già le seguenti comunicazioni preventive: A. Barenzi ed E. Gracowni, Sulle glandule salivari degli Uccelli, Estrat. d. pro- cesso verb. d. Soc. Tosc. di Sc. Nat. Ad. del 1.0 luglio 1889. A. BareLti ed E. Gracowni, Struttura istologica delle glandule salivari degli Uc- celli, Accad. Med. Chir. di Perugia vol. I. fasc. 2. 1889. A. BareLLi, Delle glandule salivari del Cypselus apus /07, Accad. Med. Chir. di Perugia. Vol. II fasc.1. — Glandule salivari dei Trampolieri. Ib. Vol. II fasc. 2. 1890. E. Gracomni, Sulle glandule salivari degli Uccelli. Ricerche anatomo-embriologiche (con tav.) Estratto dal Monitore Zoolog. Ital. N. 8, 9 e 10. Siena 1890. Sc. Nat. Vol. VI. 1 T] 386 BATELLI E GIACOMINI venuto poi fondando, con il progresso delle cognizioni, sopra a fatti ritenuti generalmente di grande importanza nella de- terminazione delle equivalenze morfologiche. Il Cuvier (1) ricercò la forma e la disposizione delle glan- dule salivari degli Uccelli, limitandosi ad illustrare più spe- cialmente le pavimentali, e tentando dei paragoni con quelle dell’ Uomo e di altri Mammiferi. Nel Tacchino descrisse le glan- dule del pavimento orale; nello Struzzo ricordò, oltre a quelle del pavimento, le due masse glandulari larghe ed appiattite, che sono sospese alla volta del palato; nel Picchio studiò la glandula sviluppatissima e la seguì nei rapporti con l’altra di color rossastro, che si estende fino alla sinfisi del mascellare inferiore. Non isfuggì alla sagacia del Cuvirr il poco sviluppo degli organi salivari negli Uccelli acquatici. Le osservazioni del Cuvier furono molto ampliate dal Tre- DEMANN (2), il quale, oltre che variare i soggetti della ricerca, dimostrò l’esistenza delle glandule collocate nella piega mem- branosa dell'angolo della bocca, ricordanti le velenifere dei Serpenti ed omologhe alla parotide dell’ Uomo. Il Trepemann descrisse pure due gruppi di glandule situati nella volta pala- tina verso la parte anteriore ricurva del becco, e due altri nel piano inferiore della cavità orale. AI Trepewann, del quale abbiamo riportato quello che della sua opera riferirono il Carus (3) e Sterano DerLe Carase (4), non essendoci stato possibile, con nostro vero rammarico, di rin- tracciare e di leggere il lavoro originale, seguì il Mrcket (0°), che fu il primo a stabilire una nomenclatura anatomica delle glandule salivari negli Uccelli, distinguendone quattro gruppi: 1.° Le glandule linguali, situate ai lati della lingua in tutta la sua lunghezza, costituite da una serie semplice di sac- (1) Cuvier, Lecons d’Anatomie comparée, recuéillies et publiès par C. L. Duver- noy. T. III contenant la première partie des organes de la digestion. Paris, Crochard. Ann. XIV. 1805. (2) TrepeMANN FRr., Zoologie, Bd. II. Anatomie und Naturgeschichte der Vogel. Heidelberg 1810. (*) Carus, Traité element. d’Anat. comp. Paris 1835. — ‘Lehrbuch der vergl. Zootomie. Leipzig 1834. (4) DeLLe Case Sr., Notomia comparata, Napoli 1825. (°) MecxeL I. F., System der vergleich. Anat. — Traité général d’Anat. comp., traduit de l’allemand et augmentè de notes par Alph. Sanson et Th. Schuster. Pa- ris 1838. CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 387 che glandulari disposte perpendicolarmente al suo asse longi- tudinale, ed omologhe alle sotto-linguali dei Mammiferi. 2.° Le glandule sotto-mascellari anteriori, che, collocate dietro l’angolo della mandibola tra la membrana buccale e la pelle, immediatamente al disotto di quella, s'incontrano ante- riormente verso la linea mediana ed ai suoi lati si aprono nella bocca per un piccolo numero di orifizî, posti sopratutto al davanti della lingua. 8.° Le glandule sotto-mascellari posteriori, situate più in- dietro e più profondamente. Queste e le precedenti furono dal Mrcker identificate alle sotto-mascellari dei Mammiferi, ritenendone la divisione in due gruppi come avvenuta per l'eccessiva lunghezza presa dal mascellare inferiore degli Uccelli. 4.° Le glandule della commessura labiale, sottoposte alla pelle distesa tra la mascella superiore e l’ inferiore, lungo il margine ventrale dell'osso giugulare, aperte verso la cavità della bocca per mezzo di uno o più orifizi. Nell’omologarle il MeckeL non si trovò d'accordo con il TrepemAnn, poichè le reputò corrispondenti solo alle glandule delle gote e delle labbra dei. Mammiferi, non alle parotidi. 5.° Le glandule del palato e della base della lingua, si- mili ai follicoli mucipari dei Mammiferi. Se tutti o semplicemente alcuni dei follicoli mucipari, 0s- servati dal Mecker nel palato degli Uccelli, corrispondessero alle amigdale dei Mammiferi, si propose di risolvere in una breve memoria pubblicata nel 1843 il Rare (*), che già qualche anno prima, cioè nel 1839, in altra memoria, inserita negli Ar- chivi del Muller, erasi occupato delle tonsille di alcuni Mammi- feri come i Ruminanti ed i Suini. Il Rapp dimostrò l’esistenza delle tonsille anche negli Uccelli, nei quali esse subiscono un cambiamento di posto, collocandosi in vicinanza delle coane presso l’apertura delle tube d’ Eustachio, che pure si è spo- stata; ma il Rapp parve non avere un’ esatta imagine di quello che sono le tonsille in genere, dacchè parlò di tubi glandulari aperti all’esterno e di secrezione salivare viscida glutinosa, (1) Rapp W. V., Ueber die Tonsillen der Vogel, Miiller?s Archiv f. Anat. u. Phys. 1843. p. 19. i 388 BATELLI E GIACOMIMI ausiliare all'atto della deglutizione. In conformità a questi resultati, il KanuBauu (!) si oppose al Rapp, identificando sen- z'altro gli organi, dal Rappr descritti negli Uccelli come tonsille, alle rimanenti glandule mucose della cavità orale. Noi, al- lontanandoci in parte dall'opinione del Rappr, in parte da quella del KaLzBAUW, abbiamo dimostrato che veramente negli Uccelli in due punti del palato, presso l'apertura delle coane ed in tutto il contorno della fossetta eustachiana, si hanno delle amigdale palatine, ossia una associazione di piccole glandule mucipare con follicoli linfatici circostanti sviluppatissimi. A questo primo periodo della storia (?), nel quale le omo- logie erano state dedotte solo dalla relativa posizione delle glandole, tenne dietro un secondo periodo, che potrebbe dirsi moderno, in cui le somiglianze di struttura e massimamente quelle d’innervazione e di sviluppo embriogenico si stimarono a ragione di sommo valore per la giustezza dei confronti. SieBo.p e Sranwius (3), raccogliendo nel loro trattato le idee anatomiche del MeckeL e quelle istologiche del MuLLer (4), pro- posero una classificazione, accettata ancora oggi dal Gapow (°), con i seguenti gruppi: i 1.° Follicoli linguali — semplici sacche tubulose, disposte ai lati della lingua. 2.° Glandule sotto-mascellari — composte, con molti canali escretori nello spazio compreso tra le due branche del mascel- lare inferiore. (*) KanLBauM C., De avium tractus alimentarii anotomia et istologia nonnulla, Diss. inaug. Berolini 1854. (£) Al primo periodo possono connettersi i lavori del RirzeL (Commentatio de nervo trigemino et glosso-pharingeo, Fuldae 1843), del Bonsporrr (I. Nervi cerebrales Corvi Cornicis, Acta Soc. Scientiarum Fennicae T. II. Helsingfors 1852. II Nervi ce- rebrales Gruis cinereae, «db. — Ambedue le parti sono comprese in Simbolae ad anato- miam comparatam nervorum animalium vertebratorum) e del RamBERG (De avium ner- vis rostris atque linguae, Dissertatio Halis, typis Schimmelpfenning, 1842), per quella parte che riguarda i rapporti contratti dalle glandule con rami del sistema nervoso periferico. (*) SteBoLp e StANNIUS, Nouveau manuel d’Anatomie comparée, traduit de ? alle- mand par Spring et Lacordaire. Paris 1870. — Neues Handbuch der vergleich. Anat. (4) Mirrer J., De glandularum secernentium structura penitiori eorumque prima formatione. Lipsiae 1830. (*) H. G. Broon’s Klassen und Ordnungen des Thier-Reichs, Fortgesetzt. von Hans Gapow. Sechster Band. IV Abtheilung. Vògel. Leipzig und Heidelberg 1889. pag. 663. TT, ———_ CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 389 3.° Glandule sublinguali — composte, situate lateralmente al disotto della lingua o su i corni dell'osso ioide, ordinaria- mente aperte ciascuna con un canale escretore innanzi o vicino alla lingua. 4° Glandule parotidi o dell'angolo buccale — composte, collocate di solito dietro l'arco jugale, più raramente proprio nell'angolo della bocca, ed aprentisi in corrispondenza di questo con un canale più o meno lungo. Il Rercaet (!) fu quegli che negli ultimi tempi del secondo periodo trattò più largamente il nostro soggetto, ma non in tale maniera da non confermare il difetto già avvertito da Mine Epwarps (*), e da non mostrare perciò nuovamente che negli Uccelli gli studî erano manchevoli, e che sarebbe stato bene rifarli, spingendoci così a riprendere la trattazione del- l'argomento. Il RercgeL si estende molto sul raffronto delle glandule salivari degli Uccelli con quelle dei Vertebrati sotto- posti ed in modo speciale con quelle dei Saurî, giungendo alle seguenti conclusioni: 1.* Le glandule linguali si corrispondono nei Saurî e negli Uccelli, con la differenza che esse negli Uccelli tendono a sboc- care lateralmente alla lingua, nei Saurî in ogni parte di questa. Tra l'una forma e l’altra non esistono limiti netti. Il Rer- cHEL trova dei passaggi nella lingua del Camaleonte ed in quella di alcuni Urodeli, dove si ha per le glandule il carattere dello sbocco laterale; ma avrebbe potuto aggiungere che ordinaria mente negli Uccelli dietro la serie di papille, poste alla base della lingua e talora al davanti di esse, e per conseguenza nel corpo stesso della lingua, come per il caso del Gufo, dei Pap- pagalli (3) ed anche del Rondone, come noi abbiamo dimostrato, si hanno glandule con lo sbocco superiore. 2. Le glandule sotto-mascellari anteriori e posteriori sono ambedue corrispondenti alle sotto-linguali dei Saurî. A conforto del suo parere il RercaeL ricorda che la divi- sione delle suddette glandule in due gruppi, sebbene frequente, (1) RercHeL PauL, Beitrige zur Morphologie der Mundhòhlendriisen der Wir- belthiere. Morpholog. Jahrbuch, Gegenbaur, Achter Band. Leipzig. 1883. (®) Mine Epwarps, Lecons sur la phys. et l’anat. comparée de l’ homme et des animaux. T. VI, p. 229. (#) H. G. Broon’s Klassen etc. pag. 669. 390 BATELLI E GIACOMINI non è propria di tutti gli Uccelli, e che al contrario negli Ofidii si ha la divisione in due famiglie successivamente disposte; per le quali ragioni i due gruppi di glandule avrebbero un eguale significato morfologico, e deriverebbero dalla scissione di un gruppo unico, come pensò anche il MrckeL. Esse, secondo il ReicHEL, non rappresentano in complesso la sotto-mascellare dei Mammiferi, che corrisponderebbe alla sua volta ad una sola delle numerose glandule pavimentali, cui ama meglio dare il nome di sotto-linguali. Inoltre il RercHEL ritiene che tra le lin- guali e le sotto-linguali degli Uccelli non esista una differenza assoluta, come non esisterebbe tra quelle dei Rettili. 3. Per la glardula dell'angolo boccale, non riscontran- dosi nei progenitori degli Uccelli, quali sarebbero i Saurii e gli Anfibii, è difficile stabilire la posizione morfologica. Una pro- duzione simile trovasi presso gli Ofidii nella posteriore delle glandule labiali superiori, cioè nella glandula del veleno, che rappresenta embriologicamente una glandula labiale molto svi- luppata, e che essendo omologa alla glandula dell’ angolo fa rassomigliare pure questa ad una labiale molto accresciuta. La piega della mucosa, dal mascellare superiore all’inferiore, e le glandule in essa giacenti sono simili alla gota ed alle glandule buccali dei Mammiferi, ma, corrispondendo queste ul- time alle labiali posteriori dei Rettili, devesi considerare con molta probabilità la glandula dell'angolo degli Uccelli come una specie di labiale, sebbene la questione non possa risolversi con certezza a causa delle differenze scheletriche tra il cranio degli Uccelli e quello degli Ofidii. In questi le glandule labiali, e quindi la glandula del veleno, stanno all’esterno dell’osso mascellare superiore, mentre tale caratteristica manca negli Uccelli, perchè in essi il mascellare superiore, portandosi molto in avanti, viene sostituito posteriormente, nella regione della commessura labiale, dall’osso giugulare. 4.. Le glandule palatine che furono confusamente ricor- date dal MeckeL, vennero distinte dal KRreicHeL in due gruppi l’uno mediano l’altro laterale, ambedue composti di parecchie piccole glandulette. Il primo situato nella mucosa collocata al disotto del setto delle narici, si estende in dietro fino alle coane, e, dapprima pari, mostrerebbe nel successivo sviluppo le due famiglie glandulari insieme confuse. Il secondo trovasi CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 391 per la massima parte nelle coane e dietro di esse, contenuto nella mucosa ricoprente le ossa palatine, in avanti si divide da ciascun lato in due parti decorrenti ai margini dell’osso palatino. Tra le glandule palatine dei Saurii e quelle degli Uc- celli esiste completa omologia. Ultimamente il Gaurp (!), dando un valore anche ai rap- porti scheletrici e nervosi per la determinazione delle omolo- gie, venne a resultati che si possono così riassumere: 1.° Le glandule linguali innervate dal n. glosso-faringeo sono omologhe a quelle degli Anfibii, dei Rettili e dei Mam- miferi. La disposizione, presa dagli orifizi delle glandule ai lati della lingua, manifesta la loro tendenza a spostarsi verso il mascellare inferiore. i 2. Le glandule sotto-mascellari anteriori sono in tutto omologhe alle sotto-linguali dei Chelonii, dei Saurii e degli Ofidii per la completa omologia d’'innervazione, ‘essendo il n. alveolare inferiore, proveniente dal n. trigemino, che, dopo es- sersi unito alla corda del timpano ed aver decorso tutta la lunghezza del mascellare inferiore, penetra nella glandula. Secondo la distribuzione dei nervi la sublinguale e la sotto- mascellare dei Mammiferi dovrebbero corrispondere a quel sruppo glandulare. 3.° Le glandule sotto-mascellari posteriori corrispondono a parte delle glandule linguali degli Anfibi, dei Rettili e dei Mammiferi, perchè sono innervate dal n. glosso-faringeo e non hanno alcuna traccia di ramificazioni appartenenti alla terza branca del n. trigemino. Il Gaupp, che in questo caso sarebbe d'accordo con il Rercazt, spiega il fatto con il poco sviluppo della muscolatura nella lingua degli Uccelli in confronto a quella dei Saurii. 4.° Relativamente alla glandula dell'angolo della bocca, il GauPP, dopo aver riferito i reperti anatomici del Rirzer, dello Stannrus e del Gapow, e le osservazioni proprie, dalle quali ri- sulta che essa è innervata da un ramo del n. mascellare in- feriore, separatosi da questo prima del suo ingresso nel canale della mandibola, tende a ritenerla come rappresentante un or- (1) Gaupp E, Anatomische Untersuchungen iber die Nervenversorgung der Mund- und Nasenhéhlendriisen der Wirbelthiere. Morphologisches Jahrbuch. Gegenbaur. Drit- tes Heft. Leipzig. 1888. 392 BATELLI E GIACOMINI gano nuovo, piuttostochè come corrispondente alla parotide o alle glandule mucose delle gote, e termina col dire che tanto essa quanto la parotide dei Mammiferi sono ancora malamente conosciute. 5.° In quanto alle glandule del palato, il Gaupp, sebbene accetti la nomenclatura del EercteL, non crede che esse pos- sano ritenersi omologhe a quelle dei Saurii. Le glandule me- diali (vomerali) dei Saurii sono scomparse negli Uccelli, avendo in questi cessato il vomere di far parte della cavità orale, e le glandule che il ReicrteL denomina mediane negli Uccelli de- vono, per seguire le idee del Gaupp, dividersi in due differenti gruppi a seconda che sono in rapporto con l'osso mascellare o col premascellare (glandule mascellarî 0 premascellari, inner- vate le une dal plesso sfeno-palatino, le altre dalla branca oftalmica del n. trigemino). Le glandule poi chiamate dal Rer- caeL palatine laterali sarebbero per il Gaupp meglio dette sem- plicemente palatine, situate, come sono, nella mucosa ricoprente 1 palatini: la loro innervazione per mezzo del n. palatino le fa rassomigliare alla parte mediana delle Rachendrisen degli Anuri. Le mascellari degli Uccelli sarebbero omologhe alle ma- scellari dei Saurii e dei Chelonii, e le premascellari a quelle dello stesso nome, che sono molto sviluppate nei Cheloniani medesimi. x II Esporremo ora le conclusioni, alle quali siamo giunti dopo indagini anatomiche eseguite sopra un numero piuttosto grande di specie d’ Uccelli e dopo osservazioni embriologiche fatte sulle glandule del Pollo (Gallus domesticus, Bxriss.). Le glandule salivari degli Uccelli sono costituite da tubi od otricoli glandulari, il più spesso indipendenti fra di loro sia nella parte secretrice sia nella parte escretrice, e che noi chia- meremo individui glandulari. Questi tendono a riunirsi in varie regioni della cavità boccale, costituendo in tale maniera dei gruppi determinati e tra loro distinti, ai quali noi daremo il nome di cormi glandulari. La riunione degli individui glandu- lari per costituire un cormo può farsi o per allineamento di essi in superficie o per sovrapposizione. I cormi glandulari deb- ET PITTOR O CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 393 bono repartirsi con MecxeL e RercHeL in quelli del pavimento, della commessura labiale, della lingua e del palato. Glandule del pavimento. — Le glandule del pavimento sono riunite od in un sol cormo mediano in varia maniera co- stituito, o in due cormi uno per lato, od in quattro due per lato, sempre fra loro simmetrici. In alcuni Rapaci si ha un cormo pavimentale impari si- tuato anteriormente ed esteso da una branca all'altra della mandibola; esso può essere costituito in due maniere che deb- bonsi riferire al medesimo tipo. Nella Strix fammea, Ls., gli individui glandulari assai raccorciati, sporadicamente diffusi nella parte posteriore sopra linee oblique in avanti e medial- mente, nella parte anteriore si avvicinano molto più gli uni agli altri. Il medesimo tipo si trova nel Cypselus apus, ILr., nel quale le glandule del pavimento non si riuniscono in gruppi, ma, isolate le une dalle altre con sbocchi distinti, si dispon- gono da ambedue i lati del pavimento boccale, allimeandosi dal- l’avanti all'indietro ai lati del muscolo mediano mylohyoideus anterior ed al disopra del muscolo geniohyoideus, che formano loro come una specie di letto. Le glandule pavimentali del Rondone per la loro distribuzione sporadica, per la emanci- pazione da ogni rapporto con altre glandule vicine ed a loro simili, debbono essere paragonate a quelle di un Gufo. Osser- vando dalla cavità orale, scorgesi un cribro di pertugi frequen- tissimi, costituito dagli orifizi delle moltissime piccole glandule, che sono disseminate nel pavimento della bocca. Nell’ _Athene noctua, Bore, (Tav. II, fig. 1) gl’individui glandulari, con le stesse apparenze, sì concentrano vicino alla sinfisi del mascellare in- feriore in un cormo mediano, che ai lati si prolunga posterior- mente in due altri concentramenti triangolari con la base ri- volta in addietro. Nello spazio compreso tra questi due cormi e la base della lingua esistono individui glandulari, i quali per figura e per disposizione somigliano a quelli, che si trovano nella parte posteriore del pavimento boccale della Strix flam- mea. Una fornna che si può avvicinare a questo tipo è quella del Falco tinnunculus, dove si ha uno smembramento del cormo mediano, situato sempre in vicinanza della sinfisi mandibolare, in due masse ovali e simmetriche, e dove i concentramenti laterali, riscontrati nell’Athene noctua, s'individualizzano, pren- 394 . BATELLI E GIACOMINI dendo una forma di clava con la parte rigonfia rivolta indietro. Di più, a differenza di quello che avviene nell’Atlene noctua, nello spazio compreso tra questi cormi postero-laterali il cormo mediano e la lingua, sono scarsissimi gl’individui glandulari od anche non esistono. L'Anas Boschas, Linn., ci presenta pure un tipo primitivo delle glandule pavimentali. Al disotto della mucosa buccale, presso al margine posteriore della sinfisi mandibolare, trovasi un gruppo mediano di glandule (Tav. II, fig. 2), formato da due serie, una per lato, di tubi glandulari decorrenti caudal- mente e lateralmente: osservando dalla parte della cavità orale sì vedono ai lati di un rafe mediano una doppia serie di sbocchi, situati anteriormente al frenulo della lingua e corrispondenti alle estremità anteriori degli otricoli predetti. Nel pavimento boccale di alcuni Uccelli esistono due cormi glandulari situati simmetricamente uno per lato nell’ angolo, aperto in avanti, formato dai muscoli genio-iodeo e stilo-ioideo. In alcuni casi ciascun cormo tende a dividersi in due o tre gruppi. Nel Podiceps minor (Tav. II, fig. 7) si trovano due cormi di glandule, uno per lato alla bisettrice dell’angolo del becco, raccorciati, bitorzoluti alla superficie, e divisi in due porzioni distinte, l'una mediale e l’altra laterale. Nel Podi- ceps cristatus la disposizione è simile alla precedente, se si ec- cettua la scissione, come talvolta ci fu dato vedere, di ciascun cormo in tre gruppettini. Queste tracce di divisione sono meno manifeste nel Coccothraustes vulgaris, Wieit., (Tav. II, fig. 8), che va qui ricordato per la forma e disposizione delle sue glan- dule pavimentali: ad ogni lato, pure compreso nell’ angolo aperto in avanti formato dall’incrociarsi dei muscoli genio- ioideo e stilo-ioideo, si ha un cormo glavdulare con accenno appena visibile di divisione longitudinale, e con lo sbocco por- tato anteriormente in prossimità al margine posteriore della sinfisi mandibolare. Il medesimo tipo trovasi rappresentato an- cora nei Pappagalli, i quali posseggono un solo cormo pavimen- tale per lato con lo sbocco, come nel Frosone, situato molto anteriormente: i cormi mantengono rapporti simili a quelli no- tati nella regione pavimentale del Frosone, poichè con la loro estremità posteriore vengono a corrispondere nel solito angolo formato dai muscoli genio-ioideo e stilo-ioideo.; —__rr_r—_— puro ———— CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 395 La distinzione in due cormi pavimentali per parte, l’uno anteriore e laterale, l’altro mediale e posteriore è manifestis- sima nei Gallinacei ed in alcuni Passeracei. Nella Coturnix communis, Bonn., nel Meleagris Gallo-pavo, Lun., nel Gallus do- mesticus, Briss., nella Columba Livia, Briss., le apparenze sono molto simili. Noi daremo tanto per le glandule pavimentali quanto per quelle che costituiscono gli altri gruppi, una par- ticolareggiata descrizione delle glandule salivari del Pollo (Ga/- lus domesticus, Bxriss.), illustrando ampiamente il tipo di dispo- sizione al quale esse appartengono, sia perchè ci sarà poi fa- cile riportare a questo, che è il più frequente a riscontrarsi, gli altri tipi che dovremo descrivere, sia perchè ci verrà così agevolata l'esposizione dei resultati offertici dal loro sviluppo. Nel Pollo il cormo pavimentale anteriore e laterale (Tav. I, fig. 1 pva), molto più sviluppato, appiattito in senso dorso-ven- trale, di forma affusata con una lunghezza di 25-27 mm. in media ed una maggior larghezza di 5 mm. circa, si compone di tanti tubi, ciascuno con orifizio proprio, addossati gli uni agli altri e più o meno lunghi. Nella sua porzione anteriore, in vicinanza degli orifizî, i tubi sono disposti su |due piani in addietro sopra uno solo; ove è sovrapposizione i tubi più piccoli e più corti sono situati dorsalmente. I tubi laterali (un paio) ed i mediali sono più corti, ma essi differiscono tra di loro per ciò, che i primi hanno gli sbocchi anteriormente e con l’estremità posteriore non oltrepassano la metà della lunghezza totale del gruppo glandulare, mentre i secondi hanno gli sbocchi più in- dietro e con l'estremità loro non raggiungono l’apice della glandola, donde la figura affusata di questa. Dai tubi più lunghi partono, a varie altezze e ad angolo più o meno acuto, pochi e brevi rami di primo e secondo ordine. Il margine interno del cormo glandulare in avanti aderisce ad un setto connetti- vale mediano in connessione, ventralmente, con il rafe apone- vrotico del muscolo milo-ioideo, dorsalmente con il derma della mucosa, dalla sinfisi del mascellare inferiore al punto in cui quella comincia a riflettersi per formare il frenulo della lingua, in dietro prende rapporto con il cormo pavimentale posteriore senza aderirgli. Il margine esterno segue la direzione del ma- scellare inferiore, mettendosi dapprima in rapporto con la sua 396 BATELLI E GIACOMINI faccia mediale per l’intermezzo del muscolo milo-ioideo, poi con il suo margine inferiore per l’ intermezzo del muscolo genioioideo, alle cui fibre più interne lassamente aderisce, accompagnandole per metà del loro tragitto. I tubi glandulari hanno tutti una di rezione lievemente obliqua caudale e laterale; i loro orifizii sono disposti su due serie una per lato della linea mediana. Queste due serie sono estese dal margine posteriore della sinfisi sino al punto in cui la mucosa si prepara a formare il frenulo, sono separate da un solco mediano il cui fondo riposa nel setto sopradescritto, sono limitate lateralmente dalla faccia mediale del mascellare, in dietro da una linea trasversa congiungente l'estremità po- steriore del solco al mascellare stesso. Ne risultano due aree triangolari, ciascuna delle quali comprende gli sbocchi del cor- rispondente gruppo glandulare, ed alla sua superficie presenta otto o nove piccoli rilievi trasversi disposti l'uno dopo l’altro su ì margini del solco mediano, ai lati del quale sotto ad ogni rilievo scorgesi t'orifizio di un lungo tubo. Altri orifizi più pic- coli, appartenenti ai tubi glandulari corti, stanno alla superficie delle aree triangolari negli infossamenti tra rilievo e rilievo; ed infine alcuni su la mucosa, che tappezza la faccia mediale della mandibola. Per conseguenza la glandula con la sua faccia dorsale sta in rapporto con la mucosa, cui aderisce nella sua estremità anteriore, le è invece solamente contigua nella poste- riore, dove però al suo margine mediale ne è separata dall'altro cormo; con la faccia ventrale riposa sul muscolo milo-ioideo. Quando, ciò che vedremo più sotto, essa è poco sviluppata, come in alcuni Passeracei, rimane ventralmente affatto rico- perta dal muscolo genio-ioideo. Riceve sangue da un ramo della mascellare interna ed è innervata dal n. alveolare inferiore. Il cormo pavimentale posteriore (Tav. I, fig. 1 pvpm), gene- ralmente anche esso di forma affusata, è assai più piccolo del- l'anteriore; non supera in larghezza i 2 mm. ed ha in media una larghezza di 11 mm. Accollato alla base della lingua, segue il decorso del cerato-branchiale (WiepersaEm); con la sua estre- mità caudale oltrepassa quella del cormo anteriore ed è rice- vuto nell'angolo costituito dai muscoli genio-ioideo e stilo-ioideo; ventralmente sta in rapporto con il milo-ioideo. Fin qui abbiamo descritto solo la porzione del gruppo glan- CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 397 dulare, che apparisce tolte le parti molli superficiali; solle- vato che sia il muscolo genio-ioideo il gruppo glandulare non cessa in vicinanza del punto d’incrociamento dei muscoli, ma soltanto diminuisce considerevolmente nel numero degl’ indi- vidui glandulari, di nuovo manifestandosi, dopo un’ apparente interruzione, con dimensioni poco inferiori alle primitive. Que- sta seconda porzione (Tav. I, fig. 1pvpl) trovasi lateral- mente, innanzi alla parte articolare della mandibola, a livello dell'inserzione del muscolo pterigoideo (Trepemanvn), dal quale rimane separata per mezzo del genio-io0ideo, tra le cui fibre si approfonda; ha in media una lunghezza di 7 mm.; in- comincia un paio di mm. in avanti dell’estremità posteriore della prima porzione, le decorre parallelamente e cessa prima che il genio-ioideo incontri lo. stilo-ioideo. Qualche individuo glandulare trovasi come ponte tra la seconda porzione e la prima (Tav. I, fig. 1 7). Ambedue posseggono tubi molto brevi: quelli della prima hanno direzione anteroposteriore e ventrale, e sono disposti su di uno stesso piano obliquo ventralmente e medialmente, quelli della seconda si dirigono lateralmente e ventralmente. Ciascun tubo ha un orifizio proprio, e gli orifizi nella cavità orale appariscono alla base della lingua nel solco, che si forma per la riflessione della mucosa dalla radice della lingua sulla faccia mediale della mandibola; i più anteriori, quelli della prima porzione (Tav. I, fig. 2 0pvpm), che incomin- ciano dietro al frenulo, stanno sul lato interno del solco al disotto della lingua e seguono la direzione del cerato-bran- chiale, quelli degli individui glandulari, che congiungono le due porzioni (Tav. I, fig. 20%), sul fondo, gli altri della seconda por- zione, al lato esterno (Tav. I, fig. 20pv!). Perciò, osservando dalla cavità orale riesce facile distinguere una serie di ori- fizî infero-mediale [porzione glandulare nfero-mediale (Tav. I, fig. 1 pvepm, fig.8 opvpm)] ed un’ altra supero-laterale [porzione glandulare supero-laterale del cormo posteriore (Tav. I, fig. 1 pvpl, fig. 2 opvpl)], insieme congiunte da una breve serie inter- media (Tav. I, fig. 1 è, fig. 205). Le due porzioni ricevono sangue dalle arterie ioidea e lin- guale; sono innervate dal n. glosso-faringeo, un ramo del quale, staccatosi dal tronco poco dopo la sua uscita dal cranio, cam- mina lateralmente al cerato-branchiale, passa tra i muscoli 398 BATELLI E GIACOMINI stilo-ivnideo e genio-ioideo, scorre su questo, mandando nel senso delle sue fibre varî filuzzi, di cui alcuni raggiungono la por- zione glandulare supero-laterale, ed, oltrepassatolo, arriva alla porzione infero-mediale, le lascia altri filuzzi ed entra final- mente nella lingua. Nella Columba Livia, Briss., i due cormi pavimentali, antero- laterale e postero-mediale, sono relativamente alquanto ridotti così per il numero come per la sovrapposizione degli individui glandulari. Nei Passeracei, ad es. negli Sturnidi, in molti Fringillidi, negli Alaudidi, nei Turdidi, nei Trogloditidi, nei Paridi, le glandule del pavimento sono pure costituite da due aggruppa- menti, cioè da due cormi glandulari per lato, uno anteriore e laterale l’altro posteriore e mediale. Nella PhiMoneuste rufa, BP., nel Regulus cristatus, Koca et CHarLes, nel Lanius minor, Gu., nel Turdus musicus, Lin., può osservarsi una tale disposizione. Tanto gli otricoli del cormo laterale quanto quelli del cormo mediale hanno la tendenza a suddividersi in otricoli macrosco- picamente distinti, hanno cioè la tendenza a ramificarsi. Nel Turdus musicus (Tav. II, fig. 3) il cormo laterale, che, es- sendo poco sviluppato, rimane ventralmente affatto ricoperto dal muscolo genio-ioideo, si suddivide in due otricoli allungati, i quali con la loro estremità posteriore giungono sino a livello dell'angolo determinato dai muscoli genio- e stilo-ioideo: l’otri- colo esterno è più corto dell'interno. Nella PWilloneuste rufa si hanno le istesse apparenze. Anche nel Regulus cristatus havvi una simile ramificazione del cormo glandulare laterale e solo una piccola differenza si nota nell’ essere l’otricolo o meglio il ramo esterno più allungato in confronto all’interno. Nelle spe- cie or ora ricordate il cormo mediale si mantiene poco o niente ramificato, mentre in altre, come nella tribù dei Fringillidi, esso è maggiormente interessato dalla ramificazione o suddivi- sione. Così nella Petronia stulta, J. F. GweL., il cormo laterale è rappresentato da un piccolo tubulo cilindrico e piuttosto corto, mentre il mediale è dal lato interno ramificato in tanti tubuli, che si ricollegano ‘tra di loro per lungo decorso di superficie, rimanendo liberi solo nelle loro estremità distali. Questo me- desimo comportarsi si rivela in altri Fringillidi, come nella Fringilla coelebs, Linn. CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 399 Al medesimo tipo di disposizione ora descritto per le glan- dule pavimentali debbono riferirsi quelle celebratissime del Picchio, Gecinus viridis, Bore., (Tav. II, fig. 5). Il grande svi- luppo che esse assumono e che certamente non ha riscontro in altri Uccelli, altera così sensibilmente i rapporti di posi- zione da produrre incertezza per le omologie. Le grosse glan- dule, le quali si ripiegano seguendo in dietro il decorso dei corni dell'osso ioide, sono ciascuna composte di due porzioni, di cui l’una maggiore, biancastra, con lo sbocco unico situato anteriormente all'angolo del becco inferiore ed estesa fin dopo l'estremità posteriore del capo, trovasi all’esterno dell'altra più corta, di colore rossastro ed addossata alla precedente, che la riceve in una specie di concavità verso il mezzo della sua estensione. Quest’ ultima parte intimamente connessa alla prima, come vedremo dicendo della loro struttura istologica, è costituita da tanti piccoli otricoli ognuno con orifizio proprio, î quali nella cavità orale si aprono di tratto in tratto lungo il lato interno della porzione glandulare maggiore. Qui è ne- cessario ricordare un dato istologico molto evidente nel cormo laterale del Tordo, onde raccapezzarsi nelle omologie. Seguendo una serie di sezioni frontali praticate nel pavimento boccale di un Tordo, osservasi che a lato dei lunghi otricoli, che for- mano il cormo laterale, ne sboccano di quando in quando al- tri piccolissimi. Se agli otricoli lunghissimi macroscopicamente visibili del cormo laterale del Tordo ed agli altri molto pic- coli microscopici si facesse rispettivamente assumere un for- tissimo e proporzionale sviluppo, noi ci troveremmo probabil- mente dinanzi ad una glandula simile nella costituzione a quelle straordinariamente sviluppate del Picchio, le quali potrebbero perciò essere ritenute come appartenenti al cormo laterale. oltre nel Gecinus viridis esistono anche altri gruppetti di glandule situati più verso la linea mediana e con gli sbocchi anche più indietro, e questi gruppetti vengono a costituire il cormo glandulare pavimentale posteriore e mediale. Nel Picus major la disposizione delle glandule del pavimento so- miglia a quella descritta nel Gecinus viridis. Un tipo alquanto differente si trova in alcuni Passeracei ed in molti Grallatori. Fra i primi prenderemo ad esempio la Pica caudata, Bore., tra i secondi ‘la Fulica atra, Lixx. Nella Sc. Nat. Vol. VI. 2 400 BATELLI E GIACOMINI Pica caudata il cormo anteriore e laterale è costituito da quattro o cinque otricoli allungati paralleli, ciascuno con orifizio pro- prio, in parte ricoperti verso la loro estremità posteriore del loro lato ventrale dal muscolo genio-ioideo: gli orifizî non si trovano ai lati del solco mediano, ma portati più esternamente verso la branca mandibolare e più indietro. Il cormo postero- mediale nell'insieme mostrasi costituito come quello descritto nei Gallinacei, e con la sua estremità caudale raggiunge l’an- golo formato dai muscoli genio- e stilo-i0ideo. Nella Fulica atra st ha parimente un cormo anteriore e laterale ed uno me- diale e posteriore (Tav. II, fig. 4): il primo, molto allungato, situato profondamente al disotto del muscolo genio-ioideo, prende una forma ciavata e giunge con la sua estremità po- steriore anche più indietro del solito angolo tormato dai mu- scoli genio- e stilo-ioideo; il secondo è composto di parecchi otricoli glandulari, più o meno lunghi e distintamente separati gli uni dagli altri. Nel Totanus ochropus, Tew. il cormo antero- laterale si mantiene per breve tratto addossato alla parte fi- brosa della mucosa orale, scavalca quindi il muscolo genio- ioideo facendosi ad esso sottostante e seguendone il decorso antero-posteriore con il disporsi lungo il margine interno: gli otricoli del cormo postero-mediale aderiscono alla parte con- giuntiva della muccosa boccale, sì sdraiano immediatamente sotto di essa e lasciano in un piano sottostante tutti i muscoli della regione. Nell’ Aegialitis curonicus, Keys., e nell'Ardea minuta, Lixn., la disposizione si avvicina a quella suddescritta, salvo che gli otricoli del cormo postero-mediale spariscono nell’ Ardea minuta e vengono sostituiti da piccolissimi follicoli glandulari formati da una lieve infossatura dell'epidermide. Glandule linguali. — Sono repartite in due cormi, il Zin- quale inferiore ed il linguale superiore: il primo, pari (Tav. I fig. 3 Zia, lip), è rappresentato da una serie d’individui glandu- lari disposti nei corpo della lingua, ai lati della medesima, con sbocchi parimente laterali ed inferiori (gland. linguali inferiori); il secondo, impari (Tav. I, fig. 2 0/ su) ha i suoi individui glan- dulari con gli sbocchi rivolti superiormente (glad. linguali superiori), disposti sulla faccia dorsale della lingua dietro le papille, che ne limitano caudalmente la base, formando come un semicerchio a concavità posteriore, nel cui spazio si rac- CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 401 coglie il maggior numero di glandule, mentre altre poche cir- condano l'apertura laringea. Le linguali inferiori, sia nel Pollo sia in altri Uccelli come ad es. nel Turdus musicus, nel Lanius minor etc., possono essere distinte in anteriori (Tav. I, fig. 3720), più sviluppate, ed in posteriori (Tav. I, fig. 3 ip). Le prime, cioè le anteriori, nel Pollo stanno sulle facce laterali della lin- gua, e le ricuoprono dal frenulo o meglio dal margine poste- riore della parte cornea al solco determinato dall’ impianto delle papille: hanno tre o quattro orifizìî principali situati in- feriormente ad una certa distanza l'uno dall’ altro; i loro corpi glandulari di un colorito roseo traspariscono attraverso la mu- cosa, medialmente sono in rapporto con il basi-iale (WreperRsHEM), al disopra del quale si estendono alquanto, giungendo superior- mente in vicinanza dello spesso epitelio pavimentoso composto, che riveste il dorso della lingua. Le seconde, cioè le posteriori, hanno gli sbocchi allineati in numero di sette od otto, vicini tra di loro e posti subito al disotto delle papille, che formano i corni del semicerchio (Tav. I, fig. 3 ip). Esse incominciano dove ter- minano le anteriori, e caudalmente oltrepassano di poco l’ultima papilla. I loro piccoli corpi glandulari sono rivolti medialmente e ventralmente, dove si mostrano in rapporto all’interno con i muscoli cerato-glosso, cleido-ioideo (Gapow) ed ipoglosso obli- quo (Trepemann), verso l'esterno con lo stilo-ioideo e con quel ramo nervoso sopra ricordato del n. glosso-faringeo, che por- tasi alla lingua dopo aver lasciato loro alcuni filetti. Le glandule linguali superiori sono specialmente concentrate nello spazio limitato dal semicerchio delle papille basilari, di- venendo molte scarse oltrepassata l estremità posteriore del secondo basi-branchiale (Wiepersnem). Gli orifizî, come le glan- dule, sono mediali e laterali; quest'ultimi si distribuiscono su di una linea curva a convessità interna e con l'estremità po- steriore rivolta verso la parte caudale, raggiungendola talvolta, della porzione infero-mediale del cormo posteriore del pavi- mento. Nello spazio compreso tra le due serie di orifizi, lin- guale superiore laterale ed infero-mediale del cormo testè ri- cordato, si avanzano le glandule linguali inferiori posteriori. Una simile disposizione starebbe in certa maniera a rappresen- tare la dipendenza, già ammessa dal Gaurp, del cormo pavi- mentale posteriore dalle glandule linguali. I corpi glandulari 402 BATELLI E GIACOMINI delle linguali superiori laterali mostransi dal lato ventrale fit- tamente aggruppati con quelli delle linguali inferiori posteriori, e si adagiano sul muscolo cerato-glosso: i corpi glandulari delle mediali, meno raccorciati e meno strettamente addossati gli uni agli altri che i precedenti, riposano nel muscolo ipoglosso obliquo in avanti e nei muscoli tracheo-ioideo (Duvernor) e ce- rato-icideo (TrepemAnN) in dietro; hanno direzione obliqua an- teriore, sicchè lo sbocco di ciascun individuo glandulare è po- steriore relativamente al suo corpo. È notevole che tanto nei Rapaci quanto nel Cypselus apus, fino dal mezzo della lingua gl’'individui glandulari si dispon- gono regolarmente sul dorso di essa. La quale distribuzione, raramente constatata negli Uccelli, propria invece dei Rettili, tende a ravvicinare i rappresentanti del tipo sauropside. Il Gapow (*), parlando delle glandale della lingua in generale, dice che esistono glandule nella lingua di molti Uccelli, che esse sono spesso considerevoli e situate specialmente nella parte posteriore. Numerose e piccole aperture delle medesime si tro- vano nella faccia superiore della lingua nel Gufo (Strix. bra- chyotus, Strix. flammea); poche e grandi nei Pappagalli, così nella Cacathua sulphurea tre per ogni lato. MArsHALL trovò si- mili glandule grossissime nel Sarcoramphus Papa. Tutte le glandule linguali vengono innervate dal n. glosso- faringeo, e fornite di sangue dalle arterie linguale e ioidea. Glandule della commessura labiale. — La glandula della commessura labiale è rappresentata da un cormo glandulare allineato lungo l'osso jugulare, al disotto di esso ed al suo lato interno. Trovasi fra la mucosa ed il tegumento di quella mem- brana, che corrisponderebbe alla gota, come si può osservare mantenendo la bocca aperta. Questa membrana, a bocca chiusa, si mostra come una semplice piega diretta in fuori della mu- cosa e del tegumento, piega di cui il lembo superiore è in continuazione della volta ed il lembo inferiore, del pavimento orale. Le glandule della commessura labiale sono variabili per la forma ed il volume (?). (1) L e. pag. 669. (2) Non in tutti gli Uccelli si riscontra una vera e propria glandula dell'angolo boccale. CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 408 Questa glandula nel Pollo (Tav. I, fig. 4gc/) è raccolta in un ammasso triangolare con una lunghezza di 6a 7 mm. in media ed un’ altezza di 5 mm. circa; la sua base, quando la bocca sta socchiusa, è interna all'osso jugale e ne segue rigorosamente la direzione; dei suoi due lati uno è postero-inferiore, l’altro antero-superiore e guarda verso il margine libero della piega membranosa. Quando si tiene aperta la bocca del Pollo, si vede partire dall’apice della glandula il breve dutto escretore, ri- volto in basso ed in avanti, che, seguendo una direzione simile, arriva allo sbocco situato pressochè nel margine libero della membrana, nel confine tra mucosa e tegumento. Quando si tiene chiusa la bocca del Pollo, l’orifizio rimane verso il fondo del solco costituito dai due lembi della membrana medesima, che sì ripiega, e precisamente nell’estremità posteriore del lembo inferiore; in tali condizioni dutto ed orifizio si volgono all’ ester- no, e, ciò che più importa, quest'ultimo viene a situarsi late- ralmente al margine superiore della mandibola. Questo fatto, riunito ad altri dimostratici dallo sviluppo, ci dà la prova di- retta, mancata al Rercns, per omologare la glandula dell’an- golo ad una labiale. La sua superficie cutanea apparisce irre- golare, la superficie mucosa lascia vedere alcuni orifizî pun- tiformi, i quali, nel fondo del soico, che divide il pavimento orale dalla volta, si dispongono dietro la glandula in numero di una dozzina, assai avvicinati tra loro sopra una linea retta. Essi sono gli sbocchi delle piccolissime glandule buccali, che @ fatica si distinguono anche sulla mucosa rovesciata a causa del loro colorito bianco trasparente. Nel Tacchino (Meleagris Gal- lopavo) le glandule dell'angolo della bocca conservano disposi- zioni uguali a quelle descritte nel Pollo. Nella Columba Livia la glandula della commessura non mantiene la forma raccolta e triangolare, ma si allunga molto nel medesimo tempo che si assottiglia e si allinea al disotto dell’ osso jugale. Ugualmente in molti Passeracei la glandula della commessura si presenta allungata, uniformemente stretta in avanti, alquanto rigonfiata posteriormente, con una forma cioè che si assomiglia ad una clava. Così avviene nel Tordo come mostra la fig. 10 della . Tav. II Anche in alcuni Trampolieri come nella Fulca atra, nell’ Aegialitis curonicus, nel Totanus ochropus la glandula del- l’angolo, claviforme, è molto sviluppata in lunghezza. In ogni 404 BATELLI E GIACOMINI caso l’orifizio di detta glandula si somiglia nella posizione, poichè trovasi sempre verso l'estremità posteriore del lembo inferiore della plica angolare, nel confine tra mucosa e tegumento. In ogni caso esistono piccole glandulette buccali. Alla glandula dell’angolo porta sangue l’ arteria auricolare proveniente dalla faciale, e giungono rami del n. mascellare inferiore, come già dimostrarono il Rirzet, il Ganow ed il GavpP. Quando, come nei Rapaci, nel kondone e più segnatamente nel Podiceps minore nel Podiceps cristatus, manca una vera e propria glandula dell'angolo, allora le glandule buccali giun- gono fin presso al margine libero della commessura ae assumendo un maggiore sviluppo l’esistenza delle glandule buccali, sfuggite all'osservazione del RercÒeL, ed il maggiore sviluppo che esse prendono nel caso del Podiceps cristatus, dei Rapaci ed in quello di alcune altre specie, in cui il Mecker notò lo sbocco di parecchie glandulette nell'angolo della bocca, stanno certamente per l’omologia della glanduia della commissura labiorum con una delle buccali e di que- ste con le labiali, ma non già per la omologia della glandula della commessura con quella velenifera dei Serpenti, sebbene ambedue in tesi generale debbano considerarsi come simili, per essere ugualmente l’una e l’altra glandule delle labbra. Sulla differenza che tra esse corre e che al Gaupp sembrò forse troppo grande, torneremo a dire più sotto. Intanto ricorderemo ancora che al limite interno dell’orlo superiore della mandibola, poco prima che da esso si elevi il lembo inferiore della plica commessurale, osservando con una lente, si scorgono nel Pollo alcuni picco- lissimi orifici di glandule, molto interessanti dal lato embrio- logico. Glandule palatine. — Noi le distinguiamo in tre cormi pari che sono, procedendo dall’ avanti all’ indietro: uno anteriore formato generalmente da due glandule più sviluppate, ciascuna con orifizio proprio; uno medio esteso quanto la fessura delle coane e composto di numerosi individui glandulari raccorciati ; il terzo posteriore e costituito come il precedente. In questa descri- zione noi abbiamo tenuto conto anche del carattere fornitoci dalla struttura, oltre di quello fornito dalla posizione relativa delle glandule. Il cormo anteriore è il piu individualizzato e prende il mag- CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 405 giore sviluppo nei Gallinacei, nei Rapaci ed in alcuni Passeracei. Nel Pollo, nel Tacchino sì trova tra il setto delle narici e la mucosa, che ricopre lo spazio compreso dai margini mediali dei processi palatini delle ossa mascellari e del quarto anteriore delle ossa palatine; sta lateralmente in rapporto con esse, dor- salmente con il setto delle narici, non raggiunge in avanti 1 premascellari e termina indietro presso l'apertura delle coane. È formato da due corpi glandulari distinti, ciascuno dei quali ha il suo orifizio posto a lato della linea mediana nel punto, in cui le due grosse creste della mucosa del palato si vanno a riunire anteriormente. Dall’apice del becco superiore (Tav. I, Fig. 5) si diparte affilata una cresta mediana dell’ epidermide del palato, la quale va gradatamente ingrossandosi, finchè si di- vide in tre altre creste, l’ una sottile seguente la direzione pri- mitiva, due più grosse, incurvantisi lateralmente per seguitarsi ben manifeste sino a quella linea di papille, che taglia quasi a metà il decorso delle coane. Ora gli orifizî delle glandule palatine anteriori si trovano nel punto di divisione, circondati all’esterno dall'origine delle creste laterali (Tav. I, Fig. 5opa). I corpi glandulari traspariscono poco o niente attraverso la mucosa, che dev'essere distaccata e rovesciata insieme ad essi, per met- terli in evidenza: decorrono parallelamente indietro, ed alla loro superficie dorsale, uniformemente convessa, non mostrano che numerosi rilievi piccolissimi di un colorito roseo: un tenue tramezzo di connettivo separa l'uno dall'altro (Tav. I, Fig. 6 pa). La nostra descrizione non concorda, almeno per ciò che osser- vasi nel Pollo, nel Tacchino, nei Rapaci ed in alcuni Passeracei, con quella datane dal Rerc®eL, secondo la quale il gruppo me- diano delle glandule palatine, che corrisponde al nostro cormo palatino anteriore, sarebbe invece composto di tante piccole glandulette confuse nell'adulto in una sola famiglia. Solamente nella Quaglia furono da noi ritrovate le glandule palatine anteriori formate in una maniera simile a quella descritta dal REICHEL. Il cormo palatino medio (Tav. I, Fig. 5 e 6) comprende tutte quelle glandule collocate nella mucosa della volta del palato, che va dall’estremità anteriore delle coane fino alla loro estre- mità posteriore, dove incomincia la fossetta, in cui si aprono le tube eustachiane. Il cormo palatino medio è pari: solo tal- 406 BATELLI E GIACOMINI volta, quando cioè le ossa palatine non sono molto larghe, suddi- videsi da ciascun lato in una parte medzale, ed in una laterale. La prima segue il margine dell'apertura delle coane, convergendo an- teriormente e posteriormente con quella del lato opposto, la se- conda invece segue quella cresta della mucosa, che dall’ ori- fizio della glandula palatina anteriore giunge alla linea pa- pillare perpendicolare. La divisione in due parti è fatta dal- l'osso palatino situato fra loro, ed i due ammassi glandulari si mantengono in avanti più nettamente distinti. Essi dalla faccia muccosa si disegnano lievemente, dalla faccia opposta costitui- scono ognuno un rilievo a superficie convessa con fini tubercoletti rotondeggianti od alquanto allungati dall’avanti all'indietro. Hanno nell'insieme un colore roseo. Il mediale (Tav. I, Fig. 6pmm) è a forma di semiluna, con la convessità esterna e con i due corni affilati alle estremità delle coane; la maggiore convessità ed il maggior numero d'individui glandu'ari si presentano a livello della linea papillare, il bordo concavo si confonde quasi con quello delle coane, rimanendone in avanti semplicemente sepa- rato mercè le fibre del muscolo nasale medio (Gecensaur). Alle estremità gl’ individui glandulari si fanno scarsi e tendono a congiungersi con quelli opposti, come pure a confondersi quelli dell’estremo anteriore con la parte caudale del cormo palatino anteriore, gli altri dell’estremo posteriore con l’apice del cormo susseguente. La disposizione degli orifizì alla superficie mucosa è simile a quella degli individui glandulari, dei quali alcuni sboccano nella fessura delle coane. L'ammasso glandulare /ate- rale sì estende dalla linea papillare sino in corrispondenza del- l'estremo anteriore del mediale; ha pure la forma di semiluna a convessità esterna, ma dei suoi corni solamente l'anteriore è assottigliato, il posteriore, rigonfiandosi invece a clava, va @ toccare la parte mediale nel suo punto di maggiore convessità. Gli orifizî assai piccoli e molto ravvicinati si dispongono pre- cisamente ai lati della base della cresta epidermica (Tav. I, Fig. 5opml). In avanti della linea papillare gli orifizîì delle glandule mediali e quelli delle /aterali formano una serie con- tinua. Questo cormo soltanto sembra corrispondere al gruppo la- terale di glandule palatine, distinto dal RercneL, perchè infatti di questo solamente può dirsi, come avremo occasione di me- CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 407 glio dimostrare seguendone la maniera di sviluppo, che dividesi da ciascun lato in due parti decorrenti ai margini dell’ osso palatino. Il cormo palatino posteriore (Tav. I, Fig. 5 e 6), circoscrive la fossetta in cui si aprono le tube d’ Eustachio. Considerato nelle due parti riunite ha una forma triangolare con l'apice all’estre- mità posteriore delle coane e la base alla linea trasversa di papille collocata più in dietro; i due lati del triangolo seguono la direzione delle ossa pterigoidee limitanti all’ esterno con i loro margini laterali l’aggruppamento glandulare, che dorsalmente è quindi in rapporto con esse, con lo sfenoide basilare e con i muscoli pterigoidei (Trepemann). Nessuna parte del cormo glan- dulare, tranne l’apice, è in relazione con le ossa palatine. La fessura eustachiana suddivide l’intiera superficie glandulare in due altri triangoli più piccoli e tra loro uguali, costituenti due cuscinetti glandulari contigui, ciascuno con il suo apice all’estre- mità posteriore della parte interna del cormo palatino prece- dente. Lateralmente in questa regione sono disseminati rari e piccolissimi individui glandulari. I due cuscinetti si delineano abbastanza chiaramente al disotto della mucosa, e mostrano gli orifizî laterali su linee convergenti verso l'apice ed i mediali sui margini della fossetta eustachiana (Tav. I, Fig. 5 0pp); pochi altri orifizî stanno nel fondo di due solchi situati su ciascun lato della fossetta e determinati da due ripiegature antero-poste- riori della mucosa, l'una inferiore più grande, l’altra superiore piccola. Le arterie che giungendo al palato portano il sangue alle diverse glandule palatine sono la sfenoidea, la sfenomascellare e l’etmoidale esterna, provenienti dalla carotide interna, ed inoltre delle diramazioni arteriose derivate dalla mascellare interna. Il cormo palatino anteriore è innervato dai rami etmoi- dali della prima branca del n. trigemino, il medio ed il posteriore dai rami palatini del n. mascellare superiore e del plesso sfeno- palatino. Confrontando la descrizione, che noi abbiamo data delle glandule appartenenti alla volta buccale in alcuni Uccelli e più specialmente nel Pollo, con quella che ne dà in generale il GaupP, si rivelano subito alcune differenze. Così se noi voles- simo chiamare le glandule col nome delle ossa con le quali esse 408 BATELLI E GIACOMINI prendono rapporto, dovremmo denominare le anteriori glandule mascellari, le medie palatine e le posteriori pterigoidee o sfeno- pterigoidee. Noi non possiamo parlare di glandule premascellari, non avendone trovata alcuna, che si ponga in relazione con le ossa del medesimo nome. Infine, a proposito delle glandule pa- latine, non sempre sono rappresentate dai tre cormi. Nei Tram- polieri si ha sovente, come nella Fulica atra, la mancanza del cormo anteriore, una singolare povertà del Inf, ed un grande sviluppo del posteriore. II. Descritta in tutti i suoi particolari la disposizione delle glandule salivari degli Uccelli e più specialmente nel Pollo, ci sembra non inutile fare qualche nota relativa alla questione delle omologie. Ricordiamo, che se nelle varie classi di Ver- tebrati, come ebbe au osservare giustamente il RercueL, le glandule della cavità orale offrono variazioni di rapporti, di forma, numero e dimensioni, e presentano quindi una grave difficoltà a chi desideri studiarne le somiglianze, ciò avviene più di frequente per gli Uccelli, anche nelle specie tra loro molto affini. Tuttavia i paragoni sono meno difficili fra Uc- celli e Rettili, compresi tutti nel tipo sauropside, che fra Uccelli e Mammiferi, nei quali riescono talora impossibili. E ciò deriva in conseguenza dell’alto valore fisiologico e della assoluta diffe- renziazione morfologica acquistata dalle glandule salivari dei Mammiferi, oltre che dalla diversità grande nello scheletro cefalico delle due classi di Vertebrati superiori. Tutti i criterî, per cui debbonsi riguardare, senza discussione, alcune glandule salivari degli Uccelli morfologicamente equivalenti ad alcune dei Rettili, ci sfuggono, quando tentiamo gli stessi raffronti tra Uccelli e Mammiferi; il che non può sorprenderci, essendo gli organi da noi presi in esame produzioni in dipendenza unicamente della muccosa, dalla quale essi sì originano in certi dati punti, variabili colle modalità dello scheletro, di altri organi vicini e dei movimenti passivi ai quali quei punti vanno soggetti. Sono queste le condizioni alle quali le glan- dule necessariamente si adattano in maniera diversa, a se- CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 409 conda che le trovano più favorevoli per il loro sviluppo in uno od in altro senso. E ciò noi ammettiamo tanto più volentieri, potendolo con RercÒ®eL attribuire all’abbozzarsi di queste produ- zioni epiteliali, in certa maniera secondarie, in uno stadio ab- bastanza inoltrato di sviluppo di ciascun Vertebrato cui esse appartengono. Tutto questo si accorda con l'opinione nostra, che cioè nella classe degli Uccelli i tipi di disposizione delle glan- dule salivari, massime delle pavimentali, sieno in stretta rela- zione con la varia forma del becco (!. Dobbiamo aggiangere poi che per essere l'adattamento in correlazione con la funzione, molte volte il fatto morfologico si subordina al fisiologico, come ce ne forniscono un esempio le glandule salivari dei Mammi- (1) Nella classe degli Uccelli per il tipo di disposizione delle glandule salivari vi sono degli ordini che si mostrano monotipici, altri invece che non si mostrano tali: monotipici sono i Rapaci, i Gallinacei ( Alectoromorphae ), ed i Trampolieri, variabili invece i Passeracei ed i Palmipedi. Certo è assai difficile indagare le ultime cause di queste disposizioni, e sarebbe certamente temerario il volerne esagerare l’importanza; tuttavia i nostri studî ci autorizzano ad avere un’opinione, che noi esporremo qui il- lustrandola con qualche esempio. Alcune Gralle ed alcuni Palmipedi, i quali hanno analogia nelle abitudini, nel genere e nel modo della nutrizione loro, parrebbe a priori che dovessero morfologicamente assomigliarsi; eppure così non avviene, poichè il tipo fornitoci dagli Anserini da un lato e dalle Gralle dall’altro è in tutto differente: adun- que la sola biologia, presa sulle generali, non basta al nostro scopo. Considerando invece la varia forma del becco, la quale alla sua volta viene influenzata e modificata dalle abitudini dell'animale, troviamo che queste analogie esistono ed in un modo molto espres- sivo. Sono spiegabili allora i gruppi monotipici in quanto il becco loro rassomigli in tutte le specie appartenenti alla medesima sezione, sono spiegabili i gruppi non monotipici, in quanto il becco si taccia dissimile nelle varie specie o meglio nelle varie tribù, nelle quali possono essere divisi. Così è che nei Rapaci, caratterizzati tutti, sieno notturni o diurni, dal becco corto, adunco e dalla larga fessura boccale, le glandule si rassomigliano sempre tra loro e queste alla lor volta a quelle dei Cypselidi, nei quali il becco è parimenti raccorciato e la fessura boccale amplissima. Nei Passeracci la forma del becco è variabile, tanto da servire alla divisione di essi in famiglie na- turali, e questo, nel nostro ordine d’idee, ci spiega perchè le glandule salivari vi sono differenti in maniera da mancare ogni appiglio per identificarle ad un solo tipo. In tale parallelismo salta agli occhi fra Ie molte somiglianze quella, che ricollega il tipo delle glandule salivari negli Psittaci da un lato e dei Fringillidi ed Emberizidi dal- l’altro: si direbbe che sono fatte sul medesimo stampo. In questo genere di fatti e di apprezzamenti è da ritrovarsi la ragione del tipo aberrante, già da noi descritto, nel Frosone, dove le glandule del pavimento hanno un raffronto in quelle che nei Pappa- galli si trovano, molto indietro oltre i limiti ordinari, ai lati della lingua carnosa. I Passeracei d’altra parte a becco conico, allungato, quali sono i Tenuirostri, rassomi- gliano ad alcune Gralle (Aegialitis, Totanus), per la forma del becco e per il tipo delle glandule salivari. Infine, come ultimo argomento di qualche valore, aggiungiamo che se la forma tipica delle glandule salivari nei Trampolieri, si modifica nei Rallidi e negli Erodioni, questo avviene parallelamente alla differenza nella forma del becco. 410 BATELLI E GIACOMINI feri, nelle quali in modo sicuro la subordinazione dello stato formale alla loro funzione si manifesta con lo straordinario aumento di volume, e perciò anche in una diversità di posi- zione. Per tali ragioni nel caso nostro nemmeno l’embriologia può recarci un valido soccorso, ma essa rimane sempre la guida più sicura, come lo è in ogni ricerca di equivalenza morfolo- gica, e di essa pure noi dobbiamo servirci, perchè ci riferisce a condizioni più semplici, a stati in cui non sono ancora av- venute quelle metamorfosi e complicazioni, che tanto fanno dif- ferire tra loro gli organi allo stato adulto. Insieme al modo di sviluppo è poi fuori di dubbio assai più utile della semplice topografia, che può ingenerare dei dubbî, nello stabilire le omo- logie prendere con il GauPP in considerazione i nervi, che si di- stribuiscono agli organi da omologare, dacchè i nervi sembrano mantenere una certa costanza nel portarsi al territorio al quale sono destinati, caratterizzandolo anatomicamente e talora an- che fisiologicamente. Nei Mammiferi, secondo il WiepersHem (*), le glandule sali- vari non sono certamente produzioni nuove, e corrispondono a; quelle poco sviluppate dei Vertebrati più bassi; così la sotto- mascellare e la sublinguale (retrolinguale di Ranvizr (?) ), poichè ognuna possiede un solo canale escretore, sono rispettivamente omologhe ad una sola delle numerose e piccole glandule sub- linguali dei Vertebrati inferiori, mentre quelle (alveolo-linguali di Carevirz (3), sublinguali di Ranvier (4) ), che stanno lateralmente alla lingua dei Mammiferi e sboccano nella cavità orale con molti canali, sono simili alle sublinguali degli Uccelli e dei Rettili. Non di meno a causa della maniera d’' innervazione sorge spontanea la curiosità di sapere, se le tre paia di glan- dule sopra-ioidee, per servirci di un'espressione usata dal Rax- vier, possedute da molti Mammiferi, siano da riportarsi tutte al cormo pavimentale anteriore di alcuni Uccelli, oppure in (!) WrepersHEIM, Lehrbuch der vergleichenden Anatomie der Wirbelthiere. Zweite Auflage. Jena 1886, pag. 512. (£) Ranvier. Etùde anatomique des glandes connues sous les noms de sous-ma- xillaire et sublinguale, chez les Mammiferes Laboratoire d’ Histologie du College de France Travaux des années 1886-87. III, pag 31-64. Paris 1887. (3) Comevirz Z. H. Beitrige zur Entwickelungsgeschichte der Speicheldrisen. Arch. f. Anat. u. Phys. Anat. Abth. Jahrgang. 1885. pag. 401-436. (UA CONTRIBUZIONE ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 411 parte anche al posteriore, il quale non è più innervato dal n. mascellare inferiore come il primo e le pavimentali dei Mammiferi, ma dal n. glosso-faringeo. Sorge poi la curiosità di sapere se il cormo pavimentale posteriore rientri piuttosto nel gruppo delle glandule linguali dei Mammiferi, quando in essi si sviluppa la vera lingua. Quest'ultima suppposizione quan- tunque non si sostenga agevolmente, perchè nella lingua degli Uccelli, che non corrisponde propriamente a quella dei Mammi- feri sibbene alla loro sublingua (GegenBAUR), esistono già altre glandule, che possono senza tema d’errore confrontarsi alle lin- guali dei Mammiferi, tuttavia non potrà sembrare strana, quando si rammenti che gli individui glandulari del cormo pavimentale posteriore, al principio del loro sviluppo, non si distinguono fa- cilmente dalle vere e proprie glandule linguali. Il WiepersHEm, accettando le conclusioni del RercHEL, crede la parotide dei Mammiferi omologa a quella degli Uccelli, la quale a sua volta sarebbe omologa alla glandula del veleno dei Serpenti; e siccome questa risulta da una differenziazione delle glandule labiali superiori, così attribuisce con Rercazr la medesima genesi alla parotide. Di più il WrepersHElM con il Rer- cHeL paragonano le glandule buccali dei Mammiferi alle labiali dei Rettili, e quindi la parotide ad una buccale come fa il Caievitz; egualmente noi possiamo rassomigliare la parotide de- gli Uccelli ad una delle loro glandule buccali e queste sia a quelle dei Mammiferi sia alle labiali dei Rettili. Ma sebbene tutte e tre le glandule, parotide dei Mammiferi e degli Uccelli e glandula velenifera dei Serpenti, si trovino sotto la dipendenza del nervo trigemino, pure, variando il modo con cui esso vi giunge, poichè alla glandula del veleno arriva con rami della sua seconda branca (n. mascellare superiore), a quella della commessura labiale ed alla parotide con rami della terza branca (n. mascellare inferiore), il raffronto pare naturale solo in parte. Se adunque è giustificabile il dubbio che aveva il Gaupp sopra il valore di queste omologie, non è parimente giustificabile la sua idea di ritenere nella parotide degli Uc- celli la possibilità di un organo nuovo. Noi crediamo di aver potuto dileguare questi dubbî, seuza discostarci molto dalle vedute del RercneL e del WiepersHEM, mettendo insieme i fatti d’innervazione, di posizione dello sbocco e di sviluppo della glandula commessurale. i Ù | ll 412 BATELLI E GIACOMINI Dicemmo, descrivendo la glandula della commessura la- biale degli Uccelli e più particolarmente nel Pollo, che, a bocca chiusa, quando l’angulus oris è spinto in fuori e risulta costi- tuito da una piega membranosa con un lembo superiore ed uno inferiore, l’orifizio della glandula veniva a trovarsi verso l'estremo posteriore di quest'ultimo. Ora se nell’omologie è di meno interesse la posizione della glandula che quella del suo sbocco, indicante sicuramente il luogo dove essa ebbe origine, come a ragione il Rercner sostenne ed il Ranvier confermò, e se il lembo inferiore della plica vale quanto un labbro infe- riore, nel modo che lo sviluppo c' insegna, ne segue che la glan- dula commessurale degli Uccelli ha il significato di una labiale in- feriore. E che realmente si tratti di una glandula labiale è anche provato dal trovarsi il suo punto di apertura all’ esterno del margine superiore della mandibola a guisa di tutte le la- biali e della velenifera dei Serpenti, che si aprono al di fuori dei mascellari. Quindi la differenza tra la glandula del veleno dei Serpenti e quella della commissura labiorum degli Uccelli consiste solo nell'essere l'una labiale superiore l’altra labiale inferiore. Finalmente lo sviluppo di quest’ultima, ciò che dimo- streremo in seguito, avvenendo in una maniera pressochè uguale tanto negli Uccelli quanto nei Mammiferi, c' induce @ dichia- rare la parotide di questi simile alla glandula dell'angolo bue- cale di quelli e probabilmente omologa ad una labiale inferiore. Tutto questo sta in completa armonia con il criterio tratto dal modo d'innervazione. Sviluppo. Ml Rercnet (4) ed il Caivinz (?) furono gli autori, che si oc- cuparono in modo speciale dello sviluppo delle glandule salivari; quegli eseguì le sue ricerche negli Ofidii, negli Uccelli e nei Mammiferi con lo scopo principale di vedere se la maniera di sviluppo confermava le omologie da lui stabilite, questi solo nell’Uomo ed in altri Mammiferi, studiandone anche minuta- mente l'ulteriore elaborazione. Il Rercre per le ricerche negli Uccelli si servì di embrioni (6) IL @. © L c. CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 413 di Pollo dal sesto fino al sedicesimo giorno, e constatò che lo sviluppo avveniva in modo simile a quello da lui osservato negli Ofidii. “ Le glandule si originano per germogli epiteliali, che si approfondano, proliferano, si ramificano più o meno, ed acqui- stano finalmente un lume. I primi abbozzi delle pavimentali appariscono solo all'ottavo giorno, come piccole proliferazioni epiteliali sia in ambedue i lati della base della lingua sia nel solco arcuato che questa forma con il pavimento orale, dove, essendo dirette medialmente, rimane in alcuni punti incerto se debbono riguardarsi come abbozzi delle linguali o delle sublin- guali. Più tardi aumentano in numero ed in grandezza; in avanti cominciano dietro l'angolo della mandibola, ordinati simmetrica- mente ai lati della linea mediana, e si estendono in dietro lungo la base della lingua. Quando posseggono un lume sono simili ad un ampio canale, che dal suo purto di sbocco si dirige quasi direttamente all’esterno per ripiegarsi, dopo un certo tratto, in dietro, mandando solamente poche ramificazioni. Le glandule collocate alla base della lingua si approfondano pressochè per- pendicolarmente od alquanto obliquamente verso l'interno, dove s'incontrano con gli abbozzi delle linguali, che, per l’ul- teriore sollevarsi della lingua sul pavimento buccale, passano da ambo i lati al disopra dell’entoglosso, e si estendono con i loro rami fin sotto la faccia superiore della lingua. In quest'ul- tima, osservando in dietro nella porzione appartenente alle fauci, non trovasi più alcun accenno glandulare. Una divisione in sottolinguale anteriore e posteriore non si scorge nemmeno a stadî molto avanzati, il che da maggior ragione all’omologia delle così dette glandule sotto-mascellari degli Uccelli con le sotto- linguali dei Rettili ,. Il RercHer fu meno decisivo, relativamente all’omologie, in quanto allo sviluppo della glandula dell’angolo, sulla quale si trattenne pochissimo, limitandosi ad annunziare che di essa il primo abbozzo formasi all'angolo della bocca, e consiste in una propaggine di epitelio nella parete laterale. Non vide accenni glandulari, che corrispondessero alle glandule buc- cali dei Mammiferi. Più a lungo si fermò sulle glandule del palato, per le quali distinse un gruppo mediano ed un altro la- terale come dicemmo a pagina 8. A conferma delle omo- logie tra la parotide dei Mammiferi, la glandula dell’ angolo buccale degli Uccelli e la glandula velenifera dei Serpenti, il 414 BATELLI E GIACOMINI RercreL mostrò la grande somiglianza, che vi è tra lo sviluppo delle labiali e quello delle buccali, cui dette un eguale valore morfologico, provando contemporaneamente che la parotide è una delle buccali con straordinario sviluppo ed istologicamente differenziata, come poi ammise anche il Caievinz. Le nostre ricerche embriologiche, le quali ci permettono di completare, con qualche modificazione, le osservazioni del Rei- cneL e di stabilire qualche soniglianza con lo sviluppo delle glandule salivari dei Mammiferi, furono eseguite nel Pollo, in embrioni dal settimo al diciassettesimo giorno di covatura ed in alcuni pulcini. Ecco succintamente i nostri resultati. Glandule pavimentali anteriori. — Al settimo giorno non sono ancora apparse, ma si può riconoscere un solco mediano prima di raggiungere l'apice della lingua, decorrente dall’ avanti all'indietro, nel quale esse prenderanno origine, e si accenne- ranno primitivamente all'ottavo giorno. Il solco che in avanti è poco profondo, verso la metà del suo decorso diviene a. nono giorno più distinto. Quelli che saranno nell’adulto gli otricoli più lunghi, si sviluppano simmetricamente nel solco ai lati del suo fondo (Tav. I, Fig. 7 sm, pva) e sono abbozzati a guisa di gemme epiteliali solide dirette lateralmente, che coll’accrescersi si ripiegano in dietro. All’undicesimo giorno s'incomincia a for- mare un lume presso l'origine dei cordoni epiteliali più lunghi, che verso il tredicesimo o quattordicesimo giorno si aprono ai lati del solco con ampio orifizio. Il tubo non è provvisto di una ca- vità in tutta la sua lunghezza, mancando essa all’ estremità caudale: l’otricolo si allunga ed intanto progredisce di pari passo la formazione della cavità con i cambiamenti delle cellule, che la rivestono. Sulle parti laterali del solco in principio non si vedono germogli epiteliali per gli otricoli corti situati dorsal- mente, i quali incominciano ad approfondirsi in senso perpen- dicolare al decimo giorno (Tav. I, Fig. 11 a/), e vanno aumen- tando nei giorni successivi. Intanto il rilievo che limita il solco acquista l'apparenza di una plica sublinguale, poichè estendesi per un certo tratto ai lati ed al disotto della lingua, ove dà ugualmente origine ad abbozzi di corti otricoli. In qualche ma- niera queste piccole glandule, per il luogo di sviluppo, per il loro tardivo e non contemporaneo comparire, potrebbero essere pa- : CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 415 ragonate alle alveolo-linguali (Crievirz) dei Mammiferi, i lunghi tubi invece originatisi dal solco mediano, alle glandule sublin- guale (Crievirz) e sottomascellare dei Mammiferi stessi. . Glandule pavimentali posteriori. — Compariscono molto al di dietro del frenulo, nel solco limitante da ciascun lato la radice della lingua (Tav. I, Fig. 13, 14 pop). Fin dai primi mo- menti è possibile distinguere il cormo pavimentale anteriore dal posteriore, quantunque il RerctEL creda che nemmeno in stadii assai avanzati possa notarsi una distinzione in glandula sotto- linguale anteriore e posteriore. Le due località in cui si svilup- pano, in avanti le anteriori ed in dietro le posteriori, sono nettamente separate da uno spazio privo di abbozzi glandulari. Le pavimentali posteriori situate all’ esterno del cerato-bran- chiale ne seguono la direzione; e di esse, quelle della porzione infero-mediale, si portano ventralmente e verso l'interno, le al- tre della porzione supero-laterale, disposte più indietro, ven- tralmente e verso l’esterno (Tav. I, Fig. 18, 19 pvpl). Glandule linguali. — Sorpassato il frenulo, cioè il punto in cui il pavimento comincia ad unirsi con la lingua, nelle facce laterali di questa, poco al disopra del solco determinato dalla sua inserzione, si scorgono all'ottavo giorno in qualche punto le cellule proliferare da ambo i lati. Le proliferazioni si appro- fondano medialmente e verso il dorso della lingua per l’accenno delle linguali inferiori anteriori, che al nono giorno si mostrano come gemme epiteliali solide, ed al decimo si estendono mag- giormente verso l'interno (Tav. I, Fig. 10, 13, 14/a). Nella serie delle sezioni frontali all’undicesimo giorno esse s’incon- trano alquanto prima di raggiungere il frenulo. In seguito i cordoni epiteliali, cresciuti e ramificati, dal luogo d'origine si dirigono quasi perpendicolarmente verso il dorso della lingua. In dietro arrivano fino all’appendici del basi-iale, situandosi lateralmente ad esse. Vengono poi le linguali inferiori poste- riori. Al dodicesimo giorno la formazione del lume è inoltrata anche nelle ramificazioni. Le glanduie sì sviluppano e si rami- ficano sempre più, si avvicinano alla faccia superiore della lingua, e si espandono in maggior superficie (Tav. I, Fig. 15, 16 lia). Le linguali inferiori posteriori, più che le anteriori, mostrano una medesima origine con le pavimentali posteriori (porzione infero-mediale). Difatti in alcuni punti nascono due gemme di- Sc. Nat. Vol. VI. 3 416 BATELLI E GIACOMINI rette medialmente, una inferiore dal lato ventrale (glandule pavimentali posteriori), l’altra superiore in alto verso la lingua (glandule linguali inferiori posteriori). Per il maggiore sollevarsi della lingua al di sopra del pavimento si allontanano poi le une dalle altre (Tav. I, Fig. 17 pup, lip). Le linguali superiori sono appena accennate al decimo giorno, e la lingua nella regione in cui si sviluppano non possiede an- cora papille. All’ undicesimo giorno, sebbene queste glandule abbiano preso un discreto sviluppo, tuttavia sono ancora scarse e si approfondano poco: intanto al davanti di esse cominciano a formarsi le papille linguali basilari. Più tardi le glandule si estendono verso l'apertura laringea. Quelle mediali si appro- fondano quasi perpendicolarmente, le laterali si dirigono obli- quamente all’esterno verso le linguali inferiori posteriori, con- fondendosi in parte con esse (Tav. I, Fig. 17/s«). La loro presenza non sembra che dal RacneL venisse notata, poichè, egli dice, che nella porzione della lingua appartenente alle fauci non trovasi più alcun accenno glandulare. Glandule della commessura labiale. — Interessante è la maniera d’abbozzarsi della glandula della commessura labiale. Già al settimo giorno la parte anteriore del solco, che possiamo chiamare geniano (risultante dall'unione della volta con il pavi- mento della bocca), c' indica il luogo dove verso l'ottavo giorno le cellule epiteliali cominciano a proliferare abbondantemente, e si preparano a mandare la prima propaggine per la forma- zione della glandula. Al nono giorno, nelle prime sezioni che incontrano il frenulo, è anche compreso l'angolo della bocca. La disposizione somiglia a quella descritta dal Caievirz (*) per la parotide dell'embrione umano di otto settimane, e sulla quale egli si esprime presso a poco nel modo che segue: “ La parete interna della gota è formata da due fasce geniane, collocate lateralmente alla porzione alveolare del mascellare superiore ed inferiore, le quali appariscono per la loro posizione come parte della volta e del pavimento orale, mentre nell’ulteriore sviluppo si fanno verticali. È importante seguire l'unione di queste due fasce con le labbra. Nelle sezioni frontali cadute innanzi all'angolo della bocca, sporgono, lateralmente alle porzioni alveolari, le labbra molto alte, che con la loro faccia interna perpendicolare stanno (1) Caevirz, 1. c. pag. 417. CONTRIBUZIONE ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 417 rivolte verso la cavità orale. All’angolo della bocca, dove i due labbri sono vicini, l’inferiore è più grosso e sporgente in den- tro e limita in basso un solco, il quale poi dal luogo di commessura delle labbra estendesi in dietro: in questo solco si origina la parotide. Ambedue le fasce geniane all’ innanzi si continuano poscia nel corrispondente labbro; in vicinanza del- l'angolo della bocca conservano ancora la disposizione ripida delle labbra, per farsi, sopratutto indietro, piuttosto orizzontali ,. La descrizione si applica bene anche al nostro caso, come ce ne possiamo persuadere, dando uno sguardo alle figure 9 e 10 della Tav. I, dove nella prima, essendosi in vicinanza dell’ angu- lus oris il labbro superiore /s è poco discosto dall’inferiore /% più grosso e fortemente sporgente verso l'interno; nella seconda, le labbra essendo riunite, vedesi verso il limite esterno dello inferio- re, immediamente al disotto del solco risultante dalla sua unione con il superiore, originarsi la glandula della commessura g cl. Procedendo indietro, il cilindro epiteliale solido dell’abbozzo glan- dulare mostrasi per qualche sezione all’esterno del solco, il che indica la direzione sua posteriore dal punto di partenza. Suc- cessivamente al decimo giorno, pur rimanendo al margine la- terale del labbro inferiore, questo punto si sposta all’ innanzi dell'angolo della bocca, prima del quale s'incontra quindi nella serie delle sezioni frontali (Tav. I, fig. 12 gc2). Il cilindro epite- liale solido si approfonda nel labbro inferiore ed in esso decorre per un certo tratto; nell’angulus oris è laterale ed inferiore al solco geniano, posteriormente si colloca proprio al suo lato esterno, ponendosi tra esso e l’arco jugale (Tav. I, fig. 13, 14 gel). Il punto di partenza della glandula, benchè preceda al margine libero della commessura, pure si è portato più indietro rispetto al frenulo. L’abbozzo glandulare si dirige in senso obliquo dorso- caudale, e si ramifica. Un lume comincia a comparire nel tronco principale all’undicesimo giorno ed al dodicesimo giorno si è già formato l’orifizio al margine esterno del labbro inferiore, fattosi più sporgente lateralmente. L’orifizio guarda all’esterno e la prima porzione di condotto, che ad esso fa seguito, ha direzione ventrale e mediale (Tav. I, fig. 16 0gc/). Nelle sezioni poste- riori parte del canale è tagliato obliquamente a causa del suo speciale cammino in alto ed in dietro; quando i due lembi della plica angolare sono diventati molto larghi, l’angulus oris 418 BATELLI E GIACOMINI viene spinto assai verso l'esterno. Proseguendo indietro ap- pena avvenuta l'unione delle due labbra, apparisce il canale inferiormente e la glandula superiormente. Il primo abbozzarsi della glandula della commessura può anche essere paragonato a quello della parotide nel Porco (4) e nel Mus musculus (*), specialmente, in cui l’abbozzo glandu- lare si forma molto in avanti e proprio all'angolo boccale. La differenza tra l’abbozzarsi della parotide nei Mammiferi e la glandula dell’ angolo della bocca negli Uccelli consiste prin- cipalmente in ciò, che mentre nei Mammiferi il suo luogo d'origine successivamente si sposta in alto ed in dietro per collocarsi dopo la commessura labiale, a causa del maggiore sviluppo che prende in essi la gota, negli Uccelli non solo rimane nel labbro inferiore, ma si pone al davanti dell'angolo, il che sta in relazione con il pochissimo sviluppo della loro gota. Del resto a noi sembra che nel primitivo accenno le due glandule si somiglino completamente, e che quindi siano da ri- tenersi omologhe tra di loro ed alle labiali inferiori, come dicemmo parlando della loro innervazione, dalla quale questa nostra asserzione verrebbe a pieno confermata. Le glandule duccali si originano dal fondo del solco geniano al di dietro della parotide, hanno direzione obliqua dorso-late- rale, nel qual senso sono pure incurvate. Formatosi il lume, esse mostrano i loro orifizi nell’inferiore dei due piani che limitano il solco (Tav. I, Fig. 17 gd). Gli abbozzi delle piccole glandule, che nell’adulto trovammo al limite interno dell’orlo superiore della mandibola, poco prima che da esso si elevasse il lembo inferiore della plica commessurale, sono evidenti al tredicesimo e quattordicesimo giorno. Essi par- tonsi dal limite interno del labbro inferiore per dirigersi a forma di clava medialmente e ventralmente (Tav. I, Fig. 15 gl). Que- ste glandule possono essere ritenute come labiali inferiori rudi- mentali, perchè, a dir vero, il loro luogo d'origine non si trova più nel pavimento della bocca, ma assai all’esterno nel labbro inferiore, sebbene non sia proprio laterale all'orlo superiore della mandibola come quello della parotide (3). (1) Camevinz. 1. c. pag. 408. (*) CarevITz, l. c. pag. 24. (3) Di glandule Zabiali non erasi, fino ad ora, osservata alcuna traccia negli Uc- celli. (WrepersHmM 0. c. pag. 510). CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 419 Glandule palatine — Tl luogo nel quale dovranno pren- dere origine le anteriori, lievemente accennato al settimo giorno nei lati della cresta mediana, si presenta più distinto all’ot- tavo giorno. In seguito gli abbozzi glandulari sono diretti dap- prima dorsalmente e poi caudalmente (Tav. I, Fig. 8 pa). Al- l'undicesimo giorno si viene formando un lume in vicinanza del punto di partenza, e le glandule incominciano a ramificarsi: al dodicesimo giorno si è già costituito l’orifizio. Il cormo pa- latino anteriore, che nel Pollo non è costituito da tante pic- cole glandulette, come vorrebbe il ReictEL, deve certamente cor- rispondere alla glandula palatina descritta dal Born (!). Questi vide al nono giorno due corti zaffi dell'epitelio del palato pe- netrare nel tessuto connettivo vicino alla linea mediana a li- vello delle aperture nasali esterne, decorrere, più tardi, indietro sopra l’epitelio della cavità orale e svilupparsi nei giorni suc- cessivi come glandule del palato. Anche quando le ramificazioni sono aumentate, le due glandule rimangono sempre distinte l’una dall’altra, massime all’innanzi in vicinanza dei loro sbocchi. Le palatine mediane si abbozzano all’undicesimo giorno, ossia più tardi delle precedenti, e neila serie delle sezioni s'incontrano le laterali originate all’esterno e le mediali all’in- terno dell'osso palatino, tra esso ed il margine delle coane (Tav. I, Fig. 15 e 16 pm/, pmm). Le mediali cominciano in avanti prima che cessino le anteriori e si confondono in parte tra loro. À mano a mano che si procede posteriormente, le mediali si mostrano più numerose, formano uno strato con- tinuo con le laterali, pure aumentate (Tav. I, Fig. 17 pmml): poi queste cessano, delle mediali rimangono solo le più vicine al margine delle coane ed anch’esse vanno diminuendo fino a quasi mancare (Tav. I, Fig. 18 pm). Si arriva infine alle glan- dule palatine posteriori. A stadî avanzati nella regione ante- riore delle mediali sono evidenti le fibre antero-posteriori del muscolo nasale medio, i cui fasci sono attraversati da alcune delle glandule, che sboccano nelle coane. Anche le palatine posteriori incominciano ad abbozzarsi verso l'undicesimo giorno: esse si sviluppano lateralmente alla ('‘) Born G., Die Nasenhòhlen und der Thrinennasengang der amnioten Wir- belthiere, Morphol. Jahrb. BA. V. u. VIII. Citato da Gapow in Bronn’s Klassen etc. a pag. 459. 4920 BATELLI E GIACOMINI fossetta eustachiana, che si va sempre più manifestando. Al disopra delle glandule stanno i muscoli pterigoidei e le ossa pterigoidee. La superficie, in cui si forma ciascun cuscinetto glandulare, è compresa fra il breve tratto di parete laterale, che quivi esiste, e la fossetta eustachiana. Negli stadî ulteriori le glandule diventano assai numerose, e danno una discreta gros- sezza ai due cuscinetti. Nella fossetta si allungano e sporgono le due pieghe mucose antero-posteriori, e nei solchi da esse circo- scritti, l’'epitelio, modificatosi in cilindrico, s' invagina in alcune ramificazioni, nelle quali si elaborano piccole glandulette (Tav. I, Rie 10), Struttura istologica. 1 istologia delle glandule salivari degli Uccelli, sebbene illu- strata da ricerche speciali del Weskr (!) e del Mutter (?), e più recentemente dai lavori del Mac Leon (8), del Rercnet (4) e del Ranvier (°), lascia varii punti oscuri e controversi. I pochi tipi studiati e per di più la mancanza di tagli se- riali nella cavità boccale degli Uccelli, hanno fatta già sentire qualche incertezza su questo soggetto, sia in quanto si riferisce alla determinazione dei tipi glandulari, che esistono o possono esistere nella cavità boccale degli Uccelli, sia in quanto alla consociazione possibile di questi tipi nell’ istesso o pure nei varii aggruppamenti glandulari. Il Ranvier avverte tale lacuna, ma, indotto dal suo argomento d’ indole assai più generale, sorvola, senza però dissimulare che sarebbe molto bene il saperne di più. Un altro punto è di conoscere la natura dell’ elemento glandulare, poichè dopo le classiche ricerche dell’ Hrmennam (9) (1) Weser, Ueber den]Bau einiger conglomerirten Driisen, Meckel's Archiv. 1827. pag. 274. (2) Mincer J., 1. c. (*) Mac Lron JuLes, Sur la structure de la glande de Harder du canard dome- stique, Archives de Biologie publiées par Ed. Van Beneden et Charles Van Bambeke. Tom. I, 1880, pag. 45. (4) REICHEL, l. c. i (?) Ranvier Louis, Les membranes muqueuses et le systeme glandulaire. Lecons faites au Collège de France (année 1883-84). Le mécanisme de la sécretion. (Année 1886-87). Journal de Micrographie, 1884. 1887. (5) HemenHan, Beitrige zur Lehre von der Speichelsecretion dn Studien des phys. Instit. cu Breslau, Heft IV, Leipzig 1868. — Physiologie der Absonderungsvor- gange in Hermann’s Handbuch der Physiologie. Bd. V, pag. 65. CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 421 non può lasciarsi un argomento sopra le glandule salivari, senza aver maturatamente discusso se queste siano di natura mucosa ovvero sierosa. Lo studio istologico iniziato dal WeBER con le sue iniezioni di mercurio, e proseguito dal Murcer im un lavoro completis- simo per quel tempo, e giustamente classico, dette a quest’ ul- timo i criteri per una classificazione delle glandule. salivari negli Uccelli. Egli dice: “ Sunt autem glandulae avium salivales aut folliculi simplices et tubulii aggregati, aut glandulae, con- glomeratae ductibus excretoriis singulis praeditae, aut glandulae compositae, ductu excretorio communi ,. La classificazione del Murrer rimane anche al giorno d’ oggi, e, sebbene i nostri studii sieno stati fatti più ampiamente e con i maggiori vantaggi della tecnica moderna, non troviamo nulla di meglio che proseguirne le traccie. Però ci affrettiamo a dire che queste non saranno seguite sempre e tanto meno quando il progresso della nostra scienza, così modernamente nuova, si trovi in contradizione con le vedute già vecchie, quan- tunque classiche, del grande anatomico. Basandoci perciò sopra le idee del Mutter e su i criterii forniti dal Fremone (*) in quanto alla struttura delle glandule in generale ed alla loro classifi- cazione, con il vantaggio di una repartizione semplice e com- prensiva, riduciamo le varie apparenze ai tre tipi seguenti: 1.° Glandule tubulari semplici; 2.° Glandule otricolari semplici ramificate o no, e più o meno allungate; 3.° Glandule otricolari composte con un otricolo e con un canale collettore comune. Prima di entrare in soggetto giova avvertire che non si trova mai un solo tipo istologico a rappresentare i varii individui glandulari appartenenti all’ apparecchio salivare degli Uccelli. Essendovi quindi una associazione di tipi differenti è necessario distinguere e frammentare la descrizione, perchè questa resulti conforme al vero. Le giandule del primo tipo rappresentano precisamente la forma di tubo, nel senso voluto dal Frewwne. Allorchè 1’ epi- (4) FLemminG W., Ueber Bau und Eintheilung der Driisen, Archiv. /. Anat. u, Phys. Anat. Abtheil. pag. 287-303. Leipzig, 1888. 429 BATELLI E GIACOMINI telio pavimentoso composto della bocca si ripiega nelle coane, invece di cellule appiattite mostra alla sua superficie gli ele- menti, che costituiscono l’ epitelio cilindrico vibratile delle ca- vità nasali. Nella primissima zona, dove si è compiuto questo cambiamento, compariscono infundiboli a forma di breve tubo (glandule a tubo semplice), tappezzati di cellule muccose cali- ciformi e circondati all’ orifizio da cellule cilindriche a ciglia vibratili. Tale aspetto si conserva in tutta la regione delle coane (1). Queste glandule noi le abbiamo disegnate nella figura 4 della Tav. III, tratta da una sezione frontale nel palato della Coturnix communis. Tutte le particolarità descritte si trovano nella figura, dove s rappresenta la discontinuità tra i due pi- lastri della fessura nasale interna, ed f il modo pel quale nel limite superiore di questa stessa fessura l’ epitelio boccale da pavimentoso composto si riduce d'un tratto a cilindrico sem- plice. L' esistenza di tali glandule nell’anzidetta regione sembra assai generale per gli Uccelli ed indipendente da ogni ragione morfologica regolatrice nella disposizione delle rimanenti altre glandule. Nel Podiceps cristatus, nell’ istessa regione, ma in corrispon- denza all’ epitelio boccale si hanno pure delle glandule tubulari semplici, le quali non sorpassano in profondità il limite del- l’epitelio medesimo. Istologicamente esse differiscono dalle pre- cedenti ed omologhe della Coturniz per dipartirsi da un epi- telio composto e per essere, nella loro estremità più profonda, leggermente slargate ad infundibolo. Nella glandula si deve di- stinguere un colletto (nel senso anatomico che dopo attribui- remo a questa parte) formato dagli strati epitelici ripiegati in dentro, ed una porzione propriamente glandulare, dove l’ epi- telio sì riduce a semplice, cilindrico e ad elementi muccosi ca- liciformi. Per rara eccezione le glandule tubulari semplici, si ritro- vano nella cavità boccale degli Uccelli in una ubicazione dif- ferente da quella fin qui rammentata. E questa eccezione è nel pavimento boccale dell’ Ardea minuta. A rappresentare le glan- dule pavimentali interne si hanno in questo animale tubuli glandulari numerosissimi, della forma precisa a quella descritta ('*) Una disposizione simile fu notata dal RanvieR nelle coane dei Chelonii. CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 423 nei pilastri nasali del Podiceps. Sebbene quasi la totalità di tali glandule si identifichi letteralmente a questo tipo, in alcune si vede la regione del colletto approfondirsi maggiormente nel derma sottostante e raccogliere due o più infundiboli elementari.. Il concetto della ramificazione che largamente si completa e sì perfeziona nei tipi istologici più evoluti, comincia perciò fino da questi organi più semplici. Le glandule degli altri due tipi non sono riferibili ad alcuna delle forme classificate dal FLewmine nei Mammiferi, poichè con il nome da noi proposto di glandule otricolari semplici, non si vuole alludere a glandule costituite da forme elementari alveo- lari, ma ad una associazione di tubi glandulari semplici, come quelli del primo tipo, raccolti attorno ad una capsula foggiata ad otricolo. Gli esempi delle glandule otricolari semplici sono frequen- tissimi. fe glandule buccali sogliono quasi sempre mantenere questo tipo elementare, e così quelle palatine medie e poste- riori; più raramente le glandule pavimentali, come quelle del Cypselus Apus. La fig. 9 della Tav. III, che è tratta dal cormo boccale di un Turdus musicus, ci mostra come una glandula otricolare semplice (a) resulti di un otricolo limitato all’esterno da una parete connettivale più o meno sferica ed interrotto nell'interno da tramezzi incompleti di connettivo, che, delicati e sottili, si dirigono dalla parete verso il centro, ove lasciano una cavità, nella quale si aprono i brevi tuboli a fondo cieco (tuboli primarî di Mac Leov (*)), circoscritti dai tramezzi mede- simi e tappezzati di cellule secernenti. Noi chiamiamo colletto della glandula la porzione dell’ otricolo breve e ristretta, che serve a condurre il secreto alla superficie della mucosa, riser- bando l’ appellativo di corpo al rimanente, che è la parte se- cretrice vera e propria. L'epitelio pavimentoso della muccosa, Tav. I, fig. 20, (queste osservazioni si riferiscono all’adulto) forma in corrispondenza del colletto un cercine pervio, dal quale si accede nella cavità del corpo glandulare; gli strati epidermici approfondendosi per tutta la lunghezza del colletto diminuiscono nel numero per ridursi finalmente a quello semplice continuo all’epitelio glan- (1) L. c. 424 BATELLI E GIACOMINI dulare. D'altra parte le cellule dell’ epitelio glandulare mede- simo, arrivate al limite dell’ epidermide la scavalcano per di- sporsi al disopra dei suoi elementi e giungere fin presso alla superficie della muccosa, senza però raggiungerla mai e tanto meno sporgere in essa ed impiantarsi per una certa estensione sopra la sua faccia libera nel perimetro dell’orifizio, al contrario di quanto avviene ad un certo stadio dello sviluppo. Le cellule glandulari, avvicinandosi allo sbocco, si modificano fino a con- fondersi con le cellule epidermiche della superficie. Le glandule otricolari semplici possono differire dal tipo più normale sia per le ramificazioni sia per il modo di comportarsi del colletto. La lunghezza della porzione escretrice varia infatti stando generalmente in ragione diretta con la grossezza del- l’epitelio composto attraversato. Così, p. es., nel Pollo gl’ in- dividui glendulari che compongono il cormo pavimentale po- steriore hanno il colletto brevissimo in conseguenza della poca grossezza dell'epidermide, mentre al contrario gl’ individui del cormo pavimentale anteriore ed in ispecie 1 linguali inferiori anteriori hanno un colletto di maggiore lunghezza corrispon- dentemente alla maggiore grossezza dell’ epidermide. Talvolta però il colletto non mantiene le proporzioni con l’epitelio della regione, nella quale si apre, e diventa assai lungo, costituendo un tubo escretore vero e proprio, determinato da un epitelio cilindrico indifferente (glandule assai allungate del cormo pa- vimentale anteriore del Tuydus musicus, dell’Accentor modularis). Questo tipo delle glandule otricolari semplici, ramificate o no, è il più diffuso e non ci sentiamo alieni dall’aggiungere che è quello da cui si diparte geneticamente l'altro tipo che illu- streremo da ultimo, cioè delle glandule otricolari composte. Nella rapida rivista che intendiamo farne nei varii ordini di Uccelli ci partiremo dal Pollo. Nel Pollo molte delle glandule palatine medie e posteriori, le linguali superiori, quelle del cormo pavimentale posteriore, che coll’ ingrandire tendono ad allungarsi e ad emettere rami- ficazioni, vanno comprese nel tipo delle otricolari semplici ra- mificate; alcune altre di esse rientrano nel tipo delle otricolari semplici non ramificate, più o meno allungate. Alcune glandule mediali del cormo palatino medio sboccano nella regione anteriore delle coane ed il loro colletto scorre CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALÌVARI 425 tra i fasci di fibre antero-posteriori del muscolo nasale medio, che in sezione trasversa forma un semicerchio a concavità ven- trale, sovrastante medialmente e dorsalmente al gruppo glan- dulare. Nella regione posteriore delle coane le glandule mediali si avvicimano di più ai suoi margini e quelle che vi sboccano non attraversano fasci di fibre muscolari, già cessate a questo punto. Nel cormo pavimentale anteriore del Pollo esistono tubi più corti senza alcuna ramificazione ed altri più lunghi ramificati; ora noi possiamo considerare quelli come glandule otricolari sem- plici non ramificate, questi come glandule otricolari semplici ramificate, tipiche, dove la struttura delle ramificazioni in nulla diversifica da quella del tronco principale, a cui esse si congiungono senza diminuire di calibro. Nella Coturnix communis si ripetono in tutto le forme de- scritte nel Pollo, e, come in questo, le glandule mediali (») del cor- mo palatino medio (Tav. IIl fig. 4), che sboccano nei pilastri della - fessura nasale interna, hanno i tramezzi otricolari più frequenti e più vascolarizzati, in confronto alle altre (p) appartenenti allo stesso cormo, ma situate più esternamente. L'elemento glan- dulare è piccolo nelle prime, più grande nelle seconde; ma su tale argomento ritorneremo in appresso. Nei rapaci le glandule pavimentali (Tav. II, Fig. 12 Athene noctua) sono otricolari semplici, il più spesso ramificate; nella sezione frontale della parte anteriore del pavimento, che noi figuriamo, si vedono tali glandule formare uno strato concen- trico all'epitelio boccale ed i frequenti sbocchi, per i quali esse danno sfogo alla secrezione mucosa. Dell’istessa famiglia isto- logica devono riguardarsi tutte le linguali ed anche le palatine, con la sola eccezione delle anteriori ( Athene noctua, Falco tinnun- culus, Otus vulgaris ) . Nei Palmipedi (Anas Boschas, Podiceps cristatus) le glandule, eccetto quelle che abbiamo rammentate fra le tubulari sem- plici, si riferiscono alle otricolari semplici. Le differenze con- sistono specialmente nella lunghezza maggiore o minore degli otricoli, i quali, ad es., divengono allungatissimi nel caso de- gli individui glandulari appartenenti al pavimento buccale del- l’Anatra. Nei Passeracei vi è un grande polimorfismo istologico da 426 BATELLI E GIACOMINI confrontarsi a quel polimorfismo anatomico che in un capitolo precedente dovemmo riconoscere in quest'ordine di animali. Nel Cypselus Apus si direbbe di avere a che fare con un Ra- pace, tanto le rassomiglianze sono decise. Difatti in esso le glandule del pavimento non si riuniscono in gruppi, ma, iso- late le una dalle altre, con sbocchi distinti, si dispongono da ambedue i lati del pavimento boccale. Dai reperti istologici risulta che esse si allineano ai lati del muscolo mediano mi/o- hyoideus anterior, il quale ha in gran parte le sue fibre a de- corso antero-posteriore, ed al disopra delle fibre trasverse del muscolo genio-hyoideus, 11 quale forma loro come una specie di letto. La sottigliezza dello insieme di questi strati rende necessario che le glandule descritte occupino in altezza il mi- nore spazio possibile, e perciò avviene che, invece di disporsi verticalmente, si piegano su loro stesse, tanto che l’otricolo semplice o ramificato si sdraia quasi parallelamente al decorso ‘del derma, e la parte escretrice, più affilata, si piega come ad angolo retto per raggiungere la superficie mucosa. Se il Cypselus Apus, è notevole per la omogeneità istolo- gica, il Turdus musicus è all'incontro notevole per la disparità dei varii individui glandulari, che pure si mantengono nell’am- bito del tipo illustrato. Nel Tordo le glandule si possono di- stinguere in quelle che hanno un colletto breve ed in altre che lo hanno allungatissimo: fra le prime sono molto istruttive le glandule del cormo boccale e della commissura labiorum, per le seconde le pavimentali e le palatine anteriori. La Fig. 9 della Tav. III mostra le glandule buccali piccolis- sime e semplici (a) con il loro sbocco naturalmente rivolto verso l’ epitelio della muccosa e la glandula unica sviluppatissima (0), che, parimente semplice, o con qualche ramificazione nella sua parte posteriore, forma da per se sola la parotide del nostro animale. Sono due forme istologicamente simili, ma nel tempo stesso differentissime, sia per il numero dei sepimenti e per il comportarsi di questi, sia ancora per l’elemento glandulare, che lecaratterizza, differente nelle une e nelle altre. Siamo nell’istesso campo di quelle differenze che notammo esistere tra le varie glandule del cormo palatino medio della Coturnix e del Pollo, differenze sulle quali, mentre ci preme fin d’ora rivolgere l’at- tenzione, ci riserbiamo di tornare più tardi. CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 497 Le glandule a colletto allungato sono in genere quelle che sì spingono anteriormente con i loro sbocchi, sia nel palato, sia nel pavimento. Le glandule palatine anteriori del Tordo sono disposte una per lato e mentre giungono molto innanzi con l’orifizio, si prolungano molto indietro con i loro otricoli ramificati e cilindrici tanto da promiscuarsi con le palatine medie. L’epitelio del colletto è cilindrico ad elementi con pro- toplasma granuloso, senza alcun indizio di trasformazione in elementi secernenti. Il medesimo deve dirsi delle glandule pa- vimentali anteriori, le quali non hanno di notevole che la con- dizione di associarsi ad altre più piccole, otricolari, molto simili a quelle descritte e figurate per il cormo buccale. L' Accentor modularis ripete le condizioni del Tordo in tutte le glandule: la Pica caudata presenta un maggior numero di tubi glandulari (variabili fra 5 o 6) a colletto allungato nei cormi pavimentali anteriori, ed una serie di brevi otricoli a formare le glandule pavimentali posteriori. La parotide rasso- miglia nella sua struttura, nella sua lunghezza e, con qualche riserva, nei suoi elementi a quella del Tordo: la palatina an- teriore, duplice e simmetrica come sempre, ne differisce per l'aspetto ampiamente otricolare. Nei Trampolieri la pavimentale anteriore è un tipo classico di glandula otricolare semplice, ramificata, a colletto lunghis- simo ( Fulica atra Tav. II Fig. 13, Totunus Ochropus Tav. II, Fig. 11). L'intiera glandula (4) è cinta da una cassula connettiva incastonata tra le fibre del muscolo genio-ioideo (Tav. II, Fig. 13). Questa capsula s’interrompe per estese compenetrazioni linfati- che; il nervo alveolare inferiore (Tav. II, Fig. 18) vi decorre longitudinalmente, disponendosi al lato interno della glandula. Le glandule pavimentali posteriori, che sono, come abbiamo detto, formate da tubuli sottili e paralleli (A/ica atra Tav. II, Fig. 18) differiscono dalle pavimentali anteriori, in quanto che il tubo escretore è raccorciatissimo, e perchè si mantengono semplici o si ramificano poco. Esse si associano, specialmente nella parte posteriore, ad altre glandulette dell’istesso tipo, ma molto più corte e più chiaramente ramificate. Dopo aver parlato delle glandule appartenenti al secondo tipo, viene la volta di studiare quelle del terzo ed ultimo, cioè le otricolari composte con un otricolo o con un canale 498 BATELLI E GIACOMINI collettore comune. In queste non abbiamo una sola glandula otricolare semplice più o meno ramificata, ma varie glandule fra loro separate e distinte, veri individui glandulari, che por- tano separatamente il loro secreto in un canale raccoglitore. Cominceremo dalle più semplici ad otricolo collettore, da quelle cioè nelle quali questo centro di confluenza man- tiene pure esso il carattere glandulare. Bellissimo esempio ci offrono le palatine anteriori del Pollo. La Fig. 2 della Tav. IMI rappresenta una sezione sagittale della parte più vicina allo sbocco di una delle dette glandule. L’otricolo « molto allun- gato e relativamente stretto, che funziona da collettore, è cir- condato da altri otricoli di minori dimensioni, limitati alla superficie da una capsula connettivale, che presso al punto d’ unione all’otricolo collettore si restringe leggermente, dando a ciascuno di essi il carattere di otricolo semplice con un corpo ed un colletto, il quale però non possiede ancora una struttura differente da quella del corpo. Gli otricoli secondarì possono decorrere in avanti od indietro e congiungersi al principale sia perpendicolarmente sia ad angolo più o meno acuto. Verso la linea mediana gli otricoli di un lato tendono a confondersi con quelli dell’altro, ma nelle sezioni frontali è sempre visibile un tramezzo di connettivo che ne segna il confine e nel quale scor- rono vasi e nervi. Nelle sezioni sagittali, cadute nel limite tra glandula e glandula, vedesi soltanto qualche otricolo rarissimo. Nel Pollo medesimo le linguali inferiori anteriori, che sboc- cano per mezzo degli orifizî più grandi, rappresentate da un breve otricolo principale circondato da un certo numero di otri- coli secondarì più o meno rotondeggianti, che si aprono nella sua cavità, sono da riportarsi al tipo precedente. Le glandule pavimentali posteriori del Totanus Ochropus se- guono questo tipo con qualche modificazione. Esse, infatti, de- finite nelle sezioni verticali (Tav. II, Fig. 11) mostrano il proprio perimetro diviso in due compartimenti della stessa misura (n, t), ora riuniti per larga comunicazione reciproca, ora se- parati per l’interposizione di poche lacinie fibrose. Le varie apparenze si rivelano secondochè la sezione cada in un punto piuttosto che in un altro. Comunque sia il compartimento glandulare interno (#) ha le sue trabecole parietali, ravvicinate, contorte, meandriformi tanto da stabilire un' apparenza fitta- CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 499 mente spongiosa, il compartimento esterno (7), che per noi oltre il valore di glandula possiede anche quello di un otricolo col- lettore, ha invece le trabecole parietali regolarmente divaricate, corte e parallele nel loro decorso longitudinale. Per il criterio, che ci siamo fatti con l’ esame di molti preparati, crediamo che l’ otricolo collettore sia continuo ed in relazione con lo sbocco, ed il compartimento interno sia costituito nel suo in- sieme da poche glandule unilaterali fra loro distinte e separate, in relazione diretta con lo scompartimento otricolare. Il concetto istologico va intanto perfezionandosi con il soprag- giungere di un profondo infossamento della mucosa boccale in relazione alle vie escretrici della glandula. La glandula della commessura labiale nel Pollo costituisce in questo senso una forma assai elaborata, poichè si avvicina alle otricolari compo- ste con un canale collettore comune: solo il canale collettore non è più una parte glandulare, ma semplicemente una via di trasporto. Noi abbiamo dato nella Fig. 5 della Tav. III una se- zione trasversa e nella Fig. 8 della stessa Tav. una sezione longitudinale della glandula in parola. All’orifizio del suo dutto l'epidermide s' invagina, continuandosi poi lungo le pareti di que- sto; varcato l'estremo anteriore un po’ ristretto, esteso in lun- ghezza tanto quanto misura la grossezza dell’epitelio composto che ricopre la regione, gli elementi degli strati epidermici su- perficiali per un certo tratto si modificano in cilindrici più o meno alti ed in alcuni luoghi le cellule trasformate tendono ad approfondirsi in tuboli primarî. Poscia tale aspetto cambia, gli strati epidermici superficiali riacquistano elementi appiattiti ed il canale (@) è rivestito di uno grosso epitelio pavimentoso strati- ficato con tutti i suoi caratteri. Il canale nel suo decorso riceve così anteriormente come posteriormente (Tav. JII, Fig. 5) alcuni otricoli, che si aprono in esso a quella guisa che si aprirebbero alla superficie della muccosa orale, e, sempre tappezzato di epitelio pavimentoso composto, si termina con due o tre ramificazioni a cui fanno capo due o tre orticoli collettori di ordine secondario (4). A questo tipo descritto nel pollo si riannettono ancora le glandule palatine anteriori dei Rapaci tanto diurni quanto not- (1) Secondo il Ranvier la glandula della commessura labiale negli Uccelli in ge- nere e nel Pollo in specie non è omologa alla parotide dei Mammiferi, perchè gli otri. coli che la compongono non hanno un canale escretore comune, ma si aprono cia- scuno alla superficie della mucosa orale. 430 BATELLI E GIACOMINI turni (Falco tinnunculus, Otus vulgaris, Athene noctua): esse sboc- cano lateralmente alla cresta palatina mediana per due grandi orifizî simmetrici da un lato e dall'altro, i quali portano a due glandule, che morfologicamente rassomigliano per tale loro du- plicità alle omologhe dei Gallinacei e di molti Passeracei. La Fig. 1 della Tav. III le rappresenta; in essa si vedono i due sbocchi (©), oltre i quali prosegue l’epitelio invaginato (f): ad un certo punto cessa l’infossamento dell'epitelio composto e prin- cipia un otricolo collettore (s), il quale alla sua volta raccoglie perifericamente gli otricoli glandulari veri e propri. Questo tipo è assai frequente; l’Ardea cinerea fra i Tram- polieri lo presenta nelle sue glandule linguali inferiori. Questi, decorrenti lateralmente ai muscoli abbassatori della lingua, differiscono dalle omologhe del Pollo, perchè hanno invece di un otricolo, un infossamento collettore simile a quello delle palatine anteriori dei Rapaci e sono provviste di un maggior numero di ampolle glandulari, forse in relazione con il mag- giore sviluppo della lingua. i Il tipo glandulare va ancora elaborandosi, per raggiungere la sua massima complicazione determinata dall’ esistenza di otricoli muniti di lunghi canali escretori, che per chiarezza, chia- meremo secondarî, ì quali alla lor volta fanno capo in un canale collettore comune. Sono bellissimi esempî le glandule pavi- mentali del Coccothraustes vulgaris (Tav. II, Fig. 9) e del Ge- cinus viridis (Tav. II, Fig. 6). Quelle del Coccothraustes vulgaris si vedono rappresentate da quattro glandule, che si riuniscono a due a due per ogni lato. Ciascuna di queste è unica nel senso che ha un solo canale collettore e che mostra tutti i suoi otricoli glandulari ricollegati da una capsula connettiva comune esterna: degli otricoli ognuno ha un canale escretore secondario o meglio un colletto differenziato, più lungo per quelli collocati nella parte posteriore dell’organo, più corto per gli altri situati anterior- mente e vicino al canale collettore. I canali escretori secondarî tendono specialmente a guadagnare la periferia dell'organo e vedonsi spessissimo in contatto con la capsula connettiva esterna finchè giunti in avanti al punto ove cessano gli otricoli glandu- lari, essiimmettono successivamente nel canale collettore comune. Due fatti sono notevoli, il calibro, cioè, relativamente assai grande dei canali escretori secondarii e l’epitelio cilindrico indifferente, che riveste tanto questi ultimi quanto il canale collettore. CONTRIBUZIONE ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 431 L'altro esempio di glandule otricolari composte a canale collettore comune ci viene offerto dalle glandule pavimentali anteriori del Gecinus viridis (Tav. II, Fig. 6). Il Mutter (4) così le descrive: “ Glandula elongata teres ex innumeris quasi lobulis conflatur, qui medio communi ducto insidunt, majoribusque ductibus liquorem in canalem medium conferunt ,. La descri- zione è esattissima. Il canale collettore principale è unico (con- dotto comune del Murrer), e dal suo orifizio boccale vi si può per lungo tratto insinuare uno specillo: dopo un certo decorso, esso acquista un corredo di glandule parietali, molto più numerose da un lato che dall'altro, onde la sua posizione asimmetrica e laterale. Ognuna delle glandule accessorie (gl’innumerevoli glo- buli del Mutter), si risolve anch'essa in una quantità di otricoli, i quali alla lor volta sboccano in canali escretori secondarii. In tutto il sistema escretore l’epitelio è semplice, cilindrico, allun- gato, con elementi nei quali il nucleo è sospinto verso la parte libera della cellula. La differenza con le glandule del Coccothraù- stes sta principalmente nella lunghezza grandissima del canale collettore comune. : Placche linfatiche. Nella mucosa boccale degli Uccelli, ora saldate alla trama della glandula, ora indipendenti da questa, sì trovano spessis- simo delle placche linfatiche, le quali per questa loro disposi- zione si distinguono in intracapsulari ed extracapsulari. Le placche linfatiche intracapsulari abbondano in tutte le glandule pavimentali e palatine medie del Pollo e del Tac- chino, nelle pavimentali del Podiceps cristatus, nelle pavi- mentali e palatine dell'Anas Boschas, nelle pavimentali an- teriori della Pica caudata, ec. Lo studio delle sezioni tra- sverse e longitudinali dei lun- ghi otricoli glandulari esi- stenti nel cormo pavimentale anteriore del Pollo, dimostra che le placche linfatiche pos- (4) Lc. 432 BATELLI E GIACOMINI sono talvolta acquistare tanta estensione da occupare una buona metà del lume della glandula (vedi fig. 1), e sporgere in questo per un lungo tratto come corpi ovali od ellissoidali molto al- lungati. Le placche linfatiche intracapsulari (e ciò vale anche per le extracapsulari) devono considerarsi come resultanti da una esagerata compenetrazione di leucociti in determinate zone della trama congiuntiva. I preparati, ottenuti con l’indurimento e fissazione per mezzo del liquido del Flemming (Tav. III, fig. 8), e la successiva colorazione con la safranina, dimostrarono, an- che più evidentemente dei preparati ottenuti con la fissazione per mezzo del sublimato, l’esistenza di una zona centrale più chiara, circondata perifericamente dal tessuto compenetrato di elementi bianchi. Si ripete perciò l’istessa apparenza, che tutti gl'istologi sono concordi nel riferire alle amigdale dei Mammiferi. I nuclei delle cellule linfatiche appartenenti alla zona esterna (fissazione con il liquido del Flemming e colora- zione con la safranina) si rivelano fortemente colorati e granu- losi; i nuclei invece della zona interna, più pallidi, più grandi e con figure cariocinetiche straordinariamente numerose. Que- st ultimo fatto sta a dimostrare come nel cumulo centrale (9) domini fortemente il processo germinativo (Tav. II, fig. 8). Le due figure che abbiamo dato per le placche linfatiche mo- strano l’epitelio cilindrico disteso sopra la superficie libera della placca, molto basso ed in alcuni punti assolutamente cubico. Le placche linfatiche extracapsulari sono in rapporto di grande vicinanza con le glandule salivari, specialmente nella loro parte escretrice. Nelle molte serie di sezioni che abbiamo fatte nel palato di varii Uccelli ci è apparsa sempre una grande uniformità nella distribuzione delle placche linfatiche extra- capsulari: descrivendo perciò quello che si trova nel palato del Pollo, intendiamo quasi di generalizzare il nostro reperto. Nel Poilo adunque in tutto il contorno della fossetta eustachiana ed all'ingresso delle coane, dopochè la mucosa orale si è ri- piegata in essa ed il suo epitelio composto è giunto alla re- gione delle glandule tubulari semplici, esistono le amigdale pa- latine, le quali non sono altro che localizzazioni morfologica- mente costanti di placche linfatiche extracapsulari. Alle coane, CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 433 verso la parte anteriore, le glandule tubulari semplici si ap- profondano in un ammasso linfoide compreso tra loro e le fibre del muscolo nasale medio. Ad ogni lato della fossetta eusta- chiana trovasi un altro potente ammasso linfoide che invade ciascuna delle due ripiegature anteroposteriori della mucosa e rimane nettamente separato dai cuscmetti glandulari; in cor- rispondenza della superficie orale è circondato dall’epitelio pa- vimentoso composto, che, introflettendosi nei solchi e nelle in- senature laterali, conducenti alle piccole glandule otricolari semplici, situate profondamente, si modifica in un epitelio a cellule cilindriche: in alcuni punti l’epitelio cilindrico s' infossa in glandule tubulari semplici. L'esistenza di così frequenti compenetrazioni linfoidi nella trama delle glandule salivari degli Uccelli, dà a dubitare che esse non sieno indifferenti nel meccanismo della secrezione; ed il dubbio sorge più forte, riflettendo come anche nella saliva dei Mammiferi si ritrovino dei globuli bianchi fuoriusciti. Noi riteniamo la fuori-uscita dei leucociti un fatto fisiologicamente costante per le glandule che stiamo illustrando, comprovato dall’aversi sempre la secrezione mucosa della saliva compene- trata di nuclei, che invadono tutte le vie escretrici. Rimane quindi maggiormente dimostrato quello che pensa lo StòRR, esservi, cioè, sempre una fuori-uscita normale di leucociti là dove una sostanza adenoide trovasi in mezzo ad un epitelio. Inversamente, noi rinunciamo l'opinione espressa dal RanvieR per le glandule dell'esofago e dell’ingluvie del Pollo, in forza della quale le placche linfatiche rappresenterebbero dei piccoli focolai infiammatori derivati dopo una forte eccitazione, che abbia prodotto una paralisi dei vasi e quindi una diapedesi esagerata. Le indagini istologiche non mostrano affatto simili alterazioni (1), nè giustificano le vedute dell’istologo francese. A noi, che generalizziamo nelle glandule salivari degli Uc- celli il fatto fisiologico della fuori-uscita leucocitica, si potrebbe obiettare la mancanza anatomica di placche linfatiche extra- capsulari ed intracapsulari, per es., nelle glandule palatine an- (1) Si tratta di follicoli linfatici solitarî o aggruppati, aventi ciascuno un centro germinativo e non circondati da seni linfatici: sono organi linfatici periferici ed i leucociti, che in essi si formano, fuoriescono attraverso l’epitelio glandulare od attra- verso l’epitelio della mucosa. 434 BATELLI E GIACOMINI teriori e nelle pavimentali dei Rapaci. Eppure l'espulsione dei corpuscoli salivari avviene e quindi il fatto fisiologico persiste. Ma per quali vie in queste glandule la fuori-uscita si effettua? Le anzidette glandule dei Rapaci nei loro tramezzi parietali e specialmente nella trama congiuntiva, che sostiene da un lato e dall'altro le cellule glandulari, sono ricchissime di vasi san- guigni fortemente iniettati. Ora, noi crediamo che attraverso le pareti dei vasi stessi compiasi la diapedesi dei leucociti, i quali vanno da prima a costituire gli elementi figurati del con- nettivo, e poi trasmigrano attraverso l’epitelio per raggiungere il loro destino definitivo. Anche nelle glandule nelle quali le placche linfatiche esi- stono scarsamente, come ad es. nella parotide del Pollo, nelle palatine anteriori ed in quelle che sboccano nelle coane di questo stesso animale, la vascolarizzazione è più ricca assai, somigliando a quella constatata nei Rapaci. In tali glandule sono anche più fitti i tramezzi panialali e sì ha perciò un mag- gior numero di vasi. Elemento glandulare. Descritte così le cose più generali, viene ora la volta di studiare l’elemento. È avvenuto in questo soggetto che le idee dell’ HemenzAm, allargando il campo delle ricerche e delle in- terpretazioni, hanno portate molte incertezze, dovute alle dif- ferenti apparenze ed ai differenti momenti fisiologici, nei quali si è imbattuta l'osservazione. È bene intanto che noi fissiamo le idee. Prendiamo, ad esempio, a studiare una lunga glandula del pavimento del Tordo, ucciso in condizioni normali e fisiologiche. Le cellule glandulari, viste nelle sezioni, hanno l'apparenza di parallelepipedi a contorni laterali bene delineati e con il li- mite, opposto all’inserzione, assai incerto e nebuloso. Il conte- nuto della cellula è in gran parte ialino, nei preparati otte- nuti per mezzo della fissazione con il bicloruro di mercurio ; in quelli, invece, fissati prima con il liquido di Flemming e poi colorati con la safranina, il protoplasma è leggermente granu- loso. Le osservazioni dello ScauLtze, del Prirzner, del RanvIER, dello Stònr e del Paneta tendono tutte ad ammettere che la. CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 435 sostanza cellulare protoplasmatica prenda un aspetto retico- lato, attribuendo differentemente questa reticolazione ora ai granuli del protoplasma uniti al mucigene, ora ai soli granuli protoplasmatici, ora ai granuli di mucina coagulati dal reat- tivo (1). Noi dividiamo l’idea della reticolazione e riteniamo che presso la base le maglie protoplasmatiche divengano più fitte. In questa zona della cellula sta il nucleo piatto, disteso in modo orizzontale ed egualmente in ogni sua parte colorito dalla safranina. Ciò quanto all'elemento: in quanto poi alla glandula- in generale si vede che, in tale stadio fisiologico, il lume di essa è ripieno di sostanza mucosa. Questo dimostra, unitamente all'aspetto delle cellule, che esse si trovano in uno stadio di attiva produzione di muco. Le dissociazioni fatte nelle medesime condizioni portano (come in molti casi hanno descritto il Ranvier e l’Hemenzam) a cellule peduncolate, nelle quali il nucleo si trova nell'interno del peduncolo, quasi circondato da una stretta guaina (glandule del pavimento del Meleagris). Concludendo si tratta di cellule, le quali, secondo le idee dello SròHR, sono nel momento in cui turgide di muco, si vuo- tano nell'interno della glandula per l'improvvisa compressione parietale delle cellule limitrofe, e secondo le idee del RanviER, . nel punto in cui si trovano grandemente vacuolizzate per la produzione del siero e rigonfie per la reazione di questo, uscito dai vacuoli in seguito alla loro rottura, sui granuli di muci- gine già formatisi nelle cellule. Ora se sperimentalmente stanchiamo la cellula, sollecitan- done ed aumentandone per il medesimo tempo la quantità del liquido secreto, le apparenze si cambiano notevolmente. Le fasi, stabilite per le glandule mucose in genere, si ripetono passo passo per queste del Tordo. Noi abbiamo adoperato per ottenere tali effetti, ora iniezioni ipodermiche d’idroclorato di pilocarpina, ora l’ eccitazione elettrica diretta dei rami nervosi, che si di- (4) Il Kxein ed il Lisr distinsero invece la sostanza reticolare dal vero proto- plasma. Il KLein la chiamò reticolo intracellulare mentre indicò con il nome di inter- Jibrillare la sostanza molto omogenea in esso contenuta. Il Lisr anche ultimamente dette la denominazione di sostanza filamentosa (Filarmasse) al reticolo e di sostanza interfilumentosa (Interfilarmasse) all’ altra sostanza interposta, ai vacuoli degli autori, poichè queste due sostanze si differenziano l’ uma dall’altra per il diverso grado di af- finità verso le materie coloranti: nelle cellule glandulari mucose avviene una trasfor- mazione della sostanza cellulare primitiva. 436 BATELLI E GIACOMINI rigono alle glandule, ora l'eccitazione prodotta per mezzo dei reofori passeggiati sulla superficie della mucosa boccale. Gli effetti sono identici in tutti i casi, e si constatano dall’insali- vazione copiosa e quasi tumultuaria. Fissate le glandule degli animali, che erano stati sottoposti a simili esperienze prepa- ratorie, o con il bicloruro di mercurio o con il liquido del Flem- ming o con l'alcool assoluto, siamo venuti alle seguenti con- clusioni. Nelle sezioni le apparenze sono cambiate totalmente da quelle, che si avevano in condizioni normali. Prima di tutto vi è una riduzione sensibile nei diametri dell’intiero otricolo. Il lume glandulare rimane largamente pervio, e le cellule pro- spicenti non si vedono mai ricongiungersi sulla linea mediana. Il lume della glandula o è intieramente sprovvisto del muco segregato, o ne presenta un piccolissimo residuo non ancora espulso. Le modificazioni sono anche più profonde nelle cellule, che si riducono non solo nel diametro longitudinale, ma an- cora in quello trasverso, come chiaramente si desume dagli spazî lasciati vuoti tra cellula e cellula. Il contenuto della cel- lula è divenuto interamente granuloso; il nucleo ha cambiato posizione divenendo centrale, e si è fatto più rigonfio. Le mo- dificazioni del nucleo sono anche notevoli rispetto alla distri- buzione delle materie nucleari: nei preparati ottenuti con il liquido del Flemming si osservava il più delle volte un alone esterno di acromatina, più raramente poi alcuni nucleoli fram- mentarî dispersi nell'anello più esterno. 1 La nostra osservazione compiuta in queste condizioni ci di- mostra delle cellule mucose stanche, secondo il concetto del- l’HremenHan e dello Srònr, o delle cellule mucose, le quali, se- condo il Ranvier, hanno perduto i loro vacui sierosi e tutto od in parte il mucigene, ed incominciano nuovamente a pre- parare quest'ultimo a spese del loro protoplasma. Adunque è provato che le glandule pavimentali del Tordo sono mucose, ed, in quanto al procedimento delle loro fasi dinamiche, che sono merocrine ed a secrezione intermittente (RanviER). Stabilito questo, rimane a determinare un altro punto. Nelle teorie sulla secrezione, tanto dell’Hemexzan quanto dello SréHR (1), (4) Srònr Ph., Ueber Schleimdriisen, Sond. Abdruk aus Festschrift fiir Albert von KoWliker, Leipzig 1887. CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 457 è implicitamente ammesso che gli stadî, per i quali passa la cellula mucosa, non sieno contemporanei per il medesimo otri- colo. Ora nelle glandule salivari del Tordo, è evidente che le cellule prime a stancarsi sono quelle più prossime all'apice del villo e che questa stanchezza, quasi un'onda, sì trasmette dal- l'alto al basso. Nelle glandule stan- chissime, è frequente vedere le cel- lule inserite nel fondo delle con- cavità mantenersi in uno stato di ripienezza mucosa. Nella fig. 2.* ab- biamo posto a confronto i disegni di due villi glandalari appartenenti a glandale pavimentali del Tordo; nel primo le cellule sono in attività mu- cosa, nel secondo in un periodo di fe stanchezza. Resultati concordanti fu- WS rono pure ottenuti con esperienze == simili sulle glandule pavimentali e ng, palatine anteriori dell’ Atfene noctua e della Strix fammea. Il Ranvier riferisce questa sorta di fenomeni unicamente all’in- fluenza nervosa, escludendo con Lunwie ogni rapporto con la cir- colazione. L' HemexHan distingue nell’atto della secrezione l’in- fluenza dei nervi secretori, che presiedono all'espulsione dei liquidi elaborati, e dei nervi trofici, che presiedono invece alla chimica del fenomeno secretivo ed alla ricostituzione del pro- toplasma. Fin qui l'argomento non lascia alcun dubbio, le cellule de- scritte hanno tutte la proprietà fisiologica di cellule mucose. Ma nelle glandule salivari degli Uccelli esistono sole cellule mucose, oppure ve ne sono anche delle seriose e delle miste? Lasciamo per un momento se vi sien o no le cellule sierose e discutiamo sulla esistenza delle cellule miste nelle glandule salivari degli Uccelli. Secondo il Ranvier (1) oltre ai puri ele- menti mucosi caliciformi si troverebbero ancora cellule a ca- rattere misto, come quelle che tappezzano gli otricoli della parotide del Pollo. Queste cellule per il Raxvier non sono sol- tanto caliciformi più piccole e molto meno alte di quelle delle (!) L. ce. Journal de Micrographie. 1884. 438 BATELLI E GIACOMINI glandule pavimentali, ma ancora di natura non completamente mucosa, poichè esse, invece di presentarsi similmente alle altre chiare e ripiene di muco, hanno un aspetto granuloso, dovuto alla massa più abbondante di protoplasma, nella quale il loro nucleo è compreso ed alle più grosse trabecole protoplasma- tiche e più numerose, sparse nella regione del mucigene. Se- condo il Eanvier le glandule del pavimento sono tutte mucose, perchè tali sono tutte le loro cellule, la parotide sarebbe in- vece mista, ma non per la mescolanza di cellule mucose e sie- rose, sibbene per il carattere misto dei suoi elementi. A noi dopo aver veduto che, nei preparati ottenuti per dilacerazione o per macerazione, le cellule della parotide, quantunque molto più piccole di quelle delle glandule pavimentali, possedevano la stessa forma di esse ed ugualmente si comportavano verso i medesimi reagenti; dopo aver osservato che i cangiamenti fisiologici, provocati eccitando la loro attività o con iniezioni ipodermiche d’idroclorato di pilocarpina o per mezzo della cor- rente elettrica, si producevano in maniera simile così nelle une come nelle altre, e che perciò tanto nella parotide quanto nelle glandule del pavimento potevano aversi simili differenze d’aspet- to in seguito ai varî stadî dinamici, il concetto delle cellule miste, di elementi, cioè, i quali fossero in parte mucosi ed in parte sierosi, quasi godessero di una doppia funzione, parve molto indeterminato: e non ci sembrò nemmeno probabile per queste piccole cellule un significato morfologico e fisiologico assolutamente differente da quello, che hanno le altre più grandi, anche tenuto conto del loro reticolo a maglie più fitte ed a trabecole più grosse, e del rapporto intimo, che esiste tra la forma e la funzione. Quello che noi abbiamo detto per il Pollo, vale anche per molti altri Uccelli. Nel Tacchino si trovano cellule caliciformi grandi nelle glandule otricolari del pavimento e cellule molto più piccole delle precedenti, ma con la stessa forma, nell’an- golo della bocca ed anche nel palato (palatine anteriori e quelle delle palatine medie mediali, che sboccano nelle coane). Nel Tordo le cellule della glandula dell'angolo, delle palatine an- teriori e delle pavimentali anteriori sono piccole rispetto a quelle delle glandule rimanenti. Nel Gecinus viridis si hanno le stesse differenze tra le cel- sere CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI 439 lule piccole della porzione bianca delle glandule pavimentali anteriori e le grandi della porzione rossastra; nel Cypselus Apus tra le cellule piccole delle pavimentali e le grandi dei cormi palatini medio e posteriore; nella Pica caudata e nella Coturnix communis fra gli elementi delle varie glandule palatine appar- tenenti al cormo medio (quelle delle mediali, che sboccano nelle coane o seguono i margini di queste, hei olienaziani più piccoli dalle altre). Rimane ora a determinarsi se vi siano delle cellule sierose. Il Ranvier ('), senza per altro saperne indicare la posizione precisa, parlò della presenza nella lingua del Pollo di glan- dule tappezzate da cellule granulose, simiti a quelle della pa- rotide del Cane e di altri Mammiferi, di cellule cioè con nu- cleo sferico e con protoplasma granuloso. Studiando più accu- ratamente la lingua del Pollo noi abbiamo potuto confermare l’asserzione del Ranvier e stabilire la posizione di queste glan- dule: esse compongono la maggior parte delle linguali inferiori anteriori, ossia le più voluminose di esse che sboccano per mezzo dei tre o quattro orifizi ben visibili al margine inferiore delle facce laterali della lingua (Tav. I, fig. 3 Zia). Fra le pre- cedenti stanno alcune poche glandulette mucose a grandi ele- menti (?). Le cellule delle prime più che a quelle della paro- tide dei Mammiferi, ci sembrano poter essere paragonate alle sierose della glandula lacrimale di questi, alle quali, volendo trovare un termine di confronto, meglio si somigliano. Aggiun- giamo inoltre che in alcune specie, per es. nella Pica caudata, cellule consimili trovansi anche a rivestire la parotide. Dinanzi però a queste cellule non possiamo astenerci da alcune osservazioni, che tendono a porre qualche riserva in un soggetto, il quale è certamente il più difficile ed il meno risoluto del nostro argomento. In un Tordo in cui l’iniezio- ne ipodermica dell’idroclorato di pilocarpina aveva prodotta un'abondante insalivazione, furono osservate le cellule delle glandule otricolari ordinarie ridotte già in uno stadio di stan- chezza, mentre invece le cellule appartenenti alle glandule del- l'angolo in una fase di ripienezza mucosa, fase però che non (4) Loc. cit. Journal de Micrographie. 1884. (*) In alcuni Uccelli, come ades. nei Rapaci, le glandule linguali hanno tutte grandi elementi mucosi: ciò fu anche constatato dal RAnvIER. ritenta ic 440 BATELLI E GIACOMINI era generale per tutta la glandula, ma semplicemente propria ad alcuni compartimenti di questa. Da simile osservazione, e da altre compiute nel medesimo senso, concludiamo non es- servi, come parrebbe, omocronismo di vacuità e di ripienezza mucosa tra le varie glandule dei varii cormi boccali in uno stesso animale. In seguito a questi fatti rimane molto difficile eliminare il dubbio che alcuni elementi, i quali non hanno aspetto caliciforme, e rassomigliano per tutti i loro caratteri a cellule sierose, non sieno altro che elementi mucosi stanchi. E tale apprezzamento, per le considerazioni precedenti, potrà valere tanto per un’ intiera glandula di apparenza sierosa unita ad altre con aspetto muzoso, qaanto ancora per un elemento o per una zona di elementi, che diversifichi per i caratteri as- segnati alle due forme di cellule in uno stesso individuo glan- dulare. Ulteriore elaborazione delle glandule. Per rendere completo lo studio dello sviluppo delle glandule salivari negli Uccelli dobbiamo ancora prendere in esame l’ul- teriore elaborazione di esse e quindi la formazione del loro orifizio e del lume glandulare, la metamorfosi in elementi se- cernenti delle loro cellule non differenziate, ed il modo di ac- crescimento di tutto 1’ organo. Come vedemmo gli abbozzi glandulari si mostrano da prin- cipio quali proliferazioni solide dell’ epitelio, che tappezza la cavità della bocca e tali si mantengono sino ad un certo tempo, poscia cominciano a provvedersi di un lume. Quando le proli- ferazioni si accrescono e si ramificano, numerose sono le mi- tosì, che si trovano tanto al centro del cilindro solido quanto alla sua periferia. La formazione del lume non si avvia dalla superficie della mucosa verso il tronco principale dell’abbozzo, ma dapprima si manifesta sempre nell’ interno di questo in vicinanza del suo punto d'origine al disotto della mucosa (Tav. III, fig. 6), e di là procede verso la superficie orale da una parte e dall'altra verso l'estremità distale dell'abbozzo: essa non avviene per fusione delle cellule centrali, ma per il loro ritirarsi alla pe- CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 441 riferia. Questi fatti confermano le osservazioni del ChHrevirz (1). Il centro dell’abbozzo, quando il lume sta per formarsi, si pre- senta con cellule meno stipate. Nel lume, da principio com- parso sotto forma di piccole fessure, non si osservano cellule in distruzione e nemmeno, quando è diventato piuttosto ampio, si hanno in essi residui di cellule distrutte o figure cromatoli- tiche, le quali facciano pensare ad una metamorfosi regressiva degli elementi centrali (Tav. III, fig. 7). Avvicinatosi all’ epitelio della mucosa, il lume rimane separato dalla cavità orale per mezzo degli strati epidermici superficiali (Tav. II, fig. 6), che passano al disopra di esso a guisa di ponte, mentre lo strato epidermico profondo tende a continuarsi con quello esterno dell’abbozzo. Ciò è evidentissimo in alcune glandule, ad es. nelle palatine medie, dove la formazione del lume avviene tardivamente, quando cioè l’epitelio della mucosa orale ha acquistato un discreto numero di strati. È interessante osser- vare la trasformazione delle cellule nella parte del lume vi- cina alla mucosa; a mano a mano che il costituirsi del lume procede verso di questa, lo strato di cellule che ne risulta e che riposa sopra Jo strato profondo dell'epidermide, mostra gli elementi con tendenza a crescere verso la superficie libera e ad assumere Ja figura cilindrica, con un corpo protoplasmatico allungato ed il nucleo verso la metà esterna (Tav. III, fig. 6). Le cellule così trasformate, crescendo sollevano sempre più gli strati superficiali dell'epidermide, li stirano fino a tanto che questi si lacerano verso la parte centrale maggiormente as- sottigliata: in tale maniera si forma l’orifizio e l’abbozzo cavo si apre liberamente nella bocca. Quando la lacerazione è av- venuta di recente, i frammenti degli strati epidermici superfi- ciali restano per breve tempo attaccati ai margini dell’orifizio e ricoprono in parte le cellule cilindriche, poi scompaiono. Nei contorni dell’oritizio si hanno due serie di elementi, l’ interna di cellule trasformate, l'esterna delle piccole cellule apparte- nenti allo strato epidermico profondo. Nel corpo delle glandule, nelle quali il lume è in formazione, si vedono come reti di trabecole epiteliali risultanti dalle molte piccole fessure che interrompono l’abbozzo glandulare solido; (') Loc. cit. pag. 413, 442 BATELLI E GIACOMINI queste trabecole vanno con il tempo allontanandosi. sempre più tra di loro, si riducono in numero e si ritirano verso la periferia (Tav. III, fig. 7). Quando le trabecole sono scomparse il lume glandulare rimane nettamente limitato dalle cellule ancora in- differenti, allineatesi all’intorno. Così nel pavimento, ad una certa epoca (verso il 13.° giorno), alcuni degli otricoli lunghi del cormo anteriore sono ampî canali, che in sezione trasversa appariscono circoscritti da un cerchio sottile di cellule epiteliali indifferenti (Tav. I, fig. 16y). La spiegazione di ciò può esser data in questi termini: il lume della glandula si forma per piccole fessure, come sopra dicemmo, in seguito a dilatazione degli spazî intercellulari ed allontanamento delle cellule (*), e queste, poichè non si distruggono, sono numericamente esube- ranti per essere ospitate tutte sopra la parete basale della cas- sula connettiva in formazione. È necessario perciò che la pa- rete connettivale ingrandisca, affinchè le cellule vi possano trovar posto; ed invero con l’ ampliamento di lei va di pari passo Ja diminuzione delle trabecole cellulari e la regolare di- stribuzione delle cellule. A questa epoca le figure cariocine- tiche divengono relativamente scarse, per la ragione appunto che non abbisogna una vigorosa moltiplicazione di cellule, quando esse non si distruggono. A mano a mano che l’otricolo si al- larga gli elementi si distribuiscono sopra una superficie più estesa e diminuiscono nel numero degli strati. Generalmente le cellule, quando nella cavità sono giunte a disporsi su di uno o su due strati, cominciano a trasformarsi in cilindriche protoplasmatiche; nel secondo caso sono le in- terne che prima si trasformano. Le cellule cilindriche, che circondano l’ orifizio si estendono per un tratto maggiore sulla superficie libera della mucosa, e crescendo in altezza formano nel perimetro di quella un rilievo a cercine, costituito da una palizzata di cellule cilindriche (Tav. I, fig. 21). Queste cellule cilindriche, nelle sezioni in serie, si veggono impiantate sopra l’epitelio pavimentoso composto anche innanzi di giungere ad uno sbocco o dopo averlo oltre- (4) Anche qui le nostre osservazioni si accordano con l'opinione del CrtEvITZ (1. c. pag. 413), che ritiene iniziarsi il lume glandulare solo per dilatazione degli spazi intereellulari, la quale sarebbe probabilmente causata dalla compressione di un liquido segregato tra le cellule centrali. vorrai e CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA DELLE GLANDULE SALIVARI EC. 4453 passato. Una simile apparenza, che fortemente contrasta con ciò che vedemmo nell'adulto, fino al diciassettesimo giorno di covatura conservasi ancora distinta, mentre nel pulcino appena uscito dall’uovo è già scomparsa: le cellule cilindriche dei con- torni dell’orifizio vengono sostituite da quelle componenti gli strati epidermici superficiali. Nelle glandule, che dovranno essere tappezzate da elementi mucosi, la metamorfosi mucosa interessa innanzi le cellule, che per le prime divennero cilindriche, e di là si porta alle cel- lule protoplasmatiche, che rivestono le altre parti della glan- dula, mostrandosi più o meno inoltrata a seconda dell’età della cellula. La formazione del secreto, e per conseguenza i cam- biamenti nella sostanza cellulare primitiva, cominciano verso la metà interna dell'elemento, al disopra del nucleo, che adagio adagio portasi all'estremità esterna. Il reticolo, nel quale si raccoglie il secreto, è ora delicatissimo ed ovunque a maglie assai larghe, mentre nell'adulto queste sono più fitte special- mente verso la porzione bassa della cellula. Il secreto al di- ciassettesimo giorno si mantiene ancora per la massima parte nell’ elemento che lo prepara; solo raramente, nella cavità delle glandule formatesi per le prime si osserva una quantità assai scarsa di muco. Tutte le ramificazioni della glandula vengono invase dal processo di formazione del lume e di metamorfosi delle cel- lule. I tudulî primarî nascono dalla superficie interna della ca- vità glandulare per piccole gemme, che si approfondano nel tessuto connettivo circostante, nel mentre questo, assumendo una parte attiva, insieme ai capillari sanguiferi s’ insinua verso la cavità, e circoscrive i tubuli stessi. Ora le mitosi si riscon- trano frequentemente sia per gli elementi indifferenti nel fondo dei tubuli primarì in formazione, sia per i protoplasmatici o mucosi sulle pareti o nel cul di sacco dei tubuli già formati (1). L'aumento numerico delle cellule, le maggiori dimensioni che (4) Nel pulcino durante l'accrescimento molti sono i nuclei degli elementi secer- nenti, che mostrano una divisione indiretta, mentre nell’ adulto solo rarissimamente ci fu dato di rinvenire figure cariocinetiche anche nelle glandule, la cui attività venne eccitata mediante iniezioni sottocutanee d’idroclorato di pilocarpina: quindi nelle glan- dule salivari degli Uccelli, come in quelle dei Mammiferi (Brzzozero e Vassare, Sulla riproduzione e sulla rigenerazione degli elementi glandulari Arch. per le Sc. Med. V. 11. Torino 1887), la funzionalità non sembra legata ad una distruzione cellulare. 444 BATELLI E GIACOMINI — CONTRIBUTO ALLA MORFOLOGIA EC. esse acquistano, insieme al proporzionale accrescersi della ca- vità glandulare, degli otricoli componenti e dei tubuli primarî, hanno per effetto l'aumento di volume di tutto l'organo. L'epitelio delle coane presenta al diciassettesimo giorno in- fundiboli assai manifesti, che diventeranno glandule tubulari semplici, poichè in essi soltanto più tardi si verifica una schietta trasformazione mucosa. Le placche linfatiche compariscono nel pulcino; esse si svi- luppano per piccoli cumuli non ben definiti di cellule rotonde, i quali si formano o nel tessuto connettivo vicino alla glandula (placche linfatiche extracapsulari) od in quello, che insinuasi verso la cavità glandulare (placche linfatiche intracapsulari). Le une e le altre si accrescono in seguito ad una attiva mol- tiplicazione degli elementi linfoidi accumulati, come succede nei follicoli linfatici dell’intestino (StòHE (4) ). (4) Sròonr Ph., Ueber die Lymphknòtchen des Darmes. Archiv. f. mikrosk. Anat. Bd. 33. 1889. pagg. 255-283. $ > MO Tv INDICE DEL VOL. VI. ___- Facciola — Descrizione di nuove specie di Leptocefali dello stretto di Messina . 3 } Busatti — Fluorite dell’ Isola del Giglio - amo di e . G. Bornemann Ir — Sopra una specie mediterranea del ge- nere Lingulinopsis . Papasogli e A. Bartoli — Nuova contribuzione alli e. del carbonio . Angelini — Osservazioni sopra alcuni uccelli appartenenti alla sottofamiglia degli Emberizini . «= Canavari — Contribuzione III alla conoscenza dei Biachio- podi degli strati a Terebratula Aspasia, Mgh. . Simonelli — Faunula del calcare ceroide di Campiglia Ma- rittima . . Mori — Contribuzione alla Flora lichenologica della Toscana . Viti — Il nervo depressore nell’uomo e negli altri mammi- feri, ricerche di morfologia comparata . Ficalbi — Alcune ricerche sulla struttura istologica delle sacche aerifere degli uccelli . . Gucci — Scomposizione del Gabbro rosso . Facciolaà — I Blennii del Mar di Messina . . I. Forsyth-Major — I cinghiali dell’ Italia BREE . Meneghini — Nuove Ammoniti dell’ Appennino centrale. . Batelli ed E. Giacomini — Contributo alla morfologia delle glandule salivari degli uccelli Pag. 111 129 151 249 267 273 346 363 389 ele eni n Atti Soc. Tose, Se.nat. — VoLZZ av. = BATELLI & GIAGOMINI - Morfologia delle glandule salivari negli uccelli 1) e N d, IN\ È mi pop Ci i Fig. 4 e A oprun 7) VT PEZA a gel ; Op SEA ( \op \ o, 4 Fig.&. i ve. <= asa i Vi lata Vazga 4 nr "Oglio Giconià Ma Tos.SeNat.Vol.VI.Tav.ll. — et è i It JE Ro Pci nd p ) % ei a. rs, Db Na 6 I° SS 7 SAU = /, Ti CIS DIN ND ZIE SEI va eTà y, DA p- GS DA = sei s =_= LO >“ » > > a 80 = = » S =/ ì bd = [ 7 32 \NSAGOI ti 2), ATTO = }| / - =, | / P. (ID Dr) © fol 04 =. Î la 2&/((.;1 oe ALI ez | ‘a 9 sa ali pa DS \\I CIO ZI 5 ] LA 7 Ii & pe Ste 9) RAVGAZO (PO STAI _ q s a DO © 1 i) (Pa de eg/ || ) 20 4a (3) ao). È ee TC D ‘€ D) Siri tini SUA IS IL 2,4 #3 °a CaÙN SOTA 0 PIE STULA IS SALITALAI o Sutelli © Glitcommi Mo (land Salteetrt 5 LIS BEI ONG prere OVder KO) (SAMAO) Aeoe 90\0.00C n° pole Cal @ Ù PRATMBZAAETI CIALTTZA VOI #0) e © STI 0 009,0 0030 @NO/ > DINAY 0A0SS? 8990 6h) 00} oa 20GGAICIO I'VE LALA IAA ®.00 CA 00594 ( OI “3 74 00090 4009000 dA GO O DOGO CS 509 04 Ò) tà Pg 009% dA ABerlese lit. Hatelli © Giacomini Magg Gliond. Salivari Sata = ae ode cose - f° SS (S) SE Vel ISS DI [SI S LE SD S°2 >) $ iS SD e 029, ev = & (See SA BI INS) Se è ear a oi POS ca ea 90 CI 1 (Sfe] TOA ; OLO ORO ZIA NILO Iig.9 | o 2999 90708 Li AS Na Fai a 3 SE. Parp eteri. È RAI PINE SATO AR die) MINE echo ON NETTO Hit fi DURI ara SUNT si STAI pos va mir toa DE A IR Er MAR "pepe AVER Ce CATO HI 0 00 RARI TI dip e ed Anno Dv red aghi 5 È ” RT VE ZIAGE apre "na ee, DI pote ge IIS TIO npiaena gedioe to Mete PAIS SEUI, To ite Mpeg beef Riso po SAS TTT Si (URRA RARA us 7 I poem e thee] Meta e fate UGO da hi b Later nes to SUGO an et ara PIU rg ASA * panel DOVATTTOON OO pa MRRALI: si pH dolo Ma dhe MRS 0A PERSI À img Miani Ltda N i) Mlitara la brae nor MODO NIC I ARTO It MIRA E crt RE mitica ch int È 7 iper rg \ nt leer ‘ : vige ti VorARaA i Uni k ki Aaa SR AI A parlo CAR TT ut os SMITHSONIA DAG S DT Ni 3 a SRrstaetolne 9088 Sbegie sn adr pri n peli fsb peri pre Mede Ù Att ipi VC RTE api pe edi ti , ro N ncgla ta her } NACH ELA ELERO Musotto ROSUENZIOROI TIRA FIA III EI LACAN Vitoria A "i i i OOCOGENOR URRA Olatd Pe ei K din vv ‘ata in NV pesi IA H e MAR ‘pino Mete pirevle ire miri Wo FIQUAZO rip hippie p URI ) RUMENI uu Î Ne DIO aiciie RENANIA A no HM ad, TRO BAI Lena A N RIONE IEIVANANO VITTORIO tà 99" PR ANIA cd PRAIA Mpcslog tar PROCE v DEI Mbepanco.ti "i e pe et TALIA lia ch Se posi rs fl I CIN IERI noi PONT sì Med È Mi i) et toa a LDL IVA OVRAGALI BORN Jun nat inerti p AI MII STAGIONI jPS LIS (10 ro Be Neg LI op mimi Spena ETNEA CALO spp per ) IONI Si Pista i Ari Ron ' CONOR ‘ppt pp Le | NUDI ti Ar getto) 98: pu SU Ain VAIO Hove to: Szalt der SISI Cee 3A 2 SESETTEE SEN Si tI s n rp n FIOR vanon Ù RE RI ALIAIA I So è DMCA 7 IR tApletf pirati ernia du! 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