^Jf h .^ ^'M 1^ • . "H -l*' " ^t-"^ r-i^ i. 'J^xì ■ J ■«tj "/ .' V. > HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. O^LsJVjUtv-CLJL,- ^ ,,j:.,3t^ V-o A^'\^ ATTI REALE ISTITUTO VENETO D I SCIENZE, LETTERE ED ARTI (TOMO LI) SERIE SETTIMA - TOMO QUARTO ATTI DEL R. ISTITUTO VENETO SCIENZE, LETTERE ED ARTI DAL NOVEMBRE 1892 ALL'OTTOBRE 1893 ^' VENEZIA PRESSO LA SECtRETKRU DEI, K. ISTITUTO TIP. CARLO FERRARI ATTI R. ISTITUTO VENETO I) I SCIENZE, LETTERE ED ARTI (TOMO LI) SKRIK SETTIMA - T<)M<) QUARTO DISPENSA PRIMA VENEZIA PRESSO T,A PEGHETERIA DEL R. ISTITLT» AkL l'AI.AZZO i.onr.nAN TIP. CARLO FERRARI j'ivi 1 «92-93 INDICE Elenco dei membri e soci e delle Giunte statutarie di questo R. Istituto pag. y-xlvi Atto verbale dell'Adunanza ordinaria del iiiorno 27 no- vembre 1892 y^ l_4 Lavori letti per la pubblicazione negli Atti G. Canestrini, m. e. — Sopra due nuove specie di fì- toptidi italiani pag. 5 J. Bernardi, m. e. — Delle Opere del comni. Camillo Roito e dei due volumi, usciti non ha guari dalla tip. Barbera in Firenze, del pi-of. Augusto Conti : Lettcmtura e Patria — Religione ed arte. Comunicazione » 7 0. P. Toi.oMEi, m. e. — La Costituzione del 23 dicembre 187G dell' Impero ottomano e la diplomazia europea. Parte prima » 15 E. Padova, s. c. — Alcune osservazioni sull' uso del principio di Hamilton. Comunicazione ... » 21 D. Bertolini, s. c. — Un peso romano del basso Impero e le ultime scoperte Concordiesi » " 25 Relazioni F. Lampertipo e B. MonsdLiN mm. ee. ed A. Fooazzaro s. e, relatore. — Relazione sui lavori, presentati al Concorso di storia e statistica, aperto dal Magistrato civico Triestino » 49 Elenco dei libri e delle opere periodiche, pervenute al R. Istituto dal 7 agosto a tutto 27 novembre 1892 » xlvii- LXVIII >>i ELENCO DEI MEMBRI E SOCI I) K I, I^. ISTITUTO VENETO DI SCIENZE LETTERE ED ARTI O ANNO ACCADEMICO 1892-93 l'RKSIDKNTF, G I r I, I O A N I) K K A P I II O N A Vlf'KHRESIDENTE Edoardo De Betta / SEGEETARin P A i; LO F A M B R I VirESEC.HETARIO G V G L I K I, M n H E R C H E T AMMINISTRATORE E N RICO F I I, I I' 1- () T R O I s MEMBRI EFFETTIVI PENSIONATI (16 gennaio 1844 — 26 aprilo 1H6'.); Freschi Conte Gherardo, Ufficiale -s^, Conim. c§:, jìi-csI- flento onorario dell' Associaziojie agraria friulana e del Comizio ai'rario di Pordenone, socio onorario dell' Ac- (•) Il segno "^ indica l'Ordino doi SS. Maurizio o Lazzaro: il segno ^ V Ordine della Corona d' Italia. VI — cademia di scienze e lettere di Udine, patrizio della Republica di S. Marino, membro della Società generale degli agricoltori italiani e di quella degli agricoltori di Francia, corrispondente della Società economica di Chiavari, nonché socio di varie Accademie italiane ed estere. — S. Vito al Tagliamento. (fi ottobre 1864 — 2 luglio 1890) Lampektico Fedele, dottore nelle leggi. Senatore del Re- gno, Uff. ^, Gran Uff. c§i, socio onorario dell' Istituto statistico internazionale, socio della R. Accademia dei Lincei e di altri Corpi scientifici ; dottore nelle leggi, honoris causa, dell' Università di Dublino. — Vicenza (Corso Principe Umberto, 2338). (10 aprile 1868 — 10 marzo 1873) PiRONA GiTLK) Andrea, dottore in medicina e chirurgia. Uff. c|g. Conservatore del Museo civico e della Biblio- teca di Udine, membro di quel Consiglio provinciale di Sanità e della Commissione per la conservazione dei monumenti, socio di più Accademie nazionali e stra- niere, emerito professore di scienze naturali nel R. Ginnasio-Liceo Stellini di Udine. (Via del sale, 24). (26 aprile 1869 — febbraio 1874) MiNiCH dott. Angelo, Senatore del Regno, Comm. -^, Comm. c§3. Uff. dell'Ordine della (ìuadalupa, socio della Società medico-chirurgica di Bologna, membro onorario della R. Accademia di medicina in Torino, Socio dell'Ateneo veneto, emerito chirurgo primario anziano dell'Ospedale civile generale di Venezia. (S. Giovanni Crisostomo, Calle Morosini, 5808). — VII — (1 lii-lio \m\) — 5 (lic(Mnhro 18K3) LrzzATTi LriGi, ( av. dcUXlnliiK' del nici-ilo civile di Savoja, Gr. Uff. -jfi, ( av. Gran Groce decorato del Gran Cor- done #, Ch'. Uff. della Le^ion d' onore di Francia e dell'Ordine di Leojìoldo del Belf>io, Grran Croce dell'Or- dine di Francesco Giuseppe d' Austria e dell' Aquila Rossa di I.* classe ; già Ministro del Tesoro e delle Fi- nanze, deputato al Parlamento, membro della R. Acca- demia dei Lincei, del Consiglio superiore del commercio e dell' industria e della Giunta superiore degl' Istituti di previdenza ecc., professore di diritto costituzionale nella R. Università di Padova. (Via ^Sant'Eufemia, 2991). (6 aprile 1872 — 23 dicembre 187G) De Inetta nob. Edoardo, Uff. -^, Comm. c§:, membro di varie Accademie e Società scientifiche nazionali ed estere, cittadino onorario di Torino, consigliere scola- stico provinciale di Verona, presidente del Consiglio direttivo del R. Collegio femminile agli Angeli e pre- sidente della Giunta di vigilanza dell' Istituto tecnico in Verona. (Corso Castelveccliio, II). (10 marzo 1873 — 7 gennaio 1875) De Leva Giuseppe, dottore in filosofia e in ambe le leggi, Uff. -^, Comm. #, Ufficiale dell'Accademia di Francia, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, corri- spondente della R. Accademia delle scienze di Torino e di altre, nonché sl^'aniero della R. Accademia bava- rese di Monaco ecc., professore ordinario di storia moderna e incaricato della storia antica nella R. Uni- versità di Padova. (Via Forzate, 143G). — vili — (4 maggio 1873 — 13 dicembre 1877) Ylacovich Giampaolo, dottore in medicina, Comm. o^, Uff. -^, socio corrispondente della Regia Accademia delle scienze di Napoli, dell' Ateneo veneto, socio ordinario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova e socio di altre Accademie, professore d'anatomia umana nella R. Università di Padova. (Largo del Santo, 2613). (11 luglio 1877 — 18 agosto 1888) Fambri Paulo, dottore in matematica, Comm. v^, già Ca- pitano del Genio militare, ingegnere Capo della Società veneta di costruzioni, presidente dell' Ateneo veneto. (Venezia, Ss. Gervasio e Protasio, calle dei Cercliieri, 1252). (13 dicembre 1877 — 17 febbraio 1881) LoRENZONi Giuseppe, -^, Uff. c§3, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, professore ordinario di astrono- mia e direttore dell' Osservatorio astronomico nella R. Università di Padova. (Osservatorio astronomico, 2366). (11 aprile 1878 — 27 agosto 1883) Trois Enrico Filippo, c^, socio dell' Accademia di micro- scopia del Belgio e dell' Ateneo veneto, conservatore e custode delle Raccolte scientifiche e della Esposizione industriale permanente di questo R. Istituto, Consigliere provinciale. — Venezia (San Luca, Rio terrà degli Assassini, 3702). (7 luglio 1878 — 5 gennaio 1890) Canestrini Giovanni, ■^, Comm. c^, membro estero della Società zoologica di Londra, membro della Commissione consultiva per la p.esca e di quella superiore per la IX — fillossera, delegato governativo per la ricerca della fillossera nella provincia di Padova, membro della Com- missione provinciale di enologia e viticoltura, presidente della Commissione provinciale di pesca, professore di zoologia, anatomia e fisiologia comparate presso la R. Università di Padova. (Piazza P'orzatè, 1506). (7 luglio 1878 — 15 Ibhliraio 1885) Bernardi Enrico, \%i, socio efi"ettivo della R. Accadèmia di scienze, lettere ed arti di Padova, professore di macchine agricole, idrauliche e termiche nella R. Tni- versità di Padova. (Agli Eremitani, A'^ia S. Rarloiomeo, 4ir>:!). (7 luglio 1878 — 25 settembre 1885) Bernardi mons. doti Jacopo, Cav. del merito civile di Sa- voja, Comm. ^, Gr. Cr. t^. Uff", della Legion d'onore di Francia, socio ordinario della Deputazione sopra gli studi di storia patria di Torino, dell' Accademia di geografia e storia di Parigi, del Pantheon di Roma e dell'Accademia di belle arti, di quella di storia patria in Venezia e Genova, degli Atenei di Venezia, Treviso, Bassano, dei Georgofìli di Firenze ecc.. Vicario gene- rale onorario della diocesi di Pinerolo, ecc. — Venezia (Campo S. Canciano, 6053). (17 tel)braio 1881 — 20 luglio 1891) ToLOMEi (ìia:\ipaolo, Senatore del Regno, Comm. -jje^, Gr. Uff". c§5, socio ordinario e già presidente della R. Acca- demia di scienze, lettere ed arti di Padova, socio cor- rispondente di quella di Palermo, dell' Olimpica di Vicenza, della Virgiliana di Mantova e di altre, già presidente della Commissione generale di seconda istanza nelle questioni delle servitù di pensionatico, e già meni- hro (Iella Commissione governativa, compilatrice del primo schema (a. 1868) del nuovo Codice penale pel Regno, e di quella di riesame del progetto Senatorio (a. 1866), nonché della R. Commissione pel coordina- mento del Codice (a. 1889) ; già direttore, ora Preside della Facoltà di giurisprudenza, e già Rettore dal 1868 al 1869 e poscia dal 1873 al 1879 della R. Università di Padova ; professore ordinario di diritto e di proce- dura penale, ed incaricato della storia dei trattati e diplomazia presso la stessa R. Università. — Padova (Via del Santo, 4178). (17 febbraio 1881 — 15 febbraio 1885) Beltrame sac. Giovanni, ex missionario dell'Africa centrale, Comm. c§:, membro d' onore della Società geografica italiana e del Comitato italiano per 1' esplorazione e r incivilimento dell'Africa centrale, membro dell'Acca- demia d' agricoltura, arti e commercio e della Società letteraria, professore di storia e geografia nella R. Scuola normale femminile, professore emerito della Scuola normale maschile provinciale pareggiata, nonché direttore si)irituale dell'Orfanatroflo femminile e Retto- re dell'Istituto Mazza in Verona. [Xìn Nicola Mazza, 10). (29 maggio 1881 — 21 maggio 188.5) Favaro nob. Antonio, Comm. c§:, Cav. della Legion d'onore ed Uff. della pubblica istruzione di Francia, Comm. del- l'Ord. di San Marino e decorato della medaglia d'oro del merito, membro effettivo della R. Deputazione veneta so- pra gli studi di storia patria e di quella per le provincie di Romagna e della R. Accademia di Padova, onorario dell' Ateneo di Bergamo, della Società Coppernicana di Thorn e della Società delle scienze del Messico, socio straniero della Società Olandese delle scienze di Harlem, corrispondente del R. Istituto di Napoli, delle Regie XI — Deputazioni di .storia patria per le provincie della To- scana, dell' Umbria e delle Marcile, della Società Co- lombaria di Firenze, della li. Società ec(momica di Salerno, della li. Accademia Peloritana di Messina, dell' Accademia Gioenia di ('atania, della H. Accademia di Modena, dell' Ateneo veneto, della R. Accademia Valdarnese del Poggio in Montevarchi, della Società Transi Ivana delle scienze di Hermannstadt, della So- cietà lUitavica di filosofia sperimentale di Rotterdam, dell' I. R. Istituto geologico di Vienna, ecc., Direttore della Edizione nazionale delle Opere di Galileo (hililei sotto gli auspici di S. M. il Re d' Italia, professore ordinario di statica grafica, incaricato di geometria proiettiva, e libero docente di storia delle matematiche nella li. Università di Padova. (Via Zitelle, .3656). (29 maggio 1881 — 7 gennaio 1892) Saccardo dott. Pier' Andrea, ^, c§i. membro del Consiglio Superiore e della' Giunta della pub})lica istruzione, membro della R. Accademia delle scienze di Torino e della R. Accademia di Bologna, della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, della Società mico- logica di Francia e della crittogamologica italiana, dell' Ateneo veneto, dell' Accademia dei Concordi di Rovigo, dell'Ateneo di Treviso, della Società del ^Nluseo in Rovereto, della Società veneto-trentina di scienze naturali in Padova, della Società botanica italiana in Firenze, della R. Società botanica del Belgio residente a Bruxelles, della Società Belga di microsco}tia in lìru- xelles, della Società botanica di Lione, della Società botanica di Germania residente in Berlino, della R. Società botanica di Ratisbona, della Società botanica di Francia in Parigi, della Società Slesiana in Breslavia. della I. R. Società zoologico-botanica di Vienna, della Società delle scienze naturali di Briinn, deirAccademia XII — delle scienze di S. Francisco di California, della Società delle scienze naturali e matematiche di Cherhourg, della Società entomologica di Firenze, della Società italiana di scienze naturali di Milano, ecc., professore ordinario di botanica e direttore del R. Orto botanico presso r Università di Padova. (Orto botanico, 2625). (27 agosto 1883 — 13 marzo 1892) Glokia Andrea, Uff. -^, Presidente e socio ordinario del- l' Accademia di Padova, onorario dell'Ateneo di Berga- mo, corrispondente di altre Accademie ed Atenei ecc., professore ordinario di paleografia e direttore emerito del Museo civico di Padova. (Ognissanti, Via Sant'Eu- femia, 2983). (5 dicembre 1883 — 13 marzo 1892) Marinelli Giovanni, -5fe, #:, membro effettivo della Depu- tazione veneta di storia patria, socio corrispondente della Società geografica italiana e dell' Ateneo veneto, membro onorario della Società geografica Olandese, socio onorario dell' Accademia scientifica e letteraria di Udine, socio effettivo dell' Accademia di Padova, presidente della Società alpina friulana, membro del Consiglio direttivo dell' Associazione meteorologica ita- liana, ecc., deputato al Parlamento nazionale, profes- sore di geogi'afia nel R. Istituto di studi superiori e di perfezionamento e nel R. Istituto di scienze sociali. — Firenze (Piazza d'Azeglio, 12 bis). MEMBRI EFFETTIVI NON PENSIONATI (() (ittdl.iv IXCl) Messedaglia Angelo, Senatoiv dei licfiiio, Cav. dell'I )i'(rni(' civile di Savoja, Comm. ^, (Ir. rff. c^, socio nazionale e vicepresidente della lì. Accademia dei Lincei, vice- presidente della Commissione centrale del Catasto del Regno, professore emerito della R. Università di Padova, ed ora professore ordinario di economia i)olitica nella R. Università di Roma. (1 luglio 1869) Rossi Alessandro, Senatore del Regno, Comm, •^, Gran Cordone c§:, socio di varie Accademie. — Schio. (25 febbraio 1883) Lr SSANA dott. Filippo, Comm. c§:, socio delle Accademie medico-chirurgiche di Torino, Ferrara, Padova, Perugia e del Belgio ; dell' Ateneo di Bergamo, della Società francese d' igiene, della Società delle scienze medico- naturali di Bruxelles, della Società frenologica italiana, della Società di psic(jlogia fisiologica di Parigi, del R. Istituto lombardo ; membro onorario della Società di antropologia del Belgio, emerito professore di fisiologia nella R. Università di Padova. — Cenate di sotto, pro- vincia di Bergamo. (15 febbraio 1885) De Giovanni dott. Achille, Comnj. t^., -^, socio di varie Accademie nazionali ed estere, professore e direttore dell' Istituto di clinica medica generale nella R. Uni- versità di Padova. (Via della Gatta). — XIY — (21 maggio 1885) Omboni Giovanni, "^, i)i'ofessoi'e di geologia nella R. Uni- versità eli Padova ; socio effettivo delle Società geolo- giche d' Italia, di Francia e del Belgio, della Società italiana di scienze naturali, della Società toscana di scienze naturali, della Società antropologica italiana, ecc. ; socio corrispondente dell' L R. Istituto geologico austriaco, del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, delle Accademie delle scienze di Bologna e Palermo, e della Società dei Naturalisti di Mosca ecc. — Padova (Via Torresino, 2834 A). (3 dicembre 1885) Pertile Antonio, Comni. v^, socio ordinario della Depu- tazione veneta di Stoi'ia patria, socio corrispondente della R. Accademia di Torino e del veneto Ateneo, onorario dell'Accademia Olimpica e socio effettivo della R. Accademia di Padova, accademico attuale della R. Accademia Virgiliana di Mantova, professore ordinario di storia del diritto presso la R. Università di Padova. (Via Patriarcato, 875). (3 dicembre 1885) Bellati nob. dott. Manfredo, c§:, socio effettivo e segretario per le scienze della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, professore di fìsica tecnica nella R. Uni- versità di Padova. (Vicolo dei Servi, 1742). (17 maggio 1888) Keller dott. Antonio, Uff. ^, #, socio dell'Accademia di Padova, socio onorario delle RR. Accademie di agri- coltura di Torino e Verona, dell' Accademia di veteri- naria di Torino, dell' Ateneo veneto, della Società di XV — acclimatazione di Palermo, di (ideila d'incoraggiamento in Padova, dell'Accademia Olimpica di Vicenza e dei Concordi di Rovigo, della Società agi-aria di Reggio neir Emilia, del Comizio agrario di Torino, socio cor- rispondente delle II. RR. Società agrarie di Vienna e di Gratz ecc., professore di agraria e stima dei poderi nella R. Università di Padova. (Corso Vittorio Emanuele, 2123). (17 maggio 1888) Deodati avv. Edoardo, Senatore del Regno. -^, Cr. l'ff. t^, socio residente dell' Ateneo veneto, dell' Accademia scientifico-letteraria dei Concordi di Rovigo e di Bovo- lenta, presidente del Consiglio direttivo della R. Scuola Superiore di commercio e del Consiglio dell' Ordine degli avvocati di Venezia. (S. Stefano, callt' Cà (larzoiii, 1417). (18 agosto 1888) Donatelli Francesco Cav. del merito civile di Savoja, •^, Uff. D§3, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, socio effettivo della Società R. di Napoli, dell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, socio corrispon- dente dell' Accademia Reale delle scienze di Torino e dell' Ateneo veneto, effettivo dell' Ateneo di Brescia e dell'Accademia Urbinate, professore di filosofia teoretica nella R. Università di Padova. (Via Rogati, 2326). (11 luglio 1889) Stefani Federico, Comm. c^. Uff. ^, Vicepresidente della R. Deputazione veneta sopra gli studi di storia patria. Direttore del R. Archivio di Stato di Venezia e Sovrin- tendente agli Archivi veneti. Presidente della Commis- sione araldica per la A^enezia. (Sanf Apollinare, Ponte storto, 1500). (5 gennaio 1890) Spiga Pietro, dottore nelle scienze fisico-chimiche ed in chimica e farmacia, c§-., socio corrispondente della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, membro della Società chimica di Berlino e della Società di scienze naturali ed economiche di Palermo, Socio ono- rario dell' Associazione farmaceutica italiana, membro della R. Commissione per 1' accertamento dei reati di veneficio e del Consiglio sanitario provinciale di Padova, professore ordinario di chimica farmaceutica e tossico- logica, docente di chimica bromatologica e direttore della Scuola di farmacia nella R. Università di Padova. (Via Ospitale, Istituto chimico-farmaceutico). (2 higlio 1890) Berchet Guglielmo, dottore in legge, Comm. ■^, Uff. cga, Cav. della Legion d' onore di Francia, Cav. del Leone e Sole di Persia, Comm. dell' Ordine di Francesco Giuseppe e dell' Ordine imperiale giapponese del Sole levante, decorato della grande medaglia d' oro di L' Classe da S. M. l' Imperatore di Germania, socio degli Atenei di Venezia, Milano, Treviso e Bassano, delle Accademie di Modena e di Rovigo e della Società ligure di storia patria, membro dell'Istituto storico di Francia e delle Società geografiche di Roma, Vienna e Tokio, membro effettivo del Consiglio superiore degli Archivi, della Consulta araldica, e membro effettivo e segretario della Regia Deputazione veneta di storia patria. — Venezia (S. Martino, fondamenta dell' Arsenale, 2169). (20 higlio 1891) Teza Emilio, Comm. c§:, ])rof. di sanscrito e di gram. comp. delle lingue classiche nella R. Università di Padova. (Via S. Daniele, 2221). (7 f,'ennaio 1«'.)2) FkKKAI (lott. Kl GKMO, ^, ( OUim. C^, socio (Icir Illl[)assano, membro della R. Deputazione di storia patria per le provincie venete, della Commissione proposta alla conservazi(me dei monumenti, della Com- missione al civico Museo e di quella di vigilanza alla P>iblioteca comunale di Vicenza, professore di lettere italiane nel R. Liceo Pigafetta. — Vicenza (Via Canove, presso il Teatro 01im})ico, 959). (13 marzo 1892) Liov nob. Paolo, Comm. c§], deputato al Parlamento, Pre- sidente del Club alpino italiano, membro della Direzione della Società geologica, vicepresidente del Consiglio provinciale di Vicenza. (S. Michele, 1995). (13 marzo 1892) Martini Tito, c§:, membro effettivo dell'Ateneo di Venezia e della Società veneto-trentina di scienze naturali re- sidente in Padova, socio corrispondente della R. Acca- demia dei Georgofìli e della Colombaria di Firenze, professore ordinario di matematiche nella Regia Scuola superiore di commercio e professore titolare di fisica e chimica nel R. Liceo Marco Foscarini di Venezia. (S. Felice, calle Pali, 3842). T. IV, S. VII b — XVIII — (31 marzo 1892) Tamassia dott. Arrigo, socio coiTispondente del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, professore ordinario di medicina legale sperimentale nella Regia Università di Padova. (Via S. Prosdocimo, 5051) (i). MEMBRI ONORARI S. E. Menabrea Conte Ltigi Federico, marchese di Val- dora, professore emerito di costruzione nella R. Uni- versità di Torino, dottore in leggi, honoris causa, nelle RR. Università di Oxford e Cambridge, Senatore del Regno, Cav. dell'Ordine supremo della SS. Annunziata, Gr. Cordone -4^, Gr. Croce t§3, Gr. Croce dell'Ordine militare di Savoja, Cons. dell' Ordine civile di Savoja, decorato della medaglia d'oro al valore militare, e della medaglia d'oro Mauriziana, Gr. Croce dell' Ordine su- premo del Serafino di Svezia, dell'Ordine di Sant'Ales- sandro di Newki di Russia, di Danebrog di Danimarca Gr. Cr. dell'Ordine di Torre e Spada di Portogallo, del- l'Ordine del Leone Neerlandese, di Leopoldo del Belgio (categ. militare), della Probità di Sassonia, della Cor. di Wiirtemberg e di Carlo III di Spagna, dell'Ordine di S. Stefano d'Ungheria, dell'Ordine di Leopoldo d'Austria, di quelli della Fedeltà e del Leone SOCI CORRISPONDENTI DELLE P R 0 V I N C I I<: VENETE (18 aprile! 1 «(',<)) Valussi (lott. Pacifico, Comiu. c^, -j^, [tubhlicista. — Udiiio (Via Savorgnana, 11). (18 aprile 1869) Ferrara Francesco, già professore di economia politica e Ministro delle Finanze, Senatore del Regno, Cavaliere dell' Ordine del merito civile di Savoja, Gran Croce ^, CoHini. c§3, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uff. della Rosa del Brasile, direttore della R. Scuola superiore di commercio in Venezia, ecc. (San I Barnaba, palazzo Foscari). (23 gennaio 1870) Matscheg sac. Antonio, -^, socio della R. Deputazione veneta di storia patria, del veneto Ateneo, dell'Assem- blea di storia patria di Palermo, dell' Accademia dei Concordi di Rovigo e della Roveretana di scienze, lettere ed arti, professore emerito di storia e geografìa nel R. Liceo Marco Foscarini di Venezia. (Madonna dell' Orto, fondamenta della Sensa, 2296). (26 febbraio 1871) Caccianiga Antonio, cittadino onorario ilella città di Torino, •^, Comm. c§3, socio degli Atenei di Venezia e Treviso, e della R. Accademia di scienze e lettere in Padova. — Treviso (Villa Saltore). — XX — (12 luglio 1874) PoLiTEO dottor Giorgio, ■^, professore di filosofia nel R. Liceo Marco Foscarini in Venezia. (Ss. Apostoli, fon- damenta dei Sartori, -1805). (18 luglio 1875) Dall' Acqua Giusti nob. Antonio, •^ , professore di lettere e storia nel R. Istituto di belle arti in Venezia. (San Gallo, Calle Tron, 1124). (10 aprile 1881) Schio (da) Almerico, direttore dell' Ufficio meteorologico dell' Accademia Olimpica, presidente della Sezione di Vicenza del Club alpino italiano. — Vicenza (Corso Principe Umberto, 873). (23 marzo 1884) Papadopoli conte Nicolò, Senatore del Regno, Uff". -^, Grande Ufficiale cg:. Ufficiale onorario di cavalleria, presidente della Società numismatica italiana, membro della Reale Società numismatica di Bruxelles, Accade- mico di merito residente della Regia Accademia di belle arti, socio residente dell'Ateneo veneto, Presidente della R. Commissione ampelografica per la provincia di Ve- nezia. (S. Apollinare, 1364). (23 marzo 1884) Veronese Giuseppe, socio corrispondente dell' Accademia Reale dei Lincei e straordinario della R. Accademia di Padova, nonché dell' Ateneo veneto, professore di geometria analitica e incaricato di geometria superiore presso la R. Università di Padova. (Piazza Vittorio Emanuele, 2517). XXI (24 maggio 1885) Chicchi dott. Pio, ^, iii'-efiiiere ed arcliitetto, professore ordinario di costruzioni stradali, metalliche e ferroviarie nella R. Università di Padova. (Via S. Gaetano, 3200). (24 mcaggio 1885) OccioNi-BoNAFFoxs GiisEi'PE, (lottore in filosofìa, ego, socio onorario dell' Accademia di Udine, socio residente e sec,n'etario per le lettere dell' Ateneo veneto, membro effettivo e vicesegretario della R. Deputazione veneta di storia patria, socio corrispondente dell' Accademia dei Concordi di Rovigo, della Colombaria di Firenze e della Minerva di Trieste, professore titolare di storia e geografia presso il R. Liceo Marco Polo di Venezia. (S. Agnese, 740). (24 maggio 1885) Cassani Pietro, dottore in matematica, c§:, socio degli Atenei di Venezia e Treviso, dell'Accademia dei Con- cordi di Rovigo e dell' Accademia di Bovolenta, pro- fessore di matematica nel R. Istituto tecnico Paolo Sarpi. — Venezia (S. Martino, Campo della Tana, 21(50). (21 marzo 1886) Galanti prof. Ferdinando, Uff". ■^, c#i, socio corrispondente degli Atenei di Venezia e di Treviso, delle Accademie di Turbino e Rovigo, socio d' onore del R. Istituto di belle arti di Venezia, Preside del R. Ginnasio Liceo Tito Livio e libero docente della R. Università di Pa- dova. (Via del Santo, 3805). (14 aprile 1889) Carpenp: jirof. Antonio, Uff". c§-, dottore in chimica, socio onorario della Società promotrice della popolare istru- XXII zione di Govone e del Comizio agrario di Treviso, membro onorario della Società di scienze mediche in Conegliano, socio effettivo della Società veneto-trentina di scienze naturali e corrispondente della R. Società economica del Principato Citeriore in Salerno, ecc. — Conegliano. (14 aprile 1889) Fogazzaro dott. Antonio, Presidente dell'Accademia Olim- pica. — Vicenza (Ai Carmini, 132). (14 aprile 1889) MoLMENTi prof. P. Ci. — Venezia (S. Toma, 2511). (16 giugno 1889) Ferraris Carlo Francesco, Comm. d|:, ■^, socio corri- spondente del li. Istituto lombardo di scienze e lettere, membro dell' Istituto internazionale di statistica, del Consiglio superiore di statistica e del Comitato del Consiglio stesso, del Consiglio di agricoltura, della Commissione consultiva sulle Istituzioni di previdenza e sul lavoro e dell' American Academy of 'politicai and social Science, professore ordinario di statistica e l'ettore della R. Università di Padova. (Via S. Luca, 1653). (16 gixigno 1889) Bertolini avv. dott. Dario, c§2, -^, socio effettivo della R. Deputazione veneta sopra gli studi di storia patria, socio corrispondente estero de la Aeademia de la Historia de Madrid, dell' Istituto archeologico germanico, del- l' Ateneo veneto, dell' Accademia di Udine, socio del- l' Accademia araldico-genealogica italiana, vicedirettore di musei, gallerie, scavi e monumenti. — Portogruaro. XXIII (10 giugno 1889) Gradenigo nob. doti. Pietro, d^, socio di varie Accademie, professore ordinario di oftalinojatria e di clinica oculi- stica presso la U. Uni\ersitc'i di Padova. (S. P'rancesco, 2004). (22 giugno 1890) Bassini dott. Edoardo, professore ordinario di chimica e me- dicina operativa nella R. Università di Padova. (Ognis- santi, Via Sant' Eufemia, 2988). (22 giugno 1890) Mazzoni Guido, ^, t^, dottore in lettere, socio della R. Commissione pei testi di lingua. Socio corrispondente della R. Accademia di lettere, scienze ed arti di Padova, socio onorario dell' Accademia Etrusca di Cortona e della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Lucca, professore ordinario di lettere italiane i)resso la R. Uni- versità di Padova. (S. Francesco, Via [)ozzo dipinto, 3825). (22 giugno 1890) Cipolla prof. Frances*co. — Verona (Via Stella, 21). (24 aprile 1892) Stefani Aristide, [§:, membro effettivo dell' Accademia chirurgica di Ferrara, socio corrispondente della Società medico-cliirur^^ica di Bolop^na, e delle Accademie Virgi- liana di ^lantova e medica di Perugia, professoi'*^ di fisiologia presso la R. Università di Padova. (24 aprile 1892) . De Toni Giovanni Battista, dottore in scienze naturali ed in chimica, membro effettivo della Società Imp. dei Naturalisti in Mosca, della Società l)otanica italiana in Firenze, della Società veneto-trentina di scienze natu- rali in Padova, della Società francese di botanica di Courreiisan, socio corrispondente della Società dei na- turalisti russi in KiefF, della Società danese di botanica in Copenliague, della Società botanica di Lione, della Società di scienze mediche e naturali in Giessen, dele- gato dal R. Ministero delle Finanze per lo studio delle malattie crittogamiche dei tabacchi, membro della Com- missione internazionale di tìtopatologia, libero inse- gnante di crittogamologia generale ed applicata presso la R. Università di Padova. — Venezia (S. Moise, 1475). (24 aprile 1892) Ricci Gregorio, professore di algebra complementare e incaricato di fìsica matematica nella R. Università di Padova. (24 ai)rile 1892) NicoLis (de) Enrico, d^, ^, decorato di due medaglie commemorative delle guerre per l'indipendenza italiana, membro effettivo dell' Accademia d' agricoltura di Ve- rona, corrispondente della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, dell'Accademia delle scienze di New York, dell' I. R. Istituto geologico di Vienna, del Museo cittadino di Rovereto, Consigliere della So- cietà geologica italiana ecc., Conservatore del Museo civico e di quello dell' Accademia di Verona. (Corte Quaranta). XXV (24 aprilo 1802) Padova Ernesto, o^, socio corrispondente della R. Acca- demia dei Lincei, del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, professore di meccanica superiore presso quella R. Università. (Via Forzate, 1455). SOCI CORRISPONDENTI CHE CESSARONO DI APHARTENERE ALLE PROVINCIE VENETE CossA nob. dott. Alfonso, Comni. ■^, c§:, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, uno dei XL della So- cietà italiana, socio corrispondente del R. Istituto lom- bardo, della Regia Accademia delle scienze di Napoli e di Bologna, socio ordinario dell'Istituto d' incoraggia- mento alle scienze naturali di Napoli, dell' Accademia Gioenia di scienze naturali in Catania, presidente della R. Accademia delle scienze e di quella di agricoltura in Torino, membro della Società imperiale mineralogica di Pietroburgo, professore di chimica docimastica e diret- tore della R. Scuola d'applicazione per gì' ingegneri di Torino, nonché professore incaricato di chimica mine- rale presso il R. Museo industriale italiano. Naccari Andrea, dottore in matematica, Uff. c^, memìtro della R. Accademia delle scienze di Torino e corri- spondente della R. Accademia dei Lincei in Roma. })rofessore di fisica si)erinientale e dii-ettoi-e del relativo gabinetto nella R. Università di Torino. Poi>F.TTi prof. Francesco, licenziato negli studi di legge air Università di Padova, })rofessore di letlerecon di- XXVI ploma dell' Università di Torino, ex Preside del R. (linnasio-Liceo di Udine. — Bologna (Via Mazzini, 90, piano 11). Righi Augusto, ■^, c§:, membro pensionato della Reale Accademia delle scienze di Bologna, corrispondente dell' Accademia di scienze naturali ed economiche di Palermo, delle Reali Accademie di Torino e di Padova, imo dei XL della Società italiana, membro corrispon- dente della R. Accademia dei Lincei e della Società degli Spettroscopisti italiani, professore ordinario di fisica nella R. Università di Bologna. SOCI CORRISPONDENTI ITALIANI Albini Giuseppe, Uff. ^, Comm. o§:, professore di fisiologia e direttore dell'Istituto fisiologico presso la R. Univer- sità di Napoli. Alfieri di Sostegno march. Carlo, Senatore del Regno, Gr. Cr. -5^, Gr. Uff. ogo, Uff. della Legion d' onore di Francia, Soprintendente del R. Istituto di scienze sociali Cesare Alfieri in Firenze. Bassani dott. Francesco, c§i, socio ordinario residente della R. Accademia delle scienze di Napoli, membro della Società italiana dei XL, corrispondente della R. Accade- mia dei Lincei, della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, della R, Accademia Valdarnese del Poggio in Montevarchi, dell' Accademia di agricoltura e commercio di Verona, dell'Istituto d'incoraggiamento di Napoli, dell' Accademia Gioenia di scienze naturali in Catania e dell' I. R. Istituto geologico di Vienna, XXVII — professore ordinario di j^eologia, incaricato di paleon- tologia e direttore del gabinetto geologico nella Regia Università di Napoli. Hattaglini Giuseppe, Uff. -5^, Comm. og:, Cav. dell'Ordine civile di Savoja, professore di analisi e di matematiche superiori nella R. Università di Napoli. Berti prof. Domenico, deputato al Parlamento, Cav. del- l' Ordine civile di Savoja, Gr. Cordone -^, oga, Primo Segretario di S. M. per il Gran Magistero dell' Ordine Mauriziano. — Roma. B1ZZ0ZER0 dott. Giulio, Senatore del Regno, Uff. ■^, comm. t^, membro del Consiglio superiore di sanità, membro delle Reali Accademie dei Lincei e delle scienze di Torino, socio corrispondente del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, ecc., professore e direttore del labora- torio di patologia generale nella R. Università di To- rino. Blaserna Pietro, Uff. ^, Comm. c§3, Cav. dell'Ordine civile di Savoja, Cav. dell'Aquila rossa di Prussia di IL* classe colla stella e dell' Ordine di Francesco Giuseppe d'Au- stria di IL* classe colla stella, professore di tìsica nella R. Università di Roma. BoccARDO avv. prof. Girolamo, Senatore del Regno, Con- sigliere di Stato, Cav. dell' Ordine civile di Savoja, Gr. Uff. -^, c§3. — Roma. Bollati di Saint-Pierre bai*. Federigo Emanuele, dottore in leggi. Comm. -^. c^. Soprintendente agli archivi piemontesi e direttoi'e dell'Archivio di Stato in Torino, Consigliere d' amministrazione presso il R. Economato generale delle antiche Provincie, membi-o della Regia XXVIII Deputazione sovra gli studi di storia patria per le antiche provincie Piemontesi e la lombardia, socio cori'ispondente della Società ligure di storia patria, della Colombaria di Firenze, della R. Deputazione di storia patria per le provincie della Romagna e della Società per la storia di Sicilia, membro della R. Acca- demia delle scienze di Torino. BoMBicci Luigi, Comm. -^, d§3, professore di mineralogia e direttore del relativo Museo nella R. Università di Bologna, incaricato anche dell' insegnamento della geo- logia applicata in quella R. Scuola per gli ingegneri. BoNCOMPAGNi D. Baldassare, dei Principi di Piombino. — Roma. Bonghi prof. Ruggero, deputato al Parlamento, Consigliere di Stato, Comm. c§:, Gr. Uff. ■^, Cav. dell'Ordine civile (li Savoja. — Roma. Calori dott. Luigi, Comm. ■^, t§], membro dell'Accademia delle scienze dell' Istituto di Bologna, professore di anatomia umana e direttore del relativo gabinetto nella R. Università di Bologna. Cannizzaro Stanislao, Senatore del Regno, Cav. dell'Ordine civile di Savoja, Comm. -^, o^, professore di chimica generale e direttore dell' Istituto chimico nella Regia Università di Roma. Capellini Giovanni, Senatore del Regno, Cav. dell' Ordine civile di Savoja, Comm. ^, c§:, Comm. con placca dell' Aquila rossa di Prussia, Gr. Uff. dell' Ordine del Leone di Zàhringen, Gr. Uff. della Corona di Romania e dell* Ordine di S. Marino, Comm. degli Ordini del Dannebro"- di Danimarca, del Salvatore di Grecia, della XXIX — Stella polare di Svezia, deH' Ord. del merito scieiititico di San Giacomo della Spada di Portoj^allo, Dignitario dell'Ordine della Rosa del Hrasilc. Cav. dell'Ordine della Concezione del Poi-togallo, ("a\. dcirOi-dine (Udla Le-ion d'onore di Francia, ni", dcin )i-(lÌ!ic .lei Mcdidii', decorato delle }»aliiie delTLstruzione pubblica di Francia, della medaglia d' oro Benemerenti di Romania, profes- sore e direttore dell' Istituto geologico presso la R. Università di Bologna. Carducci Giosuè, Senatore del Regno, Uff. ^, Gr. Uff. ^^, membro delle Reali Accademie dei Lincei e della Cru- sca, professore di letteratura nella R. Università di Bologna. Caritti di Cantogno barone Domenico, Senatore del Regno, Gr. Uff. -^y ^', Gr. Cordone di più ordini cavallereschi italiani ed esteri, presidente on. di Sezione al Consiglio di Stato e presidente della Regia Deputazione di storia patria per le antiche provincie e la lombardi a. — Torino. Cipolla co. Carlo, Uff. d§:, membro effettivo della R. Acca- demia delle scienze e socio della Regia Deputazione di storia patria in Torino, membro effettivo della R. De- putazione veneta di storia patria, corrispondente della R. Accademia di Padova, socio di quella di Rovereto, professore di storia moderna nella R. Università di Torino. Comparetti Domenico, Senatore del Regno, Cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja, Uff. ^, Comm. c§i, pro- fessore emerito della R. Università di Pisa e del R. Istituto superiore di Firenze. — XXX — Conti Augusto, Avv., Comm. •^, c§3, Cav. dell'Ordine della Legion d'onore di Francia, Accademico residente della Crusca, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Accademico residente dell' Istituto musicale di Firenze, socio dell' Ateneo veneto, ex Tenente portabandiera del II Battaglione de' volontari fiorentini nella Campa- gna del 1848, professore di filosofia teorica e morale nel R. Istituto di studi superiori in Firenze. D' AcHiARDi Antonio, c§i, professore e direttore del gabi- netto di mineralogia nella R. Università di Pisa. Dalla Vedova dott. Giuseppe, Ufi". -^, Comm. c§:, e di altri Ordini cavallereschi esteri, Segretario generale della Società geografica italiana e direttore del Bollettino della Società stessa, professore ordinario di geografia presso la R. Università di Roma. D' Ancona Alessandro, -^, c§-., membro del Consiglio su- periore della pubblica istruzione, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei e corrispondente della R. Accademia della Crusca, professore di letteratura ita- liana nella R. Università di Pisa. Del Lungo Isidoro, Uff". ■^, c§:, socio residente della R. Accademia della Crusca ed uno dei deputati alla com- pilazione del Vocabolario. — Firenze. Denza P. prof. Francesco, ^, Comm. c§3. Uff", della Legion d'onore, socio di più Accademie, membro del Consiglio direttivo di meteorologia, direttore della Società meteo- rologica italiana, della Specola Vaticana e dell'Osser- vatorio meteorologico fisico di Moncalieri. De Rossi Giovanni Battista, Gran Croce della Legion d'onore di Francia, e Commendatore di parecchi Ordini. — Roma. — xxxl Desimoni avv. Cornelio, Conini. c§:. ^, dottore agj?regato alla Facoltà di lettere nella Iv. Univei'sità di Genova, socio corrispondente della K. Accademia dei Lincei, Sovi-intendeiite ayli Ai-clii\i JiiJiii-i. — (lenoNa. De Vecchi nobile Ezio, Gr. Uff. c§3, Gr. Croce ■^, Cav. del R. Ordine militare di Savoja, decorato della meda- glia d'argento e di (jiiella di bronzo al valore militare, Tenente generale Comandante del III Corpo d'esercito. — Milano. Di P>Ì':renger prof. Giuseppe Maria Adolfo. Uff. -^, Comm. o|3. Ispettore generale forestale a riposo. — Pontassieve, provincia di Firenze. Donati dott. Cesare, Cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja, ■^, Comm. c^. — Poma. Fakretti Ariodante, Senatore del Regno, Comm. c§:, Uff. -ìff, Cav. dell'Ordine civile di Savoja, Cav. della Legion d'onore di Francia e della Rosa del Brasile, professore di archeologia greco-romana nella R. Università di Torino. Felici Riccardo, •^, Comm. t§:, Cav. dell'Ordine civile di Savoja, uno dei Quaranta della Società italiana, socio dell' Accademia R. de' nuovi Lincei, del R. Istituto lombardo, dell' Accademia delle scienze dell' Istituto di Bologna, della R. Accademia delle scienze di Torino, della R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti, della Società delle scienze naturali di Palermo, della Società fisico-medica di Wiirzburg, professore e direttore del gabinetto di fisica sperimentale nella R. Università di Pisa. XXXII — Ferr.uiis ingeo^nere Galileo, Uif. ^, Comm. t^, Comm. dell'Ordine di Francesco Giuseppe d'Austria e dell'Or- dine Reale della Corona di Prussia, membro della R. Accademia delle scienze e della R. Accademia di agri- coltura di Torino, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, membro del Consiglio direttivo di meteoro- logia e geodinamica, membro del Consiglio di ammini- strazione e di perfezionamento della R. Scuola d' ap- plicazione per gT ingegneri nella Regia Università di Torino, professore di fisica tecnica e di elettrotecnica nel R. Museo industriale italiano, e di fisica nella R. Scuola superiore di guerra. Ferrerò Annibale, Senatore del Regno, Cav. dell' Ordine del merito civile di Savoja, Gr. Uff". c§]. Uff". ^, deco- rato di due medaglie d'argento e di una di l)ronzo al valore militare, Comm. della Corona di Prussia, Gr. Uff", dell' Ordine di Francesco Giuseppe d'Austria e del me- rito militare Spagnuolo, Ufficiale della Legion d' onore di Francia e dell' Accademia di Francia, socio della Reale Accademia dei Lincei, della Società italiana delle scienze dei XL. dell' Accademia Pontaniana di Napoli, dell' Imp. R. Accademia Leopoldina di Germania, del- l'Istituto internazionale di statistica, membro corrispon- dente dell' Istituto storico, etnografico e geografico del Brasile ecc.. Tenente generale, direttore dell' Istituto geografico militare. Presidente della Giunta superiore del Catasto e della R. Commissione italiana per la misura del grado europeo, nonché del Consiglio supe- riore dei lavori geodetici dello Stato e Vicepresidente dell'Associazione geodetica internazionale. — Firenze. Ferri doti Luigi, Uff". ^, Comm. ^, Cav. dell'Ordine civile di Savoja, professore di filosofia teoretica, preside della Facoltà di filosofia e lettere presso la R. Univer- sità di Roma. XXXIII — FloKEF.I,! (Ili SKi'i'K, Sctialorc del Ucj^iKi, Coiis. dell" ( >i-(liiic civile (li Savoja, C'oiniii. -^, Clr, Cordone c§:. — Naj)<>li. FoRNARi sac. Vito, Conim. -^f^, o^, Comm. dell'Ordì ne del merito civile di Savoja, socio corrispondenle d(dla U. Accademia della Crusca, ordinai-io della k. Accademia d' archeologia, lettere e belle arti e Prefetto della Biblioteca nazionale di Najxìli. Gemmellaro Gaetano Giorgio, Senatore d(d iiei^no, Cava- liere del merito civiU' di Savoj-a, Comm. -^, Uff, c^, professore e direttore del f^abinetto di «•eologia e mi- neralogia presso la R. Cnivei-sità di Palermo. GiGLioLi Enrico Hyllier, Uff. ■^, Comm. :^^ e delTOi-dine di Francesco Giuseppe d'Austria, Uff. dell'Ordine della Rosa del Brasile e della pubblica istruzione in Francia, Vicepresidente della Società italiana di antropologia, socio d'onore delie Società geografiche di Roma, Londra e Berlino, di quelle ornitologiche di Londra e Nuova York e della R. Società di Olanda per le Indie Neer- landesi, membro corrispondente della R. Accademia dei Georgofili, delle Società zoologica di Londra, biologica di Washington, antropologiche di Londra, Parigi e Washington, Accademico non residente della Pontaniana di Napoli, socio dei Musei civico di Rovereto, etnogi'a- fico di Lipsia e nazionale di Rio de Janeiro, professore ordinario e direttore del gabinetto di zoologia e ana- tomia degli animali vertebrati nel R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze. Guglielmotti P. Maestro Alberto, dell* Oi-dine de' Pre- dicatori. — Roma. Manno barone I), Antonio, Comm. '^, Gr. Uff. d§:. — Torino. T. IV, s. VII e XXXIV — MiLLOSEViCH prof. Elia, v^, membro del Consiglio direttivo della Società geografica italiana, vicedirettore del R. Os- servatorio astronomico del Collegio Romano. — Roma. MoLESCHOTT JACOPO, Senatore del Regno, Gr. Uff. -^, c§a, membro del Consiglio superiore di sanità socio nazio- nale della R. Accademia delle scienze di Torino, socio straniero della Società Olandese delle scienze in Harlem e della Reale Accademia di scienze, lettere e belle arti del Belgio, socio onorario della Reale Accade-' mia di medicina di Torino, della Sociètè de mèdecine de Belgique, della Sociedad antropolojca Espanola a Madrid, della Società epidemiologica di Londra, socio corrispondente degli Istituti di Milano, Modena e Bo- logna, della Società Batava di filosofia sperimentale a Rotterdam, membro ordinario dell' Accademia medica di Roma, ecc., professore di fisiologia nella R. Univer- sità di Roma. Mosso dott. Angelo, ■^, Comm. \^, professore di fisiologia presso la R. Università di Torino. Negri barone Cristoforo, Senatore del Regno, (Ir. Ufi". •^, r§], inviato straordinario e ministro plenipotenziario a riposo. — Torino. NicoLUCCi Giustiniano, Uff". ■^, socio ordinario della R. Accademia delle scienze e dell'Istituto d'incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli, socio residente dell'Ac- cademia Pontaniana della stessa città, uno dei XL della Società italiana, corrispondente delle Accademie delle scienze di Bologna, Modena e dei Fisiocritici di Siena, delle Società mediche di Roma, Napoli, Torino, Bo- logna, Ferrara; socio fondatore della Società italiana di antropologia ed etnologia, associato straniero della Società antropologica di Parigi e corrispondente delle XXXV — Società ;introi)ologiclie di Berlino, Lione, Bruxelles ; socio ordinario della Società delle scienze naturali e di antropologia di Mosca; mem])ro on(u-ario dell'Isti- tuto antropologico della Gran Hretagna ed Irlanda, della Società degli antiquari d(d luu-d di Coiienaghen e corrispondente dell' Istituto ai'cheologico germanico, membro della Commissione per la conservazione dei monumenti e degli oggetti d' antichità e belle arti in Caserta, professore di antropologia e direttore del re- lativo gabinetto nella R. Univei'sità di Napoli. OccioNi Onorato, Uff. c§i, ('omm. -^, Cavaliere dell'Oi'dine civile di Savoja, professore di letteratui-a latina Jiella R. Università di Roma. Palmieri Luigi, Senatore del Regno, Comm. ^, Gr. l'ff. D§:, professore di fisica terrestre. Presidente dell' Ac- cademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli e dell' Accademia Pontaniana, Segretario generale del R. Istituto d'incoraggiamento, direttore dell'Osservatorio meteorologico Vesuviano del gabinetto di fìsica terrestre in Napoli. Paterno di Sessa dott. Emanuele, Senatore del Regno, Gr. Uff. ■^, o|j, e dell'Ordine del merito civile di Savoja, decorato della medaglia d'oro ai benemeriti della salute pubblica, professore ordinario di chimica generale, diret- tore dell' Istituto chimico, professore di chimica docim. nella R. Scuola d' applicazione per gì' ingegneri presso la R. Università di Palermo. Peyron Bernardino, Comm. -^^ profossoi-e di lettere, mem- bro della R. Accademia delle scienze e Bibliotecario onorario della Biblioteca nazionale in Torino. PiGORiNi dott. Luigi, Uff. ^, Comm. d^, e di j)iù Ordini stranieri, consigliere della Società geogratica italiana. XXXVI — socio della R. Accademia dei Lincei, direttore dei Musei Kircheriano e preistorico - etnografico, professore di pale-etnologia presso la R. Università di Roma. Ranalli prof. Ferdinando, Comni. -^, c§:, professore eme- rito di storia nella R. Università di Pisa, e bibliotecario della R. Accademia di belle arti in Firenze. Razzaboni Cesare, Uff. •^, Gr. Uff. r^, professore di idrau- lica pratica e direttore della R. Scuola d' applicazione degl'ingegneri presso la R. Università di Bologna. RòiTi Antonio, Uff. c§i, Cavaliere della Legion d'onore di Francia, Ufficiale dell' Ordine di Leopoldo del Belgio, membro del Consiglio superiore della pubblica istru- zione, professore di fisica e direttore del relativo ga- binetto nel R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze. Ruffini dott. Ferdinando, -^, professore di meccanica ra- zionale presso la R. Università di Bologna. Salv adori conte Tommaso, :§:, Cavaliere dell'Ordine di S. Giacomo del merito scientifico, letterario ed artistico, dottore in medicina e chirurgia, membro della R. Ac- cademia delle scienze, socio della R. Accademia d'agri- coltura di Torino, della Società italiana di scienze naturali, dell' Accademia Gioenia di Catania e di altre Società scientifiche straniere, professore di storia na- turale nel R. Liceo Cavour di Torino e vicedirettore del Museo zoologico presso quella lì. Università. Scacchi Arcangelo, Senatore del Regno, Cav. dell'Ordine civile di Savoja, Comm. ^, Gr. Uff. c§:, Corrispondente dell'Istituto di Francia, Presidente della Società italiana delle scienze dei XL e dell' Istituto d' incoraggiamento XXXVII — di Napoli, socio ordinario della R. Accademia delle scienze fìsiche e matematiche di Napoli e della Reale Accademia dei Lincei di Roma, socio nazionale non residente della R. Accademia delle scienze di Torino, socio ordinario estero delle RR. Accademie delle scienze di Berlino e Monaco, socio corrispondente dell' Acca- demia Imperiale delle scienze di Pietroburgo, membro estero dell' Accademia Ungherese delle scienze in I>ii- dapest, professore di mineralogia presso la R. Univer- sità di Napoli. ScARABELLi-GojMMi Fla:\iix\t GIUSEPPE, Comm. -^, tf:, Sena- tore del Regno, membro della Società geologica italiana e di quella di Francia, corrispondente della R. Acca- demia dei Lincei, membro del R. Comitato geologico italiano, Presidente del Comizio agrario, della Cassa di risparmio e dell' Asilo-Giardino Principe di Napoli in Imola. Semmola Mariano, Senatore del Regno, già deputato al Parlamento, Comm. -^, Gr. Uff. c§], Gr. Cordone e Gr. Croce dell' Ordine d' Isab. Catt. di Spagna, della Con- cezione di Portogallo e dell' Imp. Ordine della Rosa del Brasile, dell' Imp. Ordine dell' Osmanié, Gr. UfT. degli Ordini di Carlo III di Spagna, di S. Stanislao di Russia, della Stella polare di Svezia, del Nicham di Tunisi, di S. Ludovico, Comm. dell'Ordine di Leopoldo, Cav. della Legion d' onore di Francia, socio del R. Istituto lombardo, ordinario dell' Accademia medico- chirurgica di Napoli, corrispondente dell' Accademia medica di Roma, dell'Ateneo di Brescia, dell'Accademia delle scienze di Lucca, dell' Accademia medico-pratica e dell' Accademia di medicina di Parigi, della R. Ac- cademia di medicina di Madrid, della R. Accademia di medicina e della R. Accademia delle scienze di Bru- xelles, dell' Accademia R. di medicina di Rio Janeiro, XXXVIII della Imp. Società di medicina di Costantinopoli, del Syllogos filologico ellenico di Costantinopoli, socio del- l' Accademia di medicina d' America, della R. Società epidemiologica di Londra, professore onorario della Facoltà medica di Filadelfia e di quella di Cordova (Argentina) ; socio onorario della Società di mutuo soccorso e d' istruzione di Buenos AyreH, medico pri- mario dell'Ospedale degli incurabili e medico consulente dell'Ospedale della Pace, di Sant'Eligio e dell'Ospedale dei Pellegrini ; membro del Consiglio provinciale di sanità, professore ordinario di materia medica e clinica terapeutica presso la K. Università di Napoli. Tabarrini avv. Marco, Senatore del Regno, Consigliere di Stato, Comm. -^, c§i, ecc. — Firenze. Tacchini prof. Pietro, direttore dell' UflScio centrale di meteorologia e di geodinamica, del R. Osservatorio astronomico del Collegio Romano e dell'annesso Museo Coppernicano. — Roma. Tardy prof. Placido, Comm. '^, Gr. Uff. t^. — Firenze. Targioni-Tozzetti Adolfo, Comm. ^, Uff. i^, Cavaliere dell' Ordine di Leopoldo d' Austria, Cav. di IL* classe dell' Ordine della Corona di Prussia, membro della Commissione consultiva per la pesca e di quella per i provvedimenti contro la fillossera, professore di ana- tomia comparata degli animali invertebrati, direttore del gabinetto presso il R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento, nonché della R. Stazione di entomologia agraria in Firenze. ToMMASiNi Oreste. — Roma. Tosti don Lt'igi. Ab. Benedettino Cassinese, socio ordinario della Società Reale di Napoli e della Reale Accademia XXXIX dello scienzo di Toi'ino, consio^liere onorario degli ar- chivi di Stato, Vice-ai'chivi.sta della Santa Sede. ViLLARi Pasquale, Senatore del Regno, Conim. -^, Gran Uff. D§3, Cav. del Merito civile di Savoja e dell'Ordine polir le Mèrite di Prussia, già Ministro della pubblica istruzione, membro del Consiglio superiore di pubblica istruzione, socio della R. Accademia dei Lincei di Roma, delle Reali Accademie di Napoli e Torino, socio straor- dinario delle Accademie di Monaco e di Ungheria, professore di storia moderna e preside della Sezione di filosofia e filologia presso il R. Istituto di studi superiori in Firenze. Zambaldi dottor Francesco, ■#, t# e dell' Ordine di S. Salvatore di Grecia, professore di letteratura greca nella R. Università di Pisa. SOCI CORRISPONDENTI ESTERI AiRY BiDDEL G. — Greenwich. Arneth (di) Alfredo. — Vienna. Bazin Enrico. — Parigi. Beneden (Van) Pietro. — Lovanio. Berthelot Marcellino. — Parigi. Bertrand J. — Parigi. Bierens de Haan Davide. — Leida. BiLLROTH Teodoro. — A^ienna. Boi-ssiNESQ Valentino G. — Parigi. Budinger Massimiliano. — Vienna. Carruthers Guglielmo. — Londra. Charcot Gio. Martino. — Parigi. Daubrée Gabriele. — Parigi. XL De Hubè Romualdo. — A^arsavia. Delisle Leopoldo. — Parigi. De LomoL Perceval. — Ginevra. De RoziiiRE Eugenio. — Parigi. De Sybel Enrico. — Berlino. Di Hauer Francesco. — Vienna. Di Saporta Gastone. — Aix (Provenza). Fate Hervè Aug. E. A. — Parigi. Fischer Teobaldo. — Marburg. Forster Guglielmo. — Berlino. Gaudry Alberto. — Parigi. Gegenbaur Carlo. — Heidelberg. Gilbert Filippo. — Lovanio. Gunther Sigismondo. — Monaco. Hall Giacomo. — New York. Helmholtz Ermano Luigi Federico. — Berlino. Hermite Carlo. — Parigi. Hofmann Augusto Guglielmo. — Berlino. HoRTis Attilio. — Trieste. Hyrtl Giuseppe. — Vienna. Kolliker Alberto. — Wùrzburg. MòMMSEN Teodoro. — Berlino. MuELLER (von) FERDINANDO. — Melbourne. MussAEiA Adolfo. — Vienna. NoRDENSKioLD A. E. — Stockholm. Oppert Giulio. — Parigi. OwEN Riccardo. — Londra. Pasteur Luigi. — Parigi. Pertz Guglielmo. — Berlino. Quatrefages Armando. — Parigi. Rado Antonio. — Budapest. Rendu Eugenio. — Parigi. RiANT Paolo. — Parigi. Say Leone. — Parigi. ScHiFF Maurizio. — Ginevra. Schimper W. Ph. — Strasburgo. — XLI SiMONSFELii Enrico. — Monaco. Stir Dionisio. — N'icima. SiESS Edoardo. — Ivi. Thomson Guglielmo. — (llasf^ow Tyndall Giovanni. — Londra. WlKDEMANN GUSTAVO. — Lijìsia. ZiTTEL Carlo. — Monaco. PROSPETTO DKi.i.i-: COMMISSIONI DEL R. ISTITUTO GrtumtcL permaTxeivte al JParxtTieoTz Veneto eretto dall' Istituto nel 184=7. Meiiibi'i <*Iie la compongono : 1. Jacopo Bernardi 'l. Antonio Favaro 3. Fedele Lampertico 4. Andrea Gloria 5. Federico Stefani ConxTixissioixe tvteivnxjile alle Raccolte tecnologtcKe. (articoli 105 e sei;-, do^li Statuti interni) Membri che la compongono : 1. ■ O '■ \ / componenli la Presidenza in Consiglio ì) 5. Enrico Bernardi ('). Antonio Keller 7. Manfredo Bellati S. Lorenzoni Giuseppe 9. Marinelli GioTanni XLIV CoiiuThtssione trteTznale alle Rctccolte dt StOl^iCl TLCitULTcCle. (articoli 110 e seg. dei sviddotti Statuti) Membi'ì che la coiiipougono : / componenti la Presidenza iu Consiglio ..\ 5. Giovanili Canestrini 6. Pier Andrea Saccardo 7. Giovanni Omboni 8. Antonio Keller 9. Angelo Minicli OoTriTnzsszoTze trtennale per lo stzxdio della ItTLgvLCL e lette-pcttiLJxt ztcìlictTza. (art. 121 dogli Statuti interni) IMenibi'i che \sl compongono s 1. Fedele Laiupertico 2. Andrea Gloria o. Giambattista Beltrame 4. Jacopo Bernardi T). Giulio Andrea Pirona () 7 8. 9 Coiiiiii-issiojxp trierLìULle per le. cLn.ticJ LttÌL, IcL storzcL e gli sLiLdt eli eriLcLtztoixe. (art. Vii dei citali Slatnti) Moiubri clic la (•oiiipongono : 1. Jacopo Bernardi 2. Andrea Gloria o. Federico Stefani 4. Giuseppe De Leva o. Antonio Favaro Corrvnxis storie òiejzTKxle per le proposte d.t SOCI corrispondenti. (art. 11-22 degli .stessi Statuti) per le scienze fisiche e matematiche per la letteratura e per le scienze sociali 1. Presidente i. Vicepresidente .1 Segretario 4. Vicesegretario o. Angelo Miuich (). Giovanni Canestrini 7. Giuseppe Lorenzoni Giovanni Omboni Giuseppe De Leva Jacopo IJernardi Federico Stefani Edoardo Deodati — XLTI — CoTìxrtxisstoTLe ctTvmzale alla JBzblzoteccc. 1. ( nW 7 componenti la Presidenza 4. ( 5. Giuseppe De Leva (). Andrea Gloria 7. Giovauni Marinelli 8. Angelo Minicli 0. Federico Stefani ANNO 1802-93 DISPENSA 1/ ADUNANZA ORDINARIA DEL (3-lOlR.lNrO G'7 I-TOVEIvIBRIì: 1892 PRESIDENZA DEE PROF. CAV. (UULIO ANDREA PIRoXA PRESIDENTE Sono presenti i membri effettivi : De Betta vicepresidente, Fambri segretario, Bekchet vicesegretario, Minich, De Leva, Vlacovich, Lorenzoni, Trois, Canestrini, E. Ber- nardi, Mons/ J, Bernardi, Beltrame, Favaro, Sac- CARDO, Gloria, De Giovanni, Omboni, Bellati, Deodati, Bonatelli, Stefani, Teza, Morsolin, Martini, Tam As- sia ; nonché i soci Veronese, Occioni-Bonaffons, Ber- tolini, Mazzoni, De Toni e Stefani. Sono giustificati gli assenti membri effettivi : Freschi, Lam- pertico. Rossi, Tolomei e Marinelli. Letto ed approvato l'Atto della precedente adunanza, il Presidente, ricordando la perdita del collega m. e. d."" Cesai-e Vigna (i), comunicò le condoglianze espresse, in (1) Tale perdita era stata prima annunziata ai raenibi'i e soci colla seguente lettera circolare : «.Ai chiarissirai membri effettivi e soci del R. Istituto. «Nella momentanea assenza dell'egregio Segretario, io devo con »animo turbato sostituirlo nell'anuunziarvi un altro lutto del nostro » Sodalizio. Il chiarissimo membro effettivo dott. Cesare Vi£^na, vit- 2 nome dell'Istituto, alla famiglia e i ringraziamenti da essa ricevuti. Partecipò inoltre le condoglianze, pervenute all'I- stituto medesimo dai Reali Ministeri della pubblica istru- »tima di un secondo assalto apoplettico, nel pomeriggio di jeri, veniva » per sempre rapito all'affetto della famiglia, dei colleghi e degli amici. »I numerosi suoi lavori, segnatamente quelli «sulla iuìportama de' » fenomeni negativi della diar/nosi delle psiropatie», ch'ebbero l'onore di » traduzioni in lingue straniere, e gli kK Sludi intorno alle influenze della •» musica sul fisico e intorno al dt^litfo>>, scritti con non comune letteraria » coltura, meritamente gli fruttarono la estesa fama di dotto alienista, »e gli dischiusero le porte del nostro Istituto, che nell'aprile del 1881 »lo inscrisse nell'albo de' suoi soci corrispondenti, e due anni appresso »in quello de' suoi membri effettivi. » Della scientifica sua operosità nel nostro Istituto parlano eloquen- » temente gli scritti, dati in luce nelle Collezioni delle Memorie e degli » Atti. Nella prima di esse trovasi un lungo, importantissimo Resoconto, »illusti-ato da tavole, sul «Manicomio centrale femniitiile di S. Clemen- » fói), da lui amorosamente diretto per lunga serie d'anni; nella seconda » parecchi lavori, che trattano «sul contagio della pazzia, sulla classi- » Reazione delle psicopatie, sulla trasmissione ereditaria fisico-morale, •usuila simulazione della pazzia, sopra un caso di paranoja rudimentale •» impulsiva e sul magistero fisio-psicologico dell'armonia», olive &A un » discorso scientifico sul Padre Prosdocimo Salerio e a qualche breve » relazione. » Lasciando ad altri, ben più di me competente, di porre in evi- » denza il valore di tali scritti, le benemerenze del compianto estinto » verso la scienza e la sofferente umanità e la sua dottrina nell'arte » musicale, io mi limito' a r.-mmentare che tanta attività, congiunta al- » l'assiduo intervento alle nostre riunioni e al coscienzioso adempimento >;> degli incarichi a lui affidati, gli procurarono l'onore di essere eletto » Vicesegretario, nel quale ufficio sostituì degnamente il lagrimato Se- »gretario Bizio, quale relatore sui concorsi scientifici e industriali nelle ». solenni adunanze del biennio 1800-91. » Nel cordoglio per sì amara perdita credo di farmi interprete di » tutti Voi, rimpiangendo un uomo stimabilissimo per verace patriottì- »smo, per animo mite, tranquillo, gentile; un uomo infine, che con rara ■» modestia seppe rendere vieppiù preziose le cospicue doti della sua » mente e del suo cuore. Il M. e. Vicesegretario G. BERCHET. » .s ■/Àono e (ì('ir;i] (11) iieiiti personaggi o di popolo numerosissimo, e pei' 1" inau- gurazione della bellissima statua di Lui, che Meglio ia yloria di uiol si canterebbe, unita in un gruppo, assai lodato, con 1' Alligliieri, Giotto, Colombo aggregati al gran poverello come terziari! (singolari condizioni di tempi!) del religioso Ordine suo. A' nostri di il Tommaseo, che bramava esservi ascritto, né già per negato acconsentimento del Generale della famiglia Francescana, allora il P. Bernardino da Portogruaro, che tanto ritrae del suo fomlatore, non l'ottenne. A questi si uniscono gli altri argomenti, più largamente diffusi, sulla facciata di Santa Maria del Fiore, in cui il Conti prestò opera laboriosa e profittevole intorno alle figure, decorazioni, disposizioni e ordinamento loro, sul Centenario della Cattedrale d' Orvieto, sull' anniversario di Raffaello nell' Accademia d' Urbino e su Giovanni Duprè, ove i due ben conosciuti e applauditi dialoghi sull'arte fra il Duprè e lo scrittore. In tutto questo si appalesa la dottrina, il versatile e molto ingegno e la forza del sentimento, cui in ogni cimento, anche più difficile, seppe e volle manife- stare palesemente 1' onesto cittadino. E in tale corrispondenza intima d' affetto tra il filosofo ed elegante scrittore e l'artista, ne profittarono entrambi. Il figliuolo dell' intagliatore sanese, il respinto come sboz- zatore 0 quel eh' altro avesse voluto dallo studio del Bar- tolini : fìgliuul mio, ho troppi scolari e lavoratoìH : non ti posso pigliare, vattene con Dio : il tuo ingegno se dovrà l'ndtare, frutterà senza coltura, il solitario autor dell'Abele nella botteguccia in S. Simone di Firenze, divenuto famoso, e, direi sovrano maestro dell' arte dello scolpire iìi Italia, a[)i)roffittava largamente deUa dottrina e della eletta parola del filosofo ; e il filosofo alla sua volta educava alle forme elette del bollo il nobile e vivo sentimento, ond'era fornito, nello studio delTarlista, fatto ricco di tanta e tanta bellezza (12) [6] oggettiva, ch'egli impartiva a' suoi marmi. Questa parte di vita del Conti, trascorsa nella officina del Duprè, rivelata nel libro, cui si accenna e viene oggi porto in dono dal medesimo autore all' Istituto, è delle più piacevoli ed in- sieme instruttive. L'altro volume, che ha per titolo « Letteratuì^a e Pa- tria », comincia da Saverino Boezio, si allarga con Dante e Petrarca, pigliando argomento da Centenarii celebrati in loro onore, per venire al Tommaseo, al Manzoni, al Pellico ; né tace del Fornaciari, del Lambruschini, del Capponi, del Giusti, consacrando quasi tutta la seconda parte del libro a' due Principi, cui tanto deve l' Italia : Carlo Alberto e Vittorio Emanuele. Chi per un istante dubitasse del grande amore, che il Conti nutre alla patria, e del vivo desiderio di vederla grande e felice, non ha che a leggere queste pagine, che si fortemente, concedetemi la parola, palpitano di esso. Chiude poi il volume con le reminiscenze di un suo viaggio in Oriente, e col giusto elogio fatto alle nostre Missioni; ricordando in ispecial guisa il Massaia: per aver mantenuto, ad ogni costo e a prezzo d'ogni sacrificio contro la prepotente influenza, oggi direi irruzione francese, e lin- gua e costumi italiani in quelle regioni. Chi le ha percorse, chi le ha studiate, sente che a questo non bastano alcuni maestri inviati, pagati con grave sacrificio dello Stato, fatte le debite eccezioni, più che ad altro, più che a mantenere vivo fra que' popoli il sentimento e 1' amore d' Italia, pra- ticamente a distrarlo. Nel primo dei due volumi havvi anche un capitolo, in cui si parla del vero autore della Imitazione dì Cristo, e che sembra ora sciolta, attril)uendone il merito non a Tommaso da Kempis che fu, l'amanuense di un antico esem- j)hire, sibbene a Giovanni Gersen di Cavaglià diocesi di l)ieUa, (quarto abbate che fu, dopo Ugone, Giovanni Scoto, Robaldo, nel 1230 del monastero di Santo Stefano di Ver- celli, secondo l'elenco esibitoci dall'eruditissimo Mons. Ignazio della Chiesa, il quale registrando questo nome, come di cosa j;ià provata, soggiunge : Qtà eruditìRSinumi tractactimi de ImUatione Ch?'isti composuU. E il Conti, con nuovi argo- menti e con r autorità pure di scrii lori non nostri, o per ispirito nazionale o di famiglia religiosa inclinati ad attri- buirlo alla Francia, alla Germania, all'ordine dei Canonici Regolari, dimostra ciò stesso. Agli autorevoli giudizi, addotti dal Conti, aggiugnerò quello di Apostolo Zeno, che scrivendo al Bibliotecario Peristani (Tomo XI p. 400) accenna: il codice del libro de Imitatione Christi scritto in carta pecora è pregevole perchè p074a la data del 1436, e per conseguenza anteriore a quello del 1441 per manus Thomae a Kenipis; poiché con la pìHma data si viene a sapere che il Kempis n era stato il copista e non V aìdore {^). Perdonate, o riveriti colleghi, se innamorato, come sono, di tutto che può valere a gloria della nostra Patria, mi })iac([ue di toccare anche questo argomento, con molta eru- dizione discusso neir opera del nostro filosofo e storico. — Siamo ricchi, è vero ; ma non dol)biamo poi troppo alla leggiera fare spreco di ciò che Jie ap})artenga. Anche circa (1) Nel tempio di Caraglià. de' più ricchi e belli della diocesi di Biella a" 28 Ottobre 1574 inaugui'avasi al pio Scrittore della Imita- zione di Cristo coir intervento di 6 Vescovi, di Clero e Popolo nume- rosissimo, scolpita in marmo, la effigie del Gersen con la seguente iscrizione dettata dal Vallauri : JOANNI GERSEN CABALLIACENSES POPUI.ARI STO IMMORTALI HONORIS CATSA PP. AN. MDCCC LXXIV. Stanipavasi anche il discorso iccitato in (|uel di solenne (Ivrea Tipogr. del Seminario), che fu tradotto in Francese da M. l'abbè Ci'O- set-Mouchet. (14) [8] la interminabile contesa della invenzione dei caratteri mo- bili pareva che la lite fosse decisa; ma il dotto Prefetto della Biblioteca di Brera sorse a dimostrare come si man- tenga nel suo pieno vigore. Il fatto od ammaestramento primo darà certo ragione ad una delle parti; ma nelle que- stioni intricatissime trovarli e renderli certi ed evidenti costa molta e molta fatica. LA COSTITUZIONE DEL 23 DICEMBRE 1876 DELL'IIVIPERO OTTOMANO 1-: LA DIPLOMAZIA EUROPEA. PARTE PRIMA. DEL M. E. G. P. TOLOMEI Era il giorno 23 dicembre 1876 dell'era cristiana stile latino — e 11 dicembre stile russo, e 7 Zilhidiè 1293 del- l'egira turca, quando la Conferenza plenaria dei rappresen- tanti delle sette grandi potenze di Europa, reclamata dalla Inghilterra, teneva la prima sua seduta in Costantinopoli, sotto la presidenza del ministro degli affari esteri della Turchia, \)ei' deliberare sui provvedimenti da prendersi a pacificare le provincie turche della Erzegovina, della Bosnia e della Bulgaria già insorte contro il governo turco, e a fissare il componimento pacifico di questo colla Serbia e il Montegro in guerra. In breve : si trattava di determinare, prendendo però per base l'integrità dell'impero ottomano, le guarentigie che 1' Europa, la quale ammise nel suo consorzio la Turchia, le domandava per un' amministrazione interna migliore, e pel pacifico vivere dei cristiani a petto dei mus- sulmani. — Domande, alle quali cercava di sottrarsi il go- verno turco, facendo le viste di proclamare da se in modo spontaneo ed indipendente le riforme, alle quali però la di- plomazia europea non prestava fiducia. (10) [2] Non appena il presidente della Conferenza fece il suo discorso di apertura, ed i congregati passarono a discutere sulla proposta di un armistizio fra la Turchia e gli Stati in guerra con essa, si ode un rumore di salve di artiglieria, di trombe e di trombette, di battimani e di acclamazioni, che desta la sorpresa e la meraviglia dei congregati. — Signori, disse loro il ministro turco presidente, è un grande atto, che si compie in quest'ora medesima, e che muta la forma del governo che durò da seicento anni. La Costituzione, che S. M. il Sultano dà al suo impero, è promulgata. Con essa egli inaugura un' era novella alla felicità de' suoi popoli. Ed invero in quell'ora presso la sublime Porta il nuovo gran-vizir Midhat pascià, capo della giovane Turchia, alla presenza del Meikh-ul-islam, e di tutti gli altri ministri, dei muscir, degli ulemi, dei patriarchi appositamente colà raccolti, diede lettura del Khatt imperiale promulgante la Costituzione. Questa fu redata e pubblicata in lingua otto- mana ; ma contemporaneamente, per opera dell'ufficio degli interpreti della sublime Porta, fu tradotta in francese, e in francese comunicata agli ambasciatori. Doveva conside- rarsi il compimento della grande riforma, detta alla turca il tanzìmat, che principiata nel 1839 veniva innanzi poco a poco con atti sovrani isolati ad introdurre possibilmente, od almeno dichiarando d' introdurre in quell' impero i pen- samenti e le forme europee. All'annunzio, che il ministro turco diede ai diplomatici congregati nella Conferenza, questi non fecero il plauso, ch'egli attendeva. In quella vece concordi ebbero a dichia- rargli che assai bell'atto era quello della Costituzione ; ma perchè una Costituzione possa dare i suoi frutti, essere ne- cessaria la pace, la quale ottenere non si può che coli' ac- cordo delle potenze nella Conferenza ; e l'accordo non po- tersi conseguire, se le cagioni delle querele delle popola- zioni non siano tolte. Dalle quali osservazioni dei diplomatici, rappresentanti (Ielle grandi poteii/c dell' iMiropa, si i-ilcva (die la diplo- iiia/.ia cMii'ojx'a non [loncva in ((ludla ("osiitii/ioiic t.iitta la lìducia, (die l" iuipt'i'o ottoiiiaiio olLeiicsse })0i' essa la iiiiei'iia tran({uillità e la pace delle sue po{)()lazioni, né colle [uì- tenze cristiane l'accordo perfetto. Diedei'o essi nel segno i diplomatici eiiroiìoi ? La Costiluzioiic, clic il Sultano ac- cordava al suo impero ei-a <> no adesso appropi-iata ? Con altre pai'ole, erano matui-e (pudle popola/ioni ad una Co- stituzione, (|uale era la puhhlicala ? — I Sultani, che diedero opera al Idìizimat, o})inarono che ginnger si })otesse a dare leggi e a fissare istituzioni, le quali dovessero rigenerare r impero, emancipando ed assimilando completamente le razze così, che l'idea attribuita Madmoud divenisse un fatto, e cioè che il musulmano si riconoscesse alla moschea, il cri- stiano alla chiesa, e l'ebreo alla sinagoga. — Ma l'impero ottonuino può desso l'igenerarsi colle costituzioni europee? Il governo turco insiste con atti uftiziali nell' affermativa, convinto che il cherì (la legge religiosa derivante dal co- rano e dalla tradizione (sunna) risultante dai fatti e dai detti del profeta tramandati alla posterità dai compagni e dis(;epoli di lui, non si oppone alla introduzione delle nuove istituzioni ; e la Costituzione contiene in sé le disposizioni efficaci ad attuarla, avvegnaché siano materia del qnoun- namèt, e cioè di legge politica di piena libera podestà del Sultano. — ^la la diplomazia europea ne dubitò e ne dubita. — Laonde, vista la importanza che le interne condizioni di (iuell'impero hanno sulla questione di Oriente, la quale tanto dà da pensare e da fare ad essa diplomazia, non v' incresca, o colleghi, che io vi esponga per oggi in sunto l' indole e la natura di quella Costituzione, riservandomi di darne con altre letture le speciali particolareggiate disposizioni. Anche dal semplice sunto voi rileverete, o colleghi, che per poco tempo, e con grandi sforzi, in poca pai'te la si poteva eseguire, onde la sospensione doveva necessaria- mente verificarsi. E la sospensione avvenne nel fatto poco dopo il 1877, si che nel fatto può oggi dirsi abolita. Ed (18) [4] invero, fino dalle prime sedute del Parlamento, la grande maggioranza, eletta sotto l'influenza degli ulema, si lasciava guidare dal partito religioso retrogrado, e troncava ogni discussione su qualunque proposta di progresso gridando : questa cosa è contraria alla legge del cherl. Non è possi- bile dunque un Parlamento a simili condizioni. La Costituzione consta di 117 articoli. Stabilisce dap- prima il significato della parola ufficiale « impero ottomano, » e dichiara quale debba essere nella sua vera comprensione anche odierna, stabilendo le autorità, cui ne spetti il go- verno religioso e civile (art. 1-7). — Poi determina il diritto pubblico degli ottomani (art. 8 al 26). Fissa le attribuzioni dei ministri (art. 27-38) ; e quelle dei funzionari pubblici (art. 39-41). — Passa indi a trattare dell'assemblea generale, da conA'Ocarsi per gli aff'ari legislativi (art. 42-59); e la di- vide nel Senato (art. 60-64) e nella Camera dei Deputati (art. 65-80), dichiarando di chi si componga quello, di chi questa e quali le rispettive attribuzioni. Vengono dap- poi il potere giudiziario (art. 81-91) ed in particolare l'Alta Corte di giustizia (art. 92-95). Vi tiene dietro la materia della Finanza (art. 96-107). Poscia si aggira intorno alla amministrazione provinciale (art. 108-112); e chiudesi con un titolo generico di esposizioni, che danno al Governo al- cuni poteri affatto speciali, ma che specifica determinata- mente. Tal' è la distribuzione della materia, che ne forma il soggetto. L' Inghilterra e la Francia ne somministrarono il mo- dello. — Ed eccone il risultato: indivisibilità dello impero = irresponsabilità del Sovrano = con lui un'assemblea compo- sta dei sudditi d'ogni razza e d'ogni religione, che fa con esso le leggi e crea le istituzioni. — Eguaglianza di tutti i sudditi dinanzi alle leggi. — Tutti chiamati indistintamente alle pub- bliche funzioni, secondo il merito e le loro attitudini. — In- violabilità della libertà individuale e del domicilio. — Aboli- zione della confisca e della tortura e dei o-ravissimi oneri [.V| (1'.)) personali. — Libertà doli' insegiuiiueiito. — liidiponden/.a completa dell'ordine giudiziario. — Dicentraniento dell'ammi- strazione provinciale =^ pareggio del bilancio = e si via nel- Tapplicazione dei più liberali principii, che possono essere vagheggiati da un popolo della piìi alta civiltà ed educato alla libertà nel vivere civile. Ciò basta a dimostrare, (die la di[)l()iuazia cnii-opea aveva ragione a dubitare che simiU' Cosiitnzione sia adatta all'at- tuale impero ottomano. E l'esposizione, che tarò in seguito, delle speciali disposizioni le quali attuano lo massime di sopra riportate darà tanto più la confernui dei dub[)i. T. tv, S. VII ALCUNE OSSERVAZIONI SULL'USO DEL PRINCIPIO 01 HAMILTON COMUNICAZIONE DEL s. G. ERNESTO PADOVA Il mio egregio amico prof. Vito Volterra mi ha fatto osservare che le variabili s e 0-, da me usate nella Nota : « Moto di U7i cono circolare pesante che 7'otola sopra un plano inclinato'», inserita nel primo volume della VII serie degli Atti di questo r. Istituto, non determinano, come là asserivo, la posizione del cono mobile. Basta infatti per convincersene, dare ad s ed a %- un aumento finito a par- tire da un determinato sistema di valori Sq , d-Q per vedere che ai valori Sq -\- .s, , O-q -|- S-i corrisponderanno due distinte posizioni del cono, secondochè si farà crescere prima l'una oppure r altra variabile. Le quantità s e d- non possono quindi considerarsi come coordinate generali o lagrangiane, come quantità cioè dalle ([uali si possano fare dipendere univocamente le coordinate dei punti del sistema, e per conseguenza non è lecito applicare senz' altro il principio di Hamilton alla determinazione delle equazioni del moto del cono. Questa osservazione giustissima non infirma percS mini- mamente i risultati cui son giunto, né la soluzione da me data di quel problema; ma pone bensì in rilievo hi neces- sità di fare, in questo caso ed in altri analoghi, alcune m [2] speciali considerazioni, che legittimino V a})plicazione del principio di Hamilton. É dessa quindi perfettamente ana- loga alla obbiezione mossa da J. W. Stri'tt e L. Boltz- MANN a Thomson e Tait, i quali nel loro Trattato di Filosofia naturale avevano applicato il principio di Hamilton alla determinazione del moto di un corpo solido in un fluido, senza mostrare prima che ciò era lecito anche in quel caso (Vedasi il § 331 della traduzione tedesca dell' opera di Thomsom e Tait «Handbuch der theoretùchen Physik-»). Dimostrerò ora che effettivamente si poteva far uso nel caso mio del principio di Hamilton, provando che esso vale anche quando le variabili introdotte sieno tali che per esse non possano aversi espresse tutte le coordinate dei punti, purché sieno soddisfatte certe condizioni. Riprendiamo per ciò l'equazione generale, dalla quale si deduce il principio di Hamilton : (1) J^*(5T + U0f?^= 2.»,«o^, + i/V:j/, + y/:j,)|^ , ove T è la forza viva, U' il lavoro fatto dalle forze per lo spostamento oXi , 5^^ , 5^,- , m^ sono le masse dei i)unti del sistema, che occupano le posizioni di coordinate oCi, i/i , Zi. Se tanto BT quanto V' ed il secondo membro della (1) pos- sono esprimersi per mezzo di certe variabili fra loro in- dipendenti Qi , Qo , . . ., c/m , delle loro variazioni e delle de- ]• ivate l'apporto al tempo di tutte queste quantità, se inoltre ad una variazione delle q corrisponde uno spostamento del sistema e viceversa ad ogni spostamento un sistema di va- lori delle 5^ ; supposte determinate le posizioni del sistema corrispondenti ai tempi toetie finalmente 5T ed U'' espresse sotto la forma 5T = ::, (A,5ry, + B,V.) , V' = I.,Q,oq, , si otterrà senza difficoltà dalla (1) [3] C^-i) la quale non può essere soddisfatta per ([ualisivogliano va- loi'i delle oqi , a meno che non sieno separatamente nulli i coefficienti delle differenti Òq . Si vede quindi che, per ot- tenere le stesse e(iuazioni, che si hanno coU'applicazione del princii)io di Hamilton, basta che U' , oT e H Wi {oc'ìZ3Cì-\-i/ì oi/i-^z'i oZi) sieno esprimibili })er le "sole q, q , oq , ùq\ Questo è appunto il caso, che si presenta nel problema del moto di un cono, che ruzzola sopra un piano inclinato, quando si consideri sotto 1' aspetto, che gli ho dato nella citata mia Nota. Otterremo dunque per quella via le equa- zioni, che ci serviranno a determinare in funzione del tempo le variabili ^ ed s e per conseguenza il movimento sul piano della generatrice di contatto. Ma risoluto questo pro- blema sarà determinato il movimento del cono, poiché si conosceranno gli aumenti (1%- , eh delle nostre variabili cor- rispondenti air aumento dt del tempo, e quindi le compo- nenti del moto di ciascun punto del cono ; ne l'ordine, nel (piale si faranno variare sex)-, avrà influenza sul risultato, perchè si tratta di moti infinitesimi, e quindi, partendo da una posizione iniziale si potranno avere tutte le successive posizioni dei punti del cono. UN PESO ROMANO DEL B^SSO Il^FERO E LE ULTIME SCOPERTE CONCORDIESI DEL s. c. DARIO BERTOLINI I più dotti meti'ologi, sulla fede di W. Aiir. Vittore, attribuiscono l'introduzione, o, meglio forse, la fissazione ed il controllo dei })esi e delle misure in Roma a Servio Tullio (1). Certo questo grande novatore non poteva trascurare un tale provvedimento, necessario pei' agevolare i commerci ed impedire le frodi fra quell'accozzaglia di genti d'ogni fatta e d' ogni conio che 1' asilo aperto da Romolo aveva attirato alla nuova città. L'unità ponderale adottata da lui fu l'asse [as) e gli scrittori romani ci trauiandarono uiolto circostanziate no- zioni sui nomi dei multipli e subniultipli di esso, e da questo lato nulla ci resta a desiderare. Ma il problema che tuttavia è insoluto, od almeno non sicuramente soluto, è il ragguaglio del peso romano con ({uelli de' giorni nostri ed in ispecie col metrico, che è omai uenerale. (1) mensunis, pondera, classes, centuriasque constituit. (26) [2] Nei Musei ri" antichità fi^ui'aiio è vero molti pesi di bronzo, di piombo, di marmo e di pietra : ma sia per la negligenza dell' artefice, sia per la materia soggetta a mag- gior o minor alterazione, a seconda del terreno in cui gia- que, sia perchè que' pezzi rappresentano piuttosto il peso locale che il romano, fatto è che da essi non si può rica- vare un dato sicuro. 11 Cagnazzi, sopra cinque pesi di serpentino del Museo Borbonico, conservati assai bene, ragguagliò l'asse romano a gr. 325,8, desumendolo dalla media di quattro decussi perfetti ed un dupondio non meno perfetto (i). E poco al disotto (gr. 325.30) lo porterebbe la media dei due pesi rinvenuti in Spagna e pubblicati dal eh. Hiibner, r uno di serpentino con manico di bronzo segnato L. (50), r altro di bronzo segnato X (10). Giusta i pesi del Museo Kircheriano portanti il segno di una libbra o de' suoi multipli o summultipli, de' quali il P. Garrucci ha dato contezza nella Civiltà Cattolica del 15 Marzo 1884, 1' asse corrisponde in media a gr. 333 ; ma un campione in bronzo da lui accuratamente descritto (2) sale a gr. 323,21 ; mentre altri campioni, secondo quanto egli stesso avverte, non montano che a gr. 313. Un altro peso-tipo pure in bronzo, pubblicato dal Sig. (1) Cfr. CaCtKAzzi, Sui valori delle misure e dei pesi. Napoli, 1825. (2) Bronzo sferico schiacciato che sulla parte piana porta incassate le lettere AA in argento ed in giro la scritta f)N_lVSTlNIANO PER? AV(t P]XA(t FACT SV R V ILLS PhOCA PRAEF PRAET EX CONSAC PATRIO D{ominoJ Nf ostro) Justiniano perpCetuo) AugfustoJ exagfium) facl(umj sub Vfiro) ill(ujsftri) Phoca praeffectoj prael(orii) ex consftilej art patric(io) S(enaiorc) ; \ale a dire f^?r!/uV)ne fatto imperante Giustiniano perpetuo Augusto sotto la vigilanza dell' illustre personaggio Foca pre- fetto del pretorio ex console e patricio Senatore. La controlleria non poteva essere piìi aulorevole. Liiio-i Celsi nel Bull, di Coìr. Arch. del 1870 p. ^U-V-l l'agguaglia la libbra a gì: .'318; mentre quello descritto dal P. L. Bruzza nelle Iscrizioni Vercellesi (p. 199 e seg.) la farebbe eguale a gr. 381,40 (i). In tanta varietà tornava impossibile lo stabilire con questi mezzi qual fosse veramente il }»eso ufficiale dell'asse. Quindi gli studiosi della romana meti'ologia reputarono di })oter meglio riuscire all' intento giovandosi delle monete, il cui valore doveva necessariamente essere in corrispon- denza col peso. Si esclusero però a priori dal calcolo le monete di metallo non nobile nelle quali si riscontravano le più capricciose divergenze (2). 11 costo commerciale dei metalli nobili, per contrario, rendeva sicuri che il pezzo monetato aveva il valore cor- rispettivo del suo peso e quindi che il rapporto di questo air asse liljrale doveva esserne la veritiera misura. Ed in- fatti, limitata l' indagine alle monete d'oro, siccome le più preziose e perciò quelle in cui si doveva tener conto scru- l)oloso della quantità di metallo che tornava necessario nella loro coniazione, si riscontrarono fra esse incalcolabili diffe- renze, per cui si ebbe la conferma del supposto, fornir esse il criterio più tranquillante per il ragguaglio del peso ro- mano col metrico. 11 Letronne, che pi'imo forse escogitò questo mezzo e ne ha fatto l'applicazione ed è fi'a tutti quello le cui conclu- sioni tornarono più generalmente accette, aveva accertato che i pezzi d'oro monetati, tanto ai tempi della repubblica (I) E un quadrans in bronzo segnato nella parte piana superiore 111 e pesa gr, 82.85. A-N (2) A tacere di tanti altri, nell' articolo « Archeologia » pubblicato dalla Civiltà Cattolica nel quaderno 21 Novembre 1891 p. 473 e segg. si parla d'un asse librale, appartenente alla serie HATRIA, e, fattane la descrizione, si aggiunge: « quanto al peso i due kircheriani danno l'uno gr. 410 e l'altro 392.12, il nostro (l'illustrato) 316 gr., quello della collezione del duca di Blacas gr. 385.25. » m [4] come dell' impero, offerivano fra loro un divario il quale non andava al di là del mezzo grano di Parigi per scrupolo. E volendo pur evitare nel calcolo le conseguenze anche di questa minima differenza, pesò insieme 27 aurei della re- pubblica e poi 27 soldi di Costantino, e gli uni e gli altri della miglior conservazione, e ne ricavò dai primi il peso dello scrupolo in grani 21,34 e dagli altri in grani 21,396 e sulla media di 21,368, fissò la libbra in grani 6154, pari a grammi 327. Altri si argomentò di venire a risultati più precisi mettendo a calcolo il peso di ciascuno dei pezzi da lui ag- gruppati e ricavando la media non dei gruppi, ma dei sin- goli pezzi e con tale spediente si ebbe la libbra di 6165 grani di Parigi, pari a grammi 327.45. Il Mommsen, il quale anche in questi studi ò d' una incontestabile competenza, valendosi degli aurei campano- romani, r ha fissata invece a gr. 327.508 ; ma non ostante accetta come più prossimo al vero il ragguaglio di grammi 327.45, che è pur adottato dai più recenti trattatisti di me- trologia antica V Hultsch ed il Nissen, essendo general- mente ammesso che la libbra romana non potrà mai stare al disotto di questo dato ne superarlo di più di mezzo grammo. Ma tali deduzioni indirette, seì)bene logicamente severe, potendo sul)ire pel fatto qualche modificazione, non rendono vano o superfluo il sottoporre allo studio ed il por- tare a conoscenza del pubblico quei pezzi ponderali che, non offerendo alcun indizio di alterazione, si scostano no- tevolmente dalla norma cosi stabilita. Fra questi uno ve n* ha nella coUezicnie dei Co. Con- cina di San Daniele del Friuli, - che mi fu indicato dall'egr. doti Vincenzo Joppi e che per cortesia del Co. Corrado di Concina ho potuto vedere e controllare, - l)en degno di con- siderazione. E un pezzo rettangolare di rame col lato di mm. 28X^6, alto mm. 11 il quale sulla faccia superiore in lettere incrostate d' argento porta scritto (-.)) La sua conservazione è perfetta e non ha che una piccola corrosione sur uno spigolo al di sotto, la quale può rappresentare una assai tenue frazione di grammo. Questo peso appartiene all'epoca Costantiniana. In fatti è notorio che Costantino, indotto dallo scredito in cui era caduta la monetazione imperiale per 1' alterazione del peso e la sofisticazione del metallo, subita nel secolo 111, stabili clie la libbra d' oro fosse la norma d' ogni valutazione e fla essa si ricavassero 72 pezzi eguali, che, monetati, volle si chiamassero soldi, a fine di evitare alla nuova valuta, anche col nome, la sfiducia invalsa nel pubblico per Vau- reus cesareo. Al piede della valuta venne ridotto pur quello del peso e la libbra non andò più divisa in 12 oncie, ma in settanta due soldi, sei dei quali corrispondono quindi ad un oncia; per cui il peso della collezione Concina equivale a tre oncie e sei silique ; ed essendo ciascuna di queste la 144^ parte dell' oncia, le sei silique corrispondono al suo 24° vale a dii-e ad uno scrupolo. Uitenuta adunque la libbra di grammi H27,45, quel peso dovrebbe elevarsi a gr. 8."^, e cioè gr. 81,864 per le tre oncie e gr. 1,1'37 pello scrupolo. In (quella vece non è che gr. 77,60, e quindi la lil)bra corrispondente soli gr. 306,14 ; quasi di un oncia inferiore alla normale. E non si può lasciar inavvertita la circostanza che in questo pezzo si è tenuto conto perfino dello scrupolo; onde abbiamo (30) [fi] la sicurezza che si procedette colla maggior possiljile esat- tezza al suo controllo e che perciò ci troviamo tra mano uno di quei pesi i quali meritano una speciale considera- zione nel ragguaglio della lihbra romana al peso metrico. Pertanto, 1' avvertita anormalità dal dato, con tanto studio e cura stabilito dai metrologi, m' ha indotto a supporre che possa desso appartenere ad un sistema ponderale diverso, in uso fra noi. Ma ad avvalorare l' ipotesi tornava neces- sario che altri pesi della regione ci fornissero dati se non perfettamente eguali, almeno approssimativi. E prim(j fra tutti quello del Museo Correr, descritto dal Lazzari nelle Notizie delle opere d'arte e d'antichità, perchè pur trovato in San Daniele del Friuli. E una piastrella quadrangolare di bronzo che porta incrostate in argento sur una faccia le parole D D XN LEONE sulF altra CAECIXADECI ET IVL MAIORI VS BASILIVS AN PP AAGG PP FECIT per indicarci coli" una il consolato degli imperatori Leone e Maioriano (= all'anno 458 di Cr.) come la data in cui, secondo l'altra, il prefetto del pretorio, Cecina Decio Basilio, ha fatto controllare, suppongo, questo peso. Il Lazzari, aven- dolo trovato alla bilancia metrica gr. 3.82, lo ritenne una sestula, pel confronto con quelle del Museo Kircheriano pub- blicate dal Garucci negli Annali di Nmnismatica del Fio- relli, che dai gr. 3,15 vanno ai 3.95. Il Mommsen lo di- chiara un exagiimi, un campione, (cfr. CIL. V, 8119, 2) e si conviene assai meglio col fecit, che verrebbe a dirci fatto sotto la vigilanza del prefetto del pretorio, o di sua autorizzazione, ex autOìHtate, come sta scritto sul peso 8119, 1. Sempre però si tratterebbe di una sestula che è la sesta parte dell'oncia, la settantaduesima di una libbra, - il soldo Costantiniano - ; di conseguenza, sulla base di questa piasi l'clla la lilììira si l'ai^^uaf^lia a ^i-. ^To.O { ; poco })iiì cÀoè (li (licci oiicie normali. (•) l'ii altro pezzo de^-no di attenzione è il })eso di pioiidx) ti'(»\ato in un orto vicino ad Oderzo e depositato in quel Museo. È anch'esso di forma (juadrata di mm. 58 di lato, con impronta di tìgnre e di lettere rilevate sulle due faccie coperte di bellissima patina, e ne unisco il disegno del quale vo debitore alla cortesia del sopraintendente di quel Museo r e-r, (I) Il Cortinovis, che primo ha portato a notizia del pubblico que- sta piastretta nella lettera a Spiridione Minotto, la qualificò per una lesserà, persuaso dalla forma di essa e dalla parola fecit, con cui si chiude la scritta, la quale non può aver per soggetto il prefetto del pretoi'io, ove si tratti di un peso. E 1' avvertito suo divario dal peso normale, essendo in ogni parte perfetta, rende più probabile la sua congettura ; la quale però non può in tutto venir approvata, volendo egli ritenerla come una di quelle che si costumava di seppellire nelle fondamenta delle fabbriche a memoria della data e dell'autore della costruzione. Vi si oppone infatti la tenuità del suo volume e la faci- lità della corrosione delle laminette argentee sulle quali è segnata l'epigrafe. Piia verosimile, a mio credere, sarebbe 1' ascriverla a quelle con cui venivano accompagnati i doni presentati in teatro da chi dava gli spettacoli a taluni degli spettatori : « dona jìer tesserulns separatim l'iris et separatim mulieribus in Theatro et in circo dedit » (Dion. Cass. in Adriano). Un' altra tessera, pure interessante, figura nel Museo Civico vicino a questa e la ritengo d'aquisto relativamente recente ; perchè non de- scritta nel lavoro del Lazzari ; ma se ne ignora la provenienza. E pur dessa una piastretta di rame di mm. 21x20 di lato e dello spessore di mm. 4. Sulla faccia superiore ha delineati a graffito i busti di due santi di fronte col nimbo intorno alla testa e la faccia di lamina d'ar- gento. Sopra le due teste è incisa una croce latina. Sotto il busto a sinistra del riguardante è incrostato un B e sotto quello a dritta un @ in argento. Ai fianchi delle lettere sono tracciati due ovali a doppio contorno, l'esterno a linea continuata, l'interno a punteggiata. Pesa gr. 15,40, per cui non può ritenersi un peso, superando la semuncia di quasi due grammi. (32) m ' ..-,.T-H -%, ^-:-,^V ^Vs^ «-' IVI, <cna al violatore del sepolcro; il ('0[n] TVLIT, per stare in consonanza col l'esto, non può avere che il significato di jìt^escrisse : ma i lessici non ce lo danno, né credo che ^li si possa attribuire sulT auioi-ità di (juesto marmo. Un arca della materia e della forma, delle più antiche del sei)olcreto [)orta scoli)ito in caratt(>i-i del buon temiu) P SAEPIO EVFRATE SAEPIA LEONTIS PATRI E ((uesta fra le Concordiesi 1' iscrizione pii'i sobria e della più pura e classica latinità. I nomi Saepnis e Saepia non trovano riscontro nella regione decima, avendosi in vece Seppius e Seppia nei titoli 1941, 1947 e 2016 nonché nel tegolo 8110, 407. Questo divario d'ortografia può di- })endere semplicemente dalla differenza della pronuncia da luogo a luogo. Il Leontìs invece, nome del marito della Sepia, compare forse per la prima volta. (Ui scavi del Luglio hanno messo all'aperto, con molti materiali laterizii, alquanti massi di pietra e il fondo d'un arca grandiosa in marmo bianco, due tombe modeste, con epigrafi pur notevoli per la loro semplicità. L'una è CATTIAE HERMAIDI QUAE YIXIT ANN li • M • VIII PARENTES L' altra s^ERATIAE . . EMMIAE A^ERE CYNDAE MATRI PIENTISS ANTONA .... VCERFILIYS m [14] Le lacune derivano dalle corrosioni fatte .sulla pietra dalle intemperie. E facile però il riempierle debitamente ; [n'jeratiae \jìi]emraiae Verecundae matri pientissiwae Av- ton(ius) M(arci) F(ilius) Macer Films. Dallo ste-sso escavo è pur derivato questo brano epigrafico EV ET • Al[ ADQVEPIE] CONIVOIINCbATJA ''jjii^i e vari pezzi d'una iscrizione cbe faceva parte di una gran- diosa arca in marmo, (forse quella di cui si è trovato l'in- tero fondo) e ai lati aveva i soliti geni colla face a terra. Riporto anche questi frammentelli che dispongo secondo quanto mi è indicato dalla grandezza dei caratteri e dai contorni r^i a N'i ILiXj' IFÌ Lungo il percoi-so dell'antica strada Annia da Concordia al Tagliamento, che con cura diligente fu rilevato dall'Ing. Giovanni Del Prà, assistito dall'esperto Giacomo Stringhetta, e da me descritto nella relazione alla Commissione per la topografia romana del Veneto del 1884, si sono trovate non so precisar quando, le seguenti lapidi [15] m \0R • TV • NA • I VrEC • TO • HI JME • AE /VN • DI • NE È incisa s()[»i'a una lastroUa di mai'iiK) rosso dello spes- sore di 4 cent, eoii caratteri di liiion taglio al({iianto al- lungati, punteggiati ad ogni sillaba. Dovrebbe ritenersi un \oU) alla Fortuna, ma non si può farne sul contenuto al- cuna sicura deduzione. D M AEMILIUS lOVINV S QVI VIXIT ANNOS Erodai'ono. Anzi lo slesso Monimsen, al quali» mi sou(j l'i- volto pei' a\(M' lume, con la cortesia che gli è abituale, mi scriveva il 'i."^ Settembre che « documenti e[>igi'ati('i di co- tale munizione altri forse non esistono o se esistono non li conosco •». Mi additava però come aventi con questo una (gualche analogia il brano « vexillationes. Leg. IL piae et (42) [18] /// Concordiae . p8(f. ce sub cura P. Aell Amyntani », del- l' epigrafe CIL. Ili, 1980; e quella del Voi. Vili 630 D • FLORINI I P • XXII, che si legge C(enturia) Fiorini p(edes) XXII. Ma certo è .sfuggita alla sua pi'odigiosa memoria la lapide di Grange, che mi fu additata dal eh. R. Mowat e figura nel \oì. XII del CIL. al n.° 1243 ; la quale, per la quasi identità colla Concordiese, e perchè, a giudizio del- l'illustre Otto Hirschfeld, compilatore di (^uel volume, anche in essa de opere viae refìciendae agi ex loco, ubi tìhdus repertus est, verisimile fU, iroxo o})})ortuno di (|ui riferire : OP • PAGI MINERVI P • D <=L X op(us) pagi Minerri p(edes) seicenti sexaginta. In tal guisa possiamo completare la nostra nella quale si ommise, forse come superflua, la voce opus. Comunque sia il cippo che in qm\sti giorni è venuto ad accrescere il materiale scientifico del Museo di Concordia, ha una singolare im- portanza, sia per la rarità di simili documenti, sia per la nozione topografica che ci presenta. Anche il nome di questo pago office un prohlema degno di studio. Qual è in fatti il caso retto del nome FaCanis? è desso una voce latina o non deriva piuttosto dal linguag- gi(j della popolazione che aiutala in questi luoghi prima della deduzione della colonia ? — Il Mommsen, riconoscen- done la stranezza, duluta della sua latinità. 11 Mowat, che degli studi filologici, in ispecie delle lingue galliche, è esper- tissimo, dice del tutto nuovo il genetivo Facanis. «Le voci galliche comprendenti un F. sono assai rare di guisa che alcuni cataloghi lianno negato I' esistenza di questa lettera nell'alfaheto gallico. Io però ho loro obliiettato il MAVFE- XIA^S leggenda d' una moneta gallica. Questa rarità della lettera F rende assai ditìicile il trovar qualche esempio che 11!)] (43) spulili il FArAXI8,(iuiii(li io |.r()|i()i-ivi di lof^gere FAGAXIS ((;f. laeics et lagicna) a fine di legarlo con fagus tanto più che voi stesso mi citate il nome del villaggio attuale P'A- GAGNA. Il pago avrebbe allora ricevuto il nome dalla sua condizione forestale. Il faggio s})iega il nome del popolo Fagitulani, come la quercia (juello di Quequerlulani del Lazio di cui parla Plinio. In somuia credo più facile nel caso attuale ricorrere al latino che al celtico. Quando tornerò a Parigi riesaminerò la questione coli' aiuto dei libri necessari ». Cosi mi scriveva il 26 Settembre da Chalet Delacroix Mers (Somme) dove si trovava in villeg- giatura i»rivo di tutti i suoi libri e di tutti gli altri aiuti della erudizione filologica. Io per me la credetti sulle prime una voce derivata dal Celtico linguaggio ; ma nel dubbio ho voluto riportarmi al giudizio di questi valenti filologi e non appena potrò avere dal Mowat una soluzione soddisfacente sarò ben lieto di comunicarla a quest' illustre Istituto. i^ :E=i=E3sr iDiCE NOTA DEI PESI ROMANI IDEL nytXJSEO G01>TGOR.IDIESE a) In pietra. 1. Cono tronco elittico rovescio, alquanto guasto sulla faccia su})eriore che jìorta incisi quattro jìunti, al di sotto un po' scodellato e scheggiato ([ua e colà. . . gr. 10o.2!) 2. Cono tronco elittico rovescio, alquanto guasto per scheggiature, molto scodellato al di sotto » 154. — 3. Palla a due coni tronchi uniti alle basi, r inferioi-e più basso, ben conservata. . » Kid.lT 4. Alti'a di fornux eguale non meno Ijen conservata » 174.95 5. Palla mozzata sopra e sotto, senza notevoli C P difetti, segnata sulla faccia superioi'e ^ forse C(oncordieusis) P(oii(lo) S(emis) . . » 1.S2.25 6. Palla a due coni tronchi uniti alle basi, r inferiore })iù largo e più basso, senza difetti notevoli » 204.()4 7. Cono elittico rovescio scodellato al di sotto con scheggiature qua e colà di poco momento e nella faccia superiore la pioui- batura del manico a doppio filo ...» 293. — S. Palla iiio/zala s()|>i'a e soMo con un ^i-osso inulto nel mezzo della faccia superiore . gr. 327.29 9. Palla mozzata so})i'a e sotto con un I incavato sulla facezia suiìeriore, scodellata alquanto di sotto e un po' scheggiata . » 329.r) 3069. — (46) 23. 24. 25. 20 [22] 28. 29. 30. 31. 32 Cono tronco elittico rovescio, coi resti del manico di ferro piond)ati, scheggiato alquanto gr. Pezzo di pietra nero-grigia di forma ovale schiacciata sopra e sotto, segnata X, con lieve scodellatura e senza difetti ...» Palla mozzata sopra e sotto coi mozziconi piombati del manico di ferro, un po' sco- dellata e qualche piccola scheggiatura, segnata XX fra i mozziconi del manico . » Cono tronco elittico rovescio e rastremato nell'orlo superiore coi mozziconi piombati del manico di ferro con guasti notevoli . » Palla mozzata sopra e sotto coi resti del manico di ferro piombati, scodellata di sotto e nel resto ben conservata ...» Cono tronco elittico e rovescio, coi moz- ziconi del manico di ferro piombati, sco- dellato e scheggiato alquanto .... » Palla mozzata sopra e sotto coi mozziconi piombati di due manichi di ferro disposti a croce, segnato L, scodellato e scheggiato alquanto » Cono elittico tronco e rovescio coi mozzi- coni piombati del manico di ferro un po' scheggiato agii orli » Palla mozzata sopra e sotto coi mozziconi piombati del manico di ferro a due fili, senza difetti notevoli » Palla mozzata sopra e sotto con i mozzi- coni del manico in ferro piombati, con doppia concavità al di sotto ed un incavo rilevante all' orlo » Palla mozzata sopra e sotto cogli incavi pel manico vuoti, meno un po' di piom1)o in uno, scodellata alquanto e scheggiata. » 3100. 3242 6292.— 8725.— 9410.— 9450.- 15700. 15820.— 15860. 28700.— 28900,— [:^:>:i (17) A ([Ut'sti pozzi (li cui si ('• pollilo (Iclci-iiiiiiarc il \)eso (U'\o afii'^'i ungere la metà circa d' un peso elissoide che sulla faccia superiore ha incise le lettere ^VPM . b) lu pioml)0 1. Piccolo pezzo cilindi'ico segnato con tre cerchi {Setula) gr. 4.31 2. Piccolo jtezzo cilindrico (sicilicus i^ (ron- da) * ilio 3. Palla di piond)0 con un i)unto sopra (uncia) » 2G. — 4. » » » » 27.37 > » » 30.01 ^ y. > 33.61 » con due punti (sextans) » 53.69 » » » 55.40 » » » 56.77 » con tre punti » 57.19 » con due punti » 58.26 » » » 62.72 » > » 65.69 > con tre punti (quadraus) » 83.74 » » » 85.30 » » » 86.57 > > » 91.02 » con (juattro punti (trieus) ■» 102.59 > » > 111.90 » > » 112.38 » » » 114.48 » » 117.15 » semi.s » 153.49 » con maniglia d'ottone » 156.16 25. Palla di piombo incorniciata di ottone con un S incavato sopra » 159.37 ò. » 6. » 7. » 8. » 9. • » 10. » 11. » 12. » 13. > 14. » 15. » 16. » 17. » 18. » 19. » 20. » 21. » 22. » 23. > 24. » (48) [-M] '-c!6. Palla di piombo con grosso punto inca- vato su ambe le faccie piane .... gr. 166.80 27. id. id. ^ 168.35 28. Palla di piombo senza alcun segno ...» 174.95 29. > » » libra » 324.91 .30. ^ > > » 333.53 31. Palla di piombo senza alcun segno (du- pondius) ..." » 647.45 32. Palla schiacciata segnata sopra III (tressis) » 985.54 AZIONI REI ..AZIONE SUI LAVORI PRESENTATI AL CONCORSO DI STORIA E STATISTICA APERTO DAL MAGISTRATO CIVICO TRIESTINO La vosti'a C'oiuiuissioiu' ha preso in esaiiu', giusta l'iii- cai'ico ricevutone, i due libri del sijJiior Giuseppe Caprln, « Tempi andati » e « I nostri nonni », in relazione alle (lisci})line, che regolano il concorso aperto dal Magistrato Civico di Trieste. Abbiamo anzi tutto riconosciuto come ambedue le opere presentate rivestono i caratteri esteriori, che il Magistrato ha prescritti. Osservato quindi, (iuanto albi loro materia, che fu jtosta ai concorrenti F alternativa fra la storia e la stati- stica triestina, e che evidentemente né V uno né 1' altro dei diu' libri appartengono a questa seconda categoria di studi, a1)biamo dovuto considcrai-e se potessero dirsi opere storielle. Il volume intitolato « I nostri nonni » minore di mole e più recente dell' altro, riproduce con una trattazione spezzata diversi lati della vita triestina dal 1800 al 1830, senza occuparsi, come l'A. espressamente scrive, degli av- venimenti politici già passati nel dominio della storia — ne dei fatti che turbarono il reggimento municijìale du- rante e dojìo la occupazione napoleonica. I costumi, le vi- cende della edilizia, le manifestazioni artisticlie e letterarie, le società segrete, le figure degli uomini più notevoli, tutti insomma i fatti caratteristici della tisonomia cittadina di ([uel tempo sono studiati dall' A. con molta cura, con molto amore del suo argomento ; e la vostra Commissione non esitò neir attribuire a queste pagine, dove abbondano le jtitture di cose scomparse, gli aneddoti, gli esatti i-icorcli (50) [2] di piccoli fatti importanti per la psicologia dell' epoca, il carattere di un utile niatei'iale storico. L' altro libro « Tempi andati » tratta della vita trie- stina negli anni che corsero dal 1830 al 1848, e parrebbe quasi potersi dire una continuazione del primo. Ha però, manifestamente, assai maggiore importanza e non per la mole soltanto. Nella prima parte vi si parla tuttavia di let- tere e di letterati, di arti e di artisti, di costumi e persino di mode ; ma poi, avvicinandosi al 1848, 1' A. si eleva a una vera e propria trattazione storica del suo argomento, onde non può rimanere duldìio il carattere essenziale del- l' opera. Quanto al merito intrinseco dei due lavori, si può os- servare che r A. avrebbe fatto bene a ordinarli giusta un disegno organico più chiaro, considerando a parte, con più nette distinzioni, ciascuno dei diversi aspetti del pensiero e della vita che ha studiati. Tuttavia il retto indirizzo morale da lui seguito, la copia delle notizie, la bontà dei giudizi letterari ed artistici, la forma corretta ed elegante della esposizione, son pregi notevolissimi di ambo i volumi cui accrescono valore le abbondanti, opportune, curiose illustrazioni, tratte in gran parte da disegni del tempo. Non dubitiamo poi di affermare che il Caprin si è reso singo- larmente benemerito, con queste pubblicazioni, della città di Trieste. Comparando finalmente, secondo ci era imposto dal programma di concorso, i due volumi fra loro, ci apparve evidente la superiorità dell' opera « Tempi andati » per le ragioni già esposte, che riguardano in parte la materia trattata, in parte 1' ampiezza, in parte la forma della trat- tazione. Giudichiamo dunque che debba proporsi al Magi- strato civico triestino di conferire il premio al signor Giu- seppe Caprin per la sua opera « Tempi andati ». Fedele Lampertico — Bernardo Morsoijn Antonio Fogazzaro, Relato7^e Prezzo della Dispensa Fniili 7 Vi a <'''ii'- ■-'• L. 1.88 ATTI I) ]•; L R. ISTITUTO VENETO I) 1 SCIENZE, LETTERE ED ARTI (TOMO LI) SERIK SETTIMA - TOMO QUARTO DISPENSA SECONDA VENEZIA PRESSO r,A SEGRETERIA DEI, R. l Il socio A. Stefani legge appresso le sue Ricerche sul liquido cefalo-rachidiano, presentando in omaggio alla biblioteca dell' Istituto una sua pub1)licazione, intitolata: « Lavori del Laboratorio di fisiologia », da lui diretto. I soci G. Mazzoni e G. Ricci comunicano due loro scritti. Il primo tratta intoì-no ad un commilitone di Ugo Foscolo ; ed il secondo contiene il Saggio di una teoria dei numeri reali, secondo il concetto di Dedekind. Infine il precidente presenta il discorso su Jacopo Mo- relli letto dal Prefetto della Marciana, cav. Caido Castel- lani, nel di 27 novembre decorso, in cui inauguravasi nel Pantheon Veneto il busto in marmo dello stesso Mo- relli ; ed il m. e. G. Omboni fa omaggio dei suoi « Cenni biografici di Achille De Zigno », da lui pubblicati. Dopo ciò, r Istituto si raccoglie in adunanza segreta, per trattare degli affari interni posti all'ordine del giorno. LAVORI LETTI PER LA PUBBLICAZIONE NEGLI ATTI DI UNA NUOVA EDIZIONE DELL'ISTORIA DEL CONCILIO TRIDENTINO PROPOSTE DEI, M. i:. 1^. T K Z A .^-. La Marciana, ricco e ben custodito tesoro, serba an- che la [storia del Concìlio tridentino, di mano di fra Marco Fanzano (i) e corretta da fra Paolo Sarpi ; il ([iiale, prestatala a Marcantonio De Dominis, se la vide da lui data in luce a Londra nel lOL). 11 codice, stato nelle mani di (ilierardo Soranzo prima di ^-iiinjj-ere alla libreria veneziana, fu esaminato da Marco Foscarini, il quale osservò che «cammina d'accordo onni- namente colle stampe di Londra, toltone il titolo » {^). (1) Non Pranzano, come venne detto anche al Foscarini (Leu. vene:. I, 353). (2) Della letteratura veneziana. Ven. 1752, I, 354. — È noto che il cod. diceva: Historia del concilio tridentino, scritta da Pietro Soave Poiana ; e che la ediz. del 1619 aveva : Historia | del \ concilio | tri- dentino. I Nella quale si scoprono \ tutti yV artificii della Corte di Roìiia, per impedire \ che né la verità di dogmi si palesasse, )iè la | riforma del Papato, et della Chiesa \ si trattasse. | Di \ Pietro Soave | (54) [2] Il Griselini (*) desiderava invece che si raffrontasse novaraente con lo scritto la stampa ; e, (jiiando rimaneggiò le sue Meìnoìne anedote in un altro libro, che chiamò Del genio di F. Paolo Sarpi ('^), egli venne a questa conchiusione : « Collazionato il codice, rilevasi che, in luogo di camminare onninamente d' accordo co' medesimi, pro- cede tutt' al contrario, senza contare le differenze di orto- grafia, 0 i cambiamenti di parole in altre analoghe. Quelle tra esse differenze che sono notabili consistono in patenti interpelazioni, e queste, massime nel libro primo, in tanto numero fin a mancare il sito per notarle ne' margini delle pagine corrispondenti di uno degli esemplari stampati che fu sagrificato a questa collazione. In somma non v'ha luogo interessante d' ogni libro dell' opera, ove l' interpolatore non abbiaci messa 1' ardita e temeraria penna. » Il Morelli, che al Griselini prestò ogni soria di fa- vore e comodo per collazìonore V autografo coir edi- zione di Londra del 1619 ed un'altra di Ginev7'a (Del Genio, 2, 89), non so che abbia mai rivolte le sue cure, alla Storia del concilio. Il Morelli sarebbe stato dei mi- gliori giudici, da risparmiare parole e fatiche a chi fosse venuto dopo a lui. Ma giova a tutti i sacerdoti, se il dovere Potano. Il In Lovrlrn, Appresilo Giovnn. Biìlio. \ Regio Stnmpniore. \ M • DCXIX. Quanto all' anagramma, veneziano, come trasci'iveva il Griselini, ha troppe lettere, e veneto lascia da parte un o ; leggeremo dunque : Paolo Sarpio Veneto. (1) Non Grisellini. Delle Memorie cito la ristampa fattane nelle Opere del Sarpi a Helmstad (= Verona, 1761, I, 1-148). Vedi alla pag. 113. Il Griselini, nel Genio, 2, 150, si lamentava clie le Memorie, nella stampa suaccennata, fossero « tratte da una scorrettissima e mancante edizione. » (2) In Venezia, 1785. Non c'è il nome dell' autore: ma il fronte- spizio ha rimpetto una medaglia, nella quale si legge: FRANO. GRI- SELINI . VEN AET. SVAE.AN. LXIV, — Gfr. 11, 88. [3] (55) non li sj)ini la prima edizione di Bruxelles, 1836, ma quella detta di Basilea, 1847. (.Vi) [1] ingannato, come se non mettesse il conto di rivedere sull'originale quel lihi-o. Poi si dolse, e insieme si consolò; tanto più clie due illusti-i ei'uditi gii confermarono che varianti di jteso non e' erano di certo. Per la roba degli altri le bilance hanno ad essere l)ilance giuste, e se la lancetta piega un pocolino, bisogna mutare sui piattini qualcosa. Molti fra noi eb})ero la fortuna di conoscere e Agostino Sagredo ed Emmanuele Cicogna (i) e sanno, nelle ricerche e nella critica, come andassero prudenti e deside- rosi di raggiungere il vero. Oramai il lavoro era compiuto e assai bene, per ogni altra parte : di nuove edizioni non ei'a da discorrere : pai-eva loro atto crudele il tormentare di più un onesto editore. Il quale, ripeto, fu ingannato. Stoltezza e pazzia sarebbe accusare il governo de' te- deschi ; ma più che i padroni, erano da temere i servitori, che anche sui vecchi libri dei liberi ingegni vigilavano con la frusta in mano e le chiavi. Con quanta gelosia era tenuto chiuso questo prezioso volume ! con quale sospetto non si guardavano i curiosi che interrogassero la voce pos- sente del Consultore ! Se i grandi scrittori avessero la buona usanza, o a consolazione o a spavento dei piccoli, di riaffacciarsi nel mondo, non credo che volerebbero ansiosi a vedere come, in mezzo alla piazza, o lungo il muro, uno sconosciuto ne avesse scolpita la immagine : verrebbero ad indagare se le parole, da loro scritte, a dilettare i posteri o ad am- maestrarli, sieno passate per la gola di un traditore, sotto la mano di un traditore ; se e' è volume insomma che ne conservi intatta la memoria. Dove volerebbero gli uomini di stato non so, o non dico. Ma badiamo : se fortuna vo- (1) Le parole del Barbèra sono queste: «Persone autorevoli di Venezia, A. Sagredo ed E. Cicogna, mi assicurarono per lettera che nessuna variante notabile avevano trovata nel saggio di lettura del- l'autografo, fatto a riscontro della mia stampa.» G. Ba.rhèv&, Memorie di un editore. Fir. 1883, p. Ug. [5] (57) lesse che le opei-c, iioii i;ià di Tucidide (» di Tito Livio, ma di Fii'odiaiio o del Putei'cuìlo fossero sei*l)at,e, (juali usci- l'oiio dalla mano dell' autore, in una delle nostre librerie, gli si affaccenderebbero attorno a schiere i dotti e gli scri- vani di tutta Europa. E il Sarpi invece non ha ancora trovato quelle cure })azienti e innamorate che ebbero, tra' suoi paesani, le scipite scritture di Andrea Calvo. {^) III. Vediamo dell" Istoria del Concilio tridentino, il ma- noscritto, la prima stampa, e la l)arberiana ; andiamo per ordine, senza altro merito che la diligenza e il rispetto, costante in me e ogni giorno cresciuto, per il re degli scrit- tori veneziani. (1) Il codice marciano è diviso in tanti fascicoli che a me paiono wnitotto e che il Foscarini diceva essere ventinove. Il Griselini (Genio, 2, 89) v'aveva trovato « una dichiarazione del segretario [del Senato] » e « una lettera ducale; pezzi scritti in pergamena e muniti di sugello; il tutto ben cucito in fondo al Codice. » I due documenti, non più ben cuciti, ma lasciati liberi, si conser- vano nella libreria. «Strana è la dichiarazione del segretario Fontana, di aver ritrovato di carattere dell' autore, cioè di Fra F'aolo, tanto il testo che le correzioni, sulle quali parole Alvise Mocenigo doge ordinò che alle affermazioni del segretario del Senato piena fides est adhiben- da e oonfermò così essere la scrittura tutta del Sarpi. » (L' Età pre- sente. Venezia 1858 pag. 191). Noi, questa volta, non crediamo né al segretario né al doge: perchè la mano è del P. i'^anzano, che copia e ricopia. Trascrivo, dopo trentaquattro anni, quella mia noticina dall' Età presente, ripensando alla gioventii : e come è vecchio e costante il ri- spetto mio alle opere del Servita, cosi vecchia e costante è l'amicizia per i direttori di quel giornale, Antonio Dall' .\cqua Giusti e Paulo Fanjbii. (58) [(i] E prima di tutto ; il Fanzano ricopiava, o scriveva mentre il maestro «li dettava ? 11 Fanzano ha : notando il popolo di tirannide (I, 34 =: ms. S) e il Sarpi corregge il papato: il Pranzano ha : abhorrita la pragmatica Sanzione (I, 49 = ms. 12) e il Sarpi corregge abolita. Codeste sono pagine, senza dubbio, nelle quali l'amanuense legge male, scrive male. Ma non da ogni luogo si può cavare la stessa conchiusione. Alla })ag. 20" del ms. (= 1, 20) il copista aveva : troppo frettoloso rimesso in liaver domandato alli Ger- mani, e poi è dato di frego cosi al frettoloso come al ri- messo, e di sua mano l' autore scrisse : abietto. Non si direbbe che detta il frettoloso ? e poi lo muta in rimesso, preparato alle ultime correzioni (quando avrà la penna in mano ? Alla pag. ."ir) del ms. (:= 1, 80, 8) ('.'è : di/ferire [al Concilio nazionale] V essecutiva dell" editto dì Vormazia sino al Concilio generale. Dove le parole fra parentesi sono da chi scrive cancellate. Alla pag. 29^ del ms. (= 1, 100) il copista aveva: Di questa appeìlatione o manifesto ne fa affisso per Roma ' in diversi luochi V essemplare e via via ; ma poi ilistrugge r opera sua e ricomincia cosi : Di questa appeìlatione, overo citationc, ò pur m.anifesto, dalli partegìani de Co- lonnesi ne fu affisso in Roma di notte sopra le porte delle chiese principali et in diversi altri luochi V essem- plare Non è là, seduto innanzi all' amanuense, il pa- dre maestro, che dice e si rimangia le parole ? Vero è che potrebbe invece essere creduto che il Fanzano, per distra- zione, avesse messo sulla carta vocaboli dei quali il Sarpi s' era già pentito. Ad ogni modo, se (jualche pagina fu dettata, non è arrischiato il credere che la parte maggiore fosse copiata. Onde nasce 1' altro dubbio : quanta fede si debba alla gra- fìa del Fanzano, e se specchi davvero quella che, a mano libera, prescieglieT, a T autore. |7| M La slainpa loii(liii('.s(\ e poi la iioi'cntina cho, la i'ico{)ia, ora set^iioiio il i^'aiizaiio ora no, e spesso, denti'O sé stesse, (liscoi'daiio. Chi voglia fcdcllà piena dovrà ritoccare quasi ad <\L;ni verso; non dico deydi ei e degdi h, o nel tron- cai-e 0 no le parole, ma nelle tradizioni latine serbate ancora religiosamente nelle stampe del cinquecento e del secento, S' avrebbe dunque a scrivere sempre l i (e non già i) , e decchiarare, essequh^e, de/fendere, covtmandare, essal- tare, essempio, doppo, mezo, commune, elleliione, autto- rità, odo, praltica, diibio e via via, senza tener conto di orrecchie, baticg giare, conscglio, eccUtare, f)-aUi, tir ranno, differrire e cento alti-i. Nò si creda clie, dove a spiegare le forme non più usate ci nuincano le ragioni o i pretesti, il Pranzano sia solo })eccatore ; perchè, anche disotto alla mano del Sarpi, troveremo abollilo (ms. 12"), acuitalo (ms. 255), raggione (ms. 293). Due ondate sviano la barca che verrebbe diritta di Toscana, la latina e la veneta, e le ondate spesso quie- tamente si uniscono, come in longo, genaro, novo. Chi s'appresti a dare una buona edizione dell' /s^orm (i) dovrà disputare sui canoni, fermarli, seguirli fedelmente ; ])er modo che, anche nelle vesti, quest' uomo del secento, educato nelle scuole e dai buoni libri del cinquecento, ci venga innanzi nella sua schietta grandezza. Si può bensì, dove è la mano del Fanzano, andare più lesti ; ma vuole la reverenza che delle parole scritte, o per emenda o per giunta, dal Sarpi stesso, si conservino le forme intere, provvedendo che se ne debba accorgere subito chi legge. (1) Di un concilio qìic [uè tan espanol corno ecumenico, si cale la frase, come dic^^va il Menéndez Pelajo [Hist. de Ics eterod. 2, 685). (60) [8] IV. Il De Domini.s ricopia, probal)ilmente alla sfuggita ed in fretta, bada alle stampe in terra straniera, ritocca leg- germente il cadere e il suono delle parole, ma non guasta, non deturpa, non avvelena: del furore di teologo, o rifor- mato 0 da riformare, non e' è onderà ; tutti i suoi sono errori, che vanno corretti, ma che debbono essere scusati. Delle varietà nella grafìa ho detto già : faccio adesso un diligente riscontro di alcuni luoghi che furono o mala- mente letti, 0 senza ragione rifatti, e serbo ad un' altra parte le avvertenze su quelle sfumature che rimutano uu pocolino la costruzione dei periodi ; ma, per una ragione che dirò poi, comincio solo dal capo II, del libro primo, (i) (Ed. Barbèra) I pag. 4 lin. 4 inf. per mezzo (ms. col m e z z o) — 4, 3 inf. che nacque (ms. n a t a) — 5, 8 accordare (ms. r e e o n e i 1 i a r e) — 7, 4 inf. alcuni pochi (ms, certi pochi) — 8. II qualche pericolo {mi>. u n p o e o d i p,) — 0, :> inf. qualche cognizione (ms. un poco di e.) — i>, 1 inf. mostrava (ms. dimostrava) IO, 2 in quella (ms. ne 11" arte) — li, 7 mantenccano (ms, mantenessero) — l'i, 14 s incontrarono (ms. si scontrarono) — 12, Di distribuì (ms. d. anco) — Io, 14 inf. perfetto mercatante (ms. e ss atto m.) — 14, I offerì (ms. si o.) — 14, 10 soliti (ms. s. anco) — 14, Io f'uttare più (ms. f. ni a g g i o r m ente) — 14, IG molte novità (ms. assai n.) — 16, 8 contesa (ms. e o n- t e n t i 0 n e) — 16, V^ ne precedenti secoli, ne ancora (1) Ho paragonato ogni luogo con la edizione di Londra e, dove nulla avverto (senza badare agli errori di stampa come sarebbe il mnìì-' tevrrno), 'quella di Firenze ne è copia esatta. |'.)| (CI) ben con.-i' fi ernia (ms. n e 1 1 i p i' o s s i m i s e e o li d i- 11 a ri z i, 11 0 11 e 1' a a n e o i' a s t a t a h e ii e- o n s i d e- r a I (i) — l(i, 13 0 come si opp>'!jnasse (iiis. si come non era slato e o n s i d e i- a t o come si o.) — 17, 1!) tesoro nella chiesa (ms. t. della eh.) — 17, 2 iiif. volendolo (ms. }> e r il che v.) — 18, 2 cagione (ms. ray-ione) — IS, iS itif. esservi bisogno (ms. e. di II.) — 22;, 7 poteva (ms. p u ò) — 22, 13 sospettando (ms. s u s p i e a 11 d o) — 22, .3 iiif. partilo (ms. \) a r 1 1) — 25, 2 insegni (m. i n s e g n a) — 25, 1 1 tenuta ragionevole (ms. t. }) e 1' r.) — 20, 4 inf. oppugnata (ms. i m p u- innata) — 27, 2 si raccontano (ms. si riporta) — 28, 15 facilità (ms. f. e prestezza) — 28, 1 inf. im- perfetta (ms. imperfetto; lezione da notare) — 2!), l.'> fu (ms. vi fu) — .'>1, 1 essa /umazione (ms. e s s a- m i n e) — 31,8 medesime (ms. suddette) — 31,4 inf. alcun libro (ms. altri 1 i I) r i ; naturalmente, con- tenessero) — 31, 2 inf. schifare (ms. s e h i v a r e) — 38, 9 poco più (ms. un poco più) — 3(5, 17 mostrati (ms. mostratigli, come nella lond.) — 3(), 2 inf. o no (ms. o non) — ;)7, 9 dottrina (ms. 1 a d.) — 37, 1 1 contenziosi (ms. e o n t e z i o s a m ente, come nella lond.) — 37, 9 inf. non esser (ms. d i n. e.) — 37, 7 inf. i libri nel fuoco (ms. li suoi libri in foco, come nella lond.) — 37, 2 inf. piena e semplice (ms. pian a e s., come nella lond.) — .38, 4 difender (ms. d i d.) — 38, 1 inf. doversi (ms. d o ^- e r s e g 1 i) — 39, 2 cadere a perpetua ignominia (ms. e i e d e r a p. i., con lati- nismo) — 39, 6 inf. svanita (ms. sfumata) — 40, 5 ave7ido7te rese grazie (ms. h a v e n d o r i n g' r a t i a t o) — 41, 11 inf. risolveva mandar a levando (ms. 1" li a v e v a m a II d a t o a le v a r e) — 42, 5 21 giorni (ms. 2 0 li i o r n i, come nella lond.) — 42, 9 cosa buona (ins. e. d i h u o n o) — 42, 12 libri (ms. 1 i b r e t i) — 45. 7 imitato (ms. fussr i.) — 45, 19 loro magistrati mag- giori (loro m a g g- i 0 r i) — 4(5, 15 il quel presto (ms. i 1 m [10] qual anco p r e .s t o) — 46, 17 maggiori magistrali e prelati (ins. m a g g i o r i prelati) — 47, 5 quella (ms. (| u e 1 1 i ; cioè, dottori e prelati) — 47, 11 questo., desiderato (ms. questa .. desiderata) — 47, 1!J congregazione universale (ms. e. g e n e r a 1 e) — 49, 5 inf. bisognato realtà (ms. 1). usar realtà) — 50, 11 quieti di tanto Umore (ms. (|. da t. t.) — 51, 1 ciò (ms. tanto) — 51, 3 golfo di Lione (ms. mar di Lione) — 51, 7 immersa in guerra (ms. implicata in gli e r r a) — 51, 13 il pensiero (ms. il p e n s i e r s u o) — 51, 13 le discordie (ms. li dissidi) — 53, (i è pos- sibile (ins. è p. assai) — 53, 7 che conseguisca (ins. e li e quello e.) — 53, 17 s' acquistasse (ms. f o s s e conseguito) — 53, 1!) proporzionata (ms. p r o p o r- z i 0 n a 1 e) — 53, 19 ritiraDano (ms. ritrae v a n o) — 53, 24 ìntenere secreta appresso (ms. r. solo a.) — 53, 6 inf. divulgata (ms. v u 1 g a t a). Pare a me che basti questo saggio, (*) dal quale ogni (1) Benché io, per parlarne con netta coscienza, abbia parola a parola raffrontato tutto il primo libro. E continuando, per salti, lungo il primo libro : 104, 23 s' inviò (non V inviò) \ 118. 8 contumeliosa (non aspra) \ 124, 13 concilij (non concilio); 130, 9 non (il ne è un errore della stampa fiorentina e della seconda e non già della prima); 136, 10 credere alla calunnia; 139, 7 inf. successe (non passate); 139, 1 inf. avendo inteso per avvisi; 140, s' essorta et prega; 141, 1 ìnezzo di fehraro (non tnese); 142, 12 cosa (come nelle due prime, e non causa); 148, 17 con li cardinali (non con due e); 153, 13 riuscirebbe male (questo male, intralasciato, va rimesso al suo posto); 185, 18 conversione et depositione dell'ipo- crisia (la deposizione fu dimenticata) ; 187, 2 non vi debbia (malamente saltato via, nella fiorentina, non già nelle altre, il non) ; 187, 10 (cancella Tee vedrai piti chiaro: anche questo è errore solamente della fior.); 191, 17 (dice proprio 23, non 27: così che di rimendatore non c'è bisogno); 192, 2 inf. tre guerre (non le guerre); 205, 9 dando fama (non dando fuori) ; 206, 10 (anche qui è vana la nota correttrice, perchè c'è nel ms. giugno e non luglio); 211, 7 (nota che è proprio scritto ); 216, 6 10 giugno (non 13; si vegga se la data è giusta); 250 [Il] (fi:;) (•s])('i*l() «giudico può V(m1(M'(> clic cosa sia il vero e cosa ii falso jielic ti-adizioiii e jicUc ci'iiichc intorno al tosto del- l'Assona del concilio, l'ii po' più dcnti-o licttò la sua falce ii De Dominis nel racconciare al .'^^ai-pi, iacendogli da \w- dagogo, il conseguirsi dei modi e dei tempi ; cosi gli era p e r V e n u t o a notizia e t li a v e v a v e d u t o (l, -SO, T-i) vi si muta u\ sia ed in abbia: ammettano (I, '.]2, 17) diventa ammetle^sero : sono condannati s 0 n 0 g i n d i e a t i (I, 'M , 14) si volta in due erano : d i a 1) b r u g g i a r g 1 i e destruggerli (1, 4'^, 11) in che li abbruscino e distruggono {distugghino, lond.) : r i- sanasse (I, 52, 4) in rìsanarebbe e finalmente tutti (juei bei futuri v e d e r à , e e r e h e r à , r i t o r n e r à (I, 54, 3 inf.) cambiano viso e s' ha a leggere : vedrebbe, cerche- rebbe, ritornerebbe. I/sava il Sarpi, e voleva, scrivere gli era d a t o occasione (1, 10. 11); ma il De Dominis, nei molti casi che a questo somigliano, vuole d a t a e non altro : (cf. 1 , 24, 3 inf. riservato: 1,31,7 inf. r i v o e a t o), Dasse (p. es. 1, 35, 15) cede a desse. Mi riserbavo, nel capo primo, di scendere anche più giù nelle minutaglie e cosi avrà maggior lume il quadro : 1, 2 perchè (ms. impero che): 1, 3 n' abbiano (ms. abbiano): 1, 4 successo (ms. s. in quello): 1, 5 narrate (ms. narrato): 1, 6, poste.... intiera (ms. 228, 5 conses>ìso con la fior., o con- cesso colla lionese) ; 233, 3 inf. futuro concilio (non co7ic. generale); 230, 4 constituzioni (non instituzioni) ; 237, 7 inf, neW animo (non nella mente); 238, 2 da (non di) : 2:38, 4 non si potessero {ì\ non manca solo alla fior.) ; 240, 7 e 14 (il ms. legge ocunienico) ; 242, 6 comet' tendo (che è di mano del S., non comandando) ; 244, 8 {Don Diego, sen' alti'o, alla buona : il Mendoza fu aggiunto nella lion. e nella fior.): 244. 2 inf. ni (non n) ; 24.5, 1 inf. ma riusciva (come nella prima edizione: le altre due, per onien(Iar(\ tolsero via il //)")■ ((54) [1-] ([ u a n (1 o b e ii e f o s s e r o tutti v a e e o Iti i n s i e- m e n o n s i e o ni p o ri e i- e b 1j e un' intera): 2, 1 subito (nis. i ni ni e d i a t e . come sempre nel Sarpi) : 2, 2 dopo Vaver (ms. o 1 1 r e 1' a v e r) : 2, 0 nel ( ms, in); 2, 7 -yo^i 0 (ms. voti e i o è) : 2, 10 registro intiero (ms. V e g" i s t r i i n t i e 1- i) : 2, 12 avendo adunque (ms. li o r a liavendo): 2, \'.\ per la (ms. per): 2, 2 inf. sortita (ms. sortito): .'3, 2 di (ms. p e r) : 3, 5 cominciava (ms. p r i n e i ]) i a \' a) : o, 6 /m cosz (ms. per co n- t r a r i o h a cosi): o, 8 da li (ms. d a i) : 3, 9 defor- mazione (ms. (1 i s f o r ni a z i 0 n e) : ;>, 9 6^a che vive il nome cristiano (ms. d o p }) o che il n . e . s i o d e : 3, 10 sperato (ms. a d o p e r a t o) : 3, 2 inf. V ha fatta loro (ms. glie T li a f a 1 1 a) : 3, 1 inf. riducendoli a maggior servitù (ms. et i n t e r e s s a ti lo r o stessi nella p r o }> r i a s e r v i t ù) : 4, 1 nel contrario (ms. m a) : 4, 5 non fu inai (ms. m a i fu): 4, 7 No7i sarà perciò (ms. Si e li e non s a r à) : 4, 9 essendo io (ms. e s s e n d o) : 4, 11 ricordi (ms, r a e e o r di): 4, 12 tutti i caìnpi {uìs. tutti): 4, 14 tenere {ìn>^. tenir, alla veneta). Facciamo per (jiiesto libro, nutritore di libri, quello che si farebbe per Erodiano, per A^elleio ; lo facciano mani veneziane ; così che, nella casa sua, abbia il maggiore onore che gli spetta un maestro dei nostri padri, di noi, dei nostri nipoti. Se l' Istituto, coi suoi voti e guidando, met- tesse questo desiderio nel cuore di un giovane erudito, fa- rebbe opera utile per sempre. Sbrigatami intanto la via, posso correre più rapido ; né oserei perdere il tempo dimostrando, che se un luogo solo potesse essere racconciato, non è fatica gittata il ri- scontrare verso a verso tutto il grosso volume. Eccovi alcuni passi ne' quali, per la prima volta, leg- geremo le parole vere del servita. Il parere che piaceva al pontefice era fondato, non sopra V autorità (I, 55, II) ma sopra 1' a n t i e li ita: la carità della chiesa muteremo |l::| (or,) ili calore (li <■ a 1- i t à (1, TWI, I) e cuse in cause (1, .■')7, S) e inclinato in p i* o p e n s o (1, òS, (i) e i di- scO'-si in r e m o s t r a n z e ( 1 , (il . I ) e mettere ogni sti'dio in ni e 1 1 e 1* 0 o ^- ii i spirilo (1, (i'^. •-:'l) e i vìuwiW di fuoco in affocali (1, (i:*, 4) v giustificarsi in foi- ti- fi carsi (1, 7:ì, ò inf.) e stile in tenore (1, 70, 0) e contenzioni in confusioni (1, 7(1, 10) e sentivano d'eresie in s e n t i v a n o il feto r d i e r e s i a (1, SO, \\\) e la riforma in 1 a fu r ni u 1 a dell a r i f o r ni a (1, 81, 10) e risposto in opposto (1, 82, :>) e, dove è detto in altro luogo (1, 82, 5 inf.), a^-ginno-erenio cattolico. Che siano molti i luo^dii tralasciati, o nella j)rinia copia 0 nella stampa, non direi ; ma eccovi i (|uattro che troviamo nel primo libro. Alle pag. 69, 25, dopo quelle altre leggeremo : C h e debbia esser libero e che debbiano esser r e 1 a s s a t i i g i n r a m enti. Alla pag. l'31, () ini'., dopo evangelico, aggiungi : delle b none o \) ere. Alla pag. 202, 20, dopo lutherani continua cosi : o n d e nascerebbe credito a loro et opinione nel mondo che anco le altre cose fossero co n r a g i o n e da loro r i p r e s e. Alla pag. 243, 2 inf., dopo rilornassero, scrivi: al t e m pò determinato, r i e e v e s s e r o. Quattro tiori non fanno primavera, non fanno giardino, ma un diligente coltivatore dovrà raccogliere anche questi. V. Altre cose ci restano da vedere : e comincio da quello che ci dice il Bianchi-Giovini sull'arte dello scrittore. «Tutta la perfezione di stile non è però stata senza fatica ; come (66) [14] i versi dell' Ai'io.sto, che .seinl)rano co.si facili, e costarono all' autore una lunga lima, cosi le cancellature e i penti- menti di fra Paolo, che ancora si osservano nel suo auto- grafo, e le varianti che passano fra esse .e 'le edizioni stampate, sono prova quanta diligenza ponesse egli a ca- stigare lo stile e la locuzione ...» (Biogr. p. 400). Lasciamo le stampe, che provano solo il desiderio, e diremo anche r ardimento, di rabbellire lo scritto altrui ; ma, se il bio- grafo avesse avuto sotto gli occhi il manoscritto, avrebbe visto subito che il Sar})i, corretto 1' errore del copista e aggiunta qualche postilla, delle raffinatezze non si cura, e appena toglie via una parola se una uguale ne incontra poco innanzi o poco dopo: il commiserò le miserie (1, 93, 21) non lo turba : va rapido al segno ; cosi che delle lunghe e felici fatiche attorno alle ottave dell' Orlando non è a discorrere. E troppo di raro si veggono, di sotto ai secondi, i primi pensieri, come farebbe forse sperare il Foscarini ; benché, in questa parte, anche il poco e il piccolino sia molto e grandissimo. Aveva detto un sempre e poi, di sua mano, con prudenza di storico, disse per lo p i ù (1, 24, 4 inf.) parlava di arcani con i quali si mantiene la potenza pontificio, e mutò in arti (1, 73, 9): aveva messo le no- vità introdotte da Lutero nella dottrina e poi volle la voce cose (1, 75, 3) : e passò Carlo il Po diventa più chiaro quando è scritto Borbone passò il Po (1, 104, 3 inf.) Ancora va notato che nel ms. (e. 26), a quel passo che ri- sponde nella ediz. di Firenze alle parole congratularsi con lui ed a concluder (1, 90, 6 inf.) troviamo: con lui et, dove i puntolini accennano a lacuna che il Sarpi non badò a riempire o non volle. Ecco una giunta di mano dell' autore per la quale stia- mo innanzi al telaio dei pensieri : Et sopra tutto p r e m e v a a- edere a p e r t a una porta do v e per necessità sarebbe introdotta o la [r i- f 0 r ni a, poi cancelL] t a n t o a b o r r i t a m o d e r a- t i o n e de' comodi loro o v e r o [un aperta [ir>] (r.T) (l e m osti' a t i o ii e d' i ii e o r v i ^- i I) i 1 i t à, poi cancell.J e o 11 V i 11 t a la in e o i- i' e j;- i h i l i I à ( (• o ii e a n o li i- 7. a r e g" 1 i a h ii s i, poi cancellato e sci-iiio e 1 s e o p e i-- to r arcano del e a ii o n i z z a r o ^- 1 i abusi, e cancellato anche (juesto.] 1, 73, 5 =^ nis. e. 19". VI. Non .sai'el)l)e ([ui il luogo da rainnieiitare quello che tutti sanno, da lodare quello die tutti lodano (i) ; ma la opinione del Rawdon Brown, un brav'uomo che mostra delle cose venete la conoscenza e T amore, non mi lascia pace. Uno che s' attentasse modificare la dizione sarpiana fa- rebbe come chi volesse correggere Shakespeare; l'uno e l'altro sono scrittori perfetti (2). Chi mette un'altra tinta, (l)Cfr. Carlo Castellani, L'Adriatico 20 settembre 1892 e Lettere di P. Snrpi , .">), chiamato maledizione del ladro e dello spergiuro, o quello da san Giovanni nell'Apocalisse (10,9), per precetto divino, man- giato, che, nella bocca riuscendo come nel d(7lce, rannnari- cogli il cuore » ; ma piacerebììe che i luoghi dei profeti si interpretassero un po' meglio, e che, nella fui-iosa e avven- tata rettorica delle apologie, si lasciasse in disjìarte la })oesia dei libri santi. Il libro ha questo titolo : Osservazioni di Bernardo Fiori, arcivescovo di Zara sopra V Istoria del C. T. de- scritta da Pieli'-o Soave Pvlano : pai-e diffuso, benché (7-) [20] non contenga « una completa confutazione, ma alcune osser- vanze » (I, 8) : ed è la prima difesa che si facesse della chiesa romana contro il nascosto combattitore, « dopo lunga aspettazione che altri occorresse al bisogno » (I, 2). In que- sto libro poi, l'autore protesta in parole di vcrHtà essere i suoi documenti Iranscritti dagli altrui conservati nei pia illustri archv'i e biblioteche d'Italia, e d'altrove havendo havuto grafia di vedere, se non le scritture tutte e libri de' quali s' è egli, cioè il Sarpi, servito, la maggior parte almeno (pag. 8). Bernardus Florius visse dal 1586 al 1656 e civis re- netus lo chiama il Farlatti {Illyricì sacri tom. quintus p. 164). Di più non so ; a vederlo di sua mano scrivere zello, si penserebbe ad un veneto di Dalmazia ; ma chi sa ? Certo è prudente scrittore : perchè, dove prima aveva scritto « Alessandro sesto Borgia del quale forse non fu peggior Pontefice mai nella Chiesa» (I, 39), correggendo di sua mano, ruba a sé stesso le sue parole e si contenta di dire : « contro del quale gli uomini poco bene dicevano ». Col Sarpi egli va più lesto, e quello che è detto è detto. Delle confutazioni al primo libro ho letto molte parti, con piccolo guadagno. Se voglio starmene testimonio alle battaglie, prescelgo un soldato forte e che, nella sua dignità di scrittore, non scenda a terra : leggo le istorie del car- dinale Pallavicini ('). Ma altri, con maggiore tolleranza e pa- zienza, esamini e scelga. (1) Un buon aiuto ai pigìi è il libro del Brischar (Beur(heilun(/ der Confroversen Sarpi's und Pallavicini' s in der Geschichte des Trienter Concils. Tiibingen, 1844). Che i lettori, fedeli alla romanità, scattino è naturale: e credo che h; postille nei vari esemplari della Storia abbondino. In ([uello che ho io della stanijia fatta nel 1G20, ove si paila di disfar, ìiazioìie (lib. I. § 1) una mano, non recente di certo, annota: 1 in postura ; poichf^ il Concilio hn riformata la dis-iplina liella Chiesa e con buon esito. I-l] (73) 11 Fiori ha sotto gli occhi la stampa del 1619, ma conosce anche la secomhi edizione del ventinove. Segue })as.so passo l'autore, trascrivendo le parole di lui e ritìu- tanihjle (•) ; (iuasi tutto, a sentire 1' arcivescovo, è bugia, errore o ricoj)iatui'a. Lo scrivere dell'apologista è sbiadito, ma non scorretto, })rolisso assai, e somiglia a quello, non dei critici ma dei predicatori, usi sempre a consenzienti uditor-i (-2). IL Aveva la Palatina a Firenze, ed ha adesso la Nazio- nale, un esemplare della Istoria del Concilio, stampata nel 1629 (^), con postille che m' invogliarono appena io tirai giù dal suo palchetto il volume ; ma fu più bella la speranza che il frutto. Le noticine sono scritte nei margini o, se più lunghe. (1) Non s'avvede di uno sbaglio che altri critici poi hanno cor- retto e che sappiamo adesso come non ne andasse incolpato lo storico. Per il 27 maggio cfr. Osservazicni I, pag. 63? : quanto al luglio per giugno, con giustizia ammette il Fiori che si possa credere, come è, un errore di stampa. {Osserv. I. 719). (2) li Cicogna non aveva mai visto questo libro e .s;ipeva solo che il Mazzetti ne aveva copia {^Fscr. Yen. 3. 507). Infatti nel libro del Mazzetti che usci senza il nome dell'autore {Nel solenne ingresso nella diocesi di Cremona di ìnons. vesc. Card. Emmanuele Sardugna da Hohenstein da Trento. Cenni storici sulle antiche relazioni fra queste due città Milano, Rivolta, sec. ediz. 1831, pag. 97) leggiamo: « Il Pallavicini.... ci fa ricordare un'opera inedita, simile alla sua, in otto volumi in foglio, che fa parte della nostra raccolta: Osservazioni di Bernardo Fiori so- pra l'historia del C. T. » — Dove è adesso quella copia? (3) L'esemplare fiorentino non va che fino alla pagina 476, alla chiusa ilei V." libro. La segnatura « questa: XIX, 5, L (TI) l-^-~^ì nei fogli legati li-a caiMa e carti ili ([nella stampa ; ab- l)Ondanor nel primo libro, .sono .scarse nei due che .seguono, poi non se ne trova })iù segno (*). A'i si scoprono tre mani, e del secento ; senza tener cinito di (juabdie sfogo a la- })is (-) di un lettore, forse del nostro secolo, che non direi se ne avesse tropjio a vantare. Comincio dalla terza mano, che si vede di raro, e va per le brevi. Pag. 235, 0 [= Ed. Barbèra, voi. II, 152, 12]. Nota che vuol fare la Chiesa, minore del Principato. Pag. 237, S [= II, 15(), 23]. Alle i)arole del Sarpi : M a q nello eh e è n a r r a I o i n (j u e s t o p a. r t i- c o 1 a r e . . . non (j e e o r r e \ a nel d a n n a r 1 e 0 }) e n i o n i L u t h e r a n e , d o v e t u 1 1 i e o n v e n i- V a n o e o n u n a u n i t à i s (| u i s i t a, 1' anonimo ag- giunge : di tanta diversità di Religione. Pag. 237, 33 [= II, 157, 22]. L' autore fa da Pro- feta, conosce il segreto de' cìiori, ma per ctdì'mnare. Pag. 241. 3,-,^ 1= II. 171, (i iiif.]. A proposilo di setta, leggiamo : Xuta. costai usa spesso questo voraholo eh' è di mal senso. Pag. 257. l;5 [= li, li)S, () ini.]. Nota tatto qaeslo discorso. Pag. ()4, 7 inf. [= I, 151. 1 ini'.]. Il Sarpi: diffe- r e n z a ioli e r a 1) i 1 e. La glossa : intollerabile. .Ma pili giova interrogare il primo annotatore e le ra- (1) Vedi a pag. 80, 12.'5. 127: sono sgorbi che non è facile deci- frare. (2) Veggo che ve ne sono due edizioni che rispondono Tuna all'al- tra quasi al tutto, pagina per pagina, ma non già riga per riga. La composizione è un'altra: p. es. la jiag. 2G7 negli esemplari che paiono a me più numero.si comincia: et oper^tre rhn fosse fntin ihC Lff/ati : l'esemplare fiorentino: ma sua et operare che fosse fatto. Anche il fron- tispizio ha diversità: l'ancora nel fior, è più grande e qui. l'ornamento alla fine del capo V ha una testa. :!| (75) i;'i(jiii (Iella sua sci'ittui'a, da lui i'i\<»lt.(' ad uno sconosciuto die amava sentirne i giudizi. Si direbbe la bozza di una lettera che sia poi stata mandata : e lo scrittore pare laico, esperto delle leggi canoniche. « Stimo il pensiero dì V. S. parte dell' esrpmitezza con la quale ella suol procedere in tutte le sue azioni : e Parermelo paìtecipato, comandandomi che sopra di esso io gli dica il mio giudìzio, pegno della confidenza che la sua gentilezza ha presupposta e dalla mia sana in- tenzione e dal sincero affetto con che desidero seroirla. Qìtesto mi traporterà a dir semplicemente quello che sento, in cosa fuori dalla mia professione : e quella, spero, non mi lascerà precipitare negli errori che, o per soverchia facilità, o per non necessarie cautele, spesso incontrano gli studiosi. Ella dunque mi accenna che, avendo questi giorni letto il s. Concilio di Trento, come ultimo così una quinta essenza degli altri ss. Concila, gli era entrato desiderio di saper in che ìnodo si con- gregò, per che vie e per quali cagioni si è proceduto a quei sacrosanti decreti, tanto più avendo inteso che si ri- truovi una Istoria assai compita, di un certo Suave Po- lano e che desidera sopra di questo e il mio parere ed anche il mio aiuto nel procurarli la licenza, e la ora che mi ritruovo in Roma. Io, mio signore, nelle 7naterie de' precetti che si devono osservare, stimai sempre molto pericoloso il di- scorrer altro che la maniera della perfetta osservanza di essi, guidandomi col parere di Tertulliano: de r a- t i 0 n e pr ae e e p t ì, sufficit qu o d p r a e e e p- t u m s i t. Per cedere nondimeno all' esecuzione de' suoi co- mandi, ottenni da. chi s' aspetta la licenza di leggere questo autore, non senza gran difficoltà ; la quale me lo rese sospetto, essendo che la chiesa, sposa di Cristo, imparò da lui : Qu o d dico v o b is in t en eh r i s, d i e i t e in l u m i ne: et q ìi o d in a tir e a u- ('<>) [24] ditis, pr a e clic (ite sii per teda, e non aveiia occultato cosa alcuna dei suoi segreti quando essi f ussero propalati con la sincerità che il titolo propone. Siccliò mi son persuaso che altro si venda in questa bottega da quello che accenna alla porta V insegna. Il titolo del li- bro, dice sani' Agodino, i n d i e a t in l i m ine g "ìi i d a g a t u r i n ci o m o ed il titolo d' istoria... {^). Credei che il nome Pietro fusse rubato : perche se Cristo, dandolo a San Pietro, dice Tertulliano che a ffe et av it eh ar is si m o dis e i p u lorum de attributis sui s nomen i m p o n e r e, questo che, come so dal proceder della sua istoria, niente più odiò che Pietro, cercò di levargli il nome datogli da Dio in segno della stabilità, sopra la quale fondava il suo pon- tificato. Il nome dell'' autore, chiunque egli sia, accrebbe il mio sospetto, il quale, per quanto credo, battezzandosi a suo piacere, si impose nome di Suave: ed appunto mi fece ricordare quel simile del toscano Virgdio Così air e g r 0 f an e iul porgiamo aspersi. Di suave liquor gli ori i d et vaso, che egli, tignando il lettore da fanciullo, come non conoscesse il sapore del suo stile, né discernesse cjfuell'amaro sugo che porta nel bel vaso dell' istoria, asperse col nome di sua v e ciuel veleno che si sforza di dare a bere, quel sugo amaro dell'eresia di Calvino del quale era ripieno, e che aper- tamente versò in molte lettere, le quali si hanno di sita propria mano, scritte a' principali settari di Fran- cia. ■» {^). (1) Qui c'è lacuna di qualche verso e accanto segue invece quello che leggeremo dalla voce credei fino a pontificato. (2) In un angolino e' è un pi'incipio di peiiodo che resta nelle om- bre : Il Polena poi, principal famiglia di ... Nasce la curiosità di ve- dere che cosa mai avrebbe potuto seguire, e se mai 1" anagramma di- ventasse rumo di un albero gentilizio. i-^^->:i . (") Ho «lata r iiitroduziono, tutta quanta, perchè (lipin<;-o il crilico e il suo diffiilai'e dello sci'ittoiv veneziano. Non sa dire chi sia, ma egli sa bene che scrisse più lettere ai calviniani ; poteva andarsene })iù spiccio confessando che, timoroso e venuto da altre scuole, non aveva in concetto di santo fra Paolo Sarpi. Anche i nemici vanno sentiti di certo: e se, da (jueste noticine sparse nel volume, s' avesse a cercare aiuto a mi- gliorare il libro o a rivelare fatti ignoti o sapienti giudizi sul Concilio, sarebbe fortuna. Dai cenni che darò vedrà chi legge come ci sia ben poco da spigolare, e che il Sappi viene ribattuto con le opinioni di altri scrittori che abbiamo alle mani. Codesti anonimi palatini, per dar loro un nome corto, non conoscono addentro i segreti di ({uelle faccende, sacre insieme e profane. Pag. 2, 27 [j= I, 1, 4]. A proposito dello Sleidano. Eretico bugiardissimo, quantvmrpie da quei della sua netta sia chiamato il Tito Livio della Germania ; del quale Carlo quinto spesso diceca nienti tur nehulo. Pag. 3, 7 \y= I, 3, 4]. Se fossero effetti questi del Concìlio si può vedere dalV ostinato modo di procedere degli eretici, quali mai volsero unione ne di cuor^e atte- sero a tal cosa. Si vedano le diete imperiali e le loro maligne iìitenzioìii e per quelle si discorra, ed ognimo resterà capace. Pag. 3, 10 [= I, 3, 9]. Espressissima bugia; perchè dalla riforma di Leone decimo e degli altri pontefici si rede in che stato sfava la Chiesa e quanto mediante il sacro Concilio si informò. Pag. 3, 15 \j= I, 4, 1]. Temuto dalla Corte con ra- gione perchè, dal Concilio di Costanza in qua, parve che i Concili non si congregassero più. contro le eresie, ma contro la Sedia apostolica. Pag. :>. 18 [= I, 4, 7"]. L' Iliade del secol nostro, diceva il Sarpi. — Che titolo trova al Concilio, o per di)- meglio alla sua Istoria! Un poema pieno di fmzioni e di (TS) . [20] episodi, per grattare le orecchie degli eretici e dei. politici mala'ff'etti al governo spirituale ! Pag-. 4, 2 [= I, 5, 20]. Quel grande è solito da' Greci darlo per eccellenza, ma il suo titolo fu gene- rale da principio. Pag. 4, 17 \== I, 7, 1]. Perchè non vi fumo poi occasioni, e quando vi fumo si trattò bene, come di Berengario. Pag. 5, 14 [= 1, 9, 1,3]. Bugia espressa, come si vede dalle sue lettere ed anco dagli ardori contrari : ma qui Sleidano. Pag. 0, 20 [= I, 1.3, G]. Bugia, perchè ci stette po- chissimo. Vedi Giovio. Pag. 6, 8 inf. [= 1, 15, 1]. Su Lutero. Di dove tanto zelo in questo uomo ? Non fu né la cattiva vita ne la sordidezza dei questori, ma la passione e V ira che lo mosse. Un fliscorsetto più lungo troveremo intorno alle in- dulgenze (pag. 6 = 1, 14, 6). Coi})c nel (lare queste indulgenze non attesero mai i papi ad altro che all'uso antiquo, perpetuo e costante della C/iiesa, la quale e rese [= credette] e tenne che per esse gli erario rimesse le pene temporali e rilasciate le penitenze dovute per i peccati, così non fu mai messo niente in iscritto circa l' origine di esse : sicché sì trova nei Canoni alcuni dubbi sopra le indulgenze, e rimedio anco di alcuni abusi, ma non si trova già diffinilo né che cosa sia, né di dove venga ; pey^ché la pietà dei fe- deli cercava più di acquistar inerito con le buone opere che nodrir la ciiriosità con investigare quello che la Chiesa teneva e ordinava. Passò col tempo la dottrina sotto i torchi delle scuole e volsero alcuni teologi e cano- nisti ridurre alla ragione loro questo modo di perdono 0 venia : e siccome non dubitorno mai ne della verità deir indulgenze, ne della podestà de' prelati nel conce- derle, cos) si affaticorno di conformar le ragioni loro |-^7J (7!)) con questa sacra osservanza, ricercando le cagioni e gli effetti di quelle. Concepirno dunque alcuni sotto varie somiglianze questo perdono, o r^einissione di pena, che si fa mediante le indidgenze : e co^ne ne a liUti è dato il medesimo lume, così ne tutti trovorno forme da esplicare che quadrassero, altri volsero che il Pontefice, come padrone, condonasse il debito; ma come questo è cofitratto con Dio, resta solo che il medesinio Dio possa donarlo : e, consi- derando nel papa ìe chiavi date da Cristo come mini- sterio, con chiusero che, come ministro di Cristo, poteva assolver da quella pena. Né questa assoluzione.... (*). Una nuova edizione del Concilio può tener conto, o (jua o là, anche di queste i)o.stille, come di una voce dei tempi ; ma ripeto che tesori, o di critica o di arte, non vi sono davvero. III. « La vendetta di Dio non tarderà a manifestarsi con- tro l'empio che ha usato percuotere la tiara del santo suo vicario ». Così dicevano, secondo il Bianchi-Giovini, i pa- palini, dopo r interdetto ("^). Se lo dicessero davvero non al)l)iaino forse testimonio ; bensì nella Instruzione, data il primo giugno del 1621 a mons. Laudivio (•^) Zacchia, che veniva nunzio da Roma alla repubblica, raccomandatogli (1) Anche qui il Glossatore si stanca e non arriva alla fine. (2) Bioiir. di F. P. S. — Ed. cit. p. 440 (cap. XXX). (3) Cavo questo nome da un libricciuolo, che non vedo, ma che fu dato alla luce dai lodatori del Nunzio ed è: [Ars. Palasso/o] V e- n e t i a a 1 T i 1 1. e r e v. mons. Laudivio Zacchia. Ven. 1621. che tentasse di far cacciare il consultore, è conchiiiso : Ma finalmente non e da sperar molto : converrà aspet- tare il rimedio da Dio, essendo tanto inanzi negli anni che non può essere grandemente lontano dalle sue pene >(*). Quando il frate mori, lo piansero i suoi, lo pianse con reverenza il popolo, lo pianse con gratitudine il senato. Sappiamo dalle scritture che ce ne lasciarono il Micanzio e fra Amante da Brescia, priore del convento, quali fossero le parole e gli atti del morente {^) : e dicono le istorie come la repubblica si adoperasse ad onorare il fedele suo (1) Daru. Eistoire de la r. de Venise. Par. 1819 VI, 504. 11 Daru ne dà ahiuni luoghi soltanto, dicendo : Il y a un article fori étendu au siijet de Fra Paolo Sarpi. Non so dove trovarlo. (?) Il Bianchi-Giovini (1. e. p. 448) e il Romanin (7, 7S) vi accen- nano : si leggono interi quei documenti presso il Cicogna (Iscr. Ven. 5, 603) e presso il Cappelletti [Storia della rep. di Venezia X, 130). Una copia ne abbiamo nel ms. 2213 a Padova (e. 213) nella quale anzi che « fra Grig." Priul da Venezia » si legge « fra Crisostomo da Venezia » ed anzi che Gioan. Francesco segurta da Venezia, un'altra voce oscura, cioè, fra Già. Francesco Segovia. Il Cappelletti (Storia X, 126) dice che la relazione... fu estesa dal Micanzio, e scritta dal Fanzani e sottoscritta dagli altri. Ma pare a me che le relazioni sieno due, e le chiamerò prima e seconda : l'una del Micanzio e l'altra del P. Amante Bonvioini, e questa sola fatta sotto- scrivere dai frati del convento. Lo induco dalle parole di quelle scrit- ture e anche da quello che ne dice il Nunzio. Coi nomi di questi frati c'è chi possa dipingere la vita, i senti- menii, i pensieri, in quel convento di serviti? Chi è il traditorello che metteva esca sul fuoco, e s'accordava nelle accuse, non pie di certo, col Nunzio ? Avrà posto onorato il Micanzio, non libero ingegno, perchè lo do- mano i più forti, ma anima libera, che sa volere davanti alle prepo- tenze. Si rilegga la sua lettera del 10 febbraio 1635 al Galilei. Contro rintjuisitore combatte senza paura, perchè ha, «. assai risoluzione contro la tirannia » e non « sì cura che gridi chi vuole ». Possiamo da questo umile e forte fraticello imparare anche nell'ottocento : e chi sbraita adesso contro a' tiranni di chiesa e di corte, che non allungano più le mani, davanti a' padroni nuovi resterebbe vile, muto, ghiacciato. Bravo il mio frate Fulgenzio! (Cfr. Galilei. Opere. Firenze 1853 X, 75). figliuolo. Fu decretato che a pulìlìliclie spese gli si facesse uu iiionuineiit(j : ma l'opera non fu poi recala ad e/fello per occulta combinazione, che a me non tocca sviluppare, (liceva il Gi'iselini (•) e fu dagli alti-i ri[)ciuto ("2). Ora le lettere di moiis. Laudi vio Zaccliia i'i\elaiio il segreto, e ne abbiamo una copia anche nella nostra libreria a Padova {Mise. 2213). Molto opportunamente, e con l)uone illustrazioni, le pubblicò da un codice degli Archivi a Ve- nezia {Mise. N. 651 p. 632) il signor Attilio Ploncher {Ar- chivio storico, 4, 9, 145) ; cosi che poco mi resta da sog- giungere. (3) I due copisti si danno aiuto, perchè ciascuno fa i suoi peccati di suo ; ma 1' esemplare veneziano vince in bontà il padovano. Ecco dove quest'ultimo ha forse ragio- ne ; se legge (pag. 147, 7) con la medicina in e o rp o e non in corso: (149, 11) si compiacessero d a r m i : (150, 17) mandar l a fé d e : (15S, 13) che doresse tralasciare quegli onori: (158, 24) cose tali, ne tacere, ne com- porta r l e. Altrove restiamo nel dubbio : perchè 1' uno (147, 1()) dice che il Sarpi perdette la parola alle sette, e l'altro alle sei : e solo chi abbia innanzi l'autografo può decidere se la ottava lettera sia del primo ottobre o del sette, come dice il cod. padovano. C^). Di questa tragedia vediamo un attore, l' altro no. Il Barberini è Francesco, figliuolo di Carlo fratello del i)aj)a; da non confondere con un altro Francesco, figliuolo di (1) Mem. aned. ed. cit. p. 128 : e così pure Genio di F. Paolo. 2, 132. (2) Bianchi Giovini, Biogr. p. 449. — « Occulti maneggi degli an- tichi nemici del grand'uomo ». Cappelletti Storia X, 137. (3) I due luoghi tralasciati dall'editore, nello stampare le lettere del Nunzio, riguardano il Cornaro, primicerio di Aquileia (lett. XI) e mons. Griitiani.al quale è fatta grazia del titolo della rinonzia di Ro- sacrio (lett. XIII). (4) Il s. Ploncher (1. e. pag. 149) crede perduta una lettera: ma non potrei fare la stessa coni,'ettura. 0 della morte del Sarpi non aveva il nunzio f^ià scritto il 24 gennaio? Carlo, che di Urbano Vili era lo zio. (i). Sul cardinale, al quale rivolge lettere lo Zacchia, non sono al tutto d' accordo nei giudizi gli ambasciatori. Ne fa lodi lo Zen (1, 152) e nel 1627 Pietro Contarini(l, 214) che, per ra- gionarne, vorrebbe avere la penna d'oro e la voce di un serafino, e nel 29 Angelo Contarini (1, 263): poco dopo, nel 32, Giovanni Pesaro ce lo dipinge invece (I, 331) di natura cupo, melanconico, collerico, appassionato. E lo Zacchia? L'ambasciatore Angelo Contarini (1, 276) nel 1629, quando già il nunzio era diventato cardinale, lo dipinge con queste parole : « Zacchia, d' anni settantadue, ha avuto finora grandissimo grido. Egli è tenuto per uomo da bene e che sia stato tale tutto il tempo della vita sua... (Hi osta essere tenuto uomo tutto artifizioso, onde mai non si sappia quando voglia dir di sì e quando voglia dir di no, affettando il Papato per ogni via .... La sua sufficienza però è talmente contrappesata da una soverchia lunghezza eh' egli usa in tutti gli affari ... lo certo [diceva al se- nato] . . . non r ho ritrovato alieno dai gusti e dagli inte- ressi delle EE. VV. » (2). Il doge, batte e ri1)atte ; un amico fedele del Sarpi non avrebbe dovuto cedere ; ma a chi ha nelle mani le sorti di uno stato giova la prudenza e avremo scuse anche per Francesco Contarini (3). A noi, che non siauio né dogi né nunzi, viene la voglia di parlare di nuovo con le parole di Luigi Racine (^) : He! (1) Lo Zeno lo diceva (1, 146) « prelato di qualche stima». (2) Per le Relazioni, rimando alla raccolta del Bai'oz/.i e del Ber- chet ; nella terza serie, nel piimo volume di quelle che vengono da Roma. Venezia 1877. (3) Che era doge, dall'otto settembre di quell'anno. 11 Sarpi morì, dogando Antonio Friuli : ma questi non ebbe a disputare collo Zacchia, come venne dotto al sig. Ploacher (1. e. p. 157). (4) Scritte ad altri e per altri, nella prima delle due lettere vera- mente pascaliane, intorno alile dispute di Porto Reale. (0 e u v r e s. 1857. 11,28). [31] (S:!) monsieur, contente z-vous de clonner les rangs dans l'autre monde: ne règlez point les 7'ècoìnpenses de celui-ci {^). (1) A tempo il nostro collega G. Stefani mi dà cortesemente una mano. Egli ha copia delle lettere scritte dallo Zacchia, in un codice che fu del vescovo Squarcina, domenicano : e questo si accorda col testo dato dal Ploncher nei luoghi da me citati: anche nelle ore sei. La ottava lettera è veramente del 7, anche nel codice Fontaniniano ed è errore di stampa quello dell' Archivio Storico. Aggiunge ancora l'erudito collega, che mons. Cornaro era primi- cerio di S. Marco, e non di Aquileia, e che la raccolta dei libri che furono del Mazzetti è nella Civica di Trento. T. IV, S. Vii COMMEMORAZIONE DEL M. E. CONTE ALESSANDRO P. NINNI LETTA DAL M. E. (t 1 0 \' a N N I C A N E S T R I N I NELL'ADUNANZA DEL 18 DICEMBRE 1892 Li 7 gennajo di qiiest" anno cessava di vivere in Ve- nezia, colpito da influenza susseguita da bronchite e nevrite, il conte Alessandro Pericle Ninni, amato e stimato nostro collega. La notizia giunse a me, come a molti altri, tanto più dolorosa, quanto era meno aspettata, perchè aveva di poco varcato i 55 anni, era di felice costruzione e di robusta fibra, e fino allo spuntare del corrente anno aveva goduto fiorente salute. L' ultima lettera, che ho di lui, precorre quella data di soli otto giorni ed esprime le più affettuose condoglianze per una sventura domestica, da me soff"erta in sullo scorcio dell' anno passato. L' annunzio ufficiale del nostro benemerito segretario Paulo Fambri, in data del 10 gennajo, venne a confermare il triste avvenimento ed a tessere con parola scultoria il primo elogio al collega defunto. Desideroso di off'rire all' amico perduto un tributo di stima e di affetto, scrissi tosto alla Presidenza dell'Istituto (di' io ne avrei fatta la consueta commeinoi-azioiie, ((ualora {m) [2] altri non mi avesse preceduto nell'assumere questo mesto ed insieme gratissimo ufficio. Della vita e degli scritti del Ninni parlarono già i professori Camerano di Torino e Pavesi di Pavia ; io giun- go, per cosi dire, all' ultimo momento, mentre sta per com- piersi il primo anniversario della morte. Ma quest'indugio ha i suoi vantaggi, perchè l'imma- gine del defunto collega, allontanata nel tempo, si è spo- gliata di tutto ciò che aveva in sé di secondario e casuale, per mostrarci meglio delineati i suoi tratti caratteristici ed essenziali. Alessandro Pericle Ninni nacque a Venezia nel 4 aprile 1837. Suo padre era un intelligente ed agiato agricoltore oriundo di Salonicco, che trasfuse nel suo primogenito Alessandro 1' amore del lavoro e della natura ; sua madre, Maria Polo di Treviso, donna altrettanto virtuosa quanto modesta. Percorse nella sua città nativa le sei classi del ginnasio a S. Provolo e le due di filosofia a S. Caterina, e rivolse poi il vigore della sua mente alle osservazioni biologiche, alle quali si sentiva particolarmente inclinato. Allo scopo di viemmeglio istruirsi visitò le principali città dell' Austria, della Germania e della Svizzera, nelle quali prestò la massima attenzione ai musei di storia naturale e contrasse amichevoli relazioni con alcuni eminenti scien- ziati ; nel 1863 si recò in Grecia e lavorò lungamente al riordino di alcune collezioni dell'Istituto zoologico di Atene, per incarico avutone dal prof. Mistzopoulos. Nel predetto anno 1863 si sposò colla brava e graziosa signora Emma Gasparini di Venezia, da cui ebbe di- versi figli, dei quali cinque sopravvissero ai genitori, e cioè Giorgio, Emilio, Pia, Irene e Maria. La moglie, rispettiva- mente madre, mori li 19 dicembre 1874, lasciando il nostro Ninni in lutto profondo ed inconsolabile, tanto che in sullo scorcio di queir anno mi scriveva queste testuali parole : [:)] (87) « Non so (lii-ii elio sarà di me doiu) la perdita di (|ii('lla donna, che [)ei' dieci anni mi rese Ixdla hi \ita. > Io coiiobhi il Ninni di jtersona nel 1(S()7, (jiiando \enne a Modena per conseguire hi hxurea in scienze naturali. Egli godeva già allora tal fama di appassionato e serio naturalista, che la h'acoltà di scienze lo disjìensó dagli esami speciali del ([uadi'iennio, e l'ammise agli esami gene- rali che superò con ottimo successo, cosi che li 3 giugno di quell'anno ebbe il ben meritato diploma di dottore. Le sue pubblicazioni sono numerose, ed è di esse che ora jìarlerò con quella maggiore diffusione, che è consentita dall' indole di questo discorso. Uno dei primi argomenti, cui il Ninni l'ivolse la sua attenzione, furono i pesci di acqua dolce, intorno ai quali nel 1863 pubblicò una Memoria dal titolo « Cenni sui pe- sci della provincia di Treviso e sulla introduzione in essa della piscicoltura. » La fauna ittiologica delle nostre acque dolci era in (piel tempo assai poco conosciuta, perchè il Bonaparte, nella sua fauna italica e nel suo catalogo metodico dei pesci europei, aveva quasi interamente trascurato il lato biologico e s' era occupato quasi esclusivamente della tas- sonomia, istituendo su caratteri sovente superficiali ed in- stabili una moltitudine di specie, che si dovettero più tardi ridurre ad un numero assai minore ; ed i lavori del Costa, del De Filippi, del Nardo, del Martens e del De Betta aveano bensì ampliato le nostre cognizioni corologiche e corretto ({ualche errore sistematico, ma aveano anclie la- sciato intorno alla biologia di parecchie specie lacune ed incertezze, che era necessario di rimuovere. Le osservq,zioni del Ninni, sebbene limitate ad una sola provincia, segnarono un notevole progresso sulle prece- denti, perchè dirette a scopo eminentemente i)ratico ; in- fatti r autore trascura bensì, la descrizione delle specie già note, ma indaga il loi'o modo di vita, e cioè le sostanze onde si cibano, 1' infiueJiza del nutrimento sulla statura e (SS) [4] su altri caratteri, i costumi e gli istinti, 1' epoca della frega, ecc., e tiene conto eziandio dei nomi volgari, del sapore delle carni e del prezzo commerciale clie ne con- segue. Quest' opera del Ninni e quelle pubblicate dappoi in varie parti dell' Europa da Siebold, Blanchard, Pavesi, Moreau, Gigiioli, Fatio, De Carlini ed altri, hanno talmente illustrato r argomento dei pesci delle acque dolci, che poco rimane a spigolare in questo campo; di che sono prova le due monografie venute alla luce in quest' anno (1892), r una di Filippo Silvestri sui pesci dell' Umbria e 1' altra di Enrico Testa su quelli del Piemonte, le quali, mentre hanno un valore nei riguardi della distribuzione geogra- fica, poco altro di nuovo poterono insegnarci, perchè tro- varono il terreno mietuto. Già nella prefazione all' opera testé citata il Ninni aveva espresso il concetto che la scienza è chiamata « a guidare il pratico nelle sue osservazioni, e rischiarare ad esso con sicura face il cammino, preparandone cosi più giusto e sicuro compenso » ; e fedele a quest' idea aveva trattato della piscicoltura e degli ordigni di pesca. « Sic- come il ripopolare le nostre acque, egli dice, salvare dal- l' esterminio migliaia di uova, è tale prospettiva che ben merita 1' attenzione degli economisti, lode ne abbiano co- loro, che i)e' primi diedero eccitamento all' introduzione della piscicoltura tra noi con opere, che parlano 'più diret- tamente al popolo »; e fra questi uomini benemeriti cita r illustre nostro vicepresidente, che già nel 1862 1' aveva preceduto su questa via con due utilissime i)ul)blicazioni. E quanto agli ordigni da pesca, ne desci-isse i principali con molta brevità. Tale l)revità pare sembrasse a lui eccessiva, perchè più tardi, e cioè nel 1877, quando faceva parte della Giunta provinciale })er la pesca di Treviso, pubblicò un' altra Meuioria, intitolata « La pesca nella provincia di Tre- viso », nella quale diede un esatto elenco dei pesci, che p(i)»(>buio le ac(|ue del Trevigiano, e descrisse con maggiori [5] m (lettagli gli ordigni di pesca, dei quali egli aveva imparato a conoscere la costi-uzione e il maneggio con tale precisione da non temere confronto. Non soltanto i [xvsci delle acque dolci, ma ancora e in più larga misura ({uelli delle acque salse attrassero l'at- tcMizione del Ninni. Per non parlare di autori molto anti- chi, il Cuvier e Valenciennes ed il Giinther colle loro opere generali, il Bonaparte nella sua Fauna italica, il Cocco colle sue ricerche nel mare di Messina, il Costa co' suoi studi sul golfo di Napoli, io con quelli sul golfo di Genova, il Chiereghini, il Naccari, il von Martens ed il Nardo colle loro Memorie manoscritte o stampate sui pesci dtdr Adriatico, avevano già grandemente promossa la cono- scenza della nostra fauna ittiologica ma rina ; nondimeno il Ninni el)l)e margine a fare alcune interessanti osserva- zioni ed a scrivere parecchie huone monografie. Già nel 1802 egli trattò di un pesce del genere Lepìdo- pus pescato nel Quarnero ; dieci anni dopo scrisse sui pesci, che prolificano nella laguna di Venezia e principalmente su quelli che fabbricano un nido ; nello stesso anno 1872 publ)licò il Catalogo dei pesci osservati nella laguna di Venezia e nel mare adriatico; nel 1878 scrisse intorno ai generi Callionymus, Zeus e Gadiis: nel 1880 intorno agli Anacanthini dell' Adriatico, aUa quale memoria due anni dopo fece seguire un' appendice ; nel 1881 intorno all' A- phi/a phalerica, che identificò colla Clupea phalerica o sprattus: nel 1882 intorno ai ghiozzi o go1)ii ed in quel- r istesso anno intorno ad una forma di tonno nuova ])er l'Adriatico, cioè il tonno iiUcoHì {Orcynus brachtjpterusj ; e nel 1888 intorno ad una nuova specie di Gobius (^(r. Ca- neslrinii), che vive tanto nelle acque dolci dell'Italia set- tentrionale e della Dalmazia, come nelle salmastre dell'e- stuario di Venezia. E perfino nello scorso anno, e più precisamente li 7 dicembre, mi mandava alcuni esemplari della Scorpaena ustulata Loioe, ch'egli in quei giorni aveva pel pi-iuM) risconti'ato nell* Adi'iatico. (<)0) [li] Le pubblicazioni succitate banuo cai-attere principal- mente scientifico; ma la mente pratica del Ninni ba trovato maniera di mettere a profitto le sue cognizioni ittiologiche coir applicarle a molte questioni, che si rannodano alla pesca. Nel 1872 egli scrisse intorno alla causa, cbe impe- diva la pesca dell' Adriatico, nella quale Nota concluse coir asserire cbe l' impedimento all' esercizio della pesca colle reti era puramente meccanico, poicbè non trattavasi di sostanze nocive alla vita dei pesci, ma sibbene di uno strato di sostanza organica, soflftce e glutinosa, che impediva le volute operazioni e il libero officio delle reti nelle ac- que. Nel 1881 diede una esatta descrizione degli arnesi usati dai pescatori vaganti della laguna di Venezia, i cui modelli egli aveva inviato dapprima (1880) alla Esposizione internazionale di pesca in Berlino, e poscia (1881) a quella industriale di Milano. Una pubblicazione di interesse particolare porta il ti- tolo : « Sui progetti di regolamento per la pesca marittima presentati dalla Scuola dei pescatori di Chioggia e dal Comizio agrario di Venezia. » Il fascicolo ha la data del 1887, ma veramente le relazioni, che vi sono contenute, risalgono al 1881, nel (juale anno appunto furono lette nella Commis- sione consultiva per la pesca. Mentre tutti i compartimenti del Regno accettarono quasi per intero il Regolamento in vigore in esecuzione della Legge sulla pesca del 4 marzo 1877, soltanto le sunnominate due società del Veneto non divisero la generale opinione e proposero un nuovo rego- lamento di pesca. Al Ninni ed al Richiardi non riesci dif- ficile di dimostrare che quei due Sodalizi! non erano al- l' altezza della loro impresa e che il nuovo regolamento da essi proposto conteneva numerose lacune e contraddizioni; e che, se per avventura fosse andato in vigore, avrebbe inceppato le industrie peschereccie e nociuto alla tutela delle specie. E questo il luogo di menzionare altre due pubblica- zioni del Ninni di interesse locale, le quali hanno i titoli seguenti : « La questione delle chiuse o sen-aglie nella laguna di Venezia, » e « Alcune considerazioni sulla pesca estiva dei barboncini e delle triolette lungo la costa ve- neta. » Nella prima, data alle stampe nel 1887, 1' autore prende le mosse da un' istanza prodotta alla competente autorità in quell' anno, mediante la quale si domandava che le chiuse o serraglie fossero proibite in giugno e luglio, poiché (juesto metodo di pesca nell' epoca indicata riesce fatale alle pianuzze. Il Ninni non dissente, in massima, dal- l' opinione dei petenti, ma crede superfluo di provocare nuove disposizioni regolamentari, perchè nelle acque aperte le serraglie non recano alle pianuzze durante l' estate danni ragguardevoli; mentre questi pesci nella laguna morta sono protetti dall' art. 6 della Legge 4 marzo 1877, che vieta di collocare attraverso ai bacini di acque salse apparecchi fissi o mobili di pesca, che possano impedire del tutto il passaggio del pesce. — Neil' altra Nota summen- zionata tratta dei barboni e delle trie, che insegna a di- stinguere gli uni dalle altre già allo stato giovanile, e discute poi intorno all' art. 72 del vigente Regolamento, il (piale dispone che sieno proibiti il commercio e la pesca della triglia novella (Mulliis surmuletus) dal \° aprile al 1." luglio, e dei barboncini novelli (Mullus barhatus) dal 1." maggio al L° settembre. Il Ninni è di avviso che per triglie novelle e barboncini novelli il legislatore intendesse i pesciolini da semina; mentre le Autorità locali, sotto la denominazione di pesce novello, compresero anche quei pe- sciolini, che si destinano alle mense, anche se hanno rag- giunto la lunghezza, nel caso presente di centimetri sette, l)rescritta dall' art. 17 del Regolamento. Il Ministero di agricoltura, industria e commercio diede ragione alle au- torità locali ; ma al Ninni spetta egualmente il merito di avere dimostrato che F art. 72 del Regolaménto è redatto in modo da }>oter essere interpretato in varia maniera, e che, eseguito secondo la interpretazione lettei-ale ed utHciale, dà luogo ad inconvenienti cui è necessario di [torre riparo. (92) [8] Le cose sopra esposte intorno al Ninni ci mostrano in lui un valente ittiologo ed un profondo conoscitore di tutie le questioni, che si riferiscono alla pesca ; ma ne' suoi scritti trovasi eziandio la prova della conoscenza, ch'egdi aveva della vita intima dei pescatori. Alcune pubblicazioni del Ninni servono a suffragare quest' asserzione, cosi quella sui segni prealfabetici usati anche ora nella numerazione scritta dai pescatori clodiensi (1889) e quella suU' Araldica pescatoria (1890). In parte a questa categoria di lavori ne appartengono altri, nei quali il Ninni ha manifestato la sua profonda conoscenza delle classi inferiori della popolazione veneziana, cui vanno ascritti i pescatori ed i cacciatori. Devo qui menzionare il suo libro, publ)licato nel 1890 « Giunte e correzioni al Dizionario del dialetto veneziano, » nel quale si propone di completare il A^ocabolario del Boe- rio. Nella introduzione egli rileva, quanto in questioni di scienze naturali sieno sovente inesperti i letterati, ai quali talvolta r amore della forma fa negligere la sostanza ; ed i quali, d' altra parte, si mostrano molto severi verso gli scienziati, cui può accadere di costruire un periodo non perfettamente armonico. E vero che noi contiamo de- gli uomini di scienza, che in fatto di bello scrivere possono servire a tutti di modello, dicasi ciò di Galileo, di Redi e di Spallanzani ; ma giova considerare che il progresso scien- tifico avendo, in conformità ai nuovi bisogni, specificato il senso delle parole antiche ed arricchito il dizionario di termini nuovi, ha posto i moderni autori nella necessità di sacrificare talvolta 1' eufonia della costruzione alla impre- scindibile esattezza dell' espressione. I letterati non si tro- vano in queste strettoie, perchè basta eh' essi consultino un liljro elementare per non incorrere in errori, che ve- diamo ripetuti nei Vocabolari più rinomati. A titolo di esempio, per essi il serpente è velenoso e feroce, quasi che non esistessero serpenti innocui ; la pinna è una delle due alette che hanno i pesci, ignorando che le pinne simme- [<)| 0»:5) triche dei pesci sono {j^e nera! mente (Hiattro ; i cetacei in forza di sostantivo significano })esci della niaggioi- gran- dezza, mentre, viceversa, sono niaminiferi genuini ; il ca- lamaio è un pesce e per soprassello il maschio della seppia, metiti-c in realtà non è ne una cosa, né l'altra; il polpo significa polijìo che sarehbe un pesce, e in verità sono tre cose diverse; il rospo è una specie di rana, come il ragno, a loro avviso, è un genere d' insetti. Alla voce balena, essi asseriscono che dalle coste di lei, e non dai fanoni, si fanno le stecche da ombrelli e da busti. Per non essere, alla nostra volta, ti-oppo severi, è ne- necessario di riconoscere che chi scrive un Vocabolario deve trattare di troppe cose per essere bene istruito intorno a tutte: che inoltre alcuni errori sono semplice retaggio di dizionari più antichi, dai quali furono alla lettera tra- scritti; e che in fine nei dizionari più moderni si va a poco a poco correggendo ciò che nei vecchi havvi di meno esatto. Comun([ue sia, il Ninni, scrittore correttissimo, mal soffi'iva in altri la mancanza di precisione, e dopo avere citati gli errori surriferiti ed altri, esclama con ragione : « E i)OÌ vi è ancora chi vorrebbe abolito lo studio delle scienze naturali nelle scuole ! » Non è opportuno qui di cercare a chi egli volesse alludere : ma certo è che oggi conviene vigilare più che mai, affinchè presso di noi alle scienze positive, delle quali noi Italiani siamo stati gii an- tesignani e che costituiscono la gloria del secolo presente, sia conservato quel posto, che già tengono presso le più colte nazioni del mondo. Un altro libro di piccola mole, stampato a Venezia nel 1800, ha il titolo « La caccia degli uccelli acquatici nelle valli del veneto estuario, » cui fa seguito la « Lista di alcune voci e di frasi in uso tra i cacciatori di xaììe. » A conferma di quanto poc' anzi ebbi 1' oiioi-e di asse- l'ii-e posso citare ancora le sue « Nozioni del popolino ve- neziano sulla somatomanzia » (1891), il <- liibi-uscolando -» (94) [10] (1891), e la « Carta topografica delle coste italiane da porto Buso a munte Conerò, colle denominazioni usate dai pe- scatori veneti » (1891), dalle quali pubblicazioni risulta colla massima evidenza che il nostro Ninni amava di vivere in mezzo al popolino veneziano, del (|uale spiava ogni pensiero e sorprendeva i più reconditi sentimenti. Il Ninni s' è dato dapprima allo studio dei pesci e s'è talmente invaghito di questi muti abitatori delle acque, che non solo li tenne in vista dal lato teorico durante tutta la sua vita, ma estese le sue indagini e meditazioni alle in- dustrie peschereccie ed alla relativa legislazione. Ma in pari tempo nella sua mente erasi maturato il proposito di stu- diare e far conoscere anche le altre classi della fauna veneta, principalmente quelle del tipo dei vertebrati. Per avere un filo conduttore attraverso le pubblicazioni del Ninni, affinchè queste non appaiano opere slegate ed occa- sionali, è necessario considerare, che la méta, cui egli ten- deva, insieme col chiar.° nostro collega Filippo Trois, era la conoscenza della fauna veneta, ossia dei prodotti delle acque dolci, dell' Adriatico e della terraferma di questa regione. Molto era già stato fatto su questa via dai natu- ralisti che lo precedettero, nia molto rimaneva a farsi spe- cialmente con moderno indirizzo. Allo intento su espresso accennava il periodico, fondato da lui e dal chiar. nostro collega prof. Saccardo nel 1867 ed intitolato « Commentario della fauna, flora e gea del Veneto e del Trentino. » Nel programma di questo periodico i due redattori, dopo di avere deplorato che 1' illustrazione dei prodotti naturali del fertile suolo della Venezia fosse ancora molto imperfetta, esprimono chiaramente l' intendimento di rac- cogliere nel loro Giornale le scoperte ed in genere i ma- teriali tutti, che mano mano accumulassero in argomento i naturalisti conterranei : « Per ora, essi dicono, questo Foglio non potrebbe aver più alta aspirazione che di pro- muovere gli studi e di raccorre ed ordinare i materiali per r illustrazione naturale delle regioni anzidette; ma se |11| (05) tia che })ren(la un siciu'o avviamento e che i nostri natu- ralisti si pongano con forte e costante volontà all'impresa, potrebbe sperarsi che entro non nujlto il Foglio potesse altresì mano mano pul)blicare una generale illustrazione dei })rotlotti di questa ])ella parte d' Italia. » A giustificazione poi del titolo essi soggiungono : < Ol- tre al Veneto comprendiamo eziandio, (jual campo da illu- strarsi, la nobile terra del Trentino, , la (pude sì rispetto alla geografia che all' etnologia è il complemento dell' Italia e più specialmente del Veneto, e noi avremmo commessa una grave mancanza a non contemplarla nel nostro Giornale »: alle quali parole fanno seguire un au- gurio, che qui ometto, per non allontanarmi dal campo scientifico, e pel quale tuttavia sento il dovere di ringra- ziai'li a nome del mio paese nativo. Il Commentario visse due anni ed accolse parecchie pregevolissime Memorie, poi sospese le sue pubblicazioni. Più che il periodico anzidetto valsero a tradurre in atto (juel progetto di una fauna veneta gii scritti del Ninni, che ora passerò in rivista nell' ordine della gerarchia zoo- logica e prescindendo da quelli di ittiologia, dei (juali ho già fatto menzione. Il Ninni fu il primo a fare studi speciali sui mammi- feri della provincia di Treviso che pubblicò nel 1864; per la massima pai'te questi vertebrati erano già conosciuti come veneti dalle opere di altri naturalisti, tuttavia egli potè constatare l'esistenza di più di una specie per lo in- nanzi sconosciuta nelle venete provincie, ad esem})io di vari Chirotteri e del Micromys agrarius, animale aì)bastanza copioso in alcuni boschi trevigiani. Un'attenzione speciale egli prestò ai Chirotteri del Ve- neto, i quali nel 1878 erano assai poco conosciuti, perchè intorno a quest' ordine di mamnuili non si possedevano a (piell'epoca che semplici cataloghi, quasi tutti nominali, e che quindi non davano garanzia sulla esattezza della de- terminazione della s})ecie. La monografia dei Chirotteri co- (96) [1-2] stituisce la prima parte de' ^iioi « Materiali \)ev la fauna veneta », e venne inserita negli Atti del nostro Istituto del 1878 (serie V, voi. IV). L' autore potè trarre profitto dei lavori preparatori del Martens, del Lanzani, del Catullo, del Contarini, del Nardo e del De Betta, e darci cosi una monografia esatta, alla quale nel 1883 aggiunse la descri- zione di un colossale Vesperugo, inserita negli Atti della Società italiana di scienze naturali, voi. XX VI. Scrisse anche una breve Nota sulla lepre bianca {Lepus variabilis) delle Alpi venete (1876), ed un' altra, illustrata da una tavola, su talune forme inedite o poco note di rosicanti veneti (1882). L'avifauna costituisce la sesta parte dei Materiali suc- citati per una Fauna veneta, ed è elaborata con cui'a s])e- ciale e con dovizia di cognizioni ; poiché il Ninni, posses- sore di terre e di valli ed esperto cacciatore, trovavasi in condizioni assai favorevoli per fare raccolte ed indagini ornitologiche. I cataloghi e le tabelle, che egli pubblicò negli Atti di questo Istituto dal 1879 al 1885, devono rite- nersi di un'esattezza inappuntabile; e sono del pari preziose le notizie che dà di ciascuna specie, percliè frutto di os- servazioni accurate e coscienziose. Oltre il precitato lavoro, il Ninni ha parecchie Note, brevi bensì ma interessanti di ornitologia, delle quali mi li- mito a citare il titolo. Sono le seguenti : « Osservazioni sulle mute del Larus melanocephalus Natt. e del Larus canus L. (1883) », — « Sopra due rarissime specie di uccelli pos- seduti dal Civico Museo di Venezia (1883) », — « I merli urofasciati (1887) », — « Sul passaggio straordinario della Querquedula circia avvenuto in marzo 1886 nell' estuario veneto (1887) », — « Le Acredule venete (1889) », — « Sulle recentissime opinioni intorno alle specie venete del genere Acredula (1889) », — « Nota sul Ctrcus rufus L. (1891) ». Intorno ai Rettili ed agli Anfibi il Ninni non ha pub- blicato alcun lavoro complessivo, ma soltanto una serie di note, le quali in parte trattano della distribuzione geo- ieratica di questi vertebrati, in parie i-iscliiai-aiio fatti di biologia o di sistematica, ed in pai'te contengono recen- sioni di scritti altrui. Le note sono le seguenti in ordine di tempo : « Breve nota intorno al marasso {Pelias berifs) nel Veneto (1] (1)0) ho oinrnesso, ma clie trovanti neireleiico generale de' suoi sri'iili aUe_iat() a (|Uosto discorso, ti'attano in ina_L(gior pai'to di Zoolo;^'ia sistcìiiatica, nella ([iiaie il Nitiiii era luacsti-o. In essi' nulla li*o\asi (die |)r(jven;^a da scuiplicc eonipila- /ioiu' : tutto ha iuipi-onta ot-iginah' ed ò il t'nitto (h^lle sue pazienti, minute ed esatte osservazioni intorno alla stiait- tura e ai costumi degli animali. Egli è perciò che i suoi scritti, mentre sono numerosi per effetto della sua ecce- zionale attività, sono del pari brevi od anche brevissimi, perché egli non conosceva l'arte, i)unto lode\'oh'. di diluire l»ociii concetti in un mare di frasi aggrovigliate e tene- brose. 11 naturalista può sempre fidarsi di ogni asserzione del Ninni, il (juale era solito di non dire più di quello che aveva veduto co' i)roi)ri occhi o poteva esattamente dimo- strare. A questo desiderio di precisione, in lui profonda- mente radicato, credo di dover attribuire il fatto che egli difficilmente prendeva parte a quelle generali questioni, che allo stato attuale della scienza sono ancora insolubili. Io a})parteneva fra i suoi migliori amici e lo conosceva da vicino quanto altri mai, eppure nulla trovo ne' suoi scritti, né ebbi dalla sua viva voce, che mi autorizzasse a dichia- rare, com'egli la pensasse intorno al problema dell'evolu- zione, che da oltre trent'anni agita il mondo scientifico. Il Ninni era principalmente zoologo sistematico^ e, più che la sintesi amava l'analisi. Io so bene che oggi un gruppo di naturalisti considera la sistematica come un ramo di scienza antiquato, linneano, che conviene trascurare per promuovere la ricerca dell'in- tima struttura e dèlio sviluppo degli organismi. Se la si- stematica altro non fosse che un' offiqina di specie, quale tuffai più i dilettanti })Ossono considerarla, quei naturalisti avrebbero ragione ; ma essa, secondo il moderno indirizzo, è la base degli altri rami della biologia e li compendia tutti. Dico che è la base, perchè in ogni osservazione o sperimento importa innanzi tutto conoscere da vicino il soggetto di studio ; e dico che li compendia tutti, perchè la T. IV, S. VII 7 (100) [16] ricostituzione dell' albero genealogico, mèta suprema della sistematica, è tale impresa da richiedere, affinchè non fal- lisca, il concorso di tutte le discipline biologiche. La for- mola binomiale, dall' immortale Linneo introdotta nella si- stematica, non serve, no, soltanto di esercizio alla memoria, ma al pari delle formole del matematico e del chimico, rappresenta il risultato di lunghe indagini, giova alla bre- vità del dire e del pensare, ed è quindi uno strumento ef- ficace di progresso scientifico. Bando dunque a questo de- plorevole esclusivismo, invalso da poco nel nostro paese ; si j promuova pure con ogni sforzo 1' avanzamento della zoo- tomia, dell' istologia e dell'embriologia; ma non si deprezzi la loro sorella anziana e del pari benemerita, che è la zoo- logia sistematica. Ora è mio dovere di far conoscere l'opera del Ninni in un'altra sfera di azione. Io lo ricordo amato e stimato collega nella Giunta reale per la legge sulla pesca, nella quale le nostre vedute erano costantemente all' unissono. Egli apparteneva alla minoranza della Commissione, la quale nel progetto di legge della maggioranza ravvisava alcuni difetti che domandava fossero corretti ; e particolar- mente trovava alcune disposizioni troppo vaghe ed indeter- minate, altre insufficienti ad incoraggiare e tutelare la pesca del corallo, altre ancora non rispondenti ai bisogni della vallicoltura. Non già per la forza del voto, ma coli' evi- denza degli argomenti, quella minoranza ottenne in buona parte lo scopo che si era prefisso ; e se la Legge italiana sulla pesca del 4 marzo 1877 è fra le migliori che si co- noscano in tale materia, il Ninni ebbe una parte di merito a questo felice risultato. Io lo ricordo del pari valoroso collega nella Commis- sione consultiva per la pesca, nella quale godeva grande autorità, massime quando parlava di argomenti di specia- lissima sua competenza, ad esempio, la vallicoltura, la pesca lagunare, la cocleocoltura, 1' astacicoltura ed il ripopola- niento delle acque. Chi legge negli Aniiali dell'agricoltura À [17] (101) ^li Atti (Iella ("oiiiinissioiie anzidetta, ti'0\u imitierose prove «Iella (li lui attività ; ([ui ne l'icordo .soltant(j due : l'una il pi-()<>ett() di astacicoltura che fu presentato alia Commissione consultiva per la pesca li 26 ottobre IS8S, in seguito al (juale l'Amuiinistrazione centrale istituì un vivajo di asta- cicoltura presso la Stazione di piscicoltura a Brescia, e un secondo vivajo simile i)resso l' Istituto forestale di Vallom- brosa, — r altra le operazioni, da lui compiute con buon successo pel ripopolamento delle acque dolci del Veneto, immettendo per incarico del Ministero di agricoltura nei tiuiui e torrenti, Sila, Piave, Brenta, Mignagola, Musestre, Tallio, Meolo, ecc. fra gli anni 1884 e 1801 complessiva- mente circa 300.000 avannotti di trota. Nei riguardi personali il Ninni era cortesissimo con tutti coloro, che si rivolgevano a lui per libri, oggetti na- turali o consiglio; la sua generosità è attestata da molte prove, fra le quali io ne menziono due sole : 1' Istituto zoologico di Padova, da me diretto, deve a lui quasi tutta la Raccolta ittiologica conservata in alcool ; ed al Museo civico di Venezia donò tutte le proprie collezioni zoologiche locali, per cui ne fu nominato condirettore. Era fermo nelle sue convinzioni ed opinioni, costante nei suoi affetti ; evi- tava i convegni non necessari, dove si trovava a disagio, e preferiva la compagnia ristretta ed intima, nella quale si palesava cordialissimo ; era breve e conciso nello scrivere, laconico nel parlare, ma ascoltava volontieri con attenzione le persone che stimava ; manteneva sempre colla massima premura ciò che aveva promesso anche soltanto a fior di labbro. Era di mezzana statura, di forte costituzione, di aspetto nobile e serio. Per quanto ricordo, non 1' ho mai veduto ridere, raramente sorrideva. Non aveva nemici personali, perchè, modesto oltre ogni dire, evitava delicatamente ogni più lieve attrito ; ma nonostante il suo largo censo, non contava nemmeno molti amici pei- V indole sua riserva- tissima. (102) [18] Apparteneva a molti sodalizi scientifici, fra i quali, ci- terò la Società italiana di scienze naturali in Milano, la veneto-trentina di Padova, l'entomologica di Firenze, quella dei naturalisti di Modena,- di Ratishona e di Dresda, la zoo- logica e malacologica di Francia, la zoologico-botanica di Vienna, la cesarea Naturae curiosorum di Lipsia, gli Ate- nei di Bassano e di Treviso, le Accademie dei Concordi di Rovigo e quella di Bovolenta. Del nostro Istituto divenne socio corrispondente nel 187G, e membro effettivo nel 1885 (1). Venezia, ricca di robusti ingegni e di forti caratteri, conta una lunga schiera di valenti naturalisti, che illustra- rono con penna maestra i frutti della laguna e del mare: basta ch'io menzioni, a titolo di onore, l'Olivi, il Renier, il Contarini, il Naccari, il Chiereghini ed il Nardo. A qué- sta pleiade degli eminenti biologi veneti del passato va ora aggiunto, ultimo in ordine di tempo, Alessandro Ninni, il quale si distingue dai suoi predecessori per l' indirizzo uti- litario, che segue in gran parte delle sue indagini che cerca di avviare ad uno scopo pratico. A lui i naturalisti dell' avvenire potranno attingere l'amore allo studio dei prodotti delle nostre terre e delle nostre acque, onde soltanto potrà scaturire quel generale benessere, cui tanto anela il tempo moderno. Col Ninni 1' Italia perde anzi tempo un devoto suo fi- glio ; Venezia un cittadino di nobili e generosi sentimenti ; la scienza un insigne cultore e mecenate ; la famiglia il suo capo amato e venerato ; l' Istituto nostro un potente ele- mento di forza e di vita feconda. (1) Veci. Pavesi in Bull. Soc. veneto-trent. di .se. nat, 1892, aprile, pag-. 73. mn o[L[f mmimi oa ttw i p, (•) Anno 1862 — Sopra un pesce del genere Lepidopus pescato nel Quarnero — Atti del R. Istituto Veneto Tom. VII ser. Ili — Venezia. 1863 — Cenni sui pesci della prSvincia di Treviso e sulla introduzione in essa della piscicoltura. — Venezia. 1864 — Notizie intorno agli animali vertebrati della provincia di Tre- viso, colla indicazione delle altre specie fino ad ora trovate nelle venete provincie. I Mammiferi. — Venezia. 1865 — Sulla mortalità dei Gamberi nel Veneto e più particolarmente nella provincia Trevigiana. — Atti del R. Istituto Veneto, Tom. X, ser. III. — Venezia. » — Notizie intorno agli animali vertebi-ati delle provincie venete. — Atti del R. Istituto Veneto, Tom. XI, ser. III. —Venezia. 1866 — Delle emigrazioni degli animali nelle provincie venete. — Ateneo di Treviso. — Venezia. » — Sopi-a un infusorio del genere Cothurnia Ehr. — Atti del R. Istituto Veneto, Tom. XI, ser. III. — Venezia. 1867 — Sulla mortalità delle .\nguille. — Atti della Società .Agraria di Gorizia. — Gorizia. » — Note ed aggiunte alla fauna veneta. — Venezia. » — Ninni e Saccardo. — Commentario della Fauna, Flora e Gea del Veneto e del Trentino. — Venezia. 1868 — Catalogo degli uccelli del Veneto con note ed osservazioni. — I, Accipttres et Passeres. — Venezia. » — Della larv.a roditrice del frumento. — Atti della i. e r. Società agraria di Gorizia. — Gorizia. » — Synopsis iconogruphiae Faunae italicae Caroli Luciani Bona- parte. — Venezia. 1869 — Catalogo 1879 — Materiali per una Fauna Veneta. — Sulla supposta esistenza del Bufo calamita Laur. nel Veneto e sopra una particolare usanza del rospo smeraldino. — Atti del R. Istituto Veneto, Tom. V, ser. V. — Venezia. » — Intorno alla recente invasione della farfalla del ^ardo — Treviso. » — Breve nota intorno al marasso (Pelias berus L.). — Atti della Società italiana di .se. nat., voi. XXII. — Milano. » _ Contribuzione per lo studio degli Ortotteri veneti. I Catalogo degli Odonati. — Venezia. » -- Richiardi e Ninni. — Relaziono a schema di regolamento per la pesca di mare. — Roma. » — Materiali per la Fauna veneta. — VI. Aves 1879-85. — Atti del R. Istituto Veneto. — Venezia. 1^830 — Saggio dei prodotti acquatici e dell' industria pescareccia della [21] (105) laguna e dol mure di Venezia, inviato all' Esposizione interna- zionale (li pesca in Berlino. — Venezia e Firenze. 1880 — Sopra alcune varietà del IVopidono tus natrì-a L., osservate nel Veneto. —Atti della Società Ital. di Se. Nat, Voi. XXIII. — Milano. » — Replica alla nota del comm. E. De Betta «Sulla distribuzione dei serpenti velenosi in Europa » (ibid.) — Milano. » — Gli Anacantini del mare Adriatico, (ibid.). — Milano. » — Contribuzione per lo studio — L' Jatecuba o pulce penetrante, che attacca gli emigrati nel- r .America. — Giornale V Adriat.ico, N. 62. — Venezia. » — Le Acredule Venete. — Venezia. » — Sui segni prealfabetici, usati anche ora, nella numerazione scritta dei pe-scatori Clodiensi. — Venezia. » — 11 Nifargo delle cisterne di Venezia — Gioi'nale 1' Adrùitico, N. 9. — Venezia. 1890 — La caccia degli Uccelli acquatici nelle Valli del Veneto e- stuario. — Venezia. » — Araldica pescatoria. — Venezia. » — Voci bambinesche della lingua vernacola veneziana. - Venezia. » — Ribruscolando, part. I e II. — Venezia. » — Giunte e correzioni al Dizionario del Dialetto veneziano. — Ser. I.% II."^ e 111.^ — Venezia. » — Sopra un pesce forestiero. Gadus aeglefinus, comparso sul mercato di Venezia. — Boll, della Soc. Adriatica di Sf. Nat., Voi. XII. 1891 — Sulla nidificazione del Falco Pecchiaolo nel Veneto. - Siena. (108) [24] 1891 — Nota sui Circus Rufus (L.). — Siena. Boll, del Naturalista Anno XI, fas. 2. » — Nozioni del popolino veneziano sulla Somaiomanzia, I.^ e li.* edizione, con aggiunte. — Venezia. » — Super.stizioni e credenze, proverbi, indovinelli ecc. del contado di Treviso. — Venezia. » — Vocabolario della lingua rusticana del contado di Treviso, con un aggiunta sopra le superstizioni, le credenze ed i proverbi rusticani. — Venezia. » — Carta topografica delle coste italiane da Porto Buso a Monte Conerò, colle denominazioni usate dai Pescatori veneti. — Venezia. » — Un potente ausiliare contro la Diaspis pentagona. - Venezia. INTORNO Al PRINCIPII FONDAMENTALI DEL RAGIONAMENTO DEL PROF. DINO V ARIS CO INTRODUZIONE 1. II dato semplice e immediato del pensiero, nella sua materialità intatta, all'infuori delle forme impressevi dal- l'opera individuale o collettiva della ragione, si riduce a un complesso di fatti. E veramente sotto l'osservazione di- retta, purché sia schietta osservazione, non mista a dedu- zione o appoggiata ad elementi d' origine deduttiva, non cade mai nulla che non sia un })uro fatto ; d' altra parte, iiittociò che nella cognizione trascende la sfera de' fatti, apparisce come un risultato non ottenibile senza qualche ragionamento. I fatti sono interni o esterni. E l'accorgerci noi d'un fatto esterno è sempre un fatto interno. Se fossimo limitati rigorosamente a tale accorgerci, vale a dire a (juanto ci somministra la schietta osservazione, noi de' fatti esterni (110) [2] non sàpr-emmo nulla: in tal caso il fatto interno, che chia- miamo un accorgerci di qualcosa perchè ne ricaA'iamo (in qualsiasi modo) questa cosa, non ci manifesterebbe che sé stesso, non sarebbe che un puro accadere interno. Perchè, o le relazioni del fatto costituiscono un elemento del fatto quale e in quanto si manifesta, o no (i). Nel secondo caso, dal fatto semplicemente appreso non si })uò ricavar nulla che gli sia estraneo ; nel primo si può, ma non senza che intervenga un processo, razionale se ha da metter capo a una cognizione ; la notizia della relazione e d'uno de' suoi elementi non essendo ancora l'immediata notizia dell'altro. Il mondo esterno è dunque una nostra costruzione, un ri- sultato che s'ottiene lavorando sui fatti interni ; o, in altri termini, il dato iniziale è costituito esclusivamente da que- sti ultimi. I fatti interni, per ciò e anche solo per ciò che sono interni, ossia che tutti ed essi soli presentano un partico- lare carattere (l'internità), formano un gruppo : la coscienza. Essi, inoltre, son distribuiti in un gran numero di serie ; le (juali, })erchè ogni fatto ap})artiene insieme a parecchie, sono intrecciate tra loro ne' modi più svariati. Ninna forse è rigo- rosamente continua (se non altro, tutte semljrano interrom- persi durante il sonno) ; ma il passaggio oltre gl'intervalli è reso possibile dalla reminiscenza, sicché le serie risultano con- catenate malgrado le interruzioni ; in questo senso i fatti (1) Si danno entrambi i casi : ctV. §§ 4 sgg-. Per altro, la classifi- cazione de' fatti interni non è ivi studiata se non strettamente in ordine allo scopo del presente lavoro. Le sole relazioni che si considerino son ((uelle che possono correre tra de' fatti tutti interni ; delle altre non si fa parola ; e invero, come risulta anche da quanto s'aggiunge nel testo, non sono utilmente discutibili se non dopo che si sia ultimato lo studio del pensiero in sé stesso. Il quale del resto ci condurrà da ultimo a riconoscere una relatività del pensiero a qualcosa di veramente altro ; risultato, che mentre ci somministrerà una conferma del processo se- guito, ci aprirà una via non facile ma sicura per entrare nel campo dt^la realtà, e quindi anche delle relazioni tra' fatti interni e gii esterni. [•■'] (IH) intorni si possono considci'ari' come siutccdentisi con (Con- tinuità. Tale osservazione aiuta a concepii'e i latti interni come costituenti un grupjìo, una totalità apparentemente almeno chiusa in sé stessa, senza ricoi'i'ei'e a i^ìotesi in- tempestive cii'ca un loro sostegno sostanziale comune ; essa chiarisce cosi la dertnizioue data di cos(;ienza. Ma non ha- stei'ehhe a sostituiida. P(U*chè il trovarsi cei'ti elementi di- stribuiti in sei'ie variamente intrecciate, anche continue, non fa del loro complesso ima coscienza, se tutti lion pre- sentano il medesimo carattere d'internità. Se il dato puro si riduce ai fatti interni, viceversa non ogni fatto interno è puramente dato. Le notizie che abbiamo e andiamo acfjuistando intorno all'esistenza di certe leggi della realtà e del i)ensiero, qualumiue ne sia del re- sto il valore, sono, in ([uanto notizie effettivamente posse- dute, de' fatti interni ; che per altro non rappresentano un dato, l)ensi un risultato (cfr. § 1). E il processo mediante il (puile da certi dati si ricava un risultato, dicesi volgar- mente un'operazione ; tal'è p. es, la mcjltiplicazione, con la quale, supposti dati i numeri 7, 8, s'ottiene 56. Si può dunque dire che la coscienza sia attiva, o che in essa abl)ia luogo uno sviluppo d'energia; o, altrimenti, che i fatti d. e. (per lo meno alcuni ti-a questi) siano ma- nifestazioni dell'energia cosciente. Ma non s' ipostatizza (né sarebbe legittimo) 1* attività d. e. (juasi fosse di certo qualcosa che stia da sé all' in- fuori de" fatti in cui si manifesta; non si fanno ijtotesi, né s'ammettono sottintesi metafisici ; s' introducono sem})lice- mente de' termini per abbreviare e semplificare il discorso. Senza discutere il significato più o meno vago che nel lin- (112) [4] guaggio comune s'attribuisce a questi termini (*), qui se ne fa uso per accennare, indeterminatamente e indipendente- mente da ogni preconcetto, alle condizioni reali qualunque siano che rendono possibile nella coscienza il consegui- mento di certi risultati. Gli elementi che concorrono a produrre un risultato, in quanto vi concorrono, e insieme, si diranno in relazione con esso e tra loro. Cosi anche il concetto di relatività, per l'applicazione che se n'ha da fare presentemente, resta definito, senza che occorra entrare in discussioni ulteriori. Non abbisognano parole per mostrare com'esso e quello di attività siano inseparabilmente congiunti ; o piuttosto come i due si riducano a un concetto solo, presentato sotto due aspetti diversi. 3. S'è visto, che i fatti d. e. son distribuiti in diverse serie variamente intrecciate ; la loro connessione per alti-o è più intima di quella che sarebbe dovuta a una pura giu- staposizione. Una reminiscenza, p. es., si conserva indefini- tamente, associata a certi fatti d. e. ; associata invece a cert' altri, si va sempre più attenuando fino a svanire ; a una sensazione tien dietro lo svolgersi d'una serie fanta- stica, che da un'altra sensazione sarà invece frastornata o affatto impedita. Queste osservazioni tritissime ci obbligano a considerare ogni fatto d. e. come determinato più o meno dagli altri che lo precedono o vi s'accompagnano ; o, in (1) Il concetto d'attività verrà sottoposto a una prima discussione nella Sez. III. Si vedrà allora che l'uso da noi fatto di questo termine, non è soltanto legittimo come quello che si fonda su di una definizione arbitraria, ma in armonia con l'uso volgare e scientifico. Ogni più de- terminato concetto d'attività ha per base quello estremamente vago da cui prendiamo le [5] (li:^) ultima analisi, come un i-isuliato (sia pure come parzial- mt'iite un risultato) di questi. Coerentemente al detto di sopra, e nel medesimo senso, convien dunque ammettere che in ogni fatto d. e. vi sia un fondo d'attività, capace d'opporsi a quella che si numi- festa in un altro, o di cooperare con essa. Ciò è quanto dire, del resto, che i fatti d. e. non si mescolano tra h)ro indifferentemente come le carte d'un mazzo; è la schietta espi'essione d'un fatto, né controvertibile, né controverso. D'un fatto, s'aggiunga, la notizia del quale viene a com- piere (per quanto è possibile senza oltrepassare il campo dell'osservazione) il concetto che ci si è formato della co- scienza. E veramente il reciproco determinarsi de' fatti d. e, che dà al loro complesso una realtà non inferiore a quella de' fatti medesimi ; un gruppo meno intimamente connesso sarebbe reale soltanto per il pensiero che lo con- sidera. Tuttavia, se questa connessione, o l'essere ogni fatto d. e. una manifestazione d'energia, è necessaria a che nella coscienza si riconosca una realtà (di fatto), non è per sé sola sufficiente a presentarla come vita, a darne un con- cetto che corrisponda al sentimento ; conviene aggiungervi rinternità, carattere comune a ciascuno de' fatti connessi. I fatti d. e. sarebbero dunque più o meno ma in qual- che modo tutti de' risultati ; il che sembra ridurre a nulla il dato puro di cui si va in cerca. Senonchè l'osservazione spinta più in là conduce a ripartire i fatti d. e. in due classi ; il carattere di risultato essendo immediamente ma- nifesto in quelli dell'una, mentre in quelli dell'altra è ri- conoscibile soltanto dalla riflessione. Basterà un esempio a togliere ogni dubbio in proposito. S'io dico: 2 è la radice di 4; questo ch'io dico, non è soltanto un risultato, ma viene ai)preso come tale, né (114) . [(5] potrebb' essere appreso altrimenti, lo ho pronunziata una frase, il significato della quale è determinato da quelli delle parole clie la compongono e dalla loro connessione; il fatto clie si è compiuto (e s'è veramente compiuto un fatto, perchè la frase ha un senso) è talmente un risultato di più altri (quelli compiuti pronunziando le singole parole), da non potere in guisa alcuna venir considerato separata- mente da quelli ; il suo accadere non solo è connesso e correlativo, ma si risolve appunto in una connessione e in una relatività, prescindendo dalle quali svanisce per intero. Invece : una reminiscenza che mi s' affacci in questo mo- mento, porta in sé di certo una traccia de' fatti che n'hanno preceduto o accompagnato il riapparire, e se questi fossero stati diversi, si sarebbe presentata essa medesima con qual- che diversità ; ma un tale suo carattere non è avvertito col semplice immediato apprenderla ; io mi persuado ch'essa non può andarne priva, ma direttamente non me n'accorgo e potrei anche non accorgemene mai. La reminiscenza mi s'affaccia come qualcosa d'immediato e di puro ; tant' è vero eh' io posso avvertirla (anzi cosi accade per 1' ordinario) senza avvertire niuno di que' fatti che hanno contribuito a determinarla. I fatti della seconda classe (che si daranno stati d. e.) son qualcosa di materiale e di morto, e, astraendo dalle loro giustaposizioni, appariscono isolati e sconnessi. Perchè sono bensì anch'essi estrinsecazióni d'energia, e conseguen- temente relativi ; ma 1' attività e la relatività sono condi- zioni e non forme del loro accadere manifesto, quindi non vengono rilevate col puro accorgersi dello stato appreso, bensì (come s' è detto) riconosciute dalla riflessione. Per un atto invece (fatto dalla prima classe) l'attività e la relatività son costitutivi inseparabili dal suo accadere manifesto, sicché il non avvertirle equivale a non avvertire l'atto come tale (i). (1) L'energia d. e. è viva e conscia nell'atto, inconscia e se si vuol [7] (115) La distinzione tra atti e stati d. e lia pei' toiulamonto il fatto, e in quesito senso non è [ìos.sihiU' revocarla in dub- bio. Che valore sia da attribuirle in senso trascendente, non è attualmente il caso di indagare. Ad essa intanto si riduce tutto quel che di più particolarmente determinato possiamo aflermare intorno alla coscienza; l'attenervisi è dunque il principale se non l'unico mezzo di cui si disponga per pro- seguire nella ricerca (mezzo che diverrà sufficiente, con l'aiuto di un' ipotesi). Il complesso degli atti d. e. effettivi o ricordati si dirà anche coscienza chiara, o parte chiara (I. e. ; quello degli stati, coscienza oscura, o parte oscura d. e. Correlativamente alla distinzione tra i fatti, e nel me- desimo senso, è ovvio introdurne una nelle attività che vi si manifestano. Così si parlerà d'un'attività fondamentale della coscienza chiara, e di una della coscienza oscura; alla })rima si darà anche spesso il nome di volontà; la seconda, quan- d'occorra per togliere ogni equivoco, verrà designata come un'energia meccanica. E si dirà meccanesimo psichico F in- trecciarsi e il determinarsi vicendevole de' fatti d. e, quando dir latente nello stato. Ciò giustifica le denominazioni introdotte ; ma non può non parere un po' strano, anche sorpassando all'antinomia della frase. V'è qui una difficoltà, che vedremo anche aggravarsi in seguito (cfr. §§ 19 sgg.) ; e che non può essere risoluta, o piuttosto parzialmente illuminata, se non da un piii profondo studio della coscienza in con- nessione con la realtà esterna. — Non s'è fatto parola del sentimento particolare che accompagna gli atti d. e, anzi li costituisce forse total- mente (e che somministra la materia prima al concetto d'attività) ; non essendo necessario in questa rapida rassegna. Ma è un sentimento os- servabilissimo, dal quale non si potrebbe prescindere in una ricerca sulla natura d. e. ; esso è noi stessi in ciò che abbiam di più vivo e di più nostro. Una teoria d. e. che non lo prenda a fondamento, o non ne spieghi davvero la formazione, non ha bisogno d' essere confutata al- trimenti. T. IV, S. VII 8 (116) [8] non sia l' immediata conseguenza rli uno o di più atti. La opportunità di queste denominazioni risulterà anche meglio chiarita nel seguito ; le analogie che le suggeriscono sono evidenti ; e una rigorosa giustificazione non si richiede, poiché vengono assunte come convenzionali. S'avverta che qui si astrae interamente da' sottintesi, impliciti nel termine di volontà secondo l'accezione comune. La domanda, se tra la volontà e 1' energia meccanica vi sia distinzione recisa o identità fondamentale, per quanto importante, va ora lasciata in disparte; (i) essa non ha neppure un significato intelligibile, se non assumendo l'at- tività come qualcosa che stia indipendentemente da' fatti ; la qual supposizione non è presentemente giustificata. S' in- tende, che la distinzione è indubbiamente vera in linea di fatto ; non essendo che un altro modo di accennare a quella già riconosciuta tra gli atti e gli stati d. e. 6. Gli atti d. e. non sono dati ; anzi rappresentano i mezzi co' quali s'ottengono i risultati, o questi risultati medesimi nel loro effettivo prodursi (cfr. § 4). Gli stati d. e. qualche (1) Questo problema ci si ripresenterà qualche altra volta ; il che servirà a meglio determinarlo, e a prepararne una soluzione, necessaria perchè il presente studio acquisti un valore definitivo. Ma la soluzione dev'essere differita ; e dunque in tutto soddisfacente sotto l'aspetto me- tafisico, cioè completo e chiuso in sé stesso, il presente scritto non è. Per arrivare (se sarà possibile) a un risultato veramente ultimo, oc- corre una serie di ricerche particolari ; le quali finché non sian termi- nate e coordinate tra loro, appariranno di necessità un po' frammenta- rie. Pure anche cosi non saranno inutili, se rivolgeranno l'attenzione degli studiosi su qualche punto importante e meno avvertito. Nel che infine consiste l'utile vero delle indagini filosofiche ; perchè di lavori definitivi nel loro complesso non se ne sono ancor visti, e non par che se ne abbiano da vedere. [9] (117) volta sono il l'isultato d'atti })i'ecO(leiiti, e allora ci danno quesito ris;uUato separatamente dall' attività di cui era una estrinsecazione, ridotto a una rappresentazioni; fredda e ma- teriale. Ma d'ordinario l'origine loro è diversa, e pi'opria- mente del tutto incognita. Si direbbero imposti alla co- scienza da una forza esterna ; si producono e svaniscono, senza che direttamente ci si possa far nulla, e come se la coscienza fosse un campo inerte da essi capricciosamente attraversato. Donde vengano, dove vadano, non lo dice il b)ro solo attraversarla; ogni notizia in proposito va attinta ad altre fonti. Essi dunque (cioè quelli tra di loro in cui non si riconosca il risultato d'atti precedenti, e in quanto non ve lo si riconosca) rappresentano il dato vero nella sua primitiva purezza. Le azioni vicendevoli tra gli stati scindono la coscienza oscura in un gran numero di sottogruppi di diversi ordini, che si vanno del continuo formando e dissolvendo, e s'ac- cozzano variamente tra loro in una mutazione incessante. E ciò, per il materiale greggio degli stati d. e. originari, costituisce un' elaborazione, che da sola può già conseguire un grado notevolissimo di finitezza. E però sempre una elaborazione meccanica, insufficiente da sola a far della co- scienza un sapere. Perchè infine ogni stato d. e, per quanto elaborato, rimane un che soggettivo, particolare e istan- taneo ; mentre al sapere le forme d'oggettività e d'univer- salità, e un certo grado di permanenza, sono essenziali, tanto che lo si distrugge col tentare di separamelo. Il pensare, sotto la forma più completa e più viva, nel discorso e nel ragionamento, è senza dubbio una manife- stazione dell'attività cosciente. Infatti, perchè una proposi- zione abbia un senso, non basta che gli elementi ne siano giustaposti, ma occorre che siano tra loro intimamente con- (118) [10] nessi, parzialmente almeno determinati cioè modificati gli uni dagli altri. Questa non è però la forma più semplice 0 primitiva del pensiero : gii elementi d' una proposizione sono parole intelligibili anche isolatamente, cioè essi stessi di natura cogitativa. In ordine al pensiero iniziale rimane dunque da vedere in che esso consista. E qui non sono possibili che due ipotesi : il pensiero iniziale (l'elemento, operando sul quale s'ottiene il pensiero formato, il quale è un risultato indubbiamente, come s' è visto) o è un dato, oppure un risultato. L'ammettere che esso coincida senz'altro col puro stato d. e. nella sua im- mediatezza, conduce a delle difficoltà che qui non è il caso di sminuzzare ; già da un pezzo furono messe in evidenza dalla critica idealistica, non facilmente controvertibile sotto questo aspetto : basti notare che il pensiero, comunque at- tenuato e semplificato, si presenta sempre come oggettivo, mentre lo stato d. e. in sé stesso è sempre soggettivo (cfr. § 6) ; r ipotesi è dunque per lo meno ben poco probabile. Il farne un dato sui generis, affatto diverso dagli altri già ammessi, ed essenzialmente oggettivo per sé medesimo (che è la posizione idealistica), non pare accettabile per le molte e varie ragioni che stanno contro l' idealismo in genere (i). D'altronde l'oggettività è di natura antitetica (l'oggetto non è tale che per il soggetto), e quindi non ha senso attri- buirla in proprio ad un elemento qualsiasi come suo ca- rattere peculiare ; non è possibile considerarla all' in- fuori di ogni correlazione con un' attività pensante. In questo caso il pensiero iniziale sarebbe pur dunque il ri- sultato di due elementi : uno affatto misterioso, perchè non se ne sa nulla all' Ì7ifuori dell' ipotesi, che si limita a porlo senza chiarirlo ; e 1' attività pensante ; notando, che quel che si dice sull' indole tutta speciale di questo l'isultato (nel (1) Delle quali alcune sono state da noi accennate altrove; e d'al- tre s'avrà occasione di discorrere compendiosamente in questo mede- simo scritto. [11] (HO) quak' il pi-imo cloiricuto entrerebbe senza subire moditica- ziono (li sorta), lasciando di cercare se regga o se abbia almeno un senso afferrabile, in ogni modo non gli toglie il carattere di risultato. 8. Cosi essendo, si presenta spontaneamente un mezzo di sempliticare la seconda ipotesi ; e sarebbe d' abbandonare ([nell'elemento tenebroso e gratuito, sostituendovi il dato or- dinario, già ammesso senza controversia (il {)uro stato d. e). Per ben comprendere il significato della nuova ipotesi (i), elle i[\ù viene assunta, si rifletta, che nella coscienza si rav- visano in fatto due antitesi. Da una parte, s' è già ricono- sciuto in essa uno sviluppo d' attività ; ora, lo s\iliipparsi (1) Ipotesi: il lettore è pregato di rammentarsene. Non crediamo che manchino argomenti, che permettano di convertirla, se non in teo- rema, in una proposizione molto probabile; ma ne facciamo pienamente astrazione, presentandola per un'ipotesi pura e semplice. E poiché le ijiotesi non si dimostrano, le cose che abbiam dette (specialmente al- ti-ove) per chiarirne il senso, o per familiarizzar con essa l'animo del lettore, se anche a taluno sembrassero includere qualche affermazione gratuita, non potrebbero mai somministrare una ragione valevole ad impugnare i fondamenti del nostro processo ; perchè le dilucidazioni si prendono di dove si può, e secondo che vengono in taglio, \\b sono jiunto soggette al rigore che si esige nelle dimostrazioni. Chi(ui(iue è in diritto di proporre un' ipotesi, senza che la critica abbia a che vedere nelle ragioni che glierhanno fatta scegliere : propostala, ha l'oljbligo di non avanzare affermazioni che non sieno dedotte dall' ipotesi conferita con do' fatti bene accertati ; altri obblighi non ha. Senza dubbio, per- chè s'arrivi a un risultato utile, non basta che la deduzione segua for- malmente esatta dall'ipotesi; conviene che questa abbia un intrinseco valore. Ma in ordine a ciò, non è facile risolvere discutendo a priori e in astratto ; conviene invece venirne all' esame diligente del sistema prodotto, per vedere se lasci le questioni trattati» al medesimo punto di prima ; o se abbia fatto far loro qualche passo innanzi. (120) [12] d' un' attività nella coscienza è palesemente imo scindersi della coscienza in due (almeno) campi contrapposti, un non trovarsi la coscienza nella condizione di perfetta indifferente uniformità. Dall'altra, un elemento non è pensato se non (ed è inizialmente pensato se) viene contrapposto all' atto che lo pensa come distinto da esso. Ve tra le due antitesi un' evidente analogia, e inoltre una correlatività ; non è dunque irragionevole un tentativo di ridurre la seconda alla prima, come la specie al genere. S'ammetterà dunque che un elemento (un puro stato d. e.) sia oggettivato, per il solo fatto dell' essersi concentrata su di esso 1' attività della coscienza. Chi supponesse che in questo modo lo stato d. e. acqui- stasse, oltre all' oggettività, anche 1' universalità e la per- manenza, compiendo in apparenza l' ipotesi le toglierebbe in realtà ogni valore. Ciò infatti equivarebbe a dire che si pensa per mezzo di certi dati e dell' attività cosciente, cosa manifestissima, lasciando affatto incognito il come di questo fatto complesso, ossia quello appunto che importa spiegare. Invece l' ipotesi formulata lascia bensì senza po- sitiva spiegazione l'origine della forma d' oggettività (sulla quale pur getta qualche lume, per ora molto incerto ; poi- ché riconduce la difficoltà corrispondente a quella medesima che si trova involta nei concetti d'attività e di relazione, e diminuisce cosi il numero de' problemi da risolversi); ma siccome non dice nulla intorno agli altri due caratteri del pensiero (1' universalità e la permanenza), chi 1' accetta si obbliga a ricavare questi ultimi dal primo, a descrivere il processo col quale un pensiero iniziale, oggettivo ma nien- t' altro che oggettivo, si rende universale e permanente. La qual cosa (posto che ci si riesca) rappresenterebbe indub- biamente *un guadagno non ispregevole (i). (1) Cfr. una nostra nota: Di un'ipotesi intorno ai fondamenti del pensiero ; di prossima pubblicazione. [LS] (121) 9. L'oggetti vazioue, prodotta secondo dice l' ipotesi, è in ogni modo soltanto embrionale. In primo luogo, il fatto che s'è compiuto essendo puramente istantaneo, e svanendo nel punto stesso in cui si compie, il processo, se ridotto esclu- sivamente a fatti di (juesto genere, sarebbe all' incirca come non avvenuto. D'altronde non è nemmeno concepibile che l'oggettività, separata dagli altri due caratteri del pensiero, sia il medesimo elemento a capello che si riconosce nel pensiero formato, dov'essa è inscindibilmente connessa con quelli ; se il pensiero iniziale e soltanto oggettivo, la sua oggettività, in cfr. con quella del pensiero formato, dev'es- sere considerata come appena embrionale. Ma r attività d. e. trova un terreno opportunamente pre})arato dal meccanesimo psichico ; il quale ha già fine- mente elaborato il rozzo materiale primitivo, distribuendolo in gruppi e sottogruppi di diversi ordini, ciascuno molto complicato in sé, e tutti più o meno fortemente ma sempre molto complessamente congiunti tra loro. Inoltre si danno nell'uomo, anzi non nell'uomo soltanto, degli stati d. c.relati- vamente fissi; tali cioè, che destandosi la reminiscenza d'uno di essi, riesca impossibile (assolutamente, o senza un'accu- rata riflessione ; in ogni caso immediatamente im-possibile) ravvisare di quale a})punto dei detti stati essa sia una re- miniscenza. La qual cosa si trova esser ancora un effetto della elaborazione meccanica, aiutata bensì da certi carat- teri di alcuni stati d. e. ; perchè è il logoramento subito dagli stati medesimi per opera del meccanesimo, che rende })ossi})ile la loro connessione con un' unica reminiscenza attuale. Queste circostanze abilitano l'attività cosciente a estrin- secarsi in modo i)iù concreto che non sia l' indeterminato e informe investire un elemento. Se una connessione mec- canica Ira uli elemenii si è stabilita, ecco in essa un nuovo (12-2) [M] elemento che potrà essere investito dall' attività, cioè og- gettivato ; e la connessione meccanica oggettivata si dice una corrispondenza posta ; gli accennati fenomeni meccanici abilitano dunque l'attività a porre delle corrispondenze. Da un tal fatto, e precisamente mediante la sua successiva re- plicazione, si svolgono due processi paralleli, che s' aiutano e si compiono a vicenda ; e che date certe circostanze fa- vorevoli metton capo, l' uno alla formazione dell' identico e quindi dell'universale ; l'altro alla costruzione d'un lin- guaggio, che rende permanente qualunque risultato espri- mibile per mezzo di esso. 10. Infatti : si siano avuti più stati d. e, tutti necessaria- mente diversi in quanto reali, ma cosi strettamente asso- ciati, che le loro reminiscenze coincidano ; e tuttavia, di fianco a quest'unica reminiscenza con contenuto positivo, se ne produca un'altra languida e senza contenuto positivo, un ricordare indeterminato che quella prima non si con- nette con uno stato solo. Allora gli stati di quel gruppo si equivalgono meccanicamente ; perchè uno stato trascorso non opera in guisa apprezzabile se non in quanto è ram- mentato, e la reminiscenza in discorso è sempre la stessa (una sola) qualunque siasi lo stato del gruppo di cui è re- miniscenza. Se ora la connessione meccanica tra i detti stati trascorsi e il ricordare attuale viene posta come una corrispondenza, tutti quelli risultano pensati positivamente in un modo solo, ma pensati come più e non come uno ; cioè vengono pensati come uguali. Similmente : se si danno (e Tosservazione prova che si danno) degli stati d. e. re- lativamente semplici e iìssi ; tali cioè, che non occorra una lunga elaborazione meccanica })er connetterli con un' unica reminiscenza, e che questa (lo})o formata trovi degli stati successivi coi quali connettersi nello stesso modo ; essi, [15] (1-:!) per le associazioni che contraggono con istati sforniti di questo carattere, li renderanno piìi fissi di quanto sareb- bero per sé, vale a dire ne faciliteranno la riproduzione iiuienionica e la distribuzione in serie meno tumultuosamente varial)ili. Se ora la connessione meccanica tra certi stati relativamente fissi e cert' altri vien posta come una corri- spondenza, e conseguentemente i primi vengono assunti quali mezzi per dirigere stabilmente l'attenzione sui secondi, i })rimi acquistano valore di segni, dei quali i secondi ven- gono ad essere i significati (i). (1) Che gli elementi di una serie non possano valere come i segni rispettivamente degli elementi d'un'altra, se tra le due serie non è stata posta una corrispondenza, ò manifesto. E anche manifesto bensì (e non s'è detto il contrario) che tale corrispondenza non basta a far degli ele- menti dell'una serie i segni di quelli dell'altra. Il segno non è semplice- mente connesso col significato ; ma lo supplisce ; anzi, di piii, lo sugge- risco, e sembra porlo come se il segno fosse dotato d'una propria ener- gia (la tal cosa vuol dire la tal'altra). L'uso d'un sistema di segni, il cui significato sia fisso indipenden- temente da' segni medesimi (p. es. d'un alfabeto criptografico) suppone che : — 1. si ponga una corrispondenza tra le due serie, de' segni e de' significati ; — 2. si compia qualche operazione sui significati (s'uni- scano le lettere in una parola) ; — 3. nel risultato di questa, si sosti- tuiscano ai significati i segni rispettivi (alle lettere le cifre) ; — 4. nel nuovo risultato, si sostituiscano ai segni i significati (alle cifre le let- tere). L'operazione 1. va fatta da entrambi quelli che si servono dell'al- fabeto criptografico ; le 2., 3. da chi scrive ; la 4. da chi legge. La ne- cessità d'altre operazioni oltre alla 1. prova che la 1. da sola non basta, ossia che un segno non ha valor di segno se non in quanto è usato come tale ; ma l'uso ò reso possibile appunto e soltanto dalla corri- spondenza posta tra i segni e i significati. Quando poi i significati non sono fissi per sé, ma resi tali per mezzo de'segni corrispondenti (com'è generalmente il caso delle parole), soltanto sui segni sono effettual)ili delle operazioni razionali ben determinate. Esse e i loro risultati ac- ((uistano valore simbolico mediante il continuo riportarsi dcdl'attenzione dai segni sui termini corrispondenti ; i quali son resi termini attendibili soltanto dalla loro connessione coi primi. Ciò non esclude che nella massa confusa e variabile di stati d. e. che costituisce complessiva- mente il significato d'un sistema di segni, non s' introduca già prima (124) [16] 11. Il secondo processo, per isvolgersi, esige che il primo sia almeno iniziato ; perchè la corrispondenza ora detta non può esser posta tra uno stato fìsso e una moltitudine cao- di questi e per via meccanica una tal qual fissità di segregazione ; al che servono principalmente gli schemi fantastici. Quando Telaborazione sia giunta a distribuire quella massa in gruppi, ciascuno stabilmente accentrato intorno a un elemento fisso, allora a questi elementi fissi, perchè accjuistino valore di segni, non manca più che d' essere posti come corrispondenti a' rispettivi gruppi, e usati pensatamente quali mezzi per dirigere stabilmente Tattenzione sui primi (cfr. questa nota più oltre). In una condizione iniziale del pensiero, \\n sistema di segni non potrebbe sorgere che in (piesto modo, e riuscirebbe imperfettissimo ; ma Tessersene formato uno por quanto rozzo agevolerebbe la ripeti/ione e l'estendersi del processo medesimo, producendo cosi de' sistemi via via piii completi e piii raffinati. Che le operazioni 3. e 4. devano essere effettivamente compiute da chi fa uso de' segni, si rende evidente quando i segni siano convenzio- nali e non ci s'abbia l'abitudine ; come p. es. quando si traduce con l'aiuto del vocabolario una frase in (o da) una lingua che 'non ci sia familiare. Donde si ricavano due conseguenze importanti. La prima, che l'attitudine a surrogare o suggerire la cosa significata, se la si consi- deri come una propria qualità del segno, non gli è essenziale, ma è dovuta unicamente all'abitudine, cioè alla saldezza e vivacità che i vin- coli meccanici acquistano per mezzo di questa. La seconda, che una qualsiasi connessione meccanica tra un elemento fisso e un gruppo in se connesso ma non invariabile (o anche fisso ; non importerebbe) non basta a far del primo un segno del secondo. Invero, la connessione mec- canica tra due elementi non può mai essere esclusiva. Siano a, b due elementi fortemente connessi ; e, d,. . . . altri del pari, per quanto più debolmente, connessi coi primi. Se la sostituzione dì a a. b o viceversa (operazioni 3. e 4.) è un semplice effetto del meccanesimo, che tra- sporti l'uno dei due al posto dell'altro, non si vede il perchè da que- sto scambio devano restare costantemente esclusi e, (ì,...., coìne pur sarebbe necessario. Il deliberato sostituire b ad a, o pensar b per mezzo di a, non tanto suppone una corrispondenza (univoca e reciproca) posta tra a e b ; è anzi un porla incessantemente. La posizione è dunque in- dispensabile alla simbologia ; in questo senso .si può ben anche dire che I.I'I (125) tica di stati variabili, bensì ti'a quello e 1' unica remini- scenza che è in qualche modo il loro ultimo residuo; vice- versa il primo processo rimane appena iniziale senza il secon- do, il quale soltanto gli somministra i mezzi per concretarsi e tissai'si. Di mano in mano poi che questi due si svolgono pa- rallelamente, anche 1' atto primitivo del porre sul quale entrambi si fondano va conseguentemente acquistando un contenuto più ricco, una forma più precisa, e una maggiore stabilità (r oggettività primordiale s' accosta sempre più a quella che è direttamente osservabile nel pensiero formato). In questo modo il dato primitivo, ossia la coscienza molteplice, ma slegata malgrado i nessi meccanici tra' suoi elementi, per esser questi associati in modo uniforme, senza centro né aggruppamento stabile, tutti allo stesso livello, viene scissa dal prorompere della sua attività in due campi contrapposti, in soggetto e oggetto ; e l'oggetto è plasmato secondo forme universali e reso permanente. E quanto dire che nella coscienza è sorto il pensiero (i). il seg'iio implichi un'affermazione del suo significato. — Poiché si son nominati gli schemi, s'avverta di passaggio, che uno schema non costi- tuisce il significato della parola corrispondente ; infatti, a una stessa parola in diverse frasi corrispondono schemi diversi (il tonno è un pe- sce migratore : mi piace il tonno sott'olio). Il significato d' una parola è costituito dall'immensa catena degli stati d. e. che le sono associati, 0 dal suo ordine intrinseco ; i vari schemi che le corrispondono non sono che anelli di questa catena, relativamente inolto fissi, e che hanno grand'importanza nel mantenerla ordinata ; essi son atti, in qualche caso e fino a un certo segno, a sostituir la parola, servendo corno se- gni fantastici. (1) Stante la correlatività tra soggetto e oggetto, la trasformazione descritta di quel gruppo di stati d. e. che in conseguenza di essa di- vi(Mie l'oggetto pensato, non si compirà senza una corrispondente nel gruppo che viene a costituire il soggetto pensante. Vio sembra dunque un risultato di tale elaborazione : il che non esclude che sia una con- dizione del pensiero, essendo anche questo un risultato dell'elaborazione stessa, che si produce solo insieme col primo. I)(d resto, se 1' identità del ine venga aflermata in base al processo medesimo che tutte le altre. (126) [IS] 12. Alcune conseguenze della teorica ora compendiata im- porta sian tenute presenti, per la più chiara intelligenza di quanto si dirà. 0 vada assunta anteriormente quale una condizione fondamentale (anzi, se tra queste due proposizioni Fantinomia risulti cosi vera conti' è di certo apparente), non è argomento da trattarsi per incidenza. Nel' se- guito di questo lavoro, Y unico lato del processo che venga preso in considerazione, è l'oggettivo quasi esclusivamente ; i risultati non mu- tano, checché si pensi del soggetto ; sia che lo si risolva nel puro fe- nomenico accadere interno, sia che lo s'ammetta, non diciamo fondato in qualcosa di sostanzialmente esistente, ma coincidente con Mw'entltk particolare circoscritta, conforme al più rigido spiritualismo. Fino a che un punto cosi capitale rimanga in sospeso, una teorica della conoscenza non si può dire al certo completa. Ma è opportuno discuter prima le forme del pensiero oggettivo, in base ai fatti accertati e all'ipotesi fon- damentale assunta per ispiegarli ; cercando ne' risultati de' mezzi util- mente applicabili all'altra necessaria ricerca ; la quale potrebb' anche esserne indirettamente agevolata in altro modo. Si dirà, che questi ri- sultati avranno pur sempre un valore puramente feno-nenico ?.... Sia ; non abbiam che da rinviare alla seconda nota al § 4 (avvertendo che i due problemi toccati, ivi e qui addietro, sono strettamente connessi ; se pur non si riducono in fondo a uno solo). Il lettore non ci vorrà concedere il tempo di cui abbisognamo, per compiere il nostro studio ? (anzi, di tutto cuore, e piii che non vorremmo !) Vedremo d' altronde (nella Sez. III.) che a qualcosa di indubbiamente superiore al fenomeno si è dimostrativamente condotti anche dal nostro metodo, che alla prima parrebbe incapace di svilupparsi dalle angustie dell'empirismo. La spiegazione superiormente addotta (nel testo : cfr. tutti i S§ che precedono) ci dà il pensiero come il risultato di un'evoluzione della co- scienza. E qui, per evitare ogni equivoco, son opportune alcune brevi considerazioni. Che un complesso d'elementi diversi connessi tenda a divenire sempre piii eterogeneo ne' suoi elementi e sempre più coerente nel loro modo d' aggruppamento, è un' importante legge deWa realtii, l'avere formulato la quale costituisce un merito della filosofia inglese, e in particolare dello Spencer. La spiegazione superiore è in armonia con questo principio, donde un argomento non disprezzabile in suo fa- [10] (l->7) Il pensiero è tale solamente in quanto è pensato ; r un risultato che svanisce quando si tenti di separarlo dal pi'ocesso a cui deve 1' origine. Quest' è uno dei cai-atteri (•he distinguono il pensiero dagli altri prodotti dell'attività umana. Ac(|uistare una cognizione, non è come acquistare una somma di danaro, che si chiude nello scrigno per trarnela all' occorrenza, ed è semi)re posseduta anche se non ne vien tratta mai. La foi-nui che l'attività volontai-ia ini[)rime in una certa nuiteria, sta nell' associazione della prima con la seconda ; se 1' attività cessa d' investire la materia, questa perde la sua fornux, non è più pensata, non è i)iìi un pensiero. L' idea è un pensare effettivo, e niente altro (i) ; la sua oggettività è un risultato dell' azione del vore. ]Ma voler fondare la spiegazione del pensiero sul principio mede- simo, riducendola a un caso particolare della sua applicazione, sarebbe un errore. Prima di tutto non è da assumere a priori questo né altro principio (che non sia puramente formale) essendo impossibile accer- tarne l'esattezza se non dopo spiegato il pensiero. E in particolare il principio in discorso, se lo si ricava per induzione dai fatti fisici, s'ignora se sia applicabile al pensiero ; se si vuol dedurlo da un principio su- periore, s'urta contro delle difficoltà insuperabili (come si è accennato in altro lavoro). In secondo luogo, il principio evolutivo non è abba- stanza determinato. Sta bene che la coscienza primitiva diventi pensiero in conseguenza d'wna evoluzione ; ma non ogni sua evoluzione origina il [lonsiero (e lo s'è visto, parlando dell' elaborazione meccanica degli stati d. e). Qui sta la ragione dell'insufficienza della teoria evolutiva a risolvere il problema; e il tentativo di soluzione da noi dato altrove, (pialunque ne sia il valore, basta a chiarircene ; poiché vi sono se non altro enunciate delle domande alle quali deve rispondere una soluzione esatta, mentre la teoria evolutiva non lo formula neppure, poiché in- fatti rimangono estranee alla sua sfera. — Servano d'esempio le diffi- coltà che s'incontrano nello spiegare la formazione dell'identico ; le quali se si vuole, non saranno state superate finora da niuno che l' abbia prese in considerazione ; ma non perciò è lecito oltrepassarle dissimu- landole. (l) Bisognava dire, che per ispiegare l'origine del pensiero non s'è ricorso ad altri elementi, fuorché ad una materia data, e alla volontà che la informa: e che p. e. l'idea, come un terzo elemento indìpon- (128) [20] pensiero, e non è dunque illusoria, riducendosi a un acca- dere reale ; ma non ha una realtà trascendente, cioè non è nulla, separatamente dal processo d' oggettivazione. Per- ciò, rigorosamente parlando, non s' ha mai più d'una volta la stessa idea ; s' hanno bensì dell' idee che vengono poste come uguali. La connessione de' pensieri tra loro, e più in parti- colare la riproduzione mnemonica delle cognizioni, son fatti che dipendono dal meccanesimo psichico. Quando l'attività informatrice abbandona un gruppo di stati d. e, questo ricade nella coscienza oscura, ma restano in esso delle tracce durevoli dell'azione sopportata ; perchè, col porre una corrispondenza tra certi elementi, si stabilisce fra essi un vincolo che perde la forma, non la realtà (i), se la cor- rispondenza col cessare d' esser posta si riduce a connes- sione meccanica. E nel vincolo e' è sempre del nuovo, an- che se non è tutto nuovo, perchè una connessione mecca- nica, dall' esser posta come corrispondenza, è resa se non altro più precisa e quindi più stabile. Anzi : lo stesso primo prorompere dell' attività, l' indeterminato e indefinibile in- vestire, opera sui vincoli meccanici dello stato investito, stringendo questi, rallentando quelli. Ogni atto cogitativo produce insomma nel meccanesimo delle perturbazioni, che tali quali non durano, ma imprimono all'incessante elabo- razione un nuovo indirizzo, le conseguenze del quale si renderanno palesi, quando il pensiero torni ad impadronirsi della materia medesima. Cosi per mezzo del meccanesimo il pensiero passato si connette col pensiero presente ed dente da que' due, apparisce un' ipotesi gratuita. È debito di chi scrive esser chiaro e preciso ; ma siccome non si vuol nemmeno andare troppo per le lunghe, può sfuggire alle volte qualche affermazione più catego- rica o più generale che non converrebbe. Tocca in questi casi al let- tore d'aver doppiamente giudizio. (1) È sottointeso, che qui si parla sempre di realtà fenomenica. [21] ' (1-)) esercita su di esso la sua influenza anche senza essere ricordato. La reminiscenza d' un pensiero dovrebb' essere la ri- produzione di quel tale atto ; ora 1' atto, volontario, non pare riproducibile dalla memoria, meccanica. Ma di un atto si può avere la rappresentazione, che è un puro stato d. e. e può essere riprodotta. La volontà non ha allora che da porre questa rappresentazione inerte, per ridarle vita, e rifare l' atto di prima ; o piuttosto per compierne un altro, la reminiscenza del quale si confonderà con quella del primo. La memoria poi, riproducendo la materia d'un processo razionale con tutte le modificazioni d'indole mec- canica impressevi da questo, rende inutile il ripetersi degli atti destinati a ottenere le modificazioni medesime, e cosi permette che il risultato del processo venga ricostruito con estrema rapidità. Questo non è propriamente un ricordare ; tuttavia molte credute reminiscenze di fatti razionali sono ad evidenza ricostruzioni di simil genere. 13. Le connessioni di cui s' è detto qui sopra, quantum^ue passino tra de' pensieri, non son esse d' indole razionale ; tuttavia, anche le connessioni più schiettamente razionali o volontarie hanno il loro fondamento nel meccanesimo. Si noti, che il pensiero non assume la forma più matura e meglio determinata, se non associato al linguaggio, né si svolge che per mezzo di questo. E nel calcolo, il linguag- gio del quale notoriamente é il più preciso, e il più sce- vro d'elementi fantastici (d'indole meccanica), si ha l'esempio d' un processo, riducentesi in gran parte ad operare sopra i segni secondo norme prestabilite, ma senza riguardo al loro significato, del quale si tien conto non prima di quando si tratta d' interpretare il risultato (serva d' esempio la (130) [22-] risoluzione algebrica d' im problema di geometria o di fìsica). Per decidere se qualcosa d' analogo abbia luogo nel- r uso del linguaggio comune, s' immagini un discorso con- tinuato, fatto — 1, senza che si pensi mai il significato di alcuna parola ; soddisfacendo però alle condizioni : — 2. che ciascuna parola sia pensata (non semplicemente sentita, ma posta come oggetto; e s'intende per la 1., posta sem- plicemente come quel certo stato d. e. ; suono o scrittura) : — 3. che la successione delle parole sia la medesima, che se ne fosser pensati i significati ; — 4, che il significato d' una qualunque parola possa esser pensato quando si voglia. 11 discorso supposto non avrebbe alcun senso per la condizione 1. ; non sarebbe un intreccio meccanico di parole per la 2. ; condurrebbe a una proposizione verbal- mente identica con quella che chiuderebbe il discorso se fosse sensato, per la 3. ; e finalmente, per la 4., questa proposizione finale potrebb' essere, volendo, interpretata. La possibilità di svolgere una serie di ragionamenti, e di intenderne la conclusione, pure con un discorso che sod- disfaccia alla 1., è dunque incontestabile, quando s'ammetta che la 3. possa essere verificata ; poiché delle altre non è neanche il caso di parlare. Il significato d' una parola sta nella corrispondenza posta tra di essa (presa come puro suono) e un gruppo vasto e complicato d' elementi. Si dividano le parole in concrete (che esprimono cose concrete, o loro qualità, o azioni che si compiono tra di esse) e astratte (le altre; tra le quali molte che gramma- ticalmente non si direbbero astratte, come calcolare, deci- dere) ; gli elementi corrispondenti alle seconde si riducono quasi esclusivamente a rappresentazioni d'operazioni razio- nali effettuate. Le quali rappresentazioni non mancano mai nemmeno tra gli elementi corrispondenti alle prime; ben- ché in questi predominino i puri stati d. e, e principal- mente certi schemi, insufficienti per sé soli, ma utilissimi 1 [2.3] (i::l) porche danno al complesso degli altri una grande stabilità. Che corrispondenze cosi complicate vengano poste comple- tamente mentre si parla, non è ammissibile. Anzi, non è possibile porle completamente neppure in ordine a una pa- rola staccata, sulla quale ci si trattenga quanto si vuole ; infatti, r operazione incomincia col definir la parola ; poi converrebbe definire quelle che compongono la defini- zione, ecc. ; si tratta insomma di svolgere una catena in- finita. (Ciò principalmente per le parole astratte ; per le concrete, si può fino a un certo segno fare a meno di tante definizioni ; ma il numero degli stati d. e. che occor- rerebbe richiamare e porre distintamente, è pur sempre sterminato). Donde viene clie in fondo al significato d'ogni parola, e p. e. nel fondo d' ogni pensiero, c'è sempre qual- cosa di tenebroso e d'oscillante. Per altro, se l' accennato processo d' esplicitazione non può esser compiuto mai, può essere sempre cominciato (anzi comincia in qualche modo da sé) e proseguito quanto si voglia ; perchè le corrispondenze che si dovrebbero porre, nella condizione di nessi meccanici sono sempre efficace- mente attive nel campo oscuro della , coscienza. Al suono d' una parola, gli elementi che vi sono connessi si rime- scolano rapidamente, e qualcuno appare in prima linea ; la volontà vi si rivolge prontamente e lo pone in corri- spondenza col suono, il quale così riceve un significato t non però il significato pieno di cui la parola è capace, ma uno molto più limitato, grossolano e provvisorio, partico- lare a quel caso, perchè dipende dalle combinazioni mec- caniche che han messo in prima linea piuttosto l'uno che r altro degli elementi connessi col suono. Cosi essendo, appena è a dire che nel discorso comune non sia soddisfatta la 1. (la sua contraria non lo è di certo, né può essere, pienamente). Parlando rapidamente, come si fa d' ordinario, è ben raro che si pensino i significati delle parole astratte, le quali hanno pure tanta parte in quasi tutti i discorsi ; del processo complicato che vi si T. IV, S. VII 9 (132) [24] richiede non si presenta nella coscienza chiara che un ac- cenno fugacissimo e per sé del tutto insufficiente ; il nostro intendere queste parole non è, d' ordinario, che un saperci capaci d' intenderle. Quanto alle parole concrete, sarebbe temerario, e in molti casi evidentemente falso, affermare che gli schemi connessivi, e che non mancano d'accompa- gnarvisi, non vengano posti abitualmente mai. In ogni modo, la posizione di questi schemi (i soli, si può dire, tra gii elementi connessi con la parola, che si ripresentino mentre si parla) è insufficiente a dare al significato pensato la pienezza corrispondente al valore che si riconosce al termine nel discorso meditando questo attentamente ; ed è anche del resto probabile che la volontà, assorta in ben altro (nello scopo a cui il discorso è diretto) non badi a far sempre le dette posizioni, che del resto riescono press' a poco inutili. Resta dunque che 1' adempimento della indispensabile condizione 3. sia ottenuto, sempre s' intende dalla volontà (perchè ciascuna parola dev' essere posta, sia pure come semplice suono), ma guidata non tanto dalla notizia de' si- gnificati, spesso mancante e ordinariamente incompleta, bensì dal meccanesimo. Fra le parole si son formate (in grazia dell' uso che se n' è fatto) delle connessioni non molto stabili, ma il cui effetto è d' opporsi a certe forme d' aggruppamento (p. es., a ninno verrà mai detto, se non deliberatamente, un fiore pesce, o un piacere pentagono). Quando poi alcune parole sono già state aggruppate, 1' e- nergia de' medesimi vincoli cresce di tanto, che il numero di quelle che possono venir aggiunte al gruppo, senza ur- tare in ostacoli meccanici, si trova diminuito, anche note- volissimamente. S' aggiunga che il gruppo si forma in cir- costanze esterne ad esso delle quali prova l'influenza, cioè che le parole sono connesse meccanicamente non solo tra di loro, ma con altri stati d. e. presenti ; e si riconoscerà non esser punto improbabile che, avviato un discorso, il meccanesimo vada via via suggerendo lo parole occorrenti [25] (l::::) a })rosorr;t ritornare su alcuni imuli toccati nella prima, per isvol- gerli con maggiore ampiezza in ordine al nuovo intento, e approfit- tando de' mezzi che la ricerca andrà somministrando. In ogni modo, s'intende che il nuovo scritto ha per fondamenti i risultati del vecchio (i quali appunto vennero compendiati in quest'introduzione) ; per altro, chi non si sentisse d'ammetterli, non perciò dovrebt)e a priori giudicar vano e inutile il presente tentativo. Su di che ci sia permesso dillbu- (1.38) [30] SEZIONE I. Le operazioni fondamentali. Capitolo I. L' attenzione. 16. Fra gli elementi dati, la riflessione può sceglierne alcuni, ed esercitarsi sopra di essi soli. Quelli trascurati ricadono allora nella condizione di puri stati d. e. ; gli derci un poco ; non per dimostrare che abbiamo diritto d'essere ascol- tati (ormai abbiamo passati gli anni della discrezione) ; ma per esporre alcune considerazioni generali, che potrebbero, se fosser tenute presenti, semplificare le discussioni, ed anche render più fruttifero lo studio d'una materia così controversa, com'è la filosofia. Qui parliamo, o piuttosto ci figuriamo di parlare, a' giovani giovani ; che gli uomini maturi queste cose le sanno, e se qualche volta le dimenticano, bisogna rassegnarsi. Una ricerca la quale tratti de' fondamenti di checchessia, e tanto piii una ricerca filosofica, non è soddisfacentemente esauribile se non con un processo circolare ; e ciò per una proprietà della mente umana, che procede a gradi e per relazioni, cioè che non concepisce chiara- mente una cosa, se non ne concepisce insieme dell'altre. In una prima in- dagine v' è sempre qualcosa di titubante ; i suoi risultati non colgono mai il vero con precisione ; non si può pretendere se non che determi- nino un cerchio, dentro del quale (benché rimanga incerto il dove per l'appunto) cada necessariamente la verità. E quanto dire che quei ri- sultati son capaci d'un interpretazione giusta, la quale per altro non è ancora nota con esattezza. In questo stadio, la ricerca è molto tacil mente |;:5l] (i:ii)) altri occupano esclusivamente il campo della coscienza chiara. La riflessione che li iiivesie dicesi attenzione se consiste in una semplice continuata ripetizione dell' atto criticabile da cliiunqne non veda nel lavoro altrui un nuovo elemento da cui trari-e profìtto, e preferisca invece prendersi la vuota soddisfa- zione di demolirlo. Ma la notizia acquisita che la verità si trova dentro (juol cerchio, permette, in una seconda indagine, di restringerne il rag- gio : col diminuir del quale la teoria si va facendo via via più salda e connessa, nel mentre che aumenta il suo valore oggettivo. È il proce- dimento con cui s' è formata e si va svolgendo la scienza. E con lo stesso procedimento qualsiasi lettore, per quanto dotto e acuto, s'impadronisce di ciò che legge. Le abitudini mentali che ognuno porta seco nella lettura, costituiscono una difficoltà, che si vince non senza sforzo, e sempre gradatamente. Chi, ad ogni passo scabroso, vo- lesse non andare innanzi prima d'averlo perfettamente appianato, non verrebbe a capo di nulla ; le polemiche oziose, delle quali è cosi in- gombro il campo scientifico, son dovute in massima parte a un cosi cattivo modo di leggere Una proposizione sembra molte volte erronea 0 ingenua, perchè la si associa tacitamente con dell'altre, con le quali essa non aveva alcun vincolo nel pensiero dell'autore. Tocca all'autore di certo, a parlar chiaro ; ma troppo spesso è impossibile esser chiari in l)reve e subito ; il significato preciso, l'intenzione delle varie parti di un'opera, non risulta (quando risulta) che dal tutt'insieme. D'ciltronde, anche la mente dell'autore si va maturando e compiendo nel corso del suo lavoro ; anzi, noi non esitiamo a confessare, esser questo lo .scopo principale, se non l'unico, che ci siamo prefìssi. È bensì credibile che l'autore, poiché ha preso la penna in mano, una qualche cosa da dire ce l'avesse ; egli deve aver preso le mosse da un concetto complessivo fondamentale ; ma l'avrà conservato rigorosamente tal quale sempre ? Basti notare quant'abbondanza vi sia di tali concetti, che rap- pn^sentano (secondo la maggiore o minoro organizzazione interna) il punto di partenza o l'ultimo costrutto d'una filosofìa; e i piìi de' quali son così poco consistenti, da dissolversi non appena si cerchi di con- cretarli in qualche modo, o anche solo d'enunciarli ; mentre pochissimi hanno potuto reggere, o piuttosto reggersi, sotto la skepsi di molti se- coli. Ora, tra questi due estremi, la differenza, per quanto grande, è piii che altro di grado. E se l'opera collettiva della ragione si risolve ia gran parte in un'immensa strage di concetti, anche la piìi modesta iliscussione che si chiuda nel cervello d'un solo fa seiiii)ro qualche vit- tima. Conseguentemente, chi alla fine d'un'opera un po' vasta trovasse (HO) [3-2] che li ha posti. L' attenzione è la prima delle operazioni riflesse; la permanenza d'un elemento nella coscienza chiara essendo condizione necessaria d' ogni successiva operazione razionale su di esso. Ma è anche 1' ultima delle operazioni dirette ; poiché 1' attendere è un porre de' pensieri, mentre il porre (1' oggettivare) si può dir un attendere a de' puri stati d. e. ; i due atti non differiscono che per la durata, nella ({uale non sono assegnabili de' limiti nemmeno ap- prossimativi, L' attenzione può oscillare tra due limiti opposti : la distrazione e la concentrazione. E distratta quando gli ele- menti, non appena vi si è atteso, vengono al)bandonati per (li non aver mutato in nulla le sue vedute, più che di rallegrarsi d'aver colta fin dal principio la verità, avrebbe ragion di temere d'aver lavo- rato indarno. Una ricerca, la quale con l'andare innanzi divenga incoe- rente a so stessa, è già condannata ; ma la coerenza non è tutt'uno con la rigidezza ; l'embrione, perchè diventi una mulier formosa, bisogna che muti ; benché, s'intende, non debba andar a finire in pesce. E c'è un'altra avvertenza da fare. Un dato campo può essere at- traversato nella sua lunghezza, ca-nminando sempre lungo una linea, o esplorato in tutta la sua superficie. Con questo scritto, preso in con- nessione col precedente, il problema della conoscenza vorrebb' essere esaurito ; ma nel primo senso solamente. Tutte le indagini, non stret- tamente necessarie a proseguire sulla via che s'andava aprendo, quando non s'è potuto a meno d'accennarle, sono state troncate con cura ; per- chè le poche forze di cui sì disponeva sarebbero riuscite indubbia- mente scarse, disperdendole. Ma le questioni che si riferiscono più o meno direttamente alla conoscenza (per dire di queste sole) sono cosi intrecciate insieme, che a toccarne una tutte si smovono. Nell'animo del lettore che di tutte ha notizia, una teoria che si svolge entro limiti così angusti, quand'anche non paia in sé stessa attaccabile, solleva una folla di dubbi lasciatemi dir laterali ; il cui effetto è per lo meno di turbar- gliene la chiara percezione. Per dissiparli, bisognerà conquistarlo tutto il campo della ricerca, o se non altro occuparne saldamente i punti di maggiore importanza ; allora soltanto la via che vi si è tracciata si po- trà dir sicura e veramente acquisita ; ma intanto essa somministra la base d'operazione, indispensabile per penetrar nel cuore delle regioni tuttavia inesplorate. |:;:| (111) (Ici^li alti'i, (iiiesti juM' ilc^ii altri e cosi via ; 1' attendere in (|ue.sto caso l'iniaiie [)i'ess():'.liè iniuilc. K c(Jiicenti'ata (juaudo mantiene a lunjj;"<) nel faiap(j cliiai-o d. e. i raede- siiui elementi, con esclusione di alti-i ; allora tra il campo chiaro e T oscuro si stabilisce una segregazione, clie s(jt- traendo il pensiero ad ogni azione perturbatrice ne agevola grandemente il processo. (Si cita 1' esempio di Dante nella bottega dello speziale). L' attendere è volontario, e quindi non e' è bisogno di cercare altri moti\ i del suo distrarsi o concentrarsi. Ma si danno an(die quest' altri motivi. Notoriamente 1' attenzione si distrae con facilità quando si distribuisce del pari su molti elementi : raggiunge una concentrazione tanto mag- giore quanto più si limita a pochi. Ciò si spiega ammet- tendo die r energia volitiva, la quale })er investire a lungo un elemento deve lottare con Y energia meccanica che fre- quentemente tende a sottrarglielo, abbia in ogni istante un' intensità (i) data : su quanti più elementi si diffonde, tanto pili piccola })orzione tocca a ciascuno. Il grado mag- giore o minore della concentrazione dipenderà p. e. non solo dalla durata, ma dall' intensità dell' attendere (così in generale, come relativo a un certo elemento). (1) L" intensità è un carattere noto per 1' osservazione di quegli ele- menti che lo presentano, del resto mal definibile. E T aiuto dell' osser- vazione riesce incerto ; perché un tal carattere ò o pare specificamente diverso in diversi elementi ; quindi la notizia che se ne trae dall' uno, non eh' essere un buon mezzo per conoscerlo in un altro, può indurre in errore. Ciò che si trova di più analogo all' intensità dell' energia cogitativa, è l' intensità del sentimento ; e forse tra le due v' è piii di una semplice analogia. Del resto, il concetto di intensità sembra asso- lutamente inseparabile da quello sia pure indeterminatissimo d'energia; 0 anzi tutt' uno con esso. (142) [34] 17. Gli elementi trattenuti per un certo tempo nel campo della coscienza chiara, per ciò solo contraggono, tra di loro e con gli stati che frattanto si succedono nella co- scienza oscura, delle connessioni che non avrebbero con- tratte altrimenti. Queste connessioni, puramente meccani- che, non sono cognizioni ; ma potranno esser poste, e quindi diventar cognizioni. Ciò si esprime dicendo, che l'attendere per se non produce alcun concetto nuovo ; ma finisce per presentarci 1' oggetto sotto un nuovo aspetto. Le stesse azioni meccaniche tra i fatti della coscienza oscura vengono modificate dalla permanenza nella parte chiara d' un gruppo d' elementi, che viene a costituii'e quasi un centro intorno al quale si ordina tutto l'accadere interno. Di qui l'importanza che bene spesso è riconoscibile nelle dette connessioni. Le quali, in ogni caso, facilitano la riproduzione mnemonica del gruppo ; ciò a cui non si attende è di regola dimenticato. Un' attenzione fiacca si può ritenere oscillatoria ; chi attende debolmente a q. e, in realtà ora vi attende, or no. S' ha in tal caso la durata utile dell' attenzione, sot- traendo, dall' intervalto tra il suo principio e la sua fine, la .somma di tutti quelli (ciascuno forse molto picco- lo ; pur numerosi) in cui ci fu distrazione. E l'effetto deve riuscir anche minore che per un' attenzione della stessa durata utile ma continua ; perchè negl' intervalli di distra- zione il vincolo delle connessioni meccaniche si rallenta, e se ne formano delle nuove estranee all' intento e però svantaggiose. Pur limitatamente a un istante dato, l'inten- sità dell' attenzione si ripercote sul meccanismo e lo signo- reggia, facendosene un cooperatore d' un nemico qual è per l'ordinario. (Donde 1' im})ortanza morale d'un attendere continuamente energico ; o della tensione dell'animo, come si suol dire). [35] (li:;) Capitolo IL La sintesi meccanica. 18. Uno stato d. e, preso nella sua immediatezza, nel suo accadere manifesto, nel suo presentarcisi, nel nostro ac- corgercene (espressioni tutte sinoninie (i)), è qualcosa di irriducibile (2). Ciò significa in sostanza, che in un elemento dato, in (guanto lo si assume come tale, non si può ravvi- sare insieme un risultato ; ma non esclude che un'indagine sulle condizioni del suo prodursi non lo risolva in una m(dteplicità. E per gli stati d. e. questo è sempre il caso. Io vedo p. es. un amico. Lo stato d. e. in cui allora mi trovo risulta, oltreché della visione, di certe remini- scenze, perchè 1' amico vien da me riconosciuto ; e che le sono intimamente associate, perchè mi basta vederlo per riconoscerlo subito. Di lui vedo la faccia e i vestiti ; nella faccia vedo gli occhi, le guance ecc. ; s'hanno qui di nuovo altrettanti stati d. e. che si fondono insieme. E ognuno di questi è daccapo complesso ; perchè ogni particella asse- gnabile della superfìcie veduta produce un' impressione su' (1) Ma tutte improprie. Il fatto d. e, e il nostro accorgercene (dove accorgersi non è conoscere, ma piuttosto un sentire) non sono due fatti, come suona la frase, ma un solo. Impossibile trovare una locuzione non implicante la dualità che andrebbe esclusa: perchè la dualità è insepa- rabile dal pensuiro, fondato suU' antitesi tra soggetto e oggetto, o anzi costituitone. E il significato di qualsiasi espressione verbale è sempre un pensiero, non mai un puro stato d. e. (2) Cfr. Moni. cit. : §§ 14 a 18. (lU) po] miei occhi, i quali son due, e ad ogn' impressione corri- sponde uno stato d. e. che potrehbe prodursi da solo. Se la scomposizione, che a questo modo può evidente- mente essere spinta molto in là, sia per non terminar mai, 0 })er fermarsi davanti a degli elementi assolutamente sem- plici ; e, in questa seconda ipotesi, quale sia per esserne r ultimo risultato, quale la natura dei detti elementi : an- cora e sempre stati d. e. come gli elementi non ultimi, o qualcosa d' altro, e che altro ; è una questione difficilissi- ma (1). Senza entrarvi, basti 1' aver messo in chiaro che (1) Si consideri T impressione prodotta suU' occhio da una super- ficie dell' estensione di 1 dram.- È certo che tale impressione non è nulla ; perchè una superficie veduta qualsiasi contiene un numero finito di drara."^; se ninno di questi fosse veduto, non sarebbe veduta la su- perficie. Ma non è men certo che un cambiamento, poniamo di colore, in una porzioncella cosi piccola, o anche in alquante non contigue, ri- mane impercettibile. Sembra doversene concludere, che all' impressiono fatta suir occhio da simili spazietti non corrisponda stato alcuno d. e. ; perchè il parlare di stati d. e. di cui non s' abbia coscienza (non si dice, di cui non s' abbia cognizione) è un contraddirsi ne' termini. Ma allora ne seguirebbe, che tutta la coscienza si risolva da ultimo in elementi, nessuno de' quali sia nella coscienza ; il che riconduce la medesima contraddizione. Il riflettere che il microscopio rende visibili dell" areole invisibili per sé, non rileva , perchè le lenti s'applicano all'occhio, non alla co- scienza. Una forza troppo scarsa potrà divenir atta a produrre uno stato d. e, mutando i suoi modi d' azione ; ma che ha mai da far questo con r osservazione precedente, secondo la quale uno stato d. e, comunque l)rodotto, dovrebbe risolversi in elementi estranei alla coscienza ? In via d' esempio, si consideri una massa metallica, la quale, urtata a un tratto da dieci martelli, si move ; urtata da uno, si scalda senza moversi. La difficoltà, d'una somma non omogenea co' termini, non si risolve col riflettere, che pure una martellata produrrebbe il movimento, se appli- cata a una leva : e sarebbe invincibile, se non soccorresse l' ipotesi fi- sica, essere il calore una forma di movimento. Ma dicendo analoga- mente, che la coscienza sia una forma dell' incosciente, s' enuncia una frase che da sola non ha senso alcuno ; e non può riceverlo, se può, che da un' indagine profonda sulla natura della coscienza e dell'accadere in generale. — Si vedrà in breve affacciarsi una difficoltà, eh' è press' a [-1 (145) uno stato d. e, il quale all' immediata osservazione (e al pensiero che vi si riferisce) apparisce qualcosa di affatto semplice, è sempre invece il prodotto dell' accozzamento di più alti'i elementi nella coscienza oscura ; o, come si dirà, è il risultato d' una sintesi meccanica. 19. Si considerino invece più stati d. e. contemporanei. Quand'io vedo una folla, a ciò che vedo (alle impressioni orf^aniche) non corrisponde nella coscienza un accadere cosi definito e così relativamente fisso come alla vista del- l' amico ; perciò dico che la mia coscienza si trova questa volta in molti stati a un tempo. Ma questi non rimangono sconnessi o soltanto giustaposti ; bensì s' accozzano e si stringono insieme ; posso dire con ugual ragione che la mia coscienza si trova ancora in uno stato solo, complesso ; io vedo una folla. In altri casi l' agglutinarsi degli stati simultanei è meno apparente, o anche in realtà meno completo e meno intimo ; è per altro sempre riconoscibile, sia pure sotto una forma iniziale, a un' osservazione accurata. E non potrebbe essere diversamente, posto che gli stati d. e. esercitino gli uni sugli altri delle azioni reciproche ; si comprende anzi che quest' agglutinarsi, questa sintesi meccanica, dovrà non limitarsi all' accadere contemporaneo, ma stendersi a tutta la coscienza oscura ; donde così a questa un carattere, che senz' essere la forma d' unità, vi corrisponde. Sicché tra i due casi, estremi e opposti a primo a- spetto, d' un solo stato d. e. o di più stati contemporanei, si trova non esservi punto oi)})osizione, ma una differenza poco la medesima sotto un aspetto un poco diverso (§ 21 ; clV. la nota ivi). (146) [;]8] semplicemente di grado. La coscienza oscura consta d'una quantità d' elementi, che sfuggono all' osservazione diretta e sulla natui-a de' quali non si sa né si suppone nulla ; ma che dalle loro vicendevoli connessioni meccaniche son distribuiti in gruppi di differenti ordini. Gli elementi d'un gruppo, quando possano diventare essi medesimi oggetti dell' osservazione (che è il caso più comune e più notevole) son sempre de' gruppi d' ordine inferiore ; il vincolo che li connette può assumere differenti caratteri ; dai quali di- pende se il gruppo si presenti all' immediata osservazione come qualcosa di semplice (uno stato d. e.) ; o sembri al contrario ridursi alla mera contemporaneità degli elementi medesimi ; o apparisca dotato d' un carattere intermedio. E come si è notato, ciò che rende possibili questi vin- coli è sempre l'energia meccanica della coscienza oscura (i) ; (1) Il concetto che possia-no formarci della detta energia non è più astruso né meno determinato del concetto di forza in genere ; e la con- dizione di contemporaneità tra due manifestazioni della prima, che si riconosce come necessaria e sufficiente affinchè Tuna influisca sull'altra, è più semplice di quelle temporanee e spaziali a cui è subordinata la incidenza delle forze fìsiche. Una meccanica psichica deduttiva, anche trattata col calcolo, sembra dunque possibile, quanto la meccanica pro- priamente detta. Certo però è molto più difficile assicurarsi che i risul- tati non abbiano un valore puramente astratto ; com' è p. es. della meccanica in uno spazio non euclideo. Quindi è senza dubbio preferi- bile il metodo strettamente empirico, non assumendo V energia se non come la condizione intrinseca indeterminata della possibilità de' fatti osservati ; o insomma non usando questo termine che per rendere più semplice, più evidente, e in qualche modo suggestivo il linguaggio. Osservabilissimo è il tentativo dell' Herbart ; ma che ne rimane ? Quest' autore ha notevolmente cooperato al progresso della psicologia ; ordinando sistematicamente delle notizie già comuni, ma incerte ; sba- razzandole di molti errori , e in particolare delle tante ipostasi e penetrando tutta la materia col suo acume singolare. Ma quello che v' era di più personale nell' opera sua, è, al solito, caduto. Egli intanto scambia la meccanica psicologica per una teoria della cono- scenza ; il che torna pure a scapito del significato meccanico delle sue conclusioni, dove ali elementi materiali e i formali si trovano [:50] (117) la sede della quale si trova ora doversi trasportare dallo stato d. e. (ciò che per I' attività pensante rappresenta il dato immediato), a un elemento senza paragone più tenue, inafferrabile e indefinibile. Con la quale osservazione, da un lato si è messa in evidenza una difficoltà, il che è sem- pre un guadagno ; dall' altra s' è reso più semplice e in- sieme più ricco di contenuto il concetto della coscienza oscura. erroneamente confusi. D' altronde, il suo spiritualismo è veramente esa- gerato. (L' esservi stati molti lockiani di questo sentimento, lascia sup- porre, che certe opinioni non siano così strettamente connesse, quanto comunemente si crede, in base a de' preconcetti morali o religiosi). Infatti, egli non sembra nemmeno sospettare che senza un sistema nervoso non sia possibile né il raeccanesimo, né la sua condizione fondamentale d' un accadere interno simultaneo e insieme distinto ; per non dir altro, secondo lui anche dopo morte le leggi d'aggruppamento dello rappresentazioni rimangono le stesse, benché, cessando V afflusso di rappresentazioni nuove, gli effetti riescano molto diversi. Partendo da un' ipotesi cosi insufficiente, e nemmeno discussa, doveva riuscirgli iiiq)0ssibile, malgrado la profondità e la consueta esattezza delle osser- vazioni, di evitar sempre 1' errore. Egli asserisce p. es. che, sotto 1' a- zione del puro meccanesimo, una serie di rappresentazioni non si svolge mai in un ordine divei'so da quello con cui s' è primamente formata ; e cosi che non si produce mai spoìitaneamente l' anagramma d' una parola. Ora, chi scrive conosce molto dappresso alcuni bambini, che di certo non sono rarità psicologiche ; e i quali tuttavia, quand'erano tanto piccini da doversi escludere ne' loro ciangottamenti qualunque inten- zionalità, anagrammatizzavano eh' era un piacere. Che, per ispiegare il meccanesimo, convenga far capo alle condizioni organiche, é oramai ammesso forse da tutti ; ma non tutti forse ricordano che il Muratori (nella Forza d. fant.) s' era già messo risolutamente su questa strada ; r unica buona, benché presenti anch' essa i suoi pericoli. Ma quale strada n' é priva ? Qual' è il metodo, i risultati del quale non dipendano dall' uso che se ne fa, dalla discrezione di chi lo adopera ? T. IV, S. VII 10 (148) [40] 20. (1) Uno stato d. e, o si voglia dire un qualsivoglia grup- po, fa la sua comparsa nel campo della coscienza oscura; dopo un certo tempo, durante il quale si sarà in generale modificato più o meno, ne sparisce, venendo dimenticato ; e torna in seguito a riaffacciarsi. {^) Prima e dopo esso era uno stato d. e. ; ma nelF intervallo tra le due appari- zioni ? Il suo presentarsi e il suo ripresentarsi, son due fatti indubbiamente connessi ; ma come e da che sono connessi ? Considerando lo stato d. e. come una cosa, situata ora nella coscienza (immaginata quasi un ricettacolo) ora al- trove, si ha del fenomeno una rappresentazione materiale ; la quale diviene abbastanza soddisfacente quando la si li- beri (e non è poi difficile) dalle ipostasi grossolane che la ingombrano. La si ammetterà, con questa modificazione : che le due regioni in cui lo stato può trovarsi vengano supposte tutt' e due parti della coscienza oscura, separate da una soglia (3). Ciò che si trova sopra la soglia, è nel pieno senso della parola uno stato d. e. quale lo si è inteso fin qui ; un accadere interno di cui ci accorgiamo, e il cui accadere coincide col nostro accorgercene. Di un elemento invece caduto sotto la soglia non siamo più consapevoli in modo (1) Questo § e il sg. interrompono il filo della trattazione; ma per somministrare alcune notizie che in seguito riesciranno opportune. (2) Postulato della reminiscenza ; cfr. mem. cit. §§ 31 a 33. (3) La spiegazione che segue è dovuta all' Herbart. La soglia d. e. non è qui presa per altro esattamente nel senso erbartiarao ; secondo il quale le due regioni separatene corrisponderebbero piuttosto alla nostra coscienza chiara ed oscura. Già s' è avvertito che V H. non di- stinse con precisione i fatti meccanici dai cogitativi. [41] (11!») Hlcuno : osso non ò, non occorre dir pensato, ma nemmeno sentito, né fantasticato. Per altro il sistema di connessioni più o meno dirette ed energiche, di cui s' è })arlato più addietro, si deve intendere esteso a tutti gli elementi del- l' uno e dell' altro campo ; vi sono gruppi variabili e fìssi cosi sopra come sotto la soglia, e anche, degli elementi d' un gruppo, alcuni possono trovarsi al di sopra, alcuni al di sotto. Il meccanesimo esercitando la sua azione, non solo in ciascuno de' due campi separatamente preso, ma tra l'uno e r altro, il passaggio dall'uno all'altro di quanti elementi si vogliano, cioè il cadere di certi stati attuali in dimen- ticanza, e il riaffacciarsi di stati trascorsi, è un fatto intie- ramente analogo al formarsi e disfarsi di certi gruppi ; e il processo meccanico della reminiscenza è spiegato. E da notare, che il vincolo tra due o più elementi anche situati tutti al di sopra della soglia, può essere par- zialmente sotto ; nel qual caso esso è bensì attivo, ma la sua esistenza rimane inavvertita (analogamente a una ca- tena, della quale si vedano soltanto due parti verso le estremità, e che pare quindi spezzata). Ciò non è difficile a comprendere, perchè il vincolo non è un' entità sui ge- neris, ma si risolve in certi modi o caratteri degli stati connessi, od è uno stato d. e. complesso. 21. 11 linguaggio introdotto nel precedente § si presta bene a un' esatta e chiara descrizione de' fatti ; e quando sia necessario tener conto del processo medesimo della remi- niscenza, non de' suoi soli risultati, è per poco impossibile non farne uso senz' andare per le lunghe, o ricorrere a teorie non discusse ne' accennate finora. Ma è ammissibile, 0 almeno intelligibile l' ipotesi che gli serve di fonda- (150) [4-^] mento, cioè la distinzione della coscienza oscura nelle due dette regioni ? Il difficile sta nel farsi un' idea di quella regione, che si dice situata sotto la soglia. Il complesso degli stati d. e. dimenticati, fin che sono dimenticati, si può considerare come un tutto, al quale imporre un nome da non discu- tersi quand' anche non troppo felice. Ma, stando al con- cetto precedentemente assunto di coscienza, quel complesso le si deve ritenere estraneo ; 1' aver ammesso de' vincoli tra esso e la coscienza oscura propriamente detta, o re- gione superiore alla soglia, è dunque un fondare la ricerca sulle connessioni della coscienza con qualcosa di fuori, è un mancare all' assunto, eh' era di costruir 1' edifizio sulla base de' soli dati riconosciuti (gli stati d. e). Si potrebbe rispondere, che questo al di fuori sia, non un dato nuovo capricciosamente assunto, bensì un risultato dell' analisi instituita sui soli fatti d. e. ; ma un esame più attento prova, che a qualcosa d' esterno alla coscienza non si è ancora arrivati, né in un modo né nell' altro. Chi si attenga scrupolosamente all' osservazione, astenendosi dalle ipotesi gratuite, riconoscerà che le condizioni del riappa- rire d' uno stato caduto in dimenticanza, sono da ricercare nella coscienza medesima : è infatti il succedersi di certi stati attuali (sensazioni p. es., o anche reminiscenze) che riconduce quelli dimenticati, e nella guisa più naturale e spontanea. Inoltre, noi possiamo fino a un certo segno influire sul processo che si svolge sotto la soglia : una pro- lungata tensione d' animo riesce talvolta ad evocare, senza altri artifizi, ma faticosamente, una reuìiniscenza ; e du- rante la tensione, un sentimento confusissimo ci avverte spesso, e quasi sempre con verità, se il processo inconsa- pevole è ben avviato o no. Anche siam sovraccolti non di rado da un presentimento, che una certa reminiscenza sta per apparire ; e si dice una certa, perchè al suo effettivo apparire la si riconosce immediatamente per quella prean- nunziata, quantunque il preannunzio non V avesse ancora [4:5] (151) ricondotta. Lo ((uali osservazioni acquistano molto peso dalla loro difficoltà ; perchè i fatti di questo {^^enere, sia per loro importanza in generale molto scarsa, sia per il loro carattere poco deciso, non fermano quasi mai 1' at- tenzione. Ma se la regione sotto la soglia è davvero una parte della coscienza, vi sarebbe dunque una coscienza inconsa- pevole, che è assurdo. Si rifletta per altro, che questa è la conseguenza, non d' una teoria, ma d' un' osservazione incontrovertibile. Invece dunque d' esclamare all' assurdo, è da rammentare piuttosto, che l' intima natura de' fatti osservati non è stata ancora scrutata (qui) ; ninna mera- viglia dunque se le condizioni del loro accadere non si riesce ad esporle in modo soddisfacente. Di un' antinomia che ha una tale origine si può senza scrupolo differire lo scioglimento a quando s' intraprenda lo studio della co- scienza in sé stessa (*) (del resto le ultime riflessioni fatte di sopra ne attenuano di molto il significato). (1) È tuttavia prezzo dell' opera notare la coincidenza di questa difficoltà con quella rilevata poco addietro (cfr. la nota 3 al § 18). Si ammetta che gli elementi irresolvibili (assolutamente o relativamente) appartengano, ciascuno isolatamente preso, alla parte della coscienza oscura situata sotto la soglia ; il che spiegherebbe a sufficienza la loro inafTerrabilità. Poich' essi sono estrinsecazioni d' energia, già si com- prende, che tra loro corrano delle relazioni e de' vincoli, da' quali sian tutti connessi in un meccanesimo. Si supponga di più. che la parte della coscienza oscura situata sopra la soglia sia la sede d'un'attività ; e che r investire che questa faccia d' un gruppo situato sotto la soglia (il quale, per esserne investito, dovrebbe avere una certa estensione e una certa coerenza) sia ciò che li trasporta al di là della soglia. Il pas- saggio d* un elemento dalla regione inferiore alla superiore sarebbe cosi qualcosa di molto sinile al suo passaggio dalla coscienza oscura alla chiara. Qui poi e* è da scegliere tra due ipotesi. L' attività superiore alla soglia, o si considera come irriducibile con quella che si estrinseca al di sotto (e allora, supposta irriducibile con entrambe quella della coscienza chiara, s' avrebbero tre differenti energie quali fattori della vita consapevole) : o no. In questo secondo caso, ò affatto ovvio sup- (ir>2) [44] Per ora, 1' accennata distinzione in due campi della coscienza oscura va presa, non per un' ipotesi vera e pro- pria ; ma senza più quale un modo d' esprimere la condi- zione reale (qual che si sia) dond' è resa possibile la remi- niscenza. In un senso analogo s' è introdotto già prima il termine d' attività, e anche quello di coscienza. 22. (i) Si può ora enunciare la condizione, pei'chè più stati d. e. situati al di sopra della soglia costituiscano un gruppo avvertito come tale ; conviene che il loro vincolo si trovi anch' esso al di sopra della soglia ; venga cioè avvertito, o almeno ne venga avvertita 1' azione (in caso diverso, gli elementi del gruppo appariscono semplicemente contempo- ranei, non connessi). Un gruppo avvertito si dirà una fusione, quand'è tal- mente connesso, che gli elementi (benché tutti avvertiti, sopra la soglia) non ne sono avvertiti separatamente cia- scuno, ma tutti insieme; per modo che le ulteriori opera- zioni di ciascuno non risultano distinte 1' una dall' altra ; porre, che un gruppo inferiore alla soglia, quando col divenire via via più esteso e pili coerente abbia concentrato in sé una sufficiente quan- tità d' energia, oltrepassi spontaneamente la soglia ; o in altri termini, che r oltrepassarla consista nell' avere raggiunto quel certo grado (al- meno) d' energia accumulata. Si ha in tal modo una semplicità mag- giore ; oltreché si rende ragione d' un fatto che sembra certo , cioè che uno stato d. e. si trova talvolta in una condizione ambigua tra l'essere avvertito e non essere ; cioè né al di sopra né al di sotto, ma proprio sulla soglia (specie durante la sonnolenza, o nella stupefazione febbrile, accade osservare qualcosa di simile). E appena da accennare, che il meccanesimo inferiore alla soglia, ancora meno di quello superiore, é po^^sibile separatamente da un si- stema nervoso. (1) Segue al § 19. [45] (15:ì) e all' immediata osservazione il gruppo sembra un solo e semplice stato d. e. P. es. : una superficie dipinta a strisce alternate rosse e azzurre sia veduta da una distanza i)iut- tosto notevole ; tale però, che una sola di quelle strisce rimanga visil)ile. Tutte le strisce vengono allora vedute ; eppure la superficie apparisce uniformemente violetta. (Una fusione di più elementi sembra quasi ridursi a un loro ef- fetto ; ma ne diff'erisce almeno in ciò, che l' effetto può durare anche cessata la causa ; invece una fusione svanisce co' suoi elementi, e muta col mutarsi anche d'un solo). I vincoli tra gli elementi d' una fusione, in quanto si trovano al di sopra della soglia, devono essere uniformi (ciascun elemento è connesso ugualmente con tutti gli altri). Se nel gruppo ah e, corre tra « e & un vincolo che non si estenda a e, a eh formano un sottogruppo distintamente avvertibile in ab e, il quale ultimo non è dunque una fu- sione. Quindi, se due o più fusioni si fondono insieme, i vincoli da cui era costituita ciascuna separatamente ca- dranno sotto la soglia. Perciò anche non si può parlare di fusioni di diversi ordini, che relativamente alla loro ori- gine ; una fusione non ha organizzazione interna apparente (i vincoli, che ne connettano variamente gli elementi, giac- ciono sotto la soglia ; e se la oltrepassano, la fusione è disciolta). Una fusione dura più o meno, e può essere distrutta più 0 meno facilmente ; si possono dunque intendere di- versi gradi d' intensità nel vincolo ond' è tenuta insieme ; ma non vi sono gradi nella fusione. Analogamente, le com- binazioni chimiche meno stal)ili, non sono meno combina- zioni delle altre. 23. Quando gli elementi d' un gruppo sono connessi av- vertitamente (i vincoli cadendo al di sopra della soglia) ma non unifoi'memenie, il gi'uppo non può essere una fu- (IM) [4(i] sione : lo si dirà un" aggregazione, (i) L' essere i vincoli al di sopra della soglia, fa sì che il gruppo sia avvertito come tale ; la loro difformità mantiene distinte le azioni de' singoli elementi (sottogruppi). Elementi d' un' aggrega- zione son quelli, 1' azione de' quali è immediatamente di- stinta ; e in ultima analisi si riducono sempre a fusioni. Un' aggregazione invece non può mai esser elemento d'una fusione ; bensì due o più aggregazioni possono aggregarsi, ecc. ; quindi si danno aggregazioni di diversi ordini. Lo sconnettersi d'una fusione di fusioni per il riapparire al di sopra della soglia de' vincoli propri di ciascuna fusione elementare, dà luogo in generale ad un'aggregazione (non è impossibile, ma poco probabile, che i vincoli tra le fu- sioni elementari resesi distinte rimangano sotto la soglia ; e allora e' è stata disgregazione). Un modo di aggregazione (non si dice il solo) molto facile a intendersi, e quindi utile ad osservarsi come esem- pio, è il seguente. Siano a, b, due fusioni ; ai , a2 , . . . a^ ; pi j ^2 > • • • Pn gli elementi rispettivi ; e si supponga che alcune delle a, p. es. p, siano identiche con altrettante delle p ; p dovrà essere minore cosi di m che di n, o u- guale al minore di questi numeri. Siccome in una fusione gli elementi non sono avvertiti distintamente, è chiaro che a, b si compenetrano parzialmente ; ma siccome (posto 'in > n) non tutte le a sono connesse con le ^ come tra loro, è anche chiaro che dì a e b non risulta una fusione ; a e b sono dunque connesse rimanendo (parzialmente) di- stinte ; e il risultato è un' aggi'egazione. Se m, n, sono numeri grandissimi, e p ^= 1, la distinzione di a da & ri- sulterà si può dire perfetta: e il loro vincolo in generale (I) Non .si discute se un gruppo connesso uaitornio.nente ma molto debolmente possa costituire un'aggregazione ; parrebbe di si. I nomi di fusione .e d' aggregazione vengono usati qui in modo arbitrario, pre- scindendo dal significato che possono avere nell" uso più o meno co- mune, 0 in una od altra scuola di psicologia. [IT] (1-V)) debolissimo ; se posto ìn'>-n, è p^^^v, a e h non sono più distinte, ma viceversa il loi-o vincolo ha conseguita la massima energ-ia (la separazione di b da a non s' ottiene che sconnettendo la fusione a). Si hanno così due casi li- miti, tra' quali sono concepibili quante si vogliano grada- zioni intermedie. La saldezza del vincolo d'un'aggregazione può esser tale, da presentarla quasi come una fusione, o cosi poca, da essere appena avvertibile. La struttura interna d' un' aggregazione (il suo ordine) può essere immediatamente manifesta, o riconoscibile solo studiandone l' origine e le reazioni. Le prime si dicono semplici, le seconde complesse. E si danno diversi ordini di complessità, da non confondersi con gli ordini d'aggre- gazione ; perchè un certo ordine di complessità suppone lo stesso ordine (almeno) d' aggregazione ; ma non vice- versa. Un' aggregazione semplice prende il nome di seHe (semplice) quando ciascuno de' suoi elementi è connesso con due altri e con due altri solamente ; può darsi che un elemento, o due al più (il primo e 1' ultimo) siano connessi ciascuno con un altro solamente. Le serie son, tra le ag- gregazioni, le più importanti. Un' aggregazione non seriale è sempre pensata come risultante da un'aggregazione late- rale e seriale d' altre serie ; e forse è questo il suo modo reale di formazione (i). (1) Ecco alcvuii esempi di serie ; che possono dare un" idea delle aggregazioni in genere. Ciascuna lettera sta per rappresentare una fusione. I. a, b, e, d : semplice. II. (n. b, e. lì), (e, f. g, //). (/, 1, in, n) ; complessa di ?. " ordine, considerando ciascuna serie elementare come un che non inuaediata- mente risolvibile ; se la struttura seriale degli elementi ò manifesta, essa ò a dire del 2.'^ ordine d' aggregazione. III. [{a, b . .), {e, d...). .. .], [e, f. . .), (r/. /,. ...).-. • 1, ... : <-om- plessa di 3.'^ ordino, ecc. (15(i) [48] 24. L'esposizione precedente (<) non s'è potuta fare senza introdurre de' termini, che esprimono forme del pensiero non ancora discusse. Non per questo è a dire che la teoria accennata inchiuda de' sottintesi. Trattandosi non d' altro che di dirig-ere sul punto opportuno 1' attenzione del let- tore, e di provocare in lui quel processo di riduzione e quasi di spogliazione del pensiero (2), nel quale s' ha 1' u- nico mezzo per rappresentarsi (imperfettamente sempre) la coscienza oscura, è lecito quanto inevitabile far uso del linguaggio volgare, prescindendo da' problemi che vi sono impliciti ; qualunque più grossolana indicazione basta ac- ciocché ognuno ravvisi quanto accade in lui stesso. Le nostre idee di ciò che accade nella coscienza oscura dipen- dono dalle forme del pensiero ; ma quell' accadere n' è indipendente. Anzi, r applicazione che se n' è fatta serve appunto a precisare il significato de' termini, relativamente alla ma- teria trattata ; mette in evidenza la predisposizione a certe forme, risultante dalla propria organizzazione del dato, che l'attività pensante ci trova nell'investirlo, e della quale approfitta. Così : Unità (o semplicità, che in questo senso le è sinoni- a e t n . . . b f h 0 . . . . 1,1 • 1 j- aggregazione laterale seriale di sene; ciascun ^,^ "^ / • • • elemento appartiene contemporaneamente a due IV. d h ni q . . . . a ,. i- t-i. ^ ■ • i*. ^ sene; e da ciò tutte le sene risultano con- nesse. Ecc. (1) Affatto incompleta come studio psicologico, ma sufficiente allo scopo che s' ha di mira. (2) Accennato alla mem. cit. : § 21. [I<)] (157) ma), è il carattere proprio di una fusione ; d' un f^nnippo avvertito, del quale ciascuno stato elementare è avvertito, ma avvertito solo Jiel «j^ruppo e non separatamente, con distinzione. Viceversa, il carattere d' un' aggregazione, o d" un gruppo avvertito come tale, restandone insieme av- vei'titi con distinzione alcuni elementi, è la moUiplicità. La ({uale non è ancora il numero, benché ne sia in qual- che modo r embrione ; io m' accorgo che le monete poste su d' una tavola sono parecchie, anche prima d' averle contate. Un' aggregazione si può anche dire un tutto, del quale ciascun elemento distintamente avvertito è una parte. Non occorrono i concetti pienamente formati di tutto o di parte, per attendere a un tutto in quanto è tutto od a una parte in quanto è parte, o per accorgersi se un tutto perde (jualche parte o ne acquista di nuove. Cosi p. es. una chioccia s' accorge (i) se le manca qualcuno de' suoi pul- cini, o se vi se ne aggiungono degl' intrusi. E tuttavia non è ammissibile (die una chioccia sappia contare i suoi pul- cini, che saranno })iù di trenta ; mentre a certi linguaggi è sconosciuta la numerazione oltre a venti. Del pari, una serie meccanicamente data presenta un carattere, che non si può indicare se non come il suo ordine interno (da non confondersi con l' ordine di complessità o con quello d'ag- gregazione) ; e che può essere rilevato senza bisogno del concetto formato di ordine ; s' avverte il succedersi degli elementi, secondo che vengono presentati dalle connessioni meccaniche di ciascuno con due altri (il precedente e il seguente). In una teoria della conoscenza, l'assumere questi con- cetti come dati, equivale ad assumere de' postulati di cui s' ignora se siano conciliabili ; è un rendere impossibili delle conclusioni di cui sia certo il significato e la consi- (1) Qui r accorgersi, T avvertìpo. ecc., sono intosi semyìrc co-ne fatti della coscienza oscura; non c'è bisogno di rammentarlo. (l->^) 150] stenza. Viceversa, ogni tentativo di ricostruire que' concetti in modo puramente razionale è andato a vuoto ; e ora se ne vede il perchè. Essi non sono, né puri dati, né pure costruzioni razionali ; sono i risultati che s' ottengono com- binando le posizioni di gruppi meccanici dotati di certi caratteri, i quali sono alla loro volta i risultati dell' ela- borazione spontanea della coscienza oscura (i). La formazione di questi concetti (e di pochi altri) sarà sommariamente descritta ne' Capp. che seguono. Capitolo III. La sintesi razionale. 25. Non bisogna confondere i caratteri delle cose, affixtto particolari e inseparabili da esse, con le forme universali del pensiero, che sono il risultato d" un gi-aii numero di posizioni aggruppate e fissate conia parola ("^). Si dice plie una cosa ha un certo carattere, quando la si })ensa })er mezzo di una certa forma ; per altro, le determinazioni o forme della notizia d' una cosa invariabile possono mutare (1) Si ricoiioscerk se non altro che la teoria si svolge sempre d'ac- cordo con sé stessa. Il pensiero è il risultato dell' attività che investe un dato (iuimediatamente, o rielaborando un risultato). E l'attività non ci mette di suo che sé stessa ; nò prende di fuori che la materia ; la prende bensì quale è stata resa dalla elaljorazione a cui ò soggetta per le sue proprie leggi. (2) Che le forme siano quello die si dice, e stato dimostrato coin- plossivamente nella meni. cit. ; e sarà dimostrato in ])articolarc. per quelle di cui abbiamo bisogno, nel corso di questo scritto. |:.i| (ir.!)) con le circostanze. P. es. : io sto fermo in un dato luogo, che può essere conosciuto, determinato con tutla la preci- sione desiderabile. Se nn amico è seduto alla mia destra, il mio luogo è determinabile dicendo che io sono alla sua sinistra, il che non si può fare se l'amico se ne va. L' unità come carattere delle cose (proprio de' fatti della coscienza oscura) è relativa ; si rilevano delle fusioni e non degli elementi indeconii)oiiibili ; è tuttavia indipen- dente nel suo essere manifesto ; cioè una fusione è a\ ver- tita come tale senza che siano (anzi perchè non sono) av- vertiti i suoi singoli elementi quali si vogliano. La molti- plicità invece, come carattere e. s., dipende dall' unità ; avvertire un' aggregazione è avvertire insieme con distin- zione ciascun elemento di essa. Ma r unità e la moltiplicità come forme sono corre- lative ; cioè sono un modo di pensare (|ue' caratteri, che sta nel riferirli V uno all' altro. So che le lettere dell' al- l' alfabeto son molte, perchè penso ogni singola lettera ; ma ciò che mi fa pensar come chiusa in sé, come una, ogni lettera, è la separazione del pensiero di essa da quello delle altre. Per determinato che sia un concetto, se è solo, la separazione non ne può essere un elemento pensato ; lo si pensa distintamente, ma non come distinto, al che si richiede che lo si pensi con altro. Sia pure A uno in sé stesso (possieda (questo carattere, in qualunque grado), e si supponga di conoscere con quanta esattezza si vuole il solo A ; r unità non può essere una delle forme sotto cui lo si pensa ; perchè pensarlo sotto questa forma, è determi- narlo in una moltiplicità, o in opposizione ad essa (i). (1) Ecco un esempio abbastanza convincente. Si possono costruire delle superficie con una sola faccia ; le quali cioè s' estendano in un modo tutto connesso, non come un foglio, che bisogna attraversare (bucare) per passar da una faccia all' altra. Ora, 1' estendersi in tre di- mensioni dello spazio, che ci è del resto notissimo (astraendo da ogni misura) per intuizione come dicono, è tutto connesso, esattamente come r estendersi in due dimensioni delle superficie con una sola faccia. (160) [52] Si dice che il pensiero è imo. Ma questa frase (pre- scindendo dal significato trascendente eh' essa riceve nella ipotesi idealistica, e non può ricevere che dall' ipotesi stessa) significa aver ogni pensiero la forma d' unità ; la- scia intatta la questione intorno all'origine di questa forma, né distrugge gli argomenti che la provano correlativa a quella di moltiplicità. Poiché, con l'ipotesi fondamentale, {^) all' elemento cogitativo (alla posizione) s' è attribuita la sola forma d' oggettività (embrionale, cioè indeterminatis- sima), conviene per ogni altra forma assegnare il pro- cesso donde risulta. Né dall' essere la forma di unità co- mune ad ogni pensiero è concludibile a priori l' impossi- bilità del processo, e quindi il difetto dell' ipotesi ; perchè già s' è visto {^) che una posizione sola è addirittura insi- gnificante ; e niente vieta del resto, che 1' unità le competa come carattere (3), ma non si determini come forma se non dall'intreccio di molte posizioni. Pensare, secondo l' ipotesi, è compiere un atto volitivo. Ora, io posso compiere uno e molti atti, senza che a ciò mi occorrano le forme di uno e di moltiplice ; come un rosaio può, senza possederle, cioè senza conoscerle, produrre uno e molti fiori. E i concetti che ho, io li conosco, tutti e ciascuno. Il mio saper d' avere il concetto a, e il mio sa- per d' avere i concetti a, b, e, . . . , non sono un solo e medesimo sapere ; son cognizioni diverse. Ma dalle diff'e- renze dovute alle singolarità dei concetti a, b, e, . . . , si deve prescindere ; di fatto, io posso porre un medesimo indeterminatissimo concetto (ossia semplicemente porre) Pure, non si è detto che la solidità dello spazio sia una sola ; ap- punto perchè non la si è messa in correlazione con una moltiplicità ; e ad una moltiplicità V abbiam dovuta riferire, per renderla concepibile come una. (1) § 8; cfr. mem. cit. § 23. (2) § 9 ; cfr. mem cit. (3) cfr. poco sotto, in questo §. [5:ì] (ini) tante volte quante mi pare ; e tuttavia, sapere d'aver posto a, non è lo stesso che sapere d' aver posto a, e di nuovo a, ecc. Queste due cognizioni io le ho di fatto : ed averle è tutt' uno con 1' averle distinte, non <;on fonderle; ed anclie con r averle insieme. La pi-ima entra nella seconda, ed e con r entrare nella seconda che la sua separazione di fatto diviene una distinzione pensata ; ossia le due cognizioni, per il solo fatto che sono diverse e simultanee, si confe- riscono ; r una circoscrive e determina 1' altra. Non rimane più, se non che il reciproco interferirsi delle due cognizicmi si concreti e si fìssi con le cognizioni medesime, al solito modo, cioè connettendole ciascuna con uno stato d. e. relativamente fìsso ; in generale con una parola. Del resto, la detta distinzione essendo il fatto di ogni momento, e quanto di più semplice e di più imme- diato accade nella coscienza chiara (eccetto la posizione), le sue rappresentazioni mnemoniche costituiranno rapida- mente per sé sole un gruppo molto stahile, reso anche più saldo, e arricchito d' elementi fantastici, dalle sue connes- sioni con fatti analoghi della coscienza oscura, (juarè prin- cipalmente r antitesi tra fusioni e aggregazioni. Quindi, le parole come uno e molti, che fissano questo processo nella sua duplicità intrinsecamente correlativa, devono essere state delle prime ad apparire. Ma le prime proprio non avranno avuto questo solo uhzio, ne 1' avranno p. e. compiuto con molta precisione ; prohahilmente, la correlazione vi avrà assunto piuttosto il carattere d' antitesi vaga e oscillante. In ogni modo, la ri- flessione, resane atta a ritornare per quanto imperfetta- mente sul processo, incomincia a ricostruirlo per conto pro})rio, e a precisarne sempre meglio i caratteri con un uso sempre più specializzato dei termini, finché questi ri- cevono il significato riconoscibile oramai in tutti i lin- guaggi ; e le forme d' unità e moltiplicità restano acquisite al pensiero. Si riprenda ora in esame la posizione, cosi com'è de- (162) [r,4] finita dall' ipotesi fondamentale. Si ha o non si ha una posizione, secondo che la volontà investe o non investe il dato ; snpporla ottenuta mediante 1' accozzarsi d' altri ele- menti, è dunque contradittorio. E nemmeno è da ritenerla un gruppo della volontà e del dato ; perchè gli elementi d' un gruppo vi sono immediatamente o no riconoscibili ; . ora, e la volontà e il dato sono soggettivi ciascuno per se ; mentre la posizione è oggettiva. Inoltre gli elementi d'un gruppo stanno anche separati ; invece la volontà, chi non voglia ipostatizzarla, senza fondamento per ora e in opposizione a quanto si è dichiarato (i), si riduce all' atto del porre. La frase : la posizione è un gruppo dell' atto e dello stato ; non ha più senso dell' altra : la paura è un gruppo della vista e della belva. La posizione non si può in alcun modo ridurre a un gruppo ; dunque è semplice, o una. Supposte note le forme d' uno e di molteplice (il che oramai è lecito, perchè s' è spiegata la loro costruzione), la dimostrazione è categorica. Ma essa le suppone ; infatti, come affermare che A non è un gruppo, se non si sa che sia gruppo ? Benché dunque la posizione sia una in sé stessa, non è possibile dalla po- sizione isolata ricavare la forma di unità, donde poi quella di moltiplicità ; ma entrambe vanno ottenute insieme cor- relativamente da più posizioni con un solo processo. 26. Si possono avere contemporaneamente più pensieri, o in un dato istante sono possibili più posizioni diverse. Il dato d' una posizione immediata e primitiva è sempre un elemento della coscienza oscura ; e qualsiasi concetto è un gruppo consolidato di posizioni primitive. Per via della loro materia, oltreché della rappresentazione mnemonica del- l' atto, che, in quanto rappresentazione pura e non posta, (1) efr. § § 2, 3. [:,:,] (Hi.-,) è anch' es.sa iiiatcM'ia (uno stato d. e), i peiisici'i possono contrarre g'ii uni con gli altri le [)iii varie connessioni meccaniclie. In particolare, tutti quelli clic s' hanno in un nKMh'siiHo istanle costituiscono, anclie per questo solo mo- tivo, un gi'uppo. Una fusione di pensiei-i attuali è impos- sibile, ogni atto cogitativo essendo un porre delil)erato e distinto ; originariamente dunque un gruppo di pensieri è sempre un' aggregazione. Ma una reminiscenza (anche d'un pensiero) è generalmente incompleta e tende a diventare sem- pre più povera ; quindi un gruppo di pensieri, non attuali, ma l'icordati, può andarsi accostando sempre più ad una fu- sione ; accostandosi sempre più contemporaneamente al limite che separa la coscienza chiara dall" oscura. Le connessioni meccaniche tra de' pensieri hanno in ogni caso molto minore importanza di quelle volontarie, cioè effettivamente pensate. L' operazione, con la quale di più pensieri si forma deliberatamente un gruppo, appro- fittando delle loro connessioni meccaniche, o all' infuori anzi talvolta contro di esse, dicesi sintesi razionale. Si tratta di vedere, in clie cosa essa consista. Se più pensieri sono meccanicamente connessi da vin- coli situati per ipotesi nella coscienza oscura, ma al di sopra della soglia, è chiaro, che questi vincoli potranno esser posti : allora il gruppo meccanico è pensato come gruppo (mentre non se ne pensavano prima che i singoli elementi) ; e la sintesi razionale è compiuta. Qui si sup- pone che i vincoli vengano pensati quali si presentano, tutti ed essi soli, trasportandoli tali quali dal campo scuro nel campo chiaro d. e. Allora il pensiero (del gruppo) si può dir suggerito dal meccanesimo ; poiché la volontà non ha fatto che piegarsi alla struttura già posseduta dalli materia, senza metterci del suo più di (questo deliberato piegarsi. A tanto è credibile si limiti la sintesi razionale ne' primordi della vita intellettiva (i). (1) La .sintesi così descritta non ò generalmente espressa nella T. IV, S. VII 11 (104) [56] 27. Ma il pensiero appena un po' adulto supera presto confini cosi angusti ; e lo stesso meccanesimo gliene porge r occasione e il modo. I gruppi meccanici de' pensieri non si presentano infatti uno alla volta contornati con preci- sione ; s' ha invece un intreccio complicato di vincoli, tra' quali ne risultano bensì alcuni più decisi (e son essi che suggeriscono al pensiero le sintesi primitive) ma non senza essere incessantemente intersecati e contrariati da altri e altri. Ora, l' energia che ha già imparato a sintetizzare tanto 0 quanto, una volta che abbia incominciato a seguire un gruppo, è naturalmente inclinata a venirne a capo, vin- cendo gli ostacoli. Sian dati p. es. i pensieri a, b, e, d, e, f, connessi da certi vincoli, tra' quali sian più energici quelli clie con- nettono i primi quattro; sicché la volontà si dirige sul sot- togruppo ahcd, per sintetizzarlo razionalmente. Ecco che, appena cominciato il lavoro, il meccanesimo mette in prima linea il vincolo, p. es., tra a ed e. Se la volontà seguisse que- sta suggestione, avvierebbe un nuovo lavoro, lasciando il primo sospeso ; ma l'avere incominciato questo avrà fatto sorgere (se non sempre, certo qualche volta ; e ])asta) un desiderio indeterminato ; il quale, se abbastanza vivo, rea- gendo contro la suggestione permetterà alla volontà di pro- tjeguire per la sua strada ; a proseguirvi, non più assecon- forma logico-grammaticale d' un giudizio ; è un concepire e non un af- fermare ; o piuttosto è un affermare solo in quanto è un porre. Ma in ogni modo corrisponde abbastanza bene al giudizio sintetico a posteriori del Kant. Si vede confermata l'osservazione del Rosmini, che cioè questo giudizio non è spiegato dalla sola esperienza (i fatti del meccanesimo). Infatti, la sintesi non è pensata senza l' intervento dell' energia che pone. [57] (le.:.) dando le combinazioni nìoccanicho, anzi contrastando con Non occorre fermarsi a spiegare, che lo svincolarsi dell'attività dal meccanesinio deve compiersi pei- gradi ; ogni minimo acquisto essendo scala a maggiori. La volontà rie- sce ad assicurarsi un predominio sempre più completo nella formazione delle sue sintesi, approfittando del meccanesimo, e facendolo servire a' suoi tini si dire])be (juasi con una ])olitica accorta. I ^ incoli meccanici situati al di sopi-a d(dla soglia, son molti: molti })iù (luelli caduti al disotto: ma che verrebbero risollevati da uno squilibrio anche leg- gero nel campo superiore. L'energia pensante incontra siìcsso degli ostacoli, che non può vincere da se ; ma la sua azione turba re(|UÌlibrio della coscienza, e in maniere diverse secondo le direzioni che assume ; 1' esperienza in- segna come a un di [ìresso convenga turbarlo, per condurre al di sopra della soglia gli elementi che operando nel senso desiderato, toglieranno gli ostacoli. 28. Questo fatto ben noto si presta a due interpretazioni (jpposte, che vanno almeno accennate. Si può dire che, nel modo descritto, la volontà non solamente si svincola dal meccanesimo, anzi gli si rende superiore e lo domina ; non riesce a determinarne per in- tiero i fenomeni, perchè la loro sorgente ultima è troppo lontana e troppo copiosa ; ma, subordinatamente a certe esigenze ineluttabili, è atta sempre ad imprimergli i carat- teri e la struttura che preferisce ; a dirigere con sicurezza, dentro certi confini, l'energia della coscienza oscura, quasi a sostituirvisi (i). (1) Quest'attitudine dell'uoiiio a plasmare a suo modo il suo mondo (166) [58] Dall'altra parte, il fatto medesimo sem1)ra indicare tra la volontà e le forze meccaniche della coscienza un nesso ben più intimo di quel die sinora si fosse indotti a sup- porre. Effetti, che sembravano immediatamente dovuti alla volontà, si sono visti provenire invece in massima parte dal meccanesimo ; spingendo piìi addentro 1' osservazione cosi nella coscienza come sopratutto in quella sua regione tenebrosa (sotto la soglia) dove l'energia si rende latente e potrebbe subire chi sa quali trasformazioni, si troverebbe forse non esservi luogo per la volontà, come energia di- stinta essenzialmente. La volontà non sarebbe che la ri- sultante di certe azioni meccaniche, più delicate e più na- scoste di quelle studiate, ma insomma della stessa natura. In questo caso, il dominio della volontà sul meccanesimo non sarebbe più vero in senso assoluto ; ma rimarrebbe come un fatto reale ; nel modo stesso che il potere politico d'uno stato esercita un dominio reale sugl'individui, facen- done convergere l'attività a de' Ani comuni ; e non è tut- interno è esclusiva e caratteristica; e, nell'uomo, il suo grado più alto è il contrassegno della superiorità. È notevole, che 1' energia del vo- lere si presenta qui come produttrice nello stesso tempo e nello stesso modo del sapere e della felicità. È notorio che nel possesso di noi me- desimi si ha la sorgente, non del piacere, ma della gioia piii intima, pura e durevole ; e ora si comprende che lo svolgersi del processo co- noscitivo si riduce a un estendere e assicurare sempre più questo pos- sesso alla volontà. L'uomo in balia del cieco meccanesimo è uno sven- turato ignorante; sventurato perchè ignorante, come si suol ripetere; ma anche ignorante perchè sventurato. E quello che si dice del nostro accadere interno, vale per tutto l'accadere ; quello che si dice dell'in- dividuo, vale per l'umanità. Se non che l'individuo e la specie trovano de' limiti insuperabili nell'inesausta fecondità della natura. Parche accada soltanto ciò che si vuole, è impossibile; resta clie si voglia pre- cisamente quello che accade. Qui si vede abbozzarsi vagamente un teiv.o elemento, come complemento necessario a' primi due ; l'elemento reli- gioso. Il massimo sviluppo d'energia, ne' limiti in cui è possibile un risultato; e al di là, la più completa devozione; ecco insieme il dovere dell'uomo, e il mezzo di cui ] (ITI) Per semplicità, nel dilucidare ((uesto punto si cojisi- dei'ei'anno sintesi {di pi'iina classe) iininediatamente fondate sopi-a sintesi meccaniche; perclié iie^:;li altri casi il processo }tiM' (jiianto più complicato si riduce jmr sempre a una ri- ])eti/,ione o sovra{)})0sizione di processi scmpliri ; dei (juali soltanto è dunque necessario trattare. ;i. Un uomo veda una macchina, e se ne formi , si dica ]tnre volgarmente, il concetto. Egli ha intanto certi concetti elementari, di ruote, leve, molle, sostegni, movimenti ; tutti connessi fortemente tra loro, con esclusione d'altri ; e queste connessioni meccaniche si suppongono poste ; sicché la mac- china è pensata, e può cosi venir sottoposta a delle ope- razioni razionali. S' egli però vuol parlarne, la deve de- scrivere ; e pensarci, non è per lui che ricapitolarne men- talmente la descrizione. Un concetto della macchina egli non r ha ; bensì un gruppo di concetti (sintesi della prima classe), il quale poi manca affatto di stabilità. Infatti, se la macchina è stata veduta poche volte, e peggio se era molto complicata, parecchi de' concetti aggruppati svaniranno, altri si confonderanno insieme ; e neppur è difficile che de' concetti estranei entrino a poco a poco nel gruppo, e si turbi l'ordine delle connessioni. Quando poi la macchina fosse divenuta abituale all' osservatore, il gruppo avrebbe di certo una stabilità maggiore, ma dovuta a un più nu- meroso concorso delle circostanze medesime, che nel primo supposto gli davano quella poca ; e i termini della que- stione rimangono gli stessi o press'a poco. Ma si faccia un passo più in là ; si supponga che quel- ru()mo imponga alla macchina un nome; e sia questo in primo luogo affatto arbitrario : A. Non sarebbe giusto l'i- battere, ch'egli non potrebbe denominare la macchina prima d'essersene formato un concetto ; perchè le cose non si de- {\12) [64] nominano (sah'o casi, che son mere eccezioni) dopo d'averle concepite, invece si concepiscono col denominarle (i). D'al- tronde, senza entrare in questa discussione, esiste per ipo- tesi un gruppo di stati d. e. meccanicamente connesso e in sé chiuso, la rappresentazione della macchina; questo gruppo può entrare in connessione, del pari meccanica, con l'ele- mento o gruppo A., e in fine, anche questa connessione può esser posta, cioè la denominazione effettuata. Gli effetti ne sono rapidi e manifesti. Siccome gli ele- menti del gruppo dato di concetti sono stati connessi tutti con A., il risorgere d'uno solo di quelli richiama A, e per suo mezzo tutti gli altri ; di più, essi soltanto sono stati connessi con A, quindi, se un elemento estraneo tenta di frammischiarvisi, la sua ninna aderenza con A glielo im- pedisce. Cosi il gruppo è reso più stabile senza confronto ; non però immutabile, il che non può essere ottenuto in (1) Cfr. meni. cit. § 40 sgg — A molti parrà uno strano [)ara- dosso, il dover dire conseguentemente! che i). es. 1' inventore della pila non ne avesse un concetto, prima d' averle imposto un nome, che nel fatto si trova servire soltanto ad abbreviare il discorso. Per verità, Volta era un dotto, e qui si cerca il come arrivino a connettere gii indotti, che non dispongono come tali d'un intero arsenale di mezzi gno- seologici ; inoltre non avere un concetto non è lo stesso, che non averne alcuno. Chi muove la difficoltà, dovrebbe in buona logica sostenere, che l'uomo non possa fare alcun' operazione mentale, se non sopra un concetto; mentre, se c'è un fatto visibile anche ai ciechi, è appunto questo: che le operazioni mentali esigono molti concetti, sui quali contemporaneamente si opera. Prima d'avere il concetto di pila (un concetto). Volta aveva i concetti di certi rami, zinchi, acidi, «li certi fatti, e di certe connessioni tra questi fatti e quegli elementi; tuttociò si chiama un gruppo di concetti, e non un concetto solo; e sul gruppo si deve operare, per fare la teoria della pila. L'abbreviare il discorso, che cosa è mai, se non sostituire un concetto solo a parecchi altri ? Del resto non si può dir che i nomi servano soltanto ad abbreviare il discorso ; poiché (parrebbe) lo costituiscono. E siccome di fatto non si pensa se non parlando con altri o internamente, è obbligo di chi af- ferma l'indipendenza del concetto dal segno, dimostrar che il parlare sia qualcosa di diverso dal porre certi suoni con certe connessioni. I(ì:,| (17.H) alcun modo. A liin^-o an(lai-(\ il <;-i'iij)i)(i de' (•onerili con- iiossi coji A, ossia il sijj;iiiticalt) di A, wi'i'à \"ai'iaiido: donde un errore, se A vien supi)osto conservar sempre il signi- ficato nn^desimo (^). Ed è appunto la stabilità del nome che induce in errore ; Tunica rag-ione che fa porre come iden- tici de' gruppi chi sa quanto diversi, è 1' essere entrambi rappresentati da A. Ma la medesima stabilità del nome dà modo di correggere l'errore ; l'esser tutti i di^fferenti gruppi tbrmaiisi connessi con A, rende possibile, se non facile, che se ne riandi a ritroso la serie ; in caso diverso, la disgre- gazione del gruppo primitivo sarebbe stata completa, e la ricerca non si potrebbe nemmeno avviare, non s' avrebbe nemmeno il concetto vago che c'è da fare una ricerca. Ma il i)iù osservabile effetto della denominazione si manifesta hello svolgimento ulteriore del pensiero. Mentre il pensare alla macchina, prima, era un recapitolarne men- talmente la descrizione, ora è un pensare semplicemente il suono A indipendentemente dal suo significato, e solo rammentando che un significato e' è, e può essere ripro- dotto. E fin che si opera su A (facendolo p. es. entrare in nuove sintesi razionali) la complessità del gruppo corri- spondente non viene in considerazione. Quindi, ciò che forma del gruppo un elemento (un concetto), compiendo cosi la sintesi, è l'averlo connesso, rappresentato con A. I medesimi effetti divengono poi senza paragone più intensi quando il nome, anziché imposto dal capriccio iso- lato, sia, e tale da richiamare per delle connessioni prece- dentemente stabilite un qualche carattere importante del grupjìo. e usato comunemente. Si prenda ad es. il nome telegrafo. Dall'uomo più rozzo, che appena sa dell'esistenza (li un mezzo misterioso di rapida comunicazione a distanza, al culto ufiziale telegrafico, ({ual' enorme varietà nelle sin- (1) Quanta varia/iione p. es. nel significato di amore, nel corsso di una vita soia! E se non errori teorici, quante doliM'ose conseguenze non ne vf^ng-oiin, principalmente in ordine all'educazione? (174) [(i(i] tesi espresse con una stessa parola ! Varietà, e nel numero e nella specie degli elementi, e nel modo d'aggruppamenti. Pel negoziante 1' essenziale del telegrafo è F ufìzio a cui serve ; le pile, i fili, le elettrocalamite, son mezzi relativa- mente indiffei'enti, a cui forse nemmeno pensa quando parla di telegrafi. Pel costruttore invece, l'uso è non piìi d'una tra le condizioni a cui l'apparecchio deve soddisfare ; l'es- senziale per lui è quella tal' effettiva macchina da fabbri- care. Pure, tutti s' intendono tra loro ; non sempre perfet- tamente, ma s' intendono. Si levi di mezzo la parola, la quale, come una parola della lingua (cioè in grazia delle sue connessioni con tutte le altre) può essere usata in mille occasioni, senza che occorra rendersi un conto neanche approssimativo del gruppo di concetti rappresentatone ; e questo scambio di cognizioni sarà divenuto impossibile; sarà divenuto impossibile il fatto, pel quale soltanto si dice d'avere il concetto espresso da quella parola (*). Capitolo IV. L'analisi 32. Il processo brevemente descritto (2) mediante il quale la volontà, influendo più o meno direttamente sul meccane- simo, riesce a stabilire tra de' pensieri (tra le loro mate- rie) le connessioni meccaniche opportune alla formazione d'una sintesi, può essere invertito. Così gli elementi mate- (1) Cfr. int. ; nota § 10 : e meni. cit. ; § 40 sgg. (2) § 27. [(ITI (175) riali (li ciò elio in coiiso{^uoiiza della sintesi è divenuto un concetto, si rendono di nuovo distinti nella coscienza oscu- ra. Ponendoli ciascuno sepai'ataniente, s'ottengono de' con- cetti, che per il loro medesimo processo di formazione si riconoscono inclusi nel primo ; il quale del resto potrebbe essere riprodotto sintetizzandoli di nuovo. Ciò per le sintesi della seconda classe, o complete ('). Quanto alle altre (-), e inutile (|uesto lavoro ; gli elementi ne sono già pei* i[)otesi pi'nsali (inali elementi della sintesi, ma ciascuno distintamente ; {)er considerare ciascuno in se- pai-ato rendendolo così pii'i vivace al possibile, non si ha che da concentrar su di esso l'attenzione. Il che non esige che si perda la notizia del suo esser un elemento della sintesi ; ma solo che s'attenui il pensiero concomitante degli altri elementi di questa. L'operazione dicesi analisi, la (juale non è dunque mai altro che il disfacimento di una sintesi anteriore ; come risulta dalla sua descrizione, sommaria, ma sufficiente per- chè non vi sono difficoltà. E l'astrazione non essendo che una sorta d'analisi, resta così provata la sua inettitudine a formare de' concetti ; la quale del restoè un immediato co- l'oUai'io dell' ipotesi fondamentale, ed è messa in sodo da tutta la presente ricerca. L'astrazione non sarebbe possibile, se i concetti, ch'essa ha l'unico ufizio di studiare separa- tamente, non fossero preformati. 33. Qualun(iue concetto è analizzabile ? o ve n' ha di sem- plici assolutamente ? {^). ì (1) Ibid. ì (2) § 26. I (3) Cfr. § 18. (17(1) l(is| S'è visto (1) che la posizione pura e immediata è in- decomponibile ; essendovi contraddizione tra il non supporla tale e l' ipotesi assunta a caratterizzarla. Ma la posizione pura e immediata, isolatamente presa, è appena un con- cetto endjrionale. Se invece si prende in esame un con- cetto formato qualsiasi, cioè un concetto concretato nella parola, si riconosce che quei medesimi che sembrerebbero mere oggettivazioni immediate di stati d. e, si manifestano invece come composti. Ve?Yle, p. es. rappresenta e fissa il risultato d'un lungo lavoro di sintesi e d' analisi (d' astra- zioni, 0 si direbbe meglio in questo caso d' eliminazioni) eseguito sulle impressioni visive prodotte in noi dalle piante. Ogni concetto rivela un' organizzazione interna complica- tissima ; è (come oramai s'è ripetuto più volte) l' immobi- lizzazione d'un lungo processo ; ottenuta per mezzo della parola, o talvolta di qualche altro stato d. e. del pari fisso relativamente ; ma non ottenibile se non cosi. Il che, sia detto incidentemente, riconferma ufizio della parola essere non di fissare soltanto, ma di concretare il concetto (2). Riunendo queste due osservazioni, se ne conclude che la posizione^^pura e immediata, l'elemento primitivo e sem- plice del pensiero, è qualcosa d'estremamente attenuato, di non isolabile mai. Invero, la posizione è un fatto istanta- neo, per sé come non avvenuto ; il minimo risultato posi- tivo del pensiero ne richiede e ne organizza un gran nu- mero. Donde apparisce di nuovo, che l' unità di cui è im- })Ossibile non riconoscerla dotata, non è in essa vera forma, come nel pensiero maturo, ma un carattere che non sarebbe riconoscibile, senza 1' aiuto della forma che in questo si rende palese, o piuttosto che lo costituisce (3). Che un elemento d' una cosi estrema inconsistenza debba essere necessario, e possa riuscir sufficiente, a tras- (1) § 25. (2) Cfr. mem. cit. § 41. (3) Cfr. § 25. [(iO] (177) formare la massa enorme e inerte del dato, e inspirarvi quella vita che ne fa scaturire il pensiero, ninno lo cre- derebbe a priori : eppur tutto collima a persuadercene. É un argomento in favore dell' ipotesi clie lo ha introdotto ; ma insieme una materia di })iù importanti riflessioni. Non conosciamo l'atomo se non come l'elemento dei corpi ; ma l'enerji^ia di cui ammiriamo lo sviluppo nella natura tìsica ci assicura ch'esso non è un j)unto inerte, quale soltanto ci riesco di fantasticarlo, bensì un centro di attività dotata d'una })r()pi'ia organizzazione. Non conosciamo la posizione se non come l'elemento del sapere (e appunto per questo, percliè si conosce per via di posizioni, è impossibile saperne niente di più determinato), e (piindi apparisce anch' essa quasi un punto trascurabile ; ma è un'apparenza che non ci deve illudere ; le meraviglie del sapere non lascian dubbio intorno alla realtà e all' importanza dell' energia che lo produce. Capitoi.o V. L'enumerazione. 34. Date due serie, si può stabilire tra gli elementi del- l'urui e quelli dell'altra una corrispondenza (i) ; la quale in origine viene stabilita ponendo certi vincoli, da cui un (1) S'intende univoca e reciproca; cioè, che se ft è un elemento di B corrispondente aireleraento a di A, all'elemento a di A non corri- sponda in B alcun altro elemento che b, e all'eleraento b in B non corri>:ponda in A alcun altro elemento che a. L'avvertenza è diretta a (178) [70] elemento dell'una si trova meccanicamente connesso con uno dell'altra (i). E quando la si consideri posta in modo arbitrario, senz'immediato fondamento meccanico, si deve intendere come la medesima operazione, che in altri casi è suggerita (e potrebb'essere in tutti) dal meccanesimo. Quando s'intraprende quest'operazione, può essere chi- si riesca a condurla a termine, o no ; e nel primo caso. essa finirà con l'esaurimento d'una sola delle serie, o d'en- trambe. Supposta verificata 1' ultima ipotesi, un tal fatto presenterà le due serie come dotate di un medesimo ca- rattere ; si dice che sono ugualmente numerose. La quale determinazione del carattere suppone il concetto di nu- mero ; ma il carattere è immediatamente rilevabile in fatto, e anche ponibile. P. es. : un animale da preda che vada visitando de' nidi, si trova da ultimo in diversi stati d. e. secondochè li abbia o no trovati tutti abitati ; ammesso che gli sia accaduta or Tuna cosa or l'altra, che se ne ram- menti, ed abbia l'attitudine a porre, egli oggettiverà que- sti stati d. e, ossia li considererà corrispondenti a certi ca- impedir l'equivoco nel lettore a cui sono note altre forme di corri- spondenza ; ma è superflua a chi abbia seguito fedelmente il filo della presente trattazione. Infatti, porre una corrispondenza è pensare una connessione meccanica (pensare almeno che ce n' è una) ; ora, il pen- sare ad una connessione tra a e b, non è un pensare ad altre connes- sioni tra a 0 & ed altri elementi. Ossia, la corrispondenza semplicemente posta è sempre per sé univoca e reciproca. Quanto alle serie, cfr. § 23. Questo Gap. è più direttamente con- nesso col 11 ; è cioè intelligibile pure prescindendo dalle osservazioni esposte nel 111; benché senza dubbio esse servano a dilucidarlo. (1) lo vedo p. es. degli uccelli in gabbia; uno e uno solo in cia- scuna. Siccome ho già visto e degli uccelli liberi, e delle gabbie vote, tutti gli uccelli entro le gabbie mi si presentano come formanti un aggregazione ; e così pure tutte le gabbie che li contengono. 11 veder poi quegli uccelli in quelle gabbie, costituisce una connessione laterale, ti'a un elemento dell'un'aggregazione e uno dell' altra. Porre questa connessione (evidentemente meccanica) è assumere come corrisponden- tisi ciascun uccello e la gabbia che lo contiene. [71] (17!)) rattei'i delle due serie offertesej^li (de" nidi, e delle prede); .senza che per ciò gii occorra di saper contare. Sulla natura del vincolo meccanico, ponendo il eguale si stabilisce la corrispondenza, non si è supposto nulla; esso i)uò essere costituito anche da reminiscenze d' opera- zioni razionali. In particolare, il rammentar che entrambe le serie A, H, sono state poste in corrispondenza con la C, è un vincolo tra le prime, ponendo il quale si stabilisce tra loro una corrispondenza. Si supponga che le corrispon- denze di A con C e di B con C fossero esaurienti. Se a è Telemento di A che corrisponde a un elemento e di C, e h l'elemento di B che corrisponde al medesimo e, si può dir che e sia un vincolo tra a e b; che può esser posto; e posto che lo si abbia, si può anche prescindere intera- mente da e : ossia mettere in corrispondenza immediata- mente A con B. Ossia, l'esservi per ogni a un e e per ogni e un b, significa, esservi per ogni a un ^ ; o in altri ter- mini: che se tra due date serie separatamente prese e una terza si possono stabilire due corrispondenze esaurienti, si potrà stabilire una cori'ispondenza esauriente tra le due prime. Questa proposizione significa in sostanza, che la con- nessione meccanica di due elementi con un terzo, è una connessione meccanica dei due elementi tra loro. La sua forma è universale e teorematica ; ma l' efi'ettività della connessione tra due elementi connessi con un terzo (quindi mediante il terzo), e già avvertita nella coscienza oscura, anche isolata. In realtà s' è dunque compiuta un' osserva- zione ; di molta importanza fuor di dubbio, perchè avvia a considerare la forma d' una certa corrispondenza esau- riente, all'infuori delle serie effettive, concrete, tra cui la si è stabilita. T. IV, S. VII 12 (180) [72] 35. Nella serie data : a b e d e f g h ; pensando gli ele- menti nella serie, con la successione con la quale vengono trascinati 1' uno dall' altro in virtù delle loro connessioni meccaniche, si trova : che innanzi ad a non è possibile porre alcun elemento della serie ; che h viene immediata- mente dopo a ; e immediatamente dopo b, ecc. Questi sono fatti determinatissimi, che possono essere oggettivati, e ai quali basterà allora dare un nome, perchè siano pensati stabilmente ; a condizione per altro, che la corrispondenza tra i fatti e i nomi sia fissa e deter- minata. Ora, non è difficile vedere, che una tale corri- spondenza tra i fatti indicati e delle parole arbitrariamente prese, è impossibile a stabilirsi. Poicliè, si supponga di avere concretato le oggettivazioni de' caratteri empirici osservati di a, b, e, ecc., chiamando a il primo elemento; b il secondo ; e il terzo ; ecc. ; dove le parole primo, se- condo, terzo ecc. si suppongono prese ad arbitrio (non si tien conto dei significati che esse hanno già nell'uso). Dei cominciamenti e delle seguenze immediate la co- scienza oscura (ed anche la chiara) ne offre continuamente; questi fatti sono così caratteristici, da fissare spontanea- mente l'attenzione ; l'identificazione tra le reminiscenze di tutti i cominciamenti, e cosi pure tra quelle di tutte le se- guenze, avviene di certo molto per tempo ; sicché non c'è dubbio intorno alla possibilità di rendere praticamente in- dissolubile la connessione tra una di tali reminiscenze com- plessive e un termine anche scelto arbitrariamente. Il significato di primo e di secondo, pur considerate come parole arbitrariamente scelte, resta così pienamente e stabilmente determinato. Ma terzo^ per quanto s'è detto, vale secondo in ordine al secondo ; quarto vale secondo dopo il terzo, cioè secondo [73] (1^1) dopo (lucilo che è secondo doi)0 il secondo ; ecc. In con- clusione, ([ueste i)arole non ricevono un significato se non dal contemporaneo ripresentarsi, con distinzione e nella serie, degli elementi di cui esprimono i caratteri. Il gua- dagno che si sperava re, tutte ut,niali, e disposte in serie a uguali intervalli sur una tavola. Noi le vediamo (ciascuna, e tutta la serie) ; possiamo esaminarle, toccarle, farne anche de' saggi doci- mastici ; insomma, provocare in noi un gran numero di stati d. e, i quali, posti che siano, ci daranno altrettante co- gnizioni. Ma non sappiamo ancora quante siano. Ci si dica p. es. che sono trecentoventisette. Quante siano ora lo sappiamo ; si tratta di vedere, in che cosa consista il saperlo. Quella parola dice, che la serie semplice, veduta, e conosciuta (ma conosciuta soltanto come serie data) si può considerare come una serie di due termini ; il primo de' quali è una serie di decine di monete, e quante siano queste non è ancora noto immediatamente ; il secondo è una serie di sette monete. La serie di decine si può alla sua volta considerare formata di due termini ; de' quali, il secondo è una serie di due decine ; il primo finalmente è una serie di centinaia, che sono tre. Come si vede, il concetto espresso da un numero qual- sivoglia risulta di tre elementi, che sono : — Li concetti espressi ila' primi dieci numeri cardinali ; — 2. i concetti delle unità de' differenti ordini ; — 3. la legge di aggrup- pamento di questi diversi concetti, chiaramente indicata nella composizione del nome numerale. Ora : le parole due (1), tre, ecc. fino a dieci, son ciò che fissa 1' oggettiva- (lol Voronoso ; il qtial' (op. cit. nota 1. a pagina 29) ritiene possibile trattar de" numeri all' infuori d" ogni sistema di numeraziono. ]Ma giii si è accennato come il suo processo implichi una petizione di principio. (I) Uno si può includere od escludere. È una parola di significato numerico; ma propriamcMitc il mezzo che fissa l'attenzione su di un atto del porre: o quindi si può considerare come l'elemento de' numeri, e perciò non un numero vero (non ha organizzazione interna). Anclu; : dieci ò r ultimo numero nel primo stadio dell' onometopea aritmetica ; ed anche il nome dell' unità di second' ordine. Ci è parso meglio non infastidir il lettore indugiandoci su queste sottigliezze : bastando un poco di atli'iizioue \h'.v evitare 1" ('<|UÌvn(jo in ogni caso. (l.S(i) • [7S] zione di uno stato d. e, ciò che pormette di far valere innumerevoli stati d. e, oggettivati in tempi diversi, come un elemento sempre identico, ossia che da' a quelli la forma di pensiero ; senza di esse (o qualcosa che ne faccia le veci) non manca 1' espressione sola de' relativi concetti ; mancano i concetti. Le parole dieci, cento, ecc. ; ossia u- nità di 1.°, di 2.°, ecc. ordine, sono altrettanti mezzi per fissare le posizioni con cui si considera come un elemento una serie di dieci, o di dieci decine, ecc. Finalmente la parola composta, con la sua struttura seriale, suggerisce e così determina 1' ultima operazione mentale, di assumere cioè le serie (una semplice, le altre via via più complesse) indicate dalle componenti, di assumerle come elementi di una nuova serie. Un nome numerale non ha dunque alcun significato, se non in quanto suggerisce, determina e fissa delle posi- zioni da farsi, il risultato delle quali non è che il loro essersi fatte, e svanisce p. e. prescindendo da esse. Noi dunque non abbiamo le idee de' numeri indipendentemente 0 all' infuori de' loro segni ; pensiamo i numeri solo per- chè ed in quanto, per mezzo di certi segni, ci riesce di fissare e di connettere tra loro stabilmente le oggettiva- zioni di alcune molto semplici serie, in cui si trovano meccanicamente predisposti certi stati d. e. (i). (1) Come H è visto per le sintesi (§ 27), e in generale per tutte le forme (mem. cit. § 41 sgg), cosi ora più chiaramente (perchè piii in particolare) per il numero, si rende manifesto che il processo cogitativo si traduce in un seguito d' atti volitivi, che per incominciare devono dapprima determinarsi piegandosi ad un' organizzazione propria del dato. Questo secondo elemento, d' indole schiettamente meccanica, non è stato preso in considerazione dai molti che hanno tentato di districare le non poche difficoltà implicite ne' concetti fondamentali dell'aritmetica; donde il circolo vizioso in cui s' aggirano tentativi del resto in generale pre- gevon. S' incomincia ora a riconoscere, che V aritmetica ha pur essa i suoi postulati ; il che e quanto dire, clic ha un fondamento empirico. [70] (187) 39(1 Le parole-numeri, come tutte le altre, hanno un si- gnificato in conseguenza delle loro connessioni. E la con- nessione fondamentale tra le parole -numeri sta nel loro essere disposte in una serie determinata; una di esse, come trecentoventisette, non ha dunque un significato (il vero) se non in quanto è posta nella serie ; posta affatto sola non significherebbe nulla. Infatti, chi sente pronunziare un nu- mero in una lingua sconosciuta, non pensa quel numero, (juand' anche concentri sulla parola la massima attenzione, come p. es. quando si tenti di richiamarne il senso, ap- preso e poi dimenticato. Bensì della serie numerica non può essere distinta- mente riprodotto e pensato in una volta che un piccol tratto, e particolarmente il principio ; donde viene che le parole - numeri, eccetto le prime, non sono mai pensate immediatamente con pienezza, ossia con tutte le determi- nazioni del loro significato. Cinque ha un senso, perchè viene dopo (quattro, che viene dopo tre, che viene dopo due, che viene dopo uno. Il significato di trecentoventisette è manifestamente meno chiaro, meno immediato ; ma ha il medesimo fondamento. Infatti : contando a centinaia, tre- cento è determinato come tre ; poi, contando a decine, trecentoventi segue a trecento come tre a uno ; poi, con- tando a unità, trecentoventisette segue a trecentoventi co- me otto a uno ; lusogna poi rammentare che sia contare a centinaia e a decine, il che suppone un nuovo rianda- mento del primo tratto della serie. (1) Questo §, ripete il detto nel precedente: ma sotto un aspetto alquanto diverso; gli servirà di schiarimento, nel m a , è dire che b nella serie numerica vien dopo a, ossia che h è una somma (un tutto) di cui a è un termine (tma parte). Fuori i)OÌ del campo aritmetico, le parole maggiore e minore, tutto e parte, non hanno per anche ricevuto un senso esattamente determinato. Capitolo YI. La classificazione. 43. Essendo dati certi elementi, è possibile tra essi fissarne alcuni, e attendere poi esclusivamente a questi soli : non che l'attività d. e. li investa con continuità tutti a un tempo ; e indipendentemente dalla materialità della cosa. Dicendo ohe il muc- chietto p. e.s di 7 monete è una parte del muci^hio maggiore di Ì2 monete (tutto), non dico nient' altro, se non che io sono arrivato a a saper che le monete del mucchio erano 12 contando successivamente altri numeri di monete, tra cui quelle 7. Io esprimo un pensiero, che senza i nuraei-i non si poteva formare; intieramente nuovo il pensiero non è, perchè la semplice posizione del dato me n' aveva sommini- strato un abbozzo, di nuovo c'è la forma precisa e stabile. (1) Si potranno usare tutto e parte nel senso indeterminato di cui alla nota prec. ; e quindi anche, riferendosi alla rappresentazione d'una .sintesi, si potrà ((piantunquc in certi rasi possano richiedersi avver- tenze speciali per evitar l' errore), chiamare tutto la sinte.si, e distin- guere in essa delle parti. Ma s'intende che a questi concetti manca la precisa forma aritmetica; e non è per ora possibile di attribuir- vene un'altra. (^i) L'oss. ò del Veronese. (104) [S(i| ma risolvendo che le successive operazioni mentali si de- vano compiere soltanto su elementi da prendersi fra gii scelti. La scelta può essere fatta in due modi ; secondocliè abbia o non abbia per fondamento un carattere anterior- mente riconosciuto comune a tutti gli elementi scelti. Nel primo caso, è in generale molto facile riconoscere se un elemento appartenga o no a quelli scelti ; e il numero di questi è illimitato ; s' io dico p. es. : voglio studiare gli ani- mali di sei gambe ; la precisione stabile e l' indeterminatezza numerica della scelta, sono manifeste. Nel secondo caso la scelta non si può ritenere imme- diatamente motivata ; è arbitraria ; come tale, essa non può che porre certi elementi, quali si vogliano tra i dati, ma sempre necessariamente in numero finito e determinato ; p. es. voglio considerare le lettere a, p, z, e. Rendere sta- llile la scelta, in modo, non solo da rammentare che la si è fatta, ma da riconoscere immediatamente se un elemento dato è uno degli scelti o no, quando il numero degli elementi oltrepassi un certo limite, può esser difficile, o anche im- possibile, senza ricorrere a opportuni artifizi, variabili se- condo le circostanze. Ma di questa difficoltà non si tiene qui conto alcuno ; supponen) circostanze che hanno occasionata e resa possibile la scelta e ^li artifizi impiegati a renderla stabile, qualunque fossero cioè i vincoli meccanici o razionali donde gli elementi erano connessi prima o furono connessi poi tra loro o con certi altri, di tutto ciò non si tiene, [liìi conto. La scelta vale come intieramente ai'bitraria ; il solo vincolo consi- derato tra gli elementi di essa è costituito soltanto dalle operazioni future da compiersi sopra di quelli, e che potranno essere quelle che si vorrà. L'uomo precorre con la fantasia le operazioni future, il risultato delle ({uali sarà probabil- mente di connettere quegli elementi in guise molto varie e difformi ; non avendo però stabilito nulla di ciò che farà, non ha motivo d' immaginar fin d' ora ninna diversità di aggruppamento ; ossia pensa quegli elementi come unifor- raente e insieme come indeterminatissimamente connessi. Dicendo bensi, che le operazioni cadranno sopra gli ele- menti, si sottintende, che non ostante i vincoli che ne po- tranno essere i risultati, gli elementi rimangano ciascuno distinto nel pensiero. Quantunque indeterminatissima in ordine alla sua strut- tura interna, la sintesi consta per altro di un numero di elementi che in ogni singolo caso è determinato e fisso, benché possa essere qualsivoglia, e quindi in una tratta- zione generale debba considerarsi come indeterminato (nello stesso modo di una costante algebrica). Essa può dunque essere chiamata un tutto^ nel senso preciso aritmetico di ([uesta parola: poiché il risultato della scelta è un certo numero (concreto) di elementi. I quali poi si intende che devono essere sempre de' concetti. 45. Fatta la scelta, il pensiero al presentarglisi di un ele- mento è per ipotesi in grado di decidere, se quello appar- tenga o non appartenga al tutto. r. IV, s. VII 13 (im) [88] Nel secondo caso 1' elemento non vieno posto, o più esattamente non si tien conto della sua posizione, la quale non entra nella serie d'operazioni che si era stabilito d' intraprendere, e costituisce un' interruzione materiale, che non rompe la continuità mentale della serie. E il caso di chi nel leggere un libro, legge anche per curiosità un foglietto estraneo che ci trova inserito. Nel primo, 1' ele- mento vien posto, e come quel tale elemento, e come ele- mento del tutto ; questa seconda nota risulta comune a tutti e soli gli elementi del tutto. E il concetto d'ogni ele- mento viene allora ad essere una sintesi di due : quello che si ha dell'elemento isolatamente preso, e quello che lo caratterizza come appartenente al tutto. Queste note comuni sono tutt'altra cosa dalle idee ge- nerali ; perchè sono comuni soltanto a un numero limitato di elementi ; presentano nondimeno con esse una grande analogia ; e infatti, sin che ci si limita nello studio al tutto limitato, hanno lo stesso ufizio e lo stesso valore. E poi chiaro che la loro origine, cioè la scelta pre- detta, non esige alcuna idea generale precedente, ma hi semplice attitudine a porre. (Se poi la posizione sia essa medesima impossibile senza un' idea generale, è un' altro discorso.) Pongo a, pongo b, pongo e, pongo d ; rammento ciascuna posizione, e so di poterla rinnovare. Ma, per qual- sivoglia ragione (che ci sarà stata, ma di cui non tengo conto), stabilisco di non porre più ci ; concentro la mia attenzione sugli altri elementi, e opero in seguito su questi tre soli. Ecco fatta la scelta, e costituito il tutto degli ele- menti a, b, e ; donde la nota comune ad essi e ad essi esclusivamente. [89] (It)- 46. Fra g"li clementi del tutto si può di nuovo scegliere nel modo indicato (*) ; sta])ilendo die su alcuni determinati tra di essi in particolare verrà esej^-uita una serie di ope- zioni che rimangono indeterminate. (P. es. : un uomo sceglie tra' suoi vestiti quelli che porterà seco in viaggio ; poi, tra questi, quelli che indosserà all'atto della partenza). Si forma cosi un nuovo tutto, al quale si darà il nome di classe {^) ; e al quale sono del resto applicabili le rifles- sioni precedenti. Si può evidentemente dire, in senso arit- metico, che la classe è minore del tutto, o anche una parte del tutto. E occorrendo per semplificare il linguaggio, si potrà indicare il tutto come una classe (di tutti gli ele- menti) ; e anche un elemento solo si potrà chiamare classe. Sugli elementi di una classe (che non consti di un solo), si può ripetere la medesima scelta ; dando origine a una nuova classe, che è parte della prima ; e cosi di se- guito. 11 processo è tuttavia limitato, essendo finito il nu- mero degli elementi del tutto. Gli elementi di una classe si diranno inclusi in essa ; ed esclusi quelli (del tutto) che non le appartengono. Simil- mente, una classe è inclusa in un' altra di cui faccia parte (e quindi nel tutto). Due classi di un medesimo tutto, for- mate, arbitrariamente s' intende, ma in modo determinato, possono avere o no degli elementi comuni ; se non ne hanno, l'una si dirà esclusa dall'altra. Includendo un elemento in una classe, si viene ad attribuirgli una nota, comune a tutti e soli gli altri elementi inclusi nella medesima. Cosi a un elemento vengono attribuite tante note (oltre a quelle (1) Il secondo dì cui al § 43. (2) Def. nominale. È chiara 1' analogia tra quest' uso arbitrario, e l'uso corrente del termine di classe. (198) [90] che lo caratterizzano all' infuori di ogni classificazione) quante sono le classi in cui è stato incluso : contando tra queste classi anche il tutto. 47. Sugli elementi di un tutto che non sono stati inclusi in una classe, non si è propriamente compiuta operazione alcuna (all' infuori di quella che ha costituito il tutto), né quindi si è attribuito ad essi alcun carattere comune. Ma essi, di fronte agli elementi della classe, hanno di comune di avere un carattere comune di meno. Infatti : detto x il carattere individuale di un elemento, a quello che lo de- signa come elemento del tutto. ^ quello che lo designa come elemento della classe ; un elemento incluso in questa pre- senta i tre caratteri x , a , ^ ; un elemento escluso, e qua- lunque elemento escluso, i soli caratteri x , a. Per la condizione in cui è la mente di pensare sempre in modo positivo (mediante posizioni), la mancanza in tutti gli elementi esclusi di un carattere comune, vien pensata come un carattere comune ; precisamente come se con gli elementi esclusi della prima classe se ne fosse formata una seconda. Il riconoscimento (che è immediato) di questo ca- rattere comune, non si può dire, stando alla definizione di classe, che sia un formare una classe con gli elementi che Io presentano ; ma è senza dubbio un eccitamento a for- marla ; r eccitamento è forte, e 1' operazione facilissima, sicché di regola non verrà trascurata mai. Nulla vieta del resto che la si supponga fatta sempre. Allora le due ope- razioni si potranno anche considerare come associate sempre, 0 come compiute entrambe col compiersi dell' una o del- l'altra di esse (poiché non vanno disgiunte mai). Diremo dunque che l'operazione del classificare, in ogni suo atto, dà origine a due classi, ciascuna delle quali é costituita degli elementi esclusi dall'altra ; e che si diranno l'una la [!)1] (11)!)) negativa deiralliM. Duo tali classi non hanno per defini- zione alcun elemento comune, ossia non vi è alcun ele- mento comune a entrambe (^). Ammesso poi che ogni atto di classificazione dia ori- gine a due classi, lo svilup[)arsi dicotomicamente di una serie di classificazioni non abl)isogna di spiegazioni ul- teriori. 48. Si è già notato che una classe può essere considerata come tutto e come parte, in un significato aritmetico. La classe e il numero sono analoghi anche in ciò, che 1' una e l'altro sono gruppi, ne' quali si prescinde per intiero della natura de' vincoli tra gli elementi ; o come si dice, a costituire i quali ciascun elemento concorre soltanto con la sua presenza. La classe formata da certi elementi, è, del pari che il loro numero, indipendente dal loro ordine. Si può vei'amente dubitare, non di quest' affermazione, ma della possibilità di attribuire un senso qualsiasi alla contraria. (1) L'uso molto vario che della parola eleinento si fa, non solo nel linguaggio comune, ma in questo scritto medesimo (e non si poteva far diversamente) può far nascere un equivoco, che importa dissipare. Pren- diamo un esempio di classi intese al solito modo. Sia il tutto costituito da tutti gli enti : formando in questo tutto la classe uomo, resta definita anche la sua negativa non-uomo. Ora, si può dii-e dio uomo o non-uomo non abbiano alcun elemento comune ; mentre e uomo e bue (che è un non-uomo) sono tntt'e due animali, vertebrati, ecc. ? Si può dire ; per- chè elemento del tutto e di ciascuna classe è un ente ì e non v' è né vi può essere un ente che appartenga insieme alle due classi uomo e non-uomo ; ossia che appartenga e non appartenga insieme alla classe uomo (o a quella non-uomo). Animale, vertebrato ecc., sono delle note estranee alla classificazione del tutto secondo le due classi uomo e non- uomo ; e delle quali p. e. non è possibile tener conto, se si tien conto di quella :iola. E in ogni altro caso l'osservazione è ripetibile. (200) [1)2] Riunire gii elementi a , b , e , d , e , in una classe, è un fissarli come gli oggetti esclusivi di operazioni future inde- terminate ; le quali potranno esercitarsi sopra tutti insieme, o quando sopra tutti, quando sopra alcuni ; nell'ordine che si vorrà, il quale avrà o non avrà influenza sui risultati, secondo la natura delle operazioni e degli elementi. E riu- nire in classe gli elementi e , a , d , b , e , o significa il medesimo, o non significa nulla. Mentre gli elementi di un numero, come tali, sono as- sunti come tutti uguali (ciascuno come unità, senz' altro), quelli d'una classe sono invece assunti come tutti diversi. Infatti, supporre uguali certi elementi, è supporre che le loro reminiscenze coincidano, (*) che una stessa posizione sia così riferibile all' uno come all' altro ; operare su a e ancora su a non può dunque significare se non che su a si faranno diverse operazioni, il che è già detto conside- rando a una volta come elemento della classe. Una classe può ben essere il risultato di operazioni diverse da una classificazione immediata, e niente vieta allora che un me- desimo elemento venga a trovarcisi compreso più volte. Però, la classe risultato, poiché è una classe parte del tutto, poteva essere formata direttamente, nel qual caso non avreb- be contenuto più d'una volta uno stesso elemento ; quando poi la si considera in sé stessa, il modo col quale ci si é arrivati non ha più alcun' importanza. Quindi, se in una classe ottenuta comunque v'è un elemento ripetuto, questo si deve considerare come unico {^). (1) Cfr. mem. cit. § § 34 segg. ; ini § IO e più oltre. (2) Ciò sembra ma non è in opposizione al concetto comune di classe. Il concetto p. es. di una trota con tutte le possibili determina- zioni è il concetto di una classe, i cui elementi sembrano uguali ; ma infatti questi elementi, che sarebbero le trote vive o supposte tali, come trote reali sono tutti diversi e pensati coae diversi; perchè l'una trota non è l'altra. Sono uguali in quanto sono pensati con le stesse deter- minazioni : cioè hanno di comune di appartenere a una medesima classe; ma come elementi sono diversi. Prescindendo poi dal pensiero della [98] (201) 49. Un concetto è formato da una })arola non material- mente proferita o scritta, ma posta ; e posta, più o meno es{)ressamente, insieme con le sue connessioni che le danno un senso preciso. Da queste connessioni è poi sempre pos- si])ile prescindere, non attendendovi ; anzi dal maggior nu- mero di esso si prescinde sempre per necessità, o se non altro per semplificare, perchè il porle non occorre a ren- der chiaro il linguaggio nel suo uso complessivo (i). Si può porre il nudo suono senza senso, oppure con tante con- nessioni quante ce ne vuole per renderne il senso pratica- mente determinato ; e tra questi due estremi, de' quali il secondo non è segnato con esattezza, si danno infinite gra- dazioni. Ini})orta notarne una. Si può porre il suono come connesso, senza precisar niente circa il numero e la natura delle connessioni ; in- tendendo solo che n'ahhia ahhastanza da renderne determi- nato il senso, quando fossero pensate. E qualche cosa di simile accade quando ci s' abbatte m una parola d' una lingua sconosciuta, sapendo eh' è una parola di una lingua e nulla più. Quella che s' è descritta non è un' operazione proprio, ma un' astenersi dal porre ; è dunque sempre teoricamente posssbile pensare a questo modo qualunque jìarola ; ma per le parole ordinarie è diflficile, essendo troppo potente l'ec- citamento suggestivo che (per 1' abitudine) ce ne viene a porre le loro connessioni determinate. Volendo fissare de' concetti, senz' altra determinazione che la loro diversità, riescono molto convenienti piuttosto le lettere dell'alfabeto; rcaltii delle trote, il eoncotto supposto è unico, ò un fatto interno, in- dividuo quanto una V(>ra trota, e non una classe. (1) Clr. Hit. § 12 sg-. (202) [94] per le quali è facilissimo pensarle al niodo indicato. Di- cendo il concetto a , il concetto b , ecc., non s'accenna ad alcun . carattere positivo di alcuno di essi ; tutti vengono posti indeterminatissimamente come concetti, ma però come diversi. (Di questo artifizio s'è già fatto uso ; e legittima- mente, perchè qui non si è voluto giustificarlo ; ma sol- tanto chiarirlo). Le operazioni riconosciute possibili sopra concetti così determinati, sono evidentemente possibili sopra concetti quali si vogliano, perchè ogni concetto, oltre ad aver quelle tali e tali determinazioni, è un concetto. Un vantaggio della notazione introdotta è di poter considerare a , h , . . . , non tanto quali segni di certi concetti, ma come gli elementi medesimi sui quali si opera ; il procedimento acquista in tal modo la massima possibile concretezza, e si converte in un meccanesimo capace d' una precisione estrema ; come si vede nell'algebra. Per indicare che coi concetti (elementi) a ,h , e , d , ... (sempre in numero determinato) s' è formata una classe, si chiuderanno queste lettere tra parentesi, separandole con virgole : p. es. (a ,h)\ (in , n , p )\ ecc. Occorrendo di de- notare pili brevemente una classe, servirà pure a tal ufi- zio una lettera, che ne diventa il nome ; adoperando il se- gno = per indicare la denominazione efi'ettuata ; cosi : a = (m , n , p) significa : la classe a è formata con gli ele- menti m , n , p. Per indicare il tutto servirà la lettera II ; per indicare niun elemento (che di certo non costituisce una classe ; ma per unità di linguaggio si dirà anche classe mdla) il segno 0. 50. (1) Disgiungere o sommare i)iù classi vale, formare una classe, che contenga tutti e soli gli elementi delle classi (1) Le operazioni di cui si parla in questo §., essendo compiute [<)5] (•-^o:".) (late; iiiiondciKlo. clic se nella somma vi sono elementi ri- petuti, questi si cousidei'ino come uno solo. Congiuiiyci-c 0 moltiplicare due classi vale formare la classe, che con- tenga tutti e soli gli elementi comuni alle classi date (fat- tori) ; con la medesima avvertenza (i). Prendere la nega- tiva d' una classe, vale formare una classe, che contenga tutti e soli gli elementi del tutto che non entrano nella classe (-). La disgiunzione e la congiunzione s' indicheranno riunendo i segni delle (dassi coi segni dell' addizione e della inollii)licazione usati in algebra ; la negativa, sovrap- l>onendo al segno della classe il segno meno ( — ). Le proprietà : «-]-«=: a ; «-[-« = II ; aa = a ; aa = 0 ; sono conseguenze immediate delle definizioni ; le altre : sugli elementi di un tutto (o d'una classe) sono tra quelle, la cui pos- sibilitcà, per cosi dire, serve a deflninire il tutto (la classe). Ma non la esauriscono : che anzi il loro unico risultato è sempre una nuova clas- sificazione, che sarebbe stata ottenibile direttamente. Finché per altro gli elementi si considerano cosi indeterminati come s' è detto, è per poco impossibile dire quali altre operazioni sieno effettuabili su di essi. (Ci sarebbe T enumerazione). P. es. : se gli elementi sono numeri, si potranno eseguire su di essi delle operazioni aritmetiche : in caso di- verso, ciò non si potrà fare che in senso affatto speciale. (1) Le denominazioni di addizione e moltiplicazione, somma e pro- dotto, ecc., sono arbitrarie, ma in armonia coi segni introdotti, e che riescono in pratica vantaggiosi. Non è necessario dimostrarne V oppor- tunità. La (juale del resto apparisce dal confronto tra le proprietà delle operazioni di disgiunzione e congiunzione, e quelle di addizione e mol- tiplicazione numeriche. S' aggiunga, che nelle notazioni introdotte s' è dovuto, per non cader nello strano, attenersi alla consuetudine già jiriì.ss'a poco stabilita e non senza delle buone ragioni. — Cfr. piìi oltre. (2) Cfr. § 47. La formazione della classe negativa di un' altra è stata ivi presentata come una conseguenza della formazione di quest'al- tra : qui se ne parla invece come di un'operazione indipendente. 11 con- cetto dell'operazione non muta ; tanta il modo di indicarlo : e davvero ai può scegliere ora l'uno ora l'altro, secondo che venga in taglio. (204) [06] a-\-h=zb-^a\ a^{l)-{-c) ^ a-\-b-\-c : a-\-h-{-c^^h-\-a^c ec ah = ha aipc) = ahc ; ahc = bea ; ecc. devono essere ammesse o dimostrate, affinchè la disgiim- zione e la congiunzione abbiano sempre uno ed un solo significato. Ammettendole per ora, si chiamerà estensione d'una classe somma il numero delle classi dalla cui somma risulta ; com- prensione d' una classe prodotto, il numero dei fattori di cui quella è prodotto. Siccome una classe può essere ot- tenuta come somma o come prodotto generalmente in più guise, queste definizioni non precisano alcun carattere che appartenga in proprio a una classe in sé medesima ; ma si riferiscono esclusivamente al suo modo di formazione. Considerato ciascun elemento come una classe, una classe si può considerare come la somma de' suoi elementi ; la sua estensione sarebbe allora determinata assolutamente dal numero di questi. Rinunziando a precise determina- zioni numeriche, di due classi a , h , ne h può essere ot- tenuta sommando con a qualche altra classe, 1' estensione di h si dirà maggiore di ({uella di a; se b può essere ot- tenuta moltiplicando a per qualche altra classe, la com- prensione di b si dirà maggiore di quella di a. L' esten- sione e la comprensione saranno sempre intese in questo senso relativo. Un elemento, rispetto alla classe a cui ap- partiene, ha sempre, secondo la definizione, un' estensione minore, e una comprensione maggiore (i). (1) Si sono così esaurite le operazioni fondamentali, quelle cioè che producono le forme, indispensabili allo svolgimento del processo ulte- riore. Il raziocinio propriamente detto non incomincia subito con la Sez. seg. ; ma le operazioni che vi si considerano hanno col raziocinio una attinenza immediata; è teoricamente possibile eseguirne le prime senza sillogizzare ; ma il sillogismo scaturisce per dir cosi spontaneamente dalla loro esecuzione. (Coni in Ila) RIGERCPiE LIQUIDO CEREBRO-SPINALE COMUNICAZIONE DEL s. c. A. STEFANI Tanto poche sono le nozioni, positivamente acquisite, intorno alle funzioni nervose, specialmente centrali, che ogni fatto, per quanto modesto, acquista importanza, se ha con esse qualche relazione. Ed a ciò considerando, mi è })arso doveroso, da parte mia, di rendere conto a questo illustre Consesso delle ricerche eseguite nel mio Labora- torio, durante lo scorso anno scolastico, dai miei assistenti, i dottori Emilio ed Alberto Cavazzani, intorno al liquido cerebro-spinale. In una prima serie di ricerche, eseguite dal dott. Emi- lio Cavazzani, si cercò di conoscere, se il riposo e l'attività dei centri nervosi avessero virtù di modificare la compo- sizione del liquido cerebro-spinale. (Ui esperimenti furono eseguiti su cani : ed il li([UÌdo cefalo-rachidiano veniva raccolto, aspirandolo con una si- ringa insinuata attraverso la membrana atlanto-occipitale, (-O(i) [2] perchè in nessun altro modo è possibile di avere del li- quido cerebro-spinale puro di sangue ed in copia maggiore. La difficoltà, in queste ricerche, consisteva nel procurarsi un liquido, che con sicurezza potesse essere considerato come raccolto durante un periodo di riposo dei centri nervosi ; perchè, se abbiamo dati positivi per affermare che i centri nervosi funzionano, manchiamo invece di ogni criterio per ammettere che si trovano in riposo, po- tendo essi funzionare, e molto attivamente, anche se l'ani- male si mantiene immobile. Ed oltre a ciò, in qual modo si dovea raccogliere un liquido, che potesse essere considerato come raccolto dopo un periodo di riposo, se le manovre necessarie per otte- nerlo sono tali, per cui i centri nervosi vengono posti nello stato di massima eccitazione ? Per superare queste difficoltà : 1.° Il liquido cerebro-spinale si otteneva, anziché dal- l'animale vivo, dall' animale appena morto, ma della morte più fulminea possibile, e senza che per essa i centri nervosi venissero soverchiamente eccitati. A tale scopo si istillava nel sacco congiuntivale del cane qualche goccia di acido cianidrico, preparato dallo stesso Cavazzani ; dopo 1-2 mi- nuti l'animale cadeva come fulminato, e, appena ogni sen- sibilità era con sicurezza scomparsa, si metteva a nudo la membrana atlanto-occipitale, e si estraeva il liquido cere- bro-spinale. 2° Il liquido cerebro-spinale era raccolto da ani- mali uccisi in questo modo alla mattina per tempo, e da animali similmente uccisi verso la sera ; perchè si può am- mettere, che durante la notte, in generale, i centri nervosi funzionino meno che durante il giorno. Gli animali sottoposti a queste esperienze si trovavano nel canile da parecchi giorni, e perciò in analoghe condi- zioni di vita. Il li(|uido raccolto non superò mai la quantità di ([uat- tro yrammi, e le ricerche sul medesimo si limitarojio alla determinazione del grado di alcaliiiila, mediante ima sidii- zione di acido tartarico, 10 e. e. della quale saturavano 0,58 e. e. della soluzione noi'iuale di soda ; e della quantità percentuale delle sostanze solide, mediante 1' evaporazione sull'acido solforico nel termostato a 100.°, fino a nessuna ul- teriore diminuzione di peso. I cani sacrificati furono otto, ed i risultati ottenuti sono indicati nella tal)ella che segue : ro"- o ^^^ i) 1 > ili Tem pò -a '2 — iti 2 o il. Pi 1 "o ce '2 "S < > delk me desi ma 111 ir i 1. o g Il ci ì a O grammi grammi 1 2 maggio sera 2.336 — 0.040 1.712 1 ^ 3 » mattina 3.200 — 0.065 2.024 .;Ì S- rJ '^ 3 4 » sera 3.814 15 0.0613 1.609 4 5 5 9 » » mattina sera 3.230 2.951 20 16 0.0575 ,0.044 1.780 1.490 55 " ~ -« ; fi 10 » mattina 2.671 46 0.100 2.671 •Ssl / 10 » sera 1.72.5 9 0.024 1.391 » -g 3 S 8 11 * mattina 1.280 11 0.025 1.9.53 sli-i 1 Da questa tabella risulta, che il liquido cerebro-spinale laccolto al mattino, dopo quindi un periodo di riposo, re- hitivo, dei centri nervosi, contiene una maggiore quantità percentuale di sostanze solide, in media del 35 ]). Ojo. ^d ha, in media, un doppio grado di alcalinità. Simili risultati sono in accordo con quelli ottenuti dal lifiuido limpido che, in piccola quantità, usciva talora, spe- cialmente dietro sforzi espiratori, dal seno fistoloso, conse- (208) [4] cutivo a frattura ossea, che portava un malato degente nelhv clinica del prof. Bassini, alla regione frontale destra. Le poche goccie di questo liquido, che si poterono rac- cogliere al mattino, dettero, in base alla media di tre osser- vazioni, un residuo solido di 1.351 p. 0{o, e quelle raccolte alla sera di 1.144 p. Ojq- Oltre di ciò fu notato, che nei cani, alla mattina, la membrana atlanto-occipitale è più tesa, che lo zampillo, consecutivo alla puntura di essa, sale a maggiore altezza, e che maggiore è la quantità di liquido, che si riesce a raccogliere ; per cui si può ammettere che alla mattina il liquido cerebro-spinale, oltre ad essere più ricco di sostanze solide, sia anche in copia maggiore. Senza venir meno a quella riservatezza, che in simili casi non è mai eccessiva, parmi che questi fatti si possano interpretare ammettendo, che durante il riposo, o meglio durante il sonno, i centri nervosi scarichino nel liquido ce- rebro-spinale i prodotti di scomposizione, che in essi si ac- cumulano durante il lavoro. E per conseguenza, i risultati di quelle ricerche ver- rebbero a suffragare, in parte almeno, le dottrine dell'Ober- steiner (*) e del Preyer {^), secondo le quali la causa del sonno, (direi meglio una causa), sarebbe da cercarsi nella presenza, nei centri nervosi, dei loro prodotti di scomposi- zione, sostanze ponogene. Ho detto in parte, perchè, secondo la detta dottrina, le sostanze ponogene dovrebbero avere reazione a prefe- renza acida; mentre, all' opposto, secondo le ricerche sur- riferite, il liquido cerebro-spinale della mattina era dotato di maggiore alcalinità. (1) Oher>!teiner. Zur Theorie des Schlafes. Ztschr. f. Psych. etc. XXIX. (2) Preyer. Ueber die Ursachen des Schlafes. Stuttgart. 1877. [:,] (209) I fatti sopraindicati consigliarono una seconda serie di ricerche, dirette a dimostrare, se il liquido cerebro-spi- nale deve essere considerato come un semplice trasudato, o, jìiuttosto, come il prodotto di una attività secretoria. Queste ricerche furono eseguite dal dott. Emilio Ca- va/.zani assieme col fratello dott. Alberto, e consistettero nel niisurai'e il teni})o, che passava fra la iniezione, nella cavità del peritoneo, di sostanze mollo diffusibili e nello stesso tempo facilmente riconosci])ili, e la comparsa delle medesime nel liquido cerebro-spinale. Siccome si suole praticare generalmente in simili ri- cerche, furono adoperati il ferrocianuro di potassio e l'io- duro di potassio in soluzione acquosa. Gli animali d'espe- rimento furono cani e conigli. I cani venivano curarizzati, o morfinizzati, o cloraliz- zati, mentre i conigli non erano sottoposti ad alcun tratta- mento preventivo. Fatta la iniezione nella cavità del peritoneo, si racco- glieva di 20 in 20 minuti, per mezzo di una siringa insi- nuata attraverso la membrana atlanto-occipitale, un po' di li(luido cerebro - spinale ; e si verificava, se in esso vi si trovassero le sostanze iniettate. Contemporaneamente al licjuido cerebro-spinale si raccoglieva anche dell' urina e dell'umor acqueo, e si praticavano su di essi le medesime ricerche. Le esperienze furono cinque, tre su cani e due su cniiigli, e in ([uattro di queste non si riusci a dimostrare la jii-esenza dell' ioduro, e rispettivamente del ferrocianuro di ])Otassio nel liquido cerebro-spinale, neppure due ore dopo la iniezione nel cavo peritoneale ; mentre le dette sostanze -I trovarono sempre nelle orine circa 20 minuti dopo la iniezione, e nell' umor acqueo al massimo un' ora dopo. In un solo caso, in un cane morfinizzato, l'ioduro com- parve nel liquido cerebro-spinale ; ma dopo la iniezione di 1 grammo di detta sostanza per kilo dell' animale, e mez- // ora dopo che essa era già comparsa nelle orine. (210) [(il Il tempo trascorso, in ({iiesto caso, dalla iniezione nella cavità del peritoneo alla comparsa, della sostanza iniettata, nel liquido cerebro-spinale fu di 45 minuti. Queste esperienze dimostrano, che il passaggio di mate- riali anche molto diffusibili dal sangue nel liquido cerebro- spinale, 0 non avviene, o avviene molto lentamente ; e quindi ci autorizzano a riguardare il liquido cerebro-spi- nale come un prodotto di secrezione, piuttosto che come un trasudato. Si tentò anche di conoscere la velocità, con cui le me- desime sostanze, iniettate nel liquido cerebro-spinale, passa- vano nelle orine. Ma le esperienze eseguite finora non sono sufficienti per risolvere simile quesito ; sono necessarie delle ulteriori ricerche, onde compensare, col numero delle medesime, la impossibilità, in cui ci troviamo di escludere, che in qual- che caso, nel fare la iniezione, qualche goccia di liquido abbia bagnata la ferita, o sia stato rotto qualche vasellino. Ad ogni modo dirò, che in quattro esperienze non ci riusci di verificare nelle orine la presenza dell' ioduro, e rispettivamente del ferrocianuro di potassio, iniettati negli spazi subdurali degli emisferi cerebrali, previa trapanazione del cranio, neppure due ore dopo ; mentre in un caso fu dimostrata la presenza dell' ioduro di potassio nelle orine venti minuti dopo la iniezione di esso nella località sopra indicata. Gli animali di esperimento furono cani ; uno di questi era stato curarizzato, due morflinizzati e l'ultimo clorofor- mizzato. La comparea del ioduro nelle orine si verificò in uno dei cani morfinizzati. TAVOLE UDOMETRICHE PER "v ^^. I. L I T^ "R T s T n- iM o :r I DALLE PIOGGIE RACCOLTE NEI 17 ANNI 1874-1890, C O N T R À R A D E R A. Lat. N. 45°4o — Long. W da Roma 4>" 26' — Altit. ra. 482. I) E L s. c. ALMElìICO DA SCHIO Illustri Colleglli, Ho presentato rultinia volta le pioggie di Schio per lo stesso periodo di tempo (i). E siccome più in su di Schio circa i) chilometri nel comune di Valli dei Signori, in una località detta Contrà Ràderà, a sinistra del torrente Leogra, ho col- locato sino dal Feì)))raio 1874 un udometro che fu sempre ed è tuttora con diligenza osservato, cosi panni opportuno di i)resentarvi anche di questo i risultati. Essi sono conte- nuti in dieci tavole, nove numericlie ed una grafica, le quali fanno perfetto riscontro a ([uelle puhl)licate per Schio. Sono materiali i (|uali come aUa meteorologia della no.stra re- gione, così serviranno alla conoscenza del regime idraulico di una tra le più itidtisti-i vallate delle prealpi Venete. (1) Atti dell'Istituto 1891-92, pag. 563. T. IV, S. VII 14 Tavola L — Quantità della pioggia, o neve fii.su, in millimetri per ogni decade dalla prima del Febbraio 1874 all'ultima del Dicembre 1800. Le quantità mas.sirae .sono in caratteri grossi. Per ciascu- na decade: le somme, le medie decadiche, le medie diurne. Le diurne risultano dalle decadiche divise pel numero me- dio dei giorni, 10, 11, od 8 -|- -— = 8, 2:35. Rappresentano la 17 piovoi^ità delle decade e sono rappresentate graficamente nella Tavola X dalla Figura I. Tavola IL — Quaìitità della pioggia, o neve fusa, per ogni mese, stagione, anno dal Febì)raio 1874 al Dicem- bre 1890. Anche (jui le quantità massime sono in caratteri grossi. Per ciascun periodo : le somme, le inedie assolute e le me- die diurne, le medie ridotte. Queste ultime si ottennero moltiplicando le medie diurne per il numero medio di giorni del mese, o della stagione. Il numero medio di giorni 365 25 per ogni mese è=' — ^ — =: 30,44, ([uello della stagione 3 X •>0j44 = 91,.32. Ho creduto l)ene di fare questa ridu- zione per la più esatta comparabilità, e la più veritiera rappresentazione dell'andamento annuale. In Febbraio per esempio cadde forse meno acqua, mm. 1704, che in Agosto, mm. 1700 ; ma considerato che Agosto ha .31 giorni, e il Fe])braio medio 28,235, la media ridotta di Febljraio è 108 millimetri mentre quella di Agosto 99. In proporzione dun- (|ue il mese meno piovoso sarebbe l'Agosto. Nella T.ivola X si rappresentano in linee poligonali le (juantità mensili e annuali con le figure III e V. Tavola III. — Freqw^nza della pioggia per ogni de- cade dalla pi'iuri did Fpl>l)i'aio 1874 alla terza del Dicem- bre 1890. E il numero dei //w>-/u' p/oyo.S7 per ciascuna, intenden- dosi per gioi-no piovoso ({uello nel quale cadde ;ibbastanza acqua (hi potersi misurare all'udometro; quindi da 0, "0001 ossia (la un (Icciiiiilliiiicii-o in su. In calce alla ta\ola \i sono poi j).'!' ciasiMina decade le soniiue, le medie ass(dut.e, le medie pi'i- cento, ossia il numeco dei giorni })io\(jsi per ogni cento di ogni decade, il quale pei- ciascuna i'a[)[)i*e- senta la probabilità che in un giorno [liova. Per esempio per uno dei dieci primi giorni di F(d)l)raio la prohahilita è 10. ossia c"é da scommettere SI contro 1'.). o in cilVa tonda ((uatiro coiilro uno, che non pioNcra. Invece pei' la. [)rima decade di Maggio la [)rohal)ililà d(dla pioggia è ('ì2, ossia c'è da scommettere (5*^ contro oS, o in cifra tonda tre conti'o due che pioverà. La fre([uenza decadica è rappresen- tata nella Tavola X dalla Figura II. L' ultima riga di cifre rappresenta la intensità della pioggia, ossia la quantità media in millimetri per ogni giorno piovoso. Si vedono le epoche in cui le pioggie sono piii e meno ti Ite. La decade di piogge più rade é la prima di Fehhraio di millimetri 6,7, quella di pioggie })iìi intense la seconda di Novembre 22,0. Tavola IV. — Frequenza delle pioggie per ogni mese, >iagione ed anno. Le stesse quantità (du' descrivemmo pei- le decadi nella tavola precedente qui sono invece per i periodi maggiori. In questa tavola come nella 1 e li le (juantità massime sono segnate con caratteri più grossi. Nella Ta\(»la X le frequenze mensili ed annuali sono rappresentate dalle Fi- gure l\ e \]. Ta^'ot-a W — Gioì^ni piovosi distribuiti secondo la (piantità di pioggia. Siccome la denominazione di giorni piovosi abbraccia anche dei giorni sereni durante i <[uali sia caduta una piccolissima quantità di i)ioggia, cosi in (que- sta tavola sono fatti conoscere in (juaiiti giorni piovosi ' adde per meno di un millimetro, meno di 10, di 20, di ■;<> etc. sino a millimetri 100 e al massimo caduto in 24 ore millimetri 175,2. Siccome però oltre ai 90 e 100 millime- ii-i le giornate di pioggia sono rare, cosi si specificarono nei (214) [4] 17 anni 31 casi nei (jiiali la pioijgia di un giorno jìasso i 90 millimetri. Tavola VI. — Periodi piovosi distribuiti secondo la durata. Elemento del clima è anche la persistenza delle piog- gie e della siccità. In questa tavola si distinguono i periodi piovosi secondo la durata da uno a piìi giorni. Sarà com- pito di altro studio la relazione dei più spiccati periodi piovosi con le condizioni atmosferiche generali. Lo stesso si dica dei periodi asciutti. Tavola VII. — Periodi asciutti da '-^0 giorni in i)iiì, con relative (hite ed osservazioni per (|uei periodi che eb- bero interruzioni insignificanti. Tavola Vili. — Altezza della neve e giorni nevosi, secondo gii anni ed i mesi. Tavola IX. — Temporali e grandinate, secondo gli anni e i mesi. Chiudo, segnalando alla attenzione dei meteorologisti il mio osservatore di Valli (ìiovanni battista Filippi Far- mar, diligentissimo nel registi-are i vari elementi .strumen- tali e i fenomeni meteorologici in generale, siccome anche di spogliarli dai registri e di eseguirne le relative richizioni e calcolazioni. Egli ottenne già sussidii (hill'Ufticio Centrale di Meteorologia e diploma di inerito dalla Società Meteo- rologica Italiana. Io me ne valgo da quasi vent'anni e spero per molti anni ancora. [5] (21:,) Tav. I. VALLI DLI SKiNOUL COXTKA IJADLIJA. Pioggia in milli.mktki, 1874-LSìK), per ogni decade. (ì KNNA! Fi :HHRAIO Marzo Al'RII.E ANNI 1 I li 111 1 II III I II III I II III 1874 » » . 1 62 1 37 IO 5 236 137 5 75 13 s 1 94 1 24 41 2 23 90 7 7(ì 34 203 I 30 8 13 34 24 193 17 183 282 77 50 3 — 24 36 94 19 267 38 145 30 78 44 1 _ — — 9 — 1 161 16 11 131 7'.» 15 1 46 14 108 173 I 8 168 147 130 156 80 — _ — 34 86 — 4 118 21 45 SI 258 15 13 1 — fi 10 — 31 168 17 74 1 82 23 _ — — : ' 39 r;8 _ 81 40 74 135; 83 — 151 20 30 04 — 55 13 46 12 3 101 84 _ _ 13 1 20 ; 0 12 — 27 16 142 108 85 _ 140 — 97 38 23 10 9 133 75 13*) 164 S(i 39 25 232 2 16 5 14 50 _ 90 61 29 ' 87 148 31 10 (>' , — — 129 4 77 68 26 1 88 _ — — 342 174 — 73 ()4 74 184 8',) 1 151 10 20 -1 9 11 32 53 74 52 63 ■ IS'.K) 35 5 1 _ 0 207 51 120 129 33 SoiiUiiC (i(il 718 352 222 887 596 393 .577 1500 139;) 1388 1572 Medie 41 45 22 13 52 35 23 34 88 82 82 92 M. aiur. 4.1 4.5 2.0 1.3 5,2 4,2 2,3 '. 3.4 1 8,0 8,2 8..-. 9,2 ■UV.) [6] Tav. I, seg. VALLI DEI SIGNORI. CONTEA RÀDERÀ. Pioggia in :\iillimetri, 1874-1890, per ogni decade. 1 ì 1 Maggio Giugno Luglio Agostc ANNI I 11 111 I li III I II III I li III ì 1874 86 75 62 15 107 74 17 21 145 31 1 12 75 13 36 120 42 173 73 65 69 52 118 5 83 1 76 127 71 75 39 135 108 30 33 53 9 2 118 77 116 43 89 22 16 35 100 72 19 17 29 1 78 27 33 155 32 237 49 55 3 48 78 6 27 i 1 79 209 74 374 37 25 9 48 43 8 9 20 3 80 130 77 39 59 85 67 3 34 13 13 64 163 81 129 9 106 94 4 36 13 — 1 7 99 15 i 82 37 17 16 78 23 52 49 22 .15 _ 18 45 1 83 173 25 37 93 100 20 10 17 70 18 27 28 : 84 15 52 11 168 74 59 76 18 69 66 19 41 85 85 52 17 3 57 32 88 49 5 79 28 26 8() 11 102 55 43 95 80 108 9 21 29 50 24 87 30 100 95 28 40 60 84 95 7 6 58 88 59 18 37 2 90 140 60 40 I 6 1 7 80 40 79 99 76 120 57 39 49 43 3 49 54 1800 182 62 74 15 48 72 51 73 88 32 19 45 Suiiinio 1476 , 926 1464 847 1430 1023 896 647 658 515 442 751 Medio 87 54 86 50 84 60 53 38 39 30 26 44 1 M. dinr. 8,7 5,4 7,8 5,0 8,4 6,0 5,3 3,8 3,5 3,0 2,6 4,0 1 ! I (217) Tav. I, sef). VALLI DKI SKINORL CONTUA HÀDLRA. Pioggia in millimktri, 1kk (kjni dkcadk. Settkmhhk ( »TT( )HRE No VEMHKK I) rKMHUK ANNI ! I Il III I II III I II III I II 1 111 I.S74 0 20 29 l 91 34 3 34 3 175 32 74 , 7n 4 40 5 7 152 153 10 14 05 75 — 1 i 7('i :r) 50 12 4 — 57 8 15 39 137 25 74, 77 -J-) 11 53 — 20 — 321 ()2 148 2 7S 32 117 178 140 : 149 117 1 205 193 10 12 33 ' 7V) 12 30 122 — 80 8 4'.) 24 04 33 — SO 85 121 1 20 104 19 87 138 141 — 20 32 SI 7S 37 41 135 i 2 100 6 52 49 147 - S'i 71 555 150 174 1 128 200 14 52 18 145 07 4 S!) 102 85 73 47 — 70 43 1/ , 90 5 30 S4 40 90 39 101 23 1 14 — ^ 54 55 So 115 8 188 40 !l89 140 143 3 i 190 20 ~ 1 SO 65 10 113 17 113 113 228 91 ' — 172 132 83 S7 51 25 08 15 289 120 87 40 30 11 SS 203 57 42 180 1 21 i - 132 4 05 20 — 128 su 50 2 39 100 : 104 319 51 2 15 39 8'i ISOO 58 - i 20 — 9 32 17 44 1 70 110 18 5 Soiiiriu' loso 12021118(1 1145 1270 1421 1079 lOS'-, 1 IT, 1042 oof-, 5S2 Medie ()3 70 70 07 ! 75 84 03 01 08 ()5 38 :5(ì M. -lini-. 0,3 7,0 7.0 0,7 7,5 7,0 6,3 (•),4 0,8 f),5 3.8 3,3 :2i8) [8] Tav. II. VALLI DEI SIGNORI. CONTRÀ RADERÀ. Pioggia in millimetri per ogni mese, stagione, anno. ANNI o < 2 < PS B3 b: g PS < Ed S < o < e e 1 1 < K PS m 1874 » 64 52 377 223 196 182 43 61 75 21 118 66 97 169 288 186 206 56 76 238 51 252 482 273 282 116 129 103 77 54 60 381 213 249 73 191 47 136 78 45 2 162 157 215 317 106 111 328 i 79 62 294 178 433 658 71 98 32 173 80 120 4 184 247 211 50 240 208 81 287 6 41 259 244 133 14 121 156 82 23 39 148 248 71 153 86 63 783 83 171 103 114 116 235 214 97 73 259 84 13 33 39 266 78 301 162 126 174 ! 85 140 158 153 379 155 92 142 133 311 1 86 296 23 64 180 168 ^21 8 139 104 188 : 87 179 83 133 171 231 'l28 185 64 144 88 517 325 322 114 233 !01 14 302 89 162 31 96 189 218 253 131 106 91 1890 40 1 264 283 318 136 212 96 84 Somme 1731 1704 2471 4359 3865 3299 2200 1709 3558 Medie 108 100 145 256 227 194 129 101 209 j Media diurna 3,5 3,6 4,7 8,5 7,3 6,5 4,2 3,2 7,0 Media ridotta [ 106 108 143 260 223 197 127 99 212 U'] (21!)) Tav. 11. sey. VALLI DLl SKiXOUl. CONTI? A liADERA. Pioggia i\ millimktki i'kh oasi mese, stagione, anno. A N .\ i e - 5 £ e ^ 1 s 5 o Y. y. u e — o 1X74 128 37 281 » 653 422 226 » 75 312 89 76 420 332 680 457 1889 1684 7l) 01 62 236 366 1007 527 226 2127 2287 77 26 383 150 350 843 311 545 2050 1964 7X 407 400 55 197 534 534 1135 2400 2304 7'.i 04 136 33 411 1268 201 404 2284 2262 : SO 143 366 59 153 434 501 716 1805 1831 SI 237 59 195 352 545 269 452 1617 1754 s-i 502 84 216 258 467 302 1369 2396 2417 (S',5 117 157 35 490 466 384 533 1873 1692 S4 137 5 109 81 383 589 316 1369 1443 sri 375 336 27 407 687 367 1023 2483 2402 1 so 242 320 387 347 413 461 751 1971 2331 ' s7 161 496 90 649 536 377 801 2363 2066 ss 201 201 154 mi 760 348 705 2420 2484 S'.) 650 68 126 346 504 490 809 2149 2121 i 18'J0 41 131 138 167 864 444 257 1733 1745 ' Somme 3837 3330 2230 5601 10695 7209 10725 32929 32787 Medie 226 196 139 350 629 424 631 2058 2049 Media diurna 7,3 6,5 4,5 3,9 6,8 4,6 6,9 5.6 , Media ridotta 222 1 199 137 361 625 1 421 633 (--0) [10] Tav. III. I TALLI DEI SIGNORI. COXTRA RADERÀ. Frequenza della pioggl\ per decadi, 1874-1890. Gennaio Fé BBRAIO Marzo A PRILF ANNI 1 I II III I l II III I II III I II III 1 1874 » 1 » » 1 6 2 3 1 2 7 .6 2 75 2 1 2 1 2 4 6 1 3 5 2 2 76 4 6 1 4 2 2 3 5 7 4 6 8 77 5 1 2 — 2 3 4 4 7 1 8 3 : ^^ 4 1 — — — 2 ~ 1 7 5 3 9 79 4 1 9 7 5 7 1 1 8 8 9 9 80 — 1 _ 6 3 — — 3 9 5 6 81 4 3 7 1 — 2 2 — 6 10 6 3 82 2 _ _ — 1 2 5 — 5 4 5 6 83 7 1 5 5 — 2 2 6 2 2 7 84 — 2 1 2 1 4 — 2 4 7 10 85 0 — 3 3 2 4 2 9 6 8 4 8(ì 3 1 10 2 3 2 3 4 — 2 9 3 i ^" 5 3 — 2 3 — - 7 2 (5 3 3 88 — 7 6 — 7 10 7 3 4 89 2 4 2 4 2 l 5 3 4 6 8 4 1890 4 - 3 2 1 — 2 4 5 2 8 4 Somme 39 34 40 33 50 39 44 42 86 88 98 87 Medie 3.4 2.1 2,5 1,9 2,9 2,3 2,6 2,5 5,0 5.2 5,8 5,1 'm.^ "/o 24 21 23 19 29 28 26 25 45 ì'2 58 51 llntens. in niill 17,0 21,1 8,8 1 6,7 17,7 15,2 8,9 13,7 17,5 j 15.9 14,1 18.1 Tav. I, i^ey. VALLI DLl SIC.NOIM. COXTUA UADEKA. FrKQUKXZA della l'I()(iGlA l'KK DECADI LS71-LS1H). Mmu.x ( .ir(;N L r(;i,i() A(;nsT ANNI I II 111 1 li IH ■ II III I n IH 1874 8 4 5 3 5 6 2 6 (') - 2 5 75 t 5 4 3 5 8 7 6 4 6 1 • 5 70 10 7 "^ 4 6 7 4 3 3 1 1 7 77 7 6 8 3 o 3 5 6 3 2 2 1 7,2 4,1 5,8 4,7 4,2 3.7 3.7 3,1 3.1 3,9 M.'\ 62 48 47 41 58 47 42 37 34 31 31 36 Inteiis. in niill. 15,1 11,4 16.5 12,3 14.7 12.6 12.6 103 10,4 9,7 8,4 11.2 (222 [12] Tav. Ili, seg. VALLI DEI SIGNORI. CONTRA RADERÀ. Frequenza della pioggl\ per decadi 1874-1990. Settembre Ottobre Novembre Dicembre i ANNI 1 I II III I II III 1 II III 1 " III i 1874 1 4 2 5 2 1 5 1 7 4 6 75 2 2 3 2 7 9 4 3 6 6 — 1 76 5 4 2 1 6 2 4 5 5 3 4 77 6 3 5 1 2 — ó 5 4 2 1 78 1 I 7 2 8 6 2 6 8 6 4 5 1 ■ 79 2 3 5 2 1 4 1 6 3 1 80 2 5 2 3 4 3 5 4 3 — 2 5, 81 7 4 5 9 1 9 1 4 4 4 i 82 5 10 8 6 7 7 2 3 1 5 8 2 : 83 7 5 4 5 — 3 3 1 3 1 3 _ 1 84 2 4 2 5 2 3 _ — 2 1 1 6 \ 85 5 1 5 4 8 »r 9 3 7 3 — 1 86 2 3 5 3 6 4 6 5 — 6 5 3 ì 87 4 4 2 1 5 3 7 3 5 5 3 4 88 7 4 3 9 2 — 6 2 2 2 - r, 89 4 1 2 7 8 10 5 2 3 1 2 G 1890 1 - 4 - 1 5 6 1 5 6 5 3 Somme 63 58 66 03 63 79 62 48 66 59 42 49 Medie 3,7 3,4 3,9 3.7 3,7 4,6 3,6 2,8 3,9 3,7 2,6 3,1 jM.' Vo 37 34 39 37 37 44 36 28 39 37 26 28 ■ Intens. jin mill. 17,1 22,3 18,0 18,2 20,2 18,0 17.4 22,6 17,7 17,7 144 11.0 Tav. IV. VALLI DEI SKA'OIM. CO.NTIJÀ RÀDERÀ. Frequenza della imogglv per ocxi mese, stagione, anno. A X N I < ■A o < a K a 5 <5 e o o 3 1 5 w B ' 1874 » 9 6 15 17 14 13 12 „ 1 ! '' 5 7 10 9 13 16 17 12 7 1 76 11 8 lo 18 22 17 10 9 11 77 8 5 15 12 21 8 14 5 14 1 78 5 2 8 17 17 17 12 13 9 : 70 14 19 10 26 26 12 11 5 10 : SO 1 9 3 20 17 19 8 17 9 SI 14 3 8 19 15 14 4 < s S 1 o P 8 1874 8 6 17 . 38 39 21 » » 75 18 13 7 29 32 45 38 144 134. 76 7 11 12 26 55 36 29 146 151 77 3 10 7 25 48 27 27 127 122 78 16 16 15 14 42 42 41 139 147 79 3 11 4 48 62 28 24 162 151 1, 80 10 12 7 14 40 44 31 129 132 1 ' 81 19 5 8 24 42 26 40 132 133 82 20 6 15 13 36 33 49 131 138' 83 8 7 4 33 34 34 31 132 121 i 84 10 1 8 10 36 43 20 109 113 : ' 85 19 19 4 22 47 34 49 152 148 86 13 11 14 25 31 46 34 136 146 87 9 15 12 27 35 20 34 116 114 88 11 10 7 25 42 39 35 141 136 ' 89 25 IO 9 22 55 44 42 163 165 90 6 12 14 19 45 38 23 125 130 Semine 205 175 150 376 720 618 568 2184 2181 Medie 12,0 1(1,4 9,4 23,5 42,3 36,3 33,4 136,5 130,3 1 Med. p. O/o 39 34 30 26 46 40 37 37,3 Intensità 1 18,7 18,9 14,9 14,9 14,8 11,6 18,9 15,1 |;i:>| (2->5) Tav. V. VALLI DEI SKINOIM. CONTLA RADEIJA. (iloRXI I'1()\()SI SKCONDO LA QUANTITÀ. I' I 0 Ci ('< 1 A X K L L E 2 4 (J 1 { !•: Da (1.1 1.0 10.1 20,1 30,1 40.1 50.1 60.1 7j 80. l' 100.1 a (!.".) 10.0 20 : 30 40 50 (;iO 70 80 100 175,2 Gennaio 15 55 20 8 5 » 2 1 3 2 2 Febbraio 26 55 15 13 4 » 3 2 » 1 3 Marzo 29 82 20 16 8 3 5 2 2 1 3 Aprilo 35 127 40 32 14 9 7 2 2 4 4 Maggio 40 119 52 27 19 4 3 5 3 2 1 (TÌngno 28 123 43 22 1.3 7 5 2 3 2 » Luglio 31 100 27 21 8 7 1 1 » 1 » , Agosto 35 84 29 14 2 4 1 1 1 1 ' Sette niljre 28 70 32 22 8 8 7 4 1 2 5 Ottobre 22 83 36 19 12 9 10 6 1 3 2 Novembre 20 75 24 20 13 6 2 7 1 » 5 DiciMiibre 24 62 30 13 5 4 2 6 2 1 1 Inverno 65 172 65 34 14 4 7 9 5 4 6 • Primavera 104 328 112 75 41 10 15 9 7 7 8 i Kslate 04 307 99 57 23 18 7 4 4 4 » ' 1 Autunno 70 228 92 61 33 23 19 17 3 5 12 ; : Anno 1 :'.33 1035 368 227 111 61 48 39 19 20 26 1 (-20) [Ifi] Tay. V, seg. VALLI DEI SIGNORI. CONTEA RADERÀ. Giorni piovosi secondo la quantità. P 1 0 G G I E S T R A 0 R D 1 N A R I E Più DI 90 MILLIMETRI IN 24 ORE Data Ql^\NTITÀ 1) A T A Quantità 1874 Aprile 5 145,8 1882 Settembre 14 120,9 1 * Luglio 30 96,0 » » i5 175,2 1876 Marzo 25 121,4 » » 16 110,8 » Aprile 21 106,4 » Ottobre 27 128,2 1877 Marzo 25 107,6 1883 Dicembre 9 99,2 » Novembre 13 119,8 1885 Novembre 21 118,6 1878 Settembre 14 117,0 1887 » 2 100,0 » Settembre 24 105.9 1888 Febbraio 14 113,5 » Ottobre 9 136,0 » » 15 100,5 1879 Maggio 26 112,4 » » 19 93,7 ! 1880 Novembre 21 132,4 » » 25 109,0 1881 Gennaio 4 106,5 1888 Aprile 20 124,2 i » » 5 102,2 » Novembre 2 101,8 » Maggio 3 94,8 1889 Dicembre 22 111,3 1882 Aprile 27 97,8 1890 Marzo 17 102,7 » Aprile 8 108,5 m (•>>7) Tav. vi. VALLI DEI SIC.XORL CONTKÀ UÀDLUA. PkRIODI piovosi senza interruzione DISTRIRUITI SECONDO LA DTRATA DA TNO A PIÙ GIORNI. diirata di giorni 1 o 3 4 5 6 7 8 0 IO 11 12 13 14 16 17 18 19 1 35 Gennajo 14 9 7 5 1 1 1 _ I 2 _ _ _ "1 i 1 ! Febbrajo 12 18 8 3 2 3 2 1 - — - — — _ -1-1 Marzo 14 12 9 c. 4 - 4 2 — - 1 1 1 — - - j Api-ile 8 12 8 13 6 ^2 3 2 ' I — 1 1 — 1 — I Maggio 17 17 7 10 8 7 4 2 2 - 1 — — - 1 -! 1 1 -1 . Giugno 20 II 19 IO 6 3 5 5 2 1 - I — 1 _i_ — _ - Luglio 25 23 16 12 4 4 1 1 1 — "~!~ ~ - — _J Agosto 31 22 IO 12 4 5 - — ' — — — i — ~ — i Settembre 20 21 17 3 4 ' 4 1 1 — — i — — : — 1 _:_: Ottobre 16 9 9 4 I 5 5 I 3 2 1 — 1 — — — — 1 Novembre 15 14 8 14 2 3 4 2 — 1 — 1 — — — — — — ] Dicembre 19 20 8 15 - 2 1 2 I - _ "■ ~ 1 Somma 211 188 126 107 42 46 33 18 11 9 4 4 3 2 2 1 I 1 L Nota — II periodo di 35 giorni nel quale sono senza interruzione le notazioni di pioggia, fu forse interrotto dalla bella giornata del 25 Aprile 1879. Ma dal 20 Marzo al 10 Maggio furono gioini 52 di pioggia quasi continua, eccettuati il 27 Mar/.o, TI e il 5 Aprile, con un totale di millimetri 821.5. T. IV, S. VII 15 (228) [18] Tav. V VALLI DEI SIGNORI. COXTRA RADERÀ. Periodi senza pioggia o quasi, non minori di 20 giorni. 1 D A T A Durata d' ordine DEL PRINCIPIO DELLA FINE GIORNI I 1879-80 Dicembre 6 Febbrajo 9 60 II 1883-84 » 18 Gennajo 26 10 III 1888 Gennajo 1 Febbrajo u 42 IV 1882 » 5 » 25 51 V 1878 » li » 25 46 VI 1875 » 27 » 17 22 VII 1890 » 30 Marzo 1 31 , vili 1881 Febbi-ajo 1 Ff^l.brajo 26 26 IX 1887 > 13 Marzo 10 26 1 X 1 883 » Io » 7 21 \ Periodo I 11 13 e 14 Dicembre rari fiocchetti di neve; il 12 Gennajo idem ; il 29 neve sciolta millimetri 0,2. — Per. Ili il 28 e 30 rari fiocchetti neve. — Per. IV. il 16 febbrajo poche gocce mm. 0,3 — Per. V. V \ì Gennajo neve mm. 0,8; il 26 r. fiocchetti neve; il 3 Febbraio idem; il 25 neve mill. 0.2 — Per. VI il 10 febbr. pioggia raill. 0,6 — Per. VII il 5 febbr. rari fiocchetti neve; il 6 neve mm 0,8; il 7 neve mm. 0,4; il IO mm. 0,3; il 27 rari fiocchetti neve; il 28 neve mm. 0.2 — Per. Vili il 6 febb. pg. mm. 0.7; VS e il 9 poche goccia. [1!)] Tav. vii. sey. VALLI DEI SIGNOHL OONTliA LADKKA. PKKIODI SKNZA l'KXKUA o QUASI NON MINoIM DI ^^O (iloRNI. N.° DATA Di'RATA j ,r„nline DKI. PRINCIPIO DEI.I.A F NK CIOKM XI 1880 Febbraio 25 Marzo 29 34 XII 1878 ,> 27 » 22 24 XIII 1886 Marzo 17 Aprile 5 20 ; XIV 1890 Settembre 2 Settembre 22 24 XV » » 26 Ottobre 15 20 XVI 1877 ?^ebbraio 27 » 28 32 XVII 1884 Ottobre 24 Novembre 21 29 1 XVIII 1880 Novembre 23 Dicembre 17 2n XIX 1 1884 » * » 16 24 Per XI, il 18 Marzo poche gocce; il 23 mill. 0,1. — Per XII. il K) Marzo uv. mm. 0,7. — Per XIII, il 30 Marzo p g. — Per XIV, il 4 Settembre p. g. ; il 22 pioggia mm. 0.2 — Per XV, il 3 Ottobre p. g. — Per XVI, i giorni 7, 9, 18 e 24 Ottobre p. g. — Per XVII, il 24 Ottobre p. g. mm. 0,3; il 13 Novembre gocce. — Per XIX, il 30 Novembre p. g.; il 4 Dicembre nv. mm. 0,3; il 6 e 9 rari fiocchetti neve. Nessun periodo asciutto di 20 o più giorni ne-gli unni 1885 e 1889. (230) [20] Tav. Vili. VALLI DEI SIGNORI. CONTRA RADERÀ. Altezza della neve e giorni nevosi. Anni i Giorni nevosi Altezza .sul suolo in centiin. M E S E Giorni nevosi Altezza sul suolo in centim. 1875 32 217 Ottobre 2 ! 76 22 98 Novembre i 35 66 77 15 71 Dicembre 82 301 78 18 22 Gennaio 89 402 79 29 141? Febbraio j 63 490 ' 80 7 24? Marzo 00 316 81 17 19 Aprile 1 1 14 82 7 2 1 83 23 115 84 15 32 85 18 110 Dati limiti della NEVE 86 87 21 28 109 195 1 15 Ottobre 1887 j 88 23 232 24 Aprile 1883 89 22 70 1890 21 64 i 1 Somma 321 1521 NOTA Media 20 94 1890 Marzo 2 neve al Pian de | i la Fu;j:azza cent. 120 . [21] Tav. IX. VALLI DEI SIONORL CONTEA RADERÀ. Temporali k aKANOiNATF,. Anno Mese Medie Medie 1874 75 76 77 78 80 81 82 83 84 85 I 86 ! 87 88 80 i 1890 35 .-6 49 51 51 46 19 43 29 46 43 49 48 26 29 56 39 Somma 715 Media 42 90 5,3 Gennaio Febbraio Marzo Aprilo Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre 1 2 9 64 104 171 154 123 63 0,06 0,1 0,5 0,8 6,1 10.1 9,1 7,2 3,7 1,3 0,06 0,06 0,06 0,12 1,12 0,88 0,94 1,06 0,41 0,41 0,18 (),0(i 0,00 NOTA 18'.X» Luglio 20 grandine grossa come noci durata 32 minuti. Altezza sul terren;» centim. 7. Danno grandissimo alle messi. SAGGIO 1)1 I NA TEORIA UEI niUMERI REALI SECONDO IL CONCETTO DI DEDEKIND DEL s. r. GR KG OR IO RIOCI Malgrado i coiiti'ihiiti i-ecuti alla teoria dei iiiiiueri iH'ali dai })i(i profondi tra i^di analisti conteiuporaiiei, la de- tinizione e lo .studio dei numeri irrazionali rimangono an- cora tra le maggiori difficoltà dell' insegnamento matema- tico non soltanto nelle scuole secondarie ma ben' anche nelle Università. Ciò però, a mio avviso, non dipende tanto ilalla natura dell'argomento, (|uanto da alcuni })regiudizii ancora in voga sull' oggetto della scienza e sulle basi del rigore matematico, sulle quali le teorie moderne gettano l)ure cosi piena e si)lendida luce. Secondo queste per isvolgero la dottrina relativa ad un sistema di grandezze non occorre averne un concetto comi)leto, né tampoco preoccuparsi della corrispondenza, che possono ti'ovare nel mond(j reale, ma basta ammetterne 1" esistenza come po- stulato e stabilire un ci-iterio, pel quale dal confroiito di due grandezze del sistema risulti senij)i'e uno ed uno solo di due fatti, di cui l'uno si chiamerà eguaglianza e l'altro disugita- glianza delle grandezze, che si confrontano. 11 Prof, lìet- (234) [2] tazzi (1) in un ,siio pregievolissimo libro fa vedere con e- sempi e considerazioni opportune come anche per il passato, senza forse rendersene completamente conto, i matematici abbiano spesso tenuta questa via ed aggiunge a ragione che questo modo di trattazione fa anzi posare la geometria su più larghe basi e può for$e servire ad evitare certe definiz4oni, che danno luogo a difficoltà ed obiezioni. É questo il caso anche della teoria \iei numeri irra- zionali, la cui nozione, a mio avviso, resta offuscata anzi clie chiarita dal connetterla fin dalla sua introduzione col concetto dei segmenti rettilinei incommensurabili, unica- mente per soddisfare ad un bisogno di 'oggettività, dal quale, a parer mio, giova invece in questo caso emanciparsi. Cer- tamente non si può disconoscere la difficoltà, che trovano i giovani nell'elevai'si d'un tratto a quelle astrazioni, che per la scienza sono il portato di una lunga elaborazione ; ma è vero altresì che questa difficoltà cresce coli' indugio ad affrontarla e, per ciò, che riguarda la teoria dei numeri, evitata per gli irrazionali, si ripresenta pei complessi, se pure il concetto di (questi non vuol confondersi con quello della loro rappresentazione. D'altronde io non conosco ve- runa teoria, che, quanto la teoria analitica dei numeri, sia adatta a far penetrare i giovani nella essenza delle mate- matiche e quindi meglio giovi ad abituarli al ragionare rigoroso, ciò che nelle scuole classiche è il fine precipuo di questo insegnamento ed è pure di grande importanza nelle tecniche, in cui manca ogni disciplina, che miri di- rettamente a quel fine. Il Dedekind, che nel suo memoralule opuscolo dal ti- tolo Stetigkeit und irrationale Zahlen gettò le prime basi di una teoria rigorosa dei numeri reali, si attenne al me- todo puramente analitico e ricorse alla retta soltanto per prenderne norma a stabilire il concetto matematico di con- (!) Teoria delle eranilezze. Pis-ta, Enrico Spoerra editore. [:ì] e-':!-') tinnita, poiclu*' ot^-li si jii'oponcva di a:!(->) [4] come era da prevedersi, mancando ogni ragione determi- nante la scelta tra le due, coll'escliiderne una si perdono dei rilevanti vantaggi. Vedremo infatti come la considera- zione simultanea delle due classi permetta di meglio ad- dentrarsi nella natura delle ripartizioni, di cui si tratta, e conduca a dei teoremi essenziali in questa teoria come quelli, che ho posti a hasi delle definizioni della somnui e del pi'odotto di due o di più numeri reali. Chiamato nell' anno scolastico 1890-91 ad insegnare r Algebra complementare nella R. Università di Padova, ebbi a convincermi che nel ritorno al concetto puro e sem- ])lice di Dedekind stava il mezzo migliore non soltanto jìer stabilire i principii della teoria dei numeri reali, ma altresì per sviluppare poi con grande chiarezza e semplicità gli altri capitoli dell' Algebra, che a ((uello direttamente si connettono. Questo scritto, che nella sostanza e con alcune modi- ficazioni ed aggiunte è la rijìroduzione di alcune lezioni da me tenute in (quell'anno su tali argomenti, è diviso in due parti. La prima concerne la introduzione dei numeri irra- zionali e le operazioni fondamentali dirette ed inverse nel campo di tutti i numeri reali ; e di questa vorrei potesse giovarsi 1' insegnamento delle matematiche nelle scuole se- condarie del nostro paese. La seconda parte contiene delle dimostrazioni dei teoremi fondamentali sui sistemi e sulle successioni infinite di numeri reali, le ([uali mi sembrano atte a mettere in rilievo 1' eccellenza del concetto di De- dekind anche dal punto di vista della introduzione del cal- colo infinitesimale. Ho premessa una introduzione sulla teoria analitica dei numeri razionali perchè, sebbene (questa si trovi egregia- mente esposta anche in altri libri, per esempio, in quelb» citato del Prof. Bettazzi, ho creduto opportuno che gli stu- diosi trovassero qui, anche se esposto in modo sommario, quanto è necessario premettere alla trattazione degli ir- razionali. Solito poi il (lovcM'c (li riii^i-a/ian' inihlìlicaiiicnie il Sij"-. Professore Paolo Gazzaiiiga del li. Liceo Tito Livio di Padova, il (juale nella redazione di questo lavoro mi è stato larj;») di utili consigli specialinente })er ciò, che si riferi- sce air insegnamento della teoria dei numeri irrazionali nelle scuole secondarie. (^38) [6] INTRODUZIONE Cenni sui numeri razionali. 1. I numeri intieri e positivi .si dicono anche numeri naturali, perchè ogni persona giunta al pieno sviluppo delle proprie facoltà mentali ne possiede naturalmente il con- cetto, e se l'origine di questo è prohlema di grande im- portanza per il filosofo, il matematico può non occuparsene. Riguardando il concetto di numero intiero e positivo come già stabilito, interessa invece al matematico, che vuole svol- gere una teoria puramente analitica dei numeri, il vedere come, prescindendo da ogni applicazione o rappresentazione geometrica di questi, si possa estendere il concetto stesso in modo da abbracciare tutti i numeri razionali. L'aritmetica si occupa dei numeri in quanto li consi- dera come costituenti un sistema di grandezze e li assog- getta ad operazioni, per mezzo delle quali da alcuni di essi perviene ad altri. Tra queste operazioni sono fondamentali l'addizione e la moltiplicazione, che si possono eseguire sui numeri intieri e positivi senza escire dal campo di ([uesti, cioè sono tali che applicate a dei numeri intieri e positivi danno come risultati dei numei'i della stessa natura. Queste operazioni sono poi dotate di alcune proprietà, o, come si dice, obbediscono ad alcune leggi caratte^nstiche, di cui due, cioè la comrìiut atira a -\-h = 1) -{- a , a .b = h . a , e la associativa [7] (-3Ì.) {a-\-b)+c={a-}-c)-}-b={c-{-b)-\-a: (a.b) . c=:={a.c).b={b.c).a , l'ig'uardano amoiidiic lo operazi^Jiii, mentre una terza legge cioè la distributiva, {a-\-b) . c=^a . c-\-b .0 , riguarda soltanto la moltiplicazione. Tutta l'Aritmetica, e ([uindi 1' Algebra, cioè 1' Arit- metica generale, è fondata su (jueste operazioni e sulle loro })ro})rietà, dal che, ricordando anche quanto è stato detto nella prefazione sul concetto matematico di grandezza, segue che ai numeri intieri e positivi si potranno aggiun- gere nuovi numeri alle condizioni seguenti : 1." che si stabilisca un criterio, pel (juale, dati due numeri qualunque del ststema cosi ampliato, si possa rico- lujscere senza equivoco se essi sono eguali o disuguali. 2.° che, estese opportunamente le operazioni fonda- mentali al ricordato sistema, (jueste operazioni obbediscano aneoi-a alle leggi caratteristiche sopra enunciate. (ìiova anche ricordare qui che noi possiamo dotare i nuovi enti, che troviamo opportuno di introdurre in ma- tematica, di i)roprietà affatto ar])itrarie, })urchè non in con- traddizione fra di loro. Premesso ciò, supponiamo di conoscere soltanto i nu- meri intieri e positivi e, dati due numeri a e b, proponia- moci di sottrarre il numero a dal numero b , cioè di tro- vare un terzo numero x tale che si abbia identicamente 1 ) a-\-x = a. Noi vedremo subito che questa operazione è jìossibile soltanto se è a <^b , ma, purché si riesca di soddisfare alle condizioni sopra indicate, potremo ammettere la esistenza di nuovi numeri, (nessuno dei quali potrà eguagliarsi ad (•^40) [8] un numerò qual si voglia intiei-o e i)0.sitivo) tali che sod- disfacciano alla equazione (1) anche per a> h. Conside- rando dapprima il caso di a = h introduciamo il numero 0, definendolo come il risultato della sottrazione di un nu- mero intiero e positivo a da un numero eguale per guisa che tutti i numeri così ottenuti, qualunque sia a , debbano riguardarsi come eguali fra di loro ed eguali a o. Di più attribuiamogli tale proprietà, per cui, qualunque sia a , si abbia o-{-a=^a-{-o = a. In secondo luogo per ogni numero intiero e positivo a introduciamone un altro a' tale che si abbia a -\- a' = a' -[- a = 0. Questi nuovi numeri sono i numeri intieri e negativi e due numeri come a ed a'' si dicono opposti fra di loro. Due numeri intieri e negativi a^ e b' si diranno poi eguali 0 disuguali secondo che sono eguali o disuguali i numeri ad essi opposti a e b. — Se ora riprendiamo in esame la e(iuazione (1), o la equivalente a — b-\-,x^=o , vediamo che ad essa si può soddisfare anche nel caso di a'>> b , poiché basta per ciò porre x = {a — b)'. Nel sistema, che comprende tutti i numeri intieri, po- sitivi e negativi, e lo o , definiamo ora pei casi non ancora considerati la somma di due numeri come risulta dalle po- sizioni seguenti 0 + a' =- «/ -f 0 = «^ , a'~^b' = {a + by ' ' ){a — b) per & <: « e') [!)] (-^41) Da ([lU'ste l'isiiKa cvidciito la logg'e commutativa della addizione. La legge associativa .si dimostra facilmente nel caso, in cui si tratti di tre addendi tutti negativi, avendosi allo.-a per Ir {>) a' + b' + c'--={a-{- by + g' = (a + b-^c)'. Negli altri casi, che si possono considerare, essa risulta dal confrontare fra loro le formule seguenti i (I -\-b — e per «-{-/?:> e [a -|- ?>) -f e' = 0 per a -\-b = e f (e — (> — by per a -\-b e \ b })er a^=c {e — «)'-f-^^= b — c-\-(i per rt<:c ed «-|-Z»c (f — «)'-|-/;=(c — a — by per a-\-b -^ e e le seguenti A — r^ -[- c^ = ^ — a — e pei' b^ a-^-c b -L '''O -]-(-''= b — a-\- e = (c-j- a — by \)er a<:.b < a-\-c I (e — by-\- a' = {e — b-\- ay per b < e ./ _i_ ,.^ i_ 7, _ ^ («+c)'+ b = b — {a-\- e) per b> a-{-c "T- ^ -t- '^ — < («+c)^+ b = («4- e — by per b<^a-\-c Tutte queste formule sono dedotte direttamente dalle (2). Poiché dalle (2) risulta che la somma di due numeri negativi non può mai essere eguale a o possiamo conclu- dere che « Affinclu'^ la somma di due numeri intieri sia eguale » a 0 è nccesNario che essi siano 1' uno positivo e 1' altro » negativo e quindi opixìsti l'uno all'altro, ovvero amemlue » eguali a o. » {■di-) [10] L;i iiiolliplica/ioiic nel sistema di munei'i, che ora cori- sidcriaiiK», [1110 (Icfiiiirsi colle \h)s'\/À()ìì\ 8) (1.0 = 0.(1 = 0 , h.a' = a\lj = {a.hy , a''.b' = b\a'' = a.h , nella prima delle quali a rappresenta un numero intiero qualunque, mentre nelle altre le lettere a e b rappresentano numeri positivi e h' e', f/ i numeri opposti negativi. An- che in questo caso la propi'ietà commutativa non ahhisogna (li dimostra/ione. Nel caso, in cui si tratti di tre fattori tutti negativi la proprietà associativa si dimostra osservando che secondo le (3) si ha {a'. ì/) .& =^{a.h) .e' = {a .1) e)'. Neyli altri casi, che si possono presentare, basta con- frontare le foi'mule {a', h') . c = {a . h) . e ^=a.ì).c , {a' e) . ¥= {a e)'. &'= a .e .1) , ovvero le {a', b) .c = {ahy .c = {a .h . e)' , {b . e) . a'= {a . b . e)'. Tutte queste formole risultano immediatamente dalle (3). Infine la i)ro])rietà distributiva della moltiplicazione ri- sulta dalle formule seguenti (tt-f //).c ={a—b).c = ac — bc = ac-\- {bcy=a.c-\-b'c ^ ^^^^ ^^ ^^ (a-|-&Ó.c'=(a— &).c'=[(«— Z').c]''=(«c— &c)'=(«.c)'-f-&c=rt.c'-f/>.c's^^^'' ^ {o-\-byc ={b—ay.c=[{b—a).cJ={bc—acY=a.c -\-{bcy=a.c^b\c, ^^^^ {a-\-b'y&={b—ay.c'={b—a).c = b.c — a.c=y&-{-a& v ^f/-]-b').c'={f(-^by.c'={('-{-b).c= a. e -f ^-f ^=a'.c'-{-b'.c' . Supposti ora noli tutti i nunu-ri intieri e designando css(M-\ iaiiio che non ó scnipi'c [lossihilc (vscguii-c l;i (li\ isioiic
  • . fidr ti'<)\ai'(' mi miiiici-o .f tale elio si al.l)ia I) h . ;X ^= (I . Perclir in oijiii caso esista iiu iiniiici'o .r , clic soildisti a (luesta eiiua/jonc, (luaiido non esista il numero intiero x, che \ i soddisfa, iiitrodiiciaiuo dei iiiM»\ i nnincri -r . i»ci (|Uali si -Aw'w ([iiiiidi ideiiticamcnle '•■l.-l,-^' Questi numeri — si dicono numeri fratti ed a e h ris})ettivamente numeratore e denominatore del numero 7". Siccome nel caso di h - 1 (|uesto numero prende la forma — e la (4) è soddisfatta per .i':^a , possiamo assumere a ...... --. = a e veduxmo cosi come i numeri intieri possano ri- guardarsi (juali numeri fratti, il cui denominatore è l'unità. Gli uni e gli altri si designano col nome comune di nu- meri razionali. Per le leggi caratteristiche della moltiplicazione, indi- cando con m nn numero intiero qualunque, dalla (5) si trae 7 ^^ Il \ " 1) . — . Ili = ih . m) . T = ''' Dun([ue il numero — .soddisfa, olire che alla (4). alla equazione T. IV, S. VII 16 (244) [12] (h .m)x = {a. m) , la quale, per il concetto {venerale di numero fratto, è sod- ia . m) disfatta anche dal numero ~ -,. — Per questa rao-ione si {b .m) ^ ^ o .oc sta])ilisce di considerare come eguali due numeri 7- e — se e e d sono multipli dì a e b (0 viceversa a e b sono multipli di e e rf) secondo lo stesso numero e come disu- guali in ogni altro caso. In conseguenza della os.servazione fatta sopra due o più numeri razionali possono sempre ridursi allo stesso de- nominatore e per definire la somma di due numeri razio- nali qualun(|ue basterà definirla pel caso, in cui questi due numeri abbiano lo stesso denominatore. Per (juesto caso la somma si definisce ponendo ab a-\-b e '^ c~~ e ed è facile dedurne la dimostrazione delle leggi caratte- ristiche della addizione. Perchè anche nell' intiero campo dei numeri razionali valga la regola, secondo cui due numeri dello stesso segno danno un prodotto positivo e due numeri di segni opposti un prodotto negativo, ponendo mente alla identità (5) si vede che il numero y si deve considerare come positivo o come negativo secondo che a e b sono del medesimo segno 0 di segni opposti. Notiamo ancora che, se a e b sono due iiumei'i intieri ({uahuKiue, ed a^ è il numero opposto ad a si ha b'^ b~~ b ~ b~ ' 0 |K.icli('> dalla (1) i-isiilta y ---^O. l)iiii(|ii(> aiiclie nel caini. (» (lei iiiuiKM'i razionali ad Ogni miiiici-t» coi'i-i.spoiidc un nn- nu'i'o ad osso Opposto cioè talo clic addizionalo col iiiiinci-o dato dà come somma lo o. Non mi indugicrò sulla dclinizioiic noiissima del ju-o- dotto di due numei'i razionali né sulle leggi caratteristiche della moltiplicazione, che ne scendono senza difficoltà. Im- porta piuttosto di far vedere come, stal)ilito il campo di tutti i numeri razionali, si j)Ossa introdurre in modo pu- ramente analitico la nozione di maggiore e minore. Dati due numeri razionali ((ualunque a e b ed indi- cato con h' il numero opposto a h , chiameremo differenza del numero h dal numero a ed indicheremo con a — h la somma a-\-h'. Diremo poi che h è maggiore o minore di a secondo che la differenza a — h è negativa o positiva, mentre, secondo una detlnizione data sopra, (juesta diffe- l'enza sarà o soltanto se è « = h. Dall'essere a + 1/ + /^ + a' = {a + a') -f (h + l/) = o risulta che i numeri a -\- a', b -\- b' sono opposti e quindi di segni contrari. Duiuiue possiamo concludere die « Se di due numeri razionali a e & è a'>-b è pure » b <^a. •» Siano ora a , b , e , tre numeri razionali, pei quali si abbiano le disuguaglianze a :> & e b'>'C. Queste ci dicono (die i numeri a-^b' e b-\-c' sono positivi, e quindi che é positivo anche il numero a -j- c'= a -j- b' -\- b -{- c\ cioè che è rt "> e . In modo analogo dalle disuguaglianze n «^i b e b'<:.c scende l'altra a<^c. Dunque « Se ^/ , ^ , e e sono tre numeri razionali ed è a'>' b e » & !> e, è anche a ">- e. Se poi è a <:b e Z> <; e è anche » « <; e. » Quando è a'>- b"^ e , ovvero a<:,b<:,c , si dirà che b è compreso tra a e e. (246) [14] Siano ora a q h due numeri r izionali non eguali e, per esempio, a -<. ì). Poiché si ha a-\~h b — a ^ lj-\-a a — b a^b , il numero — ^ — sarà compreso tra a e b. Nello stesso modo ^ ciA-b SI può trovare un numero compreso tra a ed — - — ovvero tra — ^ — e b , e poiché la interpolazione del nii'dio arit- metico tra due numeri razionali non eguali può sempre eseguirsi, ahbiamo cosi una dimostrazione analitica del se- guente teorema, del quale dovremo fare uso ripetuto. Se a e b sono due numeri razionali non eguali qua- » lun(|ue, si possono sempi'e determinare degli altri numeri » razionali tutti compresi fra a e b , disuguali fra di loro » ed in numero grande (juanto si vuole. » Questo teorema e quelli dimostrati sopra, che risultano evidenti quando si fa uso di una qualunque rappresenta- zione dei numeri, dovevano essere qui stabiliti con apposite, per quanto semplici, dimostrazioni. Dimostriamo anche il teorema seguente Se a e b sono due numeri razionali positivi disuguali » ed il un numero intiero positivo, esiste sempre un nu- » mero razionale })Ositivo, la cui potenza n. *'"'"' è compresa » tra a e b. y> Supponiamo a <:.b e scegliamo dapprima un numero razionale positivo g tale che si abbia g^ > a , indi un iiiiuiei'o razionale e positivo u tale clie sia b — a 'li < 1 . U < —, j — 7TT \ . [15] i-ni) K cvidciilo clic i)oti'(Mno ancoi'a sceg'liere un iiiimcro i-;i/i(>iialc e |)()siii\() h tale che si alibiaiio le disii^nagliajize h" . a e il ieoi-eiua sai'à dimostrato, se si diinosti'ci'à la disu- J4'uai;liaii/a [h -f- l'Y •<: h. Oca dalle disuniiaM-liaiize stabilite so[)ra risulta h <^ g e a })iù t'ofte ragione h — cf e, iioicliè si ha idcuticamente si avrà anche Questa dimostrazione è dovuta al Sig.'' Pascli. cm [16] PARTE PRIMA Concetto fondamentale ed elementi della teoria dei numeri reali. 2. Concetto di numero reale in geneìmle. — Come la sottrazione e la divisione conducono rispettivamente ai nu- meri negativi ed ai numeri fratti, così dalla estrazione di radice può ripetersi la prima origine del concetto di nu- mero irrazionale, con questa differenza che, mentre quelli occorrono tutti e sono sufficienti per potere eseguire sem- pre la sottrazione e la divisione, non può dirsi altrettanto di questi rispetto alla estrazione di radice, poiché tra i nu- meri irrazionali ve ne sono intiere categorie, che non pos- sono riguardarsi come provenienti da tale operazione, e questa non si può sempre eseguire coi soli numeri irrazionali. E quindi necessario fondare il concetto di numero irra- zionale sopra una proprietà, che appartenga anche ai nu- meri razionali, di cui i nuovi numeri debbono essere una generalizzazione, ma che non li caratterizzi affinchè possa servire a definire una classe più estesa di numeri. Questa })r()prietà dovrà essere indipendente dalla operazione di estrazion di radice ; ma ci riserberemo di esaminare poi quale maggiore estensione si possa (hire a questa opera- zione dopo introdotti i nuovi numeri. l'n qualunque numero razionale a separa tutti i nu- meri razionali in due categorie o classi At ed A^, di cui la ]irima cniii[)reiì(h' tutti i uumei'i minori (^ la. seconda tutti quelli maggiori di a. Se si \uole che ({uesia ripai'ti- zione dei numeri razionali in due (dassi sia tale che ogni [17] (-210) Ilunu'l^» )'azi()iiale aj)i);ii'*("ì<4-a ad una o ad una sohi delle duo classi couvione aaribuii'e a ad Aj ovvero ad \-i ad arbitrio. Nel primo caso esisterà ludla (dasso Aj un ninnerò (il numero a ) maggiore di tutti gdi altri, cioè la classe Ai - avrà un 'inassimo, mentre nella classe Ag non esiste alcun numero minore di tutti gli allri, cioè questa classe non avrà un minimo. Se infatti (jucsto minimo esistesse, desi- gnandolo con b , i nuiiiei'i razionali compresi tra a e b non troverebbei'o posto né nella classe A| nò nella classe A.2. Nel secondo caso, invece, la classe Ai noiì avrà mas- simo e la classe A.2 avrà un minimo (il numero a). Possiamo dunque concludere che le ripartizioni (A^A^) di tutti i juimeri razionali in due classi •desunte dagli stessi numeri razionali nel modo esposto sojìra sono dotate delle projìrietà seguenti X) Ogni numero razionale trova posto in una ed in una sola delle due classi P>) Ciascun numero della (dasse A| è minore di tutti ([uelli della stessa Ao. C) 0 la classe Ai ha un massimo, o la classe A-^ ha un minimo. E chiaro che, reciprocainente, ogni ripartizione dei nu- meri razionali in due classi Ai A.2 dotata di tutte (jueste proprietà })uò riguardasi come desunta nel modo es[)Osto dal numero razionale a , che è il massimo della classe X[ ovvero il minimo della classe A.2. Esistono però ripartizioni dei iiuinei-i razionali in due classi dotate delle projìrietà A) e 1>) ma non della proprietà ('). In altri termijii si pos- siono prescrivere delle leggi o dare dei criteri, i (juali, scelto ad arbitro un numero razionale, permettano sempre di decidere se esso debba attril)uirsi ad una classe Ai ov- vero ad una classe A., e tali elie la riparti/ione (A| A-j) è dotata delle pi'oprietà A) e 1!) ma non didla ('). Se. [km- esempio, si considera un numero intiero e positi\d e . ehe non sia ([uadrato perfetto, e si atti'ibuiscono ad una classe e, funi i numeri razionali negativi, lo o e quei numeri (•i50) [18] razionali positivi, il cui quadrato è minore di e, e ad una classe 0-2 tutti gli altri numeri razionali, la ripartizione (Ci €-2) è evidentemente dotata delle proprietà A) e B) ma è tale che non esiste né un massimo nella classe Ci né un minimo nella classe 0-2 {^) cioè manca della proprietà G). Chiamerò ripartizione di Dedekind (2) ogni ripartizione dei numeri razionali in due classi, la (|uale sia dotata delle proprietà A) e B) e, designando una tale ripartizione con un simbolo della forma (Aj A^), si intenderà sempre che la lettera Ai rappresenti la prima classe, cioè quella dei numeri minori in confronto ai numeri contenuti nella se- conda classe, che sarà rappresentata dalla lettera A^ . Secondo i concetti esposti nella prefazione, senza oc- cuparmi di definire in sé stesso ogni numero reale non razionale, stabilirò il seguente postulato : « Ad ogni ripartizione di Dedelviud corrisponde uno » ed un solo numero, che si chiamerà numero reale. » Per indicare che a è il numero reale corrispondente ad una ripartizione di Dedekind (Ai A2) scriveremo (1) Il Dedekind dà di ciò la dimosti'azione, che mi piace di riportare qui per la sua eleganza. Posto :-•(»; '^ -4- 3c) 3 x° ~\- e si hanno le identità T (e — .t"-) {x^ — c)^ ,, — ,■ — ■4.-^-—-— , // 2 ,. ~- Se dunque per .-• si pone un numero positivo della classe C, , pel quale si ha quindi x- — e < 0 , esiste un altro numero razionale //> .r, pel quale si ha ancora ;/' <^ e , cioè un numero >/ > x , che appartiene ancora alla classe C, . Se invece per .'■ si pone un numero della classe Co e quindi si ha ,'■- > e , sai'à ;/ < .-• ed //- > e, cioè // apparterrà ancora alla classe C, . Dunque ne la classe C, ammette un massimo, né la classe C, ammette un minimo. (2) In italiano sembrami da proferire questa denominazione in con- i'rnnto di quidla di sezioni-, che sarebbe la traduzione letterale della parola Schnift naata da Dedekind. (251) (A, A,) e (|ii('sl(» iiiuiu'i'o reale n sarà il iiiassinio della classe \y o il iiiiiiiiiio (Iella elasse A-i , se la lipai'lizioiie è dolala della pro})i'ietà ('), cosi che in questo caso il immei-o a sarà un numero razionale. Se invece la ripartizione (Ai A-^) manca della proprietà C), il numero a sai'à un nuovo nu- mero, che si dirà irrazionale. Per {giustificare la introduzioiu' dei numeri ii-razionali dolthiamo prima di tutto definire il concetto di e^uagdiauza e di disuguaglianza nel campo di tutti i numeri reali. Pre- mettiamo però alcune considerazioni. Siano (Al A-2) e (Bi B^) due ripartizioni di Dedekind diirereuti tì"i di loro soltanto perchè un certo numero l'a- zionale a , che appartiene, per esempio, ad Ai , ai)partiene a B.2 , mentre del resto tutti i numeri di A[ ed A.2 appar- tengono rispettivamente a Bi ed a B-2. Poiché per le pro- prietà, che definiscono le ripartizioni di Dedekind, assieme ad a ap})artengono a B^ tutti i numeri razionali maggiori di a , per le ipotesi fatte, questi apparterranno pure ad A^ e ([uindi il numero a sarà il massimo della classe A[. Ana- logamente si dimostra che esso è il minimo della classe B-2 e però si può concludere che « Se due ripartizioni di Dedekind (A1A.2) e (BiBa) > sono tali che la prima classe dell'una contiene soltanto » un numero a non appartenente alla prima classe dell'al- » tra, esse corris[)ondono amendue allo stesso numero ra- » zionale a. » Abbiamo già notato che, quando una ripartizione di Dedekind (Aj A^) corrisponde ad un numero razionale a , è affatto arbitrario l'attribuire questo numero jìiuttosto alla (dasse Al che alla classe A^. È quindi naturale considerare come coincidenti due ripartizioni di Dedekind che (come ([uelle, di cui ci siamo occupati ora) si distinguono 1' una dall'alti-a pel solo fatto (die un certo numero razionale ap- (•^^52) [20] partiene insieme alla prima classe dell'una ed alla seconda classe dell'altra. Con questa convenzione noi potremo dire elle ad ogni numero razionale corrisponde una sola ripar- tizione di Dedekind, e che due numeri razionali sono eguali o disuguali, secondo che le ripartizioni di Dedekind cori-i- spondenti coincidono o no ; e in confoi'uiità a ciò potremo stabilire il criterio di eguaglianza e disuguaglianza dei nu- uieri reali in genere. Diremo dunque che « Due numeri reali sono eguali o disuguali secondo » che le due corrispondenti ripartizioni di Dedekind, coin- » cidono 0 non coincidono. » Per (juanto si é detto sopra, due ripartizioni di Dede- kind (Al A-2) e (Bi B-j) saranno da riguardarsi come non coincidenti soltanto nel caso che la prima classe dell' una contenga almeno due numeri m ed n contenuti nella se- conda classe dell' altra. In (juesto caso però per le pro- prietà caratteristiche delle ripartizioni di Dedekind tutti i numeri compresi tra m ed n si troveranno nelle stesse condizioni di (juesti. Premesso ciò, possiamo definire i con- cetti di maggiore e minore nel campo di tutti i numeri reali come segue « Se a ^ (Al A2) e & E (Bi B^>) sono due numeri » reali, diremo che è b maggiore di a se infiniti numeri » della classe P>i appartengono alla classe A^ ; e che è b » minore di a se infiniti numeri della classe B-2 apparten- » gono alla classe Ai. > Da questa definizione scendono senza difii(-,oltà i se- guenti teoremi già dimostrati nel campo dei numeri ra- zionali 1.° * Se di due numeri reali n e b , a è minore di b e b ">■ e è pure » « > e. » Segue pure dalla definizi(jne stessa che un numei-o reale a'^{Xi A^) è maggiore di tutti i numeri della clas- se A[ 0 minore di tutti (incili (lolla classe Aa ; eolie e.^so sarà (la dirsi pfjsitivo cioè ~t> o , se la classe Ai contiene numeri positivi e negativo, cioè <: o, so la classo A-2 con- tiene nnmoi'i noi^ativi. In una (jualuiKiuo i-ijiarti/iono di l)od(d\ind (A] Ao) as- segnando un numero m alla classe Ai si vengono per con- seguenza ad assegnare alla medesima classe tutti i numeri minori di ;n ; moiitro, s(> si assegna il numero m alla classo A-j, a ([uosio si vengono consoguontemente ad assegnare tutti ([uidli maggiori di rn. l)uii((uo, so sappiamo elio duo numoi-i ni od n ">■ /il appartengono rispettivamente alle classi Ai od A-i, per completare la rijìartizione basta considerare sol- tanto i numeri compresi tra m ed n. Questa osservazione gioverà alla brevità dei discorsi come pure il denotare, (;omo faremo talora in seguito, semplicemente con Ai od A.2 un numero generico della classe Ai o della classe A-2. '.ì. Addizione di due numeri reali qualunque. — Lemma : « Se si hanno due ripartizioni di Dedekind (Bi B.2), > e (Ci C-2), esiste al più un numero razionale a , che può »' ottenersi come somma di due addendi pure razionali » unicamente prendendone uno nella classe Bj e 1' altro » nella classe 0-2 , ovvero uno nella classe B.2 e 1' altro » nella Cj. » Se i numeri hEiiJ^n^h) « ("El^'i^'-i) ^owo amendue razionali ed il numero h ajìpartiene alla classe Bi e e alla r, , (ovvero b appartiene alla classe B-2 e e alla Ci) il nu- mero h -\- e potrà ottenersi soltanto sonmiando un numero P)i con un numero C^ od un numero B-2 con un numero Ci, mentre i numeri minori di b -\- e saranno della forma ^>i-|-^i ^^ ({uelli maggiori di B -f- C della forma l>-2-j-('-2- Sui)poniamo ora il numero reale b qualunque ed il numero e irrazionale e, scelto un numero razionale qua- lunque (I , })roponiamoci di risolvere in numeri razionali la eipiazicme indeterminata (-54) . [•>-] (5) a)-\- u = a. K chiaro che per valori di x ahbastanza piccoli in seoiso algebrico (cioè secondo la definizione data sopra dei concetti di maggiore e minore) i corrispondenti valori di y a})parteranno alla classe B-j e che poi facendo crescere oc si giungerà per x a valori tali, che })er essi e per tutti i valori di ce maggiori di essi i valori cori'ispondenti di y apparterranno alla classe Bj . I valori razionali di jo si ascrivano ad una classe Xi, ovvero ad una classe Xv2, se- condo che i valori corrispondenti di y appartengono alla classe 6-2 od alla classe B,i e si noti che, se il numero h è razionale, il suo passare dalla classe Bi alla classe B^ o viceversa farà insieme passare il solo numero a — /> dalla classe X-2 alla Xi o viceversa. La ripartizione (XjX^) è dunque determinata e, poiché essa è evidentemente una ri})artizione di Dedekind, le corris})on(lerà (n.° 2) un nu- mero reale Xa = (Xi X2) , che designamo con Xa , perchè esso vària evidentemente con a. Analogamente ad un altro numero razionale a' non eguale ad a corrisponde un numero reale ^a' = (X'i X'2) tale che, se si considera la equazione X -{- y =a\ e si danno ad x dei valori appartenenti alla classe X^j od X/ i valori corrispondenti di y appartengono rispettiva- mente alla classe B^ od alla classe Bj . Ciò premesso, supponiamo a' >- a e consideriamo un iiuinei'o Xi (lualuiKiin'. Il miiiicro n — Xi ;ip}iarii'i-i':'i alla classe B-j ed avendosi a — X, -|- (X| -|- a' — a) = a\ il numero \i -\- a' — a aj)i)arten'à [ìei* conseguenza alla \\. Se esso apiìartiene })ui'e alla classe Xi , lo si ])U(*) as- sumere come iiuoNO iiiiiiicro Xi e concdudere che il nu- mero Xi -]- ~ (<^' — ^) appartiene alla classe X''^. Se si ri- pete questo ragionamento e si riflette che i numeri razio- nali della forma X| -|- p (a' — a), nei (juali p assume va- lori intieri e })ositivi crescenti, crescono oltre ogni limite e (|uindi non possono appartenere tutti alla classe Xi , si conclude che tra (|uei numeri ne esiste uiu), che a})})artiene tanto alla classe X'i che alla classe X^j. Se poi si parte da un altro numero Xi , che lujn differisca dal precedente l)er un multiplo di '/ — a, si perviene ad un altro numero comune alle classi X^i ed X-2 . Esistono dunque infiniti numeri comuni a (queste due classi e per conseguenza è (n." 2) Xa^ ">- Xa ' — Se dun(iue, tenendo fìsso il numero reale ì). si fa variare il numero razionale a, il numero .r» cresi-e o decresce con a e })U(') coincidere col numero reale e ^ (C| C-i) per un solo valore di a al più. In questo caso, il numero e essendo, per ipotesi, irrazionale, la classe Xj conterrà tutti e soltanto i numeri della classe Ci (n.° 2) e l'e- ([uazione ((i) per ogni vahu-e di x appartenente alla classe 1)1 0 l)-2 darà un valore di y appartenente alla classe 0-2 o e, e (|uindi il numero a potrà ottenersi come somma di due addendi razionali soltanto col prendere l'uno nella classe Bi e l'altro nella classe C.2 ovvero 1' uno nella classe B.2 e l'altro nella Ci. Se in vece è Xa '^c, hi classe Ci conterrà (n." 2) dei numeri della classe X-2 e gli addendi potranno (juindi scegliersi uno nella classe Bi e l'altro nella classe Ci. Infine se è Xa ">• e la classe C.2 conterrà dei numeri della classe Xi e gli addendi potranno scegliersi uno nella (25(5) [-4] classe B-2 e F altro nella classe C-j. Il lemma resta così di- mostrato. Poiché i numeri Bi -j- Cj sono evidentemente nunori dei numeri B-j -{- 0-2 e, se esiste un numero (e secondo il lemma precedente ve ne ha al più uno solo), che non possa ridursi né all'una ne all'altra forma, è maggiore dei primi e minore dei secondi, dal lemma precedente scende il se- guente Teorema : « Se si hanno due ripartizioni di Dedekind » (Bj B^) e (Ci Ca) e si attribuisce ogni numero razionale » ad una classe Ai o ad una classe Ag , secondo che esso » può ridursi alla forma Bi -j- Ci ovvero alla forma B-2 -|- C.2 » e si attribuisce ad ai'bitrio alla classe A| od alla classe A^ » quel numero a , se esiste, che non può ridursi né all'una » né all'altra delle forme indicate, la ripartizione (Aj A.2) » é una ripartizione di Dedekind. » Chiamiamo questa ripartizione somma delle due ri- partizioni (Bi B2) e (Ci C2) e dimostriamo che essa è unica e determinata. Ciò é evidente se i numeri b E (^i Ba) e e ^ (Ci C-2) sono amendue irrazionali. Se uno di essi è razionale, o lo sono amendue, il dubbio può provenire da ciò che essi possono essere attribuiti indifferentemente alla })rima od alla seconda classe delle corrispondenti ripartizioni. Però per torre di mezzo questo dubbio basta osservare che 1:° se si suppone il numero b razionale ed assegnato alla classe Bi e Ci <;; e ogni numero b -[- ^i , indicando con C^i un numero compreso tra Ci e e , può ridursi alla forma Bi + ^'i, essendo Bi <; & , cioè riguar- darsi come somma di due addendi presi rispettivamente nelle classi Bi e C; e differenti dai numeri & e e : 2° se si suppone il numero b razionale ed assegnato alla classe B-2, ogni numero b -\- C-2 può analogamente riguardarsi come somma di un numero B.2 > b con un numero C-2 > e : 3.° se, b e e essendo amendue razionali, si attribuiscono ri- spettivamente ed insieme alle classi Bi e Ci , ovvero alle classi B.2 e C-2 , il numero b -\- e è nel primo caso il mas- [-5] (-57) Simo della classe Ai e nel secondo il minimo della classe A-2 , mentre, se b si attribuisce alla classe Bi e e alla 0-2 , ovvero h alla B^ e e alla Ci, il numei'o h-\-c può otte- nersi soltanto come somma di due addendi appartenenti l'uno alla classe Bi e l'altro alla classe Cj , ovvero l'uno alla classe Bo e 1' altro alla classe Ci e resta quindi in nostro arbitrio l'attribuirlo alla classe Ai, di cui sai'à al- lora il massimo, od alla classe A^ , di cui sarà il minimo. Vediamo così che in questo caso resta dubbio soltanto il posto da assegnare al numero a -\-b , il quale può riguar- darsi come il massimo della classe Ai o come il minimo della classe Ao senza che per questo si abbiano due ri- partizioni distinte (n.° 2). Mentre abbiamo dimostrato quanto era stato asserito ve- diamo cosi anche che, se ^ ^ (Bi B-j) e e ^ (Cj C^i) sono due numeri razionali ed (Ai A-j) è la ripartizione di Dedekind somma delle due ripartizioni (Bi 6-2) e (Ci C.2) , si ha Z> -f- e ^ (Al A2), cioè a questa somma corrisponde un nu- mero razionale e precisamente il numero somma dei due corrispondenti alle ripartizioni addende. Secondo il postu- lato del n.° 2 alla ripartizione (Ai Ao) corrisponde sempre uno ed un solo numero reale ed estendendo a tutti i casi una definizione, che oi-a abbiamo visto valere pel caso già noto della somma di due numeri razionali, definiremo quella di due numeri reali qualunque come segue « La somma di due numeri reali b ^ (B1B.2) , e = (C1C.2) » è il numero reale corrispondente alla somma delle due » ripartizioni di Dedekind (B1B-2) e (C1C-2), » Dalla stessa definizione della somma di due riparti- zioni di Dedekind risulta evidente che la addizione testé estesa a tutti i numeri reali gode della proprietà com- mutativa. Dimostriamo ora che « La somma di nn numero razionale b ^ (B1B.2) e di » un irrazionale cE(CiC.2) è un numero irrazionale. » Por ciò basterà dimostrare che nella ripartizione (A1A.2), (258) [20] somma delle due ripartizioni (B^B-j) e (Cir-2) , la classe Aj non ha massimo e la classo A-2 non ha minimo. Supponiamo, il che ci è permesso, che il numero b appartenga alla classe B| ed osserviamo che ogni numero Aj può mettersi sotto la forma & -j- Ci e può sempre crescere perchè, per ipotesi, il numero e essendo irrazionale, la classe Ci non ha un massimo. Dunque la classe Ai non ha massimo e in modo analogo si vede che la classe A-2 non ha minimo. Se araendue i numeri J^ e e sono irrazionali, la somma b -\- e sarà razionale se esiste il numero a , che può ottenersi unicamente come somma di un numero Bi con un numero C-ì 0 di un numero Ci con un numero B-2, e poiché un tal numero è allora maggiore di tutti i nu- meri Bi -|- Ci e minore di tutti i numeri B-j-j-C-i , si avrà precisamente Z* -j- e = a. 4. Addizione di pi>' mmieri reali. — Consideriamo insieme tre numeri reali a E (A1A.2) , b = (B1B.2) , e E (CiC^) e poniamo (« + ?>)=(DiD.2), convenendo qui ed in generale di attrihuire un numero, se è razionale, alla prima classe della ripartizione di De- dekind, che gli corrisponde. Se si pone anche (« + ^^) + cE(EiE2), alla classe E^ apparterranno tutti e soltanto quei numeri razionali, che possono riguardarsi come somme di tre ad- dendi razionali presi rispettivamente nelle classi Ao, B-2 e C-2. Analogamente si avrà [-7] (-:,!)) (« + c) + /.= (EMr-,) e la classe F/^^ contei'pà anch' essa tutti e soltanto i nu- inei'i razionali che possono rig'uardarsi come somme di tre numeri razionali presi rispettivamente nelle classi A-j , 0-2 e B-j e quindi coinciderà colla classe E-^. Avremo dunque Così non soltanto abbiamo dimostrato la proprietà commutativa dell'addizione estesa al campo di tutti i nu- meri reali, ma, osservando che era in nostro arbitrio di stabilire che i numeri somme, se razionali, fossero at- tribuiti alla seconda invece che alla prima classe delle ripartizioni corrispondenti, nel qua! caso la classe Et a- vrebbe accolto tutti e soltanto i numeri razionali, che possono ottenersi come somme di tre addendi appartenenti uno alla classe A| , l'altro alla classe Ii| ed il terzo alla classe Ci, possiamo concludere die esiste tutt' al più un solo numero razionale, che non può ottenersi uè in questo modo né come somma di tre addendi presi rispettivamente nelle classi A-2, B-j e C.2, il qual numero coincide allora colla somma a-\-b-\-c. Questa osservazione, che si estende senza difficoltà ad un numero qualunque n di addendi, ci permette di dare della somma di un numero qualunque di ripartizioni di Dedekind una definizione, che non è se non la estensione di quella data pel caso di due, cioè la defi- nizione seguente « La somma di n ripartizioni di Dedekind (B1B-2) , » (C1C2) , (MiM.2) è la ripartizione di Dedekind, » (A1A.2), che si ottiene attribuendo alla classo Ai tutti i » numei-i razionali della forma Bi-j-Ci-j 1- Mj, alla » classe A-2 tutti quelli della forma Bo -|- C.2 -| 1- M.2 » ed arbitrariamente all'una od all'altra quel numoro, se T. IV, S. VII 17 (260) [28] » esiste, che non si può ridurre né all'una espressione uè » all'altra. » Dopo ciò potremo anche dire che « La somma di più numeri reali h ^ (BiB-j) , e = (CiC^), » . . . m ^ (MiM^) è il numero reale corrispondente alla ri- » partizione di Dedekind .somma delle ripartizioni, che V corrispondono agli addendi, » 5. Numeri opposti, sottrazione di un numero reale da un altro. — Se a ^ (A^A^) è un numero reale qualunque, la ripartizione (A''iA^.2). che si ottiene attribuendo alle classi A^i ed A^-2 rispettivamente i numeri opposti a quelli delle classi A.2 ed Aj, è evidentemente una ripartizione di De- dekind e però le corrisponde (n.° 2) un numero reale a"^ (A'iA'.j). E chiaro che il numero o puù ottenersi come somma di due addendi razionali soltanto prendendone uno nella classe Aj e l'altro nella classe A''-2 , ovvero uno nella classe A''! e l'altro nella classe A^. Abbiamo dunque (n.° 2) a -\- a' :=. 0 ed è pure chiaro che il solo numero l'eale a' sommato con a dà per risultato lo o. Possiamo dunque concludere che « Dato un numero reale qualunque a =(AiA-2), ne esi- » ste sempre un altro ed un altro solo a\ pel quale si ha » identicamente a -\- a' ^iz o. Questo numero, che chia- » meremo opposto ad a, corrisponde alla ripartizione di » Dedekind (A''iA''2) , che si ottiene attribuendo alle classi » A''! ed A^.2 rispettivamente i numeri opposti a quelli con- » tenuti nelle classi A-2 ed Ai. » Da questa definizione e da una osservazione fatta nel n.° 2 segue immediatamente che « Due numeri opposti sono di segni contrari. » Chiameremo differenza di un numero reale e (sot- traendo) da un numei'o reale 1) (minuendo) ed indicheremo |->• h , ogni numero della classe Ca è maggiore di tutti i numeri della classe Bi e quindi sommando un numero Bi con un numero opposto ad un numero C-j si ha sempre un risultato negativo. Ne viene che la prima classo della ripartizione corrispondente al numero b — e consta di numeri tutti negativi e lo o si trova nella seconda classe della ripar- tizione stessa. Dunque il numero b — e è <. e ,^=c , o> e , si può ridurre a quest'altro assunto per definizione nel caso dei numeri razionali. « Dati due numeri reali b e e , sì dirà che b è mi- » nore di e , eguale a e , o maggiore di e secondo che la » differenza b — e è negativa, eguale a o, o positiva. » 6. Moltiplicazione tra numeri reati qualunque. — Lemma : « Se (B1B.2) e (C'iC.2) sono due ripartizioni di Dede- » kind tali, che tanto la classe Bj che la classe C'i compren- » dono dei numeri positivi, esiste al più un solo numero » razionale e positivo, che può ottenersi come prodotto di » due fattori pure l'azionali e positivi, unicamente col pren- » derne uno nella classe Bj e l'altro nella classe C-^, ov- » vero uno nella classe 6-2 e l'altro nella classe Ci. » Se i due numeri h E (B1B2) e e E (^i^'a) =^0110 amendue razionali, è chiaro che tutt' al più il solo numero b . e })otrà ottenersi unicamente come prodotto di un numero })Ositivo Bi per un numero C-2 0 di un numero positivo Ci l)er un numero B-2 e ciò nel caso che b e e appartengano r uno alla prima e 1' altro alla seconda classe delle corri- spondenti ripartizioni di Dedekind. Siano ora b 0 e due numeri reali e positivi, dei quali il primo qualunque ed il secondo irrazionale^ e, scelto un (262) |:>>()1 numero razionale e positivo qualunque a , si voglia ri- solvere in numeri razionali e positivi la equazione inde- terminata 7) X . y =^a. Dato ad x un valore positivo e razionale qualunque, lo si attribuisca ad una classe Xi ovvero ad una classe X-2 secondo die il valore corrispondente di y . che sarà pure positivo, appartiene alla classe B-2 od alla classe Bi . La ripartizione (X^X^) non varia se il numero h , es- sendo razionale, passa dalla classe B,i alla B.2 o viceversa, poiché conseguentemente il solo numero a passa dalla classe X2 alla Xi 0 da questa a (iu(,dla. Essa è dunque determi- nata e poiché, se alla classe Xi si attribuiscono anche lo 0 e tutti i numeri razionali negativi, essa soddisfa alle condizioni A) e B) del n.° 2, le corrisponderà un numero reale e positivo OOa = (X1X2). Ad un altro numero razionale e positivo a' corrispon- derà analogamente un numero reale e positivo tale che, se si considera la equazione X .y = a\ e si danno ad x dei valori positivi presi nella classe X''i 0 nella X^-2> i valori corrispondenti di y appartengono rispefc- vamente alla classe B^ od alla classe B^. Si supponga a' ->> a e si consideri un numero positivo Xi. 11 numero a -r- apparterrà alla claase B^ ed avendosi Al [;u] (203) a a a il numero — . Xi > Xi apparterrà alla classe X''i. Se esso appartiene in pari tempo alla classe Xi, lo si può assumere come nuovo numero Xi e concludere che anche il numero (9-. appartiene alla classe X\. Se si ripete questo ragionamento e si ntlette che i numeri razionali della forma I — ) . Xi , nei quali p prende valori intieri e positivi cre- scenti, crescono oltre ogni limite e quindi non possono appartenere tutti alla classe Xj , si conclude che tra essi ne esiste uno, che appartiene insieme alle classi X'i ed Xwj. Se poi si parte da un altro numero X, , il quale di- viso pel precedente non dia come quoziente una potenza iutiera di —, si previene ad un altro numero comune alle a '■ classi X\ ed Xi>. Si ha dunque (n." 2) d'a' > ./;„ , cioè il nu- mero Xa cresco o decresce con a e può coincidere col nu- mero reale e positivo e ^ (C1G-2) per un solo valore di a al più. In questo caso, })oichè il numero e si suppone ii'- razionale, la classe Xi conterrà tutti e soltanto i nu- meri della classe Ci e l'equazione (7) per ogni va- lore positivo di jc appartenente alla classe Bi 0 B2 darà un valore di y appartenente alla classe C.y 0 (\ e quindi il numero a potrà ottenersi come prodotto di due fattori razionali e positivi soltanto col prenderne uno nella classe Bi e l'altro nella classe C-2, ovvero uno nella classe 6-2 e l'altro nella classe (\. Se invece è :Ca <. e , la classe Ci conterrà dei numeri necessariamente positivi della classe X.2 e i fattori potranno quindi scegliersi uno nella classe Bi e l'altro nella classe Ci. In fine, se è ^„ >• e, la classe C.j conterrà dei numeri della classe Xi e i fattori potranno (^(54) [:i2] scegliersi uno nella classe B.2 e l'altro nella classe C^. Il lemma resta cosi dimostrato. Questa dimostrazione, cambiate alcune parole, è quasi la riproduzione di quella del n.° 3 e nello stesso modo si possono riportare al prodotto di due ripartizioni di De- dekind, ciascuna delle quali abbia nella prima classe dei numeri positivi, le considerazioni svolte nel numero citato a proposito della somma di due ripartizioni di Dedekind qualunque. Possiamo quindi, risparmiando le dimostrazioni, enunciare pel caso, che qui consideriamo, le proprietà e le definizioni corrispondenti a quelle ivi svolte. Così al teo- rema del n." 3 corrisponde il seguente Teorema : « Se {B1B-2) e (CiC-2) sono due ripartizioni y> di Dedekind tali che tanto la classe Bj qaanto la Ci » comprendono dei numeri positivi e si attribuiscono i » numeri razionali positivi ad una classe Ai 0 ad una » classe A2 secondo che possono ridursi alla forma Bi . Ci » (con Bi e Ci rappresentando dei numeri positivi delle » rispettive classi) od alla forma B-j . C^ , se si attribuisce > ad arbitrio della classe Ai od alla classe A-2 quel nu- > mero a , se esiste, che non può ridursi né all' una né > all'altra delle forme indicate, e se infine si attribuiscono > alla classe Ai il numero 0 e tutti i numeri razionali > negativi, la ripartizione (A1A-2) é una ripartizione di » Dedekind. ^ Q.uesta ripartizione è unica e determinata e la chia- meremo prodotto delle due ripartizioni (B1B-2) e (CiC-2). Se i numeri />^(Bil)-2) e cE(C^iC2) sono razionali, essa cor- risponde al numero razionale e [)Ositivo h.c. Ingenerale diremo che « Il prodotto di due numeri reali e positivi h ^ (I)iI)-2) , » 0 ^(CiC^) é il numero reale e positivo corrispondente al » prodotto delle due ripartizioni di Dedekind (BiBj) e » (CiC,). ^ Da questa definizione risulta evidente la proprietà commutativa della moltiplica/.ione applicatn ai numeri reali \:M\] (2fì5) positivi ed 6 pur facile trarne la dimostraziono del se- guente teorema < Il prodotto di duo numeri ruali positivi, di cui uno » solo è razionale, è un numero irrazionale. > Il prodotto di due numeri reali e positivi hoc amen- due irrazionali sarà razionale, se esiste un numero po- sitivo a, che può ottenersi soltanto come prodotto di un numero positivo della classe Uy per un numero della classo C-2, 0 di un numero positivo della classe ('i per un numero della classe 15^^, nel qual caso sarà precisamente h . c=-- a. Anche ai risultati del n." 4 corrispondono risultati del tutto analoghi per il prodotto di un numero qualunque di numeri reali positivi. Così abbiamo che « 11 prodotto di n ripartizioni di Dedekind (l>ilv2) , » (CiC-i) . • . (MiM-i) , ciascuna delle quali ha dei numeri » positivi nella sua prima classe, è la ripartizione di De- » dekind (AiA-j) , che si ottiene attribuendo alla classe Ai » tutti i numeri razionali della forma I)i.r|...Mi (con » I)i , ('i , • . ^li designando dei numeri positivi delle ri- > spettive classi), alla classe k^i tutti quelli della forma » lì-ì . 0-2 . . M.2 ed arbitrariamente all'una o all' altra quel » numero, se esiste, che non può ridursi a nessuna delle » espressioni citate. * Diremo poi che « Il prodotto di più numeri reali e positivi b^ [lìiìì-i), » e = (CiC-i) . . . m = (M1M-2) è il numero reale e positivo » corrispondente alla ripartizione di Dedekind prodotto delle » ripartizioni, che Corrispondono ai fattori. » Da questa definizione e da quella, che precede, risulta evidente la proprietà associativa della moltiplicazione ap- plicata ai numeri reali e positivi. Dalla definizione del prodotto di due numeri reali e positivi si traggono, secondo il solito, quelle, che valgono negli altri casi, che si possono presentare. Si stabilisce cioè che (2(^ [34] 1." « 11 prodotto di due numeri reali, dei quali uno » almeno è eguale a 0 , è eguale a 0. » 2.'^ « Il prodotto di due numeri reali negativi è e- » guale al prodotto dei loro opposti positivi. » 3.° « Il prodotto di due numeri reali h e e , di cui » uno soltanto, per esempio e , e negativo, è eguale al nu- » mero opposto al prodotto b. e' , designando con e' il nu- » mero positivo opposto a e. » In seguito a queste definizioni le leggi commutativa ed associativa già dimostrate per la moltiplicazione dei numeri reali e positivi si estendono senza difficoltà alla mol- tiplicazione dei numeri reali qualunque. Quanto alla proprietà distributiva a .{b-\-c):= a .h-{-a .e è facile dapprima ridurre i diversi casi, che possono pre- sentarsi, a questi due essenzialmente distinti \.^ a, h e e sono tutti positivi ^ 2° a e h sono positivi e e negativo ed in valore as- soluto minore di h. Siano ^'E(A, A2), hE{B, B,), e E (Ci Ca) e ricordiamo quanto si è convenuto, cioè di attribuire alla 1.''' classe delle ripartizioni corrispondenti 1 numeri razio- nali. Se a , h e e sono tutti positivi, i numeri apparte- nenti alla 2."- classe della ripartizione di Dedekind, che corrisponde al numero a . {b -\- e), saranno tutti della forma A2 (B-2 -1-^2) = A-2B2 -|- A^'C^ ed apparterranno quindi tutti alla 2.^ classe della ripartizione, che corrisponde al numero ab-^ac. Reciprocamente ogni numero di questa clas.sc, designando con rt-j ed a^ dei numeri della classe A-2 e con Jk, e r^ dei numeri rispettivamente delle classi B2 e Ci sai'à d^lla foi'ma r/^^^i-f-a.jC-i <' poiché è a.2f4=rt-2T"2 [.•c] (-r,7) e, sp* si suppone «'«■j <: a^ , è y-j "> t'-^ cioè anche y-2 appar- tiene all.i classe C-2 , ogni numero contenuto nella 2.'" classe della ripartizione corrispondente al numero nb-\-a e può ridursi alla forma «-2 (/^-i -j- Y-2)- Dunque i due numeri (I {f^-\-c) ed ab-\-ac sono eguali, poiché le seconde classi delle corrispondenti ripartizioni di Dedekind coincidono. Nel secondo caso, cioè per a e b positivi e e negativo e in valore assoluto minore di b , posto a {b -f (,') = (DiD.2^ , alla classe Do apparterranno tutti e soli i numeri della forma A-2 (B-2 -]- C'-j). Si ha poi per definizione a b -\-ac = a b - a e = a b -j- {a &)' , designandosi con e ed {ac'Y rispettivamente i numeri opposti a e e ad {a e). Ma, indicando con C/ e 0-2 '' i nu- meri opposti rispettivamente ai numeri C^ e Ci , si ha (n.° 5) c^E((^i'C/) e quindi (« cO E (G1G-2), comprenden- dosi nella classe G^ tutti i numeri negativi, lo 0 e tutti e soltanto quei numeri positivi, che possono riguardarsi come prodotti di due numeri positivi appartenenti 1' uno alla classe A, e V altro alla classe C/. Avremo dunque anche {a c'Y E (Hitl^)» comprendendosi nella classe H^ tutti i numeri opposti a quelli della classe Gj , cioè tutti i nu- meri positivi, lo 0 e tutti e soltanto quei numeri negativi, che possono i-iguardarsi come prodotti di un numero ne- gativo della classe Co per un numero positivo della classe Al. Posto a b -\~ (I e ^ (Li Lo) , i numeri della classe L^ saranno dunque della forma Ao.Bo-j-Ho. Orn, se Ho è positivo, qualunqtie sia Ao. si ha H-2 = A.20o essondo ("., positivo e quindi facente parte della (-(is) [:]0| classe 0-2 ; mentre se H^ è negativo e quindi per quanto si è detto sopra (designando con Ai e c^ rispettivamente un numero positivo della classe Ai ed un numero nega- tivo della classe C^) della forma Ai c-2 e si pone Ai 0-2 = A.2C.2, Cv2 risulta negativo ma, essendo A2 ":!> A^ , minore in valore assoluto di c-y e quindi C^ fa parte della classe C-2. Abbiamo dunque A^ B2 -|- H2 = A2 (B2 -f- C2) , cioè ogni numero della classe L2 appartiene alla classe D2 . Del pari i numeri positivi della classe Li saranno della forma Ail>i-|-Hi, Al e Bi essendo amendue positivi ed Hi un numero negativo, che non può ridursi alla forma Ai C'2 , cosi che si avrà Hi = AiC^ , il numero Cj essendo deter- minato da questa equazione. Dunque le classi Li ed L2 coincidono rispettivamente colle classi Dj e D2 e si ha a {0-^-0) = ab -{-a e. 7. — Numeri reciproci. Quoziente di due numeri reali qualunque. — Ad ogni numero a razionale e differente da 0 corrisponde un altro numero razionale «1 , che si dice reciproco di a ed è definito dalla equazione a. «1 = 1, per guisa che inversamente a è reciproco di «1 . Sia ora ora A ~ (Al A-j) un numero reale e positivo qualunque e si attribuiscano ad una classe A/ tutti i numeri reciproci dei numeri A2 e ad una classe As^ tutti i numeri reci- proci dei numeri positivi della classe Ai . La ripartizione (A/A2O (figginnti tutti i numeri negativi e lo 0 alla classe Ai^) è una ripartizione di Dedekind ed il numero 1 può ottenersi come prodotto di due fattori razionali positivi soltanto prendendone uno nella classe Ai e 1' altro nella classe A-2', ovvero uno n^lla classe A^ e l'altro nella classe A/. Posto dunque «1 ^ (A/ A2O, ^1 avrà (n." 6) «. «i = l. — Se si prende un numero reak- negativo a e si consi- derano il suo opposto a', il reci voco di questo «i' ed il numero a^ opposto ad a^ daMa r;/r// = l si trae per definizione (n.- 6) « . «1 = 1. Dun ^ue « Per ogni numero roale e difieronte da o r/^{\{.\->) » esiste uno ed uno solo numero ai ad esso reciproco cioè » tale che si ha « . «i = 1. Se a è positivo, questo numero » corrisponde alla ripartizione di Dedekind, che si ottiene » attribuendo alla 1/' classe lutti i numeri reciproci a » quelli contenuti in A-2 ed alla 2.'' classe quelli reciproci » ai numeri positivi contenuti in Aj. So a è negativo, il » suo ri'ciproco è il numero opposto al numero «/ reci- » proco al numero a' opposto ad a. » Stabilito così il concetto di numero recip)-oco ad un numero reale qualunque diverso da o , si definisce il quo- ziente — , ff e b essendo due numeri reali qualunque, di cui il primo è diverso da o , ponendo —z=z h . ay , a designando ancora con c'i il numero reciproco ad a. 8. — Elevameììto a potenza intiera e positiva di un nitmero (pmlunque. — Per la definizione data al n.° 6 del prodotto di più fattori tutù positivi, s'3 m è un numero intiero e positivo, ed a un numero reale pure positivo e del resto qualunque, il numero a^" si può definire come segue : « Se a^{kiX^2) <^' "1 numero reale positivo ed w un » numero intiero pure positivo si chiama potenza m/''"* di » a e si indica con z^/"* il numero reale, che corrisponde » alla ripartizione di Dedekind (BiHa) ottenuta c.dTattri- » buire alla classe Ri i numeri razionali negativi, lo o e » tutti quei numeri razionali positivi, che possono riguar- » darsi come prodotti di m fattori positivi, distinti o no, » ma tutti appartenenti alla classe A| ; alla classe B-^ tutti » quei numeri razionali, che possono riguardarsi come (270) [88] » prodotti di Yii fattori, distinti o no, ma tutti apparte- » uenti alla classe Ao, ed arbitrariamente all' una o al- » tra quel numero h, se esiste, che non può ottenersi in » alcuno dei modi indicati. Se questo numero ì) esiste si » ha evidentemente cO*^ = h. » ^Da questa definizione scende che « Una potenza intiera e p(»sitiva di un numeso irra- » zionale positivo sarà razionale, se esiste il numero h , » del quale si è fatto or' ora parola. » Secondo le definizioni date al n.° 6 pei prodotti, noi quali entrano dei fattori negativi, si ha poi che « Una potenza di gi'ado intiero e positivo m di un » numero reale e negativo a è data dalla egual potenza » del numero a opposto ad a , se m è pari, e dal numero » opposto alla stessa potenza di a', se ni è dispari. » 9. — Estrazione di radice dei numeri reali. — Sia a ^ (AiAa) un numero reale e positivo ed in un numero intiero pure positivo, ed i numeri razionali positivi si at- tribuiscano ad una classe Bi o ad una classe B-2 , secondo che la loro potenza m.''''"* appartiene alla classe Ai od alla classe Ag. La ripartizione (IÌ1B2) debitamente completata è una ripartizione di Dedekind ed esiste quindi un numero reale h ^ (B^B^). Sia h^ = (C1C-2) e si indichino con (\ e C-j d^'^ numeri positivi qualunque (eccettuato il massimo od il minimo, se V uno 0 1' altro esiste) delle risjiettive classi. Indicando in pari tempo con B,' B," . . BiO«) e con B^' B-." . . BJ-"''^ dei numeri positivi scelti convenientemente gli uni nolla classe Bt e gli altri nella classe lij avremo (n." 8) {\ = B/ . Bi" .... Bi("0 C-, ^ B/ . B./' .... B./"0 . ! lulicaiido poi con .\y un numero p()siti\ (Mlolia chisse A; qualunt(ue, purché digerente dal massimo, se esiste, con \i' un altro numero della stessa classe maggiore di \[ , poiché esiste sempre (n." I) un numero razionale positivo, la cui potenza ni.'™" è compresa tra Ai ed A/, cioè un numero positivo Bi, pel quale si ha Bi^« ">* Ai , si vede che, se il numero Ai appartenesse alla classe Cy , si avrebbe Bi'«>B./B.2"..B.2C'«), disuguaglianza assurda poiché i numeri positivi Bi sono minori di tutti i numeri B-^. Dunque ogni numero della classe Al , escluso al più il massimo, appartiene alla classe C|. Analogamente si dimostra che ogni numero della classe A"2 , escluso al più il minimo, appartiene alla classe C-2 e si può concluderò che le due ripartizioni (A1A.2) e (CiC-2) coincidono, che cioè si ha « =1 />"» , ovvero m Abbiamo dunque che « Dato un numero reale e positivo a E (A1A-2) ed un » numero intiero e positivo m esiste sempre un numero m » reale e positivo, che si indica col simbolo Va , la cui » potenza rn/'"* è eguale ad a. Questo numero corrisponde » alla ripartizione di Dedekind, che si ottiene attribuendo » alla prima classe tutti i numeri razionali positivi, la cui » potenza m/'""^ appartiene alla classe Ai, ed alla seconda » classe quelli, la cui potenza m.'™^ appartiene alla classe » A-2. » Se 7n è pari, dalle regole di moltiplicazione risulta che tn « Non soltanto il numero positivo K« , quale è stato » ora definito, ma anche il suo opposto negativo è tale » che elevato alla potenza m/'"* riproduce il numero a. » (272) [40] Fondandusi sulle medesiun' regole si dimostra pure facilmente che « Se a è un numero reale negativo ed m un numero » intiero positivo; 1.° se m è pari non esiste alcun nu- » mero reale, la cui potenza m.''"^ sia eguale ad a\ 2° se » m è dispari si ha un solo numero dotato di tale pro- » prietà e questo numero è 'iato d;il numero opposto a m •» y (/ , a' essendo il numero positivo opposto ad a. » 10. — Esponenti fratti e irrazionali. Estrazione di logaritmo — In seguito, quando a sia un numero intiero e positivo, ed m un numero pari pure positivo, rapresen- m teremo sempre con Va il valore positivo di questo radi- cale. Con questa convenzione, se a e h sono due numeri positivi ed m ed n due nume.ri intieri pure positivi, si dimostra senza diflìcoltà la identità n n n Va. Vb= Vab, dalla quale scende 1' altra « / ** _ \*" Va-^ = [Va ) • Si può dunque porre a» = V^==[Va ) ■ Su questa foi-mola è fonduta la teoria degli esponenti fratti come è facile stabilire quella degli esponenti nega- tivi intieri e fratti, e quindi il significato del simbolo a^ , per qualunque valore razionale di b. Da questa teoria scende che, se si suppone a ">• l , il numero reale a'' cresce con b. Sia ora n un numero realo "^ 1 e ?^E(R|B-2) mi nu- mero i-eale qualunque e si attrihuiscano ad una classe C^ tutti i numeri ra/.ion; li, pei quali esiste un numero B^ tale che è Ci < c/Hi e ad una classe 0-2 tutti gli alti-i. Per quanto si è detto sopra, la ripartizione (OjCa) sarà una ripartizione di Dedekind. Designando con e il numero reale corrispondente definiremo le potenze irrazionali dei numeri positivi col porre Questa definizione vale evidentemfute anche nel caso di h r;izionale. Indicando sempre con a un numero reale !:>• 1 e con e un numr-ro positivo qualunque, si attribuiscano i numeri razionali ad una classe Bj se è a'^i e . La ripartizione (BiB^) sarà una ripartizione di Dede- kind e posto ?>E(BiB.2), per quanto è stato detto sopra, si avrà 11 numero b coi-rispondente alla ripartizione (BiB^) testé definita è dunque il logaritmo di e nel sistema, che ha per base a. 11. — Dei numeri irrazionali nella teoria delle mi- snre. — Accennerò qui di volo come, secondo il concetto di Dedekind, i numeri irrazionali debbano introdursi nella teoria delle misure. Se due lunghezze L ed l non sono commensurabili, si dirà che la misura di L riferita ad / come unità di misura è il numero irrazionale a ~ (A^Aa), (-74) [4-] P che si ottiene attribuendo ogni numero razionale — ad una classe A| ovvero ad una classe A-j secondo che la q."'""* parte di l sta in L un numero di volte minore o mag- giore di p. :4:!] (-75) PARTE SECONDA Postulato di Dedekind. — Teoremi fondamentali sui gruppi e sulle successioni di numeri. 12. — Rappresentazione geoìnetrica dei ni f meri reali. Postulato di Dedekind. — Stabilita sopra una retta una origine 0 ed una direzione positiva e scelti ad arbitrio una unità di lunghezza ed un punto P della retta, se si attribuisce alla lunghezza OP un segno, riguardandola come positiva o come negativa secondo che la direzione OP coincide colla direzione positiva della retta o colla opposta, ad ogni puuto P corrisponde (n.° 11) uno ed un solo numero reale p , che misura la lunghezza OP. Reci- procamente, scelto ad arbitrio un numero reale p , esiste sempre sulla retta u]i punto P tale che il segmento OP, tenuto conto anche della sua direzione, abbia per misura il numero p ? Se il numero p è razionale, a questa do- manda si risponde affermativamente fondandosi sul postu- lato della divisibilità indefinita dei segmenti rettilinei. Per rispondere affermativamente anche se il numero proposto è un numero irrazionale qualunque, conviene ammettere un postulato introdotto da Dedekind e che letteralmente tradotto suona come segue «"c Se tutti i punti della retta vengono ripartiti in due » classi per guisa che ogni punto della prima classe si » trovi a sinistra di ogni punto della seconda classe, esiste » uno ed un solo punto, che produce questa ripartizione » di tutti i punti in due classi, questa divisione della retta » in due paiti. » T. IV, ò'. VII 18 (27C) ^ [44] Stabilito questo postulato, sia p ^ (P1P-2) un nu- mero reale qualunque. E dapprima evidente che i punti, che corrispondono ai numeri razionali Pi. sono a sinistra di tutti quelli, che corrispondono ai numeri P-i . Se poi i punti della retta si attribuiscono ad una classe Qi , le quante volte abbiano alla loro destra dei punti corrispondenti a dei numeri Pi e ad una classe Q-2 in ogni altro caso, la ripartizione (Q1Q-2) dei punti della retta è di quelle consi- derate nel postulato di Dedekiiul, e quindi esiste un punto P, che separa i punti Q,| dai punti Qw2 per ,^^uisa che ogni punto a sinistra di P è un punto Qi ed ogni punto alla sua destra è un punto Q-j, Pei- conseguenza tutti i numeri razionali Pj sono rappresentati da punti situati alla sini- stra di Pj e tutti i numeri razionali Pa da punti situati alla sua destra 0 dal punto 1* stesso, se il numero p è razionale, e questo numero misura in ogni caso il segmento OP. Ammesso dunque il postulato di Dedekind, non sol- tanto ad ogni punto P della i-etta corrisponde un numero p, che dà in lunghezza e dire/ione il segmento OP, ma ad ogni numero reale p corrisponde un punto P tale, che il segmento OP è dato in lunghezza e direzione dal numero p. Si ha cosi una l'appresentazione dei numeri reali sulla retta, per la quale ad ogni punto della retta corrisponde uno ed un solo numero reale, e ad ogni nu- mero reale uno ed un solo punto della retta. 13. — G?'uppi di numeri. Numeri limiti. Gruppi derivali. — Più numeri reali considerati insieme costi- tuiscono un gruppo ; il quale si dice finito se gli elementi, clie lo costituiscono sono in numero finito; infinito invece se è definito mediante una legge, che permetta di deter- minare sempre nuovi numeri del gruppo, per quanto sia grande il numero di quelli già determinati. Si chiama numero limite di un gruppo infinito G ogni numero p I.l-Vl (-77) tale che. per (juanto siano piccoli i iiiimori £ ed e', i nu- meri (li 0 compresi tra p — e e p -f- e'' costituiscono an- cora un gruppo infinito. Supponiamo ora che i numeri appartenenti ad un gruppo infinito G siano tutti compresi tra due numeri a e ì) '>-(!. Se si considera un numero razionale e compreso tra (I e h, potrà darsi o che i numeri di G compresi tra a e e siano in numero Unito o che costituiscano ancora un gruppo infinito. Se attribuiamo il numero e nel primo caso ad una classe Pi e nel secondo caso ad una classe V^ , la ripartizione (PiP-j) debitamente completata è una riparti- zione di Dèdekind e le corrisponde quindi un numero reale p compreso tra a eoe che può anche coincidere con uno di questi estremi. Se con t ed sf si rappresentano dei nu- meri positivi piccoli quanto si vuole: 1" se p coincide con a, tra a ed a-]-' esistono sempre dei numeri razionali della classe P-i e quindi i numeri di G compresi in questo intervallo costituiscono ancora un gruppo infinito : 2" se p coincide con h , tra n eh — s si trova un numero finito di numeri del gruppo G, perché tra h — e e h vi sono sempre dei numeri razionali della classe l'i. e quindi i nu- meri di G compresi tra h — z e b costituiscono ancora un gruppo infinito : 3° se p è compreso tra a e h , poiché tra p — £ e p vi sono sempre dei numeri razionali della classe Pi e tra p e p -\- z' dei numeri razionali della classe Po, i numeri di G compresi tra a e p — £ costituiscono un numero finito, e quelli compresi tra a ep-\-B' un gruppo infinito. Dunque anche i numeri di G compresi tra p — £ e p -\- e costituiscono un gruppo infinito. In ogni caso dunque il numero p è un numero limite pel gruppo G e non si ha alcun numero limite minore di p. Se è p-<.h e, con £ rappresentando ancora un numero positivo piccolo quanto si vuole, i numeri di (\ compresi tra p-\-t e h costituiscono ancora un gruppo infinito, nello stesso inter- vallo si troverà ancora un numero limite di G come, per (278) [4(>J quanto e sia piccolo, se ne potranno sempre trovare altri tra p e p-|-£. Dunque « Per ogni gruppo infinito di numeri esiste sempre » almeno un numero limite. Tutti i numeri limiti relativi » ad un gruppo infinito G possono anche costituire un » gruppo infinito. » 14. — Limiti superiore ed inferiore di un gruppo infinito di numeri. — Se si ha un gruppo infinito di nu- meri G, e si sceglie ad arbitrio un numero positivo A, può accadere che, per quanto A sia stato scelto grande, esi- stano sempre numeri di G maggiori di A. Si dice allora che il gruppo G ha per limite superiore Vinfìnito. Se un gruppo infinito di numeri G non ha per limite superiore l'infinito, ed un numero razionale scelto ad arbi- trio si attribuisce ad una classe Li o ad una classe h^ , se- condo che esistono o non esistono numeri di G maggiori di esso, la ripartizione (L^L-o) è una ripartizione di Dedekind. Indicando con L il numero reale corrispondente e con s un numero positivo piccolo a piacere, poiché tra L — t ed L esistono sempre dei numeri razionali, i quali, per essere minori di L. appartengono alla classe Li , esiste sempre un numero di G maggiore di L — £, mentre, per una ragione analoga, non esistono numeri G maggiori di L. Se il nu- mero L appartiene al gruppo G, esso ne è dunque il mas- simo. Se L non appartiene a G e con z si indica ancora un numero positivo, che si può prendere piccolo ad ai-bi- trio, per quanto piccolo sia £ , esiste sempre un numero di G compreso tra L — £ ed L, e questo non potendo co- incidere con L, se si fa decrescere £, risulta evidente che in un intervallo da L — £ ad L, per quanto £ sia piccohi, purché ■> 0 . i numeri di G costituiscono ancora un gruppo infinito e però L è un numero limite del gruppo G. Con- cludiamo che « Se un gruppo infinito di numeri G non ha per li- [17] C^TO) » mito .sup!>riore rinliiiilo, oliste sempre un lunnoro L, che » 0 è il massimo tra i numeri di (i . od è un numero li- » mite del gruppo stesso maggior*' di tutti i numeri del » gruppo. In ogni caso il numero L si chiama limite su- » perìoye del gruppo G. » Si dice che un gruppo intinito di numeri (r ha per limite inferiore l'infinito (negativo) tutte le volte che, scelto ad arhiti'io un numero negativo A , esistono sempre dei numeri di (i minori (algebricamente) di A, per quanto grande sia il valore assoluto di A. Con considerazioni del tutto simili a quelle svolte per dimostrare 1' esistenza del limite superiore si dimostra pure che « Se un gruppo intinito di numeri G non ha per li- » mite inferiore 1" intinito, esiste sempre un numero / che, » 0 è il minimo tra i numeri di G , od è un numero li- » mite pel gruppo stesso minore di tutti i numeri del » gruppo. In ogni caso il nnmero / si chiama limite in- » feriore del gruppi^ G. » 15. — S'ìicressioni in finite di numeri e loro liìinti. — Quando la leggo, che presiede alla determinazione dogli elementi di un gruppo di nu;nei-i, stabilisce anche l'oiuline, con cui questi debbono concepirsi determinati, si ha un gruppo ordinato o più brevemente una successione di nu- meri. Noi designeremo qui più specialmente con questo nome le successioni intinito, delle quali soltanto avremo ad occuparci. Una successione si distingue da un gruppo infinito non ordinato di numeri anche per la ragione che, mentre in questi non è il caso di occuparsi del fatto che uno stesso numero vi sia o no ripetuto, in una successione uno stesso elemento può essere ripetuto un nnmero qualunque di volte. Vi sono anzi delle successioni, in cui tutti gli elementi sono eguali fra di loro, e che per ciò si dicono costanti ; e, in generale, può darsi che, per quanto si avanzi nel (280) [48] considerare ordinatamente gli elementi di una successione, se ne trovino sempre alcuni eguali ad un certo numero, il quale si dirà ripetuto infinite volle nella successione. Si dice che una successione tj ha un limite Anito e determinato A se, rappresentando con s un numero po- sitivo qualunque, per quanto questo numero si scelga pic- colo, esiste sempre nella successione un numero Hq tale che tutti i numeri y , che vengono dopo ad i/a , soddisfanno alla disuguaglianza a) I y — A I <; £ , rappresentandosi, al solito, con | a | il valore assoluto di un numero qualunqne a. Da questa definizione risulta facilmente che se una successione y ha un limite finito A , per quanto si scelga piccolo un numero positivo s, esiste sempre nella succes- sione un numero ?/o tale che, indicando con y^ ed y^ì due elementi della successione, che vengono dopo ad ijq e del resto qualunque, si ha «0 I !/i — IJ-i I ^ £. Ammettiamo reciprocamente che per una data succes- sione y , scelto un numero e > o ma piccolo a piacere, esista sempre nella successione un numero yo tale che la diseguaglianza (a^) sia soddisfatta ponendo per y^ ed y^ , due elementi qualunque di y successivi ad //„. E allora chiaro che non possono esistere due distinti numeri ra- zionali a e b'>-a tali che tra gli elementi di y successivi ad un certo elemento t/o , per quanto questo si prenda avanti nella successione, ve ne siano sempre alcuni mag- gioi'i ed altri minori tanto di a qiuxnto di b . poiché di- versamente la disuguaglia {ex.') non potrelibe essere soddi- sfatta, contrariamente alla ipotesi, per s <. ?> — a. Dunque la ripartizione (AiA-2) , che si ottiene attribuendo ad una [!!)] (-SI) classe A| tutti i nuinei'i razionali Ai , })er cui nella suc- cessione y esiste un elemento ^„ tale che tutti i valori di y successivi ad //„ sono maggiori di Ai , ad una classe \.y tutti quei numeri razionali A-j , j)ei- cui esiste nella successione y un elemento i/„ tale che, tutti gli elementi di y successivi ad //„ sono minori di A-j , ed ai-bitraria- mente all'una od all'altra classe quel numero razionale A , se esiste, che non soddisfa né all' una né all'altra condi- zione, è una ripartizione di Dedekind, alla quale in que- st'ultimo caso corrisponde il numero A. Designando in ogni caso con A il numero reale, che corrisponde a questa ripartizione, poiché, se si designa ancora con z un nu- mero "!> 0 e del resto arbitrario, per quanto piccolo si scelga £ , tra A — £ ed A e tra A ed A -{- £ vi sono sempre dei numeri i-azionali appartenenti rispettivamente alle classi Al ed Ao , esisterà sempre nella successione y un nume- ro lJ^) tale che gli elementi di y successivi ad //o sono compresi tra A — £ ed A -f- £ , cioè soddisfanno alia disu- guaglianza (a). La successione y ha dunque per limite il numero reale A. Questa dimostrazione del noto teorema fondamentale sulla conilizione necessaria e sufficiente perchè una suc- cessione di numeri reali abbia un limite finito e deter- minato si trova nel citato opuscolo di Dedekind. LE FUNZIONI DI IPERSPAZII IsTOT A. DI C 0 R N E L I A FARRI 1. In una Nota, che ebbi l'onore di presentare al- l' Accademia delle .scienze di Torino (*), presi a studiare una classe speciale di funzioni di linee; ed accennai come funzioni con analoghe proprietà potevano trovarsi fra le funzioni di iperspazio Ora mi propongo di esporre alcuni risultati, ottenuti nello studio di queste funzioni. Siano CCi CCn i parametri, che individuano un punto dello s})azio ^n ad V: dimensioni ; le equazioni di una forma Sr ad r diineu- sioni immersa in esso, ))Ossono esi)rimersi con sch ^= och {ih , ^h • ■ • '^*r)^2i' h = \ , 2 . . . 7} (1) o\c le Ui , U2 . . . Ur sono r variabili iiidipcndcini. (1) Voi. XXV, Disp. 13.» 1889-90. (•^84) [2] Sia p(ji cp I [S^ ] I una funzione degli iperspazi! S^ e denotiamo con ^c^^, q^. ■ . q i coseni di direzione dell'iper- spazio Sr nel punto s^ . La derivata i)rinia di 9 nella di- rezione oci può essere rappresentata con (i) rpV == :S,^ Xry^ . g^ . . . ry^ , i CCcj^ , .^^ . . . ,^^ , (2) ove Iiq indica una somma estesa a tutte le combinazioni che possono aversi degli n — 1 indici qi, fp2. .. qi-i, qii-i-. . qn , prendendone r ogni volta, e le quantità indicate con ^q , q . . . q , i dipendono, oltre che dall' iperspazio Sr che si considera, anche dalle C(jor(linate x^ , x^ • • ■ oCn del punto Si deli' iperspazio stesso nel (|uale è calcolata la derivata ; per cui potremo scrivere : \ ' %■■■ 'Ir ' *■ = ^^ I \-^r , Xi , x^2 . . . J?«] I ; q^...q^,i ma, per maggiore semplicità, adopereremo la notazione X I [S,. , 8il I . (3) q^...q^,i Quando le funzioni (3) sono indipendenti da S^ , ossia sono unicamente funzioni delle cooi-dinate X{ . . . Xn del punto Si abbiamo : {^) 9 I [Sr] I =-f\^Aq^...q^^^h,---'J^._^dSr+l , K+1 (1) Vedi Volterra: «Delle variabili compiesse nef/li ipei's-pazii.» Accad. dei Lincei, voi. V, fase. 3-4. 1889. (2) Vedi Volterra, nota citata. ove ^r+l "' 111' il"M's[.a/.i() :i(l /'-fi diiiKMisioiii elio l)a pei' (•oiiloriio r i[)('i'sj)a/i() S,. , }ì^fj indica una .somma estesa a tutte le eoml>ina/ioni che possono aversi (la<^ii n indici Vi ' '/> • • • Hn in-endendone y-f- 1 oi^iii volta, le A7 ...q sono le t'uii/ioni (M) neir ipotesi v\\v siano indipendenti da S,. e le [j^y ...^ sono i coseni di direzione di Sr-|-i. Poniamo h V-fl V-P2 ^n avremo : , I is,.:i 1 =jr,p.,.,_._^^,....,^.(i',^_^^..,,,. <;s.+..(4) s ;• + ! ov(> ^'^ denota una somma estesa a tutte le combina- zioni clu^ possono a\"ei'si daj^li v indici qi...qn prenden- done il — r — I ogni volta (i). E evidente, per- una nota pi-opi'ietà delle combinazioni, che le somme 'Età e "E'q avranno egual numero di termini. Ogni funzione cp I f S^] I che può esprimei'si mediante la (4) è stata chia- mata funzione di primo grado degli iperspazii S^ (-). 2. Dalla [2], c()nsiderando '/.,-. funzione di S,. , pos- siamo calcolare, nel [)unto .so di S,. , la derivata di ■/.>•_ nella direzione a)k . Questa nuova (juantità. che denominiamo derivata seconda di a> nelle direzioni iiv ed Xi- ed indi- I (1) Dalla formola (4) ponendo n = 3 , r=l. xi m .r . xo = .'/ , * rs rr ; ottoniamo la nota espressione dello funzioni di linee di I.° irrado '■f I l^J I I = r I [l'J I ^ I (i>x (;os nx-\-jiy cos ìttj 4-i>t cos ÌÌZ-) ) si annullino per S,. == (J ^ in consegtu'iiza dtdla ipotesi fatta sulle funzioni hj . . .a . i: f . . .t , k , h ■'r 1 r ' ' possiamo applicai'c alla (.')) la formola (4); abbiamo cosi: \---\.'i= (6) = i 1,'tPx'q , ..X\. yC\.,y.x'q \ x" t ,..x"t B'/ ..t ClS . , ì ^r+1 « —1 '+1 ^n r+2 n^ r+2 n r+l Manteniamo fisso il punto s'i e conducianK» per esso un i[)erspa/io S',. infinitamente vicino ad S^ ; indicando con a^-|-i un iperspazio ad >'-|-l dimensioni che abbia i)er contorno vS ed S^ <■' ^'on Ya . . . u i suoi coseni di . . . ^ '■ + * dii'ezione si ha : ?|[S,-]l-^|[^V|i=/Ì/..à>:",r/S, S ^ r e [lassando al limite per S^ =0, col supporre lini '^ I |S',,| 1=0, tenemlo jtresente la (6), si ottiene: s r + l =1 f /'-'? T'y ••'/ :S'^ P-r'ry ..X'rj : x"t ,---T"t 2J f V + l'^1 r + l r + 2 ^n r + 2 t s s r+l r+l (-SS) [r,] 1 /' ^J ,f ^ ' V + 2 ^n ' ' r + 2 n S S r+l r+1 ove, come precedentemente, S^^ e S^^ indicano rispettiva- mente somme estese alle combinazioni che possono aversi dagli indici qi . . . q„ ; h ...tu prendendone n — r — 1 oji'ni volta, e r\/ . . . a =Yq . . . 0 , ?yf . . .t =^t . . . l ' V + 2 ^n '^1 V+1 r + 2 « ' 1 r+l 3. Se S^_|_i è un iperspazio chiuso, dalla (0) abbiamo: e, per la estensione data dal prof. Volterra al teorema di Stokes, questa relazione si trasforma nell' altra : f :^'t''fs{-\Y-''^l^x'g..x'rj : X"ix"t..x"t7ft..t d^ ^ =0, 'j^ 1 dx't r+2 » » r+3 '* r+Z^ '^^ ■ r+2 (love le a sono i coseni di direzione dell'iperspazio aperto S,._|.2 cbe ha per contorno 8^4.1. Di qui segue Uh1)«-^ t4- ^-^''1 ■ ■ • -^'9 ; -^"t '^"t • • • ^"^ = ^^ (8) 1 ^ dx"t r+2 ^n ' s r+^ n ^ ' e mutando Si in .s^ si ha : 'Éì— 1)^-1 -^ Pa'^v j-^,. . . . x'q : x"t ... x"t = 0 . m L7J (-S!)) ti. (n-ì) . (^'-I-''') Lo equazioni (S) conio piii-o lo (/ olonionti, pi-ciidcndono n — y— 1 o^ni volta. In modo identico a (juollo (dio ho adoperato por le fun- zioni di lineo (') può Nci-iticarsi (dio il \al()ro doH'inteiii-ale doppi(», (dio si 1ro\a md secondo momhi'o della (7), (jiiando ([uogli integrali sono estesi a duo iiìorspazii differenti S'^^.i ed S'V + i anziché ad uno stesso, dipende unicamente dai contorni S^^ od S"^ (Ud due iperspazii : por cui. rappresen- tando i)er semplicità con VJtPi la (juantità situata sotto il segno 1 / nella (7), si ha : s s r+l r+l l f />.{P|r/s;+i.,/S''^, = i.|[S;sM La funziono '\> risulta di primo grado tanto in S',, (guanto in S"r : resta invariata poi-mutando fra loro S''^ ed S"^, si annulla per S^^ od S"^ eguali a zero, 0 coincido con --P I [S/| I per S'^ = vS"^ = S,. . So (]uindi S'^ od S"^ hanno una parie S/'" comuìio la (juale abbia direziono o[)posta, secondo che si considera appartenere ad S^^ od a S",, sarà: *" S' 4-S'" 'S' 4-S'"r S' S' S' S" r+l .+1 ,-+1 ;+l (l) Vedi la mia Nota precedentemonte citata. (•>!)()) [8] i /' fY^^]d^"^,.cì^", +] S" S" ,4-1 rfl =:cp||s;]i+->'i.|[s;s"j|+cp|[SM|. Inversamente poi se, data una funzione 9l[S,.]|=^|[S,..S.]|, la ']^ I [S''^ S",.] I è (li primo grado in S'^ ed in S'V, allora la cp I [S^] I può e.sprimersi mediante la (7) . Ogni funzione d'iperspazii, che goda delle proprietà sopra esposte, si dirà (analogamente a quanto è stato fatto per le funzioni di linee) una funzione di secondo grado ; mentre poi diremo in t.-enerale di grado n una funzione cp|[S,]i=^l[S,...S,]| allorquando la funzione '} | [S^S'V • • • ^^"^] | (rappresen- tando S^^ . . . S^ n iperspazii diversi fra loro, ma tutti ad r dimensioni) sia di primo grado in ciascuno degli iper- spazii S^r\ji = 1 , '■•• n) ' 4. Derivata m'^^'""'' di cp | [S.^.] | , calcolata nelle di- rezioni Xi . . . jci , si dirà ({uella funzione cp^^'') | [S,.] | che j^i . . . oc'i I m l'isulta derivando la cp | [S^] | nella direzione xi , indi de- l'ivando ({uesta derivata priìna nella direzione xi , di poi derivando la funzione così ottenuta nella direzione xi , e 3 cosi di seguito. Se, dopo aver eseguito ogni derivazione, sostituiamo alle derivate prime delle X i loro valori espressi con formola analoga alla (2), non è difficile vedere che l)er le derivate m"'"^ .si lia (m) (tu \ 1 111 \ 'r 1 r ' ' \ 'r ' \ 'r m ove le a(.s7,) sono i coseni di dii-ezione di S,. nel qOi) . . . (jOÒ punto Sj^ ned ([iiale è stata calcolala la deri\ala 1.* di cp I [S^s-, . . ..s'/, _i| I nella direzione .Xi . Le t'niizioiii À cli(> iì'i . . . J-i 1 /v-l si trovano nel secondo mendn'o (Kdla espi-essione prece- derne dipendono, al pari della cp("'), dalle (coordinate dei punti Si . . . s,„ e dall' ijìerspazio S,. , Supponiamo ora che le X siano indijìendenti da S^ e poniamo : À (Ni . . . .s„,) = = P;//. . . j/ y. . . ./ : ... : ;rO«). . . ./•("') ./("') . . . .K"') : ';•+! l 1 ^n ^r-f-l «; «< in denotando con a'\.' le cooi'dinate d(d punto .s'/, . per una nota proprietà delle funzioni di iperspazi i. le P resteranno invariate, permutando fra loro i^li ni gruppi d" indici che possiedono. In (|ue.sta ipotesi, la funzione cp | [S^] | può e.sprimersi mediante un integrale esteso m volte ad un iperspazio S^^i che abbia jxh' contorno S^ , nel modo se- guente : -fi [VII- on ove le a'(.sj =^a(.s^) sono i coseni di direzione di S^^i . La dimostrazione di questa fornu)la ciiuic quidla della esistenza dei m\ sistemi di e(iuazioni differenziali V. IV, S. VII lU (292) [!<>] r4-2 ri y^i\\s-iJL_^j.\ . ^^ .... ; ^(i),^#) . . xi^) ; . . ; ^W. . a;W=:0 1 dx'^^) Al) fAl) ^.(h) ^.(AO A^ An>) Am) 'à (10) essendo perfettamente analoghe a quelle date per le fun- zioni di linee, credo superfluo espo/la. Il numero delle e(|uazi()ni (10) appartenenti ad ogni sistema è Cn(n— 1). . . (r -f 2)i('«-i) \ {n — r—\y. ] per cui il numero totale delle equazioni diff"erenziali, alle quali devono soddisfare le P, sarà (n— l)...(r + 2))("'-i) {n — r— 1) ! 5. Ogni funzione d' ii)erspazii, (juando può esprimersi mediante la (9), possiede le seguenti proprietà : 1.° Quando, nel secondo membro della (9), gl'integrali sono estesi ad m iperspazii diversi S,^-+i ... 8^4.1, il valore di quel secondo meml)ro dipende solo dagli iperspazii s!-^^ . . . Sr^ che costituiscono il contorno di Sl'li . . . s!4.\ ; quindi la cp è una funzione ^ ] [Sl^^ . . S?')] ] di S^'^ . . St'"^ . 2.° Essa è funzione di primo grado rispetto a ciascuna delle Sl^^ . . . S!."'^ ; è di 2.° grado in S?, se ^f coincide con S!f^ ; di :i° grado, se ^f coincide con si-'^^ ed S^^'^ e così di seguito. 8.° Coincide con '^ i | ;S/| | (quando le Sj.^^ . . . S?^ coin- cidono fra lo]-o. 4.° Se SV ed S'V sono due iperspazi che hanno una por- zione S,. comune, di direzione o})posta secondo che si con- [li] (•><):{) sidei'a apparleiiei'c ad S',. o ad S'V, indicaiiilo <;()ii \'„i\\^\ l'espressione che si trova sotto 1' iiite^rah' multiplo india (i*) divisa per 7ti ! si ha Cp I [SV+ ^M ! =f ■'■■ /r^«411 ^^^'r . . . '^^"r = r= 0 r , Vi —r ove ?;^ è il coefficiente hiiiomiale, e '\ir,,n-r i-appi-eseiiia la 'li ([iiando )■ degli iperspazii da cui dipende coincidono (;on S/ e gli altri con S/'. La funzione cp è (luiiuli di grado dì . Invei-saniente poi può dimostrarsi che ogni funzione di grado dì è es[)i'inn- hile mediante la (9) . (i. La i-icei'ca d(dle condizioni necessarie e suflicienti per la sviluppa])ilità di una funzione d' iperspazii in serie ordinata per funzioni di 1", 2*^ jjjesimo g^-^do non presenta alcuna difficolta e conduce a risultati identici in tutto a (luelli ottenuti per le funzioni di linee. 7. Prima di porre termine a (questi brevi cenni sulle funzioni di iperspazii, esporrò una })roprietà delle funzioni di linee, della quale può trovarsi la corrispondente per le funzioni d' iperspazii. Sia -^ I [L] I = 'H [LL] I una funzione di 2° grado di linee ; avi-emo •\, I [L] I = i (Al cos nx -f- Bi cos rnj 4- C'icos 9}iz)chi= a 1 r(A2 cos noe ~\- Bi cos ^?//-|-(^cosy?o z)ch.> , 2 " 2 " ' (294) ' [12] ove ai e a^ sono due superfìci che hanno per contorno Li ed L^ ; Ai, Bi , Ci sono funzioni di 1° grado in L^ ed A-i , B.2 , C", sono funzioni di 1° grado in Lj . Poti'emo quin- di porre (•) Ai= / n'irla -{-«2'^|/2-|-«3r^j2; Bi= | ì)idoo-2-\-h2dy^2-{-^d (f-^^ì'^i \ ' ' \ ' ' ' Ci= j cidù%2 -\- c^cly^i -f- C3r/j.2 • \ con «1 , a.2 , «3 , b [ , h^ , b^ , C[ , c^ , c-ì convenienti fun- zioni di punti, quindi '\) I [LjLj] I = / dx-2 I {ciicos ìi i;v -{- bicosnyij -\- e icos fi iz) dai L a 2 1 -)- / dy2 j {a^cos nyx -\- &2COS yi^y -\- c^cos yiiz) dai L a 2 1 + / f^-2 / («3COS ^Zi^-f-^acos ym) -|- C3C0s??i j) rfai . L a 2 1 Siccome poi le quantità I («icos niO/'-j-^iCOs n^y -\- Cicos n^z) dai 5 I («-2COS ni^ -|- &2COS n^y -\- c^cos ni;?) dai a I («3C0.S nii3; -|- ^3t;os ?^i?/-|-C3C0.s n^^z) dai ; (1) Vedi Volterra. « Sopra le funzioni dipendenti da linee. Acc. dei Lincei voi. Ili, fase. 9-10. [1-] (295) sono run/ioiii (li 1" ^rado in L, avremo: / {aiC0sniX-\-h.2C0snii/-\-Ci>CA)sn^z)(hi= j p2dXi-\-rj.2(fyi-\-ìYlzi , j {a'iCOs7iiX-{-b,iCosììiy-\-CiCO>>ìiiz)dc!i= j pidXi-^q^dyi-j-r-idZi . laonde ^ I [LiL-i] \ = f j {Pxdx-jdXy -}- qydx-idiji -\- ì\dXidz^ + p-ìdij-idx^ + (j^dij^di/i + ìvfy^dz, + Pidz^dx.-^-qidZidy^ -\- r-idzidzy) , 9 I [IO I vindo al limite })ei' L, = L» := L si ha: 1 1 / ^ f*PidXzdXi -{- qidx^dy, -\- r.dx^dz, 7^1 I -\-P^dy4x,^fhdliodij^-^ì\dyidz^ ~ f f -\-Pidz^dXi-^(i-^dz.dy,-\-r:idzzdz^ e questa è la formula che volevamo dimostrar-e. Se cp j [L] I é una funzione di ij-rado m , con un me- todo identico a (luello ora esposto, può dimostrarsi la foi'mola 'f I M 1 = ~ "■ hùp Usdxi^. n.r///,;,. ì[. dzi^, in cui le }> sono convenienti funzioni di punii. FEROLE DETTE DAL PREFETTO DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI S. MARCO C. CASTELLANI QUANDO IL K. ISTITl TO 1)1 SCIENZE, LETTERE ED ARTI INAUGURAVA NEL PANTHEON VENETO ;-27 Noi- L'I, ih re 189 -2) IL BUSTO DELL' AB. JACOPO iMORELLI — .^ -^^ ^>— ^^ — Sigìior Presidente, Signore e Signori, La biblioteca, che ho l' onore di dirigere, credette essere suo dovere il far si clic il Pantheon veneto in ([uesto palazzo ducale accogliesse il busto di Jacoi)o Morelli, cioè di Colui che, avendo retta la biblioteca })er oltre a quarant' anni, la illustrò con le dotte sue opere e, morendo, r arricchì della preziosa sua libreria privata: Deliberò dunque di fare eseguire a proprie spese il busto del Mo- relli da essere offerto al R. Istituto di scienze, lettere ed arti, percliè fosse collocato nel Pantheon affidato itile sue cure ; e r Istituto, per mezzo della (ìiunta a ciò deputata, con mirabile sollecitudim» accolse l'offerta. Cosi oggi, dopo quasi settant' anni . dalhi morte del mio illustre predecessore, ([uesia liiblioteca sci(jglie un debito di riconoscenza, e Ye- iiczia (■<)ii (lecoi'oso monumento ricorda i meriti e le virtù d" uno d(M pili sapienti suoi tigli. (21)8) [2] Non è mio proposito, o Signori, riandare in quest'oc- casione la vita, ne tessere innanzi a Voi 1' elogio del Mo- relli ; ben note sono le numerose sue opere e la sua fama troppo alto risuona per tutto il mondo civile, perchè abbiso- gni d'essere ravvivata dalle mie parole (i). A me basterà ri- cordare quali e quanti sieno i meriti suoi verso la Ijiblioteca nostra, e accennare agli altri suoi principali titoli all'onore che oggi gli è tributato. Jacopo Morelli potè ben dire d' essere stato maestro a sé stesso. Nato nel 1745 in Venezia da umili genitori {^), non ebbe il vantaggio di percorrere un regolare corso di studi. Vestito ancor giovinetto l'abito ecclesiastico, frequentò da ì)rincipio le scuole dei Domenicani, volgarmente detti (1) Sono a consultare sul Morelli principalmente le opere seguenti: Narrazione intorno alla vita e alle opere di D. Jacopo Morelli, scritta dall'ab. Giannantonio Moschini, premessa alla Raccolta delle operette del Morelli stesso, pvibblicata per cura di Bartolomeo Gamba, Venezia Alvisopoli, 1820, voi. 3 in 8° ; Elogio di Jacopo Morelli, composto dal- l'ab. Angelo Zendrini, Milano r. tipografia, 1822 in 4.*^ Cenni biogra- fici sono nella Biografia degV Italiani illustri per cura di Emilio de Tipaldo, Venezia 1835, voi. 2.°, p. 481 seg. ; e nella Nouvelle Biogra- phie generale, articolo Ginguené ; nella Serie di inte e ritratti di famosi personaggi, Milano Battelli e Fanfani, 1818, t. 2" (è il ritratto n. 56); nella Galleria di letterati e artisti illustri delle Provincie venete, edit. B. Gamba, t. 2°, 1824; anche è il ritratto con cenno biografico nel Bi- bliographical Decameron del Dibdin, London 1818, t. IV. L' orazione funebre fu recitata nelle esequie in San Marco il 28 maggio 1819 dal- l'abate Pietro Bettio, Venezia Alvisopoli, 1819. Nei Ritratti scritti da Isabella Teotochi Albrizzi, 3^ edizione, 1816, la persona del Morelli (ritratto IV) è cosi descritta : « (ìrave ('• la sua fisonomia ; il volto un poco proteso innanzi ; gli occhi neri e scintillanti ; il tergo ahjuanto curvo; l'andare frettoloso, come di chi sia sollecito del suo tempo. » (2) Di Pietro Antonio Morelli e Caterina Bonvicini. Il padri' era maestro muratore, nativo di Lugano, il che indusse l'Oldelli a compren- dere il figlio Jacopo, nato e morto in Vimezia, nel suo Dizionario sto- rico del Cantoiit' Ticino. Fu beneficiato della demolita chiesa di San Geminiano, (^ mori in parrocchia di S. Marco, Coorte dei Preti, n. 4060. « Dal libro dei morti della R. Basilica di S, Marco. » [:q (291)) (Icsiiati, alle Zait(M-(>: ma. itorlato da un ai'ilfMifc dcsidci-ii) d' apprendere, ti'ovaiido insuliii-ieiili i;li studi, ai'idi i metodi (T insegnamento ([ui\i allora in vigore {'), si diede jter tempo ad attini;-ere nelle biblioteche alle fonti dell' istru- zione e, cercando in pari tempo chi potesse essergli lume e guida in (pielli studi a cui si sentiva naturalmente incli- nato, ebbe la fortuna d'a\ vicinare nello stesso convento dei Gesuati quell'oracolo del sapere, ch'era il Padre Bernardo Maria De Rubeis ("^). Questi, lieto di trovare finalmente chi lo volesse seguire nella sua via, gli comunica i tesori della sua vasta erudizione e gli concede lil)ero accesso a (juella biblioteca Zeniana, che ivi allora si custodiva, accogliendo i libri e gli scritti del grande letterato ed erudito, Apostolo Zeno. E ben presto lo spirito dello Zeno parve conu' se si trasfondesse nel giovine Morelli. Con feblirile ahicrità esamina gli studi del grande maestro, consulta i codici , altri ne trascrive , altri ne collaziona, si rende ragione delle età delle scritture, ricerca quali sieno edite e (1) Non mancavano allora in quel convento uomini scienziati, come (ìiambattista Contarini, noto per gli Anecdota Veneta, Venetiis, 1757 ; i duo Concina, Daniele e Nicola, teologo l'uno, filosofo l'altro ; il Patuz/i, l)iii noto sotto il nome di Eusebio Eraniste ; Antonio Valsecchi e qual- cun altro ; ma, dati i piii di costoro a controversie teologiche o filoso- fiche o ad esercitazioni retoriche, non erano atti ad educare un ingegno come quello del Morelli ; talché pareva che il ca'npo della soda dottrina fossi^ ivi abljandonato. E, di fatto, si narra che il De Rubeis, loro cor- religionario, ma molto diverso da loro, volgendosi ai libri che Apostolo Zeno aveva lasciati a quel convento, esclamasse : « il vostro padrone fu un gran buon uomo a lasciarvi a noi, jierché ninno vi leggesse. » (2) Gli fu occasione l'avere potuto acquistare a vile prezzo due vo- lumi manoscritti, contenenti le Lettere latine di Francesco Barl)aro. Mostrò quei volumi al De Rubeis, e questi lo consigliò a confroiilarli rmi la edizione delle lettere del Barbaro, che aveva datito l'asportare o il permettere che altri asportino fuori della Libra- ria alcun libro che vi esistesse sotto le pene da pubblici decreti dichia- rate. E sarà inoltre tenuto ad aprire la Libraria nei giorni stabiliti, ac- ciocché resti sempre pronto il comodo a studenti d' approffittarne et a forestieri di appagare la propria curiosità. « Sarà pure obbligato ad eseguire con tutta puatualitii (juanto por giornata troverà conveniente l' Ecc.mo Bibliotecario d' imponergli per il miglior servizio e decoro della Biblioteca. « Confidiamo però, che dalla diligenza, abilitii e fede sua sarà intie- ramente supplito alle parti del pubblico servizio, coru'è di singoiar nostra premura. [7] (:^o:>.) C'irli ahhi'acciasso il ini<)\() uflicio. Fatto ag^iiiiit;('i-(' alla biblioteca alcune salo, ((tticiic dai Pi'ocui'atori de Supi-a che vi sieno trasportati i 1ì1)im circraiK» uella stanza sulla facciata di San Marco presso i quattro cavalli, e dal Con- siglio dei Dieci i codici e le scritture letterarie che si con- servavano nel loro archivio e in (quello della Cancelleria segreta {^). Poi lo stesso Consiglio dei Dieci, avendo rico- nosciuto, per avvertimento del Morelli, i danni che jìati- vano le librerie monastiche per furti, per vendite o per- mute, promosse quello che oggidì direbbesi un' inchiesta, commettendo al bibliotecario soprintendente ; Ila publ)lica libreria, di far visitare quelle biblioteche, riferire sul loro stato e proporre i rimedi per impedire danni ulteriori ("^), Devoluto quest' ufficio al Morelli, come custode della li- l)reria, egli comj)ila di ciascuna biblioteca l'inventario, « E della presente pure dovrà esserne fatto Registro nella pub- blica Libraria, e dove occorresse, perchè resti in tutte le sue parti eseguita. « Piero Barbarigo Riforinator « Francesco Morosini Kav. Procurator Riforniator « Girolamo Grimani Riformator e Bibliotecario « David Marchesini Segretario. » (1) Le Note dei manoscritti trasferiti allora nella Marciana mo- strano la loro singolare importanza. Basterà citare i due volumi degli Actn veneta, docu-nenti autografi, che vanno dal 1123 al 1439. Il Mo- relli aggiunse airuno e all'altro volume V indice analitico del loro con- tenuto. (2) Alla Libreria pubblica presiedeva col titolo di bibliotecario uno di laMiiglia patrizia, scelto per lo pili tra persone amanti di studi : da prima a vita, poi nel 1775 il Gran Consiglio fece una legge che il bi- bliotecario non stesse in carica più di tre anni. Ma già V anno 1606 il Senato aveva decretato che alla custodia della biblioteca si deputasse un uomo di lettere, col titolo appunto di custode, il quale continuamente attendesse alla conservazione della suppellettile scientifica, alla compila- zione degli indici ed al pubblico servizio. La serie dei bibliotecari e dei custodi è nella citata Dissertazione storica del Morelli, p. LXXII-XCVI, il quale fu pur V ultimo che portasse il titolo di custode. (:>>()4) [SJ nota i C(j{lici manoscritti e i })iù })i'ezio.si libri .stampati ; quindi })re.senta agi' Inquisitori di Stato una relazione sulle condizioni delle biblioteche visitate, che è un solenne do- cumento della sua attività e della sua perizia bibliogra- fica (^). Il Consiglio dei Dieci, in corrispondenza alle proposte (1) Ma ecco questo documento importantissimo, non mai innanzi pubblicato : « 111.™' ed Eccell."' Signori Intpiisitori di Stato, « In obbedienza al comando veneratissin)o di Vostre Eccellenze mi sono portato io Don Giacomo Morelli, Custode della Libreria di S. Marco, alle principali librerie dei Regolari di questa Città, per riconoscervi e prendere in nota tutto quello che in esse vi è di più raro e di più prezioso, si quanto a codici manoscritti, come quanto a libri .stampati. Le librerie, che ho visitate, sono quelle di S. Giorgio Maggiore, di S. Michele, di S. Mattia e di S. Pietro Martire di Murano, di S. An(h-ea della Certosa, della Salute, dei Domenicani Osservanti detti Gesuati, di S. Francesco della Vigna, delli Frari, di S. Stefano, dei Carmini, dei Teatini e di Ss. Giovanni e Paolo ; le quali tutte o in ^naggiore o in minor numero hanno libri di pregio. Ne' fogli, che mi do V onore di rass''gnare alle Eccellenze Vostre, ho separatamente notato tutto ciò che di più ragguadevole ho trovato in ognuna delle suddette librerie. Nel- Feseguire questa fattura ho procurato di usare ogni precisione, per c\ù si renda facile il riconoscere li libri, ed insieme resti possibilmente im- pedita, non solo V alienazione, ma ancora il cambiamento dei libri me- desimi. Ho pertanto registrato prima li Codici Manoscritti, dinotandone non solo l'opera contf untavi, ma ancora la forma materiale, cioè se in cartapecora, o in carta, di qual secolo, di quale grandezza, e se con miniature degne di osti 'nazione, sopratutto avendo in vista quei che sono della maggiore antichità, o contengono opere non mai state stampate, o sono autografi. Ho poi riferiti li libri stampati, coli' indicarne il titolo dell'opera, il luogo, l' anno, lo stampatore e la forma, contrasegnando quegli esemplari che sono stampati in cartapecora, o hanno miniature di pregio. « Persuaso di cosi meglio servire alla Sovrana volontà, abbenchè abbia fatto conto dei più rari e più famosi libri di ogni qualità e di ogni tempo, ho però avuta particolare attenzione di prendere nota delle prime edizioni degli Autori antichi e dei famosi libri stampati nel secolo del mille e quattrocento ; perche, essendo questi molto difficili a trovarsi. |!)| ^05) fatte dal Moiudli iu>lla sua licla/ioiic. (Iclibera che la lihi'ei'ia (lei Certosini a Sant'Aiidrea, « dove » il Morelli aveva scritto « qiie' Religiosi hanno già venduto il l)iiono ed il meglio, » |)iii sdiio insidiati ilai i-accog-litori dui libri rari. <; nono li pili esposti al pericolo di ossero distratti. Mi .soii creduto in dovere di prondoro in ]iartioolaro osservazione questti sorte di libri, perché, non solo il potersi (luosti vendere a gran prezzo, specialmente a' forestieri, può con mag- giore facilità allettare quei che li posseggono a distraerli, ma ancora, porche essendo questi medesimi libri dai Regolari bene spesso riputati soltanto di lusso e di nessuna utilità per ì loro studi, e malamente te- nuti e negletti, ne può con gran facilità seguire il cambio di quelli in altri libri moderni, di nessuna rarità e di prezzo molto inferiore. E, di fatto, a i-isorva di tre o quattro delle Librerie da me visitate, le quali por verità ho trovato in buon ordine e affiitto conservate con fe- doltii e con diligenza, in tutte le altre vi ho riconosciute delle aliena- zioni
  • n resti la Città spoglia di tanti bellissimi ornamenti, oli > si vanno curiosamente corcando di vedere da que' letterati, che per oonoscor." lo cos3 piìi raro in questo genere, le quali sono poi anche produ/.ioni o di Venezia o dell'Italia, a queste parti si portano, persuasi di avorvoli a trovare. « Non posso qui tralasciare di esporre ali" Eccellenze Vostre che, siccome per assicurare i libri prosi in nota nelle Librerie de' Regolari, può essere quasi por tutte sufficiente una consegna di essi per ordine pubblico e una Pubblica aopraintendenza, con qualche contrassegno di S. Marco da porsi a cia.scun libro; cosi per la Libreria di SS. Gio. e Paolo non si>mÌM'a sutficientemente provveduto con queste precauzioni. Si tratta ivi di assicurare trecento e tre Codici Manoscritti antichi, e settanta cinqu(! Liljri stampati, nella massima parte del secolo del mille e quattrocento ; li quali formano una suppellettile preziosissima, già (:m) [10] e la libreria di San Pietro Martire di Murano, « la quale » egli altresì aveva scritto, «; é senza finestre e scuri, » sia senz' altro trasferita nella Marciana. Cosi una larga resa famosa sino da due secoli per testimonianze di scrittori anche fo- restieri, che ne hanno fatto uso, e" V hanno molto stimata, ed è perciò affatto degna di un provvedimento particolare. Nei Codici Manoscritti altri contengono opere non mai state stampate, e altri ve ne sono con miniature bellissime, le quali potrebbero con facilità essere furtivamente tagliate e distratte, siccome ultimamente segui ; nonostante che vi fosse destinata persona a sopraintendere, la quale non potrebbe prestare una continua custodia, che bastasse a impedirne quei furti. Sino da undici anni fa segui in quella Libreria un furto, non mai riferito al Prencipe, di quattro Codici Manoscritti, due de' quali erano con belle miniature, e di trenta quattro libri buoni a stampa : di che ne esiste un docu- mento a stampa indubitato e pubblico : né di que' volumi alcuno fu mai ricuperato. Li due Codici Manoscritti preziosissimi in foglio, da' quali furono tagliate ultimamente le otto miniature della grandezza di tutto il Codice, non ricuperate, al vederli così mutilati, fanno veramente compassione, ed eccitano il desiderio che T Autorità Sovrana ponga ri- medio a simili reità per V avvenire. Dei Libri pure del secolo del mille e quattrocento ultimamente venduti, dopo quelli che si sono ricuperati, ne mancano dieci altri di gran rarità, che non si sono potuti riavere, sei dei quali erano nobilissimamente stampati in cartapecora. Questi Codici Manoscritti in generale sono ancora inutili per gli studi di que' Frati, essendo in gran parte Greci, Arabici e Persiani ; e se sono La- tini 0 Italiani, sono in caratteri Gotici, e da loro non i-ntesi similmente. Li libri del secolo del mille e quattrocento sono per loro di nessun uso, e non ne conoscono il pregio e la rarità. Il ceto poi di que' Frati, lo dico malvolentieri, ma però con verità, è ben noto, specialmente all' Ec- cellenze Vostre, che, eccettuate alcune probe e oneste persone, è com- posto di soggetti, che o per ignoranza, o per mala indole, non sono atti a custodire con la dovuta cura il tesoro, che hanno in loro potere, 0 a trarne profitto. Non si potrebbe pertanto fare in questo proposito cosa migliore, quanto arricchire con quei Codici Manoscritti e con quei Libri stampati la Pubblica Libreria di San Marco, dove quasi tutti quelli mancano, e dove aggiunti alla gran suppelletile di tali rarità, ne renderebbero piìi preziosa e più celebre quella collezione, sarebbero gelosamente custoditi, e se ne trarrebbe profitto dagli uomini letterati ; laddove presso que' Religiosi mai non si trova né il tempo nò il modo di studiarli. [11] f;:o7) messe ili lihri iiiaiinscriili <■ siamiiaii Nciiìie sfìii/" alii-o ad arci-cscei-e il ricco [laii-iiiionio della hililiotoca di San MaiH'o. Ma T acci-escimeiito niagg'iore 1' elihe dalla lihi-e- i-ia dei Doiuoiiicaiii ai Santi (Hoxaiini e l'aoln ('). « Siniilmoiitt' aiulrolilioro bone tra.siiurtuii <■ custoditi nella làlircria di S. Marco li dodici libri presi in nota, che restano a S. Andrea della Certosa, dove que' Religiosi alquanti anni fa hanno venduto il buono ed il meglio : parto dei (luali libri gli ho io ivi trovati in un magazzino terreno, in cui ne sono anche di gettati per terra in monte, e tutti sono esposti a perire dall' umidità. « Cosi pure sarebbe da far jìassare nella Lilireria di S. Marco uu libro d' insigne rarità, che ho trovato nella Libreria di S. Pietro Martire di Murano, che ò il primo libro Greco stampato a Venezia nel 1486. cioè la Ratrachomyomachia di Omero, legata insieme con altro libro ra- rissimo. È questo volume unico in Venezia, ed è pure il solo di pregio che si trovi in quella Libreria : in cui non essendovi nò scuri, né fine- stre, i libri di giorno in giorno periscono, ed è opera affatto degna il levarlo di là ; oltre che per un solo libro sarebbe inopportuna la sopra- intendenza Pubblici : come pure per gli altri dodici sopra mentovati della Certosa. « Il breve tempo, in cui ho dovuto prestarmi a (]uest'opera, me ne ha resa alquanto difficile e grave V esecuzione : e mi ha anche costretto a lasciare indietro per ora alcune Librerie di minor considerazione, che sono quelle dei Carmelitani Scalzi, dei Cappuccini, dei Reforraati, di S. Domenico di Castello, di S. Xiccoletto dei Frari, di S. Sebastiano, di S. Giacomo della Zuecca, dei Preti dell' Oratorio detto della Fava, di S. Salvatore, e della Carità. Pure in quel tanto, che ho potuto fare, mi lusingo di avere ubbidito nella miglior maniera che mi fosse possibile, all' ossequiatissimo comando, che Vostre Eccellenze si sono degnate di darmi ; né altro mi resta, se non umilissima?Tiente e con la maggior riverenza implorare il benigno Loro compatimento. « Grazie. » L' originale sta nel Decreto 25 settembre 1789, del Consiglio dei X, conservato nella busta N. 195 (Comunicate, 1770-1797) dell'Archivio degli In- quisitori di Stato. (Ardi, di Stato in Venezia). (1) Ne pubblicarono il catalogo il Tommasini in Bibliothcca Veneta manuscripta, Utini 1750, p. 20-30, e il BerardeWi in Xiior a i-accolta di opuscoli scientifici r letterari, dal tomo XX al XL : e so ne trova la descrizione in Moschini. Lcffer. renez., t. II, p. 31-32; in Cicogna, Iscriz., T. IV, S. VII 20 (308) [12] Incominciata fino dalla seconda metà del decinioquinto secolo, s' era venuta questa biblioteca ingrossando per la- sciti cospicui, ne' quali furono pure comprese alcune delle spoglie della celebratissima biblioteca di Mattia Corvino (i) ; UVA per la malizia o non curanza di quei frati s'andava ogni giorno più assottigliando. Il Consiglio dei Dieci decreta che : « importando in vista dei passati e recenti trafugamenti, » sono le sue parole, « di preservare dai pericoli ai (juali })0- trebbero essere esposti li preziosi rimanenti libi-i a stampa e i manoscritti greci, latini, arabici, e di altre straniere lingue che vi esistono, e sono totalmente inutili agli studi di (juei Padri e da loro non intesi, » sieno quei libri trasportati nella biblioteca di San Marco (-). E ([uì non è pos- t. II, p. 21-26, 364-65, t. VI, p. 86; neWIfer itnikum del Blume, t. I, p. 228, t. IV, p. 178-179: e ne di.scor.se il Vo^-el nel Serapcum, 1841, t. II, p. 29-30. (1) Sono tra queste principalrnoiito notevoli 1' Avernlino, cioè An- tonii Averuìini Fiorentini de ArcJiiirctui-a sm de Construenda urbe libri XXV (cod. 2, classe VIII dei Latini), del secolo XV, ornato di stu- pende miniature ; e il Marziano Capella, de Niiptiis Mercurii et Pliilo- loyiae et de septem artibus liberalibus (cod. 35, classe XIV dei Latini), tutto miniato di mano di Attavante fiorentino. (2) Credo essere pregio dell' opera riferire nella sua integrità questo che è pur documento della sapienza dti reggitori della Repubblica : « 1789. 25 settembre. In C. X. « Omissis. Dimostrano gì" Inquisitori di Stato, a merito delle pre- state osservazioni e col fondamento de' scoperti disordini, la necessità d' un presidio che generalmente assicuri noli' avvenire la preservazione e custodia de' manoscritti e libri di primitive stampe ed altri utili e rari monumenti di Letteratura nelle Biblioteche dei Regolari della Do- minante. Approfittar però volendo il Cons." stesso delle prestate appli- cazioni e dei maturi divisamenti degl' Inq." med.™', trova opportuno di stabilire, che sia rimesso il complesso degli accompagnati Cataloghi, fatti formare da pei-sona intelligente, nei quali sono descritti alcuni Codici, e libri a stampa della maggior rarità, ch'esistono in molte delle suddette liljrerie dei Regolari, al N. H. Sopraintend*^ alla Pubblica Libreria, con in- carico di fargli proseguire e perfezionare sopra l(> rimanenti, che non fu- ri:;] (.100) siili le 11(111 ;iiinirn'ai-i' la civile sapienza dei Ke^i^-itoi-i della veneta Repubblica, che volevano tutelato il comune patri- monio della coltura anche col pericolo di sollevare i lamenti e le (|uerele degl'interessati. Valendosi dell' amicizia che i^W pr()tessa\ano i patrizi possessori di biblioteche, potè il ^lorelli indurre parecchi di loro a lasciai-e i loco libi'i alla Marciana. Cosi (jui eii- ti'ar(jno a mano a mano le biblioteche Farsetti, Nani, (liusti- nian, Molin ; ricche, o di più centinaia di codici greci, come (piella di Jacopo Nani ; o di codici latini, italiani e straniei-i, come ([nella di Tomaso Cìiuse])pe Farsetti ; o di rono aucoi' visitate. R(!sta i)ai' demandata ad esso N. H. l'ubblico Biblio- tecario la eiiiM. ed ispezione sopra tutti essi codici e libri, facendoli contrassegnare con una rpialche publ)lica marca, che li distingua dagli altri, e di eliia'uare respousalìile della loro custodia e conservazione li superiori delli; rispiUtive ("omunitii Regolari. Sarà pur merito d(d Cit- tadino di far riconoscere di tempo in tempo la loro esistenza, conser- zione e custodia, e di aggiungere tutte quelle altre discipline e previ- denze che riconoscerà a questi oggetti opportune e convenienti, disposto questo Consiglio di secondare il di piii che occorresse a misura delle esi- genze e delle circostanze. Quindi importando in vista dei passati e re- centi trafugamenti succeduti nella suddetta Libreria de S. Gio. e Paulo di preservare dai pericoli, a quali ciò nonostante potrebbero essere esposti li preziosi rimanenti Libri a stampa, e manoscritti in gran parte Creci, arabici e di altre straniere lingue che vi esistono, e sono inutili totalmente agli studi di quei Padri, e da loro non intesi, si determina però che debbano essere i Libri e Codici sudd(^tti. descritti giii niaJ (:!10) [14] pregevoli libri a stampa, come quelle di Girolamo Ascanio Giu.stiiiian e di Girolamo Ascanio Molili (*). Publilicó, oltre alle opere già mentovate e oltre a parecchie edizioni antiche di autori greci e latini, un gran numero di opere di arte e di bibliografìa, e tra quest'ultime il Catalogo della biblioteca Pinelliana in sei volumi, lavoro immane, com'egli stesso ebbe a dichiarare, intorno al quale s'affaticò per oltre a sei anni, ma in cui potè spiegare la sua valentia bibliografìca e la vasta sua erudizione {^). Certo, ed è giusto riconoscerlo, non diede egli alle stampe un'opera capitale o si fatta da potei'e stai'e a fronte alle maggiori ope- re dei grandi eruditi del secolo, a quelle principali dello Zeno, del Muratori, del Tiraboschi, del Mai, del Panzer, del Dibdin ; ma egli ha il vanto d' avere ravvivato in Italia la critica emen(hitrice dei testi, la quale nata già qui da noi, era trapassata agii stranieri, coni' egli stesso lamentava ; ha il vanto d' avere, meglio che i suoi predecessori, illu- strato i codici greci e latini della biblioteca. Imperochè il primo tomo della sua « Bibliotheca manuscripta Graeca et Latina (Bassano 1802)» è quanto di meglio si abbia in fatto di cataloghi di codici manoscritti della biblioteca. L' apparizione di (juesto primo volume aveva dato a spe- (1) Il Molili, con suo testamento del 24 febbraio 1813, dispose che della sua coiiiosa raccolta di libri stampati fossero dal bibliotecario Mo- relli sc(dti 4 mila volumi, porche passassero in proprietà del Comune di Venezia, ma da applicarsi alla Reale biblioteca di S. Marco, per essere ivi periìctuamente conservati a benefìcio del pubblico studioso. Questa disposizione diede poi luogo ad una lunga controversia tra il governo italiano ed il Comune, controversia che fu nel 1885 definita, rimanendo i 4 mila volumi alla Marciana da essere custoditi in sede separata, salvo il diritto di pro[)rietk da Daniele Wvttem- bach, il celebre filologo bernese, che nella sua edizi(uie del Fedone di Platone lo chiamò : « viruni eruditissimuin, lit- terarum nostrarum singulare ornamentum, et historiae bi- bliographicae facile Princiiìem. » Così in una od altra f()rma l'esaltarono l'Heyne, il Wolf, il Panzer, il Mai, l'Agincourt, il Chardon de La Rochette. Di (quest'ultimo anzi giova riferire le testuali parole, da che suonano tale un elogio, (juale rade volte la Francia ha dato ad eruditi stranieri : « L' Euroi)e possèdait deux hommes rares, profondement versès dans la (.312) [l(i] l)il)liog-rapliie et 1' histoire littèraire de tous les ùge.s et de tous les pays .... Ces deux liommes ètaient Bartliè- lemy Mercier, bibliothècaire de Saiiite Geneviève, coiinu de tonte 1' Europe savante sous le noni d' Abbè de Saint Legei-, et 1' Abbè Morelli, bibliotliècaire de Saint Marc de Venise. La mort nous a enlevi^ le premier ; puisse le se- cond regner long-tenips sur une science dans laifuelle il n' a plus de rivai. » Il Morelli amò d' intenso amore la biblioteca affidata alle sue cure, tanto clie solevasi dire ch'essa era la sua amo- rosa (^). E prova manifesta del suo grande affetto egli le diede, lasciandola col suo testamento in gran parte erede del quasi unico patrimonio che possedesse, i suoi libri. Quindi dopo la sua morte, che avvenne il 5 maggio 1819, la bi- blioteca venne in' possesso di circa cinquecento preziosi co- dici greci, latini, italiani ; d'una raccolta di quasi 20 mila o})uscoli, parecchi dei quali del secolo decimo([UÌnto, e di tutti ({ue' suoi studi scritti, che liann mie j)iìi » valevoli a reggerne il peso e a mantenere alto il decoro » del R. Istituto, invito la nuova Presidenza ad occupare » il seggio. » r'RESIDKXZA DEL SENATORE D."" COMM. ANGELO AIINICH VICEPRESIDENTE Assunta la Presidenza dal Senatore Minich, dopo di aver giustiiicata l'assenza del nuovo Presidente comm. De Betta, e ringraziato vivamente in nome dell' Istituto il cessante l)residente cav. PiiY)na, fa distribuire l'elenco dei libri donati dopo le adunanze dello scorso decembre; quindi comunica che con dispaccio Ministeriale del 29 decembre 1892 fu annunziato l'aumento del decimo sugli stipendi degli im- piegati e l)idelli dell'Istituto; e che con Nota 30 decembre 1892 del R. Ministero di agricoltura, industria e commercio venne disposto il pagamento di lire 500 a favore dell'Isti- tuto per r Esposizione ed i concorsi industriali pel 1893, ed avverte che il danaro fu già incassato e che si pub- blicheranno in giornata gli avvisi di concorso già preparati. Dopo di che vengono presentate e lette le seguenti Memorie : Dal m. e. segretario P. Famhri — Freni e soddi- sfazioni miUiari. — Studi disciplinari e legislatiri. Dal m. e. A. Favaro. — Sidla BdiUoUieca McUliema- lica di (hrs/nro Eìwslrom. Ottaxa Comunicazione. ,^20 Dal ni. e. T. Martini. — Intorno ai fenomeni di so- prasaturazione. Nota IR Dal s. e. A. Stefani. — Cltilemia in un cane. Comu- nicazione. Ed in base all'arlicolo 8° del Regolamento interno: Dal m. e. prof. Lorenzoni vengono presentate due ])revi Memorie del prof. Abetti, Astronomo dell' Osserva- torio di Padova ; la jirima delle quali ha per titolo : ^ul nuovo Micrometro a lamine applicalo all' equatoriale Dembowski ; la seconda s' intitola : Formole e Tavole per calcolare la rifrazione differenziale nelle osservazioni mi- crometriche all' equatoriale. Dal m. e. A. De Giovanni una Memoria del D."" An- gelo Ceconi, assistente alla clinica medica generale nella R. Università di Padova, col titolo : Note ed iinpressioni sulla recente epidemia colerica in Amburgo. Questa lettura diede luogo ad una breve discussione nella quale presero parte i membri effettivi Minich e De Giovanni, e il D.'' Ceconi. ( ) Infine dal sig. A. Loperfido. — Compensazione delle reti geodetiche a contorno obbligato. Terminate queste letture, l' Istituto si raccolse in adu- nanza segreta, per occuparsi degli affari interni posti al- l' ordine del giorno. (1) Dal m. e. Bellati una Nota del D." Silvio Lussana col titolo: Ricerche sperimentali sid potere termoelettrico negli elettroliti. UN COMMILITONE DI UGO FOSCOLO GIUSEPPE GIULIO CERONI. STUDIO DEL s. c. GUIDO MAZZONI. « Ceroni, Veronese. Poeta e militare. Amò la libertà 1)01* sentimento, e si mostrò amico dei potenti per debolezza. Cantò quindi per V una e pegli altri. Soffri qualche volta per la prima ; e talvolta fu protetto da' secondi. Fece la campagna di Spagna, divenne capo battaglione, e morì gio- vane. > Cosi, epigrammaticamente, nel 1823, il Coraccini, nel raccogliere le memorie del primo regno italico. (*) Né più diligenti biografi ebbe poi Giuseppe Giulio Ceroni, clie, dimenticato dagli storici delle lettere nostre, trovò a mala pena un posticino in qualcuna delle più grandi rac- colte di vite. Si che, tredici anni dopo, il Michaud minore lo faceva nascere a Verona nel 1775, studiare a Padova sotto il Cesarotti, andar carcerato nel 1806 per una poesia (1) F. CoRAfTiNi. Storin dHI' nmiiìinist razione del Reijoa d' Iti il in durante il domiti io frnncesi' ; Lugano, Veladini, 1823; pag-. LXXXVIII. F. Coraccini è pseudonimo di Giovan Carlo Lafoue, già segretario particolare del Méjan, Segretario degli Ordini del Viceré Eugenio : cfr. Melzi, Dizionario di ojìere anonimie e pseudonime, Milano, Pirola, 184'S: voi. I, pag. 254. E su lui vedasi G. De Castho, La caduta del Ih'f/ìw italico, Milano, Treves, 1882, pag. 335. (822) [2] contro Napoleone, tornare in patria dalla guerra di Spagna, ove aveva militato come capo di battaglione, e indebolito- da lunga prigionia morire quivi nel 14, lasciando molti versi inediti, (i) Notizie confermate, con qualche differenza, come la nascita posta nel 1773, da chi curò Y articoletto su lui nella grande raccolta biografica del 54, non certo con r aiuto di quella del Tipaldo, come col citarla vor- rebbe far credere ; poi che in essa la vita del Ceroni si cercherebbe inutilmente. ("^) Solita impostura dei frettolosi. Mi è sembrato per ciò non inutile tornare, con un po' di attenzione, sopra la vita e le opere di questo negletto commilitone di Ugo Foscolo; commilitone nell'armi e nel- r arte : tanto più che almeno una delle opere sue, per gii effetti che ne vennero a persone più illustri di lui, dà an- cora occasione a taluno di rammentarne il nome. Alludo al poemetto di Timone Cimbro pel quale nel 1803 (ecco intanto una data che mostra la negligenza de' compilatori su detti) Leopoldo Cicognara e il generale Teulié furono destituiti ; che è fatto notissimo, e può suscitar desiderio di sapere più e meglio su chi vi ebbe tanta parte. Vita e opere non intendo illustrare pienamente ; anzi dovrò contentarmi, in più luoghi, di passare oltre, perchè mi mancarono documenti e libri ; ma, se non m' inganno, anche quel poco che dirò riuscirà una testimonianza cu- riosa per la storia dei tempi e dell'arte. Tanto })iù perchè largheggerò nelle citazioni da opuscoli, divenuti rari, al- cuni, e tutti o ignorati o non curati. (1) Biographie universelle: Parigi. Michaud, 1836: voi. LX, Sup- plemento, alla voce. (2) Nouvdle Biof/rap]tie unìcerseUi' ; Parigi, Didot, 1854: voi. IX, alla voce. Sebbene segnato di doppio asterisco, che è vanto di novitii, r articoletto del Dizionario hiot/nifìco lanrcrsnh', cornpilato dallo Sche- doni, Firenze, Passigli, 1840, non fa i'r, e in tal modo piange r Italia « de' suoi già scliiavi umile ancella », si volge alla Francia, la vede in ceppi, co' fasci infranti a' piedi e il ])erretto frigio scompigliato. Al giuramento di atterrar monarchi E di Marsiglia al formidabil inno, Codardo plauso adulator successe ; E già i stemmi teutonici, le chiavi, Le mutilate immagini, dall'ombre Sbucano baldanzose ; al loro aspetto Maravigliando il vulgo ebro festeggia. (1) Cosi stampa sempre il Ceroni; e per ciò non correggo l'errore che è suo, a quel che pare, e non del tipografo. Coi ciaiiihcllani, coi titolati, ti'osca ora chi dianzi più urlava contro 1* ai'istocruzia. Oli tempi vitui)('i'ovoii ! Ma t'oi'se : dal neghittoso ozio, e dai bassi Vandalici costumi, un qualche a Italia Vendicatore sorgerà che il manto Le ricomponga, e le ferite immense Che ha nel petto le asciughi, e come bella, Forte la renda. Ne' luoghi dove il poeta è, .sul Ticino, i Romani pu- gnarono un temj)o arditamente, e tutto il mondo fu nostro per le armi e per le arti. Di queste san qualcosa i Francesi che tanti capilavori ci predarono ; ma anche fuor delle arti, augurio e speme Di magnanima vita anco ci resta. Poiché i soldati italiani hanno ormai dato prova glo- riosa di sé combattendo a Trento, a Napoli, ad Ancona. Non superbire, o Francia, tanto possente oggi tra le quattro republ)liche minori : « Invitta sei, non invincibil. » Sta con- tro te il mercato infame di Campoformio, Venezia schiava, la Svizzera oppressa, Napoli abbandonata alle vendette re- gali. Notisi l'accenno alla Svizzera : tanto dal poemetto Ve- roìui, dove il Brune era vantato liberatore de' nipoti di Teli, gli avvenimenti avevano chiarito al Ceroni che fosse mai la libertà data dallo straniero. Ma che giovano oggi (juesti sogni di gloria ? a noi Non sogni o larve d' irritabil estro, Pianto si addice ; e il merta Italia, e immenso Pianto di rabbia, di cordoglio, d'onta ; Finché deposte le collane, e volte T. IV, s. VII 23 (350) [30] Le tresche e i vezzi ad onorate imprese, Col suo ferro non pugni, e dal bel fianco Tutti rimossi i mercenarj drudi Che fieramente strazianla, sul crine Non serve palme ai prischi lauri aggiunga. Dio ci guardi dal rammentare i Sepolcri che il Fo- scolo, cinque anni dopo, cantava, cercando anch'egli nuovi auspicii alla rigenerazione d' Italia. La lirica del Foscolo comprende, sotto il suo sguardo d' aquila trasvolante, il passato e l'avvenire, si che le memorie di Maratona ap- paiono strette logicamente con quelle di Santa Croce, ed Ettore prenunzia logicamente tutti gli eroi che moriranno per la patria : qui invece, ne' versi del Ceroni, la batta- glia del Ticino è quadretto appiccicato a un ragionamento che ha calore di elo(|uenza poetica, ma non il colore e le forme dell'alta poesia. Nondimeno il poemetto fu troppo presto dimenticato : se l'esecuzione non è di artista squi- sito, versi peggiori di questi piacquero allora e poi, senza avere il pregio che questi hanno di un nobilissimo inten- dimento. E fa per ciò meraviglia che, fino al Malamani, nessuno pensasse a ristamparli. Ma forse ciò dipese dalla rarità degli esemplari superstiti al rogo che ne accese la polizia. Perchè, ricevuta una lettera di lode dal Cicognara, Timone Cimbro si affrettò a stampare (alla macchia, s'in- tende) il poemetto (i) ; questo fu letto, dopo un pranzo (1) Come ben registrò il Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime (Milano, Schiepatti, 1863: voi. Ili, pag. 148) sono due le stampe alla macchia : Funa, con la data Italia, senz' anno né nome di stampatore. Slancio di Timone Cimbro, Sciolti, ha un' epigrafe presa dall'Ariosto (Canto XVII, st. 76) ; l'altra [Da Oler/fjio li 30 novembre i802) ha il titolo Sciolti di Timone Cimbro a Cicognara e dietro il frontespizio il primo emistichio del v. 492 del libro I delle Georgiche : « .... Scilicet, et tempiis veniet... » r:n| (:tr.l) (li molti convitati, nel croccliio clu' il ricogiuira radu- iia\a o:;iii sera in casa sua; «ma fra ^\ì astanti, narra il Lal)iis, un cotale vi aveva, provveduto di onorevole pubblico ufficio, che })ure un altro ne sosteneva ! » La polizia fu subito in moto, e. itnauo il Cicognara cercò stornare il colpo: il 17 marzo ISO.'Ì giungeva al Melzi il corriere del Bona})arte con gli ordini (proprio così) [)er la Consulta di Stato ; e il Melzi gli dava notizia, il 21, che la Consulta si era subito riunita e aveva deli- berato « conforme à votre demande » ; e che lìerciò il consigliere Cicognara, il generale Teiiliè e il capitano Ce- l'oni erano stati arrestati, e si era mandato a Ferrara il {"'onlauelli per arrestarvi il Magenta, prefetto del dipar- timento del Basso Po : come nel caso del Pindemonte, l>oca favilla levava gran fiamma, e i versi di Timone Cimbro erano testimonianza certa d'una congiura ! Giova leggere ciò che il Melzi scriveva al Bonaparte nella lunga lettera del 21 marzo, la seconda di quel giorno stesso, sul grande avvenimento, per intendere come e quanto il Mu- rat gonfiasse le cose. Il Melzi, da uomo prndente, non vo- lendo far diventare celebre il poeta, e ricercato il poe- metto, aveva sequestrati tutti gii esemplari, innanzi che si spandessero nel pubblico, e si era contentato di far chia- mare il colpevole da uno dei suoi superiori e costringerlo a disdirsi. E il Murat, informatone, aveva approvato. Quando a un tratto, di sua testa, sequestra le carte del Ceroni, \i trova lettere del Teuliè, del Cicognara, del Magenta, fa un chiasso del diavolo, scrive al primo Console, gli manda per gendarmi, che corsero di brigata in brigata a rompicollo, i versi di Timone Cimbro, terribile congiurato! Il Melzi, lagnandosi di ciò, svelò il retroscena ; erano i ne- mici del Teuliè e del Cicognara che coglievano il \n\\\U) per l'ovinarli, fino al segno di distruggere i documenti, venuti per quel sequestro in poter hjro, che avrebbero potuto riuscir favorevoli agli imputati. « On cite en jìreuve de cela dans le monde comme de notoriété publique, qu"il se trouvoit (352) [32] dans les papiers de Cerroni (così sempre) des lettres que le general Leclii lui avoit adressées, il y a qiielque mois, en l'encourageant à faire 1' hi.stoire des campagnes ci.sal- pines, dans lesqiielles il s'exprimoit d'une manière qui au- roit singulièrement contrasté avec le ròle qu'il joue dans la circostance présente. Cicognara aussi reclame une seconde lettre adressée à Cerroni dans laquelle, se plaignant de l'avoir compromis par l'impression de ses vers, il lui dè- claroit s'ètre justifiè auprès du general en chef (Murat). qui lui avoit très gènèreusement assuré cependant que si Cerroni se ravisoit et restoit tranquille, il ne lui arrive- veroit aucun mal. Je n'ai pas vu cette lettre certainement, mais j'ai lieu de la croire vraie, parce que les sentiments que le general m"a exprimès à la mème epoque, y sont tout-à-fait conformes. » (') Fatto sta clie ormai tutti cer- cavano quei versi proibiti, e tutti ne parlavano (-). Ma il Melzi stesso, spiegando al Bonaparte le insidie tese dal generale Salignac contro il Cicognara e il Teulié col fìngere una cospirazione imminente contro 1' esercito francese, mostrava temere o-li effetti di esse, che erano (1) G. Melzi, Fì-ancesco Melzi d'Eril etc, ediz. cit, voi. II; pag. 142-153. (2) Ne sono conferma le copie manoscritte. Delle tante che dove- rono farsene una è presso il Duca di Montevecchio a Fano; un'altra nella Biblioteca Comunale di Verona ; cfr. G. Biadego, Catalogo descrittivo etc, ediz. cit,, pag. 14 ; quivi anche il sonetto che riferisco piii oltre « Trista carcere lurida mi chiude »: una terza è nel Cod. LXXIX, CI. VI della Biblioteca Querini Stampalia a Venezia. Cosi nel Cod. MDCCCCXLl della Raccolta Cicogna (Museo Civico di Venezia) a una copia mano- scritta degli Sciolti segue il sonetto sulla prigionia, e un'altro che ve- dremo poi. Era pericoloso esprimere sugli Sciolti un giudizio favorevole: « Hai forse urtato con Francesi ? forse qualche parola tua suU' affare dei Versi è stata riportata ? oh Dio, quanto è meglio viver in solitu- dine. » Così, certamente alludendo al caso del Ceroni, scriveva il Gior- dani a Ferdinando Porro, segretario di viceprefettura in Cesena, il 9 mag- gio 1803: Epistolario. ^Milano, Borroni e Scotti, 1854; voi. I, pag. 314. r.u] (:]5:0 c<»|KMi(' (lai n()m(\ ahilmciite adopi-ato, del Murat, e dalla j)()teiiza di lui che ^li s'era messo di contro. Chiedeva per ciò di ritirarsi. Quell'oscuro capitano Ceroni, co' suoi en- (lecasillal)i, aveva messo a soqquadro tutto il governo ci- saljiiuo ! Il Melzi restò; ma TU aprile dalla Consulta di Stato jtromulgavasi la sentenza. Il Ceroni, capitano della seconda C()m[)agnia, secondo Battaglione, terza mezza Brigata di linea della Repubblica Italiana è convinto autore degli Sciolti (li Timone Cimbro a Cicognara « scritto sedizioso ed ingiurioso alla Nazione P^rancese, e ad altri Governi amici della Repubblica Italiana > ; e « la qualità militare di Ceroni, come (|uella (die più specialmente lo obbliga ad astenersi da ogni atto tendente a turbare la ti-anquil- lità dello Stato, e lo vincola più strettamente all' ubbi- dienza e l'ispetto al Governo edalle Leggi, aggrava il suo delitto » : onde « il Cittadino Ceroni cessa di appartenere all' Armata della Repulìblica Italiana, ed è relegato per anni tre nel luogo che verrà destinato dal Potere Esecu- tivo » (i). Il Cicognara e il Teuliè, dopo que' ventiquattro giorni di prigionia, destituiti. Contento della sentenza, che liberava il Consiglio della Repubblica « d'une tète aussi folle que celle de Cicogna- ra », il Bonai)arte si mostrava al Melzi disposto « si l'as- siette de sa tète se rètablit » a dimenticare tutto. Infatti il perdono non tardò ; ma intanto il Ceroni era in carcere. Vi scrisse un sonetto, che corse Milano : Trista carcere lurida mi chiude, Asil debito a gente a' vivi morta : Polacco ceffo tiene sulla porta Ferro temprato alla regale incude. (1) linfleftmo >l-//,- L<';/,/i ,ì.-ìl,t l^,^p,>hhìun Itjilunix : Milano, .lalla yi'vr/r> (sic) Stamperia; anno II, iiaj^. 56-(ì(). (:!r,4) [34] Orde mi trasser qui barbare e crude Cui fame d'oro a vii servaggio è scorta : Amor d' Italia dolce mi conforta, E di me conoscenza e mia virtude. D'età pari a Lucan, minor d' ingegno, Di più grand' alma, ai gallici Neroni L'alte di libertà minacele insegno. Tremin essi, non io : scuri e prigioni Verranno men, pria che a vii atto indegno Di paura discenda unqua Ceroni, (i). E sproporzionata T intonazione al fatto ; per noi che sappiamo che fu breve prigionia e senza rischio di morte ; ma il Ceroni, che alflereggiava così, non poteva allora sa- pere a che sarebbe riuscito il processo. Soldato come era, due parole del Primo Console al Melzi, o un ordine del Murat, potevan farlo, se non fucilare, condannare a car- cere lunghissimo e duro. (1) Lo riferisce il De Castro, Milano durante la dominazione na- poleonica etc, ediz. cit., pag. 157-5S, dal Giornale Storico, voi. XXVI. aprile 1803, con qualche variante dal testo da me dato : Verso 1. Tristo carcere lurido; v. 3. Polacco ceffo sta: tien; 4. Ferro battuto; 8. conoscenza è mia; 11. L'alta di libertà minaccia; \L essi e non io; 13. Off'endon meno; ma non fia che a indegno; 14. Atto ser- vile scenda unque. Pur con varianti lo danno l'autore dei Frammenti storici dei periodi del Risorgimento d' Italia dal 1796 al 1848 e 49, Ve- rona, Civelli, 1882, voi. I, pag. 105, e il Cantù, Della indipendenza italiana Cronistoria, ediz. cit., voi. I, pag. 264, in nota. Io lo copio da un esemplare a penna di Alessandro Torri, che lo aggiunse alle Poesie del Ceroni nell'edizione del 13, di cui dirò dopo. Il Polacco ceffo, del sonetto, apparteneva ai soldati delle due legioni polacche assoldati nel 98 dalla Cisalpina. Noto, da che me se ne porge l'occasione, che a torto si affermò avessero essi paga doppia degli Italiani perchè potessero bever vino ! L'erronea affermazione nacque da una sbadata lettura della let- tera del Bonaparte al Melzi in data 28 febbraio 1802: cfr. G. Melzi, Francesco Melzi d'Eril etc, odiz. cit., voi. II. pag. 13. Una copia ma- noscritta, delle tante che .se m- dovpronn lai-H. A nella Raccolta (^ii'ogua [3r)] (:555) IV. Invece fu g-i-aziaio jn-eslo (non riuscii a sapere quando); ma intanto da Lucano. (|ual si vantava, si era fatto pru- dentemente Ovidio. Cile le sue Eroidi, innanzi abbozzate, come almeno })er umi sembra certo, sono appunto gli ozii poetici della sua relegazione : uscirono in quell' istesso anno 1803. Con V Epistola di Eloisa ad Abelardo, che un sonetto del !)(') ci mostrò ammirata dal Ceroni, il Pope aveva, sul princi[)io del secolo scorso, data vita nuova di poesia a un genei'e che, non mai venuto meno, nel seicento si era già offerto adattissimo all'artificio di numerosi cultori. Infinite in Francia e in Italia, poi, le traduzioni e le imitazioni del Pope: il romanzo epistolare, che doveva vantare tra' suoi artisti il llousseau e il Foscolo, può anch'esso in paiate, se non del tutto, considerarsi come uno svolgimento di quell'antica e ancora feconda invenzione. Tanto antica che taluno tornava agli antichi come a novità ; e nel 1762 le Epistole eroiche di Ovidio, nella vecchia traduzione di Remigio Fiorentino, tornavano in luce, elegantissime, a Parigi, pe' tipi del Du- rand. Ma (quelle del Ceroni, com' è naturale, derivano di- rettamente dal Pope. Le Lettere di sei donne infelici ai loro sposi ed amanti sono dedicate Alle Donne : « Inti- tolo a voi questi versi (diceva loro il galante capitano), e li pongo, non avendo per se stessi raccomandazione alcuna, sotto l'onnipotente salvaguardia de' vostri vezzi e beltà ». Mnsoo Civico ili V.Mio/.ia) cod. MDCCCCXLI : dove si afferma ehe il Ceroni scris.si; il .sonetto col proprio sangue! (:55(i) [:?6] Le sei infelici sono queste : Corambi, Aide, Zulima, Emi- lia, Adele, Maria regina di Scozia ; e scrivono agii amanti loro, Urano, Unnal, Risba, Rodrigo, Rocoiir, Alberto ; onde le lettere hanno, dalla patria dei personaggi, il titolo di Atlantica, Malabarica, Egizia, Iberica, Gallica, Britannica; tutte in endecasillabi sciolti (i). ^li spiace dover qui con- fessare la mia ignoranza e ])Oca oculatezza : queste persone onde son tratte ? potrel)l)e sembrare, da romanzi ; ma di nessuna mi venne fatto rintracciare l'origine. Onde un so- spetto che non adduco a scusa di ({uella ignoranza e cecità ormai confessate : il Ceroni forse inventò egli le coppie e i casi degli amanti (v' includo anche Maria Stuarda per non lasciarla sola), sì da avere maggiore e miglior co})ia di effetti patetici. E quasi quasi direi col (ìomez dell'Alfieri che il sospetto è certezza, se non mi consigli asse di astenermene la prudenza. La vergine Corambi scrive ad Urano che è in carcere, prigioniero del padre suo per guerra civile; rammenta come l'ammirò cavaliere ed arciere, e come l'amò : Quando premier tu alla palestra, ai ludi, D'arabo corridor premevi il dorso Di sudor tinto, e di onorata polve, 10 ti seguia nel periglioso agone Trepida, incerta, non da se volando Ti lanciasse il destriero, o nella meta Non offendesse le leggiadre membra. 11 plauso universal dal terror mio Toglieami, e il vincitor vinto a' miei piedi Le corone mi offria : d' invida rabbia Fremean l'altre donzelle : e poi che i strali A certo segno 1' infallibil" arco (1) Lettere di sei donne infelici ai loro sposi ed nmnnti. Sciolti; Milano, MDCCCIII, dalla tipografia di Agnello Nobile. 11 nome del Ce- roni apparta come firma alla dedica. |;^7] (:^57) Vibrava, e il petto nell'aeree volte Colpìa d'una Colomba ; sorridendo Fra me dicea : le rintuzzate frecce Scagliate al suol, frangete archi, e faretre, Giovani, ei solo del ])iagar le vie Conosce, ei solo i cor fiede e penetra ; Dardo non v' è (|ui feritor che il suo. Ma l'i-ano, lo sposo vagheggiato, è ora in carcere per la (liii'a ragiono di stato ; o la vergine gli raccomanda con (juesta sua lettera, che le invii jiarole di conforto ; farmaco migliore de' sogni ne' (juali ella intanto aspetterà illusa «i l'egizia consapevol fronda », vale a dire, per dirlo alla buona, la risposta. Unnal si aggira ne' boschi del Malabar, e Aide gli scrive disperata. Disperata, perchè sempre lo ha amato, da quando prima lo vide ; e se sposò Korasmino, vi fu costretta. Ma Korasmino mori disperato anch' egli perchè respinto dalla moglie ; ed ora, a (juindici anni, ella deve salire sul rogo che ha da arderla insieme col cadavere del marito. Varco d' un anno il terzo lustro ; avvampo D' immenso amor, né le dolcezze mai M' el)bi di questo avverso Dio : sul primo Romper dell'alba il cenere fumante Dello sposo, accorrà me nuda polve. Sona intorno di gemiti e querele La paterna magion : splendon di tetro Lume le volte ; feral' inno assorda Il vedov'atrio ; di festivo manto Cingo le membra, di sabei profumi Spargo le chiome.... e il mio rogo vampeggia. Potreblìo fuggire: non vuole. Figlia di re, non mancherà in tal modo al do\(>r suo : pei- sentimento d'onore, che nei Lramini, spirito forte, non crede: (358) [38] Sacerdoti codardi, ognor di sangue, D'oro assetati, io vi disprezzo e 1' empio Abborro culto, e gli inumani altari. Almeno Unnal viva, e si ricordi di lei, e incida il no- me di lei accanto al .suo in un mirto adorno di fiori. Zulima fu rapita da' pirati; e venduta, si trova in un harem. Donde scrive all' amato Risba, pentita di avergli resistito, ora che ad un altro dovè non amando concedersi. Quand' ei mutando A cadenza le gravi orme si appressa, Spiana le rughe della torva fronte, E liscia i velli del selvoso mento ; Gli occhi in rote di foco atro nuotanti In men severo fiammeggiar converte, E sospira, e d'amor favella : sculta Di vergogna ammutisco : il pallor vola Sulle mie guancie, e sta nell'alma il lutto Misto a terror : non così patria rondine Pavé tra l'ugne di sparvier grifagno. Ma ella che colpa ne ha, se dovè cedere ? l'anima fu sempre di Risba. Deh venga e col sangue lavi l'oltraggio ! No, che la sua Zulima morrebbe, a vederlo, di vergogna. Emilia, monaca, ha letto le parole d'amore che Rodri- go le inviò, e gli risponde combattuta dal dovere e dalla passione. Fu monacata a forza, e ha diritto anch' essa di amare, ed ama. Dio che m'odi dal ciel, fulmina, tuona. Queste avverse consuma are e delubri, O ripiglia il tuo don ; dammi la morte O alla rapita libertà mi torna ; Io tua sposa non son ; profano il labro [.SO] {:m) Temerarj prestò voti ; natura Non assentia ; fra te s'alza gigante Il poter di Rcjdrigo ; ci sol dà leggi A Emilia, e tu che il puoi, struggile, o a lui Mi cedi. V(M'r;i torso un tempo in cui ((uesti recinti di martirio cadi'anno : infelice elicvi e dentro a dispetto ! Che giovano a lei i \nv<^ì della musica, del canto, della dottrina? Se dell'amante riamato i baci Non lusingano i pregi, onde superba Andrei per lui fra le additate Belle. Ma Rodrigo verrà, a notte ; venga con la notte la morte, venga i)ure 1' infamia ! Or che sia può ! tu il vuoi ! tu priega Che le tempeste ad addensar, la turba Dei sonanti Aquiloni Eolo disserri. liocour è sceso in Italia col IJonaparte : con lui ha valicate le Al})i, vinti gli Austriaci, conquistata Mantova ; ma non torna ancora, nella dolce terra di Fraiicia, alla sua Adele. Tu di un' Itala servo ? al carro avvinte I Romani traean le coronate Donne del Tigri e dell" Oronte, e in grembo Non languian delle schiave. Aura di guerra Gli appellava a conflitto ; a bellich'arti Li rendeva la pace, e Amor tacca Sol pei figli eloquente e le consorti. Pur ti-o](po un giovino «. clic d(d sonoro Adige in riva sui's(! * esule in Francia (vogliani dire che sia il Ceroni ?) (mo) [40] le ha narrato le sciagure della patria sua, le ha uai-rato singhiozzando le meraviglie e il fato di Venezia ; e, inter- rogato, ha pur descritta la bellezza delle donne italiane e la loro procacia e ovunque Regnar scevre di cure, di costumi Libere, di desiri ebre, e che spento Il geloso timor da novi istrutto Modi sogghigna l' italo marito.... Che cesse ad altri ... E qui si tacque, e tinse Di sdegnoso pallor le accese guancie. Ohimè, da tre anni Adele aspetta, e il marito intanto si sollazza con le belle italiane ! Almeno, avesse ella un bambino ! O almen leggiadro M' avessi un pegno del tuo amor che innanzi Pargoleggiando mi gioisse, e i cari Atti del padre, e la gentil sembianza, Benché infida, ai bramosi occhi, e agli ardenti Baci offrisse : di mia sorte, men triste Fora il tenor ; dolce ei farebbe inganno Tra le mie braccia, agli irritati sensi, Quando mesce la notte i sogni all'ombre Insidiose, e nel silenzio muto Palpa le piaghe ove son più mortali. Ma dicono che il Bonaparte va in Egitto: forse Rocour lo seguirà fin là, senza neppur tornare a un estremo addio? Almeno le scriva, e la rassicuri di ciò. Maria Stuarda ripensa, Jiella carcere, la vita di gran- dezza e d'amori che già menò : rivede Riccio, cosi leggia- dro cantore, e lo scempio che Arrigo ne fece ; rivede Al- berto, cui scrive questi suoi ricordi ; ed Elisabetta, quando venne a lei insidiosa. Ora per opera di lei morrà. Ili] (-.r.i) Non mi j)csa il morir, ma i^reve e amaro M' è più (li morte, che costei la tomba Lenta mi appresti in suo favor tranquillo, Ed empie dal non suo trono e temute Leggi, im])erando, ai miei poj^oli indica. Ho lar^-heg-g-iato ne' .sa-ggi pei^ dare più compiuta notizia (li (jueste Lettere, dimenticate, e forse non con piena ra- gione. Perchè il lettore avrà veduto che il Ceroni non è verseggiatore pedestre : qui dove l'argomento concedeva e ri- chiedeva pacato lavoro di stile, egli seppe variare lo sciolto meglio che non ne' poemetti, improvvisati a sfogo di sdegni politici ; e trovò spesso, se non sempre, vivaci immagini di amore e di dolore, e diede spesso alla passione efficaci gli accenti. Di più, quando si pensi che sono scritture de' pri- missimi del secolo, (iueste Lettere appariranno notevoli do- cumenti dell'arte preromantica, che già si volgeva al nuovo e gli andava preparando la materia e le forme. Non può sfuggire, per esempio, all'attenzione del critico, se pure la Maria Stuarda non derivi da quella dello Schiller, la Let- tera gallica, che trae 1' occasione e i modi dello svolgi- gimento da fatti allora recentissimi, come le vittorie fran- cesi in Italia e la spedizione in Egitto ; né la Letteria ihe- rico in che la monaca f(jrzata consente, con tanto tumulto di affetti, al riti'ovo notturno; né la Lettera (itkoìlicc che ha ([ualcosa deìVJtala, comparsa nel 1801. So bene, e dissi sopra, che di questa maniera eransi fatte poesie fin dal sei- cento (per non voler risalire a Ovidio); ma insomma quando scoppiò di li a poco l'audace romanticismo, classicisti e ro- nuìutici chiusero e gli uni e gli altri troppo strettamente gli occhi alla luce della storia letteraria; la quale avrebbe mo- strata loro una lunghissima preparazione delle teoriche e degli esemplari che tenevano i)er nuovi. Non foss' altro che per ({uesto, l'autore delle Lettere di sei donne infelici meri- terebbe un po' di luogo nei libri che per disteso raccon- tano le ^ icende dell'ai-te nostra nei grandi e nei piccoli. Sollievo quegli sciolti all' ozio forzato : ma dei mesi (Iella relegazione è un sonetto che ci conferma come il Ceroni non si chetasse neppure durante il castigo, e fa curioso riscontro a (juello sulla prigionia. Chi ha il torto? Sonetto In Lunéville il Franco s' impegnò Lasciar libera Italia, e non lo fé' : Di Parma e d'altri cambii non parlò, Ma poi la prima ad occupar si die. La pace in Amiens l'Anglo pur segnò : L' isole, Egitto e il Capo alfin cede ; Ma Malta, che di rendere giurò, Sembra che voglia ritener per sé. Lo chiama il Gallo all'ordine del dì, E vuol provare che spergiuro fu, Che i sacri patti egli violò così. L'Anglo : Se mancator pria fosti tu, Ho anch' io diritto d'esserlo altresì.... Or chi ha il torto ? Per Dio non si sa piij. Ma chi non è un cucii Dal contegno di questi litiganti Vedrà che son del par tutti birbanti, (i) Non è un bel sonetto : 1' ho riferito soltanto pei'chè, scritto il 15 giugno 1803, offre in forma burlesca, senz'altro (1) Lo credo inedito. Si legge nel cod. MDCCCCXLI della Raccolta Cicogna (Museo Civico di Venezia), con la data suddetta, senza firma : ma il fascicoletto, che ha pur manoscritti gli Sciolti di Timone Cimbro, lo dà subito dopo il sonetto sulla prigionia, e intenzione di chi lo esem- plò fu certo d'attribuirlo al Ceroni. La data e i sentimenti fan buona conferma di tale attribuzione. [l.TI (.'ir;:}) esoinpio noi Coroni, 1' i]ii[)i'Os.si<)tio elio dovevano i'-àvo. agii Italiaiii intelligenti gii intrighi diploniaiici tra i duo com- petitori gareggianti a inganiiai'si l'un l'altro. Il s(nitiiiiento nazionale nac([ue a})iiunt() dalla progi-ossiva disistima in cui caddero a uno a uno tutti gii amici e liberatori nostri. Ma torniamo all'arte. Ho accennato sopra al romanti- cismo incipiente. Perchè le parole non dicano più di (|U(d che vorrei, aggiungo subito essere stato il Ceroni uti com- militone del Foscolo anche nell' ideale dell'arte ; fu soldato, dove il Foscolo era capitano, sotto le insegne de' classici ; e, come vedremo, so no vantò. Se nelle epistole il suo pre- romanticismo inconsciente lo indusse ad alcun che di meno accademico, eccolo l'anno dopo, nel 1804, tornare alla Musa, che chiamerei volentieri Canoviana, con un inno in isciolti : Fugoìa Latona il sen grave del biondo Sir de' canti immortai dalla nemica Ira di Giuno. All' anelante ed egro Fianco negavan crude ospizio e seg-gio Le Achee cittadi : imjjauriti i fiumi L' acque volgean, qual dopo estiva pioggia, Vorticose, spumanti, e all'arso labbro Vergine stilla contendeano. D'arme Alto sonante, all' Emo in vetta, fero Marte la sanguinosa asta brandia. Le Tessaliche balze e la suggetta Cranonia terra minacciando. Avversa Esploratrice dal Mimante, il guardo Torcea sdegnosa sull' Icario flutto Iri, e alle sparse intorno isole fea Cenni, e divieto, onde sul curvo lido Non ricovrasser la dolente. Tulto (piosto, e ciò elio sogno di nomi o di immagini classiche sul parto di Latona, è a festeggiare la nascita del jirimogenito del luogotenente colonnello Enrico Da-Browski, (364) [44] figlio d'un generale divisionario. Niente meno ! ; era quello il caso, so altro mai, pel capitano Ceroni, di farsi onore. E per ciò, quando la moglie del luogotenente colonnello, E- milia Di Negro, sta per partorire, Venere vuole che nasca una bambina che sia tutta la mamma, e Pallade un bam- l)ino che sia tutto il babbo e il nonno. Lucina, stizzita di ({uel contrasto, non si risolveva a permettere che il bam- bino 0 la bambina uscissero alla luce, e la signora Emilia ne soffriva atrocemente, quando Minerva andò in persona a cercare d'Esculapio e lo trasse seco.... e il ì)and)ino vagì! (*). (1) Ali E Ili Hill Di Negro Ba-Browiki per la nascita del di lei primo pijlio. Inno di Ceroni; Milano, Agnello Nobile, MDCCCIV. Nulla può dai" meglio l'idea di quel che fosse quell'unione dell'accademico col reale c'io soltanto ne' maestri era tollerabile e talvolta anche riusciva ad ef- fetti egregi, ma in loro, soltanto, come questi versi del Ceroni sul me- dico che, assistendo il parto difficile e quasi ormai disperato, vede a un tratto migliori le condizioni della partoriente : Macaon novello Uom su i colli ed\icato ardui del Tebro Che te vegliava, e l'opre indarno e l'arte Spese avea, gridò il primo, i Dei mutati Veggo, e le sorti, e colla dotta mano Tentò più volte l' intime làtèbre. Languidamente i lumi apristi, e bello Come la viva porporina luce Della surgente Aurora, un figlio uscio Dell' alvo. Pareva questo allora il sommo dell' arte : né il Mascheroni, né il Monti avrebbero sdegnato verseggiare così un bel caso consimile. [15] (:Ui5) « Questi son salti ! questi son voli ! un alfiere, un ca- })raj() (li Corsica che balza imperatore ! Poffariddio, che cosa ! sicché dunque, comandante, a quel che vedo, un Corso ha castrato i Francesi ! » diceva un italiano al Cou- rier, eh' era a Piacenza officiale nell' artiglieria, quando il Bonaparte divenne Napoleone I (18 maggio 1804); ed egli riferisce in italiano quelle parole nella lettera bellissima (li cui, parlando io d' un suo commilitone, il quale si trovò })robabilmente a scene simili, o fece almeno simili discorsi, mi piace riferire una parte. Traduco, alla peggio. « Abbiam fatto or ora un imperatore, e, per parte mia, non ho messo bastoni tra le ruote. Ecco come è andata. Stamattina il D' Anthouard ci raduna e ci dice di che si tratta, ma così alla buona, senza preaiiil)oli né perorazioni. Imperatore o repu!)blica ? che preferite ? come si dice : arrosto o lesso, minestra da magro o da grasso, che cosa volete ? Fatto che egli ha il suo discorso, ecco che tutti noi, a sedere in giro, ci guardiamo 1' un l'altro. Signori, che preferite? Nessuno apre bocca. Si sta cosi un quarto d' ora o più ; e la fac- cenda diventava imbarazzante pel D' Anthouard e per tutti, (juando Maire, un giovinotto, un luogotenente che forse conosci, si alza e dice: Se vuole essere imperatore, sia; ma, a dirla schietta, a me non mi va. Spiegatevi, dice il colon- nello, dite di si 0 di no? Io dico di no, risponde Maire. Sta bene. E zitti da capo. Cosi si ricouiincia a guardarci r un r altro come persone che si vedessero la prima volta; e si sarebbe ancora li, se non mi fossi levato su io. Signori, ho detto io, a me pare, e se sbaglio correggetemi pure, che T. IV, S. VII 24 (866) [46] la cesa non ci riguardi né punto né poco. Se la nazione vuole un imperatore, tocca a noi deliberare ? Questo ragio- namento parve cosi forte, cosi luminoso, cosi ad rem... che, sai come l'andò?, trascinai l'assemblea. Non c'è stato mai oratore che abbia avuta vittoria cosi piena. Tutti ci alzia- mo, si firma, e si va a giocare a biliardo. Maire mi diceva : In fé mia, comandante, voi parlate come Cicerone ; ma perché vi sta tanto a cuore che lui sia imperatore? fatemi un po' il piacere di dirmelo. — To', per finire e far la par- tita al biliardo ! 0 che si doveva star 11 tutto il santo giorno ? Ma voi, poi, perchè non volete che sia ? — Non lo so, mi ha risposto, ma lo credevo fatto per qualcosa di me- glio. E in verità, che vuol dire, spiegatemelo voi.... un uomo come lui, Bonaparte, soldato, generale in capo, il primo capitano del mondo, volersi far chiamare Maestà! Essere Bonaparte e farsi Sire! Egli aspira a discendere : mano, crede anzi salire agguagliandosi ai re : gli piace più un titolo che un nome. Pover uomo, ha idee inferiori alla sua fortuna. Cominciai ad accorgermene quando lo vidi dare la sorella minore in moglie al Borghese, e credere che il Borghese gli facesse troppo onore. » (*). Il Ceroni sembra, a dir vero, che se la pigliasse più calda, se è suo un sonetto che girò per Milano, attribuito a lui, quando Napoleone si coronò re d' Italia (26 maggio 1805) : Tinse nel sangue de' Capeti il dito Il ladron F"ranco ; e di sue fraudi forte, Vincitor scese nell' Ausonio lite : Ebbro gridando : Libertade o morte. Pieno la mente di cotanta sorte, Libertà sogna il popolo tradito, (1) P. L. CnuRiER, Orvn-jv'.s- complète^:: Parigi, Panlin, 18:ì6; voi. III. i)ao-. 51-53. |t7] . ((:r)7 Né le novelle ahi ! sente empie ritorte Ond' ora ha il pie profondamente attrito. E libero qual gloriasi, i suoi dritti Mira calpesti, e da straniere spade Protetti gli oppressor, salvi i delitti. Che più ? fra noi seder dee un Gallo in trono! Ahi ! se cangiar tiranno è libertade, O terra, ingoja il donatore e il dono. (') Se del Ceroni è, come ben [)uò essere, certo egli, che era già stato riammesso in servizio, corse grave pericolo. Né d' allora in poi si sollevò più in versi contro i fatti coni- ])iuti : anzi, come con la spada, cosi con la penna, cercò cooi)erare alla gloria dell' imperatore. (-) Le Odi, raccolte (1) C. Cantù, Bella indipendenza italiana, Cronistoria, ediz. cit, voi. I, pag. 271, e G. De Castro, Milano durante In dominazione na- poleonica etc, ed. cit. pag. 197-98 : né V uno né V altro lo affermano del Ceroni, ma dicono che a lui fu attribuito allora. E mi sembra con ragione. Narrano che il buon Viceré soleva sorridendo dire che i tre poeti dell' esercito (Foscolo, Ceroni, Gasparinetti) gli davano piìi da fare che non tutto l'esercito: cfr. De Castro, ivi, pag. 142, in nota. (2) Nulla posso dire delle sue nozze o de' suoi amori, onde nel 1806 gli nacque a Milano il figlio Riccardo, traduttore lodato del Wer- ther, e autore de P)-astagli (Milano, 1845) e di altre opere. Vedasi su lui, che fu garibaldino e mori nel 1875, i Frammenti storici etc, ediz. cit., voi. l, pag. 103-105. Potrebbe essere che fosse figliolo di quella Aniira (Maria) che Giuseppe Giulio cantò : e che costei fosse moglie legittima potrebbero accennare, se non dimostrare, i vei-si nella Presa di Tarragona, là dove il poeta allude a sé stesso : Altri del Mincio la beata sponda Rimembra e il consonar de' Cigni Ocnei, E de r Insubre Amira i dolci modi. La data fé', V angelico intelletto, E il nome sculpe ne' frondosi mirti. Care e acerbe memorie. (368) [48] a Verona nel 1810, e dedicate al generale Fontanelli, (i) ci danno qualche notizia delle sue imprese di guerra : aveva militato sotto il Fontanelli stesso nel campo di Mon- techiari, sulle montagne del Tirolo e alla Piave ; si era poi trovato al combattimento di Tarvis (17 maggio 1809), neir avanguardia dell' esercito italiano, e vi aveva coman- dato un battaglione di volteggiatori ; poi, alla battaglia di Raab (14 giugno); fatti gloriosi alle armi nostre. L'uomo ha bisogno di quella ginnastica bellica che Paulo Fambri raccomandava testé con si calde parole ; ed anche i popoli ne han bisogno : le guerre napoleoniche furono a noi adde- stramento e rafforzamento necessario, né senza esse avremmo potuto racquistare l'indipendenza e la libertà. 11 Ceroni che n' era stato partecipe come capitano de' granatieri nel terzo reggimento di linea, canta quei nobili fatti, e non é inutile riaprire il suo librettino, (2) Per l' arte, vi ritroveremo il se- guace di Labindo, che ha ormai sentita l'efficacia dei puri esempii foscoliani. Le odi, dedicate, come ho detto, al Fontanelli (la lettera di dedica é datata da Verona, 30 gennaio 1810) sono sette. La prima, in saffici ben cadenzati, Il giorno onomastico di Na- poleone il Grande, Imperatore de' Francesi e Re d' Italia, era già stata stampata, come una nota ci avverte, a Raab in Ungheria il 15 agosto del 1809 ; poco dopo, dunque, la battaglia : sono le solite lodi, nux qui non ineleganti, a Napoleone, con le minacce solite all' Inghilterra, e, sulla chiusa, una buffata d' incenso anche al viceré Eugenio, (1) Una postilla a matita di Alessandro Torri in un esemplare delle Poesie (Mantova, 1813) del Ceroni, riferendovi le notizie che si hanno da una nota a questa edizione del 10, nota che fu oraraessa in quella posteriore, aggiunge che il Ceroni servi il Fontanelli in qualità di Aiutante Comandante. (2) Odi di Giuseppe Ceroni veronese, capitano de' Granatieri nel terzo reggimento di linea italiano : Verona, dalla tipografia Mainardi. 1810. [49] (.%9) clic i tuo' Sci])j oscura Che ugual non vide, o vedrà in tanta sede L' età futura. Mij^lioi'o la seconda : TI co?nhaUimenio di Tarvis, al- l' amica ; il luogo della mischia è i'a})})i'esentato con l'i- spondeiiza al vero e insieme con efficacia poetica. German superbo, indarno t' assicura Selva dai lati gemina E romorosa innanzi onda, paura Delle japidie vergini. Retro ti sorge di munite rocche Lunga catena ; vigili Splendono ovunque le tonanti bocche Della morte ad arbitrio. Ma incontro a te gli sdegni incita, e 1' aste Drizza la virtù ausonica : Vinto cadrai, benché d' alto contraste Al formidabil impeto. (') Ri.stam})and() nel 13, corresse in meg'lio : e riferisco ancora le tre strofe perchè si vegga come al Ceroni si fos- sero fatti a mano a mano più delicati il senso dell'arte e lo scrupolo dello stile : (1) Non mancano le lodi al generale Achille Fontanelli (cui il 11- lirotto. come abbiam visto, è dedicato) poi Ministro della Guerra e Ma- rina ; fu r eroe della giornata. Cfr. Zanoi,i, Sulla milizia cisalpino-ita- liana, ediz. cit. ; voi. II, pag. 90-92. Ormai è noto che. sposati nel 13, la vedova di Gaetano Battaglia, capitano colonnello nelle guardie d'onore del viceré, ch'era morto nella spedizione di Russia, fu vittima anche lui delle audacie amorose del Foscolo, ch'era stato amico del primo uiarito. ed era suo aiutante di campo. Cfr. G. Chiarini. (ìli (iniori di r Foscolo, Bologna, Zanichelli, 1892; I, 205 e segg. (870) [50] Altier Nemico, indarno t' assicura Selva dai lati gemina, E innanzi romorosa onda, paura De le Japidie vergini, E ti circonda di potenti rocche Lunga catena ; tuonano Crebre d' intorno le infiammate bocche Grave di morte arbitrio, Invan ; che contro te gli sdegni e 1' aste Drizza la virtù Ausonica : Cadrai benché da gioghi erti contraste Al formidabil impeto. Così è rimiitata tutta 1" ode, con .soppressione di strofe e correzioni continue. Tra i versi soppressi notevoli quelli ove il Ceroni rammentava di aver messo egli l' incendio in un bosco, ad agevolare l' impresa del viceré. Finalmente gli Italiani han vinto ; e cade la notte : guardando la Luna che sale, il poeta ripensa all' amica lombarda, e alla Luna chiede che le rechi messaggi di amore. Più eroicamente nella stampa del 10: Dille che in mezzo a feri strazj avea Nel cor la dolce immagine ; Le parlava pugnando, e rispondea : Tu gloria cerca, o tumulo. Ma più umanamente e poeticamente in (luella del 13: Dille che avea tra il suon de' bronzi fero Nel cor la dolce immagine, E che non pinga al timido pensiero Vicin de' miei dì l'ultimo. E il vanto di essere dal destino serljato « ai dolci ozj pierii > si cambia nel desidei'io di godersi con Amira il J [51] (:}71) « voluhilo ozio de' caini)i Iiisiiln'i, > Aiiiira ; vaio a diro, jìari'obbe, per acrostico, Maria. L' erbe letto, esca il pruno, e stanza il faggio M' offrono intanto : placidi Mi circondano i sogni : al primo raggio Tenterò il Marte ungarico. (') Possiamo passare oltre alla terza ode II progresso delle di'ti (diretta a T. P. L. Per una sua lettera sulle 'ì/edesime), senza perdere molto. E tuia saffica, di etti 1' autore stesso fece poi giustizia non ristampandola. Migliore la quarta La notte in Carìntia, all'amica, che nella stampa posteriore appare pur qui col nome di Amira. Narra il Ceroni, in })iani e sdruccioli rimati, ali" uso d(d Fantoni, come si smarrì l)e' boschi di Feldkirchen ("^), e come trovò ricovero. Cito, senz' altro, dal rifacimento del 13, cioè secondo l'intenzione ultima del poeta : Notte imbruna di gel carca e al torrente Impetra 1' onde tumida ; 1' arborea Chioma de' monti stride cupamente Al furiar di Borea. Lasso ! dov' erra il pie tremula canna.... ? Così perdo gli Ascrei co' serti Ungarici... ? Ma vicin fummo accusa una capanna Tra i negri abeti, e i larici. A gli affannosi guai fine e al disagio ; (l) Nella stampa del 13: Mi lusinirliino i souni : al primo rag-gio Si tenti il Marte vnigarico. (•2) La stampa del 13 ag{,nung-o in nota, per seg-no di riconosconzn il nome della famiglia che die ricovero allo smarrito officiale. (872) [52] M' avrò nel rozzo casolar del Povero Più che ne gli ostri del regal palagio Schietta mensa e ricovero. Entro ; né timor desta o maraviglia De r arme il lampo che raggiando volita ; Mi accoglie surta la gentil famiglia, E gioja mostra insolita. Esca aggiunge a le fiamme e tronchi spezza, Chiude r adito a 1' aure ; or mette un gemito Su' miei dolenti casi, or m' accarezza Con amoroso fremito. Dove si osserverà vivo e moderno il sentimento delle cose, sebbene la espressione sia ancora inceppata dai pre- giudizii dello stile alla classica, e anche, aggiungeremo, dalla rima degli sdruccioli. Ma nel 1809 questa era non volgare poesia ; e non ha perduto neppure oggi ogni sua vaghezza e curiosità. Dopo la Itattaglia di Raab il Cei-oni curò che i commili- toni uccisi avessei'o sepoltura ; e trasse da ciò l'argomento alla quinta ode. Le sepolture di Raab. 11 contrapposto tra lo stato miserando de' campi dopo la zuffa con quello lieto che avean prima è espresso con una certa vigoria, e spesso feli- cemente : ma più lirica è 1' apostrofo agli ufficiali rimasti morti, un Fontana, nipote del general Pino, un Rol)erti, un Medici. Dovranno essi giacere abbandonati ai lupi e agli avvoltoi? Sieno composti nella fossa per sempre, e (piivi dor- mano in pace : Bella è morte a chi splendida Desta di sua virtù ne' Forti brama ; Assai visse chi al patrio Lito inviò cadendo aure di fama. L' ode sesta, diretta al generale Xar])on, governatore di Raab e dell' Ungheria, La ricojiotZ(t, accenna a bene- [:>;{] (:57:>.) Hcii cho il Cei'oiii cMx' da hii : e se alludesse a (|ualclie fallo pai'ticolai'c, polrchhc aliiiciio Ibniii'o notizie sulla vita dell" autore : cosi, come é, non ha nulla che fermi l'atteu- zione. E scritta con quella solita eleganza accademica che il Ceroni conseguiva, come anche qui si vede, per labo- riosa opera di lima, facendo o rifacendo, in strofe di ti-e ejidecasilla])i e d" un ([uinaL-io, che rimano alterni, piani il primo e il I(m*zo, sdruccioli il secondo e il quai'to. (') Né migliore è la settima e ultima, La presenlazione delle ot- tanta bandiere spagnuole al Corpo legislativo dell' Impero francese, fatta il giorno 22 gennajo 1810 dal sig. Ajutante Comandante Conte di Segnr, in strofe saffiche. Non fosse altro, comincia con una bugia, della quale doveva di li a poco i)entirsi il poeta medesimo, mandato a combattere nella dura guerra di Spagna : Non vi son Pirenei : 1' eterno fianco Prostrare e il dosso al cenno onnipotente : Pace stringe e amistà col popol franco L' ispana gente. Meno, in ({uelT anno stesso, s' illudeva un oscuro ri- matore di Enego, Giusep})e Caregnato, Accademico Errante, rammentando l'oraziano « Cantabrum indoctum ferrejuga nostra » e parafrasandolo così : O Cantabri rubelli, o non mai domi Dalla romana spada ancorché vinti ; Dal seme di Quirino Un gran Figlio sortì, cui '1 Ciel commise Dell' Esperia il destino : (1) Era già stata stampata col titolo : Al sùjnor generale di divisione yarboit (jovernalore di lìnnb e dell' Unffìieria ; di Ceroni capititno de' l/ranatieri nel 3 Rei/;fiini'>ìl.o di lincn. Haal). li 10 novcinbn.' 1809: sonza iiidieaziono di .-stampa. (374) [54] Deh ! per 1' onor di lui, per 1' util vostro L' armi abbassate al vincitor cortese Di clemenza e perdono ; O sotto r alte porte State a veder e fiamma e strage e morte. (') E così, di lì a poco, il Ceroni dovè anche vedei'e, (juando si preparavano le armi contro la Russia, e più quando quelle armi dalla Russia tornarono !, la verità della })rofezia da lui fatta del « rivocato della Senna ai voti — Secolo d' oro. » Pure del 1810 è l'ode / guerrieri, che inneggiava anch' essa alla pace. Odio il Pelide ; a i Teucri Roghi le luci tien gioendo fisse, Roso da ignoto aculeo Anco in sen di Briseide ama le risse. M' è caro Ettòr ; le lagrime Fa il combattuto Eroe piover dal ciglio Quando parla a la misera Sposa e commette a i fati Iliaci il figlio. Ma il poeta, nel chiudere, non potè dissimulare a se medesimo la minaccia perpetua dell' Inghilterra nemica. Q.uelle « Caledonie antenne », contro le quali ormai da tanti anni peroravano e imprecavano cosi ostinatamente e (1) Napoleone conquistatore, Versi di Giuseppe Caeegnato, Acca- demico Errante; Bassano, dalla tipogr. Remondiniana, 1810, pag. XII. Mi sarii grato il lettore se, contentandomi di questo raffronto, non ri- ferisco (jui neppur uno de' versi del canto lirico : La (juerra di Spagna del conte Carlo Aurelio Bossi (Poesie edite e inedite, Firenze, Bar- bèra, 1861, voi. II, pag. 291-98), che nelle note, da diplomatico come era, vuol dimostrare i grandi vantaggi che avrebbe avuti la Spagna se avesse accettata di -Ijuon animo la dinastia napoleonica. [ò.->] {■■^-) violoiiU'iiKMitc i nostfi poeti, sogiiitavaiio infatti a corrore \ iiiciti'ici lì a .si)a(lroiioj^"j4Ìai'o il Meditoi-i'aneo. (*) GÌ' Inglesi, del resto, davano noia al Ceroni perfino sul teatro; si che ([uaudo volle lodare pubblicamente il canto d(dla Teresa l)(doc, che l'acf'va, in quell' anno stesso, le delizie dei Veronesi, se la prese con lo Shakespeare: I Monarchi precipiti, L' ombre evocate, a 1' Anolo furibondo, E le uccise Desdemone Cediamo, e tinto d' uman sangue il mondo. Noi, cui dieron le (irazie Lingua temprata a la beltà natia, Celesti note, e numeri Sonanti, e la più tenera armonia ; Col canto 1' ore tacite Inganniam della notte ; ed oh soave Voce, che corri a 1' anima E de' più rudi cor volgi la chiave ! (^) (1) Cito dalla raccolta del 13. La prima stampa, col titolo I guervieri, Ode al Generale Divisionario Barbou, è di Ancona, Sartoriani, 1810. Ga- briele Barbou si era segnalato combattendo, sotto il Brune, in Olanda nel 99 ; era stato fatto allora Governatore di Ancona ; e V ode accenna a (juesto officio e a quelle imprese con molte lodi, tra lo quali suonano non volgari i versi : De la grand' alma prodigo. Parco de' giorni altrui, Harbou. movesti A ripulsar del Baiavo Lito i Britanni al doppio mondo intesti. (2) Alla celebre si(/ììora Teresa Beloc prima attrice di canto, Ode; Verona, dalla tipografia Mainardi, 1810: è un foglio volante. L' ode ò fir- mata « In segno di vera stima C. » Che sia del Ceroni attesta anche il fatto che il Torri, nell' esemplare cui sopra accennai, la uni alle Poesie di lui. La Beloc traeva effetto specialmente da un Oli Dio dell' atto II, scena XIV, dell' A(lelii!7l (377) Tasso, (i-a tanto coi-o di inni, non sepjx' astoiiorsi dal ce- lebrarlo anche lui ! Un piover lento di viole e d' Api, Un fioccar di vapori fiammeggianti L' aer veste e la terra ; Imene Imene La Senna e 1' Istro alto ripete. E oh quanto E qual figlio prometti, Austriaca Dea ! Surto appena alza il capo a i firmamenti Che nel chiaror de la paterna stella Adombra, e Infante già noi cape il Mondo. Bastano questi versi a mostrare, tutto il poemetto a che tenda. Redeimt Saturnia regna ; e il povero Torquato e' entra soltanto perchè al capo di battaglione piacque ti- rarlo [)o" cai)elli a dire cosi enormi cose. Né potrebbe es- sere di utilità 0 almeno di diletto il fermarcisi su. Noterò soltanto ({ua e là, nello sciolto del Ceroni, accenti nuovi, clie sembra egli avesse imparati di recente dal Foscolo. Parla Torcjuato delle opere sue minori : De la Italica gloria, e Tu cortese (ìli assecura gli accogli e del tuo Nome Del tuo favor su la plaudente Senna Vadan famosi con ardir leggiadro. Chi sia questo Ferdinando non è spiegato di più ; ma spero co- gliere nel segno riconoscendovi Ferdinando Arrivabene, mantovano, già deputato alla Consulta di Lione e segretario del Corpo legislativo nella Cisalpina, il quale abitava, di sovente, Parigi. E il chiaro autore del Secolo di Dante. Le libere opinioni alle quali accenna suo fratello Gio- vanni {Memorie della mia vita, Ì795-Ì859, Firenze, Barbèra, 1880, {)ag. 12) spiegherebbero bene cosi V amicizia col Ceroni, come il timore di questo quando nel 13, ristampando il poemetto, ne tolse i versi finali di dedica. Notisi che l' Arrivabene era amico del Cicognara : per un lavoro cui davano opera insieme cfr. C. Cantc. nella vita dell" Arriva- bene stesso, edita dal Tipai.do. Bìor/rafìa deyli italiani illustri etc, voi. II. pag. 464. (378) [58] Né di Elicona assai mi fu 1' un giogo, Le sue cime conobbi aspre di scogli Tutte, e nove spiai vergini fonti : Di mirti avvolto setto agresti spoglie Lustrai le selve con umil sampogna, E a i Toschi accenti dal Pastor mio biondo Men dolce suono modular dal faggio Di Titiro le avene ; impaziente Lungo il fiume la candida Amarille Scolorir, non più Dea, vider le Ninfe. Cara e intesta al mio crin solo ghirlanda. Poiché d' ingegni fiorirà Fiorenza Qual ti seconda plauso e d' Arno in riva Quanto mormora 1' Eco Aminta, Aminta ! E non rimembro, giovanil vaghezza, Rinaldo sul destrier mago che vampo Menava e furia indocile del freno Per la buja spelonca ; e non gì' inchiostri Onde il Creato da 1' origin prima Ed il volubil etra e l' ampia terra Dipinsi ; e non tua colpa. Amor, le gravi Del flauto sospiroso querimonie E non le cordi Liriche ineguali Da Calliope temprate. Chi non sapesse che Le Grazie sono, qualunque reda- zione degli inni si voglia considerare, posteriori, salvo in qualche frammento, al 1811, sarebbe indotto facilmente a vedere in questi e in altri sciolti del poemetto ceroniano una diretta imitazione. La quale, dunque, è esclusa; e può essere questo un caso dei tanti onde s' impara a diffidare del giudizio fondato sulle ragioni sole dello stile. Ma ciò non toglie che il Ceroni debba porsi tra coloro che sentirono primi l'efficacia della meravigliosa arte del suo commilitone : tutt' e due erano usciti dalla scuola medesima del Cesarotti e del Fantoni, e avevano per ciò una certa comunanza di [50] (370) oi-ii^iiii cli(\ nella diversità delle ì'oìzo, li metteva per una strada medesima: tanto più agevijle e rapida 1' efficacia del- l'uno sull'altro. Bastavano le odi })er l'amica risanata e })ei' la l*alla\icini, l)asta\ano i Sepolcri, a far si che il Ceroni, ])uoii iuteiulitore, correggesse in meglio i modi tecnici del- l' arte sua ; e (juesto infatti avvenne, come anche que' versi su (-itati dimostrano. I (juali ho riferiti dalla ristampa del !.'>, i)(M' non andar contro nep})ur qui alla volontà dell'au- tore, che tutto vi corresse il poemetto con tagli e ritocchi. Dei tagli è notevole questo, là dove il Tasso accenna al Tor- rismondo : Al pie il coturno Strinsi d' Attiche foggie indarno altero ; Che dalla Dora sorge Italo Spirto Cui gode unico amar del pugnai truce Parteggiando Melpomene. (') La lode all' Alfieri scomparve, forse perchè sembrò al Ceroni che se ne sminuisse la gloria di Torquato ; il quale, veramente, era non senza stranezza costretto in tal modo a dir male d' un' opera sua. ("^) (1) Rimase invece l" accenno al trionfo ridevole di Conila Olimpica : curiosa plebe Me non vedrà su la Ronìuloa biga Cui sale Etrusca femminetta adorna Insultando a Petrarca, e ne va il Tebro Di subito pudt)r tinto la guancia. (2) Alessandro Torri inviando al Missirini (10 novembre 1828) il suo contributo per V erezione in Roma d' un monumento al Tasso, gli proponeva di ristampare in quella occasione il poemetto del Ceroni « studiosissimo delle opere di quel sommo genio, e delle quali (pianto fosse nutrito diedelo a conoscere nei vari componimenti che ci ha la- sciati. » Per ciò gliene mandava un esemplare, con qualche nota bio- grafi(;a sul suo concittadino, del quale aveva, come ebbi ad accennare, (380) [00] Se non che, codesto poemetto fu quasi un intermezzo (li suoni più dolci tra le battaglie combattute e cantate dal Ceroni ; e alle battaglie torneremo volentieri, poi che furono gloriose alle armi italiane. Il nome di Lissa ormai non ci richiama, pur troppo, che a tristi ricordanze ; e se nel 1810 vincemmo là, non è ([uesto un conforto alla sconfitta del 66 : ma neppure ag- grava il male rammentare (|uel fatto, come ora m'induce a fare il Ceroni. GÌ' Inglesi, ho detto sopra, spadroneggiavancj nel Mediterraneo, e a scacciameli non valevano le odi, nep- pure rimate di sdruccioli, come quella del nostro bravo capo di battaglione a Gioachino Napoleone I, Re di Napoli e delle due Sicilie, Contro lo Ingliilese veleggiante per l' Adria- tico Avevano un beli' affermare, gli sdruccioli rimati, che r Inghilterra non osava « torcer da la via marittima », perchè subito che i suoi ladroni, proprio cosi, fossero scesi sulla sabbia italiana, vi sarebbero rimasti « devota a morte vittima»; gl'Inglesi non se ne lasciavano adescare a venir fin qua a guerreggiare nella penisola nostra, mentre già pareva loro abbastanza ridurre a mal partito i Francesi in ({uella iberica, e da per tutto intralciarne le comunicazioni su' mari. Neil' Adriatico si erano stabiliti a Lissa, dove le mercanzie di contrabbando aspettavano le occasioni di pas- sare in Italia, e di là minacciavano con rapide scorrerie An- raccolte alcune scritture, come appendice alle Poesie del 13, con alcuno postille sue. Questa raccoltina, dove del resto si cercherebbero invano molti degli opuscoletti che ho qui esaminati, è ora nella Nazionale di Firenze (Fondo Nencini, 1. 8. 1.) e in fine v' è ms. l'ode che vedremo per La battaglia di Caldievo e la minuta della lettera suddetta al Mis- sirini. Della ristampa romana non se ne fece nulla ; e La morte di T. Tasso sfuggi al Ferrazzi (Torquato Tasso, Bassano, Pozzato, 1880), quando enumerò i componimenti poetici scritti in onore di lui (pag. 201 e segg.) ; invece registrò T. Tasso a Sant' Anna, canto di Riccardo Cerroni (sic), stampato a Milano nel 1874. Riccardo, come ho detto, fu figliuolo di Giuseppe Giulio. rei] (:isi) (•(Mia e le coste tutte dalla Uoina^i^na alle Piij^lie. L' iinpe- i-atf)i-<' volle che 1' isola loss(> lolla loi'o : e il :^0 ottobre 1810 (lue }ì'et;ate tVaucesi e una ilaliana, cnii una (corvetta e un leg'iio luiuoce, sotto i^li oi-diiii (Ud capitano di \ascello Du- liui'dieu, sali)arono da Ancona, avendo a bordo un batta- lilione del 'S.° regginiento di fanteria, comandato dal barone colonnello Gilllenga (come lo chiamavano i nostri ; ma era francese, Gillling'ue) aiutante di campo del viceré. Il 22 le navi approdarono ncdl" isola, al porto di San Giorgio, e le truppe sbarcarono. Oltre a sessanta bastimenti cai'iclii di mercanzie inglesi furono dati alle fiamme; ritolti (juelli che eh' erano caduti in mano degli Inglesi. Le forze di ([uesti si rifugiarono nell' interno, sui monti. Ma il corpo di spedi- zione si avvide che troppo scarso era a mantenersi nelle posizioni ac(|uistate, e se ne tornò ad Ancona, recando seco le prede fatte. « Si calcolò (narra lo Zanoli), forse con qual- che esagerazione, a venti milioni di franchi la perdita del commercio inglese in (questa circostanza. » (i) 11 Ceroni, che comandava i suoi granatieri, era sulla fregata La Favorita. Tornato ad Ancona, dove anche l' ode al Barboii con- ferma che stesse di guarnigione, narrò in sciolti 1' impresa. Non è gran che il suo racconto : ma a una terra come la nostra, che tanta costa ha, e si nobili tradizioni antiche ma- rinaresche, fecero sempre difetto i poeti navigatori : nel cin- (luecento il Tansillo è forse il soh) che mostri nelle sue rime (jua e là un po' d' azzurro marino ; ma più s' indugia a dire comicamente le noie della galea! Anche il Ceroni si con- fessa subito repugnante a' viaggi in nave : (1) A. Zanoli, Sulla milizia cisalpino— italiana, ediz. cit. ; II, 125- 20. Il Dubourdi(3u e il Gifflenga stessi fecero l'anno dopo un'altra spe- dizione a Lissa : ne accadde una battaglia navale, in cui il capitano Pasqualigo con la Corona da lui comandata si meritò, sebbene vinto, gli elogi degli Inglesi vincitori. Nel 12 si fece un terzo tentativo, pure infelice. T. TV, S. VII 25 (382) [62] 10 che un dì la marina onda abborria Come r aspetto de la negra Parca, E non osava ne 1' estremo lido Vagar in grembo di secura prua, Ouand' Eugenio accennò, fatto animoso Sfidai gli Euri sonanti e le tempeste ; Né in breve flutto a la propinqua Lissa, Ito sarei 1' indomito elemento Per Lui solcando, a Battro ultimo, e a Tuie. Invocata Clio, il racconto procede troppo classicamente narrando come il viceré si recò ad Ancona, fé' ispezione alle navi, ordinò si tentasse l'impresa. Qui la partenza è descritta con colori più vivi: 11 gran vessillo porporeggia a i lampi Del sol cadente : le ministre insegne Da le mobili vette tremolando Pompa alternan d' imperio e di colori ; Tra mille viva gì' Itali soldati Che di sangue bagnar 1' Ungare glebe Montano la carena : il popol folto Plaude da i colli : i dispiegati lini Son tesi a 1' aure, e il dì manca e la terra. Poi la bonaccia, contro la quale invano implorava gli Dei del mare il « Cantor che per la piaggia — Longobarda evo- cò l'Ombre Latine », cioè il Ceroni stesso; accenno oscuro, per timore ben naturale e scusabile, agli Sciolti del 1802; poi il ridestarsi del vento, poi 1' arrivo, lo sbarco : tutto espresso con eleganza, ma, a dir vero, senza luce di poesia. Meglio r incendio dei legni nemici entra in (jualche parti- colare caratteristico : ratto si apprende impetuoso Il foco ; in mezzo a lo stridor de l' arse Coste, de i remi, e de la gorgogliante Pece il fumo in volute orride intorno vSi s])ande ; negro vel 1' aer contrista : Il mar gì' incendj ripercote, e tutta Di vampe la deserta Isola splende. Quasi a variare i (luadretti del poeta, nel ritorno accadd(i teniiìesla; ma se lunga fu nel fatto, è ne' versi brevissima, né ([uasi ad alti-o servo che ad un'adulazione: tosto che il viceré fu di i-i torno dall' Umbria ad Ancona, si placarono i venti ; e i soldati suoi poterono, per tanta virtù, entrare nel iioi'to sicuramente. VII. liacconta nelle sue Memorie il generalo De Marbot che quando Napoleone seppe il disastro di Baylen (20 luglio 1808), venticinquemila uomini perduti d' un colpo !, ne fu tanto più irato perchè fino allora « il avait considerò les Espagnols comme aussi làches que les Italiens. » (i) Degli Spagnuoli e degli Italiani doverono farlo ricredere quelle campagne che fino al 13 cosi fieramente e gli uni e gli altri combatterono nella penisola iberica ; e altri Italiani, nel \2, a Malo-Iaroslawetz confermavano la gloria rinascente delle armi nostre. Mal curati sono oggi nelle scuole e nei libri quei fatti. Sia pure che i più alti e recenti del 48-49, del 59, del 60, attraggano meglio gli animi ; ma quelli ove da prima si (1) Mèmoires du general B.on De Marbot; Parigi, Plon, 1892; voi. II, pag. 53. (384) [ (i4] militò, dopo tanti secoli negliitto.si, da schiere italiane, se non per la patria, nel nome e in onore di lei, quelli anche meriterebbero d' essere insegnati e ricordati. E mi piace- rebbe che qualcuno, tornando, non foss' altro, alle Lettere del Lissoni, e alla grande e bella storia del Vacani, ne traesse un libro dove le cose più importanti fossero raccolte, e al bisogno corrette o dichiarate, e più spesso condensate. Perchè il Vacani, che, come il Lissoni, fu parte di ({uoUe imprese egli medesimo, non suole offrire il fianco alle ci-i- tiche né della storia né dell' arte ; vittima anche lui, se non sbaglio, della noncuranza in cui caddero le guerre di Spagna da lui narrate ; e dovrebbe essere, almeno nelle sto- rie della nostra letteratura, ranmientato e additato ai lettori come scrittore di buon senno e di eleganze non affettate. {^) Compendio in poche parole (juanto occorre a intendere La presa di Tarragooia, poemetto del Ceroni, sulla scorta del Vacani, col riscontro dello Zanoli, che quasi sempre compila da lui, e con la riprova del Thiers. ("^) Inviando il generale Suchet a espugnare Tarragona, Na- poleone aggiunse alle sue milizie gli Italiani già addestrati dal Pino « troupe devenue excellente (giudice non sospetto dice qui il Thiers) et aussi brave que disciplinèe»: li coman- dò il generale Palombini. Tarragona, forte per posizione na- turale, e rafforzata da lavori antichi e recenti, aveva inoltre l'armata inglese nel porto, onde facili i soccorsi d'ogni sorta. Con poco spargimento di sangue il 4 maggio 1811 fu com- piuto il primo investimento; ma a restringerlo bisognava (1) Camillo Vacani, Storia delle campagne e degli assedj degV Ita- liani in Ispagìia dal MDCCCVIII al MDCCCXIII etc, Milano, dall'Im- periale Regia Stamperia, 1823. Sono tre grandi volumi con un bell'at- lante di carte topografiche. Dell' assedio di Tarragona tratta nel voi. Ili, pag. 41 e segg. (2) A. Zanoli, Sulla mUiz.in cimi pino-italiana etc, ediz. cit. ; voi. II, pag. 134 e segg.; A. Thiers, Histoire du Constdat et de l' Empire, Parigi, Paulin, 1856, voi. XIII, pag. 277 e segg. [(ir,] (:ìS5) ('s[)ii^iiai-(' il foi'K» Olivo, e ([ui ^-ioxò V opoi-a .sapionto del \'acaiii iHtsfro, olliciale noi genio, clic le ledili suo [)i'0})i'ic', |nii' iiai'i'ando i fatti, lasciò agli «toi-ici posterioia ; ed è tra ((uesli il Thiers. Studiato e })reparato da lui il \mnÌA) del- r assalto, la mattina del oO maggio Francesi e Italiani ii'i'up- pci-o, i)eneti*arono, distrussero e dispersero con le baionette i difensori ; de" ([uali 1200 furono gli uccisi, 1000 i pri- gionieri. Nella fuga degli altri accadde quel fatto e (juel detto magnanimo di Domenico Bianchini granatiere che correndo su loro li spaventò a tal segno che (|uattro uffi- ciali e ciucine soldati gli si ai-i-esero. « Il generale Palom- hini (così racconta il A'acani, e ripete il Thiers), a cui fu- l'ono dallo stesso granatiere guidati, coni' ebbe udito dagli Spagnuoli eh' egli solo, facendosi credere da molti seguitato. avevali non lontano dalla città ridotti a depor le armi, li presentò coi prigionieri al generale Suchet. Questi di lui soddisfatto gli chiese qual ricompensa egli bramasse. Al che subito rispose: L'onore, generale, di montare il pri- mo air {f. Il Bianchini, ferito di più colpi, mori ; ma Tar- ragona era presa, (i) Per la breccia entrarono anche, a cavallo !, i dragoni italiani del colonnello Schiazzetti, e in })oco d'ora tutto orril)ilmente fu messo a ferro e fuoco. Questa la materia del poemetto del Ceroni ; i)oetica, non è du])bio, altamente poetica in sé, ma conveniente jìiuttosto alla Lirica, che condensa le immagini, che non al- l'Epica narratrice. I fatti, da chi ne era stato parte e subito (1) P(M'(.'lr'' il Vacani non sia sospetto di esagerazione, avverto (;he il Thicrs. die scrisse sn le relazioni officiali, racconta il tatto più in l)r('V(!, ma nel modo stesso ; ediz. cit., pag. 297. (388) [(58] dopo che erano avvenuti, non potevano ne dovevano essere altrimenti esposti che secondo hi verità, nei luoghi, nei tempi, neir azione ; onde per necessai-ia conseguenza la poesia, divenuta cronaca verseggiata, non riusciva ad avere altro pregio che quello dello stile. Alla mitologia già spi- ravano teoriche avverse, e il capo del primo battaglione nel Quinto Fanteria volle a ragione rinunziarvi : d' altro mirabile non era il caso, (i) Per ciò la sua Presa di Tar- ragona non fu che un felice esercizio d' arte formale. Non parevano invidiabili, per l' invenzione, gli allori del Bardo del Monti ; e già altri si erano trovati a confessare, di- nanzi alle im})rese di Napoleone, che il meglio era narrarle senz' altro : Essere io spero Verace nel mio dir, che qui I' istoria Senza i carmi è bastante alla tua gloria aveva detto nel 1800 Luigi Camilli nel mettersi a cantare Le guey^re di Napoleone il grande. ("^) E allora, avrebbe potuto rispondere l' imperatore a costui, perchè scrivere tanto in cadenza d' ottave ? Non altrimenti al Ceroni sa- rebbe stato consiglio migliore raccontare in prosa alla buona quel che aveva veduto e fatto egli stesso. Ma, per le ra- gioni medesime che oggi lo rendono inutile, il poemetto che raccontava distesamente l'assedio e la conquista della città })roprio allora espugnata, piacque assai. Stampato su))ito (1) Si rammenti quel che il Giordani (Appendice alle Opere, Milano, Sanvito, 1862, pag. 267) scriveva al marchese di Montrone il 28 gen- naio 1808 : « Sai che tu la credi necessaria (la Mitologia), io inutile e dannosa alla nostra poesia Credo però che amendue dobbiamo convenire in questo, che il mirabile poetico debb 'essere credibile : però bene si adoperavano gli dii, o i demoni, o gli angeli, o le fate, quando erano creduti ; ora torrebbono e fede e dignità alla poetica narrazione. » (2) Italia, 1806; in quattordici canti. ^li propongo darne notizia tra breve. [(i!)] (:580) a Saraj^-ozza iioirestato o m>irautiiiiiio di (jiieir anno iSll, fu ti-adotlo in sj»at;iinoio e pubblicato a Valenza; nell'o- riginale ebbe nell'll v l'i due ristampo, e una nel \'.]. « Questo bello e regolare Poemetto (faceva dire in que- st' ultima r autore ali" editore) è stato fortunato molto. Egli piac(iue all' Esercito, da per tutto, e principalmente in Italia dove accolto venne con ammirazione e con ap- jilauso. » e) Tanto regolare è che, narrata, come sopra ho fatto, la (1) La presa di Tarragona poemetto a Sua Maestà Napoleone il Grande Imperatore de' Francesi e Re d' Italia per Giuseppe Giulio Ceroni Veronese, Capo di battar/lione ; Saragozza, dai tipi di Andrea Sebastian, 1811. Una postilla del dottor Negri, mantovano, su un esem- plare di questa stampa, da lui donato alla Comunale di Mantova, addita una ristampa fatta in quello stesso anno a Barcellona. La prima ita- liana è di Mantova, coi tipi dell' erede Pazzoni, 1811 : la seconda, affer- mata dall' avvertimento suddetto dell' editore, non potei vederla ; la terza è nelle Poesie più volte citate. A[lessandro] T[orri] nel Giornale Vero- nese del 23 ottobi'e 1811 si aflfrettò ad annunziare il poemetto del « prode Capo Battaglione Giu.s(>ppe Giulio Ceroni, nome che suona onorato non meno fra 1' armi, cho fra i cultori delle muse, e di cui si abbella con giusto orgoglio la sua patria Verona » e ne riferi più luoghi con molte lodi. Anche il Giornale Italiano del 5 gennaio 1812 ne riferi un cen- tinaio di versi : « Entusiasmo di gloria, spirito guerriero, amor di pa- tria, zelo d' a iiista, pietà degl' infelici, tali sono le nobili fonti ond' è uscito il poemetto che oggi s' annunzia dal nostro foglio : pregi solenni e rari, cho non mai loderemmo al)l)astanza. e che largamente compen- sano alcuni difetti di stili\ di sintassi, di lingua e di versificazione che la critica saprebbe ravvisare in questo eroico Carme, cantato in mezzo aUe fumanti rovine di Tarragona, ed accompagnato dai lamenti de' feriti o, de' moribondi. » Scommetto che. come anche oggi accade ai critici dei giornali, sarebbe stato in un boli" imljroglio il recensore se il Ceroni gli avesse chiesto d' indicare partita:iiente quei difetti di stile, sintassi, lin- gua e versificazione ! Della traduzione spagnuola ho il titolo per la cor- tesia del prof. Gaetano Quadri che me lo trascrisse dalle postille del dottor Negri : La Toma de Tarragona traducidn por M. Y. B. Valen- cia. 1812, in 8". Del poemetto del Ceroni die saggi G. De C.\stro, Mi- hmo di'i-fiììir In doìuinazione ìuipoleonica. edi/. cit., 1878, pag. 325 e seguenti. {■.m) [70] .storia, è narrato anche il ijoenietto. Invocato Napoleone, il Ceroni descrive la postura di Tarrag-ona, il comparire de' nostri sotto i suoi baluardi, e a mano a mano tutto quanto r assedio e la espugnazione, senza concedere nulla, e male avrebbe potuto, alla fantasia. Soltanto dove tocca dei lieti conversari nel campo, e dice degii effetti delle bombe lan- ciate in Tarragona, trae un po' di farina dal sacco suo, o, seguitando la immagine, mette qualche chicco d' uva sua nella farina che la storia gli porgeva già stacciata per la focaccia. Troppo i-ari quei chicchi e non di ottima qualità. Ecco gì' Italiani che ripensano alle terre lombarde, e il poeta è tra loro : il molle aer quieto Di Milano altri lauda, i celebrati D' Eupili colli, il marmoreo delubro, Che i regni attesta e il Gotico ardimento, I Dedalei giardini il Foro il Circo Gli splendidi teatri e le cosparse Di celeste beltà Ninfe Abduane : Altri del Mincio la beata sponda Rimembra e il consonar de' Cigni Ocnei, E de r Insubre Amira i dolci modi La data fé 1' angelico intelletto E il nome sculpe ne' frondosi mirti, Care e acerbe memorie. Segue una scenetta vivace \)e varii atteggiamenti de' commilitoni ; né senza grazia è la comparazione classica che la chiude : chi g-li affanni Sopisce in Lete e veglia al parlai vario : Chi bee, chi l' alea tenta, e chi seduto Rime cantando con voce aspra e chioccia Ne' schidion atti, al foco in pingue omento ITI] (:5'.)1) Gl'involti brani de' monton de' buoi Cuoce. Tal forse nella Teucra arena Mentre i lauti imbandia prandj e le cene Di che a .t^li ospiti Eroi fé' lieta })ompa 11 divino l'elide, e in cor 1' imago Di Briseide surgea, l' eccelso auriga Automedonte o Patroclo a le fiamme Rotar r infisso tauro e sorridendo Nel Tessalo (iuerrier volgean lo sguardo. 1^ l'orse (piesto il luoi^o niiglioi'e, per sentimento poe- tico, (li tutto il libro ; ti-oppo poco ! Neppure quando narra r eroismo del I>ianchini, jieppure quando accenna alla fe- rita di suo fratello Nicola, (i) che era capitano nella fan- teria, neppure quando si volge al veronese Salimbeni, ca- pitano anch' egli nel genio, ucciso nell' assalto ultimo, il Ceroni trova voci possenti d' entusiasmo o trepide di com- mozione. A parte ciò, l' esecuzione sempre ben lavorata con diligenza di stile e di numeri merita pur qualche lode: tutto e detto con garbo, clie all' arte nostra può sembrare ricer- catezza, ma che sarel)be ingiusto disconoscere. Quell' arte, allora mirabile, delle perifrasi è spesso usata dal Ceroni mae- strevolmente. Ha da dire il bastione Cervantes? ecco come se la cava : Saint Paul che a i primi è guida tra gl'incendj Si disserra animoso al Baloardo Chiaro pel nome di quel divo ingegno Che del peregrinante Eroe Spagnolo Le comiche ritrasse armi e i duelli, (1) Neil" agosto 1813 rimasto eoa soli 250 uoTiiini respinse gli assalti ilogli Spagiuioli a Lareda, e quando nel febbraio del 14, dopo una difesa di sette mesi, fu costretto a uscire, si apri con le armi la strada per Santonna, dove anche combattè fino alla resa del 30 maggio. Cfr. Z.v- "^')Li, Sulla tuiliiia cisalpino-itnliana, ediz. cit. ; voi. II, pag. 219-20. (892) [72] Onde la donna del Toboso varca Al par di Rice e Laura oltre le sfere. I cannoni .sono e'ìiei colubri; le palle ignee quach-eUa, aerei globi; la mina si avanza a pie de' ba.stioni imitante d'Inavnme gli sdegni; le cinque di .sera, la quinta del gior- no ancella oltre il meriggio; fuggono dal porto gì' Ingle-si come .se abbiano vi.sto le Gorgonee forme; e via a questo modo da un capo all' altro. E oggi è ragionevole sorriderne. Ma r accademico verseggiare non dispiace più tanto, quando si fa espressione ai rinnovati spiriti antichi. Presso Tarra- gona è un monumento, volgarmente detto il .sepolcro degli Scipioni : a (|uello si appoggiò nell'assedio la sinistra della divisione italiana. Oual si fosse provvidenza o caso Presso la tomba de' Scipiadi il Campo Tenner l' Itale schiere, e i venerati Marmi inchinando le magnanim' Ombre Evocar piamente, a i generosi Corse il pianto sul ciglio, a 1' alma un turbo Di memorie d' affetti, e qui fremendo Snudaro i brandi e su la nobil urna Per sacramento di morir da forti, O i prischi indursi al crin lauri del Tebro Da virtìi tanta da cotanto nome Non tralignanti eredi ; e i voti il giuro Non portar 1' aure o la volubil onda : Anche il classicismo era dunque buono a qualcosa ! Sia detto per gì' intolleranti d'ogni altro modo d'arte fuor di quello che piace a loro nel quarto d" ora in cui scri- vono. (^) (1) Il Ceroni parla di sé per un' impre.sa cornmes.sagli che gli .sto- [7;!] {:m) vili. Capo (li liaiiaglioiio, cavalici-c (IclToi-diiK' della Corona (li t'erro e (lolla Le^ion d "oiioi-e, il che ^ii recava una poii- .siuiie annua di 480 fraiudii, (i) il Ceroni, tornato dalla j^aier- ra di Spagna a Manto\ a. vi si die negli ozii della gnarni- gione a correggere e risianijìare le sue poesie. « Disinipe- gnava con molta perizia, ci attesta il Torri, le incombenze di relatore presso il Consiglio di guerra » (-) ; ma il riscon- tro che già abbiam fatto in alcuni casi tra le edizioni yive- cedenti e (|uella mantovana del 1.3, mcjstra che non gli mancava il tempo per ro})era jìaziente della lima: tutto vi è infatti severamente riveduto, e quasi sempre in meglio. Conosciamo ormai quasi tutto il libretto : // combat- timento di Tay^ris (Oda I ; così sempre, a uso Foscolo) ; Le i^epotture di Raob ; T oda al Narbonne, già intitolata La riconoscenza, qui senza titolo ; La notte in Carintia ; I guerrieri ; Contro lo Inyhilese releggiante per l'Adria- tico ; poi i tre poemetti La moì^te del Tasso, La spedizione rici non registrarono : riusci ad attrarre? gli Spagnuoli con una diver- sione lontano dalla città e a fugarli : ma il fatto dovè avere pochissima importanza, ed è accennato in sei versi mediocrissimi, sì che neppur motte conto riferirli. Le imprese degli ufficiali veronesi in Spagna ri- masero cosi note che, a proposito del Pedrotti, capitano de' veliti, entrato per la breccia in Girona, le rammentava ancora nel 1843 l'an- notatore delle lettere di Giuseppe Montani : Memorie della vita e defili scritti di G. M., Capolago, tipogr. elvetica, 1843, pag. 238. (1) Zanoi.i, Della milizia cisalpino-italiana, ediz. cit., voi. II, pag. 386, nel Quadro deyV individui che ottennero dall' imperatore Napo- leone titoli di nobiltà etc. (2) Lettera al Missirini, già citata. (:m) [74] di Lissa, La presa di Tarragona. Di tanto alleggeriva il suo bagaglio, da bravo officiale, il buon Ceroni ! Di nuovo per noi troviamo un'oda Le Nozze, un epigramma a Luigia Sucliet, figlia del generale, la quale intrepida cavalcava, come la madre, tra le milizie ; un sonetto I capelli di Bice ; e un madrigale Per lo dono di due ì^ose, l'una candida, l'aitila rossa : è un gruppetto di versi singolare tra le poesie tutte civili e politiche del battagliero Ceroni. Egli stesso nell'oda nuziale si meravigliava : Tu nimica d'Amor, tu 1' Imeneo Cetra vezzeggi ? e le robuste corde La feroce spiranti ira d'Alceo Tra inoperosi carmi Daranno umil susurro E non concento di disdegno e d'armi? Ma, trattandosi d' un commilitone, volle il poeta far forza alla Musa sua; e debbo dire che si fé' più onore nelle nozze che non per quel parto famoso. Degli accenti gentili si compiace con sé e si rallegra paragonandosi all'Alfieri: Tal mutate diero De r Allobrogo fero Piià soave e più bello Suono le corde, quand' o Mirra i tui Gemiti, onor de 1' Itala Melpomene, Spargeva e la immortale Fiamma che in seno, misera, ti ardea : Di mano intanto il terribil pugnale » Odiator de' tiranni A quel Grande cadea. L'epigramma, il sonetto, il madrigale non meritano che |7:.| (395) altri ci si IVi'Hii su (t). Xr ^Ij avveiiiinciiti concessero al Ceroni di industriarsi ancoi'a in (picUe dolcezze : le Poesie uscirono siigli ultimi di api-ile, e il i ^iug'no Napoleone conibatte\a a Lut/cn contro i Kussi e i Prussiani, comin- ciando la terribile campagna che si svolse, può dirsi, tino a Waterloo. I nostri indietreggiarono nell' ottobre dalle A\\)\ fino alla Piave, e nel novembre all'Adige. Sull'Adige, a Caldiero, il 15, là dove già due volte nel 1796 e nel 1809 gli Au- striaci erano stati sconfitti, per la terza furono: era il giorno onomastico del viceré, e parve buon augurio. vSe il Ceroni fosse presente al combattimento non so; a celebrarlo scrisse un' ode che fu probabilmente 1' ultima sua. Eccola qui da una coj)ia manoscritta del Torri, che forse la esemplò da uiu\ stampa in foglio volante, ora rarissima, se non per- duta affatto ; si che a me e agli amici miei non riuscì rin- (1) Poesie di Giuseppe Giulio Ceroni da Verona, capo di batta- glione, cavaliere del Real Ordine della Corona ferrea e della Leyion d'onor-: Mantova, co' tipi dell' erede Pazzoni, MDCCCXIII. L'avverti- mento A chi legge è datato del lo aprile di quell' anno. Unito alla stampa, di cui conosco due tirature diverse con numerazione mutata, è un ritratto del Ceroni, con la statuetta della Musa, e le insegne del suo grado su un tavolino. Rimase esclusa dal libretto anche un' ode saffica Per le nozze della sig.ra Lucrezia ***: cosi l'autografo, che si conserva nel cod. MDCXI della Raccolta Cicogna (Museo Civico di Venezia) ; il Cicogna, facendo fede in calce (con la data 6 ottobre 1812) della sincerità dell'autografo, aggiunge che l'ode « fu stampata per nozze Mangilli Lucrezia col Co. Rasponi. » Una strofa ci dà anche il nome dello sposo, Ippolito. Non riuscii a trovarne l'edizione vista dal Cicogna. Il poeta, del resto, fece bene a lasciarla da parte ; che nulla vi è di singolare. L' intendimento civile, costante nel Coroni, si fa strada anche qui ; e 1' augurio finale suona (troppa grazia ! avrà detto la sposa) magnifico e magnanimo a questo modo : Salve, o Bella, i tuoi Segui destini e all'alma Italia dona Stuolo d' Eroi. (pm) [701 tracciarne nessun esemplare. 0 forse restò inedita, e il Torri la trasse anch'egli da copia manoscritta. Nell'un caso e nell'altro non è inutile, a compiere questi cenni, che io la riferisca. La Battaglia di Caltliero del 15 novembre ONOMASTICO DI S. A. I. IL PuiNCIPE EUGENIO NAPOLEONE ODE Da repressa ira concitata al bellico Prence da canto 1' itala Bellona Vittorie parla e di fugare i barbari Alto ragiona. Di Bassan le corone e in valle d'Adige Le uccise, avvinte e sgominate schiere, Di nuove e forti più letizia inspirano Palme guerriere. Spunta il sole augurato, e chiare e fulgide Il bel giorno a indorar spiega le chiome. D'Achille Eugenio ascolti ognun ripetere Il caro nome. E già Verona di minace fremito Vede brillar gì' impavidi soldati, E già confida di vittoria il cantico Agi' inni alati. Volano i prodi, e i duri bronzi volano Sull'avversa piombando oste deforme Che al gran fragor si discompiglia e dubita Se veglia o dorme. Ai tuoni, ai lampi, onde paura e subito Gel di morte ai Tedeschi invade l'osse. Le Franche ombre esultar dentro le celebri Antiche fosse. [77] (:ì!)7) Né più al sorpreso Capitano immemore Altro che di fui;gir consit:;;lio resta. Fugge. Ma a lui di retro Eugenio fulmina Altra tempesta. Sono in lacci Austri mille : inevitabile Morte a mille spalanca un cimitero. E, Tedeschi, per voi prigione o tumulo Sempre Caldiero. Gode Verona. Ma una stilla tenera Dolce pietà del cor le manda agli occhi. A' vincitor feriti aita accelera D'ospiti cocchi. Senonchè scende ai fuggitivi provvida L'amica del timor cimmeria notte. Nerbo al presto fuggir le vili acquistano Falangi rotte. E tu cessi le stragi, Eroe magnanimo, Dell' italo destin tutela ed astro ; E al campato nemico appresti e mediti Maggior disastro. Ognun sa che il di.sasti'O non fu per gli AustiMaci, ma pel Regno italico. Il Ceroni mori, di lì a poco, nel 14, a Mantova, (i) (1) Non mi fu dato determinare meglio ({uesta data; il Torri me- desimo, nella lettera già citata al Missirini, dico soltanto che « terminò in assai verde età i suoi giorni a Mantova. » T. IV, S. VII 26 (398) [78] IX. Il poeta soldato non avrebbe più avuto per lunghi anni a cantare nessuna impresa delle armi italiane : ma la nostra educazione bellica era ormai compiuta, si era ormai ri- destato in noi il sentimento che al bisogno potevamo schie- rarci e combattere. Fin allora pel nome italiano; d'ora in poi ci schiereremo e combatteremo per l'Italia. Quando nel 1807 il Giordani si difendeva dalle critiche fattegli per la domanda d' un suo discorso — Dove l'armi ? — ben poteva rispondere: «Questo rimprovero d'inerzia agi' Italiani non l'ha fatto tante volte Bonaparte, e più d'una volta in Bo- logna stessa? non si vede quanta ripugnanza vi è general- mente per la milizia? come si fugge dalla coscrizione? certo non si può dire che noi siamo armigeri : altrimenti diamo una mentita all'imperatore che ci rimprovera. Aggiungi che il regno italico è un terzo d' Italia. » {^) Sette anni dopo r esperienza era fatta, ed egli non avrebbe risposto a quel modo senza ingiustizia: in Russia erano andati 27,-397. Ita- liani e ne tornarono un migliaio circa; in Spagna erano andati 30,183 e ne tornarono 8,958: avevamo pagata cara la nostra educazione, ma essa era stata tale che fu efficace a distanza anche di trentaquattro anni. A C'urtatone e Mon- tanara, valga un esempio, comandava i Toscani il De Lau- gier, e Venezia fu difesa dal Pepe, già soldati di Napoleone. Ma appunto perchè tanto ci era costato, noi non volevamo più ricominciare quel corso di ginnastica bellica: com- (1) P. Giordani, Opere, ediz. cit. ; voi. Vili, pag. \93 ; e Appendice,^ pag. 203. [70] (309) battere per noi stessi si, per gli altri no. Per ciò il Foscolo aveva ragione di scrivere alla contessa d' Albany nel no- vembre del 1.'^: « Pare cbo 1' imperadore voglia eccitare gl'Italiani ad armarsi pei- là prup?ia indipendenza : ma \\ viceré vorrebbe però, — e in ciò il governo milanese incita il viceré — vorrebbe però che le iiUenzioni di S. M. fossero l)iìi chiaramente spiegate ; si falla spesso quando si tira a indovinare a volo l' intenzione de' principi. La stolta opi- nione invalsa in Italia che S. M. non voglia il bene di questo Regno tiene molti perplessi; ma se si trattasse di patria indipendente, tutta la Lombardia piglierebl)e l'armi e tutti uscirebbero dalle capanne e da' palazzi a combattere. » (i) L' obiezione fatta dal Giordani, essere il Regno italico un tei'zo solo d'Italia, qui indirettamente confermata, anche essa nei fatti era, se non distrutta, attenuata: nel 12, in Spagna, (niglielmo Pepe, che ordinava i suoi Napolitani in modo che j)arve a' Francesi stessi mirabile, fu sospetto al Suchet per una lettera nella quale « anziché manifestare esser tenero dei Francesi, confessava in vece che i sensi di nazionalità e di onore mi avevano sempre vietato d' esser ligio di qual- siasi straniero. » ("2) Proprio come il Ceroni fin dal 1801 nella lettera al Lavarini. E questo spiega ciò che tanto parve strano al buon generale De Marbot, 1' entusiasmo degli Italiani pel Marat che si collegava con l'Austria: « Tello est la versalitè des Italiens, (ju'ils- accueillirent partout avec acclanuiti(uis les Austro-Napolitains, qu' ils détestaient au- paravant et hai'rent encore davantage peu de temps a- prés. » (3) Non era colpa di versatilità d' animo, sì desiderio naturale d' indipendenza, pur troppo di volta in volta de- luso. L'esercito ormai simboleggiava la patria ed era il fo- (1) U. Foscolo, Epistolario, ediz. cit., voi. I, pag. 52i). (2) G. Pepe, Memorie intorno alla sua vita e ai recenti casi d'I- talia scritte da lui medesimo: Lugano, tipogr. della Svizzera Italiana, 1847; voi. I, pag. 305. (3) Dk Marhot, Mémoires, ediz. cit.: voi. III. pag. 'M6. (400) [80] colare delle .speranze, tanto nel mezzogiorno quanto nel settentrione d' Italia : e che le milizie nostre facessero corpo a sé, fu delle domande che più vive e insistenti fecero all'imperatore d' Austria, nel mag-gio del 14, Federico Gon- falonieri e gli altri deputati lombardi a Parigi ; pareva loro una tavola di salvezza il mantenimento di quell' esercito che « si era sempre distinto e si era meritata la stima de' suoi nemici. » (*) Nella storia delle armi nostre è figura originale il Ce- roni che diede, quale si fosse, tutta l'arte sua a illustrarne le gesta ; e anche per ciò ho creduto bene rintracciarne i versi dimenticati. E in lui, con maggior pienezza forse che in ogni altro scrittore di quegli anni, abbiam visto palesarsi formato e baldo il sentimento nuovo italiano. Se anche le sue poesie fossero peggiori, meriterebbe egli pertanto un po' di stima: ma, in quella cerchia dell'accademismo classico, qualcosa di buono ci offerse anche per l'arte; e mostrò in sé certe tendenze al nuovo che era curioso notare. Sommato (1) F. Gonfalonieri, Memorie e lettere; Milano, Hoepli, 1890 ; voi. II, pag. 10 e 27. Cfr. A. D'Ancona, Federico Gonfalonieri, nella Nuova Antologia, 1890, XXVII, pag. 219-25. Il Cattaneo, L'antico esercito ita- liano (nel Politecnico, Vili, 105), a proposito del processo contro il gene- rale Lechi, il Gasparinetti, e gli altri officiali, nel 16, dice opportunamente: « Fu quello il primo tentativo d' insurrezione pel quale la bandiera del soldato si tradusse in segnale di congiurati. L'anima del fedele e indomito esercito s' incorporò nella nazione. » Si rammenti la scena del giuramento de' nostri officiali, il 1 aprile 1815, come è narrata vivacemente da un amico al Foscolo, nelle Prose politiche di questo, Firenze, La Monnier, 1850, pag. 106-107 : « Il generale Frimont, dopo aver ricevuto la sot- toscrizione di una lunga formula di giuramento dagli ufficiali italiani, ha loro fatto un gentile complimento, assicurandoli che si riputava felice di avere avuto questo onorevole incarico da S. M. di fraternizzare cogli ufficiali della brava armata italiana ; ed ha baciato alcuni generali ed ufficiali superiori in segno di amicizia e di fratellanza. » La congiura che fini nelle condanne del settembre 16 fu generosa risposta a quel fra ternizzamento forzato. f [81] (401) tutto, iioii mi accuso d" avoi* pittato via il temiHj ferman- (loiui cosi a iuii^o su (juosto ufjlziale ma poeta di bassa l'oì'za, (M)iuo lo chiamò il Carducci argutamente ; nò alle arguzie si rimprovera un tantino d' ingiustizia, (i). (1) (t. Carducci, Bozzetti e sclienne, Bologna, Zanichelli, 188U; pa- gina 176. SULLA BIBLIOTHECA MATHEMATICA DI G U S T A V 0 I-: N E S T K Ó M. Ottava Comunicazicne DEL M. E. ANTONIO FA VARO. Poiché, non o.stante i xoìì ripetutamente espressi (i), non spunta ancora quel pcu'iodico particolarmente dedicato agli studi di storia delle matematiche e degno di succe- dere al celebre Bullettino per vent' anni pubblicato per cura ed a spese del Principe I). Baldassarre Boncompagni, devesi gratitudine a chi mantiene aperto alla publìlicazione di ([uesti studi un cam})o, se anche assai ristretto. Intendo con ciò di alludere al signor (histavo Enestriun, il (|uale anche nello scorso anno continuò la sua Bihliotheco Ma- ihemalica e mi ha affidato l'incarico di presentarne all'I- stituto il nuovo volume, sesto della nuova serie {^^). Ed io, (1) Aiichn in una recente occasione dal prof. Gino Loria. Cfr. « l'tio, jtropostii » negli Oinaygi a Galileo Galilei per il terzo centenario dalla inaugurazione del suo insegnamento nel Bb pubblicati per cura della R. Accademia di Padova. Padova, tip. G. B. Randi, 1892, pag. 29. (2) BihliolJieca Mathematica. Zeitschrift fiìr Ge.schichte d(^r Matho- inatilc herausgegeben vou (.lournal d' Histoire des Mathèinatiques pu- blic par) GrsTAK I-Inestròm. 1892. Neue Folge 6 (N(inv(^ll<> S('ri<^ 6). Stockholuì, Central-Tryckeriet, 1892. (^04) [2] fedele a quella che per me si è ormai fatta ima cara con- suetudine (1), neir atto del presentarlo, renderò brevemente conto del contenuto di esso, aggiungendo una qualche os- servazione laddove se ne presenterà l'opportunità. S'apre il volume con alcune considerazioni del Boby- nin intorno alla parte avuta dai Greci nello sviluppo delle matematiche, o per meglio dire intorno alla applicazione ai Greci del fenomeno che la filosofia della storia ci mo- stra ripetutamente verificarsi appresso tutti i popoli in ogni ordine di coltura intellettuale, vale a dire che in ge- nerale « il progresso umano non fu mai soggetto a bruschi cangiamenti ne' suoi gradi successivi di sviluppo, ma in quella vece la transizione si è sempre operata a poco a poco in modo appena notabile ». In un'altra nota il medesimo autore tratta dei progressi successivi delle scienze matematiche presso i popoli europei. Presso i greci soltanto aveva opinato il Bobynin che fosse possibile il tracciamento d'un quadro completo della loro at- tività scientifica, quadro che comprende queste tre fasi di- stinte: 1.° appropriazione delle conoscenze che l'umanità già possedeva; 2.° progresso indipendente della scienza; 3.° deca- denza. Nel tentare uno sguardo ai successivi progressi nelle matematiche appresso gli altri popoli dell'Europa, prende il Bobynin le mosse dai Romani da un lato e dai Bizantini dall'altro, gli uni e gli altri troppo deboli maestri all'Eu- ropa adolescente. Nella fusione delle razze avvenuta nella penisola, in conseguenza delle invasioni barbariche, ravvisa il Bobynin la formazione di una nazione nuova, l'Italiana, la (1) Veggansi le relazioni precedenti che ne abbiamo date in questi "Atti del R. Istituto Veneto ecc. Tomo II, Serie VI, Venezia, 1883-84, pag. 923-927; tomo V, Serie VI, Venezia 1886-87, pag. 1 157-1 161 ; tomo VI, Serie VI, Venezia, 1887-88, pag. 3.51-356 ; tomo VII, Serie VI, Venezia, 1888-89, pag. 119-125; tomo I, Serie VII, Venezia, 1889-90, pag. 157-163; tomo II, Serie VII, Venezia, 1890-91, pag. 205-214; to- mo III, Serie VII, pag. 637-644. (juale, sia per (juaiità ei-editate, sia per un deposito conservato malgrado le invasioni, si porta ben presto alla testa della civiltà e vi si mantiene durante tutto il medio evo ed anzi tino all'aprirsi dell'evo moderno. Il primo periodo del pro- gresso matematico nell'Europa occidentale vien chiuso con Gerberto. L' opera civilizzatrice degli Arabi incomincia a (juesto punto, raggiungendo il suo punto culminante dopo le Ci'ociate ; od alla sua volta è nuovamente l'Italia che dagli studi degli arabi sa trarre il maggiore profitto (^), se- condo periodo che per i popoli europei si chiude con la fine del decimoquarto secolo, poiché nel seguito ancora gli ita- liani, dopo aver uguagliati i maestri, li superano, aprendo una nuova èra alle matematiche nell'indirizzo aritmetico al- gebrico che dagli arabi avevan ricevuto. Perchè le opere classiche della geometria greca })uò dirsi che siano state studiate per allora senza discendere all'indagine dei metodi. Ed anche quando la geometria analitica, e più ancora l'a- nalisi infinitesimale, fornirono alla geometria metodi nuovi, i rapidi progressi che ne seguirono appariscono pur sem- pre sopra un terreno che a stretto rigore è da risguardarsi come estraneo alla geometria ; almeno finché i geometri francesi all'aprirsi di questo nostro secolo resero possibili i progressi della geometria pura secondo ogni indirizzo. Confrontando pertanto questo movimento con quello della matematica greca, giudica il Bobynin che anche l'Europa ha seguito il medesimo disegno ed ha attraversate le mede- sime fasi. Resta a sapersi soltanto se essa abbia già toccato (|uel punto culminante dopo il quale incomincia la deca- denza. Da questi sguardi sintetici al generale progredire della scienza matematica, scendiamo con lo Steinschneider, col (l) Neir enumerare gli italiani che contribuirono airassimilazione riolla scienza araba, il Bobynin accenna al « code d'un certain Luca Pa- ciuolo », mostrando di non aver conoscenza della celebre « Skiììiìki df Aritli melico » di frate Luca Paciom. (406) [4] Suter e col Besthorn alle analisi delle più minute notizie che possono interessare la storia de' nostri studi. Prose- guendo le sue Miscellen zur Geschichte der Mathematik il primo ci intrattiene sopra un Simplicio matematico del quale si trova menzione e come di un commentatore dei libri delle Categorie e dell' Anima, ed ancora quale commentatore di Euclide; la quale nota porse poi occasione ad una comu- nicazione del Besthorn che giunse assai gradita agli stu- diosi, poiché per essa noi sappiamo che in collaborazione col ch."° Heiberg egli pubblicherà la prima parte d' un codice arabo della biblioteca di Leida che contiene appunto questo Commento di Simplicio, intorno al quale 1' egregio autore porge preliminari notizie. Ad una edizione di Euclide dell'astronomo e matema- tico persiano Nassir-ed-Din è relativa una nota del Suter, che si intrattiene intorno ad alcune particolarità da essa offerte in relazione con le notizie clie ci erano state date dal Kastner. Due note del Dickstein concernono le scoperte mate- matiche del Wronski, di questo eterodosso che ha lasciato cosi grande impronta di sé negli argomenti più svariati ai quali si è dedicato. Vien qui richiamata l'attenzione sopra alcune delle sue idee e de' suoi metodi in relazione con ciò che di analogo esposero altri matematici, ed annunziata in pari tempo una completa bibliografia degli stampati e dei manoscritti posseduti dall'erede del AVronski, conte W. Za- moivski e depositati nella biblioteca di Kornik presso Posen. Con grande compiacenza, perché relativa ad un argo- mento che aveva già richiamato l'attenzione nostra molti anni or sono (*), ablùamo trovata in questo volume una (1) Sulla interpretazione matematica del jia/iiro Rhind pubblicato ed illuslrato dal prof. Augusto Eiseiduhr per Antimo Fataro (Atti della R. Accademia di scienze, lettere ed arti i,i Moilcaa. Tono XIX, pag. 89- 143). Modena, Societii tiiiogr-alica, 1879. [5] (407) memoria del Loria suU'ai-itmetica degli antichi egiziani. Vi ha dato motivo lo studio del famoso papiro Rhind, il cui contenuto si riferisce, per ciò che concerne i numeri fra- zionari, alle cosiddette frazioni fondamentali, aventi cioè per numeratore la unità, donde la necessità da parte degli egiziani di saper esprimere qualunque frazione come somma di frazioni fondamentali. Viene infatti esibita una tabella la 2 (luale foi'uisce la soluzione per le frazioni — — ,— rr (n=2..49), ^ ^ (2n-|-l) della quale scrive il Loria che « siccome è estremamente probabile che . . . non sia stata costruita da una sola per- sona, né in una sola epoca, ma sia passata per molteplici stadii di sviluppo prima di assumere le parvenze che co- nosciamo, così si potrebbe pensare che la decomposizione sia stata fatta in modi e con criterii diversi, scelti a caso 0 a capriccio o in base a differenti scopi pratici » (^). Ri- chiamandosi egli in tal luogo ad un passo della mia scrit- tura, si potrebbe credere in lui la intenzione di contraddire ad un parere da me espresso, mentre in quella vece io scri- veva testualmente : « Tale è il sistema assai complicato, e secondo il i)ensiero nostro, molto più ingegnoso che vero, che l'Eisenlohr propone a spiegazione della tabella : infatti, allorquando si voglia applicarlo alla tabella medesima, esso non risponde costantemente, e noi siamo piuttosto inclinati ab abbracciare 1' opinione privatamente comunicataci dal Cantor, vale a dire che allo scopo di quel lavorio di suc- cessiva scomposizione fosse assai opportuno che la tabella, laddove diversi spezzamenti erano possibili, scegliesse quelli i quali dessero origine a frazioni fondamentali con deno- minatori })ari, i quali fossero essi stessi nuovamente divisibili }ter due, o meglio ancora crediamo doversi questa tabella considerare come il risultato di parecchi e diversi artificii e metodi, che in parte possono indovinarsi studiandone le (1) Uihlwtln-ra Mnfl,,-,nntirn. oca. Neuo Folf^e (ì, pag. 98-99. (408) [6] manifestazioni in Leonardo Pisano, in parte chiedere agli spezzamenti medesimi » (i). Cerca pertanto il Loria se coli' esame accurato della tabella si possa avvertire qualche carattere comune alle decomposizioni proposte che guidi alla scoperta delle ragioni per cui esse furono prescelte in confronto di infinite altre. 2 2 E da tale esame, meno che per le frazioni ^ e -Try , gli risulta : 2 A.) Ogni frazione del tipo - — -j—r viene spezzata in tante frazioni fondamentali aventi, tutte meno una, la for- 1 ma -^ 1 ,. . (2n-f- 1) X B.) Quest'ultima frazione, moltiplicata per 2n-|-l, dà un prodotto compreso tra 1 e 2 ; ed è condotto a congetturare che a quella tabella si sia 2 riusciti tentando di sottrarre da ogni frazione ~ j — r tante " 2n-|- 1 frazioni differenti del tipo r^ i — ri — finché si ottenesse ^ ( 2 n -j- 1 ) ^ come resto una nuova frazione fondamentale. Svolgendo il concetto fondamentale di questa ipotesi per le decomposizioni binomie, trinomie e quadrinomie, riesce il Loria ad un procedimento di calcolo che conduce a tutte le formule della tabella, eccetto quelle che concer- nono le due frazioni anzidette, rispetto alle quali si avverte nulla opporsi « a che si ammetta essere desse state otte- nute direttamente o dal primo costruttore della tabella che le preferi a quelle che si otterrebbero applicando il con- cetto generale, o da qualche successivo rimaneggiatore che volle lasciar traccia di sé ». Quanto al procedimento che (1) Sulla inteì'pretazione mateinatica del papiro Rliind, ecc. pag. 106 (dell'estratto a parte, 18). [7] (409) il Loria lui sef^-uito, vogliamo (|ui noi are espressamente es- sere dairauinro avvertilo che lauto la tecnica ai-itmetica 0 i rag-ioiianieiiii alg(^l)i-ici dei ({nali (■gli ha fatto uso })0s- soiio venir « surrogati da un algoritmo fondato su tenta- tivi e che nulla vieta di supporre posseduto dai calcolatola, eccezionalmente esperti, vissuti sulle sponde del Nilo ». Mi contenterò intino di accennare a due note, l'una del Yivanti « sur la Uièorie des eìisemhles », l'altra del Segre intorno alla stona del principio di co7'rispondenza e dei sistemi di curve: di una ultinui nota bibliografica sopra studi italiani sulla storia della matenuitica sarebbe sovei'chia anche la semplice menzione. Come nei precedenti, anche in questo volume si con- tengono alcune recensioni di opere risguardanti la storia della scienza, quesiti scientifici e le consuete esattissime e copiose indicazioni bibliografiche di tutto ciò che nell'ar- gomento speciale, al quale l'efTemeride è dedicata, ha veduto la luce nel corso dell'anno teste compiuto. Padova, 3 nennaio 1893. CHILEMIA IN UN CANE Comunicazione DEL s. c. A. S T E F A N I Tre giorni or sono, aprendo la carotide ad una piccola cagna, già preparata per alcuni esperimenti, e che, disgra- ziatamente, non si poteva più conservare in vita, ho visto uscire un liquido di colore rosa pallido, che potea para- gonarsi a ({uello che si ottiene mescolando coll'acqua della finissima polvere di mattone ; e del medesimo aspetto fu pure trovato anche il sangue della giugulare e di tutti gli altri vasi, per modo che non si poteva distingiu^re il sangue venoso dal sangue arterioso. Questo sangue separò un siero di aspetto perfettamente simile a quello del latte, ed un coagulo molle, di colore rosso sl)iadito. Mi permetto di })resentare a questo ilhistre Consesso un cam[)ione ikd detto sangue. In un provino si trova il solo siero che ha un aspetto perfettamente simile a quello del latte, e nell' altro il siero col relativo coagulo, che si distingue, attraverso il siero, per il suo cohjre roseo sbiadito. L' osservazione microscopica, fatta immediatamente, (h mostrò che 1' aspetto lattiginoso del siero era dovuto alla alla presenza di finissime particelle in esso sospese, dotate di movimento browniano, simili ;i ((uclle dui chilo: ed il (412) [2] trattamento coli' etere dimostrò, che queste particelle erano formate da grasso. La cagna era stata portata al canile da 20 giorni circa, e fin dal suo ingresso si era dimostrata macilente, debole, malinconica, senza appetito ; tanto che fu deciso di affret- tare r esperimento a cui era destinata, per tema che avesse presto a morire. Praticata la sezione metodica del cadavere, si trovò, che tutti i visceri erano enormemente pallidi; che, fatta eccezione del pallore, 1' aspetto del cervello, del midollo spinale, del cuore, dei polmoni, delle intestina, dei reni e della milza era normale ; che il fegato avea un volume corrispondente alla metà circa del suo volume ordinario; che il midollo delle ossa era molto rosso, lo che contrastava grandemente col pallore generale. Il mio primo assistente, il D.'' Emilio Cavazzani, si è assunto 1' incarico di studiare questo caso singolare ; e i risultati di questo studio saranno, con sollecitudine, comu- nicati all' Istituto. RICERCHE INTORNO Al PRINCIPII FONDAMENTALI ]) K L RAGIONAMENTO PROF. DINO VARISCO (Contimiaziontì della pag. 204 del presente tnnio) :-&-} SEZIONE II. La logica formale. Capitolo I. Il paragone. 51. Un concetto è dato immediatamente quando è data (l)i'oniinziata, letta o fantasticata) e posta la parola che lo espi'ime, insieme con le sue connessioni. Avvertendo che (queste ultime non si pongono mai tutte distintamente ; si })one bensì il loro gruppo ; non riprodotto per intero, anzi soltanto in piccola parte ; ma caratterizzato e determinato da quelle tante connessioni che si pongono, le quali, e un sentimento vago eppure profondo che sempre vi si associa, costituiscono uno svolgimento iniziale e insieme un rapido complessivo affacciarsi del gruppo, rendendo possibile, dove occorra, il distinto riprodursi d'un numero indeterminata- mente uuiggiore de' suoi elementi. Né un concetto che non sia indeterminatissimo (una semplice posizione) potrebbe essere immediatamente dato altrimenti ; essendo la parola soltanto (il segno), ciò che rende fisso e unifica il com- T. IV, s. VII 27 (414) [98] plesso di i)osizioni, delle quali un determinato concetto risulta. Dati due concetti, ossia poste due parole nel modo in- dicato, le loro rappresentazioni, e più ancora le loro suc- cessive reminiscenze, formano un gruppo jueccanico ; il quale, se le due posizioni sono state fatte insieme, e poste come fatte insieme, tende sempre più a divenire compatto, avvicinandosi ad una fusione. Può darsi che la fusione si compia con tanta rapidità, da essersi già resa inscindibile quando è ancora viva la reminiscenza del fatto che le posizioni compiute eran due. Allora i concetti posti, che eran due perchè risultavano di due distinte posizioni, non sono più pensati che in un modo solo (ponendo la fusione di reminiscenze) ; in quanto è noto che eran due concetti, si dicono uguali ; in quanto si ha un concetto solo, del quale non è possibile decidere, se sia il ripensamento dell'uno o dell'altro, si dice (con frase che in questo caso pecca d' una inesattezza senza conseguenze) che con quelle due posizioni distinte s'è formulato un con- cetto solo. P. es. : s'io penso che le stagioni son quattro, e i i)iedi d'una tavola son quattro, ponendo due volte la parola (puit- tro ho avuto due concetti ; che del resto rimangono di- stinti solo in quanto rinnovo gli atti che li hanno posti ; ma le cui reminiscenze si fondono con estrema rapidità. Ripensando quattro, è impossibile sapere quale si ripensi dei due quattro pensati prima ; so per altro d'averne pen- sati due ; perciò dico che i gruppi hanno numeri uguali di elementi. Ma posso anche dire, per la stessa ragione, che quattro è il risultato dell'enumerazione effettuata, cosi sulle stagioni dell'anno come sui piedi della tavola, indif- ferentemente ; ossia che il numero degli elementi di cia- scun gruppo è il medesimo (uno solo). Le frasi : due concetti uguali ; e : un concetto solo ; si possono dunque, come porta l'uso comune, prendere sinoni- micamente ; la prima tien conto dei diversi atti compiuti, [00;| (415) la .seconda no prescindo ; benché non sempre si tratti (riin vero prescindere ; le operazioni compiute potendo anche; esser tali, da condurre effettivamente ad una sola posizione, ;ip[)lical)ih' senza di\ari() a duo (o più) casi diversi. 52. S'io dico invece : Tizio ha vent'anni, e Sempronio ne ha trenta, le reminiscenze di venti e di trenta tendono esse pure senza dulibio a fondersi insieme ; non ci riescono però, se non quando sia svanita del tutto la reminiscenza d'og-ni distinzione tra le posizioni compiute ; anzi, lo sva- nire di questa, se è necessario, è tutt'altro che sufficiente a determinare la fusione di quelle. Finché le due posizioni sono ricordate, sono ricordate come distinte ; e distinte, non solo come due, ma perché 1' elaborazione meccanica da osse su])ita non ha prodotto uno stato d. e, la posizion del quale sia attualmente indistinguibile dalla ripetizione dell'una e dell'altra. Perciò, venti e trenta si dicono con- cetti diversi. Pei numeri, la ragione del loro non identificarsi, cioè del loro essere pensati come diversi, rimanendo sempre la medesima, può tuttavia essere presentata sotto una forma, non tanto più chiara (che non occorre), ma che ne sveli meglio l'intimo significato. S'è visto infatti (i) che i singoli numeri non sono pensabili che nella serie, come termini di essa e non altrimenti. E quanto dire, che i nu- meri sono concetti che si determinano gli uni con gli altri ; 0 correlativi. Pensare cinque, è porlo come successivo a quattro ; è dunque porre quattro e altro ; le due posizioni non possono essere riprodotte indifferentemente con una sola, perché una di esse è quella tal posizione, appunto in (1) Gap. V, (416) [100] quanto si riferisce all' altra, la presuppone e vi si con- trappone. È evidente, che due concetti diversi qualunque non hanno in generale tra di loro la medesima correlatività di due numeri. Tuttavia, rammentando il modo di formazione di que' concetti, per cui lo si è studiato ; rammentando in ge- nerale, che un concetto non è che una sintesi grandemente complessa di posizioni, non è difficile comprendere, che i concetti dipendono più o meno ciascuno dagli altri, deter- minandosi scambievolmente ; cioè sono in qualche modo sempre correlativi ; benché ciò possa ben essere irrico- noscibile a primo aspetto, né sia per risultare, se non da un esame minuzioso della loro formazione, che non è sem- pre fattibile con tutta esattezza. Quindi due concetti s' a- vrebbero a dire sempre diversi, non solo in quanto com- piuti con posizioni diverse ; ma perché queste posizioni, come diverse (distinte, (hie e non una) interferiranno di- versamente con le altre o con le traccie lasciate dalle altre. L'uguaglianza riconosciuta (i) s'origina dunque sem- pre da un logoramento che le reminiscenze subiscono du- rante il lavoro meccanico a cui si deve la loro riprodu- zione ; logoramento, che in molti casi è rapidissimo ; ma può diventar sufficiente, col tempo, anche quand'è più lento; cosi p. es., venti e trenta finiscono identificandosi come semplicemente numeri ; e due concetti quali si vogliano come semplicemente concetti. (1) Il l'iconosciraento dell'uguaglianza è però sempre una posi- zione; non mai un risultato puramente meccanico. Si danno poi delle uguaglianze, non riconosciute, ma volute; poste cioè in base ;i sugge- rimenti meccani(ù affatto insufficienti. Si pongono come uguali con- cetti, di cui si riconosce insieme la differenza. Di queste uguaglianze, il concetto delle quali presuppone il precedt^nte, si dirà al Gap. sg. [101] (417) 53. Paragonare due concetti significa operare su di essi in guisa, da riconoscere se siano uguali o diversi. Ma ([uando i concetti siau dati iiiiuiediataniente, risulta dal detto, che il pensarli come uguali o conu' di\'ei'si non richiede ninna operazione distinguibile in alcun modo dalle [ìosizioni del- l'uno 0 dell'altro. Un'operazione speciale non è necessaria, ne possibile, se non (quando i concetti sian dati mediata- mente (i) ; benché, per uniformità di linguaggio, e per at- tenersi all'uso comune (originato esso stesso dal desiderio medesimo di semplificare generalizzando), sia lecito e con- veniente supporla effettuata in tutti i casi. Ad una identificazione non basta, invero, che le remi- niscenze
  • erazione a parte. Lo stesso è a dirsi del concepire la divei'sità di due (1) Gfr. § sg. (418) [102] concetti (immediatamente dati) ; pensare due parole diverse, 0 due parole uguali ma con diverse connessioni, è far due posizioni che si distinguono e si contrappongono col solo esser fatte l'una e l'altra ; che sono pensate diverse me- diante la semplice posizione con cui si pensano come fatte, con cui si tien conto d'entraml^^, nel processo che si svolge. 54. Un concetto è determinato mediatamente quando è in- dicata con precisione la serie delle operazioni di cui sarà il risultato. La precisione non esclude sottintesi nella frase ma sottintesi nel concetto ; conviene cioè che quanto manca alla frase sia chiaramente supplito dalle sue connessioni. Alle volte la frase apparisce una semplice descrizione del concetto (tale sarebbe una definizione), e non sembra ac- cennare ad operazioni ; anche in questo caso per altro il concetto s'ottiene con un'operazione ; sintetizzando i singoli concetti espressi dalle parole di cui la frase risulta ; o piut- tosto compiendo la sintesi espressa dalla frase (i). Se que- sta è molto breve, e tanto più se fortemente connessa da un uso frequente che se ne faccia, il concetto si può rite- ner dato immediatamente ; in fatto la distinzione tra i due modi con cui può esser dato un concetto non apparisce recisa ; e ammette molti gradi. La medesima indicazione d'un concetto può riuscire immediata o mediata secondo la cultura della persona o altre circostanze : p. es., se si dice : l'anno della morte di Cesare ; l'anno è dato imme- diatamente per chi è pratico di storia, mediatamente per gli altri. La frase che dà un concetto, mediatamente o no, dicesi formula. Quando i concetti da paragonare sono espressi da for- (1) §§ 30 [103] (419) inule i'i{?orosamente uguali, che cioè constino de' medesimi coucotii uj^ualmeiite ag^-ruppati (la qual cosa si riconosce mediante il paraj^one di concetti dati immediatamente; essendo concetti anche i vincoli tra de' concetti), allora i concetti espressi sono uguali, o si riducono ad uno. Anche (juesti paragoni si conipioinj spontaneamente e con un pro- cesso quasi affatto meccanico ; e in ogni modo non sono operazioni distinte dalle posizioni delle frasi; come nel caso lìrecedente (*) ; ni uno dirà p. es. che sia un' operazione particolare quella con cui si riconosce l'idejitità a-{-b-{-c = a-\-b-\-c. Se le l'ormule presentano una differenza qualsiasi (la quale è del pari immediatamente rilevata e. s.) i concetti sono appresi, pure senza un'operazione apposita, come di- versi. E sono anche indulìbiamente diversi, almeno nel modo col quale sono dati ; perchè un concetto non è nient' altro che (|uello che vien jìosto. Ma 1' importanza della diversità, in ordine a un processo ulteriore del pensiero, può essere grandemente varia; come la si apprezzi, risulta dalle consi- derazioni che seguono. Quantunque in una lingua non si dieno veri sinonimi, pure due parole sono spesso usate sinonimicamente ; cioè cosi dell'una che dell' altra vengono poste soltanto alcune connessioni, tali che i loro significati risultano determinati nello stesso modo ; p. es. : servo e servitore, in molte frasi comuni. Del pari certi nessi si equivalgono ; sempre perchè sono abitualmente posti con tali connessioni, da risultarne i loro sensi determinati a un modo ; p. es. : egli, ed egli soltanto ; non altri che lui. Due frasi che risultino di nessi e(|uivalenti (come gli esempi) ; o che differiscano per de' si- nonimi sostituiti l'uno all'altro; o composte nello stesso modo (1) § 53. (420) [104] di parole e di nessi usati sinonimicamente, determinano con- cetti, la cui differenza puramente estrinseca svanisce tosto dalla reminiscenza, e che quindi si devono dire uguali. La sostituzione di parole sinonime e di nessi sinonimici per- mette di trasformare passo passo una frase in altre, sem- pre equivalenti, ma che all'ultimo possono risultare cosi di- verse neir aspetto, che la loro equivalenza non si sarebbe potuta riconoscere alla prima. In questo modo si può tal- volta riconoscere 1' equivalenza di due frasi date, trasfor- mandole entrambe ; o anche accertarsi che equivalenti non sono ; cioè che un processo razionale non può generalmente esser fondato sulla supposizione, che siano uguali i concetti espressi da quelle. Questa trasformazione materiale delle frasi, che è fatta volontariamente, ma si può dire di natura meccanica, perchè è compiuta non di rado dal meccane- simo (la memoria, invece d' una frase, ce ne suggerisce talvolta una equivalente) si può già considerare come un abbozzo di ragionamento. Si ha qui una serie di operazioni definite, ciascuna delle quali consiste in un paragone immediato ; e che mette capo al paragone dei concetti dati mediatamente, cioè alla loro identificazione o diversificazione. Spesso però quella serie d' operazioni non basta ; e perchè il paragone riesca decisivo, ossia perchè possa ridursi a paragone immediato, si richiede un vero e proprio ragionamento, che sia qual- cosa di più d' una sostituzione di sinonimi. 55. Quando di due concetti s' è conosciuta la diversità, e comunque la si sia conosciuta, se erano concetti semplici, o, per parlare con più esattezza, se erano posti come sem- plici, non e' è più altro da fare. Ma se erano posti o con- siderati come sintesi, si può domandare se avevano elementi comuni o no: a tal fine si analizzano entrambi, e si risolve Ilo:,] (i-i) la questione paragonando ciascun elemento dell' uno con ciascun elemento dell' altro; jìarag-one che risulta immedia- tamente, come s'è detto di sopra ('). Quest' 0})ei'azione complessa, ])ercliè risulta d'un'aiuilisi e d' una serie di para.^oni immediati, clie si risolvono in posizioni semplici, è (pudla a cui nel linguaggio comune si dà propriamente il nome di paragone; ed ha un'impor- tanza speciale. Con essa si riconosce, se due classi abbiano elementi comuni, e quindi anche se 1' una sia una parte dcdl' altra ; e, come caso particolare, se un elemento entri in una classe (vi sia incluso). E ad essa pure si i-iduce il paragone di due concetti, indirettamente dati con due for- mule non identiche, descritto addietro ; poiché invero i concetti sono allora dati come immediatamente diversi, ma come sintesi ; e il valore della diversità dipende dal numero (non però dal numero solo) degli elementi comuni. Tanto r uno che 1' altro dei concetti da paragonare si ])Ossono analizzare in infinite guise ; e il l'isultato del paragone dipende in generale dal modo con cui si son fatte le analisi. Servan d' esemj)io i numeri 36 e 24. Prenden- doli quali sono dati senza più, si riconoscono semplice- mente come diversi. Sostituendo, per 36, 4 X ^ ^ ^ pei' 24, 2 X 12, ancora non si riconosce alcun elemento comune. Mediante le sostituzioni 3 X 12 e 2 X 12, si riconosce l'e- lemento (fattore) comune 12 ; con le sostituzioni 3 X 3 X ^^ e 2 X -^ X 4, si riconoscono invece i due elementi comuni 3 e 4 ; ecc. L' incertezza che ne deriva non presenta per altro inconveniente alcuno. Tutti i risultati che s' ottengono con le diverse analisi, sono effettivamente de' risultati, de' quali p. e. si può e si deve tener conto. E bensì da rammentare, che un certo risultato venne ottenuto in quel certo modo, e considei'arlo sempre in connessione con questo. Analo- (I) § ò3. (422) [106] gamente ; è vero che in questa Ijor.sa vi son dieci lire, contando a lire ; ma è anche vero, contando a monete, che vi sono cinque monete da due lire. In generale, la connes- sione tra un risultato e il processo relativo non è espressa, ma implicitamente assegnata dall' indole della ricerca intra- presa ; in ogni modo, è necessario tenerne conto ; e il pre- scinderne è una delle più copiose sorgenti d' errore. Capitolo II. Il Giudizio, 56. Si è già parecchie volte notato clie la volontà non im- para ad estrinsecarsi indipendentemente, se non associan- dosi dapprima al meccanesimo, lasciandosene guidare, se- guendolo nelle sue combinazioni e rendendosi viva in cia- scuna. Lo stato d. e. che viene oggettivato con la posizione, era una sintesi meccanica, un gruppo. E porre il gruppo, è porre gli elementi, distinti nella coscienza oscura (al di sopra della soglia) che lo costituiscono. Se non che, ninno di essi è posto separatamente ; perchè la volontà, fin eh' è necessitata ad aderire davvicino al meccanesimo, fin che dispone d' una sola forma embrionale (1' oggettività pura), non è capace di moti distinti e coordinati ; simile a un corpo senza giunture, si move tutta d' un pezzo, afferra tutto in una volta il gruppo offertosele, nella compattezza della sua connessione. Il porre distintamente e insieme, ri- chiede r uso di forme diverse, che nella condizione iniziale del pensiero mancano ; in queste circostanze, la sola distin- zione tra le posizioni è quella prodotta dalle esigenze della [lOT] (423) iiiatei'iu (1); ma j»er yli atti, [mi- (li\('i'si, che si Ialino nel porre un gru})p(), questo motivo di distinzione manca ; né la volontà è ancora in grado di crearsene essa degli altri. Quando invece s' abbiano parecchie forme disponibili, ossia de' concetti elaborati e fìssati dal linguaggio, il porre non è j)iii necessai'iamente un incomposto a\ventarsi sui ter- mine ; ma un investirlo con moti distinti e coordinati; la mente ha oi-a le sue articolazioni, e può servii'sene. Non se ne serve però sempre, anzi nemmeno per l'or- dinario. Anche nell' uomo culto, il primo porre è sempre indeterminatissimo e complessivo ; e se ne capisce il perchè. Il porre determinato sotto delle forme, oltreché richiede un certo tempo (e la rapidità del pensiero esclude tanta lentezza in ogni minima operazione), suppone che si pensi già la cosa da porsi a quel modo, e che la si pensi all'in- fuori del processo, non ancora incominciato ; cioè indeter- minatissimamente, 0 per mezzo di una posizione immediata e affatto primitiva. Occorrendo poi di precisar meglio que- sta posizione (il che accade relativamente assai di rado), la si rifa, mettendoci piii tempo, e approfittando delle forme che si possiedono ; non di tutte, anzi di quelle poche sol- tanto che vengono in taglio. Cosi, chi aveva posto indeter- minatamente (soltanto come oggetto) un certo gruppo di stati d. e. (determinatissimo come sintesi meccanica), ripe- tendo la posizione con 1' aiuto della forma di cavallo, dirà : (|uest' è un cavallo. La medesima spiegazione vale per i giudizi (più im- liortanti, anzi i soli importanti sotto l'asjietto logico) in cui il soggetto, anteriormente al giudizio, non é posto sempli- cemente come un oggetto indeterminato, ma è già un con- cetto formato. (1) Si pongono distinti l'albero e la belva, perchè ciascun gruppo è chiuso in sé e debolmente connesso con l'altro; il che produce un'in- teiTuzione nell'atto del porre, scindendolo in due (successivi o simul- tanei). (424) [108] Infatti, anche un concetto formato è il risultato d'una posizione che in sé è un atto indistinto e semplice; la po- sizione d' un concetto formato non differisce da quella d'un puro stato d. e. se non per la diversa materia, che alla seconda è somministrata dalla coscienza oscura, alla prima dalla coscienza chiara, e porta in sé la traccia dell'elabo- razione precedente. Ogni concetto è una sintesi, che, nel pensarlo, vien posta complessivamente, ponendone di neces- sità gli elementi, ma senza distinzione alcuna. La volontà, desiderando di rendere più precisa la posizione fatta, la riproduce con 1' aiuto di alcun altro concetto ; e così, dopo di aver })osto p. es. il cavallo, rifacendo la posizione col concetto di mammifero, dirà: il cavallo è un mammifero. Q,uesta spiegazione viene confermata dall' esame della forma del giudizio, mista d' analisi e di sintesi, perchè la copula unisce sì il soggetto al predicato, ma insieme impe- disce il loro fondersi in un concetto solo. Inoltre, del giu- dizio si può sempre domandare una giustificazione (*), la quale non si saprebbe dire in che possa consistere, se non neir avere trovato i termini già connessi nel pensiero. Perchè, quanto ai giudizi (ai quali si limita il discorso) che hanno per copula è, non che per moltissimi altri, sup- porli immediatamente e arbitrariamente voluti sarebbe stra- no addbittura. Prima del giudizio, dunque, soggetto e pre- dicato dovettero esser pensati insieme, ma rigorosamente insieme, cioè con un atto solo e indistinto, la semplice po- (1) Immediata ; un motivo qualunque che abbia indotto a pronun- ziarlo. Tale motivo esiste anche pe' giudizi falsi ; mentre un giudizio non giustificato può essere accidentalmente vero, ma il pronunziarlo ò una sciocchezza. Del concetto non si chiede (volgarmente) una giustifi- cazione, perchè lo si suol prendere come pura materia d' operazioni ulteriori, o come dato. L' opinione d' Aristotele, che nel concetto non vi sia verità o falsità, regge in questo senso ; il concetto però, quan- tunque per la riflessione sia pura materia, è sempre il risultato d' atti precedenti ; quindi 1' elemento formale non vi manca mai, e dunque è necessariamente vero o falso. 1100] H2r>) siziono ('). 11 giudizio (lo^'ico) vien dopo ; l'iprodiice il con- cetto ai)i)lic:uid()vi cci'te determinazioni, e cos'i lo risolve in più, che venf^ono di nuovo connessi, perchè^o scopo è, non d' anatoniizzaiv la posizione ("^), ma di ritarla. {') Si ritiene presentemente da parecchi, l' origine del concetto essere da cercare nel giudizio ; s'intende nel giu- dizio vero e proprio, ossia logico ; il quale sarebbe, non una forma, bensì V unica forma originaria della cognizione. Quest'opinione (*), la quale invero ha per fondamento un'ac- curata e profonda analisi del concetto, non è tuttavia accet- tabile, cosi come viene enunciata. Essa intanto urta contro la difficoltà, messa in cosi piena luce dal Rosmini : se co- noscere è essenzialmente giudicare, mentre giudicare è met- (1) Il giudizio psicologico del Ronatelli. (2) Alcune cose toccate in questo § accennano a un' intima com- plessità della posizione ; mentre nel § 25 se n' è dimostrata la sempli- cità. Senza entrare in ulteriori indagini, non da questo luogo, notiamo che non v' è contraddizione. Nel § 25 s' è dimostrato che la posizione non è un aggregato, ossia non ha parti. Qui s' avverte, che V atto del porre un gruppo o una sintesi, pone in realtà ciascun elemento, e in questo senso si può considerare come complesso ; è un far più cose. Ma è un farle in una volta sola, poiché gli elementi non sono posti distintamente ; ossia un farle tutte con un atto solo. (3) Questo § è una breve, ma importante digressione. (4) Più 0 meno esplicitamente espressa, e associata con dell' altre incompatibili con essa, quest'opinione ha fatto la sua comparsa da un pezzo (sembrerebbe adombrata già in molti passi di Platone) ; ma, nella sua for;na precisa e risoluta, si connette col criticismo kantiano. Notevo- lissimo è lo svolgimento del pensiero rosminiano in questo senso. Ed è singolare, e triste, che 1' opera del R., la quale ha pur sollevato cosi gran rumore, sia rimasta quasi del tutto sterile sotto questo aspetto, che n' è forse il più importante. (42fi) [110] tere in relazione de' concetti, come si sarà formato il pri- mo concetto? Dond' egli dedusse la necessità d'ammettere un'idea innata; conseguenza inevitabile dell'opinione che si considera, quantunque sia da rifiutarsi per tante -l'agioni che qui non accade rammentare. Non volendo ricorrere a idee innate, né identificare la cognizione coi fatti della coscienza oscura, che, per non dir altro, sarebbe un' ammettere la cognizione come data senza spiegarla, bisogna dire, che la cognizione sia fin ne' suoi primordi un fatto dell' attività pensante qualunque essa sia. Solo importa vedere, se un tal fatto possa essere, non chiamato un giudizio (che non si fa questione di pa- role), ma caratterizzato come uno de' soliti giudizi, che si compiono abitualmente nel seno del pensiero adulto; o con- venga supporlo caratterizzato diversamente. Immaginarlo caratterizzato come uno de' soliti giudizi (logici), è impossibile. Anche la brevissima analisi che se n'è fatta, prova che questi sono un misto d' analisi e di sintesi, che non istà senza la distinzione di tre concetti, soggetto, predicato e copula ; o di due, se nella copula si vuol vedere nulla più che r estrinsecazione resa concreta dell' attività pensante. A questo ci sarebbe forse da replicare ; non pare per altro che la replica rimarrebbe senza una risposta decisiva. Ma è inutile sollevare delle controversie, ed entrare in discus- sioni sottili.. Che un fatto, il quale connette delle idee ; e un fatto, che le produce senza presupporne, siano tutt'uno, è cosa che a nessuno sarebbe venuta in mente ; se 1' at- tenzione non si fosse diretta sull' energia che si richiede cosi all' uno come all' altro, che è di entrambi un elemento essenziale, e che, essendo stata trascurata o non posta in sufficiente rilievo da chi aveva prima studiato la questione, tanto più doveva apparire importante a quelli che vi ba- darono. E supremamente importante eli' è senza dubbio. Ma se in entrambi i fatti dobbiam vedere delle manifesta- zioni d' energia, le condizioni in cui 1' energia si manifesta [Ili] (427) son })ei'ò noli' uno intioramonto diverso che noli' altro ; e {lorò, considerare i fatti come u^-ualniente caratterizzati, è un errore. Ma come lo si caratterizzerà, il fatto iniziale della co- gnizione ? Qui sono da fare alcune riflessioni. Il fatto in discorso, considerato in sé, non nelle sue origini, di cui non si tratta, è di certo un fatto sui generis, perchè è un fatto sui ge- neris la cognizione che ne risulta. Non dev' essere cono- scibile ah extra, perchè si conosce per mezzo di esso ; co- me p. es. la scarica nervosa dall' orecchio al cervello, non è sentita se non in quanto determina la sensazione del suono ; non può essere udita essa. E infine dev' essere un fatto semplice ; perchè tutto quanto entri a comporre un fatto conoscitivo, è forma, concetto ; ora, anteriormente al fatto considerato, non si danno concetti, né forme. Tuttociò prova che il fatto non si può analizzare, né descrivere, né dilucidare per mezzo di analogie ; tutto quanto se ne può positivamente sapere, è che la cognizione comincia da esso, e ad esso si riduce in quanto è pura co- gnizione. E questo è veramente troppo poco ; poiché non ci assicura nemmeno che il fatto accada. La cognizione, come puro fenomeno se non altro, è fuor di dubbio ; ma non è assolutamente certo che sia completo il processo di esclusione, col quale s' è cercato di trovarne l'origine. Chi si limitasse ad affermare in genere, che la cognizione può anche essere originata in qualche altro modo, senza dir quale, non si avrebbe il modo positivo di convincerlo di errore ; benché, certo, la sua non sarebbe una gnoseolo- gia soddisfacente. Il fatto è ammesso in via d' ipotesi ; e in via d'ipotesi è da cercare di caratterizzarlo, tanto da potersene servire alla costruzione d' una teoria. Tra le innumerevoli ipotesi possibili, non e' è poi ragione di sceglierne delle compli- cate, quando ve n' ha di più semplici. (428) [112] La difficoltà da superare riguarda 1' origine, non di tutte le forme, bensì di una sola ; perchè datane una, è trovato il punto d' appoggio indispensabile. L' oggettività è una forma ; possiamo dunque supporre caratterizzato il primo fatto conoscitivo dalla produzione di questa forma (sola, e però indeterminatissima, ossia embrionale). E la scelta è poi anche in qualche modo giustificata ; perchè le altre forme, non solo sono tutte oggettive, ma gli altri loro caratteri son tali, che trovano un riscontro nella struttura meccanica della coscienza oscura ; ciò che da questa non sembra possibile di ricavare in alcuna guisa, è l' og- gettività. Si è così ricondotti all' ipotesi fondamentale ; a consi- derare cioè la posizione come il primo fatto conoscitivo ; la posizione, che non è un giudizio de' soliti, pensato e non espresso (il che non muta i termini della questione) ; bensì un atto semplice e indefinibile ; riproducibile nell'atto complesso del giudizio, mediante 1' applicazione di forme ottenute dall' accozzamento di molte posizioni precedente- mente effettuate. 58. Il giudizio si può anche definire, la formula che espri- me il risultato d' un paragone. Dove esprimere ha sempre il solito significato ; intendendosi che un pensiero (e il ri- sultato d' operazioni razionali è sempre un pensiero), quan- tunque possa venir espresso in guise diverse, non istia, se non è aff'atto iniziale, senza un' espressione : essendo 1' es- pressione, cioè la parola posta con le sue connessioni, quella che lo fissa e lo determina. La coincidenza della nuova con la precedente defini- zione risulterà dall' esame delle forme di giudizio qui sotto notate ; le sole di cui accada di tener conto in seguito. L Giudizio identico positivo ; il concetto a è lo [118] (429) stesso che il concetto h, o })iù brevemente: a è & (*) ; sim- ItolicaiiuMitc : a = b. II. La negazione del precedente: il concetto a non è lo stesso che il concetto b, o più brevemente : a non è b ; sinil)olicaniente : a ^ b. III. Giudizio non identico, positivo: il concettose un elemento del concetto b ; o più brevemente : a è un elemento di b. Allora b vale })er' una sintesi qualunque. In })articolare, b ed a possono essere due classi ; e la se- conda parte della })rima. Indicando in generale una sintesi col segno ( ; ) ; e con q un elemento indeterminato (sem- pre sottinteso nel linguaggio ordinario) la forma simbolica di ({uesto giudizio sarà : b = a \ q. Es. : 1' elefante è un pachid(M'uia ; o più in disteso: il concetto d' elefante è una sintesi, del concetto di pachiderma, e di qualche altro concetto. IV. La negazione del precedente : il concetto a non è un elemento del concetto b ; simbolicamente : b ^ a ; q. Si sarà notato, che per mezzo delle notazioni simbo- liche, il giudizio III. vien ridotto alla forma I., e cosi il IV. alla lì. ; non si hanno dunque che due sole forme di giu- dizio ; r identico e la sua negazione. I simboli sono tradu- cibili nel linguaggio ordinario, il che assicura un valore effettivo alla riduzione ; ma le formule che li traducono non sono dell' uso consueto ; il che spiega perchè della ri- duzione, che semplifica notevolmente la teoria del ragiona- mento, non si sia tenuto il debito conto (-). (1) Grammaticalmente (quindi, se per a e 6 di pongono delle parole consuete), la frase a è & ha il significato III ; p. es. : il cavallo è mam- mifero (propriamente, un mammifero) ; la neve è bianca, (è una delle cose bianche). Il giudizio identico è una forma abitualmente non espressa, benché necessariamente sottintesa; occorrendo di esprimerla, si ricorre di solito a delle perifrasi : dire a è lo stesso che dire b : ecc. (2) Cfr. mem. cit. § 47. T. IV, S. VII 28 (430) [114] 59. Considerando il giudizio 111., h dovette essere pensato anteriormente al giudizio, e come sintesi ; ma sintesi per- fetta, perchè espressa da un segno solo. Porre h, non è porre un oggetto mero ; ma non è porre un oggetto e b, è porre b senz' altro ; b è oggettivato col semplice esser posto. La posizione non ha che una sola forma, b ; la quale è bensì più determinata di quella d' oggetto mero, che si ottiene con le posizioni primitive ; ma come in questo caso è unica. La posizione di b differisce dalle primitive perchè investe una materia già elaborata, o sia ha per materia una forma, è un atto riflesso ; ma, al pari di quelle, tratta la sua materia come materia, non 1' analizza, non s'occupa di metterne in evidenza l' intima complicazfcne di strut- tura (1). Fatta la posizione di b, il pensiero passa a rifarla, per rendersi un conto preciso di ciò che pensi pensando b. A (1) Un giudizio non identico si può trasformare in identico gene- ralmente in più modi. Si prenda V esempio : i cavalleggeri sono soldati. Se ne hanno queste due trasformazioni : — 1 . il concetto di cavalleg- gere è uguale a quello di soldato, con (gualche nota di piìi ; — 2. la classe de' soldati comprende quella de' cavalleggeri, e qualche altra classe ancora. L' equivalenza delle tre forme è manifestamente della stessa natura di quella, che venne toccata al § 54. Si vede, che per trasformare un giudizio non identico in identico, bisogna rendere esplicito un elemento indeterminato (qualche nota, qualche classe ; in generale, q) che vi è implicitamente contenuto. La iraplicitezza dell' indeterminato è ciò che impedisce di riconoscere nel giudizio un' identità ; l' indeterminazione non espressa nei termini passa in qualche modo nella copul i. Basterebbe quest' osservazione a dimo- strare, che la sostituzione d' un giudizio identico a uno non identico tuttoché equivalente, introduce nel linguaggio un perfezionamento no- tevole ; permettendo di considerare la copula come il medesimo ele- mento sempre; ossia dispensando dal discuterne i differenti significati. [115] (431) tal fine ricorre alle altre forme di (;ui dispone ; e tra que- ste sceg-lie a, non per altro, inmiediataniente, se non per- chè vuole, perchè 1' operar cosi torna opportuno ai pro- cesso che sta svolgendo. Questo in teoria; nel fatto, appena occorre accennare, dopo tant' altre considerazioni analoghe, che la scelta è di regola suggerita, anzi i)iù o meno diret- tamente determinata dal meccanesimo. Il che spiega come ben di rado, e soh) in argomenti fuor del consueto e dif- ficili, ci s' accinga a riprodurre una posizione con delle foi'me che non vi si prestino. Riprodurre la posizione di 1) con la formula concreta e precisa del giudizio, porre h servendosi d' altre forme determinate, è uno scindere la sintesi ì) ; applicare a in (|uesto lavoro, è servirsi di a per porre o riporre h ; dato che a serva, e che la posizione di a non esaurisca ì), si è posto a come un elemento di h, cioè si è formulato il giu- dizio. E questo è insieme, cosi un riprodurre in forma analitico-sintetica la posizione di h, quanto un paragonare a con h ; cioè le due definizioni del giudizio coincidono. Rie- sce poi evidente, che la formula del giudizio non esprime il paragone, come se il paragone fosse fattibile senza di essa ; è anzi, concretato nel linguaggio, il processo mede- simo del paragone. Per altro, la struttura grammaticale del giudizio non corrisponde intieramente al concetto che se n'è formulato. Bisognerebbe dire : h contiene a ; dove la forma transitiva del verbo lascia trasparire la posizione, compenetra in sé il sostanziale del giudizio, a cui h ed a aggiungono le de- terminazioni necessarie. S' è posto qualcosa (<2) in una sin- tesi (/>). Il verbo nel giudizio non esprime un concetto nella sua oggettività presa come già effettuata, niente che cor- risponda tanto 0 quanto alla semplice i)resenza d'un'idea ; esprime, o piuttosto fissa e concreta, 1' atto del jìorre. Sic- come però il pensiero consiste sempre nell'oggettivare tutto ciò su cui si rivolge, e concepisce cosi i risultati come quale(jsa di indipendente dal processo che li ha prodotti, il (432) [116] giudizio, nel pensiero riflesso, si trasforma, il verbo vi di- viene intransitivo, e la struttura grammaticale consueta si sostituisce alla prima, essenzialmente psicologica. 60. Il giudizio negativo IV. trova ora una spiegazione af- fatto naturale. 11 pensiero, lasciandosi guidare da una trac- cia meccanica della quale si figura erroneamente il seguito ; o sedotto dal desiderio, che in fondo è la medesima cesa, s' accinge a riporre la sintesi h con 1' aiuto di a ; e non ci riesce. Il giudizio non è soltanto la formula che include r atto di posizione determinata ; ma inoltre un gruppo mec- canico di parole ; e come tale può esser posto, senza com- piere la posizione che vi è inclusa ; può essere pensato senz' assentirvi, direbbe il Rosmini. Ed è assai facile, se non piuttosto inevitabile, che la posizione del giudizio come gruppo verbale ne preceda 1' effettiva formulazione ; perchè il pensiero non si muove fuori del meccanesimo, anzi nel caso considerato si suppone che vi s' abbandoni del tutto. Neil' accingersi dunque a porre b per mezzo di a, la posizione non ancora fatta, è però già pensata ; ma ecco che non la si può, o verameute non la si vuole più, com- piere. Bisogna impedire che la reminiscenza del giudizio pensato come gruppo, riproducendosi, si confonda con la reminiscenza del giudizio come formulato, il che produr- rebbe le conseguenze medesime, che se lo si fosse formu- lato ; annullare in qualche modo il pensiero del giudizio ; e poiché ciò letteralmente non è fattibile, appiccicargli una nota, che impedisca la detta confusione. L' atto con cui s' unisce questa nota al gruppo mec- canico pensato, è un vero porre, ma la nota è una parola (no, ecc.) il cui significato sta al solito nelle sue connes- sioni ; e, neir uso abituale, è supplito generalmente dalla rappresentazione della parola medesima. In sé stesso, il no [117] (i;«) è un atto volitivo, tìsso e rclativaiiiente determinato ; ma (jiiesf atto (non la sintesi di (^uest' atto e d' un ix'usiei-o) non sembra della stessa natura della posi/ione. 11 no \n'i>- j)riamente non oggettiva ; è piuttosto 1' espressione d' un sentimento soggettivo di disgusto, anzi di pentimento ; r uomo s' accorge che Y elemento introdottosi nel })ensiero vi porterebbe il disordine, gliene rincresce, e associa (|ue- sto suo dispiacere all' elemento, per renderlo inoffensivo rendendolo riconoscibile. Poiché il meccanesimo a cui è impossibile sottrarsi è cieco, e somministra in gran numero delle combinazioni che il pensiero non può far sue senza distruggersi, è evi- dente r imi)ortanza della negazione (i) ; la quale, dipen- dendo dalla mancanza d' armonia tra i fini che 1' uomo si propone, e le leggi meccaniche sotto 1' impero delle quali gli tocca vivere, parrebbe avere la medesima radice del dolore. 61. Nel giudizio negativo IL, il significato della negazione riesce alla prima quasi inafferrabile. Posti a e b senza rife- rimento alcuno, se le loro reminiscenze non s' identificano, essi contano senz' altro per due elementi diversi ; negare espressamente la loro identità, se questa non è mai stata pensata (e non si vede per che ragione dovesse venir pen- sata), è inutile, e par fino irragionevole (p. es. : il cavallo non è il bue). Ma 1' utilità di questi giudizi si rende pa- lese nel paragone di concetti dati non immediatamente. Può essere che por la differenza materialmente piccola delle fornnde che li (hmno, o per essersi dimenticate certe proposizioni o certe regole, che avrebbero fatta avvertire (1) Bonatelli : Peus. e con.; IV. (4:]4) [118] una mancanza di .sinonimia, i concotti impliciti vengano creduti uguali. Ciò è un prevedere che si ridurranno ad uno rendendoli espliciti ; se questo non accade, la nega- zione dell' identità presupposta è veramente un risultato nuovo, e importante perchè elimina un errore. La nega- zione allora ha il medesimo significato che preceden- temente. Nella pratica, il giudizio a non è h non viene formu- lato che in questi casi. Ma nel procedimento scientifico è spesso necessario, per ottenere delle formule generali, di introdurre delle distinzioni, che in sé parrebbero e sono di fatto eccessive (*). L'operazione P, p. es., si risolva nelle due Pi e p-2 ; la P'^ sia semplice, del resto affatto analoga alla P. Affine di considerarle entrambe sotto un aspetto co- mune, s' immagina scissa anche P^ nelle operazioni immagi- narie Pi e pa^, che si considerano come corrispondenti a Pi e p^. Con un simile artifizio, si suppone che la difi'erenza tra due concetti anche dati immediatamente venga sempre e soltanto rilevata col giudizio negativo a non è b ; evi- tando a questo modo di dover distinguere i diversi gradi di mediatezza con cui può esser dato un giudizio. 62. Lo stesso è a dire del giudizio I., fuorché quand'esso sia la definizione di uno de' due termini, o in un caso speciale di cui più sotto. Se i concetti sono dati immedia- tamente con formule non identiche, son dati come diversi ; ma il valore da attribuirsi a tale diversità non può essere conosciuto se non trasformando le formule in altre equiva- lenti. Posto che alla fine si trovino due formule identiche. (I) Un artifizio simile s'ottiene coli' introduzione de' niiinen o de' punti irninaginari. tanto feconda in matematica. [119] (435) il giudizio a = 1) viene pronunziato, ed es})]'inie allora la conclusione d'un processo. Servan d'esempio (7 -|-5)(7 — 5), e 7'2 — 5"2. I quali sono appresi come diversi ; ma siccome son dati mediatamente, non si può dire se siano in effetto diversi o no : eseguendo le operazioni, si trova 24 e 24 ; il giudizio 24 = 24, che per sé non avrebbe occasione d'es- sere profferito, serve di prova che i due concetti (7 -|- 5) (7 — 5), e 7- — 52, sono uguali. Il giudizio identico in termini, a = a, non può signi- ficare (quando non rappresenti la chiusa d' un processo e. s.) che la permanenza del concetto a. In che senso un concetto sia permanente, non è ora il caso di ripetere (^) ; in ogni modo, la posizione non ha significato ne determi- nazione se non dalla permanenza ; ossia, formare un con- cetto, e formare un concetto permanente, è tutt' uno. Non perciò è ozioso l'affermare la permanenza del concetto ; 0, se si vuole, è ozioso soltanto perchè la si sottintende ne- cessariamente ; in ogni modo, affermandola, si rende espli- cito un elemento, senza del quale non vi è ragionamento né pensiero possibile. Ma la formula che la afferma espli- citamente è appunto la seconda, cioè : il concetto è perma- jiente ; la formula a = a, nella sua vuota tautologia, non dice proprio nulla; non se ne ricava quello che im})orta, se non interpretandola. In una simbologia logica, per altro, tutti gli elementi di cui si vuol tener conto devono essere fissati con segni atti a venire introdotti nel meccanesimo del simbolismo, (1) Ma niente vieta di ripoto rio, \)0.r olii se ne fosse dimenticato. La pertnanen/.a del conootto non .signifioa, nò 1' immanenza dell'atto olio lo ))one, né V esistenza d' un quid permanente su cui V atto cada senza modificarlo, come V idea platonica ; ma che una certa posizione attuale, e le reminiscenze (poste) di quante si vogliano posizioni precedenti, o si riducono di fatto a un elemento solo (non risultando distinguibili); 0 vengono assunte corno riduoontisi ad un solo; cioè sono 0 vengono po- ste come uguali. (430) [120] perchè un procedimento meccanico non ammette sottintesi ; in essa dunque non si può tralasciare la formula a ^ a, come r espressione simbolica della permanenza del con- cetto. 63. La sintesi indicata con ( ; ) è affatto indeterminata; si possono per altro concepire più sintesi di natura diversa, benché tutte indeterminate ; esprimibili con segni diversi ; p. es. : con ( : ). Ma un giudizio espresso con a = b ; qi: q<ì, se è dato come originario, non ha ragione di essere ; in- fatti, poiché non si determina niente circa la natura della sintesi, né circa gli elementi indeterminati contenutivi, é chiaro, che in luogo del simbolo b ; qi : q± si può usare il più semplice & ; q. Può darsi per altro, che una notazione complessa come la precedente si ottenga come risultato di certe operazioni ; nel qual caso é evidente 1' opportunità di conservarla. L' uno dei segni ( ; ), ( : ), o d' altri che si possono immaginare (ma che non s' introdurranno), non esige che le sintesi espresse siano necessariamente di nature diverse ; denota soltanto, che non si suppongono necessariamente di una medesima natura. Il simbolo h \ q^: q± va interpretato cosi ; che s' effettui prima la sintesi h ; q^ ; e, indicandola con e, si effettui quindi la sintesi e : q%. Non é dunque le- cito affermare in generale, che il simbolo abbia un signi- ficato indipendente dall' ordine dei segni ( ; ), ( : ), q^ ,q±\ nemmeno quando il secondo non fosse che una ripetizione del primo (ma il quarto non sia una ripetizione del terzo ). Nel simbolo b ; qy : q.2 , b é un elemento ; ma non si può asserire in generale, fin che nulla è stabilito intorno alla natura delle sintesi espressevi, che il simbolo non possa mai, qualuncpie siano q^ e q->. trasformarsi in un altro equivalente [1-1] (1:^7) (li cui I) non sia un elemento ; j). es. : « X 'Zi • 7.2 ('love X. '■ . lianno il medesimo sij^-ni ficaio che in ai-itmetica), si li-asfoi'uia in ^i se q^i=^a. Una sintesi a ; q assume significati differenti, secondo le determinazioni (i valori) che s' attribuiscono all'indeter- niinato q. S' ammette (e in seguito se ne darà qualche esempio concreto), che per un certo valore di q, che sarà denotato con ', a ; q riesca identicamente uguale ad a, 11 valore ', cioè il significato di questo segno, dii)en(le mani- festamente dalla natura della sintesi ( ; ). ('on (juesta no- tazione, il giudizio a = h diventa un caso particolare del giudizio a = b ; q', potendosi scriverlo a=^h \ ', la qual cosa riesce utile, in una simbologia. Per la nozione del giudizio, simboli come a;qi = b',q'2, 0 a ; qi = b : q^2 , se considerati come originari, non hanno significato. Infatti, giudicare significa riconoscere che un certo elemento dato si risolve in una sintesi, di cui un al- tro elemento pur dato è un elemento. Quando s' afferma, p. es., che i cavalleggeri sono soldati, si suppone che i concetti espressi da questi due nomi siano noti ; quantun- que la maggiore determinazione che viene al primo dalla sua connesione col secondo non sia posta distintamente se non appunto col giudizio. Se i due elementi dati non sono identici, e tuttavia il giudizio vien espresso in forma iden- tica, il secondo dei due elementi dati non costituisce esso solo un elemento del giudizio, bensì unito sinteticamente a un elemento indeterminato; ma il primo degli elementi dati costituisce da solo un elemento del giudizio ; dunque uno degli elementi del giudizio è semi)re un elemento jìie- luimente determinato in sé, non una sintesi che contenga qualche indeterminata. Simboli come il superiore non pos- sono essere che i risultati di certe operazioni ; finché per altro i significati dei segni ( ; ), ( : ), qi , q~2 restino inde- terminati, anche il significato del simbolo resta indetermi- nato. In gen(M*al(\ con due elementi dati a, b, si possono toiHiai'c delle ^inl -si uguali quante si vogliono, scegliendo (438) Ll-^-3] uppoi'tunaiiiente la natura delle sintesi e gii elementi da sintetizzare coi primi ; p. es. : coi numeri 7, 5, si formano due prodotti uguali, moltiplicando il primo per 5x, e il se- condo per 7x, qualunque sia .v (i). 64. Il giudizio identico può avere tre significati, che im- porta rilevare distintamente. A) Con a = b si esprime il fatto {^), che le remi- (1) Nel giurlizio identico a ^= J) ; q, considerando a e h : q come i suoi termini, è impossibile stabilire tra di essi una differenza di signi- ficato. Ma se lo si esprime in forma non identica, i termini sono a,b; i quali non hanno più il significato medesimo. Considerando il giudizio identico superiore come una semplice espressione simbolica del giudizio (non identico) espresso nel linguaggio comune, converrà dire che i ter- mini ne siano a, b ; allora, siccome tra i loro significati v' è una diffe- renza, converrà pure denotarli con nomi diversi. Chiameremo soggetto quello scritto nel primo membro (a, nella forma superiore ; b, nella forma b \ q^:^ a)\ e predicato 1' altro {b nel primo caso, a nel secondo). I significati attribuiti così alle parole, soggetto e predicato, corrispon- dono abbastanza bene alle loro accezioni più comuni ; e vi si possono sempre far coincidere esattamente, scegliendo tra i due membri dell'u- guaglianza quello che si dovrà scrivere pel primo, in correlazione con la forma grammaticale del giudizio verbalmente espresso. (2) Fatto, in ordine al passato; ma in ordine al futuro, semplice previsione ; la quale, che valore avrà, se del futuro non sappiamo nulla ? Le previsioni sono sempre suggestioni del meccanesimo ; e avranno il valore che avranno. In linea di fatto, non e' è che rassegnarsi ; in linea d' astrazione, il valore d' una teoria fondata su d'un'ipotesi non dipende, intrinsecamente, dal verificarsi di essa o no. L' incertezza indicata non è del resto connessa con le sole vedute esposte in questo scritto; è es- senziale. Anche ammesse le idee platoniche, il ragionamento rimane pur sempre fondato suU' uso espresso o tacito del linguaggio. La possibilità di fare un discorso continuato, ò condizionata airi|)otesi che le connes- sioni a cui le parole devono il loro significato rimangano fisse, o piut- tosto seguitino a variare con quella tanta lentezza. Se p. es. si produ- cessero in un secondo le variazioni che accadono in dieci secoli, la ra- iiiscciizc (li (I, h si coiifoiiiloiio : COSI (1,1 non potersi disliii- ii,u(M*o se una l'eminiscoiiza data sia ({ludla dell" uno o drl- r altro. L'atto del g-iudizio è volontario, quindi non deter- minato meccanicamente (i) ; ma in questo caso non fa che seg'uii'e il meccanesimo, e accettarne le combinazioni. Ora, tutti) (juanto viene dal niec-canesinio ha il cai-attere d' un dato, che vien posto come indipendente dalla \olontà, (juand" an(die non sia, ([uand' anche cioè una combinazione meccanica sia in parte il risultato di posizioni anteriori. Questi giudizi vengono conseguentemente posti come ogget- tivi e assoluti, o come incondizionatamente veri. B) Oppure, il giudizio a ^=^1) è V atto con cui si associano a, b, in guisa da produrre quella fusione di re- mini;cenze, che nel caso A) era spontaneamente avvenuta. Ciò suppone che uno dei due termini sia un puro segno ; e sia p. es. a ; 1' atto compiuto è allora una semplice de- nominazione. Siccome i segni sono indispensabili alla for- mazione dei concetti, le prime associazioni di questo ge- nere devono prodursi, affatto meccanicamente, tra uno stato d. e. fìsso e un gruppo. Entrambi, e il loro nesso, devono esser posti, atfinchè dal nesso il primo de' due ele- menti acquisti il valore d'un segno di cui il secondo venga contemporaneamente a costituire il significato. Ma questa posizione, quantunque non assolutamente primitiva, non trova dinanzi a sé che una forma inderterminatissima (è essa che produce con una })arola una forma) ; non è dun- que originariamente formulata con un giudizio, al quale, gione umana sarebbe di fatto abolita. Ciò per altro, come si vedrà, non rende impossibile qualsiasi affermazione categorica. (1) Dire che un atto volitivo sia determinato meccanicamente, ò un identificare la volontà con Y energia ineccanica. Ora, se ciò sia o non sia vero in un senso trascendentale, non si cerca in quc^sto scritto : ma, stando alla distinzione riconosciuta tra atti e stati d. e, volontà ed e- nergia incccaiiica vanno considerate come distinte, così realmente per lo ìii'Mio. co 11.' gli alti sono realmente distinti dagli stati. Cfr. §§ 4, 5. (440) [124] come a qualunque atto determinato del pensiero, il lin- guaggio è indispensabile. E semplicemente posizione ; ri- producibile più 0 meno facilmente, nel seno del pensiero maturo, sotto forma di giudizio (in generale, con un sistema di giudizi). Nel seno del pensiero maturo, si possono del resto creare delle denominazioni (non soltanto riporle) con de' giudizi, che son quelli di cui si intende parlare. Ve n' ha di due sorte. 0 s' introduce un nuovo segno come semplicemente equivalente a un altro ; come si fa p. es. in aritmetica !!! n ponendo a^=y'a^. Le nuove notazioni cosi introdotte sono nuove forme del pensiero, e accrescono di fatto la cognizione, purché abbiano un nesso razionale con le forme precedenti ; cosi p. es., se in è multiplo di n, l'uguaglianza superiore non è più una definizione, ma un teorema. L' u- tilità loro dipende dal processo meccanico che s' accompa- gna sempre al razionale, e ne costituisce il fondo ; perciò è più manifesta dov' è più potente l' influenza del mecca- n esimo, come appunto nel calcolo. Oppure si dà compimento a una sintesi con l'imporle un nome ; tal' è il significato del giudizio a := b ; e : d , che produce il concetto a. Dimenticati o astratti in seguito gli elementi e, ci, ricordando o ponendo soltanto che la sintesi consta di qualche altro elemento oltre a b, si ot- tiene il giudizio a = b ; q, precedentemente considerato. C) Da ultimo, si suppongano dati due concetti di- stinti, la cui uguaglianza non si può dunque stabilire come in B, se r uno non è una sintesi di cui 1' altro sia ele- mento ; ma ciascuno oscillante e vago, cosi che la loro identificazione come in A) riesca duljbia, incerta, e insuf- ficiente al processo che s' intendere svolgere. Allora si può anche porre, che i due concetti verranno considerati u- guali, quando soddisfacciano a certe condizioni determinate ; e, s'intende, determinate in modo arbitrario, essendo escluso [125] (441) per ipotesi che siano deleniiinabili con l'osservazione; ben- ché l'arbitrio sia limitato dalla necessità di non j)orre con- dizioni incompatibili coi concetti, che, per quanto vaghi, sono delle posizioni ; e il negare implicitamente queste so})})rimerebbe il processo. Un esempio è somministrato dall' uguaglianza di due ragioni secondo Euclide. Analo- gamente s' è riconosciuto ora, che 1' uguaglianza tra due superficie non congruenti, o tra le lunghezze d' una retta e d' una curva, non può essere stal)ilita altrimenti. 65. Paragonando le tre classi considerate di giudizi iden- tici o d' uguaglianze, si rende manifesto quanto venne al- tre volte notato, che cioè la volontà: — 1. non può pren- dere le mosse che dal meccanesimo, aderendovi sul prin- cipio strettamente, non movendosi che in quanto ci trova una via tracciata dall' elaborazione della coscienza oscura, ([uantun([ue si mova da sé ; — 2. approfittando dei risultati a cui arriva in ([uesto modo, impara ad influire essa stessa sul meccanesimo ; si rende cosi sempre più libera ne' suoi movimenti. Nello stesso tempo, e in conseguenza di questo mutare nel modo di comportarsi della volontà, i suoi risul- tati si modificano. (Anzi, questo non è che un parlar ma- teriale ; il risultato che la volontà ottiene movendosi, è appunto il suo essersi mossa). Dapprima la volontà, se vuol porre, deve porre in quel modo, non altrimenti : io non posso ripensare diversamente due posizioni che so d' aver fatte, ma alle quali si riferisce indifferentemente una mia reminiscenza attuale ; la cosa sta cosi. Di qui il primo concetto d' uguaglianza (A). Questo concetto acquisito diviene mezzo a produrne sempre più indipendentemente altri e altri (B, C), che svelano sempre })iù distinta l' impronta propria della volontà ; la forma non apparisce più come imposta dal dato o ravvisata in (442) [126] esso (1), ma come imposta al dato ; non è più la cosa che stia così, son io che l' ho plasmata cosi. Sembrerà, che procedendo cosi a capriccio l' uomo si dia spontaneamente in braccio all' errore ; in realtà, il pe- ricolo è maggiore nella prima fase dello sviluppo intellettivo, perchè allora s'attribuisce a condizioni intrinseche dell'oggetto ciò che è talvolta 1' effetto, o di combinazioni meccaniche affatto accidentali e transitorie (all' itterico ogni cosa par gialla), 0 di atti precedenti della volontà (la notizia pare improbabile, perchè non è piacevole ; e non è piacevole, perchè si è fatta la tal cosa ; ecc.). Ma quando la volontà s' è svincolata pienamente, dove sarebbe 1' errore ? S'è fatta un' operazione, che si poteva fare, e che p. e. (in questo caso), s' aveva il diritto di fare. Le sue ulteriori conse- guenze dipenderanno da operazioni ulteriori. Tocca all'uo- mo a regolarsi ; e, teoricamente, non gliene manca il modo ; perchè in sostanza lavora su delle sue posizioni, che gli sono essenzialmente note ; le quali, se si prendono per quel che sono, senza riferimento ad altro, non saranno mai ri- ferite a sproposito ; mentre viceversa è anche possibile (se non facile) riferirle ad altro con sicurezza, perchè tutte si concatenano tra di loro fino alle prime, che hanno radice immediatamente sul dato. Lo svincolo della volontà diventa massimo nella sup- posizione ; la (juale, dal non avere più col dato alcuna (1) La forma non è mai imposta dal dato, perchè dipende da un atto volontario ,• né può essere ravvisata nel dato, prendendo il termine ravvisare nel suo significato piìi ovvio ; perchè il dato non ha una for- ma. Si dice che la forma apparisce cosi, perchè davvero cosi apparisce, quando la forma è posta con un atto che aderisca strettamente al mec- canesimo. Chi p. es. conta delle monete, dirà : sono cinque ; mentre il cinque, numero, non ha niente a che fare con le monete reali, non è un loro carattere. È una forma da cui la volontà non può prescindere, riponendo il gruppo dopo di averlo posto adattandovisi con diligenza quasi passiva ; mentre, operando con maggiore indipendenza, avrebbe detto p. es. : sono venticinque lire. [127] (-l^n) connessione diretta, ac(|ui.sta un carattei-e speciale ; è un atto conoscitivo, ma non dello stesso valore degli altri, perchè in esso la volontà viene alle prese soltanto con se stessa. La sui)})Osizione non è {)Osizione Ininiediata, la ({uale investe sempre un dato come tale, cioè come reale ; per- chè tutti i fatti interni sono reali allo stesso titolo, in quanto fatti. Essa viene sempre formulata con un giudizio; e send)ra ridursi alla posizione della rappresentazione d'un giudizio, la quale rappresentazione può essere prodotta cosi dal meccanesimo, come dalla volontà. Supporre a = &, è rappresentarsi la formula del giudizio ; e fare in seguito la posizione della formula, senza fare quella inclusa nel giudizio, e che lo costituisce. La formula è così introdotta nel pensiero, e diviene un elemento nelle operazioni suc- cessive, tal quale come la formula d' un giudizio espressa- mente compiuto. Nel rimanente di questa Sez., i giudizi che si consi- derano s' intenderanno tutti supposti ; si comprende, che nulla ci sarebbe da variare al processo, se fossero invece giudizi effettivamente compiuti. Capitolo III. Il sillogismo in generale. 66. L'equivalenza di due frasi del linguaggio ordinario (l'aver entrambe un medesimo significato) quantunque debba sempre esser posta, può risultare immediatamente dalle connessioni meccaniche delle parole che la costituiscono, jìrese nel loro ordine ; il più manifesto esempio se n' ha, ([uando una delle due frasi è una semplice ripetizione del- (444) [128] l'altra. 0 anclie può darsi che deva essere stabilita me- diante una serie di trasiornia/ioni di una delle due frasi 0 d'entrambe ; intendendo che ciascuna frase si trasformi in un'altra immediatamente equivalente e. s. ecc. (i). Come s'è accennato, la serie d'operazioni mediante le quali s'ar- riva cosi al riconoscimento (quando non sia immediato) di simili equivalenze, è da considerare quale un ragionamento embrionale. E si dice embrionale, perchè ciascun' opera- zione, non ostante l'intervento della volontà, è di natura meccanica. La volontà non fa se non accettare gli scambi di quelle parole, che, trascinate l'una dall'altra per i loro vincoli meccanici, si sostituiscono scambievolmente, in virtù del loro nesso con una reminiscenza sola ; quella del loro significato comune, E se influisce nel gioco per non la- sciarlo divagare, lo fa con l'accettare volta per volta una sola delle combinazioni che tendono a prodursi ; non mai col determinare la produzione di una che non sarebbe sorta spontaneamente. Quando l'equivalenza di due frasi è riconoscibile im- mediatamente, sembra presentare il medesimo carattere di quella che si riconosce tra due concetti semplici o assunti come tali. Tuttavia, se una frase è appena un po' lunga, v' è sempre nel suo significato qualcosa di vago, dipendente dal poco rilievo e dalla minor precisione che hanno nel discorso i significati delle parole. Ora, se il significato di ciascuna di due frasi da paragonarsi non è fisso, il con- fondersi delle reminiscenze di queste diminuisce 1' oscilla- zione del pensiero, non la soppi'ime ; si rimane titubanti tra due o più significati, benché applicabili cosi all' una come all'altra delle due frasi. Non si può fare un'eccezione che per le frasi molto corte, o per quelle ripetute ; dove nel primo caso, sorge la questione dei limiti ; nel secondo, l'altra, se davvero una frase sia stata ripetuta esattamente. (1) § 54. [1-iO] (44o) Quando poi il processo .si complica, richiedendo il i)a- i-a^'one di molte frasi che si trasformano l'ima nell' aitivi, rindeterminatezza di ciascuna si ripercuote su quella del- l'altra : e (luindi, per la sola ragione addotta, il risultato tinaie riesce tanto più ambiguo, quanto più lungo fu il processo. Ma v' è un' altra circostanza, per cui si rende dubbio il conseguimento d'un risultato. Supposto invero che la volontà accetti semplicemente una sostituzione prodotta dal meccanesimo, o si limiti al più a scegliere tra delle sostituzioni ugualmente messe innanzi ; potrebbe però darsi, che la serie d'equivalenze, necessaria a render manifesta l'equivalenza delle frasi da paragonarsi, non si producesse mai, i)er mancanza de' suggerimenti opportuni. Allora il jìrocesso non si chiuderebbe, e il pensiero rimarrebbe in un' oscillazione perpetua. E dunque indispensabile un più diretto ed efficace in- tervento della volontà ; l'azione della quale dev'essere du- plice. — 1. In ordine a ciascuna frase, anzi a ciascuna parola, essa deve eliminare quelle indeterminazioni, che, per (juanto leggere, possono, in un processo complicato, produrre infine delle deviazioni notevoli. Il che s' ottiene col non contentarsi di porre le connessioni meccaniche delle parole così quali vengono off'erte ; ma rinforzandone alcune, svigorendone altre, e anche richiamandone di quelle già cadute sotto la soglia della coscienza. — 2. E lo stesso lavoro va com})iuto in ordine alla concatenazione delle frasi che costituiscono la serie. Se a richiama meccanica- mente come suoi equivalenti h, oppure h, e, d ; la volontà invece di limitarsi a porre l'equivalenza suggerita nel pri- mo caso, a scegliere tra le parecchie suggerite nel se- condo (e(|uivalenze, che in grazia della prima operazio- ne supposta compiuta hanno ora un significato preciso) ; deve molte volte adoperarsi a che a richiami per l'appunto (luell'altro elemento, e sia f, che posto come equivalente ad u fa avanzare il processo nella direzione voluta. Cosi il processo diviene determinato e conclusivo ; ma T. IV, S. VII 29 (446) [130] insieme si rende ben diffìcile apprezzarne il valore ; e ciò perchè l' influenza del meccanesimo e quella della volontà vi si trovano talmente intrecciate, da riuscire impossibile distinguere che cosa si deva in proprio all'una e all'altra. Quando si pone a = & , perchè le reminiscenze dì a e b coincidono, non si fa che porre un fatto interno nel suo accadere manifesto. Il dubitar d' un' illusione, non ha senso; che cos'è invero un' illusione, se non un fatto ? e il distin- guere tra un fatto reale e un fatto illusorio, suppone che si riferiscano l'uno all'altro, o entrambi a quale' altra cosa; mentre qui si suppone posto il fatto come accade, e nulla più. Certo, può darsi che la fusione di reminiscenze, la quale ora apparisce, ossia è reale, non duri ; ma ciò non infirma punto la posizione del fatto come fatto ; avverte bensì che sono necessarie delle cautele per interpretarla ; e che insomma non è lecito attribuirle immediatamente un significato diverso da quello che risulta dal suo essersi com- piuta, entro quei limiti, ne' quali s'è compiuta. Del pari : quando si assume a^b , indipendentemente da ogni sug- gestione meccanica, si sa quello che si è fatto ; e purché il fatto nostro non si scambi grossolanamente con la posi- zione di un che dato immediatamente, non si vede perchè un processo che vi si fondi abbia ad essere guardato con diffidenza. Ma quando s' ignora quale sia il fondamento del- l'uguaglianza asserita, o quando il suo fondamento è misto, senza possibilità d'assegnare nella mistione la parte di cia- scun elemento ; 1' uguaglianza non ha più un significato preciso, (1) e un processo che vi si fondi riesce incerto e ambiguo. I risultati ne possonij essere cognizioni ; ma ci mancano i mezzi di porli in quel modo appunto, nel quale essi sono coonizioni. (1) Quantunque lo abbia ciascuno de' suoi due membri, isolata- mente preso. [i:n] (447) 67. Si rimedia a questi inconvenienti, usando un linguaggio sommamente preciso ; il clie s'ottiene scartando in generale le parole sinonime, col ridurle a una sola, che venga usata esclusivamente ; distinguendo con cura le varie frasi ele- mentari o formule semplici di cui risultano le frasi com- jìlesse, e segnando con precisione, mediante parole defini- te esattamente con formule semplici, i vincoli che le con- nettono, la qualcosa esige molte volte una deviazione anche notevole dalla consuetudine comune di parlare : discutendo re(|uivalenza o sinonimia delle frasi semplici, fissando bene il senso in cui la si ammette, ed escludendone poi ogni altro ; e risolvendo ogni operazione su frasi complesse in operazioni semplici su formule semplici ; dove l'equivoco non può essere che accidentale, e facilmente riconoscibile. Tut- tociò non è quasi fattibile senza la scrittura ; la parola semplicemente parlata è troppo volubile e sfuggevole ; men- tre una formula scritta, come formula scritta si può con- siderare assolutamente permanente, e conserva anche un significato fisso, quando lo si sia fissato una volta con le avvertenze accennate ; purché il pensiero se ne occupi con una certa continuità, senza frapposizione d' intervalli troppo lunghi e troppo pieni di occupazioni estranee. Il simbolismo poi ha sulla scrittura semplice lo stesso vantaggio che questa sul linguaggio parlato. Certo il signi- ficato de' primi simboli non })uò essere determinato, se non l)er mezzo del linguaggio comune ; la sua permanenza si radica duiKjue unicamente su quella fusione di remini- scenze, che è l'ultimo imprescindibile fondamento d' ogni identità. iSIa le frasi che definiscono i simboli, connetten- doli al linguaggio comune, possono essere di quelle cosi semplici e stereotipe, che hanno la medesima fissità d' un simbolo propriamente detto ; di tali non manca il linguag- gio ; gli manca bensì un mezzo ben sicuro di svolgersi col (448) [132] loro sussidio ; e qui il simbolismo viene in suo soccorso. I significati de' simboli poi si possono lasciare indetermina- tissimi senza che perciò perdano di precisione ; se a vale per un concetto, s' intende che vale per un concetto pie- namente dato, sempre quello, quantunque non si esprimano determinazioni di sorta ; se q significa un concetto, del quale non soltanto non si assegna, ma non si assume nep- pure la determinazione, anche questo significato di g è pre- cisato con esattezza. E i concetti espressi con lettere diverse, 0 con una stessa lettera munita di indici diversi, s' inten- dono in generale diversi ; siano assunti come determinati o come indeterminati. Lo stesso si dica per i segni d'ope- razione ; (;),(:) rappresentano due sintesi, in generale diverse, ma ciascuno una data e che si assume come pie- namente determinata. Quest' indeterminazione e precisione insieme del signi- •ficato dei simboli è d'un'utilità che non abbisogna d'essere dichiarata. Se 9 -|- 7 = 16, anche 9 pecore -|- "' pecore faranno 16 pecore ; e 9 errori -\- 7 errori faranno 16 er- rori ecc. ; perchè una pecora e un errore, oltre ad esser pecora ed errore, sono unità. Così un risultato, su})posto indiscutibile, ottenuto lavorando sopra de' simboli, può es- sere interpretato in infinite maniere diverse, aggiungendo ai simboli delle determinazioni, e si converte cosi in innu- merevoli risultati, tutti indiscutibili. L' averlo ottenuto, e il riconoscerlo indiscutibile, è duncjue un avere dimostrata la possibilità teorica di ottenere de' risultati certi con certe operazioni, cioè di ragionare. Di più : quantunque i signi- ficati de' simboli siano indeterminatissimi, i simboli effettivi sono cose concrete, sulle quali si opera materialmente senza niun riguardo ai loro significati ; il processo diviene cosi meccanico, ma in guisa perfettamente determinata e sicura. Le suggestioni del meccanismo psichico sono eliminate, dal fatto che nell' operare ogni simbolo viene assunto sempli- mente nella sua materialità individuale e sconnessa ; ogni operazione è resa puramente volontaria, e quindi il ren- ["183] (449) dorsi conto di ciò che si faccia diviene la cosa più facile; e tanto più facile, in (juanto ogni atto volitivo assume un significato determinatissimo dalla fissità e distinzione del termine su cui cade. 68. Le formule semplici o elementari di cui deve risultare (|uahiii(|ue espressione sim))olica, sono i giudizi. L'equiva- lenza di due giudizi è posta con un nuovo giudizio; che ha il medesimo significato d' un giudizio primitivo, avente per termini de' concetti ; essa cioè, o esprime il fatto reale che le reminiscenze de' due giudizi si confondono indistingui- hilmente ; o pone senz'altro il fatto come reale, senza oc- cuparsi altrimenti della sua realtà, (i). L'uguaglianza [a = b) = {b = a), per la definizione stessa del segno =, è altrettanto incontestabile, quanto la uguaglianza a = a , ed ha in fondo il significato medesi- mo. La differenza tra le due formule paragonate è mera- mente grafica ; ma le loro reminiscenze s'uniscono di fatto, e con un'estrema rapidità. Dato un giudizio a = b : q , se ne può molte volte for- mare un'altro b ^ a: q , che gli sia equivalente ; 1' eciui- valenza avendo il medesimo significato di cui sopra. Se n'è dato un esempio addietro (2); e più altri soccorreranno al pensiero d'ognuno. Naturalmente, delle due sintesi (;),(:), una sola potrà essere scelta arbiti-ariamente. Del resto, qui non si vuol dimostrare in generale l'uguaglianza (a ^&; ^) ^=: [f) = a : q) ; siccome se ne hanno degli esempi di fatto, è lecito supporla possibile ; ai giudizi, se ve ne sono, che non soddisfacessero a questa condizione, non saranno ap- (1) Cfr. § 64. (2) § 58 ; nota. Anche : Piotro ò i»adro di Paolo ; Paolo ò figlio di Pietro. (450) [134] plicabili i processi che la suppongono verificata. Non si esclude che l'equivalenza di due giudizi non possa essere stabilita anche indipendentemente dalla detta trasformazio- ne ; allora essa dovrà risultare da altre operazioni spe- cificate. Un giudizio identico, o uguaglianza, i due membri della quale abbiamo un significato indipendentemente da essa, e che non venga semplicemente assunto, può esser vero o falso, secondo che i due membri hanno significati che coin- cidano 0 no (1). E siccome il significato d' un simbolo è generalmente fissato con un altro giudizio, cosi un giudizio (la sua verità) dipende generalmente da un altro ; ossia il secondo è una condizione del primo. Si dice allora, che il primo si ricava dal secondo, o ne è una conseguenza ; se è vero il secondo, è vero il primo. Supposto di più, che anche il secondo sia una conse- guenza del primo, i due giudizi saranno equivalenti. Poi- ché per ipotesi, se a^h , è anche e = d ; e se e = d , è anche a ^ b , considerando le due coppie d' elementi : a , b ; e , d , supposti uguali gli elementi dell'una coppia, non v' è più modo di far valere (di mantenere) come di- stinti in un pensiero ulteriore gli elementi dell'altra. Ossia un pensiero ulteriore si svolge nello stesso modo, cosi as- sumendo a = b , come assumendo e = d\ o in altri ter- mini, questi due giudizi hanno lo stesso significato. Con una lettera maiuscola s' intendei'à dciiotatu una espressione simbolica, quindi anche un giudizio. L' espres- sione consta di una serie limitata di due sorta di simboli ; che esprimono, o concetti (determinati o no, ma clie si (1) § 64. [135] (451) supponj^-ono dati, [)ura materia in ordine alle successive ojierazioni l'itlcsso), o atti operativi. Sia A {(() un' espressione contenente a\ e si supponga, che a non ne svanisca con 1' eseguire le operazioni indi- cate ; come p. es. a svanisce dall' espressione aritmetica a -\- b — a. Si supponga inoltre che A {a) non contenga il segno b (condizione non essenziale, ma che s' introduce per semplicità). E si denoti con A (b) una formula tale, che facendo corrispoiulei-e ordinatamente gli elementi di A (a) a (iuelli di A ( ^ ) , due elementi corrispondenti risultino sempre uguali, eccettochè ad ogni a di A {a) corrisponda un b in A (b). Si dirà, che l'una delle due formule s'ot- tiene dall' altra mediante una sostituzione : di b a,à a nel caso accennato ; di a a, b nel caso inverso. (Se A (a) con- tenesse anche b , A {b) conterrel)be anche a ; allora la so- stituzione si direl)l)e uno scambio). Si riconoscerà che la sostituzione (lo scambio) secondo la definizione molto precisa ora assegnatane, corrisponde esattamente a quella di cui s'è parlato più addietro (*), come un fenomeno meccanico, sul (|uale la volontà non aveva che da esercitare la posizione. L'operazione ora è resa del tutto volontaria, e non v' hanno più luogo suggestioni del meccanesimo psichico ; d'altra parte, il modo d'eseguirla, e conseguentemente il suo significato, hanno acquistato una l)i'ecisi(^ne che non lascia nulla a desiderare. I motivi ne sono soltanto arbitrari ; l'esecuzione è puramente materiale (scrivere b al })osto di a) ; e non lascia luogo a dulibiezze di sorta. Se a = b , sarà A («) = A [b). Infatti, b , come figura scritta, non è il medesimo che a ; A («) e A {b) dunque differiscono; ma i segni a, b. in cui s(dtanto differiscono, lumno per ipotesi il medesimo significato, son tutt'uno pei- il pensiero ulteriore ; nel quale perciò anche la distinzione (1) § 54. (452) [136] tra le due formule .svanisce. Il giudizio A (a) = A [b) non sembra esprimere immediatamente il fatto della fusione mnemonica delle posizioni, come 1' altro A {a) = A{a), se non per una suggestione del meccanesimo ; il quale, ri- volgendo del continuo l'attenzione sulla differenza materiale dei segni, rende necessario un atto perchè s'avverta la co- incidenza dei significati. Reciprocamente : se A{a) = A(b),è pure a = b. Invero ; se i concetti A{a) eà A{b) non si distinguono (giu- sta r ipotesi) che in quanto vengono posti con atti distinti ; siccome differiscono in quanto all'elemento a dell'uno cor- risponde r elemento b dell' altro, e soltanto in questo ; conviene che pure a , b differiscano di significato solo in quanto vengono posti con atti diversi ; o che sia a ^b. Finché a non s' identifica con b , anche A (a) è pensato come diverso da A{b). 1 due giudizi a = b , A{a)=:A{b) sono dunque equivalenti. S' è parlato della sostituzione soltanto tra segni di con- cetti ; senz' altre parole si comprende, che il medesimo vale per la sostituzione tra segni d'atti operativi. Sostituire un segno di concetto a un segno di operazione non avrebbe senso. 70. Una serie di pensieri è connessa meccanicamente, quando gli elementi (per via delle loro materie ultime e pure, che sono sempre stati d. e.) costituiscono un grup{)0 tenuto insieme da vincoli attivi nel campo della coscienza oscura, sopra o sotto della soglia. E connessa razionalmente quando questi vincoli, o altri che siano un risultato più o meno diretto dell'azione della volontà sul meccanesimo, siano stati posti ; intendendosi che ciascuna posizione valga alla [i:57] {t53) su;i volta [KM' un cleiiuMilo (Irtcniiiiiato o itixai'ialiilf della serie niedesiina. Connettere tra loro due j^^iudizi iti ordine a mia sei'ie di pensieri (della quale si suppone (di(> sia razioiialinenle connessa, e delilia svolgersi rimanendo tale) è porre (■osi l'uno che l'altro come elemento di quella. Ciò significa, non stabilire soltanto che s'abbia da tener conto di tutt' e due; ma tenerne un conto effettivo nello svolgimento della serie. Un giudizio, isolatamente preso, dev'essere })Osto o ne- gato. E se due giudizi non hanno alcun elemento comune, è manifestamente lecito, Jion badando che ad essi soli, porli o negarli tutt'e due, o porre l'uno e negare l'altro. Ma se hanno un elemento comune, la cosa muta d'aspetto. Siano p. es. i giudizi a = b;qi, c=b:q-2; ai (|uali possono venir sostituiti i loro equivalenti rispettivi : b = a : qi , h^=c ; q-^. Con questi, s'attribuiscono a b due significati, che saranno in generale differenti. Ora, niente vieta che a un segno si attribuiscano quanti significati si vogliano ; porre sepa- ratamente i due ultimi giudizi, o i due primi, è dunque possibile. ]Ma connettere i due primi giudizi, è un conside- rarli come elementi di una medesima serie razionalmente connessa, e in (juesta, b deve avere un significato solo ; perchè un segno che non abbia un significato fìsso non ha più valore. E connettere i due primi giudizi è connettere i due ultimi, cioè attribuire a b , come elemento della serie da svolgersi, due diversi significati. L' operazione non ha niente di impossibile in sé ; ma la connessione della serie ne rimane distrutta. Dunque, due giudizi senza elementi comuni si possono sempre (-onnettere ; ma la loro connessione ha un carat- tere vago, (die non si })uò precisare senza tener conto in particolare della natura della serie di pensieri a cui quelli si connettono. Non se ne tratterà altrimenti. La connessione di due giudizi con elementi comuni, al contrario, non è sempre ofi'ettuabile senza togliere connessione o si voglia diie signilicalo alla serie : ma. (piand" è effettuabile, pi'e- (454) [138] senta un carattere speciale ; ossia, perchè due tali giudizi siano connettibili, occorre che si sia rinunziato a parte di queir arbitrarietà che vi è nella scelta degli elementi di ciascuno. Questo suo carattere, benché non apparisca forse ancora con la chiarezza desiderabile, permette di studiare r operazione in generale. Per distinguerla, le si darà il nome di congiunzione ; e la si denoterà frapponendo e alle scritture simboliche de' giudizi {e, tra scritture simboliche di giudizi, non avrà altro significato. 71. Siano dati due giudizi, o uguaglianze che li rappre- sentino, con un elemento comune. Allora, quest' elemento comune, o costituisce da solo (i) un membro (il primo mem- bro, si può sempre supporre, stante l'equivalenza dei giu- dizi a = b, b=a) di una almeno delle due uguaglianze, o no. Per altro, il secondo caso si può sempre ridurre al primo, trasformando uno dei due giudizi : ossia sostituendo alla forma a=h\ q la sua equivalente b=^a:q. E dunque lecito supporre in ogni caso, che l'elemento comune costi- tuisca da solo il primo mem])ro di una delle due ugua- glianze. Allora, nell'altra uguaglianza, si potrà sostituire all'e- lemento comune il suo uguale secondo la prima (il suo va- lore dato dalla prima) ; e in questo modo la congiunzione dei due giudizi sarà effettuata. S' ottiene infatti un terzo giudizio (risultato della congiunzione, o conseguenza) la ve- rità del quale, ossia l' identificarsi dei termini del quale, è condizionata alla verità dei due primi. In altri termini : se, dopo di aver posti i due primi giudizi, si pone il terzo, si viene con (juesto a tener conto così dell'uno come dell'altro di que' due ; ossia con la posizione del terzo, si è effettuata la congiunzione dei due primi. (1) Non come elemento d'una sintesi espressa. [i:«)] (455) Iiivc'i-saiiieiilc : liiiclu'' non sia operata la dotta sosiitu- zioiio i (lue j^iudizi dati non sono ancora congiunti ; \ale a dire, la congiunzione de' due giudizi non si può o[)ei*ai'e clic per mezzo della sostituzione indicata. Qui si parla di giudizi simbolicamente espressi con 1' indeterminazione as- sunta, e nel supposto che si operi sopra di essi unicamente fondandosi sulle loro espressioni simboliche cosi indetermi- nate. Ne' giudizi formulati secondo il linguaggio comune o con simboli meno indeterminati, non si nega potersi eff"(^t- tuare delle congiunzioni, che non abl)iano la forma imme- diata, esplicita, di sostituzioni ; si dice, che esprimendo con simboli come i superiori i giudizi dati ed il risultato della congiunzione, questo si potrà sempre ottenere mediante una sostituzione. Infatti : col porre semplicemente i due giudizi dati, co- me elementi d' una medesima serie di pensieri, si è stabi- lito che d'entrambi si debba tener conto, ma non se n' è però ancora tenuto conto ; l'elemento comune è posto nel- l'uno e nell'altro, ma in ciascuno come suo elemento e nulla più, non essendovi niente nell'uno dei due giudizi, che dica trovarsi (jueU'elemento anche nell'altro. L'elemento comune non è a vero dire posto ancora come comune. Perchè ciò sia, conviene che all'elemento comune, come elemento del- l'un giudizio, si attribuisca la determinazione, il significato che esso ha come elemento dell'altro ; il che è appunto un effettuare una sostituzione. Si possono dunque considerare la congiunzione e la sostituzione come due operazioni equivalenti. 0 piuttosto, s' hanno qui due termini che esprimono una sola medesima operazione ; la quale, se si guarda al modo immediato e materiale di eseguirla, merita })iuttosto il nome di sostitu- zione; UKMitre denominandola congiunzione, si rende più i'\ idenie il suo significato razionale (i). (l) Qualche verità di questo § potrii essere meglio chiarita dal cfr. col § .sg. (456) [140] 72. Considerando i due giudizi a ^= b ', qi , a^= b' : q^', affinchè essi abbiano un elemento comune, conviene che si verifichi una delle quattro ipotesi : a^a' , a=iy , l) = a\ b = b\ Adottandole successivamente tutte, si ottengono le seguenti quattro coppie tipiche di giudizi con un elemento comune"; e siccome non sono possibili altre ipotesi, i quat- tro tipi sono i soli possibili : 1. a = b', qi , a = c: q^i 2. a = b \ q^ , c^a: q^ 3. n.z=rzb\q^, ^ = e : q^i 4. a=:b;qi , c = b:q «i ottiene una copjùa, che non differisce dalla 3. se non per l'ordine dei due giudizi. Ma questa diversità di ordine, rilevabile materialmente, non ha alcun signifi- ficato, relativamente alle operazioni di congiunzione o so- stituzione. Non già che i due giudizi da congiungersi ab- biano esattamente sempre il medesimo ufizio nella congiun- zione ; se l'elemento comune è isolato in un membro dell'uno, e non dell'altro, non si può che sostituire in questo il suo valore secondo il primo. Ma il diverso uso de' due giudizi dipende dalla loro diversa struttura in ordine all'elemento comune ; e non dalla disposizione materiale, nò da altro clie sia rappresentabile con la disposizione nuiteriale (i). (1) In aritmetica, dimostrando che a 'X. f> ^ ff X. ^' , si vuol dimo- strare, che due prodotti, nei quali il moltiplicando dell'uno sia uguale al moltiplicatore dell'altro, e viceversa, sono uguali. Non già che un prodotto non cambi, scrivendo il moltiplicando piuttosto a destra che a sinistra del tnoltiiìlicatore. Ciò clie distingue il moltiplicando dal moltipli- [141] (1-h) Il tipo 1. si trasforma nel 2., trasformandone il se- condo t;iu(li/io in tino eijnivalente di cni sia e il })i'imo membro: il 1. lud .'>,, trasformandone e. s. il seecmdo giu- dizio in modo die sia b il pi'inio nieml)ro. Senza (jucsta ti'asformazione il tipo ì. non è altrimenti trattabile. Il ti- po 1. è trattabile direttamente, e conduce al risultato b ; Qi = e : q~2 , il cui significato è molto incerto, come s'c av- vertito. Per altro, se r/i fosse = *, 1' ultimo giudi/io assu- merebbe la forma molto precisa b = c : q-i , e se anclie 7-2 avesse il valore corrispondente a * nella sintesi ( : ) , si avrebbe 6 = e; che dà l'espressione simbolica del principio: due cose uguali a una terza sono uguali tra .loro. 73. Il tipo 3., congiungendo i due giudizi, ossia sostituendo nel primo a b il suo valore dato del secondo, somministra a = e : q^ ; q\ . Si esprime compendiosamente il processo con lo schema : posto a = b;qi, e posto b = c: q^i , sarà : « = 0:7-2; qi ; oppure : (a = ^ ; qi) e {b =^ e : 7-2) -segue : a = c:q'ì\ 71 ; che è un vero e proprio sillogismo ; e risulta dal detto di sopra, che ogni sillogismo, in cui le premesse siano giudizi affermativi, è riducibile a quest'unica e semplice forma. Il caso, che le premesse siano, entrambe od una sola, giudizi negativi, non verrà trattato ; si vedrà infatti nel Gap. sg., che dove si considerino, non più le sintesi indeterminatis- sime ( ; ) , ( : ) , ma altre più determinate, e le sole forse importanti nella pratica, ogni giudizio si può considerare come affernuitivo. calore ò la diversa definizione, ossia il diverso uffizio nella moltiplica- zione, non il posto per so. (458) [142] La tesi a ^=- e \ q^i\ qi è una conseguenza delle premes- se ; ma le premesse non si possono ricavare dalla tesi, perchè il termine medio h non è contenuto in questa. Per- ciò si è scritto segue, e non =. Se si nega la tesi, col giudizio a ~ e: g^ ; Qi , sosti- tuendo poi in questo giudizio a e : g-2 ; Qi , il suo valore se- condo la tesi, s' ottiene a ^ a \ ossia la negazione del giu- dizio identico a^^a\ che equivale a togliere ad a ogni significato. Studiando lo schema sillogistico riferito, non è difficile ricavarne delle regole, che sostanzialmente coincidono con le solite della logica usuale ; e che innegabilmente possono tornare in alcuni casi di molta utilità. Ma non ve n'è bi- sogno ; tutte quante le regole potendo dirsi implicite nello schema. Un sillogismo riducibile allo schema, è senza dub- bio esatto, poiché la tesi non ne può essere negata senza contraddizione ; viceversa, ogni sillogismo esatto è riduci- bile allo schema ; è infatti impossibile congiungere due giudizi (dedurne una tesi) che non abbiano un elemento comune ; ora, tutti i casi possibili di giudizi con elementi comuni sono stati considerati ; e s' è visto, che la loro congiunzione può sempre ridursi allo schema sillogistico superiore (i). (1) Come esempio, che può anche servire di schiarimento, si da qui una breve discussione delle figure sillogistiche, ricavate dallo schema. In questo, & =r e ; 52 è da considerarsi come la minore, perchè è quella, mediante la quale si riconosce che la tesi è implicita nell'altra premessa, 0 maggiore ; « , & sono i soggetti, h ^ e \ predicati rispettivi nelle pre- messe ; e il predicato nella conclusione. Come predicati si considerano le sole & , e , perchè le indeterminate q^ •, Q2 non sarebbero espresse ne' giudizi pronunciati secondo l'uso comune in forma non identica. Quali giudizi simbolici identici, tutte le proposizioni sono convertibili ; ma non lo sono più, se pronunciate in forma non identica. Convertendole, si chiamerà sempre soggetto l'elemento determinato che si trova nel primo membro; predicato quello che si trova nel secondo. Facendo nello schema tutte le conversioni possibili, se n'ottengono gli otto seguenti : [14:ì] (45!)) 74. Il pi'occdiincnto, dal (inali' si é stati condotti allo sche- ma sillogistico, contiene de' ragionamenti esso medesimo ; cioè presuppone valido il sillogismo. Ma se questo si vuol cliiamare un difetto (inevitabile, del resto) del processo, non che vanno discussi (eccetto il primo che riproduce lo schema), poiché i giudizi si suppongono non espressi in forma identica, e però in ge- nerale non convertibili. 1. a =: b ; cji e b = e: q^ dunque : a = e: q, : g,. 2.b;q,=:a » e: q,^b » e: qaiq, = a. 3. a = b;qt » c:q2 = b » a = e: q^^qi. 4. b ; qi = a » b = c:q. » e: q,;qi = a. 5. n =: b \ qi » c:q^ = b » e: q^; qi = a. 6. b ; qt=z a » b = c: q^ » a = c-.q,; q^. 7. b ; qi = a » e: q^ — b » a = e: q^; g,. 8. a = b ; qt » b = e : q^ » c:q^; g, = a. Queste /ìgure si riducono a quattro ; perchè le 1. 2. ; 3. 4. ; 5. 6. ; 7. 8.. rappresentano rispettivamente ciascuna la completa conversione del- l'altra, e p. e. sono da ritenersi due a due equivalenti. Quanto si dirà delle 1. , 3. , 5. , 7. , riesce applicabile alle altre, col solo scambiare tra loro i termini, soggetto, e predicato. La discussione consiste nel vedere quali ope- razioni si richiedano per ridurre ciascuna delle ultime tre ora nominate alla I., 0 alla 2. che le è equivalente. La 3. si riduce alla 1. conver- tendo la minore ; la 5. alla 2. convertendo la maggiore ; la 7. pure alla 2. convertendo la tesi. Queste conversioni potendo non esser lecite, le ultime tre figure non si possono in generale ritenere formalmente ri- gorose. È anche facile vederne direttamente il perchè. Nella 3. p. es. per ottenere la tesi, bisogna nella maggiore sostituire a b , predicato nelle due premesse, un soggetto, e ; ora la sostituzione, che ha per fondamento 1' identità, non si può considerare senza discussione come sempre lecita, quando, un giudizio non essendo convertibile, il suo sog- getto non vi può essere assunto coriie predicato. Considerando invece le proposizioni come identiche, quali sono nell' espressione simbolica, tutte le figure si equivalgono, e ogni discussione è resa superflua. (4()()) [144] costituisce in alcun modo un'oljljiezione cóntro il .sillogismo. Certo per arrivare a conoscere questa forma tiella sua pu- rezza, si richiede un grado di cultura, che ninno acquista senza ragionare ; ma convien esaminare la forma ottenuta, e vedere, se è costruibile soltanto col processo mediante il (juale s'è arrivati a riconoscerla, nel qual caso il circolo (vizioso) si chiuderebbe senza rimedio ; o se invece è possi- Inle costruirla, prescindendo da ogni processo razionale. Ora, la forma è di una cosi estrema semplicità e inde- terminatezza, che non solo è possibile costruirla in questo se- condo modo ; ma è anzi impossibile, nel costruirla, fondarsi comunque su de' ragionamenti anteriori. A formulare un giudizio non si richiede che l'attitu- dine a porre, a sintetizzare (che è un porre certi fatti come vincoli, effettivi nella coscienza oscura, tra degli altri), ad analizzare, cioè a ritornare sulla via fatta sintetizzando, e ripetere la posizione primitiva approfittando del riconosci- mento della sintesi, fatto mediante l'analisi. Tuttavia, quando il giudizio è espresso con parole dell'uso comune, è sempre lecito, anzi è sempre fondato il dubbio, che i signifleati di queste dipendano più o meno da processi discorsivi ante- riori, talvolta complicatissimi, e perciò discutibilissimi. Ma il porre a=^h \qy , è un porre semplicemente quegli stati d. e. effettivi e relativamente fissi che sono le figure « , ^^ j ( ; ) > Qi\ porre ( ; ) come un vincolo qualsiasi tra h e q\ (e r osservazione della coscienza oscura basta da sola a somuiinistrare un fantasma indeterminato, che posto in con- nessione con la parola vincolo ne costituisce immediata- mente il significato) ; e assumere, o supporre che le remi- niscenze del segno a , e del gruppo (meccanico, quantun- que posto) & ; ^1 si confondano indistinguibilmente. Lo stesso si dica del porre b = c : q^2- Ora, con V ammettere questo secondo giudizio, noi ci togliamo il modo di porre come distinti i (lue a=b ; q^ e a=c : q^i ; qi perchè in fatto, la loro distin- zione sta tutta nell'esservi b nel primo, e e : e nemmeno necessaria. Intanto, le cifre introdotte non sono senza senso, benché abbiano, anzi perchè hanno un senso indeterminatissimo. Ora, ciò che vale per de' concetti, in- determinatissimi non in quanto si tien conto della loro indeterminazione, ma in quanto non si tien conto delle loro determinazioni, vale per concetti qualsivogliano. E an- che senza tener conto di questo principio (*), se nello schema ai segni a, b, (;) ecc. si sostituiscono delle parole sensate quali si vogliano, lo schema rimane valido ; essendo perfettamente arbitrario, cioè lecito, assumere a come equi- valente a una data parola (come suo sinonimo perfetto ; formulando un giudizio identico, che viene a essere la de- finizione di a ; p. es. a = mammifero, ecc.), b come equi- valente a un'altra, ecc. Cosi si ottiene un sillogismo de' so- liti, sensato, ed esatto in forma. Certo, qui saltan fuori spesse volte delle gravi diffi- coltà, che dipendono in generale dall' oscillazione de' si- gnificati delle parole, e dai sottintesi che esse implicano, e che d'ordinario non è facile mettere in evidenza ; il signi- ficato d'una parola potrebb' anche (perchè no ?) essere la sintesi d'un processo razionale erroneo. Son difficoltà, per altro, che riguardano immediatamente, non la f(jrma del sillogismo verbale, ma la sua materia. Quanto alla forma pura e immediata, lo schema somministra un mezzo pronto, sicuro e d'applicazione semplicissima, per riconoscerne l'e- sattezza; e poich'esso nella sua struttura assolutamente ru- dimentale è inattaccabile ed esclude ogni sottinteso, resta pr(n'ata la possibilità di sillogizzare in forma ; che è quello che si voleva. (1) Il quale, del resto, e come già si è notato, viene a dire, che un qualsiasi concetto è un concetto ; ossia si risolve nel giudizio iden- tico in termini. [147] (4(i:>>) Capitolo IV. Il sillogismo sulle classi. 75. Se a, h, . . . q . . . rappresentano classi (come d'ora in- nanzi sempre, salva espressa menzione in contrario), le sole sintesi (la cui si supporranno uniti questi elementi saranno le (lue oi)erazi(jni già accennate (i) di congiunzione ("^) e (lisgiunzione. Date le classi (d'un medesimo tutto) o, b, e, d, si voglia formarne una, con gli elementi comuni a tutte, e con essi soli. Si tratta in primo luogo di decidere, se questa classe 0 })rodott() logico, risulterà sempre la medesima, qualun- que sia il modo con cui la si forma ; vale a dire, sia che s'incominci dal prendere un elemento «i di a, e si osservi se esso è contenuto in h (cfr. a^ con tutti gli elementi di h): quindi, posto che vi sia contenuto, si osservi se è (1) § 50. (2) La congiunzione delle classi (che abbiano elementi comuni), ri- entra nella definizione già data della congiunzione dei giudizi. Infatti, considerare la classe formata dagli elementi comuni alle date, cioè sta- bilire che si operi ulteriormeute sulla classo prodotto, è un fondare la serie successiva delle operazioni mentali sull'una e sull'altra delle classi congiunte. La serie è sempre svolgibile, purché il prodotto non sia 0 ; donde apparisce che (juesto come simbolo di classi ha il medesimo si- gnificato, che la negazione del giudizio identico in termini. Due classi che non abbiano elementi comuni danno per prodotto 0 , ossia non si possono congiungere ; si possono però disgiungere, ossia connettere con un' operazione determinata. (464) [148] contenuto anche in e ; ecc. ; oppure che nell'istituire que- sti confronti si segua un ordine diverso. Si rammenti, clie ciascuna delle classi a, h, . . . si sup- pone data ; cioè che ciascuna contiene in fatto certi ele- menti, che vi sono stati inclusi formando la classe ; e per- ciò li contiene indipendentemente da qualsiasi operazione su altre classi, che preceda quella con cui si verifica, se un dato elemento vi sia o no contenuto. Rappresenti q un elemento preso arbitrariamente nel tutto ; l'essere o no q appartenente a una delle dette classi, è dunque una pura circostanza di fatto, che è sempre ugualmente verificabile fin che la classe non muti, e sulla verificazione della quale nient'altro che una mutazione della classe può avere in- fluenza. In qualunque ordine si prendano successivamente le classi, per verificare se q appartiene a tutte, il risultato sarà dunque sempre il medesimo. Ossia il prodotto ah ed è indipendente dall'ordine de' suoi fattori. Con un procedimento analogo si dimostra l' identità a{b c) = ab e, ed altre analoghe ; cioè si dimostrano per il prodotto logico le proprietà note del prodotto aritmetico. Comuni alla classe e al tutto sono gli elementi della classe; dunque an = a; cioè, se (;) significa congiun- zione, il segno * assume il valore tc. Analogamente a quanto s' è fatto or ora per il pro- dotto, si dimostra che la somma logica (risultato della di- sgiunzione) è indipendente dall'ordine de' suoi termini ; e possiede in generale le proprietà della somma aritmetica. Una classe, che contenga i soli elementi della classe a, si può dire, secondo il significato del simbolo 0, che contenga gli elementi della classe a e quelli della classe 0 ; ossia a-\-0 = a ; cioè, se ( ; ) significa disgiunzione, ' assume il valore 0. [149] (465) 76. Mediante la negazione d'una classe, o le classi nega- tive (1), le due operazioni predenti si possono ridurre a una sola. Sia p. es. : v:=^c-\-d-\-e-{-f; a = c-{-d; b = c-\-e; sarà : ab^c; quindi : ab = d -\- e -{- f. D' altronde : a = e + /■; b=d -f f; quindi : a + b=^d + e +/'= ab. (2) Similmente si dimostrerebbe che a b = a ']-b. Queste e altre simili trasformazioni si ottengono so- stituendo in una uguaglianza ad un simbolo un altro, del quale si sappia (o si supponga) che è equivalente al primo. Si tratta dunque di vere deduzioni, che hanno lo stesso fondamento della deduzione sillogistica. Altre deduzioni s'ottengono operando in un medesimo modo sui due membri di una uguaglianza. Si hanno cosi infatti due serie d'operazioni, che vengono a costituire due formule ; e queste due formule si trasformano 1' una nel- r altra mediante la sostituzione d' un elemento a un suo uguale : cioè sono equivalenti (^). Cosi p. es. : se a = b, sarà anche ac^^b e; non pero inversamente ; perchè, se e non ha elementi comuni con (1) § 47 ; ufr. § 50. (2) Si suppone che le classi r, d, e, /"non abbiano elementi comuni. (3) § 69. (-l(Hi) [150] a \\h con h, sarà ac == èc=:0, quand'anche non sia a=b (i). E se è lecito moltiplicare logicamente i due membri di una uguaglianza per uno stesso elemento, sarà lecito del pari moltiplicarli rispettivamente 1' uno per 1' uno, 1' altro per l'altro di due elementi uguali ; perchè gli elementi uguali sono un solo in ordine al contenuto positivo, al quale sol- tanto si attende. Dunque : se « ^ & e c = d, sarà : a c = b d; che è un sillogismo perfetto. Ecc. {^). (1) Ciò non contraddice a quanto s' è notato al § 69; perchè nel fatto supposto a svanisce da ac, e b da he, eseguendo le operazioni. (2) I § § 75 sgg., presi in connessione col Gap. VI. Sez. I., conten- gono i principii fondamentali e alcuni esempi semplicissimi di calcolo logico. Il quale, oltre al valore incontrastabile a qualunque manifesta- zione connessa del pensiero, e alle utili applicazioni che se ne possono fare alla matematica (dì cui è un ramo), si presta molto bene ad ana- lizzare con estrema precisione il ragionamento ; risultato del resto che s'ottiene pure mediante il simbolismo di cui al Gap. precedente, che può considerarsi come una generalizzazione (esposta in forma elementaris- sima e sommaria) del calcolo logico. Per uno studio approfondito, si cfr. l'opera fondamentale di Boole : An invest. on the laws of thought ; Schròder : Alg. d. Log.; si cfr. pure alcune note del prof. Peano nella sua Riv. di Mat. I brevissimi cenni dati di sopra non hanno altro scopo che di rendere intelligibile la trasformazione dello schema sillogistico superiore, in uno schema composto coi simboli del calcolo logico, e conseguentemente piii vicino alle forme usuali. Si è del resto procurato di connettere i fondamenti del calcolo logico alla teoria precedente- mente svolta, e cioè all'origine e al significato del primitivo concetto di uguaglianza: cosi dal § 75 risulta (per un caso solo, esplicitamente; ma l'estendere il processo a tutti gli altri casi non presenta difllcoltk), che le uguaglianze ammesse in generale come postulati del calcolo logico, e infatti non dimostrabili per mezzo di questo, ogni operazione del quale le suppone, son de' veiù teoremi, dimostrabili approfittando della più precisa determinazione che s'è potuta dare del concetto di uguaglianza. I segni usiati dai diversi autori, anzi qualche volta da uno stesso autore in di- versi scritti, sono molto vari, il che non è di certo un bene. Noi ab- diamo scelto, un poco per niotivi d'opportunità, un poco necessariameule [151] (467) 77. Se nello .sclieina del i:^ 7.S, alle due sintesi ( ; ), ( : ) si sostituisce, una Aolta ad entrambe la congiunzione, un'al- tra volta ad cnti'aiiihe la disgiunzione, s'ottengono i due: I. (^a = b qi) e {b = c q^i) segue : a = cqi q-i ; IL (a = & -f gì) e{p = c^ r/-2) segue : a = e -f q^ -\- q^^ ; l'ordine dei sindìoli e, q\, q^ nelle tesi è ora indifferente, per quanto s' è visto (^). S'hanno rispettivamente ne' due schemi i tipi de' sil- logismi di comprensione e d'estensione : assumendo ("^) co- me comprensione d'una classe, il numero de' fattori di cui cui essa è il })rodotto (o più in generale, che la compren- sione d'un prodotto è maggiore di quella di ciascun fat- tore) ; e come estensione d'una classe, il numero dei ter- niini di cui essa è la somma (che l'estensione d'una som- ma é maggiore di quella di ciascun termine). Dov' è da notare, che l'incertezza derivante dal dubbio, se un pro- a caso. Notiamo, che non ò stata nostra intenzione di preparare il let- tore allo studio delle opere di logica-matematica ; nò di far progredire questa teoria ; non affermiamo, anzi non siamo propensi a credere, che nello indagini puramente filosofiche il calcolo logico possa essere di grande utìlitit. Lo scopo di qviesta ricerca non è istrumentale, ma analitico. Il simbolismo di cui al Gap. precedente ha permesso di concludere alla possibilità del sillogismo senza postulati ; il simbolismo del calcolo lo- gico permetterà di spingere X analisi un passo (un breve passo) più innanzi. Come già venne accennato (§ 74) ciò non ó punto necessario ; ma servirà a rendere più intelligibile la teorica precedente, col darle un contenuto positivo, e, vinta che sia la difficoltà della notazione per chi non c'è avvezzo, notissimo : stantechè i sillogismi consueti sono sil- logismi di classe. (1) § 75. (2) § 50. (408) [152] dotto 0 una somma fossero rispettivamente indipendenti dall'ordine de' fattori o de' termini, è ora levata di mezzo (*). Si rileva immediatamente : Che nel sillogismo di comprensione ( I ), la compren- sione del termine medio h è non minore di quella del pre- dicato e (uguale se ga = tt) e non maggiore di quella del soggetto a (uguale se gj ^ u ). Non risulta dallo schema, che l'estensione di h sia non minore di quella del sog- getto ; benché ciò si possa ritenere come un'altro modo di indicare, che la comprensione non ne è maggiore ; è tut- tavia più esatto non parlar d' estensione ne' sillogismi di comprensione ; perchè il preciso significato de' termini com- prensione ed estensione dipende dalle operazioni di con- giunzione e disgiunzione, le quali sono effettuabili indipen- dentemente l'una dall' altra. Escludendo dalla considera- zione dello schema L il concetto d'estensione che propria- mente gli è estraneo, si riconosce, doversi in esso ritenere come maggiore la '^ ^ hqi, il soggetto della quale ha la maggior comprensione. E infatti la seconda premessa non ha altro ufìzio che di mostrare, somministrando un equi- valente di h da sostituirglisi, che la tesi è implicitamente enunciata, enunciando la prima premessa. Secondo il con- sueto modo di vedere, la maggiore sarebbe invece la se- conda premessa. Come esempio serva il sillogismo : I cetacei ( a ) sono mammiferi {b)\ cioè la classe dei cetacei è costituita dagli elementi comuni a quella dei mammiferi e a qualche altra classe gì che non importa determinare (p. es., quella degli animali acquatici, o degli animali con due estremità, ecc.) ; o insomma ha compren- sione maggiore di quella dei mammiferi ; — ma : I mammiferi ( h ) sono vertebrati ( e ) ( e. s. ) ; — dun({ue : I cetacei sono vertebrati ( e. s. ). (1) § T.5. [i:,:5] (i()!)) 78. Considerando invece lo schema II. si l'iconosce che in esso il termine medio h ha un'estensione non mag^^nore di quella del soggetto a (uguale se ^'£ = 0), e non minore di quella del predicato e (uguale se ^2 = 0). Qui la regola consueta è invertita addii-ittura, il che significa in buona sostanza che la regola consueta è erro- nea. Ciò parrà strano ; e probabilmente il lettore sarà di- sposto a credere, che 1' errore sia piuttosto una con- seguenza e una prova insieme dell' inopportunità dello schema ; riuscendo quasi inesplicabile ammettere che possa essere sfuggito a tanti che hanno così diligentemente stu- diata la materia. S'avverta per altro, che IL è manifesta- mente un sillogismo regolare e conclusivo ; e che p. e. ogni argomentazione riducibile a quel tipo, è un sillogi- smo regolare e conclusivo ; quantunque in essa si trovi necessariamente violata la regola solita. D' altronde, dalla discussione di cui al Cap. precedente, risulta, che ogni sil- logismo può sempre essere ridotto al tipo simbolico di cui al § 73 ; e che p. e, se è un sillogismo di classi (come la regola suppone), dev'essere riducibile al tipo I. o al tipo II. E per altro da notare, che se la regola superiore, ca- ratteristica ne' sillogismi d'estensione, è rimasta inavvertita, ed è cosi nato l'equivoco, ciò può esser dipeso dallo scarso uso che si fa d'ordinario de' sillogismi d'estensione ; e so- pratutto dal non aver considerato separatamente le due forme di comprensione e d'estensione, conseguenza del non avere notata la loro dipendenza dalle operazioni di con- giunzione e disgiunzione. Conviene aggiungere, che il lin- guaggio comune non si presta ad un'analisi molto precisa della struttura delle proposizioni ; e che le forme gram- maticali travisano spesso le forme logiche, e vengono fa- fi hinnite scambiate con esse, donde equivoci non dissipa- (470) [154] bili so iioii i-icoiTendo a una .simbologia più esatta appunto percbè più arida. Come esempio di sillogismo d' estensione serva il se- guente, che è il superiore trasformato : La classe dei vertebrati ( a ) comprende (come sua parte) quella dei mammiferi ( ^ ) ; — ma La classe dei mammiferi ( h ) contiene (come sua parte) quella dei cetacei ( e ) ; — dunque : La classe dei vertebrati contiene (come sua parte) quella dei cetacei. Si vede nell'esempio, che mammiferi e cetacei rispet- tivamente nelle due premesse sono complementi oggetti, secondo la grammatica ; mentre logicamente sono pre- dicati. Il linguaggio comune inoltre, col non esprimere di solito gli elementi indeterminati in un giudizio, è costretto per ottenere in qualche modo il medesimo risultato, a ren- dere indeterminata la forma stessa del giudizio. Cosi, per significare che la classe dei vertebrati contiene come sua parte quella dei mammiferi, ossia è una somma, della classe dei mammiferi e d'un'altra classe indeterminata (dov' è ma- nifesto, che Tindeterminazione della classe non toglie de- terminazione al giudizio, il quale afferma deterrainatissima- mente, essere la classe dei mammiferi una parte di quella dei vertebrati), l'uso comune, non accennando alla classe indeterminata, e dovendo pur indicare, che se i mammi- feri sono vertebrati non però tutti i vertebrati sono mam- miferi, dirà : alcuni vertebrati sono mammiferi ; proposi- zione il cui senso è tutt'altro che determinato e preciso (i). (1) F'roposizioni di tal genere si possono ben dire indeterminate o vag-he ; perchè il vero ufficio dell'ag-gettivo alcuni è di indicare vaga- mente, senza determinazionv^. Non ngnalmente opportuna sembra la de- nominazione vecchia e ancora usatissima di proposizioni particolari ; perchè il particolare è anzi determinato con la massima prec isione. Del resto, alcuni vert'^brati, o anche alcuni uomini, alcuni italiani, ecc., può [I.V.] (^'1) 79. Aiiìiichè gli sclieiui I., IL, risultino Hiìplicabili ad ogni caso, conviene far vedere come una proposizione (jualsivo- glia si possa ridurre alle forme ivi assunte. Si considerino le (juattro classi di proposizioni : affermative fisse (univer- sali) ; negative fìsse ; affermative vaghe ; negative vaglie. 1) Ogni elemento della classe a è un elemento della classe h. Allora la classe a si può considerare come costi- indicaro una sottoclas.se, e quindi ancora un concotto universale. Non ò jioi vero che sui particolari non si diano conclusioni : ne a . h , e raj)- presentano cose concrete, è pur sempre certo che se a =z b , e h ^= e , .sarii a tzz c. Il rispondere, che tutto però si fonda sul principio univer- sale d" identità, non farebbe al proposito. Senza dubbio questo principio ò suppo.sto in ogni illazione, anzi in ogni operazione del pensiero; ma la que- stione ò di vedere, se, oltre ad essere universale il principio, debbano essere luiiversali anche i dati assunti ; e apparisce che no. Il primo ad accor- gersi, che l'inferire da proposizioni analoghe all'ultima esemplificata riesce difettoso in forma, in conseguenza, non della loro particolarità, ma della loro indeterminatezza, è stato il Rosmini ; il quale s'è parimenti accorto che r illazione, benché formalmente non legittima, può esser vera ; e anche ha dato qualche criterio per decidere in materia. Il che non sem- bra sia stato fatto da lui con la precisione e la chiarezza desiderabili. Noi diciamo che locuzioni come alcuni vertebrati ecc., vanno esluse dal ragionamento, sostituendole con altre, nelle quali 1' elemento inde- terminato della sintesi sia distinto dall' elemento determinato. Non si dirà : alcuni vertebrati sono mammiferi ; ma, congiunge.ido ; i mammi- feri appartengono alla elasse dei vertebrati (e a qualche altra, sottin- tesa) : opjìuro disgiimgcndo : i vertebrati contengono la elasse dei mam- miferi (piii (lualchc altra, sottinteso); simbolicamente: Mammif(;ri — Vertebrati x 7,: Vertebrati - MammifiTi -f- 7,. Gli esempi .sono stati presi iter pili pronta e facile intelligenza dalle classi u.suali, mentre non s'è punto dimostrata l' equivalenza del con- cotto usuale di classe con (juoUo definito nid Oap. VI. Se/. 1. Ma si fratta d' esempi, e non di argomenti. (472) [156] tuita dagli elementi comuni alla classe bea. un'altra classe indeterminata ; od anche, la classe b si può considerare come formata di due parti, una delle quali è a, l'altra in- determinata. Dunque : o =zbqi\ oppure : b = a -\- q<ì 2) Niun elemento di a è un elemento di b. Siccome, ogni elemento del tutto appartiene alla classe b o alla classe b, ogni elemento di a sarà un elemento di b\ dun- que e. s. : a = bqi ; oppure : b = a -\- q^j 3) Qualche elemento di a appartiene alla classe b. Conviene distinguere due casi : o b è costituito per intero dagli elementi di a che gli appartengono ; p. es. : alcuni vertebrati sono mammiferi ; ma non ci sono mammiferi che non siano vertebrati; e si ricade nel caso 1): a =^ b -{- gì ; oppure : b = aq^2 ', ovvero b consta anche d' altri elementi oltre quelli di a che contiene ; p. es. : alcuni insetti sono alati ; mentre non tutti gli alati sono insetti ; allora sarà : a = bqi -f- <7-2 ; oi)pure : b = aq -\- q" . a) 4) Qualche elemento di a non appartiene alla classe b. Dal cfr, dei casi 2), 8) si ricava immediatamente : a = b -\- q\', oppure : b = aq^ ; corrispondente al primo dei due casi contemphiti sotto 3); ovvero : [157] (47:>.) a = bqi -{- q-i ; oppure : b = aq' -\- q" \ ?) coiTispondente al .secondo dei due detti casi. Fatta eccezione dalle formule a), [i), tutte le altre sono della forma di ({uidle inti'odotte negli schemi: e ap- punto si hanno per ciascuna proposizione due formule equivalenti, per mezzo delle quali essa può venii-e intro- dotta così nello schema I. come nello schema II. ; il che può tornar utile secondo i casi. Mediante l' introduzione delle classi negative, le quali del resto sono classi come le altre, si è ottenuto, conforme ad un' asserzione prece- dente, di trasferire la negazione dalla copula ad uno dei termini ; ossia di rendere positivo qualunque giudizio (i cui termini siano classi). Le formule a), p), non si prestano agli schemi I. o II. ; possono bensì venire introdotte nello schema del sillogismo generale, sostituendole ai simboli più indeterminati conte- nutivi. Finche per altro le q^, q-i, q' , q^' sono vere inde- terminate, queste formule, e quindi l'espressione che s'ot- tiene introducendole nello schema generale, non hanno alcun significato preciso. Son queste le proposizioni vaghe non solo nella forma grammaticale, ma nel valore logico, dalle quali non si può nulla concludere. (P. es. : dalla for- mula a = bqi --\- qi, non risulta se la comprensione o l'e- stensione di iT sia maggiore di quella di & ; e se quindi a sia riducibile alla forma bq, o alla forma b -{- q). 80. Quando la classificazione è fatta secondo le norme esposte precedentemente, cosi il tutto, come ciascuna clas- se, risultano necessariamente di un numero finito d' ele- menti. Una volta però che il pensiero si sia, procedendo (474) [158] nel modo indicato, impadronito della forma di classe, niente g-l'impedisce di farne un uso più largo. Si può p. es, stabilire che una determinata serie d'o- perazioni mentali debba svolgersi esclusivamente, non so- pra certi elementi scelti e fissati ad uno ad uno, ma su quelli, siano quanti si vogliano, che presentino un certo carattere previamente noto (noto in conseguenza d' altre operazioni precedenti, tra le quali delle classificazioni fatte come si è finora supposto avranno avuto una parte impor- tante). Siccome non è possibile assegnare un limite al nu- mero degli elementi pensabili come forniti di quel carat- tere, si sarà cosi stabilito di operare sopra un complesso d'infiniti elementi ; ma il complesso di questi infiniti ele- menti circoscrive il campo di quella tal serie d'operazioni, esattamente come il tutto di elementi in numero finito di cui s' è finora discorso ; e perciò può essere, senz' alcun abuso di parole, anzi dev'essere chiamato un tutto. E col medesimo processo è facile immaginare il tutto ripartito in un numero qualunque (finito) di classi, e ciascuna in sot- toclassi, ecc. ; ciascuna classe contando sempre, se occorre, un numero infinito (illimitato) d'elementi. La negativa d'una classe è la classe degli elementi del tutto dato che non presentano il carattere distintivo di quella; ed è quindi perfettamente concepibile. Quanto alla congiunzione, è certo, nella nuova ipotesi, impossibile effettuarla para- gonando ad uno ad uno gli elementi delle classi da con- giungersi, per distinguere i comuni, e comporne cosi la classe prodotto. Ma il confronto si può immaginare fatto sui concetti de' caratteri che contraddistinguono le classi, analizzandoli all'occorrenza ; non vi è dunque nessuna im- possibililà astratta e generale nel concepire una classe che risulti degli elementi comuni a più altre ; ossia che soddi- sfaccia alla definizione già data d'una classe prodotto; co- me pure non si trova alcuna ripugnanza nel supporre, che questo prodotto sia indipendente dall' ordine col quale si sono considerate le classi da congi ungersi, nel corso del- [159] (475) l'operazione. Considerazioni ovviamente analoghe, per non (lire le medesime, son da fare intorno alla disfidi unzione e alle classi somme di })iii altre. I criteri, o concetti generali, in base ai ({iiali si pro- cede alla formazione di un tutto, alla sua ripartizione in classi, e alle operazioni di congiunzione e disgiunzione tra ({ueste, potranno esser tali da legittimare il supposto, che sulle classi cosi formate ledette operazioni riescano possibili ed abbiano un significato solo, come quando s'eseguiscono sulle classi propriamente dette di cui sopra ; o anche invece da escluderlo ; — da escludere (data la debita diligenza) l'er- rore, come ([uando si opera sopra un numero finito d'ele- menti, o da renderlo invece molto jìrobabile. Que' criteri saranno i risultati di posizioni affatto indipendenti, arbi- trarie e perciò insindacabili ; o vorranno essere 1' espres- sione di certe condizioni di fatto, determinate in sé ma forse non pienamente note, o anche in realtà non fisse e stimate invariabili per delle induzioni frettolose ; e saranno p. e. discutibili sotto quanti si vogliano aspetti. Tuttociò, si capisce, è d'un'estrema importanza nelle applicazioni, e bisognerà tenerne conto con gran cura per non lasciarsi trascinare a conclusioni non giustificate ; ma non tocca la questione presente. V'è un modo sicuro di classificare e d'operare sulle classi ; poiché se n'é dato un esempio. Ora, ab esse ad posse è lecito concludere. Perché il processo esposto riesca conclusivo, anzi possil)ile, quando il numero degli elementi è illimitato, si richiederanno alcune condi- zioni, le quali si possono supporre verificate. Ma saranno verificate in un dato caso ? Tocca a chi tratta quel caso, a rispondere. Del resto, quand'anche l' ipotesi (che le dette condi- zioni sieno adem[)ite) potesse non verificarsi mai, o almeno risultasse impossibile accertare se é verificata, non si do- vrebbero rifiutare come inutili nell'applicazione i risultati di questo capitolo. Essi intanto, come forme del pensiei-o [lui'o, conserverebbero sempre un valore indiscutibile. Solo (476) [KiO] converrebbe riconoscere la necessità di procedere nell'ap- plicazione con certe avvertenze, interpretando le conse- guenze che si ricavassero con certe restrizioni, o dando ad esse un valore soltanto approssimativo, correlativamente alla notizia che s'ha delle condizioni di fatto; come si fa p. es. quando si trattano con la matematica de' problemi di fisica 0 d'astronomia. RICERCHE SPERIMENTALI POTERE TERMOELETTRICO NEGLI ELETTROLITI DEL DOTT. SILVIO LUSSANA (i Le coiTenti termoelettriche che si sviluppano per il riscaldamento del punto di contatto fra due liquidi ven- nero studiate oltre che da Wild, nel suo classico la- voi'O ('^) sullo studio della legge di Volta applicata agli elettroliti, anche da Donle (3) e Bagard ('"•). Eccettuato il Wild, nessuno di questi autori studiò le correnti termo- elettriche che si sviluppano per il riscaldamento del con- tatto di soluzioni di uno stesso sale differentemente con- centrate ; e di più mentre nei lavori del Wild non vennero prese sufficienti precauzioni per impedire la diffusione ed il rimescolamento dei liquidi dovuto a correnti di conve- zione, in quello del Donle resta un duhbio sulla possibile diffusione, per il fatto che avendo egli posto uno dei due liquidi in un tubo le cui estremità erano chiuse da carta (1) Questo lavoro venne eseguito noli' Istituto Fisico dell'Università di Padova diretto dal Prof. A. Battelli. (2) Pogg. Ann. 103. 353. 1858. (3) Wied. Ann. 28. 574. 1886. (4) C. R. 114. 980. 1892. r. IV, s. VII 31 (478) [2] pergamena, quando si eseguisce il riscaldamento in uno dei contatti, il liquido entro questo tubo doveva dilatarsi e quindi non avendo altra via ne succedeva necessariamente un passaggio attraverso la pergamena, e per conseguenza un rimescolamento dei due liquidi nei due contatti ; un fe- nomeno inverso doveva aver luogo nelle esperienze di raf- freddamento. Nelle esperienze del Bagard, se anche ciò non avveniva, pure insorge un altro dubbio per il modo con cui venne eseguito il riscaldamento. Questo autore infatti dispone il contatto da riscaldarsi in un bagno ad ac(|ua molto ampio : riscalda l' acqua, tenendola continuamente agitata, con una fiamma che poi allontana ; raggiunge la màssima temperatura, ed a questo punto fa 1' osservazione, ritenendo come temperatura del contatto il massimo os- servato. Altre determinazioni di questo genere vennero fatte incidentalmente dal Meyer (i) e dal Gockel ("^) in occasione di studi fatti sulla variazione della forza elettromotrice negli elementi idroelettrici per azione della temperatura. In questi lavori però non si ha uno studio sistematico del fenomeno, ma sono determinate solamente le forze elettro- motrici medie- che si producono per la differenza di un gì'ado nella temperatura dei due contatti. Mi pare quindi non del tutto inutile il riprendere questo studio, tanto più che da esso posso dedurne i dati necessari per contril)UÌre alla risoluzione della questione che in questi ultimi anni venne si a lungo dibattuta « se il coefficiente termico di un elemento è o meno uguale alla somma dei coefìfìcienti termici dei singoli contatti che si hanno nelF elemento stesso. » All' apparecchio col quale feci le determinazioni che esporrò in seguito diedi la forma seguente. Disposi quattro (1) Wi«d. Ann. 33. 265. 1888. (2) Wied Ann. 24. 618. 1885 e Wied. Ann. 40. 450. 1890. [:i] ■ (479) tubi (li vetro A P) C 1) V uno in seguito airaltro, congiunti mediante tre coni smerigliati a , p , y- I tubi A e 1) li l'i- l)iegai tre volte ad angolo retto in modo da presentare alle estremità la forma di U con un braccio molto più lungo dell' altro. Nel punto a del tubo di mezzo 1> saldai un cannello di vetro ripiegato ad U come un manometro ordinario ad aria libera. Il diametro interno dei diversi tubi era di circa 6' mm. e la lunghezza comi)lessiva del tratto rettilineo di cm. 80. I due bracci dei tre tubi ad U erano rispettiva- mente di cm. 7 e di cm. 27. Nel punto b del tubo B e nel i)unto e del tubo C introdussi un tappo di amianto ben pulito ed iml)evuto con una delle soluzioni da studiarsi. (Questi due tappi li cambiai ogni volta che rinnovavo i li- ([uidi neir apparecchio. Essendo questi tappi ben compressi, impedivano il passaggio dei liquidi da una parte all' altra, senza per questo togliere il contatto fra i due liquidi stessi. I tubi B e C li feci passare attraverso alle pareti laterali dei due vasi fatti a forma di parallelepipedo che costruii nel modo seguente : una lastra di zinco larga mm. 45 e lunga cm. 30 venne ripiegata due volte ad angolo retto come lo indica la fig. 2 della Tav. IL'' qui unita. I due lati verticali avevano ciascuno la lunghezza di cm. 11 ed il lato orizzontale era di cm. 8. Lungo gli orli E F G H saldai una lastrina di zinco larga cm. 1, ad angolo retto colla lastra principale, la (juale era cosi munita di un lab])ro a superficie piana. Alla metà dei due lati verticali 0 H ed F E praticai un foro a semicircolare del diametro di 10 mm. munito esso })ure tutto in giro di un labbro uguale a quello che correva lungo tutti gli orli E F G H. Nella parte anteriore di questa lastrina sahlai una appendice ad angolo retto, che costituiva una incassatura entro la quale feci entrare una lastra di vetro, fissata con mastice, in modo da riuscire a tenuta d' acqua. A questa metà del vaso ne uni\o un' altra affatto uguale ; (jueste due metà erano riunite fra di loro me- diante morsetti applicati lungo il lato E F G H; per essere (480) [4] poi garantito della tenuta, interponevo fra i due labbri che dovevano combaciare una guarnizione in pelle. I fori a servivano a lasciar passare i tubi B e C. L' insieme della disposizione dell' apparecchio viene indicato dalla fìg. 1. Il vaso L era scoperto e ripieno d' acqua alla temperatura ambiente ; il vaso M al contrario era munito di un coper- chio in zinco con due fori, attraverso ai quali passavano i bulbi di un regolatore a mercurio di Reichert, e di un termometro. Il bulbo del termometro si trovava sempre a contatto col punto e del tubo C. Un' altro termometro si trovava nel vaso L. Ambedue i termometri, divisi in gradi, vennero campionati confrontandoli con un termometro cam- pione Baudin. Il vaso M costituiva una stufa ad aria, ri- scaldata da una fiamma prodotta da un beccuccio Bunsen in comunicazione col regolatore. Ecco ora come costruivo un elemento. Dopo di avere bene puliti i tubi di vetro, e di averli sciacquati con ac- qua distillata, introducevo i due tappi & e e di amianto imbevuti con una delle due soluzioni che chiamerò per brevità con L^ ed L^ ; sciacquavo quindi replicatamente il tratto del tubo B che va da B verso p , ed il tratto di C che va da C verso ^ col liquido Li , mentre sciacquavo col liquido L^ i tratti & a e e y , come pure i due tubi A e D. Ciò fatto introducevo del ÌNIercurio distillato nei tre tubi ad U e riempivo col liquido Li i tratti h^ e c^ dei tubi di mezzo, e col liquido Lv2 i tratti & a e e y , come anche i due tubi A e D. Infine componevo tutto l' apparecchio chiudendo i tre coni a ^ e y , ed i vasi L ed M. Per garan- tire la tenuta, spalmavo leggermente con vaselina i tre coni. Il mercurio nei tre tubi ad U, nel chiudere i coni, s' innalzava esternamente, stabilendo una pressione che si rendeva la stessa in tutti tre, aggiungendo, se era neces- sario, del mercurio in quelli dove la differenza di livello era minore. L' elemento era allora pronto per essere stu- diato. In queste condizioni gli errori provenienti dalla dif- fusione sono tolti e nello stesso tempo, quando si riscalda [5] (4X1) il contatto C, i li(|iii(li Li ed L-j dilatandosi fanno innalzai'e il moirurio nei due tulli ad l' (die con essi comunicano ; aggiungendo dcd inei-cui-io nel terzo tubo ad U ripristinavo la stessa differenza
  • ) crordiiK' ( i\ ) (U'i siiij^uli elementi studiali. La seconda co- loiina dà le differenze di temperatura ( T ) nei due con- tatti presa come temperatura piìi bassa quella che al mo- mento delle singole determinazioni presenta l'acqua conte- nuta nel vaso L. La terza colonna dà la forza elettromo- trice ( E ) che corrisponde alla differenza di tem})eratura inserita nella seconda colonna. La quarta colonna dà le medie delle differenze di temperatura ( Tm ) contenute nella seconda colonna. La quinta colonna dà la media delle forze elettromotrici (Eni) indicate nella terza colonna. Nella sesta colonna si trovano i ra})porti fra le forze elettromotrici in- dicate nella quinta colonna e le temperature indicate nella quarta. Tabella I.^ CuSOi (5,92) — CuSOi (90,36). Temperatura iniziale 23" N T f E Tm Em Em : Tm Osservazioni 1 2 39^9 40,6 0^0083 81 40°,5 0^0082 0,000203 1 i 1 S2 3 1 2 41,0 62,9 62,2 82 157 154 62,0 155 251 1 3 61,0 153 1 3 70,5 71,5 194 190 71,0 192 271 'S * » 2 80,4 229 i 3 81,5 231 81,0 230 284 « ft 1 86,1 240 2 88,0 243 87,0 242 278 1 * * (480) [10] Tabella 11/ ZnSOi (114,5) — CuSOi (1,636). Temperatura iniziale 24°,0. N T E Tm Em Em : Tm Osservazioni 1 3l",0 0%0009 2 30,1 6 30°,5 0^0007 0,000023 G 1 43,0 55 - C^ 2 43,2 59 43,1 57 132 1 60,1 106 tì 2 1 61,6 71,5 106 186 60,8 106 175 2 70 ,7 184 71,1 185 259 Tabella 111.^ ZnSOi (21,7) — CuSOi (5,92). Temperatura iniziale 2;;r,5. N T E Tm Em Em : Tm Osservazioni 1 2 45,6 0^0065 64 U\8 0^0065 0,000 145 F. E. INI. iniz. inseus. » » » Tabella IV.^ ZnS(3i (21,7) — ZnSOi (114,5). Temperatura iniziale 20°,7. N T E Tm Em Era : Tm Osservazioni 1 2 46^o 46,5 0',0024 28 46^3 0%0027 0,000583 +0,0001 insensib. » 3 46,4 30 •^ (>ì co 1 53,8 38 é 2 52,9 34 53,2 36 677 ,a^ *; *i 3 52,9 35 OJ 1 73,8 49 'S * * 2 73,1 44 73,3 46 627 ^ 3 73,0 44 [11] (1X7) Tabella V/' Pb(X03)-2 ((),88) — CuSOt {IXhlG). Toinporaiiii'a inizialo SA^Ty. N T 1'] Tiii l'Ita Eni: Tm Osservazioni 1 35^3 0%0060 ■é o .-2 'S o 'S 2 36,1 61 36", 1 0',0062 0,000172 1 o 1 3 37,0 64 -^ <>i ci 1 40,8 72 B 2 46,1 70 46 ,5 71 153 -z ^ ^ 3 1 46,6 70,5 71 63 2 71,6 61 71,0 62 87 ^ 3 70,0 62 Tabella YI.^ Pl)(N0;j)-2 (178,86) — CuSO; (l,àS6). Temperat. iniziale 2()",7. N T E Tra Eni Eni : Tni Osse rvazioni 1 2 38^6 40,5 0^0022 25 4o^o 0',002o 0,0000625 e ^ 1 3 40,8 27 ^ ói co 1 55,5 41 E 2 54,9 39 55,0 39 71 1p * A 3 54,6 37 o c 1 69,0 62 "S ft » 2 70,1 64 69,8 63 90 <. 3 70,3 63 w A * (488) [12] Tabella VII.^ KXO3 (25,22) — KNO3 (273,6). Temperatura iniziale 19",1. N T E Tin Era Em : Tm Osservazioni 1 2 3 1 32«,9 32,0 32,6 49,7 0',0032 34 33 36 32",5 0',0033 0,000102 g a + j ^ <>i co s 2 49,9 39 50,0 38 76 3 50,4 39 1 60,3 47 '3 2 59,6 43 60,0 45 75 3 60,1 45 "3 1 75,2 59 G 2 75,6 62 75,4 60 80 S 3 75,5 59 a * " fe Tabella VIII/'^ CuSOi (90,.S6) — KNO3 (540,0). Temi)ei'atiii-a iniziale 19" N T 1^: Tm Em E 111 : Tm Osservazioni I 2 34°,0 34,5 0',0047 50 34^0 0^00.'18 0,000142 g .-2 5 1 1 ? B 3 1 33,5 47.8 '47 107 2 46,5 103 47,0 104 222 3 46,7 102 i * * I 58,5 148 "3 2 60,4 154 59,6 152 255 0 3 59,9 154 S » A 1 74,0 215 e 2 73,1 210 73,5 212 289 S 3 73,4 211 [18] (480) Tabella IX/ CiiSO,. (1, (;:]()) — KX():5 (-25,22). Tempei'atiii-a inizialo U)^<). N T E Tm Em Eni : Tm Osservazioni 1 2 31°,7 30,4 0',0022 17 30'\5 0^0018 0,000059 1 « * 3 1 29,5 39,7 15 26 ^ ->! co o 2 39,5 26 40,0 27 67 3 40,9 29 1 51,0 13 2 53,9 8 52,7 10 19 03 3 1 53,2 62,5 9 — 29 '2 * A "c 2 61,9 — 25 62,6 — 28 47 s 3 63,4 - 31 Cri * * Tabella X.^ ClXa (185,78) — ('IXa (51)7,24). Temperatiii'a iniziale 14'',8. N T E Tia Era E 11 : Tm Osservazioni 1 170,0 0',001G 0 a 2 18,3 19 ITfi 0^0017 0,000097 0 ^ 3 1 17,5 25,5 16 35 -11 w co 0 2 24,0 31 24,7 33 134 e 3 24,7 32 S 1 48,8 77 ;« * A 2 48,1 75 48,0 74 154 a 3 1 47,1 57,0 71 110 2 3 58,6 59,6 112 117 58,4 113 193 (490) [14] Tabella XI. ClXa (597,24) — KNO3 (25,22). Temperatura iniziale ir,8. N T E Tm Km Em : Tni Osservazioni 1 22^2 0^0003 2 22,6 2 22^4 0%0002 0,000089 3 22,4 1 lo 1 2 31,0 31,6 5 7 31,2 6 19 1 * * 3 31 ,0 6 Z oì co 1 41,0 9 s 2 42,9 12 42,0 11 26 a 3 42.2 12 1 51 ,3 17 2 50,0 16 50,3 15 30 3 1 49,6 .08 ,7 12 19 15 2 59,5 21 58 ,9 19 32 J 3 58,4 17 0 1 * * 1 66,7 29 2 64,8 25 65,4 26 40 % 3 1 64,8 74,9 24 38 1 « . 2 75,1 41 75,3 40 53 ts- 3 75,9 42 [15] (491) Tap.ki.i.a \II/' (UNa (185 J.S) — KNO. (•>5,->-i). Tcinperat. iniziale 11 /'95. X r K Trn Km Em : Tni <^)sservazioni 1 22^6 0',0018 -2 2 22,1 20 22^4 0\0019 0,000085 3 3 1 22,5 30,7 19 37 e » A a 2 32,0 41 31,5 39 124 — ' O) co 3 1 31,7 42,1 38 49 2 g i * * 9 38,5 45 40,6 46 113 '^ 3 l 41,3 53 ,8 44 84 ■3 fi <» 2 53,0 84 54,0 85 157 '3 3 1 55 ,2 67,0 87 118 S 2 64,9 112 64,8 115 177 0 a * * 3 1 65,6 71,8 116 159 1 ^ '« 2 3 74,5 74,4 167 167 73,6 164 223 i . « (402) [16] Tabella XIII.^ N0;5 (NH4) (24,98) — NO, (NH4) (749,24). Temp. iniz. 6°,2. N T E Tin Eni Eia : Tm Osservazioni 1 19°,5 0%0027 <0 2 19,2 24 19°,4 0\0026 0,000134 3 0 3 1 19,5 45,7 27 45 e * 0 .- 1 2 44,9 43 45,8 46 101 - cv> co 3 46,7 50 5 a 1 2 61,2 63,1 68 71 62,t3 71 115 a 9> 3 63,5 74 s 1 78,0 100 .2 13 2 76,1 92 77,4 97 125 N * A 3 78,1 99 1 2 85,9 88,3 124 132 87,3 128 147 3 87,6 128 Tabella XIV.^ XO;j (XH4) (249,74) — XO, (XH4) (749,24). Temp. iniz. ()°.8. N T E Tm Em E in : Tm Osservcizioni 1 0 ]9°,6 19,5 0^0015 13 19^4 0',0014 0,000072 sensib. » 0,0001 3 19,1 14 •.- 1 1 18,9 21 0 '^' ^ 2 49,7 24 49,5 23 46 e 3 49,8 24 '0 1 68,0 47 '2 2 66,9 42 67,6 45 68 !^ 3 67,9 46 a ft A 1 78,5 76 S 2 77,2 73 78,0 75 96 H « * 3 78,4 75 fe [1-] (493) Tabella XV.^ NO;; (XIIO (10!),48) — XQ.j (XH,,) (74!),24). Tenip. iniz. o°,0. N T E Tiii Eni Eia : Tm Osservazioni 1 24».5 0',0002 '5? 2 23,8 1 24", 1 0',00015 0,000006 e * * 3 24,0 15 •== 1 44,9 1 ~' a^ì ce o 2 45.8 3 45,6 2 4 3 1 2 46,0 62,4 63,8 2 2 5 63,0 3 5 "3 3 1 62,8 85,7 2 10 2 88,2 16 87,3 14 16 td * « 3 88,0 17 fe NO3 (XH, Tabella XVI.^ (24,98) — KXO3 (25,22). Teinperat. iniz. 11,°1(). N T E Tm Eni Em: Tra Osservazioni 1 29°,4 0\0045 9 29,1 42 29",0 0',0043 0,000148 3 1 28,5 38,2 42 53 G * * 1 2 36,7 44 37,4 49 131 - Gv? co 3 37,4 50 -2 1 2 48,6 50,0 66 69 19,4 67 136 3 1 49,6 69,0 67 110 "«3 e 2 69,7 109 69,0 108 157 !B * * 3 68,2 105 I 2 3 77,8 79 ,0 77,1 147 153 147 77,0 140 101 T. IV, S. VII 32 (494) [18] Tabella X^^I.^ NO3 (NH4) (249,74) — KNO3 (25,22). Temperai iniz. 10,°2S. N T E Ti.i Eia p]iii : Tin Osservazioni 1 2P,2 0\0018 2 3 1 2 20,9 21,0 28,9 27,3 17 17 25 21 21^0 28,1 0',0017 23 0,000081 82 6" 0 1 4- 1 .S 2 3 33,6 33,9 25 27 33 ,8 26 77 3 1 45,7 40 ^ A * 2 . 48,2 46 46,9 43 92 "« 3 46,9 42 C 1 2 56,4 59,2 55 60 58,1 58 100 3 58,8 60 S 1 69,7 09 H * * 2 68,3 64 68,8 66 96 fo 3 68,5 64 [1!)] (495) Tabella XVIIL XO3 (NH/,) (491),4S) — KNO3 (25,22). Teniporat. iniziale 8°,fì. N T E Tin Km Eni : Tra Osservazioni 1 20«,3 o^ooll r2 2 :5 20,1 19,0 9 9 19°,8 0',0010 0,000050 3 1 * * 1 34,5 23 G 2 32,2 19 33,2 20 60 ■^ c^ì co 0 3 33,0 18 1 53 ,2 50 i A * 2 49,8 43 51 ,3 48 94 [H -.10-4 Volt. [H dove Ui, Vi ed u^, v± rappresentano le velocità con cui si trasportano i cationi e gli anioni alle temperature Ti e T^; [Xi e [JLa rappresentano il numero di molecole-grammo con- tenute in un litro d'acqua. Ora se si indica con ni il coef- ficiente di trasporto degli ioni alla temperatura Ti, defi- nito come la quantità di sale che è trasportata dall'unità di corrente dall'anodo al catodo si sa che : Vi -IT O ^1 Hi = — -j- — ; e quindi 1 — zn^ = Ui + «1 ' ■ "«^1 + t'i Nel mio precedente lavoro già citato, determinai il valore di n a diverse temperature per il solfato di rame ed il solfato di zinco. Trovai allora che questa ({uantità aumenta proporzionalmente alla temperatura assoluta per questi due sali ; che il coefficiente di proporzionalità dimi- nuisce col diminuire della quantità di sale contenuta nella soluzione, e che per di piti il valore di n preso sempre alla stessa temper tura è tanto più piccolo (juanto minore è la concentrazione delle soluzioni. Assumendo per il solfato di rame n = 0,631 a 0° si ha che il valore di n è di 0,(572 a 23° e di 0,763 a 63°. Calcolando con questi dati il valore di E per le due solu- zioni di solfato di rame usate, ne risulta E =0^0176. Que- [•^M (501) .sto valoi-c (' molto maggiore di ([uello ti'ovato E = (y,(H)H'i. Così riesce di molto maggioi'e il valore di E calcolato con (liiesta formula pei- le due soluzioni di solfato di zinco usato, lu-endendo per n il valore di 0,701 a 21" e di 0,880 a 07". Si oitieue difatti E = 0^)148 in luogo di E = 0V)027. Se p(U'ò si osserva che questa formula è stata stabilita per (dettroliti completamente dissociati, mentre nel nostro caso [il iKjii io sono, si capisce che al rap})orto — bisogna sosti- tuire questo stesso ra})porto molti})licato per il rajiporto fra i coefficienti di dissociazione delle due soluzioni. Indicando pertanto con Xi e X^ i poteri conduttori mo- lecolari specifici allora al ra})porto — si può sostituire l'al- Xijt, teoricamente dal Nernst (i). Facendo questa sostituzione si ottiene allora i)er il solfato di rame E = 0^,0134 e per il solfato di zinco E = 0'',0045. Ambedue questi valori sono realmente ancora troppo grandi. Se però si osserva che i valori di n alla temperatura più alta vennero extrapolati ; che non si può con sicurezza scegliere il valore di n es- sendo questo variabile con la concentrazione, e di più che i coefficienti di dissociazione cosi presi non possono pre- tendere ad una grande esattezza, si può conchiudere per una sufficiente concordanza dei valori osservati con quelli calcolati. Non possedendo, almeno per ora, dati sufficienti j)er gli altri sali non mi è possibile di stabilire [)er essi un confronto. Dall'Istituto Fisico della Università di Padova. Dicembre 1892. (1) Wi.'d. Ann. 45. 3G0. 1892. NOTE Ì^D IMPRESSIONI SULLA RECENTE EPIDEMIA COLERICA IN AMBURGO DEL DOTTOR ANGELO CECONI Assistente nella K. Clinica Medica Generile di l'adova 1. La città. Ainbui'go, (li gran lunga la più tìoi-ente delle tre vec- chie città anseatiche, è situata sulla i-iva destra dell' Elba nel punto in cui questo fiume s'allarga per un' estensione di })iù chilometri e, arrichito dalle ac({ue dell'Alster e della Bilie, s'avvia al mare per un capacissimo letto che per- mette di risalire anche ai più grossi vapori transoceanici. L'Alster prima di unirsi all'Elba forma anch'essa due am- plissinn bacini, veri laghi sulle rive dei quali s'eleva ricca di palaz/i sontuosi e di amenissime ville la parte nuova dtdla città. Sull'Elba invece, che costituisce il porto ed il punto franco del commercio marittimo, stanno i vecchi (juartiei'i nei quali s'addensa la popolazi^me degli operai e dei mai'ini. Amljurgo conta una popolazione di 510,000 abitanti, e se si () la <^uai'ii;ioiie ecc., descritte in altre epidemie, Non mancò invece qualche stranezza, come lo .scomj)ai'ii*e di una malattia in corso, il riassorbirsi di una raccolta sierosa pleurica o ascitica col manifestarsi da })rimi sintomi del colera. Il (juale col diffondersi sembrava aver fu- i^ate tutte le altre malattie, anche le più comuni durante Testate. Gli ospedali non ricevevano che colerosi, la pratica jirivata non forniva che colerosi o paurosi di esserlo. Era ben raro di parlare con una persona che non avesse avuto o non avesse in corso una serie di fenomeni addominali. Genio epi- demico, dicono gl'igienisti, però il fenomeno deve più scien- tificamente esser interpretato. In alcuni casi questi fatti senza dubbio non sono che il risultato dell'eccitamento che assale l'individuo pauroso di ammalare e vanno giudicati di natura ner\osa. ma in tutti gli altri, e sono i più, è lecito suporre si tratti realmente di un leggiero grado d' infezione. Il germe è penetrato, ma o perchè non ha trovato l'andoiente del tutto favorevole al suo sviluppo, o ha incontrato una maggiore resistenza nell'organismo, non esercita tutta intera e fino all'ultimo la sua azione, e invece di suscitare un vero at- tacco di colera non dà origine che a sintomi fugaci e di limitata gravezza. Non mancarono in quest'epidemia anche casi di colera così detto servo, cioè senza o con scarsissima eliminazione di sostanze li(|uide da parte della mucosa gastroenterica. Questa forma })er la sua rarità è poco valutata dagli au- tori. Eicliltord e Sb-ilmpell tuttavia la l'icordano. Nessuno degli altri sintomi colerici mancherebbe, anzi tutti sa- rebbero esagerati e si protrarebl)ero anche per 6-7 giorni. In Amburgo una tale forma fu invece osservata a decorso rapidissimo, di poche ore ; ma 1' osservazi(me non sendti-a del tutto nuova, perchè anche Ziem^seii (2) ne' fa cenno. Un'altra caratteristica dell'epidemia d'Amburgo, e che vale a dare una certa idea della sua violenza, è la r(da- tiva rre(iiu'jiza con cui i liandiini e fanciulli furono attac- cati dal mah': jtiii di iiii medico mi assicurò che la prò- (518) [16] porzione nella mortalità fra questi piccoli esseri supera di molto quella registrata nelle passate epidemie (*). lin giorno clie neir istituto anatomo patologico ebl)i buon numero di questi cadaverini sott'occhio, mi prese vaghezza, per al)i- tudine di scuola, di prendere su di loro alcune misurazioni. In quasi tutti esisteva una notevole sproporzione tra l'ad- dome ed il torace, essendo il primo eccessivamente svilup- pato. Era una prova di })iù in appoggio delle idee del mio maestro, Prof. De Giovanni, che negli esseri che presentano una tale nota morfologica riconosce una speciale predispo- sizione alle localizzazioni morbose negli organi digerenti (^). Da ultimo voglio ricordare anche i non pochi casi in cui i crampi muscolari comparivano tra i primi sintomi della malattia, qualche volta anzi precedevano tutti gli altri. Un tale fatto non appoggerebbe l'opinione di Canlani che attribuisce l' insorgenza dei crampi al rapido prosciu- gamento del muscolo, ma farebbe piuttosto pensare che questo sintomo sia di origine nervosa. L' opinione, del resto, che attribuisce al sistema ner- voso gran parte della sintomatologia del colera non è nuova del tutto ; io 1' ho trovata in molti autori accennata a pro- posito ora di un sintomo ora di un altro, quantunque non mai come oggigiorno generalizzata a tutto il quadro della malattia. Secondo, dunque, l'ultima opinione la varia sintomato- logia del colera dipenderebbe da un acutissimo avvelena- mento del sistema nervoso per parte di una sostanza della natura delle ptomaine che uno speciale microrganismo, il l)acillo comma, segrega e che l'intestino assorbe in circolo. E come i crampi cosi pure il vomito e la diarrea sareb- bero principalmente legati a lesioni di funzione nervosa che meglio ne spiegherebbero la fre(|uenza e ral)l)ondanza. (') Variot^ in Parigi, (lni-anto rcipidi'ini;!, dcll'estaU! e doli" autunno scorso faceva la stes^sa osservazione 'Sor. Mi'd. ilri//i (Jspif.. di Parigi 25 Nov. 1895). [17] (51<)) Quest'opinione ò foi-sc un po' l'saj^ci-ata, almeno pei' (juanto rii^-uai'(la la diai-rea, che io coi vecchi autoi-i con- tinuo ad alli'ihuii'c piuttosto alle lesioni localizzate all' in- testino. Secondo Ziegler ('•■) la diarrea è dovuta alla con- tinua irritazione del virus colerico sugli epiteli intestinali; secitndo (h-iesinger (•») il veleno colerico agisce come il tartaro stihiato, secondo Poemi iniìne l'azione del vii'us è tutta meccanica, di distruzione della mucosa intestinale, pei' cui questa priva degli epiteli e di gran ])arte dei suoi \illi è costretta a versare dal sangue })iii liiniido clic non riesca ad assorbire. Queste opinioni, quantun({ue scritte prima della scoperta di Koch, si possono sempra utilmente ricor- dare. In fatto si può suppoj'i'p che il liacillo \ irgola non agisca soltanto suirorganisnio per mezzo della sua }itomaina e quando ([uesta è assunta in circohj, ma che la sua azione sia anzitutto diretta, locale, (*') — corrisponderebbe ai sintomi prodromici della malattia. — Ne deriva la gastroenterite, sempre spiccatissima nei cadaveri dei colerosi, e che spiega da sola a sufficienza la diarrea anche nel successivo de- corso della malattia. Cosi l'uniteralità di vedute che informa adesso i pa- tologhi i (juali nel colera non vedono che lesioni nervose, anche altri sintomi della massima importanza vengono tra- scurati. Voglio dire delle alterazioni circolatorie. Il sangue, come è noto subisce in questa malattia, per l'enorme i)er- dita di lifjuidi, un notevole condensamento della sua massa, nella quale l'aciiua sia in una proporzione di 10 a 13 più })iccola che di norma ; il suo jìeso specifico sale a 1036- 1040 e la sua reazione è spesso manifes-^amente acida. K questo il fenomeno capitale della malattia, ed i clinici mo- derni come già i vecchi, mentre nei laborat(H'i si fruga mdla morfoh)gia e n(dla chimica del bacillo onde stra[q)are qualche elemento nuo^■o, per una cura specifica o jìreven- ii\a, ad esso pi-inri|)almenlt' \olgono (ulta raiicn/ione pi'r i compensi della tei'apia, ben sapendo che di là deriva (|uasi sempre il Ituono o cattivo esito. Di fatti il cuore y:ià acca- (520) [18] sciato pei' r infezione in corso è anche obbligato ad uno sforzo maggiore e continuato onde spingere nei vasi il sangue condensato con bastante energia e celerità. Ben sappiamo come mai riesca completamente in (questa bisogna; presto, specialmente se primitivamente piccolo e debole resta spossato, si dilata nel suo destro ventricolo sotto la pres- sione venosa aumentata per la relativa deplezione delle arterie e cade in paralisi. Nel colera, come in tutte le malattie infettive, ma più ancora nel colera che nelle altre, si salva chi possiede cuore valido e bene proporzionato nei suoi diametri e regolare nei suoi rapporti con l'organismo, e perisce facilmente chi si trova nelle condizioni opposte. Poche cose ancora a proposito del bacillo. Questo è ormai riconosciuto universalmente come causa del colera, causa immediata secondo i contagionisti, causa che abbisogna di più condizioni speciali per poter svilup- pare tutta la sua azione, secondo la scuola di Monaco. Qualche altra opinione è pur degna di esser ricordata. Peter {J) ricordando il concetto di Nìigelì, secondo il quale la medesima specie di batteri, nel seguito delle generazioni, prende successivamente forme differenti, variabili, dissimili morfologicamente e fisiologicamente, ammette la trasforma- zione dei microrganismi ; il bacillo virgola, ad es., derive- rebbe da altri che frequentemente albergano nel nostro in- testino, forse dal b. coli coìti: che per speciali influenze modifica la sua forma ed assume speciali proprietà pato- gene. WeìmeiiU (8) pensa che nella produzione delle malattie un microrganismo non agisca mai da solo, ma in associa- zione con altri. Cosi le diverse malattie ed anche le diffe- renze nosologiche di una stessa malattia deriverebbero da differenti aggregazioni di microrganismi. Resta invece del tutto esautorata 1' opinione di Cunigham che il bacillo sia la conseguenza della malattia e l'altra che ammette possa nascere spontaneamente dal protoplasma morto della cellula, secondo la teoria dei Microzimi, nella quale si perdette la gagliarda e geniale mente di Berhamp (•'). Li!)-| (r,2i) In Anihui'^o non r a dii'c (|uaut(' non furono le l'i- cerclic hatteriolo^iclic Ini dai pi'inii casi. Di ([iicsto non (l('\(> l'it'ci'ire, soltanto dirò clu' più xolic nelle feci e judk' \(»- milnra/ioni dei colerosi, e sempre mdle ac({UO dell' l^]ll(a e in (|U(dle (l(drac(|nedot(,o della città non si rinvenne il hacillo virgola. Xe })er (inasto neg-arono la malattia o la denominaro- no altrimenti. Oercarfmo invece le cause di errore e le trova- rono, 0 ci-edettero di a\erle trovate, ([uandos'accorsei'(j che il bacillo colerigeno si sviluppa male ed anche può non svi- lupparsi se la gelatina è soverchiamente alcalina, (i") o se si trova in presenza di altri l)a(dlli fondenti, come ce n'è tanti nelle ac(jue. Ma ncm 1" istessa pi-udenza di giudizi eb- bero invece altri batteriologhi della Germania e di altrove. Più volte mi ca[)itò di leggere relazioni di necroscopie e di ricerche batteriologiche che eschnhnano il colera in casi in cui non un sintomo era mancato, soltanto perchè il bacillo 0 non s'era rinvenuto, o non aveva l'esattissima sua forma, secondo il tipo portato da Koch dalle Indie, o man- cava di qualcuna delle sue proprietà chimiche. In tempi comuni sta bene , ma in epoca di epidemia un tale asso- lutismo non mi sembra scientificamente giustificato. Fàr- hiìKjer (11) ad es: a Berlino, mentre infierisce l'epidemia in Amtìurgo, esclude il colera in un caso in cui la sintoma- tologia s'era pur esplicata in tutta la sua interezza, per il solo fatto che non era riuscito ad avere in cultura pura il bacillo virgola che pure aveva riscontrato all'esame micro- pico diretto delle feci e del vomito. 1 parigini manco un momento pensarono di averci lo zingaro in casa dapoichè Nette/- {^'^) in scritti e in comunicazioni ad accademie scien- tifiche, lo escludeva recisamente. Difatti egli nelle ricerche fatte negli ospedali dei quartieri centrali dice di non aver nuli riscontrato il bacillo virgola, ma solo qualche forma affine ; le ricerche invece fatte nei (juartieri eccentrici aveva sempre dato un risultato positivo. Ei-gu a Parigi niente colera, vero colera indiano invece nei dintorni. Ma come obbiettano Petcì- ('3) ed H. Barhier (''^) la malattia era la (522) [20] stes.sa a Parigi conio nei dintorni, non un sintomo esclii.so ; si moriva a Parigi, come nei suoi dintorni, come alla Havre, come in Amburgo, nella pi'oporzione del 90 % e più dei casi gravi e del 40 "/o dei casi benigni. Ecco, a me sembrano queste vere esagerazioni della batteriologia, che pretende ormai di fare da sola tutta la patologia, e tiene in nessun conto 1' osservazione clinica. Eppure ognuno che 1' abbia un zinzino in pratica sa come spesso le ricerche ])atteriologiche riescano infruttuose per cause non sempre apprezzabili e che la morfologia e le proprietà chimiche dei microrganismi sono tutt' altro che costanti e sogliono subire notevoli modificazioni anche col solo cambiamento del terreno di cultura. E questa una ve- rità specialmente provata per il bacillo virgola, del quale anche i trattati più recenti di batteriologia, come quello del Flugge e di C. Frànkel insegnano essere uno dei più incostanti morfologicamente. Secondo poi gli ultimi esperi- menti di Eug. Frànkel (i) prosettore nel Neues Allg. Kran- kenhaus di Amburgo, anche alcuni suoi caratteri chimici e Gutturali che fin' ora erano ritenuti come differenziali non devono meritare più tutta la nostra fiducia, perchè incostanti. Per ora adunque i titoli della batteriologia, anche in riguardo al colera, a prendere il })Osto della clinica, mi sembrano insufficienti. Le conoscenze biochimiche del ba- cillo virgola, quali oggi stanno in suo potere, non bastano ad accreditarle un tale diritto. La clinica, è in generale tutt' altro che contraria ad ammettere la grande importanza dei batteri nella produ- zione delle malattie ; bisognerebbe non aver occhi per ve- dere, né buon senso per giudicare. Ma nel vario campo della sintomatologia di un morbo, il microbio non diventa spesso che un episodio, e non sempre capitale, e il batte- riologo che chiuso nel suo laboratorio col microscopio e quattro sostanze coloranti, lungi dall' ammalato, stabilisce diagnosi e detta prognosi e norme terapeutiche, mi fa pen- [•>!] (r>•^:i) sitei(i- a Parigi. Questo scien- (524) [22] ziato, con metodo che mi porterebbe troppo lontano se volessi riassumere, riuscì ad immunizzare conigli, cani e piccioni. Gli esperimenti furono portati anche sull'uomo e benissimo tollerati; tuttavia un giudizio definitivo sul loi'o ^'a- lore protettore e curativo la scienza potrà soltanto in un lontano avvenire pronunciare, non potendosi per ora ac- cordare importanza veruna, anche per l'esiguità del nume- ro, ad alcuni fenomeni che pure si osservarono negli ino- culati, come la stitichezza, o 1' arresto di una sciolta in corso ; né alla prova di quel giornalista, che dopo subita l'inoculazione, se ne venne in Amburgo, più voglioso di far parlare di sé che di servire sinceramente la scienza. La terapia preventiva delle malattie e quella specifica certamente segnano il culmine di ogni progresso nell'arte del guarire. Mentre la prima si esercitava in queste espe- rienze nei laboratori, la seconda faceva tacitamente le sue prime prove in Andjurgo. Lo specifico proposto in esperi- mento fu r anticolerina del Klebs. Il Klebs (^) nel comporre il suo rimedio parti dal con- cetto che fra i prodotti del ricambio dei batteri, come di altri organismi superiori, si formano due sostanze ; le allo- tossinc, propriamente patogene per altri organismi, e le autotossine, capaci di agire da veleno sull'organismo stesso che le produce. Le prime hanno bisogno di certe condi- zioni esterne per essere elaborate, le seconde invece si possono ottenere in ogni terreno di cultura addatto. Per isolare le autotossine del bacillo comma, il Klebs prendeva grandi quantità di culture di questo microbio, che sterilizzava, filtrava e concentrava evaporando a bagno maria. Le allotossine venivano poi precipitate con l' alcool e completamente allontanate ; la sostanza rimanente conteneva le autotossine e dagli esperimenti sugli animali rivelò pro- prietà immunizzanti e curative. Manchot (^) la sperimentò nel Neues Allg. Kranken- haus di Amburgo, su 31 ammalati gravi, dei quali 10 gua- rirono. Le dosi complessive adoperate per ogni singolo [2:ì] (o25) ammalato variarono da 15 a IS e. e. della sostanza, som- ministi'ata \)cv via i[iod('i'mica. 11 medicamento fu sempre l)en tollerato, un notevole rialzamento della temperatura era il primo efiletto che teneva dietro all' iniezione, e la diminuzione dell' ipotermia qualche volta segnò il principio di una felice reazione. Contemporaneamente gli ammalati erano pure assoggettati all' iniezione intravenosa di accjua salata. La mortalità nei curati con 1' anticolerina Klebs è di circa il 67 "/o, ([uella negli individui trattati con l'iniezione endovenosa, su per giù del 75 %. Una si tenue dififerenza costituisce un ben piccolo van- taggio a favore dell' anticolerina, e non è sufficiente, tenuto [ìoi conto anche del piccolo numero di esperimenti, ad ac- creditarle })roprietà specifiche curative (*). Per cui non credo opportuno di diffondermi più a lungo su questo nuovo tentativo, che fin d' ora si può considerare come fallito, e passo senz' altro a dire della cura come generalmente era praticata in tutti gli ospitali e nei lazzaretti. Il programma terapeutico aveva di mira tre momenti [ìrincipali : a) Attaccare il virus dirnettamete nel tubo inte- stinale ; b) Sostenere le condizioni generali ; e) Correggere le alterazioni circolatorie. Per la disinfezione del tubo intestinale nei primi pe- riodi della epidemia furono tentati un' infinità di rimedi ; il salolo, la crcolina, il timolo, il creosoto, la naftalina e via dicendo, ma tutti si mostrarono inefficaci o non ven- nero tollerati. Inutili riuscirono pure e 1' acido cloridrico, e r acido lattico ; fallirono anche le irrigazioni tanniche (') Anche i poclii casi (10, dei quali 8 sarebbero guanti) trattati dal dott. Ouapenshi in Pietroburgo con iniezioni di succo testicolare, non ci permettono di stabilire il valore curativo del metodo di Broic-Séquard contro il colera fSoc. d. Biol. d. Paris — 5 Nov. 189^). T. IV. S. VII 34 (526) [24] praticate secondo la proposta e la formula del Cantarti, o perchè non riuscivano a superare la valvola ileocecale, o perchè gli ammalati non potevano trattenerle sufficiente- mente a lungo. Tuttavia non si ommise mai di tentarle, e quando si poterono pi'aticare ripetutamente, se n' ebbero vantaggi manifesti, 1' acido tannico rispondendo meglio di qualunque altro rimedio allo sco})0 di disinfettare senza irritare. Risultati soddisfacenti invece diede il calomelano. Que- sto rimedio aveva già fatto buona prova fin dal 1850 nelle mani di Niemayer (s) che 1' adoperò durante l' epidemia di Magdeburgo, e poi in (juelle dello Ziemssen (') che l'ado- pera metodicamente anche nella cura del tifo addominale. Esso, oltre che allo scopo di evacuare il contenuto inte- stinale e disinfettare l' intestino, risponde anche a quello di eccitare la secrezione della bile che favorisce la migra- zione dei bacilli virgola, e agisce sul contenuto intestinale come parassiti cida. Si somministrava fin dai primi sintomi con una dose iniziale di 0. 5 — 0. 3, cui si facevano seguire dosi minori 0. 2 — 0. 1 — 0. 05 ogni due ore. Se il vomito per la sua frequenza ostacolava la propiiiazioue del rimedio, si ricorreva alla cocaina — poche goccie di una soluzione all' 1 : 100 — che ordinariamente riusciva ad attenuarlo. Talvolta si osservò notevole diminuzione del vomito anche per la sola ingestione del calomelano. Anche contro i forti dolori all' epigastrio, e nei mu- scoli veniva sempre usata la cocaina, raramente la morfina e solo quando questi sintomi erano imponenti. L' oppio fu usato sul principio dell'epidemia, ma venne presto completamente abbandonato in causa del vomito che talvolta esagerava, ma più ancora per la sua azione fortemente paralizzante sull' intestino. Rumpf (^) riferisce di aver visto più volte in ammalati, in cui per 1' uso dell' oppio era avvenuta una paralisi piuttosto forte dell' intestino, insor- gere in breve i fenomeni del colera grave. L' oppio infatti nella cura del colera, a mio avviso, [25] (527) sarebbe uirarnui a doppio taglio. Se da un lato giova pei*- (thè modifica e riesce anche a sopi)riniere la diarrea, dal- l' alti'a riesce dannoso perchè toglie 1' unica via di elimi- nazione che resta all' organismo del veleno circolante, essendo soppressa 1' orinazione. Questo s' accumula sempre più nel sangue e determina da ultimo 1' insorgenza dei fenomeni del grave avvelenamento. La cura del colera grave in Amburgo, come per il [ìassato, ha dato l)en pochi risultati. Presto si dovettero ab- Iiandonare come inefficaci i bagni caldi, quelli a vapore, r impacco, il massaggio. La canfora, 1' etere, la stricnina, r ammoniaca, la nitroglicerina ed altri eccitanti hanno pur giovato ([ualche volta, ma affatto momentaneamente. Rispo- sero invece abbastanza bene le iniezioni sottocutanee e meglio le intravenose di soluzioni di cloruro sodico al 6 %o alla temperatura di 42. Neil' ospedale di Eppendorf dove vennero adoperate su vasta scala le iniezioni intravenose diedero una mortalità soltanto del 75 % dei casi gravi. La quantità media di li(jUÌdo iniettato era di 1-2 litri in una volta e l' iniezione si faceva nella safena o nella me- diana messe a nudo e si ripeteva anche 3-5 V(jlte nella giornata. I buoni effetti delle iniezioni intravenose, a mio av- viso, non solo vanno attribuite al fatto che una cospicua ((uantità di liquido caldo entra nel circolo, diluisce il san- gue e ne modifica le condizioni chimiche, e va quindi ad eccitare le energie sopite del cuore, onde il polso riacquista tono, la respirazione si fa più profonda e meno attutito il sensorio, ma ancora al fatto che questo liquido fornisce al sangue impoverito, nuovo materiale da essere eliminato, sia pure per mezzo del vomito e delle scariche diarroiche, materiale che eliminandosi sottrae sempre buona quantità del veleno circolante. È un vero lavacro dell' organismo che avviene per cui i mezzi di resistenza di quest' ultimo hanno maniera di reagire e relativamente più facile riesce la vittoria sulla malattia. 0. Zippel ('■') consiglia di far se- (528) [26] g'iiire air iniezione fatta sia direttamente nelle vene, sia sottocute il bagno caldo secco, onde provocare la sudora- zione e favorire così maggiormente 1' eliminazione delle sostanze tossiche, ma una tale pratica, per (juanto logica e di nessuna difficoltà di attuazione, mai vidi eseguita in Amburgo. Più di una volta furono viste dopo una sola iniezione in- travenosa ricomparire le urine, cessare i sintomi più an- gosciosi, ed il miglioramento stabilirsi e farsi progressivo. Ma non sempre i risultati erano questi. Spesso l'ammalato non reagiva e restava dopo l' iniezione alle stesse condi- zioni di esaurimento di prima ; più spesso ancora i van- taggi erano pronti bensì, ma altrettanto fugaci. Per questa causa, e per i non pochi pericoli — non occorre rammen- tarli — che r iniezione diretta nelle vene porta con sé, molti medici, specialmente nelle ])aracche e nell'Altes. Allg. Krankenhaus, preferivano le iniezioni sottocutanee che in- ducevano meno pronto il sollievo, ma in compenso più duraturo. Presso questi medici trovai anche in maggior favore r irrigazione tannica, secondo Canlatri, quasi bandita dal- l' Ospedale di Eppendorf, ma praticata nel secondo periodo della malattia, anziché nello stadio prodromale. Ordinariamente però le iniezioni sotto cute erano ri- serbate ai casi più benigni. Venivano praticate sui due lati del basso ventre e la quantità di liquido introdotto sotto cute era su per giù l'istessa come nelle iniezioni intrave- nose. Più spesso in queste forme era consigliato il bagno caldo a 32-36 centigr. che rispondeva ordinariamente ab- bastanza bene. Soltanto quando questo si mostrava incapace di rialzare la temperatura del paziente e di modificarne il polso ed il respiro, si ricorreva all'iniezione sottocutanea. Questo nelle sue linee principali il programma tera- peutico, nella quale mi sembrò giustificato 1' abbandono di tanti rimedi e di tante pratiche curative che anche le pas- sate epidemie avevano condannato come inutili o dannose. [-7] (520) Ndii vidi mai pi-aticaic iniezioni nelle cavità pleui-iche e nella peritoneale ; fu Icniala, ma siibilo ahiiandonata, come inefficace la iniezione^ endoxcscicale ; ma il l'atta più not(!- vole, come dissi, fu 1' abbandono di tutti i preparati di ojìpio clie fin' ora avevano costituito gran })arte del ba- gaglio terapeutico contro il colei'a. Xè basterà certa- mente a l'imetterli in faNore T appoggio di Wolfert (') il (|ual(> attribuisce i princij)ali sintomi di questa malattia, sop[)ressione delle secrezioni, scomparsa dcd siero del san- gue, rallentamento circolatorio, algidismo, ad ingorgo della vena meseraica superiore compressa contro il pancreas da una contrazione spasnujdica del colon, contrazione che r oppio soltanto varrebbe a togliere ! 5. (Questioni epidemiologiche. Ei-a ben facile i)revedere come (luest" ultima e})idemia avrel)!)e riaccesa, non appena sopita, la lotta fra la scuola di Peitenkofer e (juella di Koch, fra epidemisti e conta- gionisti. Le ultime }tohMni(die avevano tutt' altro che risolta la (juestione. La dottrina di Koch, perchè più semplice ed accessibile anche alle intelligenze dei non appartenenti alla classe medica, divulgata col favoi-e dcdla l)atteriologia, è entrata, è duoi)o confessarlo, nella mente dei più. Tuttavia essa non è riuscita ancora a portare né un fatto decisivo, né una jirova indiscutibile sulla teoria av\ei'saria, e (juesta tiene sempre le sue [losizioni sotto la giiida del glorioso e pugnace vegliardo di Monaco, cui forma corona ancora uiui falange di valoi'osi scienziati, Emmericli, HofJ'nian, (530) [28] Gì'uhery TJffehnan, Sojka, Wallln, Soì-a/inl, Di Mattei, tra i pruni. Ripassiamo brevemente nei loro punti principali queste due dottrine. L' opinione che le malattie infettive der-ivassero dalla penetrazione di agenti organizzati nel nostro organismo non è di questi tempi. L' avevano professata anche gli an- tichi ammettendo il contagium viimm, fu ripetuta da più autori attraverso le diverse epoche della storia medica, cominciò a ricevere appoggi di fatto dopo gli studi di Pa- steur sulle fermentazioni e sulla putrefazione, e si affermò finalmente indiscussa dopo la scoperta di Davaine sulla infezione carbonchiosa, e pii^i ancora in questi ultimi tempi per gli studi di un gran numero di autori, primo fra tutti il Koch, per l' importanza dei metodi di ricerca da lui pro- posti, e per l'entità delle sue scoperte. Le malattie d' infezione vengono dagli igienisti di- divise in : a) miasmatiche, quando il germe si sviluppa fuori dell' organismo, es. la malaria ; h) contagiose, quando il germe si sviluppa nell'oi'- ganismo stesso, es. il vajuolo, la sifilide ecc. ; e) miasmatico contagiose, quando il germe ha In- sogno di passare dall' uomo al suolo dove si modifica, si sviluppa, ed esalando con 1' aria riproduce la malattia. Le malattie appartenenti a quest'ultima classe, si può dire con Novak (^) sorgono alla maniera delle miasmatiche e si diffondono come le contagiose. Il tifo addominale ed il colera asiatico, secondo la scuola di Monaco, vanno ascritte a questa classe, secondo i contagionisti invece alla seconda, fra le malattie contagiose. Il colera asiatico solo da sessant' anni è noto all' Eu- ropa ; la sua patria naturale è 1' India, specialmente le re- gioni irrigate dal Gange e dal Bramaputra. La sua natura specifica, sospettata sempre, ebbe definitiva conferma solo nel 1884, dopo gli iuutili tentativi di Pacini, Kolh. IPiUier, [•>'.)] (581) Fi7iJiler e Pio7\ [km- opci'a dolio stesso Koch, clie descrisse un inici'ooi'ganisiuo, cliiuiiiato i)ei' la sua forma l)acillo vii'- yola, che si rinviene costantemente nei vomiti e nelle de- lazioni dei colerosi, anche in cultura pura. Nicati e Rieùscli, Koch, Gruhe?' ed altri con oppoi'tuni metodi sperimentando sugli animali, stabilirono ))oi lo stretto rap})()i't() di ([uesto microrganismo con la malattia. Con la scoperta del germe specifico del colera nacque anche la dottrina che attrilìuisce a contagio lo svilupj)0 sia- epidemico che sporadico di (|uesta infezione. Secondo ([ue- sta dottrina, che vien detta anche dottrina di Koch, il germe calerigeno induce 1' infezione per contagio, si tra- smette, cioè, (hi uomo ad uomo. La trasmissione avviene non già direttamente, ma per mezzo dell' ac(|ua potabile, sia introdotta nelle vie digerenti come bevanda, sia adoperata nella lavatura del vassellame e degli erbaggi, o nella preparazione degli alimenti. Il germe colerigeno può capitare nel nostro stomaco e quindi nell' intestino anche per i pochi riguardi che si lianno in contatto con colei'osi e con oggetti da loro im- l)rattati, per mezzo delle nostre stesse mani che si portano imprudentemente alle labbra. Una grande importanza si accorda alla predisposizione individuale. Condizioni di dispepsia, leggieri disturbi gastrici o intestinali, errori dietetici, malattie in corso o da poco superate clie abbiano menomata la resistenza dell' orga- nismo, sono le più favorevoli per lo stabilirsi di una epidemia. E evidente che una città, un luogo qualunque, sarà tanto i»iù al sicuro da una invasione colerica, ([uanto mi- glioi'i saranno le sue condizioni rispetto ai canali, alle ac([ue stagnanti, alle fogne, alla conduttura ed alla ([ualità dell' acipia potabile. Il fatto clie lo epidemie, almeno in Europa, si svolgono (piasi som])re in estate fa credei'e che stagioni e temperatura \i abbiano intlnenza. 11 suolo, se poroso, sudicio, ingombro di sostanze organidic in (bM-om- posiziom', anch'esso pn(') favorire lo s\ilup}to (hdla malattia. (532) L-^] ma solo perchè queste condizioni facilitano, specialmente a mezzo dell' acqua del sottosuolo, 1' inquinamento dell'ac- qua potabile nei pozzi. L' epidemia finisce per il modifi- carsi delle disposizioni sopradette e quando tutte le persone predisposte sono perite (2). Questa teoria semplice ed attraente, basata unicamente sulla conoscenza delle proprietà biologiche del bacillo vir- gola, lascia tuttavia nell' oscuro un gran numero di fatti di non poca importanza. La propagazione del colera, come è noto, avviene sempre seguendo le grandi vie battute dal commercio, con una velocità clie non supera mai ({uella delle ordinarie comunicazioni ; alcuni punti tocca appena, altri rispetta, in altri si stabilisce con estrema violenza. Questa stranezza, costantemente osservata in tutte le epi- demie, non sempre si trovò in armonia con le condizioni locali delle acque. Genova, Basilea ed altre città che pos- siedono buoni acquedotti e buon' acqua hanno spesso sof- ferti invasioni coleriche, ed il tifo annualmente vi miete gran numero di vite. La Havre possiede il migliore acque- dotto di Francia, ed è la città più infesta dal tifo, né ci fu, si può dire, invasione colerica in Europa, quest'ultima compresa, che non l' abbia visitata. Ad altre numerose questioni si presta la dottrina dei contagionisti , ed il riferirle mi portere])l)e troppo in lungo. La dottrina di Pettenkoffer riposa su di una base più larga e parte dallo studio critico esteso a tutte le epide- mie, di cui si poterono avere notizie esatte, dei nostri e di altri paesi. Egli la comunicò nel 1867 alla conferenza sa- nitaria di Weimar, la modificò nel 1871, la completò nel 1872 con la Grundswassertheorie. Pettenlwffer non fa questione sulla natura del virus, anzi da ultimo (3) si mostra propenso ad accettare il vi- brione di Koch come momento causale della malattia, ma sostiene che questo non basterà mai ad accendere una e})i- demia, ove non trovi circostanze favorevoli di svilupjx», |;!i:i (:.:?:ì) (•ii'Ci)staii/.i' cir (';^li chiaiiia
  • iamente è un fatto di non poca impoi- [:]5] (r>:>.7) taiiza, ma non f^ià di'cisivo, per le teorie di Petlenkofe)', potemlosi aniiueUei-e (-he ^i sia i-ealinciitc pei-ito in causn • lei saiìl'ofiti (li cui soii tanfo l'icche le sudicie ac([Ue (hd fiume, o che il suo sviluppo sulle piasti-e sia sempre stato impedito, come si asserisce, dalla })resenza di numerosi altri microrganismi sviluppantisi con straordinaria rapidità e fondenti la gelatina nutritiva. Del resto Pelienkofeì' con- cede ({ualclie importanza all' ac([ua dell' Elba, ma non già per il fatto che viene bevuta, Ijensì perchè viene continua- mente e largamente adoperata a lavare case, pavimenti, con- trade e, ricca coni' è di sostanze organiche, va ad imbevere il suolo e a favorire in (piesto i processi di decouiposizione. All'infuori delle coiulizioni speciali del suolo, esaltate, dire- mo cosi, dal continuo inaffiamento con le acque sudicie del- l' Elba, altre se ne possono trovare, seguendo le vedute della scuola di Monaco, nella temperature elevata e nella siccità straordinaria per mancanza di pioggie che sul)l la città prima e durante buona parte dell'epidemia. Ed è su ({uesto punto che i contagionisti attaccano gli avversari con maggiore vivacità. Forti delle conoscenze delle proijrietà biologiche del bacillo, essi affermano che se la sua propa- gazione avesse realmente luogo per mezzo dell' aria le con- dizioni sopra dette avrebbero dovuto riuscirgli funeste, non già favorevoli, .perchè esso nell'aria si essica e rapidamente muore. E siccome ciò non avvenne, ma anzi 1' epidemia si svolse con maggiore violenza nei giorni più caldi e piìi secchi, è duopo concludere che il naturale veicolo del germe non è già l'aria, ma l'acqua. Veramente in nessun' altra epidemia ebbero nuxi i con- tagionisti più buon giuoco come in (juesta di Amburgo. Le condizioni in cui la città si ti-o\"a r-ispetto all' acqua pota- bile sono davvero deplorevoli. Essa attinge direttamente r ac(|ua da quell' immenso letamaio che è 1' Elba ; nelle case per bene la si filtra, ma tra la jìovera gente una tale precauzione è ben raramente osservata. L' acqua che esce dai rubinetti d(dla conduttura, trascinando seco talvolta (538) [36] pesci e vermi, ha un colore giallo sporco, e se si lascia depositare nel bicchiere, dopo un' ora o due al fondo si raccoglie qualche millimetro di fanghigia nerastra. Filtrata e bollita conserva sempre un leggiero colorito giallo mat- tone. Il suo sapore è sgradevole e lo stomaco lo tollera male e 1' assorbe lentamente. Non voglio con queste parole attribuire all' acqua più importanza che forse non abbia, ne sottoscrivere alle opi- nioni contagioniste. Ma è certo che di tante accuse mosse dalla stampa Europea contro la città di Amburgo, questa che riguarda 1' acqua potabile mi sembrò la più giustifi- cata. Tanto più giustificata in quanto che alla città sarebbe stato assai facile derivare acqua abbondante e buona da qualcuno dei non lontani laghi dell' Holstein e non lo fece, quantunque a tale scopo già da anni si fosse stabilito una fortissima somma. Altona che con Amburgo si può dire forma una città sola, si fornisce anch' essa di acqua potabile dall' Elba, ma il suo acquedotto è provvisto nel punto di presa di buoni filtri di sabbia. Altona sofii'i anch' essa dell' epidemia, ma in ma- niera molto leggiera. I casi, se ben ricordo, in una gior- nata non passarono mai i venti, e una contrada di Amburgo « am Ichutte^-blatt » le cui case ricevevano 1' acqua dalla conduttura di Altona, fu completamente risparmiata dal morbo. E questo un fatto sul quale la scuola di Koch leva grande rumore (8) e mi sembra a torto. Osservazioni simili furono già fatte in altre epidemie, in altre città, in cui in- tere contrade, gruppi di case, ed anche case isolate furono rispettate dalla malattia. Anzi fu da queste stranezze nella diffusione delle epidemie che Pettenkofer fu indotto a ricer- care nel suolo le condizioni indispensabili al loro sviluppo. Del resto, se si vuole ricordare Altona non bisogna dimenticare Harburg, popolosa città sulla sinistra dell'Elba, quasi di fronte ad Amburgo, che si fornisce di acqua alla [:>.7] (530) guisa stessa di (iuosta. Hai'hui'g iiieno ancora di Altona soffri in qnest' ultima ei)idenna. Sarebbe inutile tirare avanti riferendo tutti i punti controversi che a proposito di (juesta ultima epidemia sono in discussione fra gli igienisti. Ogni scuola rileva i fatti favortnoli alle sue dottrine e trascura i contrari, ma giova dire che anche ijuesta volta la vittoi-ia non arriderà ad alcuna delle due parti, e la (|uestione aspetterà ancora sw/^ judice nuovi progressi della scienza per la sua risoluzione. Poiché se il temerario esperimento di Pettenkofer e ili Emenerich, che ingoiarono bnona dose di una cultura pura e recente di bacilli virgola e non ebbero a soffrire che diarrea violenta e nessun vero sintomo di generale infezione, offre il fianco a più d' una ol)biezione, e lascia sempre improvata 1' ipotesi che fatto in Amburgo avrebbe avuto conseguenze diverse, e' è ancora un altro fatto che non deve sfuggire agli imparziali e che dovrà dare indub- biamente molto da pensare ai contagionisti. Voglio dire della assoluta inefficacia nonché ad interrompere ad atte- nuare di una linea la violenza dell'epidemia dimostrata da tutti i provvedimenti inspirati alle dottrine di Koch, pr(n-- vedimenti che mai come in ijuesta occasione furono con tanta larghezza, sto per dire esagerazione, messi in opera. P^in dai primi casi Amburgo si diede tutta in braccio ai contagionisti ; autorità politiche ed amministrative, ospe- dali, accademie, corpi sanitari ed istituzioni di beneficenza, tutti si dichiararono per la dottrina del contagio e la caccia al bacillo fu im})resa con vero accanimento. Furono subito chiusi i pozzi pubblici e pri\ati in comunicazione con l'ac- (juedotto dell'Elba, si costituirono più commissioni sedenti in permanenza con succursali si può dire in ogni contrada, sempre pronte a mandare carrozze e medici od infermieri ad ogni denuncia ; si formarono nei punti principali dieci uffici pr()\visti di ogni elemento ed apparecchio di disin- fezione. A questi se ne aggiunsero poi altri ancora e le solu- zioni antisettiche, versate perfino con le pompe, corsero a 040) [38] rivi negli ospedali, nelle baracche, nelle contrade, nelle case, ed il fuoco distrusse ogni materiale sospetto. Il verbo di Koch veniva predicato dai pergami delle chiese, dalle colonne dei giornali, e dalle muraglie di tutte le case che andavano continuamente tapezzandosi di avvisi di ogni colore e dimensione. E di questi se ne distribui- vano poi anche nelle piazze, nei pubblici ritrovi, nelle case e contenevano ogni sorta di raccomandazioni, di ordini, di consigli, di esagerazioni. Uno ti raccomandava di non por- tare mai le mani alle labbra se prima non le avevi rigo- rosamente disinfettate ; un' altro ti dava la lista delle vi- vande che potevi mangiare e di quelle che dovevi ripu- diare : « Was derf man essen und trinken, was nicht? » un' altro ancora ti raccomanda di non usare mai nel ra- derti che a('qua bollita o filtrata « Beim Rasiren nur fil- trìrtes imd gekochtes Wasser ! » E quest'acqua bollita o filtrata per tutti gli usi veniva largamente distribuita da numerose caldaie a vapore funzionanti di e notte in tutte le piazze e nelle contrade principali, e carri a cisterna la portavano e la distribuivano per ogni dove. La popolazione, veramente convinta che tanta sciagura fosse tutta sua colpa, pi'estava la più cieca obbedienza, non un ordine veniva deluso, non un consiglio veniva trascurato. Nei luoghi pubblici, come nelle famiglie i « Zehn Gébote wider die Cholera » erano osservati con religioso scrupolo. La puli- zia in certe viuzze fatta dagli abitanti stessi aveva dell'Olan- dese. I casi erano subito tutti denunziati tanto dai ricchi che dai poveri, e ricchi e poveri si prestavano con entu- siasmo anziché con rassegnazione ad ogni sorta di disin- fezioni, di suffumigi, di sequestri e di roghi purificatoi-i. Amburgo fu davvero un campo in cui i seguaci della teoria del contagio poterono dispiegare tutte le loro forze ; tutti furono con loro e per loro. Koch stesso due volte ca- pitò a dirigere in persona le operazioni, ma la vittoria, che sarebbe stata 1' ultimo crollo alle dottrine della scuola di Monaco, non sii fu amica. ;^!)" Ecco intanto lo cronaca doircpidcmia. (•>n. P H (ìinKNo 5 Decessi GlOKNf) < 7. Decessi 20 agosto 85 3(; , 21 » 83 22 28 agosto 1028 428 22 » 200 70 29 » 980 393 23 » 272 111 30 » 1081 484 : 24 » 365 114 31 » 857 395 : 25 » 671 192 1 settembre 842 394 2i) » 995 317 2 » 810 479 1 27 » 1102 455 3 » 780 440 1.^ settimana 3773 1317 2.^^ settimana 6378 3013 4 settembre 679 293 11 settembre 354 150 5 » 580 282 12 384 142 (3 » 490 -58 13 » 293 129 7 » 422 225 14 » 313 103 S » 350 157 15 314 141 9 » 402 155 16 » 397 141 [ 10 439 178 17 » 338 117 i 1 3.*^ settimana 3362 1548 4.^ settimana 2393 928 18 settembre 222 HO 25 settembre 95 39 19 234 110 26 » 78 33 20 217 87 27 82 33 21 198 79 28 » 75 23 22 172 55 29 » 49 20 23 » 158 67 30 59 16 24 » 126 39 1 ottobre 36 16 b.'^ settimana 1327 547 6.'' settimana 474 180 T. IV. S. VJI 35 [40] < 1 Giorno s Decessi 2 ottobre 32 9 3 » 39 7 j 4 » 30 12 5 » 21 6 i 6 » 19 ^ 7 » 10 3 ! 8 » 4 9 7.^ settimana 155 48 1 1 Da ({iiesta tavola appare evidente il decorso affatto nor- male dell' epidemia. Questa esordisce in forma esplosiva ; in pochi giorni da pochi casi si arriva a 1102. Si resta intorno a quella cifra per qualche giorno, poi c'è una ra- pida diminuzione, il 31 Agosto. Da questo punto i casi vanno diminuendo con leggiere oscillazioni fino al giorno 8 Ottobre in cui l'epidemia si chiude. Un decorso simile e per la durata e per la modalità hanno avuto quasi tutte le epidemie gravi di cui ci restano statisticlie. La scienza una volta di più provò 1' inutilità de' suoi sforzi ; anzi, sembra irrisione per il nostro vantato progresso, la violenza di quest'ultima fu ben maggiore di quante altre epidemie Amburgo ebbe fin' ora a soffrire. Ecco, per chi ami i confronti, la tavola di tutte le epi- demie colericlie che si svolsero in Amburgo con la durata di ognuna e il numero de^li ammalati e dei morti. [Il] (.-,i:;) Anno \\V0I \ DKI.I." ANNO Durata 1 < Dkckssi 1831 31 Ottobre- 19 gennaio 81. 937 439 1832 2 tebbraio-17 dicembre 320 3349 1652 1848 1 setteiiibre-31 dicembre 122 3687 17fi5 1849 14 maggio-22 novembre 193 1187 592 1850 26 giugno- 11 gennaio 200 794 440 1853 23 giugno-29 ottobre 129 558 302 1854 14 giugno-14 novembre 154 478 311 1855 30 giugno-22 ottobre 125 353 204 1856 13 giugno-14 novembre 155 121 78 1857 9 giugno-11 novembre 172 765 491 1859 9 giugno-5 ottobre 135 2586 1285 1866 30 giugno-22 ottobre 115 2254 1185 1871 1 agosto-24 settembre 55 171 101 1873 14 giugno-8 novembre 48 1729 1085 1892 20 agosto-S ottobre 50 17862 7561 Ripeto, questa inutilità di ogni sforzo contro l'epidemia se non è un vero trionfo delle vedute della scuola di Mo- naco, deve tuttavia far seriamente pensare coloro che pro- fessano le teorie contagioniste. Le misure profilatiche di- spiegate in Amburgo e altrove furono ben più rovinose della stessa epidemia ed è seriamente da mettersi in dubbio se realmente abl)iano giovato a salvare altri siti dalla pro- pagazione del morbo. Il quale non è ancora spento, poiché il telegrafo ci porta in questi ultimi giorni 1' annunzio di nuovi casi e di nuovi decessi e sembra voglia dar ragione all' opinione di Pettenkofer il quale pensa che il germe covi ora in [)iù siti, pronto a scoppiare a primavera o nel- l'estate ove il cielo non ci sia largo di pioggie. (544) , [42] Conviene dunque .stare sull' attenti, onde evitare sor- })re.se. GÌ' insuccessi del passato non ci devono scoraggiare di fronte alle future, forse non lontane lotte. La scienza ha squarciato velami ben più fìtti ed anche questo dietro cui si nasconde nel mistero lo zingaro asiatico cadrà final- mente di fronte alla tenacia degli studios'. Per ora anzitutto tanto al medico nell'esercizio della sua missione quanto allo Stato nelle norme profilattiche conviene di restare al di fuori delle discussioni tra gli igienisti. Lo stato specialmente, e qui mi piace finire con le parole del mio venerato maestro « come non dovrebbe essere né pro- testante, né cattolico, né ebreo, cosi non dovrebbe essere né epidemista, né contagionista. » Lo stato deve essere al- tamente, serenamente igienista ; per lui non le ipotesi, ma la storia delle epidemie, non le convinzioni di moda, ma la prudente e sapiente operosità (•'). Padova 15 Dicembre 1892. [18] (545) BIBLIOGRAFIA III. (1) Leydcn — Soc. di Med. Int. di Berlino — seduta 21 Nov. 1892. (2) Zieiiissen — Conf. Clin. Il colera e sua cura, pag. 16 trad. — Milano, Vallai-di. (■.^) De Giovanni — Móì-fo/ni/ia del coi-^io uinnuo — Milano, Ho(!i)li 1891. (4) Ziegler — Trntt. di Anni. Paiolo ff. e pntog. Voi. 2, pag. 318, trad. — Napoli, 1884. (5) Griesinger — Maladics infectieuses pag. 485, trad. — Parigi, 18(18. (6) l'ettenkofer — Ueher Cholerh ecc. ecc. Mundi. Med. Woch. 39, H. 1892. (7) Peter — Acc. di Med. di Parigi — seduta 20 Seti 1892. (8) Werneuil — Acc. di Med. di Parigi — seduta 20 Sett. 1892. (9) BeCj'hamp — Les Microzymoas pag. 744 — Paris, 1883. (10) M. Dahme — Die Nàhrgelatine ah Ursache des ncgatives befioìdes ecc. ecc. Contr. f. bakt. u. par. XI Bd. u. 18, 1892. (il) Furbùnger — Dej^L Med. Woch. n. 34, 1892. (12) Netter — Le bidletin Medicai n. 58, 1892. Netter — •S'or. Med. d. Ospit. di Parigi — seduta 25 e 20 Lu- glio 1892. (13) Peter — .Sor. Med. d. Ospit. di Parigi — seduta 25 e 26 Luglio 1892. (14) H. Barbier — Gaz. med. d. Parigi n. 40, 1892. (15) Eu. Fràukel — Deut. Med. Woch. n. 46, 1892. IV. (1) Brieger, Kitassato, Wassermann — Zeiis f. Hgg. Hd. XII. 1892. (2) F.lli Klemperer — Z)e«^. Med. Woch. n. 31, 1892. (3) Hankin — Inoculazioni protettive contro U cofrra secondo il aetodo di Haffkine trad. Rif. Med. n. 223, 1892. (4) C. Klebs — Deut. Med. Woch. u. 43-44, 1892. (5) Manchot — Deut. Med. Woch n. 40, 1892. (6) Nie !iayer — Pniol. e tenip. Mai. Voi. :?, pag. SS5. (7) Ziemssen — Vonf. din. Ciirn del tifo addominale pag. 25. — Milano, Vallardi. (8) Rumpf — Z>eML Mcd. Wocli 39, 1892. (9) 0. Zippel — Dent. Med. Woch n. 42, 1892. (10) Volfert — Società di Med. Int. di Berlino — Seduta 7 No- vembre 1892. (1) Novak — !,(? malattie infettive pag. 103 ti-ad. —Napoli, 1884. (2) C). SuUivan — The lesson of the Hamhunj epidemie. The 111. London n. 26, 1892. (3) l'ettenkofer — Lil). cit. (4) Navak — Citaz. lib. cit. pag. 122. (5) Griesinger — Citaz. lib. cit. pag. 421. (6) De Giaxa — Citaz. Man. d' Ig. pub. pag. 385 — Milano, 187 ••. (7) V. polemica fra Emmerich e C. Fraenkel — Deut. Med. Woch n. 48 e n. 50, 1892. (8) Guttmann — Deut. Med. Woch n. 47, 1892. (9) De Giovanni — Pensieri intorno al colera indiano — Padova, 1884. Prezzo della Dispensa Fogli 15 I/o a Cent. 25 L. 3.88 1 Tavola doppia litografata » 0.25 Totale L. 4.13 ATTI D K L R. ISTITUTO VENETO SCIENZE, LETTERE ED ARTI (TOMO lO SERIE SETTIMA - TOMO QUARTO DISPENSA QUARTA VENEZIA PIJESSO I,A SEflRETRniA DEI, R. ISTITUTO NM. PALAZZO LOKEKAN TIP. CARLO FERRARI -V. 1892-93 Fubbl. il 2(ì Maiv.o 1893 N D I e E Atto verbale dell'Adunanza ordinaria del giorno 26 feb- braio 1893 pag. 547 Lavori letti per la pubblicazione negli Atti A. De Giovanni, m. e. — Breve Nota sulle epidemie di colera pag. 553 E. Teza, m. e. — La Società Biblica d' Inghilterra, nel- l'anno MDCCCXCIl. Osservazioni » 557 G. OccioNi-BoNAFFONs, s. c. — Un episodio di storia ec- clesiastica concordiese (1767-1774) » •'>75 G. B. De Toni s. c. — Intorno alla Nota di D. Levi-Mo- renos, « Le divet'se ipotesi sul ff-nomeno del « Mar sporco» nell' Ailriatico » >■* 601 E. Padova, so. — Commemorazione di Rnrico Betti . . » 601) A. Aretti. — Sul nuovo micrometro a lamine, applicato all'equatoriale Dembowski » 623 Detto — Formole e tavole, per calcolare la ri fi-azione differenziale nelle osservazioni micrometriche . » 643 A. LoPERFiDo. — Compensazione dellf reti geodetiche a contorno obbligato. Nota » 661 G. Marchesini. — Azione di alogenochetoni su tiouree e sul tiocarbammato ammonico » 677 A. Battelli. — Sullo stato della materia nel punto cri- tico. Nota .seconda » 6i^5 D. Varisco. — Di una nuova ipotesi intorno ai fondamenti del pensiero. Breve Nota » 695 Elenco dei libri e delle ojìei'e periodiche, pervenute al R. Istituto nel mar/.o 1893 » i.vii ANNO 1892-93 DISPENSA IV/ ADUNANZA ORDINARIA IDEL '"•^lORlSrO 26 FEBBRAIO 1893 PRESIDENZA DEL COMM. NOB. EDOARDO DE DETTA P R E S I D E N T E Sono presenti i menibi'i effettivi : Minich, vicepresidente, Fa?»ibri, segretario, Bkrchet, vicesegretario, Pirona, LORENZONI, TrOIS, CANESTRINI, E. BERNARDI, Mons/ J, Bernardi, Favaro, Gloria, Marinelli, De Giovanni, Pkutile, Bellati, Dhodati, Bonatelli, Stefani, Spiga, Tkza, Morsolin, Martini, Tamassia, Veronese; nonché i soci corrispondenti Occioni-Bonaffons, Cassani, De NlCOLIS. Sono giustificati gli assenti membri effettivi : Lampertico, De Leva, Ferrai, Rossi, Keller ; ed i soci corrispon- denti G. B. De Toni e Padova. Letto ed approvato l' Atto verbale della precedente adunanza, il Presidente pronuncia il seguente discorso : « CJnarissiìni Colleghi, » Per fisica indisposizione ho dovuto mancare alla » passata adunanza del 22 gennaio : ciò che molto mi » addolorò per essermi cosi anche mancata 1' occasione di » porgere a Voi, illustri Colleghi, e nell' atto stesso in cui T. IV, S. VII 36 è48 » insediavasi la nuova vostra Presidenza, i più vivi rendi- ■» menti di grazia e la espressione di profonda riconoscenza » per r altissimo ed immeritato onore conferitomi di coprire » questo seggio. » Come mi spiacque del pari di non aver potuto nella ■» stessa occasione dividere con Voi le ben meritate atte- » stazioni di gi'atitudine espresse all' illustre Collega mio » predecessore, per quanto ha operato con vivissimo zelo e » con costante attività a vantaggio dell' Istituto. » Quello che non ho potuto fare in quel giorno, lo » faccio oggidì. » E neir atto che colla più sentita riconoscenza pel » vostro suffragio, ma colla massima titubanza, mi siedo » all' onorifico posto, non posso a meno di dichiararmi » pienamente conscio della scarsezza delle mie forze e di > vivamente pregarvi a non lasciarmi mancare giammai il » vostro appoggio, il vostro consiglio, la vostra benevolenza, » in cui solo confido. » Per parte mia non posso offrire che ogni buon volere » nel disimpegno de' miei doveri. A voi chiedo di volermi » sorreggere, col cortese vostro concorso e cogli illuminati » vostri consigli, per farmi riuscire non indegno del tutto » dell' onore conferitomi. » Stringerò ora la mano al mio carissimo amico ed » egregio predecessore, come la stringo agli ottimi Colleghi » coi quali sono chiamato a disimpegnare le attribuzioni » del posto, ed alla amorevolezza e sapienza dei quali io » so di potermi pienamente affidare. » Comunicato poscia 1' elenco dei libri ed opuscoli per- venuti in dono od acquistati dopo la precedente seduta, riferisce, che il R. Ministero mandò le sue condoglianze per la morte del I.° ufficiale signor Girolamo Acerboni; — che costituitosi in Firenze un comitato per rendere omaggio all'illustre naturalista Adolfo Targioni-Tozzeiti, socio nazionale di questo Corpo scientifico, in occasione del 70.""° 549 anniversario della sua nascita, la Presidenza gli diresse una lettera di felicitazione, alla quale il Targioni rispose con un ringraziamento a stampa ; — che un comitato di Bruxelles inviò all' Istituto una circolare a stampa e rela- tiva scheda di sottoscrizioni per la pubblicazione delle opere e per 1' erezione d' un monumento all' illustre chi- mico Jean-SeroaU Stas, e clie la scheda è deposta nella Segreteria per le Arme di coloro che volessero concorrervi. Dopo ciò il meml)ro effettivo E. Teza presentava UAì-nieno Veneto — compendio storico e documenti delle relazioni degli armeni coi veneziani. Primo ])eriodo, secoli XIII e XIA^ Venezia, S. Lazzaro, 1893 — pronunciando le seguenti jìarole : « Va rammentato, davanti a veneti, e con gratitudine, » un libro uscito qui, alle nostre porte, o anzi dentro in » casa, a San Lazzaro. « Un vecchio e venerato amico mio, diede fuori, prima » in armeno nel Baz^navép, e poi in italiano, un erudito » discorso sulle cose fatte dagli armeni a Venezia e dai y> veneti sulle coste armene, e sulle attinenze, nei commerci » e nella vita, dei due popoli. In questa prima parte, non » si va oltre al trecento : si aspetta 1' altra con desiderio. » Chi sa quanto è il valore nelle ricerche storiche dell'o- » peroso mechitariano, non meraviglierà a vederlo correre, » rapido e sicuro, al segno : a quando a quando, l'anima sua » di poeta si riscalda, e riscalda. Agli errori della stampa » saremo tolleranti : e se l' italiano mostra spesso lo stra- » niero, è bene : nessuno doveva, per racconciarlo, svisarlo. » L' autore non mette il suo nome : riverenti ad un uomo » di alto e vivace ingegno, innamorato dei buoni studi e » della patria, possiamo dire che non e' era il bisogno. » Indi si tennero le seguenti letture : Dal m. e. P. Famhrì. — Freni e soddisfazioni militari. Studi disciplinari e legislativi. Dal m. e. E. Teza. — Lo, società biblica d' Inghilterra nel 1892. 550 Dal s. e. G. Occioni-Bonaffons. — Un episodio di storna ecclesiastica Concordiese {1767-1774). Dal s. e. G. B. De Toni. — Intorno alla Nota dì D. Levi-Morenos « Le diverse ipotesi srd fenomeno del « mar sporco » nelV Adriatico. •» Dal s. e. E. Padova. — Commemorazione di Enrico Betti. Ed in conformità all' ai'ticolo 8.° del Regolamento interno : Dal m. e. A. De Giovanni una Comunicazione del dott. P. Castellino. — Sulle modificazioni rasali durante il pr'ocesso infiammatorio. Dal m. e. P. Spica una Nota del dott. G. Marchesini, intitolata : Azione di alo genoch etoni su tiouree e sul hicarhammato ammonico. Dal m. e. M. Bellati la Nota 11.^ del prof. A. Battelli, che ha per titolo : Sullo stato della materia nel punto critico. Dal m. e. F. Bonatelli una breve Nota del dott. Dino Varisco intitolata : Di ima nuova ipotesi, intorno ai fondamenti del pensiero. Terminate queste letture il m. e. prof. Canestrini parlò della malattia che ora domina nelle anguille delle Valli di Comacchio. « Questi pesci presentano ulceri cutanee di di- » mensioni diverse, circondate da areola bianca, sovente » tanto profonde che interessano tutto il derma. Esami- » nando quelle ulceri, vi si trova un bacillo alle sue » estremità arrotondato e quasi sempre leggermente ri- » curvo a virgola. Tali bacilli, in quantità maggiore o » minore , si trovano pure in altri organi . L' Autore » ritiene che si tratta di una malattia infettiva, intorno » alla quale si riserva di dare in seguito ulteriori rag- » guagli, osserva peraltro fino da ora che l' esperienza ha » dimostrato che questa malattia, la quale è nota da molti » anni, di cui parlarono il Carli, il Renier, il Nardo ed 551 » il IluUo. 111)11 rende |)iiiit(> ii()ci\(' all' iKiiiio le cai'iii delle » anguille. ^> Dopo iiiu'ste letiui-e e comunica/ioni, risiiiiito si i-iiinì ili seduta segreta, nella quale si occupò dei pr(j})ri afìai-i interni })osti all' ordine del gioi'jio. LAVOI|I LETTI PER LA PUBBLICAZIONE NEGLI ATTI BREVE NOTA SULLE EPIDEMIE DI COLERA DEL M. E. A. DE GIOVANNI 2^5— La relazione che nella [ti-ecedeiite adunanza ha fatto a noi r egregio D.'" Ceconi mi ha prodotto una impressione per la quale si ravvivarono in me alcuni pensieri, che da tempo ho concepito intorno agli studi moderni sul Colèra e che mi permetto di esporre in questa occasione. L' osservazione spassionata del D.'" Ceconi sui fatti della epidemia colerica di Amburgo e il fine ci'iterio col quale ha vagliato ogni cosa, lo hanno portato a dire, che quella epidemia si svolse in mezzo a tali circostanze di tempo e di luogo e diede modo di apprezzare tali fenomeni inerenti alla malattia, non che al parassita generalmente ricono- sciuto causa del colèra, da non potere in modo assoluto conchiudere, se la teoria di Koch ah1)ia i)iii })erduto di probal)ilità, O ne abbia di [liù ac([UÌstato la teoria di Pettenkoffer. Ciò, invero si accorda co' miei convincimenti, in ((uaiito che non al)bia juai potuto comprendere, come si possa s[)ie- gare la genesi delle epidemie coleriche, dando la maggiore importanza al baciUo-virgola e a tutto ciò che concerne la sua biologia, non che la sua diffusione nelle acque potaìiili e per le vie le tante volte indicate. (554) [2] Io penso, che una epidemia colerica sia un fatto cosi grande, cosi complesso, che non può essere compreso nella teoria troppo ristretta ed unilaterale, che ci ha proposto Kock e che, data pure la importanza del bacillo, necessi- tano altri momenti, tra cui quelli stati studiati da Petten- koffer , ed altri molti, per comprendere la complessità del fenomeno epidemico. Per meglio ancora apprezzare la questione nella sua interezza, devesi considerare il fatto storico delle epidemie, cioè, il ricorso epidemico a grandi periodi; la immunità provata e riprovata di alcuni luoghi, malgrado le incessanti comunicazioni coi focolaj epidemici ; la necessità della in- vasione di altri, malgrado le maggiori pratiche quarante- narie e di isolamento ; la diuturnità dei rapporti nostri col focolaj 0 endemico del colèra, senza che per ciò venga di conseguenza la necessaria diffusione del germe morboso. A tutto ciò pensando, e' è da maravigliare quando igienisti e medici credono di soddisfare alla profilassi pu- blica e privata, solo inspirandosi alle note proprietà del bacillo-virgola, che non sarebbe più solo a produrre il tri- stissimo morbo, ma pare sia questo prodotto da altre va- rietà di bacilli ed anche dal batterio coli comune. Da queste poche cose si vedrà, che nemmeno io accetto come sufficiente la teoria di Pettenkoffer ; sebbene, a dirla con Proust, molte buone ragioni si abbiano per riconoscerne la importanza. Mi pare che le idee e quindi gli obbjettivi degli studiosi si debbano estendere ed elevarsi cosi da ab- bracciare prima di tutto il fatto storico sovraccennato, per scendere (luiiidi mano mano ai fatti minori che in esso si comprendono, fino al bacillo od ai bacilli ; ma indagando i rapporti naturali che passano tra questi e le circostanze di tempo e di luogo e, direi, cosmo-telluriche, colle quali ne- cessariamente si connettono. Seguendo questi concetti, mi pare possano meglio sod- disfarsi le esigenze della igiene. Imperocché, compresa la necessità di ovviare alle ricorrenti epidemie con mezzi e [-] (-^-) con metodo molto più cdicaci di (jiudli che ora general- mente si consigliano, si farà un opera di preparazione, di vera sanità, modificando i costumi, migliorando mano mano il metodo di vita del consorzio umano, })urificando le case, il snido, le acijne e l'aria; e quando si dia l'allarme della fatale epidemia, potremo con animo più sereno e con mag- giore profitto preoccuparci delle questioni umanitarie, sen- za profondere danaro in pratiche di igiene affatto teo- l'iche, quali furono quelle che si inculcarono ufficialmente e privatamente anche nelle recenti epidemie. — In vero a tutto ciò })ensando, mi sono convinto, essere l' igiene alla sua volta calamitosa, quando non è che 1' emanazione di vedute ipotetiche, come sono convinto che in alcune ((uestioni di fatto è tuttavia convenzionale nelle sue affer- uuizioni. Io vorrei che da questo illustre Consesso — dove non si difendono, né si offendono teorie, ma si raccolgono i fatti e si giudicano secondo la loro importanza, partisse la voce autorevole di richiamo agli studiosi del colèra e delle epi- demie coleriche, perchè, dopo tante sottili analisi, dessero opera a comporre una dottrina nella quale si compendiasse il frutto della più antica come della più recente esperienza, si collegassero i fatti eccezionali con quelli più comuni e costanti, — una dottrina che fosse la vera storia naturale del colèra. LA SOCIETÀ BIBLICA D'INGHILTERRA NELL'ANNO MDCCCXCII. OSSERVAZIONI del m. e. E. T E Z A Chi sa far di conto, vede più e vede meglio : e le cose tramutate in numeri hanno ali da volare alto e lontano, hanno luce che illumina molti segreti della terra. Negli ozi non allegri delle scuole, studiata per ogni verso la parola sacra, e da lei traendo tutte le immagini da ridi- pingere la storia e da interpretare le vicende dei secoli futuri, poterono i vecchi rabbini anche discarnarla, contarne gli ossicini e le giunture, dirci insomma in quante lettere era stato scritto il Libro. Poi la tradizione esce di sina- goga e arriva perfino nel campo dei soldati : ed ecco il maggiore Ashley, {^) in un discorsetto tenuto innanzi ad innamorati divulgatori dei due Testamenti, rifare il conto. (1) E forse si domanderebbe : ma chi le conta ? o chi le torna a contare ? Alla fine del cinquecento, un galantuomo notava che i super- stione inquiì'entex sapevano essere i conventi del mondo cristiano 225,044, e le torri un milione e settecento mila. Chi le contava? (Aulicus poli- tlcus . . . cura et opera Duri de Pascolo. Lipsiae, 1597; che è libro da vedere anche per altre, e pivi sode, ragioni.) Il signor Ashley non dice di dove attinga : a me basti rammentare ai supcrstitiose inquirentes che tra' masoreti si erano annoverati tutti gli alef (42,377) e tutti i beth (38,218) e via via; tanto che la somma per il V. T. faceva 815,280 lettere. Cosi il Schickardus, citato nell'eccellente libro del Simon fi. Simonis introductio iimininnlica critica in Un gita »> hebraicam. Halae Mag. 1753, p. 281). (558) [2] « Fu detto (e sono le parole che gii rubo), fu fletto che per ogni lettera della Bibbia sono nel mondo 250 pagani che non la conoscono : e sommando, sommando, si arriva a 890 milioni di creature, mezzo il genere umano, rimaste al buio. » La voce viene di lontano, da quell' isola di Maurizio, dove vivono ancora scarse memorie di olandesi, più vive di Francia, rinnovate ogni giorno quelle dell' Inghil- terra, nuova padrona. Di que' tanti milioni che riempiono il mondo non vi sono nell' isola di Paolo e Virginia che quattrocentomila uomini, e anzi meno, ma di molti colori, di molti sangui ; accanto a' figliuoli degli europei, sono negri, malagasci, cinesi, malesi, e indiani di terra ferma o di Seilan, e i re de' commercianti di laggiù, i parsi di Bombaja. (Rep. p. 168). A fare cosi che scemi il numero dei 250 pagani per ogni lettera si adoperano, animose, ricche e pie, le molte società piantate per volgarizzare sempre più, e più diffon- dere la Bibbia. Tra le quali primeggia la inglese di Lon- dra ; una solenne matrona che ha molte figliuole e molte domestiche ; una maestra e padrona dotta e possente che ^ avrà presto cent'anni (i) e ne festeggerà il giorno lieta di una lunga, diffìcile e ben compensata fatica. A ogni anno scrive una pagina della sua vita : e se le lodi e i giudizi che se ne fanno via via restano sotto la penna gli stessi, colpa è della Società che dura sempre a fare il bene ad un modo. Il Rapporto che ho avanti agli occhi è 1' ottantesimo ottavo, quello del 92 (2) : e subito alla prima pagina, con l'abbaco alla mano, ci mostra la meraviglia delle meraviglie. (1) Tra le più vecchie sorelle vanno contate : la società di Basilea nata nello stesso anno dell' inglese, nel 1 804 ; la prussiana di Berlino, che è del cinque ; del nove la svedese, e nel dodici vedremo sorgerne quattro : la finlandese di Obo, la russa di Pietroburgo, la virtember- ghese e la zurighese. — Per le altre che seguono, fino alla francese del 1864, si vegga il Report, p. 445. (2) The eigMiy-eighth Report of the, British and Foreign Bible Society ; M.DCCCXCII. With appendices. London, Bible house, 1892, [3] (559) Lo società delle versioni fatto non si contonta mai e al ritradurre infervora i dotti, elio il ponsioro dei vecchi sia dipinto con vari colori, ma sem{)re più vivo e genuino, secondo il parlare degli uomini : ossa ha l'occhio alle grandi nazioni, ricche di civiltà e di lettere, come alle piccine, nude il corpo e il cervello : quando a meglio non riesce, si contenta che delle Scritture esca un saggio ; cosi che, a contare con cifre quello che si fece, bisogna tenersi alla triplice divisione che usa laggiù di Bibbie, di Testamenti, di Particelle ; e queste vogliono dire uno o più vangeli, uno de' profeti, una lettera di apostoli, o il libro dei Salmi. Ora badino i curiosi : contando per uno (juale ei sia il vo- lume, 0 grosso, 0 mezzano, o smilzo, dal 1804, anno del suo nascere, la Società diede al mondo trecento versioni l'una differente dall' altra, in trecento parlate, senza badare al molto ritradurre per una sola nazione (i). E tornino a ba- dare, a spalancare gli occhi, i curiosi : di quelle unità di esemplari ne uscirono al mondo L31 milioni, e 844,796. Una montagna di carta e una montagna d' oro : sepoltavi dentro, ma risorgente, la fatica di centinaia di arditi, di forti, di sapienti ; un monumento d' onore per molte gene- razioni di ricchi e di devoti, pieni di zelo che non stinga mai questo colore che vuole nel nostro secolo serbare a sé stessa la civiltà degli inglesi. Il Rapporto non solo racconta dei tessuti, ma viene descrivendo 1' opera dei telai e che ripieno si cacci dentro al vecchio ordito. A casa e fuori, i missionari frugano e Presidonto ò il conte di Harrowby, segretari i reverendi Gio. Sharp e (ìugl. Major Paull, soprantendente alle traduzioni e alle stampe il rev. DJ Gugl. Wright, e alla sezione letteraria il rev. Giorgio Wilson. Agente per Y Italia ò il rev. Augusto Meille, che ha sede a Firenze. (1) P. OS. in italiano c'è il Diodati, come il ^Martini ; in francese il Martin, 1' Ostervald, il De Sacy ; e, se andiamo pivi lontani, troveremo sci versioni persiane, piìi di tre indostaniche e cosi via via. Dicevo parlate ; e così mi tolgo al pericolo di mescolare lingue e dialetti, e il farne la partizione vera abbandono a chi sa di piii. (560) [4] rifrugano nei libri, se ce ne sono, e pesano della voce viva ogni sillaba, perchè non si turbino, nell' interpretare, gli umili e i superbi intelletti. Anche noi, servitori dei semiti da un pezzo, benché aiutati da' greci a sviscerarne il pen- siero, troviamo intoppi : dopo secoli di lavoro incessante, quello che della Bibbia si intendeva, o pareva di intendere, adesso non si capisce più : i critici, impetuosi insieme e timidi, rischiarano od abbuiano ; ma quel lume nuovo non è luccicante belletto da traviare gli inesperti, né si get- tano fìtte ombre per vincere, battagliando a parole, un nemico. Chi volesse una prova della dotta ignoranza del nostro secolo, prenda in mano l' ultima delle traduzioni che si fanno in Germania dell' Antica legge : vegga un libro attorno al quale s' uniscono tanti dotti, non ismaniosi di mutarsi in dittatori delle chiese, ma che vanno cesellando la parola ebrea perché somigli alla parola tedesca ; per cinquant' anni almeno, e non oserebbe nessuno sperare di più, questo ritratto basterà, e a fare o meglio o in altro modo penseranno le generazioni del novecento. In questo libro del Kautzsch e de' suoi compagni (Die heilige Schrifl des Alien Testamentes. Freiburg i. B. 1892 ; opera che é già presso alla fine) qua e là si incontrano, non più sen- tenze intere, ma misteriosi puntolini : e quei puntolini vo- gliono significare, che alla erudizione schizzinosa degli ebraisti non riesce più di veder chiaro. Se non si può scolpire in marmo che duri, basterà un abbozzo in creta che r aria e l' acqua guastino, che ogni dito scomponga, che da sé screpoli e si sfasci ? Codesto avviene nell' Europa ebreo-ariana ; che farà il nicobarese, il manipuriano, il calmucco per riconquistarsi, pensando davvero, tutto quel mondo di idee e di immagini? Un giapponese, benché straniero, arriva presto a far sua ogni dottrina di Confucio ; il tibetano o il singalese, a rivestire di abiti nuovi i consigli del Buddha; ma di Mosé? di Geremia ? di Paolo o di Giovanni ? Ecco perché debbono farsene interpreti, prima dei nazionali, i missionari : e i [5] (561) nazionali si ribellano, non i)ei' superbia di avversari, ma pei'cliè non addestrati ad intendere : nuove scuole di mis- sionari riaccostano alia paidata viva (|uel ^erf^'o di fore- stieri, e cresce o scema via \ia la fortuna alle varie ver- sioni. A tutte le difficoltà s' aggiunj^e codesto; non essere da sperare che 1' ardimentoso che si cacciò con un vangelo in mano sulle sponde del Mackenzie fra i Tinnè, o a Se- lebes fra i Sanguiri, sia ancora grecista consumato, esperto ebraizzante : (') e colleglli, per questa parte più fortunati, male sapendo venirgli in aiuto, ne seguita che 1' inglese diventa il vero targum, che a quello, ed alle teologie che vi hanno fondamento e scusa, si conforma il vangelo tin- neano, o il sanguirese. Chi aspettasse insomma, non già la perfezione, ma un accostarvisi, passerebbe qualche se- colo : e gli inglesi amano di andare veloci, diritti al segno : chi fa, falla, chi rifa, mégliora. Beata nazione che pensa, di sotto al denso tendone delle nuvole, e non vi si sperde ! Il Rapporto è un conto di maggiordomo, per la fami- glia : essa vi trova in uno specchio limpido, da galantuo- mini, quanto la sua gente abbia seminato e raccolto, vede il frutto, sa dove correggere o lo stromento o 1' operaio, (1) Alle volte, per ragioni che non saprei mostrare cliiarainente. si lascia il primo fonte anche se i traduttori non vivono, inselvatichiti, tra popoli incolti. Prendo il primo esempio che mi cade alle mani. Benché la venerata traduzione husiana dei boemi dovesse, o potesse, essere buona guida, il N. T. in slovacco, che potremo dire il boemo orientale, fu tradotto sul latino della Volgata, con 1' approvazione del- l'arcivescovo di Gran (archiepiscopus strigotnensisj, fino dal 30. Ne ho sotto gli occhi l'edizione viennese del 1884 (Svatè plsmo noicèho zàkona jiodln obecnéiio Intimhèìio) ; vero è che s'aggiunge che la versione fu riveduta confrontandola all' originale (s prirou-ndn'hn g'runioicnèho ti'hstuj. Un minuto esame ci porterebbe troppo in là, e non è di questo luogo. Ala, come per i slovacchi, (o sloveni, per chiamarli col nome nazionale, senza confonderli con i sloveni del mezzodì) fu fatto anche per altre nazioni. (562) [6] si inanima all' avvenire. Ma, uscito di casa sua, il Rap- porto giova a due ordini di lettori : e metto da prima gli stu- diosi delle lingue e delle letterature del mondo. Non avessimo che questi nuovi tesori che ci apre la società britannica, quale fortuna per chi sta inseguendo nei suoi nascondigli il pensiero dell' uomo ! Uno di quei vangeli, fattone ancora frantumi di parole di sillabe di lettere, non basta a ricostituirci 1' edificio intero ? Non è la buona novella, da un altro mondo di creature ? Dentro a quelle profezie, a quelle canzoni, a quei racconti non è tutto quello che il grammatista scompone e ricompone ? Ma e' è di pili : il missionario non arriva di salto a com- piere la sua impresa : per esser degno di una lingua di fuoco e' si travaglia, a lungo e forte : cosi che, daccanto alla versione, egli si trova pronto anche il lessico, e, come uomo che siede più vicino alla fonte, della nuova parlata si fa a tutti il maestro. Il Libro insomma è fecondo, e pa- dre di libri : e quando si comincia, la tradizione dei dotti che insegnano, e di quelli che imparano, non s'arresta più. Prendendo a scusa il Rapporto si farebbe, per questa parte, la storia della civiltà ; la vecchia, che non ci accorgiamo quando imbarberisca, quell' altra, che, spicciandoci con su- perbia, usiamo dire la selvaggità ; e pur troppo si potrebbe dire spesso, con la storia alla mano, anche il selvaggiume. Per ora basti un cenno. In quest' anno solo, delle parlate che non avevano an- cora parte alcuna delle Scritture ce ne troviamo nove : e mi piace di annoverarle. Dicevo nove, tenendomi (i) alle parole del Rapporto (pag. 2), ma poi si vede che sono di più (pag. 440) e sa- rebbero : (1) Diremo meglio che sono lingue nelle quali, a servizio della società, non fu mai tradotta la S. S. — Infatti sappiamo bene ohe la vecchia società biblica dei Russi aveva già dato il vangelo di Matteo in morduino dei mocsi (nel 1879, a Casan). Traduttore fu A. J. Tjumenev. [7] (5fi3) 1. mordui'iìo, in dialolto moc^cio : il vaiifiGlo di S. Gio- vanni (i;. p. l"i? e pei' r alti-n dialetto, cioè Verso, si vcj^i^a a pag. 115). 2. c/iirghìso snll' Aitai: S. Matteo (R. 412 e cfi-. B. Society Moti [ hi u Reporter 1892, 70). 3. taiciove, un dialetto della Cina: Salmi (li. 42() : segue la versione fatta nella lingua vAminne {= kiian-Jioa'), che volgarmente si chiama dei numdarini). 4. chiaparo, nella Nuova Guinea : S. Marco (R. 420). 5. ocambico, nell' Affrica occidentale di mezzodì {B. S. mon. Rep. 92, 76) : S. Matteo (R. 423. Lo dobbiamo alla società biblica di Finlandia). 6. francese dei Negi-i, come lo parlano a Dominica : S. Marco (R. 414 : e sarà in buone mani, fuori di sacrestia, quando arrivi in quelle di Ugo Schuchardt). Continuo la mia lista, e più allegramente, perchè ho sotto gli occhi i nuovi volumi che io debbo alla cortesia generosa della Società e del rev. D.'" Guglielmo Wright. 7. SORAE DUCT'DUCU NON IeSU KrISTO MaRIK MO CACARI A. Trmis. of the gospel accorci, io St. Mark into the language of Malo, New Hebrides, from the greek. Sydney, 1892. (La parlata somiglia al tonghese : e corre nell' isola di S. Bartolomeo : traduttore è il rev. G. D. Landels. Rep. p. 422). Lo ristampò con molte correzioni, trascrivendo dalle lettere cirilliane nelle latine, il Budenz (Moksa-mordvin Mate Evangélioma. Nei Nyelv- tudomdnyi Kózlemèmjek, Budapest, 1881, voi, XVI, 325-408). Il dotto tedesco, diventato magiaro, con tanto profitto della gloriosa nazione che lo aveva ospitato, illustrò con parecchie giunte la versione. Nel Report più specialmente è detto che le traduzioni fatte sono le prime, per i numeri 5, 8, II, 13 (e, certo per errore, anche per il n.° 1). Mi avverte poi gentilmente il rev. Meille che i vangeli per i mor- duini e per l' isola Dominica, si stanno compiendo e non sono ancora venuti alla luce. II Rapporto, agli impazienti, faceva sperare di più. T. IV, S. VII 37 (564) [8] 8. Nalologena wo se Yesu Kristo kome Mataio. The gospel accord. to Matthew in the language of Ta- siko, Epi, Neio Hehrides. London, 1892. (Traci, il Rev. 0. Michelsen ; si usa il tasichese in un angolo dell' isola di Epi, a sudest. Rep. 426. — Anche nella parlata di Epi si stamperanno i vangeli di S. Marco e di S. Matteo. Rep. p. 415. — Cfr. pure il B. S. m. Rep. 1892, 202. 9. Injili ya Mtakatifu Luka. Imeletva kioa utungo iva M-swahilL London, 1892 (e nella volta del fronte- spizio : 5"^. Luke in Swahili, as spoken in Mombasa. Tentative edition). (Trad. il Rev. G. E. Taylor. Rep. 425). 10. Ut(?oRo-WA-T^o AVA Mwèri Luka. Udzagaluzwa Ki- giriama. London, 1892 : nella volta : i^t. Luke in Giryama : (e questo dialetto e il mombasiano, che s' assomigliano assai, {Rep. 416) si parlano nell'Africa dell' equatore, ad oriente, sopra Sansibar {}). Ci sono anche volumi che raccolgono in uno le due traduzioni ; per mostrarne le affinità, trascrivo le prime parole del Pater (XI, 2). MoMB. Babà, jina lako na litakate, ufaume loako na uje, na yaive ma- penzi yako , kama ya- livyo mbinguni na juu ya ntH yawe viyo. Ger. Babà, dzina-ro ni ritsuke, ushaha-o ni ud- ze, uhendzago uwe hey^e zho gahdJazho mulun- guni ni gak-àle na haha dzulu ya tsH. (1) Sduahil, in arabo i costieri ; onde il nome della gente é Ua- suahèli e Ki-suahèli. La lingua dell' isola di Sansibar (= Ungùja) va diventando lingua di commercio, lungo le coste africane di levante, ma è imbastardita. (Cfr. Seidel's Prakt. Gram. der Suaheli-Sprache. Wien, Hartleben, pag. 1). La lingua più pura è parlata tra Lamu e Mombas (p. 4). [9] (565) 11. Mbonyi MAiiA Kwo Msu Mattayo. TIhì gospel of St. MalUieio in lite language of Chaga, [o Chagga] Kiliniomjm'o, [o Kilima-Njaro'} Mochì dialecl. — Tenia live edition. London, 1892. Il Trad. è il Rev. A. R. Steji-g-all. (Nell'Africa orientale. Rep. 413). 12. wSagalla, Ilago lyaloli kwa Marko, London 1892: nella volta, Sagalla Si. Mark. (Il Trad. è il Rev. J. A. Wray : è lingua parlata a Taita, nell'Africa orien- tale dell' equatore, a 120 miglia, a ponente, da Mom- basa ; e ve ne sono due dialetti, (|uesto dei Sagalla e quello dei Teta. B. S. monlhly. Rep. 1892, 77, 132 e cfr. Rep. 425). 13. The gospel accord. to St. John in the language of Ta- vela, castern equatorial Africa. Sumu yedi yakwe Yohana. London, 1892. (Il trad. è il Rev. A. R. Steg-g-all). Nel raccogliere le vele, (*) voglio fare una osservazione ; che, secondo un autorevole giudice, Guglielmo Wright, nes- suna versione costò tanta fatica alla società come quella del N. T. in ebraico. Molti tentarono o fecero ; ma sopra gli altri sali Francesco Delitzsch ; il quale cominciò nel 77 e, aiutato dai 7noUi amici ebrei, ritornò più volte, con ala- crità, con amore, a ripulire il suo libro ; e al letto di morte ne aveva nelle mani le ultime bozze. Se ne fecero undici edizioni, un 50,000 esemplari. L' uomo dotto voleva, in (1) Nel catalogo che abbiamo in fine del Report (p. 429) si aggiun- gono dunque in questo anno i seguenti numeri. Ripetendo i titoli, serbo la grafia etnica che è in uso neir Inghilterra e nei libri della Società. N. 71, Moksha mordwin : 76, Aitai kirghiz turki : 167, Taichow : 199, Keapara: 273, Oioamho : 304, Doniinica., french patois : 217, Malo: 218, Tasiko : 2il, Mombasa Swahili: 242, Giri/ama: 243, Chagga, raochi dialect : 244, Sagalla : 249, Taveta. L' anno scorso e' erano 292 parlate (parevano 293, essendovi con- tato per errore, corretto poi, il n. 20), ora sono 293. (566) [10] f) 07716 della chiesa cristiana, pagare agli ebrei il debito che abbiamo loro per averci conservata la Bibbia. (B. S. mon- thly Rep. 1892, 44). Sui lavori che si stanno facendo e' è un capitolo che ogni anno diventa più ricco : serba anche il nome dei vol- garizzatori e dei racconciatori, che poi nelle Bibbie quasi sempre scompare. Giustizia vorrebbe che non scomparisse mai : che una paginetta, all'uscire di ogni volume, scrivesse, a durevole monumento, chi fu il primo, chi il secondo, chi l'ultimo a fare di ogni gente il libro degli ebrei e dei cri- stiani. Anche qui la melanconia della vita trova il suo posto. A quando a quando la morte rapisce, a mezzo il lavoro, l'operaio ; trasportato dallo zelo di lui e dei suoi dove la natura non lo aveva posto. A queste coraggiose e pietose fatiche dei missionari di ogni chiesa, di ogni fede, dobbiamo inchinarci con riverenza ! Prendiamo intanto, a saggio del Rapporto, un luogo, due luoghi. L'uomo dotto che soprantende alle stampe, o da lunga mano si vengano preparando, o sieno pronte a vedere la luce, andò nella Cina nel 1890: e a Singapore, ove si uni- scono tanti commerci e tante genti, si accordò col vescovo Hose, dal quale ebbe promessa che le scritture malesi sa- rebbero rivedute. Si comincia dal Nuovo Testamento, e insieme al vescovo dirigono questa impresa tre colleghi : uomini dotti, cosi di greco come di malese, metteranno mano ad una versione, che tutti la intendano, non senza eleganza, ma in quella lingua che usano le persone più colte. Di- venterà in somma un volume che aiuti gli studiosi, anche tra noi : che il vecchio fondo oceanino si vegga traverso a limpide acque : torbe erano, e sono, quelle dei maomettani, e quelle dei cristiani, e fra tutti, degli olandesi. Prendiamo il pengiabese. I revisori tengono una adu- nanza a Ludhiana, e in quattro giorni ritoccano dieci capi di Matteo : altri otto, sedendo a Bahrwall per cinque di, ne racconciarono più tardi : e infine per un mese intero a Dharmsala (nome di lieto augurio) s'adoperarono attorno al [11] (567) resto o ne uscirono compiuti Matteo e Marco. Intanto, per saj^'^'io, si stampa la \(M'sione : e si fa coi-rere da mano a mano, dove è chi possa e voglia con acute critiche mo- strare dove 0 quanto si possa far meglio. Vedete pazienza e sapienza ! Quante cure perchè ad una famiglia di indiani, presso al sacro Indo, non si gettino germi di una lettera- tura che gli avveleni ! K hen sappiamo come i missionari a Ludhiana per illuminare (|uegli intelletti spendano tem})0 e faticlie ! e delle huone ricerche sul pengiahese si profìtta, tra gli arianisti, da un pezzo. Un'altra })ennellata del (luadi-o. Si legga quello che a Luganda, nell'Africa dell'equa- tore, compirono i missionari dall'ST. Dell' Ashe e del Mackay, un primo tentativo di pochi capitoli : })0Ì tutto Matteo, che esce alla luce, corrette le ultime bozze dal Pearson (1888). Due anni dopo lo rivede l'Ashe e traduce Giovanni : men- tre il Gordon dà mano agli altri due vangelisti : nel 91 è ristampato Giovanni, e dei quattro vangeli e degli Atti escono 4000 esemplari per ciascuno. Anche il Pinkerton v'ebbe {ìarte : e vennero a soccorso due dotti di puro san- gue lugandese, Enrico AVright Duta e Sembera Mackay. (i) Così si intrecciano ai nomi dei convertiti quelli, dirò così, dei padrini. (-) (1) Ho sotto gli occhi, dono carissimo del signor Meille, il vangelo di Matteo (Anjiri eya mukamavmfe no mulokozi icnfe Isa M((si)/a ngn bxreyairnndihibxra Matayo. London, 1892: St, Matthexc in Luganda). Il Pater ((i, 9) suona cosi : Kitafe ali mu yulu, Erinyalyo litukuzibxce. Obvahabakabico buje. Ebyoyagala nga bicebikolebica mu gulii, biho- lebn-e bxcebityo kunsi. Otuice lero emere yafe eya levo. Otusonyiice amabanja gafe, nga f'e bxoetwabasonyiva abatirewolako. Totuhrala mu lnikemebxca, naye otulokole eri omxbi. (2) Da poco ò morto un negro celebre cosi nelle missioni come por i servigi fatti da lui a chi studia le lingue dell' Africa, e in primo posto quella degli Jorubi : è Samuele Crowther, nato povero, rapito dagli arabi che lo vendettero in America, cresciuto alla scienza, alla religione, all'amore dei suoi, fatto vescovo e rimasto sempre umile: che (568) [12] Il Rapporto, raccontando via via quello che avviene tra i nuovi 0 mal raffermati cristiani nelle varie provincie del mondo, discorre anche delle attinenze che corrono tra una gente e l'altra, secondo la parlata che hanno più nell'uso. Notizie preziose. Può giovare agli studiosi di lingue finni- che il sapere che dei due fratelli estoniani, il dorpatese e il revaliano, questo, che ha maggiore forza e vita di lettera- tura, vince l'altro ; cosi che 3000 esemplari del Testamento dorpatese ammuffiscono nei depositi. Naturalmente né tutto si vende, né tutto si dona, né tutto profitta ; senza tener conto delle disgrazie, e più che altro di mare, che ingoia alle volte quello che non fu allestito per lui. Altri due ne- mici hanno queste librerie nomadi per la terra ; la incuria di chi non ha il santo rispetto dei libri, e il soverchio ar- non è la virtù dei negri rinciviliti, come dice Y amico mio Cust che ne discorre nel Bible Society nionthy reporter dell'anno passato (p. 40). Utile è questo Reporter, ove sono annali delle missioni: e quanto al lavoro crescente intorno alle Bibbie, si ha qui subito, di mese in mese, quello che poi troveremo nei Rapporti della Società. Nel volume del 92 si veggano, tra le altre, gli appunti sulle versioni magiare fatti dal Duka (p. 194) e quelli sulla siriaca più antica (p. 141, 161, 177, 199). Libri e giornali di missionari, o raccontino od esortino, hanno colore che, agli occhi di chi legge, non rimuta troppo nel passare da paese a pae- se, da chiesa a chiesa. Ma il Reporter non è bacchettone e chi vive in altro mondo può gettarvi 1' occhio con piacere ; come piace di certo che un teologo dei Battisti, un americano, il dott. Guglielmo C. Wilkinson, discorrendo della molta libertà che il Morley si riserba nel dissentire da tutti i catechismi, benché adesso più rimessamente, conchiudo : « profondamente deploro gli errori di ateismo che sono nel M., e il troppo zelo che mostrò spesso per favorirlo, ma ho tanta stima del valore morale e politico dell'uomo, che se io fossi inglese, con tutto il mio cuore desidererei che facesse parte, come fa, del ])arlamento e del governo . . . Di raro ho incontrato uomo più attraente di lui, più cavalleresco, piii di- ritto, più virile. » La teologia, nei gentiluomini, non guarita né il cervello nò il cuore. Trovo le parole del Wilkinson, e le trovo per caso, nel British Weehly (di M. Dods), \0}^ nov. 1S02. p. 40: e fu primo a stamparle l' Independent di New York. [13] (569) doi'o di chi fiuta, nej^li scritti degli alti-i, la eresia ed il peccato. Cosi ci accostiamo a (|uello che meglio profìtta agli uomini per i quali il Rapporto è messo assieme, ai cristiani fedeli. Non daremo retta a tutti i giudizi dei distributori della l>ib})ia, che non è ministero da affidare a storici so- lenni o ad acuti filosofi ; ma sono occhi che veggono e orecchi che sentono, e possiamo chiamarli a sindacato. Ora c'è in loro speranza troppo vivace, ora s'avviliscono mi- seramente: ora accolti con festosa amorevolezza da' fratelli, ora con sospetto di timidi, con ischerno di spensierati, con minacce che non parranno irragionevoli in chi pensa di an- dare, e di condurre, per un'altra via nel paradiso. Nella Francia di mezzo il distributore (p. 16) si duole a vedere che le femmine, rispettose alla religione pochi anni indietro, mostrano scetticismo: e, cacciata via la vecchia fede, e incuriose della nuova, vanno imitando i maschi. (*) In Boemia (p. 46) cresce il numero de' compratori, benché non cessi la o])posizione dei cattolici. Cresce anche in Italia (2); (1) È noto come l'abate Garnier, prete cattolico di Normandia, si adoperi a spargere il vangelo tra i francesi, e a trovargli attenti lettori. Egli stampò la versione del p. de Carrières, che conta due secoli, ap- provata dal vescovo di Bayeux. Ma su questo libro, vecchio e rinno- vato, e su questo risvegliarsi alle Scritture fra cattolici, bisogna rac- cogliere documenti e farne più lunga discussione. Per adesso rimando a due Reports della società londinese, del 1891 (p. 7) e del 1892 (p. (5). (2) Mettiamo a confronto le vendite fatto in Italia, negli ultimi due anni : (1800) (1891) Bibbia 6,570 7,516 Nuovo Testamento 15,194 16,842 Particelle. . . . 132,006 142,557 153,770 166,915 Tutto cresce: ma, in proporzione, fu maggiore la vendita dei libri pili grossi, di (juelli che costano di piii. Il lettore, come apparisco chiaro, s' invoglia. (570) [14] ma sopra tutto tra yii operai, usciti di casa nostra, a gua- dagnarsi un faticato e invidiato pane tra gli svizzeri o tra i tedeschi ; e spesso un villaggio di Calabria o un casale alpino ricevette la parola divina da chi ritor;ia dall'Ame- rica australe o dalle rive del Mar Rosso (p. 61). Alle altre nazioni pensino gli altri : quanto a noi, se un libro, scritto con pura e vigorosa lingua, addestrasse a pensare in modo più vivo ed acuto che non facciano i giornalucci di popolo, non sarebbe guadagno grande? Né mi stancherei mai di lamentarmi, che l'opera di unità che non poteva essere fatta dalla Commedia, non si compisse dalla Bibbia, nell'avvilirsi e neir insanguinarsi delle nostre provincie (non oso dire, dell' Italia), nel cinquecento. Facciamo un salto, un lungo salto. In lingua niuvese, 0 di Niué (1) s'aveva già il Pentateuco, il N. T., i Salmi ; ma il Rev. F. E. Lawes che tornò dal suo fruttuoso viaggio, dove aveva seguitato il fratello, ha già compiuto quasi tutto il lavoro per tutti i libri. Sentiamo intanto che cosa scri- vesse alla Casa nel settembre I89I, da quell'isola: « In nome dei Niuvesi domandiamo alla Società che a' suoi fa- vori aggiunga anche questo di continuare nella stampa dei libri sacri. » Da isole, e da terre di Civili, non usano ve- Lodati sono nel Rapporto (p. 59) i distributori « umili ma attivi operai»; e infatti di que' 170,000 un 106,000 esemplari si vendettero in Italia per le loro cure. (1) Quando Cook scopriva l' isola nel 1774, e al vedere quei feroci, benché uso a gente di sangue, la chiamò la Sauvage, non pensava certo che i missionari avessero ad ammollire in tal modo gli animi dei cittadini. Sono poco più di cinque mila, quieti, laboriosi, e, quello che è piti raro, non avvelenati né dal tabacco ne dagli spiriti. Nessuno confonderà Niué con quel gruppo d' isole, non lontano, che si chiama Niulia (e anche Niua) o con 1' isola Nui. Nella carta dell' Australasia che accompagna il Rapporto, Niué non poteva aver luogo, perché giace piii ad oriente. Codeste bibbie, con le ali d' oro, volano anche al di là delle carte. |ir>] (571) iiire tanti (H-cilaincnli a iioiiic di un [.di.oIo (p. 21)5, ^■^:\) (li lettori. (») Alla fine ci voi-i-à innanzi, testimonio ed attore, un l)e^- nictrio che distribuisce le Hihhie a Costantinopoli e nei din- torni. Tornato dalle i-ej^ioni di oc(;idente e dalle sponde asiatiche del iioslbro, e^li mise il piede in borgate dove altri (hd suo otllcio non c'era stato mai. In qtiesto villaggio o in (|uell<), ha spesso a far prova di prudenza e coraggio : i piccoli magistrati gli danno noia : non c'è sui libri, che \ orrebbe vendere, né croce né suggello del Patriarca : si può fidarsene ? Portino dalle chiese le Scritture e facciamo il paragone : il prete cede, cedono i fedeli, si studia, si con- tVonta e 1" omino dalle bibbie scrociate la vince. Un dot- tore, venuto dalla capitale coi suoi bravi testi in mano, è suo scudo : l'ostiere del Man gli fa sicurtà ; ma poi gli animi rincrudiscono e il galantuomo è costretto a lasciare il villaggio. Altrove Demetrio sale in pulpito, non già nella chiesa, ma nei caffè: e nei caffè legge ora un luogo ora r altro dei suoi libri. Un giorno ha alle mani il capo XV di Luca, e il nono di Giovanni : e tutti, maomettani il più, pendono da (jnelle labbra, curiosi ed intenti. Al suo reci- tare il XXII° della Rivelazione, il prete greco, statogli ne- mico, vuole gli mostri se le parole sieno davvero nel testo di chiesa ; e (|uando se ne persuade, si tramuta in amico vivo, e dà ospitalità al })redicatore collega. Nella chieresia ortodossa codesti saggi di inesperienza (per battezzarli cosi, con voce gai^bata) non sono infrequenti : e 1' amore che è vivo per i novellatori aj)re la strada a chi si converta, o (1) Avviene spesso quello che non s'aspetta. Nella Cnia i Salmi non trovano gli ammiratori che tanto abbondano nel mondo dei cristiani. 0 perchè ì Tra gli altri e' è l'inno che incomincia : // Signore è il mio jxxstore, nulla mi mnncherh (il s. XXIII) e quello del guardare le pe- core e gli armenti non è laggiii mestiere onorato : senza contare che agli occhi dei buddiani della Cina, lo scannare le bestie e un vero peccato. {The B. S. m. recorder, 1893, 30), (572) [16] tenti, 0 mostri ; benché gli islamiti sieno ancorati forte, e non si lascino scuotere. Al di sopra di questi cavalieri erranti della fede ci sono in ogni provincia biblica, come possiamo dire, uomini dotti e sagaci e zelanti che l'opera di molti raccolgono in uno e che, scrivendo ai direttori, palesano giudizi, che ogni anno o si rafforzano o si scolorano, sulla vita morale delle nazioni. Chi in un secolo vi guardi bene addentro, e pesi i documenti e le voci degli interpreti, si dipingerà le on- date di questa nostra travagliata società dell'ottocento. Non è uguale 1' opera dei diffusori fra cristiani delle altre chiese o fra cattolici, ortodossi, gregoriani : là, chia- mati e benedetti, qui combattuti o respinti o con freddezza tollerati. Gli ebrei sono nemici, come a disobbedienti fi- gliuoli : gli islamiti sanno che il profeta dai libri, cosi israe- litici come cristiani, prese già il meglio. I fedeli a grandi e possenti e vecchie religioni di brammanesimo, di buddia- nesimo, e cosi i zaratustriani e i confuciani, hanno da troppi secoli rivolta la mente e i desideri per altre vie di civile e di morale sapienza. Restano i piccini : « Lasciate che i bimbi s'accostino a me ». Il mondo è bello, ma più bella, dentro al mondo, è la casa nostra. E bene o male questo eccitamento a ripensare sulle istorie prime e sui primi germi, onde nasce la dom- matica ? Chiamarne a giudici i laici ? E saremmo noi laici anche i giudici di queste opportunità ? Direi bensì con ischiettezza che non del)ba la liliertà vera spaventare nes- suno : non amo che allettamenti, i quali non si rivolga- no all' intelletto, abbiano a turljare la vita dei nostri ; ma godo che quello abbia pascolo di sano cil)o. Che cosa nei segreti dell'avvenire si nasconda nessuno vede, né come il sentimento nazionale riformi con lentezza la religione di ogni gente. Solo perchè viene di fuori, l'opera della Società pare a me meno proficua : utile, perchè })iiò, e diovi*ebbe, eccitarne un'altra, tutta nostra, italiana. 11 secolo di vita vissuto da questa grande istituzione è [17] (57;^) secolo (li gloria : e si sonie dolore acuto alle parole che ne aprono la biograiia. Da (juattro anni, scemarono i |)i'n- venti, 0 diciamo meglio crebbero le spese : le ragioni sono pareccliie e non da gettare sulla coscienza degli inglesi : perchè inglesi e gallesi, aggiungo con giusto oi-goglio il Rapporto, non mancarono al dovere (*). Bensì è naturale che anche il bene alletti a farne troppo : e, in mezzo a tanti esempi di lusso corrompitore, è bello questo sfoggio dei buoni e dei pii, che non vorrebbero lasciare angolo del mondo dove non entri una mano soccorritrice, una voce maestra, un libro che resti per sempre. L' Inghilterra, dove })uò la volontà, vince tutte le sue battaglie: e questa civile impresa non avrà negli anni nuovi che a rifiorire più ga- gliarda, tramutate le meste voci in inno di festa. (1) Chi guardi il numero dei donatori e i denari che offrono s'accorge subito che la Società è piantata in mezzo a gente ricca, generosa e pia. E dentro alla corrente si gettano anche rigagnoli di carità che mostrano ad un tempo la disparità che corre dagli inglesi a noi : si inventano nobili artifìci che non si troverebbero in Italia; e la bellezza dell'opera ha una tintura di strano. Una aignora fa da cucitrice : da 2^(^drone eleganti, o piene di faccende, si fa commettere e gli orli e i pizzi e le maglie e i ricami, e quello che ne ricava dà a una società di missionari ; un'amica siia ci racconta che ella mette assieme in un anno oltre a dieci sterline (The Bible Society monthly reporter, 1893, p. 9). C'è poi un capo ameno che, ogni domenica, alla sua tavola, tira fuori una cassetta, e quelli di famiglia, e gli invitati a mangiare sono invitati anche a gettarvi qualcosa per la società della Bibbia ; e quando presta un libro ad un amico, gli domanda tre soldi (id., p. 32). — Codesto servirebbe, in qualche parte del mondo, non già ad ingrassare i missionari, ma a lasciare in pace i palchetti delle biblioteche, che i loro abitatori non si sbandassero un po' troppo. Un altro galantuomo (B. S. m. R., 1892, 188) fa questa proposta, che non è certo copiata. Darà 59 sterline se, fra nove mesi, altri (pia- rantanove facciano lo .stesso regalo: ne darà 100, se trovi venticjuattro compagni : e in fine 500, un buon gruzzolo, se codesti ricchi oblatori sieno nove. Staremo a sentire ; perchè l'invito è fresco e non ha che la data dell'ottolìre 92. UN EPISODIO DI STORIA ECCLESIASTICA CONCORDIESE (1767-1774) DEL GIUSEPPE OCCIONI-BONAFFONS Nella storia della chiesa sono piene d' insegnamento le varie fasi a cui andò soggetta la disciplina, in tutte le questioni che ne costituiscono 1' essenza e in quelle che vi si connettono. A volte, come nelle prime età, la disciplina ecclesiastica si palesa una rigorosa estrinsecazione della morale più pura ; a volte, smarrito questo nobile obbiet- tivo, discende molto basso e si nasconde dietro le rigide esigenze della gerarchia e della etichetta. Mantenuta, ab- bellita dalla fratellanza, la disciplina è per i primi cristiani un dolce e volontario legame, una forza che li rende im- pavidi fino al martirio, una parola d' ordine che non di- pende dalla volontà altrui, ma dal comun sentimento. Tale obedienza si mantiene anche quando il cristianesimo esce alla luce del sole, cercando e ottenendo protezione dagli imperatori, le cui leggi, non meno delle ecclesiastiche, va- levano a dar vigore alla disciplina. La quale però tornò ad infiacchirsi quando crebbe la cupidigia del regno terreno ; nò potè essere ristabilita in tutta la sua purezza allorché il sacerdozio si racchiuse in sé stesso, allentando i legami che lo strincjevano col laicato. Più tardi le inevitabili lotte (576) [2] che, sotto varie forme e a molte riprese, si suscitarono e si mantennero fra le due potestà, fra la spada e il pastorale, indebolirono vieppii^i la disciplina, tanto che nell' ultimo secolo del medio evo, giunta la cosa agli estremi, la chiesa medesima riconobbe un' altra volta la necessità della ri- forma dei costumi, ma non ebbe il coraggio di mettere il dito sulla piaga, e fu travolta da quel movimento fatale che distaccò da lei tanta parte d' Europa. Allora soltanto diessi a raccogliere l' esercito decimato dalla sconfitta, e nel con- cilio di Trento assettò nuovamente anche la disciplina, la cui rilassatezza era stata la principal causa dei mali anteriori. Il concilio di Trento riaffermò solennemente la supre- mazia pontifìcia, all' ombra della quale venne a esercitarsi tranquillamente sopra il clero minore l'autorità dei vescovi. I quali se dovettero rinunziare a molti abusi, osservando strettamente la residenza, e provedendo alla generale ri- forma del costume, si rifecero, quasi dissi, aggravando la mano sopra i soggetti, non sempre disposti a rinunziare al rationahile obsequium di San Paolo. Rinaquero le eterne questioni tra chiesa e stato, e spesso avvenne che quest'ul- timo trovasse un alleato, comunque modesto, nel clero in- feriore. Però non sempre né da per tutto le cose andavano cosi ; e quando, per esempio, la republica di Venezia venne perdendo il vigore che l'aveva animata nella lotta contro le immunità giurisdizionali ecclesiastiche, potè mostrarsi men favorevole a quella parte di clero che non volesse aderire in qualche punto agli immediati superiori ecclesiastici. Nel presentimento della non lontana caduta, pareva che Venezia paventasse anche le opposizioni che pur si presentavano in- nocue allo Stato, e non sostenne quella di don Gaspare Fa- bris, vicario curato di Teglio, contro il patrizio Luigi Maria Gabriel vescovo di Concordia, in occasione del sinodo con- cordiese, tenuto nella parrocchiale di S. Andrea di Porto- gruaro nei tre primi giorni di giugno dell' anno 1767. Tale è r episodio che mi propongo discorrere, colla scorta di [3] (o77) un volume stampato di cui si conservano i-ai-issimi esem- })lari, episodio che trae viva luce da inediti documenti d(4 nostro Archivio di Stato, e della Cui-ia vescovile di Coti- Un pievano di Teglio, appunto di questo tempo, è fra i personaggi che uscirono vivi dalla fantasia di Ippolito Nie- vo, nelle Confessioni di un ottuagenario; ma il nostro Fabris non corrisponde a quel tipo, perchè lo scrittore, mentre ritrae mirabilmente singoli caratteri, non si propone rievocare persone storiche determinate. Gli studi sulle fonti, che danno verità e rilievo alle concezioni del Nievo, gli permettono di ricostruire 1' ambiente che non poteva in fatti essere diverso da quello eh' egli descrive. Stupenda evocazione di un' epoca nei più minuti particolari, anche in quelli che interessano questa ricerca, dacché le Confessioni rilevano con acutezza l'abisso che correva nel secolo scorso fra due classi, quasi due partiti, di ecclesiastici, il tradi- zionale 0 rigorista e il secolaresco. Il pievano di Teglio imaginato dal Nievo inclinava più alla prima maniera ; ma ([uello che esce dalla indagine storica, se non aveva tutte le caratteristiche del clero mondano, né avrebbe potuto dar credito alle accuse di leggerezza, perfino di miscre- denza e di eresia, che si gettavano a piene mani contro il clero stesso, mostrava di pensare con la propria testa, e nella sua opposizione al vescovo Gabriel ebbe a trovare fra colleghi e inferiori numerosi seguaci. È noto che il Concilio di Trento aveva stabilito che i Sinodi diocesani si convocassero dai rispettivi vescovi, non più, come per innanzi, ad ogni biennio, ma annualmente, e sempre allo scopo di moderare i costumi, correggere gli eccessi, comporre le controversie. Però tale rigorosa pre- scrizione non fu nemmeno applicata, e veramente i concili! diocesani, fatti con tanta frequenza, potevano riuscire al- l' effetto contrario, a dimostrare, cioè, che la riforma dei (578) [4] costumi non fosse entrata negli animi, se ad ogni pie so- spinto doveva essere oggetto di discussione solenne. Perciò tennero vece del sinodo diocesano i capitoli, i concistorii e i consigli vescovili, e solo a lunghissimi intervalli, e quando la necessità lo imponeva, si convocavano, e non in tutte le diocesi, i rispettivi sinodi, meno importanti però che non fossero i provinciali. Cosi, ad esempio, come risulta dalle costituzioni stampate a norma di tutto il clero, a Venezia, dopo il concilio di Trento, e fino all' epoca di cui discorro, furono tenuti cinque sinodi maggiori e sei diocesani, a Torcello, quattro sinodi torcellani o provinciali e tre dio- cesani. Nel patriarcato d' Aquileia i sinodi diocesani dal concilio di Trento fino al 1740 furono otto, e altrettanti nella diocesi di Belluno fino al 1750. Quanto alla diocesi di Concordia, prima del sinodo che ci occupa, se ne ten- nero soltanto quattro, cioè due sotto il vescovo Matteo Sa- nuto nel 1587 e nel 1592, e quasi un secolo appresso altri due, il primo nel 1677 sotto il vescovo conte Agostino de Premoli e 1' altro vent' anni dopo, pontificando Paolo Val- laresso. Passarono ben settantanni prima che nuovamente si parlasse di sinodo diocesano concordiese (i). Infatti nei tre primi giorni di giugno del 1767, nella chiesa di S. Andrea in Portogruaro, si tenne un'altra volta il sinodo concordiese che erasi indetto dal vescovo Luigi Maria Gabriel con enciclica {sic) del 1° marzo. Sono 19 le cariche maggiori del sinodo e 36 gli esaminatori sinodali ; però il numero totale degli ascritti al concilio apparisce di soli 43, alcuni di essi tenendo più di un ufficio. Ciò risulta dalla raccolta degli Atti del sinodo {^). Ma il vero è che la (1) Nessun altro sinodo diocesano fu in appresso radunato, fino ai nostri giorni: si tenne infatti, dopo un intervallo di 118 anni, nel 10, 17 e 18 aprile del 1885 dal vescovo Domenico Pio Rossi. Prima del concilio di Trento abbiamo memoria soltanto di sei sinodi concordiesi, dal 12G5 al 1456. — Vedi Synodus ecc. a Episcopo Rossi ecc. celebra- ta; Tarvisii, Mander, 1885; in 8.° gr. di pag. vni-31 1-131. (2) CONSTITUTIONES SyNODALES — CoNCORDIENSES — QUAS — ILL. [5] (579) adunanza era stata molto più numerosa, se ben 01 Parro- clii, vedendo esser loro impedita la libertà della parola, adunatisi nel terzo giorno di giugno nell' oratorio dello S})irito Santo contiguo alla chiesa, nominarono pro- curatore il parroco di Teglio don Gaspare Fabris, col man- dato di far valere le comuni ragioni. Il sinodo intanto erasi chiuso, e sul finire il vescovo aveva pronunziato le sacra- mentali parole : si qui se senserint gravatos, ea qua dehent ìnodedia, ac reverentia, recnrrant (i). Il Fabris, a nome dei })arroci che api)unto si sentivano gravati, chiese con la seguente lettera al vescovo che gli fossero comunicate le deliberazioni prese, per ottenere la correzione di alcuni decreti : « Da non pochi del venerabile Clero di V. E. R.ma vengo pressato umiliarle fervorose istanze, affinchè Ella temperi, e mitighi qualche parte di quel rigore, che nelle saggie di Lei Costituzioni Sinodali è inserito. Io pertanto, benché provai in me stesso qualche ritrosia, animato però dalla facoltà nell' ultima sessione Sinodale da Lei benignamente concessa universis et sin- gulis di produrre i suoi obbietti, sono per incontrare il loro genio ; ma non regge il modo facile per conseguire tale intento, senza urtare in qualche scoglio. Perocché l'ideare solo la dimanda dei suoi Decreti sembra cosa troppo azzar- dosa ed ardita, principalmente in un suddito, che coram Beo et hominibìts si protesta osservante : V avanzare poi suppliche individuali senza avere sotto gli occhi le precise parole delle Sinodali disposizioni eccede la mia poca, ed E REv. D. D. — Aloysius Maria Gabriel — dei et apostolicae sedis GRATIA — EpISCOPUS CONCORDIENSIS — DUX, MARCHIO, COMES ETC. — COLLEGIT, ET CELEBRAVIT, — AC DIEBUS PrIMA, SeCUNDA, ET TeRTIA Mensis Junii — MDCCLXVII — ecclesiae suae servandas proposuit — Venetiis, Palese, MDCCLXVIII; un voi. in 4° di pag. XIV-175. (1) Archivio di Stato in Venezia. — Archivio degli Inquisitori — Busta 1038 — Processi civili, n. 141 ms. Informazione al Principe, Allegato I. T. IV, S. VII 38 (580) [6] inetta capacità. Che può farsi per porre tutto in salvo? Di presente altro non mi sovviene se non se che di bel nuovo mi faccia leggere gli accennati Decreti da uno di quei Leggitori, che destinò nel Sinodo ad annunciarli. In caso che Ella fosse per condiscendere alle mie non ingiuste ed inoppor- tune preghiere, io verrò in Portogruaro, notarò ciò che sembra ad alcuni troppo rigido, ed intorno a ciò per alcuni giorni farò quelle riflessioni, che crederò fondate sul vero, e rassegnate queste, le rigetterà o ammetterà, come più o meno espedienti (^) ». Il vescovo non accordò direttamente al Fabris quanto domandava, ma gli rispose che lo avrebbe ricevuto volen- tieri o in Cordovado, dove allora soggiornava, o in Porto- gruaro. E il parroco di Teglio si affrettò a chiedere per- sonalmente al vescovo che gli si desse comunicazione del Sinodo, non senza prima avere impetrato dal Collegio dei Dieci Savi in Venezia il mandato nihìl transeal donec, una specie di interim ("^). Ecco come il parroco di Teglio riferisce il suo dialogo col vescovo : « P. Eccellenza Rev., io vengo avanti a Lei non con animo torbido ed ostile, ma solamente mosso dall' onesto e giusto. Scrissi a Lei che mi graziasse del suo Sinodo af- finchè le facessi alcuni riflessi e questi rassegnati li am- mettesse se giudicasse conveniente, o li rigettasse se ciò giu- dicasse inopportuno. « V. Non è il caso, perchè il Sinodo è in mano di SS. EE. di Venezia. Dimandasse qualunque paragrafo che egli sarebbe per compiacer lui, e che perciò tosto scriverebbe al Tribunale. (1) Codice della Curia vescovile di Concordia, intitolato : Si/nodus Diocesana cum omnibus Actibus ipsi spectantibus, nec non Par- rochorum opponentium contradictionibus, ab Illmo et Rmo D. D. Aloysio Gabrieli, tunc Concordiae Episcopo digesta, atque Decreta — Lettera da Teglio, 12 giugno 1767. (2) Archivio cit., Allegato I cit. [7] (581) « P. p].s.sere a me impossibile far ciò senza leggere, si attesa la lai*i*agine delle cose, si lo spazio di tempo de- corso, si r infelicità della mia memoria. « V. Non sa ti'ovare rimedio : doveva subito fare la mia istanza. « Restai al([uanto sospeso » aggiunge il Fabris, « e [ìoi lo toccai sul massiccio, dicendogli: Eccellenza, quando ha cuore di favorirmi, io vedo il valevole ripiego. Se Ella mi concede la necessaria licenza, io vado a Venezia e leg- gerò il Sinodo. Allora calò la visiera e conchiuse : nes- suno sarà mai per leggere il Sinodo, fino a tanto che non è licenziato dal Collegio e posto alla luce. Allora mi congedai dal vescovo (*) >. Riuscita vana questa pratica, il Fabris scrisse di nuovo al vescovo in data 13 luglio: Visto l'indugio di concedere il Sinodo « si diamo a credere, che siccome il nostro buon Dio si compiace talvolta di negarci quelle grazie che gli chiediamo, non perchè non voglia farcele, ma perchè ha tutto il piacere di vedersi assediare da noi suoi figli cotanto amati, benché indegni, cosi V, E. R.ma ci abbia la prima volta negata la Sinodo non affin di negarcela, ma ad og- getto, cred' io, di vedersi nuove suppliche, nuove istanze, dilettandosi anch' Ella, secondo il genio d' Iddio, di nostre continue preghiere, di- vedersi importunato, e dolce ed amo- rosamente obligato a concedercelo, onde quanto più cara la grazia ci costa, tanto più ci riesca gradita (-) ». Questa lettera porta anche la firma di Girolamo Zotti, parroco di Portovecchio, che dai documenti apparisce finto amico del Fabris e postogli accanto per scoprirne le intenzioni. Le quali del resto erano chiare. Il Fabris, ottenuto da Venezia il mandato di sospensione, lo aveva già inti- (1) Archivio cit., Comparsa del parroco di Teglio innanzi al Ve- scovo, Allegato KK e Allegato X. (2) Codice vescov. cit. (582) [8] mato alla cancelleria vescovile. Dal suo canto il vescovo cercò di ottenere che i 61 parroci ritrattassero la procura fatta a quello di Tegiio, chiamando all' uopo alla sua pre- senza a uno a uno i parroci della bassa e scrivendo let- tere a quelli dell' alta. L' effetto ottenuto da queste pratiche fu, pel momento, che oltre la metà dei 61 comparrochi «. altri timidi, come conigli, altri per particolari suoi inte- ressi, altri consigliati, altri pagati, altri obbligati, non eb- bero cuore di calar la visiera, e comparire publicamente e alla scoperta (i) », mentre 29, chiamati a confermare e a ratificare 1' elezione del Procuratore Fabris, avevano ri- sposto con la loro firma all'appello, dichiarando volere che « il Delegato a nome del Clero tutto concorra coli' Ill.mo e R.mo Vescovo ad estirpare i vizii, svellere gli abusi, togliere gli scandali, svizziare tutta la Diocesi, onde negli Ecclesiastici rifioriscano i buoni costumi, e risplenda la bella faccia della Cristianità {^) ». Allora il vescovo pro- curò far pressione sui dissidenti rimasti, e con faticoso lavoro, dall' agosto all' ottobre, ottenne che altri 8, con atto notarile, e due non ufficialmente si ritrattassero. In- fine i più renitenti furono obligati a dichiarare avere eletto il Fabris procuratore non già al Principe ma al Vescovo, e ciò si fece nell' intento d' impedire al Fabris di ricorrere a Venezia, mentre gli si vietava di ottenere ragione dal suo superiore immediato. Non pago di ciò, il vescovo obligò il chierico che aveva chirografato la prima procura a ri- trattarla e a farne una contraria. Il che non impedi che gli Avogadori, a cui si ebbe ricorso, decidessero, sulle pre- mure di S. E. Angelo Gabriel da S. Vidal, fratello del vescovo stesso (3), che il Codice manoscritto del Sinodo si dovesse consegnare a chi Io chiedeva per esaminarlo. Così, (1) Codice vescov. cit, Carta 19 agosto 1767. (2) Codice vescov. cit., Carta predetta. (3) Archivio cit. Premure del Clero di Concordia, Allegato PP. VI. [9] (588) se il manoscritto non fosse stato consegnato giusta il di- ritto, il Sinodo non avrebbe avuto l' approvazione dal Collegio ; e questa approvazione premeva innanzi tutto di ottenere. Però, jìrima di cedere incondizionatamente alle ingiun- zioni esplicite della Cancelleria Ducale (i), il vescovo scrisse al Fabris per farlo rinunziare al diritto di avere il codice « in sue mani a l)eir agio », e di leggeido « (quando, dove, come potrà nella sua solitudine, remotis arbitris, e con tutta r applicazione ». Ecco la lettera vescovile : « Rimarco dal suo foglio la di lei brama pei- la lettura della Sinodo, onde darvi qualche riflesso ; e siccome fu sempre disposta la mia volontà in compiacerla, come le significai tanto in voce che con lettera nello scorso luglio, cosi la Sinodo, che in j)rivata copia per mia sola intelligenza con- servo, viene tosto da me consegnata al Sig.*" Segretario col- r ordinazione che in relazione al tempo libero delle di lei occupazioni possa farlo leggere a lei, ed eziandio dettarle la copia di quei punti che volesse. Ella potrà intendersi col Segretario, concertar col medesimo il tempo e rimaner per tal modo sodisfatto {^) ». Perduta pazienza, il parroco di Teglio diede tosto al vescovo la seguente risposta : « Io calo la visiera e mi spiego. Tale, e si grande è la stima e 1' amore eh' io le professo, che uguali forse nella Diocesi saranno, ma certa- mente non maggiori a me, perchè amo Lei, non amo la sua grazia, e })er conseguenza me stesso. Tale, dissi, e si grande è 1' amore e la stima, clie daddovero assoggetto a sua disposizione fatiche, stenti, sudoi'i, sentimenti, potenza, ed il sangue istesso. Ma di quello che non è in mio pote- re, né posso, né voglio, né devo arbitrare. A^ige per la Dio mercè V Atto publico all' Avogai'ia, uuxigrado la diabolica (1) Codice vescov. cit. Atti 25 e 26 settembre. (2) Codice vescov. cit. Lettera da Cordovado, 17 ottobre ìlG'i (584) [10] Frode, di chi mi si professava Collega, V Atto dissi ed im- pegno sacrosanto eh' io deva avere in mie mani il Codice de decreti, detto da Lei Sinodo ; onde in questo non ho arbitrio di cedere, anzi per la giustizia di esso, per la puntualità e per 1' onoratezza non temerei già mai o mi- naccio, 0 carceri, o manaie : qui non è decisa la causa, qui non è intenzione di cambiar cose, qui non sono fini secon- darii, qui non si occultano inganni e tradimenti. Già mi conosce e mi può credere, che io non per adulazione al mio superiore, non per avere la sua grazia, che molto pre- gio, ma per dettame di cuore attribuisco a mia gloria l'es- sere sempre, Dev.mo ecc. (*) ». Soltanto dopo questa missiva, il vescovo fece di neces- sità virtù, e nella vana speranza che il Procuratore del Clero arrivasse appena a leggere il Sinodo, nonché ad esa- minarlo, si pensò di farglielo tenere in due parti e per soli cinque giorni. Mentre il Fabris stava ultimando la lettura del Sinodo, fu ordinata con somma segretezza e non minore urgenza una convocazione del Clero, da tenersi con grande solennità. Fino dall' agosto, quando pareva che gli animi avessero a comporsi, si era pensato a tale adu- nanza, come risulta da una lettera di Francesco Gaiotti vicario foraneo e curato di Vivaro : « Sento con esube- ranza di consolazione che Mons" dopo lungo dibattito siasi convenuto col nostro benemerito Proc* e che perciò verrà fuori il Sinodo canonicamente emendato. V. S. Ill.ma in- tanto è supplicata di sincerarmene. Molti Parrochi di queste parti impazienti desiderano di dar sesto al Corpo informe per non dir mostruoso (U^l Clero inferiore
  • che disponevano di 71 voti (2). L' adunanza danneggiò la causa di coloro che pur sempre caldeggiavano la modificazione del Sinodo, perchè molti dei voti, compresi quelli per procura, furono dati « per con- quidere il parroco di Teglio e fare in faccia a lui due pro- curatori (•') ». Lo stesso presidente sosteneva la parte del vescovo. II Fabris in un discorso di due ore espose i pregiu- dizii e i disordini che nel codice del sinodo si contenevano, dei quali era riuscito a fare il sommario ; e fu riconfer- mato procuratore avendo per assistenti, con voti 06 contro 5, Don Antonio Pinali pievano di Cinto e Don Giambatti- sta Politi pievano di Valeriano. La rinnovazione delle ca- riche, che era stata uno degli scopi dell' adunanza, fu ri- messa all' agosto dell' anno seguente : tale deliberazione fu presa con 50 voti contro 21 (*), e ((uest' ultimo numero dà la somma di coloro che continuavano ad aderire al i)arroco don Gaspare Fabris. (1) Archivio cit. Lettera del Gaiotti a un anonimo, 28 ag-osto ITO' Allegato TT. (2) Codice vescov. cit. (3) Archivio cit. Allegato PP cit. (4) Codice vescov. cit. (58(1) [12] Gli effetti immediati dell' adunanza di Valvasone fu- rono la presentazione al vescovo di undici punti da correg- gersi nel Sinodo. La cosa doveva precipitare alla soluzione, perchè avendo i due pievani di Cinto e di Valeriano esposti al vescovo tali punti senza motivazione, il Fabris chiese dal suo canto di essere ammesso ad addurre le ragioni del clero. Assenti il vescovo che fosse esposto il « memoriale delle vostre occorrenze » ; ma avendo il Fabris replicato : « in poche parole mi occorrono diecimila ducati per difen- dere le ragioni del suo ossequiosissimo clero (i) », e ag- giunto : « intanto spero che Dio ed il Principe che fa le sue veci mi difenderà dagli inganni e dai tradimenti più occulti », il vescovo, dando sfogo al mal animo lungamente represso, denunziò agli Inquisitori la lettera, accompagnan- dola con le parole : « Troverà la S. V. in essa forma deri- soria, ed insultante con cui si spiegano queste occorrenze, non disgiunta per altro da una poco lodevole volontà di sturbare la tranquillità del suo Superiore, ed il buon go- verno della sua Diocesi, ma sopra tutto saranno osservabili r espressioni d' ingannì e di tradimenti occulti, delle quali con troppa irriverenza si serve (2) ». Se non che, trattandosi di dar contro a un patrizio veneto, quale era il vescovo Gabriel, non poteva sperare il Fabris di trovare adesione nemmeno pre.-.so il Collegio, tanto da ritardare di molto 1' approvazione del Sinodo e la sua stampa. Anzi, per indurre il governo nel convinci- mento che tutte le differenze erano state sopite, si imaginò che lo stesso Fabris chiedesse che fossero ritirati gli Atti dalla Cancelleria ducale, mentre iale dichiarazioiu^ ei*a stata aggiunta all' insa})uta di lui, e sopra la sua tirnia ad una protesta della Congregazione del clero di non aver voluto offendere il vescovo, ma difendere i diritti parrocchiali (•^). (1) Codice vescov. cit. Lettera da Teglio, 17 dicembre 1767. (2) Codice vescov. cit. Lettera del vescovo agli Inquisitori. (3) Archivio cit., Allegato PP cit. « La Curia vescovile.,... subornò Così si salvarono i compagni del Fabi-is, ma si vokn a sa- crificare il loro i'ap})i'esentante, fingendo una lettera sua in cui era scritto nulla importargli del Sinodo, rinunciar anzi al suo ufficio di procuratore, pago soltanto di aver fatto dispetto al vescovo. Disertarono poi la sua causa an- che i due parroci assistenti (i) che si fecero passare per procuratori, e cosi la Consulta dei Dieci Savi licenziò ai primi di l'el)raio 1768 il sinodo concordiese, di cui ben tosto i riformatori approvarono la stampa, A tale successo della parte cui non falliva il })otere, aveva contribuito l'opinione dell'avvocato Giovanni Bettoni che si era mostrato poco favorevole al pievano di Teglio, scrivendogli che la disciplina ecclesiastica non era punto compromessa dal sinodo e che non conveniva insistere in (luestioni troppo sottili. « E inutile » aggiungeva « l'alter- care in faccia al Principe sopra gli esaminatori sino- dali ("^) », dimostrando che sono nulli, e quindi nulli gli atti che ne emanano (3), se ciò spetta alla Congregazione il parroco di Portovecchio, con pretesto di decoro vescovile, con impe- gno del vescovo, con giuramenti replicati, ond' egli persuaso portossi a Teglio, chiese a quell' onest' uomo (che crede tutti fedeli perch' egli è tale) un atto di buona grazia per il vescovo, e fece tanto che glielo cavò, ed è che con atti forensi non intese mai offendere il vescovo, e a piedi lasciando vacuo si sottoscrisse. Che fecero entro quel vacuo ? scrissero ed in attestato di rispetto ritiriamo gli Atti dalla Cancelle- ria ducale e dall' Avvogaria. Questa diabolica carta si trova nel pro- cesso dell'avvocato Bottoni, onde a suo tempo si farà presentare ». (1) Archivio cit. Lettera di Antonio Finali da Cinto, 18 novembre 1767, Allegato SS. In questa lettera il parroco di Cinto protesta al Fabris di non voler perdersi in dispute scolastiche, dover limitarsi di proporre umilmente e rispettosamente le modificazioni al Sinodo, e lo consiglia ad invitarlo, insieme col parroco di Valeriane, ad esaminare insieme i punti controversi, nel convento di Sant'Agnese in Portogruaro « luogo neutrale di libertà, e vicino al Vescovo ». (2) Archivio cit. Lettera Bettoni, 20 gennaio 1768. Allegato V. (3) Archivio cit. Lettera del Fabris al Bottoni, senza data, Alle- gato NN. (588) [14] del concilio, su cui 1' autorità civile non vuole esercitare alcuna pressione. Però, benché anche il Fabris fosse fra gli esaminatori, respingeva 1' opera loro, come cinque anni innanzi dai sacerdoti di Viterbo erasi fatta opposizione agli esaminatori di quel sinodo. Ed era persuaso che, anche ottenuto il decreto di approvazione del sinodo, esso si po- tesse revocare (^), visto essere stati gli esaminatori in nu- mero esorbitante, e non eletti secondo il concilio triden- tino, cioè « non con voci private o publiche, ma confuse ed indistinte {^) », visto altresì che, lungi dal dare i voti con cognizione di causa, gli esaminatori avevano accettato in silenzio le deliberazioni già belle e preparate (3). E qui, per non dare direttamente addosso al vescovo, il Fabris affermava che gli errori rilevati nel sinodo non appartenevano a lui, ma al dottor Nicolò Dall' (3ste suo cancelliere, il quale « prendendo pezzetti di qua, e là, da questo e da quel sinodo, ebl)e solo la presunzione di ab- bozzarlo contro le regole {^) ». Non nega il parroco di Teglio che non sieno ottime le cose del sinodo, relative alla ragione ed ai canoni, le quali devonsi attribuire alla prudenza del vescovo, ma aggiunge le cose incoerenti es- sere uscite « dall' arbitrio dello scrittore che ebbe il co- raggio di disporre da sé sopra la disciplina, e di eccedere le buone regole della censura. Inutile sarebbe al certo al Clero ogni sforzo, onde impetrarne col di lui mezzo la mo- dificazione, non essendo suscettibile di ragione chi opera capricciosamente {^) ». Ma però, per togliere gli errori del sinodo, era giusto il ricorso al vescovo. « Ma é Patricio ! Io rispondo che con lo stesso Preiicijx^ si fa causa fiscale senza diminuire il decoro principesco. — Ma è Vescovo ! (1) Archivio cit. Premura del Clero di Concordia, Allegato PP cit. (2) Archivio cit., Allegato I cit. (3) Archivio cit, Allegato NN cit. (4) Archivio cit., Allegato I cit. (5) Archivio cit., Schema di prefazione. Allegato K. |ir>] (580) lo so, clic i canonici della Metropolitana di S. Stefano di Milano contrastarono con S. Carlo Borromeo sin che visse, S. Ilario vescovo di Arles combattè cloniro S. Leone il Magno, S. Ignazio vescovo di Costantinopoli contro Adria- no II, r eminentissimo Querini contro Benedetto XIV senza lesione d'onore; perchè dunque non sarà nelle presenti cir- costanze ? (1) » Non dubitava il Fal)ris di richiamare alla memoria del vescovo Gabriel il contegno altra volta tenuto dai tre ve- scovi di Concordia che avevano convocato sinodi diocesani, e come specialmente il Sanudo si mostrasse ossequente air opinione del clero. Egli, «e timoroso di mancar al suo dovere, scelse alcuni punti più importanti, radunò di nuovo il Clero, e di nuovo con esso ventilò, discusse li medesimi, aggiunse, detrasse, spiegò e poi alzando la sua voce disse : placent haec emendata ? e subito non con mormorio e tacito bisbiglio, ma con liete acclamazioni gridarono : placenL, placent. Un maligno pensiero ancora, che mi serpeggia nella mente, mi va dicendo, che cosi avviene a chi non osserva la dottrina e il comando del Tridentino, sess. 21, cap. 1, de reform, ma presto io lo reprimo e se non posso in tutto frenarlo, ([uanto al fatto seguo però le regole di S. Bernardo ed iscuso (lo dico daddovero) 1' in- tenzione. La necessità che mi costringe a questi passi, niente pregiudica a quell'osservanza e a quell'ossequio che doverosamente Le professo, e con cui con Dio mi raffermo immutabilmente (2) ». La irregolai-ità del sinodo, convocato dal (lal»riel, ei-a provata dal divieto ai pai'rcjci di ragionare e di deliberare nel sinodo, e dalla lesione fatta ai diritti parrocchiali })er (juanto riguarda la disciplina. Di una cosa e dell' altra (1) Archivio cit., Allegato I cit. (2) Archivio cit., Lettera del Parroco Fabris come l'rocuratore del Clero, Allegato 00. Questa lettera coraggiosa diretta al Vescovo porta la data del 5 luglio 1767 ed è riferita anche nel Codice vescov. cit. (590) [16] vedremo in appresso, esaminando il libro che il Fabris op- pose alla Constitutiones Synodales. Ma intanto, senza per- dersi d' animo, egli stava compilando questo libro e ne ri- ceveva incoraggiamento dagli amici. Da Gruaro, addi 13 gennaio 1768, gli si scrive (i) : « Ho letto la disertazione per ben due volte, e veramente manegiatte [sic) la materia da par vostro, e malmenate il Ministro come merita. Bisogna procurare in altri luoghi quei libri che vi abbisognano. La chiusa della disertazione a mio parere non va bene, perchè vi tirate addosso l' indignazione di tutti i Cancellieri, men- tre ve ne saranno di onorati e puntuali, e poi fate un gran torto al Gran Gersone e al gran Tomaso Moro. Tagliatela e fate a mio modo. Le strade perfide non lasciano transi- tare e cosi dobbiamo provare il disgusto di non potersi abboccare. Cuore e poi cuore, quid sit futurum noli quae- 7'ere ». Le istanze od opposizioni del clero di Concordia, redatte dal Fabris, erano state formulate dal giugno al novembre 1767 ; e tutta la raccolta dei punti da emendarsi fu presentata ai 15 dicembre, prima che il sinodo fosse ap- provato dal Collegio dei Dieci Savi (2). Non poteva dunque dirsi che il libro fosse stato scritto contro 1' approvazione superiore. Di altri capi d' accusa era chiamato a giustificarsi il Fabris presso gì' Inquisitori di Stato, e provò luminosa- mente eh' egli non poteva dirsi autore di scisma tra clero e vescovo, che non aveva scritto per falso zelo e temeraria perfidia. Ecco le sue parole (3) : « Basta che il mio serenis- simo Pi'encipe e Padre faccia leggere il hjìo liliro da due o tre persone dotte, pie, sincere e disa])passionate ed ap- parirà tosto essere il mio vero e non falso zelo, ricono- (1) Archivio cit., Lettera al Fabris firmata amiro Carlo, Alle- gato EE. (2) Archivio cit., Compendio delle difese del Fabris contro, le ca- lunnie adossategli presso il siipr. Trib. degli Inquisitori, Allegato GG. (3) Archivio cit.. Allegato G(ì cit. [17] (501) scenza e non disprezzo, caritu e non livoi-e. Anzi dalla semi)lice lezione di qnesto, come allo spuntai* del sole spa- l'iscono le ombre, cosi ogni sospetto di delitto dilei^Miasi. In questa maniera spero che siccome la mia persona è stata preservata da dispiaceri, così il mio libro sii esente da ogni marca d' infamia, e questo siccome da publici revisori ec- clesiastici e politici fu approvato, cosi porterà in fronte il laudo di ^^^^ EE., onde possa sicuro passai'e ludle mani dei leggitori ». Adunque sperava che le sue Istanze potessero uscire stampate in Venezia. Ma non ottenne l'intento. E pure, nel fermo proposito di « giustificare sé stesso, illuminare il clero, porre in piedi la giustizia (*) », trovò modo di stam- parle altrove, mentre se n'erano fatte per innanzi parecchie copie manoscritte ('2). E qui comincia la storia di quella che può chiamarsi rarità bibliografica, perchè forse appena due copie sopravvivono del volume che il Fabris mise in- sieme intorno al sinodo (3). Questo volume però deve essere alquanto diverso dal manoscritto precedente, sia perchè il Fabris aspettò sei anni a darlo alle stampe, sia perchè nel primo abbozzo molte erano le frecciate contro il cancelliere, che non piaquero a un certo Antonini amico del Fabris il quale scrissegli, fra altro, che molte osservazioni critiche avrebbero dato maggior lena al cancelliere, e : « motteg- giarlo come Signorino e Padroncino è una freddura. » Adunque lo scritto, quanto allo stile, andava riformat(j da capo a piedi ('^). Il parroco di Teglio, se vuol giudicarsi dalla (1) Archivio cit, Allegato GG cit. (2) Archivio cit, Allegato EE cit. (3) Eccone il titolo preciso: Istanze del clero di Concordia umil- mente PRESENTATE AL SUO VENERABILE PASTORE PER LA MODIFICAZIONE DI ALCUNE OPINIONI NON BEN FONDATE ed intruse nel Codice Sinodale Diocesano dall' arbitrio di chi le stese, prima della suprema Appro- vazione — MDCCLXXIV; Un voi. in 8° gr. di pag. XXX-177. (4) Archivio cit., Lettere dell' Antonini da Ceneda, 27 novembre e 18 dicembre 1768, Allegati L ed M. (502) [18] serietà e dall' ordine rigoroso delle sue Istanze stampate, le quali mancano di ogni personalità, si arrese al savio consiglio. E il libro fu impresso a Lucca alla macchia in parec- chie centinaia di copie. Prima ancora che giungesse negli Stati della republica, il Fabris erasi assicurato della sua diffusione, scrivendone agli amici più fidi. Molti gii rispo- sero favorevolmente. Gli scrisse da Noventa di Piave un Francesco Micliele Lorenzi, che era stato allievo del Fabris nel seminario di Treviso dove esso aveva insegnato teo- logia (i). « Mandi cinquanta copie dell'opera, però non può impegnarsi di venderle tutte, e : « sopra la segretezza, usarò il possibile, ma ella ben vede, che per farne esito è neces- sario parlare ("2) ». Prendono eguale impegno un Zannussi da Spilimbergo, un Bidoli da Brescia, un Barisan da Castel- franco. Speciale assegnamento fa il Fabris sopra un perso- naggio ecclesiastico molto accreditato, l' arciprete di Loria in quel di Castelfranco, il quale aveva aderenze a Sacile, a Ceneda, a Conegiiano. Ogni copia costa al Fabris tre lire venete e mezza ; ma non importa, e « qualunque sarà per esser la tassa, io la ratifico adesso per in allora », e se non si esitasse la merce « sia tutto per conto mio (^) ». Ma il più grande protettore ed ausiliario del pievano di Teglio in questa faccenda fu il conte Giovanni Pappafava di Padova (*), a cui « dopo mille seccature e pericoli » (1) Le ricerche fatte nel Seminario di Treviso per appurare questa circostanza riuscirono infruttuose ; forse V insegnamento impartito dal Fabris fu affatto transitorio. (2) Archivio cit., Lettera 28 giugno 1774, Allegato P. (3) Archivio cit., Allegato A. (4) Gianroberto III Pappafava dei Carraresi, figlio di Annibale V, era nato nel 18 giugno 1721. Nel febraio 1767 aveva sposata Laura fi- glia di Domenico conte di Valvasone e di Fratta dei signori di Cucagna, il che spiega le sue aderenze nei paesi del basso Friuli: due mesi dopo gli mori il padre. Il conte Pappafava fu uomo colto e genealogista della propria famiglia, mentre suo fratello Roberto è ricordato come autore di [19] (503) IH l'Olio recapitate cinque grandissime balle, contenenti la iiu'ivaiizia che lo stesso vescovo di Chioi^-f^ia gli fece tra- siiietitM'e a Padova. « L' 0})era mi pare hcn slanipaia » os- seina il conte ; « vi sono alcuni errori, ma saranno sem- pre minori di ({uelli, che si fanno in Venezia (i). » Trenta copie spedi il Pappafava al Fabris ; tutte le altre tenne presso di sé a disposizione dell' amico. Come era da prevedere, la notizia del libro stampato dal Fabris contro il sinodo concordiese giunse all'orecchio degli Inquisitori di Stato. Indarno essi richiesero, con let- tera del 13 agosto 1774, che si consegnasse la merce dei libri al loro Tribunale. Appena il Fabris ebbe notizia del- l' ingiunzione, recossi a Venezia presso il segretario degli In(|uisitori, e dettogli com' egli si credesse innocente di aver interposto ricorso alle deliberazioni del sinodo, credette di averlo persuaso : ma nell' atto di congedarlo, il segretario gì' intimò di umiliare le stampe agli Inquisitori, qualora giungessero nello Stato {^). Il parroco di Teglio trascurò r avviso ; ed ecco capitargli, quattro mesi dopo, addi 19 dicembre, un nuovo più perentorio comando. Tentò anche questa volta di sottrarsi, almeno in parte, all' ohedienza, e ne scrisse al Pappafava nei seguenti termini (3) : « Chec- chessia, mi rimetto alla di lei saviezza e prudenza. Io direi (ma ella operi come crede per salvare il tutto) che facesse presentare due balle di robba {sic) con il ms., ed una decina di libri legati col pretesto, che sieno donati sopra il di piìi della merce. Che se non credesse cautela sufficiente, potrà opere teatrali. Ebbe anche sei sorelle, di cui cinque monache. Questi Pappafava, residenti a Venezia, a S. Zulian, erano del Maggior Consi- glio : Gian Roberto vi fu ascritto solo nel 1772 essendo venuto in (luol- r anno, ma non stabilmente, in Venezia nella casa avita. (1) Archivio cit., Lettera da Padova, 3 agosto 1774, Allegato Q. (2) Archivio cit.. Lettera del Fabris al Pappafava, 20 dicembre 1774, Allegato F. (3) Archivio cit., Allegato F cit. (594) [20] aggiungere, che ne aspetta altre, e sarà pronto per la stessa esecuzione. Che se neppure ciò basta, almeno qualche suo intrinseco, e fedele ne prenda alcune copie, e le tenghi se- crete, ed Ella intanto potrà protestare di non averne altre, e neppur averne dispensate. Già conosco essere Ella vera- mente cavaliere, e Cavaliere di tutti i numeri, perciò non replico istanze, onde passo a dichiararmi, quale mi glorio di essere ». La lettera era appena scritta che, pentito del sugge- rimento, il pievano di Teglio scrive al Pappafava, pregan- dolo di acconsentire alla richiesta del Tribunale, perchè « io so che Ella non mi lascierà incorrere nella pubblica inde- gnazione (^) », e con lettera umiliante e paurosa lo affretta alla spedizione di tutti i libri, « affine di prevenire lo scop- pio di qualche fulmine (2) ». Da questo momento il Pappa- fava, che era stato già tanto favorevole al Fabris, gli si mostra alquanto imbronciato (3), Si scagiona di aver favo- rita la stampa dell'opera, in cui nulla gli apparve che me- nomasse la stima e il rispetto « dovuto a Mons. di Concor- dia mio buon Padrone » ; e di averla fatta stampare fuori dello Stato « a minor prezzo, con carta migliore, con ot- timi caratteri » e con maggior correzione che non si usi a Venezia dove, aggiunge, « que' sciocchi stampatori e cor- rettori delle stamperie avevano deturpata » un' opera sua. Si vede esser questa una scusa architettata per sventare i fulmini degli Inquisitori. E infatti, mentre il Pappafava rimprovera al pievano di avergli taciuto del comando del Tribunale, soggiunge : « Io sono uomo amante della mia quiete per goder di cui, fuori dei pubblici impieghi in co- (1) Archivio cit., Lettera del Fabris al Pappafava, 21 dicembre 1774, Allegato D. (2) Archivio cit., Lettera del medesimo al medesimo, senza data, Allegato E. (3) Archivio cit., Lettera del Pappafava al Fabris, 27 dicembre 1774, Allegato H. [21] (505) (lesta [rdi'ic (ili Poi-togiMuii'o) \)ev molto tempo, e ([ui (in Padova) ora mi sono ritirato ». Egii dichiara però che vo- lendo liherarsi dal pericoloso peso di custodire le copie, le a\ èva rimandate fuori dello Stato, tranne quelle già spedite al Fabris, e da fjuesto religiosamente rimesse al conte « sen- za noppur aprire la cassetta in cui erano rinchiuse. » Di ((ueste farà (juanto il Tribunale fosse per i)rescrivergli. Tutta la lettera è scritta (;on palese intenzione di togliere da sé ogni responsabilità, e anche di salvare il pievano che gli ha dato quel sopraccapo, giacché non é verosimile che il Fabris- abbia rimandato al Pappafava le trenta copie del- l'opera s})editegli fin dall' agosto. E comunque manchi la prova positiva che tutte le copie sieno state distrutte, è assai verosimile che il Pappafava, dal canto suo, ne abbia fatto sjìarire la maggior parte, e che gl'Inquisitori soppri- niessero «juei pochi esemplari che erano giunti in loro potere. Risulta però da tutto questo che il Fabris, nella lotta sostenuta, era rimasto soccombente, se il vescovo Gabriel potè aver favorevoli gì' Inquisitori. Al parroco di Teglio mancò invece il patrocinio del Pappafava, del Cav. Andrea Querini a cui erasi rivolto a Portogruaro (i), e solo provò una (jualche consolazione nel sapere dalla sua Don Colom- bano Colossis, monaco cassinese di Santa Giustina in Pa- dova, il quale, al chiudersi dell'anno in cui le Istanze fu- rono pubblicate, gli scrisse : « Domenica scorsa 25 corrente mi vidi onorato di un suo stimatissimo foglio, a cui ecco la pronta necessaria risposta. Nello scaduto autunno é ve- rissimo, che io sentendo raccontare i guai e molestie, da lei sofferte a cagione delle opposizioni fatte da Lei con ogni ragione a diverse proposizioni, ossieno decisioni del Sinodo ultimo di Concordia, dissi, non mi ricordo più in verità a (1) Archivio cit., Lettera di Don Pietro Nonis al Fabris, 30 no- l'embre 1774, Allegato N. T. IV, S. VII 39 (596) [22] qual persona, che a me non sarebbero già accadute simili cose, perchè avrei stampato tutto quello che avessi voluto 0 in Lusana (Losanna), o a Lugano, ed avrei inondato tutte le Diocesi all' improvviso col mio scritto, e lasciato poi grattar la tigna a chi avrebbe doluto il capo. Nello stato di cose presente io non saprei che mi fare, mentre siamo in un paese dove, per far valere la ragione, e scoprirla vi voglion mezzi forti, spese, ed altro, trattandosi di farla valere a confronto di persone alte. Se io avessi mezzi a ciò valevoli l'impiegherei volentieri, ma confesso di non averne, e di essermi ridotto a vivere a me stesso dopo alcuni guai, eh' io stesso ho avuto per un libriciolo, che si voleva far sopprimere dopo aver avuto tutte le licenze possibili, ed aver speso molti dinari. La cosa mi è riuscita in fatti, ma le opposizioni mie erano di persone che interessano meno, di quelle che io suppongo impegnate contro il suo libro. Iddio lo sa quanto mi stanno a cuore l' innocenza, e la giustizia, e quanto mal volontieri vegga trionfare la soperchieria e la forza contro di loro, ma repplico io non ho mezzi suffi- cienti per aiutarla e far trionfare la verità. Immediata- mente che ho avuto la sua, ho fatto tenere la lettera a S. E. Zanetto Pappafava per persona sicura (*) ». E il parroco di Teglio, che era rimasto impavido sulla breccia, fino alla sconfitta delle sue ragioni e di quelle dei suoi rappresentati, chiuse la vita a capo della sua cura, recando in cuore il rammarico di essere, come suole, malamente giudicato in- tinto di eresia, insieme ai due parroci di Cinto e di Va- leriano su cui, benché meno costanti, gravò questa mede- sima accusa, ripetuta anche oggi dalla tradizione. Mori don Gaspare Fabris nel marzo 1778, dopo ventidue anni dacché era stato assunto a reggere la parrocchia di Teglio, un anno prima che il vescovo Gabriel fosse trasferito alla sede di Vicenza. (1) Archivio cit, Lettera del Colossis al Fabris da Padova, 27 di- cembre 1774, Allegato C. [23] ('>»7) Ma è tempo di dire in che consistessero le opposizioni al Sinodo di quella parte del clero concordiese, che era stato capitanato dal pievano di Teglio. Il libro si apre con la troppa vecchia sentenza di papa Leone IV : pastores hominmn sumus effecti, ut excedere rìiinime debeamus. E la lezione continua nella prefazione in cui si dimostra, sulla scorta dei trattatisti, e del più recente e più famoso di tutti, benedetto XIV, come il Sinodo diocesano debba es- sere condotto. Il volume che, sebbene anonimo, oramai è appurato essere opera del Fabris, si divide in cinque parti : Delle cose generali ; Della disciplina ; Delle censure : Del vestire ; Delle ricreazioni ; e sviscera i singoli argomenti con molte dottrina, riconoscendo anzitutto l'utilità, non la assoluta necessità dei sinodi, che però hanno ad essere te- nuti liberamente, in modo che i sacerdoti non abbiano a udirne i decreti preparati anzi tratto, come i cristiani odono la })redica, gli scolari la lezione, ma sieno chiamati ad agendum e ad deliberandurn. Questo principio è ribadito ad ogni passo del libro, e doveva formare, agli occhi delle superiori autorità ecclesiastiche e civili, la sua maggiore condanna. La parte prima comprende otto istanze, cioè che il vescovo abbia in considerazione i diritti parrocchiali (pag. 4-22), che esso renda ai sacerdoti indenne il privilegio di ragionare e deliberare nel sinodo diocesano (pag. 22-43), e altri riguardanti i procuratori del clero, gli esaminatori e i giudici sinodali (pag. 44-73). Vuoisi dimostrare, nella se- conda parte, che non è il rigore delle Costituzioni, ma la vigilanza sopra i sudditi che toglie dalla diocesi i disordini ; e questa massima apre l'adito a ben ventisette istanze in cui si reclama meglio ordinata la materia dei predicatori, e quella dei celebranti noti ed ignoti e si cerca sottrarsi, in molte disposizioni minute, e in argomenti di confessione e di matrimonio, dall'eccessiva ingerenza del vescovo (pag. 79-134). E notevole 1' ultima Istanza che pone ai vescovi l'alternativa o di provedere del bisognevole i parroci poveri, (598) [24] 0 di non obbligarli ad applicare prò populo nei giorni festivi, rendendoli impotenti a vivere de altari (pag. 135). Giustamente la republica .stava pensando a regolare l' in- decoroso proletariato degli ecclesiastici, ridiicendo i con- venti e anche accrescendo le congrue parrocchiali. Intorno all' argomento delle censure, le Istanze che esamino inculcano moderazione, perchè esse non valgono a frenare gli ecclesiastici cattivi, e diventano inefficaci se sieno molti i trasgressori della disciplina. Che se questi sien pochi, le censure si useranno « con rammarico, con dolcez- za, con giustizia e con discretezza » e non « per capriccio, 0 per vendetta o talvolta per isdegno (pag. 140) », anche nel caso di delitti enormi. « Noi veneriamo 1' autorità dei vescovi » aggiunge il coraggioso scrittore, « non però la maniera con cui l'esercitano ». Quindi le censure devono comminarsi secondo regole determinate, e non incorrano in esse, come è dichiarato nelle tredici istanze di questa parte, i parroci che ammettono sacerdoti a predicare senza li- cenza vescovile e quelli che predichino dopo il tramonto, 0 che facciano lunghe processioni, o che non registrino i battesimi entro otto giorni, o che trascurino di annotare i matrimoni celebrati, e cosi si dica di altri punti di varia e mi- nore importanza. Quanto al vestire erano trovate eccessive le pene della sospensione ai sacerdoti che andassero in chiesa senza veste lunga, 0 usassero il colore non nero, ed eccessive del pari la censura per chi non celebrasse con la veste lunga. In fine, per ciò che riguarda le ricreazioni, di cui tratta l'ul- tima parte, l'autore delle Istanze chiedeva che si levasse la sospensione latae sententiae ai preti che ballassero od intervenissero al ballo, e che non si esagerassero le pene canoniche contro quelli che giocano o che vanno all' o- steria. Certo, sebbene alcune delle domande che il clero sottometteva al vescovo per la correzione del Sinodo ri- spondessero allo spirito dei tempi, non erano per la mas- sima parte eccessive, e non suppongono in esso il desiderio [•25] (5<)1)) (li sotti'ai'si ai doveri del proprio stato, .sia per gli oblighi ecclesiastici, sia pel costume. Se tale fosse stata la sua in- tenzione, avrebbe apertamente respinto le altre molte spe- ciali i)roibizioni che sono consegnate nelle Costituzioni si- lìodali, fra cui, per dir di taluna, quella che l'iguardava il culto soverchio della poi-soiia che giungeva fino ad inci- })riarsi le chiome (i), o l'altra d' immischiarsi in negozi se- colari « cuiuscumque generis mercaturam publica ge- rere (-) », uso praticato da molti preti, ed osservato, « non sine maximo animi Nostri moerore », nella visita ve- scovile. L'agitazione, di cui ho richiamato il ricordo nel })re- sente scritto, si mantenne viva nella diocesi di Concordia pel corso di sette anni, quanti ne passarono dal sinodo convo- cato dal vescovo Gabriel fino alla stampa delle Istanze del clero ; ma il malessere non cessò, e di acuto e palese che era stato divenne cronico e latente. Il sinodo, come può dirsi di tanti alti-i che lo precedettero e lo seguirono in (juella e in altre diocesi, rimanendo in molte delle sue parti lettera morta, lasciò il tempo che aveva trovato, })erchè, nemmeno teoricamente, le nuove costituzioni stampate eb- bero da tutti i soggetti piena e incondizionata adesione. Non sicuramente dai più vecchi, i quali a certe modificazioni non sanno adattarsi, avendo già formato le proprie o})inioni, tanto i)iìi irremovibili in esse quanto sia più alta la loro in- telligenza, quanto maggiore sia la loro })ratica delle cose del nu)ndo. E provato invece che le prescrizioni dei sinodi pos- sono diventar legge per gli ecclesiastici nuovi, i (juali non trovano difficile di conformarvi la loro condotta, e hanno grande and»izione di acquistarsi delle benemerenze appo i superiori nell'eterna gara degli utficii e degli onori. Al poco frutto che si trasse dai sinodi diocesani non é estraneo (1) CONSTITUTIONES SYNODALES clt., pag. 84. (2) ivi, pag. 86. ((300) [20] l'antagonismo tra chi comanda e chi è costretto ad obbe- dire. Quando il concilio ecumenico di Trento riusci al trionfo delle prerogative papali, potè considerarsi chiusa 1' opera stessa dei concilii universali. Così i sinodi provinciali e dio- cesani, comunque prescritti, soffrirono le stesse vicende, e assai rara divenne la loro convocazione, dacché il metro- polita od il vescovo, per non incontrare resistenza nei sog- getti, quasi a tutela della propria autorità, preferi farne senza. Quando poi tali concilii furono convocati, suscita- rono sempre, in quelli che li consideravano per lo meno inutili, una opposizione o tacita o palese. La storia non può fatalmente raccogliere le opposizioni tacite, perchè non con- fortate da documenti positivi ; ma tiene conto di quelle pa- lesi, comunque non fortunate, come questa che al vescovo di Concordia Luigi Maria Gabriel ebbe a muovere la con- gregazione del clero, rappresentata da don Gaspare Fabris, vicario curato di Teglio. INTORNO ALLA NOTA DI D. LEVI-HIORENOS «LE mu IPOTESI SUL FEIliEiO DEL -m SPORCO» «ELI PEL s. c. Cu B. DE TONI Dalla gentilezza di un mio collega ricevetti in dono 1111 opuscolo del professore David Levi-Morenos portante il titolo surriferito (i), opuscolo nel quale io nutriva speranza di trovar esposta qualche idea nuova riguardo al curioso fenomeno verificatusi nel mare Adriatico durante le estati del 1872, 1880 e 1891 con proporzioni e durate differenti e noto sotto le denominazioni di mo/- sporco, poltiglia, mito od ontisso de mar ecc. Con mia viva sorpresa ebbi tosto a convincermi che 1' articolo del sig, 1). Levi-Morenos si riduce ad una pura compilazione di quanto fu da altri scritto intorno alla poltiglia dell'Adriatico, erigendosi per di più l'Autore a critico delle ipotesi emesse da coloro che indirettamente od in via diretta ebbero agio di studiare la suindicata poltiglia. Passo sotto silenzio che la Nota scientifica del detto professore sembra in qualche buoji tratto redatta sulla fal- sariga stessa ili un articol uccio da me stampato senza pro- li) D. Levi-.Morenos, Le (ììver.'^e ipotosi sul feìwmeno del « mar sporco » nelV Adriatico. — « Neptunia, rivista mensile per gli studi di scienza pura ed applicata sul mare e suoi organismi, diretta dal dott. D. Levi-Morenos », II, n. 20, p. 1459-1469. Venezia, 31 agosto 1892. (602) [2] tesa scientifica fin dall'agosto del 1891 in un giornale po- litico veneziano (*) (ciò che sarebbe ovvio a chiunque rico- noscere col confronto) ; io mi trattengo invece sull' idea che spinse il Levi-Morenos a scrivere la sua Nota, idea che egli ste.'^èo espone colle parole che qui riporto testualmente : « Credo tuttavia utile egualmente scriverne, perchè ri- manga memoria in una effemeride scientifica della nuova apparizione del fenomeno e delle spiegazioni che altri ten- tarono di esso e di quanto io posso dire in contradditorio : nella scienza è utile, anzi necessario, non solo dimostrare quando e come avviene un fatto, ma anche ricercare se in seguito a nuove manifestazioni del fenomeno ed a nuove ricerche su di esso le prime ipotesi rimangano possibili ». Siami permesso, onorevoli colleghi, esaminare 1' ori- ginalità di quanto col suo io reciso il prof. Levi-Morenos disse in contradditorio, poi le nuove ricerche dal detto pro- fessore condotte... a termine. Esclude, in accordo con me, che la poltiglia sia stata, come opinò il sig. Angelo Gorin ('^), causata dalle materie che vengono rigurgitate dai fiumi in piena, indicando una sola delle obbiezioni da me mosse all' idea del sig. Gorin (assenza di piene fluviali nel 1891 all'epoca in cui si formò il war sporcò) e dimenticando l'altra mia obbiezione, che io credo assai concludente (mancanza nella p(dtiglia di Al- ghe e segnatamente Diatomee proprie delle acque dolci) (3). Alla domanda rivolta dall' egregio ing. Carlo Bullo (^) se abbian ragione coloro i quali credono proveniente la pol- (1) G. B. De Toni, Il cunoso fenomeno della poltiglia in lìiave. ^11 mare sporco y>. — Giornale La Venezia, 17-18 agosto 1891 (colonne 4.^^-5.^ in prima pagina). (2) A. Gorin, Gazzetta ili Venezia (3 agosto 1891). (3) Come si spiega che il Levi-Morenos nella poltiglia del 1891 dice di aver trovato la Nitzschia sigmoidea, specie caratteristica delle acque dolci ? Erano gli individui vivi o n)orti ? Perchè non dirlo ? (4) G. Bullo, La Venezia del 31 luglio 1891, [H] 05OM) tij^-lia dal Mai- liosso aii/iclir (lair(^c('aii<) l'isitoiidc con ori- ginalUà che pi-ima di arrivai-o iiell' Adi'ialico si sarebbe dovuto probabilmente osservare la })oItij^iia lungo le coste della Grecia e più in giù. Aifatto d'accordo col compianto collega Alessandro P. Ninni, un anno prima del Levi, sem- pre nel modesto articoluccio da giornale cittadino, io di- chiarai inaccettabile l'o^ìinione che la poltiglia provenisse dal Mar Rosso per due ragioni in particolar modo : in pi'imo luogo perchè ne sarebbe stata avvertita la presenza in detto mare od almeno nel Mediterraneo presso lo stretto di Suez, in secondo luogo perchè insieme alla poltiglia sa- rebbero stati trasportati degli individui del classico Tri- cìiodesmmm erythraeum Ehr., alga minutissima che svi- luppandosi in enorme quantità alla superficie del Mar Rosso contribuisce a fargli assumere la tinta speciale. Il Levi- Morenos riproducendo la prinui di queste ragioni in con- tradditorio, perchè non riporta anche l'altra basata sull'as- senza del Tvichodesmium ? Forse che non la trova giusta tale obbiezione ? 0 forse dubita che nel Mar Rosso, mal- grado gli studii del Montagne e di tanti altri, vegeti quel benedetto Trichodesmìum ? E si, che io, senza essere di- rettore di una rivista per gli studii di scienza pura ed appli- cata sul mare e suoi organismi, ebbi occasione di averne esemplari, nel luglio 1887, provenienti dai pressi di Massaua e di Suakim, dove furono raccolti dal valente medico di marina dott. R. Bressanin. Se non crede a me, crederà forse meglio ai proprii occhi, esaminando al microscopio il N. 2252 dell' Algarium Zanardini, al cui riordinamento egli [ii-ese parte e che ora si conserva nel Museo Civico di Ve- nezia (1). Il Levi ammette, in accordo con me, (|uale azzardata (1) Cfp. G. B. Do Toni e D. Levi, L'Alr/arium Zannrduii [pubbli- cazione eseguita a cura ridia Giunta Municipale di Venezia]. Venezia, M. Fontana, 1888. ((>04) [4] l'opinione del sig. Rossetti e di un giornale di Fano « L'An- nunciatore » che hanno creduto ad una causa sismica del mar sporco. Dopo queste opinioni che il prof. Levi-Morenos dice di lasciar da parte, passa alla discussione delle ipotesi che no- mina per i loro autori, del Ninni e Renier, dello Zanardini e del Castracane (Syrski e De Toni). La prima ipotesi (Ninni, Renier) è basata sulla origine organica della poltiglia per isfacimento di piante o di ani- mali, la seconda (Zanardini) su un genere di alghe (Der- mogloea) da niun algologo accettato, la terza (Castracane, Syrski, De Toni) è fondata sullo sviluppo straordinario di Diatomee (e qui l'egregio critico doveva aggiungere l' epi- teto marine.). A proposito dell' ipotesi Ninni, il Levi-Morenos scrive che « secondo le informazioni assunte dal Ninni nel 1872 la poltiglia ero, stata dotata nei primi giorni della sua comparsa di proprietà urticanti che il compianto zoologo crede dovute ad acalefi. Ma di queste proprietà non fanno cenno gli altri autori, né per lo studio al microscopio fu- rono fino ad ora osservati questi animali o le capsule ur- ticanti ». Il Levi, se avesse con maggior diligenza compilato la sua memoria scientifica, avrebbe dovuto riferire che il Syrski, passate in esame le dicerie sparse sul conto del fe- nomeno nel 1872, mostrò V insussistenza delle voci che quel glutine a contatto della pelle producesse bruciore. Ciò sia riportato per la verità ! Riguardo alla ipotesi dello Zanardini, il sig. Levi si accontenta di accogliere l'obbiezione del conte Fr. Castra- cane (1) che dichiara infondato il genere Dermoglam, ol)- biezione che nel 1891 io aff'ermai con l'esame degli esem- (1) F. Castracane, Straordinario fenomeno della vita del mare osseroato neW Adriatico neW estate del 1880, p. 7. — « Atti Accad. pontif. N. Lincei», anno XXXIV, sess, I del 19 dicembre 1880. Roma, 1881. [5] ((505) plari autentici di detta pretesa alga; infatti tali esemplari si mostrano costituiti da una sostanza, che doveva essere di consistenza mucosa, ravvolgente frustuli di specie marine dei generi Nitzschia, Cocconeis, Navicula, Pleurosigma frammisti a grani calcarei e silicei. Il professore D. Levi-Morenos sembra più che tutto aver a cuore la critica della ipotesi Castracane (Syrski, De Toni), poiché vi si diffonde con maggior ampiezza. Egli richiama l'attenzione sull'enorme sproporzione esistente tra la quan- tità di materia amorfa mucillaginosa e la quantità di Dia- tomee incluse nella stessa (*). Non sa decidersi poi ad af- fermare se i granuli (?) misuranti poco più di 2 millesimi di millimetro osservati nelle faldoline del 1891 siano di un color azzurrognolo o giallo-verdastro, ciò forse per star d'accordo collo Zanardini (nel primo caso), col Castracane (nel secondo caso) e poter ripetere il moto « tra il sì e il no, sono di parer contrario ! » Questo è il risultato della prima delle nuove ricerche istituite dal sig. Levi-Morenos sulle faldoline del 1891. Dalla seconda nuova ricerca sulla poltiglia del 1891 risulta aver egli trovato quanto al genere Nitzschia (osser- vato in prevalenza nel 1872 e 1880) due sole specie, una delle quali {Nitzschia sigmoidea) gli si presentò rarissima, l'altra in esemplari in molto maggior numero. Ora, perchè il critico non volle egli fornire in una Nota scientifica il nome di quest'altra Nitzschia ? E perchè non avvertì se erano dette specie ancora viventi (?) nella poltiglia ? La co- noscenza del nome di quest' altra Nitzschia avrebbe forse condotto ad appoggiare qualcuna delle tre ipotesi. Era forse una specie propria delle acque dolci, come la Nitzschia (1) Mi permetto avvertire il sig. prof. T.evi-Morenos di prendere conoscenza dei generi Berkeleya, Schizonema ecc., nei quali la mnleria avrolf/entc i frustidi è copiosa ed i pseudotalli figurati che ne risultano raggiungono, anche nelle specie adriatiche, una altezza notevole, spesso uguale 0 superiore a mezzo decimetro. (606) [6] sigmoidea ? E le altre .specie da lui constatate (di cui però non dà i nomi !) erano marine o d'acqua dolce, litorali, abis- sali 0 vaganti, viventi o morte ? E questo ciò che il prof. Levi-Morenos avrebbe potuto fare, avendo avuto un piccolo campione delle faldoline del 1891 dal mio chiaro collega E. F. Trois, ma egli preferì discutere a tavolino le opinioni altrui, anziché eseguire una ricerca microscopica originale e senza alcun dubbio importante. A proposito poi della ipotesi da me, seguendo Syrski e Castracane, esposta sulla genesi della poltiglia (io alludeva nel mio articolo al fenomeno apparso nel 1872 !) modificando- la nel senso che quest'ultima fosse formata in parte da Dia- tomee pelagiche-vaganti e in parte da Diatomee dei fondi marini, il Levi dichiara che non gii sembra sia sostenibile, perchè, egli aggiunge, « anco se la poltiglia è d' origine profonda, vi si troveranno ugualmente le diatomee pela- giche, lasciando queste andare al fondo i loro guschi [sic !) silicei ». A questo proposito io inviterei il sullodato signore a prendere un po' più di pratica delle investigazioni diato- raologiche eseguite in questi ultimi decenni i, egli troverebbe facilmente che molte specie scoperte nella poltiglia del 1872 sono riconosciute frequenti sulla superficie dei mari (specie pelagiche vaganti) mentre le altre sono proprie della flora del fondo marino. E se, come osserva il venerando amico ab. Castracane, nel 1872 tali specie si trovavano nello stadio di sviluppo e giovanili, deve pur ammettersi che i gusci silicei col plasma vivente delle specie pelagiche vaganti fossero ancora a galleggiare sul mare e })erciò abbiano in allora contribuito, in parte, a dare la poltiglia. A presentare l'idea che alla pi'oduzione della })oltiglia del 1872 avesse contribuito il concorso duplice di Diatomee del fondo e di Diatomee pelagiche-vaganti, sono stato guidato non da induzione ma dall'aver esaminato quali specie esi- stevano nella poltiglia stessa ; di Diatomee mi occupo da parecchi anni e voglia credere l'egregio critico che tengo iiuv.zi bibliografici sufficienti [xm- potei- siiuliai-e siffatte al- gbe, \"()j;-lia ammettere l'acuto ci'itic(j cbc non ignoro i l;i- voi'i del Murray ma sappia del pari rbe da parte mi;i bo sem[)re combattuto l'opinione die le Diatomee possano tro- varsi viventi a grandissima profondità; per conto mio, io sono indotto a ritenei'e che nella flora abissale le Diatomee si rinvengano in una condizione che potrel)be qualificarsi subfossile ; per tale mia convinzione ho altra volta parlato contro chi mi onora di sua benevola amicizia e che io ri- spetto e saluto qual padre della diatomologia italiana (*). In conclusione, dal Castracane che ha studiato coi suoi propri i occhi ed elencò le Diatomee osservate nel 1872, al Levi-Morenos che ha indicato solo la NitzscMa sigìnoidea (d'acqua dolce !) nel 1891, mi scusi quest'ultimo signore, io ho creduto e credo al Castracane, il quale da un trentennio si occupa indefessamente di Diatomee e su tali organismi diede alla luce una lunga serie di osservazioni originali. (1) F. Castracane, Quale sia V estensione della vita vegetale nella pì-ofondità del mare. — « Atti del Congresso nazion. di botan. crittoga- mica », fase. II. Parma, 1888. G. B. De Toni, Processi verbali delle Adunanze. 1. e; cfr. anche Notarisia red. da De Toni e Levi, anno II (1887), n. 8, p. 376-377. COMMEMORAZIONE ENRICO BETTI LETTA DAL s. c. ERNESTO PADOVA Fra le molte e dolorose perdite, che il nostro Istituto ha dovuto subire nello scorso anno, gravissima è stata quella del Senatore Enrico Betti, che a questo Istituto apparteneva come socio corrispondente italiano. Permettete, 0 signori, che legato a lui dai vincoli della più profonda riconoscenza, per aver egli guidato i miei primi passi nella scienza ed essermi stato sempre maestro sapiente ed affet- tuoso, io qui ne ricordi le virtù cittadine, la mente supe- riore ed in particolar modo i servigi eminenti da lui resi alla scienza. Nato in Pistoia, il 21 ottobre 1823, da una famiglia originaria da quella terra di Tobbiana nella montagna pistoiese, che ha dato all' Italia Atto Vannucci, il Betti, perduto in tenera età il padre, divenne l'orgoglio ed il con- forto della madre, della quale serbò fino agli ultimi anni il più soave ed affettuoso ricordo, professandole un culto, che commuoveva coloro, cui il Betti, ordinariamente molto riserbato, confidava gli intimi sentimenti dell' animo suo. Studiò matematiche a Pisa, ove presto si fece distinguere (610) [2] per l' acume dell' ingegno, e vi ebbe maestro l' illustre Ottaviano Fabrizio Mossotti. Nel 1848 prese parte col battaglione universitario alla prima campagna per l' indi- pendenza italiana ed il 29 Maggio trovossi alla battaglia di Gurtatone, né di ciò mai menò vanto, che il Betti ap- parteneva a quella schiera di uomini, che 1' adempimento di un dovere, anche se pericoloso, reputano cosa facile e necessaria. Tornato in Toscana, egli si dedicò con animo virile, rassegnato se non sereno, ai suoi studi ed alla sua famiglia, in allora composta di sua madre e di due sorelle, che morirono ancor giovani e da una delle quali ebbe un nipote, Euclide Adriano Poggeschi, che, rimasto orfano, di- venne r oggetto di tutte le sue cure. Nel 1849 andò ad insegnare nel Liceo di Pistoia, donde passò a quello di Firenze ed ottenne nel 1857 una cattedra nella Università di Pisa, della quale doveva poi essere per 35 anni uno dei maggiori lustri, dirigendovi anche dal 1864 in poi, con elevati intendimenti scientifici, la Scuola Normale Superiore. Addi 11 Agosto 1892 egli si spense in quella ospitale villa di Stibbiolo a Soiana, che era il suo diletto ritiro nei mesi di vacanza e dove, in mezzo alla quiete dei campi, si abbandonava alla meditazione sui problemi più astrusi del- l' Analisi e della Fisica matematica. La varietà dei problemi alla soluzione dei quali il Betti si dedicò è tanta che rende malagevole il compito di esporre brevemente ed esaminare i lavori da lui pubbli- cati. E questo è per me reso più grave dal fatto che già il Volterra nel Nuovo Cimento, il Pascal nella Rivista di Matemalica, il Brioschi negli Annali di Matematica, il Basso all' Accademia di Torino hanno parlato di lui e quindi ben poco potrò aggiungere a quanto questi egregi già scrissero. Ma maggiore titubanza sorge nell'animo mio al pensiero che altri, più di me competenti, preparano la [3] (Oli) commemorazione del Betti per T Accademia dei Lincei e poi Circolo matoniatico di Palermo ; ed è soltanto nel sen- timento iniiino del dovere eh' io compio rivolgendo a voi, ei^regi colleglli, alcune parole siili' opera del mio maestro, che trovo la forza d'intrattenervi su ciò. I primi lavori del Betti concernono la risoluzione algebrica delle equazioni ed anzitutto la ricerca delle con- dizioni necessarie e sufficienti perchè una equazione alge- brica sia risolubile per radicali. Il Kronecker, fondandosi su questi risultati, diede le formule generali di risoluzione per le equazioni di grado primo risolubili per radicali, e poco dopo il Betti le trovò per quelle il cui grado è po- tenza di un numero primo. Ma in (juel tempo una sfida, simile a quella di Fermat, era stata lanciata da Galois nella lettera ce- lebre, eh' egli scr'isse a Chevalier, la notte che precedette il duello, in cui doveva miseramente perire. Una serie di teoremi, enunciati in quella lettera senza dimostrazione, aff'aticava la mente dei più profondi analisti ; è merito insigne del Betti essere pervenuto ad una rigorosa dimo- strazione di essi. Fra gli altri era importantissimo questo : La equazione modulare per la trasformazione nei casi di p = o, 7, 11 non è risolubile per radicali, ma può abbassarsi dal grado p -|- 1 al grado p ; e questo il Betti dimostrò nel Marzo 1853. Fermiamoci un momento ad esa- minare questa questione. I seni amplitudine che hanno per argomento la p esima parte dei periodi, se p è un numero p^ — 1 primo dispari, sono radici di una equazione di grado — - — , la cui risoluzione dipende da quella di una sua risolvente di grado p-\-l e da successive estrazioni di radici. Ma quando ci proponiamo il problema di determinare i seni amplitudine razionalmente esprimibili per un seno amplitu- dine dato, colla sola condizione che gli argomenti di quelli T. IV, S. VII 40 (012) [4] sieno funzioni lineari intiere dell' argomento di questo ed in modo che il grado più elevato delle funzioni, che appa- riscono nel numeratore e nel denominatore della espres- sione della funzione trasformata, sia p , o, come più bre- vemente si dice, quando ci proponiamo il problema della trasformazione di ordine p delle funzioni ellittiche, tra i moduli delle funzioni trasformate e quello della funzione data esiste una relazione (equazione modulare) di grado p -|- 1 , la quale è una risolvente della equazione per la divisione dei periodi. Sicché risoluta 1' equazione modulare, la risoluzione di quella, che serve a determinare i seni amplitudine delle frazioni p esime dei periodi è ridotta ad estrazioni di radici. Il teorema di Galois annunziava dun- que r esistenza di una risolvente di quinto grado per la equazione che serve a determinare i seni amplitudine delle quinte parti dei periodi e che, conseguentemente, esisteva una equazione di quinto grado, le cui radici avrebbero potuto esprimersi per mezzo dei seni amplitudine col modulo k delle quinte parti dei periodi. Si trattava allora di costruire questa risolvente "della equazione modulare e qualora si fosse pervenuti a dimostrare che, per una conveniente scelta del modulo k e di opportune trasformazioni eseguite sulla incognita, si poteva far coincidere quella risolvente colla più generale equazione del quinto grado, si sarebbero avute le formule di risoluzione di questa mediante i seni ampli- tudine delle quinte parti dei periodi. Questa è la via che si tracciò il Betti e trovata la risolvente di 5° grado della equazione modulare, egli cercò di porla sotto quella forma detta di Jerrard alla quale, mediante una trasformazione di TscHiRNAUSS, si può ridurre qualsiasi equazione di quinto grado e che manca dei termini di 4°, 3°, 2° ordine ed ha un solo coefficiente letterale. Egli era già pervenuto a di- mostrare che dalla risolvente sparivano due termini, gii mancava solo di fare sparire il terzo, quando 1' Hermite ed il Kronecker pubblicarono le loro dimostrazioni. E cosi r Italia, che srià aveva il vanto di aver dato con Tartaglia [5] (()13) e Cardano le formule di i-i.soluzione delle equazioni di 3° e 4° gl'ado, perdette quello di aver risoluto anche le equa- zioni del 5". Fu questo un dolore pel Betti, che attribuiva r insuccesso alla poca pratica che aveva allora colla teoria delle l'unzioni ellittiche. Ma consoliamoci della non riportata vittoria, pensando che a ciò forse è dovuta la Monografìa sulle funzioni elHUiche, cui dopo il 58 il Iìetti consacrò per ({uattro anni le forze del suo ingegno. Due correnti dividevano allora in quegli studi i mate- matici. Nella prima trovavansi coloro che, ammirati dei la- \ori di Jacobi e della potenza di calcolo che si riscontra nelle Fundamenta nova, cercavano di dedurre le proprietà delle funzioni dalle loro espressioni analitiche ; nella seconda quelli che, seguaci di Abel e di Riemann, tutte le proprietà delle funzioni ed il modo stesso di calcolarne i valori, vo- levano dedurre da alcune proprietà loro fondamentali, o caratteristiche, che servivano a definirle. A questa seconda schiera appartenne il Betti, che fu del Riemann amico e caldo ammiratore, sebbene nella Monografìa V influenza dell' indirizzo dato dal Riemann all' analisi non si manifesti ancora intieramente, ma piuttosto quella del Puiseux. In una introduzione alla teoria delle funzioni, che precede la teoria delle funzioni ellittiche, il Betti stabilisce la esistenza di una funzione, ch'egli insegna a costruire, di una variabile complessa z finita, continua in tutto il piano, che diviene infinitesima del primo ordine iu punti dati arbitrariamente, dei quali però soltanto un numero finito cade in ogni porzione finita del piano z e situati in modo che le distanze dei loro indici non scendono mai al disotto di una certa quantità data d. Il Betti per la teoria, che aveva in vista di svolgere, non aveva bisogno di togliere queste limitazioni; fu il Weierstrass, che più tardi, (nel 1876), senza sapere di essere stato in parte preceduto dal Betti, le tolse, ed il teorema generale del Weierstrass costituisce ora uno dei capisaldi dell'Analisi moderna; ma la dimostrazione del Betti, che, come ha provato il Bini, (614) [6] poteva con lievi morliflcazioni servire anche al caso gene- rale, occuperà sempre nell' Analisi un posto di indiscutibile importanza. Le proprietà delle funzioni ellittiche dedotte dalle loro espressioni analitiche, che si costruiscono mercè le loro proprietà caratteristiche valendosi del teorema sopra ricordato e dei corollari che se ne traggono, insieme alla teoria della trasformazione costituiscono la materia della Monografia, sventuratamente rimasta incompleta. Alla stessa classe di ricerche appartiene la Teoria delle funzioni algebriche di una variabile complessa, che contiene un' altra applicazione dei medesimi concetti, coi quali, trovate le proprietà caratteristiche di queste funzioni, ne vien fatta una classificazione. In un lavoro di Geometria di quella stessa epoca al- cuni eleganti teoremi sulle curve tracciate sopra una su- perficie qualunque, che il Betti chiama ellissi ed iperbole geodetiche, danno una bella estensione delle proprietà delle ellissi e delle iperbole ordinarie. Ma dal 1864 in poi, il Betti, chiamato a succedere al suo venerato maestro Mossotti nell' insegnamento della Fisica matematica, diede un nuovo indirizzo alle ricerche, cui i suoi studi analitici e l'indole della sua mente, sempre rivolta ai grandi problemi della natura, lo avevano cosi bene apparecchiato ; da quell' epoca si può dire che tutte le sue memorie direttamente od indirettamente concernono questioni di fisica matematica e di meccanica. Scrupolosis- simo neir adempimento dei suoi doveri come insegnante, egli leggeva tutto ciò che si riferiva agli argomenti che svolgeva nelle lezioni, e bene spesso un dubbio, od anche soltanto una difficoltà sollevata da uno scolaro, lo spingeva a meditare sulle teorie esposte, a completarle ed a risolvere nuovi problemi. [7] ((115) Il modo col quale il Hktti detcì-mina la distribuzione d(dle correnti elettriche in una lastra rettangolare è una interessante applicazione dei metodi che servono a deduri-e le funzioni dalle loro proprietà caratteristiche. La teoria della capillarità, come fu esposta dal Betti, fa dipendere tutti i fenomeni capilhiri da tre proprietà fon- damentali della materia : 1° i punti materiali agiscono gli uni sugli altri a distanze piccolissime, dando luogo alle forze di coesione e di adesione, 2° queste forze devono avere un potenziale, .T l'azione essendo uguale e contraria alla reazione, dati due sistemi A e 15 in pj-esenza V uno dell' altro, il potenziale di I> sopra A deve essere uguale al potenziale di A sopra B. In questo come negli altri la- vori di fisica matematica, che or' ora esaminerò, si palesa r intendimento di ridurre a pochi principi meccanici fon- damentali le leggi dalle quali con })rocessi analitici si deb- bono dedurre le relazioni fra le (juantità misurate nei fenomeni osservati. Né vi ha chi })ossa mettere in dubbio che questo sia il carattere essenziale della moderna fisica matematica. Di maggior mole è il corso di lezioni che negli anni 1805, '()() il Betti pubblicò nel Nuovo Cimento col titolo : La teorica delle forze che agiscono secondo la legge di Neioton e sue applicazioni alla elettrostatica, opera della quale egli diede alle stampe una seconda edizione aggiun- gendovi le applicazioni al magnetismo. Di questa opera magistrale, nella quale sono commiste le teorie già note con quelle dell' autore, porrò in rilievo quei capitoli che contengono metodi originali, o nei quali si giunge a risul- tati nuovi. Anzitutto quello in cui, presa una funzione delle coordinate di un |)unto e di due parametri X e h. si deter- minano le c(»ndizioni sotto le (luali, tenendo fìsso il pai-a- moti'o h e facendo crescere il parametro X, a pai-tii-e da un valore Xq, uguagliata a zero, essa rapi»resenta nello spazio esterno la famiglia delle superfici(^ di livrllo corrispondenti ad una massa omogenea compresa fra le due superficie intì- (616) [8] nitamente vicine, clie si ottengono prendendo successiva- mente pei parametri i valori Xq , Hq, e Xq , ^o -f- ^h. Con questo metodo viene determinata la funzione potenziale di una massa omogenea compresa fra due ellissoidi omotetiche e quella distribuita fra due ellissoidi omotetiche in modo che la densità vari con continuità da strato a strato, quando ciascuno strato sia limitato da due ellissoidi omotetiche infinitamente vicine fra loro. Il problema della stabilità del sistema planetario è caso particolare di quello in cui essendo date n masse, che si attraggono colla legge di Newton, si cerca sotto quali condizioni le distanze relative dei punti non possono né crescere, né diminuire indefinitamente ed in un capitolo destinato a tale ricerca si trova che, in un moto stabile, la forza viva relativa media si conserva co- stante ed uguale alla metà del potenziale medio. La deter- minazione dei punti di massimo e di minimo della funzione potenziale di un sistema e la ricerca delle linee di forza, conducono il Betti a nuovi teoremi, coi quali termina la prima parte dell' opera. Nelle applicazioni della teoria alla elettrostatica va segnalato il capitolo in cui, valendosi di un processo indicato dal Lipschitz, il Betti risolve il pro- blema della distribuzione dell' elettricità in equilibrio sopra una callotta sferica e dell' elettricità indotta sopra une cal- lotta sferica conduttrice in comunicazione col suolo ed in presenza di una massa elettrica concentrata in un punto. Come pure è nuova la soluzione del problema della distri- l)uzione della elettricità in equilibrio sopra due cilindri a generatrici parallele, per la quale 1' Autore è costretto a modificare un teorema che 1' Helmiioltz ed il Ivirchhoff avevano adoperato nell' idrodinamica. Nella teoria dei-ma- gnetismo è propria del Betti la discussione delle idep di PoissoN sulla teoria matematica della induzione magnetica, da queste seguirebbe che il rapporto del volume delle mo- lecole magnetiche del ferro al ^■olume totale dovrebbe essere, secondo le esperienze di Thalex, p^ ; ora e [!)] ((517) iiiipossil)ile, come osserva il Maxwell, riempire uno spa- zio con sfere uguali in modo che il rapporto del loro volume al volume totale sia cosi prossimo all' unità e \)ov ciò il Maxwell non accetta V ipotesi di Poisson ; il ])I':tti assume invece i)er gli elementi magnetici la forma cilindrica ed allora, ammesse come esatte le esperienze di TuALÈx, il rapporto summeniovato prenderebbe il valore —- , che non presenta })iù la ditticoltà notata dal Maxwell. La es})Osizione della teoria dei dielettrici, quale fu data dal Mossotti, conduce il Betti ad una nuova spiegazione delle scariche dei condensatori. Questo ultimo capitolo dell'opera, della ([uale ho cercato con questi l)revi cenni farvi rilevare la somma importanza e che è meritamente apprezzata dai tisici, è di grande interesse per chi cerchi di farsi un esatto concetto del come il Betti supponeva avvenissero i movi- menti dell' elettricità, poi che in esso egli ammette che per variare lo stato di polarizzazione del dielettrico circondante il condensatore occorra un certo tempo. Egli era in ciò il vero continuatore delle idee del Mossotti, ne è prova la Ijreve nota sopra la elettrodinamica inserita nel Nuovo Cimento e r ipotesi che in essa egli stabiliva, lo induceva a consi- derare r elettrodinamica come una delle applicazioni della teorica delle forze newtoniane, se non che egli modificava la legge di Newton coli' ammettere che per la trasmissione dell' azione in quel caso occorreva introdurre un nuovo elemento, il tempo. Egli riteneva infatti che i circuiti chiusi, nei ({uali circola la corrente, fossero costituiti da elementi polarizzati periodicamente o ad intervalli uguali di temjjo e che agissero allora gli uni sugli altri come magneti, ma impiegando un tempo proporzionale alla hn^o mutua di- stanza. Tale ipotesi, che a lui send)rava più in ai-mouia delle altre coi fatti conosciuti, lo conduceva alle i-7rTi si fece amare pei suoi mf)di schietti, cortesi e modesti da (juanti lo avvicinarono. — Nel Consiglio superiore della Puhhlica Istruzione, nell' alto ufficio di Segretario generale portò sempre un sentimento elevato, che traeva sua origine da un infinito amore alla scienza ed alla patria. Ogni quistione egli illuminava con vedute nuove, per cui, ascoltato sempre, egli conquistava la reverenza e la stima dei suoi colleghi, che la nobiltà dell' animo, la vasta erudizione e la forza di raziocinio gli conferivano una eloquenza ben superiore a quella che si fonda sugli artificii della parola. Egli fu difensore inflessi- l)ile di ciò che riteneva il bene dell'insegnamento, né mai lo dissuase dal proporre quello eh' egli era convinto fosse giusto il sentimento dell'amicizia, che pur nutriva profondo. E mi sia concesso, egregi colleghi, che a (questo proposito io qui rammenti un aneddoto poco conosciuto, che denota la fermezza del suo carattere e come a tutto egli antepo- nesse ciò che riteneva di generale utilità. Allorcjuando il Betti era Segretario generale al Ministero della Pubblica Istruzione, egli rappresentava al Parlamento il collegio di Pistoia città, ebbene ne gli interessi del suo collegio, né le care e dolci memorie degli anni della sua giovinezza, pas- sati come scolaro e come maestro nel Liceo Forteguerri, lo trattennero dal compilare un progetto di riforma della isli-uzione secondaria, pel (|uale il solo liceo, che cessasse di essere governativo era queUo della sua città natale. E per questo complesso di rare virtù civili e di pre- clari doti di ingegno che oggi addolorati pensiamo alla grave [ìcrdita che abbiamo con lui fatto. Padova, 16 febbraio 1893. SUL NUOVO MICROMETRO A LAMINE APPLICATO ALL'EQUATORIALE DEMBOWSKI Memori a D I ANTONIO AB ETTI —-2- M -S Cenni sulla sua costruzione. — Il micrometro a larghe lamine da me adoperato tino a poco tempo fa e descritto nelle Astr. Nachr. (i) e negli Atti di questo Istituto (2) era stato costruito originariamente per il piccolo equatoriale di Starke di quest'osservatorio e fu soltanto provvisoriamente applicato al Dembowski in attesa di poterlo sostituire con altro. Tale sostituzione si operò nello scorso anno con un micrometro eseguito secondo i miei desideri dal meccanico (li (juest'osservatorio sig.*" Cavignato. Esso non differisce dal precedente in quanto al principio delle larghe lamine da me adottato fino dal 1880, ma se ne distingue per maggiore r()l)ustezza delle parti e per essere dotato di un buon cer- chio di posizione (3). Ciascun suo pezzo fu lavorato con in- telligenza e cura particolare seguendo le norme che di mano in mano venivano concordate fra me ed il si".'" Ca- (1) Voi. 10!, pag. 2.57, nnm. 2117. (2) Tom. II, Serie VI, 1884. (3) Detto cerchio ha il diametro di 15 centimetri ed è diviso in quarti di grado dei quali col nonio si ha il quindicesimo, pertanto le letture si ottengono in minuti primi. (624) [2] vignato, e «pecialmonte fu curata T esecuzione della vite micrometrica la (juale riuscì liuona, come .si vedrà appresso. Questa fu cavata da un cilindretto di buon acciaio. Metà del cilindretto è occupata dalla vite ; nell' altra metà fu tornito il collarino che serve a tenerla a posto, e la coda su cui si fissò il tamburo, graduato nella sua circonferenza, che serve per muoverla e pei' leggere le frazioni della sua rotazione. Il collarino è un dischetto a facce piane, parallele ed eguali che coml)acciano con faccie corrispon- denti prodotte nell'interno di una cavità formata dall'unione di due robusti pezzi di ghisa (i) facenti corpo con tutta la massa del micrometro. Riv(jlgendo la vite nell'uno o nel- l'altro senso l'asse intorno a cui avviene il suo movimento è l'asse di uno o dell'altro dei due piani di contatto. Nel tornire le due faccie del disco, e le altre due della scatola, fu posto tutto rim})egno per ottenei^e una perfetta simme- tria delle parti cosi che i due assi intorno ai (juali si pre- sume ruoti la vite di moto diretto, o retrogrado, riuscissero lìraticamente coincidenti. Il i)asso perduto che interviene all'atto della inversi(ìne d(d mo^ imento è stato nella massima parte eliminato nel modo che dirò, ma })erchè la vite possa muoversi agil- mente l)isognò Tollerare una lilìcrtà insignificante del disco nella sua scatola. 11 tamburo applicato alla coda della vite ha il diametro di 5 centimetri e la sua circonferenza è stata divisa in 100 parti bene visibili. Un piccolo roteggio contatore, che in- grana sulla coda, fa gii-are un (juadrantino sul quale si leg- g(nio i centesimi e si stimano ad occhio i millesimi. Girando il tamlìuro nel senso del movimento delle lancette di un oi'ologio la vite sposta il telaio j)oi*tante la lamina nel senso di av\icinaida al tand)uro e ne l'allontana quando questo (1) In pratica si è esperiìiieiitato che la yhisa lucidata oppone buona ist(;nza alla confricazione colf acci; ijo. [:r| nm) si rivolge in senso contrario. Si inten(l(3 che il iato del te- lajo su cui opera la vite porta scavata la madrevite ed è ({ui dove si verificherebbe la massiuia parte di passo per- duto. Ma fu pi'ovvisto con una molla arcuata di ottone (co- me è il telajo) la quale appoggia colle sue estremità contro il telajo volgendogli la concavità, mentre poi è attraver- sata nel vertice dell'arco dalla Aite che trova nello spes- sore della molla due o tre pani di madrevite. Nella monta- tura del micrometro la molla viene, come si suol dire, ca- ricata ovvero sia costretta ad esercitare la sua azione ciò che riesce nel primo avvitamento della vite, nelle sue due chiocciole, comprimendo l'arco contro il telarino e tenen- dovelo a forza aderente. È chiaro che, poscia abbandonata, hi molla eserciterà le sue spinte per la tendenza a ri- pi-endere la primitiva curvatura e la tensione manterrà il telarino sempre aderente alla vite. Errori progressivi. — Prima di adoperare questo mi- crometro nelle mie osservazioni ho voluto esaminare con diligenza la vite per lo scopo di stabilire a quale entità pos- sono salire i suoi errori progressivi ed i periodici. L'esame fu fatto col micrometro Alare di posizione di Merz, celebre per le osservazioni di stelle doppie del fu barone Ercole Dembowski e da lui profondamente studiato come si può vedere nelle Astr. Nadir, e nel volume delle sue Misure microìnetriche pubblicato dalla r. Accademia dei Lincei \)QV cura di Struve e di Schiaparelli. 11 procedimento se- guito nell'esame è analogo a quello esposto dal prof. Schia- parelli nella Pubblicazione XXXllI dell'Osservatorio di Milano, ed in poche parole proverò a spiegarlo. Su di un robusto castello di legno furono collocati uno sopra l'altro il micrometro Cavignato a lamine che chia- merò brevemente con L, ed il micrometro di Merz a fili che indico con F. Fu fatto in modo che l'immagine, di un oggetto posto nel piano del reticolo del micrometro L, e (626) [4] formata dal suo oculare, fosse veduta considerevolmente in- grandita nel micrometro soprastante F e nel piano dei suoi fili, e precisamente cosi grande che il suo cammino lineare, prodotto con una rivoluzione della vite esaminanda L, corrispondesse a venti rivoluzioni della vite esaminatrice F. Uno specchio obliquo, sottostante ai due micrometri, serviva ad introdurre in essi la quantità di luce necessaria per distinguere nettamente l'immagine dell'oggetto ed i fili. L'oggetto posto nel piano delle lamine del micrometro L fu una scala di vetro formata con incisioni rettilinee di- stanti fra loro mezzo millimetro. Dapprima fu esaminata la scala facendola avanzare, colla vite L, di divisione in divisione per lo scopo di misu- rare coi fili F l'ampiezza di ciascuna delle immagini di 32 mezzi millimetri. Con dodici serie di misure si giunse a determinare, in rivoluzioni della vite F, il valor medio dell'ampiezza dell'immagine di mezzo millimetro. Una tale ampiezza media di 19.978 rivoluzioni fu individuata in F mediante il filo fisso ed il filo mobile. Ciò fatto principia- rono le osservazioni che servirono a determinare gli errori progressivi della vite L. Per questo fu fatta avanzare [ed anche retrocedere] la scala di vetro sotto l'invariata distanza dei due fili. Siccome il passo lineare di L riusci (come era stato proposto) ampio mezzo millimetro, e siccome le incisioni della scala per troppa profondità di segno davano delle immagini larghe fu sempre possibile di stal)ilire, nel progressivo avanza- mento della scala fatto con una rivoluzione di L, l' im- magine di un punto da collimare situato entro ciascuna incisione. Le incisioni dunque avanzarono con un cammino lineare eguale all'intervallo costante dei due fili, e con un rivolgimento della vite L poco diverso da un' intera rivo- luzione, anzi con quella diversità che si vede nella colonna seconda della Tab I, la quale sarà spiegata tra poco. Quando si era rilevato il punto dell'immagine, che bissecato da uno dei due fili, pareva più acconcio lo si portava a coincidere [5] - (627) coU'alti'o filo movendo la vite L e le^^gendo al suo tamburo. Le letture cosi fatte per 32 mezzi millimetri, o ciò che torna lo stesso per 32 rivoluzioni della vite, furono di 40 serie \)ov il moto diretto, ed altrettante per il moto retro- grado, e (juiiidi iìi totale furono '.Ì2 y^ SO = 2ÒG0 letture, elle combinate insieme, per ognuna delle 32 rivoluzioni, diedero i valori medi trascritti nella colonna seconda di : Tabella I. Letture Letture 0-C Letture Letture 0-C ! calcolate osservate calcolate osservate — r.ooo — r.ooo +0 15^.991 15"".992 1 +1 ! — 0 .001 0 .001 2 16 .990 16.990 0 0 .999 1 .003 4 17 .990 17 .988 —2 1.998 2 .003 5 18 .989 18 .987 2 2 .998 3 .004 6 19 .989 10 .986 3 i 3 .997 4.004 7 20 .988 20 .986 2 1 4 .997 5.003 6 21 .988 21 .986 2 5 .996 6.003 7 22 ,987 22 .985 3 6 .996 7 .002 • 6 23 .986 23 .984 2 ! 7 .995 8.001 6 24 .986 24 .984 2 1 8 .995 9 .000 5 25 .986 25 .985 1 , 9. 994 9 .999 5 26 .985 26 .985 0 10 .994 10 .998 4 27 .985 27 .984 1 11.993 11.997 4 28 .984 28 .984 0 12 .993 12 .996 3 29 .984 29 .983 1 13 .992 13.995 3 30 .983 30 .983 — 0 14 .992 14 .994 2 La differenza fra l'ultima e la prima lettura (*) divisa per 32 dà 0.99947 per espressione dell'avanzamento di mezzo (1) Avvertendo che il punto di partenza fu la rivoluzione precedente lo zero indicata con — P. T. IV, S. VII 41 millimetro medio in rivoluzioni del micrometro L. Molti- plicando successivamente quel numero per 1, 2, 3 fino a 31 otteniamo i numeri della prima colonna di Tab. I indicanti le letture che si sarebbero fatte se non vi fossero stati er- errori di osservazione, e se il micrometro fosse perfetta- mente regolare o privo di quegli errori che consideriamo. Confrontando le due prime colonne di Tab. I si ottengono gli 0-C della colonna terza, ovvero gli scostamenti delle letture osservate dalle letture calcolate. Amendue le serie di queste letture sono cosi prossime a numeri interi di ri- voluzioni che gli 0-C possono considerarsi come relativi agli stessi numeri interi. Assumiamo questi come rivoluzioni osservate e come argomenti della Tab. II ; essi devono su- bire le correzioni 0-C e danno luogo alle letture corrette esposte nella colonna seconda della : Tabella II. Rivoluz. Rivoluzioni Rivoluz. Rivoluzioni osserv. corrette osserv. corrette r 0 0'.002 15 I5'.002 1 1.004 16 16.001 2 2.005 17 17 .000 3 3 .006 18 17 .998 4 4.007 19 18.998 5 5.006 20 19 .997 6 6.007 21 20 .998 7 7.006 22 21 .998 8 8.006 23 22 .998 9 9 .005 24 23 -998 10 IO .005 25 24 .998 ! li 11.004 26 25 .999 [ 12 12 .004 27 27 .000 1 13 13 .003 28 27 .999 14 14 .003 29 29 .000 30 29 .999 [7J (02f)) La tabella II può servire a correggere qualsivoglia lettura fatta al taml)nro della vite, e la lettura corretta «i tradurebbe poscia iu secondi col valore angolare medio di una rivoluzione. Dividendo 0.5, che rappresenta in numeri il mezzo mil- limetro, pei ().i)9947 otteniamo 0.50027 mm. per il passo lineare della vite; e siccome la distanza focale dell'equato- riale Dendjowski, al quale il micrometro va applicato, è di 3200,8 mm. il rapporto fra (juesti due ultimi numeri mol- tiplicato per R", dà 32".2.38 per invsso angolare della vite L. Moltiplicando ora i numeri della tabella li per questo passo, e facendo le differenze, si ottiene la tabella III la quale dà un' idea dell' ammontare degli 0-C ridotti in secondi di arco. Tabella III. J > 2 Valori angol. j delle Rivol. intere Valori angol. delle Rivol. corrette Valori angol. di 0-C ci ■5 £ 'vi > (5 !.i 1 ■^ o > 2 Valori angol. di 0-C 0 0.00 0.06 4-0 ".06 15 483".57 483'!63 -fo".06 I 32 .24 32 .37 0.13 16 515 .80 515 .84 0.04 2 64.48 64.64 0.16 17 548 .04 548 .04 0.00 3 96.71 96 .91 0 .20 18 580 .28 580 .22 —0.06 4 128 .95 129.18 0 .23 19 612 .52 612 .45 0.07 5 161 .19 161 .38 0.19 20 644 .76 644 .66 0.10 6 193 .43 193 .65 0 .22 21 676 .99 676 .93 0.06 7 225 .67 225 .86 0.19 22 709 .23 709.17 0.06 8 257 .90 258 .09 0.19 23 741 .47 741 .42 0.05 9 290.14 290 .30 0.16 24 773.71 773 .64 0.07 ' IO 322 .38 322 .54 0.16 25 805 .95 805 .88 0.07 II 354 .62 354 .74 0.12 26 838.18 838.15 0.03 : 12 386 .85 386 .98 0.13 27 870 .42 870 .42 0.00 13 419.09 419.19 O.IO 28 902 .66 902 .63 0.03 14 451 .33 451 .42 0 .09 29 934 .90 934 .90 0.00 30 967.13 967 .10 —0.03 (f)30) [8] Questi 0-C praticamente sono trascurabili nelle misure differenziali di posizione di pianeti e di comete tanto per il loro lieve ammontare quanto per la loro regolare suc- sione. Nel caso più sfavorevole la maggiore correzione si ha dalla somma numerica di -\- 0",23 e — O'MO eguale a 0".3 per un angolo di 16^ = 516"; cioè la correzione è più piccola del millesimo dell' angolo misurato ; d' altra parte l'errore probabile del passo, (che si troverà più avanti essere ±0". 02), moltiplicato per 16' dà il valore 0".3. Se poi la misura è di una sola rivoluzione da 0' ad V, oppure da IT"" a IS'", gli errori risultanti dagli 0-C, cioè 0".13 — 0".06, oppure — 0".06 -f- 0".00, sono minori di un decimo di secondo ; però relativamente all' angolo misurato, una rivoluzione, sono il doppio del suo millesimo. È poi evidente che per piccole misure si possono adope- rare i tronchi di vite più regolari ; ed inoltre che indi- pendentemente dalle lamine, permutabili quando si vo- glia con fili, il micrometro può servire per ogni delicata misura. Errori periodici. — Compiute le osservazioni per gli er- rori progressivi principiai quelle per la ricerca degli errori periodici. Prima di riferire intorno a questi mi sia permesso di chiarire come io li intenda, ovvero a quali cause ritengo di ascriverli. Quando una vite sia stata costruita con molta cura e cavata da un cilindro di buon acciajo (*) su di un torno di precisione, non si capisce come debbano nella vite prodursi degli errori periodici. Non è oggi difficile ottenere da un buon torno la simultaneità e l'uniformità dei due moti l'uno che fa ruotare il cilindro di acciajo, l'altro che fa avan- zare progressivamente l'unghiella che traccia sul cilindro il (1) Di grana minutissima uniformemente distribuita ciò che è ben visibile a priori da un esperto meccanico. p)] ((;:>, I) solco elicoidale da cui nasce la vite. Pei' ottenere il solco alla })i'ofon(lità voluta, cosi clie ne nasca il voluto rilievo del pane della vite, sono necessari successivi e reiterati tracciamenti alla ripresa di ciascuno dei quali l'unghiella viene affilata e ricollocata al principio della vite e tutta l'abilità dell'artefice si può dire che si esplica in questa pii^i che nelle altre ope- razioni (1). Non ammettendo che gli errori periodici appar- tengano alla vite bisogna cercare di spiegarli coi suoi col- legamenti agli altri pezzi del micrometro, collegamenti che non riescono mai a perfezione teorica, come è il caso gene- rale di qualsiasi strumento. La convinzione che gli errori periodici di una vite sieno piuttosto estrinseci che intrinseci alla vite stessa si andò in me preparando, dapprima coli' apprendere l'opinione (li Dembowski relativamente al micrometro da lui adoperato, e che ora sta nelle mie mani, poscia nel trovarla confer- mata nelle osservazioni fatte dal prof. Schiaparelli pel suo micrometro (2). Tale opinione, che ormai è un fatto incon- testabile, si è che « ad ogni decomposizione del micro- metro nascono errori dirersi. » Ciò si spiega subito im- putando gli errori ai collegamenti della vite perchè ad ogni decomposizione e ricomposizione è assolutamente im- })Ossi])ile rinnovare ogni volta identicamente il pristino stato di chiudimento delle viti di fermata che legano i varj pezzi fra loro, ed il pristino stato di oliatura 0 nettezza delle parti che rende più 0 meno agile e pronto il micrometro ; ma vi ha di più ancora. Non imputando gli errori alla vite questi devono esser diversi pei- i due moti diretto e retrogrado, percbè diverso è il collegamento che produce il moto progressivo, nell'uno o nell'altro senso, del telarino portante il filo o la lamina mo- (1) La ricollocazione dell' nng-hioUa si fa anche col sussidio di iina buona lente : inoltre è da avvertire che, in generale, compiuta la vite il lirimo dei suoi pani e forse qualche altro -si asportiino via. (2) Pubblicazione XXXIII dell' Osservatorio di Milano, pag. XXII. ((;:«) [10] bile. Questa diversità di errori è stata constatata da Bem- bo wski e da Schiaparelli (i), proba1)ilmente da altri, e risulta anche dalle mie osservazioni. Pertanto sono indotto a credere che la causa degli errori periodici nell'uno e nell'altro senso sia, almeno pel micrometro da me esaminato, un moto eccen- trico della vite per entro alla chiocciola del telarino cagiona- to dal non essere essa vite rigorosamente perpendicolare al telarino, o dal non ruotare rigorosamente intorno al suo asse di figura per le condizioni speciali di chiusura del suo collare nella scatola di ghisa superiormente descritta. Ammessa que- sta eccentricità devono i pani della vite agire come tanti eccentrici [eguali fra loro, o come fossero sempre uno e lo stesso eccentrico] per entro i pani della chiocciola e devono spingere o ritirare il telarino di quantità diseguali di cam- mino per eguali quantità frazionarie di rivoluzione della vite. Istituendo dei confronti fra il moto di rivoluzione della vite ed il cammino del telajo si perviene alla conoscenza degli errori periodici; e si può, o per eguali frazioni di ri- voluzione della vite osservare l' ineguale cammino lineare del telajo, o viceversa, per eguali spostamenti del telajo si possono osservare le diseguali frazioni di rotazione della vite. Nel mio caso, seguendo 1' esempio del prof. Schiapa- relli ("2) osservai il cammino del telajo e più propriamente delle immagini delle incisioni della scala di vetro da esso portata. Ciascuna delle 32 incisioni fu fatta avanzare [ed in seguito retrocedere] sotto il micrometro filare F come nel caso dell' esame pegli errori progressivi, soltanto che questa volta 1' avanzamento non fu più di un' intera rivo- luzione per volta, ma di un decimo di rivoluzione ; cioè il tamburo della vite L veniva condotto a segnare succes- sivamente 0'',0 0'',1 0\2 fino ad T'.O ; poscia da V,0 in a- (1) Confr. Pubblicazione citata. (2) Confr. Pubblicazione citata. [11] (i^X)) vanti (li decimo in decimo ; e nel micrometro F si seguiva il movimento delle immagini del mezzo millimetro mediante il filo mobile la di cui posizione si leggeva al tamburo F'. Dopo che un' incisione era stata mossa dei dieci decimi co- stituenti r intera rivoluzione di L, il filo mobile che per seguire 1' immagine dell' incisione era stato avanzato di 20"", veniva ricondotto indietro alla posizione iniziale di zero (*). In questa ricollocaziono veniva individuato il nuovo punto da collimare nell' immagine successiva ; questa, come la precedente, avanzava di decimo in decimo colla vite L e veniva seguita nel suo cammino dal filo F, e cosi via per tutte le 32 incisioni o 82 rivoluzioni di L ; facendo in tal modo 320 letture formanti una serie. Poiché per una rivo- luzione di L ne occorrevano 20 circa di F, cosi nelle serie istituite pel moto retrogrado fu presa per posizione iniziale del filo mobile quella distante dall' altra 20 rivoluzioni esatte ('^), retrocedendo poscia fino a zero. Nel puntare però r immagine col filo mobile si curò sempre di fare 1' ultimo movimento della vite F in uno stesso verso tanto nelle letture corrispondenti al moto diretto quanto in quelle corri- spondenti al moto retrogrado. La vite L fu esaminata con sei serie di osservazioni, tre corrispondenti al moto diretto ed altrettante al retrogrado quindi in totale si fecero 1920 letture. Il paragone fra le letture fatte sul micrometro F, colle letture che si sarebbero fatte immaginando diviso in dieci parti eguali Y intiero spazio (3) percorso dalle immagini per un' intera rivoluzione della vite L diede le differenze di lettura corrispondenti ad ogni decimo delle 32 rivolu- (1) Che per comodità fu prosa alla rivoluzion(> docinia della vite F. (2) Cioè la rivoluzione trentesima di F. (3) Spazio accennato di 20'' circa, ma che fu poi esattamente sta- bilito col concorso di tutte le osservazioni confrontando le due posizioni iniziale e finale del filo mobile. (634) [12] zioni in tutte le sei serie di osservazioni. Ritenute della stessa specie le differenze dei decimi omonimi in tutte le 32 rivoluzioni e nelle tre serie dello stesso verso, e rite- nuto che in cosi copioso numero di osservazioni gli errori di puntata, di lettura e del micrometro F si sieno bastan- temente compensati si sono fatti i medi e furono riguardati quali errori periodici della vite, come segue : Moto diretto oh - 0.0279 0.2 -0.0119 0.3 -0.0095 0.4 -0.0035 0.5 — 0.0080 0.6 — 0.0137 0.7 — 0.0090 0.8 — 0.0137 0.9 — 0.0074 1.0 — 0.0010 Moto retrogrado 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1.0 — 0.0135 — 0.0088 — 0.0022 — 0.0058 — 0.0212 — 0.0165 0.0078 0.0^85 — 0.0442 — 0.0128 Questi errori sono in parti di rivoluzione della vite esaminatrice F ; se si volessero avere in parti della vite esaminata L bisognerebbe dividerli per 20^, e più esatta- mente per 19^933 valor medio dell' intero cammino di una immagine nel micrometro F })er una rivoluzione di L nel- r uno e neir altro verso, e volendoli in secondi d' arco bisogna inoltre moltiplicarli per il valore angolare della rivoluzione L che sappiamo essere 32".238. Pertanto mol- .32 ".238 tiplicando quei numeri per r- = \".62 , e prendendo anche il medio dei valoi-i delle due tabelline alìliiamo in se- condi d" arco gli errori periodica seguenti : |i:ri ((i:5r>) MdTO DIRETTO o!i \- 0.0452 0.2 -o.oi!);5 0.:} -0.0155 o.t _ -0.0058 0.5 — O.Ol.'^O 0.0 — 0.0222 0.7 — 0.0140 0.8 — 0.0222 0.0 — 0.0120 1.0 — 0.0017 t0".0050 Moto retrogrado o'i — 0.0218 0.2 — 0.0142 0.3 — O.OO.T) 0.4 — 0.009.", 0.5 — 0.0342 0.6 — 0.0266 0.7 - - 0.0127 0.8 _ -0.0461 0.9 _ -0.0715 1.0 — 0.0207 1 + 0"'.0061 Medio o!i [-0.0117 0.2 - - 0.0026 0.3 - 0.0060 0.4 — 0.0018 0.5 — 0.02P>6 0.6 — 0.0244 0.7 — 0.0010 0.8 — 0.0120 — 0.0298 0.9 1.0 — 0.0112 + 0"'.0039 S(3tto quelle tre tabelliiic .stanno gli errori probabili di uno qualunque dei dieci valori che, per quanto riguarda ([uelli delle due prime tabelle è fondato su 22 X 3 = 96 letture osservate, e per quelli della terza naturalmente su (li un numero doppio cioè su 192 letture. Se ora indichiamo con cp l'argomento o la lettura del tamburo e con V uno qualunque di quei valori, possiamo rappresentare quelle tre tabelle con tre formole che hanno per espressione generale, Vcp = m sen (M -|- cp) la (juale proviene dall' assumere, Vcp = 00 cos cp -|- ly sen cp Pel calcolo di m ed M abbiamo, m = y{arì -\- y^) tg INI = - (1) {•^) (:^) ((•,:!(;) [14] perchè la (1) proviene dalla (2) facendo le posizioni {jc = m sen M y = m co.s M. E pel calcolo di x ed y abbiamo due equazioni sempli- cissime che derivano come segue. Ciascuno dei dieci valori delle tre tabelle dà origine ad un' equazione della forma (2) ; cosi per ognuna delle tre tabelle si avrebbero dieci equazioni di condizione e poscia le due equazioni normali seguenti : [cos T "^9 ] = [^os 2cp] X -\- [cos cp sen cp] y [sen cp Vcp ] = [cos cp sen cp] ^ -[- [sen -cp] y In queste sarebbe da fare cp successivamente eguale a 36°. 72°. 108° fino a 360°; cioè eguale alle dieci parti in cui fu divisa (a partire da 0°) la circonferenza rap- presentata dal tamburo, ma siccome cos cp ser icp 1 2cp cosS cp = 1 ''2 + .^cos 2cp sen"^ cp = 1 ■ 9 1 — -cos 2cp abbiamo, prendendo le somme. [cos cp sen 3S) [IH] timore di decomporre il micrometro (*) per il dubbio ch'essi debbano mutare radicalmente ; muterebbero, ma sempre nell'ordine di grandezza trovato (cioè centesimi di secondo) e perciò sarebbero sempre trascurabili. Il fatto che de- componendo il micrometro gii errori periodici cambiano fu, come dissi, osservato da Dembowski e da Schiaparelli. Nella Memoria di quest' ultimo , a pag. XXIV , si può vedere che il medio degli errori prima della decomposi- zione fu ()",022 e dopo la decomposizione 0".017 e che ambedue furono trascurati nel calcolo delle distanze delle stelle doppie. Valore angolare del Passo. — Quantunque il passo an- golare della vite, ovvero il valore angolare di una rivolu- zione, sia stato ottenuto collo stabilire il rapporto fra la ampiezza millimetrica di un pane e la distanza focale del- l' Obbiettivo, cioè sia stato derivato dalle osservazioni di gabinetto, era tuttavia necessario verificare il risultato con osservazioni astronomiche fatte direttamente all' equatoriale Dembowski pel quale il micrometro fu costruito. Pertanto applicati al micrometro cinque fili fissi, ed uno mobile colla vite micrometrica, e parallelo ad essi, osservai i passaggi di tre stelle equatoriali, e determinai con coincidenze le di- stanze dei cinque fili fra loro in rivoluzioni della vite. (1) Cosa che non credo si verificherà mai, almeno per un lungo tratto di tempo, eccetto che si volessero introdurre delle modificazioni nel micrometro, come sarebbe il cambio delle lamine coi fili. Anche per oliare la vite non occorre decomporre il micro aetro avendo il meccanico provvisto i necessari forellini per iniettarvi l' olio con un fuscellino di legno come si usa fare cogli orologi. Se poi si pensa che questi sebbene camminino sempre per tutte le ventiquattro ore del giorno si oliano ogni due o tre anni, si vedrà che il bisogno di oliare la vite, clie a" impiega per alcune ore nelle notti serene, devo presen- tarsi a lunghi intervalli, [ITI {(m I cinque tìli occupavano (juasi 1' intero spazio i)ei'coi'.so dalla vite ed erano disposti cosi che uno stava nel mezzo e ^li altri quattro, a due a due vicini ()'".6, e([uidistavano dal medio circa 15'" da una Itaiida e dall' alli'a. Pai-aj^onaudo le coincidenze fatte siti (jualLi'o tìli laterali con quelle l'atte sul filo di mezzo dedussi le ampiezze i^ dei quattro intervalli del campo in rivoluzioni. D' altra parte, coi passaggi de- dussi gli stessi intervalli in secondi, i" moltiplicando per 15 le differenze di tempo fra i passaggi ai tìli laterali ed al medio. Ora i quattro quozienti i'7v diedero quattro valori angolari del passo. E poiché le stelle osservate furono tre (1), nelle sere 22 e 23 aprile, si ebbero dodici valori del l)asso ciascuno fondato su dieci o molti piiì passaggi. Per dare un'idea dell'accordo che presentano i dodici valori tra loro dirò che ciascuno di essi ha un errore probabile infe- riore ad un decimo di secondo in arco, ed il medio di loro lo ha di due centesimi, ed entro questi limiti tutti i singoli valori si accordano bene col passo dedotto dalle misure mil- limetriche. Ma non mi accontentai di questa sola verifiica poiché mi si presentò la possibilità di attivarne un' altra semplice e spiccia e che, vorrei dire, tiene un posto fra- mezzo alla determinazione fatta in gabinetto e questa fatta astronomicamente. Volli cioè dedurre un' altro valore del passo, dal passo del micrometro filare F tanto bene deter- minato dal barone Dembowski e da me verificato ('^). Per- tanto lasciando sussistere i fili nel nuovo micrometro L mi- surai con esso, e coli' altro F, l' ampiezza compresa fra due })unti terrestri bene visibili scelti su di un campanile (3) della città distante circa un terzo di chilometro, dalia parte set- ai 892 51892 (1) l)M+()».-i815 di 4^-Par 12435 = Schj 3710 10" 2"» -fO^lO' Un'anonima doppia dì 9* gr. 11 14 — 1 4 V Leonis .... di 4=^ gr. 11 31 —0 14 (2) Astr. Nachr. e Misure Micrometriche. — Atti dell'Istituto T. II S. VI, 1884. (3) S. Pietro. (640) [18] tentrionale così che la faccia mirata si vedeva in buona luce. Le misure furono una trentina con ogni micrometro, in sen- so, prossimamente, orizzontale, ed in senso, prossimamente, verticale, usando il moto diretto ed il moto retrogrado. Colle misure orizzontali trovai che il passo del nuovo microme- tro è 1.537 di F e colle misure verticali L = 1.532 F. Il medio di questi due rapporti moltiplicato per 2r^08, passo di F, diede un valore concordante con quelli già trovati. Cosi per tre vie diverse ho trovato i valori seguenti che reputo di egual peso : I. Dalle misure millimetriche in gabinetto. . 32".238 IL Dalle osservazioni astronomiche 32". 338 III. Dal micrometro F 32 ".348 Facendo il medio e calcolandone l' errore probabile al solito modo cogli scarti dai tre valori suddetti risulta: Il passo angolare del nuovo micrometro a larghe la- mine applicalo al Demhoioski eguale a 32". 31 ih 0".02. Concluso cosi il passo angolare vennero tolti da L i fili e gli furono sostituite definitivamente due lamine fisse paral- lele all' asse della vite inservienti per le misure di ascen. retta, ed una mobile colla vite, perpendicolare alle altre due, ed inserviente per le misure di declinazione. Ciascuna lamina sottende nel Dembowski un angolo di un minuto ed un quarto. Con un facile congegno è stato anche provve- duto per variare a volontà la distanza delle due lamine fisse ed allontanarle fra loro di tanto da lasciar libero il campo dell' oculare, anche di quello del minor ingran- dimento. Oculari. — Per questo micrometro furono espressa- mente costruiti dal sig.'' Koristka di Milano tre oculari co- piandone tre dei migliori ed a me più soddisfacenti fra [li)] ((ili) quelli fin (iui adoperati. Essi sono l'iu.sciti co^4'ingmii45) più piccola o pili grande della lettui'a che si fai-ehbf in nioi'idiano ; {)ei'chò, a motivo dolla l'ifrazione, il cammino extramoridiano di una stella lungo il filo non è pei'pendico- lai-e al cerchio di declinazione. Le letture sul cerchio di posizione fatte fuori del me- ridiano air est, e contate nel senso convenuto di nord-est- su(l-()\('.si, vengono poste d'accordo colla lettura meridiana aumentandole di un certo angolo, mentre quelle fatte al- l'ovest si accordano diminuendole dello stesso angolo ;co- sichè se Po è la lettui-a in meridiano, si ha all' est od all' o\'est, Po ^ APo Cosi ridurremo le considerazioni sulla diversità di orientazione alla considerazione di APq ; vediamo ora come (juest' angolo serve a collegare le due formole che valgono per r Asc. Retta, avvertito che quanto alla declinazione una sola è la forinola ed indipendente da APq. Per poter fare la mia scelta ho consultate le formule che si trovano nelle pubblicazioni seguenti : Brunnow, terza ediz. tedesca. Berlino 1871. Chaiivenet, (juarta ediz. inglese. Londra e Filadelfia 18()8. Sanimi ung von Hnlfdafeln der Berliner Sternwarte 18(59. Astronomische Nachrichten, voi. 114 pag. 390. For- mole di Krueger. Tutte le formole, identiche nella sostanza, hanno la stessa origine dalle Astron. Untersuchungen. Il Briinnow (*) ed il Chauvenet danno la formola di Asc. Retta apjìlicabile al parallelo vero, le Hiilfstafeln danno invece la formola e le tavole per il parallelo apparente, e Krueger le dà tutte due. Ma nelle Hiilfstafeln troviamo anche la formola e la (1) Noto qui r errore della forinola di Asc. Retta pag. 561 § 46 dove nel denominatore deve stare cos -5 in luogo di cos 8. (646) [4] tavola per calcolare la deviazione dei due paralleli, ossia per il calcolo di APq. Dimostriamo adesso che detta formola può dedursi dalle formolo che Briinnow dà a pag. 559 per la corre- zione degli angoli di posizione osservati con l'una o coll'altra orientazione del reticolo. Infatti dal Briinnow si ha : Per il parallelo vero — a" tg 'Q- sen (p — yj) cos (p — yj) — a" tg ^ sen v] tg 5 Per il parallelo apparente — a" tg ^"^ sen (p — yj) cos (p — r^ A^ a" tg ^^ sen rj cos rj ponendo, come è lecito di fare, in luogo di >è e ^ la co- stante Besseliana a". Facendo ora la differenza fra le due formole avremo la differenza angolare APq , che sarà : APo = a" tg 'Q' sen y] cos y] -f- «" tg ^ sen y] tg S da cui APo = a" 'sen X^ sen y] . sen C cos yj sen ^ sen yj sen S cos"^ "C, cos C cos Introduciamo in questa le posizioni di pag. 558, cioè : sen ^ sen y] =: cos cp sen i \ sen ^ cos y] = cos S sen 9 — sen 5 cos cp cos t ( (a) cos C = sen 5 sen cp -|- cos 5 cos cp cos t ] dopo di aver posto cos cp sen t = sen M cos cp cos i = cos M sen 4" [■ (b) sen 9 = cos M coscp ed avremo [5] APo = a" (047) sen M cos M cos (5 -[- '\) sen M sen 5 APo = cos"^ M seii (5 -}- '1)"^ ' cos M sen (S-l"'];) cos 5 a" tg M cos 4» cos 5 sen (S -f cjj)2 (e) eh' è r espressione data nelle Hiìlfstafeln salvo a niolti[)li- car(^ il secondo membro per 1/son V volendo avere, (come ivi si è fatto tav. XX), il APq in minuti d' arco. Prendiamo adesso dalle Astr. Naclirichten le foi'mole di Krueger : Per la Declinazione a" [o' — 5) .^en-^ (N + 5) cotn cos- 5 Ro = -f Per r Asc. Retta 1) Parallelo vero R^a =r -|- cot n cos (N -j- 2o) sec^ 5 X P5 2) Parallelo apparente R^a = 2 cot n cos (X -|- 5) sec o y^\{Z ve n r=\){f — :\I od N ='|. Facendo la differenza fra 2) ed 1) ahhiaino R,a — R,a = R5 [2 cos (N-|-5) cos 0 — cos (N-|-5) cos 5 -f- sen (X -|- o) sen 5] cot n cos N \L K R5 sostituendo il valore di RS , di »?, ed X althianio a" tg- M cos '^ (ò' — 5) R„a — R.a cos"2 g v;en"^ (?]; -{- (648) [6] e confrontandola colla [e], tenuto conto del fattore 1/sen 1^ essa diventa APo (5' — o) R.a — R,a = r sen 1 (do) cos 0 che è r espressione cercata. Ma osserviamo anche come essa si può più speditamente ricavare dal triangolo ret- tangolo che ha, per vertici, i due astri supposti osservati nello stesso istante al cerchio di declinazione apparente (che è perpendicolare al parallelo apparente), e la proje- zione di uno di essi sul cerchio di declinazione vero che s' immagina condotto per 1' altro astro con un' inclinazione APq. Ih quel triangolo il cateto opposto all' angolo acuto APo è la differenza (R^a — R^a) cos 5 e 1' altro è la diffe- renza (S' — 5) quindi (R.a — R^a) cos S tg APo = ^ .. H da cui A Ti 1/ (Raa — Rya) cos 5 APo sen 1 = 0^ — 5 e ([uindi subito la (do). Poniamo R,a — R^a = RAa" ed adottiamo per unità il secondo d' arco e sarà finalmente, II' — o)" sen 1" RAa" = APo" ^ — . '1 cos a Calcoliamo la (e) e la (d) pei- un caso estremo a Pa- dova, per esempio, per una deciijiazione australe di ^O*^ (media fra 5' e S declinazioni dei due astri incognito e noto) e per un angolo orario di 2^,9 per cui C è circa 85". Troveremo colla (e) APo = 'SV = 1860" ; e colla (d) (nell'ipotesi di 5' — 5 = 600") 0'.42 in lempo. Se dunque si fosse fatta l' orientazione sul parallelo apparente e si calcolasse la ritrazion':^ colla formola d(d parallelo vero. [7] {im) o si tace.sso viceversa, il che è quanto dii-e che non si liadasse alla distinzione dell' orientazione, o delle forinole che vi corrispondono, 1' errore i)iìi grande che affetterebhe r Asc. Retta dell' astro incognito sarebbe minore di mezzo secondo di tempo. Ma il caso cosi estremo è da evitare, e basta fare 1" osser\;izione un" ora prima })erclu' il risultato (hdla (d) sia minoi'c di OM ; ed ancora minore se fosse o' — 0 <: 10' ciò che può essere, al)bondando ora le stelle di confronto nei nuovi recenti cataloghi. Dopo questo esame parvemi più acconcio scegliere la orientazione ij cioè quella f
      :^ 29.0 9.6593; 5 55 27.8 9.74462 2() 24.2 9.6624;'> 5() 21 .0 9.74721 •)■' 18.8 9.()()5r>5 57 14.2 9.74978 i [28 13.3 9.60S()0 5S 7 .2 9.752:12 , ! 29 7.9 9.()7107 5<) ;i5 0 .2 9.75485 :«) 38 2 .3 9.07470 60 34 53.2 9.757:38 (054) 3' [12] seg. Tav. I. ^ log. tg. M 1 ^ log. tg. M S S 0 34° 53^2 9.75738 30 38° 58'.6 9.82657 1 46.2 9.8598S 31 50.0 9.82868 2 39.1 9.76238 32 41.3 9.83077 3 31.9 9.76485 33 32.5 9.93284 4 24.7 9.76732 34 23.7 9.83490 5 17.5 9.76977 35 14.8 9.83695 6 10.2 9.77220 36 30 5 .9 9.83899 7 34 2.8 9.77462 37 29 56.9 9.84102 8 33 55 .3 9.77702 38 47.8 9.84302 9 47.8 9.77942 39 38.7 9.84502 10 40.3 9.78180 40 29.6 9.84702 11 32.7 9.78416 41 20.4 9.84900 12 25.1 9.78651 42 11.1 9.85()9() 18 17.4 9.78885 43 29 1.8 9.85291 14 9.7 9.79117 44 28 52.4 9.85484 15 33 1 .9 9.79349 45 43.0 9.85678 16 32 54.0 9.79578 46 33.5 9.85870 17 46.1 9.79807 47 24.0 9.86060 18 38.2 9.80034 48 14.4 9.86249 19 30.2 9.80260 49 28 4.7 9.86437 20 22.2 9.80486 50 27 55.0 9.86623 21 14.1 9.80709 51 45.2 9.86808 22 32 5.9 9.80930 52 35.4 9.86993 23 31 57.7 9.81150 53 25 .5 9.87176 24 49.4 9.81369 54 15 .6 9.87357 25 41.1 9.81586 .55 27 5 .6 9.87537 26 32.7 9.81803 5() 26 55 .5 9.877 1() 27 24.2 9.82019 5J 45 .4 9.87894 28 15.7 9.82233 58 35 .3 9.88072 29 31 7 .2 9.8244(5 59 25.1 9.8824S ' 30 30 58.6 9.82657 60 26 14.8 9.88422 i [l.TI 4" mg. {e>KA Tav. I. 1 '\ log-, tg. M ^. '^ log. tg. M 1 0 26'' 14^8 9.88422 30 20-^ 40^5 9.93061 1 26 4.4 9.88593 31 28.5 9.93197 2 25 54.0 9.88764 32 16.5 9.93332 3 43.6 9.88935 33 20 4 .4 9.93465 ! 4 33.1 9.89106 34 19 52.3 9.93597 5 22.5 9.89273 35 40.1 9.93727 6 11.9 9.89440 36 27.8 9.93854 7 25 1 .3 9.89607 37 15.5 9.93981 i 8 24 50.6 9.89772 38 19 3 .2 9.94107 9 39 .8 9.89934 3)9 18 .50.8 9.94232 10 28.9 9.90094 40 38.3 9.94352 i 11 18.0 9.90254 41 25.8 9.94473 12 24 7.1 9.90414 42 13.2 9.94593 13 23 56.1 9.90574 43 18 0.6 9.94712 14 45.0 9.90730 44 17 47.9 9.94830 15 33 .9 9.90885 45 35 .2 9.94946 \ 16 22.7 9.91040 46 22.5 9.95061 1 17 11.5 9.91193 47 17 9.7 9.95174 i 18 23 0.2 9.91344 48 16 56.8 9.95285 , 19 22 48.8 9.9149.3 49 43.9 9.95.39() 20 37.4 9.91642 50 31 .0 9.9.5505 21 26.0 9.91790 51 18.0 9.95612 22 14.5 9.91938 52 16 5 .0 9.95718 1 23 22 2 .9 9.92083 53 15 51 .9 9.95823 24 21 51.3 9.92227 54 ' 38 .8 9.95927 25 39 .7 9.92371 55 25 .6 9.9(5029 26 28.0 9.92513 5(5 15 12.4 9.9(5129 27 16.2 9.92652 57 14 59.1 9.96228 28 21 4 .3 9.92789 58 45.8 9.96325 29 20 52.4 9.92925 59 32 .5 9.9(5421 :30 20 40.5 9.93061 60 14 19.1 9.96517 1 ! (656) 5^ seg. Tav. I. .^ 1 s ^ log. tg. M tì '^ log. tg. M ■^ ^ i 0 14° 19M 9.96517 30 T 20M 9.98663 j 1 14 5 .6 9.96610 31 7 5.7 9.98710 1 2 13 52.1 9.96701 32 6 51.2 9.98756 1 3 38.6 9.96791 33 36.7 9.98801 4 25.1 9.96881 34 22.2 9.98844 5 13 11.5 9.96970 35 6 7.7 9.98885 6 12 57.9 9.97058 36 5 53.2 9.98925 7 44.2 9.97144 37 38.6 9.99963 8 30.5 9.97227 38 24.0 9.99000 9 16.7 9.97.307 39 5 9.4 9.99035 ! 10 12 2.9 9.97386 40 4 54.8 9.99068 11 11 49.1 9.97464 41 40.2 9.99099 12 35.2 9.97541 42 25.5 9.99129 13 21 .3 9.97617 43 4 10..8 9.99158 14 11 7.4 9.97692 44 3 56.1 9.99185 15 10 53.4 9.97763 45 41.4 9.99210 16 39.4 9.97833 46 26.7 9.99233 17 25 .3 9.97900 47 3 12.0 9.99255 18 10 11 .2 9.97966 48 2 57.3 9.99276 19 9 57.1 9.980.32 49 42.6 9.99295 20 43.0 9.98098 50 27.8 9.99312 21 28.8 9.98163 51 2 13.0 9.99327 22 14.6 9.98225 52 1 58.2 9.99341 23 9 0.4 9.9S286 53 43.5 9.99.353 1 24 8 46.2 9.9S346 54 28.7 9.99364 1 25 31.9 9.98404 55 1 3.9 9.99373 26 17.6 9.98459 56 0 59.2 9.99380 27 8 3 .3 9.98516 57 44.4 9.99386 28 7 48.9 9.98563 58 29.6 9.99390 29 34 .5 9.9S()14 59 14.8 9.99392 30 7 20.1 9.986()3 60 0 0.0 9.99393 1 1 i 1 ['■ {(157) < od o — 1 r-' TT Oi 'T* M — ' — Ci s=- °i-" ^ l- s=- ^(- o cx) r^» G5 io -T -yi ■yi o) ^ f rr rr -«r °Ì \ J' ^ -r Ci l.T --; t> t- (- (-- 00 '^( re 1-- ^ T o — i- ° O-l O 00 t^ -o iC O '^' X ^ °X X lO ce' 'i ; " o) LO 05 oJ id ci oi '-d CD O ce (- t- t- 00 00 y_f °ÌiS 'Ti fo p- (-CD e: iO_ c^* '^; -r (- f/ i-_ ce ^ 7* t- f^l 00 'q' O O ci ci )0 7> r^ o O' C5 o o co 00 i- r- t- ,-u!ioa(i -T ce co t-xc^jotrìocococo—'cci ° {-■ •^" (^) d oó ed »rf "^ co co evi iOiOiOiO^T-^rr-T-3'Tr o .2 o o^ 'o t; ed A sono eguali a zero per ciascuna declinazione ^ è eguale alla latitudine meno la declinazione ^ TT T-H -- c>> lO 00 co C5 lO c^i C5 ° co «d C5 0> lÓ 00 oi lO 05 co CD IO S LO CD CD CD (^ t^ l- oc oc ^ TT q CD t- q TT o r- LO co 0* '— q co id oc — 1 lÓ od ei IO ci co t-^ -^ lò ■^ rr -T lO lO iC O ce -D t- (- OO OO <1 ^ p- ^ O OC' O .-1 00 O X O LO 'f LO t- O -* Ci d od 0/ d d d — >' od -rr" — -* od .o co d i-' 05 X 00 ( - t- CD CD lO LO lO TT Tf TT TT ro ^ LO o ^ t- X CD Ci r- o -^ r » co «e T-i e: id d co x' -«■ ->* X d '^ co ci — ! d d d CD lO LO -T T '^ co co co co co co co co C^J yj> ^q '^ co q i- 'T o) oj c^> co ic 00 ^ TT t-; °ce lO x' — < '^^ od e? d d ^ od (^i t-^ — < >d ce et Ci ^ -r TT )C lO cD' cd cd i^ t- x x -i3 ^D. c- e* ?( o) q ^ q q 'T — _ Ci Ci Ci -H co d id t-' d ^ d LÒ oi d d '^ 1-5 d r-^ d ^ X t^ CD CD lO ^ TT -r iCO co co co W 0> O» O» *i f^ ^ o) q 00 — ce LO LO o] c^) t- LO lO X ce o o d d od oi r-' d d od d -T et w --<■'—■ d d o lO -* -«a- co co co ?* (7/ Ci c^) :^) cv> (^) ot o» y p ^ LO o o lO rr lo (- i-H lO o q '^> X LO o< Ci ol ló X — ; lo d ce X c^! 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IV. ^ log-, a" ? log. a" c '^'loS.a''' 0** 6.4458 75" 0' ().4218 80' 0' 6.3947 10 6.4458 10 6.4214 10 6.3931 20 6.4456 20 6.4210 20 6..3914 30 6.4452 30 6.4205 30 6..3895 1 35 6.4449 40 6.4200 40 6.3876 1 4^ 6.4446 50 6.4194 50 6.3856 1 45 6.4441 76 0 6.4188 81 0 6.3836 ! 46 6.4439 10 6.4181 10 6.3816 47 6.4437 20 6.4174 20 6.3795 48 6.4436 :!() 6.4167 30 6.3774 49 6-4434 40 6.4160 40 6.3752 50 6.4433 50 6.4153 50 6.3728 51 6.4431 77 0 6.4145 82 0 6.3702 1 52 6.4429 10 6.4138 10 6.3674 53 6.4428 20 6.4130 20 6.3643 54 6.4425 30 6.4122 30 6.3611 55 6.4422 40 6.4114 40 6.3578 56 6.4419 50 6.4106 .50 6.3544 57 6.4416 78 0 6.4097 83 0 6..3508 58 6.4412 10 6.4088 10 6.3469 59 6.4408 20 6.4078 20 6.3427 60 6.4404 30 6.4067 30 6.3382 61 6.4400 40 6.4056 40 6.3334 62 6.4395 50 6.4044 50 6.3284 63 6.4390 79 0 6.4032 84 0 6.3231 64 6.4384 10 6.4019 10 6.3174 65 6.4378 20 6.4005 20 6.3115 66 6.4370 30 6.3991 30 6.3052 67 6.4361 40 6.3976 40 6.2987 1 68 6.4351 50 6.3962 50 6.2919 i 69 6.4339 SO 0 6.3947 85 0 6.2847 70 6.4326 71 6.4311 72 6.4292 73 6.4271 74 (5.4246 75 6.4218 T. IV, S. VII 43 COMPENSAZIONE DELLE RETI GEODETICHE CONTORNO OBBIJGATO. dell'inox. ANTONIO LOPERFIDO 1. — Il numero delle condizioni per compensare le misure angolari di una rete geodetica di p vertici ed l l)asi, viene determinato con le note formule di Gauss : x = l — p-\-l (equazioni angolari) y ^=1 — 2p -f- .'3 . . . . (equazioni laterali) Queste relazioni cadono in difetto quando è dato in- variabile il contorno della rete, nel qual caso al numero delle condizioni, per lo più, si arriva, seguendo un criterio di esclusione. Non è però difficile stabilire altre formule, sulla guida delle quali si riesca, senz'altro, al numero suddetto. 2. — Supponiamo dato un sistema invariabile di n punti, congiunti ad altri m interni al perimetro cosi for- mato, ed in modo che si abbiano m -j- n triangoli chiusi, cioè con i tre angoli osservati. Il poligono essendo geometrico, è soddisfatta la con- dizione : S = (n — 2)7t-f-Q Q esprimendone l'eccesso sferico. m) [2] Inoltre, anche nella ipotesi che non vi siano le misure angolari corrispondenti, sono individuate le p — {m-\-3) diagonali uscenti da un vertice (p essendo uguale ad m-\-n); e quindi sono geometrici i triangoli nei quali esse suddi- vidono il poligono. Adunque, perchè questo non si deformi, compensan- dolo, dev'essere ; ^ = L-2|p-i(m + 3)| (1) y=h — 2p + 3 (2) dove h = l-\-n — 3 l essendo il numero delle basi effettivamente date. Dimodoché per la compensazione di una rete a con- torno obbligato, bisogna mettere 2{l — n) — 'Sin con- dizioni. La prima delle precedenti formule 1' abbiamo scritta cosi solo per amore di omogeneità nella notazione; ma in sostanza x = l — p. Epperò è anche ; OG==m-{- tj. (3) 3. — Le equazioni angolari per altro sono della forma: Vi -{- V^2 -j- Vi -\- Vf, -{- ^ = 0 nella quale i primi quattro termini denotano le variazioni degli angoli di un triangolo di cui A è Verrore di chiusm^a. Le equazioni laterali invece si presentano cosi (BaeyerJ: Vi cot a -f ^7. cot p -j- . . . + ^^^ ^^^ ^ ,; = 0 [3] (663) dove : seii a .son [i — il modulo dei logaritmi n(M)ei'iani, ed i coefficienti diffe- 1)1 renziali provengono dagli .sviluppi : Log sen [oc -\-vi) = Log sen a -\- ì\ cot a. Lon sen ( p -|- iig ) =: Log sen ^ -|- ra cot p. finiti al 2° termine, perchè le variazioni angolari si sup- })ongono piccolissime. A questi coefficienti, vi sostituiremo le differenze ta- volar! nei logaritmi seni corrispondenti alla variazione di 1" nell'argomento; il che è giustificato dall'essere: log sen ( a -j- i/'i ) = log sen a -\- Vi di log sen ( § + v<2 ) = log sen p -}- '*^2 ^2 nelle quali : di=m sen 1 " cot a. d-2 = m sen 1 " cot 8. ed m rappresenta il modulo dei logaritmi briggiani. Formate le equazioni di condizione che coiitei-i'anno 2{l — n) incognite, poiché ; 2 { l — n) — ?> m -^ 2 { l — n) per la determinazione di queste porremo la condizione : (664) [4] [_Phi'>'^h\ = minimum essendo in p^. rappresentati i pesi delle misure angolari semplici. Conseguentemente avremo : [Pkt^kdvj,'] = 0 la quale congiunta ai differenziali delle equazioni di con- dizione, moltiplicati ordinatamente per le incognite ausi- liarie Al Aa X2Q—n)—3m, dà luogo all'altra equa- zione : [A;, + PkVk] dt\ = 0 Quindi l'espressione generale delle correlate ; '^T<' = — ~r' Pk dove k s' intende esteso da 1 a , 2 ( / — n). Coesistendo queste equazioni con le condizioni date si ottiene il sistema delle equazioni normali (i). 4. — Ora giova osservare che se in uno degli {m-\-y) triangoli, la somma degli angoli per caso è di \S0° -\- eccesso sussiste sempre la condizione angolare relativa, a meno che non si vogliano far variare le direzioni, da cui quegli an- goli dipendono. Ma se manca una misura angolare, nel qual caso dovrà (1) Cfr. A. Ferrerò. Esposizione del Tnetodo dei minimi quadrati. Firenze 1876. [5] (665) conchbidersi il triangolo, ossia dedun-e l'angolo corrispon- dente in funzione (kdla somma degli alti'i due misurati, mancherà un'equa/ionc di condizione ; in generale si avran- no tante equazioni angolari di meno, (juanti sono i trian- goli conchiusi. Se dunque non vi fossero che le sole mi- sure ottenute sull'orizzonte di ciascuno degli m })unti in- terni, si avrebbero le sole equazioni laterali. In (juesto caso se 7n ^ 3 , si potrebbe vedere un modo di compensare il problema di Hansen preso sotto un aspetto più generale, purché si supponga una direzione trasversale da uno dei tre punti. Ponendo invece che sia 7n = 1 troviamo l'applicaziojie del problema di Snellius (1615) attribuito a Pothenot : quindi la compensazione per questo modo di determinazione, per cui è sufficiente avere n = 4 , esige due equazioni laterali, le quali si formano, considerando tre dei quattro triangoli che con un vertice concorrono nel centro di osservazione. Yalendosi allora di uno degli angoli calcolati con la solu- zione di Snellius e della direzione che corrisponde al lato del perimetro invariabile, formiamo quella del punto a de- terminarsi sull'orizzonte del vertice dell'angolo medesimo. A questa direzione si attribuisce una variazione che però si determina con le altre relative alle niisui-o angohu'i ese- guite sull'orizzonte del punto medesinuj. 5. — Se n^3 ed in = 1 , come conclusione della (1) e (2) hanno luogo tre equazioni dipendenti da due qua- lunque dei tre triangoli con un ver- tice in 0. Ep})erò : Vi — v^2 — i'r, + i'6 + ^1 = <>J -iH + ^'3 — ri + i'5 + A, = 0(4) B -div.2 - di,Vi + {(l-2+ffi)v5 - d^ve + A3 = 0\ ((Hi()) [6] Intanto col procedimento esporto, otteniamo : Al = Al — A2 A2 = — Al — di A3 A3 = A2 — ^4 A3 e quindi : A4 ^ — A2 — d^ A3 A3 = — Al + A2 + {d, + d,) A3 Ae = Al — c?3 A3 Vk Pk (5) dove a k bisogna attribuire tutti i valori intieri fra 1 e 6. Avremo per conseguenza le equazioni normali, che per brevità scriveremo cosi : A3 + Al = 0 A3 -f A2 = 0 A3 + A2 = 0 I valori di questi coefficienti potranno ottenersi nel seguente modo : fissando per ora l'attenzione sulla prima delle (4) e sulle (5), si costituirà il quadro : \aa \nlA \ar' .P. A.+ .P. A24- J\ \ah' 'hh' ■he .P. Ai + .P. A2 + JK ac -/jc ce j>. Ai + J. A2 + .p. A. A, A3 Vj 1 Pi 1 » — i\. 1 l'2 » £_ /'-. — ■U3 1 P-, 1 P:. ^6 1 P6 » Pf. Somme 17, fa// 'Li'. /' . [7] (mi) In modo aiialoLfo U*o\ eremo che: (''. , fh ff^ + d: fi P J Pi Pi Pi Po "^ Po Questo il modo })er compensare le misure angolari delle reti secondarie, i cui vertici cadono nei triangoli p7-incipali {}). Ora, poiché suU' orizzonte di una stazione geodetica ausiliaria, oltre alle direzioni sui punti principali, bisogna, per unifonnità di peso, misurare un ugual numero di volte (juelle relative agli altri punti ausiliari da essa vi- sibili, cosi, dopo la compensazione, questi punti devono es- sere collegati fra loro, affinchè la rete di cui fanno parte riesca come la fondamenLnle sulla quale viene appoggiata. Ciò posto, se per mancanza di misure nel vertice 0 è : Ai = A2 = 0 sarà anche : ossia vi è una sola equazione normale derivante dalla con- dizione del lato comune. (1) Si sa che mia reto geodetica serve ])er la misura di un arco terrestre (arco di nw ridiano o di parallelo), per il collegamento di due triangolazioni separate dal mare o per la costruzione della carta di un [laese ad una scala prestabilita. In ogni caso, per formarla si comincia a stabilire i imnti prin- cipnli alla distanza di 40 a 80 Cm. ; in modo cioè che l'eccesso sferico dei triangoli non superi i IO". Quando poi dovesse servire per l'ultimo degli accennati .scopi, per arrivare ai punti di dettaglio i cui elementi trigonom(;trici servono principalmente al mappatore per le levate topo- grafiche, bisogn i fra i primi interpolare altri punti che perciò vengono chiamati ausiliari e determinati anche con triangoli chiu.si. [8] Ed ecco il modo di compensare i punti di dettaglio, determinati per intersezione, cioè con tre misure angolari ottenute sui vertici di un triangolo invariabile. Se invece, per la ragione accennata, un solo degli errori di chiusura è nullo; sia Ai=0; è sufficiente trat- tare la sola equazione: '^'l + ^'3 174 — Z?3 + ^"2 = 0 In questo caso si otterrà : Vy = v^2 = — M ; t^'i = V5 = + Aa Aa A2 = -4' 0) evitando cosi di conchiudere il triangolo, nel vertice man- cante di osservazione, e di attribuire all'angolo dedotto la variazione — Vi-\- v^^ ì cui termini corrispondono alle mi- sure angolari degli altri vertici. A maggior schiarimento di (juanto abbiamo esposto, riportiamo il seguente esempio, nel quale però supponiamo uguali i pesi delle singole misure angolari ; per cui : [i^J := minimum ; [A^. -|- Vf^] dvk = 0 ^• — 1 k —1 (1) Seguendo questo criterio si otteng-ono compensate le misure angolari di un triangolo con una base costante. m ((569) Equazioni angolari. [Angoli sforici angoli piani Varia/-.' Ang. piani variati Logar. (lei lati geodetici \ngolo in () » B » C Somma =z llP2o20".41 19" '.68 +^'4—^6 51 39 45 .86 45 .13 + '\ 16 54é,8 .10 57 .40 — 1^3 180 00 04 .40 s^ = 2 .19 ^,=-\-2 .21 -f 2.21 -2.2098 18"".531 43 .719 57 .750 00 .000 1.'"^ equazione di condizione: '^2 — '^3 -\-V!, — Ve -\- 2.21=0 4.7721213.1 4.6977295.8 4.2670587.4 lato cost. Angoli sforici Angoli piani Varia/,.' Ang. piani variati Logar. dei lati geodetici Angolo in 0 » C » A Somma = 92»44'57'\21 31 28 30 .52 55 46 34 .81 55".88 29 .19 33 .48 —l'i 56".409 28 .840 34 .751 4.7798037.4 * 4.4980755.0 4.6977295.8 * lato cost. 180 00 02 .52 s, = 3 .99 A, =. — 1 .45 -1.45 +1.4498 00 .000 2.^ equazione di condizione : — i^i-\- Ih — ^i + 1?3 — 1 . 45 = 0 (670) [10] Equazione laterale. Diff. tavol. Yar.i Diff. tavol. Var.i log AC =4.7798037.4 iogsenBOC^9.9689099.6 » CA0=9.9 174239.8 - 8.2 +14.3 logBC =4.7721213.1 logsenOBC=9.8945215.2 » A0C=9.999o000.1 -1-16.7 — i Somma =4.6661376.8 4.6661428.4 + 27.5957 + 24.0857 Somma =4.6661428.4 — 24.0857 Ag^— 51.6 -1-51.6814 3.^ equazione di condizione : -f 14.3 . t\ — 16.7 y^ — 9 . 2 . 174 + vr, + 8.2 v^ — 51.6 = 0 Equazioni correlate. «5i = — Aa — 14 . 3 A3 «4 = Al — A2 — 9 . 3 A3 y2=:=Ai — 16.6 A3 155 = A2 + A3 '^3 = — Al + A2 iJe = — Al + 8 . 2 A3 Il sistema delle equazioni normali sarà dunque : 4 Al — 2A2 —84.1 A3 — 2 Al +4A2 4- 24. 6 A3 — 34 . 1 A, + 24 . 6 A2 + ()34 . 78 A;j da cui : Al = + 0.2179 ; A^ E quindi : 0 . 1259 ; A. 2.21 =0 1 . 45 = 0 51 .6 = 0 + 0.0981. [11] («'!) Vi = —ì". 2709 t\ = — 0". 5025 ^.^ = _1.410() i;5 = — 0.0338 ra = — 0 . 34<)8 v6 = -\-0. 5865 6. — Esaminiamo ora il caso di m = 0 ; siii)})Oi'remo (late le misure angolari e le loro ì^eciproche, secondo le n — 3 diagonali ; allora la (3) s' identifica alla (2), ossia non vi sono equazioni angolari, ma solamente laterali, il numero delle quali si dovrà determinare sempre nello stesso modo, cioè assumendo nella (2) L = Z + n — 3 (1) In verità, essendo verificate le due condizioni cui de- vono soddisfare gli elementi di una rete, perchè questa sia geometrica (noi qui supponiamo le misure angolari fatte con strumenti reiteratori ed in egual numero per ogni ver- tice) non dovrebbe aver luogo la compensazione. Tuttavia, per utilizzare i valori delle misure angolari originali e sopratutto per evitare il calcolo più laborioso del terzo lato di un triangolo con due lati e l'angolo com- preso, porremo le condizioni laterali, tanto più che cosi non si viene ad infirmare l'esattezza dei risultati. Se quindi n = 4 {caso limite), avremo una sola equa- zione, con la quale determineremo le variazioni che do- vranno subire le misure angolari a cui si è fatto cenno, perchè la diagonale geodetica coincida con quella che le corrisponde nel quadrilatero invariabile. Se Al e A.2 rappresentano gli errori di chiusura dei triangoli di cui la diagonale è base comune, sarà : (I) Del resto il numero delle equazioni laterali per questo caso ò sempre p — 3 , cioò quanto quello delle diagonali che escono da un vertice. (672) [12] AidzA-^ = 0 (6) secondochè il quadrilatero è convesso ovvero inb^ecciato (i). Ponendo quindi la condizione del lato comune, avremo un' equazione della forma : Vi di -f A3 == 0 Concludendo i due triangoli nel vertice opposto, tro- veremo gli angoli piani definitivi che hanno i lati concor- renti in esso mentre le differenze, uguali, fra questi an- goli ed i loro valori originali fanno conoscere la varia- zione fa opposta oppur no, in segno alla prima. Se manca una misura angolare, si deduce il corri- spondente angolo, conchiudendo un triangolo : l'angolo con- seguente si avrà per differenza, essendo invariabile quello del quadrilatero. E potremmo allora considerare come chiuso l'altro triangolo, se cosi non si venisse a contrad- dire la (6) , dunque Vi va, in ogni caso, determinata allo stesso modo. Inoltre, poiché in generale : y-2 = ^'i it A2 cosi in (juesto caso, in valore assoluto : ??2 = Vi Questo problema si può applicare al collegamento di dati punti invariabili per effetto di un calcolo di compen- sazione. Eccone un esempio : (1) In questo caso i due errori di chiusura sono identici, cioè u- guali in valore ed in segno. [1:ì| (fìrii) Angoli sferici Angoli piani Var.' Ang. piani variati Logar. dei lati geodetici Angoli) i,.C 34-22' 03". 181 02" .771 — ^'i 59".329 4.2670587.4 * » A 53 37 41 .181 40 .764 dedotto 4.4213088.3 » B 92 00 15 .976 15 .666 15 .566 4.5151412.7 180 00 00 .331 s. = 1 .230 A, = - 0 .899 59 .101 00 .000 * lato cost. Angolo in C 81 40 35 .875 34 .705 + ^-. 38 .147 4.6977295.8 * » D 40 31 50 .448 49 .278 49 .278 4.5151412.7 » A 57 47 38 .086 36 .916 dedotto 4.6297607.4 * 180 00 04 .409 s, = 3 .510 A. = +0 899 00 .899 00 .000 * lato cost. Equazione laterale. Diff. tavol. Var.' Uiff. tavol. Var.' log AB =4.2670587.4 logsenACD =9.9954008.6 » ABC =9.9997342.6 + 3.1 -h^, log AD logseuABC » ACB Somma =4.6977295.8 =9.8128136.2 =9.7516623.3 + 30.8 —Vi Somma 4.2621938.6 2055.3 + 10.6702 +106.0136 4.2622055.3 — 106.0136 A3=_ 116.7 +116 6838 33.9^1 — 116.7 = 0 da cui 1)1 = + 3". 442 quindi v^ = — 4". 341 (674) AO AC X [14] 1. — Supponiamo intìne il caso di un triangolo invariabile che abbia due punti interni. Per la (1) le condizioni angolari sono tre, dipendenti dai tre triangoli o da due di questi e dal rimanente qua- drilatero ; quindi sarà : y=\ ossia avremo una sola equazione late- rale espressa nella identità : AB AB '"^ AC "" ^ AO AO3 A03^ Si otterrà la espressione lineare di questa, sostituendo ogni rapporto, meno l'ultimo che è fisso, con il corrispon- dente dei seni degli angoli opposti, ed applicando poi la differenziazione logaritmica. Questo caso suggerisce il modo di compensare con- temporaneamente le osservazioni angolari di due punti au- siliari compresi nel perimetro di un triangolo della rete fondamentale. 8. - Se invece sono date le sole misure angolari nei punti 0 ed Oi , si ritrova il problema di Snellius. Possiamo anche in questo modo rendere invariabile una poligonale contermine con un lato del triangolo dato, posto che nei vertici di essa siano state eseguite misure angolari, meno in quelli, beninteso, che ha comuni col triangolo stesso. Chiamando Wj ed w^ gli angoli ottenuti con l'accennato problema, si sa che : 1 \ L tm \ ^(o)i + «"2)— 2 |^(^« + 1)-(A+ 3: a.-)| (7) a| , a-i essendo gli angoli misurati. [1-1 (075) tali- -((Oi— (o.j)^taii-- -(coi + o).)laii}4(4~)" — ^-p) ( r-* — Le esperienze fatte da Traumann (*) sopra la conden- sazione di tioiiree cogli a-alogenochetoni od aldeidi per po- tere decidere se nella formazione dell' anello tiazolico la reazione desse come prodotto finale un ammidotiazolo od un inimidotiazolina non condussero a definire la (juestione. Traumann facendo agire tiouree monoalchiliche e dial- cliiliche simmetriche su detti composti alogenati ottenne i monoalcliil- e dialcliil-derivati tiazolici, facendo giustamente osservare che si doveano avere i veri dialchilammidotiazoli colle tiouree bisostituite asimmetriche che da lui non po- terono essere ottenute per l'azione della xantogenammide sulla dimetilammina. In seguito, da ricerche fatte su questo argomento, P. Spica e G. Carrara (2) credettero poter dedurre che l'azio- ne tra le tiouree disostituite asimmetriche e gli alogeno- chetoni piuttosto che nel senso indicato dalla equazione seguente : (1) Berichte d.lJeut. chem. Ge^^ellsch., t. XXII, Rei", p. 19; Liebig's Annnlen, t. 249, p. 31. (2) Atti del R. hiUutu V'-neto. «er. VII. t. II, p. 220. ((i7S) CH-^Cl PIS li. CO ' XH -^ \ (;_Mr.,= HC K.C [^] S ,i("-XH.,-flI('l-fIL>() N indasso nel senso dell'altra equazione : lU'.Cl HS I + RCX} XH C'-NR% o CS C S = ^ xir, I -fHCl.XHir. uro Più tai'(li (1. Mazzaron (i) facendo agire .sopra il clo- ruro dell'acido dibenziltiocarbammico (clorotiondibenzilani- mina) l'XHs in sol. alcoolica ottenne la vera dibenziltiourea asimmetrica f. a l.']3°-l.']4°, identica a (juella che il Sal- kowski (-) avea ottenuto riscaldando per pai-eccliie ore a 141° in bagno ad olio il solfocianato di dibenzilammina. Io mi servii appunto della tiourea jireparata con (juesto ultimo metodo per farla reagire col bromoacetofenone, ed esporrò ijui i risultati avuti ; così pure esp(n'rò quelli avuti da (juesto e tiourea dibenzilica simmeti'ica. Azione di diheuziltioiiì'ea asimmeiynca e bromoccelofenonc. Pesi e(iuimolecolari di dibenziltiourea asimmetrica e bromoacetofenone li ho messi a reagire riscaldando a b. m. per circa un'ora in presenza di alcool in apparecchio a ricadere. Lasciando poi raffreddare ottenni una sostanza, che purificai facendola cristallizzare replicate volte dall'al- (1) Gaz:., chini., t. XXIII, p. 37. (2) Beri. Ber., t. XXIV, p. 2724. [3] (f)70) cool ac(|iH»s(j. Cosi piu'ilìcata si pi-o.seiita cristallizzata in aghi bianchi f. a 106". E in.solubilc in acqua ; discreta- mente solubile in alcool ed etere ; la soluzione alcoolica lui reazione leggermente alcalina, e dopo averla acidificata r(m ac. nitrico, non precipita con soluzione alcoolica di AgNO;j. Fusa con carbonato sodico e nitro, e lisciviata la massa con acqua, non dà reazione coi sali di Ag. Da un saggio fatto col sodio risultò che la sost. contiene azoto e solfo. Sottoposta all'analisi (quantitativa la sostanza mi ha dato i risultati seguenti : I. Gr. 0,271 di sostanza diedero gr. 0,7755 di 00-2 e gr. 0, 145 di H.2O. II. (Ir. 0,807 di sostanza diedero gr. 0,871 di CO.2 e gr. 0,165 di H.2O. III. Gr. 0,323 di sostanza diedero gr. 0,9175 di CO2 e gr. 0,170 di H-2O. IV. Gr. 0,3192 di sostanza bruciata col processo Du- mas e misurando l'azoto coll'azotometro Scliiff, diedero e. e. 21 di azoto a 16° essendo la pressione ridotta a 0°= 760. E calcolando per 100 parti : IV. I. II. III. Carbonio 78,04 77,37 77,46 Idrogeno 5,94 5.97 5,84 Azoto 7,80 Queste composizioni centesimali corrispondono con ({uelle del derivato fenildibenzilamidotiazolico che richiede l)er 100 parti : Carbonio 77,52 Idrogeno 5,61 Azoto 7,86 e che se^'ondo le vedute di Ti-aumann tlovrebbe essci-o l'a- l'enil-|xs-dibenzilammidotiazolo e quindi avere la formula : (080) [4] HC CeHg.C C-N(r7H7)^ N Detta sostanza non si salifica con HBr, e per tratta- tamento con soluzione acquosa di KOH dà un prodotto che estratto con etere f. a 85°-86°, che mi riservo di studiare. Azione di dihenziltiourea sùnmetrica con hromoacetofenone. Pesi equiraolecolari di dihenziltiourea simmetrica e bi'omoacetolenone sciolti a caldo in piccola quantità di al- cool, li ho mescolati, riscaldando a h. m. Lasciando raffred- dare ed evaporare l'alcool lentamente, ottenni una sostanza che, dopo purificazione mediante ripetute cristallizzazioni dall'alcool ac([Uoso, feci ricristallizzare dall'alcool caldo. Si presenta in cristalli voluminosi, incolori e traspa- renti, che appartengono al sistema monoclino (i) e fondono a 173°. È pochissimo solubile in acqua, solubilissima in al- cool, e la soluzione preci})ita con soluzione alcoolica di AgNOs ; anco dopo fusione con carbonato sodico e lisci- viazione con acqua dà precipitato con AgXOs. Anche questo I)rodotto contiene solfo e azoto. Trattato con sohizione di potassa, ed 'estraendo poi con etere si ha, per evaporazione (1) I.o studio cristallografico di questo uomposto venne cortesemente assunto dall' illustre prof. Panebianco. il quale, riservandosi di pubbli- carlo altrove e completo, ha comunicato per ora che le forme mostrate dai cristalli sono le seguenti: (110), (111"), (Oli), (001), (100), (201), con sfaldatura difificile secondo la base: 001 Colgo questa occasione per porgere vivi ringraziamenti al eh.""' prof. Panebianco, che volle fornirmi le indicate notizie. [5] ((iSl) di (questo, una .soslan/.a cIk' {)iirifirata per ri})etute cri- stallizzazioni dall' alcool ac({uoso si presenta in aghi f. a (JO^-G?" ; è solubile in alcool ed etere ; la soluzione ha reazione alcalina e nemmeno dopo fusione con carbonato sodico, dà reazione col AgNOj : salificata con HBr dà nuo- vamente il prodotto fusibile a 173°. Come si vede dunciue, non si forma in questo caso, come per la dibenziltiourea asimmetrica, la base libera, bensì il bromidrato. All'analisi queste sostanze fornirono i seguenti risultati : Sostanza fusibile a 173°. I. Gr. 0,506 di sostanza sciolta in alcool e precipi- tata con soluzione alcoolica di AgNOa diedero gr. 0,2555 di AgBr. IL Gr. 0,2725 di sost. diedero gr. 0,632 di CO^ e gr. 0,1235 di H^O. III. Gr. 0,2225 di sost. diedero gr. 0,5175 di CO-^ e gr. 0,107 di H2O. E per 100 parti : Calcolato per I II III Cn H,i N2 SBr Bromo 18,24 18,.30 Carbonio 63,25 63,43 63,15 Idrogeno 5,03 5,30 4,80. Sostanza fus. a 66''-67° Gr. 0,2110 di sost. bruciata col processo Dumas e mi- surando l'azoto coirazotometro Schifi" diedero e. e. 14,6 di N a 19° essendo la pressione ridotta a 0°= nim. 761,8. E per 100 parti: N trovato 8,14 Calcolato per C.23 H^o X-2 S 7,86. (682) .[6] Questi rapporti centesimali corrispondono con quelli dati dalla sostanza avuta per l'azione della dibenziltiourea asimmetrica. Si tratta quindi in questo caso d'un isomero, che, secondo quanto dice Traumann, dovrebbe essere 1' a- fenil-N-benzil-jxs-benzilimidotiazolina ed avere la formula: HC CfiH,.C NC7H, N.C7H7 Il diverso comportamento di ijuesti composti con l'HHr, con soluzione di potassa e con altri reagenti non mi hanno potuto dare finora alcun dato sulla vera loro costituzione chimica. Ed è questo che in seguito mi propongo di stu- diare. chetoni i rodanmetalli. Si origina dapprima il rodanche- tone che per assorbimento di acqua dà il car1)auiintioche- tone, e questo perdendo una molecola di acqua dà 1' ossi- tiazolo. In una mia recente memoria (*) ho confermato esatto il modo d' interpretare la reazione nella formazione di un ossitiazolo dato da Hantzsch e Weber {^), seguendo un altro processo sintetico di preparazione per quanto riguarda il fenilcomposto, ora esporrò i i-isultati avuti studiando 1' a- zione del tiocarbammato ammonico sul cloracetone. (1) Atti Ist. Ven., 1892, p. 303. (la:-:., cliirn., t. XXII. (2) Liebig' s Annalen, t. 249, p. 5. Azione di tiocurhammato ammonico sul cloracetone. Fatta la soluzione ac(|iio.sa di liocai'haminato aniiuonico e quella alcoolica (k4 cloracetone lasciando in leggiero ec- cesso il tiocarbaminato. le ho raffi'eddate con miscuj^lio di neve e sale ; e cosi a freddo versai la soluzione di tiocai'- l)amniato in quella del cloracetone, mantenendo sempre bassa la temperatura. Non ho osservato alcun indizio di reazione. Levai quindi la bevutina dal miscuglio frigorifero ed ho messo in apparecchio a ricadere riscaldando a b. m. per circa un' ora. Lungo la reazione si svolge un po' di H2S. La- sciato raffreddare, non ebbi depositata alcuna sostanza; la soluzione da incolora avea assunto un colorito rosso vi- noso. Evaporato l'alcool a b. m. ebbi un residuo che, sciolto in etere, decolorai con carbone animale. Per evaporazione della soluzione eterea ebbi una sostanza bianca, splendente, cristallizzata in aghi f. a 98° ; solubile in acqua, alcool ed etere. All'analisi essa m' ha dato i seguenti risultati : I. (n\ 0,808:3 di sostanza diedero gr. (),{)14r) di CO3 e gr. 0,1725 di H/). IL Gr. 0,8398 di sostanza diedero e. e. 84,() di azoto a 20°, essendo la pressione ridotta a 0°= 757,(). Calcolando per 100 parti si ha L IL Carbonio 12,07 Idrogeno 1,81 Azoto 1 1 ,87 Questa composizione centesimale corrisponde con (juella dell'a-metil-jis-ossitiazolo : HC CH,.C V 8 C.OH ((•.84) [8] avuto anco da Arapides {*■) per azione di Ba(SCN)-2 su clo- racetone e recentemente da Tcheniac (^), che richiede per 100 parti : Carbonio 41,73 Idrogeno 4,34 Azoto 12,17 e che presenta caratteri coincidenti con quelli della so- stanza da me avuta. Come si vede non potei qui ottenere il prodotto inter- medio carbamintiochetone che avevo ottenuto invece espe- rimentando col bromacetofenone. Probabilmente le condi- zioni di temperatura non erano opportune per la stabilità del composto chetonico e questo appena formato si trasfor- mava in composto tiazolico. Padova, Laboratorio di chim. farm. della R. Univer- sità, febbraio 1893. (1) Ivi. (2) Ber/. Ber., t. XXV, p. 3649. SULLO STATO DELLA MATERIA NEL FXJNTO CRITICO Nota Seconda ]) E L PROF. A. BATTELLI Dopo compiute lo mio ricerche s})erim(Mit;ili « sullo stato della materia nel [)unto ci-itico » (i) sono venute alla luce alcune pubblicazioni sullo stesso argomento, nelle quali si espongono idee e considerazioni che sono diverse dalle conclusioni a cui io pervenni. Credo utile passare bre- vemente in rivista i punti di divergenza fra i risultati delle mie esperienze e i concetti degli altri autori. In una memoria di Stoletow venuta a mia conoscenza nell'agosto u. s. quando fu riprodotta nella Physikalische Revìie di Graetz ("^) 1' autore fa una critica severa delle idee sviluppate da Wroblewski, da Jamin, da Cailletet e Colardeau, e da Galitzine, intorno allo stato critico dei corpi tentando di riconduri-e i tìsici alla prima idea di Andrews. Sebbene la critica di Stoletow, considerata partitamente in riguardo alle opinioni e ai ragionamenti a cui viene appli- cata, sia in gran parte giusta : tuttavia se si introducono (1) Alti dell' Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, p. 1G15 (1892). (2) Pìnj^iknl. Reme. Bui. IL. p. 44 (1892). — La memoria fu pub- blicata poco prima originalmente nella Società dei Naturalisti di Mosca. ((i8()) [2] nel contet>to delle sue di.sciussioni i mutamenti che sono ri- chiesti da una più esatta attinenza ai risultati sperimentali, si viene a cambiare la conclusione finale, a cui egli arriva con acuto ragionamento. Anzitutto Stoletow confuta gii argomenti coi quali Wroblewski, nella sua memoria « sulle isopicne » (i) tenta di provare che alla temperatura critica persiste ancora lo stato liquido. Tali argomenti riposano tutti — ad eccezione di taluno di secondaria importanza — sull'ammissione che la curva che rappresenta in funzione della temperatura le pressioni spettanti ai valori minimi dei prodotti p v , costi- stituisca al di sopra della temperatura critica il prosegui- mento della curva delle tensioni massime. Ora, lo Stoletow fa osservare che ciò non è conforme al vero ; poiché anche prima di raggiungere la temperatura critica, le due curve prendono una direzione diversa ; e quindi rigetta la conclu- sione di Wrobleski. Che in realtà la curva delle pressioni spettanti ai minimi p v non possa ritenersi il proseguimento di quella delle tensioni massime, ho avuto occasione di di- mostrarlo io stesso, in maniera evidente, in un lavoro « sulle isobare dei vapori {^) » ; però nel medesimo lavoro ho fatto vedere come la curva delle pressioni spettanti ai punti di flesso delle isobare al di sopra della temperatura critica non solo si dispone perfettamente sul prolungamento della curva delle tensioni massime, ma che inoltre le due curve si corrispondono molto bene sia in riguardo alla dilatazione termica che alla compressibilità della sostanza; per cui si è indotti a confermare l' ipotesi che scaturisce dalle mie esperienze sopracitate , che a })artire dalla temperatura critica non si depositi più il liquido sotto 1' aspetto di un fluido che occupa il fondo dei recipienti, ma che tut- (1) Wird. Ann., Bui. XXIX, p. 428 (1886). (2) Rendic. della R. Accademia dei Lincei, Ser. V, Voi. 2°, Fase. P (1893). [8] (687) tavia, per ciascuna temperatura, raggiunta una data jìi-cs- siono si comincino a formare gli aggi'uppamcnii moleco- lari corrispondenti allo staio liiiuido ; i quali jicrò sono animati da così grande forza vi\a che si spandono [km- tutto il recipiente in cui sono contenuti. Stoletow })orta di poi la sua critica sui due lavori di Jamin « Sur le point critique des gaz litiuèfiables » (') e « Sur la compressibili tè (;t la li(juèfaction des gaz>:'. (-) Nel i)rimo di essi Jamin cerca di spiegare i fenomeni delle viciiuinze del punto critico ammettendo che ([uando si riscalda itna sostanza fino alla temperatura critica, la densità del liquido alla temperatura stessa arriva ad ugua- gliare quella del suo vapor saturo, — donde la sparizione della superfìcie di separazione ; — e che a temperature su- perioi'i la densità del va})ore continui a crescere e quella del liijuido a diminuire, rimanendo l'uno e l'altro mesco- lati e confusi insieme. Nel secondo, costruisce le isoterme dell' CO» portando sulle ascisse le densità e sulle ordinate le pressioni ; e con- giungendo poi con due rette i punti corrispondenti rispet- tivamente su ciascuna isotermica alle densità a ed s del liquido e del suo vapor saturo, deduce dall'incontro di queste due rette, che avviene a 35°,5, la })ersistenza dello stato liquido al di sopra della temperatura critica. Inoltre cal- colando, coll'ajuto delle isotermiche stesse, i coefficienti di dilatazione sotto pressione costante, trova che corrispon- dentemente ai punti d' inflessione delle isotermiche al di sopra della temperatura critica, i coefficienti subiscono va- riazioni molto rapide e la compressibilità assume il mas- simo valore ; per cui conclude che i tratti in cui le isoter- termiche si inflettono rappresentino la liquefazione del gas. La critica dello Stoletow al primo di questi lavori è (1) Joum. de Phij.-^., II Sèr. Voi. 2^ p. 389 (1883). (2) Ibid., p. 393. (688) [4] assolutamente giusta ; anzi io stesso ho potuto diuiostrare sperimentalmente (loc. cit.) che l' ipotesi di Jauiin non va d'accordo coi fatti. Ma non altrettanto giusta mi seud^ra la critica del secondo lavoro. — Anzitutto è vero ciò che dice lo Stoletow che non è lecito continuare arditamente le due rette rappresentanti i valori di a e di s- fino al loro incon- tro ; però se noi consideriamo bene le isotermiche che sono al di sopra della temperatura critica e non troppo lontane da essa, vediamo che in queste sparisce bensì il tratto ret- tilineo, ma che tuttavia esso può dirsi sostituito da una curva inclinata, che si raccorda agli altri due tratti rego- lari della isotermica secondo due pieghe, Y una convessa l'altra concava verso 1' asse delle ascisse ; le quali pieghe hanno perfetta analogia con quelle spettanti alle isotermiche che sono al di sotto della temperatura critica. Ed è evi- dentemente in perfetto accordo con l' ipotesi che deriva dalle mie esperienze, — come ho dimostrato nel lavoro sulle isobare dei vapori, — l'assegnare al di sopra della tempe- ratura critica, i valori delle densità che si hanno nelle due pieghe, rispettivamente allo stato di vapor saturo e di li- quido (intendendo liquido nel senso sopra indicato). Se allora si congiungono accuratamente con una linea tutte le pieghe superiori e con un'altra tutte le inferiori, si vede che ambedue cominciano ad allontanarsi dalla linea retta un po' prima della temperatura critica ; e tendono ad incontrarsi anche molto al di sopra di 35.°C. Lo Stoletow trova illogiche poi le deduzioni che trae Jamin dai rapidi mutamenti che assume il coefficiente di dilatazione termica in vicinanza delle pieghe suddette ; e soggiunge che secondo lo stesso ragionamento dovrebbe escludersi l'acqua fra 0° e 4° C. dalla lista dei liquidi, perchè in queir intervallo il suo coefficiente di dilatazione termica è negativo. Tale critica è eccessivamente severa ; perchè sebbene il fatto osservato da Jamin non basterebbe da sé solo per stabilire che nei punti d'inflessione delle isoter- miche avvenga il passaggio dallo stato li(iUÌdo allo stato di [5] (mu) vapore ; esso però è di valiecie d'azione, .sicché il tentativo di ricavai- hi prima (hdhi seconda sia un semplice scambiar i nomi alle cose, non può venir in mente se non a chi ignori gli ai- gomenti, con cui l'idealismo ha dimostrato da secoli ì'\i-n- ducihilità delle due sorta di coniraiìposizione. — Se (luesti argomenti valgono — si dirà : — varranno intanto aiudie coni 1-1) di voi. — 1*] non è vero, (ili argomenti idealistici concludono senza rejìlic-a, dove [ìer pensiero s' intenda il pensiei'o maturo, nel quale l'oggettivila trovandosi sem})re congiunta alla permanenza e all' universalità, riceve dal connubio con queste forme un carattere particolare. Ma se si considera un pensiero affatto rudimentale, a cui le ultime due forme sieno ancora estranee, l'obbiettività di esso sarà (jualcosa di estremamente attenuato, di embrionale ; tanto- ché non é più assurdo assegnarle, in via d' ipotesi da di- scutersi, l'origine accennata. Crediamo d'aver dimostrato che la nostra ipotesi sem- plifica un po' la questione, non la lascia ne' termini in cui è stata sempre posta da chi l'ha capita, e donde pareva im- possi lille smoverla. Del resto, un' ipotesi non è nemmeno obbligata a tanto, per esser presa in considerazione e riu- scir anche utile. Spesso, per non dir quasi sempre, una nuova ipotesi si riduce a un nuovo modo di vedere, punto più semplice del consueto, talvolta più complesso, e invol- gente, se lo si consideri in sé stesso, le medesime difficoltà ([). es. l'ipotesi della gravitazione). Ma prima di sentenziarla sujierdua, bisogna vedere che partito ne tragga chi 1' ha proposta, applicandola ai particolari ; é qui che si svela il valore implicito dell'ipotesi, se esiste. Perchè nel suo ef- fetti\o incoi-[)orai'si con la materia trattata, un'ipotesi fe- conda riesce a illuminarne vivamente il concetto, facendo cosi svanire le difficoltà, rese insuperabili soltanto dell'uso di metodi disadatti. Rifiutare una formula, che vien messa innanzi come ricca di contenuto imi)licito, perchè è o pare inconcludente (698) [4] considerandone il contenuto immediato, è una leggerezza. P. es. : della soluzione idealistica, formulata più sopra, molti hanno già osservato cdie la formula dio la esprime, presa isolatamente, è in sostanza tautologica. Forse che perciò l'idealismo non esiste, o non ha esercitato sul pen- siero un'influenza potente? Non c'è forse un filosofo al quale non si sia imputata, nel punto più essenziale, qualche petizione di principio ; contuttociò alcuni credono ancora che dalla lettura de' grandi scrittori, e anche de' mediocri purché diligenti e non affatto superficiali, ci sia qualcosa da imparare. i Settembre 1892. Dino Varisco. Prezzo della Dispensa Fogli 10 V2 a Cent. 25 L. 2.62 Giorni piovosi p% ,\IU A.!t ^. lytc-Ciiii) ^^Luaji-to Sw-u. VU óomu N' ÌU/IT!' liiiiiiiiiiijiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiijiiiiiyiiiiiiijiiiiii 3 2044 106 264 336 .::>^v',^--, ^>^ •- ^^ % V>>' •H^t'^ ^^ ^ ".^ ì^'^ ,^é.>.^> T\ ■^■^A-' .•' \* « , -i ■■' X M ^ P ^ n ^ ji